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Cinquanta sfumature di Mr Grey – LIBRO 2
Cinquanta sfumature di Mr Grey LIBRO SECONDO Capitolo 1 Non so da quanto tempo sono seduto sul pavimento della mia Stanza dei giochi. Le spalle appoggiate alla parete dietro di me, proprio accanto alla porta. Una gamba è distesa davanti a me, l’altra è piegata in modo da sorreggere il mio avambraccio, che ciondola pesantemente. Davanti a me, intorno a me, un cumulo di oggetti gettati all’aria, lenzuola rosse stracciate e una solitudine che riflette quella che sento dentro. Non che nella mia vita mi sia mai sentito meno solo. Ma quello che provo ora è qualcosa di diverso. Qualcosa che non avevo mai provato prima. Prima di Anastasia. Se n’era andata. Lo aveva fatto davvero. Mi aveva prima illuso, dicendomi che non sarebbe mai andata via, inducendomi ad abbassare la guardia, ad abbattere il muro che avevo costruito così bene e che teneva tutti alla larga da me. E poi se n’era andata. E mi aveva lasciato uno squarcio nel petto profondo, enorme. Qualcosa con cui ora non volevo fare i conti. Quando aveva messo piede fuori dalla mia porta per qualche attimo avevo creduto che fosse tutto finito. Che sarebbe stato come le altre volte. Che mi sarei girato e sarebbe passata. Ma dentro di me sapevo che era una bugia. Lo sapevo anche quando mi ero stupito di non provare dolore, o sollievo. O qualsiasi cosa somigliasse vagamente ad un’emozione. Per anni non ne avevo provate. E ora mi ritrovavo in preda a quella che potevo definire “mancanza di emozione” o “mancanza di Anastasia”. Che poi era come dire la stessa cosa. E così, quando la fitta di dolore mi aveva aperto il petto all’improvviso, ero venuto nell’unico posto in cui riuscivo a domare i miei demoni. Ma questi ultimi avevano deciso di non collaborare. E ora mi ritrovavo con una stanza distrutta, un corpo distrutto e un’anima distrutta. “Ha distrutto molte cose, la ragazzina con gli occhi da cerbiatto”. In tutto questo dolore, trovo anche la forza di lasciarmi scappare un sorriso mesto. Sorriso è una parola grossa. É un ghigno sbilenco. Non lo vedo, ma posso sentirlo da solo. Le mie membra si sono appesantite e addormentate a furia di essere inattive. So che dovrei alzarmi da qui, dovrei. Non ho la più pallida idea di che ore siano. Il mio BlackBerry ha vibrato diverse volte. Ma non mi importa un fottuto cazzo di chi possa voler parlare con me. Io non ho voglia di parlare con nessuno. Ho voglia solo di lei. Che mi ha appena distrutto la vita, per inciso. Ma non importa. Potrebbe anche calpestarmi quel briciolo di anima che ancora mi resta. Tutto pur di tenerla ancora anche solo una volta tra le mie braccia. Lascio sbattere la testa contro il muro dietro di me, pesantemente. “Perché? Perché, Anastasia? Io stavo bene, non avevo bisogno di nessuno. E tu sei arrivata, hai mandato la mia vita a puttane, mi hai lasciato aver bisogno di te. E poi sei fuggita. Come tutti gli altri”. Il mio cervello tenta di darmi una mano nel modo che preferisce. Sbattendomi in faccia la realtà, da saputello egocentrico quale è. ‘Le hai fatto un male cane con quella cinghia. E sì, lei te lo aveva chiesto, ma in qualità di suo fottuto dominatore dovresti sapere cosa è meglio per lei. E sapevi benissimo, mentre ansimavi di piacere sbavando sul suo culo rosso fuoco, che quello non era il meglio per Anastasia. Avresti dovuto fermarti anche senza nessuna safeword. Avresti dovuto. Ma sei uno squallido pervertito e ti piaceva cosa le stavi facendo. Ti piaceva vederla soffrire, perché lei si era presa così tanto di te. Perché si era addentrata troppo oltre, troppo dentro. Voleva toccarti. E tu volevi quel tocco. Ma non potei permetterle di renderti ancora più vulnerabile di quanto non sia diventato nelle ultime settimane’. Quel pensiero mi riscuote leggermente dal mio torpore. “Io non sono vulnerabile. Io non voglio tornare ad essere vulnerabile. Ho faticato tanto per avere il pieno controllo di me stesso e della mia vita. Ora non sarà di certo una Miss Steele qualunque a mandare tutto a puttane”. Eppure è così. Perché lei può anche avermi lasciato, ma io sono certo che nessun’altra potrà prendere mai il suo posto. Non voglio avere più niente a che fare con questa stanza. Con il mondo intero se è per questo. Ma quello, purtroppo, non posso chiuderlo a chiave dietro una porta. A fatica riesco ad alzarmi dalla mia scomoda posizione sul pavimento. Il mio sguardo si poggia sulle piccole sfere d’argento che avevo riportato qui dentro dopo averle usate con lei. Le sfioro con le dita, come se fossero una reliquia. Le avevo comprate apposta per lei. Per metterle addosso quella voglia di fare sesso, che le arrossava le guance e le accendeva gli occhi di un desiderio cupo, nascosto. Senza stare troppo a pensarci le afferro e le infilo in tasca. Poi esco, chiudendo bene la porta dietro di me. La mia mano indugia un po’ sulla maniglia. Ma la mia decisione è presa. A me questa stanza non serve. Non senza di lei. Infilo la chiave nella serratura e chiudo a doppia mandata. Poi penso al casino che ho lasciato dietro di me. “Ecco. Ecco un’altra cosa che ho distrutto e ora tento di nascondere per convincermi che ho una vita perfetta”. Scendo di corsa le scale. «Taylor!» sbraito una volta arrivato in salotto. Il mio fidato collaboratore ci mette meno di un secondo a comparire. Mi rendo a malapena conto, girandomi, che Gail è in cucina, il bancone è apparecchiato. “Perché è ancora qui? Oggi è sabato. Oggi dovrebbe esserci solo Ana con me”. «Mr Grey» mi dice Taylor, fissandomi con uno sguardo indagatore. Gli tendo la chiave, tenendola con la punta delle dita, come se scottasse. E in un certo senso è così. «Devi occuparti della mia stanza al piano superiore. Quando hai finito riponi la chiave al suo posto» Non voglio più usarla, ma non ho voglia che resti in quello stato. Non ho bisogno di dire a Taylor di quale stanza io stia parlando. E neppure in che modo deve occuparsene. Lo saprà. Taylor sa sempre tutto. Senza aggiungere altro mi siedo al bancone. Mrs Jones sembra riscuotersi da un sogno ad occhi aperti all’improvviso. Non un bel sogno, a giudicare dalla sua faccia. Armeggia con il microonde e, pochi attimi dopo, il mio piatto è pieno di fettuccine. Più che mangiare, ingoio, senza sentire nessun sapore. E quando ho terminato mi alzo in silenzio. «Non c’è bisogno che tu resti qui, Gail. Hai il weekend libero. E anche Taylor». Mi volto e pesantemente mi trascino fino a rintanarmi nel mio studio. Sbattendo la porta dietro di me, ovviamente. É l’unico modo in cui posso sfogare la mia rabbia repressa al momento. Mi fiondo sulla mia scrivania, tirando fuori il cellulare dalla tasca. Ho quattro chiamate perse e, per un attimo, un solo attimo, penso che magari almeno una possa essere di Anastasia. Ma no. Sono tutte di Welch, invece. “Cristo, Leila!”. Me n’ero completamente dimenticato. Mi affretto a richiamarlo. «Welch, Grey» «Mr Grey, ho provato a richiamarla come da accordo. Volevo solo ragguagliarla sulla vicenda. Nessuna novità purtroppo» Le sue parole mi mandano ancora più in bestia se è possibile. Rimango ad ascoltarlo ancora per qualche minuto, senza sentire quasi quello che mi dice. Ho un solo pensiero in testa. Anastasia. Quando chiudo la chiamata, guardo l’orario sul display del mio telefono. Sono le tre di pomeriggio. Mi accascio contro lo schienale della mia sedia di pelle nera e gli occhi mi cadono sulla scrivania. La stessa scrivania dove cinque giorni fa l’ho scopata brutalmente. La stessa scrivania dove le ho permesso di abbattere le mie barriere, di squarciare via i miei dubbi. Di possedermi anima e corpo. La gola mi si serra. Un dolore bruciante mi assale e quasi mi toglie il respiro. Non posso. Non posso pensare di vivere senza di lei. Non saprei come fare. Non è rimasto nulla di quello che sono stato fino a quella mattina in cui quel paio di occhi azzurri mi sono caduti tra le braccia. Chiudo gli occhi ed è peggio. Perché riesco ancora vederla, a vedermela addosso, sentire il suo profumo così buono. Il calore che mi trasmetteva la sua candida e morbida pelle sulla mia. Le sue labbra rosee, perfette, strette nella morsa dei suoi denti. La sento ridere, come una bambina, felice. E poi d’un tratto, tutto crolla. Tutto si frantuma allo schioccare della mia cinghia. Davanti al dolore che le infliggo volontariamente. Apro gli occhi di scatto. Ho bisogno di andare a correre. Esco in fretta dallo studio e mi fiondo in camera mia. Apro freneticamente la cabina armadio e, quando ne esco, indosso la mia tuta grigia. Mi avvicino al comodino per prendere il mio iPod. E in quel momento lo vedo. Un piccolo pacchetto. Un regalo. I miei occhi si stringono, doloranti, mentre mi siedo pesantemente sul bordo del letto. Allungo la mano tremante e prendo il pacchetto. C’è anche un biglietto. É suo, scritto a mano, con una calligrafia un po’ incerta. Questo mi ha ricordato un momento felice Scarto il regalo, senza stare troppo a pensare al pacchetto. Si tratta di un modellino di aliante, perfettamente identico a quello sul quale abbiamo volato pochissimi giorni fa. Per un attimo il dolore si fa insopportabile. Le mie dita accarezzano il biglietto, la sua grafia. É l’unica cosa che mi ha lasciato. Ogni lettera incisa su quel foglio strappato dal suo bloc-notes che le ho visto diverse volte tra le mani mi fa maledettamente male. Mi lascio pesantemente ricadere all’indietro, affondando sul materasso. Con un braccio mi copro gli occhi. “Cosa cazzo ho fatto?”. Il dolore mi opprime il torace e salto in piedi, sfilando via la maglia. Ma l’oppressione è sempre lì. Nel petto, ai polmoni, brucia in gola. E fa male. Non ho mai provato tanto male in vita mia. Mai. Neppure da piccolo. Neppure le torture di quel lurido verme facevano così male. Nulla ha mai fatto così male. Cado in ginocchio. E sbatto sul pavimento, ma non importa. Neppure il dolore fisico fa male come il suo abbandono. Accarezzo piano la scatolina contenente i pezzi dell’aliante che mi ha regalato. E l’unica cosa che posso fare, che riesco a fare, mentre il mio mondo riprende la sua corsa verso il fondo, è aprirla e iniziare a costruirlo. Le mie dita tremano leggermente, mentre rimango a terra, seduto e inizio il mio lavoro certosino. Ho praticamente perso la cognizione del tempo, quando, nel silenzio che mi avvolge, il mio telefono squilla. Lo afferro credendo si tratti di lei. Ma no. É soltanto Elena. E sono passate da poco le 23. Forse mi farà bene parlare con qualcuno che mi capisca. Che mi ha sempre capito. «Elena» rispondo, senza essere sicuro di riuscire a mascherare il tremolio della mia voce. «Christian...» Ecco. Non ci sono riuscito. «Tesoro, ti aspettavano tutti stasera. Cosa è successo?» mi chiede, in ansia. “Già, l’evento di beneficenza. Me n’ero completamente dimenticato”. Involontariamente ripenso alla scatoletta rossa che ho custodito gelosamente per quasi una settimana. E alla fine è rimasta con me. «Ana se n’è andata» le confesso, senza riuscire più a tenermelo per me. Il silenzio dall’altra parte mi opprime ancora di più se possibile. Poi, finalmente, Elena si decide a darmi conforto. O forse no. «Questo può essere solo un bene, Christian. Per te e per lei» sussurra, in un tono quasi sollevato. «Ha detto che non mi avrebbe mai lasciato. Ha detto che non avrebbe mai voluto andarsene...» mormoro agitato. «Ha detto che mi amava» confesso alla fine. Sento la sua sorpresa anche senza vederla. «E tu?» chiede apprensiva. «Le ho detto la verità, Elena. La cazzo di verità! Che era sbagliato, che non poteva amarmi, che era sbagliato e le avrei fatto solo del male. E lei è scappata via da me, Cristo santo!» urlo in preda alla rabbia. «Christian» esordisce autoritaria, prima di fare una pausa. Il suo tono è quello da Dominatrice, lo riconosco. Ma non ho voglia di giocare a questo gioco Mrs Lincoln. «É un bene per te e per lei. Lei ti ama e forse anche tu provi qualcosa di simile. Ma sarebbe una relazione malsana e deleteria per entrambi» “Oh, Cristo, Elena! Da che parte stai?”. Stringo forte gli occhi e la mascella. «Ho bisogno di una doccia, Elena. Ci sentiamo» mormoro, chiudendo la chiamata prima che lei possa replicare. Lascio stare l’aliante per il momento e vado in bagno. Mi spoglio lentamente, cercando di non far caso a quell’innaturale freddo che non viene certo dall’esterno. Mi infilo sotto il getto d’acqua calda e la lascio scorrere sul mio corpo senza muovermi. Come se potesse lavare via tutto. Ma so che non è così. Riesco solo a lasciarmi andare e, poco dopo, mi ritrovo in ginocchio, nella doccia. Non ne posso più. Non ce la faccio più a sentirmi così debole, così vulnerabile di fronte ad ogni cosa. “Perché mia hai reso così inetto, Anastasia? Perché mi hai portato via la mia risolutezza e la mia forza d’animo? E perché non hai portato anche me, via con te?”. Quando mi decido ad uscire, la situazione non è migliorata di molto, ma sono ansioso di tornare al mio aliante. Che tra l’altro è così complicato da mettere in piedi. Quasi quanto lei. Quando mi metto a gambe incrociate sul letto, con addosso solo i pantaloni del pigiama, mi scappa un sorriso triste. Niente potrebbe mai superare il livello di complicazione che mi ha offerto Anastasia nelle ultime settimane. Il desiderio che si è fuso con la lussuria, con la paura, con la possessività, diventando qualcosa di sconosciuto. Qualcosa che prima di lei non avevo mai provato. Non so quante ore passo in quella posizione. Costruire questo aliante mi ricorda il nostro volo, la sua risata gioiosa. Mi ricorda l’intimità della nostra bolla, che Leila ha poi fatto scoppiare. La mia paura di renderla uguale a quel fantasma. E la realizzazione del fatto che ci sono riuscito. O quasi. Forse il fatto che di essersi allontanata è una cosa buona per lei. E allora, se è per la sua felicità, io posso anche soffrire. Io posso patire le pene dell’inferno pur di vederla felice. E questo pensiero mi spinge ad impegnarmi in quello che sto facendo. A mettere insieme i piccoli pezzi del modellino che non vogliono stare al proprio posto. E lo faccio. E vado avanti ad oltranza. Fino a che non sento le dita e le gambe intorpidite. Ma finalmente il mio aliante è completo. É finito. E anch’io sono finito. Di lei mi rimane solo questo. E le sue parole, ancora una volta piene d’affetto, su quel bigliettino stropicciato. Stranito, mi rendo a malapena conto che la luce nella stanza è decisamente cambiata. Un sole luminoso mi abbaglia quando finalmente riesco a staccare gli occhi dall’aliante. Guardo l’orologio e finalmente realizzo che ho passato tutta la notte e parte della mattinata vicino a quel modellino che ora è trionfalmente poggiato al centro del mio letto. Avrei bisogno di dormire. Me lo confermano le occhiaie che si riflettono nello specchio di fronte a me quando vado in bagno a sciacquarmi il viso. Ma ho quasi paura che addormentandomi io dimentichi tutto. E non voglio. Ieri sera non ho cenato. E, anche se questo va contro tutti i miei principi, non riesco a farlo neppure oggi. Il mio stomaco è serrato. L’unica fame che ho è quella di lei. Sono affamato di Anastasia, divorerei qualsiasi briciola decidesse di concedermi. Ma lei ha deciso di negarmi tutto. Vago senza una reale meta per tutto l’appartamento. Fino a che non arrivo davanti alla porta di legno scuro della Stanza dei giochi. Afferro la maniglia. Ma non riesco a girarla. Sono come paralizzato. Il panico mi tiene avvinto. Tutto quello che c’è dietro quella porta mi ha portato via da Ana. Tutto lo schifo e la depravazione che mi consumano da quando sono nato, l’hanno contaminata e spinta via da me. “Io non ne posso più. Io davvero non ne posso più”. Mi appoggio con la mano libera allo stipite della porta, mentre l’altra sale dalla maniglia alla mia gola che si è di nuovo serrata. Il bruciore è totalizzante, pungente, mi attanaglia la bocca dello stomaco. Mi allontano di poco dalla porta, fissandola come in trance. E poi torno velocemente al piano inferiore. Non so cosa fare. Sembro un’anima errante in questa casa all’improvviso troppo grande e vuota per me. Mi avvicino al bancone e, anche se non è una grande idea bere a stomaco vuoto, mi verso un bicchiere di vino. Per un attimo la mia gola si rilassa, lasciando scorrere l’alcool. Ma so che non è un bene. Ho già sperimentato l’esperienza. Il BlackBerry suona e stringo gli occhi senza vedere chi mi chiama. Rispondo soltanto. Sperando sia lei. «Grey» «Christian» la voce calda di mia madre mi avvolge come un abbraccio. Ed è strano che pensi ad un abbraccio, dato che a malapena mi faccio sfiorare da lei. «Mamma...» sussurro stranito, senza forze. «Tesoro, che preoccupata. succede? Stai bene?» mi chiede Mi riscuoto dal torpore. Non voglio che si preoccupi per me. «Certo. Sto bene. Dimmi pure» le dico, cercando di sembrare di buonumore. Mentre dentro sto lentamente agonizzando. «Ok...» ma non sembra convinta. Per niente. «Ho solo chiamato per ricordarti della festa di sabato prossimo. Ci sarai, vero?» aggiunge poi, in tono più giovale. «Certo, mamma. Non me la perderei per niente al mondo» le dico, rassicurandola. «Bene. Ovviamente porta Ana con te» mi dice. E persino da qui sento il suo sorriso. Non so cosa rispondere, e quindi resto in silenzio. Il mio corpo trema al ricordo della speranza che avevo letto nei suoi occhi e in quelli di Carrick e Mia. E, forse, anche nei miei. Ma Ana è andata via, portandosi questa speranza con sé. «Vedrò cosa posso fare. Anastasia non ama questi ricevimenti, mamma» mento, riuscendo a tenere fermo il mio tono di voce. Ma nessuno frega Mrs Trevelyan Grey, ne sono consapevole. «É tutto a posto con lei, Christian?» mi chiede in apprensione. Sospiro pesantemente. «Ci sto lavorando, mamma» le dico chiudendo forte gli occhi. «Christian...» esita per un istante. Poi riprende con rinnovata energia. «Christian, non lasciartela scivolare tra le dita. Anastasia è una donna forte, bella, indipendente. E tu sei così cocciuto. E possessivo. Non lasciarti abbattere dalle difficoltà. Ti vuole bene. Anzi... credo sia innamorata di te. E tu, Christian...» la voce le si spezza, e sento un singhiozzo che mi uccide. «... tu la ami allo stesso modo. E se te lo dico io, credimi. Sono tua madre» finisce, tirando su col naso. So che sta piangendo. E se sapessi farlo, giuro che piangerei con lei. «Se n’è andata, mamma. É scappata via da me. L’ho ferita» sussurro riversando la mia angoscia nella mia voce. «Sei mio figlio, Christian. E non ricordo che ti sei mai arreso di fronte alle difficoltà» mi intima. «É lei che vuoi, quindi fai di tutto per riprendertela» “Ti voglio bene, mamma. Ti voglio bene”. Ma non so dirlo. «Grazie» sussurro. «Ti voglio bene, Christian. Chiamami se hai bisogno di me» mi saluta dolcemente lei. Chiude la telefonata. E so che lo fa a malincuore, ma sa che ho bisogno di tempo per me stesso. Sospiro, passandomi entrambe le mani nei capelli. “Ok, Christian. Grace ha ragione. Tu non sei uno che si arrende davanti agli ostacoli”. Devo riprendere in mano la mia vita. Ultimamente è andato tutto a rotoli. Prendo il telefono e compongo il numero di Welch. Risponde al primo squillo. «Mr Grey, nessuna novità. L’avrei chiam...» «Non è per questo che ti chiamo, Welch. C’è un’altra faccenda della quale devi occuparti al momento» gli rimbrotto contro. Venti minuti più tardi ho tra le mani un intero fascicolo contenente tutti i dati della SIP, la casa editrice per la quale Ana inizierà a lavorare domani. “Ok. La mia idea è malsana. É da patetico pervertito. Solo uno con una mente deviata poteva pensare di cercare di acquisire l’azienda per la quale la sua ex Sottomessa-FidanzataDonna.della.sua.Vita inizierà a lavorare”. Riapro il fascicolo. Tutto sommato l’affare non è male. La società rischierebbe di fallire a causa della crisi e dei finanziamenti scarsi. E non voglio che la mia ragazza si ritrovi col culo per strada a pochi mesi dall’inizio del suo lavoro. ‘Non è la tua ragazza, Grey’. “Cristo, se lo so! Ma io la rivoglio. E costi quel che costi, me la riprenderò”. Mi alzo dalla mia scrivania, dove ora torreggia il modellino di aliante, in attesa di prendere posto nel mio ufficio domattina, e mi dirigo nella mia camera. Indosso la tuta e, finalmente, mi decido ad uscire da questo maledetto appartamento. Inizio a correre e non so per quanto tempo lo faccio. O quale percorso faccio. Ma, alla fine, mi trovo sul marciapiede, di fronte al suo appartamento. So che non posso attraversare la strada e fiondarmi in casa sua in questo modo. Anche se è quello che vorrei. Ma non sarebbe giusto per lei. Le ho sconvolto la vita e quando me la riprenderò, finalmente, voglio essere sicuro di essere pronto per lei. Essere pronto a darle quello che desidera. Ho bisogno ancora di un po’ di tempo, di vedere Flynn, di calmarmi. Di tante cose. “Ma sono qui, Ana. Se solo tu potessi vedermi, allora capiresti probabilmente. Capiresti quello che ho capito dopo una vita intera. Che tu sei l’unica. L’unica che voglio accanto. E che voglio renderti felice per il resto dell’eternità”. A malincuore e con molta fatica faccio dietrofront e torno all’Escala. Quando esco dalla doccia, mi guardo allo specchio. Ho la barba lunga e un aspetto orribile. Decido di mangiare qualcosa. In frigo, ci sono delle baguettes che Gail mi lascia premurosamente di scorta. Ne prendo una e ci infilo dentro del prosciutto e del formaggio, mangiandola seduto al bancone, mentre esamino il fascicolo della SIP. “Mi prenderò cura di te, Ana. Che tu lo voglia o meno. Sei la donna della mia vita, ora lo so. E io voglio essere l’uomo della tua”. Quando il mio BlackBerry suona e guardo da chi proviene la chiamata, alzo gli occhi al cielo. Ma rispondo lo stesso. «Elena...» «Christian, tesoro... come stai?» chiede esitante. «Non ho molta voglia di parlarne, Elena» le dico seccamente. «Christian... volevo solo esserti d’aiuto… io...» La interrompo all’improvviso. «Lo sei stata, Elena. E molto» La sento sorridere. «Avevi perfettamente ragione su me e Ana» le dico deciso. «Christian» sussurra sollevata «...sono così felice che tu abbia capito che lasciarla andare sia la cosa migliore per te e per...» «No, Elena. Non mi riferivo a questo» la interrompo ancora una volta. «Avevi ragione. Sono innamorato di lei». Capitolo 2 Il silenzio tombale, dall’altra parte della cornetta, è quasi assordante. Elena è sconvolta, quasi non respira. Lo posso capire. Lo sono anch’io, in effetti. É come se l’avessi tradita, come se dopo anni avessi voltato le spalle alla mia salvatrice. E in un certo senso è così. Ma non posso fare niente per impedire che questo avvenga. Non posso farne a meno. Dopo tutto quello che è successo non posso non ammettere che Anastasia è tutto ciò per cui vale la pena vivere. Se lei non è con me, allora non serve che io resti in vita. La mia vita non ha senso. Non più. Non esistono più Sottomesse, stanze segrete, vendetta, un passato tormentato. Io sono sempre un orrido mostro. Questo non posso cambiarlo. Ma lei può. Lei mi rende migliore. E io voglio riaverla. «Christian... io...» Elena balbetta, senza sapere cosa dire. «Elena, scusami. Devo andare» Chiudo vigliaccamente il telefono. Elena è una cara amica. Forse troppo iperprotettiva. E in questo momento non ho bisogno di sentirmi dire che la decisione che ho preso potrebbe essere sbagliata. Perché la decisione che ho preso è quella di riprendermi Ana per tutto il resto della mia vita. Il resto della mia serata lo passo a cercare di escogitare un modo per mettere in pratica quello che mi sono prefisso di fare. Ma la mia mente sembra vuota. Non mi sono mai trovato a fronteggiare determinati sentimenti. “Ok, Christian. Cosa le farebbe piacere? Cosa potrebbe sostituire le lacrime con un sorriso?”. La verità è che so cosa potrebbe fare tutto questo. Basterebbe lasciare che mi tocchi. Basterebbe essere capace di dire a lei quello che ho detto ad Elena poco fa. Ma confessarlo ad un’altra persona non è come pensare di dirlo a lei. Gli altri possono giudicarmi, forse, guardarmi in modo strano. Rimanere scioccati. Ma solo lei potrebbe respingermi. E sono certo che lo farebbe. Perché ho fatto il coglione. Le ho fatto del male e lei ha visto. Ha visto quanto sono orrido, quanta perversione sono capace di portarmi dentro. Le basterebbe una semplice parola per allontanarmi definitivamente da lei. Devo solo riuscire a trovare il modo giusto per farle capire davvero ciò che provo. Ma come? Non sono mai stato bravo con le parole. Da piccolo usavo la musica. E Grace mi capiva. Rideva per me, quando ero felice. Ma soprattutto piangeva per me quando ero triste. Piangeva quando ero troppo debole per tenere lontani le bruciature di sigarette, l’essere usato come un fottuto posacenere perché ero stato cattivo. Ero nato. Grace piangeva per me quando io non potevo. O non ci riuscivo. Semplicemente perché per quanto fossi triste, nulla era più doloroso di quello che avevo già subito. Magari anche per Anastasia potrebbe funzionare. Forse anche lei può capirmi. Animato da una nuova forza interiore, metto da parte relazioni e schemi di profitto e apro il pc. Collego il mio iPod e inizio a scorrere le canzoni una ad una. Ognuna di loro mi ricorda qualcosa. E da quando Ana fa parte della mia vita, ho aggiunto anche questi ricordi alle mie canzoni. La selezione mi viene quasi naturale. Il Duetto dei fiori, il Marcello, tutti i brani classici che ho ascoltato con lei. Mi soffermo su una canzone. Try, della Furtado. Ricordo perfettamente il momento che accompagna queste note. La mia risolutezza nel decidere di provare a darmi una possibilità con lei. E quella non era nulla in confronto alla risolutezza che provo oggi al pensiero di volermela riprendere. Non sopravvivrei a vederla con un altro. Deve esser mia. Devo essere io per lei. Sorrido scorrendo i titoli dei brani che sto scegliendo. Every breathe you take, dei Police. Mi prenderà per uno stalker, ne sono certo. Dio quanto mi manca la sua lingua biforcuta che non sta mai zitta. Mai, neppure per un secondo. Faccio un profondo sospiro, abbandonandomi contro lo schienale della poltrona in pelle del mio studio. Alzo gli occhi, guardando il soffitto immacolato. Ma chi voglio prendere in giro? Anastasia non tornerà da me solo perché sto scegliendo della musica per lei. Per quanto profonde possano essere le sensazioni che voglio riuscire a trasmetterle, lei si aspetta altro. Si aspetta di sentirmi dire che la amo. Che voglio superare le mie paure. Che voglio che mi tocchi. E io lo voglio. Voglio volerlo con tutte le mie forze. Ma, per quanto sembra assurdo, quella piccola e fragile ragazzina avrebbe il potere di spezzarmi del tutto. Avrebbe il potere di mandarmi in frantumi, di riportarmi lì dove ero e da dove ho faticato anni per rialzarmi. Non posso rischiare. Non riesco a rischiare. Ancora, almeno. Spengo il computer, abbandonando il mio idealistico gesto romantico a sé stesso. Mi alzo, lanciando un ultima occhiata all’aliante sulla scrivania. “Mi ha ricordato un momento felice”. Tu sei il mio momento felice, Anastasia. Sospiro di nuovo, come se buttare fuori l’aria dai polmoni servisse ad espellere anche tutto il resto. Ma non funziona. Non è assolutamente così che funziona. Mi trascino in camera da letto, infilando in fretta i pantaloni del pigiama e cercando di non badare al freddo che mi avvolge le ossa. Ed è un freddo che non viene da fuori. Sono io. Senza di lei sono un pezzo di ghiaccio. Senza il suo calore sembra che il mio sangue abbia deciso di smettere di scorrermi nelle vene. Fisso il soffitto del mio letto, con gli occhi sbarrati. Credo passino ore, prima di riuscire a cadere in un sonno tanto tormentato quanto doloroso. Lui è tornato. La mamma sta dormendo o sta di nuovo male. Io mi nascondo, rannicchiandomi sotto il tavolo della cucina. Attraverso le dita riesco a vedere la mamma. Dorme sul divano. Tiene la mano sul tappeto verde appiccicoso. Lui indossa gli stivaloni con la fibbia lucente e si china su di lei urlando. Picchia la mamma con una cintura. “Alzati! Alzati! Sei una maledetta troia. Sei una maledetta troia. Sei una maledetta troia. Sei una maledetta troia. Sei una maledetta troia. Sei una maledetta troia.” La mamma singhiozza. “Fermati. Per favore, fermati.” La mamma non urla. La mamma si raggomitola facendosi piccola. Io mi metto le dita nelle orecchie e chiudo gli occhi. Il rumore cessa. Lui si gira e vedo i suoi stivali che entrano in cucina con passo pesante. Mi sta cercando. Si china e sorride. Ha un odore nauseante. Di sigarette e di liquori. “Eccoti qua, piccolo stronzo”. Mi sveglio di soprassalto, con un urlo che riempie il vuoto assordante della mia camera da letto. Ansimo, sudato, con il cuore che batte all’impazzata. “Cristo!”. Mi tiro giù dal letto freneticamente, sedendomi sul bordo. Il mio corpo è percorso da brividi di dolore. E di paura. Un rumore sordo ancora mi ronza nelle orecchie. “Cazzo, sono tornati. Il rumore ero io.” Faccio un respiro profondo, tentando di calmarmi. Di liberarmi. “Non vi voglio qui. Andate via. Andatevene via”. Ma è inutile. Lo sento. Sento la sua puzza, di bourbon scadente e Camel stantie. Lo sento avvicinarsi. Sento il suo alito sulla faccia. E le sferzate della cinghia sulle mie spalle di bambino. Ma più di tutto sento la sua indifferenza. Quella della puttana che mi ha generato. Mi giro e mi rendo conto che il mio letto è vuoto. Le lenzuola in disordine, stropicciate. Il cuscino sul bordo del letto, in un’estenuante lotta con la forza di gravità per non cadere sul pavimento. “Lei non c’è”. E allora vorrei non essermi svegliato. Vorrei essere ancora bambino. Subire di tutto. Perché nessun dolore è paragonabile alla mancanza di Anastasia. Lentamente mi alzo, trascinandomi nella cabina armadio. Ho le braccia stanche, le gambe pesanti. Ma ho bisogno di alleviare la mia tensione. Infilo la tuta e scendo nella palestra dell’Escala. Fuori il sole sta per sorgere. Ho un po’ di tempo prima del lavoro. Inizio a correre sul tapis roulant a velocità massima. Ho bisogno di questo sforzo. Così evito di concentrarmi troppo su quello che è successo. Evito di pensare che l’ho persa. Cerco di fare una lista mentale delle cose che devo fare oggi, ma anche i miei pensieri sono inconcludenti. Mezz’ora dopo sono già sotto la doccia, a lasciarmi scorrere l’acqua sulla schiena, senza trovare neppure la forza di lavarmi. Mi sento un derelitto. Tutto quello che non avrei mai voluto essere, ora mi guarda riflesso nello specchio. Un uomo spento, vuoto, sopraffatto dal dolore. Che non ha un reale motivo di vita. Non ho più nulla. Mi trascino nell’altra stanza e impongo a me stesso di vestirmi. Oramai il dolore diffuso al petto è parte di me da quando lei se n’è andata. Ma non per questo fa meno male. Mi sento abbandonato. Solo. Trascinato di nuovo a forza in quel buio dal quale Anastasia mi ha tirato fuori inconsapevolmente. Guardo allo specchio quel ragazzo di 28 anni che sembra averne mille. Dalla tasca dei pantaloni tiro fuori il BlackBerry e mando un messaggio a Flynn. Prima lo vedo, prima risolviamo questa faccenda. Quando torno in cucina, Gail ha già preparato la colazione. Mangio in rigoroso silenzio, ma non posso non sentire il suo sguardo di pietà addosso per tutto il tempo. Durante il tragitto verso lo studio di Flynn, anche Taylor mi lancia qualche occhiata. Con discrezione, come nel suo stile. ‘Bene, fai pena anche al tuo staff, Grey’. “Oh! Rieccolo il mio sarcastico cervellino disturbato”. La rabbia mi rende inquieto sul sedile. Guardo il modellino di aliante poggiato accanto a me sul sedile. “Mi manchi, Anastasia. Anche a me ricorda un momento felice. Ricorda te”. Per fortuna il viaggio è breve. Scendo sbattendo forte la portiera e salendo di corsa le scale dell’edificio. Lo studio di Flynn è accogliente. Un ambiente familiare nel quale mi sento a mio agio per la prima volta da giorni. «Buongiorno, Mr Grey» La cordialità di Cinthya sarebbe contagiosa in altri momenti. Ma ora riesce solo a strapparmi un debole sorriso tirato seguito da un mugugno che vuole essere un saluto. Lei mi scruta per un attimo, con la fronte corrugata. «Entri pure, Christian. Il dottor Flynn la sta aspettando» aggiunge, tornando ad occuparsi delle cartelle cliniche dopo avermi lanciato un ultima occhiata indagatrice. Non sono sicuro che Flynn non parli con lei di suoi pazienti. Me lo sono sempre chiesto. Apro piano la porta, come se scoprire quello che John mi dirà so già che sarà un duro colpo. Il mio strizzacervelli è seduto alla sua scrivania e mi fa un cenno con la mano, accompagnato da un sorriso caloroso che gli si smorza non appena si rende conto del mio aspetto. Rispondo con un cenno della testa al suo saluto. Mi accomodo e lo fisso, in attesa della suo invito a parlare. «Che cosa non va, Christian?» mi chiede, tornando ad occuparsi delle carte che ha davanti. «John, io...» mi interrompo, cercando di riorganizzare le idee. Ma ne ho solo una in testa. Ed è quella che riesco a buttare fuori. «Ana se n’è andata». Flynn alza lo sguardo dai fogli a me, scrutando a fondo nel grigio dei miei occhi. Non so cosa vi vede. Forse rabbia. Dolore. Mancanza di speranza. «Ti ascolto» mi dice dopo qualche attimo di silenzio. E inizio a parlare, come un fiume in piena. Gli racconto del mio dolore, del suo, delle sue parole, di quanto mi senta un orribile mostro senza scrupoli. Parlo per non so quanto tempo. Ma quando finisco ho la gola secca. Stento io stesso a riconoscermi. Flynn mi guarda imperturbabile. «Dunque sei andato in Georgia per vederla, perché quello era il tuo obiettivo. É ammirevole, Christian, come tu abbia messo in pratica anni di terapia» mi dice alla fine, guardandomi con sincera ammirazione. «John... anni di terapia non mi hanno impedito di farle del male non appena mi si è presentata l’occasione» sbotto, agitandomi sulla poltrona di pelle. «Io non la metterei proprio così. Questo potrebbe essere un punto di svolta per te» Lo guardo senza capire di cosa parla. «Vedi, Christian, stare con Anastasia ti ha fatto capire che avevi bisogno di altro. La tua vita, perfetta sino a quel momento, è diventata all’improvviso troppo stretta per te. Hai cercato di far quadrare le cose, di rimettere tutto in una prospettiva che tu potessi giudicare giusta e accettabile. Ma ti sei scontrato con la realtà dei fatti. Il tuo vecchio stile di vita non è compatibile con Anastasia» La fitta di dolore che provo, al sentire quelle parole, basterebbe ad uccidermi. John mi guarda e fa una risatina. Resto in silenzio, incapace di proferire parola. «Devi solo ridefinire i termini, Christian. E io credo che tu l’abbia già fatto. Hai lasciato andare quello che non ti andava bene. E credimi, non è Anastasia» Il sollievo si diffonde dentro di me come una gigantesca onda di acqua gelata. «Cosa vuoi dire, John?». La mia voce trema leggermente e mi affretto a ricompormi. «Voglio dire che appena hai capito che le cose non potevano andare avanti in quel modo tu, Christian, hai deciso di mettere una pietra sopra tutto. E ora vuoi riprenderti Anastasia» «É lei che ha messo una pietra sopra a tutto» sussurro, con gli occhi bassi, all’improvviso afferrando quanto vere siano le parole di Flynn. Non ho bisogno di niente che non sia lei. Posso rinunciare a tutto, ma non a lei. «Su questo avrei da ridire, Christian» mi sorride gentile Flynn. «Credo di essermi innamorato di lei, John» confesso, perché so che queste quattro mura e il mio fidato confessore non mi tradiranno. «Questo lo so» mi dice lui, appoggiandosi allo schienale della sua poltrona e fissandomi, con le dita incrociate in grembo. Alzo la testa di scatto, aggrottando la fronte. «Christian, so che vorresti delle rassicurazioni da me. Ma io non ho rassicurazioni da darti. Tu provi qualcosa per Anastasia. E lei la prova per te, stando a quanto mi hai detto. Ma le relazioni sono complicate. Potrebbe funzionare. Oppure no. Sta a voi due scoprirlo insieme» Sospiro profondamente. “Come diamine fa a sapere sempre qual è la cosa giusta da dire?”. Mentre mi dirigo in ufficio, chiamo Welch. Ancora nessuna novità sul fronte Leila. Il mio umore è abbastanza altalenante di suo e tutte queste complicazioni mi rendono nervoso ed irritabile. Ripenso a tutto quello che mi ha detto Flynn. “Sono davvero pronto a lasciarmi tutto alle spalle? A buttare nel cesso anni passati a controllarmi, a domare le mie emozioni. E per quale risultato? Questo?”. Mi sento in preda ad un panico costante ed opprimente. A cui non posso sfuggire. Sono intrappolato nella mia stessa oscurità e non voglio e non posso andare avanti. Non da solo, almeno. Scendo dall’auto, stringendo la mia valigetta in una mano e custodendo gelosamente il mio aliante nell’altra. Salgo in ascensore e la presa attorno al modellino di legno aumenta. É il mio unico legame con Anastasia. Attraverso il corridoio ignorando il saluto enfatico di Olivia e Andrea. Per fortuna oggi non ho appuntamenti importanti, nulla che non si possa rimandare. «Andrea, annulla tutti gli appuntamenti programma. Lascia solo uno spazio per Bastille» in Prima che possa replicare sono già entrato nel mio ufficio, sbattendo la porta dietro di me. Guardo la mia scrivania per qualche attimo. Poi la sgombero da un lato. Su uno degli scaffali bassi portadocumenti c’è il piedistallo che ho fatto comprare da Taylor. Lo posiziono al meglio, poggiandoci sopra il mio prezioso modellino. Il dolore aumenta. Sto venerando un pezzo di legno come se fosse lei. La rabbia si impadronisce di me. Agito un braccio, mandando per aria dei documenti. “Cristo!”. Mi allontano dalla scrivania, avvicinandomi alla finestra che torreggia su Seattle. Le mie mani finiscono entrambe nella matassa aggrovigliata dei miei capelli. Ho una fottuta voglia di spaccare tutto. Di rendere tutto troppo simile a quella devastazione che mi porto dentro. Mi manca. Anche se la chiacchierata con Flynn ha fatto riaccendere almeno un barlume di speranza in quel cuore che non credevo più di avere, mi sento come se mi fossi perso nel deserto e non riuscissi a vedere altro attorno a me se non solitudine e desolazione. “Ok, Christian. Se lei non vuole vederti, tu vedrai lei. A costo di costringerla. Ma deve sapere cosa rappresenta per te”. Mi sposto velocemente accanto alla scrivania e attivo l’interfono. «Andrea, dì a Mike di procurarmi il rendiconto finanziario della Seattle Indipendent Publishing. Tra un’ora sulla mia scrivania» Chiudo senza aspettare la risposta della mia assistente. Non che mi aspettassi una replica comunque. Non la pago per replicare. Sessantuno minuti più tardi ho in mano i documenti che avevo richiesto. Più dettagliati di quelli che ero riuscito a procurarmi da solo ieri sera. Trenta ulteriori minuti dopo ho avviato la redazione di un piano di acquisizione per la SIP. É un gesto folle, lo so. Ana non approverebbe. Neppure Flynn. Cristo, nessuno dotato di buon senso approverebbe. E non per motivi economici, ma per i reali motivi per cui lo faccio. Ma devo. É l’unica opportunità che ho al momento di costringerla a rivedermi. Anastasia Sono passate ore da quando mi sono buttata a capofitto su questo materasso. Mi sento un’estranea. Eppure questo appartamento è mio. Mi viene quasi da ridere al pensiero che mi ha appena colpito. Mi sento più a casa nell’appartamento di Christian che qui, circondata dalle mie cose. Ma non importa alla fine. Il dolore che sento è senza fine. Non ho mai provato nulla del genere. Per tutta la mia vita non mi sono mai avvicinata tanto a qualcuno da permettergli di farmi così male. E ora è successo. Ora è successo con l’unico uomo che io abbia mai amato. L’unico che potrò mai amare. Christian Grey mi ha lasciata. O io ho lasciato lui. Non l’ho neppure capito. Quello che so è che ora non sono con lui. Ora non sono dove vorrei essere. Tra le sue braccia. Anche senza poterlo toccare, anche dovendo ingoiare a forza i miei sentimenti pur di non rivelarglieli. Mi andrebbe bene tutto in questo momento. Pur di riaverlo. Ma so che devo essere forte. Per me stessa, per lui addirittura. Non sono la donna giusta per lui. Non voglio che lui abbia bisogno di picchiarmi per trovare un motivo per passare del tempo con me. Voglio che mi ami. “Dio! É così assurdo!”. Non so come ho potuto pensare anche solo per un attimo che rivelarglielo sarebbe stato la cosa più giusta. Cosa mi aspettavo? Che lui mi dicesse “Anch’io”? Cosa potrebbe mai trovarci in me, se non il gusto di sottomettere l’ennesima donna disposta a tutto per lui? Può avere di meglio, molto meglio. Sono solo una stupida illusa. Solo questo. Nient’altro. E vorrei sprofondare in questo materasso, morire su questo letto, piuttosto che uscire di casa ed incontrare di nuovo il grigio penetrante dei suoi occhi. Stringo tra le dita il fazzoletto che mi ha dato Taylor. Mi ricorda lui. Tutto mi ricorda lui. Guardo il palloncino. Il mio personale Charlie Tango. É sgonfio. E mi sento simile a lui. Lo abbraccio come se fosse lui. Christian mi ha prosciugata. Si è preso la mia linfa vitale. E ora io sono vuota. E sola. E non credo di essere capace di vivere senza di lui. Capitolo 3 Fisso il foglio che ho davanti sentendomi maledettamente in colpa. La SIP ha appena dato l’avvio alla trattativa. Per loro sono una manna dal cielo. Li sto salvando dal fallimento sicuro dovuto alla crisi. Ma il reale motivo che mi spinge a farlo mi fa sentire un fottuto bastardo maniaco del controllo che sta tentando in tutti i modi di costringere uno splendido angelo castano a dargli retta. ‘Probabilmente Flynn ha fallito, Grey, e tu sei più incasinato di quanto pensi’. E probabilmente il mio cervello ha ragione. E tanto anche. Ma oramai è fatta. Guardo l’orologio. Tra poco meno di mezz’ora ho appuntamento con Bastille. Probabilmente dopo mi sentirò molto meglio. Mi alzo, raccolgo i documenti nella mia valigetta e mi infilo la giacca. Esco dal mio ufficio lanciando un’ultima malinconica occhiata al modellino di aliante in legno sulla mia scrivania. Mi fermo incerto davanti alla scrivania della mia assistente personale. «Andrea, ho bisogno che ti occupi di una consegna per me» le dico in tono mesto. Andrea si fa attenta, aprendo il blocco degli appunti e prendendo una matita in mano. «Dica pure, Mr Grey» «Ho bisogno che ti occupi di una consegna per Miss Anastasia Steele. Falle recapitare un mazzo di ventiquattro rose a gambo lungo. Bianche. Voglio che siano in un pacco chiuso. E anche un biglietto» Mi fermo, perché non voglio sia lei a scriverlo. Voglio che sia almeno un po’ personale. Un po’ solo nostro. «Ti invio il biglietto per mail, Andrea, insieme all’indirizzo di Miss Steele. Inoltralo semplicemente all’agenzia per la spedizione» Andrea annuisce solerte, mettendosi all’opera, mentre io entro in ascensore. Prendo il BlackBerry e digito la mail. “Congratulazioni per il tuo primo giorno di lavoro. E grazie per l’aliante. É stato un pensiero molto carino. Ha un posto d’onore sulla mia scrivania. Christian”. “E ti amo. E ti prego torna”. Ma questo non lo scrivo. Lo tengo per me. Taylor è già in garage ad aspettarmi. Faccio un salto nel mio appartamento per infilarmi la tuta e poi scendo nella palestra dell’Escala, ad attendere Bastille. Un’ora più tardi ne esco sudato, spossato, e con il culo dolorante per i calci presi da Bastille. Mi ha atterrato tutte le sante volte. E i pugni non mi hanno neppure scalfito. Sono diventato insensibile al dolore. Perché, di nuovo, ce n’è un altro che lo supera. Salgo nel mio appartamento e saluto Gail, dietro ai fornelli, che mi prepara la cena. Sguscio in bagno e faccio una doccia rigenerante. Quando esco infilo direttamente i pantaloni del pigiama. Mangio la mia cena in completo silenzio, da solo, seduto al bancone della cucina. Ho voglia di lei. Ho sempre voglia di lei. Mi chiedo come ho fatto tutti questi anni ad apprezzare la mia solitudine opprimente. ‘Solo non la conoscevi, Grey’. Un lento ed oscuro malumore, misto a depressione, si impadronisce di me. Ho perso tutto il mio spirito combattivo. Mi sento così maledettamente impotente. Così vuoto, spento. Non che prima di le cose fossero migliori. Ma, almeno, non me ne preoccupavo. Ora, invece, mi sembra di aver perso la mia sfida con il mondo. A distrarmi dalla mia malinconia è il suono del mio telefono. É Welch. «Grey» rispondo meccanicamente, null’altro che cattive notizie. aspettandomi «Mr Grey, sono Welch. Ancora nessuna buona notizia. Miss Williams sembra sparita nel vuoto» «Maledizione! Vi pago per trovarla, non per inviarmi un bollettino negativo ogni dodici ore, Cristo santo!» Non è da me urlare e sbraitare contro un membro del mio staff. Ma mi rendo conto di averlo fatto solo alla fine. Stringo gli occhi con dolore e frustrazione. «Trovala, Welch!» sbotto bruscamente prima di chiudere la conversazione. Passo l’ennesima notte insonne, senza riuscire a chiudere occhio. Senza riuscire a togliermi dalla testa il suo sorriso, il suo sguardo, il suo piacere che raggiunge il mio. Sento ancora il suo profumo nell’aria. Come se non se ne fosse mai andata. Come se fosse ancora qui a tentarmi con i suoi occhi da cerbiatta. Ora so cosa si rischia a lasciare avvicinare le persone, a farle entrare nella propria vita. E so anche che tutto quello che provo è sbagliato. Tutto quello che sento è sbagliato. Non dovrei neppure tentare di riaverla indietro. Devo lasciarle vivere una vita dignitosa, al fianco di qualcuno che forse non la amerà quanto me, ma almeno sarà degno del suo amore. Quando mi alzo, ancora prima dell’alba, il riflesso che mi guarda dallo specchio del bagno mi sconvolge. Ho la barba di due giorni e zero volontà di farla. Ho lo sguardo stanco, spento, le occhiaie. Un’espressione da funerale. Non mi avvicino neppure lontanamente alle foto che mi ritraggono sui giornali da anni. Forse, se qualche paparazzo mi incontrasse, neppure mi riconoscerebbe. Ma, nonostante questo, decido che anche per oggi il mio aspetto va bene così. Non devo rendere conto a nessuno. A niente e nessuno. Mi infilo sotto la doccia, sentendo quasi il bisogno di annegarci dentro. Lascio che l’acqua tenti di portare via da me il dolore, ma già so che il suo tentativo è inutile. Il mio corpo è scosso da brividi di freddo, nonostante la cascata calda che mi accarezza la schiena. Sto male. Sto male senza di lei. Ho lo stomaco attanagliato da una morsa continua, costante, sempre presente. Il dolore è diventato parte di me. Una parte molto più grande di quella che gli avevo riservato in precedenza. Quando esco dal bagno, mi vesto svogliatamente, indossando uno a caso dei mille completi presenti nella mia cabina armadio. Mi dirigo nel mio studio, tentando almeno di recuperare un po’ del lavoro arretrato. É quasi del tutto inutile. Riesco a malapena a compilare uno schema di profitto per l’acquisizione della fabbrica a Taiwan, ma è poca roba in confronto al cumulo di cose arretrate che ho da fare. Mi alzo e decido di affrontare questa nuova giornata. Welch mi appena spedito una mail con gli aggiornamenti. Ovviamente non c’è neppure bisogno di dirlo. Leila non si trova. E ho paura che invece lei possa trovare Anastasia. “Cristo! Ci mancava una cazzo di squilibrata nella mia vita”. ‘Sei tu che l’hai resa tale, Grey. La colpa è tua’. Sospiro impotente, trascinandomi in cucina. Gail mi accoglie con un sorriso caloroso. «Buongiorno, Mr Grey» «Buongiorno, Gail» Non mugugno altro per tutto il tempo in cui resto seduto al bancone, mangiando svogliatamente e senza convinzione. Quando ho finito mi rivolgo a Mrs Jones. «Per cortesia, Gail, avvisa Taylor che vado a piedi in ufficio» Mi guarda sorpresa, ma annuisce in risposta, aggrottando la fronte. Recupero in fretta la mia valigetta e la giacca. Non è da me camminare per andare al lavoro, ma ho bisogno di far entrare aria fresca nei polmoni. Mi incammino nel traffico pedonale delle otto e trenta a Seattle, guardandomi a malapena intorno. La strada è piena di gente immersa nei propri pensieri. I negozi pullulano di clienti già a quest’ora. Alzo gli occhi, mentre mi fermo per attraversare e, dietro di me, scorgo un negozio di elettronica. In vetrina sono esposti gli ultimi modelli di iPad. “Ad Anastasia ne servirebbe uno. Magari al posto del suo vecchio e inseparabile bloc-notes”. Senza quasi rendermene conto, inverto i miei passi ed entro nel negozio. Ne esco qualche minuto più tardi con due nuovi gioiellini dell’elettronica. Ne ho preso uno anche per me, identico al suo. ‘Come se potessi darglielo, poi, Grey’. Stringo gli occhi e riprendo a camminare velocemente verso la Grey Enterprises Holding. “A volte avrei solo bisogno di spegnere questo cervello del cazzo che mi ritrovo”. La giornata passa nella più totale agonia. Non mi concentro sul lavoro. E non è assolutamente da me. Ho un impero da dirigere. E anche se Ros è capace di farlo al posto mio, non dovrebbe essere lei a sobbarcarsi tutte le responsabilità. Ma per oggi è così. Mi trascino fino al pomeriggio, sgusciando velocemente fuori non appena termina l’orario di lavoro. Voglio solo tornare a casa e abbandonarmi a me stesso. Solo questo. Mi faccio una doccia veloce, mangio la cena che Gail mi ha lasciato e mi fiondo sul divano, a guardare il soffitto. Ultimamente lo faccio così spesso che dovrebbe essere inserito negli sport che pratico. Ma in realtà quello che riesco a vedere è solo il suo volto, i suoi occhi, il suo sorriso. E tutto questo mi uccide lentamente ed inesorabilmente. Perché so che, molto probabilmente, non li rivedrò più. Il ronzio del BlackBerry mi interrompe. Infilo la mano in tasca, ma mi rendo conto che il mio telefono non sta affatto suonando. E poi lo vedo. É il suo. Lo ha lasciato qui prima di andarsene e deve aver dimenticato di reimpostare il trasferimento di chiamata. Lo afferro dal tavolino del soggiorno sul quale è poggiato, accanto al suo portatile. Fisso lo schermo e il sangue mi si gela nelle vene. José. José il fottuto figlio di puttana maniaco sessuale che voleva abusare di lei. José che vuole entrarle in quelle fottute mutandine. “Cristo!”. Sbatto il telefono sul divano con rabbia. “É così? Mi molli e te ne vai con quel fottuto bastardo del tuo amico, Ana?”. Il lampeggiante intermittente mi avverte della presenza di un messaggio vocale in segreteria. ‘Sono cazzi suoi, Grey’. Ma prima che il mio buonsenso torni dal posto in cui l’ho mandato a fanculo, ho già avviato la chiamata alla segreteria telefonica del telefono di Ana. Trattengo il fiato mentre ascolto il messaggio. «Hey, straniera! Volevo ricordarti della mia mostra questo giovedì. Ti aspetto, Ana. Me lo hai promesso!» Rilascio di colpo il fiato. É solo per quella stupidissima mostra. Solo questo. Ricordo quando mi ha chiesto di accompagnarla. Ci teneva davvero ad andarci. E a portarmi con lei. Poi mi ricordo che ora non ha la macchina e la sua coinquilina è a bighellonare con mio fratello da qualche parte. Magari... Un’idea mi si forma nella mente. Forse ho trovato il modo per vederla. Per pregarla di riprendermi con lei nella sua vita. Una rinnovata decisione mi investe. Devo farlo. Devo convincerla a vederci. Fosse anche per una sola volta ancora. Dopo l’ennesima nottata insonne, mi reco in ufficio prestissimo. Forse per il senso di colpa per aver trascurato il lavoro negli ultimi giorni. La mattinata passa quasi senza che io me ne accorga. Quando finalmente mi decido ad andare a pranzo mi sento esausto. Mentre aspetto che il cameriere mi porti il piatto che ho ordinato, tamburello con le dita sulla tastiera del BlackBerry. E, alla fine, riesco a decidermi. Da: Christian Grey A: Anastasia Steele Data: 8 giugno 2011 14.05 Oggetto: Domani Cara Anastasia, perdona questa intrusione al lavoro. Spero che stia andando bene. Hai ricevuto i miei fiori? Ho visto che domani ci sarà l’inaugurazione della mostra del tuo amico alla galleria, e sono sicuro che non hai avuto il tempo di comprare una macchina. La strada è lunga. Sarei più che felice di accompagnartici io, se tu lo volessi. Fammi sapere. Christian Grey Amministratore delegato, Grey Enterprises Holdings Inc. Attendo impaziente, non degnando neppure di uno sguardo il cibo che mi viene messo davanti. Non toccherò nulla prima di aver ricevuto una sua risposta. Il mio piede tamburella agitato sotto il tavolo. Un uomo seduto di fronte a me mi osserva, con un sorrisetto beffardo stampato sul viso. “Fanculo”. I minuti scorrono in una lenta agonia. Cinque, dieci, quindici, venti. Finalmente una mail. La apro frenetico. É lei, cazzo. É lei, finalmente. Da: Anastasia Steele A: Christian Grey Data: 8 giugno 2011 14.25 Oggetto: Domani Ciao Christian, grazie per i fiori. Sono bellissimi. Sì, gradirei un passaggio. Grazie. Anastasia Steele Assistente di Jack Hyde, Direttore editoriale, SIP Il cuore si ferma per un lungo attimo. Poi riprende impazzito. Ho le mani sudate e rileggo la mail almeno quattro volte, prima di essere sicuro che abbia davvero accettato la mia proposta. Digito velocemente una risposta, desiderando non interrompere quel piccolo contatto che ho con lei. Le chiederei anche solo sciocchezze se fossi sicuro che non smetterebbe di parlarmi. Da: Christian Grey A: Anastasia Steele Data: 8 giugno 2011 14.27 Oggetto: Domani Cara Anastasia, a che ora passo a prenderti? Christian Grey Amministratore delegato, Grey Enterprises Holdings Inc. Attendo ancora. I cinque minuti più lunghi della storia della mia intera vita. Da: Anastasia Steele A: Christian Grey Data: 8 giugno 2011 14.32 Oggetto: Domani L’inaugurazione è alle 19.30. A che ora suggerisci? Anastasia Steele Assistente di Jack Hyde, Direttore editoriale, SIP “Ho voglia di vederti anche ora, Anastasia. Anche subito”. Da: Christian Grey A: Anastasia Steele Data: 8 giugno 2011 14.34 Oggetto: Domani Cara Anastasia, Portland è piuttosto lontana. Posso venire a prenderti alle 17. 45. Non vedo l’ora di incontrarti. Christian Grey Amministratore delegato, Grey Enterprises Holdings Inc. Stavolta anche la sua risposta arriva più velocemente. Da: Anastasia Steele A: Christian Grey Data: 8 giugno 2011 14.38 Oggetto: Domani Ci vediamo, allora. Anastasia Steele Assistente di Jack Hyde, Direttore editoriale, SIP Il pomeriggio passa in fretta ora che sono riuscito a parlare con lei. Mi sembra di essere rinato. Alle 16 stacco e vado da Flynn. La mia richiesta di un secondo appuntamento dopo appena due giorni non lo ha stupito più di tanto. Lo trovo nella sua solita posa, chinato sulla scrivania a scrivere. Flynn ha sempre qualcosa da scrivere. Ma, devo dire, mi piace di più quando ha qualcosa da dirmi. Mi lascia accomodare e mi scruta, come sempre. «Allora, Christian, ti trovo meglio dell’ultima volta» «Molto meglio. Ho parlato con Anastasia. Ci vediamo domani» gli confesso, esalando un sospiro profondo. Flynn mi scruta, poi sorride a sua volta. «Mi fa piacere, Christian. Allora, cosa ti porta qui da me?» chiede con calma. «Non so come comportarmi con lei, John. Ho paura di ferirla di nuovo, quando, invece, l’unica cosa che vorrei è riaverla» Abbasso lo sguardo per quest’impeto di vulnerabilità. Se potessi guardarmi dall’esterno, sono certo che non mi riconoscerei. John si appoggia allo schienale della sua poltrona. «Ne abbiamo già parlato, Christian. Io non posso darti certezze. Quello che posso dirti è di non lasciarti condizionare da null’altro se non ciò che senti. Hai deciso che rivuoi Anastasia nella tua vita. Ma sei l’unico che può realmente tentare di fare almeno un tentativo affinché questo succeda» «Sento che sto cambiando, Flynn. Forse l’ho già fatto. E non so se questo è giusto. Se è giusto rinnegare il mostro che sono e far finta di poter essere diverso» gli confesso, guardandolo negli occhi. «Christian, tu non sei un mostro. Te l’ho ripetuto milioni di volte. Hai un passato traumatico. Hai affrontato una vita difficile. Hai fatto quella che per te è stata la scelta migliore per affrontare la tua vita senza dolore» «Io picchio delle ragazze innocenti per affrontare la mia vita senza dolore, John» sussurro, abbassando gli occhi. Il mio pensiero va a Leila. L’ho ridotta ad un fantasma. Ed è colpa mia. Potrei fare lo stesso con Ana. «Cos’altro non mi hai detto, Christian?» mi chiede Flynn. Alzo lo sguardo, sorpreso da quanto bene mi conosca ormai. Sospiro pesantemente e gli racconto di Leila, affidandogli tutto il mio tormento interiore. Quando ho finito lo scruto. «Ho paura di ridurla in quello stato, John. Ho paura che amarla e permetterle di amarmi la possa uccidere lentamente» «Non succederà, Christian. Tu non amavi Leila. Il vostro era un accordo, con dei termini che tu hai rispettato. Lei è andata via quando si è accorta che quei termini non erano più giusti per sé stessa. Ed è in pratica quello che stai facendo anche tu. Hai fissato dei limiti con te stesso, come se avessi sottoscritto un patto con la tua vita. Ora quei limiti non ti vanno più bene. La domanda è una: per Anastasia, ne vale la pena?» Lo guardo, gli occhi grigi sbarrati, in cerca di qualcosa che mi dica che quello che penso è giusto. Ma Flynn è bravo a non lasciare trapelare le sue emozioni. Stringo forte gli occhi e lo ammetto. «Sì. Sì, John. Ne vale la pena» Quando torno a casa, avverto Gail di tenermi in caldo la cena. Ho una cosa di cui occuparmi. Ho una cosa stupida, romantica, sdolcinata da fare. Una cosa per dirle che la amo. Apro il mio pc, nello studio, e lo collego al nuovo iPad che le ho comprato. Inizio a scaricare la playlist che avevo scelto per lei. Thomas Tallis è il primo autore. Il ricordo di come l’ho scopata nella mia Stanza dei Giochi è quanto di più doloroso e dolce ci possa essere al mondo. Quella sintonia perfetta. Che alla fine l’ha allontanata da me. Il dolore torna prepotente a diffondersi nel mio petto. E ancora Witchcraft, di Sinatra, e quel suo modo spensierato di ridere e di farmi sentire in paradiso. Bach e tutta la malinconia che ha accompagnato il mio tormento nel cammino verso di lei. Verso colei di cui non posso più fare a meno. Jeff Buckley, gli Snow Patrol, la sua band preferita. Principles of Lust e Possession, tra le mie preferite. Sono incerto, sull’inserimento di queste due. Ma voglio che mi capisca a fondo. E capisca che è mia. Solo mia. Non potrebbe essere altrimenti. Inserisco molte altre canzoni che descrivono il mio mondo. Me stesso. É l’unico modo che ho per dirglielo al momento. E poi Try. “Ci provo, Ana. Ci sto provando. Voglio provarci sul serio. Per te”. E ancora un’altra delle mie band preferite. I Coldplay. Ho scelto The Scientist. Ho scelto di chiederle scusa per la mia stupidità. Di chiederle un’altra possibilità. Per prometterle che non sarò così stupido da sprecarla stavolta. Quando ho finito con la musica passo alle app. Kindle, iBook, Word, la British Library, che riempio totalmente solo per il piacere di sapere che sorriderà in quel modo così dolce quando la aprirà. E poi Notizie, Meteo, tutto quello che può esserle utile. E Buon Cibo, così ricorda che il suo appetito non è negoziabile per me. Quando ho terminato, quando ho inserito in questo piccolo aggeggio anche buona parte di quello che sono, allora vado in cucina e mi occupo di cenare. Prima di andare a letto vado in bagno e faccio la barba. Rivedere il mio viso mi fa sorridere. Mi sto lentamente risvegliando dal mio torpore. Il solo pensiero di rivederla mi manda in estasi. E mi eccita. Da morire. Ho voglia di baciarla, di spingerla contro un muro e farla mia. Di farla gemere fino a mandarla in estasi. Voglio entrarle dentro. E restarci per sempre. Ma questo non andrebbe a mio favore. Devo tenere sotto controllo tutto il mio impeto. Il mio desiderio. E devo farmi una sana dormita, per quello che vale. La giornata seguente passa in frenetica attesa di quello che succederà. Sbrigo il lavoro, anche quello arretrato, scoprendo che una sua sola parola può farmi recuperare forze ed energie che credevo di non avere più, ormai. Ho portato con me il suo iPad perché ancora manca un pezzetto al puzzle che ho composto per lei. Lo accendo e scatto una foto. Poi avvio il motore di ricerca e ne scarico una da internet. Ora, sul suo schermo ci siamo noi due, alla cerimonia della consegna delle lauree. É la foto scattata dal Seattle Times. Conservo gelosamente una copia di quella domenica nella scrivania del mio ufficio. Mentre il suo salvaschermo ritrae il modellino di aliante che lei mi ha regalato. Sorrido. Poi prendo un post-it bianco e la mia stilografica. E aggiungo l’ultimo pezzo di me. L’unico che da oggi conosce solo lei. Anastasia, questo è per te. So quello che vuoi sentirti dire. La musica qui dentro lo dice per me. Christian Infilo l’iPad nella custodia di pelle nera e la metto nella mia valigetta, prima di avviarmi verso l’uscita. Quando entro nel mio appartamento, sul bancone della cucina trovo due sacchetti di velluto. In uno c’è la mia maschera per il ballo di sabato sera a casa dei miei. Nell’altro c’è la sua. ‘Non sai neppure se vuole rivederti o se le serviva solo un passaggio per la mostra. E già fai progetti in grande, Grey?’