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Cinquanta sfumature di Mr Grey – LIBRO 2

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Cinquanta sfumature di Mr Grey – LIBRO 2
Cinquanta
sfumature di
Mr Grey
LIBRO SECONDO
Capitolo 1
Non so da quanto tempo sono seduto sul pavimento
della mia Stanza dei giochi. Le spalle appoggiate alla
parete dietro di me, proprio accanto alla porta. Una
gamba è distesa davanti a me, l’altra è piegata in modo da
sorreggere il mio avambraccio, che ciondola
pesantemente. Davanti a me, intorno a me, un cumulo di
oggetti gettati all’aria, lenzuola rosse stracciate e una
solitudine che riflette quella che sento dentro. Non che
nella mia vita mi sia mai sentito meno solo. Ma quello che
provo ora è qualcosa di diverso. Qualcosa che non avevo
mai provato prima. Prima di Anastasia. Se n’era andata.
Lo aveva fatto davvero. Mi aveva prima illuso, dicendomi
che non sarebbe mai andata via, inducendomi ad
abbassare la guardia, ad abbattere il muro che avevo
costruito così bene e che teneva tutti alla larga da me. E
poi se n’era andata. E mi aveva lasciato uno squarcio nel
petto profondo, enorme. Qualcosa con cui ora non volevo
fare i conti. Quando aveva messo piede fuori dalla mia
porta per qualche attimo avevo creduto che fosse tutto
finito. Che sarebbe stato come le altre volte. Che mi sarei
girato e sarebbe passata. Ma dentro di me sapevo che era
una bugia. Lo sapevo anche quando mi ero stupito di non
provare dolore, o sollievo. O qualsiasi cosa somigliasse
vagamente ad un’emozione. Per anni non ne avevo
provate. E ora mi ritrovavo in preda a quella che potevo
definire “mancanza di emozione” o “mancanza di
Anastasia”. Che poi era come dire la stessa cosa. E così,
quando la fitta di dolore mi aveva aperto il petto
all’improvviso, ero venuto nell’unico posto in cui riuscivo
a domare i miei demoni. Ma questi ultimi avevano deciso
di non collaborare. E ora mi ritrovavo con una stanza
distrutta, un corpo distrutto e un’anima distrutta. “Ha
distrutto molte cose, la ragazzina con gli occhi da
cerbiatto”. In tutto questo dolore, trovo anche la forza di
lasciarmi scappare un sorriso mesto. Sorriso è una parola
grossa. É un ghigno sbilenco. Non lo vedo, ma posso
sentirlo da solo. Le mie membra si sono appesantite e
addormentate a furia di essere inattive. So che dovrei
alzarmi da qui, dovrei. Non ho la più pallida idea di che
ore siano. Il mio BlackBerry ha vibrato diverse volte. Ma
non mi importa un fottuto cazzo di chi possa voler parlare
con me. Io non ho voglia di parlare con nessuno. Ho
voglia solo di lei. Che mi ha appena distrutto la vita, per
inciso. Ma non importa. Potrebbe anche calpestarmi quel
briciolo di anima che ancora mi resta. Tutto pur di tenerla
ancora anche solo una volta tra le mie braccia. Lascio
sbattere la testa contro il muro dietro di me,
pesantemente. “Perché? Perché, Anastasia? Io stavo bene,
non avevo bisogno di nessuno. E tu sei arrivata, hai
mandato la mia vita a puttane, mi hai lasciato aver
bisogno di te. E poi sei fuggita. Come tutti gli altri”. Il mio
cervello tenta di darmi una mano nel modo che
preferisce. Sbattendomi in faccia la realtà, da saputello
egocentrico quale è. ‘Le hai fatto un male cane con quella
cinghia. E sì, lei te lo aveva chiesto, ma in qualità di suo
fottuto dominatore dovresti sapere cosa è meglio per lei.
E sapevi benissimo, mentre ansimavi di piacere sbavando
sul suo culo rosso fuoco, che quello non era il meglio per
Anastasia. Avresti dovuto fermarti anche senza nessuna
safeword. Avresti dovuto. Ma sei uno squallido pervertito
e ti piaceva cosa le stavi facendo. Ti piaceva vederla
soffrire, perché lei si era presa così tanto di te. Perché si
era addentrata troppo oltre, troppo dentro. Voleva
toccarti. E tu volevi quel tocco. Ma non potei permetterle
di renderti ancora più vulnerabile di quanto non sia
diventato nelle ultime settimane’. Quel pensiero mi
riscuote leggermente dal mio torpore. “Io non sono
vulnerabile. Io non voglio tornare ad essere vulnerabile.
Ho faticato tanto per avere il pieno controllo di me stesso
e della mia vita. Ora non sarà di certo una Miss Steele
qualunque a mandare tutto a puttane”. Eppure è così.
Perché lei può anche avermi lasciato, ma io sono certo
che nessun’altra potrà prendere mai il suo posto. Non
voglio avere più niente a che fare con questa stanza. Con
il mondo intero se è per questo. Ma quello, purtroppo,
non posso chiuderlo a chiave dietro una porta.
A fatica riesco ad alzarmi dalla mia scomoda posizione
sul pavimento. Il mio sguardo si poggia sulle piccole sfere
d’argento che avevo riportato qui dentro dopo averle
usate con lei. Le sfioro con le dita, come se fossero una
reliquia. Le avevo comprate apposta per lei. Per metterle
addosso quella voglia di fare sesso, che le arrossava le
guance e le accendeva gli occhi di un desiderio cupo,
nascosto. Senza stare troppo a pensarci le afferro e le
infilo in tasca. Poi esco, chiudendo bene la porta dietro di
me. La mia mano indugia un po’ sulla maniglia. Ma la mia
decisione è presa. A me questa stanza non serve. Non
senza di lei. Infilo la chiave nella serratura e chiudo a
doppia mandata. Poi penso al casino che ho lasciato
dietro di me. “Ecco. Ecco un’altra cosa che ho distrutto e
ora tento di nascondere per convincermi che ho una vita
perfetta”. Scendo di corsa le scale.
«Taylor!» sbraito una volta arrivato in salotto.
Il mio fidato collaboratore ci mette meno di un
secondo a comparire. Mi rendo a malapena conto,
girandomi, che Gail è in cucina, il bancone è
apparecchiato. “Perché è ancora qui? Oggi è sabato. Oggi
dovrebbe esserci solo Ana con me”.
«Mr Grey» mi dice Taylor, fissandomi con uno sguardo
indagatore.
Gli tendo la chiave, tenendola con la punta delle dita,
come se scottasse. E in un certo senso è così.
«Devi occuparti della mia stanza al piano superiore.
Quando hai finito riponi la chiave al suo posto»
Non voglio più usarla, ma non ho voglia che resti in
quello stato. Non ho bisogno di dire a Taylor di quale
stanza io stia parlando. E neppure in che modo deve
occuparsene. Lo saprà. Taylor sa sempre tutto. Senza
aggiungere altro mi siedo al bancone. Mrs Jones sembra
riscuotersi da un sogno ad occhi aperti all’improvviso.
Non un bel sogno, a giudicare dalla sua faccia. Armeggia
con il microonde e, pochi attimi dopo, il mio piatto è
pieno di fettuccine. Più che mangiare, ingoio, senza
sentire nessun sapore. E quando ho terminato mi alzo in
silenzio.
«Non c’è bisogno che tu resti qui, Gail. Hai il weekend
libero. E anche Taylor».
Mi volto e pesantemente mi trascino fino a rintanarmi
nel mio studio. Sbattendo la porta dietro di me,
ovviamente. É l’unico modo in cui posso sfogare la mia
rabbia repressa al momento. Mi fiondo sulla mia
scrivania, tirando fuori il cellulare dalla tasca. Ho quattro
chiamate perse e, per un attimo, un solo attimo, penso
che magari almeno una possa essere di Anastasia. Ma no.
Sono tutte di Welch, invece. “Cristo, Leila!”. Me n’ero
completamente dimenticato. Mi affretto a richiamarlo.
«Welch, Grey»
«Mr Grey, ho provato a richiamarla come da accordo.
Volevo solo ragguagliarla sulla vicenda. Nessuna novità
purtroppo»
Le sue parole mi mandano ancora più in bestia se è
possibile. Rimango ad ascoltarlo ancora per qualche
minuto, senza sentire quasi quello che mi dice. Ho un
solo pensiero in testa. Anastasia. Quando chiudo la
chiamata, guardo l’orario sul display del mio telefono.
Sono le tre di pomeriggio. Mi accascio contro lo schienale
della mia sedia di pelle nera e gli occhi mi cadono sulla
scrivania. La stessa scrivania dove cinque giorni fa l’ho
scopata brutalmente. La stessa scrivania dove le ho
permesso di abbattere le mie barriere, di squarciare via i
miei dubbi. Di possedermi anima e corpo. La gola mi si
serra. Un dolore bruciante mi assale e quasi mi toglie il
respiro. Non posso. Non posso pensare di vivere senza di
lei. Non saprei come fare. Non è rimasto nulla di quello
che sono stato fino a quella mattina in cui quel paio di
occhi azzurri mi sono caduti tra le braccia. Chiudo gli
occhi ed è peggio. Perché riesco ancora vederla, a
vedermela addosso, sentire il suo profumo così buono. Il
calore che mi trasmetteva la sua candida e morbida pelle
sulla mia. Le sue labbra rosee, perfette, strette nella
morsa dei suoi denti. La sento ridere, come una bambina,
felice. E poi d’un tratto, tutto crolla. Tutto si frantuma
allo schioccare della mia cinghia. Davanti al dolore che le
infliggo volontariamente. Apro gli occhi di scatto. Ho
bisogno di andare a correre. Esco in fretta dallo studio e
mi fiondo in camera mia. Apro freneticamente la cabina
armadio e, quando ne esco, indosso la mia tuta grigia. Mi
avvicino al comodino per prendere il mio iPod. E in quel
momento lo vedo. Un piccolo pacchetto. Un regalo. I miei
occhi si stringono, doloranti, mentre mi siedo
pesantemente sul bordo del letto. Allungo la mano
tremante e prendo il pacchetto. C’è anche un biglietto. É
suo, scritto a mano, con una calligrafia un po’ incerta.
Questo mi ha ricordato un momento felice
Scarto il regalo, senza stare troppo a pensare al
pacchetto. Si tratta di un modellino di aliante,
perfettamente identico a quello sul quale abbiamo volato
pochissimi giorni fa. Per un attimo il dolore si fa
insopportabile. Le mie dita accarezzano il biglietto, la sua
grafia. É l’unica cosa che mi ha lasciato. Ogni lettera
incisa su quel foglio strappato dal suo bloc-notes che le ho
visto diverse volte tra le mani mi fa maledettamente male.
Mi lascio pesantemente ricadere all’indietro, affondando
sul materasso. Con un braccio mi copro gli occhi. “Cosa
cazzo ho fatto?”. Il dolore mi opprime il torace e salto in
piedi, sfilando via la maglia. Ma l’oppressione è sempre lì.
Nel petto, ai polmoni, brucia in gola. E fa male. Non ho
mai provato tanto male in vita mia. Mai. Neppure da
piccolo. Neppure le torture di quel lurido verme facevano
così male. Nulla ha mai fatto così male. Cado in
ginocchio. E sbatto sul pavimento, ma non importa.
Neppure il dolore fisico fa male come il suo abbandono.
Accarezzo piano la scatolina contenente i pezzi
dell’aliante che mi ha regalato. E l’unica cosa che posso
fare, che riesco a fare, mentre il mio mondo riprende la
sua corsa verso il fondo, è aprirla e iniziare a costruirlo.
Le mie dita tremano leggermente, mentre rimango a
terra, seduto e inizio il mio lavoro certosino.
Ho praticamente perso la cognizione del tempo,
quando, nel silenzio che mi avvolge, il mio telefono
squilla. Lo afferro credendo si tratti di lei. Ma no. É
soltanto Elena. E sono passate da poco le 23. Forse mi
farà bene parlare con qualcuno che mi capisca. Che mi ha
sempre capito.
«Elena» rispondo, senza essere sicuro di riuscire a
mascherare il tremolio della mia voce.
«Christian...»
Ecco. Non ci sono riuscito.
«Tesoro, ti aspettavano tutti stasera. Cosa è successo?»
mi chiede, in ansia.
“Già, l’evento di beneficenza. Me n’ero completamente
dimenticato”. Involontariamente ripenso alla scatoletta
rossa che ho custodito gelosamente per quasi una
settimana. E alla fine è rimasta con me.
«Ana se n’è andata» le confesso, senza riuscire più a
tenermelo per me.
Il silenzio dall’altra parte mi opprime ancora di più se
possibile. Poi, finalmente, Elena si decide a darmi
conforto. O forse no.
«Questo può essere solo un bene, Christian. Per te e
per lei» sussurra, in un tono quasi sollevato.
«Ha detto che non mi avrebbe mai lasciato. Ha detto
che non avrebbe mai voluto andarsene...» mormoro
agitato. «Ha detto che mi amava» confesso alla fine.
Sento la sua sorpresa anche senza vederla.
«E tu?» chiede apprensiva.
«Le ho detto la verità, Elena. La cazzo di verità! Che
era sbagliato, che non poteva amarmi, che era sbagliato e
le avrei fatto solo del male. E lei è scappata via da me,
Cristo santo!» urlo in preda alla rabbia.
«Christian» esordisce autoritaria, prima di fare una
pausa. Il suo tono è quello da Dominatrice, lo riconosco.
Ma non ho voglia di giocare a questo gioco Mrs Lincoln.
«É un bene per te e per lei. Lei ti ama e forse anche tu
provi qualcosa di simile. Ma sarebbe una relazione
malsana e deleteria per entrambi»
“Oh, Cristo, Elena! Da che parte stai?”. Stringo forte gli
occhi e la mascella.
«Ho bisogno di una doccia, Elena. Ci sentiamo»
mormoro, chiudendo la chiamata prima che lei possa
replicare.
Lascio stare l’aliante per il momento e vado in bagno.
Mi spoglio lentamente, cercando di non far caso a
quell’innaturale freddo che non viene certo dall’esterno.
Mi infilo sotto il getto d’acqua calda e la lascio scorrere
sul mio corpo senza muovermi. Come se potesse lavare
via tutto. Ma so che non è così. Riesco solo a lasciarmi
andare e, poco dopo, mi ritrovo in ginocchio, nella doccia.
Non ne posso più. Non ce la faccio più a sentirmi così
debole, così vulnerabile di fronte ad ogni cosa. “Perché
mia hai reso così inetto, Anastasia? Perché mi hai portato
via la mia risolutezza e la mia forza d’animo? E perché
non hai portato anche me, via con te?”.
Quando mi decido ad uscire, la situazione non è
migliorata di molto, ma sono ansioso di tornare al mio
aliante. Che tra l’altro è così complicato da mettere in
piedi. Quasi quanto lei. Quando mi metto a gambe
incrociate sul letto, con addosso solo i pantaloni del
pigiama, mi scappa un sorriso triste. Niente potrebbe mai
superare il livello di complicazione che mi ha offerto
Anastasia nelle ultime settimane. Il desiderio che si è fuso
con la lussuria, con la paura, con la possessività,
diventando qualcosa di sconosciuto. Qualcosa che prima
di lei non avevo mai provato. Non so quante ore passo in
quella posizione. Costruire questo aliante mi ricorda il
nostro volo, la sua risata gioiosa. Mi ricorda l’intimità
della nostra bolla, che Leila ha poi fatto scoppiare. La mia
paura di renderla uguale a quel fantasma. E la
realizzazione del fatto che ci sono riuscito. O quasi. Forse
il fatto che di essersi allontanata è una cosa buona per lei.
E allora, se è per la sua felicità, io posso anche soffrire. Io
posso patire le pene dell’inferno pur di vederla felice. E
questo pensiero mi spinge ad impegnarmi in quello che
sto facendo. A mettere insieme i piccoli pezzi del
modellino che non vogliono stare al proprio posto. E lo
faccio. E vado avanti ad oltranza. Fino a che non sento le
dita e le gambe intorpidite. Ma finalmente il mio aliante è
completo. É finito. E anch’io sono finito. Di lei mi rimane
solo questo. E le sue parole, ancora una volta piene
d’affetto, su quel bigliettino stropicciato.
Stranito, mi rendo a malapena conto che la luce nella
stanza è decisamente cambiata. Un sole luminoso mi
abbaglia quando finalmente riesco a staccare gli occhi
dall’aliante. Guardo l’orologio e finalmente realizzo che
ho passato tutta la notte e parte della mattinata vicino a
quel modellino che ora è trionfalmente poggiato al centro
del mio letto. Avrei bisogno di dormire. Me lo
confermano le occhiaie che si riflettono nello specchio di
fronte a me quando vado in bagno a sciacquarmi il viso.
Ma ho quasi paura che addormentandomi io dimentichi
tutto. E non voglio. Ieri sera non ho cenato. E, anche se
questo va contro tutti i miei principi, non riesco a farlo
neppure oggi. Il mio stomaco è serrato. L’unica fame che
ho è quella di lei. Sono affamato di Anastasia, divorerei
qualsiasi briciola decidesse di concedermi. Ma lei ha
deciso di negarmi tutto. Vago senza una reale meta per
tutto l’appartamento. Fino a che non arrivo davanti alla
porta di legno scuro della Stanza dei giochi. Afferro la
maniglia. Ma non riesco a girarla. Sono come paralizzato.
Il panico mi tiene avvinto. Tutto quello che c’è dietro
quella porta mi ha portato via da Ana. Tutto lo schifo e la
depravazione che mi consumano da quando sono nato,
l’hanno contaminata e spinta via da me. “Io non ne posso
più. Io davvero non ne posso più”. Mi appoggio con la
mano libera allo stipite della porta, mentre l’altra sale
dalla maniglia alla mia gola che si è di nuovo serrata. Il
bruciore è totalizzante, pungente, mi attanaglia la bocca
dello stomaco. Mi allontano di poco dalla porta,
fissandola come in trance. E poi torno velocemente al
piano inferiore. Non so cosa fare. Sembro un’anima
errante in questa casa all’improvviso troppo grande e
vuota per me. Mi avvicino al bancone e, anche se non è
una grande idea bere a stomaco vuoto, mi verso un
bicchiere di vino. Per un attimo la mia gola si rilassa,
lasciando scorrere l’alcool. Ma so che non è un bene. Ho
già sperimentato l’esperienza. Il BlackBerry suona e
stringo gli occhi senza vedere chi mi chiama. Rispondo
soltanto. Sperando sia lei.
«Grey»
«Christian» la voce calda di mia madre mi avvolge
come un abbraccio.
Ed è strano che pensi ad un abbraccio, dato che a
malapena mi faccio sfiorare da lei.
«Mamma...» sussurro stranito, senza forze.
«Tesoro, che
preoccupata.
succede?
Stai
bene?»
mi
chiede
Mi riscuoto dal torpore. Non voglio che si preoccupi
per me.
«Certo. Sto bene. Dimmi pure» le dico, cercando di
sembrare di buonumore. Mentre dentro sto lentamente
agonizzando.
«Ok...» ma non sembra convinta. Per niente. «Ho solo
chiamato per ricordarti della festa di sabato prossimo. Ci
sarai, vero?» aggiunge poi, in tono più giovale.
«Certo, mamma. Non me la perderei per niente al
mondo» le dico, rassicurandola.
«Bene. Ovviamente porta Ana con te» mi dice. E
persino da qui sento il suo sorriso.
Non so cosa rispondere, e quindi resto in silenzio. Il
mio corpo trema al ricordo della speranza che avevo letto
nei suoi occhi e in quelli di Carrick e Mia. E, forse, anche
nei miei. Ma Ana è andata via, portandosi questa
speranza con sé.
«Vedrò cosa posso fare. Anastasia non ama questi
ricevimenti, mamma» mento, riuscendo a tenere fermo il
mio tono di voce.
Ma nessuno frega Mrs Trevelyan Grey, ne sono
consapevole.
«É tutto a posto con lei, Christian?» mi chiede in
apprensione.
Sospiro pesantemente.
«Ci sto lavorando, mamma» le dico chiudendo forte gli
occhi.
«Christian...» esita per un istante. Poi riprende con
rinnovata energia. «Christian, non lasciartela scivolare
tra le dita. Anastasia è una donna forte, bella,
indipendente. E tu sei così cocciuto. E possessivo. Non
lasciarti abbattere dalle difficoltà. Ti vuole bene. Anzi...
credo sia innamorata di te. E tu, Christian...» la voce le si
spezza, e sento un singhiozzo che mi uccide. «... tu la ami
allo stesso modo. E se te lo dico io, credimi. Sono tua
madre» finisce, tirando su col naso.
So che sta piangendo. E se sapessi farlo, giuro che
piangerei con lei.
«Se n’è andata, mamma. É scappata via da me. L’ho
ferita» sussurro riversando la mia angoscia nella mia
voce.
«Sei mio figlio, Christian. E non ricordo che ti sei mai
arreso di fronte alle difficoltà» mi intima. «É lei che vuoi,
quindi fai di tutto per riprendertela»
“Ti voglio bene, mamma. Ti voglio bene”. Ma non so
dirlo.
«Grazie» sussurro.
«Ti voglio bene, Christian. Chiamami se hai bisogno di
me» mi saluta dolcemente lei.
Chiude la telefonata. E so che lo fa a malincuore, ma sa
che ho bisogno di tempo per me stesso. Sospiro,
passandomi entrambe le mani nei capelli. “Ok, Christian.
Grace ha ragione. Tu non sei uno che si arrende davanti
agli ostacoli”. Devo riprendere in mano la mia vita.
Ultimamente è andato tutto a rotoli. Prendo il telefono e
compongo il numero di Welch. Risponde al primo squillo.
«Mr Grey, nessuna novità. L’avrei chiam...»
«Non è per questo che ti chiamo, Welch. C’è un’altra
faccenda della quale devi occuparti al momento» gli
rimbrotto contro.
Venti minuti più tardi ho tra le mani un intero
fascicolo contenente tutti i dati della SIP, la casa editrice
per la quale Ana inizierà a lavorare domani. “Ok. La mia
idea è malsana. É da patetico pervertito. Solo uno con una
mente deviata poteva pensare di cercare di acquisire
l’azienda per la quale la sua ex Sottomessa-FidanzataDonna.della.sua.Vita inizierà a lavorare”. Riapro il
fascicolo. Tutto sommato l’affare non è male. La società
rischierebbe di fallire a causa della crisi e dei
finanziamenti scarsi. E non voglio che la mia ragazza si
ritrovi col culo per strada a pochi mesi dall’inizio del suo
lavoro. ‘Non è la tua ragazza, Grey’. “Cristo, se lo so! Ma
io la rivoglio. E costi quel che costi, me la riprenderò”. Mi
alzo dalla mia scrivania, dove ora torreggia il modellino di
aliante, in attesa di prendere posto nel mio ufficio
domattina, e mi dirigo nella mia camera. Indosso la tuta
e, finalmente, mi decido ad uscire da questo maledetto
appartamento. Inizio a correre e non so per quanto tempo
lo faccio. O quale percorso faccio. Ma, alla fine, mi trovo
sul marciapiede, di fronte al suo appartamento. So che
non posso attraversare la strada e fiondarmi in casa sua
in questo modo. Anche se è quello che vorrei. Ma non
sarebbe giusto per lei. Le ho sconvolto la vita e quando
me la riprenderò, finalmente, voglio essere sicuro di
essere pronto per lei. Essere pronto a darle quello che
desidera. Ho bisogno ancora di un po’ di tempo, di vedere
Flynn, di calmarmi. Di tante cose. “Ma sono qui, Ana. Se
solo tu potessi vedermi, allora capiresti probabilmente.
Capiresti quello che ho capito dopo una vita intera. Che tu
sei l’unica. L’unica che voglio accanto. E che voglio
renderti felice per il resto dell’eternità”. A malincuore e
con molta fatica faccio dietrofront e torno all’Escala.
Quando esco dalla doccia, mi guardo allo specchio. Ho
la barba lunga e un aspetto orribile. Decido di mangiare
qualcosa. In frigo, ci sono delle baguettes che Gail mi
lascia premurosamente di scorta. Ne prendo una e ci
infilo dentro del prosciutto e del formaggio, mangiandola
seduto al bancone, mentre esamino il fascicolo della SIP.
“Mi prenderò cura di te, Ana. Che tu lo voglia o meno. Sei
la donna della mia vita, ora lo so. E io voglio essere
l’uomo della tua”. Quando il mio BlackBerry suona e
guardo da chi proviene la chiamata, alzo gli occhi al cielo.
Ma rispondo lo stesso.
«Elena...»
«Christian, tesoro... come stai?» chiede esitante.
«Non ho molta voglia di parlarne, Elena» le dico
seccamente.
«Christian... volevo solo esserti d’aiuto… io...»
La interrompo all’improvviso.
«Lo sei stata, Elena. E molto» La sento sorridere.
«Avevi perfettamente ragione su me e Ana» le dico
deciso.
«Christian» sussurra sollevata «...sono così felice che
tu abbia capito che lasciarla andare sia la cosa migliore
per te e per...»
«No, Elena. Non mi riferivo a questo» la interrompo
ancora una volta. «Avevi ragione. Sono innamorato di
lei».
Capitolo 2
Il silenzio tombale, dall’altra parte della cornetta, è
quasi assordante. Elena è sconvolta, quasi non respira. Lo
posso capire. Lo sono anch’io, in effetti. É come se l’avessi
tradita, come se dopo anni avessi voltato le spalle alla mia
salvatrice. E in un certo senso è così. Ma non posso fare
niente per impedire che questo avvenga. Non posso farne
a meno. Dopo tutto quello che è successo non posso non
ammettere che Anastasia è tutto ciò per cui vale la pena
vivere. Se lei non è con me, allora non serve che io resti in
vita. La mia vita non ha senso. Non più. Non esistono più
Sottomesse, stanze segrete, vendetta, un passato
tormentato. Io sono sempre un orrido mostro. Questo
non posso cambiarlo. Ma lei può. Lei mi rende migliore. E
io voglio riaverla.
«Christian... io...» Elena balbetta, senza sapere cosa
dire.
«Elena, scusami. Devo andare»
Chiudo vigliaccamente il telefono. Elena è una cara
amica. Forse troppo iperprotettiva. E in questo momento
non ho bisogno di sentirmi dire che la decisione che ho
preso potrebbe essere sbagliata. Perché la decisione che
ho preso è quella di riprendermi Ana per tutto il resto
della mia vita. Il resto della mia serata lo passo a cercare
di escogitare un modo per mettere in pratica quello che
mi sono prefisso di fare. Ma la mia mente sembra vuota.
Non mi sono mai trovato a fronteggiare determinati
sentimenti. “Ok, Christian. Cosa le farebbe piacere? Cosa
potrebbe sostituire le lacrime con un sorriso?”. La verità è
che so cosa potrebbe fare tutto questo. Basterebbe
lasciare che mi tocchi. Basterebbe essere capace di dire a
lei quello che ho detto ad Elena poco fa. Ma confessarlo
ad un’altra persona non è come pensare di dirlo a lei. Gli
altri possono giudicarmi, forse, guardarmi in modo
strano. Rimanere scioccati. Ma solo lei potrebbe
respingermi. E sono certo che lo farebbe. Perché ho fatto
il coglione. Le ho fatto del male e lei ha visto. Ha visto
quanto sono orrido, quanta perversione sono capace di
portarmi dentro. Le basterebbe una semplice parola per
allontanarmi definitivamente da lei. Devo solo riuscire a
trovare il modo giusto per farle capire davvero ciò che
provo. Ma come? Non sono mai stato bravo con le parole.
Da piccolo usavo la musica. E Grace mi capiva. Rideva
per me, quando ero felice. Ma soprattutto piangeva per
me quando ero triste. Piangeva quando ero troppo debole
per tenere lontani le bruciature di sigarette, l’essere usato
come un fottuto posacenere perché ero stato cattivo. Ero
nato. Grace piangeva per me quando io non potevo. O
non ci riuscivo. Semplicemente perché per quanto fossi
triste, nulla era più doloroso di quello che avevo già
subito. Magari anche per Anastasia potrebbe funzionare.
Forse anche lei può capirmi. Animato da una nuova forza
interiore, metto da parte relazioni e schemi di profitto e
apro il pc. Collego il mio iPod e inizio a scorrere le
canzoni una ad una. Ognuna di loro mi ricorda qualcosa.
E da quando Ana fa parte della mia vita, ho aggiunto
anche questi ricordi alle mie canzoni. La selezione mi
viene quasi naturale. Il Duetto dei fiori, il Marcello, tutti i
brani classici che ho ascoltato con lei. Mi soffermo su una
canzone. Try, della Furtado. Ricordo perfettamente il
momento che accompagna queste note. La mia
risolutezza nel decidere di provare a darmi una possibilità
con lei. E quella non era nulla in confronto alla
risolutezza che provo oggi al pensiero di volermela
riprendere. Non sopravvivrei a vederla con un altro. Deve
esser mia. Devo essere io per lei. Sorrido scorrendo i titoli
dei brani che sto scegliendo. Every breathe you take, dei
Police. Mi prenderà per uno stalker, ne sono certo. Dio
quanto mi manca la sua lingua biforcuta che non sta mai
zitta. Mai, neppure per un secondo. Faccio un profondo
sospiro, abbandonandomi contro lo schienale della
poltrona in pelle del mio studio. Alzo gli occhi, guardando
il soffitto immacolato. Ma chi voglio prendere in giro?
Anastasia non tornerà da me solo perché sto scegliendo
della musica per lei. Per quanto profonde possano essere
le sensazioni che voglio riuscire a trasmetterle, lei si
aspetta altro. Si aspetta di sentirmi dire che la amo. Che
voglio superare le mie paure. Che voglio che mi tocchi. E
io lo voglio. Voglio volerlo con tutte le mie forze. Ma, per
quanto sembra assurdo, quella piccola e fragile ragazzina
avrebbe il potere di spezzarmi del tutto. Avrebbe il potere
di mandarmi in frantumi, di riportarmi lì dove ero e da
dove ho faticato anni per rialzarmi. Non posso rischiare.
Non riesco a rischiare. Ancora, almeno. Spengo il
computer, abbandonando il mio idealistico gesto
romantico a sé stesso. Mi alzo, lanciando un ultima
occhiata all’aliante sulla scrivania. “Mi ha ricordato un
momento felice”. Tu sei il mio momento felice, Anastasia.
Sospiro di nuovo, come se buttare fuori l’aria dai polmoni
servisse ad espellere anche tutto il resto. Ma non
funziona. Non è assolutamente così che funziona. Mi
trascino in camera da letto, infilando in fretta i pantaloni
del pigiama e cercando di non badare al freddo che mi
avvolge le ossa. Ed è un freddo che non viene da fuori.
Sono io. Senza di lei sono un pezzo di ghiaccio. Senza il
suo calore sembra che il mio sangue abbia deciso di
smettere di scorrermi nelle vene. Fisso il soffitto del mio
letto, con gli occhi sbarrati. Credo passino ore, prima di
riuscire a cadere in un sonno tanto tormentato quanto
doloroso.
Lui è tornato. La mamma sta dormendo o sta di nuovo
male. Io mi nascondo, rannicchiandomi sotto il tavolo
della cucina. Attraverso le dita riesco a vedere la mamma.
Dorme sul divano. Tiene la mano sul tappeto verde
appiccicoso. Lui indossa gli stivaloni con la fibbia lucente
e si china su di lei urlando. Picchia la mamma con una
cintura.
“Alzati! Alzati! Sei una maledetta troia. Sei una
maledetta troia. Sei una maledetta troia. Sei una
maledetta troia. Sei una maledetta troia. Sei una
maledetta troia.”
La mamma singhiozza.
“Fermati. Per favore, fermati.”
La mamma non urla. La mamma si raggomitola
facendosi piccola. Io mi metto le dita nelle orecchie e
chiudo gli occhi. Il rumore cessa. Lui si gira e vedo i suoi
stivali che entrano in cucina con passo pesante. Mi sta
cercando. Si china e sorride. Ha un odore nauseante. Di
sigarette e di liquori.
“Eccoti qua, piccolo stronzo”.
Mi sveglio di soprassalto, con un urlo che riempie il
vuoto assordante della mia camera da letto. Ansimo,
sudato, con il cuore che batte all’impazzata. “Cristo!”. Mi
tiro giù dal letto freneticamente, sedendomi sul bordo. Il
mio corpo è percorso da brividi di dolore. E di paura. Un
rumore sordo ancora mi ronza nelle orecchie.
“Cazzo, sono tornati. Il rumore ero io.”
Faccio un respiro profondo, tentando di calmarmi. Di
liberarmi. “Non vi voglio qui. Andate via. Andatevene
via”. Ma è inutile. Lo sento. Sento la sua puzza, di
bourbon scadente e Camel stantie. Lo sento avvicinarsi.
Sento il suo alito sulla faccia. E le sferzate della cinghia
sulle mie spalle di bambino. Ma più di tutto sento la sua
indifferenza. Quella della puttana che mi ha generato. Mi
giro e mi rendo conto che il mio letto è vuoto. Le lenzuola
in disordine, stropicciate. Il cuscino sul bordo del letto, in
un’estenuante lotta con la forza di gravità per non cadere
sul pavimento. “Lei non c’è”. E allora vorrei non essermi
svegliato. Vorrei essere ancora bambino. Subire di tutto.
Perché nessun dolore è paragonabile alla mancanza di
Anastasia. Lentamente mi alzo, trascinandomi nella
cabina armadio. Ho le braccia stanche, le gambe pesanti.
Ma ho bisogno di alleviare la mia tensione. Infilo la tuta e
scendo nella palestra dell’Escala. Fuori il sole sta per
sorgere. Ho un po’ di tempo prima del lavoro. Inizio a
correre sul tapis roulant a velocità massima. Ho bisogno
di questo sforzo. Così evito di concentrarmi troppo su
quello che è successo. Evito di pensare che l’ho persa.
Cerco di fare una lista mentale delle cose che devo fare
oggi, ma anche i miei pensieri sono inconcludenti.
Mezz’ora dopo sono già sotto la doccia, a lasciarmi
scorrere l’acqua sulla schiena, senza trovare neppure la
forza di lavarmi. Mi sento un derelitto. Tutto quello che
non avrei mai voluto essere, ora mi guarda riflesso nello
specchio. Un uomo spento, vuoto, sopraffatto dal dolore.
Che non ha un reale motivo di vita. Non ho più nulla. Mi
trascino nell’altra stanza e impongo a me stesso di
vestirmi. Oramai il dolore diffuso al petto è parte di me da
quando lei se n’è andata. Ma non per questo fa meno
male. Mi sento abbandonato. Solo. Trascinato di nuovo a
forza in quel buio dal quale Anastasia mi ha tirato fuori
inconsapevolmente. Guardo allo specchio quel ragazzo di
28 anni che sembra averne mille. Dalla tasca dei
pantaloni tiro fuori il BlackBerry e mando un messaggio a
Flynn. Prima lo vedo, prima risolviamo questa faccenda.
Quando torno in cucina, Gail ha già preparato la
colazione. Mangio in rigoroso silenzio, ma non posso non
sentire il suo sguardo di pietà addosso per tutto il tempo.
Durante il tragitto verso lo studio di Flynn, anche Taylor
mi lancia qualche occhiata. Con discrezione, come nel suo
stile. ‘Bene, fai pena anche al tuo staff, Grey’. “Oh!
Rieccolo il mio sarcastico cervellino disturbato”. La
rabbia mi rende inquieto sul sedile. Guardo il modellino
di aliante poggiato accanto a me sul sedile. “Mi manchi,
Anastasia. Anche a me ricorda un momento felice.
Ricorda te”. Per fortuna il viaggio è breve. Scendo
sbattendo forte la portiera e salendo di corsa le scale
dell’edificio. Lo studio di Flynn è accogliente. Un
ambiente familiare nel quale mi sento a mio agio per la
prima volta da giorni.
«Buongiorno, Mr Grey»
La cordialità di Cinthya sarebbe contagiosa in altri
momenti. Ma ora riesce solo a strapparmi un debole
sorriso tirato seguito da un mugugno che vuole essere un
saluto. Lei mi scruta per un attimo, con la fronte
corrugata.
«Entri pure, Christian. Il dottor Flynn la sta
aspettando» aggiunge, tornando ad occuparsi delle
cartelle cliniche dopo avermi lanciato un ultima occhiata
indagatrice.
Non sono sicuro che Flynn non parli con lei di suoi
pazienti. Me lo sono sempre chiesto. Apro piano la porta,
come se scoprire quello che John mi dirà so già che sarà
un duro colpo. Il mio strizzacervelli è seduto alla sua
scrivania e mi fa un cenno con la mano, accompagnato da
un sorriso caloroso che gli si smorza non appena si rende
conto del mio aspetto. Rispondo con un cenno della testa
al suo saluto. Mi accomodo e lo fisso, in attesa della suo
invito a parlare.
«Che cosa non va, Christian?» mi chiede, tornando ad
occuparsi delle carte che ha davanti.
«John, io...» mi interrompo, cercando di riorganizzare
le idee. Ma ne ho solo una in testa. Ed è quella che riesco
a buttare fuori. «Ana se n’è andata».
Flynn alza lo sguardo dai fogli a me, scrutando a fondo
nel grigio dei miei occhi. Non so cosa vi vede. Forse
rabbia. Dolore. Mancanza di speranza.
«Ti ascolto» mi dice dopo qualche attimo di silenzio.
E inizio a parlare, come un fiume in piena. Gli racconto
del mio dolore, del suo, delle sue parole, di quanto mi
senta un orribile mostro senza scrupoli. Parlo per non so
quanto tempo. Ma quando finisco ho la gola secca. Stento
io stesso a riconoscermi. Flynn mi guarda imperturbabile.
«Dunque sei andato in Georgia per vederla, perché
quello era il tuo obiettivo. É ammirevole, Christian, come
tu abbia messo in pratica anni di terapia» mi dice alla
fine, guardandomi con sincera ammirazione.
«John... anni di terapia non mi hanno impedito di farle
del male non appena mi si è presentata l’occasione»
sbotto, agitandomi sulla poltrona di pelle.
«Io non la metterei proprio così. Questo potrebbe
essere un punto di svolta per te»
Lo guardo senza capire di cosa parla.
«Vedi, Christian, stare con Anastasia ti ha fatto capire
che avevi bisogno di altro. La tua vita, perfetta sino a quel
momento, è diventata all’improvviso troppo stretta per te.
Hai cercato di far quadrare le cose, di rimettere tutto in
una prospettiva che tu potessi giudicare giusta e
accettabile. Ma ti sei scontrato con la realtà dei fatti. Il tuo
vecchio stile di vita non è compatibile con Anastasia»
La fitta di dolore che provo, al sentire quelle parole,
basterebbe ad uccidermi. John mi guarda e fa una
risatina. Resto in silenzio, incapace di proferire parola.
«Devi solo ridefinire i termini, Christian. E io credo
che tu l’abbia già fatto. Hai lasciato andare quello che non
ti andava bene. E credimi, non è Anastasia»
Il sollievo si diffonde dentro di me come una
gigantesca onda di acqua gelata.
«Cosa vuoi dire, John?». La mia voce trema
leggermente e mi affretto a ricompormi.
«Voglio dire che appena hai capito che le cose non
potevano andare avanti in quel modo tu, Christian, hai
deciso di mettere una pietra sopra tutto. E ora vuoi
riprenderti Anastasia»
«É lei che ha messo una pietra sopra a tutto» sussurro,
con gli occhi bassi, all’improvviso afferrando quanto vere
siano le parole di Flynn. Non ho bisogno di niente che
non sia lei. Posso rinunciare a tutto, ma non a lei.
«Su questo avrei da ridire, Christian» mi sorride
gentile Flynn.
«Credo di essermi innamorato di lei, John» confesso,
perché so che queste quattro mura e il mio fidato
confessore non mi tradiranno.
«Questo lo so» mi dice lui, appoggiandosi allo
schienale della sua poltrona e fissandomi, con le dita
incrociate in grembo.
Alzo la testa di scatto, aggrottando la fronte.
«Christian, so che vorresti delle rassicurazioni da me.
Ma io non ho rassicurazioni da darti. Tu provi qualcosa
per Anastasia. E lei la prova per te, stando a quanto mi
hai detto. Ma le relazioni sono complicate. Potrebbe
funzionare. Oppure no. Sta a voi due scoprirlo insieme»
Sospiro profondamente. “Come diamine fa a sapere
sempre qual è la cosa giusta da dire?”.
Mentre mi dirigo in ufficio, chiamo Welch. Ancora
nessuna novità sul fronte Leila. Il mio umore è
abbastanza altalenante di suo e tutte queste
complicazioni mi rendono nervoso ed irritabile. Ripenso a
tutto quello che mi ha detto Flynn. “Sono davvero pronto
a lasciarmi tutto alle spalle? A buttare nel cesso anni
passati a controllarmi, a domare le mie emozioni. E per
quale risultato? Questo?”. Mi sento in preda ad un panico
costante ed opprimente. A cui non posso sfuggire. Sono
intrappolato nella mia stessa oscurità e non voglio e non
posso andare avanti. Non da solo, almeno. Scendo
dall’auto, stringendo la mia valigetta in una mano e
custodendo gelosamente il mio aliante nell’altra. Salgo in
ascensore e la presa attorno al modellino di legno
aumenta. É il mio unico legame con Anastasia. Attraverso
il corridoio ignorando il saluto enfatico di Olivia e
Andrea. Per fortuna oggi non ho appuntamenti
importanti, nulla che non si possa rimandare.
«Andrea, annulla tutti gli appuntamenti
programma. Lascia solo uno spazio per Bastille»
in
Prima che possa replicare sono già entrato nel mio
ufficio, sbattendo la porta dietro di me. Guardo la mia
scrivania per qualche attimo. Poi la sgombero da un lato.
Su uno degli scaffali bassi portadocumenti c’è il
piedistallo che ho fatto comprare da Taylor. Lo posiziono
al meglio, poggiandoci sopra il mio prezioso modellino. Il
dolore aumenta. Sto venerando un pezzo di legno come se
fosse lei. La rabbia si impadronisce di me. Agito un
braccio, mandando per aria dei documenti. “Cristo!”. Mi
allontano dalla scrivania, avvicinandomi alla finestra che
torreggia su Seattle. Le mie mani finiscono entrambe
nella matassa aggrovigliata dei miei capelli. Ho una
fottuta voglia di spaccare tutto. Di rendere tutto troppo
simile a quella devastazione che mi porto dentro. Mi
manca. Anche se la chiacchierata con Flynn ha fatto
riaccendere almeno un barlume di speranza in quel cuore
che non credevo più di avere, mi sento come se mi fossi
perso nel deserto e non riuscissi a vedere altro attorno a
me se non solitudine e desolazione. “Ok, Christian. Se lei
non vuole vederti, tu vedrai lei. A costo di costringerla.
Ma deve sapere cosa rappresenta per te”. Mi sposto
velocemente accanto alla scrivania e attivo l’interfono.
«Andrea, dì a Mike di procurarmi il rendiconto
finanziario della Seattle Indipendent Publishing. Tra
un’ora sulla mia scrivania»
Chiudo senza aspettare la risposta della mia assistente.
Non che mi aspettassi una replica comunque. Non la pago
per replicare. Sessantuno minuti più tardi ho in mano i
documenti che avevo richiesto. Più dettagliati di quelli
che ero riuscito a procurarmi da solo ieri sera. Trenta
ulteriori minuti dopo ho avviato la redazione di un piano
di acquisizione per la SIP. É un gesto folle, lo so. Ana non
approverebbe. Neppure Flynn. Cristo, nessuno dotato di
buon senso approverebbe. E non per motivi economici,
ma per i reali motivi per cui lo faccio. Ma devo. É l’unica
opportunità che ho al momento di costringerla a
rivedermi.
Anastasia
Sono passate ore da quando mi sono buttata a
capofitto su questo materasso. Mi sento un’estranea.
Eppure questo appartamento è mio. Mi viene quasi da
ridere al pensiero che mi ha appena colpito. Mi sento più
a casa nell’appartamento di Christian che qui, circondata
dalle mie cose. Ma non importa alla fine. Il dolore che
sento è senza fine. Non ho mai provato nulla del genere.
Per tutta la mia vita non mi sono mai avvicinata tanto a
qualcuno da permettergli di farmi così male. E ora è
successo. Ora è successo con l’unico uomo che io abbia
mai amato. L’unico che potrò mai amare. Christian Grey
mi ha lasciata. O io ho lasciato lui. Non l’ho neppure
capito. Quello che so è che ora non sono con lui. Ora non
sono dove vorrei essere. Tra le sue braccia. Anche senza
poterlo toccare, anche dovendo ingoiare a forza i miei
sentimenti pur di non rivelarglieli. Mi andrebbe bene
tutto in questo momento. Pur di riaverlo. Ma so che devo
essere forte. Per me stessa, per lui addirittura. Non sono
la donna giusta per lui. Non voglio che lui abbia bisogno
di picchiarmi per trovare un motivo per passare del
tempo con me. Voglio che mi ami. “Dio! É così assurdo!”.
Non so come ho potuto pensare anche solo per un attimo
che rivelarglielo sarebbe stato la cosa più giusta. Cosa mi
aspettavo? Che lui mi dicesse “Anch’io”? Cosa potrebbe
mai trovarci in me, se non il gusto di sottomettere
l’ennesima donna disposta a tutto per lui? Può avere di
meglio, molto meglio. Sono solo una stupida illusa. Solo
questo. Nient’altro. E vorrei sprofondare in questo
materasso, morire su questo letto, piuttosto che uscire di
casa ed incontrare di nuovo il grigio penetrante dei suoi
occhi. Stringo tra le dita il fazzoletto che mi ha dato
Taylor. Mi ricorda lui. Tutto mi ricorda lui. Guardo il
palloncino. Il mio personale Charlie Tango. É sgonfio. E
mi sento simile a lui. Lo abbraccio come se fosse lui.
Christian mi ha prosciugata. Si è preso la mia linfa vitale.
E ora io sono vuota. E sola. E non credo di essere capace
di vivere senza di lui.
Capitolo 3
Fisso il foglio che ho davanti sentendomi
maledettamente in colpa. La SIP ha appena dato l’avvio
alla trattativa. Per loro sono una manna dal cielo. Li sto
salvando dal fallimento sicuro dovuto alla crisi. Ma il
reale motivo che mi spinge a farlo mi fa sentire un fottuto
bastardo maniaco del controllo che sta tentando in tutti i
modi di costringere uno splendido angelo castano a dargli
retta. ‘Probabilmente Flynn ha fallito, Grey, e tu sei più
incasinato di quanto pensi’. E probabilmente il mio
cervello ha ragione. E tanto anche. Ma oramai è fatta.
Guardo l’orologio. Tra poco meno di mezz’ora ho
appuntamento con Bastille. Probabilmente dopo mi
sentirò molto meglio. Mi alzo, raccolgo i documenti nella
mia valigetta e mi infilo la giacca. Esco dal mio ufficio
lanciando un’ultima malinconica occhiata al modellino di
aliante in legno sulla mia scrivania. Mi fermo incerto
davanti alla scrivania della mia assistente personale.
«Andrea, ho bisogno che ti occupi di una consegna per
me» le dico in tono mesto.
Andrea si fa attenta, aprendo il blocco degli appunti e
prendendo una matita in mano.
«Dica pure, Mr Grey»
«Ho bisogno che ti occupi di una consegna per Miss
Anastasia Steele. Falle recapitare un mazzo di
ventiquattro rose a gambo lungo. Bianche. Voglio che
siano in un pacco chiuso. E anche un biglietto»
Mi fermo, perché non voglio sia lei a scriverlo. Voglio
che sia almeno un po’ personale. Un po’ solo nostro.
«Ti invio il biglietto per mail, Andrea, insieme
all’indirizzo di Miss Steele. Inoltralo semplicemente
all’agenzia per la spedizione»
Andrea annuisce solerte, mettendosi all’opera, mentre
io entro in ascensore. Prendo il BlackBerry e digito la
mail.
“Congratulazioni per il tuo primo giorno di lavoro. E grazie per
l’aliante. É stato un pensiero molto carino. Ha un posto d’onore
sulla mia scrivania. Christian”.
“E ti amo. E ti prego torna”. Ma questo non lo scrivo.
Lo tengo per me. Taylor è già in garage ad aspettarmi.
Faccio un salto nel mio appartamento per infilarmi la tuta
e poi scendo nella palestra dell’Escala, ad attendere
Bastille.
Un’ora più tardi ne esco sudato, spossato, e con il culo
dolorante per i calci presi da Bastille. Mi ha atterrato tutte
le sante volte. E i pugni non mi hanno neppure scalfito.
Sono diventato insensibile al dolore. Perché, di nuovo, ce
n’è un altro che lo supera. Salgo nel mio appartamento e
saluto Gail, dietro ai fornelli, che mi prepara la cena.
Sguscio in bagno e faccio una doccia rigenerante. Quando
esco infilo direttamente i pantaloni del pigiama. Mangio
la mia cena in completo silenzio, da solo, seduto al
bancone della cucina. Ho voglia di lei. Ho sempre voglia
di lei. Mi chiedo come ho fatto tutti questi anni ad
apprezzare la mia solitudine opprimente. ‘Solo non la
conoscevi, Grey’. Un lento ed oscuro malumore, misto a
depressione, si impadronisce di me. Ho perso tutto il mio
spirito combattivo. Mi sento così maledettamente
impotente. Così vuoto, spento. Non che prima di le cose
fossero migliori. Ma, almeno, non me ne preoccupavo.
Ora, invece, mi sembra di aver perso la mia sfida con il
mondo. A distrarmi dalla mia malinconia è il suono del
mio telefono. É Welch.
«Grey» rispondo meccanicamente,
null’altro che cattive notizie.
aspettandomi
«Mr Grey, sono Welch. Ancora nessuna buona notizia.
Miss Williams sembra sparita nel vuoto»
«Maledizione! Vi pago per trovarla, non per inviarmi
un bollettino negativo ogni dodici ore, Cristo santo!»
Non è da me urlare e sbraitare contro un membro del
mio staff. Ma mi rendo conto di averlo fatto solo alla fine.
Stringo gli occhi con dolore e frustrazione.
«Trovala, Welch!» sbotto bruscamente prima di
chiudere la conversazione.
Passo l’ennesima notte insonne, senza riuscire a
chiudere occhio. Senza riuscire a togliermi dalla testa il
suo sorriso, il suo sguardo, il suo piacere che raggiunge il
mio. Sento ancora il suo profumo nell’aria. Come se non
se ne fosse mai andata. Come se fosse ancora qui a
tentarmi con i suoi occhi da cerbiatta. Ora so cosa si
rischia a lasciare avvicinare le persone, a farle entrare
nella propria vita. E so anche che tutto quello che provo è
sbagliato. Tutto quello che sento è sbagliato. Non dovrei
neppure tentare di riaverla indietro. Devo lasciarle vivere
una vita dignitosa, al fianco di qualcuno che forse non la
amerà quanto me, ma almeno sarà degno del suo amore.
Quando mi alzo, ancora prima dell’alba, il riflesso che
mi guarda dallo specchio del bagno mi sconvolge. Ho la
barba di due giorni e zero volontà di farla. Ho lo sguardo
stanco, spento, le occhiaie. Un’espressione da funerale.
Non mi avvicino neppure lontanamente alle foto che mi
ritraggono sui giornali da anni. Forse, se qualche
paparazzo mi incontrasse, neppure mi riconoscerebbe.
Ma, nonostante questo, decido che anche per oggi il mio
aspetto va bene così. Non devo rendere conto a nessuno.
A niente e nessuno. Mi infilo sotto la doccia, sentendo
quasi il bisogno di annegarci dentro. Lascio che l’acqua
tenti di portare via da me il dolore, ma già so che il suo
tentativo è inutile. Il mio corpo è scosso da brividi di
freddo, nonostante la cascata calda che mi accarezza la
schiena. Sto male. Sto male senza di lei. Ho lo stomaco
attanagliato da una morsa continua, costante, sempre
presente. Il dolore è diventato parte di me. Una parte
molto più grande di quella che gli avevo riservato in
precedenza. Quando esco dal bagno, mi vesto
svogliatamente, indossando uno a caso dei mille completi
presenti nella mia cabina armadio. Mi dirigo nel mio
studio, tentando almeno di recuperare un po’ del lavoro
arretrato. É quasi del tutto inutile. Riesco a malapena a
compilare uno schema di profitto per l’acquisizione della
fabbrica a Taiwan, ma è poca roba in confronto al cumulo
di cose arretrate che ho da fare. Mi alzo e decido di
affrontare questa nuova giornata. Welch mi appena
spedito una mail con gli aggiornamenti. Ovviamente non
c’è neppure bisogno di dirlo. Leila non si trova. E ho
paura che invece lei possa trovare Anastasia. “Cristo! Ci
mancava una cazzo di squilibrata nella mia vita”. ‘Sei tu
che l’hai resa tale, Grey. La colpa è tua’. Sospiro
impotente, trascinandomi in cucina. Gail mi accoglie con
un sorriso caloroso.
«Buongiorno, Mr Grey»
«Buongiorno, Gail»
Non mugugno altro per tutto il tempo in cui resto
seduto al bancone, mangiando svogliatamente e senza
convinzione. Quando ho finito mi rivolgo a Mrs Jones.
«Per cortesia, Gail, avvisa Taylor che vado a piedi in
ufficio» Mi guarda sorpresa, ma annuisce in risposta,
aggrottando la fronte.
Recupero in fretta la mia valigetta e la giacca. Non è da
me camminare per andare al lavoro, ma ho bisogno di far
entrare aria fresca nei polmoni. Mi incammino nel
traffico pedonale delle otto e trenta a Seattle,
guardandomi a malapena intorno. La strada è piena di
gente immersa nei propri pensieri. I negozi pullulano di
clienti già a quest’ora. Alzo gli occhi, mentre mi fermo per
attraversare e, dietro di me, scorgo un negozio di
elettronica. In vetrina sono esposti gli ultimi modelli di
iPad. “Ad Anastasia ne servirebbe uno. Magari al posto
del suo vecchio e inseparabile bloc-notes”. Senza quasi
rendermene conto, inverto i miei passi ed entro nel
negozio. Ne esco qualche minuto più tardi con due nuovi
gioiellini dell’elettronica. Ne ho preso uno anche per me,
identico al suo. ‘Come se potessi darglielo, poi, Grey’.
Stringo gli occhi e riprendo a camminare velocemente
verso la Grey Enterprises Holding. “A volte avrei solo
bisogno di spegnere questo cervello del cazzo che mi
ritrovo”. La giornata passa nella più totale agonia. Non mi
concentro sul lavoro. E non è assolutamente da me. Ho
un impero da dirigere. E anche se Ros è capace di farlo al
posto mio, non dovrebbe essere lei a sobbarcarsi tutte le
responsabilità. Ma per oggi è così. Mi trascino fino al
pomeriggio, sgusciando velocemente fuori non appena
termina l’orario di lavoro. Voglio solo tornare a casa e
abbandonarmi a me stesso. Solo questo. Mi faccio una
doccia veloce, mangio la cena che Gail mi ha lasciato e mi
fiondo sul divano, a guardare il soffitto. Ultimamente lo
faccio così spesso che dovrebbe essere inserito negli sport
che pratico. Ma in realtà quello che riesco a vedere è solo
il suo volto, i suoi occhi, il suo sorriso. E tutto questo mi
uccide lentamente ed inesorabilmente. Perché so che,
molto probabilmente, non li rivedrò più. Il ronzio del
BlackBerry mi interrompe. Infilo la mano in tasca, ma mi
rendo conto che il mio telefono non sta affatto suonando.
E poi lo vedo. É il suo. Lo ha lasciato qui prima di
andarsene e deve aver dimenticato di reimpostare il
trasferimento di chiamata. Lo afferro dal tavolino del
soggiorno sul quale è poggiato, accanto al suo portatile.
Fisso lo schermo e il sangue mi si gela nelle vene. José.
José il fottuto figlio di puttana maniaco sessuale che
voleva abusare di lei. José che vuole entrarle in quelle
fottute mutandine. “Cristo!”. Sbatto il telefono sul divano
con rabbia. “É così? Mi molli e te ne vai con quel fottuto
bastardo del tuo amico, Ana?”. Il lampeggiante
intermittente mi avverte della presenza di un messaggio
vocale in segreteria. ‘Sono cazzi suoi, Grey’. Ma prima che
il mio buonsenso torni dal posto in cui l’ho mandato a
fanculo, ho già avviato la chiamata alla segreteria
telefonica del telefono di Ana. Trattengo il fiato mentre
ascolto il messaggio.
«Hey, straniera! Volevo ricordarti della mia mostra
questo giovedì. Ti aspetto, Ana. Me lo hai promesso!»
Rilascio di colpo il fiato. É solo per quella stupidissima
mostra. Solo questo. Ricordo quando mi ha chiesto di
accompagnarla. Ci teneva davvero ad andarci. E a
portarmi con lei. Poi mi ricordo che ora non ha la
macchina e la sua coinquilina è a bighellonare con mio
fratello da qualche parte. Magari... Un’idea mi si forma
nella mente. Forse ho trovato il modo per vederla. Per
pregarla di riprendermi con lei nella sua vita. Una
rinnovata decisione mi investe. Devo farlo. Devo
convincerla a vederci. Fosse anche per una sola volta
ancora.
Dopo l’ennesima nottata insonne, mi reco in ufficio
prestissimo. Forse per il senso di colpa per aver
trascurato il lavoro negli ultimi giorni. La mattinata passa
quasi senza che io me ne accorga. Quando finalmente mi
decido ad andare a pranzo mi sento esausto. Mentre
aspetto che il cameriere mi porti il piatto che ho ordinato,
tamburello con le dita sulla tastiera del BlackBerry. E, alla
fine, riesco a decidermi.
Da: Christian Grey
A: Anastasia Steele
Data: 8 giugno 2011 14.05
Oggetto: Domani
Cara Anastasia,
perdona questa intrusione al lavoro. Spero che stia andando bene.
Hai ricevuto i miei fiori? Ho visto che domani ci sarà l’inaugurazione
della mostra del tuo amico alla galleria, e sono sicuro che non hai
avuto il tempo di comprare una macchina. La strada è lunga. Sarei
più che felice di accompagnartici io, se tu lo volessi. Fammi sapere.
Christian Grey
Amministratore delegato, Grey Enterprises Holdings Inc.
Attendo impaziente, non degnando neppure di uno
sguardo il cibo che mi viene messo davanti. Non toccherò
nulla prima di aver ricevuto una sua risposta. Il mio piede
tamburella agitato sotto il tavolo. Un uomo seduto di
fronte a me mi osserva, con un sorrisetto beffardo
stampato sul viso. “Fanculo”. I minuti scorrono in una
lenta agonia. Cinque, dieci, quindici, venti. Finalmente
una mail. La apro frenetico. É lei, cazzo. É lei, finalmente.
Da: Anastasia Steele
A: Christian Grey
Data: 8 giugno 2011 14.25
Oggetto: Domani
Ciao Christian,
grazie per i fiori. Sono bellissimi.
Sì, gradirei un passaggio. Grazie.
Anastasia Steele
Assistente di Jack Hyde, Direttore editoriale, SIP
Il cuore si ferma per un lungo attimo. Poi riprende
impazzito. Ho le mani sudate e rileggo la mail almeno
quattro volte, prima di essere sicuro che abbia davvero
accettato la mia proposta. Digito velocemente una
risposta, desiderando non interrompere quel piccolo
contatto che ho con lei. Le chiederei anche solo
sciocchezze se fossi sicuro che non smetterebbe di
parlarmi.
Da: Christian Grey
A: Anastasia Steele
Data: 8 giugno 2011 14.27
Oggetto: Domani
Cara Anastasia, a che ora passo a prenderti?
Christian Grey
Amministratore delegato, Grey Enterprises Holdings Inc.
Attendo ancora. I cinque minuti più lunghi della storia
della mia intera vita.
Da: Anastasia Steele
A: Christian Grey
Data: 8 giugno 2011 14.32
Oggetto: Domani
L’inaugurazione è alle 19.30. A che ora suggerisci?
Anastasia Steele
Assistente di Jack Hyde, Direttore editoriale, SIP
“Ho voglia di vederti anche ora, Anastasia. Anche
subito”.
Da: Christian Grey
A: Anastasia Steele
Data: 8 giugno 2011 14.34
Oggetto: Domani
Cara Anastasia,
Portland è piuttosto lontana. Posso venire a prenderti alle 17. 45. Non
vedo l’ora di incontrarti.
Christian Grey
Amministratore delegato, Grey Enterprises Holdings Inc.
Stavolta anche la sua risposta arriva più velocemente.
Da: Anastasia Steele
A: Christian Grey
Data: 8 giugno 2011 14.38
Oggetto: Domani
Ci vediamo, allora.
Anastasia Steele
Assistente di Jack Hyde, Direttore editoriale, SIP
Il pomeriggio passa in fretta ora che sono riuscito a
parlare con lei. Mi sembra di essere rinato. Alle 16 stacco
e vado da Flynn. La mia richiesta di un secondo
appuntamento dopo appena due giorni non lo ha stupito
più di tanto. Lo trovo nella sua solita posa, chinato sulla
scrivania a scrivere. Flynn ha sempre qualcosa da
scrivere. Ma, devo dire, mi piace di più quando ha
qualcosa da dirmi. Mi lascia accomodare e mi scruta,
come sempre.
«Allora, Christian, ti trovo meglio dell’ultima volta»
«Molto meglio. Ho parlato con Anastasia. Ci vediamo
domani» gli confesso, esalando un sospiro profondo.
Flynn mi scruta, poi sorride a sua volta.
«Mi fa piacere, Christian. Allora, cosa ti porta qui da
me?» chiede con calma.
«Non so come comportarmi con lei, John. Ho paura di
ferirla di nuovo, quando, invece, l’unica cosa che vorrei è
riaverla»
Abbasso lo sguardo per quest’impeto di vulnerabilità.
Se potessi guardarmi dall’esterno, sono certo che non mi
riconoscerei. John si appoggia allo schienale della sua
poltrona.
«Ne abbiamo già parlato, Christian. Io non posso darti
certezze. Quello che posso dirti è di non lasciarti
condizionare da null’altro se non ciò che senti. Hai deciso
che rivuoi Anastasia nella tua vita. Ma sei l’unico che può
realmente tentare di fare almeno un tentativo affinché
questo succeda»
«Sento che sto cambiando, Flynn. Forse l’ho già fatto.
E non so se questo è giusto. Se è giusto rinnegare il
mostro che sono e far finta di poter essere diverso» gli
confesso, guardandolo negli occhi.
«Christian, tu non sei un mostro. Te l’ho ripetuto
milioni di volte. Hai un passato traumatico. Hai
affrontato una vita difficile. Hai fatto quella che per te è
stata la scelta migliore per affrontare la tua vita senza
dolore»
«Io picchio delle ragazze innocenti per affrontare la
mia vita senza dolore, John» sussurro, abbassando gli
occhi.
Il mio pensiero va a Leila. L’ho ridotta ad un fantasma.
Ed è colpa mia. Potrei fare lo stesso con Ana.
«Cos’altro non mi hai detto, Christian?» mi chiede
Flynn.
Alzo lo sguardo, sorpreso da quanto bene mi conosca
ormai. Sospiro pesantemente e gli racconto di Leila,
affidandogli tutto il mio tormento interiore. Quando ho
finito lo scruto.
«Ho paura di ridurla in quello stato, John. Ho paura
che amarla e permetterle di amarmi la possa uccidere
lentamente»
«Non succederà, Christian. Tu non amavi Leila. Il
vostro era un accordo, con dei termini che tu hai
rispettato. Lei è andata via quando si è accorta che quei
termini non erano più giusti per sé stessa. Ed è in pratica
quello che stai facendo anche tu. Hai fissato dei limiti con
te stesso, come se avessi sottoscritto un patto con la tua
vita. Ora quei limiti non ti vanno più bene. La domanda è
una: per Anastasia, ne vale la pena?»
Lo guardo, gli occhi grigi sbarrati, in cerca di qualcosa
che mi dica che quello che penso è giusto. Ma Flynn è
bravo a non lasciare trapelare le sue emozioni. Stringo
forte gli occhi e lo ammetto.
«Sì. Sì, John. Ne vale la pena»
Quando torno a casa, avverto Gail di tenermi in caldo
la cena. Ho una cosa di cui occuparmi. Ho una cosa
stupida, romantica, sdolcinata da fare. Una cosa per dirle
che la amo. Apro il mio pc, nello studio, e lo collego al
nuovo iPad che le ho comprato. Inizio a scaricare la
playlist che avevo scelto per lei. Thomas Tallis è il primo
autore. Il ricordo di come l’ho scopata nella mia Stanza
dei Giochi è quanto di più doloroso e dolce ci possa essere
al mondo. Quella sintonia perfetta. Che alla fine l’ha
allontanata da me. Il dolore torna prepotente a
diffondersi nel mio petto. E ancora Witchcraft, di Sinatra,
e quel suo modo spensierato di ridere e di farmi sentire in
paradiso. Bach e tutta la malinconia che ha accompagnato
il mio tormento nel cammino verso di lei. Verso colei di
cui non posso più fare a meno. Jeff Buckley, gli Snow
Patrol, la sua band preferita. Principles of Lust e
Possession, tra le mie preferite. Sono incerto,
sull’inserimento di queste due. Ma voglio che mi capisca a
fondo. E capisca che è mia. Solo mia. Non potrebbe essere
altrimenti. Inserisco molte altre canzoni che descrivono il
mio mondo. Me stesso. É l’unico modo che ho per
dirglielo al momento. E poi Try. “Ci provo, Ana. Ci sto
provando. Voglio provarci sul serio. Per te”. E ancora
un’altra delle mie band preferite. I Coldplay. Ho scelto
The Scientist. Ho scelto di chiederle scusa per la mia
stupidità. Di chiederle un’altra possibilità. Per
prometterle che non sarò così stupido da sprecarla
stavolta. Quando ho finito con la musica passo alle app.
Kindle, iBook, Word, la British Library, che riempio
totalmente solo per il piacere di sapere che sorriderà in
quel modo così dolce quando la aprirà. E poi Notizie,
Meteo, tutto quello che può esserle utile. E Buon Cibo,
così ricorda che il suo appetito non è negoziabile per me.
Quando ho terminato, quando ho inserito in questo
piccolo aggeggio anche buona parte di quello che sono,
allora vado in cucina e mi occupo di cenare. Prima di
andare a letto vado in bagno e faccio la barba. Rivedere il
mio viso mi fa sorridere. Mi sto lentamente risvegliando
dal mio torpore. Il solo pensiero di rivederla mi manda in
estasi. E mi eccita. Da morire. Ho voglia di baciarla, di
spingerla contro un muro e farla mia. Di farla gemere fino
a mandarla in estasi. Voglio entrarle dentro. E restarci
per sempre. Ma questo non andrebbe a mio favore. Devo
tenere sotto controllo tutto il mio impeto. Il mio
desiderio. E devo farmi una sana dormita, per quello che
vale.
La giornata seguente passa in frenetica attesa di quello
che succederà. Sbrigo il lavoro, anche quello arretrato,
scoprendo che una sua sola parola può farmi recuperare
forze ed energie che credevo di non avere più, ormai. Ho
portato con me il suo iPad perché ancora manca un
pezzetto al puzzle che ho composto per lei. Lo accendo e
scatto una foto. Poi avvio il motore di ricerca e ne scarico
una da internet. Ora, sul suo schermo ci siamo noi due,
alla cerimonia della consegna delle lauree. É la foto
scattata dal Seattle Times. Conservo gelosamente una
copia di quella domenica nella scrivania del mio ufficio.
Mentre il suo salvaschermo ritrae il modellino di aliante
che lei mi ha regalato. Sorrido. Poi prendo un post-it
bianco e la mia stilografica. E aggiungo l’ultimo pezzo di
me. L’unico che da oggi conosce solo lei.
Anastasia, questo è per te. So quello che vuoi sentirti dire. La
musica qui dentro lo dice per me. Christian
Infilo l’iPad nella custodia di pelle nera e la metto nella
mia valigetta, prima di avviarmi verso l’uscita.
Quando entro nel mio appartamento, sul bancone della
cucina trovo due sacchetti di velluto. In uno c’è la mia
maschera per il ballo di sabato sera a casa dei miei.
Nell’altro c’è la sua. ‘Non sai neppure se vuole rivederti o
se le serviva solo un passaggio per la mostra. E già fai
progetti in grande, Grey?’. Sì, lo ammetto. Forse è
presuntuoso da parte mia pensare che lei accetti di
tornare nella mia vita come se niente fosse e sabato mi
accompagni alla cena di beneficenza. Eppure qualcosa mi
suggerisce che succederà. O forse è solo che sto tornando
il fottuto figlio di puttana presuntuoso ed egocentrico di
una volta. Non lo so. Ma non riesco a smettere di
sorridere come un idiota. Il BlackBerry vibra. É una mail
di Ros. Che mi avverte che i termini del contratto di
acquisizione della SIP sono stati approvati. “Merda. Me
n’ero dimenticato quasi. Ecco una cosa che non le
piacerà. Ma posso spiegargliela”. E per fortuna ho un
mese di tempo prima che venga divulgata la notizia.
Faccio in fretta la doccia e sono pronto. Indosso un
completo grigio e la camicia bianca. Senza cravatta.
Taylor mi aspetta nell’ingresso, con in mano un pacco che
gli ho fatto preparare. All’interno ci sono le chiavi
dell’Audi di Anastasia, il suo BlackBerry, il suo Mac e il
nuovo iPad. Scendiamo in garage e salgo sul sedile
posteriore del SUV, mentre Taylor infila il pacco nel
bagagliaio e sale al posto di guida. Arriviamo davanti alla
mia nuova azienda con un po’ di anticipo. La tensione
inizia a farsi strada dentro di me. Mi agito sul sedile,
nervosamente, mentre Taylor scende ad aspettarla fuori.
E poi la vedo. Esce dalla SIP, meravigliosa come sempre.
Ma sembra stanca, sicuramente più magra. “Cristo,
Anastasia!”. Un fottuto stronzo le tiene la porta aperta,
guardandola con uno sguardo famelico e crudele. Non
vuole solo scoparsela. Vuole farle del male. Glielo leggo
negli occhi. Lo percepisco a distanza. Le mormora
qualcosa, guardandole viscidamente il culo quando lei si
gira a cercare l’auto con gli occhi. Guarda Taylor, mentre
lo stronzo che la fissava ora fissa il mio SUV, a bocca
aperta. E poi Anastasia si muove. Indossa quel favoloso
vestito color prugna. E un paio di stivali al ginocchio.
Neri, col tacco a spillo. Il mio uccello si tende
immediatamente. Provo sollievo, desiderio, rabbia. É
magrissima. So che non ha mangiato. E so che è colpa
mia. Taylor spalanca la portiera. Anastasia entra,
sistemandosi. E poi alza lo sguardo su di me. I suoi occhi
sono tristi, ma allo stesso tempo speranzosi. La fisso
ardentemente. “Ti amo, Anastasia. Ti amo. Ti amo. Ti
amo”. Ma le parole non mi escono alla gola. Restano lì. E
al loro posto sale solo un rimprovero pieno di rimorso.
«Quand’è stata l’ultima volta che hai mangiato?»
Capitolo 4
Il tono della mia voce è più duro di quello che vorrei,
ma vederla in quello stato mi fa male. Sono io che l’ho
fatta star male tanto da toglierle l’appetito. E le ho tolto
anche molto altro. Non sorride, ha perso la sua dolcezza.
É triste, melanconica. Le ho rubato l’innocenza e il suo
candore, facendo terra bruciata in quel corpo minuto.
L’ho distrutta. ‘E quale sarebbe la novità, Grey? Non è
quello che hai fatto con Leila?’. Per un attimo mi guarda
colpevole, poi il suo sguardo si indurisce, come se io e
tutto quello che penso contassi meno di zero per lei.
«Ciao, Christian. Anche per me è bello vederti»
risponde in tono sarcastico e noncurante.
La rabbia mi assale. “Non ignorarmi, Anastasia. Non
ignorarmi solo perché non sono capace di dirti quello che
provo”. Cerco di controllarmi, fissandola ardentemente.
«Lascia perdere la tua lingua biforcuta, adesso.
Rispondimi» le ordino.
Le mie parole non hanno l’effetto sperato su di lei. Mi
guarda con uno sguardo di dolore, prima di girarsi di
nuovo verso il finestrino e sputare fuori un’altra risposta
piena di cinico sarcasmo.
«Mmh... ho mangiato uno yogurt a pranzo. Ah... anche
una banana»
Il suo tono mi sta seriamente innervosendo. Sa quanto
ci tengo al fatto che mangi bene. E sembra che le sue
risposte siano mirate a farmi capire che non le importa
quello a cui tengo. Compresa sé stessa e la sua salute.
«Quand’è stata l’ultima volta che hai mangiato un vero
pasto?» le chiedo acido e infastidito.
Taylor sceglie quel momento per infilarsi nel traffico di
Seattle. Anastasia alza lo sguardo di fronte a lei e resta
impassibile. Seguo la direzione dei suoi occhi e noto lo
stronzo di prima salutarla animatamente con la mano. Mi
chiedo come faccia a vederla, il coglione. Sta solo
agitando il braccio inutilmente, visti i vetri scuri del SUV
a prova di paparazzo. “Stronzo figlio di puttana”.
Anastasia alza la mano, in automatico, e risponde al
saluto con un breve cenno. La gelosia mi assale. “E se lei
avesse trovato un altro in questi giorni? Se fosse stata di
un altro?”. No. Non può essere. Un peso mi opprime il
petto.
«Chi è quello?» ringhio furiosamente.
«Il mio capo» risponde tranquilla, guardandomi di
sfuggita, senza girare la testa verso di me.
Rimane immobile, le dita strette in grembo, gli occhi
fissi sullo schienale del sedile di Taylor. Stringo le labbra,
trattenendo a stento l’ira. “Siamo partiti più che male”.
«Allora? L’ultimo pasto?» torno a chiederle perentorio.
«Christian, davvero non ti
infastidita, guardandomi appena.
riguarda»
mormora
«Tutto quello che fai mi riguarda. Dimmelo» le ordino
per l’ennesima volta.
Anastasia emette un gemito di esasperazione. E poi,
come una vecchia abitudine repressa troppo a lungo, alza
gli occhi al cielo. La mia reazione è immediata. Ho voglia
di sculacciarla. E non per un piacere erotico. Ma per
insegnarle come ci si comporta. Per tutta risposta lei si
gira a scrutarmi e le sue labbra si piegano leggermente
all’insù. Le stringe, cercando di soffocare una risata. E
viene da ridere anche a me. A vederla così, a vedere un
guizzo di divertimento nei suoi occhi blu. Mi rilasso,
sorridendo appena, divertito dalla sua espressione.
«Dunque?» le chiedo ancora, dolcemente.
Sospira piano.
«Pasta alle vongole, venerdì scorso» mormora alla fine.
Istintivamente serro gli occhi. Come se non vedere mi
aiutasse a far tornare tutto com’era. Ma non è così. La
guardo con rimorso. E dolore per averle causato tutto
quel malessere.
«Capisco» le dico dopo qualche attimo di silenzio,
fissando il vuoto dinnanzi a me. «Hai l’aria di aver perso
almeno tre chili, forse di più. Per favore, Anastasia, devi
mangiare» la rimprovero piano.
La spio di sottecchi. Anastasia si fissa le dita,
intrecciate sulle sue gambe. Mi giro a guardarla,
ammirando il suo profilo triste.
«Come stai?» le chiedo piano.
Ho quasi paura di sapere quanto male le ho fatto. Ana
deglutisce a fatica, serrando gli occhi per un istante di
troppo.
«Se ti dicessi che sto bene, mentirei» mi sussurra,
senza avere il coraggio di guardarmi.
Prendo aria nei polmoni, perché sta per mancarmi il
fiato. Il dolore è indescrivibile. Avrei dovuto venerarla,
adorarla come una dea. Proteggerla soprattutto. Invece
l’ho solo distrutta. E ho distrutto quel che rimaneva di me
stesso.
«Anch’io» le confesso, allungando il braccio sinistro e
prendendole la mano dal grembo.
Fissa la mia mano in modo strano, come se non
credesse possibile quel gesto. O peggio, come se non lo
volesse. Prima che possa allontanarmi devo fermarla.
«Mi manchi» le mormoro, fissandola.
«Christian, io...» inizia a balbettare, senza distogliere
gli occhi dalle nostre mani unite.
«Ana, per favore. Dobbiamo parlare» le dico deciso,
cercando di incontrare i suoi occhi.
Devo sapere cosa pensa. Assolutamente. Quando alza
lo sguardo, il meraviglioso blu dei suoi occhi è velato dalle
lacrime. “Ti prego, Ana. Ti prego, non piangere. Non
voglio farti del male. Non voglio farti questo. Non voglio
essere solo dolore per te”.
«Christian... per favore... Ho pianto così tanto» mi
implora con la voce ridotta ad un filo, stringendo piano le
dita della mano che ancora è poggiata sul suo grembo.
“Dio, non resisto più a starle così lontano!”
«Oh, piccola, no» le tiro la mano e in due secondi la sto
abbracciando, mentre lei se ne sta seduta sulle mie
ginocchia.
La stringo forte, inalando il suo profumo che mi è
mancato così tanto. Come lei.
«Mi sei mancata così tanto, Anastasia» le dico,
sospirando, finalmente in pace dopo giorni.
Per un attimo il suo corpo si tende. La stringo più
forte, senza permetterle di allontanarsi da me. La
trattengo contro il mio petto. Voglio che senta il mio
cuore battere. Per lei. E all’improvviso lei si scioglie tra le
mie braccia. La sento sospirare e rilassarsi piano. Le
deposito un bacio tra i capelli. E poi un altro. E poi non
riesco a smettere. Ho bisogno di lei. Ho bisogno di questo
contatto con lei. L’intimità appena ritrovata dura troppo
poco. Taylor accosta davanti all’edificio sul quale ci
aspetta Charlie Tango.
«Vieni» le dico all’orecchio, facendola alzare dalle mie
ginocchia controvoglia. «Siamo arrivati»
Mi guarda senza capire. E forse anche lei vorrebbe
viaggiare ancora pur di stare insieme così, in questo
modo. O forse è la speranza a parlare per me.
«L’elisuperficie... sul tetto di questo palazzo» le dico,
alzando lo sguardo sul palazzo alla nostra destra. Taylor,
intanto, scende dal SUV e le apre la portiera. Scendo
dall’auto, e mi giro a guardarla. La sento parlottare con
Taylor.
«Dovrei restituirle il fazzoletto» gli dice, sorridendogli
gentile.
«Lo tenga pure, Miss Steele, con i miei migliori
auguri» le risponde lui educatamente.
Li guardo con un pizzico di gelosia. Ok. Forse più di un
pizzico. Faccio il giro dell’auto e le afferro la mano,
stringendola possessivamente. Guardo Taylor, indagando
nella sua espressione, ma lui resta totalmente
impassibile. “Non finisce qui, Jason”.
«Nove?» gli chiedo, concentrandomi sul presente.
«Sì, signore» mi risponde con fermezza.
I suoi occhi non lasciano trapelare niente. É in perfetta
modalità uomo di fiducia. Senza aggiungere altro mi
allontano, entrando nel palazzo con Anastasia. Stringo
saldamente la sua mano nella mia. Le dita intrecciate,
come un riflesso di quello che, vogliamo o meno, sono i
nostri destini. Entrambi restiamo in silenzio, fino
all’ascensore. Premo il pulsante di chiamata e
attendiamo. Mi ricordo della prima volta in cui siamo
saliti insieme in ascensore. E di quanto quel momento
abbia significato la perdita completa del mio
autocontrollo. Credo che i suoi pensieri non siano molto
dissimili dai miei. Mi spia, di sottecchi, strappandomi un
mezzo sorriso. Quando finalmente le porte si aprono,
entriamo nella cabina illuminata da una luce soffusa.
Anastasia mi guarda di nuovo, furtivamente, come se
temesse di essere scoperta a fare qualcosa di proibito.
Anche io la guardo, senza neppure tentare di
nasconderlo. Sono completamente avvinto dalla sua
magia. Sento una familiare sensazione attraversare il mio
corpo e spingermi inesorabilmente verso di lei. Anastasia
dondola sui piedi, spostandosi quasi impercettibilmente
verso di me. Apre gli occhi di scatto, girandosi a
guardarmi.
«Oddio» ansima, con un suono quasi viscerale.
Osservo la sua trasformazione da mesta a famelica e
bramosa creatura. La desidero da morire in questo
momento. E scommetto tutto quello che ho che anche per
lei è lo stesso.
«La sento anch’io» le confesso, senza smettere di
mangiarla con gli occhi.
Fosse per me fermerei l’ascensore all’istante e la
divorerei di baci, carezze che possano guarire il mio corpo
martoriato. Le affonderei dentro, nella speranza di
fondermi con lei ed essere un uomo migliore. Nel
tentativo di elemosinare un minimo tocco, le afferro la
mano con la mia, accarezzandole piano le nocche con il
polpastrello del pollice. Anastasia guarda le nostre mani,
poi di nuovo il mio viso. I suoi occhi disegnano il
contorno delle mie labbra, il profilo del mio naso e si
fissano sfrontati nei miei. I suoi denti afferrano il labbro
inferiore, mordicchiandolo in quel modo così erotico e
carnale. Il mio uccello ha un fremito e si tende a
dismisura. Sono eccitato più che mai. Ana non regge il
mio sguardo e abbassa gli occhi.
«Per favore, non morderti il labbro, Anastasia» le
sussurro, con la voce carica di amore e lussuria.
Torna a guardarmi, liberando piano il labbro dai denti.
Il suo desiderio è palpabile nell’aria, proprio come il mio.
«Sai che effetto mi fa» le mormoro, senza staccarle gli
occhi di dosso.
All’improvviso le porte dell’ascensore si aprono,
spezzando la magia che si era creata tra di noi. Ci
ritroviamo sul tetto, con il vento freddo che sferza i nostri
corpi. Ana ha i brividi, così la stringo a me, afferrandole la
vita con un braccio, mentre ci dirigiamo in fretta verso il
mio elicottero già in moto. Stephan, l’altro pilota, è
appena scendendo e corre verso di noi. Mi tende la mano,
gridando per farsi sentire al di sopra del rumore.
«Pronto a partire, signore. È tutto suo!» mi dice con un
gran sorriso, felice, probabilmente, di aver guidato il mio
Charlie Tango.
Azzarda un’occhiata ad Anastasia. La stringo più forte.
É mia.
«Fatti i controlli di rito?» gli urlo di rimando,
facendogli spostare di nuovo la sua attenzione verso di
me.
«Sì, signore» mi risponde, sbarrando gli occhi quando
si accorge della mia occhiata.
«Verrà a riprenderlo intorno alle otto e mezzo?»
chiedo gelido.
«Sì, signore»
«Taylor l’aspetta fuori»
«Grazie, Mr Grey. Buon viaggio fino a Portland.
Signora» la saluta educatamente, tenendo lo sguardo
basso.
Annuisco nella sua direzione, congedandolo. Poi lo
supero, chinandomi e conducendo Ana verso il portellone
dell’elicottero. Dentro la lascio accomodare sul suo sedile,
assicurandole le cinghie attorno al corpo. Alzo lo sguardo
su di lei, mentre stringo forte le cinture, sorridendo al
ricordo della prima volta che era salita sul mio elicottero.
E di tutto quello che ne era seguito nel mio
appartamento. Non riesco a trattenere il mio lascio
apprezzamento per il suo corpo legato. La desidero
troppo.
«Queste ti terranno al tuo posto» le mormoro quasi
accanto all’orecchio. «Devo dire che mi piace vederti
legata. Non toccare niente»
Anastasia arrossisce violentemente. Alzo la mano e le
passo l’indice sulla guancia, prima di staccarmi a
malincuore e passarle le cuffie. Colgo la sua occhiata di
frustrazione, rimprovero e rabbiosa tristezza. Tenta di
spostarsi sul sedile, ma la morsa delle cinghie la tiene
ferma. “Dio, quanto vorrei averti di nuovo legata sul mio
letto a farti impazzire”. Mentre mi siedo al mio posto mi
ritrovo a pensare a quanto sia bastata la sua sola presenza
per far risvegliare la bestia che è in me. Ho fame di lei.
Del sesso, dell’amore. Del suo sapore, del suo dolce
nettare sulla mia lingua. Ho fame dei suoi gemiti
incontrollati. Della sua voce che urla incoerentemente il
mio nome. Il nome che nessuna, prima di lei, ha mai
osato pronunciare in quel modo così delizioso. Una dolce
tortura di suoni melodici che mi fa sentire vivo come non
mai. Sento il suo sguardo addosso, mentre completo i
controlli di rito. Mi infilo le cuffie. Sono sempre eccitato
ed emozionato quando piloto il mio gioiellino. Quando mi
giro a guardarla scorgo uno sguardo di ammirazione nei
suoi occhi scintillanti. La guardo, sorridendo spensierato
per la prima volta dopo cinque giorni.
«Pronta, piccola?» le urlo nella cuffia.
«Sì»
Scambio le ultime informazioni con la torre di
controllo, prima di spiccare il volo, lentamente, con la
luce del crepuscolo che ci illumina. Il suo viso, illuminato
dalla luce arancione del sole che cala, è
straordinariamente bello. Una visione meravigliosa, che
tanto mi è mancata in questi giorni. Guarda fuori,
ammirando Seattle dall’alto.
«Abbiamo inseguito l’alba, Anastasia, e ora inseguiamo
il crepuscolo» le dico, facendo tornare la sua attenzione
su di me.
Il riferimento al volo in aliante non è casuale. É stato il
momento più bello della mia vita. E vorrei che la mia vita
fosse tanto meravigliosa da oggi in avanti, proprio come
quella mattina. Con lei. Ana mi fissa a bocca aperta,
stupita dalle mie parole. Le sorrido, divertito dalla sua
espressione. E lei ricambia, contagiata dalla mia allegria.
Che in realtà è speranza più che allegria. Speranza che lei
mi riprenda con sé.
«Così come il sole di sera, c’è molto di più da vedere
stavolta» le dico.
E non mi riferisco solo alla vista. Mi riferisco a me, alla
mia vita, che sono pronto ad affidarle completamente. E
questa volta non è solo sesso per me. Forse non è mai
stato solo sesso. Ma questa volta ne sono sicuro. La amo.
“Ti amo, Ana. Ti amo più della mia patetica vita”. La
lascio per un po’ a riordinare i pensieri. Lei resta in
silenzio, taciturna come l’ultima volta. Iniziamo a
prendere quota sempre di più, scivolando tra i grattacieli
della città che inizia a tingersi di luci sfavillanti sotto di
noi. In lontananza si scorge il mio appartamento.
«L’Escala è laggiù» le dico, indicandole l’edificio.
Poi mi travesto un po’ da uno strano chaperon volante.
«Il Boeing è là, e lì puoi vedere lo Space Needle»
Ana china la testa di lato, offrendomi una splendida
visuale del suo candido collo coperto a metà dalla giacca.
«Non ci sono mai stata» mormora, con lo sguardo
sognante.
«Ti ci porterò. Possiamo andarci a mangiare» le dico in
tono allegro.
L’occhiata triste che mi restituisce mi mette in allerta.
«Christian, noi abbiamo rotto»
Le sue parole sono come una pugnalata dritta al cuore.
Stringo forte la mascella, per tenere a freno la
frustrazione.
«Lo so. Ma posso sempre portarti lì per nutrirti» le
dico, prima di lanciarle un’occhiata per controllare la sua
reazione.
Non risponde a tono. E questo non è un bene. Sembra
rassegnata, mentre scuote la testa e torna a guardare
malinconica fuori dal vetro.
«È bellissimo quassù, grazie» sussurra.
«Impressionante, vero?» le dico, senza sapere bene
come continuare il discorso.
Ho paura di fare un passo falso ad un certo punto, che
mi trascini più a fondo di quanto io non sia già.
«È impressionante che tu riesca a fare questo» mi dice,
senza guardarmi.
«Mi stai adulando, Miss Steele? Io sono un uomo dai
molti talenti» tento di scherzare.
«Ne sono pienamente consapevole, Mr Grey»
Per un attimo ritrova un briciolo del suo sarcasmo. La
sua lingua biforcuta non riesce a resistere. “Finalmente!”.
Mi volto, sorridendole compiaciuto. Noto che anche lei si
rilassa visibilmente. É come se stessimo decidendo di
annullare gli ultimi cinque giorni. Almeno per un po’.
«Come va il nuovo lavoro?» le chiedo, mantenendomi
su un territorio sicuro.
«Bene, grazie. È interessante» mi dice criptica.
«Com’è il tuo capo?»
‘Come perdere la donna che ami in cinque parole.
Ottimo, Grey. Primo passo falso della serata’. Anastasia
mi guarda in modo strano, poi abbassa gli occhi.
«Oh, lui è okay» mormora.
Mi giro a guardarla. “Cosa cazzo ti ha fatto quel
pervertito?”.
«Cosa c’è che non va?» le chiedo, senza riuscire a
nascondere il tono inquisitorio.
‘Secondo passo falso della serata. Fanculo, Grey. Sei un
fallimento con le donne’. “Cristo”.
«A parte l’ovvio, niente» risponde di nuovo criptica.
«L’ovvio?» le dico, senza afferrare.
«Oh, Christian, a volte sei veramente molto ottuso» mi
dice esasperata.
«Ottuso? Io? Non sono sicuro di gradire il tuo tono,
Miss Steele» le risponde, leggermente piccato.
«Bè, allora non farlo» mi risponde a tono.
Sorrido, vedendo il suo spirito ritornare in tutto il suo
splendore.
«Mi è mancata la tua lingua biforcuta»
Anastasia sospira e sembra sul punto di dire qualcosa.
Ma poi si ferma, tornando a guardare fuori. “Su, Ana.
Collabora”. Il sole che tramonta crea un favoloso gioco di
luci ed ombre sul suo bellissimo viso. La voglia di baciarla
mi assale. Ho troppa voglia di lei. Non so se riuscirò a
resistere per stasera, come invece mi ero prefissato di
fare. Volevo dimostrarle di essere un uomo controllato,
affidabile. Di poterle stare accanto e proteggerla senza per
forza saltarle addosso. Ma accanto a lei io non ragiono.
Conta solo lei e la forza magnetica che mi spinge verso il
suo corpo, verso la sua anima. Cala il silenzio tra di noi,
fino a quando Portland non ci accoglie. Atterro sullo
stesso edificio da dove, tre settimane fa, siamo partiti.
Spengo l’elicottero e mi libero dalla cintura. Poi passo a
liberare lei. La osservo di sottecchi.
pallida, ma il suo
sguardo arde di desiderio. Lo so. Lo riconosco perché in
quegli stessi occhi l’ho visto mille volte da quando la
conosco. E tutte le volte sono stato io ad ispirarglielo.
Scuote impercettibilmente la testa e sembra tornare in sé.
Cosa darei per sapere a cosa stava pensando.
«Piaciuto il viaggio, Miss Steele?» le chiedo
dolcemente, guardandola con... amore. Credo si tratti di
questo, anche se ancora mi costa fatica ammetterlo con
me stesso. Ammettere che io sono in grado di provare
questo sentimento. Forse perché so di non meritare
l’amore di qualcuno.
«Sì, grazie, Mr Grey» risponde con la sua innata
educazione.
Le sorrido.
«Bene, andiamo a vedere le foto del ragazzo»
Tendendole la mano, l’aiuto ad alzarsi e a scendere da
Charlie Tango. Scendiamo, mentre Joe ci viene incontro,
sorridendoci.
«Joe»
Per un attimo lascio la mano di Anastasia e stringo
calorosamente quella del mio collaboratore. Sono davvero
affezionato a quest’uomo.
«Tienilo al sicuro per Stephan. Verrà a prenderlo tra le
otto e le nove»
«Sarà fatto, Mr Grey. Signora» dice, poi, rivolgendosi
ad Anastasia con un cenno della testa. «La macchina
l’aspetta di sotto, signore. Oh, l’ascensore è fuori servizio.
Dovrete usare le scale» ci informa premurosamente.
«Grazie, Joe»
Lo saluto con un cenno, mentre riprendo la mano di
Ana e la conduco verso le scale. Azzardo un’occhiata ai
suoi stivali neri e me ne pento, dal momento che solo la
loro vista mi scatena un’erezione da paura.
«Sei fortunata che questo edificio ha solo tre piani,
visti i tacchi» mormoro brusco.
Ha dei tacchi che, per quanto siano sexy, non sono il
massimo della sicurezza. Non è passato molto tempo da
quando ha rischiato di farsi investire da un ciclista per le
strade di Portland. E indossava un semplice paio di
Converse. Ana mi lancia uno sguardo di sfida.
«Non ti piacciono gli stivali?» chiede sarcastica.
«Mi piacciono molto, Anastasia» le rispondo.
La mia voce è roca, mentre il mio sguardo avido le
accarezza il corpo al posto mio. La mia mente malata
genera un’immagine di Anastasia nuda, sexy da
impazzire, con addosso solo quegli stivali. Sto quasi per
confessarle la mia fantasia, ma decido di evitare. Non
sono ancora sicuro che le farebbe piacere sapere di essere
ancora la donna dei miei desideri.
«Vieni. Andremo piano. Non voglio che tu cada e ti
rompa l’osso del collo» aggiungo.
Scendiamo piano i tre piani che ci separano dall’uscita.
Entriamo in auto e James, l’autista, mette in moto. Mi
ritrovo diverse volte a guardarla di sottecchi. La desidero.
Ma ho una fottuta paura di farle male, di farla star male
da morire. Ho una fottuta e tremenda paura di ripetere il
fottutissimo errore che ho fatto con Leila. Non posso
permettermelo. In nessun modo. La tensione tra noi si
accumula nel silenzio. Anche lei è nervosa, preoccupata,
pensierosa. Sembriamo due anime in pena. La guardo e
vorrei che nessun altro fosse in grado di vederla. É
davvero stupenda. Dentro e fuori. Come se mi leggesse il
pensiero, la sua voce soave mi distoglie dal mio
rimuginare internamente.
«José è solo un amico» mormora con un filo di voce.
Mi giro di scatto. La scruto a fondo. Inumidisco le
labbra e sono tentato di fiondarmi su di lei e baciarla. “Lo
sento, Anastasia. Sento che ancora provi qualcosa. Solo...
solo non combatterlo per ricacciartelo dentro”. Il
bellissimo viso è provato dal dolore. Gli occhi grandi sono
due gemme in un viso scarno e triste. Si fissano sulla mia
bocca schiusa. Ho voglia di baciarla. E lei vuole che lo
faccia. “Dio, quanto è difficile!”. Mi sposto sul sedile,
cercando di tenermi a freno.
«Quei bellissimi occhi sono troppo grandi per il tuo
viso, Anastasia. Per favore, dimmi che mangerai»
Quasi la imploro. Ho bisogno di sapere che il male che
le ho fatto da oggi in poi sparirà. Che starà bene.
«Sì, Christian. Mangerò» replica in automatico, come
se stesse parlando con un bimbo.
«Dico sul serio» insisto, testardo.
«Ah, sì?»
Lo sdegno nella sua voce fa male come uno schiaffo. La
rabbia è palese nei suoi occhi, nel suo viso contratto, nelle
sue dita strette a pugno. Lotta con sé stessa, con i suoi
pensieri. Contro la voglia che ha di me e contro la ragione
che gli suggerisce che sono solo uno sbaglio. Che sono
stato il suo inferno personale. Ho bisogno che si calmi.
«Non voglio litigare con te, Anastasia. Ti rivoglio, e
voglio che tu sia in salute» le dico piano, dolcemente,
cercando di farle capire che sono cambiato. Per lei.
«Ma non è cambiato niente» risponde rabbiosa.
«Ne parleremo al ritorno. Siamo arrivati» le dico,
mentre James accosta davanti alla galleria.
Scendo dall’auto. Faccio il giro e le apro la portiera.
Scende, fissandomi irata.
«Perché fai questo?» chiede a voce troppo alta.
Una coppia dietro di lei si gira a guardarci. La guardo
sorpreso dal suo scatto di rabbia.
«Faccio cosa?» le chiedo spaesato.
«Perché dici una cosa come quella e poi ti fermi» dice,
senza abbassare la voce.
«Anastasia, siamo arrivati. Siamo dove volevi essere.
Facciamo questa cosa e poi parliamo. Non ho proprio
voglia di fare una scenata in mezzo alla strada» le dico a
denti stretti.
Ana si gira, rendendosi conto che siamo in strada e la
gente che passa ci sente e si gira a guardarci. Stringe le
labbra, mentre le lancio un’occhiataccia.
«Okay» borbotta alla fine, mettendo il broncio.
Le prendo di nuovo la mano, guidandola all’interno
della galleria. Entriamo nel magazzino riconvertito, con i
muri di mattoni, il pavimento in legno, le tubature a vista.
Non è il mio genere, ma le foto appese ai muri catturano
la mia attenzione. Come sospettavo il figlio di puttana ha
talento. Ma questo non me lo fa odiare di meno.
Anastasia si perde a guardare le foto del suo amico.
«Buonasera
Rodriguez»
e
benvenuti
alla
mostra
di
José
Ci giriamo entrambi verso la donna vestita di nero, con
i capelli corti e troppo trucco in faccia, che ci saluta
calorosamente. Guarda Anastasia, poi me, mettendomi a
disagio per la durata dello sguardo. Con la coda
dell’occhio scorgo la sua espressione infastidita. Sorrido
segretamente, soddisfatto. La ragazza torna a guardare
Anastasia, meravigliata.
«Oh, sei tu, Ana. Ci farà piacere conoscere la tua
opinione su tutto questo»
Sorride eccessivamente, passandole un volantino e
facendo strada all’interno della sala, verso il tavolo del
buffet. Guardo l’espressione attonita di Anastasia.
«La conosci?» le chiedo, indicando con il mento la
ragazza.
Scuote la testa, aggrottando la fronte. Mi stringo nelle
spalle, senza sapere cosa dire.
«Che cosa vuoi da bere?» le chiedo, poi.
«Un bicchiere di vino bianco, grazie» risponde decisa.
Mi acciglio e vorrei dirle che non intendevo offrirle
alcool dato che è palese il fatto che non abbia mangiato,
ma mi trattengo, evitando di farla infuriare ancora. Mi
allontano verso il tavolo con le vivande. Un uomo sulla
quarantina si gira, mentre aspettiamo entrambi essere
serviti, e intavola un discorso sull’arte e la fotografia.
Bado a stento alle sue parole, rispondendo a monosillabi.
Una brivido mi percorre la schiena, spingendomi a
voltarmi. Riesco a stento a trattenere la rabbia quando lo
vedo. Quel bastardo figlio di puttana, tirato a nuovo per
l’occasione. La tiene per le spalle, scrutandola,
guardandola famelico, come un lupo con la sua preda. Mi
stanno guardando. Entrambi. E lui non è contento. “Bene,
stronzo. Neppure io”. Il mio sguardo è catturato da quello
di Anastasia. Per un attimo ci perdiamo, l’uno nell’altra,
connessi ad un livello profondo che ci permette di
estraniarci insieme dal mondo. I suoi occhi si aprono, la
sua bocca si schiude e, ne sono certo, se ci fossimo solo
noi due, saremmo già l’uno nelle braccia dell’altra. Poi il
suo amico la distrae, spezzando quel momento magico tra
di noi. “Coglione!”. Arriva anche la ragazza di prima che,
fortunatamente, lo trascina via da lei. José le sorride
troppo sdolcinatamente, chinandosi a baciarla sulla
guancia, prima di schizzare via con l’altra ragazza. La
raggiungo più in fretta che posso, portandole il bicchiere
di vino che voleva. Mi guarda serena, con una
straordinaria forza recuperata.
«È all’altezza?» mi chiede.
La guardo, senza capire a cosa si riferisca.
«Il vino» mi spiega, con un sorriso che non vedevo da
tempo.
«No. Raramente lo è a eventi come questo. Il ragazzo
ha talento, vero?» le dico, girandomi intorno.
Per quanto non lo sopporti, non sono così idiota da
non riconoscere il talento quando lo vedo. E lui ne ha da
vendere.
«Perché pensi che gli avrei chiesto di farti un ritratto,
altrimenti?» mi risponde altezzosa.
Il mio sguardo passa dalle foto a lei, accarezzando ogni
millimetro della sua delicata espressione. Ad
interromperci è un fotografo.
«Christian Grey? Posso scattarle una foto?» chiede,
nella speranza di fare uno scoop.
«Certo» rispondo educatamente.
Ana fa un passo indietro, ma la afferro quasi subito per
una mano, costringendola ad avvicinarsi. La tengo per la
vita, mentre il fotografo ci guarda senza sforzarsi di non
apparire stupito.
«Grazie, Mr Grey»
Scatta due o tre foto. Poi si rivolge ad Ana.
«Miss... ?» chiede.
«Ana Steele» risponde lei, gentile.
«Grazie, Miss Steele» le dice con un sorriso, prima di
allontanarsi.
Ana, si gira verso di me, ma guarda le foto appese al
muro.
«Ho cercato tue foto con altre donne su Internet. Non
ce ne sono. Ecco perché Kate pensava che fossi gay» mi
dice all’improvviso.
Sorrido beffardo.
«Questo spiega la tua domanda inopportuna. No, io
non do mai appuntamenti a donne, Anastasia. Solo a te.
Ma questo lo sai» le dico, imprimendo nella mia frase
tutta la sincerità di cui sono capace.
La guardo intensamente, sperando che capisca. “Esiste
solo lei. Per sempre”.
«Così non porti mai le tue...» si ferma un attimo,
guardando in giro imbarazzata, temendo di essere
ascoltata. «...le tue Sottomesse fuori?» sussurra
sottovoce.
Sospiro leggermente.
«Qualche volta. Ma non per un appuntamento. Per fare
shopping, sai»
Mi stringo nelle spalle, senza smettere di fissarla.
Anastasia soppesa le mie parole, rimanendo in silenzio.
«Solo a te, Anastasia» le dico, sussurrandoglielo piano,
dolcemente.
Le sue guance si colorano di un rosso vivace, mentre i
suoi occhi si abbassano sulle sue dita. Non voglio
caricarle la testa di troppo pensieri. Parleremo dopo.
«Il tuo amico sembra più un fotografo di paesaggi che
di ritratti. Facciamo un giro» le propongo, prendendole la
mano e guidandola nella sala.
Osserviamo delle stampe, in silenzio. Anastasia viene
distratta dagli sguardi di una coppia che la osserva,
indicandola palesemente. Il ragazzo la fissa a bocca
aperta, ammaliato. Mi sto innervosendo, per cui la
trascino via. Ci spostiamo, girando l’angolo. E il cuore mi
si ferma nel petto. Furia, rabbia, gelosia, amore,
desiderio, follia. Il sangue mi ribolle di tutto questo
mentre, dalla parete di fronte a me, sette diverse
Anastasia mi fissano. In sette diversi modi diversi. Sette
lati di lei, del suo carattere, del suo essere, che vorrei
essere il solo ad aver visto. Sette paia degli stessi occhi
mi tengono incollato a lei più di quanto io non lo sia
già.
Ci metto un po’ a riscuotermi dalla paralisi che mi
ha immobilizzato. La guardo di sfuggita, notando la
stessa
espressione attonita sul suo viso.
Evidentemente era all’oscuro di tutto questo.
“Bell’amico José”. Ma la magia del suo sguardo mi
costringe a guardare di nuovo quei meravigliosi
ritratti. “E se non fossi venuto con lei? Cosa sarebbe
questa? Una dichiarazione d’amore? Per lei? Per lei
che è mia?”. Ognuno di quei ritratti esprime un lato
del suo carattere che ho imparato bene a conoscere
ed ammirare nelle ultime tre settimane. Credevo di
essere il solo a vederla in quel modo, ad aver colto
quelle sfumature. Ma non è così.
«A quanto pare, non sono l’unico» mormoro,
serrando le labbra per la rabbia che torna a farsi
sentire.
E il problema è che io non voglio che nessun altro
le colga. Nessuno che voglia portarla via da me. E se
per questo dovrò arricchire un po’ le tasche di quel
coglione, allora va bene. La guardo per un attimo.
Sembra sentirsi in colpa, anche se non è colpa sua.
«Scusami» le dico, fissandola a fondo.
Poi mi allontano verso la reception, dove trovo la
ragazza con i capelli corti che mi lancia un sorriso
estatico. Tiro fuori la carta di credito.
«Vorrei effettuare un acquisto» le dico diretto.
I suoi occhi si illuminano.
«Prego! Per quale opera?»
«Per i sette ritratti di Miss Anastasia Steele» sibilo.
La ragazza sbarra gli occhi, a bocca aperta.
«Intende tutti e sette, Mr...» dà un’occhiata alla
carta di credito. «...Mr Grey?»
«É quello che ho appena detto, signorina. Tutti e
sette i ritratti. Le sarei grato se potesse concludere la
transazione in fretta»
La ragazza si mette all’opera e cinque minuti dopo
sono il nuovo proprietario di quelle sette meraviglie.
“Forse dovrei addirittura ringraziarlo. Se pure lei non
ne volesse sapere più di me, almeno avrei quelle foto
a ricordarmela e ad uccidermi lentamente giorno
dopo giorno”. Quando mi giro per tornare da
Anastasia, vedo di fronte a lei un idiota biondo che le
sorride sfacciatamente. Accelero i passi, afferrandole
il gomito quando le sono accanto, in modo
possessivo.
«Sei un tipo fortunato» mi dice il ragazzo,
fissandomi con un sorrisetto.
Lo gelo con lo sguardo.
«Lo sono» rimbrotto, guardandolo
allontanandomi insieme ad Ana.
truce
e
La trascino in disparte, in un angolo della sala.
«Hai comprato un ritratto?» mi chiede curiosa e
apprensiva.
«Uno?» sbuffo, senza smettere di guardarla, con la
consapevolezza che ora potrò guardarla ogni volta
che mi va.
«Ne hai comprato più di uno?» chiede incredula.
Alzo gli occhi al cielo esasperato. Ora capisco cosa
prova quando lo fa lei.
«Li ho comprati tutti, Anastasia. Non voglio che
qualche sconosciuto sbavi sulla tua foto nell’intimità
di casa sua» sbotto.
Mi aspetto di vederla arrabbiarsi. Ma la sua
reazione mi confonde e stupisce e delizia allo stesso
tempo. Scoppia a ridere di gusto.
«Meglio che sia tu a farlo?» mi prende in giro, con
gli occhi luminosi.
La fisso attonito, tentando di trattenere un sorriso.
«Francamente sì» ammetto con una finta aria da
arrogante.
«Pervertito»
mi
deliziosamente il labbro.
sussurra,
mordendosi
La guardo divertito dalla sua audacia. La desidero
da impazzire. Vorrei solo perdermi nel suo corpo, ma
non devo. Non posso. Eppure la sua sfida accende in
me desideri sopiti. Solo lei è in grado di darmi queste
sensazioni. Nessun’altra potrebbe più farlo oramai.
Decido di stare al suo gioco. Mi strofino il mento,
fingendo di soppesare la sua affermazione.
«Non posso
Anastasia»
ribattere
a
quest’affermazione,
Lei mi fissa, con un’aria fintamente altezzosa.
Scuoto la testa, sorridendole affettuosamente.
«Potrei discuterne più approfonditamente con te,
ma ho firmato un accordo di riservatezza» mi dice
con noncuranza.
Il colpo va dritto a segno. Le ho fatto firmare
quell’accordo per essere sicuro che non spifferasse in
giro in quanti e quali modi l’avrei fatta godere.
“Cristo!”. Sono eccitato, infuriato con me stesso per
essere stato così coglione, e la desidero. Il mix di
emozioni non è dalla mia parte. Se fossimo da soli le
sarei già saltato addosso, lo so, nonostante i miei
propositi.
«Che cosa mi piacerebbe fare a quella lingua
biforcuta!» mormoro, mentre il mio uccello smania
nei miei pantaloni.
Apre la bocca e non emette fiato, mentre mi scruta.
Sa che non scherzo. E sa benissimo cosa intendo.
«Sei molto
scioccata.
volgare»
risponde,
fingendosi
Le sorrido e decido di mettere fine al nostro
piccolo gioco perverso di stuzzicarci a vicenda, che
potrebbe finire solo in un modo. Con me dentro di
lei. E non dev’essere stasera. Non posso cedere a
tutto questo. Non posso rischiare di sbagliare e farle
del male ancora una volta. Aggrotto la fronte,
continuando a sorridere e guardando i miei nuovi
acquisti affissi alla parete di fronte a noi.
«Sembri rilassata in queste fotografie, Anastasia.
Non ti vedo spesso così» mormoro.
“Ed è colpa mia, piccola. Sei un fascio di nervi
quando mi stai accanto”. Abbassa lo sguardo,
all’improvviso triste. ‘Il premio per il più coglione
dell’anno è sicuramente andato a te, Grey’. Le sollevo
il mento. Respira a fondo, guardandomi.
«Voglio che tu sia altrettanto rilassata con me» le
sussurro dolcemente.
I suoi occhi si fanno grandi, pieni di un sentimento
strano che non riesco a decifrare.
«Devi smetterla di intimidirmi, se vuoi che lo sia»
replica piano, ma decisa.
«Devi imparare a comunicare e a dirmi come ti
senti» ribatto, mentre la speranza si accende nel mio
cuore.
“Mi sta forse concedendo un’altra possibilità?”.
Anastasia fa un altro respiro profondo.
«Christian, tu mi vuoi come tua Sottomessa. Il
problema è proprio qui, nella definizione di
sottomesso. Una volta me l’hai mandata via mail». Fa
una pausa, cercando di riorganizzare i suoi pensieri.
«Credo che i sinonimi fossero: “compiacente,
adattabile, condiscendente, passivo, accomodante,
rassegnato, paziente, docile, domato, soggiogato”.
Non era previsto che ti guardassi, né che ti parlassi a
meno che tu non mi avessi dato il permesso di farlo.
Che cosa ti aspetti?» sibila acida.
Aggrotto le sopracciglia, ma lei non mi lascia
possibilità di replica. ‘Forse non te la stava dando
quella possibilità, Grey’.
«Stare con te mi confonde. Non vuoi che io ti sfidi,
ma poi ti piace la mia “lingua biforcuta”. Vuoi
obbedienza, eccetto quando non la vuoi, così puoi
punirmi. È solo che non so mai che cosa succederà
quando sono con te»
Le lascio il mento, stringendo gli occhi per la fitta
di dolore che le sue parole mi provocano. La sua
descrizione di me, fino a cinque giorni fa sarebbe
stata esatta. Ma sono cambiato. E ho bisogno che lei
lo sappia.
«Ottima analisi, come sempre, Miss Steele». La
mia voce è fredda. «Vieni, andiamo a mangiare» le
ordino, senza mezzi termini.
«Siamo qui soltanto da mezz’ora» mi risponde
basita.
«Abbiamo visto le foto. E tu hai parlato con il
ragazzo» le sibilo contro.
«Si chiama José» risponda acida.
«Hai parlato con José. L’uomo che, l’ultima volta
che l’ho visto, stava cercando di infilarti la lingua in
bocca, sebbene tu non volessi e fossi ubriaca e stessi
per vomitare» ringhio furente.
«Lui non mi ha mai picchiata»
impulsivamente, sfidandomi con lo sguardo.
ribatte
La sua espressione è altera, i suoi occhi stretti in
due piccole fessure rabbiose. Le lancio un’occhiata
carica d’ira. Ma anche di rimorso.
«Questo è un colpo basso, Anastasia» mormoro
minaccioso, cercando di farle smettere di fare la
bambina.
Arrossisce violentemente, rendendosi conto del
suo comportamento inopportuno. Mi passo una
mano nei capelli, esasperato, arrabbiato. Mi rende
così vulnerabile ed instabile. Ana mi fissa,
calmandosi di poco. La tensione tra noi è costante.
«Ti porto a mangiare qualcosa. Mi stai sparendo
davanti. Trova il ragazzo e salutalo» le intimo,
minaccioso.
«Per favore, possiamo rimanere un altro po’?»
chiede esausta, sconsolata, sapendo già che la mia
risposta sarà no.
«No. Vai. Salutalo»
Mi lancia un’occhiataccia, furiosa. Si gira,
cercando il suo fottuto amico. Quando lo individua, si
dirige verso di lui a grandi falcate. La osservo mentre
gli tocca il braccio, facendolo girare. Lui le mette un
braccio attorno alle spalle, con una posa da gradasso.
Devo sforzarmi per non avvicinarmi e picchiarlo a
sangue. Respiro a fondo, cercando di domare i miei
istinti. Li vedo parlottare. Ad un tratto lui la
abbraccia, stringendola forte. Anastasia si trova ora
di fronte a me, mentre José, di spalle, non può
vedermi. Ma lei si. La fisso truce, il cervello
annebbiato dalla gelosia. Ed ecco che lei ne
approfitta. Guardandomi, avvolge le braccia attorno
al collo del suo amico, con uno sguardo di sfida.
Smetto di ragionare e inizio ad avvicinarmi a lei.
Parlottano ancora. Ridono entrambi. Lui passa le
mani attorno ai suoi fianchi, stringendola forte in
una posa molto intima. Arrivo alle loro spalle,
guardando Anastasia minaccioso.
«Non sparire, Ana. Oh, Mr Grey, buonasera» mi
saluta lo stronzo, avvertendo la mia presenza e
girandosi a guardarmi.
Le sue mani lasciano i fianchi di Ana quasi
automaticamente quando si accorge della mia
espressione.
«Mr Rodriguez, sono molto colpito» le dico
freddamente. «Mi dispiace che non possiamo
rimanere di più, ma dobbiamo tornare a Seattle.
Anastasia?»
Le tendo la mano. Lei lo saluta di nuovo,
chinandosi a baciarlo sulla guancia. A quel punto non
ragiono più. Le afferro la mano e la trascino via,
fregandomene se sembro un marito geloso e tutti ci
stanno guardando. Non me ne fotte un cazzo,
onestamente. Voglio solo chiarire una volta per tutte
questa situazione. Sento la furia trasparire dal suo
corpo e fondersi con la mia. Potrebbe uccidermi in
questo momento. Lo so. Anche se mi desidera. E
anche io sono incazzato nero con lei. Usciamo in
strada. Continuo a trascinarla per mano. Scorgo un
viottolo sulla sinistra e mi ci infilo insieme a lei. La
spingo violentemente contro il muro. Le mie mani
afferrano il suo viso, costringendola a guardarmi.
Voglio che lo veda. Che veda cosa mi provoca saperla
tra le braccia di un altro. Il suo corpo è attraversato
da un fremito. Il mio respiro affannato va di pari
passo con il suo. Lo sguardo si posa sulle sue labbra
semiaperte. E non resisto oltre. La bacio con
violenza, con forza. La mia lingua viola la sua bocca.
Ma non sono solo in questo. Pochi secondi e anche lei
risponde al mio bacio con la stessa identica forza e
brutalità. Sembriamo due bestie tenute in gabbia e
liberate all’improvviso. La mia erezione fa male nei
pantaloni. Ana mi afferra i capelli, tirandoli
selvaggiamente mentre lascia che la mia lingua si
scontri con la sua in una disperata corsa al piacere. Ci
tratteniamo a vicenda, affamati dello stesso bisogno.
La mia mano scende lungo il suo corpo, in una dolce
carezza sensuale. Si ferma sulla sua coscia,
stringendola forte. Devo fare un profondo sforzo per
non spingere il mio corpo contro il suo e farle sentire
quanto sono eccitato. Sto perdendo ogni briciolo di
controllo. E mi ero ripromesso di non toccarla. A
meno che non fosse stata lei a chiedermelo
coscientemente. Non voglio sopraffarla. Il pensiero
mi dà l’input per staccarmi da lei.
«Tu. Sei. Mia» le sibilo contro, prima di
allontanarmi del tutto.
Tremiamo entrambi. Ana si appoggia al muro,
mentre io mi piego, poggiando le mani sulle
ginocchia e imponendomi il controllo.
«Per l’amor di Dio, Ana» la imploro quasi.
Imploro di non farmi impazzire, di tenermi con lei
e non accogliere nessun altro in quel porticciolo
sicuro che è la sua vita.
«Mi
dispiace»
sussurra
guardandomi con aria colpevole.
all’improvviso,
«Sì, fai bene. So cosa stavi facendo. Vuoi il
fotografo, Anastasia? È evidente che lui prova dei
sentimenti per te» le dico, aggrottando la fronte e
tornando cupo.
Arrossisce di nuovo, imbarazzata, e scuote la testa.
«No, è solo un amico» sussurra a voce bassissima.
«Ho passato tutta la mia vita di adulto cercando di
evitare ogni emozione estrema. Eppure tu... tu
scateni in me sentimenti che mi sono completamente
sconosciuti. È molto...» aggrotto la fronte senza
trovare le parole per spiegarmi. «...sconcertante. Mi
piace avere il controllo, Ana, e vicino a te questo...».
Mi rialzo, ancora una volta a corto di parole. Faccio
un vago gesto con le dita in aria «...evapora» le dico
alla fine.
Ha gli occhi spalancati, la schiena incollata al
muro. Ho una fottuta voglia di prenderla e farla mia.
Mi passo una mano tra i capelli, cercando di tenere a
bada i miei istinti. Poi la prendo per mano,
staccandola dalla parete e costringendola a
camminare con me.
«Vieni, dobbiamo mangiare, e dobbiamo parlare»
le dico e, senza aggiungere altro, la conduco via da
quel vicolo.
Capitolo 5
Camminiamo a piedi per un po’, prima di raggiungere
il piccolo ristorantino che ho scelto. É un posto intimo,
adatto alla conversazione che dovremo affrontare.
«Questo posto andrà bene» mormora. «Non abbiamo
molto tempo» le mormoro, lasciandola entrare per prima.
Anastasia si guarda intorno, ammirando l’arredamento
e l’eleganza del locale. Le pareti sono di un intenso rosso.
Un rosso che conosco bene. “Cazzo”. Non voglio che pensi
che sia una sorta di allusione alla mia stanza segreta. In
sottofondo Ella Fitzgerald smorza la tensione che stava
per crearsi tra noi, creandone una nuova, più tenera e
dolce. This thing called love accompagna l’ondulazione
del suo esile corpo mentre seguiamo il cameriere al
nostro tavolo, in un angolo appartato e particolarmente
intimo. Il suo viso è preoccupato quando si gira a
guardarmi, mentre si siede. Prendo posto accanto a lei,
non mi va di mettere troppa distanza tra di noi.
«Non abbiamo molto tempo» dico al cameriere.
«Perciò prendiamo tutti e due una bistecca di manzo,
media cottura, con salsa Bernese, se l’avete, patatine fritte
e verdure, di qualunque tipo. E mi porti la lista dei vini»
Ordino per entrambi, cercando di fare più in fretta
possibile.
«Certo, signore» mi risponde il cameriere, ovviamente
colto di sorpresa dalla mia efficienza. Poggio il BlackBerry
sul tavolo, dopo aver inserito la modalità silenziosa.
Taylor potrebbe chiamare da un momento all’altro. Alzo
lo sguardo su di lei e la trovo infastidita.
«E se a me la bistecca non piacesse?» sbotta, piccata.
Sospiro pesantemente. Non sarà facile. Sarà molto,
molto difficile.
«Non cominciare, Anastasia» le intimo severo.
«Non sono una bambina, Christian» sbotta in tono
quasi infantile, in netto contrasto con quello che ha
appena affermato.
«Bene, allora smettila di comportarti come se lo fossi»
la riprendo gelidamente, guardando lo schermo del mio
telefono.
Il suo silenzio mi costringe ad alzare lo sguardo. Sul
volto le si è dipinta un’espressione attonita, incredula.
Sbatte le palpebre diverse volte. “Non promette nulla di
buono tutto questo. Merda”.
«Sono una bambina perché non mi piace la bistecca?»
brontola, palesemente offesa dalle mie parole.
«Perché
hai
tentato
deliberatamente
di
farmi ingelosire. È una cosa infantile. Non hai
alcuna considerazione per i sentimenti del tuo amico,
provocandolo in quel modo?» le riverso addosso il fiume
di parole che tenevo i gola da quando siamo usciti dalla
galleria.
La fisso severamente, tenendo a stento a freno la
rabbia. Anastasia mi guarda stupita, mortificata. Poi i
suoi occhi si abbassano sulle sue mani, non riuscendo a
reggere il mio sguardo. Afferro la carta dei vini, poi la
guardo. So che non se ne intende, ma lo faccio apposta a
chiedere il suo parere. Vuole considerazione? Ebbene,
eccoti la considerazione.
«Vuoi scegliere il vino?» le chiedo, guardandola con un
sopracciglio alzato.
Sono arrogante, lo so da solo. Ma la rabbia non mi
permette di tenere a freno tutte le sensazioni che sto
provando ora.
«Scegli tu» mi risponde, mettendo un delizioso
broncio che mi fa sorridere pur un attimo.
Guardo il cameriere, porgendogli la carta dei vini.
«Due bicchieri di Shiraz della Barossa Valley, per
favore» ordino.
«Ehm... quel vino lo serviamo solo in bottiglia,
signore» risponde imbarazzato.
«Una bottiglia, allora» ribatto seccamente.
«Signore» mi risponde sommessamente, ritirandosi in
buon ordine.
Ana lo segue con lo sguardo, comprensiva. Poi mi
guarda, aggrottandola fronte. “Non vorrai mica farmi una
scenata perché mi sono spazientito con il cameriere?”.
«Sei molto scontroso» mi dice, continuando a
guardarmi.
La fisso, inespressivo. ‘Sì, Grey. Vuole’.
«Mi domando perché» le rispondo
fissandola con le sopracciglia alzate.
sarcastico,
«Bè, sarebbe il caso di assumere il tono giusto per
un’intima e onesta discussione sul futuro, non sei
d’accordo?» mi dice, sorridendomi dolcemente.
Serro le labbra, nel tentativo di mostrarmi risoluto e
non farmi sfuggire un sorriso. Ma, al diavolo. Fanculo. Mi
lascio andare riluttante e ricambio il sorriso.
«Mi dispiace» le dico, sospirando a fondo.
“Hai il potere di mandarmi in pezzi e di ricompormi in
pochi attimi, Anastasia. Solo tu”.
«Scuse accettate, e sono lieta di informarti che non ho
deciso di diventare vegetariana dall’ultima volta che ci
siamo visti» risponde divertita.
«Dato che quella è stata anche l’ultima volta in cui hai
mangiato, credo che la questione sia opinabile» ribatto
altezzoso.
«Ancora quella parola, “opinabile”» mi risponde,
riferendosi a quando l’ho usata per il contratto. Il suo
contratto. Che ora non è più opinabile. É carta straccia.
Perché farei di tutto pur di riaverla.
«Opinabile» le dico di nuovo, più dolce, guardandola
teneramente.
La tensione torna a farsi sentire. Mi passo una mano
nei capelli, sospirando piano e tornando serio. É arrivato.
Il momento della verità è arrivato. E opto per la sincerità
assoluta.
«Ana, l’ultima volta in cui ci siamo parlati, tu mi hai
lasciato. Sono un po’ nervoso. Ti ho detto che ti rivoglio, e
tu... non hai replicato»
La fisso, cercando di mostrarle tutta la mia
vulnerabilità. É qualcosa, questo, che ho combattuto sin
da ragazzo. Ma ora non ho niente da perdere se non lei. E
se le serve entrarmi dentro per tornare da me, allora che
lo faccia pure. Che si prenda tutto quello che sono.
«Mi sei mancato... sul serio, Christian. Gli ultimi giorni
sono stati... difficili» si ferma, deglutendo a fatica. I suoi
occhi si tingono di dolore e paura. E ansia. Quel velo di
tristezza mi ferisce a fondo. Poi rialza piano la testa, come
per ammettere una profonda sconfitta. «Non è cambiato
niente. Non posso essere quella che tu vuoi che io sia»
mormora a voce bassa.
“Dio, Ana. Ma perché non lo capisci?”
«Tu sei quella che voglio che tu sia» ribatto con forza,
come se volessi farle accettare il mio pensiero ad ogni
costo.
«No, Christian, non lo sono» ribatte piano.
«Sei turbata per via di quello che è successo l’ultima
volta. Mi sono comportato da stupido e tu... anche tu.
Perché non hai pronunciato la safeword, Anastasia?»
Senza rendermene conto la sto accusando. Ci ho
pensato spesso in questi cinque giorni, al perché non mi
abbia fermato. Ho pensato che le piacesse stare lì, in
quella stanza, a farsi fare del male da me, che forse anche
lei sentisse di dover espiare qualche colpa, che lo
ritenesse giusto. Ma sono stato stupido. Ho voluto
giustificare me stesso, dando parte della colpa a lei. E la
verità è che, ancora ora, non capisco perché cazzo non mi
abbia fermato quando poteva. Ana mi guarda confusa, in
preda al panico. In silenzio.
«Rispondimi» le ordino piano, quasi implorandola di
farmi capire.
E finalmente parla. Mi spiega.
«Non lo so. Ero sopraffatta. Stavo cercando di essere
quella che volevi che io fossi, cercavo di gestire il dolore, e
la cosa mi è sfuggita di mente. Capisci... me ne sono
dimenticata» sussurra mentre le sue guance si velano di
un rosso intenso. Di vergogna. Si stringe nelle spalle,
tenendo lo sguardo basso e colpevole. Potrei trovare
eccitante il suo aspetto, ora, se non fossi completamente
accecato dalla rabbia.
«Te ne sei dimenticata!» esclamo in uno stato di puro
terrore.
Cazzo, Anastasia! Mi sono fidato di te, mi sono
completamente abbandonato a quello che sentivo,
credendoti in grado di capire. Credendoti grande
abbastanza da poter gestire me e la mia schifosa vita di
merda. Ma non era così, non è così! “Cristo!”. Le mie
mani afferrano le estremità del tavolo davanti a me, con
forza. Anastasia mi guarda colpevole, ritraendosi sulla
sedia. Eppure... eppure non è colpa sua. Questo lo so. É
ancora una volta mia. Ma almeno avrebbe potuto darmi
qualche segnale in più.
«Come posso fidarmi di te?» le dico a bassa voce,
ritrovando un minimo di stabilità. «Come potrò mai
fidarmi?»
E la domanda è rivolta più a me stesso che a lei. Perché
nonostante questo, so che voglio stare con lei. Ma posso
convivere con i dubbi e le incertezze ogni santo giorno?
La guardo. E la risposta, ancora una volta, appare limpida
davanti a me. Il cameriere ci interrompe, portando il
vino. Continuiamo a fissarci in silenzio, occhi negli occhi,
entrambi infuriati, pieni di rimorso e inesorabilmente
attratti l’uno dall’altra. É una cosa che va al di là del
nostro controllo. Il cameriere stappa la bottiglia in modo
teatrale, rimanendo deluso quando vede che la sua
sceneggiata da sommelier non sortisce effetto su di noi.
Afferro il bicchiere in cui ha versato il vino,
assaggiandolo. Non sento neppure il sapore, in verità,
mentre continuo a scrutare Anastasia.
«Va benissimo» gli dico bruscamente.
Il poveretto ci riempie i bicchieri in silenzio, facendo
attenzione, e ritirandosi in fretta non appena ha finito. I
miei occhi continuano a rimanere incollati alla donna che
desidero più della mia stessa vita. Alla fine è lei a staccare
lo sguardo, afferrando il suo bicchiere e bevendo un
abbondante sorso di vino.
«Mi dispiace» sussurra, come se si fosse appena fatta
coraggio.
La sua espressione contrita riaccende in me un
desiderio che fa male. Eppure non posso negarlo. Sapere
di avere ragione, sapere che è lei in difetto, mi dà un
senso di potere immenso. Mi dà il diritto di farla mia
come meglio credo? No, questo forse no. Ma mi eccita
pensarla alla mia mercé. Mi eccita pensare di poterla far
svenire di piacere solo perché mi ha disobbedito. É questo
che fondamentalmente non capisco. Con le altre era il
piacere di punirle perché assomigliavano a mia madre.
Con lei rimane solo il piacere di punirla e di sottometterla
perché è un’impertinente e sexy testa dura. “Mio Dio che
confusione”. La guardo, e, ad un tratto il suo “mi
dispiace” non so come prenderlo. “Non lasciarmi, Ana.
Provaci. Io voglio farlo, per te”.
«Ti dispiace per cosa?» le chiedo, senza riuscire a
domare l’ansia.
«Per non aver usato la safeword» mi dice piano, piena
di rimorso.
Forse, come me, sta pensando che avremmo potuto
risparmiarci tutto questo. Ma, probabilmente, non sa
quanto bene mi abbia fatto. Non riesco a trattenere un
moto di sollievo alle sue parole. Chiudo gli occhi,
rincuorato. E glielo confesso.
«Avremo potuto risparmiarci tutta questa sofferenza»
mormoro piano, sentendo la tensione scemare
all’improvviso.
«Tu hai un bell’aspetto» ribatte, sorpresa dalla mia
uscita.
«Le apparenze possono ingannare» ribatto piano,
ripensando a com’ero fino 24 ore fa. Un uomo distrutto.
Un uomo patetico e distrutto. E voglio che lo sappia. Che
si renda conto di quanto è importante per me. «Sto
tutt’altro che bene. Mi sento come se il sole fosse
tramontato e non sorgesse più da cinque giorni, Ana. Vivo
in una notte perpetua» le dico, scegliendo le parole che
più si avvicinano a quello che ho provato e che
l’incertezza continua a farmi provare.
Anastasia spalanca gli occhi, sbalordita. So di aver
colpito nel segno. E le ho detto solo parte della verità.
Quelle parole non rendono la devastazione profonda che
ho provato. Ana mi guarda quasi sconvolta, come se non
credesse possibile che quelle parole possano essere mie e
vere allo stesso tempo. Questo fa male. Fa male perché mi
da la misura di quanto sia lontana dall’aver capito ciò che
provo per lei.
«Hai detto che non te ne saresti mai andata, poi le cose
sono peggiorate e tu eri fuori dalla porta»
«Quando ho detto che non me ne sarei mai andata?»
mi chiede incredula.
«Mentre dormivi. È stata la cosa più confortante che
abbia mai sentito da lungo tempo. Mi ha fatto sentire
rilassato»
La prima cosa da quel giorno in cui Grace mi disse
“Vieni, ti porto a casa”. Il mio cuore prende a palpitare
veloce. Sembra quasi che scoppi. Ana non regge il mio
sguardo carico di dolore e speranza. Afferra il suo
bicchiere e ingoia freneticamente un altro sorso di vino.
«Hai detto che mi ami» le sussurro piano, temendo la
sua risposta. Per anni ho evitato cosse del genere. Ora
sento che non potrei farne a meno. «Ora è una frase al
passato?» le sussurro ansioso, la voce ridotta ad un mero
sussurro.
«No, Christian, non lo è»
Anche la sua voce è flebile, tremante, carica di ansia e
di paura. Sembra quasi che abbia paura di ammetterlo,
perché teme il mio rifiuto. Ma allo stesso tempo è
rassegnata, come se non potesse essere altrimenti. “Prova
le stesse identiche cose che provo io. Mi ama. Lo ha detto.
Mi ama”. Non riesco a trattenere un sospiro di sollievo.
«Bene» mormoro, come se mi fossi liberato da un
peso.
Ana mi fissa a bocca aperta, scioccata. E a ragione.
Neppure io mi riconosco. Il cameriere torna da noi,
servendoci la cena e fuggendo come se si trovasse al
cospetto di un orco. ‘Non è quello che in realtà sei, Grey?’.
Anastasia fissa il piatto, tremante.
«Mangia» le ordino perentorio.
“Non ammetto di sentire ragioni stasera su questo,
Miss Steele”. Fissa me e poi di nuovo il piatto. Stringo le
labbra in una linea sottile.
«Per l’amor di Dio, Anastasia, se non mangi ti metterò
sulle mie ginocchia, qui al ristorante, e la cosa non avrà
niente a che vedere con il mio piacere sessuale. Mangia!»
Urlo quasi, senza riuscire a contenermi. “Ho visto
gente morire di fame. Sono quasi morto io di fame.
Sapere che hai lo stomaco pieno, mi aiuta ad eliminare
uno dei motivi per cui potrei perderti”.
«Okay, mangerò. Tieni a freno le mani che prudono,
per favore» mi dice con un sorrisetto debole.
La fisso, senza ricambiare il sorriso. E non smetto di
guardarla fino a che non prende forchetta e coltello e
inizia a tagliare un pezzo di bistecca. Lo infila piano in
bocca e la sua espressione è di gratitudine quando inizia a
masticarlo. Mi rilasso, mentre lei sembra recuperare una
certa voracità. Ceniamo entrambi in silenzio, scrutandoci
di sottecchi. I miei occhi si posano casualmente su quelle
labbra rosee e morbide, seguono il profilo del suo naso e
si fissano nei suoi occhi azzurri che brillano. La desidero.
La desidero da impazzire. L’ho desiderata per cinque
giorni. Ma stasera è qui. Davanti a me. Sono un’anima in
pena. E lo sarò fino a che non sarò sicuro che è di nuovo
mia. Solo mia. Ana abbassa lo sguardo, imbarazzata.
«Sai chi canta?» mi dice, per
dall’attenzione che ho fissato su di lei.
distogliermi
Tendo l’orecchio. La voce melodiosa che ascolto è
bella, ma sconosciuta.
«No... ma è brava, chiunque sia»
«Anche a me piace» mi dice calma.
Le sorrido maliziosamente, ricordando quanta musica
abbiamo condiviso. Ricordando anche quale musica
abbiamo condiviso a fondo.
«Cosa c’è?» chiede curiosa, chinando la testa da un
lato.
Scuoto la testa, senza risponderle.
«Mangia» le dico gentilmente.
E lei ubbidisce, come una bimba modello. Ma solo fino
a metà del piatto. Suppongo che il suo stomaco non sia
abituato a tanta abbondanza oramai.
«Non ce la faccio più. Ho mangiato abbastanza,
signore?» mi dice ad un certo punto, con tono dolce e,
nelle sue intenzioni, persuasivo.
L’appellativo colpisce nel segno. Il mio cazzo si tende
sotto al tavolo. E vorrei soltanto afferrarla e farla mia ora.
Ma non posso. Non in quel modo. Non posso farle del
male. Anche se è lei a chiederlo, a provocarmi. Guardo il
mio orologio. Lo schermo del mio BlackBerry si illumina
brevemente.
«Sono davvero sazia» aggiunge, bevendo il resto del
suo vino nel calice.
«Tra poco dobbiamo partire. Taylor è qui. Domani devi
svegliarti presto per andare al lavoro» le dico,
acconsentendo in quel modo alla sua richiesta di smettere
di cibarsi.
«Anche tu» ribatte.
«Io ho bisogno di molto meno sonno di te, Anastasia.
Perlomeno hai mangiato qualcosa» le dico con un
sospiro.
«Non torniamo con Charlie Tango?» chiede curiosa.
«No, ho pensato che avremmo bevuto un po’. Ci
riporterà Taylor. Inoltre, in questo modo ti avrò tutta per
me in macchina per qualche ora. Cos’altro possiamo fare
se non parlare?» le dico con un sorrisetto a metà tra
l’arrogante e il saputello.
Ana mi fissa, gli occhi grandi e aperti. Chiamo il
cameriere e chiedo il conto. Poi avvio la chiamata sul mio
BlackBerry.
«Mr Grey» risponde efficiente Taylor, al primo squillo.
«Siamo al Le Picotin, Southwest Third Avenue» dico,
riagganciando senza attendere risposta.
«Sei molto brusco con Taylor. In realtà lo sei con molte
persone» mi apostrofa, incrociando le braccia sotto al
seno.
«Arrivo al dunque velocemente, Anastasia» rispondo
seccamente.
Come punta dalla mia risposta, ribatte acida.
«Stasera non sei arrivato al dunque. Non è cambiato
niente, Christian»
«Ho una proposta da farti» le dico, insistendo.
La situazione è di nuovo tesa.
«Tutto questo è cominciato con una proposta» ribatte
lei a tono.
«Una proposta diversa» rispondo deciso.
Il cameriere torna da noi, dandoci un attimo di tregua.
Pago, mentre il mio telefono squilla una sola volta.
Anastasia è pensierosa. Aggrotta la fronte, tentando di
soppesare le mie parole. Riprendo la carta di credito e mi
alzo, tendendole la mano.
«Vieni. Taylor è qui fuori» le dico.
Quando la sua pelle viene a contatto con la mia, non
resisto all’impulso di baciarla. Le sfioro piano le nocche
con le labbra.
«Non voglio perderti, Anastasia» le sussurro.
Il suo corpo freme al mio tocco e questo mi eccita
ancora di più. Usciamo dal ristorante e scorgo il SUV ad
attenderci. Le tengo aperta la portiera, per farla entrare.
Poi mi avvicino al lato di Taylor e gli faccio segno di
scendere.
«Dica pure, Mr Grey»
Parlo sottovoce, per essere sicuro che Ana non senta.
«Infilati gli auricolari dell’iPod, accendi anche lo stereo
e fai come se io e Miss Steele non fossimo in auto» gli
ordino sentendo il panico salire dalle ginocchia per quello
che ho intenzione di dirle.
Taylor annuisce.
«Andremo a casa di Anastasia, prima di fare ritorno
all’Escala».
Taylor si rimette in auto, infilandosi le cuffie. Entro
anch’io, sistemandosi accanto ad Anastasia. Fisso il sedile
davanti a me, mentre sento lo sguardo di Anastasia fisso
su di me. Faccio un profondo respiro e mi sposto sul
sedile per guardarla.
«Come stavo dicendo, Anastasia, ho una proposta da
farti» inizio.
Il suo sguardo nervoso passa da me a Taylor. Intuisco
il suo timore inespresso.
«Taylor non può sentirti» la rassicuro.
«Come?» chiede stupefatta.
«Taylor?» lo chiamo, per mostrarle che non ci sente.
Taylor non risponde. Lo chiamo nuovamente, più
forte. Ancora nessuna risposta. Mi protendo sul sedile,
dandogli un colpetto sulla spalla. Solo allora Taylor si
toglie un auricolare e ci fissa brevemente dallo
specchietto retrovisore.
«Sì, signore?» chiede, tornando a guardare la strada.
«Grazie, Taylor. Va tutto bene. Riprendi pure ad
ascoltare la musica» gli dico con un breve sorriso.
«Sì, signore»
Mi giro verso Ana, che mi guarda a bocca aperta.
«Contenta, adesso? Sta ascoltando il suo iPod. Puccini.
Dimenticati della sua presenza. Come faccio io» le dico
semplicemente.
«Gli hai chiesto tu di mettersi gli auricolari?» chiede,
aggrottando la fronte.
«Sì» rispondo.
Incuriosita, torna a poggiare la schiena al sedile.
Respira a fondo, poi mi fissa.
«Okay. La tua proposta?» chiede timorosa.
Aggrotto la fronte, cercando di mantenere quel pizzico
di determinazione che ho acquisito negli ultimi minuti.
Anastasia si fa attenta. “Bene, puoi farcela, Christian”.
«Prima desidero chiederti una cosa. Vuoi una regolare
relazione vaniglia senza alcun tipo di sesso estremo?»
Mi
fissa
a
bocca
spalancata.
Ovviamente,
conoscendola, si sentirà a disagio a parlarne ad alta voce.
A parlarne in generale. Devo confessare che nemmeno io
mi sento tanto a mio agio. Ma dobbiamo parlare del
nostro rapporto, del nostro potenziale nuovo accordo, se
vogliamo far funzionare le cose. E dobbiamo parlarne
sinceramente.
«Sesso estremo?» chiede.
La sua voce è una sorta di gemito di desiderio. “Dio,
così le salto addosso qui in macchina”.
«Sesso estremo» ribadisco deciso.
«Non posso credere che tu l’abbia detto» mi dice con la
voce tremante, lanciando un’occhiata a Taylor.
«Bè, l’ho fatto. Rispondimi» le dico calmo, cercando di
mantenere stabilità e controllo.
Le sue guance si colorano di un rosso vivo. Abbassa lo
sguardo. Poi torna a guardarmi.
«Mi piace il tuo sesso estremo» sussurra piano.
Le sue parole sono un afrodisiaco naturale e mettono a
dura prova il mio desiderio e la mia lussuria.
«È quello che pensavo. Perciò che cosa non ti piace?»
la mia voce è roca, carica di desiderio represso ed
inespresso.
Ma i suoi occhi tornano a caricarsi di dolore. Stringe
piano le labbra prima di rispondermi.
«La minaccia di punizioni crudeli e insolite» sussurra
piano.
La guardo con la fronte aggrottata.
«Che cosa significa?»
Devo sapere esattamente fin dove posso spingermi.
Non posso più permettermi passi falsi con lei.
«Bè, tutte quelle verghe, quelle fruste e quella roba che
hai nella stanza dei giochi... mi spaventano a morte. Non
voglio che le usi su di me»
Soppeso la sua risposta. Questo me lo aspettavo.
«Okay, niente fruste né verghe... né cinture, per quel
che importa» le dico con un ghigno che appare strano
anche a me.
La verità è che per quanto credevo che mi fossero
indispensabili quelle cose per godere, per sentirmi
appagato, anche solo per eccitarmi, ora so che se non ho
lei non ho nulla. Non provo nulla. E allora chi se ne fotte
delle fruste e delle verghe. Voglio lei. Punto. Ana mi
guarda ancora una volta stupita.
«Stai tentando di ridefinire i limiti assoluti?»
Mi irrigidisco leggermente. Forse metterla già in
questo modo mi ha destabilizzato. Sentirlo da qualcun
altro che sto rimettendo in discussione me stesso, bè...
ancora non sono pronto per questo.
«Non in quanto tali. Sto solo cercando di capirti, di
avere un quadro più chiaro di ciò che ti piace e di ciò che
non ti piace» le dico, cercando di giustificarmi quasi.
«Fondamentalmente,
Christian,
è
la
tua
gioia nell’infliggermi dolore che mi risulta difficile
da gestire. E l’idea che tu me lo infliggerai perché
ho oltrepassato un limite arbitrario» mi incalza,
guardandomi con quel paio di occhi blu che mi penetrano
a fondo come nessuno mai ha fatto.
«Ma non è arbitrario. Le regole sono scritte» le dico,
ritraendomi di qualche millimetro.
L’ansia torna a farsi sentire in me.
«Io non voglio una serie di regole» mi dice decisa,
approfittandosi forse di quel pizzico di vulnerabilità che
scorge in me.
«Non ne vuoi affatto?»
La mia voce è più flebile. Sento il terreno scivolarmi da
sotto i piedi. Ma sono pronto a rischiare, lo so.
«Niente regole» mi dice dolcemente, scuotendo la
testa.
Negli occhi le leggo ansia e apprensione. E timore.
Forse ha il mio stesso timore. Quello di essere rifiutata. Di
vedere tutto andare in frantumi. La voce mi trema
leggermente quando le pongo la domanda successiva.
«Ma non ti dà fastidio se ti sculaccio?»
La sfumatura di puro desiderio non riesce a starsene
dentro di me. “Dio, quanto è eccitante anche solo parlarle
di tutto questo”.
«Se mi sculacci con cosa?» chiede a voce bassa, carica
di promesse.
«Questa» le dico, senza distogliere lo sguardo, alzando
la mano destra.
Ana si agita sul sedile, lanciando un’altra occhiata
furtiva a Taylor. Poi mi guarda, il respiro bloccato in gola.
«No. Non veramente. Soprattutto con quelle sfere
d’argento...» la voce le muore in gola.
Anche nella semi oscurità riesco a percepire il delizioso
rossore che le tinge la sua bellissima pelle d’alabastro. E
sospetto che molte altre parti del suo corpo stiano
arrossendo proprio in questo momento. Le faccio un
sorrisetto malizioso.
«Sì, è stato divertente» le confesso divertito.
«Più che divertente» mormora lei con lo sguardo
scintillante e un tono di voce che mi fa trasalire per
quanto trasuda desiderio.
Deglutisco piano, cercando di trattenermi dal saltarle
addosso. Dobbiamo continuare a ridefinire la nostra
storia.
«Quindi riesci a sopportare un po’ di dolore» constato,
distogliendo lo sguardo da lei.
Si stringe nelle spalle, guardandomi attenta.
«Suppongo di sì»
“Ok. Questo non me lo aspettavo, comunque. Credevo
mi mandasse a quel paese. Ci mandasse a quel paese. Me
e le mie mani che prudono. E invece... ”. Stranamente la
scoperta mi mette in difficoltà. Ero pronto a rinunciare a
tutto per lei. E lei, invece, mi sta dando delle alternative.
Che però non so se posso gestire. Mi massaggio il mento
con le dita, cercando di capire quello che provo a
riguardo. Ma il mio bisbetico cervello ha deciso di non
collaborare. “Ok. Forza, Christian”.
«Anastasia, voglio ricominciare tutto daccapo.
Limitarci al sesso vaniglia e poi forse, quando tu ti fiderai
di più di me e io confiderò che tu sia sincera e comunichi
con me, potremo andare oltre e fare alcune delle cose che
mi piacciono»
Ecco. Questa mi sembra la soluzione migliore. Ricordo
che in un corso di formazione ci dissero che se non
avevamo buone idee potevamo sempre affidarci alla
prima che ci era venuta in mente. La reputai un po’ una
cazzata all’epoca. Ma alla fine mi è tornata utile. Ana resta
in silenzio, senza nessuna espressione chiara sul viso. La
mia ansia cresce. ‘Cosa ti aspettavi, Grey? Che volesse
saltarti tra le braccia?’. Fottiti, stupido cervello caotico.
Continuo a fissare Anastasia. Aspettando che sia lei ad
accogliermi tra le sue braccia, nel suo mondo, nel suo
essere. Che mi renda migliore. Deglutisce a malapena,
con il respiro irregolare.
«Ma le punizioni?» chiede con un filo di voce.
«Nessuna punizione» le dico, scuotendo la testa per
rafforzare il concetto e convincerla. «Nessuna»
«E le regole?» continua.
«Nessuna regola»
Mi guarda come se ad un tratto non capisse.
«Nessuna? Ma tu hai dei bisogni»
“Sei tu il mio bisogno, Ana”.
«Ho più bisogno di te, Anastasia. Questi ultimi giorni
sono stati un inferno. Il mio istinto mi diceva di lasciarti
andare, mi diceva che non ti meritavo. Quelle foto che il
ragazzo ti ha fatto... Riesco a capire come lui ti vede.
Sembri serena e bellissima. Non che tu non sia bellissima
ora, ma sei seduta qui e io vedo la tua pena. Ed è dura,
sapendo che sono io quello che ti fa sentire così. Sono un
uomo egoista. Ti ho desiderata fin da quando sei capitata
nel mio ufficio. Sei raffinata, onesta, entusiasta, forte,
arguta, incantevolmente innocente. L’elenco è infinito.
Provo un timore reverenziale di fronte a te. Ti voglio, e il
pensiero che un altro possa averti è come un coltello
che lacera la mia anima oscura»
Le riverso addosso tutto quello che provo. “É tutto. É
tutta la mia anima. Tutto quello che mi ispiri, che sento,
che provo. Ho solo questo ormai. Ho solo te”. Lei non
risponde. Mi fissa e basta, sorpresa, confusa. Ma poi
prende coraggio.
«Christian, perché pensi di avere un’anima oscura? Io
non lo direi mai. Triste forse... Sei generoso, sei gentile, e
non mi hai mai mentito. Io non mi sono impegnata
molto. Sabato scorso è stato uno shock per me. È stato
una specie di risveglio. Ho capito che ci eri andato leggero
con me e che non potevo essere la persona che volevi che
io fossi. Poi, quando ti ho lasciato, mi sono resa conto che
il dolore fisico che mi infliggevi non era niente in
confronto a quello che provavo avendoti perso. Io voglio
compiacerti, ma è difficile»
Anche lei si è lasciata andare. Siamo persi l’uno nella
sincerità dell’altra ora.
«Tu mi compiaci tutto il tempo» le sussurro piano,
desiderandola ora più che mai. Vorrei farglielo capire. Ma
conosco solo un modo. E stasera ho deciso di tenere fuori
il sesso dalla nostra relazione. «Quante volte te lo devo
dire?» la incalzo.
«Non ho mai saputo quello che pensi. Qualche volta sei
così chiuso... come un’isola. Mi intimidisci. È per questo
che rimango zitta. Non so quale direzione prenderà il tuo
umore. Passa da un estremo all’altro in un istante. Mi
confonde. E non mi permetti di toccarti, mentre io
desidero così tanto mostrarti quanto ti amo» mormora
angosciata.
Il solo sentirle dire che vuole toccarmi alza una
barriera in automatico tra me e lei. “Cristo, Ana! Sono
tuo. Sono completamente tuo. Ma questo non posso. Non
riesco. Non chiedermelo”. Prima che possa aprire bocca la
vedo slacciarsi la cintura di sicurezza e spostarsi sul
sedile, fino a sedersi sulle mie ginocchia. La guardo
sorpreso, temendo che possa fare quello che mi ha
appena chiesto di fare. Le sue mani salgono sul mio viso,
una per ogni lato. Mi fissa dritto negli occhi.
