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Francis Scott Fitzgerald
Francis Scott Fitzgerald BELLI E DANNATI INDICE. LIBRO PRIMO 1. Anthony Patch 2. Ritratto di una sirena 3. L'intenditore di baci LIBRO SECONDO 1. L'ora radiosa 2. Simposio 3. Il liuto infranto LIBRO TERZO 1. Un fatto di civiltà 2. Una questione di estetica. 3. Non importa! A Shane Leslie, George Jean Nathan e a Maxwell Perkins in ringraziamento del loro incoraggiamento. Il vincitore appartiene ai vinti. Anthony Patch. LIBRO PRIMO. 1. ANTHONY PATCH. Nel 1913, quando Anthony Patch aveva venticinque anni, erano già passati due anni dal momento in cui l'ironia, lo Spirito Santo di questi ultimi tempi, era, almeno teoricamente, calata su di lui. L'ironia era l'ultimo tocco alla lustratura di scarpe, l'ultima carezza della spazzola dei vestiti, una specie di "Ecco!" intellettuale: tuttavia sul limitare di questa storia egli non è ancora andato oltre lo stadio della consapevolezza. Quando compare in scena, si chiede spesso se non sia privo di onore e leggermente pazzo, un velo vergognoso e osceno che scintilla sulla superficie del mondo come olio su uno stagno limpido, e naturalmente questi momenti si alternano con quelli nei quali si considera un giovanotto piuttosto eccezionale, profondamente sofisticato, ben intonato al suo ambiente e vagamente più interessante di chiunque altro a sua conoscenza. Questa era la sua situazione fisica e lo rendeva allegro, simpatico e molto affascinante per gli uomini intelligenti e per tutte le donne. In questa situazione pensava che un giorno avrebbe potuto compiere in silenzio qualcosa di raffinato che gli eletti avrebbero considerato di valore e, col tempo, avrebbe raggiunto le stelle più fioche in un cielo nebuloso, impreciso, a metà strada tra la morte e l'immortalità. Fino a quando giungesse il momento di compiere questo sforzo egli sarebbe stato Anthony Patch: non un ritratto d'uomo ma una personalità precisa e dinamica, testarda, sprezzante, protesa dall'interno all'esterno: un uomo consapevole del fatto che non poteva esistere onore eppure era dotato di onore, che conosceva le sofisticherie sul coraggio eppure era coraggioso. Un galantuomo e il suo intelligente figliolo. Anthony traeva dal fatto di essere il nipote di Adam J. Patch lo stesso senso di sicurezza sociale che avrebbe provato ricostruendo la sua genealogia oltre oceano fino ai Crociati. E' una cosa inevitabile; nonostante le proteste dei Virginiani e Bostoniani, un'aristocrazia basata unicamente sul denaro esige la ricchezza personale. Ora Adam J. Patch, più noto tra gli intimi come "Cross Patch", lasciò la fattoria del padre a Tarrytown già nel sessantuno per arruolarsi in un reggimento di cavalleria di New York. Ritornò dalla guerra con il grado di maggiore, fece la sua carica in Wall Street e tra la confusione, il fumo, gli applausi e l'ostilità si procacciò circa settantacinque milioni di dollari. Questo occupò le sue energie fino all'età di cinquantasette anni. Fu allora che decise, dopo un grave attacco di arteriosclerosi, di consacrare il tempo che gli restava da vivere alla rigenerazione morale del mondo. Divenne un riformatore tra i riformatori. Emulando lo splendore degli sforzi di Anthony Comstock, dal quale prese il nome il nipote, sferrò un vasto assortimento di diretti e "uppercut" all'alcool, alla letteratura, al vizio, all'arte, alle specialità medicinali e ai teatri domenicali. Sotto l'influenza di quell'insidiosa muffa che finisce per formarsi su tutti tranne su pochissimi, si abbandonò furiosamente a tutte le indignazioni dell'epoca. Da una poltrona nell'ufficio della sua tenuta di Tarrytown si scagliò contro un enorme nemico ipotetico, la mancanza di virtù; campagna che continuò per quindici anni, durante i quali egli si rivelò un monomaniaco fanatico, una calamità arbitraria e un seccatore insopportabile. Nell'anno in cui inizia questa storia lo troviamo già stanco; la sua campagna era diventata sconnessa; il 1861 stava lentamente avviandosi al 1895; i suoi pensieri si aggiravano in gran parte sulla guerra civile, un poco sulla moglie e il figlio morti, in quantità quasi infinitesimale sul nipote Anthony. All'inizio della carriera Adam Patch aveva sposato una anemica signora trentenne, Alicia Withers, che gli procurò centomila dollari e una entrée impeccabile nei circoli bancari di New York. Immediatamente e quasi passionalmente gli aveva partorito un figlio, dopo di che, come del tutto devitalizzata dallo splendore di questa azione, si era autocancellata negli spazi nebulosi della stanza dei bambini. Il figlio, Adam Ulysses Patch, divenne un inveterato frequentatore di circoli, intenditore di belle forme e guidatore di tandem: alla stupefacente età di ventisei anni incominciò a scrivere le sue memorie sotto il titolo: "La società di New York quale l'ho conosciuta". Quando si sparse la voce di quest'idea, il libro fu ansiosamente richiesto dagli editori, ma poiché alla morte dell'autore esso si rivelò di una verbosità smodata e noioso sino al fastidio non ottenne mai una pubblicazione sia pure privata. Questo Chesterfield da Quinta Strada si sposò a ventidue anni. La moglie era Henrietta Lebrune, la "Contralto di società" di Boston, e l'unico figlio dell'unione fu battezzato, su richiesta del nonno, Anthony Comstock Patch. Quando andò a Harvard, il nome Comstock si staccò dal suo per precipitare negli inferi dell'oblio e non se ne udì più parlare. Il giovane Anthony aveva una fotografia del padre e della madre insieme: durante l'infanzia gli era stata così spesso davanti agli occhi da acquistare l'impersonalità del mobilio. Ma tutti coloro che entravano nella sua camera da letto la guardavano con interesse. Rappresentava un dandy della fine del secolo, snello e ben fatto, ritto accanto a un'alta signora bruna col manicotto e un accenno di busto. Tra loro era un ragazzino dai lunghi riccioli bruni, vestito di velluto alla Lord Fauntleroy. Questo era Anthony a cinque anni, quando gli era morta la madre. I suoi ricordi del Contralto di società di Boston erano vaghi e musicali. Era una signora che cantava, cantava, cantava, nella sala di musica della loro abitazione in Washington Square: a volte circondata dagli ospiti, gli uomini con le braccia incrociate, in equilibrio sui bordi dei sofà col fiato sospeso, le donne con le mani in grembo, a bisbigliare agli uomini di quando in quando e applaudire sempre animatamente e con gridolini ammirati alla fine di ogni pezzo; e a volte cantava per Anthony solo, in italiano o francese o in un dialetto strano e orribile che secondo lei era il dialetto dei negri del Sud. Molto più vivi erano i ricordi del galante Ulysses, il primo uomo in America a rovesciare il bavero della giacca. Quando Henrietta Lebrune Patch "andò ad unirsi ad un altro coro", come diceva di quando in quando con voce roca il suo vedovo, padre e figlio andarono a vivere dal nonno a Tarrytown e Ulysses veniva ogni giorno a trovare Anthony nella sua stanza, ed emetteva piacevoli parole odorose, a volte per un'ora intera. Prometteva continuamente ad Anthony spedizioni di caccia e spedizioni di pesca e gite ad Atlantic City, "oh, tra un po' di tempo"; ma nessuna di esse si concretò mai. Fecero un solo viaggio; quando Anthony ebbe undici anni andarono in Europa, in Inghilterra e Svizzera, e quivi nel migliore albergo di Lucerna il padre morì tra molti sudori e grugniti e invocazioni per ottenere un po' d'aria. Nel panico della disperazione e del terrore Anthony venne ricondotto in America, intriso di una vaga malinconia che lo avrebbe accompagnato per tutto il resto della vita. Passato e personalità del protagonista. A undici anni aveva orrore della morte. Nel corso di sei anni gli erano morti i genitori e la nonna si era spenta quasi impercettibilmente fino a quando, per la prima volta dal giorno del matrimonio, la sua persona ebbe per un giorno una supremazia indiscussa sul suo salotto. Così per Anthony la vita divenne una lotta contro la morte, in agguato in tutti gli angoli. Per fare una concessione alla sua fantasia ipocondriaca prese l'abitudine di leggere a letto: lo calmava. Leggeva finché era stanco e spesso si addormentava con la luce ancora accesa. Il suo passatempo preferito fino a quattordici anni fu la raccolta di francobolli; enorme, quasi completa come può esserlo la raccolta di un ragazzo: il nonno riteneva ingenuamente che servisse a fargli imparare la geografia. Così Anthony si teneva in corrispondenza con una mezza dozzina di ditte di "Francobolli e Monete" e capitava di rado che la posta non gli portasse qualche album da francobolli nuovo o qualche fascio di campionari smaglianti: l'interminabile spostamento dei suoi acquisti da un album a un altro aveva per lui un misterioso fascino. I francobolli costituivano la sua maggiore felicità e corrugava impaziente la fronte a chiunque lo interrompesse mentre era intento a giocare: gli divoravano sempre la sua retta mensile e restava sveglio la notte a meditare instancabile sulla loro varietà e sul loro sfolgorio multicolore. A sedici anni aveva vissuto quasi del tutto in se stesso, ancora inarticolato, profondamente diverso dagli altri americani e cortesemente stupito dei suoi contemporanei. I due anni precedenti li aveva passati in Europa con un insegnante privato, che lo aveva persuaso che Harvard era quello che ci voleva; gli avrebbe "aperto le porte", sarebbe stato un tonico prodigioso, gli avrebbe procurato innumerevoli amici devoti sino al sacrificio. Così andò a Harvard: era la cosa più logica da fargli fare. Trascurando il problema dei rapporti sociali visse per qualche tempo solo e indisturbato in una stanza di lusso di Beck Hall: era un ragazzo snello, bruno, di media statura, dalla bocca timida e sensibile. La somma che aveva a disposizione era più che liberale. Pose le fondamenta di una biblioteca comperando da un bibliografo girovago alcune prime edizioni di Swinburne, Meredith e Hardy e un'ingiallita lettera autografa illeggibile di Keats, accorgendosi dopo che era stato indotto a pagare un prezzo di gran lunga eccessivo. Divenne un dandy squisito, ammassò una raccolta quasi patetica di pigiama di seta, vestaglie di broccato e cravatte troppo vistose per poterle portare; indossando questa biancheria segreta camminava davanti a uno specchio in camera o si sdraiava avvolto nel satin sul divano accanto alla finestra guardando in cortile e rendendosi vagamente conto del frastuono ansante e vicino in cui pareva che egli non dovesse mai aver parte. Con un certo stupore si accorse, al terzo anno, di essersi fatto una posizione nel suo corso. Venne a sapere che lo consideravano un personaggio un po' romantico, uno studioso, un recluso, un pozzo di sapere. Questo lo divertì ma in segreto gli fece piacere: incominciò a uscire, prima un poco e poi molto. Fece il favorito. Si mise a bere in silenzio e secondo la tradizione. Si cominciò a dire di lui che se non fosse venuto all'università così giovane avrebbe potuto riuscire molto bene. Nel 1909, quando si laureò, aveva soltanto vent'anni. Poi di nuovo all'estero: questa volta a Roma, dove si occupò alternativamente di architettura e di pittura, incominciò a studiare il violino e scrisse alcuni sonetti raccapriccianti in italiano che contraffacevano le meditazioni di un monaco del tredicesimo secolo e la gioia della vita contemplativa. Si venne a sapere fra i compagni di Harvard che si trovava a Roma, e chi andò in Europa quell'anno si recò a trovarlo e scoprì con lui, in molte passeggiate sotto la luna, parti della città più antiche del Rinascimento e perfino della Repubblica. Maury Noble, di Philadelphia, per esempio, si fermò due mesi, e insieme compresero il fascino particolare delle donne latine e provarono la sensazione meravigliosa di sentirsi molto giovani e liberi in una civiltà molto antica e libera. Non pochi furono gli amici del nonno che andarono a trovarlo, e se lo avesse desiderato avrebbe potuto essere accolto come "persona grata" nell'ambiente diplomatico: si accorgeva ogni giorno più di tendere verso la compagnia, ma il suo atteggiamento era ancora determinato dalla lunga solitudine di adolescente e dalla timidezza che ne era derivata. Ritornò in America nel 1912 a causa di una delle improvvise malattie del nonno, e dopo un colloquio estremamente fastidioso con l'eterno convalescente decise di rinunciare fino alla morte del nonno all'idea di stabilirsi all'estero. Dopo una lunga ricerca affittò un alloggio nella Cinquantaduesima Strada e secondo tutte le apparenze si sistemò. Nel 1913 l'adattamento di Anthony Patch all'universo si stava compiendo.Fisicamente era molto migliorato dai tempi dell'università: era ancora troppo magro, ma le spalle gli si erano irrobustite e il viso bruno aveva perso l'aria spaventata dell'anno da matricola. In segreto era un amante dell'ordine e nel fisico era sempre azzimato: gli amici dichiaravano di non avergli mai visto i capelli scomposti. Il naso era troppo affilato; la bocca era uno di quei disgraziati specchi di umore che tendeva a piegarsi visibilmente nei momenti d'infelicità, ma gli occhi azzurrieranoincantevolisiaquando erano animati dall'intelligenza, sia quando erano socchiusi in un'espressione melanconica. Pur avendo lineamenti privi della regolarità indispensabile per l'ideale ariano, a volte era considerato bello: inoltre era molto pulito, nell'aspetto e nella realtà; di quella particolare pulizia che deriva dalla bellezza. L'alloggio perfetto. Pareva ad Anthony che la Quinta e la Sesta Strada fossero la sommità di una scala a piuoli gigantesca che si stendesse da Washington Square a Central Park. Quando veniva in città sull'imperiale di un autobus verso la Cinquantaduesima Strada aveva immancabilmente la sensazione di scalare a palmo a palmo una serie di piuoli malcerti, e quando l'autobus si fermava con un sobbalzo al piuolo voluto gli veniva una specie di sensazione di sollievo mentre scendeva dalla temeraria pedana metallica sul marciapiede. Dopo non aveva che da scendere la Cinquantaduesima Strada di mezzo caseggiato, oltrepassare una serie pigiata di case di pietra, e poi in un baleno si trovava sotto l'alto soffitto della sua spaziosa camera sulla facciata. Questa era del tutto soddisfacente. In fondo era qui che incominciava la vita. Qui Anthony dormiva, faceva la prima colazione, leggeva e riceveva gli amici. La casa era di una pietra scura, ed era stata eretta verso la fine del secolo; per rispondere alle richieste sempre più numerose di appartamenti piccoli, ogni piano era stato rifatto da cima a fondo e affittato singolarmente. Dei quattro appartamenti quello di Anthony al secondo piano era il più riuscito. La camera sulla facciata aveva bei soffitti alti e tre finestroni conunabellavistasulla Cinquantaduesima Strada. Nell'arredamento evitava di appartenere a un periodo preciso. Non era né rigida né sovraccarica, né squallida né decadente. Non odorava né di fumo né di incenso: era vasta e di un azzurro chiaro. Vi era un divano in cuoio bruno morbidissimo e la sonnolenza vi aleggiava come una nebbia leggera. Vi era un gran paravento di lacca cinese decorato soprattutto di pescatori e cacciatori geometrici in nero e oro; serviva a creare un'alcova d'angolo con una poltrona voluminosa custodita da una lampada arancione. Nel fondo del caminetto un parafuoco quadrangolare era diventato, bruciando, di un nero cupo. Attraverso la sala da pranzo che, data l'abitudine di Anthony di consumare a casa soltanto la prima colazione, si limitava a essere una meravigliosa potenzialità, e percorrendo un corridoio relativamente lungo, si giungeva al centro e al cuore dell'appartamento: la camera da letto e il bagno di Anthony. Erano entrambi immensi. Il soffitto della camera da letto faceva parere di misura modesta perfino il grande letto a baldacchino. Sul pavimento un tappeto esotico di velluto cremisi riusciva morbido come la flanella ai piedi nudi. La stanza da bagno, in contrasto col tono vagamente sinistro della camera da letto era allegra, chiara, molto accogliente e perfino un po' scherzosa. Incorniciate alle pareti erano le fotografie di quattro bellissime attrici famose in quel momento: Julia Sanderson in "The Sunshine Girl", Ina Claire in "The Quaker Girl", Billie Burke in "The Mindthe-Paint Girl" e Hazel Dawn in "The Pink Lady". Tra Billie Burke e Hazel Dawn era appesa una stampa che rappresentava un grande strato di neve illuminato da un sole freddo e minaccioso: questo, secondo quanto sosteneva Anthony, simboleggiava la doccia fredda. La vasca da bagno, munita di un ingegnoso portalibro, era bassa e vasta. Accanto a essa un piccolo guardaroba era straripante di un'intera generazione di cravatte e di biancheria sufficiente per tre uomini. Non vi era un pezzo di asciugamano elevato al ruolo di stuoia, ma un vero tappeto, un miracolo di morbidezza come quello della camera da letto, che pareva quasi un massaggio per i piedi bagnati che uscivano dalla vasca... Nell'insieme una stanza da cospiratori: era facile accorgersi che Anthony si vestiva qui, si pettinava qui i capelli immacolati, faceva qui in realtà ogni cosa tranne dormire e mangiare. Era il suo orgoglio, questa stanza da bagno. Pensava che se avesse avuto un'innamorata ne avrebbe appeso la fotografia di fronte alla vasca da bagno in modo che, immerso nei vapori molcenti dell'acqua calda, potesse restar sdraiato a guardarla meditando con ardore sensuale sulla sua bellezza. Ed è uno che ce la fa. Si occupava della pulizia dell'appartamento un domestico inglese che aveva il nome stranamente, quasi teatralmente appropriato di Bounds; la cui tecnica era offuscata soltanto dal fatto che egli non portava il colletto duro. Se tosse stato il Bounds di Anthony soltanto, a questo difetto sarebbe stato posto sommario riparo, ma egli era anche il Bounds di due altri signori del vicinato. Dalle otto alle undici del mattino apparteneva soltanto a Anthony. Arrivava con la posta e preparava la colazione. Alle nove e mezzo tirava un lembo della coperta di Anthony e pronunciava alcune parole concise: Anthony non riusciva mai a ricordare con chiarezza che parole fossero e aveva un vago sospetto che fossero spregiative; poi serviva la colazione su un tavolino da gioco nel salone, faceva il letto e dopo aver chiesto con una certa ostilità se occorreva altro se ne andava. La mattina, almeno una volta la settimana, Anthony andava a trovare il suo agente di cambio. Aveva una rendita di poco inferiore ai settemila dollari all'anno, gli interessi sul capitale ereditato dalla madre. Il nonno, che non aveva mai voluto aumentare al figlio una retta molto liberale, riteneva che questa somma dovesse bastare al giovane Anthony per le sue necessità. A Natale gli mandava sempre un titolo da cinquemila dollari, che Anthony di solito vendeva, se riusciva a farlo, perché era sempre un po' - non molto - a corto di denaro. Le visite all'agente di cambio passavano da una conversazione quasi di società a discussioni sulla sicurezza degli investimenti all'otto per cento, e Anthony era sempre lieto di farle. Il grande trust delle imprese di costruzione lo legava decisamente alle grandi fortune dalla cui solidarietà derivava rispetto e la certezza di esser ben guidato dalle gerarchie dell'alta finanza. Da questi uomini frettolosi veniva ispirato in lui lo stesso senso di sicurezza che provava contemplando la ricchezza del nonno: perfino di più, perché questa aveva vagamente l'aria di un prestito emesso dal mondo alla virtù morale di Adam Patch, mentre il denaro di città pareva afferrato e tenuto esclusivamente da forza indomita e volontà colossale; inoltre, pareva più decisamente ed esoticamente denaro. Nonostante Anthony avesse il fiato grosso per vivere della sua rendita, essa gli pareva sufficiente. Certo sarebbero venuti giorni dorati in cui avrebbe avuto molti milioni; nel frattempo trovava una "raison d'être" nella creazione di saggi teorici sui Papi del Rinascimento. Il che riconduce alla conversazione da lui avuta col nonno subito dopo il ritorno da Roma. Aveva sperato di trovare il nonno morto al suo arrivo, ma telefonando dal molo aveva saputo che Adam Patch si era relativamente rimesso: l'indomani aveva nascosto il disappunto ed era andato a Tarrytown. A otto chilometri dalla stazione il taxi entrò in un viale accuratamente ripulito, che tesseva un vero e proprio labirinto di muretti e di steccati a difesa della tenuta perché, diceva il pubblico, era risaputo che se i socialisti raggiungevano il potere uno dei primi a venire ucciso sarebbe stato il vecchio Cross Patch. Anthony era in ritardo e il venerando filantropo lo aspettava in una veranda di vetro, dov'era intento a sfogliare per la seconda volta i giornali del mattino. Il suo segretario, Edward Shuttleworth - che prima di redimersi era stato giocatore professionista, padrone di saloon e reprobo in generale introdusse Anthony nella stanza, mostrandogli il suo redentore e benefattore come se si trattasse di un tesoro di valore immenso. Si strinsero gravemente la mano. "Sono tanto lieto di sentire che stai meglio" disse Anthony. Il Patch Senior, con l'aria di aver visto il nipote pochi giorni prima, prese l'orologio. "Treno in ritardo?" chiese sottovoce. L'attesa di Anthony lo aveva irritato. Non solo s'illudeva di aver sempre trattato i suoi affari, in gioventù, con ogni scrupolo, fino ad adempiere i suoi impegni senza un minuto di scarto, ma si illudeva pure che in questo consistesse la ragione diretta e fondamentale del suo successo. "E' arrivato spesso in ritardo, in questo mese" disse con una sfumatura di accusa larvata nella voce; e poi, dopo un lungo sospiro: "Siediti". Anthony scrutò il nonno con lo stupore silenzioso che provava sempre in sua presenza. Che questo vecchio debole e poco intelligente avesse avuto un tale potere che, nonostante la stampa gialla, i cittadini della repubblica di cui non avrebbe potuto direttamente o indirettamente comprare l'anima non sarebbero bastati a popolare White Plains, pareva impossibile a credersi come il fatto che una volta era stato un bebè bianco e rosa. Lo svolgersi dei suoi settantacinque anni aveva agito come un mantice magico: il primo quarto del secolo lo aveva colmato di vita e l'ultimo gliel'aveva tutta risucchiata. Gliel'aveva risucchiata nelle guance e nel torace e nella circonferenza del braccio e della gamba. Aveva tirannicamente rivoluto ogni dente, uno per uno, aveva sospeso gli occhi minuscoli in sacche scure bluastre, aveva spilluzzicato i capelli, l'aveva mutato da grigio in bianco in certe zone e da rosa a giallo in certe altre cambiando i colori cinicamente, come un bambino che si esercita con una scatola di colori. Poi attraverso il corpo e l'anima aveva dato l'attacco al cervello. Gli aveva mandato sudori notturni e lacrime e timori infondati. Aveva spezzato la sua normalità intensa nella credulità e nel sospetto. Dal materiale grezzo del suo entusiasmo erano state ritagliate decine di ossessioni larvate ma petulanti; la sua energia era stata ridotta alla capricciosità di un bambino viziato e alla sua volontà di potenza si era sostituito un fatuo desiderio puerile di un mondo di arpe e cantiche su questa terra. Esaurite con tocco brillante le frivolezze, Anthony sentì che ci si aspettava da lui una spiegazione sulle sue intenzioni: e nello stesso istante una luce negli occhi del vecchio lo ammonì di guardarsi dallo sfiorare, per il momento, il suo desiderio di vivere all'estero. Avrebbe voluto che Shuttleworth avesse abbastanza tatto da lasciarli soli - detestava Shuttleworth - ma il segretario si era sdraiato silenziosamente in una sedia a dondolo e volgeva da un Patch all'altro lo sguardo degli occhi sbiaditi. "Ora che sei qui dovresti FARE qualcosa" disse il nonno sottovoce "concludere qualcosa." Anthony aspettò che dicesse: "Per lasciare qualcosa di fatto quando morirai". Poi fece una proposta: "Ho pensato... Credo che forse il meglio che potrei fare è scrivere. . ." Adam Patch socchiuse gli occhi, immaginando un poeta di famiglia coi capelli lunghi e tre amanti. "...storia" concluse Anthony. "Storia? Storia di che cosa? La guerra civile? La Rivoluzione?" "Ma... no. Una storia del Medio Evo." Nello stesso momento gli nacque l'idea della storia dei Papi del Rinascimento, scritta da un punto di vista romanzato. Però fu lieto di aver detto "Medio Evo". "Medio Evo? Perché non il tuo paese? Qualche cosa che sai?" "Ma, vedi, ho vissuto così a lungo all'estero..." "Perché tu debba scrivere sul Medio Evo non lo capisco. L'età delle tenebre, lo chiamavano ai miei tempi. Nessuno sa che cosa sia successo e nessuno se ne cura, se non per il fatto che non ci sono più." Continuò per qualche minuto sull'inutilità di questi studi, parlando naturalmente della "corruzione dei monasteri". Poi: "Credi che potrai lavorare a New York... se intendi davvero lavorare?" Queste ultime parole con cinismo soffice, quasi impercettibile. "Ma, sì, credo, nonno." "Quanto ci metterai?" "Be', devo fare un profilo, capisci... e un mucchio di letture preliminari." "Direi ché di queste dovresti averne già fatte abbastanza." La conversazione giunse a strattoni a una conclusione piuttosto brusca, quando Anthony si alzò, guardò l'orologio e disse che quel pomeriggio aveva un appuntamento con l'agente di cambio. Era venuto con l'intenzione di fermarsi qualche giorno dal nonno, ma era stanco e irritato per lo scontro duro e non aveva il minimo desiderio di sopportare una discussione scaltra e pia. Sarebbe ritornato tra qualche giorno, disse. Tuttavia si deve a questo incontro il fatto che il lavoro entrasse nella sua vita come idea permanente. Durante l'anno successivo aveva preparato parecchie liste di studiosi, aveva perfino fatto qualche tentativo coi titoli dei capitoli e la divisione in periodi della sua opera, ma non una sola riga scritta esisteva per il momento né aveva l'aria che sarebbe mai esistita. Non faceva niente; e in contraddizione con le teorie dei libri di scuola più accreditati, riusciva a distrarsi con soddisfazione superiore alla media. Pomeriggio. Era l'ottobre del 1913, il pomeriggio di una settimana di giornate piacevoli, col sole che indugiava agli angoli delle strade e l'atmosfera così languida che pareva appesantita dalle foglie che cadevano come fantasmi. Era piacevole sedere pigramente accanto alla finestra aperta a finire un capitolo di Erewhon. Era piacevole sbadigliare verso le cinque, scaraventare il libro sul tavolo e avviarsi canticchiando nel bagno lungo il corridoio. "To...you... bea-t-if-ul lady," cantava mentre apriva il rubinetto "I raise... my... eyes; To...you... bea-t-if-ul la-a-dy My... heart... cries..." Alzò la voce per gareggiare con l'acqua che riempiva la vasca e guardando la fotografia di Hazel Dawn alla parete si appoggiò un violino immaginario alla spalla e lo carezzò lievemente con un archetto invisibile. Con le labbra chiuse canticchiò qualcosa che gli pareva somigliasse vagamente al suono di un violino. Dopo un po' le mani smisero i movimenti e cincischiarono la camicia incominciando ad aprirla. Spogliato e in un atteggiamento atletico simile a quello degli uomini dei cartelloni pubblicitari, si guardò con una certa soddisfazione nello specchio, rilassandosi per provare con un piede l'acqua della vasca. Ritoccando un rubinetto ed emettendo qualche grugnito preliminare vi si immerse. Quando si fu abituato alla temperatura dell'acqua, si abbandonò in uno stato di soddisfazione sonnacchiosa. Finito il bagno si sarebbe vestito con comodo e lungo la Quinta Avenue sarebbe sceso al Ritz, dove aveva un appuntamento coi due compagni più fedeli, Dick Caramel e Maury Noble, per cenare con loro. Dopo cena lui e Maury dovevano andare a teatro; Caramel probabilmente sarebbe filato a casa a lavorare al suo libro, che doveva esser finito in breve tempo. Anthony era lieto di non dover lavorare al suo libro. L'idea di sedere a pensare non soltanto parole di cui rivestire i pensieri, ma pensieri degni di essere rivestiti di parole, tutta questa storia assurda era lontana dai suoi desideri. Uscito dal bagno si lustrò con la cura meticolosa di un lustrascarpe. Poi andò in camera da letto e fischiettando un'aria confusa, incerta, si aggirò qua e là abbottonandosi, accomodandosi e godendosi il calore del tappeto fitto sotto i piedi. Accese una sigaretta, gettò il fiammifero fuori della finestra aperta, poi si interruppe con la sigaretta a cinque centimetri dalla bocca che si aprì lievemente. Lo sguardo gli si era concentrato su una zona di colore vivace sul tetto di una casa in fondo al viale. Era una ragazza in vestaglia rossa, certo di seta, che si asciugava i capelli al sole ancora caldo del pomeriggio avanzato. Il fischiettare si spense sull'aria greve della stanza; Anthony fece un altro passo guardingo verso la finestra con l'impressione improvvisa che la ragazza fosse bella. Sul parapetto di pietra, accanto a lei, era un cuscino dello stesso colore della vestaglia e la ragazza vi stava appoggiata con le braccia mentre guardava la strada soleggiata, nella quale Anthony udiva giocare i bambini. La osservò per qualche minuto. Qualcosa si rimescolò in lui, qualcosa che non poteva venir spiegata dagli odori tiepidi del pomeriggio né dalla violenza trionfante del rosso. Anthony continuava a sentire che la ragazza era bella; poi d'improvviso capì: era la sua distanza, non la distanza rara e preziosa di un'anima, ma lo stesso una distanza, sia pure in metri terrestri. Fra loro era l'aria d'autunno, e i tetti e le voci velate. Eppure per un attimo non del tutto spiegato, in un unisono perverso, il suo sentimento era stato vicino all'adorazione più di quanto lo fosse mai stato nel bacio più profondo. Finì di vestirsi, trovò una cravatta nera e l'annodò con cura allo specchio a tre luci della stanza da bagno. Poi, cedendo a un impulso, ritornò in fretta in camera da letto e guardò di nuovo dalla finestra. La donna adesso era in piedi; aveva respinto indietro i capelli ed egli poteva vederla in pieno. Era grassa, di trentacinque anni passati, estremamente grossolana. Schioccando la lingua Anthony ritornò in camera e si fece la divisa nei capelli. "To...you... beaut-if-ul lady," cantò lievemente "I raise... my... eyes..." Poi con un'ultima spazzolata che lasciò una superficie iridescente di puro luccichio uscì dalla stanza da bagno e dall'appartamento e si avviò verso il Ritz-Carlton lungo la Quinta Avenue. Tre uomini. Alle sette Anthony è seduto al fresco con l'amico Maury Noble a un tavolo d'angolo sul tetto. Di Maury Noble non si potrebbe dire che assomiglia a qualcosa più che a un grosso gatto, snello e imponente. Ha gli occhi stretti e pieni di strizzatine lunghe, continue, i capelli sono lisci e piatti come se fossero stati leccati da un'eventuale - e in tal caso erculea - gatta madre. Durante il periodo passato da Anthony a Harvard era stato considerato il personaggio supremo del corso, il più brillante, il più originale. intelligente, calmo e fra i predestinati. Questo è l'uomo che Anthony considera il suo migliore amico. Questo è l'unico uomo fra tutti i suoi conoscenti che egli ammiri e che invidi in misura maggiore di quanto gli piaccia ammettere con se stesso. Ora sono lieti di vedersi: hanno gli occhi pieni di gentilezza mentre entrambi sentono tutto l'effetto della novità dopo una breve separazione. Stanno traendo dalla reciproca presenza un rilassamento, una nuova serenità; Maury Noble dietro a quel bel viso, simile fino all'assurdo a quello di un gatto, sembra sul punto di ronronare. E Anthony, nervoso come un fuoco fatuo, irrequieto, ora è calmo. Sono immersi in una di quelle conversazioni dal dialogo disinvolto alla quale si abbandonano soltanto le persone sotto la trentina o sotto l'impressione di una grande difficoltà. ANTHONY: Le sette. Dov'è il Caramel? (Impaziente.) Chissà se la finirà con quel romanzo interminabile. Ho passato più tempo ad aver fame... MAURY: Ha trovato un nuovo titolo. "L'amante diabolico" mica male, eh? ANTHONY (con interesse): L'amante diabolico? Oh "donna gemente"... No... non è niente male! Non è male per niente... cosa ti pare? MAURY: Abbastanza bello. Che ora hai detto? ANTHONY: Le sette. MAURY (stringendo gli occhi: non in modo antipatico, ma per esprimere una lieve disapprovazione): L'altro giorno mi ha fatto diventar matto. ANTHONY: In che modo? MAURY: L'abitudine di prendere appunti. ANTHONY: Anche me. Pare che la sera prima avessi detto qualcosa che gli sembrava utile, ma se l'era dimenticata... Così mi è saltato addosso. Mi diceva "Perché non cerchi di concentrarti?". E io gli dicevo: "Mi secchi da farmi piangere. Come vuoi che faccia a ricordarmi?". (Maury ride senza rumore e rivela il suo consenso allargando nel lieve sorriso i lineamenti.) MAURY: Non è che Dick veda più di un altro. Si limita a scrivere una proporzione maggiore delle cose che vede. ANTHONY: Ha un ingegno impressionante... MAURY: Oh, sì. Impressionante! ANTHONY: E energia... un'energia ambiziosa, ben indirizzata. E' così interessante... è così enormemente stimolante e affascinante. A volte si resta senza fiato a stare con lui. MAURY: Oh, sì. (Silenzio, e poi:) ANTHONY (col viso sottile, vagamente incerto anche quando è del tutto convinto): Ma non un'energia indomabile. Un giorno a poco a poco svanirà e insieme svanirà quell'ingegno impressionante e lascerà soltanto un fantasma, nervoso ed egoista e chiacchierone. MAURY (ridendo): Eccoci qui ad augurarci che il piccolo Dick veda le cose un po' meno a fondo di quanto le vediamo noi. E sono certo che si sente superiore a noi: la mente creativa di fronte alla mente soltanto critica e così via. ANTHONY: Oh, sì. Ma ha torto. Tende a cadere per mille entusiasmi sciocchi. Se non credesse nel realismo e non fosse quindi costretto ad adottare le sovrastrutture del cinico, sarebbe... sarebbe credulo come un direttore di scuola religiosa. E' un idealista. Oh, sì... Crede di non esserlo perché ha ripudiato la cristianità. Lo ricordi all'università? Inghiottiva gli scrittori l'uno dopo l'altro al completo, idee, tecnica e personaggi. Chesterton, Shaw, Wells, ciascuno con la disinvoltura del precedente. MAURY (ancora assorto nell'ultimo pensiero fatto): Ricordo. ANTHONY: E' vero. Spontaneamente è un adoratore di feticci. Prendi l'arte... MAURY: Ordiniamo. Diventerà... ANTHONY: Certo. Ordiniamo. Gli ho detto... MAURY: Eccolo che arriva. Guarda... Ora va addosso a quel cameriere. (Alza il dito per segnale. Lo alza come un artiglio morbido e cordiale.) Siamo qui, Caramel. Una voce nuova (con ardore): Ciao, Maury. Ciao, Anthony Comstock Patch. Come sta il nipote del vecchio Adam? Le debuttanti continuano a correrti dietro, eh? (Di persona Richard Caramel è basso e biondo: diventerà calvo a trentacinque anni. Ha gli occhi giallastri: l'uno stranamente chiaro, l'altro opaco come una pozzanghera fangosa; e la fronte sporgente come un neonato da fumetti. Sporge in altri luoghi: sporge la pancia, profetica, le parole hanno l'aria di sporgere dalla bocca, sporgono perfino le tasche dello smoking, come per contaminazione, sotto una collezione sgualcita di orari, programmi e ritagli vari: su questi prende appunti con un gran torcere degli occhi gialli scompagnati e gesti di silenzio della mano sinistra libera. Quando giunge al tavolo stringe la mano a Anthony e a Maury. E' uno di quegli uomini che stringono invariabilmente la mano anche a gente salutata un'ora prima.) ANTHONY: Ciao, Caramel. Sono contento di vederti. Avevamo bisogno di un po' di sollievo. MAURY: Sei in ritardo. Abbiamo parlato di te. DICK (fissando Anthony attentamente con l'occhio chiaro): Che cosa avete detto? Ditemi, che possa scriverlo. Oggi ho tagliato tremila parole dalla Prima Parte. MAURY: Nobile esteta. E io ho versato alcool nel mio stomaco. DICK: Non ne dubito. Scommetto che siete qui da un'ora a parlare. ANTHONY: Non passiamo mai il segno, caro il mio sbarbatello. MAURY: Non ci portiamo mai a casa le signore che conosciamo quando siamo sbronzi. ANTHONY: Nell'insieme le nostre feste sono caratterizzate da una certa distinzione altera. DICK: I più stupidi di tutti sono quelli che si vantano di "resistere"! Il guaio è che vivete tutt'e due nel diciottesimo secolo. Scuola del Vecchio Gentiluomo Inglese. Bere in silenzio finché si casca sotto il tavolo. Mai per divertirsi. Oh no, questo non succede mai. ANTHONY: Scommetto che questo è nel Capitolo Sesto. DICK: Andate a teatro? MAURY: Sì. Abbiamo intenzione di passare la sera a pensare profondamente sui problemi della vita. La commedia è intitolata concisamente "La donna". Immagino che "pagherà". ANTHONY: Mio Dio! Si tratta di questo? Ritorniamo alle Follie. MAURY: Non ne posso più. L'ho già vista tre volte. (A Dick.) La prima volta siamo usciti dopo il primo atto e abbiamo trovato un bar formidabile. Quando siamo ritornati siamo entrati in un altro teatro. ANTHONY: Abbiamo discusso a lungo con una coppia di giovani spaventati che ci pareva si fossero seduti ai nostri posti. DICK (come parlando a se stesso): Credo... che quando avrò scritto un altro romanzo e una commedia e forse un libro di racconti, scriverò una commedia musicale. MAURY: Lo so: con liriche intellettuali che nessuno ascolterà. E tutti i critici gemeranno e brontoleranno sulla cara vecchia "Pinafore". E io brillerò come un personaggio insignificante in un mondo insignificante. DICK (solenne): L'arte non è insignificante. MAURY: Lo è di per sé. Non lo è in quanto cerca di far sì che la vita lo sia meno. ANTHONY: In altre parole, Dick, stai recitando davanti a una grande piattaforma popolata di fantasmi. MAURY: A ogni modo dai una rappresentazione buona. ANTHONY (a Maury): Al contrario. A me pare che se il mondo è insignificante, a che cosa serve scrivere? Lo stesso tentativo di dare un senso, non ha senso. DICK: Be', anche ammettendo tutto questo, sii un pragmatista dignitoso e concedi a un pover'uomo l'istinto di vivere. Vuoi che tutti accettino questi tuoi sofismi sciocchi? ANTHONY: Già, credo di sì. MAURY: Nossignore! Io credo che tutti in America, tranne pochi prescelti, dovrebbero venir costretti ad accettare un sistema morale molto rigido: per esempio il Cattolicesimo romano. Non ho nulla contro una moralità convenzionale. Ho piuttosto da obiettare agli eretici mediocri che si impadroniscono delle scoperte dei sofisticati e adottano la posa di una libertà morale alla quale non hanno il diritto di aspirare data la loro scarsa intelligenza. (A questo punto arriva la minestra e ciò che Maury può aver detto è perduto per sempre.) Notte. Più tardi andarono da un bagarino e ottennero per un certo prezzo due posti per una nuova commedia musicale intitolata "High Jinks". Nel vestibolo del teatro si fermarono un momento a guardare l'arrivo del pubblico della prima rappresentazione. Vi erano mantelli da sera ornati di ogni genere di sete e pellicce; vi erano gioielli che gocciolavano da braccia e gole e orecchie bianche e rosa; vi erano innumerevoli frange lucenti tra innumerevoli cappelli di seta; vi erano scarpe d'oro e di bronzo e rosse e di un nero lucente; vi erano le acconciature alte, serrate, di molte donne, e i capelli lucidi, bagnati, di uomini ben ravviati; soprattutto c'era l'impressione dell'alzarsi, fluire, chioccolare, ridacchiare, spumeggiare, di un'ondata lenta di questo mare giocondo di gente che riversava quella sera il suo torrente scintillante nel lago artificiale del riso... Dopo la commedia si lasciarono: Maury andava a un ballo da Sherry, Anthony ritornava a casa a dormire. Si avviò lentamente tra la folla serale di Times Square resa preziosamente bella e luminosa e intima dal carnevale della biga in corsa e dei suoi mille satelliti. Gli turbinarono intorno le facce, un caleidoscopio di ragazze, brutte, brutte come il peccato: troppo grasse, troppo magre, e tuttavia fluttuanti su quest'aria di autunno come sul loro respiro tiepido e ardente riversato nella notte. Nonostante tutta la loro volgarità, pensò Anthony, erano vagamente e sottilmente misteriose. Respirò con cura, immettendo nei polmoni il profumo e l'odore non spiacevole di molte sigarette. Colse lo sguardo di una bella ragazza bruna seduta sola in un taxi chiuso. I suoi occhi nella mezza luce facevano pensare alla notte e alle viole, e per un attimo Anthony tornò a esser colto nel turbamento quasi dimenticato del pomeriggio. Lo oltrepassarono due giovani ebrei, che parlavano ad alta voce e torcevano il collo qua e là in vanitose occhiate sprezzanti. Avevano vestiti troppo attillati, com'era allora mezzo di moda; i colli rovesciati erano annodati al pomo d'Adamo; avevano ghette grigie e reggevano guanti grigi sull'impugnatura della canna. Oltrepassò una vecchia signora sbalordita, trasportata come una cesta di uova tra due uomini che le parlavano in una serie di esclamazioni delle bellezze di Times Square: gliele spiegavano così in fretta che la vecchia signora, sforzandosi di restare imparziale nel suo interessamento, girava la testa qua e là come una buccia d'arancia tormentata dal vento. Anthony udì uno squarcio di conversazione "Ecco l'Astor, mamma!" "Guarda! Vedi l'insegna della corsa di bighe?..." "Ecco dove siamo stati oggi. No, LAGGIU'" "Santo cielo!..." "Dovresti preoccuparti fino a diventar magra come un ventino." Riconobbe la spiritosaggine dell'annata mentre veniva pronunciata stridente da qualcuno al suo fianco. "E io gli ho detto, dico..." La corsa soffice dei taxi al suo fianco e risa, risa rauche come il gracchiare di un corvo, incessanti e rumorose, col rombo della sotterranea sottostante, e al disopra di tutto il volgersi della luce, il crescere e il morire della luce - luce spezzettata come perle - che si componeva e ricomponeva in sbarre e cerchi e mostruose figure grottesche, scintillanti, stagliate meravigliose contro il cielo. Svoltò con gratitudine nel silenzio che spirava come un vento cupo da una strada laterale, oltrepassò una rosticceria-ristorante nelle cui vetrine girava uno spiedo automatico con una dozzina di polli arrosto. Dalla porta usciva un odore caldo, denso e roseo. Poi una drogheria che emanava medicinali, acqua di seltz versata e un tenue odore piacevole dal banco dei cosmetici; più avanti una lavanderia cinese ancora aperta, fumante e soffocante, odorosa di chiuso e vagamente gialla. Tutto questo lo scoraggiò, giunto alla Sesta Avenue si fermò da un tabaccaio sull'angolo e ne uscì sentendosi meglio: il tabaccaio era allegro, l'umanità in una nebbia blu marino, intenta a comprarsi un lusso... Giunto nell'appartamento fumò un'ultima sigaretta seduto al buio accanto alla finestra aperta sulla strada. Per la prima volta da più di un anno si sorprese ad amare New York. Aveva un che di penetrante, un qualcosa che pareva appartenere al Sud. Una città solitaria, però. Lui che era cresciuto solo, aveva imparato da poco a evitare la solitudine. Nei mesi passati aveva avuto cura, quando non aveva impegni per la sera, di correre in uno dei suoi club a procurarsene. Oh, c'era una solitudine, qui... La sigaretta, il cui fumo accompagnava le pieghe sottili della tenda di fili lievi di spuma bianca, brillò finché l'orologio di Sant'Anna batté l'una giù dalla strada, in un gemito all'ultima moda. La ferrovia sopraelevata, che passava di là di un edificio silenzioso, echeggiò come un rullìo di tamburi; e se si fosse affacciato alla finestra avrebbe visto il treno affrontare come un'aquila irosa la curva cupa all'angolo. Ricordò un romanzo fantastico letto di recente, nel quale le città erano state bombardate da treni aerei, e per un attimo immaginò che Washington Square avesse dichiarato guerra a Central Park e che questa fosse una minaccia diretta al Nord, carica di combattimento e morte improvvisa. Ma mentre il treno passava l'illusione svanì; rimpicciolì in un rullìo lievissimo... Poi svanì, nel ronzìo di un'aquila lontana. Vi erano i campanelli e il continuo, sommesso, velato echeggiare di un clacson della Quinta Avenue, ma la sua strada era silenziosa ed egli era qui al sicuro da tutte le minacce della vita, perché c'era la sua porta e il lungo corridoio e la custodia della camera da letto: al sicuro, al sicuro! Il lampione della strada che illuminava splendente la sua finestra pareva in quel momento la luna, ma era più chiaro e più bello della luna. Ritornando per un attimo in paradiso. (La bellezza, che nasceva ogni cento anni, stava seduta in una specie di sala d'aspetto all'aperto, attraversata da raffiche di vento bianco e a tratti da frettolose stelle ansanti. Le stelle ammiccavano confidenzialmente mentre passavano e i venti le smuovevanoteneri e incessanti i capelli.Ella era incomprensibile, perché in lei l'anima e lo spirito erano una cosa sola: la bellezza del corpo era l'essenza dell'anima. Era l'unità cercata dai filosofi per secoli e secoli. In questa sala d'aspetto di venti e di stelle, ella stava seduta da cento anni; tranquilla nella contemplazione di se stessa. Alla fine capì che doveva nascere di nuovo. Sospirando iniziò una lunga conversazione con una voce contenuta nel vento bianco, una conversazione che continuò parecchie ore e di cui posso riportare qui soltanto un frammento.) BELLEZZA (le labbra quasi immobili, gli occhi rivolti come sempre a se stessa): Dove andrò, adesso? LA VOCE: In un paese nuovo... una terra che non hai mai v ista. BELLEZZA (petulante): Non mi piace dover finire in queste civiltà nuove. Quanto dovrò restarvi, questa volta? LA VOCE: Quindici anni. BELLEZZA: E come si chiama quel luogo? LA VOCE: E' la terra più opulenta, più vistosa del mondo; una terra in cui i più saggi sono poco più saggi dei più stupidi; una terra in cui i capi hanno la mentalità dei ragazzini, e i legislatori credono in Babbo Natale; dove donne brutte dominano uomini forti... BELLEZZA (stupita): Come? LA VOCE (molto scoraggiata): Sì è proprio uno spettacolo melanconico. Donne senza mento e dal naso informe, escono in pieno giorno a dire "Fai questo!" e "Fai quello!" e tutti gli uomini, anche quelli ricchissimi, ubbidiscono automaticamente alle loro donne alle quali alludono pomposamente definendole "la signora Tal dei Tali" o "la moglie". BELLEZZA: Ma non è possibile! Naturalmente capisco che ubbidiscano a donne dotate di fascino; ma a donne grasse? A donne ossute? A donne dalle guance infossate? LA VOCE: Anche a donne così. BELLEZZA: E io? Che cosa mi toccherà? LA VOCE: Sarà "una vita dura", se posso servirmi di questa espressione. BELLEZZA (dopo un silenzio scontento): Perché non le terre antiche, la terra dei vigneti e degli uomini dalla dolce parola o la terra delle navi e dei mari? LA VOCE: Ci si aspetta che abbiano molto da fare da un momento all'altro. BELLEZZA: Oh! LA VOCE: La tua vita sulla terra sarà, come sempre, l'intervallo tra due occhiate importanti in uno specchio mondano. BELLEZZA: Che cosa sarò? Dimmi. LA VOCE: Prima si è pensato che questa volta tu fossi un'attrice del cinematografo, ma dopo tutto non è consigliabile. Per i tuoi quindici anni agirai come una di quelle che vengono definite "signorine di società". BELLEZZA: Che cosa vuol dire? (Un nuovo rumore nel vento, che ai nostri fini va interpretato come il grattarsi in testa di "La voce".) LA VOCE (lentamente): E' una specie di aristocrazia delle balle. BELLEZZA: Balle? Che cosa vuol dire balle? LA VOCE: Anche questo scoprirai in quella terra. Troverai molte cose che sono balle. E tu stessa farai molte cose che sono balle. BELLEZZA (calma): Ha un'aria così volgare. LA VOCE: Neanche in minima parte volgare come lo è in realtà. Per i tuoi quindici anni sarai nota come figlia del ragtime, come flapper, come pupa del jazz, e come vamp. Danzerai le danze nuove con la grazia con cui danzavi le antiche, né più né meno. BELLEZZA (in un sussurro): Verrò ricompensata? LA VOCE: Sì, come sempre con l'amore. BELLEZZA (con una lieve risata che smuove solo per un attimo l'immobilità delle labbra): Mi piacerà essere chiamata pupa del jazz? LA VOCE (concisa). Moltissimo... (Il dialogo termina qui mentre Bellezza resta a sedere in silenzio, le stelle si fermano in un'estasi di ammirazione e il vento, in raffiche bianche, le smuove i capelli. Tutto questo avveniva sette anni prima che Anthony sedesse accanto alla finestra del suo appartamento ad ascoltare l'orologio di Sant'Anna.) 2. RITRATTO DI UNA SIRENA. Un mese dopo New York fu avvolta in un'aria crocchiante che condusse con sé il novembre, le tre grandi partite di rugby e un grande ondeggiare di pellicce lungo la Quinta Avenue. Condusse anche, nella città, un senso di tensione e un'agitazione soffocata. Ogni mattina la posta recava a Anthony nuovi inviti. Una quarantina di virtuose donne di prim'ordine proclamarono a una quarantina di milionari le loro capacità, se non la loro specifica volontà, di partorire figli. Una sessantina di virtuose donne di second'ordine proclamarono non soltanto questa capacità ma anche una colossale, irrefrenabile aspirazione alla suddetta quarantina di giovani, che naturalmente erano invitati a tutti i novantasei ricevimenti: come pure lo erano i gruppi di amici di famiglia, conoscenze, compagni di studi e spasimanti di ciascuna signora. Per continuare, vi era un terzo ordine stanziato nei dintorni della città, da Newark e i sobborghi del Jersey all'aspro Connecticut e le zone indesiderabili di Long Island; e gli ordini contigui fino ai talloni della città: ebree che venivano presentate nella società degli ebrei, da Riverside a Bronx, e sognavano un giovane agente di cambio o gioielliere dall'avvenire sicuro e un matrimonio "kosher"; irlandesi che posavano gli occhi, autorizzate quanto meno a questo, sui giovani politicanti del Tammany, pii impresari di pompe funebri, e ragazzini dei cori della chiesa divenuti adulti. E naturalmente la città assunse l'aria contagiosa dell'entrée; le operaie e le commesse, povere brutte creature, che incartavano saponette nelle fabbriche e mostravano biancheria nei magazzini, sognavano di riuscire forse ad approfittare dell'agitazione spettacolosa di quest'inverno per cercar di procurarsi il maschio sognato: come un ladruncolo incapace potrebbe sentirsi in condizioni più favorevoli nella confusione di una folla carnevalesca. E i camini incominciarono a fumare e il fetore della sotterranea a rinfrescarsi. E le attrici uscirono in commedie nuove e gli editori uscirono con libri nuovi e i "Castles" uscirono con danze nuove. E le ferrovie uscirono con nuovi orari che contenevano nuovi errori al posto degli antichi ai quali gli abbonati si erano ormai abituati... La città stava uscendo! Anthony, intento un giorno a passeggiare nella Quarantaduesima Strada sotto un cielo grigio-acciaio, incontrò inaspettatamente Richard Caramel che usciva dal barbiere del Manhattan Hotel. Era una giornata fredda, la prima giornata decisamente fredda, e Caramel indossava uno di quei giacconi lunghi fino al ginocchio e foderati di agnello in uso tra gli operai del Middle West e che stavano allora diventando di moda. Aveva un cappello a lobbia di un distinto marrone scuro, che faceva fiammeggiare come un topazio l'occhio chiaro. Fermò con entusiasmo Anthony, prendendolo a manate sulle spalle più per il desiderio di star caldo che per voglia di scherzare e dopo l'inevitabile stretta di mano esplose a parlare. "Fa un freddo del diavolo... Santo Dio, ho lavorato come un inferno tutto il giorno finché nella stanza è diventato così freddo che credevo di prendere la polmonite. Quell'accidenti della padrona di casa, che fa economia col carbone, si è decisa a salire dopo che ho continuato a chiamarla urlando dalle scale per più di mezz'ora. Si è messa a spiegare perché e percome. Dio santo! Dapprincipio mi ha fatto diventar matto, poi ha incominciato a parermi un bel personaggio e ho preso appunti mentre parlava in modo che non potesse vedermi, capisci, come se scrivessi per caso..." Aveva preso Anthony per il braccio e lo conduceva a passo veloce su per la Madison Avenue. "Dove andiamo?" "In nessun posto." "Be', e allora chi ce lo fa fare?" chiese Anthony. Si fermarono fissandosi e Anthony si chiese se il freddo rendesse il suo viso ripugnante come quello di Dick Caramel, che aveva il naso cremisi, la fronte sporgente azzurrina e gli occhi gialli disuguali rossi e bagnati agli orli. Dopo un momento si rimisero in moto. "Ho lavorato bene, al romanzo." Dick guardava il marciapiede e gli parlava solennemente. "Ma di tanto in tanto dovrò pur uscire." Lanciò un'occhiata di scusa e Anthony,come ansioso d'incoraggiamento. "Devo parlare. Credo che siano molto pochi quelli che 'pensano' davvero, voglio dire che siedono a meditare e hanno idee in continuazione. Io penso mentre scrivo e mentre parlo. Bisogna sempre avere un punto di partenza, per così dire... Qualcosa da sostenere o da controbattere... Non credi?" Anthony grugnì e ritirò con garbo il braccio. "Non m'importa di venire con te, Dick, ma con quel cappotto..." "Voglio dire" continuò gravemente Richard Caramel "che sulla carta la prima frase contiene l'idea che in seguito verrà distrutta o sviluppata. Nella conversazione si ha sempre presente l'ultima frase del nostro interlocutore ma quando ci si limita a 'meditare,' be', le idee non fanno altro che susseguirsi come i quadri della lanterna magica, e ciascuna costringe a uscire quella successiva." Oltrepassarono la Quarantacinquesima Strada e rallentarono lievemente. Accesero entrambi una sigaretta ed emisero nell'aria colossali nubi di fumo e di respiro gelato. "Andiamo a piedi al Plaza e facciamoci fare uno zabaglione" propose Anthony. "Fa bene. L'aria ci caccerà la nicotina dai polmoni. Andiamo... Ti lascerò parlare sempre del tuo libro." "Non voglio parlarne se ti secca. Voglio dire che non è necessario tu lo faccia per favore." Le parole uscirono in fretta e il viso, nonostante lo sforzo di restare indifferente, divenne incerto. Anthony fu costretto a protestare: "Seccarmi? Ma come ti viene in mente!". "Ho una cugina..." incominciò Dick. Ma Anthony lo interruppe allargando le braccia ed esalando un basso grido di esultanza. "Bel tempo!" esclamò. "Vero? Mi fa sentire come se avessi dieci anni. Voglio dire, mi fa sentire come avrei dovuto sentirmi quando avevo dieci anni. Fantastico! Oh, Dio! In certi momenti il mondo mi appartiene e subito dopo non sono che lo zimbello del mondo. Oggi il mondo mi appartiene e tutto è facile, facile. Anche il Nulla è facile!" "Ho una cugina al Plaza. Famosa. Possiamo andare a salutarla. Abita lì d'inverno... Almeno, qualche tempo fa... Col padre e la madre." "Non sapevo che avessi cugini a New York." "Si chiama Gloria. Viene dai miei posti: Kansas City. La madre è una bilfista praticante e il padre è un po' scemo ma è un gentiluomo perfetto." "Che roba sono? Materiale letterario?" "Cercano di esserlo. Il vecchio non fa che dirmi di aver conosciuto poco prima un personaggio magnifico da romanzo. Poi mi parla di qualche suo amico idiota e poi dice: 'Eccoti un personaggio. Perché non lo descrivi? Si interesserebbero tutti a lui.' Oppure mi parla del Giappone o di Parigi e di qualche altro luogo insignificante e dice: 'Perché non scrivi qualcosa su quella città? Sarebbe un ambiente magnifico per un racconto.'" "E la ragazza?" chiese Anthony con indifferenza. "Gloria... Gloria come?" "Gilbert. Oh, ne hai certo sentito parlare... Gloria Gilbert. Va ai balli universitari... quel genere di roba." "Ne ho sentito parlare." "Bellina... anzi, maledettamente bella." Arrivarono alla Cinquantesima Strada e svoltarono verso la Avenue. "Di solito non mi piacciono le ragazzine" disse Anthony, corrugando le ciglia. Questo non era proprio vero. Sebbene convinto che di solito le debuttanti passassero ogni minuto del giorno a pensare e parlare di ciò che il vasto mondo aveva predisposto per loro per il minuto seguente, le ragazze che vivevano direttamente della loro bellezza lo interessavano enormemente. "Gloria è straordinaria... non ha un filo di cervello." Anthony rise in uno sbuffo monosillabico. "Vuoi dire con questo che non si comporta come un personaggio letterario?" "No, non questo." "Dick, sai benissimo che cos'è per te il cervello di una ragazza. Signorine serie che si siedono con te in un angolo a parlare seriamente della vita. Quelle che a sedici anni discutevano con aria grave se baciarsi fosse o non fosse lecito, e se fosse immorale che le matricole bevessero birra." Richard Caramel era offeso. Il viso gli si raggrinzò come carta stazzonata. "No..." incominciò, ma Anthony lo interruppe spietato. "Oh, sì; quelle che ora stanno negli angoli a parlare sul più recente Dante scandinavo tradotto in inglese." Dick si voltò verso di lui con tutto il viso stranamente crollato. La sua domanda fu quasi un'invocazione. "Che cosa avete, tu e Maury? A volte parlate come se fossi un inferiore." Anthony si sentì confuso, ma anche gelato e a disagio, così si rifugiò nell'attacco. "Non credo che sia questione d'intelligenza, Dick." "Ma certo che lo è!" esclamò Dick irritato. "Che cosa intendi dire? Perché no?" "Può darsi che tu sappia troppo, per la tua penna." "Non è possibile." "Per me" insisté Anthony, "è verosimile che qualcuno sappia tante cose da non avere più la possibilità di esprimerle. Come me. Pensa, per esempio, se io avessi più cultura e meno ingegno di te. Tenderei a diventare inarticolato. Tu, al contrario, hai abbastanza acqua da riempire il secchio e un secchio abbastanza grande da contenere l'acqua." "Non riesco a seguirti fino in fondo" si lamentò Dick scoraggiato. Profondamente abbattuto, pareva gonfiarsi nella protesta. Fissava con attenzione Anthony e intralciava il traffico dei passanti, che lo rimproveravano con feroci occhiate risentite. "Voglio dire semplicemente che un ingegno come quello di Wells potrebbe contenere l'intelligenza di uno Spencer. Ma un ingegno inferiore riesce ad avere grazia soltanto quando contiene idee inferiori. E più da vicino si guarda qualcosa, più si riesce divertenti a proposito di essa." Dick rifletté, incapace di decidere fino a che punto le parole di Anthony intendessero criticarlo. Ma Anthony, con la facilità che scaturiva così spesso in lui, continuò con gli occhi scuri scintillanti nel viso sottile, il mento alzato, la voce alzata, l'intero essere fisico alzato: "Dico che sono orgoglioso e savio e saggio: un ateniese fra i greci. Be', può darsi che fallisca dove un uomo da meno potrebbe riuscire. Lui riuscirebbe a imitare, a ornare, a provare entusiasmo, a essere speranzosamente costruttivo. Ma questo mio io ipotetico sarebbe troppo orgoglioso per imitare, troppo savio per provare entusiasmo, troppo sofisticato per essere utopista, troppo greco per ornare." "Allora non credi che l'artista lavori con l'intelligenza?" "No. Procede migliorando, se può, ciò che imita in fatto di stile; e scegliendo, dalla propria interpretazione delle cose che lo circondano, ciò che gli serve da materiale. Ma dopo tutto lo scrittore scrive sempre perché questo è il suo modo di vivere. Non mi dirai che credi a questa storia della 'Divina funzione dell'artista.'" "Non sono abituato neanche a considerarmi un artista." "Dick" disse Anthony, cambiando tono, "desidero chiederti scusa." "Perché?" "Per quello sfogo. Mi dispiace davvero. Parlavo per raggiungere un effetto." Un po' addolcito, Dick ribatté: "Ho detto spesso che in fondo al cuore sei un filisteo." Era sceso un crepuscolo crocchiante quando svoltarono sotto la facciata bianca del Plaza e assaporarono lentamente la schiuma e lo spessore giallo di uno zabaglione. Anthony guardò il compagno. Il naso e la fronte di Richard Caramel stavano lentamente assumendo un colore simile; il rosso abbandonava l'uno, l'azzurrino l'altra. Guardandosi nello specchio, Anthony fu lieto di accorgersi che la propria pelle non era impallidita. Al contrario gli si era acceso sulle guance un vago colorito: gli parve di non aver mai avuto un aspetto migliore. "Per me basta" disse Dick, col tono di un atleta in allenamento. "Voglio andar su a trovare i Gilbert. Vieni?" "Ma... sì. Se non mi appioppi i genitori e non fili in un angolo con Dora." "Non Dora... Gloria." Il portiere li annunciò per telefono e quando furono saliti al decimo piano seguirono un corridoio serpeggiante e bussarono al 1088. La porta venne aperta da una signora di mezza età: la signora Gilbert in persona. "Come va?" Parlava col convenzionale linguaggio da signorinetta americana. "Sono così contenta di vedervi." Affrettata interruzione di Dick e poi: "Il signor Pats? Venite, lasciate il cappotto laggiù." Indico una seggiola e mutò il tono in una risatina piena di minuscoli ansiti. "E' splendido... proprio splendido. Ma Richard, è tanto tempo che non vieni... no! no!" Questi ultimi monosillabi facevano un po' da risposta e un po' da troncatura a qualche vaga giustificazione di Dick. "Su, sedetevi e tu raccontami che cos'hai fatto finora." Si stringevano e ristringevano mani; si stava ritti a inchinarsi con garbo; si continuava a sorridere con inerme stupidità; ci si chiedeva se si sarebbe mai messa a sedere... alla fine ci si lasciava cadere grati in una poltrona una visita piacevole. "Probabilmente hai avuto da fare... quanto mai" sorrise la Signora Gilbert un po' ambigua. ll "quanto mai" le serviva a tenere in piedi le frasi più barcollanti. Aveva altre due espressioni: "almeno, così mi pare", e "puro e semplice"; queste tre espressioni alternate davano a tutte le sue frasi l'aria di una riflessione generale sulla vita, come se, dopo aver calcolato tutte le cause, alla fine ella avesse posto il dito su quella definitiva. Anthony vide che la faccia di Richard Caramel era ormai del tutto normale. La fronte e le guance erano color carne, il naso educatamente uniforme. Fissava la zia con l'occhio giallo chiaro prodigandole quell'attenzione profonda ed esagerata che i giovanotti sono abituati a tributare a tutte le signore prive d'importanza. "Siete uno scrittore anche voi, signor Pats?... Oh, allora possiamo tutti adagiarci nella fama di Richard." Risata gentile diretta dalla signora Gilbert. "Gloria è fuori" disse con l'aria di esporre un assioma dal quale sarebbe partita per trarre i suoi risultati. "E' andata a ballare. Gloria esce, esce, esce. Io le dico sempre che non capisco come faccia a resistere. Balla tutto il pomeriggio e tutta la sera e credo che finirà per ridursi a un'ombra. Suo padre è molto preoccupato." La signora Gilbert spostò il sorriso dall'uno all'altro. Essi sorrisero entrambi. Anthony vide che era costituita da una serie di semicerchi e parabole come quelle figure che la gente abile fa alla macchina da scrivere: testa, braccia, torso, fianchi, cosce e caviglie erano una sequenza stupefacente di rotondità. Era linda e ordinata, aveva capelli di un vivace grigio artificiale; il grande viso ospitava occhi azzurri avvizziti ed era ornato da un'ombra di baffi bianchi. "Io dico sempre" disse ad Anthony "che Richard è un'anima antica." Nel silenzio teso che segui, Anthony cercò un gioco di parole: qualcosa a proposito di Dick corroso dal tempo. "Abbiamo tutti anime di epoche diverse" continuò raggiante la signora Gilbert; "almeno, così mi pare." "E' possibile" convenne Anthony con l'aria di avviarsi a un'idea di speranza. La voce gorgogliò: "Gloria ha un'anima molto giovane... irresponsabile quanto mai. Non ha senso di responsabilità." "E' sfavillante, zia Catherine" disse Richard conciliante. "Il senso di responsabilità la sciuperebbe. E' troppo carina." "Be'" ammise la signora Gilbert "io so soltanto che esce e esce e esce..." Il numero di uscite a discredito di Gloria si spense nel rumore della maniglia che girava per far entrare il signor Gilbert. Era basso e aveva i baffi posati come una nuvoletta bianca sotto il naso poco vistoso. Aveva raggiunto lo stadio in cui il suo valore di creatura sociale era una negativa nera e insignificante. Le sue idee erano costituite dalle illusioni comuni vent'anni prima; la mente seguiva un cammino barcollante e anemico nella scia degli articoli di fondo dei quotidiani. Laureatosi in un'università dell'Ovest piccola ma imponente, era entrato nel campo della celluloide e, poiché questo esigeva soltanto la minuscola quantità d'intelligenza che egli poteva recare, tutto andò bene per qualche anno: esattamente fino al 1911, quando egli incominciò a stipulare contratti in cambio di accordi vaghi con l'industria del cinematografo. L'industria del cinematografo aveva deciso, verso il 1912, di inghiottirlo, e in quel momento egli era per così dire in bilico sul filo del rasoio. Frattanto era l'amministratore delegato della "Associated Mid-Western Film Materials Company" e passava sei mesi dell'anno a New York e gli altri a Kansas City e Saint Louis. Aveva fiducia che gliene dovesse venire un buon vantaggio: e questo credeva la moglie e questo credeva anche la figlia. Non approvava Gloria questa rientrava tardi la sera, non mangiava mai i suoi pasti, era sempre sottosopra una volta l'aveva irritata ed ella aveva usato con lui parole che non gli sarebbe mai venuto in mente di considerare appartenenti al suo vocabolario. La moglie era più docile. Dopo quindici anni di guerriglia incessante l'aveva conquistata: era una guerra di ottimismo confuso contro una stupidità organizzata, e qualcosa nel numero di "sì" con cui riusciva ad avvelenare una conversazione gli aveva procurato la vittoria. "Sì-sì-sì-sì" diceva "sì-sì-sì-sì. Vediamo. Era l'estate del... vediamo... novantuno o novantadue... Sì-sì-sì-sì..." Quindici anni di "sì" avevano sconfitto la signora Gilbert. Quindici anni di quell'incessante affermatività non affermativa, accompagnata dal perpetuo sparger di cenere di trentaduemila sigari, l'avevano stroncata. A questo suo marito ella faceva l'ultima concessione della vita coniugale, che è più completa, più irrevocabile della prima: lo ascoltava. Diceva a se stessa che gli anni le avevano recato la sopportazione; in realtà avevano ucciso il suo coraggio morale, in qualsiasi quantità ella ne avesse posseduto. Lo presentò a Anthony. "Il signor Pats" disse. Il giovane e il vecchio si toccarono la mano; quella del signor Gilbert era morbida, ridotta all'aspetto polposo di un pompelmo strizzato. Poi marito e moglie si salutarono; egli le disse che fuori faceva più freddo; le disse che era andato a comprare un giornale di Kansas City a un'edicola della Quarantaquattresima Strada. Aveva intenzione di ritornare con l'autobus, ma aveva sentito troppo freddo, sì, sì, sì, sì, troppo freddo. La signora Gilbert aggiunse un aroma a quest'avventura mostrandosi impressionata dal suo coraggio nell'affrontare l'aria aspra. "Be', sei proprio in gamba!" esclamò con ammirazione. "Sei proprio in gamba. Io non sarei uscita per nessuna ragione al mondo." Il signor Gilbert, con tipica impassibilità maschile, sdegnò il rispetto suscitato nella moglie. Si rivolse ai due giovanotti e li avviò trionfante sull'argomento del tempo. Richard Caramel venne chiamato in causa a ricordare il mese di novembre nel Kansas. Però non appena il tema gli venne offerto, fu ripescato energicamente dal suo protettore che vi indugiò, lo maneggiò, allungò, e in linea di massima devitalizzò. La tesi eterna che le giornate erano calde ma le notti erano piacevoli venne proposta con successo e si decise la distanza esatta, su una ferrovia sconosciuta, tra due paesi nominati per inavvertenza da Dick. Anthony fissò il signor Gilbert con gli occhi sbarrati e cadde in una trance in cui penetrò dopo qualche momento la voce sorridente della signora Gilbert: "Pare che qui il tempo sia più umido... è come se mi entrasse nelle ossa." Poiché questa frase, accolta con un numero adeguato di sì, era stata sulla punta della lingua del signor Gilbert, non si sarebbe potuto biasimarlo quando egli cambiò bruscamente argomento. "Dov'è Gloria?" "Dovrebbe arrivare da un minuto all'altro." "Conoscete mia figlia, signor...?" "Non ho questo piacere. Dick me ne ha parlato spesso." "Lei e Richard sono cugini." "Ah, sì?" Anthony sorrise con sforzo. Non era abituato alla compagnia degli anziani e aveva la bocca irrigidita in un'allegria inutile. Era un pensiero così piacevole quello che Gloria e Dick fossero cugini. Poco dopo riuscì a lanciare uno sguardo angosciato all'amico. Richard Caramel disse che dovevano proprio andare. La signora Gilbert era tanto spiacente. Il signor Gilbert disse che era un vero peccato. La signora Gilbert ebbe un'altra idea: qualcosa sul fatto che erano contenti della visita, comunque, anche se loro avevano potuto vedere soltanto una vecchia signora troppo vecchia per flirtare. Anthony e Dick evidentemente ritennero molto malizioso lo scherzo, perché risero una battuta di tre quarti. Sarebbero ritornati presto? "oh, sì." A Gloria sarebbe dispiaciuto "tanto"! "Arrivederci..." "Arrivederci." Sorrisi! Sorrisi! Bang! Due giovanotti sconsolati si avviarono nel corridoio del decimo piano del Plaza verso l'ascensore. Gambe di una signora. Dietro l'affascinante indolenza, l'insignificanza e il facile umorismo di Maury Noble si celava una sorprendente e inesorabile maturità di propositi. Il suo programma, quale lo aveva formulato all'università, contemplava tre anni di viaggi, tre anni di piaceri di ogni genere; e poi la conquista di una ricchezza enorme il più presto possibile. I tre anni di viaggi erano finiti. Aveva girato il mondo con un'intensità, una curiosità che in chiunque altro sarebbe sembrata pedante, senza alcuna spontaneità a riscattarla, quasi la autorealizzazione di un Baedeker umano; ma nel suo caso assumeva un'aria di proposito misterioso e significato predisposto: come se Maury Noble fosse un anticristo predestinato, costretto da un piano prestabilito ad andare dovunque si potesse andare sulla terra a vedere miliardi di esseri umani che crescevano e piangevano e si uccidevano qua e là sulla crosta di essa. Rientrato in America, si gettò alla ricerca dei divertimenti con lo stesso interesse assorbente. Non aveva mai bevuto più di qualche cocktail o un po' di vino, ma ora imparò a bere come avrebbe imparato il greco: se il greco fosse stato la porta di accesso a un patrimonio di nuove sensazioni, nuove situazioni psichiche, nuove reazioni alla gioia o alla miseria. Le sue abitudini avrebbero potuto essere oggetto di meditazioni esoteriche. Aveva tre stanze in un appartamento da scapolo nella Quarantaquattresima Strada ma vi era reperibile di rado. La telefonista aveva ricevuto direttive molto energiche di non permettere a nessuno di porsi a contatto col suo orecchio senza aver prima detto un nome che potesse venir esaminato. Aveva una lista di una diecina di persone per le quali non era mai in casa e di altrettante per le quali c'era sempre. I primi di quest'ultima lista erano Anthony Patch e Richard Caramel. La madre di Maury viveva col figlio sposato a Philadelphia, e qui si recava di solito Maury dal sabato al lunedì, per cui un sabato sera che Anthony girovagando per le strade gelate in un accesso di noia suprema fini al Molton Arms e scoprì che il signor Noble era in casa fu sopraffatto dalla felicità. Il suo umore si librò più in fretta dell'ascensore in volo. Era splendida, talmente splendida l'idea di poter parlare con Maury, che sarebbe stato parimenti felice di vedere lui. Si sarebbero guardati l'un l'altro con affetto sincero nel fondo degli occhi, ed entrambi l'avrebbero nascosto sotto uno scherzo tenue. Peccato che non fosse estate, altrimenti sarebbero usciti insieme a bere con indolenza due Tom Collins lunghi, sciupandosi i colletti e guardando i balli poco divertenti di un cabaret nella pigrizia d'agosto. Ma fuori faceva freddo, col vento che cingeva gli orli degli alti edifici e il dicembre in cima alla strada; così era di gran lunga meglio passare la sera insieme sotto la luce tenera a bere un paio di Bushmill o un dito del Grand Marnier di Maury, coi libri splendenti come guarnizioni alle pareti e Maury che irraggiava una divina inerzia mentre riposava, grande e simile a un gatto, nella poltrona preferita. Eccolo! La stanza si richiuse intorno ad Anthony, lo riscaldò. Il calore di quella forte mente persuasiva, quel temperamento quasi orientale nell'impassibilità esterna, riscaldò l'anima irrequieta di Anthony e gli recò una pace pari soltanto alla pace offerta da una donna stupida. Si deve capire tutto: altrimenti si deve credere tutto. Maury riempiva la stanza, come un eroe, come un Dio. Il vento, fuori, tacque; i candelabri d'ottone sulla mensola lucevano come candele davanti a un altare. "Che cosa ti ha trattenuto qui?" Anthony si distese su un sofà cedevole e si appoggiò al gomito sui cuscini. "Sono qui da un'ora soltanto. Tè danzante: ho fatto tardi e ho perso il treno per Philadelphia." "Strano che tu abbia fatto tardi" commentò Anthony curioso. "Già. E tu che cos'hai fatto?" "Geraldine. Lavora al Keith. Te ne ho già parlato." "Oh!" "E' venuta a trovarmi alle tre e si è fermata fino alle cinque. Piccola anima strana mi ha conquistato. E' così supremamente stupida." Maury non rispose. "Per strano che possa parere" continuò Anthony, "per quello che mi riguarda e anche per quello che ne so io, Geraldine è un modello di virtù." La conosceva da un mese, come una ragazza di abitudini inclassificabili e nomadi. Qualcuno l'aveva passata per caso ad Anthony, che la trovava divertente e al quale piacevano i baci casti e fiabeschi che gli aveva dato tre sere dopo averlo conosciuto mentre attraversavano il Parco in taxi. Aveva una famiglia vaga: una zia e uno zio nebulosi, che dividevano con lei un appartamento nel labirinto delle strade da Cento in su. Era una buona compagna, familiare e vagamente intima e riposante. Oltre a questo, Anthony non intendeva fare prove non per scrupolo morale, ma per il terrore di permettere a un qualsiasi legame di turbare quella che egli considerava la serenità crescente della sua vita. "Ha due manie" disse a Maury: "una è quella di tenersi i capelli sugli occhi per poi soffiarseli via, e l'altra è di esclamare 'Che ma-atto!' quando le dicono qualcosa al disopra delle sue forze. E' una cosa che mi affascina. Sto lì ore e ore completamente preso dai sintomi di follia che le pare di scoprire nella mia immaginazione." Maury si agitò sulla seggiola e parlò. "E' notevole che qualcuno possa capire così poco e lo stesso vivere in una civiltà così complessa. Una donna come quella, in realtà considera l'intero universo nel modo più banale. Dall'influenza di Rousseau alla percentuale di tasse sul suo pranzo l'intero fenomeno le riesce estremamente strano. E' stata trascinata dall'età delle lance e scaraventata quaggiù con l'attrezzatura di un arciere per affrontare un duello alla pistola. Si potrebbe eliminare l'intera crosta della storia e lei non se ne accorgerebbe neanche." "Vorrei che il nostro Richard scrivesse di lei." "Anthony, non è possibile che tu creda che vale la pena si scriva di lei." "Perché no?" rispose egli sbadigliando. "Sai, pensavo oggi che ho molta fiducia in Dick. Se continua a stare attaccato alla gente e non alle idee e sa ispirarsi alla vita e non all'arte, ammesso uno sviluppo normale credo che diventerà un grand'uomo." "Credo che l'aspetto del suo notes nero sia una dimostrazione sufficiente del fatto che si rivolge alla vita." Anthony si rizzò sul gomito e rispose in fretta "Si sforza di farlo. Succede così a tutti gli scrittori, tranne ai peggiori, ma dopo tutto la maggior parte di essi vive di cibo predigerito. L'avvenimento o il personaggio possono uscire dalla vita, ma di solito lo scrittore li interpreta nei termini dell'ultimo libro che ha letto. Per esempio, immagina che conosca un uomo di mare e lo consideri un personaggio originale. La verità è che scorge la somiglianza tra l'uomo di mare e l'ultimo uomo di mare creato da Dana o da chiunque crei gli uomini di mare e perciò sa come descrivere sulla carta il suo uomo di mare. Naturalmente, Dick è capace di descrivere qualsiasi personaggio consapevolmente pittoresco, simile a un personaggio, ma sarebbe capace di ricreare con cura la propria sorella?" Qui si persero per una mezz'ora nella letteratura. "Un classico" disse Anthony "è un libro di successo sopravvissuto alla reazione del periodo e della generazione successiva. Allora è al sicuro, come uno stile nell'architettura o nel mobilio. Ha acquistato una dignità pittoresca che sostituisce la moda..." Dopo qualche tempo questo argomento perse momentaneamente il suo sapore. L'interesse dei due giovani non era proprio tecnico. Erano innamorati di genericità. Anthony aveva scoperto di recente Samuel Butler e gli aforismi brillanti del libro di Appunti gli sembravano la quintessenza della critica. Maury, la cui mente era maturata in profondità per la severità stessa del suo schema di vita, pareva, com'era inevitabile, il più saggio dei due, tuttavia nell'autentica struttura delle loro intelligenze non parevano fondamentalmente diversi. Passarono dalle lettere alle curiosità delle reciproche giornate. "Che tè era?" "Gente che si chiama Abercrombie." "Perché hai fatto tardi? Hai conosciuto una bella debuttante?" "Sì." "Ah, sì?" La voce di Anthony si alzò nella sorpresa. "Non proprio una debuttante. Ha detto che è uscita due inverni fa a Kansas City." "Faceva tappezzeria?" "No" rispose Maury, un po' divertito. "E' l'ultima cosa che direi di lei. Pareva... be', per così dire la persona più giovane presente." "Non tanto giovane, se ti ha fatto perdere il treno." "Abbastanza giovane. Una bella bambina." Anthony ridacchiò con la sua risata monosillabica. "Oh, Maury, attraversi la seconda infanzia. In che modo, bella?" Maury fissò senza risorse il vuoto. "Be', non saprei descriverla con esattezza... a meno di dire che era bella. Era... terribilmente viva. Mangiava pasticche di gomma." "Cosa?" "E' una specie di vizio attenuato. E' nervosa... ha detto che mangia sempre caramelle di gomma ai tè perché deve star ferma in piedi nello stesso posto." "Di che cosa avete parlato: Bergson? bilfismo? l'immoralità dello one-step?" Maury non si scompose; il suo pelo parve liscio da tutte le parti. "Effettivamente abbiamo parlato di bilfismo. Pare che sua madre sia una bilfista. Però abbiamo parlato soprattutto di gambe." Anthony fu travolto dalla gioia. "Santo Dio! Le gambe di chi?" "Le sue. Ha parlato molto delle sue. Come se fossero una specie di bric-à-brac di scelta. Ha suscitato un gran desiderio di vederle." "Che cos'e? Una ballerina?" "No, ho scoperto che è una cugina di Dick." Anthony si rizzò a sedere così d'improvviso che il cuscino su cui si era appoggiato rimase un attimo ritto sulle estremità come un essere vivente e precipitò a terra. "Si chiama Gloria Gilbert!" esclamò. "Sì. Non è notevole?" "Non lo so proprio... Ma in fatto di stupidità pura, suo padre..." "Be'" lo interruppe Maury con convinzione implacabile, "può darsi che i suoi genitori siano tristi come prefiche professioniste ma tendo a credere che lei sia un personaggio autentico e originale. I segni esterni sono quelli della ragazza da ballo finale di Yale fatta e finita... ma è diversa, di gran lunga diversa." "Continua, continua!" esclamò Anthony. "Da quando Dick mi ha detto che non ha un filo di cervello in testa, ho capito che dev'essere straordinaria." "Ha detto questo?" "Giuro" disse Anthony con un'altra risatina. "Be', secondo lui il cervello delle donne è..." "Lo so" interruppe Anthony impaziente "intende una infarinatura di informazioni letterarie sbagliate." "Proprio così. Quelle persuase che la decadenza morale del paese sia un'ottima cosa o quelle persuase che sia una cosa orribile. o pince-nez o pose. Be', questa ragazza parlava di gambe. Ha parlato anche di pelle... della sua pelle. Sempre di sé. Mi ha detto che tipo di abbronzatura le piacerebbe raggiungere d'estate, e fino a che punto di solito vi si avvicina." "E tu eri lì, rapito ad ascoltare la sua voce di contralto?" "Ma che contralto! No, dall'abbronzatura! Mi sono messo a pensare all'abbronzatura. Mi sono messo a pensare al colore che avevo assunto l'ultima volta che mi sono esposto al sole due anni fa. Mi veniva una bella abbronzatura. Diventavo una specie di color bronzo, se ricordo bene." Anthony tornò ad abbandonarsi sui cuscini, scosso dalle risa. "Ti ha fatto andare... oh, Maury! Maury il bagnino del Connecticut. La noce moscata umana. Formidabile! Ereditiera che fugge col guardacoste a causa della sua bella pigmentazione! Per scoprire, dopo, un ramo tasmaniano nella famiglia!" Maury sospirò; si alzò, si avviò verso la finestra e alzò la persiana. "Nevica forte." Anthony, ridendo ancora sottovoce fra sé, non rispose. "Un altro inverno." La voce di Maury giunse dalla finestra in un sussurro. "Diventiamo vecchi, Anthony. Ho ventisette anni, perdio! Mancano tre anni ai trenta, e poi sarò quello che gli studenti liceali chiamano un uomo di mezza età." Anthony rimase zitto un momento. "Tu SEI vecchio, Maury" convenne alla fine. "I primi segni di una vecchiaia dissoluta e tremante: hai passato il pomeriggio a parlare dell'abbronzatura e delle gambe di una signora." Maury lasciò cadere la persiana con un improvviso scatto secco. "Idiota!" sbottò. "Proprio da te! Sono qui, giovane Anthony, come resterò per una generazione o più a guardare anime gioconde come te e Dick e Gloria Gilbert che mi passano accanto danzando e cantando e amandosi e odiandosi e commossi, eternamente commossi di qualcosa. E io sono commosso soltanto dal mio non provare emozioni. Resterò qui e la neve cadrà - oh, se ci fosse un Caramel a prendere appunti! - e un altro inverno e io avrò trent'anni e tu e Dick e Gloria continuerete a essere perpetuamente commossi e a danzarmi accanto e a cantare. Ma quando sarete tutti scomparsi, io sarò ancora qui a dire a nuovi Dick cose da scrivere, e ad ascoltare le delusioni e i cinismi e le emozioni di nuovi Anthony... Sì, e a parlare a nuove Glorie delle abbronzature di estati a venire." La luce del fuoco fluttuava nel caminetto. Maury si spostò dalla finestra, rianimò la fiamma con un attizzatoio e gettò un ceppo sugli alari. Poi tornò a sedere nella poltrona e i resti della voce gli si spensero nel nuovo fuoco che sbuffava rosso e giallo lungo la corteccia. "Dopo tutto, Anthony, sei tu a essere molto romantico e giovane. Sei tu a essere infinitamente più suscettibile e preoccupato che la tua calma venga interrotta. Sono io a sforzarmi e sforzarmi e sforzarmi a commuovermi... a lasciarmi andare migliaia di volte e restare sempre me stesso. Nulla, proprio nulla mi smuove." "Eppure" mormorò dopo un altro lungo silenzio "in quella ragazzina con la sua abbronzatura assurda, c'era qualcosa di eternamente vecchio... Come me." Turbolenza. Anthony si voltò assonnato nel letto a salutare una chiazza di sole freddo sul controvetro, zigzagato dalle ombre della finestra impiombata. La stanza era invasa dalla mattina. Il cassettone scolpito nell'angolo, l'armadio antico e impenetrabile sorgevano nella stanza come oscuri simboli nell'oblio della materia; soltanto il tappeto era vivo e morituro sotto i suoi morituri piedi, e Bounds, orrendamente stonato con quel colletto molle, era costituito di una materia sfumante come il velo di respiro gelato che gli usciva di bocca. Era vicino al letto, con la mano ancora posata sul punto in cui aveva scrollato la coperta, con gli occhi scuri fissi imperturbabile, sul padrone. "Bows!" borbottò il dio assonnato. "Sei tu, Bows?" "Sono io, signore." Anthony mosse la testa, spalancò gli occhi e sbatté trionfante le palpebre. "Bounds!" "Si, signore." "Potresti ve...ah-h-h-h-oh, Dio!..." Anthony sbadigliò irrefrenabilmente e il contenuto del cervello parve precipitargli in una poltiglia fitta. Ricominciò daccapo. "Potresti venire verso le quattro a fare un po' di tè e sandwiches o qualcosa?" "Sì, signore." Anthony meditò con raggelante mancanza d'ispirazione. "Qualche sandwich" ripeté inerme "oh, un po' di sandwiches al formaggio e alla gelatina e al pollo e alle olive, direi. Non ti preoccupare della colazione." Questo sforzo inventivo fu troppo per lui. Chiuse gli occhi estenuato, abbandonò la testa inerte al riposo, e si rilassò in fretta da quel tanto di controllo muscolare che aveva raggiunto. Da uno spiraglio della mente spuntò lo spettro vago ma incancellabile della notte precedente ma in questo caso esso si ridusse a una conversazione che pareva senza fine con Richard Caramel, il quale era andato a trovarlo, a mezzanotte, avevano bevuto quattro bottiglie di birra e masticato alcune croste secche di pane mentre Anthony ascoltava la lettura della prima parte dell'"Amante diabolico". ...Giunse una voce dopo molte ore. Anthony non vi prestò attenzione mentre il sonno si richiudeva su di lui, lo avvolgeva, gli si insinuava nei meandri della mente. D'improvviso si trovò sveglio, intento a dire: "Cosa?". "Per quanti, signore?" Era ancora Bounds ritto, paziente e immobile, ai piedi del letto: Bounds che divideva la sua buona educazione fra tre signori. "Quanti cosa?" "Forse, signore, è meglio che sappia quante persone vengono. Devo preparare i sandwiches, signore." "Due" formulò Anthony con voce roca: "una signora e un uomo." Bounds disse: "Grazie, signore" e si allontanò recando con sé la colpa umiliante del colletto molle, colpa per ciascuno dei tre signori che non chiedevano di lui che un terzo di se stesso. Dopo molto tempo Anthony si alzò e indossò sulla figura snella e simpatica una vestaglia cangiante marrone e azzurra. Con un ultimo sbadiglio entrò nella stanza da bagno e, accesa la luce della toeletta (la stanza non aveva finestre esterne), si contemplò nello specchio con un certo interesse. Un'immagine sciagurata, pensò; al mattino lo pensava sempre: il sonno gli recava sul viso un pallore innaturale. Accese una sigaretta e diede un'occhiata a parecchie lettere e alla "Tribune" del mattino. Un'ora dopo, rasato e vestito, era seduto al tavolo, intento a guardare un pezzettino di carta che aveva trovato nel portafogli. Era scarabocchiato di appunti quasi indecifrabili: "Andare dal signor Howland alle cinque. Tagliare i capelli. Vedere il conto di Rivers. Andare dal libraio". E sotto a quest'ultimo: "Liquido in banca, dollari 690 (cancellato), dollari 612 (cancellato), dollari 607". Finalmente, proprio in fondo e in uno scarabocchio frettoloso: "Dick e Gloria Gilbert a prendere il tè". Quest'ultima voce produsse in lui un piacere evidente. La giornata che di solito era per lui come una creatura di gelatina, qualcosa di informe privo di spina dorsale, aveva assunto una struttura mesozoica. Si stava avviando con sicurezza, quasi con vivacità, verso un "climax", come devono fare le commedie, come devono fare le giornate. Ebbe un attimo di spavento pensando al momento in cui la spina dorsale della giornata sarebbe stata spezzata, quando avrebbe finito per conoscere la ragazza, parlarle e poi salutare con un inchino la sua risata alla porta per ritornare soltanto ai fondi melanconici delle tazze da tè e alla puzza incombente dei sandwiches non mangiati. Le giornate di Anthony diventavano sempre più prive di colore. Egli lo sentiva continuamente, e a volte si rifaceva a una conversazione avuta con Maury Noble un mese prima. Che una cosa ingenua, convenzionale come il senso dello spreco dovesse opprimerlo era assurdo, ma non si poteva negare il fatto che qualche sopravvivenza sgradita di un feticcio lo avesse tratto una ventina di giorni prima alla biblioteca pubblica, dove mediante la tessera di Richard Caramel aveva preso a prestito una mezza dozzina di libri sul Rinascimento italiano. Che questi libri fossero ancora accumulati sul suo tavolo nell'ordine originario in cui li aveva trasportati, che aumentassero giorno per giorno di venti cents la sua multa, non bastava a cancellare la loro presenza. Erano testimoni, in tela e marocchino, della realtà del suo tradimento. Anthony aveva avuto alcune ore di panico acuto e impressionante. A giustificare il suo modo di vivere, c'era in primo luogo, naturalmente, la mancanza di significato della vita. A fare da aiutanti e ministri, paggi e cavalieri, maggiordomi e lacchè a questo grande Khan vi erano un migliaio di libri luminosi sugli scaffali, l'appartamento e tutto il denaro che sarebbe stato suo quando il vecchio sul fiume fosse soffocato sul suo ultimo precetto morale. Con gratitudine, era stato partorito da un mondo oppresso dalla minaccia delle debuttanti e dalla stupidità di molte Geraldine: perché emulasse l'immobilità felina di Maury e portasse con orgoglio la saggezza culminante delle generazioni già esistite. Al disopra e contro queste cose c'era qualcosa che il suo cervello analizzava continuamente e considerava un complesso noioso ma che, pur essendo controllato dalla logica e coraggiosamente calpestato, lo aveva spinto a uscire nella fanghiglia molle del tardo novembre per andare in una biblioteca che non aveva alcuno dei libri da lui maggiormente desiderati. E' giusto analizzare Anthony fin dove egli riusciva ad analizzare se stesso; al di là di questo, naturalmente, sarebbe presuntuoso. Egli scoprì in sé un orrore crescente e un crescente senso di solitudine. L'idea di mangiare da solo lo spaventava; piuttosto mangiava spesso con persone che detestava. I viaggi, che una volta l'avevano affascinato, gli parevano, alla lunga, insopportabili, come colori senza sostanza, una caccia di fantasmi all'ombra del suo stesso sogno. "Se è vero che sostanzialmente sono un debole" pensò, "ho bisogno di qualcosa da fare, qualcosa da fare." Era preoccupato dal pensiero di essere, dopo tutto, una mediocrità, di essere privo sia dell'equilibrio di Maury sia dell'entusiasmo di Dick. Gli pareva una tragedia non desiderare nulla: eppure desiderava qualcosa, qualcosa. Sapeva a guizzi che cosa: un sentiero di speranza che lo guidasse verso quella che egli considerava una vecchiaia imminente e sinistra. Dopo i cocktails e i pranzi al circolo dell'Università, Anthony si sentiva meglio. Aveva ritrovato due ex allievi del suo corso a Harvard e, in contrasto col grigiore greve della loro conversazione, la sua vita assumeva colore. Erano entrambi sposati: passavano l'ora del caffè a descrivere a reciproci sorrisi blandi e laudatori le loro avventure extra coniugali. Pensava che entrambi fossero un signor Gilbert in embrione; il numero dei loro "sì" andava quadruplicato, il loro carattere inacidito da una ventina d'anni: poi non sarebbero stati altro che macchine antiquate e rotte, dotati di una pseudo-saggezza e privi di valore, curati in una senilità suprema dalle donne che avevano infranto. Ah, lui era qualcosa di più, mentre dopo pranzo passeggiava sul lungo tappeto nel vestibolo, fermandosi alla finestra per guardare la strada tormentata. Era Anthony Patch, brillante, magnetico, erede di molti anni e molti uomini. Il mondo gli apparteneva, adesso: e quest'ultima forte ironia da lui bramata giaceva in alto mare. In uno sprazzo fanciullesco si vide come un potere sulla terra; col denaro del nonno avrebbe potuto costruirsi un piedistallo ed essere un Talleyrand, un lord Verulam. La sua chiarezza mentale, la sofisticazione, l'intelligenza versatile, tutte pienamente mature dominate da uno scopo ancora imprecisato, gli avrebbero trovato qualcosa da fare. Su questa minore si spegneva il suo sogno; qualcosa da fare: cercava di immaginarsi al Congresso a sprofondare nel letame di quel porcile incredibile dalle fronti strette e porcine che vedeva ritratte a volte nelle pagine a rotocalco dei giornali della domenica, quei gloriosi proletari che blaterano al paese idee da alunni di liceo! Ometti dalle ambizioni da libro di lettura che avevano creduto di emergere dalla mediocrità mediante la mediocrità nel cielo privo di lustro e di romanticismo di un governo di popolo; e i migliori, la decina di uomini scaltri al potere, egoisti e cinici, si accontentavano di guidare questo coro di cravatte bianche e di bottoni di fil di ferro in un inno discordante e stupefacente, costituito da una vaga confusione tra la ricchezza come ricompensa della virtù e la ricchezza come prova del vizio, e continuavano a osannare a Dio, alla Costituzione e alle Montagne Rocciose! Lord Verulam! Talleyrand! Quando ritornava nel suo appartamento, il grigiore ricominciava. I cocktails si erano spenti, rendendolo assonnato, vagamente annebbiato e incline al malumore. Lord Verulam: lui? Il solo pensiero era amaro. Anthony Patch, senza nessun documento di azioni compiute, senza coraggio, senza forza da manifestare quando gli se ne presentasse l'occasione. Oh, era uno sciocco pretenzioso, che creava carriere coi cocktails e intanto rimpiangeva debolmente e in segreto il collasso di un idealismo insufficiente e sciagurato. Aveva decorato la sua anima secondo il gusto più fine e ora sognava l'antica porcheria. Era vuoto, pareva, vuoto come una vecchia bottiglia... Il campanello suonò alla porta. Anthony balzò in piedi e appoggiò il portavoce all'orecchio. Era la voce di Richard Caramel, solenne e faceta: "Si annuncia miss Gloria Gilbert." La bella signora. "Come state?" disse sorridendo e tenendo la porta socchiusa. Dick si inchinò. "Gloria, ti presento Anthony." "Be'!" esclamò Gloria tendendo la manina guantata. Sotto la pelliccia aveva un abito azzurro-Alice, col collo cinto da uno zig-zag di pizzo bianco rigido. "Datemi le vostre cose." Anthony tese le braccia a raccogliere la massa marrone di pelo. "Grazie." "Che cosa ne dici, Anthony?" chiese Richard Caramel barbaramente. "Non è bella?" "Be'!" esclamò la ragazza con aria provocante ma impassibile. Era abbagliante, accesa; un'angoscia, cogliere la sua bellezza in uno sguardo solo. I capelli, pieni di un bagliore divino, erano lieti nel colore invernale della stanza. Anthony si aggirò come un mago, a trasformare la lampada in un chiarore arancione. Il fuoco riattizzato annerì gli alari di rame nel caminetto. "Sono un pezzo di ghiaccio" mormorò Gloria distrattamente guardandosi attorno con occhi le cui iridi erano del bianco azzurrino più delicato e trasparente. "Che fuoco piccolo! Abbiamo trovato un posto, dove si poteva stare su un graticcio di ferro da cui saliva aria calda... ma Dick non ha voluto restare con me. Gli ho detto di andarsene per conto suo e di lasciarmi in pace." Abbastanza convenzionale. Pareva che parlasse per il proprio piacere, senza sforzo. Anthony, seduto a un'estremità del divano, esaminò il suo profilo sullo sfondo della lampada. La regolarità squisita del naso e del labbro superiore, il mento vagamente segnato, in bell'equilibrio su un collo piuttosto corto. In fotografia doveva parere completamente classica, quasi fredda... ma il calore dei capelli e delle guance, insieme colorite e fragili, la rendeva la persona più viva che si potesse scoprire. "... Credo che il vostro sia il più bel nome che abbia mai sentito" diceva con l'aria di parlare a se stessa; il suo sguardo si posò su di lui un momento e poi fluttuò oltre: verso le appliques italiane, attaccate a intervalli sulle pareti come luminose tartarughe gialle, verso le file e file di libri, poi verso il cugino, dall'altra parte. "Anthony Patch. Soltanto che dovreste assomigliare a un cavallo, con una lunga faccia stretta... e dovreste essere stracciato." "E' tutto dalla parte del Patch, però. Come dovrebbe essere Anthony?" "Voi avete l'aspetto di Anthony" lo rassicurò lei seriamente egli pensò che l'avesse appena visto - "un po' maestoso" continuò "e solenne." Anthony si permise un sorriso sconcertato. "Ma a me piacciono i nomi che hanno un'allitterazione" continuò. "Tutti tranne il mio. Il mio è troppo vistoso. Conoscevo due ragazze che si chiamavano Jinks, però, e pensate se avessero avuto un nome diverso da quello che avevano: Judy Jinks e Jerry Jinks. Bello, no? Non vi pare?" La bocca infantile era socchiusa. in attesa di una risposta. "Nella prossima generazione" disse Dick, "tutti si chiameranno Peter o Barbara perché attualmente tutti i personaggi letterari piccanti si chiamano Peter o Barbara." Anthony continuò la profezia: "Certo Gladys e Eleanor, dopo aver dato grazia alla scorsa generazione di eroine ed essere ora al culmine del loro stato sociale, passeranno alla prossima generazione di commesse..." "Sostituendo Ella e Stella" interruppe Dick. "E Pearl e Jewel" soggiunse Gloria con cordialità "e Earl e Elmer e Minnie." "E a quel punto arriverò io" disse Dick, "e cogliendo il nome antiquato, Jewel, lo darò a qualche personaggio strano e bello e farò ricominciare la sua carriera." La voce di Gloria prese il filo di questo argomento e lo tessé con intonazioni lievemente ascendenti e mezzo umoristiche a conclusioni delle frasi - quasi a provocare interruzioni - e pause di risate appena accennate. Dick le aveva detto che il cameriere di Anthony si chiamava Bounds... non era meraviglioso? Dick aveva fatto uno scherzo infelice su Bounds che cuciva un "patchwork", ma se c'era qualcosa peggiore di uno scherzo, disse Gloria, era una persona che come inevitabile risposta a uno scherzo dava al colpevole uno sguardo di finto rimprovero. "Di che città siete?" chiese Anthony. Lo sapeva, ma la bellezza lo aveva reso sbadato. "Kansas City, Missouri." "L'hanno messa fuori la stessa volta che hanno vietato le sigarette." "Hanno vietato le sigarette? Riconosco la mano del mio santo nonno." "E' un riformatore o qualcosa del genere, vero?" "Arrossisco per lui." "Anch'io" ammise lei. "Detesto i riformatori, specialmente quelli che cercano di riformare me." "Ce ne sono molti?" "Decine. Si tratta di: 'Oh, Gloria, a fumare tutte quelle sigarette perderai la tua bella carnagione!' e: "Oh, Gloria, perché non ti sposi per sistemarti?'