. Sì, lo ammetto. Forse è presuntuoso da parte mia pensare che lei accetti di tornare nella mia vita come se niente fosse e sabato mi accompagni alla cena di beneficenza. Eppure qualcosa mi suggerisce che succederà. O forse è solo che sto tornando il fottuto figlio di puttana presuntuoso ed egocentrico di una volta. Non lo so. Ma non riesco a smettere di sorridere come un idiota. Il BlackBerry vibra. É una mail di Ros. Che mi avverte che i termini del contratto di acquisizione della SIP sono stati approvati. “Merda. Me n’ero dimenticato quasi. Ecco una cosa che non le piacerà. Ma posso spiegargliela”. E per fortuna ho un mese di tempo prima che venga divulgata la notizia. Faccio in fretta la doccia e sono pronto. Indosso un completo grigio e la camicia bianca. Senza cravatta. Taylor mi aspetta nell’ingresso, con in mano un pacco che gli ho fatto preparare. All’interno ci sono le chiavi dell’Audi di Anastasia, il suo BlackBerry, il suo Mac e il nuovo iPad. Scendiamo in garage e salgo sul sedile posteriore del SUV, mentre Taylor infila il pacco nel bagagliaio e sale al posto di guida. Arriviamo davanti alla mia nuova azienda con un po’ di anticipo. La tensione inizia a farsi strada dentro di me. Mi agito sul sedile, nervosamente, mentre Taylor scende ad aspettarla fuori. E poi la vedo. Esce dalla SIP, meravigliosa come sempre. Ma sembra stanca, sicuramente più magra. “Cristo, Anastasia!”. Un fottuto stronzo le tiene la porta aperta, guardandola con uno sguardo famelico e crudele. Non vuole solo scoparsela. Vuole farle del male. Glielo leggo negli occhi. Lo percepisco a distanza. Le mormora qualcosa, guardandole viscidamente il culo quando lei si gira a cercare l’auto con gli occhi. Guarda Taylor, mentre lo stronzo che la fissava ora fissa il mio SUV, a bocca aperta. E poi Anastasia si muove. Indossa quel favoloso vestito color prugna. E un paio di stivali al ginocchio. Neri, col tacco a spillo. Il mio uccello si tende immediatamente. Provo sollievo, desiderio, rabbia. É magrissima. So che non ha mangiato. E so che è colpa mia. Taylor spalanca la portiera. Anastasia entra, sistemandosi. E poi alza lo sguardo su di me. I suoi occhi sono tristi, ma allo stesso tempo speranzosi. La fisso ardentemente. “Ti amo, Anastasia. Ti amo. Ti amo. Ti amo”. Ma le parole non mi escono alla gola. Restano lì. E al loro posto sale solo un rimprovero pieno di rimorso. «Quand’è stata l’ultima volta che hai mangiato?» Capitolo 4 Il tono della mia voce è più duro di quello che vorrei, ma vederla in quello stato mi fa male. Sono io che l’ho fatta star male tanto da toglierle l’appetito. E le ho tolto anche molto altro. Non sorride, ha perso la sua dolcezza. É triste, melanconica. Le ho rubato l’innocenza e il suo candore, facendo terra bruciata in quel corpo minuto. L’ho distrutta. ‘E quale sarebbe la novità, Grey? Non è quello che hai fatto con Leila?’. Per un attimo mi guarda colpevole, poi il suo sguardo si indurisce, come se io e tutto quello che penso contassi meno di zero per lei. «Ciao, Christian. Anche per me è bello vederti» risponde in tono sarcastico e noncurante. La rabbia mi assale. “Non ignorarmi, Anastasia. Non ignorarmi solo perché non sono capace di dirti quello che provo”. Cerco di controllarmi, fissandola ardentemente. «Lascia perdere la tua lingua biforcuta, adesso. Rispondimi» le ordino. Le mie parole non hanno l’effetto sperato su di lei. Mi guarda con uno sguardo di dolore, prima di girarsi di nuovo verso il finestrino e sputare fuori un’altra risposta piena di cinico sarcasmo. «Mmh... ho mangiato uno yogurt a pranzo. Ah... anche una banana» Il suo tono mi sta seriamente innervosendo. Sa quanto ci tengo al fatto che mangi bene. E sembra che le sue risposte siano mirate a farmi capire che non le importa quello a cui tengo. Compresa sé stessa e la sua salute. «Quand’è stata l’ultima volta che hai mangiato un vero pasto?» le chiedo acido e infastidito. Taylor sceglie quel momento per infilarsi nel traffico di Seattle. Anastasia alza lo sguardo di fronte a lei e resta impassibile. Seguo la direzione dei suoi occhi e noto lo stronzo di prima salutarla animatamente con la mano. Mi chiedo come faccia a vederla, il coglione. Sta solo agitando il braccio inutilmente, visti i vetri scuri del SUV a prova di paparazzo. “Stronzo figlio di puttana”. Anastasia alza la mano, in automatico, e risponde al saluto con un breve cenno. La gelosia mi assale. “E se lei avesse trovato un altro in questi giorni? Se fosse stata di un altro?”. No. Non può essere. Un peso mi opprime il petto. «Chi è quello?» ringhio furiosamente. «Il mio capo» risponde tranquilla, guardandomi di sfuggita, senza girare la testa verso di me. Rimane immobile, le dita strette in grembo, gli occhi fissi sullo schienale del sedile di Taylor. Stringo le labbra, trattenendo a stento l’ira. “Siamo partiti più che male”. «Allora? L’ultimo pasto?» torno a chiederle perentorio. «Christian, davvero non ti infastidita, guardandomi appena. riguarda» mormora «Tutto quello che fai mi riguarda. Dimmelo» le ordino per l’ennesima volta. Anastasia emette un gemito di esasperazione. E poi, come una vecchia abitudine repressa troppo a lungo, alza gli occhi al cielo. La mia reazione è immediata. Ho voglia di sculacciarla. E non per un piacere erotico. Ma per insegnarle come ci si comporta. Per tutta risposta lei si gira a scrutarmi e le sue labbra si piegano leggermente all’insù. Le stringe, cercando di soffocare una risata. E viene da ridere anche a me. A vederla così, a vedere un guizzo di divertimento nei suoi occhi blu. Mi rilasso, sorridendo appena, divertito dalla sua espressione. «Dunque?» le chiedo ancora, dolcemente. Sospira piano. «Pasta alle vongole, venerdì scorso» mormora alla fine. Istintivamente serro gli occhi. Come se non vedere mi aiutasse a far tornare tutto com’era. Ma non è così. La guardo con rimorso. E dolore per averle causato tutto quel malessere. «Capisco» le dico dopo qualche attimo di silenzio, fissando il vuoto dinnanzi a me. «Hai l’aria di aver perso almeno tre chili, forse di più. Per favore, Anastasia, devi mangiare» la rimprovero piano. La spio di sottecchi. Anastasia si fissa le dita, intrecciate sulle sue gambe. Mi giro a guardarla, ammirando il suo profilo triste. «Come stai?» le chiedo piano. Ho quasi paura di sapere quanto male le ho fatto. Ana deglutisce a fatica, serrando gli occhi per un istante di troppo. «Se ti dicessi che sto bene, mentirei» mi sussurra, senza avere il coraggio di guardarmi. Prendo aria nei polmoni, perché sta per mancarmi il fiato. Il dolore è indescrivibile. Avrei dovuto venerarla, adorarla come una dea. Proteggerla soprattutto. Invece l’ho solo distrutta. E ho distrutto quel che rimaneva di me stesso. «Anch’io» le confesso, allungando il braccio sinistro e prendendole la mano dal grembo. Fissa la mia mano in modo strano, come se non credesse possibile quel gesto. O peggio, come se non lo volesse. Prima che possa allontanarmi devo fermarla. «Mi manchi» le mormoro, fissandola. «Christian, io...» inizia a balbettare, senza distogliere gli occhi dalle nostre mani unite. «Ana, per favore. Dobbiamo parlare» le dico deciso, cercando di incontrare i suoi occhi. Devo sapere cosa pensa. Assolutamente. Quando alza lo sguardo, il meraviglioso blu dei suoi occhi è velato dalle lacrime. “Ti prego, Ana. Ti prego, non piangere. Non voglio farti del male. Non voglio farti questo. Non voglio essere solo dolore per te”. «Christian... per favore... Ho pianto così tanto» mi implora con la voce ridotta ad un filo, stringendo piano le dita della mano che ancora è poggiata sul suo grembo. “Dio, non resisto più a starle così lontano!” «Oh, piccola, no» le tiro la mano e in due secondi la sto abbracciando, mentre lei se ne sta seduta sulle mie ginocchia. La stringo forte, inalando il suo profumo che mi è mancato così tanto. Come lei. «Mi sei mancata così tanto, Anastasia» le dico, sospirando, finalmente in pace dopo giorni. Per un attimo il suo corpo si tende. La stringo più forte, senza permetterle di allontanarsi da me. La trattengo contro il mio petto. Voglio che senta il mio cuore battere. Per lei. E all’improvviso lei si scioglie tra le mie braccia. La sento sospirare e rilassarsi piano. Le deposito un bacio tra i capelli. E poi un altro. E poi non riesco a smettere. Ho bisogno di lei. Ho bisogno di questo contatto con lei. L’intimità appena ritrovata dura troppo poco. Taylor accosta davanti all’edificio sul quale ci aspetta Charlie Tango. «Vieni» le dico all’orecchio, facendola alzare dalle mie ginocchia controvoglia. «Siamo arrivati» Mi guarda senza capire. E forse anche lei vorrebbe viaggiare ancora pur di stare insieme così, in questo modo. O forse è la speranza a parlare per me. «L’elisuperficie... sul tetto di questo palazzo» le dico, alzando lo sguardo sul palazzo alla nostra destra. Taylor, intanto, scende dal SUV e le apre la portiera. Scendo dall’auto, e mi giro a guardarla. La sento parlottare con Taylor. «Dovrei restituirle il fazzoletto» gli dice, sorridendogli gentile. «Lo tenga pure, Miss Steele, con i miei migliori auguri» le risponde lui educatamente. Li guardo con un pizzico di gelosia. Ok. Forse più di un pizzico. Faccio il giro dell’auto e le afferro la mano, stringendola possessivamente. Guardo Taylor, indagando nella sua espressione, ma lui resta totalmente impassibile. “Non finisce qui, Jason”. «Nove?» gli chiedo, concentrandomi sul presente. «Sì, signore» mi risponde con fermezza. I suoi occhi non lasciano trapelare niente. É in perfetta modalità uomo di fiducia. Senza aggiungere altro mi allontano, entrando nel palazzo con Anastasia. Stringo saldamente la sua mano nella mia. Le dita intrecciate, come un riflesso di quello che, vogliamo o meno, sono i nostri destini. Entrambi restiamo in silenzio, fino all’ascensore. Premo il pulsante di chiamata e attendiamo. Mi ricordo della prima volta in cui siamo saliti insieme in ascensore. E di quanto quel momento abbia significato la perdita completa del mio autocontrollo. Credo che i suoi pensieri non siano molto dissimili dai miei. Mi spia, di sottecchi, strappandomi un mezzo sorriso. Quando finalmente le porte si aprono, entriamo nella cabina illuminata da una luce soffusa. Anastasia mi guarda di nuovo, furtivamente, come se temesse di essere scoperta a fare qualcosa di proibito. Anche io la guardo, senza neppure tentare di nasconderlo. Sono completamente avvinto dalla sua magia. Sento una familiare sensazione attraversare il mio corpo e spingermi inesorabilmente verso di lei. Anastasia dondola sui piedi, spostandosi quasi impercettibilmente verso di me. Apre gli occhi di scatto, girandosi a guardarmi. «Oddio» ansima, con un suono quasi viscerale. Osservo la sua trasformazione da mesta a famelica e bramosa creatura. La desidero da morire in questo momento. E scommetto tutto quello che ho che anche per lei è lo stesso. «La sento anch’io» le confesso, senza smettere di mangiarla con gli occhi. Fosse per me fermerei l’ascensore all’istante e la divorerei di baci, carezze che possano guarire il mio corpo martoriato. Le affonderei dentro, nella speranza di fondermi con lei ed essere un uomo migliore. Nel tentativo di elemosinare un minimo tocco, le afferro la mano con la mia, accarezzandole piano le nocche con il polpastrello del pollice. Anastasia guarda le nostre mani, poi di nuovo il mio viso. I suoi occhi disegnano il contorno delle mie labbra, il profilo del mio naso e si fissano sfrontati nei miei. I suoi denti afferrano il labbro inferiore, mordicchiandolo in quel modo così erotico e carnale. Il mio uccello ha un fremito e si tende a dismisura. Sono eccitato più che mai. Ana non regge il mio sguardo e abbassa gli occhi. «Per favore, non morderti il labbro, Anastasia» le sussurro, con la voce carica di amore e lussuria. Torna a guardarmi, liberando piano il labbro dai denti. Il suo desiderio è palpabile nell’aria, proprio come il mio. «Sai che effetto mi fa» le mormoro, senza staccarle gli occhi di dosso. All’improvviso le porte dell’ascensore si aprono, spezzando la magia che si era creata tra di noi. Ci ritroviamo sul tetto, con il vento freddo che sferza i nostri corpi. Ana ha i brividi, così la stringo a me, afferrandole la vita con un braccio, mentre ci dirigiamo in fretta verso il mio elicottero già in moto. Stephan, l’altro pilota, è appena scendendo e corre verso di noi. Mi tende la mano, gridando per farsi sentire al di sopra del rumore. «Pronto a partire, signore. È tutto suo!» mi dice con un gran sorriso, felice, probabilmente, di aver guidato il mio Charlie Tango. Azzarda un’occhiata ad Anastasia. La stringo più forte. É mia. «Fatti i controlli di rito?» gli urlo di rimando, facendogli spostare di nuovo la sua attenzione verso di me. «Sì, signore» mi risponde, sbarrando gli occhi quando si accorge della mia occhiata. «Verrà a riprenderlo intorno alle otto e mezzo?» chiedo gelido. «Sì, signore» «Taylor l’aspetta fuori» «Grazie, Mr Grey. Buon viaggio fino a Portland. Signora» la saluta educatamente, tenendo lo sguardo basso. Annuisco nella sua direzione, congedandolo. Poi lo supero, chinandomi e conducendo Ana verso il portellone dell’elicottero. Dentro la lascio accomodare sul suo sedile, assicurandole le cinghie attorno al corpo. Alzo lo sguardo su di lei, mentre stringo forte le cinture, sorridendo al ricordo della prima volta che era salita sul mio elicottero. E di tutto quello che ne era seguito nel mio appartamento. Non riesco a trattenere il mio lascio apprezzamento per il suo corpo legato. La desidero troppo. «Queste ti terranno al tuo posto» le mormoro quasi accanto all’orecchio. «Devo dire che mi piace vederti legata. Non toccare niente» Anastasia arrossisce violentemente. Alzo la mano e le passo l’indice sulla guancia, prima di staccarmi a malincuore e passarle le cuffie. Colgo la sua occhiata di frustrazione, rimprovero e rabbiosa tristezza. Tenta di spostarsi sul sedile, ma la morsa delle cinghie la tiene ferma. “Dio, quanto vorrei averti di nuovo legata sul mio letto a farti impazzire”. Mentre mi siedo al mio posto mi ritrovo a pensare a quanto sia bastata la sua sola presenza per far risvegliare la bestia che è in me. Ho fame di lei. Del sesso, dell’amore. Del suo sapore, del suo dolce nettare sulla mia lingua. Ho fame dei suoi gemiti incontrollati. Della sua voce che urla incoerentemente il mio nome. Il nome che nessuna, prima di lei, ha mai osato pronunciare in quel modo così delizioso. Una dolce tortura di suoni melodici che mi fa sentire vivo come non mai. Sento il suo sguardo addosso, mentre completo i controlli di rito. Mi infilo le cuffie. Sono sempre eccitato ed emozionato quando piloto il mio gioiellino. Quando mi giro a guardarla scorgo uno sguardo di ammirazione nei suoi occhi scintillanti. La guardo, sorridendo spensierato per la prima volta dopo cinque giorni. «Pronta, piccola?» le urlo nella cuffia. «Sì» Scambio le ultime informazioni con la torre di controllo, prima di spiccare il volo, lentamente, con la luce del crepuscolo che ci illumina. Il suo viso, illuminato dalla luce arancione del sole che cala, è straordinariamente bello. Una visione meravigliosa, che tanto mi è mancata in questi giorni. Guarda fuori, ammirando Seattle dall’alto. «Abbiamo inseguito l’alba, Anastasia, e ora inseguiamo il crepuscolo» le dico, facendo tornare la sua attenzione su di me. Il riferimento al volo in aliante non è casuale. É stato il momento più bello della mia vita. E vorrei che la mia vita fosse tanto meravigliosa da oggi in avanti, proprio come quella mattina. Con lei. Ana mi fissa a bocca aperta, stupita dalle mie parole. Le sorrido, divertito dalla sua espressione. E lei ricambia, contagiata dalla mia allegria. Che in realtà è speranza più che allegria. Speranza che lei mi riprenda con sé. «Così come il sole di sera, c’è molto di più da vedere stavolta» le dico. E non mi riferisco solo alla vista. Mi riferisco a me, alla mia vita, che sono pronto ad affidarle completamente. E questa volta non è solo sesso per me. Forse non è mai stato solo sesso. Ma questa volta ne sono sicuro. La amo. “Ti amo, Ana. Ti amo più della mia patetica vita”. La lascio per un po’ a riordinare i pensieri. Lei resta in silenzio, taciturna come l’ultima volta. Iniziamo a prendere quota sempre di più, scivolando tra i grattacieli della città che inizia a tingersi di luci sfavillanti sotto di noi. In lontananza si scorge il mio appartamento. «L’Escala è laggiù» le dico, indicandole l’edificio. Poi mi travesto un po’ da uno strano chaperon volante. «Il Boeing è là, e lì puoi vedere lo Space Needle» Ana china la testa di lato, offrendomi una splendida visuale del suo candido collo coperto a metà dalla giacca. «Non ci sono mai stata» mormora, con lo sguardo sognante. «Ti ci porterò. Possiamo andarci a mangiare» le dico in tono allegro. L’occhiata triste che mi restituisce mi mette in allerta. «Christian, noi abbiamo rotto» Le sue parole sono come una pugnalata dritta al cuore. Stringo forte la mascella, per tenere a freno la frustrazione. «Lo so. Ma posso sempre portarti lì per nutrirti» le dico, prima di lanciarle un’occhiata per controllare la sua reazione. Non risponde a tono. E questo non è un bene. Sembra rassegnata, mentre scuote la testa e torna a guardare malinconica fuori dal vetro. «È bellissimo quassù, grazie» sussurra. «Impressionante, vero?» le dico, senza sapere bene come continuare il discorso. Ho paura di fare un passo falso ad un certo punto, che mi trascini più a fondo di quanto io non sia già. «È impressionante che tu riesca a fare questo» mi dice, senza guardarmi. «Mi stai adulando, Miss Steele? Io sono un uomo dai molti talenti» tento di scherzare. «Ne sono pienamente consapevole, Mr Grey» Per un attimo ritrova un briciolo del suo sarcasmo. La sua lingua biforcuta non riesce a resistere. “Finalmente!”. Mi volto, sorridendole compiaciuto. Noto che anche lei si rilassa visibilmente. É come se stessimo decidendo di annullare gli ultimi cinque giorni. Almeno per un po’. «Come va il nuovo lavoro?» le chiedo, mantenendomi su un territorio sicuro. «Bene, grazie. È interessante» mi dice criptica. «Com’è il tuo capo?» ‘Come perdere la donna che ami in cinque parole. Ottimo, Grey. Primo passo falso della serata’. Anastasia mi guarda in modo strano, poi abbassa gli occhi. «Oh, lui è okay» mormora. Mi giro a guardarla. “Cosa cazzo ti ha fatto quel pervertito?”. «Cosa c’è che non va?» le chiedo, senza riuscire a nascondere il tono inquisitorio. ‘Secondo passo falso della serata. Fanculo, Grey. Sei un fallimento con le donne’. “Cristo”. «A parte l’ovvio, niente» risponde di nuovo criptica. «L’ovvio?» le dico, senza afferrare. «Oh, Christian, a volte sei veramente molto ottuso» mi dice esasperata. «Ottuso? Io? Non sono sicuro di gradire il tuo tono, Miss Steele» le risponde, leggermente piccato. «Bè, allora non farlo» mi risponde a tono. Sorrido, vedendo il suo spirito ritornare in tutto il suo splendore. «Mi è mancata la tua lingua biforcuta» Anastasia sospira e sembra sul punto di dire qualcosa. Ma poi si ferma, tornando a guardare fuori. “Su, Ana. Collabora”. Il sole che tramonta crea un favoloso gioco di luci ed ombre sul suo bellissimo viso. La voglia di baciarla mi assale. Ho troppa voglia di lei. Non so se riuscirò a resistere per stasera, come invece mi ero prefissato di fare. Volevo dimostrarle di essere un uomo controllato, affidabile. Di poterle stare accanto e proteggerla senza per forza saltarle addosso. Ma accanto a lei io non ragiono. Conta solo lei e la forza magnetica che mi spinge verso il suo corpo, verso la sua anima. Cala il silenzio tra di noi, fino a quando Portland non ci accoglie. Atterro sullo stesso edificio da dove, tre settimane fa, siamo partiti. Spengo l’elicottero e mi libero dalla cintura. Poi passo a liberare lei. La osservo di sottecchi. pallida, ma il suo sguardo arde di desiderio. Lo so. Lo riconosco perché in quegli stessi occhi l’ho visto mille volte da quando la conosco. E tutte le volte sono stato io ad ispirarglielo. Scuote impercettibilmente la testa e sembra tornare in sé. Cosa darei per sapere a cosa stava pensando. «Piaciuto il viaggio, Miss Steele?» le chiedo dolcemente, guardandola con... amore. Credo si tratti di questo, anche se ancora mi costa fatica ammetterlo con me stesso. Ammettere che io sono in grado di provare questo sentimento. Forse perché so di non meritare l’amore di qualcuno. «Sì, grazie, Mr Grey» risponde con la sua innata educazione. Le sorrido. «Bene, andiamo a vedere le foto del ragazzo» Tendendole la mano, l’aiuto ad alzarsi e a scendere da Charlie Tango. Scendiamo, mentre Joe ci viene incontro, sorridendoci. «Joe» Per un attimo lascio la mano di Anastasia e stringo calorosamente quella del mio collaboratore. Sono davvero affezionato a quest’uomo. «Tienilo al sicuro per Stephan. Verrà a prenderlo tra le otto e le nove» «Sarà fatto, Mr Grey. Signora» dice, poi, rivolgendosi ad Anastasia con un cenno della testa. «La macchina l’aspetta di sotto, signore. Oh, l’ascensore è fuori servizio. Dovrete usare le scale» ci informa premurosamente. «Grazie, Joe» Lo saluto con un cenno, mentre riprendo la mano di Ana e la conduco verso le scale. Azzardo un’occhiata ai suoi stivali neri e me ne pento, dal momento che solo la loro vista mi scatena un’erezione da paura. «Sei fortunata che questo edificio ha solo tre piani, visti i tacchi» mormoro brusco. Ha dei tacchi che, per quanto siano sexy, non sono il massimo della sicurezza. Non è passato molto tempo da quando ha rischiato di farsi investire da un ciclista per le strade di Portland. E indossava un semplice paio di Converse. Ana mi lancia uno sguardo di sfida. «Non ti piacciono gli stivali?» chiede sarcastica. «Mi piacciono molto, Anastasia» le rispondo. La mia voce è roca, mentre il mio sguardo avido le accarezza il corpo al posto mio. La mia mente malata genera un’immagine di Anastasia nuda, sexy da impazzire, con addosso solo quegli stivali. Sto quasi per confessarle la mia fantasia, ma decido di evitare. Non sono ancora sicuro che le farebbe piacere sapere di essere ancora la donna dei miei desideri. «Vieni. Andremo piano. Non voglio che tu cada e ti rompa l’osso del collo» aggiungo. Scendiamo piano i tre piani che ci separano dall’uscita. Entriamo in auto e James, l’autista, mette in moto. Mi ritrovo diverse volte a guardarla di sottecchi. La desidero. Ma ho una fottuta paura di farle male, di farla star male da morire. Ho una fottuta e tremenda paura di ripetere il fottutissimo errore che ho fatto con Leila. Non posso permettermelo. In nessun modo. La tensione tra noi si accumula nel silenzio. Anche lei è nervosa, preoccupata, pensierosa. Sembriamo due anime in pena. La guardo e vorrei che nessun altro fosse in grado di vederla. É davvero stupenda. Dentro e fuori. Come se mi leggesse il pensiero, la sua voce soave mi distoglie dal mio rimuginare internamente. «José è solo un amico» mormora con un filo di voce. Mi giro di scatto. La scruto a fondo. Inumidisco le labbra e sono tentato di fiondarmi su di lei e baciarla. “Lo sento, Anastasia. Sento che ancora provi qualcosa. Solo... solo non combatterlo per ricacciartelo dentro”. Il bellissimo viso è provato dal dolore. Gli occhi grandi sono due gemme in un viso scarno e triste. Si fissano sulla mia bocca schiusa. Ho voglia di baciarla. E lei vuole che lo faccia. “Dio, quanto è difficile!”. Mi sposto sul sedile, cercando di tenermi a freno. «Quei bellissimi occhi sono troppo grandi per il tuo viso, Anastasia. Per favore, dimmi che mangerai» Quasi la imploro. Ho bisogno di sapere che il male che le ho fatto da oggi in poi sparirà. Che starà bene. «Sì, Christian. Mangerò» replica in automatico, come se stesse parlando con un bimbo. «Dico sul serio» insisto, testardo. «Ah, sì?» Lo sdegno nella sua voce fa male come uno schiaffo. La rabbia è palese nei suoi occhi, nel suo viso contratto, nelle sue dita strette a pugno. Lotta con sé stessa, con i suoi pensieri. Contro la voglia che ha di me e contro la ragione che gli suggerisce che sono solo uno sbaglio. Che sono stato il suo inferno personale. Ho bisogno che si calmi. «Non voglio litigare con te, Anastasia. Ti rivoglio, e voglio che tu sia in salute» le dico piano, dolcemente, cercando di farle capire che sono cambiato. Per lei. «Ma non è cambiato niente» risponde rabbiosa. «Ne parleremo al ritorno. Siamo arrivati» le dico, mentre James accosta davanti alla galleria. Scendo dall’auto. Faccio il giro e le apro la portiera. Scende, fissandomi irata. «Perché fai questo?» chiede a voce troppo alta. Una coppia dietro di lei si gira a guardarci. La guardo sorpreso dal suo scatto di rabbia. «Faccio cosa?» le chiedo spaesato. «Perché dici una cosa come quella e poi ti fermi» dice, senza abbassare la voce. «Anastasia, siamo arrivati. Siamo dove volevi essere. Facciamo questa cosa e poi parliamo. Non ho proprio voglia di fare una scenata in mezzo alla strada» le dico a denti stretti. Ana si gira, rendendosi conto che siamo in strada e la gente che passa ci sente e si gira a guardarci. Stringe le labbra, mentre le lancio un’occhiataccia. «Okay» borbotta alla fine, mettendo il broncio. Le prendo di nuovo la mano, guidandola all’interno della galleria. Entriamo nel magazzino riconvertito, con i muri di mattoni, il pavimento in legno, le tubature a vista. Non è il mio genere, ma le foto appese ai muri catturano la mia attenzione. Come sospettavo il figlio di puttana ha talento. Ma questo non me lo fa odiare di meno. Anastasia si perde a guardare le foto del suo amico. «Buonasera Rodriguez» e benvenuti alla mostra di José Ci giriamo entrambi verso la donna vestita di nero, con i capelli corti e troppo trucco in faccia, che ci saluta calorosamente. Guarda Anastasia, poi me, mettendomi a disagio per la durata dello sguardo. Con la coda dell’occhio scorgo la sua espressione infastidita. Sorrido segretamente, soddisfatto. La ragazza torna a guardare Anastasia, meravigliata. «Oh, sei tu, Ana. Ci farà piacere conoscere la tua opinione su tutto questo» Sorride eccessivamente, passandole un volantino e facendo strada all’interno della sala, verso il tavolo del buffet. Guardo l’espressione attonita di Anastasia. «La conosci?» le chiedo, indicando con il mento la ragazza. Scuote la testa, aggrottando la fronte. Mi stringo nelle spalle, senza sapere cosa dire. «Che cosa vuoi da bere?» le chiedo, poi. «Un bicchiere di vino bianco, grazie» risponde decisa. Mi acciglio e vorrei dirle che non intendevo offrirle alcool dato che è palese il fatto che non abbia mangiato, ma mi trattengo, evitando di farla infuriare ancora. Mi allontano verso il tavolo con le vivande. Un uomo sulla quarantina si gira, mentre aspettiamo entrambi essere serviti, e intavola un discorso sull’arte e la fotografia. Bado a stento alle sue parole, rispondendo a monosillabi. Una brivido mi percorre la schiena, spingendomi a voltarmi. Riesco a stento a trattenere la rabbia quando lo vedo. Quel bastardo figlio di puttana, tirato a nuovo per l’occasione. La tiene per le spalle, scrutandola, guardandola famelico, come un lupo con la sua preda. Mi stanno guardando. Entrambi. E lui non è contento. “Bene, stronzo. Neppure io”. Il mio sguardo è catturato da quello di Anastasia. Per un attimo ci perdiamo, l’uno nell’altra, connessi ad un livello profondo che ci permette di estraniarci insieme dal mondo. I suoi occhi si aprono, la sua bocca si schiude e, ne sono certo, se ci fossimo solo noi due, saremmo già l’uno nelle braccia dell’altra. Poi il suo amico la distrae, spezzando quel momento magico tra di noi. “Coglione!”. Arriva anche la ragazza di prima che, fortunatamente, lo trascina via da lei. José le sorride troppo sdolcinatamente, chinandosi a baciarla sulla guancia, prima di schizzare via con l’altra ragazza. La raggiungo più in fretta che posso, portandole il bicchiere di vino che voleva. Mi guarda serena, con una straordinaria forza recuperata. «È all’altezza?» mi chiede. La guardo, senza capire a cosa si riferisca. «Il vino» mi spiega, con un sorriso che non vedevo da tempo. «No. Raramente lo è a eventi come questo. Il ragazzo ha talento, vero?» le dico, girandomi intorno. Per quanto non lo sopporti, non sono così idiota da non riconoscere il talento quando lo vedo. E lui ne ha da vendere. «Perché pensi che gli avrei chiesto di farti un ritratto, altrimenti?» mi risponde altezzosa. Il mio sguardo passa dalle foto a lei, accarezzando ogni millimetro della sua delicata espressione. Ad interromperci è un fotografo. «Christian Grey? Posso scattarle una foto?» chiede, nella speranza di fare uno scoop. «Certo» rispondo educatamente. Ana fa un passo indietro, ma la afferro quasi subito per una mano, costringendola ad avvicinarsi. La tengo per la vita, mentre il fotografo ci guarda senza sforzarsi di non apparire stupito. «Grazie, Mr Grey» Scatta due o tre foto. Poi si rivolge ad Ana. «Miss... ?» chiede. «Ana Steele» risponde lei, gentile. «Grazie, Miss Steele» le dice con un sorriso, prima di allontanarsi. Ana, si gira verso di me, ma guarda le foto appese al muro. «Ho cercato tue foto con altre donne su Internet. Non ce ne sono. Ecco perché Kate pensava che fossi gay» mi dice all’improvviso. Sorrido beffardo. «Questo spiega la tua domanda inopportuna. No, io non do mai appuntamenti a donne, Anastasia. Solo a te. Ma questo lo sai» le dico, imprimendo nella mia frase tutta la sincerità di cui sono capace. La guardo intensamente, sperando che capisca. “Esiste solo lei. Per sempre”. «Così non porti mai le tue...» si ferma un attimo, guardando in giro imbarazzata, temendo di essere ascoltata. «...le tue Sottomesse fuori?» sussurra sottovoce. Sospiro leggermente. «Qualche volta. Ma non per un appuntamento. Per fare shopping, sai» Mi stringo nelle spalle, senza smettere di fissarla. Anastasia soppesa le mie parole, rimanendo in silenzio. «Solo a te, Anastasia» le dico, sussurrandoglielo piano, dolcemente. Le sue guance si colorano di un rosso vivace, mentre i suoi occhi si abbassano sulle sue dita. Non voglio caricarle la testa di troppo pensieri. Parleremo dopo. «Il tuo amico sembra più un fotografo di paesaggi che di ritratti. Facciamo un giro» le propongo, prendendole la mano e guidandola nella sala. Osserviamo delle stampe, in silenzio. Anastasia viene distratta dagli sguardi di una coppia che la osserva, indicandola palesemente. Il ragazzo la fissa a bocca aperta, ammaliato. Mi sto innervosendo, per cui la trascino via. Ci spostiamo, girando l’angolo. E il cuore mi si ferma nel petto. Furia, rabbia, gelosia, amore, desiderio, follia. Il sangue mi ribolle di tutto questo mentre, dalla parete di fronte a me, sette diverse Anastasia mi fissano. In sette diversi modi diversi. Sette lati di lei, del suo carattere, del suo essere, che vorrei essere il solo ad aver visto. Sette paia degli stessi occhi mi tengono incollato a lei più di quanto io non lo sia già. Ci metto un po’ a riscuotermi dalla paralisi che mi ha immobilizzato. La guardo di sfuggita, notando la stessa espressione attonita sul suo viso. Evidentemente era all’oscuro di tutto questo. “Bell’amico José”. Ma la magia del suo sguardo mi costringe a guardare di nuovo quei meravigliosi ritratti. “E se non fossi venuto con lei? Cosa sarebbe questa? Una dichiarazione d’amore? Per lei? Per lei che è mia?”. Ognuno di quei ritratti esprime un lato del suo carattere che ho imparato bene a conoscere ed ammirare nelle ultime tre settimane. Credevo di essere il solo a vederla in quel modo, ad aver colto quelle sfumature. Ma non è così. «A quanto pare, non sono l’unico» mormoro, serrando le labbra per la rabbia che torna a farsi sentire. E il problema è che io non voglio che nessun altro le colga. Nessuno che voglia portarla via da me. E se per questo dovrò arricchire un po’ le tasche di quel coglione, allora va bene. La guardo per un attimo. Sembra sentirsi in colpa, anche se non è colpa sua. «Scusami» le dico, fissandola a fondo. Poi mi allontano verso la reception, dove trovo la ragazza con i capelli corti che mi lancia un sorriso estatico. Tiro fuori la carta di credito. «Vorrei effettuare un acquisto» le dico diretto. I suoi occhi si illuminano. «Prego! Per quale opera?» «Per i sette ritratti di Miss Anastasia Steele» sibilo. La ragazza sbarra gli occhi, a bocca aperta. «Intende tutti e sette, Mr...» dà un’occhiata alla carta di credito. «...Mr Grey?» «É quello che ho appena detto, signorina. Tutti e sette i ritratti. Le sarei grato se potesse concludere la transazione in fretta» La ragazza si mette all’opera e cinque minuti dopo sono il nuovo proprietario di quelle sette meraviglie. “Forse dovrei addirittura ringraziarlo. Se pure lei non ne volesse sapere più di me, almeno avrei quelle foto a ricordarmela e ad uccidermi lentamente giorno dopo giorno”. Quando mi giro per tornare da Anastasia, vedo di fronte a lei un idiota biondo che le sorride sfacciatamente. Accelero i passi, afferrandole il gomito quando le sono accanto, in modo possessivo. «Sei un tipo fortunato» mi dice il ragazzo, fissandomi con un sorrisetto. Lo gelo con lo sguardo. «Lo sono» rimbrotto, guardandolo allontanandomi insieme ad Ana. truce e La trascino in disparte, in un angolo della sala. «Hai comprato un ritratto?» mi chiede curiosa e apprensiva. «Uno?» sbuffo, senza smettere di guardarla, con la consapevolezza che ora potrò guardarla ogni volta che mi va. «Ne hai comprato più di uno?» chiede incredula. Alzo gli occhi al cielo esasperato. Ora capisco cosa prova quando lo fa lei. «Li ho comprati tutti, Anastasia. Non voglio che qualche sconosciuto sbavi sulla tua foto nell’intimità di casa sua» sbotto. Mi aspetto di vederla arrabbiarsi. Ma la sua reazione mi confonde e stupisce e delizia allo stesso tempo. Scoppia a ridere di gusto. «Meglio che sia tu a farlo?» mi prende in giro, con gli occhi luminosi. La fisso attonito, tentando di trattenere un sorriso. «Francamente sì» ammetto con una finta aria da arrogante. «Pervertito» mi deliziosamente il labbro. sussurra, mordendosi La guardo divertito dalla sua audacia. La desidero da impazzire. Vorrei solo perdermi nel suo corpo, ma non devo. Non posso. Eppure la sua sfida accende in me desideri sopiti. Solo lei è in grado di darmi queste sensazioni. Nessun’altra potrebbe più farlo oramai. Decido di stare al suo gioco. Mi strofino il mento, fingendo di soppesare la sua affermazione. «Non posso Anastasia» ribattere a quest’affermazione, Lei mi fissa, con un’aria fintamente altezzosa. Scuoto la testa, sorridendole affettuosamente. «Potrei discuterne più approfonditamente con te, ma ho firmato un accordo di riservatezza» mi dice con noncuranza. Il colpo va dritto a segno. Le ho fatto firmare quell’accordo per essere sicuro che non spifferasse in giro in quanti e quali modi l’avrei fatta godere. “Cristo!”. Sono eccitato, infuriato con me stesso per essere stato così coglione, e la desidero. Il mix di emozioni non è dalla mia parte. Se fossimo da soli le sarei già saltato addosso, lo so, nonostante i miei propositi. «Che cosa mi piacerebbe fare a quella lingua biforcuta!» mormoro, mentre il mio uccello smania nei miei pantaloni. Apre la bocca e non emette fiato, mentre mi scruta. Sa che non scherzo. E sa benissimo cosa intendo. «Sei molto scioccata. volgare» risponde, fingendosi Le sorrido e decido di mettere fine al nostro piccolo gioco perverso di stuzzicarci a vicenda, che potrebbe finire solo in un modo. Con me dentro di lei. E non dev’essere stasera. Non posso cedere a tutto questo. Non posso rischiare di sbagliare e farle del male ancora una volta. Aggrotto la fronte, continuando a sorridere e guardando i miei nuovi acquisti affissi alla parete di fronte a noi. «Sembri rilassata in queste fotografie, Anastasia. Non ti vedo spesso così» mormoro. “Ed è colpa mia, piccola. Sei un fascio di nervi quando mi stai accanto”. Abbassa lo sguardo, all’improvviso triste. ‘Il premio per il più coglione dell’anno è sicuramente andato a te, Grey’. Le sollevo il mento. Respira a fondo, guardandomi. «Voglio che tu sia altrettanto rilassata con me» le sussurro dolcemente. I suoi occhi si fanno grandi, pieni di un sentimento strano che non riesco a decifrare. «Devi smetterla di intimidirmi, se vuoi che lo sia» replica piano, ma decisa. «Devi imparare a comunicare e a dirmi come ti senti» ribatto, mentre la speranza si accende nel mio cuore. “Mi sta forse concedendo un’altra possibilità?”. Anastasia fa un altro respiro profondo. «Christian, tu mi vuoi come tua Sottomessa. Il problema è proprio qui, nella definizione di sottomesso. Una volta me l’hai mandata via mail». Fa una pausa, cercando di riorganizzare i suoi pensieri. «Credo che i sinonimi fossero: “compiacente, adattabile, condiscendente, passivo, accomodante, rassegnato, paziente, docile, domato, soggiogato”. Non era previsto che ti guardassi, né che ti parlassi a meno che tu non mi avessi dato il permesso di farlo. Che cosa ti aspetti?» sibila acida. Aggrotto le sopracciglia, ma lei non mi lascia possibilità di replica. ‘Forse non te la stava dando quella possibilità, Grey’. «Stare con te mi confonde. Non vuoi che io ti sfidi, ma poi ti piace la mia “lingua biforcuta”. Vuoi obbedienza, eccetto quando non la vuoi, così puoi punirmi. È solo che non so mai che cosa succederà quando sono con te» Le lascio il mento, stringendo gli occhi per la fitta di dolore che le sue parole mi provocano. La sua descrizione di me, fino a cinque giorni fa sarebbe stata esatta. Ma sono cambiato. E ho bisogno che lei lo sappia. «Ottima analisi, come sempre, Miss Steele». La mia voce è fredda. «Vieni, andiamo a mangiare» le ordino, senza mezzi termini. «Siamo qui soltanto da mezz’ora» mi risponde basita. «Abbiamo visto le foto. E tu hai parlato con il ragazzo» le sibilo contro. «Si chiama José» risponda acida. «Hai parlato con José. L’uomo che, l’ultima volta che l’ho visto, stava cercando di infilarti la lingua in bocca, sebbene tu non volessi e fossi ubriaca e stessi per vomitare» ringhio furente. «Lui non mi ha mai picchiata» impulsivamente, sfidandomi con lo sguardo. ribatte La sua espressione è altera, i suoi occhi stretti in due piccole fessure rabbiose. Le lancio un’occhiata carica d’ira. Ma anche di rimorso. «Questo è un colpo basso, Anastasia» mormoro minaccioso, cercando di farle smettere di fare la bambina. Arrossisce violentemente, rendendosi conto del suo comportamento inopportuno. Mi passo una mano nei capelli, esasperato, arrabbiato. Mi rende così vulnerabile ed instabile. Ana mi fissa, calmandosi di poco. La tensione tra noi è costante. «Ti porto a mangiare qualcosa. Mi stai sparendo davanti. Trova il ragazzo e salutalo» le intimo, minaccioso. «Per favore, possiamo rimanere un altro po’?» chiede esausta, sconsolata, sapendo già che la mia risposta sarà no. «No. Vai. Salutalo» Mi lancia un’occhiataccia, furiosa. Si gira, cercando il suo fottuto amico. Quando lo individua, si dirige verso di lui a grandi falcate. La osservo mentre gli tocca il braccio, facendolo girare. Lui le mette un braccio attorno alle spalle, con una posa da gradasso. Devo sforzarmi per non avvicinarmi e picchiarlo a sangue. Respiro a fondo, cercando di domare i miei istinti. Li vedo parlottare. Ad un tratto lui la abbraccia, stringendola forte. Anastasia si trova ora di fronte a me, mentre José, di spalle, non può vedermi. Ma lei si. La fisso truce, il cervello annebbiato dalla gelosia. Ed ecco che lei ne approfitta. Guardandomi, avvolge le braccia attorno al collo del suo amico, con uno sguardo di sfida. Smetto di ragionare e inizio ad avvicinarmi a lei. Parlottano ancora. Ridono entrambi. Lui passa le mani attorno ai suoi fianchi, stringendola forte in una posa molto intima. Arrivo alle loro spalle, guardando Anastasia minaccioso. «Non sparire, Ana. Oh, Mr Grey, buonasera» mi saluta lo stronzo, avvertendo la mia presenza e girandosi a guardarmi. Le sue mani lasciano i fianchi di Ana quasi automaticamente quando si accorge della mia espressione. «Mr Rodriguez, sono molto colpito» le dico freddamente. «Mi dispiace che non possiamo rimanere di più, ma dobbiamo tornare a Seattle. Anastasia?» Le tendo la mano. Lei lo saluta di nuovo, chinandosi a baciarlo sulla guancia. A quel punto non ragiono più. Le afferro la mano e la trascino via, fregandomene se sembro un marito geloso e tutti ci stanno guardando. Non me ne fotte un cazzo, onestamente. Voglio solo chiarire una volta per tutte questa situazione. Sento la furia trasparire dal suo corpo e fondersi con la mia. Potrebbe uccidermi in questo momento. Lo so. Anche se mi desidera. E anche io sono incazzato nero con lei. Usciamo in strada. Continuo a trascinarla per mano. Scorgo un viottolo sulla sinistra e mi ci infilo insieme a lei. La spingo violentemente contro il muro. Le mie mani afferrano il suo viso, costringendola a guardarmi. Voglio che lo veda. Che veda cosa mi provoca saperla tra le braccia di un altro. Il suo corpo è attraversato da un fremito. Il mio respiro affannato va di pari passo con il suo. Lo sguardo si posa sulle sue labbra semiaperte. E non resisto oltre. La bacio con violenza, con forza. La mia lingua viola la sua bocca. Ma non sono solo in questo. Pochi secondi e anche lei risponde al mio bacio con la stessa identica forza e brutalità. Sembriamo due bestie tenute in gabbia e liberate all’improvviso. La mia erezione fa male nei pantaloni. Ana mi afferra i capelli, tirandoli selvaggiamente mentre lascia che la mia lingua si scontri con la sua in una disperata corsa al piacere. Ci tratteniamo a vicenda, affamati dello stesso bisogno. La mia mano scende lungo il suo corpo, in una dolce carezza sensuale. Si ferma sulla sua coscia, stringendola forte. Devo fare un profondo sforzo per non spingere il mio corpo contro il suo e farle sentire quanto sono eccitato. Sto perdendo ogni briciolo di controllo. E mi ero ripromesso di non toccarla. A meno che non fosse stata lei a chiedermelo coscientemente. Non voglio sopraffarla. Il pensiero mi dà l’input per staccarmi da lei. «Tu. Sei. Mia» le sibilo contro, prima di allontanarmi del tutto. Tremiamo entrambi. Ana si appoggia al muro, mentre io mi piego, poggiando le mani sulle ginocchia e imponendomi il controllo. «Per l’amor di Dio, Ana» la imploro quasi. Imploro di non farmi impazzire, di tenermi con lei e non accogliere nessun altro in quel porticciolo sicuro che è la sua vita. «Mi dispiace» sussurra guardandomi con aria colpevole. all’improvviso, «Sì, fai bene. So cosa stavi facendo. Vuoi il fotografo, Anastasia? È evidente che lui prova dei sentimenti per te» le dico, aggrottando la fronte e tornando cupo. Arrossisce di nuovo, imbarazzata, e scuote la testa. «No, è solo un amico» sussurra a voce bassissima. «Ho passato tutta la mia vita di adulto cercando di evitare ogni emozione estrema. Eppure tu... tu scateni in me sentimenti che mi sono completamente sconosciuti. È molto...» aggrotto la fronte senza trovare le parole per spiegarmi. «...sconcertante. Mi piace avere il controllo, Ana, e vicino a te questo...». Mi rialzo, ancora una volta a corto di parole. Faccio un vago gesto con le dita in aria «...evapora» le dico alla fine. Ha gli occhi spalancati, la schiena incollata al muro. Ho una fottuta voglia di prenderla e farla mia. Mi passo una mano tra i capelli, cercando di tenere a bada i miei istinti. Poi la prendo per mano, staccandola dalla parete e costringendola a camminare con me. «Vieni, dobbiamo mangiare, e dobbiamo parlare» le dico e, senza aggiungere altro, la conduco via da quel vicolo. Capitolo 5 Camminiamo a piedi per un po’, prima di raggiungere il piccolo ristorantino che ho scelto. É un posto intimo, adatto alla conversazione che dovremo affrontare. «Questo posto andrà bene» mormora. «Non abbiamo molto tempo» le mormoro, lasciandola entrare per prima. Anastasia si guarda intorno, ammirando l’arredamento e l’eleganza del locale. Le pareti sono di un intenso rosso. Un rosso che conosco bene. “Cazzo”. Non voglio che pensi che sia una sorta di allusione alla mia stanza segreta. In sottofondo Ella Fitzgerald smorza la tensione che stava per crearsi tra noi, creandone una nuova, più tenera e dolce. This thing called love accompagna l’ondulazione del suo esile corpo mentre seguiamo il cameriere al nostro tavolo, in un angolo appartato e particolarmente intimo. Il suo viso è preoccupato quando si gira a guardarmi, mentre si siede. Prendo posto accanto a lei, non mi va di mettere troppa distanza tra di noi. «Non abbiamo molto tempo» dico al cameriere. «Perciò prendiamo tutti e due una bistecca di manzo, media cottura, con salsa Bernese, se l’avete, patatine fritte e verdure, di qualunque tipo. E mi porti la lista dei vini» Ordino per entrambi, cercando di fare più in fretta possibile. «Certo, signore» mi risponde il cameriere, ovviamente colto di sorpresa dalla mia efficienza. Poggio il BlackBerry sul tavolo, dopo aver inserito la modalità silenziosa. Taylor potrebbe chiamare da un momento all’altro. Alzo lo sguardo su di lei e la trovo infastidita. «E se a me la bistecca non piacesse?» sbotta, piccata. Sospiro pesantemente. Non sarà facile. Sarà molto, molto difficile. «Non cominciare, Anastasia» le intimo severo. «Non sono una bambina, Christian» sbotta in tono quasi infantile, in netto contrasto con quello che ha appena affermato. «Bene, allora smettila di comportarti come se lo fossi» la riprendo gelidamente, guardando lo schermo del mio telefono. Il suo silenzio mi costringe ad alzare lo sguardo. Sul volto le si è dipinta un’espressione attonita, incredula. Sbatte le palpebre diverse volte. “Non promette nulla di buono tutto questo. Merda”. «Sono una bambina perché non mi piace la bistecca?» brontola, palesemente offesa dalle mie parole. «Perché hai tentato deliberatamente di farmi ingelosire. È una cosa infantile. Non hai alcuna considerazione per i sentimenti del tuo amico, provocandolo in quel modo?» le riverso addosso il fiume di parole che tenevo i gola da quando siamo usciti dalla galleria. La fisso severamente, tenendo a stento a freno la rabbia. Anastasia mi guarda stupita, mortificata. Poi i suoi occhi si abbassano sulle sue mani, non riuscendo a reggere il mio sguardo. Afferro la carta dei vini, poi la guardo. So che non se ne intende, ma lo faccio apposta a chiedere il suo parere. Vuole considerazione? Ebbene, eccoti la considerazione. «Vuoi scegliere il vino?» le chiedo, guardandola con un sopracciglio alzato. Sono arrogante, lo so da solo. Ma la rabbia non mi permette di tenere a freno tutte le sensazioni che sto provando ora. «Scegli tu» mi risponde, mettendo un delizioso broncio che mi fa sorridere pur un attimo. Guardo il cameriere, porgendogli la carta dei vini. «Due bicchieri di Shiraz della Barossa Valley, per favore» ordino. «Ehm... quel vino lo serviamo solo in bottiglia, signore» risponde imbarazzato. «Una bottiglia, allora» ribatto seccamente. «Signore» mi risponde sommessamente, ritirandosi in buon ordine. Ana lo segue con lo sguardo, comprensiva. Poi mi guarda, aggrottandola fronte. “Non vorrai mica farmi una scenata perché mi sono spazientito con il cameriere?”. «Sei molto scontroso» mi dice, continuando a guardarmi. La fisso, inespressivo. ‘Sì, Grey. Vuole’. «Mi domando perché» le rispondo fissandola con le sopracciglia alzate. sarcastico, «Bè, sarebbe il caso di assumere il tono giusto per un’intima e onesta discussione sul futuro, non sei d’accordo?» mi dice, sorridendomi dolcemente. Serro le labbra, nel tentativo di mostrarmi risoluto e non farmi sfuggire un sorriso. Ma, al diavolo. Fanculo. Mi lascio andare riluttante e ricambio il sorriso. «Mi dispiace» le dico, sospirando a fondo. “Hai il potere di mandarmi in pezzi e di ricompormi in pochi attimi, Anastasia. Solo tu”. «Scuse accettate, e sono lieta di informarti che non ho deciso di diventare vegetariana dall’ultima volta che ci siamo visti» risponde divertita. «Dato che quella è stata anche l’ultima volta in cui hai mangiato, credo che la questione sia opinabile» ribatto altezzoso. «Ancora quella parola, “opinabile”» mi risponde, riferendosi a quando l’ho usata per il contratto. Il suo contratto. Che ora non è più opinabile. É carta straccia. Perché farei di tutto pur di riaverla. «Opinabile» le dico di nuovo, più dolce, guardandola teneramente. La tensione torna a farsi sentire. Mi passo una mano nei capelli, sospirando piano e tornando serio. É arrivato. Il momento della verità è arrivato. E opto per la sincerità assoluta. «Ana, l’ultima volta in cui ci siamo parlati, tu mi hai lasciato. Sono un po’ nervoso. Ti ho detto che ti rivoglio, e tu... non hai replicato» La fisso, cercando di mostrarle tutta la mia vulnerabilità. É qualcosa, questo, che ho combattuto sin da ragazzo. Ma ora non ho niente da perdere se non lei. E se le serve entrarmi dentro per tornare da me, allora che lo faccia pure. Che si prenda tutto quello che sono. «Mi sei mancato... sul serio, Christian. Gli ultimi giorni sono stati... difficili» si ferma, deglutendo a fatica. I suoi occhi si tingono di dolore e paura. E ansia. Quel velo di tristezza mi ferisce a fondo. Poi rialza piano la testa, come per ammettere una profonda sconfitta. «Non è cambiato niente. Non posso essere quella che tu vuoi che io sia» mormora a voce bassa. “Dio, Ana. Ma perché non lo capisci?” «Tu sei quella che voglio che tu sia» ribatto con forza, come se volessi farle accettare il mio pensiero ad ogni costo. «No, Christian, non lo sono» ribatte piano. «Sei turbata per via di quello che è successo l’ultima volta. Mi sono comportato da stupido e tu... anche tu. Perché non hai pronunciato la safeword, Anastasia?» Senza rendermene conto la sto accusando. Ci ho pensato spesso in questi cinque giorni, al perché non mi abbia fermato. Ho pensato che le piacesse stare lì, in quella stanza, a farsi fare del male da me, che forse anche lei sentisse di dover espiare qualche colpa, che lo ritenesse giusto. Ma sono stato stupido. Ho voluto giustificare me stesso, dando parte della colpa a lei. E la verità è che, ancora ora, non capisco perché cazzo non mi abbia fermato quando poteva. Ana mi guarda confusa, in preda al panico. In silenzio. «Rispondimi» le ordino piano, quasi implorandola di farmi capire. E finalmente parla. Mi spiega. «Non lo so. Ero sopraffatta. Stavo cercando di essere quella che volevi che io fossi, cercavo di gestire il dolore, e la cosa mi è sfuggita di mente. Capisci... me ne sono dimenticata» sussurra mentre le sue guance si velano di un rosso intenso. Di vergogna. Si stringe nelle spalle, tenendo lo sguardo basso e colpevole. Potrei trovare eccitante il suo aspetto, ora, se non fossi completamente accecato dalla rabbia. «Te ne sei dimenticata!» esclamo in uno stato di puro terrore. Cazzo, Anastasia! Mi sono fidato di te, mi sono completamente abbandonato a quello che sentivo, credendoti in grado di capire. Credendoti grande abbastanza da poter gestire me e la mia schifosa vita di merda. Ma non era così, non è così! “Cristo!”. Le mie mani afferrano le estremità del tavolo davanti a me, con forza. Anastasia mi guarda colpevole, ritraendosi sulla sedia. Eppure... eppure non è colpa sua. Questo lo so. É ancora una volta mia. Ma almeno avrebbe potuto darmi qualche segnale in più. «Come posso fidarmi di te?» le dico a bassa voce, ritrovando un minimo di stabilità. «Come potrò mai fidarmi?» E la domanda è rivolta più a me stesso che a lei. Perché nonostante questo, so che voglio stare con lei. Ma posso convivere con i dubbi e le incertezze ogni santo giorno? La guardo. E la risposta, ancora una volta, appare limpida davanti a me. Il cameriere ci interrompe, portando il vino. Continuiamo a fissarci in silenzio, occhi negli occhi, entrambi infuriati, pieni di rimorso e inesorabilmente attratti l’uno dall’altra. É una cosa che va al di là del nostro controllo. Il cameriere stappa la bottiglia in modo teatrale, rimanendo deluso quando vede che la sua sceneggiata da sommelier non sortisce effetto su di noi. Afferro il bicchiere in cui ha versato il vino, assaggiandolo. Non sento neppure il sapore, in verità, mentre continuo a scrutare Anastasia. «Va benissimo» gli dico bruscamente. Il poveretto ci riempie i bicchieri in silenzio, facendo attenzione, e ritirandosi in fretta non appena ha finito. I miei occhi continuano a rimanere incollati alla donna che desidero più della mia stessa vita. Alla fine è lei a staccare lo sguardo, afferrando il suo bicchiere e bevendo un abbondante sorso di vino. «Mi dispiace» sussurra, come se si fosse appena fatta coraggio. La sua espressione contrita riaccende in me un desiderio che fa male. Eppure non posso negarlo. Sapere di avere ragione, sapere che è lei in difetto, mi dà un senso di potere immenso. Mi dà il diritto di farla mia come meglio credo? No, questo forse no. Ma mi eccita pensarla alla mia mercé. Mi eccita pensare di poterla far svenire di piacere solo perché mi ha disobbedito. É questo che fondamentalmente non capisco. Con le altre era il piacere di punirle perché assomigliavano a mia madre. Con lei rimane solo il piacere di punirla e di sottometterla perché è un’impertinente e sexy testa dura. “Mio Dio che confusione”. La guardo, e, ad un tratto il suo “mi dispiace” non so come prenderlo. “Non lasciarmi, Ana. Provaci. Io voglio farlo, per te”. «Ti dispiace per cosa?» le chiedo, senza riuscire a domare l’ansia. «Per non aver usato la safeword» mi dice piano, piena di rimorso. Forse, come me, sta pensando che avremmo potuto risparmiarci tutto questo. Ma, probabilmente, non sa quanto bene mi abbia fatto. Non riesco a trattenere un moto di sollievo alle sue parole. Chiudo gli occhi, rincuorato. E glielo confesso. «Avremo potuto risparmiarci tutta questa sofferenza» mormoro piano, sentendo la tensione scemare all’improvviso. «Tu hai un bell’aspetto» ribatte, sorpresa dalla mia uscita. «Le apparenze possono ingannare» ribatto piano, ripensando a com’ero fino 24 ore fa. Un uomo distrutto. Un uomo patetico e distrutto. E voglio che lo sappia. Che si renda conto di quanto è importante per me. «Sto tutt’altro che bene. Mi sento come se il sole fosse tramontato e non sorgesse più da cinque giorni, Ana. Vivo in una notte perpetua» le dico, scegliendo le parole che più si avvicinano a quello che ho provato e che l’incertezza continua a farmi provare. Anastasia spalanca gli occhi, sbalordita. So di aver colpito nel segno. E le ho detto solo parte della verità. Quelle parole non rendono la devastazione profonda che ho provato. Ana mi guarda quasi sconvolta, come se non credesse possibile che quelle parole possano essere mie e vere allo stesso tempo. Questo fa male. Fa male perché mi da la misura di quanto sia lontana dall’aver capito ciò che provo per lei. «Hai detto che non te ne saresti mai andata, poi le cose sono peggiorate e tu eri fuori dalla porta» «Quando ho detto che non me ne sarei mai andata?» mi chiede incredula. «Mentre dormivi. È stata la cosa più confortante che abbia mai sentito da lungo tempo. Mi ha fatto sentire rilassato» La prima cosa da quel giorno in cui Grace mi disse “Vieni, ti porto a casa”. Il mio cuore prende a palpitare veloce. Sembra quasi che scoppi. Ana non regge il mio sguardo carico di dolore e speranza. Afferra il suo bicchiere e ingoia freneticamente un altro sorso di vino. «Hai detto che mi ami» le sussurro piano, temendo la sua risposta. Per anni ho evitato cosse del genere. Ora sento che non potrei farne a meno. «Ora è una frase al passato?» le sussurro ansioso, la voce ridotta ad un mero sussurro. «No, Christian, non lo è» Anche la sua voce è flebile, tremante, carica di ansia e di paura. Sembra quasi che abbia paura di ammetterlo, perché teme il mio rifiuto. Ma allo stesso tempo è rassegnata, come se non potesse essere altrimenti. “Prova le stesse identiche cose che provo io. Mi ama. Lo ha detto. Mi ama”. Non riesco a trattenere un sospiro di sollievo. «Bene» mormoro, come se mi fossi liberato da un peso. Ana mi fissa a bocca aperta, scioccata. E a ragione. Neppure io mi riconosco. Il cameriere torna da noi, servendoci la cena e fuggendo come se si trovasse al cospetto di un orco. ‘Non è quello che in realtà sei, Grey?’