«Io ti amo, Christian Grey. E tu sei pronto a fare tutto
questo per me. Sono io quella che non ti merita, e mi
dispiace di non poter fare tutte quelle cose per te. Forse
con il tempo... non lo so... ma sì, accetto la tua proposta.
Dove devo firmare?» mi dice appassionata, sorridendo
piano.
Le mie braccia si stringono attorno al suo esile corpo,
come se non volessero più lasciarla andare via.
«Oh, Ana» sospiro, respirando il suo odore che tanto
mi è mancato.
“Ti amo. Ti amo. Ti amo anch’io, Ana. Ti amo
davvero”. Ma le mie parole restano un profondo segreto
che non riesco a pronunciare ad alta voce. La stringo più
forte, sperando che capisca e lasciandoci cullare entrambi
dalla soave musica che riempie l’abitacolo. Anastasia si
sistema meglio sulle mie ginocchia. Poggia la testa
nell’incavo del mio collo. La mia mano la stringe di più,
accarezzandole piano la schiena.
«Il toccare è un limite assoluto per me, Anastasia» le
sussurro sottovoce.
Temo di perderla. Ma spero che lei possa capire.
«Lo so. Vorrei capire perché» mi dice, tranquilla.
“Perché l’unico tocco che conosco è violento, Anastasia.
L’unico tocco che conosco... porta al dolore. Alla
sofferenza. E alla morte”. Dopo quella che sembra
un’eternità, torno a parlare. So che le devo almeno un
briciolo di spiegazione.
«Ho
avuto
un’infanzia
terribile.
Uno
dei
protettori della puttana drogata...» le parole mi muoiono
in gola.
Non posso pronunciarle, Non ci riesco. Il corpo mi si
tende, sentendo ancora una volta quel tremendo dolore
dappertutto. Di calci, schiaffi. Misto a quel puzzo di fumo
di sigaretta, alcool e pelle bruciata. La mia pelle.
«Ricordo tutto» le dico in un sussurro doloroso,
sperando che lei abbia capito.
Mi stringe forte, cogliendomi di sorpresa. Ma il suo
abbraccio mi conforta in un certo senso.
«E lei era violenta? Tua madre?» mi chiede a voce
bassa, dolce.
Un debole sospiro mi esce dalla bocca.
«Non che io ricordi. Era indifferente. Non
mi proteggeva dal suo magnaccia» Sospiro di nuovo. A
fondo. «Penso di essere stato io a prendermi cura di lei.
Quando alla fine si è ammazzata, sono passati
quattro giorni prima che qualcuno desse l’allarme e
ci trovasse... Me lo ricordo» le confesso, cercando di non
farmi afferrare dai ricordi.
Eppure è così. Lo ricordo nitidamente. La ricordo,
distesa, immobile. Fredda. Fredda più dei piselli congelati
che ero riuscito a trovare dopo tre giorni di digiuno. E io
che la coprivo, aspettando in silenzio che si svegliasse. Io
che giocavo con i suoi capelli, accarezzandola piano e
vegliando su di lei. Io che scappavo al solo sentire la
maniglia girare, lasciandola al suo destino e chiudendo gli
occhi perché lei non si era svegliata in tempo per fuggire a
nascondersi con me sotto il tavolo della cucina. E ora, lui
le avrebbe fatto male.
Sento il corpo di Anastasia scosso da un brivido. Poi la
sua voce penetra i miei ricordi di bambino.
«È veramente un gran casino» sussurra piano.
«In cinquanta sfumature» aggiungo con un sorriso
triste.
Si avvicina a me e mi bacia il collo, inalando il mio
profumo come spesso faccio io con lei. Poi si accoccola di
più tra le mie braccia. Restiamo in silenzio. Sento il suo
respiro che piano piano si regolarizza e capisco che si
addormenta. La tengo stretta tra le braccia, godendomi
quel calore confortante, quella vicinanza che per cinque
giorni ho agognato, desiderato più della mia stessa vita. Il
mio corpo si rilassa contro il suo. Non è solo desiderio.
Non è mai stato solo desiderio di averla. Ora lo capisco, lo
comprendo a pieno. L’ho sempre amata. L’ho amata da
quando i suoi occhi azzurri hanno incontrato i miei quella
mattina nel mio ufficio. La conosco da meno di un mese e
credo di averla cercata da tutta una vita. E voglio legarla a
me per sempre. ‘Non correre, Grey’. Sì, ok. Non corro. Ma
il pensiero di svegliarmi accanto a lei tutte le mattine, di
tornare a casa e trovarla lì è così allettante. Voglio che sia
mia. Sempre mia. Non posso immaginare di condividere
la vita con un’altra che non sia lei. É lei la mia vita ormai.
E voglio averla accanto nel bene e nel male. Ogni giorno
della mia vita. Un giorno voglio che sia lei ad essere la
madre dei miei figli. Voglio che sia lei a dare luce alla mia
vita. Voglio sposarla.
Resto in contemplazione di quel dolce angelo fino a
quando arriviamo a Seattle. Una manovra un po’ brusca
la sveglia. Sono tentato di dire a Taylor di proseguire fino
all’Escala. Ma non posso. Devo darle spazio. Anche se non
voglio.
«Ciao» le mormoro piano, dandole un bacio sulla
fronte.
«Scusa» mi dice calma, stiracchiandosi ma senza
muoversi dalle mie ginocchia.
Le sorrido.
«Potrei guardarti dormire per sempre, Ana» le dico.
Aggrotta la fronte.
«Ho detto qualcosa?» chiede timorosa.
«No. Siamo quasi arrivati al tuo appartamento» la
rassicuro, sospirando.
«Non andiamo da te?» domanda sorpresa.
«No» rispondo deciso, distogliendo lo sguardo da
quelle labbra tentatrici.
Si tira su a sedere, restando sulle mie gambe.
«Perché no?» chiede curiosa.
«Perché domani devi lavorare» ribatto.
“E perché devi rifletterci. E so che non rifletti se stiamo
vicini”.
«Ah»
Mette il broncio, delusa, come una bambina.
Le faccio un sorriso.
«Perché, hai in mente qualcosa?» la provoco.
Arrossisce piano.
«Bè, forse» ammette speranzosa.
Faccio una risatina divertita.
«Anastasia, non ti toccherò di nuovo, non finché non
mi supplicherai di farlo» le dico, cercando di mantenere
fede alle parole che ho appena pronunciato.
Ma è dura con lei che si agita su di me. ‘Sì, Grey. E non
è l’unica cosa dura a quanto sembra’. Con una mano cerco
di bloccare i suoi movimenti irrequieti senza che lei se ne
accorga. Se lo facesse so che mi tenterebbe. E io
soccomberei.
«Cosa?» chiede incredula.
«Così inizierai a comunicare con me. La prossima volta
che faremo l’amore mi dirai esattamente quello che vuoi,
nei dettagli» le dico con la voce roca.
Parlo, ma la mia mente divaga, immaginandola nuda.
Immaginando la sua pelle delicata, il suo corpo che si
piega al volere del mio. Il suo calore una volta che l’ho
penetrata. Si muove ancora una volta su di me. “Cristo!”.
«Oh...» esclama sorpresa.
La faccio spostare sul sedile prima che si accorga del
pezzo di marmo che mi ritrovo tra le gambe. Taylor
accosta dopo pochi secondi. Siamo arrivati al suo
appartamento. Scendo dall’auto e le apro la portiera. Mi
segue fuori, mentre giro e apro il bagagliaio.
«Ho qualcosa per te» le dico.
Tiro fuori la scatola con le sue cose. Il pc, le chiavi
dell’Audi, il telefono. E il nuovo iPad. Gliela porgo.
«Aprila quando sarai dentro» le dico, guardandola
negli occhi per capire se sarà ubbidiente.
«Tu non vieni?» mi chiede speranzosa, afferrando la
scatola.
«No, Anastasia»
“E non immagini quanto mi costi, piccola”.
«Allora quando ti rivedrò?» domanda, incerta se
andarsene o rimanere ancora qui con me.
«Domani» la rassicuro. E rassicuro anche me stesso.
«Il mio capo vuole che esca a bere qualcosa con lui
domani» mi dice, stringendo piano gli occhi, aspettandosi
una mia sfuriata.
La furia mi acceca, ma cerco di trattenermi dal
ribadirle ora, qui, che è solo mia.
«Ah, sì?» chiedo minaccioso.
«Per festeggiare la mia prima settimana» mi dice,
cercando di domare la mia rabbia per me.
“Non ci andrai da sola, Anastasia”.
«Dove?» le chiedo.
«Non lo so»
«Potrei venire a prenderti» propongo, dal momento
che ancora non ha detto “Vieni con me”.
«Okay... Ti scriverò una mail o un messaggio» taglia
corto.
«Bene»
A dispetto del mio sembrare calmo, dentro mi ribolle
una furia mai provata prima. La seguo fino al portone,
aspettando pazientemente che trovi le chiavi in quel
pozzo che chiama borsa. Quando le infila nella serratura,
mi avvicino a lei, da dietro, e le prendo il mento con le
dita. Le mie labbra si posano dolcemente sulle sue,
sfiorandole, tentandole. Lascio una scia di baci roventi
dall’angolo del suo occhio fino a quello della bocca. La
sento gemere piano, mentre si abbandona con la schiena
al mio corpo.
«A domani» le sussurro sulle labbra.
«Buonanotte, Christian» mi sussurra di rimando, con
la voce carica di desiderio.
Sorrido, ma solo io so l’inferno che sto vivendo in
questo momento. Io e i miei pantaloni, ovviamente.
«Entra» le ordino.
Aspetto che attraversi l’atrio, prima di salutarla.
«A più tardi, piccola» le dico, prima di voltarmi e
tornare verso il SUV.
Sono da qualche minuto nel mio appartamento, a
fissare le luci della notte di Seattle, dalla portafinestra.
Sono... felice. Appagato. Anastasia è di nuovo con me. É
di nuovo mia. Il mio telefono vibra. É lei, lo so. Sorrido e
apro la mail.
Da: Anastasia Steele
A: Christian Grey
Data: 9 giugno 2011 23.56
Oggetto: iPad
Mi hai fatta piangere di nuovo.
Amo l’iPad. Amo le canzoni.
Amo l’app della British Library. Amo te.
Grazie.
Buonanotte
Ana XX
Sorrido teneramente.
Da: Christian Grey
A: Anastasia Steele
Data: 10 giugno 2011 00.03
Oggetto: iPad
Sono contento che ti sia piaciuto. Ne ho comprato uno anche per me.
Ora, se fossi lì, asciugherei le tue lacrime con i miei baci. Ma non ci
sono... perciò va’ a dormire.
Christian Grey
Amministratore delegato, Grey Enterprises Holdings Inc.
La sua risposta non tarda ad arrivare.
Da: Anastasia Steele
A: Christian Grey
Data: 10 giugno 2011 00.07
Oggetto: Mr Scontroso
Come al solito, sembri autoritario e forse difficile, forse scontroso, Mr
Grey. Io conosco qualcosa che potrebbe addolcirti. Ma non sei qui, e
non mi lasceresti fare, e ti aspetti che ti supplichi...
Sogna pure, signore.
Ana XX
PS: Ho notato anche che hai incluso l’inno dello stalker, Every Breath
You Take. Mi diverte il tuo senso dell’umorismo, ma il dottor Flynn lo
sa?
Rido sonoramente. Ho pensato la stessa cosa di me
stesso quando ho inserito quella canzone.
Da: Christian Grey
A: Anastasia Steele
Data: 10 giugno 2011 00.10
Oggetto: Calma zen
Mia carissima Miss Steele,
le sculacciate sono ammesse anche nelle relazioni vaniglia, lo sai. Di
solito consensualmente e in un contesto erotico... ma sono più che
felice di fare un’eccezione. Sarai sollevata di sapere che anche al
dottor Flynn piace il mio senso dell’umorismo. Adesso, per favore, va’
a dormire o domani mattina non ti alzerai.
A proposito... mi supplicherai, fidati. E io non vedo l’ora.
Christian Grey
Amministratore delegato, Grey Enterprises Holdings Inc.
Il mio cazzo si tende oltremisura. Il solo pensiero di
perdermi di nuovo dentro di lei mi lascia senza fiato.
Da: Anastasia Steele
A: Christian Grey
Data: 10 giugno 2011 00.12
Oggetto: Buonanotte e sogni d’oro
Bè, visto che me lo chiedi gentilmente e mi piacciono le tue deliziose
minacce, mi accoccolerò con l’iPad che mi hai regalato e mi
addormenterò navigando nella British Library, ascoltando la musica
che lo dice per te.
A XXX
“Ti amo, Anastasia. Sto impazzendo per quanto ti
amo”.
Da: Christian Grey
A: Anastasia Steele
Data: 10 giugno 2011 00.15
Oggetto: Un’ultima richiesta
Sognami.
X
Christian Grey
Amministratore delegato, Grey Enterprises Holdings Inc.
Torno a fissare il cielo buio fuori dalla finestra. Ora c’è
una nuova luce a rischiararlo tutto quel buio. É la sua, che
mi trascina con sé. Abbasso lo sguardo, un sopracciglio
alzato a fissare la mia innegabile erezione. “Cristo!
Dormire sarà un’impresa stanotte”.
Capitolo 6
La sveglia ancora prima dell’alba di questa mattina non
mi aveva per niente reso stanco e spossato. Anzi. Tentavo
di convivere con un’erezione pazzesca ogni qual volta il
mio pensiero andava a lei. Anastasia Steele. La donna più
bella, dolce, sexy e testarda che avessi mai conosciuto.
Avevo anche fatto i conti con Taylor e la storia del
fazzoletto. Era stato reticente, ma quando aveva capito
che ero irremovibile mi aveva detto della crisi di pianto di
Anastasia. Mi ero arrabbiato, avevo sbraitato, ma, alla
fine, era passato tutto grazie alla consapevolezza di averla
di nuovo con me. Guardo l’orologio. Sono appena le 8. A
quest’ora dev’essere già in ufficio. Io ci sono venuto di
buon’ora stamattina, per cercare di scaricare la tensione
lavorando. Apro il programma delle mail e gliele scrivo
una.
Da: Christian Grey
A: Anastasia Steele
Data: 10 giugno 2011 08.05
Oggetto: Perciò aiutami...
Spero che tu abbia fatto colazione.
Mi sei mancata stanotte.
Christian Grey
Amministratore delegato, Grey Enterprises Holdings Inc.
Aspetto un bel po’. Ok, no. Forse non è ancora in
ufficio. Ma le ho dato il BlackBerry. Dovrebbe poter
leggere e rispondere. Forse le è capitato qualcosa. No, dai.
Non è sicuramente successo nulla. Sarà distratta. E se le
succedesse qualcosa mentre è distratta? Cristo. Merda.
‘Smettila, Grey’.
Il familiare suono della posta ricevuta mi fa esalare un
sospiro di sollievo.
Da: Anastasia Steele
A: Christian Grey
Data: 10 giugno 2011 08.33
Oggetto: Vecchi libri...
Mentre ti scrivo, sto mangiando una banana.
Non ho fatto colazione per diversi giorni, perciò è un passo avanti.
Adoro l’app della British Library.
Ho iniziato a rileggere Robinson Crusoe...
E ovviamente, ti amo. Ora lasciami in pace, sto cercando di lavorare.
Anastasia Steele
Assistente di Jack Hyde, Direttore editoriale, SIP
Sorrido, sollevato. Grato della sua presenza nella mia
vita. E mi ama. Lo so. Non lo merito, ma lo so.
Da: Christian Grey
A: Anastasia Steele
Data: 10 giugno 2011 08.36
Oggetto: Tutto qui quello che hai mangiato?
Puoi fare meglio di così.
Hai bisogno di energie per supplicarmi.
Christian Grey
Amministratore delegato, Grey Enterprises Holdings Inc.
La provoco. E l’effetto è immediato anche su di me.
Nonostante mi sia ripromesso di avere una semplice
relazione con lei, è innegabile che pensarla in ginocchio,
ad implorarmi di farla godere è... è eccitante. E straziante
allo stesso tempo. Sono così perverso. E lei... lei lo fa
sembrare quasi naturale. Forse perché non sa.
Da: Anastasia Steele
A: Christian Grey
Data: 10 giugno 2011 08.39
Oggetto: Rompiscatole
Mr Grey,
sto cercando di lavorare per guadagnarmi da vivere, e sei tu quello
che supplicherà.
Anastasia Steele
Assistente di Jack Hyde, Direttore editoriale, SIP
Dio, Anastasia. Ti voglio. Ti voglio troppo per lasciare
passare le ore che ci separano. Sarei anche disposto a
supplicarti per averti. Ti voglio da impazzire. E forse sto
impazzendo sul serio.
Da: Christian Grey
A: Anastasia Steele
Data: 10 giugno 2011 08.40
Oggetto: Fatti sotto!
Certo, Miss Steele, io adoro le sfide...
Christian Grey
Amministratore delegato, Grey Enterprises Holdings Inc.
Le scrivo simpaticamente. Mi appoggio allo schienale
della mia poltrona, guardando la porta del bagno. E se... ?
‘Datti un contegno, Grey’. Decido che è meglio
concentrarmi sul lavoro. Ma prima... devo chiamare mia
madre. Non so perché ne sento il bisogno, ma prima che
possa analizzarlo troppo ho già avviato la chiamata.
Risponde subito, dopo due squilli.
«Tesoro! Buongiorno!»
La sua voce è sempre così calma ed avvolgente. Come
un abbraccio. Uno di quelli che io non ho mai potuto
avere.
«Mamma» le dico, trattenendo a stento la gioia nel
petto. «Chiamavo per dirti che domani verrò alla festa...
insieme ad Anastasia»
Sento un respiro spezzato. Dopo qualche attimo di
silenzio la sento tirare su col naso. “Sempre la solita,
dottoressa Grace”.
«Oh, Christian... sono... sono così felice per te»
mormora a stento, tra le lacrime.
Ok. Meglio terminare la chiamata qui. É un tantino
troppo per me.
«Ora devo andare, mamma. A sabato»
Riaggancio e mi metto al lavoro, staccando solo per
una breve pausa pranzo. Ogni tanto apro il cassetto della
scrivania e guardo la nostra foto insieme. Più volte sono
tentato di scriverle. Ma opto per lasciarle un po’ di spazio
per pensare... a come supplicarmi. Sorrido al mio riflesso
nel vetro della finestra. Che gran figlio di puttana
fortunato che sono! Il pensiero mi fa aggrottare la fronte.
Mi è appena venuto in mente il suo capo. Non so perché,
ma ha qualcosa di familiare. Comunque, familiare o non
familiare, non mi piace. Sembra... malvagio, perfido. E
viscido. Credo sia giunto il momento di fare un controllo
delle mie proprietà. Chiamo Barney.
Due ore più tardi mi ritrovo a fissare lo schermo del
mio pc. Con rabbia. Il mio consulente per la sicurezza ha
appena scoperto che le mail di Anastasia alla SIP sono
monitorate. Perché? Perché diavolo il suo capo deve
sapere con chi parla e soprattutto cosa dice? I conti non i
tornano. Scrivo una mail a Welch, chiedendogli di fare
luce su Jack Hyde il viscido capo di Anastasia. Il segnale
sonoro delle mail cattura la mia attenzione dopo appena
pochi minuti. Ma non è Barney. É lei. Il cuore mi balza in
gola.
Da: Anastasia Steele
A: Christian Grey
Data: 10 giugno 2011 16.05
Oggetto: Annoiata...
Mi giro i pollici. Come stai? Che cosa stai facendo?
Anastasia Steele
Assistente di Jack Hyde, Direttore editoriale, SIP
Oh, Ana. I tuoi pollici potrebbero essere altrove
proprio ora.
Da: Christian Grey
A: Anastasia Steele
Data: 10 giugno 2011 16.15
Oggetto: I tuoi pollici
Saresti dovuta venire a lavorare per me. Non ti staresti girando i
pollici. Sono certo che per loro avrei trovato un uso migliore. Infatti
sto pensando a un certo numero di opzioni... Sono immerso nella
solita routine degli affari. È tutto molto noioso. Le tue mail alla SIP
sono monitorate.
Christian Grey
Amministratore delegato, Grey Enterprises Holdings Inc.
Cerco di mantenere il più possibile un tono neutro.
Aggrotto la fronte. “Stasera devo dirle che sono il suo
nuovo capo. Non le piacerà. Ma deve saperlo”.
Alle 17.15 minuti sono ancora bloccato in ufficio a
sorbirmi Ros che mi parla dell’ultima acquisizione che
abbiamo effettuato. Il pensiero di Anastasia da sola con
quella serpe mi manda in bestia. Ho letto il breve
rapporto di Welch. Nulla di straordinario. Tranne che per
il numero di assistenti che ha cambiato da quando è
direttore editoriale della SIP. Durano tre mesi e poi vanno
via. É alquanto insolito. Circa un quarto d’ora più tardi,
ricevo una nuova mail da Anastasia.
Da: Anastasia Steele
A: Christian Grey
Data: 10 giugno 2011 17.36
Oggetto: Ti sentirai a casa
Stiamo andando in un bar che si chiama Fifty. L’ironia che se ne
evince è senza fine. Non vedo l’ora di vederti lì, Mr Grey.
AX
Oh, Anastasia. Quello che evinco io da questa
situazione è che il tuo capo è uno stronzo e io non
permetterò che tu passi sola con lui un minuto di più.
Liquido Ros e m’infilo in ascensore, digitandole una
risposta.
Da: Christian Grey
A: Anastasia Steele
Data: 10 giugno 2011 17.38
Oggetto: Rischi
Evincere è un’occupazione molto pericolosa.
Christian Grey
Amministratore delegato, Grey Enterprises Holdings Inc.
La sua risposta è immediata.
Da: Anastasia Steele
A: Christian Grey
Data: 10 giugno 2011 17.40
Oggetto: Rischi?
Qual è il punto?
Da: Christian Grey
A: Anastasia Steele
Data: 10 giugno 2011 17.38
Oggetto: Solamente...
Facevo un’osservazione, Miss Steele. Ci vediamo tra poco. Prima di
quanto tu creda, piccola.
Christian Grey
Amministratore delegato, Grey Enterprises Holdings Inc.
Taylor mi sta già aspettando fuori dalla GEH. Mi infilo
in auto e gli do le coordinate del locale dove mi aspetta
Anastasia. Il mio telefono vibra. É un sms. Di Mia.
“Non vedo l’ora di rivedere Anastasia domani :D Non fare il coglione
con lei. Mi piace troppo! XD”
Mia. Sempre la solita. Sempre. Sorrido, ma la tensione
non mi abbandona. Quando finalmente riusciamo a
fuggire dal traffico dell’ora di punta a Seattle, quasi salto
giù dall’auto. Quando entro nel locale vedo quello che non
avrei mai voluto vedere. Ana è seduta al bancone del bar,
cupo e squallido. Accanto a lei qualcosa di altrettanto
cupo e squallido sta invadendo il suo spazio personale.
Jack Hyde. Quello stronzo del suo capo. Mi avvicino a
grandi passi. Abbastanza da sentire la sua ultima
domanda.
«Hai programmi per questo weekend?» le chiede con
un sorrisetto squallido da pervertito.
“Oh, coglione, non hai idea di quanti programmi io
abbia per te”. Ana balbetta qualcosa in risposta,
imbarazzata e tesa. Ma il suo corpo si rilassa non appena
mi avvicino, cingendole le spalle con affetto e
possessività. Mi chino sulla sua testa, sfiorandole
dolcemente i capelli con le labbra. Il suo profumo mi
manda in estasi.
«Ciao, piccola» le mormoro dolcemente all’orecchio.
Poi lo guardo, i miei occhi diventano gelidi. Se i miei
occhi fossero pugnali, lui sarebbe appena morto trafitto
da milioni di stilettate. Anastasia cattura subito la mia
attenzione. Il suo corpo reagisce a me come una calamita.
Riesco a percepire addirittura la sua eccitazione. La attiro
ancora di più a me, poi mi giro a guardarla, lanciandole
un sorrisetto malizioso. Ana mi squadra dalla testa ai
piedi. Negli occhi le leggo pura lussuria. “Oddio, usciamo
di qui, altrimenti ti scopo ora”. Hyde si ritrae di qualche
passo. Il movimento distoglie l’attenzione di Ana da me,
riportandoci tutti al presente.
«Jack, lui è Christian» mormora come se si sentisse in
colpa. E non gli dice che sono il suo fidanzato. Perché,
Ana? «Christian, lui è Jack» aggiunge, tenendo gli occhi
bassi.
«Sono il suo fidanzato» aggiungo da solo, allungando
la mano e stringendo gelidamente quella di Hyde.
L’uomo che ho di fronte mi scruta, tentando di capire
se gli conviene o meno sfidarmi al duello per avere la mia
ragazza. E quando apre la sua schifosa bocca per parlare
mi rendo conto che ha fatto male i suoi calcoli. Molto
male.
«E io sono il suo capo» replica arrogante. «Ana mi ha
parlato di un ex fidanzato» puntualizza acido.
Lo guardo calmo, ma dentro ribollo di rabbia.
«Bè, non più ex» replico deciso. «Vieni, piccola, è ora
di andare» aggiungo, rivolgendomi ad Anastasia
dolcemente.
«Per favore, rimani e bevi qualcosa con noi» dice
Hyde, cambiando improvvisamente tono.
Deve aver capito che qui non c’è trippa per gatti.
Guardo Ana, che a sua volta fissa quella che dev’essere la
sua collega. Non mi ero neppure accorta di lei fino ad ora.
«Abbiamo dei programmi» replico con un sorriso
misterioso rivolto ad Ana.
La sento tremare all’improvviso. Mi guarda da sotto le
lunghe ciglia, il suo viso si colora leggermente di rosso e
io ho una fottuta voglia di baciarla. A fondo.
«Un’altra volta, forse» aggiungo prendendole la mano
e facendola alzare dallo sgabello sul quale è seduta.
«Vieni»
«Ci vediamo lunedì» le sento dire cordialmente,
mentre la trascino via dal locale. Taylor ci aspetta
nell’Audi parcheggiata accanto la marciapiede.
Anastasia si ferma un secondo. Mi giro a fissarla.
«Perché mi è sembrata una gara a chi fa pipì più
lontano?» mi chiede mentre le apro la portiera.
«Perché lo era» le mormoro mentre mi passa accanto,
lanciandole un sorrisetto impudente.
“Ma tu sei solo mia, Anastasia”.
«Salve, Taylor» esclama, fissando Jason
specchietto, mentre mi sistemo accanto a lei.
dallo
«Miss Steele» la saluta lui di rimando, sorridendole.
Chiudo lo sportello e le afferro subito la mano,
portandomela alle labbra e sfiorandola con un bacio
leggero. “Ora ci siamo solo noi, Ana”.
«Ciao» le sussurro dolcemente, sorridendole con gli
occhi.
Le guance le si arrossano quasi subito. Lancia uno
sguardo a Taylor, mentre io, ignorandolo come sempre, le
lancio uno sguardo carico di desiderio e lussuria sfrenata.
Il suo corpo si tende, è nervosa, eccitata, freme di
impazienza. Proprio come me.
«Ciao» sospira, incespicando con la saliva.
«Che cosa ti piacerebbe fare stasera?» le chiedo con
fare allusivo.
«Pensavo che avessi detto che avevamo
programmi» sussurra, abbassando lo sguardo.
dei
«Oh, io so cosa mi piacerebbe fare, Anastasia. Sto
chiedendo cosa piacerebbe fare a te» le dico alzando un
sopracciglio, divertito e arrogante.
Ana mi sorride. Un bellissimo sorriso, ampio e
luminoso.
«Capisco» le rispondo, le mie labbra distorte in un
ghigno perverso. «Quindi... supplicami. Preferisci farlo
nel mio appartamento o nel tuo?» le chiedo
maliziosamente, piegando la testa di lato e scopandola
solo con lo sguardo.
«Penso che tu sia molto presuntuoso, Mr Grey. Ma
tanto per cambiare, potremmo andare nel mio
appartamento» mi dice con una finta aria da saputella,
mordendosi lentamente il labbro inferiore.
La fisso più intensamente, mentre la mi innegabile
erezione, che oramai mi accompagna da ben 24ore, torna
a pretendere attenzione. Da me, ma soprattutto da lei.
«Taylor, da Miss Steele, per favore» ordino, senza
staccare i miei occhi da quelle labbra meravigliose,
dolcemente torturate dai suoi denti.
«Sì, signore»
Ci immergiamo nel traffico, rimanendo per un po’ a
scrutarci.
«Allora dimmi, com’è andata oggi?» le chiedo.
Devo dirle della SIP.
«Bene. E a te?» mi chiede sorridendomi.
«Bene, grazie»
E non riesco a fare a meno di sorridere come un idiota.
Come lei del resto. Sembriamo due bambini felici.
Innamorati l’uno dell’altra. Le bacio nuovamente il dorso
della mano, ammirandola sinceramente.
«Sei incantevole» le sussurro piano.
«Anche tu» risponde, con gli occhi che le brillano.
Odio dover rovinare questo momento. Ma devo
dirglielo prima di arrivare a casa sua.
«Il tuo capo, Jack Hyde, è bravo nel suo lavoro?» le
chiedo diretto.
Mi guarda confusa, a bocca aperta. Aggrotta la fronte,
scrutandomi.
«Perché? Non c’entra con la gara della pipì, no?» mi
chiede curiosa.
Le sorrido sarcastico.
«Quell’uomo vuole entrare nelle tue mutandine,
Anastasia» le rispondo seccamente.
Spalanca la bocca, arrossendo violentemente, mentre
fissa nervosamente la testa impassibile di Taylor.
«Bè, può volere quel che gli pare... Perché stiamo
parlando di questo? Sai che non nutro alcun interesse per
lui. È solo il mio capo» mi dice, ancora sconvolta.
«È questo il punto. Lui vuole ciò che è mio. Ho bisogno
di sapere se è bravo nel suo lavoro» le rispondo deciso.
Ana mi guarda frastornata.
«Penso di sì» ammette alla fine.
«Bè, sarà meglio che ti lasci in pace, oppure si troverà
con il culo sul marciapiede» sbotto, non riuscendo più a
trattenere l’irritazione per quello stronzo.
«Oh, Christian, di cosa stai parlando? Non ha fatto
niente di male» lo dice, ma i suoi occhi dicono altro.
«Se fa una sola mossa, tu dimmelo. Si chiama condotta
gravemente immorale. O molestie sessuali» sibilo furioso.
«Era solo un drink dopo il lavoro» tenta di
giustificarsi.
«Te lo ripeto. Una mossa ed è spacciato» le intimo.
«Non hai questo tipo di potere» sbotta, girandosi verso
il finestrino e tentando di alzare gli occhi al cielo.
All’improvviso si blocca. ‘Ora sei fottuto, Grey’.
«Oppure ce l’hai, Christian?» mi chiede sconvolta.
Le faccio un sorrisetto arrogante. Non posso negare
che sapere di poter mandare in frantumi la vita di quel
pervertito mi rende felice.
«Stai comprando la casa editrice» sussurra inorridita.
Smetto di sorridere, avvertendo la paura nella sua
voce.
«Non esattamente» confesso.
«L’hai comprata. La SIP. Di già» chiede, con gli occhi
sbarrati.
‘Oh, Grey, scusa. Mi ero sbagliato. É ora che sei
fottuto’.
Sbatto le palpebre, diffidente.
«È possibile» ammetto, sondando il terreno.
«L’hai fatto o non l’hai fatto?» chiede con un filo di
voce.
“Oh, al diavolo, Ana! Ti voglio al sicuro!”
«L’ho fatto» confesso, a testa alta, stizzito.
Apre la bocca ancora di più, incredula.
«Perché?» esclama fuori di sé.
«Perché posso farlo, Anastasia. Ho bisogno di saperti
al sicuro» le dico, arrabbiato.
«Avevi detto che non avresti interferito nella mia
carriera!» urla, senza infischiarsene del fatto che Taylor
può sentirla.
«E non lo farò» le dico guardandola negli occhi.
Abbassa gli occhi sulle nostre mani ancora intrecciate e
strappa via la sua dalla mia.
«Christian...»
É furente. Le parole non le escono di bocca.
«Sei arrabbiata con me?» le chiedo con un pizzico di
rimorso. Ma nemmeno tanto alla fine. Se tornassi
indietro, lo rifarei.
«Sì, certo che sono arrabbiata con te» sibila.
“Merda”. ‘No, guarda Grey, nella merda ci sono io dato
che ho fantasticato per giorni sulla fantastica brunetta
che hai di fronte’. Scuoto leggermente la testa,
concentrandomi e lasciando perdere le fantasie idiote del
mio cervello.
«Che razza di manager di alto livello prende
decisioni basate su chi si sta scopando al momento?»
aggiunge acida, impallidendo e lanciando subito
un’occhiata a Taylor.
“Finalmente se n’è ricordata”. Stringe forte le labbra,
serra gli occhi e respira a fondo, cercando di calmarsi.
Apro la bocca per ribattere. Ma non so cosa dirle. La
richiudo, fissandola accigliato. Mi fa sempre venire voglia
di metterle il muso come i bambini. “Cristo!”.
Continuiamo a lanciarci occhiate velenose a vicenda, fino
a quando non arriviamo al suo appartamento. Anastasia
esce in fretta e furia dall’auto, senza aspettare che Taylor
o io le apriamo la portiera. Si avvia a passo spedito verso
il portone d’ingresso. Scendo velocemente, avvicinandomi
al finestrino aperto di Taylor.
«Credo che sia meglio che aspetti qui» gli dico
accigliato.
Poi, praticamente, le corro dietro, mentre lei è ferma a
cercare freneticamente le chiavi nella sua borsa. Faccio
un respiro profondo. Molto profondo.
«Anastasia» le dico calmo, tentando di rabbonirla.
Sospira rumorosamente e si volta a guardarmi, furiosa.
«Primo, è un po’ che non ti scopo. Un bel po’, mi pare.
Secondo, volevo entrare nel settore dell’editoria. Delle
quattro case editrici qui a Seattle, la SIP è quella più
redditizia, ma si trova a un bivio e rischia di fossilizzarsi.
Ha bisogno di espandersi»
Non è del tutto falso. É ragionevole. Ma non è neppure
del tutto vero. Ana mi fissa gelidamente, cercando di
trafiggermi con il suo sguardo.
«E così adesso sei il mio capo» dice indispettita.
«Tecnicamente, sono il capo del capo del tuo capo» le
dico con un sorriso di scuse.
«E, tecnicamente, questa è grave condotta immorale...
il fatto che mi stia scopando il capo del capo del mio
capo» ribatte acida.
“Merda”.
«In questo preciso momento ci stai litigando» le dico,
aggrottando la fronte.
«Perché è un tale coglione» sibila di getto.
Il suo epiteto mi coglie di sorpresa. Faccio un passo
indietro, spalancando gli occhi per la sorpresa. Non riesco
a tenere a freno la risata che mi esce dal cuore. Ma ci
provo.
«Un coglione?» mormoro, stringendo le labbra per
non sorridere.
«Sì» risponde, alzando un sopracciglio, e cercando di
trattenersi dal farsi contagiare dal mio divertimento.
“Dio, è bellissima anche quando fa la stronza”.
«Un coglione?» le chiedo di nuovo, guardandola e
fingendo di soppesare l’aggettivo che mi è stato rivolto.
Non riesco a trattenermi dal sorridere stavolta. Mi
guarda accecata dalla furia, di nuovo.
«Non farmi ridere quando sono arrabbiata con te!»
grida con i pugni serrati.
E non mi trattengo più. Le sorrido apertamente, e lei,
dopo un po’ di resistenza, mi sorride di rimando.
Ridacchiamo entrambi. “Fosse stata un’altra, sarebbe già
nella mia stanza rossa. Ma lei... lei la amo”. Ana cerca di
ricomporsi per prima.
«Solo perché ho un sorriso cretino sulla faccia non
significa che non ce l’abbia a morte con te» mormora
tentando di darsi un contegno.
Mi avvicino a lei, ammaliato dalla sua forza interiore.
Mi chino, fissandola negli occhi. Poi strofino il naso
contro i suoi capelli, inalando a fondo il suo delizioso
profumo di cui oramai non riesco a fare a meno. Come
una droga.
«Come sempre, Miss Steele, sei imprevedibile» le
sussurro. Mi scosto leggermente da lei, guardandola di
nuovo e sorridendole. «Allora, mi inviterai a salire o
dovrò appellarmi al mio diritto democratico di cittadino
americano, imprenditore e consumatore di comprare
qualunque accidenti di cosa mi faccia piacere?» le
mormoro contro le labbra, senza baciarla. “Ti amo,
Anastasia. Ma dopo questa sfuriata ingiustificata non ti
renderò le cose facili”.
«Hai parlato di questo con il dottor Flynn?» mi dice
sarcastica, alzando un sopracciglio.
Rido, contro le sue labbra morbide.
«Vuoi farmi entrare o no, Anastasia?»
Tenta, fallendo, di minacciarmi con lo sguardo, ma
sorride mentre si gira ad aprire la porta. Senza neppure
girarmi agito una mano in aria e sento l’Audi partire.
Saliamo le scale e dopo pochi attimi mi ritrovo nel suo
appartamento. In mattoni, una grossa isola in cucina, una
tv che stona con il resto dell’arredamento. Opera della
coppia Kavanagh-Grey, suppongo. Elliot si è vantato di
come ha usato bene il trapano. Sento i suoi occhi fissi su
di me, mentre passeggio nell’appartamento con
noncuranza, osservando l’ambiente circostante.
«Bell’appartamento» dico, fissando alcune foto che la
ritraggono insieme alla sua coinquilina.
«Lo hanno comprato i genitori di Kate per lei»
Annuisco distrattamente, mentre mi giro a guardarla. I
miei occhi si fanno attenti, accarezzando ogni suo
dettaglio. Arrossisce leggermente, abbassando lo sguardo.
«Ehm... vuoi qualcosa da bere?» mormora,
improvvisamente priva della sua recente spavalderia.
«No, grazie, Anastasia»
La fisso con intenzione, mentre godo della sua
crescente agitazione. “Mi vuoi, come io voglio te. Ma sarai
tu a cedere per prima”.
«Che cosa vuoi fare, Anastasia?» le chiedo dolcemente,
tentandola, mentre mi avvicino a grandi passi al suo
corpo fremente. «Io so cosa vorrei fare» aggiungo quando
la raggiungo, con voce bassa e roca. Carica di desiderio di
lei. Di bisogno oserei dire.
Ana indietreggia, fino a quando non la ferma l’isola di
cemento dietro di lei.
«Sono ancora arrabbiata con te» sussurra.
«Lo so» le dico con un sorrisetto di scuse.
“E non sai quanto è eccitante pensare di scoparti così,
arrabbiata, furiosa con me. Avida di me”. Il mio uccello
decide di animarsi e iniziare a vivere di vita propria.
«Vuoi mangiare qualcosa?» mi chiede a voce bassa,
tremante.
Annuisco lentamente, senza smettere di fissarla.
«Sì, te» mormoro lascivamente.
Anastasia deglutisce a fatica, arrossendo di nuovo. Mi
avvicino troppo forse, ma riesco a controllarmi. Non la
tocco, non la sfioro nemmeno. Mi crogiolo nel calore che
emanano i nostri corpi. La guardo fisso, e avverto il suo
tremore. É pallida. Aggrotto la fronte.
«Hai mangiato oggi?» mormoro.
«Un sandwich a pranzo» ribatte piano.
Stringo forte gli occhi maledicendomi.
«Hai bisogno di mangiare»
“Ne hai bisogno, per quello che voglio farti. Per quanto
voglio scoparti”.
«In questo momento non ho fame... di cibo» mi tenta
con un sussurro.
«E di cosa sei affamata, Miss Steele?» le chiedo
sfiorandole le labbra con il mio respiro.
«Penso che tu lo sappia, Mr Grey» mormora.
Mi protendo di più, le nostre labbra si sfiorano a
malapena. Ma mi fermo, avvicinandomi invece al suo
orecchio sinistro.
«Vuoi che ti baci, Anastasia?» le sussurro.
«Sì» sospira debolmente, il respiro affannato.
«Dove?» la provoco.
«Dappertutto» sussurra.
E quell’unica parola mi attraversa come una scarica
elettrica, arrivando fino al mio cazzo, che fa male sotto i
jeans. Chiudo brevemente gli occhi e riprendo il controllo
di me stesso.
«Dovrai essere un po’ più specifica di così. Ti ho detto
che non ti toccherò finché non mi supplicherai e non mi
dirai che cosa fare» le dico piano, arrogante.
«Per favore» sussurra.
«Per favore cosa?» le chiedo a bassa voce.
«Toccami»
Sento lo stesso bisogno che provo io nella sua voce.
“Dio, quanto mi ecciti Miss Steele”.
«Dove, piccola?» le chiedo con voce carica di desiderio.
Ana mi guarda, i suoi occhi scendono sulle mie labbra
e poi più giù. Allunga una mano ma mi ritraggo.
«No, no» le dico, quasi rimproverandola, il mio petto
va su e giù sia per il desiderio, sia per la paura.
«Cosa?» chiede confusa.
«No» le rispondo, riprendendo la calma.
«No del tutto?» mi chiede tentandomi.
Nella sua voce si sente il bisogno urgente di essere
toccata, scopata a dovere, e portata sull’orlo del piacere. E
vuole che a farle tutto questo sia io. Solo io. ‘Smettila di
fare il coglione, Grey. E datti una mossa’. Anastasia
approfitta della mia leggera esitazione e fa un passo in
avanti. Indietreggio, alzando le mani. Ma sorrido di
fronte alla sua intraprendenza.
«Stai attenta, Ana» la avverto.
La determinazione che leggo nei suoi occhi mi
esaspera. Mi passo una mano nei capelli.
«Qualche volta non t’importa» mi dice, mettendo un
delizioso broncio da monella. «Magari potremmo
prendere un evidenziatore, e tracciare la mappa delle
zone off-limits»
La sua proposta accende un bisogno animalesco dentro
di me. E anche una lampadina nella mia testa. Alzo un
sopracciglio, scrutando quella testolina che non smette
mai di sorprendermi. “Ok. Ho deciso. Non resisto più”.
«Non è una cattiva idea. Dov’è la tua camera da letto?»
mi informo.
Mi fa un breve cenno con la testa, indicando una porta
alle mie spalle. Un lampo nella testa mi fa venire in mente
che non ho preservativi con me.
«Stai prendendo la pillola?» chiedo, senza riuscire a
sembrare totalmente disinteressato.
La sua espressione manda in frantumi buona parte
della serata che avevo in mente. “Merda!”. Aggrotto la
fronte, frustrato sempre di più.
«No» si lamenta.
«Capisco» le dico trattenendo la rabbia.
“Ok, calmati Christian. Un modo lo trovi”.
«Vieni, mangiamo qualcosa» le dico con un sospiro.
«Pensavo che stessimo andando a letto! Io voglio
venire a letto con te» geme, quasi piagnucola, mentre mi
implora.
“Alla fine lo hai fatto, Anastasia. Anche se... non ancora
come voglio”.
«Lo so, piccola» le dico sorridendo.
Poi non resisto. Mi avvicino rapidamente a lei,
afferrandole i polsi per evitare il suo tocco che potrebbe
spingersi oltre, e la attiro tra le mie braccia. I nostri corpi
si scontrano, premuti l’uno contro l’altro. Il mio cazzo
duro come il marmo sfiora il suo ventre delicato.
«Hai bisogno di mangiare e anch’io» mormoro.
«D’altra parte... l’attesa è la chiave della seduzione, e
in questo momento sto ritardando l’appagamento»
Rimette quel delizioso broncio.
«Sono già sedotta e voglio l’appagamento ora. Ti
supplico, per favore» piagnucola.
Le sorrido dolcemente. Poi respiro a fondo, calmando
il mio istinto.
«Mangia. Sei troppo magra» le bacio affettuosamente
la fronte, lasciandole i polsi.
Mi lancia un’occhiataccia, che mi diverte ancora di più.
«Sono ancora arrabbiata perché hai comprato la SIP, e
ora sono arrabbiata perché mi stai facendo aspettare» mi
dice, incrociando le braccia sotto al seno.
«Sei una signorina arrabbiata, vero? Ti sentirai molto
meglio dopo un buon pasto» la prendo bonariamente in
giro.
«So dopo cosa mi sentirei molto meglio» sbotta con
un’aria da saputella.
La guardo, sentendo
desiderio dentro di me.
riaccendersi
un
delizioso
«Anastasia Steele, sono scioccato» la prendo
bonariamente in giro, anche se l’immagine di lei riversa
sulle mie ginocchia mi manda in estasi.
“Non andare in quella direzione, Grey”.
«Smettila di prendermi in giro. Non stai giocando
lealmente» dice arrabbiata, ma rassegnata.
Devo mordermi il labbro inferiore per soffocare un
sorriso. Ci scrutiamo a vicenda per qualche attimo, poi la
sua espressione cambia. Aggrotta la fronte, come se si
sentisse in colpa.
«Potrei cucinare qualcosa... solo che dobbiamo andare
a fare la spesa» mi dice abbassando lo sguardo.
«La spesa?» le chiedo senza capire.
«Per comprare qualcosa da mangiare» ammette
riluttante.
«Non hai cibo qui?» le chiedo severo.
Scuote piano la testa, mordicchiandosi il labbro,
colpevole. “Possibile che non abbia cibo in casa? Come
diavolo... oh”. Guardo il suo corpo diventato magrissimo.
“Piccola. É colpa mia, dunque”.
«Andiamo a fare la spesa, allora» le dico, furioso con
me stesso per averle fatto del male anche standole
lontano.
«Quand’è stata l’ultima volta che sei entrato in
un supermercato?» mi chiede, distraendomi dalla conta
delle scatole di cereali che sono sullo scaffale di fronte a
me. Non immaginavo potessero essercene tanti. Mi sento
strano, qui dentro. La seguo, in silenzio, ammirando il
modo in cui si districa tra gli scaffali e sceglie quello che
più le piace. É affascinante.
«Non me lo ricordo» ammetto, stringendomi nelle
spalle.
«È Mrs Jones a fare la spesa?» mi chiede con un
sorriso divertito e luminoso.
«Credo che Taylor l’aiuti. Non ne sono sicuro» replico.
Mi guarda con un’aria di superiorità. Si sente a suo
agio. É un ambiente che conosce, nel quale sa muoversi. E
io no. Questo la diverte. “Oh, Miss Steele. Più tardi mi
diverto io”.
«Ti andrebbe bene qualcosa da saltare in padella? È
veloce da preparare» mi dice, buttando lì con casualità il
fatto di voler fare il prima possibile.
«Una cosa saltata in padella suona bene» le dico
sorridendole malizioso.
«È tanto che lavorano per te?» mi chiede, riferendosi
ovviamente a Mrs Jones e Taylor.
«Taylor, quattro anni, penso. Mrs Jones più o meno lo
stesso. Perché non hai cibo in casa?» le chiedo fissandola.
«Lo sai perché» borbotta, arrossendo subito e girando
lo sguardo per evitare il mio.
«Sei stata tu
disapprovazione.
a
lasciarmi»
le
mormoro
con
«Lo so» mi dice piano, con lo sguardo basso.
Il ricordo le fa male. E mi sento subito un coglione per
averglielo fatto riaffiorare alla mente. In silenzio, la seguo
fino alla cassa, dove ci inseriamo nella fila. Guardo il
carrello, nel silenzio, e noto che ha preso un sacco di cibo,
ma niente vino. So che quello che hanno qui è pessimo.
Potrei usarlo come pretesto per uscire. E magari prendere
anche dei preservativi.
«Hai qualcosa da bere?» le chiedo guardandola.
«Birra... credo» risponde poco convinta.
«Prendo
del
vino»
le
dico
velocemente,
allontanandomi in direzione del banco frigo. Faccio un
breve giro e torno a mani vuote, ovviamente, facendole
una smorfia di disgusto.
«C’è un buon negozio di alcolici qui accanto» mi dice.
“Ottimo”.
«Vado a vedere quel che hanno» le dico, uscendo in
fretta, evitando due donne che si fermano proprio
all’ingresso.
Trovo subito il negozio di alcolici e compro il migliore
vino che hanno. Poi esco velocemente dal negozio, a pochi
metri c’è una farmacia notturna. Entro e faccio una cosa
che non facevo da anni. Compro dei preservativi. A casa
non ho di questi problemi. Jason ha una lista di cose da
comprare per me. E tra queste, sì, anche i preservativi.
Evito il sorrisetto del ragazzo dietro al bancone e mi
affretto a tornare da Anastasia. La trovo ad aspettarmi
fuori, in strada, con le buste accanto alle gambe e un
sorrisetto furbo sul viso. Le sorrido, prendo le borse della
spesa e mi incammino con lei verso casa.
Entriamo in silenzio nell’appartamento, sento il suo
sguardo addosso mentre poggio le buste sull’isola in
cemento e l’aiuto a disfarle.
«Sembri molto... casalingo» mi dice all’improvviso.
«Nessuno mi ha mai accusato di ciò prima d’ora»
ribatto seccamente. Afferro la bottiglia di vino bianco e
mi avvicino alla cucina, in cerca di un cavatappi.
«Questo posto non mi è ancora familiare. Credo che il
cavatappi sia nel cassetto» mi dice, indicandolo col
mento.
La osservo mentre apro la bottiglia. É persa nei suoi
pensieri. Stupore, desiderio, lussuria... amore, voglio
sperare.
«A cosa stai pensando?» le chiedo, togliendomi la
giacca e poggiandola sulla spalliera del divano.
«A quanto poco ti conosco veramente» risponde
semplicemente.
La guardo, affettuoso stavolta.
«Tu mi conosci meglio di chiunque altro» le dico
sincero.
«Non credo» risponde.
Un pensiero triste le attraversa la mente.
«È così, Anastasia. Sono una persona molto riservata»
le dico, porgendole un bicchiere di vino.
Lo prende e io faccio tintinnare il mio contro il suo.
«Alla salute» le dico piano.
«Alla salute» risponde.
Beve, mentre poso la bottiglia in frigo. Quando torno
accanto a lei, sta trafficando con il cibo.
«Posso aiutarti?» le chiedo.
«No, va bene così... Siediti» mi dice, liquidandomi in
fretta.
«Mi piacerebbe aiutarti» le dico sinceramente.
Mi scruta per un attimo. Poi guarda il cibo disposto
sull’isola.
«Puoi tagliare le verdure» dice con un sorriso.
Sospetto sia il compito più facile che abbia trovato per
me.
«Io non cucino» le dico, avvertendola quasi, mentre
guardo sospettoso il coltello che mi sta porgendo.
«Immagino che tu non ne abbia bisogno» mi dice con
un sorrisetto, mettendomi davanti un tagliere e alcuni
peperoni rossi.
Li fisso, confuso. “Cosa vuole che faccia?”.
«Non hai mai tagliato le verdure?» chiede stupita e
divertita allo stesso tempo.
«No» ammetto, corrucciato.
Mi lancia un sorrisetto compiaciuto.
«È un sorriso condiscendente quello?» le chiedo
divertito.
«A quanto pare, questa è una cosa che io so fare e tu
no. Vediamo di affrontarla, Christian. Credo che questa
sia una prima volta. Ecco, ti faccio vedere»
Mi viene accanto, sfiorandomi piano con il suo corpo
tentatore. La vicinanza è troppo. Faccio due passi
indietro, tentando di concentrarmi su quello che mi fa
vedere.
«Così» mi dice, affettando abilmente un peperone e
togliendo i semi.
«Sembra abbastanza semplice» le dico, prendendola in
giro.
«Non
dovresti
ironicamente.
avere
problemi»
mormora
La fisso per un attimo. Da quando è così sciolta?
Sembra che in cinque giorni abbia ritrovato tutta la sua
forza interiore. E ora la sta usando per tenermi testa. E mi
piace.
Distolgo lo sguardo da lei, che mi guarda curiosa. Si
allontana e inizia a tagliare il pollo, mentre io mi dedico
diligentemente al lavoro che mi ha assegnato.
Con la coda dell’occhio seguo i suoi movimenti. Si
avvicina al lavello, lava le mani, cerca il wok, mette l’olio,
traffica con gli ingredienti. Ad ogni passo fa in modo che
il suo percorso si incontri con me. Mi sfiora, si struscia,
mi tocca con il suo meraviglioso corpo. Il mio cazzo tira e
fa un male cane, maledizione. Nonostante il mio corpo si
irrigidisca, lei non demorde.
«So cosa stai facendo, Anastasia» mormoro eccitato,
mentre mi districo tra coltello e peperoni.
«Credo che lo chiamino cucinare» ribatte
ironicamente, guardandomi e sbattendo le palpebre
innocentemente.
Mi raggiunge e si mette di fronte a me, tagliuzzando il
resto degli ingredienti. Ogni tanto si sposta, strusciando il
corpo contro di me.
«Sei piuttosto brava in questo» le dico, cercando di
distoglierla dalla sua opera di seduzione.
«A tagliare?» dice con finta innocenza, sbattendo le
ciglia da cerbiatta. «Anni di pratica»
Si avvicina e mi sfiora di nuovo. Il suo morbido sedere
struscia voluttuosamente contro la mia coscia. “Cristo
santo!”. Il mio uccello è dolorante, non resisto oltre. Non
ce la posso fare.
«Se lo fai un’altra volta, Anastasia, ti prendo sul
pavimento della cucina» la avverto con voce bassa e roca.
«Prima dovrai supplicarmi» mi dice compiaciuta.
«È una sfida?» le chiedo poggiando il coltello sul
tagliere.
«Forse»
Mi avvicino lentamente a lei, il desiderio mi guida. Mi
protendo verso il fornello, spegnendolo. “Bene, Ana.
Avrai quello che vuoi”.
«Credo che mangeremo più tardi» le dico. «Metti il
pollo nel frigo»
Mi scruta con gli occhi sgranati, mentre, tremando
leggermente, rimette a posto la ciotola dopo averla
coperta. Quando si volta l’ho già raggiunta, accanto al
frigorifero.
«E così, stai supplicando?» sussurra, guardandomi
sfacciatamente.
«No, Anastasia» le dico, scuotendo piano la testa.
«Niente suppliche» mormoro.
Ci fissiamo a vicenda per qualche attimo. Ad un tratto
lei si morde forte il labbro inferiore, i suoi occhi
fiammeggiano di desiderio. E lo stesso fanno i miei
mentre non resisto più a starle così lontano. Le afferro
violentemente i fianchi e la attiro contro il mio corpo che
brama di possederla. Le sue mani corrono verso i miei
capelli, mentre la mia bocca famelica si avventa sulla sua.
La spingo forte contro il frigo, godendomi i suoi mugolii
di piacere. Il mio cazzo freme, strusciandosi contro il suo
ventre. Lascio scorrere una mano sulla sua schiena e poi
nei suoi capelli, afferrandoli e tirandole la testa indietro
per guardarla.
«Che cosa vuoi, Anastasia?» sospiro eccitato come non
mai.
«Te» ansima, la voce ridotta ad un filo.
«Dove?» le chiedo guardandola.
“Sei tu che decidi, tu che comandi, Anastasia”.
«A letto» dice senza fiato.
Mi allontano e la prendo tra le braccia, trasportandola
velocemente nella sua camera da letto. La deposito
dolcemente in piedi, accanto al letto e accendo la lampada
sul comodino. Scruto la stanza, poi mi avvicino alla
finestra, chiudendo le tende chiare.
«E adesso?» le chiedo piano.
“Ok, ho ceduto io, ma non te lo renderò più facile”
«Fa’ l’amore con me» sussurra con un fremito, che si
ripercuote in tutto il mio corpo.
«Come?» le chiedo piano.
Le mie dita le sfiorano piano un braccio, mentre lei
non risponde. Gli occhi le si velano di desiderio, ma resta
in silenzio.
«Devi dirmelo, piccola» la incito, sorridendole in
maniera sensuale e provocante.
«Svestimi» sussurra senza fiato.
Sorrido e infilo l’indice nella scollatura della sua
camicetta azzurra. La attiro a me e le nostre labbra si
sfiorano.
«Brava ragazza» le mormoro piano, senza staccare gli
occhi da lei.
Lentamente inizio a slacciare i piccoli bottoni della sua
camicia, facendola sospirare ancora. Le sue mani vanno
ad appoggiarsi sulle mie braccia, per reggersi. Quando ho
finito, gliela sfilo, lasciandola cadere a terra. Lancio un
fugace sguardo ai suoi seni contenuti in un meraviglioso
pizzo color pastello e poi lascio scivolare la mano sino alla
cintura dei suoi jeans, sbottonandoli piano e abbassando
la cerniera. I miei occhi sono di nuovo nei suoi.
«Dimmi che cosa vuoi, Anastasia» le dico, ansimando
sulle sue labbra aperte come le mie.
«Baciami da qui a qui» sussurra tremante, disegnando
una linea con il dito dalla base dell’orecchio sinistro fin
sotto la gola.
Le scosto piano i capelli, sorridendo, e mi chino su di
lei, lasciandole dolci e teneri baci lungo il percorso
tracciato dal suo piccolo indice.
«I miei jeans e le mutandine» le sento mormorare.
Sorrido per la sua impazienza. Le mie mani scivolano
sulla sua pelle, mentre mi inginocchio di fronte a lei. Mi
guarda, inebriata dall’anticipazione di quello che sto per
farle. Infilo i pollici nei jeans, gentilmente, lasciandoli
scivolare lungo le sue cosce lisce e sottili. Con i jeans
lascio scendere anche le mutandine di pizzo. Anastasia si
sfila le ballerine nere e si libera di quello che le rimane
addosso. Rimane solo con il reggiseno. Mi fermo,
guardandola e attendendo i suoi comandi.
«E adesso, Anastasia?» le chiedo con voce roca.
«Baciami» sussurra.
«Dove?» le chiedo maliziosamente.
Arrossisce velocemente.
«Lo sai dove» sussurra sottovoce.
«Dove?» le chiedo ancora una volta.
Imbarazzata mi indica veloce il basso ventre. Le faccio
un sorrisetto. “Ora ti faro impazzire, Miss Steele”. Stringe
gli occhi forte.
«Con piacere» ridacchio piano.
Le deposito un soffice e delicato bacio sul suo sesso
voglioso, bagnato. Umido di eccitazione. E poi non
resisto. Allungo la lingua, muovendola su tutta la sua
piccola fessura, sul suo clitoride che pulsa. Ana geme in
modo convulso, afferrandomi i capelli e stringendoli
forte. Non mi fermo, disegnando cerchi sul suo piccolo
bottoncino delicato, facendola tremare per il bisogno di
venire.
«Christian, per favore» mi supplica quasi.
«“Per favore” cosa, Anastasia?»
“Supplicami, Ana. Supplicami di scoparti, di entrarti
dentro a fondo”.
«Fa’ l’amore con me» implora.
«Lo sto facendo» mormoro malizioso tra le sue gambe.
«No. Ti voglio dentro di me»
La sua voce è quasi stridula per quanto mi desidera.
“Sì, Ana. Così”.
«Sei sicura?»
«Per favore» supplica.
La torturo ancora con la lingua, circondando la sua
vagina tremante, leccando, avido del suo dolce nettare.
Ana emette un gemito sonoro.
«Christian... per
staccarmi da lei.
favore»
implora,
tentando
di
Strofino il naso sul suo sesso, inspirando il suo dolce
profumo. Mi alzo, guardandola. I suoi occhi si spostano
sulle mie labbra, bagnate di lei.
«Allora?» le chiedo, alzando un sopracciglio, con un
sorrisetto arrogante.
«Allora cosa?» sospira, col fiato corto, guardandomi
confusa.
«Sono ancora vestito» le dico piano, allargando le
braccia.
Mi fissa per qualche attimo, poi allunga una mano
tremante verso la camicia.
Mi sposto appena in tempo all’indietro.
«Oh, no» la rimprovero.
Alzando un sopracciglio, la guardo in attesa. Inspira a
fondo, fissandomi dritto negli occhi. E poi cade
meravigliosamente in ginocchio davanti a me. Mi slaccia
la cintura, litigandoci un po’, e poi i jeans, che tira giù
insieme ai miei boxer. Libera la mia erezione, che le sfiora
quasi il viso. É così vicina. Alza lo sguardo sui di me.
“Oddio. Ho sognato momenti come questo sin dalla
prima volta che l’ho vista. L’ho sognata in ginocchio,
pronta per me. A darmi piacere in ogni modo possibile.
Ho desiderato di riempire e zittire quella bocca
impudente fin dal primo istante”. Mi sfilo completamente
i jeans e mi chino un attimo a togliere i calzini. Quando
mi raddrizzo lei me lo stringe in mano, accarezzando tutta
la mia lunghezza. Gemo, mentre i miei muscoli si tendono
all’unisono. Esitante si avvicina, prendendolo in bocca.
Succhia forte, facendomi sussultare. Mugola di piacere,
serrando ancora di più la bocca attorno al mio cazzo.
«Ah. Ana... ferma. Piano» gemo.
Le accarezzo piano la testa, mentre lei lo prende ancora
più a fondo in bocca. Stringe le labbra e la punta del mio
uccello le arriva fino in gola, riempiendola tutta. Succhia
di nuovo, più forte.
«Oh, sì» sibilo di piacere.
Succhia di nuovo, sempre più forte. Mi sta spremendo.
Mi sta succhiando via l’anima. E io la sto adorando. É
magnifica. E mi fa stare così bene. La sua lingua saetta
piano sulla mia cappella infuocata.
«Ana, basta. Fermati» gemo.
Ma lei continua imperterrita. Alza lo sguardo su di me
e vedo il lampo di sfida. “Cazzo. Ecco cosa vuoi. Vuoi che
ti supplichi”. Cerco di resistere, di non cedere, ma sto per
esplodere. E voglio farlo dentro di lei, non nella sua
bocca.
«Okay, hai vinto» sibilo a denti stretti. «Non voglio
venirti in bocca»
Succhia ancora una volta prima che l’afferri per le
spalle e la tiri su. La spingo sul letto, ammirando il suo
corpo. Mi sfilo la camicia dalla testa, gettandola a terra.
Mi chino sui miei jeans, estraendo un preservativo dalla
tasca. Ho il fiato corto per l’eccitazione.
«Togliti il reggiseno» le ordino.
La sua immediata obbedienza mi eccita ancora di più.
É ansiosa di compiacermi. E sì, a dispetto di quello che
avevo intenzione di fare con lei, voglio essere
compiaciuto.
«Sdraiati. Voglio guardarti»
Esegue in silenzio, restando nuda, mentre mi infilo
lentamente il preservativo. Guardarla offrirsi a me in quel
modo mi sta facendo impazzire. Mi inumidisco le labbra,
assaporando i residui del suo sapore.
«Sei una visione meravigliosa, Anastasia Steele» mi
chino sul letto, arrampicandomi sul suo corpo.
Le bacio la pelle a mano a mano che risalgo. Mi
soffermo sui suoi seni, stuzzicandola fino a farla gemere e
contorcere sul lenzuolo.
«Christian, per favore» mormora mentre sto per
portarla al limite.
«Per favore cosa?» sussurro sulla sua pelle.
«Ti voglio dentro di me» implora.
«Mi vuoi adesso?» la tormento ancora.
«Per favore» supplica bisognosa.
La fisso negli occhi, mentre le mie mani scendono ad
aprirle le gambe. E, finalmente, dopo giorni di straziante
agonia, il mio cazzo si bagna di nuovo dei suoi umori,
penetrandola a fondo, lentamente. Chiude gli occhi,
godendosi ogni attimo. Sembra in estasi, i suoi
movimenti dolci e sexy come un perverso rallenty di un
film erotico. La sola visione rischia di farmi venire.
Solleva il bacino, venendomi incontro, impaziente di
essere posseduta da me. Di essere mia. Il gemito che le
esce dalla gola è un suono straziante e lussurioso al tempo
stesso. Le sue dita si infilano nei miei capelli, mentre
continuo a penetrarla piano.
«Più veloce, Christian, più veloce... per favore»
supplica ancora una volta.
Le lancio uno sguardo di trionfo. Alla fine, ha ceduto.
Mi approprio prepotentemente delle sue labbra, iniziando
a scoparla con forza. Il mio ritmo è implacabile, ad ogni
stoccata la inchiodo al materasso, riversando in questo
intenso atto sessuale tutta la frustrazione e il desiderio
degli ultimi cinque giorni, che mi sono sembrati 5mila
anni. Ana inizia ad urlare e gemere sconnessamente,
accendendo sempre di più la mia eccitazione. Il mio ritmo
aumenta, più veloce, insistente, estenuante. Sento le sue
gambe tendersi. E anch’io sto per raggiungere il limite.
«Avanti, piccola» ansimo sulle sue labbra. «Vieni»
Anastasia spalanca gli occhi, fissandomi, persa nel suo
piacere. Urla forte, mentre si stringe intorno a me come
una deliziosa morsa. E viene. E io non resisto oltre a
quella vista, a quelle sensazioni. Esplodo dentro di lei,
liberando la mia anima insieme al mio orgasmo.
«Ana! Oh, cazzo, Ana!» grido, crollando pesantemente
su di lei, la mia testa sul suo collo, il mio respiro contro la
sua pelle.
“Sono tuo. Sono irrimediabilmente tuo oramai”.
Capitolo 7
Non so per quanto tempo rimaniamo entrambi in
silenzio, ansimanti, l’uno addosso all’altra. Mi beo in quel
conforto che solo il suo calore sa darmi. Solo il suo corpo
unito al mio. La sento muoversi piano sotto di me. Sposto
la testa in modo che possa guardarla. Ha gli occhi chiusi,
il corpo rilassato in un torpore postorgasmico, i
lineamenti rilassati di chi ha goduto tanto. Mi scopro a
guardarla con ammirazione, con venerazione. Sì, con
amore. Quando riapre gli occhi e mi scopre a fissarla non
mi importa. Le sorrido teneramente, strofinando piano il
mio naso contro il suo, mentre mi sorreggo sui gomiti.
Per un attimo aggrotta le sopracciglia, guardando il mio
collo, il mio torace. So che vorrebbe toccarmi. E il
pensiero mi fa male. E non per il dolore fisico che potrei
provare. Ma per quello che provo al pensiero di non
essere in grado di superare questo mio limite assoluto.
Inizio a capire solo ora cosa intendeva Flynn le mille volte
che mi diceva che pormi dei limiti nelle mie relazioni non
era poi un bene per me. Se avessi tentato, se avessi osato
prima, magari ora sarei potuto essere in grado di
sostenere questa sfida. Avrei potuto godere del suo tenero
tocco che desidero, di cui avrei bisogno più dell’aria. Le
mie mani si poggiano ai lati della sua testa, mentre le do
un leggero e tenero bacio sulle labbra, sfilandomi
finalmente da lei. Le nostre labbra si toccano lievemente,
si assaggiano piano, per poi staccarsi di malavoglia.
«Tutto questo mi è mancato» sospiro piano, contro la
sua bocca carnosa.
«Anche a me» risponde piano, guardandomi con i suoi
occhi grandi, aperti. Sinceri.
Le mie dita scorrono leggere sul suo mento, tirandolo
verso di me e baciandola ardentemente. Le nostre lingue
turbinano insieme, si scontrano, ancora avide di noi
anche dopo il soddisfacente amplesso appena consumato.
La mia mano scorre sulla pelle del suo viso, mentre la mia
lingua continua il suo assalto provocante. Le dita arrivano
tra i suoi capelli, stringendoli forte e tenendo salda la sua
bocca sulla mia. In quel bacio riverso tutto il mio bisogno
di lei, tutta la paura che ho di perderla. Quando ci
stacchiamo, Anastasia è senza fiato. Proprio come me.
«Non lasciarmi più» la imploro, la supplico,
guardandola dritto negli occhi, cercando di farle capire
quanto ho bisogno di essere rassicurato.
«Okay» mormora piano, sorridendo debolmente.
Il mio sorriso in risposta è aperto, sincero, gioioso. La
guardo felice, senza riuscire a nascondere la mia gioia.
«Grazie per l’iPad» mi dice, senza smettere di fissarmi.
«Di niente, Anastasia» le rispondo, continuando a
giocherellare con le ciocche dei suoi capelli.
«Qual è la tua canzone preferita tra quelle?» mi chiede
d’un tratto.
Tu. Tu sei la mia canzone preferita. Tu sei la melodia
che non smetterei mai di suonare.
«Ora vuoi sapere troppo» le rispondo vago, con un
sorriso. «Vieni, cucinami qualcosa, donzella. Sono
affamato» aggiungo, mentre mi tiro su a sedere,
portandola con me.
«Donzella?» chiede, con la sua risata da scolaretta
felice.
«Donzella. Cibo, ora, per piacere» le dico, facendole un
leggero broncio e guardandola con aria supplichevole.
«Visto che me lo chiedete gentilmente, sire, mi ci
applico subito» risponde giocosa.
Scende dal letto, con un piccolo balzo. Il movimento fa
cadere il suo cuscino, scoprendo il palloncino sgonfio che
le ho mandato la scorsa settimana. Il piccolo Charlie
Tango gonfiabile, che ora ha perso vigore e giace
appiattito sulla stoffa candida del lenzuolo. Lo prendo in
mano, aggrottando la fronte. Sono compiaciuto. La
guardo con aria interrogativa, mentre lei arrossisce
leggermente.
«Quello è il mio palloncino» mi dice, con aria
possessiva. Si gira, afferrando l’accappatoio appeso alla
porta e infilandoselo.
«Nel tuo letto?» mormoro, sentendomi geloso per un
attimo di quel piccolo palloncino.
«Sì» risponde, arrossendo di nuovo. «Mi tiene
compagnia» aggiunge piano, quasi triste.
«Beato Charlie Tango» le dico sorpreso.
“Oh, Ana. Quanto ti ho fatta stare male se hai avuto
bisogno di aggrapparti ad un palloncino?”.
«È il mio palloncino» mi dice, prima di voltarsi e
andare di là, lasciandomi solo sul letto, triste e
compiaciuto allo stesso tempo.
Mi ha pensato. Mi ha desiderato con la stessa intensità
con cui l’ho desiderata io. Ha continuato ad amarmi,
mentre io scoprivo di provare lo stesso per lei. Mi infilo in
fretta i jeans e la camicia. Tiro fuori il BlackBerry dalla
tasca e mando un sms a Taylor, dicendogli di portare
l’Audi di Anastasia nel vialetto davanti casa sua. In fondo
le ho restituito le chiavi e non ha protestato. É tutto come
prima. Prima di tornare di là, poggio sul comodino anche
gli altri due preservativi, maledicendomi tra me e me per
aver comprato solo una fottutissima scatola da tre invece
che l’intera scorta della farmacia.
Quando la raggiungo, la trovo intenta a cucinare, in
silenzio. Dalla giacca tiro fuori il mio iPod e lo collego al
suo impianto stereo. Poi, in silenzio, vado ad appoggiarmi
all’isola in cemento, osservando i suoi movimenti, il suo
essere così a proprio agio. La guardo e desidero vederla
così tutti i giorni, desidero tornare a casa, la sera, e sapere
di non essere solo, di trovarla lì. Forse è il pensiero di
poterla avere ogni volta che voglio. Di sapere che mi basta
fare qualche passo e attraversare una porta per trovare
quello che cerco. Quello che mi fa stare bene.
«A cosa pensi?» mi chiede, sorridendomi gentilmente,
mentre prepara un vassoio con il cibo finalmente pronto.
La guardo per un lungo istante in silenzio. Adorandola
ogni secondo di più.
«A te, Miss Steele» le rispondo enigmatico.
Arrossisce, colorando di rosso il suo bellissimo viso.
Prendo il vassoio e mi dirigo verso il divano.
«Vieni. Mangiamo, Anastasia. Hai bisogno
recuperare le forze. Non ho ancora finito con te»
di
Poggio il vassoio a terra. Quando mi raggiunge, senza
smettere di fissarmi, le tendo la mano, attirandola contro
il mio corpo. Le accarezzo piano la schiena e le deposito
un casto bacio sulle labbra. Non chiudo gli occhi. La
guardo. Guardo la sua dolcezza infinita fondersi con me.
Che non lo merito. Ma non sarò meno egoista da lasciarla
andare. La voglio tutta per me. Non la merito. Ma finché
posso averla, mi prenderò tutto quello che posso avere.
Seduti sul tappeto, mangiamo, sorseggiando vino e
ascoltando musica. Sono appoggiato con la schiena al
divano, con le gambe allungate, rilassato e appagato.
Anastasia è accanto a me, con le gambe incrociate sotto il
suo accappatoio di spugna. Mi sto godendo questo
momento così perfetto. Sono visibilmente rilassato, qui
seduto a terra con la donna che amo, a mangiare ottimo
cibo.
«È buono» le dico, con sincera ammirazione, mentre
infilo le bacchette nella ciotola di porcellana che contiene
degli ottimi noodles.
Ana annuisce, mentre mangia di buon grado,
osservando le mie gambe distese e i miei piedi nudi.
«Di solito sono io che cucino. Kate non è una gran
cuoca» mi dice tra un boccone e l’altro.
«È stata tua madre a insegnarti?» le chiedo,
assaggiando un pezzo di pollo.
«No
davvero!»
esclama
sarcastica,
sbuffando
leggermente. «Quando ho iniziato a interessarmi alla
cucina, mia madre era andata a vivere con il Marito
Numero Tre a Mansfield, in Texas. E Ray, Bè, lui sarebbe
andato avanti a toast e cibo da asporto, se non fosse stato
per me» confessa con un sorrisetto.
La guardo curioso.
«Perché non sei andata in Texas con tua madre?» le
chiedo.
«Steve, suo marito, e io... non andavamo d’accordo. E
mi mancava Ray. Il matrimonio con Steve non è durato
molto. Lei è rinsavita, credo. Non ha mai più parlato di
lui» mi dice tranquillamente.
La osservo in silenzio, notando come la decisione che
mi ha appena confessato non le abbia mai procurato
rimorso.
«Perciò sei rimasta a vivere con il tuo patrigno»
«Sì»
«Sembra che tu ti sia presa cura di lui» le dico,
sorridendole.
«Suppongo di sì» dice, stringendosi nelle spalle con
aria modesta.
«Sei abituata a prenderti cura delle persone» osservo
piano.
“É una piccola crocerossina. Forte e indipendente. Si
butterebbe nel fuoco per le persone che ama. Pensa a
tutti. Mentre io voglio essere l’unico a prendermi cura di
lei. A tenerla al sicuro”.
Il mio tono sommesso le fa alzare lo sguardo. Mi
guarda con aria interrogativa, aggrottando la sua morbida
fronte in modo che le si formino delle piccole linee sottili
che vorrei tanto toccare.
«Cosa c’è?» chiede, leggermente allarmata.
«Io voglio prendermi cura di te» le confesso sincero.
I miei occhi brillano, mentre la guardo ardentemente.
Anastasia apre leggermente la bocca, ansimando piano.
«L’ho notato» sussurra alla fine. «Solo che lo fai in un
modo bizzarro» aggiunge, distogliendo per un attimo lo
sguardo, per poi tornare a fissarmi.
Aggrotto la fronte, riflettendo sulle sue parole. “Forse,
hai ragione, Anastasia. Ma ho bisogno del mio controllo
su di te. Non posso rinunciarci”.
«È il solo modo che conosco» le dico semplicemente.
«Sono ancora arrabbiata con te per aver comprato la
SIP» mi dice, leggermente stizzita.
Le sorrido arrogante.
«Lo so, ma la tua rabbia, piccola, non mi avrebbe
fermato» le dico apertamente.
«Cosa dirò ai miei colleghi? A Jack?» mormora,
spostandosi leggermente.
Il solo sentire nominare quello stronzo mi fa infuriare.
Stringo gli occhi, imbronciandomi.
«Quello stronzo fa meglio a stare attento» dico senza
mezzi termini.
«Christian!» mi rimprovera. «È il mio capo»
La guardo senza cambiare minimamente idea.
“Potrebbe essere anche il presidente degli Stati Uniti,
Anastasia. Sarebbe sempre un fottutissimo figlio di
puttana”.
«Non dirglielo» rispondo, senza abbandonare la mia
aria indispettita, da ragazzino.
«Non devo dirgli cosa?» chiede confusa.
«Che possiedo la SIP. I termini del contratto sono stati
approvati ieri. C’è il divieto di divulgare la notizia per
quattro settimane, mentre il management della SIP fa
alcuni cambiamenti» rispondo.
I suoi occhi si sgranano piano.
«Oh... perderò il lavoro?» chiede allarmata.
«Sinceramente ne dubito» le dico sarcasticamente.
Faccio del mio meglio per trattenere il sorriso
impudente che mi sta affiorando sulle labbra. Ho
rischiato di giocarmi l’intera serata. Non vorrei rischiare
di giocarmi quello che ne resta ora. Mi lancia
un’occhiataccia.
«Se dovessi andarmene e trovare lavoro in un’altra
azienda, comprerai anche quella?» mi chiede
cinicamente.
«Non stai pensando di andartene, vero?» le domando,
diffidente.
‘Qual è il problema, Grey? Tanto la seguiresti fino in
capo al mondo. Compreresti la luna pur di saperla al
sicuro’. La sua espressione cambia, diventando diffidente.
«Forse. Non sono sicura che tu mi stia dando molta
scelta» mi risponde acida, incrociando le braccia.
«Sì, comprerò anche quell’azienda» le rispondo
categoricamente.
Mi lancia un’altra occhiataccia, poi sospira, esasperata.
«Non pensi di essere un tantino iperprotettivo?» mi
chiede, scuotendo piano la testa.
«Sì. Sono pienamente consapevole di dare
quest’impressione»
dichiaro
con
un’espressione
fintamente solenne.
«Chiama il dottor Flynn» mormora.
Deposito la mia ciotola vuota a terra, guardandola
dritto negli occhi, senza cedere. Sospira di nuovo,
rassegnata. Poi si alza dal pavimento, prendendo la mia
ciotola e portandola, insieme al vassoio con i resti della
nostra cena, sull’isola in cucina.
«Vuoi il dolce?» mi chiede da lontano.
«Ora sì che ragioniamo!» le dico con un gran sorriso
lascivo, guardandola dalla testa ai piedi.
«Non me» aggiunge, come se mi avesse letto il
pensiero. «Abbiamo il gelato. Vaniglia» ridacchia
maliziosamente. Dentro di me un’idea prende forma. “Sì,
potremmo divertirci sul serio... ”.
«Davvero?» le dico, senza riuscire a tenere a freno il
mio sorriso. «Credo che possiamo inventarci qualcosa
con quello» mormoro piano, guardandola lascivamente.
Mi alzo dal pavimento, accarezzandole il corpo con lo
sguardo.
«Posso restare?» le chiedo speranzoso.
«Che cosa intendi?» chiede girandosi a fissarmi.
«Stanotte» mormoro.
Non voglio rischiare di rovinare tutto. Da oggi dovrò
sempre sapere quello che le passa per la testa, quello che
vuole e quello che invece non vuole.
«Avevo dato per scontato che lo facessi» mi dice piano.
«Bene. Dov’è il gelato?» chiedo con l’allegria ritrovata.
«Nel forno» risponde, con un sorriso dolce.
Sospiro, scuotendo la testa divertito.
«Il sarcasmo è la forma più bassa d’ironia, Miss
Steele» le dico, fissandola ardentemente.
Il desiderio di essere di nuovo dentro di lei mi sta già
divorando.
«Potrei sempre rovesciarti sulle mie ginocchia»
aggiungo maliziosamente, mentre il mio uccello prende a
pulsare violentemente per la brama che ho di lei e del suo
corpo.
Mi fissa per un secondo, mentre poggia delicatamente
le ciotole nel lavello.
«Hai quelle
disinteresse.
sfere
d’argento?»
chiede,
fingendo
Mi tasto il petto, l’addome e le tasche dei jeans,
fingendo di cercare qualcosa.
«Stranamente, non le porto sempre con me. Non ci
faccio molto con quelle in ufficio» le dico con una finta
aria di scuse.
«Sono lieta di sentirlo, Mr Grey. Pensavo che avessi
detto che il sarcasmo è la forma più bassa d’ironia» mi
apostrofa divertita dalla nostra piccola schermaglia.
«Bè, Anastasia, il mio nuovo motto è: “Se non puoi
batterli, unisciti a loro”» le dico, stringendomi nelle spalle
con un sorrisetto.
Apre la bocca, divertita. Scuote piano la testa, mentre
le lancio un’occhiata compiaciuta. Poi apro il freezer,
prendendo il barattolo di gelato alla vaniglia.
“Ben&Jerry’s... ottimo”.
«Questo andrà benissimo» le sussurro, fissandola con
gli occhi che ardono di desiderio. «Ben&Jerry’s&Ana»
mormoro contro il suo orecchio, sporgendomi piano in
avanti e scandendo ogni parola.
La sua bocca si spalanca. Mi allontano, avvicinandomi
al cassetto delle posate. Prendo un cucchiaio e porto di
nuovo lo sguardo su di lei. La guardo, pregustandomi
nella mia mente quello che le farò. Il solo pensiero di
assaggiare il gelato dalla sua pelle mi manda in visibilio.
Mi passo la lingua sui denti, senza smettere di scoparla
con lo sguardo.
La sento ansimare da lontano. Faccio qualche passo
verso di lei.
«Spero che tu abbia caldo» le sussurro «Ti raffredderò
con questo. Vieni»
Le tendo la mano e lei la afferra tremante. La trascino
in camera da letto. Poggio il barattolo e il cucchiaio sul
comodino, tiro la trapunta dal letto e impilo i cuscini sul
pavimento. Guardo le lenzuola candide.
«Hai lenzuola di ricambio, vero?» le chiedo, alzando lo
sguardo su di lei e scoprendola a fissarmi.
Annuisce, in silenzio.
intenzionato a spostarlo.
«Non impiastricciarmi
guardinga.
Le faccio un sorrisetto.
Afferro
il
il
palloncino»
palloncino,
mi
dice
«Non mi sognerei mai, piccola, ma voglio
impiastricciare te e queste lenzuola» le prometto
lascivamente.
Il suo corpo è scosso da un tremore.
«Voglio legarti» le dico piano, avvicinandomi a lei.
«Okay» sussurra, mentre gli occhi le si sgranano.
«Solo le mani. Al letto. Ho bisogno che tu stia ferma»
la rassicuro. O almeno ci provo.
«Okay» sussurra di nuovo con un filo di voce.
La fisso negli occhi, colmando la poca distanza tra di
noi.
«Useremo questa» le dico, continuandola a fissare
mentre le sfilo la cintura dell’accappatoio lentamente,
lasciandola strusciare piano sulla stoffa morbida del suo
accappatoio, che si schiude piano davanti ai miei occhi.
Fisso il suo corpo nudo, accarezzandolo con gli occhi,
beandomi in quella visione sublime. Poi torno a fissarla
negli occhi. Spingo l’accappatoio a terra, lasciandolo
scivolare dalle sue spalle. Ana rimane nuda davanti a me,
splendida come una dea. Lentamente le sfioro
ripetutamente il viso con le nocche. Poi mi avvicino,
baciandola velocemente.
«Sdraiati sul letto, supina» le ordino dolcemente,
mentre dentro di me sto bruciando per l’intensità del mio
desiderio.
Anastasia obbedisce, muovendosi leggermente incerta,
illuminata dalla sola luce dell’abat-jour. Rimango in
piedi, di fronte a lei, incapace di smettere di fissarla. La
sua pelle candida, nella penombra, è una dolce
tentazione.
«Potrei rimanere a guardarti
Anastasia» le dico, salendo sul letto.
tutto
il
giorno,
Mi arrampico su di lei, mettendomi a cavalcioni. Le
mie dita scorrono sulla morbida pelle del suo ventre,
risalendo sino al seno.
«Alza le braccia sopra la testa» le ordino piano.
Obbedisce, muovendo le braccia lentamente,
eccitandomi di più. Il movimento provoca il sollevamento
dei suoi seni, che si offrono alla mia vista tentandomi. É
una delle cose che amo di più del vederla legata. Il mio
uccello si tende al solo pensiero di infilarsi tra quelle due
dolci colline. “Un giorno o l’altro, Anastasia, soddisferò
anche questa fantasia”. Mi sporgo su di lei, legandole il
polso sinistro con la cintura, assicurandola poi alle sbarre
del letto. Ripeto l’operazione con la mano destra. Quando
ho finito mi rilasso. “Ora sono io a condurre il gioco, Miss
Steele”. Anastasia aggrotta la fronte per un attimo,
mentre scendo dal letto. Sembra attraversata da un
pensiero triste, ma il mio movimento la distrae. Mi chino
di nuovo su di lei, depositandole un bacio veloce sulle sue
labbra leggermente schiuse. Mi sfilo la camicia, tirandola
dalla testa, senza sbottonarla. Poi tiro via anche i jeans.
Sotto non indosso i boxer e sento il suo respiro bloccarsi,
per poi ripartire a rapida velocità. Le afferro le caviglie e
la tiro sul letto, in modo che le sue braccia siano tese. Le
linee del suo corpo sono divine, i suoi seni mi invitano ad
assaggiarli, il suo ventre implora solo di essere baciato.
«Così va meglio» mormoro apprezzandola davvero.
Prendo il barattolo di gelato dal comodino e il
cucchiaio. Risalgo sul letto, mettendomi a cavalcioni su di
lei. Tolgo lentamente il coperchio, fissandola. Immergo il
cucchiaio nella vaniglia compatta.
«Mmh... è ancora piuttosto duro» le dico, alzando un
sopracciglio.
Ovviamente non mi riferisco solo al gelato. Prendo una
cucchiaiata di gelato la metto in bocca.
«Delizioso» mormoro, leccandomi provocante le
labbra. «È sorprendente come la buona e semplice
vaniglia possa essere gustosa» le dico, facendole
l’occhiolino, divertito, mentre mi guarda a bocca aperta.
«Ne vuoi un po’?» le chiedo scherzoso.
Mi sto divertendo da matti a tenerla sulle spine. Ana
annuisce timidamente. Le porgo il gelato sul cucchiaio e
lei apre quelle meravigliose labbra per me. Arrivo quasi a
sfiorargliele, poi infilo il cucchiaio nella mia bocca.
«È troppo buono per dividerlo» le dico, sorridendole
maliziosamente.
«Ehi» protesta debolmente.
«Perché, Miss Steele, ti piace la vaniglia?» la provoco
ancora una volta.
«Sì» mi dice decisa, mentre si muove sotto di me,
cercando di farmi cadere.
L’attrito dei nostri corpi che si sfiorano mi eccita
ancora di più. Il mio cazzo è di marmo, mentre i nostri
corpi nudi si strusciano l’uno contro l’altro. Rido di fronte
alla sua frustrazione.
«Diventiamo irritabili, eh? Io non lo farei se fossi in
te» la avverto benevolmente.
«Gelato» mi supplica come una bambina.
«Bè, visto che oggi mi hai compiaciuto così tanto, Miss
Steele...» le dico con un’occhiata dolce e condiscendente,
avvicinandole un cucchiaio di gelato alla bocca e
lasciando che lo mangi.
Sorride, gustando la dolce vaniglia. Ne prendo un’altra
cucchiaiata e ripeto il gesto. E poi ancora.
«Mmh. Bè, questo è un modo per assicurarmi che
mangi. Alimentazione forzata. Potrei abituarmici» le dico,
sorridendole furbo.
Le avvicino di nuovo il cucchiaio, ma stavolta
Anastasia serra la bocca, scuotendo la testa. “Oh, piccola.
Ora ci divertiamo”. Non allontano il cucchiaio, lasciando
che il gelato si sciolga e inizi a colare sul mento, sulla gola
e tra i seni. “Cristo”. Immagini di lei marchiata dal mio
seme nello stesso modo iniziano ad affollarsi nella mente.
É così erotico, così possessivamente folle. Mi chino su di
lei e, molto lentamente, lecco la dolcissima vaniglia. Il
sapore della sua pelle fuso a quello del gelato è un potente
afrodisiaco. ‘Come se ne avessi bisogno, poi, Grey’. Il suo
corpo si surriscalda. Ana si agita piano, sotto di me. Un
lieve gemito le muore in gola.
«Mmh. È ancora più gustoso su di te, Miss Steele» le
sussurro contro il seno destro, guardandola da sotto le
ciglia.
Dà uno strattone alla cinta che la lega al letto,
facendolo cigolare rumorosamente. Prendo un’altra
cucchiaiata di gelato, lasciando che le goccioli sul petto, in
mezzo ai seni. Poi, con il retro del cucchiaio le cospargo i
seni e i capezzoli, che si inturgidiscono immediatamente.
Il mio cazzo scivola avanti e indietro sul suo ventre liscio,
mentre sento affiorare sulla cappella le prime gocce di
liquido seminale. Sto scoppiando di desiderio, anche se
sembro calmo e perfettamente padrone di me.
«Freddo?» le chiedo dolcemente, con aria maliziosa.
Non aspetto la sua risposta, ma mi chino su di lei,
iniziando a leccare piano la sua morbida pelle. La mia
lingua turbina sui suoi seni, girando attorno i suoi
capezzoli duri. Li succhio, forte, avido, uno per volta,
mentre il gelato prende a scorrere lungo la sua pelle fino
alle lenzuola. Ana si muove sotto di me, impotente,
legata. Geme, ansima, respira rumorosamente. Tutti
questi suoni mi infiammano l’anima, preparandomi al
momento in cui sarò di nuovo dentro si lei. La mia bocca
calda accoglie il gelato freddo misto al suo sapore. Ana
ansima forte. Mi alzo per guardarla.
«Vuoi qualcosa?» le chiedo.
Ma prima che possa rispondermi, affondo le mie
labbra sulle sue, invadendole la bocca con la mia lingua.
Lecco le sue labbra, le succhio la lingua, la bacio a fondo,
facendole assaporare la delizia che sto assaggiando io. La
bacio a lungo, sorridendole piano contro le labbra
morbide e guardando il suo meraviglioso viso così vicino
al mio. Poi mi stacco. Affondo il cucchiaio nel gelato e poi
vado a tracciare una linea di vaniglia lungo il suo addome,
depositando il gelato nel suo ombelico. Lei sussulta per le
sensazioni contrastanti.
«L’hai già fatto prima» le dico, rammentandole la
nostra esperienza con il vino e il ghiaccio. I miei occhi
scintillano al ricordo di quella sera, della sua prima
sculacciata. «Devi stare ferma, o ci sarà gelato
dappertutto, sul letto» le intimo.
Mi chino a baciarle i seni, succhiando avidamente
entrambi i capezzoli duri come due bottoncini. La mia
lingua saetta su di loro. Li mordicchio piano, tirandoli tra
i denti e facendola gemere sonoramente. Anastasia tenta
di irrigidire i muscoli e restare ferma. Ma so che sta
impazzendo. I suoi fianchi prendono a muoversi
ritmicamente, seguendo i movimenti della mia lingua.
Lecco sino a scendere e raggiungere il suo ombelico, nel
quale infilo la lingua, facendola roteare a fondo. Questa
volta il suo gemito è ancora più forte. Mentre sento i
muscoli del suo ventre contrarsi per il piacere. Traccio
un’altra linea di gelato, più giù, lungo il pube e, infine,
poggiando la dolce crema fredda sul suo clitoride.
Anastasia lancia un urlo assordante, contraendosi tutta.
«Zitta adesso» le dico con voce rotta di desiderio,
abbassandomi tra le sue gambe.
Inizio a leccare il gelato dal suo sesso bagnato e il
sapore della vaniglia fuso a quello dei suoi umori mi fa
desiderare di averla per giorni e giorni, ripetutamente.
Lecco il suo piccolo clitoride inondato di gelato, mentre la
sento agognare il piacere, gemendo ripetutamente.
«Oh... per favore... Christian» implora, desiderosa di
esplodere.
«Lo so, piccola, lo so» sospiro sulla sua fessura stretta
e vogliosa.
La mia lingua torna a tormentarla strenuamente,
mentre i muscoli delle sue gambe si irrigidiscono. É al
culmine lo so. Senza smettere di leccare, infilo un dito
dentro di lei. Ne aggiungo un secondo, riempiendola. La
sensazione del suo sesso serrato attorno alle mie dita è
strabiliante. Il mio cazzo freme, poggiato contro l’interno
di una delle sue cosce. Mi sposto leggermente,
strusciandolo piano contro la sua pelle, alla ricerca di un
minimo sollievo. Le mie dita la scopano con lentezza,
mentre la mia lingua serpeggia selvaggiamente sul suo
clitoride. Poi stacco le labbra da quella meraviglia.
«Ecco qui» mormoro, colpendo ripetutamente il
magico punto sensibile all’interno della sua vagina e
chinandomi di nuovo a succhiare con foga.
Sento il suo corpo tendersi al massimo, all’improvviso,
e poi un gemito assordante riempie la stanza. Anastasia
viene con un’intensità strabiliante. Mi lascia senza fiato.
Aspetto che i suoi spasmi si calmino, godendomi la vista
della donna che amo, a cui sono inesorabilmente legato,
mentre viene scossa dai tremiti del piacere che io stesso le
ho procurato. Quando si calma, ancora ad occhi chiusi,
stordita, mi stacco da lei, mettendomi in ginocchio tra le
sue gambe. Con una mano raggiungo il comodino e
prendo uno dei preservativi che vi avevo poggiato prima
di cena. Strappo la bustina e lo infilo, accarezzandomi
mentre la guardo. “Dio, potrei accontentarmi anche solo
di masturbarmi mentre la guardo. É la creatura più
sensuale che abbia mai visto in tutta la mia vita”. Ma non
stasera, comunque. In un attimo sono di nuovo su di lei.
E poi dentro di lei. Duro, veloce, deciso. Affondo tutto nel
suo ventre morbido, caldo e bagnato. Il mio cazzo la
riempie mentre vado avanti e indietro, assestandole colpi
decisi.
«Oh, sì!» gemo, mentre la sensazione di lei che mi
avvolge mi manda in estasi.
Sono stretto da lei, il suo sesso soffoca il mio. Ed è
fottutamente meraviglioso. Il suo corpo si appiccica al
mio nei punti in cui il gelato sciolto non è stato spazzato
via dalla mia lingua avida. La sensazione è strana. Ma ci
penso per pochi attimi. Continuo ad affondare in lei. Ma
non mi basta. Voglio andare ancora più a fondo. Esco da
lei e la giro, in cerca della posizione più adatta a quello
che voglio fare.
«Così» le mormoro, mentre entro di nuovo in lei.
Ma prima di muovermi mi allungo su di lei, slegandole
i polsi. Poi la tiro su con me, in modo che resti seduta sul
mio cazzo, mentre le sue gambe sono spalancate ai lati
delle mie. Le mie mani raggiungono i suoi seni,
afferrando entrambi i capezzoli e tirandoli, stringendoli,
sino a farla gemere di nuovo. Anastasia poggia la testa
contro la mia spalla, inarcando la schiena, mentre il mio
cazzo la riempie tutta. Strofino il naso contro il suo collo,
mordicchiandole la pelle. Poi inizio a muovermi di nuovo.
Alzando le anche e scopandola a fondo, ritmicamente.
Gemo oscenamente nel suo orecchio per la sensazione di
completezza che provo in questo momento.
«Hai idea di quello che significhi per me?» le sospiro
piano contro la nuca.
«No» ansima in risposta, mentre le sue mani vanno ad
infilarsi nei mie capelli, stringendoli.
Sorrido perfidamente contro il suo collo. Le dita della
mia mano sinistra salgono dal seno al collo, e poi al suo
viso. La stringo possessivamente.
«Sì che lo sai. Non ti lascerò andare via» sibilo contro
il suo orecchio, leccando il lobo con la punta della lingua.
Ana geme forte alle mie parole e io inizio a scoparla più
forte. I miei mugolii si fanno sempre più rochi, possessivi.
«Tu sei mia, Anastasia» le dico, mentre affondo forte
dentro di lei, quasi a volerglielo imprimere dentro.
«Sì, tua» risponde con il fiato corto, il respiro appena
udibile.
«Mi prendo cura di ciò che è mio» sibilo contro la sua
pelle sudata e accaldata, marcando ancora una volta il
mio territorio.
Il suo grido di piacere, mentre pronuncio queste
parole, è una dolce musica per le mie orecchie.
«Ecco, così, bambina, voglio sentirti»
Lascio scivolare piano la mia mano dal suo viso sino al
suo ventre. L’altra scende sul suo fianco destro,
stringendola mentre affondo sempre più forte dentro di
lei. Il mio respiro spezzato si alterna ai versi oscenamente
animaleschi che riesco ad emettere. Tutto questo
groviglio di emozioni che mi attorciglia lo stomaco,
vederla piegarsi ancora una volta al mio volere,
sottomettersi al mio desiderio, mi fa impazzire. Mi sento
sporco, perverso, ma meravigliosamente appagato. É la
mia natura. É questo che sono. Ho bisogno del controllo.
Soprattutto in camera da letto. Soprattutto con lei. Ho
bisogno di sapere che la sto facendo godere. Che mi sto
prendendo cura di lei a dovere. Le mie mani risalgono di
nuovo. Le mie braccia scivolano sotto le sue, le mani le
stringono i lati del viso, imprigionandola e spingendola
più a fondo sul mio cazzo. Non resisto più.
«Avanti, piccola» ringhio, a denti stretti.
E, straordinaria come sempre, Anastasia esplode in un
orgasmo che la rende ancora più meravigliosa. La sua
voce muore in un gemito sexy da impazzire, mentre io la
seguo a ruota, vengo con lei. Mi unisco alla danza del
piacere dei nostri corpi stremati. Stremati, cadiamo
entrambi sulle lenzuola appiccicose. Mi giro su un fianco,
portandola con me. Poggio la testa sulla sua schiena,
ascoltano i nostri respiri regolarizzarsi piano. A rompere
il silenzio è Anastasia.
«Quello che sento per te mi spaventa» sussurra piano,
quasi con dolore.
Il mio corpo si irrigidisce a quelle parole. “Non
scappare di nuovo via da me, Anastasia”. Sospiro forte
contro la sua schiena.
«È lo stesso anche per me, piccola» le confesso piano,
sentendo urgente il bisogno di farle sapere quanto siano
profondi i miei sentimenti per lei.
«Cosa farei se mi lasciassi?» chiede ancora, come se
non stesse parlando a me ma a se stessa, alla sua anima
ferita dal mostro che sono stato con lei.
“Oh, Ana. Io posso essere migliore. Io posso essere il
tuo tutto. Posso essere tutto quello di cui hai bisogno. E
non ti lascerò mai. Mai più”.
«Non vado da nessuna parte. Non penso che potrei
mai stancarmi di te, Anastasia» la rassicuro, con le uniche
parole che riesco a trovare e che riesco a far uscire.
Ana si volta a guardarmi. La guardo con gli occhi
spalancati, sperando che capisca quanto io la desideri.
Solo lei. Per tutto il resto della mia miserabile vita. Si
protende verso di me, baciandomi piano e delicatamente
con le sue morbide labbra. Le sorrido quando ci
stacchiamo, aggiustandole una ciocca di capelli ribelle.
«Non avevo mai provato ciò che ho provato quando mi
hai lasciato, Anastasia. Farei qualsiasi cosa pur di non
sentirmi mai più in quel modo» le confesso, mentre nella
mia mente i ricordi di quei cinque giorni di agonia si
susseguono in rapida successione.
Torna a baciarmi, più a fondo stavolta. E io vorrei
gridare al mondo che la amo. Vorrei far vedere a tutti
quanto sto bene con lei. Quando ci stacchiamo mi viene in
mente che posso. Non sarà il mondo intero, certo, ma
almeno a mezza Seattle posso dimostrarlo.
«Vieni alla festa d’estate di mio padre, domani? È un
appuntamento annuale a scopo benefico. Ho detto che ci
sarei andato» le chiedo, guardandola negli occhi.
Ana sorride timidamente, infilandosi i capelli dietro
l’orecchio con le dita tremanti.
«Certo che ci vengo» risponde piano.
Poi aggrotta la fronte, preoccupata.
«Cosa c’è?» le chiedo.
«Niente» risponde. Ma mente.
«Dimmelo» insisto deciso.
Sospira pesantemente.
«Non so cosa mettermi» ammette alla fine.
Mi mordo l’interno della guancia, non sapendo come
prenderà quello che sto per dirle.
«Non ti arrabbiare, ma ho ancora tutti quei vestiti per
te a casa mia. Sono certo che ci sono un paio di abiti
adatti»
Ana mi restituisce una smorfia.
«Ah, sì?» mormora sarcastica.
Poi si alza dal letto, sorridendo.
«Dove stai andando?» le chiedo, alzandomi sui gomiti.
«Ho bisogno di una doccia» sussurra maliziosamente.
Le sorrido e rotolo sul letto, fino a poggiare i piedi a
terra, sedendomi sul bordo del materasso, di fronte a lei.
Le afferro i fianchi con le mani, attirandola a me e
baciandole la pancia. Per la prima volta mi ritrovo a
pensare a come sarebbe veder crescere il mio seme in
quel suo dolce ventre. É un pensiero fugace, così intimo
che mi fa quasi star male. Ma sono certo che dovranno
passare ancora molti anni affinché io ci pensi di nuovo.
La bacio di nuovo, sollevando lo sguardo su di lei.
«Anch’io» le mormoro contro la pelle.
Mi alzo e, prendendola per mano, la trascino in bagno
con me. Ana si protende per aprire l’acqua della doccia,
attendendo che sia della giusta temperatura. E quando si
infila sotto la cascata calda non resisto. Mi infilo lì sotto
anch’io. E la bacio. Avidamente. A lungo. Mentre l’acqua
lava via i residui di gelato, di sudore e di sesso. Ci laviamo
a vicenda, senza staccarci mai troppo l’uno dall’altra,
amandoci, sorridendoci, stringendoci come se il mondo
attorno non fosse altro che un vago ricordo. Esistiamo
solo noi e solo quello che riusciamo ad essere insieme.
A svegliarmi è l’urlo agghiacciante di Anastasia. Il
cuore mi balza in gola, mentre sobbalzo, avvicinandomi al
suo corpo madido di sudore. Ha gli occhi chiusi. E sogna.
«Ana!» la scuoto, fino a quando non riesco a svegliarla.
Ansimo come lei, mentre scuote la testa e realizza dove
si trova.
«Piccola, va tutto bene? Stavi facendo un brutto
sogno» tento di rassicurarla, prima di girarmi e accendere
la luce della lampada.
«Oh» sussulta, ancora provata.
La guardo, scrutandola nella luce fioca. É letteralmente
sconvolta. “Conosco bene la sensazione, Ana”.
«La ragazza» mormora piano.
«Cosa c’è? Quale ragazza?» le chiedo, sorridendole
piano, tentando di farle distinguere la realtà dalla
finzione del suo sogno. Ma le sue parole mi gelano il
sangue nelle vene.
«C’era una ragazza fuori dalla SIP, quando sono uscita
ieri. Sembrava me... ma non proprio» sussurra con la
voce roca.
Il mio corpo si tende. “Non avvicinarti a lei. Non
avvicinarti a lei. Prenditela con me, Leila. Sono io che ti
ho portato via l’anima. Ma non toccare la mia Ana”. La
sua espressione torna ad essere allarmata quando si
accorge della mia. Tento di ricompormi per carpire
quante più informazioni possibile prima che inizia il suo
interrogatorio.
«Quando è successo?» sussurro senza fiato, tirandomi
su a sedere.
«Quando sono uscita dal lavoro, ieri pomeriggio. Sai
chi è?» mi chiede, stropicciandosi il viso con una mano.
«Sì» le dico guardandola e poi passandomi una mano
tra i capelli.
«Chi è?» mi chiede sconvolta.
La guardo, stringendo le labbra, senza fiatare.
«Chi è?» mi incalza.
“Cristo! Cristo, Cristo, Cristo!”.
«È Leila» confesso, senza essere in grado di sostenere
il suo sguardo.
Ana deglutisce rumorosamente. Torno a guardarla e
vedo qualcosa nei suoi occhi che non avrei mai voluto
vedere. É un po’ lo stesso sentimento che c’è nei miei
quando vedo il suo amico Josè. Il mio corpo si irrigidisce.
«La ragazza che ha messo Toxic sul tuo iPod?» chiede
ancora, con un filo di voce.
«Sì» rispondo evasivo. «Ti ha detto qualcosa?» la
incalzo.
«Ha detto: “Cos’ha che io non ho?”. E quando le ho
chiesto chi fosse, lei ha risposto: “Io sono nessuno”»
sussurra esausta.
Stringo forte gli occhi, mentre quelle parole vanno a
fondo. “Io le ho rubato la vita. Non è nessuno perché io le
ho preso tutto quello che aveva. Le ho svuotato l’anima”.
Quando riapro gli occhi Ana mi fissa con terrore. “Cristo!
Devo trovare Leila e mettere Anastasia al sicuro”. Scendo
dal letto e mi infilo i jeans, andando a recuperare il mio
telefono in soggiorno. Sono appena le cinque, ma non mi
importa. Compongo il numero.
«Welch, Grey. Leila si è fatta viva»
«Dove l’ha incontrata, signore?» risponde efficiente,
come se fossero le otto del mattino.
«Non l’ho incontrata. Ha trovato Miss Steele e le si è
avvicinata»
Anastasia entra nella stanza, avvolta nell’accappatoio.
«Si è avvicinata a Miss Steele?» chiede incredulo
Welch.
«Sì, fuori dalla SIP, ieri...»
«A che ora?»
«Tardo pomeriggio» rispondo. Poi mi volto verso di lei.
«A che ora esattamente?»
«Verso le sei meno dieci?» mormora poco convinta.
«Sei meno dieci... all’incirca».
«Mi chiedo come abbia fatto Miss Williams a trovare
Miss Steele»
Welch dà voce ai miei pensieri.
«Scopri come» gli ordino.
«Vuole che la chiami presto in mattinata?»
«Sì» dico deciso.
Dall’altro lato sento un sospiro.
«Non pensavo che Miss Williams si avvicinasse così
tanto a lei o a Miss Steele, riuscendo comunque a sfuggire
al nostro team della sicurezza» mi dice.
«Non l’avrei detto, ma non avrei neppure pensato che
lei potesse fare questo» rispondo senza riuscire a
trattenere il dolore sul viso. Stringo forte gli occhi.
«Deve pensare a calmare Miss Steele, suppongo sarà
sconvolta»
«Non so come calmarla» ammetto.
«Deve metterla al corrente della situazione, Mr Grey.
Per la sua incolumità è meglio se per un periodo di tempo
si trasferisca all’Escala. Sarà più facile tenere entrambi
sotto sorveglianza»
Sospiro pesantemente.
«Sì, le parlerò»
«Mr Grey, deve farla trasferire già in giornata. Sarà
tutto più semplice».
«Lo so... Segui la faccenda e fammi sapere. Devi solo
trovarla, Welch... È nei guai. Trovala» sospiro, chiudendo
la conversazione.
«Vuoi un tè?» mi chiede Ana, trafficando in cucina.
Tento di distrarla.
«A dire il vero, vorrei tornare a letto» le sorrido.
«Bè, io ho bisogno di un po’ di tè. Vuoi farmi
compagnia?» mi dice risoluta.
Mi passo una mano nei capelli, sospirando forte. “Ok,
Ana”.
«Sì, grazie» le dico, irritato dalla suo essere
irremovibile.
La fisso pieno di rabbia per quello che ho fatto a quella
povera ragazza e per quanto ora ho messo in pericolo
Anastasia. E pieno di confusione riguardo a quello che
provo. La guardo e so che potrei ridurla nello steso
identico modo. Vorrei essere certo che non lo farò, ma il
dubbio rimane. Voglio solo che stia al sicuro.
«Cosa succede?» mi chiede dopo minuti di silenzio,
girandomi a guardarmi.
Scuoto la testa, tentando di liquidare la faccenda.
«Non me lo dirai?» chiede incredula.
Sospiro, stringendo gli occhi.
«No»
“Non ora. Non ora, dannazione. Voglio solo stringerti
e sentire che sei davvero al sicuro tra le mie braccia. Farti
scudo con il mio corpo. Fare quello che avrei dovuto fare
con mia madre”. E quel pensiero, all’improvviso, è ancora
più doloroso. Perché è colpa di quella lurida puttana
drogata se ho ridotto Leila in quello stato. ‘Ma è anche
merito suo se hai trovato Anastasia’ mi ricorda il mio
cervello. E il pensiero è lancinante.
«Perché?» mi chiede chinando la testa di lato, quasi
offesa.
«Perché non dovrebbe riguardarti. Non voglio che tu
sia coinvolta in questa cosa» le dico severo.
«Non dovrebbe riguardarmi, ma mi riguarda. Leila mi
ha trovata e mi ha avvicinata fuori dal mio ufficio. Come
sa di me? Come sa dove lavoro? Credo di avere il diritto di
sapere cosa sta succedendo» mi dice diretta, decisa.
Passo di nuovo una mano nei miei fottuti capelli,
tirandoli fino a farmi male. Ana mi fissa.
«Per favore» aggiunge piano, implorandomi di non
escluderla dalla mia vita.
Stringo forte le labbra, alzando gli occhi al cielo e
maledicendomi per la mia debolezza.
«Okay» sospiro rassegnato. «Non ho idea di come
abbia fatto Leila a trovarti. Forse ha visto la foto di noi
due a Portland, non lo so»
Sospiro
ancora,
maledicendomi
mentalmente.
Anastasia continua a guardarmi, paziente, mentre versa
l’acqua bollente nella teiera. Cammino avanti e indietro,
inquieto. Ma lei mi lascia i miei tempi.
«Quando ero con te in Georgia, Leila si è presentata
nel mio appartamento senza avvertire e ha fatto una
scenata davanti a Gail» le confesso, poggiandomi all’isola
di cemento.
«Gail?» chiede aggrottando la fronte.
«Mrs Jones» preciso.
Anastasia continua a fissarmi senza capire.
«Cosa intendi dire con “ha fatto una scenata”?» mi
chiede poi.
La fisso con aria truce, maledicendomi per non aver
saputo liquidare più in fretta la questione.
«Dimmelo. Mi stai nascondendo qualcosa» insiste lei,
quasi urlando.
La sua reazione mi sorprende. Sbatto le palpebre
confuso.
«Ana, io...» mi fermo senza sapere cosa dire.
«Per favore» chiede senza forze.
Sospiro, sconfitto, esausto.
«Ha fatto un goffo tentativo di tagliarsi le vene»
ammetto.
«Oh, no!» esclama sconvolta.
«Gail l’ha portata all’ospedale. Ma Leila si è fatta
dimettere prima che io arrivassi» continuo, seguendo il
consiglio di Welch.
La sua espressione è sempre più sconcertata.
«Lo strizzacervelli che l’ha visitata ha detto che il suo è
stato un tipico grido d’aiuto. Non crede che lei sia davvero
a rischio. A un passo dall’ideazione suicidaria, così ha
detto. Ma io non sono convinto. Sto cercando di
rintracciarla da allora per aiutarla» ammetto a voce più
bassa.
«Ha detto niente a Mrs Jones?» chiede.
La guardo, sentendomi a disagio. Non posso dirle
quello che ha detto a Gail. Non posso dirle che ha detto di
amarmi e di non voler vivere senza di me. Solo pensarlo
mi fa venire la nausea.
«Non molto» rispondo, evitando il suo sguardo.
Resta in silenzio per un po’, versando il tè ad entrambi.
Poi torna all’attacco.
«Non riesci a trovarla? E i suoi familiari?» chiede
ancora.
«Non sanno dove sia. Neppure suo marito» le dico
senza pensare.
«Marito?» chiede impallidendo.
«Sì» rispondo. «È sposata da circa due anni»
«Veniva con te mentre era sposata?» mi chiede, con la
voce che le trema, abbassando gli occhi.
«No! Buon Dio, no. Stava con me più o meno tre anni
fa. Poi se n’è andata e di lì a poco si è sposata» urlo per la
disperazione e la frustrazione.
«Allora perché sta cercando di attirare la tua
attenzione adesso?» mi incalza diretta.
Scuoto la testa, senza sapere cosa dire.
«Non lo so. Tutto quello che siamo riusciti a scoprire è
che è scappata dal marito circa tre mesi fa»
«Fammi capire. Lei non è più la tua Sottomessa da tre
anni, vero?» chiede, poggiando la teiera sul ripiano di
cemento e guardandomi dritto in faccia.
Mi sento esposto.
«Due anni e mezzo» preciso.
«E voleva di più» chiede ancora.
«Sì» ammetto, senza poter far nulla per evitare la fitta
di dolore che sento.
«Ma tu no»
«Questo lo sai» le dico, guardandola intensamente.
«Così ti ha lasciato» continua imperterrita.
«Sì»
«Allora perché viene da te adesso?» chiede senza
capire.
«Non lo so» mento.
Mi fissa con gli occhi socchiusi, scrutandomi a fondo.
«Ma sospetti che...» mi incalza.
La fisso rabbioso. Odio quando riesce a leggermi così
dentro anche se non voglio.
«Sospetto che abbia qualcosa a che fare con te» le
confesso, guardandola con uno sguardo da ecco-seiriuscita-a-farmi-dire-quello-che-volevi.
Ana aggrotta la fronte, riflettendo sulle mie parole.
Dolore, comprensione, frustrazione. Una miriade di
emozioni le attraversano il volto. “No, Ana. Non andare in
quella direzione”. Posso immaginare quello che sta
pensando. La conosco abbastanza bene da sapere che si
sta crocifiggendo per chissà quale colpa, mentre pensa
che io possa essere ancora in qualche modo legato a Leila.
«Perché non me l’hai detto ieri?» le chiedo piano,
distraendola dai suoi pensieri.
«Me ne sono dimenticata» ammette, stringendosi nelle
spalle, con aria di scuse. «Sai, il drink dopo il lavoro, la
fine della mia prima settimana, tu che arrivi al bar con la
tua... scarica di testosterone contro Jack, e poi siamo
venuti qui. Mi è uscito di mente. Hai l’abitudine di farmi
dimenticare le cose»
«Scarica di testosterone?» le dico, storcendo la bocca
per la sua scelta di parole.
«Sì, la gara a chi fa pipì più lontano» mi risponde con
un’espressione sarcastica.
E all’improvviso il desiderio di farle capire che per me
esiste solo lei, al punto di annullare anche me stesso,
diventa impellente.
«Ti faccio vedere io una scarica di testosterone» le
dico, avvicinandomi.
«Non vuoi piuttosto una tazza di tè?» mi chiede,
guardandomi di sottecchi.
«No, Anastasia, non la voglio» le dico deciso. Le tendo
la mano, fissandola con ardore. «Dimenticati di lei.
Vieni» le mormoro, trascinandola di nuovo in camera.
E mi assicuro davvero che Leila esca dalla sua mente.
Me ne assicuro leccando il suo piacere dal suo sesso
sempre pronto, accarezzandola con la lingua, entrandole
dentro a fondo per raccogliere ogni goccia di quel
prezioso nettare. E quando ho finito, riprendo da capo,
dedicandomi completamente a lei. Anche se la bestia tra
le mie gambe reclama sollievo, anche se io la desidero da
impazzire. Ma non la merito. Non merito il suo conforto,
non merito il suo calore e la sua protezione. Voglio solo
che dimentichi Leila, dimentichi il mio passato e mi regali
un nuovo inizio ed un nuovo futuro.
Una sensazione dolceamara, già sperimentata in
passato, mi avvolge. Sento il suo calore. Nella confusione
del dormiveglia mi sembra di vederla allungare la mano,
sfiorandomi delicatamente il torace nudo. E poi ripete il
gesto. Con le labbra. Mi sento a casa, al sicuro. Mi sento
vivo. Ma poi mi riscuoto dal sogno.
Apro
gli
occhi
di
scatto,
trovandomi
meravigliosamente avvinghiato al corpo nudo della mia
dolce e supersexy fidanzata.
«Ciao» mi dice, sorridendomi colpevole.
Ora non sono più così sicuro che si trattasse di un
sogno.
«Cosa stai facendo?» le chiedo con la voce ancora
assonnata.
«Ti sto guardando» sussurra.
Le sue dita mi sfiorano l’addome, pericolosamente
considerato il pezzo di marmo che si trova pochi
centimetri più in basso. Le sorrido divertito. E poi, in
meno di due secondi sono su di lei. Le mie mani premono
le sue sul materasso, tenendola al suo posto. Mi avvicino,
strofinandole il naso contro il suo.
«Credo che tu stia combinando qualcosa, Miss Steele»
le dico, fissandola, senza smettere di sorridere.
«Mi piace combinare qualcosa, quando ti sono vicina»
mi provoca deliziosamente.
«Davvero?» la stuzzico, depositandole un bacio leggero
sulle labbra. «Sesso o colazione?» le chiedo.
Il mio uccello strofina avanti e indietro, tra le sue
gambe, tentando il suo sesso deliziosamente già bagnato
per me. Anastasia solleva di poco il bacino, rispondendo
silenziosamente alla mia domanda.
«Ottima scelta» mormoro contro il suo collo.
Poi la mia bocca scende piano sul suo seno. Succhio i
suoi capezzoli inturgiditi e mi godo il suono smorzato dei
suoi gemiti. Succhio avido, abbeverandomi del suo sapore
intenso e provocante. Scendo più giù. Fino al suo
ombelico. Le mie mani scivolano sui suoi avambracci,
mentre il suo corpo esegue una conturbante danza di
piacere sotto al mio. Scendo ancora, baciandole il ventre e
poi giù, fino al clitoride.
«Ti prego, Christian...» geme, eccitata.
«Prendi il preservativo sul comodino, Anastasia» le
ordino piano, mentre risalgo.
Si allunga, con dita tremanti, afferrando la bustina
argentea e tornando subito al proprio posto. La guardo
con un sorrisetto arrogante, abbassando lo sguardo sulla
mia imponente erezione tra di noi.
«É tutto tuo, Miss Steele» le dico con un mezzo sorriso.
Ana mi guarda, incerta. Poi strappa la bustina e si
avvicina al mio uccello. Le sue dita tremanti mi avvolgono
mentre mi infila il profilattico. Inarco la schiena,
gemendo di piacere. Quando abbasso gli occhi su di lei, il
suo sguardo è soddisfatto. Mi abbasso velocemente,
ricoprendola con il mio corpo. La mia bocca si avvicina al
suo orecchio, mordicchiandolo, stuzzicandolo.
«Non hai idea di quanto ti desideri, Ana Steele»
mormoro. E in un attimo la penetro, portando entrambi
sull’orlo dell’orgasmo che ci sconquassa.
Dopo aver fatto la doccia, siamo entrambi di nuovo in
camera da letto, a vestirci. Mi giro verso Anastasia,
intenta a guardarsi allo specchio. O meglio. A guardarmi
dallo specchio. La sua bocca è schiusa e i suoi occhi
hanno uno sguardo eccitato, voglioso.
«Quanto spesso ti alleni?» mi chiede, fissando le sue
iridi azzurre sui miei addominali scolpiti.
«Ogni giorno feriale» le rispondo, mentre finisco di
abbottonarmi i pantaloni.
«Che cosa fai?»
Non smette di fissarmi. Indugio un po’ prima di
afferrare la camicia. Voglio che mi tenga in mente tutto il
giorno.
«Corsa, pesi, kick boxing» le rispondo svogliatamente.
«Kick boxing?» chiede stupita.
«Sì, ho un personal trainer, un ex campione che mi
insegna. Si chiama Claude. È molto bravo. Ti piacerebbe»
le rispondo, mentre mi abbottono la camicia.
«Che cosa vuoi dire?» domanda con la fronte
aggrottata.
«Che ti piacerebbe come personal trainer» le dico
semplicemente.
«Perché avrei bisogno di un personal trainer? Ho già te
per tenermi in forma» mi dice con un sorrisetto.
L’immagine di Anastasia a gambe completamente
spalancate per me mi fa quasi venire. Mi avvicino a lei,
afferrandola tra le braccia e guardandola dallo specchio.
«Ma io ti voglio in forma, piccola, per quello che ho in
mente. Ho bisogno che tu stia al passo» le sussurro
provocandola.
Arrossisce violentemente e i suoi pensieri non devono
essere troppo lontani dai miei.
«Lo so che lo vuoi» mormoro senza emettere quasi
fiato.
Per un attimo ho il terrore che mi mandi al diavolo. La
sua espressione si fa cupa e stringe forte le labbra e gli
occhi. Quando li riapre brillano di risolutezza, come se
avesse appena raccolto una sfida.
«Cosa c’è?» le chiedo, allentando di poco la stretta
sulla sua vita.
«Niente»
risponde
scuotendo
la
testa.
«Okay,
incontrerò Claude» acconsente poi all’improvviso.
«Davvero?» esclamo senza riuscire a nascondere il mio
stupore.
Non credevo avrebbe accettato. Ufficialmente non
esistono regole tra noi. Ufficiosamente esisto io,
Christian, che tento di farle avere uno stile di vita regolare
che la possa mantenere a lungo sana e in forma.
«Sì, accidenti. Se questo ti fa felice» mi dice
ironicamente.
La stringo forte, avvolgendola in un abbraccio. Le mie
labbra premono affettuosamente sul suo collo.
«Non sai quanto» le sussurro piano. «Allora, che cosa
ti piacerebbe fare oggi?» aggiungo, poi, strofinando il
naso contro il suo collo.
La sento fremere tutta, da capo e piedi e me ne
compiaccio.
«Vorrei andare a tagliarmi i capelli, e mmh... ho
bisogno di depositare un assegno e comprare una
macchina» mi dice soprappensiero.
«Ah» le dico.
Annuisco e mi mordo il labbro perché so che il
problema non è risolto come speravo. Avevo creduto di
aver infilato anche quelle maledette chiavi nello
scatolone. E invece me le ero scordate. E per fortuna
Taylor me le ha portate ieri sera, lasciandomele sotto al
tappeto, dinnanzi all’ingresso, in modo che potessi
recuperarle mentre Ana era sotto la doccia. Insieme alla
copia che avevo nel mio ufficio. ‘Ti lasci distrarre troppo
facilmente dalla brunetta, Grey. E perdi colpi
ultimamente’. Frugo nella tasca dei jeans, estraendo la
chiave dell’Audi.
«È qui» le dico piano.
«Cosa significa che è qui?» mi risponde, infuriata.
«Taylor l’ha riportata ieri» le dico cauto.
Ana apre la bocca. Poi la richiude. Poi ci ripensa e la
riapre. Ma cambia di nuovo idea. Poi il suo sguardo si
assottiglia, sfidandomi. Infila la mano nella tasca
posteriore dei jeans e tira fuori una busta. La riconosco
immediatamente.
«Ecco, questo è tuo» mi dice, tendendomela.
Alzo entrambe le mani, arretrando di un passo.
«Oh, no. Quello è il tuo denaro» le dico, fissando la
busta come se scottasse.
«No, non lo è. Vorrei comprare la macchina da te» mi
dice con un sorrisetto.
Fisso la busta, poi lei. E la furia mi attraversa.
«No, Anastasia. I tuoi soldi, la tua macchina» ribatto
seccamente.
«No, Christian. I miei soldi, la tua macchina. La
comprerò da te» mi dice di nuovo, risoluta.
«Ti ho dato quella macchina come regalo di laurea»
sibilo a denti stretti.
«Se mi avessi dato una penna, sarebbe stato un regalo
di laurea opportuno. Invece mi hai dato un’Audi»
continua, tenendo la busta fissa davanti a me.
«Vuoi davvero litigare su questa cosa?» le chiedo
acido.
«No» ribatte.
«Bene. Eccoti le chiavi» le dico risoluto, poggiandole
sul cassettone.
«Non è quello che intendevo!» mi urla contro.
«Fine della discussione, Anastasia. Non mi provocare»
ribatto deciso, lanciandole un’occhiata torva.
Si acciglia, poi mi fissa. Di nuovo risoluta. Afferra la
busta con entrambe le mani e la strappa in due. E poi
ancora. Fino a farne ricadere i pezzi a terra. Poi torna a
fissarmi con un sopracciglio alzato, le mani nei fianchi e
un sorrisetto impudente.
La fisso impassibile, grattandomi pigramente il mento.
“Non provocarmi, Miss Steele”.
«Sei polemica, come sempre, Miss Steele» le dico
seccamente.
Senza aggiungere altro, mi dirigo in salotto e recupero
il mio BlackBerry.
Chiamo il mio ufficio.
«Andrea, Grey. Devi effettuare una transazione
bancaria. Trasferisci 24mila dollari dal mio conto
personale a quello di Miss Anastasia Rose Steele. Taylor ti
può dare tutte le coordinate necessarie»
Andrea resta basita.
«Ventiquattromila dollari, signore?» chiede, temendo
di aver capito male.
«Sì, ventiquattromila dollari. Direttamente»
Nel frattempo Ana è entrata nella stanza e mi fissa,
sbalordita.
«Mr Grey... il trasferimento sarà
direttamente sul conto da lei indicatomi»
effettuato
«Bene»
«Ma la transazione dovrà essere rimandata a lunedì.
Oggi gli istituti di credito non fanno operazioni del
genere, signore»
«Lunedì? Eccellente» ribatto deciso, mentre la fisso
trionfante.
«Le serve altro, Mr Grey?» mi sento chiedere dall’altro
capo del telefono.
«No, è tutto, Andrea»
Chiudo il telefono in un colpo.
«Depositati sul tuo conto corrente lunedì. Non fare
giochetti con me» la avverto, ancora furibondo per
avermi costretto a comportarmi da moccioso ancora una
volta.
«Ventiquattromila dollari!» mi urla addosso. «E come
fai a sapere il mio numero di conto?» sibila furiosa.
La sua rabbia mi investe come un’onda a cui non ero
preparato. “Cos’è capitato alla remissiva Ana Steele di
appena una settimana fa? Non ce n’è traccia. Ho davanti
Miss Anastasia Rose Steele, splendida e con tutta la sua
furia. E Dio, se l’adoro”.
«So tutto di te, Anastasia» le dico calmo, dopo
quell’attimo di sbandamento.
«La mia macchina non valeva certo ventiquattromila
dollari» ribatte.
«L’avrei detto anch’io, ma bisogna conoscere il
mercato, quando si vende o si acquista. Qualche pazzo là
fuori voleva quella trappola mortale ed era disposto a
pagarla quella cifra enorme. A quanto pare è un classico.
Chiedilo a Taylor, se non mi credi» le dico calmo. E non
mento.
Ci lanciamo sguardi assassini per qualche attimo. Poi
qualcosa nell’aria cambia. All’improvviso, senza starci
troppo a pensare, la afferro e la spingo contro la porta. Le
mie labbra si fiondano sulle sue, la mia mano sinistra
preme contro il suo culo delizioso e il mio cazzo affonda
deciso tra le sue gambe. Le sue dita salgono tra i miei
capelli. Me li afferra e li stringe. Spingo forte il mio corpo
contro il suo, strusciando il mio cazzo contro il suo ventre
coperto.
«Perché, perché mi sfidi?» le mormoro contro le
labbra, baciandola ardentemente.
Ana mi guarda, soppesando la mia domanda.
«Perché
posso»
risponde
meravigliosamente
arrogante, con un sorriso famelico e voglioso.
E sorrido anch’io, perché so quanto è vera quella
risposta. Il pensiero di non avere più preservativi mi
costringe a fermarmi. Mi maledico sottovoce, mentre
appoggio al fronte alla sua.
«Dio, quanto vorrei prenderti adesso, ma ho finito i
preservativi. Non sono mai sazio di te. Mi fai impazzire,
letteralmente impazzire, donna» mormoro contro la sua
bocca.
«E tu mi fai diventare matta» sussurra piano. «In tutti
i sensi»
Scuoto la testa, rassegnato.
«Vieni. Andiamo a fare colazione fuori. E conosco un
posto dove puoi tagliarti i capelli»
«Okay» acconsente.
E tutto torna come prima.
Dopo aver fatto colazione, chiedo il conto con un cenno
della mano. Quando il cameriere lo porta al tavolo non
faccio in tempo a prenderlo tra le dita.
«Questo lo prendo io»
Ana lo afferra, sorridendomi.
Le lancio un’occhiataccia.
«Devi essere veloce da queste parti, Grey» sorride
soddisfatta.
«Hai ragione, devo» ribatto acido e scontroso, ma in
fondo divertito dalla sua spensieratezza.
«Non fare quella faccia. Sono più ricca di
ventiquattromila dollari rispetto a stamattina. Me lo
posso permettere» Lancia un’occhiata al conto.
«Ventidue dollari e sessantasette centesimi di colazione»
mi dice tranquilla, porgendo il denaro al cameriere.
«Grazie» le dico mio malgrado.
Ana piega la testa di lato, sorridendomi dolcemente.
«Dove andiamo adesso?» mi chiede.
«Vuoi davvero tagliarti i capelli?» le chiedo.
“Ora ti ripagherò della colazione, Ana”.
«Sì, guardali» mi dice, afferrandosi alcune ciocche ed
esaminandole tra le dita. Le sue labbra sono dolcemente
imbronciate.
«Per me sei adorabile. Come sempre» le dico sincero.
Anastasia arrossisce delicatamente, abbassando le dita
in grembo.
«C’è la festa di tuo padre stasera» mormora piano.
«Me lo ricordo. È in abito da sera» le dico, godendomi
la sua remissione improvvisa. «A casa dei miei genitori.
Hanno installato un tendone. Sai com’è» le dico, quasi
scusandomi.
«A chi va la beneficenza?» mi chiede all’improvviso.
Improvvisamente mi sento a disagio a doverle
confessare che quella festa, ogni anno, ogni fottutissimo
anno, Grace e Carrick la organizzano per dare una
possibilità a tutti i piccoli Christian di quattro anni
malaticci, malnutriti, sfamati dal dolore e dalla morte che
possono trovarsi là fuori.
«A un programma di recupero dalla droga per genitori
con figli piccoli. Si chiama Affrontiamolo Insieme»
mormoro piano, come se mi vergognassi.
«Mi sembra una buona causa» mi dice dolcemente.
«Vieni, andiamo» le dico dopo qualche secondo di
silenzio.
Liquido la conversazione e le tendo la mano,
sorridendole piano.
Usciamo e ci incamminiamo verso l’Esclava. Ci
teniamo per mano e per un attimo, un solo attimo, mi
chiedo se sia il caso di portarla a tagliarsi i capelli lì. Elena
ovviamente sono certo non ci sia. Ma forse... ‘Basta non
dirglielo, Grey. Non farà collegamenti tra te e il nome del
tuo salone di bellezza, se non glielo permetterai’.
«Dove stiamo andando?» mi chiede, esponendo il suo
bellissimo viso al calore tiepido del sole di giugno.
«Sorpresa» mormoro al suo orecchio.
La sua espressione non è delle migliori, ma mi sorride.
Dopo qualche metro ancora ci fermiamo davanti al
salone di bellezza. Ana fissa l’esterno. Poi la conduco
dentro.
Greta, alla reception, mi scocca un sorriso entusiasta.
«Buongiorno, Mr Grey» mi dice, arrossendo piano.
«Ciao, Greta» le rispondo educato, ma gelido.
«Il solito, signore?» mi chiede gentilmente, lanciando
un’occhiata ad Ana.
“Merda”.
«No» le rispondo in fretta, guardandola per un attimo,
nervoso.
Ana mi fissa per un attimo, poi sgrana leggermente gli
occhi. Merda. Merdissima, merda“.
«Miss Steele ti dirà che cosa vuole» aggiungo in fretta.
«Perché qui?» sibila avvicinandosi.
“Ok. Non voglio litigare nuovamente, Ana”.
«Questo posto è mio, e per di più mi piace» le dico a
bassa voce.
«È tuo?» esclama sorpresa.
«Sì. È un’attività extra. Comunque, qualsiasi cosa tu
voglia, qui la puoi fare, offre la casa. Tutti i tipi di
massaggio: svedese, shiatsu; pietre calde, riflessologia,
bagni di alghe, trattamenti per il viso, tutta quella roba da
donna tipo... tutto. Qui lo fanno» le dico, facendo un vago
gesto con la mano.
«Ceretta?»
imbarazzata.
chiede
con
la
fronte
aggrottata,
Rido piano.
«Sì, anche la ceretta. Dappertutto» le sussurro piano
all’orecchio.
Ana distoglie lo sguardo dal mio, fissando Greta.
«Vorrei tagliarmi i capelli, per favore» le dice gentile,
ma risoluta.
“Anche tu marchi il territorio, Anastasia?”
«Certo, Miss Steele» risponde educatamente Greta.
Controlla il pc.
«Franco è libero tra cinque minuti» annuncia allegra.
«Franco è fantastico» sussurro avvicinandomi di
nuovo all’orecchio di Anastasia.
Il suono della mia voce la fa fremere e questo
innegabilmente mi eccita. Ma dopo meno di un secondo
sono io a sbiancare.
“COSA. CAZZO. CI. FA. QUI?”
Dietro Anastasia, a diversi metri di distanza è apparsa
Elena. “Cazzo. Cazzo, cazzo, cazzo! Cristo santo!”.
Anastasia si volta e la fissa. Anche Elena si gira e
quando ci scorge mi sorride affettuosamente. Prima che
Ana faccia associazioni o inizi con il suo interrogatorio,
mi scuso.
«Scusami» mormoro piano, allontanandomi in fretta
da lei e dirigendomi verso Elena.
Attraverso la sala e la raggiungo.
Elena si sporge in avanti e, prima che possa fermarla,
mi bacia sulle guance.
«Christian, tesoro!»
Mi guarda con affetto, scrutando il mio volto.
«Elena... cosa ci fai qui?»
Elena poggia le sue mani sui miei avambracci,
accarezzandomi piano.
«Cosa vuoi che faccia, Christian? Ci lavoro. Jean
Francois è malato e mi tocca sostituirlo. Ma tu, invece?
Come stai? Non ci sentiamo da giorni»
Riesco solo a guardarla, mentre penso alle mille
congetture che Ana starà elaborando ora.
«Non dovevi essere qui» le mormoro. Poi mi
ricompongo. «Non mi aspettavo di trovarti qui.
Altrimenti non avrei portato Anastasia» le dico
seccamente.
Elena si gira a fissare la bruna rimasta impalata al
bancone. Le scocca un sorriso luminoso e quando mi giro
anche Ana sorride. Ma conosco quel sorriso. É di
circostanza. Poi la vedo sussurrare qualcosa a Greta.
Anche Greta si gira a guardarci.
“Merda!”.
«Mi piacerebbe conoscerla, Christian» mi dice Elena
con un sorriso.
La guardo inorridito.
«Meglio di no. Anastasia non... non ha compreso la
natura del mio rapporto con te» le dico a mo’ di scusa.
«Che vuoi dire, Christian?»
Scuoto piano la testa.
«Che ora che torno da lei potrebbe strapparmi le palle
a morsi per quello che ne so» sussurro mestamente.
Elena mi lancia un sorriso comprensivo, alzando le
mani.
«Sarà per la prossima volta. Andrai al ballo di questa
sera?» chiede cambiando argomento.
«Sì, con Anastasia» le dico piano, guardandola mentre
l’illuminazione del secolo la investe.
«Io invece non ci sarò» mi dice Elena. Poi mi guarda,
sorridendo di nuovo. «Va da lei a rassicurarla»
“Oh, ci vorrà molto di più di una rassicurazione” dico a
me stesso, mentre la bocca di Anastasia si spalanca in un
moto di stupore, furia e rabbia repressa.
“Merda!”.
Capitolo 8
Dopo che Elena mi ha augurato buona fortuna, fortuna
di cui ho seriamente bisogno a giudicare dall’espressione
cinerea di Anastasia, ritorno a grandi passi dalla mia
fidanzata. Ana è immobile, pallida, visibilmente infuriata.
“Cristo”.
La fisso accigliato, cercando di indovinare il suo
umore. ‘Non essere ottuso, Grey. Non c’è molto da
indovinare’.
«Stai bene?» le chiedo, diffidente, temendo la sua
risposta.
«Veramente no. Perché non mi hai presentata?» mi
risponde in tono freddo, duro.
La fisso a bocca aperta, sconcertato. Non l’ho mai
sentita così nei miei confronti. O forse... forse sì. Quando
è andata via. Dentro di me inizio a recitare una silenziosa
preghiera. “Ti prego, non di nuovo. Non di nuovo, non di
nuovo, non di nuovo”.
«Ma io pensavo...» inizio a spiegarle, senza sapere
bene cosa dire in realtà.
«Per essere un uomo intelligente, a volte...»
Si ferma, fissandomi truce.
«Vorrei
andarmene,
per
favore»
aggiunge,
stringendosi le braccia sotto al seno, sulla difensiva.
«Perché?» le chiedo senza tentare neppure di
nascondere la disperazione.
«Lo sai perché» ribatte, alzando gli occhi al cielo, come
a sfidarmi.
Chiudo per un attimo gli occhi e, quando li riapro, la
fisso intensamente.
«Mi dispiace, Ana. Non sapevo che lei fosse qui. Non
c’è mai. Sta aprendo un nuovo salone al Bravern Center,
ed è lì che va di solito. Ma oggi qui c’è qualcuno malato»
le spiego, diretto, cercando di liquidare la situazione.
Anastasia si volta, furibonda, dirigendosi verso la
porta. Stringo forte le labbra. Mi giro verso Greta, che ci
fissa a bocca spalancata.
«Non avremo bisogno di Franco, Greta» le dico,
mentre seguo di corsa Anastasia fuori dal centro di
bellezza.
Camminiamo l’uno di fianco all’altra, non ci sfioriamo
neppure. La rabbia di entrambi è percepibile anche
nell’aria. Ana si stringe le braccia più forte attorno al
corpo, con la testa bassa e lo sguardo furente.
“Cristo, Ana! Dammi tregua!”.
Dopo quella che sembra un’eternità si gira a fissarmi.
«Portavi lì le tue Sottomesse?» mi chiede d’impulso.
Chiudo piano gli occhi, per poi riaprirli con un breve
sospiro.
«Qualcuna sì» le rispondo piano.
Chissà per quale motivo mi sento in colpa.
«Leila?» chiede acida.
«Sì» ammetto.
«Il posto sembra nuovo» riflette, aggrottando le
sopracciglia.
«È stato ristrutturato recentemente»
“Non ti ho mentito, Ana. Mai. Non potrei mai farlo”.
«Ah, ecco. Quindi Mrs Robinson ha conosciuto tutte le
tue Sottomesse» dice con un moto di rabbia, tornando a
fissarsi i piedi mentre cammina.
«Sì» sibilo con un filo di voce.
«E loro sapevano di lei?» continua.
Sembra che mi stia mettendo sotto torchio. Non l’ho
mai vista così sconvolta.
«No. Nessuna di loro. Solo tu»
Marco volutamente sull’ultima frase. Voglio che
capisca quanto, per me, sia completamente diversa dalle
altre. Ma Anastasia fraintende.
«Ma io non sono una tua Sottomessa» ribatte con
decisione.
«No, chiaramente no» le dico, trattenendo a stento
l’esasperazione.
Di scatto si ferma, fissandomi. La vedo impallidire,
scrutarmi a fondo. I miei occhi si sgranano. Ho paura. Ho
paura di perderla. Le mie labbra si stringono mentre il
dolore si diffonde nel mio petto.
«Capisci che gran casino è questo?» mi dice alla fine, la
voce ridotta ad un sussurro.
«Sì. Mi dispiace» mi affretto a risponderle mortificato.
La capisco. La gelosia è un sentimento che posso capire
a fondo. Ma non ha motivo di temere. Io la amo. Lei è
adorabile. Mentre io... io non merito il suo amore.
«Voglio tagliarmi i capelli, preferibilmente in un posto
dove tu non ti sia scopato lo staff o la clientela» sussurra
alla fine.
Sussulto alle sue parole. É dura, straordinaria anche
mentre mi tiene testa e mi guarda con aria di sfida.
«Ora, se vuoi scusarmi...» continua, senza aspettare
risposta, tentando di continuare il suo percorso verso
chissà dove.
Il pensiero di non rivederla mi strazia lo stomaco.
«Non stai scappando, vero?» le chiedo, temendo la
risposta.
«No, voglio solo tagliarmi questi dannatissimi capelli.
Da qualche parte dove io possa chiudere gli occhi, mentre
qualcuno mi lava la testa, e dimenticarmi tutto il fardello
che ti porti sempre dietro» sbotta acida.
Mi passo una mano nei capelli, esasperato. “É una
giornata schifosa. Non renderla peggiore, Anastasia”.
«Farò venire Franco nel mio appartamento, o nel tuo»
le dico, trattenendo la frustrazione.
«È una donna molto attraente» mi dice, come se non
mi tesse a sentire, ma seguisse un flusso tutto suo di
pensieri.
Sbatto le palpebre. É come se mi avesse messo di
fronte ad un bivio. Ma tocca a me scegliere la strada
giusta.
«Sì, lo è» le rispondo fissandola dritto negli occhi.
«È ancora sposata?» mi chiede, lo sguardo dolorante.
«No. Ha divorziato cinque anni fa» rispondo senza
distogliere gli occhi dai suoi.
«Perché non sei con lei?»
“Perché ti amo. Perché cercavo qualcosa ma non
sapevo cosa. Fino a quando non sei caduta nel mio ufficio.
Fino a quando non ti ho avuta”.
«Perché tra noi è finita. Te l’ho detto»
Vorrei dirle quanto ci tengo a lei, ma la mia tasca si
mette a vibrare. Aggrotto la fronte, estraendo il
BlackBerry e premendo il tasto verde. É Welch. So che
devo rispondere.
«Welch!» esclamo furioso.
«Mr Grey, abbiamo finalmente una pista. Miss
Williams era fuggita con un altro uomo, abbandonando
suo marito circa tre mesi fa. John Wilbury, irlandese.
Wilbury è morto in un incidente d’auto»
«Morto in un incidente d’auto? Quando?» chiedo
incredulo.
«Quattro settimane fa. Abbiamo rintracciato l’ex
marito di Miss Williams, ma non si è reso disponibile»
«È la seconda volta che quel bastardo non è
disponibile. Deve saperlo. Non prova proprio nessun
sentimento per lei?» sibilo, scuotendo la testa.
«Mr Grey, noi pensiamo che Miss Williams abbia
avuto un tracollo emotivo in seguito alla morte di
Wilbury. É andata per qualche seduta da uno psicologo,
che però ha detto di non essersi accorto dello stato
mentale della sua paziente. Probabilmente è per questo
che ha deciso di attirare la sua attenzione. Non poteva
tornare da suo marito. E, dunque, ha scelto... bè, ha scelto
lei»
Welch suona imbarazzato per un attimo.
«Tutto questo inizia ad avere un senso» ammetto a
voce bassa.
Ana, nel frattempo si guarda intorno, sospettosa,
scrutando la gente che ci cammina intorno. D’istinto
inizio a farlo anch’io, mentre sto al telefono.
«Ha idea di dove possa essere Miss Williams?» chiede
Welch, distraendomi.
«No» ammetto impotente.
«Il fatto che sia tornata a Seattle non le dice nulla?
Non è collegato a nessun posto in particolare dove Miss
Williams possa nascondersi?»
«Spiega perché, ma non dove»
«Comunque sia, Mr Grey, ho parlato con Taylor e da
questa mattina le ho messo dietro un uomo della
sicurezza, in attesa di concordare con lei come
organizzarci. É per precauzione. Dovrebbe essere a circa
tre metri da lei, sulla destra. Miss Steele è con lei?»
Mi giro intorno alla ricerca della mia ombra segreta.
Scorgo un uomo che mi fa un breve cenno con la testa.
Torno a fissare Ana, che si gira intorno disorientata.
«Lei è qui»
«Ha individuato Sawyer, signore?»
Torno a fissare l’uomo sulla destra, che non ci perde
d’occhio.
«Ci sta guardando»
«Vuole che aumentiamo la scorta da oggi?»
Ripenso alla festa di questa sera. Leila potrebbe
decidere di avvicinare Ana tra la folla. Meglio evitare.
«Sì» rispondo gelido.
«Una scorta di sei uomini, signore?»
«No. Due o quattro, ventiquattr’ore su ventiquattro,
sette giorni su sette»
Welch fa una pausa.
«Ne ha parlato con Miss Steele?»
Stringo forte le labbra e gli occhi. Poi li riapro.
«Non ho ancora affrontato l’argomento»
Mentre lo dico la fisso intensamente. So che quelli di
questa mattina non erano altro che battibecchi in
confronto al polverone che sta per alzarsi. Ana mi guarda,
aggrottando la fronte. La fisso sulla difensiva, preparando
mentalmente un piano di difesa dalla nuova grintosa
Anastasia che non perde occasione per farmi sbattere col
culo a terra.
«Mr Grey, non sottovaluti la faccenda. Miss Williams...
Miss Williams ha ottenuto un permesso per un’arma da
fuoco»
«Cosa...?» sussurro, e mi rendo conto da solo di essere
diventato pallido come un cencio.
L’associazione
Leila-disturbo
mentale-pistolaAnastasia non è sicuramente un pensiero felice. “Cristo
santo! Può andare storto ancora qualcosa oggi?”.
«Sì, Mr Grey. É l’unica traccia che abbiamo e sulla
quale stiamo lavorando».
«Capisco. Quando?»
«Proprio ieri, signore»
Il dolore è lancinante. Ieri. Ieri quando ha visto
Anastasia. Ieri, era andata da lei per ucciderla. Per
eliminare l’ostacolo tra me e lei.
«Così recente? Ma come?» sussurro con un filo di voce.
«Stiamo indagando»
«Nessuna ricerca sul territorio?»
«I miei uomini sono al lavoro, signore. Stiamo tenendo
sotto torchio anche suo marito. Abbiamo raccolto
informazioni su di lui» mi dice Welch risoluto.
«Okay. Mandami una mail con il nome, l’indirizzo e le
foto, se le hai»
«E la scorta, Mr Grey?»
«Ventiquattr’ore su ventiquattro, sette giorni su sette,
da oggi pomeriggio. Tieniti in contatto con Taylor» dico a
denti stretti, riagganciando il telefono.
«Allora?» mi incalza subito Anastasia, visibilmente
esasperata.
La fisso per qualche istante.
«Era Welch» le dico alla fine.
«Chi è Welch?» chiede con la fronte aggrottata.
«Il mio consulente per la sicurezza»
«Ah. E cos’è successo?»
La fisso di nuovo. “Sii sincero, Christian. Ne va della
sua sicurezza”. Ma dopo la sfuriata per Elena, che dubito
sia ancora finita, credo che quello in pericolo sia io. Mio
malgrado mi viene quasi da sorridere.
«Leila ha lasciato il marito circa tre mesi fa ed è
scappata con un tizio, che è morto in un incidente
stradale quattro settimane fa» le dico seccamente.
«Oh» sussulta, sconvolta.
«Quel coglione di strizzacervelli avrebbe dovuto
scoprirlo» sbotto rabbioso. «Una seccatura, ecco cos’è.
Vieni» le dico, tendendole la mano.
La afferra, guardandomi negli occhi. Poi abbassa lo
sguardo sulle nostre mani e ritrae la sua, infastidita. “Non
ora, Ana”.
«Aspetta un attimo. Eravamo nel mezzo di una
discussione su di noi. Su di lei, la tua Mrs Robinson»
sibila acida, calcando il tono sul nomignolo che ha
assegnato ad Elena.
La fisso severamente.
«Non è la mia Mrs Robinson. Possiamo parlarne nel
mio appartamento» le dico pacato e risoluto.
Ma dentro la rabbia scorre a fiumi nelle mie vene.
«Non voglio venire nel tuo appartamento. Voglio
tagliarmi i capelli!» urla, fottendosene altamente di
essere in pieno centro.
La guardo negli occhi e vedo di tutto. Rabbia,
esasperazione, dolore. ‘Sei un fardello troppo grande da
portare, Grey. Riesci solo a rovinarle la vita’. Estraggo il
telefono dalla tasca e compongo il numero del centro di
bellezza. “Volente o nolente, Ana, mi prenderò io cura di
te”.
«Greta, Christian Grey. Voglio Franco nel mio
appartamento tra un’ora. Chiedi a Mrs Lincoln»
«Certo, Mr Grey. Attenda in linea» risponde lei
efficiente come sempre.
Sento la familiare musichetta, poi di nuovo Greta.
«L’appuntamento è confermato, Mr Grey» mi dice
sollecita.
«Bene»
Chiudo il telefono con un sospiro.
«Arriva subito» le annuncio seccamente.
«Christian...!» esclama lei.
Scuote la testa incredula, frustrata. Non riesco più a
trattenermi.
«Anastasia, è chiaro che Leila ha un esaurimento
nervoso. Non so se sia a me o a te che sta dietro, o quanto
oltre è disposta a spingersi. Adesso andremo a casa tua, e
tu prenderai le tue cose. Potrai stare da me finché non
l’avremo rintracciata» le dico come se fosse la cosa più
naturale del mondo.
Certo. So da solo che non lo è. Ma voglio tenerla la
sicuro. Qualsiasi sia la sua opinione. Non posso perderla
di nuovo.
«Perché dovrei voler fare una cosa del genere?» mi
chiede sconvolta ancor di più se possibile, senza riuscire a
non fissarmi a bocca aperta.