." Anthony annuì solennemente mentre si chiedeva chi avesse avuto la temerità di parlare così a un simile personaggio. "E poi" continuò, "ci sono i riformatori astuti, che raccontano le storie orribili in circolazione sul nostro conto e come hanno preso le nostre difese." Anthony vide, alla fine, che gli occhi di Gloria erano grigi, molto saldi e freddi, e quando se li sentì addosso capì che cosa aveva voluto dire Maury dicendo che era molto giovane e molto vecchia. Parlava sempre di sé, come potrebbe farlo una bimba molto carina, e i suoi commenti sui propri gusti e disgusti erano spontanei e privi di affettazione. "Devo ammettere" disse gravemente Anthony "che anch'io ho udito qualcosa su di voi." Subito sulle difensive, Gloria si rizzò a sedere. Quegli occhi, dal grigiore e l'eternità di una rupe di granito tenero, colsero i suoi. "Ditemi. Vi crederò. Credo sempre a tutto quello che mi dicono sul mio conto... Anche voi?" "Sempre" convennero i due ragazzi all'unisono. "Su, ditemi." "Non sono certo di poterlo fare" la canzonò Anthony sorridendo malvolentieri. Era così palesemente interessata, in uno stato di auto-assorbimento quasi ridicolo. "Allude al tuo soprannome" disse il cugino. "Che soprannome?" chiese Anthony educatamente perplesso. Di colpo Gloria si intimidì; poi rise, si lasciò cadere sui cuscini e alzò gli occhi mentre diceva "Gloria delle due Coste". La voce era piena di riso, un riso imprecisato come le ombre mutevoli che scherzavano tra il fuoco e la lampada sui suoi capelli. "Oh, Signore!" Anthony continuò ad essere perplesso. "Che cosa vuol dire?" "Vuol dire ME. E' un termine coniato per ME da qualche stupido." "Non capisci, Anthony" spiegò Dick, "viaggiatore di notorietà nazionale e così via. Non è questo che hai sentito dire? La chiamano così da anni... Da quando aveva diciassette anni." Gli occhi di Anthony divennero umoristicamente tristi. "Chi è questa Matusalemme che mi hai portato in casa, Caramel?" Gloria non gli fece caso, probabilmente ne fu un po' toccata, perché ritornò all'argomento principale. "Che cosa avete sentito dire di me?" "Qualcosa sul vostro fisico." "Oh" disse con freddo disappunto. "Nient'altro?" "La vostra abbronzatura." "Cosa?" Gloria era perplessa. La mano le salì alla gola vi rimase un istante come se le dita tastassero un mutamento di colore. "Vi ricordate Maury Noble? Uno che avete conosciuto un mese fa. Gli avete fatto una grande impressione." Gloria penso un momento. "Ricordo... Ma non è venuto a trovarmi." "Sono certo che ha avuto paura di farlo." Ora era diventato buio fuori, e Anthony si chiese se il suo appartamento fosse mai sembrato grigio: tanto erano caldi e cordiali i libri e i quadri sulle pareti e il bravo Bounds che offriva il tè da un'ombra rispettosa, e le tre persone gentili che si lanciavano ondate di interesse e di risa, attraverso il fuoco felice. Insoddisfazione. Il giovedì pomeriggio Gloria e Anthony presero il tè insieme nel grill-room del Plaza. L'abito bordato di pelliccia era grigio perché col grigio si è costretti a dipingersi molto, spiegò - e sul capo Gloria aveva un cappellino di sghimbescio che permetteva alle increspature dorate dei capelli di sfuggire in uno splendore disinvolto. Nella luce più forte parve ad Anthony che la personalità di Gloria fosse infinitamente più dolce pareva così giovane, a stento diciottenne, la sua figura, sotto la guaina attillata nota a quei tempi come vestito a sirena, era straordinariamente snella e agile e le mani, né "artistiche" né tozze, erano piccole come mani di bambina. Quando entrarono l'orchestra suonava l'introduzione di un maxixe, una canzonetta piena di nacchere e di melodie da violino facili e lievemente languide, adatte al grill invernale affollato di un pubblico di studenti nervosi, eccitati dall'accostarsi delle vacanze. Gloria rifletté con cura su alcuni posti e fece fare ad Anthony, piuttosto seccato, una parata circolare fino a un tavolino per due all'estremità della sala. Quando vi giunsero ricominciò a riflettere. Doveva sedersi a destra o a sinistra? Mentre faceva la sua scelta i begli occhi e le belle labbra erano molto seri, e Anthony pensò di nuovo all'ingenuità di tutti i gesti di lei; Gloria considerava tutte le cose della vita come predisposte per venir scelte e prese da lei, come se dovesse ricevere continuamente regali da un banco inesauribile. Osservò distrattamente le coppie per qualche minuto mormorando qualche commento, quando una coppia si avvicinò a loro. "C'è una bella ragazza vestita d'azzurro" e mentre Anthony guardava ubbidiente "là! No. Dietro di voi... Là!" "Sì" annuì lui sgomento. "Non l'avete vista." "Preferisco guardare voi." "Lo so, ma era carina. Solo che aveva le caviglie grosse." "Ah, sì?" disse lui indifferente. Il saluto di una ragazza giunse da una coppia che ballava vicino a loro. "Ciao, Gloria! Oh, Gloria!" "Ciao." "Chi è?" chiese lui. "Non lo so. Qualcuno." Scorse un altro viso. "Ciao, Muriel! Poi a Anthony: "C'è Muriel Kane. Secondo me è bella, per non molto." Anthony fece una risatina. "Bella, ma non molto" ripeté. Gloria sorrise fu subito interessata. "Che cosa c'è da ridere?" Il suo tono era molto attento. "Così." "Volete ballare?" "E voi?" "Più o meno. Ma restiamo a sedere" decise. "A parlare di voi? Vi piace parlare di voi, vero?" "Sì." Sorpresa nella vanità, si mise a ridere. "La vostra autobiografia diventerebbe un classico." "Dick dice che non ho un'autobiografia." "Dick! Che cosa ne sa di voi?" "Niente. Ma dice che la biografia di tutte le donne incomincia col primo bacio importante e finisce quando le vien messo tra le braccia l'ultimo figlio." "Lui parla in base al suo libro." "Dice che le donne che non sono amate non hanno biografia: hanno una storia." Anthony rise di nuovo. "Non pretenderete di non essere amata." "Be', in fondo no." "Allora perché non avete una biografia? Non avete mai avuto il bacio importante?" Mentre le parole gli uscivano di bocca, trasse il fiato come per risucchiarle. Che BAMBINA! "Non so che cosa intendete dire per importante" ribatté. "Vorrei che mi diceste quanti anni avete." "Ventidue" disse, guardandolo seriamente negli occhi. "Quanti credevate?" "Circa diciotto." "Incomincerò a darmene diciotto. Non mi piace averne ventidue. E' la cosa che odio di più al mondo." "Avere ventidue anni?" "No. Invecchiare e tutto. Sposarmi." "Non volete sposarvi?" "Non voglio avere responsabilità e un mucchio di figli a cui badare." Evidentemente era certa che sulle sue labbra qualunque cosa andava bene. Anthony aspettò senza fiato la frase successiva in attesa che facesse da continuazione alla precedente. Gloria sorrideva senza divertirsi ma con cordialità e dopo un silenzio alcune parole caddero nel vuoto tra loro. "Vorrei avere qualche pasticca di gomma." "Ma certo!" Anthony fece cenno a un cameriere e lo mandò al banco delle sigarette. "Vi secca? Mi piacciono le pasticche di gomma. Tutti mi canzonano per questo, perché io ne ho sempre in bocca una... quando non ho intorno mio padre." "Per niente.Chi sono tutti questi bambini?" chiese all'improvviso. "Li conoscete tutti?" "Be'... no, ma sono di... oh, di tutte le parti, immagino. Non venite mai qui?" "Molto di rado. Non mi piacciono gran che le 'brave ragazze.'" Attirò immediatamente la sua attenzione. Gloria voltò decisa le spalle alle coppie, si abbandonò sulla poltrona e chiese: "Che cosa fate per passare il tempo?" Grazie a un cocktail Anthony accolse con entusiasmo la domanda. Aveva voglia di parlare e inoltre voleva fare impressione a quella ragazza il cui interesse era così disperatamente sfuggente: si interrompeva per brucare pascoli inattesi, passava in fretta sulle banalità. Anthony aveva voglia di posare. Aveva voglia di apparirle improvvisamente in colori nuovi ed eroici. Aveva voglia di scuoterla dalla distrazione che ella rivelava verso tutto ciò che non fosse lei stessa. "Non faccio niente" incominciò, rendendosi conto nello stesso istante che le sue parole non avevano la grazia elegante cui egli ambiva. "Non faccio niente, perché non c'è niente che valga la pena di essere fatto." "Be'?" Anthony non l'aveva sorpresa e non l'aveva neanche interessata, eppure non c'era dubbio che aveva capito se egli aveva detto qualcosa che valeva la pena di esser capito. "Non vi piacciono gli uomini pigri? Gloria annuì. "Certo, se sono pigri con grazia. Credete che un americano ci riesca?" "Perché no?" chiese egli sconfitto. Ma la mente di lei aveva già lasciato l'argomento e vagava dieci piani più in alto. "Mio padre ce l'ha con me" disse senza calore. "Perché? Ma voglio sapere perché un americano non può riuscire a essere pigro con grazia." Le parole suonavano convinte. "Non riesco a capirlo. E... è... non capisco perché la gente pensi che tutti i giovani debbano andare in centro a lavorare dieci ore al giorno per i migliori vent'anni della vita, in un lavoro noioso, privo d'immaginazione, certo tutt'altro che altruistico." Anthony si interruppe. Gloria lo guardò con aria impenetrabile. Egli aspettò un'approvazione o una disapprovazione ma non ottenne né l'una ne l'altra. "Non formulate mai un giudizio sulle cose?" chiese vagamente esasperato. Ella scosse il capo e tornò a voltare gli occhi sulle coppie che ballavano, mentre rispondeva: "Non lo so. Non so niente su... quello che chiunque dovrebbe fare." Questo gli confuse le idee e ne intralciò il corso. Mai l'esprimersi gli era sembrato insieme così desiderabile e così impossibile. "Be'" ammise con aria di scusa, "neanch'io, si capisce, ma..." "Della gente" continuò Gloria, "penso soltanto se hanno l'aria di star bene dove sono e di essere adatti allo scenario. Non m'importa se non fanno niente. Non vedo perché dovrebbero fare qualcosa; anzi sono sempre stupita quando qualcuno fa qualcosa." "Voi non avete voglia di far niente?" "Ho voglia di dormire." Per un attimo Anthony rimase perplesso, come se Gloria intendesse dare a queste parole un senso letterale. "Dormire?" "Press'a poco. Ho voglia di essere pigra e ho voglia di avere intorno qualcuno che faccia le cose, perché questo mi fa sentire comoda e al sicuro; e ho voglia che qualcun altro non faccia niente perché mi possa tener compagnia. Ma non ho mai voglia di cambiare la gente che mi sta intorno o di interessarmene." "Siete una piccola strana determinista" rise Anthony. "Il mondo vi appartiene, no?" "Be'..." disse lei con uno sguardo rapido. "Non credete? Fino a quando sarò... giovane." Si era interrotta impercettibilmente prima dell'ultima parola e Anthony ebbe il sospetto che fosse stata sul punto di dire "bella". Era innegabile che alludeva a questo. Gli occhi le si illuminarono ed egli attese che il tema venisse sviluppato. Comunque l'aveva svegliata... Si chinò lievemente in avanti per cogliere le parole. Ma tutto ciò che ella disse fu "Balliamo". Ammirazione. Quel pomeriggio d'inverno al Plaza fu il primo di una serie di "appuntamenti" che Anthony ottenne da lei nelle confuse e nervose giornate che precedettero il Natale. Gloria aveva invariabilmente da fare. Passò molto tempo prima che egli riuscisse a scoprire quali strati particolari della vita mondanacittadina l'accaparrassero.Parevano così poco importanti. Gloria partecipava ai balli di beneficenza semipubblici nei grandi alberghi; egli la incontrò parecchie volte alle cene danzanti di Sherry e una volta, mentre aspettava che si vestisse, udì dalla signora Gilbert, a proposito dell'abitudine della figlia di "uscire", uno sbalorditivo programma festivo che comprendeva una mezza dozzina di balli per i quali Anthony aveva ricevuto l'invito. Andò con lei parecchie volte a colazione o a prendere il tè: incontri nel primo caso affrettati e, almeno per lui, piuttosto insoddisfacenti, perché Gloria era assonnata e distratta, incapace di concentrarsi su qualcosa o di prestare un'attenzione continuata alle frasi di lui. Quando dopo due o tre di questi pasti sbiaditi egli l'accusò di offrirgli soltanto la pelle e le ossa della giornata, Gloria si mise a ridere e gli diede un appuntamento per il tè tre giorni dopo. Questo fu infinitamente più soddisfacente. Una domenica pomeriggio poco prima di Natale, Anthony andò a trovarla e la sorprese nella calma che seguiva un bisticcio importante ma misterioso: Gloria gli raccontò in un tono tra adirato e divertito che aveva scacciato un uomo dal suo appartamento - Anthony meditò con violenza - e che costui aveva offerto un piccolo pranzo in onor suo quella sera stessa e che naturalmente lei non intendeva andarvi. Così Anthony la invito a cena. "Andiamo in qualche posto!" propose lei mentre scendevano in ascensore. "Ho voglia di andare a teatro, e voi?" Le indagini condotte presso il portiere dell'albergo rivelarono soltanto due "concerti" domenicali. "Sono sempre gli stessi" gemette lei sconfortata. "Gli stessi vecchi ebrei. Oh, andiamo da qualche parte!" Per nascondere un vago senso di colpa, come se fosse stato suo dovere organizzare uno spettacolo di qualsiasi genere per il piacere di lei, Anthony assunse un tono di disinvoltura esperta. "Andiamo in un bel cabaret." "Li ho già visti tutti." "Be', ne troveremo uno nuovo." Gloria era di pessimo umore; questo era evidente. Gli occhi grigi erano ora di granito. Quando non parlava guardava fisso davanti a sé come se fosse attratta da qualcosa di disgustoso nel vestibolo. "Su, allora andiamo." Egli la seguì, graziosa perfino nella pelliccia che l'avvolgeva, fino a un taxi, e con l'aria di avere un posto preciso in mente disse all'autista di arrivare a Broadway e poi girare a sud. Fece parecchi tentativi distratti per iniziare una conversazione ma, poiché ella adottò un'armatura impenetrabile di silenzio e gli rispose con frasi cupe quanto il buio freddo del taxi, finì per rinunciare e adattandosi al suo umore precipitò in una confusa tristezza. A una decina di isolati dall'inizio di Broadway gli occhi di Anthony furono attratti da un'insegna elettrica grande e insolita che slllabava "Marathon" in una splendente scritta gialla, ornata di foglie e fiori elettrici che alternativamente scomparivano e apparivano sulla strada bagnata e lucente. Anthony si chinò e batté sul finestrino e subito ricevette informazioni da un portiere negro: sì, era un cabaret. Un bel cabaret. Il più bello della città! "Dobbiamo provare?" Con un sospiro Gloria gettò la sigaretta dalla portiera aperta e si accinse a seguirlo; poi passarono sotto l'insegna chiassosa, sotto la porta ampia e si avviarono su un ascensore soffocante in quell'inesplorato palazzo di piaceri. I lieti ritrovi dei ricchissimi e dei poverissimi, dei falliti e dei criminali, per non parlare dei bohémiens recentemente sfruttati, vengono divulgati fra le intimorite studentesse liceali di Augusta, Georgia, e di Redwing, Minnesota, non soltanto dai titoli a tinte forti e affascinanti dei supplementi teatrali della domenica ma anche dagli occhi scandalizzati e preoccupati di Rupert Hughes e altri cronisti del "folle andare" americano. Ma le escursioni di Harlem a Broadway, le follie degli sciocchi e le bisbocce dei rispettabili, sono conosciute soltanto da chi vi ha partecipato di persona. Circola una mancia e nel luogo nominato con tono esperto, la sera del sabato e della domenica si raccoglie la classe moralmente più bassa gli uomini dagli scarsi turbamenti che nei fumetti vengono descritti come "il Cliente" o "il Pubblico". Vengono assicurati che quel luogo ha tre qualità: costa poco; imita con una specie di squallida e meccanica preoccupazione le attrazioni sfavillanti dei grandi caffè del quartiere dei teatri; e - più importante di tutto - è un posto dove si può "condurre una ragazza per bene" il che significa, naturalmente, che tutti diventano parimenti innocui, timidi e scialbi per mancanza di denaro e d'immaginazione. La domenica sera vi si riuniscono le persone credule, sentimentali, mal pagate, stanche: librai, agenti, amministratori, commessi e soprattutto impiegati: impiegati della posta, dei corrieri, delle farmacie, della borsa, della banca. Li accompagnano le loro donne ridacchianti, troppo gesticolanti, pateticamente pretenziose che ingrassano con loro, fanno loro troppi figli e fluttuano impotenti e insoddisfatte in un mare sbiadito di fatica e di speranze infrante. Questi cabarets da paccottiglia prendono nome dai vagoni pullman. Il "Marathon"! Non per loro le salaci imitazioni dei caffè di Parigi! Qui dove i padroni docili conducono le loro "donne per bene", la cui fantasia digiuna è fin troppo disposta a credere che la scena sia relativamente allegra e gaia e perfino vagamente immorale. Questa è la vita? Chi pensa al domani? Gente perduta! Anthony e Gloria dopo essersi seduti si guardarono attorno. Alla tavola accanto un gruppo di quattro persone stava per venir raggiunto da un gruppo di tre, due uomini e una donna, evidentemente in ritardo: e i modi della donna erano un modello per la sociologia nazionale. Stava conoscendo qualche nuovo uomo: e fingeva, disperatamente. Fingeva, coi gesti e con le parole e coi movimenti appena percettibili delle palpebre, di appartenere a un ambiente lievemente superiore all'ambiente con cui aveva ora a che fare, di essere stata poco prima e di essere sul punto di ritornare in un'atmosfera più alta, più rarefatta. Era raffinata in modo quasi penoso: portava un cappello dell'anno prima coperto di violette che non erano meno ardentemente pretenziose e tangibilmente artificiali di lei stessa. Affascinati Anthony e Gloria guardarono la ragazza mentre sedeva irradiando l'impressione di essere presentesoloper condiscendenza. Per ME, dicevano i suoi occhi, questa praticamente è una spedizione nei quartieri dei poveri, da essere avvolta di risate denigratrici e quasi di scusa. ...E le altre donne emanavano con ardore l'impressione che pur trovandosi nella massa non vi appartenessero. Non era questo il luogo al quale erano abituate; vi erano capitate perché era vicino e conveniente; tutti i gruppi del ristorante emanavano quest'impressione... chissà? Erano la classe perennemente mutevole, tutti quanti: le donne spesso sposate a uomini superiori a loro in grado sociale, gli uomini imbattutisi d'improvviso nel fasto dell'opulenza: uno schema pubblicitario abbastanza assurdo, un cono gelato celestializzato. Intanto si trovavano qui a mangiare, chiudendo gli occhi all'economia rivelata nelle tovaglie cambiate di rado, nell'indifferenza degli attori del cabaret, soprattutto nella sbadataggine e nella familiarità dei camerieri. Era evidente che questi camerieri non erano impressionati dai clienti. Ci si aspettava da un momento all'altro che sedessero ai tavolini... "Vi piace?" chiese Anthony. Il viso di Gloria si illuminò e per la prima volta nella serata sorrise. "Moltissimo" disse con franchezza. Era impossibile dubitare di lei. Gli occhi grigi vagavano qua e là, indolenti, pigri o vigili, su ogni gruppo, passando dall'uno all'altro con divertimento palese, e ad Anthony apparvero i vari pregi del suo profilo, le espressioni meravigliosamente vive della bocca e i tratti autenticamente distinti del viso e delle forme e dei modi che la rendevano simile a un fiore unico in mezzo a una collezione di bric-à-brac. Di fronte a quella felicità, un sentimento prepotente gli gonfiò gli occhi, lo soffocò, fece vibrare i nervi e gli colmò la gola di un'emozione roca e vibrante. La sala divenne silenziosa. I violini e i sassofoni sbadati, i lamenti striduli e raschianti di un bambino lì accanto, la voce della ragazza dal cappello di violette al tavolo vicino, tutto si allontanò lentamente, retrocedette e scomparve come un'ombra riflessa sul pavimento lucente: e loro due, gli parve, rimasero soli e infinitamente remoti, silenziosi. Certo la freschezza delle guance di Gloria era come un velo proiettato da una terra di sfumature delicate e intatte; la mano che splendeva sulla tovaglia sporca era una conchiglia di un mare lontano e selvaggio e vergine... Poi l'illusione scoppiò come un nido di fili; la sala gli si raccolse attorno, voci, facce, movimento; il luccichio fastoso delle luci sul capo divenne reale, divenne sinistro; incominciò il respiro, la lenta respirazione che lei e lui compivano all'unisono con questo centinaio di persone docili, l'alzarsi e l'abbassarsi dei seni, l'eterno, insensato gioco e controgioco e lancio a ripetizione di parole e di frasi... tutto questo costrinse i suoi sensi ad aprirsi alla pressione soffocante della vita... e poi la voce di lei lo raggiunse, fredda come il sogno che egli aveva lasciato sospeso dietro di sé. "Sono una di loro" mormorò Gloria. "Sono come questa gente." Per un attimo questo parve un paradosso sardonico e inutile scaraventatogli addosso attraverso le distanze insormontabili che ella creava attorno a sé. Era sempre più affascinata: aveva posato gli occhi su un violinista semita che ondeggiava le spalle al ritmo del fox-trot più tenero dell'annata: "Something... goes Ring-a-ting-a-ling-a-ling Right in-your ear..." Di nuovo Gloria parlò dal centro di questa sua illusione dilagante. Anthony ne fu sbalordito. Era come una bestemmia sulla bocca di un bimbo. "Sono identica a loro... come le lanterne giapponesi e la carta crespa e la musica di quell'orchestra." "Siete una giovane idiota" affermò con ardore. Ella scosse la testa bionda. "No, non è vero. SONO come loro. Dovreste vedere... voi non mi conoscete." Esitò e voltò gli occhi su di lui, li posò bruscamente sui suoi, come enormemente sorpresa di vederselo accanto. "Ho in me un po' di quella che voi chiamereste volgarità. Non so da dove mi viene ma è... oh, cose come queste e colori vivaci e grossolanità vistosa. Sono molto intonata qui. Questa gente potrebbe apprezzarmi e accettarmi senza discutere e questi uomini si innamorerebbero di me e mi ammirerebbero; mentre gli uomini intelligenti che conosco si limiterebbero ad analizzarmi e a dirmi che sono qualcosa a causa di qualcosa o qualcos'altro a causa di qualcos'altro." ...Anthony per il momento desiderava furiosamente dipingerla, coglierla in questo momento, com'era, come non avrebbe potuto essere mai più, col passare di ogni attimo inesorabile. "Che cosa state pensando?" chiese Gloria. "Che non sono un realista" disse, e poi: "No, soltanto i romantici conservano le cose degne di essere conservate". Dalla profonda sofisticazione di Anthony sorse la percezione nulla di atavico o di oscuro, anzi, neppure di fisico, una percezione risuscitata dalle romanticherie di molte generazioni mentali - che mentre parlava e incontrava i suoi occhi e voltava la bella testa, Gloria lo commuoveva come egli non era mai stato commosso prima. L'involucro che racchiudeva la sua anima aveva assunto un significato: ecco tutto. Era un sole radioso, crescente, che raccoglieva luce e la conservava poi, dopo un'eternità, la emanava in uno sguardo, nello squarcio di una frase, a quella parte di lui che idolatrava tutta la bellezza e tutta l'illusione. 3. L'INTENDITORE DI BACI. Richard Caramel aveva desiderato scrivere fin dai giorni in cui dirigeva "The Harvard Crimson", nei primi anni dell'università. Divenuto "anziano" aveva accettato la falsa illusione che certi uomini erano destinati al "servizio pubblico" ed entrando nel mondo dovevano compiere un qualcosa vagamente penoso che avrebbe fruttato o il premio eterno o, almeno, la soddisfazione personale di aver lottato per il massimo bene del massimo numero. Questo spirito ha cullato a lungo le università americane. Di solito incomincia durante le impressioni, immature e facili, dell'anno di matricola; a volte ancora prima, durante il liceo. Prosperosi apostoli noti per le loro azioni emotive fanno il giro delle università e, spaventando il docile gregge e soffocando il risveglio dell'interesse e della curiosità intellettuale che è il fine di qualsiasi agitazione, distillano una misteriosa convinzione di peccato, rifacendosi alle colpe infantili e all'onnipresente minaccia delle "donne". A queste conferenze vanno i giovani cattivi per divertirsi e scherzare e i timidi per inghiottire le pillole saporite, che sarebbero innocue se venissero somministrate a mogli di contadini e a farmacisti pii, ma sono medicine piuttosto pericoloso per questi "futuri guidatori di uomini". La piovra fu abbastanza forte da avvolgere in un sinuoso tentacolo Richard Caramel. L'anno dopo la laurea fu questa ad attirarlo negli slums di New York a frugare scandali con italiani sbalorditi nella veste di segretario di una "Associazione per la riabilitazione dei giovani stranieri". Svolse tale attività durante più di un anno, prima che la monotonia di essa incominciasse a stancarlo. Gli stranieri continuavano ad arrivare senza fine - italiani, polacchi, scandinavi, cechi, armeni - con gli stessi torti, le stesse facce straordinariamente brutte e per lo più gli stessi odori, anche se questi gli pareva diventassero diversi e più abbondanti col passare dei mesi. Le sue conclusioni definitive circa l'opportunità del "servizio pubblico" furono vaghe, ma quelle relative ai suoi rapporti personali con esso furono brusche e decisive. Qualunque giovanotto simpatico, con la testa rintronata dalla crociata più recente, poteva fare quanto faceva lui coi rottami d'Europa ed era ora che lui si mettesse a scrivere. Aveva abitato in una sezione centrale dell'Y.M.C.A. ma, quando rinunciò al compito di cavar sangue dalle pietre, si trasferì nelle zone residenziali e si mise immediatamente a lavorare come cronista del "Sun". Vi rimase un anno scrivendo articoli saltuari, senza importanza e con poco successo, e poi un giorno uno sfortunato incidente troncò perentoriamente la sua carriera giornalistica. Un pomeriggio di febbraio venne incaricato di fare il pezzo sulla parata dello Squadrone A. Stava per nevicare e invece di recarsi alla parata se ne andò a dormire davanti a un fuoco caldo; per poi scrivere, quando si svegliò, una colonnina disinvolta sullo scalpiccio soffocato degli zoccoli dei cavalli nella neve... Poi presentò l'articolo. L'indomani mattina una copia contrassegnata del giornale venne mandata al direttore con un appunto scarabocchiato: "Licenziare l'autore di questo articolo". Pare che anche lo Squadrone A avesse visto che stava per nevicare e avesse rimandato la parata a un altro giorno. Una settimana dopo aveva incominciato "L'amante diabolico"... In gennaio il naso di Richard Caramel era costantemente azzurro, un azzurro sardonico, che ricordava vagamente le fiamme che lambiscono i peccatori. Il libro era quasi finito e mentre sviluppava la sua compiutezza pareva sviluppare anche le sue esigenze, rodendo l'autore, sopraffacendolo, fino a farlo aggirare torvo e sottomesso. Dick non riversava le sue speranze e vanterie e indecisioni soltanto su Anthony e Maury, ma su chiunque potesse venire indotto ad ascoltarlo. Andava a trovare editori cortesi ma sbalorditi, discuteva con chi gli capitava commensale allo Harvard Club; Anthony sosteneva perfino di averlo sorpreso una domenica sera intento a discutere la trasposizione del Capitolo Secondo con un bigliettaio letterato nei recessi gelidi e cupi di una stazione sotterranea di Harlem. E la più recente delle sue confidenti era la signora Gilbert, che chiacchierava con lui in quel momento e passava dal bilfismo alla letteratura in un fitto fuoco incrociato. "Shakespeare era bilfista" affermò con un sorriso fisso. "Oh sì! era bilfista. E' stato dimostrato." Dick assumeva un'aria un po' perplessa. "Se hai letto l''Amleto' non puoi non riconoscerlo." "Be', lui... viveva in un'età più credula... più religiosa." Ma lei esigeva la torta intera: "Oh, si, ma capisci, il bilfismo non è una religione. E' la scienza di tutte le religioni." Gli sorrise con aria di sfida. Questo era il bon mot della sua tesi. C'era qualcosa nella disposizione delle parole che le conquistava la mente con tale intensità che l'affermazione diventava superiore a qualsiasi necessità di autodefinizione. Non è improbabile che avrebbe accettato qualunque idea esposta in questa formula radiosa; che forse non era una formula era la "reductio ad absurdum" di tutte le formule. Poi alla fine, ma con prepotenza, veniva la volta di Dick. "Hai sentito parlare del movimento della 'New Poetry'? No? Be', si tratta di un gruppo di giovani poeti che si sono staccati dalle antiche forme e fanno un mucchio di belle cose. Be', stavo per dire che il mio libro inizierà il movimento di una nuova prosa, una specie di Rinascimento." "Ne sono certa" diceva raggiante la signora Gilbert. "Ne sono CERTA. Martedì scorso sono andata da Jenny Martin, sai la chiromante di cui tutti vanno matti. Le ho detto che mio nipote è impegnato in un lavoro e lei ha detto che certo sarei stata lieta di sapere che avrebbe avuto un successo STRAORDINARIO. Ma non ti aveva mai visto e non sapeva niente di te... neanche il tuo NOME." Dopo aver fatto i rumori adatti a esprimere il suo stupore per questo fenomeno stupefacente, Dick scacciò da sé l'argomento come un vigile urbano a un semaforo immaginario e per così dire diede il passo a se stesso. "Sono preoccupato, zia Catherine" le disse. "Sono proprio preoccupato. Gli amici mi stanno canzonando... Oh, capisco il lato comico della cosa e non me ne importa. Secondo me la gente deve saper stare agli scherzi. Ma ho una specie di convinzione" concluse cupamente. "Sei un'anima antica, l'ho sempre detto." "Forse." Dick aveva raggiunto il punto in cui cessava di combattere e si sottometteva. DOVEVA proprio essere un'anima antica, fantasticò, cosi antica da essere completamente putrefatta. Tuttavia la ripetizione della frase gli diede un certo imbarazzo e gli fece venire un brivido spiacevole nella schiena. Cambiò argomento. "Dov'è la mia nobile cugina Gloria?" "E' uscita, andata chissà dove, con qualcuno." Dick tacque, meditò, e poi, torcendo il viso in quello che evidentemente era incominciato come un sorriso ma si concluse in un cipiglio orribile, pronunciò il suo commento. "Credo che il mio amico Anthony Patch sia innamorato di lei." La signora Gilbert sussultò, sorrise un mezzo secondo in ritardo, e alitò il suo "Davvero?" col tono di un bisbiglio da commedia poliziesca. "CREDO" corresse Dick gravemente. "E' la prima volta che lo vedo così spesso con una ragazza." "Be', certo" disse la signora Gilbert con voluta indifferenza "Gloria non mi fa mai le sue confidenze. E' molto riservata. A dirla fra noi" si chinò in avanti con cautela, decisa evidentemente a far sì che soltanto il cielo e il nipote udissero la sua confessione, "resti fra noi, sarei contenta di vederla sistemata." Dick si alzò e camminò su e giù, giovanotto piccolo, vivace, già tondeggiante, con le mani cacciate ostentatamente nelle tasche rigonfie. "Non pretendo di aver ragione, bada" affermò all'incisione tipicamente alberghiera che gli sorrise in risposta dalla parete con aria rispettabile. "Quello che dico non lo direi a Gloria. Ma credo che il folle Anthony sia interessato... in modo tremendo. Non fa che parlare di lei. In chiunque altro sarebbe un pessimo segno." "Gloria è un'anima giovane..." incominciò la signora Gilbert con ardore, ma il nipote la interruppe con una frase affrettata. "Gloria sarebbe una giovane scema se non lo sposasse." Si interruppe e le si fermò davanti, col viso che pareva una carta topografica da battaglia pieno di rughe e fossette, stirato e teso a esprimere la massima intensità come per far perdonare con la sincerità l'indiscrezione delle sue parole. "Gloria è un tipo strano, zia Catherine. E' incontrollabile. Perché lo faccia non lo so, ma in questi ultimi tempi si è fatta un mucchio di amici buffissimi. Ha l'aria che non gliene importi niente. E gli uomini con cui andava in giro per New York erano..." S'interruppe per prender fiato. "Sì sì sì" intervenne la signora Gilbert in un pallido tentativo di nascondere l'immenso interesse con cui ascoltava. "Be'" continuò gravemente Richard Caramel, "ecco. Voglio dire che gli uomini con cui andava in giro e la gente con cui andava in giro una volta erano di prim'ordine. Ora non lo sono più." La signora Gilbert batté le palpebre molto in fretta: le tremò il seno gonfio d'aria, rimase così un attimo e quando l'aria uscì le parole fluirono in un torrente. Lo sapeva, gridò in un sussurro; oh, sì, le madri vedono queste cose. Ma che cosa poteva fare? Lui conosceva Gloria. Aveva frequentato Gloria abbastanza da sapere com'era inutile Cercar di avere a che fare con lei. Gloria era stata così viziata... In un modo completo e insolito. Per esempio, le avevano dato il biberon fino a tre anni, quando probabilmente avrebbe potuto masticare del legno. Forse - non si sa mai - era stato questo a dare quella salute e quell'ARDIRE alla sua personalità. E poi da quando aveva avuto dodici anni i ragazzi le erano stati attorno così numerosi... oh, così numerosi che non si potevano MUOVERE. A sedici anni aveva incominciato ad andare ai balli liceali, e poi erano venuti quelli universitari; e dovunque andasse ragazzi, ragazzi, ragazzi. Dapprincipio, oh, fino a diciotto anni ce n'erano stati tanti che non ce n'era mai uno diverso dagli altri, ma poi aveva incominciato a distinguerli. Sapeva che c'era stata una serie di relazioni disseminate lungo tre anni, forse una dozzina in tutto. A volte si trattava di studenti, a volte di appena laureati: duravano una media di qualche mese l'uno, con scarse distrazioni tra l'uno e l'altro. Un paio di volte avevano durato di più e la madre aveva sperato in un fidanzamento, ma era sempre venuto qualcuno di nuovo... di nuovo... Gli uomini? Oh, li rendeva infelici, alla lettera! Ce n'era uno soltanto che aveva conservato un po' di dignità ed era ancora un bambino, il piccolo Carter Kirby, di Kansas City, che comunque era così presuntuoso che un giorno si limitò a salpare con la sua vanità e l'indomani partì per l'Europa col padre. Gli altri erano stati... disgraziati. Avevano l'aria di non accorgersi mai quando lei si stancava di loro, e Gloria era decisamente sgarbata molto di rado. Continuavano a telefonare, a scrivere lettere, a cercare di vederla, a fare lunghi viaggi per seguirla di qua e di là. Alcuni si erano confidati con la signora Gilbert, le avevano detto con le lacrime agli occhi che non avrebbero mai dimenticato Gloria... però almeno due di loro si erano sposati, dopo... Ma Gloria aveva l'aria di colpire fino alla morte: ancora oggi il signor Carstairs veniva una volta alla settimana e le mandava fiori che lei non si preoccupava neanche più di respingere. Qualche volta, almeno due, la signora Gilbert sapeva che le cose erano arrivate fino a un fidanzamento segreto: con Tudor Baird e quel ragazzo Holcome a Pasadena. Ne era certa perché - questo non si doveva dire - li aveva sorpresi in momenti in cui non era attesa e aveva visto che Gloria si comportava, be', come se fosse molto fidanzata. Non aveva parlato alla figlia, naturalmente. Aveva avuto un certo senso di delicatezza e inoltre ogni volta aveva aspettato l'annuncio del fidanzamento entro qualche settimana. Ma l'annuncio non veniva mai; invece veniva un uomo nuovo. Che scene! Giovanotti che passeggiavano su e giù in biblioteca come tigri in gabbia! Giovanotti che si squadravano nel vestibolo mentre l'uno entrava e l'altro usciva! Giovanotti che chiamavano al telefono e a cui veniva troncata la comunicazione mentre erano disperati! Giovanotti che minacciavano di andare nel Sud America!... Giovanotti che scrivevano lettere così patetiche! (Non disse nulla a questo riguardo, ma Dick immaginò che gli occhi della signora Gilbert avessero visto alcune di queste lettere.) ...E Gloria, tra le lacrime e il riso, addolorata, lieta, innamorata e non innamorata, infelice, nervosa, fredda, tra una gran restituzione di regali, sostituzione di fotografie in cornici eterne, intenta a fare bagni caldi e a ricominciare... col successivo. Questo stato di cose continuava, aveva l'aria di diventare permanente. Nulla toccava Gloria o la mutava o la commoveva. E poi un giorno, sotto un cielo azzurro, informò la madre che gli studenti l'annoiavano. Non voleva assolutamente più andare ai balli universitari. Questo era stato l'inizio del cambiamento; non tanto nelle abitudini vere e proprie, perché andava a ballare e aveva "appuntamenti" come sempre, ma erano appuntamenti dati in uno spirito diverso. Prima era stata una specie di orgoglio, una questione di vanagloria personale. Probabilmente era stata la ragazza più corteggiata e ricercata dell'intera America. Gloria Gilbert di Kansas City! Se n'era nutrita temerariamente divertendosi della gente che la circondava, del modo in cui veniva scelta dagli uomini migliori; divertendosi della gelosia ardente delle altre ragazze; divertendosi delle voci favolose per non dire scandalose, e la madre era lieta di dire del tutto infondate, che la circondavano: per esempio che una notte si era tuffata nella piscina di Yale con un abito da sera di chiffon. E dall'amare tutto questo con una vanità quasi maschile - era stata una specie di carriera trionfante e abbagliante - di colpo era diventata come anestetizzata. Si ritirò. Dopo aver dominato innumerevoli feste, dopo esser fiorita fragrante in tante sale da ballo per il tenero tributo di tanti occhi, parve non curarsi più di nulla. Chi si innamorava di lei adesso veniva allontanato, senza speranze, quasi con ira. Andava, svogliata, con gli uomini più indifferenti. Mancava di continuo agli appuntamenti, non come in passato con la fredda certezza di essere inattaccabile, di veder ritornare come un animale domestico l'uomo insultato: ma con indifferenza, senza disprezzo né orgoglio. Non si infuriava più con gli uomini: sbadigliava davanti a loro. Alla madre pareva - ed era così strano - pareva che diventasse fredda. Richard Caramel ascoltava. Dapprima era rimasto in piedi, ma mentre il discorso della zia si svolgeva soddisfatto - quello qui riferito è ornato soltanto a metà di tutte le allusioni alla giovinezza di Gloria e alle disperazioni mentali della signora Gilbert - aveva avvicinato una poltrona e aveva assistito scrupolosamente al fluttuare di lei tra lacrime e gemiti impotenti sulla lunga vicenda della vita di Gloria. Quando giunse al racconto dell'ultimo anno, il racconto di mozziconi di sigarette lasciati per tutta New York in piccoli portacenere che portavano la scritta di "Midnight Frolic" e "Justine Johnson's Little Club" incominciò ad annuire lentamente, poi sempre più in fretta finché, quando ella finì in uno staccato, egli stava agitando vivacemente la testa su e giù, assurdo come una bambola tenuta insieme dal fil di ferro, ed esprimeva... quasi ogni cosa In un certo senso il passato di Gloria era una vecchia storia per lui. L'aveva seguito con occhi da giornalista perché un giorno o l'altro avrebbe scritto un libro su di lei. Ma il suo interesse in quel momento era un interesse di famiglia. Voleva sapere in particolare chi era quel Joseph Bloeckman che aveva visto con lei parecchie volte; e le due ragazze che erano sempre con lei, "quella" Rachael Jerryl e "quella" signorina Kane: la signorina Kane non era certo il genere di ragazza da mettere insieme a Gloria! Ma il momento era finito. La signora Gilbert, dopo aver scalato il colle della narrazione, stava per scivolare in fretta sul trampolino da sci del collasso. I suoi occhi erano come un cielo azzurro visto attraverso due finestre rotonde, rosse. La carne attorno alla bocca le tremava. E in quel momento la porta si aprì, all'ingresso nella stanza di Gloria e delle due signorine summenzionate. Due signorine. "Be'!" "Come va, signora Gilbert?" La signorina Kane e la signorina Jerryl vengono presentate al signor Richard Caramel. "Questo è Dick." (Risate.) "Mi hanno parlato tanto di voi" dice la signorina Kane mezzo ridendo e mezzo gridando. "Piacere" dice la signorina Jerryl timidamente. Richard Caramel cerca di agire come se il proprio viso fosse migliore. E' dilaniato tra la sua cordialità innata e il fatto che considera queste ragazze piuttosto volgari niente: affatto il tipo Farmover. Gloria è scomparsa nella camera da letto. "Accomodatevi" sorride la signora Gilbert, che ormai è ritornata se stessa. "Toglietevi il soprabito." Dick teme di sentirle dire qualcosa sull'età della sua anima, ma dimentica le preoccupazioni compiendo un esame coscienzioso, da romanziere, delle due signorine. Muriel Kane aveva trovato origine in una famiglia in sviluppo dell'East Orange. Non era tanto piccola quanto bassa e fluttuava audacemente tra la grassezza e la larghezza. Aveva i capelli neri e acconciati in modo complicato. Questo, insieme ai begli occhi vagamente bovini e alle labbra troppo rosse, aiutava a farla somigliare a Theda Bara, l'attrice cinematografica in vista. La gente le diceva continuamente che era una "vamp" e lei ci credeva. Aveva un'ombra di speranza che la temessero e faceva tutto quello che poteva, in qualsiasi circostanza, per dare l'impressione del pericolo. Chi avesse un po' d'immaginazione riusciva a scorgere la bandiera rossa che ella portava continuamente, agitandola all'impazzata, in modo supplichevole... e ahimè, con poco profitto visibile. Era anche terribilmente "à la page": conosceva le ultime canzoni, tutte le ultime canzoni; quando venivano suonate al grammofono si alzava in piedi e dondolava le spalle e schioccava le dita, e se la musica taceva si accompagnava canticchiando. Anche la sua conversazione era "à la page": "Che cosa me ne importa?" diceva sempre. "Se mi preoccupassi perderei la linea"; e poi: "Non riesco a tener fermi i piedi quando sento questa canzone. Oh, figlioli!". Aveva le unghie troppo lunghe e ornate, lustrate in una febbre rosa e innaturale. Gli abiti erano troppo attillati, troppo azzimati, troppo vivaci, gli occhi troppo assassini, il sorriso troppo adescante. Dalla testa ai piedi era troppo carica, fino a far pena. L'altra ragazza aveva una personalità palesemente più fine. Era un'ebrea vestita squisitamente e aveva capelli neri e un bel pallore latteo. Pareva timida e vaga, e queste due qualità accentuavano un fascino piuttosto delicato che le fluttuava attorno. I genitori erano "episcopali", possedevano tre negozi di mode femminili nella Quinta Avenue e abitavano un lussuoso appartamento sul Riverside Drive. Parve a Dick, dopo qualche minuto, che tentasse di imitare Gloria: pensò che la gente sceglie invariabilmente, per imitarle, persone inimitabili. "Abbiamo avuto una giornata così FEBBRILE!" esclamò Muriel entusiasticamente. "C'era una pazza dietro di noi sull'autobus. Era certamente, positivamente SVITATA! Continuava a parlare fra sé di qualcosa che voleva fare a qualcuno. Ero impietrita, ma Gloria si è ASSOLUTAMENTE rifiutata di scendere." La signora Gilbert aprì la bocca, debitamente impressionata. "Davvero?" "Oh, era pazza. Ma non c'è da preoccuparsi, non ci ha fatto niente. Santo cielo! L'uomo che ci stava davanti ha detto che la sua faccia avrebbe dovuto essere sulla testa di un'infermiera notturna in un ricovero di ciechi, e naturalmente noi abbiamo sghignazzato, così lui ha cercato di far conoscenza." In quel momento Gloria uscì dalla camera da letto e tutti gli occhi si rivolsero verso di lei. Le due ragazze si ritirarono in uno sfondo nebuloso indistinto, ignorato. "Abbiamo parlato di te" disse Dick in fretta "tua madre e io." "Bene" disse Gloria. Un silenzio. Muriel si rivolse a Dick. "Siete un grande scrittore, vero?" "Sono uno scrittore" ammise lui imbarazzato. "Lo dico sempre" disse Muriel parlando sul serio "che se avessi mai il tempo di scrivere tutto quello che mi è capitato metterei assieme un libro magnifico." Rachael fece una risatina partecipe; l'inchino di Richard Caramel fu quasi solenne. Muriel continuò: "Ma non capisco come potete mettervi lì a scriverlo. E la poesia! Signore Iddio, non riesco a combinare due rime. Be', dovrei darmi da fare." Richard Caramel trattenne a stento uno scoppio di risa. Gloria masticava una colossale pasticca di gomma e fissava di malumore fuori dalla finestra. La signora Gilbert si schiarì la voce e sorrise. "Ma vedete" disse con un tono da descrizione universale "voi non siete un'anima antica... come Richard." L'Anima Antica ebbe un respiro di sollievo: finalmente era arrivata. Poi come se ci stesse pensando da cinque minuti, Gloria diede un annuncio improvviso. "Voglio fare una festa." "Oh, posso venire?" esclamò Muriel con finta audacia. "Una cena. Sette persone: Muriel e Rachael e io e tu Dick e Anthony e quel tale che si chiama Noble - una volta mi piaceva e Bloeckman." Muriel e Rachael si abbandonarono a estasi tenere e ronronanti di entusiasmo. La signora Gilbert sbatté le palpebre e sorrise. Con aria indifferente Dick intervenne con una domanda: "Chi è questo Bloeckman, Gloria?" Annusando una lieve ostilità, Gloria si rivolse a lui. "Joseph Bloeckman? E' quello del cinematografo. Vice presidente della "Films Par Excellence". Lui e papà fanno un mucchio di affari." "Oh!" "Allora venite tutti?" Sarebbero venuti tutti. Fu stabilito un giorno della settimana. Dick si alzò, si mise il cappello, il cappotto e la sciarpa e fece un sorriso circolare. "Bye-bye"disse Muriel,agitando lietamente la mano. "Telefonatemi, un giorno." Richard Caramel arrossì per lei. Deplorevole fine del Cavaliere O'Keefe. Era lunedì, e Anthony condusse Geraldine Burke a colazione al Beaux Arts; poi andarono in casa di Anthony ed egli accostò il piccolo carrello che reggeva la sua provvista di liquori, vermut, gin e assenzio per prendere uno stimolante adatto. Geraldine Burke, cassiera da Keith, aveva costituito il suo passatempo per parecchi mesi. Chiedeva così poco che Anthony le voleva bene, perché dai tempi di una relazione deplorevole con una debuttante, l'estate precedente, quando si era accorto che dopo una decina di baci ci si aspettava la sua domanda di matrimonio, era diventato guardingo con le ragazze del suo ambiente. Era fin troppo facile scorgere con occhio critico i loro difetti: qualche grossolanità fisica o una mancanza generica di finezza personale; ma una ragazza che faceva la cassiera da Keith era da accostare con un altro atteggiamento. Si potevano sopportare in un cameriere privato caratteristiche che sarebbero riuscite imperdonabili in una conoscenza superficiale del proprio grado sociale. Geraldine, rannicchiata ai piedi del divano, lo guardò con gli occhi stretti e obliqui. "Non fai proprio altro che bere, vero?" chiese d'improvviso. "Be', credo di sì" rispose Anthony un po' sorpreso. "E tu?" "No. Qualche volta vado alle feste... sai, una volta la settimana, ma bevo soltanto un paio di bicchieri. Tu e i tuoi amici non fate che bere. A me pare che vi roviniate la salute." Anthony fu vagamente commosso. "Come sei cara a preoccuparti per me." "Be', mi preoccupo." "Non bevo quanto sembra" dichiarò Anthony. "Il mese scorso non ho assaggiato una goccia per tre settimane. E proprio ubriaco divento soltanto una volta la settimana." "Ma devi bere qualcosa ogni giorno, e non hai che venticinque anni. Non hai ambizioni? Non pensi a quello che succederà quando avrai quarant'anni?" "Sinceramente spero di non vivere fino allora." Geraldine schioccò la lingua contro i denti. "Che ma-atto!" disse mentre Anthony si preparava un altro cocktail, e poi: "Sei parente di Adam Patch?" "Sì, è mio nonno." "Davvero?" Era palesemente colpita. "Senza alcun dubbio." "Che buffo. Il mio papà una volta lavorava per lui." "E' un vecchio strambo." "E' simpatico?" chiese lei. "Be', nella vita privata è antipatico di rado, senza necessità." "Parlami di lui." "Be'" meditò Anthony, "è tutto chiuso in sé e gli è rimasto qualche capello grigio che sembra sempre scomposto dal vento. E molto morale." "Ha fatto del bene a molti" disse Geraldine con intensa gravità. "Stupidaggini" la schernì Anthony. "E un asino pio... un cervello di gallina." Geraldine abbandonò l'argomento e continuò: "Perché non vivi con lui?" "Perché non vivo a pensione in una parrocchia metodista?" "Che ma-atto!" Di nuovo Geraldine fece un piccolo rumore schioccante per esprimere la sua disapprovazione. Anthony pensò com'era morale nel suo fondo quella ragazzetta perduta: come sarebbe rimasta assolutamente morale dopo che fosse giunta l'ondata inevitabile che le avrebbe tolto di dosso la sabbia della rispettabilità. "Lo detesti?" "Non lo so. Non mi è mai stato simpatico. Non è mai simpatica la gente che fa qualcosa per noi." "E lui ti detesta?" "Geraldine cara" protestò Anthony facendo un cipiglio buffo, "prendiamo un altro cocktail. Gli do fastidio. Se fumo una sigaretta entra nella stanza sbuffando. E' un puritano, uno scocciatore e vagamente ipocrita. Probabilmente non ti direi questo se non avessi un po' bevuto, ma non credo che abbia importanza." Geraldine continuava a provare interesse. Reggeva il bicchiere intatto fra l'indice e il pollice e lo guardava con occhi in cui era una sfumatura di rispetto. "In che senso, ipocrita?" "Be'" disse Anthony impaziente, "forse non lo è. Ma non gli piacciono le cose che piacciono a me e così per quello che mi riguarda non lo trovo interessante." "Mmh." La curiosità di Geraldine parve finalmente soddisfatta. Ella affondò nel divano e sorseggiò il cocktail. "Sei buffo" commentò pensosa. "Vogliono sposarti tutte perché tuo nonno è ricco?" "No... ma non le biasimerei se fosse così. E poi, vedi, ho intenzione di non sposarmi mai." Geraldine lo schernì. "Un giorno o l'altro ti innamorerai. Oh, di sicuro... lo so." Annuì con aria saggia. "Sarebbe idiota aver troppa fiducia. E' stato quello che ha rovinato il Cavaliere O'Keefe." "Chi era?" "Una creatura della mia splendida mente. E' una mia creazione, il Cavaliere." "Ma-atto!" mormorò con aria simpatica, servendosi della goffa scaletta di corda con cui colmava tutti gli abissi e dava la scalata a chi era mentalmente superiore. Inconsciamente capiva che essa serviva a eliminare le distanze e a ricondurre alla sua portata la persona la cui immaginazione le era sfuggita. "Oh, no" ribatté Anthony. "Oh no, Geraldine. Non devi fare la psichiatra col Cavaliere. Se non ti senti in grado di capirlo non te lo presenterò. E poi mi troverei un po' a disagio per via della sua deplorevole reputazione." "Credo di riuscire a capire tutto quello che gli si può riferire" rispose Geraldine con vaga petulanza. "In questo caso vi sono vari episodi che potrebbero riuscirti divertenti nella vita del Cavaliere." "Allora?" "E' stata la sua morte precoce a farmi pensare a lui e introdurlo nella conversazione. Non mi piace l'idea di presentarlo incominciando dalla fine ma pare inevitabile che il Cavaliere entri nella tua vita." "Allora, dimmi. E' morto?" "Sì! In questo modo. Era irlandese, Geraldine, e un irlandese semifittizio: di quelli strani, con gli scarponi nobili e 'i capelli rossicci.' Era stato mandato in esilio da Erin negli ultimi tempi della cavalleria e naturalmente era venuto in Francia. Ora, Geraldine, il Cavaliere O'Keefe aveva come me una sola debolezza. Era enormemente suscettibile a ogni genere e a ogni classe di donne. Oltre a essere un sentimentale, era un romantico, un uomo vano, dalle passioni selvagge, leggermente cieco da un occhio e cieco quasi del tutto dall'altro. Ora, un maschio che si aggiri nel mondo in queste condizioni è inerrne come un leone senza denti, e di conseguenza il Cavaliere venne ridotto per vent'anni all'infelicità suprema da una serie di donne che l'avevano odiato, sfruttato, seccato, esasperato, nauseato, ridotto al verde e fatto scemo: insomma, come dice il mondo, l'avevano amato. "Così non andava proprio, Geraldine, e poiché il Cavaliere, a parte quest'unica debolezza, quest'eccessiva suscettibilità, era molto acuto, decise che si sarebbe salvato una volta per tutte da questi guai. Allo scopo si recò in un monastero molto famoso in Champagne,chesichiamava...be',lo chiamavano, anacronisticamente, il monastero di Saint-Voltaire. A SaintVoltaire la regola voleva che nessun monaco potesse discendere, prima di essere morto, al pianterreno del monastero, ma dovesse vivere assorto nella meditazione e nella preghiera in una delle quattro torri denominate secondo i quattro comandamenti della regola del monastero: Povertà, Castità, Obbedienza, Silenzio. "Quando giunse il giorno che doveva assistere all'addio al mondo del Cavaliere, questi era supremamente felice. Regalò tutti i suoi libri greci alla sua padrona di casa e inviò la spada in una guaina d'oro al re di Francia; e tutti i ricordi d'Irlanda donò al giovane ugonotto che vendeva pesci nella casa in cui egli abitava. "Poi andò a cavallo a Saint-Voltaire, uccise il cavallo davanti alla porta e ne offri la carcassa al cuoco del monastero. "Quella sera alle cinque si sentì per la prima volta libero: libero per sempre dal sesso. Nessuna donna poteva entrare nel monastero, nessun monaco poteva scendere sotto il secondo piano. Così mentre sali la scala a chiocciola che conduceva alla sua cella in cima alla Torre della Castità, si fermò un momento davanti a una finestra aperta che guardava dall'altezza di un paio di metri la strada sottostante. Era tutto cosi bello, pensò, questo mondo che egli stava per abbandonare, la pioggia dorata del sole che batteva i vasti campi, la spuma degli alberi in lontananza, i vigneti silenziosi e verdeggianti per chilometri e chilometri davanti a lui. Appoggiò i gomiti al davanzale e guardò la strada tortuosa. "Ora accadde che Thérèse, una contadinella di sedici anni che veniva da un villaggio vicino, passasse in quel momento proprio sulla strada che si svolgeva davanti al monastero. Cinque minuti prima il nastrino che reggeva la calza della sua bella gamba sinistra si era consumato e si era strappato. Essendo una fanciulla di rara modestia, aveva pensato di aspettare ad aggiustarlo quando fosse giunta a casa, ma ne era stata seccata in misura tale da non riuscir più a sopportarlo. Così, mentre passava davanti alla Torre di Castità, si fermò e con un gesto aggraziato sollevò la gonna - il meno possibile, bisogna dire a suo credito per aggiustarsi la giarrettiera. "Su nella torre il più recente arrivo dell'antico monastero di Saint-Voltaire, come attratto da una mano gigantesca e irresistibile, si sporse dalla finestra. Continuò e continuò a sporgersi finché d'improvviso una pietra cedette sotto il suo peso, si staccò dal cemento con un sommesso rumore polveroso e prima a capofitto, poi ritto, e infine in una vasta e impressionante rotazione precipitò il Cavaliere O'Keefe, destinato alla dura terra e all'eterna dannazione. "Thérèse fu così turbata da questo avvenimento che tornò a casa di corsa e per dieci anni passò un'ora al giorno a pregare in segreto per l'anima del monaco il cui collo e i cui voti si erano contemporaneamentespezzatiin quell'infelice pomeriggio domenicale. "E il Cavaliere O'Keefe, sospetto di suicidio, non venne sepolto in terra consacrata ma finì in un campo lì accanto, dove senza dubbio migliorò la qualità della terra per molti anni successivi. Tale fu la prematura morte di un gentiluomo molto ardito e valoroso. Che ne dici, Geraldine?" Ma Geraldine, perduta già da un pezzo, non seppe che sorridere con aria furba, muovere l'indice teso verso di lui e ripetere il suo salvatutto, il suo spiegatutto: "Ma-atto!" disse. "Che ma-a-atto!" Il viso magro di lui era simpatico, pensò, e gli occhi molto gentili. Le piaceva perché era arrogante senza essere presuntuoso e perché a differenza degli uomini che incontrava in sala aveva orrore di mettersi in vista. Che storia strana, senza senso! Ma le era piaciuta la parte della calza! Dopo il quinto cocktail Anthony la baciò e tra risate e tentativi di carezze e una fiamma di passione semisoffocata passò un'ora. Alle quattro e mezzo Geraldine sostenne di avere un appuntamento e andò nel bagno a pettinarsi. Rifiutando il taxi che Anthony voleva far chiamare per lei, si fermò un momento sulla porta. "Ti sposerai" disse. "Aspetta e vedrai." Anthony stava giocando con una vecchia palla da tennis e la fece rimbalzare con cura sul pavimento parecchie volte, prima di rispondere con un'ombra di acidità "Sei un po' idiota, Geraldine!" Lei sorrise provocante. "Ah, sì, vero? Vuoi scommettere?" "Sarebbe stupido anche questo." "Ah, sì, vero? Be', io scommetto che entro l'anno ti sposi." Anthony diede un colpo molto forte alla palla da tennis. Ella pensò che era in una delle sue giornate più belle: una specie di intensità gli aveva soffuso gli occhi neri di melanconia. "Geraldine" disse Anthony alla fine "in primo luogo non c'è nessuna che mi piacerebbe sposare; in secondo luogo non ho abbastanza denaro per mantenere due persone; in terzo luogo sono assolutamente contrario al matrimonio per gente del mio tipo; in quarto luogo provo un forte disgusto sia pure a pensarvi in astratto." Ma Geraldine si limitò a stringere gli occhi con aria esperta, fece il suo piccolo schiocco e disse che doveva andare. Era tardi. "Telefonami presto" gli disse quando lo baciò per salutarlo. "Sono passati venti giorni, dall'ultima volta, sai." "Telefonerò" promise lui con ardore. Chiuse la porta e quando ritornò nella stanza si fermò un momento, perduto nei pensieri, con la palla da tennis ancora stretta in mano. Stava sopraggiungendo una delle sue crisi di solitudine, uno di quei momenti in cui egli camminava per le strade o restava seduto a mordicchiare una matita al suo tavolo, senza desideri e scoraggiato. Era un assorbimento in sé senza conforto, una ricerca di espressione senza via d'uscita, un senso del tempo che passava senza posa e sprecato: confortato soltanto dalla convinzione che non c'era nulla da sprecare perché tutti gli sforzi e tutti i risultati erano parimenti privi di valore. Pensò con commozione: ad alta voce, esclamativo, perché era offeso e turbato. "Non ci penso neanche a sposarmi, perdio!" Improvvisamente gettò con violenza attraverso la stanza la palla da tennis che rischiò per un filo di colpire il lampadario e dopo essere rimbalzata qua e là un momento si fermò per terra. Luce delle insegne e luce della luna. Per la cena Gloria aveva fissato un tavolo alle Cascades dal Biltmore e, quando i cavalieri s'incontrarono nell'atrio poco dopo le otto, "quel tale Bloeckman" fu il punto di mira di sei occhi maschili. Era un ebreo grassoccio e rossiccio di circa trentacinque anni, dal viso espressivo sotto i lisci capelli color sabbia e senza alcun dubbio nei convegni d'affari il suo aspetto doveva spesso venir considerato propiziatorio. Si avviò lentamente verso i tre giovanotti in piedi a fumare mentre aspettavano la loro ospite, e si presentò con una sicurezza un po' troppo visibile; tuttavia c'era da dubitare se avesse avuto o no l'impressione che si era desiderato dargli, di una lieve freddezza ironica; i suoi modi non ne rivelarono traccia. "Parente di Adam J. Patch?" chiese ad Anthony soffiando due lievi fili di fumo dalle narici tese. Anthony lo ammise con l'ombra di un sorriso. "E' simpatico" dichiarò Bloeckman con profondità. "E' un bell'esempio di americano." "Sì" convenne Anthony. "Non c'è alcun dubbio." "...Come detesto questa gente che non si è ancora fatta" pensava freddamente. "Ha l'aria di essere bollita! Bisognerebbe rimetterlo in pentola; gli ci vorrebbe un altro minuto di cottura." Bloeckman diede un'occhiata all'orologio. "Sarebbe ora che le ragazze si facessero vedere..." ...Anthony aspettò trattenendo il fiato; arrivò... "...ma" con un ampio sorriso "si sa come sono le donne." I tre giovanotti annuirono; Bloeckman si guardò distrattamente attorno, posando con aria critica gli occhi sul soffitto e poi abbassandoli. La sua espressione era un misto di quella che avrebbe potuto avere un contadino medio-occidentale intento a valutare la propria messe e quella di un attore che si chieda se qualcuno lo guarda: l'atteggiamento pubblico di tutti i buoni americani. Quando finì l'esame si rivolse in fretta al trio reticente, deciso a colpirli nel punto più vulnerabile. "Università? ...Harvard, già Vedo che quelli di Princeton ve le hanno date a hockey." Disgraziato. Un altro fiasco. Si curavano soltanto delle grandi partite di rugby. Se il signor Bloeckman si accorse, dopo l'insuccesso di questo attacco, di trovarsi in un'atmosfera cinica, è problematico perché... Arrivò Gloria. Arrivò Muriel. Arrivò Rachael. Dopo un affrettato "Ciao, gente!" lanciato da Gloria e ripetuto dalle altre due, entrarono tutt'e tre nello spogliatoio. Un momento dopo comparve Muriel in una ricercata seminudità e strisciò verso di loro. Era nel suo elemento: i capelli di ebano erano lisci e tirati indietro; gli occhi anneriti artificialmente; emanava un profumo insistente. Era al massimo delle sue capacità di sirena, o più popolarmente di vamp: una che piglia uomini e poi li butta via, una che gioca con gli affetti, senza scrupoli e nel fondo senza emozioni. Qualcosa nella disperazione del suo tentativo affascinò Maury: a prima vista una donna fornita di fianchi simili, ostentare l'agilità di una pantera! Mentre aspettavano per altri tre minuti l'arrivo di Gloria e, per cortese presupposto, quello di Rachael, egli non riuscì a toglierle gli occhi di dosso. Lei voltava la testa, abbassava le palpebre e si mordeva il labbro inferiore in un'esibizione stupefacente di civetteria. Si posava le mani sui fianchi e oscillava in ritmo con la musica dicendo: "Avete mai sentito un simile ragtime? Non posso stare con le spalle ferme a sentirlo." Il signor Bloeckman batté le mani con galanteria. "Dovreste stare in palcoscenico." "Mi piacerebbe!" esclamò Muriel. "Mi aiuterete?" "Ma certo." Con addicevole modestia Muriel cessò i movimenti e si rivolse a Maury a chiedergli che cosa aveva "visto" quell'anno. Maury interpretò la domanda come rivolta al mondo drammatico, e seguì un lieto ed esilarante scambio di titoli di questo genere: MURIEL: Avete visto "Peg o' My Heart"? MAURY: No, non l'ho visto. MURIEL (intensamente): E' magnifico. Dovete andare a vederlo. MAURY: Avete visto "Omar the Tentmaker"? MURIEL: No, ma mi hanno detto che è magnifico. Sono molto ansiosa di vederlo. Avete visto "Fair and Warmer"? MAURY (con tono di speranza): Sì. MURIEL: Non mi pare gran che. E' di second'ordine. MAURY (debolmente): Sì, è vero. MURIEL: Ma ieri sera sono andata a vedere "Within the Law" e l'ho trovato bello. Avete visto "The Little Café"... Continuarono finché ebbero nominato tutte le commedie. Intanto Dick si era rivolto al signor Bloeckman deciso a cavare quanto poteva da quella fonte poco promettente. "Mi hanno detto che tutti i romanzi nuovi sono venduti al cinematografo appena escono." "E' vero. Naturalmente l'essenziale in un film è una storia forte." "Sì, pare anche a me." "Di solito i romanzi sono pieni di dialoghi e di psicologia. Questi naturalmente non ci servono. E' impossibile cavarne qualcosa d'interessante per lo schermo." "Volete soprattutto intrecci" disse Richard con aria brillante. "Naturalmente. Soprattutto intrecci..." Si interruppe, distolse lo sguardo. Il suo silenzio contagiò, si estese agli altri con l'autorità di un dito ammonitore. Gloria seguita da Rachael usciva dallo spogliatoio. Tra le altre cose si venne a sapere durante il pranzo che Joseph Bloeckman non ballava ma passava il tempo delle danze a guardare gli altri con la tolleranza di un vecchio fra i bambini. Era dignitoso e anche orgoglioso. Nato a Monaco, aveva incominciato la carriera americana come venditore di noccioline in un circo viaggiante. A diciotto anni era diventato presentatore di uno spettacolo di second'ordine; più tardi amministratore dello spettacolo e poco dopo proprietario di un teatro di rivista di second'ordine. Quando il cinematografo uscì dallo stadio della novità per diventare un'industria promettente, egli era un ambizioso giovane di ventisei anni, con un po' di denaro da investire, ambizioni economiche incalzanti e una buona esperienza diretta di spettacoli popolari. Questo era avvenuto nove anni prima. L'industria del cinematografo l'aveva fatto salire con sé ed egli ne aveva scalzato decine di uomini che avevano più abilità economica, più immaginazione e più idee pratiche di lui... e ora stava qui a contemplare l'immortale Gloria, per la quale il giovane Stuart Holcome era andato da New York a Pasadena: la guardava e sapeva che presto avrebbe smesso di ballare e sarebbe ritornata a sedersi alla sua sinistra. Sperava che si affrettasse. Le ostriche erano pronte da qualche minuto. Intanto Anthony, che era stato messo alla sinistra di Gloria, stava ballando con lei sempre nella stessa zona della pista. Questo, nel caso di eventuali pretendenti, sarebbe stato un omaggio dedicato alla ragazza, che significava "Accidenti, non interrompete!". Era una cosa consapevolmente molto intima. "Be'" incominciò chinando gli occhi a guardarla "sei molto bella stasera." Gloria incontrò i suoi occhi al disopra dei quindici centimetri orizzontali che li separavano. "Grazie... Anthony." "Anzi, sei un po' troppo bella" soggiunse. Questa volta non sorrise. "E tu sei molto simpatico." "Non è carino?" rise Anthony. "Decisamente ci approviamo." "Perché, di solito non mi approvi?" Gloria aveva colto subito la frase, come faceva sempre con qualsiasi allusione che la riguardasse, per debole che fosse. Egli abbassò la voce e quando parlò non fu che il bisbiglio di uno scherzo. "Credi che un prete possa approvare il papa?" "Non lo so... ma questo è il complimento più vago che abbia mai ricevuto finora." "Potrei mettere insieme un po' di scemenze." "Be', non voglio che ti sforzi. Guarda Muriel! Proprio qui vicino a noi." Anthony si voltò a guardare. Muriel aveva posato la guancia colorita sul risvolto dello smoking di Maury Noble e gli aveva attorcigliato il braccio sinistro coperto di cipria intorno alla testa. Veniva da chiedersi perché non gli avesse afferrato la nuca con la mano. Gli occhi rivolti al soffitto giravano avanti e indietro in vaste rotazioni; i fianchi oscillavano e durante il ballo continuava a cantare sottovoce. Dapprincipio pareva che traducesse la canzone in una lingua straniera, ma lentamente si capiva che tentava di colmare il ritmo della canzone con le sole parole che conosceva, quelle del titolo: "He's a rag-picker, A rag-picker, A rag-time picking man, Rag-picking, picking, pick, pick, Rag-pick, pick, pick." e così via, in frasi sempre più strane e barbariche. Quando colse gli sguardi divertiti di Anthony e Gloria mostrò di accorgersene soltanto con un lieve sorriso e socchiudendo gli occhi, per mostrare che la musica, penetrandole nell'anima, l'aveva gettata in una trance estatica e supremamente seducente. La musica tacque e ritornarono al tavolo, il cui difensore solitario ma dignitoso si alzò, rivolgendo a ciascuno un sorriso così propiziatorio che fu come una stretta di mano e le congratulazioni dopo un'impresa brillante. "Blockhead non ballerà mai! Deve avere una gamba di legno" disse Gloria al tavolo in generale. I tre giovanotti sussultarono e la persona alla quale era stato alluso fece una smorfia visibile. Questo era l'unico punto spiacevole nell'amicizia di Bloeckman con Gloria. Ella scherzava senza posa sul suo nome. Prima era stato Block-house, poi il più antipatico Blockhead. Lui aveva chiesto con un forte sottinteso d'ironia che Gloria lo chiamasse per nome e Gloria lo aveva fatto spesso, ubbidiente... per poi riscivolare senza poterci far niente, pentita ma sciolta in riso, in Blockhead. Era una cosa molto triste e scervellata. "Temo che il signor Bloeckman ci prenda per gente frivola" sospirò Muriel tenendo in equilibrio un'ostrica e muovendola in direzione di lui. "Ne ha tutta l'aria" mormorò Rachael. Anthony cercò di ricordarsi se avesse già aperto bocca. Gli parve di no. Era la prima frase che pronunciava. Il signor Bloeckman improvvisamente si schiarì la voce disse a voce alta, distinta "Al contrario. Quando parla un uomo non è che tradizione. Alla meglio non ha che qualche migliaio d'anni alle spalle. Ma la donna, diamine, è il portavoce miracoloso della posterità." Nel silenzio sbalordito che seguì questa frase stupefacente Anthony soffocò d'improvviso su un'ostrica e si sollevò al viso il tovagliolo. Rachael e Muriel fecero una risatina pallida, anche se un po' sorpresa, alla quale si unirono Dick e Maury, entrambi rossi in faccia e con l'aria di soffocare con difficoltà molto visibile l'ilarità. "...santo Dio!" pensò Anthony. "E' il sottotitolo di uno dei suoi film. L'ha imparato a memoria!" Soltanto Gloria rimase impassibile. Fissò il signor Bloeckman con silenzioso rimprovero. "Ma per amor del cielo! Dove siete andato a pescarla, questa roba?" Bloeckman la guardò incerto, senza capire le sue intenzioni. Ma subito riprese il suo tono e riassunse il sorriso blando e consapevolmente tollerante di un intellettuale tra giovani viziati e inesperti. Dalla cucina giunse la minestra ma contemporaneamente giunse il direttore dell'orchestra dal bar, dove aveva assimilato l'entusiasmo contenuto in un boccale di birra. Così la minestra venne lasciata a raffreddarsi durante l'esecuzione di un ballo dal titolo "Everything's at Home Except Your Wife". Poi lo champagne e la festa assunse proporzioni più divertenti. Gli uomini, tranne Richard Caramel, bevvero in abbondanza; Gloria e Muriel ne sorseggiarono una coppa per una; Rachael Jerryl non ne toccò. Rimasero seduti durante il valzer, ma ballarono tutto il resto: tutti eccetto Gloria, che dopo un po' parve stancarsi e preferì restarsene a fumare al tavolo, con gli occhi ora pigri ora attenti, a seconda se ascoltava Bloeckman o guardava una bella ragazza sulla pista Più volte Anthony si chiese che cosa le stesse dicendo Bloeckman. Questi masticava un sigaro passandolo da un lato all'altro della bocca e dopo cena era giunto a gesticolare con violenza. Alle dieci Gloria e Anthony iniziarono un ballo. Appena furono abbastanza lontani dal tavolo da non venire uditi, Gloria disse sottovoce: "Balliamo verso la porta. Voglio scendere in farmacia." Anthony la guidò obbediente nella direzione voluta; nell'atrio ella lo lasciò un momento per ricomparire col mantello sul braccio. "Voglio delle pasticche di gomma" disse scusandosi facetamente; "questa volta non puoi indovinare perché. E' che ho voglia di mangiarmi le unghie e se non mastico qualcosa me le mangerò." Sospirò, e quando entrarono nell'ascensore vuoto riprese "Non ho fatto che mangiarmele tutto il giorno. Un po' nervosa, capisci. Scusa lo scherzo, non l'ho fatto apposta e venuto da sé. Gloria Gilbert, la spiritosona". Giunti al pianterreno evitarono spontaneamente la confetteria dell'albergo, scesero la grande scalinata dell'ingresso, e passando per vari corridoi trovarono una farmacia nella Grand Central Station. Dopo un attento esame del banco dei profumi Gloria fece il suo acquisto. Poi, spinti da un impulso reciproco e taciuto, si avviarono sottobraccio non nella direzione da cui erano venuti ma verso la Quarantatreesima Strada. La notte era viva di tepore, e così prossima ad essere calda che una folata d'aria lungo il marciapiede suscitò in Anthony la visione di un'insperata primavera colma di giacinti. In alto nell'azzurro oblungo del cielo, intorno a loro nella carezza dell'aria fluttuante, l'illusione della stagione nuova recò sollievo all'atmosfera greve e surriscaldata dalla quale erano usciti, e in un attimo di silenzio i rumori del traffico e il mormorio dell'acqua che scorreva nei rigagnoli parvero il prolungamento illusorio e rarefatto della musica al suono della quale avevano ballato poco prima. Quando Anthony parlò fu con la certezza che le sue parole giungessero da un'ansia, da un desiderio nascosti nei loro cuori dalla notte. "Prendiamo un taxi e facciamo un giretto!" propose, senza guardarla. Oh, Gloria, Gloria! Un taxi era fermo alla curva. Quando partì come una barca sui labirinti dell'oceano e si perdé fra le notturne masse abbozzate dei grandi edifici, fra le grida e i clamori ora soffocati ora striduli, Anthony cinse col braccio la fanciulla, la trasse a sé e le baciò la bocca umida, infantile. Ella non parlò. Rivolse verso di lui il viso, pallido sotto i guizzi e le chiazze di luce, che entravano come raggi di luna attraverso il fogliame. Gli occhi erano increspature lucenti nel bianco lago del suo viso; le ombre dei capelli orlavano la fronte in una nube persuasiva, estranea. Certamente non vi era amore; né traccia di amore alcuno. La sua bellezza era fredda come questa ventata umida, come le soffici labbra bagnate. "Come sei bella a questa luce!" le mormorò poco dopo. Vi erano silenzi tremanti come mormorii. Vi erano pause che parevano sul punto di esplodere e venivano riassettate nell'oblio soltanto dalla stretta delle braccia di lui e dalla sensazione che ella vi si rifugiava come una piuma spumosa, sorpresa, uscita dal buio. Anthony rise, silenzioso ed esultante, alzando il viso e distogliendolo da lei, un po' perché sopraffatto dall'esultanza del trionfo, un po' per non sciupare l'immobilità splendida di quell'espressione se lei lo guardasse. Un bacio simile era un fiore poggiato sul viso, fuori di ogni descrizione, quasi fuori del ricordo; come se la bellezza di lei si sviluppasse in emanazioni che gli si posavano sul cuore rapide e subito disciolte. ...Gli edifici fuggivano in ombre fuse; ora era il Parco e dopo un lungo tratto il grande fantasma bianco del Metropolitan Museum passò maestoso, echeggiando sonoramente alla corsa del taxi. "Oh, Gloria! Oh, Gloria!" Gli occhi di lei parvero guardarlo da molti millenni: qualsiasi emozione potesse aver provato, qualsiasi parola potesse aver pronunciato, sarebberosembrate inopportune accanto all'opportunità del suo silenzio, ineloquente a contrasto con l'eloquenza della sua bellezza... e del suo corpo, stretto a lui, snello e fresco.. "Digli di girare" mormorò "e di ritornare molto in fretta..." Su nel salone l'aria era calda. Il tavolo ingombro di tovaglioli e di portacenere era vecchio e sporco. Entrarono fra un ballo e l'altro e Muriel Kane li guardò con straordinaria birichineria. "Be', dove siete stati?" "A telefonare a mia madre" rispose Gloria con freddezza. "Le avevo promesso di farlo. Abbiamo perso un ballo?" Poi accadde un incidente che per quanto insignificante di per sé fece riflettere Anthony per anni e anni di poi. Joseph Bloeckman, ben affondato nella poltrona, lo fissò con uno sguardo strano, in cui erano mescolate curiosamente e inesplicabilmente parecchie emozioni. Salutò Gloria senza una parola, soltanto alzandosi in piedi, e riprese subito la conversazione con Richard Caramel intorno all'influenza della letteratura sul cinema. Magia. Il miracolo nudo e inatteso di una notte muore con la fine indugiante delle ultime stelle e la nascita prematura dei primi strilloni di giornali. La fiamma si ritira a qualche fuoco remoto e platonico; il calor bianco si è staccato dal ferro e l'incandescenza dal carbone. Lungo gli scaffali della biblioteca di Anthony, che coprivano un'intera parete, indugiava un filo freddo e insolente di sole che sfiorava con frigida disapprovazione Thérèse di Francia e Ann la Superdonna, Jenny del Balletto Orientale e Zuleika la Maga, e Hoosier Cora: poi lo scaffale sotto, e un tuffo negli anni per fermarsi con commiserazione sulle ultra-invocate ombre di Elena, Taide, Salomè e Cleopatra. Anthony dopo la barba e il bagno si era seduto nella poltrona più imbottita e rimase a guardarlo finché coll'alzarsi progressivo del sole esso si fermò un attimo, scintillando, sulle frange di seta del tappeto e scomparve. Erano le dieci. Il "Sunday Times", a terra ai suoi piedi, dichiarava in rotocalco e in articoli di fondo, nelle rivelazioni mondane e nella pagina sportiva, che la precedente settimana il mondo era stato enormemente assorto nell'impresa di procedere verso una meta splendida anche se vagamente imprecisa. Per parte sua Anthony era andato una volta dal nonno, due volte dall'agente di cambio e tre volte dal sarto: e all'ultimo minuto dell'ultimo giorno della settimana aveva baciato una ragazza bellissima e affascinante. Quando era giunto a casa, la sua immaginazione era stata prolifica di sogni tesi, insoliti. Improvvisamente si sentì sgombro di qualsiasi domanda, di qualsiasi problema eterno in attesa di soluzione e risoluzione. Aveva provato un'emozione che non era né mentale, né fisica, né un semplice miscuglio delle due e l'amore della vita lo assorbiva in quel momento escludendo qualsiasi altra cosa. Si accontentava di lasciare l'esperimento isolato e unico. Era convinto quasi oggettivamente che nessuna donna da lui conosciuta potesse venir confrontata in qualsiasi modo con Gloria. Gloria era profondamente se stessa; era sconfinatamente sincera: di questo egli era certo. Accanto a lei la ventina di studentesse e debuttanti, giovani mogli e ragazze perdute e sperdute conosciute fino allora erano altrettante "femmine" nel senso più spregiativo della parola, nutrici e matrici ancora trasudanti l'atmosfera lievemente odorosa della dispensa e della stanza dei bambini. Per quello che ne sapeva lui, Gloria non si era piegata alla sua volontà né aveva accarezzato la sua vanità: a parte il fatto che il piacere dimostrato a stare con lui era come una carezza. Anzi, Anthony non aveva alcuna ragione di credere che gli avesse dato qualcosa che non dava anche ad altri. Era proprio come doveva essere. L'idea che dalla serata potesse nascere un legame era remota quanto avrebbe potuto essere ripugnante. E Gloria aveva annullato e sepolto l'incidente con decisa insincerità. Ecco due giovani abbastanza forniti di fantasia da riconoscere un gioco dalla realtà che per la stessa indifferenza con cui si erano incontrati ed erano passati oltre si potevano dichiarare intatti. Deciso questo, andò al telefono e chiamò il Plaza Hotel. Gloria era fuori. La madre non sapeva né dove fosse andata, né quando sarebbe ritornata. Fu press'a poco a questo punto che prese forma la prima incrinatura. Vi era qualcosa di duro, quasi di indecente nell'assenza di Gloria da casa. Anthony ebbe il sospetto che fosse uscita apposta per metterlo a disagio. Al suo ritorno avrebbe trovato segnato il nome e avrebbe sorriso. Con molta discrezione! Anthony avrebbe dovuto aspettare qualche ora per rendersi conto che considerava l'incidente come del tutto insignificante. Che sbaglio da sciocco! Gloria avrebbe pensato che egli si considerasse particolarmente favorito. Avrebbe pensato che stava reagendo con l'invadenza più inetta a un episodio del tutto banale. Ricordò che il portiere, al quale durante il mese precedente egli aveva fatto una conferenza un po' confusa sul concetto del sindacato, era salito l'indomani a trovarlo e sulle basi di ciò che era accaduto la sera prima si era seduto sul divano alla finestra per passare una cordiale mezz'ora in chiacchiere. Anthony si chiese inorridito se Gloria avrebbe pensato di lui ciò che egli aveva pensato di quell'uomo. Di lui... Anthony Patch! Orrore. Non gli venne neppure per un attimo in mente di essere un oggetto passivo, mosso da un'influenza che andava al disopra e al di là di Gloria, di essere semplicemente la lastra sensibile su cui veniva impressa la fotografia. Un fotografo gigantesco aveva messo a fuoco la macchina su Gloria, e tac! la povera lastra non poteva che imprimersi, limitata, come tutte le cose, alla propria natura. Ma Anthony, sdraiato sul divano e con gli occhi fissi sulla lampada arancione, continuava a passarsi le dita sottili fra i capelli neri e creava nuovi simboli per ogni ora. Adesso era in un negozio, pareva, e si muoveva lietamente tra i velluti e le pellicce, col vestito che al suo passaggio faceva un fruscìo cordiale in quel mondo di fruscii di seta e di fresche risate da soprano e di profumi di molti fiori uccisi ma vivi. Le Minnie e le Pearl e le Jewel e le Jenny le si sarebbero raccolte attorno come cortigiane, indossando fragili trasparenze di crespo georgette, chiffons delicati per accompagnare in leggeri pastelli le guance, pizzi lattei che si posassero in pallido disordine sul collo: in quel periodo il damasco si usava soltanto per coprire i preti e i divani, e il panno di Samarcanda veniva ricordato soltanto dai poeti romantici. Dopo un po' sarebbe andata altrove, piegando il capo in un centinaio di modi sotto centinaia di cappellini, cercando invano ciliege finte che le si intonassero alle labbra o piume che avessero la grazia del suo corpo. Poi sarebbe venuto mezzogiorno: si sarebbe affrettata sulla Quinta Avenue, con la pelliccia oscillante secondo la moda ai suoi passi, le guance più rosse per un tocco del pennello del vento, il respiro un fumo delizioso nell'aria frizzante; e le porte del Ritz avrebbero girato, la folla si sarebbe aperta, cinquanta occhi maschili avrebbero sussultato fissandola mentre ella risuscitava sogni dimenticati nei mariti di molte donne obese e ridicole. La una. Con la forchetta avrebbe tormentato il cuore di un carciofo in adorazione, mentre chi l'accompagnava si sarebbe servito con le frasi spesse, gocciolanti di chi è in estasi. Le quattro: i piedini che muovevano al suono della musica, il viso distinto nella folla, il cavaliere felice come un cagnolino vezzeggiato e pazzo come l'eterno cappellaio... Poi... poi la notte sarebbe scesa alitando e forse di nuovo la nebbia. Le insegne avrebbero riversato la loro luce nella strada. Chissà? Non più sagge di lui, avrebbero cercato di cogliere di nuovo il quadro color crema e ombre che avevano visto la notte precedente nella Avenue zittita. Ed era possibile, oh, era possibile che vi riuscissero! Mille taxi avrebbero sbadigliato a mille angoli e soltanto per lui quel bacio era finito per sempre. In mille fogge Taide avrebbe chiamato un taxi e avrebbe alzato il viso a chiedere amore. E il pallore sarebbe stato verginale e bello, e il bacio casto come la luna... Balzò in piedi agitato. Com'era stonato che fosse uscita! Finalmente aveva capito che cosa voleva da lei: voleva baciarla ancora, trovare riposo nella sua grande immobilità. Era la fine di tutta l'irrequietezza, era la fine di tutto il malcontento. Anthony si vestì e uscì come avrebbe dovuto fare da un pezzo e andò in camera di Richard Caramel ad ascoltare l'ultima revisione dell'ultimo capitolo di "L'amante diabolico". Non ritelefonò a Gloria fino alle sei. Non la trovò fino alle otto e- oh, colmo degli anticolmi! - non poteva dargli appuntamenti fino a martedì pomeriggio. Quando Anthony attaccò il ricevitore, cadde per terra un pezzetto di guttaperca. Magia nera. Martedì faceva un freddo da gelare. Anthony arrivò alla scialba ora delle due e mentre si stringevano la mano si chiese confusamente se l'avesse mai baciata; pareva quasi incredibile... dubitò seriamente che ella se ne ricordasse. "Ti ho telefonato quattro volte, domenica" le disse. "Ah, sì?" Vi era sorpresa nella voce e interesse nell'espressione. In silenzio Anthony si maledisse per averglielo raccontato. Avrebbe dovuto sapere che l'orgoglio di lei non si interessava a trionfi così da poco. Nemmeno allora egli aveva sospettato la verità: che non avendo mai avuto preoccupazioni per gli uomini, Gloria aveva usato di rado i sotterfugi scaltri, i tira e molla che erano le merci consuete nel traffico delle sue consorelle. Quando le piaceva un uomo, questo era già di per sé un trucco. Se pensava di amarlo... c'era un ultimo colpo fatale. Il suo fascino si sarebbe difeso in eterno. "Ero ansioso di vederti" le disse con semplicità. "Voglio parlarti... proprio parlarti, in qualche posto dove possiamo restare soli. Vuoi?" "Come sarebbe a dire?" Egli inghiottì un groppo improvviso di panico. Sapeva che lei aveva capito. "Sarebbe a dire non a un tavolo da tè." "Be', va bene, ma non oggi. Voglio fare un po' di moto. Camminiamo!" Era brutto e crudo. Tutto l'odio malevolo del folle cuore di febbraio prendeva forma nel vento perduto e gelato che si apriva crudelmente la strada nel Central Park e lungo la Quinta Avenue. Era quasi impossibile parlare e la scomodità lo rese distratto, tanto che quando svoltò alla Sessantunesima Strada si accorse che Gloria non gli stava più accanto. Si guardò intorno. Era a una diecina di metri dietro di lui, immobile, col viso mezzo nascosto nel collo di pelliccia, animata dalla collera o dal riso: non riuscì a capire quale delle due. Si avviò verso di lei. "Non vorrei interrompere la tua passeggiata!" gli gridò. "Ti chiedo mille scuse" rispose Anthony confuso. "Andavo troppo in fretta?" "Ho freddo" dichiarò Gloria. "Voglio andare a casa. E tu cammini troppo in fretta." "Scusami." Si avviarono l'uno accanto all'altra verso il Plaza. Anthony avrebbe voluto vederla in faccia. "Di solito gli uomini non sono tanto assorti in se stessi, quando sono con me." "Mi dispiace." "E' molto interessante." "Fa proprio un po' troppo freddo per andare a spasso" disse Anthony con animazione, per nascondere il fastidio. Gloria non rispose ed egli si chiese se sarebbe stato congedato all'ingresso dell'albergo. Ma ella entrò senza parlare, fino all'ascensore, gettandogli un'unica frase mentre vi entrava. "E' meglio che tu salga." Anthony esitò per la frazione di un secondo. "Forse è meglio che venga un'altra volta." "Come vuoi." Le parole vennero mormorate come in un "a parte". La principale preoccupazione della vita consisteva nell'accomodarsi qualche ciocca di capelli allo specchio dell'ascensore. Le guance erano colorite, gli occhi scintillavano: non era mai apparsa così bella, cosi squisitamente desiderabile. Pieno di disprezzo per se stesso, Anthony si accorse che stava camminando nel corridoio del decimo piano, servilmente a qualche centimetro dietro di lei; era nel salotto mentre lei scompariva per metter via la pelliccia. Qualcosa era andata male: ai suoi stessi occhi, Anthony aveva perduto un velo di dignità; in uno scontro imprevisto ma importante era stato completamente sconfitto. Tuttavia quando Gloria ricomparve in salotto egli aveva spiegato se stesso a se stesso con sofistica soddisfazione. In fondo aveva fatto la cosa più forte, pensò. Voleva salire, era salito. Però ciò che accadde più tardi quel pomeriggio va spiegato con la vergogna provata in ascensore; quella ragazza gli dava preoccupazioni insopportabili, tanto che quando ricomparve egli passò involontariamente a criticarla. "Chi è quel Bloeckman, Gloria?" "Un collega di papà." "Un tipo strano!" "Neanche lui ti trova simpatico" disse Gloria con una subitanea risatella. Anthony rise. "Sono lusingato della sua attenzione. Evidentemente mi considera un..." S'interruppe dicendo: "E' innamorato di te?". "Non lo so" "Figurati" insisté lui. "Si capisce che è innamorato. Ricordo lo sguardo che mi ha dato quando siamo ritornati al tavolo. Probabilmente mi avrebbe fatto assalire da una banda di tirapiedi del cinema se tu non avessi inventato quella telefonata." "Non gliene importava niente. Gli ho detto dopo quello che è successo in realtà." "Gliel'hai detto!" "Me l'ha chiesto." "Non mi fa molto piacere" protestò lui. Gloria rise di nuovo. "Ah, no?" "Che cosa c'entra lui?" "Niente. Per questo gliel'ho detto." Anthony, sconvolto, si diede un morso selvaggio alle labbra. "Perché dovrei mentire?" chiese Gloria con franchezza. "Non ho vergogna di niente di quello che faccio. Siccome lo interessava sapere se ti avevo baciato e siccome ero di buon umore, ho soddisfatto la sua curiosità con un chiaro e semplice sì. A modo suo ha abbastanza buon senso, così ha lasciato cadere l'argomento." "Dopo aver detto che non mi può soffrire." "Ma che cosa te ne importa? Comunque se vuoi scandagliare fino in fondo quest'argomento meraviglioso, non ha detto che non ti può soffrire. Sono io che l'ho capito." "Non mi impor..." "Oh, smettila" esclamò lei impaziente. "E' una storia che non m'interessa affatto." Con enorme sforzo Anthony si sottomise cambiando argomento, e con lei si abbandonò a un antico gioco di domande e risposte relative al passato reciproco, riscaldandosi a misura che scoppiavano le secolari, eterne somiglianze nei gusti e nelle idee. Dissero cose più rivelatrici di quanto pensassero: ma entrambi finsero di accettarsi l'un l'altro per il loro valore visibile o meglio nominale. L'intimità si crea così. Prima si dà il miglior ritratto di se stesso, un prodotto splendente e rifinito, ritoccato di vanterie e falsità e umorismi. Poi diventano necessari i particolari e si dipinge un secondo ritratto e poi un terzo... In breve i lineamenti migliori si cancellano... e finalmente si rivela il segreto: i piani dei ritratti si sono mescolati e ci hanno tradito, e per quanto continuiamo a dipingere non riusciamo più a vendere un quadro. Bisogna accontentarsi di sperare che le fatue descrizioni di se stessi fatte alle mogli e ai figli e ai colleghi siano accettate per vere. "Secondo me" diceva gravemente Anthony "la posizione dell'uomo che non conosce il bisogno e l'ambizione è sfortunata. Sa il cielo come sarebbe patetico se commiserassi me stesso... pure talvolta invidio Dick." Il silenzio di Gloria lo incoraggiò. Era la lusinga intenzionale più spinta a cui ella fosse giunta fino allora. "...E una volta c'erano occupazioni dignitose per chi non avesse bisogno di lavorare, cose poco più produttive che riempire il paesaggio di fumo o giocare col denaro degli altri. C'è la scienza, si capisce a volte rimpiango di non aver fatto buoni studi, per esempio a Boston Tech. Ma ora, perdiana, dovrei star seduto a un tavolo per due anni a sgobbare sui fondamenti della fisica e della chimica." Gloria sbadigliò. "Ti ho già detto che non so mai che cosa dovrebbero fare gli altri" disse con malgarbo, e alla sua indifferenza il rancore di Anthony tornò a sollevarsi. "Non c'è proprio niente che ti interessi fuori di te stessa?" "Non credo." Anthony sbarrò gli occhi; la gioia crescente per la conversazione si ridusse a brandelli. Gloria era stata scontrosa e vendicativa tutto il giorno, e in questo momento gli parve di odiare quel suo duro egoismo. Fissò di malumore il fuoco. Poi accadde una cosa strana. Gloria si voltò verso di lui e sorrise, e quando Anthony vide quel sorriso ogni lembo di collera e di vanità offesa lo lasciò: come se il suo umore non fosse che un riflesso esterno di quello di lei, come se l'emozione non gli nascesse nel petto finché ella non ritenesse opportuno tirare un filo onnipotente e tale da controllare ogni cosa. Le si accostò e stringendole la mano la trasse a sé con garbo infinito finché ella fu quasi adagiata sulla sua spalla. Alzò il viso a sorridergli mentre egli la baciava. "Gloria" mormorò Anthony sottovoce. Di nuovo ella aveva compiuto una magia sottile e penetrante come un profumo versato, irresistibile e dolce. Mai più, né l'indomani né dopo molti anni, poté egli ricordare gli avvenimenti importanti di quel pomeriggio. Era stata turbata? Tra le sue braccia ella aveva parlato un poco... o affatto? Fino a che punto aveva provato piacere ai suoi baci? E aveva mai perduto se stessa sia pure di poco? Oh, per lui non c'erano dubbi. Si era alzato e aveva girato per la stanza in una pura estasi. Che una simile fanciulla potesse esistere; potesse reggersi arrotolata in un angolo del divano come una rondine giunta da poco da un lindo volo veloce a guardarlo con occhi inscrutabili... Smise di camminare e un po' intimidito la cinse col braccio a trovare il suo braccio. Era affascinante, le disse. Non aveva mai conosciuto una ragazza simile prima di lei. La scongiurò sconnessamente ma con ardore di mandarlo via; non voleva innamorarsi. Non voleva più venire a trovarla si era già impadronita di troppa parte della sua vita. Che romanzo delizioso! La sua vera reazione non era di paura né di dolore c'era soltanto questa felicità profonda di essere con lei, a dar colore alla banalità delle sue parole e far parere triste la sdolcinatura e saggia l'impostura. Egli sarebbe ritornato: in eterno. Come se non lo sapesse! "Ecco tutto. E' stata una cosa rara incontrarti, stranissima e meravigliosa. Ma non va bene... e non potrebbe durare." Mentre parlava il suo cuore tremava in quella che noi prendiamo per sincerità con noi stessi. Più tardi ricordò una risposta di Gloria a qualcosa che egli le aveva chiesto. La ricordava in questa forma; forse inconsciamente l'aveva accomodata e rifinita: "Una donna dovrebbe poter baciare un uomo in modo bello e romantico senza alcun