. Anastasia fissa il piatto, tremante. «Mangia» le ordino perentorio. “Non ammetto di sentire ragioni stasera su questo, Miss Steele”. Fissa me e poi di nuovo il piatto. Stringo le labbra in una linea sottile. «Per l’amor di Dio, Anastasia, se non mangi ti metterò sulle mie ginocchia, qui al ristorante, e la cosa non avrà niente a che vedere con il mio piacere sessuale. Mangia!» Urlo quasi, senza riuscire a contenermi. “Ho visto gente morire di fame. Sono quasi morto io di fame. Sapere che hai lo stomaco pieno, mi aiuta ad eliminare uno dei motivi per cui potrei perderti”. «Okay, mangerò. Tieni a freno le mani che prudono, per favore» mi dice con un sorrisetto debole. La fisso, senza ricambiare il sorriso. E non smetto di guardarla fino a che non prende forchetta e coltello e inizia a tagliare un pezzo di bistecca. Lo infila piano in bocca e la sua espressione è di gratitudine quando inizia a masticarlo. Mi rilasso, mentre lei sembra recuperare una certa voracità. Ceniamo entrambi in silenzio, scrutandoci di sottecchi. I miei occhi si posano casualmente su quelle labbra rosee e morbide, seguono il profilo del suo naso e si fissano nei suoi occhi azzurri che brillano. La desidero. La desidero da impazzire. L’ho desiderata per cinque giorni. Ma stasera è qui. Davanti a me. Sono un’anima in pena. E lo sarò fino a che non sarò sicuro che è di nuovo mia. Solo mia. Ana abbassa lo sguardo, imbarazzata. «Sai chi canta?» mi dice, per dall’attenzione che ho fissato su di lei. distogliermi Tendo l’orecchio. La voce melodiosa che ascolto è bella, ma sconosciuta. «No... ma è brava, chiunque sia» «Anche a me piace» mi dice calma. Le sorrido maliziosamente, ricordando quanta musica abbiamo condiviso. Ricordando anche quale musica abbiamo condiviso a fondo. «Cosa c’è?» chiede curiosa, chinando la testa da un lato. Scuoto la testa, senza risponderle. «Mangia» le dico gentilmente. E lei ubbidisce, come una bimba modello. Ma solo fino a metà del piatto. Suppongo che il suo stomaco non sia abituato a tanta abbondanza oramai. «Non ce la faccio più. Ho mangiato abbastanza, signore?» mi dice ad un certo punto, con tono dolce e, nelle sue intenzioni, persuasivo. L’appellativo colpisce nel segno. Il mio cazzo si tende sotto al tavolo. E vorrei soltanto afferrarla e farla mia ora. Ma non posso. Non in quel modo. Non posso farle del male. Anche se è lei a chiederlo, a provocarmi. Guardo il mio orologio. Lo schermo del mio BlackBerry si illumina brevemente. «Sono davvero sazia» aggiunge, bevendo il resto del suo vino nel calice. «Tra poco dobbiamo partire. Taylor è qui. Domani devi svegliarti presto per andare al lavoro» le dico, acconsentendo in quel modo alla sua richiesta di smettere di cibarsi. «Anche tu» ribatte. «Io ho bisogno di molto meno sonno di te, Anastasia. Perlomeno hai mangiato qualcosa» le dico con un sospiro. «Non torniamo con Charlie Tango?» chiede curiosa. «No, ho pensato che avremmo bevuto un po’. Ci riporterà Taylor. Inoltre, in questo modo ti avrò tutta per me in macchina per qualche ora. Cos’altro possiamo fare se non parlare?» le dico con un sorrisetto a metà tra l’arrogante e il saputello. Ana mi fissa, gli occhi grandi e aperti. Chiamo il cameriere e chiedo il conto. Poi avvio la chiamata sul mio BlackBerry. «Mr Grey» risponde efficiente Taylor, al primo squillo. «Siamo al Le Picotin, Southwest Third Avenue» dico, riagganciando senza attendere risposta. «Sei molto brusco con Taylor. In realtà lo sei con molte persone» mi apostrofa, incrociando le braccia sotto al seno. «Arrivo al dunque velocemente, Anastasia» rispondo seccamente. Come punta dalla mia risposta, ribatte acida. «Stasera non sei arrivato al dunque. Non è cambiato niente, Christian» «Ho una proposta da farti» le dico, insistendo. La situazione è di nuovo tesa. «Tutto questo è cominciato con una proposta» ribatte lei a tono. «Una proposta diversa» rispondo deciso. Il cameriere torna da noi, dandoci un attimo di tregua. Pago, mentre il mio telefono squilla una sola volta. Anastasia è pensierosa. Aggrotta la fronte, tentando di soppesare le mie parole. Riprendo la carta di credito e mi alzo, tendendole la mano. «Vieni. Taylor è qui fuori» le dico. Quando la sua pelle viene a contatto con la mia, non resisto all’impulso di baciarla. Le sfioro piano le nocche con le labbra. «Non voglio perderti, Anastasia» le sussurro. Il suo corpo freme al mio tocco e questo mi eccita ancora di più. Usciamo dal ristorante e scorgo il SUV ad attenderci. Le tengo aperta la portiera, per farla entrare. Poi mi avvicino al lato di Taylor e gli faccio segno di scendere. «Dica pure, Mr Grey» Parlo sottovoce, per essere sicuro che Ana non senta. «Infilati gli auricolari dell’iPod, accendi anche lo stereo e fai come se io e Miss Steele non fossimo in auto» gli ordino sentendo il panico salire dalle ginocchia per quello che ho intenzione di dirle. Taylor annuisce. «Andremo a casa di Anastasia, prima di fare ritorno all’Escala». Taylor si rimette in auto, infilandosi le cuffie. Entro anch’io, sistemandosi accanto ad Anastasia. Fisso il sedile davanti a me, mentre sento lo sguardo di Anastasia fisso su di me. Faccio un profondo respiro e mi sposto sul sedile per guardarla. «Come stavo dicendo, Anastasia, ho una proposta da farti» inizio. Il suo sguardo nervoso passa da me a Taylor. Intuisco il suo timore inespresso. «Taylor non può sentirti» la rassicuro. «Come?» chiede stupefatta. «Taylor?» lo chiamo, per mostrarle che non ci sente. Taylor non risponde. Lo chiamo nuovamente, più forte. Ancora nessuna risposta. Mi protendo sul sedile, dandogli un colpetto sulla spalla. Solo allora Taylor si toglie un auricolare e ci fissa brevemente dallo specchietto retrovisore. «Sì, signore?» chiede, tornando a guardare la strada. «Grazie, Taylor. Va tutto bene. Riprendi pure ad ascoltare la musica» gli dico con un breve sorriso. «Sì, signore» Mi giro verso Ana, che mi guarda a bocca aperta. «Contenta, adesso? Sta ascoltando il suo iPod. Puccini. Dimenticati della sua presenza. Come faccio io» le dico semplicemente. «Gli hai chiesto tu di mettersi gli auricolari?» chiede, aggrottando la fronte. «Sì» rispondo. Incuriosita, torna a poggiare la schiena al sedile. Respira a fondo, poi mi fissa. «Okay. La tua proposta?» chiede timorosa. Aggrotto la fronte, cercando di mantenere quel pizzico di determinazione che ho acquisito negli ultimi minuti. Anastasia si fa attenta. “Bene, puoi farcela, Christian”. «Prima desidero chiederti una cosa. Vuoi una regolare relazione vaniglia senza alcun tipo di sesso estremo?» Mi fissa a bocca spalancata. Ovviamente, conoscendola, si sentirà a disagio a parlarne ad alta voce. A parlarne in generale. Devo confessare che nemmeno io mi sento tanto a mio agio. Ma dobbiamo parlare del nostro rapporto, del nostro potenziale nuovo accordo, se vogliamo far funzionare le cose. E dobbiamo parlarne sinceramente. «Sesso estremo?» chiede. La sua voce è una sorta di gemito di desiderio. “Dio, così le salto addosso qui in macchina”. «Sesso estremo» ribadisco deciso. «Non posso credere che tu l’abbia detto» mi dice con la voce tremante, lanciando un’occhiata a Taylor. «Bè, l’ho fatto. Rispondimi» le dico calmo, cercando di mantenere stabilità e controllo. Le sue guance si colorano di un rosso vivo. Abbassa lo sguardo. Poi torna a guardarmi. «Mi piace il tuo sesso estremo» sussurra piano. Le sue parole sono un afrodisiaco naturale e mettono a dura prova il mio desiderio e la mia lussuria. «È quello che pensavo. Perciò che cosa non ti piace?» la mia voce è roca, carica di desiderio represso ed inespresso. Ma i suoi occhi tornano a caricarsi di dolore. Stringe piano le labbra prima di rispondermi. «La minaccia di punizioni crudeli e insolite» sussurra piano. La guardo con la fronte aggrottata. «Che cosa significa?» Devo sapere esattamente fin dove posso spingermi. Non posso più permettermi passi falsi con lei. «Bè, tutte quelle verghe, quelle fruste e quella roba che hai nella stanza dei giochi... mi spaventano a morte. Non voglio che le usi su di me» Soppeso la sua risposta. Questo me lo aspettavo. «Okay, niente fruste né verghe... né cinture, per quel che importa» le dico con un ghigno che appare strano anche a me. La verità è che per quanto credevo che mi fossero indispensabili quelle cose per godere, per sentirmi appagato, anche solo per eccitarmi, ora so che se non ho lei non ho nulla. Non provo nulla. E allora chi se ne fotte delle fruste e delle verghe. Voglio lei. Punto. Ana mi guarda ancora una volta stupita. «Stai tentando di ridefinire i limiti assoluti?» Mi irrigidisco leggermente. Forse metterla già in questo modo mi ha destabilizzato. Sentirlo da qualcun altro che sto rimettendo in discussione me stesso, bè... ancora non sono pronto per questo. «Non in quanto tali. Sto solo cercando di capirti, di avere un quadro più chiaro di ciò che ti piace e di ciò che non ti piace» le dico, cercando di giustificarmi quasi. «Fondamentalmente, Christian, è la tua gioia nell’infliggermi dolore che mi risulta difficile da gestire. E l’idea che tu me lo infliggerai perché ho oltrepassato un limite arbitrario» mi incalza, guardandomi con quel paio di occhi blu che mi penetrano a fondo come nessuno mai ha fatto. «Ma non è arbitrario. Le regole sono scritte» le dico, ritraendomi di qualche millimetro. L’ansia torna a farsi sentire in me. «Io non voglio una serie di regole» mi dice decisa, approfittandosi forse di quel pizzico di vulnerabilità che scorge in me. «Non ne vuoi affatto?» La mia voce è più flebile. Sento il terreno scivolarmi da sotto i piedi. Ma sono pronto a rischiare, lo so. «Niente regole» mi dice dolcemente, scuotendo la testa. Negli occhi le leggo ansia e apprensione. E timore. Forse ha il mio stesso timore. Quello di essere rifiutata. Di vedere tutto andare in frantumi. La voce mi trema leggermente quando le pongo la domanda successiva. «Ma non ti dà fastidio se ti sculaccio?» La sfumatura di puro desiderio non riesce a starsene dentro di me. “Dio, quanto è eccitante anche solo parlarle di tutto questo”. «Se mi sculacci con cosa?» chiede a voce bassa, carica di promesse. «Questa» le dico, senza distogliere lo sguardo, alzando la mano destra. Ana si agita sul sedile, lanciando un’altra occhiata furtiva a Taylor. Poi mi guarda, il respiro bloccato in gola. «No. Non veramente. Soprattutto con quelle sfere d’argento...» la voce le muore in gola. Anche nella semi oscurità riesco a percepire il delizioso rossore che le tinge la sua bellissima pelle d’alabastro. E sospetto che molte altre parti del suo corpo stiano arrossendo proprio in questo momento. Le faccio un sorrisetto malizioso. «Sì, è stato divertente» le confesso divertito. «Più che divertente» mormora lei con lo sguardo scintillante e un tono di voce che mi fa trasalire per quanto trasuda desiderio. Deglutisco piano, cercando di trattenermi dal saltarle addosso. Dobbiamo continuare a ridefinire la nostra storia. «Quindi riesci a sopportare un po’ di dolore» constato, distogliendo lo sguardo da lei. Si stringe nelle spalle, guardandomi attenta. «Suppongo di sì» “Ok. Questo non me lo aspettavo, comunque. Credevo mi mandasse a quel paese. Ci mandasse a quel paese. Me e le mie mani che prudono. E invece... ”. Stranamente la scoperta mi mette in difficoltà. Ero pronto a rinunciare a tutto per lei. E lei, invece, mi sta dando delle alternative. Che però non so se posso gestire. Mi massaggio il mento con le dita, cercando di capire quello che provo a riguardo. Ma il mio bisbetico cervello ha deciso di non collaborare. “Ok. Forza, Christian”. «Anastasia, voglio ricominciare tutto daccapo. Limitarci al sesso vaniglia e poi forse, quando tu ti fiderai di più di me e io confiderò che tu sia sincera e comunichi con me, potremo andare oltre e fare alcune delle cose che mi piacciono» Ecco. Questa mi sembra la soluzione migliore. Ricordo che in un corso di formazione ci dissero che se non avevamo buone idee potevamo sempre affidarci alla prima che ci era venuta in mente. La reputai un po’ una cazzata all’epoca. Ma alla fine mi è tornata utile. Ana resta in silenzio, senza nessuna espressione chiara sul viso. La mia ansia cresce. ‘Cosa ti aspettavi, Grey? Che volesse saltarti tra le braccia?’. Fottiti, stupido cervello caotico. Continuo a fissare Anastasia. Aspettando che sia lei ad accogliermi tra le sue braccia, nel suo mondo, nel suo essere. Che mi renda migliore. Deglutisce a malapena, con il respiro irregolare. «Ma le punizioni?» chiede con un filo di voce. «Nessuna punizione» le dico, scuotendo la testa per rafforzare il concetto e convincerla. «Nessuna» «E le regole?» continua. «Nessuna regola» Mi guarda come se ad un tratto non capisse. «Nessuna? Ma tu hai dei bisogni» “Sei tu il mio bisogno, Ana”. «Ho più bisogno di te, Anastasia. Questi ultimi giorni sono stati un inferno. Il mio istinto mi diceva di lasciarti andare, mi diceva che non ti meritavo. Quelle foto che il ragazzo ti ha fatto... Riesco a capire come lui ti vede. Sembri serena e bellissima. Non che tu non sia bellissima ora, ma sei seduta qui e io vedo la tua pena. Ed è dura, sapendo che sono io quello che ti fa sentire così. Sono un uomo egoista. Ti ho desiderata fin da quando sei capitata nel mio ufficio. Sei raffinata, onesta, entusiasta, forte, arguta, incantevolmente innocente. L’elenco è infinito. Provo un timore reverenziale di fronte a te. Ti voglio, e il pensiero che un altro possa averti è come un coltello che lacera la mia anima oscura» Le riverso addosso tutto quello che provo. “É tutto. É tutta la mia anima. Tutto quello che mi ispiri, che sento, che provo. Ho solo questo ormai. Ho solo te”. Lei non risponde. Mi fissa e basta, sorpresa, confusa. Ma poi prende coraggio. «Christian, perché pensi di avere un’anima oscura? Io non lo direi mai. Triste forse... Sei generoso, sei gentile, e non mi hai mai mentito. Io non mi sono impegnata molto. Sabato scorso è stato uno shock per me. È stato una specie di risveglio. Ho capito che ci eri andato leggero con me e che non potevo essere la persona che volevi che io fossi. Poi, quando ti ho lasciato, mi sono resa conto che il dolore fisico che mi infliggevi non era niente in confronto a quello che provavo avendoti perso. Io voglio compiacerti, ma è difficile» Anche lei si è lasciata andare. Siamo persi l’uno nella sincerità dell’altra ora. «Tu mi compiaci tutto il tempo» le sussurro piano, desiderandola ora più che mai. Vorrei farglielo capire. Ma conosco solo un modo. E stasera ho deciso di tenere fuori il sesso dalla nostra relazione. «Quante volte te lo devo dire?» la incalzo. «Non ho mai saputo quello che pensi. Qualche volta sei così chiuso... come un’isola. Mi intimidisci. È per questo che rimango zitta. Non so quale direzione prenderà il tuo umore. Passa da un estremo all’altro in un istante. Mi confonde. E non mi permetti di toccarti, mentre io desidero così tanto mostrarti quanto ti amo» mormora angosciata. Il solo sentirle dire che vuole toccarmi alza una barriera in automatico tra me e lei. “Cristo, Ana! Sono tuo. Sono completamente tuo. Ma questo non posso. Non riesco. Non chiedermelo”. Prima che possa aprire bocca la vedo slacciarsi la cintura di sicurezza e spostarsi sul sedile, fino a sedersi sulle mie ginocchia. La guardo sorpreso, temendo che possa fare quello che mi ha appena chiesto di fare. Le sue mani salgono sul mio viso, una per ogni lato. Mi fissa dritto negli occhi. «Io ti amo, Christian Grey. E tu sei pronto a fare tutto questo per me. Sono io quella che non ti merita, e mi dispiace di non poter fare tutte quelle cose per te. Forse con il tempo... non lo so... ma sì, accetto la tua proposta. Dove devo firmare?» mi dice appassionata, sorridendo piano. Le mie braccia si stringono attorno al suo esile corpo, come se non volessero più lasciarla andare via. «Oh, Ana» sospiro, respirando il suo odore che tanto mi è mancato. “Ti amo. Ti amo. Ti amo anch’io, Ana. Ti amo davvero”. Ma le mie parole restano un profondo segreto che non riesco a pronunciare ad alta voce. La stringo più forte, sperando che capisca e lasciandoci cullare entrambi dalla soave musica che riempie l’abitacolo. Anastasia si sistema meglio sulle mie ginocchia. Poggia la testa nell’incavo del mio collo. La mia mano la stringe di più, accarezzandole piano la schiena. «Il toccare è un limite assoluto per me, Anastasia» le sussurro sottovoce. Temo di perderla. Ma spero che lei possa capire. «Lo so. Vorrei capire perché» mi dice, tranquilla. “Perché l’unico tocco che conosco è violento, Anastasia. L’unico tocco che conosco... porta al dolore. Alla sofferenza. E alla morte”. Dopo quella che sembra un’eternità, torno a parlare. So che le devo almeno un briciolo di spiegazione. «Ho avuto un’infanzia terribile. Uno dei protettori della puttana drogata...» le parole mi muoiono in gola. Non posso pronunciarle, Non ci riesco. Il corpo mi si tende, sentendo ancora una volta quel tremendo dolore dappertutto. Di calci, schiaffi. Misto a quel puzzo di fumo di sigaretta, alcool e pelle bruciata. La mia pelle. «Ricordo tutto» le dico in un sussurro doloroso, sperando che lei abbia capito. Mi stringe forte, cogliendomi di sorpresa. Ma il suo abbraccio mi conforta in un certo senso. «E lei era violenta? Tua madre?» mi chiede a voce bassa, dolce. Un debole sospiro mi esce dalla bocca. «Non che io ricordi. Era indifferente. Non mi proteggeva dal suo magnaccia» Sospiro di nuovo. A fondo. «Penso di essere stato io a prendermi cura di lei. Quando alla fine si è ammazzata, sono passati quattro giorni prima che qualcuno desse l’allarme e ci trovasse... Me lo ricordo» le confesso, cercando di non farmi afferrare dai ricordi. Eppure è così. Lo ricordo nitidamente. La ricordo, distesa, immobile. Fredda. Fredda più dei piselli congelati che ero riuscito a trovare dopo tre giorni di digiuno. E io che la coprivo, aspettando in silenzio che si svegliasse. Io che giocavo con i suoi capelli, accarezzandola piano e vegliando su di lei. Io che scappavo al solo sentire la maniglia girare, lasciandola al suo destino e chiudendo gli occhi perché lei non si era svegliata in tempo per fuggire a nascondersi con me sotto il tavolo della cucina. E ora, lui le avrebbe fatto male. Sento il corpo di Anastasia scosso da un brivido. Poi la sua voce penetra i miei ricordi di bambino. «È veramente un gran casino» sussurra piano. «In cinquanta sfumature» aggiungo con un sorriso triste. Si avvicina a me e mi bacia il collo, inalando il mio profumo come spesso faccio io con lei. Poi si accoccola di più tra le mie braccia. Restiamo in silenzio. Sento il suo respiro che piano piano si regolarizza e capisco che si addormenta. La tengo stretta tra le braccia, godendomi quel calore confortante, quella vicinanza che per cinque giorni ho agognato, desiderato più della mia stessa vita. Il mio corpo si rilassa contro il suo. Non è solo desiderio. Non è mai stato solo desiderio di averla. Ora lo capisco, lo comprendo a pieno. L’ho sempre amata. L’ho amata da quando i suoi occhi azzurri hanno incontrato i miei quella mattina nel mio ufficio. La conosco da meno di un mese e credo di averla cercata da tutta una vita. E voglio legarla a me per sempre. ‘Non correre, Grey’. Sì, ok. Non corro. Ma il pensiero di svegliarmi accanto a lei tutte le mattine, di tornare a casa e trovarla lì è così allettante. Voglio che sia mia. Sempre mia. Non posso immaginare di condividere la vita con un’altra che non sia lei. É lei la mia vita ormai. E voglio averla accanto nel bene e nel male. Ogni giorno della mia vita. Un giorno voglio che sia lei ad essere la madre dei miei figli. Voglio che sia lei a dare luce alla mia vita. Voglio sposarla. Resto in contemplazione di quel dolce angelo fino a quando arriviamo a Seattle. Una manovra un po’ brusca la sveglia. Sono tentato di dire a Taylor di proseguire fino all’Escala. Ma non posso. Devo darle spazio. Anche se non voglio. «Ciao» le mormoro piano, dandole un bacio sulla fronte. «Scusa» mi dice calma, stiracchiandosi ma senza muoversi dalle mie ginocchia. Le sorrido. «Potrei guardarti dormire per sempre, Ana» le dico. Aggrotta la fronte. «Ho detto qualcosa?» chiede timorosa. «No. Siamo quasi arrivati al tuo appartamento» la rassicuro, sospirando. «Non andiamo da te?» domanda sorpresa. «No» rispondo deciso, distogliendo lo sguardo da quelle labbra tentatrici. Si tira su a sedere, restando sulle mie gambe. «Perché no?» chiede curiosa. «Perché domani devi lavorare» ribatto. “E perché devi rifletterci. E so che non rifletti se stiamo vicini”. «Ah» Mette il broncio, delusa, come una bambina. Le faccio un sorriso. «Perché, hai in mente qualcosa?» la provoco. Arrossisce piano. «Bè, forse» ammette speranzosa. Faccio una risatina divertita. «Anastasia, non ti toccherò di nuovo, non finché non mi supplicherai di farlo» le dico, cercando di mantenere fede alle parole che ho appena pronunciato. Ma è dura con lei che si agita su di me. ‘Sì, Grey. E non è l’unica cosa dura a quanto sembra’. Con una mano cerco di bloccare i suoi movimenti irrequieti senza che lei se ne accorga. Se lo facesse so che mi tenterebbe. E io soccomberei. «Cosa?» chiede incredula. «Così inizierai a comunicare con me. La prossima volta che faremo l’amore mi dirai esattamente quello che vuoi, nei dettagli» le dico con la voce roca. Parlo, ma la mia mente divaga, immaginandola nuda. Immaginando la sua pelle delicata, il suo corpo che si piega al volere del mio. Il suo calore una volta che l’ho penetrata. Si muove ancora una volta su di me. “Cristo!”. «Oh...» esclama sorpresa. La faccio spostare sul sedile prima che si accorga del pezzo di marmo che mi ritrovo tra le gambe. Taylor accosta dopo pochi secondi. Siamo arrivati al suo appartamento. Scendo dall’auto e le apro la portiera. Mi segue fuori, mentre giro e apro il bagagliaio. «Ho qualcosa per te» le dico. Tiro fuori la scatola con le sue cose. Il pc, le chiavi dell’Audi, il telefono. E il nuovo iPad. Gliela porgo. «Aprila quando sarai dentro» le dico, guardandola negli occhi per capire se sarà ubbidiente. «Tu non vieni?» mi chiede speranzosa, afferrando la scatola. «No, Anastasia» “E non immagini quanto mi costi, piccola”. «Allora quando ti rivedrò?» domanda, incerta se andarsene o rimanere ancora qui con me. «Domani» la rassicuro. E rassicuro anche me stesso. «Il mio capo vuole che esca a bere qualcosa con lui domani» mi dice, stringendo piano gli occhi, aspettandosi una mia sfuriata. La furia mi acceca, ma cerco di trattenermi dal ribadirle ora, qui, che è solo mia. «Ah, sì?» chiedo minaccioso. «Per festeggiare la mia prima settimana» mi dice, cercando di domare la mia rabbia per me. “Non ci andrai da sola, Anastasia”. «Dove?» le chiedo. «Non lo so» «Potrei venire a prenderti» propongo, dal momento che ancora non ha detto “Vieni con me”. «Okay... Ti scriverò una mail o un messaggio» taglia corto. «Bene» A dispetto del mio sembrare calmo, dentro mi ribolle una furia mai provata prima. La seguo fino al portone, aspettando pazientemente che trovi le chiavi in quel pozzo che chiama borsa. Quando le infila nella serratura, mi avvicino a lei, da dietro, e le prendo il mento con le dita. Le mie labbra si posano dolcemente sulle sue, sfiorandole, tentandole. Lascio una scia di baci roventi dall’angolo del suo occhio fino a quello della bocca. La sento gemere piano, mentre si abbandona con la schiena al mio corpo. «A domani» le sussurro sulle labbra. «Buonanotte, Christian» mi sussurra di rimando, con la voce carica di desiderio. Sorrido, ma solo io so l’inferno che sto vivendo in questo momento. Io e i miei pantaloni, ovviamente. «Entra» le ordino. Aspetto che attraversi l’atrio, prima di salutarla. «A più tardi, piccola» le dico, prima di voltarmi e tornare verso il SUV. Sono da qualche minuto nel mio appartamento, a fissare le luci della notte di Seattle, dalla portafinestra. Sono... felice. Appagato. Anastasia è di nuovo con me. É di nuovo mia. Il mio telefono vibra. É lei, lo so. Sorrido e apro la mail. Da: Anastasia Steele A: Christian Grey Data: 9 giugno 2011 23.56 Oggetto: iPad Mi hai fatta piangere di nuovo. Amo l’iPad. Amo le canzoni. Amo l’app della British Library. Amo te. Grazie. Buonanotte Ana XX Sorrido teneramente. Da: Christian Grey A: Anastasia Steele Data: 10 giugno 2011 00.03 Oggetto: iPad Sono contento che ti sia piaciuto. Ne ho comprato uno anche per me. Ora, se fossi lì, asciugherei le tue lacrime con i miei baci. Ma non ci sono... perciò va’ a dormire. Christian Grey Amministratore delegato, Grey Enterprises Holdings Inc. La sua risposta non tarda ad arrivare. Da: Anastasia Steele A: Christian Grey Data: 10 giugno 2011 00.07 Oggetto: Mr Scontroso Come al solito, sembri autoritario e forse difficile, forse scontroso, Mr Grey. Io conosco qualcosa che potrebbe addolcirti. Ma non sei qui, e non mi lasceresti fare, e ti aspetti che ti supplichi... Sogna pure, signore. Ana XX PS: Ho notato anche che hai incluso l’inno dello stalker, Every Breath You Take. Mi diverte il tuo senso dell’umorismo, ma il dottor Flynn lo sa? Rido sonoramente. Ho pensato la stessa cosa di me stesso quando ho inserito quella canzone. Da: Christian Grey A: Anastasia Steele Data: 10 giugno 2011 00.10 Oggetto: Calma zen Mia carissima Miss Steele, le sculacciate sono ammesse anche nelle relazioni vaniglia, lo sai. Di solito consensualmente e in un contesto erotico... ma sono più che felice di fare un’eccezione. Sarai sollevata di sapere che anche al dottor Flynn piace il mio senso dell’umorismo. Adesso, per favore, va’ a dormire o domani mattina non ti alzerai. A proposito... mi supplicherai, fidati. E io non vedo l’ora. Christian Grey Amministratore delegato, Grey Enterprises Holdings Inc. Il mio cazzo si tende oltremisura. Il solo pensiero di perdermi di nuovo dentro di lei mi lascia senza fiato. Da: Anastasia Steele A: Christian Grey Data: 10 giugno 2011 00.12 Oggetto: Buonanotte e sogni d’oro Bè, visto che me lo chiedi gentilmente e mi piacciono le tue deliziose minacce, mi accoccolerò con l’iPad che mi hai regalato e mi addormenterò navigando nella British Library, ascoltando la musica che lo dice per te. A XXX “Ti amo, Anastasia. Sto impazzendo per quanto ti amo”. Da: Christian Grey A: Anastasia Steele Data: 10 giugno 2011 00.15 Oggetto: Un’ultima richiesta Sognami. X Christian Grey Amministratore delegato, Grey Enterprises Holdings Inc. Torno a fissare il cielo buio fuori dalla finestra. Ora c’è una nuova luce a rischiararlo tutto quel buio. É la sua, che mi trascina con sé. Abbasso lo sguardo, un sopracciglio alzato a fissare la mia innegabile erezione. “Cristo! Dormire sarà un’impresa stanotte”. Capitolo 6 La sveglia ancora prima dell’alba di questa mattina non mi aveva per niente reso stanco e spossato. Anzi. Tentavo di convivere con un’erezione pazzesca ogni qual volta il mio pensiero andava a lei. Anastasia Steele. La donna più bella, dolce, sexy e testarda che avessi mai conosciuto. Avevo anche fatto i conti con Taylor e la storia del fazzoletto. Era stato reticente, ma quando aveva capito che ero irremovibile mi aveva detto della crisi di pianto di Anastasia. Mi ero arrabbiato, avevo sbraitato, ma, alla fine, era passato tutto grazie alla consapevolezza di averla di nuovo con me. Guardo l’orologio. Sono appena le 8. A quest’ora dev’essere già in ufficio. Io ci sono venuto di buon’ora stamattina, per cercare di scaricare la tensione lavorando. Apro il programma delle mail e gliele scrivo una. Da: Christian Grey A: Anastasia Steele Data: 10 giugno 2011 08.05 Oggetto: Perciò aiutami... Spero che tu abbia fatto colazione. Mi sei mancata stanotte. Christian Grey Amministratore delegato, Grey Enterprises Holdings Inc. Aspetto un bel po’. Ok, no. Forse non è ancora in ufficio. Ma le ho dato il BlackBerry. Dovrebbe poter leggere e rispondere. Forse le è capitato qualcosa. No, dai. Non è sicuramente successo nulla. Sarà distratta. E se le succedesse qualcosa mentre è distratta? Cristo. Merda. ‘Smettila, Grey’. Il familiare suono della posta ricevuta mi fa esalare un sospiro di sollievo. Da: Anastasia Steele A: Christian Grey Data: 10 giugno 2011 08.33 Oggetto: Vecchi libri... Mentre ti scrivo, sto mangiando una banana. Non ho fatto colazione per diversi giorni, perciò è un passo avanti. Adoro l’app della British Library. Ho iniziato a rileggere Robinson Crusoe... E ovviamente, ti amo. Ora lasciami in pace, sto cercando di lavorare. Anastasia Steele Assistente di Jack Hyde, Direttore editoriale, SIP Sorrido, sollevato. Grato della sua presenza nella mia vita. E mi ama. Lo so. Non lo merito, ma lo so. Da: Christian Grey A: Anastasia Steele Data: 10 giugno 2011 08.36 Oggetto: Tutto qui quello che hai mangiato? Puoi fare meglio di così. Hai bisogno di energie per supplicarmi. Christian Grey Amministratore delegato, Grey Enterprises Holdings Inc. La provoco. E l’effetto è immediato anche su di me. Nonostante mi sia ripromesso di avere una semplice relazione con lei, è innegabile che pensarla in ginocchio, ad implorarmi di farla godere è... è eccitante. E straziante allo stesso tempo. Sono così perverso. E lei... lei lo fa sembrare quasi naturale. Forse perché non sa. Da: Anastasia Steele A: Christian Grey Data: 10 giugno 2011 08.39 Oggetto: Rompiscatole Mr Grey, sto cercando di lavorare per guadagnarmi da vivere, e sei tu quello che supplicherà. Anastasia Steele Assistente di Jack Hyde, Direttore editoriale, SIP Dio, Anastasia. Ti voglio. Ti voglio troppo per lasciare passare le ore che ci separano. Sarei anche disposto a supplicarti per averti. Ti voglio da impazzire. E forse sto impazzendo sul serio. Da: Christian Grey A: Anastasia Steele Data: 10 giugno 2011 08.40 Oggetto: Fatti sotto! Certo, Miss Steele, io adoro le sfide... Christian Grey Amministratore delegato, Grey Enterprises Holdings Inc. Le scrivo simpaticamente. Mi appoggio allo schienale della mia poltrona, guardando la porta del bagno. E se... ? ‘Datti un contegno, Grey’. Decido che è meglio concentrarmi sul lavoro. Ma prima... devo chiamare mia madre. Non so perché ne sento il bisogno, ma prima che possa analizzarlo troppo ho già avviato la chiamata. Risponde subito, dopo due squilli. «Tesoro! Buongiorno!» La sua voce è sempre così calma ed avvolgente. Come un abbraccio. Uno di quelli che io non ho mai potuto avere. «Mamma» le dico, trattenendo a stento la gioia nel petto. «Chiamavo per dirti che domani verrò alla festa... insieme ad Anastasia» Sento un respiro spezzato. Dopo qualche attimo di silenzio la sento tirare su col naso. “Sempre la solita, dottoressa Grace”. «Oh, Christian... sono... sono così felice per te» mormora a stento, tra le lacrime. Ok. Meglio terminare la chiamata qui. É un tantino troppo per me. «Ora devo andare, mamma. A sabato» Riaggancio e mi metto al lavoro, staccando solo per una breve pausa pranzo. Ogni tanto apro il cassetto della scrivania e guardo la nostra foto insieme. Più volte sono tentato di scriverle. Ma opto per lasciarle un po’ di spazio per pensare... a come supplicarmi. Sorrido al mio riflesso nel vetro della finestra. Che gran figlio di puttana fortunato che sono! Il pensiero mi fa aggrottare la fronte. Mi è appena venuto in mente il suo capo. Non so perché, ma ha qualcosa di familiare. Comunque, familiare o non familiare, non mi piace. Sembra... malvagio, perfido. E viscido. Credo sia giunto il momento di fare un controllo delle mie proprietà. Chiamo Barney. Due ore più tardi mi ritrovo a fissare lo schermo del mio pc. Con rabbia. Il mio consulente per la sicurezza ha appena scoperto che le mail di Anastasia alla SIP sono monitorate. Perché? Perché diavolo il suo capo deve sapere con chi parla e soprattutto cosa dice? I conti non i tornano. Scrivo una mail a Welch, chiedendogli di fare luce su Jack Hyde il viscido capo di Anastasia. Il segnale sonoro delle mail cattura la mia attenzione dopo appena pochi minuti. Ma non è Barney. É lei. Il cuore mi balza in gola. Da: Anastasia Steele A: Christian Grey Data: 10 giugno 2011 16.05 Oggetto: Annoiata... Mi giro i pollici. Come stai? Che cosa stai facendo? Anastasia Steele Assistente di Jack Hyde, Direttore editoriale, SIP Oh, Ana. I tuoi pollici potrebbero essere altrove proprio ora. Da: Christian Grey A: Anastasia Steele Data: 10 giugno 2011 16.15 Oggetto: I tuoi pollici Saresti dovuta venire a lavorare per me. Non ti staresti girando i pollici. Sono certo che per loro avrei trovato un uso migliore. Infatti sto pensando a un certo numero di opzioni... Sono immerso nella solita routine degli affari. È tutto molto noioso. Le tue mail alla SIP sono monitorate. Christian Grey Amministratore delegato, Grey Enterprises Holdings Inc. Cerco di mantenere il più possibile un tono neutro. Aggrotto la fronte. “Stasera devo dirle che sono il suo nuovo capo. Non le piacerà. Ma deve saperlo”. Alle 17.15 minuti sono ancora bloccato in ufficio a sorbirmi Ros che mi parla dell’ultima acquisizione che abbiamo effettuato. Il pensiero di Anastasia da sola con quella serpe mi manda in bestia. Ho letto il breve rapporto di Welch. Nulla di straordinario. Tranne che per il numero di assistenti che ha cambiato da quando è direttore editoriale della SIP. Durano tre mesi e poi vanno via. É alquanto insolito. Circa un quarto d’ora più tardi, ricevo una nuova mail da Anastasia. Da: Anastasia Steele A: Christian Grey Data: 10 giugno 2011 17.36 Oggetto: Ti sentirai a casa Stiamo andando in un bar che si chiama Fifty. L’ironia che se ne evince è senza fine. Non vedo l’ora di vederti lì, Mr Grey. AX Oh, Anastasia. Quello che evinco io da questa situazione è che il tuo capo è uno stronzo e io non permetterò che tu passi sola con lui un minuto di più. Liquido Ros e m’infilo in ascensore, digitandole una risposta. Da: Christian Grey A: Anastasia Steele Data: 10 giugno 2011 17.38 Oggetto: Rischi Evincere è un’occupazione molto pericolosa. Christian Grey Amministratore delegato, Grey Enterprises Holdings Inc. La sua risposta è immediata. Da: Anastasia Steele A: Christian Grey Data: 10 giugno 2011 17.40 Oggetto: Rischi? Qual è il punto? Da: Christian Grey A: Anastasia Steele Data: 10 giugno 2011 17.38 Oggetto: Solamente... Facevo un’osservazione, Miss Steele. Ci vediamo tra poco. Prima di quanto tu creda, piccola. Christian Grey Amministratore delegato, Grey Enterprises Holdings Inc. Taylor mi sta già aspettando fuori dalla GEH. Mi infilo in auto e gli do le coordinate del locale dove mi aspetta Anastasia. Il mio telefono vibra. É un sms. Di Mia. “Non vedo l’ora di rivedere Anastasia domani :D Non fare il coglione con lei. Mi piace troppo! XD” Mia. Sempre la solita. Sempre. Sorrido, ma la tensione non mi abbandona. Quando finalmente riusciamo a fuggire dal traffico dell’ora di punta a Seattle, quasi salto giù dall’auto. Quando entro nel locale vedo quello che non avrei mai voluto vedere. Ana è seduta al bancone del bar, cupo e squallido. Accanto a lei qualcosa di altrettanto cupo e squallido sta invadendo il suo spazio personale. Jack Hyde. Quello stronzo del suo capo. Mi avvicino a grandi passi. Abbastanza da sentire la sua ultima domanda. «Hai programmi per questo weekend?» le chiede con un sorrisetto squallido da pervertito. “Oh, coglione, non hai idea di quanti programmi io abbia per te”. Ana balbetta qualcosa in risposta, imbarazzata e tesa. Ma il suo corpo si rilassa non appena mi avvicino, cingendole le spalle con affetto e possessività. Mi chino sulla sua testa, sfiorandole dolcemente i capelli con le labbra. Il suo profumo mi manda in estasi. «Ciao, piccola» le mormoro dolcemente all’orecchio. Poi lo guardo, i miei occhi diventano gelidi. Se i miei occhi fossero pugnali, lui sarebbe appena morto trafitto da milioni di stilettate. Anastasia cattura subito la mia attenzione. Il suo corpo reagisce a me come una calamita. Riesco a percepire addirittura la sua eccitazione. La attiro ancora di più a me, poi mi giro a guardarla, lanciandole un sorrisetto malizioso. Ana mi squadra dalla testa ai piedi. Negli occhi le leggo pura lussuria. “Oddio, usciamo di qui, altrimenti ti scopo ora”. Hyde si ritrae di qualche passo. Il movimento distoglie l’attenzione di Ana da me, riportandoci tutti al presente. «Jack, lui è Christian» mormora come se si sentisse in colpa. E non gli dice che sono il suo fidanzato. Perché, Ana? «Christian, lui è Jack» aggiunge, tenendo gli occhi bassi. «Sono il suo fidanzato» aggiungo da solo, allungando la mano e stringendo gelidamente quella di Hyde. L’uomo che ho di fronte mi scruta, tentando di capire se gli conviene o meno sfidarmi al duello per avere la mia ragazza. E quando apre la sua schifosa bocca per parlare mi rendo conto che ha fatto male i suoi calcoli. Molto male. «E io sono il suo capo» replica arrogante. «Ana mi ha parlato di un ex fidanzato» puntualizza acido. Lo guardo calmo, ma dentro ribollo di rabbia. «Bè, non più ex» replico deciso. «Vieni, piccola, è ora di andare» aggiungo, rivolgendomi ad Anastasia dolcemente. «Per favore, rimani e bevi qualcosa con noi» dice Hyde, cambiando improvvisamente tono. Deve aver capito che qui non c’è trippa per gatti. Guardo Ana, che a sua volta fissa quella che dev’essere la sua collega. Non mi ero neppure accorta di lei fino ad ora. «Abbiamo dei programmi» replico con un sorriso misterioso rivolto ad Ana. La sento tremare all’improvviso. Mi guarda da sotto le lunghe ciglia, il suo viso si colora leggermente di rosso e io ho una fottuta voglia di baciarla. A fondo. «Un’altra volta, forse» aggiungo prendendole la mano e facendola alzare dallo sgabello sul quale è seduta. «Vieni» «Ci vediamo lunedì» le sento dire cordialmente, mentre la trascino via dal locale. Taylor ci aspetta nell’Audi parcheggiata accanto la marciapiede. Anastasia si ferma un secondo. Mi giro a fissarla. «Perché mi è sembrata una gara a chi fa pipì più lontano?» mi chiede mentre le apro la portiera. «Perché lo era» le mormoro mentre mi passa accanto, lanciandole un sorrisetto impudente. “Ma tu sei solo mia, Anastasia”. «Salve, Taylor» esclama, fissando Jason specchietto, mentre mi sistemo accanto a lei. dallo «Miss Steele» la saluta lui di rimando, sorridendole. Chiudo lo sportello e le afferro subito la mano, portandomela alle labbra e sfiorandola con un bacio leggero. “Ora ci siamo solo noi, Ana”. «Ciao» le sussurro dolcemente, sorridendole con gli occhi. Le guance le si arrossano quasi subito. Lancia uno sguardo a Taylor, mentre io, ignorandolo come sempre, le lancio uno sguardo carico di desiderio e lussuria sfrenata. Il suo corpo si tende, è nervosa, eccitata, freme di impazienza. Proprio come me. «Ciao» sospira, incespicando con la saliva. «Che cosa ti piacerebbe fare stasera?» le chiedo con fare allusivo. «Pensavo che avessi detto che avevamo programmi» sussurra, abbassando lo sguardo. dei «Oh, io so cosa mi piacerebbe fare, Anastasia. Sto chiedendo cosa piacerebbe fare a te» le dico alzando un sopracciglio, divertito e arrogante. Ana mi sorride. Un bellissimo sorriso, ampio e luminoso. «Capisco» le rispondo, le mie labbra distorte in un ghigno perverso. «Quindi... supplicami. Preferisci farlo nel mio appartamento o nel tuo?» le chiedo maliziosamente, piegando la testa di lato e scopandola solo con lo sguardo. «Penso che tu sia molto presuntuoso, Mr Grey. Ma tanto per cambiare, potremmo andare nel mio appartamento» mi dice con una finta aria da saputella, mordendosi lentamente il labbro inferiore. La fisso più intensamente, mentre la mi innegabile erezione, che oramai mi accompagna da ben 24ore, torna a pretendere attenzione. Da me, ma soprattutto da lei. «Taylor, da Miss Steele, per favore» ordino, senza staccare i miei occhi da quelle labbra meravigliose, dolcemente torturate dai suoi denti. «Sì, signore» Ci immergiamo nel traffico, rimanendo per un po’ a scrutarci. «Allora dimmi, com’è andata oggi?» le chiedo. Devo dirle della SIP. «Bene. E a te?» mi chiede sorridendomi. «Bene, grazie» E non riesco a fare a meno di sorridere come un idiota. Come lei del resto. Sembriamo due bambini felici. Innamorati l’uno dell’altra. Le bacio nuovamente il dorso della mano, ammirandola sinceramente. «Sei incantevole» le sussurro piano. «Anche tu» risponde, con gli occhi che le brillano. Odio dover rovinare questo momento. Ma devo dirglielo prima di arrivare a casa sua. «Il tuo capo, Jack Hyde, è bravo nel suo lavoro?» le chiedo diretto. Mi guarda confusa, a bocca aperta. Aggrotta la fronte, scrutandomi. «Perché? Non c’entra con la gara della pipì, no?» mi chiede curiosa. Le sorrido sarcastico. «Quell’uomo vuole entrare nelle tue mutandine, Anastasia» le rispondo seccamente. Spalanca la bocca, arrossendo violentemente, mentre fissa nervosamente la testa impassibile di Taylor. «Bè, può volere quel che gli pare... Perché stiamo parlando di questo? Sai che non nutro alcun interesse per lui. È solo il mio capo» mi dice, ancora sconvolta. «È questo il punto. Lui vuole ciò che è mio. Ho bisogno di sapere se è bravo nel suo lavoro» le rispondo deciso. Ana mi guarda frastornata. «Penso di sì» ammette alla fine. «Bè, sarà meglio che ti lasci in pace, oppure si troverà con il culo sul marciapiede» sbotto, non riuscendo più a trattenere l’irritazione per quello stronzo. «Oh, Christian, di cosa stai parlando? Non ha fatto niente di male» lo dice, ma i suoi occhi dicono altro. «Se fa una sola mossa, tu dimmelo. Si chiama condotta gravemente immorale. O molestie sessuali» sibilo furioso. «Era solo un drink dopo il lavoro» tenta di giustificarsi. «Te lo ripeto. Una mossa ed è spacciato» le intimo. «Non hai questo tipo di potere» sbotta, girandosi verso il finestrino e tentando di alzare gli occhi al cielo. All’improvviso si blocca. ‘Ora sei fottuto, Grey’. «Oppure ce l’hai, Christian?» mi chiede sconvolta. Le faccio un sorrisetto arrogante. Non posso negare che sapere di poter mandare in frantumi la vita di quel pervertito mi rende felice. «Stai comprando la casa editrice» sussurra inorridita. Smetto di sorridere, avvertendo la paura nella sua voce. «Non esattamente» confesso. «L’hai comprata. La SIP. Di già» chiede, con gli occhi sbarrati. ‘Oh, Grey, scusa. Mi ero sbagliato. É ora che sei fottuto’. Sbatto le palpebre, diffidente. «È possibile» ammetto, sondando il terreno. «L’hai fatto o non l’hai fatto?» chiede con un filo di voce. “Oh, al diavolo, Ana! Ti voglio al sicuro!” «L’ho fatto» confesso, a testa alta, stizzito. Apre la bocca ancora di più, incredula. «Perché?» esclama fuori di sé. «Perché posso farlo, Anastasia. Ho bisogno di saperti al sicuro» le dico, arrabbiato. «Avevi detto che non avresti interferito nella mia carriera!» urla, senza infischiarsene del fatto che Taylor può sentirla. «E non lo farò» le dico guardandola negli occhi. Abbassa gli occhi sulle nostre mani ancora intrecciate e strappa via la sua dalla mia. «Christian...» É furente. Le parole non le escono di bocca. «Sei arrabbiata con me?» le chiedo con un pizzico di rimorso. Ma nemmeno tanto alla fine. Se tornassi indietro, lo rifarei. «Sì, certo che sono arrabbiata con te» sibila. “Merda”. ‘No, guarda Grey, nella merda ci sono io dato che ho fantasticato per giorni sulla fantastica brunetta che hai di fronte’. Scuoto leggermente la testa, concentrandomi e lasciando perdere le fantasie idiote del mio cervello. «Che razza di manager di alto livello prende decisioni basate su chi si sta scopando al momento?» aggiunge acida, impallidendo e lanciando subito un’occhiata a Taylor. “Finalmente se n’è ricordata”. Stringe forte le labbra, serra gli occhi e respira a fondo, cercando di calmarsi. Apro la bocca per ribattere. Ma non so cosa dirle. La richiudo, fissandola accigliato. Mi fa sempre venire voglia di metterle il muso come i bambini. “Cristo!”. Continuiamo a lanciarci occhiate velenose a vicenda, fino a quando non arriviamo al suo appartamento. Anastasia esce in fretta e furia dall’auto, senza aspettare che Taylor o io le apriamo la portiera. Si avvia a passo spedito verso il portone d’ingresso. Scendo velocemente, avvicinandomi al finestrino aperto di Taylor. «Credo che sia meglio che aspetti qui» gli dico accigliato. Poi, praticamente, le corro dietro, mentre lei è ferma a cercare freneticamente le chiavi nella sua borsa. Faccio un respiro profondo. Molto profondo. «Anastasia» le dico calmo, tentando di rabbonirla. Sospira rumorosamente e si volta a guardarmi, furiosa. «Primo, è un po’ che non ti scopo. Un bel po’, mi pare. Secondo, volevo entrare nel settore dell’editoria. Delle quattro case editrici qui a Seattle, la SIP è quella più redditizia, ma si trova a un bivio e rischia di fossilizzarsi. Ha bisogno di espandersi» Non è del tutto falso. É ragionevole. Ma non è neppure del tutto vero. Ana mi fissa gelidamente, cercando di trafiggermi con il suo sguardo. «E così adesso sei il mio capo» dice indispettita. «Tecnicamente, sono il capo del capo del tuo capo» le dico con un sorriso di scuse. «E, tecnicamente, questa è grave condotta immorale... il fatto che mi stia scopando il capo del capo del mio capo» ribatte acida. “Merda”. «In questo preciso momento ci stai litigando» le dico, aggrottando la fronte. «Perché è un tale coglione» sibila di getto. Il suo epiteto mi coglie di sorpresa. Faccio un passo indietro, spalancando gli occhi per la sorpresa. Non riesco a tenere a freno la risata che mi esce dal cuore. Ma ci provo. «Un coglione?» mormoro, stringendo le labbra per non sorridere. «Sì» risponde, alzando un sopracciglio, e cercando di trattenersi dal farsi contagiare dal mio divertimento. “Dio, è bellissima anche quando fa la stronza”. «Un coglione?» le chiedo di nuovo, guardandola e fingendo di soppesare l’aggettivo che mi è stato rivolto. Non riesco a trattenermi dal sorridere stavolta. Mi guarda accecata dalla furia, di nuovo. «Non farmi ridere quando sono arrabbiata con te!» grida con i pugni serrati. E non mi trattengo più. Le sorrido apertamente, e lei, dopo un po’ di resistenza, mi sorride di rimando. Ridacchiamo entrambi. “Fosse stata un’altra, sarebbe già nella mia stanza rossa. Ma lei... lei la amo”. Ana cerca di ricomporsi per prima. «Solo perché ho un sorriso cretino sulla faccia non significa che non ce l’abbia a morte con te» mormora tentando di darsi un contegno. Mi avvicino a lei, ammaliato dalla sua forza interiore. Mi chino, fissandola negli occhi. Poi strofino il naso contro i suoi capelli, inalando a fondo il suo delizioso profumo di cui oramai non riesco a fare a meno. Come una droga. «Come sempre, Miss Steele, sei imprevedibile» le sussurro. Mi scosto leggermente da lei, guardandola di nuovo e sorridendole. «Allora, mi inviterai a salire o dovrò appellarmi al mio diritto democratico di cittadino americano, imprenditore e consumatore di comprare qualunque accidenti di cosa mi faccia piacere?» le mormoro contro le labbra, senza baciarla. “Ti amo, Anastasia. Ma dopo questa sfuriata ingiustificata non ti renderò le cose facili”. «Hai parlato di questo con il dottor Flynn?» mi dice sarcastica, alzando un sopracciglio. Rido, contro le sue labbra morbide. «Vuoi farmi entrare o no, Anastasia?» Tenta, fallendo, di minacciarmi con lo sguardo, ma sorride mentre si gira ad aprire la porta. Senza neppure girarmi agito una mano in aria e sento l’Audi partire. Saliamo le scale e dopo pochi attimi mi ritrovo nel suo appartamento. In mattoni, una grossa isola in cucina, una tv che stona con il resto dell’arredamento. Opera della coppia Kavanagh-Grey, suppongo. Elliot si è vantato di come ha usato bene il trapano. Sento i suoi occhi fissi su di me, mentre passeggio nell’appartamento con noncuranza, osservando l’ambiente circostante. «Bell’appartamento» dico, fissando alcune foto che la ritraggono insieme alla sua coinquilina. «Lo hanno comprato i genitori di Kate per lei» Annuisco distrattamente, mentre mi giro a guardarla. I miei occhi si fanno attenti, accarezzando ogni suo dettaglio. Arrossisce leggermente, abbassando lo sguardo. «Ehm... vuoi qualcosa da bere?» mormora, improvvisamente priva della sua recente spavalderia. «No, grazie, Anastasia» La fisso con intenzione, mentre godo della sua crescente agitazione. “Mi vuoi, come io voglio te. Ma sarai tu a cedere per prima”. «Che cosa vuoi fare, Anastasia?» le chiedo dolcemente, tentandola, mentre mi avvicino a grandi passi al suo corpo fremente. «Io so cosa vorrei fare» aggiungo quando la raggiungo, con voce bassa e roca. Carica di desiderio di lei. Di bisogno oserei dire. Ana indietreggia, fino a quando non la ferma l’isola di cemento dietro di lei. «Sono ancora arrabbiata con te» sussurra. «Lo so» le dico con un sorrisetto di scuse. “E non sai quanto è eccitante pensare di scoparti così, arrabbiata, furiosa con me. Avida di me”. Il mio uccello decide di animarsi e iniziare a vivere di vita propria. «Vuoi mangiare qualcosa?» mi chiede a voce bassa, tremante. Annuisco lentamente, senza smettere di fissarla. «Sì, te» mormoro lascivamente. Anastasia deglutisce a fatica, arrossendo di nuovo. Mi avvicino troppo forse, ma riesco a controllarmi. Non la tocco, non la sfioro nemmeno. Mi crogiolo nel calore che emanano i nostri corpi. La guardo fisso, e avverto il suo tremore. É pallida. Aggrotto la fronte. «Hai mangiato oggi?» mormoro. «Un sandwich a pranzo» ribatte piano. Stringo forte gli occhi maledicendomi. «Hai bisogno di mangiare» “Ne hai bisogno, per quello che voglio farti. Per quanto voglio scoparti”. «In questo momento non ho fame... di cibo» mi tenta con un sussurro. «E di cosa sei affamata, Miss Steele?» le chiedo sfiorandole le labbra con il mio respiro. «Penso che tu lo sappia, Mr Grey» mormora. Mi protendo di più, le nostre labbra si sfiorano a malapena. Ma mi fermo, avvicinandomi invece al suo orecchio sinistro. «Vuoi che ti baci, Anastasia?» le sussurro. «Sì» sospira debolmente, il respiro affannato. «Dove?» la provoco. «Dappertutto» sussurra. E quell’unica parola mi attraversa come una scarica elettrica, arrivando fino al mio cazzo, che fa male sotto i jeans. Chiudo brevemente gli occhi e riprendo il controllo di me stesso. «Dovrai essere un po’ più specifica di così. Ti ho detto che non ti toccherò finché non mi supplicherai e non mi dirai che cosa fare» le dico piano, arrogante. «Per favore» sussurra. «Per favore cosa?» le chiedo a bassa voce. «Toccami» Sento lo stesso bisogno che provo io nella sua voce. “Dio, quanto mi ecciti Miss Steele”. «Dove, piccola?» le chiedo con voce carica di desiderio. Ana mi guarda, i suoi occhi scendono sulle mie labbra e poi più giù. Allunga una mano ma mi ritraggo. «No, no» le dico, quasi rimproverandola, il mio petto va su e giù sia per il desiderio, sia per la paura. «Cosa?» chiede confusa. «No» le rispondo, riprendendo la calma. «No del tutto?» mi chiede tentandomi. Nella sua voce si sente il bisogno urgente di essere toccata, scopata a dovere, e portata sull’orlo del piacere. E vuole che a farle tutto questo sia io. Solo io. ‘Smettila di fare il coglione, Grey. E datti una mossa’. Anastasia approfitta della mia leggera esitazione e fa un passo in avanti. Indietreggio, alzando le mani. Ma sorrido di fronte alla sua intraprendenza. «Stai attenta, Ana» la avverto. La determinazione che leggo nei suoi occhi mi esaspera. Mi passo una mano nei capelli. «Qualche volta non t’importa» mi dice, mettendo un delizioso broncio da monella. «Magari potremmo prendere un evidenziatore, e tracciare la mappa delle zone off-limits» La sua proposta accende un bisogno animalesco dentro di me. E anche una lampadina nella mia testa. Alzo un sopracciglio, scrutando quella testolina che non smette mai di sorprendermi. “Ok. Ho deciso. Non resisto più”. «Non è una cattiva idea. Dov’è la tua camera da letto?» mi informo. Mi fa un breve cenno con la testa, indicando una porta alle mie spalle. Un lampo nella testa mi fa venire in mente che non ho preservativi con me. «Stai prendendo la pillola?» chiedo, senza riuscire a sembrare totalmente disinteressato. La sua espressione manda in frantumi buona parte della serata che avevo in mente. “Merda!”. Aggrotto la fronte, frustrato sempre di più. «No» si lamenta. «Capisco» le dico trattenendo la rabbia. “Ok, calmati Christian. Un modo lo trovi”. «Vieni, mangiamo qualcosa» le dico con un sospiro. «Pensavo che stessimo andando a letto! Io voglio venire a letto con te» geme, quasi piagnucola, mentre mi implora. “Alla fine lo hai fatto, Anastasia. Anche se... non ancora come voglio”. «Lo so, piccola» le dico sorridendo. Poi non resisto. Mi avvicino rapidamente a lei, afferrandole i polsi per evitare il suo tocco che potrebbe spingersi oltre, e la attiro tra le mie braccia. I nostri corpi si scontrano, premuti l’uno contro l’altro. Il mio cazzo duro come il marmo sfiora il suo ventre delicato. «Hai bisogno di mangiare e anch’io» mormoro. «D’altra parte... l’attesa è la chiave della seduzione, e in questo momento sto ritardando l’appagamento» Rimette quel delizioso broncio. «Sono già sedotta e voglio l’appagamento ora. Ti supplico, per favore» piagnucola. Le sorrido dolcemente. Poi respiro a fondo, calmando il mio istinto. «Mangia. Sei troppo magra» le bacio affettuosamente la fronte, lasciandole i polsi. Mi lancia un’occhiataccia, che mi diverte ancora di più. «Sono ancora arrabbiata perché hai comprato la SIP, e ora sono arrabbiata perché mi stai facendo aspettare» mi dice, incrociando le braccia sotto al seno. «Sei una signorina arrabbiata, vero? Ti sentirai molto meglio dopo un buon pasto» la prendo bonariamente in giro. «So dopo cosa mi sentirei molto meglio» sbotta con un’aria da saputella. La guardo, sentendo desiderio dentro di me. riaccendersi un delizioso «Anastasia Steele, sono scioccato» la prendo bonariamente in giro, anche se l’immagine di lei riversa sulle mie ginocchia mi manda in estasi. “Non andare in quella direzione, Grey”. «Smettila di prendermi in giro. Non stai giocando lealmente» dice arrabbiata, ma rassegnata. Devo mordermi il labbro inferiore per soffocare un sorriso. Ci scrutiamo a vicenda per qualche attimo, poi la sua espressione cambia. Aggrotta la fronte, come se si sentisse in colpa. «Potrei cucinare qualcosa... solo che dobbiamo andare a fare la spesa» mi dice abbassando lo sguardo. «La spesa?» le chiedo senza capire. «Per comprare qualcosa da mangiare» ammette riluttante. «Non hai cibo qui?» le chiedo severo. Scuote piano la testa, mordicchiandosi il labbro, colpevole. “Possibile che non abbia cibo in casa? Come diavolo... oh”. Guardo il suo corpo diventato magrissimo. “Piccola. É colpa mia, dunque”. «Andiamo a fare la spesa, allora» le dico, furioso con me stesso per averle fatto del male anche standole lontano. «Quand’è stata l’ultima volta che sei entrato in un supermercato?» mi chiede, distraendomi dalla conta delle scatole di cereali che sono sullo scaffale di fronte a me. Non immaginavo potessero essercene tanti. Mi sento strano, qui dentro. La seguo, in silenzio, ammirando il modo in cui si districa tra gli scaffali e sceglie quello che più le piace. É affascinante. «Non me lo ricordo» ammetto, stringendomi nelle spalle. «È Mrs Jones a fare la spesa?» mi chiede con un sorriso divertito e luminoso. «Credo che Taylor l’aiuti. Non ne sono sicuro» replico. Mi guarda con un’aria di superiorità. Si sente a suo agio. É un ambiente che conosce, nel quale sa muoversi. E io no. Questo la diverte. “Oh, Miss Steele. Più tardi mi diverto io”. «Ti andrebbe bene qualcosa da saltare in padella? È veloce da preparare» mi dice, buttando lì con casualità il fatto di voler fare il prima possibile. «Una cosa saltata in padella suona bene» le dico sorridendole malizioso. «È tanto che lavorano per te?» mi chiede, riferendosi ovviamente a Mrs Jones e Taylor. «Taylor, quattro anni, penso. Mrs Jones più o meno lo stesso. Perché non hai cibo in casa?» le chiedo fissandola. «Lo sai perché» borbotta, arrossendo subito e girando lo sguardo per evitare il mio. «Sei stata tu disapprovazione. a lasciarmi» le mormoro con «Lo so» mi dice piano, con lo sguardo basso. Il ricordo le fa male. E mi sento subito un coglione per averglielo fatto riaffiorare alla mente. In silenzio, la seguo fino alla cassa, dove ci inseriamo nella fila. Guardo il carrello, nel silenzio, e noto che ha preso un sacco di cibo, ma niente vino. So che quello che hanno qui è pessimo. Potrei usarlo come pretesto per uscire. E magari prendere anche dei preservativi. «Hai qualcosa da bere?» le chiedo guardandola. «Birra... credo» risponde poco convinta. «Prendo del vino» le dico velocemente, allontanandomi in direzione del banco frigo. Faccio un breve giro e torno a mani vuote, ovviamente, facendole una smorfia di disgusto. «C’è un buon negozio di alcolici qui accanto» mi dice. “Ottimo”. «Vado a vedere quel che hanno» le dico, uscendo in fretta, evitando due donne che si fermano proprio all’ingresso. Trovo subito il negozio di alcolici e compro il migliore vino che hanno. Poi esco velocemente dal negozio, a pochi metri c’è una farmacia notturna. Entro e faccio una cosa che non facevo da anni. Compro dei preservativi. A casa non ho di questi problemi. Jason ha una lista di cose da comprare per me. E tra queste, sì, anche i preservativi. Evito il sorrisetto del ragazzo dietro al bancone e mi affretto a tornare da Anastasia. La trovo ad aspettarmi fuori, in strada, con le buste accanto alle gambe e un sorrisetto furbo sul viso. Le sorrido, prendo le borse della spesa e mi incammino con lei verso casa. Entriamo in silenzio nell’appartamento, sento il suo sguardo addosso mentre poggio le buste sull’isola in cemento e l’aiuto a disfarle. «Sembri molto... casalingo» mi dice all’improvviso. «Nessuno mi ha mai accusato di ciò prima d’ora» ribatto seccamente. Afferro la bottiglia di vino bianco e mi avvicino alla cucina, in cerca di un cavatappi. «Questo posto non mi è ancora familiare. Credo che il cavatappi sia nel cassetto» mi dice, indicandolo col mento. La osservo mentre apro la bottiglia. É persa nei suoi pensieri. Stupore, desiderio, lussuria... amore, voglio sperare. «A cosa stai pensando?» le chiedo, togliendomi la giacca e poggiandola sulla spalliera del divano. «A quanto poco ti conosco veramente» risponde semplicemente. La guardo, affettuoso stavolta. «Tu mi conosci meglio di chiunque altro» le dico sincero. «Non credo» risponde. Un pensiero triste le attraversa la mente. «È così, Anastasia. Sono una persona molto riservata» le dico, porgendole un bicchiere di vino. Lo prende e io faccio tintinnare il mio contro il suo. «Alla salute» le dico piano. «Alla salute» risponde. Beve, mentre poso la bottiglia in frigo. Quando torno accanto a lei, sta trafficando con il cibo. «Posso aiutarti?» le chiedo. «No, va bene così... Siediti» mi dice, liquidandomi in fretta. «Mi piacerebbe aiutarti» le dico sinceramente. Mi scruta per un attimo. Poi guarda il cibo disposto sull’isola. «Puoi tagliare le verdure» dice con un sorriso. Sospetto sia il compito più facile che abbia trovato per me. «Io non cucino» le dico, avvertendola quasi, mentre guardo sospettoso il coltello che mi sta porgendo. «Immagino che tu non ne abbia bisogno» mi dice con un sorrisetto, mettendomi davanti un tagliere e alcuni peperoni rossi. Li fisso, confuso. “Cosa vuole che faccia?”