«Perché così potrò proteggerti» sibilo a denti stretti.
«Ma...» tenta di replicare.
“Ok, ora basta”. La fisso severamente,
un’espressione che non ammette repliche.
con
«Verrai a stare da me, a costo di trascinartici per i
capelli»
La mia voce è un sussurro minaccioso. Mi fissa a bocca
spalancata, guardandomi come se fossi un mostro. ‘Ma è
quello che sei, Grey’.
«Penso che tu stia esagerando» mi dice, continuando a
scuotere la testa.
«No. Possiamo continuare la discussione nel mio
appartamento. Vieni» le dico, tendendole la mano, con
uno sguardo minaccioso.
Per tutta risposta lei incrocia le braccia sul petto,
lanciandomi un’occhiata di sfida.
«No» sbotta testardamente.
“Non giocare con me, Miss Steele”.
«Puoi camminare, oppure posso caricarti in spalla.
Scegli tu, Anastasia»
E non scherzo. Ma, purtroppo per lei, non se ne rende
conto.
«Non oseresti» mi dice di rimando, aggrottando la
fronte per soppesare la mia espressione.
Le faccio un sorrisetto tirato e arrogante.
«Oh, piccola, sappiamo entrambi che se lanci il guanto
della sfida, io sarò più che felice di raccoglierlo»
Per un attimo ci fissiamo in silenzio, sfidandoci a suon
di occhiatacce. “Perché devi sempre sfidarmi, Anastasia?
Perché non puoi fare la brava bambina per un po’ e
lasciare che ti tenga al sicuro?”. All’improvviso mi chino,
afferrandole le gambe e sollevandola da terra. Me la
carico sulle spalle e mi avvio sul marciapiede. Accanto a
noi la gente ci osserva sconvolta e divertita al tempo
stesso.
«Mettimi giù!» lancia un grido.
La ignoro stoicamente, allungando il passo. La tengo
stretta con un braccio, mentre con la mano libera le
assesto un paio di sculacciate.
«Christian!» urla di nuovo. «Cammino! Cammino!»
urla e strepita.
Mi fermo, con un sospiro, lasciandola scivolare giù
dalla mia spalla. Ma prima che riesca a rialzarmi e
prendere fiato, vedo i suoi piedi allontanarsi veloci. Corre
silenziosamente, con le braccia strette contro il corpo e lo
sguardo basso. L’ho ferita. E quando le avevo promesso
che sarebbe andato tutto per il meglio ecco che l’ho
umiliata. Stringo forte gli occhi, mentre la raggiungo. Non
mi guarda, non mi sgrida, non urla. Non mi tocca. E
questo è quello che fa più male. Inizio a capire cosa prova
quando le vieto anche solo di sfiorarmi. É una sensazione
che uccide. All’improvviso si ferma, fissandomi dritta
negli occhi.
«Cos’è successo?» mi chiede con la fronte aggrottata,
lo sguardo fisso nel mio.
Aggrotto le sopracciglia.
«Cosa intendi?» chiedo, senza capire.
«Con Leila»
«Te l’ho detto» le rispondo, distogliendo lo sguardo
per un attimo.
«No, non l’hai fatto. C’è qualcos’altro. Ieri non insistevi
perché venissi a stare da te. Perciò, cos’è successo?»
sbotta, continuando a stringersi le braccia attorno al
corpo, come se un freddo invisibile le penetrasse le ossa.
Mi sposto sul vialetto, evitando di guardarla. “Devi
parlare Christian. Apri quella cazzo di bocca e cerca di
dirle che vuoi solo essere sicuro che lei stia con te una vita
intera e che Leila non voglia separarla da te
definitivamente”.
«Christian! Dimmelo!» urla spazientita.
«Ieri è riuscita a ottenere il permesso di circolare con
un’arma» la mia voce è flebile, come se dire queste parole
ad alta voce fosse la nostra condanna a morte.
Ana sgrana gli occhi, sbatte le palpebre e diventa
pallida come uno straccio. Le gambe le tremano. Sussulta,
portandosi una mano alla gola. Le dita fanno una leggera
pressione, mentre le labbra si stringono.
«Significa solo che può comprare una pistola»
mormora, cercando di convincere se stessa più che me.
«Ana» le dico preoccupato. Faccio un passo avanti e le
afferro saldamente le spalle. «Non penso che farà una
sciocchezza, ma... è solo che non voglio correre questo
rischio con te» le confesso.
E anche se sembro perfettamente padrone di me,
dentro sono spaventato quanto lei.
«Non con me... E tu?» chiede, mentre un brivido la
attraversa.
La fisso, preoccupato. “Non voglio che in nessun modo
debba separarmi da te. Ma, se deve essere, allora è meglio
che quella pazza squilibrata se la prenda con me”.
Anastasia mi stringe forte in un abbraccio disperato,
premendo il viso contro il mio petto. La stringo a mia
volta, senza riuscire a smettere di guardarmi intorno. A
pochi metri c’è la nostra guardia del corpo.
«Torniamo a casa» mormoro in un sospiro,
chinandomi su di lei e baciandola piano sui capelli
mentre inalo il suo buon profumo.
Anche lei sospira piano, staccandosi da me e
incamminandosi verso l’interno dell’appartamento.
Ci mette qualche minuto per preparare una valigia
piccola, mettendo nello zainetto il Mac, il BlackBerry,
l’iPad e il palloncino sgonfio preso dal suo letto.
«Viene anche Charlie Tango?» le chiedo guardandola.
Annuisce in silenzio e le faccio un sorrisetto tenero,
guardandola con affetto. “La mia piccola Anastasia”.
«Ethan torna giovedì» la sento borbottare a bassa
voce.
«Ethan?» chiedo confuso.
«Il fratello di Kate. Starà qui finché non troverà un
altro appartamento a Seattle» Alzo la testa, fissando il
muro di fronte a me. Faccio del mio meglio per non
sembrare quello che in realtà sono. Furioso.
Letteralmente furioso.
«È un bene che tu venga a stare da me, allora. Così lui
avrà più spazio» dico gelidamente.
«Non so se ha le chiavi. Dovrò tornare qui» mormora,
scrutandomi.
Resto in silenzio, continuando a fissare il muro di
fronte a me e cercando di togliermi dalla testa l’immagine
di quello stronzo biondo mentre se ne sta avvinghiato alla
mia Anastasia.
Ana si guarda intorno, sospirando.
«È tutto» sussurra.
Mi riscuoto, afferrando la sua valigia e usciamo
dall’appartamento. Mentre ci dirigiamo verso l’Audi
rossa, nel parcheggio sul retro, Anastasia si guarda
nervosamente intorno. É palesemente agitata. Mi sposto
verso il lato del passeggero, aprendole la portiera. Ana
resta immobile. La fisso senza capire cosa diavolo sta
cercando di fare.
«Vuoi entrare?» le chiedo, spazientito.
«Pensavo che avrei guidato io» dice guardandomi,
senza muoversi.
«No, guido io» replico seccamente.
«C’è qualcosa che non va nella mia guida? Non dirmi
che conosci il punteggio del mio esame per la patente...
Non mi sorprenderebbe, viste le tue tendenze da stalker»
borbotta, fissandosi le scarpe.
«Entra in macchina, Anastasia» taglio corto, incazzato
nero.
Voglio solo arrivare a casa. Sapere che lei è davvero al
sicuro.
«Okay» mormora, affrettandosi a salire in auto.
Salgo al posto di guida e ingrano la marcia, ansioso di
arrivare all’Escala. Ma il traffico non è dalla mia.
Picchietto nervosamente le dita sullo sterzo, mentre
camminiamo a passo di lumaca.
«Le tue Sottomesse erano tutte castane?» chiede
all’improvviso.
“Dove cazzo vuoi andare a parare ora, Anastasia?”. La
fisso per un attimo, per poi tornare a concentrarmi sulla
strada.
«Sì» borbotto esasperato.
«Me lo stavo solo domandando» aggiunge, come per
rispondere alla mia domanda inespressa.
«Te l’ho detto. Preferisco le brune» mormoro, senza
guardarla.
«Mrs Robinson non è bruna» aggiunge stizzita.
Mi mordo l’interno della guancia per non lanciare un
urlo di disperazione.
«Probabilmente è questo il motivo» ringhio. «Mi ha
fatto perdere l’interesse per le bionde»
“Cristo santo, dopo tutto quello che è successo da
questa mattina, il tuo problema è che mi sono scopato
una bionda, Ana? Dammi tregua!”.
«Stai scherzando» esclama a bocca aperta.
«Sì, sto scherzando» replico, esasperato, scuotendo
leggermente la testa.
La guardo di sottecchi, mentre si gira a fissare fuori dal
finestrino. Rimaniamo in silenzio alcuni minuti. Poi sento
un sussurro uscirle dalle labbra.
«Parlami di lei» mormora piano.
«Che cosa vuoi sapere?» le chiedo, guardandola
mentre aggrotto la fronte.
La sua espressione è strana. E io non vorrei dover
affrontare questa conversazione. “Non mi importa di lei,
Anastasia. Mi importa solo di te”.
«Parlami del vostro accordo commerciale» chiede
semplicemente. Un po’ troppo calma.
Ma la sua frase mi rilassa. Almeno non scendiamo nei
particolari scabrosi della nostra relazione.
«Sono un socio accomandante. Non ho un interesse
particolare per il business della bellezza, ma lei ne ha
fatto un’impresa di successo. Io mi sono limitato a
metterci i soldi per aiutarla a iniziare» le spiego, tentando
di non perdere la pazienza e ritrovare l’equilibrio perduto.
«Perché?» mi chiede, sinceramente interessata.
«Glielo dovevo» aggiungo.
«Oh!»
«Quando mi sono ritirato da Harvard, lei mi ha
prestato centomila dollari per iniziare l’attività»
La sua espressione si fa guardinga.
«Ti sei ritirato dall’università?» mi chiede incuriosita.
«Non faceva per me. Ho fatto due anni.
Sfortunatamente, i miei genitori non sono stati così
comprensivi» sbuffo con un sorrisetto.
Ricordo ancora la rabbia dei miei genitori quando
annunciai il mio ritiro da Harvard. Non mi rivolsero la
parola per due intere settimane. E io mi sentii come
quando ero piccolo. Intrappolato in un mondo in cui ero
solo un estraneo di passaggio.
«Non mi sembra che tu abbia fatto poi tanto male a
lasciare. Che cosa studiavi?» chiede, sistemandosi meglio
sul sedile.
«Politica ed economia» le dico, mordicchiandomi
leggermente il labbro inferiore, mentre tamburello con le
dita sulla leva del cambio, in attesa che il taxi giallo
davanti a noi si decida ad avanzare.
«E così lei è ricca?» mormora soprappensiero.
La sua testa si è spostata di nuovo in direzione di
Elena.
«Era un’annoiata moglie trofeo, Anastasia. Suo marito
era facoltoso, un magnate del legno» sorrido di nuovo.
Ma non c’è traccia di ilarità sul mio volto al ricordo di
come ho trovato Elena il giorno in cui Linc ci ha scoperti.
«Non le permetteva di lavorare, la controllava sempre.
Alcuni uomini sono così» le lancio un altro sorrisetto
sghembo, stavolta rivolto a lei.
«Davvero? Un uomo che vuole controllare tutto! È di
sicuro una creatura mitologica!» mi dice sarcasticamente,
allargando gli occhi e incrociando le braccia sotto al seno.
Il mio ghigno si allarga, ma evito di rispondere.
«Ti ha prestato il denaro di suo marito?» mi chiede
ancora, senza smettere di ficcare il naso.
Annuisco, senza riuscire a trattenere la malizia nel
movimento delle mie labbra che si sollevano.
«È terribile» mormora scioccata.
«Lui si è rifatto» ribatto con un sibilo.
Entriamo nel garage.
«Come?» chiede.
Scuoto la testa, lasciando cadere la sua domanda nel
vuoto. Parcheggio accanto al SUV. Scendo e faccio il giro
per aprirle la portiera. La fisso dall’alto, mentre lei,
seduta sul sedile mi fissa intimorita per qualche attimo.
«Vieni. Franco sarà qui a momenti» le dico piano,
allungando una mano e afferrando la sua.
Entriamo in silenzio in ascensore. La fisso, mentre lei
giocherella con le dita. É così bella. Così dolce. É la donna
che amo, quella da cui non sopporto di dovermi più
separare. Non voglio perderla. Neppure quando, come
ora, mi porta il broncio.
«Sei ancora arrabbiata con me?» le chiedo piano.
«Molto» risponde velocemente.
Annuisco piano.
«Okay» le dico, tornando a fissare
dell’ascensore, che all’improvviso si aprono.
le
porte
Taylor ci sta aspettando nell’atrio.
Mi sporgo verso di lei, prendendole lo zaino e uscendo
con lei. “Arrabbiata è meglio che in pericolo, Ana”.
«Welch si è messo in contatto con te?» chiedo a Taylor.
«Sì, signore» risponde lui, con un leggero cenno del
capo.
«E?» lo incalzo impaziente.
«È tutto pronto»
«Ottimo» Faccio una leggera pausa, ricordandomi solo
ora che ha passato la notte in ospedale con sua figlia
ricoverata per accertamenti. «Come sta tua figlia?» gli
chiedo più calmo.
«Bene, grazie, signore» mi risponde, con uno sguardo
riconoscente.
«Perfetto. Tra poco arriverà un parrucchiere. Franco
De Luca» lo avverto, oltrepassandolo.
Ana mi segue.
«Miss Steele» la saluta educatamente Taylor.
Anastasia si ferma sulla soglia.
«Salve, Taylor. Ha una figlia?» gli chiede con un
sorriso dolce.
«Sì, signora»
«Quanti anni ha?»
«Sette»
Le lancio un’occhiata impaziente. Ma lei torna a
rivolgere la sua attenzione a Taylor.
«Vive con sua madre» aggiunge lui.
«Oh, capisco» risponde lei, comprensiva.
Scorgo il sorriso di Taylor, che mi infastidisce.
Soprattutto perché lei lo ricambia, mentre a me, per tutta
la mattinata, ha riservato solo grida e strepitii.
Mi avvio nel salone, sentendola affrettarsi a seguirmi.
Guardo l’orologio al mio polso. É quasi ora di pranzo.
«Hai fame?» le chiedo bruscamente.
Ana si limita a scuotere la testa, stringendo
leggermente gli occhi come se si aspettasse una sfuriata
da parte mia. La fisso per un attimo. “Perché ti faccio così
paura, Ana... e invece non riesce ad intimorirti Leila?
Perché pensi di essere in pericolo con me, che ti amo, e
non senza di me a proteggerti?”. Ma, dopo l’estenuante
mattinata, decido di non permetterle di urlarmi contro di
nuovo. Meglio che si calmi. E che mi calmi io.
«Devo fare qualche telefonata. Fa’ come se fossi a casa
tua» le dico, liquidandola.
«Okay» mormora spaesata.
Pochi passi e raggiungo il mio ufficio, sbattendo
leggermente la porta. Mi appoggio con la schiena allo
stipite della porta. Appoggio la testa e sospiro, esasperato.
“Ho fatto lo stronzo. Di nuovo. Lei è tornata da me e io
l’ho condotta per mano su un campo minato. Ad ogni
passo ho paura di perderla. Ma cos’ho che non va?”.
Faccio qualche profondo sospiro, prima di ritrovare la
calma. Poi apro gli occhi risoluto.
“Ora devo occuparmi di tutto questo casino”.
Per prima cosa chiamo Elena. La colgo di sorpresa, ma
mi assicuro, alla fine della conversazione, che lei non sarà
presente all’evento di questa sera. Non voglio turbare di
nuovo Ana.
«Christian, davvero, non capisco cosa può cambiare la
mia presenza. Ma se non vuoi che io ci sia, allora va bene.
Come sai, oltretutto, avevo anche altri piani per la serata»
Faccio un sospiro di sollievo.
«Grazie, Elena. Io e Ana... bè, oggi è stata una
giornata... complicata»
Ci salutiamo cordialmente. Chiudo il telefono e mi
rilasso visibilmente. Certo, per come è possibile rilassarsi
sapendo che un ex Sottomessa squilibrata vuole fare del
male alla donna che amo. E poi esco dal mio studio. Alla
ricerca della fonte della mia felicità. Il telefono vibra e un
messaggio mi avverte dell’arrivo di Franco. Non
trovandola nel salone, mi dirigo spedito nella mia camera.
Ma non è nemmeno lì. ‘Idiota. La sua stanza è di sopra.
Glielo avevi specificato così chiaramente. Cosa ti
aspettavi?’. Così salgo al piano superiore. Entro nella
camera e aggrotto la fronte quando non la vedo. ‘Forse è
scappata, Grey’. Il mio cuore smette di battere. Poi sento
la sua voce. Proviene dalla cabina armadio. Mi avvicino,
guardandola rannicchiata a terra. Alza gli occhi su di me,
con un sussulto.
«Eccoti. Pensavo che fossi scappata» le dico, con
sollievo malcelato.
Anastasia alza una mano, indicandomi il cellulare
all’orecchio.
«Scusa, mamma. Devo andare. Ti richiamo presto»
sussurra poi, con voce roca.
Attendo in silenzio, mentre si sente qualcuno
parlottare piano nell’altoparlante.
«Anch’io ti voglio bene, mamma» dice poi dolcemente,
riagganciando.
Mi guarda in silenzio e io mi sento in imbarazzo sotto il
suo sguardo puro.
«Perché ti stai nascondendo qui dentro?» le chiedo.
«Non mi sto nascondendo. Mi sto disperando» dice lei,
con un profondo sospiro rassegnato.
«Disperando?» le chiedo a metà tra il triste e il
divertito.
«Per tutto questo, Christian» risponde sommessa,
indicando gli abiti nella sua cabina armadio con una
mano.
«Posso entrare?» chiedo, poggiando entrambe le mani
sugli stipiti della porta e sporgendomi un po’ in avanti.
«È la tua cabina armadio» mi dice con un sospiro,
poggiando la testa al muro dietro di lei.
Aggrotto la fronte alla scelta delle sue parole ed entro.
Mi siedo a terra, di fronte a lei, con le gambe incrociate.
«Sono solo vestiti. Se non ti piacciono, li riporterò
indietro» le dico semplicemente.
«Sei un peso considerevole da sopportare, lo sai?» mi
dice con tono sarcastico.
Piego la testa di lato, strofinandomi il mento sul quale
è presente un accenno di barba. Poi le sorrido piano.
«Lo so. Sono insopportabile» borbotto.
«Sì, davvero» fa un cenno d’assenso, esausta.
«Come te, Miss Steele» le dico con un sorrisetto.
Anastasia sorride debolmente in risposta. Poi lancia
uno sguardo agli abiti.
«Perché fai tutto questo?» chiede rassegnata.
Il mio corpo si irrigidisce.
«Lo sai il perché» rispondo.
«No, non lo so»
Mi passo una mano nei capelli, frustrato.
«Sei una donna frustrante» le dico, infastidito da tutto
questo.
“Voglio tenerti al sicuro, voglio stringerti, voglio darti
tutto. Voglio mettere il mondo ai tuoi piedi, Ana. Cosa c’è
da capire?”.
«Potresti avere una bella bruna Sottomessa. Una che
dice: “Quanto in alto?” ogni volta che tu le chiedi di
saltare, sempre, ovviamente, che abbia il permesso di
parlare. Allora perché io, Christian? Non riesco a capire»
mi dice, stanca.
La guardo per un momento, capendo finalmente qual è
il nocciolo della situazione. Sono io. Io che non riesco a
farle capire, imprimere nella mente, quanto ho bisogno di
lei. Faccio un profondo sospiro. Cercando di spiegarle la
differenza tra lei è il resto del mondo.
«Mi hai fatto vedere il mondo in modo diverso,
Anastasia. Tu non mi vuoi per i miei soldi. Tu mi hai
dato... speranza» le dico piano, sentendo il cuore battere
forte.
«Speranza per cosa?» sussurra, scostandosi dal muro e
avvicinandosi.
“Come fai a non capirlo?”. Mi stringo piano nelle
spalle.
«Di più» le dico tranquillo. Almeno fuori. «E hai
ragione: sono abituato al fatto che le donne facciano
esattamente quello che dico e quando lo dico, e facciano
sempre quello che voglio. Si invecchia in fretta. C’è
qualcosa in te, Anastasia, che mi attrae a un livello
profondo, che non riesco a capire. È il canto di una sirena.
Non posso resisterti, e non voglio perderti» sospiro,
prendendole una mano. «Non scappare, ti prego. Abbi un
po’ di fiducia in me e un po’ di pazienza. Per favore» le
dico, guardandola negli occhi e cercando di farla entrare
più a fondo possibile.
Ana cambia posizione, senza smettere di fissarmi. Si
inginocchia davanti a me. E poi si sporge, baciandomi le
labbra dolcemente, come solo lei sa fare.
«Okay. Fiducia e pazienza, posso sopportarlo» mi dice
con un sorriso tiepido.
«Bene. Perché Franco è qui» le rispondo.
Prima di alzarmi le rubo un altro bacio veloce. Poi la
trascino con me al piano di sotto.
La lascio nelle grinfie del piccolo Franco, che la
trascina di sopra. Mentre io ne approfitto per sbrigare
alcune questioni di lavoro. Prima mi cambio, indossando
una camicia di lino, sbottonata nella parte superiore e
togliendomi scarpe e calze. Vado nello studio, prendo i
documenti che mi sono necessari e poi mi dirigo nel
salotto. Mi siedo sul divano, accendo l’iPod e mi metto al
lavoro, estraniandomi da tutto quello che mi circonda. É
l’unico modo per non dare di matto e concludere
qualcosa.
Un’ora più tardi, sento degli sguardi addosso che mi
costringo ad alzare la testa. La guardo, abbeverandomi di
quella visione. É bella da mozzare il fiato.
«Vedi? Te lo dicevo, gli piace» le dice Franco,
guardandoci con un malizioso luccichio negli occhi.
«Sei adorabile, Ana» le dico, apprezzandola sul serio.
«Il mio lavoro è finito» esclama Franco, battendo le
mani. Per poco non saltella.
Mi alzo dal divano e mi avvicino alla strana coppia.
«Grazie, Franco» gli dico sorridendo.
Franco si gira, stringendo Anastasia in un forte
abbraccio e baciandola su entrambe le guance. Se non
fosse gay starebbe già volando fuori dalla portafinestra.
Ma per fortuna il suo corteggiamento di solito tocca a me
subirlo.
«Non lasciare mai che nessun altro ti tagli i capelli,
bellissima Ana!» le dice con un ampio sorriso.
Ana scoppia a ridere, arrossendo piano. Accompagno
velocemente Franco nell’atrio e lo lascio a Taylor, mentre
torno impaziente da lei.
«Sono contento che tu li abbia tenuti lunghi» le dico,
osservandola felice. Prendo una ciocca tra le dita e la
accarezzo. E no. Non c’è nessuna implicazione sottintesa.
I suoi capelli mi piacciono perché sono scuri e sono i suoi.
Non quelli di un fantoccio da punire come se fosse mia
madre.
«Sono così morbidi» mormoro, apprezzando la sua
dolce bellezza. «Sei ancora arrabbiata con me?» le chiedo
piano.
Annuisce piano e io le sorrido dolcemente.
«Per quale motivo di preciso sei arrabbiata con me?»
mormoro.
Alza la testa, guardando il soffitto, come aveva già fatto
quella mattina in Georgia.
«Vuoi l’elenco?» sbotta.
«C’è un elenco?» le chiedo, tentando di mantenere un
tono scherzoso.
«Un lungo elenco» ribatte, mettendosi le mani sui
fianchi e tornando a guardarmi.
«Ne possiamo discutere a letto?» le sussurro,
giocherellando ancora con i suoi capelli.
«No» risponde, mettendo il broncio.
«A pranzo, allora. Sono affamato, e non solo di cibo» le
mormoro quasi contro le labbra, sorridendole in modo
lascivo.
«Non mi lascerò abbindolare dalle tue abilità sessuali»
mormora decisa.
Cerco di trattenere un sorrisetto.
«Che cosa ti dà fastidio nello specifico, Miss Steele?
Sputa il rospo» la provoco.
Fa un profondo respiro, guardandomi negli occhi. Poi
prende coraggio.
«Cosa mi dà fastidio? Bè, la tua clamorosa invasione
della mia privacy e il fatto che mi porti nel salone di
bellezza dove lavora la tua ex padrona e dove portavi tutte
le tue amanti per farsi fare la ceretta; inoltre mi hai
maltrattata per la strada, come se avessi sei anni. E,
soprattutto, hai lasciato che la tua Mrs Robinson ti
toccasse!»
“Merda”.
Urla quasi, fissandomi furiosa. E in quel momento mi
chiedo quando il mio cervello ha potuto pensare anche
solo per un secondo che il pericolo fosse scampato. Mi
rendo conto che sulla mia faccia si è appena dipinta
un’espressione incredula.
«È un bell’elenco. Ma, giusto per chiarire un punto: lei
non è la mia Mrs Robinson» ribatto stizzito.
«Può toccarti» ripete furibonda.
Faccio una smorfia di disprezzo. Ma non nei suoi
confronti. Nei confronti di quello che lei definisce tocco.
Elena non mi ha mai toccato. Elena mi ha scopato,
umiliato, usato, sodomizzato. Mi ha anche aiutato. Ma
mai toccato.
«Sa dove farlo» ribatto odiosamente pacato.
«Che cosa significa?» chiede con la fronte corrucciata.
Mi passo entrambe le mani nei capelli, stringendo gli
occhi e le mani. Deglutisco a fatica, cercando un
equilibrio che non trovo da nessuna parte. Apro gli occhi
e la fisso, con un sospiro.
«Tu e io non abbiamo regole. Non ho mai avuto una
relazione senza regole, e non so mai dove mi toccherai.
Mi rende nervoso. Il tuo tocco completamente...» mi
fermo, cercando di trovare le parole per farle capire come
mi fa sentire esposto e vulnerabile. Quanto mi faccia
paura. «È solo che significa di più... così tanto di più»
riesco a mormorarle, sconfitto. La guardo, fisso negli
occhi, cercando di farle capire. Ma lei, per tutta risposta,
allunga un braccio, con le dita che le tremano.
Automaticamente mi tiro indietro, mentre lei con
un’espressione di dolore, lascia ricadere impotente il
braccio.
«Limiti assoluti» sussurro in fretta, cercando di darle
una spiegazione razionale. ‘Magari razionale per te,
idiota’.
Anastasia mi fissa mortificata, come se non si sentisse
abbastanza per me. Quando, invece, è proprio il
contrario.
«Come ti sentiresti se non potessi toccarmi?» mi
chiede poi, con un filo di voce.
«Devastato e defraudato» rispondo di getto.
Ana stringe gli occhi, poi li riapre, scuotendo piano la
testa con un piccolo sorriso rassegnato e rassicurante.
“Cerca di rassicurarmi anche ora, anche mentre la
respingo”. Rilasso le spalle, perché sono certo che non ci
proverà di nuovo.
«Un giorno devi dirmi esattamente perché c’è questo
limite assoluto, per favore» chiede sommessa.
«Un giorno» le dico piano.
Rialzo la testa e cerco di mostrarmi indifferente. Ma
dentro l’episodio mi ha segnato profondamente.
“Devastato e defraudato. Così si sente anche lei”. La
guardo, costringendomi ad andare oltre.
«Allora, il resto del tuo elenco. Invasione della
privacy...» le dico, riprendendo il nostro discorso.
Arriccio le labbra riflettendo.
«Perché conosco il tuo numero di conto corrente?» le
chiedo.
«Sì, è inammissibile» mi dice aggrottando la fronte.
“Ok, inizia a scoprire le tue carte, Christian”.
«Faccio ricerche sulla vita privata di tutte le mie
Sottomesse. Ti farò vedere» Mi giro e mi dirigo verso il
mio studio.
Ana mi segue. Mi avvicino allo schedario ed estraggo il
suo dossier. Fissa il faldone, senza avere il coraggio di
prenderlo tra le dita. Mi stringo nelle spalle, cercando
miseramente di scusarmi.
«Puoi tenerla» mormoro.
«Bè, accidenti, grazie» ribatte seccamente.
Lo apre, scorrendolo velocemente. La sua espressione
è sempre più sbalordita. Si ferma su una pagina. Poi mi
fissa.
«Perciò sapevi che lavoravo da Clayton?» sibila.
«Sì» ammetto.
«Non è stata una coincidenza. Non sei capitato lì per
caso, vero?» dice, fissandomi torva.
«No» replico a voce bassa.
Stringe forte le labbra, per poi rilassarle e fare un
sospiro.
«Questa è una stronzata. Lo sai, vero?» mi dice
perentoria.
«Io non la vedo in questo modo. Con quello che faccio,
devo essere cauto» tento di spiegarle, innervosito dal suo
tono.
«Ma queste sono cose private» sibila, stringendo i fogli
tra le dita.
«Non faccio mai un uso improprio delle informazioni.
Sono dati che tutti possono ottenere se si applicano un
po’, Anastasia. Per avere il controllo, ho bisogno di
informazioni. È così che ho sempre fatto» le dico pacato.
Non intendo scusarmi per essere stato prudente, Ana.
«Tu fai un uso improprio delle informazioni. Hai
depositato ventiquattromila dollari che non volevo sul
mio conto» borbotta, infastidita.
Stringo le labbra.
«Te l’ho detto. È quanto Taylor ha ricavato dalla tua
macchina. È incredibile, lo so, ma è così»
«Ma l’Audi...»
«Anastasia, hai idea di quanti soldi guadagno?» sbotto
esasperato.
Arrossisce di colpo.
«Perché dovrei? Non ho bisogno di sapere il saldo del
tuo conto corrente, Christian» sussurra, abbassando lo
sguardo.
Sorrido piano, mentre il cuore mi si riempie di gioia.
«Lo so. È una delle cose che amo di te» mormoro.
Alza lo sguardo sorpresa.
«Anastasia, io guadagno circa centomila dollari
all’ora» le confesso, divertito.
La bocca le si spalanca, e non riesce a sbattere le
palpebre.
«Ventiquattromila dollari non sono niente. La
macchina, i volumi di Tess dei d’Urberville, i vestiti, non
sono niente» le dico piano.
Ana ci mette qualche minuto a riprendersi dallo shock.
Ma questo non migliora la situazione.
«Se fossi in me, come ti sentiresti di fronte a tutta
questa munificenza che ti viene imposta?» mi chiede, in
un sussurro esausto.
La domanda mi lascia smarrito. Cosa... cosa vuol dire?
Io... Io non lo so. Credo. Scrollo le spalle.
«Non lo so» dico alla fine, sorridendo.
Sospira a fondo.
«Non mi fa sentire bene. Voglio dire, tu sei molto
generoso, ma mi fai sentire a disagio. Te l’ho già detto»
Sospiro.
«Io voglio darti il mondo, Anastasia» le dico, facendo
un passo in avanti e guardandola dolcemente negli occhi
azzurro cielo.
«Io voglio solo te, Christian. Non mi interessano gli
accessori» mi risponde a voce bassa, arrossendo.
«Sono inclusi nel pacchetto. Fanno parte di quello che
sono» tento di farle capire.
Chiude per un attimo gli occhi. Poi li riapre, guardando
il muro alla sua sinistra.
«Possiamo mangiare?» chiede, torcendosi le dita.
Stringo le labbra, impedendo a me stesso di essere
duro con lei. Abbiamo bisogno di calmarci.
«Certo» le dico, apparentemente calmo.
«Cucino io» dice, girandosi di profilo.
«Bene. Altrimenti c’è del cibo nel frigo» le dico con
noncuranza.
«Mrs Jones non viene nel weekend? Perciò tu mangi
soprattutto cose fredde nel fine settimana?» chiede
soprappensiero.
«No» le rispondo.
Ma quasi subito me ne pento. Ed ecco che arriva di
nuovo l’inquisizione.
«Non capisco» mormora confusa.
Sospiro. “Il mio passato riuscirà ad andare a farsi
fottere per il resto di questa fottutissima giornata?”.
«Le mie Sottomesse cucinano, Anastasia» le confesso,
guardando leggermente divertito la sua espressione e il
suo rossore.
«Ah, già» dice, imbarazzata. Poi mi fissa.
«Cosa gradisce mangiare,
sorridendomi dolcemente.
signore?»
aggiunge,
Le lancio un sorrisetto.
«Qualunque cosa la signora riesca a trovare» le dico,
mentre non riesco a nascondere del tutto l’effetto che
l’appellativo ha su di me.
Si allontana, sparendo in cucina, lasciandomi ai miei
pensieri. Per un attimo, ad occhi chiusi, mi concedo il
lusso di provare a pensare a come sarebbe farmi toccare
da lei. Mi sposto accanto alla portafinestra. La mia
mentre vacilla al ricordo del dolore che ho provato questa
mattina quando non si è lasciata toccare da me. La
sensazione di vuoto che mi ha lasciato il non poterla
toccare è stata come una lama conficcata nel petto. A
fondo. Fisso i grattacieli di Seattle. Una volta mi sentivo
così solo in questa casa. Era mia. Ma era solo mia. Ora,
invece, avverto la sua presenza anche al di là di questa
porta. Anche quando non è fisicamente qui, il suo
profumo non mi fa sentire solo. D’istinto ho voglia di
restituirle qualcosa. Di farla contenta. Di farle piacere
dopo l’estenuante mattinata. E mi vengono in mente le
sue parole di ieri sera. “Forse dovremmo prendere un
evidenziatore e...”. E sì. Forse dovremmo. Mando un sms
a Taylor, per farmi portare quello che mi serve. Poi sento
la musica dall’altra stanza. Sorrido, aprendo la porta e mi
dirigo in cucina. Non si accorge subito della mia presenza.
La fisso, mentre sbatte le uova e poi si ferma, in preda ai
suoi pensieri. É come quella mattina, dopo che avevamo
fatto l’amore per la prima volta. Quanto siamo andati
avanti da allora? La osservo scuotere piano la testa e
sorridere. Non resisto oltre e mi avvicino, avvolgendole le
braccia attorno alla vita. Sussulta, poi si rilassa.
«Interessante scelta musicale» le dico, ascoltando
Crazy in love di Beyoncè. Mi strofino con il naso dietro il
suo orecchio, annusando il suo odore. «Sai di buono» le
dico, inspirando a fondo dai suoi capelli.
Il suo corpo freme, mentre sfugge dalle mie braccia.
«Sono ancora arrabbiata con te» borbotta.
Aggrotto la fronte, fissandola.
«Per quanto tempo hai intenzione di continuare?» le
chiedo, frustrato. Mi passo una mano nei capelli. “Dammi
tregua, Ana. Ho solo bisogno di te. Di dimostrarti che è
tutto a posto. Che ti amo”.
«Almeno finché avremo mangiato» risponde altezzosa,
continuando a cucinare.
Trattengo un sorriso davanti alla sua determinazione.
Poi mi volto, spegnendo quella canzone che ora mi
ricorda cose che non voglio ricordare.
«Hai messo tu quella canzone sul tuo iPod?» chiede,
con finta noncuranza.
“Rieccola all’attacco”.
Scuoto la testa, in silenzio. Non ho il coraggio di
pronunciare il suo nome.
«Non credi che stesse cercando di dirti qualcosa?»
dice, con un mezzo sorriso.
Stranamente la sta prendendo meglio di come mi
aspettavo.
«Bè, con il senno di poi, probabilmente sì» rispondo,
calmo.
«Perché è ancora nell’iPod?» chiede curiosa, senza
rabbia o malizia.
«È una canzone che mi piace abbastanza. Ma se ti
infastidisce la tolgo» le dico premuroso.
«No, va bene. Mi piace ascoltare musica quando
cucino»
Sorrido.
«Che cosa ti piacerebbe ascoltare?» le chiedo.
«Sorprendimi» dice platealmente, guardandomi da
sopra una spalla.
Armeggio con l’iPod finché trovo la canzone perfetta. I
put a spell on you, di Nina Simone. Si gira di scatto,
arrossendo violentemente, mentre la guardo. “Ti ho fatto
un incantesimo... sì, Ana... mi hai completamente
sedotto, stregato in un modo che non credevo possibile.
Non per me”. Mi avvicino, colmando la distanza tra di
noi. Il suo corpo freme anche se ancora non l’ho sfiorata.
Trema. Come tremano le sue labbra mentre mi supplica
dolcemente.
«Christian, per favore» sussurra, giocherellando con il
frullino nelle mani.
«Per favore cosa?» mormoro contro le sue labbra,
senza toccarla.
Le mie mani sono poggiate dietro di lei, sul ripiano
della cucina.
«Non farlo» mi dice, alzando lo sguardo nel mio.
«Fare cosa?» sussurro ancora, mentre il desiderio mi
infiamma il corpo.
«Questo» dice con un filo di voce.
La fisso. “Non è quello che vuoi, Ana. E nemmeno io”.
«Sei sicura?» mormoro, togliendole il frullino di mano
e mettendolo nella ciotola con le uova, dietro di lei.
Sospira affannosamente, distogliendo lo sguardo dal
mio.
«Ti voglio, Anastasia» mormoro suadente, contro le
sue labbra delicate. «Amo e odio, e amo discutere con te.
È una cosa del tutto nuova. Ho bisogno di sapere che
stiamo bene. È il solo modo che conosco» le confesso,
desiderandola ora come non mai.
«I miei sentimenti per te non sono cambiati» sussurra
piano.
I suoi occhi cadono sul mio petto. Si morde forte il
labbro, mentre il suo esile corpo è scosso dai brividi
dell’eccitazione. La mia erezione preme forte contro la
stoffa dei jeans.
Mi spingo più vicino a lei, ma non la tocco ancora. I
nostri calori si fondono, anticipando quello che faremo
tra poco noi due.
«Non ti toccherò finché non mi dirai di sì» le dico
piano, contro l’orecchio. «Ma ora come ora, dopo una
mattinata davvero schifosa, vorrei soltanto sprofondare
dentro di te e dimenticare tutto a parte noi».E lo dico con
tutta la sincerità di questo mondo. Le dico esattamente
come mi sento. Senza giochetti, senza sfide, senza timori.
Ho bisogno di lei. Sono malato di desiderio. E d’amore. E
lei è l’unica a potermi guarire.
All’improvviso Ana alza la
intensamente. Con paura. E amore.
testa,
fissandomi
«Ti toccherò la faccia» sussurra.
Ci metto qualche secondo a realizzare quello che ha
detto. Mi perdo nell’azzurro dei suoi meravigliosi occhi e,
alla fine, annuisco, sicuro che non mi tradirà.
Anastasia alza la mano, accarezzandomi la guancia, il
mento su cui la barba è appena accennata. Chiudo gli
occhi con un sospiro beato. Finalmente il suo tocco.
Finalmente. Poggio la guancia sul suo palmo aperto. Poi
riapro gli occhi, chinandomi su di lei e avvicinandomi alle
sue labbra. Anche lei si sporge verso di me. Ma non la
bacio.
«Sì o no, Anastasia?» sussurro piano.
«Sì» sospira.
E finalmente, le mie labbra si schiudono insieme alle
sue. Le braccia la stringono forte, attirandola contro il
mio corpo eccitato e desideroso di lei. La mano destra
sale ad accarezzarle la testa, infilandosi nei suoi capelli e
stringendola di più. La sinistra scorre su e giù,
fermandosi sulla sua schiena e premendola contro di me.
Il suo gemito mi fa impazzire. Il mio uccello spinge contro
il suo stomaco. E io vorrei già essere dentro di lei.
Con la coda dell’occhio scorgo un movimento. Poi un
colpo di tosse sommesso mi fa allontanare da lei.
«Mr Grey». Taylor è imbarazzato.
Lascio immediatamente Anastasia. Fissandola a fondo,
prima di rivolgermi a Jason. Non mi avrebbe interrotto
per nulla. Dunque devo rimandare il mio rendez vous con
la mia fidanzata adorata.
«Taylor» dico gelido. Ci scambiamo un rapido cenno,
mentre Ana ci fissa stralunata. «Nel mio studio» ordino
seccamente, lasciando che Jason si avvii per primo. «Lo
spettacolo è solo rimandato» le mormoro, lasciandola a
malincuore per recarmi nel mio studio.
Taylor mi informa, brevemente, del fatto che sul fronte
Leila ancora non ci sono novità, che gli uomini della
scorta sono arrivati e che ha comprato il rossetto rosso
che gli avevo chiesto. Me lo consegna. E io tremo all’idea
di quello che dirà Anastasia.
Dieci minuti più tardi riemergo dallo studio. Il
profumo dell’omelette preparata da Ana è delizioso.
Congedo Taylor e mi preparo ad affrontare l’ennesima
sfida della giornata. Restiamo di nuovo soli, in cucina.
Ana prende due piatti riscaldati e li poggia sul bancone.
«Mangi?» mi chiede piano.
«Sì, grazie» le dico, osservandola mentre mi siedo su
uno sgabello.
«Problemi?»
«No»
Mi lancia un’occhiataccia, notando la mia agitazione.
Ma io la ignoro. Porta in tavola il pranzo e si siede
accanto a me. Assaggio l’omelette, apprezzando la sua
cucina.
«È buona» mormoro sincero. «Ti va un bicchiere di
vino?»
«No, grazie» risponde pacata.
Mangiamo in silenzio, almeno fino a quando non
accendo l’iPod.
«Cos’è?» chiede curiosa, ascoltando il brano in
occitano antico.
«Canteloube. Chants d’Auvergne. Questa si chiama
Bailero» le spiego.
«È bella. In che lingua è?»
«Francese antico. Occitano, per essere precisi» le dico
con un sorriso.
«Tu parli francese, lo capisci?» chiede, prima di
mettersi in bocca la deliziosa omelette che ha nel piatto.
«Qualche parola, sì»
Le sorrido, finalmente più a mio agio.
«Mia madre aveva delle fisse: strumenti musicali,
lingue straniere, arti marziali. Elliot parla spagnolo. Mia e
io francese. Elliot suona la chitarra, io il pianoforte e Mia
il violoncello»
«Wow. E le arti marziali?»
«Elliot fa judo. Mia si è impuntata quando aveva dodici
anni e si è rifiutata» dico con una smorfia simpatica nel
ricordare Mia che fuggiva per tutta la casa quando sapeva
di dover andare in palestra.
«Magari mia madre fosse stata così organizzata»
sospira pensierosa.
«La dottoressa Grace è formidabile quando si tratta dei
talenti dei suoi figli» le dico con un sorrisetto.
«Deve essere molto orgogliosa di te. Io lo sarei»
mormora dolcemente.
“Orgogliosa di cosa? Del mostro che sono. Del
pervertito che ha cresciuto senza essere a conoscenza
della sua natura reale?”. Decido di non andare oltre e
cambio argomento.
«Hai deciso cosa ti metterai stasera? O devo scegliere
qualcosa per te?» le dico bruscamente. ‘Suvvia Grey. Non
è colpa sua se sei un malato pervertito’.
«Uhm... non ancora. Hai scelto tu tutti quei vestiti?»
mormora disorientata.
La fisso e decido che arrabbiata o meno è meglio che le
butti lì le cose come stanno.
«No, Anastasia. Non li ho scelti io. Ho dato una lista e
la tua taglia a una personal shopper di Neiman Marcus. Ti
andranno bene. A titolo informativo, ho chiesto di
potenziare il servizio di sicurezza per stasera e i prossimi
giorni. Con Leila imprevedibile e introvabile per le strade
di Seattle, credo che sia una precauzione saggia. Non
voglio che tu esca senza scorta, okay?» Cerco di essere il
più convincente possibile. Ana sbatte un paio di volte le
palpebre. Poi, calma, risponde con un okay traballante.
«Bene. Vado a dare istruzioni agli uomini della sicurezza.
Non dovrei metterci molto» le dico, alzandomi dallo
sgabello.
«Sono qui?» chiede senza muoversi.
«Sì» rispondo a denti stretti.
Prima che possa continuare, poggio il piatto nel lavello
e vado nell’ufficio di Taylor.
Mezz’ora più tardi, dopo aver disposto tutti i dettagli
per la nostra sicurezza, la trovo nella sua camera, distesa
sul letto, a navigare in Internet. Mi sono rigirato per tutto
il tempo il rossetto nella tasca dei jeans.
«Che cosa stai facendo?» le chiedo, cogliendola
evidentemente di sorpresa.
Mi butto sul letto, accanto a lei, osservando divertito la
sua ricerca. “Disturbo della personalità multipla: i
sintomi”. Sorrido.
«Sei su questo sito per una ragione particolare?»
chiedo con divertita noncuranza.
Mi scruta a fondo.
«Ricerche. Su una personalità difficile» dice calma.
Trattengo un sorrisetto.
«Una personalità difficile?» chiedo.
«È il mio pallino» mi dice, iniziando a rilassarsi con
me.
«Io sono un pallino, adesso? Un’attività extra. Un
esperimento scientifico, forse. E io che pensavo di essere
tutto. Miss Steele, tu mi ferisci» le dico fingendomi
offeso.
«Come sai che sei tu?» chiede altezzosamente,
sorridendomi.
«Intuito» le faccio l’occhiolino.
«È vero che sei l’unico uomo incasinato, lunatico,
maniaco del controllo che conosca intimamente»
risponde divertita.
«Pensavo di essere l’unica persona che conoscevi
intimamente» le sussurro, avvicinandomi al suo orecchio.
Arrossisce all’improvviso.
«Sì. Anche quello» sussurra.
«Sei già arrivata a qualche conclusione?» chiedo,
indicando con il mento il pc.
Si gira sul letto, guardandomi.
«Credo che tu abbia bisogno di un’intensa terapia» mi
dice, socchiudendo gli occhi.
Alzo una mano, spostandole una ciocca di capelli
dietro l’orecchio.
«Io penso di avere bisogno di te. Qui» le dico.
Prendo il rossetto dalla tasca e glielo passo. La osservo,
mentre lo fissa perplessa.
«Vuoi che mi metta questo?» chiede incredula.
Ridacchio piano.
«No, Anastasia, a meno che tu non lo voglia. Non sono
sicuro che sia il tuo colore» le dico deciso. Poi mi tiro su a
sedere, con un profondo sospiro, sfilandomi la camicia.
«Mi piace la tua idea della mappa» le mormoro piano.
Mi fissa senza capire.
«Le zone off-limits» le spiego, senza smettere di
fissarla negli occhi.
«Oh. Stavo scherzando» dice seria.
«Io no» sussurro a bassissima voce.
«Vuoi che disegni su di te con il rossetto?» chiede
sempre più incredula.
«Si lava. Dopo» mormoro ancora.
Ana mi fissa. Poi le sue labbra si aprono in un piccolo
sorriso di meraviglia. Gioia. Puro amore.
«Che ne dici di usare qualcosa di più permanente come
un pennarello indelebile?» tenta di scherzare.
«Potrei farmi un tatuaggio» le dico divertito.
Mi fissa come se avessi imprecato.
«No, il tatuaggio no!» ride nervosamente.
«Rossetto, dunque» le dico con un ghigno.
Chiude in fretta il pc e lo poggia di lato.
«Vieni» le dico, porgendole la mano. «Siediti su di me»
le dico respirando a fondo.
Scalcia velocemente via le ballerine e si tira su a sedere,
gattonando su di me come una splendida creatura
ammaliante. Sono sdraiato sul letto, le ginocchia restano
piegate e lei vi si appoggia comodamente, mettendosi a
cavalcioni su di me come le dico di fare.
La guardo divertito, ma allo stesso tempo spaventato
da quello che accadrà. Lei invece è meravigliosamente
divertita ed eccitata dalla novità
«Mi sembri... entusiasta della cosa» commento
sarcasticamente.
«Sono sempre avida di informazioni, Mr Grey. Ciò
significa che ti rilasserai, perché io saprò fin dove
spingermi» dice compiaciuta di se stessa.
Scuoto piano la testa, ancora incredulo per quello che
le sto permettendo di fare. Mai nella vita avrei creduto di
riuscire ad arrivare a tanto. Ma lei... bè, in fondo è lei la
mia vita ora.
«Apri il rossetto» le ordino severamente, per rimarcare
che comunque comando io e che ora come ora, non deve
neppure pensare a disobbedirmi.
«Dammi la mano» le dico.
Scherzosamente mi porge l’altra, quella vuota.
«Quella con il rossetto» le dico alzando gli occhi al
cielo.
«Stai alzando gli occhi al cielo con me?» sussurra
divertita, gli occhi le brillano di felicità. Darei la mia vita
per vederla così tutti i giorni.
«Sì» rispondo fingendo arroganza.
«Sei molto scortese, Mr Grey. Conosco alcune persone
che diventano violente di fronte a un’alzata di occhi al
cielo» civetta lei.
«Davvero?» chiedo ironicamente.
Mi porge la mano con il rossetto, e io mi tiro su,
ritrovandomi a fissarla negli occhi.
«Pronta?» le chiedo a voce bassa, dolcemente.
Ma forse è a me stesso che dovrei fare questa
domanda.
«Sì» mormora, ritornando seria.
Stringo forte la sua mano.
«Premi»
E inizio a tracciare insieme a lei il percorso. Una scia
rossa, macchiata di sangue, dolore, fame e morte. Una
scia di ricordi dolorosi, di sevizie, di abusi. Di puzza di
sigarette e alcool. Della mia pelle che brucia tra lo strazio
delle mie grida di bambino. Dell’indifferenza di mia
madre, seduta sul divano a guardami contorcermi dal
dolore. Del suo essere così fredda, insensibile. Immobile.
Per minuti, ore, giorni. C’è tutto questo sul mio corpo.
Porto i segni di tutto questo. É tutto confinato nei pezzi di
carne che non voglio che nessuno tocchi. Per non
contaminare nessuno. Per tenermi al riparo da tutto quel
dolore. Perché se non lo riporto a galla, allora non è mai
accaduto. Se lo tengo chiuso nella testa posso non
pensarci. Ma se fa male, se qualcuno lo scatena con il
proprio tocco. Allora sono costretto a riviverlo. Guardo i
suoi occhi colmarsi di dolore mentre scendiamo dal collo
alle spalle, allo stomaco. Mi fermo, trattenendo a stento il
senso di nausea. Non per lei, ovvio. Ma per il dolore. Ma
sono disposto a sopportarlo per lei.
«Lo stesso dall’altra parte» le dico giunti a metà dello
stomaco.
Le lascio la mano, facendola continuare da sola. E in
quella scia color cremisi rivedo il volto di tutte le ragazze
che ho maltrattato, dominato, umiliato. Solo per sentirmi
bene, meglio. Solo per cercare di dare un senso al fatto di
sentirmi sporco. Orrido. Mostro. Perverso. Il dolore è
intenso. O forse non fa male sul serio. Non lo so, sono
confuso.
«Ecco fatto» sussurra Anastasia, fermandosi.
«No, non è finito» ribatto con un senso di vuoto e
dolore che mi pervade. Con l’indice traccio una linea
intorno alla base del collo. Ana segue il mio percorso,
tracciandolo con il rossetto.
Quando ha terminato mi fissa, in attesa, come se
sapesse che non è finita lì.
«Ora la schiena» mormoro.
In silenzio si sposta dal mio grembo, lasciandomi
spostare per darle le spalle.
«Riprendi la linea tracciata davanti, tutt’intorno
dall’altra parte»
Le indico il sentiero. Resto fermo con la testa piegata,
mentre lei completa la sua opera. Il mio corpo cerca di
abituarsi alla sensazione, ma il dolore, i ricordi... fa tutto
troppo male. Si ferma su una spalla.
«Anche intorno al collo?» sussurra tremante.
Annuisco, senza avere il coraggio di emettere fiato. E
lei esegue.
«Finito» mormora sommessamente.
Sento il suo sguardo addosso. Mi rilasso, espellendo il
fiato che stavo trattenendo. Cerco di riprendermi prima
di girarmi a guardarla.
«Questi sono i confini» le dico, guardandola sconvolto
ed eccitato al tempo stesso.
Non... non avevo previsto questo. Non avevo previsto
che il suo tocco potesse essere tanto sconvolgente ed...
eccitante. Non avevo mai sperimentato nulla di simile. E
io... vorrei di più.
Ana mi guarda e fa un sospiro determinato.
«Posso farcela. Proprio ora vorrei lanciarmi su di te»
sussurra dolcemente.
Le lancio un sorriso e le tendo le mani. Ho bisogno di
un contatto. Di riprendere il controllo che le ho ceduto.
«Bene, Miss Steele, sono tutto tuo»
Non finisco di dirlo che lei si è già fiondata tra le mie
braccia. Non ci metto molto a metterla in posizione di
svantaggio, sotto di me, mentre ridiamo insieme.
«Ora, riguardo a quello spettacolo rimandato...» le
mormoro lascivamente.
E la bacio. Ritrovando la mia stabilità.
Capitolo 9
Anastasia mi stringe forte i capelli, mentre mi avvento
sulla sua bocca invitante, morbida. Le nostre lingue si
scontrano, affamate, vogliose dopo tutti gli scontri di
questa mattina. Ci divoriamo a vicenda, come se
volessimo entrare l’uno nel corpo dell’altra attraverso le
nostre bocche. Il bacio passionale mi consuma, tanto che
quando mi stacco da lei ho il fiato corto e le labbra mi
bruciano. Ana ansima, distesa sul letto. Non posso
aspettare un altro minuto prima di farla mia. La tiro su,
afferrando l’orlo della sua t-shirt e sfilandogliela
velocemente. La maglietta fa un volo perfetto alle mie
spalle e atterra sul pavimento. Ho bisogno di essere
dentro di lei. Di essere certo che sta godendo. Per me.
«Voglio sentirti» le sussurro contro la bocca, mentre la
cingo per slacciarle il reggiseno, che raggiunge la t-shirt.
La lascio sdraiarsi di nuovo, prima di premere il mio
corpo sul suo, affondando sul materasso. Ana alza le
mani, le sue dita tornano tra i miei capelli. Le mie labbra
scivolano via dalle sue per incontrare la pelle calda del
suo collo, del suo petto e, infine, i suoi capezzoli turgidi.
Ne afferro uno con i denti, mordicchiandolo piano e poi
tirando forte. Ana lancia un grido di piacere, fremendo
tutta. Il mio cazzo si tende maledettamente contro la
stoffa dei miei jeans.
«Sì piccola, fatti sentire» mormoro contro il suo seno,
caldo e invitante.
Torno a tormentare piano il suo capezzolo, mentre
sotto di me Anastasia si contorce, geme, implora. É
fantastica. Le mie mani scivolano lungo il suo busto,
adorando ogni millimetro della sua pelle. Lentamente
scivolo sulla pancia, sul ventre, raggiungendo i suoi jeans.
Li sbottono velocemente, tirando giù la zip e infilando la
mano sotto le sue mutandine. Ansimo di piacere a
scoprirla già bagnata e pronta per me. La accarezzo piano,
gustandomi i brividi di piacere della sua pelle. Poi,
lentamente, la penetro con due dita. Ana solleva di poco il
bacino, venendomi incontro. Il palmo della mia mano
sfrega contro il suo clitoride mentre lei chiude gli occhi e
apre la bocca senza fiato.
«Oh, piccola» sospiro di piacere, fissandola quando
riapre gli occhi. «Sei così bagnata»
La mia voce è bassa, colma di desiderio e frustrazione
repressa. Ho bisogno di stare bene. Con lei.
«Ti voglio» mi sussurra, senza distogliere i suoi occhi
dai miei.
Di colpo mi abbasso su di lei, impadronendomi delle
sue favolose labbra, ancora gonfie per il bacio di prima.
La mia è fame, bisogno, disperazione. Ana mi stringe
ancora di più, come se capisse perfettamente come mi
sento senza di lei. Spalanca gli occhi, fissandomi mentre
mi allontano per tirarla di nuovo su con me. Le sfilo
velocemente i jeans e le mutandine. Infilo una mano in
tasca, prendendo uno dei preservativi che vi ho messo
prima. Lo lancio ad Anastasia, che lo apre con
impazienza, chinandosi su di me per srotolarlo sulla mia
erezione impaziente. “Cristo. Cristo, cristo, cristo!”. Il suo
tocco mi eccita a dismisura. Rischio di venire ora, solo per
questo. La fermo, afferrandole entrambe le mani.
«Tu. Sopra» le ordino, rotolando sul letto e mettendola
a cavalcioni su di me. «Voglio vederti»
Ana si lascia guidare, mettendosi comoda su di me. Il
suo sesso sfiora la mia erezione. Chiudo gli occhi,
sollevandomi verso di lei. E sono dentro. La penetro a
fondo. E la sensazione è meravigliosa, fantastica. Mi
sento avvolgere nel suo calore, in quel piccolo paradiso
bagnato. Apro la bocca, ma non riesco ad emettere suono.
Le afferro le mani per aiutarla a muoversi, per guidarla. I
suoi occhi cadono sul mio petto, dove brilla l’intensa linea
rossa. “No, Ana. So che non mi toccheresti. Non dopo
questo”.
«Sto così bene con te» le mormoro per rassicurarla.
La sua espressione è così diversa da appena sei giorni
fa. É fiera, come se finalmente si sentisse a proprio agio
con il suo corpo, con me. Con tutto questo.
Le lascio le mani e le afferro i fianchi, spingendola più
a fondo sul mio cazzo che pulsa forte. Sento le pareti del
suo sesso stringere forte e serrarmi in una deliziosa
morsa. Affondo di nuovo e lei urla di piacere. Un urlo che
si smorza in un gemito roco, che accende ancora di più il
bisogno di farla mia.
«Va bene, piccola, sentimi» le dico, temendo di non
riuscire a trattenermi ancora a lungo.
Affondo ripetutamente dentro di lei, mentre Ana
reclina il capo, lasciando i capelli ricaderle
meravigliosamente sulla schiena. La visione dei suoi seni,
dalla mia posizione, è da togliere il fiato. Lei è da togliere
il fiato. É una visione eterea. Abbassa gli occhi su di me,
mentre il suo respiro si fa incerto, ansima più veloce.
«Sei mia, Ana» le mormoro appena.
E non sono sicuro di averlo detto per lei o per
autoconvincermi.
«Sì» ansima a fatica. «Per sempre» sussurra persa
nell’estasi.
Gemo, al limite, chiudendo gli occhi e reclinando la
testa all’indietro. Non mi era mai capitato di sentirmi così
esposto. E allo stesso tempo così a mio agio. I nostri corpi
si scontrano sempre nello stesso punto, sempre più forte.
Stringo i denti, non volendo lasciarla indietro. “Ti voglio
con me, Ana. Sempre. Tutti i giorni della mia vita”. E in
quel momento, il suo grido squarcia l’aria intorno a noi,
penetra nella mia anima tormentata e mi riporta con sé,
nella sua luce calda. La sento stringersi attorno al mio
membro eretto come mai prima d’ora. E poi crolla
all’improvviso, esausta. Con un’ultima poderosa spinta,
mi lascio andare, smettendo di trattenermi.
«Oh,
piccola»
le
sussurro,
mentre
vengo,
copiosamente, tenendola stretta a me per non farla
andare via.
Ansima, con la fronte appoggiata sul mio petto. E io
faccio lo stesso, allentando di poco la presa su di lei. La
sento trattenere il fiato quando, con un’occhiata, si rende
conto di essere all’interno della linea rossa. Ma non mi
importa. Ora voglio che stia qui. Esattamente dov’è. Le
accarezzo piano i capelli, facendo scorrere una mano
dietro alla sua bellissima schiena. Restiamo così fino a
quando i nostri respiri si calmano.
«Sei bellissima» le mormoro, baciandole i capelli.
Solleva di poco la testa, lanciandomi un’occhiata
scettica. Aggrotto la fronte, tirandomi su a sedere e
portandola con me. La abbraccio, tenendola ferma sul
mio grembo, mentre lei si aggrappa alle mie braccia. La
fisso dritto negli occhi.
«Tu. Sei. Bellissima» le dico, scandendo piano ogni
parola.
Sul suo meraviglioso viso si allarga un piccolo sorriso.
«E tu sei sorprendentemente dolce, a volte» mormora,
poggiando un bacio delicato sulle mie labbra.
Senza staccarmi da lei, la sollevo dolcemente, uscendo
dal suo corpo. Sussulta, ansimando sulla mia bocca.
«Non hai idea di quanto sei attraente, vero?» le dico,
senza smettere di fissarla. “Dio, Ana. Come fai a non
rendertene conto?”.
Arrossisce violentemente, abbassando lo sguardo.
«Tutti quei ragazzi che ti vengono dietro. Non è un
indizio abbastanza chiaro?» le dico, corrugando la fronte.
«Ragazzi? Quali ragazzi?» chiede sorpresa.
«Vuoi l’elenco?» le dico, tormentato dal tarlo della
gelosia. «Il fotografo è pazzo di te, quel ragazzo al
negozio di ferramenta, il fratello maggiore della
tua coinquilina, il tuo capo» mormoro, rendendomi conto
che chiunque potrebbe portarmela via. Se solo lei sapesse
quello che sono veramente. Se solo mi conoscesse a
fondo, non si farebbe scrupoli. Mi abbandonerebbe. Ma io
posso essere migliore di questo. Lo so. Per lei, posso.
«Oh, Christian, non è vero» risponde con un sorriso.
«Fidati. Ti vogliono. Vogliono ciò che è mio» le dico in
un impeto di gelosia. La tiro verso di me, facendo aderire
i nostri corpi.
Lei alza le braccia, passandomele intorno al collo, per
poi far scivolare le dita tra i miei capelli. Mi sorride,
divertita.
«Sei mia» le ripeto, serio e determinato.
«Sì, tua» mi rassicura, placando per qualche istante la
morsa del mostriciattolo verde nel mio stomaco.
Non mi ero mai sentito così prima di lei. Mai. Mai così
preso da una persona, così possessivo, così determinato a
condividere la mia vita e tutto quello che sono con un
altro essere umano. Non ho mai pensato seriamente al
mio futuro. Ma ora, mi ritrovo costantemente a pensare a
come sarebbe potermi svegliare tutti i santi giorni della
mia vita accanto a lei. E lo voglio. Voglio tutto questo con
lei. Con Anastasia.
«La linea è ancora intatta» mi distrae lei, seguendo con
l’indice il filo del rossetto lungo la mia spalla.
Mi irrigidisco, pur sapendo che non andrebbe mai oltre
i confini.
«Voglio andare in esplorazione» sussurra, tornando a
guardarmi.
La fisso, senza capire.
«Nell’appartamento?» chiedo scettico. “No, perché io
avrei in mente un altro paio di cose prima di alzarmi da
qui... ”.
«No, stavo pensando a questa mappa del tesoro che ho
disegnato su di te» mi dice, trascinando le dita avanti e
indietro sulla mia pelle.
Alzo un sopracciglio. Per tutta risposta, Anastasia
sfrega il suo naso contro il mio, delicatamente,
stuzzicandomi.
«E questo cosa implica esattamente, Miss Steele?» le
chiedo.
Le sue dita scendono dai capelli al mio volto.
«Voglio solo toccarti ovunque mi sia permesso» mi
dice, mentre il suo indice mi sfiora la guancia.
Le afferro piano il dito, portandolo alle labbra e
mordicchiandolo piano. In realtà sto solo cercando di
mascherare la tensione.
«Ahi» protesta mentre sogghigno, lasciandola andare
con un ghigno.
Poi sospiro a fondo, fissandola.
«Okay» le dico, senza smettere di essere preoccupato.
«Aspetta» la fermo poi.
Mi piego leggermente in avanti, sollevandola e mi sfilo
il preservativo, prima di buttarlo sul pavimento.
«Odio questi aggeggi. Ho intenzione di chiamare la
dottoressa Greene perché ti dia un’occhiata» le dico,
stiracchiando un po’ la schiena e rimettendola al suo
posto su di me.
«Credi che il miglior ginecologo di Seattle verrà di
corsa?» mi dice scettica.
«So essere molto persuasivo» mormoro, spostandole
una ciocca di capelli dietro l’orecchio. ‘L’ultima volta hai
sborsato 15mila dollari di persuasione, Grey’.
«Franco ha fatto un ottimo lavoro con i tuoi capelli. Mi
piace come te li ha scalati» le dico, cercando di distrarla
dal suo obiettivo. Sono troppo nervoso.
«Smettila di cambiare argomento» borbotta, mentre
piego le ginocchia e la spingo indietro di poco, mettendo
una leggera distanza.
Si apre deliziosamente per me, svelandomi un
fantastico scorcio del suo sesso ancora bagnato, e poggia i
piedi al lato delle mie gambe. Mi appoggio sui gomiti,
acuendo la distanza tra di noi. Sono nervoso, agitato.
«Un rapido tocco» la avverto piano.
Non smette di fissarmi mentre si china su di me,
passando le dita sulla linea rossa che mi attraversa il
corpo. Un brivido mi percorre. É paura. Ed è anche
desiderio. La sensazione è strana sulla mia pelle, e mi fa
sussultare. Lei si ferma, ma la verità è che sono
innegabilmente eccitato ed agitato al tempo stesso.
«Non devo» sussurra piano, ritraendo le dita.
«No, va benissimo. Solo accetta qualche... messa a
punto da parte mia. Nessuno mi tocca da tanto tempo»
mormoro sommessamente.
«Mrs Robinson?» chiede aggrottando la fronte.
Annuisco, sentendomi improvvisamente a disagio.
“Non come pensi tu, Ana. Elena mi ha toccato, sì. Ma
nessuno si è mai spinto fin dove sei arrivata tu. Tu mi hai
toccato il cuore”. La guardo e sembra arrabbiata. Mi
chiedo come mai prova così tanto rancore nei confronti di
Elena.
«Non voglio parlare di lei. Guasterebbe il tuo umore»
aggiungo in fretta, tentando di scrutare i suoi occhi, che
tiene abbassati.
«Posso gestirlo» mormora decisa.
«No, non puoi, Ana. Vedi rosso ogni volta che la
nomino. Il mio passato è il mio passato. È un fatto. Non
posso cambiarlo. Sono fortunato che tu non ne abbia uno,
perché impazzirei se l’avessi» le dico, accarezzandole il
viso con due dita.
Mi fissa con la fronte corrugata.
«Impazziresti? Più di quanto tu sia già?» mi dice poi,
sorridendo.
Trattengo un sorriso anch’io.
«Sono pazzo di te» sussurro piano.
«Devo chiamare il dottor Flynn?» mi dice, di nuovo
gioiosa.
«Non credo che sarà necessario» ribatto seccamente.
Mi appoggio indietro, con un leggero sospiro, e
distendo le gambe. Ana si sporge in avanti, poggiando le
sue morbide dita. Mi irrigidisco, mentre il suo tocco mi
sconvolge l’anima. Sono spaventato. Ma al tempo stesso,
voglio di più.
«Mi piace toccarti»
Le sue dita fanno un percorso tortuoso lungo la mia
pelle, scivolando sempre più giù. Sfiorano il mio ombelico
e poi il mio basso ventre. Schiudo le labbra, nuovamente
eccitato. Non riesco a trattenere un gemito di piacere. Le
sue dita scendono ancora, accarezzando la mia erezione.
«Ancora?» mormora maliziosa.
Le faccio un ampio sorriso.
«Oh, sì, Miss Steele, ancora»
Mi sporgo in avanti, baciandola a fondo. Le sue labbra
si scostano quasi subito e seguono il filo del rossetto sulla
mia spalla. Poi scendono, sui miei bicipiti.
«Piccola...» riesco a mormorare, prima che la sua
bocca si schiuda sul mio addome, dove poco prima erano
scese le sue dita.
Gemo, socchiudendo gli occhi, sopraffatto, ma senza
volermi perdere quel delizioso spettacolo. Mi bacia
appena sopra la mia erezione. E poi scende sulla mia
cappella. Il mio cazzo freme contro le sue labbra.
«Anastasia, fermati»
Le mie parole sono smorzate dal suo gemito che si
riverbera contro il mio uccello meravigliosamente teso.
“Cristo santo.” Mi avvolge il membro con le labbra,
mentre la sua lingua turbina in un modo così sensuale.
Resto poggiato su un gomito, mentre l’altra mano
raggiunge i suoi capelli, accarezzandola piano. Vorrei
fermarla, vorrei dirle che ho bisogno di essere di nuovo
dentro di lei. Ma è così bello quello che mi sta facendo. La
sua testa va su e giù sul mio membro eccitato. I suoi
mugolii di piacere contro la mia pelle mi stimolano e mi
portano sull’orlo dell’orgasmo. Cerco di resistere il più
possibile.
«Ana... Ana, fermati» mormoro a denti stretti.
Si alza di malavoglia, guardandomi spaesata. Prima
che possa replicare, la stendo sul letto e sono su di lei.
Infilo le dita tra di noi, raggiungendo il suo clitoride e
stimolandola. Geme languidamente sotto di me. Mi
sollevo, inginocchiandomi tra le sue ginocchia. Con gli
occhi fissi nei suoi mi sfilo in fretta i jeans e prendo il
secondo preservativo in tasca. Strappo freneticamente la
bustina e lo srotolo su di me. Ana ansima, fissandomi in
trepida attesa.
«Ti farò impazzire, Miss Steele. Così impari a
provocarmi in quel modo» le sussurro, lasciando scorrere
un dito sul suo sesso bagnato.
Poi, di colpo, mi chino tra le sue gambe e la penetro a
fondo. Inizio a scoparla al mio ritmo, con colpi secchi,
decisi. Le sue dita si aggrappano alla trapunta sotto di
noi. Il mio fiato è corto mentre ansimo contro il suo
orecchio, scendendo verso il collo. La mia mano destra
risale sul suo fianco, fino al seno. Le stringo forte un
capezzolo, e Ana urla, stringendosi attorno a me e
scoppiando in un orgasmo fragoroso. Spingo un’ultima
volta dentro di lei, e la seguo, crollando ansimante sul suo
corpo.
Quando esco dal mio bagno mi sento rilassato e fresco
come una rosa. É passata solo mezz’ora da quando sono
uscito dal suo corpo, lasciandola bearsi in pace sotto la
doccia, ma già mi manca. Mi sono rinfrescato, ma non ho
lavato via il rossetto dalla mia pelle. Voglio dare ad
entrambi la possibilità di continuare a vedere dove tutto
questo ci porta. Vorrei non dover uscire da questo
appartamento stasera, e restare a letto con lei. Mi vesto,
infilando una camicia bianca e i pantaloni della tua. Su un
ripiano, all’interno della mia cabina armadio, scorgo le
sfere d’argento. “Hai con te quelle sfere d’argento?”.
Ricordo la sua domanda di ieri sera. Bè... penso che
potremmo usarle stasera. Magari per movimentare il
ballo in maschera. Sorrido perfidamente, mentre le
afferro. A catturare la mia attenzione, però, è anche
un’altra cosa. Una piccola scatoletta di velluto rosso.
Prendo anche quella, con un tuffo al cuore, ed esco. Salgo
al piano superiore, sperando di trovarla nuda e bagnata.
Ma quando spalanco la porta, lo spettacolo che mi trovo
davanti è di gran lunga migliore. Il mio cuore manca un
battito, poi riprende a pulsare alla velocità della luce. E
pulsa anche qualcos’altro. Ana indossa nient’altro che un
bustier nero, con il bordo argentato, che le stringe la
sottile vita e le esalta il seno perfetto. Un paio di
mutandine striminzite completano il quadro, insieme con
lunghe calze di seta, color carne. É sexy da impazzire. La
fisso, incapace di spiccicare parola.
«Posso aiutarti, Mr Grey? Immagino che ci sia un
motivo per la tua visita, a parte fissarmi inebetito» mi
dice con finta superbia, girandosi ed entrando nella
cabina armadio.
«Mi piace abbastanza fissarti inebetito, grazie, Miss
Steele» mormoro, facendo un passo in avanti, verso di lei.
«Ricordami di mandare un biglietto di ringraziamento a
Caroline Acton»
Mi fissa per un attimo impietrita, con la fronte
corrugata, come per chiedermi chi diavolo è Caroline
Acton.
«La personal shopper di Neiman» le spiego, senza
smettere di guardarla da capo a piedi.
«Oh» esclama.
«Sono piuttosto distratto» le dico, tornando, con un
sospiro profondo, a guardarla negli occhi.
Cosa non facile. Anzi, davvero difficile in questo
momento.
«Lo vedo. Che cosa vuoi, Christian?» mi dice, tornando
seria.
Le faccio un sorrisetto sghembo. Tiro fuori le sfere
d’argento dalla tasca dei pantaloni dove le avevo riposte
qualche minuto fa. Sussulta, fissandole spaventata. La
rassicuro subito.
«Non è come pensi» le spiego.
“Non voglio sculacciarti, Anastasia. O meglio, sì, mi
piacerebbe. Ma non nel modo in cui pensi”.
«Illuminami» mormora.
«Pensavo che potresti mettertele stasera» le propongo
piano.
Spalanca gli occhi, senza dire nulla. Deglutisce mentre
il suo sguardo passa da me alle sfere. Le lascio assorbire
la notizia.
«A questo evento?» risponde scioccata quando
finalmente realizza.
Annuisco lentamente, mentre nella mia testa immagini
di come vorrei scoparla per bene, di nuovo, sempre, si
affollano.
«Dopo mi sculaccerai?» chiede con un filo di voce.
«No» le rispondo, ma la sua reazione mi stupisce. Non
c’è sollievo, anzi. Sembra quasi dispiaciuta del mio rifiuto.
Mi sento nuovamente pronto a prenderla, ma non
abbiamo abbastanza tempo ora. Rido piano. «Vorresti
che lo facessi?» le chiedo.
Deglutisce di nuovo, incerta. Ma rimane in silenzio.
«Bè, stai sicura che io non ti toccherò in quel modo,
neppure se mi preghi» le dico, guardandola negli occhi.
É sorpresa, ma prima che posa replicare e tentarmi, la
incalzo.
«Vuoi giocare a questo gioco?» continuo, tenendo le
sfere sul palmo della mia mano. «Le puoi sempre togliere,
se ti sembra troppo» aggiungo, con voce roca.
Il pensiero di lei e delle sfere d’argento e di tutte le
implicazioni possibili, mi sta esaltando abbastanza. Le
lancio un sorrisetto lascivo, dandole un’altra
considerevole occhiata.
«Okay» acconsente piano, respirando a fatica.
«Brava ragazza» le dico con un sorriso. «Vieni qui, te
le infilo dentro, dopo che ti sei messa le scarpe» aggiungo
con la voce carica di desiderio.
L’idea di vederla con addosso solo la lingerie e i tacchi
è quanto di più erotico riesca a concepire la mia mente.
“Cristo santo, quanto ti voglio Ana Steele”.
Si volta, guardando il paio di decolleté grigie dietro di
lei. Le porgo la mano, aiutandola a salirci sopra. Quando
le ha indossate entrambe, la conduco verso il letto. Poi mi
giro e torno a prendere la sedia accanto al muro.
Trascinandola di fronte a lei.
«Al mio cenno, ti pieghi e ti tieni alla sedia. Capito?» le
ordino piano, ardendo di desiderio al solo pensiero di
vederla in quella posizione.
«Sì» risponde piano.
«Bene. Ora apri la bocca» le ordino, tenendo il tono di
voce volutamente basso.
Il ricordo di quello che è successo poco prima sul letto
ancora disfatto per metà, mi accende di desiderio. Le
infilo l’indice in bocca, mentre Ana spalanca gli occhi per
la sorpresa.
«Succhia» le dico.
Senza proferire verbo, si aggrappa alla mia mano,
tenendola ferma e inizia a succhiarmi il dito. Geme,
assaporando più forte. Mi eccito ancora di più,
desiderandola in ginocchio, nuovamente ad accogliere il
mio enorme cazzo nella sua piccola bocca. Inspiro
profondamente, mentre noto le sue gambe stringersi di
poco. Infilo in bocca le sfere d’argento, lubrificandole e
riscaldandole. Anastasia si sbizzarrisce con il mio dito,
succhiandolo proprio come se fosse il mio uccello. Va su e
giù con la testa, aumentando il ritmo della suzione. Potrei
venire solo per questo. E infatti... “Merda. Devo
fermarla”. Provo a sfilare il dito, ma lei lo afferra con i
denti, mordicchiandomi piano. Sorrido, scuotendo la
testa. Mi lascia andare, mettendo un delizioso broncio. Le
faccio un cenno e subito si piega in avanti, reggendosi alla
sedia. Le mie dita si poggiano sulle sue mutandine,
scostandole piano. Le accarezzo il sesso lentamente,
scoprendola nuovamente bagnata. Infilo un dito dentro di
lei, disegnando cerchi lenti, stuzzicandola. La sento
gemere sommessamente, mentre inarca la schiena. Sfilo
piano il dito, e inserisco le sfere, una per volta,
spingendole dentro a fondo. Poi, sempre con cautela, le
rimetto a posto le mutandine. Mi abbasso, depositandole
un piccolo bacio sul sedere morbido. Lascio le mani
scorrere sulle sue gambe, dalle caviglie sino alle cosce. Le
bacio piano entrambe, appena sopra al bordo delle
autoreggenti.
«Hai delle gambe bellissime, Miss Steele» le sussurro
piano.
La afferro bruscamente all’improvviso, per i fianchi,
tirandola contro la mia erezione tesa in tutto il suo
splendore. Ana si lascia sfuggire un gemito roco.
«Magari ti prenderò in questo modo, quando
torneremo a casa, Anastasia. Ora puoi rialzarti» le
sussurro all’orecchio, dominandola. ‘Le vecchie abitudini,
Grey, sono dure a morire. E in questo momento non sono
l’unica cosa dura... ’. Mi chino per baciarle una spalla.
Prendendomi un attimo per respirare il suo profumo
sensuale. Infilo la mano in tasca ed estraggo la scatolina.
«Ti avevo comprato questi da indossare al galà di
sabato scorso» le dico, passandole il braccio intorno al
collo e aprendo la mano. «Ma poi mi hai lasciato, così non
ho avuto l’opportunità di darteli» le sussurro all’orecchio.
«Questa è la mia seconda chance» aggiungo,
mormorando appena le mie parole, nervoso, quasi come
se temessi un suo rifiuto.
Ana esita prima di aprire la scatola. Lo fa con dita
tremanti, scoprendo lo scintillante paio di orecchini di
diamanti. Il silenzio sembra durare un’eternità.
«Sono bellissimi» sussurra adorante. «Grazie» mi dice
felice.
Mi rilasso contro di lei, lasciando scorrere via da me la
tensione. Le deposito un altro bacio sulla spalla. Guardo il
suo seno, orlato da una bordatura argentata. Ricordo gli
abiti che ho approvato per lei. Credo di sapere cosa
indosserà staserà. E so che sarà fantastica.
«Indosserai il vestito di raso argento?» le chiedo,
strofinando il naso contro il suo orecchio, mentre la
stringo contro il mio corpo.
«Sì. Va bene?» chiede esitante.
«Certo. Ti lascio preparare» le dico a malincuore.
Mi allontano ed esco dalla camera in silenzio, senza
girarmi. Ho paura che non riuscirei proprio a resistere ad
un’altra occhiata a Miss Anastasia-Sexy-e-SeminudaSteele.
Mi aggiusto il papillon allo specchio, prima di prendere
i due sacchetti con le nostre maschere. Infilo il mio nella
tasca interna della giacca. Mentre porto il suo di là, dopo
aver preso una manciata di preservativi dal cassetto del
comodino. Non li conto neppure. Dopo lo spettacolino
che ho visto poco fa di sopra sono sicuro che li useremo
tutti. Ma proprio tutti. Taylor mi aspetta all’ingresso con
gli uomini della sicurezza. Riconosco la sentinella che ci
ha seguiti stamattina. Sawyer se non erro. Poggio il
sacchetto con la maschera sul bancone della cucina e mi
accordo con i ragazzi per la sicurezza di questa sera. Mi
assicuro che abbiano capito bene che non devono perdere
di vista Anastasia per nessun motivo. Ad un tratto noto
un moto di confusione e distrazione nei tre uomini che mi
stanno di fronte. Mi giro di scatto, cercando di capire cosa
succede. Wow. Di fronte a me c’è una vera e propria dea.
Il flessuoso corpo di Anastasia è avvolto in un morbido
abito di raso, senza spalline. Il poco trucco che ha esalta i
suoi lineamenti delicati, incorniciati dai suoi capelli
ondulati. La fisso intensamente, con il fiato trattenuto. Mi
avvicino a lei, baciandola sui capelli, adorante.
«Anastasia, sei strepitosa» le mormoro, mentre lei
arrossisce piano, guardando Taylor e gli uomini della
sicurezza.
«Un po’ di champagne prima di andare?» le chiedo,
desideroso di stare da solo con lei, di prenderci un
momento tutto per noi prima di darci in pasto alla folla.
«Grazie» mormora frettolosamente.
Faccio un cenno con la testa a Taylor, che si affretta ad
uscire con gli altri ragazzi. Mi avvicino al frigo e tiro fuori
una bottiglia di champagne.
«La squadra della sicurezza?» mi chiede, guardandoli
allontanarsi.
«Guardie del corpo. Sono sotto il controllo di Taylor. È
addestrato anche per questo» le dico, stappando la
bottiglia e riempiendole un flûte di champagne,
sorridendo.
«È molto versatile» commenta con un sorriso ironico.
«Sì, lo è» le dico con un sorriso. «Sei adorabile,
Anastasia. Salute» le dico, alzando il bicchiere a facendolo
tintinnare con il suo.
La fisso per un po’, scrutando le sue guance arrossate.
E non per il trucco.
«Come ti senti?» le chiedo, con la voce piena di
desiderio.
«Bene, grazie» risponde dolcemente.
Mi lascio sfuggire un ghigno sarcastico.
«Ecco, avrai bisogno di questo» le dico, passandole il
sacchetto di velluto che avevo poggiato lì accanto.
«Aprilo» le dico, mentre torno a dedicarmi al mio
champagne.
Mi guarda con aria curiosa, mettendo di lato il suo
bicchiere e aprendo il sacchetto. Tira fuori la maschera
argentata, ornata con grandi piume color cobalto. La fissa
con la fronte corrucciata.
«È un ballo in maschera» le spiego semplicemente.
«Capisco» mi dice, passando le dita sul nastro
d’argento intrecciato lungo i bordi.
«Farà risaltare i tuoi bellissimi occhi, Anastasia» le
dico, senza riuscire a smettere di fissarla.
Mi rivolge un piccolo sorriso timido, adorabile come
lei.
«Ne indosserai una anche tu?» mi chiede.
«Certo. Sono liberatorie, in un certo senso» aggiungo,
sorridendole misteriosamente.
La guardo e la sua espressione felice mi appaga. Vorrei
renderla ancora più felice. E mi viene in mente che posso
mostrarle una cosa.
«Vieni. Voglio farti vedere una cosa» le dico,
afferrandola per una mano e conducendola delicatamente
lungo il corridoio. Arriviamo accanto alle scale, ma invece
di salire apro la porta della biblioteca. Fremo per un
attimo, pensando che la stanza che corrisponde
esattamente a questa, al piano superiore, è la mia stanza
dei giochi. Sorrido tra me e me. É come se lo avessi
sempre saputo. La stanza qui sotto fa felice lei. Quella di
sopra fa felice me. O almeno lo ha fatto in tutti questi
anni. O meglio, credevo lo avesse fatto. Gli occhi di Ana
brillano di meraviglia, mentre scorrono i libri della
biblioteca, ammirano la lampada al centro e il tavolo da
biliardo che uso di rado, solo con Elliot in verità.
«Hai una biblioteca!» esclama entusiasta.
«Sì, la “stanza pallosa”, come la chiama Elliot.
L’appartamento è molto grande. Oggi mi è venuto in
mente, quando hai parlato di andare in esplorazione, che
non te l’ho mai mostrato tutto. Non abbiamo tempo
adesso, ma ho pensato di farti vedere questa stanza, e
magari di sfidarti a una partita a biliardo, in un futuro
non troppo lontano» le annuncio.
Ma nella mia mente su quel tavolo di certo non stiamo
giocando. Non nel modo in cui crede lei, almeno.
«Fatti sotto» mi sfida, un po’ troppo sicura di sé.
«Cosa?» le chiedo divertito dalla sua audacia.
«Niente» mi liquida, abbassando lo sguardo.
“Cosa mi nascondi, Miss Steele?”.
«Bè, forse il dottor Flynn saprà svelare il tuo segreto.
Lo incontreremo stasera» le dico con un sorriso.
Vorrei davvero che Flynn la conoscesse. Sarebbe fiero
di me. ‘Ti serve l’approvazione di Flynn, Grey?’. No. Certo
che no. Ma John mi direbbe se devo lasciarla in pace. Non
mi fido troppo del mio istinto. Ho paura di farle del male.
Ed è per questo che prima di cambiarmi gli ho inviato un
messaggio chiedendogli di conoscere Ana stasera.
«Il ciarlatano costoso?» mi chiede, non riuscendo a
nascondere un certo nervosismo.
«Lui in persona. Muore dalla voglia di conoscerti» le
dico, sorridendole e prendendole una mano nella mia.
«Andiamo» le sussurro, portandola fuori dalla
biblioteca e scendendo in garage, dove Taylor ci aspetta
accanto al SUV.
Entriamo e tra di noi cala il silenzio, ognuno immerso
nei propri pensieri. Ad un tratto le prendo la mano,
accarezzandola dolcemente. I suoi occhi si socchiudono e
il respiro si accelera. Sorrido piano, mentre lei guarda
nervosamente Taylor e Sawyer. Poi me. La stoffa del suo
vestito fa un leggero fruscio e so che ha stretto le gambe,
probabilmente sopraffatta dal piacere che le danno le
sfere d’argento. La guardo perdersi nei suoi pensieri per
un po’. Poi spalanca gli occhi e si gira di scatto verso di
me.
«Dove hai preso il rossetto?» mi chiede piano.
Faccio un sogghigno, indicando con l’indice teso Taylor
davanti a me.
«Taylor» le mormoro, muovendo appena le labbra.
Ana scoppia a ridere di gusto, per poi fermarsi
all’improvviso, col fiato corto.
«Oh» esclama subito.
La guardo mentre si morde il labbro. Le sorrido
maliziosamente.
«Rilassati»
le
sussurro
piano,
all’orecchio,
mordicchiandole il lobo. «Se diventa troppo...» mormoro,
senza finire la frase, baciandole le nocche delle mani,
Passo dalla sinistra alla destra. poi torno indietro e le
succhio la punta del mignolo. Anastasia chiude gli occhi,
poggiando la testa allo schienale dietro di lei. Quando li
riapre mi trova lì, a scrutare il suo desiderio. Mi guarda,
con uno sguardo di palese apprezzamento. Poi mi sorride
in una maniera splendida. Le sorrido di rimando, felice e
appagato.
«Quindi cosa dobbiamo aspettarci da questo evento?»
mi chiede, schiarendosi la gola.
«Oh, le solite cose» le rispondo con disinvoltura.
«Non solite per me» mi rammenta.
Mi giro a guardarla con affetto. E le bacio di nuovo la
mano. Averla vista senza il vestito, prima, mi rende
difficile starle lontano.
«Un sacco di gente che fa sfoggio del proprio denaro.
Asta, lotteria, cena, ballo... Mia madre sa come si dà un
party»
le
annuncio,
sospirando,
con
finta
disapprovazione.
Quando arriviamo una fila di auto si allunga sul
vialetto fuori casa, illuminate da una moltitudine di
lanterne cinesi. L’atmosfera è quasi magica. Ma forse a
renderla tale è solo la sua presenza accanto a me. Mi giro
e la osservo guardare incantata quella moltitudine di luci.
Prendo la maschera dalla tasca.
«Mettiti la maschera» le dico con un sorriso, mentre
indosso la mia, semplice e nera.
Ana mi osserva a bocca aperta per qualche attimo,
mentre Taylor accosta all’ingresso. Poi infila la sua
maschera.
«Pronta?» le chiedo con un sorriso divertito.
«Come sempre» mi provoca lei.
La fisso dalla testa ai piedi. Vorrei prenderla qui, ora. E
senza pietà. Ma abbiamo un impegno da rispettare.
«Sei bellissima, Anastasia» le sussurro, baciandole la
mano.
Le nostre portiere si aprono contemporaneamente,
grazie a Taylor e Sawyer.
Esco dall’auto, affondando i piedi sul morbido tappeto
verde scuro disteso sul prato. Faccio il giro dell’auto e mi
ritrovo accanto a lei. Le passo un braccio attorno alla vita,
mentre avanziamo insieme verso l’interno. Ad un tratto
mi sento chiamare. É uno dei fotografi dell’evento, che mi
invita a posare davanti al pergolato d’edera. Annuisco,
mettendomi in posa e attirando Ana ancora più vicina.
«Due fotografi?» mi chiede avvicinandosi all’orecchio.
«Uno è del “Seattle Times” e l’altro è per le foto
ricordo. Potremo comprarne una copia dopo» le dico
sorridendo.
Per tutta risposta abbassa lo sguardo, mentre
entriamo. La guardo e so che il pensiero, come il mio, è
corso all’ultima foto che abbiamo fatto insieme. Credo sia
con quella che Leila l’abbia trovata l’altra sera. Ma ora ci
sono io a proteggerla. Afferro due calici di champagne dal
vassoio di un cameriere, offrendogliene uno. Aiuterà
entrambi a rilassarsi.
Ci avviciniamo all’enorme tendone che ospiterà il
ricevimento. Ana osserva tutto con meraviglia. Dai cigni
all’ingresso all’orchestra che inizia a prendere posto.
«Quante persone verranno?» mi chiede, guardando
l’ampiezza del tendone che accoglierà la cena.
«Circa trecento, credo. Devi chiederlo a mia madre» le
dico sorridendole.
«Christian!»
La voce di Mia è udibile perfettamente al di sopra del
brusio di sottofondo. Mi giro appena in tempo per vederla
nel suo abito lungo di chiffon di un pallido rosa. Il viso è
coperto da una maschera veneziana molto elaborata. É
bellissima, come sempre. Ed esuberante. Come sempre.
Mi abbraccia, ma la sua attenzione è rivolta
immediatamente ad Anastasia.
«Ana! Oh, cara, sei meravigliosa!» le dice,
abbracciandola rapidamente, cogliendola di sorpresa.
«Devi venire a conoscere le mie amiche. Nessuna di loro
crede che Christian abbia finalmente una fidanzata»
squittisce divertita.
Ana mi lancia uno sguardo pieno di panico. la guardo
con divertita rassegnazione, mentre lascio che Mia la
trascini via.
«Christian»
Mi giro per trovarmi di fronte Flynn, vestito
impeccabilmente. Riconosco il suo sorriso rassicurante
nonostante la maschera.
«John» lo saluto cordialmente.
«É lei» chiede divertito, guardando Anastasia.
La fisso anch’io per qualche attimo.
«Sì» sussurro orgoglioso di lei, alla fine. «Più tardi te
la farò conoscere» gli dico con un ampio sorriso, prima di
scusarmi e andare a recuperarla.
Mi avvicino al gruppetto delle amiche di Mia, tra le
quali ho riconosciuto Lily, una piccola serpe vendicativa.
«Signore, se volete scusarmi, vorrei riavere indietro la
mia compagna» le dico, lasciando un braccio scivolare
attorno alla sua vita sottile, fasciata dal raso argentato.
Sorrido, lasciando le ragazze confuse. Il solito effetto. Mia
fissa Anastasia e poi alza gli occhi al cielo, divertita,
mentre anche Ana ridacchia.
«È stato un piacere conoscervi» la sento congedarsi,
mentre la trascino via.
«Grazie» mormora poi, avvicinandosi al mio viso
quando ci allontaniamo.
«Ho visto che c’era Lily con Mia.
persona sgradevole» le dico semplicemente.
È
una
«Tu le piaci» borbotta.
Istintivamente rabbrividisco.
«Bè, il sentimento non è reciproco. Vieni, ti presento
alcune persone» le dico deciso.
Per un po’ ci perdiamo in presentazioni varie, tra
personaggi dell’alta società, qualche attore e via dicendo.
L’élite di Seattle è tutta qui stasera. Stringo Ana accanto a
me, possessivamente, senza perderla di vista nemmeno
per un secondo. Un po’ perché voglio tenerla al sicuro. É
un po’ perché sono un fottuto bastardo che intende
lanciare un chiaro messaggio: lei è mia e non intendo
dividerla con nessun altro. L’agitazione di Ana cresce
secondo dopo secondo. Lo noto da i bicchieri di
champagne che continua a bere. É già arrivata al quarto,
mentre parliamo con Mr Eccles, amministratore delegato
di un’importante società con sedi sparse in tutto il
mondo.
«E così lei lavora alla SIP?» le chiede Eccles al di là
della sua maschera da orso. «Ho sentito voci di
un’acquisizione ostile»
La vedo arrossire furiosamente,
mascherarlo bevendo champagne.
cercando
di
«Sono una semplice assistente, Mr Eccles. Non sono al
corrente di queste cose»
Sorrido gentilmente ad Eccles e, fortunatamente,
veniamo interrotti dal maestro di cerimonie, vestito da
Arlecchino. «Prego, accomodatevi. La cena è servita»
Afferro la mano di Anastasia, e insieme a lei mi avvio
verso il tendone. Mi fermo a consultare la disposizione
dei tavoli, mentre Anastasia guarda a bocca aperta ogni
dettaglio della enorme sala da ballo. Poi la conduco verso
il tavolo centrale, da mia madre, vestita con un
meraviglioso abito verde luccicante, accanto a Mia.
Entrambe sorridono radiose.
«Ana, che piacere vederti di nuovo! Sei bellissima!» le
dice mia madre con un gran sorriso felice.
«Mamma» la saluto, baciandola compassato.
«Oh, Christian, così formale!» mi rimprovera mia
madre, scherzosamente.
Qualche attimo dopo ci raggiungono al tavolo i miei
nonni materni. Mi salutano con esuberanza, com’è nel
loro stile.
«Nonna, nonno, posso presentarvi Anastasia Steele?»
chiedo con un gran sorriso.
Mia nonna mi guarda con uno sguardo luminoso. Poi
dirige la sua attenzione su Anastasia.
«Oh, finalmente ha trovato qualcuno... che meraviglia,
e così carina! Speriamo che tu faccia di lui un uomo
onesto» le dice con enfasi, stringendole forte la mano.
«Mamma, non mettere in imbarazzo Ana» dice mia
madre, venendo in aiuto della mia povera fidanzata,
imbarazzata fino al midollo.
«Ignora questa vecchia sciocca e brontolona, mia cara»
ribatte mio nonno, con un sorriso caloroso. Il nonno le
stringe la mano, più formale, ma con eguale calore.
«Siccome è così anziana, pensa di avere il
sacrosanto diritto di dire qualsiasi sciocchezza le passi per
quella sua testa matta» le sussurra lui con fare
cospiratorio.
Mia, nel frattempo, si fa avanti, seguita da un ragazzo
alto, col volto coperto da una maschera anonima.
«Ana, questo è il mio fidanzato, Sean» dice,
all’improvviso timida, suppongo sia per la mia presenza.
Sean rivolge un sorriso malizioso ad Ana e, se
possibile, lo odio ancora più di quando Mia mi ha
avvertito della sua presenza, qualche giorno fa, con un
sms.
«Piacere
arrossendo.
di
conoscerti,
Sean»
sussurra
Ana,
Poi è il mio turno di stringergli la mano. Lo guardo
severamente, minacciandolo con lo sguardo.
Con la coda dell’occhio colgo Anastasia lanciare un
sorriso di solidarietà a Mia. Quando tutti hanno preso
posto finalmente si sente anche la voce di mio padre, sul
palco accanto al maestro di cerimonie, con indosso una
maschera dorata di Pulcinella.
«Benvenuti, signore e signori, al nostro annuale ballo
di beneficenza. Spero che gradirete quello che vi abbiamo
preparato stasera e che frugherete a fondo nelle vostre
tasche per dare supporto al fantastico lavoro che la
nostra squadra porta avanti con Affrontiamolo Insieme.
Come sapete, è una causa che sta molto a cuore a mia
moglie e a me»
Fisso impassibile il palco. le parole di mio padre mi
colpiscono come sempre. Ma a colpirmi di più, quando mi
volto al mio fianco, sono gli occhi azzurri spalancati di
Anastasia. Che mi fissano con ardore. Le sorrido
rapidamente, prima di voltarmi di nuovo. Mi sento molto
vulnerabile stasera.
«Ora vi lascio nelle mani del nostro maestro di
cerimonie. Prego, accomodatevi e divertitevi» conclude
Carrick, lasciando il microfono tra gli applausi e
scendendo per dirigersi al nostro tavolo. Quando arriva
da noi si china su Anastasia, baciandole le guance.
«Che bello rivederti, Ana» mormora con un sorriso.
Poi passa a darmi una pacca affettuosa sulla spalla,
prima di prendere posto accanto alla mamma.
«Signore e signori, vi prego di nominare un
capotavola» dice il maestro di cerimonie.
«Oh, io, io!» ci distrae Mia, saltellando sulla sedia.
«Al centro del tavolo troverete una busta» prosegue il
maestro
di
cerimonie.
«Ognuno
dovrà trovare,
elemosinare, farsi prestare o rubare una banconota del
valore più alto possibile, scrivervi sopra il suo nome e
metterlo nella busta. I capitavola, per cortesia, devono
avere cura delle buste. Ne avremo bisogno più tardi»
Anastasia abbassa lo sguardo, viola dall’imbarazzo.
Sorrido, estraendo due banconote da cento dollari,
porgendogliene uno.
«Ecco» le dico con un sorriso.
«Te li ridarò» sussurra lei, ancora imbarazzata.
Stringo le labbra, senza commentare. “Quando capirai
che tutto quello che ho è tuo?”. Dopo aver scritto il mio
nome sulla banconota, le passo la stilografica. Ana scrive
la sua firma svolazzante. Quel momento mi ricorda quella
prima sera all’Escala, quando scrisse la stessa firma
svolazzante sul nostro accordo di riservatezza. Mia fa
girare la busta, raccogliendo entusiasta le banconote.
Anastasia tenta di distrarsi, leggendo il menu della serata.
Mentre, per un attimo, mi perdo a guardare il suo profilo
incorniciato dal tramonto di Seattle che si intravede fuori.
Mi giro, improvvisamente a disagio. Mi sento osservato,
ma non riesco a scorgere nessuno in particolare.
Veniamo serviti e Ana mangia con appetito. Sospetto
sia a causa di tutto il movimento extra di oggi pomeriggio.
«Fame?» le mormoro, ovviamente non riferendomi
solo al cibo.
Alza audacemente lo sguardo, fissandomi vogliosa.
«Molta» sussurra.
Il mio cazzo si tende immediatamente a quella
ammissione. Inspiro a fondo, fissandola ardentemente.
Mio nonno ruba la sua attenzione, mentre Mia eclissa
tutti al tavolo. Lance, un amico di famiglia, cattura invece
la mia di attenzione, mentre discorriamo dei nuovi
dispositivi
cellulari
con
tecnologia
ricaricabile
manualmente, con manutenzione minima. Dopo diverse
presentazioni, sto ancora cercando di convincere Lance
che sì, davvero voglio brevettare quel tipo di tecnologia e
diffonderla in modo gratuito. Scorgo Mia sporgersi verso
Anastasia e sussurrarle qualcosa, ma senza riuscire ad
afferrare nulla se non lei che annuisce.
Arrivati al dessert Anastasia si agita sulla sedia. So il
perché. E questo mi eccita. Immagino come dev’essere
meravigliosa lì sotto. Il pensiero mi rende agitato e
impaziente. Il maestro di cerimonie raggiunge il nostro
tavolo insieme a Gretchen, la nostra domestica, per
l’estrazione della banconota fortunata. fingo di non
riconoscerla, nonostante gli sguardi che sento addosso. A
vincere è Sean, che sorride per il premio ricevuto, ovvero
il cestino di leccornie avvolte nella seta. Appena entrambi
si allontanano, Ana si scusa e fa per alzarsi. “Oh, no, Miss
Steele. Voglio togliertele io quelle sfere. E riempirti in un
altro modo”. Il solo pensiero mi fa venire una poderosa
erezione che ora come ora non saprei come nascondere.
Ma non mi importa. La fisso ardendo di desiderio.
«Hai bisogno della toilette?» le sussurro con voce roca.
Annuisce, stringendo i pugni per trattenere le
sensazioni al di sotto della sua vita.
«Te la mostro» le dico, alzandomi con lei, subito
seguito da tutti gli uomini del tavolo.
Non vedo l’ora di essere da solo con lei. Non vedo l’ora
di lasciare scivolare le mie mani tra le sue gambe,
infilando le dita nel suo sesso bagnato. Non vedo l’ora di
liberare la mia erezione e...
«No, Christian! Non andare tu con Ana. L’accompagno
io» asserisce Mia ad alta voce, alzandosi in piedi e
avvicinandosi ad Ana.
Stringo forte la mascella, maledicendo me stesso
perché le permetto di parlare anche quando non
dovrebbe. Ana si stringe nelle spalle, mentre mi siedo di
nuovo, rassegnato. Anzi, il termine adatto è frustrato.
Giocherello con il tovagliolo nell’attesa di rivederla e,
quando finalmente torna da me ha le guance arrossate e
un’espressione frustrata. “So io come ti sentiresti meglio,
Anastasia”. Le lancio un sorrisetto, facendola una muta
promessa di piacere. Le stringo forte la mano, mentre mio
padre sale di nuovo sul palco e io tento di concentrarmi
su di lui, passandole la lista degli oggetti messi all’asta. La
sbircio mentre scorre la lista e poi sbatte velocemente le
palpebre.
«Hai una proprietà ad Aspen?» sibila sottovoce,
distraendomi.
Per un attimo il ricordo di quante donne si sono
dimostrate interessate solo a quello che possiedo, mi fa
irritare. La fisso, annuendo bruscamente. Ma poi mi
rilasso. Anastasia non è come loro. Metto il dito sulla
bocca, per zittirla.
«Hai altre proprietà in giro?» sussurra, e io la guardo
con la testa piegata, a mo’ di avvertimento. So che si
comporta così perché è sessualmente frustrata. Ma ad
un’asta si sta in silenzio. Il nostro gioco di sguardi è
interrotto dall’applauso per l’aggiudicazione del primo
lotto sulla lista.
«Te lo dico dopo» le mormoro chinandomi sul suo
orecchio. Poi mi ammorbidisco. «Sarei voluto venire con
te» le dico, mettendo un piccolo broncio.
Ana si gira leggermente di lato, facendo la scontrosa.
La vedo fissare la lista dei lotti e poi guardarsi intorno. La
leggo anch’io. E all’improvviso capisco il reale motivo del
suo malumore. Voglia di sesso a parte. É Elena. Ma lei,
fortunatamente non c’è. Restiamo in silenzio, a seguire
l’asta e applaudire, mentre i nostri desideri e le nostre
voglie insoddisfatte ci logorano l’anima. É la volta del mio
lotto, la settimana ad Aspen, che dopo appena due offerte
raggiunge i ventimila dollari. Sto pensando a quella casa,
a quanto mi piacerebbe portarci la donna della mia vita,
che in questo preciso momento è seduta al mio fianco. Ma
ad interrompere le mie fantasticherie è proprio la voce
della donna della mia vita.
«Ventiquattromila dollari!» urla nella sala.
Sussulto, trattenendo il fiato. “No. Non l’ha fatto. Non
è possibile che abbia appena offerto a me i soldi che io le
ho regalato. É... è impossibile che abbia osato sfidarmi
fino a questo punto”.
Ci fissano tutti. La rabbia mi attraversa come una
scossa. E sono sicuro che anche lei la percepisce.
«Ventiquattromila dollari per la bella signorina con il
vestito argentato. Ventiquattromila dollari e uno,
ventiquattromila dollari e due... Aggiudicato!» urla il
maestro di cerimonie.
E in quel preciso istante ho una vaga nostalgia del
vecchio Christian. Perché so che il posto dove vorrei
metterla ora è proprio qui, sulle mie ginocchia, per
sculacciarla per bene come merita e poi scoparla fino a
farla impazzire di piacere e farle passare la voglia di fare
l’impertinente con me.
Capitolo 10
Anastasia rimane paralizzata, mentre tutti intorno a
noi, me compreso, si lasciano andare ad un applauso
fragoroso e stupito. “Quale donna pagherebbe 24mila
dollari per passare una settimana in una proprietà del suo
fidanzato?”. Anastasia, ovviamente. Come se avesse
sentito i miei pensieri, alza lo sguardo su di me, temendo
la mia reazione. Mi avvicino al suo viso, con un sorriso di
cortesia, che nasconde in realtà un fiume di rabbia.
«Non so se gettarmi ai tuoi piedi oppure
sculacciarti fino a farti passare la voglia» le sussurro in un
impeto di furia.
La sento sussultare, mentre il respiro le si blocca per
qualche attimo. Poi si volta lentamente verso di me,
sbattendo piano le ciglia in quel suo modo così sexy e
dolce al tempo stesso e avvicinandosi al mio orecchio.
«Opterò per la seconda possibilità» sussurra
velocemente, mentre i rumori di sottofondo scemano
piano.
L’effetto su di me è immediato. Il mio sesso pulsa a più
non posso e non vorrebbe altro che esaudire la sua
richiesta. Vedo nei suoi occhi lo stesso bisogno
primordiale che alimenta me stesso. Senza fiato, eccitato,
le sorrido radioso. Perché in questo momento sono certo,
assolutamente certo, che Anastasia è totalmente
concentrata sul pensiero di quello che io, solo io, posso
darle. Quella consapevolezza è come una manna dal cielo.
Riesce a rendere il pensiero di volerla sculacciare non più
doloroso.
«Stai soffrendo, vero? Vedremo cosa posso fare per te»
le mormoro, avvicinandomi di poco e lasciando le mie
dita scorrere delicatamente sulle sue guance.
A malincuore riportiamo l’attenzione su quello che ci
circonda. Sorrido tra me e me, mentre inizia la mia
tortura. “Non posso portarti nella mia stanza segreta,
Anastasia. ma posso sfinirti lo stesso anche stando
comodamente seduto accanto a te”. Con una mossa
studiatamente casuale, sposto il braccio, mettendoglielo
attorno alle spalle. Il mio pollice le accarezza in maniera
lenta e costante la pelle della schiena. La sento
rabbrividire, mentre si sposta sulla sedia, avvicinandosi al
mio corpo. Con l’altra mano le prendo la sua,
stringendola delicatamente e baciandola piano. Nel
riportarla giù, sposto la traiettoria, portandola sul mio
grembo. Ana non si accorge subito del mio gioco
perverso. All’improvviso la sento sussultare. Ha appena
incontrato la durezza del mio sesso in tutto il suo
splendore. I suoi occhi sono pieni di panico, ma la
maschera copre abbastanza il suo rossore. Nessuno ci
guarda, nessuno nota quello che stiamo facendo. Ma dopo
i primi attimi di shock, mi sorprende, come sempre.
Lentamente le sue piccole dita iniziano a carezzarmi
furtivamente. La mia mano, più grande della sua, copre i
suoi gesti, nascondendo il piccolo incontro dei nostri
desideri. Lascio il mio pollice vagare sulla candida pelle
del suo collo, facendolo scivolare avanti e indietro. Le sue
dita non smettono di toccarmi piano, facendomelo
diventare duro come la pietra. Sento che sto perdendo il
controllo. Potrei venire da un momento all’altro. Il solo
pensiero di quello che mi sta facendo, di quello che le farò
io da qui a qualche minuto, mi fa perdere l’autocontrollo.
Gemo piano, quasi impercettibilmente, ma so che lei se
n’è accorta. E sembra anche soddisfatta. Il mio perfido
piano mi si è appena ritorto contro.
«Aggiudicato, per centodiecimila dollari!»
Il maestro di cerimonie interrompe il nostro giochino
nascosto e, nostro malgrado siamo costretti ad
applaudire, rovinando il divertimento. “Devo uscire di qui
con lei. Ora”. Abbiamo tutto il tempo dell’asta di
beneficenza. Posso scoparla a fondo, perdermi dentro di
lei mentre, a pochi metri da noi, la gente si diverte e fa
chiasso. Il solo pensiero mi rende difficile non esplodere
quasi istantaneamente. Mentre gli applausi scemano, mi
volto verso di lei, con un sorrisetto perverso.
«Pronta?» le chiedo con la voce bassa e carica di
desiderio.
«Sì» mormora piano, con la voce altrettanto roca.
«Ana!» sento la voce di Mia al di sopra del brusio. «È
ora!»
Il cuore mi cade con un tonfo sotto i piedi. “Ma che
cazzo...?”
Ana ha la mia stessa reazione, mentre si gira di scatto
verso mia sorella che le lancia un sorriso smagliante.
«Ora di cosa?» chiede confusa.
«Dell’asta per il primo ballo. Vieni!»
Mia si alza, porgendole la mano e attendendo. Mi giro
verso mia sorella, guardandola furiosamente. Lei per
tutta risposta mi fa un ampio sorriso, tornando a fissare
Anastasia.
Ana scuote piano la testa. Poi, all’improvviso, scoppia a
ridere fragorosamente. La guardo, mentre Mia le afferra
la mano, facendola alzare dalla sedia. Le lancio uno
sguardo, ma vederla così spensierata, di colpo, in mezzo a
tutta quella situazione assurda, me la fa amare ancora di
più. Riluttante, le faccio un sorriso breve. ‘Cosa sarà mai,
Grey? La tua donna sta solo per mettersi all’asta’.
«Il primo ballo sarà con me, okay? E non sarà sulla
pista» le mormoro all’orecchio, mentre lei si avvicina a
me.
Il suo sguardo è trepidante, al di sotto di quella
maschera argento. La sua risata si smorza all’improvviso
e il respiro le si mozza in gola.
«Non vedo l’ora» mormora, chinandosi verso di me, e
poggiandomi un casto bacio sulle labbra che mi lascia
sorpreso e piacevolmente agitato. Con la coda dell’occhio
mi accorgo che tutti i nostri commensali ci guardano a
bocca aperta. Torno a concentrarmi su di lei. Le faccio un
gran sorriso, felice. “É così bello mostrare al mondo
quello che sono con te, l’uomo che tu hai fatto rinascere
dalle sue stesse ceneri e da quelle del suo passato”.
«Vieni, Ana» insiste Mia, trascinandola verso il palco,
dove si sono già radunate alcune ragazze.
«Signori, il momento clou della serata! Il momento che
tutti voi stavate aspettando!
Queste dodici adorabili signorine hanno acconsentito a
mettere in palio il loro primo ballo al migliore offerente!»
urla il maestro di cerimonie.
Osservo Anastasia e il suo imbarazzo è palese. Sono
certo che Mia non le ha spiegato in cosa consistesse l’asta.
Sogghigno mentre, mi alzo dal tavolo e, insieme a buona
parte dei presenti mi avvicino al palco. Due tavoli più
avanti trovo Flynn e Rhian. E mi viene in mente un’idea.
Mi avvicino, sorridendo a Rhian.
«Posso rubarti John per un po’?» le dico.
Lei mi fa un gran sorriso sincero.
«É tutto tuo» mi dice gentile.
Flynn si scusa con i commensali e si alza, guardandomi
con aria interrogativa. Quando gli spiego, in mezzo al
frastuono, quello che ho in mente scoppia in una risata
fragorosa, chinando la testa all’indietro. Poi si abbassa,
mormorando qualcosa all’orecchio di sua moglie Rhian.
Lei lo guarda con aria interrogativa, per poi rivolgere la
sua attenzione a me con la fronte corrugata. Lui le
mormora di nuovo all’orecchio, e lei, alla fine, ridacchia,
scuotendo la testa. John le deposita un piccolo bacio sulla
tempia, accarezzandole i capelli. E io, osservandoli, mi
ritrovo a pensare che è quello ciò che voglio con
Anastasia. Tutto quello. La consapevolezza di averla al
mio fianco, sempre. Forse... forse è solo in questo modo
che mi convincerò che lei, nonostante io sia così tanto un
casino, vuole davvero stare con me.
«Signore e signori, com’è tradizione di questo ballo,
manterremo il mistero, le dame terranno la maschera e
noi useremo solo i loro nomi di battesimo. Per prima
abbiamo l’adorabile Jada»
Il maestro di cerimonie annuncia una ragazza vestita di
blu. Due ragazzi si fanno avanti, lanciando offerte.
«Jada parla fluentemente giapponese, è pilota di caccia
qualificata e ginnasta olimpica... mmh». Il maestro di
cerimonie strizza maliziosamente l’occhio a noi del
pubblico.
«Signori, quanto offrite?»
Rapidamente
le
cinquemila dollari.
offerte
salgono
fino
a
«Cinquemila dollari e uno, cinquemila dollari e due...
aggiudicata! Al gentiluomo con la maschera!»
Una risata generale si alza, tra fischi e schiamazzi per
l’inutilità dell’informazione. Jada sorride e scende
velocemente dal palco, per raggiungere il suo cavaliere.
Mia si avvicina ad Anastasia, con un sorriso. Parlottano
per qualche attimo. Vedo Ana aggrottare la fronte, mentre
il maestro di cerimonie annuncia Mariah, la seconda
ragazza, vestita in rosso.
«Signori, vi presento la meravigliosa Mariah. Cosa ne
facciamo di Mariah? È un’esperta torera, suona il
violoncello ed è una campionessa di salto in alto... Cosa
ne pensate, signori? Da quanto partiamo per un ballo con
la deliziosa Mariah?»
Una serie di offerte e, quasi subito, Mariah è
aggiudicata per 4mila dollari. Lo sguardo di Ana, per un
attimo, si fissa nel mio, Poi lei si sporge verso Mia,
chiedendole qualcosa. Mia sorella aggrotta la fronte,
palesemente perplessa. Poi risponde alla sua domanda.
Ana resta a bocca aperta, mentre non riesco a
concentrarmi sull’ennesima ragazza messa all’asta. Mia
continua a parlare, mentre l’espressione di Anastasia è
sempre più basita. “Cosa diavolo le starà dicendo?”. Un
brivido mi percorre la schiena. Vengo distratto da un
movimento alla mia sinistra. Mi giro, ma non noto nulla
di strano. Poi guardo Flynn, che mi fa un gesto
interrogativo. Scuoto piano la testa, tornando a
concentrarmi sul palco. Guardo Ana, e i suoi occhi,
ancora una volta, sono fissi su di me.
«E ora permettetemi di presentarvi la bellissima Ana»
annuncia il maestro di cerimonie.
Bene, tocca a lei. Cerco di rilassarmi. Anastasia fa un
passo avanti, traballando. Immagino come si sente in
imbarazzo in questo momento. Mi guarda terrorizzata,
mentre le lancio un’occhiatina maliziosa.
«La bellissima Ana suona sei diversi strumenti, parla
fluentemente il mandarino ed è un’esperta di yoga...
Ebbene, signori...»
«Diecimila dollari» dico a voce alta ma calmo,
interrompendo il maestro di cerimonie.
Un sussulto generale accoglie le mie parole. Tutti
sanno benissimo che sto marcando il mio territorio. Ma
non mi importa. Flynn, da bravo complice, inizia la
nostra messinscena.
«Quindicimila» offre, dal suo angolo di sala.
Anastasia sussulta, fissandomi. Mi gratto il mento,
lanciando un sorrisetto a Flynn. Lui mi risponde con un
cenno della testa, a mo’ di saluto.
«Bene, signori! Abbiamo delle offerte alte questa sera»
annuncia il maestro di cerimonie, eccitato, mentre mi
sorride.
«Venti» ribatto tranquillamente.
La folla mormora a bassa voce, facendosi attenta. É
come se tutti avessero paura d una mia reazione.
«Venticinque» annuncia Flynn, in tutta tranquillità.
Anastasia è impalata sul palco, sotto gli occhi attenti di
tutti, all’improvviso ambito premio di una gara all’ultimo
centesimo. Posso solo immaginare come questo la faccia
sentire. Un moto di compassione per lei mi fa decidere di
chiudere qui il gioco che volevo far durare un altro po’.
«Centomila dollari» dico tranquillamente, mentre
Flynn alza le mani ridacchiando, in gesto di resa.
Centomila dollari era la nostra cifra massima. Sa che
dobbiamo fermare il nostro gioco. La gente ci fissa tra lo
sbalordimento e il divertimento. Mia, accanto ad
Anastasia, saltella gioiosamente.
«Centomila dollari per la dolce Ana! Centomila dollari
e uno... centomila dollari e due...»
Il maestro di cerimonie guarda Flynn, ma lui scuote la
testa, rinunciando a fare un’altra offerta. Poi si congeda,
con un inchino in perfetto stile british.
«Aggiudicata!» grida il maestro di cerimonie con
trionfo.
Applausi e grida ci avvolgono, mentre mi avvicino ad
Anastasia e, sorridendole, l’aiuto a scendere. Le lancio un
sorrisetto, poi le bacio cavallerescamente la mano,
infilando il suo braccio sotto il mio e conducendola verso
l’uscita del tendone. Ana si rilassa di poco.
«Chi era quello?» chiede piano.
La guardo, senza riuscire a nascondere il divertimento.
«Qualcuno che conoscerai più tardi. Ora, voglio
mostrarti qualcosa. Abbiamo circa mezz’ora prima che
l’asta del primo ballo sia finita. Poi dovremo essere di
ritorno sulla pista, in modo che io possa godermi il ballo
per cui ho pagato»
«Un ballo molto costoso» mormora lei con disappunto.
«Sono sicuro che vale ogni singolo centesimo» le dico,
sorridendole maliziosamente.
Sento Anastasia trattenere il respiro e guardarmi con
desiderio, mentre anche la mia voglia di possederla torna
a farsi viva e a pulsarmi dentro. Usciamo fuori, sul prato.
E all’improvviso sento che la decisione che ho preso due
minuti fa è quella giusta. Non voglio portarla in quella
rimessa delle barche, dove le ho negato il piacere poche
settimane fa. Voglio portarla in un posto nuovo, dove non
sono mai stato con nessun altro se non con me stesso.
Rapidamente la conduco attraverso la pista da ballo e poi
apro la portafinestra sul retro della casa dei miei genitori.
Attraversiamo il salotto privato, che affaccia sul prato, e
poi la conduco verso lo scalone che sale ai piani superiori.
Saliamo in silenzio, mentre Ana sfila il braccio dal mio
per reggersi il vestito. Arrivo al primo pianerottolo e
continuo a salire, fino al secondo piano. Attendo che Ana
sia al mio fianco prima di aprire una delle porte del
corridoio. Una porta bianca, dietro la quale si cela un
pezzo della mia vita. Un pezzo doloroso della mia vita. E
anche confortante in un certo senso. E siamo di nuovo
così. Io e lei. E una porta da cui dipende il nostro futuro.
Ma, questa volta, il passo da compiere è più doloroso per
me che per lei. La apro, lasciandola passare per prima.
«Questa era la mia stanza» le dico chiudendo al porta
alle mie spalle.
Vi rimango appoggiato contro, mentre la fisso. Si
guarda intorno, ammirando una stanza che contiene
quello che sono stato. Grande, semplice, con pochi
mobili. Il letto matrimoniale, una scrivania con una sedia,
libri, trofei di kick boxing. Alle pareti ci sono ancora i
poster di alcuni film, il poster di Giuseppe Di Natale, e la
bacheca con appuntati sopra biglietti dei miei viaggi, di
concerti e gagliardetti. Lì c’è anche lei. Non ho mai avuto
il coraggio di togliere quella foto. Di strapparla o
bruciarla. É lì, sulla bacheca del mio passato. Perché nel
mio futuro non c’è posto per nient’altro se non Anastasia.
I miei occhi accarezzano piano il suo corpo sensuale,
avvolto dal raso color argento. Il desiderio represso
nell’ultima mezz’ora torna prepotente come non mai.
Quando si gira a guardarmi la fisso a fondo.
«Non ho mai portato qui una ragazza» mormoro
piano.
«Mai?» sussurra con la voce roca.
Scuoto piano la testa. “Solo tu, Miss Steele”. Ana mi
guarda trepidante. Indossiamo ancora entrambi le
maschere. E... voglio che la indossi anche mentre lo
facciamo. É erotico, in un certo senso. L’ho già fatto in
passato, ma con lei... è tutto come se fosse la prima volta.
Mi scosto dalla porta, avanzando verso di lei e girandole
attorno mi piazzo di fronte ai suoi occhi azzurri.
«Non abbiamo molto tempo, Anastasia, e da come mi
sento in questo momento, non ci occorrerà tanto. Voltati.
Lascia che ti tolga quel vestito» sussurro voglioso.
Trattiene il fiato, obbedendo e girandosi verso la porta.
Mi chino verso il suo orecchio.
«Tieni su la maschera» le dico piano, accarezzandole
l’orecchio con la punta della lingua.
Ana geme, mentre il suo corpo si contorce contro il
mio. Afferrando la parte alta del suo vestito, lascio le mie
dita vagare sulla sua pelle nuda prima di tirare
rapidamente giù la cerniera. Reggo l’abito mentre lei ne
esce con grazia, poi mi giro, poggiandolo sulla sedia lì
accanto. Mi sfilo la giacca, poggiandola sul suo vestito.
Poi mi giro, prendendomi qualche istante per rimirarla. É
in piedi, vestita con il corsetto nero, le mutandine
minuscole, i tacchi alti e la maschera. É la realizzazione di
un sogno ad alto tasso erotico.
«Lo sai, Anastasia» le dico, avvicinandomi mentre mi
sciolgo il papillon, senza sfilarlo. Poi passo ai primi
bottoni della camicia, liberandomi un po’. «Ero così
arrabbiato quando hai vinto il mio lotto d’asta. Mi sono
passati per la testa un milione di pensieri. Ho dovuto
ricordare a me stesso che le punizioni sono fuori dal
nostro accordo. Ma poi ti sei offerta volontaria» le dico,
fissandola per sondare la sua reazione. «Perché lo hai
fatto?» sussurro guardandola attentamente.
«Volontaria? Non lo so. Frustrazione... troppo alcol...
una buona causa» mormora, le sue parole sono una dolce
tentazione mentre si stringe nelle spalle.
Per un attimo il pensiero di poterle fare, anche
inavvertitamente del male, mi squarcia il petto. Ma poi mi
calmo. Posso farcela. Posso darle quello che entrambi ora
vogliamo. Stringo forte le labbra, poi passo la mia lingua
sul mio labbro superiore. Sono eccitato, impaurito. La
desidero e la temo. É la mia dea, la mia anima, il mio
tutto.
«Ho giurato a me stesso che non ti avrei
più sculacciata, nemmeno se mi avessi supplicato» le
dico, combattendo una dura lotta interiore. Ma so già
come andrà a finire. Questa donna mi sfinirà.
«Per favore» implora maliziosa, ondeggiando i fianchi
a destra e sinistra, mentre intreccia le dita sul suo ventre.
La visione mi ammalia. Parlo quasi senza rendermene
conto.
«Ma poi mi sono reso conto che probabilmente sei
molto a disagio in questo momento e che è una cosa a cui
non sei abituata» le dico con un sorrisetto bastardo,
sapendo perfettamente quanto l’ho provocata, quello che
le ho fatto per tutta la sera. ‘Volevi portarla a supplicarti
di farle del male, Grey?’. No, certo che no. Ma sono
contento di essere qui, in questa stanza e in questa
situazione. Non dimenticherò facilmente l’immagine di
Anastasia vestita praticamente di nulla, che implora per
farsi sculacciare.
«Sì» sospira eccitata.
«Perciò, potrebbe esserci un certo... spazio di manovra.
Se lo faccio, devi promettermi una cosa» le mormoro
seducente. Anche se credo che non abbia bisogno di
essere sedotta.
«Qualsiasi cosa» acconsente, impaziente come al
solito.
Immagino già il lago bagnato che troverò tra le sue
gambe tra meno di qualche attimo.
«Userai la safeword, se ne avrai bisogno, e io farò solo
l’amore con te, okay?»
«Sì» risponde senza fiato.
Ma ho bisogno di questa rassicurazione. Ho paura. Per
la prima volta nella mia vita, ho paura di stare con una
donna. Dopo l’ultima volta in cui mi sono trovato in una
situazione simile, forse è comprensibile. Ma forse ho
anche bisogno di questo per provare a lei, ma soprattutto
a me stesso che sono cambiato sul serio.
Le prendo la mano e la porto verso il letto, scostando la
trapunta. Afferro il cuscino e lo sposto accanto a me,
sedendomi. La fisso per un istante, poi la tiro forte verso
di me. Mi cade in grembo e non perdo tempo. Mi aggiusto
e la sposto nella posizione migliore per entrambi. Il suo
petto è sul cuscino, il suo viso di lato.
Mi chino verso di lei, scostandole i capelli dalla spalla e
lasciando le dita scorrere tra le piume delicate della sua
maschera.
«Metti le mani dietro la schiena» mormoro al suo
orecchio.
Obbedisce piano, mentre mi sfilo il papillon e lo uso
per legarle i polsi. Ma prima di procedere devo essere
certo di quello che sto facendo.
«Lo vuoi davvero, Anastasia?» chiedo, con una nota di
agitazione percepibile nella voce. Sento il suo corpo
riempirsi d’aria e poi lei espira profondamente.
«Sì» sussurra, mentre i miei occhi accarezzano la pelle
candida al di sotto del suo corsetto.
«Perché?» le chiedo dolce, lasciando la mia mano
accarezzarle piano il sedere. Morbido ed invitante.
Il suo gemito di desiderio potrebbe essere una risposta
sufficiente. Per il mio cazzo sicuramente lo è, dato che sta
per perforarmi i pantaloni e penetrarla.
«C’è bisogno di una ragione?» chiede desiderosa di
avere di più.
«No, piccola» le dico rassicurandola, mentre continuo
ad accarezzarla. «Sto solo cercando di capirti»
La mia mano sinistra stringe il suo polso, mentre
sollevo l’altra in aria. Le sferzo il primo colpo, affondando
con forza sulla sua carne morbida. La sensazione che
provo è nuova. Non è per vendetta, o per crudeltà. É
amore. É carnale, passionale. É desiderio fisico di lei. La
sento gemere forte. Prima che possa pensarci troppo, la
colpisco di nuovo. Geme ancora più forte, con voce rauca.
«Due» mormoro, trattenendomi a stento. «Arriveremo
a dodici» le dico.
La accarezzo mentre le parlo, gentile e delicato, in
netto contrasto con la durezza dei colpi che le sferro. La
colpisco di nuovo, spostandomi di poco dal punto
precedente, già arrossato a dovere. Mi fermo per un
attimo, sfilandole delicatamente le mutandine. Lascio
scorrere la mia mano sul suo culo arrossato e delicato.
Vederla alla mia mercé, per sua espressa volontà, è di
quanto più erotico possa esserci al mondo. La colpisco
ancora, e ancora, cadenzando bene i colpi e distribuendoli
su tutta la superficie del suo meraviglioso sedere.
«Dodici» mormoro quando arrivo all’ultimo colpo.
Sto ansimando, mentre la accarezzo, di nuovo gentile,
Il mio cazzo, oramai, non aspetta altro che liberarsi.
Piano lascio scorrere le dita tra le due gambe. Lentamente
affondo dentro di lei con due dita, muovendole
ripetutamente in circolo in una deliziosa e lenta tortura.
Come sospettavo è bagnata da morire, pronta e
soprattutto desiderosa di accogliermi. I suoi gemiti mi
eccitano, mi appagano. La scopo con due dita,
aspettando, bramando il momento in cui entrerò dentro
di lei. E la sento stringersi forte attorno a me, per poi
esplodere in un orgasmo violento e appagante. Urla forte
e geme, mentre libera la sua frustrazione. E io sono certo
che ha gradito.
«Così va bene, piccola» mormoro, felice di averla fatta
star bene.
Le slego i polsi, con una sola mano, continuando a
tenere le dita nella sua fessura bagnata e ancora pulsante.
La sento ansimare forte, esausta.
«Non ho ancora finito con te, Anastasia» le dico,
spostandomi e facendole appoggiare le ginocchia a terra.
Mi posiziono dietro di lei, abbassando la lampo dei
miei pantaloni. Sfilo piano le dita dal suo sesso per
afferrare uno dei preservativi che ho in tasca. Apro la
bustina e srotolo in fretta il profilattico sul mio membro
eretto.
«Apri le gambe» le ordino, fuori di me per il desiderio.
Obbedisce celermente, mentre le accarezzo piano il
sedere arrossato. É una visione divina.
«Sarà veloce, piccola» le mormoro all’orecchio, prima
di raddrizzarmi e afferrarle i fianchi.
La penetro all’improvviso, con forza. Entro ed esco
violentemente, senza controllo. Ho solo bisogno di
riversarmi dentro di lei. Di stare bene con lei.
«Ah!» la sento gridare, gemendo di puro piacere.
Il suono mi infiamma ancora di più. Affondo dentro di
lei impietosamente, inchiodandola al letto ad ogni colpo,
mentre ringhio il mio desiderio accanto al suo orecchio,
ansimandole addosso. Siamo una meravigliosa
composizione di respiri ansimanti, gemiti e urla soffocate.
All’improvviso, cogliendomi di sorpresa, Anastasia inizia
a coordinare i suoi movimenti ai miei, spingendo
all’indietro, accogliendo il mio cazzo sempre più a fondo,
sempre più dentro.
«Ana, no!» mormoro, contro la pelle della sua schiena
sudata, cercando di fermarla.
Ma in quell’istante lei spinge ancora, premendo il suo
bellissimo culo contro di me. La sensazione è talmente
bella, talmente avvolgente, che vengo all’istante.
«Merda!» sibilo, oramai senza controllo.
E, meravigliosa, anche lei esplode di nuovo, unendosi
al mio piacere incontrollato. Urla, sconvolta dal suo
secondo orgasmo, mentre crolla senza fiato sul letto e io
la seguo a ruota.
Mi chino su di lei, baciandole possessivo una spalla.
Poi, a malincuore, scivolo fuori dal suo corpo, sentendomi
subito privato del mio essere. La abbraccio, da dietro,
poggiando la testa sulla sua schiena nuda, velata di
sudore. Restiamo così, inginocchiati. Io sopra di lei, a
godermi gli ultimi istanti di intimità prima di tornare tra
la folla. Lentamente i nostri respiri si calmano, tornando
a stabilizzarsi. Mi muovo, con un profondo ed appagato
sospiro, baciandole di nuovo la schiena.
«Credo che tu mi debba un ballo, Miss Steele»
mormoro contro la sua pelle.
«Mmh...»
mi
risponde
lei,
stiracchiandosi
leggermente.
Sedendomi sui talloni mi scosto da lei, portandola con
me.
«Non abbiamo molto tempo. Andiamo» le sussurro,
baciandole i capelli e costringendola ad alzarsi.
Protesta debolmente, mentre si siede sul mio letto e
raccoglie le sue mutandine dal pavimento. É così sexy
mentre le infila e pigramente si trascina verso la sedia per
recuperare il suo abito. Traballa leggermente sui tacchi.
Continuo ad ammirare il suo corpo seminudo, mentre mi
allaccio il papillon che poco prima le legava i polsi.
Sorrido piano, rimettendomi a posto gli abiti e dando
un’aggiustata al letto. Quando mi volto per aiutarla con il
vestito, la trovo intenta a sbirciare sulla mia bacheca. Si
gira a guardarmi, mentre mi infilo la giacca e do
un’ultima sistemata al papillon.
«Chi è questa?» chiede.
Trasalisco per un attimo, sperando che non se ne
accorga.
«Nessuno di importante» borbotto, mentre cerco di
trovare uno stratagemma per allontanarla di lì.
«Posso
tirarti su
avvicinandomi.
la
cerniera?»
le
chiedo,
«Grazie. Allora perché è nella tua bacheca?» chiede
calma e curiosa.
«Una dimenticanza. Com’è il papillon?» le dico,
facendole un piccolo sorriso e alzando il mento.
Mi fa un sorriso radioso, raddrizzandomelo.
«Adesso è perfetto» mi dice soddisfatta.
«Come te» le mormoro contro le labbra, afferrandola e
suggellando le mie parola con un bacio appassionato.
Le nostre lingue danzano, di nuovo vogliose di
assaggiarsi sempre più a fondo. Siamo insaziabili.
Entrambi. Questa donna mi ucciderà.
«Ti senti meglio?» le chiedo, quando finalmente riesco
a staccarmi da lei.
«Molto meglio, grazie, Mr Grey» mi dice con un
sorrisetto soddisfatto.
I suoi grandi occhi azzurri brillano di tenerezza.
«Il piacere è stato tutto mio, Miss Steele» le dico,
stringendola forte al mio corpo in un abbraccio.
Dietro di lei, sulla bacheca, Ella mi guarda,
inespressiva come sempre. Come la ricordo. E ora ne
sono assolutamente certo. Anastasia non ha niente a che
vedere con lei. Non ha mai avuto nulla a che fare con mia
madre e il mondo di vendetta personale che io ho
costruito attorno al suo ricordo. Lei è sempre stata al di
sopra di tutto. Al di sopra di tutto lo schifo. Sorrido
mentre le prendo la mano e la conduco fuori dalla mia
cameretta e giù per le scale. “Ti amo, Anastasia Steele.
Credo di aver sempre aspettato te. Da tutta una vita”.
Quando torniamo nella sala da ballo, la folla è già al
centro della pista. La guardo sorridendo, mentre lei
sospira forte, finalmente sollevata.
«E ora, signore e signori, è il momento del primo ballo.
Mr Grey, dottoressa, siete pronti?»
Il maestro di cerimonie dà il via alle danze. Mi metto in
posizione, tenendo saldamente Ana tra le braccia, mentre
un brivido mi percorre la schiena. Mi giro attorno,
sentendomi osservato. Ma non scorgo nessuno che stia
fissando me. Scuoto piano la testa, cercando di scrollarmi
di dosso questa sensazione. La faccenda di Leila mi sta
condizionando un po’ troppo probabilmente.
La musica parte. Le note di I’ve got you under my skin
risuonano nell’aria, mentre sorridendo per la scelta
musicale più che azzeccata nel nostro caso inizio a
volteggiare con Anastasia. Non riusciamo a smettere di
sorriderci a vicenda. Siamo felici, appagati, innamorati. E
per un attimo è come quel giorno in aliante. Noi due, una
bolla tutta nostra. E il resto del mondo che non ci
scalfisce minimamente.
«Adoro questa canzone» le mormoro, fissandola
ardentemente. «Mi sembra appropriata» le dico,
improvvisamente serio. Perché è la verità. “Mi sei entrata
sotto la pelle, Anastasia. Non andare via. Mai”.
Anche lei diventa seria, pur continuando a sorridermi.
«Anche tu mi sei entrato sotto la pelle, come dice la
canzone» mi dice. «O, perlomeno, così è stato nella tua
camera da letto» sussurra tentando di smorzare la
tensione appena palpabile tra noi.
Le faccio una smorfia di finto disgusto, divertito.
«Miss Steele» la ammonisco «non avevo idea che
potessi essere tanto volgare» le dico altezzoso.
«Nemmeno io, Mr Grey. Credo che sia per via di tutte
le mie recenti esperienze. Ho ricevuto una certa
educazione» mi dice con una smorfia rassegnata.
«Vale per entrambi» le rispondo, tornando serio.
“Mi hai cambiato, Ana. Completamente”.
La musica sfuma, mentre il cantante presenta la sua
orchestra. Applaudiamo educatamente. Alle mie spalle si
materializza Flynn, memore del nostro accordo segreto.
«Posso intromettermi?» dice scherzosamente.
Ana lo guarda incuriosita e leggermente intimorita. La
lascio andare a malincuore, ma sorrido divertito.
«Prego. Anastasia, lui è John Flynn. John, lei
è Anastasia» li presento.
L’espressione di stupore sul viso di Anastasia sarebbe
da immortalare. Mi allontano, lasciandoli da soli a fare
quattro chiacchiere sulle note di una nuova canzone. Li
osservo parlottare, mentre sorseggio dello champagne, in
piedi, accanto al mostro tavolo. Flynn ride, Anastasia fa la
sostenuta. Poi ridacchiano, parlano. Mentre io fremo
dall’impazienza e dalla curiosità. Picchietto il piede a
terra, mentre l’ansia mi assale. Cosa le chiederà? E lei a
lui? E se quell’idiota di Flynn le rivelasse il mio passato?
Quando la musica si avvia alla fine, devo trattenermi per
non correre mentre mi avvicino a loro due. Noto che Ana
è arrossita leggermente, mentre Flynn mi sorride
soddisfatto.
«È stato un piacere conoscerti, Anastasia» dice, con un
sorriso caloroso.
Mi sento sollevato dalla sua reazione. Ma ho bisogno di
parlargli. Ho bisogno di sapere perché anche lui, come il
resto del mondo, sembra pensare che Ana sia perfetta per
me, mentre io ho così paura di spezzarla e di fare di lei
una nuova Leila. Una nuova donna fantasma che gira
come un’anima in pena cercando di togliersi la vita. Per
me. Temo che per sapere questo, tuttavia, dovrò aspettare
fino a lunedì.
«John»
Faccio un cenno a Flynn, congedandolo. Ora ho
solamente voglia di stare da solo con Anastasia.
«Christian» risponde Flynn con un sorriso, voltandosi
e mischiandosi alla folla attorno a noi.
Mi giro verso Anastasia, con un sorriso, prendendole le
braccia e attirandola accanto a me per il prossimo ballo. É
bello ballare con lei. Mi calma. Fa sparire tutto il resto.
«È più giovane di quanto mi aspettassi» mormora lei,
alzando lo sguardo su di me. «E terribilmente indiscreto»
mi dice con un ghigno strano.
Piego la testa di lato, senza capire.
«Indiscreto?» chiedo curioso.
«Oh, sì, mi ha detto tutto» mi dice seria, con gli occhi
ben aperti e muovendo il capo in cenno di assenso.
Il mio corpo diventa di pietra. La fisso, sentendo l’aria
abbandonare di colpo i miei polmoni e le palpebre
socchiudersi per il colpo accusato.
«Bè, in questo caso, vado a prenderti la borsetta. Sono
sicuro che non vorrai avere più niente a che fare con me»
le dico con un filo di voce.
Nella mia testa 10mila modi per uccidere Flynn si
materializzano contemporaneamente. Ana si ferma di
colpo, spalancando gli occhi.
«Non mi ha detto niente!» esclama spaventata.
Il sollievo è immediato. Sbatto le palpebre es orrido
apertamente, stringendola in un abbraccio.
«Allora godiamoci il ballo» le dico.
La musica parte e, prima che possa fare domande, la
coinvolgo nelle danze, al ritmo suonato dalla meravigliosa
orchestra voluta da mia madre per l’occasione. Mi rilassa
averla tra le braccia. Mi sento felice, libero. Completo.
Dopo circa due balli, quando la musica si ferma per un
attimo, Ana mi avverte del suo impellente bisogno.
«Non ci metterò molto» mi dice con un sorriso, prima
di afferrarsi il vestito argento e allontanarsi.
Mentre aspetto che torni mi metto a bordo pista. Flynn
mi raggiunge quasi subito, insieme a Rhian. Lo guardo
speranzoso, ma lui resta in silenzio. Sorride, ma non
lascia sfuggirsi nulla.
«Posso prendere appuntamento per lunedì mattina,
dottore?» gli dico con un sorrisetto.
Il suo sorriso si allarga.
«Provvederò a farti contattare da Cynthia per farti
sapere l’orario» mi dice.
Poi prende Rhian sottobraccio e la trascina in pista per
lanciarsi nelle danze. All’improvviso mi viene in mente
che non è il solo con cui dovrei prendere appuntamento.
Mando un messaggio a Taylor, chiedendogli di occuparsi
della dottoressa Greene e di prendere appuntamento per
domani. Ovviamente so che quella donna mi scucirà altri
15mila dollari. Mi giro intorno, cercando Ana, ma ancora
non si vede. So che Taylor e Sawyer la seguono a vista
d’occhio. Per un po’ mi abbandono a guardare Mia che
discute con Sean. Ha le braccia incrociate sotto al petto.
Conosco quel cipiglio. Mr-Sorriso-Sfacciato ha fatto
incazzare di brutto la mia sorellina. Lui parla e lei lo
molla lì in piedi, con un gesto della mano. Ridacchio tra
me e me. Poi lo sguardo si sposta da loro due ai miei
genitori, che volteggiano in pista, guardandosi innamorati
come quando ero piccolo. Voglio quello anch’io. Ora so
che con Anastasia posso averlo. La sua mancanza inizia a
farsi sentire. Guardo intorno a me, e ancora non riesco a
scorgerla. Inizio a preoccuparmi sul serio. Cammino
frettolosamente verso le toilette, ma a metà percorso mi
fermo, scorgendo Taylor davanti all’uscita del padiglione
dove abbiamo cenato. Entro, guardando la sua
espressione corrucciata e vedo Anastasia letteralmente
furiosa. Mi avvicino, accaldato per la preoccupazione.
«Eccoti» mormoro.
Fisso il suo viso che freme di rabbia e non ci metto
molto a capire perché. O per chi. Elena è dietro di lei,
furiosa almeno alla stessa maniera. Poi la sua espressione
cambia quando incrocia i miei occhi, diventando
preoccupata. Ana mi sorpassa, senza neppure sfiorarmi e
si dirige verso l’uscita. Non ci penso due volte a seguirla.
«Ana» la chiamo.
Si ferma proprio fuori dal padiglione, aspettandomi ma
senza girarsi. Quando le arrivo accanto, la sua
espressione non è mutata.
«Cos’è successo?» le chiedo preoccupato.
«Perché non lo chiedi alla tua ex?» sibila velenosa.
Raddrizzo
disappunto.
le
spalle,
facendo
una
smorfia
di
«Lo sto chiedendo a te» le rispondo, dolcemente ma
deciso.
Ci fissiamo intensamente per qualche attimo. “Non
voglio litigare di nuovo, Anastasia. non dopo questo
pomeriggio”. Chissà cosa ha potuto dirle Elena, per averla
sconvolta in questo modo. Per la seconda volta questa
sera, il mio mondo vacilla sotto ai miei piedi.
«Lei mi ha minacciata di venirmi a cercare, se ti farò
soffrire ancora. Probabilmente con un frustino» ribatte
alla fine, seccamente.
Credo che il sollievo sul mio viso sia perfettamente
visibile. L’accenno di un sorriso mi si dipinge sulle labbra.
«Non ti sarà certo sfuggita l’ironia di tutto ciò, vero?»
le dico, trattenendo una risatina.
«Non è divertente, Christian!» esclama esasperata, al
limite della sopportazione.
«No, hai ragione. Le parlerò» le dico deciso, ma
rasserenato.
«No, non lo farai» sbotta, incrociando le braccia
proprio come Mia.
“Merda”. Sbatto le palpebre, sorpreso. Non sono
abituato alla gelosia. Ma il pensiero che lei sia gelosa di
me, mi eccita. Mi eccita sul serio.
«So che sei legato a lei dagli affari ma...» inizia a dire,
guardandomi. Poi rinuncia, esasperata, sconfitta, stanca.
Abbassa le braccia e mi guarda sospirando. «Ho bisogno
della toilette» mi dice a denti stretti, lanciandomi
un’occhiataccia.
Sospiro, capendo bene quali possano essere i suoi
sentimenti ora. Piego la testa di lato, guardandola dritto
negli occhi.
«Per favore, non essere arrabbiata. Non sapevo che lei
fosse qui. Mi aveva detto che non sarebbe venuta». Cerco
di placare la sua anima ferita probabilmente nell’orgoglio.
Alzo una mano, sfiorandole con il pollice il morbido e
delizioso broncio. «Non lasciare che Elena ci rovini la
serata, per favore, Anastasia. Lei è una storia vecchia,
davvero» le dico, sospirando piano.
Fa una smorfia, premendo di più il labbro inferiore
contro le mie dita. Le sollevo piano il mento, avvicinando
le mie labbra alle sue. Le sfioro delicato, baciandola
dolcemente e castamente. Aspetto un suo cenno e,
quando sospira piano, le prendo un braccio e la allontano
dal padiglione.
«Ti accompagno a incipriarti il naso, così nessuno ti
disturberà ancora» le dico con un piccolo sorriso,
abbracciandola e baciandole i capelli.
Ci allontaniamo nel prato, verso le toilette. Quando
arriviamo lì davanti mi fermo, anche se vorrei entrare e
prenderla di nuovo. Ma farlo in un bagno, per quanto
placherebbe entrambi, non è l’ideale. A meno che non sia
il mio bagno privato all’Escala. Di quello ho grandi
ricordi.
«Ti aspetto qui fuori, piccola» mormoro, baciandola di
nuovo.
Aspetto che chiuda la porta per bene e poi,
spostandomi in disparte, chiamo Taylor. So che non è
colpa sua, Elena è imprevedibile.
«Mr Grey»
«Ho bisogno di sapere sempre dove si trova Ana. E
soprattutto con chi si trova. Ci siamo capiti?» sbotto
senza perdermi in formalità.
«Come
desidera,
professionalmente.
Mr
Grey»
risponde
Chiudo il telefono, chiedendomi quante volte
quest’uomo mi mandi a fanculo mentalmente durante
una giornata. Poi chiamo Elena.
«Christian» risponde, in tono preoccupato.
«Cosa cazzo fai, Elena? Quale parola della frase “non
impicciarti nei miei affari e lascia stare Ana” tu non hai
afferrato?» le chiedo bruscamente.
Per un attimo rimane interdetta. Poi la sento inspirare
forte.
«Ero preoccupata per te, Christian. L’ho solo avvertita
di non farti soffrire»
«Non ce n’era bisogno, Elena. Sono stato io a far
soffrire lei. Ed eravamo d’accordo sul fatto che non saresti
venuta questa sera» le dico esasperato.
So che le intenzioni di Elena sono buone, ma non ho
voglia di ulteriori casini.
«Ho cambiato idea» mi dice altezzosa.
«Perché hai cambiato idea? Pensavo che fossimo
d’accordo» le dico scontroso.
«Christian dovevo vederla e parlarle. Non mi va che ti
faccia star male. Non te lo meriti»
Sospiro, alzando gli occhi al cielo di fronte a quel
comportamento da madre iperprotettiva.
«Bè, lasciala in pace... Questa è la prima relazione vera
che ho e non voglio che tu comprometta tutto per qualche
infondata preoccupazione nei miei confronti. Lasciala. In.
Pace. Te lo dico per l’ultima volta, Elena» le dico con
fermezza.
«Christian, mi dispiace. Non avete litigato a causa mia
spero» chiede lamentosa.
«No, certo che no» le dico aggrottando la fronte e
girandomi.
Scorgo Ana in piedi, a pochi passi da me. Sospiro.
«Devo andare. Buonanotte» tronco la conversazione,
senza aspettare risposta.
Ana alza un sopracciglio, piegando la testa di lato.
«Come sta la storia vecchia?» mi chiede sarcastica.
«Scontrosa» le rispondo con un ghigno. «Vuoi
ballare ancora? Oppure preferisci andare via?» le chiedo,
cambiando argomento per non litigare di nuovo. Guardo
l’orologio. É quasi l’ora dello spettacolo pirotecnico. «I
fuochi d’artificio iniziano tra cinque minuti» le annuncio,
sorridendole piano.
«Adoro i fuochi d’artificio» mi dice, riluttante a
lasciarsi andare.
«Rimarremo a guardarli, allora» le sussurro mentre mi
avvicino e le avvolgo la vita con un braccio, attirandola al
mio corpo.
La fisso negli occhi, abbassando di poco la testa per
trovarmi alla sua altezza.
«Non lasciare che lei si metta tra noi, per favore» le
dico con dolcezza.
«Ci tiene a te» mormora imbronciata.
«Sì, e io a lei... come amica» preciso, cercando di
convincerla.
«Credo che per lei sia più di un’amicizia» borbotta,
abbassando lo sguardo.
Aggrotto la fronte, riflettendo sulle sue parole. Forse sì.
Forse non mi vede come amico. Ci tiene a me e si
comporta da madre assillante. Ma nulla più di questo. A
parte il sesso condiviso e l’aiuto che mi ha dato. Non c’è
altro.
«Anastasia, Elena e io... è complicato. Abbiamo
condiviso una storia. Ma è solo questo: una storia finita.
Come ti ho detto e ripetuto, è una buona amica. Tutto qui.
Per favore, dimenticati di lei» le dico, stringendola forte e
baciandole i capelli.
Mi guarda incerta, abbozzando un sorriso poco
convinto. La prendo per mano, portandola verso la pista
da ballo, dove l’orchestra suona. Dietro di noi si
materializza mio padre.
«Anastasia» dice con un sorriso, mentre entrambi ci
giriamo.
Ana lo guarda in soggezione.
«Mi domandavo se vorresti concedermi l’onore del
prossimo ballo» le dice, porgendole la mano.
Ana mi guarda, mentre mi stringo nelle spalle e le
sorrido. Mentre si allontana con mio padre, mi metto a
bordo pista. Il mio telefono vibra. Lo prendo dalla tasca.
É un sms. Di Elena. Lo scorro in fretta.
Sto andando via. Non volevo rovinarti la serata. Ci tengo a te,
Christian. Spero che lei ti renda felice
Sospiro, rimettendo il telefono a posto e osservando
Ana e Carrick parlottare tra un passo e l’altro. La osservo
volteggiare, sorridere, arrossire. Mentre realizzo che lei,
la più splendida ragazza in tutta la sala, è mia. Solo mia.