desiderio di diventare sua moglie né la sua amante." Come sempre quando gli stava accanto, Gloria parve invecchiare lentamente, e alla fine le indugiarono negli occhi pensieri troppo profondi per venire espressi. Passò un'ora e il fuoco saltellava in piccole estasi come se la vita morente gli fosse dolce. Ora erano le cinque e l'orologio sulla mensola si articolò nei suoni. Poi, come se quei minuscoli colpi tintinnanti risvegliassero nella brutalità nascosta in lui il pensiero che i petali stavano cadendo dal pomeriggio fiorito, Anthony la trasse bruscamente a sé e la tenne stretta in piedi impotente e senza fiato, in un bacio che non era né un gioco né un omaggio. Le braccia le ricaddero lungo i fianchi. Gloria fu libera in un istante. "No!" disse sottovoce. "Non voglio." Sedette sull'estremità del divano e guardò fisso davanti a sé. Una ruga le si era formata tra gli occhi. Anthony si lasciò cadere accanto a lei, e posò la mano sulla sua. La mano rimase inerte e muta. "Su, Gloria" fece un gesto per cingerla col braccio, ma Gloria si ritrasse. "Non voglio" disse. "Ti chiedo scusa" disse Anthony con lieve impazienza. "Non... non sapevo che tu facessi distinzioni così sottili." Gloria non rispose. "Non vuoi più baciarmi, Gloria?" "No." Gli parve che fosse immobile da ore e ore. "Un cambiamento improvviso, ti pare?" Nella voce cominciò a rivelarsi il fastidio. "Ti pare?" Gloria non mostrò alcun interesse. Era come se stesse guardando un'altra persona. "Forse è meglio che vada." Nessuna risposta. Anthony si alzò e la guardò offeso, incerto. Tornò a sedersi. "Gloria, Gloria, non vuoi baciarmi?" "No." Le labbra socchiuse per pronunciare la parola si erano appena mosse. Di nuovo Anthony si alzò, questa volta con minor decisione, minor fiducia. "Allora vado. Silenzio. "Va bene... vado." Si rese conto che le sue parole avevano una certa irrimediabile mancanza di originalità. Sentì che l'atmosfera era diventata opprimente. Avrebbe voluto che Gloria parlasse, lo canzonasse, gridasse, facesse qualunque cosa purché non restasse in quel silenzio dilagante e raggelante. Si diede imprecando dello sciocco; il suo desiderio più limpido era di smuoverla, ferirla, vederla rabbrividire. Sgomento, fece senza volerlo un nuovo sbaglio. "Se non hai più voglia di baciarmi è meglio che vada." Vide le labbra di lei piegarsi lievemente e l'ultima dignità lo abbandonò. Alla fine Gloria parlò: "Mi pareva che tu l'avessi già detto parecchie volte." Anthony si guardò subito attorno, vide il cappello e il cappotto su una sedia... si avviò malfermo a prenderli, in un minuto insopportabile. Voltandosi verso il divano vide che Gloria non si era voltata, non si era neanche mossa. Con un "ciao" sconnesso, immediatamente rimpianto, uscì in fretta ma senza dignità dalla stanza. Per un minuto intero Gloria rimase muta. Le labbra erano ancora piegate; lo sguardo era fisso, orgoglioso, remoto. Poi gli occhi le si offuscarono un poco e mormorò a mezza voce tre parole al fuoco prossimo alla fine: "Ciao a te, somaro!" disse. Panico. Anthony aveva provato il colpo più duro della sua vita. Finalmente sapeva quel che voleva, ma gli pareva d'averlo gettato per sempre fuori della sua portata nel momento stesso in cui l'aveva scoperto. Arrivò a casa molto infelice, si gettò in una poltrona senza neanche togliersi il soprabito e vi rimase per più di un'ora scorrazzando con la mente sui sentieri di una distrazione inutile e melanconica. Lo aveva mandato via! Questo era un nuovo fardello per la sua disperazione. Invece di prendere la ragazza e stringerla a viva forza fino a piegarla ai suoi desideri, invece di domare la volontà di lei con la violenza della sua, era uscito sconfitto ed esautorato dalla sua porta, con gli angoli della bocca afflosciati e quel po' di energia contenuta nel suo dolore e nella sua collera nascosto dietro l'atteggiamento di uno scolaro beffato. Per un attimo gli aveva voluto tanto bene... Ah, lo aveva quasi amato. L'attimo dopo, le era diventato indifferente, era diventato un uomo insolente e umiliato a dovere. Non aveva molto da rimproverarsi: un poco, naturalmente, ma vi erano altre cose dominanti in lui adesso. Molto più urgenti. Più che innamorato di Gloria, era pazzo di lei. La sola cosa che desiderava dalla vita era di averla di nuovo accanto a sé, baciarla, tenerla stretta e condiscendente. Nei tre minuti di suprema, inequivocabile indifferenza la fanciulla si era sollevata dalla posizione alta ma per così dire indifferente che occupava nella sua mente fino a diventare la sua preoccupazione totale. Per quanto i suoi pensieri sfrenati oscillassero tra un desiderio ardente dei suoi baci e un desiderio altrettanto ardente di offenderla e farle del male, i resti della sua mente desideravano con più finezza di possedere l'anima trionfante che si era illuminata in quei tre minuti. Gloria era bella ma era soprattutto spietata. Egli avrebbe dovuto avere la forza che gli permettesse di allontanarsi da lei. In quel momento una simile analisi non era possibile per Anthony. La sua chiarezza mentale, tutte le risorse infinite fornitegli secondo lui dall'ironia, erano state cancellate. Non per quella sera soltanto ma per i giorni e le settimane che seguirono i libri sarebbero stati per lui semplice oggetto di arredamento e gli amici soltanto gente che viveva e camminava in un nebuloso mondo esterno dal quale egli tentava di evadere: quel mondo era freddo e pieno di vento gelido, e per un attimo egli aveva visto l'interno di una casa calda dove splendevano fuochi. Verso mezzanotte incominciò a rendersi conto che aveva fame. Scese la Cinquantaduesima Strada, dove faceva così freddo da impedir quasi la vista; l'umidità gli si gelava sulle ciglia e agli angoli delle labbra. Dal nord era scesa dovunque la desolazione, posandosi sulla strada sottile e melanconica dove nere figure infagottate, ancora più nere sullo sfondo della notte procedevano incespicando sul marciapiede nel vento sibilante, spingendo avanti i piedi con cautela, come se fossero sugli sci. Anthony svoltò verso la Sesta Avenue così assorto nei suoi pensieri da non accorgersi che parecchi passanti lo stavano squadrando. Aveva il soprabito spalancato e il vento lo investiva duro e colmo di morte spietata. ...Dopo un po' una cameriera gli rivolse la parola, una cameriera grassa con gli occhiali cerchiati di nero, dai quali pendeva un lungo cordino nero. "Ordinate, per favore." Anthony pensò che non c'era bisogno che la cameriera alzasse la voce. Si voltò a guardarla risentito. "Ordinate o non ordinate?" "Certo" protestò. "Be', è la terza volta che ve lo chiedo. Questa non è una sala da riposo." Guardò il grande orologio e vide con stupore che erano le due passate. Si trovava dalle parti della Trentesima Strada e dopo un po' trovò e tradusse il ["CHILD'S", ma scritto come allo specchio. Nota dei curatori.] scritto in un semicerchio bianco di caratteri sulla vetrata d'ingresso. Nel locale si trovavano soltanto tre o quattro prostitute incolori e mezzo gelate. "Portatemi un po' di prosciutto favore." La cameriera gli rivolse un ultimo sguardo disgustato e, ridicolmente intellettuale con quegli occhiali legati, si allontanò in fretta. Dio! Che fiori erano stati i baci di Gloria. Ricordò come se fossero passati molti anni la freschezza della voce bassa, le belle linee del corpo, luminose attraverso i vestiti, il viso color del giglio sotto le lampade della strada... sotto le lampade. L'infelicità lo colpì di nuovo aggiungendo una specie di terrore sul cumulo del terrore e della nostalgia. L'aveva perduta. Era vero: inutile negarlo; inutile smorzarlo. Ma una nuova idea aveva contaminato il suo cielo: e Bloeckman? Che cosa sarebbe accaduto adesso? C'era un uomo ricco, abbastanza anziano da essere paziente con una bella moglie, da cullare i suoi capricci e indulgere alla sua irragionevolezza, da usarla come forse lei desiderava essere usata: un bel fiore al bottone dell'occhiello, al sicuro e tranquillo dalle cose che temeva. Anthony capiva che Gloria aveva scherzato con l'idea di sposare Bloeckman, ed era più che possibile che la delusione nei riguardi di Anthony potesse spingerla in un impulso improvviso tra le braccia di Bloeckman. L'idea lo gettò in un furore infantile. Avrebbe voluto uccidere Bloeckman e farlo soffrire per la sua presunzione mostruosa. Continuava a ripeterselo coi denti serrati, con gli occhi ricolmi di una vera orgia di odio e terrore. Ma sotto questa gelosia oscena, Anthony era finalmente innamorato, profondamente e veramente innamorato, come si dice di esserlo tra uomini e donne. Il caffè comparve al suo gomito ed emanò per un certo periodo di tempo un filo di vapore che diminuì gradatamente. Il cassiere notturno, seduto al suo banco, guardò la figura immobile sola all'ultimo tavolo, e con un sospiro si avviò verso di lui quando la freccia del grosso orologio segnò le tre. Saggezza. Dopo un'altra giornata il turbamento si placò e Anthony incominciò a seguire una certa dose di ragionevolezza. Era innamorato: lo gridava a se stesso con ardore. Le cose che una settimana prima sarebbero sembrate ostacoli insormontabili, la rendita limitata, il desiderio di essere indipendente e privo di responsabilità, in queste quaranta ore, sotto la brezza della sua infatuazione, erano diventate un semplice scherzo. Se non sposava Gloria, la sua vita sarebbe stata una debole parodia della sua adolescenza. Per poter affrontare la gente e sopportare il continuo ricordo di Gloria a cui si era ridotta la sua intera esistenza, era necessario per lui avere speranza. Così eresse la sua speranza disperatamente e tenacemente dal suo sogno, una speranza abbastanza fragile, indubbiamente, una speranza che veniva infranta e dispersa dieci volte al giorno, una speranza nutrita di beffe, e tuttavia una speranza che faceva da muscoli e da nervi alla sua dignità. Da questo nacque una scintilla di saggezza, una vera percezione sua personale dal facile passato. "Il ricordo è breve" pensò. Così breve. Al punto cruciale è sul podio il Presidente della Società, un criminale in potenza, al quale basterebbe una spinta per diventare un galeotto, schernito per miglia e miglia dalla gente perbene. Se viene assolto, in un anno tutto è dimenticato. "Sì, è stato inguaiato una volta, credo per un particolare tecnico." Oh, il ricordo è molto breve! Anthony aveva visto Gloria in tutto una diecina di volte, diciamo una ventina di ore. E se la lasciasse stare un mese, non facesse tentativi di vederla o di parlarle, ed evitasse i luoghi dove poteva incontrarla? Non era forse possibile, tanto più possibile perché lei non l'aveva mai amato, che alla fine di quel periodo l'incalzare degli eventi le cancellasse di mente la personalità di lui e con la personalità l'umiliazione e l'offesa subita? Avrebbe dimenticato perché vi sarebbero stati altri uomini. Anthony fece una smorfia. Il pensiero lo colpì: altri uomini. Due mesi... Dio! Meglio venti giorni, quindici giorni... Questo gli venne in mente due sere dopo la catastrofe, mentre si spogliava; e si gettò sul letto e vi rimase tremando lievemente e guardando il centro del soffitto. Quindici giorni era peggio che peggio. Tra quindici giorni l'avrebbe accostata come avrebbe dovuto fare adesso, senza personalità né fiducia: restando quello che aveva osato troppo e poi, dopo un periodo che nel tempo non era che un attimo ma in realtà era un'eternità, si era messo a piagnucolare. No, due settimane erano troppo poco. Qualunque fosse stata l'impressione esercitata su di lei quel pomeriggio, essa doveva avere il tempo di smorzarsi. Doveva essere dato a Gloria abbastanza tempo perché l'incidente sbiadisse, e poi un nuovo periodo di tempo in cui ella ricominciasse a pensare a lui, sia pure confusamente, in una giusta prospettiva, che le ricordasse la sua bella compagnia oltre che la sua umiliazione. Alla fine Anthony stabilì in un mese e mezzo l'intervallo più adatto ai suoi scopi e segnò su un calendario da tavolo le giornate da cancellare, accorgendosi che sarebbero scadute il nove aprile. Bene. Quel giorno avrebbe telefonato e le avrebbe chiesto se poteva andarla a trovare. Fino allora... silenzio. Dopo questa decisione si manifestò in lui un miglioramento progressivo. Aveva fatto per lo meno un passo nella direzione su cui puntava la sua speranza, e si rese conto che meno pensava a lei meglio sarebbe riuscito a produrre l'impressione desiderata quando la rivedesse. Un'ora dopo cadeva in un sonno profondo. Intervallo. Anche se col passare dei giorni lo splendore dei capelli di Gloria si offuscò percettibilmente in lui e forse in un anno di separazione si sarebbe completamente cancellato, quel mese e mezzo presentò molte giornate abominevoli. Anthony evitò con paura la compagnia di Dick e di Maury, immaginando stranamente che sapessero ogni cosa ma quando si incontrarono tutti e tre, il centro dell'attenzione fu costituito da Richard Caramel e non da Anthony: "L'amante diabolico" era stato accettato e sarebbe stato pubblicato immediatamente. Anthony capì che da quel momento incominciava per lui una vita a sé. Non desiderava più il calore e la sicurezza della compagnia di Maury, che l'aveva rallegrato ancora fino a novembre. Ormai questo poteva venirgli dato soltanto da Gloria e da nessun altro. Così il successo di Dick gli diede una gioia soltanto passeggera e non poche preoccupazioni. Voleva dire che il mondo andava avanti: scrivendo e leggendo e pubblicando... e vivendo. Ed egli voleva che il mondo aspettasse immobile e senza respiro un mese e mezzo: mentre Gloria dimenticava. Due incontri. La sua gioia maggiore gli fu offerta dalla compagnia di Geraldine. La condusse una volta a cena e al teatro e la invitò parecchie volte in casa sua. Quando si trovava con lei si sentiva completamente distratto, non come con Gloria, ma nell'appagamento della sensibilità erotica tormentata da Gloria. Non importava come baciava Geraldine. Un bacio era un bacio: da essere goduto al massimo per la sua breve durata. Per Geraldine le cose erano sistemate in classificazioni ben precise: un bacio era una cosa, tutto il resto un'altra; un bacio andava bene; le altre cose andavano male. Quando giunse a metà dell'intervallo avvennero in due giorni successivi due fatti che turbarono la sua calma crescente e determinarono una ricaduta momentanea. La prima volta fu che vide Gloria. Fu un incontro breve. Si salutarono entrambi. Parlarono entrambi, ma non si udirono. Dopo, Anthony lesse un articolo del "Sun" tre volte di seguito senza capire una sola parola. E poi si dice che la Sesta Avenue è una strada sicura! Anthony aveva disdetto il barbiere del Plaza, e una mattina svoltò l'angolo per farsi radere. Mentre aspettava il suo turno si tolse la giacca e il gilè e col colletto molle aperto al collo si fermò sulla porta del negozio. La giornata era un'oasi nel deserto freddo del marzo, e il marciapiede era allietato da una popolazione di adoratori del sole intenti a passeggiare. Una donna grassa decorata di velluto, con le guance flaccide troppo massaggiate passò in un turbine col barboncino bianco che tirava il guinzaglio, producendo l'effetto di un rimorchiatore che tirava al largo un piroscafo transoceanico. Dietro di loro un uomo vestito di blu a righe, che camminava a piedi divaricati con le ghette bianche, rise allo spettacolo e cogliendo lo sguardo di Anthony gli strizzò l'occhio attraverso la vetrina. Anthony rise, piombando immediatamente nello stato d'animo in cui gli uomini e le donne gli parevano fantasmi sgraziati e assurdi, curvati e arrotondati grottescamente in un mondo rettangolare di loro stessa costruzione. Gli ispiravano le stesse sensazioni dei pesci strani e mostruosi che abitano l'esoterico mondo verde dell'Acquarium. Altri due passanti attirarono il suo sguardo distratto, un uomo e una ragazza; poi in un istante inorridito la ragazza si precisò come Gloria. Anthony rimase lì inerme; i due si avvicinarono e Gloria, dando un'occhiata al negozio, lo vide. Spalancò gli occhi e sorrise con garbo. Mosse le labbra. Era a poco più di un metro di distanza. "Come stai?" mormorò Anthony vanamente. Gloria, felice, bella e giovane: con un uomo che egli non aveva mai visto! Fu allora che si fece libera la poltrona del barbiere e Anthony lesse l'articolo del giornale tre volte di seguito. Il secondo avvenimento ebbe luogo il giorno dopo. Recandosi al bar Manhattan verso le sette si trovò di fronte Bloeckman. La sala era quasi vuota e prima di riconoscerlo Anthony si era seduto a pochi centimetri dall'altro e aveva ordinato la sua bibita; perciò una conversazione era inevitabile. "Buon giorno, signor Patch" disse Bloeckman con una certa cordialità. Anthony strinse la mano tesa e scambiò qualche aforisma sulle fluttuazioni del mercurio. "Venite qui spesso?" chiese Bloeckman. "No, molto di rado." Omise di aggiungere che fino a poco tempo prima andava sempre al bar del Plaza. "E' un bar simpatico. Uno dei migliori della città." Anthony annuì. Bloeckman vuotò il bicchiere e prese il bastone. Era vestito da sera. "Be', devo spicciarmi. Vado a cena con la signorina Gilbert." Da due occhi azzurri improvvisamente lo guardò la morte. Se si fosse annunciato come il prossimo assassino del suo interlocutore, Bloeckman non avrebbe potuto sferrare a Anthony un colpo più vitale. Il giovane dovette arrossire visibilmente perché tutti i suoi muscoli si agitarono insieme. Con uno sforzo tremendo raccolse un sorriso rigido - oh, molto rigido - e disse un convenzionale arrivederci. Ma quella sera rimase sveglio fin dopo le quattro, quasi pazzo di dolore e paura e terribili fantasie. Debolezza. E un giorno dopo un mese, le telefonò. Era in casa a cercar di leggere "L'éducation sentimentale" e qualcosa nel libro aveva spinto i suoi pensieri nella direzione che prendevano sempre quando erano lasciati liberi, come fanno i cavalli verso la stalla. Col respiro improvvisamente accelerato si avviò verso il telefono. Quando disse il numero gli parve che la voce gli tremasse e mancasse come quella di una scolaretta. La centralinista doveva aver sentito il battere del suo cuore. Il rumore del ricevitore staccato all'altra estremità del filo fu uno squarcio del destino, e la voce della signora Gilbert, dolce come uno sciroppo gocciolante in una brocca di vetro, ebbe per lui una sfumatura di orrore nel pronunciare il semplice "Pronto?". "La signorina Gloria non si sente bene. E' coricata, sta dormendo. Chi devo dire che ha chiamato?" "Nessuno!" urlò. In un accesso di panico sbatté il ricevitore; si lasciò cadere nella poltrona nel sudore freddo di un sollievo senza fiato. Serenata. La prima cosa che le disse fu "No, ti sei tagliata i capelli!". E lei rispose: "Sì, non è stupendo?". Non era ancora di moda, allora. Sarebbe diventato di moda dopo cinque o sei anni. A quei tempi era considerato molto audace. "Fuori c'è il sole" disse lui gravemente. "Non vuoi fare due passi?" Gloria indossò un soprabito leggero e un cappello stranamente provocante alla Napoleone, azzurro-Alice, e poi passeggiarono lungo l'Avenue ed entrarono nel giardino zoologico, dove ammirarono debitamente la maestosità dell'elefante e la lunghezza del collo della giraffa, ma non andarono a vedere la gabbia delle scimmie perché Gloria disse che le scimmie avevano cattivo odore. Poi ritornarono al Plaza, parlando di niente ma lieti della primavera che cantava nell'aria e del tepore fragrante che si stendeva sulla città improvvisamente dorata. Alla loro destra era il Parco, mentre a sinistra una gran mole di granito e di marmo mormorava supinamente a chiunque lo volesse ascoltare il messaggio caotico di un miliardario; qualcosa come: "Ho lavorato e risparmiato e sono stato più in gamba di Adamo stesso, ed eccomi qui perbacco, perbacco!". Tutti i tipi di automobili più nuovi e più belli erano fuori sulla Quinta Avenue e davanti a loro il Plaza sorgeva insolitamente bianco e bello. Gloria camminava agile e indolente davanti a lui, pronunciando frasi indifferenti che fluttuavano un attimo nell'aria abbacinante prima di giungere al suo orecchio. "Oh!" esclamò. "Vorrei andare a Hot Springs! Vorrei andar fuori all'aria e rotolarmi nell'erba fresca e dimenticare che esiste l'inverno." "Non farlo, però!" "Vorrei udire un milione di pettirossi fare un frastuono spaventevole. Mi piacciono gli uccelli." "Tutte le donne sono come gli uccelli" arrischiò lui. "Che specie sono io?" "Una rondine, direi, e a volte un uccello del paradiso. La maggior parte delle ragazze sono passeri, naturalmente. Vedi quella fila di bambinaie laggiù? Sono passeri... o sono gazze? E naturalmente ci sono ragazze canarine... e ragazze pettirosso." "E ragazze cigni, e ragazze pappagalli. Tutte le donne adulte sono falchi, secondo me, o gufi." "E io che cosa sono... un falco?" Gloria rise e scosse il capo. "Oh no, tu non sei un uccello, ti pare? Sei un levriero." Anthony ricordava che erano bianchi e avevano sempre un'aria troppo affamata. Ma di solito erano fotografati con duchi e principesse, così si sentì debitamente adulato. "Dick è un fox-terrier, un falso fox-terrier" continuò lei. "E Maury è un gatto." Nello stesso momento gli venne in mente che Bloeckman assomigliava molto a un cane robusto e offensivo. Ma mantenne un silenzio discreto. Più tardi, quando si lasciarono, Anthony chiese quando si sarebbero rivisti. "Non dai mai appuntamenti lunghi?" la pregò. "Anche se è soltanto tra una settimana sarebbe bello passare una giornata intera insieme, mattina e pomeriggio." "E' vero, no?" Gloria pensò un momento. "Facciamo domenica prossima." "Va bene. Preparerò un programma che occuperà ogni minuto." Così fece. Ideò perfino una raffinatezza che sarebbe accaduta nelle due ore in cui ella fosse venuta nel suo appartamento a prendere il tè: il bravo Bounds avrebbe lasciato le finestre aperte per far entrare l'aria fresca, ma anche il fuoco acceso, nel caso facesse un po' freddo; e mazzi di fiori nei grandi vasi di acqua fresca che sarebbero stati comprati per l'occasione. Si sarebbero messi a sedere sul divano. E quando giunse il momento sedettero sul divano. Dopo un po' Anthony la baciò, perché questo nacque spontaneamente, trovò la dolcezza ancora addormentata sulle sue labbra e capì che non se n'era mai allontanata. Il fuoco era vivo e l'aria che sospirava attraverso le tende portava una umidità matura che prometteva il maggio e il mondo dell'estate. L'anima di Anthony vibrò a melodie remote; udì il suono di chitarre lontane e lo sciacquio delle acque su una calda spiaggia mediterranea perché adesso era giovane come non sarebbe stato mai più, e più trionfante della morte. Le sei giunsero troppo presto e fecero suonare la melodia lamentosa dell'orologio di Sant'Anna sull'angolo. Mentre cadeva il crepuscolo si avviarono lungo l'Avenue dove la folla come di prigionieri liberati passeggiava finalmente con passo elastico dopo il lungo inverno e gli imperiali degli autobus erano gremiti di fannulloni cordiali e i negozi pieni di belle cose morbide per l'estate, l'estate preziosa, la lieta estate promettente, che pareva per l'amore ciò che l'inverno era per il denaro. La vita cantava invitandolo a cena sull'angolo! La vita offriva cocktails per la strada! In quella folla erano vecchie signore che pensavano di poter correre e vincere una gara sui cento metri! Quella sera a letto, con le luci spente e la camera fresca invasa di luce lunare, Anthony rimase sveglio a giocare con ogni minuto della giornata come un bambino gioca a turno con ciascuno dei giocattoli natalizi a lungo desiderati. Le aveva detto sottovoce, quasi in mezzo a un bacio, che l'amava, e lei aveva sorriso e l'aveva stretto a sé e aveva mormorato: "Sono contenta", guardandolo negli occhi. Vi era qualcosa di nuovo nel suo atteggiamento, un aumento nuovo di attrazione fisica per lui e una strana tensione emotiva sufficiente a fargli stringere i pugni e tenere il fiato al ricordo. Non si era mai sentito più vicino a lei. In una felicità preziosa, gridò alla stanza che l'amava. L'indomani telefonò: senza esitazioni, senza incertezze, questa volta; invece con un'esaltazione delirante che raddoppiò e si acutizzò al suono della sua voce. "Buon giorno... Gloria." "Buon giorno." "Volevo dirti solo questo... cara." "Sono contenta che mi hai chiamata." "Vorrei vederti." "Sì, domani sera." "E' molto lontano, no?" "Sì..." la voce era riluttante. La mano di Anthony strinse forte il ricevitore. "Non potrei venire stasera?" Avrebbe osato qualunque cosa nello splendore della rivelazione di quel "Sì" quasi sussurrato. "Ho un Impegno." "Oh.. ." "Ma potrei... forse potrei rimandarlo." "Oh...!" Un puro grido, una rapsodia. "Gloria?" "Cosa?" "Ti amo." Un altro silenzio, e poi: "Sono... sono contenta". La felicità, disse un giorno Maury Noble, è soltanto il primo momento che segue il sollievo da un'infelicità particolarmente intensa. Ma oh, il viso di Anthony quando percorse il corridoio del decimo piano del Plaza quella sera! Gli occhi bruni scintillavano... intorno alla bocca aveva segni che erano uno spettacolo di gentilezza. Era bello come non era mai stato, destinato a uno di quei momenti immortali che giungono così luminosi che il ricordo della loro luce è sufficiente a permettere la vista per anni. Bussò ed entrò. Gloria, vestita semplicemente di rosa, inamidata e fresca come un fiore, era immobile in fondo alla stanza, in piedi, e lo guardava con gli occhi spalancati. Quando Anthony si chiuse la porta alle spalle, ella diede un gridolino e si accostò in fretta a lui con le braccia tese in una carezza prematura. Insieme, schiacciarono le pieghe rigide del suo abito in un abbraccio lungo e trionfante. LIBRO SECONDO. 1. L'ORA RADIOSA. Dopo quindici giorni Anthony e Gloria incominciarono a permettersi qualche discussione pratica, come chiamavano quei convegni durante i quali sotto le parvenze di un severo realismo procedevano in un eterno chiaro di luna. "Non quanto me" insisteva il critico letterario. "Se tu mi amassi davvero desidereresti che lo sapessero tutti." "Ma è così" protestò lei; "vorrei fermarmi sull'angolo della strada come un uomo-sandwich per informare tutti i passanti." "Allora spiegami tutte le ragioni per cui mi sposerai a giugno." "Be', perché sei tanto pulito. Sei pulito come il vento, come sono io. Ce n'è di due specie, capisci. Uno è come Dick: è pulito come le padelle lustre. Tu e io siamo puliti come i fiumi e il vento. Ogni volta che vedo qualcuno sono in grado di capire se è pulito, e se lo è, di che genere di pulizia." "Siamo gemelli." Pensiero estatico! "La mamma dice" disse lei esitando, "la mamma dice che le anime a volte vengono create insieme e... e si amano prima nascere." Il bilfismo conquistava il suo più docile proselite... Dopo un poco Anthony alzò la testa e rise silenzioso guardando il soffitto. Quando volse gli occhi verso di lei, vide che era adirata. "Perché ti sei messo a ridere?" esclamò. "L'hai già fatto altre le volte. Non c'è niente di buffo nei nostri rapporti. Non m'importa di fare la stupida, e non m'importa che tu lo faccia, ma non posso sopportarlo quando siamo insieme." "Scusami." "Oh, non dire scusami! Se non riesci a immaginare niente di meglio stai zitto." "Ti amo." "Non me ne importa niente." Vi fu un silenzio. Anthony era scoraggiato... Alla fine Gloria mormorò: "Scusami di essere stata cattiva." "Non sei stata tu. E' colpa mia." Ritornò la pace: i momenti che seguirono furono così più dolci e intensi e profondi. Erano stelle di palcoscenico, e ciascuna recitava a un pubblico di due persone: l'ardore della loro passione creava la verità. Qui finalmente era la quintessenza dell'autoespressione eppure era probabile che per la massima parte il loro amore esprimesse Gloria più che Anthony. Spesso egli si sentiva come un ospite tollerato a stento in una festa offerta da lei. Parlare alla signora Gilbert era stato imbarazzante. Sedeva rigida su una seggiolina e ascoltò con una concentrazione intensa. Avrebbe dovuto saperlo: da una ventina di giorni Gloria non vedeva nessun altro; e avrebbe dovuto notare che questa volta l'atteggiamento della figlia era davvero diverso. Era stata incaricata di commissioni postali insolite; aveva notato, come pare notino tutte le madri, il vero significato di conversazioni telefoniche mascherate ma lo stesso troppo ardenti... ...Tuttavia aveva manifestato con delicatezza la sua sorpresa e si era dichiarata enormemente contenta; senza dubbio lo era, così pure lo erano le piante di geranio che fiorivano nei vasi alla finestra e lo erano i vetturini quando gli amanti cercavano la solitudine romantica di vetture a due posti - strano trucco e la lista delle vivande sulla quale scarabocchiavano "lo sai" porgendola all'altro da vedere. Ma tra un bacio e l'altro Anthony e quella fanciulla dorata non facevano che litigare. "Su, Gloria" esclamava lui. "Lascia che ti spieghi." "Non spiegarmi. Baciami." "Così non va. Se ti offendo bisogna che discutiamo. Non mi piace questo baciami-e-dimentichiamo." "Ma io non voglio discutere. Trovo meraviglioso che possiamo baciarci e dimenticare, e solo quando non possiamo è il momento di discutere." Una volta una divergenza impalpabile raggiunse dimensioni tali che Anthony si alzò e si cacciò nel soprabito: per un attimo parve si dovesse ripetere la scena del febbraio precedente, ma sapendo che Gloria era molto turbata egli conservò la dignità con l'orgoglio, e poco dopo Gloria col bel viso infelice singhiozzava fra le sue braccia come una ragazzina spaventata. Intanto continuavano ad aprirsi l'uno all'altra, malvolentieri, con strane reazioni ed evasioni, con disgusti e pregiudizi e involontarie intrusioni del passato. Gloria era orgogliosamente incapace di gelosia e, poiché Anthony era estremamente geloso, questa virtù lo irritava. Le raccontò fatti segreti della sua vita apposta per suscitarne qualche favilla, ma inutilmente. Ora lo possedeva; e non provava desiderio per gli anni passati. "Oh, Anthony" diceva "quando sono cattiva con te, dopo mi dispiace sempre. Darei la mano destra per evitarti un momento di dolore." E in quel momento aveva gli occhi traboccanti e non si accorgeva che stava esprimendo un'illusione. Eppure Anthony sapeva che vi erano giornate in cui essi si offendevano di proposito, provando quasi piacere a ferirsi. Gloria lo rendeva continuamente perplesso: un attimo intima e affascinante, disperatamente tesa verso un'unione insospettata, trascendente; un attimo dopo silenziosa e fredda, con l'aria di non lasciarsi commuovere da alcuna considerazione sul loro amore o da qualsiasi cosa egli potesse dire. Spesso Anthony finiva per attribuire queste reticenze incredibili a qualche disturbo fisico - lei non se ne lamentava mai finché non era passato - o a qualche trascuranza o presunzione sua, o a un piatto insoddisfacente a cena ma anche allora i mezzi con cui ella creava le infinite distanze di cui si circondava erano un mistero, sepolto lontano in quei ventidue anni di orgoglio incrollabile. "Perché vuoi bene a Muriel?" le chiese un giorno Anthony. "Non le voglio bene... non molto." "Allora perché vai sempre con lei?" "Tanto per andare con qualcuno. Non sono faticose quelle ragazze. Credono tutto quello che dico... Ma a me piace di più Rachael. La trovo carina... è così pulita e lucida, ti pare? Ho avuto altre amiche - a Kansas City e a scuola - tutte indifferenti, nient'altro che ragazze che capitavano nella mia vita e ne uscivano per la sola ragione che i ragazzi ci portavano fuori insieme. Non mi interessarono più dopo che l'ambiente non ci costrinse più ad incontrarci. Ora sono quasi tutte sposate. Che cosa importa... non erano altro che gente qualunque." "Preferisci gli uomini, vero?" "Oh, sì. Io ho una mente maschile." "Tu hai una mente come la mia. Non ha un genere ben definito." Più tardi gli raccontò l'inizio della sua amicizia con Bloeckman. Un giorno, da Delmonico, Gloria e Rachael avevano incontrato Bloeckman e il signor Gilbert che facevano colazione, e la curiosità l'aveva spinta a creare un gruppo a quattro. L'aveva trovato simpatico... abbastanza. Era un sollievo dagli uomini più giovani, sempre soddisfatto com'era di tanto poco. L'assecondava e rideva, la capisse o no. Lo incontrò parecchie volte nonostante la manifesta disapprovazione dei genitori e dopo un mese le aveva chiesto di sposarla, offrendole di tutto, da una villa in Italia a una brillante carriera sullo schermo. Lei gli aveva riso in faccia e anche lui aveva riso. Ma non aveva rinunciato. Quando Anthony era entrato in lizza, Bloeckman aveva già fatto progressi notevoli. Gloria lo trattava piuttosto bene - a parte il fatto che lo chiamava sempre con un soprannome antipatico - accorgendosi intanto che lui la stava per così dire seguendo mentre camminava lungo lo steccato, pronto ad afferrarla se dovesse cadere. La sera prima che venisse dato l'annuncio del fidanzamento, Gloria lo disse a Bloeckman. Fu un colpo duro. Non volle raccontare ad Anthony i particolari, ma gli lasciò capire che Bloeckman non aveva esitato a litigare con lei. Anthony ne dedusse che il colloquio fosse terminato in tono tempestoso, con Gloria molto fredda e impassibile, distesa sull'angolo del sofà e Joseph Bloeckman della "Films Par Excellence" intento a passeggiare su e giù sul tappeto con gli occhi socchiusi e la testa china. Gloria n'era rimasta spiacente, ma aveva pensato più opportuno non farglielo capire. In uno slancio finale di cortesia aveva cercato di farsi odiare da lui, lì in extremis. Ma Anthony, sapendo che l'indifferenza di Gloria era il suo fascino più forte, capì quanto quel tentativo fosse stato inutile. Si chiese, spesso ma con indifferenza, come andasse per Bloeckman: alla fine lo dimenticò completamente. Esultanza. Un pomeriggio trovarono due posti davanti sul tetto soleggiato di un autobus e andarono per ore e ore dalla Piazza in ombra lungo il fiume nerastro e poi quando i raggi sparsi abbandonarono le strade a ovest veleggiarono lungo la turgida Avenue annerita dagli sciami sinistri che uscivano dai negozi. Il traffico era aggrovigliato e serrato in una confusione informe; gli autobus erano ammassati come piattaforme sopra la folla, mentre aspettavano il gemito del fischietto del traffico. "Che bello!" esclamò Gloria. "Guarda!" Il carro di un mugnaio, infarinato di un bianco violento, guidato da un clown incipriato, passò davanti a loro, dietro a un cavallo bianco che aveva per compagno un cavallo nero. "Che peccato!" protestò Gloria. "Sarebbero così belli nel crepuscolo se tutti e due i cavalli fossero bianchi. Come sono felice in questo minuto, in questa città!" Anthony scosse il capo disapprovando. "Secondo me la città è una ciarlatanata. Sempre in lotta per raggiungere il cosmopolitismo enorme e impressionante che le viene attribuito. Sempre a sforzarsi per essere una metropoli romantica." "Io non trovo. Trovo che fa impressione." "Al primo momento. Ma in realtà è uno spettacolo trasparente, artificiale. Ha i suoi protagonisti muniti di agenti di pubblicità e i suoi scenari fragili, non duraturi e, devo ammetterlo, la maggior squadra di 'super' che si sia mai trovata..." S'interruppe, fece una risatina e soggiunse: "Forse tecnicamente perfetti, ma non convincenti". "Scommetto che i poliziotti credono che la gente sia fatta di stupidi" disse Gloria soprappensiero, guardando una signora voluminosa ma spaventata che si faceva aiutare ad attraversare la strada. "Vedono sempre persone paurose e incapaci e grette... lo sono" soggiunse. E poi: "E' meglio che andiamo. Ho detto alla mamma che avrei cenato presto e sarei andata a letto. Dice che ho l'aria stanca, accidenti". "Come vorrei che fossimo già sposati" mormorò lui con semplicità; "non ci sarebbe da darsi la buona notte e si potrebbe fare tutto quello che ci venisse in mente." "Come sarebbe bello! Secondo me si dovrebbe viaggiare molto. Voglio andare sul Mediterraneo e in Italia. E vorrei calcare il palcoscenico per un po' di tempo: diciamo per un anno." "Come no? Scriverò una commedia per te." "Come sarebbe bello! E io farei da interprete. E poi quando avremo più denaro" alla morte del vecchio Adam si alludeva sempre in questa forma piena di tatto "ci faremo costruire una tenuta di lusso, vero?" "Oh, sì, con piscine private." "Decine. E fiumi privati. Vorrei che fosse già adesso." Strana coincidenza: Anthony stava desiderando proprio in quel momento la stessa cosa. Si immersero contro corrente nella folla nera come in un tuffo e uscendone nelle fresche strade dal Cinquanta al Sessanta si avviarono indolenti verso casa, infinitamente romantici l'uno con l'altro... ciascuno dei due camminava solo, con un fantasma trovato in un sogno, in un giardino privo di passioni. Giornate alcionie, come barche fluttuanti su lenti fiumi; serate primaverili, grevi di una melanconia lamentosa che rendeva il passato bello e amaro, costringendoli a voltarsi a vedere che gli amori di altre estati lontane erano morti coi valzer dimenticati dei loro tempi. I momenti più emozionanti erano sempre allorché qualche barriera artificiale li teneva lontani: a teatro le loro mani si accostavano furtive, si univano, davano e ricambiavano strette gentili, nella lunga oscurità; nelle sale affollate le loro labbra pronunciavano senza parlare parole destinate ai loro occhi soltanto; ed essi non sapevano che non facevano che calcare le orme di generazioni polverose ma percepivano confusamente che, se la verità è il fine della vita, la felicità ne è un aspetto che va ricercato nel suo breve, tremulo momento. E poi una bella sera maggio diventò giugno. Sedici giorni, ormai... quindici... quattordici. Tre digressioni. Immediatamente prima che venisse dato l'annuncio del fidanzamento, Anthony era andato a Tarrytown a trovare il nonno, che, un po' più avvizzito e incanutito, sotto gli ultimi scherzi ridacchianti giocati dal tempo, accolse la notizia con profondo cinismo. "Ah, stai per sposarti, eh?" Lo disse con dolcezza dubbiosa e scosse il capo su e giù tante volte che Anthony si sentì non poco scoraggiato. Pur ignorando le intenzioni del nonno, immaginava che una gran parte del denaro sarebbe venuta a lui. Una grande quantità naturalmente sarebbe andata alle opere di beneficenza; una grande quantità da amministrare nelle opere di riforma. "Hai intenzione di metterti a lavorare?" "Ma..." temporeggiò Anthony vagamente sconcertato. "Sto lavorando. Sai..." "No, voglio dire lavorare" disse Adam Patch senza scomporsi. "Non ho ancora proprio deciso che cosa farò. Non sono proprio un mendicante, nonno" affermò con un po' di animazione. Il vecchio rifletté su questo tenendo gli occhi socchiusi. Poi in tono quasi di scusa chiese: "Quanto riesci a risparmiare all'anno?" "Per ora niente..." "E così, dato che riesci appena a cavartela col tuo denaro, hai deciso che in virtù di qualche miracolo ve la possiate cavare in due." "Gloria ha un po' di denaro suo. Abbastanza da vestirsi." "Quanto?" Senza considerare impertinente la domanda, Anthony rispose: "Cento al mese circa." "Questo fa in tutto settemilacinquecento all'anno." Poi soggiunse sottovoce: "Dovrebbe bastare. Se avete un po' di buon senso dovrebbe bastare. Ma la questione è se lo avete o no". "Io credo che basti." Aveva vergogna di essere costretto a sopportare questa pia prepotenza del vecchio e le parole successive furono gonfie di vanità. "Me la cavo benissimo. Hai l'aria di essere convinto che sono irrimediabilmente un buono a nulla. Comunque sono venuto qui soltanto per dirti che mi sposerò a giugno. Arrivederci." Con queste parole si voltò e si avviò verso la porta, senza sapere che in quel momento per la prima volta il nonno provava simpatia per lui. "Aspetta!" gridò Adam Patch. "Voglio parlarti." Anthony si voltò. "Dimmi." "Siediti. Fermati a dormire." Un po' addolcito Anthony ritornò a sedere. "Mi dispiace, nonno, ma questa sera devo andare da Gloria." "Come si chiama?" "Gloria Gilbert." "Di New York? Gente conosciuta?" "Viene dal Middle West." "Che cosa fa suo padre?" "E' in una Corporazione o Società o qualcosa nel cinematografo. Sono di Kansas City." "Vi sposerete laggiù?" "Ma no, non credo. Pensavamo di sposarci a New York... senza chiasso." "Vuoi fare le nozze qui?" Anthony esitò. La proposta non lo attirava, ma certo era molto saggio suscitare nel vecchio, se possibile, un interesse da proprietario nella sua vita coniugale. Inoltre Anthony era un po' commosso. "E' molto gentile da parte tua, nonno, ma non sarebbe un gran disturbo?" "Tutto è un gran disturbo. Tuo padre si è sposato qui... ma nella casa vecchia." "Ma... credevo si fosse sposato a Boston." Adam Patch rifletté. "E' vero. Si è proprio sposato a Boston." Anthony provò un attimo d'imbarazzo per avere corretto il nonno e mascherò tutto con un fiume di parole. "Be', ne parlerò a Gloria. Personalmente mi piacerebbe, ma si capisce che devono decidere i Gilbert, sai." Il nonno tirò un lungo sospiro, socchiuse gli occhi, e si affondò in una poltrona. "Hai fretta?" chiese con un altro tono. "Non proprio." "Mi sto chiedendo" incominciò Adam Patch rivolgendo un'occhiata dolce, cortese ai cespugli di lillà che frusciavano contro le finestre "mi sto chiedendo se non pensi mai all'aldilà." "Ma... a volte." "Io penso molto all'aldilà." Gli occhi erano annebbiati, ma la voce era fiduciosa e limpida. "Oggi mentre stavo qui a sedere pensavo a che cosa ci aspetta e non so come mi è venuto in mente un pomeriggio di quasi sessantacinque anni fa, che giocavo con la mia sorellina Annie, laggiù dove adesso c'è quella serra." Indicò la lunga aiuola con gli occhi luccicanti di lacrime e la voce tremante. "Mi è venuto da pensare... e mi è parso che anche tu dovresti pensare un po' di più all'aldilà. Dovresti essere più... fermo" s'interruppe e parve cercare la parola giusta "più attivo... ecco..." Poi mutò espressione, parve che la sua intera personalità schioccasse come una trappola e quando continuò la voce non aveva più tracce di debolezza. "...Ecco, quando avevo soltanto due anni più di te" sibilò con una risatina scaltra "ho mandato all'ospizio dei poveri tre membri della Compagnia di Wrenn e Hunt." Anthony sussultò imbarazzato. "Be', arrivederci" soggiunse il nonno all'improvviso. "Se no perdi il treno." Anthony partì insolitamente esaltato, e stranamente addolorato per il vecchio; non perché la ricchezza non poteva comprargli "né la giovinezza, né la digestione", ma perché aveva chiesto ad Anthony di sposarsi lì e perché aveva dimenticato qualcosa che avrebbe dovuto ricordare a proposito del matrimonio del figlio. Richard Caramel, che doveva essere uno dei testimoni, causò ad Anthony e a Gloria una gran disperazione in quell'ultimo mese, usando continuamente i raggi del loro riflettore. "L'Amante diabolico" era stato pubblicato in aprile, e questo interruppe il romanzo d'amore come si può dire che interruppe qualunque cosa venisse a contatto con l'autore. Il libro era molto originale, una descrizione un po' traboccante e sostenuta, che trattava di un dongiovanni degli slums di New York. Come avevano già detto prima Maury e Anthony, come dicevano allora i critici più ospitali, non esisteva in America uno scrittore che sapesse descrivere con tanta forza le reazioni ataviche e primordiali di quella parte della società. Il libro ebbe un momento d'incertezza e poi "andò". Le edizioni, prima piccole poi più grandi, si affollarono l'una sull'altra settimana su settimana. Un esponente dell'Esercito della Salvezza lo denunciò come una rappresentazione alterata e cinica dell'evoluzione degli strati più bassi della popolazione. Abili agenti pubblicitari diffusero la voce infondata che "Gypsy" Smith stava iniziando una causa per diffamazione perché uno dei personaggi principali era la sua caricatura. Venne vietato alla biblioteca pubblica di Burlington, Iowa, e un cronista mondano medio-occidentale annunciò con un'insinuazione che Richard Caramel era in una clinica a curarsi di delirium tremens. Effettivamente l'autore stava passando giornate di piacevole follia. Il libro occupava la sua conversazione per tre quarti del tempo: Dick voleva sapere se si era sentita "l'ultima"; entrava nei negozi a ordinare e farsi addebitare libri ad alta voce, nel tentativo di farsi riconoscere dai commessi e dai clienti. Sapeva città per città in quali zone del paese si vendeva meglio; sapeva esattamente quanto guadagnava su ogni edizione e quando incontrava qualcuno che non aveva letto il libro o, come capitava fin troppo spesso, non ne aveva sentito parlare, piombava nel malumore e nello scoraggiamento. Così fu naturale che Anthony e Gloria decidessero nella loro gelosia che Dick fosse talmente gonfio di presunzione da diventare un seccatore. Con grande fastidio di Dick, Gloria si vantò pubblicamente di non aver mai letto "L'amante diabolico" e che aveva deciso di non leggerlo fino a quando non si smettesse di parlarne. Effettivamente ora non aveva tempo di leggere, perché stavano arrivando i regali: prima alla spicciolata, poi in una valanga che passava dal bric-à-brac di amici di famiglia dimenticati alle fotografie di conoscenti poveri dimenticati. Maury regalò un "servizio da bere" complicato, che era costituito da bicchieri d'argento, shaker per cocktail e apribottiglie. L'estorsione da Dick fu più convenzionale: un servizio da tè di Tiffany. Da Joseph Bloeckman giunse una sveglia da viaggio semplice e deliziosa, col biglietto di visita. Vi era perfino un portasigarette di Bounds; questo commosse Anthony e gli fece venir voglia di piangere: effettivamente qualunque emozione poco meno che isterica pareva naturale nelle cinque o sei persone travolte da questo immane sacrificio alle convenzioni. La stanza messa a disposizione dal Plaza era zeppa di offerte mandate dai compagni di Harvard e dai soci del nonno, con ricordi dei tempi di Gloria a Farmover e con trofei un po' patetici dei suoi antichi spasimanti, che arrivarono per ultimi con messaggi intimi, melanconici, scritti su biglietti ben chiusi che cominciavano "Non pensavo quando..." o "Ti auguro di cuore ogni felicità..." o perfino "Quando avrai questa mia io sarò lontano...". Il regalo più munifico fu anche quello che recò una maggior delusione. Fu un tributo di Adam Patch un assegno di cinquemila dollari. Alla maggior parte dei regali Anthony rimase freddo. Temeva di dover tenere un elenco di stati di famiglia di tutti i loro amici per la prossima metà del secolo. Ma Gloria esultava davanti a ciascuno di essi strappando la carta velina e la paglietta d'imballaggio, rapace come un cane che scava in cerca di un osso, afferrando senza fiato un nastro o un orlo di metallo e portando finalmente alla luce l'oggetto e reggendolo con aria critica senz'altra emozione che un interesse rapito nel viso senza sorriso. "Guarda Anthony." "Bello, vero?" Nessuna risposta per un'ora, quando Gloria gli avrebbe fatto una descrizione precisa della sua esatta reazione al regalo, se lo avrebbe preferito più grande o più piccolo, se era stata sorpresa nel riceverlo e in questo caso fino a che punto era stata sorpresa. La signora Gilbert arredò e riarredò una casa ipotetica distribuendo i regali nelle varie stanze, catalogando gli oggetti come "orologio di seconda categoria" o "argenteria per tutti i giorni" e mettendo in imbarazzo Anthony e Gloria con allusioni semischerzose a una stanza definita la nursery. Il regalo del vecchio Adam le fece molto piacere, e da quel momento in poi egli fu "quanto mai" un'anima antica. Poiché Adam Patch non riuscì mai a decidere bene se la signora Gilbert si riferiva alla sua incipiente senilità mentale o a qualche schema privato e psichico suo personale, è difficile dire se la definizione gli facesse piacere. Effettivamente egli parlava sempre di lei ad Anthony come di "quella vecchia, la madre", quasi fosse un personaggio di commedia già visto sul palcoscenico. Quanto a Gloria non riuscì a prendere una decisione. Gli riusciva simpatica, ma, come disse Gloria stessa ad Anthony, aveva deciso che era frivola ed era preoccupato di approvarla. Cinque giorni!... Una pista da ballo venne costruita sul prato di Tarrytown. Quattro giorni!... Un treno speciale fu organizzato per trasportare gli ospiti avanti e indietro da New York. Tre giorni!... Il diario. Aveva un pigiama di seta azzurro e stava in piedi accanto al letto con la mano sull'interruttore per immergere la stanza nel buio, quando cambiò idea e, aperto un cassetto, prese un libricino nero: un diario da "una riga al giorno". Lo teneva da sette anni. Molti brani a matita erano quasi illeggibili e vi erano note e accenni a serate e a pomeriggi dimenticati da tempo, perché non era un diario intimo, anche se incominciava col solito: "Terrò un diario per i miei bambini". Tuttavia, mentre sfogliava le pagine, le parve che dai nomi semidimenticati la guardassero gli occhi di molti uomini. Con uno di essi era andata a New Haven la prima volta nel 1908, quando aveva sedici anni e a Yale erano di moda le spalle imbottite; era stata lusingata perché Michaud le aveva fatto la corte tutta la sera. Sospirò ricordando l'abito di satin da "grande" di cui era stata cosi orgogliosa e l'orchestra che suonava "Yama-Yama", "My Yama Man" e "Jungle Town". Quanto tempo fa!... I nomi: Eltynge Reardon, Jim Parsons, McGregor "Ricciolino", Kenneth Cowan, Fry "Occhio di pesce" (al quale aveva voluto bene perché era tanto brutto), Carte Kirby - le aveva mandato un regalo; e anche Tudor Baird - Marty Reffer, il primo uomo che avesse amato per più di un giorno, e Stuart Holcome, che era scappato con lei in automobile e aveva cercato di costringerla a sposarlo. E Larry Fenwick, che aveva sempre ammirato perché una sera le aveva detto che se non voleva baciarlo poteva scendere dalla macchina e andarsene a casa a piedi. Che elenco! ...E, in fondo, un elenco finito. Ora era innamorata, pronta al romanzo eterno che doveva essere la sintesi di tutti i romanzi, eppure era triste per questi uomini e per questi chiari di luna e per le emozioni che aveva provato... e i baci. Il passato... il suo passato, oh, che gioia! Aveva avuto una felicità esuberante. Voltando le pagine gli occhi le si posarono pigri sui brani sparsi degli ultimi quattro mesi. Lesse i più recenti con cura. Primo aprile - So che Bill Carstairs mi detesta perché sono stata così antipatica, ma certe volte non posso soffrire i sentimentalismi. Siamo andati in macchina al Rockyear Country Club e una luna meravigliosa ha continuato tutto il tempo a brillare fra gli alberi. Il vestito d'argento incomincia ad annerirsi. E' strano come ci si possa dimenticare le altre sere a Rockyear: con Keneth Cowan, quando lo amavo tanto! 3 aprile - Dopo due ore di Schroeder che, mi dicono, è ricco a milioni, ho deciso che questa faccenda di star attaccati alle cose non fa che logorare, specialmente quando si tratta di uomini. Non c'è niente di più noioso, e giuro che da oggi voglio divertirmi. Abbiamo parlato d'amore: che banalità. Con quanti uomini ho parlato d'amore? 11 aprile - Patch mi ha poi telefonato, oggi! E quando mi ha lasciata un mese fa è uscito dalla porta infuriato. Sto perdendo sempre più la fiducia nel fatto che esista un uomo suscettibile di offese fatali. 20 aprile - Ho passato la giornata con Anthony. Forse un giorno o l'altro lo sposerò. Mi piacciono abbastanza le sue idee: sa stimolare tutta l'originalità che è in me. Verso le dieci è venuto Blockhead sulla macchina nuova e mi ha portato sul Riverside Drive. Stasera mi è piaciuto: era così discreto. Sapeva che non avevo voglia di parlare, così è rimasto zitto per tutta la passeggiata. 21 aprile - Mi sono svegliata pensando ad Anthony e naturalmente mi ha telefonato ed era così caro al telefono... Così ho mancato a un appuntamento per lui. Oggi mancherei a qualunque cosa per lui, compresi i Dieci Comandamenti. Verrà alle otto e mi vestirò di rosa e avrò l'aria molto fresca e inamidata... Qui si interruppe, ricordando che quella sera, quando Anthony se n'era andato, si era spogliata con l'aria tremante di aprile che entrava fluttuando dalle finestre. Pure non aveva sentito freddo, riscaldata com'era dalle banalità profonde che le bruciavano in cuore. Il brano seguente era di qualche giorno dopo: 24 aprile - Voglio sposare Anthony perché i mariti sono così spesso "mariti" e io ho bisogno di sposare un amante. Ci sono quattro tipi generali di mariti. 1. Il marito che vuol sempre stare in casa la sera, è senza vizi e lavora per guadagnare uno stipendio. Del tutto indesiderabile! 2. Il padrone atavico di cui si è l'amante, pronta ai suoi piaceri. E' il tipo che considera sempre le donne carine "superficiali", una specie di pavone il cui sviluppo è stato interrotto. 3. Poi viene l'adoratore, quello che idolatra la moglie e tutto quello che è suo, dimenticando totalmente qualunque altra cosa. Questo tipo esige per moglie un'attrice emotiva. Dio! Dev'essere una bella fatica essere ritenute virtuose. 4. E Anthony: un amante ardente e momentaneo, abbastanza saggio da capire quando è finita e che deve finire. E voglio sposare Anthony. Quante donne devono strisciare sul ventre come vermi in matrimoni incolori! Il matrimonio non è stato creato per fare da sfondo, ma per esigerlo. Il mio sarà tutto in rilievo. Non può, non deve essere lo scenario: sarà la recita, la viva, bella, sgargiante recita, e il mondo sarà lo scenario. Mi rifiuto di dedicare la mia vita alla posterità. Indubbiamente si hanno verso la generazione in corso altrettanti doveri quanti verso figli non voluti. Che destino: diventare rotonda e deforme, perdere il mio amore di me stessa, pensare in termini di latte, pappe, balia, bambinaia, pannolini... Cari bambini del sogno, come siete più belli, voi creaturine abbaglianti che fluttuate (tutti i bambini del sogno devono fluttuare) su ali dorate, dorate... Però questi bambini, poveri cari pupi, hanno poco in comune con lo stato coniugale. 7 giugno - Problema morale: ho fatto male a far innamorare Bloeckman? Perché sono proprio stata io. Stasera era triste quasi con dolcezza. Per fortuna avevo la gola gonfia e son riuscita a farmi venire le lacrime. Ma non è che il passato: già sepolto nella mia abbondante lavanda. 8 giugno - E oggi ho promesso di non mordermi le labbra. Be', probabilmente non lo farò più... ma perché non mi ha chiesto di smettere di mangiare! Bolle di sapone ecco che cosa stiamo facendo Anthony e io. E oggi ne abbiamo soffiate alcune bellissime e poi scoppieranno e ne soffieremo altre, immagino: bolle altrettanto grandi e altrettanto belle, finché avremo finito l'acqua e il sapone. Il diario finiva su questa frase. Gli occhi risalirono le pagine all'8 giugno, 1912, 1910, 1907. La prima frase era scarabocchiata dalla mano grassoccia e tondeggiante di una sedicenne: era il nome, Bob Lamar, e una parola che non riuscì a decifrare. Poi capì che cos'era e quando lo capì gli occhi le si annebbiarono di lacrime. Lì, in una macchia grigiastra, era registrato il suo primo bacio, sbiadito come il suo pomeriggio segreto su una veranda piovosa di sette anni prima. Le pareva di ricordare qualcosa che si erano detti quel giorno, ma invece non riusciva a ricordarlo. Le lacrime le vennero sempre più in fretta, finché non riuscì quasi più a vedere la pagina. Piangeva, disse a se stessa, perché riusciva a ricordare soltanto la pioggia e i fiori bagnati del giardino e l'odore dell'erba umida. ...Dopo un po' trovò una matita e reggendola con mano malcerta tirò tre righe parallele sotto l'ultima frase. Poi scrisse a stampatello in tutte maiuscole la parola FINE, rimise il libro nel cassetto e si infilò nel letto. Respiro della caverna. Ritornato nel suo appartamento dopo il pranzo di nozze, Anthony spense tutte le luci e, con la sensazione di essere impersonale e fragile come una porcellana in attesa su un carrello da tavola, andò a letto. Era una serata calda - bastava un lenzuolo per star bene - e dalle finestre spalancate giungevano i rumori evanescenti ed estivi animati di anticipazioni remote. Pensava che i giovani anni alle sue spalle, vuoti e coloriti, erano stati vissuti in un cinismo facile e vacillante poggiando sulle emozioni della lunga indegnità degli uomini. E c'era qualcosa, oltre a questo; ora lo sapeva. C'era l'unione della sua anima con quella di Gloria, la cui freschezza e il cui fuoco radioso erano il materiale vivente che costituiva la morta bellezza dei libri. Dalla notte giunse insistente nella stanza dalle alte pareti quel suono evanescente e disfatto: qualcosa che la città rigettava da sé e riattirava, come un bambino che giochi a palla. A Harlem, al Bronx, a Gramercy Park e lungo le rive dell'acqua, in salottini o su terrazze coperte di ciottoli e invase di luna, migliaia di amanti producevano questo suono, riversandone frammenti minuscoli nell'aria. Tutta la città giocava con questo suono, laggiù nell'azzurro buio estivo, gettandolo in aria e riattirandolo, promettendo che fra poco la vita sarebbe stata bella come un racconto, promettendo felicità... e dandola, con questa promessa. Dava speranza di sopravvivenza all'amore. Non poteva fare di più. Fu allora che una nota nuova si staccò stonata dal tenero grido della notte. Era un rumore che veniva dalla zona a tre metri dalla finestra del cortile, il rumore di un riso di donna. Incominciò basso, incessante e gemente - qualche domestica col suo uomo, pensò Anthony - e poi crebbe in volume e diventò isterico, finché gli ricordò una ragazza che aveva visto una volta sopraffatta dal riso nervoso a una rappresentazione di varietà. Poi il rumore cadde, retrocesse, soltanto per risorgere e aggiungere parole: uno scherzo rozzo, una barzelletta oscura che Anthony non riuscì a individuare. Il rumore si interrompeva un momento e Anthony riusciva a cogliere il borbottio sommesso di una voce maschile,poi ricominciava interminabile; dapprima fastidioso, poi stranamente orribile. Egli rabbrividì e alzandosi da letto andò alla finestra. Il rumore aveva raggiunto un punto alto, teso e strozzato, quasi come uno strillo; poi tacque, lasciando dietro di sé un silenzio vuoto e minaccioso come il maggior silenzio sovrastante. Anthony si fermò alla finestra ancora un momento prima di ritornare a letto. Si trovò sconvolto e scosso. Per quanto cercasse di soffocare la sua reazione, un qualcosa di animalesco in quella risata senza freno gli aveva colpito l'immaginazione, e per la prima volta da quattro mesi aveva risuscitato in lui l'antica avversione e l'antico orrore verso tutte le cose della vita. La stanza era diventata soffocante. Avrebbe voluto essere fuori all'aria fresca e aspra, chilometri lontano dalla città, e vivere sereno e staccato negli angoli della mente. La vita era quel rumore laggiù, quel macabro rumore ripetuto di donna. "Oh, Dio mio!" esclamò tirando il fiato. Col viso sepolto fra i cuscini cercò invano di concentrarsi sui particolari dell'indomani. Mattina. Nella luce grigia si accorse che erano soltanto le cinque. Rimpianse nervosamente di essersi svegliato così presto: al matrimonio avrebbe avuto l'aria stanca. Invidiò Gloria che poteva nascondere la fatica con una coloritura accurata. Nella stanza da bagno si contemplò allo specchio e vide che era insolitamente pallido: cinque o sei piccole imperfezioni risaltarono sul pallore mattutino della carnagione e durante la notte gli era cresciuta un'ombra di barba: l'effetto generale gli parve spiacevole, sparuto, malandato. Sulla toeletta era sparsa una quantità di oggetti che prese con cura fra le dita improvvisamente tremanti: i biglietti per la California, il libretto degli assegni, l'orologio preciso al secondo, la chiave dell'alloggio che non doveva dimenticare di dare a Maury e, la cosa più importante, l'anello. Era di platino tempestato di smeraldi; Gloria aveva insistito: aveva sempre desiderato un anello nuziale di smeraldi. Era il terzo regalo che le aveva dato; prima era venuto l'anello di fidanzamento, poi un minuscolo portasigarette d'oro. Ora le avrebbe dato molte cose: abiti e gioielli e amici e divertimenti. Pareva assurdo che d'ora in poi avrebbe pagato lui il cibo per lei. Sarebbe costato caro: si chiese se non avesse fatto male i calcoli per questo viaggio e se non sarebbe stato meglio preparare un conto corrente maggiore. Il problema lo preoccupò. Poi l'anelante imminenza dell'avvenimento gli sgombrò la mente dai particolari. Era giunto il giorno: imprevisto, insospettato sei mesi prima, ma intento ora a puntare in una luce gialla alla finestra verso est, danzando sul tappeto come se il sole sorridesse a un suo scherzo antico e frequente. Anthony diede un colpo di riso nervoso. "Perdio!" mormorò fra sé. "E' come se fossi sposato!" I testimoni. (Sei giovanotti nella biblioteca di Cross Patch, che stanno diventando sempre più allegri sotto l'effetto del Mumm's Extra Dry disposto clandestinamente in secchielli gelati sugli scaffali di libri.) IL PRIMO GIOVANOTTO: Perdiana! Vi assicuro che nel prossimo libro descriverò un matrimonio che li metterà tutti a terra! IL SECONDO GIOVANOTTO: L'altro giorno ho conosciuto una debuttante che mi ha detto che trova il tuo libro potente. Di solito le ragazzine muoiono di felicità per questa roba primitiva. IL TERZO GIOVANOTTO: Dov'è Anthony? IL QUARTO GIOVANOTTO: E' fuori che passeggia su e giù parlando fra sé. IL SECONDO GIOVANOTTO: Santo Dio! Avete visto il prete? Ha dei denti ben strani! IL QUINTO GIOVANOTTO: Secondo me sono naturali. E' curioso quando la gente ha i denti d'oro. IL SESTO GIOVANOTTO: Dicono che a loro piace. Il mio dentista una volta mi ha detto che una donna è andata da lui e ha insistito per farsi coprire d'oro un paio di denti. Senza nessun motivo. Erano sani. IL QUARTO GIOVANOTTO: Ho sentito che hai pubblicato un libro, Dick. Congratulazioni! DICK (rigido): Grazie. IL QUARTO GIOVANOTTO (con innocenza): Che cos'è? Racconti d'università? DICK (ancora più rigido): No. Non racconti d'università. IL QUARTO GIOVANOTTO: Peccato! Sono anni che non esce un bel libro su Harvard. DICK (affettato): Perché non colmi la lacuna? IL TERZO GIOVANOTTO: Mi è parso di vedere un gruppo di ospiti girare sul viale su una Packard proprio in questo momento. IL SESTO GIOVANOTTO: Si potrebbe aprire un altro paio di bottiglie, appoggiandoci su questo fatto. IL TERZO GIOVANOTTO: E' stato il colpo più grosso della mia vita, quando ho sentito che sarebbe stato un matrimonio alcoolico. E' un proibizionista furioso sapete. IL QUARTO GIOVANOTTO (schioccando le dita, agitato): Perdiana, sapevo che avevo dimenticato qualcosa. Continuavo a pensare che fosse il gilè. DICK: Che cos'era? IL QUARTO GIOVANOTTO: Perdiana! Perdiana! IL SESTO GIOVANOTTO: Su! Su! Di che tragedia si tratta? IL SECONDO GIOVANOTTO: Che cos'hai dimenticato? L'indirizzo di casa? DICK (malizioso): Ha dimenticato la trama del suo libro di racconti di Harvard. IL QUARTO GIOVANOTTO: Nossignore. Ho dimenticato il regalo! Ho dimenticato di comprare un regalo a Anthony. Ho continuato a rimandare e rimandare e, perdiana, l'ho dimenticato! Che cosa diranno? IL SESTO GIOVANOTTO (faceto): Probabilmente è questo che fa ritardare il matrimonio. (Il quarto giovanotto guarda nervosamente l'orologio. Risate.) IL QUARTO GIOVANOTTO: Perdiana, che somaro. IL SECONDO GIOVANOTTO: Che cosa farai con la damigella che crede di essere Nora Bayes? Non ha fatto che dirmi che avrebbe voluto che fosse un matrimonio a suono di ragtime. Si chiama Haines o Hampton. DICK (spronando in fretta l'immaginazione): Kane, vuoi dire, Muriel Kane. E' una specie di debito d'onore, credo. Una volta ha salvato la vita a Gloria che stava per annegare, o qualcosa del genere. IL SECONDO GIOVANOTTO: Non avrei creduto che sarebbe riuscita a fermare quelle oscillazioni perpetue abbastanza da poter nuotare. Riempimi il bicchiere, vuoi? Il vecchio e io abbiamo avuto un lungo colloquio sul tempo proprio adesso. MAURY: Chi? Il vecchio Adam? IL SECONDO GIOVANOTTO: No. Il padre della sposa. Deve lavorare in un centro meteorologico. DICK: E' mio zio, Otis. OTIS: Be', è un mestiere rispettabile. (Risate). IL SESTO GIOVANOTTO: Sei cugino della sposa, vero? DICK: Sì, Cable. CABLE: Non c'è dubbio che è molto bella. Non ti assomiglia, Dick. Scommetto che porta il vecchio Anthony alla tomba. MAURY: Perché tutti gli sposi sono chiamati vecchi? Secondo me, il matrimonio è un errore di giovinezza. DICK: Maury, il cinico di professione. MAURY: Figurati, impostore intellettuale che non sei altro. IL QUINTO GIOVANOTTO: Battaglia di cervelli, qui, Otis. Raccogli le briciole che puoi. DICK: Impostore sarai tu! Che cosa sai, TU? MAURY: E TU che cosa sai? DICK: Chiedimi qualunque cosa. Qualsiasi ramo dello scibile. MAURY: Va bene. Qual è il principio fondamentale della biologia? DICK: Non lo sai neanche tu. MAURY: Non schivare la domanda. DICK: Be', la selezione naturale. MAURY: Sbagliato. DICK: Rinuncio. MAURY: L'ontogonia riassume la fillogonia. IL QUINTO GIOVANOTTO: Prendi su! MAURY: Farò un'altra domanda. Qual è l'influenza dei topi su un campo di trifoglio? (Risate). IL QUARTO GIOVANOTTO: Qual è l'effetto dei topi sul decalogo? MAURY: Sta' zitto, tu, testa di legno. C'è un rapporto. DICK: Che cos'è allora? MAURY (interrompendosi un momento sempre più sconcertato): Mah, vediamo. Ho l'impressione di averlo dimenticato con esattezza. Qualcosa sulle api che mangiano il trifoglio. IL QUARTO GIOVANOTTO: E' il trifoglio che mangia i topi! Ah! Ah! MAURY (corrugando le ciglia): Lasciatemi pensare un momento. DICK (alzandosi di colpo): State a sentire! (Uno scroscio di chiacchiericcio esplode nella stanza attigua. I giovanotti si alzano mettendosi a posto le cravatte.) DICK (gravemente): E' meglio che raggiungiamo la squadra. Probabilmente faranno le fotografie. No, quello viene dopo. OTIS: Cable, prenditi la damigella del ragtime. IL QUARTO GIOVANOTTO: Dio, come vorrei aver mandato il regalo. MAURY: Se mi date un altro minuto, riesco a ricordarmi quella faccenda dei topi. OTIS: Il mese scorso ho fatto da testimone al vecchio Charlie McIntyre e... (Si avviano lentamente verso la porta mentre lo scroscio diventa frastuono e gli accenni preliminari all'ouverture si alzano in lunghi gemiti pii dall'organo di Adam Patch.) Anthony. Vi erano cinquecento ospiti a frugare come succielli nel dorso del suo tight e nel sole che scintillava sui denti inopportunamente capitalistici del pastore. Trattenne a stento una risata. Gloria diceva qualcosa con limpida voce orgogliosa e Anthony cercò di pensare che questa faccenda era irrimediabile, che ogni secondo aveva importanza, che la sua vita veniva spaccata in questo momento in due periodi e che la faccia del mondo stava cambiando davanti ai suoi occhi. Cercò di ritrovare la sensazione di due mesi prima. Tutte queste emozioni lo distraevano, non sentiva neanche il nervosismo fisico di quel mattino stesso: era tutto una gigantesca catena. E quei denti d'oro! Si chiese se il ministro fosse sposato; si chiese, perverso, se un pastore potesse celebrare il proprio matrimonio... Ma quando prese Gloria fra le braccia si accorse di provare una forte reazione. Ora il sangue gli circolava per le vene. Una soddisfazione languida e piacevole calò su di lui come un peso, recando con sé responsabilità e possesso. Era sposato. Gloria. Tante emozioni, così confuse, che nessuna pareva individuabile dalle altre! Avrebbe potuto piangere per la mamma, che singhiozzava sottovoce là dietro, a tre metri di distanza, e per la bellezza del sole di giugno che entrava fluttuando dalla finestra. Era al di là di qualsiasi percezione consapevole. Soltanto la sensazione, colorita di una strana esaltazione delirante, che stava accadendo la cosa definitivamente importante... e una fiducia ardente e violenta, bruciante come una preghiera, che tra poco sarebbe stata al sicuro, per sempre. Una sera tardi arrivarono a Santa Barbara, dove il portiere notturno dell'Hotel Lacfadio si rifiutò di accoglierli sostenendo che non erano sposati. Il portiere trovò che Gloria era bella. Non credeva che una creatura bella come Gloria potesse essere morale. "Con amore. Quei primi sei mesi - il viaggio nell'ovest, il lungo girovagare di mesi lungo la costa californiana e la casa grigia nei pressi di Greenwich, dove vissero finché il tardo autunno rese il paesaggio melanconico - furono quelli i giorni, quelli i luoghi, che videro le ore di felicità. L'idillio ansante del fidanzamento si trasformò dapprima nel romanzo intenso di un rapporto più ardente. L'idillio ansante li abbandonò, fuggì presso altri amanti; un giorno Gloria e Anthony si guardarono attorno e si accorsero che era scomparso, senza che sapessero come. Se si fossero reciprocamente perduti nei giorni dell'idillio, l'amore perduto sarebbe stato per chi lo perdeva quel vago desiderio irrealizzato che fa da sfondo a tutta la vita. Ma la magia deve correre, e gli amanti rimangono... L'idillio passò recando con sé il suo tributo di giovinezza. Venne il giorno in cui Gloria si accorse che gli altri uomini non le riuscivano più noiosi: venne il giorno in cui Anthony scoprì che poteva di nuovo far tardi la sera a chiacchierare con Dick di quelle astrazioni colossali che una volta avevano riempito tutto il suo mondo. Ma sapendo che avevano avuto il più bello degli amori possibili, si aggrapparono a ciò che restava. L'amore indugiava: in lunghe conversazioni la notte, in quelle ore nude in cui la mente si assottiglia e si affila e ciò che si prende in accatto dai sogni diventa la sostanza di tutta la vita, in tenerezze profonde e intime che si prodigavano l'un l'altra, nel ridere alle stesse assurdità e nel trovarsi d'accordo a giudicare nobili certe cose e tristi certe altre. Fu soprattutto un tempo di scoperte. Le cose che scoprivano l'uno nell'altra erano così diverse, così mescolate e così addolcite d'amore da sembrare sul momento fenomeni isolati più che scoperte da accogliere e dimenticare. Anthony si accorse di vivere con una ragazza che aveva una tensione nervosa enorme e un egoismo di gran classe. Gloria capì dopo un mese che il marito era un vigliacco insanabile di fronte ai mille fantasmi creati dalla sua immaginazione. Era una percezione intermittente, perché questa vigliaccheria appariva, diventava evidente in modo quasi osceno, poi sbiadiva e scompariva come se fosse stata soltanto una sua creazione mentale. Le reazioni di Gloria non furono quelle attribuibili al suo sesso: non vennero suscitati in lei né una sensazione prematura di maternità. Quasi completamente libera da paure fisiche, era incapace di capire, e così mise in rilievo ciò che le parve l'elemento che riscattava quella paura, vale a dire il fatto che pur essendo vigliacco di fronte a una sorpresa e vigliacco di fronte a uno sforzo quando venivano fatte concessioni alla sua immaginazione Anthony aveva una specie di temerarietà scattante che nelle sue rare manifestazioni la induceva quasi all'ammirazione e un orgoglio che di solito lo rincorava quando credeva di essere osservato. Questa caratteristica si rivelò dapprima in una decina di fatti che erano poco più che manifestazioni di nervosismo: a Chicago l'invito a un autista ad andare adagio; il rifiuto a condurla in un certo caffè mal frequentato che Gloria aveva sempre desiderato vedere; eranofattinaturalmenteche permettevano un'interpretazione convenzionale: che appunto di lei Anthony si stava preoccupando; tuttavia il loro peso globale finì per turbarla. Ma ciò che avvenne in un albergo di San Francisco dopo una settimana di matrimonio fini per rendere certa la cosa. Era passata la mezzanotte e la stanza era immersa in un buio nero come la pece. Gloria era appisolata e il respiro regolare di Anthony al suo fianco le faceva credere che egli dormisse, quando improvvisamente lo vide alzarsi sul gomito e fissare la finestra. "Che cosa c'è caro?" mormorò. "Nulla" Anthony si era abbandonato di nuovo sul cuscino e si voltò verso di lei, "nulla, moglie adorata." "Non chiamarmi moglie. Sono la tua amante. Moglie è una parola così brutta. La tua 'amante fissa' è così tangibile e piacevole... Vieni fra le mie braccia" soggiunse in uno slancio di tenerezza, "dormo così bene, così bene, quando sei tra le mie braccia" Andare tra le braccia di Gloria aveva un significato molto preciso. Richiedeva che Anthony passasse un braccio sotto la spalla di lei, le stringesse le braccia attorno, e si sistemasse il più possibile come una specie di nicchia per farla stare ben comoda. Anthony irrequieto, con le braccia che s'intormentivano tremando dopo mezz'ora di quella posizione, aspettava che lei cadesse nel sonno per girarla con garbo sul suo lato del letto; poi, lasciato ai suoi piaceri, si attorcigliava nelle sue posizioni abituali. Gloria, avuta la sua consolazione sentimentale, ritornò nel suo dormiveglia. Cinque minuti ticchettarono sulla sveglia da viaggio di Bloeckman: il silenzio si stese su tutta la stanza, sui mobili sconosciuti, impersonali, e il soffitto quasi opprimente che si fondeva impercettibilmente in pareti invisibili ai due lati. Poi vi fu improvvisamente una vibrazione frusciante alla finestra, rilevata e forte sull'aria sospesa, tesa. Con un balzo Anthony si trovò fuori del letto, in piedi, a nervi tesi. "Chi c'è?" gridò con voce tremenda. Gloria rimase immobile, ora completamente sveglia e preoccupata non tanto dal rumore quanto dalla figura rigida e ansante la cui voce si era gettata dal capezzale del letto in quel buio sinistro. Il rumore si interruppe; la stanza fu silenziosa come prima... Poi Anthony che riversava parole al telefono. "Qualcuno ha cercato di entrare dalla finestra!... C'è qualcuno qui alla finestra!" Ora la voce era solenne, vagamente atterrita. "Va bene! Fate presto!" Attaccò il ricevitore; rimase immobile. ...Vi fu trambusto di gente che correva alla porta, qualcuno che bussò: Anthony andò ad aprire a un portiere notturno agitato, seguito da tre fattorini raccolti a occhi sbarrati dietro di lui. Tra il pollice e l'indice il portiere reggeva una penna bagnata con l'aria minacciosa di un'arma; uno dei fattorini aveva preso una guida del telefono elaguardavaimbarazzato. Contemporaneamente il gruppo venne raggiunto dal poliziotto dell'albergo chiamato d'urgenza, e come un sol uomo tutti irruppero nella stanza. Con un tac scattarono tutte le luci. Tirandosi addosso il lenzuolo, Gloria scomparve chiudendo gli occhi per evitare l'orrore di questa visita imprevista. Non vi era alcuna parvenza di idea nella sua sensibilità colpita, tranne quella che il suo Anthony era gravemente in colpa. ...Il portiere parlava dalla finestra col tono in parte del domestico in parte del maestro che sgrida uno scolaro. "Qui fuori non c'è nessuno" dichiarò come conclusione: "santo cielo, non può esserci qualcuno. La finestra è a quindici metri d'altezza sulla strada. Quello che avete sentito è il vento, che faceva sbattere l'imposta." "Oh!" Allora Gloria si rattristò per Anthony. Avrebbe voluto soltanto consolarlo e attirarlo teneramente fra le braccia e dire a quella gente di andarsene perché la loro presenza ricordava una cosa odiosa. Tuttavia non poteva alzare la testa per la vergogna. Udì una frase interrotta, delle scuse, convenevoli del portiere, e una risata aperta di un fattorino. "E' tutta la sera che sono nervoso come l'inferno" stava dicendo Anthony; "non so come quel rumore mi ha scosso... ero mezzo addormentato." "Certo, capisco" disse il portiere, con tatto consolatorio; "succede così anche a me." La porta si chiuse; le luci si spensero; Anthony attraversò la stanza in silenzio e si infilò nel letto. Gloria, fingendo di essere molto assonnata, diede un lieve sospiro silenzioso e si mise fra le sue braccia. "Che cosa è successo, caro?" "Niente" rispose con la voce nervosa; "mi è parso che ci fosse qualcuno alla finestra, cosi ho guardato fuori ma non sono riuscito a vedere nessuno, e il rumore è continuato, cosi ho telefonato al portiere. Mi dispiace di averti disturbata, ma sono terribilmente nervoso stasera." Accorgendosi della bugia Gloria sussultò dentro di sé; non era andato alla finestra, e neanche vicino alla finestra. Era rimasto accanto al letto e poi aveva lanciato il suo grido di paura. "Oh!" disse; e poi: "Ho tanto sonno". Rimasero svegli l'uno accanto all'altra per un'ora, Gloria con gli occhi chiusi così stretti che lune azzurre si formavano e rigiravano sullo sfondo di un violetto scuro, Anthony con gli occhi sbarrati senza vedere nel buio sovrastante. Dopo più di un mese la cosa venne alla luce, oggetto di risa e di scherzi. Ne fecero una leggenda utile quando il terrore agghiacciante della notte coglieva Anthony, Gloria lo cingeva con le braccia e canticchiava, dolce come una canzone: "Proteggo io il mio Anthony. Oh, nessuno potrà fare del male al mio Anthony." Anthony rideva come a uno scherzo inteso a un divertimento reciproco, ma per Gloria non fu mai proprio uno scherzo. Dapprima fu una delusione profonda; più tardi fu uno dei casi in cui doveva dominare la collera. La reazione alla collera di Gloria, sia perché mancava l'acqua calda nel bagno, sia per una discussione col marito, divenne uno dei principali compiti della giornata di Anthony. Bisognava fare esattamente così: con quel certo silenzio, con quella certa insistenza, con quella certa concessione, con quella certa forza. Era in quelle collere, con le conseguenti crudeltà, che si rivelava soprattutto l'egoismo disordinato di Gloria. Poiché era coraggiosa, poiché era viziata, poiché era indipendente in modo scandaloso e lodevole a qualsiasi giudizio, e infine perché era cosciente con arroganza del fatto di non aver mai visto una ragazza bella come lei, Gloria era diventata una nietzschiana consistente, praticante. Questo naturalmente con riflessi sentimentali profondi. Vi era per esempio il suo stomaco. Era abituata a certi piatti, e aveva la ferma convinzione di non poter assolutamente mangiarne altri. Doveva esserci una spremuta di limone e un tramezzino di pomodori al mattino tardi, poi una colazione leggera con un pomodoro ripieno. Non soltanto il suo cibo andava scelto in una lista di una decina di piatti, ma per di più questo cibo andava preparato in un certo modo. Una delle mezz'ore più fastidiose della prima quindicina di giorni si svolse a Los Angeles, quando un infelice cameriere le portò un pomodoro ripieno di insalata di pollo invece che di sedano. "Lo serviamo sempre così, signora" tremò davanti agli occhi grigi che lo guardavano carichi d'ira. Gloria non rispose, ma quando il cameriere si fu allontanato con discrezione batté i pugni sul tavolo finché la porcellana e l'argenteria incominciarono a vibrare. "Povera Gloria!" rise Anthony con poco tatto. "Non sempre puoi avere quello che vuoi, vero?" "Non posso mangiare un RIPIENO" esplose. "Ora chiamo di nuovo il cameriere." "Non voglio! Non capisce niente, quel maledetto SCEMO!" "Be', non è colpa dell'albergo. Mandalo indietro senza pensarci più, o prendila con spirito e mangialo." "Smettila" disse lei laconica. "Perché te la prendi con me?" "Ma NO, che non me la prendo con te" gemette lei, "è che non posso mangiarlo." Anthony si sottomise sgomento. "Andiamo in un altro posto" propose. "Non VOGLIO andare in un altro posto. Sono stanca di girare per decine di caffè senza riuscire a trovar NIENTE da mangiare." "Quando mai hai girato per decine di caffè?" "Bisognerebbe farlo, in questa città." Anthony sgomento fece un'altra proposta. "Perché non provi a mangiarlo? Forse non è cattivo come credi." "Perché - non - mi - piacciono - i - polli!" Prese la forchetta e incominciò a frugare con aria sprezzante nel pomodoro e Anthony si aspettò che si mettesse a lanciare il ripieno in tutte le direzioni. Certo era adirata quanto non lo era stata mai: per un attimo Anthony aveva scoperto una scintilla di odio diretta verso di lui come se fosse uno qualunque; e Gloria adirata era, per il momento, inavvicinabile. Poi con grande sorpresa Anthony vide che Gloria aveva alzato la forchetta alle labbra e assaggiava l'insalata di pollo. Le ciglia non le si erano spianate, e Anthony la fissò ansioso, senza fare commenti e quasi trattenendo il fiato. Ne assaggiò un altro boccone, poco dopo stava mangiando. Anthony trattenne a stento una risatina; quando alla fine parlò, le sue parole non avevano alcun riferimento possibile all'insalata di pollo. Questo fatto, con variazioni, si ripeté come una fuga lugubre per il primo anno di matrimonio; lasciava sempre Anthony deluso, irritato e scoraggiato. Ma un altro cozzo violento di temperamenti, una questione di biancheria sporca, gli riuscì ancora più fastidioso perché terminò inevitabilmente in una sconfitta decisiva per lui. Un pomeriggio, a Coronado, dove fecero la sosta più lunga del loro viaggio, trattenendovisi più di venti giorni, Gloria si stava vestendo elegantemente per il tè. Anthony, che era stato abbasso ad ascoltare gli ultimi bollettini ufficiosi sulla guerra in Europa, entrò nella stanza, le baciò la nuca incipriata e si accostò alla toeletta. Dopo un grande aprire incipriata chiudere di cassetti del tutto insoddisfacente, si rivolse al Capolavoro Incompiuto "Hai un fazzoletto, Gloria?" chiese. Gloria scosse la testa dorata. "Neanche uno. Quello che ho è uno dei tuoi." "L'ultimo che avevo, a quanto vedo." Fece una risata asciutta. "Ah, sì?" si stava facendo un pronunciato ma delicatissimo contorno alle labbra. "Non hanno ancora riportato la biancheria?" "Non lo so." Anthony esitò; poi, con un pensierino improvviso, aprì la porta dell'armadio. I suoi sospetti vennero confermati. Sul gancio apposito era appesa la sacca azzurra messa a disposizione dall'albergo. Era piena dei suoi indumenti: ve li aveva messi egli stesso. Il piano sotto la sacca era coperto da una massa stupefacenti di indumenti - biancheria, calze, vestiti, camicie da notte e pigiama - quasi tutti appena indossati ma tutti indubbiamente ascrivibili alla voce generale di: biancheria di Gloria. Rimase accanto all'armadio con la porta spalancata. "Ma Gloria!" "Cosa?" Il contorno delle labbra veniva cancellato e corretto secondo una prospettiva misteriosa; non un dito tremò mentre veniva manipolato il rossetto, non uno sguardo venne diretto nella sua direzione. Fu un trionfo di concentrazione. "Non hai mandato a lavare la biancheria?" "E' lì?" "Senza il minimo dubbio." "Be', allora si vede che non l'ho mandata." "Gloria!" incominciò Anthony sedendo sul letto e cercando di cogliere il suo sguardo nello specchio. "Sei proprio carina sei! L'ho mandata a lavare io tutte le volte che è stata lavata, da quando siamo partiti da New York, e più di una settimana fa mi hai promesso che te ne saresti occupata tu per darmi il cambio. Non avevi altro da fare che da cacciare i tuoi pasticci in quella sacca e suonare per la cameriera." "Oh, perché stai a discutere sulla biancheria?" esclamò Gloria petulante. "Ci penserò io." "Non è che discuta. E' un fastidio che voglio dividere con te, ma quando non ci sono più fazzoletti è ora di fare qualcosa." Anthony pensò che questa era una logica straordinaria. Ma Gloria, senza lasciarsi impressionare, mise via i cosmetici e gli presentò con indifferenza la schiena. "Allacciami i ganci" disse. "Anthony, tesoro, me ne sono dimenticata. Volevo mandarla, davvero, e domani la manderò. Non essere in collera col tuo tesoro." Che cosa poteva fare Anthony se non farsela sedere sulle ginocchia e baciarle una sfumatura di colore via dalle labbra? "Non importa" mormorò lei con un sorriso, raggiante e magnanima. "Puoi togliermi il rosso dalle labbra tutte le volte che vuoi." Scesero a prendere il tè. Comprarono qualche fazzoletto in un negozio lì accanto. Tutto fu dimenticato. Ma due giorni dopo Anthony guardò nell'armadio e vide che la sacca era ancora appesa vuota al gancio e il mucchio allegro e vivace sul piano era cresciuto in altezza in modo sorprendente. "Gloria!" esclamò. "Oh..." la voce era piena di vero dolore. Anthony andò disperato al telefono e chiamò la cameriera. "Ho l'impressione" disse con impazienza "che tu ti aspetti che diventi una specie di tuo cameriere privato." Gloria rise, in modo cosi contagioso, che Anthony fu così poco saggio da sorridere. Disgraziato! Per qualche ragione tangibile, il suo sorriso la rese padrona della situazione: con aria di dignità offesa si accostò solennemente all'armadio e incominciò a schiacciare con energia la biancheria nella sacca. Anthony la guardava pieno di vergogna per se stesso. "Ecco!" esclamò con l'aria di essersi consumata le dita fino all'osso per gli ordini di un padrone brutale. Anthony ritenne tuttavia di averle dato una lezione oggettiva e che l'argomento fosse chiuso; mentre al contrario era appena incominciato. I mucchi di biancheria si susseguirono ai mucchi di biancheria, a lunghi intervalli; la mancanza di fazzoletti si susseguì alla mancanza di fazzoletti, a intervalli più brevi; per non parlare della mancanza di calze, di camicie, di tutto. E Anthony alla fine capì che doveva scegliere tra l'occuparsi personalmente della biancheria o il cimento sempre più spiacevole di una discussione con Gloria. Gloria e il generale Lee. Mentre andavano nell'Est si fermarono due giorni a Washington, aggirandosi con una certa ostilità in quell'atmosfera di aspra luce repellente, di distanza senza libertà, di pompa senza splendore: pareva una città pallida e preoccupata. Il secondo giorno fecero una malaugurata gita per visitare la vecchia casa del generale Lee a Arlington. L'autobus sul quale vi si recarono era affollato di gente povera e accaldata e Anthony, ormai intimo di Gloria, sentì che una tempesta si stava addensando. Questa esplose al giardino zoologico, dove la comitiva si fermò per dieci minuti. Pareva che il giardino zoologico puzzasse di scimmie. Anthony rise; Gloria invocò le ire del cielo sulle scimmie, includendo nel suo malanimo tutti i passeggeri dell'autobus e i loro rampolli sudati, che si erano diretti verso le scimmie. Finalmente l'autobus giunse a Arlington. Quivi si congiunse ad altri autobus e immediatamente uno sciame di donne e bambini prese a lasciare una traccia di gusci di noccioline lungo le sale del generale Lee per ammassarsi alla fine nella stanza dove egli si era sposato. Sulla parete di questa stanza, un cartello compiacente annunciava in grandi lettere rosse: "Latrina donne". A quest'ultimo colpo Gloria esplose. "E semplicemente orribile!" disse furiosa. "Ma che idea, lasciar venire qui questa gente! E anzi, incoraggiarli facendo diventare queste case una specie di spettacolo." "Be'" obiettò Anthony, "se qualcuno non le tenesse in piedi andrebbero in pezzi." "E con questo?" esclamò Gloria mentre cercavano di uscire sulla veranda dai grandi pilastri. "Credi che abbiano lasciato qui un soffio del 1860? Questo è diventato qualcosa del 1914." "Credi che non si debbano conservare le cose antiche?" "Ma non si può, Anthony. Le cose belle giungono a un certo punto e poi cadono e svaniscono, esalando memorie mentre si distruggono. E come qualsiasi periodo di tempo si distrugge nella nostra mente, cosi si devono distruggere anche le cose di quel periodo, e in questo modo si conservano per qualche tempo nei cuori che reagiscono come il mio. Quel cimitero a Tarrytown, per esempio. I somari che danno quattrini per conservare le cose hanno guastato anche quello. Sleepy Hollow è morto; Washington Irving è morto e i suoi libri decadono nella nostra stima ogni anno di più e allora perché non lasciar andare in malora anche il cimitero, com'è giusto, come avviene per tutte le cose? Cercar di conservare un secolo tenendone in vita le reliquie è come cercar di tenere in vita un vecchio per mezzo di stimolanti." "Allora credi che come va a pezzi il tempo dovrebbero andare a pezzi anche le case?" "Certo! Che valore avrebbero le lettere di Keats se la firma fosse nascosta per farla durare più a lungo? Proprio perché amo il passato vorrei che questa casa tornasse a guardare i suoi momenti splendenti di giovinezza e bellezza e vorrei che le sue scale scricchiolassero come se a calpestarle fossero i passi di donne in crinolina e uomini in stivali e speroni. Ma l'hanno fatta diventare una vecchia sessantenne ossigenata e dipinta. Non ha il minimo diritto di mostrarsi così prosperosa. Dovrebbe preoccuparsi di Lee abbastanza da lasciar cadere un mattone di quando in quando. Quanti di questi... di questi animali" fece un gesto attorno con la mano, "ne ricavano qualcosa, nonostante tutti i libri di storia e le guide e i restauri? Quanti di coloro che nella migliore delle ipotesi ritengono che per apprezzare qualcosa bisogna parlare sottovoce e camminare in punta di piedi verrebbero qui, se questo provocasse loro un minimo disturbo? Vorrei che odorasse di magnolie invece che di noccioline, e vorrei che le mie scarpe calpestassero la stessa ghiaia che venne calpestata dagli stivali di Lee. Non c'è bellezza senza emozioni, e non c'è emozione senza la sensazione che tutto passa, uomini, nomi, libri, case... destinati alla polvere... mortali..." Un ragazzino comparve accanto a loro e agitando una manciata di bucce di banane le gettò valorosamente in direzione del Potomac. Sentimento. Mentre cadeva Liegi, Anthony e Gloria arrivarono a New York. Visti in retrospettiva quei quaranta giorni parevano miracolosamente felici. Come accade più o meno a quasi tutti i giovani sposi, avevano scoperto di avere in comune molte idee fisse e stranezze e bizzarrie mentali; erano fondamentalmente adatti l'uno all'altra. Ma era stato faticoso mantenere molte delle conversazioni sul livello della discussione. I diverbi erano fatali al temperamento di Gloria. Per tutta la vita aveva frequentato o persone a lei mentalmente inferiori o uomini che sotto l'intimidazione quasi ostile della sua bellezza non avevano osato contraddirla; era naturale perciò che la irritasse vedere Anthony uscire dalla situazione in cui le sue parole erano una decisione infallibile e definitiva. Dapprima Anthony non era riuscito a capire che questo era il risultato in parte della sua educazione "femminile" e in parte della sua bellezza e tendeva a includere Gloria con tutto il suo sesso entro limiti stranamente precisi. Diventava matto allorché si accorgeva che Gloria non aveva il senso della giustizia. Ma scoprì che, quando un argomento la interessava, la mente di lei si stancava meno in fretta della sua. Ciò di cui sentiva soprattutto la mancanza in lei era una teleologia severa: il senso dell'ordine e della precisione, il senso della vita come di una composizione misteriosamente predisposta, ma capì in breve che in Gloria una simile qualità sarebbe stata stonata. Tra le cose che avevano in comune, la principale era l'attrazione quasi soprannaturale che esercitavano reciprocamente sui loro cuori. Il giorno che partirono dall'albergo di Coronado, Gloria sedette su un letto mentre facevano il bagaglio e incominciò a piangere amaramente. "Tesoro..." le braccia di lui la cinsero; attirarono il capo sulla spalla. "Che cosa c'è, Gloria mia? Dimmi." "Ce ne andiamo" singhiozzò Gloria. "Oh, Anthony, si può dire che è il primo luogo dove abbiamo vissuto insieme. I nostri due lettini qui... l'uno accanto all'altro... staranno sempre qui ad aspettarci e noi non ritorneremo mai più." Gli spezzò il cuore, come riusciva sempre a fare. Il sentimento lo avvolse, gli colmò gli occhi. "Ma Gloria, andiamo in un'altra stanza. E in altri due lettini. Staremo insieme per tutta la vita." Le parole sgorgarono da lei in una voce bassa e roca. "Ma non sarà... come i nostri due lettini... mai più. Dovunque andiamo e traslochiamo, e cambiamo qualcosa sarà perduto... qualcosa resterà dietro di noi. Non si può mai ripetere nulla e sono stata così tua, qui..." La tenne stretta a sé con ardore scorgendo, molto al di là di una critica a quel sentimento, il saggio desiderio di aggrapparsi al minuto, non fosse che come indulgenza a quel desiderio di piangere... Gloria, la pigra, vezzeggiatrice dei suoi stessi sogni, che traeva emozioni dalle cose importanti della vita e della giovinezza. Più tardi, quel pomeriggio, quando ritornò dalla stazione coi biglietti, la trovò addormentata su uno dei due letti con le braccia strette intorno a un oggetto nero che dapprima non riuscì a identificare. Avvicinandosi vide che era una delle sue scarpe, non particolarmente nuova e neanche pulita, ma il viso di lei bagnato di lacrime vi era appoggiato sopra; e Anthony capì il messaggio antico e nobilissimo. Fu quasi un'estasi svegliarla e vederla sorridere, timida ma ben consapevole della finezza della sua immaginazione. Senza considerare il valore né la scoria di queste due cose, parve ad Anthony che si trovassero molto vicini al centro dell'amore. La casa grigia. E' a vent'anni che il vero movimento della vita incomincia a rallentare ed è un'anima molto semplice quella per la quale molte cose hanno a trent'anni lo stesso significato e la stessa importanza che avevano dieci anni prima. A trent'anni un uomo con l'organetto è uno più o meno disfatto che fa suonare l'organetto: e una volta era l'uomo dell'organetto! ll segno inconfondibile dell'umanità tocca tutte le cose belle e impersonali che la giovinezza soltanto afferra nel loro splendore impersonale. Una festa da ballo brillante e allietata da lievi risa romantiche si logora nella sete e negli organzini per mostrare la nuda struttura di un oggetto fatto da uomini... oh, quella mano eterna! una commedia, la più tragica e la più divina, diventa una semplice serie di discorsi creati con fatica dall'eterno plagiatore nelle ore sudaticce e recitati da uomini soggetti a crampi, vigliaccheria e sentimenti virili. E questa volta per Gloria e Anthony, il primo anno di matrimonio e la casa grigia li colsero nello stadio in cui il suonatore di organetto stava lentamente iniziando la sua inevitabile metamorfosi. Gloria aveva ventitre anni; Anthony ne aveva ventisei. Dapprincipio la casa grigia ebbe un intento puramente pastorale. Per i primi quindici giorni, dopo il ritorno dalla California, vissero impazienti nell'appartamento di Anthony, in un'atmosfera soffocata di bauli aperti, troppo visitatori e l'eterna sacca della biancheria. Discussero con gli amici il problema stupendo del loro futuro. Dick e Maury stavano con loro e annuivano con solennità, quasi pensosamente, mentre Anthony scorreva la lista di ciò che avrebbero dovuto fare e dove avrebbero dovuto vivere. "Mi piacerebbe portare Gloria all'estero" gemette, "se non ci fosse questa maledetta guerra... oppure mi piacerebbe avere un posto in campagna da qualche parte vicino a New York, naturalmente... dove potessi scrivere o fare ciò che decidessi di fare." Gloria rise. "Non è straordinario?" chiese a Maury. "Ciò che decidesse di fare! Ma che cosa farò io, se lui lavora? Maury, mi accompagnerai tu in giro, se Anthony si mette a lavorare?" "Comunque per il momento non lavoro ancora" disse Anthony in