. «Non hai mai tagliato le verdure?» chiede stupita e divertita allo stesso tempo. «No» ammetto, corrucciato. Mi lancia un sorrisetto compiaciuto. «È un sorriso condiscendente quello?» le chiedo divertito. «A quanto pare, questa è una cosa che io so fare e tu no. Vediamo di affrontarla, Christian. Credo che questa sia una prima volta. Ecco, ti faccio vedere» Mi viene accanto, sfiorandomi piano con il suo corpo tentatore. La vicinanza è troppo. Faccio due passi indietro, tentando di concentrarmi su quello che mi fa vedere. «Così» mi dice, affettando abilmente un peperone e togliendo i semi. «Sembra abbastanza semplice» le dico, prendendola in giro. «Non dovresti ironicamente. avere problemi» mormora La fisso per un attimo. Da quando è così sciolta? Sembra che in cinque giorni abbia ritrovato tutta la sua forza interiore. E ora la sta usando per tenermi testa. E mi piace. Distolgo lo sguardo da lei, che mi guarda curiosa. Si allontana e inizia a tagliare il pollo, mentre io mi dedico diligentemente al lavoro che mi ha assegnato. Con la coda dell’occhio seguo i suoi movimenti. Si avvicina al lavello, lava le mani, cerca il wok, mette l’olio, traffica con gli ingredienti. Ad ogni passo fa in modo che il suo percorso si incontri con me. Mi sfiora, si struscia, mi tocca con il suo meraviglioso corpo. Il mio cazzo tira e fa un male cane, maledizione. Nonostante il mio corpo si irrigidisca, lei non demorde. «So cosa stai facendo, Anastasia» mormoro eccitato, mentre mi districo tra coltello e peperoni. «Credo che lo chiamino cucinare» ribatte ironicamente, guardandomi e sbattendo le palpebre innocentemente. Mi raggiunge e si mette di fronte a me, tagliuzzando il resto degli ingredienti. Ogni tanto si sposta, strusciando il corpo contro di me. «Sei piuttosto brava in questo» le dico, cercando di distoglierla dalla sua opera di seduzione. «A tagliare?» dice con finta innocenza, sbattendo le ciglia da cerbiatta. «Anni di pratica» Si avvicina e mi sfiora di nuovo. Il suo morbido sedere struscia voluttuosamente contro la mia coscia. “Cristo santo!”. Il mio uccello è dolorante, non resisto oltre. Non ce la posso fare. «Se lo fai un’altra volta, Anastasia, ti prendo sul pavimento della cucina» la avverto con voce bassa e roca. «Prima dovrai supplicarmi» mi dice compiaciuta. «È una sfida?» le chiedo poggiando il coltello sul tagliere. «Forse» Mi avvicino lentamente a lei, il desiderio mi guida. Mi protendo verso il fornello, spegnendolo. “Bene, Ana. Avrai quello che vuoi”. «Credo che mangeremo più tardi» le dico. «Metti il pollo nel frigo» Mi scruta con gli occhi sgranati, mentre, tremando leggermente, rimette a posto la ciotola dopo averla coperta. Quando si volta l’ho già raggiunta, accanto al frigorifero. «E così, stai supplicando?» sussurra, guardandomi sfacciatamente. «No, Anastasia» le dico, scuotendo piano la testa. «Niente suppliche» mormoro. Ci fissiamo a vicenda per qualche attimo. Ad un tratto lei si morde forte il labbro inferiore, i suoi occhi fiammeggiano di desiderio. E lo stesso fanno i miei mentre non resisto più a starle così lontano. Le afferro violentemente i fianchi e la attiro contro il mio corpo che brama di possederla. Le sue mani corrono verso i miei capelli, mentre la mia bocca famelica si avventa sulla sua. La spingo forte contro il frigo, godendomi i suoi mugolii di piacere. Il mio cazzo freme, strusciandosi contro il suo ventre. Lascio scorrere una mano sulla sua schiena e poi nei suoi capelli, afferrandoli e tirandole la testa indietro per guardarla. «Che cosa vuoi, Anastasia?» sospiro eccitato come non mai. «Te» ansima, la voce ridotta ad un filo. «Dove?» le chiedo guardandola. “Sei tu che decidi, tu che comandi, Anastasia”. «A letto» dice senza fiato. Mi allontano e la prendo tra le braccia, trasportandola velocemente nella sua camera da letto. La deposito dolcemente in piedi, accanto al letto e accendo la lampada sul comodino. Scruto la stanza, poi mi avvicino alla finestra, chiudendo le tende chiare. «E adesso?» le chiedo piano. “Ok, ho ceduto io, ma non te lo renderò più facile” «Fa’ l’amore con me» sussurra con un fremito, che si ripercuote in tutto il mio corpo. «Come?» le chiedo piano. Le mie dita le sfiorano piano un braccio, mentre lei non risponde. Gli occhi le si velano di desiderio, ma resta in silenzio. «Devi dirmelo, piccola» la incito, sorridendole in maniera sensuale e provocante. «Svestimi» sussurra senza fiato. Sorrido e infilo l’indice nella scollatura della sua camicetta azzurra. La attiro a me e le nostre labbra si sfiorano. «Brava ragazza» le mormoro piano, senza staccare gli occhi da lei. Lentamente inizio a slacciare i piccoli bottoni della sua camicia, facendola sospirare ancora. Le sue mani vanno ad appoggiarsi sulle mie braccia, per reggersi. Quando ho finito, gliela sfilo, lasciandola cadere a terra. Lancio un fugace sguardo ai suoi seni contenuti in un meraviglioso pizzo color pastello e poi lascio scivolare la mano sino alla cintura dei suoi jeans, sbottonandoli piano e abbassando la cerniera. I miei occhi sono di nuovo nei suoi. «Dimmi che cosa vuoi, Anastasia» le dico, ansimando sulle sue labbra aperte come le mie. «Baciami da qui a qui» sussurra tremante, disegnando una linea con il dito dalla base dell’orecchio sinistro fin sotto la gola. Le scosto piano i capelli, sorridendo, e mi chino su di lei, lasciandole dolci e teneri baci lungo il percorso tracciato dal suo piccolo indice. «I miei jeans e le mutandine» le sento mormorare. Sorrido per la sua impazienza. Le mie mani scivolano sulla sua pelle, mentre mi inginocchio di fronte a lei. Mi guarda, inebriata dall’anticipazione di quello che sto per farle. Infilo i pollici nei jeans, gentilmente, lasciandoli scivolare lungo le sue cosce lisce e sottili. Con i jeans lascio scendere anche le mutandine di pizzo. Anastasia si sfila le ballerine nere e si libera di quello che le rimane addosso. Rimane solo con il reggiseno. Mi fermo, guardandola e attendendo i suoi comandi. «E adesso, Anastasia?» le chiedo con voce roca. «Baciami» sussurra. «Dove?» le chiedo maliziosamente. Arrossisce velocemente. «Lo sai dove» sussurra sottovoce. «Dove?» le chiedo ancora una volta. Imbarazzata mi indica veloce il basso ventre. Le faccio un sorrisetto. “Ora ti faro impazzire, Miss Steele”. Stringe gli occhi forte. «Con piacere» ridacchio piano. Le deposito un soffice e delicato bacio sul suo sesso voglioso, bagnato. Umido di eccitazione. E poi non resisto. Allungo la lingua, muovendola su tutta la sua piccola fessura, sul suo clitoride che pulsa. Ana geme in modo convulso, afferrandomi i capelli e stringendoli forte. Non mi fermo, disegnando cerchi sul suo piccolo bottoncino delicato, facendola tremare per il bisogno di venire. «Christian, per favore» mi supplica quasi. «“Per favore” cosa, Anastasia?» “Supplicami, Ana. Supplicami di scoparti, di entrarti dentro a fondo”. «Fa’ l’amore con me» implora. «Lo sto facendo» mormoro malizioso tra le sue gambe. «No. Ti voglio dentro di me» La sua voce è quasi stridula per quanto mi desidera. “Sì, Ana. Così”. «Sei sicura?» «Per favore» supplica. La torturo ancora con la lingua, circondando la sua vagina tremante, leccando, avido del suo dolce nettare. Ana emette un gemito sonoro. «Christian... per staccarmi da lei. favore» implora, tentando di Strofino il naso sul suo sesso, inspirando il suo dolce profumo. Mi alzo, guardandola. I suoi occhi si spostano sulle mie labbra, bagnate di lei. «Allora?» le chiedo, alzando un sopracciglio, con un sorrisetto arrogante. «Allora cosa?» sospira, col fiato corto, guardandomi confusa. «Sono ancora vestito» le dico piano, allargando le braccia. Mi fissa per qualche attimo, poi allunga una mano tremante verso la camicia. Mi sposto appena in tempo all’indietro. «Oh, no» la rimprovero. Alzando un sopracciglio, la guardo in attesa. Inspira a fondo, fissandomi dritto negli occhi. E poi cade meravigliosamente in ginocchio davanti a me. Mi slaccia la cintura, litigandoci un po’, e poi i jeans, che tira giù insieme ai miei boxer. Libera la mia erezione, che le sfiora quasi il viso. É così vicina. Alza lo sguardo sui di me. “Oddio. Ho sognato momenti come questo sin dalla prima volta che l’ho vista. L’ho sognata in ginocchio, pronta per me. A darmi piacere in ogni modo possibile. Ho desiderato di riempire e zittire quella bocca impudente fin dal primo istante”. Mi sfilo completamente i jeans e mi chino un attimo a togliere i calzini. Quando mi raddrizzo lei me lo stringe in mano, accarezzando tutta la mia lunghezza. Gemo, mentre i miei muscoli si tendono all’unisono. Esitante si avvicina, prendendolo in bocca. Succhia forte, facendomi sussultare. Mugola di piacere, serrando ancora di più la bocca attorno al mio cazzo. «Ah. Ana... ferma. Piano» gemo. Le accarezzo piano la testa, mentre lei lo prende ancora più a fondo in bocca. Stringe le labbra e la punta del mio uccello le arriva fino in gola, riempiendola tutta. Succhia di nuovo, più forte. «Oh, sì» sibilo di piacere. Succhia di nuovo, sempre più forte. Mi sta spremendo. Mi sta succhiando via l’anima. E io la sto adorando. É magnifica. E mi fa stare così bene. La sua lingua saetta piano sulla mia cappella infuocata. «Ana, basta. Fermati» gemo. Ma lei continua imperterrita. Alza lo sguardo su di me e vedo il lampo di sfida. “Cazzo. Ecco cosa vuoi. Vuoi che ti supplichi”. Cerco di resistere, di non cedere, ma sto per esplodere. E voglio farlo dentro di lei, non nella sua bocca. «Okay, hai vinto» sibilo a denti stretti. «Non voglio venirti in bocca» Succhia ancora una volta prima che l’afferri per le spalle e la tiri su. La spingo sul letto, ammirando il suo corpo. Mi sfilo la camicia dalla testa, gettandola a terra. Mi chino sui miei jeans, estraendo un preservativo dalla tasca. Ho il fiato corto per l’eccitazione. «Togliti il reggiseno» le ordino. La sua immediata obbedienza mi eccita ancora di più. É ansiosa di compiacermi. E sì, a dispetto di quello che avevo intenzione di fare con lei, voglio essere compiaciuto. «Sdraiati. Voglio guardarti» Esegue in silenzio, restando nuda, mentre mi infilo lentamente il preservativo. Guardarla offrirsi a me in quel modo mi sta facendo impazzire. Mi inumidisco le labbra, assaporando i residui del suo sapore. «Sei una visione meravigliosa, Anastasia Steele» mi chino sul letto, arrampicandomi sul suo corpo. Le bacio la pelle a mano a mano che risalgo. Mi soffermo sui suoi seni, stuzzicandola fino a farla gemere e contorcere sul lenzuolo. «Christian, per favore» mormora mentre sto per portarla al limite. «Per favore cosa?» sussurro sulla sua pelle. «Ti voglio dentro di me» implora. «Mi vuoi adesso?» la tormento ancora. «Per favore» supplica bisognosa. La fisso negli occhi, mentre le mie mani scendono ad aprirle le gambe. E, finalmente, dopo giorni di straziante agonia, il mio cazzo si bagna di nuovo dei suoi umori, penetrandola a fondo, lentamente. Chiude gli occhi, godendosi ogni attimo. Sembra in estasi, i suoi movimenti dolci e sexy come un perverso rallenty di un film erotico. La sola visione rischia di farmi venire. Solleva il bacino, venendomi incontro, impaziente di essere posseduta da me. Di essere mia. Il gemito che le esce dalla gola è un suono straziante e lussurioso al tempo stesso. Le sue dita si infilano nei miei capelli, mentre continuo a penetrarla piano. «Più veloce, Christian, più veloce... per favore» supplica ancora una volta. Le lancio uno sguardo di trionfo. Alla fine, ha ceduto. Mi approprio prepotentemente delle sue labbra, iniziando a scoparla con forza. Il mio ritmo è implacabile, ad ogni stoccata la inchiodo al materasso, riversando in questo intenso atto sessuale tutta la frustrazione e il desiderio degli ultimi cinque giorni, che mi sono sembrati 5mila anni. Ana inizia ad urlare e gemere sconnessamente, accendendo sempre di più la mia eccitazione. Il mio ritmo aumenta, più veloce, insistente, estenuante. Sento le sue gambe tendersi. E anch’io sto per raggiungere il limite. «Avanti, piccola» ansimo sulle sue labbra. «Vieni» Anastasia spalanca gli occhi, fissandomi, persa nel suo piacere. Urla forte, mentre si stringe intorno a me come una deliziosa morsa. E viene. E io non resisto oltre a quella vista, a quelle sensazioni. Esplodo dentro di lei, liberando la mia anima insieme al mio orgasmo. «Ana! Oh, cazzo, Ana!» grido, crollando pesantemente su di lei, la mia testa sul suo collo, il mio respiro contro la sua pelle. “Sono tuo. Sono irrimediabilmente tuo oramai”. Capitolo 7 Non so per quanto tempo rimaniamo entrambi in silenzio, ansimanti, l’uno addosso all’altra. Mi beo in quel conforto che solo il suo calore sa darmi. Solo il suo corpo unito al mio. La sento muoversi piano sotto di me. Sposto la testa in modo che possa guardarla. Ha gli occhi chiusi, il corpo rilassato in un torpore postorgasmico, i lineamenti rilassati di chi ha goduto tanto. Mi scopro a guardarla con ammirazione, con venerazione. Sì, con amore. Quando riapre gli occhi e mi scopre a fissarla non mi importa. Le sorrido teneramente, strofinando piano il mio naso contro il suo, mentre mi sorreggo sui gomiti. Per un attimo aggrotta le sopracciglia, guardando il mio collo, il mio torace. So che vorrebbe toccarmi. E il pensiero mi fa male. E non per il dolore fisico che potrei provare. Ma per quello che provo al pensiero di non essere in grado di superare questo mio limite assoluto. Inizio a capire solo ora cosa intendeva Flynn le mille volte che mi diceva che pormi dei limiti nelle mie relazioni non era poi un bene per me. Se avessi tentato, se avessi osato prima, magari ora sarei potuto essere in grado di sostenere questa sfida. Avrei potuto godere del suo tenero tocco che desidero, di cui avrei bisogno più dell’aria. Le mie mani si poggiano ai lati della sua testa, mentre le do un leggero e tenero bacio sulle labbra, sfilandomi finalmente da lei. Le nostre labbra si toccano lievemente, si assaggiano piano, per poi staccarsi di malavoglia. «Tutto questo mi è mancato» sospiro piano, contro la sua bocca carnosa. «Anche a me» risponde piano, guardandomi con i suoi occhi grandi, aperti. Sinceri. Le mie dita scorrono leggere sul suo mento, tirandolo verso di me e baciandola ardentemente. Le nostre lingue turbinano insieme, si scontrano, ancora avide di noi anche dopo il soddisfacente amplesso appena consumato. La mia mano scorre sulla pelle del suo viso, mentre la mia lingua continua il suo assalto provocante. Le dita arrivano tra i suoi capelli, stringendoli forte e tenendo salda la sua bocca sulla mia. In quel bacio riverso tutto il mio bisogno di lei, tutta la paura che ho di perderla. Quando ci stacchiamo, Anastasia è senza fiato. Proprio come me. «Non lasciarmi più» la imploro, la supplico, guardandola dritto negli occhi, cercando di farle capire quanto ho bisogno di essere rassicurato. «Okay» mormora piano, sorridendo debolmente. Il mio sorriso in risposta è aperto, sincero, gioioso. La guardo felice, senza riuscire a nascondere la mia gioia. «Grazie per l’iPad» mi dice, senza smettere di fissarmi. «Di niente, Anastasia» le rispondo, continuando a giocherellare con le ciocche dei suoi capelli. «Qual è la tua canzone preferita tra quelle?» mi chiede d’un tratto. Tu. Tu sei la mia canzone preferita. Tu sei la melodia che non smetterei mai di suonare. «Ora vuoi sapere troppo» le rispondo vago, con un sorriso. «Vieni, cucinami qualcosa, donzella. Sono affamato» aggiungo, mentre mi tiro su a sedere, portandola con me. «Donzella?» chiede, con la sua risata da scolaretta felice. «Donzella. Cibo, ora, per piacere» le dico, facendole un leggero broncio e guardandola con aria supplichevole. «Visto che me lo chiedete gentilmente, sire, mi ci applico subito» risponde giocosa. Scende dal letto, con un piccolo balzo. Il movimento fa cadere il suo cuscino, scoprendo il palloncino sgonfio che le ho mandato la scorsa settimana. Il piccolo Charlie Tango gonfiabile, che ora ha perso vigore e giace appiattito sulla stoffa candida del lenzuolo. Lo prendo in mano, aggrottando la fronte. Sono compiaciuto. La guardo con aria interrogativa, mentre lei arrossisce leggermente. «Quello è il mio palloncino» mi dice, con aria possessiva. Si gira, afferrando l’accappatoio appeso alla porta e infilandoselo. «Nel tuo letto?» mormoro, sentendomi geloso per un attimo di quel piccolo palloncino. «Sì» risponde, arrossendo di nuovo. «Mi tiene compagnia» aggiunge piano, quasi triste. «Beato Charlie Tango» le dico sorpreso. “Oh, Ana. Quanto ti ho fatta stare male se hai avuto bisogno di aggrapparti ad un palloncino?”. «È il mio palloncino» mi dice, prima di voltarsi e andare di là, lasciandomi solo sul letto, triste e compiaciuto allo stesso tempo. Mi ha pensato. Mi ha desiderato con la stessa intensità con cui l’ho desiderata io. Ha continuato ad amarmi, mentre io scoprivo di provare lo stesso per lei. Mi infilo in fretta i jeans e la camicia. Tiro fuori il BlackBerry dalla tasca e mando un sms a Taylor, dicendogli di portare l’Audi di Anastasia nel vialetto davanti casa sua. In fondo le ho restituito le chiavi e non ha protestato. É tutto come prima. Prima di tornare di là, poggio sul comodino anche gli altri due preservativi, maledicendomi tra me e me per aver comprato solo una fottutissima scatola da tre invece che l’intera scorta della farmacia. Quando la raggiungo, la trovo intenta a cucinare, in silenzio. Dalla giacca tiro fuori il mio iPod e lo collego al suo impianto stereo. Poi, in silenzio, vado ad appoggiarmi all’isola in cemento, osservando i suoi movimenti, il suo essere così a proprio agio. La guardo e desidero vederla così tutti i giorni, desidero tornare a casa, la sera, e sapere di non essere solo, di trovarla lì. Forse è il pensiero di poterla avere ogni volta che voglio. Di sapere che mi basta fare qualche passo e attraversare una porta per trovare quello che cerco. Quello che mi fa stare bene. «A cosa pensi?» mi chiede, sorridendomi gentilmente, mentre prepara un vassoio con il cibo finalmente pronto. La guardo per un lungo istante in silenzio. Adorandola ogni secondo di più. «A te, Miss Steele» le rispondo enigmatico. Arrossisce, colorando di rosso il suo bellissimo viso. Prendo il vassoio e mi dirigo verso il divano. «Vieni. Mangiamo, Anastasia. Hai bisogno recuperare le forze. Non ho ancora finito con te» di Poggio il vassoio a terra. Quando mi raggiunge, senza smettere di fissarmi, le tendo la mano, attirandola contro il mio corpo. Le accarezzo piano la schiena e le deposito un casto bacio sulle labbra. Non chiudo gli occhi. La guardo. Guardo la sua dolcezza infinita fondersi con me. Che non lo merito. Ma non sarò meno egoista da lasciarla andare. La voglio tutta per me. Non la merito. Ma finché posso averla, mi prenderò tutto quello che posso avere. Seduti sul tappeto, mangiamo, sorseggiando vino e ascoltando musica. Sono appoggiato con la schiena al divano, con le gambe allungate, rilassato e appagato. Anastasia è accanto a me, con le gambe incrociate sotto il suo accappatoio di spugna. Mi sto godendo questo momento così perfetto. Sono visibilmente rilassato, qui seduto a terra con la donna che amo, a mangiare ottimo cibo. «È buono» le dico, con sincera ammirazione, mentre infilo le bacchette nella ciotola di porcellana che contiene degli ottimi noodles. Ana annuisce, mentre mangia di buon grado, osservando le mie gambe distese e i miei piedi nudi. «Di solito sono io che cucino. Kate non è una gran cuoca» mi dice tra un boccone e l’altro. «È stata tua madre a insegnarti?» le chiedo, assaggiando un pezzo di pollo. «No davvero!» esclama sarcastica, sbuffando leggermente. «Quando ho iniziato a interessarmi alla cucina, mia madre era andata a vivere con il Marito Numero Tre a Mansfield, in Texas. E Ray, Bè, lui sarebbe andato avanti a toast e cibo da asporto, se non fosse stato per me» confessa con un sorrisetto. La guardo curioso. «Perché non sei andata in Texas con tua madre?» le chiedo. «Steve, suo marito, e io... non andavamo d’accordo. E mi mancava Ray. Il matrimonio con Steve non è durato molto. Lei è rinsavita, credo. Non ha mai più parlato di lui» mi dice tranquillamente. La osservo in silenzio, notando come la decisione che mi ha appena confessato non le abbia mai procurato rimorso. «Perciò sei rimasta a vivere con il tuo patrigno» «Sì» «Sembra che tu ti sia presa cura di lui» le dico, sorridendole. «Suppongo di sì» dice, stringendosi nelle spalle con aria modesta. «Sei abituata a prenderti cura delle persone» osservo piano. “É una piccola crocerossina. Forte e indipendente. Si butterebbe nel fuoco per le persone che ama. Pensa a tutti. Mentre io voglio essere l’unico a prendermi cura di lei. A tenerla al sicuro”. Il mio tono sommesso le fa alzare lo sguardo. Mi guarda con aria interrogativa, aggrottando la sua morbida fronte in modo che le si formino delle piccole linee sottili che vorrei tanto toccare. «Cosa c’è?» chiede, leggermente allarmata. «Io voglio prendermi cura di te» le confesso sincero. I miei occhi brillano, mentre la guardo ardentemente. Anastasia apre leggermente la bocca, ansimando piano. «L’ho notato» sussurra alla fine. «Solo che lo fai in un modo bizzarro» aggiunge, distogliendo per un attimo lo sguardo, per poi tornare a fissarmi. Aggrotto la fronte, riflettendo sulle sue parole. “Forse, hai ragione, Anastasia. Ma ho bisogno del mio controllo su di te. Non posso rinunciarci”. «È il solo modo che conosco» le dico semplicemente. «Sono ancora arrabbiata con te per aver comprato la SIP» mi dice, leggermente stizzita. Le sorrido arrogante. «Lo so, ma la tua rabbia, piccola, non mi avrebbe fermato» le dico apertamente. «Cosa dirò ai miei colleghi? A Jack?» mormora, spostandosi leggermente. Il solo sentire nominare quello stronzo mi fa infuriare. Stringo gli occhi, imbronciandomi. «Quello stronzo fa meglio a stare attento» dico senza mezzi termini. «Christian!» mi rimprovera. «È il mio capo» La guardo senza cambiare minimamente idea. “Potrebbe essere anche il presidente degli Stati Uniti, Anastasia. Sarebbe sempre un fottutissimo figlio di puttana”. «Non dirglielo» rispondo, senza abbandonare la mia aria indispettita, da ragazzino. «Non devo dirgli cosa?» chiede confusa. «Che possiedo la SIP. I termini del contratto sono stati approvati ieri. C’è il divieto di divulgare la notizia per quattro settimane, mentre il management della SIP fa alcuni cambiamenti» rispondo. I suoi occhi si sgranano piano. «Oh... perderò il lavoro?» chiede allarmata. «Sinceramente ne dubito» le dico sarcasticamente. Faccio del mio meglio per trattenere il sorriso impudente che mi sta affiorando sulle labbra. Ho rischiato di giocarmi l’intera serata. Non vorrei rischiare di giocarmi quello che ne resta ora. Mi lancia un’occhiataccia. «Se dovessi andarmene e trovare lavoro in un’altra azienda, comprerai anche quella?» mi chiede cinicamente. «Non stai pensando di andartene, vero?» le domando, diffidente. ‘Qual è il problema, Grey? Tanto la seguiresti fino in capo al mondo. Compreresti la luna pur di saperla al sicuro’. La sua espressione cambia, diventando diffidente. «Forse. Non sono sicura che tu mi stia dando molta scelta» mi risponde acida, incrociando le braccia. «Sì, comprerò anche quell’azienda» le rispondo categoricamente. Mi lancia un’altra occhiataccia, poi sospira, esasperata. «Non pensi di essere un tantino iperprotettivo?» mi chiede, scuotendo piano la testa. «Sì. Sono pienamente consapevole di dare quest’impressione» dichiaro con un’espressione fintamente solenne. «Chiama il dottor Flynn» mormora. Deposito la mia ciotola vuota a terra, guardandola dritto negli occhi, senza cedere. Sospira di nuovo, rassegnata. Poi si alza dal pavimento, prendendo la mia ciotola e portandola, insieme al vassoio con i resti della nostra cena, sull’isola in cucina. «Vuoi il dolce?» mi chiede da lontano. «Ora sì che ragioniamo!» le dico con un gran sorriso lascivo, guardandola dalla testa ai piedi. «Non me» aggiunge, come se mi avesse letto il pensiero. «Abbiamo il gelato. Vaniglia» ridacchia maliziosamente. Dentro di me un’idea prende forma. “Sì, potremmo divertirci sul serio... ”. «Davvero?» le dico, senza riuscire a tenere a freno il mio sorriso. «Credo che possiamo inventarci qualcosa con quello» mormoro piano, guardandola lascivamente. Mi alzo dal pavimento, accarezzandole il corpo con lo sguardo. «Posso restare?» le chiedo speranzoso. «Che cosa intendi?» chiede girandosi a fissarmi. «Stanotte» mormoro. Non voglio rischiare di rovinare tutto. Da oggi dovrò sempre sapere quello che le passa per la testa, quello che vuole e quello che invece non vuole. «Avevo dato per scontato che lo facessi» mi dice piano. «Bene. Dov’è il gelato?» chiedo con l’allegria ritrovata. «Nel forno» risponde, con un sorriso dolce. Sospiro, scuotendo la testa divertito. «Il sarcasmo è la forma più bassa d’ironia, Miss Steele» le dico, fissandola ardentemente. Il desiderio di essere di nuovo dentro di lei mi sta già divorando. «Potrei sempre rovesciarti sulle mie ginocchia» aggiungo maliziosamente, mentre il mio uccello prende a pulsare violentemente per la brama che ho di lei e del suo corpo. Mi fissa per un secondo, mentre poggia delicatamente le ciotole nel lavello. «Hai quelle disinteresse. sfere d’argento?» chiede, fingendo Mi tasto il petto, l’addome e le tasche dei jeans, fingendo di cercare qualcosa. «Stranamente, non le porto sempre con me. Non ci faccio molto con quelle in ufficio» le dico con una finta aria di scuse. «Sono lieta di sentirlo, Mr Grey. Pensavo che avessi detto che il sarcasmo è la forma più bassa d’ironia» mi apostrofa divertita dalla nostra piccola schermaglia. «Bè, Anastasia, il mio nuovo motto è: “Se non puoi batterli, unisciti a loro”» le dico, stringendomi nelle spalle con un sorrisetto. Apre la bocca, divertita. Scuote piano la testa, mentre le lancio un’occhiata compiaciuta. Poi apro il freezer, prendendo il barattolo di gelato alla vaniglia. “Ben&Jerry’s... ottimo”. «Questo andrà benissimo» le sussurro, fissandola con gli occhi che ardono di desiderio. «Ben&Jerry’s&Ana» mormoro contro il suo orecchio, sporgendomi piano in avanti e scandendo ogni parola. La sua bocca si spalanca. Mi allontano, avvicinandomi al cassetto delle posate. Prendo un cucchiaio e porto di nuovo lo sguardo su di lei. La guardo, pregustandomi nella mia mente quello che le farò. Il solo pensiero di assaggiare il gelato dalla sua pelle mi manda in visibilio. Mi passo la lingua sui denti, senza smettere di scoparla con lo sguardo. La sento ansimare da lontano. Faccio qualche passo verso di lei. «Spero che tu abbia caldo» le sussurro «Ti raffredderò con questo. Vieni» Le tendo la mano e lei la afferra tremante. La trascino in camera da letto. Poggio il barattolo e il cucchiaio sul comodino, tiro la trapunta dal letto e impilo i cuscini sul pavimento. Guardo le lenzuola candide. «Hai lenzuola di ricambio, vero?» le chiedo, alzando lo sguardo su di lei e scoprendola a fissarmi. Annuisce, in silenzio. intenzionato a spostarlo. «Non impiastricciarmi guardinga. Le faccio un sorrisetto. Afferro il il palloncino» palloncino, mi dice «Non mi sognerei mai, piccola, ma voglio impiastricciare te e queste lenzuola» le prometto lascivamente. Il suo corpo è scosso da un tremore. «Voglio legarti» le dico piano, avvicinandomi a lei. «Okay» sussurra, mentre gli occhi le si sgranano. «Solo le mani. Al letto. Ho bisogno che tu stia ferma» la rassicuro. O almeno ci provo. «Okay» sussurra di nuovo con un filo di voce. La fisso negli occhi, colmando la poca distanza tra di noi. «Useremo questa» le dico, continuandola a fissare mentre le sfilo la cintura dell’accappatoio lentamente, lasciandola strusciare piano sulla stoffa morbida del suo accappatoio, che si schiude piano davanti ai miei occhi. Fisso il suo corpo nudo, accarezzandolo con gli occhi, beandomi in quella visione sublime. Poi torno a fissarla negli occhi. Spingo l’accappatoio a terra, lasciandolo scivolare dalle sue spalle. Ana rimane nuda davanti a me, splendida come una dea. Lentamente le sfioro ripetutamente il viso con le nocche. Poi mi avvicino, baciandola velocemente. «Sdraiati sul letto, supina» le ordino dolcemente, mentre dentro di me sto bruciando per l’intensità del mio desiderio. Anastasia obbedisce, muovendosi leggermente incerta, illuminata dalla sola luce dell’abat-jour. Rimango in piedi, di fronte a lei, incapace di smettere di fissarla. La sua pelle candida, nella penombra, è una dolce tentazione. «Potrei rimanere a guardarti Anastasia» le dico, salendo sul letto. tutto il giorno, Mi arrampico su di lei, mettendomi a cavalcioni. Le mie dita scorrono sulla morbida pelle del suo ventre, risalendo sino al seno. «Alza le braccia sopra la testa» le ordino piano. Obbedisce, muovendo le braccia lentamente, eccitandomi di più. Il movimento provoca il sollevamento dei suoi seni, che si offrono alla mia vista tentandomi. É una delle cose che amo di più del vederla legata. Il mio uccello si tende al solo pensiero di infilarsi tra quelle due dolci colline. “Un giorno o l’altro, Anastasia, soddisferò anche questa fantasia”. Mi sporgo su di lei, legandole il polso sinistro con la cintura, assicurandola poi alle sbarre del letto. Ripeto l’operazione con la mano destra. Quando ho finito mi rilasso. “Ora sono io a condurre il gioco, Miss Steele”. Anastasia aggrotta la fronte per un attimo, mentre scendo dal letto. Sembra attraversata da un pensiero triste, ma il mio movimento la distrae. Mi chino di nuovo su di lei, depositandole un bacio veloce sulle sue labbra leggermente schiuse. Mi sfilo la camicia, tirandola dalla testa, senza sbottonarla. Poi tiro via anche i jeans. Sotto non indosso i boxer e sento il suo respiro bloccarsi, per poi ripartire a rapida velocità. Le afferro le caviglie e la tiro sul letto, in modo che le sue braccia siano tese. Le linee del suo corpo sono divine, i suoi seni mi invitano ad assaggiarli, il suo ventre implora solo di essere baciato. «Così va meglio» mormoro apprezzandola davvero. Prendo il barattolo di gelato dal comodino e il cucchiaio. Risalgo sul letto, mettendomi a cavalcioni su di lei. Tolgo lentamente il coperchio, fissandola. Immergo il cucchiaio nella vaniglia compatta. «Mmh... è ancora piuttosto duro» le dico, alzando un sopracciglio. Ovviamente non mi riferisco solo al gelato. Prendo una cucchiaiata di gelato la metto in bocca. «Delizioso» mormoro, leccandomi provocante le labbra. «È sorprendente come la buona e semplice vaniglia possa essere gustosa» le dico, facendole l’occhiolino, divertito, mentre mi guarda a bocca aperta. «Ne vuoi un po’?» le chiedo scherzoso. Mi sto divertendo da matti a tenerla sulle spine. Ana annuisce timidamente. Le porgo il gelato sul cucchiaio e lei apre quelle meravigliose labbra per me. Arrivo quasi a sfiorargliele, poi infilo il cucchiaio nella mia bocca. «È troppo buono per dividerlo» le dico, sorridendole maliziosamente. «Ehi» protesta debolmente. «Perché, Miss Steele, ti piace la vaniglia?» la provoco ancora una volta. «Sì» mi dice decisa, mentre si muove sotto di me, cercando di farmi cadere. L’attrito dei nostri corpi che si sfiorano mi eccita ancora di più. Il mio cazzo è di marmo, mentre i nostri corpi nudi si strusciano l’uno contro l’altro. Rido di fronte alla sua frustrazione. «Diventiamo irritabili, eh? Io non lo farei se fossi in te» la avverto benevolmente. «Gelato» mi supplica come una bambina. «Bè, visto che oggi mi hai compiaciuto così tanto, Miss Steele...» le dico con un’occhiata dolce e condiscendente, avvicinandole un cucchiaio di gelato alla bocca e lasciando che lo mangi. Sorride, gustando la dolce vaniglia. Ne prendo un’altra cucchiaiata e ripeto il gesto. E poi ancora. «Mmh. Bè, questo è un modo per assicurarmi che mangi. Alimentazione forzata. Potrei abituarmici» le dico, sorridendole furbo. Le avvicino di nuovo il cucchiaio, ma stavolta Anastasia serra la bocca, scuotendo la testa. “Oh, piccola. Ora ci divertiamo”. Non allontano il cucchiaio, lasciando che il gelato si sciolga e inizi a colare sul mento, sulla gola e tra i seni. “Cristo”. Immagini di lei marchiata dal mio seme nello stesso modo iniziano ad affollarsi nella mente. É così erotico, così possessivamente folle. Mi chino su di lei e, molto lentamente, lecco la dolcissima vaniglia. Il sapore della sua pelle fuso a quello del gelato è un potente afrodisiaco. ‘Come se ne avessi bisogno, poi, Grey’. Il suo corpo si surriscalda. Ana si agita piano, sotto di me. Un lieve gemito le muore in gola. «Mmh. È ancora più gustoso su di te, Miss Steele» le sussurro contro il seno destro, guardandola da sotto le ciglia. Dà uno strattone alla cinta che la lega al letto, facendolo cigolare rumorosamente. Prendo un’altra cucchiaiata di gelato, lasciando che le goccioli sul petto, in mezzo ai seni. Poi, con il retro del cucchiaio le cospargo i seni e i capezzoli, che si inturgidiscono immediatamente. Il mio cazzo scivola avanti e indietro sul suo ventre liscio, mentre sento affiorare sulla cappella le prime gocce di liquido seminale. Sto scoppiando di desiderio, anche se sembro calmo e perfettamente padrone di me. «Freddo?» le chiedo dolcemente, con aria maliziosa. Non aspetto la sua risposta, ma mi chino su di lei, iniziando a leccare piano la sua morbida pelle. La mia lingua turbina sui suoi seni, girando attorno i suoi capezzoli duri. Li succhio, forte, avido, uno per volta, mentre il gelato prende a scorrere lungo la sua pelle fino alle lenzuola. Ana si muove sotto di me, impotente, legata. Geme, ansima, respira rumorosamente. Tutti questi suoni mi infiammano l’anima, preparandomi al momento in cui sarò di nuovo dentro si lei. La mia bocca calda accoglie il gelato freddo misto al suo sapore. Ana ansima forte. Mi alzo per guardarla. «Vuoi qualcosa?» le chiedo. Ma prima che possa rispondermi, affondo le mie labbra sulle sue, invadendole la bocca con la mia lingua. Lecco le sue labbra, le succhio la lingua, la bacio a fondo, facendole assaporare la delizia che sto assaggiando io. La bacio a lungo, sorridendole piano contro le labbra morbide e guardando il suo meraviglioso viso così vicino al mio. Poi mi stacco. Affondo il cucchiaio nel gelato e poi vado a tracciare una linea di vaniglia lungo il suo addome, depositando il gelato nel suo ombelico. Lei sussulta per le sensazioni contrastanti. «L’hai già fatto prima» le dico, rammentandole la nostra esperienza con il vino e il ghiaccio. I miei occhi scintillano al ricordo di quella sera, della sua prima sculacciata. «Devi stare ferma, o ci sarà gelato dappertutto, sul letto» le intimo. Mi chino a baciarle i seni, succhiando avidamente entrambi i capezzoli duri come due bottoncini. La mia lingua saetta su di loro. Li mordicchio piano, tirandoli tra i denti e facendola gemere sonoramente. Anastasia tenta di irrigidire i muscoli e restare ferma. Ma so che sta impazzendo. I suoi fianchi prendono a muoversi ritmicamente, seguendo i movimenti della mia lingua. Lecco sino a scendere e raggiungere il suo ombelico, nel quale infilo la lingua, facendola roteare a fondo. Questa volta il suo gemito è ancora più forte. Mentre sento i muscoli del suo ventre contrarsi per il piacere. Traccio un’altra linea di gelato, più giù, lungo il pube e, infine, poggiando la dolce crema fredda sul suo clitoride. Anastasia lancia un urlo assordante, contraendosi tutta. «Zitta adesso» le dico con voce rotta di desiderio, abbassandomi tra le sue gambe. Inizio a leccare il gelato dal suo sesso bagnato e il sapore della vaniglia fuso a quello dei suoi umori mi fa desiderare di averla per giorni e giorni, ripetutamente. Lecco il suo piccolo clitoride inondato di gelato, mentre la sento agognare il piacere, gemendo ripetutamente. «Oh... per favore... Christian» implora, desiderosa di esplodere. «Lo so, piccola, lo so» sospiro sulla sua fessura stretta e vogliosa. La mia lingua torna a tormentarla strenuamente, mentre i muscoli delle sue gambe si irrigidiscono. É al culmine lo so. Senza smettere di leccare, infilo un dito dentro di lei. Ne aggiungo un secondo, riempiendola. La sensazione del suo sesso serrato attorno alle mie dita è strabiliante. Il mio cazzo freme, poggiato contro l’interno di una delle sue cosce. Mi sposto leggermente, strusciandolo piano contro la sua pelle, alla ricerca di un minimo sollievo. Le mie dita la scopano con lentezza, mentre la mia lingua serpeggia selvaggiamente sul suo clitoride. Poi stacco le labbra da quella meraviglia. «Ecco qui» mormoro, colpendo ripetutamente il magico punto sensibile all’interno della sua vagina e chinandomi di nuovo a succhiare con foga. Sento il suo corpo tendersi al massimo, all’improvviso, e poi un gemito assordante riempie la stanza. Anastasia viene con un’intensità strabiliante. Mi lascia senza fiato. Aspetto che i suoi spasmi si calmino, godendomi la vista della donna che amo, a cui sono inesorabilmente legato, mentre viene scossa dai tremiti del piacere che io stesso le ho procurato. Quando si calma, ancora ad occhi chiusi, stordita, mi stacco da lei, mettendomi in ginocchio tra le sue gambe. Con una mano raggiungo il comodino e prendo uno dei preservativi che vi avevo poggiato prima di cena. Strappo la bustina e lo infilo, accarezzandomi mentre la guardo. “Dio, potrei accontentarmi anche solo di masturbarmi mentre la guardo. É la creatura più sensuale che abbia mai visto in tutta la mia vita”. Ma non stasera, comunque. In un attimo sono di nuovo su di lei. E poi dentro di lei. Duro, veloce, deciso. Affondo tutto nel suo ventre morbido, caldo e bagnato. Il mio cazzo la riempie mentre vado avanti e indietro, assestandole colpi decisi. «Oh, sì!» gemo, mentre la sensazione di lei che mi avvolge mi manda in estasi. Sono stretto da lei, il suo sesso soffoca il mio. Ed è fottutamente meraviglioso. Il suo corpo si appiccica al mio nei punti in cui il gelato sciolto non è stato spazzato via dalla mia lingua avida. La sensazione è strana. Ma ci penso per pochi attimi. Continuo ad affondare in lei. Ma non mi basta. Voglio andare ancora più a fondo. Esco da lei e la giro, in cerca della posizione più adatta a quello che voglio fare. «Così» le mormoro, mentre entro di nuovo in lei. Ma prima di muovermi mi allungo su di lei, slegandole i polsi. Poi la tiro su con me, in modo che resti seduta sul mio cazzo, mentre le sue gambe sono spalancate ai lati delle mie. Le mie mani raggiungono i suoi seni, afferrando entrambi i capezzoli e tirandoli, stringendoli, sino a farla gemere di nuovo. Anastasia poggia la testa contro la mia spalla, inarcando la schiena, mentre il mio cazzo la riempie tutta. Strofino il naso contro il suo collo, mordicchiandole la pelle. Poi inizio a muovermi di nuovo. Alzando le anche e scopandola a fondo, ritmicamente. Gemo oscenamente nel suo orecchio per la sensazione di completezza che provo in questo momento. «Hai idea di quello che significhi per me?» le sospiro piano contro la nuca. «No» ansima in risposta, mentre le sue mani vanno ad infilarsi nei mie capelli, stringendoli. Sorrido perfidamente contro il suo collo. Le dita della mia mano sinistra salgono dal seno al collo, e poi al suo viso. La stringo possessivamente. «Sì che lo sai. Non ti lascerò andare via» sibilo contro il suo orecchio, leccando il lobo con la punta della lingua. Ana geme forte alle mie parole e io inizio a scoparla più forte. I miei mugolii si fanno sempre più rochi, possessivi. «Tu sei mia, Anastasia» le dico, mentre affondo forte dentro di lei, quasi a volerglielo imprimere dentro. «Sì, tua» risponde con il fiato corto, il respiro appena udibile. «Mi prendo cura di ciò che è mio» sibilo contro la sua pelle sudata e accaldata, marcando ancora una volta il mio territorio. Il suo grido di piacere, mentre pronuncio queste parole, è una dolce musica per le mie orecchie. «Ecco, così, bambina, voglio sentirti» Lascio scivolare piano la mia mano dal suo viso sino al suo ventre. L’altra scende sul suo fianco destro, stringendola mentre affondo sempre più forte dentro di lei. Il mio respiro spezzato si alterna ai versi oscenamente animaleschi che riesco ad emettere. Tutto questo groviglio di emozioni che mi attorciglia lo stomaco, vederla piegarsi ancora una volta al mio volere, sottomettersi al mio desiderio, mi fa impazzire. Mi sento sporco, perverso, ma meravigliosamente appagato. É la mia natura. É questo che sono. Ho bisogno del controllo. Soprattutto in camera da letto. Soprattutto con lei. Ho bisogno di sapere che la sto facendo godere. Che mi sto prendendo cura di lei a dovere. Le mie mani risalgono di nuovo. Le mie braccia scivolano sotto le sue, le mani le stringono i lati del viso, imprigionandola e spingendola più a fondo sul mio cazzo. Non resisto più. «Avanti, piccola» ringhio, a denti stretti. E, straordinaria come sempre, Anastasia esplode in un orgasmo che la rende ancora più meravigliosa. La sua voce muore in un gemito sexy da impazzire, mentre io la seguo a ruota, vengo con lei. Mi unisco alla danza del piacere dei nostri corpi stremati. Stremati, cadiamo entrambi sulle lenzuola appiccicose. Mi giro su un fianco, portandola con me. Poggio la testa sulla sua schiena, ascoltano i nostri respiri regolarizzarsi piano. A rompere il silenzio è Anastasia. «Quello che sento per te mi spaventa» sussurra piano, quasi con dolore. Il mio corpo si irrigidisce a quelle parole. “Non scappare di nuovo via da me, Anastasia”. Sospiro forte contro la sua schiena. «È lo stesso anche per me, piccola» le confesso piano, sentendo urgente il bisogno di farle sapere quanto siano profondi i miei sentimenti per lei. «Cosa farei se mi lasciassi?» chiede ancora, come se non stesse parlando a me ma a se stessa, alla sua anima ferita dal mostro che sono stato con lei. “Oh, Ana. Io posso essere migliore. Io posso essere il tuo tutto. Posso essere tutto quello di cui hai bisogno. E non ti lascerò mai. Mai più”. «Non vado da nessuna parte. Non penso che potrei mai stancarmi di te, Anastasia» la rassicuro, con le uniche parole che riesco a trovare e che riesco a far uscire. Ana si volta a guardarmi. La guardo con gli occhi spalancati, sperando che capisca quanto io la desideri. Solo lei. Per tutto il resto della mia miserabile vita. Si protende verso di me, baciandomi piano e delicatamente con le sue morbide labbra. Le sorrido quando ci stacchiamo, aggiustandole una ciocca di capelli ribelle. «Non avevo mai provato ciò che ho provato quando mi hai lasciato, Anastasia. Farei qualsiasi cosa pur di non sentirmi mai più in quel modo» le confesso, mentre nella mia mente i ricordi di quei cinque giorni di agonia si susseguono in rapida successione. Torna a baciarmi, più a fondo stavolta. E io vorrei gridare al mondo che la amo. Vorrei far vedere a tutti quanto sto bene con lei. Quando ci stacchiamo mi viene in mente che posso. Non sarà il mondo intero, certo, ma almeno a mezza Seattle posso dimostrarlo. «Vieni alla festa d’estate di mio padre, domani? È un appuntamento annuale a scopo benefico. Ho detto che ci sarei andato» le chiedo, guardandola negli occhi. Ana sorride timidamente, infilandosi i capelli dietro l’orecchio con le dita tremanti. «Certo che ci vengo» risponde piano. Poi aggrotta la fronte, preoccupata. «Cosa c’è?» le chiedo. «Niente» risponde. Ma mente. «Dimmelo» insisto deciso. Sospira pesantemente. «Non so cosa mettermi» ammette alla fine. Mi mordo l’interno della guancia, non sapendo come prenderà quello che sto per dirle. «Non ti arrabbiare, ma ho ancora tutti quei vestiti per te a casa mia. Sono certo che ci sono un paio di abiti adatti» Ana mi restituisce una smorfia. «Ah, sì?» mormora sarcastica. Poi si alza dal letto, sorridendo. «Dove stai andando?» le chiedo, alzandomi sui gomiti. «Ho bisogno di una doccia» sussurra maliziosamente. Le sorrido e rotolo sul letto, fino a poggiare i piedi a terra, sedendomi sul bordo del materasso, di fronte a lei. Le afferro i fianchi con le mani, attirandola a me e baciandole la pancia. Per la prima volta mi ritrovo a pensare a come sarebbe veder crescere il mio seme in quel suo dolce ventre. É un pensiero fugace, così intimo che mi fa quasi star male. Ma sono certo che dovranno passare ancora molti anni affinché io ci pensi di nuovo. La bacio di nuovo, sollevando lo sguardo su di lei. «Anch’io» le mormoro contro la pelle. Mi alzo e, prendendola per mano, la trascino in bagno con me. Ana si protende per aprire l’acqua della doccia, attendendo che sia della giusta temperatura. E quando si infila sotto la cascata calda non resisto. Mi infilo lì sotto anch’io. E la bacio. Avidamente. A lungo. Mentre l’acqua lava via i residui di gelato, di sudore e di sesso. Ci laviamo a vicenda, senza staccarci mai troppo l’uno dall’altra, amandoci, sorridendoci, stringendoci come se il mondo attorno non fosse altro che un vago ricordo. Esistiamo solo noi e solo quello che riusciamo ad essere insieme. A svegliarmi è l’urlo agghiacciante di Anastasia. Il cuore mi balza in gola, mentre sobbalzo, avvicinandomi al suo corpo madido di sudore. Ha gli occhi chiusi. E sogna. «Ana!» la scuoto, fino a quando non riesco a svegliarla. Ansimo come lei, mentre scuote la testa e realizza dove si trova. «Piccola, va tutto bene? Stavi facendo un brutto sogno» tento di rassicurarla, prima di girarmi e accendere la luce della lampada. «Oh» sussulta, ancora provata. La guardo, scrutandola nella luce fioca. É letteralmente sconvolta. “Conosco bene la sensazione, Ana”. «La ragazza» mormora piano. «Cosa c’è? Quale ragazza?» le chiedo, sorridendole piano, tentando di farle distinguere la realtà dalla finzione del suo sogno. Ma le sue parole mi gelano il sangue nelle vene. «C’era una ragazza fuori dalla SIP, quando sono uscita ieri. Sembrava me... ma non proprio» sussurra con la voce roca. Il mio corpo si tende. “Non avvicinarti a lei. Non avvicinarti a lei. Prenditela con me, Leila. Sono io che ti ho portato via l’anima. Ma non toccare la mia Ana”. La sua espressione torna ad essere allarmata quando si accorge della mia. Tento di ricompormi per carpire quante più informazioni possibile prima che inizia il suo interrogatorio. «Quando è successo?» sussurro senza fiato, tirandomi su a sedere. «Quando sono uscita dal lavoro, ieri pomeriggio. Sai chi è?» mi chiede, stropicciandosi il viso con una mano. «Sì» le dico guardandola e poi passandomi una mano tra i capelli. «Chi è?» mi chiede sconvolta. La guardo, stringendo le labbra, senza fiatare. «Chi è?» mi incalza. “Cristo! Cristo, Cristo, Cristo!”. «È Leila» confesso, senza essere in grado di sostenere il suo sguardo. Ana deglutisce rumorosamente. Torno a guardarla e vedo qualcosa nei suoi occhi che non avrei mai voluto vedere. É un po’ lo stesso sentimento che c’è nei miei quando vedo il suo amico Josè. Il mio corpo si irrigidisce. «La ragazza che ha messo Toxic sul tuo iPod?» chiede ancora, con un filo di voce. «Sì» rispondo evasivo. «Ti ha detto qualcosa?» la incalzo. «Ha detto: “Cos’ha che io non ho?”. E quando le ho chiesto chi fosse, lei ha risposto: “Io sono nessuno”» sussurra esausta. Stringo forte gli occhi, mentre quelle parole vanno a fondo. “Io le ho rubato la vita. Non è nessuno perché io le ho preso tutto quello che aveva. Le ho svuotato l’anima”. Quando riapro gli occhi Ana mi fissa con terrore. “Cristo! Devo trovare Leila e mettere Anastasia al sicuro”. Scendo dal letto e mi infilo i jeans, andando a recuperare il mio telefono in soggiorno. Sono appena le cinque, ma non mi importa. Compongo il numero. «Welch, Grey. Leila si è fatta viva» «Dove l’ha incontrata, signore?» risponde efficiente, come se fossero le otto del mattino. «Non l’ho incontrata. Ha trovato Miss Steele e le si è avvicinata» Anastasia entra nella stanza, avvolta nell’accappatoio. «Si è avvicinata a Miss Steele?» chiede incredulo Welch. «Sì, fuori dalla SIP, ieri...» «A che ora?» «Tardo pomeriggio» rispondo. Poi mi volto verso di lei. «A che ora esattamente?» «Verso le sei meno dieci?» mormora poco convinta. «Sei meno dieci... all’incirca». «Mi chiedo come abbia fatto Miss Williams a trovare Miss Steele» Welch dà voce ai miei pensieri. «Scopri come» gli ordino. «Vuole che la chiami presto in mattinata?» «Sì» dico deciso. Dall’altro lato sento un sospiro. «Non pensavo che Miss Williams si avvicinasse così tanto a lei o a Miss Steele, riuscendo comunque a sfuggire al nostro team della sicurezza» mi dice. «Non l’avrei detto, ma non avrei neppure pensato che lei potesse fare questo» rispondo senza riuscire a trattenere il dolore sul viso. Stringo forte gli occhi. «Deve pensare a calmare Miss Steele, suppongo sarà sconvolta» «Non so come calmarla» ammetto. «Deve metterla al corrente della situazione, Mr Grey. Per la sua incolumità è meglio se per un periodo di tempo si trasferisca all’Escala. Sarà più facile tenere entrambi sotto sorveglianza» Sospiro pesantemente. «Sì, le parlerò» «Mr Grey, deve farla trasferire già in giornata. Sarà tutto più semplice». «Lo so... Segui la faccenda e fammi sapere. Devi solo trovarla, Welch... È nei guai. Trovala» sospiro, chiudendo la conversazione. «Vuoi un tè?» mi chiede Ana, trafficando in cucina. Tento di distrarla. «A dire il vero, vorrei tornare a letto» le sorrido. «Bè, io ho bisogno di un po’ di tè. Vuoi farmi compagnia?» mi dice risoluta. Mi passo una mano nei capelli, sospirando forte. “Ok, Ana”. «Sì, grazie» le dico, irritato dalla suo essere irremovibile. La fisso pieno di rabbia per quello che ho fatto a quella povera ragazza e per quanto ora ho messo in pericolo Anastasia. E pieno di confusione riguardo a quello che provo. La guardo e so che potrei ridurla nello steso identico modo. Vorrei essere certo che non lo farò, ma il dubbio rimane. Voglio solo che stia al sicuro. «Cosa succede?» mi chiede dopo minuti di silenzio, girandomi a guardarmi. Scuoto la testa, tentando di liquidare la faccenda. «Non me lo dirai?» chiede incredula. Sospiro, stringendo gli occhi. «No» “Non ora. Non ora, dannazione. Voglio solo stringerti e sentire che sei davvero al sicuro tra le mie braccia. Farti scudo con il mio corpo. Fare quello che avrei dovuto fare con mia madre”. E quel pensiero, all’improvviso, è ancora più doloroso. Perché è colpa di quella lurida puttana drogata se ho ridotto Leila in quello stato. ‘Ma è anche merito suo se hai trovato Anastasia’ mi ricorda il mio cervello. E il pensiero è lancinante. «Perché?» mi chiede chinando la testa di lato, quasi offesa. «Perché non dovrebbe riguardarti. Non voglio che tu sia coinvolta in questa cosa» le dico severo. «Non dovrebbe riguardarmi, ma mi riguarda. Leila mi ha trovata e mi ha avvicinata fuori dal mio ufficio. Come sa di me? Come sa dove lavoro? Credo di avere il diritto di sapere cosa sta succedendo» mi dice diretta, decisa. Passo di nuovo una mano nei miei fottuti capelli, tirandoli fino a farmi male. Ana mi fissa. «Per favore» aggiunge piano, implorandomi di non escluderla dalla mia vita. Stringo forte le labbra, alzando gli occhi al cielo e maledicendomi per la mia debolezza. «Okay» sospiro rassegnato. «Non ho idea di come abbia fatto Leila a trovarti. Forse ha visto la foto di noi due a Portland, non lo so» Sospiro ancora, maledicendomi mentalmente. Anastasia continua a guardarmi, paziente, mentre versa l’acqua bollente nella teiera. Cammino avanti e indietro, inquieto. Ma lei mi lascia i miei tempi. «Quando ero con te in Georgia, Leila si è presentata nel mio appartamento senza avvertire e ha fatto una scenata davanti a Gail» le confesso, poggiandomi all’isola di cemento. «Gail?» chiede aggrottando la fronte. «Mrs Jones» preciso. Anastasia continua a fissarmi senza capire. «Cosa intendi dire con “ha fatto una scenata”?» mi chiede poi. La fisso con aria truce, maledicendomi per non aver saputo liquidare più in fretta la questione. «Dimmelo. Mi stai nascondendo qualcosa» insiste lei, quasi urlando. La sua reazione mi sorprende. Sbatto le palpebre confuso. «Ana, io...» mi fermo senza sapere cosa dire. «Per favore» chiede senza forze. Sospiro, sconfitto, esausto. «Ha fatto un goffo tentativo di tagliarsi le vene» ammetto. «Oh, no!» esclama sconvolta. «Gail l’ha portata all’ospedale. Ma Leila si è fatta dimettere prima che io arrivassi» continuo, seguendo il consiglio di Welch. La sua espressione è sempre più sconcertata. «Lo strizzacervelli che l’ha visitata ha detto che il suo è stato un tipico grido d’aiuto. Non crede che lei sia davvero a rischio. A un passo dall’ideazione suicidaria, così ha detto. Ma io non sono convinto. Sto cercando di rintracciarla da allora per aiutarla» ammetto a voce più bassa. «Ha detto niente a Mrs Jones?» chiede. La guardo, sentendomi a disagio. Non posso dirle quello che ha detto a Gail. Non posso dirle che ha detto di amarmi e di non voler vivere senza di me. Solo pensarlo mi fa venire la nausea. «Non molto» rispondo, evitando il suo sguardo. Resta in silenzio per un po’, versando il tè ad entrambi. Poi torna all’attacco. «Non riesci a trovarla? E i suoi familiari?» chiede ancora. «Non sanno dove sia. Neppure suo marito» le dico senza pensare. «Marito?» chiede impallidendo. «Sì» rispondo. «È sposata da circa due anni» «Veniva con te mentre era sposata?» mi chiede, con la voce che le trema, abbassando gli occhi. «No! Buon Dio, no. Stava con me più o meno tre anni fa. Poi se n’è andata e di lì a poco si è sposata» urlo per la disperazione e la frustrazione. «Allora perché sta cercando di attirare la tua attenzione adesso?» mi incalza diretta. Scuoto la testa, senza sapere cosa dire. «Non lo so. Tutto quello che siamo riusciti a scoprire è che è scappata dal marito circa tre mesi fa» «Fammi capire. Lei non è più la tua Sottomessa da tre anni, vero?» chiede, poggiando la teiera sul ripiano di cemento e guardandomi dritto in faccia. Mi sento esposto. «Due anni e mezzo» preciso. «E voleva di più» chiede ancora. «Sì» ammetto, senza poter far nulla per evitare la fitta di dolore che sento. «Ma tu no» «Questo lo sai» le dico, guardandola intensamente. «Così ti ha lasciato» continua imperterrita. «Sì» «Allora perché viene da te adesso?» chiede senza capire. «Non lo so» mento. Mi fissa con gli occhi socchiusi, scrutandomi a fondo. «Ma sospetti che...» mi incalza. La fisso rabbioso. Odio quando riesce a leggermi così dentro anche se non voglio. «Sospetto che abbia qualcosa a che fare con te» le confesso, guardandola con uno sguardo da ecco-seiriuscita-a-farmi-dire-quello-che-volevi. Ana aggrotta la fronte, riflettendo sulle mie parole. Dolore, comprensione, frustrazione. Una miriade di emozioni le attraversano il volto. “No, Ana. Non andare in quella direzione”. Posso immaginare quello che sta pensando. La conosco abbastanza bene da sapere che si sta crocifiggendo per chissà quale colpa, mentre pensa che io possa essere ancora in qualche modo legato a Leila. «Perché non me l’hai detto ieri?» le chiedo piano, distraendola dai suoi pensieri. «Me ne sono dimenticata» ammette, stringendosi nelle spalle, con aria di scuse. «Sai, il drink dopo il lavoro, la fine della mia prima settimana, tu che arrivi al bar con la tua... scarica di testosterone contro Jack, e poi siamo venuti qui. Mi è uscito di mente. Hai l’abitudine di farmi dimenticare le cose» «Scarica di testosterone?» le dico, storcendo la bocca per la sua scelta di parole. «Sì, la gara a chi fa pipì più lontano» mi risponde con un’espressione sarcastica. E all’improvviso il desiderio di farle capire che per me esiste solo lei, al punto di annullare anche me stesso, diventa impellente. «Ti faccio vedere io una scarica di testosterone» le dico, avvicinandomi. «Non vuoi piuttosto una tazza di tè?» mi chiede, guardandomi di sottecchi. «No, Anastasia, non la voglio» le dico deciso. Le tendo la mano, fissandola con ardore. «Dimenticati di lei. Vieni» le mormoro, trascinandola di nuovo in camera. E mi assicuro davvero che Leila esca dalla sua mente. Me ne assicuro leccando il suo piacere dal suo sesso sempre pronto, accarezzandola con la lingua, entrandole dentro a fondo per raccogliere ogni goccia di quel prezioso nettare. E quando ho finito, riprendo da capo, dedicandomi completamente a lei. Anche se la bestia tra le mie gambe reclama sollievo, anche se io la desidero da impazzire. Ma non la merito. Non merito il suo conforto, non merito il suo calore e la sua protezione. Voglio solo che dimentichi Leila, dimentichi il mio passato e mi regali un nuovo inizio ed un nuovo futuro. Una sensazione dolceamara, già sperimentata in passato, mi avvolge. Sento il suo calore. Nella confusione del dormiveglia mi sembra di vederla allungare la mano, sfiorandomi delicatamente il torace nudo. E poi ripete il gesto. Con le labbra. Mi sento a casa, al sicuro. Mi sento vivo. Ma poi mi riscuoto dal sogno. Apro gli occhi di scatto, trovandomi meravigliosamente avvinghiato al corpo nudo della mia dolce e supersexy fidanzata. «Ciao» mi dice, sorridendomi colpevole. Ora non sono più così sicuro che si trattasse di un sogno. «Cosa stai facendo?» le chiedo con la voce ancora assonnata. «Ti sto guardando» sussurra. Le sue dita mi sfiorano l’addome, pericolosamente considerato il pezzo di marmo che si trova pochi centimetri più in basso. Le sorrido divertito. E poi, in meno di due secondi sono su di lei. Le mie mani premono le sue sul materasso, tenendola al suo posto. Mi avvicino, strofinandole il naso contro il suo. «Credo che tu stia combinando qualcosa, Miss Steele» le dico, fissandola, senza smettere di sorridere. «Mi piace combinare qualcosa, quando ti sono vicina» mi provoca deliziosamente. «Davvero?» la stuzzico, depositandole un bacio leggero sulle labbra. «Sesso o colazione?» le chiedo. Il mio uccello strofina avanti e indietro, tra le sue gambe, tentando il suo sesso deliziosamente già bagnato per me. Anastasia solleva di poco il bacino, rispondendo silenziosamente alla mia domanda. «Ottima scelta» mormoro contro il suo collo. Poi la mia bocca scende piano sul suo seno. Succhio i suoi capezzoli inturgiditi e mi godo il suono smorzato dei suoi gemiti. Succhio avido, abbeverandomi del suo sapore intenso e provocante. Scendo più giù. Fino al suo ombelico. Le mie mani scivolano sui suoi avambracci, mentre il suo corpo esegue una conturbante danza di piacere sotto al mio. Scendo ancora, baciandole il ventre e poi giù, fino al clitoride. «Ti prego, Christian...» geme, eccitata. «Prendi il preservativo sul comodino, Anastasia» le ordino piano, mentre risalgo. Si allunga, con dita tremanti, afferrando la bustina argentea e tornando subito al proprio posto. La guardo con un sorrisetto arrogante, abbassando lo sguardo sulla mia imponente erezione tra di noi. «É tutto tuo, Miss Steele» le dico con un mezzo sorriso. Ana mi guarda, incerta. Poi strappa la bustina e si avvicina al mio uccello. Le sue dita tremanti mi avvolgono mentre mi infila il profilattico. Inarco la schiena, gemendo di piacere. Quando abbasso gli occhi su di lei, il suo