Solo io posso accarezzare la sua pelle delicata d’alabastro,
le sue morbide labbra. Solo io so come si sta bene dentro
di lei. Quanto sia stupendo il suo viso quando urla in
preda al piacere. Quanto mi faccia fremere sentire la sua
voce accarezzare piano il mio nome. Mentre la canzone
sfuma, mi avvio verso di lei. Ho davvero bisogno di
toccarla. Mio padre si allontana da lei con una piccola
riverenza.
«Ora basta ballare con i vecchietti» dico con un sorriso
quando giungo accanto a loro.
Mio padre ride piano.
«Stai bene attento al vecchietto, figliolo. Ero piuttosto
famoso ai miei tempi»
Carrick
mi
allontanandosi.
strizza
l’occhio
scherzosamente,
«Credo che tu piaccia a mio padre» le dico,
guardandolo allontanarsi.
«Perché non dovrei piacergli?» mi guarda, sbattendo le
ciglia.
«Ben detto, Miss Steele» le dico con un sorrisetto.
L’orchestra attacca It had to be you. É come se queste
canzoni fossero suonate apposta per noi due questa sera.
«Balla con me» le sussurro, guardandola con malizia.
Quell’invito ne nasconde un altro. A cui potrà dire di sì
più tardi.
«Con piacere, Mr Grey» mi sorride, mentre la attiro in
un volteggio sulla pista, stringendola forte tra le braccia.
Balliamo ancora per un po’, poi ci avviamo verso la
spiaggia, nei presi della rimessa delle barche. “Quella sera
iniziavo solo a capire lo sconvolgimento che stavi
apportando alla mia vita, Ana. Ora lo so. Ora so quanto ti
amo”. La stringo a me, annientando la voce del maestro
di cerimonie e tutto il brusio circostante. Esiste solo lei e
il suo profumo. Nient’altro ha importanza per me in
questo momento. Un brivido la percorre all’improvviso,
mentre si rannicchia ancora di più contro di me. La
stringo forte, guardandola.
«Stai bene, piccola? Hai freddo?» le chiedo premuroso.
«Sto benissimo» mi dice, lanciando un’occhiata alle
nostre spalle.
Capisco che non era un brivido di freddo. É
preoccupata. Per Leila. O Elena. O entrambe. Si sposta
davanti a me e io la tengo per le spalle, inspirando il suo
fantastico profumo. Lo spettacolo pirotecnico inizia e,
anche se non posso guardarla negli occhi, sento lo stupore
e la serenità attraversarle il corpo. É felice. E io con lei.
Tutto è coordinato con la musica. É favoloso, come ogni
anno. Ma quest’anno lo è di più. Perché c’è lei a renderlo
speciale.
«Signore e signori» urla il maestro di cerimonie. «Una
nota per concludere questa magnifica serata: la vostra
generosità ammonta a un totale di un milione e
ottocentocinquantatremila dollari».
La folla esplode in un applauso fragoroso, mentre sul
ponte galleggiante appare una scritta luminosa e argentea
che cita “GRAZIE DA AFFRONTIAMOLO INSIEME”.
«Oh, Christian... è stupendo» sussulta, girandosi a
guardarmi.
Mi chino su di lei e la bacio, intensamente. Le nostre
labbra si sfiorano per poi perdersi le une nelle altre. Le
lingue si scontrano si fondono, si amano. Proprio come
noi due.
«È ora di andare» le mormoro quando ci stacchiamo,
sorridendole.
“Voglio di più, Ana. Ne ho bisogno. Ora”. Annuisce
piano. Mi giro a guardare Taylor, bianco come un
lenzuolo, che mi fa un cenno con il capo.
«Rimani un attimo qui con me. Taylor vuole che
aspettiamo che la folla si disperda» le dico piano,
tenendola tra le braccia. «Credo che questi fuochi
d’artificio gli abbiano fatto perdere una decina d’anni»
aggiungo piano.
Mi dispiace aver sottoposto Taylor a questa piccola
tortura. É un ex militare e non sopporta spari, fuochi,
bombe e roba simile. La roba che scoppia, insomma. A
meno che non sia lui a farla scoppiare. Io, invece, la odio
in generale.
«Non gli piacciono i fuochi d’artificio?» mi chiede
Anastasia, corrucciando la fronte.
La guardo con un sorriso tenero e scuoto la testa, senza
aggiungere nulla. Con la coda dell’occhio scorgo la
squadra della sicurezza che si agita dietro di noi, in attesa
di perlustrare a fondo la folla e l’ambiente circostante. Ma
non voglio che lei percepisca tutto questo. Voglio solo che
si goda la serata.
«E così, Aspen» mormoro contro il suo orecchio, nel
tentativo di distrarla.
«Oh... non ho pagato per il mio acquisto» sussulta,
portandosi una mano a coprire la bocca.
«Puoi mandare un assegno. Ho l’indirizzo» le dico
scherzoso.
«Eri davvero arrabbiato» mi dice, guardandomi con gli
occhi grandi da bambina.
«Sì, lo ero» ammetto con un sorriso.
Sorride anche lei, soddisfatta.
«È colpa tua e dei tuoi giocattoli» mi accusa, alzando il
mento.
«Eri piuttosto su di giri, Miss Steele. E il risultato è
stato più che soddisfacente, se ricordo bene» le dico
lanciandole un sorrisetto perverso. Ma in effetti il ricordo
del suo delizioso culo arrossato mi fa fremere l’uccello nei
pantaloni. «A proposito, dove sono?» le chiedo,
riferendomi alle sfere.
«Le sfere d’argento? Nella mia pochette» dice
tranquilla.
«Le rivorrei indietro. Sono un dispositivo troppo
potente perché io le lasci nelle tue mani innocenti»
ribatto scherzosamente.
«Sei preoccupato che possa andare ancora su di giri,
magari con qualcun altro?» mi provoca.
La guardo con ardore, mentre dentro di me si
mischiano rabbia e desiderio.
«Spero che non succeda» la avverto. «Voglio tutto il
tuo piacere, Ana» le dico piano, scandendo le parole.
«Non ti fidi di me?» mi chiede piccata.
«Nel modo più assoluto. Ora, posso averle indietro?»
la provoco ancora.
«Ci penserò» mi dice, girandosi a guardare la pista da
ballo sulla quale si stanno radunando i più giovani.
Scuoto la testa, avvinghiandomi di nuovo a lei e
poggiandole un sonoro bacio sulla testa. Ana ridacchia
piano.
«Vuoi ballare?» le chiedo, abbassandomi contro il suo
orecchio.
«Sono davvero stanca, Christian. Vorrei andare, se per
te va bene» mi dice, girandosi e poggiando le mani sui
miei bicipiti coperti dalla giacca. Noto con piacere che ora
che so che ha visto fin dove può spingersi, il suo tocco non
mi fa più tanta paura.
Guardo Taylor, interrogandolo con lo sguardo e lui mi
dà il via libera. Ci incamminiamo verso casa, preceduti da
una coppia barcollante. Le afferro la mano, mentre noto
che le gambe le si sono appesantite, probabilmente per i
tacchi alti. Mia ci raggiunge prima che riusciamo a
defilarci.
«Non ve ne starete andando, vero? La festa inizia
adesso. Avanti, Ana» si lamenta, afferrando la mano di
Anastasia.
«Mia» la ammonisco piano, ma deciso. «Anastasia
è stanca. Stiamo andando a casa. E poi, domani
abbiamo una giornata pesante» aggiungo, e sento
immediatamente lo sguardo di Ana su di me.
“Non immagini neppure quanto sarà pesante per te,
Miss Steele. Ho intenzione di perdermi in te
ripetutamente. E instancabilmente”.
Mia mi mette il broncio, ma evita di replicare.
«Devi venire qualche volta, la prossima settimana.
Potremmo andare a fare shopping...» le propone,
guardando Anastasia.
«Certo, Mia» acconsente lei gentilmente.
Mia sorella le si fionda addosso, baciandola sulle
guance, poi passa a me. Mi stringe forte, mentre la guardo
sorpreso da quel gesto di affetto. Poi alza lo sguardo su di
me, poggiando le mani sul bavero della giacca. La guardo,
sorridendole piano.
«Mi piace vederti felice» mi mormora, con gli occhi
lucidi. Poi mi deposita un bacio sulla guancia, prima di
scappare via.
«Ciao. Divertitevi» urla scappando in pista.
«Andiamo a dare la buonanotte ai miei genitori prima
di andarcene. Vieni» le dico, sospirando piano e
conducendola verso Grace e Carrick.
I miei genitori sono ancora più calorosi nei confronti di
Ana.
«Per favore, torna a trovarci, Anastasia. È
stato davvero bello averti qui» le dice mia madre con
sincerità, prima di abbracciarla.
Quando terminiamo i saluti di rito, ci avviamo
lentamente verso l’auto. Camminiamo mano nella mano,
sotto il cielo stellato. E penso che non possa esserci al
mondo un momento migliore di questo. A parte quando
sono dentro di lei, ovvio. Quel momento non può batterlo
nessun altro. Abbiamo tolto le maschere e vedere il suo
viso rilassato e felice, mi fa sentire un uomo nuovo.
Diverso. Più forte.
«Hai abbastanza caldo?» le chiedo premurosamente.
«Sì, grazie» mi risponde, stringendosi nello scialle di
raso abbinato al suo abito.
«Mi sono divertito tanto stasera, Anastasia. Grazie» le
sussurro sincero, senza riuscire a smettere di guardarla.
«Anch’io, in alcuni momenti più che in altri» dice
ammiccando divertita.
Le faccio un sorrisetto, piegando leggermente la testa.
Ana si morde il labbro, per frenare la risatina. L’effetto su
di me è immediato. Aggrotto la fronte, deglutendo.
«Non ti mordere il labbro» sussurro con la voce bassa,
piena di desiderio per lei e il suo corpo meraviglioso. Ma
più di tutto per il suo cuore.
«Perché domani avremmo una giornata impegnativa?»
mi chiede curiosa.
«La dottoressa Greene verrà a visitarti. E poi ho una
sorpresa per te» sorrido, al pensiero di portarla sulla
Grace. Ci ho pensato prima. Saremo al sicuro. E potremo
divertirci insieme.
«La dottoressa Greene!» dice allibita, fermandosi.
«Sì»
«Perché?» chiede attonita.
«Perché odio i preservativi» le dico semplicemente,
scrutando la sua reazione.
«È il mio corpo» mormora e sembra risentita.
«È anche il mio» le sussurro, mentre penso a mille
modi per appropriarmene.
Ci fissiamo per qualche attimo, mentre gli ospiti che
vanno via ci sorpassano ignari. Alza una mano. D’istinto
stringo la mascella. Ma non mi allontano. Rimango fermo
e la lascio fare. “Ho fiducia in te, Ana”. Afferra un lato del
papillon, tirandolo fino a farlo sciogliere. Poi, con dita
tremanti, mi slaccia il primo bottone della camicia.
«Sei sexy così» sussurra piano.
Le sue parole mi incendiano l’anima. Sono eccitato e se
potessi la prenderei ora, qui, all’aperto. Le sorrido
sfacciatamente.
«Ho bisogno di portarti a casa. Vieni» le mormoro,
porgendole il braccio a cui lei si aggrappa ben volentieri.
Arriviamo alla macchina e Sawyer mi si avvicina,
porgendomi una busta. É senza mittente, ma è indirizzata
ad Ana. Mi acciglio, mentre entriamo in auto. Poi gliela
porgo, imbronciato.
«È per te. Uno dei camerieri l’ha data a Sawyer. Senza
dubbio hai infranto un altro cuore» le dico a denti stretti.
Ana prende la busta tra le dita, fissandola. Poi si decide
ad aprirla. Scruto di nascosto la sua espressione, notando
lo stupore e poi la rabbia.
«Glielo hai detto?» mi dice, girandosi di scatto.
Sembra ferita. E furiosa.
«Detto cosa?» chiedo colto alla sprovvista.
«Che la chiamo Mrs Robinson» sbotta acida.
«È di Elena?» chiedo sbarrando gli occhi. “Ma che
cazzo...?”.
«Questo è
ridicolo»
borbotto
piano,
passandomi una mano nei capelli, esasperato e incazzato.
«Me ne occuperò domani. O lunedì» dico rabbioso.
Anastasia rimane in silenzio, aprendo la pochette e
infilandoci il biglietto. Poi ne tira fuori le sfere d’argento,
passandomele furtivamente.
«Alla prossima» mormora piano, a bassa voce.
La guardo, ammirando la sua attuale calma. E sorrido
nel buio dell’abitacolo. Poi si gira, guardando fuori dal
finestrino. La guardo in silenzio, mentre scivola nel
sonno, rendendomi conto di quanto io sia fortunato ad
averla nella mia vita. La mia missione, da oggi in poi, sarà
renderla felice. Sempre. E tenere Elena al suo posto. E
Leila lontana da lei. ‘Quanti impegni per un solo uomo,
Grey...’.
Quando arriviamo all’Escala, quasi mi dispiace
svegliarla. Ma devo. Dobbiamo scendere all’entrata, in
modo che i ragazzi abbiano più tempo per effettuare i
controlli.
«Devo portarti
dolcemente.
dentro
in
braccio?»
le
chiedo
Scuote la testa, con gli occhi velati di sonno.
Attraversiamo la hall e entriamo in ascensore. Ana
poggi ala testa sulla mia spalla, mentre Sawyer, davanti a
noi, fissa il pavimento, imbarazzato, facendomi scappare
un sorriso.
«La giornata è stata lunga, eh, Anastasia?» le mormoro
all’orecchio.
Annuisce, silenziosa.
«Stanca?» le chiedo divertito.
Annuisce nuovamente.
«Non sei molto loquace»
Annuisce per l’ennesima volta e io le sorrido. ‘Per
stasera il fratellino ai piani bassi se ne starà a bocca
asciutta, Grey’.
«Vieni. Ti metto a letto» le dico, prendendole la mano,
mentre le porte dell’ascensore si aprono.
L’atmosfera cambia in un nanosecondo. Vedo Sawyer
alzare il braccio e parlare con Taylor attraverso il
ricetrasmittente.
«Lo faremo, T» dice, voltandosi a guardarci.
«Mr Grey, le gomme dell’Audi di Miss Steele sono state
squarciate e sull’auto è stata gettata della vernice»
Ana sussulta, impaurita. Alza gli occhi su di me,
mentre il sangue defluisce dal mio volto.
«Taylor è preoccupato che il colpevole possa essere
entrato nell’appartamento e possa trovarsi ancora qui.
Vuole controllare» continua Sawyer.
«Capisco» sussurro. Mi riprendo dallo stato di shock.
Ho un solo pensiero in testa. “Ana deve stare al sicuro”.
«Qual è il piano di Taylor?»
«Sta salendo con l’ascensore di servizio, insieme a
Ryan e Reynolds. Faranno un sopralluogo e poi ci
daranno il via libera. Io aspetterò qui fuori con lei,
signore»
«Grazie, Sawyer»
Stringo Ana con un braccio, avvolgendola.
«Questa giornata non fa che migliorare» sussurro.
Sospiro, strofinando il naso nei suoi capelli e inalando
a fondo il suo profumo.
«Senti, non posso stare qui ad aspettare. Sawyer,
occupati di Miss Steele. Non lasciarla entrare prima che
io abbia verificato che è tutto a posto. Sono sicuro che
Taylor si sta preoccupando troppo. Lei non può
entrare nell’appartamento» dico, imponendomi di
staccarmi da lei e affidandola a Sawyer. Devo essere certo
al cento per cento che Leila non sia in quel fottuto
appartamento quando lei entrerà.
«No, Christian... devi rimanere con me» mi supplica,
in ansia.
Mi stacco dal suo corpo, con uno sforzo immane.
«Fa’ quello che ti dico, Anastasia. Aspetta qui» le
ordino.
«Sawyer?» mi rivolgo a lui prima che Ana possa
replicare.
Sawyer mi apre la porta, lasciandomi entrare.
Quando l’uscio si chiude dietro di me, è come se venissi
catapultato in un’altra realtà. Tutto quello che voglio è
dietro quella porta, alle mie spalle. Ma ora... ora devo
affrontare il mio passato.
Capitolo 11
Attraverso il corridoio bianco, immerso nell’oscurità.
Mi muovo senza fare il minimo rumore. Mi guardo
intorno circospetto, ma non c’è traccia di Leila né in
cucina, né in salotto. Nulla. Mi dirigo nel mio studio, dove
trovo Taylor incavolato.
«Mr Grey, non sarebbe dovuto entrare» sibila.
«Bè, ora sono qui. Diamo un’occhiata» ringhio di
rimando.
Insieme frughiamo ogni angolo del primo piano, per
poi passare al secondo. Entriamo nella stanza di Ana. In
quella che era la sua stanza. Magari è qui. Magari sta
cercando di riprendersi il posto che crede che Ana le
abbia rubato. Ma niente. Non c’è neppure qui. Esco nel
corridoio e faccio un lungo e profondo respiro,
slacciandomi i primi bottoni della camicia. Afferro con
forza la maniglia. É rimasta solo questa stanza da
perlustrare. Ho il cuore in gola quando infilo le chiavi che
ho preso dal pannello in lavanderia e faccio scattare la
serratura, mentre Taylor si avvicina. Un tremito mi
percorre il corpo alla vista di quelle pareti di quello che
ora mi sembra un rosso sangue. Mi giro intorno e non
posso ignorare le fitte di dolore che mi trafiggono il petto.
Guardo velocemente dappertutto. L’ansia di trovare Leila
si è sostituita all’ansia di voler uscire via di qui. E tornare
da lei.
«Lei non è qui. Controllate a fondo l’appartamento.
Torno di sotto» mormoro, uscendo da quell’angolo delle
torture.
Ora capisco cosa deve aver provato Anastasia la prima
sera che è stata qui. Mi avvio nel corridoio, aprendo la
porta di ingresso. Mi trovo davanti la pistola di Sawyer e
Anastasia spaventata a morte.
«Tutto a posto» dico in un sibilo, corrugando la fronte
alla vista dell’arma da fuoco.
Sawyer mette la pistola nella fondina e si rilassa,
spostandomi per farmi passare.
«Taylor si preoccupa troppo» mormoro ad entrambi,
mentre tendo la mano ad Ana.
Lei continua a fissarmi a bocca aperta, palesemente
sotto shock. La guardo preoccupato. É pallida.
«Va tutto bene, piccola» le sussurro, avvicinandomi e
prendendola tra le braccia.
La stringo forte a me, prendendomi quel conforto che
ho desiderato fino ad ora. Lo sguardo mi cade sui quadri
dietro di lei. Un’ulteriore fitta di dolore mi attraversa il
cuore. Tutti quei quadri. Sono sedici in tutto. Il numero
non è casuale. Nulla è casuale nella mia vita. Ricordo
ancora quando comprai il primo. É stata una delle prime
cose che ho comprato per l’Escala. Volevo un simbolo.
Qualcosa che mi ricordasse che anch’io ero stato
bambino. Ma il secondo... il secondo l’ho comprato alla
fine della mia storia con Elena. Ancora una volta non ero
riuscito a riempire quel vuoto che mi portavo dentro. E
così sono andato avanti. Ogni Sottomessa che mettevo
sotto torchio per vendicarmi, mi lasciava sempre lo stesso
vuoto. E veniva sostituita sempre da un quadro. Credo
non me ne sia neppure reso conto all’inizio. Ma poi l’ho
fatto. Il mio subconscio mi ha illuminato un giorno in cui
mi sono trovato a guardare questa stessa parete, mentre
le chiavi mi cadevano di mano e io tentavo di recuperarle.
É per questo che l’ultimo non l’ho appeso. É ancora
custodito nella cassaforte. Non ho avuto il coraggio. L’ho
comprato sì, ma non l’ho appeso. Non so cosa mi dia
tanta sicurezza, ma so che non ci sarà nessun quadro post
Anastasia. Lei completa ogni vuoto della mia anima.
«Avanti, sei stanca. A letto» le mormoro all’orecchio,
senza però allentare la stretta.
«Ero così preoccupata» sussurra lei contro il mio
petto, stringendosi a me e respirando a fondo il mio
profumo.
«Lo so. Siamo tutti tesi» le dico, lasciando Sawyer,
Taylor e il resto della squadra entrare nell’appartamento
prima di muovermi, ma senza lasciarla.
«Mr Grey, le tue ex stanno dando prova di essere una
vera e propria sfida» mi dice sarcastica.
Il mio corpo si rilassa, constatando che non ha perso il
suo senso dell’umorismo.
«Sì, lo sono» le dico, sorridendo piano, mentre mi
stacco da lei, prendendole la mano e guidandola
all’interno, fino al salone, dove ora la luce è accesa.
«Taylor e i suoi stanno controllando tutte le credenze e
le cabine armadio. Non penso che lei sia qui» la rassicuro.
«Perché dovrebbe essere qui?» chiede con la fronte
corrucciata.
«Già, appunto» confermo la sua tesi.
«Potrebbe entrare?» chiede timorosa di sentire la
risposta.
«Non vedo come.
le precauzioni, a volte»
Ma
Taylor
esagera
con
«Hai guardato anche nella tua stanza dei giochi?» mi
chiede all’improvviso.
La guardo corrucciato, chiedendomi cosa le sta
passando in questo momento per la testa.
«Sì, è chiusa a chiave. Comunque, Taylor e io abbiamo
controllato» le dico alla fine.
La sento sospirare a fondo e rilassarsi di colpo. Si
aspettava che la trovassi lì, per caso? Certo. Pensa che
Leila voglia riavermi. Quale modo migliore di tentarmi
facendosi trovare della Stanza del peccato? “Oh, Ana.
Quanto ti sbagli”.
«Vuoi qualcosa da bere o altro?» le chiedo preoccupato
per lei.
«No» sussurra, chiudendo per un attimo gli occhi,
stanca da morire.
«Vieni, ti metto a letto. Hai l’aria esausta» le sussurro,
baciandole una tempia.
La spingo fin dentro la mia camera. Ana appoggia la
piccola borsa sul cassettone, aprendola e rovesciandone il
contenuto. Ne fuoriesce anche il biglietto di Elena.
«Tieni» mi dice, passandomelo. «Non so se
vuoi leggerlo. Io intendo ignorarlo» mi dice con aria
annoiata.
Lo afferro, scorrendolo velocemente. “A che cazzo di
gioco stai giocando, Elena?”. Stringo forte la mascella per
la rabbia.
«Non capisco quali lacune possa colmare» le dico,
evitando il suo sguardo. In realtà so benissimo quali
lacune può colmare Elena. «Devo parlare con Taylor» le
annuncio. Ma anche con Elena. La guardo per un istante,
vedendo i suoi occhi stanchi e spaventati. L’improvviso
desiderio di prendermi cura di lei mi invade l’anima.
«Vieni, ti tiro giù la cerniera del vestito» le mormoro,
guardandola avvicinarsi.
«Chiamerai la polizia per la storia della macchina?» mi
chiede, voltandosi e dandomi le spalle.
Le sollevo i capelli, lasciando che le mie dita vaghino
sulla parte alta della schiena, esposta la mio sguardo.
Lentamente faccio scorrere giù la zip.
«No. Non voglio assolutamente che la polizia venga
coinvolta. Leila ha bisogno di aiuto, non dell’intervento
della polizia, e io non li voglio qui. Dobbiamo solo
raddoppiare gli sforzi per trovarla». Mi chino sulla sua
spalla candida, baciandola dolcemente. «A letto» le
ordino piano, lasciandola da sola nella camera per andare
a vedere a che punto stanno i ragazzi.
Dopo aver fatto il punto della situazione con Taylor e la
sua squadra, mi rintano nel mio studio. Mi lascio cadere
scomposto sulla poltrona in pelle, passandomi le mani nei
capelli. Anastasia è diventata così rapidamente il centro
del mio mondo e non posso pensare di perderla. Non
posso pensare di darla in pasto ad una psicopatica che
non desidera altro che spodestarla dal suo posto. Che, per
inciso, è al mio fianco. Chiudo gli occhi e davanti a me si
materializza il suo viso meraviglioso, sorridente e felice
mentre volteggiamo insieme nella pista da ballo al
ricevimento. Voglio che quel viso sia sempre così felice.
Sempre così sorridente. La mia malinconica riflessione
viene interrotta dal ronzio del mio BlackBerry. É Elena.
Guardo l’orologio mentre premo il tasto verde. É
tardissimo.
«Che c’è?» ringhio alla mia interlocutrice.
«Christian... io... volevo parlare di alcune cose» sembra
sorpresa.
«Non so perché chiami a quest’ora. Non ho niente da
aggiungere» le dico furioso.
«In realtà volevo lasciarti un messaggio, non intendevo
disturbarti» la sento riprendersi velocemente dalla
sorpresa iniziale e recuperare terreno.
«Bè, puoi dirmelo adesso. Non devi lasciarmi un
messaggio» le ordino severamente. “Ho mille problemi,
Elena. mille, non uno. E tu non stai aiutando. Non lo stai
facendo, cazzo!”.
«Christian, riguarda Anastasia. Lei, bè.. io ho cercato
di farle capire che non deve farti del male, ma lei.. non fa
per te, Christian. Devi ascoltarmi».
La rabbia mi attraversa il corpo come una scarica
elettrica a quelle parola.
«No, ascoltami tu. Te l’ho chiesto, e ora te lo ripeto.
Lasciala in pace. Lei non ha niente a che vedere con te. Mi
hai capito?» sbraito contro l’altoparlante del telefono.
«Christian, io non volevo
preoccupo solo per te, lo sai»
farti
arrabbiare.
Mi
«Lo so che lo fai. Ma dico sul serio, Elena. Cazzo,
lasciala in pace. Te lo devo scrivere in triplice copia? Mi
hai sentito?» urlo, esasperato.
Dall’altro lato sento uno sbuffo di stizza.
«Certo, come vuoi» mi risponde Elena, arrabbiata.
«Bene. Buonanotte» le dico, riattaccando, esausto.
Lancio il telefono sul ripiano della scrivania.
Ritornando a dondolarmi leggermente a destra e sinistra
sulla mia poltrona. Ho il braccio appoggiato al bracciolo,
mentre faccio scorrere il dito indice avanti e indietro sulle
labbra. Un ginocchio è piegato, mentre l’altra gamba è
distesa sotto al tavolo. Sto scomodo, voglio tornare da
Anastasia. Ma devo calmarmi. Prima Leila, il casino di
stasera, e poi anche Elena che crede di aver trovato il
figlio che non ha mai avuto da quel coglione di Linc. Un
leggero rumore alla porta mi fa alzare gli occhi al cielo e
mi prepara a ricevere l’ennesima cattiva notizia della
serata.
«Cosa c’è?» sbraito furioso.
Ma mi pento subito quando mi accorgo che è
Anastasia. Il mio viso si distende in automatico. É un
sollievo vederla. Sempre. Poggio la testa allo schienale,
prendendomi qualche attimo per ammirare tutto quello
di cui ho bisogno. É tutto racchiuso in un candido corpo
seducente, ricoperto solo dalla mia maglietta. I miei occhi
indugiano sulle sue gambe nude, per poi risalire a trovare
l’azzurro dei suoi occhi.
«Dovresti indossare raso o seta, Anastasia» le
sussurro, stanco. «Ma anche con la mia t-shirt sei
bellissima»
Vedo il suo petto gonfiarsi di orgoglio, mentre fa
qualche passo all’interno della stanza.
«Mi sei mancato. Vieni a letto» mormora piano.
Mi stacco a fatica dalla sedia. Sono davvero a pezzi. Ma
so cosa mi ci vorrebbe per riprendermi. La guardo con
ammirazione, desiderio, bramosia. La guardo e so che
devo fare di tutto per non perderla, affinché non le accada
nulla di male. Affinché Leila non la trovi. La raggiungo,
mettendomi di fronte a lei, ma non la tocco. La guardo, la
venero, ma non profano il suo corpo. Mi prendo qualche
attimo per imprimere nella mia testa questo istante,
questa visione meravigliosa.
«Sai che significhi per me?» sussurro con un filo di
voce. «Se dovesse succederti qualcosa per causa mia...»
mi mancano le parole e anche la voce si affievolisce
ancora di più.
Non riesco neppure a concepirlo un pensiero del
genere. Il dolore mi attanaglia la gola, il petto,
diffondendosi a macchia d’olio in tutto il mio corpo. Tutte
queste sensazioni le ho evitate per troppo tempo. Tutto
questo dolore. Ma per lei farei di tutto. Affronterei di
tutto. Sono pronto a lanciarmi in pasto ai leoni per farla
felice e per proteggerla.
«Non mi succederà niente» mi dice, nel tentativo di
rassicurarmi.
I miei occhi vengono distratti dalla sua mano che si
alza e raggiunge il mio viso. Il suo tocco è così
rassicurante. Le sue piccole dita mi sfiorano l’accenno di
barba, facendo risvegliare in me tutti gli appetiti
insaziabili che tenevo a bada dal ricevimento.
«La barba
ti
cresce
velocemente»
guardandomi con i suoi occhioni sgranati.
sussurra,
I suoi occhi si spostano sulle mie labbra. E così anche il
suo indice. Mi accarezza il contorno del labbro inferiore,
poi si ferma, esita. La corsa del suo dito riprende lenta,
giù per la gola, fino a quando trova la traccia lasciata dal
rossetto. La guardo, senza toccarla, socchiudendo le
labbra per il piacere che provo nel vedere la stessa carica
di desiderio che sta invadendo il mio corpo. Il dito scorre
lungo il bordo della camicia, mentre chiudo gli occhi e il
mio respiro si fa incerto. Ogni piccola carezza, ogni
minimo tocco mi eccita se è lei a farlo. Sento la stoffa dei
miei pantaloni tendersi, l’uccello pulsare velocemente
tanto da far male. Mi slaccia un bottone, lentamente.
«Non voglio toccarti. Voglio solo slacciarti la camicia»
sussurra.
Apro di scatto gli occhi a quelle parole, fissandola. I
miei muscoli sono tesi, ma non mi sposto. Mi fido di lei.
Non mi farà del male. A meno che non mi lasci. Seguo i
suoi movimenti lenti e studiati. Non sfiora neppure la mia
pelle. Tocca solo la stoffa. Solo la camicia. La sbottona
lentamente, stando attenta. Si sposta sempre più in
basso, fino a quando non riappare la linea rossa sbiadita.
Alza gli occhi su di me, sorridendo timidamente.
«Torniamo su un terreno sicuro» mi dice piano,
seguendo la linea con le dita.
Infine
slaccia
l’ultimo
bottone,
aprendo
completamente la mia camicia. “Dio, quanto la desidero”.
Passa ai polsini, togliendo con delicatezza i gemelli.
«Posso sfilarti la camicia?» mi chiede a voce bassa.
Annuisco, guardandola a fondo. Deglutisco quando le
sue dita leggere mi privano del tessuto che ricopre il mio
corpo martoriato. Ma la sua espressione di desiderio mi
rimette in posizione di vantaggio. Le lancio un sorrisetto
malizioso.
«E che mi dici dei pantaloni, Miss Steele?» le chiedo
lascivamente, con un sopracciglio alzato.
Lei inspira bruscamente e sembra sul punto di svenire
dal piacere.
«In camera da letto. Ti voglio nel tuo letto» mi
sussurra decisa, guardandomi negli occhi.
«Lo sai, Miss Steele? Sei insaziabile» la prendo in giro.
«Non capisco perché» ribatte, afferrandomi la mano e
trascinandomi fuori dal mio studio, verso la camera da
letto.
Un’aria gelida ci avvolge quando entriamo.
«Hai aperto la portafinestra del terrazzo?» le chiedo
rabbrividendo per il freddo.
«No» mi dice, corrugando la fronte. Poi, di colpo,
sbianca. Mi fissa sconcertata, a bocca aperta.
«Cosa c’è?» le chiedo preoccupato.
«Quando mi sono svegliata... c’era qualcuno qui»
sussurra con un filo di voce. «Ho pensato di essermelo
immaginato»
“Cristo!”
«Cosa?» le dico con quello che posso definire puro
terrore.
Mi avvicino celermente alla portafinestra, per guardare
fuori, poi rientro, chiudendola dietro di me.
«Sei proprio sicura? Chi?» le chiedo.
Ma conosco già la risposta. Era Leila.
«Una
donna,
appena svegliata»
penso.
Era
buio.
«Vestiti» sbraito. «Subito!»
«I miei abiti sono di sopra» risponde agitata.
Mi
ero
D’istinto apro un cassetto e tiro fuori un paio di
pantaloni di una tuta, lanciandoglieli.
«Mettiti questi» le rispondo, afferrando una t-shirt e
infilandomela.
Mi avvicino al comodino e afferro la cornetta
dell’interfono, digitando il codice dell’ufficio di Taylor.
«Mr Grey» mi risponde prontamente.
«Lei è ancora qui, dannazione!» sibilo, sbattendo la
cornetta di nuovo giù.
Taylor appare quasi subito nella nostra camera.
Mentre gli spiego quello che è appena successo, spio
Anastasia con la coda dell’occhio. Sta a testa bassa,
mortificata. D’istinto vorrei abbracciarla.
«Quando è successo?» chiede Taylor, rivolgendo la sua
attenzione ad Ana.
«Circa dieci minuti fa» mormora con aria colpevole.
Chissà perché poi.
«Lei conosce l’appartamento come il palmo della sua
mano» dico, rivolto a Taylor. «Porto via Anastasia
all’istante. Si sta nascondendo qui. Trovatela. Quando
tornerà Gail?» mi informo.
«Domani sera, signore» mi risponde lui, aggrottando
la fronte.
«Non deve rimettere piede qui, finché questo posto
non sarà sicuro. Ci siamo capiti?» sbotto.
«Sì, signore. Andrà a Bellevue?» mi chiede pratico.
«Non voglio gravare sui miei genitori con questo
problema. Prenotami una stanza da qualche parte» gli
dico, con un sospiro.
«Va bene»
«Non stiamo tutti un po’ esagerando?» chiede ad un
tratto Anastasia.
Mi giro verso di lei, trovandola con le braccia
incrociate sotto al seno, in una tuta extralarge. Le lancio
un’occhiataccia.
«Leila potrebbe avere una pistola» ringhio infuriato.
«Christian, era in piedi davanti a me, in fondo al letto.
Avrebbe potuto spararmi allora, se avesse voluto farlo...»
mormora, abbassando lo sguardo.
Il solo pensiero che quello che ha appena detto possa
essere vero, mi manda in bestie. Stringo forte la mascella
e i pugni.
«Non sono pronto a correre il rischio. Taylor,
Anastasia ha bisogno di scarpe» dico, troncando il
discorso.
Mi infilo nella cabina armadio, mentre Taylor esce e
sale di sopra. Ryan resta con Ana.
Mi cambio in fretta, infilando un paio di jeans e una
giacca. Afferro la mia tracolla e il giubbotto di pelle.
Riemergo nella stanza, poggiando il giubbotto sulle spalle
di Ana.
«Vieni» le dico,
trascinandomela dietro.
stringendole
la
mano
e
«Non riesco a credere che lei si sia potuta
nascondere qui dentro da qualche parte» la sento
mormorare, girandomi per trovarla a fissare la
portafinestra del terrazzo.
«È un posto grande. Non lo hai ancora visto tutto» le
dico di rimando.
«Perché non provi semplicemente a chiamarla... a dirle
che vuoi parlarle?» mi chiede ad un tratto.
“Oh, come se non ci avessi provato!”. Ma evito di
dirglielo. So già come reagirebbe.
«Anastasia, quella donna è instabile, e potrebbe essere
armata» ribatto iniziando ad essere irritato da tutta la
situazione e dal suo continuare a mettermi sotto
pressione.
«Allora noi
sopracciglio.
scappiamo?»
chiede,
alzando
un
«Per adesso sì» ribatto deciso.
«Mettiamo che cerchi di sparare a Taylor» mi dice,
incrociando di nuovo le braccia.
«Taylor conosce e capisce le armi» ribatto con una
smorfia. «Sarebbe più veloce di lei con la pistola»
«Ray è stato nell’esercito. Mi ha insegnato a sparare»
mi dice, alzando il mento.
La guardo, senza riuscire a trattenere un sorriso.
«Tu, con una pistola?» chiedo incredulo.
«Sì» mi risponde offesa. «So sparare, Mr Grey, perciò
sarà meglio che tu stia attento. Non è solo di una folle ex
Sottomessa che devi aver paura» ribatte arricciando le
labbra e girandosi dall’altro lato.
«Me lo ricorderò, Miss Steele» le rispondo seccamente,
divertito dalla visione che mi si è formata nella testa.
In quel momento ci raggiunge Taylor, che le passa la
valigia e le sue scarpe da ginnastica. Ana lo guarda
stupita. Poi gli sorride, timida, in imbarazzo. Taylor
ricambia il sorriso velocemente. Ana ci sorprende
entrambi, lanciandosi su di lui e abbracciandolo forte.
Quando si stacca, Taylor è arrossito.
«Stia attento» mormora facendo un passo indietro e
guardandolo accorata.
«Sì, Miss Steele» borbotta lui.
Li guardo con aria interrogativa. Non mi piace vedere
Ana avvinghiata ad un altro. Anche se si tratta di Taylor.
Rivolgo il mio sguardo a lui, che mi sorride mentre si
aggiusta la cravatta.
«Fammi
sapere
dove
sto
andando»
gli
dico,
guardandolo inquisitorio.
Taylor frugo nella tasca interna della sua giacca,
tirando fuori il portafoglio e sfilandone una carta di
credito che poi mi passa.
«Potrebbe voler usare questa, quando sarà là» mi dice
con aria complice.
Annuisco, colpito dalla sua capacità organizzativa.
«Bella pensata» annuisco.
Di quest’uomo ci si può fidare. Questo è poco ma
sicuro.
Sopraggiunge anche Ryan.
«Sawyer e Reynolds
annuncia a Taylor.
non hanno
trovato
nulla»
Lui drizza le spalle, assumendo il comando totale
dell’operazione.
«Accompagna Mr Grey e Miss Steele in garage»
ordina.
Ryan chiama l’ascensore e, mentre aspettiamo, stringo
forte la mano di Anastasia. Lei poggia lo sguardo prima
sulle nostre mani unite. Poi lo punta su di me, nei miei
occhi grigi tormentati per la paura di perderla. Entriamo
in silenzio nell’ascensore, senza scambiare nessuna
parola fino al garage, deserto data l’ora tarda. I miei occhi
cadono immediatamente sulla sua auto, con i pneumatici
forati e la carrozzeria tinta di bianco. Non mi ci soffermo
a lungo. Le indico con un celere cenno la R8 e metto sia la
sua valigia che la mia tracolla nel bagagliaio anteriore
dell’auto. La vedo sussultare quando si rende conto delle
condizioni della sua Audi, mentre si infila in macchina.
Prendo posto accanto a lei, ansioso di allontanarmi da
tutto questo.
«Lunedì arriverà un’auto sostitutiva» le
appuntandomi mentalmente di riferirlo a Taylor.
dico,
«Come faceva lei a sapere che era la mia macchina?»
mi chiede corrucciata.
Mi giro in preda all’ansia, deglutendo piano. Sospiro
perché sapevo che questa domanda era inevitabile.
«Aveva un’Audi A3. Ne compro una a tutte le mie
Sottomesse. È l’auto più sicura della sua categoria»
confesso in un sussurro.
I suoi occhi si fanno grandi, pieni di un sentimento
molto simile al dolore. “Cristo”.
«Perciò non era un regalo di laurea»
Non me lo chiede. La sua è una constatazione.
«Anastasia, benché lo sperassi, tu non sei mai stata la
mia Sottomessa, perciò tecnicamente è un regalo di
laurea» le spiego avviandomi verso l’uscita del garage
dell’Escala. Sento l’atmosfera tra di noi cambiare. La spio,
vedendola abbassare lo sguardo e fissarsi le dita. So che
non è un buon segno. Ci immettiamo sulla strada deserta
e pigio l’acceleratore.
«Lo speri ancora?» sussurra, la voce a malapena
udibile.
“Cristo, no!”. Il telefono dell’auto squilla. Rispondo
subito. Dev’essere Taylor.
«Grey»
«Fairmont Olympic. A mio nome» mi dice Taylor.
Il suo tono pratico mi dice che sta facendo tutto quello
che è in suo potere per risolvere la faccenda.
«Grazie, Taylor. E... sta’ attento» aggiungo, davvero
preoccupato per lui.
Dall’altro lato sento il silenzio.
«Sì, signore» dice tranquillo alla fine.
Riaggancio e torno a premere l’acceleratore. Ripenso
alla sua domanda. Ovvio che non voglio più che sia una
Sottomessa. É evidente. ‘Magari non per lei, Grey’. Già,
forse non è così evidente. Vorrei dirglielo. Vorrei trovare
un modo. Mi mordo l’interno della guancia, fino a farmi
male. Ma non riesco a pronunciare quella che è ormai la
sola ragione per cui mi alzo dal mio fottutissimo letto la
mattina. Io la amo. Vengo distratto da una luce nello
specchietto, ma l’auto svolta ad un certo punto. Non ci sta
seguendo. Faccio un giro lungo, deviando dal normale
percorso, per depistare eventuali inseguitori. Poi torno a
guardarla, totalmente immersa nella sua malinconia.
Sospiro leggermente.
«No, non lo spero, non più. Pensavo che fosse ovvio» le
dico piano, dolcemente, come per farglielo davvero
imprimere in testa.
Ana si gira a guardarmi di scatto. Si stringe nel mio
giubbotto.
«Temevo
che...
lo
sai...
essere abbastanza» sussurra.
temevo
di
non
«Sei più che abbastanza. Per l’amor di Dio, Anastasia,
che cosa devo fare per fartelo capire?» le dico,
guardandola esasperato.
E in quel momento lo so. I suoi occhi implorano per
sentirsi dire di essere amata. Ma non so come... non so
come fare.
«Perché pensavi che ti avrei lasciato quando ti ho detto
che il dottor Flynn mi aveva raccontato tutto di te?»
chiede timorosa.
Inspiro profondamente e per qualche attimo non butto
fuori l’aria. Poi lo faccio, liberandomi all’improvviso.
“Perché sono un perverso e malato figlio di puttana.
Perché faccio del male alle persone, alle persone come te.
Solo perché hanno la sfortuna di assomigliare a quella
lurida troia di mia madre. Solo perché riescono a farmi
sfogare. Solo perché se ordino loro di mangiare, loro lo
fanno. Non si lasciano morire di stenti su uno sporco
divano. Se ordino loro di lasciarsi fustigare al suo posto,
loro sono lì, pronte a soddisfare ogni mio desiderio. Sono
io che decido quando mandarle via. Nessuna di loro mi
abbandona per giorni, lasciandomi a morire di fame.
Eppure... eppure tu non sei tutto questo. Tu non lo sei
mai stata. Tu sei la donna della mia vita. Ma fuggiresti da
me se ti dicessi che mi piace fare del male, anzi godo nel
fare del male ad una donna. Solo perché è bruna e con la
pelle chiara. Solo perché è come Ella. Sono solo un sadico
figlio di puttana”.
«Non puoi nemmeno immaginare l’abisso della mia
depravazione, Anastasia. E non è qualcosa che voglio
condividere con te» le dico, senza distogliere gli occhi
dalla strada.
«E davvero pensi che ti lascerei, se lo sapessi?» quasi
urla per l’incredulità. «Hai una così scarsa opinione di
me?» mi chiede, ferita.
«So che te ne andresti» le dico, tristemente. “Lo so,
Ana. É così. Scappate tutti via dal mostro che sono”.
«Christian... credo che sia molto improbabile. Non
posso immaginare di stare senza di te» sussurra,
incredula.
Le sue parole mi infondono speranza, ma non riesco a
credere fino in fondo a quello che dice.
«Invece mi hai già lasciato una volta... Ma non voglio
tornare sull’argomento» le dico, serrando la mascella.
Ana mi fissa per qualche istante. Poi cambia direzione
del discorso.
«Elena mi ha detto di averti visto sabato scorso»
afferma, piano.
«Non è vero» controbatto, aggrottando la fronte.
“Cristo, Elena, ma che cazzo stai combinando?”.
«Non sei andato a trovarla, quando ti ho lasciato?»
chiede sarcastica.
«No» rispondo in preda all’irritazione. «Ti ho appena
detto che non l’ho fatto. E non mi piace che si dubiti di
me» la ammonisco con severità. «Non sono andato da
nessuna parte lo scorso fine settimana. Ho costruito il
modellino di aliante che mi avevi regalato. Mi ci è voluta
una vita» aggiungo, malinconicamente. Non ho voglia di
ricordare. Ora lei è qui con me. Riesco quasi a sentire il
rumore del suo cervello che pensa e ripensa a tutta la
situazione. Se fosse un’altra l’avrei già rispedita a casa.
Ma con lei, mi sento in dovere di darle una spiegazione
ulteriore. «Contrariamente a ciò che Elena pensa,
non corro da lei ogni volta che ho un problema,
Anastasia. Non corro da nessuno. Avrai notato che non
sono una persona loquace» le dico, stringendo con forza il
volante tra le mani. Questa volta, Elena me la paga.
Dopo pochi attimi di silenzio, riprende.
«Carrick mi ha detto che non hai parlato per due anni»
mormora, girandosi a guardarmi.
«Ah, sì?» le dico, stringendo forte le labbra.
«In parte l’ho spinto io a farmi quella confidenza»
spiega, in imbarazzo.
«E che altro ti ha detto il paparino?» dico a denti
stretti.
«Mi ha detto che tua madre era il medico che ti ha
visitato quando ti hanno portato in ospedale... dopo che ti
hanno trovato nel tuo appartamento»
Continuo a fissare la strada, mentre i ricordi sfocati di
quel giorno prendono vita nella mia testa. Era stato un
giorno fortunato per me. Cibo, acqua. E un calore che non
avevo mai sperimentato prima. Avevo incontrato un
angelo. Un angelo dolce. Avevo una nuova mamma”.
«Dice che imparare a suonare il pianoforte ti
ha aiutato. E anche Mia»
Sorrido all’istante al solo sentire pronunciare il nome
di mia sorella. Il ricordo del suo piccolo sorriso mi
riscalda il cuore. É stata parte di quell’ancora di salvezza
lanciatami dai Grey.
«Aveva circa sei mesi quando è arrivata. Io
ero elettrizzato, Elliot un po’ meno. Aveva già avuto un
rivale con il mio arrivo. Lei era perfetta» le dico,
ricordando l’attimo in cui quel fagotto è entrato in casa
nostra. Era splendida. Perfetta. Meravigliosa. E aveva
bisogno di essere protetta. Potevo farlo. Potevo esserle
d’aiuto. Potevo servire a qualcosa in quella enorme casa
che non era mia. Non ancora almeno. «Adesso un po’
meno,
ovviamente»
borbotto,
aggrottando
sarcasticamente la fronte nel ricordare come ci ha tenuti
separati per gran parte della serata.
Anastasia ridacchia. Mi giro a lanciarle un’occhiata di
traverso, segretamente divertito.
«Lo trovi divertente, Miss Steele?» le chiedo.
«Sembrava determinata a dividerci» continua a
ridacchiare lei. Mi sforzo di seguire il suo buonumore.
«Sì, c’è quasi riuscita» le dico, allungano la mano
destra verso di lei e strizzandole affettuosamente il
ginocchio. «Ma ce l’abbiamo fatta, alla fine» le sussurro
malizioso.
Alzo gli occhi, guardando per l’ennesima volta nello
specchietto retrovisore. Sono definitivamente sicuro che
nessuno ci sta dietro.
«Non penso che siamo seguiti» le annuncio. Esco dalla
I-5 e torno verso il centro di Seattle. É di nuovo lei a
rompere il silenzio.
«Posso farti qualche domanda su Elena?» mi chiede,
timorosa.
“Oh, tipo quanto vorrei strangolarla con le mie mani
ora?”. La guardo, mentre ci fermiamo ad un semaforo.
«Se proprio devi» borbotto mettendole il broncio.
Lei mi guarda, alzando un sopracciglio, poi torna a
fissarsi le dita.
«Tempo fa mi hai detto che lei ti amava in un modo
che trovavi accettabile. Che cosa significa?» mi chiede
piano.
«Non è ovvio?» ribatto.
«Non a me» ammette sincera.
Faccio un sospiro. “Più cose tiro fuori, più si fiderà di
me”.
«Ero fuori controllo. Non potevo tollerare di essere
toccato. Non riesco a sopportarlo nemmeno adesso. Per
un adolescente di quattordici quindici anni con gli
ormoni in subbuglio era un periodo difficile. Mi ha
mostrato il modo per sfogarmi». Senza toccarmi. Mi ha
dato quello di cui avevo bisogno. Mi ha punito. Ha usato
la paura del suo tocco per insegnarmi a controllare le mie
sensazioni e le mie reazioni. Mi ha fatto male, mi ha fatto
godere. Ma in definitiva mi ha tirato su dal baratro. Per
un attimo i miei pensieri furiosi nei suoi confronti si
placano. “A volte è stronza, ma le devo tutto”.
«Mia mi ha detto che eri un attaccabrighe» mi dice,
interrompendo il flusso dei miei pensieri.
«Maledizione, ma perché la mia famiglia ha
la tendenza a parlare tanto? A dire il vero... è colpa tua»
borbotto di nuovo. Siamo fermi ad un altro semaforo e io
stringo gli occhi mentre la guardo. «Tu riesci a cavar fuori
le informazioni dalle persone lusingandole» le dico,
scuotendo piano la testa con finta disapprovazione.
«Non ho estorto alcuna confessione a Mia. In effetti è
stata molto affabile. Era preoccupata che tu facessi
scoppiare una rissa se non mi avessi vinta all’asta»
brontola infastidita.
«Oh, piccola, non c’era alcun pericolo. In nessun modo
avrei lasciato che qualcun altro ballasse con te» le dico
con un sorrisetto arrogante.
«Hai lasciato che lo facesse il dottor Flynn» ribatte,
con un sopracciglio alzato.
«C’è sempre un’eccezione alla regola» la stuzzico,
mentre svolto nell’ampio viale d’accesso del Fairmont
Olympic Hotel. «Vieni» le dico, scendendo dall’auto e
prendendo i bagagli.
Un
addetto
al
parcheggio
ci
raggiunge
immediatamente. Gli lancio le mie chiavi. «Il nome è
Taylor» gli dico, notando la sua gioia mentre si mette alla
guida della R8. Afferro la mano di Anastasia e ci avviamo
insieme verso la hall. La receptionist ci accoglie con un
sorriso di meraviglia. I suoi occhi vagano da me ad
Anastasia. Le stringo di più la mano, quando la vedo
alzare gli occhi al cielo mentre la rossa davanti a me fa la
svenevole.
«Ha... ha bisogno di aiuto... con le valigie, Mr Taylor?»
mi chiede, mentre il colore del suo viso si uniforma a
quello dei suoi capelli.
«No, Mrs Taylor e io possiamo farcela da soli»
rispondo. Non voglio perdere altro tempo.
«Siete nella Suite della Cascata, Mr Taylor, undicesimo
piano. Il nostro fattorino vi accompagnerà»
«Va benissimo così» le rispondo, tagliando corto.
«Dove sono gli ascensori?» chiedo pratico.
Lei, balbettando ci spiega dove dirigersi e io riafferro la
mano di Ana, che avevo lasciato per porgere la carta di
credito alla receptionist e ci incamminiamo nella hall
deserta. L’unica persona in giro è una donna bruna, che ci
guarda sorridente, come se io non fossi vestito di tutto
punto e Ana non fosse agghindata alla meno peggio. Dà
da mangiare al suo terrier, comodamente seduta su un
morbido divanetto. Nella cabina dell’ascensore
rimaniamo in silenzio. Quando arriviamo al nostro piano
ed entriamo nella suite mi sento finalmente al sicuro.
Leila non può trovarci qui. La suite è ovviamente enorme.
«Ebbene, Mrs Taylor, non so tu, ma io ho proprio
bisogno di un drink» le sussurro, chiudendo la porta a
chiave.
Appoggio il suo bagaglio e la mia tracolla sulla poltrona
ai piedi del letto a baldacchino e la porto in soggiorno. Il
fuoco scoppietta nel camino. Ana rimane in piedi a
riscaldarsi le mani gelide. Mi avvicino al minibar e
controllo tra i liquori.
«Armagnac?» suggerisco.
«Sì, grazie»
Verso il liquido nei bicchieri e la
immediatamente, porgendole un bicchiere.
raggiungo
«Che giornata, eh?» le dico, guardandola e cercando di
sondare il suo stato d’animo.
Annuisce.
«Sto bene» aggiunge in un sussurro, cercando di
rassicurarmi. «E tu?» mi chiede.
«Bè, in questo momento voglio bere e poi, se non sei
troppo stanca, voglio portarti a letto e perdermi dentro di
te» le sussurro con uno sguardo complice.
«Credo che si possa fare, Mr Taylor» Mi dice
maliziosamente.
Poggio il bicchiere sul camino e mi abbasso per
sfilarmi le scarpe e le calze. Ana mi guarda con desiderio,
affondando i denti nel morbido labbro. Il mio cazzo
sussulta a quella vista.
«Mrs Taylor, smettila di morderti il labbro» le
sussurro, rialzandomi e riprendendo il bicchiere.
Anche lei beve. Non riesco a smetterla di guardarla con
desiderio quasi bruciante.
«Non smetti mai di stupirmi, Anastasia. Dopo un
giorno come oggi, o come ieri, non ti lamenti né corri via
urlando. Sono ammirato. Sei molto forte» le dico con
ammirazione.
«Tu sei un’ottima ragione per rimanere» mormora,
lasciandomi senza parole. «Te l’ho detto, Christian: non
andrò da nessuna parte, non m’importa quello che hai
fatto. Sai quello che provo per te» confessa.
Faccio una piccola smorfia e aggrotto la fronte. “Non
puoi amarmi se non mi conosci”. Lei sospira piano.
«Dove appenderai i ritratti che José mi ha fatto?» dice,
abbozzando un sorriso.
«Dipende» le dico sorridendo piano.
Sto pensando di farne fare delle copie e appenderle
ovunque. Voglio comprare una casa, per lei, per noi. Un
posto non inquinato dal mio passato. E appenderli anche
lì. ‘Così si convincerà definitivamente che sei un maniaco,
Grey’.
«Da cosa?» mi chiede corrucciando la fronte.
«Dalle circostanze» le rispondo con una finta aria di
mistero. «La mostra non è ancora finita, perciò non devo
decidere subito».
Anastasia piega la testa di lato, stringendo gli occhi e
fissandomi truce.
«Puoi guardarmi male quanto vuoi, Mrs Taylor. Non
dirò niente» la prendo in giro bonariamente, passandomi
la lingua sulle labbra.
«Potrei tirarti fuori la verità con la tortura» ribatte di
slancio, riflettendo solo dopo su quello che ha appena
detto.
La guardo, alzando un sopracciglio.
«Anastasia, se fossi in te, non farei promesse che non
puoi mantenere» le dico ironicamente.
Nei suoi occhi balena un lampo di sfida. Poggia il
bicchiere sulla mensola del camino, mentre la guardo con
stupore. Poi mi lascia ancora più sbalordito quando mi
sfila audacemente il bicchiere di mano e lo mette accanto
al suo.
«Bè, dobbiamo solo stare a vedere» mormora.
‘Non c’è che dire, Grey. Il brandy rende audace la tua
brunetta’. Anastasia mi afferra la mano, conducendomi
verso il letto. Si ferma proprio lì davanti, mentre io cerco
di non far trapelare troppo il mio sorrisetto divertito. Mi
sto rilassando davvero. Ed è tutto merito suo.
«E ora che mi hai qui, Anastasia, che cosa ne farai di
me?» scherzo, ma la voce mi esce bassa e roca.
«Inizierò con lo spogliarti. Voglio finire quello che
avevo cominciato» dice, allungando le mani verso il
bavero della mia giacca.
Noto con interesse il fatto che evita di toccarmi. Ma
non riesco a non trattenere lo stesso il fiato per
l’apprensione. La fisso, occhi negli occhi, d’improvviso
serio. Si gira, poggiando la giacca sulla poltrona, accanto
ai nostri bagagli.
«Adesso la t-shirt» sussurra, tirandomela su.
La aiuto, sollevando le braccia e chinandomi per
permetterle di sfilarmela dalla testa. Poi resta ferma a
guardarmi. Sembra abbeverarsi della mia immagine. Ha
uno sguardo famelico, che accarezza piano ogni anfratto
del mio corpo scolpito dall’esercizio fisico. Mi vuole.
Anastasia Steele mi vuole.
«E adesso?» le sussurro, eccitato.
«Voglio baciarti qui» mi dice, facendo scorrere il dito
lungo il mio ventre, da un fianco all’altro. Guarda la mia
pelle, poi sale a fissare i miei occhi grigi che ardono per
lei. Schiudo le labbra al suo tocco, mentre il respiro mi si
mozza in gola. Non ho mai provato nulla del genere.
Nessuna ha mai preso l’iniziativa con me. Tranne Elena.
Ma le sensazioni di un quindicenne arrapato, alla sua
prima volta, non contano. Inspiro profondamente.
«Non ti fermerò» sospiro, in balia delle emozioni.
Ana mi prende per mano, delicatamente.
«Sarà meglio che ti
portandomi verso il letto.
sdrai,
allora»
mormora,
La guardo stupito da tanta audacia. “Chi l’avrebbe mai
detto? Mi stai facendo capitolare, Ana. Su tutti i fronti”.
Scosto le coperte, sedendomi sul bordo del materasso,
guardandola in attesa, senza sapere cosa aspettarmi. Ana
si mette di fronte a me. Si toglie di dosso il giubotto, poi
lascia cadere anche i pantaloni della tuta. La visione delle
sue gambe pazzesche mi manda in estasi. Voglio toccarla.
Devo davvero fare appello a tutte le mie forze per non
saltarle addosso. Mi sfrego i polpastrelli, cercando di
alleviare il dolore fisico che sento alle mani. La desidero
da impazzire. Ana mi fissa, poi fa un profondo respiro.
Poi le sue dita afferrano l’orlo della t-shirt e la sfilano. É
completamente nuda, di fronte a me. Particolare che non
avevo notato nel mio ufficio, quando la maglietta le
scendeva a coprirle le cosce. Il mio cazzo pulsa
violentemente contro i jeans. Un brivido mi passa lungo
la schiena.
«Tu sei Afrodite, Anastasia» le mormoro, incantato.
Lei si avvicina, prendendomi il volto tra le mani
tremanti e chinandosi sulle mie labbra. Il bacio che mi
regala è morbido, delicato come lei. Gemo di piacere,
nella sua bocca. Mentre i nostri sapori si fondono,
insieme a quello dell’Armagnac. Non resisto oltre. Le
afferro i fianchi e la inchiodo sul letto, sotto di me. Le
spalanco le gambe, fiondandomici in mezzo. La bacio a
fondo, prepotentemente, prendendomi quello di cui ho
bisogno e restituendole quello di cui ha bisogno lei.
Conforto, passione, desiderio, amore. C’è tutto questo in
quel solo, unico bacio. La mia mano le accarezza la
gamba, sotto di me, risalendo lentamente sino al fianco.
La sua pelle emana un calore eccitante. Continuo a salire,
sempre di più. Arrivo sul ventre, dove la accarezzo
delicato, poi salgo ancora. Giungo ai seni. Con la mano ne
afferro delicatamente uno, concentrandomi sul capezzolo.
Lo tiro, lo stuzzico, la eccito. La sento gemere contro il
mio mento, mentre il suo bacino si spinge voglioso verso
il mio cazzo famelico in cerca di lei. Affondo la lingua
un’ultima volta nella sua gola, prima di ritrarmi. La
guardo divertito dalla sua voglia, senza fiato. Spingo in
avanti le anche, premendo il mio uccello fasciato dai jeans
contro la sua pelle nuda. Ana chiude gli occhi, eccitata,
gemendo nuovamente a pochi millimetri dalla mia bocca.
Ripeto il gesto e questa volta lei si spinge verso di me,
premendo il suo sesso nudo contro il cavallo dei miei
jeans. Geme ancora, aprendo la bocca. Le lecco il suo
labbro inferiore, spingendo avido la lingua dentro di lei
ancora, coinvolgendola nell’ennesimo bacio lussurioso.
Continuiamo a strofinarci l’uno contro l’altra,
stuzzicandoci a vicenda, godendo dei nostri corpi che si
scontrano piano e lenti. Mi stacco per un attimo dalla sua
bocca. I nostri respiri affannati si mescolano. Ma lei non
mi dà tregua. Mi afferra i capelli, avida di avermi, e si
fionda di nuovo sulle mie labbra. “Cristo, mi sta
consumando!”. Le sue dita scorrono lungo il mio braccio,
poi si muovono sulla cintura dei jeans, infilandosi
all’interno e spingendosi nei boxer. Il mio cazzo sta per
esplodere. Lei lo avvolge piano, stringendolo tra le dita.
«Finirai per castrarmi, Ana» le sussurro, scioccato dal
suo essere così intrepida.
Mi alzo all’improvviso, calandomi i jeans e porgendole
un preservativo tirato fuori dalla tasca.
«Tu vuoi me, piccola, e io voglio te. Sai cosa devi fare»
le intimo.
Mi afferro l’uccello enorme tra le mani, mentre la
osservo strappare velocemente la confezione e srotolare il
profilattico su di me. Le lancio un sorrisetto, poi mi
abbasso su di lei, reggendomi sui gomiti. Mi avvicino al
suo viso, strofinando il naso contro il suo. Lentamente mi
infilo tra le sue cosce. Chiudo gli occhi e la penetro, piano,
dolcemente, infilando tutta la mia lunghezza nel suo sesso
voglioso e fradicio. Anastasia si aggrappa alle mie braccia,
spingendo la testa all’indietro sul materasso. Lascio
scorrere i denti lungo il suo mento, mentre mi sfilo da lei
e poi riaffondo più in profondità. Il mio corpo preme
ancora di più sul suo, mentre, puntellandomi sui gomiti,
lascio le mie mani afferrarle il viso. La guardo negli occhi
e ho bisogno di farle sapere quanto mi rende felice,
quanto mi fa star bene.
«Mi fai dimenticare tutto. Sei la migliore delle terapie»
le sussurro contro la bocca, muovendomi lentamente
dentro di lei, godendomi ogni millisecondo.
«Per favore, Christian, più veloce» mormora avida,
contro le mie labbra.
«Oh, piccola, ho bisogno di questa lentezza» le
sussurro, continuando a baciarla dolcemente.
Quello che sto sperimentando con lei non l’ho mai
avuto prima. É una connessione così profonda, così
intima. Le sue mani scorrono tra i mie capelli, mentre si
lascia guidare dal mio ritmo lento ma forte. Il suo
orgasmo arriva inaspettatamente. La guardo adorante,
mentre gode sotto di me, inarcando la schiena e
premendosi di più contro il mio corpo, mentre il mio
uccello penetra nei recessi nascosti del suo ventre,
sempre più in profondità. Quella vista mi manda in
orbita.
«Oh, Ana» mormoro, lasciandomi andare al piacere e
svuotandomi dentro di lei.
Crollo ansimante su di lei, mentre mi sfilo e poggio la
testa sulla sua pancia. Restiamo in silenzio per un po’,
mentre i nostri respiri si placano lentamente. Le mie
braccia le circondano il corpo, mentre le sue mani
scorrono tra i miei capelli scomposti. I miei occhi
spalancati fissano il vuoto. Quello che abbiamo appena
condiviso è stato diverso. É stato intimo, profondo, una
connessione su tutti i livelli, che non mi ha lasciato
scampo. Sono irrimediabilmente suo. “Ti appartengo,
Anastasia. Non potrebbe essere altrimenti. Solo ora me
ne rendo davvero conto. Ti amo”. Mi riprometto, tra me e
me, di trovare il coraggio di dirle queste parole.
«Non ne avrò mai abbastanza di te. Non lasciarmi»
mormoro contro la sua pelle, stupendo me per primo. Le
do un bacio sulla pancia, dolcemente.
«Non vado da nessuna parte, Christian, e mi sembra di
ricordare che volevo essere io a baciare la tua pancia»
borbotta piano, assonnata.
Sorrido contro il suo ventre.
«Niente
ti
fermerà
adesso,
piccola»
le
dico
maliziosamente. “Voglio scoparti tutta la notte, Miss
Steele”.
«Non credo di riuscire a muovermi, sono così stanca»
dice sbadigliando piano.
Sospiro a fondo, spostandomi riluttante dalla mia
posizione e sdraiandomi di fianco a lei. Poggio la testa su
un gomito, tirando le coperte fino a coprirci. La fisso per
qualche istante, con amore.
«Ora dormi, piccola» le dico alla fine, baciandole i
capelli e avvolgendole le braccia attorno al corpo.
Ana si addormenta praticamente subito. Io ci metto un
po’, perdendomi nel suo fantastico odore. Di Ana e sesso.
La sento mugolare qualcosa.
«Non voglio lasciarti Christian... Tienimi con te».
Sorrido contro la sua spalla, baciandole la pelle. E poi
la seguo a ruota nel mondo dei sogni. Felice ed appagato
come non sono mai stato.
Mi sveglio strusciando il mio corpo nudo contro quello
morbido della mia fidanzata. Ana dorme ancora. Allungo
una mano e afferro l’orologio. Le 8.30. Un record per me.
Sto attento a non svegliare Ana e mi alzo, entrando in
bagno. Decido di farmi una doccia e poi chiamare Taylor
per sapere gli sviluppi della situazione. Poi rinuncio.
Voglio aspettare lei. Mentre rimugino, mi sovviene alla
mente che oggi è un giorno perfetto per farla visitare dalla
dottoressa Greene. Quando esco dal bagno, chiamo
Taylor e mi sento rispondere che di Leila non c’è alcuna
traccia. Sconfitto, gli dico di organizzare un
appuntamento con la Greene per questa mattina alle 11 e
di controllare la Grace. Voglio portarci Ana e tenerla al
sicuro per un pomeriggio almeno. Alle 10 e 10 vado in
camera a chiamarla. Mi siedo sul materasso e la fisso per
qualche minuto, incapace di interrompere quella
beatitudine. Ma devo. Le scosto piano i capelli dal viso.
Ana mormora qualcosa. Credo il mio nome. Poi,
lentamente, si sveglia. Si guarda intorno spaesata.
«Ciao» le mormoro, sorridendole dolcemente.
Il suo sguardo si poggia su di me, che sono vestito di
tutto punto. Arrossisce piano.
«Ciao» sussurra. «Da quanto tempo mi stai guardando
così?» chiede, vergognandosi.
«Potrei osservarti dormire per ore, Anastasia. Ma sono
qui da cinque minuti»
Mi avvicino a lei e le deposito un veloce bacio sulle
labbra morbide.
«La dottoressa Greene arriverà tra poco» le annuncio.
«Oh» constata, corrugando la fronte.
«Hai dormito bene?» le chiedo, prima che possa
replicare. «Mi è sembrato di sì, visto come russavi»
aggiungo, divertito.
«Io non russo!» ribatte, seccata.
«No, non lo fai» le rispondo, sogghignando per il mio
piccolo scherzo.
I suoi occhi fissano la base del mio collo.
«Hai fatto la doccia?»
«No. Aspettavo te»
«Ah... okay. Che ore sono?» chiede, ancora spaesata.
«Le dieci e un quarto. Non ho avuto cuore di svegliarti
prima» le dico con un sorriso.
«Mi avevi detto di non avere affatto un cuore» mi dice
sarcastica.
Il mio sorriso si carica di tristezza. “No. non ho un
cuore. Ma con te mi sembra di averlo”. Evito di ribattere e
cambio argomento.
«La colazione è qui: pancake e bacon per te. Avanti,
alzati, comincio a sentirmi solo qui fuori» le dico,
tornando a sorriderle affettuosamente, mentre le assesto
una pacca scherzosa sul sedere. Quel gesto, per quanto
affettuoso, mi fa vibrare l’uccello. “Merda”.
La vedo barcollare mentre si alza dal letto e scompare
nel bagno. Mi alzo dal letto e vado ad aspettarla in sala da
pranzo, dove inizio a fare colazione. Ripenso alla nostra
prima colazione in albergo. Ancora neppure ci
conoscevamo. Sembra passata una vita. E, come quel
giorno, la sto aspettando mentre finisce una doccia senza
di me, dopo aver ordinato per lei tutto il cibo sul menu.
Scuoto la testa sorridendo. Sono proprio innamorato di
lei.
Quando
finalmente
torna
dal
bagno,
avvolta
nell’accappatoio, mi guarda con un sorriso, sedendosi
accanto a me mentre io leggo il giornale. Mi lancia un
sorrisetto.
«Mangia. Avrai bisogno di tutte le tue forze oggi» le
dico bonariamente.
«E perché? Vuoi chiudermi in camera da letto?»
ribatte lei, maliziosa.
«Per quanto l’idea mi alletti, pensavo di uscire. Di
prendere un po’ d’aria fresca» le dico guardandola dritto
negli occhi. “Ma se la metti così, Miss Steele... non mi tiro
indietro”.
«Non sarà pericoloso?» chiede ironica, fingendo
innocenza.
La domanda mi fa tornare l’ansia che si era dissipata
nelle ultime ore.
«Il posto dove andremo è sicuro. Questo non è uno
scherzo» aggiungo severo.
Ana arrossisce violentemente, concentrandosi sul cibo
che ha nel piatto. Mi guarda ogni tanto, senza far nulla
per dissimulare l’irritazione per essere stata
rimproverata. Il nostro silenzio carico di recriminazioni
viene interrotto da un leggero bussare alla porta.
Dev’essere la dottoressa-15miladollariavisita-Greene.
«Questa dev’essere la dottoressa» borbotto, alzandomi
e andandola ad accogliere.
Le lascio da sole in camera per la visita, mentre mi
rintano di nuovo in sala da pranzo. Ma non riesco a finire
la mia lettura del giornale. Sono troppo preoccupato. E se
lei avesse ragione? Come sarà uscire allo scoperto. Oggi è
domenica. Come farà domani, con il lavoro? La soluzione
è che lei non si muova da casa. Ma mi sento già frustrato
alla sola idea della battaglia che scaturirà da tutto questo
quando gliene parlerò.
Quando finalmente esce dalla camera, noto che è
pallida come un cencio. Mi preoccupo, ma aspetto che la
dottoressa vada via per chiederle cosa cazzo sia successo
lì dentro. Chiudo la porta dietro la statuaria bionda e
finalmente siamo di nuovo soli.
«Tutto a posto?» le chiedo, sondando la sua
espressione.
Ana annuisce piano, restando in silenzio. Piego la testa
di lato, poco convinto.
«Anastasia, cosa succede? Che cosa ti ha detto la
dottoressa Greene?» le chiedo, più deciso.
Lei scuote la testa, rimanendo ostinatamente chiusa
nel suo silenzio. Poi parla.
«Tra sette giorni avrai il via libera» mormora
impacciata.
«Sette giorni?» chiedo sorpreso.
«Sì» conferma.
“Un bellissimo regalo di compleanno, dottoressa”. Ma
la sua espressione mi preoccupa.
«Ana, cosa c’è che non va?» dico severamente.
Lei deglutisce a fatica, come se dovesse confessarmi
chissà quale peccato.
«Non c’è nulla di cui preoccuparsi. Per favore,
Christian, lascia perdere e basta» ribatte esasperata.
“Oh, no, Miss Steele. Non giocarti la carta dell’essere
scontrosa con me. Non oggi”. Mi piazzo di fronte a lei,
ostruendole il passaggio. Le afferro il mento, alzandole la
testa. La fisso negli occhi, indagando a fondo nel suo
essere.
«Dimmelo» le ordino.
«Non c’è niente da dire. Vorrei vestirmi» mi dice,
girando la testa di lato e stringendosi addosso
l’accappatoio.
Mi passo una mano nei capelli, esasperato. La guardo
di nuovo, con la fronte aggrottata, sospirando.
«Facciamo la doccia» le dico alla fine.
«Certo» borbotta lei, con aria assente.
Faccio una smorfia d’impazienza.
«Vieni» le dico incavolato, afferrandola per una mano
e trascinandola in bagno.
Apro l’acqua e mi svesto in fretta. Poi mi giro verso di
lei.
«Non so cosa ti abbia turbata, o se tu sia di malumore
solo per la mancanza di sonno» le dico, slacciandole
l’accappatoio morbido. «Ma voglio che tu me lo dica. La
mia immaginazione sta già galoppando, e non mi piace»
brontolo, con la fronte aggrottata.
Ana alza gli occhi al cielo, beccandosi una ulteriore
occhiataccia da parte mia.
«La dottoressa Greene mi ha rimproverata di non aver
preso la pillola. Ha detto che avrei potuto essere incinta»
sbotta.
Il mio stomaco si aggroviglia e il panico monta nel mio
petto, opprimendomi i polmoni.
«Cosa?» chiedo con un filo di voce. Sono consapevole
di essere pallido e visibilmente scioccato. La fisso, senza
riuscire ad evitare di pensare alle catastrofiche
conseguenze di una situazione del genere.
«Ma non lo sono. Mi ha fatto fare il test. È stato uno
shock, tutto qui. Non posso credere di essere stata così
stupida» aggiunge lei in fretta, per calmarmi.
Mi rilasso visibilmente,
abbandonarmi di colpo.
sentendo
la
tensione
«Sei sicura di non esserlo?» le chiedo piano.
«Sì» mormora lei.
Faccio un profondo sospiro, guardandola. Non vorrei
interpretasse male la mia reazione. Ma io... voglio un
figlio da lei. Solo... solo non ora. Non per qualche anno.
Tra un po’. Tra un bel po’. Se mai... ecco se mai sarò
pronto.
«Bene. Sì, capisco che notizie simili possano essere
molto sconvolgenti» le dico, comprensivo.
«Ero più preoccupata della tua reazione» sbotta.
Aggrotto le sopracciglia, fissandola senza riuscire a
decifrare il suo tono.
«La mia reazione? Bè, naturalmente sono sollevato...
Sarebbe stato il massimo della trascuratezza e della
maleducazione da parte mia se ti avessi messo incinta» le
dico calmo, con un sorriso.
«Allora
forse
acidamente.
dovremmo
astenerci»
ribatte
“Ma che diavolo le prende, ora?”. La fisso sbalordito.
«Sei proprio di cattivo umore stamattina» constato.
«È stato uno shock, tutto qui» mi ripete, sempre con la
solita aria infastidita.
Afferro il bavero dell’accappatoio, attirandola a me e
stringendola in un abbraccio forte. Il mio petto nudo è
contro la sua guancia. La sua impertinenza, il suo
sfidarmi di continuo... mi esaspera. É tutto così nuovo.
Non so come risolvere le situazioni con lei.
«Ana, non sono abituato a questo» le mormoro contro
i capelli. Sospiro. «La mia naturale inclinazione sarebbe
quella di picchiarti, ma dubito seriamente che tu lo
vorresti» le confesso, quasi con vergogna.
«No, non voglio» mi dice subito, stringendosi forte a
me.
Restiamo così a lungo, stretti l’uno all’altra.
“Un bambino. Un piccolo bambino, fragile ed indifeso.
Cosa mai potrei dare ad una creatura del genere? Io non
sono Ana. Io sono perfido, malvagio. Potrei solo
corrompere tanta innocenza. Non riuscirei neppure a
stringerlo al petto. Un bambino non è una cosa che si
controlla. Non sono in grado”.
Sospirando, mi scosto da lei, togliendole l’accappatoio.
Entriamo entrambi nell’immensa doccia, spostandoci
insieme sotto l’acqua calda. Restiamo in silenzio. Afferro
lo shampoo e inizio a lavarmi i capelli. Poi le passo il
flacone e anche lei fa la stessa cosa. Chiude gli occhi,
massaggiandosi la testa e lasciandosi sfiorare il corpo
dall’acqua. Ne approfitto per insaponarmi le mani e
prendere a massaggiarle le spalle, le braccia e tutto il
corpo. Le mie mie dita la esplorano piano, facendola
voltare. Ci fissiamo mentre mi intrufolo tra le sue gambe,
scivolo sul suo sedere. Il mio cazzo preme contro la sua
gamba. Ma questo momento intimo e delicato è solo per
lei. E voglio darle... di più. Ora.
«Ecco» le dico, consegnandole il bagnoschiuma.
«Voglio che mi lavi via quel che rimane del rossetto»
Ana mi fissa in preda alla confusione e allo stupore. So
che non mi tradirebbe mai, ma glielo dico lo stesso.
«Non ti allontanare tanto dalla riga, per favore»
mormoro.
«Okay» replico in un sussurro.
Fa un enorme sospiro, preparandosi all’arduo compito
che le ho affidato. E poi parte. Inizia a toccarmi con le
dita, insaponandomi per bene. Parte dalle spalle. Il suo
tocco è leggero, piacevole e doloroso al tempo stesso.
Piano, inizia a lavare via la riga di rossetto. Mi irrigidisco,
chiudendo gli occhi. Il fiato mi manca, per il panico. Ma
continuo a stare fermo, per lei. Sento le sue dita tremare,
mentre scende sul mio petto. La mia mascella si tende,
cerco di assorbire tutte le sensazioni. Non è come mi
aspettavo. É meglio. Ma è la paura a farmi male. L’orribile
ricordo di cosa mi ha fatto l’ultimo paio di mani che si è
poggiato sul mio corpo. Si ferma per un attimo,
insaponandosi di nuovo le mani. La osservo e vedo le
lacrime spingere per uscire dai suoi occhi.
«Sei pronto?» mormora piano, la voce tesa.
«Sì» le sussurro incerto.
“Voglio essere pronto”. Ma quando poggia le mani ai
lati del mio torace, non riesco a fare a meno di irrigidirmi.
Il mio respiro è più affannoso, incerto. Quando sento la
sua ennesima esitazione, apro gli occhi di nuovo. La
osservo sgretolarsi di fronte a me, mentre le lacrime
sgorgano a fiotti dai suoi bellissimi occhi.
«No, per favore, non piangere» le mormoro
angosciato, stringendola a me. «Per favore, non piangere
per me» riesco a dirle, tenendola ferma contro il mio
corpo.
Ma lei scoppia in singhiozzi convulsi, usando l’incavo
del mio collo per nascondere il volto. “Cristo!”. La scosto
da me, prendendole la testa tra le mani. La sollevo e la
bacio dolcemente, tentando di placare il suo pianto.
«Non piangere, Ana, per favore» le sussurro contro le
labbra, sentendomi in colpa. «È stato tanto tempo fa.
Desidero ardentemente che mi tocchi, ma non riesco a
tollerarlo. È troppo. Per favore, per favore, non piangere»
le confesso a fior di labbra, sperando che lei capisca, che
mi legga dentro l’anima. In quello che rimane della mia
anima.
«Anch’io ti voglio toccare. Più di quanto tu possa
capire. Vederti così... così ferito e spaventato, Christian...
mi fa davvero male. Ti amo così tanto» mi dice,
singhiozzando piano.
Le accarezzo dolcemente le labbra gonfie con il pollice.
«Lo so. Lo so» le sussurro delicatamente, mentre le sue
lacrime mi uccidono. “Le sto facendo del male. Ancora. Io
non la merito”. Ma, ancora una volta, lei mi sorprende.
«Sei una persona facile da amare. Non lo vedi?»
chiede, guardandomi negli occhi, con forza.
«No, piccola, non lo vedo» le dico, come ipnotizzato
dal suo sguardo carico di sentimenti.
«Eppure lo sei. E io ti amo e così pure la tua famiglia.
Ed Elena e Leila, anche se hanno uno strano modo di
dimostrarlo. Ma ti amano. Tu ne sei degno» continua,
mentre finalmente le lacrime accennano a fermarsi.
«Basta» sussurro, addolorato.
Le metto l’indice sulla bocca, scuotendo la testa.
«Non posso starti a sentire. Io non sono niente,
Anastasia. Sono il guscio di un uomo. Io non ho un
cuore» le dico, sentendomi vuoto per davvero. “Cosa mai
posso offrire, io, ad una donna splendida e buona come
te? Solo depravazione. E dolore”.
«Sì che ce l’hai. E io lo voglio, lo voglio tutto. Tu sei
una bella persona, Christian, davvero una bella persona.
Non dubitarne mai. Guarda ciò che hai fatto... tutti i
risultati che hai raggiunto» mi dice, tornando a
singhiozzare. Sembra quasi voglia imprimermelo a forza
in testa. «Guarda quello che hai fatto per me, quello a cui
hai voltato le spalle per me» sussurra piano,
avvicinandosi alle mie labbra. Non smette di guardarmi
negli occhi e io la fisso, come ipnotizzato. «Lo so. So che
cosa provi per me»
Arretro di qualche millimetro, spalancando gli occhi
per l’ansia. Nessuno dei due parla. Ci fissiamo soltanto.
“Io... Ana, io... ”. Ma ancora una volta è lei a squarciare il
silenzio della mia anima. E farla sua.
«Tu mi ami» mormora.
La fisso a bocca aperta. E quello che vedo mi stravolge.
É qui, davanti a me, nuda, vulnerabile. Mi fissa, fissa un
uomo che fino ad oggi non le ha dato altro che dolore e
dispiacere. Un uomo che io stesso fatico a definire tale.
Eppure ha il coraggio di osare, di affermare che io provo
qualcosa per lei. Ha il coraggio di rischiare di vedersi
respingere. Di vedersi rifiutare. Se è possibile da ora sono
ancora più suo. E il suo coraggio infonde forza al mio.
Faccio un profondo respiro. Ora capisco come si è sentita
lei con me, la nostra prima volta. Ora so cosa vuol dire
regalare ad un’altra persona una cosa così intima, così
profonda, per la prima volta. Regalarla ad una persona
che non potrà essere mai sostituita da nessun altro. E
sono finalmente pronto a farlo.
«Sì» le sussurro, rinsaldando la presa sul suo viso
tormentato. «Ti amo» mormoro. Mi sento all’improvviso
leggero, libero dalle mie fottute paure. “Ma non so se ti
sto rendendo felice, Ana, o condannando per la vita”.
Capitolo 12
Il viso di Anastasia si illumina come un’alba estiva. É
splendida. E la consapevolezza che sono io a renderla tale
mi inorgoglisce. Non riesco a smettere di fissarla. Di
amarla. Le sue mani tremanti salgono sul mio viso,
mentre si sporge, alzandosi sulle punte, per baciarmi
delicatamente. Il suo contatto, unito alla consapevolezza
di aver oltrepassato un limite che credevo invalicabile, mi
squarciano l’anima. Gemo, sulle sue labbra morbide,
mentre la stringo forte a me come se da quell’abbraccio
dipendesse tutta la mia vita. E, in un certo senso, è così.
Ho bisogno di lei. Ho bisogno di sapere che è tutto a
posto, che confessarle il mio amore non la farà scappare
da me. Che nonostante quello che sono, dopo averle detto
che la amo lei mi voglia ancora. Non è passato troppo
tempo da quando io stesso ho provato panico e dolore ad
una confessione del genere. Mi rendo conto solo ora di
quanto ti faccia sentire bene lasciar cadere tutti i paletti,
tutti i muri dietro al quale ci si è nascosti. E regalarsi un
sentimento vero, sincero. Continuo a baciarla, piano, ma
a fondo. Maledettamente a fondo. Il mio corpo ha bisogno
di lei, di una rassicurazione. Ha bisogno di sapere che
siamo ancora noi due, dopotutto. Ancora Christian e
Anastasia.
«Oh, Ana» le sussurro, staccandomi piano. La mia
voce vibra di desiderio. «Ti voglio, ma non qui»
Le accarezzo gentilmente i capelli bagnati, lasciando
scorrere le mie dita sul suo viso, a tracciare la linea del
suo mento. L’acqua scorre ancora su di noi, mentre il
silenzio ci avvolge.
«Sì» mormora, senza smettere di sorridere con i suoi
meravigliosi occhi azzurri.
Chiudo il rubinetto della doccia, prendendola per
mano e lasciandola uscire. Prendo l’accappatoio lì di
fianco e la copro. Poi afferro uno degli asciugamani e me
lo avvolgo attorno ai fianchi, prima di prenderne uno più
piccolo e cominciare ad asciugarle attentamente i capelli
bagnati. Quando ho finito le lancio un sorrisetto
soddisfatto, poggiandole l’asciugamano sulla testa, in
modo che assorba l’acqua. ‘Sottometterti a Elena ha dato i
suoi frutti, Grey’. Ignoro il mio cervello e la faccio girare,
in modo da fissare entrambi il nostro riflesso nello
specchio di fronte, al di sopra del lavabo. É una
sensazione non nuova, e mi ricorda il viaggio in Georgia.
Il pensiero di quello che accadde poi, appoggiati a quel
lavabo, mi fa desiderare di ripetere l’esperienza. Ad
interrompere quel pensiero è l’espressione di Ana. D’un
tratto alza gli occhi su di me, trattenendo il fiato. Ci
fissiamo intensamente, prima che lei si decida a parlare.
«Posso contraccambiare il favore?» mi chiede d’un
fiato.
Mi coglie alla sprovvista, ma non per questo la mia
risposta è poco ponderata. Annuisco, sbarrando gli occhi,
sorpreso. Si sporge ad afferrare un’altro asciugamano e,
alzandosi sulle punte, inizia ad asciugarmi i capelli.
Sorrido, tra me e me, chinando il capo e facilitandole il
lavoro. Il mio sorriso si allarga ancora di più. Sono felice.
É un gesto piccolo, quasi banale. Ma mi fa sentire...
amato. Voluto.
«È passato molto tempo da quando qualcuno ha fatto
questo per me. Molto, molto tempo» le mormoro,
soprappensiero. Poi mi riscuoto. No. In effetti non è mai
accaduto che qualcuno mi amasse tanto da prendersi cura
di me. Neppure io mi sono preso cura di me stesso. «Anzi,
in realtà penso che nessuno mi abbia mai asciugato
i capelli» aggiungo. Però, a volte, ricordo di averlo
sognato. Di aver sognato che la mia mamma mi
stringesse, mi amasse. Aggrotto la fronte al pensiero.
Ricordo di aver sognato di contare qualcosa. Per
qualcuno. E forse Anastasia è quel qualcuno che tanto
aspettavo.
«Di certo Grace l’ha fatto. Ti avrà asciugato i capelli
quando eri bambino» mi dice, con un sorriso affettuoso.
Scuoto la testa, ancora tra le sue mani. “Non gliel’ho
permesso”.
«No. Ha rispettato i miei confini fin dal primo giorno,
anche se è stato penoso per lei. Ero un bambino
autosufficiente» le dico, calmo. Grace non mi ha mai fatto
del male. Ha preferito privarsi di tutti quei gesti affettuosi
che solo una madre può compiere nei confronti di un
figlio. Quei gesti che riservava ad Elliot e Mia. Mentre io
non riuscivo a sopportare neppure l’idea di ricevere una
carezza, un abbraccio. Non credevo neppure di meritarli.
Ana mi guarda. Per un attimo i suoi bellissimi occhi
sono velati di tristezza. Poi sorride.
«Bè, ne sono onorata» mi sussurra dolcemente,
scherzando.
«Sì, lo sei, Miss Steele. O forse sono io a
essere onorato» le dico, facendole l’occhiolino.
«Lo so, Mr Grey» ribatte con un sorrisetto.
Finisce di asciugarmi i capelli, mentre tento di
guardarla di sottecchi. Rialzo la testa e la osservo
prendere un altro asciugamano. Si sposta leggiadra dietro
di me e i nostri sguardi si incollano di nuovo. Ci fissiamo
dallo specchio. Aggrotto la fronte, senza capire quale sarà
la sua prossima mossa.
«Posso provare una cosa?» mi chiede con cautela.
Esito, guardandola. Poi decido di fidarmi. Piano, con
estrema delicatezza, lascia scorrere il tessuto morbido sul
mio braccio, tamponando le goccioline d’acqua che mi si
stanno raffreddando addosso. Alza lo sguardo su di me
quando irrigidisco i muscoli. Mi fissa, controllando la mia
espressione dallo specchio. Sbatto le palpebre, mentre
fisso affascinato quel riflesso di una giovane donna che
venera e si prende cura del suo uomo. Le sensazioni che
provo in questo momento mi invadono, mi annientano.
Sono innamorato di lei, pieno di un calore strano, mai
provato prima d’ora. Eppure così confortante. Il suo tocco
non è dolore. Non è violento, non porta sangue e lacrime
e solitudine. Il suo tocco è luce. Mi avvolge e mi culla. Le
sue labbra si sporgono a baciarmi piano il bicipite destro.
Le mie, di riflesso, si schiudono, mentre l’eccitazione si
riverbera in tutto il mio corpo. Un brivido mi attraversa,
scuotendomi. Ana passa ad asciugare l’altro braccio, per
poi lasciare tutta una delicata scia di baci su di esso.
Sorrido malizioso quando i nostri occhi si incontrano di
nuovo. “Oh, Ana. Mi stai facendo morire”. Mi guarda per
un attimo, poi la spugna morbida passa sulla mia schiena,
tenendosi al di sotto della linea del rossetto. Sta bene
attenta, la mia Ana, a non farmi del male. Posso solo
immaginare quanta sofferenza gli provochi tutto questo.
Stringo forte gli occhi, rivedendola davanti a me, mentre
trova il coraggio di dirmi quello che non riuscivo ad
ammettere a voce alta. Io la amo. E il suo coraggio dà
un’altra spinta al mio.
«Tutta la schiena» le sussurro con un filo di voce.
«Con l’asciugamano» aggiungo.
Poi respiro forte e stringo gli occhi, preparandomi al
dolore. La spugna sfrega contro di me, ma, stranamente,
il dolore non è così forte. Dentro di me la paura non mi ha
abbandonato del tutto, ma la fiducia sta repentinamente
prendendo il suo posto. Mi fido di Anastasia. Lei non mi
picchierà selvaggiamente. Lei non mi abbandonerà, non
mi lascerà vivere nell’indifferenza. Lei mi sta conducendo
per mano in un posto in cui mi sento bene. Ad un tratto si
ferma, e io mi rilasso completamente. Ana mi deposita un
veloce bacio sulla spalla. La guardo e i nostri occhi sono
di nuovo incollati, come se stessero facendo l’amore a
dispetto dei nostri corpi. Le sorrido, divertito, mentre mi
circonda con le braccia, asciugandomi l’addome. L’effetto
del suo tocco così vicino al mio punto sensibile è
immediato.
«Tieni questo» mi sussurra
passandomi l’asciugamano umido.
contro
la
pelle,
Corrucciando la fronte, la fisso senza capire.
«Ricordi in Georgia? Mi hai fatta toccare usando le tue
mani» mi spiega paziente.
Le sue parole, però, questa volta non sono così
confortanti. Il dolore è più acuto davanti. Fa male. Fa
molto male. Non lo so se è perché la cicatrice più
profonda è quella del mio cuore. Ma fa male. Resto in
silenzio, senza sapere cosa dire. Lei mi tocca la mano e
d’istinto so cosa fare. Gliela affido senza pensare,
titubante, ma fiducioso in fondo. É lei a guidarla. Sul mio
petto, lentamente, impacciata, con un ritmo tutto nostro.
Sono consapevole di essere rigido come un pezzo di legno.
Ma non è così dentro, invece. Dentro sono un tumulto di
emozioni, di sensazioni. Sento un fuoco dentro, un calore
divamparmi nelle vene al ritmo del suo tocco che, pur da
sopra il mio, mi fa fremere. Immobile, la seguo nel suo
lento percorso sul mio petto, sul mio corpo torturato fino
quando non ha perso tutta la sua linfa vitale. Ma lei, lei
con il suo sorriso dolce, i suoi occhioni da bambina, lei
con la sua mano tremante, lei che forse ha più paura di
me in questo momento, mi sta facendo tornare in vita. Il
suo tocco, anche in questo modo, è sconvolgente. Fremo,
di desiderio, di rabbia per non essermi lasciato andare
prima, di furia per aver perso una vita intera a fare altro
piuttosto che cercarla. Anche se non la conoscevo. Con
cinque dita intrecciate alle mie mi sta dimostrando
quanto può essere semplice affidarsi ad un’altra persona.
Mi sta mostrando quello che lei fa con me giorno dopo
giorno. Mi sta insegnando a fidarmi di lei. Mi mostra
come amarla e come lasciarmi amare. E io non desidero
altro che darle di più. Sempre di più.
«Penso che tu sia asciutto adesso» mi sussurra dopo
un tempo indefinito, lasciando cadere la mano calda dalla
mia.
Alzo gli occhi nello specchio per guardarla, ma fatico a
riconoscere la mia immagine di fronte. Ho le guance
accaldate, il respiro corto, trattenuto per l’eccitazione e la
paura.
«Ho bisogno di te, Anastasia» le sussurro, incapace di
smettere di fissare lo specchio.
«Anch’io ho bisogno di te» mi sussurra, inspirando a
fondo.
Le sue parole sono un balsamo per le ferite appena
aperte.
«Lascia che ti ami» le dico con la voce rotta dal
desiderio.
«Sì» risponde, la voglia è palese nel suo sussurro.
D’istinto la stringo tra le braccia, baciandola con
ardore. Ho davvero bisogno di lei. La bevo, mi immergo
dentro di lei. La bacio avido, a fondo, aprendo la bocca
come se volessi inghiottirla, come se non mi bastasse mai.
Le mie dita scorrono sulla sua schiena, delicate, in
contrasto con la vorace fame che mi spinge ad
impossessarmi della sua bocca. La tocco, inebriato dal
suo odore così buono, dal suo incantesimo che mi ha
stregato da quel giorno di maggio, nel mio ufficio. Non
smetto di baciarla, mentre la porto in camera da letto.
Delicatamente le sfilo l’accappatoio e faccio lo stesso con
l’asciugamano che mi copre. La lascio distendersi sul
letto, ancora sfatto. Afferro un preservativo, aprendo la
bustina e srotolando lentamente il profilattico sul mio
sesso in attesa. Con estrema delicatezza, mi distendo
accanto a lei, guardandola, mentre si gira a fissarmi. Una
ciocca di capelli castana le ricopre il viso e allungo le dita
per rimetterla a posto dietro il suo orecchio. Le dita
accarezzano la sua pelle, facendola fremere. Poi seguono
il delicato profilo del suo collo, della sua spalla, fino ad
aprirsi dietro la sua schiena morbida e sensuale. Mi
sporgo e la bacio, spingendola piano con la schiena sul
materasso. E in un attimo sono dentro di lei. Non tutto.
Solo la punta del mio sesso è immersa nel suo. La
sensazione è sublime. Lei, eccitata, si stringe contro di
me, spingendo i fianchi verso i miei.
«Shh, piccola. Lasciami fare» le mormoro contro le
labbra, baciandola a fondo.
Con la lingua le accarezzo dolcemente la sua, poi seguo
il profilo del suo labbro inferiore. Le mordicchio il mento,
sentendola gemere. E, a quel punto, mi immergo
lentamente dentro di lei. Ansimo nella sua bocca,
assorbendo i suoi fremiti, il suo respiro affrettato. Mi
muovo lento, dentro di lei, mentre ripeto il gesto, più su,
con la mia lingua nella sua bocca. Le braccia di Ana
salgono a circondarmi il collo, poi le sue dita si
intrecciano ai miei capelli. I miei movimenti sono dolci,
come non lo sono mai stati. Mi muovo venerando quel
corpo che ho imparato a conoscere alla perfezione. Ogni
angolo della sua pelle è impresso a fondo nella mia testa.
Ma in questo momento non mi serve toccarla ovunque. In
questo momento sento che la connessione tra di noi è così
profonda che non esiste nessun altra cosa al di fuori di
noi due, di questo letto, di quello che stiamo
condividendo. Il mio ritmo aumenta, non veloce, ma
deciso, costante. Sento i suoi gemiti aumentare di
intensità, mentre nascondo il viso nell’incavo del suo
collo, baciandola e mordicchiandole la clavicola. Poi
risalgo, senza fermare il mio movimento, sfiorandole il
collo con la punta del naso. Poi al naso sostituisco le
labbra, roventi e desiderose di averla ancora. Mi fiondo
sulla sua bocca, imprimendo a fondo gli ultimi colpi
dentro di lei, mentre la sento stringersi attorno a me. Non
è solo il suo sesso a serrarsi, ma anche le sue gambe e le
sue braccia. Mi tiene stretto, avvinto.
«Christian...» geme nel mio orecchio, in un sussurro
pieno di spasmi, mentre viene, urlando sommessamente.
Quel suono spezzato è la mia disfatta. Io le appartengo.
Sono suo. Sono solo suo. Affondo la bocca nella sua,
baciandola a fondo, mentre mi lascio andare in uno
spasmo che mi sconquassa l’anima. Prima di crollare
rotolo di fianco, trascinandola con me. Sussulta quando
esco da lei con un gemito. Mi avvicino, depositandole un
bacio delicato sulla fronte. “Grazie. Grazie, Ana. Grazie di
esserci, di esistere. Grazie di avermi trovato”. Le sorrido,
poi mi giro, sfilando il preservativo e buttandolo a terra.
Lei afferra il suo cuscino, stendendosi sulla pancia,
mentre io torno sul fianco e le accarezzo dolcemente la
schiena, beandomi di quel tocco che mi dà la sicurezza
che lei esiste. Ed è davvero mia. Ci sorridiamo a vicenda,
appagati, esausti. Innamorati.
«E così riesci anche a essere delicato» mormora
sommessamente.
«Mmh... a quanto pare, Miss Steele» le dico con un
sorrisetto.
«Non lo eri particolarmente la prima volta che...
l’abbiamo fatto» mi dice, arrossendo.
«No?» sogghigno divertito dal suo imbarazzo.
«Quando ho rubato la tua virtù?» le domando con un
sorrisetto ironico.
«Io non credo che tu l’abbia rubata» borbotta, alzando
un sopracciglio. «Credo di averti offerto la mia virtù
piuttosto liberamente. Ti desideravo anch’io e, se ben
ricordo, mi sono piuttosto divertita» mi dice, afferrandosi
le labbra con i denti e mordicchiandole.
Il ricordo di quanto quella notte mi abbia segnato nel
profondo mi distrae per qualche attimo. Dentro di me si
fa strada la consapevolezza che quella notte abbia segnato
per sempre la mia esistenza. E ne sono felice.
«Anch’io, adesso che ci penso, Miss Steele. Il nostro
scopo è il piacere» le mormoro, guardandola con
adorazione. «E questo significa che sei mia,
completamente» aggiungo serio, sentendo una
sensazione di possessività invadermi il petto. “Mia. Mia e
di nessun altro. Dio, quanto è importante tutto questo. Io
non potrò mai ricambiare abbastanza. Non sono stato
solo suo. Ma di sicuro voglio esserlo per il resto dei miei
giorni”.
«Sì, sono tua» sussurra, guardandomi negli occhi. E
sento che non mi sta mentendo, che lei non se ne andrà
dalla mia vita. «Vorrei chiederti una cosa» aggiunge
titubante.
«Chiedi pure» le dico, preparandomi ad una sessione
dell’Inquisizione di Anastasia.
«Il tuo padre biologico... sai chi fosse?» chiede in un
sussurro.
Aggrotto la fronte. So cosa vuole sapere. Se a farmi del
male è stato un lurido bastardo qualunque. Oppure il
lurido bastardo che mi ha messo al mondo. Ma, almeno
in questo, devo ringraziare il cielo di avermi dato un solo
genitore indifferente e crudele. L’altro... l’altro
probabilmente neppure ha ami saputo della mia
esistenza. Scuoto la testa.
«Non ne ho idea. Non era il bruto che le faceva da
magnaccia, il che è già buono» le confesso.
«Come lo sai?» chiede, facendosi più vicina, mentre
stringe il cuscino più forte.
«Per qualcosa che mio padre... qualcosa che Carrick mi
ha detto» mi correggo. Per quanto lo vorrei, so bene che
Carrick non è mio padre.
Ana mi fissa, nel frattempo, in attesa.
«Sei così avida di informazioni, Anastasia» le dico in
un sospiro. «Il magnaccia ha scoperto il cadavere della
puttana e ha telefonato alla polizia. Gli ci sono voluti
quattro giorni per fare quella scoperta, comunque. È
uscito sbattendo la porta, quando se n’è andato...
lasciandomi con lei... con il suo corpo». Le riverso
addosso la mia confessione, mentre i ricordi mi
ottundono il cervello, mi asfissiano quasi. Ma ho bisogno
che lei inizia a conoscermi. Anche attraverso il mio sporco
passato. «Poi la polizia lo ha interrogato. Lui ha
dichiarato che non aveva nulla a che fare con me,
e Carrick mi ha detto che non mi assomigliava
per niente» mormoro, cercando di non pensare a lui.
Ma Anastasia affonda un colpo da maestra.
«Ricordi il suo aspetto?»
Il viso di quel porco mi si materializza davanti agli
occhi. Il suo ghigno, il suo sporco sorriso lascivo e
crudele. Il puzzo del suo alito, del suo corpo. La violenza
racchiusa nei suoi calci, nei suoi pugni. L’eccitazione
sadica che provava nel farmi urlare mentre la mia pelle
bruciava e si marchiava. Stringo gli occhi, irrigidendomi.
Quando li riapro, evito di guardarla.
«Anastasia, questa non è una parte della mia vita su
cui ritorno molto spesso. Sì, ricordo il suo aspetto. Non
me lo dimenticherò mai». Faccio una pausa, cercando di
domare la mia rabbia. «Possiamo parlare di
qualcos’altro?» le chiedo, al limite della mia pazienza.
«Mi dispiace. Non volevo turbarti» si affretta a
rispondere, mortificata.
Scuoto la testa, tentando di rassicurarla.
«È una storia vecchia. Non ho voglia di ripensarci» la
liquido frettolosamente.
«Allora, qual è la sorpresa di cui mi parlavi?» mi dice,
poggiandosi sui gomiti e guardandomi, cambiando
spudoratamente argomento.
Il pensiero della Grace era passato in secondo piano.
Mi fa tornare il sorriso.
«Ti va di uscire per una
Voglio mostrarti qualcosa» le chiedo.
boccata
d’aria?
«Certo» acconsente gioiosa.
Le sorrido, felice. Scherzosamente la colpisco sul
sedere nudo.
«Vestiti. I jeans andranno benissimo. Spero che Taylor
te ne abbia messi un paio in borsa»
Con un salto atletico balzo giù dal materasso,
infilandomi i boxer. Sento il suo sguardo addosso e mi
giro, lasciandola godersi al vista del mio uccello che ha già
ripreso vigore. “Mi sfogherò più tardi, Ana. Ora ti porto a
raccogliere un altro pezzo della mia vita”. Lei non accenna
a scollarmi lo sguardo di dosso.
«Su» la sprono, in tono autoritario.
Mi guarda, con un enorme sorriso sul suo bellissimo
volto.
«Stavo solo ammirando il panorama» mi dice
maliziosa.
Alzo gli occhi al cielo, con una risatina. Inizia a vestirsi
e nella stanza cala il silenzio. Ma attorno a noi aleggia una
strana aura, carica di elettricità, di erotismo, di desiderio.
Un paio di volte le passo accanto, accarezzandole il viso e
baciandola dolcemente sulla guancia.
«Asciugati i capelli con il phon» le ordino dopo esserci
vestiti.
«Prepotente come sempre» borbotta. E manca poco
non mi faccia anche la linguaccia.
Mi sorride e non resisto all’impulso di chinarmi su di
lei e poggiarle un bacio sulla testa.
«Questo non cambierà mai, piccola. Non voglio che ti
ammali» la avverto.
Alza gli occhi al cielo, e io le faccio una smorfia,
divertito dalla sua impertinenza.
«Mi prudono le mani, sai, Miss Steele?» le dico,
alzando un sopracciglio.
«Sono felice di sentirlo, Mr Grey. Cominciavo a
pensare che avessi perso smalto» ribatte, girandosi e
aggiustandosi la camicetta azzurra.
La sua affermazione mi lascia stordito. Il cazzo pulsa,
in fiamme. E io vorrei solo sbatterla di nuovo su quel
materasso e farla mia.
«Posso facilmente dimostrarti che non è così, se lo
desideri» le dico, fingendo una calma che in realtà non
provo.
Mi chino a prendere il mio maglioncino bianco, che
metto sulle spalle. Ana mi fissa di nuovo, ammaliata. É un
po’ lo stesso effetto che fa a me. Sempre. Le sorrido e le
afferro la mano, trascinandola fuori dalla camera. E quel
contatto mi tranquillizza all’istante. Sì, siamo ancora solo
noi. Solo Christian e Anastasia. Non è cambiato nulla.
Anche se ci amiamo. Forse ci siamo sempre amati.
«Dove stiamo andando esattamente?» mi chiede
mentre aspettiamo l’addetto al parcheggio, nella hall
dell’albergo.
La guardo, sfiorandomi il profilo del naso con l’indice e
poi tamburellandoci sopra, cercando di mascherare il mio
divertimento e la mia felicità. Anastasia mi sorride di
rimando. La guardo dall’alto, poi mi chino, baciandola
dolcemente.
«Hai idea di quanto tu mi faccia sentire felice?»
mormoro, e so da solo che il luccichio nei miei occhi
riflette il suo in questo momento.
«Sì... ce l’ho, e ben precisa. Perché tu fai lo stesso con
me» sussurra contro le mie labbra.
Le rubo un ultimo bacio veloce, mentre il rombo della
mia R8 ci interrompe.
«Grande macchina, signore» mi dice allegramente il
valletto, restituendomi le chiavi.
Infilo la mano in tasca, tirando fuori 50 dollari e
mettendola in mano al ragazzo quando prendo le chiavi.
Ana mi lancia un’occhiata sarcastica, alla quale rispondo
con un sorrisetto. Mettendomi al volante, mi viene in
mente che lei è ancora senza auto. ‘É senz’auto solo da
poche ore, Grey’. Sì, ma non mi importa. Voglio
rimpiazzare il disastro che ha combinato Leila. Eva
Cassidy ci avvolge con la sua voce, mentre rifletto su dove
portarla ad acquistare una nuova automobile. “Pensa
Christian, pensa”. Sento che è una cosa che devo
assolutamente fare. Poi mi viene in mente che nei paraggi
c’è una concessionaria Saab. Perfetto. Non mi azzarderei
a comprarle un’altra Audi rossa per nulla al mondo.
«Devo fare una deviazione. Non ci vorrà molto» le
dico, mentre mi arrovello il cervello pensando a come
dirle che le sto comprando un’auto.
La prima volta è stato relativamente facile. L’ho
praticamente costretta ad accettare, blandendola con un
paio di sorrisi e la promessa di una notte di sesso
allettante. Ora le cose sono molto diverse. E poi, quale
modello è il più adatto a lei. Mmmmm... credo di averlo
individuato.
«Certo» mormora lei, senza capire.
Intravedo il cancello della concessionaria, accendo la
freccia e svolto. Fermo l’auto e la guardo, scrutando al sua
espressione.
«Dobbiamo comprare una macchina nuova per te» le
dico.
Ana mi guarda alzando le sopracciglia e spalancando la
bocca. Si gira intorno, dando un’occhiata all’insegna.
«Non un’Audi?» chiede, quasi scioccata.
Per la seconda volta da quando la conosco, arrossisco,
imbarazzato dal mio stupido comportamento.
«Pensavo che avresti apprezzato qualcosa di diverso»
mormoro, a disagio, abbassando lo sguardo. Quando lo
rialzo, quasi immediatamente, lei mi lancia un sorrisetto
ironico.
«Una SAAB?» chiede, incredula.
«Sì. Una 9-3. Vieni» le dico, aprendo lo sportello.
«Perché sempre macchine straniere?» mi chiede, senza
muoversi.
«I tedeschi e gli svedesi fanno le auto più sicure del
mondo, Anastasia» le spiego.
«Pensavo che mi avessi già ordinato un’altra Audi A3»
chiede, divertita.
“Ti prendi gioco di me, Miss Steele, non è vero?”. Le
lancio uno sguardo divertito.
«Posso annullare l’ordine. Vieni»
Mentre scendo dall’auto e mi sposto al suo lato per
aprirle lo sportello, ripenso alle sue parole. In realtà no.
Non ho ordinato nessuna Audi. Ero troppo impegnato a
proteggerti, Anastasia. Le apro la portiera.
«Ti devo un regalo di laurea» le dico affettuosamente,
tendendole la mano e aiutandola a scendere.
«Christian, non c’è
rimettendosi in piedi.
nessun
obbligo»
mi
dice,
«Sì che c’è. Per favore. Vieni» le dico serio.
C’è eccome l’obbligo, Ana. Devo proteggerti, tenerti al
sicuro. La sua espressione è confusa, mi sembra anche di
vederla rabbrividire. Ma mi prende la mano e mi segue
dentro.
Turniasky, il venditore, ci tratta con riverenza. Credo
che potrebbe addirittura srotolare un tappeto rosso sul
quale far camminare me e la mia signora per tutta la
concessionaria.
«Una SAAB, signore? Usata?»
Lo guardo con un’espressione feroce.
«Nuova» ribatto, stringendo forte le labbra.
«Ha in mente un modello, signore?» mi chiede,
viscidamente.
«Una 9-3 2.0T Sport Sedan» dico senza batter ciglio.
«Scelta eccellente, signore»
«Di che colore, Anastasia?» chiedo a lei, piegando la
testa di lato.
«Ehm... nera?» risponde stringendosi nelle spalle.
«Davvero, non c’è bisogno che tu lo faccia»
Ignoro volutamente la seconda parte della sua frase,
concentrandomi sulla prima, accigliato.
«Il nero non si vede bene di notte» le spiego pratico.
Ana stringe forte la mascella, trattenendosi dall’alzare
gli occhi al cielo, esasperata.
«Tu hai una macchina nera» borbotta, mentre la fisso,
rimproverandola con lo sguardo. «Giallo canarino,
allora» mi dice, alzando le spalle rassegnata.
Faccio una smorfia, contrariato.
«Di che colore vuoi che la scelga?» chiede, sconfitta.
«Argento o bianca» le rispondo, soddisfatto.
«Argento, allora. Sai, prenderò l’Audi» aggiunge per
provocarmi, incrociando le braccia.
“Non ti sto trattando da Sottomessa, Ana. Sto solo
pensando alla tua sicurezza”.
Turniasky impallidisce visibilmente, non capendo,
ovviamente, il sarcasmo di Ana.
«Forse le piacerebbe la decappottabile, signora?»
chiede rivolgendosi direttamente a lei, capendo che,
nonostante tutto, la decisione è sua.
L’espressione di Anastasia si fa strana, come se l’idea
l’allettasse. E non poco.
Aggrotto la fronte.
«Decappottabile?» le chiedo, con un sopracciglio
alzato.
Arrossisce di colpo, poi abbassa gli occhi, fissandosi le
dita. Trattengo un sorriso, mentre mi giro verso
Turniasky.
«Quali sono le statistiche sulla sicurezza della
decappottabile?» chiedo.
Il venditore si dilunga nello spiegarmi tutte le
caratteristiche del modello, mentre lo ascolto
attentamente. Quando mi giro a guardarla la trovo lì a
fissarmi, con un assurdo sorriso sul viso, che fa sorridere
anche me.
«Qualsiasi cosa tu abbia preso, ne vorrei un po’
anch’io, Miss Steele» mormoro divertito mentre il
venditore si sposta al computer.
«Sono ubriaca di te, Mr Grey» mi sussurra, gioiosa.
«Davvero? Bè, di certo hai l’aria ebbra» la prendo in
giro con un sorrisetto, baciandola velocemente sulle
labbra. «E grazie per aver accettato la macchina. È stato
più facile dell’ultima volta» le dico, tirando una sorta di
sospiro di sollievo.
«Bè, non è un’Audi A3» mi risponde, dondolandosi sui
piedi come una bambina che è stata appena viziata dal
papà.
Sul mio viso si allarga un sorriso malizioso.
«Quella non è la macchina per te» le dico,
rimettendole a posto una ciocca di capelli castani dietro
l’orecchio.
«Mi piaceva» ammette, piegando la testa di lato.
«Signore, la 9-3? Ne ho una nel nostro concessionario
di Beverly Hills. Posso farla arrivare in un paio di giorni»
ci interrompe Troy con un sorriso viscido.
«Il top della gamma?» ribatto glaciale.
«Sì, signore»
«Eccellente»
Tiro fuori la carta di credito e gliela porgo, mentre ci
avviamo nell’ufficio di Troy per concludere l’acquisto.
Apro la portiera di Ana e aspetto che si accomodi. Poi
salgo al mio posto, sistemandomi.
«Grazie» mi sussurra mentre infilo le chiavi e metto in
moto.
Mi giro e le sorrido.
«Di nulla, Anastasia, davvero»
Lo stereo si riaccende, riportando tra noi una musica
dolce e confortante.
«Chi è la cantante?» mi chiede curiosa.
«Eva Cassidy»
«Ha una bellissima voce»
«È vero, ce l’aveva» commento.
«Oh»
«È morta giovane»
«Oh»
Sorrido tra me e me. Sembra quasi si senta in colpa
anche per questo.
«Hai fame? Non avevi finito la tua colazione» le dico,
guardandola severamente.
«Sì» ammette, con un piccolo e delizioso broncio.
«Prima il pranzo, allora» le dico, tornando a guardare
la strada mentre premo sull’acceleratore.
Tra di noi cala il silenzio. Carico di promesse,
aspettative, desiderio. Il mio forse, più forte del suo. Ma
aleggia anche una certa aura di paura. Leila forse non ci
starà seguendo, ma la sua ombra sì. Ed entrambi siamo
capaci di percepirla, anche quando non vorremmo sentire
altro che noi. Finalmente arriviamo. Svolto a sinistra e
seguo la strada costiera, fino a fermarmi nel parcheggio di
fronte al porticciolo turistico.
«Mangeremo qui. Ti apro la portiera» le dico,
inchiodandola al sedile.
Scendo a faccio il giro. Una volta che ha messo i piedi a
terra, la lascio appoggiarsi al mio braccio mentre ci
incamminiamo sul lungomare. La osservo, mentre il
venticello le scompiglia i capelli.
«Quante navi» mormora, meravigliata, osservando le
centinaia di imbarcazioni nel Puget Sound. Si stringe
addosso la giacca, infreddolita.
«Freddo?» le chiedo, anche se, senza aspettare
risposta, la attiro contro di me, stringendola forte.
«No, stavo solo ammirando la vista» mi dice con un
sorriso dolce.
Ha ragione, la vista è incantevole. Ma ora lei deve
mangiare.
«Potrei stare a fissarla tutto il giorno. Vieni, da questa
parte» mormoro, guidandola all’interno del bar.
La conduco verso il bancone, dove scorgo Dante, il
barman. Ana si guarda intorno ammirata.
«Mr Grey!» mi saluta Dante, con calore. «Che cosa la
porta qui oggi?» chiede gioviale.
«Dante, buongiorno» gli dico sorridendo. Poi faccio le
presentazioni. «Quest’adorabile signora è Anastasia
Steele»
«Benvenuta» le dice lui con fare amichevole. «Che cosa
vuole bere, Anastasia?»
Lei si gira verso di me, che la guardo, aspettando la sua
ordinazione. Sembra quasi sorpresa. ‘Forse è perché di
solito non le lasci molta scelta, Grey’.
«Mi chiami Ana, per favore. Prendo qualsiasi cosa beva
Christian» risponde alla fine, con un sorriso timido.
Mi viene da ridere perché so che sta delegando a me la
scelta di quello che crede vino. Ma non ho nessuna
intenzione di bere vino oggi.
«Io prenderò una birra. Questo è l’unico bar di Seattle
dove puoi ordinare una Adnams Explorer» le dico con un
sorriso.
«Una birra?» chiede, alzando le sopracciglia.
«Sì» ridacchio. «Due Explorer, per favore, Dante»
Il barman annuisce prepara le due birre sul bancone di
fronte a noi.
«Fanno una zuppa di pesce deliziosa qui» le dico,
osservandola, in attesa della sua conferma. ‘Potrebbe
anche rifiutare, in realtà. É una risposta quella che
dovresti volere, Grey. Non una conferma’. Ok, sì.
Dannazione, però! Un passo per volta.
«Zuppa di pesce e birra, sembra fantastico» risponde
lei.
Sembra quasi soddisfatta. E lo sono anch’io.
«Due zuppe?» chiede Dante, porgendoci le birre.
«Sì, grazie» confermo l’ordine.
Durante il pranzo mi lascio andare. Dopo la
confessione, dopo la profondità dei sentimenti che ho
scoperto di provare per lei, non c’è nulla che io possa
nascondere a questa donna. Assolutamente nulla. ‘Bè,
forse una cosa c’è ancora, Grey’. Già. Forse una c’è. Ma so
che devo dirle anche quello. Devo solo pensare ad un
modo. Devo trovare il momento adatto. Magari... magari
un po’ per volta. ‘Se ne andrebbe, Grey. Scapperebbe via
sulla luna e non vorrebbe vederti mai più, amico. Tieniti
l’unica cosa buona che ti potrà mai capitare nella vita. E
chiuditi quella cazzo di bocca’. Per un attimo la fisso,
senza ascoltare quello che mi sta dicendo. Non voglio
perderla. Non voglio che vada via. Voglio solo tenerla con
me per sempre. Ogni santissimo giorno di questa
fottutissima vita.
«... e così sono tornata a Montesano, da Ray»
Mi riscuoto a quelle parole.
«Sei adorabile, Ana» le mormoro senza riuscire a
smettere di toglierle gli occhi di dosso.
Mi fissa per un attimo, arrossendo. Le sorrido e
riprendo a conversare con lei, cercando di scoprire il più
possibile. Quando finalmente ci alziamo, dopo aver
pagato il conto, mi sento sempre più convinto della
decisione che mi sta frullando in testa. Ho bisogno di
vedere Flynn e parlarne anche con lui. Ma, onestamente,
neppure un esercito potrebbe farmi cambiare idea. Devo
solo trovare il modo. Solo...
«Questo posto è fantastico. Grazie per il pranzo» mi
dice mentre le prendo la mano, accompagnandola fuori.
«Ci torneremo» le dico. «Voglio mostrarti qualcosa»
aggiungo, improvvisamente in ansia.
Ci tengo che oggi tutto sia per noi due. Voglio che si
rilassi. E che sia felice. É il mio obiettivo di vita rendere
felice questa donna meravigliosa.
«Lo so... e non vedo l’ora, qualsiasi cosa sia» mi dice,
credo trattenendosi a stento dal saltellare.
Passeggiamo tra la gente, come una coppia normale. In
questo momento non esistono stanze rosse delle torture,
frustini e manette, o ex sottomesse pazze. Esiste il nostro
amore. Solo quello. Ana ammira le navi, che si fanno più
grandi mentre andiamo avanti. La guido lungo la
banchina, fino a quando non arriviamo di fronte alla
Grace.
«Ho pensato che potevamo uscire per mare nel
pomeriggio. Questa è la mia barca» le dico ansioso per la
sua reazione.
Ana rimane a bocca spalancata, ad ammirare il mio
enorme catamarano. ‘Dovresti smetterla di mostrarle cose
enormi per la prima volta, Grey’. Sorrido tra me e me,
guardando con orgoglio gli scafi bianchi e affusolati della
Grace, il ponte, la cabina spaziosa e l’albero maestro che
domina dall’alto.
«Wow...» mormora stupita.
«L’ha voluta la mia società» le dico con orgoglio. «È
stata interamente progettata dai migliori architetti navali
del mondo e costruita qui a Seattle, nel mio stabilimento.
Ha un’unità elettrica ibrida, derive a baionetta
asimmetriche, una randa a picco...»
«Okay... mi sono persa, Christian» mi interrompe,
guardandomi con gli occhi enormi.
Le faccio un gran sorriso.
«È una barca bellissima» aggiungo.
«Sembra imponente, Mr Grey»
«Lo è, Miss Steele»
«Come si chiama?»
Invece di rispondere la tiro di lato, facendola sporgere
appena per leggere il nome scritto sulla fiancata. GRACE.
«Si chiama come tua madre?» mi dice aggrottando la
fronte, stupita.
«Sì». Piego la testa di lato, guardandola con aria
interrogativa. «Perché, lo trovi strano?» le chiedo.
Si stringe nelle spalle, tornando a fissare la scritta sulla
barca, come se non lo credesse possibile.
«Adoro mia madre, Anastasia. Perché non avrei dovuto
chiamare la barca come lei?» le chiedo, continuando a
non capire il suo stupore.
Lei arrossisce violentemente.
«No, non è questo... è solo che...» si blocca, senza
sapere come continuare.
«Anastasia, Grace Trevelyan mi ha salvato la vita. Le
devo tutto» le dico, guardandola dritto negli occhi,
lasciando trasparire tutta l’adorazione che provo nei
confronti di mia madre. Mi ha dato tutto. Mi ha dato una
vita, una casa. Mi ha dato da mangiare.
Sospiro, cambiando argomento. Non voglio perdermi
nella tristezza dei ricordi. Voglio perdermi dentro di lei.
«Vuoi salire a bordo?» le chiedo, eccitato sia per la sua
vicinanza che per il fatto che è la prima donna che porto a
bordo della Grace. La prima e l’unica. Oltre Grace e Mia,
ovvio.
«Sì, certo» mi dice con un sorriso bellissimo.
Le prendo la mano e la conduco lungo la stretta
passerella e poi a bordo, sul ponte, dove la tettoia rigida ci
ripara dal sole. Si gira intorno, ammirando il tavolo e la
panca rivestita d’azzurro. Poi la vedo sussultare. Mi giro
anch’io nella direzione in cui sta guardando, verso
l’interno della cabina, e scorgo Mac, alto e biondo, nella
sua polo chiara a maniche corte.
«Mac»
Sorrido all’uomo che si prende cura della mia barca.
«Mr Grey! Bentornato!» mi accoglie calorosamente,
stringendomi la mano.
«Anastasia, questo è Liam McConnell. Liam, la mia
fidanzata, Anastasia Steele»
Ana sorride timida, stringendogli la mano che lui le
tende.
«Piacere» dice.
«Mi chiami pure Mac» aggiunge lui amichevole.
«Benvenuta a bordo, Miss Steele»
«Ana, per favore» mormora lei, arrossendo.
«Come si sta comportando, Mac?» intervengo,
togliendola dall’imbarazzo, rivolgendomi a Mac.
«È pronta a ballare il rock and roll, signore» risponde
lui, entusiasta.
«Mettiamoci in moto, allora» annuncio, piagando il
collo a destra e sinistra e preparandomi per uno dei mie
hobby preferiti.
«La porterà fuori?» si informa lui.
«Sì» dico con un sorrisetto. Poi mi rivolgo ad Ana. «Un
rapido giro turistico, Anastasia?». Anche se,
onestamente, l’unico giro turistico che ho in mente è sul
letto che ci attende di là.
«Sì, certo» annuisce entusiasta.
Mi addentro nella cabina e Ana mi segue, ammirando
il divano in pelle, color crema, sovrastato da
un’imponente finestra ad arco che offre una vista
panoramica del porto, e la cucina in legno chiaro sulla
sinistra.
«Questo è il salone. La cucina di bordo, di fianco» le
spiego, indicandogliela.
Poi la prendo per mano, guidandola verso la cabina
principale. Moderna, raffinata, con il pavimento di legno
chiaro.
«Le camere da letto sono su entrambi i lati» le spiego,
indicandole due porte.
Apro quella più piccola ed entriamo nella mia cabina.
Anastasia ammira l’enorme letto matrimoniale in legno
chiaro e lino azzurro. Ricorda la mia camera all’Escala e
sono sicura che lei lo abbia notato.
«Questa è la cabina del capitano» le dico, fissandola
con desiderio. «Sei la prima donna a entrare qui, a parte
quelle della mia famiglia» aggiungo, sorridendole
malizioso. «Loro non contano»
Arrossisce, abbassando lo sguardo. Sorrido, attirandola
in un abbraccio. Le mie dita scivolano tra i suoi capelli,
tirandole la testa delicatamente all’indietro. La guardo e
poi mi chino su di lei, baciandola a fondo e a lungo. La
stringo, mentre lascio spazio alla passione, e i nostri corpi
aderiscono perfettamente. Il suo calore è così confortante
e rassicurante. Infonde speranza in ogni angolo della mia
vita. Salire su questa barca non sarà più la stessa cosa
dopo oggi. Avrò un ricordo di lei anche qui dentro, come
in ogni anfratto della mia esistenza. Sento il suo cuore
battere forte, quando ci stacchiamo, entrambi con il fiato
corto.
«Potremmo battezzare questo letto» le sussurro contro
le labbra.
Sento il suo corpo scosso da un fremito di desiderio. I
miei occhi scorrono sulla pelle arrossata del suo collo e
nella scollatura della sua camicetta.
«Ma non adesso. Vieni, dobbiamo liberarci di Mac» le
dico, divertito. La prendo per mano e la conduco nel
salone, indicandole un’altra porta. «Lì dentro c’è l’ufficio,
e qui di fronte altre due cabine» le spiego.
«Perciò quante persone possono dormire a bordo?» mi
chiede sospirando, mentre cerca di riprendersi.
«Ci sono sette posti letto. Finora ho ospitato solo la
mia famiglia. Mi piace navigare da solo. Ma non da
quando ci sei tu. Ho bisogno di tenerti d’occhio» le dico,
percorrendo il suo corpo meraviglioso da capo a piedi con
lo sguardo.
Mi giro e frugo nella cassapanca di fronte a me, tirando
fuori un giubbotto salvagente. Non voglio che cada in
acqua e si faccia del male. ‘Ma ti senti, Grey?’. Stizzito,
zittisco il mio cervello, infilandole il giubbotto.
«Ecco» le dico, stringendo forte le cinghie.
Sorrido, alzando un sopracciglio, mentre il mio uccello,
giá provato dal bacio di poco fa, si tende al di sotto della
stoffa dei pantaloni. Lascio scorrere le dita sulle cinghie
prima di allontanarle.
«Ti piace legarmi, vero?» mi dice, quando alzo lo
sguardo di nuovo su di lei.
«In tutti i modi» le dico con voce roca, fissandola.
«Sei un pervertito» mi dice, sorridendomi maliziosa.
«Lo so» ribatto, mentre il mio sorriso si allarga.
«Il mio pervertito» sussurra, e la sua voce bassa e
vogliosa mi accarezza tutto il corpo.
Sono sempre più eccitato.
«Sì, tuo» confermo piano, attirandola a me e
baciandola a fondo. «Sempre» aggiungo in un sussurro
quando mi stacco da lei e la lascio andare.
«Vieni» le dico, prima di perdere completamente il
controllo e farla mia immediatamente.
Le prendo la mano, conducendola sugli scalini che
portano nell’abitacolo dove c’è il posto di comando, con il
timone. Mac è a prua, che armeggia con alcune corde.
«È qui che hai imparato tutti i giochetti con le corde?»
mi chiede ad un
innocentemente.
tratto,
sbattendo
le
palpebre
«Il nodo parlato mi è stato utile» le dico, ammirato
dalla sua audacia. «Miss Steele, mi sembri curiosa. Mi
piaci quando sei curiosa, piccola. Sarei più che felice di
mostrarti cosa posso fare con una corda» le dico,
lasciandomi andare al mio desiderio. Ma me ne pento
subito quando noto la sua espressione allarmata. Mi
mordo l’interno della guancia, maledicendomi. ‘Non
vuole, Grey. Non fare il coglione. Tieni la tua perversione
in tasca per cortesia’.
«Beccato!» mi dice all’improvviso, scoppiando a
ridere.
Il sollievo mi invade istantaneamente, mentre sorrido e
la guardo con gli occhi stretti a fessura. “Piccola
impudente. Sexy. Ma impudente”.
«Me la vedrò con te più tardi, ora devo guidare la
barca» annuncio con finta arroganza, accomodandomi
davanti ai comandi. Premo il bottone di accensione e i
motori si accendono. Mac corre a slegare la fune che ci
tiene ancorati al porto, mentre io contatto la guardia
costiera via radio. Ana guarda i movimenti di Mac, e per
un attimo sono geloso. Poi si gira, stringendosi nelle
spalle e sorridendomi maliziosa. “Chissà cosa pensa
quella tua bellissima testolina, Miss Steele”. Dal piano
inferiore Mac dà il via libera per la partenza. Lentamente
usciamo dall’ormeggio e puntiamo verso l’ingresso del
porto. Sorrido quando Anastasia saluta la piccola folla di
curiosi che si è radunata sulla banchina dietro di noi,
salutandoci mentre partiamo. Ma il mio corpo già la
reclama. Mi volto verso di lei, attirandola tra le mie
gambe. Le indico rapidamente i vari quadranti ed arnesi.
«Afferra il timone» le ordino e, con mia sorpresa, lei
non protesta, ma obbedisce prontamente.
«Sì, capitano!» ridacchia felice, e quel suono mi
inorgoglisce ancora di più.
“La mia donna e la mia barca. Niente può superare
questo momento”. Metto le mani sulle sue, guidando i
suoi movimenti e insieme facciamo uscire la Grace dal
porto. Pochi minuti dopo navighiamo lungo il Puget
Sound. Il vento ci accarezza deciso il viso e io mi sento
felice ed eccitato come un bambino. Anche lei sorride,
girandosi a guardarmi per un attimo, per poi puntare di
nuovo lo sguardo all’orizzonte.
«È tempo di navigare» le dico, entusiasta. «Ecco.
Prendi tu la barca. Mantienila su questa rottamare » le
dico con gli occhi che luccicano per la gioia.
Ana si gira a guardarmi con terrore. “Sì, Anastasia.
Voglio che tu piloti la mia barca. Voglio dimostrarti che
anch’io sono capace di darti fiducia”. Le sorrido, felice.
«Piccola, è davvero facile. Reggi il timone e tieni gli
occhi sull’orizzonte, sopra la prua. Sarai bravissima. Lo
sei sempre. Quando le vele si alzano, sentirai la
resistenza. Limitati a tenere la barca stabile. Quando ti
faccio così...» le dico, mimandole il gesto di tagliarmi la
gola «escludi i motori. Questo bottone» aggiungo,
indicandole un grosso pulsante nero sulla destra.
«Capito?» le dico, guardandola con un sorriso
rassicurante.
«Sì» annuisce, in preda al panico.
Le do un bacio veloce sulle labbra, poi mi alzo dal mio
sedile ed esco sulla parte anteriore della barca. Raggiungo
Mac e insieme iniziamo a srotolare le vele, disfare le funi
e rendere operativi argani e pulegge. Sento lo sguardo di
Ana correre lungo la mia schiena, mentre io e Mac ci
diamo da fare. Ma la lascio condurre la barca in santa
pace, senza farle pressione. Issiamo la randa e il
catamarano sbanda, sfrecciando in avanti. Sorrido
mentre penso al panico che deve aver provato Ana, da
sola nella cabina di pilotaggio. Quando anche la vela
anteriore è a posto mi giro nella sua direzione.
«Tieni la barca stabile, piccola, ed escludi i motori!» le
urlo, facendole il segnale che abbiamo convenuto
insieme.
La vedo annuire con entusiasmo e pochi attimi dopo il
rombo dei motori cessa. La Grace veleggia tranquilla, ora,
sfiorando delicata l’acqua.
«Mac, arriviamo fino a Bainbridge. Poi, preferirei stare
da solo con Anastasia per un po’. Ti chiamo quando
dobbiamo rientrare»
Mac annuisce con un sorriso e io mi affretto a salire da
Anastasia, piazzandomi di nuovo dietro il suo corpo. Le
mie mani scorrono di nuovo sulle sue.
«Che cosa ne pensi?» le grido, al di sopra del rumore
del vento e del mare.
«Christian! È fantastico!» urla entusiasta, girando il
viso verso di me.
Mi illumino, mentre un sorriso di pura gioia mi si
spiaccica sul viso.
«Aspetta che lo spinnaker sia issato» le dico, indicando
con il mento Mac che spiega la vela rosso scuro.
«Colore interessante» mi grida, dopo averla squadrata
con curiosità.
“Molto arguta, Miss Steele”. Le faccio un sorriso da
predatore e le strizzo l’occhio con complicità. Mentre la
Grace sfreccia a tutta velocità, noto che il suo sguardo
passa in rassegna le vele.
«Vele asimmetriche. Per la velocità» le spiego con un
piccolo sorriso.
«È incredibile» mormora, con gli occhi sgranati e
attenti ad ogni dettaglio.
“Dio se mi piace averla qui”. La lascio ammirare il
panorama, mentre io mi godo la vista privilegiata di Miss
Anastasia Steele con il viso arrossato dal vento e dall’aria
fresca e gli occhi azzurri che rispecchiano la calma e la
profondità del mare. “Ti amo, Anastasia. Ti amo come
non credevo potesse mai essere possibile”.
«A quanto stiamo andando?» mi chiede quando torna
a fissarmi.
«Quindici nodi»
«Non ho idea di cosa significhi» dice con un sorriso.
«Circa trenta chilometri orari» le spiego, scostandole si
capelli dal viso e baciandole la tempia.
«Tutto qui? Mi sembrava più veloce»
Stringo la sua mano sul timone.
«Sei adorabile, Anastasia. È bello vedere un po’ di
colore sulle tue guance... e non perché arrossisci. Sei
proprio come nelle foto che ti ha fatto José» le dico,
all’orecchio.
Lei si gira subito e le sue morbide labbra incontrano le
mie. La sua lingua cerca la mia con insistenza e quella
particolare dolcezza che solo lei sa infondere in un bacio.
«Tu sì che sai come far divertire una ragazza, Mr Grey»
mi mormora contro la bocca, quando si stacca da me.
«Il nostro scopo è il piacere, Miss Steele» le sussurro.
Le raccolgo i capelli con le mani, alzandoglieli, e la
bacio piano sulla nuca. Un brivido la percorre da capo a
piedi.
«Mi piace vederti felice» le mormoro contro la pelle,
stringendola più forte al mio corpo.
Ana poggia la testa contro il mio torace e ci rilassiamo,
entrambi in silenzio. Ogni tanto ridacchiamo, ci
accarezziamo, ci baciamo. É tutto così normale. E
straordinario allo stesso tempo. Le nostre carezze si fanno
sempre più intime, sempre più provocanti, come i nostri
sorrisi. Ci baciamo con passione, quasi voracità a volte.
Quando un’ora più tardi ci ancoriamo in una piccola
insenatura poco oltre l’isola di Bainbridge e Mac scende a
terra con il gommone, afferro la mano di Anastasia e la
trascino nella mia cabina. Sono eccitato e non desidero
altro che perdermi nel suo fantastico corpo. Velocemente
le sfilo il giubbotto di salvataggio, gettandolo da una
parte. La fisso con bramosia, mentre sento già l’uccello
fare male dalla voglia. Il suo respiro eccitato mi fa quasi
perdere la ragione. Mi lecco le labbra, mentre la mia
mano destra sale a sfiorarle il viso, il mento e la gola, fino
al primo bottone della sua camicetta azzurra
«Voglio vederti» sospiro con desiderio, slacciandole il
bottone.
Ana respira a fatica, sospira, quasi geme, mentre la
bacio delicatamente sulle labbra rosee. Faccio un passo
indietro, guardandola.
«Spogliati
per
ardentemente.
me»
Obbedisce
sempre.
esitare,
senza
sussurro,
guardandola
sorprendendomi,
come
Non stacca gli occhi dai miei mentre, lentamente,
slaccia tutti i bottoni della camicetta azzurra, godendo di
ogni mio sguardo. Le accarezzo la pelle con gli occhi,
pensando a come farla godere più e più volte. Il mio
desiderio si fonde con il suo. Non riesco a staccarle gli
occhi di dosso e il mio uccello, Cristo se fa male! É
favolosa. Erotica, sexy, sensuale, dolce, maliziosa. É mia,
soprattutto. Abbassa le braccia, lasciando scorrere la
camicetta sulla sua pelle, facendola cadere a terra. Le sue
dita si spostano sul bottone dei jeans.
«Fermati» le ordino, trattenendomi a stento dal
strapparle i pantaloni di dosso. «Siediti»
Ana si accomoda sul bordo del letto. Mi avvicino e mi
inginocchio davanti a lei, sfilandole lentamente le scarpe
da ginnastica e le calze. Le prendo il piede sinistro,
accarezzandolo e baciandole l’alluce, prima di
mordicchiarlo scherzosamente.
«Ah!» geme, mentre sono sicuro di vederla contrarre il
suo sesso.
Immagino com’è bagnata lì sotto. Non vedo l’ora di
affondare dentro quel lago di piacere. Mi rialzo, facendola
sollevare dal letto insieme a me.
«Continua» le dico, allontanandomi di un passo e
guardandola di nuovo in attesa.
Inspira, abbassando la cerniera dei jeans. Lentamente
infila i pollici nella cintura, poi, con un sopracciglio alzato
e lo sguardo fisso nel mio, ancheggia lenta, fino a farsi
scivolare i jeans lungo le gambe. “Cristo santo!”. Sento
che sto per esplodere. La visione di Ana in reggiseno e
perizoma di pizzo bianco mi sta uccidendo. É una morte
lenta, e molto dolorosa. Soprattutto per il mio inguine.
Un sorriso mi affiora sulle labbra, mentre guardo
incantato i suoi movimenti. Rimane in piedi,
guardandomi. Poi, lentamente, in modo quasi straziante,
raggiunge il gancio del reggiseno dietro la schiena e lo
slaccia, lasciandolo scivolare sulla sua pelle candida. Con
la stessa lentezza sfila il perizoma, chinandosi fino alle
caviglie, uscendone con grazia. I miei occhi sono incollati
alla sua pelle nuda e risalgono insieme a lei. Siamo l’uno
di fronte all’altra. In silenzio. Mi sfilo il maglioncino dalla
testa e poi faccio lo stesso con la t-shirt. Poi sfilo
velocemente scarpe e calzini, senza smettere di fissarla.
Le mie mani scendono sul bottone del jeans, ma il
desiderio nei suoi occhi aumenta. Si passa la lingua sul
labbro inferiore, facendo un passo avanti.
«Lascia fare a me» sussurra, guardandomi con aria
provocante.
Le mie labbra si contraggono in un moto di stupore,
poi sorrido, passandomi la lingua sui denti. Allargo le
braccia e la guardo.
«Accomodati» le dico con voce roca.
Si avvicina, infilando le dita nella cintura dei jeans e
tirandomi, in modo da avvicinarmi. Sussulto
leggermente, preso alla sprovvista, mentre un desiderio
nuovo e pressante mi strazia lo stomaco. Slaccia il
bottone dei miei pantaloni, ma prima di abbassare la zip
mi accarezza lentamente l’uccello al di sopra del tessuto.
Stringo gli occhi e contraggo i muscoli delle cosce,
spingendomi verso la sua mano piccola e delicata. Voglio
di più. Voglio molto, molto di più.
«Stai diventando così sfrontata, Ana, così coraggiosa»
le sussurro, spalancando di nuovo gli occhi e afferrandole
il viso con entrambe le mani.
Mi impossesso delle sue labbra, forte e deciso. Le sue
mani si poggiano sulla mia vita, stringendomi forte.
«Lo sei anche tu» mormora a bassa voce, contro le mie
labbra.
I suoi pollici mi torturano piano, disegnando cerchi
lenti sulla mia pelle. Sorrido, lasciandomi andare al suo
tocco. Poi la fisso a fondo.
«Arriviamo al punto» le propongo con un sorrisetto.
Ana sposta le mani sul davanti dei miei jeans, tirando
giù la cerniera. Mi infila le dita nei boxer, accarezzandomi
i peli pubici e poi... “Oh, cazzo. Cazzo, cazzo, cazzo!”. Mi
stringe forte l’uccello, accarezzandomi fino a farmi
fremere. Gemo, poggiando la fronte contro la sua. La mia
bocca percorre la sua guancia e guaisce sulle sue labbra.
La bacio di nuovo, possessivo, mentre lei mi esplora
piano. La cingo con il braccio destro, poggiandole la
mano aperta sulla schiena nuda. L’altra mano risale nei
suoi capelli e la trattiene contro le mie labbra, in modo
che io possa cibarmi di lei.
«Oh, ti voglio così tanto, piccola» sospiro,
allontanandomi di un passo e sfilandomi velocemente i
jeans. E i boxer. Sfilo un preservativo dalla tasca e lo getto
sul letto.
La sento inspirare forte, mentre i suoi occhi si
soffermano sul mio torace nudo.
«Che cosa c’è, Ana?» mormoro, accarezzandole il viso.
“Lo so cosa c’è. Lo so. Ma devi accettarle, Ana. Io non
so se potrò mai farlo. Ma tu devi imparare a conviverci
come ho fatto io. Sopportale per me. Sopportale con me,
ti prego”. Come per rispondere alla mia richiesta
inespressa, lei alza lo sguardo e mi fissa decisa.
«Niente. Fa’ l’amore con me, adesso» mi dice
dolcemente.
La tiro verso di me, baciandola e lasciando scorrere le
dita nei suoi capelli. La tengo stretta, mentre le nostre
lingue si amano al nostro posto. Poi mi stacco da lei,
portandola verso il letto e lasciandola distendere. Mi
sdraio accanto a lei, lasciando scorrere il naso sul profilo
delicato del suo mento, mentre le sue dita mi accarezzano
i capelli.
«Hai idea di quanto sia squisito il tuo profumo? È
irresistibile» le dico mentre le sfioro la gola delicata,
sempre con il naso, per poi passare ai seni, dove la bacio
dolcemente. «Sei così bella» mormoro mentre lei
sussulta. Prendo in bocca un capezzolo e lo succhio piano,
a fondo.
Ana geme, inarcandosi sul letto.
«Fatti sentire, piccola»
La mia mano scorre sulla sua pelle, fino alla sua vita,
mentre il suo corpo si inarca sotto le mie carezze. Le
succhio voracemente i seni morbidi e sodi, mentre le mie
dita scorrono ovunque, esplorandola a fondo. Quando
arrivo al ginocchio, le tiro su la gamba all’improvviso,
piegandola sopra i miei fianchi. Spingo la mia erezione
tra le sue gambe, strusciandomi addosso a lei mentre
sussulta. Sorrido contro il suo seno, rotolando sulla
schiena e portandola sopra di me. Allungo la mano e
trovo il preservativo, passandoglielo. Ana scivola sulle
mie gambe, afferrando il mio uccello che pulsa
violentemente. Si china lentamente su di me, baciandone
la punta. Poi apre la bocca e lo succhia delicatamente e
lentamente, stringendolo forte. La sua lingua turbina in
circolo. Torna a succhiare forte. Sono senza fiato, senza
parole, sto per venire. Ma non ho la forza di staccarla da
me. Cristo santo, è splendido! Gemo forte, inarcando i
fianchi e spingendomi tutto nella sua bocca. “Cristo
santissimo! Sono tuo. Sono completamente tuo. Fammi
quello che vuoi, Anastasia!”. Ma lei succhia un’ultima
volta, fortissimo. Poi si stacca, guardandomi e leccandosi
le labbra. Sono senza fiato e non posso fare altro che
guardarla. Velocemente apre la bustina del profilattico e
lo srotola su di me. Allungo una mano verso di lei, che
afferra prontamente, e poi l’aiuto a posizionarsi su di me.
Lentamente, senza smettere di guardarmi, affonda su di
me, accogliendomi tutto dentro di lei. Gemo ancora,
profondamente, e così fa lei. Con le mani le afferro i
fianchi, iniziando a spingermi dentro di lei. I suoi seni
meravigliosi sobbalzano per il nostro movimento. Chiude
gli occhi e geme sonoramente, accendendo ancora di più
il mio desiderio.
«Oh, piccola» le sussurro piano.
Faccio leva sulla schiena a mi tiro su, in modo da
tenerla di fronte. Anastasia sussulta, spalancando gli
occhi e afferrandomi i bicipiti.
«Oh, Ana, cosa mi fai provare» mormoro, baciandola a
fondo.
Lei si preme ancora di più su di me. Poi spalanca gli
occhi, inchiodandomi al suo sguardo.
«Ti amo» mormora dolcemente contro le mie labbra.
Gemo, per il desiderio, per il senso di colpa, per mille
cose. “Non merito il tuo amore, Ana. Ma non posso essere
così stupido da lasciarti andare. Perché ti amo anch’io”.
Stringo forte gli occhi, facendola rotolare sotto di me,
deciso a provarglielo. Ana mi stringe le gambe attorno ai
fianchi. La fisso, adorante. É diventata così sicura di sé. É
bastato dirle che la amo, dirle quello che provo, per farla
abbandonare completamente a me. Un lato di lei sarà per
sempre indomabile, lo so. E lo adoro. Ma per il resto è
mia. Solo mia. Mi accarezza dolcemente il viso, e torno a
muovermi dentro di lei ad un ritmo deciso e controllato.
Appoggio un braccio al di sopra della sua testa,
carezzandole i capelli con la mano, mentre con l’altra le
lascio dolci carezze sul viso. Poi la bacio, affondando la
lingua nella sua bocca mentre mi unisco al suo sesso con
il mio. Gode e geme, persa nell’estasi. Anche lei mi
accarezza, pur restando nei limiti che le ho mostrato. Mi
tocca le braccia, la parte bassa della schiena, spingendosi
fin sul sedere. É meraviglioso. Nessuna mi ha mai
toccato. Con nessun’altra ho condiviso così tanto. “Sono
tuo, Ana. Per sempre. Anch’io ti sto dando qualcosa di me
per la prima volta. Solo a te”. Sento il suo respiro
accelerare, farsi sempre più affannato. Mi eccita ancora di
più se possibile. Inizio a spingere forte dentro di lei,
sempre di più, sempre con spinte più decise. Le bacio le
labbra con forza e prepotenza. Poi il mento, la mascella, e
infine le mordicchio l’orecchio. Il mio respiro ora corre
veloce come il suo. La sento tremare e so che è solo
questione di attimi.
«Va tutto bene, piccola... lasciati andare per me... per
favore... Ana» le mormoro piano contro le labbra.
E in quell’istante lei esplode, meravigliosa. Non posso
perdermi questo momento.
«Christian» grida, in preda ad un violento orgasmo.
E, mentre gemo a fatica, esplodo insieme a lei.
Capitolo 13
«Mac sarà presto di ritorno» le mormoro piano, contro
la pelle ancora sensibile e arrossata.
«Mmh...» si lamenta lei, aprendo gli occhi e sbattendo
le palpebre per riabituarsi alla luce che proviene da fuori.
Ci fissiamo per lunghi attimi e la sua espressione felice
e appagata riflette perfettamente la mia. É come mi sento.
Felice. E appagato.
«Mi piacerebbe davvero molto restare qui sdraiato con
te per tutto il pomeriggio, ma Mac avrà bisogno di una
mano con il gommone» le dico, protendendomi verso di
lei e baciandole dolcemente le labbra morbide e gonfie
per il mio assalto di poco fa. La guardo ancora, come se
non riuscissi a fare a meno di quello che mi ispira il suo
corpo delicato. «Ana, in questo momento sei bellissima,
tutta in disordine e sexy. Mi fai desiderare di prenderti
ancora» le sussurro, sorridendole malizioso. Gli effetti di
quella visione, infatti, iniziano già a farsi sentire. Mi
stiracchio e poi mi tirò su dal letto, girandomi verso di lei,
gloriosamente nudo. Ana non fa nulla per nascondere il
fatto che mi stia praticamente mangiando con gli occhi. Il
mio uccello ha un piccolo fremito e sento l’erezione
tornare.
«Non sei tanto male, capitano» mi dice, scoccandomi
un bacio e facendomi l’occhiolino.
Sorrido sfacciatamente, mentre mi rivesto con calma,
dandole modo di apprezzare quello che vuole vedere.
Sospiro soddisfatto, mentre armeggio con i miei abiti.
Questo è stato di sicuro uno dei momenti più belli della
mia vita. Tutto quello che avevo prima... per quanto
eccitante, non era niente. Poi mi vengono in mente alcune
sue frasi ed allusioni. Ha continuato a lanciarmi
frecciatine maliziose per tutto il giorno. La guardo per
qualche attimo, distesa tra le lenzuola del mio letto, che
da oggi è diventato il nostro letto. So che le piace il sesso
estremo. Non vuole che le faccia del male. Ma
onestamente non voglio nemmeno io. Eppure sento che
con lei potrei spingermi un po’ oltre i confini della
vaniglia. Il problema è che non so quanto oltre. E il
pensiero di scoprirlo, dopo averla vista fuggire via da me,
non mi entusiasma particolarmente. Eppure... eppure il
desiderio di dominarla e vederla contorcersi di piacere
sotto di me è vivo e pulsante come non mai. Forse dovrei
sentirmi meschino per questo. Mi siedo accanto a lei, sul
letto, chinandomi per infilare le calze e le scarpe.
«Capitano, eh?» le dico sorridendole. «Bè, ma io sono
il signore del vascello» la prendo in giro.
Anastasia sposta la testa di lato, tutta arruffata e con
un espressione compiaciuta post sesso.
«Sei il signore del mio cuore, Mr Grey» sussurra,
fissandomi negli occhi.
“Sei mia, Anastasia Rose Steele. Solo mia”. Scuoto la
testa, incredulo per la sua affermazione. “Non dire così,
Anastasia. Non lo merito. Sei tu la signora del mio
universo”. Mi chino su di lei, baciandola piano e a fondo.