fretta. Era vagamente inteso fra loro che in un qualche giorno nebuloso Anthony sarebbe entrato in una specie di glorioso servizio diplomatico per essere invidiato da principi e primi ministri a causa della sua bella moglie. "Be'" disse Gloria sgomenta "non so proprio. Continuiamo a parlare e parlare e non andiamo mai in nessun posto, e chiediamo consiglio agli amici e non fanno che risponderci quello che vogliamo noi. Come vorrei che qualcuno si occupasse di noi." "Perché non andate in campagna, a... a Greenwich, o qualcosa del genere?" propose Richard Caramel. "Mi piacerebbe" disse Gloria illuminandosi. "Credi che si possa trovar casa, lì?" Dick si strinse nelle spalle e Maury rise. "Voi due mi divertite" disse. "Non si è mai visto nessuno meno pratico di voi. Basta parlarvi di un posto, perché vi aspettiate di veder tirar fuori enormi file di fotografie che mostrino i vari tipi di architettura delle ville disponibili." "E esattamente quello che non voglio" gemette Gloria. "Una villa calda, soffocante, con un mucchio di bambini nella villa vicina e il padre che taglia l'erba in maniche di camicia." "Per l'amor del cielo, Gloria" la interruppe Maury "nessuno ha intenzione di chiuderti in una villa. In nome di Dio, chi ha tirato le ville nel nostro discorso? Ma non troverai mai un posto da nessuna parte, se non te lo vai a cercare." "Dove vuoi che vada? Dici 'se non te lo vai a cercare,' ma dove?" Maury mosse la mano con dignità, come una zampa. "Dappertutto. In campagna. C'è un mucchio di posti." "Grazie." "Sentite!" Richard Caramel fece entrare in gioco il suo occhio giallo. "Il guaio con voi due è che siete disorganizzati. Sapete qualcosa dello Stato di New York? Zitto, Anthony, sto parlando a Gloria." "Be'," finì per ammettere questa. "Sono stata a due o tre ricevimenti a Port Chester e in giro per il Connecticut... ma naturalmente questo non è lo Stato di New York, vero? E neanche lo è Morrystown" concluse con indifferenza sonnolenta. Vi fu uno scoppio di risa. "Oh Dio" esclamò Dick "e non lo è neanche Morrystown! No, e non lo è neanche Santa Barbara, Gloria. Ora sta' a sentire. Tanto per cominciare, se non possiedi un patrimonio è inutile che tu pensi a un posto come Newport o Southampton o Tuxedo. E fuori di questione." Ne convennero tutti solennemente. "E personalmente detesto New Jersey. Poi, si capisce, c'è la New York alta, sopra Tuxedo." "Troppo freddo" disse Gloria concisa. "Ci sono stata una volta in automobile." "Be', secondo me c'è un mucchio di città, come Rye, tra New York e Greenwich, in cui potreste comprare una casetta grigia di qualche..." Gloria sussultò trionfante. Per la prima volta, da quando erano ritornati dall'est, sapeva quel che voleva. "Oh sì!" esclamò. "Oh, SI'! Ecco: una casetta grigia con un po' di bianco intorno e un mucchio di aceri bruni e dorati come un quadro di ottobre in una galleria. Dove si potrebbe trovarne una?" "Sfortunatamente ho smarrito la mia lista di casette grigie circondate di aceri... ma cercherò di ritrovarla. Intanto potresti prendere un pezzetto di carta e scrivere i nomi di sette città possibili. E questa settimana ogni giorno fai una gita per vederne una." "Oh Dio" protestò Gloria in un collasso mentale. "Perché non lo fai tu per noi? Detesto i treni." "Be', prendi a nolo una macchina e..." Gloria sbadigliò. "Sono stanca di discutere. Pare che non si riesca che del posto dove vivremo." "La mia deliziosa moglie si stanca a pensare" osservò Anthony con ironia. "Ha bisogno di un tramezzino di pomodoro per stimolarsi i nervi sfibrati. Andiamo a prendere il tè." Come infelice conclusione di quella serata, presero alla lettera il consiglio di Dick e due giorni dopo si recarono a Rye, dove con un mediatore irritato andarono in giro come bambini sperduti nel bosco. Visitarono case da cento dollari al mese strettamente confinanti con altre case da cento dollari al mese; videro case isolate per le quali provarono invariabilmente una violenta antipatia pur rassegnandosi a subire il desiderio del mediatore di "guardare quella stufa... che stufa!" e un gran scrollare di stipiti e batter di pareti, intesi evidentemente a mostrare che la casa non sarebbe crollata in un futuro immediato, a prescindere dal grado di persuasione ispirato dal loro aspetto. Guardarono attraverso le finestre interni arredati o in modo commerciale con seggiole squadrate e divani inflessibili, o familiarmente col melanconico bric-à-brac di altre estati: racchette da tennis incrociate, divani consumati e deprimenti ragazze di Gibson. Con un senso di colpa guardarono alcune case veramente belle, altere, dignitose e fredde... a trecento dollari al mese. Partirono da Rye ringraziando proprio tanto il mediatore. Sul treno affollato che li ricondusse a New York il posto dietro di loro era occupato da un latino supertraspirante i cui pasti più recenti evidentemente erano stati costituiti solo di aglio. Arrivarono nell'appartamento con gratitudine, quasi con isterismo, e Gloria si precipitò a fare un bagno caldo nella stanza irreprensibile. Per quello che riguardava la questione di un futuro, furono entrambi inabili per una settimana. La questione finì per risolversi da sé con romanticismo insperato. Un pomeriggio Anthony entrò di corsa nel soggiorno quasi irraggiando "l'idea". "Ce l'ho fatta!" esclamò come se avesse acchiappato allora un topo. "Compreremo una macchina." "Figurati! Non siamo abbastanza inguaiati così come siamo?" "Concedimi un minuto per spiegarti, vuoi? Non facciamo che lasciare la nostra roba da Dick e mettere un paio di valigie in macchina, quella che compreremo - bisognerà comprarla comunque, se vogliamo abitare in campagna - e non facciamo che partire in direzione di New Haven. Capisci, se usciamo dalla rete di andata e ritorno con New York, gli affitti saranno molto più bassi e appena troviamo la casa che ci piace ci fermiamo." Con l'interpolazione frequente e conciliante di quel "non facciamo che" svegliò l'entusiasmo in letargo di Gloria. Pavoneggiandosi vistosamente nella stanza simulò un'energia dinamica e irresistibile. "Domani comperiamo un'automobile." La vita,rincorrendo gli stivali delle setteleghe dell'immaginazione, li vide una settimana dopo uscire di città in uno spider nuovo, da poco prezzo ma scintillante. Li vide attraversare il caotico, incomprensibile Bronx, poi oltrepassare una vasta zona oscura che alternava distese azzurro-verdastre senza gioia a sobborghi di attività tremenda e sordida. Uscirono da New York alle undici ed era passato il mezzogiorno caldo e beato quando attraversarono con aria sbarazzina Pelham. "Queste non sono città" disse Gloria sprezzante. "Questi non sono che edifici di città gettati a freddo in zone deserte. Immagino che tutti gli uomini qui abbiano i baffi sporchi a forza di bere il caffè troppo in fretta la mattina." "E giocare a pinochle sui treni d'andata e ritorno." "Che cos'è il pinochle?" "Non essere così letterale. Come posso saperlo? Ma ho idea che debbano giocarlo." "Mi piace. Ha l'aria che sia qualcosa in cui ci si schiacciano le nocche delle dita o qualcosa del genere... Lascia guidare me." Anthony la guardò sospettoso. "Puoi giurarmi che sai guidare?" "Da quando avevo quattordici anni." Anthony fermò la macchina con cautela sul ciglio della strada e si scambiarono i posti. Poi con uno stridìo orrendo Gloria innestò la marcia, in uno scroscio di risa che parvero ad Anthony inquietanti e del peggior gusto possibile. "Eccoci" gridò. "Oo-op!" Le teste si rovesciarono all'indietro come a marionette tirate da un solo filo, quando la macchina diede un balzo e aggirò da vicino un carro fermo del latte, il cui autista si rizzò sul sedile e si mise a gridare qualcosa alle loro spalle. Secondo le consuetudini stradali Anthony ribatté con qualche epigramma sulla volgarità del mestiere di lattaio. Però smise presto di parlare e si rivolse a Gloria con la convinzione di aver fatto un grave errore abbandonando il volante e che Gloria guidava in modo strano e infinitamente sbadato. "Ricordati!" l'ammonì nervosamente. "Quello della macchina ha detto che per i primi cinquemila chilometri non dobbiamo andare a più di trenta chilometri all'ora." Gloria annuì senza parlare ma, con l'intenzione evidente di riempire quell'intervallo proibitivo il più presto possibile, aumentò a poco a poco la velocità. Un momento dopo Anthony fece un altro tentativo. "Vedi quel cartello? Vuoi prendere la multa?" "Oh, per amor del cielo!" gridò Gloria esasperata. "Tu esageri sempre le cose in un modo tale!" "Be', non ho voglia di farmi arrestare." "Ma chi ti sta arrestando? Sei così insistente... Proprio come ieri sera con la medicina per la tosse." "Era per il tuo bene." "Oh, tanto varrebbe che stessi con mia madre." "Ma ti pare una cosa da dirmi?" Un poliziotto fermo comparve in un guizzo e fu oltrepassato in fretta. "Hai visto?" chiese Anthony. "Oh, mi fai diventar matta! Ti pare che ci abbia arrestati?" "Quando lo farà sarà troppo tardi" ribatté brillantemente Anthony. La risposta di lei fu sprezzante, quasi offesa. "Ma questa vecchia carcassa non può fare più dei cinquanta chilometri all'ora." "Non è vecchia." "Lo è in ispirito." Quel pomeriggio la macchina si unì alle sacche della biancheria e all'appetito di Gloria come un elemento della trinità dei bisticci. Anthony la mise in guardia dalle rotaie del treno; le mostrò automobili che si avvicinavano; finalmente insisté a prendere il volante e fu una Gloria furiosa, insultata, quella che sedette in silenzio accanto a lui tra le città di Larchmon e Rye. Ma fu a causa di questo suo silenzio furioso che la casa grigia si materializzò dalla sua astrazione, perché subito dopo Rye Anthony si arrese di malumore e tornò a lasciare il volante. Senza parlare la implorò e Gloria, subito rallegrata, giurò di stare più attenta. Ma poiché un tram scortese insisté villanamente a restare sulle rotaie, Gloria si tuffò in una strada laterale e per tutto quel pomeriggio non riuscì a ritrovare la Post Road. La strada che finirono per confondere con quella perdette la sua aria di Post Road dopo essersi svolta per otto chilometri da Cos Cob. Il selciato divenne ghiaia, poi terriccio; più avanti si restrinse e divenne un filare di alberi attraverso i quali filtrava il sole del tramonto, facendo esperimenti senza fine sui disegni delle ombre sull'erba alta. "Ora siamo perduti" gemette Anthony. "Leggi quel cartello." "Marietta. Otto chilometri. Che cos'è Marietta?" "Non l'ho mai sentita nominare, ma andiamo avanti. Qui non possiamo girare e probabilmente ci sarà una strada che riporta alla Post Road." Il sentiero prese a solcarsi di carreggiate profonde e di pietre insidiose. Per un momento sorsero di fronte a loro tre fattorie, passarono. In un gruppo di tetti scialbi intorno a un alto campanile bianco si erse una città. Poi Gloria, esitando a un bivio e decidendosi troppo tardi, passò su un idrante da incendio e spaccò violentemente la trasmissione della macchina. Era buio quando il mediatore di Marietta mostrò loro la casa grigia. Si trovava a ovest del villaggio ed era lì sullo sfondo di un cielo che pareva un caldo mantello azzurro abbottonato di stelle minuscole. La casa grigia si trovava in quel posto da quando le donne che tenevano gatti erano probabili streghe, quando Paul Revere digrignò i denti alla propaganda di Boston per spronare il grande popolo commerciale, quando i nostri antenati disertavano gloriosamente Washington a squadre. Da quei tempi la casa era stata puntellata in un angolo pericolante, molto suddivisa e intonacata di fresco all'interno, ampliata di una cucina e arricchita di una veranda secondaria: ma a parte la zona in cui qualche cordiale imbecille aveva coperto il tetto della cucina nuova di latta rossa; il Coloniale restava provocante. "Come mai siete venuti a Marietta?" chiese il mediatore in un tono che era cugino primo del sospetto. Li stava accompagnando in quattro camere da letto spaziose e aerate. "Un guasto" spiegò Gloria. "Sono passata sopra un idrante da incendio e ci hanno rimorchiati al garage e lì abbiamo visto il cartello." Il mediatore annuì incapace di seguire un simile slancio di spontaneità. Vi era qualcosa di lievemente immorale nel compiere un gesto senza riflessione di parecchi mesi. Firmarono il contratto quella sera e nella macchina del mediatore ritornarono giubilanti alla locanda sonnolenta e in rovina di Marietta, che era troppo distrutta perfino per le immoralità casuali e le conseguenti allegrie di un albergo di campagna. Passarono una metà della notte svegli nel letto a decidere le cose che avrebbero fatto. Anthony avrebbe lavorato con ritmo stupefacente alla sua storia e così si sarebbe ingraziato il cinico nonno... quando la macchina fosse stata aggiustata avrebbero esplorato la campagna e si sarebbero iscritti al più vicino circolo che fosse "davvero simpatico", dove Gloria potesse giocare a golf "o qualcosa" mentre Anthony scriveva. Questa naturalmente era l'idea di Anthony... Gloria era certa di non desiderare altro che leggere e sognare ed essere nutrita di tramezzini di pomodoro e spremute di limone da qualche domestica angelica ancora nella patria delle ombre. Tra un paragrafo e l'altro Anthony sarebbe venuto a baciarla mentre lei stava distesa indolente sull'amaca... L'amaca! Una squadra di sogni nuovi intonati al suo ritmo immaginario, mentre veniva smossa dal vento e ondate di sole si ondulavano sulle ombre del grano smosso o la strada polverosa si picchiettava e iscuriva di sommessa pioggia estiva... E gli ospiti qui ebbero una lunga discussione, sforzandosi entrambi di essere straordinariamente maturi e lungimiranti. Anthony sostenne che sarebbe stato necessario avere qualcuno almeno ogni quindici giorni "tanto per svagarsi un po'". Questo provocò una conversazione complicata ed estremamente sentimentale sul problema se Anthony considerasse o no Gloria uno svago sufficiente. Sebbene egli l'assicurasse che così era, Gloria insisté a dubitarne... Finalmente la conversazione riprese l'eterno motivo: "E poi? Che cosa faremo poi?". "Be', compreremo un cane" propose Anthony. "Non voglio un cane. Voglio un gattino." Gloria si addentrò con profusione e grande entusiasmo nella storia, abitudini e gusti di un gatto che aveva avuto una volta. Anthony pensò che doveva essere stato un personaggio orribile, privo di magnetismo animale e di lealtà di cuore. Più tardi si addormentarono per svegliarsi un'ora prima dell'alba con la casa grigia che danzava in miraggio luminoso davanti ai loro occhi abbacinati. L'anima di Gloria. Per quell'autunno la casa grigia li accolse in uno slancio di sentimento che mascherava la sua cinica vecchiaia. Certo c'erano le sacche della biancheria, c'era l'appetito di Gloria, c'era la tendenza di Anthony a meditare in silenzio e il suo nervosismo immaginativo, ma vi erano anche intervalli di serenità insperata. Abbracciati sulla veranda aspettavano che la luna attraversasse i campi argentei della terra coltivata, scavalcasse un bosco fitto, e gettasse ai loro piedi ondate di splendore. A quella luce lunare il viso di Gloria era di un bianco dilagante, reminiscente; e con un piccolo sforzo, insieme si liberavano dai paraocchi dell'abitudine e ritrovavano l'uno nell'altra la quintessenza del sentimento di quel giugno scomparso. Una notte, col capo appoggiato sul cuore di Anthony e le sigarette che brillavano in bottoni di luce ondeggianti nella volta buia sul letto, Gloria parlò per la prima volta e per caso degli uomini che si erano aggrappati per qualche breve momento alla sua bellezza. "Pensi mai a loro?" chiese Anthony. "Solo per caso... quando succede qualcosa che mi ricorda qualcuno in particolare." "Che cosa ricordi... i loro baci?" "Un po' di tutto... gli uomini sono diversi con le donne." "Diversi in che modo?" "Oh, completamente... ma non si può spiegare. Uomini che avevano una reputazione ben radicata di essere in un certo modo, a volte con me erano incoerenti da far stupire. Uomini brutali erano teneri. Uomini da poco erano straordinariamente leali e adorabili, e spesso uomini rispettabili assumevano atteggiamenti che erano tutto tranne che rispettabili." "Per esempio?" "Be', c'era un ragazzo che si chiamava Percy Wolcott, di Cornell, che all'università era un vero e proprio eroe, un grande atleta, e aveva salvato un mucchio di gente dagli incendi o qualcosa del genere. Ma mi sono accorta presto che era stupido in modo piuttosto pericoloso." "In che modo?" "Pare che avesse un'idea ingenua della donna 'adatta come moglie,' un'idea particolare che io discutevo molto e mi faceva sempre andare in furore. Voleva una ragazza che non avesse mai baciato nessuno e alla quale piacesse cucire e restarsene a casa a pagare il suo tributo alla dignità di lui. E scommetto quel che vuoi che, se ha trovato un'idiota disposta a far la scema con lui, se la sta spassando di nascosto con qualche signora molto più spiccia." "Mi dispiacerebbe per la moglie." "A me no. Pensa che stupida dovrebbe essere, se non avesse capito prima di sposarlo come sarebbe andata a finire. E' di quelli che con l'idea di onorare e rispettare la donna non vorrebbero farla divertire mai. Animato dalle migliori intenzioni, era immerso nel medioevo." "Che atteggiamento aveva con te?" "Ci stavo arrivando. Come ti ho detto - o non te l'ho detto? era molto bello: grandi occhi bruni e onesti e uno di quei sorrisi che garantiscono che il cuore che lo ispira è d'oro a venti carati. Poiché ero giovane e credula, pensai che avesse un po' di discrezione, così lo baciai con ardore una sera che facevamo un giro in macchina, dopo un ballo allo Homestead, a Hot Springs. Era stata una settimana stupenda, ricordo: con alberi così ricchi come una schiuma verde, qualcosa del genere, su tutta la valle e una nebbia che si alzava tra di essi in mattinate d'ottobre che parevano falò accesi per farli diventar marrone..." "E il tuo amico con gli ideali?" la interruppe Anthony. "Pare che dopo avermi baciata incominciasse a pensare che forse poteva permettersi qualcosa di più, che non fosse necessario 'rispettarmi' come quella lieta Beatrice Fairtax della sua immaginazione." "Che cos'ha fatto?" "Non molto. L'ho spinto giù da una ripa di cinque metri prima che potesse incominciare." "Si è fatto male?" chiese Anthony ridendo. "Si è rotto il braccio e si è storto una caviglia. Ha raccontato la storia a tutta Hot Springs e quando il braccio gli è guarito un certo Barley che mi voleva bene lo ha picchiato e gliel'ha rotto di nuovo. Oh, è stato un tale pasticcio. Ha minacciato di far causa a Barley; e Barley - era uno della Georgia - è stato visto comperare una rivoltella in città. Ma prima che succedesse qualcosa la mamma mi ha riportata nel Nord, assolutamente contro la mia volontà, così non ho mai saputo che cosa è successo: anche se una volta ho incontrato Barley nell'atrio di Vanderbilt." Anthony rise a lungo e forte. "Che carriera! Probabilmente dovrei essere furioso, perché hai baciato tanti uomini. Invece non lo sono." A queste parole, Gloria si rizzò a sedere sul letto. "E' strano, ma sono così certa che quei baci non hanno lasciato nessuna traccia su di me nessuna sfumatura di promiscuità, voglio dire, anche se una volta un tale mi ha detto, in piena serietà, che non poteva tollerare il pensiero che fossi stata un bicchiere pubblico." "Un bel coraggio." "Mi sono messa a ridere e gli ho detto di pensare piuttosto a me come a una coppa d'amore, che passa di mano ma ha lo stesso un suo valore." "Non mi dà noia... però mi seccherebbe molto se tu avessi fatto qualcosa di più che baciarli. TU invece, credo che sei assolutamente incapace di gelosia, se non come vanità offesa. Perché non t'importa di quello che ho fatto? Non saresti più contenta se fossi stato completamente innocente?" "Dipende dall'impressione prodotta su di te. I MIEI baci li ho dati perché chi mi stava insieme era un bel ragazzo o perché c'era una luna tenera o anche perché mi sentivo vagamente sentimentale e un po' turbata. Ma nient'altro: non ha assolutamente avuto altro effetto su di me. Invece tu ricorderesti e ti lasceresti perseguitare e preoccupare dai ricordi." "Non hai mai baciato nessuno come baci me?" "No" rispose lei con semplicità. "Come ti ho detto gli uomini hanno cercato... oh, una quantità di cose. Qualsiasi ragazza graziosa ha fatto questa esperienza... Capisci" riprese. "non m'importa con quante donne sei stato in passato, se si è trattato soltanto di una soddisfazione fisica, ma non credo che potrei sopportare l'idea che tu abbia vissuto a lungo con un'altra donna o anche che tu abbia desiderato sposare qualche ragazza. E' un po' diverso. Ci sarebbero da ricordare tutte le piccole intimità... e questo smorzerebbe la freschezza che dopotutto è la parte più preziosa dell'amore." Con aria rapita, Anthony la trasse a sé sul cuscino. "Oh, tesoro mio" mormorò, "come se potessi ricordare qualcosa, oltre i tuoi baci." Poi Gloria, con voce molto tenera: "Anthony, ho sentito qualcuno dire che ha sete?" Anthony rise bruscamente e con un sorriso imbarazzato e divertito uscì dal letto. "Con appena un pezzettino PICCOLO di ghiaccio nell'acqua" soggiunse. "Credi che potrei averlo?" Gloria usava l'aggettivo "piccolo" tutte le volte che chiedeva un favore: faceva parere il favore meno importante. Ma Anthony tornò a ridere: che volesse un pezzetto di ghiaccio o un intero blocco, toccava a lui scendere in cucina... La voce lo inseguì in corridoio: "E un PICCOLO biscottino con un POCHINO di marmellata sopra...". "Oh, Signore!" sospirò Anthony estasiato. "E' fantastica, quella ragazza! E' formidabile!" "Quando avremo un bambino" incominciò Gloria un giorno - questo, era già stato deciso, sarebbe avvenuto fra tre anni - "voglio che assomigli a te." "Tranne le gambe" insinuò Anthony con aria furba. "Oh, sì, tranne le gambe. Ma tutto il resto dev'essere come te." "Il mio naso?" Gloria esitò. "Be', forse il naso mio. Ma certo i tuoi occhi... E la mia bocca, e penso la forma della mia faccia. Chissà, sarebbe carino se avesse i miei capelli." "Cara Gloria, ti sei appropriata l'intero bambino." "Be', non avevo intenzione di farlo" si scusò lei allegramente. "Lascia che almeno abbia il mio collo" pregò Anthony guardandosi gravemente nello specchio. "Hai detto spesso che ti piace il mio collo perché non si vede il pomo d'Adamo. E poi il tuo collo è troppo corto." "Come, non è vero!" esclamò lei indignata. "E' giusto. Credo di non aver mai visto un collo più bello." "E' troppo corto" riprese lui canzonandola. "Corto?" Il tono di Gloria esprimeva una meraviglia esasperata. "Corto? Sei matto." Lo allungò e lo contrasse per convincere se stessa che era sinuoso come un rettile. "Lo chiami un collo corto, questo?" "Uno dei più corti che abbia mai visto." Per la prima volta da settimane negli occhi di Gloria spuntarono le lacrime e lo sguardo che ella gli lanciò era veramente addolorato. "Oh, Anthony..." "Santo Dio, Gloria!" Anthony le si accostò sperduto e le strinse i gomiti fra le mani. "Non piangere, ti prego. Non hai capito che stavo scherzando? Gloria guardami! Ma cara, hai il collo più lungo che abbia mai visto. Davvero." Le lacrime si sciolsero in un sorriso contorto. "Be'... allora non dovevi dire a quel modo. Parliamo del bambino." Anthony si mise a passeggiare nella stanza e parlò come se facesse le prove per un dibattito. "A dirla in breve vi sono due bambini che vorremmo avere, due bambini distinti e logici, estremamente diversi. C'è il bambino che è la combinazione del meglio che è in noi. Il tuo corpo, i miei occhi, la mia mente, la tua intelligenza; e poi c'è il bambino che è il peggio: il mio corpo, il tuo carattere e la mia irresolutezza." "A me piace il secondo" disse Gloria. "Quello che mi piacerebbe davvero" continuò Anthony, "sarebbe che tu avessi due parti trigemini a un anno di distanza l'uno dall'altro, e poi provare coi sei bambini..." "Povera me!" interruppe Gloria. "...Li farei studiare in sei paesi diversi e con sistemi diversi, e quando avessero ventitré anni li riunirei tutti insieme per vedere come son diventati." "Speriamo che abbiano tutti il mio collo" propose Gloria. La fine di un capitale. Finalmente la macchina fu riparata e con premeditata vendetta riprese da dov'era rimasta ad essere la causa di dissensi infiniti. Chi doveva guidare? A che velocità doveva andare Gloria? Queste due domande e le relative eterne recriminazioni continuarono per giorni e giorni. Andarono in macchina nelle città della Post Road - Rye, Portchester e Greenwich - e andarono a trovare una decina di amiche quasi tutte di Gloria, a quanto pareva in tutti i vari stadi di gravidanza, che sotto questo aspetto, oltre che sotto molti altri, l'annoiarono al punto da provocarle una crisi nervosa. Per un'ora dopo ogni visita Gloria si mordeva furiosamente le dita e tendeva a riversare il suo rancore su Anthony. "Detesto le donne" esclamò una volta con collera contenuta. "Che cosa al mondo si può dire a una donna, se non si parla 'da signora?' Ho finto entusiasmo per decine di bambini che avrei voluto per lo meno strozzare. E tutte quelle ragazze sono o prematuramente gelose e sospettose del marito se ha un po di fascino, o annoiate di lui se non ne ha." "Hai intenzione di non frequentare mai donne?" "Non lo so. Non ne trovo mai di pulite... mai... mai. Tranne alcune. Constance Shaw - sai, quella signora Merriam che è venuta a trovarci martedì scorso - è quasi l'unica. E' così alta e ha quell'aria fresca e maestosa." "A me non piacciano tanto alte." Sebbene si recassero a parecchie cene danzanti in vari circoli di campagna, decisero che l'autunno era troppo avanzato per poter "andare in società", anche se ne avessero avuto voglia. Anthony detestava il golf; a Gloria piaceva senza entusiasmo e pur divertendosi alla corte violenta fattale una sera da alcuni studenti, e lieta che Anthony fosse orgoglioso della sua bellezza, si accorse che la loro ospite di quella sera, una certa signora Granby, era vagamente inquieta per il fatto che un compagno di scuola di Anthony, Alec Granby, si era unito con entusiasmo alla manifestazione. I Granby non telefonarono mai più e, pur prendendola in ridere, Gloria ne fu seccata non poco. "Capisci" spiegò ad Anthony, "se non fossi sposata, non importerebbe: ma ai suoi tempi è andata al cinema e crede che io sia una vamp. Il fatto è che per calmare quella gente occorre uno sforzo che io semplicemente non ho voglia di fare... e quei bei matricolini che mi facevano gli occhi dolci e mi prodigavano i loro complimenti idioti! Ormai sono cresciuta, Anthony." Marietta in sé offriva poca vita di società. Intorno a essa si stendeva un ettagono di una mezza dozzina di fattorie, ma queste appartenevano a uomini antichi che si mostravano soltanto come masse inerti, chiazzate di grigio, nei sedili posteriori delle limousines dirette alla stazione, dove a volte erano accompagnati da mogli altrettanto antiche e doppiamente massicce. La gente del villaggio era particolarmente poco interessante - per lo più erano donne da sposare - coi suoi orizzonti da feste scolastiche e anime scialbe come la ripugnante architettura bianca delle tre chiese. Il solo indigeno con cui vennero in stretto contatto era la ragazza svedese dai fianchi lunghi e dalle larghe spalle che veniva ogni giorno a lavorare da loro. Era silenziosa e capace, e Gloria, dopo averla sorpresa che piangeva violentemente tra le braccia piegate sul tavolo da cucina, cominciò ad avere una strana paura di lei e smise di lamentarsi per il cibo. A causa del suo dolore taciuto e intimo, la ragazza rimase in casa. La tendenza di Gloria alle previsioni e le sue vaghe esplosioni di un vago sovrannaturalismo furono una sorpresa per Anthony. Qualche complesso, inibito debitamente e scientificamente negli anni dell'infanzia passati con la madre bilfista, o un'ipersensibilità ereditaria, la rendevano suscettibile a qualsiasi riferimento alla psiche e, lungi dall'essere credula di fronte ai gesti della gente, era incline a dar credito a qualsiasi avvenimento straordinario attribuito al capriccioso aggirarsi dei defunti. Gli scricchiolii disperati della vecchia casa nelle notti di vento, che per Anthony erano delinquenti con le rivoltelle spianate in mano, rappresentavano per Gloria le aure, malefiche e inflessibili, di generazioni morte, che espiavano l'inespiabile sulla terra antica e romantica. Una notte a causa di due schiocchi fulminei a pianterreno, che indussero Anthony a un'esplorazione spaventata ma inutile, rimasero svegli fin quasi all'alba rivolgendosi l'un l'altra domande da esame scritto sulla storia del mondo. In ottobre Muriel venne a trovarli per una visita di quindici giorni. Gloria le aveva telefonato per intercomunale e la signorina Kane aveva concluso la conversazione con un caratteristico "Vabbbene. Arriverò con la banda!". Arrivò con una decina di canzoni popolari sotto il braccio. "Dovreste tenere un fonografo, qui in campagna" disse. "Anche soltanto un piccolo Vic... non costano molto. Così ogni volta che vi sentite soli potete ascoltare Caruso o Al Jolson in casa vostra." Muriel preoccupò Anthony fino alla follia dicendogli che "era il primo uomo intelligente che avesse mai conosciuto, ed era così stanca della gente superficiale". Anthony si meravigliò che qualcuno potesse innamorarsi di donne simili. Tuttavia pensò che, considerandola spassionatamente, anche lei potesse offrire tenerezza e promesse. Ma Gloria, ostentando con violenza il suo amore per Anthony, precipitò in uno stato di soddisfazione ronronante. Finalmente arrivò Richard Caramel a passare una fine di settimana chiacchierona e, per Gloria, penosamente letteraria, nel corso della quale egli discusse di sé con Anthony per molto tempo dopo che lei giaceva nel sonno come una bimba, su al primo piano. "E stato molto divertente questo successo e tutto" disse Dick. "Prima che uscisse il romanzo, avevo cercato inutilmente di vendere qualche racconto. Poi, dopo che è uscito il libro, ne ho ripuliti tre e sono stati accettati da una delle riviste che prima li aveva respinti. Da allora ne ho scritti un mucchio; gli editori non mi pagheranno per il libro, fino all'inverno prossimo." "Attento che il vincitore non diventi un vinto." "Vuoi dire che non scriva robaccia?" Dick rifletté. "Se vuoi dire iniettarla volutamente di effetti volgari, non lo faccio. Ma credo di non essere più così attento. Certo scrivo più in fretta e non penso più come una volta. Forse è perché non chiacchiero più, ora che tu sei sposato e Maury è andato a Philadelphia. Non ho più l'antico stimolo e l'antica ambizione. Successo precoce e cosi via." "Non ne sei preoccupato." "Come un matto. C'è una cosa che chiamo la febbre delle frasi, che dev'essere come la febbre della caccia: è una specie di profondo imbarazzo letterario che mi coglie quando cerco di sforzarmi. Ma i giorni proprio tremendi non sono quando credo di non riuscire a scrivere. Sono quando mi chiedo se vale la pena addirittura di scrivere: voglio dire se non sono una specie di lodato buffone." "Mi piace sentirti parlare in questo modo" disse Anthony con una sfumatura dell'antica superiorità insolente. "Temevo che tu fossi diventato un po' stupido per il tuo lavoro. Ho letto l'intervista più pazzesca che hai concesso..." Dick lo interruppe con espressione angosciata. "Santo cielo! Non me ne parlare. L'ha scritta una signora... Una signora piena di ammirazione. Continuava a dirmi che il mio libro era 'forte' e ho un po' perso la testa e ho fatto un mucchio di dichiarazioni strane. Qualcuna era buona, però, non credi?" "Oh, sì; quella parte sullo scrittore saggio che scrive per la giovinezza della sua generazione, i critici della prossima, e i maestri di scuola di quelle future." "Oh, ne sono convinto" ammise Richard Caramel con un lieve sorriso. "E' stato soltanto un errore parlarne." A novembre traslocarono nell'alloggio di Anthony, dal quale salparono trionfanti per le partite Yale-Harvard e HarvardPrinceton, per la pista di pattinaggio su ghiaccio di Saint Nicholas, per un giro di teatri e una miscellanea di divertimenti: dai piccoli balli dignitosi alle grandi cose amate da Gloria, offerte nelle rare case in cui lacchè dalle parrucche incipriate si aggiravano in lussuosa anglomania sotto la direzione di maggiordomi giganteschi. Avevano intenzione di andare all'estero ai primi dell'anno, o comunque non appena fosse finita ìa guerra. Anthony aveva terminato un saggio chestertoniano sul dodicesimo secolo che doveva servire da introduzione al libro in programma, e Gloria aveva svolto una vasta opera di ricerca sulla questione delle pellicce di zibellino russo: infatti l'inverno si stava avvicinando molto placido, quando il demiurgo bilfista decise improvvisamente, a metà dicembre, che l'anima della signora Gilbert aveva agito abbastanza in quella sua attuale incarnazione. Di conseguenza, Anthony condusse una Gloria infelice e isterica a Kansas City dove, secondo il costume del genere umano, essi tributarono la terribile e allucinante deferenza dovuta ai morti. Il signor Gilbert divenne, per la prima e l'ultima volta in vita sua, una figura veramente patetica. Quella donna che egli aveva infranta costringendola a servire il suo corpo e a fare da Congregazione alla sua mente, l'aveva ironicamente lasciato: proprio quando non avrebbe più potuto mantenerla. Non sarebbe mai più riuscito a seccare e violentare un'anima umana in modo così soddisfacente. 2. SIMPOSIO. Gloria aveva cullato nel sonno la mente di Anthony. Lei, che sembrava la più saggia e la più intelligente delle donne, calò come una bella tenda sulla sua porta impedendo l'accesso alla luce del sole. In quei primi anni ciò che Anthony credeva portava invariabilmente l'impronta di Gloria; egli vedeva sempre il sole attraverso il disegno della tenda. Fu una specie di stanchezza che li riportò a Marietta l'estate successiva. Per tutta quella primavera dorata, snervante, avevano bighellonato capricciosi e pigramente sciuponi lungo la costa della California raggiungendo a volte altri amici in viaggio e passando da Pasadena a Coronado, da Coronado a Santa Barbara, senza scopo visibile oltre al desiderio di Gloria di ballare al suono di un'altra musica e di cogliere una variante infinitesimale tra i colori mutevoli di mare. Dal Pacifico sorsero ad accoglierli selvagge terre rocciose e alberghi parimenti barbarici nei quali all'ora del tè si poteva sonnecchiare in un bazar di vimini illustrato dai costumi da polo di Southampton e Lake Forest e Newport e Palm Beach. E poiché le onde si incontravano e ciangottavano e scintillavano nella baia più placida fra tutte le baie, si unirono a questo gruppo e a quello e con loro passarono da un posto all'altro continuando a mormorare sulle strane allegrie inutili pronte ad attenderli al di là della prossima valle verde e feconda. Era una classe sociale semplicemente ricca: gli uomini, i migliori fra i simpaticamente non laureati, parevano su una perpetua lista di candidati per qualche eterno "Porcellian" o "Skull and Bones" prolungati indefinitamente nel mondo; le donne, di bellezza più che media, fragili pur essendo atletiche, un po' sciocche come padrone di casa, ma incantevoli e infinitamente decorative come ospiti. Ballavano con calma e con grazia nelle profumate ore del tè i passi voluti, compiendo con una certa dignità i movimenti così orribilmente ridicolizzati dalle commesse e dalle ballerine in tutto il paese. Pareva ironico che in questo solitario e screditato rampollo delle arti gli americani dovessero eccellere, fuori di questione. Dopo aver ballato e guazzato per tutta la lussuriosa primavera, Anthony e Gloria si accorsero che avevano speso troppo e quindi dovevano ritirarsi per un certo periodo. C'era il "lavoro di Anthony", dissero. Quasi senza accorgersene, si ritrovarono nella casa grigia, più consapevoli, ora, che altri amanti vi avevano dormito, altri nomi erano stati chiamati dalle ringhiere, altre coppie s'eran sedute sui gradini della veranda a guardare i campi grigioverdi e la massa nera dei boschi sullo sfondo. Era lo stesso Anthony, più inquieto, con la tendenza ad animarsi soltanto sotto lo stimolo di alcuni whiskies e soda, lievemente, quasi impercettibilmente apatico verso Gloria. Ma Gloria... avrebbe avuto ventiquattro anni in agosto, e questo la gettava in un panico seducente ma sincero. Soltanto sei anni per arrivare a trenta! Se fosse stata meno innamorata di Anthony, il suo senso della fuga del tempo si sarebbe espresso in un ridestato interesse per altri uomini, in una precisa intenzione di strappare un passeggero raggio di romanticismo da qualsiasi amante potenziale che la guardasse a occhi bassi a una luccicante tavola serale. Un giorno disse ad Anthony: "Quello che penso è che, se volessi qualcosa, me la prenderei. Ho sempre pensato così, da quando sono al mondo. Ma il fatto è che voglio te, e così non ho posto per altri desideri." Erano diretti verso est, in un Indiana riarso e immoto, e Gloria aveva alzato gli occhi da uno dei suoi diletti giornali cinematografici per accorgersi che una conversazione casuale era diventata d'improvviso seria. Anthony aggrottò la fronte guardando dal finestrino. Mentre la vettura attraversava una strada di campagna, per un attimo apparve un contadino seduto sul suo carro; masticava un filo di paglia e pareva lo stesso contadino già da loro oltrepassato una diecina di volte, seduto lì in un simbolismo silenzioso e malevolo. Quando Anthony si voltò verso Gloria, la fronte era ancora più aggrottata "Sono preoccupato di te" disse; "riesco a immaginare di volere un'altra donna, in certe situazioni passeggere, ma non riesco a immaginare di prenderla." "Ma per me non è cosi, Anthony. Non posso avere la seccatura di rinunciare alle cose che voglio. Per me non è che li desideri... che desideri qualcosa fuori di te." "Però a pensare che se ti venisse il capriccio di qualcuno..." "Oh, non fare l'idiota!" esclamò Gloria. "Non potrebbe esserci nulla di casuale. E non riesco a immaginarne la possibilità." Questo chiuse solennemente la conversazione. L'ammirazione immancabile di Anthony la rendeva più felice in sua compagnia che in compagnia di chiunque altro. Gloria era decisamente contenta, con lui: lo amava. Così l'estate incominciò molto simile a quella precedente. Tuttavia vi fu nel ménage un mutamento radicale. La scandinava dal cuore di ghiaccio, la cui cucina austera e il cui servizio di tavola sardonico avevano tanto scoraggiato Gloria, fu sostituita da un giapponese straordinariamente capace che si chiamava Tanalahaka, ma dichiarò di rispondere a qualsiasi richiamo che includesse il bisillabo "Tana". Tana era eccezionalmente piccolo, perfino per un giapponese, e mostrava una persuasione vagamente ingenua di essere un uomo di società. Il giorno del suo arrivo da "R. Gugimoniki, fidata agenzia di collocamento giapponese", chiamò Anthony nella sua stanza per mostrargli i tesori del suo baule. Questi erano costituiti tra l'altro da una grande raccolta di cartoline giapponesi che Tana volle spiegare immediatamente al padrone, una per una e diffusamente. Una decina di esse avevano intenzioni pornografiche ed erano chiaramente di origine americana, anche se i creatori avevano modestamente omesso il loro nome e indirizzo. Poi tirò fuori alcuni dei suoi manufatti un paio di calzoni americani, che egli si era fatti da sé, e due paia di robuste mutande di seta. In confidenza informò Anthony dello scopo cui erano riservate queste ultime. L'esemplare successivo era una copia discreta di un'acquaforte di Abraham Lincoln alla cui faccia egli aveva dato una caratteristica inconfondibilmente giapponese. Per ultimo veniva un flauto; l'aveva fatto da sé, ma era rotto; l'avrebbe aggiustato presto. Dopo questi convenevoli cortesi, che Anthony immaginò originari del Giappone, Tana pronunciò in un inglese smozzicato una lunga concione sui rapporti fra padroni e servitori, dalla quale Anthony dedusse che egli doveva aver lavorato in grandi tenute ma sempre litigando con gli altri domestici perché non erano onesti. Passarono molto tempo sulla parola onesto, e anzi s'irritarono l'uno con l'altro perché Anthony continuava a insistere che Tana cercasse di dire calabrone e giunse al punto di imitare il ronzio di un'ape sbattendo le braccia per far pensare alle ali. Dopo tre quarti d'ora Anthony venne lasciato libero con la calda promessa che avrebbero fatto presto qualchesimpatica chiacchierata durante la quale Tana gli avrebbe raccontato "come facciamo noi nel mio paese". Tale fu la loquace première di Tana nella casa grigia e mantenne la promessa. Pur essendo coscienzioso e rispettoso, era fuori di questione un seccatore tremendo. Pareva incapace di dominare la lingua; e a volte passava da un paragrafo all'altro con un'aria simile al dolore negli occhietti bruni. Nei pomeriggi della domenica e del lunedì leggeva le pagine a fumetti dei giornali. Lo divertiva enormemente una storia che aveva per protagonista un allegro maggiordomo giapponese, sebbene sostenesse che il protagonista, che a Anthony sembrava palesemente orientale, in realtà aveva una faccia americana. La difficoltà circa i fumetti era rappresentata dal fatto che, dopo aver letto con l'aiuto di Anthony le ultime tre vignette e averne assimilato il contenuto con una concentrazione adatta a capire la "Critica" di Kant, aveva completamente dimenticato di che cosa trattavano le vignette della prima riga. A metà di giugno Anthony e Gloria celebrarono il loro primo anniversario dandosi un appuntamento. Anthony bussò alla porta e Gloria corse ad aprire. Poi sedettero insieme sul divano chiamandosi coi nomi che avevano inventato l'uno per l'altra, nuove espressioni di tenerezze vecchie di secoli. Tuttavia a questo appuntamento seguì una notte non-meno piena, con le sue estasi di rimpianti. Prima della fine di giugno l'orrore adocchiò Gloria, la colpì e ne atterrì la bella anima rigettandola indietro di mezza generazione. Poi lentamente sbiadì, ritornò nel buio impenetrabile da cui era giunto: prendendosi spietato la sua parte di giovinezza. Con senso infallibile di drammaticità, esso scelse una piccola stazione ferroviaria, in un villaggio desolato nei pressi di Portchester. La banchina della stazione restava tutto il giorno nuda come una prateria, esposta al sole giallo e polveroso e agli sguardi di quel tipo antipatico di campagnolo che vive nei pressi delle metropoli e ne ha assimilato l'intelligenza a buon mercato senza assimilarne l'educazione. Una decina di questi zotici, dagli occhi rossi, melanconici come spaventapasseri assistettero al fatto. Questo passò vagamente nelle loro menti confuse e ottuse, accolto al massimo come uno scherzo grossolano e al peggio come una vergogna. Intanto lì, sulla banchina, una porzione di luminosità scompariva dal mondo. Anthony aveva passato tutto quel caldo pomeriggio estivo con Eric Merriam su una bottiglia di Scotch, mentre Gloria e Constance Merriam nuotavano e prendevano il sole al Beach Club, Constance sotto un ombrellone a strisce, Gloria distesa sensualmente sulla tenera sabbia calda ad abbronzare le solite gambe. Più tardi avevano scherzato tutti e quattro con tramezzini leggeri come piume; poi Gloria si era alzata, aveva toccato il ginocchio di Anthony col parasole per attirare la sua attenzione. "Dobbiamo andare, caro." "Adesso?" Anthony la guardò di malavoglia. In quel momento nulla gli sembrava più importante che restare in ozio su quella veranda ombrosa a bere whisky stagionato mentre il padron di casa narrava ricordi interminabili sullo sfondo di qualche campagna politica dimenticata. "Dobbiamo proprio andare" ripeté Gloria. "Possiamo prendere un taxi per andare alla stazione... Su, Anthony!" comandò un po' più energicamente. "Via, sta' a sentire..." Merriam, vedendo il suo racconto troncato, sollevò obiezioni convenzionali e intanto riempì provocante il bicchiere dell'ospite con un whisky e soda che avrebbe dovuto esser bevuto in dieci minuti. Ma al "BISOGNA andare!" seccato di Gloria, Anthony lo bevve d'un fiato, si alzò e fece un inchino cerimonioso alla padrona di casa. "Risulta che 'bisogna' andare" disse con malagrazia. Un attimo dopo seguiva Gloria su un sentiero che si svolgeva tra cespugli alti di rose mentre il parasole di lei sfiorava con garbo le foglie in fiore di giugno. Che sventata, pensò Anthony mentre giungevano sulla strada. Pensò con ingenuità offesa che Gloria non avrebbe dovuto interrompere un divertimento così innocente e innocuo. Il whisky aveva calmato e chiarito le cose irrequiete che aveva in mente. Ricordò che Gloria aveva già assunto quell'atteggiamento parecchie altre volte. Avrebbe dunque dovuto sempre sentirsi strappare a momenti piacevoli da un tocco del suo parasole o da un battito delle sue ciglia? La sua malavoglia si offuscò in cattiva volontà, che sgorgò in lui come una bolla irresistibile. Rimase zitto inibendosi perversamente il desiderio di rimproverarla. Trovarono un taxi davanti alla locanda; giunsero in silenzio alla piccola stazione... Poi Anthony capì che cosa voleva: voleva affermare la sua volontà contro quella ragazza fredda e dura, per raggiungere in uno sforzo meraviglioso un dominio che gli pareva enormemente desiderabile. "Andiamo a trovare i Barnes?" disse senza guardarla. "Non ho voglia di andare a casa." La signora Barnes, nata Rachael Jerryl, aveva una villa estiva a parecchi chilometri da Redgate. "Ci siamo andati l'altro ieri" rispose Gloria concisamente. "Sono sicuro che sarebbero contenti di rivederci." Capì che questo argomento non era sufficiente, si impuntò ostinato e soggiunse "Voglio andare a trovare i Barnes. Non ho nessuna voglia di andare a casa". "Be', io non ho nessuna voglia di andare dai Barnes." Improvvisamente si fissarono negli occhi. "Ma Anthony" disse lei seccata, "è domenica sera e probabilmente hanno qualcuno a cena. Perché vuoi che andiamo a quest'ora..." "Allora perché non potevamo restare dai Merriam?" esplose Anthony. "Perché andare a casa quando stavamo così bene? Ci hanno invitati a cena." "Sono stati costretti a farlo. Dammi i soldi che vado a prendere i biglietti." "Non ci penso neanche! Non sono in vena per un viaggio in quel treno maledettamente caldo." Gloria batté il piede sulla banchina. "Anthony, ti comporti come se fossi ubriaco!" "Al contrario, sono del tutto sobrio." Ma la voce era diventata lievemente rauca e Gloria seppe con certezza che questo non era vero. "Se non sei ubriaco dammi i soldi per i biglietti." Ma era troppo tardi per parlare con lui in questo modo. Nella sua mente c'era solo un'idea che Gloria era egoista, che era sempre stata egoista e che avrebbe continuato ad esserlo se egli non si fosse affermato seduta stante come suo padrone. Questa era l'occasione di tutte le occasioni, poiché per un capriccio lo aveva privato di un piacere. La sua ostinazione si rafforzò, giunse per un attimo a un'avversione ottusa e torva. "Non andrò su quel treno" disse con la voce vagamente tremante di collera. "Andiamo dai Barnes." "Io non ci vengo" esclamò Gloria. "Se vuoi andare tu, io vado a casa da sola. "Fai pure." Senza una parola Gloria si diresse verso la biglietteria; nello stesso momento Anthony ricordò che aveva con sé un po' di denaro e che questo non era il tipo di vittoria desiderato, quella che doveva avere. Fece un passo dietro di lei e la prese per il braccio. "Sta' a sentire" mormorò. "Tu non andrai da sola." "Ma certo che ci vado... Su Anthony!" Questa esclamazione mentre tentava di strapparsi da lui ed egli non faceva che stringerla più forte. Anthony la guardò con occhi stretti e maliziosi. "Lasciami andare!" il suo grido aveva un che di feroce. "Se hai un po' di dignità, lasciami andare." "Perché?" Anthony sapeva perché. Ma provava un orgoglio confuso e non ben sicuro a tenerla lì stretta. "Vado a casa, hai capito? e tu devi lasciarmi andare." "No, non ti lascio." Ora gli occhi di Gloria bruciavano. "Hai intenzione di fare una scena qui?" "Dico che non andrai! Sono stanco del tuo eterno egoismo." "Voglio soltanto andare a casa." Due lacrime di collera le spuntarono negli occhi. "Questa volta farai quello che dico io." Lentamente il corpo di Gloria si irrigidì: il capo le si rovesciò indietro in un gesto di disprezzo infinito. "Ti odio!" Le parole sommesse vennero emanate come veleno tra i denti serrati. "Oh, lasciami andare! Oh, ti odio!" Cercò di liberarsi con uno strattone, ma Anthony si limitò a stringerle l'altro braccio. "Ti odio! Ti odio!" Al furore di Gloria ritornò in lui l'incertezza, ma egli capì che oramai si era spinto troppo avanti per poter cedere. Gli pareva di aver sempre ceduto, e che in cuor suo l'avesse disprezzato per questo. Ah, poteva odiarlo, adesso, ma più tardi l'avrebbe ammirato per la sua autorità. Il treno che si avvicinava lanciò un fischio premonitore che cadde melodrammatico verso di loro tra le azzurre rotaie scintillanti. Gloria si scrollò e si sforzò per liberarsi e parole più vecchie del libro della Genesi le salirono alle labbra. "Oh, bruto!" singhiozzò. "Oh, bruto! Oh, ti odio, oh bruto, oh..." Sulla banchina della stazione altri passeggeri in attesa incominciavano a voltarsi a guardare; il rombo del treno si cominciava a udire, divenne frastuono. Gli sforzi di Gloria raddoppiarono, poi cessarono completamente ed ella rimase lì tremante e con gli occhi ardenti sotto quell'umiliazione impotente, mentre la locomotiva entrava rombando e tonando in stazione. Sommessa, sotto gli sbuffi di vapore e lo stridìo dei freni, giunse la sua voce: "Oh, se ci fosse qui un uomo, non potresti fare questo. Non potresti, vigliacco! Vigliacco. Oh, vigliacco!" Anthony, in silenzio, tremante, la stringeva irrigidito, consapevole che decine di facce stranamente impassibili, ombre di un sogno, lo stavano guardando. Poi i campanelli distillarono scrosci metallici che furono come pene fisiche, gli sbuffi di vapore vennero scaricati in lenta accelerazione contro il cielo e in un momento di rumore e di grigio trambusto fumoso la fila di facce passò, si allontanò, divenne indistinta finché d'improvviso vi fu soltanto il sole che cadeva obliquo verso est sulle rotaie, e un volume di suono che diminuiva in lontananza, come di un treno di latta. Anthony lasciò cadere le braccia. Aveva vinto. Ora se ne avesse avuto voglia avrebbe potuto ridere. La prova era stata data, e la sua volontà era stata sostenuta con violenza. Bisognava che la benignità seguisse la scia della vittoria. "Prenderemo una macchina a nolo per ritornare a Marietta" disse con raffinato riserbo. In tutta risposta Gloria gli afferrò una mano tra le sue e alzandola all'altezza della bocca gli diede un morso profondo nel pollice. Anthony non fece quasi caso al dolore; quando vide uscire il sangue, prese con noncuranza il fazzoletto di tasca e si avvolse la ferita. Anche questo faceva parte del trionfo, probabilmente - era inevitabile che la sconfitta suscitasse una reazione - e come tale era inutile badarci. Gloria singhiozzava, quasi senza lacrime, profondamente e amaramente. "Non ci vengo! Non ci vengo! Non... puoi... costringermi... a venire! Tu... tu hai ucciso l'amore che avevo per te e qualunque rispetto. Ma tutto quello che mi resta morirà prima che mi muova di qui. Oh, se avessi mai pensato che mi avresti messo le mani addosso..." "Verrai con me anche se dovessi trasportarti in braccio" disse Anthony brutalmente. Si voltò, fece cenno a un taxi, disse all'autista di andare a Marietta, l'autista scese e spalancò la portiera. Anthony si mise di fronte alla moglie e disse fra i denti stretti "Vuoi salire o vuoi che ti faccia salire?" Con un grido soffocato di dolore e disperazione infinita, Gloria cedette e salì in macchina. Per tutto il lungo percorso nell'oscurità crescente del tramonto Gloria rimase rannicchiata sul suo lato del sedile, in un silenzio interrotto soltanto da qualche singhiozzo secco e solitario. Anthony guardava fuori del finestrino con la mente che lavorava ottusa sul significato in lenta trasformazione di ciò che era accaduto. Qualcosa non funzionava: quell'ultimo grido di Gloria aveva colpito una corda che lanciava echi postumi e creava una strana inquietudine contraddittoria nel suo cuore. Aveva ragione: tuttavia ora Gloria pareva una cosetta così patetica, infranta e scoraggiata, umiliata molto più di quanto potesse sopportare. Aveva le maniche del vestito strappate; il parasole era perduto, dimenticato sulla banchina della stazione. Era un vestito nuovo, ricordò Anthony, e ne era così orgogliosa quella mattina, quando erano partiti... Incominciò a chiedersi se all'incidente fosse stato presente qualcuno che li conosceva. E insistente gli ritornava alla memoria il grido di lei: "Tutto quello che mi resta morirà..." Questo suscitò in lui un dispiacere confuso e crescente. Si adattava così bene alla Gloria che giaceva in quell'angolo: non più una Gloria orgogliosa né una Gloria che egli avesse mai conosciuta. Si chiese se era mai possibile. Pur non credendo che ella cessasse di amarlo - questo naturalmente era impensabile tuttavia era problematico se Gloria senza la sua arroganza, la sua indipendenza, la sua fiducia e coraggio verginali sarebbe ancora stata la ragazza dello splendore di Anthony, la donna raggiante che era preziosa e incantevole proprio perché era ineffabilmente, trionfalmente se stessa. Era molto ubriaco anche allora, così ubriaco da non rendersi conto della sua ubriachezza. Quando giunsero alla casa grigia Anthony andò in camera sua e, con la mente ancora turbata in cupo sgomento per ciò che aveva fatto, piombò sul letto in profondo sopore. Era l'una passata e il corridoio pareva straordinariamente silenzioso quando Gloria, con gli occhi sbarrati e insonni, lo attraversò e spalancò la porta della stanza di Anthony. Questi era stato troppo stordito per aprire le finestre e l'aria era rancida e greve di whisky. Gloria rimase un momento in piedi accanto al letto, una figurina snella, squisitamente graziosa nel pigiama di seta da ragazzo; poi si gettò con trasporto su di lui, svegliandolo nell'emozione nervosa dell'abbraccio, riversandogli sulla gola lacrime tiepide. "Oh, Anthony!" gridò con ardore. "Oh, caro, tu non sai quello che hai fatto!" Ma la mattina, andando di buon'ora nella stanza di Gloria, Anthony si inginocchiò accanto al letto e pianse come un ragazzino, come se fosse stato il suo cuore a essere infranto. "Ieri sera" disse Gloria gravemente, passandogli le dita fra i capelli, "mi è parso che tutto ciò che amavi in me, ciò che valeva la pena di conoscere, l'orgoglio e l'ardore, fossero scomparsi. Sapevo che ciò che restava in me ti avrebbe sempre amato, ma mai più allo stesso modo." Tuttavia sentiva perfino allora che col tempo avrebbe dimenticato e che la vita colpisce di rado ma logora sempre. Non si parlò mai più dopo quella mattina dell'incidente e la ferita profonda guarì con la mano di Anthony e se trionfo vi fu, fu una forza più oscura della loro a goderlo, a goderne la percezione e la vittoria. Incidente nietzchiano. L'indipendenza di Gloria, come tutte le qualità sincere e profonde, era nata inconsciamente; ma quando la scoperta affascinata di Anthony gliel'aveva fatta notare, assunse quasi le proporzioni di un codice formale. Dalla conversazione di lei si poteva dedurre che tutta la sua energia e la sua vitalità si condensassero nell'affermazione violenta del principio negativo "Non me n'importa un accidente". "Di niente e di nessuno" diceva, "tranne di me stessa e di conseguenza di Anthony. Questa è la regola di tutta la vita, e se anche non lo fosse io non sarei diversa. Nessuno farebbe niente per me se non gli tornasse comodo, e io farei altrettanto poco per gli altri." Era sulla veranda della signora più perbene di Marietta, quando disse questo, e quando finì lanciò uno strano gridolino e precipitò in un lieve svenimento sul pavimento della veranda. La signora la fece rinvenire e la condusse a casa in macchina. Era venuto in mente alla stimata Gloria che forse doveva avere un bambino. Era sdraiata sul lungo divano a pianterreno. Il giorno scivolava tiepido fuori dalla finestra sfiorando le ultime rose sui pilastri della veranda. "La sola cosa che penso sempre è che ti amo" gemette. "Do valore al mio corpo perché tu lo trovi bello. E questo mio corpo questo tuo corpo - deve diventare brutto e deforme? E' semplicemente insopportabile. Oh, Anthony, non ho paura del dolore." Anthony la consolò disperatamente... ma invano. Gloria continuò: "E poi, dopo, mi restano magari i fianchi larghi e divento pallida, e non ho più freschezza e non ho più splendore nei capelli." Anthony passeggiò nella stanza con le mani in tasca, chiedendo: "Sei sicura?" "Non lo so. Ho sempre detestato le ostetriche o come si chiamano. Pensavo che una volta o l'altra avrei avuto un bambino. Ma non adesso." "Be', per l'amor di Dio, non restare lì sdraiata a distruggerti." I singhiozzi rallentarono. Gloria fece calare un silenzio generoso dal crepuscolo che riempiva la stanza. "Accendi le luci" gridò. "Queste giornate sembrano così corte... Giugno aveva... le giornate... più lunghe, quand'ero bambina." Le luci si accesero e fu come se tende azzurre di seta morbidissima fossero state calate dietro le finestre e la porta. Il pallore, l'immobilità di Gloria, privi ora di dolore o di gioia, suscitarono la simpatia di Anthony. "Vuoi che lo abbia?" chiese Gloria indifferente. "Non m'importa. Voglio dire, sono neutrale. Se lo avrai, probabilmente mi farà piacere. Se no... be', va bene lo stesso." "Vorrei che tu ti decidessi in un modo o nell'altro." "Perché non deciderti tu ?" Gloria lo guardò con disprezzo superiore a una risposta. "Avresti l'impressione di essere segnata a dito da tutte le donne del mondo per questa indecenza suprema." "E se lo faccio!" gridò lei stizzita. "Per loro non è un'indecenza. E' la loro scusa per vivere. E' la sola cosa che sono capaci di fare. E' un'indecenza per me." "Sta' a sentire Gloria, prenderò le tue parti qualunque cosa tu faccia; ma per l'amor di Dio, prendila bene." "Oh, non mi SECCARE!" gemette Gloria. Si scambiarono uno sguardo muto privo di un significato particolare, ma molto preoccupato. Poi Anthony prese un libro da uno scaffale e si lasciò cadere in una poltrona. Mezz'ora dopo la voce di lei sorse dal silenzio intenso che invadeva la stanza e incombeva come incenso sull'aria. "Domani vado a trovare Constance Merriam." "Bene. E io vado a Tarrytown a trovare il nonno." "...Capisci" soggiunse, "non è che abbia paura... di questo o di altro. Voglio essere sincera con me stessa, capisci." "Capisco" convenne Anthony. Gli uomini pratici. Adam Patch, in un pio furore contro i tedeschi, viveva di notizie di guerra. Le pareti erano tappezzate di carte geografiche coperte di spilli; sui tavoli a portata di mano erano accumulati atlanti geografici insieme a "Storie fotografiche della guerra mondiale", prontuari ufficiali e "Impressioni personali" di corrispondenti di guerra e dei soldati semplici X, Y e Z. Parecchie volte durante la visita di Anthony, il segretario del nonno, Edward Shuttleworth, già guaritore dell'alcoolismo, diplomato al Pat's Place di Hoboken, ora invaso da virtuosa indignazione, apparve con un'edizione straordinaria. Il vecchio attaccava ogni giornale con furore instancabile, strappando gli articoli che gli parevano abbastanza importanti per venir conservati, e li cacciava in uno dei suoi archivi già ricolmi. "Be', che cosa hai fatto di bello?" chiese a Anthony di sfuggita. "Niente? Be', lo immaginavo. E' tutta l'estate che penso di venire a trovarvi." "Ho scritto. Non ricordi il saggio che ti ho mandato... quello che ho venduto a "The Florentine" l'inverno scorso?" "Saggio? Non mi hai mai mandato un saggio." "Ma sì che te l'ho mandato. Ne abbiamo parlato." Adam Patch scosse il capo lievemente. "Oh, no. Non mi hai mai mandato un saggio. Può darsi che tu abbia pensato di mandarmelo, ma non mi è mai arrivato." "Ma nonno, l'hai letto" insisté Anthony, un po' esasperato. "L'hai letto e non ti è piaciuto." Il vecchio improvvisamente ricordò, ma questo fu rivelato soltanto dal fatto che la bocca gli si aprì in parte mostrando una fila di gengive grigie. Squadrando Anthony con uno sguardo verde e antico, esitò tra l'ammettere il suo errore e il mascherarlo. "Così, scrivi" disse in fretta. "Be', perché non vai laggiù a scrivere su questi tedeschi? A scrivere qualcosa di vero, qualcosa su quello che sta succedendo, qualcosa che la gente possa leggere?" "Non è che chiunque possa fare il corrispondente di guerra" obiettò Anthony. "Bisogna che qualche giornale abbia voglia di comprare gli articoli. E non ho abbastanza denaro per andare per conto mio." "Ti ci mando io" propose il nonno con pensiero del tutto inatteso. "Ti farò andare come corrispondente autorizzato dal giornale che sceglierai da te." Anthony respinse l'idea... quasi contemporaneamente si slanciò verso di essa. "Ma... io... non so..." Avrebbe dovuto lasciare Gloria la cui intera vita era tesa verso di lui e lo avvolgeva. Gloria era nei guai. Oh, non era possibile... eppure... vedeva se stesso in divisa, appoggiato come tutti i corrispondenti di guerra a un bastone massiccio, con la cartella alla spalla, nel tentativo di sembrare un inglese. "Vorrei pensarci sopra" disse. "Certo è molto gentile da parte tua. Ci penserò sopra e ti farò sapere." Il pensarci sopra lo assorbì per tutto il viaggio fino a New York. Aveva avuto uno di quegli improvvisi lampi di luce comuni a tutti gli uomini dominati da una donna forte e diletta, di quelli che mostrano loro un mondo di uomini più duri, più energicamente addestrati e in lotta con le astrazioni del pensiero e la guerra. In quel mondo le braccia di Gloria sarebbero esistite soltanto come l'abbraccio ardente di un'amante casuale, cercata a freddo e presto dimenticata... Questi fantasmi insoliti gli si affollavano attorno quando salì sul treno per Marietta nella Grand Central Station. La vettura era gremita; Anthony si assicurò l'ultimo posto libero e fu soltanto dopo parecchi minuti che diede un'occhiata indifferente all'uomo che gli sedeva accanto. Allora vide una mascella e un naso dal contorno massiccio, un mento pronunciato e piccoli occhi segnati. Subito riconobbe Joseph Bloeckman. Si alzarono tutti e due a metà insieme, un po' imbarazzati, e si scambiarono ciò che si ridusse a una mezza stretta di mano. Poi, quasi a completare la faccenda, fecero entrambi una mezza risatina. "Be'" disse Anthony senza entusiasmo, "è da un pezzo che non vi vedo." Rimpianse subito le parole e si accinse ad aggiungere. "Non sapevo che abitaste da queste parti". Ma Bloeckman lo prevenne chiedendogli con cordialità: "Come sta vostra moglie?" "Benissimo. E voi?" "Magnificamente." Il suo tono sottolineò la portata della parola. Parve ad Anthony che in quell'ultimo anno Bloeckman fosse diventato molto più dignitoso. Aveva perduto quell'aria di bollito: finalmente pareva "fatto". Inoltre non era più troppo agghindato. La spiritosaggine inopportuna ostentata nelle cravatte era stata sostituita da una sobria linea cupa e la mano destra che una volta mostrava due anelli massicci ora era innocente di qualsiasi ornamento e non aveva neppure il luccichio ingenuo della manicure. Questa dignità si rivelava anche nella sua personalità. L'ultima sfumatura di fortunato viaggiatore di commercio era scomparsa in lui, quel voluto desiderio di rendersi simpatico, la cui forma più bassa è costituita dalla storiella sporca nel vagone ferroviario per fumatori. Faceva pensare che, adulato economicamente, fosse diventato altero; maltrattato in società, fosse diventato reticente. Ma qualunque cosa fosse stata a trasformare in peso la sua mole, Anthony non si sentiva più superiore a lui in sua presenza. "Ricordate Caramel, Richard Caramel? Credo che lo abbiate conosciuto una sera." "Ricordo. Stava scrivendo un libro." "Be', l'ha venduto al cinematografo. Poi l'hanno dato a uno sceneggiatore, un certo Jordan, che ci lavorasse sopra. Be', Dick si abbandona a un ufficio di ritagli per la stampa ed è infuriato perché quasi tutti i recensori cinematografici parlano della forza e potenza dell'"Amante diabolico" di William Jordan. Non hanno neanche nominato Dick. Si potrebbe pensare che fosse stato proprio quel Jordan a inventare e sviluppare l'idea." Bloeckman annuì con aria comprensiva. "Quasi tutti i contratti stabiliscono che il nome dello scrittore originale compaia in tutta la pubblicità a pagamento. Scrive ancora, Caramel?" "Oh, sì. Scrive molto. Racconti." "Bene, bene... Prendete spesso questo treno?" "Una volta la settimana, circa. Abitiamo a Marietta." "Ah, sì? Bene, bene! Io abito vicino a Cos Cob. Ho comprato una casa lì da poco. Siamo a una decina di chilometri soltanto." "Bisogna che veniate a trovarci." Anthony fu sorpreso dalla sua stessa cortesia. "Sono certo che Gloria sarebbe felice di vedere un vecchio amico. Chiunque vi dirà dov'è la casa... è la seconda stagione che vi facciamo." "Grazie." Poi come per ricambiare una gentilezza complimentosa "Come sta vostro nonno?". "Bene. Sono andato da lui a colazione oggi." "Un gran personaggio" disse Bloeckman gravemente. "Un bell'esempio di americano." Il trionfo del letargo. Anthony trovò la moglie sprofondata nell'amaca della veranda, occupata voluttuosamente con una spremuta di limone e un tramezzino di pomodoro e intenta a mandare avanti una conversazione apparentemente allegra con Tana, su uno dei complicati temi di Tana. "Nel mio paese" Anthony riconobbe l'introduzione invariabile, "in tutti i tempi... la gente... mangia liso... pelché senza niente. Non possono mangiale quello che non hanno." Se la sua nazionalità non fosse stata così disperatamente vistosa, si sarebbe pensato che avesse assimilato le sue nozioni sulla terra nativa dai libri di testo di geografia delle scuole elementari americane. Quando l'orientale fu annientato e rimandato in cucina, Anthony si rivolse con aria interrogativa a Gloria. "Va tutto bene" dichiarò questa con un largo sorriso. "E sono più sorpresa di te." "Non ci sono dubbi?" "Nessuno! Impossibile." Si rallegrarono felici, di nuovo lieti nella loro rinata irresponsabilità. Poi Anthony le parlò della sua possibilità di andare all'estero e che aveva quasi vergogna di rinunciare. "Che cosa ne pensi? Dimmelo francamente." "Ma Anthony!" I suoi occhi erano sorpresi. "Hai voglia di andare, senza di me?" Il viso di Anthony cadde... eppure egli capì, alla domanda della moglie, che era troppo tardi. Le braccia di lei, dolci e forti, lo cingevano, perché tutte queste scelte erano state fatte in quella stanza del Plaza l'anno prima. Questo era un anacronismo dell'età dei sogni. "Gloria" mentì in un grande slancio di comprensione. "No di certo. Pensavo che tu potessi venire con me come infermiera o altro." Si chiese ottusamente se il nonno avrebbe preso la cosa in questa direzione. Quando Gloria sorrise, Anthony si rese conto di nuovo di quanto fosse bella, ragazza stupenda, di freschezza miracolosa e occhi semplicemente puri. Gloria accolse la proposta con traboccante intensità, reggendola alta come un sole di sua creazione e riscaldandosene ai raggi. Insieme intonò una stupefacente veduta d'insieme di un mare di avventure di guerra. Dopo cena, sopraffatta dall'argomento, sbadigliò. Non aveva voglia di parlare, ma soltanto di leggere "Penrod" sdraiata sul divano, finché a mezzanotte si addormentò. Ma Anthony, dopo averla portata romanticamente su per le scale, rimase sveglio a meditare sul corso della giornata, vagamente adirato con lei, vagamente insoddisfatto. "Che cosa devo fare?" incominciò a colazione. "Siamo qui, sposati da un anno, e non abbiamo fatto altro che andare in giro, senza neanche essere abbastanza ricchi per farlo." "Sì, dovresti proprio fare qualcosa" ammise Gloria in un umore simpatico e loquace. Non era la prima di queste discussioni ma, poiché di solito mettevano Anthony nella parte del protagonista, Gloria aveva preso a evitarle. "Non è che abbia principi morali sul lavoro" continuò Anthony, "ma il nonno potrebbe morire domani e potrebbe vivere dieci anni. Intanto intacchiamo il capitale per vivere e non abbiamo in mano altro che un'automobile da contadini e qualche vestito. Teniamo l'appartamento dove abbiamo abitato tre mesi soltanto e una casetta sperduta chissà dove. Ci annoiamo spesso, eppure non facciamo nessuno sforzo per conoscere qualcuno, tranne la solita gente che va in giro per la California tutta l'estate indossando abiti sportivi e aspettando che muoiano i genitori." "Come sei cambiato!" osservò Gloria. "Una volta mi hai detto che non capivi perché un americano non sapesse stare con garbo in ozio." "Be', accidenti, non ero sposato. E allora la mente lavorava a tutta velocità, mentre ora gira come un ingranaggio senza niente da mordere. Effettivamente credo che se non ti avessi conosciuta avrei fatto qualcosa. Ma tu rendi il lusso così attraente..." "Oh, è tutta colpa mia. . ." "Non volevo dire questo, e lo sai benissimo. Ma sono qui e ho quasi ventisette anni e..." "Oh" lo interruppe lei, seccata. "Mi hai stancata! Parli come se fossi io a impedirti di fare qualcosa." "Stavo soltanto discutendo, Gloria. Non posso discutere..." "Dovresti avere abbastanza energia da risolvere..." "...qualcosa con te senza..." "...i tuoi problemi senza rivolgerti a me. Parli molto di metterti a lavorare. Mi sarebbe molto facile spendere più denaro, ma io non mi lamento. Che tu lavori o no, ti amo." Queste ultime parole erano gentili come neve leggera sulla terra dura. Ma per il momento nessuno dei due stava pensando all'altro: erano entrambi impegnati a lustrare e perfezionare il proprio atteggiamento. "Ho lavorato... un po'." Questo da parte di Anthony fu uno schieramento imprudente di riserve impreparate. Gloria rise incerta tra il piacere e la delusione, era risentita per i suoi sofismi. ma nello stesso tempo ammirava la sua indifferenza. Non lo avrebbe mai accusato di essere un ozioso inconclusivo finché lo fosse sinceramente, pensando che non ci fosse nulla, a valere granché la pena. "Lavoro" lo schernì. "Oh, sei un bel tipo! Cantastorie! Lavoro... Per te significa un gran sistemare di tavole e di luci, un gran far la punta alle matite, e Gloria non cantare e fammi il piacere tienimi lontano quell'accidenti di un Tana, e lascia che ti legga la prima frase, e ne avrò per un pezzo Gloria, non aspettarmi, e un gran consumo di tè e di caffè. E basta. Dopo un'ora sento che la matita smette di scricchiolare e alzo gli occhi. Hai preso un libro, e stai cercando qualcosa. Poi ti metti a leggere. Poi gli sbadigli... poi a letto e un gran saltare di qua e di là perché sei pieno di caffeina e non riesci a dormire. Quindici giorni dopo lo spettacolo ricomincia." Anthony conservò a stento un leggero velo di dignità. "Via, c'è un po' d'esagerazione. Sai benissimo che ho venduto un saggio a 'The Florentine': e ha fatto molta impressione, tenuto conto della circolazione di 'The Florentine.' E per di più, Gloria, tu sai benissimo che sono stato alzato fino alle cinque del mattino per finirlo." Gloria cadde nel silenzio, dandogli corda. E se Anthony non vi si impiccò certo la usò fino in fondo. "Almeno" concluse flebilmente, "ho una gran voglia di fare il corrispondente di guerra." Ma l'aveva anche Gloria. Ne avevano voglia tutt'e due: ne erano ansiosi, se lo affermarono a vicenda. La serata finì su una nota molto sentimentale, la maestà del lusso, la cattiva salute di Adam Patch, amore ad ogni costo. "Anthony!" gridò Gloria dalla ringhiera un pomeriggio della settimana dopo. "C'è qualcuno alla porta." Anthony che si stava dondolando nell'amaca sulla veranda chiazzata di sole a sud si avviò verso l'ingresso della casa. Una macchina straniera grande e impressionante era posata come un insetto immenso e olimpico ai piedi del sentiero. Un uomo vestito di tela di seta morbida, con un berretto intonato, lo salutò. "Salve, Patch. Sono venuto a trovarvi." Era Bloeckman, come sempre un tantino migliorato, di intonazione più fine, di disinvoltura più convincente. "Sono tanto lieto che siate venuto" Anthony alzò la voce verso una finestra coperta di rampicanti: "Gloria! Ci sono visite!". "Sono nella vasca da bagno" gemette Gloria con garbo. Con un sorriso i due uomini riconobbero il trionfo del suo alibi. "Scenderà subito. Venite qui sulla veranda. Volete bere? Gloria è sempre nella vasca da bagno... Un buon terzo della giornata." "Peccato che non viva sullo Stretto." "Non se lo può permettere." Poiché veniva dal nipote di Adam Patch, questo fu accolto da Bloeckman come uno scherzo. Dopo un quarto d'ora colmato da notevoli battute di spirito, Gloria comparve fresca in un giallo inamidato, recando con sé atmosfera e una maggior vitalità. "Voglio diventare un successo sensazionale nel cinema" annunciò. "Mi hanno detto che Mary Pickford guadagna un milione di dollari all'anno." "Potreste farlo, lo sapete" disse Bloeckman. "Credo che verreste molto bene in film." "Mi lasci, Anthony? Se recito soltanto parti per bene?" Mentre la conversazione proseguiva in brevi frasi stereotipate, Anthony pensò che tanto per lui quanto per Bloeckman questa ragazza una volta era stata la personalità più stimolante, più tonificante che avessero mai conosciuto; e ora erano lì a sedere tutti e tre come macchine troppo oliate, senza conflitti, senza paure, senza entusiasmi, figurine incise profondamente, sicure al di là di ogni gioia in un mondo in cui la morte e la guerra, emozioni smorte e nobiltà selvaggia coprivano di un fumo di terrore un continente. Tra poco avrebbe chiamato Tana e avrebbero introdotto nel sogno un veleno lieto e delicato che li avrebbe ricondotti momentaneamente all'animazione piacevole dell'infanzia, quando tutte le facce in una folla suggerivano il pensiero di mediazioni splendide e importanti, che avevano luogo da qualche parte per qualche scopo magnifico e illimitato... La vita non era altro che questo pomeriggio d'estate: un vento lieve che smuoveva il collo di pizzo del vestito di Gloria; la sonnolenza a fuoco lento della veranda... Parevano tutti insopportabilmente impassibili, scevri da qualsiasi romantica imminenza di azione. Perfino la bellezza di Gloria mancava di emozioni selvagge, mancava di vibrazione, mancava di morte... "...Un giorno qualunque della settimana prossima" diceva Bloeckman a Gloria. "Ecco... prendete il biglietto. Non fanno altro che farvi un provino di un centinaio di metri di pellicola e da questo si può capire benissimo." "Facciamo mercoledì?" "Mercoledì va benissimo. Telefonatemi e vi accompagnerò..." Si era alzato, stringeva le mani energicamente... poi la macchina fu una nube di polvere in fondo alla strada. Anthony si voltò verso la moglie sbalordito. "Ma Gloria!" "Non t'importa se faccio il provino, vero Anthony? Soltanto un provino. Devo andare in città comunque, mercoledì." "Ma è una sciocchezza! Non è possibile che tu voglia entrare nel cinema... ronzare tutto il giorno in giro per uno studio con un mucchio di comparse da quattro soldi." "Mary Pickford ronza proprio in giro." "Non tutti sono Mary Pickford." "Be', non capisco perché tu debba opporti al mio tentativo." "Però mi oppongo. Detesto gli attori." "Oh, mi hai seccata. Credi che faccia una vita molto emozionante qui a sonnecchiare su questa maledetta veranda?" "Non te ne importerebbe se tu mi amassi." "Certo che ti amo" disse lei con impazienza, inventando rapidamente una giustificazione per se stessa. "E' proprio perché ti amo che non posso vederti distruggere stando sdraiato in giro a ripetere che devi lavorare. Forse se mi muovo io per un po', ti sentirai stimolato a fare qualche cosa." "E' solo la tua smania di divertimenti, non è altro." "Forse. E' una smania abbastanza naturale, no?" "Be', sta' a sentire. Se tu ti metti a fare il cinema io vado in Europa." "Bene, e allora vai! Non sarò io a fermarti." Per fargli vedere che non lo stava fermando si sciolse in lacrime melanconiche. Insieme schierarono gli eserciti del sentimento: parole, baci, tenerezze, autorimproveri. Non ottennero nulla. Inevitabilmente non ottennero nulla. Alla fine, in un'esplosione di emozione gigantesca tutti e due sedettero a scrivere una lettera. Quella di Anthony era per il nonno; quella di Gloria era per Joseph Bloeckman. Fu un trionfo di letargo. Un giorno del principio di luglio, Anthony di ritorno da un pomeriggio a New York chiamò Gloria. Non ricevendo risposta pensò che dormisse e andò nella dispensa a prendere uno dei piccoli tramezzini sempre pronti per loro. Trovò Tana seduto al tavolo di cucina davanti a un assortimento di cianfrusaglie di ogni genere: scatole di sigari, temperini, matite, coperchi di lattine e qualche pezzetto di carta coperto di figure e diagrammi complicati. "Che cosa diavolo stai facendo?" chiese Anthony curioso. Tana sorrise con cortesia. "Faccio vedele!" esclamò con entusiasmo. "Dico..." "Stai facendo un gabbiotto per il cane?" "Nossignole." Tana sorrise di nuovo. "Faccio macchina da chivele." "Una macchina da scrivere?" "Sì, signole. Penso, oh, penso semple, dentlo letto penso macchina da chivele." "Cosi hai pensato di fartene una, eh?" "Aspettale. Io dile." Anthony masticando il tramezzino si appoggiò comodamente al lavandino. Tana aprì e chiuse la bocca parecchie volte come per provarne la capacità di azione. Poi incominciò in uno slancio: "Io pensato... macchina da chivele... ha molte, oh molte molte molte cose. Oh, molte molte molte molte." "Molti tasti, capisco." "Noo? SI'... tato! Molte molte molte molte lettele. Come A. B. C." "Sì, è vero." "Aspettale. Io dile." Contorse il viso in uno sforzo enorme per esprimersi: "Io pensato... molte palole... stessa fine. Come 'ele'". "Come no. Ce n'è proprio un mucchio." "Così... io fale... macchina da chivele... veloce. Non tante lettele..." "E' una grande idea, Tana. Fa risparmiare tempo. Farai fortuna. Si schiaccia un tasto e viene fuori "ere". Spero che ce la farai." Tana rise sprezzante. "Aspettale. Io dile..." "Dov'è la signora?" "Fuoli. Aspettale, io dile..." Di nuovo contorse il viso per l'azione. "La mia macchina da chivele..." "Dov'è?" "Qui... Io fale." Indicò le cianfrusaglie sul tavolo. "Voglio dire la signora." "Fuoli." Tana lo rassicurò. "Torna alle cinque, dice." "E' giù in paese?" "No. Uscita plima colazione. Andale signol Bloeckman." Anthony sussultò. "E' uscita col signor Bloeckman?" "Tolna alle cinque." Anthony senza una parola uscì dalla cucina, inseguito dagli sconsolati "io dile" di Tana. Così questa era l'idea di Gloria del divertimento, perdio. Serrò i pugni; in un attimo si era montato in uno stato di grande indignazione. Andò alla porta e guardò fuori; non c'erano macchine in vista e l'orologio faceva le cinque meno quattro minuti. Con energia infuriata si slanciò fino alla fine del sentiero... fino alla curva della strada a due chilometri di distanza non si vedevano macchine... tranne... ma era una vecchia macchina di contadini. Poi, senza dignità in un tentativo di dignità, corse a ripararsi in casa, in fretta come ne era corso fuori. Passeggiando su e giù nel soggiorno, incominciò una prova stizzita del discorso che le avrebbe fatto quando sarebbe entrata... "Così questo è l'amore!" avrebbe incominciato... oppure no, somigliava troppo alla frase popolare "Così questa è Parigi!". Doveva essere dignitoso, offeso, addolorato. Comunque... "Così è questo che fai quando io devo andare a trottare tutto il giorno per affari in quella città bollente. Non c'è da stupirsi che non possa scrivere! Non c'è da stupirsi che non possa toglierti gli occhi di dosso!" Ora si stava dilatando, riscaldandosi all'argomento. "Ora ti dico" continuò, "ora ti dico..." Si interruppe cogliendo un suono familiare nelle parole... Poi capì... era l'"io dile" di Tana. Però Anthony non rise e non si trovò neanche assurdo. Per la sua immaginazione esaltata erano già le sei... le sette... le otto, e lei non veniva mai! Bloeckman, trovandola annoiata e infelice l'aveva persuasa ad andare in California con lui... ...Vi fu un gran trambusto davanti alla casa, un festoso "Yoho Anthony" ed egli si alzò tremante, vagamente felice di vederla fluttuare su per il sentiero. Bloeckman la seguiva col berretto in mano. "Tesoro!" gridò lei. "Siamo stati a fare una bellissima passeggiata... per tutto lo Stato di New York." "Devo ritornare a casa" disse Bloeckman quasi subito. "Speravo che foste qui tutti e due quando sono venuto." "Mi dispiace di non esserci stato" rispose Anthony asciutto. Quando se ne fu andato, Anthony esitò. La paura gli era scomparsa dal cuore, tuttavia gli pareva che sarebbe stata moralmente opportuna una certa protesta. Gloria risolse la sua ~incertezza. "Sapevo che non ti sarebbe importato. E' venuto poco prima di colazione e ha detto che doveva andare a Garrison per affari e se non volevo andare con lui. Aveva l'aria di essere così solo, Anthony. E ho guidato la macchina tutto il tempo." Anthony si lasciò cadere distratto su una poltrona, con la mente stanca: stanca di niente, stanca di tutto, del peso del mondo che s'era sempre rifiutato di portare. Era incapace e vagamente impotente qui come lo era sempre stato. Personalità inarticolata, nonostante tutte le parole, pareva aver ereditato soltanto l'ampia tradizione del fallimento umano... questo, e il senso della morte. "Non importa" rispose. Bisogna essere larghi in queste cose, e Gloria che era giovane che era bella, doveva avere privilegi ragionevoli. Tuttavia lo stancava il fatto di non riuscir a capire. Inverno. Si girò sulla schiena e rimase un momento immobile nel grande letto a guardare il sole di febbraio mentre subiva un'ultima trasformazione, attenuata nel passaggio attraverso i vetri impiombati della stanza. Per un certo tempo non riuscì ad avere la sensazione precisa di che cosa la circondasse né degli avvenimenti del giorno prima, né del giorno prima di quello; poi come un pendolo sospeso la memoria incominciò a battere la sua storia emanando a ogni dondolìo un periodo di tempo greve, finché la vita fu restituita. Ora sentiva il respiro inquieto di Anthony al suo fianco; sentiva l'odore del whisky e delle sigarette. Si accorse di non avere un controllo muscolare completo; quando si mosse non fu con un movimento sinuoso che avesse come risultante una tensione distribuita con facilità in tutto il corpo. Fu uno sforzo enorme del sistema nervoso, come se ogni volta si stesse ipnotizzando per compiere un gesto impossibile... Era nel bagno a lavarsi i denti per togliersi di bocca quel sapore insopportabile; poi di nuovo accanto al letto ad ascoltare il rumore della chiave di Bounds nella porta esterna. "Svegliati, Anthony!" disse brusca. Salì sul letto accanto a lui e chiuse gli occhi. L'ultima cosa che ricordava era una conversazione col signore e la signora Lacy. La signora Lacy aveva detto: "Siete sicuri che non volete che vi chiamiamo un taxi?". E Anthony aveva risposto che pensava di fare a piedi la Quinta Avenue. Poi avevano tutti e due tentato imprudentemente di fare un inchino: ed erano precipitati in modo assurdo in un battaglione di bottiglie vuote schierate fuori della porta. Dovevano esserci state una ventina di bottiglie da latte in piedi, a bocca aperta nel buio. Non riusciva a trovare una spiegazione plausibile per quelle bottiglie. Forse erano state attratte dal cantare che si faceva in casa Lacy ed erano venute di corsa al banchetto, meravigliate, per vedere i divertimenti. Be', tanto peggio per loro... Anche se pareva che lei e Anthony non si sarebbero mai più rialzati, tanto rotolavano quegli oggetti perversi... Tuttavia avevano trovato un taxi. "Il tassametro è rotto e la corsa fino a casa vi costerà un dollaro e mezzo" disse l'autista. "Bene" disse Anthony, "sono Packy McFarland e se vieni fuori ti piglio a pugni finché non potrai più star ritto..." A quel punto l'autista si era allontanato senza di loro. Dovevano aver trovato un altro taxi, perché erano nell'appartamento... "Che ora è?" Anthony era ritto a sedere sul letto e la fissava con severa solennità. Era una domanda palesemente retorica. Gloria non riuscì a immaginare perché mai lei dovesse saper l'ora. "Santo cielo, sto male come una bestia" mormorò Anthony senza calore. Si abbandonò e ricadde sui cuscini. "Vieni avanti con la bieca falce!" "Anthony, come siamo arrivati a casa, ieri sera?" "Taxi." "Oh!" Poi dopo una pausa "Mi hai messa tu a letto?". "Non lo so. Credo che tu abbia messo a letto me. Che giorno è?" "Martedì." "Martedì? Lo spero. Se è mercoledì devo presentarmi a prender servizio in quel posto idiota. Dovrei essere lì alle nove o a un'empia ora del genere." "Chiedi a Bounds" suggerì Gloria flebilmente. "Bounds!" chiamò Anthony. Vivace, sobrio, espressione di un mondo che pareva avessero lasciato per sempre negli ultimi due giorni, Bounds percorse a passi brevi il corridoio e comparve nella penombra della porta. "Che giorno è, Bounds?" "Il 22 febbraio, credo, signore." "Voglio dire che giorno della settimana." "Martedì, signore." "Grazie." Dopo un silenzio: "Desiderate la colazione, signore?". "Sì, e, Bounds, prima di portarla vuoi prepararmi una caraffa d'acqua e mettermela qui vicino al letto? Ho sete." "Sì, signore." Bounds si ritirò in corridoio con sobria dignità. "L'anniversario di Lincoln" affermò Anthony senza entusiasmo "o di san Valentino o di chissà chi. Quando abbiamo incominciato questa festa pazzesca?" "Domenica sera." "Dopo le preghiere" disse lui sardonico. "Abbiamo scorrazzato per tutta la città su quei carrozzini e Maury era a cassetta col vetturino, non ricordi? Poi siamo venuti a casa e ha cercato di cuocere un po' di pancetta: è uscito dalla dispensa con qualche resto carbonizzato insistendo che era "fritta proprio al punto giusto"." Risero entrambi spontaneamente, ma un po' a stento, e lì distesi l'uno a fianco dell'altra ripassarono la serie di avvenimenti conclusa in quell'alba scontrosa e caotica. Erano a New York da quasi quattro mesi, perché verso la fine di ottobre la campagna era diventata troppo fredda. Quest'anno avevano rinunciato alla California, un po' per mancanza di fondi, un po' con l'idea di andare in Europa se quella guerra interminabile, che entrava ormai nel suo secondo anno, fosse terminata durante l'inverno. Negli ultimi tempi la loro rendita aveva perso elasticità; non si allungava più a proteggere capricci giocondi e piacevoli sprechi, e Anthony aveva passato parecchie ore perplesse e insoddisfacenti su un taccuino zeppo di cifre, a fare grossi bilanci che lasciavano margini colossali per "divertimenti, viaggi, eccetera" e a cercar di distribuire, sia pure approssimativamente, le loro ultime spese. Ricordava che una volta, andando alle feste coi suoi due migliori amici, lui e Maury avevano invariabilmente pagato più della loro parte. Compravano i biglietti per il teatro o discutevano tra loro per il conto della cena. Andava bene così; Dick, con la sua ingenuità e la sua stupefacente scorta di informazioni su se stesso, era sempre stato un personaggio divertente, quasi fanciullesco: un buffone di corte per la loro munificenza. Ma questo non era più vero. Era Dick, adesso, che aveva sempre il denaro; era Anthony che l'indomani mattina ne parlava con solennità e diceva a Gloria, sprezzante e disgustata, che "un'altra volta dovevano stare più attenti". Nei due anni che seguirono la pubblicazione dell'"Amante diabolico", Dick aveva guadagnato più di venticinquemila dollari, quasi tutti negli ultimi tempi, in cui il compenso per gli scrittori aveva incominciato a crescere senza precedenti come risultato della voracità del cinema per gli intrecci. Dick riceveva settecento dollari per ogni racconto, un emolumento vistoso, a quei tempi, per uno così giovane - non aveva ancora trent'anni - e per tutti quelli che contenevano abbastanza "azioni" (baci, sparatorie e sacrifici) da essere adatti per il cinema riceveva altri mille dollari. I suoi racconti variavano; contenevano tutti una certa vitalità e una specie di tecnica istintiva, ma nessuno raggiungeva la personalità dell'"Amante diabolico", e ve n'erano alcuni che Anthony considerava decisamente mediocri. Questi, spiegava severamente Dick, servivano ad allargare la cerchia dei suoi lettori. Non era forse vero che coloro che avevano ottenuto un vero posto nella storia tra Shakespeare e Mark Twain si erano rivolti alla massa oltre che agli eletti? Sebbene Anthony e Maury non fossero d'accordo, Gloria gli disse di continuare e di guadagnare più denaro che poteva: questo in ogni caso era la sola cosa che contasse... Maury, un po' più grasso, leggermente più flaccido e più compiacente, era andato a lavorare a Philadelphia. Veniva a New York un paio di volte al mese e in queste occasioni percorrevano tutti e quattro insieme i percorsi popolari, dalla cena al teatro e di qui al Frolic o forse, dietro alle insistenze di Gloria perpetuamente curiosa, in qualcuna delle cantine del Greenwich Village, famose per la voga furiosa ma di breve durata del "New Poetry Movement". A gennaio, dopo molti monologhi tenuti alla moglie reticente, Anthony decise di "trovarsi qualcosa da fare", almeno per l'inverno. Voleva compiacere il nonno e anche, fino a un certo punto, vedere se gli piaceva. Scoprì, nel corso di alcune richieste semimondane fatte a titolo di indagine, che i datori di lavoro non provavano interesse per un giovanotto che intendeva soltanto "fare una prova di qualche mese". Come nipote di Adam Patch veniva ricevuto da tutti con grande cortesia, ma il vecchio era diventato ormai un sopravvissuto, la sua fama come "oppressore" prima e poi come benefattore della gente aveva raggiunto il culmine nei vent'anni precedenti al suo ritiro. Anthony trovò perfino parecchi giovani persuasi che Adam Patch fosse morto da parecchi anni. Alla fine Anthony andò dal nonno a chiedergli consiglio, e il nonno gli consigliò di entrare nella carriera borsistica come agente, una proposta noiosa per Anthony, che tuttavia finì per decidersi a seguirla. Il denaro puro manipolato con destrezza aveva un suo fascino in tutte le sue manifestazioni, mentre quasi ogni aspetto dell'industria gli pareva insopportabilmente noioso. Pensò al lavoro giornalistico, ma decise che l'orario non si confaceva a un uomo sposato. E indugiò su fantasticherie piacevoli di sé come direttore di un brillante settimanale di idee, una specie di "Mercure de France" americano, o come traduttore sfavillante di commedie satiriche e di riviste musicali parigine. Ma le vie di accesso a questi gruppi parevano custodite da segreti professionali. Vi si veniva risucchiati dalle vie traverse della letteratura e del palcoscenico. Era tangibilmente impossibile entrare in una rivista se non si era già stati in un'altra Così alla fine Anthony entrò, per mezzo di una lettera del nonno, nel Sanctum Americanum dove sedeva il presidente delle Wilson, Hiemer e Hardy al suo "tavolo sgombro" e ne uscì impiegato. Doveva prendere servizio il 23 febbraio. Quest'orgia di due giorni era stata organizzata in tributo a questa circostanza importante, perché quando Anthony avesse incominciato a lavorare avrebbe dovuto andare a letto presto durante tutta la settimana. Maury Nogle era arrivato da Philadelphia in un viaggio che coinvolgeva la visita a un tale di Wall Street (che, tra parentesi, egli non riuscì a vedere) e Richard Caramel era stato mezzo persuaso e mezzo trascinato ad unirsi a loro. Avevano accettato l'invito a un ricevimento nuziale alcoolico e molto di moda il lunedì pomeriggio e la sera era avvenuto il "dénouement": Gloria, oltrepassando il limite consueto di quattro cocktails bevuti al momento esatto, li aveva guidati in un baccanale giocondo e gioioso quali non ne avevano mai conosciuti, rivelando un'esperienza stupefacente in passi di danza e cantando canzoni che le erano state insegnate, come ebbe a confessare, quando era innocente e diciassettenne, dalla sua cuoca. Le ripeté a richiesta nel corso della serata, con una convivialità così sincera che Anthony, lungi dall'essere seccato, era lieto di quella fresca sorgente di divertimento. La circostanza fu memorabile per altre ragioni: una lunga conversazione tra Maury e un gambero morto, trascinato in giro all'estremità di uno spago, sulla familiarità del gambero con le applicazioni del teorema del binomio e la suddetta corsa in due carrozzini, con le ombre pacate e imponenti della Quinta Avenue a fare da pubblico, che terminò in una fuga labirintica nel buio del Central Park. Alla fine Anthony e Gloria erano andati a trovare due sposi strambi - i Lacy - ed erano precipitati tra le bottiglie del latte vuote. E ora la mattina: a loro di addizionare gli assegni incassati qua e là in circoli, negozi, ristoranti. A loro di dare aria all'alta stanza azzurra per scacciarne il fetore rancido del vino e delle sigarette, di raccogliere i bicchieri rotti e spazzolare le stoffe macchiate delle poltrone e dei sofà; di dare a Bounds i vestiti e gli abiti da mandare in tintoria; infine di condurre i loro corpi mezzo febbricitanti e soffocati e il loro spirito sbiadito e depresso nell'aria fredda di febbraio, in modo che la vita potesse continuare e l'indomani mattina alle nove Wilson, Hiemer e Hardy avessero i servigi di un uomo vigoroso. "Ricordi" gridò Anthony dal bagno "quando Maury si è fermato sull'angolo della Centodecima Strada a fare il vigile, facendo andare avanti e indietro le vetture? Devono aver creduto che fosse un detective privato." A ogni ricordo ridevano entrambi disordinatamente, coi nervi sfibrati che rispondevano con la stessa rumorosa insistenza all'allegria e alla tristezza. Gloria allo specchio si stupì del colorito splendido e della freschezza del viso: pareva che non fosse mai stata così bene, per quanto lo stomaco le facesse male e la testa le dolesse furiosamente. La giornata passò lenta. Anthony, andando in taxi dal suo agente a farsi scontare una cambiale, si accorse che aveva soltanto due dollari in tasca. La corsa li avrebbe inghiottiti tutti, ma gli pareva che in quel pomeriggio non sarebbe riuscito a sopportare la sotterranea. Doveva scendere e andare a piedi quando il tassametro fosse giunto alla sua cifra. Su questo la mente si abbandonò a una delle sue caratteristiche fantasticherie... In questo sogno si accorse che il tassametro andava troppo in fretta; l'autista l'aveva truccato. Giunse con calma alla sua destinazione e poi porse con indifferenza all'autista quanto effettivamente gli doveva. L'autista fece cenno di picchiare, ma, quasi prima che avesse il tempo di alzare le mani Anthony lo aveva abbattuto con un pugno formidabile. E quando si rialzò Anthony fece un rapido scatto e lo mise definitivamente a terra con una ferita alla tempia. ...Ora era il Tribunale. Il giudice gli aveva dato una multa di cinque dollari e lui non aveva