sguardo è soddisfatto. Mi abbasso velocemente, ricoprendola con il mio corpo. La mia bocca si avvicina al suo orecchio, mordicchiandolo, stuzzicandolo. «Non hai idea di quanto ti desideri, Ana Steele» mormoro. E in un attimo la penetro, portando entrambi sull’orlo dell’orgasmo che ci sconquassa. Dopo aver fatto la doccia, siamo entrambi di nuovo in camera da letto, a vestirci. Mi giro verso Anastasia, intenta a guardarsi allo specchio. O meglio. A guardarmi dallo specchio. La sua bocca è schiusa e i suoi occhi hanno uno sguardo eccitato, voglioso. «Quanto spesso ti alleni?» mi chiede, fissando le sue iridi azzurre sui miei addominali scolpiti. «Ogni giorno feriale» le rispondo, mentre finisco di abbottonarmi i pantaloni. «Che cosa fai?» Non smette di fissarmi. Indugio un po’ prima di afferrare la camicia. Voglio che mi tenga in mente tutto il giorno. «Corsa, pesi, kick boxing» le rispondo svogliatamente. «Kick boxing?» chiede stupita. «Sì, ho un personal trainer, un ex campione che mi insegna. Si chiama Claude. È molto bravo. Ti piacerebbe» le rispondo, mentre mi abbottono la camicia. «Che cosa vuoi dire?» domanda con la fronte aggrottata. «Che ti piacerebbe come personal trainer» le dico semplicemente. «Perché avrei bisogno di un personal trainer? Ho già te per tenermi in forma» mi dice con un sorrisetto. L’immagine di Anastasia a gambe completamente spalancate per me mi fa quasi venire. Mi avvicino a lei, afferrandola tra le braccia e guardandola dallo specchio. «Ma io ti voglio in forma, piccola, per quello che ho in mente. Ho bisogno che tu stia al passo» le sussurro provocandola. Arrossisce violentemente e i suoi pensieri non devono essere troppo lontani dai miei. «Lo so che lo vuoi» mormoro senza emettere quasi fiato. Per un attimo ho il terrore che mi mandi al diavolo. La sua espressione si fa cupa e stringe forte le labbra e gli occhi. Quando li riapre brillano di risolutezza, come se avesse appena raccolto una sfida. «Cosa c’è?» le chiedo, allentando di poco la stretta sulla sua vita. «Niente» risponde scuotendo la testa. «Okay, incontrerò Claude» acconsente poi all’improvviso. «Davvero?» esclamo senza riuscire a nascondere il mio stupore. Non credevo avrebbe accettato. Ufficialmente non esistono regole tra noi. Ufficiosamente esisto io, Christian, che tento di farle avere uno stile di vita regolare che la possa mantenere a lungo sana e in forma. «Sì, accidenti. Se questo ti fa felice» mi dice ironicamente. La stringo forte, avvolgendola in un abbraccio. Le mie labbra premono affettuosamente sul suo collo. «Non sai quanto» le sussurro piano. «Allora, che cosa ti piacerebbe fare oggi?» aggiungo, poi, strofinando il naso contro il suo collo. La sento fremere tutta, da capo e piedi e me ne compiaccio. «Vorrei andare a tagliarmi i capelli, e mmh... ho bisogno di depositare un assegno e comprare una macchina» mi dice soprappensiero. «Ah» le dico. Annuisco e mi mordo il labbro perché so che il problema non è risolto come speravo. Avevo creduto di aver infilato anche quelle maledette chiavi nello scatolone. E invece me le ero scordate. E per fortuna Taylor me le ha portate ieri sera, lasciandomele sotto al tappeto, dinnanzi all’ingresso, in modo che potessi recuperarle mentre Ana era sotto la doccia. Insieme alla copia che avevo nel mio ufficio. ‘Ti lasci distrarre troppo facilmente dalla brunetta, Grey. E perdi colpi ultimamente’. Frugo nella tasca dei jeans, estraendo la chiave dell’Audi. «È qui» le dico piano. «Cosa significa che è qui?» mi risponde, infuriata. «Taylor l’ha riportata ieri» le dico cauto. Ana apre la bocca. Poi la richiude. Poi ci ripensa e la riapre. Ma cambia di nuovo idea. Poi il suo sguardo si assottiglia, sfidandomi. Infila la mano nella tasca posteriore dei jeans e tira fuori una busta. La riconosco immediatamente. «Ecco, questo è tuo» mi dice, tendendomela. Alzo entrambe le mani, arretrando di un passo. «Oh, no. Quello è il tuo denaro» le dico, fissando la busta come se scottasse. «No, non lo è. Vorrei comprare la macchina da te» mi dice con un sorrisetto. Fisso la busta, poi lei. E la furia mi attraversa. «No, Anastasia. I tuoi soldi, la tua macchina» ribatto seccamente. «No, Christian. I miei soldi, la tua macchina. La comprerò da te» mi dice di nuovo, risoluta. «Ti ho dato quella macchina come regalo di laurea» sibilo a denti stretti. «Se mi avessi dato una penna, sarebbe stato un regalo di laurea opportuno. Invece mi hai dato un’Audi» continua, tenendo la busta fissa davanti a me. «Vuoi davvero litigare su questa cosa?» le chiedo acido. «No» ribatte. «Bene. Eccoti le chiavi» le dico risoluto, poggiandole sul cassettone. «Non è quello che intendevo!» mi urla contro. «Fine della discussione, Anastasia. Non mi provocare» ribatto deciso, lanciandole un’occhiata torva. Si acciglia, poi mi fissa. Di nuovo risoluta. Afferra la busta con entrambe le mani e la strappa in due. E poi ancora. Fino a farne ricadere i pezzi a terra. Poi torna a fissarmi con un sopracciglio alzato, le mani nei fianchi e un sorrisetto impudente. La fisso impassibile, grattandomi pigramente il mento. “Non provocarmi, Miss Steele”. «Sei polemica, come sempre, Miss Steele» le dico seccamente. Senza aggiungere altro, mi dirigo in salotto e recupero il mio BlackBerry. Chiamo il mio ufficio. «Andrea, Grey. Devi effettuare una transazione bancaria. Trasferisci 24mila dollari dal mio conto personale a quello di Miss Anastasia Rose Steele. Taylor ti può dare tutte le coordinate necessarie» Andrea resta basita. «Ventiquattromila dollari, signore?» chiede, temendo di aver capito male. «Sì, ventiquattromila dollari. Direttamente» Nel frattempo Ana è entrata nella stanza e mi fissa, sbalordita. «Mr Grey... il trasferimento sarà direttamente sul conto da lei indicatomi» effettuato «Bene» «Ma la transazione dovrà essere rimandata a lunedì. Oggi gli istituti di credito non fanno operazioni del genere, signore» «Lunedì? Eccellente» ribatto deciso, mentre la fisso trionfante. «Le serve altro, Mr Grey?» mi sento chiedere dall’altro capo del telefono. «No, è tutto, Andrea» Chiudo il telefono in un colpo. «Depositati sul tuo conto corrente lunedì. Non fare giochetti con me» la avverto, ancora furibondo per avermi costretto a comportarmi da moccioso ancora una volta. «Ventiquattromila dollari!» mi urla addosso. «E come fai a sapere il mio numero di conto?» sibila furiosa. La sua rabbia mi investe come un’onda a cui non ero preparato. “Cos’è capitato alla remissiva Ana Steele di appena una settimana fa? Non ce n’è traccia. Ho davanti Miss Anastasia Rose Steele, splendida e con tutta la sua furia. E Dio, se l’adoro”. «So tutto di te, Anastasia» le dico calmo, dopo quell’attimo di sbandamento. «La mia macchina non valeva certo ventiquattromila dollari» ribatte. «L’avrei detto anch’io, ma bisogna conoscere il mercato, quando si vende o si acquista. Qualche pazzo là fuori voleva quella trappola mortale ed era disposto a pagarla quella cifra enorme. A quanto pare è un classico. Chiedilo a Taylor, se non mi credi» le dico calmo. E non mento. Ci lanciamo sguardi assassini per qualche attimo. Poi qualcosa nell’aria cambia. All’improvviso, senza starci troppo a pensare, la afferro e la spingo contro la porta. Le mie labbra si fiondano sulle sue, la mia mano sinistra preme contro il suo culo delizioso e il mio cazzo affonda deciso tra le sue gambe. Le sue dita salgono tra i miei capelli. Me li afferra e li stringe. Spingo forte il mio corpo contro il suo, strusciando il mio cazzo contro il suo ventre coperto. «Perché, perché mi sfidi?» le mormoro contro le labbra, baciandola ardentemente. Ana mi guarda, soppesando la mia domanda. «Perché posso» risponde meravigliosamente arrogante, con un sorriso famelico e voglioso. E sorrido anch’io, perché so quanto è vera quella risposta. Il pensiero di non avere più preservativi mi costringe a fermarmi. Mi maledico sottovoce, mentre appoggio al fronte alla sua. «Dio, quanto vorrei prenderti adesso, ma ho finito i preservativi. Non sono mai sazio di te. Mi fai impazzire, letteralmente impazzire, donna» mormoro contro la sua bocca. «E tu mi fai diventare matta» sussurra piano. «In tutti i sensi» Scuoto la testa, rassegnato. «Vieni. Andiamo a fare colazione fuori. E conosco un posto dove puoi tagliarti i capelli» «Okay» acconsente. E tutto torna come prima. Dopo aver fatto colazione, chiedo il conto con un cenno della mano. Quando il cameriere lo porta al tavolo non faccio in tempo a prenderlo tra le dita. «Questo lo prendo io» Ana lo afferra, sorridendomi. Le lancio un’occhiataccia. «Devi essere veloce da queste parti, Grey» sorride soddisfatta. «Hai ragione, devo» ribatto acido e scontroso, ma in fondo divertito dalla sua spensieratezza. «Non fare quella faccia. Sono più ricca di ventiquattromila dollari rispetto a stamattina. Me lo posso permettere» Lancia un’occhiata al conto. «Ventidue dollari e sessantasette centesimi di colazione» mi dice tranquilla, porgendo il denaro al cameriere. «Grazie» le dico mio malgrado. Ana piega la testa di lato, sorridendomi dolcemente. «Dove andiamo adesso?» mi chiede. «Vuoi davvero tagliarti i capelli?» le chiedo. “Ora ti ripagherò della colazione, Ana”. «Sì, guardali» mi dice, afferrandosi alcune ciocche ed esaminandole tra le dita. Le sue labbra sono dolcemente imbronciate. «Per me sei adorabile. Come sempre» le dico sincero. Anastasia arrossisce delicatamente, abbassando le dita in grembo. «C’è la festa di tuo padre stasera» mormora piano. «Me lo ricordo. È in abito da sera» le dico, godendomi la sua remissione improvvisa. «A casa dei miei genitori. Hanno installato un tendone. Sai com’è» le dico, quasi scusandomi. «A chi va la beneficenza?» mi chiede all’improvviso. Improvvisamente mi sento a disagio a doverle confessare che quella festa, ogni anno, ogni fottutissimo anno, Grace e Carrick la organizzano per dare una possibilità a tutti i piccoli Christian di quattro anni malaticci, malnutriti, sfamati dal dolore e dalla morte che possono trovarsi là fuori. «A un programma di recupero dalla droga per genitori con figli piccoli. Si chiama Affrontiamolo Insieme» mormoro piano, come se mi vergognassi. «Mi sembra una buona causa» mi dice dolcemente. «Vieni, andiamo» le dico dopo qualche secondo di silenzio. Liquido la conversazione e le tendo la mano, sorridendole piano. Usciamo e ci incamminiamo verso l’Esclava. Ci teniamo per mano e per un attimo, un solo attimo, mi chiedo se sia il caso di portarla a tagliarsi i capelli lì. Elena ovviamente sono certo non ci sia. Ma forse... ‘Basta non dirglielo, Grey. Non farà collegamenti tra te e il nome del tuo salone di bellezza, se non glielo permetterai’. «Dove stiamo andando?» mi chiede, esponendo il suo bellissimo viso al calore tiepido del sole di giugno. «Sorpresa» mormoro al suo orecchio. La sua espressione non è delle migliori, ma mi sorride. Dopo qualche metro ancora ci fermiamo davanti al salone di bellezza. Ana fissa l’esterno. Poi la conduco dentro. Greta, alla reception, mi scocca un sorriso entusiasta. «Buongiorno, Mr Grey» mi dice, arrossendo piano. «Ciao, Greta» le rispondo educato, ma gelido. «Il solito, signore?» mi chiede gentilmente, lanciando un’occhiata ad Ana. “Merda”. «No» le rispondo in fretta, guardandola per un attimo, nervoso. Ana mi fissa per un attimo, poi sgrana leggermente gli occhi. Merda. Merdissima, merda“. «Miss Steele ti dirà che cosa vuole» aggiungo in fretta. «Perché qui?» sibila avvicinandosi. “Ok. Non voglio litigare nuovamente, Ana”. «Questo posto è mio, e per di più mi piace» le dico a bassa voce. «È tuo?» esclama sorpresa. «Sì. È un’attività extra. Comunque, qualsiasi cosa tu voglia, qui la puoi fare, offre la casa. Tutti i tipi di massaggio: svedese, shiatsu; pietre calde, riflessologia, bagni di alghe, trattamenti per il viso, tutta quella roba da donna tipo... tutto. Qui lo fanno» le dico, facendo un vago gesto con la mano. «Ceretta?» imbarazzata. chiede con la fronte aggrottata, Rido piano. «Sì, anche la ceretta. Dappertutto» le sussurro piano all’orecchio. Ana distoglie lo sguardo dal mio, fissando Greta. «Vorrei tagliarmi i capelli, per favore» le dice gentile, ma risoluta. “Anche tu marchi il territorio, Anastasia?” «Certo, Miss Steele» risponde educatamente Greta. Controlla il pc. «Franco è libero tra cinque minuti» annuncia allegra. «Franco è fantastico» sussurro avvicinandomi di nuovo all’orecchio di Anastasia. Il suono della mia voce la fa fremere e questo innegabilmente mi eccita. Ma dopo meno di un secondo sono io a sbiancare. “COSA. CAZZO. CI. FA. QUI?” Dietro Anastasia, a diversi metri di distanza è apparsa Elena. “Cazzo. Cazzo, cazzo, cazzo! Cristo santo!”. Anastasia si volta e la fissa. Anche Elena si gira e quando ci scorge mi sorride affettuosamente. Prima che Ana faccia associazioni o inizi con il suo interrogatorio, mi scuso. «Scusami» mormoro piano, allontanandomi in fretta da lei e dirigendomi verso Elena. Attraverso la sala e la raggiungo. Elena si sporge in avanti e, prima che possa fermarla, mi bacia sulle guance. «Christian, tesoro!» Mi guarda con affetto, scrutando il mio volto. «Elena... cosa ci fai qui?» Elena poggia le sue mani sui miei avambracci, accarezzandomi piano. «Cosa vuoi che faccia, Christian? Ci lavoro. Jean Francois è malato e mi tocca sostituirlo. Ma tu, invece? Come stai? Non ci sentiamo da giorni» Riesco solo a guardarla, mentre penso alle mille congetture che Ana starà elaborando ora. «Non dovevi essere qui» le mormoro. Poi mi ricompongo. «Non mi aspettavo di trovarti qui. Altrimenti non avrei portato Anastasia» le dico seccamente. Elena si gira a fissare la bruna rimasta impalata al bancone. Le scocca un sorriso luminoso e quando mi giro anche Ana sorride. Ma conosco quel sorriso. É di circostanza. Poi la vedo sussurrare qualcosa a Greta. Anche Greta si gira a guardarci. “Merda!”. «Mi piacerebbe conoscerla, Christian» mi dice Elena con un sorriso. La guardo inorridito. «Meglio di no. Anastasia non... non ha compreso la natura del mio rapporto con te» le dico a mo’ di scusa. «Che vuoi dire, Christian?» Scuoto piano la testa. «Che ora che torno da lei potrebbe strapparmi le palle a morsi per quello che ne so» sussurro mestamente. Elena mi lancia un sorriso comprensivo, alzando le mani. «Sarà per la prossima volta. Andrai al ballo di questa sera?» chiede cambiando argomento. «Sì, con Anastasia» le dico piano, guardandola mentre l’illuminazione del secolo la investe. «Io invece non ci sarò» mi dice Elena. Poi mi guarda, sorridendo di nuovo. «Va da lei a rassicurarla» “Oh, ci vorrà molto di più di una rassicurazione” dico a me stesso, mentre la bocca di Anastasia si spalanca in un moto di stupore, furia e rabbia repressa. “Merda!”. Capitolo 8 Dopo che Elena mi ha augurato buona fortuna, fortuna di cui ho seriamente bisogno a giudicare dall’espressione cinerea di Anastasia, ritorno a grandi passi dalla mia fidanzata. Ana è immobile, pallida, visibilmente infuriata. “Cristo”. La fisso accigliato, cercando di indovinare il suo umore. ‘Non essere ottuso, Grey. Non c’è molto da indovinare’. «Stai bene?» le chiedo, diffidente, temendo la sua risposta. «Veramente no. Perché non mi hai presentata?» mi risponde in tono freddo, duro. La fisso a bocca aperta, sconcertato. Non l’ho mai sentita così nei miei confronti. O forse... forse sì. Quando è andata via. Dentro di me inizio a recitare una silenziosa preghiera. “Ti prego, non di nuovo. Non di nuovo, non di nuovo, non di nuovo”. «Ma io pensavo...» inizio a spiegarle, senza sapere bene cosa dire in realtà. «Per essere un uomo intelligente, a volte...» Si ferma, fissandomi truce. «Vorrei andarmene, per favore» aggiunge, stringendosi le braccia sotto al seno, sulla difensiva. «Perché?» le chiedo senza tentare neppure di nascondere la disperazione. «Lo sai perché» ribatte, alzando gli occhi al cielo, come a sfidarmi. Chiudo per un attimo gli occhi e, quando li riapro, la fisso intensamente. «Mi dispiace, Ana. Non sapevo che lei fosse qui. Non c’è mai. Sta aprendo un nuovo salone al Bravern Center, ed è lì che va di solito. Ma oggi qui c’è qualcuno malato» le spiego, diretto, cercando di liquidare la situazione. Anastasia si volta, furibonda, dirigendosi verso la porta. Stringo forte le labbra. Mi giro verso Greta, che ci fissa a bocca spalancata. «Non avremo bisogno di Franco, Greta» le dico, mentre seguo di corsa Anastasia fuori dal centro di bellezza. Camminiamo l’uno di fianco all’altra, non ci sfioriamo neppure. La rabbia di entrambi è percepibile anche nell’aria. Ana si stringe le braccia più forte attorno al corpo, con la testa bassa e lo sguardo furente. “Cristo, Ana! Dammi tregua!”. Dopo quella che sembra un’eternità si gira a fissarmi. «Portavi lì le tue Sottomesse?» mi chiede d’impulso. Chiudo piano gli occhi, per poi riaprirli con un breve sospiro. «Qualcuna sì» le rispondo piano. Chissà per quale motivo mi sento in colpa. «Leila?» chiede acida. «Sì» ammetto. «Il posto sembra nuovo» riflette, aggrottando le sopracciglia. «È stato ristrutturato recentemente» “Non ti ho mentito, Ana. Mai. Non potrei mai farlo”. «Ah, ecco. Quindi Mrs Robinson ha conosciuto tutte le tue Sottomesse» dice con un moto di rabbia, tornando a fissarsi i piedi mentre cammina. «Sì» sibilo con un filo di voce. «E loro sapevano di lei?» continua. Sembra che mi stia mettendo sotto torchio. Non l’ho mai vista così sconvolta. «No. Nessuna di loro. Solo tu» Marco volutamente sull’ultima frase. Voglio che capisca quanto, per me, sia completamente diversa dalle altre. Ma Anastasia fraintende. «Ma io non sono una tua Sottomessa» ribatte con decisione. «No, chiaramente no» le dico, trattenendo a stento l’esasperazione. Di scatto si ferma, fissandomi. La vedo impallidire, scrutarmi a fondo. I miei occhi si sgranano. Ho paura. Ho paura di perderla. Le mie labbra si stringono mentre il dolore si diffonde nel mio petto. «Capisci che gran casino è questo?» mi dice alla fine, la voce ridotta ad un sussurro. «Sì. Mi dispiace» mi affretto a risponderle mortificato. La capisco. La gelosia è un sentimento che posso capire a fondo. Ma non ha motivo di temere. Io la amo. Lei è adorabile. Mentre io... io non merito il suo amore. «Voglio tagliarmi i capelli, preferibilmente in un posto dove tu non ti sia scopato lo staff o la clientela» sussurra alla fine. Sussulto alle sue parole. É dura, straordinaria anche mentre mi tiene testa e mi guarda con aria di sfida. «Ora, se vuoi scusarmi...» continua, senza aspettare risposta, tentando di continuare il suo percorso verso chissà dove. Il pensiero di non rivederla mi strazia lo stomaco. «Non stai scappando, vero?» le chiedo, temendo la risposta. «No, voglio solo tagliarmi questi dannatissimi capelli. Da qualche parte dove io possa chiudere gli occhi, mentre qualcuno mi lava la testa, e dimenticarmi tutto il fardello che ti porti sempre dietro» sbotta acida. Mi passo una mano nei capelli, esasperato. “É una giornata schifosa. Non renderla peggiore, Anastasia”. «Farò venire Franco nel mio appartamento, o nel tuo» le dico, trattenendo la frustrazione. «È una donna molto attraente» mi dice, come se non mi tesse a sentire, ma seguisse un flusso tutto suo di pensieri. Sbatto le palpebre. É come se mi avesse messo di fronte ad un bivio. Ma tocca a me scegliere la strada giusta. «Sì, lo è» le rispondo fissandola dritto negli occhi. «È ancora sposata?» mi chiede, lo sguardo dolorante. «No. Ha divorziato cinque anni fa» rispondo senza distogliere gli occhi dai suoi. «Perché non sei con lei?» “Perché ti amo. Perché cercavo qualcosa ma non sapevo cosa. Fino a quando non sei caduta nel mio ufficio. Fino a quando non ti ho avuta”. «Perché tra noi è finita. Te l’ho detto» Vorrei dirle quanto ci tengo a lei, ma la mia tasca si mette a vibrare. Aggrotto la fronte, estraendo il BlackBerry e premendo il tasto verde. É Welch. So che devo rispondere. «Welch!» esclamo furioso. «Mr Grey, abbiamo finalmente una pista. Miss Williams era fuggita con un altro uomo, abbandonando suo marito circa tre mesi fa. John Wilbury, irlandese. Wilbury è morto in un incidente d’auto» «Morto in un incidente d’auto? Quando?» chiedo incredulo. «Quattro settimane fa. Abbiamo rintracciato l’ex marito di Miss Williams, ma non si è reso disponibile» «È la seconda volta che quel bastardo non è disponibile. Deve saperlo. Non prova proprio nessun sentimento per lei?» sibilo, scuotendo la testa. «Mr Grey, noi pensiamo che Miss Williams abbia avuto un tracollo emotivo in seguito alla morte di Wilbury. É andata per qualche seduta da uno psicologo, che però ha detto di non essersi accorto dello stato mentale della sua paziente. Probabilmente è per questo che ha deciso di attirare la sua attenzione. Non poteva tornare da suo marito. E, dunque, ha scelto... bè, ha scelto lei» Welch suona imbarazzato per un attimo. «Tutto questo inizia ad avere un senso» ammetto a voce bassa. Ana, nel frattempo si guarda intorno, sospettosa, scrutando la gente che ci cammina intorno. D’istinto inizio a farlo anch’io, mentre sto al telefono. «Ha idea di dove possa essere Miss Williams?» chiede Welch, distraendomi. «No» ammetto impotente. «Il fatto che sia tornata a Seattle non le dice nulla? Non è collegato a nessun posto in particolare dove Miss Williams possa nascondersi?» «Spiega perché, ma non dove» «Comunque sia, Mr Grey, ho parlato con Taylor e da questa mattina le ho messo dietro un uomo della sicurezza, in attesa di concordare con lei come organizzarci. É per precauzione. Dovrebbe essere a circa tre metri da lei, sulla destra. Miss Steele è con lei?» Mi giro intorno alla ricerca della mia ombra segreta. Scorgo un uomo che mi fa un breve cenno con la testa. Torno a fissare Ana, che si gira intorno disorientata. «Lei è qui» «Ha individuato Sawyer, signore?» Torno a fissare l’uomo sulla destra, che non ci perde d’occhio. «Ci sta guardando» «Vuole che aumentiamo la scorta da oggi?» Ripenso alla festa di questa sera. Leila potrebbe decidere di avvicinare Ana tra la folla. Meglio evitare. «Sì» rispondo gelido. «Una scorta di sei uomini, signore?» «No. Due o quattro, ventiquattr’ore su ventiquattro, sette giorni su sette» Welch fa una pausa. «Ne ha parlato con Miss Steele?» Stringo forte le labbra e gli occhi. Poi li riapro. «Non ho ancora affrontato l’argomento» Mentre lo dico la fisso intensamente. So che quelli di questa mattina non erano altro che battibecchi in confronto al polverone che sta per alzarsi. Ana mi guarda, aggrottando la fronte. La fisso sulla difensiva, preparando mentalmente un piano di difesa dalla nuova grintosa Anastasia che non perde occasione per farmi sbattere col culo a terra. «Mr Grey, non sottovaluti la faccenda. Miss Williams... Miss Williams ha ottenuto un permesso per un’arma da fuoco» «Cosa...?» sussurro, e mi rendo conto da solo di essere diventato pallido come un cencio. L’associazione Leila-disturbo mentale-pistolaAnastasia non è sicuramente un pensiero felice. “Cristo santo! Può andare storto ancora qualcosa oggi?”. «Sì, Mr Grey. É l’unica traccia che abbiamo e sulla quale stiamo lavorando». «Capisco. Quando?» «Proprio ieri, signore» Il dolore è lancinante. Ieri. Ieri quando ha visto Anastasia. Ieri, era andata da lei per ucciderla. Per eliminare l’ostacolo tra me e lei. «Così recente? Ma come?» sussurro con un filo di voce. «Stiamo indagando» «Nessuna ricerca sul territorio?» «I miei uomini sono al lavoro, signore. Stiamo tenendo sotto torchio anche suo marito. Abbiamo raccolto informazioni su di lui» mi dice Welch risoluto. «Okay. Mandami una mail con il nome, l’indirizzo e le foto, se le hai» «E la scorta, Mr Grey?» «Ventiquattr’ore su ventiquattro, sette giorni su sette, da oggi pomeriggio. Tieniti in contatto con Taylor» dico a denti stretti, riagganciando il telefono. «Allora?» mi incalza subito Anastasia, visibilmente esasperata. La fisso per qualche istante. «Era Welch» le dico alla fine. «Chi è Welch?» chiede con la fronte aggrottata. «Il mio consulente per la sicurezza» «Ah. E cos’è successo?» La fisso di nuovo. “Sii sincero, Christian. Ne va della sua sicurezza”. Ma dopo la sfuriata per Elena, che dubito sia ancora finita, credo che quello in pericolo sia io. Mio malgrado mi viene quasi da sorridere. «Leila ha lasciato il marito circa tre mesi fa ed è scappata con un tizio, che è morto in un incidente stradale quattro settimane fa» le dico seccamente. «Oh» sussulta, sconvolta. «Quel coglione di strizzacervelli avrebbe dovuto scoprirlo» sbotto rabbioso. «Una seccatura, ecco cos’è. Vieni» le dico, tendendole la mano. La afferra, guardandomi negli occhi. Poi abbassa lo sguardo sulle nostre mani e ritrae la sua, infastidita. “Non ora, Ana”. «Aspetta un attimo. Eravamo nel mezzo di una discussione su di noi. Su di lei, la tua Mrs Robinson» sibila acida, calcando il tono sul nomignolo che ha assegnato ad Elena. La fisso severamente. «Non è la mia Mrs Robinson. Possiamo parlarne nel mio appartamento» le dico pacato e risoluto. Ma dentro la rabbia scorre a fiumi nelle mie vene. «Non voglio venire nel tuo appartamento. Voglio tagliarmi i capelli!» urla, fottendosene altamente di essere in pieno centro. La guardo negli occhi e vedo di tutto. Rabbia, esasperazione, dolore. ‘Sei un fardello troppo grande da portare, Grey. Riesci solo a rovinarle la vita’. Estraggo il telefono dalla tasca e compongo il numero del centro di bellezza. “Volente o nolente, Ana, mi prenderò io cura di te”. «Greta, Christian Grey. Voglio Franco nel mio appartamento tra un’ora. Chiedi a Mrs Lincoln» «Certo, Mr Grey. Attenda in linea» risponde lei efficiente come sempre. Sento la familiare musichetta, poi di nuovo Greta. «L’appuntamento è confermato, Mr Grey» mi dice sollecita. «Bene» Chiudo il telefono con un sospiro. «Arriva subito» le annuncio seccamente. «Christian...!» esclama lei. Scuote la testa incredula, frustrata. Non riesco più a trattenermi. «Anastasia, è chiaro che Leila ha un esaurimento nervoso. Non so se sia a me o a te che sta dietro, o quanto oltre è disposta a spingersi. Adesso andremo a casa tua, e tu prenderai le tue cose. Potrai stare da me finché non l’avremo rintracciata» le dico come se fosse la cosa più naturale del mondo. Certo. So da solo che non lo è. Ma voglio tenerla la sicuro. Qualsiasi sia la sua opinione. Non posso perderla di nuovo. «Perché dovrei voler fare una cosa del genere?» mi chiede sconvolta ancor di più se possibile, senza riuscire a non fissarmi a bocca aperta. «Perché così potrò proteggerti» sibilo a denti stretti. «Ma...» tenta di replicare. “Ok, ora basta”. La fisso severamente, un’espressione che non ammette repliche. con «Verrai a stare da me, a costo di trascinartici per i capelli» La mia voce è un sussurro minaccioso. Mi fissa a bocca spalancata, guardandomi come se fossi un mostro. ‘Ma è quello che sei, Grey’. «Penso che tu stia esagerando» mi dice, continuando a scuotere la testa. «No. Possiamo continuare la discussione nel mio appartamento. Vieni» le dico, tendendole la mano, con uno sguardo minaccioso. Per tutta risposta lei incrocia le braccia sul petto, lanciandomi un’occhiata di sfida. «No» sbotta testardamente. “Non giocare con me, Miss Steele”. «Puoi camminare, oppure posso caricarti in spalla. Scegli tu, Anastasia» E non scherzo. Ma, purtroppo per lei, non se ne rende conto. «Non oseresti» mi dice di rimando, aggrottando la fronte per soppesare la mia espressione. Le faccio un sorrisetto tirato e arrogante. «Oh, piccola, sappiamo entrambi che se lanci il guanto della sfida, io sarò più che felice di raccoglierlo» Per un attimo ci fissiamo in silenzio, sfidandoci a suon di occhiatacce. “Perché devi sempre sfidarmi, Anastasia? Perché non puoi fare la brava bambina per un po’ e lasciare che ti tenga al sicuro?”. All’improvviso mi chino, afferrandole le gambe e sollevandola da terra. Me la carico sulle spalle e mi avvio sul marciapiede. Accanto a noi la gente ci osserva sconvolta e divertita al tempo stesso. «Mettimi giù!» lancia un grido. La ignoro stoicamente, allungando il passo. La tengo stretta con un braccio, mentre con la mano libera le assesto un paio di sculacciate. «Christian!» urla di nuovo. «Cammino! Cammino!» urla e strepita. Mi fermo, con un sospiro, lasciandola scivolare giù dalla mia spalla. Ma prima che riesca a rialzarmi e prendere fiato, vedo i suoi piedi allontanarsi veloci. Corre silenziosamente, con le braccia strette contro il corpo e lo sguardo basso. L’ho ferita. E quando le avevo promesso che sarebbe andato tutto per il meglio ecco che l’ho umiliata. Stringo forte gli occhi, mentre la raggiungo. Non mi guarda, non mi sgrida, non urla. Non mi tocca. E questo è quello che fa più male. Inizio a capire cosa prova quando le vieto anche solo di sfiorarmi. É una sensazione che uccide. All’improvviso si ferma, fissandomi dritta negli occhi. «Cos’è successo?» mi chiede con la fronte aggrottata, lo sguardo fisso nel mio. Aggrotto le sopracciglia. «Cosa intendi?» chiedo, senza capire. «Con Leila» «Te l’ho detto» le rispondo, distogliendo lo sguardo per un attimo. «No, non l’hai fatto. C’è qualcos’altro. Ieri non insistevi perché venissi a stare da te. Perciò, cos’è successo?» sbotta, continuando a stringersi le braccia attorno al corpo, come se un freddo invisibile le penetrasse le ossa. Mi sposto sul vialetto, evitando di guardarla. “Devi parlare Christian. Apri quella cazzo di bocca e cerca di dirle che vuoi solo essere sicuro che lei stia con te una vita intera e che Leila non voglia separarla da te definitivamente”. «Christian! Dimmelo!» urla spazientita. «Ieri è riuscita a ottenere il permesso di circolare con un’arma» la mia voce è flebile, come se dire queste parole ad alta voce fosse la nostra condanna a morte. Ana sgrana gli occhi, sbatte le palpebre e diventa pallida come uno straccio. Le gambe le tremano. Sussulta, portandosi una mano alla gola. Le dita fanno una leggera pressione, mentre le labbra si stringono. «Significa solo che può comprare una pistola» mormora, cercando di convincere se stessa più che me. «Ana» le dico preoccupato. Faccio un passo avanti e le afferro saldamente le spalle. «Non penso che farà una sciocchezza, ma... è solo che non voglio correre questo rischio con te» le confesso. E anche se sembro perfettamente padrone di me, dentro sono spaventato quanto lei. «Non con me... E tu?» chiede, mentre un brivido la attraversa. La fisso, preoccupato. “Non voglio che in nessun modo debba separarmi da te. Ma, se deve essere, allora è meglio che quella pazza squilibrata se la prenda con me”. Anastasia mi stringe forte in un abbraccio disperato, premendo il viso contro il mio petto. La stringo a mia volta, senza riuscire a smettere di guardarmi intorno. A pochi metri c’è la nostra guardia del corpo. «Torniamo a casa» mormoro in un sospiro, chinandomi su di lei e baciandola piano sui capelli mentre inalo il suo buon profumo. Anche lei sospira piano, staccandosi da me e incamminandosi verso l’interno dell’appartamento. Ci mette qualche minuto per preparare una valigia piccola, mettendo nello zainetto il Mac, il BlackBerry, l’iPad e il palloncino sgonfio preso dal suo letto. «Viene anche Charlie Tango?» le chiedo guardandola. Annuisce in silenzio e le faccio un sorrisetto tenero, guardandola con affetto. “La mia piccola Anastasia”. «Ethan torna giovedì» la sento borbottare a bassa voce. «Ethan?» chiedo confuso. «Il fratello di Kate. Starà qui finché non troverà un altro appartamento a Seattle» Alzo la testa, fissando il muro di fronte a me. Faccio del mio meglio per non sembrare quello che in realtà sono. Furioso. Letteralmente furioso. «È un bene che tu venga a stare da me, allora. Così lui avrà più spazio» dico gelidamente. «Non so se ha le chiavi. Dovrò tornare qui» mormora, scrutandomi. Resto in silenzio, continuando a fissare il muro di fronte a me e cercando di togliermi dalla testa l’immagine di quello stronzo biondo mentre se ne sta avvinghiato alla mia Anastasia. Ana si guarda intorno, sospirando. «È tutto» sussurra. Mi riscuoto, afferrando la sua valigia e usciamo dall’appartamento. Mentre ci dirigiamo verso l’Audi rossa, nel parcheggio sul retro, Anastasia si guarda nervosamente intorno. É palesemente agitata. Mi sposto verso il lato del passeggero, aprendole la portiera. Ana resta immobile. La fisso senza capire cosa diavolo sta cercando di fare. «Vuoi entrare?» le chiedo, spazientito. «Pensavo che avrei guidato io» dice guardandomi, senza muoversi. «No, guido io» replico seccamente. «C’è qualcosa che non va nella mia guida? Non dirmi che conosci il punteggio del mio esame per la patente... Non mi sorprenderebbe, viste le tue tendenze da stalker» borbotta, fissandosi le scarpe. «Entra in macchina, Anastasia» taglio corto, incazzato nero. Voglio solo arrivare a casa. Sapere che lei è davvero al sicuro. «Okay» mormora, affrettandosi a salire in auto. Salgo al posto di guida e ingrano la marcia, ansioso di arrivare all’Escala. Ma il traffico non è dalla mia. Picchietto nervosamente le dita sullo sterzo, mentre camminiamo a passo di lumaca. «Le tue Sottomesse erano tutte castane?» chiede all’improvviso. “Dove cazzo vuoi andare a parare ora, Anastasia?”. La fisso per un attimo, per poi tornare a concentrarmi sulla strada. «Sì» borbotto esasperato. «Me lo stavo solo domandando» aggiunge, come per rispondere alla mia domanda inespressa. «Te l’ho detto. Preferisco le brune» mormoro, senza guardarla. «Mrs Robinson non è bruna» aggiunge stizzita. Mi mordo l’interno della guancia per non lanciare un urlo di disperazione. «Probabilmente è questo il motivo» ringhio. «Mi ha fatto perdere l’interesse per le bionde» “Cristo santo, dopo tutto quello che è successo da questa mattina, il tuo problema è che mi sono scopato una bionda, Ana? Dammi tregua!”. «Stai scherzando» esclama a bocca aperta. «Sì, sto scherzando» replico, esasperato, scuotendo leggermente la testa. La guardo di sottecchi, mentre si gira a fissare fuori dal finestrino. Rimaniamo in silenzio alcuni minuti. Poi sento un sussurro uscirle dalle labbra. «Parlami di lei» mormora piano. «Che cosa vuoi sapere?» le chiedo, guardandola mentre aggrotto la fronte. La sua espressione è strana. E io non vorrei dover affrontare questa conversazione. “Non mi importa di lei, Anastasia. Mi importa solo di te”. «Parlami del vostro accordo commerciale» chiede semplicemente. Un po’ troppo calma. Ma la sua frase mi rilassa. Almeno non scendiamo nei particolari scabrosi della nostra relazione. «Sono un socio accomandante. Non ho un interesse particolare per il business della bellezza, ma lei ne ha fatto un’impresa di successo. Io mi sono limitato a metterci i soldi per aiutarla a iniziare» le spiego, tentando di non perdere la pazienza e ritrovare l’equilibrio perduto. «Perché?» mi chiede, sinceramente interessata. «Glielo dovevo» aggiungo. «Oh!» «Quando mi sono ritirato da Harvard, lei mi ha prestato centomila dollari per iniziare l’attività» La sua espressione si fa guardinga. «Ti sei ritirato dall’università?» mi chiede incuriosita. «Non faceva per me. Ho fatto due anni. Sfortunatamente, i miei genitori non sono stati così comprensivi» sbuffo con un sorrisetto. Ricordo ancora la rabbia dei miei genitori quando annunciai il mio ritiro da Harvard. Non mi rivolsero la parola per due intere settimane. E io mi sentii come quando ero piccolo. Intrappolato in un mondo in cui ero solo un estraneo di passaggio. «Non mi sembra che tu abbia fatto poi tanto male a lasciare. Che cosa studiavi?» chiede, sistemandosi meglio sul sedile. «Politica ed economia» le dico, mordicchiandomi leggermente il labbro inferiore, mentre tamburello con le dita sulla leva del cambio, in attesa che il taxi giallo davanti a noi si decida ad avanzare. «E così lei è ricca?» mormora soprappensiero. La sua testa si è spostata di nuovo in direzione di Elena. «Era un’annoiata moglie trofeo, Anastasia. Suo marito era facoltoso, un magnate del legno» sorrido di nuovo. Ma non c’è traccia di ilarità sul mio volto al ricordo di come ho trovato Elena il giorno in cui Linc ci ha scoperti. «Non le permetteva di lavorare, la controllava sempre. Alcuni uomini sono così» le lancio un altro sorrisetto sghembo, stavolta rivolto a lei. «Davvero? Un uomo che vuole controllare tutto! È di sicuro una creatura mitologica!» mi dice sarcasticamente, allargando gli occhi e incrociando le braccia sotto al seno. Il mio ghigno si allarga, ma evito di rispondere. «Ti ha prestato il denaro di suo marito?» mi chiede ancora, senza smettere di ficcare il naso. Annuisco, senza riuscire a trattenere la malizia nel movimento delle mie labbra che si sollevano. «È terribile» mormora scioccata. «Lui si è rifatto» ribatto con un sibilo. Entriamo nel garage. «Come?» chiede. Scuoto la testa, lasciando cadere la sua domanda nel vuoto. Parcheggio accanto al SUV. Scendo e faccio il giro per aprirle la portiera. La fisso dall’alto, mentre lei, seduta sul sedile mi fissa intimorita per qualche attimo. «Vieni. Franco sarà qui a momenti» le dico piano, allungando una mano e afferrando la sua. Entriamo in silenzio in ascensore. La fisso, mentre lei giocherella con le dita. É così bella. Così dolce. É la donna che amo, quella da cui non sopporto di dovermi più separare. Non voglio perderla. Neppure quando, come ora, mi porta il broncio. «Sei ancora arrabbiata con me?» le chiedo piano. «Molto» risponde velocemente. Annuisco piano. «Okay» le dico, tornando a fissare dell’ascensore, che all’improvviso si aprono. le porte Taylor ci sta aspettando nell’atrio. Mi sporgo verso di lei, prendendole lo zaino e uscendo con lei. “Arrabbiata è meglio che in pericolo, Ana”. «Welch si è messo in contatto con te?» chiedo a Taylor. «Sì, signore» risponde lui, con un leggero cenno del capo. «E?» lo incalzo impaziente. «È tutto pronto» «Ottimo» Faccio una leggera pausa, ricordandomi solo ora che ha passato la notte in ospedale con sua figlia ricoverata per accertamenti. «Come sta tua figlia?» gli chiedo più calmo. «Bene, grazie, signore» mi risponde, con uno sguardo riconoscente. «Perfetto. Tra poco arriverà un parrucchiere. Franco De Luca» lo avverto, oltrepassandolo. Ana mi segue. «Miss Steele» la saluta educatamente Taylor. Anastasia si ferma sulla soglia. «Salve, Taylor. Ha una figlia?» gli chiede con un sorriso dolce. «Sì, signora» «Quanti anni ha?» «Sette» Le lancio un’occhiata impaziente. Ma lei torna a rivolgere la sua attenzione a Taylor. «Vive con sua madre» aggiunge lui. «Oh, capisco» risponde lei, comprensiva. Scorgo il sorriso di Taylor, che mi infastidisce. Soprattutto perché lei lo ricambia, mentre a me, per tutta la mattinata, ha riservato solo grida e strepitii. Mi avvio nel salone, sentendola affrettarsi a seguirmi. Guardo l’orologio al mio polso. É quasi ora di pranzo. «Hai fame?» le chiedo bruscamente. Ana si limita a scuotere la testa, stringendo leggermente gli occhi come se si aspettasse una sfuriata da parte mia. La fisso per un attimo. “Perché ti faccio così paura, Ana... e invece non riesce ad intimorirti Leila? Perché pensi di essere in pericolo con me, che ti amo, e non senza di me a proteggerti?”. Ma, dopo l’estenuante mattinata, decido di non permetterle di urlarmi contro di nuovo. Meglio che si calmi. E che mi calmi io. «Devo fare qualche telefonata. Fa’ come se fossi a casa tua» le dico, liquidandola. «Okay» mormora spaesata. Pochi passi e raggiungo il mio ufficio, sbattendo leggermente la porta. Mi appoggio con la schiena allo stipite della porta. Appoggio la testa e sospiro, esasperato. “Ho fatto lo stronzo. Di nuovo. Lei è tornata da me e io l’ho condotta per mano su un campo minato. Ad ogni passo ho paura di perderla. Ma cos’ho che non va?”. Faccio qualche profondo sospiro, prima di ritrovare la calma. Poi apro gli occhi risoluto. “Ora devo occuparmi di tutto questo casino”. Per prima cosa chiamo Elena. La colgo di sorpresa, ma mi assicuro, alla fine della conversazione, che lei non sarà presente all’evento di questa sera. Non voglio turbare di nuovo Ana. «Christian, davvero, non capisco cosa può cambiare la mia presenza. Ma se non vuoi che io ci sia, allora va bene. Come sai, oltretutto, avevo anche altri piani per la serata» Faccio un sospiro di sollievo. «Grazie, Elena. Io e Ana... bè, oggi è stata una giornata... complicata» Ci salutiamo cordialmente. Chiudo il telefono e mi rilasso visibilmente. Certo, per come è possibile rilassarsi sapendo che un ex Sottomessa squilibrata vuole fare del male alla donna che amo. E poi esco dal mio studio. Alla ricerca della fonte della mia felicità. Il telefono vibra e un messaggio mi avverte dell’arrivo di Franco. Non trovandola nel salone, mi dirigo spedito nella mia camera. Ma non è nemmeno lì. ‘Idiota. La sua stanza è di sopra. Glielo avevi specificato così chiaramente. Cosa ti aspettavi?’. Così salgo al piano superiore. Entro nella camera e aggrotto la fronte quando non la vedo. ‘Forse è scappata, Grey’. Il mio cuore smette di battere. Poi sento la sua voce. Proviene dalla cabina armadio. Mi avvicino, guardandola rannicchiata a terra. Alza gli occhi su di me, con un sussulto. «Eccoti. Pensavo che fossi scappata» le dico, con sollievo malcelato. Anastasia alza una mano, indicandomi il cellulare all’orecchio. «Scusa, mamma. Devo andare. Ti richiamo presto» sussurra poi, con voce roca. Attendo in silenzio, mentre si sente qualcuno parlottare piano nell’altoparlante. «Anch’io ti voglio bene, mamma» dice poi dolcemente, riagganciando. Mi guarda in silenzio e io mi sento in imbarazzo sotto il suo sguardo puro. «Perché ti stai nascondendo qui dentro?» le chiedo. «Non mi sto nascondendo. Mi sto disperando» dice lei, con un profondo sospiro rassegnato. «Disperando?» le chiedo a metà tra il triste e il divertito. «Per tutto questo, Christian» risponde sommessa, indicando gli abiti nella sua cabina armadio con una mano. «Posso entrare?» chiedo, poggiando entrambe le mani sugli stipiti della porta e sporgendomi un po’ in avanti. «È la tua cabina armadio» mi dice con un sospiro, poggiando la testa al muro dietro di lei. Aggrotto la fronte alla scelta delle sue parole ed entro. Mi siedo a terra, di fronte a lei, con le gambe incrociate. «Sono solo vestiti. Se non ti piacciono, li riporterò indietro» le dico semplicemente. «Sei un peso considerevole da sopportare, lo sai?» mi dice con tono sarcastico. Piego la testa di lato, strofinandomi il mento sul quale è presente un accenno di barba. Poi le sorrido piano. «Lo so. Sono insopportabile» borbotto. «Sì, davvero» fa un cenno d’assenso, esausta. «Come te, Miss Steele» le dico con un sorrisetto. Anastasia sorride debolmente in risposta. Poi lancia uno sguardo agli abiti. «Perché fai tutto questo?» chiede rassegnata. Il mio corpo si irrigidisce. «Lo sai il perché» rispondo. «No, non lo so» Mi passo una mano nei capelli, frustrato. «Sei una donna frustrante» le dico, infastidito da tutto questo. “Voglio tenerti al sicuro, voglio stringerti, voglio darti tutto. Voglio mettere il mondo ai tuoi piedi, Ana. Cosa c’è da capire?”. «Potresti avere una bella bruna Sottomessa. Una che dice: “Quanto in alto?” ogni volta che tu le chiedi di saltare, sempre, ovviamente, che abbia il permesso di parlare. Allora perché io, Christian? Non riesco a capire» mi dice, stanca. La guardo per un momento, capendo finalmente qual è il nocciolo della situazione. Sono io. Io che non riesco a farle capire, imprimere nella mente, quanto ho bisogno di lei. Faccio un profondo sospiro. Cercando di spiegarle la differenza tra lei è il resto del mondo. «Mi hai fatto vedere il mondo in modo diverso, Anastasia. Tu non mi vuoi per i miei soldi. Tu mi hai dato... speranza» le dico piano, sentendo il cuore battere forte. «Speranza per cosa?» sussurra, scostandosi dal muro e avvicinandosi. “Come fai a non capirlo?”. Mi stringo piano nelle spalle. «Di più» le dico tranquillo. Almeno fuori. «E hai ragione: sono abituato al fatto che le donne facciano esattamente quello che dico e quando lo dico, e facciano sempre quello che voglio. Si invecchia in fretta. C’è qualcosa in te, Anastasia, che mi attrae a un livello profondo, che non riesco a capire. È il canto di una sirena. Non posso resisterti, e non voglio perderti» sospiro, prendendole una mano. «Non scappare, ti prego. Abbi un po’ di fiducia in me e un po’ di pazienza. Per favore» le dico, guardandola negli occhi e cercando di farla entrare più a fondo possibile. Ana cambia posizione, senza smettere di fissarmi. Si inginocchia davanti a me. E poi si sporge, baciandomi le labbra dolcemente, come solo lei sa fare. «Okay. Fiducia e pazienza, posso sopportarlo» mi dice con un sorriso tiepido. «Bene. Perché Franco è qui» le rispondo. Prima di alzarmi le rubo un altro bacio veloce. Poi la trascino con me al piano di sotto. La lascio nelle grinfie del piccolo Franco, che la trascina di sopra. Mentre io ne approfitto per sbrigare alcune questioni di lavoro. Prima mi cambio, indossando una camicia di lino, sbottonata nella parte superiore e togliendomi scarpe e calze. Vado nello studio, prendo i documenti che mi sono necessari e poi mi dirigo nel salotto. Mi siedo sul divano, accendo l’iPod e mi metto al lavoro, estraniandomi da tutto quello che mi circonda. É l’unico modo per non dare di matto e concludere qualcosa. Un’ora più tardi, sento degli sguardi addosso che mi costringo ad alzare la testa. La guardo, abbeverandomi di quella visione. É bella da mozzare il fiato. «Vedi? Te lo dicevo, gli piace» le dice Franco, guardandoci con un malizioso luccichio negli occhi. «Sei adorabile, Ana» le dico, apprezzandola sul serio. «Il mio lavoro è finito» esclama Franco, battendo le mani. Per poco non saltella. Mi alzo dal divano e mi avvicino alla strana coppia. «Grazie, Franco» gli dico sorridendo. Franco si gira, stringendo Anastasia in un forte abbraccio e baciandola su entrambe le guance. Se non fosse gay starebbe già volando fuori dalla portafinestra. Ma per fortuna il suo corteggiamento di solito tocca a me subirlo. «Non lasciare mai che nessun altro ti tagli i capelli, bellissima Ana!» le dice con un ampio sorriso. Ana scoppia a ridere, arrossendo piano. Accompagno velocemente Franco nell’atrio e lo lascio a Taylor, mentre torno impaziente da lei. «Sono contento che tu li abbia tenuti lunghi» le dico, osservandola felice. Prendo una ciocca tra le dita e la accarezzo. E no. Non c’è nessuna implicazione sottintesa. I suoi capelli mi piacciono perché sono scuri e sono i suoi. Non quelli di un fantoccio da punire come se fosse mia madre. «Sono così morbidi» mormoro, apprezzando la sua dolce bellezza. «Sei ancora arrabbiata con me?» le chiedo piano. Annuisce piano e io le sorrido dolcemente. «Per quale motivo di preciso sei arrabbiata con me?» mormoro. Alza la testa, guardando il soffitto, come aveva già fatto quella mattina in Georgia. «Vuoi l’elenco?» sbotta. «C’è un elenco?» le chiedo, tentando di mantenere un tono scherzoso. «Un lungo elenco» ribatte, mettendosi le mani sui fianchi e tornando a guardarmi. «Ne possiamo discutere a letto?» le sussurro, giocherellando ancora con i suoi capelli. «No» risponde, mettendo il broncio. «A pranzo, allora. Sono affamato, e non solo di cibo» le mormoro quasi contro le labbra, sorridendole in modo lascivo. «Non mi lascerò abbindolare dalle tue abilità sessuali» mormora decisa. Cerco di trattenere un sorrisetto. «Che cosa ti dà fastidio nello specifico, Miss Steele? Sputa il rospo» la provoco. Fa un profondo respiro, guardandomi negli occhi. Poi prende coraggio. «Cosa mi dà fastidio? Bè, la tua clamorosa invasione della mia privacy e il fatto che mi porti nel salone di bellezza dove lavora la tua ex padrona e dove portavi tutte le tue amanti per farsi fare la ceretta; inoltre mi hai maltrattata per la strada, come se avessi sei anni. E, soprattutto, hai lasciato che la tua Mrs Robinson ti toccasse!» “Merda”. Urla quasi, fissandomi furiosa. E in quel momento mi chiedo quando il mio cervello ha potuto pensare anche solo per un secondo che il pericolo fosse scampato. Mi rendo conto che sulla mia faccia si è appena dipinta un’espressione incredula. «È un bell’elenco. Ma, giusto per chiarire un punto: lei non è la mia Mrs Robinson» ribatto stizzito. «Può toccarti» ripete furibonda. Faccio una smorfia di disprezzo. Ma non nei suoi confronti. Nei confronti di quello che lei definisce tocco. Elena non mi ha mai toccato. Elena mi ha scopato, umiliato, usato, sodomizzato. Mi ha anche aiutato. Ma mai toccato. «Sa dove farlo» ribatto odiosamente pacato. «Che cosa significa?» chiede con la fronte corrucciata. Mi passo entrambe le mani nei capelli, stringendo gli occhi e le mani. Deglutisco a fatica, cercando un equilibrio che non trovo da nessuna parte. Apro gli occhi e la fisso, con un sospiro. «Tu e io non abbiamo regole. Non ho mai avuto una relazione senza regole, e non so mai dove mi toccherai. Mi rende nervoso. Il tuo tocco completamente...» mi fermo, cercando di trovare le parole per farle capire come mi fa sentire esposto e vulnerabile. Quanto mi faccia paura. «È solo che significa di più... così tanto di più» riesco a mormorarle, sconfitto. La guardo, fisso negli occhi, cercando di farle capire. Ma lei, per tutta risposta, allunga un braccio, con le dita che le tremano. Automaticamente mi tiro indietro, mentre lei con un’espressione di dolore, lascia ricadere impotente il braccio. «Limiti assoluti» sussurro in fretta, cercando di darle una spiegazione razionale. ‘Magari razionale per te, idiota’. Anastasia mi fissa mortificata, come se non si sentisse abbastanza per me. Quando, invece, è proprio il contrario. «Come ti sentiresti se non potessi toccarmi?» mi chiede poi, con un filo di voce. «Devastato e defraudato» rispondo di getto. Ana stringe gli occhi, poi li riapre, scuotendo piano la testa con un piccolo sorriso rassegnato e rassicurante. “Cerca di rassicurarmi anche ora, anche mentre la respingo”. Rilasso le spalle, perché sono certo che non ci proverà di nuovo. «Un giorno devi dirmi esattamente perché c’è questo limite assoluto, per favore» chiede sommessa. «Un giorno» le dico piano. Rialzo la testa e cerco di mostrarmi indifferente. Ma dentro l’episodio mi ha segnato profondamente. “Devastato e defraudato. Così si sente anche lei”. La guardo, costringendomi ad andare oltre. «Allora, il resto del tuo elenco. Invasione della privacy...» le dico, riprendendo il nostro discorso. Arriccio le labbra riflettendo. «Perché conosco il tuo numero di conto corrente?» le chiedo. «Sì, è inammissibile» mi dice aggrottando la fronte. “Ok, inizia a scoprire le tue carte, Christian”. «Faccio ricerche sulla vita privata di tutte le mie Sottomesse. Ti farò vedere» Mi giro e mi dirigo verso il mio studio. Ana mi segue. Mi avvicino allo schedario ed estraggo il suo dossier. Fissa il faldone, senza avere il coraggio di prenderlo tra le dita. Mi stringo nelle spalle, cercando miseramente di scusarmi. «Puoi tenerla» mormoro. «Bè, accidenti, grazie» ribatte seccamente. Lo apre, scorrendolo velocemente. La sua espressione è sempre più sbalordita. Si ferma su una pagina. Poi mi fissa. «Perciò sapevi che lavoravo da Clayton?» sibila. «Sì» ammetto. «Non è stata una coincidenza. Non sei capitato lì per caso, vero?» dice, fissandomi torva. «No» replico a voce bassa. Stringe forte le labbra, per poi rilassarle e fare un sospiro. «Questa è una stronzata. Lo sai, vero?» mi dice perentoria. «Io non la vedo in questo modo. Con quello che faccio, devo essere cauto» tento di spiegarle, innervosito dal suo tono. «Ma queste sono cose private» sibila, stringendo i fogli tra le dita. «Non faccio mai un uso improprio delle informazioni. Sono dati che tutti possono ottenere se si applicano un po’, Anastasia. Per avere il controllo, ho bisogno di informazioni. È così che ho sempre fatto» le dico pacato. Non intendo scusarmi per essere stato prudente, Ana. «Tu fai un uso improprio delle informazioni. Hai depositato ventiquattromila dollari che non volevo sul mio conto» borbotta, infastidita. Stringo le labbra. «Te l’ho detto. È quanto Taylor ha ricavato dalla tua macchina. È incredibile, lo so, ma è così» «Ma l’Audi...» «Anastasia, hai idea di quanti soldi guadagno?» sbotto esasperato. Arrossisce di colpo. «Perché dovrei? Non ho bisogno di sapere il saldo del tuo conto corrente, Christian» sussurra, abbassando lo sguardo. Sorrido piano, mentre il cuore mi si riempie di gioia. «Lo so. È una delle cose che amo di te» mormoro. Alza lo sguardo sorpresa. «Anastasia, io guadagno circa centomila dollari all’ora» le confesso, divertito. La bocca le si spalanca, e non riesce a sbattere le palpebre. «Ventiquattromila dollari non sono niente. La macchina, i volumi di Tess dei d’Urberville, i vestiti, non sono niente» le dico piano. Ana ci mette qualche minuto a riprendersi dallo shock. Ma questo non migliora la situazione. «Se fossi in me, come ti sentiresti di fronte a tutta questa munificenza che ti viene imposta?» mi chiede, in un sussurro esausto. La domanda mi lascia smarrito. Cosa... cosa vuol dire? Io... Io non lo so. Credo. Scrollo le spalle. «Non lo so» dico alla fine, sorridendo. Sospira a fondo. «Non mi fa sentire bene. Voglio dire, tu sei molto generoso, ma mi fai sentire a disagio. Te l’ho già detto» Sospiro. «Io voglio darti il mondo, Anastasia» le dico, facendo un passo in avanti e guardandola dolcemente negli occhi azzurro cielo. «Io voglio solo te, Christian. Non mi interessano gli accessori» mi risponde a voce bassa, arrossendo. «Sono inclusi nel pacchetto. Fanno parte di quello che sono» tento di farle capire. Chiude per un attimo gli occhi. Poi li riapre, guardando il muro alla sua sinistra. «Possiamo mangiare?» chiede, torcendosi le dita. Stringo le labbra, impedendo a me stesso di essere duro con lei. Abbiamo bisogno di calmarci. «Certo» le dico, apparentemente calmo. «Cucino io» dice, girandosi di profilo. «Bene. Altrimenti c’è del cibo nel frigo» le dico con noncuranza. «Mrs Jones non viene nel weekend? Perciò tu mangi soprattutto cose fredde nel fine settimana?» chiede soprappensiero. «No» le rispondo. Ma quasi subito me ne pento. Ed ecco che arriva di nuovo l’inquisizione. «Non capisco» mormora confusa. Sospiro. “Il mio passato riuscirà ad andare a farsi fottere per il resto di questa fottutissima giornata?”. «Le mie Sottomesse cucinano, Anastasia» le confesso, guardando leggermente divertito la sua espressione e il suo rossore. «Ah, già» dice, imbarazzata. Poi mi fissa. «Cosa gradisce mangiare, sorridendomi dolcemente. signore?» aggiunge, Le lancio un sorrisetto. «Qualunque cosa la signora riesca a trovare» le dico, mentre non riesco a nascondere del tutto l’effetto che l’appellativo ha su di me. Si allontana, sparendo in cucina, lasciandomi ai miei pensieri. Per un attimo, ad occhi chiusi, mi concedo il lusso di provare a pensare a come sarebbe farmi toccare da lei. Mi sposto accanto alla portafinestra. La mia mentre vacilla al ricordo del dolore che ho provato questa mattina quando non si è lasciata toccare da me. La sensazione di vuoto che mi ha lasciato il non poterla toccare è stata come una lama conficcata nel petto. A fondo. Fisso i grattacieli di Seattle. Una volta mi sentivo così solo in questa casa. Era mia. Ma era solo mia. Ora, invece, avverto la sua presenza anche al di là di questa porta. Anche quando non è fisicamente qui, il suo profumo non mi fa sentire solo. D’istinto ho voglia di restituirle qualcosa. Di farla contenta. Di farle piacere dopo l’estenuante mattinata. E mi vengono in mente le sue parole di ieri sera. “Forse dovremmo prendere un evidenziatore e...”