La mia mano si infila tra i suoi capelli, tirando il suo viso
più vicino al mio, mentre le posseggo la bocca. Poi, dopo
qualche attimo, mi stacco da lei.
«Sarò sul ponte. C’è una doccia nel bagno, se vuoi. Hai
bisogno di qualcosa? Un drink?» le chiedo
premurosamente, carezzandole le labbra gonfie.
Lei non risponde. Ma mi ripaga con un bellissimo
sorriso estatico.
“Cristo, se ti amo, Ana Steele”.
«Cosa c’è?» le chiedo alla fine, realizzando che non ha
proferito verbo.
«Tu» dice semplicemente.
«In che senso?» chiedo, aggrottando le sopracciglia.
«Chi sei e cos’hai fatto a Christian?» mi dice
socchiudendo piano gli occhi, scrutando i miei.
Sento una fitta dritta al cuore. Sorrido mestamente,
perché so che quel Christian è ancora qui. É ancora
dentro questo corpo.
«Non è molto lontano, piccola» le dico dolcemente,
passando le dita lungo il suo braccio, ma senza riuscire a
guardarla negli occhi. Scuoto la testa, piano. “Il Christian
che hai lasciato la scorsa settimana, Ana, è qui. É sempre
qui. E, a volte, fatico a trattenerlo dentro. Vorrei solo
trovare un modo per farlo venire incontro a quello che
vuoi tu. Ma fino a quando non lo trovo, è meglio che stia
chiuso qui dentro”. «Lo vedrai fin troppo presto» le dico
con un sorrisetto, mentre accarezzo con lo sguardo il suo
corpo ancora nudo. «Specialmente se non ti alzi». Calo la
mano sul suo sedere nudo, dandole un piccolo
sculaccione. La sua schiena si inarca, mentre ride e
guaisce.
«Mi hai fatto spaventare» dice con una specie di
sollievo nella voce e nello sguardo.
«Davvero?» dico, aggrottando la fronte e riflettendo
sulle sue parole. “Mi confondi, Ana. Mi confondi così
tanto”. «Devi darmi qualche segnale, Anastasia. Come
può fare altrimenti un uomo?» le mormoro, chinandomi
su di lei e baciandola di nuovo. E di nuovo a fondo. La
sensazione, mista al piacere di averle assestato quel
piccolo colpo, che, ad essere davvero onesti, mi ha
eccitato davvero, mi lascia con un groviglio di emozioni
nello stomaco. Se non sapessi che Mac sta vagando senza
meta da un bel po’, starei di nuovo affondando dentro di
lei. «A più tardi, piccola» le mormoro contro le labbra,
prima di alzarmi e rivolgerle un sorriso aperto e sincero.
Tornando sul ponte avviso Mac e resto in attesa,
osservando l’acqua calma e limpida. Il vento mi accarezza
i capelli. Malinconico mi fisso le scarpe. Vorrei essere più
bravo, con Anastasia. Vorrei capire cosa vuole, quando lo
vuole e come lo vuole soprattutto. Mi confonde, mi eccita,
mi stravolge completamente, lasciandomi sottosopra.
Non so che fare il più delle volte. Ho una fottutissima
paura di perderla. Se lei mi lasciasse... Cristo, nemmeno
voglio pensarci! Non ce la farei, non supererei di nuovo
quella sensazione di vuoto assoluto, quel buio che mi
inghiottisce, mi divora per intero. Eppure... lei è attratta
da quel buio. Magari non dal nero più profondo. Ma forse
da un tenue grigio si. Sarei davvero curioso di sapere fin
dove riesce a spingersi la sua curiosità e la sua voglia di
osare. Ma temo la sua reazione se per caso dovessi
metterla davanti a qualcosa che risultasse troppo.
Vengo riscosso dai miei pensieri da Mac che fa ritorno
a bordo. Lo aiuto con il gommone e quando risale sul
ponte, il mio BlackBerry suona.
«Grey»
«Mr Grey, l’appartamento è stato controllato da cima a
fondo. Tutto tranquillo, nessuna traccia di Miss Williams.
Abbiamo cambiato i sistemi d’allarme e potenziato la
sicurezza»
L’efficienza di Taylor mi fa sospirare di sollievo. Nel
frattempo Ana mi ha raggiunto e Mac si è dileguato al
piano superiore. Mi avvicino a lei, baciandole i capelli.
«Grande notizia»
«Lei e Miss Steele potete tornare quando desiderate,
signore»
«Bene. Sì»
«Abbiamo scoperto come ha fatto Miss Williams ad
entrare, signore. Ha usato la scala antincendio per
entrare ed uscire»
«Davvero? La scala antincendio?»
«Sì, signore. Così ha fatto in modo che non la
trovassimo quando abbiamo perlustrato l’interno, per poi
nascondersi all’interno quando abbiamo controllato le
zone esterne all’appartamento»
L’astuzia di Leila mi stupisce. Non la ricordavo così
scaltra. Istintivamente accarezzo in modo possessivo la
schiena di Ana.
«Capisco» dico distrattamente.
«Stiamo continuando le ricerche di Miss Williams, per
il momento. Ho recuperato le vostre cose in albergo.
Questa sera torna all’Escala, signore?» mi chiede Taylor,
riscuotendomi dal mio rimuginare interiore.
«Sì, stasera» confermo, chiudendo la chiamata.
Mac accende i motori e Ana sobbalza per lo spavento.
«È tempo di tornare» le dico, prendendo il giubbotto
salvagente che ho portato con me dalla camera e
allacciandoglielo per bene. Ancora una volta mi ritrovo ad
accarezzare quelle cinghie e a combattere con la parte
oscura di me. La bacio, a fondo, prendendomi tutto quello
che posso di quella morbida bocca che sa darmi un
piacere immenso. La prendo per mano, conducendola a
bordo della nave e insegnandole qualche trucco del
mestiere. Sorrido quando le spiego come fare i nodi. Le
insegno a maneggiare la corda. Vederglielo fare, vedere la
sua mano che accarezza la fibra naturale della corda è una
visione celestiale. Riuscirò a combattere contro tutto
questo? Contro la voglia che ho di sottometterla? Eppure
non voglio che lei sia la mia Sottomessa. Voglio solo che
sia mia. Voglio solo usare quello che conosco per darle
piacere. Voglio tenerla ferma, stretta, legata. Voglio
punirla, ma più di tutto voglio che lei mi porti a punirla.
Voglio che mi sfidi, che mi spinga a dominarla. E che poi
goda fino a svenire di piacere tra le mie braccia. Sono
sempre più confuso.
«Potrei legarti, uno di questi giorni» borbotta
acidamente, mentre io le faccio un sorrisetto sfrontato.
Faccio una smorfia divertito.
«Prima dovrai prendermi, Miss Steele» le dico, sicuro
di me.
La vedo aggrottare la fronte, per chissà quale pensiero,
e incupirsi immediatamente. Poi mi fissa. Ed è come se
mi penetrasse a fondo, dentro l’anima. Se mai fossi certo
di avere ancora un’anima. A volte sono quasi certo di
averla lasciata sul tappeto marcio di una casa altrettanto
marcia, a quattro anni, accanto al corpo freddo e cinereo
di mia madre.
Le prendo la mano e gliela bacio.
«Vieni, facciamo un altro giro della barca» le
mormoro, trascinandola via con me.
Passiamo un po’ di tempo in giro sulla Grace, mentre le
spiego le tecniche di costruzione, il design innovativo e la
qualità dei materiali utilizzati per costruirla. Mi piace
parlarne. La Grace è stata costruita dalla mia azienda,
naturale che ne sia orgoglioso. Ma è forse quello che
rappresenta che mi rende tanto orgoglioso. É un omaggio
a mia madre. Alla donna che mi ha salvato da una vita di
distruzione. La donna che mi ha preso con sé, accettando
i miei limiti. É strano come prima di lei io non ricordi più
nulla. Sì, la puttana e il suo magnaccia non mi
abbandonano mai, ma è come se i miei ricordi, quelli che
non rivivo nei miei sogni, quelli reali, iniziassero con
Grace. É il mio angelo. La mia salvatrice. É stata il mio
mondo per molto tempo. E ora il mio mondo è Ana.
La porto con me, sedendomi nella cabina di comando,
a guardare il mare. Lei resta in piedi, tra le mie gambe,
con le mani sul timone. Il silenzio è rotto solo da me che
le spiego, ogni tanto, come deve muoverlo. Ad un tratto la
sento rabbrividire, mentre scuote piano la testa,
sospirando con il respiro corto. Sorrido. Sono certo che
sta ripensando a quello che è successo nella nostra
cabina. A quanto e come ci siamo amati. Anch’io in realtà
ci stavo pensando. La stringo, guardando le piccole onde
davanti a noi, accarezzate dal sole del tramonto.
«Navigare è una poesia vecchia come il mondo» le
sussurro all’orecchio, baciandole piano la pelle delicata
del collo.
«Sembra una citazione» mormora, piegando la testa e
dandomi pieno accesso al suo collo.
Sorrido contro la sua pelle.
«Lo è. Antoine de Saint- Exupéry» le dico.
«Oh... adoro Il piccolo principe»
«Anch’io»
É ormai quasi sera quando ci addentriamo nel porto,
sulle acque rischiarate dalle luci. Eseguo facilmente la
manovra di rientro e riporto la Grace al suo posto. Mac
salta giù ad assicurarla alla bitta.
«Eccoci di ritorno» le dico, guardandola.
«Grazie» mormora piano. «È stato un pomeriggio
perfetto»
Le sorrido, scostandole i capelli dal viso.
«Lo penso anch’io. Forse potrei iscriverti a un corso di
vela, per uscire da soli» le propongo.
«Mi piacerebbe. Così potremmo battezzare il letto altre
volte»
Mi chino su di lei e le sfioro la pelle dietro l’orecchio
con le labbra.
«Mmh... non vedo l’ora, Anastasia» le sussurro, piano.
La sento rabbrividire e espirare velocemente un paio di
volte. É eccitata. Le faccio lo stesso effetto che lei fa a me.
«Vieni, l’appartamento è a posto. Possiamo tornare» le
dico con un sorriso.
«E le cose che abbiamo in albergo?» mi chiede,
spalancando gli occhi.
«È già andato a prenderle Taylor» la rassicuro.
Mi guardo e so che si sta chiedendo quando.
«Stamattina, dopo aver perlustrato la Grace con la sua
squadra» le dico, rispondendo alla sua domanda
inespressa.
«Quel poveretto non dorme mai?» mi chiede, alzando
un sopracciglio.
«Ma certo che dorme» ribatto, facendo altrettanto, con
aria interrogativa. «Sta solo facendo il suo lavoro,
Anastasia, e lo fa molto bene. Jason è una vera scoperta»
dico con un sorriso soddisfatto.
«Jason?» chiede senza capire.
«Jason Taylor» le spiego, capendo il fraintendimento
sul suo nome di battesimo.
Ana ci pensa per qualche istante, poi mi guarda,
mentre un sorriso affettuoso le si dipinge sul viso.
«Gli sei affezionata» dico, scrutando la sua reazione.
Mi sento mangiare vivo dalla gelosia.
«Suppongo di sì» mi dice pacatamente.
Il mio viso si rabbuia, la gelosia mi rode.
«Non sono attratta da lui, se è per questo che ti stai
accigliando. Smettila» mi dice con sufficienza.
Mi imbroncio, sentendomi geloso. E ridicolo.
«Penso che Taylor si prenda cura di te molto bene. Per
questo mi piace. Mi sembra affidabile e leale. Esercita il
fascino di uno zio su di me» mi spiega paziente, come se
stesse parlando ad un bambino.
«Di uno zio?» le chiedo con sarcasmo. “Zio Taylor.
Fintanto che non hai desideri perversi sullo zietto,
Anastasia, mi va bene”.
«Sì» mi dice, alzando le sopracciglia.
«Okay, di uno zio» le dico, ancora poco convinto.
Ana scoppia a ridere di gusto.
«Oh, Christian, cresci, per l’amor del cielo»
La sua frase mi colpisce. Mi ricorda tanto quello che mi
dice Flynn. “É normale, Christian, che a volte hai
comportamenti irrazionali. Hai totalmente evitato la fase
della tua adolescenza. Non l’hai vissuta. E dunque non
l’hai affrontata e superata”.
Aggrotto la fronte. “Questa donna mi legge davvero
dentro”.
«Sto cercando di farlo» le dico, alla fine.
«Questo è vero» replica con dolcezza, alzando gli occhi
al cielo, divertita.
Immediatamente mi eccito.
«Che ricordi mi evochi quando alzi gli occhi al cielo,
Anastasia» le dico sorridendo.
Lei, per tutta risposta, mi lancia uno sguardo
malizioso.
«Bè, se ti comporti bene, forse potremmo far rivivere
qualcuno di quei ricordi»
Le sue parole mi accarezzano direttamente l’uccello,
facendolo fremere e combattere la forza di gravità. Ho
un’erezione da paura sotto i pantaloni. Le sorrido con
sarcasmo.
«Comportarmi bene?» le dico, alzando un sopracciglio.
«Dimmi, Miss Steele, che cosa ti fa pensare che voglia
farli rivivere?» le chiedo, eccitato.
«Probabilmente è il modo in cui i tuoi occhi si
illuminano come se fosse Natale, quando lo dici» mi dice,
senza abbandonare quel tono di malizia.
Mi provoca. Lo vuole anche lei. ‘E se invece ti
sbagliassi, Grey?’. La guardo di nuovo. La scruto. No. Non
mi sbaglio. Lo vuole.
«Mi conosci già così bene» osservo, rapito dalla sua
sicurezza.
«Vorrei conoscerti meglio» mi dice, guardandomi con
sincerità.
Le faccio un sorriso affettuoso.
«E io vorrei conoscere meglio te, Anastasia»
Dopo aver salutato Mac, scendiamo sul molo.
«Da dove viene Mac?» mi chiede Ana, quando ci
allontaniamo sul molo.
«Irlanda... Irlanda del Nord» mi correggo,
continuando a camminare, tenendola per mano.
«È un tuo amico?» continua ad indagare.
«Mac? Lavora per me. Ha aiutato a costruire la Grace»
rispondo.
«Hai molti amici?» mormora ad un tratto.
Aggrotto la fronte, guardandola, soppesando la sua
domanda. Amici? Io? Non ne ho mai sentito il bisogno.
Sono abituato a stare da solo.
«Non molti. Facendo ciò che faccio... non coltivo le
amicizie. C’è solo...» mi fermo prima di lasciarmi sfuggire
il nome di Elena.
Mi acciglio. Non voglio rovinare questo momento con
lei.
«Hai appetito?» le chiedo, cambiando argomento.
Annuisce, con un breve sorriso.
«Mangeremo dove abbiamo lasciato la macchina.
Vieni» le dico, prendendole la mano.
Arriviamo insieme al Bee, un piccolo ristorante
italiano. Ci vengo sempre quando esco con la mia barca.
Ci accomodiamo in un séparé, studiando attentamente il
menu mentre sorseggiamo il delizioso Frascati che ho
ordinato per entrambi. Abbasso il cartoncino plastificato
che ho in mano e la osservo, mentre lascia scorrere il dito
sul suo menu per scegliere. Ha le guance leggermente
arrossate dal vento, i capelli un po’ scompigliati. É
perfetta con le sue piccole imperfezioni. É la donna della
mia vita. La donna che amo. La donna che voglio accanto
ogni giorno. Per sempre.
Quando alza gli occhi e mi guarda, resta sorpresa.
Probabilmente perché ho uno sguardo letteralmente
adorante.
«Cosa c’è?» mi chiede, spalancando gli occhi grandi.
«Sei molto carina, Anastasia. L’aria aperta ti dona» le
dico, senza smettere di guardarla.
Arrossisce, colorando di più le sue guance.
«Il vento mi frastorna, a dirti la verità. Ma ho passato
un bellissimo pomeriggio. Un pomeriggio perfetto.
Grazie» mi dice sorridendo timidamente.
Il mio sorriso di risposta è aperto e sincero. Mi piace
sapere che l’ho resa felice. Anche se non compensa il male
che le ho fatto, almeno spero che possa farglielo
dimenticare. Con il tempo.
«È stato un piacere» sussurro.
«Posso
chiederti
una
cosa?»
mordicchiandosi un po’ il labbro.
mi
chiede,
Il che mi fa capire che sta per indagare a fondo nella
mia vita. Ma sono preparato. Posso e devo affrontarlo.
«Qualsiasi cosa, Anastasia. Lo sai» le dico, piegando al
testa di lato.
«Non mi pare che tu abbia tanti amici. Perché?»
Scrollo le spalle, con noncuranza, ma la mia
espressione si fa più guardinga. Ok. Sincerità.
«Te l’ho detto, non ne ho il tempo. Ho dei soci d’affari,
anche se è un rapporto molto diverso dall’amicizia,
suppongo. Ho la mia famiglia, tutto qui. A parte Elena»
Mi irrigidisco, aspettandomi una sfuriata. Ma lei
continua, come se niente fosse.
«Nessun amico maschio della tua età con cui puoi
uscire a scaricarti?» chiede.
«Sai come mi piace scaricarmi, Anastasia» le dico con
un mezzo sorriso. «E poi lavoro, consolido la mia
attività». La guardo senza capire. É quello che faccio, che
sono. Non ho bisogno di nient’altro. A parte lei. «È tutto
quello che faccio. A parte navigare e volare ogni tanto»
«Nemmeno al college?» incalza.
«No»
«Solo Elena, allora?» chiede, abbassando le spalle,
quasi sconfitta.
Annuisco, con aria diffidente. Non so dove vuole
arrivare con tutte queste domande, ma mi sento a disagio.
Con lei mi sembra sempre di confessare i miei peccati.
«Dev’essere una vita solitaria» mormora.
Piego le labbra, sorridendo appena. Ma evito di
commentare. Solitaria è un eufemismo bello e buono. Ora
che l’ho conosciuta e l’ho avuta posso dire di aver iniziato
a vivere. Prima respiravo, occupavo un posto su questo
pianeta. Ma di certo non stavo vivendo.
«Che cosa vuoi mangiare?» le chiedo, cambiando
argomento.
«Prenderò il risotto» mi dice piano.
«Ottima scelta» le dico sorridendo.
Chiamo il cameriere e ordino risotto per due. Quando
quest’ultimo si allontana, la vedo nuovamente nervosa. Si
agita sulla sedia, fissandosi le dita. Alzo gli occhi al cielo,
sospirando.
«Anastasia, cosa c’è che non va? Dimmelo» la esorto.
Alza gli occhi nei miei e leggo la preoccupazione
stampata sul suo viso dolce. Inizio a preoccuparmi. Tutte
queste domande, questo voler scavare nella mia vita. Non
mi sta lasciando di nuovo, vero? No, non può essere.
Eppure vedo il dubbio che le anima gli occhi.
«Dimmelo» la incalzo con più enfasi. Sono davvero
preoccupato. La vedo prendere aria nei polmoni, per poi
espellerla lentamente.
«Temo solo che questo non sia abbastanza per te. Sai,
per scaricarti». Parla lentamente, come se fosse una
confessione che ci allontanerà.
La guardo sotto shock. Fremo di rabbia. “É colpa mia.
Solo colpa mia. L’ho distrutta, fisicamente ed
emotivamente. Ma lei è il mio tutto oramai. Non può e
non deve sminuirsi in quel modo”.
«Ti ho dato motivo di pensare che non sia
abbastanza?» le chiedo severamente.
«No» farfuglia, imbarazzata.
«Allora perché lo pensi?» chiedo diretto.
«So come sei fatto. Quali sono... mmh... i tuoi bisogni»
balbetta, sempre più intimorita.
Stringo gli occhi, sfregandomi la fronte con due dita.
“Ha bisogno di sicurezze. L’ho venerata, l’ho protetta dal
mondo. Le ho detto che la amo. Cosa... ”
«Che cosa devo fare?» le chiedo esasperato dalla mia
lotta interna con me stesso.
«No, mi hai fraintesa... Tu sei fantastico, e so che sono
solo pochi giorni che ci frequentiamo, ma spero che la
mia presenza non ti stia forzando a essere qualcuno che
non sei» si affretta a spiegarmi.
Apro gli occhi, guardandola fisso.
«Sono ancora me stesso, Anastasia, in tutte le mie
cinquanta sfumature. Sì, devo lottare contro la mia
tendenza ad avere il controllo su tutto... ma è la mia
natura, il modo in cui ho affrontato la vita. Sì, mi aspetto
che ti comporti in un certo modo, e quando non lo fai è
stimolante e originale allo stesso tempo. Facciamo ancora
quello che mi piace fare. Hai lasciato che ti sculacciassi
dopo la tua bizzarra idea di fare un’offerta per l’asta, ieri»
mi fermo per un attimo, prendendomi una pausa dal
fiume di parole che le ho riversato addosso, sorridendo al
ricordo di lei e di ieri sera. «Mi è piaciuto punirti. Non
credo che lo stimolo mi passerà mai...» le confesso con un
po’ di timore. «Ma ci sto provando, e non è così dura
come pensavo» “Ecco, Ana. Ho finito la mia confessione.
Ti prego, non lasciarmi”.
Lei si sposta sulla sedia, arrossendo con forza.
«Non m’importa» sussurra, deliziandomi con un
sorriso timido.
Sorrido anch’io, anche se poco.
«Lo so. Nemmeno a me. Ma lascia che ti dica una cosa,
Anastasia, tutto questo è nuovo per me e questi pochi
giorni sono stati i migliori della mia vita. Non voglio
cambiare niente» le confesso sincero.
Sul viso le si dipinge lo stupore, prima, e poi la gioia.
«Sono stati i migliori anche della mia, senza eccezioni»
mormora piano.
Il mio sorriso si allarga e lei ricambia, felice come me.
«E così, non mi vuoi portare nella tua stanza dei
giochi?»
La sua domanda irrompe nella mia mente. Il ricordo
dell’ultima volta in cui in cui ci sono stato con lei mi fa
male, mi fa quasi mancare il respiro.
«No, non voglio» mormoro, abbassando lo sguardo.
«Perché no?» sussurra, quasi delusa.
Alzo lo sguardo su di lei, scrutandola. Sono così
confuso dalle sue reazioni.
«L’ultima volta che ci siamo stati tu mi hai lasciato» le
rispondo pacatamente. «Rifuggo da ogni cosa che
potrebbe farti pensare di lasciarmi di nuovo. Ero
devastato, quando l’hai fatto. Te l’ho detto. Non voglio
sentirmi così mai più. Ti ho spiegato quello che sento per
te». La scruto con ardore, sincerità. “Dimmi che mi
capisci, Ana. Che mi prendi con te nonostante tutto quello
che sono. Che mi ami. Che non mi lascerai. Mai più”.
«Ma non mi sembra giusto. Non può essere molto
rilassante per te doverti costantemente preoccupare di
come mi sento. Hai fatto tutti questi cambiamenti per me,
e io... io vorrei poter contraccambiare in qualche modo.
Non lo so... forse... cercando... facendo qualche gioco...»
balbetta piano, arrossendo fino alla radice dei capelli.
“Cristo, Ana. Tu sei già tutto ciò di cui ho bisogno”.
«Ana, contraccambi già più di quanto pensi. Per
favore, per favore, non sentirti così» la imploro. Farei di
tutto per non farle più del male. La fisso con gli occhi
spalancati, cercando di rassicurarla e al contempo di
rassicurare me stesso. «Piccola, è stato solo un weekend»
continuo, prendendole una mano nella mia. «Diamoci del
tempo. Ho pensato molto a noi la settimana scorsa, dopo
che te ne sei andata. Abbiamo bisogno di tempo. Hai
bisogno di fidarti di me, e io di te. Forse, un giorno,
potremo assecondarci, ma adesso a me piaci così come
sei. Mi piace vederti felice, rilassata e spensierata, e sono
contento di sapere che in qualche modo sono io a farti
sentire così. Non ho mai...». Fermo le mie confessioni a
ruota libera. “Non ho mai fatto felice nessuno. Ho solo
causato dolore, traendo piacere da quelle lacrime”. Mi
passo una mano nei capelli, imprecando mentalmente
contro il coglione che sono stato. «Dobbiamo imparare a
camminare prima di poter correre» le dico e mi viene da
ridere pensando che questa frase me l’ha ripetuta Flynn
almeno un migliaio di volte.
«Cosa c’è di tanto divertente?» mi chiede senza capire.
«Flynn. Lo dice sempre. Non ho mai pensato che
l’avrei citato» dico, ridacchiando e scuotendo la testa.
«Un flynnismo, dunque» sorride anche lei.
Rido di cuore.
«Esatto» annuisco, di nuovo sollevato.
Il cameriere ci interrompe, portando gli antipasti. E
cambiamo argomento. Ma dentro di me sono felice.
Abbiamo superato un altro scoglio. Uno dei tanti. So che
alla fine di questa serie di ostacoli si trova quello
insormontabile. Ma per il momento uno è andato.
Abbiamo fatto un passo avanti nella direzione giusta. E lo
abbiamo fatto insieme. Di nuovo.
Dopo una gustosa cena, facciamo ritorno all’Escala.
Anastasia è silenziosa, con la testa poggiata sul braccio,
contro il finestrino della mia auto. Pensa, chissà a cosa.
Forse a me. Almeno lo spero. E spero che i suoi pensieri
siano positivi. Negli ultimi tre giorni ho imparato ad
osservarla, ad osservare ogni dettaglio. Non farò in modo
che mi lasci di nuovo. Non lo permetterò. Ma... se dovesse
accadere, allora dovrò essere in grado di ricordare ogni
dettaglio di lei. Se non potrò averla per sempre, mi
crogiolerò almeno nel suo ricordo. Mi concentro sulla
strada, lasciandola ai suoi pensieri. Io ho bisogno per un
attimo di mettere insieme i miei. Ho bisogno di vedere
Flynn, di sentire cos’ha da dire rispetto a tutto questo. La
mia paura, la confessione dell’amore che provo per lei, la
mia voglia di stravolgere la mia vita. E il desiderio che
persiste di legare il suo corpo minuto e scoparla fino a
farla svenire. A volte mi sento un mostro. Ovviamente è
quello che sono, ma ho imparato a nasconderlo. Come
polvere sotto un tappeto. Eppure ci sono momenti in cui
quel tappeto si alza e la mia personalità viene fuori. É
anche lei che la tira fuori comunque. Voglio proteggerla,
farla stare bene. Ma un’occhiata a quella bocca carnosa e
quegli occhi docili e selvaggi al tempo stesso, una sferzata
della sua lingua biforcuta. E sono in ginocchio, in preda al
desiderio perverso di piegarla alla mia lussuria perversa.
Perché è così giusto e così sbagliato al tempo stesso? Mi
sento così confuso. E poi ora c’è anche Leila e il fatto che
non mi senta sicuro neppure a casa mia. Non temo per
me, ma per lei. Ma non so dove altro andare. Dove altro
portarla. Mi struggo tra la voglia di proteggerla e il
bisogno di non farla sentire oppressa e indurla a
scappare. Non so come comportarmi. E questo, oltre che
confuso, mi rende nervoso.
Quando ci avviciniamo al garage dell’Escala lancio
un’occhiata in giro, sui marciapiedi e intorno all’edificio.
Non la vedo, ma ho paura che lei sia in agguato e voglia
fare del male ad Anastasia. Stringo le labbra, fremente di
rabbia. Sawyer ci aspetta nel parcheggio. L’Audi
malridotta è stata portata via, in modo che Ana non
debba più vederla. Parcheggio accanto all’Audi Quattro e
scendiamo entrambi.
«Salve, Sawyer» lo saluta lei.
«Miss Steele» Sawyer fa un cenno educato con il capo.
«Mr Grey»
«Nessun segno?» gli chiedo con rabbia.
«No, signore»
Annuisco, afferrando la mano di Anastasia. Mi sento
così impotente per non essere in grado di assicurarle la
protezione di cui necessita. Entriamo in ascensore e mi
lascio distrarre dai miei pensieri. Ho bisogno di tenere
sotto controllo la situazione. Altrimenti va a finire che
impazzisco. E devo essere certo che Ana non si avventuri
da sola da nessuna parte. Leila potrebbe essere ovunque,
come ci ha dimostrato ieri sera.
Mi volto verso di lei, scrutandola per pochi secondi.
«Non ti è permesso uscire di qui da sola. Mi hai
capito?» sbotto severo, aspettandomi una replica con i
controcazzi.
Ma lei mi sorprende. Aggrotta leggermente la fronte,
ma la sua risposta è docile.
«Okay»
E poi, chissà perché, sorride. Sorride? Non me lo sto
sognando? É davvero un sorriso, quello? Io voglio tenerla
sotto chiave e lei sorride? Questa donna mi sta fottendo il
cervello. Mio malgrado il suo sorriso mi contagia.
«Cosa c’è di tanto divertente?» borbotto, cercando di
mascherare l’ilarità.
«Tu» mi risponde semplicemente, fissando i miei occhi
grigi.
«Io, Miss Steele? Perché sono divertente?» le dico,
mettendo il broncio come un ragazzino.
Ana mi guarda e vedo che il suo respiro si ferma per un
attimo, mentre i suoi occhi si spostano e indugiano sulle
mie labbra.
«Non fare il broncio» mi dice, con voce roca e bassa.
«Perché?» le chiedo divertito.
«Perché mi fa lo stesso effetto che fa su di te quando
faccio così» dice, afferrandosi il labbro inferiore con i
denti e stringendolo in quel modo carnale e passionale
che mi fa venire voglia di cose indicibili.
Alzo un sopracciglio, mentre sento l’eccitazione
montare dentro di me. La fisso, compiaciuto e sorpreso al
tempo stesso.
«Davvero?» le dico di nuovo, con voce roca.
Mi avvicino al suo corpo, chinandomi su di lei e
depositandole un bacio veloce e dolce sulle labbra. Ma
quel contatto me la fa desiderare di più. Un brivido mi
percorre da capo a piedi e il mio uccello si tende, come se
volesse rompere i pantaloni. Poggio di nuovo le labbra
sulle sue, ma stavolta anche lei mi assale. Le sue mani mi
afferrano i capelli e la sua lingua danza a fondo con la
mia. Le afferro il viso, avvicinandola di più. Ci baciamo,
divoriamo, inghiottiamo a vicenda, mentre i nostri corpi
si scontrano. Il mio torace sfiora le sue morbide curve,
mentre il sangue pulsa veloce nelle nostre vene. Sento la
corsa impazzita del suo cuore, che va di pari passo al mio.
Percepisco il suo desiderio, forte e prepotente. E anch’io
la voglio. Anch’io voglio farla mia e mia soltanto. La
afferro prepotentemente, mentre dentro mi si risvegliano
sentimenti che tentavo di tenere sopiti. Durante tutto il
giorno mi ha provocato, stuzzicato con la sua malizia. E
ora i miei istinti stanno prendendo prepotentemente il
sopravvento. La voglio, la desidero. Voglio brutalmente
farla mia, piegarla la mio desiderio e sentirla gemere il
mio nome mentre mi implora di farla venire ancora e
ancora. Le afferro i fianchi, spingendola contro la parete.
Le mie mani le afferrano il viso, senza permettere di
staccare le nostre labbra. Anche lei incrementa la presa
sui miei capelli. Le piace. Le piace quando sono meno
delicato. Quando la prendo e basta. Ho sempre più
bisogno di lei. Il suo tocco, il suo calore, placano le mie
ansie. Fintanto che sono dentro di lei, sono certo che
nessuno le farà del male. ‘Nessuno tranne te, Grey’.
Le porte dell’ascensore si aprono, mettendo a tacere
sul nascere i miei pensieri. Stacco il mio volto dal suo,
fissando i suoi occhi grandi e bramosi. Il mio corpo è
ancora attaccato a lei. Il mio cazzo è enorme e dolorante e
struscia lussurioso contro il suo ventre.
«Wow...» le mormoro con il fiato corto.
«Wow...» ripete lei, respirando a fondo.
Non riesco a smettere di fissarla.
«Che cosa mi stai facendo, Ana» mormoro, tracciando
con il pollice il contorno delicato del suo labbro inferiore,
gonfio per il mio assalto.
Un movimento di Taylor, che ci attende fuori
dall’ascensore, la distrae. Poi torna a guardarmi,
sollevandosi sulle punte e baciandomi dolcemente
l’angolo della bocca.
«Potrei farti la stessa domanda» mi sussurra.
Mi stacco da lei e le prendo la mano, mentre i miei
occhi non desiderano null’altro che vederla nuda e
ansimante sotto di me.
«Vieni» le ordino piano.
Taylor si raddrizza vedendoci finalmente uscire
dall’ascensore.
«Buonasera, Taylor» lo saluto in modo cordiale.
«Mr Grey, Miss Steele» annuisce lui.
«Ero Mrs Taylor ieri» esclama Ana con un sorriso.
Taylor arrossisce, mentre dentro di me la gelosia e la
rabbia si fondono e mi animano il petto.
«Suona bene, Miss Steele» commenta Taylor con un
sorriso.
Lo fulmino con lo sguardo, ma Ana continua a flirtare
con lui.
«L’ho pensato anch’io»
Le stringo la mano più forte. Mrs Taylor, Anastasia?
Mrs Taylor? Vuoi quel fottuto Taylor? Vuoi che sia lui a
farti urlare di piacere, a baciarti e farti impazzire?
Fumante di rabbia le do uno strattone alla mano.
«Se avete finito, mi piacerebbe essere aggiornato»
Torno a lanciare un’occhiata torva a Jason, che si
raddrizza e abbassa lo sguardo.
«Mi dispiace» sento Ana che sussurra mentre lo
sorpassiamo ed entriamo nell’appartamento.
«Sarò da te tra poco. Voglio solo scambiare una parola
con Miss Steele» grido a Taylor da sopra una spalla.
Senza fermarmi, la conduco in camera da letto,
chiudendo la porta una volta che l’ha oltrepassata.
«Non flirtare con il
rimprovero severamente.
personale,
Anastasia»
la
Ana mi guarda sconvolta. Apre la bocca, poi però la
richiude. Poi la riapre, continuando a fissarmi. Le mani
sui fianchi.
«Non stavo flirtando. Ero solo amichevole... C’è
differenza» borbotta stizzita.
«Non essere amichevole con il personale e non flirtare
con nessuno di loro. Non mi piace» le dico con rabbia.
«Mi dispiace» borbotta, fissandosi le mani e alzando
poi gli occhi a guardare il soffitto.
Sembra una bambina, mi fa tenerezza, nonostante la
rabbia che provo. Mi avvicino e le prendo il viso tra le
mani, in modo da poterla guardare negli occhi.
«Lo sai quanto sono geloso» le sussurro contro le
labbra.
«Non hai alcun motivo di essere geloso, Christian. Il
mio corpo e la mia anima sono tuoi»
La guardo, sbattendo le palpebre. “No, Ana. Non
possono esserlo se io continuo a mentirti, a non dirti la
verità. Non puoi appartenere ad un mostro come me”. Mi
chino su di lei, come per reprimere i miei stessi pensieri.
Non voglio pensare a tutto questo. Lei è qui, ora. La bacio
delicatamente, ma velocemente sulle labbra.
«Non ci metterò molto. Fa’ come se fossi a casa tua» le
dico, con un leggero broncio.
La lascio lì, stordita, confusa, barcollante. Mi dirigo a
passi veloci nel salone.
«Taylor! Nel mio ufficio, immediatamente!»
Entro, lasciando la porta aperta. É Taylor a chiuderla
quando mi segue.
«Aggiornami sulla situazione» dico senza preamboli,
girandomi di spalle e guardando fuori dalla vetrata.
Non ci sono novità rispetto a quello che mi ha già detto
per telefono.
«Miss Williams dev’essere entrata dalla scala
antincendio. Abbiamo cambiato codici e serrature.
L’appartamento è pulito. Lei non c’è».
Annuisco pensieroso. Ci accordiamo sulla sorveglianza,
gli assicuro che parlerò dettagliatamente con Anastasia, e
ci congediamo. Ma quando sento la maniglia girarsi, mi
volto.
«Mantieni le distanze con Miss Steele, Taylor. Non
farmelo ripetere» dico freddamente, senza lasciar
trapelare emozione alcuna nel tono di voce.
Taylor non si gira neppure, e so che è perché ribolle di
rabbia. Si comporta così quando sa di avere ragione e che
io mi comporto come un bambino viziato.
«Certo, Mr Grey» sibila, uscendo e chiudendo la porta
dietro di lui.
Quando torno in camera, la trovo in piedi a guardare i
suoi abiti appesi nella cabina armadio. Quando si volta,
noto il suo sguardo smarrito.
«Oh, ce l’hanno fatta a spostare tutto» mormoro,
distrattamente.
É nuova anche per me la sensazione di condividere il
mio spazio personale. Ma la realtà è che ora come ora Ana
fa parte del mio spazio personale. Non posso immaginare
di vivere senza di lei. O che qualcuno le faccia del male.
Mi acciglio, mentre osservo la nuova disposizione della
nostra roba.
«Cosa c’è che non va?» mi chiede, preoccupata.
Scuoto piano la testa, scrollandomi di dosso quelle
preoccupazioni.
«Taylor pensa che Leila sia entrata dalla scala
antincendio. Deve aver avuto la chiave. Adesso tutte le
serrature sono state cambiate. La squadra di Taylor ha
controllato a fondo ogni stanza dell’appartamento. Lei
non è qui»
Mi fermo, esausto, passandomi una mano tra i capelli.
«Vorrei tanto sapere dov’è. Sta eludendo tutti i nostri
tentativi di trovarla, quando invece ha bisogno d’aiuto».
Corrugo la fronte, mentre rimugino su dove potrebbe
essere andata.
Ana mi sorprende, avvicinandosi e stringendomi in un
abbraccio. Il suo calore e il suo profumo mi avvolgono e
mi confortano. La stringo a me, baciandole i capelli.
«Cosa farai quando la troverai?» mi chiede, contro il
mio petto.
«Il dottor Flynn può occuparsene» le dico. John mi ha
dato la sua disponibilità ad occuparsi di Leila durante il
nostro ultimo incontro, quando gli ho raccontato tutto.
Devo vederlo, in ogni caso.
«E suo marito?» mormora Ana.
«Se n’è lavato le mani di lei» ribatto sdegnato. «La sua
famiglia vive nel Connecticut. Penso che qui sia sola»
mormoro contro la sua testa.
«Che tristezza» sussurra triste.
“Sei sempre la solita, Ana. Non riesci a non dispiacerti
per una persona. Anche se quella persona vuole farti del
male. Ma io non sono così magnanimo”. Inspiro forte,
rilassandomi contro di lei. Abbiamo bisogno di distrarci.
Entrambi.
«Ti va bene che abbia fatto portare qui le tue cose?
Voglio dividere la stanza con te» le dico piano.
Lei alza la testa dal mio petto, guardandomi negli
occhi.
«Sì»
«Voglio che dormi con me. Non ho incubi quando
dormi con me» le sussurro in un impeto di angoscia e
liberazione. Non potrei sopportare di ripassare l’inferno
che ho vissuto per cinque giorni. “Tu sei tutto per me,
Anastasia”.
«Hai incubi?» mi chiede, sgranando gli occhi.
«Sì» confesso con un filo di voce.
Mi aspetto di vederla scappare da un momento
all’altro, ma lei mi stringe con più forza. Restiamo in
silenzio, a confortarci l’uno con il calore dell’altra. É lei a
parlare di nuovo.
«Stavo preparando gli abiti per andare al lavoro
domani mattina» mormora piano.
«Lavoro!» esclamo incredulo, lasciandola andare e
lanciandole un’occhiata di fuoco.
«Sì, lavoro» replica lei, in preda alla confusione,
guardandomi come se mi fosse spuntato un corno enorme
sulla testa.
Il mio sguardo riflette il suo. Quella fottuta pazzoide è
lì fuori e cerca di ammazzarci entrambi e tu ti preoccupi
del fottuto lavoro, Ana??
«Ma Leila... è là fuori» mi fermo, cercando di trovare il
modo adatto per dirle quello che voglio dirle. «Non voglio
che tu vada a lavorare» sbotto alla fine, non riuscendo a
non farla passare per quello che è: una imposizione bella
e buona.
Ana sgrana gli occhi, alzando le sopracciglia.
«Questo è ridicolo, Christian. Devo andare al lavoro»
mi dice scioccata.
«No che non devi» ribatto cocciuto.
«Ho un nuovo impiego, che mi piace. Certo che devo
andarci» mi dice decisa.
«No, non devi» replico agitato, muovendo le mani in
aria prima di poggiarle sui miei fianchi.
«Credi che me ne starò qui a girarmi i pollici mentre tu
giochi a fare il signore dell’universo?»
Il suo tono di voce è quasi stridulo. La fisso con gli
occhi socchiusi.
«Francamente... sì» sbotto.
La vedo scuotere la testa, mettersi le mani tra i capelli
e credo stia quasi per lanciare un urlo di disperazione. Poi
fa un lungo sospiro.
«Christian, devo andare al lavoro» dice calma.
«No, non devi» ribatto scontroso.
«Sì. Io. Devo» mi dice lentamente, come se fossi un
bambino piccolo che non riesce a comprendere il perché
mangiare troppo gelato faccia male ai denti. Stringo la
mascella e i pugni. “Oh, Ana. Quando fai così meriteresti
proprio una bella sculacciata, Cristo santo!”
«Non è sicuro» sibilo.
«Christian... ho bisogno di lavorare per vivere, andrà
tutto bene»
«No, non hai bisogno di lavorare per vivere... E come
sai che andrà tutto bene?». Oramai il mio tono di voce è
salito di qualche ottava. Sto velocemente perdendo il
controllo. Perché è così. Quando si tratta di lei, perdo le
staffe facilmente. Non c’è nulla da fare.
«Per l’amor del cielo, Christian, Leila era in piedi in
fondo al tuo letto e non mi ha fatto niente, e sì, ho
bisogno di lavorare. Non voglio che mi mantenga tu. Devo
restituire il prestito studentesco» urla anche lei,
mettendosi i pugni sui fianchi.
Faccio una smorfia di disappunto.
«Non voglio che tu vada al lavoro». So che è una
battaglia persa. Ha indossato l’elmetto di guerra.
Soccomberò io.
«Non devi dirmelo tu, Christian. Non è una decisione
che spetta a te» mi dice con veemenza.
Mi passo una mano nei capelli, fissando quella furia
travestita da brunetta sexy che ha bisogno di essere
protetta dal mondo. Continuiamo a urlarci contro in
silenzio. So come andrà a finire. Sarò io a cedere. Distolgo
lo sguardo e mi passo di nuovo la mano nei capelli.
«Sawyer verrà con te» sibilo a denti stretti.
«Christian, non è necessario. Non essere irrazionale»
esclama lei esasperata.
«Irrazionale?» le ringhio contro. «O lui viene con te, o
sarò davvero molto irrazionale e ti terrò qui» urlo.
«In che modo, esattamente?» mi chiede sbalordita.
«Oh, troverei un modo, Anastasia. Non mettermi alla
prova» le dico con un’occhiata velenosa.
«Okay!» urla, alzando le mani in alto.
La fisso con la rabbia che mi sta infiammando le vene.
«Okay, Sawyer può venire con me, se ti fa sentire
meglio» sbotta ala fine, alzando gli occhi al cielo.
Quel gesto mi fa arrabbiare ancora di più. D’istinto
faccio un passo verso di lei, con l’intenzione di metterla
spalle al muro e scoparla di santa ragione dopo una bella
sculacciata. Ma lei fa un passo indietro. Quando mi rendo
conto della situazione mi blocco, passandomi entrambe le
mani nei capelli, e trattenendomi fisicamente dal
continuare ad avanzare. “Devo uscire da qui, da questa
stanza. Altrimenti mando al diavolo il fottutissimo buon
senso”. Riprendo fiato e torno a fissarla.
«Posso farti fare un tour della casa?» le dico,
proseguendo con il piano originale.
Quello di distrarla da tutto lo schifo e dalla storia di
Leila, e di mostrarle la casa, in modo che abbia una
concezione dello spazio più precisa.
«Okay» risponde, in evidente confusione per il mio
cambio di argomento.
Le porgo la mano, aspettando che la prenda e
stringendogliela dolcemente.
«Non volevo spaventarti» le dico, per scusarmi.
«Non mi hai spaventata. Stavo solo per andarmene»
ribatte sarcastica.
A quelle parole una fitta lancinante mi trafigge il petto.
«Andartene?» sussurro, sgranando gli occhi.
«Sto scherzando!» dice esasperata e divertita al tempo
stesso.
Deglutisco e sospiro di sollievo, conducendola fuori
dalla cabina armadio. Pazientemente le faccio fare un
piccolo tour guidato dell’appartamento, mostrandole le
varie stanze da letto per gli ospiti al piano superiore, l’ala
riservata a Jason e Gail, la stanza dove c’è il televisore e il
divano.
«E così hai un’Xbox?» sogghigna, ricordando la prima
volta che è stata qui, quando le ho proposto di vedere la
mia stanza dei giochi.
«Sì, ma sono una frana. Elliot mi batte sempre. È stato
divertente quando hai pensato che volessi portarti a
giocare con l’Xbox» le dico con un sorriso.
Ci stiamo rilassando di nuovo. Fortunatamente.
«Sono contenta che mi trovi divertente, Mr Grey» mi
risponde altezzosa, sorridendo piano.
«Lo sei, Miss Steele... quando non sei esasperante,
ovviamente» ribatto, con un sorrisetto.
«Di solito
irragionevole»
sono
esasperante
quando
tu
sei
«Io? Irragionevole?» le dico, alzando divertito le
sopracciglia.
«Sì, Mr Grey. Irragionevole potrebbe essere il tuo
secondo nome» ribatte e dal tono mi aspetto quasi mi
faccia la linguaccia.
«Non ho un secondo nome» ribatto imitando la sua
alterigia.
«Irragionevole calzerebbe a pennello» mi dice con
l’aria da saputella.
«Credo che sia una questione di punti di vista, Miss
Steele»
«Sarei interessata a sentire l’opinione professionale del
dottor Flynn»
Le lancio un sorrisetto malizioso.
«Pensavo che Trevelyan fosse il tuo secondo nome»
afferma pensierosa.
«No. Cognome» preciso.
«Ma non lo usi»
«È troppo lungo. Vieni» le ordino, mettendo fine al
nostro siparietto.
Ana mi segue docile, mentre torniamo nel salone e
percorriamo il corridoio. Oltrepassiamo la lavanderia, la
cantina, l’ufficio di Taylor. Con piacere noto che Taylor,
pur continuando a mantenere la sua innata cortesia, evita
lo sguardo di Anastasia. Alla fine giungiamo in biblioteca.
Mano nella mano.
«Qui ci sei stata» le dico, aprendo la porta e
mostrandole la stanza.
Lo sguardo di Ana brilla, mentre si posa sul tavolo da
biliardo.
«Possiamo giocare?» chiede, passandomi davanti
ancheggiando e poggiandosi al tavolo, proprio di fronte a
me, fissandomi negli occhi.
Sorrido, sorpreso ed eccitato dalla sua audacia.
«Okay. Hai mai giocato prima?» le chiedo sospettoso.
«Qualche volta...» mi dice, distogliendo lo sguardo.
So che sta mentendo. Piego la testa di lato,
scrutandola.
«Sei una pessima bugiarda, Anastasia. O non hai mai
giocato in vita tua, oppure...»
Ana si passa la lingua sulle labbra.
«Temi un po’ di competizione?» chiede alzando un
sopracciglio.
«Dovrei avere paura di una ragazzina come te?» la
prendo in giro, entrando nella stanza e avvicinandomi a
lei.
«Scommettiamo, Mr Grey» dice con spavalderia.
«Sei così sicura di te, Miss Steele?» le sorrido,
incredulo e divertito. E curioso ovviamente. «Che cosa
vuoi scommettere?» le chiedo, fissandola.
«Se vinco, voglio che mi porti ancora una volta nella
tua stanza dei giochi»
Le sue parole mi colgono di sorpresa. Lo stomaco mi va
sottosopra per l’agitazione. Per farmi una proposta del
genere dev’essere sicura di poter vincere. E se è sicura a
tal punto e mi sta chiedendo questo... è perché lo vuole.
Non mi ero sbagliato. Ana vuole essere dominata da me.
Vuole essere legata e portata al limite dalla mia bocca, le
mie mani e il mi cazzo. Sono eccitato, il pensiero di
tornare ad avere quel potere su di lei mi inebria. Ma non
posso farle del male, neppure se è lei a chiedermelo.
Però... però potrei provare a dare ad entrambi quello che
vogliamo. E per farlo devo vincere io.
«E se vinco io?» chiedo, dopo essermi ripreso dallo
shock iniziale.
«Allora potrai scegliere tu» mi dice arrogante.
Stringo le labbra, reprimendo un sorrisetto. Il pensiero
di riaverla alla mia mercé mi manda quasi in estasi.
«Okay, andata» le dico con un sorriso alla fine. «Vuoi
giocare a pool, biliardo inglese o carambola?»
«A pool, per favore. Gli altri non li conosco»
Mi avvicino all’armadietto sotto la libreria, tirando
fuori una grossa valigia di pelle dalla quale estraggo la
custodia di velluto che contiene le palle da biliardo.
Velocemente le ripongo sul tavolo verde. Ana osserva
rapita i miei movimenti. Poi le passo la sua stecca e
qualche pezzo di gesso.
«Vuoi spaccare?» le concedo galantemente, sicuro di
me.
“So cosa voglio. E cosa vuoi tu, Ana. Vincerò io”.
«Okay» accetta.
Passa il gesso sulla punta della stecca, poi socchiude le
labbra soffiando via quello in eccesso. Nel farlo mi guarda
da sotto le ciglia, passandosi la lingua sulle labbra.
“Cristo, se mi sto eccitando”.
Si allinea con la palla bianca e con un colpo veloce,
quasi inaspettato, colpisce il centro del triangolo di palle,
talmente forte che una di quelle rigate finisce in buca.
Stringo i denti. “La ragazzina sa benissimo quello che fa.
Ma non posso permettermi di perdere. Il prezzo è troppo
alto”.
«Scelgo quelle rigate» mi dice con un sorriso angelico.
Le lancio un sorrisetto di sbieco.
«Prego» le dico cavallerescamente.
Ana prosegue velocemente, mettendo in buca altre tre
palle. Ha un’espressione soddisfatta, mentre il panico
dentro di me cresce. Cerco di rimanere impassibile. La
osservo rapito, mentre si allunga sul tavolo, distendendo
la schiena, le gambe, concentrandosi. Mentre si lecca le
labbra o le mordicchia piano. Finalmente sbaglia,
cedendomi il turno. Si gira a guardarmi quando si accorge
che sono rimasto immobile.
«Lo sai, Anastasia, potrei stare qui a guardarti mentre
ti pieghi e ti distendi sul biliardo per tutto il giorno» le
dico con evidente desiderio.
Lei arrossisce, imbarazzata. Le sorrido con malizia.
Amo metterla a disagio in questo modo. La manda in
confusione. E Dio solo sa se ho bisogno che sia confusa.
Mi sta stracciando e ancora non abbiamo iniziato.
Mi tolgo con calma il maglioncino e lo getto sullo
schienale della sedia lì accanto. Le sorrido, avvicinandomi
al tavolo. Sono cosciente del fatto che il mio corpo le
provoca lo stesso effetto che il suo ha su di me. Mi piego
sul tavolo e la lascio guardare. Con la coda dell’occhio la
vedo a bocca aperta, la mano destra stringe con forza la
stecca.
Velocemente mando quattro palle in buca, poi sbaglio,
imbucando la bianca. Impreco a denti stretti mentre Ana
mi fa un sorrisetto.
«Un errore banale, Mr Grey» mi prende in giro.
Sorrido, fissandola malizioso.
«Ah, Miss Steele, non sono che un povero mortale.
Tocca a te, credo» le dico, indicando il tavolo da gioco.
«Non starai cercando di perdere?» mi chiede alzando
un sopracciglio.
«Oh, no. Per quello che ho in mente come premio
voglio vincere, Anastasia» le dico, stringendo le spalle.
«Ma, del resto, voglio sempre vincere»
Mi lancia uno sguardo a occhi socchiusi. Fa lentamente
il giro del tavolo, piegandosi abbastanza da lasciarmi
sbirciare il pizzo bianco della sua biancheria. Il mio
uccello si tende, scalpita per essere liberato. Passo in
rassegna gli oggetti nella mia scrivania, accanto alla
porta. Sì, quello che voglio c’è. Ana si mette in posa. Una
posa erotica, sexy, che mi fa venire voglia di sentirla
gemere per ore.
«So cosa stai facendo» le sussurro, con gli occhi cupi.
Lei mi guarda, piegando la testa di lato,
maliziosamente. Con la mano accarezza la stecca,
riportando lo sguardo sul tavolo.
«Oh, sto solo
distrattamente.
decidendo
dove
tirare»
dice
Poi sferra il colpo, mettendo la palla in posizione più
favorevole. Si rialza e siamo proprio l’uno di fronte
all’altra. Prepara il suo colpo successivo, piegandosi di
nuovo sul tavolo, Dandomi accesso non solo al suo seno,
ma anche alla curva del suo sedere. La sua schiena è
inarcata, come tante volte ho potuto ammirarla mentre
ero dentro di lei. Il fiato mi si blocca per qualche istante,
prima che riesca a riprenderlo. Sono eccitato da morire,
ma la mia reazione ha effetto anche su di lei, che sbaglia il
colpo. Mi sposto velocemente, arrivando dietro di lei. Il
panorama del suo meraviglioso culo è mozzafiato. Le
poggio una mano sulla natica destra, palpandola e
accarezzandola. La sento inspirare bruscamente.
«Me lo stai facendo ondeggiare davanti per tentarmi,
Miss Steele?» le sussurro all’orecchio.
Poi alzo la mano e la colpisco forte. Ana sussulta,
assorbendo il colpo.
«Sì» mormora con un filo di voce, eccitata e vogliosa.
«Stai attenta a quello che desideri, piccola» le dico,
allontanandomi e raggiungendo l’altro lato del tavolo,
preparandomi al tiro mentre le si massaggia il sedere.
Una palla dentro, una la manco. Ana mi lancia un
sorrisetto.
«Stanza Rossa, stiamo arrivando» mi prende in giro.
Alzo un sopracciglio, facendole cenno con la mano
affinché prosegua. Due palle dentro. Ma quando arriva a
quella arancione, intervengo. É maledettamente brava.
Ma non voglio rischiare di perdere. Non voglio tornare lì
dentro. Devo distrarla.
«Nomina la tua buca» le dico a voce bassa ma decisa.
«Buca d’angolo a sinistra» risponde in un sussurro.
Tenta di concentrarsi, ma la mia voce ha avuto l’effetto
sperato. Manca la palla arancione. Impreca tra sé e sé,
mentre io faccio un ghigno soddisfatto. Metto in buca le
ultime due palle piene. Mi stendo e mi allungo sul tavolo.
Lo faccio apposta. Alimento la sua eccitazione. La sto
mandando coscientemente fuori di testa. Quando mi
rialzo per passare il gesso sulla stecca, la fisso negli occhi.
É giunto il momento di sferrarle il colpo di grazia.
«Se vinco io...» inizio, lasciandola in sospeso. Quasi si
protende fisicamente verso di me per cavarmi di bocca le
parole. Sposto lo sguardo sulla stecca, soffiando il gesso.
Poi torno a guardarla dritto negli occhi azzurri. «Ti
prenderò a sculacciate e poi ti scoperò su questo tavolo da
biliardo» le dico con la voce carica di lussuria.
La vedo trasalire di desiderio, stringere forte la stecca e
deglutire. Alzo un sopracciglio, soddisfatto.
«Buca d’angolo a destra» mormoro, nominando la mia
buca e puntando la palla nera. Poi mi piego sul tavolo,
sentendo il suo sguardo bruciarmi la pelle. E tiro.
Capitolo 14
Con facilità colpisco la palla bianca, e mando in buca
l’ultima nera che ho sul tavolo. Ana trattiene il respiro. Mi
rialzo lentamente, sorridendole perfido. I miei occhi le
accarezzano il corpo, famelici come non lo erano da
tempo. Oggi mi ha portato al limite, mi ha stuzzicato,
lanciato segnali. Ora non riesco più a stare buono e
tenermelo nei pantaloni. Voglio scoparla. Voglio scoparla
selvaggiamente e sentirla urlare di piacere. Poso la mia
stecca sul bordo del biliardo e mi avvicino a lei, sotto il
suo sguardo avido quasi quanto il mio.
«Non sarai una che non sa perdere, vero?» mormoro
piano, cercando di trattenere un ghigno di soddisfazione.
«Dipende da quanto forte mi sculaccerai» sussurra,
piano, appoggiandosi con tutte le sue forze alla stecca che
ora le fa da sostegno.
Gliela tolgo di mano, poggiandola sul biliardo. Infilo
l’indice nello scollo della sua camicetta e la attiro al mio
corpo.
«Bene, contiamo le tue infrazioni, Miss Steele» le
annuncio, con un sopracciglio inarcato, contando sulle
dita. «Uno: mi hai fatto sentire geloso di un membro del
mio personale. Due: hai discusso con me riguardo al tuo
lavoro. Tre: hai deliberatamente fatto ondeggiare il tuo
delizioso sedere davanti al mio naso negli ultimi
venti minuti».Mi piego su di lei, strofinando il mio naso
delicatamente contro il suo. «Voglio che tu ti tolga i jeans
e questa camicetta così seducente. Ora» le mormoro sulle
labbra, baciandola leggermente.
Poi mi allontano, dirigendomi dritto verso la porta.
Faccio scattare la serratura e il rumore riecheggia nel
silenzio della stanza. Quando mi volto il mio sguardo è
fuoco allo stato puro. So che quello che succederà
cambierà di nuovo il nostro rapporto. É quasi come la
prima volta che è stata qui. Devo mostrarle quello che
posso fare e lei deve farmi capire fin dove posso
spingermi. Ana non si è mossa di un millimetro. Per un
attimo sono tentato di correre da lei e abbracciarla, ma
non posso. Devo sapere. Devo continuare e sapere fin
dove posso spingermi. La sculacciata di ieri sera ha
riacceso certi desideri. Posso farne a meno se lei non
vuole. Ma se volesse? Sarebbe l’inferno e il paradiso in un
tutt’uno.
«I vestiti, Anastasia. Mi pare che tu li abbia ancora
addosso. Togliteli. O lo farò io per te» le ordino piano.
«Fallo tu» mi dice con una voce carica di desiderio.
Sorrido di traverso per quella sua impertinenza.
«Oh, Miss Steele. È uno sporco lavoro, ma penso di
poter raccogliere la sfida» le dico a bassa voce, senza
abbandonare la mia aria arrogante.
«Sei abituato a raccogliere sfide ben peggiori, Mr
Grey» mi dice, alzando un sopracciglio.
Le sorrido, avvicinandomi alla piccola scrivania
ricavata nella libreria.
«Che cosa intendi dire, Miss Steele?» le chiedo,
chinandomi a prendere quello che mi serve.
Fletto il righello di 20 centimetri, tenendolo per le due
estremità e testandone la resistenza e la flessibilità. Non
abbandono mai il suo sguardo, valutando la sua reazione.
Sgrana gli occhi, impaurita, e sono tentato di gettarlo via.
Ma poi la vedo stringere le gambe l’una contro l’altra. E il
pensiero del paradiso bagnato che mi aspetta tra le sue
cosce mi spinge ad andare avanti. Infilo il righello nella
tasca posteriore dei miei jeans e mi avvicino a lei,
fissandola come se volessi scoparla con lo sguardo. Il suo
respiro è già corto. Mi inginocchio in silenzio e le slaccio
rapidamente le scarpe da tennis, sfilandogliele insieme
con le calze. Ana poggia le mani al bordo del biliardo
dietro di lei, per tenersi in equilibrio. Sento il suo sguardo
addosso. Le mie mani risalgono lungo le gambe fasciate
dai jeans e le afferrano decise i fianchi. Infilo le dita nella
cintura dei pantaloni, slacciando il bottone e abbassando
la zip. All’improvviso alzo gli occhi sul suo viso, arrossato
e con gli occhi già lucidi per l’attesa. Le sorrido malizioso
e lei rimane senza fiato. Il suo seno si alza e si abbassa
freneticamente. Le abbasso i jeans e lei ne esce con
grazia, rimanendo davanti a me in perizoma di pizzo
bianco. Le afferro le gambe da dietro, affondando le dita
nella morbida carne liscia e profumata. Non resisto
all’impulso di annusare il suo profumo e avvicino la punta
del naso facendola scorrere sulla pelle delle sue cosce,
sino al punto di congiunzione. Un tremito la percuote da
capo a piedi. Il desiderio di costringerla a prendermi si fa
più intenso. ‘Il vecchio Christian non si allontana mai,
vero Grey?’. La sensazione, quei pensieri, mi
sconvolgono. Ma la sua reazione a me è chiara. É eccitata.
Per me.
«Voglio essere piuttosto violento con te, Ana. Devi
dirmi di fermarmi, se è troppo» ansimo contro il pizzo
delle sue mutandine, baciandola nel punto in cui è più
sensibile.
Anastasia geme piano, mentre le ginocchia danno
segni di cedimento.
«Safeword?» mormora con la voce rotta dal desiderio.
“No. Non sei la mia Sottomessa, Ana. Sei la donna che
amo e che mi sta sconvolgendo la vita”.
«No, nessuna safeword, dimmi solo di fermarmi, e io
mi fermerò. Capito?» le mormoro contro il sesso,
baciandola di nuovo e strofinando il mio viso
spudoratamente su di lei, come se volessi impregnarmi
del suo odore. Di lei. Mi alzo in piedi e la fisso. Ana
continua a restare in silenzio, le palpebre pesanti per il
desiderio.
«Rispondimi» le ordino dolcemente.
«Sì, sì, ho capito» mi dice scrutandomi.
«Hai continuato a fare allusioni e a mandarmi segnali
ambigui per tutto il giorno, Anastasia» le dico, per
spiegarle il mio comportamento. Non voglio vederla
fuggire di nuovo. Voglio che si fidi. E mi permetta di farla
godere. Fino allo stremo. «Hai detto di temere che io
avessi perso smalto. Non sono sicuro di capire cosa
intendessi, e non so quanto seria fossi, ma lo scopriremo.
Non voglio ancora tornare nella stanza dei giochi, perciò
adesso proveremo in questo modo, ma se non ti piace,
devi promettermi di dirmelo»
L’ansia mi sta quasi divorando il petto. Ho paura che
lei non mi creda. Che pensi che io sia tornato quello di un
tempo. Quello di appena una settimana fa. “Credimi, Ana.
Credimi per favore”.
«Te lo dirò. Niente safeword» mi rassicura con un
piccolo sorriso.
«Siamo innamorati, Anastasia. Gli innamorati non
usano safeword» le dico. Poi ci rifletto. In realtà non so
cosa facciano gli innamorati. Per me è la prima volta. «O
no?» le chiedo titubando per un secondo.
«Credo di no» mormora lei, guardandomi. «Lo giuro»
aggiunge, per darmi un’ulteriore rassicurazione.
La scruto a fondo, cercando di decifrare la sua
espressione e capire se mi sta mentendo. É nervosa, ma
anche eccitata. Molto eccitata. Sorridendole mi rilasso,
mentre le mie dita lavorano in fretta sui bottoni della sua
camicetta azzurra. Invece di togliergliela la apro soltanto,
ammirando il suo seno contenuto nel pizzo bianco del
reggiseno. “Ora voglio divertirmi con te, Miss Steele”. Mi
allontano per prendere la sua stecca, poggiata sul tavolo
verde e vedo i suoi occhi farsi grandi per lo spavento.
Ridacchio tra me e me.
«Giochi bene, Miss Steele. Devo dire che sono
sorpreso. Perché non hai messo in buca la nera?» le
chiedo arrogante.
Ana mi lancia un’occhiataccia e mette un tenero
broncio. Le passo la stecca e lei si gira veloce,
posizionando la palla bianca. Prima che possa piegarsi sul
tavolo sono dietro di lei. Si abbassa e la mia mano si
poggia sulla sua coscia destra. Il mio uccello si tende
oltremisura. I jeans fanno male in quel punto. Le mie dita
prendono a scorrere lentamente su e giù, poi risalgono
fino al suo culo praticamente nudo e lo accarezzano
leggermente.
«Sbaglierò, se continui a fare così» sussurra con un filo
di voce, eccitata come non mai.
«Non m’importa se la colpisci o la manchi, piccola.
Voglio solo vederti così... Mezza svestita, mentre ti
allunghi sul mio tavolo da biliardo. Hai idea di quanto sei
sexy in questo momento?» le sussurro all’orecchio,
alimentando il desiderio di entrambi.
La sento prendere un bel respiro, mentre il mio corpo
si addossa al suo, seminudo. Ana fa di tutto per ignorare
la sensazione delle mie dita sulla sua pelle, ma io non
smetto di accarezzarle le natiche.
«Buca d’angolo di sinistra» mormora. Non appena la
stecca tocca la palla le assesto una sonora sculacciata
sulle natiche.
Lancia un urlo, ma non per il dolore. La palla bianca
colpisce quella nera, che rimbalza sulla sponda. Non
smetto di accarezzarla. “Ancora due tiri, Ana. Devo
punirti per le tue tre infrazioni”.
«Credo che tu debba ritentare» le sussurro
all’orecchio, accarezzandole deliberatamente il libo con la
lingua, mentre lei sussulta. «Dovresti concentrarti,
Anastasia»
Il suo respiro è un affanno eccitato. Lentamente mi
ritraggo dal suo corpo, raggiungendo l’altra estremità del
tavolo e rimettendo la palla in posizione. Poi le rimando
quella bianca, facendola rotolare sul tavolo. La afferra in
tutta fretta, riposizionandola.
«Ahi, ahi» la ammonisco, sorridendole malizioso.
«Aspetta» le intimo.
Torno velocemente dietro di lei e la mia mano scende
nuovamente sulla sua coscia. Questa volta è quella
sinistra. E poi di nuovo quel meraviglioso culo che si
ritrova. Le mie dita stringono la sua carne, mentre
l’uccello mi sta scoppiando.
«Prendi la mira» le ansimo nell’orecchio, mentre il mio
corpo copre il suo.
Ana geme, lasciando cadere per un attimo la testa sulla
stecca. Poi la rialza e tenta di concentrarsi. Si sposta
leggermente sulla destra, ma io non la mollo. Si piega,
mentre osservo la curva perfetta della sua schiena. “Ti
prenderò così, Ana. Ti entrerò dentro e non sarò per
niente delicato. Provo un desiderio selvaggio nei tuoi
confronti. Devo averti”.
Ad un tratto prende la mira e tira. La mia mano
affonda di nuovo sulla sua natica, forte. La vibrazione del
colpo si riverbera nel mio braccio e in tutto il corpo. Ho il
fiato corto come lei. Il mio cazzo pulsa violentemente.
«Oh, no!» la sento sibilare mentre constata di non
essere riuscita a mettere in buca la palla neppure questa
volta.
«Ancora una volta, piccola. E se la manchi anche
adesso, te lo farò prendere» le sussurro eccitato
all’orecchio.
Torno in fretta a riposizionare la palla e in men che
non si dica sono nuovamente dietro di lei. Il mio cazzo le
sfiora la gamba, mentre la mia attenzione è calamitata dal
suo sedere. Ho voglia di guardarlo mentre la penetro a
fondo. Ho voglia di penetrarla anche lì, ma devo
prepararla prima. Un giorno o l’altro magari... Lei si
risistema in posizione e io ne approfitto per distrarla.
«Ce la puoi fare» la incito dolcemente.
Inaspettatamente inarca la schiena, spingendo il suo
sedere sulla mia mano. Le do un colpetto.
«Non vedi l’ora, eh, Miss Steele?» mormoro in un
sussurro spezzato.
Lei emette un profondo sospiro. “Non voglio ostacoli
tra di noi”.
«Bene, liberiamoci di questo» le dico, sfilandole
lentamente il perizoma giù per le cosce. Risalendo le
bacio entrambe le natiche, deliziosamente arrossate dai
miei colpi. Lascio scorrere entrambi i palmi sul suo culo,
palpandola e stringendola.
«Tira, piccola» le dico, al limite del desiderio.
Si inarca, perfetta come sempre, punta e lo so che ci sta
provando davvero. Ma quando colpisce la palla con la
stecca lo sappiamo entrambi che sbaglierà. Resta in attesa
della mia sculacciata, ma ho altro in mente ora. Mi chino
su di lei, schiacciandola contro il tavolo e lasciando che la
stecca rotoli sul panno verde. Il mio uccello struscia
contro il suo sedere. “Cristo!”.
«L’hai mancata» le dico con dolcezza. «Appoggia i
palmi delle mani sul tavolo» le ordino.
Esegue subito.
«Bene. Ora ti sculaccerò, così la prossima volta forse
non lo farai» le mormoro contro l’orecchio destro,
rialzandomi di poco e spostandomi alla sua sinistra.
Strofino deliberatamente il mio cazzo fasciato dai jeans
sul suo fianco. La sento gemere di nuovo,
voluttuosamente. Il cuore batte forte. E il mio con il suo.
Ma devo andare in fondo a questa cosa. Lo desidero così
tanto. La desidero così tanto. Con la mano destra le
accarezzo piano il sedere esposto al mio sguardo
libidinoso. Con la sinistra, invece, le afferro i capelli,
tenendola ferma. Le poggio il gomito sulla schiena
tenendola giù.
«Apri le gambe» mormoro.
Questa volta esita e io estraggo il righello dalla tasca
dei jeans e le assesto il primo colpo. Forte. Il sangue mi
ronza nelle orecchie mentre guardo il segno del righello
sulla sua pelle. Il mio uccello mi implora di liberarlo.
Anastasia sussulta, scioccata. Ma continua a tenere
serrate quelle gambe. Senza pensarci troppo la colpisco di
nuovo con il mio righello.
«Le gambe» ordino perentorio. Questa volta obbedisce
subito, ansimando.
La colpisco ancora, mentre il desiderio mi invade tutti i
sensi. La donna che amo, che adoro, che venero è proprio
qui ora, di fronte a me, riversa su un tavolo da biliardo,
piegata ed esposta per me. I miei occhi sono fissi sul
punto di giuntura tra le sue gambe. L’odore del suo sesso
è vivo nell’aria e mi eccita, mi fa uscire di senno, mentre
continuo ad arrossarle le natiche che vibrano forte ad
ogni mio colpo. Come se non bastasse la straordinaria
visione di cui posso godere, i suoi gemiti riempiono il
silenzio rotto solo dai colpi ben assestati sulla sua pelle. Il
mio respiro si fa più intenso, più rapido. Sto per venirmi
nei pantaloni solo per questo spettacolo. La pelle di
Anastasia si è fatta rossa, con i segni del righello ben
visibili. Il solo pensiero di quanto la troverò bagnata
quando sarò dentro di lei mi sta facendo capitolare. La
percuoto di nuovo, più forte. Lancia un gemito assordante
e io ringhio, cercando di trattenermi dall’esplodere. E poi
la colpisco ancora più forte, al limite dell’esasperazione.
Anastasia sussulta.
«Fermati» dice in un mormorio.
Lascio andare il righello di colpo, come se scottasse. E
allento la presa su di lei.
«Ne hai abbastanza?» le sussurro con la voce roca,
pensando già a quello che voglio farle dopo.
«Sì»
Non c’è terrore nella sua voce, o nervosismo. C’è solo
consapevolezza. Mi ha fermato quando non ce l’ha fatta
più e io le ho obbedito all’istante. Si fida di me. E io di lei.
«Ora voglio scoparti» le dico, tentando di calmare il
mio affanno.
«Sì» sussurra con desiderio.
Mi abbasso la cerniera dei jeans, mentre lei si sdraia
sul tavolo, posizionando le braccia davanti a lei.
Sappiamo entrambi che sarò rude. E lo desideriamo
entrambi. Quando facciamo sesso è l’unico momento in
cui ho il pieno controllo di Anastasia. E piace ad
entrambi. Mi tolgo in fretta jeans e boxer e mi avvicino a
lei. Di colpo le infilo dentro due dita, senza preavviso.
Come prevedevo. É fradicia. Le dita scivolano con facilità
fino alla base, riempiendola tutta. Ana mugola di piacere,
inarcando la schiena candida e spingendosi contro di me.
Tiro fuori le dita e, anche se non può vedermi mentre lo
faccio, le infilo in bocca e gusto il sapore della mia dolce
Anastasia. Mi chino ed estraggo un preservativo dalla
tasca dei jeans. É davvero una fortuna che io ne abbia
sempre una scorta dietro. Sette giorni ancora e non ne
avrò mai più bisogno. Per tutta la vita. Strappo la bustina
e in fretta srotolo il preservativo sul mio cazzo in fiamme.
Mi posiziono dietro di lei, allargandole le natiche e le
cosce per penetrarla meglio. Quella visione è sublime.
Piacere puro. Lentamente la penetro, un centimetro per
volta. É stretta, bagnata. Favolosa. Una volta che sono
tutto dentro di lei, le afferro i fianchi. Le mie dita si
imprimono con forza nelle sue carni morbide. Gemo, in
estasi, mentre la penetro ed osservo i segni sul suo culo.
Mi ritraggo e rientro subito, con forza. Anastasia lancia
un urlo strozzato. Mi fermo, ansimando.
«Ancora?» le chiedo preoccupato.
«Sì... sto bene. Lasciati andare... portami con te»
mormora eccitata e senza un briciolo di fiato.
Le sue parole mi mandano fuori di testa. Scivolo fuori
dal suo corpo e poi rientro con violenza brutale,
spingendomi a fondo dentro il suo sesso scivoloso. E
inizio a scoparla con foga repressa, con ardore, con amore
anche. Mi porto e la porto sull’orlo del precipizio a furia
di spinte. La sua schiena è inarcata, il sedere arrossato e il
suo corpo si sposta sul tavolo di panno verde ad ogni
possente spinta del mio. Anastasia si serra attorno al mio
cazzo in fiamme. “Cristo santissimo!”. Urla, ansima, geme
forte, godendo fino allo stremo. Le mie spinte si fanno più
vigorose, più profonde. E finalmente, con un urlo
spezzato dal godimento, Anastasia gode tremando, in un
orgasmo prosciugante. Mi lascio andare anch’io,
riversandomi dentro di lei e premendo più forte le dita sui
suoi fianchi.
«Cazzo, Ana!» urlo, cadendo sfinito su di lei.
I nostri respiri affannati si fondono mentre le forze mi
abbandonano e scivolo sul pavimento trascinandomela
addosso. La stringo forte, cullandola tra le mie braccia.
«Grazie, piccola» riesco a dirle tra un respiro e l’altro,
baciandola dolcemente su tutto il viso.
Girando la testa posso vedere la sua guancia arrossata
nel punto dove strofinava contro il panno verde del
tavolo. La stringo di più.
«Hai la guancia arrossata a causa del panno del
tavolo» le mormoro, dispiaciuto, mentre la massaggio
affettuosamente. «Com’è stato?» le chiedo, attento ad
ogni sua minima reazione.
Ho bisogno di saperlo. Un bisogno disperato.
«Bello da far tremare le ginocchia» mormora con un
sorriso e io mi rilasso all’istante. «Mi piaci violento,
Christian, e mi piaci anche dolce. Mi piace che tutto
questo succeda con te» mi sussurra contro le labbra.
Chiudo gli occhi, sollevato, e la stringo a me con
maggiore forza.
«Non sbagli mai, Ana. Sei bellissima, brillante,
stimolante, divertente, sexy, e io ringrazio ogni giorno la
divina provvidenza che sia stata tu a venire a
intervistarmi e non Katherine Kavanagh» le dico,
depositandole un bacio dolce sui capelli che profumano di
mare.
Lei sorride, dolce, e poi sbadiglia contro il mio petto.
«Ti ho sfinita» le dico con un sorriso. «Vieni. Facciamo
il bagno e poi andiamo a letto» annuncio solenne.
Ci rialziamo entrambi, rivestendoci e tenendoci per
mano mentre entriamo nella nostra camera da letto e nel
nostro bagno. Mentre lei si spoglia io ne approfitto per
riempire la vasca con acqua e bagnoschiuma al
gelsomino. Poi mi spoglio anch’io e insieme ci
immergiamo al caldo. Siamo l’uno di fronte all’altra. Ci
limitiamo a fissarci, sorridendoci come due idioti. Ma mi
piace essere idiota con Anastasia. Anche l’idiozia ha il suo
fascino con lei. Colmo per un attimo la distanza tra noi e
le bacio le labbra morbide. Poi lascio le mie dita vagare
sulle sue braccia e sott’acqua, sulle sue gambe, fino a
raggiungere i piedi. Mi rimetto al mio posto e ne afferro
uno, massaggiandoglielo. Ana chiude gli occhi e geme,
lasciando ricadere la testa all’indietro. Sono bravo con i
massaggi. Merito di Elena, certo. Ma sono contento di
aver imparato tante cose da lei e che oggi possa, con tutte
quelle cose, vedere quell’espressione di puro godimento
sul volto della mia ragazza. Prendo l’altro piede e torno a
massaggiarla.
«Posso chiederti una cosa?» mi dice piano, rompendo
il silenzio all’improvviso.
«Certo. Qualsiasi cosa, Ana, lo sai» le dico, fissandola
dolcemente.
Fa un profondo respiro, mettendosi a sedere nella
vasca. Storce un po’ il naso, per il dolore.
«Domani, quando andrò al lavoro, puoi dire a Sawyer
di lasciarmi davanti all’ingresso dell’ufficio e di venirmi a
prendere alla fine della giornata? Per favore, Christian.
Per favore» mi supplica.
Blocco il mio massaggio, aggrottando la fronte.
«Pensavo che fossimo d’accordo» borbotto.
Non voglio litigare dopo tutto ciò che abbiamo
condiviso poco fa.
«Per favore» mi supplica.
«E il pranzo?» le chiedo scettico.
«Mi preparerò qualcosa da portarmi dietro, così non
dovrò uscire. Per favore»
Tiro su il suo piede e lo bacio delicatamente. Non ho
intenzione di cedere. Ma non c’è bisogno che lei lo sappia.
Sawyer sarà lì a controllarla. Con discrezione, senza farsi
notare. Ma non la lascio in balìa di Leila un’altra volta.
«Trovo davvero difficile dirti di no» mormoro.
So che le sto mentendo e la cosa mi mette a disagio. Ma
non ho intenzione di discutere con lei sulla sua sicurezza.
E comunque non uscirà di lì. Non vedrà Sawyer.
«Non uscirai?» mi assicuro.
«No» mi dice, scuotendo la testa per sottolineare la sua
decisione.
«Okay» le dico
Mi fa un sorriso luminoso, che mi fa sentire un po’ una
merda. Ma dentro di me so che sto agendo per il meglio.
Se le accadesse qualcosa non me lo saprei perdonare.
«Grazie» dice, mettendosi in ginocchio e schizzando
acqua ovunque.
Si avvicina e mi bacia sulle labbra.
«Prego, Miss Steele. Come sta il tuo sedere?» le chiedo,
cambiando discorso.
«Indolenzito, ma non troppo male. L’acqua lenisce il
dolore»
«Sono contento che tu mi abbia detto di fermarmi» le
dico, osservandola negli occhi.
«Anche il mio sedere è contento» ribatte con un
sorrisetto.
Il mio sorriso si allarga. Mi sporgo e la bacio.
«Vieni, andiamo a letto».
Quando rientro in camera da letto, Ana ha già
indossato una delle mie t-shirt e si sta stiracchiando
assonnata tra le lenzuola.
«Miss Acton non ha procurato anche una camicia da
notte?» le chiedo alzando un sopracciglio, guardando il
suo corpo mezzo nudo che ho ancora voglia di possedere.
«Non lo so. Mi piace indossare le tue t-shirt» farfuglia,
con gli occhi quasi chiusi.
Sorrido, chinandomi su di lei e baciandole la fronte,
carezzandole delicatamente i capelli. Ho del lavoro
arretrato da sbrigare, ma non mi va di lasciarla da sola in
camera. L’ultima volta Leila l’ha scovata.
«Devo lavorare. Ma non voglio lasciarti sola. Posso
usare il tuo computer per connettermi con l’ufficio? Ti
disturbo se lavoro qui?» le chiedo.
«Non è il mio computer...» riesce a dire, prima di
abbandonarsi al dolce oblio del sonno.
Sorrido e torno velocemente nel salone a prendere il
suo MacBook. Mi sistemo sul letto, di fianco alla mia bella
addormentata e inizio a lavorare. Ogni tanto le lancio
un’occhiata, le sposto qualche ciocca di capelli. Spesso mi
ritrovo a sorridere mentre la guardo. É da poco passata
mezzanotte quando finalmente mi decido a spegnere il pc
e mettermi a dormire. Dopo cinque giorni d’inferno e
tutta l’attività fisica che abbiamo dovuto recuperare, è
normale che io sia stanco quasi quanto lei. Scosto la
trapunta e mi infilo a letto, attirandola nelle mie braccia e
cadendo quasi all’istante in un sonno profondo.
Apro gli occhi di scatto mentre un corpo caldo si
muove contro il mio. La radiosveglia urla le notizie sul
traffico, mentre sbatto le palpebre abituandomi alla luce
soffusa dei primi raggi del sole. Un paio di occhi azzurri
mi guardano ancora velati di sonno. E il suo sorriso mi fa
drizzare immediatamente il cazzo.
«Buongiorno» mi mormora, avvicinandomi per
accarezzarmi e darmi un bacio con le labbra morbide,
impastate ancora di sonno.
«Buongiorno, piccola. Di solito apro gli occhi prima
che la sveglia si spenga» mormoro pensieroso.
‘Di solito, Grey, i tuoi occhi tentano di non chiudersi.
Tentano di non rivivere tutto l’orrore. Di non ricadere
nella paura che stringe lo stomaco e lo attanaglia fino a
far male. Di solito i tuoi lunedì sono schifosi. Sempre.
Anche dopo averla conosciuta lo erano. E lo erano anche i
martedì, i mercoledì, i giovedì e i venerdì. Ma ora è con te
per sempre. Non solo nei weekend’.
«L’hai
messa
presto»
sussurra
Anastasia,
stiracchiandosi tra le lenzuola e accucciandosi di nuovo
contro di me.
«Eh, sì, Miss Steele» le dico con un sorrisetto.
«Devo alzarmi» le dico.
Poi le deposito un piccolo bacio sulle labbra e uno
veloce sulla punta del naso, scostandomi a malincuore dal
suo corpo caldo e invitante e scendendo dal letto. Ana si
solleva di poco, lanciando un’occhiata al mio corpo prima
di ributtarsi teatralmente sui cuscini. Sorrido tra me e me
mentre mi dirigo in bagno, lasciandola sonnecchiare
ancora un po’. É troppo presto per lei. Forse lo è anche
per me se penso al bocconcino che dorme tra le mie
lenzuola. Ma devo darci dentro con il lavoro e devo
organizzare la squadra di sicurezza. E devo anche parlare
con Sawyer.
Mi faccio la barba, mi lavo e torno di là per infilarmi
nella cabina armadio e riuscirne dopo qualche minuto
vestito di tutto punto. Oltrepassando il letto per dirigermi
in salotto. Sorrido nell’osservare la mia ragazza
beatamente addormentata come un piccolo angelo. Mi
dirigo spedito nel mio ufficio, mandando un sms a Taylor,
che poco dopo mi raggiunge insieme con Sawyer. Resto in
piedi, dando le spalle alla finestra. E loro due fanno
altrettanto, di fronte a me. La nostra conversazione sarà
breve.
«Jason, istruisci la squadra di sicurezza per l’intera
giornata. Prima che io esca di casa avrai una lista con i
miei spostamenti. Luke, tu ti occuperai della sicurezza di
Miss Steele. Dovrai accompagnarla al lavoro e assicurarti
che non metta piede fuori dal suo ufficio. Accompagnala,
ma non deve accorgersi della tua presenza mentre è al
lavoro. Miss Steele non sa di essere sorvegliata»
Con la coda dell’occhio noto che Taylor stringe la
mascella e so che non approva il mio comportamento. La
sua filosofia è “una persona consapevole è più facile da
gestire”. Ma è ovvio che non conosce a fondo la ribelle
Miss Steele.
«Per il momento è tutto, ci riaggiorniamo più tardi»
dico, congedando entrambi con un cenno del capo.
Mi chiedo distrattamente dove sia Leila Williams,
mentre mando un messaggio ad Andrea chiedendole di
prenotarmi un appuntamento con Flynn. Ho un’idea che
mi gira in testa. Ma devo parlarne con lui. Per il bene di
Ana, devo parlarne prima con lui. Il pensiero di Anastasia
mi attira come una calamita alla nostra camera da letto.
Mi aspetto di trovarla in bagno, sotto la doccia. E invece
sono sorpreso nel vedere la sua chioma castana arruffata
ancora avvolta tra le lenzuola. Ridacchio tra me e me.
Quando scoprirà di aver dormito fino a tardi, andrà nel
panico.
Mi chino su di lei, sfiorandole la guancia con il naso.
«Forza, dormigliona, alzati» le sussurro divertito,
mordicchiandole l’orecchio.
Ana si stiracchia, sorridendo ancora prima di aprire gli
occhi. Inala il mio profumo e quando spalanca le palpebre
sono contento di vedere il suo sorriso che si allarga
mentre mangia con gli occhi il mio corpo contenuto nel
completo nero. Mugola, in apprezzamento.
«Cosa?» la prendo in giro.
«Vorrei che tornassi a letto» mormora, girandosi verso
di me e facendo le fusa.
Il desiderio mi attraversa come una scarica elettrica.
Mi lecco le labbra, mentre i miei occhi vagano sui lembi di
pelle lasciati scoperti dal lenzuolo e dalla t-shirt.
«Sei insaziabile, Miss Steele. Per quanto l’idea mi
alletti, ho un appuntamento alle otto e mezzo, perciò tra
poco devo uscire» le annuncio con un sorrisetto.
Ana lancia uno sguardo alla sveglia e poi spalanca gli
occhi, balzando giù dal letto allarmata e infilandosi in
bagno. Rido di gusto, mentre mi alzo e resistendo alla
tentazione di unirmi a lei, esco dalla camera e raggiungo
Gail in cucina.
«Buongiorno, Mr Grey» mi saluta lei educatamente.
«Buongiorno Gail. Oggi Miss Steele ha intenzione di
portarsi il pranzo da casa. Potrebbe prepararle lei
qualcosa? Qualsiasi cosa Anastasia voglia. Per colazione,
invece, preferisce pancake e bacon. E tè, Twinings
English Breakfast»
Lei annuisce con un gran sorriso e si mette a preparare
la colazione, mentre io prendo il giornale dal tavolo e mi
siedo al bancone. Venti minuti più tardi, Ana fa il suo
ingresso in cucina. É meravigliosa nella sua gonna
attillata grigia e la camicetta sulle stesse tonalità. I capelli
raccolti e un paio di scarpe nere col tacco che me lo fanno
tirare ancora di più. “Dio, Miss Steele. Dovrò scoparti solo
con quelle addosso. É una promessa”. Poggio sul bancone
la tazza con il caffè che stavo lentamente sorseggiando.
Mi si avvicina e io non perdo tempo, attirandola a me.
«Sei bellissima» le mormoro contro l’orecchio, mentre
la bacio proprio sotto al collo.
Sento, più che vedere, la sua pelle arrossarsi e sorrido
soddisfatto.
«Buongiorno, Miss Steele» ci interrompe
mettendoci davanti la colazione di Anastasia.
Gail,
«Oh, grazie. Buongiorno» mormora lei in imbarazzo.
«Mr Grey mi ha detto che gradisce portare qualcosa
con sé per il pranzo. Che cosa preferisce mangiare?»
Anastasia mi lancia un’occhiataccia, mentre io cerco di
non scoppiare a ridere. Poi si rivolge di nuovo a Gail,
educata e gentile.
«Un sandwich... un’insalata. Non importa» le dice con
un sorriso timido.
«Improvviso subito qualcosa, signorina»
«Per favore, mi chiami Ana» dice amichevole.
«Ana» ribatte Gail, sorridendole con calore, mentre si
occupa del tè.
Anastasia si gira verso di me, soddisfatta, con un
sopracciglio ironicamente alzato. Per me è arrivato il
momento di andare a lavoro però.
«Devo andare, piccola. Taylor tornerà a prenderti e ti
lascerà all’ufficio con Sawyer» le annuncio.
«Solo alla porta» mi ricorda lei, piegando la testa di
lato.
«Sì. Solo alla porta» le dico, alzando gli occhi al cielo.
«Stai attenta, però» le annuncio, mentre il tarlo delle
bugie mi rode nel profondo.
Mi alzo alla vista di Taylor, afferrandole con
possessività il mento e baciandola profondamente. “É
meglio che capiate entrambi che lei è mia. Solo mia”.
«A più tardi, piccola» le sussurro contro le labbra.
«Buona giornata in ufficio, caro» mi dice
sarcasticamente, mentre affonda la forchetta nei
pancakes e Gail le passa la sua tazza di tè.
Il mio telefono vibra e Andrea mi conferma
l’appuntamento con Flynn. Taylor mi accompagna in
fretta in ufficio e io sbrigo le ultime pratiche prima della
riunione del lunedì mattina con Ros e i nostri
collaboratori. Prima di entrare in sala riunioni scrivo una
mail ad Anastasia. Ovviamente mi trattengo. So che la sua
casella di posta è monitorata. E ne approfitto anche per
mandare un sms a Barney per sapere se ha trovato
qualcosa di interessante.
Da: Christian Grey
A: Anastasia Steele
Data: 13 giugno 2011 8.24
Oggetto: Capo
Buongiorno, Miss Steele,
volevo solo dirti grazie per il meraviglioso fine settimana nonostante
il dramma.
Spero che non te ne andrai mai.
E volevo anche ricordarti che le notizie riguardo alla SIP devono
rimanere segrete per quattro settimane.
Cancella questa mail non appena l’avrai letta
Tuo
Christian Grey
Amministratore delegato, Grey Enterprises Holdings Inc. & capo del
capo del tuo capo
Sento il cuore che fino ad un mese fa non sapevo
neppure di avere che palpita all’idea di stare con lei per
tutta la vita. Sorrido. Cosa stavo facendo esattamente un
mese fa a quest’ora? Cercavo un modo per evitare
un’intervista con una ficcanaso arrivista e prepotente. E il
giorno dopo avevo dovuto ammettere che quell’intervista
era stata la cosa migliore che mi fosse capitata in tutta la
mia vita.
Da: Anastasia Steele
A: Christian Grey
Data: 13 giugno 2011 9.03
Oggetto: Prepotente
Caro Mr Grey,
mi stai chiedendo di venire a vivere da te?
E, certo, ricordo che le prove delle tue memorabili doti di stalker non
devono essere divulgate per altre quattro settimane.
Devo fare l’assegno per Affrontiamolo Insieme e mandarlo a tuo
padre?
Per favore, non cancellare questa mail.
Per favore, rispondi.
TVB XXX
Anastasia Steele
Assistente di Jack Hyde, Direttore editoriale, SIP
Sono nel bel mezzo della riunione quando il mio
BlackBerry vibra. Non perdo tempo e le mando una mail
di risposta, sorridendo come un coglione mentre Ros mi
guarda con un sopracciglio inarcato.
Da: Christian Grey
A: Anastasia Steele
Data: 13 giugno 2011 9.07
Oggetto: Prepotente? Io?
Sì. Per favore.
Christian Grey
Amministratore delegato, Grey Enterprises Holdings Inc.
Ci mette un po’ troppo per rispondere, e onestamente
inizio a non riuscire a stare fermo sulla mia poltrona.
Faccio un profondo respiro, tornando, per quel che posso,
a concentrarmi sulla mia squadra.
13 minuti dopo sto uscendo dalla sala riunioni. Ed ecco
la vibrazione del mio telefono. Trattengo il fiato, mentre
apro la mail. ‘Da quando sei diventato un ragazzino,
Grey?’
Da: Anastasia Steele
A: Christian Grey
Data: 13 giugno 2011 9.20
Oggetto: Flynnismo
Christian,
cos’è successo al “dobbiamo imparare a camminare prima di poter
correre”? Possiamo parlarne stasera, per favore?
Mi è stato chiesto di andare a un convegno a New York giovedì.
Significa stare fuori a dormire per una notte, mercoledì.
Volevo solo che tu lo sapessi.
AX
Anastasia Steele
Assistente di Jack Hyde, Direttore editoriale, SIP
«CHE COSA?» urlo quasi senza rendermene conto,
mentre Olivia e Andrea sobbalzano, guardandomi
terrorizzate. Entro nel mio ufficio e sbatto la porta,
mentre digito furiosamente la mia risposta.
Da: Christian Grey
A: Anastasia Steele
Data: 13 giugno 2011 9. 21
Oggetto: COSA?
Sì. Parliamone stasera.
Andrai da sola?
Christian Grey
Amministratore delegato, Grey Enterprises Holdings Inc.
So che la risposta è no. Lo so. Lo sento. E non deve
neppure pensare che io la lasci andare via con quel
depravato. Avvio la chiamata.
«Welch! Grey. Trovami qualsiasi cosa sia possibile
trovare su quel figlio di puttana di Jack Hyde della SIP.
Immediatamente» sbraito, mentre dall’altro lato del
telefono Mr Efficienza si mette al lavoro. Bene. Lo pago
per questo.
Da: Anastasia Steele
A: Christian Grey
Data: 13 giugno 2011 9. 30
Oggetto: Non urlare in lettere maiuscole il lunedì mattina!
Possiamo parlare anche di questo stasera?
AX
Anastasia Steele
Assistente di Jack Hyde, Direttore editoriale, SIP
Non perdo tempo a trovare un modo carino per non
farla incazzare.
Da: Christian Grey
A: Anastasia Steele
Data: 13 giugno 2011 9. 35
Oggetto: Non mi hai ancora sentito urlare
Dimmelo.
Se ci vai con quel depravato con cui lavori, allora la risposta è no,
dovrai passare sul mio cadavere.
Christian Grey
Amministratore delegato, Grey Enterprises Holdings Inc.
Le mie dita tremano, mentre sprofondano nei miei
capelli, scompigliandoli.
Da: Anastasia Steele
A: Christian Grey
Data: 13 giugno 2011 9. 46
Oggetto: No, TU non mi hai ancora sentita urlare
Sì. Devo andarci con Jack.
Voglio andarci. È un’opportunità interessante per me.
E non sono mai stata a New York.
Non fare una tempesta in un bicchiere d’acqua.
Anastasia Steele
Assistente di Jack Hyde, Direttore editoriale, SIP
“Cristo santo! Cristo, Cristo, Cristo santissimo!”.
Questa donna mi manda al manicomio. Respiro
profondamente, ma la mia rabbia e la mia frustrazione
restano inalterate.
Da: Christian Grey
A: Anastasia Steele
Data: 13 giugno 2011 9. 50
Oggetto: No, TU non mi hai ancora sentito urlare
Anastasia,
non è per il fottuto bicchiere d’acqua che sono preoccupato. La
risposta è NO.
Christian Grey
Amministratore delegato, Grey Enterprises Holdings Inc.
Da: Anastasia Steele
A: Christian Grey
Data: 13 giugno 2011 9. 55
Oggetto: Cinquanta sfumature
Christian,
cerca di stare calmo.
Io NON andrò a letto con Jack, non lo farei per tutto l’oro del mondo.
Io ti AMO. Ed è questo che succede quando le persone si amano.
Hanno FIDUCIA l’una nell’altra.
Non penso che tu FARAI L’AMORE, SCULACCERAI, SCOPERAI
o FRUSTERAI nessun altro. Ho FIDUCIA in te.
Per favore, usami la stessa GENTIlEZZA.
Ana
Anastasia Steele
Assistente di Jack Hyde, Direttore editoriale, SIP
Le parole sullo schermo del mio computer mi
colpiscono come un sonoro schiaffo. Stringo forte gli
occhi. “Quale cazzo di parola della fottuta frase ‘le tue
mail sono monitorate’ tu non hai afferrato, Miss Steele?”.
Non sono più un uomo. Sono pura furia quando chiamo
Barney affinché ripulisca il sistema della SIP, ma mi sento
rispondere che gli ci vuole un po’ per effettuare la pulizia
del sistema e che devo far cancellare la mail dalla mia
sconsiderata fidanzata. Vado un bel po’ avanti e indietro,
prima di decidermi a chiamarla. Ho bisogno di calmarmi.
Ma fallisco miseramente.
«Ufficio di Jack Hyde, sono Ana Steele» risponde
professionalmente.
«Vuoi per cortesia cancellare l’ultima mail che mi hai
mandato e cercare di essere un po’ più discreta per quel
che riguarda il linguaggio che usi dalla mail dell’ufficio?
Te l’ho detto, il sistema è monitorato. Farò in modo di
limitare i danni da qui» le ringhio contro, riattaccando
prima che possa mettersi a discutere. Sospiro, lancio un
mezzo urlo di frustrazione e sbatto il pugno sulla
scrivania. L’aliante che mi ha regalato sobbalza e
guardandolo mi ricordo del perché sono innamorato di
lei. Il mio respiro si placa e al posto della furia resta solo
l’esasperazione. Il mio cellulare suona. Lo sapevo. Tregua
finita.
«Cosa c’è?» grido esasperato.
«Andrò a New York, che ti piaccia o no» sibila
velenosamente.
«Non cont...» ma sento il click del telefono.
“Oh, no. No, Miss Steele. Non mi hai chiuso il telefono
in faccia”. É in momenti come questi che vorrei
mettermela sulle ginocchio e torturarla a suon di
sculacciate per ore, giorni, cazzo! Stringo forte il telefono
e poi compongo il numero. “Nessuno mi ferma,
Anastasia. Neppure tu”.
«Roach, Grey. Ho bisogno del prospetto delle spese
anche di questo mese. Voglio poterle approvare
personalmente, altrimenti l’accordo è saltato»
Lo so, non ha colpa per la testardaggine della donna
che mi sono scelto al mio fianco. Ma non mi lascerò
sottrarre il controllo così facilmente da una ragazzina in
gonna e camicetta attillate. ‘E scarpe sexy, Grey’. Scarpe
fottutamente sexy! Ma quel pensiero non mi aiuta per
niente. So solo che se fosse qui la scoperei fino a farle
perdere i sensi contro quella parete di fronte a me.
Contemporaneamente mi arriva una mail da Welch. É su
Hyde. Dettagli su dettagli. E quando termino di leggerla
non sono meno furioso di prima. Nulla di reale, concreto.
Ma dalle informazioni che abbiamo si capisce che è un
lurido porco. É l’unica spiegazione al fatto che le sue
assistenti restano tre mesi e poi fuggono.
Da: Anastasia Steele
A: Christian Grey
Data: 13 giugno 2011 10. 43
Oggetto: Che cosa hai fatto?
Per favore, dimmi che non interferirai con il mio lavoro. Voglio
davvero andare a quel convegno. Non avrei dovuto chiedertelo. Ho
cancellato la mail offensiva.
Anastasia Steele
Assistente di Jack Hyde, Direttore editoriale, SIP
Leggo la risposta di Ana e poi la mail di Barney, giunta
subito dopo, che mi avvisa che è tutto a posto.
Da: Christian Grey
A: Anastasia Steele
Data: 13 giugno 2011 10. 43
Oggetto: Che cosa hai fatto?
Sto solo proteggendo ciò che è mio.
La mail che mi hai mandato avventatamente ora è stata cancellata dal
server della SIP, così come le mie mail a te.
Si dà il caso che io mi fidi di te in modo assoluto.
È di lui che non mi fido.
Christian Grey
Amministratore delegato, Grey Enterprises Holdings Inc.
Mi appoggio allo schienale, serrando gli occhi e
tentando di farmi passare l’incazzatura.
Da: Anastasia Steele
A: Christian Grey
Data: 13 giugno 2011 10. 46
Oggetto: Cresci
Christian,
non ho bisogno di essere protetta dal mio capo. Potrebbe anche farmi
delle proposte, ma io gli direi di no. Non puoi interferire. È sbagliato
e prepotente sotto ogni punto di vista.
Anastasia Steele
Assistente di Jack Hyde, Direttore editoriale, SIP
Il suggerimento a crescere mi innervosisce ancora di
più. Piccato digito in fretta la mia categorica risposta.
Da: Christian Grey
A: Anastasia Steele
Data: 13 giugno 2011 10. 50
Oggetto: La risposta è NO
Ana,
ho visto quanto sei “efficace” nell’opporti alle attenzioni indesiderate.
Ricordo che è stato così che ho avuto il piacere di passare la mia
prima notte con te. Perlomeno il fotografo prova dei sentimenti per
te. Il depravato, invece, no. È un cascamorto seriale, e cercherà di
sedurti. Chiedigli che cos’è successo alla precedente assistente e a
quella prima di lei. Non voglio litigare su questo. Se vuoi andare a
New York, ti ci porterò io. Possiamo andarci questo fine settimana.
Ho un appartamento là.
Christian Grey
Amministratore delegato, Grey Enterprises Holdings Inc.
I minuti passano in silenzio, mentre guardo fuori dalla
finestra. Non ci provo neppure a concentrarmi sul lavoro.
Non servirebbe a nulla. L’orologio mi dice che manca
mezz’ora al mio appuntamento con Flynn. Forse potrei
anticipare.
Da: Anastasia Steele
A: Christian Grey
Data: 13 giugno 2011 11. 15
Oggetto: FW appuntamento a pranzo o peso irritante
Christian,
mentre eri impegnato a interferire con la mia carriera e a salvarti il
culo per le mie mail imprudenti, ho ricevuto il seguente messaggio da
Mrs Lincoln. Davvero, io non ho voglia di incontrarla. E anche se
l’avessi, non mi è permesso lasciare questo edificio. Come abbia
ottenuto il mio indirizzo di posta elettronica, non lo so. Che cosa
mi suggerisci di fare? Ecco qui sotto il suo messaggio:
Cara Anastasia,
mi piacerebbe davvero molto pranzare con te. Credo che siamo
partite con il piede
sbagliato, e vorrei raddrizzare le cose. Sei libera qualche volta in
settimana? Elena Lincoln
Anastasia Steele
Assistente di Jack Hyde, Direttore editoriale, SIP
“Cristo Elena!”. Il pensiero della discussione che
abbiamo avuto e la rabbia che prova Ana nei confronti di
Elena, mi fa addolcire nei suoi confronti. Roach mi ha
appena inviato una mail con le spese, tra cui quelle del
viaggio per New York. Ovviamente approvo quelle per
Hyde e boccio quelle per la sua assistente. E argino il
problema. Ma Elena? Sospiro. Non so più cosa fare.
Da: Christian Grey
A: Anastasia Steele
Data: 13 giugno 2011 11. 23
Oggetto: Peso irritante
Non essere arrabbiata con me. Ho a cuore i tuoi migliori interessi. Se
ti succedesse qualcosa, non potrei mai perdonarmelo.
Penso io a Mrs Lincoln.
Christian Grey
Amministratore delegato, Grey Enterprises Holdings Inc.
Mi rendo conto di averle parlato con il cuore in mano.
Sospiro. Raccolgo il telefono ed esco dall’ufficio, per
recarmi da Flynn.
Da: Anastasia Steele
A: Christian Grey
Data: 13 giugno 2011 10. 32
Oggetto: Più tardi
Possiamo discuterne stasera, per favore? Sto cercando di lavorare e le
tue continue interferenze mi distraggono.
Anastasia Steele
Assistente di Jack Hyde, Direttore editoriale, SIP
Stringo il BlackBerry, mentre entro nell’auto dove
Taylor mi sta già aspettando. Pochi minuti dopo sono
seduto a cospetto del mio psicologo di fiducia. Non perdo
tempo. Per la prima volta ho bisogno di sfogarmi. Stare
con quella donna è frustrante.
Flynn sorride alla fine del mio monologo, e io quasi mi
aspetto di trovare un solco nel pavimento sul quale sono
andato avanti e indietro.
«Dunque, le hai detto che sei innamorato di lei?» mi
chiede John.
«Sì» ammetto, e sono sorpreso dal constatare che non
mi costa nessuna fatica.
«Sono felice per te, Christian. É un passo importante
questo». Poi si appoggia con la schiena alla poltrona e mi
fissa, con le dita giunte sotto il mento. «E hai intenzione
di chiederle di sposarti» mi chiede assorto nei suoi
pensieri.
«Si» rispondo con altrettanta facilità. I miei sentimenti
per Ana e quello che voglio fare con lei non sono più fonte
di dubbio per me. Mi accorgo da solo del cambiamento.
«Christian, Anastasia non scapperà da te. Ti ama. Ma
non puoi legarla a te per trattenerla nella tua vita.
Ricordi? Devi imparare a camminare...»
«…prima di poter correre. Lo so, John. Lo so, credimi.
Ma so anche che ora, domani, fra dieci anni... io vorrò
stare con lei. E voglio essere certo che anche lei lo voglia
quanto lo voglio io». Lo guardo, implorandolo di capirmi.
Lui annuisce, ma so che sta per mettermi in guardia.
«Voglio che tu sia pronto al fatto che lei potrebbe
rifiutare, potrebbe sentirsi soffocata»
Le sue parole mi lasciano basito. Scuoto la testa, senza
emettere suoni, mentre il pensiero mi scivola addosso
riempendomi di orrore.
«Sono certo che Ana ti ami, Christian. Ma è una
ragazza responsabile. Vorrà delle risposte. Non è stupida
e sono certo che ha capito che le tieni nascosto una parte
della tua vita. Tieni presente che dovrai affrontarla prima
o poi. E dovrai farlo prima di compiere il grande passo»
Si ferma, poi sorride. Lo guardo con uno sguardo
interrogativo, poi mi accascio contro la poltrona sulla
quale sono seduto.
«É la mia ancora di salvezza» sussurro, con gli occhi
fissi nel vuoto. «Grazie a lei sono tornato a vivere. Ho
superato il dolore, le mie paure. Ho superato tutto»
Flynn mi scruta a fondo.
«Christian... è la tua vita. Non puoi cancellarla. Puoi
superarla e basta. L’amore di Anastasia ti aiuta, certo. Ma
devi contare su te stesso, non dimenticarlo mai»
Annuisco, consapevole. So che non dovrei essere
dipendente da un’altra persona. Ma parliamo di Ana, non
mi lascerebbe. Non glielo permetterei.
«John... pensi che io possa farle del male? Pensi che il
mio sadismo possa tornare in superficie anche di fronte a
lei?»
Flynn scuote la testa, sospirando.
«Christian, abbiamo affrontato questo punto più volte.
Tu non sei un sadico. Le pratiche sessuali che ti piacciono
possono essere condivise con un partner consenziente.
Per il resto, credo tu stia applicando a pieno regime
quello che ti ho sempre suggerito. Hai centrato il tuo
obiettivo e ti stai impegnando per raggiungerlo»
Stringo forte le labbra e so che non avrò risposte più
precise di queste. Ed è giusto. So che non è Flynn che può
dirmi se la mia storia con Ana avrà un lieto fine. Quella è
solo Anastasia.
Quando esco dallo studio di Flynn dico a Taylor che ho
intenzione di tornare a piedi. Ho bisogno di aria. É
contrariato, ma può farci poco. Sono io che decido. Ho le
mani in tasca e sono di nuovo davanti a quella vetrina di
Cartier. La scatolina rossa che ho in tasca quando esco
dopo 15 minuti questa volta contiene la cosa giusta.
Sono appena tornato in ufficio quando il mio telefono
squilla. É Taylor. Il mio pensiero corre ad Anastasia.
«Grey»
«Mr Grey, Miss Steele è appena uscita dall’ufficio per
comprare il pranzo» mi annuncia con voce grave.
Sappiamo entrambi che Gail le ha preparato il pranzo
da casa. Ci deve essere dell’altro.
«Falla seguire da Sawyer, non deve assolutamente
perderla di vista» dico a denti stretti. “Cosa cazzo mi
nascondi, Ana?”. Mi siedo alla scrivania, controllando
l’orologio, mentre firmo dei documenti sulla mia
scrivania. Quando ricevo un sms da Taylor che mi
informa che è tornata in ufficio, è lì che la chiamo.
«Ufficio di Jack Hyde...»
«Mi avevi assicurato che non saresti uscita» la
interrompo, con tono gelido e duro.
Sento il suo respiro fermarsi e poi riprendere dopo
pochi secondi, più accelerato.
«Jack mi ha mandato a prendergli il pranzo. Non
potevo dire di no. Mi stai facendo pedinare?»
Le sue ultime parole sono di accusa e mi sento
maledettamente in colpa e frustrato.
«Questo è il motivo per cui non volevo che tornassi a
lavorare!» esclamo, fuori di me dalla rabbia.
«Christian, per favore. Sei così... così soffocante»
sussurra con rabbia e sconforto.
«Soffocante?» sussurro, sconvolto, sorpreso.
Inevitabilmente mi torna in mente la conversazione
appena avuta con Flynn.
«Sì. Devi smetterla. Te ne parlerò stasera.
Sfortunatamente, devo fermarmi fino a tardi per lavorare,
visto che non potrò andare a New York» mi rimprovera,
arrabbiata.
«Anastasia, non voglio soffocarti» le dico in un
sussurro, stringendo la scatolina rossa che ho nella tasca
interna della giacca.
«Bè, lo fai. Adesso devo lavorare. Ne parliamo più
tardi»
Senza aspettare una mia replica riaggancia,
lasciandomi nello sconforto più totale. La giornata scorre
piatta, sono depresso e di malumore. E tutto questo si
riflette nel lavoro e nel mio rapporto con i miei
dipendenti. Alle sei e mezzo sguscio fuori dall’ufficio e
dico a Taylor di passare alla SIP. Pochi minuti dopo le
sette siamo ancora in attesa di Ana. La preoccupazione
cresce. Prendo il telefono e la chiamo. Risponde subito.
«Ciao» mormora esausta.
«Ciao, quando finisci?» le chiedo, cercando di
rimanere calmo.
«Per le sette e mezzo, credo»
«Ci vediamo fuori» le annuncio, per farle sapere che
sono già qui.
«Okay» sussurra. «Sono ancora arrabbiata con te, ma è
tutto» mi sussurra. «Abbiamo molto di cui parlare»
«Lo so. Ci vediamo alle sette e mezzo» le confermo.
«Devo andare. A dopo» dice, riagganciando, mentre io
esalo un sospiro.
Mi appoggio allo schienale della mia Audi Quattro. Il
mio piede prende a tamburellare freneticamente. Sono
spossato da questa giornata che mi ha letteralmente
messo in ginocchio. Ana mi ha messo in ginocchio. E non
riesco a non pensare che quello che vorrei, ora, è solo
perdermi dentro di lei. Una leggera pioggia inizia a
picchiettare sul tettuccio dell’auto, e sto guardando
l’orologio proprio quando lei esce dalla SIP. Con una
leggera corsa attraversa il marciapiede e si infila sul sedile
accanto a me, mentre Taylor chiude la portiera dietro di
lei. Non posso fare a meno di guardarla in attesa,
aspettandomi una sfuriata da un momento all’altro.
Stringo la mascella mentre lei si sistema e poi alza
quell’azzurro cielo su di me.
«Ciao» mormora.
«Ciao» replico sulla difensiva.
Prima che possa dire qualcosa sento il bisogno di
placare la mia astinenza da lei. Allungo il braccio e le
afferro la mano stringendo forte.
«Sei ancora arrabbiata?» le chiedo cauto.
«Non lo so» mormora.
E io lo prendo come un no. Le sollevo la mano e le
sfioro le nocche con le labbra, baciandola leggero.
«È stata una giornata schifosa» confesso, iniziando a
rilassarmi accanto a lei.
«Sì, è vero» concorda lei.
«Va meglio, ora che sei qui» le dico, stringendo le mie
dita alle sue.
Restiamo in silenzio durante il tragitto verso casa.
Nessuno dei due parla. Nessuno dei due ha il coraggio di
guardare l’altro. E io sono dilaniato dalla paura di
perderla. Di certo questa non è la serata giusta per
chiederglielo.
Arrivati all’Escala, Taylor ci lascia dinnanzi all’ingresso
principale e io le tengo la mano mentre corriamo
all’interno per ripararci dalla pioggia e attendiamo
l’ascensore. D’istinto mi scruto intorno, per controllare
che non siamo seguiti da nessuno.
«Immagino che tu non abbia trovato Leila» mi dice
guardandomi.
«No. Welch la sta ancora cercando» borbotto,
ricordando l’infruttuosa conversazione che ho avuto con
Welch.
L’ascensore che arriva interrompe un ipotetico flusso
di domande. La guardo, mentre le porte si chiudono,
scoprendomi sorpreso ancora una volta da quanto sia
fottutamente sexy. Anche i suoi occhi mi percorrono da
capo a piedi. Quello sguardo, carico di desiderio, scatena
la mia fame repressa per tutta la giornata. La ristrettezza
dell’ambiente crea la solita carica magnetica che ci assale
e ci spinge l’uno verso l’altra inesorabilmente. Stringo un
attimo gli occhi e quando li riapro schiudo le labbra come
per pregustare il suo sapore.
«Lo senti?» dico esalando un respiro spezzato.
«Sì» sussurra eccitata.
Il mio cazzo pulsa violentemente. E non resisto più
oramai.
«Oh, Ana» gemo, dando voce ai miei istinti e
afferrandola la avvolgo.
Una mano sale dietro il suo collo, sostenendola,
mentre le mie labbra si impossessano fameliche delle sue.
Sento le sue dita tra i capelli, che stringono, esplorano,
mentre ci divoriamo affamati di noi.
«Odio litigare con te» mormoro contro la sua bocca,
disperato.
Per tutto il giorno ho temuto che lei volesse scappare
da me. E ora eccola. É qui. E si sta sciogliendo nelle mie
mani. Contro il mio corpo. E io non desidero altro che lei.
La bacio di nuovo, disperato, bisognoso e lei riflette con la
sua reazione tutte le mie sensazioni. Ci cerchiamo di più a
vicenda, stringendoci l’uno addosso all’altra, sfregandoci,
cercando di fonderci. Anastasia mi sorprende,
afferrandomi con forza e spingendo il suo corpo tentatore
contro il mio, con intenzione. Le nostre lingua cercando
di fondersi mentre la mia mano scivola dal suo fianco
sulla sua coscia e poi sotto la gonna attillata. Risalgo con
le dita e il mio uccello sta per esplodere quando incontro
il bordo delle sue calze. “Cristo santo!”.
«Mio Dio, indossi le autoreggenti» gemo mentre mi
sento esplodere la testa per il desiderio.
Le mie dita audaci oltrepassano la pelle oltre l’elastico
della calze. Sono arrivato ala capolinea.
«Voglio vederti» ansimo mentre le spingo la gonna sui
fianchi.
Mi spingo ad allontanarmi per guardarla meglio e
premere il bottone d’arresto dell’ascensore. Sono eccitato,
bramoso di possederla e vederla mezza nuda, con gli
occhi velati di desiderio, il seno pesante che si alza e si
abbassa al ritmo del suo respiro agitato mi fa eccitare al
limite del possibile. Si sorregge alla parete dietro di lei,
guardandomi proprio come faccio io con lei. Con
bramosia. La fisso e voglio comporre la mia opera d’arte
personale, come nelle mie migliori fantasie erotiche.
«Sciogliti i capelli» le ordino, pacato, con voglia.
Ana alza lentamente le braccia, sciogliendo la coda e
lasciando ricadere sulle spalle e sui seni la chioma bruna
e fluente.
«Slacciati i primi due bottoni della camicetta» le
sussurro mentre penso a quanto forte la prenderò quando
avrò colmato la distanza tra di noi.
Ana ubbidisce slacciando un bottone dopo l’altro con
lentezza esasperante. Scopre appena la parte superiore
dei seni, lasciando la mia fantasia vagare sul pizzo del suo
intimo. Deglutisco a fatica, sopraffatto dalla voglia id
possederla.
«Hai idea di quanto tu sia seducente in questo
momento?» sussurro.
I suoi denti affondano con calma nel labbro inferiore,
facendomelo tendere fino all’inverosimile. Scuote piano la
testa. Chiudo gli occhi per calmarmi, ma quando li riapro
non ci sono riuscito. Mi avvicino, intrappolandola alla
parete, con le mani ai lati della sua testa. Non la tocco e
lei solleva sfrontata il viso, fissando i suoi occhi nei miei.
Mi chino di poco, sfiorando il suo naso con il mio,
dolcemente. Ansima rumorosamente, senza vergogna.
«Penso che tu lo sappia, Miss Steele. Penso che ti
piaccia farmi impazzire» mormoro, senza smettere di
fissarla, inebriandomi del suo odore misto a quello della
nostra eccitazione.
«Ti faccio impazzire?» sussurra con voce roca.
«In tutte le cose, Anastasia. Sei una sirena, una dea» le
dico, colmando la distanza tra noi.
La mia mano destra scivola sul suo fianco, afferrandole
la coscia e facendogliela agganciare attorno al mio fianco.
Sfrego la mia erezione poderosa e palpitante contro di lei,
contro le sue mutandine fradicie. E la bacio, in
profondità. Così come la penetrerò tra poco. Sento il suo
gemito riverberarsi nella mia bocca, mentre si appoggia ai
miei bicipiti per non perdere l’equilibrio, e poi al mio
collo.
«Sto per prenderti, lo sai?» dico, respirando a fatica
mentre mi stacco dalle sue labbra.
Ana si inarca, gemendo. Mugolo anch’io, mentre la
spingo in alto contro la parete e mi slaccio i pantaloni
quel tanto che basta per avere campo libero.
«Tieniti forte, piccola» le mormoro, sostenendola
senza sforzo, mentre estraggo l’immancabile preservativo
dalla tasca.
Lo accosto alle sue labbra e lei strappa la bustina con i
denti, mentre mi fissa lasciva. L’aiuto tirandola e
riusciamo ad aprirla.
«Brava ragazza» le dico.
Mi scosto appena e lo infilo in due secondi. Ho voglia
di scoparla fino allo stremo.
«Bene, non posso aspettare i prossimi sei giorni» le
dico, mentre la fisso. «Spero che tu non sia troppo
affezionata a queste mutandine» le dico con un sorriso
sghembo e in men che non si dica le strappo via dal suo
corpo.
Ana ansima e senza perdere altro tempo affondo in
quel delizioso lago di piacere. La sento stringersi attorno
al mio uccello in fiamme. Si inarca contro di me,
gemendo con voglia, con desiderio e mi sento obbligato a
spingere e affondare dentro di lei. A darle tutto il piacere
che mi chiede. Arretro e affondo di nuovo dentro di lei.
Più forte. Anastasia getta la testa all’indietro, contro la
parete, godendo. I miei colpi sono duri, ma misurati e
lenti.
«Sei mia, Anastasia» le mormoro contro la pelle
delicata della gola, baciandola e mordicchiandola piano.
«Sì. Tua. Quando lo capirai?» dice, ansimando.
E io le credo. Le credo tanto da perdere la ragione e
prendere a spingere dentro di lei. É mia. Solo mia. Posso
averla a fondo. Sempre. Ovunque. Spingo, spingo sempre
di più. La mascella contratta, le gambe tese per lo sforzo.
Le sto dando quello che vuole, quello che voglio io. Sto
placando la sete di entrambi. Colpisco a fondo,
penetrando il suo sesso con tutta la mia lunghezza. Arrivo
in profondità, mentre lei si stringe attorno ai miei fianchi,
le sue braccia mi tengono stretto e le sue dita mi tirano i
capelli. Siamo selvaggi, siamo bisognosi, desiderosi. Il
mio ritmo è implacabile e più lei si stringe al mio cazzo,
più mi avvicino all’orgasmo.
«Oh, piccola» mormoro mentre lei viene, stringendosi
a me quasi fino a stritolarmi.
Mi fermo, afferrandola, abbracciandola e poi,
finalmente esplodo in un potente orgasmo, mentre
sussurro infinite volte il suo nome.
Il silenzio attorno a noi è spezzato solo dai nostri
respiri. I nostri corpi sono deboli, spossati e si sorreggono
l’uno all’altra. La mia fronte è poggiata alla sua, mentre
respiriamo l’uno nella bocca dell’altra. Quando ritrovo un
minimo di stabilità, la rimetto in piedi.
«Oh, Ana» mormoro. «Ho tanto bisogno di te» le dico
sincero, baciandole la fronte.
«E io di te, Christian»
Capitolo 15
Quando i nostri respiri riescono a placarsi, la lascio
andare, sistemandole gli abiti. Poi mi sposto, digitando la
combinazione mentre l’ascensore riparte con un forte
scossone verso l’attico dell’Escala. Anastasia si aggrappa
con forza alle mie braccia per mantenere l’equilibrio.
«Taylor si domanderà dove siamo» le sussurro,
guardandola dall’alto con un sorrisetto lascivo.
Mi sento molto meglio, ora. Molto, molto meglio.
Anastasia sgrana gli occhi, passandosi freneticamente le
dita nei capelli scuri nel tentativo di ricomporsi. Si vede
da lontano che è stata scopata per bene. E io sono ancora
più contento di poter rivendicare il mio possesso su di lei
in questo modo. Ogni uomo che poserà i suoi occhi su di
lei, ora, saprà che è mia. Solo mia. Si agita per un po’,
combattendo contro le ciocche ribelli. Poi si arrende,
riprendendo l’elastico e legandoli in una graziosa coda di
cavallo.
«Ce la farai» le dico con un gran sorriso, mentre mi
riabbottono i pantaloni e infilo l’odiato preservativo in
tasca.
Quando le porte metalliche si aprono, Taylor è già in
attesa, con una ruga preoccupata sulla fronte. Una rapida
occhiata ad entrambi lo rende consapevole di quello che è
appena successo.
«Problemi con l’ascensore» mormoro, mentre Ana, a
testa bassa, si infila nell’appartamento.
La vedo correre di filato nella nostra camera. Ne
approfitto per poggiare la giacca sul divano e uscire sul
terrazzo per chiamare Elena. Non mi sono dimenticato
del suo tiro mancino. Risponde al primo squillo.
«Christian, tesoro!»
«A che cazzo di gioco stai giocando, Elena?» ringhio
infuriato.
Resta per qualche attimo in silenzio. Sa benissimo a
cosa mi riferisco, non avrò bisogno di spiegarglielo.
«Christian... volevo solo essere d’aiuto. Anastasia ha il
diritto di sapere tutto. Lei ti ama, non ti lascerà per
questo» cerca di essere comprensiva, ma c’è una nota
strana nella sua voce.
Non è sicura neppure lei che andrà così alla fine. E io
sono certo del contrario.
«Elena, te lo dico per l’ultima volta. Lasciala. In. Pace.
Non vuole vederti, non vuole parlarti e non vuole avere
nulla che fare con te. Pensa che tu mi abbia molestato
quando avevo 15 anni e, anche se so che non è così, non
so come farle cambiare idea. Ho bisogno di tempo per
pensare a come affrontare l’argomento. E soprattutto
devo essere io a farlo, non tu» sbraito, continuando a
tenere la voce bassa per paura che Ana possa sentirmi.
«Ok, ok tesoro. Ne riparliamo a cena, magari? Ora
devo andare»
Chiude la conversazione lasciandomi solo ed
esasperato. Leggo un sms di Taylor che mi avvisa che la
SAAB di Ana è già arrivata in garage con un giorno di
anticipo. Turniasky o come cavolo si chiama quel viscido
ci si è messo d’impegno. Rientro e il sorriso caldo e
gioioso di Gail mi conforta per un attimo. Mi siedo la
bancone e chiacchieriamo della cena. Dopo qualche
minuto sento un fremito alla spina dorsale e, quando mi
giro, scorgo Ana che ci guarda sorridendo piano. Si
avvicina piano, sedendosi sullo sgabello accanto al mio,
mentre Mrs Jones ci serve un ottimo Coq au vin.
«Buon appetito, Mr Grey, Ana» dice Gail, lasciandoci
soli.
Mi alzo e prendo una bottiglia di vino bianco dal frigo,
poi mi riaccomodo e mi dedico esclusivamente a lei. Mi
chiede del mio lavoro e, senza quasi rendermene conto,
mi ritrovo a parlare del prototipo di cellulare alimentato
ad energia solare. Il mio entusiasmo è impossibile da
tenere a freno. Sono davvero eccitato per il progetto. E lei
si lascia trasportare da me. Mi sorride, annuisce
interessata, mangia di gusto. Poi mi chiede
dell’appartamento di New York. Sorrido arrogante, ma
sono costretto a confessarle che, a differenza di quello che
pensa, non ho case sparse in tutto il mondo.
L’appartamento nel quale vivo, quello di Aspen e quello di
New York. Nient’altro. Quando finiamo di mangiare,
rilassati come non mi sembrava possibile stando a come
mi guardava poco più di un’ora fa in auto, lei si alza e
mette i piatti nel lavandino, pronta a lavarli. La guardo
ammirato.
«Lascia tutto lì. Ci penserà Gail» dico piano,
fissandola.
Ana si volta, mi guarda per un attimo. Poi sospira e si
allontana dal lavandino. Sorrido. Ma non è
compiacimento. É felicità. Per averla qui.
«Bene, ora che sei più docile, Miss Steele,
possiamo parlare di oggi?» le dico, piegando la testa di
lato.
«Penso che sia tu quello più docile. Sto facendo un
ottimo lavoro per domarti, credo» ribatte prontamente
con un sorrisetto.
«Domare me?» le rispondo divertito, con un ghigno
sfacciato.
Annuisce e mi ritrovo a pensare a quanto siano vere, in
fondo, le sue parole. Aggrotto la fronte e ripenso a una
cosa che mi ha detto Flynn non molto tempo fa. Parlava
della mia infanzia e di quanto stare con Ana mi stava
facendo crescere emotivamente. Sto davvero imparando
da lei. É davvero lei a domare me. Fuori dalla camera da
letto ovviamente. Quello è e sarà sempre il mio regno.
«Sì. Può essere, Anastasia» le concedo, guardandola e
maledicendo il bancone che ci separa.
«Avevi ragione su Jack» mormora, abbassando gli
occhi, appoggiandosi sul ripiano.
La rabbia, la furia, la frustrazione si impadroniscono di
me. Cerco di tenere tutto a freno, ma quando rialza gli
occhi su di me, so di non esserci riuscito.
«Ha provato a fare qualcosa?» le sussurro,
combattendo contro l’insano istinto di uscire da questo
appartamento e trovarlo per spaccargli quella faccia da
culo.
Ana si affretta a scuotere la testa.
«No. E non ci proverà, Christian. Oggi gli ho detto che
sono la tua fidanzata, e lui ha fatto retromarcia»
Le sue parole non riescono a placare l’ansia che sento.
«Sei sicura? Posso licenziare quel bastardo» ringhio
rabbioso, mentre nella mia mente Jack Hyde non è più
vivo da un pezzo.
Anastasia sospira forte, scuotendo piano la testa.
«Devi davvero lasciarmi combattere le mie battaglie.
Non puoi costantemente anticipare le mie mosse e
cercare di proteggermi. È soffocante, Christian. Non
crescerò mai se continui a interferire. Ho bisogno di un
po’ di libertà. Io non mi sognerei mai di immischiarmi nei
tuoi affari»
Sbatto piano le palpebre, più volte, tentando di
assimilare le sue parole. Soffocante... ancora quella
parola. Soffocante. La opprimo e non me ne rendo conto,
preso dalla mia smania di controllo. Sospiro
pesantemente, sconfitto.
«Voglio solo che tu sia al sicuro, Anastasia. Se dovesse
succederti qualcosa, io...»
Io non sono in grado di proteggere un’altra persona. Io
ne ho lasciata già morire una. Ed era mia madre, cazzo.
«Lo so. Capisco perché ti senti così portato
a difendermi e una parte di me lo apprezza. So che, se
avessi bisogno di te, tu ci saresti, così come io ci sarei per
te. Ma se vogliamo avere qualche speranza di un futuro
insieme, devi fidarti di me e del mio giudizio. Sì, ogni
tanto sbaglio, commetto errori, ma devo imparare»
La fisso senza abbandonare l’ansia. “No, Anastasia. Tu
non sai. Non capisci. Tu non immagini neppure il dolore e
la sofferenza. Tu non sai che sarei pronto a morire pur di
sapere che non ti capiterà mai l’orrore che è toccato a me.
Pur di essere certo che il male, la perversione e il pericolo
non ti tocchino”. ‘Eppure tu l’hai toccata, Grey. E tu sei il
male, la perversione. Il pericolo sei tu’. Annaspo tra i miei
pensieri e lei deve essersi accorta della mia agitazione.
Gira velocemente attorno ala bancone e si avvicina.
Afferra le mie braccia e se le stringe attorno alla vita,
prima di appoggiarsi sui miei avambracci.
«Non puoi interferire con il mio lavoro. È sbagliato.
Non ho bisogno che tu parta alla carica come un cavaliere
sul suo cavallo bianco per salvarmi ogni giorno. So che
vorresti avere tutto sotto controllo, e ne capisco il perché,
ma non puoi. È un obiettivo impossibile... Devi
imparare a lasciar andare». Alza una mano e mi accarezza
delicatamente il viso, mentre la guardo con gli occhi
spalancati. Lasciar andare? Solo pensarlo mi fa male. «E
se riuscirai a farlo, io mi trasferirò da te» aggiunge
dolcemente quando vede che non reagisco.
Quelle parole mi risvegliano dalla trance. Prendo aria,
perché so che prima che succeda, devo dirle tutto.
«Davvero?» sussurro sconvolto.
«Sì» dice decisa.
«Ma non mi conosci» le dico, aggrottando le
sopracciglia.
Sono sconvolto. Puro panico che mi attanaglia il petto.
Non posso dirglielo. Non posso. Voglio che si trasferisca
da me. Voglio stare con lei. I palmi delle mani iniziano a
sudarmi, mentre il cuore accelera i suoi battiti. “Ti amo
Ana. Ti amo così tanto. E non posso essere io ad
allontanarti da me”. Le sue parole squarciano ancora una
volta la nebbia che mi avvolge il cervello.
«Ti conosco abbastanza, Christian. Niente di quello
che potrai dirmi su di te mi spaventerà tanto da farmi
scappare». Mi accarezza piano, con le nocche della mano,
sulla guancia.
La guardo, mentre l’ansia scema, lasciando il posto al
dubbio. “Potrebbe... potrebbe davvero rimanere dopo
tutto quello che mi porto dietro?”.
«Se solo potessi essere un po’ più tollerante con me...»
mi supplica, senza smettere di accarezzarmi
delicatamente, scatenando un attacco di sincerità.
«Ci
sto
provando,
Anastasia.
Non
potevo
starmene zitto e lasciarti andare a New York con quel...
quel depravato. Ha una reputazione terribile. Nessuna
delle sue assistenti è rimasta per più di tre mesi, né è
stata confermata dall’azienda. Non voglio questo per te,
piccola». Mi fermo, sospirando. «Non voglio che ti capiti
niente. Se ti succedesse qualcosa di male... Il solo
pensiero mi riempie di paura. Non posso prometterti
di non interferire. Non se penserò che potresti farti del
male». Mi fermo ancora, prendendo una boccata
d’ossigeno. «Io ti amo, Anastasia. Farò qualsiasi cosa in
mio potere per proteggerti. Non posso immaginare la mia
vita senza di te»
Questa volta è il turno di Anastasia di essere scioccata.
Le palpebre si socchiudono per un attimo. Poi sembra
tornare in sé. La fisso, con ardore, con amore. E lei fa lo
stesso.
«Ti amo anch’io» mi dice in un soffio, protendendosi
verso di me e baciandomi con passione.
Non perdo tempo. Le restituisco il bacio con la stessa
intensità, abbracciandola, tenendola stretta. Ci
divoriamo, mentre le nostre mani scorrono nei nostri
capelli. Mi fermo un attimo, guardando l’azzurro dei suoi
occhi, senza staccarmi troppo. Poi riprendo a baciarla,
come se non mi bastasse mai.
Ad interromperci è Taylor, che si schiarisce la gola. Mi
tiro indietro all’improvviso, senza staccarmi da lei. Mi
alzo, tenendole la vita con un braccio, mentre la fisso.
«Sì?» dico,
preoccupato.
guardando
Taylor,
per
un
attimo
«Mrs Lincoln sta salendo, signore» annuncia lui,
imperturbabile.
«Cosa?» chiedo frastornato.
Jason si stringe nelle spalle, senza spiegare di più.
Sospiro pesantemente e scuoto la testa. Vorrei perdermi
dentro Anastasia, farla venire fino a farle ripetere infinite
volte il mio nome. Fino ad essere sicuro che sia mia e di
nessun altro. Fino ad essere certo che non abbia le facoltà
intellettuali per pensare a nulla che non sia io. E invece
ora mi tocca perdere tempo con quella rottura di coglioni
che sta diventando Elena.
«Bè, questo sarà interessante» mormoro con un
sorrisetto rassegnato.
«Hai parlato con lei oggi?» mi chiede sospettosa,
mentre la tengo stretta, infilata tra le mie gambe.
«Sì»
«Che cosa le hai detto?» chiede curiosa.
«Le ho spiegato che non vuoi vederla, e che capivo le
tue ragioni. Le ho detto anche che non apprezzavo il suo
agire alle mie spalle»
Resto impassibile di fronte a lei. Tenta di scrutarmi,
ma rimango sulla mia.
«E lei cos’ha risposto?»
«Ha liquidato il tutto come solo Elena sa fare» sbuffo
con un ghigno.
«Perché pensi che sia venuta?» chiede, giocherellando
con i capelli.
«Non ne ho idea» le dico sinceramente.
Taylor ci interrompe di nuovo, entrando nel salone e
annunciando Elena. Entra con disinvoltura, vestita di
nero, con dei jeans attillati, e una camicetta che le
accarezza il corpo. Una volta l’avrei trovata sexy ed
eccitante. Una volta. Ora provo affetto per lei, ma amo la
ragazza che sta fremendo di gelosia poggiata contro il mio
corpo. Dio, se la amo! La stringo ancora di più. É un gesto
involontario. Come se volessi proteggerla dal carico del
mio passato che Elena potrebbe essere pronta a riversarle
addosso. Elena si ferma di colpo, spostando i suoi occhi
da me ad Ana. Sbianca e si irrigidisce.
«Elena» la saluto, perplesso dalla sua reazione.
Sembra sconvolta. Sbatte un paio di volte le palpebre e
poi si riprende, ritrovando l’equilibrio.
«Mi dispiace. Non sapevo che avessi compagnia,
Christian. È lunedì» dice con un sorriso che si vede
benissimo che è di pura circostanza.
Ovvio. É lunedì. Ma Ana posso finalmente sfoggiarla
ogni fottutissimo giorno della settimana.
«La mia fidanzata» le dico, sfoggiando un sorriso dello
stesso grado di falsità del suo.
Lo sa e il suo atteggiamento muta all’istante. Si rilassa,
sorridendo sinceramente stavolta. Anche se il suo
sguardo mi mette a disagio.
«Certo. Ciao, Anastasia. Non sapevo che fossi qui. So
che non vuoi parlare con me. Va bene» dice, sforzandosi
di includere anche Anastasia nel suo campo visivo.
«Davvero?» ribatte Ana con sarcasmo, calma e fredda.
Sia io che Elena la fissiamo stupiti. E io anche un
pizzico ammirato.
«Sì, ho afferrato il messaggio. Non sono qui per vedere
te. Come ho detto, Christian di rado ha compagnia
durante la settimana» si ferma e so che sta scegliendo con
cura le parole, ma è evidentemente ancora turbata dalla
fermezza con cui Anastasia ha affondato la sua stoccata.
«Ho un problema, e ho bisogno di parlarne con lui»
ribatte fermamente.
«Oh!» esclamo, raddrizzando la schiena e divenendo
attento.
«Vuoi qualcosa
da
bere?»
le
chiedo
educatamente.
«Sì, grazie» risponde.
Lascio a malincuore Ana, dirigendomi verso la
dispensa dalla quale estraggo un bicchiere. Non le sto
osservando, ma sento la tensione tra di loro. Sorrido tra
me e me, per l’uscita di Ana. É splendida quando marca il
territorio proprio come me. Sento gli sgabelli che si
spostano e quando mi volto, per tornare da loro, le trovo
entrambe sedute, in silenzio. Ana è seduta su quello che
occupavo io, e tra loro ce n’è uno solo vuoto. Vado ad
appollaiarmici sopra, mettendomi a fare da scudo tra Ana
ed Elena. Verso ad entrambe del vino, poi mi giro verso
Elena.
«Cosa succede?» le chiedo, attento.
Lei mi fissa nervosa, poi guarda Anastasia. Io prendo la
mano della mia ragazza e la stringo affettuosamente.
«Anastasia sta con me, adesso» dico, guardando Elena.
Non so perché, ma so che è meglio mettere in chiaro le
cose. Per entrambe. Elena deve capire che io ed Ana
oramai stiamo insieme. E Ana deve capire fino in fondo
quanto sono disposto a mettermi in gioco per lei, quanto
siamo una sola cosa insieme. Elena si agita sullo sgabello,
agitata, continuando a giocare con l’anello che porta al
dito. Aggrotto la fronte. Non l’ho mai vista così
preoccupata.
«Qualcuno mi sta ricattando» dice poi, d’un fiato.
Mi irrigidisco, mentre la mia testa fa i capitomboli. Su
cosa? Per cosa? Per me, la nostra storia? Anastasia ha un
sussulto e gli occhi di Elena si incupiscono per un attimo
quando la guarda brevemente. Poi torna su di me.
«Come?» le chiedo, senza riuscire a dissimulare
l’orrore.
Elena afferra la sua borsa enorme e ci fruga dentro,
estraendone un biglietto. Me lo passa, ma non lo prendo
in mano.
«Appoggialo lì e aprilo» le ordino, indicandole il
bancone con il mento.
«Non vuoi toccarlo?» mi chiede aggrottando la fronte.
«No. Impronte digitali» le dico deciso.
«Christian, sai che non posso andare con questo dalla
polizia» mi dice piccata. Poi mette il biglietto davanti a
me e mi chino per leggerlo.
«Chiedono solo cinquemila dollari» dico, mentre mi
arrovello il cervello a pensare chi possa essere il
mandante di quell’assurda richiesta. A chi potrebbe
interessare far sapere che Elena ha un nuovo Schiavo?
«Qualche idea su chi possa essere? Qualcuno della
comunità?» le chiedo.
«No» mi risponde dolcemente, quasi rassegnata.
«Linc?» chiedo, con poca convinzione.
«Cosa...? Dopo tutto questo tempo? Non credo»
brontola Elena.
«E Isaac lo sa?» mi informo.
«Non gliel’ho detto»
«Credo che dovrebbe saperlo» le dico fermamente.
Elena scuote la testa e sento la mano di Anastasia
tentare di sfuggire alla mia presa. Aumento la stretta,
girandomi a fissarla, con la paura di vederla fuggire.
«Cosa c’è?» chiedo preoccupato.
«Sono stanca. Credo che andrò a letto» mi dice,
evitandomi.
La fisso negli occhi, per cercare di leggervi qualcosa,
non so neppure bene cosa. Ma è stranamente impassibile.
«Okay» le dico dopo qualche attimo di silenzio,
sconfitto. «Non ci metterò molto» la rassicuro,
lasciandole finalmente andare la mano.
Si alza dallo sgabello, sotto lo sguardo perplesso di
Elena, che la fissa come faccio io. Ana la fissa, scettica.
«Buonanotte, Anastasia» le dice, con un sorriso tirato.
«Buonanotte» mormora lei, freddamente.
Poi si volta e scompare verso la nostra camera.
Riprendo a guardare il foglio davanti a me.
«Non penso che ci sia molto che posso fare, Elena» le
dico, scuotendo la testa perplesso. «Se è una questione
di denaro...» ma mi interrompo quando lei scuote la
testa, con un sorrisetto imbarazzato.
Elena non ha ricevuto un centesimo da suo marito,
dopo che ci ha trovati insieme. Vive grazie al suo lavoro,
che per fortuna va a gonfie vele. Ma mi sento comunque
responsabile per quello che le è capitato.
«Potrei chiedere a Welch di investigare» le propongo.
«No, Christian, volevo solo che tu ne fossi al corrente»
ribatte.
Poi si volta, per controllare se Anastasia è ancora nei
paraggi.
«Mi sembri molto felice» mi dice, con un sorriso
affettuoso, prendendomi una mano e stringendola piano.
«Lo sono» le confermo tranquillo, sottraendo la mia
mano dalla sua.
Il suo sguardo si ferma sulle mie dita prima di tornare
ai miei occhi.
«Te lo meriti» mi dice decisa.
Sembra che possa scoppiare a piangere da un
momento all’altro. “Cristo, sembra mia madre!”.
«Mi piacerebbe che fosse vero» dico, distogliendo lo
sguardo dalla pietà che leggo nei suoi occhi.
«Christian» mi rimprovera bonariamente. Torno a
guardarla. «Lei sa quanto sei negativo verso te stesso?
Riguardo a tutti i tuoi problemi?»
Sottolinea tutti e io non riesco a non stringere le
labbra, per la rabbia.
«Mi conosce meglio di chiunque altro» ribatto,
guardandola dritto negli occhi.
«Ahi! Questo fa male» scherza lei.
“Bè, accettalo, Elena. Solo lei mi conosce. Anche se non
conosce il mio passato, conosce me”.
«È la verità, Elena. Non devo fare giochetti con lei.
Lasciala in pace, dico sul serio» le ringhio contro.
«Qual è il suo problema?» mi risponde arrogante.
«Tu... Quello che tu e io siamo stati. Ciò che abbiamo
fatto. Lei non capisce» rispondo esitante.
Esito non perché so che non è così. Dentro di me, sento
che una piccola parte di me è d’accordo con Anastasia.
Poi ci sono tutti gli altri fattori. Il contesto, quello che ero
prima della mia relazione con Elena, quello che sono
diventato dopo. Il nostro rapporto. Però, capisco il suo
punto di vista. Una parte di me lo comprende, lo accetta
come motivo alla base della sua avversione.
«E tu faglielo capire» ribatte lei, acida, scostandosi i
capelli dalla spalla con una mano.
«È il passato, Elena. Perché dovrei guastare ciò che
prova per me raccontandole della nostra relazione
malata? Ana è buona, dolce e innocente, e per qualche
strano miracolo mi ama» le dico, la fronte aggrottata nel
tentativo di capire perché insiste tanto su questo punto.
Fino ad oggi ha sempre fatto il contrario. Non ha mai
voluto che raccontassi di lei a nessuno, tantomeno alle
ragazze con cui ho scopato.
«Non è un miracolo, Christian» mi dice tornando a
sorridermi affettuosa. «Abbi un po’ di fiducia in te stesso.
Sei un buon partito. Te l’ho detto e ripetuto. E anche lei
mi sembra adorabile, forte, capace di tenerti testa»
Ripenso alla sua furia di oggi, al mio piccolo tornado
dai capelli scuri. Alla sua lussuria sfrenata quando si
lascia andare con me. Solo con me. Alla sua bocca, le sue
mani su di me. Alla sua intelligenza, la sua testolina che
elabora una domanda al secondo. Al suo tormentarmi e a
quanto io lo adori.
«Io la amo» sussurro.
«Non ti manca?» chiede Elena.
Mi riscuoto dai miei pensieri, guardandola con
espressione interrogativa.
«Cosa?» domando.
«La tua stanza dei giochi» mi dice calma, scrutando la
mia espressione.
I miei occhi si fanno sottili e la scruto a fondo prima di
rispondere.
«Questi non sono davvero affari tuoi» sibilo gelido.
«Mi dispiace» dice lei con una espressione dispiaciuta.
Ma si vede da lontano che non le dispiace affatto. Voleva
solo tormentarmi. É lei che non capisce quello che
abbiamo io e Ana.
«Penso che sia meglio che tu vada. E, per favore, la
prossima volta chiama prima di venire qui» le dico,
alzandomi in piedi.
Ora più che mai non vedo l’ora di raggiungere Ana in
camera.
«Christian, mi dispiace» mi ripete, stavolta senza
arroganza. Si alza, recuperando il biglietto e infilandolo in
borsa. «Da quando sei così sensibile?» mi dice con un
tono di rimprovero.
Un tono che conosco. É quello che usava anche quando
mi legava alla testiera del suo letto. “Sei debole, Christian.
Cerca di controllarti. Sii il signore del tuo universo. Tu,
solo tu”. Quel pensiero mi fa venire i brividi. Sembra tutto
così lontano da ora. Forse lo è, forse non troppo. Ma le
cose mi vanno fottutamente bene così come sono ora.
«Elena, tu e io abbiamo un rapporto d’affari che ha
portato a entrambi enorme profitto. Lasciamo le cose
come stanno. Quello che c’è stato tra noi appartiene al
passato. Anastasia è il mio futuro, e non voglio
compromettere la nostra relazione in nessun modo,
perciò basta con queste stronzate» le dico e il mio tono
non ammette repliche.
«Capisco» si limita a dire, guardando a terra.
«Senti, mi dispiace per il tuo problema. Forse dovresti
affrontare la cosa e smascherare il loro gioco» le dico, con
tono più conciliante.
«Non voglio perderti, Christian» mi dice, poggiando la
mano sul mio avambraccio.
Fisso la sua mano, irrigidendomi all’istante. Poi la
guardo.
«Non sono tuo, perciò non puoi perdermi, Elena»
ribatto deciso.
«Non è quello che intendevo» mi dice, stringendo la
presa e guardandomi implorante.
«E cosa intendevi?» le dico bruscamente, avviandomi
verso il corridoio.
Lei è costretta a seguirmi.
«Senti, non voglio discutere con te. La tua amicizia
significa moltissimo per me. Starò lontana da Anastasia.
Ma sono qui, se hai bisogno di me. Ci sarò sempre» mi
dice seguendomi.
Faccio un sorriso sghembo, quasi di scherno.
«Anastasia pensa che tu mi abbia incontrato sabato
scorso. Mi hai chiamato, tutto qui. Perché le hai detto una
cosa diversa?» la accuso, girandomi di colpo, tanto che è
costretta a fermarsi per non sbattermi contro.
«Volevo che sapesse quanto ti ha ferito quando se n’è
andata. Non voglio che ti faccia del male» ribatte,
inspirando forte.
«Lo sa. Gliel’ho detto io. Smettila di interferire.
Davvero,
ti
stai
comportando
come
una
madre iperprotettiva» le dico rassegnato, girandomi
esasperato e proseguendo verso il corridoio.
La sento ridere. E il suono mi sembra nuovamente
strano. Amaro quasi.
«Lo so. Mi dispiace. Sai che tengo a te. Non avrei mai
pensato che ti saresti innamorato, Christian. È molto
gratificante vederlo. Ma non potrei tollerare che lei ti
facesse del male» continua sulla sua linea.
«Correrò il rischio» ribatto secco, chiudendo il
discorso. «Ora, sei sicura di non volere che Welch faccia
qualche indagine?» le chiedo.
Sospira a fondo.
«Immagino che non sarebbe
acconsente rassegnata.
una
cattiva
idea»
«Okay. Lo chiamo domattina»
«Grazie, Christian. E mi dispiace. Non volevo essere
invadente. Vado. La prossima volta chiamerò»
«Bene»
Taylor compare sulla soglia e lo lascio accompagnare
Elena all’ascensore. Io mi dirigo nella nostra camera, da
Anastasia. Pensavo di trovarla già sotto le lenzuola, invece
è ancora vestita di tutto punto, seduta sul bordo del letto,
con le mani in grembo e un’espressione pensierosa.
«Se n’è andata» le dico, dandole un’occhiata per
indagare sulla sua reazione.
Alza gli occhi su di me, puntando il suo azzurro nel mio
grigio.
«Mi dirai tutto? Sto cercando di capire perché pensi
che lei ti abbia aiutato» mi dice, pacatamente. «Io la
detesto, Christian. Penso che ti abbia causato danni
incalcolabili. Tu non hai amici. Li ha tenuti lei lontano da
te?» chiede in un sussurro.
Sospiro esasperato. Non può continuare così. É come
se la mia vita si fosse divisa in due pezzi che continuano a
cozzare l’uno contro l’altro, senza riuscire a riunirsi. Mi
passo velocemente una mano nei capelli.
«Perché cazzo vuoi sapere di lei? Abbiamo avuto una
relazione molto lunga, spesso mi faceva uscire di testa, e
l’ho scopata in modi che non riusciresti nemmeno a
immaginarti. Fine della storia» urlo.
Mi rendo conto dei miei modi bruschi solo quando la
vedo sbiancare e tremare leggermente.
«Perché sei così infuriato?» sussurra, stringendosi le
dita in grembo.
«Perché tutta questa merda è finita!»
ammettendolo per la prima volta ad alta voce.
grido,
La guardo rancoroso, non verso di lei, ma verso me
stesso. Non riesco a non amarla senza rendermi conto che
sto rinnegando il mio passato. La vita che ho vissuto fino
ad oggi è nulla, cenere che vola via col vento. La stessa
vita che ho faticato tanto a costruire. E ora non esiste
nient’altro che lei. E io ne sono felice. Ma come può
pensare che non sia un minimo destabilizzante per me?