denaro. Voleva la Corte accettare il suo assegno? Ah, ma la Corte non lo conosceva. Be', poteva provare la sua identità con una telefonata a casa. ...Così si fece. Sì, era la signora di Anthony Patch al telefono... Ma come poteva sapere che quell'uomo era suo marito? Come faceva a saperlo? Che il poliziotto le chiedesse se ricordava le bottiglie del latte... Si sporse avanti concitato e batté sul vetro. Il taxi era soltanto al ponte di Brooklyn, ma il tassametro segnava già un dollaro e ottanta e Anthony non avrebbe mai rinunciato a dare la mancia del dieci per cento. Più tardi nel pomeriggio ritornò a casa. Anche Gloria era uscitaa fare commissioni - e dormiva arrotolata in un angolo del sofà col suo acquisto stretto forte fra le braccia. Aveva il viso sereno come una bimba e l'oggetto che teneva stretto al seno era una bambola da bambina, un sollievo profondo e infinitamente salutare per il suo cuore turbato e infantile. Destino. Fu con questa festa e in particolare con la parte che vi ebbe Gloria, che si iniziò un deciso cambiamento nel loro modo di vivere. L'atteggiamento magnanimo del "non me n'importa un accidente" quella sera si trasformò; da semplice dottrina di Gloria, divenne sollievo e giustificazione totale per qualunque cosa venisse loro in mente di fare e per qualunque conseguenza da questo derivasse. Non dispiacersi, non sprecare un solo grido di rimpianto, vivere secondo un chiaro codice d'onore reciproco e cercare l'attimo della felicità con il maggior fervore e la maggiore continuità possibile. "A nessuno importa niente di noi, Anthony" disse un giorno Gloria. "Sarebbe ridicolo che andassi in giro fingendo di sentire qualche obbligo verso il mondo; e quanto a preoccuparmi di quello che la gente pensa di me, mi limito a non farlo e basta. Già da ragazzina alla scuola di ballo, venivo criticata dalle madri di tutte le altre ragazzine che non erano popolari come me, e ho sempre considerato la critica una specie di tributo invidioso." Questo era nato da una festa al Boul' Milch' una sera in cui Constance Merriam aveva visto che il suo era il gruppo a quattro più agitato di tutti. Constance Merriam, in qualità di vecchia compagna di scuola, era giunta a prendersi il disturbo di invitarla a colazione l'indomani per informarla di come era stato orribile. "Le ho detto che a me non pareva" disse Gloria a Anthony. "Eric Merriam è una specie di sublimazione di Percy Wolcott, ricordi?; quel tale di Hot Springs di cui ti ho parlato: la sua idea del rispetto per Constance consiste nel lasciarla sola a casa a cucire o a leggere o a badare al bambino ed altri simili divertimenti innocui, quando lui se ne va a una festa che promette di non essere di una noia mortale." "Gliel'hai detto?" "Si capisce. E le ho detto che in realtà la sola cosa su cui lei trovava da ridire era che io mi diverto più di lei." Anthony l'applaudì. Era enormemente orgoglioso di Gloria, orgoglioso che ella non mancasse mai di eclissare qualunque altra donna fosse presente a una festa, orgoglioso che gli uomini si accontentassero sempre di divertirsi con lei in grandi gruppi chiassosi senza fare altro che godere la sua bellezza e il calore della sua vitalità. Queste feste divennero lentamente la loro fonte principale di divertimento. Ancora innamorati, ancora enormemente interessati l'uno all'altra, tuttavia si accorsero all'avvicinarsi della primavera che lo stare a casa alla sera era noioso; i libri erano irreali; l'antica magia dell'esser soli era svanita da un pezzo: preferivano invece andarsi ad annoiare a una commedia musicale stupida o recarsi a cena con i loro conoscenti più insignificanti purché ci fossero abbastanza coppie da impedire che la conversazione diventasse del tutto insopportabile. Tutta una schiera di coppie giovani di loro compagni di scuola o di università, oltre che un assortimento di scapoli, incominciarono a pensare istintivamente a loro ogni volta che c'era bisogno di colore e di agitazione, per cui non passava giorno senza una telefonata, senza il "chissà se siete liberi stasera". Le mogli, di solito, avevano paura di Gloria: la sua facilità nel porsi al centro del palcoscenico, il suo modo innocente e nondimeno conturbante di diventare la favorita dei mariti, tutte queste cose le inducevano d'istinto ad un atteggiamento di profonda sfiducia, aumentata dal fatto che Gloria era profondamente incapace di ricambiare un qualsiasi gesto di intimità rivoltole da una donna. Il mercoledì di febbraio prestabilito, Anthony era andato negli uffici imponenti di Wilson, Hiemer e Hardy; e ascoltò molte istruzioni vaghe impartitegli da un giovanotto energetico che aveva circa la sua età, si chiamava Kahler, aveva un'audace capigliatura gialla e nel presentarsi come vicesegretario dava l'impressione di rivolgere un tributo a un'abilità eccezionale "Ti accorgerai che ci sono due tipi di persone, qui" disse. "C'è quello che riesce a diventare vicesegretario o contabile e a mettere il nome sulla copertina prima dei trent'anni e quello che il nome non lo mette fino ai quarantacinque. Quello che mette il nome a quarantacinque anni resta fermo tutta la vita." "E quello che riesce a metterlo a trenta?" chiese Anthony con garbo. "Be', riesce a salire qui, vedi." Indicò una lista di sottovicepresidenti sulla copertina. "O magari diventa presidente o segretario o amministratore." "E quelli lassù?" "Quelli? Oh, quelli sono gli azionisti... quelli che hanno il capitale." "Capisco." "C'è qualcuno" continuò Kahler "persuaso che il fatto che uno si lanci presto o tardi dipenda dalla laurea. Ma non è vero." "Capisco." "Io l'avevo; ero un Buckleigh, classe novecentoundici, ma quando sono arrivato qui nella Street mi sono accorto presto che non avrei avuto alcun aiuto dalle fantasie che avevo imparato all'università. Anzi, me ne sono dovuto levare di testa un mucchio." Anthony non poté trattenersi dal chiedersi quali "fantasie" egli avesse mai imparato a Buckleigh nel novecentoundici. Per tutto il resto della conversazione continuò a ritornargli l'idea irresistibile che si trattasse di qualche lavoro di cucito. "Vedi quello laggiù?" disse Kahler indicandogli un tale dall'aria giovanile e i bei capelli grigi seduto a uno scrittoio dietro a una ringhiera di mogano. "Quello è il signor Ellinger, il primo vicepresidente. E stato dappertutto, ha visto tutto; ha avuto una bella educazione." Invano Anthony cercò di aprire la mente al romanzo delle finanze: riusciva a pensare al signor Ellinger soltanto come a uno degli acquirenti delle belle serie rilegate in cuoio di Thackeray, Balzac, Hugo e Gibbon allineate sulle pareti delle grandi librerie Durante l'umido e scoraggiante mese di marzo venne preparato alla vendita. Del tutto privo di entusiasmo, poteva considerare il frastuono e il trambusto che lo circondavano unicamente come lo sterile sforzo generale verso una meta incomprensibile, resa tangibile soltanto dalle case rivali del signor Frick e del signor Carnegie sulla Quinta Avenue. Che questi vicepresidenti e azionisti solenni fossero in realtà i padri dei "migliori" da lui conosciuti a Harvard gli pareva assurdo. Mangiava nel ristorante degli impiegati, al piano di sopra, con un vago sospetto di essere raccomandato, chiedendosi in quella prima settimana se le decine di giovani impiegati, alcuni dei quali vivaci e immacolati e appena usciti dall'università, vivessero nella speranza fiammeggiante di assieparsi in quella stretta striscia di cartone prima della catastrofica trentina. La conversazione che si intrecciava nella trama della giornata di lavoro era tutta dello stesso genere. Chi discuteva come il signor Wilson aveva fatto i quattrini, che metodo aveva seguito il signor Hiemer, e a quali mezzi fosse ricorso il signor Hardy. Chi raccontava aneddoti secolari ma eternamente avvincenti sulle fortune su cui erano precipitati a capo fitto nella Street un "macellaio" o un "barista" o un "fattorino del diavolo, perdio"; e poi si parlava delle speculazioni in corso e se era meglio mirare a centomila all'anno o accontentarsi di venti. Nel corso dell'anno precedente uno dei vicesegretari aveva investito tutti i risparmi nell'acciaio Bethlehem. La storia del suo lusso spettacoloso, delle sue dimissioni austere a gennaio e del palazzo trionfale che gli veniva ora costruito in California, era l'argomento preferito dell'ufficio. Il nome stesso di costui aveva acquistato un significato magico, simboleggiando a quel modo le aspirazioni di tutti i buoni americani. Si narravano aneddoti, su di lui: che uno dei vicepresidenti lo aveva consigliato a vendere, perdio, ma lui aveva tenuto duro, aveva perfino comprato in margine "e ora ecco dov'è arrivato!" Era questa, evidentemente, la sostanza della vita: un trionfo confuso che li accecava tutti, sirena nomade che li faceva accontentare di uno stipendio magro e dell'improbabilità aritmetica di un successo finale. Questo fatto divenne pauroso per Anthony. Capiva che per riuscire in quel luogo l'idea del successo doveva afferrargli e limitargli la mente. Gli pareva che l'elemento essenziale in quegli uomini arrivati fosse la loro fede che i loro affari erano il centro stesso della vita. Poiché tutto il resto era identico, la sicurezza di sé e l'opportunismo avevano il meglio sulla preparazione tecnica; era chiaro che il lavoro più abile si faceva sul fondo; quindi, con debita efficienza, i tecnici esperti non ne venivano rimossi. La sua decisione di stare in casa la sera durante la settimana non durò, e per lo più Anthony arrivava in ufficio malaticcio, con un'emicrania lancinante, e l'orrore della folla della sotterranea mattutina che gli risuonava nelle orecchie come un'eco dell'inferno. Poi improvvisamente si dimise. Era rimasto a letto un intero lunedì e la sera tardi, sopraffatto da uno di quegli attacchi di disperazione melanconica ai quali soccombeva periodicamente, scrisse e impostò una lettera al signor Wilson, confessandogli che si trovava inadatto al lavoro. Gloria rientrando dal teatro con Richard Caramel lo trovò sul divano intento a fissare silenziosamente il soffitto alto, più depresso e scoraggiato di quando lo avesse mai visto dal giorno del loro matrimonio. Avrebbe voluto che si lamentasse. Allora lo avrebbe rimproverato aspramente, perché era seccata e non poco, ma egli si limitò a star lì sdraiato in un'infelicità cosi profonda che Gloria si addolorò per lui e inginocchiandoglisi accanto gli accarezzò i capelli, dicendogli che non importava niente, che nulla importava niente, dato che si amavano. Fu come il primo anno, e Anthony reagendo alla mano fresca, alla voce tenera come il respiro sul suo orecchio, divenne quasi allegro e parlò con lei dei piani futuri. In silenzio rimpianse perfino, prima di andare a letto, di avere impostato cosi in fretta le dimissioni. "Anche se tutto sembra andato in malora, non puoi fidarti di una decisione" aveva detto Gloria. "Quello che conta è la somma di tutte le tue decisioni." Alla metà di aprile arrivò una lettera dal mediatore di Marietta che li incoraggiava a riaffittare per un altro anno la casa grigia con un affitto leggermente aumentato, e recava accluso un contratto pronto per la loro firma. Contratto e lettera rimasero per una settimana sulla scrivania di Anthony. Anthony e Gloria non avevano intenzione di ritornare a Marietta. Erano stanchi di quel luogo e l'estate prima si erano annoiati quasi tutto il tempo. Inoltre la macchina si era ridotta a una massa rumorosa di metallo ipocondriaco ed era economicamente sconsigliabile comprarne una nuova. Ma a causa di un'altra festa folle che durò quattro giorni e alla quale parteciparono in momenti successivi più di dieci persone, firmarono il contratto; per supremo orrore lo firmarono e lo spedirono, e immediatamente parve loro di udire la casa grigia ormai malevola che si leccava le fauci bianche in attesa di divorarli. "Anthony, dov'è il contratto?" gridò Gloria molto allarmata una domenica mattina, piena di nausea e desta alla realtà. "Dove l'hai lasciato? Era qui!" Poi capi dov'era. Ricordò il ricevimento che avevano ideato al culmine dell'esuberanza; ricordò una stanza piena di uomini per i quali in momenti meno esaltati lei e Anthony non avevano alcuna importanza, e il vanto di Anthony dei meriti e dell'isolamento supremo della casa grigia, cosi ritirata che vi si poteva fare tutto il chiasso che si voleva. Poi Dick, che era andato a trovarli, gridò entusiasticamente che era la più bella casetta che ci si potesse sognare ed erano idioti a non prenderla per un'altra estate. Era stato facile persuadersi di come la città sarebbe diventata calda e deserta, di com'erano fresche e ambrosiache le grazie di Marietta. Anthony aveva preso il contratto e lo aveva agitato all'impazzata, aveva trovato Gloria felice e d'accordo, e in un'ultima esplosione chiassosa nel corso della quale tutti promisero con solenni strette di mano che sarebbero venuti a trovarli... "Anthony" gridò Gloria. "L'abbiamo firmato e spedito." "Che cosa?" "Il contratto!" "Diavolo!" "Oh, Anthony!" Aveva una voce molto infelice. Si erano costruiti una prigione per l'estate, per l'eternità. Pareva colpire le ultime radici della loro stabilità. Anthony pensò che forse si poteva rimediare col mediatore. Non potevano più permettersi doppio affitto, e andare a Marietta significava rinunciare all'appartamento, al suo appartamento perfetto, col bagno squisito e le stanze per le quali aveva comprato mobili e tende - era quanto di più vicino a una "casa" egli avesse mai avuto - resa familiare dai ricordi di quattro anni animati. Ma non si riuscì a rimediare col mediatore, né si rimediò affatto. Di malumore, senza neanche accennare alla possibilità di prenderla meglio che si poteva, senza neanche il rimedio universale del "non importa" di Gloria, ritornarono alla casa che, ormai lo sapevano, non conservava né giovinezza né amore, ma soltanto quei ricordi austeri e incomunicabili che non potevano vivere più. L'estate sinistra. Fu l'orrore, in casa, quell'estate. Arrivò con loro e si posò sul luogo come un cupo drappo funebre, che dilagava dalle stanze più basse risalendo a poco a poco le scale strette fino a opprimerli nel sonno stesso. Anthony e Gloria incominciarono a non potervisi sentire soli. La stanza da letto di Gloria, che era parsa così rosea e giovane e delicata, adatta alla biancheria color pastello sparpagliata qua e là sulla poltrona e sul letto, pareva ora bisbigliare dalle tende fruscianti: "Ah, mia bella signora, la tua eleganza e la tua raffinatezza non sono le prime a sfiorire qui sotto i soli estivi... generazioni intere di donne non amate si sono agghindate a quello specchio per amanti rozzi che non badavano a loro... La giovinezza è entrata in questa stanza vestita di azzurro pallido e ne è uscita nei veli grigi della disperazione, e per lunghe notti molte fanciulle sono rimaste sveglie lì dove quel letto sorge a riversare ondate di infelicità nel buio." Alla fine Gloria raccolse gloriosamente tutti i suoi vestiti e tutti i suoi unguenti, dichiarando che intendeva vivere con Anthony e trovando la scusa che si era rotta un'imposta e gli insetti potevano entrare nella stanza. Così la camera di Gloria venne abbandonata a ospiti insensibili e loro due si vestirono e dormirono nella camera di Anthony, che Gloria riteneva "buona", come se la presenza di Anthony avesse sterminato le ombre inquiete del passato che potevano avere indugiato su quelle pareti. La distinzione tra buono e cattivo, scacciata precocemente e sommariamente dalla loro vita, vi si era ristabilita in altra forma. Gloria insisteva che chiunque era invitato alla casa grigia doveva essere "buono", il che, nel caso di una ragazza significava che questa doveva essere o semplice e irreprensibile, o altrimenti doveva possedere una certa solidità e una certa forza. Sempre profondamente scettica sul suo sesso, il suo giudizio si riferiva ora al problema se le donne fossero o non fossero pulite. Per mancanza di pulizia intendeva una quantità di cose, la mancanza di orgoglio, la mollezza della fibra e soprattutto l'inconfondibile atmosfera della promiscuità. "Le donne si sporcano facilmente" diceva, "molto più facilmente degli uomini. Se una ragazza non è molto giovane e coraggiosa, è quasi impossibile che scenda il suo declivio senza una certa animalità isterica, il tipo di animalità astuta, sudicia. Per gli uomini è diverso; e probabilmente è per questo che uno dei personaggi da romanzo più comuni è l'uomo che se ne va valorosamente al diavolo." Era disposta ad apprezzare molti uomini, specialmente quelli che le fornivano un omaggio manifesto e divertimento sicuro; ma spesso con un lampo di intuizione avvertiva Anthony che qualcuno dei suoi amici si limitava a sfruttarlo e quindi era meglio lasciarlo perdere. Di solito Anthony si scherniva insistendo che l'accusato era uno "buono", ma si accorgeva sempre che il suo giudizio era meno sicuro di quello di lei e in modo memorabile quando, come accadde in parecchie occasioni, veniva lasciato con una serie di conti di ristoranti da saldare da solo. Più per la paura della solitudine che per il desiderio di affrontare la confusione e la seccatura dei ricevimenti, si riempivano la casa di ospiti ogni domenica, e spesso anche durante la settimana. Le feste della domenica erano quasi sempre le stesse. Quando i tre o quattro invitati arrivavano il sabato sera, era più o meno di rigore bere qualcosa, al che seguiva una cena gioconda e una scarrozzata al Cradle Beach Country Club, al quale si erano iscritti perché era poco costoso, vivace pur non essendo alla moda e quasi indispensabile in occasioni come queste. Inoltre non aveva molta importanza ciò che vi si faceva e, purché il gruppo dei Patch facesse relativamente poco rumore, non importava molto ai dittatori sociali di Cradle Beach vedere nella sala da pranzo la lieta Gloria che beveva cocktails a brevi intervalli durante la serata. Di solito il sabato terminava in una confusione vistosa dato che spesso diventava necessario aiutare gli ospiti annebbiati a mettersi a letto. La domenica portava i giornali di New York e una mattinata tranquilla di ripresa sulla veranda; e il pomeriggio della domenica consisteva nel commiato al paio di ospiti che dovevano ritornare in città e un gran rimettersi a bere fra il paio di superstiti che restavano l'indomani: e si concludeva in una serata se non allegra almeno conviviale. Il fedele Tana, pedagogo per natura e uomo a tutto fare di professione, era ritornato con loro. Tra gli ospiti più frequenti era nata su di lui una tradizione. Maury Noble un giorno disse che il suo vero nome era Tannenbaum e che era un agente tedesco tenuto in America a fare propaganda teutonica nella Westchester County, e dopo di allora incominciarono ad arrivare da Philadelphia lettere misteriose indirizzate all'orientale sgomento come "Tenente Emile Tannenbaum", che contenevano messaggi crittografici firmati "Stato maggiore generale" e ornati di un'aerea doppia colonna di finto giapponese. Anthony le consegnava sempre a Tana senza sorridere, dopo alcune ore il destinatario era ancora intento a studiarle perplesso in cucina dichiarando gravemente che i simboli perpendicolari non erano giapponesi e non somigliavano a nulla di giapponese. Gloria lo aveva preso in forte antipatia dal giorno che, ritornando inattesa dal villaggio, lo aveva scoperto sdraiato sul letto di Anthony a leggere un giornale. Era istintivo in tutti i domestici di adorare Anthony e detestare Gloria, e Tana non era un'eccezione alla regola. Ma aveva una gran paura di lei e rendeva manifesta la sua avversione soltanto nei momenti di malumore quando si rivolgeva scaltramente ad Anthony con frasi che erano destinate all'orecchio di Gloria: "Che cosa volele cena signola Pats?" diceva guardando il padrone. Oppure faceva qualche commento sull'egoismo crudele della "gente americana" in modo tale che non vi erano dubbi sull'identità della "gente" cui alludeva. Ma non osavano licenziarlo. Un passo simile sarebbe stato terribile per la loro inerzia. Sopportavano Tana come sopportavano il maltempo e la malattia del corpo e la nobile volontà di Dio: come sopportavano ogni cosa, compresi se stessi. Al buio. Un pomeriggio bruciante della fine di luglio, Richard Caramel telefonò da New York che sarebbe arrivato con Maury portando con sé un amico. Arrivarono verso le cinque accompagnati da un ometto grasso di trentacinque anni che venne presentato come il signor Joe Hull, una delle persone più straordinarie che Anthony e Gloria avessero mai conosciuto. Joe Hull aveva la barba gialla continuamente in lotta coi pori della pelle e una voce bassa che andava dal basso profondo a un bisbiglio roco. Anthony, portando disopra la valigia di Maury, lo segui in camera sua e chiuse con cura la porta. "Chi è questo tizio?" domandò. Maury ridacchiò entusiasta. "Chi, Hull? Oh, è uno a posto. E' uno buono." "Sì, ma chi è?" "Hull? E' semplicemente uno buono. E' un principe." Il suo riso raddoppiò culminando in una serie di simpatici sorrisi alla maniera dei gatti. Anthony esitava tra il sorriso e la preoccupazione. "Ha un'aria strana. Ha dei vestiti insoliti." Si interruppe. "Ho il vago sospetto che l'avete trovato da qualche parte ieri sera." "Ridicolo" dichiarò Maury. "Ma se l'ho conosciuto tutta la vita." Però, siccome coronò questa dichiarazione con un'altra serie di risatine, Anthony si sentì spinto a dire "Figurati!". Più tardi, poco prima di cena, mentre Maury e Dick chiacchieravano rumorosamente e Joe Hull ascoltava in silenzio bevendo a piccoli sorsi il suo bicchiere, Gloria trascinò Anthony in sala da pranzo: "Non mi piace, questo Hull" disse. "Vorrei che si lavasse nel bagno di Tana." "Non so come fare a chiederglielo." "Be', non voglio che si lavi nel nostro." "Ha l'aria di essere un'anima semplice." "Ha addosso due scarpe bianche che sembrano guanti. Gli si vedono i pollici attraverso le scarpe. Uh! E poi, chi è?" "E lì che ti voglio." "Be', secondo me hanno avuto un bel fegato, a portarlo qui. Questa non è la Casa di riposo del marinaio." "Erano brilli quando hanno telefonato. Maury ha detto che sono stati a una festa da ieri pomeriggio." Gloria scosse il capo adirata e senza dir altro ritornò sulla veranda. Anthony si accorse che cercava di dimenticare questa incertezza e di dedicarsi al divertimento della serata. Era stata una giornata tropicale e anche tardi nel crepuscolo le ondate di calore emanate dalla strada riarsa avevano un vago tremore, come lastre ondulate di mica. Il cielo era limpido, ma lontano, oltre i boschi in direzione dello Stretto, era incominciato un rombo lieve e persistente. Quando Tana annunciò la cena gli uomini, dietro invito di Gloria, rimasero senza giacca ed entrarono in casa. Maury si mise a cantare ed essi l'accompagnarono nella prima strofa. Si trattava di due versi ed era un'aria popolare intitolata "Daisy Dear". I versi erano: "The... pan-ic... has... come... over us, So ha-a-as... the moral decline!" Ogni esecuzione veniva accolta da esplosioni di entusiasmo e applausi prolungati. "Allegra, Gloria!" propose Maury. "Sembri un po' di cattivo umore." "Non è vero" mentì lei. "Vieni, Tannenbaum!" gridò Maury senza voltarsi. "Ti ho riempito un bicchiere. Avanti." Gloria cercò di trattenergli il braccio. "No, ti prego, Maury." "Perché no? Forse dopo cena ci suonerà il flauto. Su, Tana." Tana, sorridendo, portò il bicchiere in cucina. Dopo pochi minuti Maury gliene diede un altro. "Allegra, Gloria!" esclamò. "In nome del cielo, datemi una mano: allegra, Gloria." "Tesoro, bevi un altro cocktail" la consigliò Anthony. "Sì, per favore." "Allegra, Gloria" disse Joe Hull disinvolto. Gloria fece una smorfia a sentirsi chiamare per nome senza che nessuno l'avesse proposto e si diede un'occhiata attorno per vedere se qualcun altro l'avesse notato. La parola uscita cosi facilmente dalle labbra di un uomo per cui ella aveva provato subito un'antipatia istintiva le ripugnava. Poco dopo notò che Joe Hull aveva dato un altro bicchiere a Tana e la sua collera aumentò, rafforzata in un certo senso dagli effetti dell'alcool. "...e una volta" stava dicendo Maury "Peter Granby e io andammo a un bagno turco a Boston verso le due di notte. Non c'era nessuno oltre il proprietario e lo cacciammo in un armadio e chiudemmo la porta. Poi arrivò un tale e chiese di fare il bagno turco. Ha creduto che fossimo noi i massaggiatori, perdio! Be', l'abbiamo preso e l'abbiamo scaraventato nella piscina con tutti i vestiti addosso. Poi l'abbiamo tirato fuori e l'abbiamo messo su un tavolo e l'abbiamo picchiato finché è diventato nero e azzurro. "Non così forte, ragazzi" squittiva lui, "per favore!" Era questo, Maury? pensò Gloria. Raccontata da chiunque altro la storia l'avrebbe divertita, ma da Maury il sensibilissimo, l'apoteosi del tatto e del rispetto... "The... pan-ic... has... come... over us, So ha-a-as..." Un rombo di tuono all'esterno soffocò il resto della canzone; Gloria rabbrividì e cercò di vuotare il bicchiere, ma il primo sorso la nauseò e la indusse a posarlo sul tavolo. La cena era finita e si avviarono tutti in salone portando con sé parecchie bottiglie e caraffe. Qualcuno aveva chiuso la porta della veranda per tener fuori il vento e di conseguenza già si stavano attorcigliando tentacoli di fumo di sigaro nell'aria greve. "Tenente Tannenbaum!" Di nuovo era il Maury stregato. "Porta il flauto!" Anthony e Maury si precipitarono in cucina; Richard Caramel mise in moto il grammofono e si avvicinò a Gloria. "Vieni a ballare col tuo ben noto cugino." "Non ho voglia di ballare." "Allora ti trascinerò intorno." Come se stesse facendo qualcosa di colossale importanza la prese tra le braccia grasse e incominciò a trotterellare gravemente per la stanza. "Lasciami andare, Dick! Mi gira la testa" insisté Gloria. Dick la lasciò cadere come un fagotto rimbalzante sul sofà e corse in cucina gridando: "Tana! Tana!". Poi, senza riceverne preavviso, Gloria si senti cingere da altre braccia, si senti sollevata dal divano. Joe Hull l'aveva raccolta e cercava da ubriaco di imitare Dick. "Lasciatemi!" disse Gloria tagliente. La risata da ubriaco e la vista di quella guancia gialla pungente accanto al suo viso le suscitarono un disgusto intollerabile. "Subito!" "Il ...pan-ico..." incominciò lui, ma non andò oltre perché la mano di Gloria fece un giro rapido e lo colse in piena guancia. Di fronte a questo egli la lasciò andare di colpo e Gloria cadde per terra, battendo con la spalla contro il tavolo... Poi la stanza parve piena di uomini e di fumo. C'era Tana in giacca bianca che piroettava attorno sorretto da Maury. Nel flauto suonava uno strano miscuglio di suoni noto, gridò Anthony, come il "canto del treno" giapponese. Joe Hull aveva trovato una scatola di candele e faceva dei giochi da giocoliere urlando: "Una a terra!" ogni volta che sbagliava, e Dick ballava da solo in un turbine affascinato intorno alla stanza. Parve a Gloria che nella stanzatuttobarcollasse in grottesche rotazioni quadridimensionali, attraverso piani intersecantisi di un azzurro nebuloso. Fuori il temporale era cresciuto enormemente: i silenzi interni erano colmati dallo strusciare degli alti cespugli contro la casa e dallo strepito della pioggia sul tetto metallico della cucina. I lampi erano interminabili, e lanciavano grevi scariche gocciolanti di tuono come ferro grezzo dal cuore di una fornace al calor bianco. Gloria vedeva che la pioggia entrava da tre finestre: ma non riusciva a muoversi per andare a chiuderle... ...era in corridoio. Aveva detto buona notte, ma nessuno l'aveva udita né le aveva badato. Le parve per un istante che qualcosa si fosse affacciato a guardarla dalla sommità della ringhiera, ma non avrebbe potuto ritornare nel salone: meglio la follia che la follia del frastuono... Di sopra cercò brancicando l'interruttore della luce e non lo trovò, così al buio; quando la stanza fu invasa dalla luce del lampo il bottone apparve chiaramente sulla parete. Ma quando tornò a calare il buio impenetrabile, di nuovo il bottone sfuggì alle dita brancicanti, così Gloria si sfilò il vestito e la sottana e si gettò debolmente sul lato asciutto del letto mezzo inzuppato. Chiuse gli occhi. Dal pianterreno giungeva la babilonia degli ubriachi sottolineata d'improvviso dal frantumarsi tintinnante di un bicchiere e poi un altro e dal librarsi di canzoni malferme, irregolari... Rimase lì per più di due ore: così calcolò di poi, rimettendo insieme limpidamente i brani del tempo. Era consapevole, perfino cosciente dopo molto tempo che il rumore a pianterreno era diminuito e il temporale si spostava verso ovest respingendo scrosci indugianti di tuono che precipitavano, grevi e immoti come la sua anima, nei campi inzuppati. A questo succedette un dilagare lento, riluttante, di pioggia e di vento, finché fuori dalla finestra non si udì che un lieve gocciolio e il giocherellare sferzante di un ciuffo di rampicante bagnato contro il davanzale. Gloria era in uno stato che oscillava tra il sonno e la veglia senza che alcune delle due situazioni predominasse... ed era tormentata dal desiderio di liberarsi da un peso che le opprimeva il seno. Sentiva che se riusciva a piangere il peso si sarebbe sollevato, e serrando le palpebre cercò di farsi salire in gola un singhiozzo... inutilmente... Gocce! Gocce! Gocce! Il rumore non era spiacevole: come la primavera, come una pioggia fresca dell'infanzia che faceva un fango giocondo nel cortile di casa sua e innaffiava il giardino minuscolo che si era scavata con un rastrello e una vanga e una zappa in miniatura. Gocce... Gocce! Era come nei giorni che la pioggia scaturiva da cieli gialli che si scioglievano poco prima del tramonto e scagliavano un raggio luminoso di sole in diagonale sugli alberi verdi bagnati. Così fresca, così limpida e pulita e la madre lì al centro del mondo, sicura e asciutta e forte. Aveva bisogno di sua madre, adesso, e la madre era morta, per sempre era al di là dei suoi occhi e della sua mano. E questo peso la opprimeva, la opprimeva... oh, la opprimeva talmente! Si irrigidì. Qualcuno si era fermato sulla porta e stava a guardarla in silenzio e immobile tranne per un lieve movimento oscillante. Gloria vedeva il contorno del corpo stagliato sul fondo di una luce imprecisabile. Non si udiva alcun rumore, soltanto un grande silenzio dilagante: perfino il gocciolio era cessato... soltanto questo corpo, oscillante, oscillante sulla soglia, un terrore minaccioso, indistinto e sottile, una persona sozza sotto la vernice, come una macchia di vaiolo sotto uno strato di cipria. Eppure il cuore stanco, che le batteva fino a scuoterle il seno, l'accertava che la vita era ancora in lei, disperatamente scossa, minacciata... Il minuto o la serie di minuti si prolungò interminabile e un offuscamento ondeggiante le si formò davanti agli occhi che cercavano con insistenza infantile di varcare il buio in direzione della porta. Pareva che in un altro istante una forza inimmaginabile l'avrebbe distrutta in mille pezzi... e poi il corpo sulla soglia - era Hull, Gloria lo vide, Hull - si voltò con calma e, sempre lievemente oscillante, si allontanò e scomparve, come assorbito dalla luce incomprensibile che gli aveva dato dimensione. Il sangue tornò a scorrerle a fiotti nelle membra, insieme alla vita. Con una ripresa di energia Gloria si rizzò a sedere scivolando sul corpo finché i piedi toccarono il pavimento accanto al letto. Sapeva che cosa doveva fare adesso, adesso, prima che fosse troppo tardi. Doveva andar fuori in quell'umidità fresca, fuori, lontano, a sentirsi sferzare i piedi dall'erba bagnata e la fronte dall'umidità fresca. Si infilò meccanicamente i vestiti cercando a tastoni un cappello nel buio dell'armadio. Doveva andarsene da questa casa dove incombeva ciò che le premeva il seno o si realizzava in figure vaganti oscillanti nell'oscurità Cercò brancicando maldestra, nel panico, il cappotto, ne trovò la manica proprio quando udì i passi di Anthony all'inizio della scala. Non osò aspettarlo; poteva non lasciarla andare, e anche Anthony faceva parte di questo peso, parte di questa casa malefica e dell'oscurità torva che vi cresceva attorno... Poi il corridoio... e la scala di servizio con la voce di Anthony dalla stanza da letto dalla quale era appena uscita.. "Gloria! Gloria" Ma ormai era giunta in cucina, aveva varcato la soglia scomparendo nella notte. Centinaia di gocce, scosse da un soffio di vento da un albero gocciolante, le caddero addosso ed ella se le strinse lietamente al viso con le mani brucianti. "Gloria! Gloria" La voce era infinitamente remota, soffocata e resa lamentosa dalle pareti dalle quali ella era appena uscita. Gloria fece il giro della casa e si avviò sul sentiero che conduceva alla strada, quasi esultante quando si voltò e seguì il tappeto di erba corta sul ciglio della strada, muovendosi con cautela nel buio fitto. "Gloria" Si mise a correre, incespicò in un ramo strappato dal vento. Adesso la voce era fuori dalla casa. Anthony, trovando la stanza da letto deserta, era venuto sulla veranda. Ma quella cosa la sospingeva; era laggiù con Anthony e lei doveva proseguire nella sua fuga sotto questo cielo confuso e opprimente, aprendosi il varco attraverso il silenzio che pareva una barriera tangibile davanti a lei. Aveva proseguito sulla strada che si vedeva a stento, forse per un chilometro, aveva oltrepassato una fattoria deserta che sorgeva nera e sinistra, l'unico edificio di qualsiasi genere esistente tra la casa grigia e Marietta; poi aveva svoltato al bivio, dove la strada entrava nel bosco e procedeva tra due alte pareti di foglie e di rami che quasi le si congiungevano sul capo. Notò improvvisamente, davanti a sé, un sottile raggio longitudinale d'argento come una spada mezzo incastrata nel fango. Quando si avvicinò diede in una piccola esclamazione soddisfatta era una carreggiata piena d'acqua e alzando gli occhi vide una fessura chiara del cielo e capì che era sorta la luna. "Gloria" Sussultò violentemente. Anthony era a una cinquantina di metri da lei. "Gloria, aspettami!" Serrò le labbra per non gridare e accelerò l'andatura. Prima di aver fatto altri cento metri i boschi scomparvero, arrotolandosi a ritroso come una calza nera sulla gamba della strada. A tre minuti di cammino davanti a lei, sospesi nell'aria oramai alta e sconfinata, vide una trama sottile di raggi e scintillii soffocati, accentrati in un'ondulazione regolare su un punto invisibile. Improvvisamente decise dove andare. Era la grande cascata di fili che sorgeva alta sul fiume, come le zampe di un ragno gigantesco che avesse per occhio la lucetta verde nel casotto degli scambi, e si svolgeva lungo il ponte ferroviario verso la stazione. La stazione! Lì c'era il treno che l'avrebbe portata via. "Gloria, sono io! Sono Anthony! Gloria, non cercherò di fermarti! Per l'amor di Dio, dove sei?" Gloria non rispose, e invece si mise a correre, tenendosi sul ciglio alto della strada e scavalcando le pozzanghere scintillanti: pozze prive di dimensioni, d'oro sottile, senza sostanza. Svoltando bruscamente a sinistra seguì una carraia stretta, riuscendo a evitare un corpo scuro per terra. Alzò gli occhi quando un gufo urlò lugubre da un albero solitario. Proprio davanti a sé vedeva il traliccio che conduceva al ponte ferroviario e i gradini per salirvi. La stazione era al di là del ponte. Un altro rumore la fece sussultare, la sirena melanconica di un treno che si accostava, e quasi contemporaneamente il richiamo ripetuto, oramai sottile e lontano. "Gloria! Gloria!" Anthony doveva aver seguito lo stradone. Gloria rise con malizia astuta per essere riuscita a sfuggirgli; aveva il tempo di aspettare che il treno passasse. La sirena squillò di nuovo, più vicina, e poi, senza frastuono o strepito a preannunciarla, una forma scura e sinuosa comparve incurvandosi, stagliata contro le ombre lontane del binario dall'alta massicciata, e senz'altro rumore che il fruscio dell'aria tagliata e il ticchettio delle rotaie, simile a quello di un orologio, si avviò verso il ponte: era un treno elettrico. Sulla locomotiva due macchie vivaci di luce azzurra formavano fra loro un'incessante sbarra scoppiettante e luminosa, che come la fiamma crepitante di una lampada mortuaria illuminò per un attimo le file degli alberi e indusse Gloria a ritirarsi istintivamente sull'estremo ciglio della strada. La luce era tiepida, la temperatura del sangue calda... Il ticchettìo si confuse improvvisamente in un fruscio di suono regolare, e poi, allungandosi in una scura elasticità, il corpo rombò ciecamente accanto a lei e strepitò sul ponte, rincorrendo il raggio di fuoco spettrale che si gettava sul fiume solenne. Poi si contrasse veloce, risucchiando il proprio rumore finché divenne un'eco riflessa che morì sulla riva opposta. Sulla campagna bagnata tornò a stendersi il silenzio, riprese il lieve gocciolìo e improvvisamente una gran pioggia di gocce si abbatté su Gloria facendola scuotere dal torpore, quasi la trance, in cui l'aveva gettata il passaggio del treno. Scese di corsa un pendio che conduceva alla massicciata e incominciò a salire le scale di ferro del ponte, ricordando che aveva sempre desiderato farlo e che avrebbe avuto la nuova felicità di attraversare le assi larghe un metro che accompagnavano i binari sul fiume. Ecco! Così andava meglio. Ora era in cima e vedeva i terreni che la circondavano, ondate successive di campagna aperta, fredda sotto la luna, rozzamente rappezzate e cucite da file sottili e gruppi massicci di alberi. Alla sua destra, a ottocento metri a valle del fiume, che si svolgeva dietro la luce come il sentiero lucente e limaccioso di una lumaca, baluginavano le luci sparse di Marietta. A meno di duecento metri all'estremità del ponte, stava acquattata la stazione, indicata da una lanterna cupa. Ora l'oppressione era scomparsa le cime degli alberi ai suoi piedi cullavano la nuova luce lunare in un sonno fatato. Gloria tese le braccia con un gesto di libertà. Era questo ciò che voleva, sorgere sola in un luogo alto e fresco. "Gloria!" Come una bimba impaurita si gettò di corsa sulle assi saltellando, sobbalzando, scavalcando, con un senso estatico della propria leggerezza fisica. Ora poteva venire non aveva più paura di questo, però doveva prima arrivare alla stazione, perché questo faceva parte del gioco. Era felice. Teneva stretto in mano il cappello che le era caduto di testa e i corti capelli ricci le saltellavano sulle orecchie, non avrebbe creduto di potersi più sentire così giovane, ma questa era la sua notte, il suo mondo. Rise trionfante quando passò l'ultima asse e giungendo sulla banchina di legno si gettò felice accanto a una colonna di ferro. "Sono qui!" gridò, lieta come l'alba nella sua esaltazione. "Sono qui, Anthony, caro... povero caro Anthony!" "Gloria!" Anthony giunse sulla banchina, venne di corsa accanto a lei. "Stai bene?" Le si inginocchiò accanto e la prese fra le braccia. "Sì." "Che cosa è successo? Perché sei scappata?" chiese ansioso. "Dovevo farlo... C'era qualcosa..." si interruppe e un guizzo d'inquietudine le balenò in mente, "c'era qualcosa che mi stava addosso... qui" si mise la mano sul seno. "Ho dovuto andar fuori per liberarmene." "Come sarebbe a dire, qualche cosa?" "Non lo so... quel tale, Hull..." "Ti ha dato noia?" "E' venuto sulla mia porta ubriaco. Credo di essere come impazzita." "Gloria, tesoro..." Gloria gli posò stancamente il capo sulla spalla. "Torniamo a casa" propose Anthony. Gloria rabbrividì. "Uh! No, non posso. Ritornerebbe a venirmi addosso." La voce si alzò in un lamento e rimase sospesa nel buio. "Quella cosa..." "Su... su" la calmò Anthony stringendola a sé. "Non faremo nulla che tu non voglia. Che cosa vuoi fare? Restare qui seduta?" "Voglio... voglio andar via." "Dove?" "Oh . . . da qualunque parte." "Perdio, Gloria" esclamò Anthony, "sei ancora sbronza" "No, non è vero. Non lo sono stata mai, tutta la sera. Sono andata di sopra alle, oh, non lo so, una mezz'ora dopo cena... Ahi!" Anthony le aveva sfiorato senza pensarci la spalla destra. "Mi fa male. Mi sono fatta male. Non so... Qualcuno mi ha preso in braccio e mi ha lasciata cadere." "Gloria, vieni a casa. E' tardi e fa freddo." "Non posso" gemette. "Oh, Anthony, non me lo chiedere! Verrò domani. Vai a casa tu e io aspetterò qui un treno. Andrò in un albergo..." "Vengo con te." "No, non ti voglio. Voglio star sola. Voglio dormire... Oh voglio dormire. E poi domani, quando hai scacciato di casa tutto l'odore del whisky e delle sigarette e tutto è in ordine, e Hull se n'è andato, allora vengo anch'io. Se venissi adesso, quella cosa... Oh...!" Si coprì gli occhi con la mano. Anthony capì l'inutilità di qualsiasi tentativo per convincerla. "Non ero ubriaco per niente, quando sei uscita" disse. "Dick dormiva sul divano e Maury e io stavamo discutendo. Quel tale Hull era andato in giro non so dove. Poi ho incominciato a pensare che non ti vedevo da parecchie ore e così sono salito..." S'interruppe quando un "Ciao, laggiù!" di saluto scaturì d'improvviso dall'oscurità. Gloria balzò in piedi e così fece Anthony. "E' la voce di Maury" disse Gloria agitata. "Se è con Hull non lasciarli venire!" "Chi è?" gridò Anthony. "Soltanto Dick e Maury" risposero due voci rassicuranti. "Dov'è Hull?" "A letto. Trapassato." I loro contorni apparvero confusi sulla banchina. "Che cosa diavolo state facendo qui, tu e Gloria?" chiese Richard Caramel con assonnata costernazione. "E voi due, piuttosto?" Maury rise. "Accidenti se lo so. Vi abbiamo seguiti e c'è voluto l'inferno. Ti ho sentito sulla veranda mentre chiamavi Gloria, così ho svegliato Caramel, qui, e gli ho cacciato in testa con una certa difficoltà che se c'era da giocare a rincorrersi dovevamo esserci anche noi. Mi ha fatto perdere tempo sedendosi ogni tanto lungo la strada per chiedermi che cos'era successo. Vi abbiamo rintracciati grazie al profumo piacevole del Canadian Club." Sotto la tettoia bassa vi fu uno scroscio di risa nervose. "Come avete fatto a trovarci in realtà?" "Be', vi abbiamo seguiti sulla strada e poi improvvisamente vi abbiamo perduti. Pare che siate svoltati seguendo una carreggiata. Dopo un po' qualcuno ci ha chiamato e ci ha chiesto se stavamo cercando una signorina. Be', ci siamo avvicinati e abbiamo scoperto un vecchietto tremante seduto su un tronco d'albero come nelle favole. 'Ha svoltato di qua' disse, 'e mi è quasi venuta addosso mentre correva con una fretta terribile, e poi è arrivato un tale coi calzoni corti da golf che correva anche lui e la seguiva. Mi ha dato questo' Il vecchio stava agitando un dollaro..." "Oh, povero vecchietto!" esclamò Gloria commossa. "Gliene ho dato un altro e abbiamo proseguito, nonostante ci abbia chiesto di fermarci a dirgli che cos'era successo." "Povero vecchietto" ripeté Gloria melanconica. Dick sedette assonnato su una cassetta. "E adesso?" chiese con tono di stoica rassegnazione. "Gloria è sconvolta" spiegò Anthony. "Noi due andiamo in città col primo treno." Maury si era tolto di tasca un orario, al buio. "Accendete un fiammifero." Una luce minuscola balzò sullo sfondo opaco, illuminando le quattro facce grottesche e insolite lì nella notte piena. "Vediamo. Due, due e mezzo... No, questo è per la sera. Perdio, non ci sono treni fino alle cinque e mezzo." Anthony esitò. "Be'" mormorò incerto. "Abbiamo deciso di star qui ad aspettarlo. Voi due potete tornare a casa a dormire." "Vai anche tu, Anthony" insisté Gloria; "voglio che tu dorma un po', caro. Sei stato tutto il giorno pallido come un fantasma." "Ma fa' il piacere, stupidina!" Dick sbadigliò. "Bene. Voi restate, noi restiamo." Uscì dalla tettoia ed esaminò il cielo. "Una nottata abbastanza bella, in fondo. Con le stelle e tutto. Un assortimento straordinariamente gustoso." "Fa' vedere." Gloria si avviò dietro di lui e gli altri due la seguirono. "Sediamoci qui fuori" propose. "Mi piace di più." Anthony e Dick trasformarono una lunga panca in uno schienale e trovarono un'asse abbastanza asciutta da farvi sedere Gloria. Anthony si lasciò cadere accanto a lei e con un certo sforzo Dick si issò su un barile di mele lì accanto. "Tana si è addormentato nell'amaca della veranda" disse. "Lo abbiamo portato dentro e l'abbiamo lasciato vicino al fornello della cucina ad asciugare. Era inzuppato fino alle ossa." "Che uomo orribile!" sospirò Gloria. "Come state?" La voce sonora e funerea era giunta dall'alto e tutti e tre alzarono gli occhi spaventati per scoprire che Maury si era arrampicato chissà come sulla tettoia e vi si era seduto coi piedi ciondolanti dall'orlo stagliato come un mascherone ombroso e fantastico contro il cielo ormai luminoso. "Dev'essere in occasioni simili" incominciò sottovoce mentre le sue parole parevano scendere fluttuando da un'altezza immensa e posarsi sommesse sugli ascoltatori, "che i virtuosi della terra ornano le strade ferrate con cartelloni che affermano in rosso e giallo che 'Gesù Cristo è Dio,' sistemandoli, con discreta opportunità, accanto alle dichiarazioni che 'Il Whisky Gunter è buono.'" Vi fu una risata gentile e i tre abbasso tennero le teste alzate. "Sotto queste costellazioni sardoniche" continuò Maury, "sento di dovervi raccontare la storia della mia formazione." "Sì! Per favore!" "Devo davvero?" Aspettarono ansiosi, mentre egli rivolgeva uno sbadiglio meditabondo verso la bianca luna sorridente. "Bene" incominciò. "Da bambino pregavo. Immagazzinavo preghiere per le cattive azioni future. Un anno ho immagazzinato millenovecento Atti di pentimento." "Butta giù una sigaretta" mormorò qualcuno. Sulla piattaforma giunse un pacchettino insieme all'ordine stentoreo: "Silenzio! Sto per liberarmi di molte massime memorabili riservate al buio di queste terre e alla luce di questi cieli." Di sotto venne passato un fiammifero acceso da una sigaretta all'altra. La voce riprese: "Ero formidabile a prendere in giro la divinità. Pregavo subito dopo tutte le colpe sicché alla fine la preghiera e la colpa divennero una cosa sola. Credevo che il fatto che un tale avesse esclamato 'Dio mio!' quando gli era cascata in testa una cassaforte dimostrasse che la fede avesse radici profonde nell'anima umana. Poi andai a scuola. Per quattordici anni una cinquantina di uomini gravi mi fecero vedere antichi acciarini e mi gridarono: 'Questa è la verità. I fucili nuovi non sono che imitazioni vane, superficiali.' Condannarono i libri che leggevo e le cose che pensavo chiamandole immorali; più tardi la moda cambiò e le condannarono chiamandole 'intelligenti.' "E così mi rivolsi, astuto per la mia età, dai professori ai poeti, ascoltando... la voce da tenore lirico di Swinburne e quella da tenore drammatico di Shelley, quella di Shakespeare col suo baritono chiaro e la bella estensione, quella di Tennyson col baritono pieno e a volte il falsetto, quelle di Milton e Marlowe, bassi profondi. Prestai orecchio alle chiacchiere di Browning, alle declamazioni di Byron, alle cantilene di Wordsworth. Questo, perlomeno, non mi fece del male. Imparai un po' di bellezza abbastanza da capire che non aveva niente a che fare con la verità - e scoprii inoltre che non esisteva una grande tradizione letteraria; esisteva soltanto la tradizione della morte importante di ogni tradizione letteraria... "Poi crebbi, e la bellezza delle illusioni succulente mi cadde di dosso. La mia fibra mentale si irrobustì e gli occhi mi divennero melanconicamente acuti. La vita sorse intorno alla mia isola come un mare e presto mi misi a nuotare. "Il passaggio fu sottile: tutto questo era rimasto in attesa in me da tempo. Aveva per tutti una trappola insidiosa dall'aria innocua. E io? No... non cercai di sedurre la moglie del custode... né scappai nudo per le strade ad affermare la mia virilità. Non è mai la passione a fare qualcosa: è l'abito indossato dalla passione. Mi annoiai: e nient'altro. La noia, che è un secondo nome e un travestimento frequente della vitalità, divenne la causa inconscia di ogni mio gesto. La bellezza era rimasta dietro di me, capite? Ero cresciuto." Si interruppe. "Fine della scuola e del periodo universitario. Inizio della parte seconda." Tre punti luminosi, silenziosamente vivi, mostravano la posizione degli ascoltatori. Ora Gloria era mezzo seduta mezzo sdraiata nel grembo di Anthony. Il braccio di lui la cingeva così stretta che ella gli poteva udire il battito del cuore. Richard Caramel, appollaiato sul barile di mele, di quando in quando si muoveva e lanciava un lieve grugnito. "Così crebbi, in questa terra di jazz, e precipitai immediatamente in una confusione quasi percettibile. La vita mi stava addosso come una maestra immorale, ad aver cura dei miei pensieri ordinati. Ma con una fede fallace nell'intelligenza, andai avanti. Lessi Smith, che derideva la carità e insisteva che il sogghigno fosse la forma di espressione più alta ma Smith stesso reintroduceva la carità come offuscatrice della luce. Lessi Jones che eliminava bellamente l'individualismo... e pensate! Jones continuò a intralciarmi. Non pensavo! ero un campo di battaglia per i pensieri di molti uomini; o meglio ero uno di quei paesi spiacevoli ma impotenti sui quali scorrazzavano le grandi potenze. "Giunsi alla maturità con l'impressione di raccogliere esperienze per avviare la mia vita verso la felicità. Effettivamente compii l'impresa non insolita di risolvere mentalmente ogni problema molto tempo prima che mi si presentasse nella vita... e quella di venire sconfitto e costernato allo stesso modo. "Ma dopo qualche assaggio di questo piatto, ne ebbi abbastanza. Dunque! dissi, non vale la pena di servirsi dell'Esperienza. Non è qualcosa che accada simpaticamente a un io passivo... è un muro contro il quale si imbatte un io attivo. Così mi avvolsi in quello che ritenevo uno scetticismo invulnerabile e decisi che l'educazione era ormai compiuta. Ma era troppo tardi. Per quanto potessi proteggermi non creando nuovi legami con l'umanità tragica e predestinata, ero perduto con gli altri. Avevo ceduto la lotta contro l'amore in cambio della lotta contro la solitudine, la lotta contro la vita in cambio della lotta contro la morte." S'interruppe per sottolineare l'ultima frase; dopo un po' sbadigliò e riprese. "Probabilmente l'inizio della seconda fase della mia educazione consiste in uno scontento macabro nel venir usato mio malgrado per qualche scopo inscrutabile di cui ignoravo, se mai esisteva, l'ultimo fine. Era una scelta difficile. La maestra aveva l'aria di dire: 'Giocheremo a palla e niente altro che a palla. Se non vuoi giocare a palla non puoi giocare a niente...' "Che cosa dovevo fare... il tempo per giocare era così breve! "Capite, mi pareva che ci fosse negata perfino la consolazione che si può trovare nell'essere il fantasma di un uomo corporeo che si alza di ginocchio. Credete che mi gettassi su questo pessimismo, che mi aggrappassi ad esso come a qualcosa di autorevolmente e piacevolmente superiore, in realtà non più deprimente di quanto lo fosse, per esempio, una giornata d'autunno davanti al fuoco? Non lo feci. Avevo troppo calore per farlo, e troppa vita. "Perché mi pareva che non vi fosse fine ultimo per l'uomo. L'uomo incominciava una lotta grottesca e sgomenta con la natura la natura che per un caso divino, magnifico, ci aveva condotti al punto da cui poterle volare addosso. Aveva inventato il modo di sbarazzarsi delle razze inferiori e così dare ai superstiti la forza di realizzare le sue intenzioni più alte - o, diciamolo pure, più divertenti - anche se inconsapevoli e casuali. E mossi dalle capacità più alte forniteci dai lumi noi cercavamo di ingannarla. In questa repubblica vedevo che i neri incominciavano a mescolarsi ai bianchi: in Europa si stava svolgendo una catastrofe economica per salvare tre o quattro razze malate e mal governate dall'unico dominio che poteva forse organizzarle per la prosperità materiale. "Si produce un Cristo che può provocare la lebbra e presto i figli della lebbra diventano il sale della terra. Se c'è chi riesce a scoprirvi una morale si alzi a dirla." "C'è un'unica morale da imparare dalla vita, comunque" interruppe Gloria, non per contraddirlo, ma in una specie di consenso melanconico. "Qual è?" chiese Maury tagliente. "Che non c'è morale da imparare dalla vita." Dopo un breve silenzio, Maury disse: "La giovane Gloria, la bella dama spietata, ha guardato il mondo con la sofisticazione fondamentale che io mi sono sforzato di raggiungere, che Anthony non raggiungerà mai, che Dick non riuscirà mai a capire fino in fondo." Si udì un grugrito disgustato dal barile di mele. Anthony, abituato al buio, vide chiaramente il lampo dell'occhio giallo di Richard Caramel, e l'aria risentita del suo viso quando egli gridò: "Sei matto! Proprio per quello che hai detto dovrei aver raggiunto un'esperienza provando." "Provando che cosa?" esclamò Maury con ardore. "Provando a fendere il buio dell'idealismo politico con qualche slancio folle, disperato verso la verità? Sedendo giorni e giorni supino in una sedia rigida e infinitamente lontana dalla vita a fissare la cima di un campanile fra gli alberi, a cercar di separare con precisione e per sempre il noto dall'inconoscibile? Cercando di scegliere un brano di attualità e fornirgli con la tua anima uno splendore che sostituisca quel tanto di inesprimibile posseduto nella vita e perduto nel passaggio sulla carta o sulla tela? Lottando in un laboratorio per annate faticose per un briciolo di verità relativa in una massa di rotelle o di provette..." "E tu, ti ci sei trovato?" Maury tacque, e nella sua risposta, quando giunse, vi era una certa stanchezza, un alone amaro che indugiò un momento in quelle tre menti prima di fluttuare e scomparire come una bolla diretta verso la luna. "Io no" disse sottovoce. "Io sono nato stanco... ma con l'intelligenza materna, il dono di donne come Gloria... E a questo, nonostante tutto il mio parlare ed ascoltare, il mio aspettare invano un'universalità eterna che giace forse al di là di tutti gli argomenti e di tutte le meditazioni, a questo non ho aggiunto una briciola." In lontananza un suono profondo che si udiva da qualche momento si identificò mediante un muggito lamentoso simile a quello di una mucca gigantesca e mediante la macchia perlacea di un faro che appariva a un chilometro di distanza. Era un treno a vapore, questa volta, che rombava e strideva, e quando passò in un gemito mostruoso gettò sulla banchina una pioggia di scintille e di braci. "Non una briciola!" Di nuovo la voce di Maury calò su di loro come da una grande altezza. "Che debole cosa è l'intelligenza, coi suoi passi brevi, le sue incertezze, i suoi andirivieni, le sue ritirate disastrose! L'intelligenza è un semplice strumento delle circostanze. C'è chi sostiene che dev'essere stata l'intelligenza a creare l'universo: ma l'intelligenza non ha creato neanche la locomotiva! Sono state le circostanze a creare la locomotiva. L'intelligenza è poco più di un doppio decimetro col quale vengono misurate le opere infinite delle circostanze. "Potrei citarvi la filosofia del momento... Ma per quello che ne sappiamo noi in cinquant'anni si potrebbe vedere un rovesciamento completo di questa abnegazione che assorbe gli intellettuali d'oggi, il trionfo di Cristo sopra Anatole France..." Esitò e poi soggiunse "Ma tutto quello che io so l'importanza tremenda di me stesso per me e la necessità di riconoscere quell'importanza per me stesso - queste cose la saggia e bella Gloria è nata sapendole già, queste cose e la penosa futilità di cercar di sapere qualunque altra cosa "Be', ho incominciato a raccontarvi la mia educazione, vero? Ma non ho imparato niente, capite. Pochissimo perfino su me stesso. E se avessi imparato qualcosa dovrei morire con le labbra chiuse e la penna stilografica chiusa come hanno fatto finora i più saggi... oh, da quando è fallita una certa cosa... una cosa strana, sia detto tra parentesi. Riguardava certi scettici che si credevano lungimiranti, proprio come voi e me. Lasciate che vi parli di loro come se fosse una preghiera serale prima che vi addormentiate tutti. "Accadde una volta che tutti gli uomini di mente e di genio nel mondo si accomunarono in un'unica credenza: vale a dire, nel non credere a nulla. Ma si stancarono al pensiero che dopo qualche anno dalla loro morte sarebbero stati attribuiti loro culti e sistemi e previsioni che essi non avevano mai considerato né voluto. Così si dissero l'un l'altro: "'Mettiamoci d'accordo e scriviamo un gran libro che duri per sempre, per beffare la credulità dell'uomo. Cerchiamo di persuadere i nostri poeti più erotici a scrivere sulle gioie della carne e di indurre i nostri giornalisti più robusti a narrare storie di amori famosi. Vi includeremo tutti i racconti più assurdi delle vecchie d'oggi. Sceglieremo il satirista vivente più acuto per fargli comporre una divinità con tutte le divinità adorate dal genere umano, una divinità più splendente di una qualunque di esse, eppure così debole nella sua umanità da diventare un simbolo di riso in tutto il mondo: e le attribuiremo ogni genere di scherzi e vanità e furori, cui essa indulga per svago, in modo che la gente legga il nostro libro e vi mediti e sia così evitata la stupidità sulla terra. "'Infine. facciamo in modo che il libro possieda tutte le virtù dello stile, così che duri per sempre a testimonianza del nostro scetticismo profondo e della nostra ironia universale.' "Così fecero gli uomini, e morirono. "Ma il libro visse in eterno tanto era stato ben scritto e tanto era stato dotato di immaginazione stupefacente da questi uomini di mente e di genio. Avevano dimenticato di dargli un titolo, ma dopo la loro morte venne chiamato la Bibbia." Quando Maury tacque non vi furono commenti. Pareva che un languore umido, sopito nell'aria della notte, li avesse stregati tutti. "Come ho detto ho incominciato con la storia della mia educazione. Ma i miei bicchieri di whisky sono spenti e la notte è quasi finita, e presto ci sarà una tremenda animazione chiassosa dovunque, negli alberi e nelle case, e nei due negozietti lì dietro la stazione e ci sarà un gran correre su e giù sulla terra per qualche ora... Be'" concluse con una risata, "grazie a Dio noi quattro possiamo andare al nostro eterno riposo sapendo che abbiamo lasciato il mondo un poco migliore per avervi vissuto." Sorse un venticello, tirando lievi soffi di vita che si schiacciarono contro il cielo. "Le tue parole diventano sempre più disordinate e inconcludenti" disse Anthony assonnato. "Ti aspettavi uno di quei miracoli di illuminazione grazie ai quali dici le cose più intelligenti e importanti, nell'ambiente adatto a provocare il simposio ideale. Intanto Gloria ha manifestato il suo distacco lungimirante addormentandosi... lo desumo dal fatto che è riuscita a concentrare tutto il suo peso sul mio corpo infranto." "Vi ho annoiati?" chiese Maury guardando in basso con una certa preoccupazione. "No, ci hai delusi. Hai scagliato un mucchio di frecce, ma hai colpito qualche bersaglio?" "I bersagli li lascio a Dick" disse Maury in fretta. "Io parlo alla rinfusa in frammenti sconnessi." "Non riuscirai ad aver niente da me" mormorò Dick. "Ho la mente piena di una quantità di cose materiali. Desidero troppo un bagno caldo per poter pensare all'importanza della mia opera o in che misura siamo personaggi patetici." L'alba si fece sentire in un candore che andava concretandosi verso est sul fiume in un cinguettìo intermittente sugli alberi vicini. "Un quarto alle cinque" sospirò Dick; "e quasi un'altra ora da aspettare. Guardali! tutti e due andati." Indicò Anthony le cui palpebre si erano abbassate a coprire gli occhi. "Il sonno sulla famiglia Patch..." Ma dopo cinque minuti, sebbene i cinguettii aumentassero, anche il suo capo si era chinato in avanti annuendo due, tre volte... Soltanto Maury Noble rimase sveglio, seduto sul tetto della stazione, con gli occhi spalancati e fissi in un'intensità stanca sul centro lontano del mattino. Pensava all'irrealtà delle idee, alla luminosità transitoria dell'esistenza e ai fugaci interessi che si insinuavano avidamente nella sua vita come topi in una casa in rovina. Non provava dolore per nessuno, adesso: lunedì mattina ci sarebbe stato l'ufficio e più tardi ci sarebbe stata una ragazza di un'altra classe sociale, per la quale egli era tutta la vita. Queste erano le cose più vicine al suo cuore. Nella stranezza della giornata che nasceva, pareva presuntuoso che con lo strumento debole, infranto della sua mente egli avesse mai cercato di pensare. Vi era il sole, che faceva calare grandi masse lucenti di calore; vi era la vita, attiva e assordante, che si aggirava intorno a loro come uno sciame di mosche: gli sbuffi neri di fumo della locomotiva, un crocchiante "in vettura" e un campanello che suonava. Confusamente Maury vide occhi che dal treno del latte lo fissavano curiosi, udì Gloria e Anthony discutere in fretta se egli dovesse andare in città con lei... poi un altro frastuono e Gloria era scomparsa e i tre uomini, pallidi come fantasmi, erano in piedi, soli, sulla banchina della stazione, mentre un carbonaio torvo si avviava lungo la strada su un camion, canticchiando con voce rauca alla mattina estiva. 3. IL LIUTO INFRANTO. (Sono le sette e trenta di una sera d'agosto. Le finestre nel soggiorno della casa grigia erano spalancate a cambiare pazientemente l'atmosfera interna intrisa di odore di alcool e di fumo col sapore fresco del caldo crepuscolo. Sull'aria si aggirano profumi di fiori morenti così sottili, così fragili, che sembrano accennare già a un'estate lontana nel tempo. Ma l'agosto è ancora dichiarato senza posa da migliaia di grilli, intorno alla veranda e da uno di essi che è finito in casa e si è nascosto fiducioso dietro uno scaffale di libri, strillando di quando in quando la sua intelligenza e la sua volontà indomita. La stanza è immersa nel più totale disordine. Sul tavolo è posto un piatto di frutta, che è vero ma sembra artificiale. Intorno a esso sono raccolti in funesto assortimento caraffe, bicchieri e portacenere accumulati, dai quali ultimi sporgono ancora fili ondeggianti di fumo nell'aria fetida: nell'insieme occorrerebbe soltanto un cranio per far pensare a quella vulnerabile riproduzione, una volta elemento fisso in qualsiasi "spelonca", che rappresenta con sussiego gli accessori di una vita di piacere. Dopo un po' l'assolo vivace del grillo viene interrotto, piuttosto che accompagnato da un nuovo suono: il gemito melanconico di un flauto suonato alla rinfusa. E' chiaro che il musicista, più che fare un'esecuzione, si limita a fare esercizio, perché di quando in quando le note contorte tacciono e, dopo una pausa di borbottii indistinti, ricominciano. Poco prima della settima falsa partenza, un terzo rumore contribuisce alle stonature sommesse. E' un taxi. Un minuto di silenzio, poi di nuovo il taxi, la sua rumorosa ritirata che quasi cancella lo scricchiolìo dei passi sul sentiero. Lo scampanellìo alla porta percorre allarmante la casa. Dalla cucina entra un piccolo giapponese stanco che si abbottona in fretta una giacca di cotone bianco da domestico. Apre la porta e fa entrare un bel giovanotto di trent'anni che indossa il tipo di abiti ben intenzionati, caratteristici, di coloro che fanno da servi agli uomini. Tutta la sua personalità è soffusa di un'aria ben intenzionata: lo sguardo circolare sulla stanza è un misto di curiosità e di deciso ottimismo; quando guarda Tana gli occhi gli si riempiono dell'interno fardello di far del bene all'empio orientale. Si chiama Frederick E. Paramore. E' stato a Harvard con Anthony, dove a causa delle iniziali dei cognomi erano sempre messi uno vicino all'altro in tutte le classi. Ne era nata un'amicizia frammentaria; ma da allora non si erano mai rivisti. Tuttavia Paramore entra nella stanza con una certa aria di arrivare per la serata. Tana risponde a una domanda.) TANA (sorridendo con aria adulatoria): Andati listolante pel cena. Indietlo mezz'ola. Andati sei mezzo. PARAMORE (guardando i bichieri sul tavolo): C'era qualcuno? TANA: Sì. Qualcuno. Signol Calamel, signol e signola Balnes, signolina Kane, tutti qui. PARAMORE: Capisco. (Con garbo.) Hanno fatto una festicciola, vedo. TANA: Non capile. PARAMORE: Hanno fatto bisboccia. TANA: Sì, lolo bevuto. Oh, tanto tanto, tanto bevuto. PARAMORE (cambiando con delicatezza argomento): Non c'era qualcuno che suonava quando sono arrivato? TANA (con una risatina spasmodica): Sì, suono io. PARAMORE: Uno strumento giapponese. (E' palesemente abbonato al "National Geographic Magazine".) TANA: Suono flauto, flauto giapponese. PARAMORE: Che cosa suonavi? Una melodia giapponese? TANA (con la fronte che si contrae vistosamente): Suono canzoni di tleno. Come si chiamano? Canzoni "fellovie". Così si chiamano mio paese. Come tleno. Fa così: vuol dile fischio; il tleno palte. Poi fa così: vuol dile tleno va. Fa così. Canzone molto calina, mio paese. Canzone bambini. PARAMORE: Era molto carina. (E' evidente a questo punto che soltanto uno sforzo gigantesco trattiene Tana dal correre di sopra a prendere le sue cartoline, comprese le sei fatte in America.) TANA: Plepalo whisky soda pel signole? PARAMORE: No, grazie. Non bevo mai. (Sorride.) (Tana si ritira in cucina lasciando la porta socchiusa Dalla fessura improvvisamente torna ad uscire la melodia della canzone giapponese: questa volta non un esercizio, di certo, ma un'esecuzione, un'esecuzione energica, animata Suona il telefono. Tana, assorto nella musica non risponde, così Paramore prende il ricevitore.) PARAMORE: Pronto... Sì.. No, non c'è nessuno adesso, ma ritornerà da un momento all'altro. Butterworth? Pronto, non ho capito bene il nome... Pronto, pronto, pronto. Pronto!... Uh! (Il telefono si rifiuta ostinatamente di dare altri suoni. Paramore posa il ricevitore. A questo punto ritorna il motivo del taxi, recando con sé un altro giovanotto; questi porta una valigia e apre la porta senza suonare il campanello.) MAURY (nell'ingresso): Oh, Anthony! Ehi! (Entra nel salone e vede Paramore.) Come va? PARAMORE (fissandolo con intensità crescente): Non sei... Non sei Maury Noble? MAURY: Proprio così. (Si avvicina, sorridendo e tendendo la mano.) Come stai vecchio? Sono anni che non ti vedo. (Ha vagamente associato quel viso con Harvard, ma non è ben certo. Il nome, se mai l'ha saputo, l'ha dimenticato da tempo. Però con sensibilità raffinata e una carità parimenti lodevole, Paramore se ne accorge e lo solleva con tatto dalla difficoltà) PARAMORE: Hai dimenticato Fred Paramore? Eravamo insieme al corso di storia del vecchio zio Robert. MAURY: Ma no, zio... Voglio dire Fred. Fred era... voglio dire, lo zio era formidabile, vero? PARAMORE (annuendo varie volte col capo, di buon grado): Straordinario. Straordinario. MAURY (dopo un breve silenzio). Sì... proprio così. Dov'è Anthony? PARAMORE: Il domestico giapponese mi ha detto che era al ristorante. A cena immagino. MAURY (guardando l'orologio). E' andato da molto? PARAMORE: Credo di sì. Il giapponese mi ha detto che sarebbero ritornati fra poco. MAURY: E se bevessimo qualcosa? PARAMORE: No, grazie. Non ne ho l'abitudine. (Sorride.) MAURY: Ti dispiace se bevo io? (Sbadigliando mentre si serve da una bottiglia.) Che cos'hai fatto dopo l'università? PARAMORE: Oh, molte cose. Ho condotto una vita molto attiva. Mi sono dato da fare un po' dappertutto. (Il suo tono allude a qualunque cosa, dalla caccia al leone al delitto organizzato.) MAURY: Oh, sei stato in Europa? PARAMORE: No... sfortunatamente. MAURY: Probabilmente ci andremo tutti presto. PARAMORE: Credi davvero? MAURY: Certo! Qui ci si è nutriti di sensazionalismo per più di due anni. Sono tutti irrequieti. Vogliono divertirsi un po'. PARAMORE: Allora non credi che ci sia in posta qualche ideale? MAURY: Niente d'importante. La gente vuole distrarsi. PARAMORE (con intensità): E' molto interessante sentirti dire questo. Ho parlato con uno che c'è stato... (Durante la seguente dichiarazione, lasciata alla fantasia del lettore perché la compili con frasi quali "Visto coi suoi stessi occhi", "Splendido spirito della Francia" e "Salvezza della civiltà", Maury siede con le palpebre abbassate, seccato, con distacco.) MAURY (alla prima opportunità che si presenta): A proposito, lo sapevi che in questa casa c'è un agente tedesco? PARAMORE (sorridendo guardingo): Parli sul serio? MAURY: Certo. Mi pareva che fosse mio dovere avvertirti. PARAMORE (convinto). Una cameriera? MAURY (in un sussurro, indicando la cucina col pollice): Tana! Non è il suo vero nome. Mi hanno detto che riceve continuamente posta indirizzata al tenente Emile Tannenbaum. PARAMORE (ridendo con tolleranza cordiale). Volevi prendermi in giro. MAURY: Può darsi che lo accusi falsamente. Ma non mi hai detto che cos'hai fatto. PARAMORE: Per prima cosa... ho scritto. MAURY: Narrativa? PARAMORE: No, non narrativa. MAURY: Che cos'è, un tipo di letteratura che è mezzo narrativa e mezzo realtà? PARAMORE: Oh, mi sono limitato alla realtà. Ho fatto un mucchio di lavoro sociale. MAURY: Oh! (Il baleno immediato del sospetto gli guizza negli occhi. E' come se Paramore si fosse presentato come ladro dilettante.) PARAMORE: Adesso sto lavorando a Stamford. Soltanto la settimana scorsa qualcuno mi ha detto che Anthony Patch abitava così vicino. (Sono interrotti da un frastuono all'esterno inconfondibilmente prodotto da due sessi intenti a chiacchierare e a ridere. Poi entrano in sala in un unico gruppo Anthony, Gloria, Richard Caramel, Muriel Kane, Rachael Barnes e Rodman Barnes suo marito. Si raccolgono intorno a Maury rispondendo illogicamente "Bene!" al suo generico "Ciao!"... Anthony, intanto, si accosta all'altro ospite.) ANTHONY: Be', che bella sorpresa. Come stai? Sono tanto contento di vederti. PARAMORE: Mi fa piacere vederti, Anthony. Sto lavorando a Stamford, cosi ho pensato di fare un salto qui. (Con aria briccona.) Dobbiamo sgobbare quasi tutto il tempo, dunque abbiamo il diritto a qualche ora di vacanza. (Concentrato fino all'angoscia, Anthony cerca di ricordare il nome. Dopo un parto laborioso la memoria rinuncia al frammento "Fred" intorno al quale egli compone in fretta la frase "Hai fatto proprio bene, Fred!". Intanto il lieve silenzio che precede la presentazione è sceso sulla compagnia. Maury, che potrebbe aiutare, preferisce stare a guardare, godendosi maliziosamente la scena.) ANTHONY (disperato): Signori e signore, questo è... questo è Fred. MURIEL (con disinvoltura cortese). Salve Fred. (Richard Caramel e Paramore si salutano con intimità chiamandosi per nome e Paramore si ricorda che Dick era uno dei compagni di corso che non si erano mai presi il disturbo di rivolgergli la parola. Dick ingenuamente immagina di aver conosciuto Paramore in un'altra occasione in casa di Anthony. Le tre signore salgono in camera.) MAURY (sottovoce a Dick). E' dal matrimonio di Anthony che non vedo Muriel. DICK: E' in pieno fiore. La sua ultima è "Direi!". (Anthony lotta un po' con Paramore e alla fine tenta di rendere generale la conversazione invitando tutti a bere.) MAURY: Ho già lavorato bene con questa bottiglia. Sono andato da "Proof" a "Distillery". (Indica le parole sull'etichetta.) ANTHONY (a Paramore): Non si può mai prevedere la comparsa di questi due. Li ho salutati un giorno alle cinque, e accidenti se non sono ricomparsi verso le due del mattino. Un grosso pullman a noleggio di New York si è fermato davanti alla porta e loro sono scesi, naturalmente ubriachi come principi. (In un'estasi di rispetto Paramore contempla la copertina di un libro che tiene stretto fra le mani. Maury e Dick si scambiano uno sguardo.) DICK (con aria innocente, a Paramore): Lavori qui in città? PARAMORE: No, sono nel Laird Street Settlement di Stamford. (Ad Anthony.) Non hai idea della povertà che c'è in queste cittadine del Connecticut. Gli italiani e altri immigranti. Quasi tutti cattolici, capisci, così è molto difficile mettersi in contatto. ANTHONY (con garbo): Molta delinquenza? PARAMORE: Non tanto delinquenza quanto ignoranza e sporcizia. MAURY: Ecco la mia teoria: condanna immediata alla sedia elettrica di tutte le persone ignoranti e sporche. Io sto per i criminali: danno colore alla vita. Il guaio è che se ci si mette a punire l'ignoranza poi si dovrebbe passare alla gente del cinema e infine al Congresso e al clero. PARAMORE (sorridendo inquieto): Io parlavo dell'ignoranza più fondamentale... perfino del linguaggio. MAURY (pensoso): Dev'essere piuttosto dura. Non possono neppure tenersi al corrente dell'ultima poesia. PARAMORE: Soltanto dopo che si è lavorato per qualche mese, si capisce la situazione. Come ha detto la nostra segretaria, le unghie non sembrano mai sporche fino a quando non si ci lava le mani. Naturalmente stiamo già attirando l'attenzione. MAURY (bruscamente): Come potrebbe dire la tua segretaria, se si pigia della carta in una griglia, fa una fiammata in un momento. (A questo punto Gloria, tinta di fresco e bramosa di ammirazione e di divertimento, si unisce a loro, seguita dalle due amiche. Per qualche momento la conversazione diventa del tutto frammentaria. Gloria chiama Anthony in disparte.) GLORIA: Per favore, non bere tanto, Anthony. ANTHONY: Perché? GLORIA: Perché diventi così stupido quando bevi. ANTHONY: Santo cielo, che cosa c'è, adesso? GLORIA (dopo un silenzio durante il quale lo fissa freddamente): Parecchie cose. In primo luogo, perché insisti a pagare sempre tutto? Quei due uomini hanno tutti e due più denaro di te. ANTHONY: Ma Gloria! Sono miei ospiti. GLORIA: Non è una ragione perché tu paghi una bottiglia di champagne rotta da Rachael Barnes. Dick ha cercato di pagare il secondo taxi e tu non glielo hai permesso. ANTHONY: Ma, Gloria... GLORIA: Se dobbiamo continuare a vendere titoli per pagare i nostri conti, è ora di troncare le generosità eccessive. E poi, al tuo posto, la smetterei di star tanto dietro a Rachael Barnes. A suo marito non piace più di quanto piaccia a me. ANTHONY: Ma, Gloria... GLORIA (facendogli il verso con aria tagliente): "Ma, Gloria!" E' accaduto un po' troppo spesso, quest'estate... con tutte le belle signore che hai conosciuto. E diventata una specie di abitudine e non ho intenzione di sopportarlo. Se hai voglia di trovarti delle distrazioni, me ne posso trovare anch'io. (Poi, come in un secondo pensiero.) A proposito, questo Fred non è per caso un altro Joe Hull? ANTHONY: Santo cielo, no! Probabilmente è venuto a spillare qualche quattrino dal nonno per il suo gregge. (Gloria si allontana da un Anthony molto depresso, e ritorna dagli ospiti.) (Verso le nove questi si possono dividere in due tipi: quelli che hanno bevuto in continuazione e quelli che hanno bevuto poco o niente. Nel secondo gruppo sono i Barnes, Muriel e Frederick Paramore.) MURIEL: Come vorrei saper scrivere. Ho delle idee, ma non riesco mai a esprimerle in parole. DICK: Come ha detto Golia, capiva che cosa provava Davide ma non riusciva a esprimersi. Questa frase fu immediatamente adottata come motto dai Filistei. MURIEL: Non ti capisco. Si vede che invecchiando divento stupida. GLORIA (oscillando incerta dall'uno all'altro come un angelo che avesse voglia di scherzare): Se qualcuno ha fame ci sono delle paste sul tavolo da pranzo. MAURY:. Non posso sopportare quei disegni vittoriani. MURIEL (violentemente divertita): Direi che sei sbronzo, Maury. (Il suo seno è ancora un selciato da lei offerto agli zoccoli di molti stalloni di passaggio nella speranza che i ferri possano far scaturire anche soltanto una scintilla d'amore nel buio. .. Il signor Barnes e il signor Paramore sono stati assorti nella conversazione su qualche argomento salutare, un argomento così salutare che il signor Barnes ha cercato parecchie volte di gettarsi nell'aria viziata che circonda il divano centrale. E' problematico se Paramore si trattenga nella casa grigia per cortesia o per curiosità o per fare in futuro una relazione sociologica sulla decadenza della vita americana.) MAURY: Fred, credevo che tu fossi di mente aperta. PARAMORE: Lo sono. MURIEL: Anch'io. Credo che una religione valga l'altra, è tutto. PARAMORE: C'è qualcosa di buono in tutte le religioni. MURIEL: Io sono cattolica, ma come dico sempre non sono praticante. PARAMORE (in uno slancio colossale di tolleranza). La religione cattolica è molto... molto potente. MAURY: Be', un uomo dalla mente così aperta dovrebbe meditare sul miglioramento della sensazione e lo stimolo all'ottimismo contenuto in questo cocktail. PARAMORE (prendendo il bicchiere con aria di leggera sfida). Grazie, ne proverò uno. MAURY: Uno? Che vergogna. C'è qui una riunione del corso del diciannove e ti rifiuti di essere un po' brillo. Su! "Alla salute del re Charles, alla salute del re Charles, leva la coppa al brindisi..." (Paramore si unisce al coro con voce cordiale.) MAURY: Riempi il bicchiere, Frederick. Sai benissimo che in noi tutto è subordinato ai fini della natura, e i suoi fini con te sono di renderti un ubriacone. PARAMORE: Se uno sa bere da gentiluomo... MAURY: Che cos'è poi, un gentiluomo? ANTHONY: Uno che non ha mai spilli sotto il risvolto della giacca. MAURY: Sciocchezze! Lo stato sociale dell'uomo è determinato dalla quantità di pane che si mangia in un tramezzino. DICK: Uno che preferisce la prima edizione di un libro all'ultima edizione di un giornale. RACHAEL: Uno che non sembra mai un morfinomane. MAURY: Un americano che riesce a canzonare un maggiordomo inglese facendogli pensare che lo è. MURIEL: Uno che viene da una buona famiglia ed è andato a Yale o Harvard o Princeton e ha quattrini e balla bene e così via. MAURY: Finalmente... Ecco la definizione perfetta! Quella del cardinale Newman ormai è superata. PARAMORE: Secondo me si dovrebbe affrontare il problema con maggior larghezza di vedute. E' stato Abraham Lincoln a dire che gentiluomo è colui che non fa mai soffrire. MAURY: Credo che questo sia attribuito al generale Ludendorff. PARAMORE: Vuoi scherzare. MAURY: Ancora un po' di whisky. PARAMORE: Non dovrei. (Abbassando la voce per essere udito da Maury soltanto.) E se ti dicessi che questa è la terza volta in vita mia che bevo whisky? (Dick attacca il grammofono, il che fa alzare in piedi Muriel che si mette a oscillare sui fianchi, coi gomiti contro le costole e gli avambracci perpendicolari al corpo, sporgenti come pinne.) MURIEL: Oh, tiriamo via i tappeti e balliamo! (La proposta è accolta da Anthony e Gloria con gemiti interiori e pallidi sorrisi di approvazione.) MURIEL: Su, pigroni. Alzatevi e spostate i mobili. DICK: Aspetta che abbia finito di bere. MAURY (intento al suo piano per Paramore): Sta' a sentire. Riempiamoci ciascuno un bicchiere, beviamolo... e poi balleremo tutti. (Un'ondata di protesta che si frange contro lo scoglio dell'insistenza di Maury.) MURIEL: E' che la testa mi gira, adesso. RACHAEL (sottovoce ad Anthony): E' stata Gloria a dirti di starmi lontano? ANTHONY (confuso): Ma no. No di certo. (Rachael gli sorride inscrutabile. Questi due anni le hanno dato una bellezza un po' dura, ben curata) MAURY (alzando il bicchiere): Alla sconfitta della democrazia e alla caduta della Cristianità. MURIEL: Via, andiamo! (Lancia uno sguardo di rimprovero canzonatorio a Maury e poi beve. Bevono tutti, chi più chi meno a fatica.) MURIEL: Sgombriamo il pavimento! (La cosa pare ormai inevitabile, così Anthony e Gloria si uniscono agli altri nella gran confusione di mobili spostati, sedie accatastate, tappeti arrotolati e lampade rotte. Quando i mobili sono stati ammassati in mucchi antiestetici lungo le pareti, appare uno spazio di circa due metri e mezzo quadrati) MURIEL: Oh, attacchiamo la musica. MAURY: Tana canterà un canto d'amore da specialista degli occhi orecchi naso e gola. (Con molta confusione dovuta al fatto che Tana era già andato a dormire, si fanno i preparativi per la rappresentazione. Il giapponese in pigiama, col flauto in mano, viene avvolto in un plaid e messo su una sedia posata su un tavolo, dove offre uno spettacolo scurrile e grottesco. Paramore è visibilmente ubriaco e cosi esaltato da questo fatto che ne esagera le apparenze simulando di barcollare come nei giornali comici a fumetti e spingendosi addirittura fino a qualche singhiozzo.) PARAMORE (a Gloria). Vuoi ballare con me? GLORIA: Neanche per sogno. Voglio fare la danza del cigno, tu sei capace? PARAMORE: Certo. So ballare tutto. GLORIA: Bene. Tu parti da quel lato della stanza e io parto da questo. MURIEL: Andiamo! (Poi la follia esse rumorosa dalle bottiglie: Tana si immerge nei meandri reconditi del canto del treno, mentre i "tootle toot-toot" gementi fondono le loro cadenze melanconiche con la "Poor Butterfly [tink-atink], by the blossoms waiting" del grammofono. Muriel è cosi affranta dal ridere che non riesce a far altro che restare disperatamente aggrappata a Barnes, il quale ballando con la rigidità sinistra di un ufficiale dell'esercito si trascina senza spirito sulla piccola pista. Anthony cerca di udire il sussurro li Rachael, senza attirare l'attenzione di Gloria... Ma sta per accadere il fatto grottesco, incredibile, istrionico, uno di quei fatti nei quali la vita ha l'aria li tentare un'imitazione ardente delle forme più volgari di letteratura. Paramore, nel tentativo di emulare Gloria, al culmine della confusione, incomincia a piroettare sempre più vertiginosamente... barcolla, si riprende, barcolla di nuovo e finalmente cade in direzione dell'ingresso... quasi fra le braccia del vecchio Adam Patch, il cui arrivo è passato inosservato nel pandemonio della stanza. Adam Patch è molto pallilo. Si sorregge con un bastone. Lo accompagna Edward Shuttleworth, che afferra Paramore per la spalla e corregge la traiettoria della sua caduta, deviandola dal venerando filantropo. Il tempo occorso perché il silenzio scenda sulla sala come un mostruoso drappo funebre si può valutare a due minuti anche se per qualche secondo ancora le battute del grammofono, le note della canzone del giapponese scaturiscono dall'estremità del flauto di Tana. Delle nove persone soltanto Barnes, Paramore e Tana non conoscono l'identità del nuovo venuto. Di tutte nove, nessuno sa che Adam Patch proprio quel mattino ha versato un contributo di cinquanta mila dollari alla causa nazionale del proibizionismo. Spetta a Paramore di spezzare il nuovo silenzio; l'alta marea della sua depravazione si manifesta in una frase incredibile.) PARAMORE (strisciando in fretta verso la cucina sulle mani e le ginocchia): Io non sono un ospite, qui: sono qui a lavorare. (Di nuovo cade il silenzio così profondo, ora, così greve di un'ansietà insopportabilmente contagiosa che Rachael fa una risatina nervosa e Dick si sorprende a ripetere e ripetere a se stesso un verso di Swinburne grottescamente adatto alla scena: "Smorto, spettrale un fior dall'alito inodoro." ...Dal silenzio sorge la voce di Anthony, sobria e nervosa, rivolta a Adam Patch; poi anche questa si spegne.) SHUTTLEWORTH (con ardore): Vostro nonno ha pensato di venire in macchina a vedere la vostra casa. Ho telefonato da Rye e ho lasciato il messaggio. (Una serie di lievi ansiti che sembrano provenire dal nulla, da nessuno, cala sul silenzio che segue. Anthony è color del gesso. Le labbra di Gloria sono socchiuse e il suo sguardo, fisso sul vecchio, è nervoso e spaventato. Non si vedono sorrisi. Nessuno? O non trema forse, lievemente socchiusa, la bocca di Cross Patch, a mostrare le file regolari dei denti aguzzi? Egli parla: tre parole calme semplici.) ADAM PATCH: Andiamo via, Shuttleworth... (E basta. Si volta, e con l'aiuto del bastone attraversa l'ingresso, la porta, e con infernale magia i passi incerti calpestano il viale inghiaiato sotto la luna d'agosto.) Retrospettiva. In questa calamità furono come due pesciolini rossi in una boccia dalla quale fosse stata tolta tutta l'acqua; non riuscivano neanche a nuotare l'uno verso l'altro. Gloria avrebbe avuto ventisei anni a maggio. Aveva detto una volta che non desiderava nulla tranne restare giovane e bella a lungo, ed essere lieta e felice e avere denaro e amore. Desiderava ciò che desideravano la maggior parte delle donne, ma lei lo desiderava con più ardore e più violenza. Era sposata da due anni. Dapprima erano state giornate di armonia serena, che giungevano ad estasi di padronanza e orgoglio. A questi periodi si erano alternate avversioni sporadiche che duravano al massimo un'ora e perdoni che duravano al massimo un pomeriggio. Questo era continuato per sei mesi. Poi la serenità, la soddisfazione era diventata meno giubilante, era diventata grigia: molto di rado, sotto lo stimolo della gelosia e di una separazione forzata, erano ritornate le antiche estasi, l'apparente comunione delle anime, l'esaltazione emotiva. Le riusciva di odiare Anthony per una giornata intera, di essere sbadatamente affettuosa con lui per una settimana. Le recriminazioni avevano trasformato gli affetti in auto-indulgenza, quasi in un divertimento, e certe sere andavano a dormire cercando di ricordare a chi spettava di essere in collera e di fare il riservato l'indomani mattina. E allo spirare del secondo anno erano sopravvenuti due elementi nuovi. Gloria si rese conto che Anthony era diventato capace di un'indifferenza suprema per lei, un'indifferenza momentanea, quasi letargica, dalla quale non riusciva più a smuoverlo con una parola sussurrata o con un certo sorriso segreto. Vi erano giorni in cui le sue carezze gli riuscivano quasi soffocanti. Di tutto questo Gloria era consapevole; non lo ammetteva mai pienamente a se stessa. Soltanto di recente si era accorta che, pur adorandolo, essendone gelosa, restandogli sottomessa, e nonostante il proprio orgoglio, in fondo lo disprezzava: il suo disprezzo si mescolava inconfondibilmente con le altre emozioni... Tutto questo era il suo amore: l'illusione vitale e femminile che si era rivolta verso di lui una sera di aprile, molti mesi prima. Per Anthony ella rappresentava, nonostante queste precisazioni, l'unica preoccupazione al mondo. Se l'avesse perduta sarebbe stato un uomo distrutto, assorto con disperazione sentimentale nel suo ricordo per il resto della vita. Di rado era contento di passare una giornata intera solo con lei: tranne in qualche caso, preferiva avere con sé anche una terza persona. Certe volte gli pareva che se non l'avesse lasciato completamente solo sarebbe impazzito; qualche rara volta la detestava decisamente. Quando beveva era capace di provare una breve attrazione per altre donne, esuberanze finora soffocate di un temperamento sperimentale. Quella primavera, quell'estate, avevano meditato sulla felicità futura: i viaggi da una residenza estiva all'altra, con un ritorno definitivo in una tenuta stupenda e qualche eventuale bambino idilliaco, poi la carriera diplomatica o politica per compiere cose belle e importanti per qualche tempo, e finalmente la conclusione, come una coppia dai capelli bianchi (bellissimi, come la seta), intenta a girellare in uno splendore sereno, adorata dalla borghesia della zona... Questi momenti dovevano incominciare "quando avremo il nostro denaro"; era su questi sogni più che su qualunque altra soddisfazione della loro vita, sempre più irregolare, sempre più dissipata, che si posava la loro speranza. Nelle mattinate grigie in cui le imprese della sera precedente si erano indotte a gesti privi di spirito e di dignità, tiravano fuori questo fascio di speranze comuni e le enumeravano, come un sistema, per poi sorridersi e ripetersi, come conclusione, il provocante "me ne infischio" del nietzschianesimo limpido e sincero di Gloria Le cose erano precipitate visibilmente. C'era il problema dei soldi, sempre più fastidioso, sempre più sinistro; c'era la percezione che l'alcool era diventato praticamente una necessità per il loro divertimento: fenomeno da un centinaio d'anni non insolito nell'aristocrazia britannica, ma vagamente preoccupante in una civiltà che andava diventando sempre più moderata e più circospetta. Inoltre parevano entrambi indeboliti nella fibra, non tanto nei loro gesti quanto nelle loro segrete reazioni alla civiltà circostante. In Gloria era nato qualcosa di cui fino allora ella non aveva avuto bisogno: lo scheletro incompleto e tuttavia inconfondibile del suo antico orrore: la coscienza. Questa concessione a se stessa coincise col lento declino del suo coraggio fisico. Poi la mattina di agosto che seguì la visita inattesa di Adam Patch si svegliarono nauseati e stanchi, scoraggiati dalla vita, capaci di un'unica emozione dilagante: la paura. Panico. "Be'?" Anthony si rizzò a sedere sul letto e abbassò lo sguardo su di lei. Aveva gli angoli delle labbra piegati dallo scoraggiamento, la voce tesa e afona. La risposta di Gloria consisté nell'alzarsi una mano alla bocca per incominciare a mordicchiarsi un dito con lenta precisione. "E' andata" disse Anthony dopo un silenzio; poi si esasperò non ricevendo risposta. "Perché non dici qualcosa?" "Che cosa vuoi che dica?" "Che cosa stai pensando?" "Niente." "Allora smetti di morsicarti il dito." Seguì una breve discussione confusa, se Gloria avesse o no pensato a qualcosa. Ad Anthony pareva essenziale che ella dovesse pensare ad alta voce sul disastro della sera prima. Il suo silenzio era un metodo che mirava a gettare tutte le responsabilità su di lui. Da parte sua ella non vedeva alcuna necessità di parlare. Il momento esigeva che il suo dito venisse morsicato come fanno i bambini nervosi. "Devo sistemare questo maledetto pasticcio col nonno" disse Anthony con convinzione inquieta. L'ombra di un rispetto nuovo apparve nella sua espressione. "Non ci riesci" affermò Gloria bruscamente. "Non ci riuscirai mai; non ti perdonerà mai finché vive." "E' possibile" ammise Anthony sconsolato. "Eppure... chissà che non riesca a rimettermi in squadra con una specie di redenzione e così via..." "Pareva malato" interruppe Gloria "pallido come la farina." "E' malato. Te l'ho detto tre mesi fa." "Ma perché non è morto la settimana scorsa!" disse lei con petulanza. "Vecchio scemo scocciatore!" Nessuno dei due rise. "Ma lascia che ti dica" soggiunse Gloria sottovoce, "che la prima volta che ti vedo comportarti con una donna come ti sei comportato ieri sera con Rachael Barnes, ti lascio sui due piedi! Non intendo sopportarlo PIU'!" Anthony gemette. "Oh, non essere assurda" protestò. "Lo sai che non c'è nessun'altra al mondo fuori di te... Nessuna, cara." Il tentativo di toccare la nota della tenerezza fallì miseramente: il pericolo più imminente tornò a sorgere in primo piano. "Se andassi da lui" propose Anthony, "e gli dicessi con le debite citazioni bibliche che ho proceduto troppo a lungo sulle vie del disonore e finalmente ho visto la luce..." S'interruppe e le lanciò un'occhiata con un'espressione incerta. "Chissà che cosa farebbe?" "Non lo so." Stava pensando se gli ospiti avrebbero avuto o no il buon senso di partire subito dopo la prima colazione. Passò una settimana prima che Anthony raccogliesse il coraggio di andare a Tarrytown. La prospettiva era ripugnante, e se fosse stato solo sarebbe stato incapace di fare il viaggio: ma se la sua volontà si era frantumata in quegli ultimi tre anni, lo stesso era avvenuto della sua capacità di resistere all'insistenza. Gloria lo costrinse ad andare. Era giusto aspettare una settimana, disse, perché questo avrebbe permesso alla collera violenta del nonno di placarsi; ma aspettare più a lungo sarebbe stato un errore sarebbe stato una ragione per incrudirla. Anthony andò trepidante... e invano. Adam Patch non stava bene, disse Shuttleworth indignato. Aveva dato ordini precisi di non lasciar entrare nessuno. Davanti all'occhio vendicativo dell'ex guaritore di alcoolismo il fronte di Anthony cedette. Egli ritornò al taxi quasi in ritirata: ritrovando un po' di dignità soltanto mentre prendeva il biglietto del treno; lieto di fuggire come un ragazzo, nei palazzi incantati della consolazione che ancora gli sorgevano luccicanti nella mente. Gloria lo accolse sprezzante al suo ritorno a Marietta. Perché non si era imposto e non era entrato? Così avrebbe fatto lei. Insieme scrissero una lettera al vecchio e dopo molte modifiche la spedirono. Era in parte una scusa, in parte una spiegazione rabberciata. La lettera non ricevette risposta. Giunse un giorno di settembre, un giorno sferzato di volta in volta dal sole e dalla pioggia, un sole senza calore, una pioggia senza freschezza. Quel giorno abbandonarono la casa grigia che aveva visto fiorire il loro amore. Quattro bauli e tre ceste mostruose di vimini erano ammassati nella stanza smontata dove due anni prima essi si erano sdraiati oziosi a pensare in forma di sogni, passato, languore, felicità. La stanza vuota echeggiava. Gloria, in un abito nuovo bordato di pelliccia, sedeva in silenzio su un baule e Anthony passeggiava nervosamente, fumando, in attesa del furgone che avrebbe trasportato in città il loro bagaglio. "Che cosa sono?" chiese Gloria, indicando alcuni libri allineati su una cesta. "E' la mia vecchia raccolta di francobolli" confessò timidamente Anthony. "Ho dimenticato di metterla nel bagaglio." "Anthony, è così stupido portarla in giro." "Be', la stavo guardando, il giorno che siamo partiti dalla città a primavera e ho deciso di non immagazzinarla." "Perché non la vendi? Non abbiamo abbastanza cianfrusaglie?" "Scusami" disse umilmente Anthony. Con grande strepito il furgone si accostò alla porta di casa. Gloria agitò provocante il pugno verso le quattro pareti. "Sono così felice di partire!" gridò. "Così felice. Oh, mio Dio, come detesto questa casa!" Così la bella signora fortunata andò col marito a New York. Già sul treno che li portava in città bisticciarono: le cattiverie di lei avevano la frequenza, la regolarità, l'inevitabilità delle stazioni che oltrepassavano. "Non essere in collera" la pregò Anthony con tristezza. "Dopotutto non ci resta altro che il nostro amore." "Non abbiamo neanche quello, il più delle volte!" esclamò Gloria. "Quand'è che non l'abbiamo?" "Molto spesso... a cominciare da quella volta sulla banchina del treno a Redgate." "Non vorrai dire che..." "No" lo interruppe Gloria freddamente. "Non è che ci ripensi. E' successo ed è passato e quando è passato si è portato via qualche cosa." Tacque d'improvviso. Anthony rimase in silenzio, confuso, scoraggiato. Le scialbe visioni laterali di Mamaroneck, Larchmont, Rye, Pelham Manor, si susseguirono con intervalli di pianure smorte e pretenziose che stavano in posa, senza successo, a far da campagna. Si sorprese a ricordare una mattina d'estate che erano partiti insieme da New York in cerca di felicità. Non si aspettavano di trovarla, forse, ma la ricerca in sé era stata più felice di quanto egli si fosse mai aspettato. Pareva che la vita dovesse essere una sistemazione di