. E sì. Forse dovremmo. Mando un sms a Taylor, per farmi portare quello che mi serve. Poi sento la musica dall’altra stanza. Sorrido, aprendo la porta e mi dirigo in cucina. Non si accorge subito della mia presenza. La fisso, mentre sbatte le uova e poi si ferma, in preda ai suoi pensieri. É come quella mattina, dopo che avevamo fatto l’amore per la prima volta. Quanto siamo andati avanti da allora? La osservo scuotere piano la testa e sorridere. Non resisto oltre e mi avvicino, avvolgendole le braccia attorno alla vita. Sussulta, poi si rilassa. «Interessante scelta musicale» le dico, ascoltando Crazy in love di Beyoncè. Mi strofino con il naso dietro il suo orecchio, annusando il suo odore. «Sai di buono» le dico, inspirando a fondo dai suoi capelli. Il suo corpo freme, mentre sfugge dalle mie braccia. «Sono ancora arrabbiata con te» borbotta. Aggrotto la fronte, fissandola. «Per quanto tempo hai intenzione di continuare?» le chiedo, frustrato. Mi passo una mano nei capelli. “Dammi tregua, Ana. Ho solo bisogno di te. Di dimostrarti che è tutto a posto. Che ti amo”. «Almeno finché avremo mangiato» risponde altezzosa, continuando a cucinare. Trattengo un sorriso davanti alla sua determinazione. Poi mi volto, spegnendo quella canzone che ora mi ricorda cose che non voglio ricordare. «Hai messo tu quella canzone sul tuo iPod?» chiede, con finta noncuranza. “Rieccola all’attacco”. Scuoto la testa, in silenzio. Non ho il coraggio di pronunciare il suo nome. «Non credi che stesse cercando di dirti qualcosa?» dice, con un mezzo sorriso. Stranamente la sta prendendo meglio di come mi aspettavo. «Bè, con il senno di poi, probabilmente sì» rispondo, calmo. «Perché è ancora nell’iPod?» chiede curiosa, senza rabbia o malizia. «È una canzone che mi piace abbastanza. Ma se ti infastidisce la tolgo» le dico premuroso. «No, va bene. Mi piace ascoltare musica quando cucino» Sorrido. «Che cosa ti piacerebbe ascoltare?» le chiedo. «Sorprendimi» dice platealmente, guardandomi da sopra una spalla. Armeggio con l’iPod finché trovo la canzone perfetta. I put a spell on you, di Nina Simone. Si gira di scatto, arrossendo violentemente, mentre la guardo. “Ti ho fatto un incantesimo... sì, Ana... mi hai completamente sedotto, stregato in un modo che non credevo possibile. Non per me”. Mi avvicino, colmando la distanza tra di noi. Il suo corpo freme anche se ancora non l’ho sfiorata. Trema. Come tremano le sue labbra mentre mi supplica dolcemente. «Christian, per favore» sussurra, giocherellando con il frullino nelle mani. «Per favore cosa?» mormoro contro le sue labbra, senza toccarla. Le mie mani sono poggiate dietro di lei, sul ripiano della cucina. «Non farlo» mi dice, alzando lo sguardo nel mio. «Fare cosa?» sussurro ancora, mentre il desiderio mi infiamma il corpo. «Questo» dice con un filo di voce. La fisso. “Non è quello che vuoi, Ana. E nemmeno io”. «Sei sicura?» mormoro, togliendole il frullino di mano e mettendolo nella ciotola con le uova, dietro di lei. Sospira affannosamente, distogliendo lo sguardo dal mio. «Ti voglio, Anastasia» mormoro suadente, contro le sue labbra delicate. «Amo e odio, e amo discutere con te. È una cosa del tutto nuova. Ho bisogno di sapere che stiamo bene. È il solo modo che conosco» le confesso, desiderandola ora come non mai. «I miei sentimenti per te non sono cambiati» sussurra piano. I suoi occhi cadono sul mio petto. Si morde forte il labbro, mentre il suo esile corpo è scosso dai brividi dell’eccitazione. La mia erezione preme forte contro la stoffa dei jeans. Mi spingo più vicino a lei, ma non la tocco ancora. I nostri calori si fondono, anticipando quello che faremo tra poco noi due. «Non ti toccherò finché non mi dirai di sì» le dico piano, contro l’orecchio. «Ma ora come ora, dopo una mattinata davvero schifosa, vorrei soltanto sprofondare dentro di te e dimenticare tutto a parte noi».E lo dico con tutta la sincerità di questo mondo. Le dico esattamente come mi sento. Senza giochetti, senza sfide, senza timori. Ho bisogno di lei. Sono malato di desiderio. E d’amore. E lei è l’unica a potermi guarire. All’improvviso Ana alza la intensamente. Con paura. E amore. testa, fissandomi «Ti toccherò la faccia» sussurra. Ci metto qualche secondo a realizzare quello che ha detto. Mi perdo nell’azzurro dei suoi meravigliosi occhi e, alla fine, annuisco, sicuro che non mi tradirà. Anastasia alza la mano, accarezzandomi la guancia, il mento su cui la barba è appena accennata. Chiudo gli occhi con un sospiro beato. Finalmente il suo tocco. Finalmente. Poggio la guancia sul suo palmo aperto. Poi riapro gli occhi, chinandomi su di lei e avvicinandomi alle sue labbra. Anche lei si sporge verso di me. Ma non la bacio. «Sì o no, Anastasia?» sussurro piano. «Sì» sospira. E finalmente, le mie labbra si schiudono insieme alle sue. Le braccia la stringono forte, attirandola contro il mio corpo eccitato e desideroso di lei. La mano destra sale ad accarezzarle la testa, infilandosi nei suoi capelli e stringendola di più. La sinistra scorre su e giù, fermandosi sulla sua schiena e premendola contro di me. Il suo gemito mi fa impazzire. Il mio uccello spinge contro il suo stomaco. E io vorrei già essere dentro di lei. Con la coda dell’occhio scorgo un movimento. Poi un colpo di tosse sommesso mi fa allontanare da lei. «Mr Grey». Taylor è imbarazzato. Lascio immediatamente Anastasia. Fissandola a fondo, prima di rivolgermi a Jason. Non mi avrebbe interrotto per nulla. Dunque devo rimandare il mio rendez vous con la mia fidanzata adorata. «Taylor» dico gelido. Ci scambiamo un rapido cenno, mentre Ana ci fissa stralunata. «Nel mio studio» ordino seccamente, lasciando che Jason si avvii per primo. «Lo spettacolo è solo rimandato» le mormoro, lasciandola a malincuore per recarmi nel mio studio. Taylor mi informa, brevemente, del fatto che sul fronte Leila ancora non ci sono novità, che gli uomini della scorta sono arrivati e che ha comprato il rossetto rosso che gli avevo chiesto. Me lo consegna. E io tremo all’idea di quello che dirà Anastasia. Dieci minuti più tardi riemergo dallo studio. Il profumo dell’omelette preparata da Ana è delizioso. Congedo Taylor e mi preparo ad affrontare l’ennesima sfida della giornata. Restiamo di nuovo soli, in cucina. Ana prende due piatti riscaldati e li poggia sul bancone. «Mangi?» mi chiede piano. «Sì, grazie» le dico, osservandola mentre mi siedo su uno sgabello. «Problemi?» «No» Mi lancia un’occhiataccia, notando la mia agitazione. Ma io la ignoro. Porta in tavola il pranzo e si siede accanto a me. Assaggio l’omelette, apprezzando la sua cucina. «È buona» mormoro sincero. «Ti va un bicchiere di vino?» «No, grazie» risponde pacata. Mangiamo in silenzio, almeno fino a quando non accendo l’iPod. «Cos’è?» chiede curiosa, ascoltando il brano in occitano antico. «Canteloube. Chants d’Auvergne. Questa si chiama Bailero» le spiego. «È bella. In che lingua è?» «Francese antico. Occitano, per essere precisi» le dico con un sorriso. «Tu parli francese, lo capisci?» chiede, prima di mettersi in bocca la deliziosa omelette che ha nel piatto. «Qualche parola, sì» Le sorrido, finalmente più a mio agio. «Mia madre aveva delle fisse: strumenti musicali, lingue straniere, arti marziali. Elliot parla spagnolo. Mia e io francese. Elliot suona la chitarra, io il pianoforte e Mia il violoncello» «Wow. E le arti marziali?» «Elliot fa judo. Mia si è impuntata quando aveva dodici anni e si è rifiutata» dico con una smorfia simpatica nel ricordare Mia che fuggiva per tutta la casa quando sapeva di dover andare in palestra. «Magari mia madre fosse stata così organizzata» sospira pensierosa. «La dottoressa Grace è formidabile quando si tratta dei talenti dei suoi figli» le dico con un sorrisetto. «Deve essere molto orgogliosa di te. Io lo sarei» mormora dolcemente. “Orgogliosa di cosa? Del mostro che sono. Del pervertito che ha cresciuto senza essere a conoscenza della sua natura reale?”. Decido di non andare oltre e cambio argomento. «Hai deciso cosa ti metterai stasera? O devo scegliere qualcosa per te?» le dico bruscamente. ‘Suvvia Grey. Non è colpa sua se sei un malato pervertito’. «Uhm... non ancora. Hai scelto tu tutti quei vestiti?» mormora disorientata. La fisso e decido che arrabbiata o meno è meglio che le butti lì le cose come stanno. «No, Anastasia. Non li ho scelti io. Ho dato una lista e la tua taglia a una personal shopper di Neiman Marcus. Ti andranno bene. A titolo informativo, ho chiesto di potenziare il servizio di sicurezza per stasera e i prossimi giorni. Con Leila imprevedibile e introvabile per le strade di Seattle, credo che sia una precauzione saggia. Non voglio che tu esca senza scorta, okay?» Cerco di essere il più convincente possibile. Ana sbatte un paio di volte le palpebre. Poi, calma, risponde con un okay traballante. «Bene. Vado a dare istruzioni agli uomini della sicurezza. Non dovrei metterci molto» le dico, alzandomi dallo sgabello. «Sono qui?» chiede senza muoversi. «Sì» rispondo a denti stretti. Prima che possa continuare, poggio il piatto nel lavello e vado nell’ufficio di Taylor. Mezz’ora più tardi, dopo aver disposto tutti i dettagli per la nostra sicurezza, la trovo nella sua camera, distesa sul letto, a navigare in Internet. Mi sono rigirato per tutto il tempo il rossetto nella tasca dei jeans. «Che cosa stai facendo?» le chiedo, cogliendola evidentemente di sorpresa. Mi butto sul letto, accanto a lei, osservando divertito la sua ricerca. “Disturbo della personalità multipla: i sintomi”. Sorrido. «Sei su questo sito per una ragione particolare?» chiedo con divertita noncuranza. Mi scruta a fondo. «Ricerche. Su una personalità difficile» dice calma. Trattengo un sorrisetto. «Una personalità difficile?» chiedo. «È il mio pallino» mi dice, iniziando a rilassarsi con me. «Io sono un pallino, adesso? Un’attività extra. Un esperimento scientifico, forse. E io che pensavo di essere tutto. Miss Steele, tu mi ferisci» le dico fingendomi offeso. «Come sai che sei tu?» chiede altezzosamente, sorridendomi. «Intuito» le faccio l’occhiolino. «È vero che sei l’unico uomo incasinato, lunatico, maniaco del controllo che conosca intimamente» risponde divertita. «Pensavo di essere l’unica persona che conoscevi intimamente» le sussurro, avvicinandomi al suo orecchio. Arrossisce all’improvviso. «Sì. Anche quello» sussurra. «Sei già arrivata a qualche conclusione?» chiedo, indicando con il mento il pc. Si gira sul letto, guardandomi. «Credo che tu abbia bisogno di un’intensa terapia» mi dice, socchiudendo gli occhi. Alzo una mano, spostandole una ciocca di capelli dietro l’orecchio. «Io penso di avere bisogno di te. Qui» le dico. Prendo il rossetto dalla tasca e glielo passo. La osservo, mentre lo fissa perplessa. «Vuoi che mi metta questo?» chiede incredula. Ridacchio piano. «No, Anastasia, a meno che tu non lo voglia. Non sono sicuro che sia il tuo colore» le dico deciso. Poi mi tiro su a sedere, con un profondo sospiro, sfilandomi la camicia. «Mi piace la tua idea della mappa» le mormoro piano. Mi fissa senza capire. «Le zone off-limits» le spiego, senza smettere di fissarla negli occhi. «Oh. Stavo scherzando» dice seria. «Io no» sussurro a bassissima voce. «Vuoi che disegni su di te con il rossetto?» chiede sempre più incredula. «Si lava. Dopo» mormoro ancora. Ana mi fissa. Poi le sue labbra si aprono in un piccolo sorriso di meraviglia. Gioia. Puro amore. «Che ne dici di usare qualcosa di più permanente come un pennarello indelebile?» tenta di scherzare. «Potrei farmi un tatuaggio» le dico divertito. Mi fissa come se avessi imprecato. «No, il tatuaggio no!» ride nervosamente. «Rossetto, dunque» le dico con un ghigno. Chiude in fretta il pc e lo poggia di lato. «Vieni» le dico, porgendole la mano. «Siediti su di me» le dico respirando a fondo. Scalcia velocemente via le ballerine e si tira su a sedere, gattonando su di me come una splendida creatura ammaliante. Sono sdraiato sul letto, le ginocchia restano piegate e lei vi si appoggia comodamente, mettendosi a cavalcioni su di me come le dico di fare. La guardo divertito, ma allo stesso tempo spaventato da quello che accadrà. Lei invece è meravigliosamente divertita ed eccitata dalla novità «Mi sembri... entusiasta della cosa» commento sarcasticamente. «Sono sempre avida di informazioni, Mr Grey. Ciò significa che ti rilasserai, perché io saprò fin dove spingermi» dice compiaciuta di se stessa. Scuoto piano la testa, ancora incredulo per quello che le sto permettendo di fare. Mai nella vita avrei creduto di riuscire ad arrivare a tanto. Ma lei... bè, in fondo è lei la mia vita ora. «Apri il rossetto» le ordino severamente, per rimarcare che comunque comando io e che ora come ora, non deve neppure pensare a disobbedirmi. «Dammi la mano» le dico. Scherzosamente mi porge l’altra, quella vuota. «Quella con il rossetto» le dico alzando gli occhi al cielo. «Stai alzando gli occhi al cielo con me?» sussurra divertita, gli occhi le brillano di felicità. Darei la mia vita per vederla così tutti i giorni. «Sì» rispondo fingendo arroganza. «Sei molto scortese, Mr Grey. Conosco alcune persone che diventano violente di fronte a un’alzata di occhi al cielo» civetta lei. «Davvero?» chiedo ironicamente. Mi porge la mano con il rossetto, e io mi tiro su, ritrovandomi a fissarla negli occhi. «Pronta?» le chiedo a voce bassa, dolcemente. Ma forse è a me stesso che dovrei fare questa domanda. «Sì» mormora, ritornando seria. Stringo forte la sua mano. «Premi» E inizio a tracciare insieme a lei il percorso. Una scia rossa, macchiata di sangue, dolore, fame e morte. Una scia di ricordi dolorosi, di sevizie, di abusi. Di puzza di sigarette e alcool. Della mia pelle che brucia tra lo strazio delle mie grida di bambino. Dell’indifferenza di mia madre, seduta sul divano a guardami contorcermi dal dolore. Del suo essere così fredda, insensibile. Immobile. Per minuti, ore, giorni. C’è tutto questo sul mio corpo. Porto i segni di tutto questo. É tutto confinato nei pezzi di carne che non voglio che nessuno tocchi. Per non contaminare nessuno. Per tenermi al riparo da tutto quel dolore. Perché se non lo riporto a galla, allora non è mai accaduto. Se lo tengo chiuso nella testa posso non pensarci. Ma se fa male, se qualcuno lo scatena con il proprio tocco. Allora sono costretto a riviverlo. Guardo i suoi occhi colmarsi di dolore mentre scendiamo dal collo alle spalle, allo stomaco. Mi fermo, trattenendo a stento il senso di nausea. Non per lei, ovvio. Ma per il dolore. Ma sono disposto a sopportarlo per lei. «Lo stesso dall’altra parte» le dico giunti a metà dello stomaco. Le lascio la mano, facendola continuare da sola. E in quella scia color cremisi rivedo il volto di tutte le ragazze che ho maltrattato, dominato, umiliato. Solo per sentirmi bene, meglio. Solo per cercare di dare un senso al fatto di sentirmi sporco. Orrido. Mostro. Perverso. Il dolore è intenso. O forse non fa male sul serio. Non lo so, sono confuso. «Ecco fatto» sussurra Anastasia, fermandosi. «No, non è finito» ribatto con un senso di vuoto e dolore che mi pervade. Con l’indice traccio una linea intorno alla base del collo. Ana segue il mio percorso, tracciandolo con il rossetto. Quando ha terminato mi fissa, in attesa, come se sapesse che non è finita lì. «Ora la schiena» mormoro. In silenzio si sposta dal mio grembo, lasciandomi spostare per darle le spalle. «Riprendi la linea tracciata davanti, tutt’intorno dall’altra parte» Le indico il sentiero. Resto fermo con la testa piegata, mentre lei completa la sua opera. Il mio corpo cerca di abituarsi alla sensazione, ma il dolore, i ricordi... fa tutto troppo male. Si ferma su una spalla. «Anche intorno al collo?» sussurra tremante. Annuisco, senza avere il coraggio di emettere fiato. E lei esegue. «Finito» mormora sommessamente. Sento il suo sguardo addosso. Mi rilasso, espellendo il fiato che stavo trattenendo. Cerco di riprendermi prima di girarmi a guardarla. «Questi sono i confini» le dico, guardandola sconvolto ed eccitato al tempo stesso. Non... non avevo previsto questo. Non avevo previsto che il suo tocco potesse essere tanto sconvolgente ed... eccitante. Non avevo mai sperimentato nulla di simile. E io... vorrei di più. Ana mi guarda e fa un sospiro determinato. «Posso farcela. Proprio ora vorrei lanciarmi su di te» sussurra dolcemente. Le lancio un sorriso e le tendo le mani. Ho bisogno di un contatto. Di riprendere il controllo che le ho ceduto. «Bene, Miss Steele, sono tutto tuo» Non finisco di dirlo che lei si è già fiondata tra le mie braccia. Non ci metto molto a metterla in posizione di svantaggio, sotto di me, mentre ridiamo insieme. «Ora, riguardo a quello spettacolo rimandato...» le mormoro lascivamente. E la bacio. Ritrovando la mia stabilità. Capitolo 9 Anastasia mi stringe forte i capelli, mentre mi avvento sulla sua bocca invitante, morbida. Le nostre lingue si scontrano, affamate, vogliose dopo tutti gli scontri di questa mattina. Ci divoriamo a vicenda, come se volessimo entrare l’uno nel corpo dell’altra attraverso le nostre bocche. Il bacio passionale mi consuma, tanto che quando mi stacco da lei ho il fiato corto e le labbra mi bruciano. Ana ansima, distesa sul letto. Non posso aspettare un altro minuto prima di farla mia. La tiro su, afferrando l’orlo della sua t-shirt e sfilandogliela velocemente. La maglietta fa un volo perfetto alle mie spalle e atterra sul pavimento. Ho bisogno di essere dentro di lei. Di essere certo che sta godendo. Per me. «Voglio sentirti» le sussurro contro la bocca, mentre la cingo per slacciarle il reggiseno, che raggiunge la t-shirt. La lascio sdraiarsi di nuovo, prima di premere il mio corpo sul suo, affondando sul materasso. Ana alza le mani, le sue dita tornano tra i miei capelli. Le mie labbra scivolano via dalle sue per incontrare la pelle calda del suo collo, del suo petto e, infine, i suoi capezzoli turgidi. Ne afferro uno con i denti, mordicchiandolo piano e poi tirando forte. Ana lancia un grido di piacere, fremendo tutta. Il mio cazzo si tende maledettamente contro la stoffa dei miei jeans. «Sì piccola, fatti sentire» mormoro contro il suo seno, caldo e invitante. Torno a tormentare piano il suo capezzolo, mentre sotto di me Anastasia si contorce, geme, implora. É fantastica. Le mie mani scivolano lungo il suo busto, adorando ogni millimetro della sua pelle. Lentamente scivolo sulla pancia, sul ventre, raggiungendo i suoi jeans. Li sbottono velocemente, tirando giù la zip e infilando la mano sotto le sue mutandine. Ansimo di piacere a scoprirla già bagnata e pronta per me. La accarezzo piano, gustandomi i brividi di piacere della sua pelle. Poi, lentamente, la penetro con due dita. Ana solleva di poco il bacino, venendomi incontro. Il palmo della mia mano sfrega contro il suo clitoride mentre lei chiude gli occhi e apre la bocca senza fiato. «Oh, piccola» sospiro di piacere, fissandola quando riapre gli occhi. «Sei così bagnata» La mia voce è bassa, colma di desiderio e frustrazione repressa. Ho bisogno di stare bene. Con lei. «Ti voglio» mi sussurra, senza distogliere i suoi occhi dai miei. Di colpo mi abbasso su di lei, impadronendomi delle sue favolose labbra, ancora gonfie per il bacio di prima. La mia è fame, bisogno, disperazione. Ana mi stringe ancora di più, come se capisse perfettamente come mi sento senza di lei. Spalanca gli occhi, fissandomi mentre mi allontano per tirarla di nuovo su con me. Le sfilo velocemente i jeans e le mutandine. Infilo una mano in tasca, prendendo uno dei preservativi che vi ho messo prima. Lo lancio ad Anastasia, che lo apre con impazienza, chinandosi su di me per srotolarlo sulla mia erezione impaziente. “Cristo. Cristo, cristo, cristo!”. Il suo tocco mi eccita a dismisura. Rischio di venire ora, solo per questo. La fermo, afferrandole entrambe le mani. «Tu. Sopra» le ordino, rotolando sul letto e mettendola a cavalcioni su di me. «Voglio vederti» Ana si lascia guidare, mettendosi comoda su di me. Il suo sesso sfiora la mia erezione. Chiudo gli occhi, sollevandomi verso di lei. E sono dentro. La penetro a fondo. E la sensazione è meravigliosa, fantastica. Mi sento avvolgere nel suo calore, in quel piccolo paradiso bagnato. Apro la bocca, ma non riesco ad emettere suono. Le afferro le mani per aiutarla a muoversi, per guidarla. I suoi occhi cadono sul mio petto, dove brilla l’intensa linea rossa. “No, Ana. So che non mi toccheresti. Non dopo questo”. «Sto così bene con te» le mormoro per rassicurarla. La sua espressione è così diversa da appena sei giorni fa. É fiera, come se finalmente si sentisse a proprio agio con il suo corpo, con me. Con tutto questo. Le lascio le mani e le afferro i fianchi, spingendola più a fondo sul mio cazzo che pulsa forte. Sento le pareti del suo sesso stringere forte e serrarmi in una deliziosa morsa. Affondo di nuovo e lei urla di piacere. Un urlo che si smorza in un gemito roco, che accende ancora di più il bisogno di farla mia. «Va bene, piccola, sentimi» le dico, temendo di non riuscire a trattenermi ancora a lungo. Affondo ripetutamente dentro di lei, mentre Ana reclina il capo, lasciando i capelli ricaderle meravigliosamente sulla schiena. La visione dei suoi seni, dalla mia posizione, è da togliere il fiato. Lei è da togliere il fiato. É una visione eterea. Abbassa gli occhi su di me, mentre il suo respiro si fa incerto, ansima più veloce. «Sei mia, Ana» le mormoro appena. E non sono sicuro di averlo detto per lei o per autoconvincermi. «Sì» ansima a fatica. «Per sempre» sussurra persa nell’estasi. Gemo, al limite, chiudendo gli occhi e reclinando la testa all’indietro. Non mi era mai capitato di sentirmi così esposto. E allo stesso tempo così a mio agio. I nostri corpi si scontrano sempre nello stesso punto, sempre più forte. Stringo i denti, non volendo lasciarla indietro. “Ti voglio con me, Ana. Sempre. Tutti i giorni della mia vita”. E in quel momento, il suo grido squarcia l’aria intorno a noi, penetra nella mia anima tormentata e mi riporta con sé, nella sua luce calda. La sento stringersi attorno al mio membro eretto come mai prima d’ora. E poi crolla all’improvviso, esausta. Con un’ultima poderosa spinta, mi lascio andare, smettendo di trattenermi. «Oh, piccola» le sussurro, mentre vengo, copiosamente, tenendola stretta a me per non farla andare via. Ansima, con la fronte appoggiata sul mio petto. E io faccio lo stesso, allentando di poco la presa su di lei. La sento trattenere il fiato quando, con un’occhiata, si rende conto di essere all’interno della linea rossa. Ma non mi importa. Ora voglio che stia qui. Esattamente dov’è. Le accarezzo piano i capelli, facendo scorrere una mano dietro alla sua bellissima schiena. Restiamo così fino a quando i nostri respiri si calmano. «Sei bellissima» le mormoro, baciandole i capelli. Solleva di poco la testa, lanciandomi un’occhiata scettica. Aggrotto la fronte, tirandomi su a sedere e portandola con me. La abbraccio, tenendola ferma sul mio grembo, mentre lei si aggrappa alle mie braccia. La fisso dritto negli occhi. «Tu. Sei. Bellissima» le dico, scandendo piano ogni parola. Sul suo meraviglioso viso si allarga un piccolo sorriso. «E tu sei sorprendentemente dolce, a volte» mormora, poggiando un bacio delicato sulle mie labbra. Senza staccarmi da lei, la sollevo dolcemente, uscendo dal suo corpo. Sussulta, ansimando sulla mia bocca. «Non hai idea di quanto sei attraente, vero?» le dico, senza smettere di fissarla. “Dio, Ana. Come fai a non rendertene conto?”. Arrossisce violentemente, abbassando lo sguardo. «Tutti quei ragazzi che ti vengono dietro. Non è un indizio abbastanza chiaro?» le dico, corrugando la fronte. «Ragazzi? Quali ragazzi?» chiede sorpresa. «Vuoi l’elenco?» le dico, tormentato dal tarlo della gelosia. «Il fotografo è pazzo di te, quel ragazzo al negozio di ferramenta, il fratello maggiore della tua coinquilina, il tuo capo» mormoro, rendendomi conto che chiunque potrebbe portarmela via. Se solo lei sapesse quello che sono veramente. Se solo mi conoscesse a fondo, non si farebbe scrupoli. Mi abbandonerebbe. Ma io posso essere migliore di questo. Lo so. Per lei, posso. «Oh, Christian, non è vero» risponde con un sorriso. «Fidati. Ti vogliono. Vogliono ciò che è mio» le dico in un impeto di gelosia. La tiro verso di me, facendo aderire i nostri corpi. Lei alza le braccia, passandomele intorno al collo, per poi far scivolare le dita tra i miei capelli. Mi sorride, divertita. «Sei mia» le ripeto, serio e determinato. «Sì, tua» mi rassicura, placando per qualche istante la morsa del mostriciattolo verde nel mio stomaco. Non mi ero mai sentito così prima di lei. Mai. Mai così preso da una persona, così possessivo, così determinato a condividere la mia vita e tutto quello che sono con un altro essere umano. Non ho mai pensato seriamente al mio futuro. Ma ora, mi ritrovo costantemente a pensare a come sarebbe potermi svegliare tutti i santi giorni della mia vita accanto a lei. E lo voglio. Voglio tutto questo con lei. Con Anastasia. «La linea è ancora intatta» mi distrae lei, seguendo con l’indice il filo del rossetto lungo la mia spalla. Mi irrigidisco, pur sapendo che non andrebbe mai oltre i confini. «Voglio andare in esplorazione» sussurra, tornando a guardarmi. La fisso, senza capire. «Nell’appartamento?» chiedo scettico. “No, perché io avrei in mente un altro paio di cose prima di alzarmi da qui... ”. «No, stavo pensando a questa mappa del tesoro che ho disegnato su di te» mi dice, trascinando le dita avanti e indietro sulla mia pelle. Alzo un sopracciglio. Per tutta risposta, Anastasia sfrega il suo naso contro il mio, delicatamente, stuzzicandomi. «E questo cosa implica esattamente, Miss Steele?» le chiedo. Le sue dita scendono dai capelli al mio volto. «Voglio solo toccarti ovunque mi sia permesso» mi dice, mentre il suo indice mi sfiora la guancia. Le afferro piano il dito, portandolo alle labbra e mordicchiandolo piano. In realtà sto solo cercando di mascherare la tensione. «Ahi» protesta mentre sogghigno, lasciandola andare con un ghigno. Poi sospiro a fondo, fissandola. «Okay» le dico, senza smettere di essere preoccupato. «Aspetta» la fermo poi. Mi piego leggermente in avanti, sollevandola e mi sfilo il preservativo, prima di buttarlo sul pavimento. «Odio questi aggeggi. Ho intenzione di chiamare la dottoressa Greene perché ti dia un’occhiata» le dico, stiracchiando un po’ la schiena e rimettendola al suo posto su di me. «Credi che il miglior ginecologo di Seattle verrà di corsa?» mi dice scettica. «So essere molto persuasivo» mormoro, spostandole una ciocca di capelli dietro l’orecchio. ‘L’ultima volta hai sborsato 15mila dollari di persuasione, Grey’. «Franco ha fatto un ottimo lavoro con i tuoi capelli. Mi piace come te li ha scalati» le dico, cercando di distrarla dal suo obiettivo. Sono troppo nervoso. «Smettila di cambiare argomento» borbotta, mentre piego le ginocchia e la spingo indietro di poco, mettendo una leggera distanza. Si apre deliziosamente per me, svelandomi un fantastico scorcio del suo sesso ancora bagnato, e poggia i piedi al lato delle mie gambe. Mi appoggio sui gomiti, acuendo la distanza tra di noi. Sono nervoso, agitato. «Un rapido tocco» la avverto piano. Non smette di fissarmi mentre si china su di me, passando le dita sulla linea rossa che mi attraversa il corpo. Un brivido mi percorre. É paura. Ed è anche desiderio. La sensazione è strana sulla mia pelle, e mi fa sussultare. Lei si ferma, ma la verità è che sono innegabilmente eccitato ed agitato al tempo stesso. «Non devo» sussurra piano, ritraendo le dita. «No, va benissimo. Solo accetta qualche... messa a punto da parte mia. Nessuno mi tocca da tanto tempo» mormoro sommessamente. «Mrs Robinson?» chiede aggrottando la fronte. Annuisco, sentendomi improvvisamente a disagio. “Non come pensi tu, Ana. Elena mi ha toccato, sì. Ma nessuno si è mai spinto fin dove sei arrivata tu. Tu mi hai toccato il cuore”. La guardo e sembra arrabbiata. Mi chiedo come mai prova così tanto rancore nei confronti di Elena. «Non voglio parlare di lei. Guasterebbe il tuo umore» aggiungo in fretta, tentando di scrutare i suoi occhi, che tiene abbassati. «Posso gestirlo» mormora decisa. «No, non puoi, Ana. Vedi rosso ogni volta che la nomino. Il mio passato è il mio passato. È un fatto. Non posso cambiarlo. Sono fortunato che tu non ne abbia uno, perché impazzirei se l’avessi» le dico, accarezzandole il viso con due dita. Mi fissa con la fronte corrugata. «Impazziresti? Più di quanto tu sia già?» mi dice poi, sorridendo. Trattengo un sorriso anch’io. «Sono pazzo di te» sussurro piano. «Devo chiamare il dottor Flynn?» mi dice, di nuovo gioiosa. «Non credo che sarà necessario» ribatto seccamente. Mi appoggio indietro, con un leggero sospiro, e distendo le gambe. Ana si sporge in avanti, poggiando le sue morbide dita. Mi irrigidisco, mentre il suo tocco mi sconvolge l’anima. Sono spaventato. Ma al tempo stesso, voglio di più. «Mi piace toccarti» Le sue dita fanno un percorso tortuoso lungo la mia pelle, scivolando sempre più giù. Sfiorano il mio ombelico e poi il mio basso ventre. Schiudo le labbra, nuovamente eccitato. Non riesco a trattenere un gemito di piacere. Le sue dita scendono ancora, accarezzando la mia erezione. «Ancora?» mormora maliziosa. Le faccio un ampio sorriso. «Oh, sì, Miss Steele, ancora» Mi sporgo in avanti, baciandola a fondo. Le sue labbra si scostano quasi subito e seguono il filo del rossetto sulla mia spalla. Poi scendono, sui miei bicipiti. «Piccola...» riesco a mormorare, prima che la sua bocca si schiuda sul mio addome, dove poco prima erano scese le sue dita. Gemo, socchiudendo gli occhi, sopraffatto, ma senza volermi perdere quel delizioso spettacolo. Mi bacia appena sopra la mia erezione. E poi scende sulla mia cappella. Il mio cazzo freme contro le sue labbra. «Anastasia, fermati» Le mie parole sono smorzate dal suo gemito che si riverbera contro il mio uccello meravigliosamente teso. “Cristo santo.” Mi avvolge il membro con le labbra, mentre la sua lingua turbina in un modo così sensuale. Resto poggiato su un gomito, mentre l’altra mano raggiunge i suoi capelli, accarezzandola piano. Vorrei fermarla, vorrei dirle che ho bisogno di essere di nuovo dentro di lei. Ma è così bello quello che mi sta facendo. La sua testa va su e giù sul mio membro eccitato. I suoi mugolii di piacere contro la mia pelle mi stimolano e mi portano sull’orlo dell’orgasmo. Cerco di resistere il più possibile. «Ana... Ana, fermati» mormoro a denti stretti. Si alza di malavoglia, guardandomi spaesata. Prima che possa replicare, la stendo sul letto e sono su di lei. Infilo le dita tra di noi, raggiungendo il suo clitoride e stimolandola. Geme languidamente sotto di me. Mi sollevo, inginocchiandomi tra le sue ginocchia. Con gli occhi fissi nei suoi mi sfilo in fretta i jeans e prendo il secondo preservativo in tasca. Strappo freneticamente la bustina e lo srotolo su di me. Ana ansima, fissandomi in trepida attesa. «Ti farò impazzire, Miss Steele. Così impari a provocarmi in quel modo» le sussurro, lasciando scorrere un dito sul suo sesso bagnato. Poi, di colpo, mi chino tra le sue gambe e la penetro a fondo. Inizio a scoparla al mio ritmo, con colpi secchi, decisi. Le sue dita si aggrappano alla trapunta sotto di noi. Il mio fiato è corto mentre ansimo contro il suo orecchio, scendendo verso il collo. La mia mano destra risale sul suo fianco, fino al seno. Le stringo forte un capezzolo, e Ana urla, stringendosi attorno a me e scoppiando in un orgasmo fragoroso. Spingo un’ultima volta dentro di lei, e la seguo, crollando ansimante sul suo corpo. Quando esco dal mio bagno mi sento rilassato e fresco come una rosa. É passata solo mezz’ora da quando sono uscito dal suo corpo, lasciandola bearsi in pace sotto la doccia, ma già mi manca. Mi sono rinfrescato, ma non ho lavato via il rossetto dalla mia pelle. Voglio dare ad entrambi la possibilità di continuare a vedere dove tutto questo ci porta. Vorrei non dover uscire da questo appartamento stasera, e restare a letto con lei. Mi vesto, infilando una camicia bianca e i pantaloni della tua. Su un ripiano, all’interno della mia cabina armadio, scorgo le sfere d’argento. “Hai con te quelle sfere d’argento?”. Ricordo la sua domanda di ieri sera. Bè... penso che potremmo usarle stasera. Magari per movimentare il ballo in maschera. Sorrido perfidamente, mentre le afferro. A catturare la mia attenzione, però, è anche un’altra cosa. Una piccola scatoletta di velluto rosso. Prendo anche quella, con un tuffo al cuore, ed esco. Salgo al piano superiore, sperando di trovarla nuda e bagnata. Ma quando spalanco la porta, lo spettacolo che mi trovo davanti è di gran lunga migliore. Il mio cuore manca un battito, poi riprende a pulsare alla velocità della luce. E pulsa anche qualcos’altro. Ana indossa nient’altro che un bustier nero, con il bordo argentato, che le stringe la sottile vita e le esalta il seno perfetto. Un paio di mutandine striminzite completano il quadro, insieme con lunghe calze di seta, color carne. É sexy da impazzire. La fisso, incapace di spiccicare parola. «Posso aiutarti, Mr Grey? Immagino che ci sia un motivo per la tua visita, a parte fissarmi inebetito» mi dice con finta superbia, girandosi ed entrando nella cabina armadio. «Mi piace abbastanza fissarti inebetito, grazie, Miss Steele» mormoro, facendo un passo in avanti, verso di lei. «Ricordami di mandare un biglietto di ringraziamento a Caroline Acton» Mi fissa per un attimo impietrita, con la fronte corrugata, come per chiedermi chi diavolo è Caroline Acton. «La personal shopper di Neiman» le spiego, senza smettere di guardarla da capo a piedi. «Oh» esclama. «Sono piuttosto distratto» le dico, tornando, con un sospiro profondo, a guardarla negli occhi. Cosa non facile. Anzi, davvero difficile in questo momento. «Lo vedo. Che cosa vuoi, Christian?» mi dice, tornando seria. Le faccio un sorrisetto sghembo. Tiro fuori le sfere d’argento dalla tasca dei pantaloni dove le avevo riposte qualche minuto fa. Sussulta, fissandole spaventata. La rassicuro subito. «Non è come pensi» le spiego. “Non voglio sculacciarti, Anastasia. O meglio, sì, mi piacerebbe. Ma non nel modo in cui pensi”. «Illuminami» mormora. «Pensavo che potresti mettertele stasera» le propongo piano. Spalanca gli occhi, senza dire nulla. Deglutisce mentre il suo sguardo passa da me alle sfere. Le lascio assorbire la notizia. «A questo evento?» risponde scioccata quando finalmente realizza. Annuisco lentamente, mentre nella mia testa immagini di come vorrei scoparla per bene, di nuovo, sempre, si affollano. «Dopo mi sculaccerai?» chiede con un filo di voce. «No» le rispondo, ma la sua reazione mi stupisce. Non c’è sollievo, anzi. Sembra quasi dispiaciuta del mio rifiuto. Mi sento nuovamente pronto a prenderla, ma non abbiamo abbastanza tempo ora. Rido piano. «Vorresti che lo facessi?» le chiedo. Deglutisce di nuovo, incerta. Ma rimane in silenzio. «Bè, stai sicura che io non ti toccherò in quel modo, neppure se mi preghi» le dico, guardandola negli occhi. É sorpresa, ma prima che posa replicare e tentarmi, la incalzo. «Vuoi giocare a questo gioco?» continuo, tenendo le sfere sul palmo della mia mano. «Le puoi sempre togliere, se ti sembra troppo» aggiungo, con voce roca. Il pensiero di lei e delle sfere d’argento e di tutte le implicazioni possibili, mi sta esaltando abbastanza. Le lancio un sorrisetto lascivo, dandole un’altra considerevole occhiata. «Okay» acconsente piano, respirando a fatica. «Brava ragazza» le dico con un sorriso. «Vieni qui, te le infilo dentro, dopo che ti sei messa le scarpe» aggiungo con la voce carica di desiderio. L’idea di vederla con addosso solo la lingerie e i tacchi è quanto di più erotico riesca a concepire la mia mente. “Cristo santo, quanto ti voglio Ana Steele”. Si volta, guardando il paio di decolleté grigie dietro di lei. Le porgo la mano, aiutandola a salirci sopra. Quando le ha indossate entrambe, la conduco verso il letto. Poi mi giro e torno a prendere la sedia accanto al muro. Trascinandola di fronte a lei. «Al mio cenno, ti pieghi e ti tieni alla sedia. Capito?» le ordino piano, ardendo di desiderio al solo pensiero di vederla in quella posizione. «Sì» risponde piano. «Bene. Ora apri la bocca» le ordino, tenendo il tono di voce volutamente basso. Il ricordo di quello che è successo poco prima sul letto ancora disfatto per metà, mi accende di desiderio. Le infilo l’indice in bocca, mentre Ana spalanca gli occhi per la sorpresa. «Succhia» le dico. Senza proferire verbo, si aggrappa alla mia mano, tenendola ferma e inizia a succhiarmi il dito. Geme, assaporando più forte. Mi eccito ancora di più, desiderandola in ginocchio, nuovamente ad accogliere il mio enorme cazzo nella sua piccola bocca. Inspiro profondamente, mentre noto le sue gambe stringersi di poco. Infilo in bocca le sfere d’argento, lubrificandole e riscaldandole. Anastasia si sbizzarrisce con il mio dito, succhiandolo proprio come se fosse il mio uccello. Va su e giù con la testa, aumentando il ritmo della suzione. Potrei venire solo per questo. E infatti... “Merda. Devo fermarla”. Provo a sfilare il dito, ma lei lo afferra con i denti, mordicchiandomi piano. Sorrido, scuotendo la testa. Mi lascia andare, mettendo un delizioso broncio. Le faccio un cenno e subito si piega in avanti, reggendosi alla sedia. Le mie dita si poggiano sulle sue mutandine, scostandole piano. Le accarezzo il sesso lentamente, scoprendola nuovamente bagnata. Infilo un dito dentro di lei, disegnando cerchi lenti, stuzzicandola. La sento gemere sommessamente, mentre inarca la schiena. Sfilo piano il dito, e inserisco le sfere, una per volta, spingendole dentro a fondo. Poi, sempre con cautela, le rimetto a posto le mutandine. Mi abbasso, depositandole un piccolo bacio sul sedere morbido. Lascio le mani scorrere sulle sue gambe, dalle caviglie sino alle cosce. Le bacio piano entrambe, appena sopra al bordo delle autoreggenti. «Hai delle gambe bellissime, Miss Steele» le sussurro piano. La afferro bruscamente all’improvviso, per i fianchi, tirandola contro la mia erezione tesa in tutto il suo splendore. Ana si lascia sfuggire un gemito roco. «Magari ti prenderò in questo modo, quando torneremo a casa, Anastasia. Ora puoi rialzarti» le sussurro all’orecchio, dominandola. ‘Le vecchie abitudini, Grey, sono dure a morire. E in questo momento non sono l’unica cosa dura... ’. Mi chino per baciarle una spalla. Prendendomi un attimo per respirare il suo profumo sensuale. Infilo la mano in tasca ed estraggo la scatolina. «Ti avevo comprato questi da indossare al galà di sabato scorso» le dico, passandole il braccio intorno al collo e aprendo la mano. «Ma poi mi hai lasciato, così non ho avuto l’opportunità di darteli» le sussurro all’orecchio. «Questa è la mia seconda chance» aggiungo, mormorando appena le mie parole, nervoso, quasi come se temessi un suo rifiuto. Ana esita prima di aprire la scatola. Lo fa con dita tremanti, scoprendo lo scintillante paio di orecchini di diamanti. Il silenzio sembra durare un’eternità. «Sono bellissimi» sussurra adorante. «Grazie» mi dice felice. Mi rilasso contro di lei, lasciando scorrere via da me la tensione. Le deposito un altro bacio sulla spalla. Guardo il suo seno, orlato da una bordatura argentata. Ricordo gli abiti che ho approvato per lei. Credo di sapere cosa indosserà staserà. E so che sarà fantastica. «Indosserai il vestito di raso argento?» le chiedo, strofinando il naso contro il suo orecchio, mentre la stringo contro il mio corpo. «Sì. Va bene?» chiede esitante. «Certo. Ti lascio preparare» le dico a malincuore. Mi allontano ed esco dalla camera in silenzio, senza girarmi. Ho paura che non riuscirei proprio a resistere ad un’altra occhiata a Miss Anastasia-Sexy-e-SeminudaSteele. Mi aggiusto il papillon allo specchio, prima di prendere i due sacchetti con le nostre maschere. Infilo il mio nella tasca interna della giacca. Mentre porto il suo di là, dopo aver preso una manciata di preservativi dal cassetto del comodino. Non li conto neppure. Dopo lo spettacolino che ho visto poco fa di sopra sono sicuro che li useremo tutti. Ma proprio tutti. Taylor mi aspetta all’ingresso con gli uomini della sicurezza. Riconosco la sentinella che ci ha seguiti stamattina. Sawyer se non erro. Poggio il sacchetto con la maschera sul bancone della cucina e mi accordo con i ragazzi per la sicurezza di questa sera. Mi assicuro che abbiano capito bene che non devono perdere di vista Anastasia per nessun motivo. Ad un tratto noto un moto di confusione e distrazione nei tre uomini che mi stanno di fronte. Mi giro di scatto, cercando di capire cosa succede. Wow. Di fronte a me c’è una vera e propria dea. Il flessuoso corpo di Anastasia è avvolto in un morbido abito di raso, senza spalline. Il poco trucco che ha esalta i suoi lineamenti delicati, incorniciati dai suoi capelli ondulati. La fisso intensamente, con il fiato trattenuto. Mi avvicino a lei, baciandola sui capelli, adorante. «Anastasia, sei strepitosa» le mormoro, mentre lei arrossisce piano, guardando Taylor e gli uomini della sicurezza. «Un po’ di champagne prima di andare?» le chiedo, desideroso di stare da solo con lei, di prenderci un momento tutto per noi prima di darci in pasto alla folla. «Grazie» mormora frettolosamente. Faccio un cenno con la testa a Taylor, che si affretta ad uscire con gli altri ragazzi. Mi avvicino al frigo e tiro fuori una bottiglia di champagne. «La squadra della sicurezza?» mi chiede, guardandoli allontanarsi. «Guardie del corpo. Sono sotto il controllo di Taylor. È addestrato anche per questo» le dico, stappando la bottiglia e riempiendole un flûte di champagne, sorridendo. «È molto versatile» commenta con un sorriso ironico. «Sì, lo è» le dico con un sorriso. «Sei adorabile, Anastasia. Salute» le dico, alzando il bicchiere a facendolo tintinnare con il suo. La fisso per un po’, scrutando le sue guance arrossate. E non per il trucco. «Come ti senti?» le chiedo, con la voce piena di desiderio. «Bene, grazie» risponde dolcemente. Mi lascio sfuggire un ghigno sarcastico. «Ecco, avrai bisogno di questo» le dico, passandole il sacchetto di velluto che avevo poggiato lì accanto. «Aprilo» le dico, mentre torno a dedicarmi al mio champagne. Mi guarda con aria curiosa, mettendo di lato il suo bicchiere e aprendo il sacchetto. Tira fuori la maschera argentata, ornata con grandi piume color cobalto. La fissa con la fronte corrucciata. «È un ballo in maschera» le spiego semplicemente. «Capisco» mi dice, passando le dita sul nastro d’argento intrecciato lungo i bordi. «Farà risaltare i tuoi bellissimi occhi, Anastasia» le dico, senza riuscire a smettere di fissarla. Mi rivolge un piccolo sorriso timido, adorabile come lei. «Ne indosserai una anche tu?» mi chiede. «Certo. Sono liberatorie, in un certo senso» aggiungo, sorridendole misteriosamente. La guardo e la sua espressione felice mi appaga. Vorrei renderla ancora più felice. E mi viene in mente che posso mostrarle una cosa. «Vieni. Voglio farti vedere una cosa» le dico, afferrandola per una mano e conducendola delicatamente lungo il corridoio. Arriviamo accanto alle scale, ma invece di salire apro la porta della biblioteca. Fremo per un attimo, pensando che la stanza che corrisponde esattamente a questa, al piano superiore, è la mia stanza dei giochi. Sorrido tra me e me. É come se lo avessi sempre saputo. La stanza qui sotto fa felice lei. Quella di sopra fa felice me. O almeno lo ha fatto in tutti questi anni. O meglio, credevo lo avesse fatto. Gli occhi di Ana brillano di meraviglia, mentre scorrono i libri della biblioteca, ammirano la lampada al centro e il tavolo da biliardo che uso di rado, solo con Elliot in verità. «Hai una biblioteca!» esclama entusiasta. «Sì, la “stanza pallosa”, come la chiama Elliot. L’appartamento è molto grande. Oggi mi è venuto in mente, quando hai parlato di andare in esplorazione, che non te l’ho mai mostrato tutto. Non abbiamo tempo adesso, ma ho pensato di farti vedere questa stanza, e magari di sfidarti a una partita a biliardo, in un futuro non troppo lontano» le annuncio. Ma nella mia mente su quel tavolo di certo non stiamo giocando. Non nel modo in cui crede lei, almeno. «Fatti sotto» mi sfida, un po’ troppo sicura di sé. «Cosa?» le chiedo divertito dalla sua audacia. «Niente» mi liquida, abbassando lo sguardo. “Cosa mi nascondi, Miss Steele?”. «Bè, forse il dottor Flynn saprà svelare il tuo segreto. Lo incontreremo stasera» le dico con un sorriso. Vorrei davvero che Flynn la conoscesse. Sarebbe fiero di me. ‘Ti serve l’approvazione di Flynn, Grey?’. No. Certo che no. Ma John mi direbbe se devo lasciarla in pace. Non mi fido troppo del mio istinto. Ho paura di farle del male. Ed è per questo che prima di cambiarmi gli ho inviato un messaggio chiedendogli di conoscere Ana stasera. «Il ciarlatano costoso?» mi chiede, non riuscendo a nascondere un certo nervosismo. «Lui in persona. Muore dalla voglia di conoscerti» le dico, sorridendole e prendendole una mano nella mia. «Andiamo» le sussurro, portandola fuori dalla biblioteca e scendendo in garage, dove Taylor ci aspetta accanto al SUV. Entriamo e tra di noi cala il silenzio, ognuno immerso nei propri pensieri. Ad un tratto le prendo la mano, accarezzandola dolcemente. I suoi occhi si socchiudono e il respiro si accelera. Sorrido piano, mentre lei guarda nervosamente Taylor e Sawyer. Poi me. La stoffa del suo vestito fa un leggero fruscio e so che ha stretto le gambe, probabilmente sopraffatta dal piacere che le danno le sfere d’argento. La guardo perdersi nei suoi pensieri per un po’. Poi spalanca gli occhi e si gira di scatto verso di me. «Dove hai preso il rossetto?» mi chiede piano. Faccio un sogghigno, indicando con l’indice teso Taylor davanti a me. «Taylor» le mormoro, muovendo appena le labbra. Ana scoppia a ridere di gusto, per poi fermarsi all’improvviso, col fiato corto. «Oh» esclama subito. La guardo mentre si morde il labbro. Le sorrido maliziosamente. «Rilassati» le sussurro piano, all’orecchio, mordicchiandole il lobo. «Se diventa troppo...» mormoro, senza finire la frase, baciandole le nocche delle mani, Passo dalla sinistra alla destra. poi torno indietro e le succhio la punta del mignolo. Anastasia chiude gli occhi, poggiando la testa allo schienale dietro di lei. Quando li riapre mi trova lì, a scrutare il suo desiderio. Mi guarda, con uno sguardo di palese apprezzamento. Poi mi sorride in una maniera splendida. Le sorrido di rimando, felice e appagato. «Quindi cosa dobbiamo aspettarci da questo evento?» mi chiede, schiarendosi la gola. «Oh, le solite cose» le rispondo con disinvoltura. «Non solite per me» mi rammenta. Mi giro a guardarla con affetto. E le bacio di nuovo la mano. Averla vista senza il vestito, prima, mi rende difficile starle lontano. «Un sacco di gente che fa sfoggio del proprio denaro. Asta, lotteria, cena, ballo... Mia madre sa come si dà un party» le annuncio, sospirando, con finta disapprovazione. Quando arriviamo una fila di auto si allunga sul vialetto fuori casa, illuminate da una moltitudine di lanterne cinesi. L’atmosfera è quasi magica. Ma forse a renderla tale è solo la sua presenza accanto a me. Mi giro e la osservo guardare incantata quella moltitudine di luci. Prendo la maschera dalla tasca. «Mettiti la maschera» le dico con un sorriso, mentre indosso la mia, semplice e nera. Ana mi osserva a bocca aperta per qualche attimo, mentre Taylor accosta all’ingresso. Poi infila la sua maschera. «Pronta?» le chiedo con un sorriso divertito. «Come sempre» mi provoca lei. La fisso dalla testa ai piedi. Vorrei prenderla qui, ora. E senza pietà. Ma abbiamo un impegno da rispettare. «Sei bellissima, Anastasia» le sussurro, baciandole la mano. Le nostre portiere si aprono contemporaneamente, grazie a Taylor e Sawyer. Esco dall’auto, affondando i piedi sul morbido tappeto verde scuro disteso sul prato. Faccio il giro dell’auto e mi ritrovo accanto a lei. Le passo un braccio attorno alla vita, mentre avanziamo insieme verso l’interno. Ad un tratto mi sento chiamare. É uno dei fotografi dell’evento, che mi invita a posare davanti al pergolato d’edera. Annuisco, mettendomi in posa e attirando Ana ancora più vicina. «Due fotografi?» mi chiede avvicinandosi all’orecchio. «Uno è del “Seattle Times” e l’altro è per le foto ricordo. Potremo comprarne una copia dopo» le dico sorridendo. Per tutta risposta abbassa lo sguardo, mentre entriamo. La guardo e so che il pensiero, come il mio, è corso all’ultima foto che abbiamo fatto insieme. Credo sia con quella che Leila l’abbia trovata l’altra sera. Ma ora ci sono io a proteggerla. Afferro due calici di champagne dal vassoio di un cameriere, offrendogliene uno. Aiuterà entrambi a rilassarsi. Ci avviciniamo all’enorme tendone che ospiterà il ricevimento. Ana osserva tutto con meraviglia. Dai cigni all’ingresso all’orchestra che inizia a prendere posto. «Quante persone verranno?» mi chiede, guardando l’ampiezza del tendone che accoglierà la cena. «Circa trecento, credo. Devi chiederlo a mia madre» le dico sorridendole. «Christian!» La voce di Mia è udibile perfettamente al di sopra del brusio di sottofondo. Mi giro appena in tempo per vederla nel suo abito lungo di chiffon di un pallido rosa. Il viso è coperto da una maschera veneziana molto elaborata. É bellissima, come sempre. Ed esuberante. Come sempre. Mi abbraccia, ma la sua attenzione è rivolta immediatamente ad Anastasia. «Ana! Oh, cara, sei meravigliosa!» le dice, abbracciandola rapidamente, cogliendola di sorpresa. «Devi venire a conoscere le mie amiche. Nessuna di loro crede che Christian abbia finalmente una fidanzata» squittisce divertita. Ana mi lancia uno sguardo pieno di panico. la guardo con divertita rassegnazione, mentre lascio che Mia la trascini via. «Christian» Mi giro per trovarmi di fronte Flynn, vestito impeccabilmente. Riconosco il suo sorriso rassicurante nonostante la maschera. «John» lo saluto cordialmente. «É lei» chiede divertito, guardando Anastasia. La fisso anch’io per qualche attimo. «Sì» sussurro orgoglioso di lei, alla fine. «Più tardi te la farò conoscere» gli dico con un ampio sorriso, prima di scusarmi e andare a recuperarla. Mi avvicino al gruppetto delle amiche di Mia, tra le quali ho riconosciuto Lily, una piccola serpe vendicativa. «Signore, se volete scusarmi, vorrei riavere indietro la mia compagna» le dico, lasciando un braccio scivolare attorno alla sua vita sottile, fasciata dal raso argentato. Sorrido, lasciando le ragazze confuse. Il solito effetto. Mia fissa Anastasia e poi alza gli occhi al cielo, divertita, mentre anche Ana ridacchia. «È stato un piacere conoscervi» la sento congedarsi, mentre la trascino via. «Grazie» mormora poi, avvicinandosi al mio viso quando ci allontaniamo. «Ho visto che c’era Lily con Mia. persona sgradevole» le dico semplicemente. È una «Tu le piaci» borbotta. Istintivamente rabbrividisco. «Bè, il sentimento non è reciproco. Vieni, ti presento alcune persone» le dico deciso. Per un po’ ci perdiamo in presentazioni varie, tra personaggi dell’alta società, qualche attore e via dicendo. L’élite di Seattle è tutta qui stasera. Stringo Ana accanto a me, possessivamente, senza perderla di vista nemmeno per un secondo. Un po’ perché voglio tenerla al sicuro. É un po’ perché sono un fottuto bastardo che intende lanciare un chiaro messaggio: lei è mia e non intendo dividerla con nessun altro. L’agitazione di Ana cresce secondo dopo secondo. Lo noto da i bicchieri di champagne che continua a bere. É già arrivata al quarto, mentre parliamo con Mr Eccles, amministratore delegato di un’importante società con sedi sparse in tutto il mondo. «E così lei lavora alla SIP?» le chiede Eccles al di là della sua maschera da orso. «Ho sentito voci di un’acquisizione ostile» La vedo arrossire furiosamente, mascherarlo bevendo champagne. cercando di «Sono una semplice assistente, Mr Eccles. Non sono al corrente di queste cose» Sorrido gentilmente ad Eccles e, fortunatamente, veniamo interrotti dal maestro di cerimonie, vestito da Arlecchino. «Prego, accomodatevi. La cena è servita» Afferro la mano di Anastasia, e insieme a lei mi avvio verso il tendone. Mi fermo a consultare la disposizione dei tavoli, mentre Anastasia guarda a bocca aperta ogni dettaglio della enorme sala da ballo. Poi la conduco verso il tavolo centrale, da mia madre, vestita con un meraviglioso abito verde luccicante, accanto a Mia. Entrambe sorridono radiose. «Ana, che piacere vederti di nuovo! Sei bellissima!» le dice mia madre con un gran sorriso felice. «Mamma» la saluto, baciandola compassato. «Oh, Christian, così formale!» mi rimprovera mia madre, scherzosamente. Qualche attimo dopo ci raggiungono al tavolo i miei nonni materni. Mi salutano con esuberanza, com’è nel loro stile. «Nonna, nonno, posso presentarvi Anastasia Steele?» chiedo con un gran sorriso. Mia nonna mi guarda con uno sguardo luminoso. Poi dirige la sua attenzione su Anastasia. «Oh, finalmente ha trovato qualcuno... che meraviglia, e così carina! Speriamo che tu faccia di lui un uomo onesto» le dice con enfasi, stringendole forte la mano. «Mamma, non mettere in imbarazzo Ana» dice mia madre, venendo in aiuto della mia povera fidanzata, imbarazzata fino al midollo. «Ignora questa vecchia sciocca e brontolona, mia cara» ribatte mio nonno, con un sorriso caloroso. Il nonno le stringe la mano, più formale, ma con eguale calore. «Siccome è così anziana, pensa di avere il sacrosanto diritto di dire qualsiasi sciocchezza le passi per quella sua testa matta» le sussurra lui con fare cospiratorio. Mia, nel frattempo, si fa avanti, seguita da un ragazzo alto, col volto coperto da una maschera anonima. «Ana, questo è il mio fidanzato, Sean» dice, all’improvviso timida, suppongo sia per la mia presenza. Sean rivolge un sorriso malizioso ad Ana e, se possibile, lo odio ancora più di quando Mia mi ha avvertito della sua presenza, qualche giorno fa, con un sms. «Piacere arrossendo. di conoscerti, Sean» sussurra Ana, Poi è il mio turno di stringergli la mano. Lo guardo severamente, minacciandolo con lo sguardo. Con la coda dell’occhio colgo Anastasia lanciare un sorriso di solidarietà a Mia. Quando tutti hanno preso posto finalmente si sente anche la voce di mio padre, sul palco accanto al maestro di cerimonie, con indosso una maschera dorata di Pulcinella. «Benvenuti, signore e signori, al nostro annuale ballo di beneficenza. Spero che gradirete quello che vi abbiamo preparato stasera e che frugherete a fondo nelle vostre tasche per dare supporto al fantastico lavoro che la nostra squadra porta avanti con Affrontiamolo Insieme. Come sapete, è una causa che sta molto a cuore a mia moglie e a me» Fisso impassibile il palco. le parole di mio padre mi colpiscono come sempre. Ma a colpirmi di più, quando mi volto al mio fianco, sono gli occhi azzurri spalancati di Anastasia. Che mi fissano con ardore. Le sorrido rapidamente, prima di voltarmi di nuovo. Mi sento molto vulnerabile stasera. «Ora vi lascio nelle mani del nostro maestro di cerimonie. Prego, accomodatevi e divertitevi» conclude Carrick, lasciando il microfono tra gli applausi e scendendo per dirigersi al nostro tavolo. Quando arriva da noi si china su Anastasia, baciandole le guance. «Che bello rivederti, Ana» mormora con un sorriso. Poi passa a darmi una pacca affettuosa sulla spalla, prima di prendere posto accanto alla mamma. «Signore e signori, vi prego di nominare un capotavola» dice il maestro di cerimonie. «Oh, io, io!» ci distrae Mia, saltellando sulla sedia. «Al centro del tavolo troverete una busta» prosegue il maestro di cerimonie. «Ognuno dovrà trovare, elemosinare, farsi prestare o rubare una banconota del valore più alto possibile, scrivervi sopra il suo nome e metterlo nella busta. I capitavola, per cortesia, devono avere cura delle buste. Ne avremo bisogno più tardi» Anastasia abbassa lo sguardo, viola dall’imbarazzo. Sorrido, estraendo due banconote da cento dollari, porgendogliene uno. «Ecco» le dico con un sorriso. «Te li ridarò» sussurra lei, ancora imbarazzata. Stringo le labbra, senza commentare. “Quando capirai che tutto quello che ho è tuo?”. Dopo aver scritto il mio nome sulla banconota, le passo la stilografica. Ana scrive la sua firma svolazzante. Quel momento mi ricorda quella prima sera all’Escala, quando scrisse la stessa firma svolazzante sul nostro accordo di riservatezza. Mia fa girare la busta, raccogliendo entusiasta le banconote. Anastasia tenta di distrarsi, leggendo il menu della serata. Mentre, per un attimo, mi perdo a guardare il suo profilo incorniciato dal tramonto di Seattle che si intravede fuori. Mi giro, improvvisamente a disagio. Mi sento osservato, ma non riesco a scorgere nessuno in particolare. Veniamo serviti e Ana mangia con appetito. Sospetto sia a causa di tutto il movimento extra di oggi pomeriggio. «Fame?» le mormoro, ovviamente non riferendomi solo al cibo. Alza audacemente lo sguardo, fissandomi vogliosa. «Molta» sussurra. Il mio cazzo si tende immediatamente a quella ammissione. Inspiro a fondo, fissandola ardentemente. Mio nonno ruba la sua attenzione, mentre Mia eclissa tutti al tavolo. Lance, un amico di famiglia, cattura invece la mia di attenzione, mentre discorriamo dei nuovi dispositivi cellulari con tecnologia ricaricabile manualmente, con manutenzione minima. Dopo diverse presentazioni, sto ancora cercando di convincere Lance che sì, davvero voglio brevettare quel tipo di tecnologia e diffonderla in modo gratuito. Scorgo Mia sporgersi verso Anastasia e sussurrarle qualcosa, ma senza riuscire ad afferrare nulla se non lei che annuisce. Arrivati al dessert Anastasia si agita sulla sedia. So il perché. E questo mi eccita. Immagino come dev’essere meravigliosa lì sotto. Il pensiero mi rende agitato e impaziente. Il maestro di cerimonie raggiunge il nostro tavolo insieme a Gretchen, la nostra domestica, per l’estrazione della banconota fortunata. fingo di non riconoscerla, nonostante gli sguardi che sento addosso. A vincere è Sean, che sorride per il premio ricevuto, ovvero il cestino di leccornie avvolte nella seta. Appena entrambi si allontanano, Ana si scusa e fa per alzarsi. “Oh, no, Miss Steele. Voglio togliertele io quelle sfere. E riempirti in un altro modo”. Il solo pensiero mi fa venire una poderosa erezione che ora come ora non saprei come nascondere. Ma non mi importa. La fisso ardendo di desiderio. «Hai bisogno della toilette?» le sussurro con voce roca. Annuisce, stringendo i pugni per trattenere le sensazioni al di sotto della sua vita. «Te la mostro» le dico, alzandomi con lei, subito seguito da tutti gli uomini del tavolo. Non vedo l’ora di essere da solo con lei. Non vedo l’ora di lasciare scivolare le mie mani tra le sue gambe, infilando le dita nel suo sesso bagnato. Non vedo l’ora di liberare la mia erezione e... «No, Christian! Non andare tu con Ana. L’accompagno io» asserisce Mia ad alta voce, alzandosi in piedi e avvicinandosi ad Ana. Stringo forte la mascella, maledicendo me stesso perché le permetto di parlare anche quando non dovrebbe. Ana si stringe nelle spalle, mentre mi siedo di nuovo, rassegnato. Anzi, il termine adatto è frustrato. Giocherello con il tovagliolo nell’attesa di rivederla e, quando finalmente torna da me ha le guance arrossate e un’espressione frustrata. “So io come ti sentiresti meglio, Anastasia”. Le lancio un sorrisetto, facendola una muta promessa di piacere. Le stringo forte la mano, mentre mio padre sale di nuovo sul palco e io tento di concentrarmi su di lui, passandole la lista degli oggetti messi all’asta. La sbircio mentre scorre la lista e poi sbatte velocemente le palpebre. «Hai una proprietà ad Aspen?» sibila sottovoce, distraendomi. Per un attimo il ricordo di quante donne si sono dimostrate interessate solo a quello che possiedo, mi fa irritare. La fisso, annuendo bruscamente. Ma poi mi rilasso. Anastasia non è come loro. Metto il dito sulla bocca, per zittirla. «Hai altre proprietà in giro?» sussurra, e io la guardo con la testa piegata, a mo’ di avvertimento. So che si comporta così perché è sessualmente frustrata. Ma ad un’asta si sta in silenzio. Il nostro gioco di sguardi è interrotto dall’applauso per l’aggiudicazione del primo lotto sulla lista. «Te lo dico dopo» le mormoro chinandomi sul suo orecchio. Poi mi ammorbidisco. «Sarei voluto venire con te» le dico, mettendo un piccolo broncio. Ana si gira leggermente di lato, facendo la scontrosa. La vedo fissare la lista dei lotti e poi guardarsi intorno. La leggo anch’io. E all’improvviso capisco il reale motivo del suo malumore. Voglia di sesso a parte. É Elena. Ma lei, fortunatamente non c’è. Restiamo in silenzio, a seguire l’asta e applaudire, mentre i nostri desideri e le nostre voglie insoddisfatte ci logorano l’anima. É la volta del mio lotto, la settimana ad Aspen, che dopo appena due offerte raggiunge i ventimila dollari. Sto pensando a quella casa, a quanto mi piacerebbe portarci la donna della mia vita, che in questo preciso momento è seduta al mio fianco. Ma ad interrompere le mie fantasticherie è proprio la voce della donna della mia vita. «Ventiquattromila dollari!» urla nella sala. Sussulto, trattenendo il fiato. “No. Non l’ha fatto. Non è possibile che abbia appena offerto a me i soldi che io le ho regalato. É... è impossibile che abbia osato sfidarmi fino a questo punto”. Ci fissano tutti. La rabbia mi attraversa come una scossa. E sono sicuro che anche lei la percepisce. «Ventiquattromila dollari per la bella signorina con il vestito argentato. Ventiquattromila dollari e uno, ventiquattromila dollari e due... Aggiudicato!» urla il maestro di cerimonie. E in quel preciso istante ho una vaga nostalgia del vecchio Christian. Perché so che il posto dove vorrei metterla ora è proprio qui, sulle mie ginocchia, per sculacciarla per bene come merita e poi scoparla fino a farla impazzire di piacere e farle passare la voglia di fare l’impertinente con me. Capitolo 10 Anastasia rimane paralizzata, mentre tutti intorno a noi, me compreso, si lasciano andare ad un applauso fragoroso e stupito. “Quale donna pagherebbe 24mila dollari per passare una settimana in una proprietà del suo fidanzato?”