Sospiro a fondo, scuotendo la testa. ‘Non lo pensa perché
tu non glielo dici, Grey’. Guardo il suo volto pallido e lei
abbassa lo sguardo sulle sue dita. Mi siedo accanto a lei,
cercando di guardarla negli occhi, ma lei non alza lo
sguardo.
«Che cosa vuoi sapere?» le chiedo rassegnato.
«Non devi dirmelo per forza.
essere invadente» mormora, ferita.
Non
voglio
Stringo forte gli occhi. Mi ero ripromesso di non ferirla
mai più. Perché cristo deve essere così fottutamente
difficile?
«Anastasia, non si tratta di questo. Non mi
piace parlare di questa merda. Ho vissuto in una bolla per
anni, senza che niente mi toccasse e senza dovermi
giustificare con nessuno. Lei è sempre stata qui, come
mia confidente. E ora il mio passato e il mio futuro sono
in collisione, in un modo che non avrei mai pensato
possibile». Alza lo sguardo su di me, gli occhi spalancati
come i miei. «Non avrei mai pensato di avere un futuro
con nessuno, Anastasia. Tu mi hai dato la speranza e mi
hai fatto pensare a tutte le possibilità che ho» le confesso.
I suoi occhi ora sono colpevoli. Li abbassa di nuovo sul
suo grembo.
«Ho ascoltato» sussurra.
«Che cosa? La nostra conversazione?» le chiedo,
rassegnato.
«Sì» ammette
«E allora?» le chiedo, senza rimprovero nel tono di
voce. Probabilmente l’avrei fatto anch’io al suo posto.
«Lei ci tiene a te» constata.
«Sì, ci tiene. E io, a modo mio, ci tengo a lei. Ma non si
avvicina neanche un po’ a quello che sento per te, se è di
questo che stiamo parlando» le dico guardandola,
poggiando una mano sulle sue.
«Non sono gelosa» ribatte, alzando lo sguardo. «Tu
non la ami» mormora, fissandomi.
“Come cazzo puoi solo pensarlo, Anastasia?”. Sospiro
pesantemente.
«Molto tempo fa pensavo di amarla» le dico a denti
stretti, trattenendo a stento la voglia di urlare che amore
per me è sinonimo di Anastasia, che sono solo suo e non
sono mai appartenuto a nessun’altra.
«Quando eravamo in Georgia... hai detto che non
l’amavi»
Quasi mi viene da ridere. Ricorda tutto la mia
adorabile bambina testarda.
«È vero... Amavo te allora, Anastasia» le sussurro,
senza riuscire a smettere di guardarla. «Sei l’unica
persona per vedere la quale mi sono fatto un viaggio di
cinquemila chilometri»
Sul viso le si dipinge un’espressione confusa.
«I sentimenti che nutro per te sono molto diversi da
qualsiasi cosa io possa aver mai provato per Elena» le
spiego.
«Quando l’hai scoperto?» mi chiede titubante.
Mi stringo nelle spalle, sorridendo piano.
«Per ironia della sorte, è stata Elena a farmelo notare.
Mi ha incoraggiato a venire in Georgia»
La sua espressione è impenetrabile e questo non mi a
sentire a mio agio. Scuote piano la testa, come se si stesse
scrollando di dosso un pensiero spiacevole.
«Perciò la desideravi? Quando eri più giovane»
La sua è a metà tra una domanda e un’affermazione.
«Sì» ammetto. «Ho imparato tantissimo da lei. Mi ha
insegnato a credere in me stesso»
«Ma ti ha anche picchiato selvaggiamente»
Sorrido piano.
«Sì, lo ha fatto» confesso anche quello.
«E a te piaceva?» chiede esitando per un attimo.
«All’epoca sì» confermo.
«Così tanto da farti desiderare di farlo ad altri?»
chiede, andando come sempre maledettamente dritta la
punto.
I miei occhi si allargano, e la guardo serio. Ricordo le
frustate, ricordo i bastoni, ricordo Elena che mi seviziava.
E ricordo il piacere che ne conseguiva. Non ho mai
provato altro. Era l’unico modo che conoscevo. Prima di
Ana.
«Sì» mormoro.
«E ti ha aiutato a farlo?»
«Sì»
«Si è sottomessa a te?» chiede, alzando piano le
sopracciglia, con aria incredula.
«Sì»
«E ti aspetti che lei mi piaccia?» chiede amaramente.
Ok, è arrivato il momento di smetterla con i fottuti
monosillabi.
«No» ammetto. «Anche se renderebbe la mia vita
dannatamente più
semplice»
le
dico
esausto.
«Comprendo la tua reticenza» aggiungo dopo aver
osservato la sua espressione triste.
«Reticenza! Accidenti, Christian, se si fosse trattato di
tuo figlio, come ti sentiresti?» urla.
La domanda mi coglie di sorpresa. Sbatto le palpebre,
guardandola, senza capire. Mio... mio figlio? Ripenso a
mia madre. Mia madre non ha fatto nulla per
proteggermi. Probabilmente neppure io farei nulla. Sono
figlio suo in fin dei conti. Stesso sangue, stessi geni. Sono
un bastardo figlio di puttana. Mi rabbuio.
«Non ero costretto a stare con lei. È stata una mia
scelta, Anastasia» mormoro scontroso.
«Chi è Linc?» chiede cambiando rotta.
«Il suo ex marito» rispondo scrutandola.
«Lincoln, il magnate del legno?»
«Lui» le dico e mi scappa un ghigno.
«E Isaac?» mi fissa.
«Il suo attuale Sottomesso»
La sua espressione è scioccata.
«Ha più di venticinque anni, Anastasia... È adulto e
consenziente» aggiungo in fretta, perché so quello che sta
pensando.
«La tua età» mormora, senza abbandonare la sua
espressione sconvolta.
“Cristo santo!”
«Guarda, Anastasia, come ho detto anche a lei, Elena
fa parte del mio passato. Tu sei il mio futuro. Non lasciare
che lei si metta tra noi. E poi, francamente,
quest’argomento mi sta stancando. Vado a lavorare un
po’» sbotto, alzandomi dal letto.
I suoi occhi mi seguono, ma lei resta immobile.
«Lascia perdere, per favore» le dico scuotendo piano la
testa.
Le si acciglia, fissandomi testarda. Faccio per
andarmene, poi mi viene in mente la sua auto nuova.
Probabilmente si addolcirà.
«Oh, quasi mi dimenticavo» mi volto di nuovo verso di
lei «La tua macchina è arrivata con un giorno di anticipo.
È nel garage. Taylor ha la chiave»
«Posso guidarla domani?» chiede prontamente.
«No» le rispondo, guardandola severamente.
Sa che deve andare al lavoro accompagnata. Niente
infrazioni alle regole stavolta.
«Perché no?» chiede scontrosa.
«Lo sai perché no. E questo mi ricorda una cosa: se
devi uscire dal tuo ufficio, fammelo sapere. Sawyer era là,
a controllarti. Sembra proprio che io non possa fidarmi di
te» le dico, rimproverandola quasi come una bambina.
«Sembra che nemmeno io possa fidarmi di te»
mormora ferita. «Avresti potuto dirmi che Sawyer
mi teneva d’occhio» mi accusa poi.
«Vuoi litigare anche su questo?» ribatto esasperato.
«Non sapevo che stessimo litigando. Pensavo che
stessimo comunicando» borbotta provocatoria.
Stringo forte gli occhi, cercando di recuperare il mio
equilibrio. “Dio, possiamo tornare in ascensore, per
favore?”. Sospiro, tornando a guardarla.
«Devo lavorare» le dico con rinnovata calma.
Esco dalla stanza senza guardarmi indietro e quasi
corro nel mio studio. Chiudo la porta alle mie spalle e mi
ci appoggio, espirando lentamente. Poi mi lascio cadere a
terra, piano, scivolando con la schiena contro la porta.
Non so quanto tempo ci resto in questa posizione. So solo
che nella testa ho una confusione assurda. Mille pensieri
e un unico punto fisso che mi consente di andare avanti.
Il mio amore per lei. Solo che non so come affrontarlo.
Quando riesco a rialzarmi dal pavimento del mio
studio mi sembra passata un’eternità. Sento già la
mancanza di Anastasia. Vorrei non avessimo litigato. Ma
invece lo abbiamo fatto. Per la sua gelosia, per le sue
fissazioni. Anche se non posso dire di essere senza colpa.
Lo so che dovrei essere sincero con lei, dirle tutto.
Davvero tutto. Ma la paura mi attanagli lo stomaco. Non
voglio che se ne vada. Non voglio doverla perdere di
nuovo, trovarmi a fare chilometri e chilometri di corsa
solo per passare davanti casa sua e guardare inerme le
luci accese. Non voglio essere costretto a non vederla. Ed
è proprio questo che succederebbe se le riversassi
addosso i miei reali problemi, la mia storia, il mio io più
crudele e profondo. Anastasia è buona, gentile, non
farebbe mai del male a nessuno. Mentre io per anni ho
goduto nell’essere crudele con giovani donne come lei.
Per pura e semplice vendetta contro la donna che mi ha
messo al mondo. E il fatto che fossero consenzienti, che lo
volessero, che mi supplicassero per ricevere quel
trattamento non vale nulla. Sceglievo sottomesse
convinte per sentirmi meno in colpa. Non dovevo
giustificarmi con loro per le mie inclinazioni da bastardo
pervertito. Ero il loro dominatore. Tornavo a casa tutte le
sere come un imprenditore modello, mentre nei weekend
davo libero sfogo alle mie perversioni. Il solo ricordare
com’ero, come ero solito comportarmi mi fa scorrere un
brivido lungo la spina dorsale. Non potrei mai
immaginare di essere così crudele con Anastasia. La amo.
Neppure all’inizio, quando ci siamo conosciuti, ho mai
pensato di comportarmi con lei come mi ero comportato
con tutte le altre. Ma lo capirebbe? Sarebbe pronta ad
accordarmi questo tipo di fiducia? Forse no. Forse mi
vedrebbe per quello che sono in realtà. Un mostro senza
cuore. Eppure, per lei, ho trovato la forza di cercare il mio
cuore. E finalmente sono riuscito a tirarlo fuori da questo
petto martoriato. Faccio un profondo sospiro e apro la
porta alle mie spalle. Devo trovarla. Trovarla e fare pace
con lei. Dirle quanto è importante per me.
Quando entro nella nostra camera una sensazione di
gelo mi avvolge. Lei non c’è. Il mio cuore inizia a battere
forte, mentre entro in bagno e poi ne esco per perlustrare
la cabina armadio. Il mio respiro si fa affannoso mentre
salgo i gradini due per volte e vado nella camera che una
volta era sua. Niente, non è neppure qui. Passo in
rassegna tutte le stanze, mentre la morsa al cuore si fa più
forte, più dolorosa. Deglutisco e apro anche la stanza
rossa. Ma non è neppure qui. Scendo di nuovo di sotto,
aprendo tutte le porte al mio passaggio. E finalmente,
quando penso che il cuore possa scoppiarmi nel petto, la
trovo. É in biblioteca, addormentata sulla poltrona sulla
quale si è rannicchiata. In grembo ha un vecchio libro.
Quasi credo che possa scoppiare a piangere da un
momento all’altro per la gioia di averla qui. Di averla
ancora qui. É serena nel sonno, avvolta in una bellissima
vestaglia di raso sottile, rosa pallido. Resto a guardarla
per un po’, sentendo ad ogni secondo che passa il mio
amore per lei crescere e farsi immenso. Stringo forte gli
occhi, lasciandomi invadere dal sollievo quando
finalmente la cortina di nebbia che avvolge il mio cervello
si lascia penetrare dalla consapevolezza che lei è reale,
non è fuggita e non è frutto della mia immaginazione.
Piano, evitando di farla svegliare, la prendo tra le braccia,
stringendomela al petto e la conduco fuori dalla stanza e
nella nostra camera. Ma il movimento la fa sussultare e
svegliare. Mi guarda nel dormiveglia, assonnata.
«Ehi» le mormoro dolcemente «ti sei addormentata.
Non riuscivo a trovarti»
Strofino la punta del naso nei suoi capelli, inspirando a
fondo il suo dolce profumo. Lei mi fa un sorriso
stiracchiato, avvolgendomi le braccia attorno al collo e
adagiandosi sul mio petto.
La porto in camera e la distendo sul letto, coprendola
con la trapunta leggera.
«Dormi,
piccola»
le
delicatamente le labbra rosee.
sussurro,
baciandole
Si addormenta all’istante, aggiustandosi sulle lenzuola
candide proprio come la sua pelle. Resto in ginocchio
accanto a lei, a guardarla e ad accarezzarle i capelli. Alla
fine, stremato, mi alzo per andare in bagno ed
infilarmi una maglietta più comoda. É tardissimo, ma
non ho voglia di dormire. Esco dalla camera, lasciando la
mia ragazza dormire, e vado in salone. Quasi senza
volerlo mi ritrovo seduto al pianoforte. Ma questa volta
abbasso il coperchio, per non disturbarla. L’ultima volta
che l’ho svegliata con le mie note malinconiche lei è
andata via. Il ricordo è così doloroso. Mi chiedo per
quanto tempo riuscirò ad andare avanti prima che la
paura di perderla mi consumi. Forse non per molto. Forse
alla fine mi toccherà morire pur di vederla felice. Prendo
a suonare una melodia triste, che riflette il mio stato
d’animo. Dopo il litigio di questa sera, non abbiamo
parlato, non abbiamo deciso che è di nuovo tutto a posto.
Mi sento frustrato, inappagato. Ho bisogno di appianare
le cose, a modo mio. Ho bisogno di ridefinire la situazione
secondo i miei confini e i miei limiti. L’attesa di un
chiarimento che oramai avverrà tra qualche ora soltanto
mi fa sentire più solo. Ma poi, come se fosse in
connessione diretta con il mio cuore, la vedo apparire
sulla soglia. All’inizio credo che si una apparizione, un
sogno, una visione celestiale mandatami da Dio per farmi
sapere qual è la cosa più preziosa che potrò mai avere in
tutta la mia vita. É avvolta nel morbido raso rosa pallido,
bella ed eterea. Poi si muove, avvicinandosi. Non distolgo
i miei occhi dai suoi mentre si avvicina a me, leggera
come una piuma. Le mie dita danzano sui tasti del
pianoforte componendo una melodia che conosco a
memoria e che ci avvolge completamente. Mi fermo solo
quando mi raggiunge, venendomi di lato.
«Perché hai smesso? Era splendida» mi sussurra,
guardandomi con gli occhi splendenti alla luce fioca della
luna.
«Hai idea di quanto sei desiderabile in
questo momento?» mormoro, senza abbandonare il suo
corpo con i miei occhi nemmeno per un solo istante.
«Vieni a letto» mi dice, tendendomi la mano.
“Non abbiamo tempo per il letto, Ana. Sei mia e ti
voglio ora”. Le prendo la mano che mi tende e la tirò
all’improvviso, facendola cadere sulle mie ginocchia.
Stringo quel tenero corpo e la sento tremare contro di me.
«Perché litighiamo?» le mormoro, mordicchiando
dolcemente il lobo del suo orecchio delicato.
Sento il suo cuore battere forte e il calore del suo corpo
aumentare.
«Perché ci stiamo conoscendo, e tu sei testardo,
irascibile, lunatico e difficile» mormora a corto di fiato,
inclinando la testa di lato e permettendo alle mia labbra
di esplorare la pelle morbida del suo collo.
La sfioro con il naso, sorridendo contro la sua carne.
«Io sono tutte queste cose, Miss Steele. C’è da chiedersi
come tu riesca a sopportarmi» le dico, pizzicandole il lobo
con i denti. «È sempre così?» sospiro piano.
«Non ne ho idea» risponde con un filo di voce,
abbandonata alle mie carezze.
«Nemmeno io» le dico, tirando la cintura della sua
vestaglia, che si apre e mi permette di accarezzarla con
uno strato in meno di stoffa a separarci.
La mia mano scende languidamente sul suo corpo, sul
seno, percependo i suoi capezzoli immediatamente
turgidi e pronti. Proseguo lentamente, carezzandole piano
la vita i fianchi. Alla luce candida della luna la stoffa che
le ricopre il corpo è così sottile da essere quasi
trasparente.
«Sei così bella sotto questo tessuto, e riesco a vedere
tutto, anche questo» mormoro, pizzicandole piano il
sesso attraverso la stoffa, sentendola rabbrividire, scossa
dal piacere. L’altra mano la tiene ferma, stringendole i
capelli alla base della nuca e tirandola contro di me. La
guardo per un secondo prima di affondare la lingua nella
sua bocca già schiusa e in attesa. Il mio bacio è profondo,
possessivo, bisognoso. E lei mi risponde allo stesso
identico modo. Geme piano, accarezzandomi il volto con
una mano. La mia continua il suo percorso, sollevandole
delicatamente la camicia da notte, fino a quando, dopo
quella che sembra un’eternità, non riesco a scoprirle il
sedere nudo e accarezzarle l’interno delle cosce con il
pollice. Il mio cazzo freme e si agita sotto di lei. Mi alzo
all’improvviso, sollevandola sul pianoforte e adagiandola
sul coperchio. I suoi piedi poggiano sui tasti, producendo
suoni a casaccio. Non ci bado, mentre le faccio scorrere le
mani sulle gambe e le spalanco le ginocchia. Le afferro le
mani, per farla distendere.
«Sdraiati» le ordino, sorreggendola mentre si distende
all’indietro.
La lascio andare e le apro ancora di più le gambe,
beandomi della vista del suo sesso voglioso già luccicante
di umido godimento. I suoi piedi si muovono sui tasti e le
note disarmoniche sono un intervallo rumoroso tra i
nostri respiri affannati ma silenziosi. Mi chino,
baciandole l’interno delle ginocchia, mentre Ana geme di
puro piacere. Il raso morbido della sua camicia da notte
scivola ancora, arricciandosi sul ventre. Con la coda
dell’occhio la vedo serrare l’azzurro del suo sguardo
mentre la mia bocca raggiunge il suo punto più dolce. Le
deposito un bacio dolce, poi soffio delicatamente. Tiro
fuori la lingua, accarezzandole deciso il clitoride in
trepidante attesa delle mie attenzioni. La muovo in
cerchio, mentre il mio uccello freme, voglioso di infilarsi
in quella fessura stretta e umida. Le spalanco di più le
gambe, desideroso di affondare in lei e godermi il suo
sapore fino in fondo. Le mie mani la tengono ferma
appena sopra le ginocchia, mentre la mia lingua affonda
ripetutamente sulla sua soffice e morbida carne,
raccogliendo il suo sapore Anastasia solleva i fianchi,
inarcandosi per chiedere di più tra i gemiti incessanti. Io,
dal canto mio, sto per venirmi nei pantaloni. Ma continuo
implacabile. É la mia punizione per lei, per avermi fatto
uscire fuori di testa qualche ora fa. Le sto rendendo pan
per focaccia.
«Oh, Christian, per favore» geme, in attesa di un
rilascio che non le concederò facilmente.
«Oh, no, piccola, non ancora» la provoco
maliziosamente, mentre percepisco la sua eccitazione che
cresce.
«No» piagnucola, girando la testa da un lato e
dall’altro.
«Questa è la mia vendetta, Ana» ringhio dolcemente
contro la sua carne tremula. «Discuti con me e io me la
prenderò con il tuo corpo, in qualche modo»
Lascio perdere la mia tortura per dedicarmi al resto del
suo corpo. Le bacio la pancia, mentre le mie mani
accarezzano il suo corpo, premendo sulla sua pelle e
stuzzicandola. La muovo in cerchio contro il mio
ombelico, mentre i miei pollici raggiungono l’apice tra le
sue gambe.
«Ah!» urla, mentre le spingo un dito dentro e l’altro
continua a tormentarle il clitoride, lentamente, ad un
ritmo costante, spossante, ma che non le permetterà di
venire.
Si inarca, geme, si contorce. Sento i miei boxer che si
bagnano del mio stesso seme. “Cristo! É più difficile per
me che per lei”. Sentirla implorare mi manda fuori di
testa.
«Christian!» grida, agitandosi senza controllo.
Mi impietosisco, fermandomi un attimo. Mi sfilo
velocemente la maglietta, sollevandole poi i piedi e
facendola scivolare sul pianoforte. A tempo di record mi
tolgo anche i pantaloni, recuperando dalla tasca un
preservativo e infilandolo velocemente mentre la seguo e
la ricopro con il mio corpo. Anastasia ansima, fissandomi
esasperata e vogliosa. Quello sguardo, quegli occhi, la sua
bellezza mi stringe il cuore in una morsa a metà tra il
piacere e il dolore.
«Ti desidero così tanto» le dico, sincero, mentre
lentamente affondo dentro di lei.
Mi prendo il mio tempo, la amo, la venero, spingo
incessantemente dentro di lei. I miei fianchi, i miei glutei
si flettono al ritmo incessante che decido di proposito di
sostenere. Sono implacabile, impietoso nei miei affondi,
ma non smetto un secondo di amarla e venerarla. Mi
fermo un attimo, facendole allacciare le braccia attorno al
mio collo. Poggio gli avambracci sul ripiano freddo del
piano e porto le dita tra i suoi capelli, stringendole il viso
tra le mani. Poi riprendo ad affondare dentro di lei, senza
abbandonare mai i suoi occhi, neppure quando insieme
veniamo sopraffatti dal piacere.
Crollo esausto su di lei, rotolando sulla schiena e
portandola con me. La stringo tra le braccia, e la osservo
con un sorriso soddisfatto mentre mi guarda, tutta
scarmigliata. Cautamente appoggia la guancia sul mio
torace, rimanendo immobile. I nostri respiri sono
coordinati e si placano insieme. Dolcemente le accarezzo i
capelli con la mano.
«Bevi tè o caffè alla sera?» mi chiede ad un tratto,
trattenendo uno sbadiglio.
«Che strana domanda» le dico, aggrottando la fronte.
«Ho pensato che potevo portarti una tazza di tè, nello
studio, e mi sono resa conto che non sapevo se l’avresti
gradito» spiega la sua uscita.
«Oh, capisco. Acqua o vino alla sera, Ana. Anche se
potrei provare il tè» rispondo con un mezzo sorriso,
continuando ad accarezzare il suo corpo.
La mia mano è ora sulla sua schiena, tenera e delicata
come se lei fosse di cristallo.
«Sappiamo davvero poco l’una dell’altro» mormora,
con un accenno di tristezza nella voce.
«Lo so» le rispondo consapevole.
“Tu non sai niente di me, Ana. Non sai tutto l’abisso
della depravazione che mi porto dietro. Non conosci i
cumuli di merda che mi si sono riversati addosso in tutti
questi anni”. Stringo gli occhi con dolore. Con riluttanza
la lascio andare quando si stacca da me, alzandosi e
mettendosi a sedere.
«Che cosa c’è?» mi chiede.
Scuoto la testa, come per liberarmi dai miei pensieri,
anche se so che non è possibile. Allungo una mano e le
accarezzo una guancia, guardandola ardentemente.
«Ti amo, Ana Steele» le dico, sincero come non lo sono
mai stato in vita mia. “Sei la luce della mia vita fatta di
buio e ombre”. Sollevandomi, la bacio a fondo, prima di
farla scendere con me e portarla a letto.
Sento un movimento accanto a me, poi le dita di Ana
che scorrono tra i miei capelli, apro gli occhi di scatto,
sorridendole piano.
«Buongiorno» le dico, con la voce impastata dal sonno.
«Buongiorno a te» mi dice, sorridendomi di rimando.
La bacio, rendendomi conto di essere totalmente
avvinghiato a lei, e la lascio finalmente libera, anche se
controvoglia. La guardo attentamente.
«Dormito bene?» le chiedo premuroso.
«Sì, nonostante l’interruzione del mio sonno stanotte»
Il mio sorriso diventa ampio, da bastardello arrogante
quale sono.
«Mmh... Tu puoi interrompermi in quel modo ogni
volta che vuoi» le dico, mentre mi chino a baciarla di
nuovo.
«E tu? Hai dormito bene?» mi chiede lei.
«Dormo sempre bene con te, Anastasia» le dico, con
un sospiro soddisfatto.
«Niente più incubi?»
«No» le dico, incupendomi ma cercando di non darlo a
vedere.
Anastasia aggrotta la fronte e so che il suo cervello si è
già messo in moto.
«Che tipo di incubi sono?» spara.
Questa volta non riesco a trattenere il mio cipiglio
contrariato. Eppure non mi sottraggo alla sua domanda.
«Si tratta di flashback della mia prima infanzia, o così
dice il dottor Flynn. Alcuni sono vividi, altri meno».
La mia voce si smorza leggermente al ricordo di
quell’orrore che purtroppo ero costretto a rivivere tutte le
fottute notti prima di incontrarla. Le mie dita, d’istinto,
scorrono sulla sua pelle, sfiorandole la clavicola.
«Ti svegli piangendo e urlando?» mi dice con un
timido sorrido, cercando di smorzare la tensione.
Le sue parole mi sconcertano.
«No, Anastasia. Non ho mai pianto. Per quanto mi
ricordi» le dico, aggrottando la fronte.
Neppure da bambino ricordo il pianto. Le botte, le
percosse, le bruciature mi hanno fatto crescere in fretta.
Ricordo le urla, gli spasimi dovuto al dolore. Oh, cazzo se
ricordo il dolore. Quello lo ricordo tutto, fino all’ultima
cinghiata. Ma non ho memoria di me stesso con il volto
rigato di lacrime. Lo shock, il terrore, la paura erano più
forti dell’acqua salata che avrebbe dovuto sgorgarmi dagli
occhi. L’odore della pelle bruciata era qualcosa di
nauseabondo, faceva un male cane. Ma non ricordo
lacrime.
«Hai qualche ricordo felice della tua infanzia?»
La sua voce penetra la mia oscurità, riportandomi
indietro. La fisso pensieroso per un attimo, cercando di
ricordare qualcosa di bello.
«Ricordo la puttana drogata che faceva una torta.
Ricordo il profumo. Una torta di compleanno, penso. Per
me. E poi l’arrivo di Mia, con mia madre e mio padre. Mia
madre era preoccupata per la mia reazione, ma io ho
adorato la piccola Mia fin dal primo istante. La mia prima
parola è stata “Mia”. E ricordo la prima lezione di
pianoforte. Miss Katie, la mia insegnante, era fantastica.
Allevava anche cavalli»
Le sorrido, con un pizzico di nostalgia.
«Hai detto che tua madre ti ha salvato. In che modo?»
La sua domanda mi lascia basito.
«Mi ha adottato» le rispondo semplicemente,
stringendomi nelle spalle. “Chissà cosa ne sarebbe stato
di me, altrimenti”. «La prima volta che l’ho incontrata, ho
pensato che fosse un angelo. Era vestita di bianco ed era
così gentile e calma, mentre mi visitava. Non lo
dimenticherò mai. Se lei avesse detto no, o se
Carrick avesse detto no...» Scrollo le spalle, lanciando
un’occhiata alla sveglia dietro di lei. Non ho voglia di
parlare di questo ora. «Questo è un discorso un po’
troppo profondo per la mattina presto» mormoro.
«Ho giurato a me stessa di
conoscerti meglio» mi dice lei, risoluta.
arrivare
a
«Davvero, Miss Steele? Pensavo che volessi sapere se
preferisco il tè o il caffè» le sorrido maliziosamente,
mentre prendo coscienza del suo corpo quasi nudo contro
il mio. «Comunque, credo che ci sia un modo per far sì
che tu mi conosca meglio»
La provoco, spingendo i fianchi in modo inequivocabile
contro di lei.
«Credo di conoscerti già abbastanza bene
sotto quell’aspetto» mi dice in un rimprovero
scherzosamente arrogante.
Il mio sorriso si allarga alla sua impertinenza.
«Non penso che ti conoscerò mai abbastanza bene
sotto quell’aspetto» le sussurro contro le labbra morbide.
«Ci sono indubbi vantaggi nello svegliarsi accanto a te» le
dico, strusciando la mia poderosa erezione mattutina
contro l’interno delle sue cosce.
«Non devi alzarti?» mi chiede, la sua voce eccitata e
calda mi investe e si scioglie su di me come miele fuso.
«Non stamattina. C’è solo un posto dove voglio stare in
questo momento, Miss Steele» le dico, fissandola con
ardore, iniziando a strusciare le dita su uno dei suoi
capezzoli.
«Christian!»
Sussulta per il mio attacco. In un baleno sono sopra di
lei, a dominarla dall’alto per la seconda volta in poche
ore. Uso il mio corpo per premerla sul letto. Afferrandole
le mani gliele tiro sopra la testa, prendendo a baciarle la
gola morbida.
«Oh, Miss Steele» gemo piano, sorridendo contro la
sua pelle, mentre con la mano libera percorro il suo
corpo, sollevandole la camicia da notte.
«Oh, quello che mi piacerebbe farti» mormoro.
Senza perdere altro tempo mi allungo a prendere un
preservativo. Glielo passo ed è lei ad aprirlo, senza
restituirmelo. Capisco al volo le sue intenzioni e mi
rimetto sulla schiena, portandola con me. Si mette a
cavalcioni su di me e scivola sulle mie gambe. Sento le sue
labbra depositare un morbido bacio sulla punta del mio
pene, rosso e gonfio per l’eccitazione. Lo prende piano in
bocca, succhiando piano. La sua lingua percorre
dolcemente le vene in rilievo del mio sesso che ora pulsa
violentemente. Poi mi infila il preservativo. Non resisto
oltre e mi metto seduto, sollevandola e abbassandola
lentamente sul mio cazzo. Affondo piano in lei, in
profondità. Piano prendiamo il nostro ritmo, mentre le
mie labbra si chiudono attorno ai suoi seni, a turno,
mordendo, leccando, tirando con i denti i capezzoli
turgidi. Le mani di Anastasia scivolano nei miei capelli
mentre mi tiene la bocca ferma sulle sue tette che si
muovono al ritmo delle mie spinte. Le sensazioni sono
indescrivibili. Credo per entrambi, dal momento che il
nostro orgasmo arriva veloce, inaspettato e ci travolge
come un fiume in piena.
«Quando incontrerò Claude, il tuo personal trainer,
così vediamo cosa sa fare?»
La voce di Anastasia interrompe il silenzio pacifico nel
quale stiamo consumando le nostre rispettive colazioni
preparateci da Mrs Jones. Alzo lo sguardo su di lei,
mentre il suo profumo mi rievoca il sesso appena
consumato e la doccia fatta insieme. Le faccio un
sorrisetto sghembo. So perché vuole incontrare Claude.
Vuole tenere il passo con la mia fame di sesso sfrenato. E
di lei.
«Dipende se vuoi andare a New York questo fine
settimana oppure no... A meno che tu non voglia
incontrarlo una delle prossime mattine. Chiederò ad
Andrea di controllare i suoi impegni e fartelo sapere» le
dico.
«Andrea?» chiede, aggrottando deliziosamente la
fronte.
«La mia assistente personale» le spiego.
Il suo viso si distende, malizioso.
«Una delle tue tante bionde» scherza.
«Lei non è mia. Lavora per me. Tu sei mia» ribatto
serio.
«Io lavoro per te» borbotta acida.
Mi scappa un sorriso, nonostante mi impegni a fondo
per trattenerlo.
«È vero» le dico, mentre il sorriso si allarga sempre di
più.
Anche Ana sorride alla fine, rassegnata.
«Forse Claude può insegnarmi il kick boxing» mi dice,
lanciandomi un’occhiata arrogante, mentre finisce la
colazione.
«Ah, sì? Per aumentare le tue possibilità contro di
me?» ribatto, alzando un sopracciglio e scrutandola dalla
testa ai piedi. “Dio, me la farei di nuovo, ora, anche
davanti a Mrs Jones”. «Continua a provocare, Miss
Steele» le dico leccandomi il labbro inferiore, mentre lei
arrossisce e chiude le cosce l’una contro l’altra.
I suoi occhi vagano lontani dai miei, per l’imbarazzo, e
vanno a poggiarsi sul pianoforte dietro di noi. Lo scruta,
perdendosi per qualche attimo nelle sue fantasie. So a
cosa pensa. So che ci sta immaginando lì sopra, nudi. So
che sta rivedendo il mio viso mentre le affondo dentro,
ripetutamente, facendola gemere e urlare di piacere. Il
pensiero mi manda in estasi.
«Hai alzato di nuovo il coperchio»
lentamente, tornando a guardarmi.
sussurra
«Stanotte l’avevo chiuso per non disturbarti. Non ha
funzionato, evidentemente, ma ne sono contento» le dico
con aria provocante, mentre addento un pezzetto della
mia omelette.
Ana arrossisce violentemente, sorridendo debolmente
e facendomelo diventare duro all’istante. Ad
interrompere il nostro idillio pericoloso ci pensa Gail,
che, ignara dei nostri piccoli pensieri perversi, piazza
davanti ad Anastasia un sacchetto con il pranzo.
«Questo è per dopo, Ana. Tonno va bene?» chiede
gentile.
«Oh, sì. Grazie, Mrs Jones» risponde prontamente lei,
con un sorriso caloroso. Poi si gira a lanciarmi
un’occhiata furba, mentre Mrs Jones si allontana
discretamente.
«Posso chiederti una cosa?» mi dice, quando si accorge
che siamo totalmente soli.
Si mordicchia piano il labbro, preoccupata. La mia
espressione si fa seria. So che stanno per arrivare i guai.
Era troppo bello per durare così tanto.
«Certo» le rispondo immediatamente.
«E non ti arrabbierai?» mi chiede titubante.
Lo sconforto si impadronisce di me.
«Riguarda Elena?» chiedo quasi con un lamento.
«No» dice, guardandomi con i suoi occhioni e
scuotendo la testa.
«Allora non mi arrabbierò» le dico, piegando la testa di
lato.
Lei mi fissa per un attimo e sembra ripensarci.
«Ma ho una domanda supplementare» mi dice piano,
scrutando la mia espressione.
«Ah»
La guardo sconfitto.
«Che riguarda lei» sussurra piano, come una bambina
colta con il dito nel barattolo della marmellata che tenta
di giustificarsi.
Alzo platealmente gli occhi al cielo, esasperato. ‘Era
troppo bello avere una donna per casa senza che avesse il
permesso di parlare, vero Grey? Non ha firmato nessun
contratto. Sei sempre in tempo per ripensarci’. Anche se
so che Anastasia ha firmato in modo indelebile un patto
con il mio cuore.
«Di che si tratta?» le dico senza fare nulla per
nascondere la mia insofferenza.
«Perché ti arrabbi sempre quando ti chiedo di lei?» mi
chiede aggrottando la fronte.
«Onestamente?»
Mi lancia un’occhiataccia fulminea.
«Pensavo che fossi sempre onesto con me» mi
rimprovera.
«Tento di esserlo» la provoco.
Stringe gli occhi a fessura e so che se quell’azzurro si
tramutasse in acciaio io sarei morto sotto le sue stilettate.
“Ok, Christian. Sai che non è divertente per lei”.
«Questa mi sembra una risposta molto evasiva»
borbotta acida.
«Sono sempre onesto con te, Ana. Non voglio fare
giochetti. Bè, non quel tipo di giochetti» le dico con un
mezzo sorriso, cercando di rimetterla di buonumore.
Ana allunga una mano sul bancone, tra di noi,
tracciando disegni astratti col dito mentre avvampa.
«Che tipo di giochetti ti piacerebbe fare?» sussurra.
Quelle parole mi mandano di nuovo su di giri. “Farti
svenire di piacere su questo bancone, per esempio.
Scoparti per una giornata intera. Adorarti, venerarti,
assaggiarti fino ad essere sazio di te”. Piego la testa,
osservando con attenzione le curve del suo corpo sexy.
«Miss Steele, ti lasci distrarre così facilmente»
Le scappa una risatina da scolaretta che me lo fa tirare
ancora di più. Riaggiusto la mia posizione sullo sgabello e
le sorrido.
«Mr Grey, tu mi distrai in così tanti modi» mi dice, con
gli occhi luminosi così come lo sono i miei.
«Il suono che preferisco al mondo è quello della tua
risata, Anastasia. Ma qual era la tua domanda di
partenza?» le chiedo dolcemente, incuriosito da tutto
quel suo strambo teatrino.
Alza il mento, fingendosi austera, ma la vedo ridere
sotto i baffi. Poi aggrotta la fronte, cercando di ricordare
la sua domanda.
«Ah, sì. Vedevi le tue Sottomesse solamente nei fine
settimana?» spara di botto.
“Oh, eccoci. Ecco arrivare le domandone di prima
mattina. Anastasia non viaggiare troppo con quella
graziosa testolina che ti ritrovi. Lasciami un attimo di
respiro. Non riesco a starti dietro”.
«Sì, è così» le rispondo comunque, innervosito dalle
sue parole.
Ma lei, imprevedibilmente, mi ripaga con un sorriso
luminoso e tutto dedicato a me. Aggrotto la fronte, senza
capire.
«Perciò niente sesso durante la settimana» mormora,
leccandosi inconsapevolmente le labbra.
Scoppio a ridere di gusto, spostandomi sullo sgabello.
«Ah, era qui che volevi arrivare» le dico sollevato,
senza riuscire a placare lo scoppio d’ilarità alla vista della
sua espressione vagamente soddisfatta e compiaciuta.
“Miss Steele, tu sì che sai come distrarre un uomo”.
«Sembri molto compiaciuta di te stessa, Miss Steele»
le dico, ammirato.
«Lo sono, Mr Grey» mi dice con un sorrisetto.
«Fai bene a esserlo» le sorrido, avvicinando il mio viso
al suo. «Ora mangia la tua colazione» le ordino,
scoccandole un’occhiata severa.
La sento inspirare e poi concentrarsi di colpo sul suo
piatto. Quando ho finito la mia colazione mi alzo e mi
avvicino a lei. Lentamente mi posiziono dietro di il suo
corpo, poggiando le mani sul bancone e intrappolandola
col mio.
«Devo parlare con Taylor. Finisci la tua colazione, Miss
Steele. Poi andiamo a lavoro. E stasera...» sento il suo
respiro mozzarsi e mi blocco di proposito, lasciandola in
attesa. «... stasera, se fai la brava, potrei prenderti proprio
qui, su questo bancone da cucina e farti mia per ore».
La sento sussultare quando le bacio i capelli, inalando
il suo odore e le sfioro leggermente il braccio con la punta
delle dita. Poi la lascio lì, a respirare affannosamente,
compiaciuto come quel gran bastardo che sono. Mi dirigo
a grandi passi verso l’ufficio di Taylor, senza riuscire a
celare l’erezione che mi ha scatenato la sola vicinanza ad
Anastasia.
«Ci sono novità?» chiedo pratico quando mi trovo
faccia a faccia con Jason.
«Purtroppo
no.
Oggi
faremo
controllare
l’appartamento di Miss Steele, come da programma, per
l’arrivo di Mr Kavanagh. Mi faccia sapere solo l’orario»
Cazzo. Me ne ero completamente dimenticato. E credo
anche Ana, dal momento che non ne ha fatto menzione.
Odio doverlo fare, ma credo tocchi a me ricordarglielo.
«Ottimo, Jason. Prepara il SUV»
Esco e vado a recuperare Ana in attesa in salotto.
Durante il tragitto verso la SIP restiamo seduti in
silenzio sul sedile posteriore dell’Audi, mentre Taylor
guida e, al suo fianco, Sawyer è al telefono con gli altri
della squadra.
«Non
avevi
detto
che
il
fratello
della
tua
coinquilina arriva oggi?» le
trattenendomi dall’imprecare.
chiedo
indifferente,
«Ethan...! Me l’ero dimenticato. Oh, Christian, grazie
per avermelo ricordato. Devo tornare al mio
appartamento» dice entusiasta.
Mi rabbuio istintivamente. Non mi va a genio tutta
questa felicità di rivedere quello stronzo.
«A che ora?» chiedo.
«Non so bene
distrattamente.
quando
arriverà»
risponde
«Non voglio che tu vada da nessuna parte per conto
tuo» le ordino freddamente.
«Ma certo» borbotta, trattenendosi palesemente
dall’alzare gli occhi al cielo per l’esasperazione. «Sawyer
farà la spia... Ehm... Sarà di ronda, oggi?» chiede poi,
lanciando un’occhiata nella direzione del povero Sawyer
che arrossisce.
«Sì» ribatto acido, lanciandole un’occhiataccia.
«Se guidassi la SAAB sarebbe più facile» ribatte
seccata, incrociando le braccia sotto al seno e girandosi a
guardare fuori dal finestrino.
«Sawyer avrà una macchina, e potrà portarti al tuo
appartamento» le dico.
Ma poi decido che sarò io a portarcela. Anche se ho già
un impegno nel pomeriggio. Mentalmente mi appunto di
chiedere ad Andrea di rivedere la mia agenda.
«Okay. Ethan probabilmente mi contatterà in giornata.
Ti farò sapere quali sono i suoi piani» dice, girandosi a
guardarmi.
La fisso, in completo silenzio. “Ethan ti contatterà?
Dunque Ethan può contattarti quando vuole, Ana?”. La
rabbia e la gelosia mi stanno fottendo il cervello, lo so. Ma
non riesco a reagire in nessun altro modo.
«Okay» acconsento alla fine, quando riesco a domare i
miei istinti. «Da nessuna parte da sola. Mi hai capito?» le
dico, facendole ondeggiare l’indice davanti al naso a mo’
di avvertimento.
«Sì, caro» mormora, stringendo gli occhi a fessura.
E così, dal nulla, mi spunta un sorriso. Perché ogni
volta che mi sfida, mi borbotta dietro o ribatte ai miei
ordini, mi ricorda perché la amo così tanto.
«E magari dovresti tenere acceso il tuo BlackBerry. Ti
manderò lì le mail. Così eviteremo che il tizio del mio
ufficio informatico passi una mattinata interessante,
okay?» le chiedo arrogante.
«Sì, Christian» sbotta tra il divertito e l’esasperato,
alzando gli occhi al cielo e facendomi drizzare l’uccello.
Le scocco un sorriso malizioso.
«Oh, Miss Steele, credo proprio che tu mi stia facendo
prudere le mani» le sussurro, chinandomi fino a sfiorarle
l’orecchio con le labbra.
«Ah, Mr Grey, a te le mani prudono perennemente.
Che cosa possiamo farci?» risponde con un sorrisetto da
impudente.
Rido, baciandole appena il lobo. Ma vengo distratto
dalla vibrazione del mio telefono. Lo tiro fuori dalla tasca
e impreco mentalmente alla vista del nome di Elena che
lampeggia sul display.
«Che cosa c’è?» dico non appena premo il tasto di
ricezione.
«Christian, tesoro» Elena resta interdetta per un
attimo, ma prima che possa aggiungere qualcosa,
continua a parlare con la sua voce troppo squillante per
quest’ora del mattino. «Volevo solo ringraziarti per la tua
disponibilità e dirti che non ho bisogno di Welch. Il
biglietto è stato solo una stupida bravata di Isaac»
I miei occhi si spalancano per lo stupore.
«Stai scherzando...» le dico, sbigottito.
«Purtroppo no, ma quello stupido me la pagherà cara.
Si è comportato da idiota solo perché la scorsa settimana
abbiamo discusso e gli ho fatto una scenata»
«Per una scenata...» riesco a ripetere, ancora
incredulo. «Quando te l’ha detto?» le chiedo, lasciandomi
sfuggire un risolino.
«Ieri sera, quando sono tornata a casa, l’ho messo alle
strette per capire se avesse parlato con qualcuno della
nostra relazione. Ovviamente... bé, conosci i miei metodi
di tortura...»
Per un attimo la lascivia nella sua voce mi fa venire un
brivido di disagio. Elena rimane in attesa, come se si
aspettasse una battuta o comunque una mia replica. Ma
io resto zitto e lei si affretta a colmare il silenzio.
«Comunque, per farla breve, alla fine ha confessato.
Scusami se ho importunato te e la tua Anastasia, ieri
sera»
Mi infastidisce il modo in cui pronuncia il suo nome,
ma lascio correre, affrettandomi a chiudere la
conversazione.
«No, non ti preoccupare. Non devi scusarti. Sono
contento che ci sia una spiegazione logica. Mi sembrava
un prezzo ridicolmente basso...»
«Già, ma ora non sa in che guai si è ficcato»
«Non ho dubbi che tu abbia pianificato qualcosa di
diabolico e creativo per la tua vendetta. Povero Isaac».
Sorrido, perché in effetti so di cosa è capace questa
donna. Anche Elena ride, sollevata.
«Se ne pentirà, credimi!»
«Bene» rispondo, divertito.
«Ora devo andare a lavoro. Volevo solo farti sapere
l’epilogo della vicenda. Buona giornata, Christian»
«Ciao» la saluto, chiudendo il telefono con un colpo
secco.
Mi giro immediatamente verso Ana. So che ha capito
che stavo parlando con Elena. E mi aspetto che mi urli
contro o che si incazzi di brutto. Eppure non riesco a
trattenermi dal rilasciare il sollievo che sento alla
scoperta che quella storia è finita. Sarebbero potuti
risalire a me, in qualche modo. E non voglio esporre né
Anastasia, né me stesso ad una tortura mediatica del
genere.
«Chi era?» mi chiede, fissandomi con freddezza.
“Lo sai, Miss Steele. Perché torturarti?”
«Vuoi davvero saperlo?» le chiedo tranquillo.
Mi fissa per qualche istante, poi scuote piano la testa,
girandosi a guardare fuori dal finestrino con un sospiro di
sconforto. Stringo gli occhi, rendendomi conto che io al
suo posto non riuscirei ad accettare la stessa situazione
con passiva rassegnazione.
«Ehi» le mormoro, allungando la mano e baciandole
delicato ogni singola nocca.
Quando arrivo al mignolo lo prendo tra le labbra e
succhio forte, prima di morderlo delicatamente. Ana
diventa rossa, stringe le gambe mentre il suo battito
accelera. Sussulta, attraversata da un brivido di piacere,
mentre lancia un’occhiata veloce agli occupanti dei sedili
anteriori. Poi il suo sguardo azzurro cielo torna a
poggiarsi su di me. La sua eccitazione accende la mia
come un inevitabile processo di causa ed effetto. Le mie
labbra si schiudono in un sorriso volutamente lento e
carico di promesse carnali. “Ti voglio, Anastasia Steele.
Non voglio nessun’altra. Solo tu”.
«Non ti agitare, Anastasia» le mormoro. «Lei è
il passato»
Mentre lo dico le bacio il palmo della mano, a labbra
aperte, godendo dei brividi che le scuotono il corpo. Con
la coda dell’occhio mi accorgo che siamo appena arrivati
alla SIP. La attiro bruscamente a me, appropriandomi di
quelle labbra meravigliose che vorrei sentire addosso e
dalle quali, invece, sono costretto a separarmi per tutta la
giornata. La bacio a fondo, infilandole la lingua in
profondità in quella sua bocca calda e accogliente. E a
malincuore la lascio andare, guardandola attraversare,
ancora frastornata, la porta d’ingresso dell’edificio che
ospita la SIP, barcollando leggermente nel suo tubino
azzurro e sui suoi sandali color crema.
Quando arrivo in ufficio delego Andrea allo spostamento
di tutti gli appuntamenti del pomeriggio. Poi faccio una
breve riunione con Ros e finalmente ho un po’ di tempo
per raccogliere le idee da solo nel mio immenso ufficio.
Lancio un’occhiata all’aliante sul piedistallo e non resisto
a scrivere una mail ad Ana.
Da: Christian Grey
A: Anastasia Steele
Data: 14 giugno 2011 09. 23
Oggetto: Alba
Adoro svegliarmi accanto a te la mattina.
Christian Grey
Amministratore delegato, Completamente e Totalmente Innamorato
Cotto, Grey Enterprises Holdings Inc.
Chiudo gli occhi, sorridendo mentre premo Invio. La
sua risposta non è immediata come al solito e per un po’
mi lascia a tormentarmi sul fatto che la telefonata di
Elena possa averla fatta innervosire. Poi, circa un quarto
d’ora dopo, mentre bevo il mio terzo caffè della mattinata,
ecco il trillo delle mail.
Da: Anastasia Steele
A: Christian Grey
Data: 14 giugno 2011 09. 35
Oggetto: Tramonto
Caro Completamente e Totalmente Innamorato Cotto,
anch’io adoro svegliarmi con te.
Ma amo essere a letto con te e negli ascensori e sui pianoforti e sui
tavoli da biliardo e sulle barche e sulle scrivanie e nelle docce e nelle
vasche da bagno e su certe croci di legno con manette e letti a quattro
piazze con lenzuola di raso rosso e rimesse per le barche
e camerette da ragazzo.
Tua
Sessualmente Folle e Insaziabile XX
La sua mail mi manda in combustione. Per poco non
mi strozzo con la mia bevanda. Gemo di frustrazione al
fatto di non poterla avere qui con me. Il mio uccello si
tende fino a farmi male mentre io immagino in pochi
secondi ognuna di quelle situazioni descritte. “Cristo
santo, Anastasia. Sei una vera tortura anche a distanza”.
Da: Christian Grey
A: Anastasia Steele
Data: 14 giugno 2011 09. 37
Oggetto: Hardware bagnato
Cara Sessualmente Folle e Insaziabile,
ho appena schizzato caffè su tutta la mia tastiera.
Non penso che mi sia mai capitato prima.
Ammiro una donna così concentrata sulla geografia.
Devo dedurre che tu mi vuoi solo per il mio corpo?
Christian Grey
Amministratore delegato, Completamente e Totalmente Scioccato,
Grey Enterprises Holdings Inc.
Un sorriso mi si disegna sul viso. É un sorriso sciocco.
Il sorriso di un uomo perso d’amore per una donna.
Da: Anastasia Steele
A: Christian Grey
Data: 14 giugno 2011 09. 42
Oggetto: Ridacchiando... bagnata anch’io
Caro Completamente e Totalmente Scioccato,
sempre. Devo lavorare. Smettila di importunarmi.
SF&I XX
Le sue parole mi eccitano ancora di più.
Da: Christian Grey
A: Anastasia Steele
Data: 14 giugno 2011 09. 50
Oggetto: Devo?
Cara SF&I,
come sempre, ogni tuo desiderio è un ordine. Adoro che tu stia
ridacchiando e sia bagnata.
A più tardi, piccola. x
Christian Grey
Amministratore delegato, Completamente e Totalmente Innamorato
Cotto, Scioccato e Stregato, Grey Enterprises Holdings Inc.
Riduco ad icona la mia casella di posta elettronica e mi
rimetto a lavoro, organizzando la relazione da presentare
per l’azienda di Taiwan. All’una, nel bel mezzo della
riunione con il mio team informatico, il mio telefono
squilla. É Ana. Non mi chiama mai al lavoro. Rispondo
immediatamente, preoccupato, interrompendo Barney e
la sua spiegazione del funzionamento del nuovo sistema
di sicurezza che stiamo progettando per la Grey
Enterprises.
«Anastasia»
«Christian, Jack mi ha chiesto di comprargli il pranzo»
piagnucola lei dall’altro capo del telefono.
Mi rilasso completamente.
«Pigro bastardo» borbotto sotto lo scrutinio attento di
sei paia di occhi curiosi.
«Perciò sto uscendo. Sarebbe meglio mi dessi il
numero di Sawyer, così non dovrei disturbare te» mi dice,
ignorando la mia lamentela.
«Non è un disturbo, piccola» le rispondo con un
sorrisetto, mentre l’unica donna non lesbica seduta al mio
tavolo, arrossisce piano e abbassa lo sguardo.
«Sei da solo?» mi chiede.
«No. In questo momento ci sono sei persone che mi
stanno fissando, domandandosi con chi diavolo stia
parlando» le dico, divertito.
«Davvero?»
Ansima, facendosi prendere dal panico.
«Sì, davvero. È la mia fidanzata» annuncio ai miei
interlocutori, staccandomi leggermente dal telefono per
farmi sentire.
«Probabilmente pensavano tutti che fossi gay, sai»
borbotta lei, imbarazzata.
Rido di gusto alla sua battuta.
«Sì, probabilmente»
«Ehm... forse è meglio che vada» mi dice, impacciata.
«Lo farò sapere a Sawyer» le rispondo, senza riuscire a
trattenermi dal ridacchiare. Poi mi do un contegno.
«Hai notizie del tuo amico?»
«Non ancora. Sarai il primo a saperlo, Mr Grey»
«Bene. A più tardi, piccola» le mormoro.
«Ciao, Christian» la sento sorridere e immagino le sue
labbra pronunciare il mio nome.
Altra erezione inopportuna. Grazie mille, Miss Steele.
Con un leggero sospiro mando un messaggio a Sawyer e
riprendo la riunione con un umore decisamente alle
stelle.
Circa due ore più tardi, mentre sono immerso nelle
scartoffie che si accumulano sulla mia scrivania, mi arriva
una mail di Ana.
Da: Anastasia Steele
A: Christian Grey
Data: 14 giugno 2011 14. 55
Oggetto: Ospiti da terre assolate
Carissimo Completamente e Totalmente ICS&S,
Ethan è arrivato e sta venendo qui a prendere le chiavi di casa. Mi
piacerebbe molto assicurarmi che si sistemi bene. Perché non passi a
prendermi dopo il lavoro? Possiamo andare all’appartamento, poi
TUTTI fuori a mangiare, magari? Offro io.
Tua, Ana X
Sempre SF&I
Anastasia Steele,
Assistente di Jack Hyde, Direttore editoriale, SIP
La mail non è stata inviata dal suo telefono, però.
Stringo forte le labbra, contrariato. “Perché non riesci mai
a fare come ti si dice, Ana?”
Da: Christian Grey
A: Anastasia Steele
Data: 14 giugno 2011 15. 05
Oggetto: Cena fuori
Approvo il tuo piano. Eccetto la parte in cui vuoi offrire! Offro io.
Passo a prenderti alle sei. x
PS: Perché non stai usando il tuo BlackBerry?!
Christian Grey
Amministratore delegato, Completamente e Totalmente Contrariato,
Grey Enterprises Holdings Inc.
Da: Anastasia Steele
A: Christian Grey
Data: 14 giugno 2011 15. 11
Oggetto: Prepotenza
Oh, non essere così scontroso e irritabile. È tutto in codice. Ci
vediamo alle sei.
Ana X
Alzo gli occhi al cielo. Che impertinente! Sospiro e non
riesco a fare a meno di sorridere. Ho il sentore che mi
sfiderà fino alla fine dei miei giorni. Morirò assistendo
alla scena di lei che disobbedisce un altro dei miei ordini.
Da: Christian Grey
A: Anastasia Steele
Data: 14 giugno 2011 15.18
Oggetto: Donna Impossibile
Scontroso e irritabile! Te lo do io lo scontroso e irritabile.
E non vedo l’ora.
Christian Grey
Amministratore delegato, Completamente e Totalmente Più
Contrariato, ma Sorridente per qualche Sconosciuta Ragione, Grey
Enterprises Holdings Inc.
Da: Anastasia Steele
A: Christian Grey
Data: 14 giugno 2011 15.23
Oggetto: Promesse. Promesse
Fatti sotto, Mr Grey. Anch’io non vedo l’ora. :D
Ana X
Anastasia Steele
Assistente di Jack Hyde, Direttore editoriale, SIP
Rimano un bel po’ a rileggere quest’ultima mail. L’altro
giorno è stato fantastico sperimentare di nuovo con lei
determinate cose. E ieri è stato... bé è stato sublime,
perfetto per certi versi. Ma fino a dove riuscirà a
sopportare per me? Mi passo una mano nei capelli,
scompigliandoli leggermente, con un’unica certezza.
“Questa donna mi manderà al manicomio”. Decido di
lasciar perdere per il momento. Ne va della mia salute
fisica e mentale. Mi rituffo a capofitto nel lavoro fino a
quando non è ora di andare. Saluto con un gran sorriso
Andrea e Olivia, che rischia di svenire, e per un attimo mi
crogiolo nella sensazione della consapevolezza di non
aver perso il mio fascino. Le donne mi cadono ancora ai
piedi. Ma Anastasia riesce a trascinarmi con sé. Il
pensiero di rivederla e stringerla di nuovo tra le braccia
mi fa eccitare come un bambino al suo primo giro alle
giostre. Passo per l’Escala per una doccia veloce. Mi
cambio velocemente, mettendomi più comodo, e poi
riparto insieme a Taylor per la SIP. Quando arrivo prendo
il telefono e la chiamo.
«Scontroso e Irascibile arrivato» dico quando
risponde, con tono scherzoso, sorridendo anche se so che
non può vedermi.
Me la immagino illuminarsi e mordicchiarsi quel
labbro carnoso.
«Bene, qui Sessualmente Folle e Insaziabile. Immagino
che tu sia fuori» mi risponde saputella.
Abbasso volutamente il tono di voce, aggiustandomi
sul sedile.
«Lo sono, infatti, Miss Steele. Non vedo l’ora di
vederti»
Sento il suo respiro mozzarsi. É bello vedere che dopo
tutto quello che è successo le faccio ancora lo stesso
identico effetto che le ho fatto la prima volta che ci siamo
sentiti al telefono.
«Idem, Mr Grey. Arrivo subito»
Chiude la comunicazione, lasciandomi in trepidante
attesa a tamburellare con un piede a terra. Due minuti
dopo la vedo uscire dalla porta, con un gran sorriso.
Scendo, mentre lei si avvicina all’Audi. Il suo sguardo si
posa sul mio corpo, famelico, e vorrei solo che invece di
doverci sorbire una serata in compagnia del fratello della
sua amica rompipalle, potessimo congedare Taylor e
scopare sul sedile della mia Audi. Le sorrido e lei fa lo
stesso. Sembriamo due completi idioti. Ma felici. Il petto
mi si gonfia per la felicità e credo che l’effetto su di lei sia
lo stesso. Oppure sono io che continuando a fissarle le
tette me le immagino più grosse. Non lo so. So solo che la
voglio, che è desiderabile come non mai, splendida in
tutto.
«Miss
Steele,
sei
affascinante
proprio
come stamattina» le sussurro mentre la attiro a me,
cingendola con le braccia e baciandola selvaggiamente. E
spero proprio che, da dietro a quella porta, quel
depravato del suo capo ci veda.
«Anche tu, Mr Grey» mi sussurra contro le labbra,
prima di rubarmi un altro bacio veloce.
«Andiamo a prendere il tuo amico» le dico,
carezzandole il naso con un dito, prima di darle un
colpetto veloce e prenderla per mano.
Le apro la portiera, lasciandola salire. In auto la nostra
felicità non si dissolve. Parliamo della nostra giornata
lavorativa, scherziamo, ridiamo. Poi le passo il foglio che
Andrea mi ha premurosamente stampato questa mattina.
«Questi sono gli orari in cui Claude è libero questa
settimana» le dico, sorridendole piano.
Ana guarda il foglio sorpresa, poi lo prende e lo scruta
meglio. Il mio telefono squilla all’improvviso e nello
stesso istante Taylor parcheggia sotto l’appartamento di
Ana. É Ros, quindi sono obbligato a rispondere.
«Grey. Ros, cosa c’è?»
«C’è che è successo un casino, Grey»
Mentre cerco di afferrare i dati che Ros mi snocciola al
telefono, noto di sfuggita Ana che parla e mi fa cenno, per
poi scendere dall’auto.
«Abbiamo fatto un’analisi aggiuntiva questo
pomeriggio. E Taiwan non sembra la soluzione migliore,
Grey. Potrebbe andarci sfacciatamente bene o
disastrosamente male»
«Credi che non l’abbia previsto, Ros. Senti, ho un
nuovo prospetto a cui sto lavorando da qualche giorno.
Più tardi te lo invio per mail. Ne discutiamo domani»
Dopo averla ascoltata discutere ancora per un minuto
di rischi e conseguenze, di atti scellerati ed inopportuni,
riesco a chiudere la conversazione. Mi giro e non scorgo
Anastasia. É scesa dall’auto da troppo tempo. E non mi va
che stia da sola in quell’appartamento con un uomo. Non
riesco a sopportarlo. Apro la portiera e mi blocco a metà,
mentre uno strano senso di disagio mi fa rabbrividire.
Quasi in trance mi rivolgo a Taylor.
«Salgo nell’appartamento. Se non mi faccio sentire tra
due minuti esatti, seguimi».
Capitolo 16
Faccio appena in tempo a girarmi che scorgo Ethan
Kavanagh che, a passo lento e tranquillo, si avvicina al
portone, cercando le chiavi.
«Merda!» sibilo, sentendo crescere la sensazione di
paura.
Non ho neppure bisogno di dire a Taylor di scendere
dall’auto. É già fuori e mi fa un cenno di intesa. Ci
precipitiamo verso Ethan. Spalanca appena la bocca,
mentre gli strappo le chiavi di mano e apro furioso il
portone. Mi precipito di sopra, lasciando a Taylor il
compito di impartire ordini. Il cuore mi palpita ad un
ritmo serrato. “Ana, la mia Ana. Fa che non le sia capitato
nulla. Per favore, per favore. Non posso perderla”. Le
scale sembrano non finire mai, tutto intorno a me si
muove a rallentatore, mentre sento il suono incessante
del sangue che mi ronza in testa. Lo so, lo so che Leila è
qui. Lo sento dal gelo che mi ha invaso le vene non
appena ho messo piede fuori dall’auto. Riesco appena a
percepire i passi di Taylor dietro di me. Quando arrivo al
piano giusto mi precipito, spalancando la porta con un
tonfo secco. Ed eccola. In piedi, dietro l’isola in cemento
con in mano una tazza. Deglutisco a fatica, sollevato di
trovarla intera. Poi il mio cuore sprofonda quando il mio
sguardo si posa sulla canna della pistola che le viene
puntata contro. La mano che la stringe è familiare ed
estranea al tempo stesso. Pallida, smunta. Risalgo lungo il
braccio calibrando attentamente la tensione dei muscoli
che, seppure minima, c’è. Potrebbe sparare da un
momento all’altro. Potrei perdere tutto da un momento
all’altro. I miei occhi la fissano, ora. Sono furioso e allo
stesso tempo imploro affinché vi legga una preghiera.
Leila mi guarda, ma il suo sguardo è vuoto, confuso. Gli
occhi appannati, un cappotto logoro che le copre quello
che rimane del suo corpo esile. I capelli sporchi,
appiccicati alla fronte. Stento a riconoscerla. Ma so che è
colpa mia se si trova in questo stato. Quando mi mette a
fuoco i suoi occhi si spalancano per un attimo e la sua
mano si stringe con maggiore forza attorno alla pistola.
Avverto la tensione di Anastasia, mentre il mio cuore si
blocca. “Ok, Christian. Devi farla sparire di qui. Ora!”.
Con la coda dell’occhio scruto la stanza, in cerca di
ispirazione e, quando sto per perdere ogni speranza, è
Leila stessa che mi fornisce la chiave di tutto su un piatto
d’argento. China leggera il capo, guardandomi da sotto le
ciglia scure. É un attimo. Capisco. Posso salvare Anastasia
solo in un modo. Non sono sicuro che quello che farò non
la ferirà allo stesso modo in cui potrebbe ferirla Leila se
sparasse. Ma so che è l’unica possibilità che ho.
Sento Taylor che si sposta dalla soglia, ma lo blocco
subito, alzando un mano. Sento il suo sguardo addosso e
un ringhio basso provenirgli dal petto, ma non mi
importa. Ho un solo obiettivo. Anastasia. Deve andarsene
di qui. Devo metterla al sicuro. Fisso il mio sguardo in
quello di Leila e, lentamente, mi estraneo dal resto del
mondo. Faccio fatica, ma devo. Metto a frutto anni di
insegnamento di Elena. Ho un solo pensiero fisso. Salvare
la donna che amo, la donna che mi ha aiutato a mettere
da parte quello che ero un tempo. E, per farlo, devo
tornare ad essere quello che ero un tempo. Raddrizzo
piano le spalle, assumendo un’espressione dura. Leila
non mi conosce in nessun altro modo che in questo. Mi
ha sempre e solo visto così. É quello che conosce di me,
quello che la rassicurerà in questo momento.
Probabilmente ha avuto modo di vedermi con Anastasia,
probabilmente il mio comportamento l’ha confusa. Sa che
con Ana non sono mai stato così duro. Rivedere questo
lato di me la farà sentire tranquilla, come se io fossi
tornato da lei. I nostri occhi sono incollati, fissi gli uni
negli altri e percepisco la sua eccitazione anche a
distanza. Alzo leggermente il mento, squadrandola con
freddezza,
con
autorità,
senza
trattenere
la
consapevolezza del potere che ho su di lei e sul suo corpo.
La sensazione di fastidio, il senso di colpa mi attanagliano
lo stomaco. Ma devo continuare questa assurda
sceneggiata. Devo farlo per lei. Non c’è verso di farlo in
altro modo. É l’unica occasione che ho.
La tensione tra me e Leila cresce sempre di più. Sono
certo che anche Ana riesce a percepirla. E sono certo che
mi starà odiando in questo momento. Sta vedendo quello
che sono, quello che mi porto dietro. Sta assistendo a
qualcosa che nessuno di noi riuscirà a dimenticare. Faccio
uno sforzo per non distogliere lo sguardo da Leila. Fisso i
suoi occhi scuri e mi placo, mi calmo. Deve capire di
essere al sicuro. E, soprattutto, di essere in mio possesso.
D’istinto Leila schiude le labbra, eccitata, e sulle sue
guance si diffonde un leggero rossore.”Ci siamo”.
Faccio un unico passo in avanti, senza interrompere
mai il contatto visivo con lei. “Sei inizi, puoi finire solo
pronunciando la safeword. Ricordalo, Leila”. Lo sa. Lo sa
perché sono stato io a dirglielo. E io so che, una volta
riconosciutomi come suo Padrone, non farà nulla che non
le venga ordinato senza prima pronunciare quella cazzo
di safeword. Non è giusto quello che le sto facendo. Il mio
è un crudele infierire su una donna malata, instabile. Ma
se serve a salvare la donna che amo, allora me ne fotto del
mondo intero, di Leila, del suo squilibrio, della sua pazzia
e di tutto il resto. Può anche sparare a me. L’importante è
che Ana si metta in salvo da tutto questo fottuto casino.
La fisso intensamente, trovando dentro di me il coraggio
per fare quello che devo fare. Per darle l’ultimo colpo di
grazia.
«Inginocchiati»
Lo dico, lo sussurro a fior di labbra, ma la voce si
rifiuta di uscire. Non so neppure se Leila mi abbia sentito.
Ma, quasi simultaneamente, l’effetto su di lei è
immediato. Abbassa le braccia e si lascia cadere sulle
ginocchia leggermente divaricate, con il capo chino.
Eccola. Leila la Sottomessa. La Leila che conosco. L’unica
Leila che io abbia mai voluto conoscere. Mi rilasso
leggermente, guardando la pistola scivolatale dalla mano
e che ora giace a terra. A passi misurati raggiungo l’arma,
chinandomi a raccoglierla malvolentieri. La guardo per
un attimo, disgustato, mentre un brivido mi percorre la
schiena. Mio malgrado sono costretto ad infilarla nella
tasca della giacca per evitare che se ne riappropri. Anche
se so che da quella posizione non si muoverà fino a che
non sarò io a dirlo. La scruto dall’alto, mentre tutta la
rabbia che mi porto dentro rischia di esplodere da un
momento all’altro. Riesco a vedere solo una fottuta
psicopatica che voleva uccidere la mia Ana. Realizzo che
lei è ancora qui, in questa stanza. “Non odiarmi.
Anastasia non odiarmi per quello che ti ho appena
costretto a subire. Non odiarmi per tutto il male che so di
averti appena inflitto. Io non sono così. Grazie a te non
sono più così”. Devo fare violenza a me stesso per non
correre da lei e stringerla forte e sussurrarle che è tutto
ok, che va tutto bene, che io la proteggerò contro tutti. Ma
non posso continuare a saperla qui. Devo sistemare le
cose con Leila. Mi impongo una freddezza che non riesco
a sentire. Non quando parlo con lei. O di lei.
«Anastasia, va’ con Taylor» le ordino.
A quelle parole Taylor oltrepassa finalmente la soglia,
entrando nell’appartamento.
«Ethan» sussurra lei, spaventata.
«Al piano di sotto» le rispondo con distacco, senza
guardarla.
Guardo Leila. Deve sentirsi al sicuro, deve sentirsi mia.
Anche se non lo è. Io non potrei mai volerla. Non dopo
Anastasia. Sento un sospiro di sollievo provenire dalle
labbra di Ana. Ma nessun movimento. Non ha intenzione
di andarsene. “Maledizione!”.
«Anastasia!» urlo, severo.
Riesco a percepire solo il suo respiro mozzato. E il suo
sguardo addosso. E posso solo immaginare lo strazio che
l’immagine di me, in piedi come un potente imperatore, e
Leila, pateticamente in ginocchio in attesa di ordini, deve
provocarle. Mi avvicino a Leila, allontanandomi di più da
Anastasia. Ed è tutto in questa sensazione. Capisco tutto,
fino in fondo. Ho davanti il mio passato e alle spalle il mio
futuro. É innaturale, è sbagliato. Se potevo ancora
avere un minimo dubbio, eccolo dissiparsi in questo
momento. Io amo lei. Io posso amare solo lei. Posso e
voglio avere solo lei.
«Per l’amor di Dio, Anastasia, vuoi fare quello che ti
viene detto per una volta nella vita?» non riesco a non
guardarla, e per fortuna la posizione in cui mi trovo ora
non permette a Leila di vedermi.
La fisso con rabbia. “Come puoi essere così stupida,
Ana? Scappa. Scappa da tutto questo”. E all’improvviso
mi rendo conto che potrebbe decidere di scappare anche
da me. Dentro di me mormoro una preghiera silenziosa,
che spero non resti inascoltata. “Ti prego. Ti prego. Ti
prego. Sei tutto quello che ho. Sei tu, solo tu. Sei l’unica.
Non odiarmi, non lasciarmi. Ti prego”. Ma nei suoi occhi
vedo farsi strada il risentimento per il mio tono, la rabbia,
la frustrazione, l’impotenza mentre con lo sguardo fa
un’altalena tra me e la donna in ginocchio ai miei piedi.
Non posso permettere che veda oltre.
«Taylor, porta Miss Steele di sotto. Ora» ordino con un
ringhio furioso.
Taylor si limita ad annuire, mentre gli occhi azzurri di
Anastasia non mi abbandonano, scavandomi a fondo
dentro.
«Perché?» sussurra smarrita.
“Perché ti amo. Perché ti amo sciocca e testarda di una
donna”.
«Vai. Torna al mio appartamento» le dico fissandola
intensamente. «Ho bisogno di restare da solo con Leila»
le dico in fretta, cercando di farle capire che in realtà ho
bisogno di restare da solo con lei, non con Leila. Ma devo
essere sicuro che non possa più farle del male prima.
Anastasia mi fissa e per un attimo sembra capire il mio
messaggio sottinteso. Poi i suoi occhi si spostano
nuovamente su Leila e il panico la scuote. “No! No, no,
no! Anastasia come puoi solo pensare che io desideri
questa donna?”. Faccio cenno a Taylor che le si avvicina.
«Miss Steele. Ana»
Le tende la mano, ma lei è immobile, angosciata e il
cuore mi si spezza in due a vederle quella sofferenza sul
viso. Continua a guardare me e la mia vittima sacrificale,
come se si aspettasse di vedermi scoparla qui, davanti a
lei, per mostrare al mondo quanto sono crudele.
«Taylor» lo incalzo, stringendo le labbra fino a farle
quasi illividire.
“Trascinala per i capelli se è necessario, cazzo! Ma
portala via di qui!”. Taylor sembra leggermi nella mente,
perché si china e prende Ana tra le braccia, portandola
fuori di peso, mentre lei non mi toglie gli occhi di dosso.
Non riesco a reggere l’intensità del suo sguardo. Mi volto
e faccio un sospiro. “Non rendere tutto vano. Devi
occuparti di Leila ora”. Mi avvicino allo spettro della
ragazza che era una volta Leila. Sulle labbra le aleggia un
sorriso sereno. Lo conosco. So perché sorride. Sa che
sono qui per lei ora.
«Mi prenderò cura di te» sussurro, accarezzandole
piano la testa, mentre l’angoscia mi stritola l’anima.
É la mia penitenza. Ho una nuova possibilità per
rimediare agli errori che ho commesso. Almeno con lei.
Le tendo la mano.
«Alzati, Leila»
Il mio tono mi disgusta. Leila prende la mia mano,
reggendosi a malapena sulle gambe mentre si rialza.
Resta in silenzio, aspettando istruzioni precise. Come
sempre. Come allora. Non posso farmi prendere dal
panico proprio ora. La sorreggo, incamminandomi con lei
verso il bagno.
«Ora faremo un bagno, Leila» le dico, senza riuscire a
trattenere il tormento nella mia voce.
Lei annuisce piano, debolmente.
«Sì, padrone» sussurra.
Quell’appellativo mi fa sbiancare, le gambe rischiano di
cedermi. Accuso il colpo, come se mi avessero appena
colpito ripetutamente allo stomaco. Mi tornano in mente
le parole di Elena. “Non ti manca... la tua Stanza dei
Giochi?”. E poi mi giro a guardare Leila. Il suo sorriso
sereno, il rossore sulle sue guance. “Padrone”. É questo
che sono per lei. Il suo Padrone. Colui che provvede alle
sue necessità, ai suoi desideri. Colui che ha il potere di
darle piacere o negarglielo. Sono il suo Padrone. Non
sono Christian, non sono il suo Mr Cinquanta Sfumature,
non sono il suo fidanzato, non sono quello che la fa
arrabbiare per poi fare pace distesi sul coperchio del mio
pianoforte. Non sono l’uomo che le fa illuminare il viso di
piacere, di gioia, d’amore. Sono solo un povero stronzo
che l’ha umiliata, scopata, ridotta ad uno straccio. E lei...
lei, semplicemente, non è Anastasia. Lei e tutte le altre
non mi hanno mai fatto battere il cuore fino a farmelo
sentire, non mi hanno mai scatenato il tumulto di
emozioni che mi provoca quel piccolo tornado dagli occhi
blu. Non mi hanno mai tirato fuori l’amore, nessuno c’è
mai riuscito. Nessuno. Solo lei. Solo Anastasia. Quella
consapevolezza è l’unica cosa che mi permette di
continuare ad occuparmi di lei. Forse non mi perdonerà
per quello che ha visto prima, ma è sicuro che non mi
guarderebbe in faccia se sapesse che l’ho lasciata in
questo stato. Ana è buona, è pura. E io posso solo
imparare da lei. Mi chino ad aprire l’acqua della vasca,
assicurandomi che sia della giusta temperatura. Verso del
bagnoschiuma, mentre aspetto che si riempie. Mi tolgo la
giacca, piagandola con cura e poggiandola sul ripiano
della lavatrice. Sospiro, voltandomi verso la ragazza
bruna alle mie spalle.
«Spogliati, Leila»
Il suo corpo reagisce con un tremito. Lo so come si
sente. Si sente voluta, desiderata. Dopo tutto quello che
ha passato forse è un sollievo sentirsi così. E io, invece, mi
sento ancora più meschino. Alza un braccio, poggiandolo
su uno dei bottoni del trench sgualcito e lurido. Ma l’arto
ricade pesantemente. É troppo debole. Mi sbottono i
polsini della camicia, arrotolandomi le maniche fin sui
gomiti. Mi avvicino, mentre lei sussulta, probabilmente
aspettandosi una punizione per non essere riuscita a
portare a termine un semplice compito. Un fottuto,
semplice compito. Le slaccio velocemente i bottoni,
gettando il trench a terra. Le sfilo metodico la maglietta
sporca, il reggiseno, i jeans e gli slip. I miei occhi si
poggiano sul suo corpo. Ma quello che provo non è
neppure lontanamente simile al desiderio. É disprezzo.
Per me stesso. Perché Leila è solo il risultato di quello che
io faccio alle donne. Rappresenta il modo in cui avrei
potuto ridurre Anastasia. ‘E sei proprio certo che non lo
farai, Grey?’. Chiudo piano gli occhi, poi li riapro,
chinandomi per chiudere l’acqua. Le prendo la mano e la
faccio entrare nella vasca, lasciandola accomodare. Lo
sguardo di Leila si posa sulla mia camicia, poi di nuovo
sulle mie mani. Non osa guardarmi negli occhi. Come
potrebbe. Non le ho mai dato il permesso.
«Guardami, Leila» le ordino, mentre annego nel mio
stesso dolore.
Lei sussulta. Poi obbedisce. I suoi occhi sono spenti,
vitrei. Mi guarda. Qualche goccia che esce solitaria dal
rubinetto della vasca interrompe di tanto in tanto il
silenzio che ci avvolge. E poi, all’improvviso, distoglie lo
sguardo. Ha capito. Ha capito tutto. Mi rilasso
impercettibilmente e inizio a lavarla, mentre lei resta
inerme. Passo la spugna sul suo corpo, delicatamente,
come se temessi di renderla ancora più fragile.
«Il Padrone è oscuro... al Padrone piacciono le
obbedienti come me... e come lei»
Quelle parole vanno dritte in profondità. La nausea mi
colpisce all’improvviso e per un attimo sono tentato di
vomitare. Poi Leila parla di nuovo.
«Cos’ha lei... che io non ho?» chiede in un sussurro.
Mi fermo, senza guardarla. Fisso l’acqua, diventata più
torbida. Mi alzo e mi avvicino al lavandino. Afferro una
bacinella e la riempio d’acqua calda. Poi torno da lei e le
sciacquo i capelli lunghi e scuri.
«Lei ha me» sussurro piano, senza essere neppure
sicuro di averlo detto ad alta voce.
In silenzio finisco di lavarla, assicurandomi che sia
pulita fino in fondo. Vorrei poter ripulire allo stesso modo
la mia e la sua anima, cancellare il dolore che ho inflitto a
lei e a me stesso. E anche ad Anastasia. Ma non posso.
Non è così semplice. Quando sono certo di aver terminato
l’aiuto ad alzarsi. Leila è rimasta in silenzio per tutto il
tempo. Ancora ora sta zitta, inerme. Mi tocca sollevarla di
peso dalla vasca e portarla in camera di Anastasia,
adagiandola sul letto dove solo pochi giorni fa ho fatto
l’amore con la mia ragazza. Torno veloce in bagno a
svuotare la vasca e prendere un pettine ed il phone. Trovo
anche degli asciugamani puliti e li porto con me.
Tampono delicatamente il suo corpo, fino ad asciugarlo.
Poi le sollevo la testa e passo ai capelli, tamponando e
asciugandoli, per avvolgerli, infine, in un telo bianco di
spugna. Mi alzo dal letto e mi dirigo verso i cassetti e
l’armadio che contengono gli abiti e la biancheria di
Anastasia. Scelgo un completino semplice, di pizzo bianco
e dall’armadio prelevo i pantaloni di una tuta e una
maglietta bianca. Delicatamente, come se fosse una
bambola di porcellana, la vesto. É un gesto così intimo da
fare con una donna, ma io mi sento come se mi fossi
estraniato dal mio corpo. Come se mi stessi osservando
da fuori. E quello che vedo fa male, perché so che farebbe
male a lei. Stoicamente resisto accanto a lei, prendendola
di nuovo in braccio e facendola sedere sulla poltrona lì
accanto. Inizio ad asciugarle i capelli, metodico, stando
bene attento a non lasciarne neppure una ciocca bagnata.
I miei pensieri, senza che possa farci nulla, iniziano a
divagare. Mi ricordo com’era avere Leila a disposizione.
Mi ricordo lei in ginocchio, a quattro zampe, legata a
lasciarsi frustare nella mia Stanza dei giochi. Ricordo le
lacrime che le solcavano il viso, portando con sé il
mascara. Solchi neri, profondi, che ricalcavano quelli
rossi e altrettanto profondi che io le avevo lasciato sulla
schiena, sulle gambe, sul culo. E sotto quel fiume nero, le
sue labbra sorridenti e appagate. Perché era quello che
voleva. Leila era una perfetta Sottomessa. Sempre pronta
a compiacere, a gratificare. E lei stessa si sentiva
gratificata dal piacere che le procuravo. Avrei potuto farla
distendere a terra davanti l’uscio di casa e usarla come
zerbino. Lei sarebbe stata felice di accontentarmi, di
compiacermi. Il pensiero è sgradevole ora. Ho usato
molte donne come ho usato Leila. E tutto perché avevo
una smania di vendicarmi di mia madre. Perché? Ricordo
che da piccolo volevo proteggerla. Poi, nel tempo, dopo
Elena, quel desiderio si è trasformato in voglia di
vendetta. Lei non si era lasciata proteggere da me. Lei
subiva passivamente le percosse, i pugni, le violenze a cui
la sottoponeva quel lurido porco. Allora, forse, era quello
di cui aveva bisogno. Era quello. Era quello e poi la sua
dose. Lo faceva per essere premiata. Lo faceva per
raggiungere il suo scopo, il suo piacere. Allora forse ero io
quello sbagliato. Forse ero io a non capire che nella vita si
deve sopportare per ricevere in cambio quello di cui
abbiamo bisogno. Era quello che avevo fatto con Elena.
Avevo accettato che lei mi trattasse alla stregua di un
manichino, che mi violasse, che mi picchiasse. E poi che
mi desse quello che volevo, quello di cui avevo bisogno
per andare avanti. Che placasse la sete e la fame dei miei
ormoni imbizzarriti. E, a mia volta, avevo dato ad altre
quello che era stato dato a me. Nello stesso identico
modo. Non siamo forse tutti così, a questo mondo? Non
abbiamo forse bisogno tutti delle stesse cose? Ne avevo
avuto la prova con mia madre. E sceglievo ragazze che le
somigliavano per vendicarmi di avermi tolto la mia
smania di proteggerla, di avermi fatto nascere per
abbandonarmi. Ma poi... poi era arrivata lei. Era entrata
nel mio ufficio, inciampando e cadendo goffamente a
terra. E quando si era rialzata, aveva trascinato anche me
dal fondo dell’abisso in cui ero sprofondato. Ora riuscivo
a capirlo perfettamente. Ero sempre stato suo. Sempre.
Dal primo sguardo, dal primo tocco della sua mano. Gli
ero appartenuto sin dall’inizio. Dal primo all’ultimo bacio.
Non ero mai stato in grado di riversare su di lei quella
violenza, di associarla ad una parte della mia vita tanto
oscura. Di associarla ad una persona che mi aveva ferito
così tanto. Lei mi aveva ferito, sì, ma Anastasia mi aveva
salvato. Dall’abisso del mio passato, dalla violenza, da
tutto. E l’unica volta in cui avevo provato a ferirla sul
serio, per lasciarmi tutto alle spalle, era stato lacerante.
Ma avevo finalmente capito. Volevo lei. Volevo solo lei.
Avrei sempre voluto solo lei. Perché le appartengo. É la
signora del mio universo.
Chiudo gli occhi, sospirando a fondo. Faccio alzare
Leila e la adagio di nuovo sul letto di Anastasia. Torno in
bagno a recuperare la mia giacca e il cellulare. Il telefono
squilla due volte prima che qualcuno si decida a
rispondere.
«John, sono io. Ho trovato Leila. Ha bisogno del tuo
aiuto»
Flynn si mette immediatamente in moto. Lascio alla
sua segretaria l’indirizzo di Anastasia e torno da Leila. É
distesa sul letto, inerme, lo sguardo perso nel vuoto. Mi
siedo sul bordo, accanto a lei, prendendole una mano tra
le mie.
«Mi dispiace, Leila. Mi dispiace così tanto» mormoro
angosciato.
Questo non cancellerà quello che le ho fatto, lo stato in
cui l’ho ridotta. Ma ho bisogno di chiederle scusa.
«Io... io sono stato così crudele con te. Ma ora sono
qui. Ti aiuterò, te lo prometto. Non ti lascerò sola. Mi
assicurerò che tu stia bene»
Sorprendendomi, lei si gira a guardarmi, fissando i
suoi occhi marroni nei miei. Le sue dita stringono le mie,
poi mollano la presa, esauste.
«Io non volevo... non volevo... non volevo... Lei... lei è
come me. Però parla» sussurra.
Poi scatta all’improvviso, rannicchiandosi in posizione
fetale sul letto e continuando il suo mantra.
«Non volevo, non volevo, non volevo»
Si dondola, stringendosi le ginocchia. La fermo,
mentre il dolore si propaga ad ondate nel mio corpo.
«Leila... Leila, calmati»
Ma lei continua.
«Lei parla... lei dorme nel letto del Padrone... lei lo fa
ridere... lei non è come me, come le altre, non è come
noi.. lei è diversa... lei parla»
«Sì, lei parla» dico, sospirando e lasciando ricadere le
braccia.
Anche lei si ferma, guardandomi.
«Lei parla, Leila, perché non ha bisogno di me per
farlo. Lei è forte, indipendente. Non è la mia Sottomessa.
Non lo è mai stata. É la mia fidanzata, la donna che amo.
Anche tu avevi un fidanzato, ricordi? Te lo ricordi,
Leila?»
I suoi occhi diventano grandi, pieni di paura.
«Lui non c’è più... Sono sola... sola...»
«No, non lo sei. Lo sei stata, ma io non ti lascerò sola.
Mi prenderò cura di te. Mi assicurerò che tu stia bene»
La suoneria del mio telefono ci interrompe. É Flynn.
Apro la porta e mi trovo davanti lui, un’infermiera e
Taylor. Li faccio entrare e gli indico la stanza di
Anastasia. Poi fermo Taylor.
«Dov’è Anastasia?» chiedo ansioso.
«É andata a bere qualcosa e poi a casa, insieme a Mr
Kavangh» risponde fissandomi.
«Cosa cazzo ti è saltato in mente?» urlo. «Dovevi
accompagnarla tu! Cristo santo, Jason! Era sconvolta!»
Per la prima volta da quando lo conosco, Taylor mi
guarda negli occhi sfidandomi quasi.
«Giusto, Mr Grey, era sconvolta. Era talmente
sconvolta che ho pensato che avrebbe voluto sfogarsi con
qualcuno. E di certo non l’avrebbe fatto con me»
Lo fisso con rabbia, ma so che ha ragione. Stringo forte
le labbra, mentre con un moto esasperato raggiungo la
stanza nella quale Flynn e l’infermiera stanno visitando
Leila.
«John...» mormoro, senza riuscire a distogliere lo
sguardo dal braccio di Leila nel quale è infilato un ago al
momento.
«É solo un calmante, Christian» mi dice
rassicurandomi «Ho chiamato una clinica qui a Seattle.
La porteremo lì per una visita più approfondita e, stasera
stessa, la trasferiremo in una struttura psichiatrica a
Fremont. Stai tranquillo» aggiunge, dandomi una pacca
sulla spalla e sorridendomi comprensivo.
«É colpa mia, John...» mormoro senza riuscire a
distogliere lo sguardo da lei.
«Sai che non è così, Christian»
Lo so? Forse. Ma forse in parte è davvero colpa mia.
«Voglio aiutarla. Le ho promesso che mi sarei preso
cura di lei»
«Bene. Ora dobbiamo portarla via di qui»
Ci adoperiamo per portarla giù, ma quando cerco una
giacca per coprirla, non la trovo da nessuna parte. Ana ha
portato via gli abiti per trasferirsi da me. Decidiamo di
avvolgerla in un lenzuolo. Leila è scossa dai tremiti e mi
occupo io stesso di portarla di sotto. Saliamo nell’auto di
Flynn e partiamo verso la clinica, mentre Taylor torna
all’Escala per occuparsi di Anastasia. In auto continuo a
tenere Leila in braccio. Ora dorme, come una bambina. É
fragile. Non riesco a staccare gli occhi dal suo viso
segnato dal dolore e dalla solitudine. Da tutto quello che
le ho fatto.
«Non è colpa tua, Christian»
La voce di Flynn penetra la nebbia che mi avvolge. Lo
guardo, cercando di convincermi che la compassione che
gli leggo negli occhi la merito. Ma non ci riesco.
«Avrei potuto ridurre anche Anastasia in questo stato»
mormoro, come se fossi in trance.
«Non avresti potuto. Tu ami Anastasia. E lei ti ama. La
vostra relazione e’ stata qualcosa di profondo sin
dall’inizio, diverso dal contratto che avevi con le tue
partner precedenti. Tu lo sai. E anche lei credo lo sappia,
anche se la sua autostima andrebbe rinforzata per bene»
Sorride e mi trovo a ricambiare. Il tragitto non è lungo
e quando arriviamo ho appena consegnato Leila nelle
mani degli infermieri della clinica quando sento il mio
BlackBerry squillare. Rispondo in automatico, mentre
fisso i due uomini che la portano via.
«Grey»
«Mr Grey, Ana non è all’Escala»
Le parole di Taylor mi colpiscono dritte al cuore come
una coltellata. Il dolore è così forte che quasi mi piego in
due. Devo essere bianco come un cadavere perché Flynn
si avvicina per sorreggermi.
«Che cazzo vuol dire che non è all’Escala?» sibilo.
«L’ho cercata in tutte le stanze e il portiere non l’ha
vista entrare»
No. No, no, no. Se n’è andata. É fuggita via da me. Mi
ha lasciato di nuovo. La voce non riesce ad uscire, non ce
la fa. Sono immobile, mentre sento Flynn dire qualcosa.
Ma non riesco a capire cosa... sento solo una voce
lontana. E poi un’altra che vi si sovrappone.
«Mr Grey... Mr Grey è ancora lì?... Mr Grey...
Christian?» la voce di Taylor finalmente riesce a
scuotermi.
«Devi trovarla. Devi trovarla o ti riterrò personalmente
responsabile, Jason» ringhio contro la cornetta, mentre
Flynn mi osserva con la fronte corrugata.
«Mr Grey, io esco a cercarla. Lei torni qui all’Escala,
nel caso si faccia viva»
«Rintraccia il suo cazzo di BlackBerry se è necessario,
ma cerca di trovarla!»
«Il suo telefono è nell’Audi, Mr Grey. Miss Steele non
ha portato la borsa con sé»
«Fai il giro del mondo, Taylor, non me ne fotte un
cazzo. La rivoglio indietro! Non avresti dovuto lasciarla
andare da sola!» urlo nella cornetta, chiudendo la
conversazione.
Mi passo una mano nei capelli, mentre il mio piede
destro fatica a stare fermo a terra.
«Christian, cosa succede?» mi chiede Flynn con calma.
Come cazzo fa? Come cazzo fa a restare impassibile di
fronte a tutto?
«Anastasia non è a casa. É andata via insieme con il
suo amico, prima. E... non è tornata a casa» farfuglio in
preda al panico.
«Calmati, Christian. Questo non vuol dire che ti abbia
lasciato. Avrà avuto bisogno di schiarirsi le idee»
Lo guardo e per un attimo mi concedo il lusso di
sperare.
«Dovresti tornare a casa» continua. «Ci occuperemo
noi di Leila. Stasera stessa la trasferiremo a Fremont»
Annuisco, nervoso e sconfitto.
«Devo tornare a casa. Potrebbe tornare» sussurro,
guardando le pareti di un grigio squallido e triste.
Saluto in fretta Flynn ed esco in strada, fermando un
taxi. Salgo e do all’autista l’indirizzo dell’Escala. Il mio
cuore batte all’impazzata. “Non può avermi lasciato. Non
può. Ana non puoi aver creduto che io volessi Leila”.
‘Davvero, Grey? Davvero pensi che lei non ci abbia
creduto? E se invece avesse visto quello che in realtà sei?’.
Stringo forte gli occhi, poggiando la testa contro il sedile.
Mi passo entrambi le mani nei capelli, e conto ogni
singolo secondo che mi separa dal mio appartamento,
alimentandomi con la speranza di trovarla dentro una
volta arrivato.
Ma quando spalanco finalmente la porta e percorro il
corridoio, quello che vedo è il buio. L’oscurità. Sono di
nuovo solo. Nella mia torre sospesa sulle nuvole. Sorrido
amaro. Una volta l’ho sentita definirlo in questo modo il
mio appartamento. La sconfortante sensazione di essere
di nuovo solo contro il mondo mi fa venire voglia di
spaccare qualcosa. Mi tiro forte i capelli con le dita,
cercando di domare la rabbia, la frustrazione e più di
tutto il dolore. Un dolore tanto forte e acuto che mi
sembra di sentirlo come una sorta di ronzio sordo nelle
orecchie. Poi mi accorgo che è il mio telefono. É Taylor.
«Dimmi che l’hai trovata!» sbraito, andando avanti e
indietro.
«No, Mr Grey. Ho controllato il suo appartamento di
nuovo»
Sto per dirgli di non tornare se ci tiene alla sua vita
quando mi appare come una visione.
«È qui» esclamo sollevato, chiudendo il telefono.
Mi giro a guardarla. Come al solito non riesco
semplicemente ad essere contento di vederla. No. Devo
fare lo stronzo. Perché sono incazzato. Perché dopo una
giornata che definirla schifosa è dire poco, vorrei che le
cose andassero bene almeno con lei. Ma non mi sembra
questo il caso.
«Dove cazzo
avvicinandomi.
sei
stata?»
le
ringhio
contro,
Anastasia si porta una mano alla tempia, barcollando
leggermente. É... è ubriaca?
«Hai bevuto?» le chiedo, guardandola stupefatto.
«Un po’» ammette, guardandomi con la fronte
corrugata.
Sussulto. Ana non beve. Mai. Quanto traumatico deve
essere per lei quello che ha visto? Mi passo una mano nei
capelli, che oramai stanno per conto loro.
«Ti avevo detto di tornare qui» le dico pacato, anche se
dentro ribollo di rabbia verso me stesso. Sono uno
stronzo. Un povero stronzo. «Sono le dieci e un quarto di
sera. Mi stavo preoccupando per te» continuo, fissandola
dritto negli occhi.
«Sono andata a bere un paio di birre con Ethan,
mentre tu ti prendevi cura della tua ex» sibila acida,
rimbrottandomi contro. «Non sapevo per quanto
tempo saresti rimasto... con lei»
Stringo gli occhi, riducendoli a due fessure e mi
avvicino ancora a lei di un paio di passi. Ho solo voglia di
stringerla e sapere che è qui davvero. E tutta intera
soprattutto. Ma la sua espressione mi fa scattare un
campanello d’allarme.
«Perché dici così?» chiedo.
Si stringe nelle spalle, abbassando lo sguardo ed
evitando i miei occhi.
«Ana, cosa c’è che non va?» chiedo, deglutendo a
fatica, con paura.
Perché ho paura. Di sentirle dire di nuovo che vuole
andarsene. Che è tornata solo per dirmi addio.
«Dov’è Leila?» mi chiede, invece di rispondermi,
tornando a guardarmi.
«In un ospedale psichiatrico a Fremont» le dico con
disinteresse. Quello di cui mi importa ora è solo lei. Le
scruto il volto, in cerca di qualche indizio che mi dica sul
serio come si sente. «Ana, che cosa c’è?». Mi avvicino di
più a lei, colmando la distanza. Resto in piedi di fronte a
lei, senza toccarla. «Cosa c’è che non va?» mormoro in
preda al panico.
Lei inspira lentamente. Così lentamente che temo per
quello che mi dirà. Poi inizia a scuotere piano la testa.
Senza abbandonare i miei occhi.
«Non vado bene per te» sussurra.
«Cosa?» esclamo, spalancando gli occhi per il terrore.
«Perché lo pensi? Com’è possibile che tu lo pensi?» la
accuso. “Come fai a non renderti conto di quanto io ti
ami, Anastasia? Cos’altro devo fare? Da quando ti
conosco è stato sempre tutto per te. Qualsiasi cosa io
abbia detto o fatto. Tutto per te”.
«Non posso essere tutto quello di cui hai bisogno»
mormora appena.
«Tu sei tutto quello di cui ho bisogno» le dico deciso,
senza distogliere lo sguardo. Guardami, Anastasia. Lo
vedi quanto amore sento per te?
«Il solo vederti con lei...» inizia, ma non finisce la sua
frase, stringendo gli occhi per il dolore.
«Perché
mi
fai
questo?
Questa
faccenda
non
riguarda te, Ana. Riguarda lei». Inspiro forte, cercando
l’aria che mi manca ora. Mi passo la mano nei capelli,
tirandoli
all’indietro.
Devo
spiegarle.
«In
questo momento è una ragazza molto malata». É l’unica
cosa che riesco a dirle, mentre l’angoscia mi assale.
«Ma io ho sentito... quello che condividevate»
«Cosa? No»
Mi avvicino per toccarla e farle capire che l’unica con
cui posso condividere qualcosa è lei. Ma Ana si ritrae di
scatto. Quel gesto fa male. Fa più male di qualsiasi altra
cosa. Più male del dolore che provavo da piccolo. ‘Ora lo
sa chi sei davvero, Grey’.
«Stai scappando?» le chiedo, spalancando gli occhi per
pura paura.
Sembra sul punto di dire qualcosa, ma non risponde.
«Non puoi» la imploro, mentre la gola mi si secca e
quasi non riesco a respirare.
«Christian... io...» le parole non riescono ad uscire
dalla sua gola.
“Non dirlo. Se non lo dici, non è vero”. Sento il suo
respiro accelerare per la tensione.
«No. No!» urlo disperato.
«Io...» ancora una volta non dice nulla.
Non dice una fottuta parola.
Mi guardo intorno, provando a tentare di trovare un
motivo valido per convincerla a restare.
«Non puoi andartene. Ana, io ti amo!». É l’unica cosa
che possiedo davvero e che posso donarle davvero. Il mio
cuore, il mio amore. É tuo Ana.
«Anch’io ti amo, Christian, è solo che...»
«No... no!» la interrompo in preda alla disperazione,
afferrandomi la testa con le mani. “Pensa, Christian.
Pensa, pensa, pensa cazzo!”
«Christian...»
«No» mormoro
l’ennesima volta.
ancora,
interrompendola
per
Non voglio sentirlo. Non voglio, non voglio, non voglio.
Non posso sentirle dire ancora che vuole andare via. “Se
non posso averti, Anastasia, la mia vita non ha senso. Io
senza di te sono nulla, sono polvere, sono una carcassa
umana. Non sono niente se non ti ho accanto. Ma perché
non so dirle queste cose? Perché è così difficile dirlo ad
alta voce?”. La guardo in preda al panico e so che sta per
dire di nuovo qualcosa. “No, Ana. Io non ho nient’altro
che te. Io vivo solo per te. Fai di me quello che vuoi”. Con
un sospiro dilaniato dall’angoscia mi lascio cadere in
ginocchio, davanti a lei. Non conosco altro modo di
dirglielo. Non so cos’altro fare. “Eccomi, Anastasia.
Eccomi prostrato ai tuoi piedi. Non c’è nulla più di questo
che possa fare per farti capire che sono tuo e tuo
soltanto”. Le mie mani scivolano sulle cosce, in quella
posa che ho preteso da lei più di una volta. Era il mio
modo di farle capire che mi apparteneva. Ora questo è le
farà capire che io appartengo a lei. Faccio un profondo
respiro e mi abbandono a quella consapevolezza. Io sono
suo. Io appartengo a lei. Questa è la prima volta che
riesco ad ammetterlo in modo così profondo.
«Christian, cosa stai facendo?» la sua voce trasuda
orrore.
Non la guardo. Fisso il pavimento, come è giusto che
sia. “Sei tu a decidere per me, Anastasia. Dimmi cosa
vuoi, cosa devo fare”.
«Christian! Che cosa stai facendo?» ripete a voce alta.
Resto immobile.
«Christian, guardami!» ordina con la voce spezzata.
Alzo la testa immediatamente, eseguendo il suo ordine
senza battere ciglio. La fisso impassibile, in attesa di
pendere dalle sue labbra. “Sono tuo, Anastasia. Ora puoi
capirlo fino in fondo. Ora puoi vedere fino a dove sei
capace di spingermi. Ora sei tu ad avere il controllo. Sei
tu che puoi gestire la situazione. Io sono tuo. Sono tuo,
Anastasia Steele. Ti appartengo”.
Capitolo 17
Resto in silenzio a fissare i suoi occhi azzurri spalancati
in un misto di orrore e shock. “Sì, Anastasia. Sono ai tuoi
ordini. Non so cos’altro fare, non so come comportarmi. E
pur di non farti andare via da questa casa, lascio a te
libera scelta sul mio futuro”. La fisso a fondo, senza quasi
battere ciglio, mentre il sangue le defluisce totalmente dal
viso, rivelando al sua carnagione di porcellana. Inspira
forte, a fatica, tirando su col naso e tenendosi una mano
sul petto, come a volersi liberare da una costrizione. La
sua testa si muove piano. La scuote, incredula. Sembra
quasi ferita in realtà. Ma io non mi muovo. Non posso. É
lei a decidere se posso farlo o meno.
«Christian, per favore, non fare così. Non voglio»
sussurra con la voce strozzata, il respiro che fatica ad
uscire.
“No, Ana. Non posso. Non me l’hai ordinato, mi hai
solo fatto una richiesta. Ho bisogno che tu sia precisa, che
tu mi ordini di fare quello che vuoi che faccia”. Il pensiero
di quanto deve averla ferita quella scena con Leila mi
induce ad essere ancora più determinato. “Ecco,
Anastasia. Sono nelle tue mani. E questo è il tipo di
potere che avevo su Leila. Ecco perché ho dovuto usare il
mio ascendente, ho dovuto usarlo a mio vantaggio per
salvarti”. I miei occhi non lasciano mai i suoi, memore del
suo ordine di guardarla. I suoi, invece, si riempiono di
calde lacrime, che Ana cerca di trattenere a stento.
«Perché stai facendo questo? Parlami» sussurra con un
filo di voce, stringendo con forza la mano sul suo petto,
fino a farsi sbiancare le nocche.
Sbatto piano le palpebre, risvegliato dal suo comando.
«Che cosa vorresti che ti dicessi?» le chiedo
pacatamente, in attesa che mi dica cosa dire, le parole che
devo pronunciare per evitare che lei mi lasci.
‘Forse ti lascerà lo stesso vedendoti in questo stato
patetico’. Forse. Ma almeno saprò di averle dato libera
scelta. Sono completamente nelle sue mani. Le lacrime
iniziano silenziosamente a rigarle il viso in modo copioso.
Sono lacrime grosse, piene di dolore, di stanchezza, di
fatica. Vorrei poterle asciugare, poterle dire che va tutto
bene. Ma la realtà è che non lo so se va davvero tutto
bene. L’unica che può saperlo è lei. Ecco perché è così
importante che sia lei a decidere. Potrebbe farmi di tutto
in questo momento. Dio, potrebbe anche toccarmi. Anzi
forse vorrei che lo facesse, per superare finalmente questo
scoglio. Per essere costretto a fare i conti con la parte più
dolorosa del mio passato e superarla grazie a lei.
Ana mi scruta anche attraverso le lacrime. E sembra
leggermi dentro. Sembra sapere quanto possa essere
fragile una volta penetrata la mia corazza. Sono bravo a
nasconderlo, certo. Ma sono anche cosciente del fatto che
i miei demoni non mi abbandonano mai. Mai. In quelle
iridi blu profonde vi leggo di tutto. Un velo di tristezza le
rende quasi ipnotizzanti. Poi la osservo stringere le
labbra, con forza, corrugando la fronte in un segno di
determinazione. É bellissima la mia Anastasia. Inspira di
nuovo, continuando a fissarmi, e alla fine la vedo
abbassarsi. Ho un moto improvviso di rabbia, penso che
stia per svenire e io sono qui, inerme, senza potermi
muovere perché lei non mi dice di farlo. Ma poi capisco.
Poi afferro il messaggio implicito. Anastasia si
inginocchia piano, davanti a me, comunicandomi con
quel gesto che non ha nessuna intenzione di dominarmi,
di prendere decisioni che secondo lei non le spettano.
Siamo sullo stesso livello, sullo stesso piano. E mi chiedo
come ho fatto, in tutto questo tempo, ad arrogarmi il
diritto di sapere cosa fosse meglio per lei. É evidente che è
lei che conosce realmente come stanno le cose. Siamo
entrambi allo stesso livello, allo stesso punto. Ed è per
questo che la amo. Per il suo non sottomettersi alla mia
volontà. Per il suo essere così viva e indipendente anche
senza il mio aiuto. Il suo essere forte. Voglio che dipenda
da me, ma sono orgoglioso della sua indipendenza. Del
suo essere così com’è. Si asciuga le lacrime con il dorso
delle mani, cercando di ricomporsi. Vorrei baciargliele via
io quelle lacrime. Continuo a fissarla impassibile, in
attesa. Ho bisogno che lei mi dica cosa fare. “Non
perderla, per favore. Fa’ che non mi dica che devo
lasciarla andare via”.
«Christian, non devi fare così. Io non scapperò. Te l’ho
detto e ridetto. Non scapperò. Tutto quello che è
successo... è sconvolgente. Ho solo bisogno di un po’ di
tempo per riflettere... un po’ di tempo per me stessa.
Perché pensi sempre al peggio?»
La sua voce è spezzata dai singhiozzi. Ma sento che è
sincera. Sento che sta per dirmi tutto quello che le passa
per
la
testa
in
questo
momento.
Stringo
impercettibilmente le mani sulle cosce. Attendo. Attendo
ancora. Lo so che non vorrebbe vedermi in ginocchio, l’ho
capito. Ma se ora mi alzassi, non avremmo risolto niente.
Si terrebbe tutto dentro. E io ho bisogno di sapere, invece.
Ana trema, scossa dal mio essere immobile. Quando
torna a parlare, balbetta per l’esasperazione, la paura, il
terrore.
«Stavo per suggerire che potrei tornare al mio
appartamento stasera. Non mi hai mai dato tempo...
tempo per riflettere bene sulle cose»
Si ferma, interrotta da un singhiozzo troppo forte, e io
la guardo incupendomi per un istante. Tempo? Tempo
per riflettere e basta? ‘É ovvio che voglia tempo, coglione.
Ti ha lasciato in un appartamento con la tua ex
sottomessa ai piedi. Falla respirare, non opprimerla’. E se
invece si allontanasse da me in modo definitivo dopo
averci pensato? Ana sembra leggermi nella mente, perché
si affretta a rispondere alla mia domanda inespressa.
«Tempo per pensare, e basta. Ci conosciamo a stento, e
tutto questo fardello che ti porti appresso... Ho bisogno...
ho bisogno di tempo per riflettere. E ora che Leila è... Bè,
ovunque sia... non è più là fuori e non è una minaccia...
pensavo... pensavo...»
Le parole le muoiono in gola, mentre i suoi occhi tristi
penetrano a fondo i miei. La fisso attentamente,
rendendomi conto che ancora una volta ha ragione. Sono
irrazionale. É logico che non avrebbe potuto sedersi con
me e chiacchierare come se niente fosse accaduto. É ovvio
che ha bisogno di elaborarlo e metabolizzarlo. É stata
perseguitata e minacciata di morte. Mi ha visto
sottomettere un’altra donna e, anche se l’ho fatto per
metterla in salvo, questo non cambia quello che i suoi
occhi e la sua mente hanno conosciuto. Cazzo, io stesso
faccio fatica a non farmi schiacciare dal peso di tutto
questo. Lei è forte, sì. Ma non così tanto.
«Vederti con Leila...» inizia di nuovo, chiudendo gli
occhi, come se stesse dimostrando con i gesti e le sue
parole la correttezza del discorsetto appena partorito dal
mio cervello. «È stato un tale shock. Ho avuto una fugace
visione di quella che è stata la tua vita... e...»
Si blocca di nuovo, abbassando gli occhi mentre le
lacrime le solcano il viso, scorrendo silenziose e
cadendole in grembo e formando un piccolo laghetto
sull’abito blu.
«Ha a che fare con il mio non essere abbastanza per te.
È stato un presentimento sulla tua vita, e ho così tanta
paura che ti stanchi di me, e che poi te ne andrai... e che
io finirò come Leila... un’ombra. Ti amo, Christian, e se tu
mi lasci, sarà come vivere in un mondo senza luce.
Vagherò nell’oscurità. Non voglio scappare. Sono solo
spaventata dall’idea che tu mi lasci...»
Mentre ascolto rapito le sue parole una fitta lancinante
mi trafigge il cuore. La guardo, in ginocchio come me.
Voleva dimostrarmi che siamo alla pari, ma lo ha fatto
veramente solo con queste parole. In lei vedo riflesse le
mie paure, i miei tormenti, la paura di non essere
abbastanza per la donna che amo e di vederla allontanarsi
da me, chiudendosi alle spalle la porta e lasciandomi
vuoto e solo nella mia oscurità. “Ma io ti amo, Anastasia.
Non puoi non vederlo. Non puoi pensare che me ne andrò
dopo quanto ti sto dando di me stesso”. Eppure... eppure
se le paure sono le stesse, perché l’amore non dovrebbe
essere lo stesso? Forse sono io incapace di vedere che
invece mi ama profondamente tanto quanto io amo lei.
Forse non siamo mai stati così simili come in questo
momento, mentre mettiamo a nudo le nostre anime e le
nostre paure. Ma perché? Perché mi ami, Anastasia?
Avresti mille motivi per non farlo. Qual è quello che ti
spinge a fare il contrario?
«Non capisco perché mi trovi attraente» mormora,
tenendo gli occhi bassi. «Tu sei. Bè, tu sei tu... e io...» si
stringe nelle spalle, tornando a guardarmi finalmente. «È
solo che non lo capisco. Tu sei bellissimo, sensuale, di
successo, buono, gentile e amorevole... tutte queste cose.
E io no. E non posso fare quello che a te piace fare. Non
posso darti quello di cui hai bisogno. Come potresti essere
felice con me? Come potrei mai riuscire a tenerti legato a
me?»
Le sue parole sembrano tante stilettate date in
successione. Io non sono bello, buono, gentile e... tutte
queste cose, Ana. Io non sono nulla di fronte a te. Io non
valgo niente di fronte alla tua bontà e forza d’animo. E tu
mi dai quello di cui ho bisogno. Tu sei quello di cui ho
bisogno.
«Non ho mai capito cosa vedi in me. E osservarti con
lei ha portato tutto a galla» sussurra alla fine, tirando su
con il naso e cercando di asciugare le lacrime con le mani,
come una bambina, piccola e fragile.
Vorrei solo stringerla, ma sono incantato dalla sua
onestà. Ha tirato fuori tutto, tutto. E quando ci alzeremo
da qui, insieme, saprò cosa darle, saprò in che modo farla
sentire sicura e felice. Io posso farcela, posso amarti. Non
lo merito il suo amore e non è solo una convinzione. Ma
posso renderla felice e amarla per tutta la vita. É il mio
unico scopo. Alza appena le mani, sbattendole poi sulle
gambe, in un moto di esasperazione.
«Te ne starai qui in ginocchio tutta la notte? Perché lo
farò anch’io!» esclama e non riesco quasi a trattenere un
sorriso.
“La mia adorabile Anastasia”. La osservo mentre flette
le dita e mi guarda il petto e vengo assalito da un moto di
terrore che mi impedisce di stringerla come avevo appena
deciso di fare. ‘É ovvio che voglia toccarti, Grey. Tu non
impazzisci se non puoi averla? Soprattutto in momenti
come questo?’.
«Christian, per favore... per favore... parlami» implora.
Si tormenta le mani, mentre il panico e il terrore mi
serrano la gola e mi impediscono ogni minimo
movimento. Perché finalmente ho capito. Ho capito cosa
devo fare per riallacciare quel debole filo che sembra si
stia spezzando tra di noi. Devo darle l’unica cosa che ho
sempre negato a tutte. L’unica che mi è rimasta da darle.
Ma prima deve sapere come mi sento.
«Per favore» mi implora e il suo tono risveglia la mia
coscienza.
Sbatto piano le palpebre e so di essere consapevole di
quello di cui ho bisogno ora.
«Ho avuto così tanta
guardandola intensamente.
paura»
sussurro
piano,
Ana trattiene il respiro, visibilmente sollevata, poi
espira profondamente e a lungo. Vorrei stringerla, ma
devo trattenermi ancora. Devo dirle come mi sono
sentito. Deve sapere. Dobbiamo sapere con cosa abbiamo
a che fare.
«Quando ho visto Ethan fuori dal palazzo, ho capito
che qualcuno ti aveva fatta entrare nell’appartamento.
Taylor e io siamo balzati fuori dall’auto. Avevamo capito.
E vedere lei là, in quello stato, con te, e armata... Penso di
essere morto un migliaio di volte, Ana. Qualcuno che
minaccia la tua vita... La realizzazione di tutte le mie
peggiori paure. Ero così arrabbiato con lei, con te, con
Taylor, con me stesso» mi lascia parlare, attenta, mentre
scuoto la testa ricordando il dolore che ho provato in
quegli istanti. «Non sapevo quanto lei potesse essere
instabile. Non sapevo cosa fare. Non sapevo come
avrebbe reagito».
Mi fermo per un attimo, tentando di trovare le parole
adatte per farle capire che ogni cosa ho fatto e soprattutto
perché l’ho fatto.
«E poi lei mi ha dato la chiave. Aveva l’aria così
contrita. E allora ho saputo quello che dovevo fare»
Azzardo un’occhiata nella sua direzione, con la paura
di vedere l’odio e il disgusto dipinti sul suo viso. Ma
quello che vedo mi fa tremare il cuore dall’emozione.
Nell’azzurro dei suoi occhi riesco solo a scorgere amore,
apprensione, compassione. Mi perdo a guardarla, tanto
che è lei, ad un certo punto, a spronarmi a continuare la
mia confessione.
«Va’ avanti» sussurra piano.
Deglutisco
velocemente.
piano,
inspirando
ed
espirando
«Vederla in quello stato, sapere di aver avuto a che fare
in qualche modo con il suo stato...». Chiudo gli occhi
mentre il colpo al cuore che ho provato in quell’istante si
ripete nello stesso identico modo. Li riapro subito, per
controllare che lei sia davvero qui con me, che stia
davvero bene e che davvero non ci siano più pericoli. La
guardo e poi rivedo Leila. Avrei potuto ridurre anche Ana
in quello stato. «È sempre stata così maliziosa e vivace»
Rabbrividisco al solo pensiero di quello che avrei
potuto fare di lei se solo avesse acconsentito dalla prima
sera a firmare quel contratto. Il respiro mi si blocca nei
polmoni, quasi soffocandomi, fino a quando non riesco ad
espellerlo. E il solo pensiero, invece, di aver ridotto Leila
in quel modo, di averla resa pazza, tanto da arrivare a
perseguitare Anastasia. É stata tutta colpa mia. Lei era in
pericolo. E la colpa era mia. Singhiozzo quasi, fino a
quando non riprendo il mio flusso di parole. Ana rimane
attenta, dandomi il mio tempo.
«Avrebbe potuto farti del male. E sarebbe stata colpa
mia» le dico, distogliendo gli occhi da lei, disgustato da
me stesso. Resto in silenzio, sconcertato da tutto il peso
delle mie colpe.
«Ma non l’ha fatto» sussurra lei, facendomi voltare di
nuovo a guardarla. «E tu non sei responsabile dello stato
in cui si trova, Christian» aggiunge, sbattendo le palpebre
e incoraggiandomi a continuare.
“Mi stai dando l’assoluzione, Anastasia?”. La guardo e
non riesco a credere che dopo quello ha sofferto a causa
mia, dopo quello che ha visto, è ancora qui, accanto a me,
a dirmi che va tutto bene. I suoi occhi subiscono un
rapido mutamento, diventando colmi di lacrime e dolore.
So che sta pensando alla stessa scena che ho in mente io.
L’uomo che ama, in piedi, con un’altra donna prostrata ai
suoi piedi pronta a fare tutto per compiacerlo.
«Volevo solo che tu andassi via» mormoro, tentando di
spiegarle le motivazioni alla base delle mie scelte. «Ti
volevo lontana dal pericolo e... Tu. Proprio. Non. Te. Ne.
Andavi» sibilo a denti stretti, frustrato ora come in quel
momento. “Sì, questa donna mi manderà al manicomio.
Ma la amo”. La fisso attento, mentre lei mi guarda con gli
occhi spalancati, iniziando forse a capire.
«Anastasia Steele, sei la donna più testarda che
conosca»
Chiudo di nuovo gli occhi, scuotendo la testa, incredulo
dinnanzi alla realizzazione della sua sfacciata
testardaggine. Anastasia sospira a lungo, di sollievo, come
se si fosse appena tolta di dosso un pensiero. Riapro gli
occhi, guardandola. “Mi dispiace. Anastasia. Mi dispiace”.
«Non stavi scappando?» le chiedo, per essere ancora
rassicurato.
«No!» urla esasperato.
Chiudo di nuovo gli occhi, rilassandomi del tutto dopo
l’ennesima rassicurazione. Ma il dolore e l’angoscia per
tutto quello che è successo. Per la fottuta paura di
perderla.
«Pensavo... Questo sono io, Ana. Tutto ciò che sono... E
sono tutto tuo. Che cosa devo fare per fartelo capire? Per
dimostrarti che ti voglio in tutti i modi possibili. Che ti
amo» le sussurro con impeto.
«Anch’io ti amo, Christian, e vederti così...» si ferma,
iniziando a singhiozzare e a piangere sommessamente.
«Pensavo di averti spezzato»
«Spezzato? Me? Oh, no, Ana. Proprio l’opposto» le
dico d’impeto, prendendole la mano. «Tu sei la
mia ancora di salvezza» le sussurro, tentando di
rassicurarla.
Mi porto la sua morbida mano alle labbra, baciandone
piano le nocche. Poi premo il mio palmo contro il suo. La
sua piccola mano aderisce alla mia, tanto più grande della
sua, ma perfette l’una contro l’altra. Guardo il modo in
cui le nostre pelli aderiscono e si completano e dentro di
me affiora deciso il desiderio di sentire quella
completezza nella sua integrità. Spalanco gli occhi, per la
paura di farmi male e farle male. Non vorrei fare qualcosa
che non riesca poi a sopportare e mi porti ad allontanarla
in modo brusco da me. Ma devo. Devo. É quello di cui ho
bisogno. Oramai non posso sfuggire a questa realtà. Le
mie dita si spostano, scivolando lungo il suo polso
delicato. Posso sentire il sangue pulsarle nelle vene.
Piano, delicatamente, tiro la sua mano verso di me,
poggiandola sul mio petto. Per un attimo sbando, la mia
mente vacilla e mi ritrovo a sudare, con il battito
accelerato. É una sensazione del tutto nuova per me. La
guardo e la mia mente mi ripropone una serie di
flashback dei nostri incontri, dall’inizio ad oggi. Una
sequenza di Anastasia con diverse espressioni, con un
sorriso meraviglioso, con l’amore negli occhi. Tutto, ogni
singolo istante, è stato per questo. Tutto. Lei è fatta per
me. Lei è l’unica a cui avrei mai potuto concedermi
totalmente. Sono tuo, Anastasia. Sono completamente
tuo ora. Un brivido mi costringe a tornare alla realtà. La
sensazione della sua mano sulla mia pelle, attutita dalla
camicia, è come una pressa infuocata. Temo quasi possa
lasciarmi un marchio, ma, allo stesso tempo, quel fuoco
mi accende le vene di desiderio. Il mio respiro accelera, e
il mio corpo è percorso da brividi di dolore e piacere. Il
mio cuore inizia a battere all’impazzata, come anche il
suo. “Sono tuo, Anastasia. Sono soltanto tuo”. Stringo
forte la mascella, continuando a fissarla negli occhi
grandi e spalancati. Sto facendo uno sforzo sovrumano
per domare tutte queste sensazioni che mi si aggrappano
allo stomaco, facendomi vacillare. Lei deve accorgersene,
perché ad un certo punto sussulta, trattenendo il respiro
per molto tempo. Senza smettere di fissarla, le libero
lentamente il polso, lasciando la sua mano libera di
muoversi sul mio petto. “Vedi, Anastasia, quanta fiducia
riesco a riporre in te? Come fai ad avere ancora dei
dubbi?”. Lei schiude piano le labbra, mentre flette
leggermente le dita sulla stoffa della mia camicia.
Trattengo il fiato, senza sapere dove si sposterà. Le sue
dita si fermano e sul volto le si dipinge un’espressione
contrita. Fa per allontanare la mano, ma la fermo.
«No» le dico d’istinto, coprendo le sue dita con le mie e
premendole di nuovo sul mio petto. «Non farlo»
Mi guarda, poi il suo sguardo si sposta sulle mie dita
che coprono le sue. Piano, avanzando sulle ginocchia, si
avvicina a me. Le nostre gambe si toccano. Con infinita
lentezza, per darmi il tempo di capire quello che sta
facendo o, più probabilmente, per cambiare idea, alza
l’altra mano. La fisso in silenzio. I miei occhi si
spalancano ancora, ma non la fermo. Ho bisogno del suo
tocco. Ora che so com’è, non riuscirei più a farne a meno.
Piano le sue dita agili iniziano a sbottonarmi la camicia.
Nessuno dei due guarda in direzione del mio petto. É
come se fossimo avvinti da un incantesimo. Grigio contro
azzurro. Azzurro contro grigio. E in mezzo tutto l’amore
che due persone complicate come noi sono capaci di darsi
a vicenda. Finalmente riesce a slacciare la camicia e
mettere a nudo il mio torace. Deglutisco, ma stavolta non
è paura. É desiderio. L’unica cosa che mi terrorizza è il
pensiero di averla tenuta lontana da me per tutto questo
tempo. Schiudo le labbra, in attesa. Ma lei esita. Mi fissa,
come per chiedermi se davvero può farlo. Sposto
leggermente la testa, inspirando e concentrandomi per
prevenire le sensazioni derivanti dal suo tocco. Sposta
leggermente la mano, ma poi esita di nuovo.
«Sì» le dico d’un fiato, cosciente del fatto che le serva il
mio assenso dichiarato per andare avanti.
Non rischierebbe mai e poi mai di farmi del male.
Neppure per una cosa che desidera così tanto. Lei non è
come me. Deglutisce e finalmente poggia le dita sul mio
petto, carezzando delicatamente i peli, all’altezza dello
sterno. Chiudo gli occhi d’istinto, aspettandomi quello
che ho sempre ricevuto quando qualcuno mi ha toccato in
quel punto. Dolore, puzzo di pelle bruciata, marchi,
cicatrici. Mi aspetto di provare tutto questo. Il ricordo di
tutte quelle sensazioni è più vivo che mai dentro la mia
testa. Quasi mi sembra di percepirlo quel dolore. Ma poi,
ad un tratto, sparisce. Sparisce lasciando il posto a un
fremito dolceamaro. Oddio, per tutto questo tempo mi
sono negato la sensazione meravigliosa e bruciante della
sua carne a contatto con la mia. Una sensazione così
intensa e carnale che faccio fatica ad accettare che possa
essere reale. Poi d’improvviso sparisce. Spalanco gli occhi
e le riporto la mano che ha appena allontanato di nuovo
sul mio petto.
«No» le mormoro riuscendo a stento a tenere a bada
l’emozione. «Ne ho bisogno»
Chiudo di nuovo gli occhi, accettando a fatica di nuovo
il suo tocco. Il mio cuore lo riconosce come buono,
necessario. Ma la mia mente lo respinge ancora. Deve
ancora convincersi che non porta crudeltà e malvagità.
Ho conservato solo per me stesso questa parte di me per
anni. E ora la sto condividendo con la donna che più di
tutto amo al mondo. Capisco perfettamente come deve
essersi sentita la prima volta che si è donata a me. Mi ha
donato qualcosa di prezioso e inestimabile. Una parte di
lei rimasta intatta e pura. Mi ha dato la possibilità di
appropriarmi di quella parte, forse la più preziosa che
avesse a parte il cuore. E ora io li possiedo entrambi.
Bene, Anastasia. Il mio cuore lo hai da tempo. Questo è
tutto quello che mi rimane. Ed è tuo. Apro gli occhi di
scatto e la fisso con desiderio, passione, ardore. “É tutto
tuo, Ana. Tu mi possiedi come mai ha fatto nessun’altra,
anima e corpo”.
Sento il respiro accelerarsi sempre di più, mentre
l’ondata di sensazioni nuove mi travolge e mi culla,
trasportandomi in una dimensione nuova. Una
dimensione dove tutto questo è possibile. Dove Anastasia
è libera di fare di me quello che vuole. Dove io e lei siamo
davvero una sola cosa. Il sangue mi ronza forte nelle
orecchie, escludendo qualsiasi altro rumore proveniente
dall’esterno. Riesco a concentrarmi solo sui suoi occhi
azzurri, ricolmi di lacrime che non riescono a cadere giù
però. Come me credo che sia incantata da questo nuovo
essere noi due insieme. La punta delle sue dita scorre
piano sulla mia pelle. Per un attimo barcollo, cedendo
quasi al richiamo così primitivo del suo tocco. “Dio, fa
male dentro. Ma è... è meraviglioso”. Forse, in tutto
questo tempo, con tutto quello che ho fatto, cercavo solo
di arrivare a questo. Questo è il confine perfetto tra dolore
e piacere. Il dolore di una vita intera. E il piacere di quello
che può essere da oggi in avanti questa vita. Mi rilasso, la
paura cede il passo all’eccitazione causata dalla sua pelle
a contatto con la mia. Come ho potuto negarmi per tanto
tempo tutto questo? Come ho potuto pensare che questa
parte del mio corpo non riconoscesse il suo come tutte le
altre parti? Ansimo, mentre la voglia di unirmi a lei
ancora di più, sempre più in profondità mi assale. Voglio
stringerla, voglio baciarla, voglio farla mia per provarle
quanto a fondo mi è entrata dentro con una semplice
carezza. Ad un tratto mi fissa più intensamente,
sporgendosi leggermente in avanti, chinandosi sul mio
petto. Capisco immediatamente cosa ha intenzione di
fare. Non la fermo. Non la fermo per il puro bisogno di
avere ancora di più. Delicatamente, quasi come se avesse
paura di farmi male, mi deposita un bacio leggero sul
petto. Il mio cuore sta per esplodere, il mio respiro
accelera al limite dell’inverosimile mentre l’unica cosa che
riesco a percepire dentro di me ora è puro e
fiammeggiante desiderio di lei. Un gemito mi si spezza in
gola alla sensazione delle sue calde labbra che scivolano
piano sulla mia pelle. Stringo forte gli occhi e la sento
sussultare e poi fermarsi. Il vuoto di quella sensazione è
la cosa più dolorosa che io abbia mai provato.
«Ancora» mi ritrovo ad implorare in un sussurro.
Dopo qualche attimo sento di nuovo le sue labbra.
Stavolta sfiorano leggiadre una delle mie cicatrici. Una di
quelle che fa più male. Trasalisco, per il tocco inaspettato
e per il fatto di scoprire che un suo bacio equivale ad una
sorta di cura per il mio tormento interiore. Le sue labbra
scivolano calde e umide sulla mia pelle, arrivando ad un
altro traguardo, un’altra cicatrice gelosamente custodita
fino ad oggi solo con me stesso. Il dolore al petto si
trasforma in desiderio pressante. Non riesco a trattenere
un gemito roco e la stringo forte a me, infilandole una
mano nei capelli e tirandogli la testa su, verso di me. La
bacio violentemente, facendo pressione fino a che le sue
labbra non si arrendono all’implacabilità delle mie.
Continuiamo a divorarci a vicenda, mentre le sue mani si
spostano tra i miei capelli, intrecciandosi alle ciocche
scompigliate dei miei capelli ramati.
«Oh, Ana» sospiro mentre l’intensità di quello che
provo per questa donna mi invade il corpo, totalmente.
Mi sento così pieno, completo, così impotente di fronte
alla grandezza di quello che mi ha appena donato
Anastasia. E non so come esprimerlo. Non ho le parole
giuste, neppure tenerla così stretta credo possa
trasmetterle quanto io la ami e quanto ci tengo e lei, a noi
due, a quello che è diventata per me. É tutto talmente
intenso, talmente forte. Totalmente incontrollabile. La
attiro sotto di me, sul pavimento e non mi rendo conto di
quello che succede. Vedo solo i suoi occhi sgranarsi fino
all’inverosimile, le sue dita scorrere sulle mie guance. I
suoi occhi si spostano sulle sue mani, poi di nuovo su di
me, con stupore e dolore.
«Christian, per favore, non piangere. Facevo sul serio
quando ho detto che non ti avrei mai lasciato. Sono qui.
Se ti ho dato l’impressione di volermene andare, mi
dispiace... Per favore, per favore, perdonami. Ti amo. Ti
amerò per sempre»
Sto piangendo. Sto piangendo. Io che non ho mai
pianto, mai. Neppure da piccolo, neppure per tutta quella
merda. Mai. Ora sto piangendo. E le lacrime che sto
versando è come se fossero una purificazione. Ma in
realtà c’è ancora altro. C’è ancora un ultimo pezzo. Un
ultimo tassello che deve essere messo a posto. “Te ne
andrai, Anastasia. Vorrai andartene dopo quello che sto
per dirti. Ma spero che l’intensità di quello che ho appena
condiviso con te, di quanto mi è costato, ti facciano capire
che il mio passato non conta. Che ho iniziato a vivere da
quando ti ho incontrato mia bella, bellissima e testarda
ragazza”. Stringo forte gli occhi e quando li riapro sono
determinato a mettere il mio cuore nelle sue mani
completamente.
«Cosa c’è?» mi chiede. La paura mi attanaglia il cuore
per un momento. Ma non perdo la determinazione. E lei
mi legge dentro. Mi affonda le dita nel petto e riesce
sempre a tirarmi fuori quello che provo. É stato così dal
primo giorno. «Qual è questo segreto per cui pensi che
possa scappare a gambe levate? Che ti fa credere
così fermamente che me ne andrei?». La sua voce trema,
e non le importa di non darlo a vedere. É stremata. Io l’ho
stremata. E sto per darle il colpo di grazia. «Dimmelo,
Christian, per favore...»
Sospiro a fondo. Facendo leva sulle mani, per non
pesarle addosso, mi rialzo, incrociando le gambe mentre
mi metto a sedere di fronte a lei che si sta tirando su. Il
senso di colpa mi sta dilaniando. La fisso, cercando la
giusta dose di coraggio. Quel fottuto coraggio che pensavo
di aver trovato e che invece ora è completamente sparito.
«Ana...»
inizio
per
poi
bloccarmi
quasi
immediatamente. “Cristo santissimo. Merda! É finita, sta
per finire. Ed è tutta colpa mia. Tutta colpa mia e della
scia di orrore che mi porto dietro. Ma lei merita di sapere.
Se voglio avere una sola speranza devo dirglielo”. Ripenso
a tutte le volte che mi ha detto che nonostante tutto non
potrebbe mai lasciarmi. “Ti prego, fa che sia vero. Ti
prego, fa che sia vero”. Inalo a fondo, e poi sputo fuori
quelle parole che tante volte ho ripetuto dentro di me,
cercando il modo adatto per rivelargli lo schifo d’uomo
che sono.
«Sono un sadico, Ana. Mi piace frustare le ragazze
brune come te perché assomigliate alla puttana drogata...
alla mia madre biologica. Immagino che tu possa capire
perché»
Lo dico d’un fiato, evitando di incanalare aria nei
polmoni, come se per la confessione che ho appena reso
non la meritassi. Vedo Anastasia sbiancare totalmente,
barcollare tanto da doversi appoggiare con i palmi al
pavimento, mentre i suoi occhi si svuotano, divengono
vitrei e senza espressione. La paura mi sta fottendo il
cervello, me lo sta divorando dall’interno. E non riesco a
fermare queste fottute lacrime. “Eccolo. Eccolo il
momento in cui mi guardi, Anastasia, e vedi la merda che
sono, vedi l’orrore concepito per sbaglio, mai voluto, mai
desiderato. Perché dovresti desiderarlo tu? Perché se
questo mostro ha cercato di farti del male? Sì, oggi ti amo.
Cristo se ti amo, Anastasia. Ma puoi crederlo? Riesci
ancora a crederlo dopo tutto questo?”. La risposta si fa
spazio dentro me. E fa male. Mi sta lacerando. Perché so
che non può. Sento che non riuscirà a passare anche
questo ultimo ostacolo. “Ho lastricato il tuo percorso con
me di ostacoli, Anastasia. E tu sei stata esemplare nel
superarli tutti e dare la forza anche a me. Ma l’ultimo... bé
l’ultimo è troppo grande persino per la tua immensa
forza”.
É ancora in silenzio. Immobile e in silenzio. Ana non
resta mai troppo a lungo senza esporre la sua arguta
risposta.
«Hai detto che non eri un sadico» sussurra
inespressivamente alla fine, persa nei suoi ricordi. Si sta
aggrappando a qualcosa per negare quello che ha appena
sentito.
«No, ti ho detto che ero un Dominatore. Se ti ho
mentito, è stata una bugia di omissione. Mi dispiace»
Abbasso gli occhi, sentendomi una merda ancora di
più. Avevo intenzione di fare di lei il mio nuovo giocattolo
e le ho pure mentito. Poi, però, mi è entrata talmente
dentro che ho pensato solo ad amarla.
«Quando
mi
hai
fatto
quella
domanda,
immaginavo una relazione completamente diversa
tra noi» mormoro, per spiegarle il mio comportamento.
“Allora, Anastasia, credevo non ci fosse bisogno che
sapessi. Credevo che non saremmo mai arrivati a questo
punto. Non credevo di amarti. Non lo sapevo ancora”.
Non so più cosa dirle, cosa fare. Mi sento la gola serrata,
fatico a respirare. “Non andartene. Non lasciarmi”.
Anastasia sospira forte, prendendosi la testa tra le
mani, le dita infilate nei capelli che stringe ai lati delle
tempie.
«Dunque è così» sussurra senza voce, tornando a
fissarmi. «Non posso darti quello di cui hai bisogno»
Aggrotto le sopracciglia, deglutendo a fatica mentre la
gola mi si serra. Con uno sforzo immenso riesco a tirare
fuori le parole questa volta.
«No, no, no. Ana. No. Tu puoi. Tu davvero mi dai ciò di
cui ho bisogno» Stringo forte i pugni. “Credimi. Abbi
fede. Abbi fede nel mio amore, nel nostro amore. Amami
ancora Anastasia. Non smettere proprio ora”. «Per
favore, credimi» la supplico, inerme, mai così sincero
come ora.
«Non so cosa credere, Christian. È una situazione così
incasinata» sussurra con la voce che trasuda dolore.
Le parole faticano ad uscire dalla sua gola, strozzate
dalla voglia di piangere. Cerco il suo sguardo con il mio.
Ora che ho confessato, ora che sono pulito, sento che ho
dentro solo la determinazione di tenerla accanto a me.
«Ana, credimi. Quando mi hai lasciato dopo che ti ho
punito, la mia visione del mondo è cambiata. Non stavo
scherzando quando ho detto che avrei evitato di sentirmi
in quel modo un’altra volta» la supplico. La supplico
perché ora non sono così orgoglioso per farlo. Ora so
quello di cui ho bisogno per vivere. E devo prendermelo
ad ogni costo. «Quando hai detto di amarmi, è stata
una rivelazione. Non me l’aveva mai detto nessuno prima,
ed è stato come se io avessi messo una pietra sopra a
tutto, o forse come se tu avessi messo una pietra sopra a
tutto, non lo so. Il dottor Flynn e io ne stiamo ancora
discutendo»
Le spiego tutto, le dico tutto. Ho un’unica occasione.
Questa sera. Ora. Non me la lascerò scappare. Mi guarda,
aggrottando la fronte, cercando di capire qualcosa che
evidentemente le sfugge.
«Che cosa significa tutto questo?» mi mormora alla
fine.
«Significa che non ho bisogno di quelle cose. Non
adesso» le dico con decisione, senza smettere di fissarla.
«Come fai a saperlo? Come fai a esserne così sicuro?»
chiede, lacerata dal dubbio.
«Lo so e basta. Il pensiero di farti male... in qualsiasi
modo reale... è aberrante per me». Sospiro, rilassando le
spalle. Non credo di essere mai stato così sincero in tutta
la mia vita. Nè con Flynn, né con Elena. Neppure con me
stesso. É proprio vero che Ana sa tirare fuori il meglio
dalle persone. Persino in quelle in cui di meglio non c’è
nulla. Persino da me.
«Non capisco. E che ne è delle regole? Delle sculacciate
e di tutte le perversioni sessuali?» chiede sommessa,
come se avesse paura della mia risposta.
Mi passo una mano nei capelli, scuotendo leggermente
la testa. Quasi sorrido se penso a tutto quello che ho fatto
prima di lei. Sculacciate? Perversioni sessuali? “Tu non
hai visto di cosa sono capace, Anastasia”. Faccio un lungo
sospiro.
«Parlo di tutta la merda più pesante, Anastasia.
Dovresti vedere cosa posso fare con un bastone o con un
flagellatore»
Sgrana gli occhi e spalanca la bocca, atterrita.
«Meglio di no» sussurra.
«Lo so. Se tu volessi fare quelle cose, allora andrebbe
bene... Ma non vuoi e io lo accetto. Posso non fare tutte
quelle stronzate con te, se non vuoi. Te l’ho già detto una
volta, hai tutto il potere. E ora, da quando sei tornata, non
sento più quell’impulso» la guardo sperando che scruti
nei mie occhi e ci legga la verità di quello che le sto
dicendo.
«Quando ci siamo incontrati, era quello che volevi,
giusto?» chiede, massaggiandosi una tempia con le dita,
come se fosse in preda ad un gran mal di testa.
«Sì, indubbiamente» rispondo con sincerità.
«Come può il tuo impulso sparire e basta, Christian,
come se io fossi una panacea, e tu fossi, diciamo così,
guarito? Non riesco ad afferrarlo»
Sospiro di nuovo, cercando di trovare le parole giuste.
«Non direi guarito... Non mi credi?» le chiedo poi, in
preda all’ansia di nuovo.
«È solo che lo trovo... incredibile. Il che è diverso»
ribatte, alzando un sopracciglio.
«Se tu non mi avessi lasciato, probabilmente non mi
sentirei così. Il tuo allontanarti da me è stata la cosa
migliore che tu abbia mai fatto... Per noi. Mi ha fatto
capire quanto ti volessi. Solo te. E quando dico che ti
vorrei in tutti i modi possibili, lo intendo davvero». “Ti
voglio, Anastasia. Voglio renderti felice per ogni secondo
della tua vita. Voglio sposarti e fare di te la donna della
mia vita. Voglio che il mondo intero sappia che
apparteniamo l’uno all’altra”.
Ana mi fissa, in silenzio. Sospira a fondo, con la fonte
aggrottata, mentre poggia le mani all’indietro,
scostandosi di poco per mettersi in una posizione più
comoda. Non ha l’aria di chi vuole fuggire. La speranza
mi illumina il cuore.
«Sei ancora qui. Pensavo che, a questo punto, te ne
saresti già andata» sussurro incredulo, ammirando
ancora una volta la sua immensa forza.
«Perché? Perché potrei pensare che sei uno psicopatico
che fustiga e si scopa le donne che assomigliano a sua
madre? Che cosa ti ha dato quest’impressione?» sibila
velenosa, fissandomi con gli occhi ridotti a due fessure.
Sbianco di fronte alla sua reazione diretta, acida.
«Bè, non l’avrei messa proprio in questi termini, ma...
sì» dico, sentendomi per l’ennesima volta, in questi ultimi
28 anni, un emerito pezzo di merda.
Ripenso a quante volte il pensiero che ha appena
espresso lei con tanta veemenza mi ha tenuto sveglio di
notte, magari dopo aver fustigato fino alle lacrime una
delle mie Sottomesse. Leila, per esempio. Alzo di nuovo
gli occhi su di lei, implorandola in silenzio di credere che
sono davvero cambiato. Aggrotta le sopracciglia e quasi
sento la sua testolina pensare e ripensare per tentare di
capire qualcosa di tutta questa fottuta situazione di
merda in cui l’ho messa. A un certo punto distoglie lo
sguardo da me, che sono rimasto in attesa, sospirando e
guardandosi attorno.
«Christian,
sono
esausta.
Possiamo
discuterne domani? Voglio andare a letto» mormora
esausta.
Mi raddrizzo, guardandola attentamente.
«Non te ne vai?» sussurro incredulo.
«Vuoi che me ne vada?» ribatte ironica.
«No! Pensavo che te ne saresti andata, quando avessi
saputo» mormoro, in preda ad una nuova ansia.
Sono in attesa. In attesa di sapere la sua decisione
definitiva. E, contro ogni aspettative, lei ha scelto quello
che volevo. Lei sta scegliendo me. Non ho manipolato le
sue decisioni, l’ho lasciata libera dal mio controllo. E lei,
la mia adorabile ragazza, ha scelto me. O almeno così
sembra.
«Non lasciarmi» sussurro ancora, fissando i miei occhi
nei suoi. “Guardami, Anastasia. Guarda l’amore che sento
per te. Non lasciarmi. Non lasciarmi.”
«Oh, devo gridarlo forte: no! Non me ne andrò!» urla
come per liberarsi, sbruffando e guardandomi storto.
«Davvero?» sgrano gli occhi per lo sgomento,
stentando a crederle. Ha davvero scelto me. Ha davvero
scelto me.
«Cosa devo fare per farti capire che non
scapperò? Cosa posso dire?» ribatte esasperata, agitando
le mani in aria e scuotendo piano la testa.
“Sposami, Anastasia. Resta con me per tutta la vita.
Dimmi che vuoi essere mia e mia soltanto”. La fisso,
sentendo che è arrivato per me il momento di chiederle
anche quest’ultimo sforzo. Deglutisco a fatica,
apprestandomi a fare quello che non avrei mai creduto di
poter fare in vita mia.
«Una cosa che puoi fare c’è» mormoro mentre l’aria mi
manca e la testa inizia a girarmi.
«Cosa?» chiede più calma, come in attesa di
un’illuminazione che venga dal cielo.
«Sposami» sussurro di colpo, riuscendo a malapena a
tirare fuori la voce.
Anastasia sbanda, sbattendo le palpebre diverse volte.
Rimane immobile, penso sia sotto shock. Poi la vedo
agguantare piano con i denti il labbro superiore, come per
trattenere una risata. No, anzi. Sta proprio ridendo. Come
se si fosse appena arresa al peso del suo destino si lascia
cadere all’indietro sul pavimento, scoppiando in una
fragorosa risata. La guardo mentre si copre il viso con il
braccio e continua a ridere in maniera isterica. Di tutte le
reazioni avrebbe potuto avere, questa non l’avevo presa
neppure in considerazione. “É così folle il fatto che voglia
sposarti, Ana. É così inadeguata la mia proposta? Ti sei
forse resa finalmente conto che non sono alla tua altezza e
per questo ridi del mio ardito coraggio nel chiederti di
condividere la tua vita con me? Avresti ragione su tutto,
Anastasia. Su tutto”. La consapevolezza di non essere
l’uomo migliore che incontrerà nella sua vita, mi turba nel
profondo. ‘Un giorno si girerà intorno e si accorgerà che
là fuori esiste uno meno problematico di te, che può
renderla felice come e meglio di te, Grey’. Il pensiero mi
ferisce a fondo.
Quando finalmente il suo sfogo nervoso si esaurisce, le
sollevo dolcemente il braccio, guardandola negli occhi.
Torreggio sopra di lei, guardando i suoi bellissimi occhi
velati dalle lacrime. La guardo, sorridendole triste,
mentre le asciugo una lacrima dalla guancia con i
polpastrelli.
«Trovi che la mia proposta sia divertente, Miss
Steele?» le chiedo amareggiato.
Si ferma di colpo, mentre un’espressione di rimorso le
appare sul volto segnato dalle lacrime. Solleva una mano,
accarezzandomi teneramente la guancia, mentre mi godo
il suo calore.
«Mr Grey... Christian. Il tuo tempismo è
senza dubbio...» mi guarda, mentre la voce le si smorza in
gola.
Le sorrido piano, capendo le sue remore, ma non
riesco a sentirmi come se mi avesse rifiutato. Ho bisogno
di una rassicurazione.
«Così mi ferisci, Ana. Mi sposerai?» le chiedo,
premendo il viso contro la sua mano.
Anastasia si tira su, inginocchiandosi di fronte a me,
improvvisamente più serena. Mi poggia le mani sulle
ginocchia, mentre continua a fissare i miei occhi grigi e
tristi.
«Christian, ho incontrato la tua psicotica ex con una
pistola, sono stata cacciata dal mio appartamento, mi
sono ritrovata con te che diventavi un turbine...»
Apro la bocca, per dirle che è tutto finito, che la amo.
Ma lei mi poggia delicatamente due dita sulle labbra,
accarezzandole. Obbedisco al suo muto ordine di tacere.
«Mi
hai
appena
rivelato
qualche
informazione francamente scioccante riguardo a te stesso,
e ora mi chiedi di sposarti»
Socchiudo un solo occhio, muovendo la testa da una
parte e dall’altra, soppesando la sua dichiarazione e il suo
punto di vista. Sorrido divertito dalla mia impulsività. É
normale che sia così scossa. Anche lei sorride.
«Sì, credo che sia un’analisi giusta e accurata» le
rispondo mio malgrado.
Lei scuote la testa, divertita.
«Cos’è successo all’appagamento ritardato?» mi chiede
con un sorriso.
«L’ho
superato,
ora
sono
un
deciso
sostenitore dell’appagamento immediato. Carpe diem,
Ana» mormoro, incapace di smettere di guardarla.
«Guarda, Christian, ti conosco da circa tre minuti, e ci
sono ancora tante cose che devo sapere. Ho bevuto
troppo, ho fame, sono stanca e voglio andare a letto. Ho
bisogno di riflettere sulla tua proposta, proprio come ho
avuto bisogno di riflettere sul contratto che mi hai dato.
E, a essere sincera...» aggiunge, arricciando le labbra in
un modo delizioso «...non è stata la proposta più
romantica del mondo»
Piego la testa di lato, arrendendomi di fronte alla sua
analisi precisa e corretta come sempre. “E, comunque,
non mi ha detto no”.
«Un punto per te, Miss Steele» sospiro, sollevato in un
certo senso. sospira, nella sua voce c’è un certo sollievo.
«Perciò non è un no?» le chiedo speranzoso.
«No, Mr Grey, non è un no, ma non è neanche un sì.
Me lo chiedi solo perché hai paura, e non ti fidi di me»
dice sicura di se stessa.
La guardo, con tutto l’amore che provo per lei.
«No, te lo chiedo perché ho finalmente
trovato qualcuno con cui voglio passare il resto della
mia vita»
La sento trattenere il respiro e le sue gote si tingono di
un rosso leggero, mentre fatica a chiudere le palpebre. La
bocca le si apre quasi inconsapevolmente. E io non riesco
a smettere di dichiararle il mio amore incondizionato.
«Non avrei mai pensato che mi sarebbe capitato»
continuo, osservando i suoi lineamenti delicati e la sua
bellezza mozzafiato.
«Posso pensarci... per favore? E pensare anche a tutto
quello che è successo oggi? A quello che mi hai appena
detto? Mi hai chiesto pazienza e fiducia. Bene, chiedo le
stesse cose a te, Grey. Ne ho bisogno adesso»
La guardo, cercando di leggere i suoi occhi azzurri. É
sincera. Non mi sta rifiutando. Ha davvero bisogno di
tempo. Mi protendo verso di lei, sistemandole una ciocca
ribelle dietro l’orecchio.
«Posso farcela» le dico, baciandola velocemente sulle
labbra. «Non molto romantico, eh?» le dico, inarcando le
sopracciglia e guardandola divertito.
Ana scuote la testa per ammonirmi, divertita.
«Cuori e fiori?» le chiedo dolcemente.
Annuisce, mordicchiandosi piano il labbro e io le
sorrido.
«Hai fame?»
«Sì» mormora.
«Non hai mangiato»
La mia non è una domanda, ma una constatazione. La
fisso severamente, ma la mia espressione non ha effetto
su di lei.
«No, non ho mangiato» mi dice, sedendosi sui talloni e
guardandomi annoiata e divertita allo stesso tempo.
«Essere cacciata dal mio appartamento dopo essere stata
testimone dell’intima interazione del mio fidanzato con
la sua ex Sottomessa mi ha considerevolmente guastato
l’appetito»
Mi lancia un’occhiataccia, piantandosi i pugni nei
fianchi. Scuoto la testa, alzandomi da terra e porgendole
la mano.
«Lascia che ti prepari qualcosa da mangiare» le
propongo.
«Non possiamo andarcene a letto e basta?» mormora
stanca, porgendomi la sua mano e lasciandosi aiutare a
rialzarsi.
La guardo con affetto, sorridendole piano, indulgente.
«No, hai bisogno di mangiare. Vieni» le ordino
dolcemente.
La trascino nella cucina, sospingendola verso uno
sgabello al bancone, dirigendomi poi verso il frigo. “A noi
due, mostro bianco”. Scruto le provviste, indeciso.
«Christian, non ho poi tanta fame» borbotta alle mie
spalle.
Semplicemente la ignoro.
«Formaggio?» le chiedo.
«Non a quest’ora» ribatte stancamente.
«Pretzel?» riprovo.
«Freddi di frigorifero? No» esclama.
Mi volto verso di lei, sorridendole sfrontato.
«Non ti piacciono i pretzel?»