puntelli: altrimenti era il disastro. Non c'era pace, non c'era sosta. Era stato vano quel desiderio di lasciarsi trasportare nel sogno; nessuno si può far trasportare se non dal Maelström, nessuno può sognare senza che i sogni diventino incubi fantastici di indecisione e rimpianto. Pelham! Avevano bisticciato, a Pelham, perché Gloria voleva guidare. E quando ella aveva posato il piedino sull'acceleratore, la macchina aveva fatto un balzo spiritato e le loro due teste avevano sussultato come marionette manovrate da uno stesso filo. Il Bronx: le case raccolte e luccicanti al sole, che si riversava ora da vasti cieli splendenti e fasci di luce precipite sulle strade. Gli pareva che New York fosse la casa: la città del lusso e del mistero, delle speranze pazzesche e dei sogni esotici. Qui alla periferia palazzi assurdi di stucco sorgevano nel tramonto fresco, si fermavano un attimo in una fresca irrealtà, scivolavano lontano seguiti dalla confusione labirintica del fiume Harlem. Il treno procedeva nell'addensarsi al crepuscolo sopra una cinquantina di strade allegramente sudate dell'estremo East Side, ciascuna in fuga davanti al finestrino del treno come lo spazio fra i denti di una ruota gigantesca, ciascuna con la sua colorita, energica rivelazione di bambini poveri, sciamanti in un'attività febbrile come formiche indaffarate in un viale di sabbia rossa. Dalle finestre dei caseggiati si affacciavano madri rotonde come la luna, costellazioni di questo sordido paradiso; donne come neri gioielli imperfetti, donne come legumi, donne come grandi fardelli di biancheria orrendamente sporca. "Mi piacciono queste strade" disse Anthony ad alta voce. "Mi pare sempre che siano uno spettacolo organizzato per me; come se dovessero tutti smettere di ridere e saltare e diventare invece molto tristi appena sono passato io, ricordandosi come sono poveri e rientrando a capo chino nelle case. E' un effetto che si prova spesso all'estero, ma di rado in questo paese." Nell'alta strada affaccendata lesse una diecina di nomi ebrei su una fila di negozi; sulla porta di ciascun negozio stava in piedi un ometto bruno che guardava i passanti con occhi attenti: occhi che scintillavano di sospetto, orgoglio, chiarezza, cupidigia, comprensione. New York: non riusciva a staccarla ora dal lento strisciare verso l'alto di questa gente; i negozietti che si ingrandivano, si espandevano, si consolidavano, si spostavano, sorvegliati da occhi di falco e un'attenzione ai particolari degna di un'ape: dilagavano da tutte le parti. Era impressionante: visto in prospettiva era colossale. La voce di Gloria interruppe i suoi pensieri con strana coincidenza. "Chissà dov'è stato Bloeckman, quest'estate." L'alloggio. Dopo la sicurezza della gioventù s'inizia un periodo intensamente e insopportabilmente complesso. Per un barista questo periodo è così breve da essere quasi trascurabile. Gli uomini di qualche gradino più in alto nella scala insistono più a lungo nel tentativo di mantenere gli ultimi piaceri dei rapporti umani, di conservare idee di onestà "poco pratiche". Ma all'accostarsi della trentina la faccenda è diventata troppo complicata, e ciò che fino allora è stato imminente e preoccupante s'è fatto lentamente remoto e confuso. La "routine" cala come il crepuscolo su un passaggio sgradevole, addolcendolo fino a renderlo sopportabile. La complessità è troppo sottile, troppo mutevole; i valori cambiano completamente ad ogni lesione della vitalità; si incomincia a vedere che dal passato non si può imparare nulla che serva ad affrontare il futuro: così si smette di essere impulsivi, malleabili, attratti da ciò che entro vasti margini è moralmente vero, si sostituiscono le idee di onestà con regole di condotta, si dà più valore alla sicurezza che all'amore, si diventa, in modo del tutto inconscio, pragmatisti. A una minoranza resta il compito di continuare a interessarsi delle sfumature dei rapporti umani e anche questa minoranza si dedica a questo compito soltanto in certi momenti. Anthony Patch aveva cessato di essere un individuo dalla mentalità avventurosa, curiosa, ed era diventato un individuo di parte e pieno di pregiudizi, desideroso di non venir turbato dalle emozioni. Questa trasformazione graduale era avvenuta negli ultimi anni, affrettata da una serie di preoccupazioni che gli divoravano la mente. Prima di tutto c'era la sensazione dello spreco, sempre sopita nel suo cuore e ora ridestata dalla nuova situazione. Nei momenti di incertezza era ossessionato dal pensiero che dopotutto la vita poteva avere un senso. All'inizio dei vent'anni la convinzione della futilità di uno sforzo, della saggezza della rinuncia, era stata confermata dalle filosofie da lui ammirate, oltre che dall'amicizia con Maury Noble e più tardi con la moglie. Eppure vi erano stati certi casi - poco prima di conoscere Gloria, per esempio, e poi quando il nonno gli aveva proposto di andare all'estero come corrispondente di guerra - nei quali la scontentezza lo aveva spinto quasi a un passo positivo. Un giorno, poco prima di partire per sempre da Marietta, sfogliando distrattamente le pagine di un Bollettino degli ex alunni di Harvard, aveva trovato una rubrica che narrava che cosa avevano fatto i suoi coetanei in questi sei anni successivi alla laurea. Quasi tutti erano negli affari, era vero, e alcuni stavano convertendo i pagani della Cina o dell'America a un confuso protestantesimo; ma vide che alcuni lavoravano efficacemente ad attività che non erano né sinecure né "routines". C'era per esempio Calvin Boyd che, pur essendo appena uscito dalla facoltà di medicina, aveva scoperto una nuova cura per il tifo, era andato all'estero e stava addolcendo la civiltà che le grandi Potenze avevano procurato alla Serbia; c'era Eugene Bronson, i cui articoli su "The New Democracy" lo designavano uomo dalle idee superiori sia a un conformismo volgare sia all'isterismo popolare; c'era un tale, di nome Daly, che era stato sospeso dalla facoltà di un'università dignitosa perché predicava la dottrina marxista in aula; nell'arte, nella scienza, nella politica vide emergere le vere personalità del suo tempo: c'era perfino Severance, il mediano, che aveva rinunciato alla vita con una certa chiarezza e grazia per la Legione Straniera sull'Aisne. Aveva posato la rivista e aveva pensato un momento a questi vari uomini. Ai tempi della sua integrità avrebbe difeso il suo atteggiamento fino all'ultimo Epicuro nel Nirvana, avrebbe gridato che per lottare bisognava credere e per credere bisognava porre dei limiti. Sarebbe diventato bigotto perché gli piaceva la prospettiva dell'immortalità, così come avrebbe preso in considerazione di entrare nel mondo degli affari perché l'intensità della competizione gli avrebbe impedito di essere infelice. Ma adesso non aveva scrupoli delicati. Quell'autunno, iniziando il suo ventinovesimo anno di vita, egli tendeva a chiudere la mente su molte cose, a evitar di frugare a fondo nelle ragioni e nelle cause prime, e soprattutto a bramare ardentemente la sicurezza che lo difendesse dal mondo e da se stesso. Detestava di restar solo, ma come già è stato detto spesso temeva di restar solo con Gloria. L'abisso che la visita del nonno gli aveva spalancato davanti, e la conseguente ripugnanza per il recente tenore di vita, lo spingevanoinevitabilmentea cercare in questa città improvvisamente ostile gli amici e gli ambienti che una volta gli erano sembrati i più caldi e sicuri. Il primo passo fu un tentativo disperato di riavere il vecchio appartamento. Nella primavera del 1912 aveva firmato un contratto di quattro anni a millesettecento dollari l'anno, con l'opzione di rinnovo. Il contratto era scaduto il maggio precedente. Quando aveva affittato le stanze, l'appartamento esisteva soltanto in potenza, immaginabile a stento, ma Anthony aveva scorto questa potenzialità e aveva stabilito nel contratto in che misura il padrone di casa avrebbe dovuto partecipare alle spese di adattamento. Gli affitti erano aumentati negli ultimi quattro anni, e a primavera, quando Anthony aveva mostrato l'opzione, il padrone di casa, un certo Sohenberg, aveva capito che avrebbe potuto ottenere un prezzo molto più alto per quello che ormai era un alloggio molto bello. Di conseguenza Anthony, quando gli parlò in proposito a settembre, si vide accogliere da Sohenberg con l'offerta di un contratto di tre anni a duemilacinquecento dollari all'anno. Ad Anthony questo parve scandaloso. Significava che più di un terzo della loro rendita sarebbe stato assorbito dall'affitto. Invano sostenne che l'alloggio era stato abbellito dal suo denaro, dalle sue idee sull'arredamento. Invano offrì duemila dollari; duemiladuecento, per quanto gli riuscisse già pesante: Sohenberg era ostinato. Pareva che altri due offerenti stessero considerando la cosa; era proprio il tipo di alloggio molto richiesto in quel momento, e non sarebbe stato un buon affare "darlo" al signor Patch. Inoltre parecchi coinquilini, anche se non gliene aveva mai parlato, si erano lamentati durante lo scorso inverno del rumore fatto dal signor Patch cantando e ballando tardi la notte e così via. Interiormente infuriato, Anthony andò di corsa al Ritz a riferire a Gloria la sconfitta. "Mi par di vederti" tempestò lei, "mentre ti lasciavi mettere i piedi sul collo!" "Che cosa potevo dirgli?" "Avresti potuto dirgli che cos'è lui. Io non lo avrei sopportato. Ma nessuno al mondo l'avrebbe sopportato. Tu lasci sempre che tutti ti comandino a bacchetta e ti imbroglino e facciano i prepotenti e approfittino di te come se tu fossi un ragazzino. E' assurdo." "Oh, per amor del cielo, stai calma." "Sì, Anthony, ma sei talmente stupido." "Be',può darsi.Comunque nonpossiamopermetterci quell'appartamento. Però possiamo permettercelo più che non di vivere qui al Ritz." "Sei stato tu a voler venire qui." "Sì, perché sapevo che saresti stata infelice in un albergo da poco." "Si capisce che lo sarei stata." "A ogni modo dobbiamo trovare un posto dove andare." "Quanto possiamo pagare?" chiese Gloria. "Be', possiamo pagare anche quello che vuole, se vendiamo altre azioni, ma ieri sera abbiamo deciso che fin che non saprò qualcosa di definitivo avremmo..." "Oh lo so. Ti ho chiesto quanto possiamo pagare in base alla rendita." "Dicono che non si deve pagare più di un quarto." "Quanto è un quarto?" "Centocinquanta al mese." "Vuoi dire che abbiamo soltanto seicento dollari di rendita al mese?" Un accento soffocato le si era insinuato nella voce. "Si capisce" rispose lui di malumore. "Credi che avremmo potuto spendere più di dodicimila dollari all'anno senza intaccare il capitale?" "Sapevo che abbiamo venduto delle azioni, ma... abbiamo speso tanto? Com'è possibile?" La paura di Gloria cresceva. "Oh, guarderò in quei libri di conti che abbiamo tenuto così bene" disse lui con ironia, e poi soggiunse: "Quasi sempre due affitti, vestiti, viaggi... per esempio quelle primavere in California costano circa quattromila dollari. Quella maledetta vettura è stata una spesa dal principio alla fine. E le feste e i divertimenti e... oh, una cosa e l'altra." Ora erano tutti e due nervosi e vagamente scoraggiati. La situazione pareva peggiore ora che veniva annunciata alla Gloria di prima, quando Anthony l'aveva scoperta. "Devi fare un po' di quattrini" disse lei d'improvviso. "Lo so." "E devi fare un altro tentativo per parlare col nonno." "Hai ragione." "Quando?" "Appena siamo sistemati." Questo avvenne una settimana dopo. Affittarono un appartamentino nella Cinquantasettesima strada a centocinquanta dollari al mese. Comprendeva la camera da letto, la stanza di soggiorno, il cucinino e il bagno, in un edificio snello di pietra bianca, e le camere, sebbene fossero troppo piccole per contenere i bei mobili di Anthony, erano pulite, nuove e, in un certo senso biondo e igienico, non brutte. Bounds era andato in Europa ad arruolarsi nell'esercito britannico, e a sostituirlo sopportarono più che non godessero i servizi di una scarna irlandese ossuta che Gloria detestava perché discuteva le glorie di Sinn Fein mentre serviva la prima colazione. Ma avevano giurato che non avrebbero mai più avuto giapponesi, e i domestici inglesi per il momento erano troppo difficili da trovare. Come Bounds, la donna preparava soltanto la prima colazione. Consumavano gli altri pasti nei ristoranti e negli alberghi. Ciò che alla fine spinse Anthony in gran fretta a Tarrytown fu l'annuncio pubblicato su parecchi giornali di New York che Adam Patch il multimilionario, il filantropo, il vulnerabile benefattore, era gravemente ammalato e non se ne prevedeva la guarigione. Il gattino. Anthony non poté parlargli. Le istruzioni del dottore erano di non lasciargli vedere nessuno, disse il signor Shuttleworth che si offrì gentilmente di prendere qualsiasi ambasciata Anthony desiderasse affidargli, per farla ad Adam Patch non appena le sue condizioni lo permettessero. Ma con chiare allusioni egli confermò la melanconica deduzione di Anthony, che il nipote prodigo sarebbe stato particolarmente male accetto al capezzale. A un certo punto della conversazione Anthony, ricordando le precise istruzioni di Gloria, fece un gesto per scostare il segretario, ma Shuttleworth con un sorriso gli parò davanti le larghe spalle e Anthony capì che un simile tentativo sarebbe stato assolutamente vano. Intimidito e infelice ritornò a New York, dove marito e moglie passarono una settimana inquieta. Un piccolo incidente che capitò una sera mostra in che stato fossero ridotti i loro nervi. Mentre rientravano dalla cena, passando in una strada secondaria, Anthony notò un gatto notturno in cerca di cibo vicino a una ringhiera. "Ho sempre provato l'impulso di prendere a calci i gatti" disse sbadatamente. "A me piacciono." "Una volta non mi sono trattenuto dal farlo." "Quando?" "Oh, anni fa; prima di conoscerti. Una sera, tra un atto l'altro di uno spettacolo. Una notte fresca, come questa, e io ero un po' brillo... una delle prime volte che sono stato brillo" soggiunse. "Il poverino stava cercando un posto per dormire, immagino, e io ero cattivo, così mi è venuto il capriccio di dargli un calcio..." "Oh, povero gattino!" esclamò Gloria commossa sinceramente. Sotto l'ispirazione dell'istinto del narratore, Anthony ampliò il tema. "Sono stato molto cattivo" riconobbe. "La povera bestiolina si è voltata a guardarmi con aria triste, come se sperasse che lo prendessi in braccio e gli facessi una carezza - era proprio un gattino piccolo - e prima che se ne rendesse conto un grosso piede gli è caduto addosso e gli ha colpito la schiena..." "Oh!" Il grido di Gloria era pieno di angoscia. "Era una notte così fresca" continuò Anthony perverso, tenendo la voce su un tono melanconico. "Probabilmente aspettava che qualcuno lo accarezzasse e non ha avuto che dolore..." S'interruppe d'improvviso: Gloria stava singhiozzando. Erano arrivati a casa e appena entrati ella si gettò sul divano piangendo come se fosse stata colpita al cuore. "Oh, povero gattino!" ripeté piena di pietà. "Povero piccolo gattino. Così freddo..." "Gloria..." "Non venirmi vicino, per favore, non venirmi vicino. Hai ucciso quel povero gattino tutto morbido." Commosso Anthony le si inginocchiò accanto. "Cara" disse. "Oh, Gloria, cara. Non è vero. L'ho inventato... Parola per parola." Ma Gloria non lo credette. C'era qualcosa nei particolari che egli aveva scelto per la descrizione che la fecero piangere tutta la notte senza lasciarla dormire; per il gattino, per Anthony, per se stessa, per il dolore e l'amarezza e la crudeltà di tutto il mondo. Il decesso di un moralista americano. Il vecchio Adam morì a mezzanotte, una sera di novembre avanzato, rivolgendo con le labbra sottili un pio complimento al suo Dio. Lui, che era stato tanto adulato, si spense adulando l'Astrazione onnipotente che secondo lui egli aveva offeso nei momenti più lascivi della giovinezza. Venne annunciato che aveva stipulato una specie di armistizio con la divinità, i cui termini non dovevano essere resi noti, ma ai quali non si ritenevano estranei larghi pagamenti in contanti. Tutti i giornali pubblicarono la sua biografia e due di essi uscirono con brevi articoli di fondo sulle sue grandi doti e la parte da lui avuta nel dramma dell'industrialismo, nel quale egli si era formato. Alludevano con cautela alle riforme da lui tutelate e finanziate. Vennero risuscitate le memorie di Comstock e di Catone il Censore, che sfilarono come fantasmi scarni fra le righe dei giornali. Tutti i giornali rilevarono che gli sopravviveva un unico nipote, Anthony Comstock Patch, di New York. La sepoltura avvenne nella tomba di famiglia a Tarrytown. Anthony e Gloria presenziarono nella prima carrozza, troppo preoccupati persentirsi grotteschi,entrambi intenti a scoprire disperatamente un presagio di fortuna sulle facce dei domestici che erano stati con lui negli ultimi giorni. Aspettarono per pura decenza una settimana isterica e poi, non ricevendo comunicazioni di nessun genere, Anthony telefonò all'avvocato del nonno. L'avvocato Brett non era in ufficio: lo si aspettava fra un'ora. Anthony lasciò il suo numero di telefono. Era l'ultimo giorno di novembre e fuori faceva un freddo frizzante, col sole che si affacciava alle finestre sbiadito e senza splendore. Mentre aspettavano la telefonata, apparentemente intenti a leggere, l'atmosfera all'interno e all'esterno pareva pervasa dalla predisposta manifestazione di un patetico inganno. Dopo un tempo interminabile il campanello suonò e Anthony, sussultando violentemente, prese il ricevitore. "Pronto..." Aveva la voce tesa e vuota. "Sì... Ho lasciato il mio nome. Chi parla per favore?... Sì... Ma... era per l'eredità. Naturalmente mi interessa, e non ho ricevuto notizia della lettura del testamento... Ho pensato che forse non avevate il mio indirizzo... Come?... Sì..." Gloria cadde in ginocchio. Le pause fra le parole di Anthony erano come svolte che le serpeggiavano in cuore. Si sorprese a torcere sgomenta i grossi bottoni di un cuscino di velluto. Poi: "E'... E' molto, molto strano... E' molto strano... E' molto strano. Neanche una... hm... allusione o... hm... ragione?" La sua voce suonava fioca e lontana. Gloria emise un lieve rumore, un gridolino ansante. "Sì, vedremo... Va bene, grazie... grazie..." Si udì il rumore del ricevitore attaccato. Gli occhi di Gloria guardando lungo il pavimento videro i piedi di Anthony che tagliavano il contorno di una chiazza di sole sul tappeto. Ella si alzò e gli rimase di fronte con uno sguardo grigio, fisso, mentre Anthony la cingeva fra le braccia. "Tesoro mio" mormorò egli con voce roca. "E' andata, accidenti a lui!" L'indomani. "Chi sono gli eredi?" chiese l'avvocato Haight. "Capirete che se mi dite così poco..." L'avvocato Haight era alto e curvo e aveva folte sopracciglia sporgenti. Era stato raccomandato a Anthony come legale astuto e ostinato. "Lo so soltanto vagamente" rispose Anthony. "Un tale che si chiama Shuttleworth, e che era una specie di suo preferito, ha tutta la fortuna da amministrare o curare o qualcosa del genere. tutto tranne i legati e i vitalizi ai domestici e a quei due cugini nell'Idaho." "Di che grado sono i cugini?" "Oh, terzo o quarto, comunque. Non ne ho mai sentito parlare." L'avvocato Haight annuì con aria comprensiva. "E voi vorreste impugnare il testamento?" "Direi di sì" ammise Anthony sgomento. "Voglio fare ciò che sembra più opportuno... E' quello che voglio mi diciate." "Volete che rifiutino di omologare il testamento?" Anthony scosse la testa. "Ci siamo. Non ho la minima idea di che cosa voglia dire omologare. Io voglio una parte dell'eredità." "Cercate di darmi qualche altro particolare. Per esempio, sapete perché il testatore vi ha diseredato?" "Ma... sì" incominciò Anthony. "Capite, lui è sempre stato dietro alle riforme morali e così via..." "Lo so" intervenne l'avvocato Haight, senza sorridere. "...e non credo che mi abbia mai stimato granché. Non mi sono messo negli affari, capite. Ma sono certo che fino all'estate scorsa ero uno dei beneficiari. Avevamo una casa a Marietta e una sera al nonno è saltato in mente di venire a trovarci. Per caso c'era una festicciola un po' allegra, ed è arrivato senza avvertire. Be', ha dato un'occhiata, lui e questo Shuttleworth, e poi si è voltato ed è ritornato a Tarrytown. Da allora non ha mai risposto alle mie lettere e non ha neanche più voluto vedermi." "Era proibizionista, vero?" "Era tutto quello che si può essere... un vero maniaco religioso." "Quanto tempo prima della sua morte è stato compilato il testamento che vi ha diseredato?" "Recentemente... voglio dire dopo agosto." "E ritenete che la ragione diretta per non lasciarvi la parte più grande dell'eredità vada ricercata nella sua disapprovazione del vostro recente modo di agire?" "Sì." L'avvocato Haight rifletté. Su quali elementi intendeva impugnare il testamento, Anthony? "Ma non c'è qualche cosa sulla coercizione di volontà?" "La coercizione è un elemento: ma è il più difficile. Dovreste dimostrare che la pressione morale è giunta a un tal punto che il testatore ha disposto dei suoi beni in modo contrario alle proprie intenzioni..." "Be', non si potrebbe dire che quel Shuttleworth lo ha condotto a Marietta proprio quando credeva che ci fosse una festa?" "Questo non avrebbe importanza nella questione. C'è una grande differenza tra il consiglio e la circonvenzione. Dovreste dimostrare che il segretario aveva intenzioni colpevoli. Io suggerirei altre vie. Un testamento è automaticamente nullo in caso di pazzia, alcoolismo" - Anthony sorrise - "o incapacità mentale per senilità precoce". "Ma" obiettò Anthony, "il suo medico privato, essendo uno dei beneficiari, testimonierà contro l'incapacità mentale. E avrebbe ragione? Effettivamente il nonno ha fatto con ogni probabilità quello che intendeva fare del suo denaro: è stato perfettamente coerente con tutto quello che ha fatto in vita sua." "Ma, capite, l'incapacità mentale è come la coercizione di volontà: implica che la proprietà non è stata destinata secondo le intenzioni primitive. La base più frequente è la circonvenzione... La coercizione fisica." Anthony scosse il capo. "Temo che non ci sia molto da fare da questo lato. Mi pare meglio la coercizione di volontà." Dopo un'ulteriore discussione, così tecnica da riuscire in gran parte incomprensibile ad Anthony, questi diede il mandato all'avvocato Haight. L'avvocato propose un colloquio con Shuttleworth, che insieme a Wilson, Hiemer e Hardy era esecutore del testamento. Anthony doveva ritornare alla fine della settimana. Risultò che l'eredità era rappresentata da circa quaranta milioni di dollari. Il legato maggiore a una persona era di un milione, a Edward Shuttleworth, che riceveva inoltre trentamila dollari all'anno di stipendio come amministratore di un fondo di trenta milioni di dollari da distribuire a varie associazioni benefiche riformatrici a suo beneplacito. Gli altri nove milioni erano divisi fra i due cugini dell'Idaho e venticinque altri beneficiari: amici, segretari, domestici e impiegati che avevano in qualche occasione meritato il suggello dell'approvazione di Adam Patch. Dopo quindici giorni l'avvocato Haight, con un fondo spese di quindicimila dollari, aveva iniziato gli atti per impugnare il testamento. L'inverno del malumore. Non erano trascorsi due mesi dal loro ingresso nell'appartamentino della Cinquantasettesima Strada, che già esso aveva assunto per entrambi il colore indefinibile ma quasi tangibile che aveva impregnato la casa grigia di Marietta C'era sempre l'odore di tabacco: fumavano entrambi incessantemente; era nei vestiti, nelle coperte, nelle tende, e nei tappeti coperti di cenere. A questo si aggiungeva il puzzo di vino acido che suggeriva l'inevitabile pensiero di una bellezza deturpata e di un'orgia disgustosa al ricordo. L'odore si notava particolarmente in un certo servizio di bicchieri di vetro nell'armadio, e nella stanza più grande il tavolo di mogano era bordato di cerchietti bianchi nei punti in cui s'erano posati i bicchieri. Vi erano state molte feste: qualcuno aveva rotto gli oggetti; qualcuno si era sentito male nel bagno di Gloria; qualcuno aveva versato per terra il vino; qualcuno aveva fatto disastri incredibili nel cucinino. Queste cose rappresentavano l'elemento regolare della loro esistenza. Nonostante le decisioni prese ogni lunedì, quando si avvicinava la fine settimana era tacitamente inteso che la si doveva osservare con una specie di diversivo colpevole. Quando giungeva il sabato non discutevano la cosa, ma telefonavano a questo o quello dei loro amici abbastanza irresponsabili e proponevano un rendez-vous. Soltanto quando gli amici erano tutti riuniti e Anthony aveva tirato fuori le bottiglie, mormorava con noncuranza: "Per me preparerò un bicchiere soltanto...". Poi erano "andati" per due giorni: rendendosi conto in un'alba gelata che erano stati i più rumorosi e vistosi membri del gruppo più rumoroso e vistoso al Boul' Mich', o al Club Ramée o in altri locali più indulgenti sull'allegria della loro clientela. Si accorgevano che avevano sperperato, chissà come, ottanta o novanta dollari; di solito lo attribuivano all'avarizia generale degli amici che li avevano accompagnati. Incominciò a diventare frequente fra i loro amici più sinceri di protestare nel corso stesso di una festa e di predire una cupa fine ad entrambi, con la perdita della "bellezza" di Gloria e della salute di Anthony. La storia dell'orgia bruscamente interrotta a Marietta naturalmente era trapelata in tutti i particolari "Non è che Muriel voglia raccontarlo a tutti quelli che conosce" disse Gloria ad Anthony, "ma crede che ciascuno di coloro ai quali lo dice sia l'unico al quale lo dirà." E, sotto un velo trasparente, alla storia era stato dato un posto vistoso nel "Town Tattle", la cronaca mondana della città. Quando il testamento di Adam Patch venne reso pubblico, e i giornali stamparono la notizia della causa intentata da Anthony, la storia venne bellamente arrotondata con infinita disperazione di Anthony. Da tutte le parti incominciarono a circolare voci su di loro, voci fondate di solito su un sospetto di verità ma sovraccariche di particolari vistosi e sinistri. Esternamente non mostravano segni di rovina. Gloria, a ventisei anni, era ancora la Gloria di quando ne aveva venti; il colorito era uno stupore fresco, per il candore degli occhi; i capelli sempre luminosi come quelli di un bimbo, nel lento passaggio dal color grano a un oro cupo rossiccio; il corpo snello faceva sempre venire in mente una ninfa intenta a correre e danzare fra i boschi orfici. Gli occhi maschili, a decine, la seguivano con uno sguardo affascinato quando attraversava un vestibolo d'albergo o un atrio di teatro. Gli uomini chiedevano di venirle presentati, precipitavano in prolungati stati di ammirazione sincera, le facevano decise dichiarazioni d'amore perché era sempre bella in modo squisito e incredibile. E per parte sua Anthony aveva guadagnato, più che perduto, nell'aspetto; il suo viso aveva acquistato una certa aria indefinibile di tragedia, romanticamente in contrasto con la persona accurata e immacolata. Al principio dell'inverno, quando tutti i discorsi trattavano la probabilità dell'entrata in guerra dell'America, e Anthony faceva un tentativo disperato e sincero di scrivere, arrivò a New York Muriel Kane e andò subito a trovarli. Anche lei come Gloria, pareva non dovesse cambiare mai. Conosceva lo slang più recente, ballava gli ultimi balli e parlava delle ultime canzoni e commedie col fervore della sua prima stagione a New York. La sua civetteria era eternamente nuova, eternamente inutile; i vestiti erano eccessivi; i capelli neri erano tagliati corti, ora, come quelli di Gloria. "Sono venuta per la festa invernale di New Haven" annunciò, confidando il suo delizioso segreto. Doveva essere più vecchia di qualunque studente dell'università, ma faceva sempre in modo di assicurarsi qualche invito, nella vaga immaginazione che alla prossima festa avrebbe iniziato un flirt che si sarebbe concluso al romantico altare. "Dove sei stata?" chiese Anthony, che non mancava mai di divertirsi. "Sono stata all'Hotel Springs. Un po' bello quest'autunno... che UOMINI!" "Sei innamorata, Muriel?" "Che cosa intendi per amore?" Questa era la domanda retorica in voga quell'anno. "State a sentire" disse cambiando bruscamente argomento. "Non sono cose che mi riguardano, ma mi pare sarebbe ora che voi due vi sistemaste." "Ma noi siamo sistemati." "Sì, sistemati" li canzonò lei con astuzia. "Da tutte le parti sento raccontare le vostre bravate. Lasciate che vi dica che è molto difficile difendervi, con la gente." "Non è necessario che tu ti disturbi" disse Gloria freddamente. "Andiamo, Gloria" protestò Muriel, "sai benissimo che sono una delle tue migliori amiche." Gloria rimase zitta. Muriel continuò "Non è tanto il fatto di una donna che beve, ma Gloria è così bella e c'è tanta gente in giro a conoscerla di vista, che naturalmente è più vistoso..." "Che cosa hai sentito dire?" chiese Gloria lasciando che la dignità cedesse alla curiosità "Be', per esempio che quella festa a Marietta ha UCCISO il nonno di Anthony." Di colpo marito e moglie si tesero nel fastidio. "A me pare scandaloso" "E' quello che dicono" insisté Muriel ostinata. Anthony si mise a camminare per la stanza. "E' assurdo" dichiarò. "La stessa gente che invitiamo alle feste racconta la storia in giro come una barzelletta... e alla fine la barzelletta ci ritorna indietro in forme di questo genere." Gloria incominciò a passarsi un dito in un ricciolo color del rame. Muriel si leccò la veletta mentre meditava la frase da dire. "Dovreste fare un bambino." Gloria alzò gli occhi con aria stanca. "Non abbiamo abbastanza denaro." "Ne ha tutta la gente che vive negli slums" disse Muriel trionfante. Anthony e Gloria si scambiarono un sorriso. Avevano raggiunto lo stadio di litigi violenti che non si concludevano mai: litigi che si sopivano e tornavano a esplodere a intervalli o morivano per pura indifferenza: ma questa visita di Muriel tornò ad unirli per un momento. Quando il disagio della loro vita veniva notato da una terza persona, provavano l'impulso di affrontare insieme questo mondo ostile. Era molto raro, adesso, che questo impulso scaturisse dall'interno. Anthony si sorprese a confrontare la sua esistenza con quella del fattorino notturno dell'ascensore, un tale pallido dalla barba incolta, sulla sessantina, che aveva l'aria di essere superiore alla sua posizione. Probabilmente era questo che gli aveva assicurato l'impiego; lo rendeva un simbolo patetico e indimenticabile di fallimento. Anthony ricordava senza divertirsi un'antica barzelletta che la carriera di un fattorino d'ascensore è una faccenda di alti e bassi: è comunque una vita chiusa, di tristezza infinita. Ogni volta che Anthony entrava in ascensore, aspettava trattenendo il fiato che il vecchio gli dicesse: "Pare che verrà il sole oggi". Anthony pensava com'era difficile godere il sole o la pioggia per lui, chiuso in quella gabbietta sprangata, nel vestibolo color fumo, senza finestre. Personaggio tenebroso, egli raggiunse la tragedia abbandonando la vita che lo aveva trattato così male. Una sera, tre giovani armati vennero, lo legarono e lo lasciarono su un mucchio di carbone in cantina mentre passavano per il montacarichi. L'indomani mattina, quando venne trovato dal portiere, egli era svenuto dal freddo. Morì di polmonite quattro giorni dopo. Fu sostituito da un negro della Martinica molto loquace, con un accento inglese stonato e la tendenza a essere sgarbato, cosa che Anthony detestava. La morte del vecchio aveva prodotto su di lui press'a poco lo stesso effetto che aveva prodotto su Gloria la storia del gattino. Gli aveva ricordato la crudeltà di tutta la vita e, di conseguenza, l'amarezza crescente della sua. Stava scrivendo: e finalmente sul serio. Era andato da Dick e aveva ascoltato per un'ora tesa una spiegazione di quelle minuzie tecniche che fino allora egli aveva considerato dall'alto in basso con un certo dispregio. Aveva bisogno di denaro subito: vendeva titoli ogni mese per pagare i conti. Dick fu sincero ed esplicito. "Per quello che riguarda gli articoli di argomento letterario in queste riviste sconosciute, non guadagneresti abbastanza per pagare l'affitto. Naturalmente se uno ha il dono dell'umorismo o la fortuna di azzeccare una grande biografia o una preparazione specifica, può darsi che riesca a farsi ricco. Ma quanto a te, la narrativa è la sola cosa possibile. Dici che hai bisogno di denaro subito?" "Proprio così." "Be', ti ci vuole un anno e mezzo prima di far quattrini con un romanzo. Tenta un racconto popolare. E, a proposito, se non sono particolarmente ben fatti, devono essere allegri e sparare a zero per farti fare quattrini." Anthony pensò alla produzione recente di Dick, che era uscita in un mensile famoso. Trattava soprattutto dei gesti assurdi di una serie di personaggi di segatura che secondo le presentazioni erano figure della società di New York, e di solito finiva sul problema della purezza tecnica della protagonista, con una canzonatura sociologica sulle "buffonate dei quattrocento". "Ma i tuoi racconti..." esclamò Anthony ad alta voce, quasi involontariamente. "Oh, è diverso" dichiarò Dick gettandolo nello stupore. "Capisci, io sono una firma, quindi è prevedibile che tratti temi forti." Anthony sussultò interiormente, rendendosi conto da questa frase della defezione di Richard Caramel. Credeva egli davvero che quest'ultima produzione incredibile valesse il primo romanzo? Anthony ritornò a casa e si mise al lavoro. Si accorse che la faccenda dell'ottimismo non era cosa da poco. Dopo una decina di tentativi inutili andò alla biblioteca pubblica e per una settimana esaminò gli archivi di una rivista popolare. Poi, con miglior preparazione, terminò il primo racconto, "Il dittafono del destino". Era basato su una delle poche impressioni che gli erano rimaste del mese e mezzo trascorso a Wall Street l'anno prima. Intendeva essere la lieta storia di un fattorino che per puro caso canticchiava una melodia meravigliosa nel dittafono. Il cilindro veniva scoperto dal fratello del padrone, noto produttore di commedie musicali e subito perduto. La sezione centrale del racconto narrava la ricerca del cilindro perduto e il matrimonio finale del nobile fattorino (ormai compositore di successo) con la signorina Rooney, la stenografa virtuosa, che era per metà una Giovanna d'Arco, e per metà una Florence Nightingale. Aveva concluso che questo era ciò che le riviste volevano. I protagonisti erano i soliti abitanti del mondo letterario rosa-eceleste, immersi in una trama alla saccarina che non avrebbe offeso neppure uno stomaco a Marietta. Lo fece battere a macchina a doppio spazio seguendo il consiglio di un libricino, "Come diventare con facilità uno scrittore di successo", di R. Meggs Widdlestien,che assicurava dell'inutilità della fatica l'artigiano ambizioso, visto che dopo un corso di sei lezioni egli poteva guadagnare almeno mille dollari al mese. Dopo aver letto il racconto a Gloria, annoiata, e averle strappato la frase di rito che era "migliore di tanta roba pubblicata", mise con fine satira il "nom-de-plume" di Gilles de Sade, accluse la busta per il rinvio e la spedì. Dopo la fatica gigantesca della concezione decise di aspettare notizie sul primo racconto prima di incominciarne un altro. Dick gli aveva detto che poteva guadagnare fino a duecento dollari. Se per caso non fosse stato accettato, la lettera del direttore gli avrebbe senza dubbio fatto capire quali cambiamenti andavano fatti. "Senza dubbio è la più brutta cosa che sia mai stata scritta" disse Anthony. Il direttore convenne abbastanza comprensibilmente con lui. Gli respinse il manoscritto con un modulo di rifiuto. Anthony lo spedì altrove e incominciò un altro racconto. Il secondo era intitolato "Le porticine aperte"; l'aveva scritto in tre giorni. Trattava il mondo occulto: una coppia di estranei veniva unita da un medium in uno spettacolo di varietà. Furono in tutto sei, sei miserevoli e pietosi sforzi di "mettersi a scrivere" di una persona che fino allora non aveva mai fatto uno sforzo serio di scrivere qualcosa. Nessuno di essi conteneva una scintilla di vitalità, e la loro totale mancanza di grazia e di felicità era inferiore a quella di un giornale medio. Mentre circolavano Anthony raccolse in totale trentun moduli di rifiuto, lapidi dei pacchi che trovava come cadaveri ai piedi della porta. Alla metà di gennaio morì il padre di Gloria e ritornarono a Kansas City: un viaggio melanconico, perché Gloria non smise di pensare non alla morte del padre, ma a quella della madre. Quando gli affari di Russel Gilbert vennero un po' chiariti, entrarono in possesso di circa tremila dollari e una gran quantità di mobili. Questi erano immagazzinati, perché il signor Gilbert aveva passato l'ultimo periodo della sua vita in un alberguccio. Fu in seguito a questa morte che Anthony fece una scoperta relativa a Gloria. Nel viaggio verso l'Est, essa si rivelò, stranamente, bilfista. "Ma, Gloria!" esclamò Anthony. "Non vorrai dirmi che credi a quella roba." "Be'" disse lei provocante, "perché no?" "Perché è... è fantastico. Sai benissimo che sei una agnostica in tutti i sensi della parola. Rideresti di qualsiasi forma ortodossa della cristianità... e poi vieni fuori a dire che credi in qualche stupido principio di reincarnazione" "E con questo? Ho sentito dire da te e da Maury e da chiunque altro che m'incuta il minimo rispetto per la sua intelligenza, che la vita, così come appare, è del tutto priva di significato. Ma mi è sempre parso che se riuscissi, senza accorgermene, a imparare qualcosa, non sarebbe così priva di significato." "Non è che tu stia imparando qualcosa... sei semplicemente stanca. E se hai bisogno di una fede che ti faciliti le cose, scegline una che non si rivolga soltanto all'intelletto di un mucchio di donne isteriche. Una persona come te non dovrebbe accettare nulla che non sia decentemente dimostrabile." "Non m'importa la verità. Voglio un po' di felicità." "Be', se hai un cervello decente, la seconda dev'essere qualificata dalla prima. Qualsiasi anima semplice può illudersi con i rifiuti mentali." "Non importa" sostenne lei con energia. "E soprattutto non voglio fare da apostolo a nessuna dottrina." La discussione terminò, ma ritornò in mente ad Anthony parecchie volte dipoi. Era preoccupante trovare quella vecchia fede, evidentemente assimilata dalla madre, che tornava ad inserirsi sotto il solito travestimento di idea innata. Giunsero a New York a marzo, dopo una settimana costosa e mal consigliata passata a Hot Springs, e Anthony riprese i suoi tentativi falliti nella narrativa. Quando riuscì chiaro ad entrambi che la salvezza non si trovava nella letteratura popolare si verificò un nuovo cedimento della loro fiducia e coraggio reciproco. Fra loro si svolgeva incessantemente una lotta complicata. Tutti gli sforzi di contenere le spese fallivano per pura inerzia e a marzo avevano ricominciato a servirsi di tutti i pretesti per avere la scusa di fare una "festa". Assumendo l'atteggiamento della temerarietà, Gloria lanciò l'idea di prendere tutto il denaro che avevano e fare una vera orgia finché non fosse finito: qualunque cosa sembrava preferibile a vederlo svanire in briciole insoddisfacenti "Gloria tu non desideri le feste più di me." "A me non importa. Tutto quello che faccio è in accordo con le mie idee: impiegare ogni minuto di questi anni finché sono giovane a divertirmi il più possibile." "E poi?" "Poi non importa" "Sì, che t'importerà." "Be', può darsi... Ma non potrò farci niente. E almeno mi sarò divertita un po'." "Non cambierà niente. E poi ci siamo già divertiti un po'. Abbiamo fatto l'inferno e ora dobbiamo pagarlo." Tuttavia il denaro continuava ad andare. C'erano due giorni di allegria, due giorni di tristezza un circolo interminabile, quasi invariabile. Le brusche riprese, quando capitavano, consistevano di solito in uno slancio di lavoro di Anthony, mentre Gloria, nervosa e annoiata, restava a letto o si mordeva disperatamente le dita. Dopo un paio di giorni prendevano un impegno e poi... Oh, che cosa importava? Questa serata, questo calore, la fine dell'ansietà e la sensazione che se la vita era senza scopo era comunque molto romantica! L'alcool dava una specie di eroismo al loro fallimento. Intanto la causa procedeva lentamente,con escussioni interminabili di testi. Le azioni preliminari per stabilire l'entità dell'eredità erano terminate. L'avvocato Haight non vedeva ragione perché la discussione non dovesse cominciare prima dell'estate. Bloeckman comparve a New York alla fine di marzo: era rimasto quasi un anno in Inghilterra per la "Films Par Excellence". Il processo di rifinitura generale era sempre in corso: egli si vestiva sempre un po' meglio, aveva un'intonazione più pastosa e i suoi modi rivelavano visibilmente una maggior certezza al suo diritto naturale e inalienabile alle belle cose del mondo. Andò a trovarli a casa, si trattenne soltanto un'ora, durante le quale parlò soprattutto della guerra, e se ne andò dicendo che sarebbe tornato. La seconda volta che venne, Anthony non era in casa, ma fu una Gloria interessata e agitata a salutare il marito quel pomeriggio tardi. "Anthony" incominciò, "saresti ancora contrario alla mia carriera cinematografica?" Il cuore di Anthony si indurì a questo pensiero. Quando pareva che si allontanasse da lui, o sia pure minacciasse di farlo, la sua presenza tornava a diventare più che preziosa, disperatamente necessaria. "Oh, Gloria...!" "Bloeckman ha detto che mi fa entrare... Però se voglio combinare qualcosa devo cominciare adesso. Vogliono soltanto donne giovani. Pensa al denaro, Anthony." "Per te... sì. Ma per me?" "Non lo sai che tutto quello che ho è tuo?" "E' una carriera così difficile!" esplose Anthony, moraleggiante, infinitamente circospetto. "E c'è un tale ambiente. E sono molto stanco di quel Bloeckman che viene qui a impicciarsi. Non mi piacciono le cose del teatro." "Non è teatro! E' molto diverso." "Che cosa dovrei fare io? Correrti dietro da tutte le parti? Farmi mantenere dai tuoi quattrini?" "Allora cerca di guadagnarne un po' tu." Il colloquio degenerò in uno dei litigi più violenti che avessero mai fatto. Dopo la riconciliazione che seguì e il periodo inevitabile di inerzia morale, Gloria si rese conto che Anthony aveva ucciso il progetto. Nessuno dei due accennò alla possibilità che Bloeckman non fosse disinteressato, ma entrambi sapevano che essa era alla base delle proteste di Anthony. In aprile l'America dichiarò la guerra alla Germania. Wilson e il suo Gabinetto - un Gabinetto che nella sua mancanza di qualità ricordava stranamente i dodici Apostoli - sciolsero, dopo averli debitamente affamati, i cani da guerra e la stampa incominciò a urlare istericamente contro la morale sinistra, la filosofia sinistra e la musica sinistra prodotte dal temperamento teutonico. Coloro che si ritenevano di vedute particolarmente ampie fecero la raffinata distinzione che era soltanto il Governo tedesco a produrre questo isterismo; gli altri erano ridotti a una condizione indecente. Qualunque canzone contenesse la parola ''mamma" e la parola "Kaiser" si assicurava un successo colossale. Finalmente tutti avevano qualcosa di cui parlare: e quasi tutti ne approfittarono come se fossero stati personaggi di una commedia cupa e romantica Anthony, Maury e Dick mandarono le loro domande di ammissione ai campi di addestramento per ufficiali e i due ultimi andarono in giro con una strana sensazione di esaltazione e immacolatezza; chiacchieravano tra loro come studenti, dicendo che la guerra era una scusa e una giustificazione dell'aristocrazia e immaginarono una casta assurda di ufficiali che pareva costituita soprattutto dagli ex studenti più simpatici di tre o quattro università dell'Est. Parve a Gloria che in questo enorme bagliore rosso dilagante sulla nazione perfino Anthony partecipasse di uno splendore nuovo. Il Decimo Fanteria, al suo arrivo a New York da Panama, fu scortato con suo enorme stupore da un saloon all'altro da cittadini patriottici. I cadetti di West Point incominciarono per la prima volta da anni a essere notati, e l'impressione generale era che tutto era glorioso ma neanche lontanamente glorioso quanto lo sarebbe stato presto, e che tutti erano simpatici e tutte le razze erano una grande razza - tranne la tedesca - e in tutti gli strati della società bastava che un fallito o uno scavezzacollo apparisse in uniforme per essere perdonato, acclamato e compianto da parenti, ex amici ed estranei. Sfortunatamente un dottore basso e pignolo decise che qualcosa non andava bene nella pressione del sangue di Anthony. In coscienza non poteva ammetterlo in un campo di addestramento per ufficiali. Il liuto infranto. Il loro terzo anniversario passò senza esser festeggiato, senza esser notato. La stagione divenne calda, si liquefece in un'estate bollente, ribollì e si spense. A luglio il testamento venne presentato per l'omologazione e, di fronte all'impugnativa, fu messo a ruolo dal sostituto per la discussione. La cosa andò per le lunghe fino a settembre: era difficile nominare una giuria imparziale a causa dei sentimenti morali che erano in gioco. Con grande delusione di Anthony venne finalmente pronunciato un verdetto a favore del testatario, al che l'avvocato Haight ricorse in appello contro Edward Shuttleworth. Sul finire dell'estate Anthony e Gloria parlarono di ciò che avrebbero fatto quando il denaro fosse diventato loro e dei luoghi in cui andare dopo la guerra, quando "sarebbero di nuovo andati d'accordo", perché entrambi aspettavano il momento in cui l'amore, balzando come una Fenice dalle sue ceneri, sarebbe rinato, misterioso e imperscrutabile come in passato. Anthony fu chiamato alle armi al principio dell'autunno, e il dottore che lo visitò non fece il minimo accenno alla pressine del sangue. Fu molto inutile e triste, quando una sera Anthony disse a Gloria che la cosa che desiderava più di ogni altra era di venire ucciso. Ma come sempre, erano tristi l'uno per l'altra per ragioni sbagliate in momenti sbagliati... Decisero che per il momento Gloria non sarebbe andata con lui nel campo del Sud in cui doveva adunarsi il reparto di Anthony. Sarebbe rimasta a New York per "occupare l'alloggio", risparmiare denaro e sorvegliare il corso della causa che dipendeva ora dalla Corte d'Appello, il cui calendario a quanto diceva l'avvocato Haight, era molto in ritardo. L'ultimo o quasi colloquio fu un bisticcio privo di senso sulla giusta divisione della rendita: sarebbe bastata una parola perché ciascuno dei due la cedesse interamente all'altro. Fu tipico della confusione e del disordine della loro vita che, quella sera di ottobre in cui Anthony si presentò alla Grand Central Station da cui recarsi al campo, Gloria arrivasse soltanto in tempo a cogliere il suo sguardo al disopra delle teste ansiose di una folla assiepata. Nella luce oscurata delle pensiline coperte, i loro sguardi si fissarono varcando una zona isterica, involgarita da un singhiozzare plebeo e da odori di donne povere. Dovettero meditare su ciò che si erano reciprocamente fatto, e ciascuno dovette accusarsi di aver tracciato questo sentiero cupo che ora stavano seguendo tragicamente e oscuramente. Quanto meno erano troppo lontani l'uno dall'altro per vedersi le lacrime negli occhi. LIBRO TERZO. UN FATTO DI CIVILTA'. A un ordine villano proveniente da una fonte invisibile, Anthony procedette a tastoni. Pensava che per la prima volta in quei tre anni sarebbe rimasto lontano da Gloria più di una notte. L'inevitabilità della cosa lo colpì cupamente. Era la sua bella ragazza pulita, quella che lui stava lasciando. Pensò che erano arrivati alla sistemazione economica più pratica: lei avrebbe avuto trecento e settantacinque dollari al mese - non molto, tenuto conto che più della metà sarebbe andato nell'affitto - e lui ne avrebbe presi cinquanta in supplemento alla paga. Non vedeva alcuna necessità per averne di più: al cibo, abiti e abitazione avrebbe provveduto l'esercito; e un soldato semplice non aveva obblighi sociali. Il vagone ferroviario era gremito e già greve di fiati. Era uno di quelli definiti "vagoni turistici", una specie di pullman vistoso da pochi soldi, col pavimento nudo e sedie di vimini che avevano bisogno di venir pulite. Tuttavia Anthony lo vide con sollievo. Si era vagamente aspettato che il viaggio verso il Sud si svolgesse in un carro bestiame, in un'estremità del quale stessero otto cavalli e nell'altra quaranta uomini. Aveva sentito così spesso la storia degli "hommes 40, chevaux 8", che essa era diventata per lui confusa e sinistra. Mentre percorreva il corridoio barcollando, col bottino appeso alla spalla come una mostruosa salsiccia azzurra, non vide posti vuoti, ma dopo un momento gli occhi gli caddero su un posto occupato per il momento dai piedi di un piccolo siciliano bruno, che col cappello calato sugli occhi stava raggomitolato con aria di sfida nell'angolo. Quando Anthony gli si fermò accanto, egli alzò gli occhi aggrottando le ciglia con l'intenzione palese di intimidirlo; doveva avere adottato questo metodo per difendersi da tutta questa eguaglianza gigantesca. Al tagliente "il posto è occupato?" di Anthony, alzò molto lentamente i piedi e, come se fossero un pacco fragile, li depose con cura sul pavimento. Continuò a tenere gli occhi fissi su Anthony, che intanto sedette e si sbottonò la giubba dell'uniforme consegnatagli al campo Upton il giorno prima. Gli faceva delle screpolature sotto le braccia. Prima che Anthony potesse vedere gli altri viaggiatori dello scompartimento, un giovane sottotenente scaturì a un'estremità del vagone e fluttuò agilmente lungo il corridoio dichiarando con voce dalla severità agghiacciante: "Vietato fumare in questa vettura! Vietato fumare! Non fumate, ragazzi, in questa vettura!" Mentre scompariva all'altra estremità, una decina di nuvole di protesta sorsero da tutte le parti. "Oh, accidenti!" "Porca miseria!" "Vietato fumare?" "Ehi, torna qui, tu." "Cosa gli è venuto in mente?" Due o tre sigarette vennero gettate dai finestrini aperti. Altre vennero conservate, ma tenute nascoste alla meglio. Di qua di là, con tono di strafottenza, di beffa o di umorismo sottomesso, vennero pronunciate frasi che presto si fusero nel silenzio supino e dilagante. Il quarto viaggiatore dello scompartimento di Anthony parlò all'improvviso. "Addio libertà" disse cupamente. "Addio tutto, per diventar il cane di un ufficiale." Anthony lo guardò. Era un irlandese alto, con un'espressione indifferente e supremamente sdegnosa. Posò gli occhi su Anthony come se aspettasse una risposta e poi sugli altri. Ricevendo soltanto uno sguardo di sfida dall'italiano, grugnì e sputò rumorosamente per terra nel corso di un dignitoso ritorno al silenzio. Qualche minuto dopo la porta si riaprì e il sottotenente giunse col solito soffio d'aria burocratico, questa volta a cantare un messaggio diverso. "Va bene, ragazzi, fumate, se volete! Mi sono sbagliato! Va tutto bene! Continuate a fumare, mi sono sbagliato!" Questa volta Anthony lo guardò a lungo. Era giovane, magro, già sbiadito; era come i suoi baffi; era come un gran pezzo di paglia lucida. Aveva il mento leggermente rientrante; questo era controbilanciato da un cipiglio magnifico e poco convincente, un cipiglio che Anthony avrebbe ritrovato sul viso di molti ufficia giovani durante l'anno seguente. Immediatamente tutti si misero a fumare che lo desiderassero o no. La sigaretta di Anthony contribuì all'ossidazione fumosa che pareva fluttuare in nubi cangianti ad ogni movimento del treno. La conversazione, che era languita fra i due passaggi vistosi del giovane ufficiale, ora riprese tiepidamente; gli uomini di là dal corridoio incominciarono a fare maldestri tentativi di trovare una relativa comodità nei limiti consentiti dai sedili di vimini; due partite a carte, incominciate contro voglia, attirarono presto parecchi spettatori a sedere sui braccioli dei sedili. Dopo pochi minuti Anthony si accorse di un rumore insistente e orribile: il piccolo siciliano provocante si era addormentato rumorosamente. Era penoso contemplare quel protoplasma animato, ragionevole soltanto per cortesia, rinchiuso in un vagone da una civiltà incomprensibile, trasportato chissà dove a fare qualcosa di vago, senza scopo o significato o importanza. Anthony sospirò, aprì un giornale che non ricordava di aver comprato, e incominciò a leggere alla fioca luce gialla Le dieci diventarono, soffocanti, le undici; le ore si coagulavano e rapprendevano e calavano. Stranamente il treno si fermava lungo la campagna buia, abbandonandosi di quando in quando a brevi movimenti ingannatori avanti o indietro e a rochi peana sibilanti nella profonda notte di ottobre. Dopo aver letto tutto il giornale, articoli di fondo, fumetti e poesie di guerra, l'occhio gli cadde su una rubrica intitolata "Shakespeareville, Kansas". Pareva che la Camera di Commercio di Shakespeareville avesse organizzato di recente una discussione entusiastica sul problema se i soldati americani andassero definiti "Sammies" o "Cristiani combattenti". Il pensiero lo soffocò. Posò il giornale, sbadigliò, e deviò la mente su una tangente. Si chiese perché Gloria era arrivata in ritardo. Pareva che fosse già passato tanto tempo: provò una fitta di nostalgia illusoria. Cercò di immaginare da qualepunto di vista Gloria avrebbe considerato la sua nuova situazione, quale posto egli avrebbe occupato nei suoi sentimenti. Il pensiero gli riuscì ancora più deprimente. Anthony aprì il giornale e ricominciò a leggere. I membri della Camera di Commercio di Shakespeareville avevano deciso per "Ragazzi della libertà". Per due notti e due giorni scrosciarono verso sud, facendo misteriose fermate inspiegabili in zone che parevano deserti aridi e poi attraversando di corsa con un'aria pomposa di fretta le grandi città. Le bizzarrie di questo treno furono per Anthony la predizione delle bizzarrie di tutta l'organizzazione militare. Nel deserto venne loro servito dal bagagliaio un pasto di fagioli e pancetta che dapprima Anthony non riuscì a inghiottire: cenò alla meglio con un po' di cioccolata al latte distribuita allo spaccio di un villaggio. Ma il secondo giorno la produzione del bagagliaio incominciò a sembrare stranamente gustosa. La terza mattina circolò la voce che entro un'ora sarebbero arrivati a destinazione al campo Hooker. Nella vettura il caldo era diventato insopportabile e gli uomini erano tutti in maniche di camicia. Il sole entrava dai finestrini, un sole stanco e antico, giallo come pergamena e alterato nella forma per la corsa. Cercava di entrare in quadrati trionfanti e formava soltanto chiazze a scacchiera ma era fermo da far paura; tanto fermo da turbare Anthony al pensiero che non fosse lui a far da perno a tutte le piccole segherie e alberi e pali del telegrafo che gli giravano attorno così in fretta. Fuori esso suonava il suo trillo pesante su strade color oliva e campi di cotone sbiadito, sullo sfondo dei quali si svolgeva una linea frastagliata di boschi, interrotta da sporgenze di roccia grigia Il primo piano era cosparso di rare capanne miserabili, mal riparate, tra le quali appariva di quando in quando, in un baleno. un esemplare dei languidi agricoltori del Sud Carolina o un negro bighellone, con occhi cupi e sperduti. Poi i boschi scomparvero e il treno entrò in una zona aperta, simile alla superficie abbrustolita di un dolce gigantesco, zuccherata da un'infinità di tende disposte sulla superficie in figure geometriche. Il convoglio si fermò incerto e il sole e i pali del telegrafo e gli alberi sbiadirono e l'universo ritornò lentamente all'antica normalità, con Anthony Patch al centro di esso. Mentre gli uomini stanchi e sudati scendevano in massa dalla vettura, egli annusò l'odore indimenticabile che impregna tutti i campi permanenti: l'odore di immondizia. Il campo Hooker era un'escrescenza stupefacente e spettacolare che faceva venire in mente "Una città di miniere nel 1870: dopo una settimana". Era costituito da baracche di legno e tende di un grigio biancastro collegate da una rete di strade, con campi di esercitazione coperti di pula e cinti dagli alberi. Qua e là sorgevano le case verdi dell'Y.M.C.A., oasi poco promettenti col loro odore umidiccio di flanella bagnata e cabine telefoniche chiuse; e di fronte a ciascuna di esse di solito c'era uno spaccio sciamante di vita, diretto con indolenza da un ufficiale che con l'aiuto di una motocicletta di solito riusciva a rendere il suo servizio una sinecura piacevole e chiacchierona. Su e giù per le strade polverose correvano i soldati del Quartier Generale, anch'essi in motocicletta. Su e giù passavano i generali nelle automobili governative, fermandosi qua e là a mettere sull'attenti qualcuno di servizio, a far cipiglio a capitani in marcia alla testa delle compagnie, a dare il passo fastoso allo sgargiante gioco del darsi delle arie che trionfava in tutta la zona. La settimana che seguì l'arrivo del reparto di Anthony passò in una serie interminabile di iniezioni e visite mediche e in un addestramento preliminare. Queste giornate lo lasciarono disperatamente stanco. Gli erano state assegnate scarpe che non gli andavano bene da un magazzino popolare e facilone e di conseguenza gli erano gonfiati i piedi a tal punto che nelle ultime ore del pomeriggio essi costituivano per lui una tortura acuta. Per la prima volta in vita sua riusciva a gettarsi sulla branda tra il rancio e l'esercitazione del pomeriggio e a piombare immediatamente nel sonno come precipitando in un letto senza fondo mentre il rumore e il riso che lo circondavano si affievolivano in un piacevole brusio di un sonnolento rumore estivo. La mattina si svegliava irrigidito e dolorante, vuoto come uno spettro, e si precipitava fuori a riunirsi ad altre figure spettrali che sciamavano nelle strade livide mentre una tromba squillante strillava e sputacchiava contro il cielo grigio. Era in una compagnia ridotta di fanteria di circa cento uomini. Dopo la prima colazione invariabile di pancetta grassa pane abbrustolito freddo e cereali, tutti e cento correvano alle latrine che, pur essendo ben organizzate, parevano sempre insopportabili come i gabinetti negli alberghi da poco prezzo. Poi verso il campo in ordine sparso: con lo zoppo alla sua sinistra che guastava grottescamente gli sforzi distratti di Anthony di tenere il passo e i sergenti dei plotoni che si davano molte arie per impressionare gli ufficiali e le reclute oppure se ne stavano quieti vicino alla linea di marcia evitando di faticare e di mettersi inutilmente in vista. Quando giungevano al campo il lavoro incominciava immediatamente: si levavano la camicia per fare la ginnastica. Questa era l'unica parte della giornata che piaceva ad Anthony. Il tenente Kretching che dirigeva gli esercizi era magro e muscoloso e Anthony imitava i suoi movimenti fiducioso, con la sensazione di compiere qualcosa che gli faceva bene. Gli altri ufficiali e sergenti giravano fra i soldati con la malizia di scolaretti, raggruppandosi qua e là attorno a qualche disgraziato incapace di controllo muscolare, impartendogli istruzioni e ordini confusi. Quando scoprivano un esemplare particolarmente malandato, mal nutrito, indugiavano per tutta la mezz'ora dicendo frasi spiritose e ridacchiando fra loro. In modo particolare era seccante un ufficialetto che si chiamava Hopkins, un ex sergente effettivo. Costui considerava la guerra un dono personale fattogli dagli dèi, e l'argomento continuo delle sue arringhe era che questi cappelloni non apprezzavano tutta l'importanza e la responsabilità del "servizio". Riteneva di essersi inalzato al suo attuale splendore grazie a un misto di previdenza e di intrepida efficienza. Scimmiottava le specifiche tirannie dei vari ufficiali sotto i quali aveva prestato servizio in passato. Aveva la fronte corrugata in un eterno cipiglio prima di concedere a un soldato un permesso per andare in città, soppesava meditabondo l'effetto che una simile assenza avrebbe prodotto sulla compagnia, l'esercito e il bene della vita militare nel mondo interno. Il tenente Kretching, biondo, scialbo e flemmatico, introdusse gravemente Anthony ai problemi dell'attenti, dest'riga, dietro front e riposo. Il suo principale difetto consisteva nella scarsa memoria. Gli accadeva spesso di tenere tutta la compagnia tesa e dolorante sull'attenti per cinque minuti interi mentre, fermo davanti a tutti, spiegava un nuovo movimento: col risultato che soltanto gli uomini al centro sapevano di che cosa si trattasse, perché quelli ai lati erano troppo solennemente impressionati dalla necessità di tenere gli occhi fissi davanti a sé. L'esercitazione continuava fino a mezzogiorno. Consisteva in perfezionamento di una serie di particolari infinitamente insignificanti e, pur comprendendo che tutto questo era coerente con la logica della guerra, Anthony ne era irritato. Che la stessa pressione del sangue imperfetta che sarebbe stata indecorosa in un ufficiale non intralciasse i doveri di un soldato semplice, era un'incongruenza vistosa. A volte dopo aver ascoltato un'energica tirata relativa allo stupido e, a ben considerarlo, assurdo argomento designato come la "cortesia" militare, gli veniva il sospetto che lo scopo confuso della guerra fosse di permettere agli ufficiali effettivi - uomini dalla mentalità e le aspirazioni degne di uno scolaretto - di provare a trovarsi in un vero massacro. Egli costituiva un sacrificio grottesco alla pazienza ventennale di un Hopkins! Dei suoi tre compagni di tenda - un pignolo del Tennessee dalla faccia piatta, un grosso polacco spaurito e l'irlandese sdegnoso che era stato suo vicino sul treno - i primi due passavano le serate a scrivere eterne lettere a casa mentre l'irlandese sedeva sulla porta della tenda a fischiettare in continuazione fra sé cinque o sei richiami di uccelli, striduli e monotoni. Fu per evitare un'ora della loro compagnia più che nella speranza di divertirsi che allo scadere della quarantena alla fine della settimana Anthony andò in città. Salì su una delle molte camionette che scorrazzavano ogni sera nel campo e dopo mezz'ora venne deposto di fronte allo Stonewall Hotel, sulla strada calda e sonnolenta. Al calar del crepuscolo la città gli parve inaspettatamente piacevole. I marciapiedi erano gremiti di ragazze troppo dipinte, vestite a colori vivaci, che chiacchieravano volubilmente con voci basse e pigre, decine di autisti che assalivano gli ufficiali di passaggio coi loro "Vi porto dove volete, tenente", e da una intermittenteprocessione di negri irsuti,ciabattoni, ossequienti. Anthony, girellando nella penombra calda, sentì per la prima volta da anni l'alito lento, erotico del Sud sovrastante nella tenera dolcezza dell'aria, nella nenia dilagante del pensiero e del tempo. Aveva fatto qualche passo quando fu fermato d'improvviso da un comando brusco al suo fianco. "Non ti hanno insegnato a salutare gli ufficiali?" Anthony guardò senza capire l'uomo che gli parlava, un capitano grasso e bruno che lo fissava minaccioso coi neri occhi sporgenti. "METTITI SULL'ATTENTI!" Le parole furono letteralmente tonanti. Qualche passante si fermò a guardare. Una ragazza dagli occhi teneri, vestita di lilla, soffocò una risatina con un'amica. Anthony si mise sull'attenti. "Di che compagnia sei?" Anthony glielo disse. "D'ora in poi quando vedi un ufficiale per la strada, mettiti sull'attenti e saluta." "Va bene." "Di': Signorsì!" "Signorsì." L'ufficiale grasso grugnì, si voltò bruscamente e si mise in marcia giù per la strada. Un momento dopo Anthony si avviò; la città non era più indolente ed esotica; la magia era improvvisamente scomparsa dal crepuscolo. Di colpo gli occhi gli caddero sull'indecorosità della suasituazione.Odiava quell'ufficiale, tutti gli ufficiali: la vita era insopportabile. Dopo aver fatto qualche passo si accorse che la ragazza vestita di lilla, che si era divertita alla sua sconfitta, passeggiava con l'amica a una decina di passi davanti a lui. Si era voltata parecchie volte a fissare Anthony, ridendo allegramente dai grandi occhi che parevano dello stesso colore del vestito. Giunte sull'angolo lei e l'amica rallentarono visibilmente il passo: Anthony doveva scegliere se fermarsi con loro o passare senza guardarle. Passò, esitò, poi rallentò. Subito la coppia tornò a oltrepassarlo, questa volta con uno scroscio di risa non il riso stridulo che si sarebbe aspettato nel Nord da attrici di questa commedia familiare, ma un trillo tenero, basso, come rifluente da uno scherzo sottile nel quale egli fosse sbadatamente incappato. "Salve!" disse Anthony. Gli occhi di lei erano teneri come ombre. Erano violetti oppure era l'azzurro scuro che si mescolava con le sfumature grigie del crepuscolo? "Bella serata" arrischiò Anthony incerto. "Proprio bella" disse la seconda ragazza. "Per voi non è stata molto bella" sospirò la ragazza in lilla. La sua voce pareva far parte della notte, come il vento sonnacchioso che le smuoveva la larga ala del cappello. "Aveva bisogno di darsi un po' di arie" disse Anthony con una risata sprezzante. "Proprio così" convenne lei. Svoltarono all'angolo e si avviarono indolenti in una strada secondaria, come seguendo un cavo alla deriva, al quale fossero aggrappati. In quella città pareva assolutamente naturale svoltare gli angoli in quel modo, pareva naturale non essere diretti in nessun posto, non pensare a nulla... La strada secondaria era buia, una deviazione improvvisa in una zona di siepi di rose selvatiche e di casette silenziose discoste dalla strada. "Dove state andando?" chiese Anthony con garbo. "Soltanto andando." La risposta era una giustificazione, una domanda, una spiegazione. "Posso venire con voi?" "Perché no?" Era un vantaggio che ella avesse un accento diverso dal suo. Anthony non avrebbe potuto dire la posizione sociale di una meridionale dal modo di parlare: a New York una ragazza di basso ceto sarebbe stata rozza, insopportabile... tranne attraverso gli occhiali rosati dell'ubriachezza. Stava calando il buio. Parlando poco - Anthony con domande distratte, indifferenti, le due ragazze con provinciale sobrietà di parole e di argomenti - svoltarono un altro angolo e poi un altro. Giunte davanti a un edificio si fermarono sotto a un lampione. "Io abito qui vicino" spiegò l'altra ragazza. "Io abito lì dietro" disse la ragazza in lilla. "Posso accompagnarvi a casa?" "Fino all'angolo, se volete." L'altra ragazza fece qualche passo indietro. Anthony si levò il berretto. "Bisogna che facciate il saluto" disse la ragazza in lilla ridendo. "Tutti i soldati fanno il saluto." "Imparerò" disse lui brevemente. L'altra ragazza disse: "Be'...", esitò, poi soggiunse "Telefonami domani, Dot", e si allontanò dal cerchio giallo del lampione. Poi, in silenzio, Anthony e la ragazza in lilla oltrepassarono i tre isolati e giunsero alla casetta malandata dove lei abitava. Davanti al cancello di legno ella esitò. "Be'... grazie." "Dovete rientrare così presto?" "Devo." "Non potete fare ancora due passi?" Ella lo guardò senza scomporsi "Non vi conosco neanche." Anthony si mise a ridere. "Non è tanto tardi." "E' proprio meglio che rientri." "Pensavo di andare con voi al cinema." "Mi piacerebbe." "Poi vi accompagno a casa. Ho giusto il tempo di farlo. Devo essere al campo per le undici." Era così buio che non riusciva quasi a vederla. La ragazza aveva il vestito smosso impercettibilmente dal vento, due occhi limpidi, audaci... "Perché non venite... Dot? Non vi piace il cinema. Su, venite." Lei scosse la testa. "Non dovrei." Anthony la trovava simpatica, rendendosi conto che ella stava temporeggiando per fargli impressione. Le si accostò e la prese per mano. "Se ritorniamo per le dieci, non potete, soltanto al cinema?" "Be'... perché no?" Tenendosi per mano ritornarono verso la città lungo una strada nebbiosa, buia, nella quale un giornalaio negro strillava un'edizione straordinaria nella cadenza tradizionale del luogo, una cadenza musicale come una canzone. Dot. La relazione di Anthony con Dorothy Raycroft fu il risultato inevitabile della sua crescente indifferenza verso se stesso. Non si accostò a lei nel desiderio di possedere il desiderabile, né capitolò davanti a una personalità più vitale, più prepotente della sua com'era successo con Gloria quattro anni prima. Si limitò a scivolare nella cosa per la sua incapacità a formulare giudizi precisi. Non era capace di dire "no" né agli uomini né alle donne; gli scrocconi e le tentatrici lo trovavano identicamente tenero e malleabile. Effettivamente prendeva di rado una decisione, e quando lo faceva si trattava di proponimenti semi-isterici,nati nel panico diqualcherisveglio raccapricciante e irreparabile. La debolezza particolare alla quale indulse in quest'occasione era dovuta alla sua mancanza di un interesse che gli venisse dall'esterno. Gli parve, per la prima volta da quattro anni, di poter esprimere e interpretare se stesso. La ragazza gli prometteva riposo; le ore in sua compagnia ogni sera alleviavano il mortoso e inevitabilmente futile rintronare della sua immaginazione. Era diventato un vero codardo: assolutamente schiavo di centinaia di pensieri disordinati e confusi, sbrigliati dal collasso della vera devozione a Gloria, che era stato il principale carceriere della sua incapacità. Quella prima sera, fermi davanti al cancelli, Anthony baciò Dorothy e prese un appuntamento per il sabato successivo. Poi ritornò al campo e accesa abusivamente la luce nella tenda scrisse una lunga lettera a Gloria, una lettera calda, piena del buio sentimentale, piena del profumo di fiori, piena di tenerezza vera ed esuberante: cose che aveva imparato di nuovo per un attimo, in un bacio dato e ricevuto un'ora prima sotto una splendente, tiepida luce lunare. Quando giunse il sabato sera Anthony trovò Dot in attesa all'ingresso del Bijou Moving Theatre. Era vestita come il mercoledì precedente nell'abito lilla di organdis leggerissimo, ma evidentemente l'aveva lavato e stirato, perché era fresco e senza pieghe. La luce del giorno confermò l'impressione già avuta, che ella fosse bella, sia pure di una bellezza irregolare, incompleta. Era pulita, aveva lineamenti piccoli, non classici, ma eloquenti e intonati fra loro. Era un fiorellino oscuro di breve durata: pure gli parve di scoprire in lei una reticenza spirituale, una forza che le derivava dalla passiva sopportazione di tutte le cose. In questo si sbagliò. Dorothy Raycroft aveva diciannove anni. Suo padre aveva un negozietto poco redditizio, ed ella aveva finito il liceo, tra le ultime quattro della classe, due giorni prima che lui morisse. Al liceo aveva una reputazione piuttosto cattiva. In realtà il suo contegno al picnic scolastico, quando incominciarono le voci, era stato soltanto sconveniente: la purezza tecnica le era rimasta per tutto un anno dopo. Il ragazzo era commesso in un negozietto di Jackson Street e il giorno dopo l'incidente partì improvvisamente per New York. Avrebbe dovuto partire già da qualche tempo; ma aveva aspettato per poter compiere la sua impresa amorosa. Dopo qualche tempo Dot confidò l'avventura a un'amica e subito, vedendola scomparire nella strada assonnata sotto il sole polveroso, capì in un lampo di intuizione che la sua storia stava per circolare nel mondo. Tuttavia, dopo averla narrata, si sentì molto meglio e un po' amara, e si accostò, per quanto glielo consentivano le sue possibilità, alla formazione del suo carattere dirigendosi in un'altra direzione a conoscere un altro uomo, con l'intenzione onesta di concedersi di nuovo. C'era sempre qualcosa che a Dot accadeva. Non era debole, perché non c'era nulla in lei a dirle che lo era. Non era forte, perché non seppe mai che certe cose che faceva erano coraggiose. Dot non sfidava né si comprometteva né si adattava alle regole. Non aveva umorismo, ma a sostituirlo aveva un bel carattere, che la faceva ridere al momento giusto quando era in compagnia di uomini. Non aveva intenzioni precise: a volte rimpiangeva vagamente che la sua reputazione le precludesse la possibilità, se mai l'aveva avuta, di una vita sicura. Non vi erano state rivelazioni aperte: la madre si interessava soltanto di farla uscir di casa in tempo ogni mattina perché si recasse alla gioielleria dove guadagnava quattordici dollari la settimana. Ma alcuni dei suoi ex compagni di liceo ora giravano la testa, quando erano in compagnia di "ragazze per bene", e questi incidenti la offendevano. Quando accadevano, ritornava a casa e si metteva a piangere. Oltre al commesso di Jackson Street c'erano stati altri due uomini, uno dei quali era un ufficiale di marina che passò in città nei primi tempi della guerra. Era lì da una notte a stabilire un collegamento, ed era appoggiato ozioso a un pilastro dello Stonewall Hotel quando ella gli passò davanti. Rimase in città quattro giorni. Dot credette di amarlo: riversò su di lui il primo isterismo della passione che avrebbe dovuto toccare al commesso pusillanime. L'uniforme dell'ufficiale di marina - ce n'erano pochi a quel tempo - aveva compiuto l'incantesimo. Egli partì con promesse vaghe sulle labbra, e appena sul treno si rallegrò di non averle detto il suo vero nome. Lo scoraggiamento aveva gettato Dot fra le braccia di Cyrus Fielding, figlio del sarto locale, che l'aveva salutata dal suo spider un giorno che ella gli passò accanto sul marciapiede. Dorothy lo aveva sempre conosciuto di vista. Se fosse nata in uno strato sociale più alto si sarebbero conosciuti prima. Lei era discesa un poco più in basso: così finirono per conoscersi lo stesso. Dopo un mese egli era partito per il campo di addestramento, lievemente spaventato per l'intimità raggiunta, un po' sollevato accorgendosi che Dorothy non era molto innamorata e che non era il tipo che gli avrebbe dato fastidi. Dot rese romantica la relazione e concesse alla sua vanità che era stata la guerra a rapirle quegli uomini. Si disse che avrebbe potuto sposare l'ufficiale di marina. Però la preoccupava il pensiero che nel giro di otto mesi vi erano stati tre uomini nella sua vita. Pensò, con paura più che con stupore nel cuore, che presto sarebbe diventata come quelle "donne cattive" di Jackson Street, che aveva fissato con gli occhi affascinati masticando gomma e ridacchiando con le compagne tre anni prima. Per qualche tempo cercò di essere più attenta. Lasciò che gli uomini la "fermassero"; si lasciò baciare, e permise perfino che si prendessero con lei alcune libertà, ma non volle far crescere il suo trio. Dopo parecchi mesi, la forza della sua decisione o meglio la sottomissione dolorosa alla paura - si era disfatta. Divenne irrequieta a sonnecchiare laggiù, fuori della vita e del tempo, mentre svanivano i mesi estivi. I soldati che conosceva erano o evidentemente inferiori a lei o, meno evidentemente, superiori: nel qual caso desideravano soltanto sfruttarla; erano yankees, rozzi e sgraziati; sciamavano in grandi gruppi... e poi conobbe Anthony. Quella prima sera egli era stato per lei poco più di un viso simpatico e infelice, una voce, il mezzo con cui passare un'ora; ma quando andò all'appuntamento con lui sabato, lo prese in considerazione. Le piaceva. Inconsciamente gli vide riflesse sul viso le sue stesse tragedie. Ritornarono al cinematografo, ritornarono a passeggiare lungo le strade ombrose e profumate, questa volta tenendosi per mano, parlando con voce un tantino sommessa. Varcarono il cancello... Salirono sulla piccola veranda. "Posso fermarmi un momento, vero?" "St!" mormorò lei, "dobbiamo far molto piano. La mamma sta leggendo le barzellette." A conferma di queste parole Anthony udì il lieve fruscio di una pagina voltata. Le finestre aperte emanavano strisce orizzontali di luce, che colpiva a parallele sottili la gonna di Dorothy. La strada era silenziosa, tranne per un gruppo di persone raccolte sui gradini di una casa di fronte, che di quando in quando alzavano la voce in un motivetto tenero e canzonatorio. "...When you wa-ake You shall ha-ave All the pretty little hawsiz..." Poi, come se fosse stata in attesa del loro arrivo, su un tetto lì accanto la luna uscì d'improvviso, obliqua fra i rampicanti, e diede al viso della fanciulla il colore delle rose bianche. Anthony ebbe un guizzo di memoria così vivo che davanti agli occhi chiusi gli si formò un quadro preciso come sullo schermo: una sera primaverile lontana di un inverno semidimenticato, cinque anni prima... un altro viso raggiante, simile a un fiore, volto alle luci, mutevole come le stelle... Ah, "la belle dame sans merci" che gli viveva nel cuore, che gli veniva ricordata in fulgori momentanei, subito svaniti, da un paio d'occhi neri al Ritz-Carlton, da uno sguardo fuggevole lanciato da una vettura di passaggio nel Bois de Boulogne! Ma quelle notti erano soltanto parti di una canzone, di uno splendore ricordato: qui, ancora una volta, c'erano soltanto venti lievi, illusioni, l'eterno presente con le sue promesse d'amore. "Oh" mormorò lei. "Mi ami? mi ami?" Si spezzò l'incantesimo: i frammenti sparsi delle stelle divennero soltanto luci, la canzone nella strada si abbassò in una nenia, nel gemito delle cavallette, nell'erba. Quasi sospirando, Anthony baciò le labbra ardenti mentre le braccia di lei gli cingevano le spalle. Il guerriero. Col consumarsi e il passare delle settimane la rete dei viaggi di Anthony si allargò fino a comprendere il campo e i dintorni di esso. Per la prima volta in vita sua egli si trovava in un continuo contatto personale coi camerieri ai quali aveva dato la mancia, gli autisti che si erano levati il berretto davanti a lui, i falegnami, idraulici, barbieri e contadini che fino allora si erano fatti notare soltanto nell'ossequio della loro genuflessione professionale. Per i primi due mesi che passò al campo Anthony non riuscì ad avere un colloquio di dieci minuti consecutivi con un uomo. All'ufficio matricola la sua occupazione risultava "studente"; sul modulo originario aveva scritto un prematuro "scrittore"; ma quando gli uomini della sua compagnia gli chiedevano che mestiere facesse, di solito si qualificava come "impiegato di banca". Se avesse detto la verità, che non faceva niente, l'avrebbero trattato con diffidenza, quale membro della classe ricca. Il sergente del suo plotone, Pop Donnelly, era un "vecchio soldato" scarmigliato, dimagrito per l'alcool. In passato aveva trascorso innumerevoli settimane in guardina, ma di recente, grazie al bisogno di istruttori, era stato innalzato alla sua attuale autorità. Aveva il viso tutto butterato: somigliava inconfondibilmente a quelle fotografie prese dall'alto del "campo di battaglia a Blank". Una volta alla settimana andava in città a ubriacarsi di acquavite, ritornava in silenzio al campo e si abbandonava sulla branda, recandosi alla sveglia della compagnia più che mai simile a una bianca maschera di morte. Nutriva la stupefacente illusione di essere cosi astuto da "far fesso" il governo: aveva passato diciotto anni a prestare servizio per un salario irrisorio e ora stava per ritirare (qui di solito strizzava l'occhio) la rendita imponente di cinquantacinque dollari al mese. Considerava la cosa un tiro formidabile giocato alle decine di persone che lo avevano maltrattato e schernito da quando era un campagnolo diciannovenne della Georgia. Per il momento c'erano soltanto due tenenti: Hopkins e il popolarissimo Kretching. Quest'ultimo venne considerato un buon diavolo e un buon comandante fino all'anno dopo, quando scomparve col fondo mensa di millecento dollari e, come per tanti altri capi, fu estremamente difficile avere sue notizie. Infine c'era il capitano Dunning, il dio di quel microcosmo piccolo ma autosufficiente. Era un ufficiale della riserva, nervoso, energico ed entusiasta. Quest'ultima qualità prendeva forma materiale e diventava visibile nella veste d'una sottile spuma agli angoli della bocca. Come molti dirigenti, considerava i suoi doveri dal rigoroso punto di vista del fronte e ai suoi occhi ottimisti gli uomini al suo comando gli parevano un reparto ottimo quanto poteva meritarlo un'ottima guerra come quella. Nonostante l'ansietà e le occupazioni, egli stava vivendo il grande momento della sua vita. Battista, il piccolo siciliano del treno, si inguaiò con lui dopo una settimana di addestramento. Il capitano aveva ordinato parecchie volte agli uomini di radersi prima di presentarsi la mattina. Un giorno venne scoperta una preoccupante falla a questa regola, certamente dovuta a connivenza teutonica: durante la notte a quattro uomini erano cresciuti peli in faccia. Il fatto che tre di loro capivano un minimo di inglese non fece che rendere più necessaria una lezione pratica, così il capitano Dunning mandò risolutamente un barbiere volontario in cerca di un rasoio. Dopo di che, per la salvezza della democrazia, una trentina di grammi di peli venne raschiata senza sapone dalle guance di tre italiani e un polacco. Fuori del mondo della compagnia, compariva di quando in quando il colonnello, uomo massiccio che digrignava i denti e faceva la circumnavigazione del battaglione su un bel cavallo nero. Veniva da West Point ed era, mimeticamente, un gentiluomo. Aveva una moglie scalcinata e l'intelligenza altrettanto scalcinata, e passava gran parte del tempo in città ad approfittare del fatto che di recente il prestigio sociale dell'esercito era molto aumentato. Per ultimo veniva il generale, che attraversava le strade dell'accampamento preceduto dalla bandiera: personaggio così austero, così staccato, così magnifico, da riuscire a stento comprensibile. Dicembre. La sera, vento freddo, adesso, e mattine umide, gelate, sul campo delle esercitazioni. Quando diminuì il caldo, Anthony si trovò sempre più lieto di essere al mondo. Stranamente rinnovato nel corpo, aveva poche preoccupazioni ed esisteva nel presente con una specie di soddisfazione animale. Non era che Gloria o la vita rappresentata da Gloria fosse meno presente nei suoi pensieri: era semplicemente che ella diventava di giorno in giorno meno reale, meno viva. Per una settimana si erano scritti con ardore, quasi istericamente: poi, per tacito accordo, avevano smesso di scriversi più di due volte e poi una volta alla settimana. Gloria diceva che si annoiava; se la brigata di Anthony doveva restar lì a lungo, lei sarebbe andata a raggiungerlo. L'avvocato Haight sarebbe stato in grado di presentare un atto di citazione più forte di quanto ci si aspettava ma non credeva che il ricorso in appello sarebbe stato chiamato fino a primavera avanzata. Muriel era in città e lavorava per la Croce Rossa, e uscivano abbastanza spesso insieme. Che cosa avrebbe detto Anthony se anche lei fosse entrata nella Croce Rossa? Il guaio era che le avevano detto che poteva anche capitarle di dover fare il bagno nell'alcool ai negri, e da qual momento non si era più sentita tanto patriottica. La città era piena di soldati e aveva visto un mucchio di ragazzi che non le erano capitati sott'occhio da anni... Anthony non voleva che Gloria venisse nel Sud. Diceva a se stesso che pensava così per molte ragioni: avevano entrambi bisogno di restare lontani un po' di tempo l'uno dall'altra. Gloria si sarebbe annoiata senza misura in città, e avrebbe potuto vedere Anthony soltanto poche ore al giorno. Ma in cuor suo temeva che dipendesse dal suo interessamento a Dorothy. Effettivamente viveva nel terrore che Gloria dovesse venire a sapere per caso o di proposito di questa relazione. Dopo una quindicina di giorni il legame incominciò a dargli momenti di infelicità al pensiero della sua infedeltà. Tuttavia alla fine di ogni giornata non riusciva a resistere alla tentazione che lo attirava irresistibilmente fuori della tenda a telefonare dall'Y.M.C.A. "Dot. " "Sì?" "Forse riuscirò a venire stasera." "Come sono contenta." "Hai voglia di ascoltare la mia splendida eloquenza per qualche ora stellata?" "Oh, che buffo..." Per un attimo aveva un ricordo di cinque anni prima di Geraldine. Poi: "Verrò alle otto." Alle sette saliva su una camionetta diretta in città, dove centinaia di ragazzine del Sud aspettavano i loro amanti sulle verande illuminate dalla luna. Si lasciava sempre esaltare dai caldi baci prolungati di Dot, dalla calma stupita degli sguardi che ella gli dava: sguardi più vicini all'adorazione di quanti egli ne avesse mai ispirati. Gloria e lui erano stati alla pari, e davano senza pensare a ringraziamenti o a gratitudine. Per questa ragazza le sue carezze stesse erano un dono inestimabile. Piangendo sommessamente gli aveva confessato che non era il primo uomo della sua vita; ce n'era stato un altro: Anthony capì che la relazione era finita appena incominciata. Effettivamente per quanto la riguardava Dot diceva la verità. Aveva dimenticato il commesso, l'ufficiale di marina, il figlio del sarto dimenticato la partecipazione emotiva che aveva avuto, e l'aveva dimenticato davvero. Sapeva che in un'esistenza opaca e ombrosa qualcuno l'aveva presa: era come se fosse avvenuto nel sonno. Anthony veniva in città quasi ogni sera. Ormai faceva troppo freddo sulla veranda, così la madre di Dot cedette loro il minuscolo salottino, con le sue decine di fotografie da pochi soldi incorniciate, i suoi metri e metri di frange ornamentali e l'atmosfera greve di parecchi decenni passati accanto alla cucina. Accendevano il fuoco, poi, felice, inesauribile, Dot si affaccendava con l'amore. Ogni sera alle dieci lo accompagnava alla porta coi capelli neri in disordine, il viso pallido struccato, ancora più pallido sotto il candore della luna. Di solito fuori tutto era argenteo e luminoso; di quando in quando c'era una lenta pioggia calda, quasi troppo indolente per giungere a terra. "Dimmi che mi ami" mormorava Dot. "Ma certo, bimba mia." "Sono una bimba?" quasi preoccupata. "Una bambina piccola." Dot sapeva vagamente di Gloria. La faceva soffrire pensarvi, così l'immaginava austera e orgogliosa e fredda. Aveva deciso che Gloria doveva essere più vecchia di Anthony e che non c'era amore tra marito e moglie. A volte si abbandonava a sognare che dopo la guerra Anthony avrebbe divorziato e si sarebbero sposati; ma non ne parlava mai ad Anthony, senza sapere perché. Pensava che, come tutti i soldati, Anthony fosse una specie di impiegato di banca: credeva che fosse povero e onesto. Diceva: "Se avessi un po' di denaro, tesoro, ti darei tutto fino all'ultimo centesimo... Vorrei avere cinquantamila dollari." "Sarebbe un bel mucchio" convenne Anthony. ...Quel giorno Gloria aveva scritto: "Penso che se potessimo concordare per un milione sarebbe meglio dire all'avvocato, di procedere e concordare. Ma sarebbe un gran peccato...". ..."Potremmo avere l'automobile!" esclamò Dot, in uno slancio conclusivo di trionfo. Un avvenimento solenne. Il capitano Dunning si vantava di essere un grande conoscitore di caratteri. Era abituato a catalogare una persona mezz'ora dopo averla conosciuta in una quantità di categorie stupefacenti: simpatico, buono, intelligente, teorizzatore, poeta, e "da poco". Un giorno, al principio di febbraio, fece chiamare Anthony a rapporto nella sua tenda. "Patch" disse pomposamente "è da parecchie settimane che ti ho posato gli occhi addosso." Anthony rimase rigido e immobile. "E credo che tu abbia la stoffa del bravo soldato." Aspettò che si raffreddasse il calore che naturalmente doveva esser stato suscitato da queste parole; e poi continuò. "Questo non è un gioco per bambini" disse aggrottando le ciglia Anthony ne convenne con un melanconico: "No, signore". "E' un gioco per uomini... e abbiamo bisogno di capi." poi il culmine, veloce, sicuro ed elettrico: "Patch, ti nomino caporale ". A questo punto Anthony avrebbe dovuto barcollare, lievemente sopraffatto. Era uno dei duecentocinquantamila uomini prescelti per questo incarico supremo. Avrebbe avuto la possibilità di gridare la parola tecnica "Avanti!" a sette uomini spaventati. "Hai l'aria di avere una certa cultura" disse il capitano Dunning. "Signorsì." "Bene, bene, la cultura è una bella cosa, ma non lasciarti montare la testa. Non abbandonare la strada che hai seguito finorae sarai un bravo soldato." Con queste parole di commiato ancora nelle orecchie, il caporale Patch salutò, fece un dietro front e uscì dalla tenda. Il colloquio, pur divertendo Anthony, produsse in lui l'idea che la vita sarebbe stata più divertente se egli fosse stato sergente o, se trovava un medico meno esigente, ufficiale. Gli interessava poco il lavoro, che pareva infamare il vantato valore dell'esercito. Per passare le ispezioni non ci si vestiva per star bene, ci si vestiva per evitare di star male. Ma col passare dell'inverno - il breve inverno senza neve contrassegnato da notti umide e fredde, da giornate piovose - si stupì al constatare la rapidità con cui tutta l'organizzazione si era impadronita di lui. Era un militare: tutti coloro che non erano militari erano civili. Il mondo era diviso soprattutto in queste due classificazioni. Gli venne in mente che tutte le classi molto accentuate come la militare dividevano gli uomini in due categorie: quelli come loro e quelli fuori di loro. Per i preti esistevano clero e laici, per i cattolici esistevano cattolici e non cattolici, per i negri esistevano negri e bianchi, per i prigionieri esistevano i carceratie i liberi, e per i malati esistevano i malati e i sani... Cosi, senza mai pensarci per tutta la vita, egli era stato un civile, un laico, un non cattolico, un bianco, un libero e un sano... Via via che le truppe americane si riversavano nelle trincee francesi e britanniche, Anthony incominciò a trovare il nome di molti ex studenti di Harvard tra i caduti del giornale dell'esercito e della marina. Ma nonostante tanto sangue e tanto sudore, la situazione pareva immutata, e non si scorgeva prospettiva di pace in un prossimo futuro. Nelle vecchie cronache l'ala destra di un esercito sconfiggeva sempre l'ala sinistra dell'altro e nel frattempo l'ala sinistra veniva conquistata dalla destra del nemico. Dopo di che i soldati mercenari fuggivano. Era stato così semplice a quei tempi, quasi predisposto... Gloria scriveva che leggeva molto. Che pasticcio avevano fatto coi loro affari, diceva. Aveva così poco da fare adesso, che passava il tempo a immaginare come tutto avrebbe potuto essere diverso. Tutto l'ambiente che la circondava pareva incerto e pochi anni prima le pareva di reggere tutti i fili nella manina... A giugno le lettere diventarono affrettate e meno frequenti. Improvvisamente smise di scrivere che voleva venire nel Sud. Sconfitta. Il marzo nella campagna circostante era prezioso di gelsomini, giunchiglie e chiazze di viole nell'erba tiepida. Più tardi Anthony ricordò specialmente un pomeriggio, dallo splendore così fresco e incantato che, mentre stava nella buca dei segnalatori a indicare i risultati sui bersagli, recitò "Atalanta in Calilone" a un polacco incapace di capire, mentre la voce si mescolava allo schiocco delle pallottole che sul suo capo laceravano l'aria cantando e fischiando. "When the bounds of spring..." Bang! "Are on winter's traces..." Vrrr-r-r!... "The mother of months..." "Ehi! AVANTI! AVETE FATTO TRE..." In città le strade erano di nuovo immerse in un sogno pesante e Anthony e Dot ripercorsero le tracce segnate l'autunno precedente, finché egli incominciò a sentire un sonnacchioso attaccamento per questo Sud: un Sud più simile ad Algeri che all'Italia, ricco di aspirazioni sbiadite che si rivolgevano addietro, al di là di generazioni innumerevoli, verso un caldo Nirvana primitivo senza speranze e senza affanni. Vi era un'inflessione di cordialità, di comprensione, in ogni voce. "La vita tira lo stesso scherzo, bello e torturante, a tutti noi" pareva ripetere ciascuna di esse nella simpatica cadenza lamentosa, nell'inflessione che si alzava per terminare in un accordo minore non risolto. Gli piaceva il negozio del barbiere dove egli era "Salve, caporale!" per un giovanotto pallido, emaciato, che lo radeva e gli spingeva all'infinito una fresca macchina vibrante sul capo insaziabile. Gli piacevano i "Giardini di Johnston" dove andavano a ballare, dove un negro tragico suonava una musica bramosa, dolorosa, su un sassofono finché la sala vistosa diventava una giungla incantata di ritmi barbarici e di risate fumose, dove il raggiungimento di tutte le aspirazioni, di tutte le soddisfazioni era dato dal dimenticare il passare monotono del tempo sui sospiri teneri e i mormorii amorosi di Dorothy. Vi era un substrato di tristezza nel carattere di Dorothy, un'evasione consapevole da ogni cosa che non fosse un piacevole particolare della vita. Gli occhi violetti potevano restare ore intere apparentemente inespressivi, mentre Dot si abbrustoliva come un gatto al sole, sfrontata e spensierata. Anthony si chiedeva che cosa pensasse di loro la madre melanconica e se nei momenti di cinismo supremo intuisse la loro relazione. La domenica pomeriggio passeggiavano in campagna, fermandosi a tratti sul muschio asciutto ai confini di un bosco. Qui si erano raccolti gli uccelli e i ciuffi di violette e il candido corniolo; qui gli alberi antichi splendevano cristallini e freschi, dimentichi del calore ubriacante che era fuori in attesa; qui Anthony parlava a tratti, in un monologo assonnato, in una conversazione priva di significato, priva di risposta. Il luglio calò bruciante. Il capitano Dunning ricevette l'ordine di distaccare uno dei suoi uomini perché fosse addestrato a fare il maniscalco. Il reggimento stava completando i quadri di guerra e i veterani erano quasi tutti necessari come istruttori, così il capitano scelse Battista, il piccolo italiano di cui poteva molto facilmente fare a meno. Il piccolo Battista non aveva mai avuto nulla a che fare coi cavalli. Aveva paura e questo peggiorava le cose. Ricomparve un giorno in fureria e disse al capitano Dunning che preferiva morire se non poteva venir sostituito. I cavalli lo prendevano a calci, disse; non ci sapeva fare. Alla fine cadde in ginocchio e scongiurò il capitano Dunning, in un miscuglio di inglese sconnesso e di italiano biblico, di esonerarlo dall'incarico. Da tre giorni non riusciva a dormire: stalloni mostruosi si impennavano e piroettavano nei suoi sogni. Il capitano Dunning rimproverò il furiere (che era scoppiato a ridere) e disse a Battista che avrebbe fatto tutto il possibile. Ma quando ci ripensò, decise che non poteva privarsi di un soldato migliore. Il piccolo Battista andò di male in peggio. Pareva che i cavalli indovinassero la sua paura, e ne approfittavano in ogni modo. Due settimane dopo una grossa giumenta