. Anastasia, ovviamente. Come se avesse sentito i miei pensieri, alza lo sguardo su di me, temendo la mia reazione. Mi avvicino al suo viso, con un sorriso di cortesia, che nasconde in realtà un fiume di rabbia. «Non so se gettarmi ai tuoi piedi oppure sculacciarti fino a farti passare la voglia» le sussurro in un impeto di furia. La sento sussultare, mentre il respiro le si blocca per qualche attimo. Poi si volta lentamente verso di me, sbattendo piano le ciglia in quel suo modo così sexy e dolce al tempo stesso e avvicinandosi al mio orecchio. «Opterò per la seconda possibilità» sussurra velocemente, mentre i rumori di sottofondo scemano piano. L’effetto su di me è immediato. Il mio sesso pulsa a più non posso e non vorrebbe altro che esaudire la sua richiesta. Vedo nei suoi occhi lo stesso bisogno primordiale che alimenta me stesso. Senza fiato, eccitato, le sorrido radioso. Perché in questo momento sono certo, assolutamente certo, che Anastasia è totalmente concentrata sul pensiero di quello che io, solo io, posso darle. Quella consapevolezza è come una manna dal cielo. Riesce a rendere il pensiero di volerla sculacciare non più doloroso. «Stai soffrendo, vero? Vedremo cosa posso fare per te» le mormoro, avvicinandomi di poco e lasciando le mie dita scorrere delicatamente sulle sue guance. A malincuore riportiamo l’attenzione su quello che ci circonda. Sorrido tra me e me, mentre inizia la mia tortura. “Non posso portarti nella mia stanza segreta, Anastasia. ma posso sfinirti lo stesso anche stando comodamente seduto accanto a te”. Con una mossa studiatamente casuale, sposto il braccio, mettendoglielo attorno alle spalle. Il mio pollice le accarezza in maniera lenta e costante la pelle della schiena. La sento rabbrividire, mentre si sposta sulla sedia, avvicinandosi al mio corpo. Con l’altra mano le prendo la sua, stringendola delicatamente e baciandola piano. Nel riportarla giù, sposto la traiettoria, portandola sul mio grembo. Ana non si accorge subito del mio gioco perverso. All’improvviso la sento sussultare. Ha appena incontrato la durezza del mio sesso in tutto il suo splendore. I suoi occhi sono pieni di panico, ma la maschera copre abbastanza il suo rossore. Nessuno ci guarda, nessuno nota quello che stiamo facendo. Ma dopo i primi attimi di shock, mi sorprende, come sempre. Lentamente le sue piccole dita iniziano a carezzarmi furtivamente. La mia mano, più grande della sua, copre i suoi gesti, nascondendo il piccolo incontro dei nostri desideri. Lascio il mio pollice vagare sulla candida pelle del suo collo, facendolo scivolare avanti e indietro. Le sue dita non smettono di toccarmi piano, facendomelo diventare duro come la pietra. Sento che sto perdendo il controllo. Potrei venire da un momento all’altro. Il solo pensiero di quello che mi sta facendo, di quello che le farò io da qui a qualche minuto, mi fa perdere l’autocontrollo. Gemo piano, quasi impercettibilmente, ma so che lei se n’è accorta. E sembra anche soddisfatta. Il mio perfido piano mi si è appena ritorto contro. «Aggiudicato, per centodiecimila dollari!» Il maestro di cerimonie interrompe il nostro giochino nascosto e, nostro malgrado siamo costretti ad applaudire, rovinando il divertimento. “Devo uscire di qui con lei. Ora”. Abbiamo tutto il tempo dell’asta di beneficenza. Posso scoparla a fondo, perdermi dentro di lei mentre, a pochi metri da noi, la gente si diverte e fa chiasso. Il solo pensiero mi rende difficile non esplodere quasi istantaneamente. Mentre gli applausi scemano, mi volto verso di lei, con un sorrisetto perverso. «Pronta?» le chiedo con la voce bassa e carica di desiderio. «Sì» mormora piano, con la voce altrettanto roca. «Ana!» sento la voce di Mia al di sopra del brusio. «È ora!» Il cuore mi cade con un tonfo sotto i piedi. “Ma che cazzo...?” Ana ha la mia stessa reazione, mentre si gira di scatto verso mia sorella che le lancia un sorriso smagliante. «Ora di cosa?» chiede confusa. «Dell’asta per il primo ballo. Vieni!» Mia si alza, porgendole la mano e attendendo. Mi giro verso mia sorella, guardandola furiosamente. Lei per tutta risposta mi fa un ampio sorriso, tornando a fissare Anastasia. Ana scuote piano la testa. Poi, all’improvviso, scoppia a ridere fragorosamente. La guardo, mentre Mia le afferra la mano, facendola alzare dalla sedia. Le lancio uno sguardo, ma vederla così spensierata, di colpo, in mezzo a tutta quella situazione assurda, me la fa amare ancora di più. Riluttante, le faccio un sorriso breve. ‘Cosa sarà mai, Grey? La tua donna sta solo per mettersi all’asta’. «Il primo ballo sarà con me, okay? E non sarà sulla pista» le mormoro all’orecchio, mentre lei si avvicina a me. Il suo sguardo è trepidante, al di sotto di quella maschera argento. La sua risata si smorza all’improvviso e il respiro le si mozza in gola. «Non vedo l’ora» mormora, chinandosi verso di me, e poggiandomi un casto bacio sulle labbra che mi lascia sorpreso e piacevolmente agitato. Con la coda dell’occhio mi accorgo che tutti i nostri commensali ci guardano a bocca aperta. Torno a concentrarmi su di lei. Le faccio un gran sorriso, felice. “É così bello mostrare al mondo quello che sono con te, l’uomo che tu hai fatto rinascere dalle sue stesse ceneri e da quelle del suo passato”. «Vieni, Ana» insiste Mia, trascinandola verso il palco, dove si sono già radunate alcune ragazze. «Signori, il momento clou della serata! Il momento che tutti voi stavate aspettando! Queste dodici adorabili signorine hanno acconsentito a mettere in palio il loro primo ballo al migliore offerente!» urla il maestro di cerimonie. Osservo Anastasia e il suo imbarazzo è palese. Sono certo che Mia non le ha spiegato in cosa consistesse l’asta. Sogghigno mentre, mi alzo dal tavolo e, insieme a buona parte dei presenti mi avvicino al palco. Due tavoli più avanti trovo Flynn e Rhian. E mi viene in mente un’idea. Mi avvicino, sorridendo a Rhian. «Posso rubarti John per un po’?» le dico. Lei mi fa un gran sorriso sincero. «É tutto tuo» mi dice gentile. Flynn si scusa con i commensali e si alza, guardandomi con aria interrogativa. Quando gli spiego, in mezzo al frastuono, quello che ho in mente scoppia in una risata fragorosa, chinando la testa all’indietro. Poi si abbassa, mormorando qualcosa all’orecchio di sua moglie Rhian. Lei lo guarda con aria interrogativa, per poi rivolgere la sua attenzione a me con la fronte corrugata. Lui le mormora di nuovo all’orecchio, e lei, alla fine, ridacchia, scuotendo la testa. John le deposita un piccolo bacio sulla tempia, accarezzandole i capelli. E io, osservandoli, mi ritrovo a pensare che è quello ciò che voglio con Anastasia. Tutto quello. La consapevolezza di averla al mio fianco, sempre. Forse... forse è solo in questo modo che mi convincerò che lei, nonostante io sia così tanto un casino, vuole davvero stare con me. «Signore e signori, com’è tradizione di questo ballo, manterremo il mistero, le dame terranno la maschera e noi useremo solo i loro nomi di battesimo. Per prima abbiamo l’adorabile Jada» Il maestro di cerimonie annuncia una ragazza vestita di blu. Due ragazzi si fanno avanti, lanciando offerte. «Jada parla fluentemente giapponese, è pilota di caccia qualificata e ginnasta olimpica... mmh». Il maestro di cerimonie strizza maliziosamente l’occhio a noi del pubblico. «Signori, quanto offrite?» Rapidamente le cinquemila dollari. offerte salgono fino a «Cinquemila dollari e uno, cinquemila dollari e due... aggiudicata! Al gentiluomo con la maschera!» Una risata generale si alza, tra fischi e schiamazzi per l’inutilità dell’informazione. Jada sorride e scende velocemente dal palco, per raggiungere il suo cavaliere. Mia si avvicina ad Anastasia, con un sorriso. Parlottano per qualche attimo. Vedo Ana aggrottare la fronte, mentre il maestro di cerimonie annuncia Mariah, la seconda ragazza, vestita in rosso. «Signori, vi presento la meravigliosa Mariah. Cosa ne facciamo di Mariah? È un’esperta torera, suona il violoncello ed è una campionessa di salto in alto... Cosa ne pensate, signori? Da quanto partiamo per un ballo con la deliziosa Mariah?» Una serie di offerte e, quasi subito, Mariah è aggiudicata per 4mila dollari. Lo sguardo di Ana, per un attimo, si fissa nel mio, Poi lei si sporge verso Mia, chiedendole qualcosa. Mia sorella aggrotta la fronte, palesemente perplessa. Poi risponde alla sua domanda. Ana resta a bocca aperta, mentre non riesco a concentrarmi sull’ennesima ragazza messa all’asta. Mia continua a parlare, mentre l’espressione di Anastasia è sempre più basita. “Cosa diavolo le starà dicendo?”. Un brivido mi percorre la schiena. Vengo distratto da un movimento alla mia sinistra. Mi giro, ma non noto nulla di strano. Poi guardo Flynn, che mi fa un gesto interrogativo. Scuoto piano la testa, tornando a concentrarmi sul palco. Guardo Ana, e i suoi occhi, ancora una volta, sono fissi su di me. «E ora permettetemi di presentarvi la bellissima Ana» annuncia il maestro di cerimonie. Bene, tocca a lei. Cerco di rilassarmi. Anastasia fa un passo avanti, traballando. Immagino come si sente in imbarazzo in questo momento. Mi guarda terrorizzata, mentre le lancio un’occhiatina maliziosa. «La bellissima Ana suona sei diversi strumenti, parla fluentemente il mandarino ed è un’esperta di yoga... Ebbene, signori...» «Diecimila dollari» dico a voce alta ma calmo, interrompendo il maestro di cerimonie. Un sussulto generale accoglie le mie parole. Tutti sanno benissimo che sto marcando il mio territorio. Ma non mi importa. Flynn, da bravo complice, inizia la nostra messinscena. «Quindicimila» offre, dal suo angolo di sala. Anastasia sussulta, fissandomi. Mi gratto il mento, lanciando un sorrisetto a Flynn. Lui mi risponde con un cenno della testa, a mo’ di saluto. «Bene, signori! Abbiamo delle offerte alte questa sera» annuncia il maestro di cerimonie, eccitato, mentre mi sorride. «Venti» ribatto tranquillamente. La folla mormora a bassa voce, facendosi attenta. É come se tutti avessero paura d una mia reazione. «Venticinque» annuncia Flynn, in tutta tranquillità. Anastasia è impalata sul palco, sotto gli occhi attenti di tutti, all’improvviso ambito premio di una gara all’ultimo centesimo. Posso solo immaginare come questo la faccia sentire. Un moto di compassione per lei mi fa decidere di chiudere qui il gioco che volevo far durare un altro po’. «Centomila dollari» dico tranquillamente, mentre Flynn alza le mani ridacchiando, in gesto di resa. Centomila dollari era la nostra cifra massima. Sa che dobbiamo fermare il nostro gioco. La gente ci fissa tra lo sbalordimento e il divertimento. Mia, accanto ad Anastasia, saltella gioiosamente. «Centomila dollari per la dolce Ana! Centomila dollari e uno... centomila dollari e due...» Il maestro di cerimonie guarda Flynn, ma lui scuote la testa, rinunciando a fare un’altra offerta. Poi si congeda, con un inchino in perfetto stile british. «Aggiudicata!» grida il maestro di cerimonie con trionfo. Applausi e grida ci avvolgono, mentre mi avvicino ad Anastasia e, sorridendole, l’aiuto a scendere. Le lancio un sorrisetto, poi le bacio cavallerescamente la mano, infilando il suo braccio sotto il mio e conducendola verso l’uscita del tendone. Ana si rilassa di poco. «Chi era quello?» chiede piano. La guardo, senza riuscire a nascondere il divertimento. «Qualcuno che conoscerai più tardi. Ora, voglio mostrarti qualcosa. Abbiamo circa mezz’ora prima che l’asta del primo ballo sia finita. Poi dovremo essere di ritorno sulla pista, in modo che io possa godermi il ballo per cui ho pagato» «Un ballo molto costoso» mormora lei con disappunto. «Sono sicuro che vale ogni singolo centesimo» le dico, sorridendole maliziosamente. Sento Anastasia trattenere il respiro e guardarmi con desiderio, mentre anche la mia voglia di possederla torna a farsi viva e a pulsarmi dentro. Usciamo fuori, sul prato. E all’improvviso sento che la decisione che ho preso due minuti fa è quella giusta. Non voglio portarla in quella rimessa delle barche, dove le ho negato il piacere poche settimane fa. Voglio portarla in un posto nuovo, dove non sono mai stato con nessun altro se non con me stesso. Rapidamente la conduco attraverso la pista da ballo e poi apro la portafinestra sul retro della casa dei miei genitori. Attraversiamo il salotto privato, che affaccia sul prato, e poi la conduco verso lo scalone che sale ai piani superiori. Saliamo in silenzio, mentre Ana sfila il braccio dal mio per reggersi il vestito. Arrivo al primo pianerottolo e continuo a salire, fino al secondo piano. Attendo che Ana sia al mio fianco prima di aprire una delle porte del corridoio. Una porta bianca, dietro la quale si cela un pezzo della mia vita. Un pezzo doloroso della mia vita. E anche confortante in un certo senso. E siamo di nuovo così. Io e lei. E una porta da cui dipende il nostro futuro. Ma, questa volta, il passo da compiere è più doloroso per me che per lei. La apro, lasciandola passare per prima. «Questa era la mia stanza» le dico chiudendo al porta alle mie spalle. Vi rimango appoggiato contro, mentre la fisso. Si guarda intorno, ammirando una stanza che contiene quello che sono stato. Grande, semplice, con pochi mobili. Il letto matrimoniale, una scrivania con una sedia, libri, trofei di kick boxing. Alle pareti ci sono ancora i poster di alcuni film, il poster di Giuseppe Di Natale, e la bacheca con appuntati sopra biglietti dei miei viaggi, di concerti e gagliardetti. Lì c’è anche lei. Non ho mai avuto il coraggio di togliere quella foto. Di strapparla o bruciarla. É lì, sulla bacheca del mio passato. Perché nel mio futuro non c’è posto per nient’altro se non Anastasia. I miei occhi accarezzano piano il suo corpo sensuale, avvolto dal raso color argento. Il desiderio represso nell’ultima mezz’ora torna prepotente come non mai. Quando si gira a guardarmi la fisso a fondo. «Non ho mai portato qui una ragazza» mormoro piano. «Mai?» sussurra con la voce roca. Scuoto piano la testa. “Solo tu, Miss Steele”. Ana mi guarda trepidante. Indossiamo ancora entrambi le maschere. E... voglio che la indossi anche mentre lo facciamo. É erotico, in un certo senso. L’ho già fatto in passato, ma con lei... è tutto come se fosse la prima volta. Mi scosto dalla porta, avanzando verso di lei e girandole attorno mi piazzo di fronte ai suoi occhi azzurri. «Non abbiamo molto tempo, Anastasia, e da come mi sento in questo momento, non ci occorrerà tanto. Voltati. Lascia che ti tolga quel vestito» sussurro voglioso. Trattiene il fiato, obbedendo e girandosi verso la porta. Mi chino verso il suo orecchio. «Tieni su la maschera» le dico piano, accarezzandole l’orecchio con la punta della lingua. Ana geme, mentre il suo corpo si contorce contro il mio. Afferrando la parte alta del suo vestito, lascio le mie dita vagare sulla sua pelle nuda prima di tirare rapidamente giù la cerniera. Reggo l’abito mentre lei ne esce con grazia, poi mi giro, poggiandolo sulla sedia lì accanto. Mi sfilo la giacca, poggiandola sul suo vestito. Poi mi giro, prendendomi qualche istante per rimirarla. É in piedi, vestita con il corsetto nero, le mutandine minuscole, i tacchi alti e la maschera. É la realizzazione di un sogno ad alto tasso erotico. «Lo sai, Anastasia» le dico, avvicinandomi mentre mi sciolgo il papillon, senza sfilarlo. Poi passo ai primi bottoni della camicia, liberandomi un po’. «Ero così arrabbiato quando hai vinto il mio lotto d’asta. Mi sono passati per la testa un milione di pensieri. Ho dovuto ricordare a me stesso che le punizioni sono fuori dal nostro accordo. Ma poi ti sei offerta volontaria» le dico, fissandola per sondare la sua reazione. «Perché lo hai fatto?» sussurro guardandola attentamente. «Volontaria? Non lo so. Frustrazione... troppo alcol... una buona causa» mormora, le sue parole sono una dolce tentazione mentre si stringe nelle spalle. Per un attimo il pensiero di poterle fare, anche inavvertitamente del male, mi squarcia il petto. Ma poi mi calmo. Posso farcela. Posso darle quello che entrambi ora vogliamo. Stringo forte le labbra, poi passo la mia lingua sul mio labbro superiore. Sono eccitato, impaurito. La desidero e la temo. É la mia dea, la mia anima, il mio tutto. «Ho giurato a me stesso che non ti avrei più sculacciata, nemmeno se mi avessi supplicato» le dico, combattendo una dura lotta interiore. Ma so già come andrà a finire. Questa donna mi sfinirà. «Per favore» implora maliziosa, ondeggiando i fianchi a destra e sinistra, mentre intreccia le dita sul suo ventre. La visione mi ammalia. Parlo quasi senza rendermene conto. «Ma poi mi sono reso conto che probabilmente sei molto a disagio in questo momento e che è una cosa a cui non sei abituata» le dico con un sorrisetto bastardo, sapendo perfettamente quanto l’ho provocata, quello che le ho fatto per tutta la sera. ‘Volevi portarla a supplicarti di farle del male, Grey?’. No, certo che no. Ma sono contento di essere qui, in questa stanza e in questa situazione. Non dimenticherò facilmente l’immagine di Anastasia vestita praticamente di nulla, che implora per farsi sculacciare. «Sì» sospira eccitata. «Perciò, potrebbe esserci un certo... spazio di manovra. Se lo faccio, devi promettermi una cosa» le mormoro seducente. Anche se credo che non abbia bisogno di essere sedotta. «Qualsiasi cosa» acconsente, impaziente come al solito. Immagino già il lago bagnato che troverò tra le sue gambe tra meno di qualche attimo. «Userai la safeword, se ne avrai bisogno, e io farò solo l’amore con te, okay?» «Sì» risponde senza fiato. Ma ho bisogno di questa rassicurazione. Ho paura. Per la prima volta nella mia vita, ho paura di stare con una donna. Dopo l’ultima volta in cui mi sono trovato in una situazione simile, forse è comprensibile. Ma forse ho anche bisogno di questo per provare a lei, ma soprattutto a me stesso che sono cambiato sul serio. Le prendo la mano e la porto verso il letto, scostando la trapunta. Afferro il cuscino e lo sposto accanto a me, sedendomi. La fisso per un istante, poi la tiro forte verso di me. Mi cade in grembo e non perdo tempo. Mi aggiusto e la sposto nella posizione migliore per entrambi. Il suo petto è sul cuscino, il suo viso di lato. Mi chino verso di lei, scostandole i capelli dalla spalla e lasciando le dita scorrere tra le piume delicate della sua maschera. «Metti le mani dietro la schiena» mormoro al suo orecchio. Obbedisce piano, mentre mi sfilo il papillon e lo uso per legarle i polsi. Ma prima di procedere devo essere certo di quello che sto facendo. «Lo vuoi davvero, Anastasia?» chiedo, con una nota di agitazione percepibile nella voce. Sento il suo corpo riempirsi d’aria e poi lei espira profondamente. «Sì» sussurra, mentre i miei occhi accarezzano la pelle candida al di sotto del suo corsetto. «Perché?» le chiedo dolce, lasciando la mia mano accarezzarle piano il sedere. Morbido ed invitante. Il suo gemito di desiderio potrebbe essere una risposta sufficiente. Per il mio cazzo sicuramente lo è, dato che sta per perforarmi i pantaloni e penetrarla. «C’è bisogno di una ragione?» chiede desiderosa di avere di più. «No, piccola» le dico rassicurandola, mentre continuo ad accarezzarla. «Sto solo cercando di capirti» La mia mano sinistra stringe il suo polso, mentre sollevo l’altra in aria. Le sferzo il primo colpo, affondando con forza sulla sua carne morbida. La sensazione che provo è nuova. Non è per vendetta, o per crudeltà. É amore. É carnale, passionale. É desiderio fisico di lei. La sento gemere forte. Prima che possa pensarci troppo, la colpisco di nuovo. Geme ancora più forte, con voce rauca. «Due» mormoro, trattenendomi a stento. «Arriveremo a dodici» le dico. La accarezzo mentre le parlo, gentile e delicato, in netto contrasto con la durezza dei colpi che le sferro. La colpisco di nuovo, spostandomi di poco dal punto precedente, già arrossato a dovere. Mi fermo per un attimo, sfilandole delicatamente le mutandine. Lascio scorrere la mia mano sul suo culo arrossato e delicato. Vederla alla mia mercé, per sua espressa volontà, è di quanto più erotico possa esserci al mondo. La colpisco ancora, e ancora, cadenzando bene i colpi e distribuendoli su tutta la superficie del suo meraviglioso sedere. «Dodici» mormoro quando arrivo all’ultimo colpo. Sto ansimando, mentre la accarezzo, di nuovo gentile, Il mio cazzo, oramai, non aspetta altro che liberarsi. Piano lascio scorrere le dita tra le due gambe. Lentamente affondo dentro di lei con due dita, muovendole ripetutamente in circolo in una deliziosa e lenta tortura. Come sospettavo è bagnata da morire, pronta e soprattutto desiderosa di accogliermi. I suoi gemiti mi eccitano, mi appagano. La scopo con due dita, aspettando, bramando il momento in cui entrerò dentro di lei. E la sento stringersi forte attorno a me, per poi esplodere in un orgasmo violento e appagante. Urla forte e geme, mentre libera la sua frustrazione. E io sono certo che ha gradito. «Così va bene, piccola» mormoro, felice di averla fatta star bene. Le slego i polsi, con una sola mano, continuando a tenere le dita nella sua fessura bagnata e ancora pulsante. La sento ansimare forte, esausta. «Non ho ancora finito con te, Anastasia» le dico, spostandomi e facendole appoggiare le ginocchia a terra. Mi posiziono dietro di lei, abbassando la lampo dei miei pantaloni. Sfilo piano le dita dal suo sesso per afferrare uno dei preservativi che ho in tasca. Apro la bustina e srotolo in fretta il profilattico sul mio membro eretto. «Apri le gambe» le ordino, fuori di me per il desiderio. Obbedisce celermente, mentre le accarezzo piano il sedere arrossato. É una visione divina. «Sarà veloce, piccola» le mormoro all’orecchio, prima di raddrizzarmi e afferrarle i fianchi. La penetro all’improvviso, con forza. Entro ed esco violentemente, senza controllo. Ho solo bisogno di riversarmi dentro di lei. Di stare bene con lei. «Ah!» la sento gridare, gemendo di puro piacere. Il suono mi infiamma ancora di più. Affondo dentro di lei impietosamente, inchiodandola al letto ad ogni colpo, mentre ringhio il mio desiderio accanto al suo orecchio, ansimandole addosso. Siamo una meravigliosa composizione di respiri ansimanti, gemiti e urla soffocate. All’improvviso, cogliendomi di sorpresa, Anastasia inizia a coordinare i suoi movimenti ai miei, spingendo all’indietro, accogliendo il mio cazzo sempre più a fondo, sempre più dentro. «Ana, no!» mormoro, contro la pelle della sua schiena sudata, cercando di fermarla. Ma in quell’istante lei spinge ancora, premendo il suo bellissimo culo contro di me. La sensazione è talmente bella, talmente avvolgente, che vengo all’istante. «Merda!» sibilo, oramai senza controllo. E, meravigliosa, anche lei esplode di nuovo, unendosi al mio piacere incontrollato. Urla, sconvolta dal suo secondo orgasmo, mentre crolla senza fiato sul letto e io la seguo a ruota. Mi chino su di lei, baciandole possessivo una spalla. Poi, a malincuore, scivolo fuori dal suo corpo, sentendomi subito privato del mio essere. La abbraccio, da dietro, poggiando la testa sulla sua schiena nuda, velata di sudore. Restiamo così, inginocchiati. Io sopra di lei, a godermi gli ultimi istanti di intimità prima di tornare tra la folla. Lentamente i nostri respiri si calmano, tornando a stabilizzarsi. Mi muovo, con un profondo ed appagato sospiro, baciandole di nuovo la schiena. «Credo che tu mi debba un ballo, Miss Steele» mormoro contro la sua pelle. «Mmh...» mi risponde lei, stiracchiandosi leggermente. Sedendomi sui talloni mi scosto da lei, portandola con me. «Non abbiamo molto tempo. Andiamo» le sussurro, baciandole i capelli e costringendola ad alzarsi. Protesta debolmente, mentre si siede sul mio letto e raccoglie le sue mutandine dal pavimento. É così sexy mentre le infila e pigramente si trascina verso la sedia per recuperare il suo abito. Traballa leggermente sui tacchi. Continuo ad ammirare il suo corpo seminudo, mentre mi allaccio il papillon che poco prima le legava i polsi. Sorrido piano, rimettendomi a posto gli abiti e dando un’aggiustata al letto. Quando mi volto per aiutarla con il vestito, la trovo intenta a sbirciare sulla mia bacheca. Si gira a guardarmi, mentre mi infilo la giacca e do un’ultima sistemata al papillon. «Chi è questa?» chiede. Trasalisco per un attimo, sperando che non se ne accorga. «Nessuno di importante» borbotto, mentre cerco di trovare uno stratagemma per allontanarla di lì. «Posso tirarti su avvicinandomi. la cerniera?» le chiedo, «Grazie. Allora perché è nella tua bacheca?» chiede calma e curiosa. «Una dimenticanza. Com’è il papillon?» le dico, facendole un piccolo sorriso e alzando il mento. Mi fa un sorriso radioso, raddrizzandomelo. «Adesso è perfetto» mi dice soddisfatta. «Come te» le mormoro contro le labbra, afferrandola e suggellando le mie parola con un bacio appassionato. Le nostre lingue danzano, di nuovo vogliose di assaggiarsi sempre più a fondo. Siamo insaziabili. Entrambi. Questa donna mi ucciderà. «Ti senti meglio?» le chiedo, quando finalmente riesco a staccarmi da lei. «Molto meglio, grazie, Mr Grey» mi dice con un sorrisetto soddisfatto. I suoi grandi occhi azzurri brillano di tenerezza. «Il piacere è stato tutto mio, Miss Steele» le dico, stringendola forte al mio corpo in un abbraccio. Dietro di lei, sulla bacheca, Ella mi guarda, inespressiva come sempre. Come la ricordo. E ora ne sono assolutamente certo. Anastasia non ha niente a che vedere con lei. Non ha mai avuto nulla a che fare con mia madre e il mondo di vendetta personale che io ho costruito attorno al suo ricordo. Lei è sempre stata al di sopra di tutto. Al di sopra di tutto lo schifo. Sorrido mentre le prendo la mano e la conduco fuori dalla mia cameretta e giù per le scale. “Ti amo, Anastasia Steele. Credo di aver sempre aspettato te. Da tutta una vita”. Quando torniamo nella sala da ballo, la folla è già al centro della pista. La guardo sorridendo, mentre lei sospira forte, finalmente sollevata. «E ora, signore e signori, è il momento del primo ballo. Mr Grey, dottoressa, siete pronti?» Il maestro di cerimonie dà il via alle danze. Mi metto in posizione, tenendo saldamente Ana tra le braccia, mentre un brivido mi percorre la schiena. Mi giro attorno, sentendomi osservato. Ma non scorgo nessuno che stia fissando me. Scuoto piano la testa, cercando di scrollarmi di dosso questa sensazione. La faccenda di Leila mi sta condizionando un po’ troppo probabilmente. La musica parte. Le note di I’ve got you under my skin risuonano nell’aria, mentre sorridendo per la scelta musicale più che azzeccata nel nostro caso inizio a volteggiare con Anastasia. Non riusciamo a smettere di sorriderci a vicenda. Siamo felici, appagati, innamorati. E per un attimo è come quel giorno in aliante. Noi due, una bolla tutta nostra. E il resto del mondo che non ci scalfisce minimamente. «Adoro questa canzone» le mormoro, fissandola ardentemente. «Mi sembra appropriata» le dico, improvvisamente serio. Perché è la verità. “Mi sei entrata sotto la pelle, Anastasia. Non andare via. Mai”. Anche lei diventa seria, pur continuando a sorridermi. «Anche tu mi sei entrato sotto la pelle, come dice la canzone» mi dice. «O, perlomeno, così è stato nella tua camera da letto» sussurra tentando di smorzare la tensione appena palpabile tra noi. Le faccio una smorfia di finto disgusto, divertito. «Miss Steele» la ammonisco «non avevo idea che potessi essere tanto volgare» le dico altezzoso. «Nemmeno io, Mr Grey. Credo che sia per via di tutte le mie recenti esperienze. Ho ricevuto una certa educazione» mi dice con una smorfia rassegnata. «Vale per entrambi» le rispondo, tornando serio. “Mi hai cambiato, Ana. Completamente”. La musica sfuma, mentre il cantante presenta la sua orchestra. Applaudiamo educatamente. Alle mie spalle si materializza Flynn, memore del nostro accordo segreto. «Posso intromettermi?» dice scherzosamente. Ana lo guarda incuriosita e leggermente intimorita. La lascio andare a malincuore, ma sorrido divertito. «Prego. Anastasia, lui è John Flynn. John, lei è Anastasia» li presento. L’espressione di stupore sul viso di Anastasia sarebbe da immortalare. Mi allontano, lasciandoli da soli a fare quattro chiacchiere sulle note di una nuova canzone. Li osservo parlottare, mentre sorseggio dello champagne, in piedi, accanto al mostro tavolo. Flynn ride, Anastasia fa la sostenuta. Poi ridacchiano, parlano. Mentre io fremo dall’impazienza e dalla curiosità. Picchietto il piede a terra, mentre l’ansia mi assale. Cosa le chiederà? E lei a lui? E se quell’idiota di Flynn le rivelasse il mio passato? Quando la musica si avvia alla fine, devo trattenermi per non correre mentre mi avvicino a loro due. Noto che Ana è arrossita leggermente, mentre Flynn mi sorride soddisfatto. «È stato un piacere conoscerti, Anastasia» dice, con un sorriso caloroso. Mi sento sollevato dalla sua reazione. Ma ho bisogno di parlargli. Ho bisogno di sapere perché anche lui, come il resto del mondo, sembra pensare che Ana sia perfetta per me, mentre io ho così paura di spezzarla e di fare di lei una nuova Leila. Una nuova donna fantasma che gira come un’anima in pena cercando di togliersi la vita. Per me. Temo che per sapere questo, tuttavia, dovrò aspettare fino a lunedì. «John» Faccio un cenno a Flynn, congedandolo. Ora ho solamente voglia di stare da solo con Anastasia. «Christian» risponde Flynn con un sorriso, voltandosi e mischiandosi alla folla attorno a noi. Mi giro verso Anastasia, con un sorriso, prendendole le braccia e attirandola accanto a me per il prossimo ballo. É bello ballare con lei. Mi calma. Fa sparire tutto il resto. «È più giovane di quanto mi aspettassi» mormora lei, alzando lo sguardo su di me. «E terribilmente indiscreto» mi dice con un ghigno strano. Piego la testa di lato, senza capire. «Indiscreto?» chiedo curioso. «Oh, sì, mi ha detto tutto» mi dice seria, con gli occhi ben aperti e muovendo il capo in cenno di assenso. Il mio corpo diventa di pietra. La fisso, sentendo l’aria abbandonare di colpo i miei polmoni e le palpebre socchiudersi per il colpo accusato. «Bè, in questo caso, vado a prenderti la borsetta. Sono sicuro che non vorrai avere più niente a che fare con me» le dico con un filo di voce. Nella mia testa 10mila modi per uccidere Flynn si materializzano contemporaneamente. Ana si ferma di colpo, spalancando gli occhi. «Non mi ha detto niente!» esclama spaventata. Il sollievo è immediato. Sbatto le palpebre es orrido apertamente, stringendola in un abbraccio. «Allora godiamoci il ballo» le dico. La musica parte e, prima che possa fare domande, la coinvolgo nelle danze, al ritmo suonato dalla meravigliosa orchestra voluta da mia madre per l’occasione. Mi rilassa averla tra le braccia. Mi sento felice, libero. Completo. Dopo circa due balli, quando la musica si ferma per un attimo, Ana mi avverte del suo impellente bisogno. «Non ci metterò molto» mi dice con un sorriso, prima di afferrarsi il vestito argento e allontanarsi. Mentre aspetto che torni mi metto a bordo pista. Flynn mi raggiunge quasi subito, insieme a Rhian. Lo guardo speranzoso, ma lui resta in silenzio. Sorride, ma non lascia sfuggirsi nulla. «Posso prendere appuntamento per lunedì mattina, dottore?» gli dico con un sorrisetto. Il suo sorriso si allarga. «Provvederò a farti contattare da Cynthia per farti sapere l’orario» mi dice. Poi prende Rhian sottobraccio e la trascina in pista per lanciarsi nelle danze. All’improvviso mi viene in mente che non è il solo con cui dovrei prendere appuntamento. Mando un messaggio a Taylor, chiedendogli di occuparsi della dottoressa Greene e di prendere appuntamento per domani. Ovviamente so che quella donna mi scucirà altri 15mila dollari. Mi giro intorno, cercando Ana, ma ancora non si vede. So che Taylor e Sawyer la seguono a vista d’occhio. Per un po’ mi abbandono a guardare Mia che discute con Sean. Ha le braccia incrociate sotto al petto. Conosco quel cipiglio. Mr-Sorriso-Sfacciato ha fatto incazzare di brutto la mia sorellina. Lui parla e lei lo molla lì in piedi, con un gesto della mano. Ridacchio tra me e me. Poi lo sguardo si sposta da loro due ai miei genitori, che volteggiano in pista, guardandosi innamorati come quando ero piccolo. Voglio quello anch’io. Ora so che con Anastasia posso averlo. La sua mancanza inizia a farsi sentire. Guardo intorno a me, e ancora non riesco a scorgerla. Inizio a preoccuparmi sul serio. Cammino frettolosamente verso le toilette, ma a metà percorso mi fermo, scorgendo Taylor davanti all’uscita del padiglione dove abbiamo cenato. Entro, guardando la sua espressione corrucciata e vedo Anastasia letteralmente furiosa. Mi avvicino, accaldato per la preoccupazione. «Eccoti» mormoro. Fisso il suo viso che freme di rabbia e non ci metto molto a capire perché. O per chi. Elena è dietro di lei, furiosa almeno alla stessa maniera. Poi la sua espressione cambia quando incrocia i miei occhi, diventando preoccupata. Ana mi sorpassa, senza neppure sfiorarmi e si dirige verso l’uscita. Non ci penso due volte a seguirla. «Ana» la chiamo. Si ferma proprio fuori dal padiglione, aspettandomi ma senza girarsi. Quando le arrivo accanto, la sua espressione non è mutata. «Cos’è successo?» le chiedo preoccupato. «Perché non lo chiedi alla tua ex?» sibila velenosa. Raddrizzo disappunto. le spalle, facendo una smorfia di «Lo sto chiedendo a te» le rispondo, dolcemente ma deciso. Ci fissiamo intensamente per qualche attimo. “Non voglio litigare di nuovo, Anastasia. non dopo questo pomeriggio”. Chissà cosa ha potuto dirle Elena, per averla sconvolta in questo modo. Per la seconda volta questa sera, il mio mondo vacilla sotto ai miei piedi. «Lei mi ha minacciata di venirmi a cercare, se ti farò soffrire ancora. Probabilmente con un frustino» ribatte alla fine, seccamente. Credo che il sollievo sul mio viso sia perfettamente visibile. L’accenno di un sorriso mi si dipinge sulle labbra. «Non ti sarà certo sfuggita l’ironia di tutto ciò, vero?» le dico, trattenendo una risatina. «Non è divertente, Christian!» esclama esasperata, al limite della sopportazione. «No, hai ragione. Le parlerò» le dico deciso, ma rasserenato. «No, non lo farai» sbotta, incrociando le braccia proprio come Mia. “Merda”. Sbatto le palpebre, sorpreso. Non sono abituato alla gelosia. Ma il pensiero che lei sia gelosa di me, mi eccita. Mi eccita sul serio. «So che sei legato a lei dagli affari ma...» inizia a dire, guardandomi. Poi rinuncia, esasperata, sconfitta, stanca. Abbassa le braccia e mi guarda sospirando. «Ho bisogno della toilette» mi dice a denti stretti, lanciandomi un’occhiataccia. Sospiro, capendo bene quali possano essere i suoi sentimenti ora. Piego la testa di lato, guardandola dritto negli occhi. «Per favore, non essere arrabbiata. Non sapevo che lei fosse qui. Mi aveva detto che non sarebbe venuta». Cerco di placare la sua anima ferita probabilmente nell’orgoglio. Alzo una mano, sfiorandole con il pollice il morbido e delizioso broncio. «Non lasciare che Elena ci rovini la serata, per favore, Anastasia. Lei è una storia vecchia, davvero» le dico, sospirando piano. Fa una smorfia, premendo di più il labbro inferiore contro le mie dita. Le sollevo piano il mento, avvicinando le mie labbra alle sue. Le sfioro delicato, baciandola dolcemente e castamente. Aspetto un suo cenno e, quando sospira piano, le prendo un braccio e la allontano dal padiglione. «Ti accompagno a incipriarti il naso, così nessuno ti disturberà ancora» le dico con un piccolo sorriso, abbracciandola e baciandole i capelli. Ci allontaniamo nel prato, verso le toilette. Quando arriviamo lì davanti mi fermo, anche se vorrei entrare e prenderla di nuovo. Ma farlo in un bagno, per quanto placherebbe entrambi, non è l’ideale. A meno che non sia il mio bagno privato all’Escala. Di quello ho grandi ricordi. «Ti aspetto qui fuori, piccola» mormoro, baciandola di nuovo. Aspetto che chiuda la porta per bene e poi, spostandomi in disparte, chiamo Taylor. So che non è colpa sua, Elena è imprevedibile. «Mr Grey» «Ho bisogno di sapere sempre dove si trova Ana. E soprattutto con chi si trova. Ci siamo capiti?» sbotto senza perdermi in formalità. «Come desidera, professionalmente. Mr Grey» risponde Chiudo il telefono, chiedendomi quante volte quest’uomo mi mandi a fanculo mentalmente durante una giornata. Poi chiamo Elena. «Christian» risponde, in tono preoccupato. «Cosa cazzo fai, Elena? Quale parola della frase “non impicciarti nei miei affari e lascia stare Ana” tu non hai afferrato?» le chiedo bruscamente. Per un attimo rimane interdetta. Poi la sento inspirare forte. «Ero preoccupata per te, Christian. L’ho solo avvertita di non farti soffrire» «Non ce n’era bisogno, Elena. Sono stato io a far soffrire lei. Ed eravamo d’accordo sul fatto che non saresti venuta questa sera» le dico esasperato. So che le intenzioni di Elena sono buone, ma non ho voglia di ulteriori casini. «Ho cambiato idea» mi dice altezzosa. «Perché hai cambiato idea? Pensavo che fossimo d’accordo» le dico scontroso. «Christian dovevo vederla e parlarle. Non mi va che ti faccia star male. Non te lo meriti» Sospiro, alzando gli occhi al cielo di fronte a quel comportamento da madre iperprotettiva. «Bè, lasciala in pace... Questa è la prima relazione vera che ho e non voglio che tu comprometta tutto per qualche infondata preoccupazione nei miei confronti. Lasciala. In. Pace. Te lo dico per l’ultima volta, Elena» le dico con fermezza. «Christian, mi dispiace. Non avete litigato a causa mia spero» chiede lamentosa. «No, certo che no» le dico aggrottando la fronte e girandomi. Scorgo Ana in piedi, a pochi passi da me. Sospiro. «Devo andare. Buonanotte» tronco la conversazione, senza aspettare risposta. Ana alza un sopracciglio, piegando la testa di lato. «Come sta la storia vecchia?» mi chiede sarcastica. «Scontrosa» le rispondo con un ghigno. «Vuoi ballare ancora? Oppure preferisci andare via?» le chiedo, cambiando argomento per non litigare di nuovo. Guardo l’orologio. É quasi l’ora dello spettacolo pirotecnico. «I fuochi d’artificio iniziano tra cinque minuti» le annuncio, sorridendole piano. «Adoro i fuochi d’artificio» mi dice, riluttante a lasciarsi andare. «Rimarremo a guardarli, allora» le sussurro mentre mi avvicino e le avvolgo la vita con un braccio, attirandola al mio corpo. La fisso negli occhi, abbassando di poco la testa per trovarmi alla sua altezza. «Non lasciare che lei si metta tra noi, per favore» le dico con dolcezza. «Ci tiene a te» mormora imbronciata. «Sì, e io a lei... come amica» preciso, cercando di convincerla. «Credo che per lei sia più di un’amicizia» borbotta, abbassando lo sguardo. Aggrotto la fronte, riflettendo sulle sue parole. Forse sì. Forse non mi vede come amico. Ci tiene a me e si comporta da madre assillante. Ma nulla più di questo. A parte il sesso condiviso e l’aiuto che mi ha dato. Non c’è altro. «Anastasia, Elena e io... è complicato. Abbiamo condiviso una storia. Ma è solo questo: una storia finita. Come ti ho detto e ripetuto, è una buona amica. Tutto qui. Per favore, dimenticati di lei» le dico, stringendola forte e baciandole i capelli. Mi guarda incerta, abbozzando un sorriso poco convinto. La prendo per mano, portandola verso la pista da ballo, dove l’orchestra suona. Dietro di noi si materializza mio padre. «Anastasia» dice con un sorriso, mentre entrambi ci giriamo. Ana lo guarda in soggezione. «Mi domandavo se vorresti concedermi l’onore del prossimo ballo» le dice, porgendole la mano. Ana mi guarda, mentre mi stringo nelle spalle e le sorrido. Mentre si allontana con mio padre, mi metto a bordo pista. Il mio telefono vibra. Lo prendo dalla tasca. É un sms. Di Elena. Lo scorro in fretta. Sto andando via. Non volevo rovinarti la serata. Ci tengo a te, Christian. Spero che lei ti renda felice Sospiro, rimettendo il telefono a posto e osservando Ana e Carrick parlottare tra un passo e l’altro. La osservo volteggiare, sorridere, arrossire. Mentre realizzo che lei, la più splendida ragazza in tutta la sala, è mia. Solo mia. Solo io posso accarezzare la sua pelle delicata d’alabastro, le sue morbide labbra. Solo io so come si sta bene dentro di lei. Quanto sia stupendo il suo viso quando urla in preda al piacere. Quanto mi faccia fremere sentire la sua voce accarezzare piano il mio nome. Mentre la canzone sfuma, mi avvio verso di lei. Ho davvero bisogno di toccarla. Mio padre si allontana da lei con una piccola riverenza. «Ora basta ballare con i vecchietti» dico con un sorriso quando giungo accanto a loro. Mio padre ride piano. «Stai bene attento al vecchietto, figliolo. Ero piuttosto famoso ai miei tempi» Carrick mi allontanandosi. strizza l’occhio scherzosamente, «Credo che tu piaccia a mio padre» le dico, guardandolo allontanarsi. «Perché non dovrei piacergli?» mi guarda, sbattendo le ciglia. «Ben detto, Miss Steele» le dico con un sorrisetto. L’orchestra attacca It had to be you. É come se queste canzoni fossero suonate apposta per noi due questa sera. «Balla con me» le sussurro, guardandola con malizia. Quell’invito ne nasconde un altro. A cui potrà dire di sì più tardi. «Con piacere, Mr Grey» mi sorride, mentre la attiro in un volteggio sulla pista, stringendola forte tra le braccia. Balliamo ancora per un po’, poi ci avviamo verso la spiaggia, nei presi della rimessa delle barche. “Quella sera iniziavo solo a capire lo sconvolgimento che stavi apportando alla mia vita, Ana. Ora lo so. Ora so quanto ti amo”. La stringo a me, annientando la voce del maestro di cerimonie e tutto il brusio circostante. Esiste solo lei e il suo profumo. Nient’altro ha importanza per me in questo momento. Un brivido la percorre all’improvviso, mentre si rannicchia ancora di più contro di me. La stringo forte, guardandola. «Stai bene, piccola? Hai freddo?» le chiedo premuroso. «Sto benissimo» mi dice, lanciando un’occhiata alle nostre spalle. Capisco che non era un brivido di freddo. É preoccupata. Per Leila. O Elena. O entrambe. Si sposta davanti a me e io la tengo per le spalle, inspirando il suo fantastico profumo. Lo spettacolo pirotecnico inizia e, anche se non posso guardarla negli occhi, sento lo stupore e la serenità attraversarle il corpo. É felice. E io con lei. Tutto è coordinato con la musica. É favoloso, come ogni anno. Ma quest’anno lo è di più. Perché c’è lei a renderlo speciale. «Signore e signori» urla il maestro di cerimonie. «Una nota per concludere questa magnifica serata: la vostra generosità ammonta a un totale di un milione e ottocentocinquantatremila dollari». La folla esplode in un applauso fragoroso, mentre sul ponte galleggiante appare una scritta luminosa e argentea che cita “GRAZIE DA AFFRONTIAMOLO INSIEME”. «Oh, Christian... è stupendo» sussulta, girandosi a guardarmi. Mi chino su di lei e la bacio, intensamente. Le nostre labbra si sfiorano per poi perdersi le une nelle altre. Le lingue si scontrano si fondono, si amano. Proprio come noi due. «È ora di andare» le mormoro quando ci stacchiamo, sorridendole. “Voglio di più, Ana. Ne ho bisogno. Ora”. Annuisce piano. Mi giro a guardare Taylor, bianco come un lenzuolo, che mi fa un cenno con il capo. «Rimani un attimo qui con me. Taylor vuole che aspettiamo che la folla si disperda» le dico piano, tenendola tra le braccia. «Credo che questi fuochi d’artificio gli abbiano fatto perdere una decina d’anni» aggiungo piano. Mi dispiace aver sottoposto Taylor a questa piccola tortura. É un ex militare e non sopporta spari, fuochi, bombe e roba simile. La roba che scoppia, insomma. A meno che non sia lui a farla scoppiare. Io, invece, la odio in generale. «Non gli piacciono i fuochi d’artificio?» mi chiede Anastasia, corrucciando la fronte. La guardo con un sorriso tenero e scuoto la testa, senza aggiungere nulla. Con la coda dell’occhio scorgo la squadra della sicurezza che si agita dietro di noi, in attesa di perlustrare a fondo la folla e l’ambiente circostante. Ma non voglio che lei percepisca tutto questo. Voglio solo che si goda la serata. «E così, Aspen» mormoro contro il suo orecchio, nel tentativo di distrarla. «Oh... non ho pagato per il mio acquisto» sussulta, portandosi una mano a coprire la bocca. «Puoi mandare un assegno. Ho l’indirizzo» le dico scherzoso. «Eri davvero arrabbiato» mi dice, guardandomi con gli occhi grandi da bambina. «Sì, lo ero» ammetto con un sorriso. Sorride anche lei, soddisfatta. «È colpa tua e dei tuoi giocattoli» mi accusa, alzando il mento. «Eri piuttosto su di giri, Miss Steele. E il risultato è stato più che soddisfacente, se ricordo bene» le dico lanciandole un sorrisetto perverso. Ma in effetti il ricordo del suo delizioso culo arrossato mi fa fremere l’uccello nei pantaloni. «A proposito, dove sono?» le chiedo, riferendomi alle sfere. «Le sfere d’argento? Nella mia pochette» dice tranquilla. «Le rivorrei indietro. Sono un dispositivo troppo potente perché io le lasci nelle tue mani innocenti» ribatto scherzosamente. «Sei preoccupato che possa andare ancora su di giri, magari con qualcun altro?» mi provoca. La guardo con ardore, mentre dentro di me si mischiano rabbia e desiderio. «Spero che non succeda» la avverto. «Voglio tutto il tuo piacere, Ana» le dico piano, scandendo le parole. «Non ti fidi di me?» mi chiede piccata. «Nel modo più assoluto. Ora, posso averle indietro?» la provoco ancora. «Ci penserò» mi dice, girandosi a guardare la pista da ballo sulla quale si stanno radunando i più giovani. Scuoto la testa, avvinghiandomi di nuovo a lei e poggiandole un sonoro bacio sulla testa. Ana ridacchia piano. «Vuoi ballare?» le chiedo, abbassandomi contro il suo orecchio. «Sono davvero stanca, Christian. Vorrei andare, se per te va bene» mi dice, girandosi e poggiando le mani sui miei bicipiti coperti dalla giacca. Noto con piacere che ora che so che ha visto fin dove può spingersi, il suo tocco non mi fa più tanta paura. Guardo Taylor, interrogandolo con lo sguardo e lui mi dà il via libera. Ci incamminiamo verso casa, preceduti da una coppia barcollante. Le afferro la mano, mentre noto che le gambe le si sono appesantite, probabilmente per i tacchi alti. Mia ci raggiunge prima che riusciamo a defilarci. «Non ve ne starete andando, vero? La festa inizia adesso. Avanti, Ana» si lamenta, afferrando la mano di Anastasia. «Mia» la ammonisco piano, ma deciso. «Anastasia è stanca. Stiamo andando a casa. E poi, domani abbiamo una giornata pesante» aggiungo, e sento immediatamente lo sguardo di Ana su di me. “Non immagini neppure quanto sarà pesante per te, Miss Steele. Ho intenzione di perdermi in te ripetutamente. E instancabilmente”. Mia mi mette il broncio, ma evita di replicare. «Devi venire qualche volta, la prossima settimana. Potremmo andare a fare shopping...» le propone, guardando Anastasia. «Certo, Mia» acconsente lei gentilmente. Mia sorella le si fionda addosso, baciandola sulle guance, poi passa a me. Mi stringe forte, mentre la guardo sorpreso da quel gesto di affetto. Poi alza lo sguardo su di me, poggiando le mani sul bavero della giacca. La guardo, sorridendole piano. «Mi piace vederti felice» mi mormora, con gli occhi lucidi. Poi mi deposita un bacio sulla guancia, prima di scappare via. «Ciao. Divertitevi» urla scappando in pista. «Andiamo a dare la buonanotte ai miei genitori prima di andarcene. Vieni» le dico, sospirando piano e conducendola verso Grace e Carrick. I miei genitori sono ancora più calorosi nei confronti di Ana. «Per favore, torna a trovarci, Anastasia. È stato davvero bello averti qui» le dice mia madre con sincerità, prima di abbracciarla. Quando terminiamo i saluti di rito, ci avviamo lentamente verso l’auto. Camminiamo mano nella mano, sotto il cielo stellato. E penso che non possa esserci al mondo un momento migliore di questo. A parte quando sono dentro di lei, ovvio. Quel momento non può batterlo nessun altro. Abbiamo tolto le maschere e vedere il suo viso rilassato e felice, mi fa sentire un uomo nuovo. Diverso. Più forte. «Hai abbastanza caldo?» le chiedo premurosamente. «Sì, grazie» mi risponde, stringendosi nello scialle di raso abbinato al suo abito. «Mi sono divertito tanto stasera, Anastasia. Grazie» le sussurro sincero, senza riuscire a smettere di guardarla. «Anch’io, in alcuni momenti più che in altri» dice ammiccando divertita. Le faccio un sorrisetto, piegando leggermente la testa. Ana si morde il labbro, per frenare la risatina. L’effetto su di me è immediato. Aggrotto la fronte, deglutendo. «Non ti mordere il labbro» sussurro con la voce bassa, piena di desiderio per lei e il suo corpo meraviglioso. Ma più di tutto per il suo cuore. «Perché domani avremmo una giornata impegnativa?» mi chiede curiosa. «La dottoressa Greene verrà a visitarti. E poi ho una sorpresa per te» sorrido, al pensiero di portarla sulla Grace. Ci ho pensato prima. Saremo al sicuro. E potremo divertirci insieme. «La dottoressa Greene!» dice allibita, fermandosi. «Sì» «Perché?» chiede attonita. «Perché odio i preservativi» le dico semplicemente, scrutando la sua reazione. «È il mio corpo» mormora e sembra risentita. «È anche il mio» le sussurro, mentre penso a mille modi per appropriarmene. Ci fissiamo per qualche attimo, mentre gli ospiti che vanno via ci sorpassano ignari. Alza una mano. D’istinto stringo la mascella. Ma non mi allontano. Rimango fermo e la lascio fare. “Ho fiducia in te, Ana”. Afferra un lato del papillon, tirandolo fino a farlo sciogliere. Poi, con dita tremanti, mi slaccia il primo bottone della camicia. «Sei sexy così» sussurra piano. Le sue parole mi incendiano l’anima. Sono eccitato e se potessi la prenderei ora, qui, all’aperto. Le sorrido sfacciatamente. «Ho bisogno di portarti a casa. Vieni» le mormoro, porgendole il braccio a cui lei si aggrappa ben volentieri. Arriviamo alla macchina e Sawyer mi si avvicina, porgendomi una busta. É senza mittente, ma è indirizzata ad Ana. Mi acciglio, mentre entriamo in auto. Poi gliela porgo, imbronciato. «È per te. Uno dei camerieri l’ha data a Sawyer. Senza dubbio hai infranto un altro cuore» le dico a denti stretti. Ana prende la busta tra le dita, fissandola. Poi si decide ad aprirla. Scruto di nascosto la sua espressione, notando lo stupore e poi la rabbia. «Glielo hai detto?» mi dice, girandosi di scatto. Sembra ferita. E furiosa. «Detto cosa?» chiedo colto alla sprovvista. «Che la chiamo Mrs Robinson» sbotta acida. «È di Elena?» chiedo sbarrando gli occhi. “Ma che cazzo...?”. «Questo è ridicolo» borbotto piano, passandomi una mano nei capelli, esasperato e incazzato. «Me ne occuperò domani. O lunedì» dico rabbioso. Anastasia rimane in silenzio, aprendo la pochette e infilandoci il biglietto. Poi ne tira fuori le sfere d’argento, passandomele furtivamente. «Alla prossima» mormora piano, a bassa voce. La guardo, ammirando la sua attuale calma. E sorrido nel buio dell’abitacolo. Poi si gira, guardando fuori dal finestrino. La guardo in silenzio, mentre scivola nel sonno, rendendomi conto di quanto io sia fortunato ad averla nella mia vita. La mia missione, da oggi in poi, sarà renderla felice. Sempre. E tenere Elena al suo posto. E Leila lontana da lei. ‘Quanti impegni per un solo uomo, Grey...’. Quando arriviamo all’Escala, quasi mi dispiace svegliarla. Ma devo. Dobbiamo scendere all’entrata, in modo che i ragazzi abbiano più tempo per effettuare i controlli. «Devo portarti dolcemente. dentro in braccio?» le chiedo Scuote la testa, con gli occhi velati di sonno. Attraversiamo la hall e entriamo in ascensore. Ana poggi ala testa sulla mia spalla, mentre Sawyer, davanti a noi, fissa il pavimento, imbarazzato, facendomi scappare un sorriso. «La giornata è stata lunga, eh, Anastasia?» le mormoro all’orecchio. Annuisce, silenziosa. «Stanca?» le chiedo divertito. Annuisce nuovamente. «Non sei molto loquace» Annuisce per l’ennesima volta e io le sorrido. ‘Per stasera il fratellino ai piani bassi se ne starà a bocca asciutta, Grey’. «Vieni. Ti metto a letto» le dico, prendendole la mano, mentre le porte dell’ascensore si aprono. L’atmosfera cambia in un nanosecondo. Vedo Sawyer alzare il braccio e parlare con Taylor attraverso il ricetrasmittente. «Lo faremo, T» dice, voltandosi a guardarci. «Mr Grey, le gomme dell’Audi di Miss Steele sono state squarciate e sull’auto è stata gettata della vernice» Ana sussulta, impaurita. Alza gli occhi su di me, mentre il sangue defluisce dal mio volto. «Taylor è preoccupato che il colpevole possa essere entrato nell’appartamento e possa trovarsi ancora qui. Vuole controllare» continua Sawyer. «Capisco» sussurro. Mi riprendo dallo stato di shock. Ho un solo pensiero in testa. “Ana deve stare al sicuro”. «Qual è il piano di Taylor?» «Sta salendo con l’ascensore di servizio, insieme a Ryan e Reynolds. Faranno un sopralluogo e poi ci daranno il via libera. Io aspetterò qui fuori con lei, signore» «Grazie, Sawyer» Stringo Ana con un braccio, avvolgendola. «Questa giornata non fa che migliorare» sussurro. Sospiro, strofinando il naso nei suoi capelli e inalando a fondo il suo profumo. «Senti, non posso stare qui ad aspettare. Sawyer, occupati di Miss Steele. Non lasciarla entrare prima che io abbia verificato che è tutto a posto. Sono sicuro che Taylor si sta preoccupando troppo. Lei non può entrare nell’appartamento» dico, imponendomi di staccarmi da lei e affidandola a Sawyer. Devo essere certo al cento per cento che Leila non sia in quel fottuto appartamento quando lei entrerà. «No, Christian... devi rimanere con me» mi supplica, in ansia. Mi stacco dal suo corpo, con uno sforzo immane. «Fa’ quello che ti dico, Anastasia. Aspetta qui» le ordino. «Sawyer?» mi rivolgo a lui prima che Ana possa replicare. Sawyer mi apre la porta, lasciandomi entrare. Quando l’uscio si chiude dietro di me, è come se venissi catapultato in un’altra realtà. Tutto quello che voglio è dietro quella porta, alle mie spalle. Ma ora... ora devo affrontare il mio passato. Capitolo 11 Attraverso il corridoio bianco, immerso nell’oscurità. Mi muovo senza fare il minimo rumore. Mi guardo intorno circospetto, ma non c’è traccia di Leila né in cucina, né in salotto. Nulla. Mi dirigo nel mio studio, dove trovo Taylor incavolato. «Mr Grey, non sarebbe dovuto entrare» sibila. «Bè, ora sono qui. Diamo un’occhiata» ringhio di rimando. Insieme frughiamo ogni angolo del primo piano, per poi passare al secondo. Entriamo nella stanza di Ana. In quella che era la sua stanza. Magari è qui. Magari sta cercando di riprendersi il posto che crede che Ana le abbia rubato. Ma niente. Non c’è neppure qui. Esco nel corridoio e faccio un lungo e profondo respiro, slacciandomi i primi bottoni della camicia. Afferro con forza la maniglia. É rimasta solo questa stanza da perlustrare. Ho il cuore in gola quando infilo le chiavi che ho preso dal pannello in lavanderia e faccio scattare la serratura, mentre Taylor si avvicina. Un tremito mi percorre il corpo alla vista di quelle pareti di quello che ora mi sembra un rosso sangue. Mi giro intorno e non posso ignorare le fitte di dolore che mi trafiggono il petto. Guardo velocemente dappertutto. L’ansia di trovare Leila si è sostituita all’ansia di voler uscire via di qui. E tornare da lei. «Lei non è qui. Controllate a fondo l’appartamento. Torno di sotto» mormoro, uscendo da quell’angolo delle torture. Ora capisco cosa deve aver provato Anastasia la prima sera che è stata qui. Mi avvio nel corridoio, aprendo la porta di ingresso. Mi trovo davanti la pistola di Sawyer e Anastasia spaventata a morte. «Tutto a posto» dico in un sibilo, corrugando la fronte alla vista dell’arma da fuoco. Sawyer mette la pistola nella fondina e si rilassa, spostandomi per farmi passare. «Taylor si preoccupa troppo» mormoro ad entrambi, mentre tendo la mano ad Ana. Lei continua a fissarmi a bocca aperta, palesemente sotto shock. La guardo preoccupato. É pallida. «Va tutto bene, piccola» le sussurro, avvicinandomi e prendendola tra le braccia. La stringo forte a me, prendendomi quel conforto che ho desiderato fino ad ora. Lo sguardo mi cade sui quadri dietro di lei. Un’ulteriore fitta di dolore mi attraversa il cuore. Tutti quei quadri. Sono sedici in tutto. Il numero non è casuale. Nulla è casuale nella mia vita. Ricordo ancora quando comprai il primo. É stata una delle prime cose che ho comprato per l’Escala. Volevo un simbolo. Qualcosa che mi ricordasse che anch’io ero stato bambino. Ma il secondo... il secondo l’ho comprato alla fine della mia storia con Elena. Ancora una volta non ero riuscito a riempire quel vuoto che mi portavo dentro. E così sono andato avanti. Ogni Sottomessa che mettevo sotto torchio per vendicarmi, mi lasciava sempre lo stesso vuoto. E veniva sostituita sempre da un quadro. Credo non me ne sia neppure reso conto all’inizio. Ma poi l’ho fatto. Il mio subconscio mi ha illuminato un giorno in cui mi sono trovato a guardare questa stessa parete, mentre le chiavi mi cadevano di mano e io tentavo di recuperarle. É per questo che l’ultimo non l’ho appeso. É ancora custodito nella cassaforte. Non ho avuto il coraggio. L’ho comprato sì, ma non l’ho appeso. Non so cosa mi dia tanta sicurezza, ma so che non ci sarà nessun quadro post Anastasia. Lei completa ogni vuoto della mia anima. «Avanti, sei stanca. A letto» le mormoro all’orecchio, senza però allentare la stretta. «Ero così preoccupata» sussurra lei contro il mio petto, stringendosi a me e respirando a fondo il mio profumo. «Lo so. Siamo tutti tesi» le dico, lasciando Sawyer, Taylor e il resto della squadra entrare nell’appartamento prima di muovermi, ma senza lasciarla. «Mr Grey, le tue ex stanno dando prova di essere una vera e propria sfida» mi dice sarcastica. Il mio corpo si rilassa, constatando che non ha perso il suo senso dell’umorismo. «Sì, lo sono» le dico, sorridendo piano, mentre mi stacco da lei, prendendole la mano e guidandola all’interno, fino al salone, dove ora la luce è accesa. «Taylor e i suoi stanno controllando tutte le credenze e le cabine armadio. Non penso che lei sia qui» la rassicuro. «Perché dovrebbe essere qui?» chiede con la fronte corrucciata. «Già, appunto» confermo la sua tesi. «Potrebbe entrare?» chiede timorosa di sentire la risposta. «Non vedo come. le precauzioni, a volte» Ma Taylor esagera con «Hai guardato anche nella tua stanza dei giochi?» mi chiede all’improvviso. La guardo corrucciato, chiedendomi cosa le sta passando in questo momento per la testa. «Sì, è chiusa a chiave. Comunque, Taylor e io abbiamo controllato» le dico alla fine. La sento sospirare a fondo e rilassarsi di colpo. Si aspettava che la trovassi lì, per caso? Certo. Pensa che Leila voglia riavermi. Quale modo migliore di tentarmi facendosi trovare della Stanza del peccato? “Oh, Ana. Quanto ti sbagli”. «Vuoi qualcosa da bere o altro?» le chiedo preoccupato per lei. «No» sussurra, chiudendo per un attimo gli occhi, stanca da morire. «Vieni, ti metto a letto. Hai l’aria esausta» le sussurro, baciandole una tempia. La spingo fin dentro la mia camera. Ana appoggia la piccola borsa sul cassettone, aprendola e rovesciandone il contenuto. Ne fuoriesce anche il biglietto di Elena. «Tieni» mi dice, passandomelo. «Non so se vuoi leggerlo. Io intendo ignorarlo» mi dice con aria annoiata. Lo afferro, scorrendolo velocemente. “A che cazzo di gioco stai giocando, Elena?”