«Non alle undici e mezzo di sera. Christian, vado a
letto. Puoi startene lì a rovistare nel frigorifero per il resto
della notte, se vuoi. Sono stanca, e ho avuto una giornata
fin troppo impegnativa. Una giornata che vorrei
dimenticare» dice scivolando giù dallo sgabello, risoluta.
Le lancio uno sguardo di rimprovero, ma lei mi ignora.
Con la coda dell’occhio scorgo uno dei miei piatti
preferiti. Mrs Jones me ne lascia sempre una ciotola
piena. La tiro fuori, tornando a guardare Ana pieno di
speranza.
«Maccheroni al formaggio?»
Agito la ciotola in aria, speranzoso. Ana mi scruta per
un attimo con un sopracciglio inarcato.
«Ti piacciono i maccheroni al formaggio?» chiede,
guardandomi con curiosità.
Annuisco con entusiasmo, sorridendole e la vedo
ricambiare con affetto.
«Ne vuoi un po’?» le chiedo, mordicchiandomi il
labbro inferiore.
Sospira a fondo. Poi alla fine annuisce, portandosi una
mano allo stomaco che brontola. Il mio sorriso in risposta
è ampio ed esprime tutto il sollievo che provo. Dopo una
giornata del genere non deve assolutamente andare a
letto a stomaco vuoto. In meno di due secondi sono
all’opera. Tolgo il foglio d’alluminio che copre la ciotola e
la infilo nel microonde. Ana torna a sedersi sullo sgabello
e sento i suoi occhi seguirmi in ogni movimento.
«Allora sai usare il microonde?» mi prende in giro
bonariamente alle mie spalle.
«Se il cibo è confezionato, di solito riesco a farci
qualcosa. È con quello vero che ho problemi»
Prendo tutto il necessario e apparecchio, sotto il suo
occhio attento e curioso.
«È molto tardi» borbotta, poggiando il mento sulle
braccia incrociate dinnanzi a sé.
«Non andare a lavorare
guardandola mentre sbadiglia.
domani»
le
chiedo,
Ha bisogno di riposare. A lungo. E io ho bisogno di lei.
Per sempre.
«Io devo andare a lavorare domani. Il mio capo è in
partenza per New York»
Lo dice con un pizzico di rammarico. La guardo
accigliato.
«Vuoi andarci questo fine settimana?»
«Ho controllato le previsioni del tempo e pare che
pioverà» mi dice, scuotendo la testa come una bambina.
«Oh, allora che cosa ti va di fare?» le chiedo,
visibilmente sollevato.
Il trillo del fornetto ci interrompe per un attimo.
«In questo momento voglio solo affrontare un giorno
alla volta. Tutta questa eccitazione è... sfiancante»
conclude, alzando un sopracciglio quasi a sfidarmi.
Ignoro la sua espressione, dedicandomi alla cena. Mi
concentro. Non ricordo di aver mai fatto nulla del genere
prima. Ho sempre avuto qualcuno che facesse queste cose
per me. Ma, per una volta, è quasi rilassante potermi
occupare di qualcuno a cui tengo. Distribuisce i
maccheroni nei piatti mentre il loro profumo delizioso si
intrufola nelle narici. La guardo di sottecchi, rendendomi
conto di quanto è provata dopo questa giornata
sfiancante. “Dio, potevo renderla uguale a Leila”.
«Mi dispiace per Leila» mormoro, guardandola negli
occhi.
«Perché?» chiede, prima di infilare in bocca una
forchettata di maccheroni e assaporarla a fondo.
«Dev’essere stato uno shock terribile per te trovarla nel
tuo appartamento. Taylor lo aveva controllato prima. È
molto turbato» le dico, ricordando l’espressione colpevole
e tormentata di Jason.
«Non biasimo Taylor» mi dice calma.
«Nemmeno io. È stato fuori a cercarti» le dico.
«Davvero? Perché?» chiede, aggrottando la fronte.
«Non sapevo dove fossi. Hai lasciato la borsa, il
telefono in macchina. Non potevo neppure rintracciarti.
Dove sei andata?» domando, scrutandola.
In fondo è stata tutto il tempo con Ethan Kavanagh.
Dove sono stati?
«Ethan e io siamo semplicemente andati nel bar
dall’altra parte della strada. Così potevo guardare cosa
succedeva» ammette, continuando a mangiare.
«Capisco» mormoro, mentre affondo la prima
forchettata in bocca, gustando quel sapore che mi riporta
ai giorni felici della mia infanzia. Quelli con Grace.
Ana si schiarisce la gola, poi lancia la sua stoccata.
«E tu cos’hai fatto con Leila nell’appartamento?»
chiede, fingendosi disinteressata.
Si gira a guardarmi e al velo di gelosia e tormento che
leggo nei suoi occhi mi blocco, restando con la forchetta a
mezz’aria. Deglutisco.
«Vuoi saperlo davvero?» le chiedo con un filo di voce.
La vedo sbiancare e so che teme il peggio.
«Sì» sussurra debolmente.
Stringo le labbra, inalando aria a fondo nei polmoni.
Per un attimo esito, ma poi penso ad una sola cosa. Dopo
questo, non ci saranno più segreti. Nessun segreto.
«Abbiamo parlato, e le ho fatto un bagno» le dico, la
mia voce spezzata dalla paura di quello che le vedo in
volto. Mi affretto ad aggiungere qualcos’altro. «E le ho
fatto indossare qualcuno dei tuoi vestiti. Spero che non ti
dispiaccia. Era sporca»
I suoi occhi si abbassano sul piatto quasi intatto. Credo
che stia per vomitare. Vacilla visibilmente, rimanendo in
rigoroso silenzio. Ma il suo respiro accelerato la dice
lunga su come si sente. Fa un profondo respiro, ma l’aria
sembra non bastarle mai.
«Era tutto ciò che potevo fare, Ana» le dico
dolcemente, cercando di calmarla.
«Provi ancora dei sentimenti per lei?» mi chiede in un
sibilo, fissandomi con disgusto.
«No!» esclamo
angosciato.
allarmato,
chiudendo
gli
occhi
Quando li riapro, lei si è voltata dall’altro lato per
evitare di guardarmi.
«L’ho vista così... così diversa, così distrutta. Tengo a
lei, come ogni essere umano tiene a un altro» le dico,
mentre si gira, ma tiene lo sguardo basso.
Scrollo le spalle, tentando di togliermi di dosso quella
sensazione di disagio che mi dà il solo pensare a Leila in
quello stato.
«Ana, guardami» la imploro.
Trema, in silenzio, senza avere il coraggio di alzare lo
sguardo.
«Ana» quasi singhiozzo.
«Cosa?» sibila con al voce ridotta a un filo.
«Non significa niente. È stato come prendersi cura di
un bambino, un bambino distrutto» mormoro cercando
di farle capire che davvero non conta niente per me,
davvero conta solo lei. Non posso credere che ha superato
il macigno del mio passato e non riesce a superare questo.
Il petto mi si spacca in due per l’ennesima volta oggi.
«Ana?» chiedo per l’ennesima volta, spezzato in due
dalla sua indifferenza.
Si alza in silenzio, mettendo il piatto nel lavello dopo
aver gettato il suo contenuto nella pattumiera.
«Ana, per favore»
Si gira di scatto, rabbiosa.
«Smettila, Christian! Smettila di dire: “Ana, per
favore!”» grida forte, mentre un fiume di lacrime
trattenute per troppo tempo inizia a scorrere sul suo
bellissimo viso segnato dal dolore. «Ne ho abbastanza di
tutta questa merda per oggi. Sto andando a letto. Sono
stanca ed emotivamente provata. Ora lasciami perdere»
Velocemente si gira e fugge a rintanarsi in camera da
letto, mentre sconvolto la guardo allontanarsi da me.
Stringo forte gli occhi, imprecando contro me stesso e
alzandomi per seguirla dopo qualche attimo. Trascino i
piedi a terra, quasi con la paura di trovarla devastata.
Quando arrivo in camera trovo i suoi vestiti sparsi sul
pavimento e la porta del bagno chiusa. Appoggio la mano
sulla maniglia, ma mi blocco. Poggio la fronte alla porta e
ascolto mio malgrado il rumore dei suoi singhiozzi.
Ognuno di essi è come una coltellata che mi trapassa da
parte a parte. L’ho giurato. Ho giurato a me stesso che
non le avrei mai più fatto del male. Non l’avrei più fatta
piangere. E invece eccoci qui. É di nuovo una porta a
separarci. Ma stavolta non le permetterò di andare via. Mi
sono messo a nudo per lei. Farò di tutto pur di tenerla con
me al sicuro, amarla e rispettarla come merita. “Io ti amo
Ana Steele. Ora più che mai. Io, il mio passato, i miei
tormenti. É tutto tuo. Ti appartengo come non sono mai
appartenuto neppure a me stesso. Senza di te non saprei
da dove iniziare a vivere”.
Capitolo 18
Abbasso piano la maniglia della porta del bagno,
trovandomi davanti una Anastasia disperata, in lacrime,
crollata a terra sul pavimento, avvolta nella mia t-shirt.
Non mi guarda. É scossa dai singhiozzi, ma rimane
inerme anche quando mi inginocchio a terra e la prendo
tra le braccia, facendola sedere sulle mie gambe.
«Ehi» le dico guardandola dolcemente, mentre con
una mano le scosto i capelli dal viso, carezzandole una
guancia bagnata. «Per favore, Ana, non piangere» la
scongiuro.
Lentamente alza le braccia, allacciandomele al collo e
sprofondando con la testa nell’incavo della spalla. La
stringo forte a me, per calmarla, sussurrandole parole di
conforto contro i capelli, mentre le accarezzo gentilmente
e ritmicamente la schiena.
«Mi dispiace, piccola» sussurro piano.
Anastasia reagisce alle mie parole con uno scoppio più
acuto di pianto. La lascio sfogarsi continuando a
coccolarla, a sorreggerla. Non so neppure io per quanto.
Ma aspetto. Aspetto per minuti, ore, potrebbero essere
anche giorni tanto è lo strazio che provo al suono dei suoi
singhiozzi. Ma alla fine si calma. Smette di sussultare e di
versare lacrime. Lacrime che ancora una volta le ho
causato io. Lentamente, quando sono certo che non sta
davvero piangendo più, neppure silenziosamente, mi
alzo, portandola in braccio nell’altra stanza e
depositandola gentilmente sul letto. Mi spoglio in fretta,
rimanendo in boxer e infilandomi una t-shirt uguale alla
sua, presa dallo stesso cassetto. Spengo tutte le luci e mi
avvicino al letto, stendendomi accanto a lei e attirandola
tra le mie braccia. La tengo stretta, baciandole il capo e
resto in silenzio, cullato dal battito del suo cuore che
presto diventa regolare. Inalo a fondo il suo profumo,
maledicendo me stesso per averla gettata nello sconforto.
‘Non conosci proprio le mezze misure, Grey. O tutto. O
niente’. Già, proprio così. Tutto o niente. Prendere o
lasciare. Mi ritrovo a pensare inevitabilmente ai suoi
occhi quando le ho confessato il mio oscuro passato. Non
era terrorizzata o spaventata. Era solo inevitabilmente
schiacciata dal peso che capire chi sono comporta. Ma è
qui ora. Con me. E anche se ho temuto che se ne sarebbe
andata, averla qui ora è la cosa più confortante che abbia
mai provato. É rimasta, nonostante un cuore ferito. É
rimasta. Qui. Per me. Le mie membra si rilassano
totalmente, mentre rilascio la tensione accumulata
durante tutta la giornata di oggi, mi allungo sul comodino
a prendere il telefono. Mentalmente ed emotivamente
stanco, assolvo al mio ultimo compito della giornata più
lunga ed estenuante della mia vita. Dire ad Andrea che
domani non vado in ufficio. Domani voglio perdermi
dentro Anastasia per sempre.
Le gambe sono immobilizzate. Paralizzate. Un diffuso
dolore al petto e alla testa mi avvolge, impedendomi
persino di emettere un suono. I miei occhi sono
spalancati, sul mio viso troppo piccolo e smunto. Riesco a
muovere solo le dita, stringendole attorno alla mia
coperta. Dalla mia posizione riesco a vedere le gambe di
mia madre, nell’altra stanza. Sono bianche, troppo
bianche. E ferme, come se fossero le gambe di un morto.
Ma non è così. Lei è viva. E tra le sue gambe ce ne sono
un altro paio, più scure di quelle della mamma. E si
muovono. Sento la mamma lamentarsi, piangere piano. E
invece quell’uomo fare versi strani, mentre la spinge
contro il divano. Poi lancia un urlo che mi fa spaventare.
Stringo forte gli occhi e quando li riapro, lui è in piedi. Si
sta allacciando i pantaloni.
«Puttana frignona» sibila lui.
Quando ha finito di sistemarsi la camicia a quadri,
sporca come lui, sposta le gambe della mamma con un
calcio, facendola cadere completamente sul tappeto
verde. Per un attimo i nostri occhi si incrociano. I miei,
sempre spalancati. I suoi, pieni di sofferenza e di dolore.
Credo che stia per dirmi qualcosa, credo che voglia dirmi
di scappare. E dovrei. Lo so. Sono uscito dal mio
cantuccio nel ripostiglio. É lì che devo stare quando la
mamma parla con i suoi amici. Lui me lo ripete sempre. E
quando non lo faccio merito una punizione. Perché sono
un piccolo stronzo figlio di puttana. É quello che dice. É
quello che sono. Però la mamma ha gridato. E piangeva.
E quell’uomo non era un amico, io non l’ho mai visto. E
poi la porta si spalanca. Non riesco a scappare da sotto al
tavolo della cucina, dove sono inginocchiato. Nell’altra
stanza lui e quell’altro uomo si scambiando una stretta di
mano. Poi l’uomo gli consegna dei soldi. E anche una
bustina. E poi se ne va. Deglutisco. Lui si china sulla
mamma.
«Stupida puttana drogata! Quante cazzo di volte devo
dirti che non devi piangere? A loro non piaci quando
piangi! E se a loro non piaci io perdo i miei soldi, puttana
del cazzo!»
Urla, poi le tira un calcio nello stomaco. Si china di
nuovo su di lei, afferrandola per i capelli. Vorrei fermarlo.
Vorrei essere grande e fermarlo. Ma non lo sono. Sono un
piccolo stronzo figlio di puttana e non riesco a muovermi
da sotto questo tavolo. Si rialza, continuando a tenerla
per i capelli mentre la trascina lungo il pavimento fino in
cucina. Si gira intorno alla ricerca di un posacenere per la
sua sigaretta, sporca come lui. Sulla soglia si ferma. Mi ha
visto. Mi guarda con uno strano luccichio negli occhi e un
ghigno pauroso sulle labbra. Abbandona la mamma,
lasciandola sbattere contro un muro e in due passi mi ha
raggiunto. Ora sono i miei capelli che vengono stretti
dalle sue dita. Ora sono io che vengo trascinato fino alla
poltrona sudicia sistemata poco distante dal tavolo da
pranzo, accanto alla finestra. La mamma mi guarda, i suoi
occhi vogliono dirmi qualcosa, lo sento, ma non riesco a
capire cosa. Mi strappa la maglietta di dosso, mentre io
resto in silenzio. E poi sento il familiare dolore. Acuto,
forte. Unito al puzzo della mia carne che brucia. Un urlo
viscerale mi sfugge dalla gola. E lo sento ridere. Si ferma
per un attimo, il tempo necessario per lanciare a mia
madre la bustina con la polvere bianca. Lei arranca sul
pavimento, con un sorriso sereno sul viso. Io urlo di
nuovo, per l’ennesimo marchio a fuoco. La mamma mi
guarda, e per un attimo credo che trovi la forza di alzarsi
e venire a sottrarmi dalle grinfie del mostro. Ma poi si
stringe la bustina al petto. E sorride. Sorride, anche se i
suoi occhi sono vuoti. E poi la sua immagine si fa sfocata,
indistinta. E io non sono più piccolo, ma adulto. E la
mamma non è più la mamma. É Anastasia. La mia
Anastasia. Riversa a terra, in lacrime, piena di lividi che le
ho procurato io. Ha un vestito bianco, addosso. Un abito
da sposa. Ma è insanguinato. É sporco. E lei si alza,
vacillando. E apre la porta. Urlo, ma non riesco a scuotere
il suo torpore. Al di là della porta c’è Leila, pallida come
un fantasma. E Jennipher. E Susi. E tutte le altre. Tutte
pallide, tutte ridotte a scheletri. Tutte macchiate di
sangue. Tutte che tendono la mano alla mia Ana.
«No!» urlo, devastato dal dolore.
Sento la voce di Anastasia come un sussurro.
«Christian»
Ma lei non si gira. Afferra tutte quelle mani che si
tendono verso di lei. E si unisce a loro. Ma io non voglio.
“No, no, no, no, no!!”.
Mi sveglio di soprassalto, con il calore familiare della
mani di Anastasia sulle spalle. Ansimo, stravolto. Fisso la
stanza attorno a me, prima di poggiare lo sguardo su di
lei. Erano giorni che non avevo un incubo. Da quando se
n’era andata.
«Te ne sei andata, te ne sei andata, devi
essertene andata» borbotto, accusandola. Il dolore è
ancora forte e istintivamente mi tocco il petto all’altezza
del cuore.
«Sono qui» mormora, sedendosi accanto a me sul
letto. «Sono qui» ripete dolcemente, guardandomi negli
occhi.
La sua mano si poggia sul mio viso, accarezzandomi. Ci
metto un po’ a realizzare quello che è appena accaduto.
La fisso, notando che non era accanto a me nel letto
quando mi sono svegliato. Era in piedi. “Fuggivi da me,
Ana? Domattina non ti avrei più trovata?”. Mi guardo
intorno, quasi aspettandomi di vedere la sua valigia da
qualche parte. Ma non c’è. E lei indossa ancora solo la
mia t-shirt.
«Te n’eri andata» sussurro con affanno, cercando di
respirare.
«Sono andata a prendere da bere. Avevo sete» mi
spiega, continuando ad accarezzarmi.
Chiudo gli occhi, stanco e turbato, stropicciandomi il
viso con le mani. Quando torno a guardarla, non posso
fare a meno di rivederla come nel mio incubo. Ma non è
così. Ho bisogno di lei. Di farle capire che la amo. Che lei
non è come tutte le altre. Non come mia madre.
«Sei qui. Oh, grazie a Dio» la afferro per la vita,
attirandola a me per il bisogno di stringerla forte.
«Sono andata solo a bere» sussurra contro il mio collo.
La stringo ancora di più, prima di scostarmi di poco
per guardarle il viso e scostarle i capelli scuri. La
accarezzo, guardandola come se non riuscissi a credere
che è qui per davvero. Ana mi accarezza dolcemente i
capelli. Poi lascia scorrere le dita sulla mia guancia.
«Christian, sono qui. Non vado da nessuna parte» mi
dice ancora una volta, come se sapesse che ho bisogno di
sentirglielo dire.
«Oh, Ana» le dico, sospirando forte. Ho bisogno di
placare la mia sete di lei. Di sapere che stiamo bene.
Anche lei deve sapere quello che provo davvero. E so
dirglielo solo in un modo. Le afferro il mento, tenendola
ferma mentre mi approprio della sua bocca,
trasmettendole tutto il desiderio e il disperato bisogno
che sto provando. Ma anche tutta la paura che mi ha
tormentato in quel sogno. Ana geme e le mie labbra si
spostano sul suo viso, sul collo, poi tornano alle sue
labbra carnose, mordicchiandole, mentre le mie mani
vanno in esplorazione sul suo corpo. La sinistra resta nei
suoi capelli, tenendola salda a me, mentre la destra si
infila sotto la maglietta, risalendo fino al seno. Ana è
scossa da un brivido, mentre mugola piano il suo
desiderio che pulsa nell’aria con il mio. Chiudo la mano
attorno alla sua dolce rotondità, stringendo le dita
attorno al suo capezzolo turgido.
«Ti voglio» mormoro contro le sue labbra gonfie per il
mio assalto.
«Sono qui per te. Solo per te, Christian» sussurra lei,
arrendendosi alla nostra passione.
Gemo forte, tornando a baciarla come un disperato. Le
sue mani si fanno intrepide e mi sfilano in fretta la
maglietta madida di sudore. La aiuto a farla scivolare via
dal mio corpo, poi la faccio alzare, spogliando anche lei
freneticamente. La guardo, sperando che riesca a
leggermi dentro, a capire che non ci sono più ostacoli tra
di noi. Le afferro il viso, stringendolo tra le mani mentre
la penetro con la lingua, sentendo la sua che si contorce
in una sensuale danza contro il mio palato. Il mio uccello
pulsa chiedendo di essere liberato, mentre si struscia
contro la pelle di porcellana della sua gamba. Non riesco
a staccarmi da lei neppure quando cadiamo entrambi sul
letto. Con una gamba le apro le sue, infilandomici in
mezzo. Ad un tratto la sento irrigidirsi del tutto,
diventando quasi di ghiaccio.
«Christian... fermati. Non posso» sussurra contro la
mia bocca, cercando di sottrarsi alla mia presa.
Quelle parole mi feriscono, a fondo. Ma so che come
me ha bisogno di rassicurazioni. “Solo, devi permettermi
di dartele, Anastasia. So farlo solo così. Lasciati andare.
Per favore”.
«Cosa? Cosa c’è che non va?» mormoro, lasciandole
spazio per respirare, ma lasciandole sul collo una scia di
baci.
La punta della mia lingua le percorre la pelle, mentre
cerco di farla cedere.
«No, per favore. Non posso farlo, non ora. Ho bisogno
di tempo, per favore» sussurra.
Ma il suo corpo dice tutt’altro. E io approfitto della sua
indecisione.
«Oh, Ana, non pensare troppo a quello» le sussurro,
mordicchiandole piano il lobo dell’orecchio mentre le
faccio sentire la mia erezione tra le gambe, strofinandola
con vigore contro il suo clitoride gonfio.
«Ah!» sussulta, inarcandosi verso di me.
Ma non è realmente con me. E io non posso prenderla
così. Ho bisogno che si dia a me. E credo che lei abbia
bisogno della stessa cosa. Sospiro, piano, guardandola
negli occhi. Mi avvicino al suo viso.
«Io sono quello di prima, Ana. Ti amo e ho bisogno di
te. Toccami. Per favore»
Strofino il mio naso contro il suo, e lascio scorrere le
mie labbra sulle sue senza baciarla. Non avrei mai
pensato di chiederle una cosa del genere. Non avrei mai
pensato di desiderare una cosa del genere. Ma lo voglio.
Voglio sentire le sue mani su di me. Voglio provare quel
misto di eccitazione e paura e tormento e piacere. Quello
che solo Anastasia può donarmi. Voglio essere suo allo
stesso modo in cui lei è mia. Ana mi guarda sconvolta,
senza muoversi. Faccio leva sulle braccia, rimanendo su
di lei a guardarla, incapace di staccare gli occhi dai suoi.
Esitante, alza una mano e mi accarezza lo sterno,
incantata dal mio corpo come io lo sono dal suo. Sussulto
al suo tocco e stringo gli occhi, assaporando quella
sensazione così contrastante. Per un attimo temo che lei
mi abbandoni, ma il suo calore si sposta sulla mia spalla.
Tremo, di piacere e dolore. Di puro desiderio. “Oh Dio, è
così bello abbandonarmi a lei”. Gemo forte e lei si fa più
audace. Mi attira a sè, facendomi ricadere sul suo corpo.
Le sue mani vanno a posarsi sulla mia schiena,
accarezzandomi piano mentre mi stringe forte. Dalla gola
mi sfugge un gemito roco e lei mi fa eco. Nascondo la
testa nell’incavo del suo collo, baciando la sua pelle che
fino ad oggi non era mai stata così unita alla mia. La
succhio, mordo e mi sposto fino al mento,
impadronendomi di nuovo della sua bocca, con
possessività. Poi scendo sul suo seno caldo e sodo, mentre
lei mi accarezza incessantemente la schiena. le succhio
forte un capezzolo, che subito diventa una meraviglioso
bocciolo turgido e invitante. Anastasia geme forte,
conficcandomi leggermente le unghie nella pelle e
lasciandole scorrere per tutta la lunghezza della schiena.
“Cristo!”. Il mio uccello ha un guizzo e credo di non essere
mai stato tanto eccitato in vita mia. E la mia eccitazione
deriva da una profonda connessione fisica, mentale e
spirituale con la donna che mi sta facendo tutto questo.
Un gemito gutturale mi muore in gola.
«Oh, cazzo, Ana» riesco a dire in un sussurro, contro il
suo seno.
La sento ansimare, proprio come me. É eccitata
proprio come me. La mia mano percorre il suo ventre
piatto, sino ad infilare due dita tra le sue gambe e
immergerle dentro di lei. La fonte del suo e del mio
piacere. Non esiste nient’altro che noi ora. Muovo le dita
in circolo, mentre lei ansima vogliosa e si inarca contro al
mia mano.
«Ana» sussurro.
E non resisto oltre. Mi stacco velocemente da lei,
mettendomi seduto sul letto. Mi sfilo completamente i
boxer e afferro un preservativo dal comodino. La fisso,
passandoglielo. La decisione, come sempre, è solo sua.
«Lo vuoi fare? Puoi ancora dire di no. Puoi sempre dire
di no» mormoro fissandola ardentemente.
«Non darmi la possibilità di pensare, Christian.
Anch’io ti desidero» mi dice d’un fiato.
E mi basta questo per ora. Domani penseremo al resto.
Ana apre la bustina argentata con i denti, mentre mi
posiziono tra le sue gambe. Le sue dita tremano mentre
mi infila il profilattico, eccitandomi ancora di più.
«Attenta» le sussurro con un sorriso. «Così mi smonti,
Ana»
Mi guarda, ma non perdo più tempo. Mi allungo su di
lei e la vedo perdersi. Ma non voglio. La voglio presente.
Voglio che sia cosciente di ogni attimo. Che in ogni
momento sappia che è lei la donna della mia vita. Mi
sposto all’improvviso, mettendomela sopra.
«Prendimi tu» sussurro, guardandola con desiderio
puro e cocente. “Sono tuo, Anastasia”.
Con una lentezza esasperante si alza per poi abbassarsi
su di me, accogliendomi tutto dentro di lei. La mia testa si
rovescia all’indietro e gemo forte, chiudendo gli occhi. Mi
afferra le mani, sostenendosi e iniziando a scoparmi al
suo ritmo. Sento la sua bocca che scorre sul mio mento, la
sua lingua sulla pelle. Apro gli occhi afferrandole di colpo
i fianchi e regolarizzando il suo ritmo. Fisso la
meravigliosa dea che mi sta cavalcando come una
selvaggia amante. E voglio di più. Ora capisco cosa
intendeva quando continuava a ripetermelo. “Sei il mio di
più, Ana Steele”.
«Ana, toccami... ti prego» la supplico.
Mi guarda, lasciandomi lentamente le mani e
poggiando le sue sul mio torace. Grido a quell’ondata di
calore, mentre mi spingo ancora più a fondo nel suo
ventre, invaso dal godimento puro e totale.
«Ah» geme, facendo scorrere delicatamente le unghie
sul mio petto.
Mugolo, contorcendomi. Sto per esplodere. Ho bisogno
di riprendere il controllo. Mi sposto all’improvviso,
rimettendola sotto di me.
«Basta» ansimo. «Basta, per favore»
Le sue mani si spostano immediatamente sul mio viso,
sul quale, per la seconda colta per oggi, scorrono calde
lacrime di sollievo. Mi attira verso di sé, baciandomi,
mentre continuo implacabile ad inchiodarla al materasso,
affondando sempre di più dentro di lei. Sono al limite, ma
lei è tesa.
«Lasciati andare, Ana» mormoro contro le sue labbra.
«No» sussurra, spalancando gli occhi sconvolta.
«Sì!» esclamo con determinazione.
“Non abbandonarmi, Ana. Mai. Non ora. Non domani.
Mai”. Muovo i fianchi, ruotandoli e affondando ancora in
lei. Il suo corpo reagisce a dispetto della sua mente.
«Avanti, piccola, ne ho bisogno. Vieni con me» la
supplico, tirandole il labbro con i denti.
E lei si sgretola completamente sotto di me, urlando il
suo piacere mentre si aggrappa alle mie spalle e mi
stringe tra le sue gambe. E, finalmente, vengo anch’io,
perdendomi completamente nel suo calore avvolgente e
urlando il suo nome come una supplica al cielo affinché
non me la porti mai via. Mai.
Mi rendo conto che il mio corpo sta schiacciando il
suo. Ma Anastasia sembra non dispiacersi di questo. Mi
tiene stretto tra le sue braccia, accarezzandomi
dolcemente i capelli, mentre i nostri respiri piano
ridivengono regolari e si placano insieme, godendosi il
torpore causato dall’orgasmo. Stringo forte gli occhi,
pensando a quanto sarei devastato nel profondo se lei mi
lasciasse. L’incubo torna a tormentarmi. Vederla in quello
stato, sapere di essere la causa della sua pena infinita, del
suo tormento, è semplicemente straziante. Preferire
morire piuttosto che farle del male in quel modo.
Preferirei morire piuttosto che perderla.
«Non lasciarmi mai» le sussurro.
Sento un piccolo sospiro, quello che di solito fa quando
alza gli occhi al cielo. Le mie labbra si distendono in un
piccolo sorriso.
«So che stai alzando gli occhi» mormoro, senza
muovermi e continuando a godermi le sue coccole post
sesso.
«Mi conosci bene» replica piano lei.
«Vorrei conoscerti meglio» le dico, con un sospiro
profondo.
«E io vorrei conoscere meglio te, Grey. Cosa c’era nel
tuo incubo?» chiede piano, come se fosse una cosa
normale. Come se mi stesse chiedendo di compilare la
lista della spesa.
«Il solito» mento.
Ma per stasera le ho già concesso tanto. Non ho voglia
di metterla in ansia. E spero che lei desista dal chiedere
altro.
«Raccontamelo»
Come non detto. Deglutisco, irrigidendomi. Non mi
piace mentirle. Non lo faccio mai. Ma davvero non sono
pronto a questo. Ma lei non è pronta a sostenere un
rifiuto sul mio passato a questo punto di questa strana
giornata. Sospiro forte e decido di accontentarla almeno
in parte.
«Devo avere all’incirca tre anni, e il magnaccia della
puttana drogata è di nuovo fuori di sé. Fuma, una
sigaretta dopo l’altra, e non riesce a trovare il
posacenere»
Ok, ho mentito solo un po’. In fondo è questo quello
che di solito sono costretto a rivivere. E, in fondo, è un po’
la verità anche in questo caso. Mi focalizzo su questo
ricordo orribile prima che possa indagare oltre.
«Fa male» le confesso. «È il dolore che ricordo.
È quello che mi fa avere gli incubi. Quello, e il fatto che lei
non facesse niente per fermarlo» mi sfogo con un sibilo
rabbioso.
Sento Anastasia stringersi di più al mio corpo. Alzo la
testa, colpito dalla sua reazione, e trovo un paio di occhi
tristi e feriti.
«Tu non sei come lei. Non pensarlo neanche per un
istante. Per favore» le dico, tenendo gli occhi fissi nei
suoi.
Ana mi guarda, sbattendo le palpebre. Le sue labbra si
increspano in un sorriso impacciato, ma riconoscente.
Poggio di nuovo la testa sul suo petto.
«Qualche
volta
nei
miei
sogni
lei
è
distesa
sul pavimento, e penso che stia dormendo. Ma non
si muove. Non si muove mai. E io ho fame. Sono davvero
affamato»
Non so perché glielo racconto. Forse perché è giunto il
momento. Forse perché ora che ho deciso di condividere
la mia vita con lei, ora che le ho raccontato la parte
peggiore di me e lei non è fuggita, ora posso dirle tutto.
Così continuo. La rendo partecipe di tutte quelle dolorose
sensazioni che ho provato per anni.
«C’è un rumore sonoro e lui è di ritorno, e mi colpisce
forte, imprecando contro la puttana. La sua prima
reazione era sempre quella di usare i pugni o la cintura»
Stringo forte gli occhi, deglutendo al ricordo vivido del
suo pugno che mi colpisce il mio piccolo stomaco, già
attraversato da spasmi lancinanti per la fame.
«È per questo che non ti piace essere toccato?»
mormora lei, togliendomi i capelli dalla fronte.
Stringo gli occhi, mi sento così esposto. Mi sistemo
meglio su di lei, tenendola ancora più stretta. “Per questo.
Perché non l’ha mai fatto nessuno. Perché ho paura di
saper reagire solo nel modo in cui sono stato abituato.
Con la violenza. E non voglio farti del male”.
«È complicato» mormoro.
Giro la faccia, strusciandomi piano contro il suo seno,
inspirando a fondo il suo profumo di sesso e di Ana.
«Rispondimi»
aggrottate.
mi
incalza,
con
le
sopracciglia
Sospiro di nuovo contro uno dei suoi seni. ‘La brunetta
non molla, Grey’.
«Lei non mi voleva bene. Io non ne volevo a lei. Il solo
modo di toccare che conoscevo era... violento. Viene tutto
da lì. Flynn lo spiega meglio di me» tento di liquidare in
fretta l’argomento.
«Posso vedere Flynn?» mi chiede all’improvviso,
sorprendendomi.
Alzo la testa, squadrandola bene in viso.
«Mr Cinquanta Sfumature ti sta contagiando?» le
chiedo con un sopracciglio inarcato ed un mezzo
sorrisetto.
«Molto di più. Mi piace come mi sta contagiando in
questo momento» mi risponde, sorridendo in modo
provocante, mentre il suo corpo si struscia audacemente
contro il mio.
Sorrido, strusciando il mio uccello pulsante tra le sue
cosce.
«Sì, Miss Steele, piace anche a me»
Mi tiro su, incollando le mie labbra alle sue e
baciandola profondamente. Quando ci stacchiamo i nostri
occhi sono riluttanti a seguire le nostre labbra. La fisso,
scrutando l’azzurro magnifico dei suoi occhi profondi e
pieni di sentimento.
«Sei così preziosa per me, Ana. Facevo sul serio
riguardo al matrimonio. Potremo conoscerci meglio, così.
Io mi prenderò cura di te e tu potrai prenderti cura di me.
Potremo avere dei bambini, se vorrai. Metterò il mondo ai
tuoi piedi, Anastasia. Ti desidero, corpo e anima, per
sempre. Per favore, pensaci» le sussurro sentendomi
un’anima in pena.
Ho bisogno del suo amore. Ho bisogno del suo sì. Ne
ho bisogno per sentirmi davvero accettato. Perché una
donna che accetta le conseguenze di un matrimonio con
me, non potrà mai lasciarmi. Ho bisogno di un legame. Di
un legame che attesti che lei sia mia. E di nessun altro.
Mia. Mia moglie. La mia donna. La donna della mia vita.
La signora del mio universo.
«Ci penserò, Christian. Lo farò» mi rassicura, ma la
sua voce trema leggermente. «Mi piacerebbe davvero
molto parlare con il dottor Flynn, sempre che non ti
dispiaccia» chiede di nuovo.
«Qualsiasi cosa per te, piccola. Qualsiasi. Quando
vorresti vederlo?» le chiedo, superando la paura che
magari Flynn possa fare luce su degli aspetti di me e del
mio passato con cui non vorrei lei fosse costretta a
confrontarsi.
«Il prima possibile» risponde cauta, quasi aspettandosi
un rifiuto.
«Okay. Domani mattina prenderò un appuntamento»
le dico, lanciando di sfuggita un’occhiata all’orologio.
«È tardi. Dovremmo dormire» le dico, allungando una
mano e spegnendo la luce sul comodino.
Mi distendo accanto a lei e la attiro contro di me,
abbracciandola forte e strusciando la punta del naso
contro il suo collo.
«Ti amo, Ana Steele, e ti voglio al mio fianco, sempre»
mormoro contro al sua pelle, baciandole il collo. «Ora
dormi» le ordino dolcemente.
La sento prendere un profondo sospiro ed espirare
tutta l’aria. Ascolto il ritmo del suo cuore, che rallenta
fino a stabilizzarsi. E quando sono certo che lei si sia
addormentata, allora mi addormento anch’io, tenendola
sempre stretta a me, in modo che nessuno possa
portarmela via.
Sollevo piano le palpebre attirato dal gran frastuono,
da qualcosa che mi sfugge dalle braccia e si rifugia in
bagno sbattendo la porta. Muovo piano il collo,
spalancando le braccia nel letto ancora caldo e
impregnato del suo odore. Guardo di sbieco la sveglia, che
ieri sera non ho puntato, ovviamente. Le 8.45. Non
penserà davvero di andare a lavoro, spero. E, comunque,
oramai è tardi. Cinque minuti esatti ed è fuori dal bagno.
La guardo divertito e diffidente allo stesso tempo. Dopo la
giornataccia di ieri io voglio solo rifugiarmi tra le sue
braccia. Possibile che per lei sia diverso? La osservo
asciugarsi in fretta e avvicinarsi alla cabina armadio,
scegliendo un paio di pantaloni neri e una camicetta dello
stesso colore. Poi si avvicina al cassetto della biancheria,
sfilandone un completo in pizzo nero. Sfila l’asciugamano
dal suo corpo e il mio cazzo semi eretto si tende del tutto.
É impossibile non notarlo, dato che il lenzuolo è
praticamente sollevato in quel punto. Osservo il suo
corpo minuto e delicato, arrossato dallo sfregamento del
cotone dell’asciugamano e dall’acqua calda. Ana infila in
fretta le mutandine e il reggiseno, lanciandomi
un’occhiata di sfuggita. Cristo, voglio solo raggiungerla,
sfilarglieli di nuovo e farla mia.
«Stai bene» mugolo frustrato. «Puoi chiamare e dire
che sei malata, lo sai»
Le sorrido di sbieco, sapendo benissimo l’effetto che ha
su di lei. Mi guarda e per un attimo mi sembra indecisa.
Poi finisce di abbottonarsi la camicetta.
«No, Christian, non posso. Non sono un
amministratore delegato
megalomane
con
un
bellissimo sorriso, che può andare e venire a suo
piacimento» mi dice, scuotendo piano la testa.
«Adoro venire a mio piacimento» la provoco, aprendo
ancora di più il mio sorriso.
«Christian!» mi rimprovera, fingendosi scioccata,
gettandomi addosso l’asciugamano.
Scoppio a ridere di gusto, parando appena in tempo il
telo di cotone umido.
«Bellissimo sorriso, eh?» le chiedo con un’espressione
da arrogante.
«Sì. Lo sai che effetto mi fa» risponde indispettita,
infilandosi l’orologio.
«Davvero?» ribatto, sbattendo piano le palpebre con
aria innocente.
«Sì che lo sai. Lo stesso effetto che fa su tutte le donne.
È davvero irritante vederle andare in estasi» borbotta.
«Ah, sì?» le dico, inarcando un sopracciglio, senza
riuscire a trattenere un sorriso.
«Non fare l’innocente, Mr Grey, non ti si addice» dice
mentre si acconcia i capelli in una coda di cavallo sexy da
morire e infila le scarpe nere con il tacco alto.
Il mio cazzo punta decisamente all’insù nel vedere la
sua mise da femme fatale. Si avvicina al letto, chinandosi
per darmi un bacio. Di colpo l’afferro, lasciandola cadere
sul materasso e coprendola con il mio corpo. I miei occhi
frugano le sue curve. Le sorrido calorosamente. Lei mi
fissa, scuotendo la testa con esasperazione.
«Cosa posso fare per convincerti a rimanere?» le
chiedo dolcemente, sfiorando il suo naso con la punta del
mio.
Sento il suo respiro farsi corto e le palpebre
socchiudersi per l’eccitazione. É tentata, lo so. Ma so
anche che ha bisogno dei suoi spazi e di tenere occupata
la mente. La lascerò andare al lavoro. Ma voglio giocare
un po’ ora.
«Non puoi fare nulla» mormora, divincolandosi dalla
mia presa e mettendosi a sedere. «Lasciami andare» mi
dice con un sorriso.
Faccio il broncio e lei si scioglie. Sorride luminosa,
sfiorandomi le labbra con la punta delle dita e
guardandomi con affetto. Poi si china su di me. Per un
istante mi guarda negli occhi. Si avvicina piano alle mie
labbra, sfiorandole e ritraendosi di pochi millimetri. Mi
avvicino io e la faccio mia. La bacio a fondo, con passione.
“Ok, andrai a lavoro oggi, Ana. Ma devi sapere cosa ti
perdi”. Quando ho finito di possedere la sua bocca, la
rimetto in piedi, tenendola per le braccia per assicurarmi
che sia perfettamente in equilibrio prima di lasciarla
andare. Mentre si risistema la camicetta, mando un sms a
Taylor. Quando si gira, ancora stordita, la guardo e le
scocco un altro sorriso.
«Taylor ti accompagnerà. È più veloce che
cercare posto per il parcheggio. Ti sta aspettando fuori» le
dico, gentilmente.
«Okay. Grazie» mormora, aggrottando leggermente le
sopracciglia.
Poi il suo viso si rasserena e lei mi sorride di nuovo.
«Goditi la tua mattinata di riposo, Mr Grey.
Mi piacerebbe restare, ma il proprietario della società per
cui lavoro potrebbe non approvare che i suoi impiegati
non vadano in ufficio solo per un po’ di sesso» mi dice
altezzosa, afferrando la sua borsa dalla sedia.
«Personalmente, Miss Steele, non ho dubbi
che approverebbe. In effetti potrebbe insistere su questo
punto» ribatto con lo stesso tono.
«Perché te ne stai a letto? Non è da te» chiede
squadrandomi.
Incrocio le mani dietro la testa, inarcando un
sopracciglio e tornando ad assumere la mia aria da
bastardo arrogante e presuntuoso.
«Perché posso, Miss Steele» le rispondo, cercando di
trattenermi dal ridere.
Scuote piano la testa, con un luccichio divertito negli
occhi.
«A più tardi, piccolo» mi dice, soffiandomi un bacio e
uscendo di corsa dalla stanza.
“Cristo. Già mi manca”.
Prendo il mio BlackBerry e sto per scriverle una mail
quando mi vibra tra le mani. É Welch.
«Grey»
«Mr Grey, buongiorno. L’ho chiamata per avvisarla di
un’anomalia nel sistema della posta interna della SIP»
Mi metto a sedere sul bordo del letto.
«Sono tutto orecchi» sibilo.
«Bene. Dalla scorsa settimana il sistema è stato tenuto
sotto controllo, come da lei richiesto. Quello che abbiamo
scoperto è che la casella postale di Miss Steele è stata
costantemente monitorata anche da Mr Hyde. Ogni mail
che Miss Steele ha inviato o ricevuto è stata letta dal suo
capo»
«Cristo!» sibilo di nuovo. «Welch, mi serve un
controllo approfondito su Jack Hyde. Qualsiasi cosa.
Voglio sapere tutto quello che c’è da sapere. Continua a
monitorare le mail di Ana»
Chiudo la chiamata, e le scrivo una mail per avvisarla.
Da: Christian Grey
A: Anastasia Steele
Data: 15 giugno 2011 9. 05
Oggetto: Mi manchi
Per favore, usa il tuo BlackBerry.
X
Christian Grey
Amministratore delegato, Grey Enterprises Holdings Inc.
Il mio telefono squilla di nuovo.
«Grey»
«Christian, non poltrire. Porta le tue deliziose
chiappette da milionario in ufficio. Taiwan ha bisogno di
essere monitorata»
Sospiro pesantemente.
«Arrivo Ros»
Mi avvio verso il bagno, poi torno indietro e le mando
un’altra mail.
Da: Christian Grey
A: Anastasia Steele
Data: 15 giugno 2011 09. 06
Oggetto: Mi manchi
Il mio letto è troppo grande senza di te. A quanto pare dovrò andare
anch’io al lavoro. Anche i direttori generali megalomani
hanno bisogno di fare qualcosa.
X
Christian Grey
Amministratore delegato che si gira i pollici, Grey Enterprises
Holdings Inc.
Mi infilo in fretta sotto la doccia, ribollendo di rabbia
per Hyde, Taiwan, per lei che se ne è andata a lavoro. Mi
lavo in fretta e un quarto d’ora dopo sono pronto. Mi
fermo in cucina, dove scopro che, ovviamente, lei non ha
mangiato. Faccio colazione almeno io, borbottando tra
me e me. Poi, quando Taylor torna, mi faccio
accompagnare al lavoro, mentre Ros mi richiama almeno
altre cento volte, avvisandomi di aver fissato un paio di
incontri in settimana. Quando arrivo in ufficio sono di
pessimo umore. Il mio telefono vibra, avvisandomi della
ricezione di una mail. É lei.
Da: Anastasia Steele
A: Christian Grey
Data: 15 giugno 2011 9. 27
Oggetto: Buon per te
Il mio capo è furioso. È colpa tua che mi hai fatto tirare tardi con le
tue... bricconate. Dovresti vergognarti.
Anastasia Steele
Assistente di Jack Hyde, Direttore editoriale, SIP
Controllo, ma il messaggio è stato inviato dal suo pc.
“Cristo, Ana! Ti risulta difficile fare per una volta una
cosa?”. Lo rileggo, sorridendo tra me e me. Sospiro. Non
voglio metterla in allarme con il fatto della sorveglianza
speciale al quale il suo infido capo la sottopone di
nascosto.
Da: Christian Grey
A: Anastasia Steele
Data: 15 giugno 2011 9. 32
Oggetto: Bricconate?
Non devi lavorare, Anastasia. Non hai idea di quanto le mie
bricconate mi facciano inorridire. Ma mi piace tenerti alzata fino a
tardi ;)
Per favore, usa il BlackBerry.
Oh, e sposami, per favore.
Christian Grey
Amministratore delegato, Grey Enterprises Holdings Inc.
Due minuti più tardi sento di nuovo il familiare ronzio.
Da: Anastasia Steele
A: Christian Grey
Data: 15 giugno 2011 9. 35
Oggetto: Devi guadagnartelo
Conosco la tua naturale propensione a darmi il tormento, ma ora
smettila. Devo parlare con il tuo strizzacervelli. Solo allora potrò darti
la mia risposta. Non sono contraria a vivere nel peccato.
Anastasia Steele
Assistente di Jack Hyde, Direttore editoriale, SIP
Il riferimento a Flynn mi fa infuriare stavolta. Non
voglio assolutamente condividere le mie menate personali
con quel coglione di Hyde. Mando un messaggio a Welch
dicendogli di cancellare dal sistema della SIP le mail che
Ana scambia con me. Poi le mando un’altra mail.
Da: Christian Grey
A: Anastasia Steele
Data: 15 giugno 2011 9. 40
Oggetto: BLACKBERRY
Anastasia, se devi iniziare a discutere del dottor Flynn, allora USA
Il BLACKBERRY. Questa non è una richiesta.
Christian Grey
Amministratore
Holdings Inc.
delegato,
Ora
Contrariato,
Grey
Enterprises
Ana non risponde e io vengo distratto da Andrea che
mi avverte degli appuntamenti della giornata. Le concedo
un minuto, poi la liquido. Sospiro mentre compongo il
numero di Flynn. Risponde al primo squillo.
«John, Grey. Ho bisogno di un appuntamento»
«Christian, so che ultimamente non riesci a fare a
meno di me, ma sai che puoi chiamare direttamente
Cynthia. Ti fisserà un appuntamento appena possibile»
mi risponde gentile e divertito al tempo stesso.
«In realtà non sono io ad avere bisogno di te. O meglio,
sì, ovviamente. Ma è... è Ana che vuole vederti» gli dico
con un filo di voce.
«Ana?» chiede curioso.
«Sì... io, le ho chiesto di sposarmi. E le ho raccontato
del mio passato. E le ho detto che sono un sadico»
sospiro, stringendo gli occhi. «Forse è meglio se fissiamo
un appuntamento prima noi due da soli»
Flynn resta per un attimo in silenzio. Sento il rumore
di fogli che vengono girati.
«Ok, Christian. Ci vediamo oggi pomeriggio alle 16.00.
E domani sera, invece, fissiamo un appuntamento con
Ana e te insieme»
«Grandioso» gli dico, anche se più che soddisfatto
sono solo in ansia.
Quando chiudo con lui, Ros fa capolino nel mio ufficio,
avvisandomi di una riunione imminente. Le faccio cenno
che arrivo subito e mando un’altra mail ad Anastasia, che
non ha risposto all’ultima.
Da: Christian Grey
A: Anastasia Steele
Data: 15 giugno 2011 9. 50
Oggetto: Discrezione
È la miglior virtù. Per favore, sii discreta...
Le mail dal tuo posto di lavoro sono monitorate.
QUANTE VOLTE TE LO DEVO DIRE?
Sì. Maiuscole urlanti, come dici tu.
USA Il TUO BLACKBERRY.
Il dottor Flynn ci può incontrare domani sera. X
Christian Grey
Amministratore delegato ancora contrariato, Grey Enterprises
Holdings Inc.
Mi passo una mano nei capelli e faccio un profondo
sospiro prima di uscire dal mio ufficio e dirigermi nella
sala riunioni per gettarmi a capofitto nel lavoro. Oltre due
ore dopo, quando finalmente un’iperansiosa Ros mi lascia
libero e la smette di tormentarmi con Taiwan e i rischi
che corriamo, i piani di rientro degli esuberi e
l’organizzazione della comunicazione interna all’azienda,
riesco finalmente a ritagliarmi un minuto per controllare
le mail. Anastasia non si è fatta viva. Spero non se la sia
presa. Ovviamente da parte mia non è stata una mossa
intelligente rimproverarla in quel modo. Non dopo ieri. O
ieri sera. O questa notte. Le ho riversato addosso un
casino di merda e ora mi permetto anche di rimproverarla
perché quel depravato del suo capo è un voyer 2.0.
“Stronzo figlio di puttana”.
Da: Christian Grey
A: Anastasia Steele
Oggetto: Sleale
Data: 15 giugno 2011 12. 15
Non ho più tue notizie. Per favore, dimmi che è tutto okay. Sai
quanto mi preoccupo. Manderò Taylor a controllare! X
Christian Grey
Amministratore delegato iperansioso, Grey Enterprises Holdings Inc.
Mi siedo sulla mia poltrona in pelle e fisso l’aliante che
mi ha regalato Anastasia. “Prima o poi riusciremo a
ricostruire la nostra bolla perfetta, Miss Steele. Te lo
prometto”. L’interfono suona e Andrea mi avverte della
prossima riunione. Mi alzo, aggiustandomi la giacca e
portando le mie deliziose chiappette da milionario
nell’ufficio dell’ansiosa Ros. “Dovrò obbligarla a
prendersi una vacanza prima o poi”. Ad attendermi trovo
uno dei delegati dell’azienda che stiamo cercando di
inglobare. Imposto al deviazione di chiamate al telefono
dell’azienda, in modo da non perdermi nessuna chiamata
di lavoro importante e inizio la presentazione. Venti
minuti più tardi l’interfono della sala conferenze squilla.
Ros mi guarda accigliata e preoccupata. Mi sposto,
rispondendo bruscamente.
«Andrea, sono in riunione» faccio per chiudere, ma lei
mi interrompe.
«Mi scusi Mr Grey, Miss Steele al telefono per lei»
Il mio cuore prende a palpitare. Ana non mi chiama
mai in ufficio. “Idiota, ovviamente ti ha chiamato al
cellulare”. Sì, ok. Ma Ana non chiama mai quando è a
lavoro. Controllo il telefono, tirandolo fuori dalla tasca, e
non vedo mail.
«Arrivo» sibilo.
Mi scuso in fretta con il nostro ospite e lascio una Ros
incazzatissima a dirigere l’ultima parte della
presentazione mentre mi defilo nella hall. Non aspetto
neppure di arrivare in ufficio, ma rispondo dal telefono di
Andrea.
«Stai bene?» le chiedo preoccupato non appena afferro
la cornetta.
«Sì, benissimo» mi risponde lei, come stordita.
Faccio un profondo sospiro di sollievo.
«Christian, perché non dovrei stare bene?» sussurra,
cercando di rassicurarmi.
«Di solito sei così veloce a rispondere alle mie mail.
Dopo quello che ti ho raccontato ieri, ero preoccupato» le
dico piano, mentre Andrea mi interrompe con un gesto.
Le faccio un cenno e lei mi avverte che la delegazione
taiwanese vuole parlare con me.
«No, Andrea. Di’ loro di aspettare» le dico
severamente, senza degnarla più della mia attenzione. Il
mondo può aspettare. Taiwan può aspettare. E senz’altro
può aspettare quella rompipalle di Ros. Ana viene prima
di tutto. Ma Andrea mi interrompe di nuovo.
«Mr Grey, la sua presenza è davvero necessaria.
Servono delle firme e i nostri ospiti devono ripartire per
Taiwan»
Mi giro, fulminandola con lo sguardo. Olivia, alla
scrivania di fronte, sussulta per il timore.
«No. Ho detto di aspettare» esclamo spazientito.
«Christian, sei chiaramente impegnato. Ti ho chiamato
solo per farti sapere che sto bene, ed è vero. Ho una
giornata molto piena, tutto qui. Jack continua a far
schioccare la frusta. Ehm... voglio dire...» si ferma di
colpo, rendendosi conto della pessima scelta di parole.
Resto in silenzio, tenendola per un po’ sulle spine. Ma
in realtà sono divertito. La immagino lì a mordicchiarsi il
labbro e arrossire. Sento che trattiene il respiro. Faccio un
piccolo sospiro sarcastico, girandomi e abbassando la
voce per non far origliare le mie assistenti.
«Fa schioccare la frusta, eh? Bè, un tempo lo avrei
definito un uomo fortunato» commento sarcastico. «Non
farti mettere i piedi in testa, piccola»
«Christian!» mi rimprovera e io sorrido compiaciuto.
«Tienilo solo d’occhio, tutto qui. Senti, sono felice che
tu stia bene. A che ora devo passare a prenderti?» le
chiedo.
«Ti manderò una mail»
«Dal BlackBerry» ribatto severo.
«Sì, signore» borbotta di rimando.
«A più tardi, piccola» sussurro.
«Ciao...» mormora.
E nessuno dei due riaggancia.
«Riaggancia» mi rimprovera bonariamente.
Sospiro pesantemente, avvertendo la sua mancanza in
ogni nervo del mio corpo.
«Vorrei che non fossi mai andata al lavoro stamattina»
le sussurro sottovoce.
«Anch’io. Ma sono occupata. Riaggancia» mi ordina
con finta severità.
«Riaggancia tu» sorrido, prendendola in giro.
«Ci siamo già passati» mormora piano.
Chiudo gli occhi e la immagino.
«Ti stai mordendo il labbro» le sussurro.
Lo fa sempre quando gioca a fare la maliziosa. La sento
sussultare e mi viene da ridere.
«Vedi? Tu pensi che io non lo sappia, Anastasia. Ma io
ti conosco meglio di quanto tu creda» le mormoro,
mentre immagino di conoscerla ancora più a fondo.
Sempre più a fondo.
«Christian, parleremo più tardi. Ora, davvero, anch’io
vorrei non averti lasciato stamattina» mi sussurra piano,
con il respiro affannoso.
So che è eccitata. E, Cristo, io non so come cazzo
nascondere la mia fottuta erezione ora.
«Aspetto la tua mail, Miss Steele» le dico in un sospiro.
«Buona giornata, Mr Grey» sussurra lei, chiudendo la
conversazione.
Dopo pranzo, dopo la furia di Ros per il tiro mancino
che le ho giocato con la presentazione, dopo un mucchio
di scartoffie da firmare e dopo aver offerto il mio jet
privato alla delegazione taiwanese per rimediare al fatto
che la mia telefonata con Ana gli ha fatto perdere il volo,
eccomi davanti all’ufficio di Flynn. Esattamente con 40
minuti di anticipo. Cynthia è gentile e mi lascia
accomodare dentro, con il benestare del buon dottore,
che mi sorride e mi ascolta pazientemente. Quando
finisco il mio racconto, John mi scruta per qualche
attimo.
«Quindi hai chiesto ad Ana di sposarti dopo averle
rivelato una parte del tuo passato... Interessante»
mormora. «Come ti sei sentito quando non ti ha detto
subito di sì?»
Lo fisso negli occhi, spalancando i miei.
«Ferito... forse. Ok, sì. Ferito, all’inizio. Ma ho pensato
che aveva tutto il diritto di rifiutare un mostro come me»
sussurro, abbassando gli occhi a terra.
John sospira.
«Christian tu non sei un mostro. Anastasia ha solo
bisogno di riflettere sulla tua proposta. Ma non per i
motivi che credi tu. É giovane, tu sei giovane. Vi
conoscete da poco, ed è ovvio che lei voglia riflettere bene
su una situazione che cambierebbe per sempre il suo
futuro. Nelle ultime settimane la sua vita è stata stravolta.
E la causa di tutti i cambiamenti sei tu. Ora le serve
spazio e tempo per capire quello che vuole»
Mi sorride gentile, ma con me non attacca.
«E se io non fossi quello che vuole?» chiedo, timoroso.
«Me lo chiedi perché pensi di non essere l’uomo giusto
per lei, ovviamente. Ma credi di essere sbagliato per come
conduci la vostra relazione o per quello che ti porti dietro,
Christian?»
Alzo lo sguardo su di lui e lo fisso in silenzio per un po’.
«Tu lo sai chi sono, John. E cosa ho fatto. Potrei farle
del male»
John scuote la testa.
«Io so che sei un giovane uomo onesto, premuroso e
amorevole con la donna che ama. So che lei ti ha dato la
forza per affrontare il tuo passato. So che grazie a lei hai
fatto passi da gigante. Anastasia ti ama, farà la scelta
giusta. E anche se dovesse essere quella di non sposarti,
sono sicuro che non ha intenzione di uscire dalla tua vita»
Sospiro, senza ribattere. Poi mi alzo, preparandomi ad
andare.
«Lei come sta?»
«Sto aspettando notizie dalla clinica. Stai tranquillo, è
in ottime mani»
Quando esco dall’ufficio di John mi sento parzialmente
rassicurato. Controllo il telefono e trovo una sua mail.
Da: Anastasia Steele
A: Christian Grey
Data: 15 giugno 2011 16.11
Oggetto: Antidiluviano
Caro Mr Grey,
quando, esattamente, me lo avresti detto? Che cosa posso regalare al
mio vecchietto per il suo compleanno? Magari delle batterie nuove
per il suo apparecchio acustico? X
Anastasia Steele
Assistente di Jack Hyde, Direttore editoriale, SIP
“Maledetta Mia”. Stringo forte le labbra e salgo nel
SUV, mentre Taylor mi riporta alla Grey Enterprises.
Dev’essere stata per forza lei. Eppure sa che odio il mio
compleanno. Non mi piace festeggiarlo.
Da: Christian Grey
A: Anastasia Steele
Data: 15 giugno 2011 16.20
Oggetto: Preistorico
Non si sfottono i più anziani. Felice che tu sia viva e vegeta. E che Mia
si sia fatta sentire. Le batterie sono sempre utili. Non mi piace
festeggiare il mio compleanno.
X
Christian Grey
Amministratore delegato,
Enterprises Holdings Inc
Sordo
La sua risposta è immediata.
come
una Campana,
Grey
Da: Anastasia Steele
A: Christian Grey
Data: 15 giugno 2011 16.24
Oggetto: Mmh
Caro Mr Grey,
riesco a immaginarti mentre facevi il broncio e scrivevi l’ultima frase.
Mi fa un certo effetto. XOX
Anastasia Steele
Assistente di Jack Hyde, Direttore editoriale, SIP
Scorrendo la mail mi accorgo che, ancora una volta, è
inviata dal suo computer dell’ufficio.
Da: Christian Grey
A: Anastasia Steele
Data: 15 giugno 2011 16.29
Oggetto: Occhi al cielo
Miss Steele, USA Il TUO BLACKBERRY!!! x
Christian Grey
Amministratore delegato, con le Mani che Prudono, Grey Enterprises
Holdings Inc.
Quando mi risponde, obbedendo finalmente, sono già
seduto alla mia scrivania, in ufficio.
Da: Anastasia Steele
A: Christian Grey
Data: 15 giugno 2011 16.33
Oggetto: Ispirazione
Caro Mr Grey,
ah... le tue mani che prudono non riescono più a stare ferme,
vero? Mi domando che cosa ne direbbe il dottor Flynn. Ma ora so che
cosa regalarti per il tuo compleanno. E spero che mi faccia male... ;)
AX
Una scarica di adrenalina mi percorre da capo a piedi.
Il mio cazzo pulsa e si tende all’istante al pensiero di
Anastasia esposta a me. Il ricordo del suo culo
completamente a mia disposizione, mentre era piegata
sul tavolo da biliardo della mia biblioteca, mi manda in
estasi. Il caffè che sto bevendo mi va di traverso e devo
riaggiustarmi i pantaloni un paio di volte. L’erezione che
sto sfoggiando sotto la mia scrivania è ai limiti
dell’imbarazzante.
Da: Christian Grey
A: Anastasia Steele
Data: 15 giugno 2011 16.38
Oggetto: Angina
Miss Steele,
non credo che il mio cuore potrebbe sopportare il colpo di un’altra
mail come quella, o i miei pantaloni, per quel che importa.
Comportati bene. X
Christian Grey
Amministratore delegato, Grey Enterprises Holdings Inc.
Mi appoggio allo schienale della mia sedia, chiudendo
gli occhi e ripercorrendo con la mente il suo corpo nudo.
La tentazione di alzarmi e provvedere all’impellente
bisogno fisico è davvero troppa, ma decido di non cedere.
Ho bisogno della mia disobbediente Miss Steele in carne
ed ossa. Il suo ricordo non basta. Il mio telefono vibra di
nuovo.
Da: Anastasia Steele
A: Christian Grey
Data: 15 giugno 2011 16.42
Oggetto: Difficile
Christian, sto cercando di lavorare per il mio capo, che mi mette a
dura prova. Per favore, smettila di importunarmi e non mettermi
anche tu a dura prova. La tua ultima mail mi ha quasi mandato
in combustione.
AX
PS: Puoi passare a prendermi alle 18.30?
Sorrido
risposta.
compiaciuto,
digitando
velocemente
la
Da: Christian Grey
A: Anastasia Steele
Data: 15 giugno 2011 16.47
Oggetto: Ci sarò
Niente mi darebbe maggior piacere. A dire il vero, mi vengono in
mente diverse cose che mi darebbero un piacere ancora maggiore, e
tutte riguardano te. X
Christian Grey
Amministratore delegato, Grey Enterprises Holdings Inc.
Rimetto il telefono in tasca e cerco di rilassarmi e far
defluire il sangue dal punto preciso sotto la cintura in cui
si è accumulato. Mi concentro sulle pratiche per
l’acquisizione e lascio che il lavoro mi assorba
completamente fino a quando Taylor non mi manda un
messaggio, avvertendomi che è ora di passare a prendere
Ana. Scendo di sotto e mi infilo in auto, mentre un
brivido mi percorre la schiena. Mi sento strano, una
sensazione di pericoloso disagio mi attraversa. Quando
arriviamo davanti alla SIP, sono un fascio di nervi
oramai.
Capitolo 19
Guardo impaziente il portone principale della SIP.
L’interno è deserto, dato che l’orario d’ufficio è passato da
più di un’ora. Sono le 18.20. Faccio un profondo sospiro e
mi rilasso contro lo schienale, anche se non riesco a
scrollarmi di dosso una strana sensazione. Quando Ana
uscirà faremo un bel discorsetto su BlackBerry e congegni
elettronici vari. Forse è meglio metterla al corrente che
Jack monitora le sue mail. Sarà più vigile ed eviteremo
spiacevoli conseguenze. Oggi ho anche avvertito Roach
del comportamento scorretto di Hyde. E gli ho detto di
prepararsi nel caso decidessi di farlo fuori prima delle 4
settimane che mi separano dall’acquisizione ufficiale della
SIP. Per un attimo i miei pensieri sono calamitati da
altro. Questa mattina, prima di andare in ufficio, sono
entrato nella Stanza dei giochi. Tutti quegli aggeggi, tutto
il dolore che rappresentano quelle quattro mura. Mi è
sembrato di averlo esorcizzato una volta per tutte. Non so
se è un’illusione. Non so se è realmente così. Non so
neppure se riuscirò ad usare di nuovo tutte quelle cose
con Ana. Forse un giorno. Quello che è certo è che non
userò le verghe con lei. E quindi, in attesa di capire cosa
voglio farne di tutto quello, ho iniziato dalle verghe. Ho
incaricato Taylor di portarle via.
Sospiro, giocherellando con il telefono, mentre
combatto la tentazione di inviarle una mail. La verità è
che non vedo l’ora di vederla, dopo la pessima giornata di
ieri. E di amarla. E di perdermi in lei. E di un sacco di
altre cose. Sto quasi per scendere e andare a recuperare la
mia testardissima fidanzata, quando la vedo uscire
finalmente. Noto immediatamente che qualcosa non va.
Ana esce di corsa, come se stesse fuggendo da qualcuno.
Quando la porta si chiude alle sue spalle, lei si ferma,
inspirando più volte. Poi, ad un certo punto, si accascia
verso il marciapiede, senza forze. Esco immediatamente
dall’auto, sbattendo la portiera dietro di me. Taylor mi
segue. In meno di due secondi siamo accanto a lei. Mi
inginocchio e la prendo in grembo, sorreggendole la
schiena con un braccio.
«Ana, Ana! Cosa c’è?» urlo in preda al panico,
tastandole gli arti per controllare che non sia ferita.
Anastasia sembra in trance, non mi risponde, non
accenna a muoversi in nessun modo. “Mio Dio, Ana!
Rispondi!”. Le afferro la testa con entrambe le mani,
scrutandole gli occhi. Il terrore si impadronisce di me. La
realizzazione di tutte le mie paure. Il suo corpo si rilassa
completamente contro il mio, mentre io non riesco a fare
altro che guardarla e implorarla affinché parli.
Dolcemente riprovo a scuoterla.
«Ana. Cosa c’è? Stai male?» le chiedo, deglutendo a
fatica.
Finalmente accenna una risposta. Muove appena la
testa, rispondendo negativamente alla mia domanda.
«Jack» sussurra debole.
Sgrano gli occhi e guardo Taylor, che sparisce
immediatamente nell’edificio alla ricerca del figlio di
puttana. La rabbia inizia a montarmi dentro e stavolta
niente potrà fermarmi. Ucciderò quello stronzo pervertito
con le mie stesse mani. La guardo di nuovo. Cosa cazzo le
avrà fatto per ridurla in questo stato?
«Cazzo!» impreco ad alta voce, stringendola forte
contro il mio petto e baciandole la testa. «Che cosa ti ha
fatto quel depravato?» le chiedo furente.
A quel punto Ana scoppia a ridere istericamente,
scuotendo piano la testa.
«È per quello che gli ho fatto io» mormora,
continuando a ridere senza controllo.
La fisso sbalordito, mentre si perde nuovamente in uno
stato di trance isterica.
«Ana!» la scuoto di nuovo e lei si ferma, guardandomi
finalmente. «Ti ha toccata?» le chiedo con rabbia.
Il solo pensiero mi disgusta.
«Solo una volta» sussurra, accasciandosi contro la mia
spalla.
Il mio corpo reagisce alle sue parole irrigidendosi da
capo a piedi. Mi alzo di scatto, portando Anastasia in
braccio.
«Dov’è quello stronzo?» sibilo.
Come in risposta alla mia domanda, dall’interno
dell’edificio sentiamo provenire urla attutite. Taylor starà
dando una bella ripassata a quel figlio di puttana, ma il
colpo di grazia voglio avere il piacere di darglielo io.
Rimetto gentilmente in piedi Anastasia, assicurandomi
che stia bene.
«Riesci a reggerti da sola?» le chiedo preoccupato dal
suo equilibrio precario.
Le si stabilizza, rilassando le spalle e inspirando l’aria
fresca.
«Non andare. Non farlo, Christian» mi implora poi,
rendendosi conto che ho deciso di entrare.
Ma ora sono io quello perso nel mio mondo di furia e
rabbia.
«Sali in macchina» le ringhio contro, accecato dalla
furia.
«Christian, no» mi supplica, afferrandomi il braccio.
Mi divincolo dalla sua presa inefficace e me la scrollo
di dosso.
«Entra in quella dannata macchina, Ana» sibilo.
«No! Per favore!» mi supplica di
piagnucolando. «Rimani. Non lasciarmi da sola»
nuovo,
Quelle parole mi riportano per un attimo al presente.
Mi passo una mano nei capelli, lanciandole un’occhiata
carica di risentimento. Guardo la porta e poi lei, deciso a
rimanere e prendermi cura della donna che amo.
Dall’edificio arrivano ad un tratto delle urla molto più
acute. Poi il silenzio. “Cristo, Taylor!”. Tiro fuori il mio
telefono, pronto ad accertarmi che sia tutto a posto.
«Christian, Jack ha le mie mail»
La voce di Ana è appena un sussurro. Alzo lo sguardo
su di lei, fissandola.
«Cosa?» chiedo, aggrottando la fronte.
«Le mail che ti ho mandato. Voleva sapere dove
finiscono le tue. Stava cercando di ricattarmi»
La furia omicida si impossessa di nuovo di me. Stringo
forte le labbra e la fisso con gli occhi socchiusi.
«Cazzo!» esclamo furibondo.
Digito in fretta il numero di Barney, che risponde al
primo squillo.
«Barney. Grey. Ho bisogno che tu acceda al server
centrale della SIP e cancelli tutte le mail che Anastasia
Steele mi ha mandato. Poi accedi ai file di dati di Jack
Hyde e accertati che non siano archiviate lì. Se ci sono,
cancellale»
«Vuole che resetti tutto, Mr Grey?»
«Sì, cancella tutto. Adesso. Fammi sapere quando hai
fatto»
Chiudo la chiamata premendo con rabbia il pulsante e
subito compongo il numero di Roach.
«Roach. Grey. Hyde. Lo voglio fuori. Adesso.
All’istante. Chiama la sicurezza. Fagli sgombrare subito la
scrivania, oppure la prima cosa che farò domani mattina
sarà liquidare questa società. Hai già tutte le
giustificazioni di cui hai bisogno per dargli il benservito.
Mi hai capito?»
Roach rimane per un attimo interdetto dalla mia
veemenza. Poi sospira.
«Come preferisci, Grey. Quello stronzo non mi è mai
andato a genio»
Chiudo la telefonata soddisfatto e mi volto verso
Anastasia.
«BlackBerry» sibilo
un’occhiata di fuoco.
a
denti
stretti,
lanciandole
«Per favore, non essere arrabbiato con me» sussurra,
sbattendo le palpebre con aria colpevole.
«Sono arrabbiato con te proprio adesso» le ringhio
contro, passandomi una mano nei capelli, esasperato.
«Sali in macchina» le ordino deciso.
«Christian, per favore...»
«Sali in quella dannata macchina, Anastasia, o che Dio
m’aiuti, ti ci chiuderò dentro io» la minaccio con tutta la
furia che oramai non riesco a trattenere.
«Non fare niente di stupido, per favore» mi implora.
E quella parola mi manda proprio in bestie.
«STUPIDO!» esplodo esasperato. «Ti ho detto mille
volte di usare quel cazzo di BlackBerry. Non venirmi a
parlare
di
cose
stupide.
Entra
in
quella
fottutissima macchina, Anastasia. ORA!» le urlo contro,
incurante dei suoi sussulti di paura.
Il mio corpo è attraversato da visibili brividi di rabbia
allo stato puro.
«Okay» mormora, esitando ancora. «Ma per favore,
sta’ attento»
“Non avrei bisogno di stare attento a non uccidere
quello stronzo se tu avessi usato quel fottutissimo
cellulare del cazzo!”. Evito di risponderle e le indico la
macchina, lanciandole un’occhiata assassina. Ma Ana non
molla.
«Per favore, sii prudente. Non voglio che ti succeda
niente. Ne morirei» mormora e sembra soffrire
realmente.
Il sentimento mi è talmente familiare che mi riscuoto
dal mio stato. Sbatto le palpebre, tornando al presente
con lei. Abbasso le braccia e inalo aria preziosa per i miei
polmoni.
«Starò attento» le dico, più calmo.
Finalmente si decide a muovere quelle fottutissime
gambe e a dirigersi verso il SUV. La seguo con lo sguardo
fino a quando non entra e si chiude dentro. Poi mi
precipito come una furia all’interno della SIP. Passo in
rassegna l’ufficio di Hyde, poi sento un tonfo provenire da
una stanza più isolata. Mi ci fiondo, trovando Hyde
riverso a terra, con il viso gonfio e le mani strette sullo
stomaco. Taylor ansima, furioso.
«E non azzardarti a toccarla mai più, lurido pezzo di
merda!» gli sta urlando contro.
Mi avvicino e sia Taylor che Hyde si girano a
guardarmi. Il mio sguardo è fisso su quel pezzo di merda
che giace davanti ai miei piedi. Scuoto piano la testa,
guardandolo. Con un sorrisetto perfido sulle labbra.
«Lo sai, sapevo che eri uno schifoso pervertito... ma
credevo non fossi così stupido da toccarla pur sapendo
che era la mia fidanzata»
Gli sferro un calcio nello stomaco, colpendolo a metà
sulle nocche delle mani giunte a protezione. Hyde fa un
verso di dolore, urlando.
«Non l’ho toccata! Non le ho fatto nulla! Quella stronza
mi ha dato un calcio nelle palle, Cristo santo!» urla, in
preda alle fitte lancinanti.
Mi avvicino al suo viso e il puzzo di alcool mi disgusta
al punto che rischio di vomitargli addosso. Quell’odore mi
riporta indietro nel tempo. La furia si impadronisce di
me, di nuovo. Lo afferro per i capelli e gli alzo la testa.
«Non azzardarti mai più a chiamarla stronza, brutto
figlio di puttana!» gli urlo in faccia.
E poi lo colpisco. Un pugno dritto sulla mascella. E
ancora. E un altro. Mi alzo trascinandolo con me sul
pavimento. Gli sferro una ginocchiata nello stomaco.
Continuo a colpirlo violentemente, riversando su si lui
tutta la rabbia che ho in corpo. Sto per sferrargli un altro
pugno quando Taylor mi blocca.
«Mr Grey, si fermi!»
Ansimo, sopraffatto dalla furia. Continuo a guardare il
verme lurido, con la voglia di sfondargli il cranio.
«Mr Grey... si fermi, la prego. Non ne vale la pena.
Miss Steele la sta aspettando»
Solo il nome di Anastasia riesce a placarmi per un
attimo. Stringo forte i capelli di Hyde e poi lo spingo
violentemente con la testa contro il pavimento. Taylor mi
lascia il braccio.
«Alzati, lurido porco» gli urlo, tirando fuori un
fazzoletto dalla tasca e pulendomi il sangue dalla mano.
Hyde si muove a stento, ma, da vigliacco, credo stia per
farsi sotto dalla paura. Lentamente tenta di mettersi in
piedi, scivolando un paio di volte sul suo stesso sangue.
«Raccatta le tue quattro cose e vattene da qui. Taylor,
assicurati che porti via le sue stronzate»
Taylor afferra Jack per un braccio e lo trascina fuori
dalla piccola cucina. Ho bisogno di un momento per
riprendermi e non scagliarmi di nuovo contro di lui. Lo
ammazzerei stavolta. Sospiro, poggiandomi contro il
mobiletto sul quale c’è un pacco di dolcetti aperto.
Stringo forte gli occhi. Pochi minuti dopo Taylor mi
chiama. Usciamo dalla SIP e troviamo un taxi pronto ad
aspettare Jack Hyde. Lo lascio nel disprezzo, sicuro che
Taylor ha rinnovato l’invito a sparire per sempre. Mi
dirigo verso il SUV, salendo al posto di guida, accanto ad
Anastasia che si è sistemata sul sedile del passeggero.
Taylor sale dietro di lei. Metto in moto e sfreccio in
direzione dell’Escala. Nel silenzio, riesco distintamente a
sentire i suoi occhi su di me. Il telefono dell’auto suona,
interrompendo i miei pensieri su quanto mi ci vorrebbe
per tornare indietro e uccidere Hyde.
«Grey» rispondo scontroso.
«Mr Grey, sono Barney»
Mi faccio subito attento.
«Barney, sono con il vivavoce, e ci sono altre persone
in macchina» lo avverto prudente.
«Signore, tutto fatto. Ma ho bisogno di parlare con lei
di qualcos’altro che ho trovato nel computer di Mr Hyde»
Quell’affermazione mi lascia perplesso. Cos’altro avrà
trovato?
«Ti chiamerò non appena arrivo a destinazione. E
grazie, Barney» dico, pensieroso.
«Nessun problema, Mr Grey»
Chiudo la conversazione, rimuginando su quello che il
mio tecnico informatico ha appena detto. Sospiro
pesantemente. Finirà mai questo periodo di merda?
«Hai intenzione di parlarmi?» mi sento chiedere
pacatamente da Anastasia.
Mi volto verso di lei. Il suo sguardo è a metà tra il “tisto-giudicando-un-infantile-moccioso” e il “va-bene-ècolpa-mia-ma-anche-tua-quindi-non-tirarla-per-lelunghe”. Torno a guardare la strada davanti a me.
«No» borbotto, mettendo il broncio.
So che si trattiene a stento dall’alzare gli occhi al cielo.
Incrocia le braccia sotto il seno e guarda fuori dal
finestrino. Per un attimo la guardo di sottecchi. É vestita
tutta di nero. La mi piccola ninja coraggiosa. “Dio, non so
cosa avrei fatto se l’avessi persa!”. Per fortuna siamo
quasi arrivati all’Escala. Fermo l’auto davanti all’ingresso
principale e scendo, girando attorno all’auto per aprirle la
portiera.
«Scendi» le ordino piano.
Taylor fa il mio stesso percorso al contrario,
mettendosi al posto di guida. Le porgo la mano e la guido
all’interno della hall, fino all’ascensore.
«Christian, perché sei così arrabbiato con me?»
mormora, mentre aspettiamo.
Quasi stento a credere che abbia potuto partorire una
domanda così stupida.
«Lo sai il perché» le rimbrotto contro mentre entriamo
finalmente in ascensore e digito il codice per l’attico.
Sospiro, prima di girarmi verso di lei che fissa il
pavimento.
«Dio, se ti fosse capitato qualcosa, a questo
punto quell’uomo sarebbe morto» le dico gelido, tirando
fuori la rabbia mista al disprezzo che ho provato
nell’ultima ora.
Le porte dell’ascensore si chiudono e iniziamo a salire.
«Per come stanno le cose, gli rovinerò la carriera, così
che non possa più approfittarsi delle ragazze, cane
miserabile che non è altro» dico ad alta voce quello che
penso, come per compilare un piano.
Lei alza lo sguardo su di me e io non resisto oltre a
starle lontano. Devo accertarmi che sia viva, in carne ed
ossa.
«Cristo, Ana!»
Mi butto su di lei, afferrandola per le spalle e
spingendola nell’angolo. Le mie mani si infilano nei suoi
capelli, tirandoglieli all’indietro. La costringo a sollevare
il viso e la bacio, finalmente. La bacio a lungo, a fondo,
come per reclamarla. “Si mia, Ana. Solo mia. Nessun altro
deve averti. Nessuno può toccarti”. Spingo il mio corpo
contro il suo con forza, con rabbia, desiderio represso.
Possesso. A fatica riesco a staccarmi da lei, fissandola
mentre ansimo senza fiato. Il mio corpo preme di più sul
suo, costringendola ad appiattirsi contro la parete
dell’ascensore. Per un attimo ripenso all’ultima volta che
ci siamo trovati in una situazione del genere. Il cazzo mi
tira in un modo incredibile. Ho voglia di prenderla. Ho
voglia di sesso spinto, violento. Ho voglia di sottometterla
e farle capire che solo io so cosa è bene per lei. Questo
desiderio mi lascia spiazzato per un attimo. Ana si
aggrappa a me per sorreggersi, fissandomi.
«Se ti fosse successo qualcosa... Se lui ti avesse fatto
del male...» rabbrividisco involontariamente, non
riuscendo a placare il profondo tormento che mi anima.
«BlackBerry» le ordino, calmandomi. «D’ora in avanti.
Capito?»
Anastasia annuisce, deglutendo, senza smettere di
guardarmi. Lentamente mi tiro su dal suo corpo,
lasciandola libera proprio nell’istante in cui l’ascensore si
ferma e le porte si aprono.
Guardo la mia piccola testarda guerriera e ricordo le
parole di Hyde.
«Ha detto che gli hai dato un calcio nelle palle» le dico
con un mezzo sorriso, quasi ammirato, riprendendo il
controllo di me stesso.
«Sì» sussurra lei, calmando il respiro.
«Bene» commento, con un gesto della testa, ammirato.
«Ray è un ex militare. Mi ha istruita bene» mormora,
guardandomi di lato.
«Sono veramente felice di sentirlo» dico, sospirando
più tranquillo. Poi la guardo, inarcando un sopracciglio,
divertito. «Devo ricordarmelo»
Le prendo la mano e la conduco fuori dall’ascensore,
sul pianerottolo e poi in casa. Casa nostra. Dove è al
sicuro. Mi segue e la sento sospirare di sollievo. Arrivati
in cucina le lascio la mano, guardandola.
«Devo chiamare Barney. Non ci metterò molto» le
dico, avviandomi verso l’ufficio.
Mi barrico dentro, poggiando la testa contro la porta
ed inalando a fondo. Rilascio tutta la tensione. Sbatto
diverse volte le palpebre, cercando di riprendermi
dall’ennesima giornata di merda. Poi afferro il telefono e
chiamo Barney.
«Grey. Dimmi tutto»
«Mr Grey, signore, il computer di Hyde è stato una
vera rivelazione. Abbiamo trovato un’intero archivio con
informazioni personali su tutte le sue assistenti. Poi, in
una cartella a parte, informazioni su di lei»
Rimango basito.
«Su di me?» chiedo incredulo.
«Sì, Mr Grey. File che parlano di lei, della sua vita,
della sua impresa. E nella stessa cartella, informazioni
personali sulla sua famiglia e su Miss Anastasia Steele»
Stringo forte le labbra.
«Ho bisogno di farmi un resoconto della situazione,
Barney. Inviami tutto per mail»
«Come desidera, signore»
Riattacco, rimettendo a posto il telefono nella tasca dei
pantaloni e togliendomi la giacca. Poggio le mani sulla
scrivania, reprimendo l’impulso di scagliare qualcosa
contro il muro. Domani devo assolutamente vedere
Bastille. Ne va della mia salute mentale. Quando mi sono
calmato a sufficienza, apro la porta e torno in cucina,
cercando di mostrarmi di buon umore.
«’sera, Gail» saluto educatamente Mrs Jones, intenta a
preparare la cena.
Punto al frigo e ne estraggo del vino, riempendo un
calice preso dalla credenza.
«Buonasera, Mr Grey. In tavola tra dieci minuti,
signore?» mi chiede gentile.
«Perfetto» le dico con un sorriso.
Poi sollevo il bicchiere in direzione di Anastasia,
portandomi sullo sgabello accanto al suo.
«Agli ex militari che addestrano bene le loro figlie»
dico, guardandola con amore.
«Alla salute» mormora piano, sollevando il suo
bicchiere verso il mio.
Ha l’area mesta, spaurita. Più di prima, appena dopo
l’aggressione. Aggrotto la fronte, scrutandola.
«Cosa c’è?» le chiedo, bevendo un sorso di vino.
«Non so se ho ancora un lavoro» sussurra a testa
bassa.
Piego la testa di lato, guardandola quasi divertito.
«Vuoi ancora averne uno?» le chiedo.
«Certo» risponde d’impeto, alzando di nuovo lo
sguardo sui di me.
«Allora ce l’hai ancora» le dico semplicemente.
Mi guarda stupita. Poi alza gli occhi al cielo e io
sorrido, realmente rilassato. Mi alzo, poggiando il
bicchiere di vino sul bancone e mi avvicino a lei,
abbracciandola forte e cullandola mentre io mi cullo in
lei.
Mrs Jones ci interrompe, sorridendoci e mettendoci
davanti un ottimo tortino di pollo, dileguandosi subito
dopo. Mangiamo in silenzio. Vorrei sapere tutto quello
che Hyde le ha fatto, ma ora come ora non voglio
turbarla. E non voglio ritrovare l’istinto omicida appena
sopito.
«Cosa c’è nel computer di Jack, Christian?»
La guardo, rimanendo con la forchetta a mezz’aria.
Come posso dirglielo? Come posso dirle che ancora una
volta è finita nei guai per colpa mia? Da quello che Barney
mi ha detto, Ana era solo un modo per colpire me.
Perché? Cosa vuole da me Hyde?
«Nulla che debba preoccuparti» le rispondo, tornando
a mangiare.
«Christian...» mi rimprovera lei.
«Ho detto nulla di cui debba preoccuparti, Ana»
rispondo brusco, scostando il piatto e afferrando il calice
col vino. Me ne concedo un sorso generoso, guardandola
mentre bevo.
«Christian, ogni volta che dici così finisce che mi trovo
in mezzo a... a qualcosa in cui non dovrei essere. Devo
ricordarti di Leila?»
«Nulla. Di. Cui. Preoccuparti» sibilo «Ora mangia,
Ana. Per favore» aggiungo più docilmente.
Lei sospira sonoramente, ma poi riprende a mangiare
il suo tortino in silenzio. Ma la tregua dura pochi attimi.
«Ha chiamato José» dice, fingendo noncuranza.
La guardo, mentre lei arrossisce di colpo.
«Ah» le dico, girandomi sullo sgabello fino a pormi
verso di lei. “Dio, ti prego. Un figlio di puttana per volta”
«Vuole consegnarti le foto venerdì» mi dice,
riempiendosi subito la bocca di cibo, come per impedirsi
di dire altro.
«Una consegna personale. Che gentile» borbotto acido.
Deglutisce piano.
«Vorrebbe uscire. Per un drink. Con me» mormora.
E io a stento mi trattengo dall’esplodere.
«Capisco» mormoro, aspettando che continui.
«E Kate e Elliot dovrebbero essere tornati» aggiunge
frettolosamente, come per giustificarsi.
Odio quando lo fa. Lo odio. Perché devi giustificarti,
Ana? Cosa pensi di fare con il tuo pseudo amico del
cazzo? Poggio la forchetta sul piatto e aggrotto la fronte.
«Che cosa mi stai chiedendo esattamente?» le chiedo
brusco.
Lei alza la testa di scatto, stizzita.
«Non ti sto chiedendo niente. Ti sto informando dei
miei programmi per venerdì. Senti, vorrei vedere José, e
lui vorrebbe fermarsi a dormire. Può stare qui oppure nel
mio appartamento, ma se starà là, allora dovrei
esserci anch’io» dice d’impeto, contenendo a stento il
tono della voce.
La fisso sbalordito, con gli occhi spalancati.
«Ci ha provato con te» sussurro incredulo.
«Christian... settimane fa. Era ubriaco, io ero ubriaca,
tu hai salvato la situazione. Non succederà più. Non è
Jack, per l’amor di Dio» mi dice come se spiegasse ad un
bambino.
«C’è Ethan là. Può tenergli lui compagnia» ribatto,
aggrappandomi a tutto quello che mi viene in mente.
“Ana e José da soli. Non capiterà mai più. Mai”.
«Vuole vedere me, non Ethan»
Evito di rispondere a quest’ultima affermazione, ma le
lancio un’occhiata eloquente.
«È solo un amico» dice, mettendosi un po’ troppa
enfasi.
«Non mi piace» sibilo, riducendo gli occhi a due
fessure.
Ana chiude i suoi per un attimo, facendo un profondo
respiro.
«È un mio amico, Christian. Non lo vedo
dall’inaugurazione della mostra, ed è stato un incontro
troppo breve. So che tu non hai amici, a parte quella
donna orrenda, ma non mi lamento quando la vedi!»
esclama.
Il suo tono di voce è salito di pari passo alla sua
irritazione. Sbatto le palpebre, scioccato dalla sua
irruenza. La guardo senza parlare e lei ne approfitta per
rincarare la dose. Ma quasi non la sento. Le sue parole mi
rimbombano nelle orecchie. “Quella donna orrenda...
quella donna orrenda”. É così che la vede? Come io vedo
José? Per un attimo riesco a mettermi nei suoi panni. Se
lei vede Elena come io vedo José, allora... forse José per
me è innocuo quanto Elena lo è per lei. Forse. Di certo
non li lascerò insieme da soli di nuovo.
«Voglio vederlo. Sono stata una pessima amica per lui»
«È questo ciò che pensi?» sussurro, con gli occhi fissi
su di lei.
«Che penso di cosa?» risponde aggrottando la fronte.
«Di Elena. Preferiresti che non la vedessi?» le chiedo
pacatamente.
«Esattamente. Preferirei che non la vedessi» mi
risponde fredda.
«Perché non l’hai detto?» mormoro, senza capire.
«Perché non sta a me dirlo. Tu pensi che lei sia la tua
unica amica» mi dice, stringendosi nelle spalle. Sembra
esasperata, come se non riuscissi ad afferrare un concetto
che invece è fondamentale. «Proprio come non sta a te
dire se posso o non posso vedere José. Lo capisci?»
La guardo stranito. Il suo ragionamento non fa una
piega. Ovvio. Sospiro, profondamente, guardandola.
«Può stare qui, suppongo» borbotto scontroso.
«Così posso tenerlo d’occhio»
Mi dà fastidio solo pensare alla sua presenza sotto il
mio stesso tetto, e non cerco neppure di nasconderlo.
Come Ana non nasconde affatto il suo sollievo.
«Grazie! Sai, se verrò a vivere qui anch’io...» inizia, ma
poi si blocca, abbassando lo sguardo imbarazzata.
Annuisco. Non c’è neppure bisogno di chiederlo.
«Non è che ti manchi lo spazio»
Mi regala finalmente un sorriso e anch’io cedo, seppur
riluttante.
«Lo stai facendo per me quel sorrisetto, Miss Steele?»
le dico, inarcando un sopracciglio.
«Assolutamente sì, Mr Grey» dice in fretta, alzandosi e
portando il suo piatto nel lavello.
Dopo averlo pulito lo infila in lavastoviglie. Fa lo stesso
con il mio. La guardo, ammirando la solita grazia dei suoi
movimenti.
«Lo farà Gail» le dico piano.
«L’ho fatto io adesso» dice, sorridendomi, restando in
piedi accanto al lavello.
La fisso intensamente e vorrei spogliarla qui, ora. e
farla mia su questo bancone. Ma ho bisogno di dare
un’occhiata ai file che mi ha inviato Barney e decidere una
strategia d’azione con Taylor.
«Devo lavorare per un po’» le dico, scusandomi e
scostandomi dal bancone, restando però seduto.
«Fantastico. Troverò qualcosa da fare» risponde con
un sorriso affettuoso.
«Vieni qui» le ordino dolcemente, senza smettere di
fissarla.
Obbedisce all’istante, aggrappandosi a me. La stringo
forte tra le braccia e la coccolo per un po’.
«Tutto okay?» le sussurro tra i capelli, prima di
baciarglieli.
«Okay?» chiede, con la fronte aggrottata, scostandosi
di poco per guardami.
«Dopo quello che è successo con quello stronzo? Dopo
quello che è successo ieri?» aggiungo, stringendola un po’
più forte.
«Sì» sussurra piano, quasi contro le mie labbra.
La stringo di nuovo, più forte, godendomi la
sensazione del suo corpo contro il mio.
«Non litighiamo» mormora piano, contro il mio collo.
Le bacio i capelli, inalando il suo dolce profumo.
«Hai un profumo meraviglioso come sempre, Ana»
«Anche tu» sussurra, baciandomi delicatamente il
collo. Poi la lascio andare, scendendo dallo sgabello.
«Ne avrò per un paio d’ore» le dico, allontanandomi e
rintanandomi di nuovo nello studio. “Ora veniamo a noi,
fottuto figlio di puttana”.
Efficiente come al solito, Barney mi ha inviato tutto il
materiale che è riuscito a recuperare dal pc di Hyde.
Numerosi file su di me, tutto ciò che è possibile
recuperare online per intenderci. Nulla di trascendentale.
Ma è alquanto strano che Jack si sia concentrato su di me
e non su Anastasia, che sembrava essere il suo obiettivo
principale. E che fossi io il suo bersaglio lo si capisce
anche dalle informazioni che ha raccolto sulla mia
famiglia. Quello che mi sfugge è il perché? Che fosse
riuscito a sapere qualcosa sull’acquisizione della SIP? Ana
di certo non è stata molto discreta nelle sue mail. Che
volesse invece semplicemente puntare al denaro e
utilizzare quelle mail per ricattarmi? Bè, questo avrebbe
senso a dire il vero. Chiudo il pc e mando un sms a
Taylor. Ho bisogno di chiudere con questa faccenda, ora.
E tornare dalla mia ragazza. Meno di un minuto dopo
Jason è di fronte a me. Faccio un profondo sospiro,
scrutandolo e leggendogli negli occhi tutta la
preoccupazione che sento anch’io.
«Jason... grazie per il tuo intervento, questa sera»
inizio, sincero.
«Mr Grey, non deve ringraziarmi. É il mio dovere»
risponde celermente, come se la conversazione lo
mettesse in imbarazzo.
E in effetti mette in imbarazzo anche me. Ma sento il
bisogno di fargli sapere che apprezzo la sua dedizione e la
protezione che offre a me, ma anche ad Anastasia.
«Lo so, Jason. Lo so. Ma desideravo ringraziarti lo
stesso. Per quello che fai, quotidianamente. E per come ti
prendi cura di Anastasia»
Taylor annuisce. Io annuisco. E il discorso è chiuso.
«Ora abbiamo altro di cui preoccuparci comunque» gli
faccio cenno di accomodarsi di fronte a me e poi gli porgo
i documenti che ho stampato. «Questo è quello che
Barney ha trovato nel computer di quel figlio di puttana»
Taylor li afferra, facendoli scorrere rapidamente e poi
guardandomi perplesso.
«Conosceva già Hyde prima?» chiede, in modalità 007.
«No. Ma lui monitorava la casella di posta elettronica
di Anastasia. Credo volesse usare le mail che ci
scambiavamo per ottenere del denaro»
Jason annuisce.
«Bene. Non credo che al momento nutra ancora
intenzioni simili. Ad ogni modo preferirei continuare a
mantenere gli uomini della scorta, se per lei non è un
problema. Sorveglieranno lei e Miss Steele fino a quando
non saremo certi che Hyde sarà fuori dai giochi. E
preferirei tenere sotto controllo anche la sua famiglia, Mr
Grey. In modo discreto per il momento»
Annuisco, rassegnato. Consegno a Taylor anche le
informazioni sulle altre assistenti di Jack Hyde,
incaricandolo di coordinarsi con Welch e scoprire il più
possibile. Poi, incapace di resistere oltre, mi alzo e
abbandono lo studio, dirigendomi in camera da letto. Ana
non c’è, è il panico mi assale. Non è neppure in bagno, ma
i suoi vestiti sono a terra e nell’aria c’è il profumo del
bagnoschiuma. Deve aver fatto la doccia. Stavolta vado
dritto in biblioteca, ma neppure lì la trovo. Salgo al piano
superiore e mi dirigo nella sua vecchia stanza. Niente.
Tornando in corridoio una strana sensazione mi assale.
So dov’è. Vorrei solo capire perché ci è andata. Lo strano
impulso provato qualche ora fa in ascensore diventa
inaspettatamente incontrollabile. Solo saperla nella mia
stanza dei giochi mi eccita in maniera indicibile. Quando
entro la trovo vicino al cassettone, intenta a guardare il
contenuto di un cassetto. Rapidamente mi guardo
intorno. Le verghe sono ancora qui. Tutto è ancora qui. E
io ho dimenticato la porta aperta. E ora lei è qui dentro.
Prende tra le dita sottili un dilatatore anale e l’impulso di
spogliarla e di mostrare a quella mente curiosa come
funziona e quanto può piacerle mi eccita a dismisura.
Trattengo a stento il respiro. Lo scruta per un po’. Poi
capisce, perché dopo un’ultima occhiata veloce, lo rimette
giù come se scottasse. Di colpo raddrizza la schiena e mi
rendo conto che è consapevole della mia presenza. Alza di
scatto la testa, guardandomi come una bambina colta a
fare una marachella.
«Ciao» dice con un sorriso nervoso.
Ha gli occhi spalancati, come se avesse timore. Di me.
É pallida. Il respiro corto. Le sue guance sono l’unico
tocco di colore. L’unico punto rosso nel bianco niveo del
suo corpo così minuto e sexy. É così sottomessa. Inspiro
piano, calmandomi all’istante in quell’ambiente così
familiare.
«Che cosa stai facendo?» le chiedo pacatamente, senza
avvicinarmi.
Il suo viso diventa di un rosso acceso. Così
meravigliosamente rosso che mi turba in modo profondo.
«Ehm... ero annoiata e curiosa» bofonchia in evidente
imbarazzo.
«Una combinazione molto pericolosa» mormoro,
lasciando scorrere l’indice sul mio labbro inferiore
mentre la contemplo, lì, davanti a me, con addosso la sua
tuta e la canottiera.
Così remissiva che mi sembra di essere tornato
indietro di settimane. Non smetto di fissarla negli occhi,
neppure mentre faccio un passo all’interno della stanza,
spostandomi dalla soglia e chiudendo la porta alle mie
spalle. Mi avvicino di poco, poggiandomi disinvolto al
cassettone che lei sta esplorando.
«Dunque, che cosa ti incuriosisce, esattamente, Miss
Steele? Forse posso illuminarti» le chiedo, mantenendo il
mio tono calmo.
«La porta era aperta... Io...» tenta di giustificarsi e
questo mi fa eccitare ancora di più.
É una sensazione familiare, ma nulla a che vedere con
quello che accomunava tutte le mie sottomesse, che mi
spingeva a farle mettere in ginocchio e possederle per ore.
É familiare perché l’ho già provata. Con lei. É sempre
stato così. É sempre stato diverso. Le lancio quasi un
sorrisetto, prima di rilassarmi un po’, poggiando i gomiti
sul cassettone e il mento sulle mani giunte, osservando la
stanza attorno a me.
«Sono entrato qui stamattina, domandandomi cosa
fare di tutto questo. Devo essermi dimenticato di
chiudere»
Per un attimo mi rimprovero per la mia dimenticanza.
Ma poi, guardandola, penso quasi che sia stata
provvidenziale. Stasera potremmo capire molte cose l’uno
dell’altra.
«Ah» esclama, con gli occhi sempre sgranati.
«Ma ora eccoti qua, curiosa come sempre» le dico,
sorpreso sul serio dal fatto che si sia avventurata qui
dentro.
Anche la sua percezione di me dev’essere cambiata.
«Non sei arrabbiato?» mormora in un ansito,
guardandomi a fatica negli occhi.
Piego la testa di lato, valutando la sua domanda. In
passato lo sarei stato. In passato avrei potuto ridurre in
lacrime la malcapitata che avrebbe osato introdursi qui
dentro senza il mio permesso. Ma ora riesco solo a vedere
la mia curiosa quasi futura moglie che si districa tra mille
attrezzi che vorrei usarle per procurarle piacere e vederla
contorcersi per il godimento. Le sorrido.
«Perché dovrei essere arrabbiato?»
aggrottando leggermente la fronte.
le
chiedo,
«Mi sento come se avessi sconfinato... e tu ce l’hai con
me» sussurra, leggermente sollevata.
Aggrotto di più la fronte, riflettendo sul suo
atteggiamento. “Ti faccio ancora così paura, Ana? Per
questo non vuoi sposarmi?”.
«Sì, hai sconfinato, ma non sono arrabbiato. Spero che
un giorno vivrai qui con me, e tutto questo...» mi alzo
dalla mia posizione, indicando la stanza con un gesto
vago della mano. «... sarà anche tuo»
Anastasia spalanca la bocca e gli occhi, guardandomi
incredula. Scuote piano la testa, ma riprendo a parlare
prima che possa farlo lei.
«È per questo che sono stato qui oggi. Cercavo di
decidere cosa fare» picchietto leggermente l’indice sulle
mie labbra, riflettendo su quello che ha detto di me.
«Sono sempre arrabbiato con te? Non lo ero stamattina»
le dico, tornando a guardarla negli occhi.
Ana sorride subito, arrossendo piano.
«Eri allegro. Mi piace il Christian allegro» mormora
maliziosamente.
«Davvero?» inarco un sopracciglio e le sorrido.
Il mio cuore manca un battito alla visione spettacolare
di lei con gli occhi luccicanti e vispi e quel sorrisetto
audace sulle labbra. La amo. Non c’è nulla da fare.
Anastasia abbassa lo sguardo sugli strumenti che ha
davanti.
«Cos’è questo?» mi chiede cauta, sollevando un
dilatatore anale.
Inspiro a fondo, eccitato come non mai.
«Sempre a caccia d’informazioni, Miss Steele. Quello è
un dilatatore anale» le rispondo dolcemente.
«Oh...» mormora, senza fiato.
«L’ho comprato per te» aggiungo, osservando la sua
reazione.
Si volta di scatto, guardandomi.
«Per me?» chiede scioccata.
Annuisco piano, scrutandola attento. La sua piccola e
deliziosa fronte si aggrotta pensierosa.
«Compri...
Sottomessa?»
ehm...
giocattoli
nuovi...
per
ogni
Il suo imbarazzo mi eccita e mi diverte al tempo stesso.
«Alcune cose. Sì» rispondo senza perdere la mia
calma.
«Dilatatori anali?» chiede timorosa.
«Sì»
Deglutisce visibilmente, osservando l’oggetto freddo
che ha tra le dita e stringedolo come per tastarne la
durezza. Lo gira su se stesso, poi lo rimette lentamente a
posto. Ne afferra un altro.
«E questo?» chiede, tirando fuori le sfere anali.
«Sfere anali» le dico, scrutandola attentamente.
Le le esamina attentamente e giurerei di vederla
stringere le gambe forte. “Ti eccita, Ana?”. Continuo ad
incalzarla.
«Fanno un certo effetto se le tiri fuori durante
l’orgasmo» aggiungo pratico, indicandole vagamente con
le dita.
«Sono per me?» sussurra.
«Per te» rispondo piano, annuendo con lentezza.
«Dunque questo è il cassetto anale?» chiede,
spostando lo sguardo sul cassetto aperto e poi di nuovo
verso di me.
Non riesco a trattenere un sorrisetto malizioso.
«Se preferisci»
Rimette a posto le sfere e chiude in fretta il cassetto,
avvampando improvvisamente. Soffoco una risata.
«Non ti piace il cassetto anale?» le chiedo fingendo
innocenza, divertito.
Lei per tutta risposta si stringe nelle spalle, con un
sorrisetto sulle labbra.
«Non è proprio in cima alla mia lista “cose da fare con
Christian”» mi rimbrotta contro con falsa disinvoltura.
Poi, timidamente, apre il secondo cassetto. Mi viene da
ridere.
«Quello contiene una selezione di vibratori» la avverto.
Lo richiude prima di esplorarne il contenuto.
«E quello dopo?» mormora, viola dall’imbarazzo.
«Quello è più interessante»
Mi fissa negli occhi, poi, senza distogliere lo sguardo,
lascia scorrere le dita sui pomelli e apre il cassetto. La
guardo ammirato e compiaciuto. Quando i suoi occhi si
spostano sul contenuto del cassetto, sul viso le si dipinge
un’espressione scioccata. Prende in mano delle pinze e il
pensiero di lei con quelle addosso mi fa tirare l’uccello in
un modo incredibile.
«Pinze genitali» le spiego, spostandomi e mettendomi
accanto a lei.
Anastasia le rimette subito a posto, alzando con le dita
due pinzette unite da una catenella. La guardo, facendomi
leggermente più vicino al suo corpo.
«Alcuni di questi sono per il dolore, ma la maggior
parte sono per il piacere» le mormoro quasi contro
l’orecchio.
In questo momento la sto immaginando nuda, mentre
la penetro a fondo contro quella croce di legno.
Brutalmente. Violentemente. E poi ancora più lento.
Amandola e venerandola.
«Che cos’è questo?» chiede, accarezzando con le dita le
pinze.
«Pinze per capezzoli. Per entrambi» le dico,
passandomi la lingua sulle labbra mentre guardo la sua
reazione scioccata.
«Entrambi? I capezzoli?» chiede con un sussulto.
Le sorrido maliziosamente.
«Bè, ci sono due mollette, piccola. Sì, entrambi i
capezzoli, ma non è quello che intendevo. Queste sono sia
per il piacere sia per il dolore»
Fissandola con desiderio cupo, gliele tolgo di mano.
«Dammi il mignolo» le mormoro.
Obbedisce all’istante e io le pizzico solo la punta del
mignolo con una pinza.
«La sensazione è molto intensa, ma è quando si
tolgono che si provano il dolore e il piacere più forti»
sussurro.
Quando tolgo la pinza Ana mi guarda con languore,
assaporando il piacere e il dolore. É sexy da impazzire.
«Mi piace la foggia» mormora.
Le sorrido divertito.
«Lo sai, Miss Steele? Credo che ci avrei scommesso»
Anastasia annuisce timidamente. Prende le pinze e le
ripone nel cassetto. Mi sporgo in avanti, prendendone un
altro paio dal cassetto.
«Queste sono regolabili» le dico, sollevandole per
fargliele guardare meglio.
«Regolabili?»
«Le puoi mettere molto strette... oppure no. Dipende
dall’umore» mormoro, guardandola.
Siamo vicinissimi e ho un’erezione da paura al solo
pensiero di tutto quello che potrei farle. Ana deglutisce
visibilmente, eccitata dalle mie parole. Poi distoglie lo
sguardo, incapace di reggere il mio oltre. Prende in mano
un altro attrezzo.
«E questo?» mi dice, osservando la rotella perplessa.
«Quella è una rotella neurologica di Wartenberg» le
spiego.
«Per?» mi chiede, curiosa.
La guardo e poi le tendo la mano.
«Dammi la mano. Con il palmo in su» le ordino
dolcemente.
Senza interrompere il contatto con i miei occhi, mi
tende la mano sinistra. La prendo dolcemente,
carezzandole le nocche con il pollice. Anastasia è scossa
da un brivido e i suoi occhi si socchiudono, in preda al
desiderio. Lentamente faccio scorrere la rotella sul palmo
della sua mano tesa.
«Ah!» esclama, restando poi ad osservarsi il palmo,
ansimando piano.
«Immaginala sul seno» le mormoro.
Ci mette tre secondi esatti ad elaborare la sensazione e
ritrae subito la mano, arrossendo fino alla radice dei
capelli. Il suo respiro è molto più affannoso e posso
sentire il suo cuore battere ad una velocità impazzita
anche a distanza.
«C’è una linea di confine molto sottile tra piacere e
dolore, Anastasia» continuo a sussurrarle, chinandomi e
rimettendo a posto la rotella.
Lei fissa di nuovo gli oggetti nel cassetto.
«Mollette da bucato?» sussurra stupita.
«Si possono fare parecchie cose con una molletta da
bucato» le dico, con gli occhi che ardono nei suoi.
Anastasia spinge il cassetto indietro, chiudendolo.
«È tutto?» le chiedo divertito.
Fissa l’ultimo cassetto, indecisa.
«No...» mi risponde, aprendo il quarto cassetto.
Resta sorpresa di fronte al contenuto. Alla fine ne
estrae una cinghia alla quale è attaccata una pallina.
«È una ball gag. Una specie di bavaglio. Per tenerti
buona» le spiego, con un sorrisetto divertito.
«Limiti relativi» mormora lei, senza staccare gli occhi
dalla ball gag.
«Ricordo» le dico, rassicurandola. «Puoi comunque
respirare. I denti afferrano la pallina»
La prendo tra le dita, mimandole una bocca che tiene
stretta la pallina.
«Hai mai indossato una ball gag?» mi chiede
all’improvviso, osservando i miei movimenti.
Mi irrigidisco all’istante a quel ricordo.
«Sì» mormoro sommesso.
«Per soffocare le urla?» mi chiede titubante.
Chiudo gli occhi, leggermente esasperato. Ma non
posso pretendere che capisca. Questo mondo non le
appartiene.
«No, non è fatta per questo» ribatto calmo. «Ha a che
fare con il controllo, Anastasia. Quanto indifesa ti
sentiresti legata e senza poter parlare? Quanto ti dovresti
fidare, sapendo che ho potere su di te? Che devo saper
leggere il tuo corpo e le tue reazioni, piuttosto che sentire
le tue parole? Ti rende più dipendente, e dà a me il
controllo definitivo» continuo e non posso negare che il
mio corpo risponde automaticamente a quella serie di
immagini appena create dalla mia mente.
Vorrei averla così. Ora.
«Ne parli come se ti mancasse» mi dice a voce bassa,
deglutendo.
«È ciò che conosco» le mormoro di rimando,
guardandola senza riuscire a nascondere il desiderio
perverso che mi porto dentro.
«Tu hai potere su di me. Sai di averlo» sussurra
abbassando gli occhi.
«Ce l’ho? Mi fai sentire... indifeso» le dico,
scrutandola. “Mi sto mettendo a nudo per te, Anastasia”.
«No!» esclama, riportando di scatto lo sguardo nel
mio. «Perché?» chiede, quasi sconvolta.
«Perché sei la sola persona che conosco che possa
davvero farmi male» confesso, mentre le mie dita,
incapaci di starle lontane, le accarezzano una ciocca di
capelli birichina e poi la riportano al loro posto, dietro
l’orecchio.
«Oh, Christian... Questo vale per entrambi. Se tu non
mi volessi...»
La sua voce si smorza ed è percorsa da un brivido
visibile. Mi guarda, come per capire qualcosa di profondo.
Poi scrolla piano la testa. «L’ultima cosa che voglio è farti
male. Ti amo» mi sussurra.
Le sue mani raggiungono i lati del mio viso, scorrendo
lungo la mascella e infilandosi nei capelli. Chino la testa
di lato, appoggiando il viso contro il suo palmo. Le dita
lasciano cadere la cinghia nel cassetto per poi raggiungere
la sua vita e stringerla forte a me. Il suo profumo è
inebriante. Voglio solo portarla a letto e tenerla stretta
per tutta la notte.
«Abbiamo finito con la presentazione e descrizione del
campionario?» le chiedo piano, contro l’orecchio, mentre
le mie mani risalgono lungo la sua schiena fino ad
infilarsi sotto i capelli e afferrarle piano la nuca.
«Perché, cosa vuoi fare?» chiede con quel suo tono
malizioso.
Il mio corpo risponde in automatico, eccitandosi e
premendosi di più contro il suo. Ma la mia testa non lo
segue. La bacio piano, delicato. E lei si scioglie tra le mie
braccia. É evidente che desidera di più.
«Ana, oggi sei stata quasi aggredita» le mormoro
contro le labbra.
«Allora?» chiede, strusciandosi contro di me.
Le tiro la testa all’indietro, in modo da poterla
guardare negli occhi. Sono lucidi, le pupille dilatate. É
eccitata. E anche io lo sono. Ma...
«Cosa significa “allora”?» la rimprovero severamente.
Per tutta risposta, Ana mi lancia uno sguardo
adorante.
«Christian, sto bene» sussurra.
La stringo forte, come per accertarmene.
«Quando penso a ciò che poteva succedere» le dico,
spostando il viso sulla sua spalla, tra i suoi capelli che
hanno sempre quel buon profumo.
«Quando imparerai che sono più forte di quello che
sembro?» sussurra lei contro il mio collo, facendomi
rabbrividire di piacere.
«Io lo so che sei forte» rimbrotto contro il suo
orecchio.
Le bacio i capelli e poi la lascio andare, allontanandomi
di poco da lei per permettere al mio corpo di calmarsi.
Ana sospira, sconfitta. Poi si gira e fa per richiudere il
cassetto, ma la sua attenzione viene catturata da
qualcosa. Quando si china e tira fuori la barra
divaricatrice, i miei piani per calmare la mia erezione
falliscono in maniera misera. Riesco solo a vedere il suo
corpo nudo, legato e praticamente pronto per me. Riesco
a vederla impotente, mentre geme e non può fare altro
che accogliermi dentro di lei.
«Questa è una barra divaricatrice con manette
per mani e piedi» le dico, il mio respiro è corto e eccitato.
«Come funziona?» mi chiede affascinata, rigirandosela
nelle mani.
Non riesco più a trattenermi.
«Vuoi che te lo mostri?» le sussurro, sorpreso da me
stesso.
Chiudo forte gli occhi per riprendermi, ma il desiderio
di vederla in quello stato è troppo forte e va avanti da
troppe ore. Sto cedendo, ma non voglio farlo qui dentro.
Non dove mi basterebbe allungare una mano e afferrare
un bastone per tornare ad essere un bastardo figlio di
puttana. Non è quello che voglio o di cui ho bisogno. Ma
non voglio neppure rischiare che succeda.
«Sì, voglio una dimostrazione. Mi piace essere legata»
La sua voce è bassa, carica di desiderio. Mi fa venire
voglia di farle di tutto.
«Oh, Ana» mormoro a metà tra il desiderio per lei e il
panico per quello che ho intenzione di farle. Posso
davvero? Riuscirò a non farle più del male?
«Cosa c’è?» chiede, spaesata.
«Non qui» dico di colpo.
«Cosa vuoi dire?»
«Ti voglio nel mio letto, non qui. Vieni»
Le prendo di mano la sbarra e la conduco fuori di
corsa.
«Perché non qui?» mi chiede quando giungiamo sulle
scale che portano di sotto.
Mi giro a guardarla. Sono sullo scalino sotto al suo, e
siamo alla stessa altezza. La fisso dritto negli occhi.
«Ana, tu puoi anche essere pronta a tornare là dentro,
ma io no. L’ultima volta che ci siamo stati tu mi hai
lasciato. Quando lo capirai?» le dico, accigliandomi e
lasciandola andare, esasperato. «Di conseguenza, tutto il
mio atteggiamento è cambiato. Tutta la mia visione
della vita è radicalmente mutata. Te l’ho detto. Ciò
che non ti ho detto è...» mi fermo, passandomi una mano
nei capelli.
Non ho mai dovuto giustificare tanto le mie azioni.
Dire il perché del mio comportamento. Fare i conti con la
mia coscienza e con la voglia di essere un uomo migliore
per un’altra persona. Non sono mai stato innamorato.
«Sono come un alcolista in recupero, okay? È
l’unico paragone che mi viene in mente. L’impulso
è sparito, ma non voglio avere tentazioni. Non voglio farti
del male» sussurro, guardandola angosciato.
Il ricordo di quello che le ho fatto passare mi fa male
ogni secondo della mia vita. Non voglio più rischiare.
Anastasia mi guarda, mi scruta a fondo. E come sempre
mi sento totalmente esposto ai suoi occhi.
«Non posso sopportare l’idea di farti del male perché ti
amo» aggiungo.
E sono totalmente sincero. Un attimo dopo, Anastasia
si è lanciata su di me, sbattendomi con la schiena contro
la parete. La barra divaricatrice mi cade di mano mentre
la sua bocca cerca la mia con violenza quasi. Sono
sorpreso dal suo assalto, ma ci metto poco a restituirle
quel bacio passionale. Le nostre lingue si intrecciano, le
nostre bocche sono fameliche e voraci. Le mie mani
scorrono lungo la sua schiena, mentre il mio uccello pulsa
violentemente contro il suo ventre morbido. Le sue dita
corrono nei miei capelli, stringendoli forte mentre tutto il
suo corpo si preme contro il mio. Il desiderio esplode.
Gemo forte nella sua bocca, con l’unico desiderio di
girarla, metterla con le spalle al muro e scoparmela
all’istante.
«Vuoi che ti scopi qui sulle scale?» mormoro
respirando con affanno. «Perché in questo momento lo
farei»
«Sì» ribatte sfrontata, guardandomi intensamente.
La fisso a fondo e riesco a vedere tutta la sua voglia.
Identica alla mia.
«No. Ti voglio nel mio letto»
Cogliendola di sorpresa la sollevo all’improvviso,
caricandomela in spalla. Anastasia lancia un urlo di
sorpresa e non riesco a resistere. La sculaccio forte,
facendola urlare ancora di più. Mentre scendo mi chino a
raccogliere la barra divaricatrice e poi vado dritto giù,
fermandomi solo quando arrivo nella nostra camera da
letto. La lascio scivolare in piedi e butto la sbarra sul
materasso. Ana mi guarda e mi sorride piano.
«Non penso che mi farai del male» mormora.
“Come fa ad essere così? Come fa ad essere lei a voler
rassicurare me?”. Se è possibile, la amo ancora di più.
«Nemmeno io penso che ti farò del male» le dico.
Il bisogno di lei si è fatto impellente. Senza starci
troppo a pensare mi avvicino, prendendole il viso con
entrambe le mani e baciandola a fondo. La mia lingua le
scivola quasi in gola e le geme contro le mie labbra,
mandandomi in estasi.
«Ti desidero così tanto» le sussurro contro le labbra,
staccandomi da quel bacio che rischia di consumarmi.
«Sei sicura dopo... dopo oggi?» le chiedo titubante
ancora.
«Sì, anch’io ti desidero. Voglio spogliarti» sussurra
sfrontata.
Spalanco gli occhi mentre un’ondata di desiderio mi
scorre sottopelle. Le sue mani. Su di me. Deglutisco,
pregustando il piacere.
«Okay» le dico, cauto, ma ansimando.
Ana allunga le dita verso i bottoni della mia camicia.
Trattengo il fiato a quella sensazione nuova e stupenda.
«Non ti toccherò, se non vuoi» mi sussurra per
rassicurarmi.
«No» le dico in fretta. «Fallo pure. È fantastico. Sto
bene» mormoro, godendomi il calore delle sue dita sul
mio corpo inesplorato.
Le mie labbra si schiudono, sono inebriato dal piacere.
Il mio uccello è in fiamme, tutto in me attende l’attimo in
cui potrò essere dentro di lei. La paura si mescola con la
lussuria, rendendomi ubriaco di quella sensazione che
solo Anastasia riesce a procurarmi semplicemente
sfiorando delicata la mia pelle.
«Voglio baciarti lì» mormora d’un tratto.
Faccio un profondo respiro, inalando l’aria che inizia a
mancarmi.
«Baciarmi?» chiedo stranito.
«Sì» sussurra sottovoce, continuando a slacciare i
bottoni.
Poi si china in avanti. Trattengo il respiro mentre le
sue morbide labbra si posano leggere sul mio torace. La
sensazione è favolosa. Ne voglio ancora, ne voglio
sempre. Mi godo ogni residuo di quella emozione del
tutto nuova. Quando finisce di slacciarmi la camicia e mi
guarda, la fisso, aspettando la sua prossima mossa.
«Sta diventando più facile, vero?» mi chiede piano,
straordinariamente padrona di se stessa.
Annuisco, ammirandola, scoprendomi a chiedere se lei
mi vedeva allo stesso modo all’inizio della nostra
relazione. Lascia cadere la camicia dalle mie spalle,
mentre io non riesco a fare altro che facilitarle i
movimenti.
«Che cosa mi hai fatto, Ana? Dimmelo» mormoro,
facendo finalmente un passo avanti. «Qualunque cosa sia,
non ti fermare» continuo, infilandole le mani nei capelli e
spingendole la testa all’indietro.
Il suo collo candido e liscio è totalmente esposto
all’assalto violento delle mie labbra, che succhiano la
pelle morbida, baciandone ogni centimetro. Dalla gola le
sfugge un gemito che si riverbera contro la mia bocca. Mi
fermo un attimo ed è sufficiente per farla tornare alla
carica. Le sue dita giungono intrepide alla cintura dei
miei pantaloni, slacciando il bottone e abbassando la zip.
«Oh, piccola» mormoro senza fiato, mentre risalgo
fino al suo orecchio.
Spingo i fianchi contro la sua piccola mano,
godendomi la sensazione di quello sfregamento. Sento
Anastasia respirare forte e poi allontanarsi di un passo.
La guardo aggrottando la fronte. Mi fissa per un attimo
intensamente. Troppo intensamente. Poi si lascia cadere
in ginocchio, guardandomi da sotto le lunghe ciglia.
“Cristo santissimo”.
«Ehi...» cerco di protestare e allo stesso tempo tenere a
bada l’istinto di metterglielo in bocca e spingerlo fino in
gola.
Mi tira giù di colpo i pantaloni e i boxer, bruscamente,
liberando il mio cazzo che svetta sù, contro l’ombelico. Si
avvicina prima che possa aprire bocca per fermarla e in
un attimo sono avvolto dal suo calore. Gemo forte,
mentre lei succhia avidamente, mugolando di piacere
contro la mia carne. “Cristo, sì!”. Ana non distoglie lo
sguardo dal mio. La guardo mentre lascia scomparire la
mia asta dura dentro la sua bocca e poi si ritrae. E poi di
nuovo a fondo. Succhia avida, affamata, come se da
questo dipendesse la sua vita. Bè, di certo in questo
momento ne dipende la mia. Sento le gambe cedere,
mentre la sua lingua mi stuzzica, mi avvolge, mi stimola a
fondo.
«Cazzo» sibilo, afferrandole
spingendola ancora più a fondo.
piano
la
testa
e
Ora sono tutto dentro di lei e sento le sue meravigliose
labbra succhiare sempre di più. I muscoli delle gambe si
contraggono, il mio uccello si tende e sento che sto per
venire. Cerco di scostarla, di fermarla. Ma lei non accenna
a liberarmi. Lavora a ritmo serrato, facendo guizzare la
lingua in modo divino. “Cazzo, cazzo, cazzo, cazzo!”.
«Ana» sibilo, cercando di tirarmi indietro e uscire dalla
sua bocca calda.
Le sue dita si imprimono a fondo nella pelle dei miei
fianchi e invece di lasciarmi inizia ad andare più a fondo
con le sue spinta, fissando i suoi meravigliosi occhi
azzurri, così innocenti, nei miei. E così mi riduce in
ginocchio, ad implorarla.
«Per favore» ansimo forte, alzando e abbassando il
petto, cercando di controllarmi. «Sto per venire, Ana»
gemo al limite.
E lei affonda ancora, lasciandoselo scivolare in gola.
Poi si ritrae piano, succhiando forte. E non resisto.
Capitolo, svuotandomi nella sua bocca perfetta lanciando
un urlo roco e liberatorio, mentre le stringo forte i capelli
e chiudo gli occhi perdendomi in posto esplorato solo
poche volte e solo con lei. Quando li riapro, rilasciandole
la testa, la trovo in ginocchio a leccarsi le labbra e
guardarmi trionfante e maliziosa. Le faccio un sorrisetto,
tentando di ristabilirmi. “Ti renderò pan per focaccia,
stanne pure certa, Miss Steele”.
«Oh, dunque è questo il gioco a cui stiamo giocando,
Miss Steele?»
Mi chino all’improvviso, cogliendola alla sprovvista, e
la afferro da sotto le braccia e la tiro su. La bacio in fretta,
senza darle un attimo di respiro. La mia lingua si
attorciglia alla sua, e riesco a sentire il mio stesso sapore.
Mi stacco piano, ansimandole in bocca e assorbendo il
suo respiro.
«Sento il mio sapore. Il tuo è migliore» mormoro
piano, leccandole le labbra.
Le sfilo piano la maglietta, gettandola sul pavimento e
poi la sollevo da terra, buttandola sul materasso. Afferro
con le mani le estremità dei pantaloni che ha addosso e
glieli sfilo veloce, spogliandola del tutto e lasciandola
nuda. Ana stringe le gambe l’una contro l’altra, mentre
con le dita si accarezza la pancia. La guardo,
ammirandola da capo a piedi.
«Sei una donna bellissima, Anastasia» mormoro
sinceramente ammirato.
Lei piega la testa di lato, sorridendomi maliziosa.
«Tu sei un uomo bellissimo, Christian, e hai un sapore
meraviglioso»
Le faccio un sorrisetto furbo, alzando un sopracciglio e
afferro la barra accanto a lei. Prendendole la caviglia
sinistra gliela chiudo velocemente nella cavigliera,
verificando con il mignolo lo spazio rimasto tra la pelle e
la cinghia. Non distolgo lo sguardo da lei, che invece
guarda attenta i miei movimenti.
«E ora vediamo di cosa sai tu. Se ricordo bene, sei una
leccornia straordinariamente squisita, Miss Steele»
Apre la bocca, ma riesce solo ad esalare un sospiro. Le
afferro veloce l’altra caviglia, chiudendola nella cinghia in
pelle allo stesso modo. Ora le sue gambe sono aperte, a
circa mezzo metro di distanza. La visione è strepitosa, ma
voglio di più.
«La cosa bella di questo divaricatore è che si può
allungare» le sussurro, premendo il pulsante al centro e
facendola spalancare di un altro mezzo metro. “Ohhh... sì,
Miss Steele. Aperta, vogliosa e mia”. Il suo respiro si fa
più veloce e le guance le si arrossano rapidamente. Mi
passo la lingua sulle labbra.
«Oh, ci divertiremo un mondo con questa, Ana» le dico
perfidamente divertito.
Afferro la barra e la giro, ribaltandola sul materasso.
«Vedi cosa posso farti?» le dico, ammirando il suo culo
perfetto.
La giro bruscamente, cercando di domare il mio cazzo
che ha già ripreso vigore. Mi fissa a bocca spalancata,
ansimando senza fiato.
«Queste manette sono per i polsi. Penserò
se mettertele oppure no. Dipende se ti comporterai bene
oppure no» le sussurro.
«Quando non mi comporto bene?» mi provoca lei.
«Mi vengono in mente alcune infrazioni» ribatto,
facendole scorrere le dita sotto i piedi e facendole il
solletico.
Tenta di divincolarsi ma la barra glielo impedisce. Il
mio sorriso si allarga, sardonico.
«Il BlackBerry, per esempio» le dico, fissandola con gli
occhi ridotti a due fessure.
Non posso negare che mi manca tutto questo. Mi
manca punirla per la sua impertinenza. Ana sussulta.
«Che cosa mi farai?» sussurra, guardandomi negli
occhi.
«Oh, non rivelo mai i miei piani» le sorrido,
mordicchiandomi piano il labbro inferiore con un
espressione maliziosa.
Salgo carponi sul letto, mettendomi in ginocchio tra le
sue gambe, ammirando il suo sesso aperto e già bagnato.
«Mmh... Sei così aperta, Miss Steele»
Lentamente, in piccoli cerchi, le sfioro la pelle
dell’interno coscia, senza smettere di guardarla.
«È tutta una questione di attesa, Ana. Che cosa ti
farò?» le dico lentamente.
Ana si inarca leggermente, gemendo e contorcendosi.
«Ricordati: se qualcosa non dovesse piacerti, basta che
tu mi dica di fermarmi» mormoro, come per rassicurare
entrambi.
Poi mi chino su di lei, baciandole il ventre morbido.
Succhio piano la sua pelle, la sfioro con i denti, lasciando
piccoli morsi non dolorosi. É lei è così impotente. Le
accarezzo piano le gambe, senza però giungere dove mi
vuole davvero.
«Oh, per favore, Christian» mi supplica, gemendo
forte.
«Oh, Miss Steele. Ho scoperto che sai essere impietosa
nei tuoi assalti amorosi su di me. Credo di poter
contraccambiare il favore su di te» le sussurro contro la
pelle della pancia. Le sue dita stringono forte la trapunta.
La mia bocca scende verso il suo sesso e le mie mani
risalgono verso la stessa meta. Ana mugola di puro
piacere, esposta al mio sguardo e alla mia fame di lei.
Lascio lentamente scivolare due dita dentro la sua
fessura. Si stringe meravigliosamente attorno a me,
gemendo e sollevandosi per venirmi incontro. Gemo
anch’io, incapace di dominare quella sensazione
meravigliosa.
«Non la finisci mai di sorprendermi, Ana. Sei così
bagnata» mormoro contro il suo pube, mentre muovo
piano le dita, affondandole dentro di lei ad ogni
movimento.
Si inarca ancora e stavolta la mia bocca la raggiunge.
La mia lingua la assapora lentamente, girando, ruotando,
stuzzicandola e portandola la limite, mentre le mie dita la
penetrano ripetutamente. Anastasia inarca la schiena,
cercando in qualche modo di assorbire il cumulo di
sensazioni.
«Oh, Christian» mugola con un verso acuto.
«Lo so, piccola» le dico in un sospiro, soffiando
dolcemente sul suo clitoride gonfio e bagnato dei suoi
umori.
«Ah! Per favore!»
sopportazione.
implora,
al
limite
della
Il senso di potenza mi inebria. É mia. Solo io posso
decidere se farla venire oppure no.
«Di’ il mio nome» le ordino.
Voglio che gridi il mio nome quando la farò godere.
Voglio esserci io nei suoi pensieri, voglio esserne sicuro.
«Christian» dice con voce stridula.
Quel suono mi eccita come non mai. É sempre come la
prima volta in cui l’ho sentito.
«Ancora» le dico.
«Christian, Christian, Christian Grey» grida forte,
squarciando il silenzio della stanza da letto.
«Sei mia» le dico dolcemente, parlandole sul clitoride.
Poi allungo la lingua un’ultima volta. Anastasia si libera
finalmente, lasciandosi andare ad un orgasmo
strabiliante che non accenna a placarsi per diversi minuti.
Io mi prendo tutto quello che riesco a prendermi.
Leccandola e succhiando i suoi umori, bevendo la sua
essenza, dolce come lei. Poi non riesco a resistere oltre.
Afferro la sbarra, girandola sul letto.
«Stiamo per provare questo, piccola. Se non ti piace, o
è troppo scomodo, dimmelo e io mi fermerò» sussurro,
ammirando incantato il suo culo.
Ho voglia di scoparlo. Ho voglia di possederla tutta. Ho
voglia di prenderla selvaggiamente e farla capitolare di
nuovo. Me la tiro addosso, in modo che stia seduta su di
me e mi godo la frizione del mio cazzo che struscia tra le
sue natiche. Ansimo furiosamente.
«Stenditi, piccola» le sussurro contro l’orecchio,
leccandoglielo e baciandoglielo prima di rilasciarla.
«Testa e torace sul letto»
Ancora non si è ripresa del tutto, ma obbedisce. Le tiro
indietro le mani, assicurando le manette con le quali le
blocco alla barra, accanto alle caviglie. É stupenda.
Ginocchia flesse, il sedere meravigliosamente esposto ai
miei occhi. E non può muoversi.
«Ana, sei bellissima» le sussurro, rapito dalla visione.
Mi allungo verso il cassetto del comodino, afferrando
un preservativo. Strappo la bustina e me lo infilo,
masturbandomi furiosamente mentre le guardo il culo
completamente mio. Con una mano la accarezzo sulla
schiena, giungendo fino alle natiche. Mi fermo per un
istante, ansimando.
«Quando sarai pronta, voglio anche questo» le dico,
mentre con l’indice premo sull’ano che si contrae
deliziosamente.
Anastasia ansima forte, tendendosi.
«Non oggi, dolce Ana, ma un giorno... Ti voglio in ogni
modo. Voglio possedere ogni centimetro di te. Sei mia»
sibilo infervorato ed eccitato. Le mie dita scendono
ancora, senza darle tempo di pensare. La accarezzo piano,
poi non resisto oltre. Mi posiziono dietro di lei e la
penetro di colpo, lanciando un gemito sonoro.
«Ahi! Piano!» si lamenta e mi immobilizzo, ansimando
senza fiato.
«Stai bene?» chiedo preoccupato.
«Fa’ piano... Fammici abituare» sussurra, muovendo
leggermente il sedere.
Scivolo completamente fuori da lei e poi la penetro di
nuovo, piano stavolta. Le pareti del suo sesso mi
avvolgono mentre inizio a pomparla a fondo.
«Sì, bene, ora ci sono» sussurra ad un certo punto, la
voce arrochita dal desiderio.
Gemo, riprendendo a fotterla con più velocità. Ad ogni
affondo le mie dita si stringono contro le sue natiche e i
suoi fianchi. Mi spingo dentro di lei, inchiodandola al
letto. Il rumore dei miei testicoli gonfi e grossi che
sbattono contro le sue natiche mi eccita ancora di più.
Inizio a prendere il mio ritmo, implacabile, duro. Ogni
affondo va a segno, incitato dai gemiti di piacere di
Anastasia. E alla fine la sento serrarsi forte attorno a me
ed esplodere urlando contro la trapunta. Mi lascio
andare, seguendola immediatamente.
«Ana, piccola» grido, crollandole addosso senza forze.
Ansimo e mi costringo ad alzarmi, slacciandole
cavigliere e manette. Poi la attiro a me, lasciandola
accomodarsi tra le mie braccia. Anastasia esala un sospiro
e chiude gli occhi, addormentandosi di colpo. Le bacio la
fronte, sorridendo di fronte alla sua espressione beata.
Passo la mezz’ora seguente ad analizzare il mio e il suo
comportamento. Sono stato troppo violento? Non lo so.
Ma le è piaciuto. Trovo ancora difficile districarmi tra il
piacere ed il dolore. Mi ha stravolto la vita. Non ho più
certezze. Ma la amo. E amo il modo in cui mi fa sentire.
Così normale. Così... vivo. La guardo, accarezzandole i
capelli e coccolandola.
Quando finalmente si sveglia, si guarda attorno,
confusa e indolenzita.
«Potrei osservarti dormire per ore, Ana» mormoro,
baciandole nuovamente la fronte.
Lei sorride e si strofina piano contro di me.
«Non vorrei mai
stringendola piano.
lasciarti
andare»
aggiungo,
Ana si accoccola di nuovo, baciandomi una spalla.
«Non voglio andarmene mai. Non lasciarmi andare
via» mormora.
E poi come si è svegliata, così si addormenta di nuovo.
«Ho bisogno di te» le sussurro contro i capelli, ma non
sono certo mi abbia sentita.
Ma non importa. Domani potrò dirglielo di nuovo. Mi
rilasso contro il suo corpo e mi abbandono anch’io al
sonno e alla stanchezza. In fondo, abbiamo un’intera vita
davanti per parlare e dirci quanto abbiamo bisogno l’uno
dell’altra.
Capitolo 20
Quando mi sveglio, Anastasia è ancora addormentata
tra le mie braccia. Spalanco gli occhi poco per volta,
abituandomi alla luce che penetra dalla portafinestra. É
adorabile. Sorrido, mentre mi avvicino e mi inebrio del
suo profumo. Lascio il mio naso scorrere contro il suo
collo, mentre il mio sesso pulsa contro il suo fianco. Su e
giù, contro la sua gamba. Mi ricorda la mattina che mi
sono svegliato nel suo letto. Mio Dio. Sono passate solo
poche settimane ed è cambiata tutta la mia vita.
Lentamente anche lei inizia a stiracchiarsi, spostandosi di
poco. Il mio uccello ora struscia contro le sue natiche
nude.
«Buongiorno, piccola» le sussurro, mordicchiandole
piano il lobo dell’orecchio.
La sento sussultare e stringere le gambe. Un mugolio
leggero le sfugge dalle labbra. Piano le accarezzo un seno,
lasciando scorrere le dita sul suo capezzolo inturgidito.
Poi, senza preavviso, le afferro i fianchi, stringendola
forte e attirandola contro il mio uccello duro. Ana si
stiracchia, allungando le braccia in alto. Poi mi guarda da
sopra una spalla.
«Sei contento di vedermi» mormora piano, con la voce
ancora impastata dal sonno, strusciandomi su di me. Mi
sporgo fino a toccarle il mento con le labbra, sorridendo
sulla sua pelle.
«Sono molto contento di vederti» le sussurro contro
l’orecchio.
Lascio le dita vagare leggere sulla pelle del suo ventre,
scivolando sempre più giù. Quando raggiungo il suo
clitoride la sento espellere tutta l’aria che ha nei polmoni.
Le racchiudo il sesso nella mano a coppa e sfrego le dita
contro di lei.
«Ci sono indubbi vantaggi nello svegliarsi accanto a te,
Miss Steele» la provoco piano.
Delicatamente la sposto, facendola sdraiare sulla
schiena.
«Dormito bene?» le chiedo, provocandola, mentre le
mie dita scivolano ancora sul suo piccolo e turgido
cumulo di nervi.
Sorrido mentre lei ansima sempre di più, schiudendo
le labbra in modo sensuale. I suoi fianchi iniziano a
seguire il mio ritmo lento e delicato e le mie dita
scivolano dentro di lei con facilità, mentre mi chino a
baciarle le labbra morbide. Succhio piano il suo labbro
inferiore, mentre mi godo la sensazione di essere
impregnato dei suoi umori. Scendo piano verso il collo,
lasciando una scia di baci sino alla clavicola,
mordicchiandola, succhiandola. I suoi gemiti mi fanno
eccitare ancora di più. La voglia che ho di lei non si
sazierà mai.
«Oh, Ana» mormoro in estasi contro la sua gola
scoperta. «Sei sempre pronta»
Le penetro la bocca con la lingua, adeguando il ritmo
delle mie dita a quello dei miei baci. Le mie labbra si
scostano dalle sue, sfiorando appena la sua pelle mentre
mi muovo verso il basso. Le lascio scivolare sul suo corpo,
fino a giungere ai suoi seni meravigliosi. Lentamente
lascio scorrere la lingua su ognuno dei suoi capezzoli,
succhiandoli, gustandoli, stringendoli con i denti.
Anastasia si lascia sfuggire un gemito sonoro.
«Mmh...» ringhio contro la sua pelle e sollevo la testa,
ammirandola in preda al piacere.
«Ti voglio adesso» le annuncio, senza darle possibilità
di replica.
Mi protendo verso il comodino, puntellandomi sui
gomiti per prendere un preservativo. Quando torno da lei
sono impaziente. Strofino il naso contro il suo,
ansimando sulle sue labbra. Il mio cazzo pulsa
violentemente contro il suo stomaco. Con un ginocchio le
faccio aprire le gambe, mentre strappo la bustina color
argento.
«Non vedo l’ora che sia sabato» le dico, guardandola
con ardore.
«La tua festa?» ansima debolmente.
La guardo con un sorrisetto da bastardo.
«No. Così potrò smetterla di usare questi fottuti
aggeggi» sbotto gettando via la bustina.
«Definizione calzante» ribatte ridacchiando come una
scolaretta.
Quel suono mi penetra nelle orecchie, mandando un
brivido a tutto il mio corpo.
«Stai ridacchiando, Miss Steele?» le chiedo, alzando
un sopracciglio.
«No» risponde, cercando di restare seria, ma fallendo
miseramente nel suo intento.
«Questo non è il momento di ridacchiare» le sussurro,
scuotendo la testa per ammonirla.
Abbasso volutamente il tono di voce, fissandola con
intensità. La sento restare senza fiato per un attimo. “Sì,
Miss Steele. So ancora come far capitolare una donna.
Nonostante tutti i tuoi sforzi per fare di me un uomo
onesto”.
«Pensavo che ti piacesse quando rido» sussurra
eccitata, fissandomi negli occhi.
«Non ora. Ho bisogno di fermarti, e penso di sapere
come» le dico, guardandola.
Mi infilo il preservativo e mi sollevo. Senza preavviso la
giro sul letto, tirandole le gambe verso di me e
facendogliele sollevare, in modo che si trovi con il sedere
sollevato.
«Resta con il viso sul letto, Ana. Incrocia le mani dietro
la schiena» le ordino piano, accarezzandole la schiena.
Obbedisce istintivamente, mentre ansima visibilmente.
Con una mano afferro i suoi polsi, fermandoglieli sulla
schiena. L’altra le accarezza una natica, piano, in maniera
sensuale.
«Ci siamo già passati, Miss Steele. Ti fidi di me?» le
chiedo, assaporando la sensazione di dominio dovuta
all’essere qui con lei, in questa stanza e in questa
posizione.
«Sì» sussurra debolmente.
«Bene» mormoro, mentre lascio che la mia mano
scorra sul suo bellissimo culo esposto.
Parto dalla base della sua schiena, tracciando con
l’indice la linea della sua spina dorsale. Scendo lungo le
sue natiche, soffermandomi sul suo ano che, proprio
come ieri sera, si stringe. Continuo, arrivando al suo sesso
bagnato. Infilo un unico lungo dito dentro di lei,
impregnandomi della sua eccitazione. Poi lo sfilo e me lo
porto alle labbra.
«Mmmm» dico succhiandolo. «Sai di buono come
sempre, Miss Steele»
La sua schiena si inarca leggermente. Torno ad
accarezzarle una natica. Poi, all’improvviso, le assesto una
sonora sculacciata.
Anastasia sussulta, abbandonandosi ad un gemito che
me lo fa tirare ancora di più. Aiutandomi con la mano
libera, la apro, posizionandomi dietro di lei e, finalmente,
penetrandola a fondo. Geme e il suono è attutito dal
lenzuolo sul quale sta premendo la bocca. “Cristo com’è
stretta”. Inizio a muovermi piano, uscendo quasi del tutto
e poi rientrando dentro di lei. Quando il suo respiro inizia
a farsi più affannoso, aumento la velocità delle mie
spinte.
«Oh, Ana. Non sai quanto è bello stare dentro di te.
Solo tu riesci a farmi provare queste sensazioni»
mormoro, mentre la mia mano libera raggiunge l’altra sui
suoi polsi.
La cavalco ancora, a ritmo serrato. Poi le mie dita
scorrono sulla sua schiena bianco latte, fino alla nuca. Le
afferro i capelli alla base del collo, costringendola ad
alzare la testa. Affondo ancora di più dentro di lei, così in
profondità che mi sembra di poterla attraversare
completamente e fuoriuscire dall’altra parte. Anastasia
lancia un urlo lussurioso e inizia a tremare tutta, scossa
dagli spasmi di un’orgasmo potentissimo. La seguo a
ruota, riversandomi completamente dentro di lei mentre
urlo il suo nome ad alta voce, invocandola affinché
prolunghi il mio piacere il più possibile. Entrambi
crolliamo sul materasso, esausti. Mi sposto da lei,
girandomi sulla schiena e portandola con me.
«Oddio...» sussurra senza fiato.
Mi viene da ridere. Mi avvicino, baciandole una
tempia.
«Se vuoi arrivare in tempo al lavoro è meglio se
facciamo la doccia separati» le sussurro contro i capelli,
inalando a fondo il suo profumo.
Ana scoppia a ridere, annunciandomi che posso andare
per primo. Quando mi infilo sotto l’acqua calda, mi sento
un uomo nuovo. Leila è fuori dai giochi. Hyde pure. La
mia ragazza è nel mio letto, impegnata a smaltire i
postumi dell’orgasmo che le ho appena procurato. E io sto
pensando di sposarla e di vivere con lei ogni giorno della
mia vita. Alzo la testa, lasciando che l’acqua mi scorra sul
viso. Di scatto apro gli occhi. Abbiamo un ultimo ostacolo
da superare. La sua chiacchierata con Flynn. Ma a
prescindere da quello che succederà, voglio fare qualcosa
per lei. Voglio dimostrarle quanto sono cambiato. Quanto
ho voglia di una nuova vita con lei. E credo di sapere
come fare.
Quando riemerge dalla camera da letto mi trovo ad
ammirarla spudoratamente. Indossa quella fantastica
gonna grigia che le fascia il sedere e le gambe come se
fosse nuda. É sexy da impazzire. Le faccio un sorrisetto,
mentre Mrs Jones le chiede cosa vuole per colazione.
«Prenderò solo un po’ di cereali. Grazie, Mrs Jones»
risponde con un sorriso rilassato.
Arrossisce guardandomi mentre la fisso. Si accomoda
sullo sgabello accanto al mio, incrociando le gambe. Mi
avvicino, sfiorandole un orecchio.
«Sei adorabile» le sussurro dolcemente.
Mi lancia uno sguardo di apprezzamento.
«Anche tu» dice con un sorriso ampio.
Piego la testa, ammirandole spudoratamente le gambe.
«Dovremmo comprarti qualche altra gonna» le dico
pratico. «Mi piacerebbe portarti a fare shopping» le
annuncio, tornando ad occuparmi della mia colazione
mentre Mrs Jones le porge i cereali.
«Mi domando che cosa succederà oggi al lavoro»
chiede soprappensiero.
«Dovranno rimpiazzare il depravato» dico con una
smorfia, senza neppure tentare di nascondere il mio
disgusto per quel lurido porco figlio di puttana.
«Spero che prendano una donna come mio nuovo
capo»
La sua affermazione blocca il flusso dei miei pensieri
che tendono all’omicidio di Jack Hyde.
«Perché?» le chiedo, aggrottando la fronte.
«Bè, tu avresti meno da obiettare se andassi via con
lei» mi provoca con un sorrisetto.
Cerco di trattenere un sorriso e riprendo a mangiare la
mia omelette.
«Cosa c’è di divertente?» chiede, scuotendo piano la
testa con un sorriso.
«Tu sei divertente. Mangia i tuoi cereali: tutti, se non
vuoi altro» le ordino autoritario.
Ana mi risponde con un’adorabile smorfia
imbronciata. Poi, senza aggiungere altro riprende a
mangiare.
Terminata la colazione avviso Taylor che prenderemo
la Saab di Anastasia per andare a lavoro.
«Dunque, le chiavi vanno qui» la istruisco, indicandole
l’accensione sotto la leva del cambio.
«Strano posto» borbotta, senza riuscire a stare ferma.
Saltella sul sedile, tastandone la comodità, sfiora i
pulsanti con riverenza, accarezza le leve. Mi eccita un bel
po’ vederla padroneggiare in auto. La fisso, cercando di
mantenere la mia compostezza.
«Sei piuttosto eccitata per tutto questo, eh?» le dico
divertito, alzando un sopracciglio.
Annuisce, regalandomi un sorriso da bambina.
«Senti questo odore di macchina nuova. È ancora
meglio del Modello Speciale Sottomessa... ehm... dell’A3»
si corregge velocemente, diventando viola per
l’imbarazzo.
Trattengo un sorriso divertito, ammirando le sue
proprietà linguistiche e il suo sarcasmo immancabile.
«Modello Speciale Sottomessa, eh? Ci sai fare con le
parole, Miss Steele» le dico, appoggiandomi allo
schienale e fingendo disapprovazione.
Lei mi fa un sorrisetto e so per certo che se non la
smette inaugureremo la sua nuova auto in un modo molto
più singolare che andando semplicemente a lavoro.
«Bene, andiamo» le dico, facendo un cenno con la
mano e indicando l’uscita del garage.
Batte le mani euforica e avvia immediatamente il
motore. Taylor, dietro di noi, mette in moto l’Audi,
seguendoci. Ana parte piano e, quando la sbarra
automatica ci lascia passare, si immette in strada. Guida
in maniera fluida, ma lenta. Tamburella con le dita sullo
sterzo, abituandosi all’auto. Ammetto di essere un tantino
nervoso. Non è come lasciare guidare Taylor.
«Possiamo accendere la radio?» mi chiede, sempre più
impaziente, mentre siamo fermi al primo stop.
«Voglio che ti concentri» le rispondo secco.
«Christian, per favore, riesco a guidare con la musica
accesa» dice, alzando gli occhi al cielo.
“Piccola impenitente”. Le lancio un’occhiataccia, ma
cedo, allungandomi e accendendo lo stereo.
«Puoi attaccarci il tuo iPod e gli MP3, e anche metterci
i CD» le spiego pratico, mentre i Police attaccano a tutto
volume.
Spengo immediatamente lo stereo, mormorando il
titolo della canzone.
«King of Pain»
«Il tuo inno» mi dice con un sorrisetto, girandosi per
un attimo verso di me.
Stringo forte le labbra, assimilando quell’appellativo.
“Mi vedi ancora così? Mi hai davvero visto così? Sì, forse
un tempo le ero. Forse amavo il dolore. Ma ora non più.
Ho bisogno che tu mi creda”.
«Ho quell’album, da qualche parte» aggiunge in fretta.
La guardo, ma sembra persa per un attimo nei suoi
pensieri. Scruto a fondo il suo profilo delicato, le sue
labbra schiuse. Osservo le sue dita affusolate stringere la
pelle del manubrio e tamburellarci sopra mentre
aspettiamo nel traffico. E quando mi riscuoto è troppo
tardi.
«Ehi, Miss Lingua Biforcuta. Torna indietro» le dico,
quando mi accorgo che abbiamo sbagliato strada.
Ana si ferma al semaforo successivo, confusa.
«Sei molto distratta. Concentrati, Ana» la rimprovero.
“Ecco perché non ti lascio prendere la tua auto da sola”.
«Gli incidenti capitano quando non ti concentri»
«Stavo solo pensando al lavoro» risponde abbattuta.
«Andrà tutto bene, piccola. Fidati» la rassicuro con un
sorriso. “Cosa potrebbe mai accaderti, Ana? L’azienda è
mia. Non permetterai mai che ti succedesse qualcosa”.
Mi guarda come se stesse leggendomi nel pensiero.
«Per favore, non interferire. Voglio farcela da sola. È
importante per me» mi dice, gentile, ma decisa.
Stringo di nuovo le labbra, con l’intenzione di dirle che
può pregarmi quanto vuole ma come non permetterei mai
che le accadesse qualcosa, allo stesso modo non mi
sognerei mai di raccomandarla o interferire nel suo
lavoro. Sono molto leale su queste cose. E lei dovrebbe
saperlo ormai. Ma prima che possa aprire bocca, mi
interrompe.