nera gli schiacciò il cranio con lo zoccolo mentre egli cercava di farla uscire dal suo stallo. Verso la metà di luglio giunsero voci e poi ordini relativi al trasferimento del campo. La brigata doveva spostarsi verso un accantonamento vuoto a più di un centinaio di chilometri a sud per diventare una divisione. Dapprima gli uomini credettero di essere di partenza per il fronte, e per tutta la sera gruppetti di soldati confabularono nella strada dell'accampamento gridandosi l'un l'altro in esclamazioni smargiasse "Come no!". Quando trapelò la verità, venne respinta con indignazione, come uno schermo usato per nascondere la loro vera destinazione. Si esaltarono nella loro importanza. Quella sera dissero alle ragazze in città che stavano per "andare dai tedeschi". Anthony circolò un po' fra i gruppi; poi fermò una camionetta e andò da Dot a dirle che partiva. Dot lo aspettava nella veranda buia con un vestitino bianco da pochi soldi che accentuava la giovinezza e la tenerezza del suo viso. "Oh" mormorò. "Ti ho desiderato tanto, tesoro, tutto il giorno." "Ho da dirti una cosa." Dot lo trasse a sé sul divano a dondolo senza notare il tono di malaugurio. "Dimmi." "Partiamo la settimana prossima." Le braccia di Dot smisero di accarezzargli le spalle e rimasero sospese nell'aria buia mentre ella alzava il mento. Quando parlò non c'era più tenerezza nella sua voce. "Andate in Francia?" "No. Meno fortunati. Andiamo in qualche maledetto campo del Mississippi." Dot chiuse gli occhi ed egli le vide tremare le palpebre. "Cara piccola Dot, la vita è così maledettamente difficile." Dot gli si era appoggiata alla spalla e piangeva. "Così difficile, così difficile" ripeté Anthony senza scopo. "Continua a far del male alla gente finché poi fa tanto male da non poter più far male. E' l'ultima e peggiore cosa che fa." Esaltata, isterica di dolore, Dot strinse Anthony a sé. "Oh, Dio!" mormorò sconnessamente "non puoi lasciarmi. Ne morirei." Anthony si accorgeva che era impossibile considerare la sua partenza come un colpo consueto, impersonale. Era così vicino a lei che non riusciva a far altro che ripetere: "Povera piccola Dot. Povera piccola Dot". "E poi?" domandò lei con aria stanca. "Cosa vuoi dire?" "Sei tutta la mia vita, ecco. Mi ucciderei per te subito, se tu lo volessi. Prenderei un pugnale e mi ucciderei. Non puoi lasciarmi qui." Il suo tono lo spaventò. "Sono cose che succedono" disse senza alzare la voce. "Allora vengo con te." Aveva le guance coperte di lacrime. La bocca le tremava in un'estasi di dolore e di paura. "Cara" mormorò Anthony sentimentale. "Cara bambina mia. Non capisci che non faremmo che rimandare qualcosa che deve succedere? Tra qualche mese sarò in Francia..." Dot si scostò da lui e stringendo i pugni alzò il viso verso il cielo. "Voglio morire" disse, quasi modellando con cura le parole nel cuore. "Dot" mormorò Anthony a disagio, "mi dimenticherai. Le cose diventano più dolci quando sono perdute. Lo so: perché una volta volevo qualcosa e l'ho ottenuta. E' stata la sola cosa che abbia mai voluto davvero, Dot. E quando l'ho ottenuta mi si è ridotta in polvere fra le mani." "Va bene." Assorto in se stesso, Anthony continuò: "Ho pensato spesso che, se non avessi ottenuto quello che volevo, le cose avrebbero potuto andare diversamente per me. Avrei potuto trovare qualcosa nel mio cervello e divertirmi a metterlo in circolazione. Avrei potuto accontentarmi di questo e avere qualche piccola vanità soddisfatta dal successo. Credo che a un certo momento avrei potuto avere qualunque cosa io desiderassi, nei limiti del ragionevole, ma quella è stata l'unica cosa che abbia mai voluto con fervore. Dio! E questo mi ha insegnato che non si può avere niente, non si può avere assolutamente niente. Perché il desiderio inganna. E' come un raggio di sole che guizza qua e là in una stanza. Si ferma e illumina un oggetto insignificante, e noi poveri sciocchi cerchiamo di afferrarlo: ma quando lo afferriamo il sole si sposta su qualcos'altro e la parte insignificante resta, ma lo splendore che l'ha resa desiderabile è scomparso..." Si interruppe, a disagio. Dot si era alzata e strappava foglioline da una vite scura. Aveva gli occhi asciutti. "Dot..." "Vattene" disse lei con freddezza. "Cosa? Perché?" "Non voglio parole. Se non hai altro da dirmi, è meglio che tu vada." "Ma, Dot..." "Quello che per me è la morte, per te non è che un mucchio di parole. Sai metterle insieme così bene." "Scusami. Stavo parlando di te, Dot." "Vattene via." Anthony le si accostò con le braccia tese, ma Dot lo tenne discosto. "Non vuoi che venga con te?" disse sottovoce. "Forse vai a raggiungere quella... quella ragazza..." Non riusciva a decidersi a dire moglie. "Come faccio a saperlo? Dunque capisco che non sei più il mio compagno. E allora vattene." Per un attimo, agitato da dubbi e desideri contrastanti, parve ad Anthony di trovarsi in una di quelle rare occasioni in cui poteva compiere un gesto spinto dal didentro. Esitò. Poi un'ondata di stanchezza gli si infranse addosso. Era troppo tardi: tutto era troppo tardi. Da anni sognava di staccarsi dal mondo basando le sue decisioni su emozioni instabili come l'acqua. La ragazzina vestita di bianco lo dominava, accostandosi alla bellezza nella simmetria ardua del desiderio. La fiamma che divampava nel buio del suo cuore ferito pareva illuminarla. Con orgoglio profondo e inesplorato, si era resa remota, e così aveva raggiunto il suo scopo. "Non volevo... Non intendevo sembrarti così cinico, Dot." "Non ha importanza." La fiamma avvolse Anthony. Qualcosa gli morse le viscere ed egli rimase lì, inerme e sconfitto. "Vieni con me, Dot... cara piccola Dot. Oh, vieni con me. Non potrei lasciarti, adesso..." Con un singhiozzo ella lo strinse fra le braccia e si lasciò sollevare da lui mentre la luna, nella sua perenne fatica di nascondere il brutto aspetto del mondo, riversava il suo miele illecito sulla strada sonnolenta. La catastrofe. Principio di settembre a Camp Boone, nel Mississippi. Il buio pieno di insetti si gettava sulla zanzariera, al riparo della quale Anthony cercava di scrivere una lettera. Nella tenda vicina si svolgeva la conversazione intermittente di una partita a poker e fuori un soldato camminava cantando una canzonetta in voga su "K-K-K-K-Katy". Anthony si appoggiò con uno sforzo sul gomito e con la matita in mano guardò il foglio di carta bianco. Poi saltando l'intestazione incominciò: "Non riesco a immaginare che cosa può essere successo, Gloria. Sono quindici giorni che non ricevo una parola da te ed è più che naturale che sia preoccupato..." Gettò via la lettera con un grugnito scontento e ricominciò: "Non so che cosa pensare, Gloria. La tua ultima lettera breve, fredda, senza una parola d'affetto e neanche un racconto decente di quello che stai facendo, è arrivata quindici giorni fa. Il mio stupore è più che naturale. Se il tuo amore per me non è del tutto finito, mi pare che dovresti almeno evitarmi la preoccupazione." Di nuovo appallottolò la lettera e la gettò irritato da uno strappo della tenda, pensando nello stesso momento che l'indomani mattina doveva ricordarsi di raccoglierla. Gli passò la voglia di provare di nuovo. Non riusciva a mettere calore nelle righe: soltanto una gelosia e un sospetto insistente. Per tutta l'estate questi screzi epistolari con Gloria erano diventati sempre più vistosi. Dapprima Anthony non se ne accorse. Era così abituato ai "caro" e "carissimo" convenzionali disseminati nelle lettere che non si accorgeva della loro presenza o assenza. Ma in questi ultimi quindici giorni era diventato sempre più consapevole del fatto che mancava qualcosa. Le aveva mandato un telegramma-lettera dicendo che aveva superato gli esami per l'ammissione a un corso allievi ufficiali e si aspettava di partire da un momento all'altro per la Georgia. Gloria non aveva risposto. Aveva telegrafato di nuovo: non ricevendo nulla pensò che fosse fuori città. Ma pensò e ripensò che non poteva essere fuori città, e una serie di congetture assurde incominciarono a tormentarlo. E se Gloria annoiata e irrequieta avesse trovato qualcuno, magari come aveva fatto lui? Il pensiero lo atterrì per il fatto solo di essere possibile: era stato soprattutto per la sua sicurezza sull'integrità personali di Gloria che aveva pensato così poco a lei durante quell'anno. E ora, sorto il dubbio, si riprensentavano a migliaia le antiche collere, i furori del possesso. Che cosa c'era di più naturale del fatto che si fosse innamorata di nuovo? Ricordò quando Gloria prometteva che se avesse mai desiderato una cosa se la sarebbe procurata, insistendo che, siccome avrebbe agito esclusivamente per sua soddisfazione personale, avrebbe potuto portare a termine ogni cosa senza insudiciarsi: comunque la sola cosa che importasse era l'effetto che questo produceva sulla persona interessata, diceva, e la sua reazione sarebbe stata maschile, di sazietà e lieve disgusto. Ma questo era accaduto nei primi tempi del matrimonio. Più tardi, quando aveva scoperto di essere gelosa di Anthony, aveva cambiato idea, almeno apparentemente. Non c'erano altri uomini al mondo, per lei. Questo, Anthony lo sapeva fin troppo. Accorgendosi che un certo controllo l'avrebbe frenata, aveva allentato i freni, per conservare la completezza del suo amore che dopotutto era la chiave della loro vita. Intanto per tutta l'estate aveva mantenuto Dot in una pensione in città. Per farlo era stato necessario scrivere all'agente di cambio che gli mandasse quattrini. Dot aveva fatto il suo viaggio verso sud partendo di casa un giorno prima che il reggimento levasse il campo e aveva lasciato un biglietto alla madre comunicandole che partiva per New York. La sera dopo Anthony era andato a casa sua come per farle visita. La signora Raycroft era in preda a un collasso e nel salottino c'era un poliziotto. Era seguito un interrogatorio dal quale Anthony si era districato con qualche difficoltà. A settembre i sospetti su Gloria gli avevano fatto diventare noiosa e poi quasi insopportabile la compagnia di Dot. Anthony era nervoso e irritabile per la mancanza di sonno; era infelice e aveva paura. Tre giorni prima era andato dal capitano Dunning e gli aveva chiesto una licenza, per ricevere soltanto un benevolo rinvio. La divisione partiva per l'oltremare, mentre Anthony era diretto a un corso allievi ufficiali, tutte le licenze che potevano venir concesse andavano riservate agli uomini che lasciavano il paese. Dopo questo rifiuto Anthony si era avviato verso l'ufficio telegrafico con l'intenzione di telegrafare a Gloria di venire nel Sud. Giunse sulla porta e se ne allontanò disperato, comprendendo la totale impossibilità di un gesto simile. Poi aveva passato la serata a bisticciare irritato con Dot, ed era ritornato al campo di malumore e risentito contro il mondo. Vi era stata una scena spiacevole nel corso della quale egli se ne era andato a precipizio. Il da farsi con Dot non lo preoccupava molto, in questo momento: Anthony era completamente assorbito dal silenzio scoraggiante di sua moglie... Il lembo della tenda si piegò su se stesso in un triangolo improvviso e una testa scura comparve sullo sfondo della notte "Il sergente Patch?" L'accento era italiano, e Anthony vide dal cinturone che il soldato era un piantone del comando. "Mi cercano?" "Una signora ha chiamato al comando dieci minuti fa. Dice che deve parlarvi. Molto importante." Anthony scostò la zanzariera e si alzò. Poteva essere un telegramma di Gloria trasmesso per telefono. "Dice di andare al telefono. Richiamerà alle dieci." "Va bene, grazie." Prese il berretto e un attimo dopo attraversò a lunghi passi, accanto al piantone, l'oscurità calda, quasi soffocante. Alla baracca del comando fece il saluto all'ufficiale di picchetto mezzo addormentato. "Siediti e aspetta" disse il tenente senza dargli importanza. "La ragazza sembrava molto ansiosa di parlarti." Le speranze di Anthony morirono. "Mille grazie, signor tenente." E quando il telefono strillò sulla parete sapeva chi stava chiamando. "Sono Dot" giunse una voce incerta. "Devo parlarti." "Dot, ti ho detto che non posso venire in città per parecchi giorni." "Devo vederti stasera. E' importante." "E' troppo tardi" disse Anthony freddamente, "sono le dieci e devo rientrare alle undici." "Va bene." C'era tanta infelicità condensata in queste due parole che Anthony sentì una punta di pentimento. "Che cosa è successo?" "Voglio dirti addio." "Oh, non fare la sciocchina!" esclamò. Ma si sentì meglio. Che fortuna se fosse partita quella sera stessa! Che peso tolto dalla sua anima! Ma disse "Non è possibile che tu parta prima di domani". Con la coda dell'occhio vide che l'ufficiale di picchetto lo guardava con aria canzonatoria. Poi, stupefacenti, giunsero le parole successive di Dot: "Non intendo partire in quel modo." La mano di Anthony strinse furiosamente il ricevitore. Si sentì gelare i muscoli come se tutto il calore avesse abbandonato il suo corpo. "Cosa?" Poi udì la voce nervosa, spezzata, dire in fretta "Addio... oh, addio!" Clak! Dot aveva attaccato il ricevitore. Emettendo un suono che era per metà un rantolo e per metà un grido, Anthony uscì a precipizio dal comando. Fuori, sotto le stelle che gocciolavano come nappine d'argento tra gli alberi del boschetto, si fermò immobile, esitando. Aveva voluto dire che intendeva uccidersi? Oh, che stupida. Era invaso da odio verso di lei. In questa situazione non gli riusciva di capire come avesse mai potuto incominciare una simile confusione, un simile pasticcio, un miscuglio sordido di preoccupazione e di dolore. Si sorprese intento ad allontanarsi lentamente, continuando a ripetersi che era inutile preoccuparsi. Era meglio che ritornasse in tenda a dormire. Aveva bisogno di dormire. Dio! Gli sarebbe mai più riuscito di dormire? Aveva il cervello sperduto in un enorme frastuono e confusione. Quando giunse alla strada si voltò, colto dal panico, e incominciò a correre non verso l'attendamento ma in direzione contraria. I soldati stavano rientrando allora. Poteva trovare un taxi. Dopo un attimo due occhi gialli comparvero a una curva. Si avviò verso di essi correndo disperatamente. "Camionetta, camionetta..." Era una Ford vuota. "Vorrei andare in città." "Costa un dollaro." "Va bene. Ma fate presto..." Dopo un tempo interminabile salì di corsa i gradini di una casetta buia e varcò la porta quasi gettando a terra una negra immensa che camminava lungo il corridoio con la candela in mano. "Dov'è mia moglie?" gridò all'impazzata. "E' andata a letto." Su per le scale a tre gradini per volta, giù per il corridoio scricchiolante. La stanza era buia e silenziosa e con dita tremanti Anthony accese un fiammifero. Due occhi spalancati lo guardarono da un fagotto di vestiti sul letto. "Ah, sapevo che saresti venuto" mormorò Dot con voce spezzata. Anthony si sentì gelare dalla collera. "Così era soltanto un trucco per farmi venir qui, per mettermi nei guai!" disse. "Accidenti hai esagerato a gridare al lupo!" Dot lo guardò umilmente. "Dovevo vederti. Non potevo più vivere. Oh, dovevo vederti..." Anthony sedette sull'orlo del letto e scosse lentamente il capo. "Sei un disastro" disse con tono deciso, parlando inconsciamente come Gloria avrebbe potuto parlare a lui. "Questa roba non è leale, sai." "Vieni qui vicino." Qualunque cosa lui dicesse, Dot adesso era felice. Gli voleva bene. Lo aveva fatto venire al suo fianco. "Oh Dio" disse Anthony sgomento. Con lo svolgersi della stanchezza nella sua ondata inevitabile, la collera si calmò, si allontanò, scomparve. Anthony cedette d'improvviso, si gettò singhiozzando accanto a lei sul letto. "Oh, tesoro" lo pregò Dot, "non piangere! Oh, non piangere!" Si attiro il capo di Anthony sul seno e lo accarezzò, mescolò le proprie lacrime felici con quelle amare di lui. Con la mano giocò teneramente fra i capelli bruni di lui. "Sono una tale sciocchina" mormorò con voce spezzata, "ma ti amo, e quando non sei affettuoso con me è come se fosse inutile vivere." Dopo tutto era la pace: la stanza silenziosa con l'odore mescolato di cipria e profumo di donna, la mano di Dot tenera come un vento caldo fra i capelli, l'alzarsi e abbassarsi del seno mentre respirava: per un attimo fu come se Gloria fosse lì con lui, come se egli fosse a riposare in una casa più dolce e più sicura di quante ne avesse mai conosciute. Passò un'ora Un orologio incominciò a suonare in corridoio. Anthony balzò in piedi e guardò le lancette fosforescenti dell'orologio da polso. Erano le dodici. Non gli fu facile trovare un taxi che lo portasse fuori a quell'ora. Mentre incitava l'autista ad andare più in fretta lungo il percorso, pensò al metodo migliore per rientrare al campo. Era arrivato in ritardo parecchie volte in quegli ultimi tempi e sapeva che, se lo avessero sorpreso di nuovo, probabilmente il suo nome sarebbe stato cancellato dalla lista degli aspiranti ufficiali. Si chiese se non sarebbe stato meglio licenziare il taxi e tentar di superare la sentinella approfittando del buio. Tuttavia spesso gli ufficiali passavano in macchina davanti alle sentinelle dopo la mezzanotte... "Alt!" Il monosillabo giunse dal bagliore giallo che i fari gettavano sulla biforcazione della strada. L'autista frenò e una sentinella si avvicinò col fucile, imbracciato. Con la sentinella, per malaventura, era l'ufficiale di guardia. "In ritardo, sergente." "Signorsì. Sono stato trattenuto." "Peccato. Devo prendere il nome." Mentre l'ufficiale aspettava col taccuino e la matita in mano, qualcosa non proprio voluto si insinuò fra le labbra di Anthony, qualcosa nato dal panico, dalla confusione, dalla disperazione. "Sergente R. A. Foley" rispose tenendo il fiato. "Reparto?" "Compagnia Q, Ottantatreesimo Fanteria." "Va bene. Liberate il passaggio, sergente." Anthony salutò, pagò in fretta il taxi e si avviò di corsa verso il reggimento che aveva nominato. Quando fu lontano, cambiò direzione e col cuore che batteva all'impazzata raggiunse di corsa la sua compagnia con la sensazione di aver commesso un errore fatale. Due giorni dopo l'ufficiale che era stato di guardia lo riconobbe da un barbiere in città. Accompagnato dalla polizia militare venne ricondotto al campo dove fu degradato senza processo e consegnato per un mese nell'accampamento. Sotto questo colpo Anthony si sentì sopraffatto da uno scoraggiamento supremo e dopo una settimana fu di nuovo sorpreso in città mentre si aggirava attorno in uno stupore ubriaco con una bottiglia di whisky di contrabbando nella tasca posteriore. Fu a causa di una specie di follia nel suo contegno al processo, che la condanna alla prigione si limitò a venti giorni. Incubo. Fin dall'inizio della consegna si radicò in lui la convinzione di essere in procinto di diventar matto. Era come se avesse la mente piena di persone oscure ma vive, alcune familiari, alcune strane e terribili, tenute a freno da un piccolo assistente che sedeva in disparte a guardare. La cosa che lo preoccupava era che l'assistente non stava bene e resisteva con difficoltà. Se avesse ceduto, se avesse vacillato per un attimo, queste cose insopportabili si sarebbero scatenate; soltanto Anthony poteva sapere che cosa sarebbe successo se il peggio che era in lui avesse potuto vagare per la sua coscienza senza freni. Il calore del giorno era mutato lentamente fino a diventare un'oscurità brunita che si abbatteva su una terra devastata. Sul suo capo i cerchi azzurri di funesti soli inesplorati, di centri innumerevoli di fuoco, gli rotavano interminabili davanti agli occhi come se egli fosse sdraiato senza interruzione sotto la luce calda in uno stato di coma febbrile. Alle sette del mattino qualcosa di fantomatico, qualcosa di quasi assurdamente irreale che egli lo sapeva bene, era il suo corpo mortale, usciva con altri sette prigionieri e due guardie a lavorare sulle strade dell'accampamento. Un giorno caricavano e scaricavano mucchi di ghiaia la spargevano, la rastrellavano; l'indomani lavoravano con enormi barili di catrame al calor rosso inondando la ghiaia di pozze nere, lucenti, di calore fuso. La sera, chiuso in prigione, giaceva senza pensare, senza il coraggio di formulare un pensiero, fissando i raggi irregolari sul soffitto fin verso le tre, quando precipitava in un sonno agitato, tormentato. Durante i turni lavorava con fretta inquieta, cercando, mentre il giorno si avvicinava al tramonto soffocante del Mississippi, di stancarsi fisicamente, in modo da poter dormire un sonno profondo la sera dalla stanchezza... Poi, un pomeriggio della seconda settimana, ebbe la sensazione che due occhi lo guardassero da un nascondiglio a pochi passi da una guardia. Questo provocò in lui una specie di terrore. Voltò le spalle agli occhi e si mise a spalare febbrilmente finché gli fu necessario voltarsi e andare a prendere altra ghiaia. Allora gli occhi ritornarono nella sua visuale e i suoi nervi già tesi giunsero al punto di spezzarsi. Gli occhi lo guardavano bramosi. Nel silenzio caldo sentì pronunciare il suo nome da una voce tragica e la terra oscillò assurdamente in una Babele di frastuono e di confusione. Quando ritornò in sé era di nuovo in prigione e gli altri prigionieri lo guardavano con aria strana. Gli occhi non ritornarono più. Passarono molti giorni prima che Anthony si rendesse conto che la voce doveva essere quella di Dot, la quale lo aveva chiamato e aveva provocato un po' di trambusto. Decise questo poco prima che terminasse il periodo della condanna, quando la nube che l'aveva oppresso si era alzata lasciandolo in un letargo profondo, inanimato. A misura che l'intermediario consapevole, l'assistente che dirigeva quel ménage spaventoso di orrore, diventava più forte, Anthony si faceva fisicamente più debole. Non era quasi più in grado di sopportare due giorni di fatica e quando venne rilasciato, un pomeriggio di pioggia, e rimandato alla sua compagnia, Anthony giunse alla tenda soltanto per sprofondare in un sopore pesante dal quale si svegliò prima dell'alba dolorante e non riposato. Accanto alla branda vi erano due lettere che lo avevano aspettato nella tenda della fureria per qualche giorno. La prima era di Gloria; era breve e fredda: "Il processo avrà luogo a novembre. Sarà possibile che tu ottenga una licenza? Ho provato più e più volte a scriverti, ma non fa che peggiorare le cose. Vorrei vederti per parlarti di parecchie faccende ma sai che una volta mi hai impedito di venire e non ho voglia di chiedertelo di nuovo. In considerazione di una quantità di cose, sembra necessario che ci parliamo. Sono molto lieta della tua nomina. Gloria." Era troppo stanco per cercar di capire o di preoccuparsi. Le frasi, le intenzioni di Gloria erano tutte molto lontane, in un passato incomprensibile. Alla seconda lettera diede appena un'occhiata; era di Dot uno scarabocchio incoerente, gonfio di lacrime, un diluvio di proteste, di affetto e di dolore. Dopo una pagina lasciò sfuggire il foglio dalla mano inerte e si abbandonò a sonnecchiare in un mondo nebuloso di sua proprietà. Alla sveglia si destò con la febbre alta e svenne quando cercò di uscire dalla tenda: a mezzogiorno fu mandato all'ospedale della base con l'influenza. Si rese conto che questa malattia era provvidenziale. Lo salvò da un collasso isterico e guarì in tempo per partire in un'umida giornata di novembre per New York, e per il massacro interminabile di là di essa. Quando il reggimento giunse a Camp Mills, Long Island, l'unica idea di Anthony fu quella di andare in città e vedere Gloria il più presto possibile. Era evidente ormai che entro la settimana sarebbe stato firmato l'armistizio, ma circolava voce che in ogni caso le truppe avrebbero continuato a venire imbarcate per la Francia fino all'ultimo momento. Anthony era atterrito al pensiero della lunga traversata, del fastidioso sbarco in un porto francese e di restare oltremare magari un anno a sostituire le truppe che avevano combattuto. Aveva intenzione di ottenere un permesso di due giorni, ma il Camp Mills era in una rigorosa quarantena per l'influenza: era impossibile anche agli ufficiali allontanarsi se non per motivi di servizio. Per un soldato semplice non era neanche il caso di parlarne. Il campo era una babilonia triste, fredda, sbattuta dal vento e sudicia, coi rifiuti che si accumulavano col passare delle divisioni. Il loro treno arrivò una sera alle sette e aspettarono in vettura fino alla una che venisse districato un groviglio militare un po' più avanti. Gli ufficiali continuavano a correre su e giù senza posa gridando ordini e facendo un gran frastuono. Risultò che tutto era causato dal colonnello, invaso da una collera virtuosa perché usciva da West Point e la guerra sarebbe finita prima che egli potesse andare oltremare. Se i governi belligeranti avessero pensato alla quantità di cuori spezzati fra gli ex allievi di West Point durante quella settimana, indubbiamente avrebbero continuato il macello per un altro mese. Faceva proprio pena! Guardando la grande distesa incolore di tende che si spingeva per chilometri e chilometri in un disastro pesticciato di fanghiglia e di neve, Anthony si accorse dell'impossibilità di giungere a un telefono quella sera. Le avrebbe telefonato l'indomani mattina appena gli fosse stato possibile. Nell'alba gelida e amara si alzò alla sveglia e ascoltò un'ardente concione del capitano Dunning. "Può darsi che voi soldati pensiate che la guerra è finita. Bene, lasciate che vi dica che non è vero! Quella gente non firmerà l'armistizio. E' un altro trucco, e saremmo pazzi a mollare di un filo qui in compagnia, perché partiremo di qui entro una settimana e allora vedremo un vero combattimento." S'interruppe per consentire agli uomini di subire tutti gli effetti della sua dichiarazione. E poi: "Se credete che la guerra sia finita, parlate con qualcuno che c'è stato e vedrete se a loro pare che i tedeschi siano finiti. Non sono finiti. Nessuno è finito. Ho parlato a quelli che sanno e dicono che ci sarà comunque un altro anno di guerra. A loro non pare che la guerra sia finita. Dunque voi soldati è meglio che non vi mettiate in mente idee stupide". Sottolineando due volte questa esortazione finale, ordinò alla compagnia di rompere le righe. A mezzogiorno Anthony andò di corsa al telefono dello spaccio più vicino. Mentre si avvicinava a quello che corrispondeva al centro del campo, si accorse che molti altri soldati stavano correndo, che uno accanto a lui aveva fatto improvvisamente un salto in aria battendosi insieme i talloni. La tendenza a correre divenne generale, e da gruppetti eccitati di uomini qua e là giungevano echi di acclamazioni. Si fermò ad ascoltare: sulla campagna fredda suonavano le sirene e le campane delle chiese di Garden City si sciolsero d'improvviso in rintocchi echeggianti. Anthony ricominciò a correre. Le grida erano più chiare e distinte ora, mentre si levavano tra nuvolette di respiro gelato nell'aria fredda: "La Germania si è arresa! La Germania si è arresa!" Il falso armistizio. Quella sera, nell'oscurità opaca delle sei, Anthony sgusciò fra due carri merci e giunto sulla strada ferrata seguì le rotaie fino a Garden City dove prese un treno elettrico per New York. Era un po' preoccupato: sapeva che la polizia militare spesso faceva il giro delle vetture a controllare i permessi, ma immaginava che quella sera la vigilanza sarebbe stata allentata. Ma avrebbe cercato in ogni caso di sgattaiolare in città perché non era riuscito a trovare Gloria al telefono e un'altra giornata così in sospeso gli sarebbe riuscita insopportabile. Dopo fermate e attese inspiegabili, che gli ricordarono la notte che era partito da New York più di un anno prima, giunsero alla Pennsylvania Station e Anthony seguì il percorso familiare fino al posteggio dei taxi. Gli riuscì grottesco e stranamente eccitante dare il suo indirizzo di casa. Broadway era un tripudio di luci, gremita come egli non l'aveva mai vista da una folla di carnevale che si trascinava smagliante tra pezzetti di carta accumulati fino all'altezza della caviglia sui marciapiedi. Qua e là, inalzati su panche e casse, i soldati concionavano una massa distratta, ogni viso della quale spiccava sotto il bagliore bianco delle luci. Anthony notò qualche personaggio: un marinaio ubriaco, abbandonato riverso e sorretto da altri due marinai, agitava il berretto ed emetteva all'impazzata una serie di boati; un soldato ferito, con la stampella in mano, veniva trasportato sulle spalle di alcuni borghesi che strillavano, una ragazza bruna sedeva meditabonda a gambe incrociate sul tetto di un taxi fermo in un posteggio. Certo la vittoria era arrivata in tempo, il culmine della passione era stato predisposto con intuito supremamente celeste. La grande e ricca nazione aveva fatto una guerra trionfante, soffrendo abbastanza per l'emozione ma non abbastanza per l'amarezza: per ciò il carnevale, la festa, il trionfo. Sotto quelle luci chiare scintillavano le facce di gente la cui gloria era passata da molto tempo, la cui stessa civiltà era morta: uomini i cui antenati avevano udito annunciare la vittoria a Babilonia, a Ninive, a Bagdad, a Tiro, cento generazioni prima; uomini i cui antenati avevano visto il corteo coperto di fiori e di schiavi svolgersi con la sua scia di prigionieri sui viali di Roma imperiale... Passato il Rialto, la facciata scintillante dell'Astor, lo splendore ingioiellato di Times Square... viale sfavillante di incandescenza... Poi - quanti anni erano passati? - stava pagando l'autista davanti a un edificio bianco della Cinquantasettesima Strada. Era nell'ingresso ah, c'era il ragazzo negro della Martinica, pigro, indolente, immutato. "C'è la signora Patch?" "Sono appena arrivato, signore" dichiarò il ragazzo col suo assurdo accento inglese. "Portami su..." Poi il ronzio lento dell'ascensore, i tre gradini della porta, che si spalancò sotto il suo impeto. "Gloria!" La voce gli tremava. Nessuna risposta. Un lieve filo di fumo si alzava da un portacenere; un numero di "Vanity Fair" era posato di traverso sul tavolo. "Gloria!" Entrò di corsa nella stanza da letto, nel bagno. Gloria non c'era. Un "négligé" celeste disteso sul letto emanava un lieve profumo illusorio e familiare. Su una sedia c'erano un paio di calze e un abito da passeggio; sulla toilette sbadigliava aperta la scatola della cipria. Gloria doveva essere uscita da poco. Il telefono suonò d'improvviso e Anthony si tuffò: rispose con la sensazione di essere un impostore. "Pronto. C'è la signora Patch?" "No. La cerco anch'io. Chi parla.~" "Sono il signor Crawford." "Io sono il signor Patch. Sono arrivato d'improvviso e non so dove rintracciarla." "Oh." Il signor Crawford parve lievemente perplesso. "Ma... immagino che sia al ballo dell'armistizio. So che aveva intenzione di andarvi, ma non pensavo che uscisse così presto." "Dov'è il ballo dell'armistizio?" "All'Astor." "Grazie." Anthony attaccò bruscamente e si alzò. Chi era il signor Crawford? E chi l'aveva accompagnata al ballo? Da quanto tempo continuava? Si fece queste domande e rispose ad esse una decina di volte in una decina di modi. La sua stessa vicinanza a lei lo faceva impazzire. Nell'isterismo del sospetto corse qua e là per l'appartamento in cerca di qualche segno che rivelasse una presenza maschile, aprendo l'armadietto del bagno, cercando febbrilmente nei cassetti della toilette. Poi trovò qualcosa che lo fece fermare di colpo a sedere su uno dei due letti gemelli, con gli angoli della bocca piegati come se stesse per piangere. Lì, in un angolo del cassetto, legati con un fragile nastro azzurro, erano tutte le lettere e i telegrammi che Anthony le aveva scritto durante quell'anno. Fu invaso da una vergogna felice e sentimentale. "Non sono degno di toccarla!" gridò forte alle quattro pareti. "Non sono degno di toccarle la manina." Tuttavia uscì a cercarla. Nel vestibolo dell'Astor venne inghiottito immediatamente da una folla così pigiata che era quasi impossibile muoversi. Chiese in quale direzione fosse la sala da ballo a cinque o sei persone, prima di riuscire a ottenere una risposta sensata e comprensibile. Finalmente, dopo un'ultima lunga attesa, depositò al guardaroba dell'ingresso il cappotto dell'uniforme. Erano soltanto le nove, ma la danza ferveva già appieno. Il panorama era incredibile. Donne, donne dappertutto: ragazze allegre per l'alcool, intente a cantare stridule al disopra del frastuono della folla coperta di coriandoli accecanti; ragazze vestite nelle uniformi di una decina di nazioni; donne grasse che si abbandonavano senza dignità per terra e conservavano un po' di decoro gridando "Urrà per gli Alleati"; tre donne coi capelli bianchi che ballavano in circolo tenendosi per mano intorno a un marinaio che piroettava in un vortice turbinoso per terra, stringendosi al cuore una bottiglia vuota di champagne. Senza fiato Anthony scrutò le coppie che danzavano, scrutò le catene confuse che si svolgevano in fila indiana fra i tavolini, scrutò i gruppi intenti a suonare le trombette, baciarsi, tossire, ridere, bere, sotto le grandi bandiere gonfie che pendevano in colori splendenti sulla folla e sul frastuono. Poi vide Gloria. Era seduta a un tavolino per due proprio all'estremità della sala. Aveva un vestito nero, e su di esso il viso animato, colorito del rosa più splendente: creava, pensò Anthony, una chiazza di bellezza emozionante nella sala. Il cuore gli diede un balzo come a una nuova musica. Anthony si avviò a scossoni verso di lei e la chiamò proprio mentre gli occhi grigi si alzavano e lo scorgevano. Per quell'attimo, mentre i loro corpi si incontravano e si fondevano, il mondo, l'orgia, il gemito incessante della musica sbiadirono in un'estasi unicolore sommessa come il canto delle api. "Oh, Gloria mia!" esclamò Anthony. Il bacio di Gloria fu un ruscello fresco che le sgorgava dal cuore. 2. UNA QUESTIONE DI ESTETICA. La sera che Anthony era partito per il Campo Hooker l'anno prima, tutto quello che restava della bella Gloria Gilbert - il suo involucro, il suo corpo giovane e bello - salì i vasti gradini di marmo della Grand Central Station col ritmo della locomotiva rintronante nelle orecchie come in un sogno e uscì sulla Vanderbilt Avenue, dove la grande massa del Biltmore incombeva sulla strada e, in basso, dall'ingresso minuscolo e scintillante, risucchiava i mantelli multicolori di ragazze vistosamente abbigliate. Per un attimo Gloria si fermò accanto al posteggio dei taxi a guardarli: pensando che pochi anni prima era stata anche lei una di loro, sempre in attesa di un raggiante qualcosa, sempre sul punto di avere quell'avventura ardente e definitiva per la quale i mantelli delle ragazze erano delicati e ornati di belle pellicce, per la quale le loro guance erano dipinte e i loro cuori più alti della sede momentanea del piacere che le inghiottiva, pettinatura, mantello e tutto. Stava scendendo il freddo e gli uomini che passavano si erano alzati i baveri dei cappotti. Questo cambiamento le riuscì gentile. Sarebbe stato ancora più gentile se tutto fosse cambiato, il clima, le strade e la gente, e lei fosse stata spazzata via per svegliarsi in una camera alta, dal profumo fresco, da sola, e statuaria di dentro e di fuori, come nel suo passato verginale e pittoresco. Nel taxi pianse lacrime impotenti. Che da più di un anno non fosse stata felice con Anthony importava poco. Negli ultimi tempi la presenza di lui non era stata se non ciò che poteva venir resuscitato in lei di quel memorabile giugno. L'Anthony degli ultimi mesi, irritabile, debole e povero, non poteva fare a meno di rendere irritabile anche lei: e infastidita di tutto, tranne del fatto che in una giovinezza molto immaginosa ed eloquente essi si erano riuniti in un'orgia estatica di emozioni. Per questo ricordo reciprocamente vivo, avrebbe fatto per Anthony più di quanto avrebbe fatto per qualsiasi altro essere umano: così quando salì in taxi pianse con ardore e provò il desiderio di gridare ad alta voce il suo nome. Infelice, sola come un bambino dimenticato, nell'appartamento silenzioso gli scrisse una lettera piena di sentimenti confusi: "...Riesco quasi a guardare le rotaie e a vederti mentre ti allontani, ma senza di te, tesoro, tesoro mio, non riesco a vedere né a sentire né a pensare. Essere divisa da te qualunque cosa sia accaduta o accadrà fra noi - è come invocare misericordia in una tempesta, Anthony; è come invecchiare. Ho tanta voglia di baciarti: sulla nuca, dove ti cominciano i capelli neri. Perché ti amo, e qualunque cosa facciamo o diciamo o abbiamo fatto o abbiamo detto, devi sapere quanto ti amo, come mi sento senza vita quando non ci sei. Non riesco neanche a odiare l'esecrabile presenza della gente, la gente alla stazione che non ha alcun diritto di vivere: non riesco a offendermi della loro presenza nonostante stiano insudiciando il nostro mondo, perché sono troppo presa a desiderarti. Se mi avessi odiata, se mi avessi coperta di piaghe come una lebbrosa, se fossi scappato con un'altra donna o mi avessi ridotta alla fame o mi avessi picchiata - che assurdità - ti desidererei lo stesso, ti amerei lo stesso. Lo SO, tesoro mio. E' tardi: ho tutte le finestre aperte e l'aria fuori è tenera come a primavera, ma molto più giovane e fragile che a primavera. Perché rappresentano la primavera come una giovinetta, perché quell'illusione danza e canta nel suo cammino di tre mesi attraverso lo squallore assurdo del mondo. La primavera è un vecchio cavallo scarno da aratro, con le costole in vista: è un mucchio di immondizie in un campo, ridotte dal sole e dalla pioggia a una pulizia funesta. Fra qualche ora ti sveglierai, tesoro mio, e sarai infelice e disgustato della vita. Sarai nel Delaware o in Carolina o in un posto qualunque e privo d'importanza. Credo che non ci sia nessuno al mondo in grado di considerarsi un'istituzione transitoria come un lusso o un male non necessario. Pochissime delle persone che accentuano la futilità della vita notano la futilità di se stesse. Forse credono, proclamando il male della vita, di riuscire a salvare dalla rovina almeno se stesse: ma non ci riescono, nemmeno tu e io... ...Ancora riesco a vederti. C'è una nebbiolina azzurra tra gli alberi tra i quali tu passerai, troppo bella per essere ovunque. No, saranno più frequenti i quadratini di terra arati: si stenderanno lungo le rotaie come lenzuola marrone, sudice e rozze, stese ad asciugare al sole, vive, meccaniche, abominevoli. La natura, vecchia strega disgustosa, vi ha dormito con qualunque vecchio contadino o negro o immigrante che l'abbia desiderata... Così vedi che ora che sei lontano ti ho scritto una lettera piena di disprezzo e di disperazione. E questo significa soltanto che ti amo, Anthony, con tutto ciò che è capace d'amare nella tua Gloria." Quand'ebbe scritto l'indirizzo andò sul suo lettino gemello e vi si gettò stringendo fra le braccia il cuscino di Anthony, come se con la pura forza della sua emozione potesse trasformarlo nel corpo caldo e vivo di lui. Alle due aveva gli occhi asciutti e fissava con saldo, insistente dolore il buio, ricordando, ricordando senza pietà, rimproverandosi centinaia di sgarbi immaginari, creando un'immagine di Anthony simile a un qualche Cristo martirizzato e trasfigurato. Per qualche tempo pensò a lui come lui probabilmente pensava a sé nei momenti più sentimentali. Alle cinque era ancora sveglia. Un misterioso rumore stridente che giungeva ogni mattina dalla strada l'avverti dell'ora. Udì il suono di una sveglia e vide la macchia gialla fatta da una luce su una parete illusoria di fronte. Con la decisione mezzo formata di seguirlo immediatamente nel Sud, il dolore divenne in lei remoto e irreale, e l'abbandonò mentre l'oscurità si dirigeva a ovest. Gloria si addormentò. Quando si svegliò, la vista del letto vuoto accanto al suo provocò una ripresa d'infelicità, scacciata presto però dall'indifferenza inevitabile dalla mattina luminosa. Pur non avendone coscienza trovò sollievo nel fare la prima colazione senza il viso stanco e preoccupato di Anthony di fronte a lei. Ora che era sola non provava alcun desiderio di lamentarsi per il cibo. Avrebbe cambiato la colazione, pensò: avrebbe preso una spremuta di limone e un tramezzino di pomodoro invece delle eterne uova con la pancetta e il pane abbrustolito. Però quando a mezzogiorno ebbe telefonato a parecchie delle sue conoscenze compresa la marziale Muriel e seppe che tutti erano impegnati per la colazione, si abbandonò a una silenziosa pietà per se stessa e la sua solitudine. Raggomitolata sul letto con la matita e la carta, scrisse un'altra lettera ad Anthony. Verso la fine del pomeriggio arrivò un espresso impostato in qualche cittadina del New Jersey e la familiarità delle frasi, tono quasi fisico di preoccupazione e scontento erano così familiari da recarle conforto. Chissà. Forse la disciplina dell'esercito avrebbe fatto diventare Anthony più energico e l'avrebbe abituato all'idea di lavorare. Gloria aveva una fiducia incrollabile :che la guerra sarebbe finita prima che egli fosse chiamato in combattimento, e intanto la causa sarebbe stata vinta e avrebbe potuto ricominciare, questa volta su una base diversa. La prima cosa diversa sarebbe stata che lei avrebbe avuto un figlio. Era insopportabile essere così disperatamente sola. Passò una settimana prima che Gloria riuscisse a restare nell'appartamento con la possibilità di avere gli occhi asciutti. A quanto pareva la città offriva ben poco di divertente. Muriel era stata trasferita in un ospedale del New Jersey, dal quale prendeva una metropolitana festiva soltanto ogni due settimane, e con questa defezione Gloria capì com'era esiguo il numero di amici trovati in tutti questi anni a New York. Gli uomini che conosceva erano sotto le armi. "Uomini che conosceva?" Aveva ammesso vagamente a se stessa che tutti gli uomini che erano stati innamorati di lei fossero suoi amici. Ciascuno di loro per un certo periodo aveva dichiarato di stimare i suoi favori più di qualunque cosa al mondo... Ma adesso... dov'erano andati? Almeno due erano morti, una mezza dozzina o più sposati, gli altri sparpagliati dalla Francia alle Filippine. Si chiese se qualcuno di loro pensasse a lei e quanto spesso, e in che modo. Quasi tutti dovevano ancora ricordare la ragazzina diciassettenne, la sirena adolescente di nove anni prima Anche le ragazze erano andate lontano, chissà dove. Non era mai stata popolare a scuola. Era stata troppo bella, troppo pigra, non abbastanza consapevole di essere una ragazza di Farmover e una "Futura Moglie e Madre" in perpetue maiuscole. E le ragazze che non erano mai state baciate facevano allusioni, con pressioni scandalizzate sul viso brutto ma non particolarmente sano, al fatto che per Gloria non era così. Poi queste ragazze erano andate a est o a ovest o a sud, sposate e diventate "gente", a far profezie, quando ne facevano a proposito di Gloria, sulla sua brutta fine: senza sapere che nessuna fine è brutta e che anch'esse, proprio come lei, erano minimamente padrone del loro destino. Gloria enumerò fra sé le persone che erano andate a trovarla nella casa grigia a Marietta. A quei tempi pareva che avessero sempre compagnia: si era abbandonata alla persuasione inconfessata che ogni ospite si dovesse di poi sentire leggermente indebitato verso di lei. Le dovevano una specie di biglietto morale da dieci dollari a testa e se si fosse mai trovata in ristrettezze avrebbe potuto per così dire chiedere a prestito da loro questo denaro immaginario. Ma erano scomparsi, sparpagliati come paglia, svaniti misteriosamente e sottilmente nell'essenza o nella realtà. A Natale era ritornata a Gloria la persuasione di dover raggiungere Anthony: non più come un'emozione improvvisa, ma come una necessità ricorrente. Decise di scrivergli a questo proposito, ma rinviò la comunicazione dietro consiglio dell'avvocato Haight, che aspettava quasi da una settimana all'altra che incominciasse la causa. Un giorno, al principio di gennaio, mentre camminava sulla Quinta Avenue ravvivata adesso dalle uniformi e decorata dalle bandiere delle nazioni virtuose, incontrò Rachael Barnes, che non vedeva da quasi un anno. Perfino Rachael, per la quale non aveva più simpatia, rappresentava un sollievo dalla noia, e insieme andarono al Ritz a prendere il tè. Dopo un secondo cocktail divennero entusiaste. Si trovarono simpatiche. Parlarono dei mariti, Rachael col tono di vanagloria pubblica, coi riserbi privati considerati doverosi per le mogli. "Rodman è in Europa al Quartier Generale. E' capitano. Era necessario che andasse e pensava di non riuscire a fare altro." "Anthony è in fanteria" Le parole, in relazione ai cocktails, diedero a Gloria una specie di calore. A ogni sorso sentì crescere in sé un patriottismo caldo e consolante. "A proposito" disse Rachael mezz'ora dopo mentre erano sul punto di salutarsi, "perché non vieni a cena con noi domani sera? Ci saranno due ufficiali così carini che stanno per partire per l'Europa. Trovo che dobbiamo fare tutto quello che possiamo per incoraggiarli." Gloria accettò volentieri. Prese nota dell'indirizzo riconoscendo nel numero un edificio di appartamenti alla moda sulla Park Avenue. "Sono tanto contenta di averti vista, Rachael." "E' stato magnifico. Lo desideravo anch'io." Con queste poche frasi, una certa sera di due estati prima a Marietta, nella quale Anthony e Rachael erano stati inutilmente premurosi l'uno verso l'altra, fu perdonata. Gloria perdonò Rachael, Rachael perdonò Gloria. Fu perdonato anche che Rachael fosse stata testimone del più grande disastro nella vita del signore e della signora Anthony Patch... Il tempo procede, scendendo a compromessi con gli avvenimenti. Le arti del capitano Collins. I due ufficiali erano capitani dell'arma più popolare, i mitraglieri. A pranzo allusero a sé con fastidio consapevole come membri del "Club dei suicidi": in quel momento ogni più recondita branca dell'esercito alludeva a sé come al Club dei suicidi. Uno dei due capitani - quello di Rachael, osservò Gloria - era un uomo alto, sulla trentina, con baffetti simpatici e brutti denti. L'altro, il capitano Collins, era grassoccio, roseo, e proclive a ridere con entusiasmo ogni volta che incontrava lo sguardo di Gloria. Si incapricciò immediatamente di lei e per tutta la cena la inondò di complimenti futili. Al secondo bicchiere di champagne, Gloria decise che, per la prima volta da mesi, si stava divertendo davvero. Dopo cena venne proposto di andare tutti a ballare da qualche parte. I due ufficiali si rifornirono di bottiglie dall'armadio di Rachael - per legge era vietato venderne ai militari - e così equipaggiati ballarono innumerevoli fox-trot in parecchi locali scintillanti di Broadway, scambiandosi fiduciosamente il cavaliere mentre Gloria diventava sempre più rumorosa e sempre più divertente per il capitano dalla faccia rosa, che di rado si prendeva il disturbo di disfare il sorriso cordiale. Alle undici, con sua grande sorpresa, Gloria si trovò in minoranza nella proposta di restare fuori. Gli altri volevano ritornare nell'appartamento di Rachael: per prendere altre bottiglie, dissero. Gloria obiettò con insistenza che la bottiglia del capitano Collins era ancora mezzo piena - l'aveva vista in quel momento - poi cogliendo lo sguardo di Rachael ricevette un ammonimento inequivocabile. Pensò confusamente che l'amica volesse sbarazzarsi degli ufficiali e acconsentì a venire infagottata in un taxi. Il capitano Wolf sedette a sinistra, con Rachael sulle ginocchia. Il capitano Collins sedette in mezzo e mentre si sistemava passò un braccio intorno alle spalle di Gloria. Il braccio rimase immobile un attimo e poi si strinse come una morsa. Egli si chinò su di lei. "Siete tanto bella" mormorò. "Grazie tante, signore." La cosa non le fece piacere e neanche la seccò. Prima che arrivasse Anthony erano state tante le braccia che avevano fatto a quel modo, che la cosa era diventata per lei poco più di un gesto, sentimentale ma privo di significato. Nella lunga stanza di soggiorno di Rachael un fuoco smorzato e due lampade coperte di seta arancione erano le sole sorgenti di luce, per cui gli angoli erano pieni di ombre fitte e sonnolente. La padrona di casa, aggirandosi in un abito vaporoso di chiffon, pareva accentuare l'atmosfera già sensuale. Per un po' rimasero tutti e quattro insieme ad assaggiare i tramezzini che li aspettavano sul tavolino da tè: poi Gloria si accorse di essere sola col capitano Collins sul divano accanto al fuoco; Rachael e il capitano Wolf si erano ritirati all'altra estremità della stanza, dove chiacchieravano sottovoce. "Come vorrei che non foste sposata" disse Collins col viso che pareva un travestimento grottesco di "tutto sul serio". "Perché?" Gloria tese il bicchiere per avere whisky e soda. "Non bevete più" la incitò lui aggrottando le ciglia. "Perché no?" "Sarebbe più carino... se non beveste." Gloria afferrò d'improvviso l'allusione sottintesa nella frase, l'atmosfera che egli cercava di creare. Aveva voglia di ridere ma capì che non c'era niente da ridere. La serata era stata divertente e lei non aveva voglia di andare a casa; nello stesso tempo il suo orgoglio era ferito da un flirt di quel genere. "Datemi da bere" insisté. "Per favore..." "Oh, non siate ridicolo!" esclamò esasperata "Come volete." Il capitano cedette di malavoglia. Poi di nuovo il braccio la cinse e di nuovo lei non protestò. Ma quando la guancia rosata le si avvicinò, Gloria si scostò. "Come siete cara" disse il capitano, come senza secondi fini. Gloria incominciò a cantare sottovoce, desiderando ora che quel braccio le venisse tolto di dosso. Improvvisamente lo sguardo le cadde su una scena intima all'altro lato della stanza: Rachael e il capitano Wolf erano assorti in un lungo bacio Gloria rabbrividì leggermente non sapeva perché... La faccia rosea le si avvicinò di nuovo. "Non dovete guardarli" mormorò. Quasi subito l'altro braccio la cinse... il respiro di lui le toccò la guancia Di nuovo l'assurdità ebbe la meglio sul disgusto e la risata di Gloria era un'arma che non aveva bisogno di parole. "Oh, credevo che foste una buontempona" disse lui "Che cos'è una buontempona?" "Ma... una che ha voglia di... di godere la vita." "Ed è baciandosi che secondo voi di solito ci si gode la vita?" Furono interrotti da Rachael e dal capitano Wolf che comparvero improvvisamente davanti a loro. "E' tardi, Gloria" disse Rachael: era rossa in viso, e spettinata. "E' meglio che tu resti qui stanotte." Per un attimo Gloria pensò che gli ufficiali venissero congedati. Poi capì e appena capì si alzò con la maggiore indifferenza di cui fu capace. Rachael non comprese, e continuò: "Puoi stare nella stanza accanto a questa. Ti presto tutto quello che vuoi." Gli occhi di Collins la implorarono come quelli di un cane; il braccio del capitano Wolf cingeva confidenzialmente la cintura di Rachael: stavano aspettando. Ma la prospettiva della promiscuità piena di colore, varietà, labirinti, e sempre leggermente odorosa e rancida, non aveva richiami o promesse per Gloria. Se lo avesse desiderato sarebbe rimasta senza esitazione, senza rimpianti; così come stavano le cose poté affrontare freddamente i sei occhi ostili e offesi che la seguirono nell'atrio con cortesia forzata e parole vacue. "Non è stato neanche buontempone abbastanza da offrirmi di condurmi a casa" pensò quando fu sul taxi, e poi in un'ondata di risentimento: "Com'era volgare!". Galanteria. A febbraio le accadde una cosa di tutt'altro genere. Tudor Baird, un'antica fiamma, un giovane che una volta ella aveva avuto ferma intenzione di sposare, giunse a New York nel Corpo d'aviazione e le telefonò. Andarono parecchie volte a teatro insieme e dopo una settimana, con grande gioia di Gloria, Tudor era innamorato di lei come prima. Ella condusse con piena coscienza la cosa, rendendosi conto troppo tardi che aveva fatto un guaio. Tudor giunse al punto di starle seduto accanto in un silenzio infelice ogni volta che uscivano insieme. Membro dello "Scroll and Keys" a Yale, egli conosceva la correttezza e la reticenza di un "buon diavolo", le idee esatte sulla cavalleria e sul "noblesse oblige"; e naturalmente, ma disgraziatamente, i punti di vista esatti e l'esatta mancanza di idee: tutte le caratteristiche che Anthony le aveva insegnato a disprezzare, ma per le quali tuttavia Gloria provava una certa ammirazione. Si accorse che, a differenza della maggior parte di quelli come lui, egli non era un seccatore. Era bello, lievemente spiritoso, e quando era con lui Gloria aveva la sensazione che per una sua qualche qualità - fosse stupidità o lealtà o sentimentalismo o qualcosa non definibile con tanta esattezza egli avrebbe fatto qualunque cosa nei limiti delle sue possibilità per farle piacere. Le disse questo insieme ad altre cose, con molta correttezza e con una forza grave che nascondeva una sofferenza sincera. Senza amarlo affatto, Gloria si addolorò per lui e una sera lo baciò sentimentalmente, perché era così affascinante, relitto di una generazione che andava scomparendo e, dopo aver vissuto un'illusione puritana e gentile, veniva sostituita da sciocchi meno galanti. Più tardi fu lieta di averlo baciato, perché l'indomani, quando l'aereo precipitò da cinquemila metri a Minehola, un pezzo del motore gli sfracellò il cuore. Gloria sola. Quando l'avvocato Haight le disse che la causa non avrebbe avuto luogo fino all'autunno, Gloria decise di darsi al cinema senza dirlo ad Anthony. Quando avesse veduto il suo successo sia economico, sia di attrice, quando avesse visto che ella riusciva a ottenere da Joseph Bloeckman quello che voleva senza dargli niente in cambio, avrebbe abbandonato i suoi sciocchi pregiudizi. Una notte rimase sveglia a immaginare la sua carriera e a godere anticipatamente i successi, e l'indomani telefonò alla "Films Par Excellence". Il signor Bloeckman era in Europa. Ma l'idea si era impadronita di lei con tale forza questa volta, che decise di fare il giro delle agenzie di collocamento per il cinematografo. Com'era avvenuto spesso, il suo olfatto agì contro le sue buone intenzioni. L'agenzia di collocamento odorava come se fosse morta da molto tempo. Gloria aspettò cinque minuti esaminando le sue non bellissime competitrici poi uscì a passo veloce, recandosi nei recessi più lontani del Central Park, e vi rimase così a lungo da prendere un raffreddore. Cercava di togliersi l'agenzia di collocamento di dosso. A primavera incominciò a capire dalle lettere di Anthony - non da una in particolare ma dal loro effetto complessivo - che non la voleva nel Sud. Con regolarità freudiana, si ripresentavano pretesti stranamente ripetuti, che parevano perseguitarlo per la loro stessa insufficienza. Egli li esponeva in ogni lettera come se temesse di averli dimenticati la volta prima come se fosse disperatamente necessario impressionarla. E la distribuzione dei diminutivi affettuosi nelle lettere incominciò a diventare meccanica e voluta come se terminata la lettera l'avesse riletta e ve li avesse letteralmente cacciati, come epigrammi in una commedia di Oscar Wilde. Gloria balzò alla soluzione, la respinse, fu di volta in volta adirata e scoraggiata; alla fine si rifiutò orgogliosamente dl pensarvi e lasciò che una freddezza sempre crescente si insinuasse nella chiusa delle sue lettere. Recentemente aveva trovato molte cose per distrarsi. Parecchi aviatori che aveva conosciuto attraverso Tudor Baird vennero a New York a trovarla, e si fecero vivi altri due antichi spasimanti, di stanza al Campo Dix. Quando questi uomini venivano inviati oltremare, la lasciavano per così dire in eredità ai loro amici. Ma dopo un'altra esperienza piuttosto spiacevole con un capitano Collins in potenza, ella fece capire con chiarezza che quando qualcuno le veniva presentato non doveva equivocare sulla sua situazione e le sue intenzioni personali. Quando giunse l'estate imparò come Anthony a esaminare le liste degli ufficiali caduti, provando una specie di piacere melanconico nell'udire della morte di qualcuno con cui una volta aveva ballato e nell'identificare dal nome i fratelli minori di antichi pretendenti: pensando, mentre procedeva la marcia verso Parigi, che il mondo si avviava per disteso a una distruzione inevitabile e ben meritata. Aveva ventisette anni. Il suo compleanno passò quasi inosservato. Anni prima ne aveva avuto paura, quando era arrivata ai venti, in una certa misura quando era giunta ai ventisei: ma ora guardava nello specchio con calma approvazione, vedendo la freschezza britannica del colorito e la figura giovanile e snella come in passato. Cercò di non pensare ad Anthony. Era come scrivere a un estraneo. Raccontò agli amici che era stato nominato caporale e fu seccata quando essi rimasero cortesemente indifferenti. Una notte pianse perché era triste per lui: se fosse stato anche soltanto un poco affettuoso sarebbe corsa da lui senza esitazione col primo treno; qualunque cosa egli stesse facendo aveva bisogno di essere assistito spiritualmente, e le pareva che adesso sarebbe riuscita a fare perfino questo. Negli ultimi tempi, senza il continuo attingere di Anthony alla sua forza morale si era sentita meravigliosamente rianimata. Prima che egli partisse Gloria aveva la tendenza, per pura associazione d'idee, a meditare sulle proprie possibilità perdute: ora ritornava al suo stato mentale consueto, forte, sdegnoso, deciso a vivere giorno per giorno. Comprò una bambola e la vestì; una settimana pianse sopra "Ethan Frome"; la settimana successiva guazzò in qualche romanzo di Galsworthy, che le piaceva per la capacità di ricreare, con un balzo nel buio, quell'illusione di un giovane amore romantico che le donne perpetuamente sperano e perpetuamente rimpiangono. A ottobre le lettere di Anthony si moltiplicarono, divennero quasi isteriche; poi cessarono di colpo. Per tutto un mese di preoccupazione le occorse tutta la sua capacità di controllo per trattenersi dal partire immediatamente per il Mississippi. Poi un telegramma le disse che era stato all'ospedale e che poteva aspettarlo a New York nei prossimi dieci giorni. Come un personaggio in un sogno, egli rientrò nella sua vita attraversando la sala da ballo quella sera di novembre; e per lunghe ore di gioia familiare se lo tenne stretto al seno, nutrendo un'illusione di felicità e di sicurezza che aveva creduto di non provare mai più. Sconfitta dei generali. Dopo una settimana il reggimento di Anthony ritornò al campo del Mississippi per essere inviato in congedo. Gli ufficiali si chiusero negli scompartimenti del treno e bevvero il whisky comprato a New York, e nelle altre vetture i soldati si ubriacarono anch'essi il più possibile e finsero, ogni volta che il treno si fermava a un villaggio, di essere appena arrivati dalla Francia, dov'erano stati praticamente loro a distruggere l'esercito tedesco. Poiché indossavano tutti berretti d'oltremare e sostenevano che non avevano avuto il tempo di farsi cucire i filetti d'oro, gli zotici dei paesi costieri erano molto impressionati e chiedevano il loro parere sulle frontiere; al che loro rispondevano "Oh, Dio!", con un gran schioccar di lingue e scrollar di teste. Qualcuno prese un pezzo di gesso e scarabocchiò sul fianco del treno "Abbiamo vinto la guerra - ora andiamo a casa"; e gli ufficiali risero e non lo fecero cancellare. Cercavano tutti di vantarsi come potevano, in questo ritorno inglorioso. Mentre si dirigevano verso il campo, Anthony era preoccupato di trovare Dot ad aspettarlo paziente alla stazione. Con suo grande sollievo non la vide né udì nulla di lei e, pensando che se fosse ancora stata in città avrebbe certamente cercato di comunicare con lui, concluse che se n'era andata: dove, non sapeva né gli importava di sapere. Voleva soltanto ritornare da Gloria: Gloria rinata e meravigliosamente viva. Quando finalmente fu congedato, lasciò la compagnia su un grande camion affollato di uomini che avevano tributato saluti tolleranti, quasi sentimentali, ai loro ufficiali, specialmente al capitano Dunning. Il capitano da parte sua aveva fatto loro un discorso con le lacrime agli occhi sul piacere eccetera, e il lavoro eccetera, e il tempo non sprecato eccetera, e il dovere eccetera. Era tutto molto stupido e umano; dopo averlo ascoltato, Anthony, la cui mente si era rinfrescata durante la settimana a New York, rinnovò la sua profonda avversione per la vita militare e tutto ciò che a essa si riferiva. Nei loro cuori puerili, due ufficiali effettivi su tre ritenevano che le guerre fossero fatte per gli eserciti, e non gli eserciti per le guerre. Fu felice di vedere il generale e gli ufficiali di stato maggiore girare desolati nel campo squallido, privi ormai di comando. Fu felice di udire i soldati della sua compagnia ridere con scherno agli allettamenti mostrati loro per restare nell'esercito. Dovevano frequentare le "scuole". Lui sapeva che cos'erano quelle "scuole". Due giorni dopo era con Gloria a New York. Un altro inverno. Sul finire di un pomeriggio di febbraio Anthony entrò in casa e brancicando nel piccolo atrio nero come la pece nell'imbrunire d'autunno trovò Gloria seduta accanto alla finestra. Gloria si voltò quando egli entrò. "Che cosa voleva l'avvocato?" chiese distratta. "Niente" rispose Anthony. "Le solite cose. Il mese prossimo, forse." Gloria lo guardò attentamente; l'orecchio abituato alla sua voce colse un lieve strascico nelle parole. "Hai bevuto" osservò senza scomporsi. "Un paio di bicchieri." "Oh!" Anthony sbadigliò nella poltrona e scese su loro un momento di silenzio. Poi Gloria domandò d'improvviso: "Sei andato dall'avvocato? Dimmi la verità." "No." Anthony sorrise debolmente. "Il fatto è che non ho avuto tempo." "Mi era parso che tu non ci fossi andato... Ti ha mandato a chiamare." "Non me ne importa un accidente. Sono stufo di aspettare nel suo ufficio. Si direbbe che sia lui che fa un favore a me." Diede un'occhiata a Gloria come attendendo il suo appoggio morale, ma lei era ritornata alla contemplazione dell'esterno, dubbio e tutt'altro che bello. "Mi sento un po' stanco della vita, oggi" lanciò Anthony in un tentativo. Gloria continuò a tacere. "Ho incontrato un tale e abbiamo chiacchierato, nel bar del Biltmore." L'imbrunire si era improvvisamente addensato, ma nessuno dei due si mosse ad accendere le luci. Perduti in Dio sa quale contemplazione, rimasero lì a sedere finché un'improvvisa nevicata provocò un sospiro languido di Gloria. "Che cos'hai fatto?" chiese Anthony oppresso dal silenzio. "Ho letto una rivista tutta piena di articoli idioti di scrittori ricchi su com'è terribile per i poveri comprare una camicia di seta. E mentre leggevo non riuscivo a pensare ad altro che alla pelliccia di scoiattolo grigio che vorrei avere... e che non posso comprare." "Sì, che puoi." "Oh, no." "Ma certo! Se vuoi una pelliccia, puoi comprartela." La voce di Gloria, che giunse dal buio, aveva una punta di scherno. "Vuoi dire che possiamo vendere un'altra azione? "Se è necessario. Non voglio che tu stia senza quello che desideri. E poi, abbiamo speso un mucchio di soldi da quando sono tornato." "Oh, smettila!" disse Gloria irritata. "Perché?" "Perché non ne posso più di sentirti parlare di quello che abbiamo speso e di quello che abbiamo fatto. Sei ritornato due mesi fa e da allora siamo andati a qualche festa praticamente ogni sera. Abbiamo tutt'e due desiderato di farlo e l'abbiamo fatto. Be', non mi hai sentita lamentarmi, vero? Ma tu non sai far altro che gemere, gemere, gemere. Non m'importa più di quello che facciamo e di quello che accadrà di noi. E almeno sono coerente. Ma non tollererò più che tu ti lamenti e chiami le disgrazie..." "Sai, neanche tu sei molto simpatica certe volte." "Non ho l'obbligo di esserlo. Tu non fai niente per rendere diverse le cose." "Ma io..." "Uh! Ho l'impressione che l'hai già detto altre volte. Questa mattina non avresti bevuto un'altra goccia di alcool finché non ti fossi fatta una posizione. E non hai neanche avuto l'energia di andare dall'avvocato quando ti ha mandato a chiamare per la causa." Anthony si alzò e accese le luci. "Sta' a sentire!" esclamò sbattendo le palpebre. "Comincio ad averne abbastanza di quella tua lingua." "Bene, e allora?" "Credi che io sia molto felice?" continuò Anthony ignorando la domanda. "Credi che non sappia che non viviamo come dovremmo?" In un attimo Gloria fu tremante accanto a lui. "Questo non lo sopporterò" esplose. "Non ho voglia di sentirmi fare la lezione. Tu e la tua sofferenza! Non sei che un mollusco, e lo sei sempre stato!" Rimasero l'uno di fronte all'altra con aria idiota, ciascuno incapace di fare impressione all'altro, ciascuno dei due annoiato in modo tremendo, fino al fastidio fisico. Poi Gloria andò in camera da letto e sbatté la porta. Il ritorno di Anthony aveva ricondotto in primo piano tutte le loro esasperazioni prebelliche. I prezzi erano aumentati in modo allarmante, e in proporzione perversa la loro rendita si era ridotta a poco più della metà di quello che era in origine. Vi erano stati i grandi fondispese all'avvocato; vi erano azioni comprate a cento scese ora a trenta o quaranta e altri investimenti che non rendevano affatto. Durante la primavera precedente, a Gloria era stata offerta l'alternativa di lasciare l'appartamento o di firmare un contratto per un anno a duecentoventicinque dollari al mese. Aveva firmato. Com'era inevitabile, a misura che crebbe la necessità di fare economia, si accorsero di essere una coppia del tutto incapace di risparmiare. Fecero ricorso all'antico sistema del rinvio. Stanchi delle loro incapacità, chiacchieravano di quello che avrebbero fatto... oh... domani, e di come avrebbero "smesso di andare alle feste" e di come Anthony si sarebbe messo a lavorare. Ma quando calava la sera, Gloria, abituata a trovarsi ogni sera con qualcuno, si sentiva invadere dall'antica irrequietezza. Si fermava sulla porta della camera da letto morsicandosi furiosamente le dita e incontrando a volte gli occhi di Anthony, quando questi li alzava dal libro. Poi il telefono, e i nervi le si rilassavano, rispondeva con impazienza mal nascosta. Qualcuno saliva "solo per pochi minuti": e oh, la stanchezza della finzione, la comparsa del carrello dei vini, la ripresa del loro animo logorato... e il risveglio, come il cuore di una notte insonne nella quale essi procedevano insieme. Quando l'inverno finì con la sfilata delle truppe reduci, nella Quinta Avenue, Anthony e Gloria divennero sempre più consapevoli che da quando egli era ritornato i loro rapporti erano completamente cambiati. Dopo quella rifioritura di tenerezza e passione, erano entrambi ritornati in un loro sogno solitario non condiviso dall'altro, e le effusioni che si facevano avevano l'aria di passare da un cuore vuoto a un altro cuore vuoto, in un'eco sorda della scomparsa di ciò che, finalmente lo sapevano, era finito. Anthony aveva di nuovo fatto il giro dei giornali cittadini e di nuovo gli era stato rifiutato qualsiasi incoraggiamento da una miriade di impiegati, telefoniste e redattori. Il motto era "Teniamo i posti liberi per i nostri impiegati che sono ancora in Francia". Poi, alla fine di marzo lo sguardo gli cadde su un annuncio del giornale del mattino, e in seguito a ciò trovò almeno le sembianze di un'occupazione. "POTETE VENDERE!!! Perché non guadagnare imparando? I nostri agenti guadagnano dai 50 ai 200 dollari la settimana." Seguiva un indirizzo della Madison Avenue e istruzioni di presentarsi all'una del pomeriggio. Gloria, dandogli un'occhiata dopo una delle loro colazioni a mattino avanzato, si accorse che egli stava guardando pigramente l'annuncio. "Perché non provi?" suggerì. "Oh... è uno di quei progetti insensati." "Magari non lo è. Almeno sarebbe un'esperienza." In seguito alle sue insistenze Anthony si recò alla una all'indirizzo indicato e si trovò in una fitta marea di uomini che aspettavano davanti alla porta. Andavano da un fattorino che evidentemente abusava del tempo della sua ditta a un individuo eterno, dal corpo nodoso e un nodoso bastone. Alcuni di loro erano scalcinati, con le guance incavate e gli occhi rossi e gonfi; altri erano giovani, forse ancora allievi di liceo. Dopo quindici minuti di spintoni durante i quali tutti si squadrarono fra loro con sospetto apatico, comparve un giovane pastore intelligente vestito in abito attillato e dai modi di un vice-rettore, che li incanalò per le scale conducendoli in un salone che pareva un'aula scolastica e conteneva un gran numero di tavolini. Qui i futuri agenti sedettero; e di nuovo attesero. Dopo un certo tempo un palco eretto all'estremità della sala si coprì di una mezza dozzina di uomini non ubriachi ma allegri, che a eccezione di uno sedettero a semicerchio davanti al pubblico. L'eccezione era quello che sembrava meno ubriaco di tutti, il più allegro e il più giovane di tutti; e avanzò fino all'orlo del palo. Il pubblico lo esaminò pieno di speranza. Era piuttosto piccolo e piuttosto grazioso, dotato di una grazia da commerciante più che da attore. Aveva folte sopracciglia bionde e occhi che parevano quasi assurdamente onesti, e quando giunse sull'orlo del podio parve che gettasse quegli occhi nel pubblico, allungando contemporaneamente il braccio con due dita tese. Poi mentre si dondolava per mettersi in equilibrio, un silenzio di attesa si diffuse nella sala. Con sicurezza perfetta il giovane aveva preso in pugno i suoi ascoltatori e le parole, quando giunsero, erano salde e fiduciose. "Signori!" incominciò, e si interruppe. La parola si spense con un'eco prolungata all'estremità della sala e le facce che lo guardavano con speranza, cinismo, stanchezza, si arrestarono anch'esse, attratte. Seicento occhi erano leggermente volti all'insù. In uno slancio sgraziato che ricordò ad Anthony il rotolare delle bocce, egli si gettò nel mare della spiegazione. "In questa bella mattina di sole, avete preso il vostro giornale favorito e avete trovato un annuncio che faceva la dichiarazione semplice, concisa, che tutti possono vendere. Non diceva altro: non diceva 'che cosa,' non diceva 'come,' non diceva 'perché.' Faceva l'unica solitaria affermazione che tutti, VOI e VOI e VOI" - si trattava di indicare qualcuno - "potevate vendere. Ora il mio compito non consiste nel farvi avere successo, perché tutti gli uomini sono nati per avere successo, e sono loro a fallire; non consiste nell'insegnarvi a parlare, perché tutti gli uomini sono oratori naturali ed è colpa loro se sono molluschi; per me si tratta di dirvi una cosa in modo da farvela sapere: si tratta di dirvi che VOI e VOI e VOI avete un retaggio di denaro e di prosperità in attesa che vi presentiate a rivendicarlo." A questo punto un irlandese voluminoso si alzò dal tavolo vicino al fondo della sala e uscì. "Quell'uomo crede di trovarla nella birreria all'angolo." (Risate.) "Non la troverà laggiù. Una volta la cercavo anch'io" (risate) "ma questo avveniva prima che facessi ciò che chiunque di voi, giovane o vecchio, povero o ricco" (lieve scroscio di risate sardoniche) "può fare. Questo avveniva prima che scoprissi... ME STESSO! "Ora mi chiedo se c'è qualcuno fra voi a sapere che cos'è 'Parliamo a cuore aperto'. 'Parliamo a cuore aperto' è un libricino nel quale un cinque anni fa ho incominciato a esporre quelle che secondo me erano le principali ragioni dell'insuccesso umano e le principali ragioni del successo umano: da John D. Rockefeller a John D. Napoleone" (risate) "e, ancora prima, ai tempi in cui Abele vendette il suo certificato di nascita per una porzione di zuppa. Ora c'è qui un centinaio di questi 'Parliamo a cuore aperto.' Quelli tra voi che sono sinceri, che provano interesse per la nostra proposta e soprattutto che sono scontenti della loro situazione attuale, potranno averne uno e portarselo a casa quando stasera varcheranno quella soglia. "Ho qui in tasca quattro lettere che mi sono appena arrivate a proposito di 'Parliamo a cuore aperto.' Queste lettere sono firmate da persone note a qualsiasi cittadino degli Stati Uniti. Ascoltate questa da Detroit." Lesse "Caro signor Carleton, desidero ordinare altre tremila copie di 'Parliamo a cuore aperto' per distribuirle ai miei commessi. Sono state più utili al rendimento del lavoro di qualsiasi percentuale sulle vendite. Lo leggo sempre io stesso e desidero congratularmi sinceramente con voi che siete riuscito a individuare le basi del problema più grande tra quanti si presentano alla nostra generazione: il problema della vendita. Il fondamento su cui poggia oggi il nostro paese è il problema della vendita. Con molti rallegramenti e i più cordiali saluti. Henry W. Terral." Pronunciò il nome in tre lunghe sillabe echeggianti: interrompendosi perché potessero produrre il loro effetto magico. Poi lesse altre due lettere, una di un produttore di aspirapolvere e l'altra del presidente della Great Northern Doily Company "E ora" continuò "vi dirò in poche parole qual è la proposta che FORMERA' quelli fra voi che l'affronteranno nel giusto spirito. A dirla in breve si tratta di questo: 'Parliamo a cuore aperto' è stato organizzato come una società. Metteremo questi libretti nelle mani di tutte le grosse organizzazioni commerciali, di tutti i commessi, di tutti coloro che SANNO - non dico "credono", dico "sanno" - di poter vendere! Introdurremo una certa quantità di azioni della 'Parliamo a cuore aperto' nel mercato e allo scopo dl allargare il più possibile la distribuzione, e anche allo scopo di poter offrire un esempio concreto, vivente, in carne e ossa di che cos'è l'arte di vendere, o meglio di ciò che essa dovrebbe essere, daremo a quelli di voi che ci sanno fare la possibilità di smerciare quel quantitativo di azioni. A me non importa se avete o non avete mai provato a vendere prima di adesso e in che modo. Non importa se siete vecchi o se siete giovani. Ho soltanto bisogno di sapere due cose primo, VOLETE il successo? e secondo, vi darete da fare per ottenerlo? "Io mi chiamo Sammy Carleton. Non signor Carleton, ma semplicemente Sammy. Sono uno senza grilli per la testa e senza storie. Voglio che mi chiamiate Sammy. "Ora non vi dirò altro per oggi. Domani voglio che quelli di voi che cl hanno ripensato, e hanno letto la copia di 'Parliamo a cuore aperto' che vi verrà consegnata alla porta, ritornino in questa stessa sala alla stessa ora, per approfondire la cosa e allora spiegherò in che cosa consistono i principi del successo. Vi farò capire che VOI e VOI e VOI siete capaci di vendere!" La voce del signor Carleton echeggiò un momento nel salone e poi si spense. Con lo scalpicciare di molti piedi, Anthony venne sospinto e sballottato dalla folla fuori della stanza Altre avventure con "Parliamo a cuore aperto". Con accompagnamento di risate ironiche Anthony raccontò a Gloria la storia della sua avventura commerciale. Ma Gloria ascoltò senza divertirsi. "Rinuncerai anche stavolta?" chiese freddamente. "Ma... non ti aspetterai che io..." "Non mi sono mai aspettata niente da te." Anthony esitò. "Be'... non vedo che beneficio potrei ricavare a sentirmi male dal ridere su questa faccenda. Se c'è qualcosa di più vecchio della solita vecchia storia, questo ne è uno svolazzo nuovo." Fu necessaria un'incredibile quantità di energia morale da parte di Gloria per costringerlo a ritornare, e quando all'indomani Anthony si ripresentò, vagamente depresso dall'ingerimento dei palliativi senili volubilmente sparsi in "Parliamo a cuore aperto sull'ambizione", trovò, ad attendere la comparsa dell'energico ed entusiasmante Sammy Carleton, soltanto cinquanta dei trecento presenti iniziali. Le capacità di persuasione e vitalità del signor Carleton questa volta vennero esercitate a spiegare il suo meraviglioso argomento: come vendere. Pareva che il metodo consistesse nel fare la propria proposta e poi dire non "E ora, volete comprare?" - non così... oh no! - bisognava fare la proposta e poi, dopo aver ridotto l'avversario in uno stato di totale disfacimento, enunciare l'imperativo categorico: "E allora, ecco! Mi avete fatto sprecare il mio tempo a spiegarvi questa faccenda. Avete ammesso il mio punto di vista. Non mi resta che chiedervi quante azioni volete". A misura che il signor Carleton accumulava affermazioni su affermazioni, Anthony incominciò a provare per lui una specie di fiducia disgustata. Pareva che costui sapesse di che cosa stesse parlando. Palesemente ricco, si era fatto la posizione istruendo gli altri. Non venne in mente ad Anthony che il genere d'uomo che raggiunge il successo commerciale sa molto di rado come o perché e, com'era avvenuto per il nonno, quando crede di individuarne le ragioni, le sue ragioni sono di solito imprecise e assurde. Anthony osservò che, dei molti vecchi che avevano risposto al primo invito, soltanto due erano ritornati, e che tra la trentina di persone che si riunirono il terzo giorno per ricevere dal signor Carleton le istruzioni definitive per la vendita si vedeva soltanto una testa grigia Queste trenta persone erano proseliti avidi, seguivano con le labbra i movimenti delle labbra del signor Carleton; oscillavano sulle sedie con entusiasmo e negli intervalli del suo discorso si parlavano l'un l'altro con tenui mormorii di approvazione. Tuttavia dei pochi prescelti che, secondo le parole del signor Carleton, "erano decisi a ottenere quei riconoscimenti che appartenevano a loro di diritto", soltanto cinque o sei univano sia pure un minimo di bella presenza al grande dono naturale dell'intraprendenza Ma venne loro detto che erano tutti intraprendenti era soltanto necessario che credessero con una specie di passione selvaggia in ciò che stavano vendendo. Il signor Carleton incitò perfino ciascuno di essi a comprare un certo numero di azioni, se era possibile, per accrescere la propria sincerità. E così al quinto giorno Anthony salpò per la strada provando tutte le sensazioni di un ricercato dalla polizia. Seguendo le istruzioni, scelse un grande caseggiato di uffici, per poter salire fino in cima e svolgere il suo lavoro durante la discesa, fermandosi in ogni ufficio contrassegnato da una targa. Ma all'ultimo minuto esitò. Forse gli sarebbe riuscito più utile, per acclimatarsi al gelo che lo aspettava, provare qualche ufficio per esempio della Madison Avenue. Entrò in un porticato che non pareva molto ricco e, dopo aver letto una targa che portava il nome di "Percy B. Weatherbee, Architetto", aprì con fare eroico la porta ed entrò. Una signorina impettita alzò lo sguardo con aria interrogativa "Vorrei parlare col signor Weatherbee." Si chiese se la voce gli suonasse tremula. La segretaria posò la mano incerta sul ricevitore. "Il vostro nome, per favore?" "Non mi... conosce. Non conosce il mio nome." "Che cosa volete? Siete un agente delle assicurazioni?" "Oh, no, niente del genere" negò Anthony in fretta, "Oh, no. E' una... una faccenda personale." Si chiese se avesse fatto bene a dire questo. Era tutto sembrato così semplice quando il signor Carleton aveva ammonito il suo gregge "Non permettete che non vi si faccia entrare! Fate capire che avete deciso di parlare e sarete ascoltati". La ragazza fu sconfitta dal viso simpatico, melanconico di Anthony, e un momento dopo la porta che dava nella stanza interna si aprì al passaggio di un uomo alto, dai piedi piatti e i capelli impomatati. Egli si accostò ad Anthony con malcelata impazienza. "Volevate vedermi per una cosa personale?" Anthony rabbrividì. "Volevo parlarvi" disse con aria di sfida. "A proposito di che cosa?" "Ci vorrà un po' di tempo per spiegare." "Be', di che cosa si tratta?" La voce del signor Weatherbee denotava un'irritazione crescente. Poi Anthony, sottolineando ogni parola, ogni sillaba, incominciò: "Non so se avete o non avete sentito parlare di una serie di opuscoli intitolati 'Parliamo a cuore aperto...'" "Santo cielo!" esclamò Percy B. Weatherbee, Architetto. "State cercando di toccarmi il cuore?" "No, si tratta di affari. 'Parliamo a cuore aperto' è diventato una società, e stiamo lanciando sul mercato un certo numero di azioni..." La voce gli si smorzò lentamente, sfibrata dallo sguardo fisso e sprezzante della sua preda ribelle. Per un altro minuto lottò, sempre più impacciato, intralciato dalle sue stesse parole. La fiducia filtrò fuori di lui in grandi emanazioni forzate che parevano parti del suo corpo. Percy B. Weatherbee, Architetto, troncò il colloquio in modo quasi misericordioso: "Santo cielo!" esplose disgustato. "E la chiamate una cosa personale!" Si voltò di scatto e si avviò a grandi passi verso il suo ufficio riservato, sbattendosi la porta alle spalle. Senza il coraggio di guardare la segretaria, Anthony riuscì in qualche modo vergognoso e misterioso a uscire dalla stanza. Sudando a profusione, rimase in piedi nell'ingresso a chiedersi perché nessuno veniva ad arrestarlo: in tutti gli sguardi frettolosi egli scorgeva infallibilmente uno sguardo di scherno. Dopo un'ora e con l'aiuto di due whiskies forti, si indusse a fare un altro tentativo. Entrò in un negozio di idraulico, ma quando accennò al suo libro l'idraulico incominciò a mettersi il cappotto in grande fretta annunciando burbero che doveva andare a mangiare. Anthony disse con garbo che era inutile cercar di vendere qualcosa a qualcuno che avesse appetito, e l'idraulico ne convenne di buon grado. Questo episodio incoraggiò Anthony, egli si sforzò di pensare che se l'idraulico non avesse dovuto andare a mangiare lo avrebbe perlomeno ascoltato. Passando davanti a qualche grande magazzino sfavillante, Anthony entrò in una drogheria. Un proprietario chiacchierone disse che prima di comprare azioni di qualsiasi genere voleva vedere l'influenza dell'armistizio sul mercato. Ad Anthony questo parve quasi sleale. Nell'"Utopia del commesso" del signor Carleton l'unica ragione che gli eventuali acquirenti davano per non comprare la merce era che dubitavano del valore dell'investimento. Era chiaro che un uomo in questa situazione era una preda quasi ridicolmente facile, da venire abbattuto semplicemente mediante l'applicazione giudiziosa dei giusti comandamenti del venditore. Ma questi uomini... be', in realtà non pensavano neanche a comprare qualcosa. Anthony bevette parecchio prima di accostarsi al suo quarto cliente, un mediatore di terreni; tuttavia venne annientato da un colpo decisivo come un sillogismo. L'intermediario di terreni disse che aveva tre fratelli che si occupavano di investimenti di denaro. Considerandosi un distruttore di famiglie, Anthony si scusò e uscì. Bevve ancora, e concepì il piano brillante di vendere le azioni ai baristi della Lexington Avenue. Questo occupò parecchie ore, perché era necessario bere parecchi bicchieri di ogni locale per far entrare il proprietario nello stato d'animo adatto a parlare d'affari. Ma i baristi si schermirono tutti dicendo che, se avessero avuto abbastanza denaro da comperare azioni, non avrebbero fatto i baristi. Era come se si fossero messi tutti d'accordo e avessero deciso per questa difesa. A misura che si avvicinavano le cinque, scure e umide, Anthony si accorse che essi stavano assumendo la tendenza, ancora più fastidiosa, a liberarsi di lui con uno scherzo. Poi alle cinque, con uno sforzo tremendo di concentrazione decise che doveva introdurre una maggior varietà nella sua rete. Scelse una rosticceria di dimensioni medie ed entrò. Capì in un lampo d'immaginazione che la cosa da fare era di incantare non soltanto il bottegaio, ma anche tutte le clienti e, forse in base alla psicologia dell'istinto di mandria, avrebbero comprato tutti, come un gruppo stupido e subito convinto. "Giorno" incominciò con voce alta e impacciata. "Faccio una proposta." Se aveva desiderato il silenzio lo ottenne. Una specie di spavento calò sulle cinque o sei donne che compravano e sull'uomo dai capelli grigi, che, in berretto e grembiule, affettava un pollo. Anthony prese un fascio di carte dalla cartella sventolante, e le agitò con allegria. "Comprate un buono" propose. "Buono come un buono del tesoro!" La frase gli piacque ed egli la elaborò. "Ciascuno di questi buoni vale due buoni del tesoro." La mente gli si interruppe e saltò alla perorazione, che egli fece con gesti acconci, questi ultimi un po' offuscati dalla necessità di reggersi al banco con una mano e magari con tutt'e due. "Ora state a sentire. Voi mi avete fatto sprecare il mio tempo. Non voglio sapere perché non comprate. Voglio soltanto che diciate perché. Voglio che diciate quanti!" A questo punto gli altri avrebbero dovuto avvicinarsi coi libretti di assegni e le penne stilografiche in mano. Rendendosi conto che dovevano aver perso qualche parola, Anthony con l'istinto di un attore ricominciò da capo e ripeté il finale. "Ora state a sentire! Voi avete approfittato del mio tempo. Avete sentito la mia proposta. Avete seguito il ragionamento? Ora, da voi non voglio sapere altro che quanti buoni del tesoro?" "Senti un po'" interruppe una nuova voce. Un uomo imponente, la cui faccia era adorna di volute simmetriche di capelli gialli, era uscito da una gabbia nel retro del negozio e si stava avvicinando ad Anthony. "Sta' un po' a sentire, tu!" "Quanti?" ripeté severamente il venditore. "Mi avete fatto sprecare il mio tempo." "Ehi, tu!" esclamò il proprietario. "Ora chiamo la polizia" "Non ti ci proverai!" ribatté Anthony con sfida sottile. "Voglio soltanto sapere quanti." Di qua e di là nel negozio si alzarono fumetti di commento e protesta. "Che cosa terribile!" "E' un fatto curioso." "E' ignobilmente ubriaco." Il proprietario afferrò energicamente Anthony per un braccio. "Esci o chiamo un poliziotto." Un residuo di ragione indusse Anthony ad annuire e rimettere goffamente le azioni nella borsa "Quanti?" ripeté dubbioso. "Tutto il corpo di polizia, se è necessario" tuonò il suo avversario, coi baffi gialli che vibravano furiosamente. "Vendete un buono a tutti." Con queste parole Anthony si voltò, si inchinò gravemente ai suoi ultimi ascoltatori e uscì barcollando dal negozio. Trovò un taxi all'angolo e ritornò a casa. Quivi si addormentò profondamente sul sofà, e così lo trovò Gloria, con l'alito che colmava l'aria di un odore spiacevole, e la mano ancora stretta sulla borsa aperta. Se non beveva, la capacità delle sensazioni di Anthony era diventata minore di quella di un vecchio in buona salute, e quando a luglio venne il proibizionismo egli si accorse che fra coloro che potevano permetterselo si beveva più di prima. Ora gli ospiti portavano una bottiglia col minimo pretesto. La tendenza a ostentare l'alcool era una manifestazione dello stesso istinto che induceva l'uomo a coprire di gioielli la moglie. Il possesso dell'alcool era un vanto, quasi un simbolo di responsabilità. La mattina Anthony si svegliava stanco, nervoso e preoccupato. I placidi crepuscoli estivi e il fresco rosato del mattino lo lasciavano parimenti insensibile. Soltanto per pochissimo tempo, ogni giorno, nel calore e nel rinnovamento del primo whisky, la mente gli si volgeva a quei sogni iridescenti di un piacere futuro: retaggio insieme dei felici e dei dannati. Ma questo durava pochissimo. A misura che si faceva più ubriaco i sogni svanivano ed egli diventava uno spettro confuso, che si muoveva in strani ricettacoli della sua mente stessa, pieno di trucchi inattesi, rozzamente sprezzante nei migliori dei casi, e pronto a precipitare in abissi di ebbro scoraggiamento. Una sera di giugno aveva litigato violentemente con Maury per una cosa estremamente banale. Ricordò confusamente, l'indomani mattina, che si trattava di una bottiglia di champagne rotta. Maury gli aveva detto di scuotersi dalla sbronza e Anthony si era offeso, così nel tentativo di un gesto di dignità si era alzato dal tavolo e afferrando Gloria per un braccio l'aveva condotta, un po' proteggendola un po' coprendola di vergogna, in un taxi, lasciando Maury con tre cene ordinate e in tasca i biglietti per l'opera. Questa specie di "fiasco" semitragico era diventato così normale, che quando si verificava Anthony non si agitava più per fare ammenda. Se Gloria protestava - e da qualche tempo era più probabile che piombasse in un silenzio sprezzante - egli o intraprendeva un'amara difesa di se stesso o usciva torvamente di casa. Dal giorno dell'incidente alla stazione di Redgate non le aveva mai più messo le mani addosso nei momenti d'ira anche se spesso ne era trattenuto soltanto da un istinto che lo faceva tremare di furore. Allo stesso modo che l'amava ancora più di qualunque altra creatura, sempre più intensamente e spesso la odiava. Fino a quel momento la Corte d'Appello non aveva emesso alcuna sentenza, ma, dopo un altro rinvio, finalmente confermò la sentenza del Tribunale. Edward Shuttleworth ricevette la notifica del nuovo ricorso. La causa stava per passare alla Cassazione, e s'iniziava così un'altra interminabile attesa. Sei mesi, forse un anno. Era diventato per loro enormemente irreale, remoto e incerto come il cielo. Per tutto l'inverno precedente un'irritazione sottile e onnipresente era stata determinata da un piccolo problema: la pelliccia grigia di Gloria. In quel momento, a ogni pochi passi lungo la Quinta Avenue si incontravano donne avvolte in lunghe guaine di scoiattolo. Avevano un'aria porcina e oscena; sembravano "mantenute" in un travestimento di ricchezza, di animalità femminile nell'abito. Eppure, Gloria voleva una pelliccia di scoiattolo grigio. Quando discussero la cosa - o meglio bisticciarono per la cosa, perché ancora più che nel primo anno di matrimonio ogni discussione prendeva la forma di un acerbo litigio, pieno di frasi come "indubbiamente", "è scandaloso", "però è così", e l'ultraenfatico "a prescindere" - conclusero che non potevano permetterselo. E così lentamente essa divenne il simbolo della loro crescente preoccupazione economica. Per Gloria la diminuzione della loro rendita era un fenomeno importante, senza spiegazione né precedenti: che potesse succedere nel giro di cinque anni pareva quasi una crudeltà, predisposta, concepita e messa in atto da un Dio sardonico. Quando si erano sposati, settemilacinquecento dollari all'anno sembravano molti per una coppia giovane, specialmente con l'aumento dei molti milioni attesi. Gloria non aveva capito che la diminuzione non esisteva soltanto nella quantità di denaro, ma anche nella capacità di acquisto, fino al momento in cui il versamento del fondo spese di quindicimila dollari all'avvocato Haight rese la cosa improvvisamente e stupefacentemente chiara. Quando Anthony era stato richiamato avevano calcolato che la loro rendita fosse di più di quattrocento dollari al mese, col dollaro già allora in via di svalutazione, ma al suo ritorno a New York scoprirono una situazione ancora piùallarmante.Ricavavanosoltanto quattromilacinquecento dollari all'anno dai loro investimenti. E nonostante la causa per il testamento li accompagnasse come un miraggio ininterrotto e il segnale del pericolo economico balenasse come prossimo, si accorsero che vivere di rendita era impossibile. Così Gloria continuò ad andare senza il mantello di scoiattolo e ogni giorno nella Quinta Avenue si ricordava di avere addosso il suo tre quarti di leopardo consumato, ormai irremediabilmente invecchiato. Ogni due mesi vendevano un'azione, ma quando venivano pagati i conti ciò che restava bastava appena per essere inghiottito avidamente dalle loro spese correnti. I calcoli di Anthony mostravano che il loro capitale sarebbe bastato per altri sette anni. E il cuore di Gloria era molto triste, perché in una sola settimana, durante un'isterica festa nel corso della quale Anthony si disfece di giacca, panciotto e camicia in un teatro e fu accompagnato fuori da un gruppo di inservienti, spesero il doppio di quanto sarebbe costata la pelliccia di scoiattolo grigio. Era novembre, quasi un'estate di San Martino, e una notte calda calda: il che era inutile, perché l'opera dell'estate era ormai finita. Babe Ruth aveva superato per la prima volta il record nazionale e Jack Dempsey aveva spaccato la mandibola di Jess Willard giù nell'Ohio. In Europa il solito numero di bambini aveva il ventre gonfio per la carestia, e i diplomatici erano occupati come sempre a evitare nuove guerre al mondo. A New York il proletariato veniva ormai "disciplinato" e le scommesse a Harvard avevano di solito una quotazione di cinque a tre. La pace era scesa con grande serietà, inizio di nuovi tempi. Nella stanza da letto dell'alloggio della Cinquantasettesima Strada, Gloria era sdraiata sul letto e si voltava da una parte all'altra, rizzandosi ogni tanto a sedere per liberarsi di una coperta superflua, e una volta chiese ad Anthony, sdraiato sveglio al suo fianco, di portarle un bicchiere di acqua gelata. "Ricordati di metterci il ghiaccio" disse con insistenza; "non è abbastanza fredda, l'acqua che viene dal rubinetto." Attraverso le tende leggere, Gloria vedeva la luna tondeggiante sui tetti e al di là di essa, nel cielo, lo splendore giallo di Times Square e guardando le due luci stonate elaborò con la mente un'emozione o meglio un groviglio complesso di emozioni che l'avevano occupata durante il giorno e il giorno precedente e via via fino all'ultima volta che ricordava di aver pensato a qualcosa con chiarezza e continuità: il che doveva essere avvenuto mentre Anthony era sotto le armi. Avrebbe avuto ventinove anni a febbraio. Quel mese assunse un significato sinistro e inevitabile: svegliando in lei il problema, in quelle nebulose ore quasi febbrili, se ella non avesse sprecato la sua bellezza leggermente stanca, se esisteva davvero la possibilità di consumare una qualsiasi cosa legata a una mortalità crudele e inevitabile. Tempo addietro, quando aveva ventun anni, aveva scritto nel suo diario: "La bellezza serve soltanto per essere ammirata, per essere amata: per essere raccolta con cura e poi gettata come un mazzo di rose a un amante prescelto. Mi pare, per quanto possa giudicarne io, che così dovrebbe essere usata la mia bellezza...". E ora, per tutta questa giornata di novembre, per tutta questa squallida giornata, sotto un cielo nebbioso e bianco, Gloria aveva continuato a pensare che forse si era sbagliata. Per salvaguardare l'integrità del suo primo dono non aveva mai più cercato l'amore. Quando la prima fiamma, la prima estasi si era affievolita, si era spenta, era scomparsa, ella aveva incominciato a salvaguardare... che cosa? La rendeva perplessa il pensiero di non saper più che cosa stesse salvaguardando: una memoria sentimentale o un concetto profondo e fondamentale dell'onore: Si chiedeva adesso se vi fosse stata una linea morale a guidare la sua vita a procedere senza preoccupazioni e senza rimpianti sul più gaio dei sentieri e a rispettare il suo orgoglio restando sempre se stessa e facendo ciò che le sembrava bello di dover fare. Dal primo ragazzino vestito