«Non litighiamo, Christian. Abbiamo passato una
mattina meravigliosa. E ieri notte è stato...» si ferma,
cercando le parole «...divino» sussurra alla fine.
Chiudo gli occhi, assaporando il dolce ricordo di averla
di nuovo alla mia mercé, mentre le sussurro che è mia,
solo mia e non voglio lasciarla andare mai.
«Sì. Divino» sussurro con dolcezza, prima di riaprire
gli occhi e fissarla. «Intendevo davvero quel che ho detto»
le dico deciso.
«Cosa?» chiede senza capire.
«Non voglio lasciarti andare» le sussurro, senza
interrompere il contatto visivo.
«Non voglio andarmene» risponde, guardandomi
prima di ripartire con il verde.
Sorrido e lei fa altrettanto prima di tornare a guardare
la strada. La vedo arrossire e ridere tra sè.
«Bene» le dico semplicemente, rilassandomi contro lo
schienale. “Non guida male, la ragazzina”.
Quando entriamo nel parcheggio a mezzo isolato dalla
SIP, mi offro di accompagnarla sino all’ingresso.
«Ti accompagno all’ingresso. Taylor mi verrà a
prendere lì»
Ana esce piano dall’auto, impedita nei movimenti dalla
sua meravigliosa gonna, mentre la raggiungo dall’altro
lato. Mi guarda, aggrottando le sopracciglia. Mi guardo
anch’io, ma non riesco a scorgere nulla che non vada in
me. ‘Oddio, Grey... io non direi che tu non abbia qualcosa
fuori posto’. Quel pensiero mi ricorda di Flynn. E di
quello che devo fare non appena arrivo in ufficio.
«Non dimenticarti che vediamo il dottor Flynn stasera
alle sette» le dico, tendendole la mano.
Ana chiude l’auto con il telecomando e poi si lascia
condurre da me.
«Non lo dimenticherò. Compilerò una lista di
domande da fargli» mi dice, seria.
«Domande? Su di me?» le chiedo, mentre il panico
cresce.
Lei annuisce, pensierosa.
«Posso rispondere io a qualsiasi tua domanda su di
me» le dico, un po’ innervosito.
Anastasia mi sorride all’improvviso, luminosa,
divertita probabilmente dal mio comportamento.
«Ma io voglio l’obiettiva e dispendiosa opinione del
ciarlatano» mi dice.
Non riesco a non essere preoccupato. Senza preavviso
la attiro a me, lasciando scorrere le dita sulle sue braccia e
poi bloccandole le mani dietro la schiena, mentre la fisso
negli occhi.
«È una buona idea?» chiedo, con paura, più a me
stesso che a lei.
L’ansia e la paura di perderla mi stanno divorando.
“Ma Flynn ha l’obbligo del segreto professionale. Non mi
tradirebbe mai. Credo. Spero. A meno che non decida di
salvare Ana dall’abisso in cui potrei condurla se la mia
natura si risvegliasse all’improvviso. Ma poi, può davvero
accadere? Non mi ha cambiato per sempre? Io ne sono
certo, ma... ”
«Se non vuoi che lo faccia, non lo farò»
La sua voce triste mi riporta da lei. Con uno strattone
si libera la mano solo per toccarmi il viso. Mi abbandono
alla dolce carezza del suo palmo.
«Di che cos’hai paura?» mi chiede piano, tentando di
rassicurarmi.
«Che tu te ne vada» confesso a voce bassa.
«Christian, quante volte te lo devo dire che non vado
da nessuna parte? Mi hai già raccontato il peggio. Non ti
lascio» mi dice con forza, liberandosi l’altra mano e
prendendomi il viso con entrambe, per guardarmi negli
occhi.
«Allora perché non mi hai risposto?» le sussurro,
completamente nel panico.
«Risposto?» dice, fingendo di non capire.
Ma oramai so capire quando mentre.
«Sai a cosa mi riferisco, Ana» le dico con un sospiro.
Sospira anche lei, rassegnata.
«Voglio sapere se sono abbastanza per te, Christian.
Tutto qui» confessa, abbassando lo sguardo.
«E non ti fidi della mia parola?» esclamo esasperato,
allontanadomi da lei e passandomi una mano nei capelli.
“Come fai a non avere ancora capito che ti amo più della
mia stessa vita, Ana? Che ho bisogno di te?”
«Christian, tutto questo è successo così in fretta. E per
tua stessa ammissione, hai cinquanta sfumature di
tenebra dentro di te. Non posso darti quello che vuoi»
mormora, incapace di guardarmi. «Non è solo per me. Ma
questo mi fa sentire inadeguata, soprattutto dopo averti
visto con Leila. Chi mi dice che un giorno non incontrerai
qualcuna a cui piace fare quello che fai tu? E chi mi dice
che tu non... non ti innamorerai di lei? Qualcuna che sia
più adatta alle tue necessità» dice con dolore, torcendosi
le mani.
E io sento lo stesso dolore nel mio petto.
«Conosco diverse donne a cui piace fare quello che mi
piace. Nessuna di loro mi affascina nel modo in cui mi
affascini tu. Non ho mai avuto un legame emotivo con
nessuna di loro. Sarai solo tu per sempre, Ana» le dico,
aprendole il mio cuore nel bel mezzo di un parcheggio di
Seattle, alle 8 e qualcosa del mattino.
Ma lei non vuole credermi.
«Perché non hai mai dato loro una possibilità. Hai
passato troppo tempo chiuso nella tua fortezza, Christian.
Senti, ne discutiamo più tardi. Devo andare al lavoro.
Forse il dottor Flynn saprà illuminarci» dice, sospirando
per l’ennesima volta.
Annuisco, sapendo che comunque non riuscirei ad
ottenere nulla in questo modo.
«Vieni» le ordino, tendendole la mano e
accompagnandola sino all’ingresso. Mi avvicino,
prendendole il viso tra le mani e baciandola a fondo,
prima di lasciarla andare dentro. La accompagno con lo
sguardo, accarezzando ogni sinuosa curva del suo corpo.
“Devi credermi, Anastasia. Con te ho capito di essere vivo.
Solo con te. Non potrei mai volere una donna che non
fossi tu”.
Dopo averla lasciata all’ingresso della SIP, averle
tenuto la porta aperta mentre le davo un lungo bacio
sotto l’occhio vigile della addetta alla reception, mi faccio
accompagnare da Taylor in ufficio. Ros è via fino a
domani e questo mi permette di passare buona parte
della mattinata a mettere a punto in santa pace la
strategia di acquisizione dell’azienda di Taiwan. É un
grosso affare per la mia compagnia, ma Ros ci va molto
cauta.
Il mio BlackBerry vibra sulla scrivania. Quando leggo il
nome, rispondo immediatamente, preoccupato. Lei non
mi chiama mai.
«Anastasia. Stai bene?» chiedo preoccupato.
«Mi hanno appena dato il lavoro di Jack... Bè,
temporaneamente» parla in fretta, quasi sottovoce.
Il suo annuncio mi lascia più che stupito.
«Stai scherzando?» replico, scioccato.
«Hai qualcosa a che fare con questo?» sibila, tagliente.
«No, no, affatto. Voglio dire, con tutto il rispetto,
Anastasia, sei lì da poco più di una settimana, e non lo
dico per farti torto» dico, sincero.
«Lo so» replica leggermente incazzata. «A quanto
pare, Jack mi apprezzava davvero» mormora ironica.
«Ah, sì?» commento acido, in tono freddo, alzandomi
dalla poltrona in pelle. Di fronte al suo silenzio, sospiro
pesantemente. «Bè, piccola, se pensano che tu possa
farcela, sono sicuro che ce la farai. Congratulazioni. Forse
dovremmo festeggiare dopo aver incontrato il dottor
Flynn» suggerisco in tono conciliante.
«Mmh... Sei sicuro di non aver niente a che vedere con
questo?» chiede, poco convinta.
Il suo tono mi ferisce, ad essere sincero. Mi acciglio,
fissando fuori dalla finestra. Il tono con cui le rispondo è
più minaccioso di quello che vorrei.
«Dubiti di me? Mi fa arrabbiare che tu lo faccia»
Ancora silenzio, poi un leggero sospiro.
«Mi dispiace» mormora alla fine.
Il suono dell’interfono mi distrae per un attimo.
«Mr Grey, Mr Roach è qui» annuncia Andrea.
«Se hai bisogno di qualcosa, fammelo sapere. Io sono
qui. E, Anastasia?» dico, rivolto alla bruna testarda
all’altro capo del telefono.
«Cosa c’è?» chiede in ansia.
«Usa il BlackBerry» aggiungo laconicamente.
«Sì, Christian» risponde automaticamente, con un
pizzico di rimorso nella voce.
Non riaggancio. Non vorrei mai lasciarla. E so che sono
stato duro con lei.
«Dico davvero. Se hai bisogno di me, sono qui» le
ripeto dolcemente, con affetto.
«Okay» risponde piano. «Sarà meglio che vada. Devo
trasferire le mie cose» annuncia con un sospiro.
«Se hai bisogno di me... Davvero» insisto, sottovoce.
«Lo so. Grazie, Christian. Ti amo» mormora piano.
Sorrido, rilassandomi.
«Ti amo anch’io, piccola» sussurro piano.
«Ci sentiamo più tardi» aggiunge, anche lei più
rilassata e tranquilla.
«A più tardi, piccola» le dico ridendo, chiudendo la
telefonata e preparandomi a ricevere Roach.
Dico ad Andrea di lasciarlo accomodare e mi preparo a
riceverlo. Roach, in completo elegante ma informale, apre
la porta, salutandomi con un sorriso. Mi alzo e vado a
stringergli la mano.
«Roach»
Gli sorrido anch’io, gentile, ma non sincero. Credo che
Roach, come me, sospettasse già delle tendenze perverse
di Hyde. Avrebbe dovuto rimuoverlo dall’incarico tempo
fa.
«Grey» risponde, accorgendosi del mio tono gelido
seppure impeccabile.
«Accomodati» gli dico, indicando il divanetto dietro di
lui.
Io mi siedo sulla poltrona, invece, poggiando la schiena
al cuscino e guardandolo dritto negli occhi.
«Ti ho chiesto di venire perché ho bisogno del tuo
aiuto per mettere definitivamente fuori gioco Hyde»
Lo dico senza preamboli. Mi guarda sorpreso per un
attimo, indurendo la mascella.
«L’ho licenziato, come mi hai chiesto. Ho saputo quello
che è successo, Grey. Mi dispiace per la ragazza»
borbotta.
In realtà sembra più “dispiaciuto per la ragazza perché
il fatto è successo appena dopo aver venduto la sua
società”. La cosa mi fa innervosire ancora di più.
«Miss Steele non è ‘una ragazza’. É la mia fidanzata. E
tenerla al sicuro è uno dei motivi per cui ho comprato la
tua fottuta società, Roach» sibilo, lanciandogli
un’occhiata torva.
I suoi piccoli occhi si spalancano.
«Io... non ne avevo idea, Grey... Merda!» aggiunge alla
fine, quasi nel panico.
«Nessuno ne aveva idea. Anastasia ci tiene ad
affermarsi da sola e di certo non ha bisogno di me per
farlo. É brillante, intelligente, determinata. Tenerla al
sicuro, però spetta a me» spiego con fredda calma.
Roach annuisce, facendosi attento.
«So che nessuna delle assistenti di Jack Hyde è durata
più di tre mesi. Ho fatto delle ricerche, ma non sono
riuscito a scoprire tutto quello che avevo bisogno di
sapere. Ho bisogno di una relazione dettagliata sui
rapporti di lavoro delle assistenti che hanno preceduto
Anastasia. Ho intenzione di farla pagare cara a quel figlio
di puttana» dico, alzandomi e facendogli capire che non
mi aspetto una replica.
Mi aspetto che agisca. Ora. Roach mi imita d’istinto,
aggiustandosi la giacca sportiva blu intenso che indossa.
«Farò il possibile, Grey. Conta pure su di me.
Stamattina presto il consiglio d’amministrazione si è
riunito e abbiamo deciso di affidare a Miss Steele il posto
di Hyde. Temporaneamente, almeno. Avresti poi deciso
tu cosa fare in seguito. Non abbiamo ritenuto opportuno,
comunque, informare il personale di quanto accaduto, in
modo da tutelare Anastasia. Non... non sapevo che fosse
la tua fidanzata, Grey» mi guarda, mentre io chiudo gli
occhi quasi con sofferenza, immaginando cosa mi
toccherà subire da quella piccola testarda.
Dopo aver congedato Roach, mando un sms a Taylor e
mi avvio verso l’ascensore. Mezz’ora più tardi sto
ammirando il panorama del Puget Sound dall’ampio
terrazzo di quella che spero diventerà la casa di Mr e Mrs
Grey. É un’abitazione stupenda. Quando stamattina
presto, mentre Ana era sotto la doccia, ho contattato
l’agente immobiliare, non credevo che mi sarei trovato
davanti la casa perfetta entro oggi. Ma questa è davvero
perfetta. É spaziosa, adattabile alle nostre esigenze.
Perfetta per una famiglia. Perfetta per ricreare quel calore
in cui sono stato avvolto la prima volta che ho messo
piede a casa dei Grey. C’era calore ovunque, anche nello
sguardo accigliato di Elliot. Voglio questo per Anastasia.
Per quella che sarà la mia famiglia. Voglio vivere qui con
lei e fare di quel calore la ragione della mia vita. Voglio
darlo a lei, voglio darmi a lei. Completamente.
Quando faccio rientro in ufficio, dopo pranzo, mi
organizzo la giornata in modo da avere tempo per vedere
anche Bastille. Ho bisogno di smaltire la rabbia repressa
da ieri e l’ansia in vista dell’appuntamento con Flynn. E
anche quella per la decisione di portare Ana a vedere la
nuova casa. Ho un nodo allo stomaco che non so come
sciogliere se non sudando e sfogandomi contro uno più
duro di me. Chiamo Andrea e la faccio venire nel mio
ufficio per riorganizzare l’agenda. Poi rimetto in ordine la
scrivania e afferro la giacca, preparandomi ad uscire.
Taylor mi accompagna ad ordinare un mazzo di rose
bianche e rosa per Ana. Scrivo a mano il suo biglietto e
faccio in modo che venga consegnato direttamente alla
SIP.
“Congratulazioni, Miss Steele. E tutto da sola! Nessun aiuto dal
tuo amministratore delegato megalomane, iperamichevole, vicino
di casa. Con amore, Christian”
Sorrido mentre lo compilo, immaginando la sua
espressione sognante quando lo leggerà. In auto, mentre
raggiungo Bastille, il mio telefono vibra contro la coscia.
Lo sfilo dalla tasca, sorridendo.
Da: Anastasia Steele
A: Christian Grey
Data: 16 giugno 2011 15.43
Oggetto: Megalomane
...è il tipo di maniaco che preferisco. Grazie per i bellissimi fiori. Sono
arrivati in un grande cesto di vimini, che mi fa pensare a picnic e
coperte.
AX
Sorrido. Soprattutto perché non vedo più la firma
“assistente di Jack Hyde”.
Da: Christian Grey
A: Anastasia Steele
Data: 16 giugno 2011 15. 55
Oggetto: Aria fresca
Maniaco, eh? Il dottor Flynn potrebbe avere qualcosa da dire in
proposito. Vuoi fare un picnic? Potremmo divertirci all’aria aperta,
Anastasia... Come sta andando la tua giornata, piccola?
Christian Grey
Amministratore delegato, Grey Enterprises Holdings Inc.
La risposta è quasi immediata. La ricevo mentre
attraverso il corridoio della palestra, verso gli spogliatoi.
Da: Anastasia Steele
A: Christian Grey
Data: 16 giugno 2011 16. 00
Oggetto: Frenetica
La giornata è volata. Ho a stento un momento libero per pensare a
qualcosa che non sia il lavoro. Penso di potercela fare!
Ti racconto tutto quando arrivo a casa. L’aria aperta sembra...
interessante.
Ti amo.
AX
PS: Non preoccuparti per il dottor Flynn.
Al solo pensiero il mio uccello ha un fremito nel
pensare alle varianti del sesso all’aria aperta. Mi spoglio e
infilo i pantaloncini.
Da: Christian Grey
A: Anastasia Steele
Data: 16 giugno 2011 16. 09
Oggetto: Ci proverò...
...non temere. A più tardi, piccola. x
Christian Grey
Amministratore delegato, Grey Enterprises Holdings Inc.
Alle sei sono già a casa, con molta meno rabbia e molta
più ansia di prima. Mi sono lavato, vestito e ora sono a
telefono con quella scassacoglioni di Ros che mi sta
dando un’ottima notizia.
«Abbiamo trovato il modo di far funzionare il nuovo
sistema di videosorveglianza. Mark e i ragazzi ci stanno
lavorando, in attesa della prossima riunione»
«Ros, è grandioso. Dillo a Barney e partiamo da quel
punto» rispondo entusiasta, mentre mi volto, attirato da
un rumore alle mie spalle.
Ana è tornata. Finalmente.
«Allora a domani, Grey» mi saluta allegra Ros.
Riattacco, salutandola, e raggiungo Ana, mentre mi
guarda timida, rimanendo sulla soglia.
«Buonasera, Miss Steele» mormoro, chinandomi a
baciarle delicatamente le labbra.
Il mio corpo quasi si scioglie accanto al suo.
«Congratulazioni per la tua promozione» le dico,
stringendola a me e baciandole la tempia, inalando il suo
dolce profumo.
«Ti sei fatto la doccia» mi dice, inspirando a fondo
anche lei.
«Mi sono appena allenato con Claude» le spiego,
sorridendo.
«Ah» mi guarda, con gli occhi grandi e bellissimi.
«Sono riuscito a stenderlo un paio di volte» annuncia,
mentre il mio sorriso diventa raggiante. “Sì, sono un
arrogante e presuntuoso figlio di puttana”. ‘Un cazzone
figlio di puttana, Grey... ’
«Non succede spesso?» mi chiede lei, tirando la testa
indietro e fissandomi dritta negli occhi, divertita.
«No. Dà una grande soddisfazione quando capita. Hai
fame?» le chiedo, scrutando la sua espressione che non
mi convince per niente.
Scuote la testa, in silenzio.
«Cosa c’è?» aggrotto le sopracciglia, fissandola attento.
«Sono nervosa. Per il dottor Flynn» mi confessa,
abbassando gli occhi, improvvisamente troppo timida per
guardarmi.
«Anch’io. Com’è andata la tua giornata?» le chiedo per
cambiare argomento ed evitare di pensarci troppo.
Allento la presa, lasciandola andare mentre mi
racconta nel dettaglio il resoconto della sua giornata e le
sue nuove mansioni. É un piacere ascoltarla e per un po’
riesco anche a dimenticare Flynn e la dura prova che ci
attende.
«Ah, c’è un’ultima cosa» aggiunge alla fine, alzandosi
dallo sgabello sul quale si era seduta. «Oggi sarei dovuta
andare a pranzo con Mia»
La seguo con lo sguardo, inarcando un sopracciglio a
sentire il nome di mia sorella.
«Non me l’avevi detto» la accuso.
«Lo so, me ne sono dimenticata. Comunque, non ci
sono potuta andare per via della riunione e allora Ethan si
è offerto di prendere il mio posto»
“Ok. Odio quando risponde con un ‘me lo sono
dimenticato’. Non mi piace che sia in combutta con mia
sorella alle mie spalle. E non mi piace Ethan. Meno che
mai quando è accostato a mia sorella nella stessa frase”.
Mi acciglio ancora di più quando la vedo tormentarsi il
labbro. Sa che non mi piace la situazione.
«Capisco. Smettila di morderti il labbro» le dico,
alzandomi.
L’improvvisa voglia di inchiodarla al muro deve essere
davvero palese. La vedo cercare una via d’uscita.
«Vado a darmi una rinfrescata» mi dice in fretta,
allontanandosi prima che io possa aggiungere altro.
Cammino su e giù lungo la stanza, mentre la aspetto.
Non so come sia possibile che ancora non si sia formato
un fosso a terra. Ripenso a mille cose. Ripenso a lei e a
come mi ha cambiato la vita. Poche settimane di
conoscenza e sono un uomo completamente nuovo. Per
lei ho affrontato tutti gli ostacoli della mia vita. Tutti
meno che l’incontro con uno strizzacervelli stasera. Ne
abbiamo passate tante. Probabilmente ne passeremo
ancora tante. Ma ora so che l’unico obiettivo reale della
mia vita è renderla felice. Non importa come, non
importa su chi dovrò passare e quali teste dovranno
cadere. Anastasia dovrà essere felice. Per me. Perché
possa guardarmi e non vedere il marcio che mi porto
dentro. Non solo almeno. Ma anche qualcosa di buono.
Quando finalmente torna da me, la abbraccio, baciandole
la testa. Sa di buono. Sa di Ana. Sorrido contro al sua
testa e la prendo per mano, in silenzio, mentre scendiamo
di sotto. Nessuno dei due dice granché durante il viaggio
e la tensione inizia a crescere sempre di più. Ana sembra
sorpresa quando dopo pochi chilometri accosto per
parcheggiare la Saab.
«Di solito vengo da casa facendo una corsa» le spiego,
mentre lei mi osserva rapita. «È una grande macchina» le
dico sorridendo.
«Lo penso anch’io» ribatte sorridendo anche lei. Poi
inspira forte. «Christian... io...» inizia, in ansia evidente.
«Cosa c’è, Ana?» le chiedo, accarezzandole il dorso
della mano per calmarla.
Inspira bruscamente, infilando la mano nella borsa.
«Ecco» mi dice, tirando fuori una piccola scatolina
nera con un nastro. «Questo è per te, per il tuo
compleanno. Vorrei dartelo adesso... ma solo se mi
prometti di non aprirlo fino a sabato, okay?» sussurra in
imbarazzo.
Sbatto le palpebre un paio di volte. Sono sorpreso.
Deglutisco piano, prendendo la scatolina tra le dita.
«Okay» mormoro piano, ma divertito.
Le nostre dita si toccano per un attimo e la familiare
scossa elettrica tra di noi mi scuote da capo a piedi.
Osservo la scatolina, scuotendola. Dall’interno si sente un
rumore strano, non riesco a decifrare di cosa si tratti.
Aggrotto la fronte poi la curiosità mi invade, facendomi
sentire come un bambino la notte prima di Natale. Apro
gli occhi, guardandola mentre le sorrido. Mi mordicchio
piano il labbro inferiore, impaziente.
«Non puoi aprirlo fino a sabato» mi rimprovera.
«Ho capito» le dico, annuendo esasperato. «Perché me
lo stai dando adesso?» chiedo curioso, infilando la scatola
nella tasca interna della giacca.
Ana mi scocca un sorriso malizioso.
«Perché posso, Mr Grey» mi dice, alzando un
sopracciglio, con un sorrisetto sfrontato.
Trattengo a stento un sorriso.
«Ah, Miss Steele, mi rubi le battute» le dico,
scendendo dall’auto e andando ad aprirle la portiera.
Saliamo in silenzio fino allo studio di Flynn. Saluto
Cynthia con calore e i suoi occhi si illuminano quando mi
vede mano a mano con Anastasia. Ana si guarda intorno
mentre facciamo ingresso nello studio di John, seduto
alla sua scrivania. Quando ci vede si alza, galantemente e
ci viene incontro.
«Christian» mi sorride amichevolmente.
«John» rispondo teso, stringendogli la mano. «Ti
ricordi di Anastasia?»
«Come potrei non ricordarmene? Benvenuta,
Anastasia» la saluta lui, facendola una sorta di piccola
riverenza prima di stringerle la mano.
«Ana, per favore» mormora lei in imbarazzo.
«Ana» ripete lui, indicandoci con un cenno i divani.
Guido Anastasia nella stanza, indicandole il divano su
cui sedersi. Mi siedo su quello a fianco al suo, abituato ad
avere il mio spazio in questo studio. Tra di noi, a
dividerci, il tavolino con la lampada che ho osservato
diverse volte. É posizionato strategicamente, con la
presenza costante di una scorta di fazzolettini. Io non ne
ho mai avuto bisogno. Ricordo le lacrime dell’altra sera,
con Ana. ‘Magari non ne hai avuto bisogno fino ad ora,
Grey’. Ok. Potrei essere anche grato della presenza dei
fazzolettini arrivato a questo punto della mia vita. Ana
lancia occhiate incuriosite alla stanza. Mi metto comodo,
allungando la mano sino a prendere quella di Ana e
stringerla per rassicurarla. Flynn si schiarisce la gola, poi
si rivolge direttamente a lei.
«Christian ha chiesto che tu lo accompagnassi a una
delle
nostre
sedute»
esordisce,
guardandola
attentamente. «Solo perché tu lo sappia, consideriamo
questi incontri assolutamente riservati...» inizia a dire,
ma si blocca all’improvviso.
Seguo il suo sguardo e colgo l’espressione di Ana. Un
sopracciglio alzato in segno di stupore.
«Io... ehm... ho firmato un accordo di riservatezza»
mormora, arrossendo.
D’istinto le lascio la mano, ritraendomi al mio posto.
Sembra quasi che debba difendermi anche da lei stasera.
Non pensavo fosse così imbarazzante. Non con le due
persone che sanno tutto di me.
«Un accordo di riservatezza?»
aggrottando la fronte e guardandomi.
rimarca
Flynn,
“Ok, John. Potrei averlo omesso. Ma non l’ho mai vista
come una mia Sottomessa. Mi è sfuggito di mente”. Mi
stringo nelle spalle, senza dire nulla.
«Inizi tutte le tue relazioni con una donna con un
accordo di riservatezza?» mi chiede Flynn, quasi in tono
sarcastico.
«Quelle contrattuali, sì» rispondo.
Flynn sorride piano.
«Hai altri tipi di relazioni con le donne?» mi chiede
sarcastico.
«No» rispondo dopo un attimo di pausa, divertito dalla
piega che sta prendendo la discussione.
Sbircio Ana e riesco quasi a percepire la sua
frustrazione.
«Come pensavo» annuisce Flynn, tornando a guardare
Anastasia. «Bene, immagino di non dovermi preoccupare
della riservatezza, ma posso suggerire che voi due
discutiate di questa faccenda, a un certo punto? Se ho
capito bene, non ti stai più facendo coinvolgere in
relazioni contrattuali» dice, guardando ora il taccuino
davanti a sé e scribacchiando qualcosa.
«Spero in un tipo di contratto diverso» azzardo
dolcemente, guardando la mia fidanzata che arrossisce di
colpo.
Anche Flynn scruta la sua espressione.
«Ana, devi perdonarmi, ma probabilmente conosco di
te molto più di quanto pensi. Christian mi ha raccontato
parecchie cose» dice, cercando di metterla a suo agio, ma
l’effetto direi che è l’opposto. Il buon dottore la incalza,
senza darle tempo di pensare troppo. «Un accordo di
riservatezza?» prosegue, togliendosi gli occhiali. «Questo
deve averti scioccata»
Non è una domanda. É un’affermazione. Perché lo sa.
Sono stato io a raccontarglielo. Ana lo fissa, poi sbatte le
palpebre un paio di volte.
«Oh, credo che lo shock per quello sia diventato
insignificante, viste le più recenti rivelazioni di Christian»
replica con voce bassa, una leggera punta di esitazione nel
suo tono.
«Ne sono sicuro» Il dottor Flynn le sorride gentile. Poi
cambia bersaglio. «Allora, Christian, di cosa vorresti
parlare?»
La domanda mi lascia perplesso. “Di niente. Io non
volevo neppure venire”. Mi stringo nelle spalle e scarico la
responsabilità su di lei. L’ha voluto? Ora tocca a lei
sbrogliarsi dalla situazione.
«Anastasia voleva vederti. Forse dovresti chiederlo a
lei» ribatto scontroso.
Flynn alza lentamente lo sguardo. “Merda”. Conosco
quello sguardo. Sta per tirarmi una stoccata delle sue.
Guarda Ana che invece evita il suo sguardo.
«Ti sentiresti più a tuo agio se Christian ci lasciasse per
un po’?»
La butta lì con nonchalance. Ana d’istinto fissa gli
occhi nei miei. La guardo aspettandomi la sua mano sulla
mia e un sorriso rassicurante. Sono così pronto a sentirle
dire di no che quando invece pronuncia quel sì è come
una badilata in testa. Mi acciglio e apro la bocca per dirle
che non esiste al mondo. Ma poi mi calmo. “Ok. Ok, posso
superare questa cosa”. Mi alzo e lancio un’occhiataccia a
Flynn.
«Grazie, Christian» mi dice, impassibile.
“Stronzo”.
Mi giro a guardare Ana, con uno sguardo d’accusa. Poi
esco dalla stanza, chiudendo la porta alle mie spalle.
“Cristo”.
L’anticamera è vuota. Cinthya deve essersene andata
da poco. Inizio a camminare su e giù mentre l’ansia mi
assale. Non posso fare a meno di sentirmi tradito da
Anastasia. Avrei voluto esserci lì dentro. Avrei dovuto,
Cristo santo! Parlano di me, non di un estraneo. E Dio
solo sa cosa cazzo uscirà fuori da quella fottuta bocca di
John. Provo a fare dei sospiri profondi, tentando di
calmarmi. Guardo l’orologio. Sono qui fuori da appena un
minuto e ho voglia di spaccare tutto, sfondare quella
cazzo di porta e caricarmi Ana in spalla per portarla a
casa. Sospiro di nuovo. Mi passo una mano nei capelli.
Stando attento a non fare rumore mi avvicino alla porta.
Tento di origliare qualcosa, trattenendo il respiro per non
permettere al minimo rumore di disturbarmi, ma è
impossibile. Riesco solo a sentire un cicaleccio indistinto
e sommesso. Mi allontano in fretta, portandomi al lato
opposto della stanza per espirare, come se temessi che
potessero udirmi. Guardo di nuovo l’orologio. Appena tre
minuto. Cristo!
Mi siedo sul divanetto in sala d’attesa, poggiando i
gomiti sulle cosce e unendo gli indici davanti a me. Devo
evitare di pensare a Flynn che parla del mio passato
chiuso in una stanza con Anastasia. Io... io avrei almeno
voluto essere presente per spiegarle, per difendermi. Per
dirle che ora non sono più quello di una volta. Che sono
l’uomo che la ama e che non le farò più del male. Lei
avrebbe potuto credermi, mi avrebbe guardato negli occhi
e mi avrebbe creduto, ne sono certo. Ma ora sono
bloccato qui dentro, confinato in questo spazio. Cinque
minuti appena. Cinque minuti di strazio della mia anima.
Sospiro e, quasi come un presentimento, stringo gli
occhi sopraffatto dai ricordi. Ricordi di noi. Sorrido nel
ripensarla timida e impacciata, quel primo giorno nel mio
ufficio. Sorrido per la sua aria smarrita, per i suoi capelli
tenuti fermi, per la sua memorabile caduta sulla mia
moquette. Sorrido e so di essermi innamorato di lei al
primo sguardo, alla prima parola che ho udito dalla sua
voce. So che non c’è stato scampo per me da quel primo
momento. E tutti i baci, le carezze, tutte le volte che
abbiamo fatto l’amore. Non è mai stato qualcosa di
semplice. Con lei non è mai semplice. É sempre di più. É
il mio di più. Sospiro forte. Dieci fottutissimi minuti.
Manca ancora mezz’ora.
Mi alzo, percorrendo la stanza e soffermandomi a
guardare il mio riflesso nel vetro dell’ampia finestra che
affaccia su Seattle. Mi guardo. Fisicamente non sono
diverso da quello che ero appena poche settimane fa. Ma
dentro... dentro sono un altro. Sono morto e rinato. E
vivo solo per lei ormai. Vorrei che lei lo capisse e per
quanto so che in parte lo fa, non posso fare a meno di
pensare che in fondo, un giorno, spalancherà i suoi
occhioni dolci e puri e mi vedrà per il mostro che ero. Che
sono. Perché per quanto io possa lottare, non riuscirò a
liberarmi del mio passato. Almeno non tanto in fretta.
Deglutisco visibilmente, passandomi entrambe le mani
nei capelli. Ho una fottuta paura. Anastasia è la persona
più buona che abbia mai incontrato. Quello che provo per
lei non ha nulla a che vedere con le fantasie di un
quindicenne nei confronti di una donna sexy ed esperta
come Elena, o della sete di vendetta e di controllo di un
Dominatore nei confronti della sua Sottomessa. Il ricordo
di Leila mi fa dolere il petto. Non voglio ridurla in quello
stato. Non voglio sottometterla. Voglio che mi sfidi, che
mi guardi negli occhi, che si arrabbi con me. Voglio che
facciamo pace rotolandoci nel nostro letto. Voglio
svegliarmi accanto a lei ogni fottuta mattina e andare a
dormire tenendola tra le braccia tutte le sere. Voglio che
mi completi, che mi infonda la giusta dose di coraggio che
mi permetta di essere un uomo migliore. Voglio che mi
sposi perché non riesco ad immaginare la mia vita senza
il suo sorriso impertinente e la sua lingua biforcuta a
stuzzicarmi.
Nonostante l’ansia mi stia stringendo forte il petto in
una morsa, mi ritrovo a sorridere quando ripenso alla
nostra prima volta. La sua prima volta. E un po’ anche la
mia. A stento la ricordo la prima volta che ho fatto sesso
in assoluto. Ricordo l’eccitazione, ricordo Elena tentare di
mettermi a mio agio con il suo sorriso sprezzante.
Ricordo il sesso e poi ancora, nel corso di quei sei anni,
ancora tanto sesso. Ricordo le perversioni. Ma la dolcezza
della prima volta che sono entrato in lei, ha ormai
spazzato via tutta la mia vita prima di conoscerla. Il suo
calore, la sua passione, l’importanza di quel momento, mi
hanno cambiato per sempre. Se prima potevo avere solo
pensato di avere una via di scampo, da quel momento
sono stato perfettamente cosciente di essere
irrimediabilmente suo. Ammetterlo mi è costato tempo e
fatica. Ma l’ho fatto.
Quando sbircio l’orologio, mancano appena due minuti
alla fine della seduta. Mi faccio coraggio e indosso la mia
faccia da bronzo migliore, bussando forte alla porta della
stanza di Flynn. Non aspetto risposta. Entro e basta,
lanciando un’occhiata sospettosa ad entrambi. Ana
arrossisce di colpo. John, invece, con la sua solita calma,
mi sorride divertito.
«Bentornato, Christian» mi dice senza scomporsi.
«Pensavo che il tempo fosse scaduto, John» rispondo,
sostenendo il suo sguardo nella consapevolezza che
entrambi sappiamo che sto mentendo.
«Quasi, Christian. Unisciti a noi» ribatte
indicandomi con un cenno il divanetto di fronte.
lui,
Questa volta mi siedo accanto ad Ana, afferrandole il
ginocchio possessivamente con la mano, ribadendo il
concetto, per chi in questa stanza non l’avesse capito, che
lei è mia. Solo mia. Flynn abbassa gli occhi sulla mia
mano, con un sorrisetto. Poi cattura lo sguardo di
Anastasia.
«Hai qualcos’altro da chiedermi, Ana?» le domanda
con un tono di voce leggermente preoccupato.
Ana si limita a scuotere la testa, arrossendo.
«Christian?» chiede, rivolto a me stavolta.
«Non oggi, John» sibilo, ancora incazzato.
Flynn annuisce con un breve sospiro. Poi china gli
occhi sul foglio davanti a sé.
«Potrebbe essere un bene se veniste ancora insieme.
Sono sicuro che Ana avrà delle altre domande»
Mio malgrado annuisco. Ripetere tutto questo strazio?
NO. Ana può chiedere a me direttamente. La guardo e lei
arrossisce di colpo. “Cosa gli hai chiesto, Anastasia?”. Le
afferro la mano, scrutando il suo volto meraviglioso
segnato dall’ansia e dall’imbarazzo.
«Tutto okay?» le chiedo, stringendo forte la sua piccola
mano e cercando di trattenerla a me, di farle sentire
quanto la amo.
Lei mi fissa, esitando per un istante. Poi le sue labbra
si distendono in un sorriso e annuisce, molto più
tranquilla. La mia mano stringe la sua ancora. “Tu non sei
le altre, Ana. Tu non sei Leila”. Mi volto di scatto verso
John.
«Come sta lei?» chiedo, abbassando la voce come se lei
potesse non sentirmi.
La sento tendersi, ma mi concentro sul mio medico.
«Ce la farà» risponde lui con un sorriso tirato, ma in
qualche modo rassicurante.
«Bene. Tienimi aggiornato sui suoi progressi» ribatto.
«Lo farò» annuisce lui, guardandomi negli occhi.
All’improvviso mi sento meglio e peggio allo stesso
tempo. La nostra ora di chiacchiere inutili è finita e io
devo spremere Ana per sapere cosa le ha rivelato Flynn.
«Possiamo andare a festeggiare la tua promozione?» le
chiedo mettendoci un po’ troppa enfasi nella mia
richiesta.
Anastasia annuisce timida e io mi alzo. In fretta
salutiamo Flynn, mentre la sospingo fuori dall’ufficio,
quasi di peso. Una volta arrivati in strada mi volto verso
di lei a guardarla. Inspiro forte.
«Com’è andata?» chiedo, senza riuscire a smascherare
l’ansia.
«È andata bene» risponde sibillina.
La fisso con sospetto. Lei imita una delle mie pose
caratteristiche, piegando la sua deliziosa testolina di lato.
«Mr Grey, per favore, non guardarmi in quel modo.
Per ordine del dottore, ti darò il beneficio del dubbio»
dice con un mezzo sorriso enigmatico.
Il fatto di non riuscire a capirla mi irrita da morire.
«Che cosa vuol dire?» chiedo astioso.
«Vedrai» ribatte laconicamente.
Piego le labbra all’ingiù, stringendo gli occhi e
scrutandola.
«Sali in macchina» le ordino freddo, aprendo di scatto
la portiera del passeggero.
Ana mi guarda torva, ma veniamo interrotti dalla
suoneria del suo cellulare. Lo tira fuori dalla borsa,
sbiancando quando
attentamente.
vede
il
numero.
La
guardo
«Ciao!» squittisce allegra, rispondendo, anche se noto
un pizzico di ansia nella sua voce.
Mi fissa, mentre io la scruto con sospetto. “José” mima
con le labbra e il mio cuore viene stretto in una morsa di
gelosia. Il mio sguardo diventa di ghiaccio e lei se ne
accorge.
«Scusa, non ti ho chiamato. È per domani?» chiede,
con la voce leggermente tremante.
Eppure i suoi occhi non lasciano mai i miei. La sua
espressione è sorpresa mentre ascolta. Poi diviene
leggermente imbarazzata.
«Bè, sto da Christian in questo momento e lui dice che,
se vuoi, puoi rimanere a dormire a casa sua» asserisce
timorosa.
Stringo le labbra al solo pensiero, ma averlo in casa
mia equivale alla possibilità di sfondargli il cranio se la
tocca solo con un dito. Dopo una manciata di minuti di
silenzio, Ana si volta, dandomi le spalle e passeggiando
sino al limite del marciapiede. É poco distante da me.
Posso comunque sentire ciò che dice.
«Sì» risponde al suo amico in un soffio.
Ancora silenzio. Poi la vedo spostare la testa e so che
ha appena alzato gli occhi al cielo.
«Seria» le sento dire a malapena.
Il mio cuore manca un battito. “Seria? Cosa?”
«Sì» continua, rispondendo sibillina.
Un attimo di silenzio, poi uno sbuffo quasi ironico.
«Certo... Puoi venire a prendermi al lavoro?... Ti
mando un messaggio con l’indirizzo... Alle sei?» chiede.
Qualche attimo di silenzio, poi chiude con un tono più
leggero e felice.
«Fantastico. Ci vediamo»
Quando si volta mi trova appoggiato alla sua auto, a
fissarla.
«Come sta il tuo amico?» le chiedo caustico.
«Sta bene. Mi verrà a prendere al lavoro, e penso che
usciremo a bere qualcosa. Vuoi venire con noi?» mi
chiede cordiale, mentre accenna a muoversi verso l’auto.
Esito per un istante, tendendomi, tentato dal dirle che
non esiste al mondo che le se ne vada in giro da sola con
quel figlio di puttana. Poi mi ricordo che è appena stata
da Flynn. E io ancora non so cosa le ha detto. Potrebbe
essere sul punto di lasciarmi. Chi credo di essere per
arrogarmi il diritto di decidere per lei chi vedere e chi no?
«Non pensi che ci proverà con te?» le chiedo torvo.
«No!» esclama esasperata.
«Okay» le dico, sollevando le mani in alto in segno di
resa. «Tu esci con il tuo amico, e noi ci vediamo più tardi
in serata». “E ti dimostrerò che sei mia. Che puoi essere
solo mia. Che non esisteranno altri uomini per te,
Anastasia. Mai”.
Per un attimo sembra spiazzata, sorpresa dal fatto che
io sia stato così arrendevole.
«Vedi? Posso essere ragionevole» le dico, sorridendo
con malizia.
Le sue labbra rosee si incurvano in un piccolo
sorrisetto, mentre mi scruta.
«Posso guidare?» mi chiede all’improvviso, fissando la
Saab dietro le mie spalle.
Sbatto le palpebre, sorpreso dalla richiesta.
«Preferirei che non lo facessi» rispondo, restio a
cederle il controllo alla guida.
«Perché?» chiede sorpresa, alzando un sopracciglio.
«Perché non mi piace che guidi qualcun altro, quando
ci sono io». E perché devo portarti dalla mia sorpresa.
«Stamattina ce l’hai fatta, e sembri tollerare che Taylor
guidi per te» risponde lei diretta.
«Mi fido ciecamente della guida di Taylor» ribatto
altezzoso, squadrandola dall’alto.
«E della mia no?» risponde piccata, mettendosi con le
mani sui fianchi. «Onestamente, la tua mania del
controllo non conosce limiti. Guido da quando avevo
quindici anni» sbraita furiosa.
Scrollo le spalle con aria noncurante e lei riduce i suoi
occhi a due piccole fessure.
«È la mia macchina?» mi chiede rabbiosa.
La scruto, con la fronte aggrottata.
«Certo che è la tua macchina» rispondo severo.
«Allora dammi le chiavi, per cortesia. L’ho guidata due
volte, e solo per andare e tornare dal lavoro. Mi stai
rubando tutto il divertimento» conclude la sua sfuriata
con un tenero broncio che mi fanno scappare un sorriso.
«Ma non sai dove stiamo andando» le rispondo, più
pacato.
«Sono sicura che potrai illuminarmi, Mr Grey. Hai
fatto un ottimo lavoro fin qui» dice maliziosa, sbattendo
le ciglia scure e sorridendo provocatoria.
La fisso, abbagliato e stupito per qualche attimo. E
anche compiaciuto. Poi le sorrido, disarmato dalla sua
tenerezza.
«Un ottimo lavoro, eh?» mormoro, alzando un
sopracciglio.
Ana arrossisce di colpo.
«In gran parte sì» mormora piano.
«Bè, in questo caso...» le annuncio, sospirando e
girando attorno alla macchina per aprirle la portiera del
conducente e consegnarle le chiavi.
Ana si accomoda, aggiustandosi la gonna. Le scruto le
gambe, affamato di lei. Ma prima di toccarla, in qualsiasi
modo, voglio sapere com’è andata con Flynn. Vado ad
accomodarmi e lei mette in moto. Le do le prime
indicazioni, poi mi fermo per un attimo a guardarla. Il
suo profilo è spettacolare, mozzafiato. I capelli le
incorniciano il volto pallido ma eccitante. Ogni tanto i
denti afferrano il suo labbro carnoso, stringendolo
mentre al tensione aumenta nel suo corpo.
«Qui a sinistra» le ordino, facendole imboccare la
strada per la I-5. Sterza un po’ troppo bruscamente, senza
decelerare in curva. «Accidenti, rallenta, Ana» le dico,
afferrandomi saldamente al cruscotto per non piegarmi di
lato.
Alza gli occhi al cielo, con uno sbuffo, mentre Van
Morrison ci accompagna in sottofondo. Ana sembra
sicura, ma un sorpasso azzardato mi fa rizzare i capelli in
testa. “Ma chi cazzo me l’ha fatto fare di cederle il
controllo alla guida?”
«Rallenta!» le urlo contro.
«Sto rallentando!» grida di rimando, infuriata.
Sospiro quando finalmente la sua guida si stabilizza un
po’ sull’interstatale e decido che è giunto il momento di
afferrare in mano la situazione.
«Cosa ti ha detto il dottor Flynn?» le chiedo.
L’ansia traspare e non so come mascherarla.
«Te l’ho detto: mi ha suggerito di darti il beneficio del
dubbio»
Mi fissa brevemente e la sento farfugliare
un’imprecazione sottovoce. Poi accende la spia luminosa,
segnalando che deve accostare. La guardo senza capire.
«Che cosa stai facendo?» le chiedo allarmato.
«Ti lascio guidare» ribatte tranquilla.
«Perché?» le domando, sorpreso.
«Così posso guardarti» risponde.
Scoppio a ridere di gusto a quell’uscita.
«No, no. Hai voluto guidare tu. Allora guida, e ti
guarderò io» la prendo in giro.
Ana si gira verso di me, accigliata, senza accennare a
riportare gli occhi sulla fottuta strada.
«Tieni gli occhi sulla strada!» le ordino.
Per tutta risposta, il suo sguardo si fa più torvo e lei
accosta subito prima di un semaforo, scendendo dall’auto
come una furia e sbattendo la portiera dietro di sé.
Rimane immobile sul marciapiede, con le braccia
incrociate sotto al petto, fissandomi con un’espressione
truce. In meno di due secondi sono fuori con lei.
«Che cosa stai facendo?» le chiedo con rabbia.
«No, tu cosa stai facendo!?» mi urla contro.
Lancio un’occhiata all’auto.
«Non puoi parcheggiare qui» le dico calmo.
«Lo so» ribatte acida.
«Allora perché l’hai fatto?»
«Perché ne ho abbastanza che mi abbai ordini. O guidi
tu, oppure chiudi la bocca e lasci guidare me!» urla come
una bambina.
La mia pazienza sta arrivando al limite massimo di
sopportazione.
«Anastasia, torna in macchina, prima che prendiamo
una multa» sibilo.
«No» ribatte decisa, sfidandomi con il mento in aria e
gli occhi scintillanti.
La fisso sbalordito. A parte lei nessuna ha mai
pronunciato quella parola in mia presenza. É il bello di
essere un Dominatore. Non esistono richieste non
soddisfatte. Non esistono “no”, di nessun genere. E invece
mi ritrovo a guardare una brunetta tutta pepe che mi
sfida ad ogni parola e ad ogni sguardo e che si rifiuta di
fare quello che le chiedo. Mi passo una mano nei capelli,
scompigliando in maniera esasperata la mia chioma
ribelle. Per un attimo mi fissa con uno sguardo strano,
poi, lentamente, si lascia andare ad un sorriso. La guardo
confuso, aggrottando la fronte.
«Cosa c’è?» esclamo sconfitto.
«Tu» risponde, senza trattenersi dal ridacchiarmi in
faccia.
«Oh, Anastasia! Sei la donna più irritante del pianeta»
sbotto, sollevando le mani in aria per non strapparmi i
capelli. «Benissimo. Guiderò io» decido risoluto.
All’improvviso Anastasia afferra il bavero della mia
giacca e mi attira a sé, modellando il suo corpo contro il
mio. Il desiderio e la brama di possederla mi invadono
immediatamente.
«No, tu sei l’uomo più irritante del pianeta, Mr Grey»
mi sussurra provocante contro le labbra.
Il suo fiato caldo mi accarezza piano, il suo profumo mi
invade i sensi rendendo quasi difficile pensare con
lucidità. Respiro a fondo quell’aroma avvolgente,
fissandola con lussuria mentre la stringo, appiattendola
ancora di più contro di me.
«Allora, forse siamo fatti l’uno per l’altra» ribatto
dolcemente, con un piccolo sorriso, prima di inspirare
forte, per un ultima volta, l’odore dei suoi capelli.
Ana si stringe ancora di più a me, quasi volesse
penetrarmi nell’anima e io mi rendo conto che era questo
che avrei voluto che facesse sin da quando siamo usciti da
quel maledetto studio. Con quest’abbraccio mi sta
dicendo che non ha intenzione di andarsene. Non ora
almeno. La sento rilassarsi contro di me e io d’istinto
faccio lo stesso.
«Oh... Ana, Ana, Ana» sospiro sulla sua testa.
Le sue piccole braccia si aggrappano a me come se fossi
un’ancora di salvezza e invece non riesce a capire che è
tutto il contrario. Sono io che resto a galla solo grazie a
lei. É lei che mi sta salvando dall’abisso della mia
oscurità. Rimaniamo per qualche minuto immobili, in
strada, come se non ci importasse del mondo intero.
Sospiro, alla fine, lasciandola andare per primo e
aprendole
la
portiera
del
passeggero.
Sale,
accomodandosi tranquilla e mi sento i suoi occhi addosso
mentre
rientro
nell’abitacolo
dall’altro
lato,
improvvisamente più calmo e felice, tanto da mettermi a
canticchiare sottovoce una vecchia canzone di Van
Morrison. Continuo a guidare tranquillo, fino a quando la
canzone non termina. Nel silenzio che segue l’avvio della
prossima traccia sorrido.
«Sai, se avessimo preso la multa, la macchina è
intestata a te» la punzecchio.
«Bè, allora è un bene che abbia avuto una promozione.
Posso
permettermi
le
contravvenzioni»
ribatte
compiaciuta, fissandomi.
Trattengo un sorriso, mentre mi incanalo lungo la
strada che dobbiamo percorrere. Ana mi guarda curiosa.
«Dove stiamo andando?» chiede, fingendo quasi
noncuranza.
«È una sorpresa. Cos’altro ti ha detto Flynn?» la
incalzo, curioso e avido d’informazioni anch’io.
Dopo quel momento che abbiamo vissuto poco fa in
strada, non credo le abbia raccontato il mio passato nei
minimi dettagli. Lei sospira, poi si accascia contro lo
schienale.
«Ha detto qualcosa a proposito del TTBBOS o una
roba del genere» mormora, guardando dinnanzi a sé.
«TBOS. L’ultimo ritrovato della psicologia» sussurro di
rimando. Ok. Le ha detto che tipo di percorso sto
seguendo. Poi? Ma è lei a farmi un’altra domanda ora.
«Hai provato altri metodi?»
Sbuffo con arroganza.
«Piccola, li ho provati tutti. Cognitivismo, Freud,
funzionalismo,
terapia
della
Gestalt,
comportamentismo... Citane uno, e io l’ho sperimentato»
le dico, lasciando trapelare un pizzico di amarezza. “Non
ho mai desiderato essere davvero aiutato. Ma ora che ti
ho, avrei voluto impegnarmi di più. Avrei voluto che ci
fosse stato un metodo per farmi guarire, per farmi essere
una persone migliore. La persona che tu meriti, Ana “.
«Pensi che quest’ultimo approccio ti aiuterà?» chiede,
genuinamente interessata.
«Cosa dice il dottor Flynn?» replico di rimando.
«Dice di non fissarsi sul tuo passato. Di focalizzarsi sul
futuro... su dove tu vuoi essere» risponde.
Annuisco. È ciò che dice anche a me. Ma non riesco a
dissimulare un’espressione poco convinta. Mi giro a
guardarla per un secondo, scrutandola.
«Cos’altro?» insisto.
«Abbiamo parlato della tua paura di essere toccato,
anche se l’ha chiamata in un modo diverso. E dei tuoi
incubi e dell’odio verso te stesso»
“Merda”. Comprensibile che lei glielo abbia chiesto.
Comprensibile anche che sia stato questo il filo
conduttore della loro conversazione. Mi mordicchio piano
il pollice. Sento che c’è altro, comunque. Mi giro a
guardarla di nuovo e lei mi rimprovera.
«Occhi sulla strada, Mr Grey» borbotta, alzando un
sopracciglio.
Le faccio un sorrisetto divertito, poi torno a guardare
l’asfalto.
«Avete parlato per un’eternità, Anastasia. Cos’altro ti
ha detto?» continuo a chiedere.
«Non pensa che tu sia un sadico» mormora sottovoce.
Il cuore mi balza nel petto.
«Davvero?» chiedo, aggrottando la fronte e fissandola
un secondo. “É di questo che volevi parlargli. É per quello
che mi hai chiesto di vederlo? Tu... tu ancora non credi
che con te non è come per le altre. Tu non sei una replica
sbiadita della donna che ho odiato con tutto me stesso. Tu
sei la donna che amo con tutto me stesso”.
«Sostiene che il termine non è riconosciuto in
psichiatria. Non dagli anni Novanta» risponde,
sorridendo come per riportare il buonumore tra di noi.
La fisso poco convinto, sospirando lentamente.
«Flynn e io abbiamo opinioni diverse al riguardo»
ribatto piano.
«Mi ha detto che pensi sempre il peggio di te stesso. So
che è vero» mormora lei con un filo di voce. «Ha anche
menzionato il sadismo sessuale, ma dice che è una scelta
di vita, non una condizione psichiatrica. Forse è a questo
che ti riferisci tu»
Le sue parole mi mandano in bestie. “Io sono un uomo
spregevole, Anastasia. Quella di Flynn è una
giustificazione. E anche la tua lo è. Sono un mostro”. Le
lancio un’occhiata torva e stringo le labbra riducendole ad
una linea sottile.
«E così... ti è bastata una seduta con il buon dottore
per diventare un’esperta» le dico acido, evitando il suo
sguardo.
La sento sospirare a fondo.
«Senti, se non vuoi sentire quello che mi ha detto,
allora non chiedermelo» ribatte inaspettatamente
tranquilla.
Per qualche minuto rimango in silenzio, perso a
dividermi tra la voglia di soddisfare la mia curiosità e la
paura di far venire a galla cose che preferirei tenere per
me. Ma all’ultimo la prima ha la meglio sulla seconda.
«Voglio sapere di cosa avete discusso» le dico,
prendendo l’uscita ad ovest dell’I-5.
La luce del sole che inizia a tramontare ci rischiara,
illuminando il nostro percorso. Non c’è immagine che
possa rendere di più la mia storia con Ana. La luce. Un
percorso illuminato. Ma, proprio come per il tramonto, le
tenebre, le mie tenebre sono sempre in agguato.
«Mi ha definita la tua amante» mormora.
«Davvero?» le dico cordialmente, tentando di tenere a
bada il nervosismo crescente. «Bè, è un termine
appropriato. Credo che descriva accuratamente ciò che
siamo. Non trovi?» rispondo, agitato.
«Pensavi alle tue Sottomesse come amanti?» la sua
domanda arriva come una stilettata al cuore.
“Non puoi pensarlo davvero”. Aggrotto la fronte,
fissandola per un attimo prima di svoltare di nuovo. Ana
osserva curiosa.
«No. Loro erano partner sessuali» rispondo, non
propriamente a mio agio. «Tu sei la mia unica amante. E
voglio che tu sia anche di più per me» le sussurro sincero.
Più che vedere, sento il suo sorriso meraviglioso e mi
rilasso impercettibilmente.
«Lo so» risponde piano e una punta di emozione di
insinua nella sua voce, inorgogliendomi. «Ho solo
bisogno di tempo, Christian. Per pensare a quello che è
successo in questi ultimi giorni» mormora.
Ci fermiamo ad un semaforo e ne approfitto per
scrutarla, in silenzio. Piego la testa di lato, godendomi a
fondo i suoi lineamenti preoccupati. Anch’io la guardo
preoccupato. “Sei pronta, Anastasia? Sei pronta a lasciarti
tutto alle spalle per me? Perché io andrei in capo al
mondo ora per te. Voglio che tu sia la mia vita. E so che ti
ho detto che avrei aspettato, ma sto bruciando per te”. Il
mio petto inizia a battere forte, contro la piccola scatolina
che mi ha regalato prima. Chissà cosa conterrà? Quando
il semaforo diventa verde, alzo un po’ il volume della
musica in auto e riparto. Siamo quasi arrivati. Svolto nel
quartiere residenziale, dirigendomi verso il Puget Sound.
«Dove stiamo andando?» mi chiede per l’ennesima
volta, mentre svolto nella strada giusta, lungo la 9th Ave
Nw.
«Sorpresa» le dico, con un sorriso misterioso.
Ed ecco che svolto nel vialetto di quella che spero sarà
la nostra nuova casa. Dove può davvero iniziare la nostra
nuova vita. Dove il mio passato non è presente, ma solo
lei e quello che sono con lei.
Capitolo 21
Entro nel viale ampio e curato. Le abitazioni che
insistono sulla strada sono quasi tutte ad un solo piano,
in legno. Alcuni bambini giocano negli spiazzali. Tutto qui
intorno fa pensare alla famiglia. Svolto a sinistra e mi
fermo quando giungo dinnanzi al cancello alto e bianco.
Mi sporgo dal finestrino, digitando il codice che mi ha
inviato Miss Kelly questo pomeriggio e attendo che il
cancello si apra. Quando mi giro a fissarla l’ansia che ho
cercato di tenere sotto controllo torna a sommergermi
prepotentemente. “Sto forse sbagliando? Probabilmente
portarla qui subito dopo averle fatto incontrare Flynn non
è stata una buona idea. Ma non sarei stato capace di
aspettare oltre. E poi siamo in tempo per il tramonto”.
Ana mi scruta, aggrottando le sopracciglia. “Voglio
passare la mia vita con te, in questa casa. Non dirmi di
no, Ana.”
«Che cosa c’è?» mi chiede, preoccupata.
«Un’idea» le dico, distogliendolo
attraversando il cancello con la Saab.
sguardo
e
Prosegue nel viale alberato che affaccia sul vasto prato
dell’abitazione, pieno di erba e fiori selvatici. Sembra di
entrare in un altro mondo. Dopo una curva entriamo
nell’ampio viale d’accesso fino a raggiungere la casa in
pietra rosa chiaro, con tutte le luci accese. L’auto di Miss
Kelly è già qui. Parcheggio dinnanzi al portico e la guardo,
sospirando a fondo.
«Continuerai ad avere una mente aperta?» le chiedo
titubante.
Ana si acciglia di nuovo.
«Christian, ho avuto bisogno di una mente aperta dal
giorno in cui ti ho conosciuto» risponde, alzando un
sopracciglio.
La guardo, lanciandole un sorrisetto ironico. Touché.
«Un punto per te, Miss Steele. Andiamo»
Scendo dall’auto e vado ad aprirle la portiera. Quando
scende dalla Saab le do una lunga occhiata. Poi mi chino
su di lei, baciandola a fondo. Ana sembra leggermente
stupita dal mio comportamento. Le tendo la mano e la
conduco davanti all’uscio. La porta di legno scuro si apre
quasi automaticamente e ne esce Miss Kelly, avvolta in un
abito viola.
«Mr Grey» mi sorride con calore, e ci scambiamo una
stretta di mano.
«Miss Kelly»
Olga Kelly si volta verso Ana, allungandole la mano.
Lei la guarda e poi mi scruta di sottecchi.
«Olga Kelly» si presenta.
«Ana Steele» mormora lei in risposta.
Miss Kelly si addossa alla porta, facendoci spazio per
entrare. Ana fa un passo avanti per poi bloccarsi davanti
all’improvviso, sotto shock. La casa è completamente
vuota. Restiamo nell’ingresso, tra le pareti gialle, mentre
lei assimila lo stupore. Trattengo il fiato, estremamente in
ansia. Ana si gira intorno, osservando attentamente
l’antico lampadario in cristallo, i pavimenti di legno e le
porte chiuse incastonate sulle pareti. Prima che il suo
cervello vada in fumo, le afferro la mano, guidandola
nell’anticamera.
«Vieni» le dico, facendole attraversare l’arco fino
all’enorme vestibolo.
Ad accoglierci c’è un ampio scalone con una bellissima
ringhiera in ferro battuto, estremamente lavorata.
Attraversiamo il salone, nel quale è presente solo un apio
tappeto che attutisce il rumore delle nostre scarpe sul
pavimento, e punto dritto alla portafinestra che affaccia
sulla terrazza in pietra. Di sotto abbiamo il prato enorme
e curatissimo. E poi una vista tale da mozzare il fiato. Ed
è proprio questo, fortunatamente, l’effetto che ha su
Anastasia. Guardo la mia bellissima fidanzata restare a
bocca aperta ad ammirare il crepuscolo sul Puget Sound.
Il sole sta per tramontare e si riflette sull’acqua pacata,
che scorre imperturbabile senza curarsi di noi. Rosso,
arancio, giallo. Ma i miei occhi non sono attratti da
questo. Sono attratti da lei. Sempre da lei. Le stringo forte
la mano, senza riuscire davvero a credere, nonostante sia
qui con me in carne ed ossa, che lei sia davvero mia.
Resta in silenzio per un’eternità, tanto che la mia ansia,
mai del tutto sopita, torna prepotentemente a galla di
nuovo.
«Mi hai portata qui per ammirare il panorama?»
sussurra piano, timorosa.
“Sì, ma non solo”. Annuisco, scrutandola a fondo.
«È sconvolgente, Christian.
tornando a fissare l’orizzonte.
Grazie»
mormora,
Inspiro forte, deglutendo a fatica. Ho un groppo in gola
che brucia. Le lascio la mano, decidendo che è giunto il
momento.
«Come la vedresti se fosse così per il resto della tua
vita?»
Io stesso faccio fatica a sentire il suono della mia voce,
ma lei ci riesce. Si volta di scatto, i suoi occhi enormi
come non li ho mai visti prima di oggi. Ci fissiamo, con
emozioni contrastanti che animano le menti di entrambi.
Sorpresa per lei, shock oserei dire. Ansia e timore per me.
Timore di non essere abbastanza, che tutto ciò non sia
abbastanza per lei. E io voglio darle solo il meglio.
«Ho sempre desiderato vivere sulla costa. Navigavo su
e giù sul Sound sognando queste case. Questo posto non
rimarrà in vendita a lungo. Vorrei comprarlo, demolirlo, e
costruire una nuova casa, per noi» le sussurro,
guardandola con amore, con speranza.
Riesco quasi a sentire il suo cervello elaborare quella
richiesta e tutte le conseguenze che ne derivano.
«È solo un’idea» aggiungo cauto quando non accenna
a parlare.
Ana si gira lentamente verso l’interno della casa,
scrutandola. Poi aggrotta la fronte.
«Perché vuoi demolirla?» mi chiede, il suo sguardo di
nuovo su di me.
Spalanco gli occhi, valutando la sua reazione. Non mi
ha detto di no.
«Mi piacerebbe costruire una casa più ecosostenibile,
usando le ultime tecnologie. Potrebbe occuparsene
Elliot» le spiego.
Ana torna a guardare l’interno dell’edificio e mi volto
anch’io. Miss Kelly ci attende all’ingresso. Scruta e
riscruta, bevendone ogni particolare.
«Possiamo dare un’occhiata alla casa?» mi chiede poi,
titubante.
La guardo, sorpreso. Non mi aspettavo una resa tanto
immediata. Sbatto le palpebre, ritrovando il mio
equilibrio interiore.
«Certo» le dico immediatamente, scrollando le spalle
per darmi una smossa.
Ora sono io quello che sembra paralizzato. L’ho
sognato per tutto il giorno questo momento,
aspettandomi una lotta estenuante per convincerla. E
invece eccola venirmi incontro. Miss Kelly ci accompagna
in ogni anfratto dell’abitazione: salone, cucina abitabile
con soggiorno annesso, stanza della musica, biblioteca,
piscina coperta, sala fitness, il cinema privato nel piano
inferiore e una sala giochi. Conosco già la casa,
ovviamente. Ho potuto fare anche un tour virtuale non
appena ho contattato l’azienda immobiliare, pertanto
posso dedicarmi ad osservare Anastasia. I suoi occhi
azzurri sono limpidi e brillano quasi mentre si posano su
ogni muro, ogni pietra, ogni angolo di questa casa. É
quasi come se anche lei, come me, riesca a vederci come
una famiglia qui dentro. Felici, entrambi, con una schiera
di bambini a seguito. Il pensiero mi fa irrigidire
leggermente, ma il fatto che questa fantasia abbia bisogno
di molto tempo per concretizzarsi mi rassicura.
«Non potresti rendere più ecologica e sostenibile la
casa esistente?» mi chiede ad un tratto.
La fisso con perplessità. Poi mi giro intorno.
«Dovrei chiederlo a Elliot. È lui l’esperto» le rispondo
con un piccolo sorriso.
Miss Kelly, nel frattempo, ci mostra la camera da letto
padronale, con le sue ampie finestre a tutta parete che
aprono su un balcone con annessa vista spettacolare.
Visitiamo anche le altre cinque stanze da letto del piano.
Mentre l’agente immobiliare si impegna a spiegarmi
come inserire nella proprietà scuderie e cavalli, di cui
onestamente non me ne fotte un cazzo, noto con la coda
dell’occhio Anastasia immergersi a fondo in questa casa.
La sua piccola mano accarezza una parete, i suoi occhi la
seguono sognanti. Non bado alle parole che mi vengono
rivolte, totalmente rapito dalla visione della mia piccola
personale dea. É lei a riportarmi al presente, inserendosi
nella conversazione.
«Il recinto dovrebbe prendere il posto dell’attuale
prato?» chiede, genuinamente interessata.
«Sì» risponde Miss Kelly con un ampio sorriso,
fiutando l’affare.
Ana abbassa lo sguardo, come per riflettere, e insieme
all’agente immobiliare torniamo in salotto. Miss Kelly ci
lascia soli, con discrezione e io ne approfitto per
ricondurla di nuovo sul terrazzo. Il sole non c’è più e le
luci della città lontana rischiarano l’atmosfera.
L’abbraccio, sollevandole il mento con un dito e
fissandola a lungo negli occhi.
«Molte cose a cui pensare?» le chiedo comprensivo.
Anastasia annuisce piano.
«Volevo essere sicuro che ti piacesse prima di
comprarla» le dico, a mo’ di scusa.
«La vista?» chiede, mentre il suo sguardo si sposta sul
Sound.
Annuisco.
«Adoro la vista, e mi piace la casa, così com’è»
mormora, tornando a fissarmi.
«Davvero?» le chiedo sorpreso, bevendo la sua
immagine con lo sguardo. “Mi rendi sempre l’uomo più
felice del mondo, Ana”.
Le sue labbra morbide si increspano in un sorriso
timido, solo per me.
«Christian, mi avevi già conquistata con il prato» mi
dice con un pizzico di ironia.
Schiudo le labbra per dire qualcosa, ma rimango come
ipnotizzato dalla sua espressione sognante. Mi serve
appena qualche attimo per riprendermi e sorriderle. Le
afferro i capelli con entrambe e le mani e la bacio a fondo,
a lungo, mentre l’aria fresca della sera ci avvolge e ci culla
dolcemente.
Dopo aver salutato Miss Kelly, torniamo in auto e ci
avviamo verso Seattle. Non riesco a smettere di guardarla
e di sorriderle come un bambino.
«Quindi la comprerai?» mi chiede ad un tratto.
«Sì» le rispondo deciso.
«E metterai l’Escala in vendita?» domanda con una
punta di rimpianto.
Aggrotto la fronte senza capire.
«Perché?» chiedo.
«Per pagare...» la sua voce si smorza, mentre
evidentemente ripensa a quello che stava per dire.
Arrossisce di colpo, guardandomi proprio mentre io
faccio lo stesso. Le sorrido maliziosamente.
«Fidati, me lo posso permettere» ribatto ironico.
«Ti piace essere ricco?» chiede a bruciapelo.
«Sì. C’è forse qualcuno a cui non piace?» le rispondo,
incupendomi.
“Sono stato anche estremamente povero, Ana. Non ho
avuto niente. Neppure da mangiare. Non voglio ripetere
quell’esperienza. Non voglio assolutamente che io o
peggio tu possiamo trovarci in una situazione del genere”.
Ana smette di farmi domande, abbassando lo sguardo.
Sospiro, tentando di spiegarmi meglio.
«Anastasia, imparerai anche tu a essere ricca, se dirai
di sì» aggiungo piano.
«La ricchezza è qualcosa a cui io non ho mai aspirato,
Christian» mi dice, accigliandosi.
«Lo so. Mi piace questo di te. Ma non hai nemmeno
mai sofferto la fame» le dico con semplicità, sperando che
mi capisca.
Ana resta zitta, come soppesando le mie parole. Per
qualche minuto il silenzio regna nell’abitacolo. Poi la
sento inspirare e osservare la strada.
«Dove stiamo andando?» chiede allegramente,
notando che non mi sto dirigendo all’Escala.
«A festeggiare» le dico.
Non appena mi ha detto della promozione ho deciso di
portarla al Mile Highe. Le piacerà. E poi... ho in mente
anche una piccola vendetta per ripagarla della sfiancante
attesa a cui mi sta sottoponendo. Chiamiamolo un piccolo
incentivo a velocizzare il processo mentale che la porterà
a rispondere positivamente alla mia proposta di
matrimonio. Mi rilasso lentamente.
«Festeggiare cosa, la casa?» chiede aggrottando la
fronte.
«Te lo sei già dimenticato? Il tuo ruolo di direttore
editoriale ad interim» le dico con un sorrisetto.
«Oh, sì» sorride piano. «Dove?»
«Al mio club»
«Il tuo club?» chiede incredula.
«Sì. Uno dei miei club» preciso.
Mi sorride e sul quel sorriso accelero, impaziente di
arrivare a fine serata solo per godermi ogni millimetro del
suo corpo contro il mio.
L’ascensore ci porta al 76esimo piano della Columbia
Tower. Ci teniamo per mano e mi stacco solo quando ci
accomodiamo al bancone, in attesa che il nostro tavolo sia
pronto.
«Cristal, signora?» le chiedo, porgendole una coppa di
champagne ghiacciato.
«Oh, grazie, signore» ribatte enfatizzando l’ultima
parola che mi causa un fremito dritto al basso ventre.
Mi guarda sbattendo le ciglia, con un’espressione
civettuola. La scruto, guardandola a fondo.
«Stai flirtando con me, Miss Steele?» chiedo, fingendo
quasi noncuranza.
«Sì, Mr Grey. Che cosa hai intenzione di fare in
proposito?» chiede guardandomi da sotto le ciglia,
provocandomi.
«Sono sicuro che mi verrà in mente qualcosa» le
rispondo, notando il cenno del cameriere. «Vieni, il
nostro tavolo è pronto» le sussurro, mentre pregusto la
sua espressione quando farò la mia prossima mossa.
Arrivati al tavolo la fermo prima che possa sedersi. Le
prendo un gomito e avvicino il suo orecchio alla mia
bocca.
«Va’ a toglierti le mutandine» le sussurro, la voce
arrochita dal desiderio.
La sento rabbrividire per l’eccitazione improvvisa. E
rabbrividisce anche il mio uccello impaziente.
«Vai» le ordino senza lasciarle possibilità di scelta.
Mi fissa e si rende conto solo ora che non sto affatto
scherzando. Senza dire neppure una parola mi cede la sua
coppa di champagne e gira sulle sue scarpe alte,
dirigendosi in bagno. Mi accomodo, sorseggiando l’ottimo
Cristal e pensando a cosa le farò nelle prossime due ore
come minimo. ‘Al diavolo, Grey. Divertiamoci tutta la
notte’.
Ho già ordinato le ostriche e il resto della cena quando
Anastasia torna in sala lo fa quasi barcollando sulle
scarpe alte, rossa in viso e gli occhi accesi da un luccichio
malizioso. Mi alzo, aspettando che si accomodi.
«Siediti accanto a me» mormoro. Quando esegue, mi
siedo anch’io. «Ho ordinato per te. Spero che non ti
dispiaccia»
Sorrido, passandole la coppa di champagne e
scrutando il suo aspetto che ispira sesso da lontano. Le
guance le si arrossano di più e mi autoimpongo di portare
a termine il mio obiettivo. Non toccarla, in modo da
alimentare il suo desiderio. Appoggio le mani alle mie
cosce, contraendo le dita. D’istinto Ana si protende quasi
impercettibilmente in avanti, schiudendo le gambe.
Saperla nuda lì sotto mi eccita in una maniera incredibile.
Il cameriere giunge al nostro tavolo portando un vassoio
di ostriche su ghiaccio. Come la nostra prima sera
all’Heatman. Lo stesso pensiero deve averle attraversato
la mente, perché mi guarda arrossendo di colpo.
«Mi sembrava che ti fossero piaciute le ostriche,
l’ultima volta che le hai mangiate» le sussurro a voce
bassa.
«L’unica volta
ansimando.
che
le
ho
mangiate»
risponde,
Le faccio un sorrisetto compiaciuto per la sua reazione.
“Sei già in ginocchio per me, Ana?”
«Oh, Miss Steele, quando imparerai?» le rispondo,
inspirando e scegliendo un’ostrica dal vassoio.
Sollevo anche l’altra mano dalla coscia, mentre lei
sussulta, vogliosa di farsi toccare. Ma non lo farò. Non
ancora. Prendo una fetta di limone, mentre lei si acciglia.
«Imparare cosa?» mi chiede.
Riesco quasi a sentire il battito accelerato del suo cuore
a distanza. Schiaccio lentamente il limone, facendo sport
scorrere il succo sull’ostrica.
«Mangia» le dico piano, avvicinando il guscio alla
bocca, stando bene attento a non toccarla. «Sposta
lentamente indietro la testa» le mormoro, eccitato quanto
lei.
Obbedisce all’istante, lasciando che l’ostrica le scivoli
in bocca e poi giù per la gola. Ne mangio una anch’io,
senza distogliere lo sguardo dal suo. Poi gliene porgo
un’altra, sempre evitando ogni contatto. Osservo le sue
dita fremere per il desiderio di avere di più, mentre il mio
cazzo fa un male atroce rinchiuso nei pantaloni. In
silenzio consumiamo tutte e 12 le ostriche. Mi lecco le
labbra, guardandola con desiderio.
«Ti piacciono ancora le ostriche?» le chiedo quando
ingoia l’ultima.
Ana annuisce e arrossisce di colpo. Potrei quasi giurare
di sentirla gemere.
«Bene» ribatto con un sorrisetto.
Si agita sulla sedia, leccandosi le labbra mentre mi
fissa. Fingo indifferenza e torno a poggiare la mano sulla
coscia. I suoi occhi mi implorano di toccarla, di portarla
al culmine del piacere con un solo dito. Ma non lo farò. La
consapevolezza di avere questo potere sulla donna che mi
tiene sotto scacco mi eccita a dismisura. É come averla in
ginocchio nella mia Stanza dei giochi. Solo che non avevo
mai pensato di poter dominare ad un livello così intimo,
così sensuale, così privo di dolore. Faccio scorrere la
mano su e giù lungo la coscia, come se quel tocco fosse
per lei. Il mio cazzo è duro come il marmo ormai. Sollevo
di poco il palmo, riportandolo poi dov’era, dandole solo
l’illusione che potrei muovermi verso di lei e soddisfare la
sua voglia.
Il cameriere si avvicina e ritira il vassoio. Qualche
minuto dopo ritorna con le nostre portate,
interrompendo il lussurioso gioco di sguardi messo in
piedi da me e la mia ragazza. Branzino con asparagi,
patate e salsa olandese.
«Uno dei tuoi piatti preferiti, Mr Grey?» mi chiede,
ricordando evidentemente la nostra cena per discutere
del contratto.
«Assolutamente sì, Miss Steele. Anche se credo che il
mio preferito sia il merluzzo come lo fanno
all’Heathman»
La mia mano continua a muoversi su e giù per la
coscia. Sento il suo respiro spezzarsi e implorare
silenziosamente.
«Mi sembra di ricordare che fossimo nella tua sala da
pranzo privata, allora, a discutere del contratto» sussurra
con voce bassa e piena di desiderio.
«Giorni felici» scherzo malizioso. «Stavolta spero di
arrivare a scoparti» le mormoro.
Le mie dita si staccano dalla stoffa dei miei pantaloni e
lei ne segue vogliosa la traiettoria. Ma il movimento serve
solo ad afferrare il coltello. Assaggio un delizioso boccone
di branzino, guardandola di sottecchi.
«Non contarci» borbotta mentre alzo lo sguardo su di
lei, sorridendo divertito. «A proposito di contratti...
l’accordo di riservatezza?» chiede timorosa.
«Straccialo» le dico semplicemente, continuando a
mangiare, mentre anche lei inizia.
«Che cosa? Davvero?» domanda stupita.
«Sì» annuisco per confermare la mia decisione.
«Sei sicuro che non correrò al “Seattle Times” con le
mie rivelazioni?» mi stuzzica alzando un sopracciglio.
Rido di gusto, scuotendo la testa di fronte al suo
umorismo.
«No, mi fido di te. Ti darò il beneficio del dubbio» le
dico, sospirando felice.
Il suo sorriso timido in risposta è stupendo.
«Idem» mormora, arrossendo piano.
La fisso con gli occhi lucidi di amore e felicità. Ancora
non posso credere che la mia vita sia così mutata
dall’ultima volta che ho mangiato le stesse cose in sua
compagnia.
«Sono molto contento che indossi un vestito» le
sussurro, lasciando vagare il mio sguardo sul suo corpo e
giù lungo le cosce.
La sua pelle si arrossa all’improvviso, di nuovo
eccitata.
«Allora perché non mi tocchi?» sibila, con una nota di
rimprovero nella voce.
«Ti mancano le mie carezze?» la provoco con un
sorrisetto da gran bastardo.
«Sì» risponde con un filo di voce, ma sono quasi sicuro
che mi stia maledicendo.
«Mangia» le ordino pacato.
«Non mi toccherai, è così?» chiede, con la fronte
aggrottata.
«No» le dico e, per avvalorare la mia decisione, scuoto
la testa.
Ana ansima senza contenersi. Quel gemito soffocato mi
scuote dalla testa ai piedi, regalandomi vibrazioni uniche.
«Prova solo a immaginare come ti sentirai quando
saremo a casa» le sussurro, provocandola ancora. «Non
vedo l’ora di portartici»
«Sarà colpa tua se prenderò fuoco qui
settantaseiesimo piano» borbotta lei a denti stretti.
al
«Oh, Anastasia, troveremo il modo di estinguere
l’incendio» le dico a bassa voce, avvicinandomi al suo
orecchio ma stando attento a restare a distanza di
sicurezza.
Infilza furiosamente il suo povero branzino e io
ridacchio senza farmi scorgere. Giocare con lei è sempre
così entusiasmante. Per un attimo si lascia prendere dal
gusto favoloso del cibo. Chiude gli occhi e abbandona la
testa leggermente all’indietro, gemendo di piacere. Quella
visione mi manda in estasi. Quando li riapre mi fissa, per
poi spostare lo sguardo sul suo grembo. Seguo anch’io
quella direzione e la vedo alzarsi l’orlo del vestito
scoprendo di più la carne liscia delle sue cosce. Mi fermo
con la forchetta in aria, mentre l’aria fuoriesce
silenziosamente dai miei polmoni per non accennare a
fare più ritorno. Deglutisco, facendo uno sforzo immane
per impormi l’autocontrollo di cui necessito. Dopo
qualche attimo riprendo a mangiare. Lei fa lo stesso, ma
subito dopo calamita di nuovo i miei occhi. Poggia il
coltello sul tavolo e lascia che le stesse dita scorrano in
mezzo alle cosce, battendo leggermente sulla pelle. Mi
fermo di nuovo, fissandola bramoso.
«So cosa stai cercando di fare»
La mia voce suona bassa e roca persino alle mie
orecchie.
«So che lo sai, Mr Grey» replica lei, con uno sguardo
carico di erotismo e allo stesso tempo frustrazione. «È
questo il bello»
Anastasia solleva un asparago e mi guarda da sotto le
ciglia. Lentamente lo immerge nella salsa olandese e
lascia la punta vorticare ripetutamente.
«Non rovescerai la situazione, Miss Steele» le sussurro
con un sorriso.
Allungo la mano e le prendo l’asparago, senza sfiorarla
neppure. Lei aggrotta la fronte, ma io la ignoro.
«Apri la bocca» le ordino piano.
Mi fissa per qualche attimo, la tensione erotica tra di
noi ci attrae inesorabilmente l’uno verso l’altra. L’azzurro
dei suoi occhi è come un mare profondo in cui rischio di
perdermi da un momento all’altro. Ci guardiamo ed è una
sfida, un rogo ardente che si scatena tra di noi. Anastasia
schiude di poco la bocca. Un gesto lento, misurato, come
quello di passarsi la lingua sulle labbra, inumidendole e
facendomi desiderare di farle schiudere allo stesso modo
contro la pelle rovente del mio membro pulsante. Sorrido
arrogante. “Non vincerai questa battaglia, Miss Steele. Ho
un piano per te e per questa serata”.
«Apri di più» le sussurro come se invece della sua
bocca mi stessi riferendo al suo sesso che già immagino
bagnato, umido e caldo.
Geme e non riesce del tutto a contenersi. Quel suono
mi invia una scarica elettrica alla spina dorsale. I suoi
denti candidi affondano nel rosa del suo labbro inferiore e
io sussulto, inspirando a fondo alla vista della sua carne
stretta a tal punto da rischiare di ferirsi. La voglia
aumenta.
Senza distogliere gli occhi dai miei, Ana apre la bocca e
lascia scivolare dentro l’asparago. Sento la pressione della
sua lingua e lei inizia a succhiare piano la salsa. Mastica e
mugola in un modo talmente erotico che per un attimo
sono tentato a cedere e infilarle le dita sotto la gonna.
Chiudo gli occhi per recuperare la forza di volontà e
quando li riapro li vedo riflessi nei suoi. Due pozze di
desiderio. Di lei. L’elettricità attorno a noi è palpabile.
Ana geme sommessamente e allunga una mano in
direzione della mia coscia. Rapidamente le afferro il
polso, bloccandola.
«Oh, no, non lo farai, Miss Steele» le mormoro piano.
Mi porto la sua mano alla bocca e do sollievo ad
entrambi per un attimo, sfiorandole le nocche con le
labbra. Ma è un contatto che deve bastarci. Almeno per il
momento.
«Non
toccare»
la
ammonisco
rimettendole la mano sul ginocchio nudo.
dolcemente,
Anastasia mette un delizioso broncio.
«Giochi slealmente» borbotta frustrata.
«Lo so» le dico con un sorriso, alzando la coppa di
champagne nella sua direzione, prontamente imitato da
lei.
«Congratulazioni per la promozione, Miss Steele» le
dico mentre facciamo tintinnare i bicchieri.
Arrossisce, chinando il capo.
«Sì, piuttosto inaspettata» mormora.
Già. E non l’avresti ottenuta se quel viscido porco non
ti avesse messo le mani addosso. In un certo senso, è
riuscito nel suo intento. Ma non dovrà mai più incrociare
la mia strada. Jack Hyde è un cadavere che cammina.
«Mangia» le ordino più severo. «Non ti porterò a casa
finché non avrai finito la cena, e allora potremo davvero
festeggiare» aggiungo guardandola senza nascondere
neppure un briciolo della voglia che ho di scoparla fino
allo stremo.
«Non sono affamata. Non di cibo» mi sussurra.
Le sue guance arrossate sono un piacere per i miei
occhi bramosi. Scuoto la testa, sorridendo divertito.
«Mangia, oppure ti metterò sulle mie ginocchia,
proprio qui, e intratterremo gli altri ospiti» le sussurro,
inarcando un sopracciglio.
Osservo il suo corpo attraversato da un fremito e so
che sta soppesando le mie parole per capire se sono serio
o meno. Stringe le labbra, fissandomi truce. La mia bocca
si tende in un sorrisetto sfacciato. Prendo un asparago e
lo intingo nella salsa olandese.
«Mangia questo» le dico a voce bassa.
Si sporge con un sospiro e mi accontenta.
«Tu non mangi abbastanza. Hai perso peso da quando
ti conosco» le dico gentile, osservandola masticare.
«Voglio solo andare a casa e fare l’amore» mormora
dolce e sconsolata.
Le sorrido complice.
«Anch’io, e lo faremo. Mangia» le ordino nuovamente.
Sospira di nuovo, riluttante, ma inizia a consumare la
sua cena, mentre io torno a dedicarmi alla mia. “Oh, Ana.
Non tenermi il broncio. Ti soddisferò prima di quanto
pensi”.
«Allora, è tanto che conosci Ethan Kavanagh?» le
chiedo per cambiare discorso e soprattutto perché voglio
capire quanto posso fidarmi di una persona come lui.
Oltretutto è andato a pranzo con mia sorella. Ho visto
Ethan e conosco Mia. Mi sono appena trovato un altro bel
problema.
«Quattro anni, da quando conosco Kate in pratica. É
un buon amico» sottolinea nel tentativo di prevenire un
mio attacco di gelosia.
Ma al momento è mia sorella a darmi il tormento.
«Ho avuto il piacere di fare affari con suo padre, ma
non l’avevo mai incontrato prima della tua laurea»
Ana sembra sorpresa e passiamo i restanti venti minuti
a chiacchierare dei miei affari nel mondo delle
telecomunicazioni. Tra una chiacchiera e l’altra poggio la
mia mano sulla mia coscia, proprio accanto alla sua.
Percepisco il suo calore e lei si agita, di sicuro percependo
il mio. Quando finalmente finisce di mangiare la guardo e
le sorrido.
«Brava bambina» le dico, lasciandole capire quanto la
farà godere il mio compiacimento.
Lei aggrotta al fronte, fissando il piatto vuoto di fronte
a sè.
«E adesso?» chiede, senza preoccuparsi di nascondere
la sua voglia.
«Adesso? Ce ne andiamo. Credo che tu abbia certe
aspettative, Miss Steele. Che io intendo soddisfare al
meglio delle mie capacità» le annuncio, battendo le mani
sulle ginocchia.
«Al meglio... delle tue... ca... pa... cità?» balbetta lei,
incapace di formulare pensieri coerenti.
Sorrido, alzandomi.
«Non dobbiamo pagare?» mi chiede, mentre il fiato le
si accorcia.
Piego la testa di lato, fissandola sfrontato dalla testa ai
piedi.
«Sono un socio del club. Mi manderanno il conto.
Vieni, Anastasia, dopo di te» le dico, spostandomi di lato
per farla alzare.
La fisso con ardore, immaginando il suo sesso umido e
scivoloso che tenta di trattenere la prova della sua
eccitazione. Si ferma proprio di fronte a me, lisciandosi il
vestito sui fianchi. Mi chino, stando attento a non
sfiorarla, e mi avvicino al suo orecchio.
«Non vedo l’ora di portarti a casa» le sussurro con un
tono carico di promesse.
Quando ci avviciniamo all’uscita, dico al cameriere di
far preparare la mia auto e di inviarmi il saldo al mio
indirizzo.
Mentre aspettiamo l’ascensore sorrido tra me e me per
quello che intendo farle. Ci raggiungono due coppie di
mezza età che per un attimo sembrano aver mandato in
fumo il mio piano. Ma poi ci ripenso. Meglio. Quando le
porte si aprono la afferro per un gomito e la guido verso il
fondo della cabina. Nell’ascensore entra anche Mr Colt,
nel suo solito sgraziato abito marrone. Ma questo uomo si
veste mai di altri colori? Ci salutiamo educatamente,
mentre quasi impercettibilmente mi spingo più a fondo
nella cabina. Le porte si chiudono nel chiacchiericcio
generale. Mi chino a terra, fingendo di aver bisogno di
legarmi una stringa. Poi, senza dare troppo nell’occhio, le
metto una mano sulla caviglia. La sento sussultare.
Mentre mi alzo lascio scorrere la mano lungo il suo
polpaccio teso, il retro del suo ginocchio e l’interno della
sua coscia. Raggiungo il suo meraviglioso culo,
accarezzandolo mentre mi sposto dietro di lei. Ana
trattiene il respiro mentre inizio a giocare con le dita,
accarezzando la sua pelle. Arretriamo ancora di più la
sento sussultare quando mi avvicino pericolosamente al
suo sesso gonfio. E quando lo raggiungo le soffoca un
gemito. E anch’io.
«Sempre pronta, Miss Steele» le sussurro con
possessività. E con fame. Di lei.
Ana si tende fino al limite e geme di nuovo, meno
discreta di prima.
«Stai ferma e buona» le sussurro all’orecchio.
Sento al sua pelle arrossarsi, e il suo sesso umido e
voglioso aprirsi di più. É completamente fradicia. La
penetro con un dito, affondando nel suo ventre
ripetutamente. Le ansimo nell’orecchio e lei si abbandona
contro di me mentre il braccio che ho usato per cingerle la
vita si stringe di più contro di lei. All’ennesimo gemito la
zittisco di nuovo.
«Ssh» le sibilo calmo contro l’orecchio.
Ma sono tutt’altro che calmo. Arretro ancora mentre
nell’ascensore sale altra gente. Il mio cazzo struscia
dolorosamente tra le sue natiche. Prendo a strofinare il
naso nei suoi capelli, inebriandomi del suo profumo. E,
alla fine, infilo un secondo dito nel suo recesso umido.
Geme e si stringe contro di me, avviluppandomi in lei.
«Non venire» le sussurro piano all’orecchio, leccandole
il lobo. «Ti voglio dopo»
Allargo la mano libera sul suo ventre, accarezzandola
da sopra al suo abito, mentre sotto la sto scopando con
veemenza, sfidandola a resistere. Solo perché gliel’ho
ordinato. Quando raggiungiamo il piano terra le porte si
aprono e le persone fuoriescono dall’ascensore.
Lentamente sfilo le dita dal suo sesso e le bacio la nuca.
Ana si gira verso di me, lisciandosi il vestito e dietro di lei
Mr Colt mi fa un segno di saluto uscendo con sua moglie.
Rispondo educato e poi torno a guardare lei. Sembra
quasi che barcolli e, anche se posso sembrare calmo e
controllato, dentro non sto messo meglio di lei.
«Pronta?» le chiedo con malizia e un briciolo id
impazienza.
Non aspetto la sua risposta e non resisto. Mi infilo
l’indice e il medio, che fino a pochi secondi fa erano
dentro di lei, nella mia bocca mai sazia del suo sapore.
Succhio, ripulendole dai suoi umori.
«Strepitoso, Miss Steele» le sussurro, mentre Ana
viene visibilmente scossa da un tremito di piacere.
«Non posso credere che tu l’abbia fatto» mormora
senza più fiato o forze.
«Sarai sorpresa da quello che posso fare, Miss Steele»
le dico, spostandole una ciocca di capelli, ormai umidi di
sudore, dietro l’orecchio. «Voglio portarti a casa, ma forse
non arriveremo più in là della macchina» le dico
sorridendole e prendendole la mano per uscire
dall’ascensore. «Vieni» le ordino quando si gira a fissare
il pavimento dell’atrio dietro di sé.
«Sì, lo voglio fare» mormora decisa, tornando a
guardarmi.
«Miss Steele!» la ammonisco, fingendomi disgustato
dalla sua volgare e oscena proposta.
«Non ho mai fatto sesso in macchina» borbotta
imbronciata.
Mi fermo di botto, girandomi a sollevarle il mento con
le due dita che erano infilate dentro di lei. La fisso truce.
“Con chi avresti dovuto farlo, Ana? Pensi che non lo
sappia?”
«Mi fa molto piacere saperlo. Devo dire che sarei stato
molto sorpreso, per non dire arrabbiato, se l’avessi fatto»
le sussurro contro le labbra.
Lei arrossisce e sbatte le palpebre, rendendosi solo ora
conto di quello che ha detto. Aggrotta la fronte,
fissandomi.
«Non è ciò che intendevo» mormora.
«Che cosa intendevi?» le chiedo brusco.
«Christian, è solo un modo di dire» tenta di
giustificarsi.
«Il famoso detto “Non ho mai fatto sesso in macchina”.
Sì, ce l’avevo sulla punta della lingua» sbotto, incazzato.
«Christian, non stavo riflettendo. Per l’amor del cielo,
hai appena... mmh... mi hai appena fatto quella cosa in un
ascensore pieno di gente. Ho la testa confusa»
Il suo imbarazzo mi fa calmare. Aggrotto la fronte,
fissandola.
«Che cosa ti ho fatto?» chiedo, sfidandola a dirlo ad
alta voce.
Vedo il suo rossore aumentare mentre si acciglia di
più.
«Mi hai fatta eccitare, molto. Ora portami a casa e
scopami» mi sussurra contro le labbra.
Rimango a bocca aperta, sorpreso dalla sua audacia
dettata dalla voglia impellente. Poi scoppio a ridere di
gusto.
«Sei una romanticona, Miss Steele» le dico
prendendola per mano e la guido fuori dall’edificio dove
ci attende la nostra auto.
Le tengo aperta la portiera dell’auto e, dopo averla
fatta accomodare, invio un sms a Taylor mentre faccio il
giro, chiedendogli di togliere il vaso di fiori dal tavolo
dell’ingresso e spegnere le telecamere in quella zona. E di
prendersi la serata libera con Gail. Il mio piano è preciso.
E lo porterò a termine fino in fondo. Monto in auto e
accendo il motore.
«E così vuoi fare sesso in macchina» mormoro con un
sorrisetto soddisfatto.
«Molto francamente, sarei stata felicissima di farlo sul
pavimento dell’atrio» dice, con la voce carica d’urgenza.
«Credimi, Ana, anch’io. Ma non mi piace essere
arrestato a quest’ora della notte, e non volevo scoparti in
un gabinetto. Bè, non oggi» replico calmo.
La sento girarsi di scatto sul sedile. Mi volto e i suoi
occhi sono famelici, le guance arrossate dal desiderio e la
bocca schiusa come in attesa. “Dio, cosa farei a quella
bocca proprio ora!”.
«Intendi dire che era una possibilità?» sussurro con un
filo di voce.
«Oh, sì» mormoro roco.
«Torniamo indietro» ordina frettolosamente.
Mi volto di scatto verso di lei e scoppio a ridere di
gusto per la sua impazienza. Mi fissa e non riesce a
trattenersi. Ride anche lei, reclinando la testa contro il
sedile. Quando mi riprendo, le poggio una mano sul
ginocchio, accarezzandola piano. L’effetto su di lei è
immediato. Smette di ridere e trattiene il respiro,
fissando gli occhi sulla mia mano. Trattiene un gemito. E
io devo sforzarmi di non accostare e dare sollievo al mio
uccello che pulsa da più di un’ora.
«Abbi pazienza, Anastasia» le dico, scivolando nel
traffico.
Per tutto il tragitto restiamo in silenzio. La mia mano si
stacca di rado dal suo ginocchio e l’abitacolo si carica di
attesa, di respiri smorzati, di battiti accelerati. Non vedo
l’ora di potermi immergere in lei, di essere inghiottito dal
suo sesso famelico. Voglio scoparla per tutta la notte. La
giornata è stata lunga e frenetica e piena di cose nuove e,
forse, troppo grandi per due ragazzi quali siamo. Ma
intendo passare ogni attimo della mia vita con questa
donna, dividere con lei ogni respiro. Ne sono più che
convinto.
Fortunatamente il traffico non è così denso e riusciamo
ad arrivare a casa in breve tempo. Parcheggio la Saab nel
garage dell’Escala e spengo il motore. Sento i suoi occhi
seguire ogni minima mossa e il mio respiro accelera in
reazione alla consapevolezza che Ana è seduta accanto a
me in uno spazio così ristretto. Mi volto a guardarla,
poggiandomi alla portiera, con il gomito sul volante. Mi
porto le dita alle labbra, come se riuscissi ad assaporare il
suo dolce nettare. Con il pollice e l’indice gioco con il mio
labbro inferiore, osservando la sua reazione. Arde di
lussuria, si lecca ripetutamente le labbra e non smette di
fissarmi la bocca. Credo che possa saltarmi addosso da un
momento all’altro. E la voglia è assolutamente reciproca.
Quando i suoi occhi raggiungono finalmente i miei la
vedo deglutire faticosamente. Mi sfugge un sorrisetto
compiaciuto.
«Scoperemo in macchina quando e dove deciderò io.
In questo momento voglio prenderti su ogni superficie
disponibile del mio appartamento» le sussurro
pacatamente.
«Sì» mormora il suo assenso.
Poi chiude gli occhi, sporgendosi lentamente verso di
me. La guardo, così arrendevole e tutta mia. Se la bacio
ora, dopo non averla toccata per tutta la sera, va a finire
che il mio controllo va a farsi fottere e lei con lui, perché
non resisterò a non saltarle addosso. Con tutta al forza di
volontà di questo mondo mi impongo di non muovere
neppure un muscolo. Resto immobile. Fermo come una
statua, ammirando i suoi lineamenti e cercando di
resistere ad assecondare la voglia che mi pulsa tra le
gambe.
Dopo qualche secondo d’attesa, Ana riapre gli occhi,
confusa. Apre la bocca per parlare, ma la blocco subito,
prima che possa pensare qualcosa di spiacevole.
«Se mi baci adesso, non lo faremo nell’appartamento.
Vieni». Apro la portiera e scendo, girando attorno all’auto
per far scendere anche lei. Le prendo la mano e ci
dirigiamo all’ascensore. Nell’attesa non riesco a smettere
di far scorrere il pollice sul dorso della sua mano.
Ana me la stringe, respirando al ritmo dei cerchi che
descrivo sulla sua pelle. “La mia piccola bambina è
impaziente. Bene, Ana. Così impari a farmi aspettare”.
«Allora, cos’è successo all’appagamento immediato?»
sbotta ad un tratto, con evidente impazienza.
«Non si addice a ogni situazione, Anastasia» mormoro,
divertito.
«Da quando?» chiede scettica.
«Da stasera» ribatto prontamente.
«Perché mi stai torturando così?» si lamenta.
«Occhio per occhio, Miss Steele» le dico soddisfatto.
«Come ti sto torturando io?» dice, aggrottando la
fronte.
«Credo che tu lo sappia» ribatto seccamente.
Ana alza lo sguardo su di me, pensierosa. Poi sembra
capire. La guardo negli occhi. “Sì, Ana. Voglio la tua
risposta. Voglio il tuo sì”. Un sorrisetto a metà tra il
divertito e l’imbronciato le compare sul viso.
«Anch’io credo nell’appagamento ritardato» sussurra.
Poi si volta e mi sorride piano, timidamente. Non
resisto oltre. Con un deciso strattone la attiro tra le mie
braccia. Le stringo la nuca e le avvicino le labbra alle mie,
reclinando appena il suo capo per permetterle di
guardarmi negli occhi. Ansimo contro le sue labbra.
«Cosa devo fare per farti dire di sì?» le chiedo
sottovoce, fissandola intensamente.
Ana sbatte le palpebre un paio di volte, respirando a
fatica.
«Dammi un po’ di tempo... per favore» mi implora
piano.
Sbuffo, esasperato. Poi incollo le mie labbra alle sue,
baciandola a fondo e a lungo. La mia lingua scivola contro
al sua, turbinando come se stessimo già facendo l’amore.
L’ascensore arriva e le porte si aprono. Senza staccarmi
da lei, la spingo all’interno. Le mie mano avvolgono le sue
curve, i suoi fianchi, mentre inghiottisco i suoi ansiti di
piacere. Geme e lo stesso faccio io. La spingo contro la
parete e le infilo le dita nei capelli, trattenendola mentre
le saccheggio la bocca in preda ad un desiderio che mi
rende quasi instabile. Spingo il bacino contro di lei,
sfregando la mia erezione quasi dolorosa contro il suo
ventre. Con la lingua le accarezzo il labbro inferiore, poi le
mordo piano il mento, il collo, succhiando forte proprio
sotto l’orecchio. I suoi gemiti si fanno più forti mentre si
aggrappa disperata alle mie spalle per non cadere. La sua
gamba si alza, stringendosi e strusciandosi contro il mio
fianco. La inchiodo alla parete, mentre le mie dita
frugano frenetiche il suo corpo minuto e sexy. Lascio
scivolare una mano dai suoi capelli al mento,
alzandoglielo per guardarla negli occhi.
«Io ti appartengo» le sussurro contro la bocca affamata
ancora di me. «Il mio destino è nelle tue mani, Ana». La
imploro quasi, dicendole quella che è la verità. Io sono
suo. Completamente ed inesorabilmente suo.
Ana geme, anzi quasi ringhia, aggrappandosi con le
dita alla mia camicia e poi alla mia giacca. Me la sfila
freneticamente dalle spalle, proprio mentre raggiungiamo
il nostro piano. Incespichiamo nell’uscire e la spingo
contro la parete di fianco, premendole il mio corpo contro
il suo. La mia giacca cade ai miei piedi, ma non mi
importa. La mia mano vogliosa scende ad accarezzarle
una gamba, mentre la bacio con voracità, assorbendo i
suoi gemiti. Freneticamente le alzo il vestito fin sui
fianchi.
«La prima superficie è qui» le dico d’un fiato,
staccandomi da lei per un attimo.
Anastasia mi guarda, gli occhi velati da puro desiderio.
Bruscamente le afferro i fianchi e la sollevo da terra,
facendo strisciare contro la parete la sua schiena.
«Avvolgi le gambe intorno a me» le ordino brusco.
Obbedisce all’istante, serrando le caviglie dietro la mia
schiena. Quando sento la presa assicurata mi volto e la
faccio distendere sul tavolo dell’atrio, rimanendo tra le
sue gambe aperte per me. Ansimando infilo la mano nella
tasca destra dei pantaloni e tiro fuori un preservativo. La
passo a lei, mentre mi abbasso la cerniera senza
distogliere lo sguardo dal suo. Il rumore della zip si fonde
con i nostri ansiti vogliosi.
«Ti rendi conto di quanto mi ecciti?» le sussurro,
riprendendo fiato.
«Che cosa?» ansima confusa, scuotendo il capo. «No...
io...»
«Bè, lo fai» mormoro lascivo. «Tutte le volte»
Torno a sfilarle la bustina dalle mani e Ana geme.
Sorrido perfidamente mentre la guardo e estraggo il
preservativo, infilandomelo piano. Le mie mani scivolano
entrambe sul mio cazzo che pulsa, per poi allargarsi sulle
sue cosce, spalancandole di più con un gesto repentino.
Mi posiziono all’ingresso del suo sesso, strusciando la
punta sulle sue labbra aperte.
«Tieni gli occhi aperti. Voglio vederti» le sussurro.
Poi, lasciando il mio membro duro come il marmo, le
afferro entrambe le mani, inchiodandola alla superficie
del tavolo, e finalmente mi immergo tutto dentro di lei.
Ana geme sonoramente, inarcando la schiena e
accogliendomi con un sospiro roco. La testa si reclina
all’indietro e i suoi occhi si chiudono.
«Occhi aperti!» ringhio furioso contro di lei.
Mi sta stritolando ed è una sensazione sublime. Le
stringo di più le mani, costringendola a tornare a
guardarmi mentre affondo ancora di più in lei. “Oh, Dio!
É meravigliosa. Le labbra rosse spalancate in una muta
richiesta di non fermarmi, gli occhi azzurri aperti e fissi
nei miei, velati da uno spesso strato di incoscienza dovuta
al piacere”. Lentamente mi ritraggo, sentendo ogni
centimetro del suo sesso completamente avviluppato al
mio, nel tentativo di trattenerlo. Mi immergo di nuovo in
lei, a fondo, con un ringhio liberatorio. Apro la bocca
anch’io, ma le parole per dirle quanto è meravigliosa non
riescono ad uscire. Sto fremendo di piacere, sto pulsando
al centro del suo ventre. Anastasia mi osserva e i suoi
occhi ora brillano di una luce diversa, mentre la sua
lingua accarezza languidamente le sue labbra. Affondo di
nuovo, fissandola, fissandoci. Siamo persi l’uno nell’altra
mentre ci fondiamo nel silenzio dell’atrio, nel quale
rimbombano solo i nostri respiri eccitati e affamati. “Non
mi stancherò mai di te, Anastasia. Mai. Sposami”.
Ana si stringe sempre di più, costringendomi a
fermarmi per non venire. Continuo a guardarla, mentre
affondo implacabile dentro il suo corpo morbido e
voluttuoso. Tutto mio. Tutta mia. Ormai conosco questa
pelle, quest’anima meglio della mia. Quando mi rendo
conto che sta per venire accelero con un ringhio soffocato.
La fisso negli occhi. Grigio contro azzurro. Azzurro contro
grigio. E veniamo. Insieme.
«Sì, Ana!» urlo, liberandomi dentro di lei, crollando
sul suo corpo esanime e sudato.
Appoggio la testa sul suo seno e sento le sue dita tra i
capelli, che mi cullano, mi proteggono. Il suo respiro che
tenta di placarsi dà il ritmo anche al mio. Stremato dal
violento amplesso appena consumato, alzo di poco la
testa, fissandola. Desiderio e amore si rimescolano nelle
vene. Ho ancora bisogno di lei.
«Non ho ancora finito con te» mormoro, allungandomi
per baciarle teneramente le labbra.
Mi rialzo, tastando l’equilibrio prima di tornare a
guardare il punto dove siamo ancora uniti. Mi ritraggo e
poi affondo di nuovo dentro di lei un’ultima volta, per
sottolineare quello che le ho appena detto. C’è l’ho ancora
maledettamente duro. Mi sfilo completamente da lei e
tolgo il preservativo, annodandolo con noncuranza e
infilandolo in tasca, mentre Ana si solleva sui gomiti. É
sexy così scompigliata e discinta su quel tavolo. Incapace
di resistere, mi fiondo sulle sue labbra gonfie e arrossate.
Stringendole la testa con le mani e divorando ogni
centimetro delle sue labbra. Quando finalmente mi stacco
da lei, la sua espressione è appagata.
«Sei silenziosa, Miss Steele» le dico con un sorrisetto,
mentre mi riaggiusto la cerniera e le tendo la mano per
farla rialzare.
«Sono stremata, Mr Grey» ribatte con un sorriso
sfrontato.
La faccio scendere e aderisco di nuovo al suo corpo,
mentre le tiro giù l’abito. Poi la bacio di nuovo, come se
non riuscissi più a saziarmi di lei stasera. Geme nella mia
bocca, mordendomi il labbro inferiore quando mi
allontano di qualche millimetro.
«Qualcuno qui è ancora affamato» le dico, guardando i
tratti morbidi del viso dopo il sesso.
Anastasia si allontana leggermente da me,
guardandomi da sotto le lunghe ciglia e si morde il
labbro.
Lentamente.
Deliberatamente.
“Cristo
santissimo!”. Sembra impossibile ma sto per venirmi nei
pantaloni. Mi allontano, superandola e aprendo la porta
dell’ingresso. Poi le faccio cenno di entrare e richiudo la
porta dietro di noi. La agguanto da dietro prima che possa
sfuggirmi. Le mie labbra scivolano tra i suoi capelli e
raggiungono il suo orecchio.
«Vai in camera, Anastasia. Spogliati e aspettami sul
nostro letto» le sussurro.
La sento deglutire a fatica, ma, in silenzio, si allontana
in direzione della nostra camera da letto. Mi appoggio con
le spalle al muro, prendendomi qualche momento per
calmarmi. Non voglio che finisca tutto molto presto. Non
mi era mai capitato di sentirmi così. Quando sono certo di
aver riconquistato la calma, mi incammino con le mani in
tasca, facendo una piccola sosta per gettare il preservativo
nel cesto dell’immondizia. Quando entro in camera da
letto il suo odore mi invade le narici. Nell’aria c’è il
profumo del suo shampoo, della sua pelle, del sesso che
abbiamo appena fatto. Inspiro piano, mentre la fisso. É
seduta sul bordo del letto, mi guarda da sotto le ciglia e ha
le mani giunte in grembo. É nuda. Completamente nuda.
Lentamente, mi tolgo le scarpe e le calze. I suoi occhi si
fissano sui miei piedi nudi e la sento inspirare forte. Mi
sfilo in fretta la camicia e poi anche i jeans e i boxer. Mi
avvicino a lei, rimanendo in piedi. Il suo sguardo sale,
fermandosi sulla mia erezione mentre le sfugge un piccolo
gemito. Poi sale ancora. E raggiunge il mio.
«Stenditi sulla schiena, Anastasia» mormoro,
accarezzandole una ciocca e rimettendola a posto dietro
l’orecchio.
Si lascia cadere all’indietro e io le afferro le gambe
appena sopra le ginocchia. Con un movimento rapido la
spingo in avanti sul letto e le apro le gambe. Mi
inginocchio guardandola. Allungo l’indice e lo passo in
verticale dal suo clitoride lungo tutta la fessura bagnata.
«Sei bellissima, Anastasia» le dico piano, guardandola
con gli occhi che scintillano di piacere.
«Christian...»
Geme il mio nome come se fossi la cosa più importante
per lei. Normalmente fatico a crederci, ma in momenti
come questi lo so. So che ha bisogno di me. So che non c’è
nient’altro e nessun altro per lei. In momenti come questi
so di essere l’unico nella sua mente e nella sua anima. E
quando pronuncia il mio nome ne sono certo ancora di
più.
«Dillo ancora» le ordino pacatamente, mentre il mio
uccello mi sfiora lo stomaco, pulsando violentemente. Il
mio dito continua a tracciare quella scia di piacere su di
lei.
«Christian... ti prego» supplica.
Non resisto oltre. La attiro a me e incollo la bocca al
suo sesso palpitante. Lecco e succhio voracemente,
gustandomi i suoi umori e godendo delle sue urla e dei
suoi gemiti. Non mi fermo, continuo ad un ritmo
estenuante e implacabile. Lei inizia a piagnucolare,
continuando ad implorarmi, fino a quando non esplode,
irrigidendosi e inarcando la schiena. Il suo sesso aderisce
perfettamente alla mia bocca e la mia lingua lo penetra,
turbinando nel suo recesso bagnato. Quando ricade sul
materasso mi stacco da lei, girandola.
«In ginocchio, Anastasia. Voglio prenderti da dietro»
ordino sbrigativo.
Geme, rialzandosi a fatica sulle ginocchia tremanti. Ma
oramai sono fuori controllo. Non resisto oltre. Con le
mani le allargo le natiche, gemendo alla vista del suo culo
esposto ai miei sguardi libidinosi. Con la punta del mio
uccello scivolo lentamente tra le sue labbra, senza
penetrarla. Mi bagno e poi lascio scivolare il cazzo sul suo
ano. Si irrigidisce, ma prontamente torno più giù,
entrando in lei con una profonda spinta. Ringhio,
accompagnando il movimento dei miei fianchi,
affondando implacabile dentro di lei. Ana affonda la testa
nel materasso, spostando le mani davanti a lei. I suoi
gemiti sono soffocati dalla trapunta. Si irrigidisce ancora,
di nuovo, avviluppandomi tanto da far risultare difficile il
semplice gesto di ritrarmi. Lascio scivolare la mano
destra sulla sua schiena, chinandomi a baciargliela tra un
affondo e l’altro. Poi le afferro i fianchi, stringendoli forte
fino ad imprimerle i segni delle mie dita sulla pelle
candida. La tiro all’indietro, mentre le vado incontro.
Sento che sto per venire. Non resisto oltre. E anche lei si
stringe ancora. Le mani si stringono in due pugni che
sbiancano per la tensione.
«Ora, Ana!» urlo, assestandole una sonora sculacciata
sulla natica destra.
Anastasia urla e insieme veniamo in un orgasmo
catartico. Crolla sul materasso e io su di lei. Ansimiamo,
senza accennare a riprenderci. Dopo qualche minuto
passato ad ascoltare i nostri respiri, mi costringo a
spostarmi di lato, attirandola tra le mie braccia. Sospiro
beato, mentre prendo ad accarezzarle ritmicamente la
schiena nuda.
«Soddisfatta, Miss Steele?» chiedo con una certa dose
di arroganza da maschio alfa.
Mormora soltanto, annuendo piano con la testa. Dopo
qualche attimo di silenzio alza la testa, fissandomi come
per mettermi a fuoco e io le sorrido dolcemente. Piega la
testa, guardandomi intensamente il petto e io mi
irrigidisco istintivamente perché so cosa sta per fare. Con
le labbra rosse mi sfiora i peli sul petto, inspirando il mio
odore ad occhi chiusi. Mi metto sul fianco. Occhi contro
occhi. “Non mi fai male quando mi tocchi, ma non sono
ancora abituato”.
«Il sesso è così per tutti? Mi sorprende che la gente
riesca a uscire di casa» mormora timidamente,
abbassando lo sguardo per poi rialzarlo quasi subito.
Le scocco un sorriso malizioso.
«Non posso parlare per tutti, ma è dannatamente
speciale con te, Anastasia» le dico con passione,
chinandomi a baciarla.
«Questo perché tu sei dannatamente speciale, Mr
Grey» mi dice con un ampio sorriso, accarezzandomi il
viso.
Rimango per un attimo sorpreso da quel gesto che
tradisce tutta l’intimità che abbiamo, quanto
profondamente ho permesso a questa donna di entrare
nella mia vita e di scavare dentro di me. “Io speciale, Miss
Steele? No. Potrei ferirti senza neppure rendermene
conto. Non sono l’uomo giusto per te e mi spiace che tu
debba avere a che fare con me. Ma sono talmente egoista
da non permetterti di allontanarti da me”.
«È tardi. Dormi» le dico.
Mi chino a baciarla piano, poi mi stendo sulla schiena,
spengo l’abat-jour e l’attiro a me, tenendola abbracciata.
«Non ti piacciono i complimenti» conviene piano.
«Dormi, Anastasia» le ordino in un mormorio.
La stanchezza inizia a farsi sentire. ‘Non sei più un
ragazzino, Grey. Anche il tuo cazzo ha bisogno di riposare
alla tua età’.
«Amo quella casa» mormora aggiustandosi sul mio
petto e respirando profondamente.
Spalanco gli occhi e fisso il soffitto. Se non è un sì
questo... ‘Non correre, Grey’. Lo so, non devo correre, ma
non posso fare a meno di sorridere.
«Io amo te. Ora, dormi» le dico mentre la felicità mi
invade.
Chino la testa e infilo il naso nei suoi capelli, facendo il
pieno del suo odore prima di tornare al mio posto sul
cuscino. Sospiro e sento il suo respiro farsi regolare.
Dorme. L’ho sfinita. E lei ha sfinito me. Questa donna è il
mio angolo di paradiso. Non voglio perderla, voglio
amarla, proteggerla, difenderla da tutto. Voglio essere il
centro del suo universo proprio come lei, piccola e
insicura, ma allo stesso tempo una forza della natura, è il
centro del mio universo.
L’indomani mattina mi sveglio presto. Ho una
colazione di lavoro, una montagna di cose da fare in
ufficio e io e Ros dobbiamo anche andare e tornare da
Vancouver per un problema di finanziamento
all’Università. Sono certo che non ci può essere nessun
problema di finanziamento quando sono io a finanziare.
Ma devo accertarmi di persona che quella massa di
incompetenti riescano per una volta a fare il proprio
lavoro ed imparino per la prossima. Mi infilo sotto la
doccia e mi rilasso per qualche minuto. Ho i muscoli
leggermente indolenziti a causa dello stress e della
tensione accumulata nelle ultime settimane. Ora le cose
stanno andando lentamente ognuna al proprio posto.
Sorrido, mentre mi sfrego il bagnoschiuma sulla pelle, nel
ripensare alla serata di ieri, al nostro gioco erotico e a
tutto quello che è successo qui all’Escala. Dal garage al
letto. Sospiro forte. Ho già di nuovo voglia di lei. E se non
dovessi andare in quello stramaledetto ufficio,
probabilmente riprenderei la maratona di sesso da dove
l’abbiamo interrotta stanotte. Quando esco dalla doccia
mi asciugo frettolosamente i capelli e poi mi avvolgo un
asciugamano attorno ai fianchi. Entro nella cabina
armadio e scelgo un completo blu. Con cura mi vesto,
stando attento ad ogni dettaglio. Quando finalmente sono
pronto torno in camera. Anastasia dorme profondamente
e quasi mi dispiace svegliarla per salutarla. Ma non esiste
che io vada via senza dimostrarle quanto la ami. Mi chino
su di lei, baciandole la pelle appena dietro l’orecchio.
«Devo andare, piccola» le sussurro, dandole un
secondo bacio.
La sento rabbrividire e le sue palpebre si spalancano di
colpo. Si gira di scatto verso di me, assonnata, mentre mi
rialzo e la guardo con un sorrisetto sfrontato. So che
nonostante sia mezza addormentata sta praticamente
sbavando. É lo stesso effetto che lei fa a me. Sempre.
«Che ore sono?» chiede in ansia.
«Non allarmarti. Ho una colazione di lavoro» le dico
rassicurandola. Mi chino di nuovo su di lei, strofinando il
mio naso contro il suo e respirando l’odore di Anastasia,
sonno e sesso.
Lei fa lo stesso con me.
«Hai un buon profumo» mormora, mentre si stiracchia
mettendo in mostra uno dei suoi seni candidi che sfugge
da sotto la lenzuolo.
Allunga le braccia e me le avvolge attorno al collo.
«Non andare» piagnucola
mettendo il broncio.
come
una
bambina,
La guardo piegando la testa di lato, con un sopracciglio
alzato.
«Miss Steele, stai cercando di trattenere un uomo
dall’andare a svolgere la sua onesta giornata di lavoro?»
chiedo con un sorrisetto.
Sbadiglia e annuisce pigramente. La guardo
ammirandola sul serio e le sorrido, felice che mi desideri
così tanto da volermi sempre con sé.
«Per quanto tu sia una vera tentazione, devo andare»
le dico solennemente.
Poi mi chino sulla sua bocca e la bacio lentamente,
profondamente. Prima che questo bacio mi dia alla testa
sono però costretto ad alzarmi.
«A più tardi, piccola» le dico, facendole l’occhiolino e
sparendo dalla stanza prima che i miei buoni propositi e
la mia fitta giornata di lavoro vadano a farsi fottere.
Sono in perfetto orario quando raggiungo Ros e il team
di Barney per fare colazione. Discutiamo del nuovo
sistema di sicurezza, dei miglioramenti che sono stati
prontamente effettuati sul primo modello e di una
eventuale prova in azienda da effettuare nel massimo
riserbo per testare le potenzialità e la reale efficacia del
sistema. Quando torniamo in ufficio sono pienamente
soddisfatto di come stanno andando le cose. Poi mi
ricordo che oggi arriva anche quel figlio di puttana del
fotografo. Ed ecco che il mio umore scende in picchiata.
Ho già predisposto tutto per il suo arrivo. Starà nella
vecchia camera di Anastasia. O meglio quella che non è
mai stata di Anastasia. Ma solo delle altre. Aggrotto la
fronte. ‘Lascia perdere, Grey. Lascia stare il tuo passato.
Sii egoista e goditi tutto il tempo che hai ancora davanti’.
Bè... in effetti ripensando al mio appartamento mi
vengono in mente un sacco di altre cose. D’istinto afferro
il BlackBerry e le invio una mail.
Da: Christian Grey
A: Anastasia Steele
Data: 17 giugno 2011 08. 59
Oggetto: Superfici
Ho calcolato che ci sono almeno trenta superfici da provare. Non
vedo l’ora di sperimentarle tutte, una per una. Poi ci sono
i pavimenti, le pareti. E non dimentichiamo il terrazzo. Dopodiché c’è
il mio ufficio... Mi manchi. X
Christian Grey
Amministratore delegato priapeo, Grey Enterprises Holdings Inc.
Sorrido al mio telefono nel ripensarla piccola,
assonnata e implorante. Entro nell’ascensore e mi dirigo
in garage, dove Ros già mi aspetta insieme a Taylor per
andare a prendere Charlie Tango e volare sino a
Vancouver. La sua risposta non tarda ad arrivare.
Da: Anastasia Steele
A: Christian Grey
Data: 17 giugno 2011 09. 03
Oggetto: Romantica?
Mr Grey,
hai una sola cosa in testa. Mi sei mancato a colazione. Ma Mrs Jones
è stata molto premurosa.
AX
Aggrotto la fronte davanti a quella piccola
informazione volutamente provocatoria. Mi tocco la
giacca, proprio sopra al cuore, sentendola piccola
scatolina sotto il palmo. Non me ne separo mai. E muoio
dalla curiosità di sapere cosa ci sia dentro. Ora anche
questo? É di sicuro qualcosa per il mio compleanno. Cosa
stai architettando, Anastasia?
Da: Christian Grey
A: Anastasia Steele
Data: 17 giugno 2011 09. 07
Oggetto: Intrigato
In cosa sarebbe stata premurosa Mrs Jones? Che cosa stai
combinando, Miss Steele?
Christian Grey
Amministratore delegato curioso, Grey Enterprises Holdings Inc.
Sospiro, mentre entro in auto insieme a Ros intenta a
chiacchierare al telefono con uno dei nostri clienti. Ho
vaghi ricordi del mio compleanno. Dei primi compleanni,
intendo. Quelli a casa Grey me li ricordo. Erano giorni
felici, certo, dove venivo riempito di regali, di affetto. Ma
per me non c’erano mai voli in aria, come per Elliot. Non
c’erano gli abbracci di mamma, non c’erano feste con
tanti bambini che giocavano insieme. Grace ci ha provato
qualche volta. Ma finivo per picchiarli. Era una sofferenza
per me e per loro. Alla fine, per il mio bene, e soprattutto
per quello dei miei compagni di classe, ci siamo limitati
alle feste intime di famiglia. Dei primi quattro anni della
mia vita ricordo invece una torta al cioccolato. Non ho in
mente la torta vera e proprio. Ma il profumo lo ricordo
distintamente. E poi niente. Forse solo il viso di Ella che
mi regala uno dei rari sorrisi che le ho visto nel breve
lasso di tempo che abbiamo passato insieme. Ma poi la
sera arrivava sempre lui. E il mio regalo non era di certo
come quello degli altri bambini. E le candeline non ero io
a spegnerle. Stringo gli occhi, massaggiandomi la tempia.
Il BlackBerry vibra, distraendomi. Ana. Sempre la mia
ancora di salvezza.
Da: Anastasia Steele
A: Christian Grey
Data: 17 giugno 2011 09. 10
Oggetto: È un segreto...
Aspetta e vedrai. È una sorpresa. Devo lavorare... Lasciami in pace. Ti
amo.
AX
Sbuffo, attirando l’attenzione di Ros.
Da: Christian Grey
A: Anastasia Steele
Data: 17 giugno 2011 09. 12
Oggetto: Frustrato
Detesto quando mi tieni nascoste le cose.
Christian Grey
Amministratore delegato, Grey Enterprises Holdings Inc.
Taylor sfreccia nel traffico del mattino, conducendoci
verso l’edificio che ospita l’elisuperficie. Non è così
distante dalla Grey Enterprises. Il display del mio
BlackBerry si illumina quasi subito.
Da: Anastasia Steele
A: Christian Grey
Data: 17 giugno 2011 09. 14
Oggetto: Pazienza
È per il tuo compleanno. Un’altra sorpresa. Non essere così irritabile.
AX
Non riesco a non essere irritabile. Non ci riesco perché
sono curioso. Mi accarezzo di nuovo la giacca, tastando la
scatolina. La voglia di sapere cosa contiene mi assale. Ma
non l’aprirò. Mancano meno di 16 ore. Posso tenere duro
ancora. Evito di rispondere per un po’, con la voglia di
tenere anche lei sulle spine come me. Ma quando poi mi
decido a farlo siamo ormai arrivati a destinazione.
Sospiro, infilando il telefono in tasca e ripromettendomi
di chiamarla non appena atterriamo a Vancouver. Saluto
il mio vecchio e fidato insegnante di volo, faccio
accomodare Ros, congedo Taylor, ordinandogli di tenere
sotto controllo Ana in mia assenza, e poi monto a bordo
preparandomi ad uno dei piccoli piaceri della mia vita.
Pilotare il mio Charlie Tango. Il volo d’andata fila liscio. A
parte Ros, che parla come un fiume in piena. E a parte la
sensazione di malessere dovuta al fatto di aver borbottato
contro la mia ragazza e non averle ancora chiesto scusa.
Arrivati all’università, dopo qualche minuto d’attesa
nell’anticamera del rettore, veniamo fatti accomodare
sulle comode poltroncine rivestite in pelle, solo per essere
informati che non esiste nessun disguido finanziario con
l’istituto di credito e che Ros può tranquillamente firmare
al mio posto per le donazioni come delegata dal
sottoscritto.
«Mi dispiace per l’increscioso equivoco, Mr Grey. Non
so come sia potuto accadere. Non l’avremmo disturbata
per una sciocchezza del genere»
É la centesima frase di scuse che mi sento rivolgere dal
rettore della WSU.
«Gli impiegati dovrebbero limitarsi a svolgere le
proprie mansioni. E non prendere iniziative proprie senza
essere abbastanza competenti» sbotto, pensando a
quanto tempo abbiamo perso a causa di una segretaria
troppo solerte.
Ros mi guarda di traverso, mentre si congeda con più
garbo dal povero rettore che quasi trema. “Certo, sono il
loro maggiore finanziatore. Crede di aver appena
mandato tutto a puttane”. Sbuffo, avvicinandomi e
stringendogli la mano. Ana disapproverebbe il mio
comportamento. Ana. Non l’ho ancora chiamata. Ma devo
farlo.
«Farò sbloccare il pagamento che questa mattina avevo
predisposto di bloccare in maniera preventiva. Per la
prossima settimana le accrediterò altri 100mila dollari. Ci
tengo che la convenzione vada avanti. Voglio vedere i
risultati. Dirò al mio team di ricerca di confrontare i
risultati con quelli del team della WSU entro fine mese»
dico con un breve sospiro.
Il rettore si illumina, stringendomi calorosamente la
mano.
«Sarà un piacere per noi, Mr Grey. E stia tranquillo che
fatti incresciosi come quello di stamane non si
verificheranno in futuro»
Annuisco senza rispondere e, con un piccolo cenno a
Ros, mi avvio verso l’uscita. Guardo il mio orologio e
scopro che se mi sbrigo posso fare in tempo a
raggiungerla per pranzo. E fare pace a modo mio. Magari
nel suo ufficio. O in auto, visto che sembra entusiasmarla
così tanto l’idea. Sawyer, il nostro autista, ci riporta in
fretta da Charlie Tango. Salgo a bordo e mentre Ros si
concentra sui documenti che si è portata dietro, io inizio a
pensare ad un modo per far dire una semplice sillaba alla
mia fidanzata. Vuole cuori e fiori. É questo che desidera.
Ed è proprio questo quello in cui non sono bravo. Non ho
mai fatto niente di romantico per nessuno. A parte
ballare. Ma se lo fai perché te lo ordinano e a quello segue
una scopata, bè.. non si può dire che sia qualcosa di
romantico. Cosa potrebbe piacerle? Cosa potrei fare per
lei? Cuori e fiori... cuori e fiori per un sì. Cuori e...
«Oh, ma quello e monte Saint Helens! Sai che non ci
sono mai stata?»
L’urlo nella cuffia per poco non mi fa venire un infarto.
Mi volto a guardare Ros, alla quale brillano gli occhi. Ros
è drogata di avventura ed eccitazione per il pericolo.
«Sì. Fino a poche settimane fa c’era il divieto di
sorvolo. Ora, a quanto pare, è stato revocato» le urlo di
rimando.
Mi guarda, ma non osa chiedere. Mi volto prima che
possa lasciarmi impietosire. Ma è troppo tardi. Ho visto
quell’espressione sul suo volto. E da quando sto con
Anastasia sembra che io mi sia rammollito, perché non
riesco più a dire di no a nessuno.
«Vuoi dare un’occhiata più da vicino?» le chiedo,
tornando a guardarla.
Ros alza le sopracciglia e mi fissa con stupore.
«Se non fossi lesbica bacerei quel tuo delizioso culo da
miliardario che ti ritrovi, Grey!» urla, con gli occhi che
scintillano.
Mi lascio andare ad una risata, mentre inizio a calare a
bassa quota, per sorvolare la montagna. Siamo ad una
distanza di sicurezza quando le spie sul quadro dei
comandi si illuminano. Aggrotto la fronte, mentre Ros si
volta, distogliendo gli occhi dal meraviglioso spettacolo
sotto di noi. Alla luce rossa lampeggiante, si aggiunge un
suono intermittente.
«Cristo! Cristo, cristo, cristo!» impreco furiosamente,
osservando il segnale che indica un incendio al motore.
Pochi attimi e anche una seconda spia si illumina. Le
fiamme hanno raggiunto il secondo motore. L’elicottero
inizia a perdere quota velocemente. Ros si tiene alla
cintura, senza emettere un fiato. Stiamo volando troppo
bassi e anche lei lo sa. Il velivolo trema, vortica
pericolosamente su sé stesso. Devo atterrare. E devo farlo
subito, Cristo! Deglutisco e il mio unico pensiero è che se
mi schianto contro il suolo non la vedrò più. Non la vedrò
più. E non posso permettermi di perderla.
«Che
cazzo
succede,
Grey?»
urla
Ros
quando
l’elicottero inizia a traballare ancora più forte.
«Un incendio al motore! Dobbiamo atterrare!» le urlo,
senza distogliere gli occhi dal pannello dei comandi.
“Posso farcela, posso farcela. Devo farcela”. Con una
prontezza di riflessi che stento a credere mi appartenga
nelle situazioni normali, inizio la manovra di atterraggio.
Sono troppo vicino al suolo per farlo bene. Ma devo
riuscirci. Stringo i denti e impugno i comandi. L’elicottero
vortica su se stesso e Ros urla. Tocchiamo terra con un
botto potente e secco. L’appoggio non è stabile, il terreno
sotto di noi cede e rischiamo di finire in un precipizio. Il
mio pensiero corre di nuovo ad Anastasia. “Non posso
morire ora. Non dopo averti trovata. L’ho desiderato per
anni. Ho desiderato mettere fine alla mia vita per giorni e
notti. Ma non ora. Dio, ti prego, non ora”. Avvisto uno
spazio che consente una discreta manovra d’atterraggio e
inizio a scendere, determinato a vivere come mai prima
d’ora. Ci fermiamo dopo qualche metro fatto quasi in
picchiata, Charlie Tango gira su se stesso più volte, prima
che io riesca a stabilizzarlo. Spengo in fretta tutti i
dispositivi elettronici di bordo, ansimando, e girandomi a
guardare Ros atterrita. Purtroppo anche la radio va a farsi
benedire. Ma non ho tempo da perdere. Mi slaccio la
cintura e faccio lo stesso con quella di Ros. Apro la
portiera e balzo giù, correndo dall’altro lato e aiutando
Ros a fare lo stesso. Le fiamme si stanno espandendo, la
coda è totalmente andata. Rischiamo di essere investiti da
uno scoppio poderoso. Devo spegnere l’incendio. Mi sfilo
la giacca, consegnandola a Ros.
«Non lasciarla. Qualsiasi cosa succeda, non lasciarla»
Annuisce, fissandomi sconvolta.
Mi giro vero l’elicottero e prendo un profondo respiro.
Risalgo su Charlie Tango mentre il fumo mi entra dritto
nei polmoni. Tossisco, gli occhi mi lacrimano. Ma devo
riuscire ad afferrare l’estintore. Lotto tra il fumo che
inizia ad invadere tutta la cabina di pilotaggio, ma
finalmente riesco a staccare l’estintore di bordo e ad
azionarlo. “Non posso morire. Non oggi che ho fatto il
coglione e non l’ho neppure salutata. Non posso lasciarla.
Non posso non tornare da lei e non abbracciarla, baciarla,
stringerla e perdermi nel suo corpo per tutta la notte”. Le
fiamme sembrano non placarsi, ma dopo un po’ iniziano
ad affievolirsi. Sono sudato, devo aver il viso annerito dal
fumo nero, proprio come Ros, addossata alla parete della
montagna, lontana da me qualche metro, che continua a
tossire. Non so quanto tempo passa, ma alla fine riesco a
domare il rogo. Getto l’estintore di lato, cadendo a terra e
stendendomi sulla schiena. Guardo il cielo azzurro sopra
di me. É azzurro come i suoi occhi. Ansimo, sorridendo
come un coglione perché la rivedrò. La visione di quella
distesa sconfinata viene guastata dalla testa di Ros, che fa
capolino sulla mia.
«É meglio che trovi un modo per riportarmi casa, Grey.
O prendo a calci...»
«…il mio culo da miliardario, Ros. Sì. Lo so» le dico,
abbozzando un sorriso e tirandomi su. «Stai bene?» le
chiedo, guardandola preoccupato.
«Nulla che non rifarei» mi dice con un sorrisetto da
vera dura.
Ricambio il sorriso, ma quando mi volto a guardare
Charlie Tango il mio cuore smette per un attimo di
battere. La coda è completamente andata. Mi avvicino per
controllare. I motori sono entrambi andati. Mi acciglio.
Sembra strano. Il mio elicottero è controllato prima e
dopo di ogni volo. Può essere colpa di un corto circuito? Il
mio cervello si mette in moto. C’è qualcosa che non mi
torna in questa situazione. Mentre continuo ad
ispezionare il velivolo e ad effettuare la conta dei danni,
Ros mi si avvicina, reggendo il suo BlackBerry.
«Non c’è campo. Ho provato in tutti i modi. Ma il GPS
ancora funziona. Ci porterà alla strada più vicina» mi
dice, mostrandomi lo schermo.
Annuisco, pensieroso, senza riuscire a smettere di
pensare all’incendio anomalo.
«Sarà bene che spenga il mio. Questi cosi non durano
molto. Ecco perché investo sull’energia solare» dico con
un sorriso amaro.
Ros alza gli occhi, fissando il cielo.
«Sarà meglio mettersi in cammino subito. Rischiamo
di non arrivare neppure per domani» borbotta, fissandosi
i tacchi.
Il pensiero mi colpisce come una sferzata sulla schiena.
“Domani? Assolutamente no. Non lascio Anastasia da
sola per l’intera notte con quel figlio di puttana sotto al
mio tetto”. Il cuore inizia a battere più veloce, mentre
annuisco senza riuscire a proferire parola, dando uno
sguardo all’orologio. É appena mezzogiorno. Devo
tornare prima dell’orario di chiusura degli uffici della SIP.
A malincuore spengo il BlackBerry, e io e Ros ci
incamminiamo giù per il sentiero. Restiamo in silenzio
per un bel po’ di chilometri. Ros inizia ad arrancare sui
tacchi di media altezza e, seppure a malincuore, le
propongo una sosta. Ci sediamo su un paio di grossi
massi sul ciglio del sentiero. Da fumatrice incallita, Ros
estrae un pacchetto di sigarette e ne accende una. Sa che
non fumo, ma me la offre lo stesso una sigaretta. Scuoto
la testa e lei sbuffa, facendo scattare l’accendino. Sospiro,
stringendo forte la giacca tra le mani. Non voglio lasciare
Anastasia nelle mani di quel viscido porco. Potrebbe farle
di tutto. Ne è capace, lo ha già dimostrato. Lei potrebbe
non riuscire a difendersi, anche se Taylor ha l’ordine di
tenerla sott’occhio sempre. Potrebbe lasciarsi sopraffare
da lui. Potrebbe... potrebbe rendersi conto che non è me
che vuole, ma lui. É questo il pensiero che fa male
davvero. José non è un pervertito. José ha sbagliato una
volta, ma la ama. La ama davvero. Non quanto la amo io.
Ma la ama. E non la sculaccerebbe, non la scoperebbe
contro una croce di legno, non ha una stanza segreta con
ammennicoli per tutti i tipi di tortura sessuale. José è un
ragazzo semplice, come lei. Che potrebbe darle cuori e
fiori a volontà. Le mie dita stringono forte la giacca blu,
sporca di polvere e di fumo.
«Cosa diavolo ci tieni in quella giacca, Grey?» mi
chiede Ros, indicandola con il mento.
«Un regalo di Anastasia. Per il mio compleanno» le
dico in tono mesto, fissando la giacca.
La sento sorridere, ma non alzo il capo.
«Conta davvero tanto per te»
Non è una domanda. É una affermazione. E non c’è
bisogno che io risponda.
«Allora domani festa all’Escala?» chiede, alzandosi e
scrollandosi di dosso un po’ di polvere.
Mi alzo anch’io, pronto a rimettermi in marcia.
«No. A casa dei miei. Sei invitata, a proposito. E anche
Gwen ovviamente» le dico, sorridendole.
«Forza, in marcia» ribatte lei. «Per colpa tua avrò un
sacco di lavoro arretrato lunedì»
Ci mettiamo di nuovo in marcia. Il telefono di Ros si
scarica a metà percorso e sono costretto ad accendere il
mio. Noto una mail, una chiamata persa e un messaggio
vocale. So che è lei a scrivermi. Ma non posso rischiare di
far scaricare la batteria. Dopo circa 4 ore riusciamo a
raggiungere il ciglio di una strada che, a quanto pare, non
è molto trafficata. Siamo entrambi distrutti, sudati e
ricoperti di polvere.
«Chi dei due mette per primo in mostra le proprie
grazie?» mi chiede con un sorrisetto.
Scuoto la testa con un sorriso e proprio in quel
momento scorgiamo un camion. Entrambi ci sbracciamo
e l’uomo alla guida rallenta fino a fermarsi accanto a noi.
Ci scruta, accostando e spegnendo il motore. Gli
raccontiamo brevemente del nostro incidente, gli
offriamo dei soldi, spalancando i portafogli. In due
abbiamo 600 dollari, ma lui rifiuta con convinzione,
sorridendo. Mi dà una pacca sulla spalla e poi ci invita a
salire. Di norma non ci si fida degli estranei. Soprattutto
un estraneo che sa che hai 600 dollari addosso. Ma
questo estraneo è l’unico che può condurmi da Anastasia.
E io ho già perso troppo tempo insieme a Ros e i suoi
tacchi. Durante il viaggio, lento e straziante, il buon uomo
divide il suo pranzo con noi due. Mentre conversa con
Ros, ripongo in tasca il mio telefono ormai spento e
inutile. Il pensiero corre ad Anastasia. Cosa starà
facendo? Mi reputerà uno stronzo. Per il tono brusco in
cui ho risposto e perché non mi sono fatto vivo per
l’intera giornata. Se penso che ho rischiato di non vederla
mai più il mio cuore si ferma di battere. Non posso
immaginare di stare senza di lei. Non posso immaginare
di lasciarla. Mai. Ho bisogno di averla nella mia vita. E
non importa se non vuole sposarmi, non importa se non
riuscirà mai ad amarmi come io amo lei, se il mio passato
sarà sempre un ostacolo che non le permetterà di vedere
quanto sono cambiato. Mi basta averla. Egoisticamente
mi basta averla nella mia vita. Mi basta che mi permetta
di abbracciarla, di baciarla, di stringerla forte a me e
placare l’ansia del mio cuore. Infilo le dita nella taschina
interna della giacca ed estraggo la scatolina. La scuoto
leggermente. É leggera. Il rumore non è forte. La stringo,
perché è l’unica cosa che mi ricorda lei ora. L’unica cosa
che mi lega a lei. So che in questo momento sarà seduta a
chiacchierare con il suo amico che non le schioda gli occhi
di dosso. So che magari neppure sta pensando al suo
fidanzato stronzo e lunatico che non la cerca da ore.
Probabilmente pensa ad una ripicca. Probabilmente mi
starà odiando. Probabilmente per dispetto berrà, e anche
lui. E potrebbe farle di nuovo delle avances. E io non
arriverò in tempo stavolta.
Il viaggio è interminabile. Oltre all’ansia per Anastasia,
il pensiero dell’incendio torna ad affacciarsi alla mia
mente. Un incendio al motore può sempre accadere.
Basta un nonnulla. Un corto circuito. Ma ad entrambi? É
un po’ troppo strano. Una sensazione di gelo mi invade. E
poi proprio stamattina, con il falso allarme alla WSU?
Tutta la faccenda è alquanto strana.
Finalmente, dopo ore di viaggio nella cabina scomoda
del camion, il conducente ci congeda nei pressi
dell’abitazione di Ros. Scendo con lei, e ringraziamo
l’uomo che ha rappresentato la nostra salvezza. Sono
impaziente di correre a casa. Ros mette una mano sulla
mia.
«Sarà meglio che avvisi Andrea. Probabile che
qualcuno ti abbia cercato in ufficio. É tardissimo»
«Pensaci tu, Ros. Ora voglio solo andare a casa da
Ana» rispondo, mentre gli occhi già fuggono lungo la
strada.
Lei sorride e mi lascia finalmente andare, salendo nel
suo appartamento. Faccio due passi in strada. La gente
mi guarda, mi fissa con troppa attenzione. Ovviamente è
perché sono vestito in modo elegante, ma sono sporco di
terra, fumo e sudore. Allora prendo a correre. Corro
quelle poche centinaia di metri che mi separano dal mio
appartamento. Anche se quando arrivo mi accoglie uno
stuolo di giornalisti.
«Ma che cazzo... ?» sibilo, restando dall’altro lato della
strada.
Cerco una via di fuga, ma non posso neppure chiamare
Taylor. Sospiro, avvicinandomi alla folla. Qualche attimo
di silenzio, i giornalisti mi fissano. Poi iniziano a piovere
domande su domande. Fortunatamente nell’atrio
staziona Sawyer, che accorre in mio aiuto, facendomi
spazio tra la folla e riuscendo a ficcarmi nell’ascensore. Le
porte si chiudono lasciando fuori la calca e i flash che mi
accecano.
«Grazie, Sawyer» mormoro, poggiandomi al muro e
chinandomi per sfilarmi le scarpe e le calze.
Ho i piedi doloranti e la testa mi scoppia.
«Dovere, signore» mugugna di rimando. Poi alza la
manica. «Mr Grey è con me, T» dice.
Stringo forte gli occhi, mentre stiamo per giungere
all’attico.
«Miss Steele è in casa?» chiedo, strofinandomi gli
occhi mentre il mio cuore accelera i battiti.
“Dimmi di sì”. Sawyer si gira a guardarmi come se fossi
pazzo. Poi si ricompone in fretta.
«Certo, Mr Grey»
Sospiro di sollievo e proprio in quel momento le porte
si aprono. Esco ed entro in casa mia. Percorro il corridoio,
senza riuscire a frenare la voglia che ho di stringerla forte
contro di me. Ma quando arrivo nel salone mi blocco di
colpo.
“Ma che cazzo succede?”
Capitolo 22
Mia madre, Mia, Elliot. Ethan Kavanagh e Josè. Una
Anastasia disperata e in lacrime. Sono tutti lì a fissarmi,
mentre il mio sbalordimento aumenta. Il silenzio
riecheggia tra di noi, mentre fatico a capire il perché di
quei visi sofferenti. A riscuoterci è il grido strozzato di
mia madre.
«Christian!» urla, gettandosi nella mia direzione.
Faccio solo in tempo a poggiare delicatamente la giacca
sul pavimento, insieme con le scarpe e le calze. Mia
madre, in un gesto così poco usuale per noi, mi abbraccia,
stringendomi a sé, baciandomi ripetutamente le guance.
La stringo, confortato da quel calore dopo la pessima
giornata, ma i miei occhi sono calamitati dai suoi. Mi fissa
freddamente, come per mettermi a fuoco. Dio, ma cos’è
successo qui?
«Mamma?»
La guardo, scostandomi leggermente da lei, che
continua ad accarezzarmi il viso e i capelli, ben
consapevole del fatto che non può toccarmi altrove. Il
desiderio di sentire le sue amorevoli carezze mi tiene
avvinto per un attimo al suo sguardo. Ma non è oggi il
momento di capire quanto possiamo spingerci oltre.
«Pensavo che non ti avrei rivisto mai più» mi sussurra,
baciandomi di nuovo, tra le lacrime.
«Mamma, sono qui» la rassicuro, iniziando a sentire il
senso di colpa serpeggiarmi dentro.
«Sono morta un migliaio di volte oggi» mormora con
un filo di voce, piangendo e singhiozzando senza più
contenersi.
La mia espressione si incupisce. Il sospetto di essere
diventato un caso mediatico nelle ultime ore mi aveva
sfiorato. Ma ora ho piena contezza di quello che ho
causato alla mia famiglia. Avrei dovuto avvisarli. Avrei
potuto in effetti. Ma sono rimasto concentrato sulla mia
folle ossessione per José e quello che avrebbe potuto fare
ad Ana in mia assenza. Ana. La mia bellissima Ana che
ora mi fissa, distrutta dal pianto. D’istinto abbraccio
Grace. Le sfugge un sussurro sorpreso, ma subito si lascia
andare, singhiozzando sulla mia camicia.
«Oh, Christian» dice a malapena, con la voce rotta dal
pianto, stringendosi di più a me.
Le accarezzo la schiena, la cullo tra le mie braccia,
assaporando quel contatto tra madre e figlio che ho tanto
agognato in tutti questi anni. Ma il mio sguardo è solo per
lei. Solo per Anastasia, per il suo bellissimo volto rigato
da grosse e calde lacrime. Il grido di mio padre dal
corridoio mi fa voltare di scatto, mentre Grace sussulta,
impaurita.
«È vivo! Merda... sei qui!»
Lo vedo uscire dall’ufficio di Taylor. Mi fissa per
qualche istante, guarda il modo in cui stringo la mamma.
E poi si precipita ad unirsi al nostro abbraccio,
aggrappandosi ad entrambi. Tutto quel calore è così
nuovo per me. É tutto così diverso. Per la prima volta
sento di non essere solo, di non dover per forza contare
solo su me stesso. Sento di far parte della mia famiglia
fino in fondo. Il petto di mio padre sussulta per un
singhiozzo.
«Papà?» chiedo sconvolto, alzando di poco la testa.
Sento Mia fare un verso di gioia e di esasperazione allo
stesso tempo. Poi con un balzo è accanto a noi,
aggiungendosi a questo strambo abbraccio di gruppo.
Mio padre è il primo a staccarsi. Si asciuga lentamente gli
occhi offuscati dalle lacrime e mi batte una mano sulla
spalla, sorridendomi calorosamente. Anche Mia si stacca,
asciugandosi gli occhi rossi. Infine, anche mia madre fa
un passo indietro. Guarda le sue braccia, poi le mie, e
abbassa lo sguardo, rendendosi conto solo ora di quanto
siamo vicini.
«Scusa» mi sussurra, portandosi una mano alla bocca
e singhiozzando di nuovo.
«Ehi, mamma, va tutto bene» la rassicuro.
«Dove sei stato? Che cos’è successo?» mi chiede,
piangendo di nuovo, afferrandosi la testa con le mani
senza riuscire a smettere di lacrimare.
Guardo quella donna che darebbe la vita per me, ne
sono certo. In qualche modo è proprio quello che ha fatto
24 anni fa. Mi ha donato la sua esistenza, ha perso i suoi
anni migliori dietro un bambino complicato, un
adolescente problematico e un uomo troppo confuso e
ricolmo di problemi per lasciarsi andare all’affetto dei
propri cari, di quella famiglia in cui è sempre stato, ma
alla quale non è mai appartenuto fino in fondo. Almeno
fino ad oggi.
«Mamma» mormoro, facendo un passo avanti e
stringendola di nuovo.
Le mie labbra si perdono nei suoi capelli, cercando,
con un piccolo e umile bacio, di ripagarla almeno un po’
di quello che ha fatto per me in tutti questi lunghi e
tormentati 24 anni.
«Sono qui. Sto bene. Mi ci è solo voluto un tempo
infinito per tornare da Portland. Cos’è questo comitato di
accoglienza?» chiedo con un mezzo sorriso.
Quando alzo gli occhi mi riscuoto, scrutando tutti i
presenti. Ci sono davvero tutti. Persino Miss Irritazione
dai Capelli Rossi. E sembra anche dispiaciuta. Ma è lei
che subito cercano i miei occhi. Solo lei. Solo in questo
momento mi accorgo che il figlio di puttana le tiene la
mano. Lo guardo e lui la lascia andare. Stringo gli occhi
fino quasi a socchiuderli e le mie labbra si tendono in una
linea dura. Ana, sospira, le lacrime continuano a scorrere
come un fiume. É distrutta. Ma sempre bellissima. Devo
sforzarmi per tornare a concentrarmi sulla piccola donna
tra le mie braccia, ancora scossa dai singulti.
«Mamma, io sto bene. Cos’è successo?» le chiedo,
prendendole il viso bagnato tra le mani e asciugandole le
lacrime.
«Christian, sei stato dato per disperso. Il tuo piano di
volo... Non l’hai mai comunicato a Seattle. Perché non ci
hai contattati?» chiede, con una disperazione che non le
ho mai visto.
«Non pensavo che mi ci sarebbe voluto così tanto» le
dico, guardandola sconfortato, capendo solo ora come
deve essersi sentita per tutte queste ore. Come devono
essersi sentiti tutti.
«Perché non hai chiamato?» chiede, tirando su con il
naso e guardandomi con aria d’accusa.
«Il mio cellulare aveva la batteria scarica». “Scusa,
mamma”.
«Non potevi farci avere notizie... in qualche altro
modo?» insiste, torcendo il fazzoletto che ha tra le mani,
mentre mio padre le poggia una mano sulla spalla.
«Mamma... è una lunga storia» sussurro quasi senza
voce.
«Oh, Christian! Non farmi mai più una cosa del
genere! Hai capito?» urla, minacciandomi come solo una
madre può fare.
«Sì, mamma» le dico con un sorriso timido,
asciugandole le lacrime che continuano a scorrere e
tornando a stringermela al petto, mentre lei, di fronte a
quel gesto, piange ancora più forte.
Quando
Fly UP