col costume di Eton di cui era stata la "ragazza" fino all'ultimo uomo incontrato per caso i cui occhi erano diventati attenti e ammirati nel posarsi su di lei, le era bastato il candore immacolato che ella riusciva a gettare in uno sguardo o in un abito con una frase insignificante - perché aveva sempre parlato in frasi sconnesse - per crearsi attorno sconfinate illusioni, sconfinate distanze, luce sconfinata. Per creare l'anima maschile, per creare una bella felicità e una bella disperazione, ella doveva restare profondamente orgogliosa: orgogliosa di essere inviolata, orgogliosa anche di essere tenera, ardente e posseduta. Sapeva che in cuor suo non aveva mai desiderato bambini. La realtà, la concretezza, la sensazione intollerabile della gravidanza, la minaccia alla sua bellezza, l'avevano atterrita. Voleva esistere soltanto come un fiore consapevole, intenta a difendere e salvaguardare se stessa. Anche se il suo sentimentalismo si aggrappava con ardore alle illusioni, l'anima ironica le mormorava che la maternità era privilegio anche di una babbuina. Così i suoi sogni si rivolgevano soltanto a bambini fantomatici: i simboli antichi, perfetti del suo antico e perfetto amore per Anthony. E alla fine, la bellezza fu l'unica cosa che non la tradisse mai. Gloria non aveva mai visto nessuna donna come lei. Qualunque valore etico o estetico sbiadiva davanti alla sgargiante realtà del suo piedino rosato, alla linda perfezione del suo corpo, alla bocca infantile che pareva il simbolo materiale del bacio. Avrebbe avuto ventinove anni a febbraio. Mentre la lunga notte svaniva, Gloria divenne supremamente consapevole del fatto che insieme alla sua bellezza ella avrebbe approfittato dei prossimi tre mesi. Dapprima non sapeva bene in che modo, ma il problema trovò gradatamente una soluzione nell'antico miraggio del cinematografo. Ora faceva sul serio. Nessuna necessità economica avrebbe potuto smuoverla come la smuoveva questa paura. Anthony non importava, Anthony il povero di spirito, l'uomo debole e finito, con gli occhi iniettati di sangue, per il quale ella aveva ancora momenti di tenerezza. Non importava. Avrebbe avuto ventinove anni a febbraio: cento giorni, tanti giorni; sarebbe andata da Bloeckman domani. Con la decisione le giunse la calma. La rallegrava il pensiero che in qualche modo l'illusione della bellezza potesse venir sostenuta o forse salvaguardata dalla celluloide dopo che la realtà fosse scomparsa. Bene domani. L'indomani si sentì debole e malata. Cercò di uscire ed evitò uno svenimento aggrappandosi alla cassetta delle lettere davanti alla porta di casa. Il fattorino della Martinica l'aiutò a salire, e Gloria aspettò sul letto che rientrasse Anthony senza l'energia sufficiente per slacciarsi il reggiseno. Per cinque giorni fu immobilizzata dall'influenza che, proprio nel momento in cui il mese svoltò per entrare nell'inverno, maturò in una polmonite doppia. Nel vagare febbrile della mente Gloria girò per la casa piena di stanze fosche e cupe in cerca della madre. L'unica cosa che desiderava era di essere una ragazzina, di avere qualcuno che si prendesse cura di lei, indulgente ma dominatore, più stupido e più saldo di lei. Le pareva che l'unico amante che ella avesse mai desiderato fosse l'amante di un sogno. "Odi profanum vulgus". Un giorno, nel corso della malattia di Gloria, avvenne un fatto strano che preoccupò la signorina McGovern, infermiera diplomata, per molto tempo dipoi. Era mezzogiorno, ma la stanza in cui giaceva la malata era buia e silenziosa. La signorina McGovern era in piedi accanto al letto intenta a preparare una medicina, quando la signora Patch, che pareva profondamente addormentata, si rizzò a sedere e incominciò a parlare con violenza. "Milioni di persone" disse "che sciamano come topi, chiacchierano come scimmie, puzzano come l'inferno... ciuchi! O forse pidocchi. Per un bel palazzo... magari di Long Island... o anche a Greenwich... per un palazzo pieno di quadri del Vecchio Mondo e di cose meravigliose... con viali alberati e aiuole verdi e la vista del mare azzurro e bella gente intorno coi vestiti luccicanti... ne sacrificherei centomila, un milione." Alzò la mano debole e schioccò le dita. "Non me ne importa niente di loro... capito?" Lo sguardo che rivolse alla signorina McGovern come conclusione di questo discorso era stranamente malizioso, stranamente profondo. Poi diede una breve risatina, rifinita di disprezzo, e cadendo all'indietro tornò a piombare nel sonno. La signorina McGovern fu costernata. Si chiese che cosa fossero le centomila cose che la signora Patch avrebbe sacrificato per il suo palazzo. Pensò che fossero dollari: però non pareva proprio che lo fossero. Il cinematografo. Era febbraio, una settimana prima del suo compleanno, e la gran massa di neve che aveva colmato le strade laterali come la polvere colma le crepe di un pavimento era diventata fanghiglia e veniva guidata agli scarichi dai getti d'acqua della Nettezza Urbana. Il vento, non meno acerbo per essere passeggero, entrava sferzando dalle finestre aperte del soggiorno, recando con sé i segreti orrendi del cortile e purificando nella sua circolazione priva di gioia l'alloggio dei Patch del fumo rancido che lo riempiva. Gloria, avvolta in una vestaglia pesante, entrò nella stanza gelata e prendendo il ricevitore del telefono chiamò Joseph Bloeckman . "Volete dire il signor Joseph Black?" chiese la telefonista della "Films Par Excellence". "Bloeckman, Joseph Bloeckman. B-l-o..." "Il signor Joseph Bloeckman ha cambiato il suo nome in Black. Volete parlargli?" "Ma... sì." Ricordò nervosamente che una volta l'aveva chiamato Blockhead in faccia. Riuscì a mettersi in comunicazione con l'ufficio di Bloeckman grazie alla cortesia di altre due voci femminili; l'ultima apparteneva a una segretaria, che le prese il nome. Soltanto al giungere attraverso il ricevitore della voce familiare ma vagamente impersonale di Bloeckman, Gloria si rese conto che erano passati tre anni dall'ultima volta che si erano visti. Ed egli aveva cambiato il suo nome in Black. "Avete tempo di vedermi?" chiese Gloria con disinvoltura. "E' per affari, veramente. Ho deciso finalmente di entrare nel cinema... se posso." "Mi fa molto piacere. Ho sempre pensato che vi sarebbe piaciuto." "Credete che potreste farmi fare un provino?" chiese Gloria con l'arroganza caratteristica delle belle donne, di tutte le donne che si sono in un momento qualunque considerate belle. Egli l'assicurò che era soltanto questione di decidere quando ella desiderasse farlo. Un giorno qualunque? Bene. Le avrebbe telefonato più tardi e le avrebbe comunicato un'ora adatta. La conversazione terminò con una serie di convenevoli da entrambe le parti. Poi, dalle tre alle cinque, Gloria rimase vicino al telefono, senza risultato. Ma l'indomani mattina giunse un biglietto che la rese felice e agitata: "Cara Gloria, è stata una fortuna che mi sia venuto in mente qualcosa che mi pare molto adatto a voi. Mi piacerebbe farvi cominciare con qualcosa che vi faccia notare. D'altra parte se una bella ragazza come voi viene lanciata in un film come seconda attrice accanto alle stelle sfruttate che affliggono tutte le società di film, incomincerebbe molto probabilmente la maldicenza. Ma c'è una parte di 'flapper' in una produzione di Percy B. Debris che mi pare molto adatta a voi e tale da farvi notare. Willa Sable recita insieme a Gaston Mears in una specie di parte da caratterista e la vostra parte, credo, sarebbe quella della sua sorella minore. Comunque Percy B. Debris, che dirige il film, dice che se verrete negli studios dopodomani (giovedì) vi farà un provino. Se vi torna comodo venire alle dieci, mi troverò là ad incontrarvi. Con i migliori auguri, molto cordialmente Joseph Black." Gloria aveva deciso che Anthony non doveva sapere niente di questo finché ella non avesse ottenuto un incarico preciso, e di conseguenza l'indomani mattina si vestì e uscì prima che egli si svegliasse. Le parve che lo specchio le avesse dato lo stesso resoconto degli altri giorni. Si chiese se la malattia avesse lasciato qualche traccia. Era ancora leggermente magra e le era parso, qualche giorno prima, che le guance le si fossero un tantino smagrite ma sapeva che questa era una situazione soltanto transitoria e in questo giorno particolare aveva la solita freschezza. Aveva comprato, lasciandolo da pagare, un cappello nuovo, e poiché la giornata era calda non aveva preso con sé la pelliccia di leopardo. Agli studios della "Films Par Excellence" fu annunciata al telefono e le venne comunicato che il signor Black sarebbe sceso subito. Gloria si guardò attorno. Due ragazze venivano condotte in giro da un ometto grasso avvolto in un impermeabile e che faceva loro da guida; una di esse aveva indicato una pila di pacchetti sottili che si estendevano per sei metri, ed erano accumulati fino all'altezza della spalla contro la parete. "E' la posta dello studio" spiegò l'ometto grasso. "Fotografie delle stelle che lavorano per la 'Films Par Excellence.'" "Oh!" "Ciascuna fotografia ha la firma autografa di Florence Kelly o Gaston Mears o Mack Dodge..." Strizzò l'occhio con aria confidenziale. "Almeno, quando Minnie McGlook, laggiù a Sauk Center, riceve la fotografia che ha richiesto per lettera, crede che sia un autografo." "E invece è soltanto uno stampo?" "Ma certo. Impiegherebbero un buon otto ore al giorno per firmarle tutte. Dicono che la corrispondenza d'ufficio di Mary Pickford viene a costare cinquantamila dollari all'anno." "No!" "Certo. Cinquantamila. Ma è il miglior genere di pubblicità che esista..." Si allontanarono e, quasi immediatamente, comparve Bloeckman: Bloeckman, un gentile signore bruno che viveva con grazia la sua quarantina e la salutò con cortese cordialità dicendole che non era cambiata affatto in tre anni. La guidò in un gran salone, vasto come un'armeria, interrotto a tratti da scene in azione e da ribalte accecanti di luce, che non le era familiare. Ogni scenario era contrassegnato da grandi caratteri bianchi "Gaston Mears Company", "Mack Dodge Company" o semplicemente "Films Par Excellence". "Mai stata in uno studio?" "Mai." Le piacque. Non c'era odore greve di cerone né quello dei costumi sudici e vistosi che anni prima l'avevano disturbata quando li aveva visti dietro il sipario di una commedia musicale. Questo lavoro si faceva in limpide mattinate, gli accessori parevano ricchi, sfarzosi e nuovi. In una scena rallegrata da arazzi manciù, un cinese perfetto recitava secondo le direttive del megafono, mentre la grande macchina scintillante macinava il suo antico racconto moraleggiante per il miglioramento della mentalità nazionale. Un uomo dai capelli rossi si accostò a loro e parlò con rispetto confidenziale a Bloeckman, che rispose "Ciao, Debris. Ti presento la signora Patch... La signora Patch desidera entrare nel cinema, come ti ho già spiegato... Bene, e allora dove andiamo?" Il signor Debris - il grande Percy B. Debris, pensò Gloria - li accompagnò in una scena che rappresentava l'interno di un ufficio. Vennero accostate tre sedie intorno alla macchina da presa, che era di fronte alla scena, e tutti e tre sedettero. "Mai stata in uno studio?" chiese il signor Debris dandole un'occhiata che era certo la quintessenza della penetrazione. "No? Bene, vi spiegherò esattamente che cosa sta per accadere. Faremo quello che noi chiamiamo un provino, per vedere come riescono i vostri lineamenti in fotografia e se avete una presenza adatta al palcoscenico e come reagite alle istruzioni di scena. Non c'è ragione di diventare nervosa. Farò girare dall'operatore qualche metro di pellicola in un episodio che ho segnato qui nella sceneggiatura. Ce ne sarà fin troppo per sapere quello che ci occorre." Prese una sceneggiatura dattiloscritta e le spiegò l'episodio che ella avrebbe dovuto recitare. Vi accadeva che una certa Barbara Wainwright si era sposata segretamente col socio più giovane della ditta, il cui ufficio era raffigurato nella scena. Un giorno, entrando per caso nell'ufficio vuoto, naturalmente ella si sente incuriosita di guardare in che cosa consiste il lavoro del marito. Il telefono trilla e, dopo qualche esitazione, ella risponde. Sente che il marito è stato investito da un'automobile e ucciso sul colpo. E' sconvolta. Dapprima non riesce a rendersi conto della verità ma alla fine comprende e cade a terra svenuta. "Non occorre altro" concluse il signor Debris. "Io sarò qui e vi dirò approssimativamente che cosa dovrete fare, e voi reciterete come se io non ci fossi e farete come vi pare. Non dovete aver paura che il nostro giudizio sia troppo severo. Vogliamo soltanto formarci un'idea generale della vostra personalità sullo schermo." "Capisco." "Troverete il trucco nel camerino dietro la scena. Tenetevi leggera. Pochissimo rosso." "Capisco" ripeté Gloria annuendo. Si sfiorò nervosamente le labbra con la punta della lingua. Il provino. Quando entrò in scena dalla porta di legno vera e la richiuse con cura si sentì molto scontenta dei vestiti che aveva indosso. Avrebbe dovuto comprarsi per l'occasione un abito da "segretaria": poteva ancora portarlo e sarebbe stato un buon investimento di capitale, se avesse accentuato la sua delicata giovinezza. La mente le ritornò di colpo all'importanza del presente quando la voce del signor Debris giunse dal bagliore dei riflettori che le stavano di fronte. "Guardatevi attorno in cerca di vostro marito... Ora, poiché non lo vedete... vi incuriosite sull'ufficio..." Gloria incominciò ad accorgersi del rumore regolare della macchina da presa. Ne fu preoccupata. Le lanciò involontariamente uno sguardo e si chiese se si fosse truccata bene la faccia. Poi, con uno sforzo preciso si costrinse a recitare e non si era mai accorta che i gesti del suo corpo fossero così banali, così goffi, così privi di grazia e di distinzione. Girellò per l'ufficio prendendo qua e là qualche oggetto e guardandolo senza parlare. Poi esaminò il soffitto, il pavimento e passò un'ispezione meticolosa a un carboncino sul tavolo. Alla fine, non riuscendo a immaginare altro da fare e ancor meno da esprimere, fece un sorriso forzato. "Va bene. Ora suona il telefono. Tlin tlin tlin! Esitate poi rispondete." Gloria esitò e poi, troppo in fretta, pensò, prese il ricevitore. "Pronto." La voce suonò sorda e irreale. Le parole echeggiavano nella scena vuota con l'irrealtà di un fantasma. L'assurdità di ciò che le veniva richiesto l'atterriva: come potevano aspettarsi che così in un momento ella riuscisse a mettersi al posto di questo personaggio assurdo e inspiegato? "... no no... Non ancora! Ora state a sentire: John Sumner è stato investito da un'automobile ed è morto sul colpo." Gloria aprì lentamente la bocca infantile. Poi: "Ora attaccate il ricevitore! Di colpo." Gloria obbedì, si aggrappò al tavolo con gli occhi sbarrati. Finalmente si sentì un po' incoraggiata e le aumentò la fiducia. "Dio mio!" gridò. La voce andava bene, pensò. "Oh, Dio mio!" "Ora svenite." Si lasciò cadere sulle ginocchia e gettandosi a terra trattenne il respiro. "Va bene" gridò il signor Debris "basta così, grazie. Ce n'è abbastanza. Alzatevi: basta." Gloria si alzò raccogliendo la sua dignità e ripulendosi la gonna. "Tremendo" disse con una risata gelida, sebbene il cuore le battesse tumultuosamente. "E' stato orribile, vero?" "Vi pare?" disse il signor Debris sorridendo con indifferenza "Vi è sembrato difficile? Non posso dirvi nulla finché non lo proiettiamo." "Si capisce" convenne Gloria cercando senza riuscirvi di dare un significato alla sua frase. Era esattamente quello che avrebbe detto se avesse cercato di non incoraggiarla. Poco dopo uscì dagli studios. Bloeckman le aveva promesso di farle sapere il risultato del provino entro pochi giorni. Troppo orgogliosa per costringerlo a un commento preciso, Gloria si sentì delusa e incerta, e soltanto adesso, che aveva finalmente preso la decisione, si rese conto della misura in cui la possibilità di un successo nel cinema aveva giocato nel fondo della sua mente. Quella notte cercò di individuare e ripetere a se stessa quali elementi avrebbero potuto provocare una decisione negativa. La preoccupava il problema se avesse usato abbastanza trucco e, poiché la parte era quella di una ventenne, si chiedeva se non fosse stata un po' troppo seria. Sulla recitazione era ancor meno soddisfatta. L'ingresso era stato tremendo: anzi, soltanto quando si era trovata accanto al telefono aveva raggiunto una parvenza di equilibrio... e poi il provino era finito. Se si fossero resi conto! Avrebbe voluto provare di nuovo. Il piano pazzesco di telefonare alla mattina per chiedere un altro provino si impadronì di lei e subito svanì. Non sarebbe stato né accorto né cortese chiedere un altro favore a Bloeckman. Il terzo giorno di attesa la sorprese in una grande tensione nervosa. Si era morsicata l'interno della bocca fino a farlo sanguinare e quando si sciacquava col disinfettante le bruciava in modo insopportabile. Aveva litigato con Anthony con tanta insistenza da indurlo ad uscir di casa in un accesso di furore freddo. Ma intimidito dalla freddezza eccezionale di lei, egli le telefonò un'ora dopo per scusarsi e dirle che avrebbe pranzato all'Amsterdam Club, l'unico del quale fosse ancora socio. Era l'una e, poiché aveva preso la prima colazione alle undici, Gloria decise di rinunciare al pranzo e si avviò a fare una passeggiata nel parco. Alle tre sarebbe arrivata la posta. Ella sarebbe rientrata alle tre. Era una giornata di primavera precoce. L'acqua si stava asciugando sui viali e nel parco le bambine spingevano gravemente le carrozzine bianche su e giù sotto gli alberi snelli, seguite da bambinaie annoiate che discutevano a due a due i tremendi segreti caratteristici delle bambinaie. Le due all'orologino d'oro. Avrebbe dovuto avere un orologio nuovo, ovale, di platino tempestato di diamanti ma quelli costavano ancora di più dei mantelli di scoiattolo, e naturalmente non erano più cose per lei, ormai, come tutto il resto: a meno che forse la lettera che ci voleva fosse a casa ad aspettarla... tra un'ora... cinquantotto minuti, esattamente. Dieci per arrivare e poi altri quarantotto... Ora quarantasette... Ragazzine che spingevano gravemente le carrozzine sugli umidi viali invasi dal sole. Bambinaie che chiacchieravano a crocchi dei loro segreti misteriosi. Qua e là uno straccione seduto su giornali distesi su una panchina bagnata, che non ricordava il pomeriggio luminoso e dolce ma la neve sudicia, addormentata esausta in angoli cupi in attesa della distruzione... Tanto tempo dopo, entrando nell'ingresso poco illuminato, vide il fattorino della Martinica in piedi sotto la luce della finestra sudicia. "C'è posta per noi?" chiese. "Disopra, signora." La porta dell'ascensore stridette in modo insopportabile e Gloria attese mentre il fattorino rispondeva al telefono. Le venne la nausea mentre l'ascensore saliva: le porte passarono con un lento scorrere di secoli, ciascuna sinistra, accusatrice, allusiva. La lettera, bianca chiazza lebbrosa, era posata sulle mattonelle sporche del corridoio... "Cara Gloria, abbiamo proiettato il provino ieri pomeriggio e il signor Debris ha deciso che per la parte che ha in mente gli occorre una donna più giovane. Ha detto che la recitazione non andava male e che gli pareva che una particina di una ricca vedova molto altera fosse..." Gloria alzò lo sguardo desolata fino a posarlo oltre il cortile. Ma si accorse che non riusciva a vedere la parete di fronte, perché aveva gli occhi grigi pieni di lacrime. Andò nella camera da letto con la lettera appallottolata in mano e si gettò sulle ginocchia davanti al lungo specchio appoggiato per terra sul pavimento del guardaroba. Questo era il suo ventinovesimo compleanno e il mondo le si stava sciogliendo davanti agli occhi. Cercò di pensare che la colpa era del trucco, ma le sue emozioni erano troppo profonde, troppo pesanti per qualsiasi consolazione offerta dal pensiero. Continuò a guardarsi finché si sentì pulsare le tempie. Sì... le guance erano un tantino più magre, gli angoli degli occhi avevano rughe minuscole. Gli occhi erano diversi. Ma sì, erano diversi!... E poi, d'improvviso, capì com'erano stanchi i suoi occhi. "Oh, il mio bel viso!" mormorò, con ardente dolore. "Oh, il mio bel viso! Oh, non voglio vivere senza il mio bel viso! Oh, che cosa è successo!" Poi sdrucciolò verso lo specchio e, come nel provino, si lasciò cadere col viso per terra; e rimase lì a singhiozzare. Fu il primo movimento sgraziato che ella avesse mai fatto. 3. NON IMPORTA! Dopo un altro anno Anthony e Gloria erano diventati come attori che avessero perduto i costumi e non avessero abbastanza orgoglio da continuare a recitare la tragedia: per cui quando la signora e la signorina Hulme di Kansas City una sera non li salutarono al Plaza, fu soltanto perché la signora e la signorina Hulme, come la maggior parte della gente, abominavano lo specchio del proprio io atavico. Il loro nuovo alloggio, per il quale pagavano ottantacinque dollari al mese, era nella Claremont Avenue, a due isolati dallo Hudson, nelle fosche Centesime Strade. Erano lì da un mese quando Muriel Kane venne a trovarli un pomeriggio tardi. Era un crepuscolo meraviglioso di primavera quasi estiva. Anthony era disteso sul divano a guardare la Centoventisettesima Strada verso il fiume, vicino al quale vedeva un'unica chiazza di alberi verdi e vivaci che garantivano l'ombrosità artificiale del Riverside Drive. Di là dal fiume vi erano le Palisades, coronate dalle brutte intelaiature del Luna Park; ma presto sarebbe calato il buio e quelle stesse ragnatele di ferro sarebbero diventate uno splendore sullo sfondo del cielo, un palazzo incantato eretto sul fulgore levigato di un canale tropicale. Anthony si era accorto che le strade intorno all'alloggio erano strade in cui giocavano i bambini: strade un po' più belle di quelle che egli attraversava quando andava a Marietta, ma dello stesso genere, con qualche organetto o pianola e, nel fresco della sera, molte coppie di ragazze che scendevano fino al drug:store all'angolo a prendere un gelato al seltz e sognare sogni illimitati sotto il cielo pesante. Penombra nelle strade, adesso, e bambini che giocavano gridando parole incoerenti ed estatiche che si spegnevano accanto alla finestra aperta... e Muriel, venuta a trovare Gloria, che chiacchierava con lui dall'oscurità opaca che colmava la stanza. "Accendiamo la luce, vuoi?" propose Muriel. "Sta diventando un cimitero, qui." Con un movimento stanco egli si alzò ed ubbidì; i vetri grigi delle finestre scomparvero. Anthony si stirò. Era più massiccio, adesso, il ventre gli era diventato un fardello flaccido contro la cintura; la carne era diventata più molle e si era diffusa. Anthony aveva trentadue anni e una mente che era un rottame cupo e disordinato. "Vuoi bere, Muriel?" "No, grazie. Non bevo più. Come passi le giornate, Anthony?" chiese con curiosità. "Be', ho avuto molto da fare con questa causa" rispose con indifferenza Anthony. "E' andata in Cassazione... Dovrebbe concludersi in un modo o nell'altro quest'autunno. C'è stata un'eccezione circa la competenza della Corte di Cassazione." Muriel schioccò la lingua e piegò la testa da un lato. "Ma pensa! Non ho mai sentito di una causa così lunga." "Oh, sono tutte così" rispose lui con indolenza. "Tutte le cause testamentarie. Dicono che sia un caso eccezionale quando finiscono prima di quattro o cinque anni." "Oh..." Muriel cambiò audacemente argomento. "Perché non ti metti a lavorare, pigrone?" "In che modo?" chiese lui bruscamente. "Ma, in qualunque modo, direi. Sei ancora giovane." "Se è un incoraggiamento, te ne sono molto grato" rispose seccamente, e poi, con improvvisa stanchezza "Ti secca tanto che non mi metta a lavorare?". "Non è che mi secchi... ma secca un mucchio di gente che ritiene..." "Oh, Dio!" disse Anthony concitato. "Da tre anni non sento altro che storie strane sul mio conto e ammonimenti virtuosi. Sono stanco. Se non hai voglia di vederci, lasciaci in pace. Non m'importa dei miei vecchi 'amici.' Ma non ho bisogno di visite di carità e di critiche travestite da buoni consigli..." Poi soggiunse in tono di scusa: "Mi dispiace... Ma davvero, Muriel, non devi parlare come un venditore ambulante, neanche se vai a far visita alla borghesia più bassa". Rivolse su di lei gli occhi iniettati di sangue occhi che una volta erano stati di un azzurro profondo, limpido, e ora erano deboli, forzati e quasi rovinati a forza di leggere da ubriaco. "Perché dici queste cose tremende?" replicò Muriel. "Parli come se tu e Gloria apparteneste alla borghesia." "Perché fingere che non è vero? Non posso soffrire la gente che sostiene di essere aristocratica quando non riesce a mantenere le apparenze." "Credi che una persona debba essere ricca per essere aristocratica?" Muriel... la democratica inorridita...! "Ma certo. L'aristocrazia consiste soltanto nell'ammettere che certe caratteristiche considerate belle - il coraggio e l'onore e la bellezza e così via - si possono sviluppare meglio in un ambientefavorevole,dove non esistano le deviazioni dell'ignoranza e del bisogno." Muriel si morsicò il labbro inferiore e scrollò la testa da un lato all'altro. "Be', secondo me se uno viene da una buona famiglia continua a essere simpatico. E' questo il guaio, con te e Gloria. Vi siete messi in testa che, siccome le cose per voi in questo momento vanno male, tutti i vostri vecchi amici cerchino di evitarvi. siete troppo sensibili." "Il fatto è" disse Anthony "che tu non ne sai un bel niente Per me è semplicemente una questione di orgoglio e per una volta tanto Gloria è abbastanza ragionevole da convenire che non dobbiamo andare dove non siamo desiderati. E la gente non ci desidera. Siamo dei cattivi esempi troppo ideali." "Sciocchezze! Il tuo pessimismo non attacca con me. Secondo me dovresti dimenticare tutte queste elucubrazioni morbose, e metterti a lavorare." "Sta' a sentire, ho trentadue anni. Immaginiamo che mi metta in qualche ditta idiota. Magari in due anni potrei arrivare a cinquanta dollari la settimana se ho fortuna E questo SE riesco a trovare un impiego; c'è una mole tremenda di disoccupazione. Be', immaginiamo che guadagni cinquanta dollari alla settimana. Credi che sarei più felice? Credi che se non riesco ad avere il denaro del nonno la vita mi riesca più SOPPORTABILE?" Muriel sorrise con compiacenza. "Be'" disse "può darsi che tutto questo sia intelligente, ma è privo di buon senso." Pochi minuti dopo Gloria entrò e parve che portasse con sé nella stanza un colore cupo, impreciso e prezioso. Fu silenziosamente felice di vedere Muriel. Salutò Anthony con un "Ciao!" indifferente. "Ho parlato di filosofia con tuo marito!" esclamò l'irrefrenabile Muriel. "Abbiamo scelto qualche concetto fondamentale" disse Anthony mentre un lieve sorriso gli smuoveva le guance pallide, ancora più pallide sotto la barba di due giorni. Senza badare alla sua ironia, Muriel riprese le proprie argomentazioni. Quando ebbe finito Gloria disse sottovoce: "Anthony ha ragione. Non è divertente andare in giro quando si ha la sensazione di essere guardati in un certo modo." Anthony intervenne con voce lamentosa. "Non credi che se perfino Maury Noble, che era il mio migliore amico, ha smesso di venire a trovarci non è più il caso che invitiamo la gente?" "E' stata colpa tua, per Maury Noble" disse Gloria freddamente. "Non è vero." "Ma certo che è vero." Muriel intervenne in fretta. "L'altro giorno ho incontrato una ragazza che conosce Maury e mi ha detto che ha smesso di bere. Sta diventando molto in gamba." "Non beve più?" "Praticamente non più. Sta facendo pile di denaro. E' un po' cambiato dopo la guerra. E' fidanzato con una ragazza di Philadelphia multimilionaria, Ceci Larrabee... almeno così dice il 'Town Tattle'." "Ha trentatré anni" disse Anthony, pensando ad alta voce. "Ma è strano immaginarlo sposato. Mi pareva così intelligente." "Lo era" mormorò Gloria, "a modo suo." "Ma chi è intelligente non si mette negli affari... oppure sì? O che cosa fanno? O che cosa diventano, quelli che si conoscevano così bene e con cui si aveva tanto in comune?" "Non cambiare discorso" disse Muriel con lo sguardo sognante che si confaceva al caso. "Cambiano" disse Gloria. "Tutte le qualità che non vengono usate nella vita quotidiana si ammassano come ragnatele." "L'ultima cosa che mi ha detto" ricordò Anthony, "è stata che voleva mettersi a lavorare per dimenticare che non c'è nulla per cui valga la pena di lavorare." Muriel si aggrappò in fretta a questo. "E proprio quello che dovresti fare tu!" esclamò trionfante. "Si capisce che secondo me nessuno dovrebbe lavorare per niente. Ma ti darebbe un'occupazione. Ma come passate il tempo, poi? Non vi si vede mai, né al Montmartre né... né in nessun posto. State facendo economia?" Gloria rise sprezzante, lanciando con la coda dell'occhio uno sguardo ad Anthony. "Be'" domandò questi, "che cosa c'è da ridere?" "Lo sai benissimo" rispose lei freddamente. "Per quella cassa di whisky?" "Sì" disse Gloria rivolgendosi a Muriel. "Ha pagato ieri settantacinque dollari per una cassa di whisky." "E con questo? Costa meno così che a comprarlo al minuto. Non vorrai sostenere che tu non lo assaggerai." "Almeno io non bevo durante il giorno." "Una bella distinzione!" esclamò Anthony balzando in piedi in un furore scoraggiato. "E poi mi venga un accidente se ti permetterò di rinfacciarmelo ogni cinque minuti!" "E' vero." "No, che non è vero! E non ne posso più di questo tuo modo di criticarmi davanti agli estranei!" Si era montato in un modo tale che le braccia e le spalle gli tremavano visibilmente. "Hai proprio da pensare che è stata tutta colpa mia. Hai proprio da pensare che non mi hai incoraggiato a spendere... Salvo spendere per te più di quanto abbia mai fatto io." Ora balzò in piedi Gloria. "Non ti PERMETTO di parlarmi in questo modo!" "E va bene, allora; perdio, non ti sarà difficile." In una specie di slancio Anthony uscì dalla stanza. Le due donne udirono i suoi passi in corridoio e poi la porta di casa che sbatteva. Gloria si sprofondò nella poltrona. Sotto la luce della lampada il suo viso era bello, composto, inscrutabile. "Oh...!" esclamò Muriel costernata. "Oh, che cosa successo?" "Niente di speciale. E' soltanto ubriaco." "Ubriaco? Ma non è vero. Parlava..." Gloria scosse il capo. "Oh, no, non lo mostra più, fino al momento che non può più reggersi, e parla bene finché non si agita. Parla molto meglio che quando non è ubriaco. Ma è stato qui tutto il giorno a bere... Tranne il tempo che ha impiegato ad arrivare all'angolo della strada per comprare il giornale." "Oh, che cosa tremenda!" Muriel era sinceramente commossa. Gli occhi le si riempirono di lacrime. "E' accaduto sovente?" "Vuoi dire che beve?" "No, questo... questo andarsene così." "Oh, sì, spesso. Rientrerà verso mezzanotte... E si metterà a piangere e mi chiederà perdono." "E tu?" "Non lo so. Tiriamo avanti." Le due donne sedute lì, sotto la luce della lampada, si guardarono, entrambe, sia pure in modo diverso, impotenti di fronte a questa cosa. Gloria era ancora carina, carina come non lo sarebbe stata mai più: aveva le guance accese e indossava un abito nuovo che aveva comprato - imprudentemente - per cinquanta dollari. Aveva sperato di riuscire a persuadere Anthony ad accompagnarla fuori, la sera, in un ristorante o magari in uno di quei grandi cinematografi luminosi, dove qualcuno l'avrebbe guardata, dove avrebbe avuto qualcuno da guardare. Lo desiderava perché sapeva di avere le guance accese e perché aveva un vestito nuovo e delicato. Accadeva molto dl rado, adesso, che qualcuno li invitasse. Ma non disse queste cose a Muriel. "Gloria cara, mi farebbe tanto piacere cenare con te, ma sono impegnata con un tale... e sono già le sette e mezzo. Devo filare." "Oh, non potrei, in ogni caso. Tanto per cominciare sono stata male tutto il giorno. Non potrei mangiare niente." Dopo aver accompagnato Muriel alla porta, Gloria ritorno in sala, spense la lampada e appoggiando i gomiti al davanzale della finestra guardò il Palisade Park dove il cerchio luminoso in movimento della ruota Ferris sembrava uno specchio tremante che cogliesse il riflesso giallo della luna. Ora la strada era silenziosa: i bambini erano rientrati; di là dalla strada vide una famiglia seduta a tavola; visti così, tutto quello che facevano pareva assurdo: era come se fossero stati agitati distrattamente e senza scopo da fili invisibili. Gloria guardò l'orologio: le otto. Una parte della giornata le era riuscita piacevole - il principio del pomeriggio - mentre passeggiava in quella Broadway di Harlem, la Centoventicinquesima Strada, con le narici pronte a tanti odori e la mente attratta dalla bellezza straordinaria di alcuni bimbi italiani. Quella strada la colpiva stranamente come una volta la colpiva la Quinta Avenue, ai tempi nei quali per la placida fiducia procuratale dalla bellezza sapeva che tutto era suo, ogni negozio e tutto ciò che vi era contenuto, ogni giocattolo da adulto che scintillava nelle vetrine, tutto suo se appena lo chiedesse. Qui sulla Centoventicinquesima Strada vi erano le bande dell'Esercito della Salvezza e vecchie in scialli policromi sulle soglie delle case e caramelle attaccaticce nelle mani sudicie di bambini dai capelli lucidi... e l'ultimo sole che cadeva sulle facciate degli alti edifici. Tutto molto ricco e piccante e saporito, come un piatto preparato da un cuoco francese frugale: un piatto che non si poteva non apprezzare, pur sapendo che probabilmente gli ingredienti che lo componevano non erano che avanzi... Gloria rabbrividì improvvisamente quando una sirena del fiume giunse lamentosa al disopra dei tetti neri; e spingendosi indietro finché le tende leggere le caddero dalle spalle, accese la luce elettrica. Ormai era tardi. Sapeva che c'era qualche spicciolo nella borsa e si chiese se scendere a prendere un caffè e qualche panino dove la sotterranea sbucava all'aperto e riduceva Manhattan Street a una caverna rombante, oppure mangiare pane e prosciutto cotto in cucina. La borsa decise per lei. Conteneva un nichel e due pennies. Dopo un'ora il silenzio della stanza era diventato insopportabile e Gloria si accorse che gli occhi le vagavano dal giornale al soffitto, che ella fissava senza pensare. D'improvviso si alzò, esitò un attimo morsicandosi il dito... Poi andò alla dispensa prese una bottiglia di whisky dalla mensola e si preparò da bere. Finì la mistura di birra e tornata in poltrona terminò un articolo del giornale. Trattava dell'ultima vedova rivoluzionaria, che da giovane aveva sposato un antico veterano dell'esercito continentale ed era morta nel 1906. Parve strano e curiosamente romantico a Gloria che lei e quella donna fossero contemporanee. Voltò la pagina e seppe che un candidato al Congresso era accusato di ateismo da un avversario. La sorpresa di Gloria si spense quando ella si accorse che le accuse erano false. Il candidato si era limitato a negare il miracolo dei pani e dei pesci. Aveva ammesso, in seguito a un interrogatorio serrato, di credere pienamente al miracolo delle acque. Finito il primo bicchiere, Gloria se ne preparò un secondo. Quando ebbe indossato una vestaglia e si fu sdraiata comodamente sul divano si accorse di essere infelice e che le lacrime le scorrevano sulle guance. Si chiese se erano lacrime di commiserazione e si sforzò energicamente di non piangere, ma quell'esistenza senza speranza, senza felicità, la opprimeva e Gloria continuò a scuotere la testa da un lato all'altro, con la bocca ricurva e tremula agli angoli, come negando una affermazione fatta da qualcuno in qualche luogo. Non sapeva che quel suo gesto era di anni e anni più vecchio della storia, che per centinaia di generazioni quel gesto era stato offerto, da un dolore insopportabile e continuo, un gesto di diniego, di protesta, di sgomento, a qualcosa di più profondo, di più potente del Dio fatto a immagine dell'uomo e di fronte al quale quel Dio, se esisteva, era parimenti impotente. Era una verità che sta al centro stesso della tragedia, il fatto che questa forza non offra mai spiegazione, non offra mai risposta, questa forza intangibile come l'aria, più precisa della morte. Richard Caramel. Al principio dell'estate Anthony si dimise dall'ultimo circolo, l'"Amsterdam". Era giunto a recarvisi al massimo un paio di volte all'anno e le quote rappresentavano un problema continuo. Vi si era iscritto quando era ritornato dall'Italia perché era stato il circolo del nonno e del padre, e perché era un circolo al quale, avendone l'occasione, non c'era ragione di non iscriversi; ma in realtà aveva preferito lo Harvard Club, più che altro a causa di Dick e di Maury. Però, col declino della sua fortuna, gli era sembrato un capriccio sempre più piacevole quello di continuare ad appartenervi... Alla fine lo abbandonò, con qualche rimpianto... I suoi amici erano costituiti adesso da una strana decina di persone. La maggior parte li aveva conosciuti in un locale che si chiamava "Sammy's", nella Quarantatreesima Strada, dove, quando si bussava alla porta e si veniva accolti dopo essere stati riconosciuti attraverso uno spioncino, si poteva sedere a una grande tavola rotonda e bere un buon whisky genuino. Fu lì che conobbe un certo Parker Allison, che a Harvard era stato il tipico scialacquatore, e adesso consumava una vasta fortuna il più rapidamente possibile. Per Parker Allison la "distinzione" consisteva nel guidare una rumorosa automobile da corsa rossa e gialla su e giù per Broadway insieme a due ragazze sfavillanti. Era di quelli che andavano a cena con due ragazze invece che una: la sua immaginazione era quasi incapace di sostenere un dialogo. Oltre a Allison c'era Peter Lytell, che portava un feltro grigio da un lato della testa. Aveva sempre denaro e di solito era allegro, così Anthony fece lunghe conversazioni inutili con lui in numerosi pomeriggi dell'estate e dell'autunno. Si accorse che Lytell non soltanto parlava ma ragionava mediante gruppi di frasi. La sua filosofia era costituita da una serie di esse, assimilate qua e là in una vita attiva e spensierata. Aveva qualche frase sul socialismo: quelle solite; aveva frasi circa l'esistenza di una divinità personale: qualcosa a proposito di una volta che aveva avuto un incidente ferroviario; e aveva frasi per il problema irlandese, il tipo di donna per la quale provava rispetto, e la futilità del proibizionismo. L'unico momento in cui la sua conversazione si alzava al disopra di queste formule confuse, con le quali egli interpretava gli avvenimenti più rococò di una vita che era stata spesso interessante, era quando egli scendeva a una discussione particolareggiata sulla sua esistenza più animalesca: era un grande intenditore di cibi, di alcool e di donne. Era il prodotto al tempo stesso più banale e più notevole della civiltà. Rappresentava il novanta per cento delle persone che si incontrano in una strada di città; ed era la scimmia senza peli con una ventina di doti. Era l'eroe di migliaia di romanzi della vita e dell'arte ed era virtualmente uno scemo che compiva, con fermezza ma assurdità, una serie di gesti epici, complicati ed enormemente strani, in un giro di sessant'anni. Con due uomini simili Anthony Patch beveva e chiacchierava e beveva e litigava. Gli erano simpatici perché non sapevano nulla di lui, perché vivevano allo scoperto e non avevano la minima idea dell'inevitabile continuità della vita. Non sedevano al cinematografo davanti a un notiziario continuativo, ma davanti a un'antiquata, ammuffita conferenza con proiezioni, dai valori irrigiditi e quindi dalle induzioni confuse. Eppure loro non erano confusi, perché non c'era in loro niente che potesse confondersi. Cambiavano frasi di mese in mese come cambiavano le cravatte. Anthony, il cavaliere, il raffinato, il perspicace, era ubriaco ogni giorno: da "Sammy's" con quegli uomini, nell'alloggio con un libro, qualche libro che già conosceva, e molto di rado con Gloria, che ai suoi occhi aveva incominciato ad assumere i lineamenti inconfondibili di una donna litigiosa e irragionevole. Non era più la Gloria di un tempo, di sicuro: quella Gloria che quando era malata avrebbe preferito costringere all'infelicità chiunque la circondasse piuttosto di ammettere che aveva bisogno di affetto o di cure. Mancava poco che si lamentasse, adesso, mancava poco che si compiangesse. Ogni sera, quando si preparava per coricarsi, si impiastricciava la faccia con qualche nuovo unguento, illudendosi assurdamente che esso ridonasse splendore e freschezza alla sua beltà in declino. Quando Anthony era ubriaco la scherniva per questo. Quando non lo era egli era cortese con lei, certe volte perfino tenero; per brevi ore mostrava qualche traccia dell'antica virtù di capire troppo per rimproverare la virtù che aveva costituito il meglio di lui e lo aveva condotto rapidamente e senza sosta alla rovina. Ma non gli piaceva non essere ubriaco. Quando non era ubriaco si accorgeva della gente che lo circondava, di quell'atmosfera di lotta, di ambizione avida, di speranza più sordida della disperazione, di spostamenti incessanti in alto o in basso, che nelle metropoli sono soprattutto evidenti nella borghesia instabile. Nell'impossibilità di stare coi ricchi pensava che avrebbe scelto di vivere coi poverissimi. Qualunque cosa era preferibile a questa coppa di sudore e di lacrime. La sensazione del panorama enorme della vita, che non era mai stata forte in Anthony, si era affievolita quasi fino a spegnersi. Soltanto a lunghi intervalli, ormai, qualche fatto nuovo, qualche gesto di Gloria, gli colpiva la fantasia ma il velario grigio era sceso davvero su di lui. A misura che egli invecchiava, queste cose sbiadivano: dopo, veniva l'alcool. C'era una certa benignitànell'ubriachezzac'era quell'indescrivibile splendore che essa recava, simile ai ricordi di serate effimere e svanite. Dopo qualche bicchiere di whisky si rivelava la magia dell'alta Arabian Night splendente del Bush Terminal Building. La cima diventava un picco di magnificenza, dorata e sognante nel cielo inaccessibile. E Wall Street crassa e banale... di nuovo era il trionfo dell'oro, uno sgargiante spettacolo consapevole; era il luogo nel quale i grandi re conservavano il denaro per le loro guerre... ... Il frutto della giovinezza o dell'alcool, la magia passeggera del passaggio breve da buio a buio... l'antica illusione che la verità e la bellezza si fossero in qualche modo allacciate. Una sera, mentre stava fermo davanti a Delmonico intento ad accendersi una sigaretta, vide due carrozze ferme accanto al marciapiede in attesa della fortuna di esser chiamate da qualche ubriaco. Erano antiquate, logore e sudice: la pelle di vernice screpolata era rugosa come la faccia di un vecchio, i cuscini sbiaditi fino a diventare di un color lavanda brunastro; perfino i cavalli erano vecchi e stanchi, e vecchi e stanchi erano gli uomini dai capelli candidi, che sedevano a cassetta schioccando la frusta con una grottesca affettazione di coraggio. Relitto di allegria scomparsa! Anthony Patch si allontanò in un accesso improvviso di tristezza, meditando sull'amarezza di questi sopravvissuti. Pareva che nulla diventasse rancido in fretta quanto il piacere. Un giorno, nella Quarantaduesima Strada, incontrò Richard Caramel dopo molti mesi che non lo vedeva, un Richard Caramel florido, ingrassato, il cui viso diventava pieno per intonarsi alla fronte bostoniana. "Sono appena arrivato dal mare. Volevo chiamarti ma non sapevo il nuovo indirizzo." "Abbiamo cambiato casa." Richard Caramel notò che la camicia di Anthony era sporca, che i polsi erano leggermente ma percettibilmente logori, che aveva gli occhi cerchiati di color fumo. "L'ho saputo" disse, fissando l'amico con l'occhio giallo. "Ma dov'è Gloria, e come sta? Santo cielo, Anthony, ho sentito le storie più incredibili su voi due, fino in California: e quando ritorno a New York vedo che siete completamente scomparsi. Perché non vi rimettete in sesto?" "Senti bene" incominciò Anthony malcerto. "Non sono in grado di ascoltare una conferenza troppo lunga. Abbiamo perso quattrini in migliaia di modi e naturalmente la gente parla... per via della causa, ma tutto si concluderà quest'inverno, non ci sono dubbi..." "Parli così in fretta che non riesco a seguirti" lo interruppe Dick con calma. "Be', ho detto tutto quello che ho intenzione di dire" sbottò Anthony. "Vieni a trovarci se ne hai voglia... o fanne a meno!" Con questo si voltò e si avviò nella folla, ma Dick lo raggiunse subito e lo afferrò per il braccio. "Ehi, Anthony, non scappare così in fretta! Sai bene che Gloria è mia cugina, e tu sei uno dei miei più vecchi amici, dunque è naturale che provi un certo interesse quando sento che stai andando in malora... e ti porti dietro anche lei." "Non ho voglia di ascoltare prediche." "E va bene, allora... Cosa ne dici di venire a casa mia a bere? Mi sono appena sistemato. Ho comprato tre casse di Gordon Gin da una guardia di finanza." Mentre procedevano, continuò in uno slancio di esasperazione. "E i quattrini del nonno?... Li avrai?" "Be'" rispose Anthony risentito, "quel vecchio scemo di Haight ha qualche speranza, specialmente perché la gente in questo momento è stanca dei riformatori... capisci, c'è qualche differenza, per esempio, se i giudici pensano che è colpa di Adam Patch se è così difficile trovare l'alcool." "Non puoi andare avanti senza soldi" disse Dick solennemente. "Hai provato a scrivere... in questi ultimi tempi?" Anthony scosse il capo senza parlare. "E' buffo" disse Dick, "ho sempre pensato che tu e Maury un giorno o l'altro vi sareste messi a scrivere, e ora lui è diventato una specie di aristocratico avaro e tu..." "Io sono il cattivo esempio." "Ma perché, poi?" "Probabilmente credi di saperlo" disse Anthony con uno sforzo di concentrazione. "Il fallimento e il successo sono entrambi persuasi di avere punti di vista ben equilibrati, il successo perché ha avuto successo e il fallimento perché è fallito. L'uomo di successo dice al figlio di approfittare della fortuna del padre e l'uomo fallito dice al figlio di approfittare degli errori." "Non sono d'accordo" disse l'autore di "Recluta in Francia". "Vi ascoltavo, te e Maury, quando eravamo giovani e mi facevate sempre impressione perché eravate così fondatamente cinici, ma adesso... Be', perdio, dopotutto chi di noi tre si è messo nella... nella vita intellettuale? Non vorrei sembrar vanitoso, ma... sono io e ho sempre creduto che i valori morali esistono, e lo crederò sempre." "Bene" obiettò Anthony che si stava abbastanza divertendo. "Anche ammesso questo, sai bene che in pratica la vita non presenta mai problemi ben definiti, vero?" "Per me, sì. Non esiste nulla che mi indurrebbe a violare certi principi." "Ma come fai a sapere quando li stai violando? Devi pensare alle cose, come fa la gente. Devi catalogare i valori quando ti volti a guardarli. E allora finisci il ritratto: dipinto nei particolari e le ombre." Dick scosse il capo con altera ostinazione. "Il solito cinico futile" disse. "Non è che un modo come un altro di commiserare te stesso. Tu non sai nulla... così nulla ti importa." "Oh, sono capace di commiserarmi" ammise Anthony, "e non pretendo neanche di avere una vita divertente come la tua." "Tu dici - o almeno dicevi una volta - che la felicità è la sola cosa che valga la pena, nella vita. Credi di essere più felice essendo pessimista?" Anthony mugolò di malumore. Il suo piacere nella conversazione incominciava a finire. Era nervoso e aveva bisogno di bere "Perdio!" esclamò. "Dove abiti? Non posso continuare a camminare in eterno." "La tua resistenza è soltanto mentale, eh?" ribatté Dick tagliente "Be', abito qui." Entrò in un edificio della Quarantanovesima Strada e pochi minuti dopo erano in un grande salone nuovo con un vasto caminetto e quattro pareti tappezzate di libri. Un domestico negro servì loro il ginfitz, e un'ora passò educatamente nel tenero vuotarsi dei bicchieri e nel calore di un lieve fuoco autunnale. "Le arti sono molto vecchie" disse Anthony dopo un po'. Dopo qualche bicchiere gli si era calmata la tensione nervosa e si accorse che riusciva di nuovo a pensare. "Quale arte?" "Tutte. La poesia sta morendo per prima. Presto o tardi sarà assorbita dalla prosa. Per esempio, la bella parola, la parola colorita e scintillante e la bella similitudine oramai appartengono alla prosa. Per attirare l'attenzione la poesia ha dovuto sforzarsi di trovare la parola insolita, la parola rozza, terrena che non era mai stata considerata bella finora. La bellezza come somma di molte belle parti ha raggiunto la sua apoteosi in Swinburne. Non può andare oltre... tranne forse nel romanzo." Dick lo interruppe con impazienza. "Sai benissimo che non ne posso più di questi romanzi nuovi. Santo cielo! Dovunque mi trovi, qualche ragazza sciocca mi chiede se ho letto 'Di qua dal Paradiso.' Sono proprio ridotte a questo, le nostre ragazze? Se fosse vero, cosa che non credo, la prossima generazione andrà in malora Sono stufo di questo realismo da strapazzo. Credo che ci sia posto per i romantici, in letteratura." Anthony cercò di ricordare che cosa avesse letto di recente di Richard Caramel. C'era "Recluta in Francia", un romanzo intitolato "La terra degli uomini forti", e alcune decine di racconti anche peggiori. I recensori giovani e intelligenti avevano preso l'abitudine di nominare Richard Caramel con un sorriso di scherno. Il "signor" Richard Caramel, lo chiamavano. Il suo cadavere veniva trascinato oscenamente in tutti i supplementi letterari. Era accusato di accumulare una grande fortuna scrivendo robaccia per il cinema. Col mutare della moda letteraria egli era diventato quasi un simbolo di scherno. Mentre Anthony pensava queste cose, Dick si era alzato con l'aria di esitare a fare una dichiarazione. "Ho messo insieme un bel po' di libri" disse d'improvviso. "Lo vedo." "Ho fatto la raccolta completa dei bei libri americani, vecchi e nuovi. Voglio dire, non i soliti Longfellow e Whittier anzi, sono quasi tutti moderni." Si avviò verso una parete e Anthony si alzò e lo seguì, quando capì che questo era il desiderio di Dick. "Guarda." Sotto un'etichetta stampata, "Americana", Dick gli mostrò sei lunghe file di libri ben rilegati e palesemente scelti con cura "E questi sono i romanzieri contemporanei." Allora Anthony capì il trucco. Incuneati tra Mark Twain e Dreiser erano otto volumi strani e stonati, le opere di Richard Caramel... "L'amante diabolico" naturalmente... ma anche sette altri, spaventosamente brutti, privi di sincerità e di grazia. Senza volerlo, Anthony diede un'occhiata a Dick e scorse sul suo viso una lieve incertezza. "Vi ho messo i miei libri, naturalmente" disse Richard Caramel in fretta, "sebbene un paio di essi siano inuguali... Ho paura di aver scritto un po' troppo in fretta, quando ho firmato il contratto con quella rivista. Ma non credo nella falsa modestia. Naturalmente alcuni critici non mi hanno prestato tanta attenzione da quando sono diventato famoso... ma dopo tutto non sono i critici ad avere importanza. Loro sono soltanto il gregge." Per la prima volta da un tempo così lontano che quasi non riusciva a ricordarlo, Anthony sentì una sfumatura dell'antico piacevole disprezzo per l'amico. Richard Caramel continuò: "Sai bene che gli editori mi hanno lanciato come il Thackeray d'America... per via del mio romanzo su New York." "Sì" riuscì a dire Anthony. "Credo che quello che dici sia pieno di significato." Sapeva che il suo disprezzo era irragionevole. Sapeva che non avrebbe esitato a cambiare la sua situazione con quella di Dick. Aveva cercato egli stesso di scrivere senza scrupoli. Ma allora.. è possibile che un uomo possa degradare così in fretta la propria opera?... ... E quella sera, mentre Richard Caramel lavorava faticosamente, con un gran battere di tasti sbagliati al disopra degli stanchi occhi scompagnati, penando sulla sua robaccia fin tardi in quelle ore tristi in cui il fuoco si spegne e la testa si annebbia sotto l'effetto di una concentrazione troppo lunga... Anthony, ubriaco in modo abominevole, era stato gettato sul sedile di un taxi per essere ricondotto al suo appartamento sulla Claremont Avenue. La rissa. Quando si avvicinò l'inverno parve che una specie di follia si impadronisse di Anthony. La mattina si svegliava così nervoso che Gloria lo sentiva tremare nel letto prima che gli riuscisse di raccogliere abbastanza energia da andare barcollando a prepararsi da bere. Ormai era diventato insopportabile, quando non subiva l'effetto dell'alcool; e a misura che le si distruggeva e involgariva davanti agli occhi, l'anima e il corpo di Gloria si allontanavano da lui; quando stava fuori tutta la notte, come accadeva spesso, non soltanto non le dispiaceva ma gliene veniva perfino una specie di orrendo sollievo. L'indomani Anthony sarebbe stato un po' pentito e avrebbe detto, in un modo arcigno e volgare, che forse aveva bevuto un po' troppo. Per ore e ore restava seduto nella grande poltrona che aveva fatto parte del mobilio del suo antico alloggio, perduto in una specie di stupore; anche l'interesse nella lettura dei libri preferiti sembrava scomparso, e nonostante un continuo battibecco si svolgesse tra marito e moglie, l'unico argomento sul quale parlavano davvero era lo svolgimento della causa. E' difficile immaginare che cosa Gloria sperasse nelle tenebrose profondità della sua anima, che cosa si aspettasse dal grande dono del denaro. Era spinta dall'ambiente a essere una grottesca imitazione di massaia. Lei che fino a tre anni prima non aveva mai preparato un caffè, doveva cucinare certe volte tre pasti al giorno. Camminava molto, nel pomeriggio, e alla sera leggeva libri, riviste, qualunque cosa trovasse a portata di mano. Se ora desiderava un figlio, sia pure un figlio da quell'Anthony che la cercava ubriaco morto nel letto, non lo diceva, né rivelava alcun interesse per i bambini. Non si può dire se sarebbe riuscita a spiegare a qualcuno che cosa volesse o addirittura che cosa ci fosse da poter volere: una bella donna solitaria, ormai trentenne, trincerata dietro qualche inibizione inattaccabile, nata e coesistente con la sua bellezza. Un pomeriggio in cui la neve si era di nuovo accumulata su Riverside Drive, Gloria, che era andata dal droghiere, quando rientrò trovò Anthony che passeggiava su e giù per la stanza in uno stato di nervosismo peggiore del solito. Gli occhi febbrili che egli le rivolse erano percorsi da minuscole linee rosa, che le ricordarono i fiumi sulle carte geografiche. Per un attimo Gloria ebbe l'impressione che egli fosse diventato d'improvviso vecchio. "Hai denaro?" le chiese a precipizio. "Come? Che cosa vuoi dire?" "Quello che ho detto. Denaro! Denaro! Non sai parlare l'inglese?" Gloria non gli prestò attenzione ma gli passò accanto per mettere nel frigorifero il prosciutto e le uova. Quando aveva bevuto più del solito diventava sempre lamentoso. Questa volta la seguì e fermandosi sulla porta insisté nella domanda. "Hai sentito quel che ho detto? Hai denaro?" Gloria si voltò dal frigorifero e lo affrontò. "Ma Anthony, devi essere impazzito! Sai benissimo che non ho denaro... Tranne un dollaro di spiccioli." Anthony fece un brusco dietro front e ritornò in soggiorno dove riprese a passeggiare. Era chiaro che pensava a qualcosa di tremendo: evidentemente voleva che qualcuno gli chiedesse che cosa era successo. Raggiungendolo un momento dopo Gloria sedette sul lungo divano e incominciò a sciogliersi i capelli. Non erano più tagliati corti, e negli ultimi mesi erano passati da un oro luminoso sfumato di rosso a un bruno chiaro senza riflessi. Aveva comprato uno shampoo e aveva deciso di lavarseli; aveva pensato alla possibilità di mettere un po' di ossigeno nell'acqua. "E allora?" chiese con lo sguardo. "Quella maledetta banca" piagnucolò Anthony. "Hanno tenuto il mio conto per più di dieci anni... dieci anni. Be', pare che ci sia un regolamento, che se non si hanno almeno cinquecento dollari di deposito si rifiutano di tenere il conto. Qualche mese fa mi hanno scritto una lettera per dirmi che avevo emesso troppi assegni. Una volta ho emesso due assegni a vuoto... ricordi? Quella sera da Reisenweber... ma l'indomani li ho coperti. Be', ho promesso al vecchio Halloran - è l'amministratore, il grosso Mick - che sarei stato attento. E mi pareva di andar bene: ho tenuto le matrici del libretto d'assegni bene in ordine. Be', oggi sono andato a incassare un assegno e Halloran e venuto a dirmi che avevano chiuso il mio conto. Troppi assegni a vuoto, ha detto, e non avevo mai più di cinquecento dollari a loro credito... e soltanto per un paio di giorni di seguito. E perdio! che cosa credi che abbia detto, dopo?" "Che cosa?" "Ha detto che questo era il momento buono, perché non avevo neanche un centesimo in banca!" "E' vero?" "Così mi ha detto. Pare che quando ho dato a quei Bedros un assegno di sessanta dollari per l'ultima cassa d'alcool, ne avevo in banca soltanto quarantacinque. Be', i Bedros hanno depositato quindici dollari nel mio conto e hanno portato via ogni cosa." Nella sua ignoranza Gloria evocò uno spettro di prigione e di disonore. "Oh, non faranno niente" la rassicurò Anthony. "Il contrabbando è un affare rischioso. Mi manderanno un conto di quindici dollari e io lo pagherò." "Oh! " Gloria rifletté un momento. "...Be', possiamo vendere un'altra azione." Anthony rise sarcastico. "Oh sì, questo è sempre facile. Quando le poche azioni che abbiamo ancora che ci diano qualche dividendo valgono tra i cinquanta e gli ottanta centesimi di dollaro. Perdiamo circa la metà del valore di ogni azione, ogni volta che vendiamo." "Che cos'altro possiamo fare?" "Oh, venderemo qualcosa... come sempre. Abbiamo un valore nominale di ottantamila dollari." Di nuovo rise in modo spiacevole. "Possono renderne trentamila, sul mercato aperto." "Io non avevo fiducia in quegli investimenti al dieci per cento." "Perdio se non lo so!" disse Anthony. "Hai finto di non aver fiducia per potertela prendere con me se andavano in malora, però avevi voglia quanto me di provare." Gloria rimase zitta un momento come se meditasse, poi esclamò d'improvviso: "Anthony duecento dollari al mese è peggio che niente. Vendiamo tutte le azioni e mettiamo i trentamila dollari in banca... e se perdiamo la causa potremo vivere in Italia per tre anni e poi morire." Nell'agitazione del discorso si accorse di un vago slancio di sentimento, il primo che provasse da molti giorni. "Tre anni" disse Anthony nervoso. "Tre anni! Sei pazza. L'avvocato vorrà molto di più, se perdiamo. Credi che lavori per beneficenza?" "Non ci pensavo." "E siamo a sabato" continuò Anthony "e io ho soltanto un dollaro e qualche spicciolo, e dobbiamo vivere fino a lunedì, perché mi possa mettere a contatto con l'agente di cambio... E non c'è niente da bere in casa" soggiunse, come conclusione importante. "Perché non telefoni a Dick?" "Ho telefonato. Il domestico ha detto che è andato a Princeton a fare una conferenza in un club letterario o qualcosa del genere. Non tornerà fino a lunedì." "Be', vediamo... Non hai qualche amico a cui rivolgerti?" "Ho provato con due o tre. Non ho trovato nessuno in casa. Peccato che non ho venduto quella lettera di Keats, la settimana scorsa." "E quelli con cui giochi alle carte, in quel locale di "Sammy's"?" "Credi che potrei chiederlo a loro?" La voce di Anthony echeggiò di dignitoso orrore. Gloria fece una smorfia. Egli preferiva assistere al disagio della moglie che sentirsi smuovere la pelle nel chiedere un favore inopportuno. "Ho pensato a Muriel" disse. "E' in California." "Be', perché non qualcuno di quelli che ti hanno tanto fatto divertire mentre ero sotto le armi? Senza dubbio sarebbero contenti di farti un piccolo favore." Gloria gli diede un'occhiata sprezzante, ma Anthony non vi badò. "O quella tua vecchia amica Rachael... O Costance Merriam." "Constance Merriam è morta un anno fa e non voglio chiederlo a Rachael." "E allora quel signore che una volta era così ansioso di aiutarti e riusciva a frenarsi a stento, quel Bloeckman." "Oh!..." Era riuscito a ferirla e non era abbastanza ottuso né abbastanza distratto per non accorgersene. "Perché no?" insisté, volgare. "Perché non gli sono più simpatica" disse Gloria con fatica E poiché egli si limitò a guardarla cinicamente senza rispondere: "Se vuoi sapere il perché, te lo dirò. Un anno fa sono andata da Bloeckman - ha cambiato nome, si fa chiamare Black - e gli ho chiesto di farmi entrare nel cinema". "Sei andata da Bloeckman?" "Sì." "Perché non me l'hai detto?" domandò lui incredulo, mentre il sorriso gli scompariva dal viso. "Perché probabilmente eri chissà dove a bere. Mi hanno fatto fare un provino e hanno deciso che non ero abbastanza giovane per fare altro che una parte di caratterista." "Caratterista?" "La donna sui trent'anni o qualcosa del genere. Non avevo trent'anni, e non mi pareva di... dimostrarli." "Che gli venga un...!" gridò Anthony difendendola in uno slancio stranamente perverso. "Perché..." "Be', è per questo che non posso andare da lui." "Ma che insolenza!" insisté Anthony nervoso. "Che insolenza!" "Anthony, questo non ha importanza, adesso; il problema è che dobbiamo mangiare domani e in casa non c'è altro che un panino e due uova e due etti di prosciutto per la prima colazione." Gli tese il contenuto della borsa. "Qui ci sono settanta, ottanta, un dollaro e quindici. Con quello che hai tu fa due dollari e mezzo, no? Anthony, ce la caveremo benissimo. Possiamo comprare un mucchio di cibo... Più di quanto possiamo mangiarne." Facendo tintinnare le monete in mano, Anthony scosse il capo. "No. Devo bere qualcosa. Sono così nervoso che tremo." Un pensiero lo colpì. "Forse Sammy accetterà un assegno. E poi lunedì correrò in banca col denaro." "Ma ti hanno chiuso il conto." "E' vero, è vero... dimenticavo. Sta' a sentire: vado da "Sammy's" e lì troverò qualcuno che mi presterà qualcosa. Ma non posso soffrire il pensiero di chiedere a loro..." Schioccò d'improvviso le dita. "Ora so che cosa fare. Impegno l'orologio. Mi daranno venti dollari e lunedì lo ritirerò con sessanta centesimi d'interesse. L'ho già impegnato altre volte... Quando ero a Cambridge." Si era messo il soprabito e con un rapido arrivederci si avviò lungo il corridoio verso la porta d'ingresso. Gloria si alzò. Le era improvvisamente venuto in mente dov'era probabile che andasse per prima cosa. "Anthony" gli gridò dietro, "non sarebbe meglio che tu mi lasciassi i due dollari? Tu hai bisogno soltanto del biglietto del tram." La porta sbatté... Anthony aveva finto di non sentire. Gloria rimase un momento ferma a guardare dov'era uscito; poi andò nella stanza da bagno fra i suoi tragici unguenti e incominciò i preparativi per lavarsi i capelli. Da "Sally's" Anthony trovò Parker Allison e Pete Lytell seduti da soli a un tavolo, intenti a bere whisky. Erano le sei e Sammy, o Samuele Bendiri, secondo l'atto di battesimo, stava spazzando in un angolo un mucchio di mozziconi e di frantumi di vetro. "Ciao, Tony!" gridò Parker Allison ad Anthony. Qualche volta lo chiamava Tony, altre volte lo chiamava Dan. Per lui tutti gli Anthony dovevano andare sotto uno di questi diminutivi. "Siediti. Che cosa vuoi?" Nella sotterranea Anthony aveva contato il denaro e aveva visto che aveva quasi quattro dollari. Poteva pagare due giri a cinquanta centesimi a bicchiere: il che significava che poteva bere sei bicchieri. Poi sarebbe andato nella Sesta Avenue e avrebbe preso venti dollari lasciando in pegno l'orologio. "Bene, rompicollo" disse con cordialità. "Come si sta tra criminali?" "Benissimo" disse Allison. Strizzò l'occhio a Pete Lytell. "Peccato che tu sia sposato. Abbiamo della merce formidabile pronta per le undici, quando finisce lo spettacolo. Che roba! Proprio così... Peccato che sia sposato... vero, Pete?" "E' una vergogna." Alle sette e mezzo, quando ebbero finito i sei giri, Anthony si accorse che le sue intenzioni stavano cedendo ai suoi desideri. Era felice e allegro, adesso: si divertiva moltissimo. Gli pareva che la storia che Pete aveva finito allora di raccontare fosse insolitamente e profondamente umoristica e decise, come faceva ogni giorno arrivato a questo punto, che erano "proprio buoni ragazzi, perdio!", che avrebbero fatto per lui più di chiunque altro a sua conoscenza. I banchi di pegno restavano aperti fino a tardi, il sabato sera, e gli pareva che se avesse bevuto soltanto un altro bicchiere avrebbe provato un'allegria rosata e sgargiante. Ostentatamente si frugò nelle tasche del panciotto, prese le monete e le fissò come sorpreso. "Be', maledizione" protestò con tono addolorato "sono uscito senza portafogli." "Hai bisogno di denaro?" chiese Lytell disinvolto "Ho lasciato il mio sul comodino a casa. E volevo offrirvi da bere." "Oh... lascia perdere." Lytell scacciò la proposta senza darle importanza. "Credo che ci possiamo offrire tutto quello che vogliamo. Che cosa vuoi... lo stesso?" "State a sentire" propose Parker Allison, "e se mandassimo Sammy in un negozio di fronte a prendere qualche tramezzino e mangiassimo qui?" Gli altri acconsentirono. "Buona idea." "Ehi, Sammy, vuoi farci un favore..." Fu soltanto dopo le nove che Anthony si alzò barcollando e, augurando con la lingua spessa la buona notte, uscì con passo malfermo porgendo a Sammy una moneta quando gli passò davanti. Giunto in strada esitò incerto e poi si avviò in direzione della Sesta Avenue, dove ricordava di essere passato spesso davanti a parecchi banchi di pegni. Giunse a un'edicola e due drug-stores: e poi capì che si trovava di fronte al negozio cercato e che esso era chiuso e sprangato. Continuò senza scomporsi; un altro, un po' più giù, era chiuso anch'esso: come pure altri due all'altro lato della strada e un quinto nella piazza m fondo. Vedendo una luce fievole in quest'ultimo, incominciò a bussare alla vetrina; smise soltanto quando un custode comparve nel retro del negozio e gli fece, incollerito, segno di andarsene. Sempre più scoraggiato, sempre più confuso, Anthony attraversò la strada e tornò ad avviarsi verso la Quarantatreesima Strada. Sull'angolo vicino a "Sammy's" si fermò indeciso: se ritornava a casa, secondo i desideri del suo corpo, si sarebbe esposto a un acerbo rimprovero, eppure ora che i banchi di pegno erano chiusi non aveva idea di dove trovare il denaro. Alla fine decise che, dopotutto, poteva chiederlo a Parker Allison: ma quando si avvicinò al locale di "Sammy's" si accorse che la porta era chiusa e le luci erano spente. Guardò l'orologio; le nove e mezzo. Incominciò a camminare. Dieci minuti dopo si fermò senza meta sull'angolo della Quarantatreesima Strada con la Madison Avenue, in diagonale di fronte all'ingresso luminoso ma quasi deserto del Biltmore Hotel. Si fermò un momento e poi si lasciò cadere su un'asse umida, fra qualche resto di materiale da costruzione. Vi rimase quasi mezz'ora, con la mente attraversata da pensieri superficiali, il principale dei quali era che doveva trovare denaro e tornare a casa prima di diventare troppo ubriaco per rintracciare la strada. Poi, dando un'occhiata al Biltmore, vide un uomo fermo in piedi sotto il bagliore delle lampade della "porte-cochère", accanto a una donna in pelliccia d'ermellino. Mentre Anthony li guardava la coppia avanzò e fece segno a un taxi. Anthony si accorse, con la precisione infallibile di chi sta in agguato in attesa di un amico, che si trattava di Maury Noble. Si alzò. "Maury!" gridò. Maury rivolse lo sguardo verso di lui, poi tornò a voltarsi verso la ragazza mentre il taxi giungeva davanti a loro. Col pensiero caotico di farsi prestare dieci dollari, Anthony incominciò a correre più presto che poteva attraverso la Madison Avenue e lungo la Quarantatreesima Strada. Quando eli giunse accanto, Maury era ritto davanti alla porta aperta del taxi. La sua compagna si voltò e guardò con curiosità Anthony. "Ciao, Maury" disse questi porgendogli la mano. "Come stai?" "Bene, grazie." Le loro mani ricaddero e Anthony esitò. Maury non fece cenno di presentarlo e si limitò a star lì a guardarlo in un inscrutabile silenzio felino. "Volevo vederti..." incominciò Anthony incerto. Gli pareva di non poter chiedere un prestito davanti a una ragazza a un metro di distanza, così si scostò e fece un segno visibile del capo per attrarre in disparte Maury. "Ho una gran premura, Anthony." "Lo so... ma potresti, potresti..." di nuovo esitò. "Ti vedrò un'altra volta" disse Maury. "E importante." "Mi dispiace, Anthony." Prima che Anthony si decidesse a formulare la sua richiesta, Maury si era rivolto freddamente alla ragazza, l'aveva aiutata a salire in macchina e con un garbato "buona sera" era salito dopo di lei. Quando gli fece cenno attraverso il finestrino, parve ad Anthony che la sua espressione non fosse mutata di un'ombra. Poi con un certo frastuono il taxi si avviò e Anthony rimase lì in piedi da solo, sotto le luci. Anthony entrò nel Biltmore senza alcuna ragione se non che l'ingresso era lì a portata di mano, e salendo la vasta scala trovò un posto libero in una nicchia. Era furiosamente consapevole di esser stato umiliato; era offeso e adirato quanto gli riusciva possibile date le sue condizioni. Tuttavia era ostinatamente preoccupato dalla necessità di trovare un po' di denaro prima di tornare a casa e di nuovo ripassò sulla punta delle dita le conoscenze alle quali avrebbe potuto rivolgersi in questa circostanza. Alla fine penso che avrebbe potuto raggiungere il signor Howland, l'agente di cambio, a casa. Dopo una lunga attesa sentì che il signor Howland era uscito. Ritornò dal telefonista appoggiandosi sul banco e stringendo la moneta che gli restava come se non volesse andarsene insoddisfatto. "Chiamate il signor Bloeckman" disse all'improvviso. Fu sorpreso dalle sue stesse parole. Il nome era scaturito dall'incrocio dl due pensieri. "Il numero, per favore." Senza quasi sapere quel che faceva, Anthony cercò Joseph Bloeckman sulla guida del telefono. Non riuscì a trovare nessun nome simile e stava per chiudere il volume quando gli balenò in mente che Gloria gli aveva detto del cambiamento di nome. Fu questione di un minuto trovare Joseph Black: poi aspettò in cabina mentre il centralino faceva il numero. "Pronto. Il signor Bloeckman... Voglio dire il signor Black è in casa?" "No, stasera è fuori. Volete lasciare un messaggio?" L'accento era cockney, gli ricordò la lussuosa deferenza vocale di Bounds. "Dov'è?" "Ma... chi parla per favore, signore?" "Sono il signor Patch. E' una cosa molto importante." "Ma... è a una festa al Boul' Mich', signore." "Grazie." Anthony prese i suoi cinque centesimi di resto e si avviò verso il Boul' Mich', una famosa sala da ballo della Quarantacinquesima Strada. Erano quasi le dieci, ma le strade erano buie e poco frequentate, fino a quando i teatri avrebbero riversato il loro contenuto, tra un'ora. Anthony conosceva il Boul' Mich' perché vi era stato con Gloria l'anno prima e ricordava la regola che i clienti dovevano essere in abito da sera. Be', non poteva salire: avrebbe mandato a chiamare Bloeckman e l'avrebbe aspettato nel salone di sotto. Per un attimo non ebbe dubbi che l'intero programma fosse del tutto naturale e aggraziato. Nella sua immaginazione deviata, Bloeckman era diventato semplicemente uno dei suoi antichi amici. Il salone d'ingresso del Boul' Mich' era caldo. C'erano alte lampade gialle su un fitto tappeto verde, dal centro del quale una scala bianca saliva alla pista da ballo. Anthony parlò al fattorino: "Devo vedere il signor Bloeckman... il signor Black" disse. "E' di sopra... fatelo chiamare." Il ragazzo scosse il capo. "E' contro le regole farlo chiamare. Sapete a che tavolo si trova?" "No. Ma devo vederlo." "Aspettate: vi chiamo il cameriere." Dopo un breve intervallo comparve il capo cameriere, portando con sé un foglio su cui erano segnati i nomi dei tavoli riservati. Lanciò ad Anthony uno sguardo cinico, che però non arrivò a segno. Insieme si curvarono sul foglio e trovarono senza difficoltà il tavolo: una festa di otto persone invitate dal signor Black. "Ditegli il signor Patch. Molto, molto importante." Dl nuovo aspettò appoggiandosi alla ringhiera e ascoltando le armonie confuse di jazz-mad che giungevano a fiotti dalle scale. Una guardarobiera, accanto a lui canticchiava: "Out in - the shimmee sanitarium The jazz-mad nuts reside. Out in - the shimmee sanitarium I left my blushing bride. She went and shook herself insane, So let her shiver back again -" Poi vide Bloeckman che scendeva la scala e fece un passo avanti per incontrarlo e stringergli la mano. Volevate vedermi?" disse Bloeckman freddamente. Sì" annuì Anthony. "Una cosa personale. Potete fermarvi qui?" Guardandolo fisso Bloeckman seguì Anthony in un punto in cui la scala girava, dove non potevano essere né visti né uditi da nessuno che entrasse o uscisse dal ristorante. "Dunque?" chiese. "Volevo parlarvi." "Di che cosa?" Anthony si limitò a ridere una risata sciocca; aveva intenzione che sembrasse casuale. "Di che cosa volete parlarmi?" ripeté Bloeckman. "Che fretta c'è, vecchio mio?" Cercò di posare la mano con un gesto cordiale sulla spalla di Bloeckman, ma questi si scostò leggermente. "Come vi è andata?" "Benissimo, grazie... Sentite, signor Patch, ho degli amici di sopra Penseranno che è sgarbato che mi trattenga qui così a lungo. Per che cosa volevate parlarmi?" Per la seconda volta quella sera la mente di Anthony fece un balzo improvviso e ciò che egli disse non fu per niente ciò che aveva avuto intenzione di dire. "Ho saputo che impedite a mia moglie di fare del cinema." "Cosa?" La faccia colorita di Bloeckman si oscurò in piani di ombre parallele. "Avete sentito benissimo." "State a sentire, signor Patch" disse Bloeckman sottovoce e senza cambiare espressione. "Siete ubriaco. Siete ubriaco in modo disgustoso e insultante." "Non abbastanza ubriaco da non parlarvi" insisté Anthony con un sogghigno. "In primo luogo mia moglie non vuole aver niente a che fare con voi. Non lo ha mai voluto. Capito?" "State zitto!" disse l'altro adirato. "Pensavo che rispettaste vostra moglie abbastanza da non tirarla in ballo in questa situazione." "Non vi preoccupate di come rispetto mia moglie. Una cosa: lasciatela in pace. Andate al diavolo." "State a sentire... credo che siate impazzito!" esclamò Bloeckman. Fece due passi avanti come per allontanarsi, ma Anthony gli tagliò la strada. "Non così in fretta, maledetto ebreo." Per un attimo rimasero lì fermi a guardarsi, Anthony oscillando piano sui piedi, Bloeckman quasi tremante dal furore. "State attento!" esclamò con voce soffocata Anthony avrebbe dovuto ricordare in quel momento un certo sguardo che Bloeckman gli aveva lanciato al Biltmore Hotel anni prima. Ma non ricordò niente, niente. "Lo ripeterò, male..." Allora Bloeckman lo colpì, con tutta la forza di un uomo ben allenato di quarantacinque anni, lo colpì e colse Anthony in pieno nella bocca. Anthony crollò sulla scala, si riprese e diede un forsennato colpo da ubriaco all'avversario, ma Bloeckman, che faceva ginnastica ogni giorno e si intendeva un po' di pugilato, lo bloccò senza difficoltà e lo colpì due volte in faccia con due diretti violenti. Anthony diede un lieve gemito e precipitò sul tappeto verde accorgendosi, mentre cadeva, di avere la bocca piena di sangue e stranamente vuota davanti. Si rizzò barcollando, ansando e sputando, e poi, mentre si avviava verso Bloeckman che stava a un metro di distanza coi pugni stretti ma non alzati, due camerieri sbucati da chissà dove lo presero per le braccia e lo tennero fermo ormai inerme. Alle loro spalle si erano raccolte come per miracolo una decina di persone. "Lo ucciderò!" gridò Anthony scrollandosi e cercando di liberarsi. "Lasciate che lo uccida." "Cacciatelo fuori" ordinò Bloeckman agitato mentre un ometto butterato si faceva largo in fretta tra gli spettatori. "Che cosa è successo, signor Black.?" "Quest'ubriacone ha cercato di ricattarmi" disse Bloeckman e poi mentre nella voce si insinuava un lieve tono di orgoglio: "Ha avuto quello che gli spettava". L'ometto si rivolse a un cameriere. "Chiamate la polizia" ordinò. "Oh, no" disse Bloeckman in fretta. "Non posso perdere tempo. Buttatelo soltanto fuori... Uh! Che orrore!" Si voltò e con consapevole dignità si avviò verso le toilettes, mentre sei mani muscolose afferravano Anthony e lo trascinavano verso la porta L'"ubriacone" fu scaraventato con violenza sul marciapiede, dove cadde sulle mani e le ginocchia con un rumore grottesco e rotolò lentamente su un fianco. Il colpo lo stordì. Rimase un momento disteso con un acuto dolore distribuito in tutto il corpo. Poi la pena si localizzò nel ventre e Anthony ritornò in sé per accorgersi che un grosso piede lo stava scrollando. "Devi muoverti, ubriacone! Muoviti!" Era il grosso portiere a parlare. Un'automobile si era fermata alla curva e i clienti erano scesi vale a dire, due donne erano in piedi sul predellino, delicatamente offese, in attesa che quello spettacolo osceno venisse tolto dal loro cammino. "Muoviti! se no ti scaravento via io!" "Qua... Ci penso io." Questa era una voce nuova parve ad Anthony che fosse più tollerante, più ben disposta della prima. Di nuovo due braccia lo circondarono, un po' sollevandolo, un po' trascinandolo nell'ombra accogliente a qualche metro di distanza e lo appoggiarono contro la facciata di pietra di un negozio di modista. "Mille grazie" mormorò debolmente Anthony. Qualcuno gli appoggiò il cappello di feltro sul capo; ed egli fece una smorfia. "Stai qui tranquillo, amico, e ti sentirai meglio. Te ne hanno proprio date un sacco." "Ora vado indietro ad ammazzare quello sporco..." Cercò di rialzarsi ma ricadde all'indietro contro la parete. "Non puoi far niente, adesso" disse la voce. "Sarà per un'altra volta. Parlo chiaro, no? Cerco di aiutarti" Anthony annuì. "Ed è meglio che tu vada a casa. Hai perso un dente, stanotte, amico. Lo sapevi?" Anthony si esplorò la bocca con la lingua per verificare la dichiarazione. Poi con uno sforzo alzò la mano e individuò il buco. "Ora ti porto a casa, amico. Dove abiti. . ." "Oh, perdio, perdio" interruppe Anthony stringendo con ardore i pugni. "Gliela farò vedere a quegli sporcaccioni. Aiutatemi a fargliela vedere e vi ricompenserò. Mio nonno è Adam Patch, di Tarrytown..." "Chi?" "Adam Patch, perdio!" "Vuoi andare fino a Tarrytown?" "No." "Be', dimmi dove vuoi andare, amico, e ti metterò in un taxi." Anthony vide che il suo samaritano era un individuo basso, dalle spalle larghe, malvestito. "Dunque, dove abiti?" Pur ubriaco e scosso com'era, Anthony capì che il suo indirizzo non sarebbe stato granché, accanto alla sua strana vanteria sul nonno. "Chiamatemi un taxi" ordinò tastandosi le tasche. Si avvicinò un taxi. Di nuovo Anthony cercò di alzarsi, ma la caviglia si piegò senza forza, come spaccata in due. Il samaritano lo aiutò a salire... e salì dietro di lui. "Sta' a sentire, amico, sei sbronzo e coperto di botte, e non sei in grado di tornare a casa se non ti ci porta qualcuno, così verrò con te e so che tu saprai essere riconoscente. Dove abiti?" Con qualche riluttanza Anthony diede l'indirizzo. Poi, quando il taxi si mise in moto appoggiò la testa sulla spalla del samaritano e piombò in un torpore nebuloso, penoso. Quando si svegliò il samaritano l'aveva tolto dal taxi davanti all'alloggio di Claremont Avenue e cercava di farlo stare in piedi. "Riesci a camminare?" "Sì... mi pare di sì. E' meglio che non entriate con me." Di nuovo si tastò sgomento le tasche. "Sentite" continuò con tono di scusa oscillando pericolosamente sui piedi. "Ho paura di non avere un soldo." "Cosa?" "Sono senza soldi." "No! Non mi avevi promesso che mi avresti ricompensato? Chi pagherà il taxi?" Si voltò verso l'autista per avere una conferma. "Non gli avete sentito dire che mi avrebbe ricompensato? Tutto quel discorso sul nonno?" "In realtà" borbottò Anthony imprudente, "siete stato voi a fare tutto il discorso; comunque, se venite qui domani..." A questo punto l'autista si sporse dal taxi e disse con ferocia "Ma pigliatelo a pugni, quell'ubriacone da quattro soldi. Se non fosse uno straccione non l'avrebbero cacciato fuori." In risposta a questo suggerimento, il pugno del samaritano scattò come una catapulta e fece precipitare Anthony sui gradini della casa, dove egli rimase immobile mentre gli alti edifici oscillavano qua e là sul suo capo... Dopo un lungo periodo di tempo si svegliò e si accorse che faceva molto più freddo. Cercò di muoversi ma i muscoli si rifiutarono di agire. Era stranamente ansioso di sapere l'ora, ma quando cercò l'orologio trovò la tasca vuota. Involontariamente le labbra mormorarono la solita frase: "Che nottata!" Per incredibile che possa parere, la sbronza gli era quasi passata. Senza muovere la testa alzò lo sguardo verso il punto in cui la luna era ancorata nel mezzo del cielo, riversando la luce nella Claremont Avenue come nel fondo di un abisso profondo e inesplorato. Non c'era segno né rumore di vita, salvo il ronzio continuo che si sentiva nelle orecchie, ma dopo un momento Anthony stesso ruppe il silenzio con un mormorio preciso e strano. Era il suono che aveva ripetutamente cercato di emettere laggiù al Boul' Mich', quando era stato di fronte a Bloeckman: il suono inconfondibile di una risata ironica. E sulle labbra contuse e sanguinanti fu come un pietoso sforzo di vomito dell'anima. Tre settimane dopo terminava la causa. Dopo essersi svolto per un periodo di quattro anni e mezzo, il gomitolo apparentemente interminabile della burocrazia legale si spezzò di colpo Anthony e Gloria e dall'altro lato Edward Shuttleworth e una squadra di eredi testimoniarono e mentirono e fecero trucchi in vari gradi di abilità e di disperazione. Anthony si svegliò una mattina di marzo rendendosi conto che il verdetto sarebbe stato emesso quel pomeriggio alle quattro, e al pensiero si alzò dal letto e incominciò a vestirsi. Al suo nervosismo estremo si mescolava un ottimismo ingiustificato sui risultati. Era persuaso che la sentenza precedente sarebbe stata modificata, non fosse che per la reazione determinata dal proibizionismo eccessivo, iniziata di recente contro le riforme e i riformatori. Contava di più sugli attacchi personali sferrati contro Shuttleworth che sugli aspetti più puramente legali della procedura. Quando si fu vestito si versò un bicchiere di whisky e poi andò nella camera di Gloria, già sveglia. Gloria era a letto da una settimana a viziarsi da sé, immaginava Anthony, nonostante il dottore avesse detto che era meglio non disturbarla. "Buon giorno" mormorò Gloria senza sorridere. Aveva gli occhi insolitamente grandi e scuri. "Come stai?" chiese lui sgarbato. "Meglio?" "Sì." "Molto?" "Sì." "Ti senti di venire al processo con me, quest'oggi?" Gloria annuì. "Sì. Vorrei venire. Ieri Dick mi ha detto che se faceva bel tempo sarebbe venuto in macchina per farmi fare una passeggiata nel Central Park... E guarda, la stanza è piena di sole." Anthony guardò meccanicamente fuori della finestra e poi sedette sul letto. "Dio, come sono nervoso!" esclamò. "Per favore, non sederti lì" disse Gloria in fretta. "Perché?" "Puzzi di whisky. Mi dà noia." Anthony si alzò distratto e uscì dalla stanza. Poco dopo lo chiamò ed egli uscì e le portò un po' d'insalata russa e di pollo freddo dalla rosticceria. Alle due arrivò la macchina di Richard Caramel al portone e, quando Dick li chiamò al telefono, Anthony accompagnò Gloria in ascensore e giunse con lei fino alla curva. Gloria disse al cugino che era gentile da parte sua portarla fuori in macchina. "Non fare la stupida" rispose Dick, senza dare importanza alla cosa. "Non è niente." Ma non era vero, ed era strano. Richard Caramel aveva perdonato a tanta gente tante offese. Ma non aveva mai perdonato alla cugina Gloria Gilbert una dichiarazione fatta poco prima del matrimonio, sette anni prima. Gloria aveva detto che non intendeva leggere il libro. Richard Caramel lo ricordava: aveva continuato a ricordarlo per sette anni. "A che ora ritornerai?" chiese Anthony. "Non ritorneremo" rispose Gloria. "Ci incontreremo laggiù alle quattro." "Va bene" mormorò Anthony, "arrivederci." Disopra trovò una lettera che lo aspettava. Era un avviso ciclostilato che incitava "i ragazzi", in un linguaggio condiscendente e discorsivo, a versare le quote all'Associazione degli ex combattenti. Anthony lo gettò con impazienza nel cestino della carta straccia e sedette coi gomiti sul davanzale a guardare, senza vederla, la strada soleggiata. Italia: se la sentenza era favorevole a loro, significava Italia. La parola era diventata per lui una specie di talismano, una terra in cui le preoccupazioni insopportabili della vita sarebbero cadute come un vestito vecchio. Sarebbero andati per prima cosa nelle stazioni balneari e avrebbero dimenticato nella folla brillante e strana i grigi ricordi della disperazione. Completamente rinnovato, avrebbe passeggiato in Piazza di Spagna al tramonto, procedendo nella marea di donne brune e mendicanti stracciati, di austeri frati scalzi. Il pensiero delle donne italiane gli diede una lieve emozione: ora che il portafogli era di nuovo gonfio, anche l'avventura poteva tornare ad appollaiarvisi: l'avventura di canali azzurri di Venezia, di colli verdedorati di Fiesole dopo la pioggia, e di donne, donne che mutavano, si cancellavano, si fondevano in altre donne e uscivano dalla sua vita, ma erano sempre belle e sempre giovani. Ma gli pareva che ci sarebbe stato qualcosa di diverso nel suo atteggiamento. Tutte le disgrazie che aveva passato, il dolore e la sofferenza, erano stati causati dalle donne. Era qualcosa che esse esercitavano su di lui in modi diversi, inconsciamente, quasi per caso forse perché lo trovavano malleabile e spaventato, uccidevano in lui le cose che potevano minacciare il loro dominio assoluto. Voltandosi dalla finestra affrontò la sua immagine riflessa nello specchio, contemplando scoraggiato la faccia scarna biancastra, gli occhi col loro zig zag di linee che parevano membrane di sangue coagulato, la figura curva e flaccida la cui stessa mollezza era documento di letargo. Aveva trentatré anni: ne dimostrava quaranta. Be', tutto sarebbe stato diverso. Il campanello suonò d'improvviso e Anthony sussultò come se gli fosse stato sferrato un colpo. Riprendendosi andò in corridoio ed aprì la porta. Era Dot. L'incontro. Retrocedette davanti a lei fino al soggiorno, comprendendo solo una parola ogni tanto del lento diluvio di frasi che ella riversava senza interrompersi,l'una dopo l'altra, in un'insistente monotonia. Era vestita con decente povertà: un cappellino penoso, adorno di fiori rosa e celesti, le copriva e nascondeva i capelli neri. Anthony dedusse dalle sue parole che qualche giorno prima ella aveva letto sul giornale un articolo relativo alla causa e aveva avuto l'indirizzo di Anthony dal cancelliere della Corte d'Appello. Aveva telefonato nell'alloggio e una donna alla quale ella si era rifiutata di lasciare il nome le aveva detto che Anthony era fuori. Nel soggiorno Anthony si fermò accanto alla porta guardandola con una specie di orrore stupefatto mentre ella continuava a parlare... La sensazione predominante da lui provata era che tutta la civiltà e le regole convenzionali che lo circondavano fossero stranamente irreali... Lavorava in un negozio di modista nella Sesta Avenue, disse Dot. Era una vita solitaria. Era stata ammalata a lungo, dopo che egli era partito per il campo Mills; la madre era venuta a prenderla e l'aveva portata in Carolina... Era venuta a New York con l'idea di trovare Anthony. Parlava paurosamente sul serio. Gli occhi violetti erano rossi di lacrime; la tonalità tenera della voce era spezzata da piccoli singhiozzi ansanti. Ecco tutto. Non era mai cambiata. Lo desiderava, adesso, e se non poteva averlo si sarebbe uccisa... "Ora fili via" disse Anthony alla fine, parlando con intensità tortuosa. "Ho abbastanza preoccupazioni, in questo momento, senza che ti ci metta anche tu! Dio santo! Devi andar via!" Singhiozzando Dot sedette su una poltrona. "Ti amo" gridò; "non m'importa quello che mi dici! Ti amo." "Non me ne importa niente!" strillò Anthony. "Vattene... vattene! Non mi hai dato abbastanza guai? Non... me... ne... hai... dati... abbastanza?" "Picchiami" lo implorò Dot follemente, stupidamente. "Oh picchiami e bacerò la mano con cui mi hai picchiato." La voce di Anthony si alzò fino a diventare uno strillo. "Ora ti ammazzo!" gridò. "Se non te ne vai ti ammazzo, ti ammazzo." C'era la follia nei suoi occhi, adesso, ma non intimidita Dot si alzò e fece un passo verso di lui. "Anthony! Anthony!..." Anthony fece un rumore stridente coi denti e si ritrasse come per balzarle addosso; poi, cambiando idea, si guardò attorno con gli occhi sbarrati, sul pavimento e la parete. "Ti ammazzo!" mormorava in brevi rantoli interrotti. "Ti ammazzo!" Pareva che mordesse la parola come per costringerla a materializzarsi. Finalmente preoccupata, Dot non cercò più di spingersi avanti ma incontrando gli occhi forsennati di lui fece un passo verso la porta. Anthony continuò a correre qua e là dal suo lato della stanza, sempre emettendo quella sua unica imprecazione. Poi scoprì quello che stava cercando: una sedia rigida di quercia che era lì accanto al tavolo. Lanciando un urlo roco l'afferrò, la volteggiò al disopra del capo e la scagliò con tutta la forza del furore contro la faccia bianca atterrita in fondo alla stanza... poi un buio spesso, impenetrabile, calò su di lui e cancellò pensiero, collera e follia tutto insieme: con un rumore schioccante quasi tangibile, la faccia del mondo cambiò davanti al suoi occhi... Gloria e Dick giunsero alle cinque e lo chiamarono per nome. Non udirono risposta: andarono nel soggiorno e trovarono una sedia con lo schienale spaccato distesa accanto alla porta e notarono che in tutta la stanza vi era una specie di scompiglio: i tappeti erano spostati, le fotografie e i bric-à-brac erano disordinati sul tavolo. L'atmosfera era resa dolciastra da un profumo da pochi soldi. Trovarono Anthony seduto in una chiazza di sole sul pavimento della stanza da letto. Davanti a lui, aperti, erano distesi i suoi tre grandi album di francobolli e quando essi entrarono Anthony stava immergendo le mani in un gran mucchio di francobolli che aveva tolto da uno degli album. Alzando lo sguardo e vedendo Dick e Gloria, piegò la testa da un lato con aria critica e fece cenno che si allontanassero. "Anthony" gridò Gloria esaltata. "Hanno capovolto la sentenza!" "Non entrate" mormorò Anthony con voce fievole. "Li sciupereste. Li sto scegliendo, e so benissimo che ci camminereste sopra. Si sciupa sempre tutto." "Che cosa stai facendo?" chiese Dick sbalordito. "Ritorni all'infanzia? Non capisci che hai vinto la causa? Hanno riformato la sentenza della Corte d'Appello. Rappresenti un valore di trenta milioni di dollari." Anthony si limitò a guardarlo con aria di rimprovero. "Chiudi la porta, quando esci." Parlava come un bambino furbo. Con un lieve orrore negli occhi, Gloria lo fissò... "Anthony!" gridò. "Che cosa c'è? Che cosa è successo? Perché non sei venuto?... Perché, che cosa c'è?" "State a sentire" disse Anthony sottovoce, "andatevene via... subito, tutti e due. Se no, lo dico al nonno." Sollevò una manciata di francobolli e li lasciò cadere attorno a sé come foglie multicolori e vivaci, a volteggiare e fluttuare giocondamente nell'aria piena di sole francobolli d'Inghilterra e dell'Ecuador, del Venezuela e della Spagna... d'Italia... Con le rondini. Quella squisita ironia del cielo che ha registrato il succedersi di tante generazioni di rondini, senza dubbio raccoglie le inflessioni verbali più sottili dei passeggeri di navi, come il "Berengaria". E senza dubbio era in ascolto quando il giovanotto col berretto scozzese attraversò in fretta il ponte e parlò con la bella ragazza vestita di giallo. "E' lui" disse, indicando un uomo infagottato, seduto in una sedia a rotelle accanto al parapetto. "E' Anthony Patch. E' la prima volta che sale sopra coperta." "Oh... è lui?" "Sì. E' stato un po' matto, dicono, da quando ha avuto il denaro quattro o cinque mesi fa. Capisci, l'altro, Shuttleworth, quello religioso, che non ha avuto il denaro, si è chiuso in una stanza d'albergo e si è sparato..." "No!..." "Ma non credo che a Anthony Patch importi molto. Lui ha avuto i suoi trenta milioni. E ha portato con sé il suo medico privato nel caso non si sentisse bene. E lei, è venuta sopra coperta?" La bella ragazza vestita di giallo si guardò attorno con aria circospetta. "Era qui un minuto fa. Aveva addosso una pelliccia di zibellino russo che deve costare un piccolo patrimonio." Corrugò le ciglia e soggiunse senza esitare "Non riesco a sopportarla. Sembra... tinta e sudicia, se capisci quel che voglio dire. C'è gente che ha quell'aspetto, che lo sia o no". "Sì, capisco" convenne l'uomo col berretto scozzese. "Però non è tanto brutta." Si interruppe. "Chissà a che cosa sta pensando lui: ai suoi quattrini, immagino, o forse ha qualche rimorso per quel Shuttleworth." "E' probabile..." Ma l'uomo col berretto scozzese si sbagliava. Anthony Patch seduto accanto al parapetto a guardare il mare, non pensava ai quattrini, perché gli era accaduto molto di rado in vita sua di preoccuparsi sinceramente di vanità materiali, e neanche a Edward Shuttleworth, perché è meglio guardare il lato bello di queste cose. No: riandava una serie di ricordi, come un generale può ricostruire una campagna fortunata e analizzarne le vittorie. Pensava alle difficoltà, alle tribolazioni insopportabili che aveva dovuto subire. Avevano cercato di fargli scontare gli errori di giovinezza. Era stato esposto alla miseria spietata, la sua stessa sete d'amore era stata punita, gli amici l'avevano abbandonato... Perfino Gloria si era messa contro di lui. Era stato solo, solo... ad affrontare ogni cosa. Soltanto qualche mese prima la gente lo incitava a rinunciare, a sottomettersi alla mediocrità, a lavorare. Ma lui sapeva che aveva ragione a vivere così: e non si era lasciato smuovere. Così proprio gli amici che erano stati più sgarbati di tutti erano tornati a rispettarlo, a sapere che aveva sempre avuto ragione. Non erano forse venuti a trovare lui e Gloria al Ritz-Carlton, una settimana prima che partissero, i Lacy e i Meredith e i Cartwright-Smith? Aveva gli occhi pieni di grosse lacrime e la voce tremula quando mormorò fra sé: "Gliel'ho fatta vedere" diceva. "E' stata una lotta dura, ma non ho ceduto e ce l'ho fatta.". ********** Traduzioni telematiche a cura di Rosaria Biondi, Nadia Ponti, Giulio Cacciotti, Vincenzo Guagliardo