. Stringo forte la mascella per la rabbia. «Non capisco quali lacune possa colmare» le dico, evitando il suo sguardo. In realtà so benissimo quali lacune può colmare Elena. «Devo parlare con Taylor» le annuncio. Ma anche con Elena. La guardo per un istante, vedendo i suoi occhi stanchi e spaventati. L’improvviso desiderio di prendermi cura di lei mi invade l’anima. «Vieni, ti tiro giù la cerniera del vestito» le mormoro, guardandola avvicinarsi. «Chiamerai la polizia per la storia della macchina?» mi chiede, voltandosi e dandomi le spalle. Le sollevo i capelli, lasciando che le mie dita vaghino sulla parte alta della schiena, esposta la mio sguardo. Lentamente faccio scorrere giù la zip. «No. Non voglio assolutamente che la polizia venga coinvolta. Leila ha bisogno di aiuto, non dell’intervento della polizia, e io non li voglio qui. Dobbiamo solo raddoppiare gli sforzi per trovarla». Mi chino sulla sua spalla candida, baciandola dolcemente. «A letto» le ordino piano, lasciandola da sola nella camera per andare a vedere a che punto stanno i ragazzi. Dopo aver fatto il punto della situazione con Taylor e la sua squadra, mi rintano nel mio studio. Mi lascio cadere scomposto sulla poltrona in pelle, passandomi le mani nei capelli. Anastasia è diventata così rapidamente il centro del mio mondo e non posso pensare di perderla. Non posso pensare di darla in pasto ad una psicopatica che non desidera altro che spodestarla dal suo posto. Che, per inciso, è al mio fianco. Chiudo gli occhi e davanti a me si materializza il suo viso meraviglioso, sorridente e felice mentre volteggiamo insieme nella pista da ballo al ricevimento. Voglio che quel viso sia sempre così felice. Sempre così sorridente. La mia malinconica riflessione viene interrotta dal ronzio del mio BlackBerry. É Elena. Guardo l’orologio mentre premo il tasto verde. É tardissimo. «Che c’è?» ringhio alla mia interlocutrice. «Christian... io... volevo parlare di alcune cose» sembra sorpresa. «Non so perché chiami a quest’ora. Non ho niente da aggiungere» le dico furioso. «In realtà volevo lasciarti un messaggio, non intendevo disturbarti» la sento riprendersi velocemente dalla sorpresa iniziale e recuperare terreno. «Bè, puoi dirmelo adesso. Non devi lasciarmi un messaggio» le ordino severamente. “Ho mille problemi, Elena. mille, non uno. E tu non stai aiutando. Non lo stai facendo, cazzo!”. «Christian, riguarda Anastasia. Lei, bè.. io ho cercato di farle capire che non deve farti del male, ma lei.. non fa per te, Christian. Devi ascoltarmi». La rabbia mi attraversa il corpo come una scarica elettrica a quelle parola. «No, ascoltami tu. Te l’ho chiesto, e ora te lo ripeto. Lasciala in pace. Lei non ha niente a che vedere con te. Mi hai capito?» sbraito contro l’altoparlante del telefono. «Christian, io non volevo preoccupo solo per te, lo sai» farti arrabbiare. Mi «Lo so che lo fai. Ma dico sul serio, Elena. Cazzo, lasciala in pace. Te lo devo scrivere in triplice copia? Mi hai sentito?» urlo, esasperato. Dall’altro lato sento uno sbuffo di stizza. «Certo, come vuoi» mi risponde Elena, arrabbiata. «Bene. Buonanotte» le dico, riattaccando, esausto. Lancio il telefono sul ripiano della scrivania. Ritornando a dondolarmi leggermente a destra e sinistra sulla mia poltrona. Ho il braccio appoggiato al bracciolo, mentre faccio scorrere il dito indice avanti e indietro sulle labbra. Un ginocchio è piegato, mentre l’altra gamba è distesa sotto al tavolo. Sto scomodo, voglio tornare da Anastasia. Ma devo calmarmi. Prima Leila, il casino di stasera, e poi anche Elena che crede di aver trovato il figlio che non ha mai avuto da quel coglione di Linc. Un leggero rumore alla porta mi fa alzare gli occhi al cielo e mi prepara a ricevere l’ennesima cattiva notizia della serata. «Cosa c’è?» sbraito furioso. Ma mi pento subito quando mi accorgo che è Anastasia. Il mio viso si distende in automatico. É un sollievo vederla. Sempre. Poggio la testa allo schienale, prendendomi qualche attimo per ammirare tutto quello di cui ho bisogno. É tutto racchiuso in un candido corpo seducente, ricoperto solo dalla mia maglietta. I miei occhi indugiano sulle sue gambe nude, per poi risalire a trovare l’azzurro dei suoi occhi. «Dovresti indossare raso o seta, Anastasia» le sussurro, stanco. «Ma anche con la mia t-shirt sei bellissima» Vedo il suo petto gonfiarsi di orgoglio, mentre fa qualche passo all’interno della stanza. «Mi sei mancato. Vieni a letto» mormora piano. Mi stacco a fatica dalla sedia. Sono davvero a pezzi. Ma so cosa mi ci vorrebbe per riprendermi. La guardo con ammirazione, desiderio, bramosia. La guardo e so che devo fare di tutto per non perderla, affinché non le accada nulla di male. Affinché Leila non la trovi. La raggiungo, mettendomi di fronte a lei, ma non la tocco. La guardo, la venero, ma non profano il suo corpo. Mi prendo qualche attimo per imprimere nella mia testa questo istante, questa visione meravigliosa. «Sai che significhi per me?» sussurro con un filo di voce. «Se dovesse succederti qualcosa per causa mia...» mi mancano le parole e anche la voce si affievolisce ancora di più. Non riesco neppure a concepirlo un pensiero del genere. Il dolore mi attanaglia la gola, il petto, diffondendosi a macchia d’olio in tutto il mio corpo. Tutte queste sensazioni le ho evitate per troppo tempo. Tutto questo dolore. Ma per lei farei di tutto. Affronterei di tutto. Sono pronto a lanciarmi in pasto ai leoni per farla felice e per proteggerla. «Non mi succederà niente» mi dice, nel tentativo di rassicurarmi. I miei occhi vengono distratti dalla sua mano che si alza e raggiunge il mio viso. Il suo tocco è così rassicurante. Le sue piccole dita mi sfiorano l’accenno di barba, facendo risvegliare in me tutti gli appetiti insaziabili che tenevo a bada dal ricevimento. «La barba ti cresce velocemente» guardandomi con i suoi occhioni sgranati. sussurra, I suoi occhi si spostano sulle mie labbra. E così anche il suo indice. Mi accarezza il contorno del labbro inferiore, poi si ferma, esita. La corsa del suo dito riprende lenta, giù per la gola, fino a quando trova la traccia lasciata dal rossetto. La guardo, senza toccarla, socchiudendo le labbra per il piacere che provo nel vedere la stessa carica di desiderio che sta invadendo il mio corpo. Il dito scorre lungo il bordo della camicia, mentre chiudo gli occhi e il mio respiro si fa incerto. Ogni piccola carezza, ogni minimo tocco mi eccita se è lei a farlo. Sento la stoffa dei miei pantaloni tendersi, l’uccello pulsare velocemente tanto da far male. Mi slaccia un bottone, lentamente. «Non voglio toccarti. Voglio solo slacciarti la camicia» sussurra. Apro di scatto gli occhi a quelle parole, fissandola. I miei muscoli sono tesi, ma non mi sposto. Mi fido di lei. Non mi farà del male. A meno che non mi lasci. Seguo i suoi movimenti lenti e studiati. Non sfiora neppure la mia pelle. Tocca solo la stoffa. Solo la camicia. La sbottona lentamente, stando attenta. Si sposta sempre più in basso, fino a quando non riappare la linea rossa sbiadita. Alza gli occhi su di me, sorridendo timidamente. «Torniamo su un terreno sicuro» mi dice piano, seguendo la linea con le dita. Infine slaccia l’ultimo bottone, aprendo completamente la mia camicia. “Dio, quanto la desidero”. Passa ai polsini, togliendo con delicatezza i gemelli. «Posso sfilarti la camicia?» mi chiede a voce bassa. Annuisco, guardandola a fondo. Deglutisco quando le sue dita leggere mi privano del tessuto che ricopre il mio corpo martoriato. Ma la sua espressione di desiderio mi rimette in posizione di vantaggio. Le lancio un sorrisetto malizioso. «E che mi dici dei pantaloni, Miss Steele?» le chiedo lascivamente, con un sopracciglio alzato. Lei inspira bruscamente e sembra sul punto di svenire dal piacere. «In camera da letto. Ti voglio nel tuo letto» mi sussurra decisa, guardandomi negli occhi. «Lo sai, Miss Steele? Sei insaziabile» la prendo in giro. «Non capisco perché» ribatte, afferrandomi la mano e trascinandomi fuori dal mio studio, verso la camera da letto. Un’aria gelida ci avvolge quando entriamo. «Hai aperto la portafinestra del terrazzo?» le chiedo rabbrividendo per il freddo. «No» mi dice, corrugando la fronte. Poi, di colpo, sbianca. Mi fissa sconcertata, a bocca aperta. «Cosa c’è?» le chiedo preoccupato. «Quando mi sono svegliata... c’era qualcuno qui» sussurra con un filo di voce. «Ho pensato di essermelo immaginato» “Cristo!” «Cosa?» le dico con quello che posso definire puro terrore. Mi avvicino celermente alla portafinestra, per guardare fuori, poi rientro, chiudendola dietro di me. «Sei proprio sicura? Chi?» le chiedo. Ma conosco già la risposta. Era Leila. «Una donna, appena svegliata» penso. Era buio. «Vestiti» sbraito. «Subito!» «I miei abiti sono di sopra» risponde agitata. Mi ero D’istinto apro un cassetto e tiro fuori un paio di pantaloni di una tuta, lanciandoglieli. «Mettiti questi» le rispondo, afferrando una t-shirt e infilandomela. Mi avvicino al comodino e afferro la cornetta dell’interfono, digitando il codice dell’ufficio di Taylor. «Mr Grey» mi risponde prontamente. «Lei è ancora qui, dannazione!» sibilo, sbattendo la cornetta di nuovo giù. Taylor appare quasi subito nella nostra camera. Mentre gli spiego quello che è appena successo, spio Anastasia con la coda dell’occhio. Sta a testa bassa, mortificata. D’istinto vorrei abbracciarla. «Quando è successo?» chiede Taylor, rivolgendo la sua attenzione ad Ana. «Circa dieci minuti fa» mormora con aria colpevole. Chissà perché poi. «Lei conosce l’appartamento come il palmo della sua mano» dico, rivolto a Taylor. «Porto via Anastasia all’istante. Si sta nascondendo qui. Trovatela. Quando tornerà Gail?» mi informo. «Domani sera, signore» mi risponde lui, aggrottando la fronte. «Non deve rimettere piede qui, finché questo posto non sarà sicuro. Ci siamo capiti?» sbotto. «Sì, signore. Andrà a Bellevue?» mi chiede pratico. «Non voglio gravare sui miei genitori con questo problema. Prenotami una stanza da qualche parte» gli dico, con un sospiro. «Va bene» «Non stiamo tutti un po’ esagerando?» chiede ad un tratto Anastasia. Mi giro verso di lei, trovandola con le braccia incrociate sotto al seno, in una tuta extralarge. Le lancio un’occhiataccia. «Leila potrebbe avere una pistola» ringhio infuriato. «Christian, era in piedi davanti a me, in fondo al letto. Avrebbe potuto spararmi allora, se avesse voluto farlo...» mormora, abbassando lo sguardo. Il solo pensiero che quello che ha appena detto possa essere vero, mi manda in bestie. Stringo forte la mascella e i pugni. «Non sono pronto a correre il rischio. Taylor, Anastasia ha bisogno di scarpe» dico, troncando il discorso. Mi infilo nella cabina armadio, mentre Taylor esce e sale di sopra. Ryan resta con Ana. Mi cambio in fretta, infilando un paio di jeans e una giacca. Afferro la mia tracolla e il giubbotto di pelle. Riemergo nella stanza, poggiando il giubbotto sulle spalle di Ana. «Vieni» le dico, trascinandomela dietro. stringendole la mano e «Non riesco a credere che lei si sia potuta nascondere qui dentro da qualche parte» la sento mormorare, girandomi per trovarla a fissare la portafinestra del terrazzo. «È un posto grande. Non lo hai ancora visto tutto» le dico di rimando. «Perché non provi semplicemente a chiamarla... a dirle che vuoi parlarle?» mi chiede ad un tratto. “Oh, come se non ci avessi provato!”. Ma evito di dirglielo. So già come reagirebbe. «Anastasia, quella donna è instabile, e potrebbe essere armata» ribatto iniziando ad essere irritato da tutta la situazione e dal suo continuare a mettermi sotto pressione. «Allora noi sopracciglio. scappiamo?» chiede, alzando un «Per adesso sì» ribatto deciso. «Mettiamo che cerchi di sparare a Taylor» mi dice, incrociando di nuovo le braccia. «Taylor conosce e capisce le armi» ribatto con una smorfia. «Sarebbe più veloce di lei con la pistola» «Ray è stato nell’esercito. Mi ha insegnato a sparare» mi dice, alzando il mento. La guardo, senza riuscire a trattenere un sorriso. «Tu, con una pistola?» chiedo incredulo. «Sì» mi risponde offesa. «So sparare, Mr Grey, perciò sarà meglio che tu stia attento. Non è solo di una folle ex Sottomessa che devi aver paura» ribatte arricciando le labbra e girandosi dall’altro lato. «Me lo ricorderò, Miss Steele» le rispondo seccamente, divertito dalla visione che mi si è formata nella testa. In quel momento ci raggiunge Taylor, che le passa la valigia e le sue scarpe da ginnastica. Ana lo guarda stupita. Poi gli sorride, timida, in imbarazzo. Taylor ricambia il sorriso velocemente. Ana ci sorprende entrambi, lanciandosi su di lui e abbracciandolo forte. Quando si stacca, Taylor è arrossito. «Stia attento» mormora facendo un passo indietro e guardandolo accorata. «Sì, Miss Steele» borbotta lui. Li guardo con aria interrogativa. Non mi piace vedere Ana avvinghiata ad un altro. Anche se si tratta di Taylor. Rivolgo il mio sguardo a lui, che mi sorride mentre si aggiusta la cravatta. «Fammi sapere dove sto andando» gli dico, guardandolo inquisitorio. Taylor frugo nella tasca interna della sua giacca, tirando fuori il portafoglio e sfilandone una carta di credito che poi mi passa. «Potrebbe voler usare questa, quando sarà là» mi dice con aria complice. Annuisco, colpito dalla sua capacità organizzativa. «Bella pensata» annuisco. Di quest’uomo ci si può fidare. Questo è poco ma sicuro. Sopraggiunge anche Ryan. «Sawyer e Reynolds annuncia a Taylor. non hanno trovato nulla» Lui drizza le spalle, assumendo il comando totale dell’operazione. «Accompagna Mr Grey e Miss Steele in garage» ordina. Ryan chiama l’ascensore e, mentre aspettiamo, stringo forte la mano di Anastasia. Lei poggia lo sguardo prima sulle nostre mani unite. Poi lo punta su di me, nei miei occhi grigi tormentati per la paura di perderla. Entriamo in silenzio nell’ascensore, senza scambiare nessuna parola fino al garage, deserto data l’ora tarda. I miei occhi cadono immediatamente sulla sua auto, con i pneumatici forati e la carrozzeria tinta di bianco. Non mi ci soffermo a lungo. Le indico con un celere cenno la R8 e metto sia la sua valigia che la mia tracolla nel bagagliaio anteriore dell’auto. La vedo sussultare quando si rende conto delle condizioni della sua Audi, mentre si infila in macchina. Prendo posto accanto a lei, ansioso di allontanarmi da tutto questo. «Lunedì arriverà un’auto sostitutiva» le appuntandomi mentalmente di riferirlo a Taylor. dico, «Come faceva lei a sapere che era la mia macchina?» mi chiede corrucciata. Mi giro in preda all’ansia, deglutendo piano. Sospiro perché sapevo che questa domanda era inevitabile. «Aveva un’Audi A3. Ne compro una a tutte le mie Sottomesse. È l’auto più sicura della sua categoria» confesso in un sussurro. I suoi occhi si fanno grandi, pieni di un sentimento molto simile al dolore. “Cristo”. «Perciò non era un regalo di laurea» Non me lo chiede. La sua è una constatazione. «Anastasia, benché lo sperassi, tu non sei mai stata la mia Sottomessa, perciò tecnicamente è un regalo di laurea» le spiego avviandomi verso l’uscita del garage dell’Escala. Sento l’atmosfera tra di noi cambiare. La spio, vedendola abbassare lo sguardo e fissarsi le dita. So che non è un buon segno. Ci immettiamo sulla strada deserta e pigio l’acceleratore. «Lo speri ancora?» sussurra, la voce a malapena udibile. “Cristo, no!”. Il telefono dell’auto squilla. Rispondo subito. Dev’essere Taylor. «Grey» «Fairmont Olympic. A mio nome» mi dice Taylor. Il suo tono pratico mi dice che sta facendo tutto quello che è in suo potere per risolvere la faccenda. «Grazie, Taylor. E... sta’ attento» aggiungo, davvero preoccupato per lui. Dall’altro lato sento il silenzio. «Sì, signore» dice tranquillo alla fine. Riaggancio e torno a premere l’acceleratore. Ripenso alla sua domanda. Ovvio che non voglio più che sia una Sottomessa. É evidente. ‘Magari non per lei, Grey’. Già, forse non è così evidente. Vorrei dirglielo. Vorrei trovare un modo. Mi mordo l’interno della guancia, fino a farmi male. Ma non riesco a pronunciare quella che è ormai la sola ragione per cui mi alzo dal mio fottutissimo letto la mattina. Io la amo. Vengo distratto da una luce nello specchietto, ma l’auto svolta ad un certo punto. Non ci sta seguendo. Faccio un giro lungo, deviando dal normale percorso, per depistare eventuali inseguitori. Poi torno a guardarla, totalmente immersa nella sua malinconia. Sospiro leggermente. «No, non lo spero, non più. Pensavo che fosse ovvio» le dico piano, dolcemente, come per farglielo davvero imprimere in testa. Ana si gira a guardarmi di scatto. Si stringe nel mio giubbotto. «Temevo che... lo sai... essere abbastanza» sussurra. temevo di non «Sei più che abbastanza. Per l’amor di Dio, Anastasia, che cosa devo fare per fartelo capire?» le dico, guardandola esasperato. E in quel momento lo so. I suoi occhi implorano per sentirsi dire di essere amata. Ma non so come... non so come fare. «Perché pensavi che ti avrei lasciato quando ti ho detto che il dottor Flynn mi aveva raccontato tutto di te?» chiede timorosa. Inspiro profondamente e per qualche attimo non butto fuori l’aria. Poi lo faccio, liberandomi all’improvviso. “Perché sono un perverso e malato figlio di puttana. Perché faccio del male alle persone, alle persone come te. Solo perché hanno la sfortuna di assomigliare a quella lurida troia di mia madre. Solo perché riescono a farmi sfogare. Solo perché se ordino loro di mangiare, loro lo fanno. Non si lasciano morire di stenti su uno sporco divano. Se ordino loro di lasciarsi fustigare al suo posto, loro sono lì, pronte a soddisfare ogni mio desiderio. Sono io che decido quando mandarle via. Nessuna di loro mi abbandona per giorni, lasciandomi a morire di fame. Eppure... eppure tu non sei tutto questo. Tu non lo sei mai stata. Tu sei la donna della mia vita. Ma fuggiresti da me se ti dicessi che mi piace fare del male, anzi godo nel fare del male ad una donna. Solo perché è bruna e con la pelle chiara. Solo perché è come Ella. Sono solo un sadico figlio di puttana”. «Non puoi nemmeno immaginare l’abisso della mia depravazione, Anastasia. E non è qualcosa che voglio condividere con te» le dico, senza distogliere gli occhi dalla strada. «E davvero pensi che ti lascerei, se lo sapessi?» quasi urla per l’incredulità. «Hai una così scarsa opinione di me?» mi chiede, ferita. «So che te ne andresti» le dico, tristemente. “Lo so, Ana. É così. Scappate tutti via dal mostro che sono”. «Christian... credo che sia molto improbabile. Non posso immaginare di stare senza di te» sussurra, incredula. Le sue parole mi infondono speranza, ma non riesco a credere fino in fondo a quello che dice. «Invece mi hai già lasciato una volta... Ma non voglio tornare sull’argomento» le dico, serrando la mascella. Ana mi fissa per qualche istante. Poi cambia direzione del discorso. «Elena mi ha detto di averti visto sabato scorso» afferma, piano. «Non è vero» controbatto, aggrottando la fronte. “Cristo, Elena, ma che cazzo stai combinando?”. «Non sei andato a trovarla, quando ti ho lasciato?» chiede sarcastica. «No» rispondo in preda all’irritazione. «Ti ho appena detto che non l’ho fatto. E non mi piace che si dubiti di me» la ammonisco con severità. «Non sono andato da nessuna parte lo scorso fine settimana. Ho costruito il modellino di aliante che mi avevi regalato. Mi ci è voluta una vita» aggiungo, malinconicamente. Non ho voglia di ricordare. Ora lei è qui con me. Riesco quasi a sentire il rumore del suo cervello che pensa e ripensa a tutta la situazione. Se fosse un’altra l’avrei già rispedita a casa. Ma con lei, mi sento in dovere di darle una spiegazione ulteriore. «Contrariamente a ciò che Elena pensa, non corro da lei ogni volta che ho un problema, Anastasia. Non corro da nessuno. Avrai notato che non sono una persona loquace» le dico, stringendo con forza il volante tra le mani. Questa volta, Elena me la paga. Dopo pochi attimi di silenzio, riprende. «Carrick mi ha detto che non hai parlato per due anni» mormora, girandosi a guardarmi. «Ah, sì?» le dico, stringendo forte le labbra. «In parte l’ho spinto io a farmi quella confidenza» spiega, in imbarazzo. «E che altro ti ha detto il paparino?» dico a denti stretti. «Mi ha detto che tua madre era il medico che ti ha visitato quando ti hanno portato in ospedale... dopo che ti hanno trovato nel tuo appartamento» Continuo a fissare la strada, mentre i ricordi sfocati di quel giorno prendono vita nella mia testa. Era stato un giorno fortunato per me. Cibo, acqua. E un calore che non avevo mai sperimentato prima. Avevo incontrato un angelo. Un angelo dolce. Avevo una nuova mamma”. «Dice che imparare a suonare il pianoforte ti ha aiutato. E anche Mia» Sorrido all’istante al solo sentire pronunciare il nome di mia sorella. Il ricordo del suo piccolo sorriso mi riscalda il cuore. É stata parte di quell’ancora di salvezza lanciatami dai Grey. «Aveva circa sei mesi quando è arrivata. Io ero elettrizzato, Elliot un po’ meno. Aveva già avuto un rivale con il mio arrivo. Lei era perfetta» le dico, ricordando l’attimo in cui quel fagotto è entrato in casa nostra. Era splendida. Perfetta. Meravigliosa. E aveva bisogno di essere protetta. Potevo farlo. Potevo esserle d’aiuto. Potevo servire a qualcosa in quella enorme casa che non era mia. Non ancora almeno. «Adesso un po’ meno, ovviamente» borbotto, aggrottando sarcasticamente la fronte nel ricordare come ci ha tenuti separati per gran parte della serata. Anastasia ridacchia. Mi giro a lanciarle un’occhiata di traverso, segretamente divertito. «Lo trovi divertente, Miss Steele?» le chiedo. «Sembrava determinata a dividerci» continua a ridacchiare lei. Mi sforzo di seguire il suo buonumore. «Sì, c’è quasi riuscita» le dico, allungano la mano destra verso di lei e strizzandole affettuosamente il ginocchio. «Ma ce l’abbiamo fatta, alla fine» le sussurro malizioso. Alzo gli occhi, guardando per l’ennesima volta nello specchietto retrovisore. Sono definitivamente sicuro che nessuno ci sta dietro. «Non penso che siamo seguiti» le annuncio. Esco dalla I-5 e torno verso il centro di Seattle. É di nuovo lei a rompere il silenzio. «Posso farti qualche domanda su Elena?» mi chiede, timorosa. “Oh, tipo quanto vorrei strangolarla con le mie mani ora?”. La guardo, mentre ci fermiamo ad un semaforo. «Se proprio devi» borbotto mettendole il broncio. Lei mi guarda, alzando un sopracciglio, poi torna a fissarsi le dita. «Tempo fa mi hai detto che lei ti amava in un modo che trovavi accettabile. Che cosa significa?» mi chiede piano. «Non è ovvio?» ribatto. «Non a me» ammette sincera. Faccio un sospiro. “Più cose tiro fuori, più si fiderà di me”. «Ero fuori controllo. Non potevo tollerare di essere toccato. Non riesco a sopportarlo nemmeno adesso. Per un adolescente di quattordici quindici anni con gli ormoni in subbuglio era un periodo difficile. Mi ha mostrato il modo per sfogarmi». Senza toccarmi. Mi ha dato quello di cui avevo bisogno. Mi ha punito. Ha usato la paura del suo tocco per insegnarmi a controllare le mie sensazioni e le mie reazioni. Mi ha fatto male, mi ha fatto godere. Ma in definitiva mi ha tirato su dal baratro. Per un attimo i miei pensieri furiosi nei suoi confronti si placano. “A volte è stronza, ma le devo tutto”. «Mia mi ha detto che eri un attaccabrighe» mi dice, interrompendo il flusso dei miei pensieri. «Maledizione, ma perché la mia famiglia ha la tendenza a parlare tanto? A dire il vero... è colpa tua» borbotto di nuovo. Siamo fermi ad un altro semaforo e io stringo gli occhi mentre la guardo. «Tu riesci a cavar fuori le informazioni dalle persone lusingandole» le dico, scuotendo piano la testa con finta disapprovazione. «Non ho estorto alcuna confessione a Mia. In effetti è stata molto affabile. Era preoccupata che tu facessi scoppiare una rissa se non mi avessi vinta all’asta» brontola infastidita. «Oh, piccola, non c’era alcun pericolo. In nessun modo avrei lasciato che qualcun altro ballasse con te» le dico con un sorrisetto arrogante. «Hai lasciato che lo facesse il dottor Flynn» ribatte, con un sopracciglio alzato. «C’è sempre un’eccezione alla regola» la stuzzico, mentre svolto nell’ampio viale d’accesso del Fairmont Olympic Hotel. «Vieni» le dico, scendendo dall’auto e prendendo i bagagli. Un addetto al parcheggio ci raggiunge immediatamente. Gli lancio le mie chiavi. «Il nome è Taylor» gli dico, notando la sua gioia mentre si mette alla guida della R8. Afferro la mano di Anastasia e ci avviamo insieme verso la hall. La receptionist ci accoglie con un sorriso di meraviglia. I suoi occhi vagano da me ad Anastasia. Le stringo di più la mano, quando la vedo alzare gli occhi al cielo mentre la rossa davanti a me fa la svenevole. «Ha... ha bisogno di aiuto... con le valigie, Mr Taylor?» mi chiede, mentre il colore del suo viso si uniforma a quello dei suoi capelli. «No, Mrs Taylor e io possiamo farcela da soli» rispondo. Non voglio perdere altro tempo. «Siete nella Suite della Cascata, Mr Taylor, undicesimo piano. Il nostro fattorino vi accompagnerà» «Va benissimo così» le rispondo, tagliando corto. «Dove sono gli ascensori?» chiedo pratico. Lei, balbettando ci spiega dove dirigersi e io riafferro la mano di Ana, che avevo lasciato per porgere la carta di credito alla receptionist e ci incamminiamo nella hall deserta. L’unica persona in giro è una donna bruna, che ci guarda sorridente, come se io non fossi vestito di tutto punto e Ana non fosse agghindata alla meno peggio. Dà da mangiare al suo terrier, comodamente seduta su un morbido divanetto. Nella cabina dell’ascensore rimaniamo in silenzio. Quando arriviamo al nostro piano ed entriamo nella suite mi sento finalmente al sicuro. Leila non può trovarci qui. La suite è ovviamente enorme. «Ebbene, Mrs Taylor, non so tu, ma io ho proprio bisogno di un drink» le sussurro, chiudendo la porta a chiave. Appoggio il suo bagaglio e la mia tracolla sulla poltrona ai piedi del letto a baldacchino e la porto in soggiorno. Il fuoco scoppietta nel camino. Ana rimane in piedi a riscaldarsi le mani gelide. Mi avvicino al minibar e controllo tra i liquori. «Armagnac?» suggerisco. «Sì, grazie» Verso il liquido nei bicchieri e la immediatamente, porgendole un bicchiere. raggiungo «Che giornata, eh?» le dico, guardandola e cercando di sondare il suo stato d’animo. Annuisce. «Sto bene» aggiunge in un sussurro, cercando di rassicurarmi. «E tu?» mi chiede. «Bè, in questo momento voglio bere e poi, se non sei troppo stanca, voglio portarti a letto e perdermi dentro di te» le sussurro con uno sguardo complice. «Credo che si possa fare, Mr Taylor» Mi dice maliziosamente. Poggio il bicchiere sul camino e mi abbasso per sfilarmi le scarpe e le calze. Ana mi guarda con desiderio, affondando i denti nel morbido labbro. Il mio cazzo sussulta a quella vista. «Mrs Taylor, smettila di morderti il labbro» le sussurro, rialzandomi e riprendendo il bicchiere. Anche lei beve. Non riesco a smetterla di guardarla con desiderio quasi bruciante. «Non smetti mai di stupirmi, Anastasia. Dopo un giorno come oggi, o come ieri, non ti lamenti né corri via urlando. Sono ammirato. Sei molto forte» le dico con ammirazione. «Tu sei un’ottima ragione per rimanere» mormora, lasciandomi senza parole. «Te l’ho detto, Christian: non andrò da nessuna parte, non m’importa quello che hai fatto. Sai quello che provo per te» confessa. Faccio una piccola smorfia e aggrotto la fronte. “Non puoi amarmi se non mi conosci”. Lei sospira piano. «Dove appenderai i ritratti che José mi ha fatto?» dice, abbozzando un sorriso. «Dipende» le dico sorridendo piano. Sto pensando di farne fare delle copie e appenderle ovunque. Voglio comprare una casa, per lei, per noi. Un posto non inquinato dal mio passato. E appenderli anche lì. ‘Così si convincerà definitivamente che sei un maniaco, Grey’. «Da cosa?» mi chiede corrucciando la fronte. «Dalle circostanze» le rispondo con una finta aria di mistero. «La mostra non è ancora finita, perciò non devo decidere subito». Anastasia piega la testa di lato, stringendo gli occhi e fissandomi truce. «Puoi guardarmi male quanto vuoi, Mrs Taylor. Non dirò niente» la prendo in giro bonariamente, passandomi la lingua sulle labbra. «Potrei tirarti fuori la verità con la tortura» ribatte di slancio, riflettendo solo dopo su quello che ha appena detto. La guardo, alzando un sopracciglio. «Anastasia, se fossi in te, non farei promesse che non puoi mantenere» le dico ironicamente. Nei suoi occhi balena un lampo di sfida. Poggia il bicchiere sulla mensola del camino, mentre la guardo con stupore. Poi mi lascia ancora più sbalordito quando mi sfila audacemente il bicchiere di mano e lo mette accanto al suo. «Bè, dobbiamo solo stare a vedere» mormora. ‘Non c’è che dire, Grey. Il brandy rende audace la tua brunetta’. Anastasia mi afferra la mano, conducendomi verso il letto. Si ferma proprio lì davanti, mentre io cerco di non far trapelare troppo il mio sorrisetto divertito. Mi sto rilassando davvero. Ed è tutto merito suo. «E ora che mi hai qui, Anastasia, che cosa ne farai di me?» scherzo, ma la voce mi esce bassa e roca. «Inizierò con lo spogliarti. Voglio finire quello che avevo cominciato» dice, allungando le mani verso il bavero della mia giacca. Noto con interesse il fatto che evita di toccarmi. Ma non riesco a non trattenere lo stesso il fiato per l’apprensione. La fisso, occhi negli occhi, d’improvviso serio. Si gira, poggiando la giacca sulla poltrona, accanto ai nostri bagagli. «Adesso la t-shirt» sussurra, tirandomela su. La aiuto, sollevando le braccia e chinandomi per permetterle di sfilarmela dalla testa. Poi resta ferma a guardarmi. Sembra abbeverarsi della mia immagine. Ha uno sguardo famelico, che accarezza piano ogni anfratto del mio corpo scolpito dall’esercizio fisico. Mi vuole. Anastasia Steele mi vuole. «E adesso?» le sussurro, eccitato. «Voglio baciarti qui» mi dice, facendo scorrere il dito lungo il mio ventre, da un fianco all’altro. Guarda la mia pelle, poi sale a fissare i miei occhi grigi che ardono per lei. Schiudo le labbra al suo tocco, mentre il respiro mi si mozza in gola. Non ho mai provato nulla del genere. Nessuna ha mai preso l’iniziativa con me. Tranne Elena. Ma le sensazioni di un quindicenne arrapato, alla sua prima volta, non contano. Inspiro profondamente. «Non ti fermerò» sospiro, in balia delle emozioni. Ana mi prende per mano, delicatamente. «Sarà meglio che ti portandomi verso il letto. sdrai, allora» mormora, La guardo stupito da tanta audacia. “Chi l’avrebbe mai detto? Mi stai facendo capitolare, Ana. Su tutti i fronti”. Scosto le coperte, sedendomi sul bordo del materasso, guardandola in attesa, senza sapere cosa aspettarmi. Ana si mette di fronte a me. Si toglie di dosso il giubotto, poi lascia cadere anche i pantaloni della tuta. La visione delle sue gambe pazzesche mi manda in estasi. Voglio toccarla. Devo davvero fare appello a tutte le mie forze per non saltarle addosso. Mi sfrego i polpastrelli, cercando di alleviare il dolore fisico che sento alle mani. La desidero da impazzire. Ana mi fissa, poi fa un profondo respiro. Poi le sue dita afferrano l’orlo della t-shirt e la sfilano. É completamente nuda, di fronte a me. Particolare che non avevo notato nel mio ufficio, quando la maglietta le scendeva a coprirle le cosce. Il mio cazzo pulsa violentemente contro i jeans. Un brivido mi passa lungo la schiena. «Tu sei Afrodite, Anastasia» le mormoro, incantato. Lei si avvicina, prendendomi il volto tra le mani tremanti e chinandosi sulle mie labbra. Il bacio che mi regala è morbido, delicato come lei. Gemo di piacere, nella sua bocca. Mentre i nostri sapori si fondono, insieme a quello dell’Armagnac. Non resisto oltre. Le afferro i fianchi e la inchiodo sul letto, sotto di me. Le spalanco le gambe, fiondandomici in mezzo. La bacio a fondo, prepotentemente, prendendomi quello di cui ho bisogno e restituendole quello di cui ha bisogno lei. Conforto, passione, desiderio, amore. C’è tutto questo in quel solo, unico bacio. La mia mano le accarezza la gamba, sotto di me, risalendo lentamente sino al fianco. La sua pelle emana un calore eccitante. Continuo a salire, sempre di più. Arrivo sul ventre, dove la accarezzo delicato, poi salgo ancora. Giungo ai seni. Con la mano ne afferro delicatamente uno, concentrandomi sul capezzolo. Lo tiro, lo stuzzico, la eccito. La sento gemere contro il mio mento, mentre il suo bacino si spinge voglioso verso il mio cazzo famelico in cerca di lei. Affondo la lingua un’ultima volta nella sua gola, prima di ritrarmi. La guardo divertito dalla sua voglia, senza fiato. Spingo in avanti le anche, premendo il mio uccello fasciato dai jeans contro la sua pelle nuda. Ana chiude gli occhi, eccitata, gemendo nuovamente a pochi millimetri dalla mia bocca. Ripeto il gesto e questa volta lei si spinge verso di me, premendo il suo sesso nudo contro il cavallo dei miei jeans. Geme ancora, aprendo la bocca. Le lecco il suo labbro inferiore, spingendo avido la lingua dentro di lei ancora, coinvolgendola nell’ennesimo bacio lussurioso. Continuiamo a strofinarci l’uno contro l’altra, stuzzicandoci a vicenda, godendo dei nostri corpi che si scontrano piano e lenti. Mi stacco per un attimo dalla sua bocca. I nostri respiri affannati si mescolano. Ma lei non mi dà tregua. Mi afferra i capelli, avida di avermi, e si fionda di nuovo sulle mie labbra. “Cristo, mi sta consumando!”. Le sue dita scorrono lungo il mio braccio, poi si muovono sulla cintura dei jeans, infilandosi all’interno e spingendosi nei boxer. Il mio cazzo sta per esplodere. Lei lo avvolge piano, stringendolo tra le dita. «Finirai per castrarmi, Ana» le sussurro, scioccato dal suo essere così intrepida. Mi alzo all’improvviso, calandomi i jeans e porgendole un preservativo tirato fuori dalla tasca. «Tu vuoi me, piccola, e io voglio te. Sai cosa devi fare» le intimo. Mi afferro l’uccello enorme tra le mani, mentre la osservo strappare velocemente la confezione e srotolare il profilattico su di me. Le lancio un sorrisetto, poi mi abbasso su di lei, reggendomi sui gomiti. Mi avvicino al suo viso, strofinando il naso contro il suo. Lentamente mi infilo tra le sue cosce. Chiudo gli occhi e la penetro, piano, dolcemente, infilando tutta la mia lunghezza nel suo sesso voglioso e fradicio. Anastasia si aggrappa alle mie braccia, spingendo la testa all’indietro sul materasso. Lascio scorrere i denti lungo il suo mento, mentre mi sfilo da lei e poi riaffondo più in profondità. Il mio corpo preme ancora di più sul suo, mentre, puntellandomi sui gomiti, lascio le mie mani afferrarle il viso. La guardo negli occhi e ho bisogno di farle sapere quanto mi rende felice, quanto mi fa star bene. «Mi fai dimenticare tutto. Sei la migliore delle terapie» le sussurro contro la bocca, muovendomi lentamente dentro di lei, godendomi ogni millisecondo. «Per favore, Christian, più veloce» mormora avida, contro le mie labbra. «Oh, piccola, ho bisogno di questa lentezza» le sussurro, continuando a baciarla dolcemente. Quello che sto sperimentando con lei non l’ho mai avuto prima. É una connessione così profonda, così intima. Le sue mani scorrono tra i mie capelli, mentre si lascia guidare dal mio ritmo lento ma forte. Il suo orgasmo arriva inaspettatamente. La guardo adorante, mentre gode sotto di me, inarcando la schiena e premendosi di più contro il mio corpo, mentre il mio uccello penetra nei recessi nascosti del suo ventre, sempre più in profondità. Quella vista mi manda in orbita. «Oh, Ana» mormoro, lasciandomi andare al piacere e svuotandomi dentro di lei. Crollo ansimante su di lei, mentre mi sfilo e poggio la testa sulla sua pancia. Restiamo in silenzio per un po’, mentre i nostri respiri si placano lentamente. Le mie braccia le circondano il corpo, mentre le sue mani scorrono tra i miei capelli scomposti. I miei occhi spalancati fissano il vuoto. Quello che abbiamo appena condiviso è stato diverso. É stato intimo, profondo, una connessione su tutti i livelli, che non mi ha lasciato scampo. Sono irrimediabilmente suo. “Ti appartengo, Anastasia. Non potrebbe essere altrimenti. Solo ora me ne rendo davvero conto. Ti amo”. Mi riprometto, tra me e me, di trovare il coraggio di dirle queste parole. «Non ne avrò mai abbastanza di te. Non lasciarmi» mormoro contro la sua pelle, stupendo me per primo. Le do un bacio sulla pancia, dolcemente. «Non vado da nessuna parte, Christian, e mi sembra di ricordare che volevo essere io a baciare la tua pancia» borbotta piano, assonnata. Sorrido contro il suo ventre. «Niente ti fermerà adesso, piccola» le dico maliziosamente. “Voglio scoparti tutta la notte, Miss Steele”. «Non credo di riuscire a muovermi, sono così stanca» dice sbadigliando piano. Sospiro a fondo, spostandomi riluttante dalla mia posizione e sdraiandomi di fianco a lei. Poggio la testa su un gomito, tirando le coperte fino a coprirci. La fisso per qualche istante, con amore. «Ora dormi, piccola» le dico alla fine, baciandole i capelli e avvolgendole le braccia attorno al corpo. Ana si addormenta praticamente subito. Io ci metto un po’, perdendomi nel suo fantastico odore. Di Ana e sesso. La sento mugolare qualcosa. «Non voglio lasciarti Christian... Tienimi con te». Sorrido contro la sua spalla, baciandole la pelle. E poi la seguo a ruota nel mondo dei sogni. Felice ed appagato come non sono mai stato. Mi sveglio strusciando il mio corpo nudo contro quello morbido della mia fidanzata. Ana dorme ancora. Allungo una mano e afferro l’orologio. Le 8.30. Un record per me. Sto attento a non svegliare Ana e mi alzo, entrando in bagno. Decido di farmi una doccia e poi chiamare Taylor per sapere gli sviluppi della situazione. Poi rinuncio. Voglio aspettare lei. Mentre rimugino, mi sovviene alla mente che oggi è un giorno perfetto per farla visitare dalla dottoressa Greene. Quando esco dal bagno, chiamo Taylor e mi sento rispondere che di Leila non c’è alcuna traccia. Sconfitto, gli dico di organizzare un appuntamento con la Greene per questa mattina alle 11 e di controllare la Grace. Voglio portarci Ana e tenerla al sicuro per un pomeriggio almeno. Alle 10 e 10 vado in camera a chiamarla. Mi siedo sul materasso e la fisso per qualche minuto, incapace di interrompere quella beatitudine. Ma devo. Le scosto piano i capelli dal viso. Ana mormora qualcosa. Credo il mio nome. Poi, lentamente, si sveglia. Si guarda intorno spaesata. «Ciao» le mormoro, sorridendole dolcemente. Il suo sguardo si poggia su di me, che sono vestito di tutto punto. Arrossisce piano. «Ciao» sussurra. «Da quanto tempo mi stai guardando così?» chiede, vergognandosi. «Potrei osservarti dormire per ore, Anastasia. Ma sono qui da cinque minuti» Mi avvicino a lei e le deposito un veloce bacio sulle labbra morbide. «La dottoressa Greene arriverà tra poco» le annuncio. «Oh» constata, corrugando la fronte. «Hai dormito bene?» le chiedo, prima che possa replicare. «Mi è sembrato di sì, visto come russavi» aggiungo, divertito. «Io non russo!» ribatte, seccata. «No, non lo fai» le rispondo, sogghignando per il mio piccolo scherzo. I suoi occhi fissano la base del mio collo. «Hai fatto la doccia?» «No. Aspettavo te» «Ah... okay. Che ore sono?» chiede, ancora spaesata. «Le dieci e un quarto. Non ho avuto cuore di svegliarti prima» le dico con un sorriso. «Mi avevi detto di non avere affatto un cuore» mi dice sarcastica. Il mio sorriso si carica di tristezza. “No. non ho un cuore. Ma con te mi sembra di averlo”. Evito di ribattere e cambio argomento. «La colazione è qui: pancake e bacon per te. Avanti, alzati, comincio a sentirmi solo qui fuori» le dico, tornando a sorriderle affettuosamente, mentre le assesto una pacca scherzosa sul sedere. Quel gesto, per quanto affettuoso, mi fa vibrare l’uccello. “Merda”. La vedo barcollare mentre si alza dal letto e scompare nel bagno. Mi alzo dal letto e vado ad aspettarla in sala da pranzo, dove inizio a fare colazione. Ripenso alla nostra prima colazione in albergo. Ancora neppure ci conoscevamo. Sembra passata una vita. E, come quel giorno, la sto aspettando mentre finisce una doccia senza di me, dopo aver ordinato per lei tutto il cibo sul menu. Scuoto la testa sorridendo. Sono proprio innamorato di lei. Quando finalmente torna dal bagno, avvolta nell’accappatoio, mi guarda con un sorriso, sedendosi accanto a me mentre io leggo il giornale. Mi lancia un sorrisetto. «Mangia. Avrai bisogno di tutte le tue forze oggi» le dico bonariamente. «E perché? Vuoi chiudermi in camera da letto?» ribatte lei, maliziosa. «Per quanto l’idea mi alletti, pensavo di uscire. Di prendere un po’ d’aria fresca» le dico guardandola dritto negli occhi. “Ma se la metti così, Miss Steele... non mi tiro indietro”. «Non sarà pericoloso?» chiede ironica, fingendo innocenza. La domanda mi fa tornare l’ansia che si era dissipata nelle ultime ore. «Il posto dove andremo è sicuro. Questo non è uno scherzo» aggiungo severo. Ana arrossisce violentemente, concentrandosi sul cibo che ha nel piatto. Mi guarda ogni tanto, senza far nulla per dissimulare l’irritazione per essere stata rimproverata. Il nostro silenzio carico di recriminazioni viene interrotto da un leggero bussare alla porta. Dev’essere la dottoressa-15miladollariavisita-Greene. «Questa dev’essere la dottoressa» borbotto, alzandomi e andandola ad accogliere. Le lascio da sole in camera per la visita, mentre mi rintano di nuovo in sala da pranzo. Ma non riesco a finire la mia lettura del giornale. Sono troppo preoccupato. E se lei avesse ragione? Come sarà uscire allo scoperto. Oggi è domenica. Come farà domani, con il lavoro? La soluzione è che lei non si muova da casa. Ma mi sento già frustrato alla sola idea della battaglia che scaturirà da tutto questo quando gliene parlerò. Quando finalmente esce dalla camera, noto che è pallida come un cencio. Mi preoccupo, ma aspetto che la dottoressa vada via per chiederle cosa cazzo sia successo lì dentro. Chiudo la porta dietro la statuaria bionda e finalmente siamo di nuovo soli. «Tutto a posto?» le chiedo, sondando la sua espressione. Ana annuisce piano, restando in silenzio. Piego la testa di lato, poco convinto. «Anastasia, cosa succede? Che cosa ti ha detto la dottoressa Greene?» le chiedo, più deciso. Lei scuote la testa, rimanendo ostinatamente chiusa nel suo silenzio. Poi parla. «Tra sette giorni avrai il via libera» mormora impacciata. «Sette giorni?» chiedo sorpreso. «Sì» conferma. “Un bellissimo regalo di compleanno, dottoressa”. Ma la sua espressione mi preoccupa. «Ana, cosa c’è che non va?» dico severamente. Lei deglutisce a fatica, come se dovesse confessarmi chissà quale peccato. «Non c’è nulla di cui preoccuparsi. Per favore, Christian, lascia perdere e basta» ribatte esasperata. “Oh, no, Miss Steele. Non giocarti la carta dell’essere scontrosa con me. Non oggi”. Mi piazzo di fronte a lei, ostruendole il passaggio. Le afferro il mento, alzandole la testa. La fisso negli occhi, indagando a fondo nel suo essere. «Dimmelo» le ordino. «Non c’è niente da dire. Vorrei vestirmi» mi dice, girando la testa di lato e stringendosi addosso l’accappatoio. Mi passo una mano nei capelli, esasperato. La guardo di nuovo, con la fronte aggrottata, sospirando. «Facciamo la doccia» le dico alla fine. «Certo» borbotta lei, con aria assente. Faccio una smorfia d’impazienza. «Vieni» le dico incavolato, afferrandola per una mano e trascinandola in bagno. Apro l’acqua e mi svesto in fretta. Poi mi giro verso di lei. «Non so cosa ti abbia turbata, o se tu sia di malumore solo per la mancanza di sonno» le dico, slacciandole l’accappatoio morbido. «Ma voglio che tu me lo dica. La mia immaginazione sta già galoppando, e non mi piace» brontolo, con la fronte aggrottata. Ana alza gli occhi al cielo, beccandosi una ulteriore occhiataccia da parte mia. «La dottoressa Greene mi ha rimproverata di non aver preso la pillola. Ha detto che avrei potuto essere incinta» sbotta. Il mio stomaco si aggroviglia e il panico monta nel mio petto, opprimendomi i polmoni. «Cosa?» chiedo con un filo di voce. Sono consapevole di essere pallido e visibilmente scioccato. La fisso, senza riuscire ad evitare di pensare alle catastrofiche conseguenze di una situazione del genere. «Ma non lo sono. Mi ha fatto fare il test. È stato uno shock, tutto qui. Non posso credere di essere stata così stupida» aggiunge lei in fretta, per calmarmi. Mi rilasso visibilmente, abbandonarmi di colpo. sentendo la tensione «Sei sicura di non esserlo?» le chiedo piano. «Sì» mormora lei. Faccio un profondo sospiro, guardandola. Non vorrei interpretasse male la mia reazione. Ma io... voglio un figlio da lei. Solo... solo non ora. Non per qualche anno. Tra un po’. Tra un bel po’. Se mai... ecco se mai sarò pronto. «Bene. Sì, capisco che notizie simili possano essere molto sconvolgenti» le dico, comprensivo. «Ero più preoccupata della tua reazione» sbotta. Aggrotto le sopracciglia, fissandola senza riuscire a decifrare il suo tono. «La mia reazione? Bè, naturalmente sono sollevato... Sarebbe stato il massimo della trascuratezza e della maleducazione da parte mia se ti avessi messo incinta» le dico calmo, con un sorriso. «Allora forse acidamente. dovremmo astenerci» ribatte “Ma che diavolo le prende, ora?”. La fisso sbalordito. «Sei proprio di cattivo umore stamattina» constato. «È stato uno shock, tutto qui» mi ripete, sempre con la solita aria infastidita. Afferro il bavero dell’accappatoio, attirandola a me e stringendola in un abbraccio forte. Il mio petto nudo è contro la sua guancia. La sua impertinenza, il suo sfidarmi di continuo... mi esaspera. É tutto così nuovo. Non so come risolvere le situazioni con lei. «Ana, non sono abituato a questo» le mormoro contro i capelli. Sospiro. «La mia naturale inclinazione sarebbe quella di picchiarti, ma dubito seriamente che tu lo vorresti» le confesso, quasi con vergogna. «No, non voglio» mi dice subito, stringendosi forte a me. Restiamo così a lungo, stretti l’uno all’altra. “Un bambino. Un piccolo bambino, fragile ed indifeso. Cosa mai potrei dare ad una creatura del genere? Io non sono Ana. Io sono perfido, malvagio. Potrei solo corrompere tanta innocenza. Non riuscirei neppure a stringerlo al petto. Un bambino non è una cosa che si controlla. Non sono in grado”. Sospirando, mi scosto da lei, togliendole l’accappatoio. Entriamo entrambi nell’immensa doccia, spostandoci insieme sotto l’acqua calda. Restiamo in silenzio. Afferro lo shampoo e inizio a lavarmi i capelli. Poi le passo il flacone e anche lei fa la stessa cosa. Chiude gli occhi, massaggiandosi la testa e lasciandosi sfiorare il corpo dall’acqua. Ne approfitto per insaponarmi le mani e prendere a massaggiarle le spalle, le braccia e tutto il corpo. Le mie mie dita la esplorano piano, facendola voltare. Ci fissiamo mentre mi intrufolo tra le sue gambe, scivolo sul suo sedere. Il mio cazzo preme contro la sua gamba. Ma questo momento intimo e delicato è solo per lei. E voglio darle... di più. Ora. «Ecco» le dico, consegnandole il bagnoschiuma. «Voglio che mi lavi via quel che rimane del rossetto» Ana mi fissa in preda alla confusione e allo stupore. So che non mi tradirebbe mai, ma glielo dico lo stesso. «Non ti allontanare tanto dalla riga, per favore» mormoro. «Okay» replico in un sussurro. Fa un enorme sospiro, preparandosi all’arduo compito che le ho affidato. E poi parte. Inizia a toccarmi con le dita, insaponandomi per bene. Parte dalle spalle. Il suo tocco è leggero, piacevole e doloroso al tempo stesso. Piano, inizia a lavare via la riga di rossetto. Mi irrigidisco, chiudendo gli occhi. Il fiato mi manca, per il panico. Ma continuo a stare fermo, per lei. Sento le sue dita tremare, mentre scende sul mio petto. La mia mascella si tende, cerco di assorbire tutte le sensazioni. Non è come mi aspettavo. É meglio. Ma è la paura a farmi male. L’orribile ricordo di cosa mi ha fatto l’ultimo paio di mani che si è poggiato sul mio corpo. Si ferma per un attimo, insaponandosi di nuovo le mani. La osservo e vedo le lacrime spingere per uscire dai suoi occhi. «Sei pronto?» mormora piano, la voce tesa. «Sì» le sussurro incerto. “Voglio essere pronto”. Ma quando poggia le mani ai lati del mio torace, non riesco a fare a meno di irrigidirmi. Il mio respiro è più affannoso, incerto. Quando sento la sua ennesima esitazione, apro gli occhi di nuovo. La osservo sgretolarsi di fronte a me, mentre le lacrime sgorgano a fiotti dai suoi bellissimi occhi. «No, per favore, non piangere» le mormoro angosciato, stringendola a me. «Per favore, non piangere per me» riesco a dirle, tenendola ferma contro il mio corpo. Ma lei scoppia in singhiozzi convulsi, usando l’incavo del mio collo per nascondere il volto. “Cristo!”. La scosto da me, prendendole la testa tra le mani. La sollevo e la bacio dolcemente, tentando di placare il suo pianto. «Non piangere, Ana, per favore» le sussurro contro le labbra, sentendomi in colpa. «È stato tanto tempo fa. Desidero ardentemente che mi tocchi, ma non riesco a tollerarlo. È troppo. Per favore, per favore, non piangere» le confesso a fior di labbra, sperando che lei capisca, che mi legga dentro l’anima. In quello che rimane della mia anima. «Anch’io ti voglio toccare. Più di quanto tu possa capire. Vederti così... così ferito e spaventato, Christian... mi fa davvero male. Ti amo così tanto» mi dice, singhiozzando piano. Le accarezzo dolcemente le labbra gonfie con il pollice. «Lo so. Lo so» le sussurro delicatamente, mentre le sue lacrime mi uccidono. “Le sto facendo del male. Ancora. Io non la merito”. Ma, ancora una volta, lei mi sorprende. «Sei una persona facile da amare. Non lo vedi?» chiede, guardandomi negli occhi, con forza. «No, piccola, non lo vedo» le dico, come ipnotizzato dal suo sguardo carico di sentimenti. «Eppure lo sei. E io ti amo e così pure la tua famiglia. Ed Elena e Leila, anche se hanno uno strano modo di dimostrarlo. Ma ti amano. Tu ne sei degno» continua, mentre finalmente le lacrime accennano a fermarsi. «Basta» sussurro, addolorato. Le metto l’indice sulla bocca, scuotendo la testa. «Non posso starti a sentire. Io non sono niente, Anastasia. Sono il guscio di un uomo. Io non ho un cuore» le dico, sentendomi vuoto per davvero. “Cosa mai posso offrire, io, ad una donna splendida e buona come te? Solo depravazione. E dolore”. «Sì che ce l’hai. E io lo voglio, lo voglio tutto. Tu sei una bella persona, Christian, davvero una bella persona. Non dubitarne mai. Guarda ciò che hai fatto... tutti i risultati che hai raggiunto» mi dice, tornando a singhiozzare. Sembra quasi voglia imprimermelo a forza in testa. «Guarda quello che hai fatto per me, quello a cui hai voltato le spalle per me» sussurra piano, avvicinandosi alle mie labbra. Non smette di guardarmi negli occhi e io la fisso, come ipnotizzato. «Lo so. So che cosa provi per me» Arretro di qualche millimetro, spalancando gli occhi per l’ansia. Nessuno dei due parla. Ci fissiamo soltanto. “Io... Ana, io... ”. Ma ancora una volta è lei a squarciare il silenzio della mia anima. E farla sua. «Tu mi ami» mormora. La fisso a bocca aperta. E quello che vedo mi stravolge. É qui, davanti a me, nuda, vulnerabile. Mi fissa, fissa un uomo che fino ad oggi non le ha dato altro che dolore e dispiacere. Un uomo che io stesso fatico a definire tale. Eppure ha il coraggio di osare, di affermare che io provo qualcosa per lei. Ha il coraggio di rischiare di vedersi respingere. Di vedersi rifiutare. Se è possibile da ora sono ancora più suo. E il suo coraggio infonde forza al mio. Faccio un profondo respiro. Ora capisco come si è sentita lei con me, la nostra prima volta. Ora so cosa vuol dire regalare ad un’altra persona una cosa così intima, così profonda, per la prima volta. Regalarla ad una persona che non potrà essere mai sostituita da nessun altro. E sono finalmente pronto a farlo. «Sì» le sussurro, rinsaldando la presa sul suo viso tormentato. «Ti amo» mormoro. Mi sento all’improvviso leggero, libero dalle mie fottute paure. “Ma non so se ti sto rendendo felice, Ana, o condannando per la vita”. Capitolo 12 Il viso di Anastasia si illumina come un’alba estiva. É splendida. E la consapevolezza che sono io a renderla tale mi inorgoglisce. Non riesco a smettere di fissarla. Di amarla. Le sue mani tremanti salgono sul mio viso, mentre si sporge, alzandosi sulle punte, per baciarmi delicatamente. Il suo contatto, unito alla consapevolezza di aver oltrepassato un limite che credevo invalicabile, mi squarciano l’anima. Gemo, sulle sue labbra morbide, mentre la stringo forte a me come se da quell’abbraccio dipendesse tutta la mia vita. E, in un certo senso, è così. Ho bisogno di lei. Ho bisogno di sapere che è tutto a posto, che confessarle il mio amore non la farà scappare da me. Che nonostante quello che sono, dopo averle detto che la amo lei mi voglia ancora. Non è passato troppo tempo da quando io stesso ho provato panico e dolore ad una confessione del genere. Mi rendo conto solo ora di quanto ti faccia sentire bene lasciar cadere tutti i paletti, tutti i muri dietro al quale ci si è nascosti. E regalarsi un sentimento vero, sincero. Continuo a baciarla, piano, ma a fondo. Maledettamente a fondo. Il mio corpo ha bisogno di lei, di una rassicurazione. Ha bisogno di sapere che siamo ancora noi due, dopotutto. Ancora Christian e Anastasia. «Oh, Ana» le sussurro, staccandomi piano. La mia voce vibra di desiderio. «Ti voglio, ma non qui» Le accarezzo gentilmente i capelli bagnati, lasciando scorrere le mie dita sul suo viso, a tracciare la linea del suo mento. L’acqua scorre ancora su di noi, mentre il silenzio ci avvolge. «Sì» mormora, senza smettere di sorridere con i suoi meravigliosi occhi azzurri. Chiudo il rubinetto della doccia, prendendola per mano e lasciandola uscire. Prendo l’accappatoio lì di fianco e la copro. Poi afferro uno degli asciugamani e me lo avvolgo attorno ai fianchi, prima di prenderne uno più piccolo e cominciare ad asciugarle attentamente i capelli bagnati. Quando ho finito le lancio un sorrisetto soddisfatto, poggiandole l’asciugamano sulla testa, in modo che assorba l’acqua. ‘Sottometterti a Elena ha dato i suoi frutti, Grey’. Ignoro il mio cervello e la faccio girare, in modo da fissare entrambi il nostro riflesso nello specchio di fronte, al di sopra del lavabo. É una sensazione non nuova, e mi ricorda il viaggio in Georgia. Il pensiero di quello che accadde poi, appoggiati a quel lavabo, mi fa desiderare di ripetere l’esperienza. Ad interrompere quel pensiero è l’espressione di Ana. D’un tratto alza gli occhi su di me, trattenendo il fiato. Ci fissiamo intensamente, prima che lei si decida a parlare. «Posso contraccambiare il favore?» mi chiede d’un fiato. Mi coglie alla sprovvista, ma non per questo la mia risposta è poco ponderata. Annuisco, sbarrando gli occhi, sorpreso. Si sporge ad afferrare un’altro asciugamano e, alzandosi sulle punte, inizia ad asciugarmi i capelli. Sorrido, tra me e me, chinando il capo e facilitandole il lavoro. Il mio sorriso si allarga ancora di più. Sono felice. É un gesto piccolo, quasi banale. Ma mi fa sentire... amato. Voluto. «È passato molto tempo da quando qualcuno ha fatto questo per me. Molto, molto tempo» le mormoro, soprappensiero. Poi mi riscuoto. No. In effetti non è mai accaduto che qualcuno mi amasse tanto da prendersi cura di me. Neppure io mi sono preso cura di me stesso. «Anzi, in realtà penso che nessuno mi abbia mai asciugato i capelli» aggiungo. Però, a volte, ricordo di averlo sognato. Di aver sognato che la mia mamma mi stringesse, mi amasse. Aggrotto la fronte al pensiero. Ricordo di aver sognato di contare qualcosa. Per qualcuno. E forse Anastasia è quel qualcuno che tanto aspettavo. «Di certo Grace l’ha fatto. Ti avrà asciugato i capelli quando eri bambino» mi dice, con un sorriso affettuoso. Scuoto la testa, ancora tra le sue mani. “Non gliel’ho permesso”. «No. Ha rispettato i miei confini fin dal primo giorno, anche se è stato penoso per lei. Ero un bambino autosufficiente» le dico, calmo. Grace non mi ha mai fatto del male. Ha preferito privarsi di tutti quei gesti affettuosi che solo una madre può compiere nei confronti di un figlio. Quei gesti che riservava ad Elliot e Mia. Mentre io non riuscivo a sopportare neppure l’idea di ricevere una carezza, un abbraccio. Non credevo neppure di meritarli. Ana mi guarda. Per un attimo i suoi bellissimi occhi sono velati di tristezza. Poi sorride. «Bè, ne sono onorata» mi sussurra dolcemente, scherzando. «Sì, lo sei, Miss Steele. O forse sono io a essere onorato» le dico, facendole l’occhiolino. «Lo so, Mr Grey» ribatte con un sorrisetto. Finisce di asciugarmi i capelli, mentre tento di guardarla di sottecchi. Rialzo la testa e la osservo prendere un altro asciugamano. Si sposta leggiadra dietro di me e i nostri sguardi si incollano di nuovo. Ci fissiamo dallo specchio. Aggrotto la fronte, senza capire quale sarà la sua prossima mossa. «Posso provare una cosa?» mi chiede con cautela. Esito, guardandola. Poi decido di fidarmi. Piano, con estrema delicatezza, lascia scorrere il tessuto morbido sul mio braccio, tamponando le goccioline d’acqua che mi si stanno raffreddando addosso. Alza lo sguardo su di me quando irrigidisco i muscoli. Mi fissa, controllando la mia espressione dallo specchio. Sbatto le palpebre, mentre fisso affascinato quel riflesso di una giovane donna che venera e si prende cura del suo uomo. Le sensazioni che provo in questo momento mi invadono, mi annientano. Sono innamorato di lei, pieno di un calore strano, mai provato prima d’ora. Eppure così confortante. Il suo tocco non è dolore. Non è violento, non porta sangue e lacrime e solitudine. Il suo tocco è luce. Mi avvolge e mi culla. Le sue labbra si sporgono a baciarmi piano il bicipite destro. Le mie, di riflesso, si schiudono, mentre l’eccitazione si riverbera in tutto il mio corpo. Un brivido mi attraversa, scuotendomi. Ana passa ad asciugare l’altro braccio, per poi lasciare tutta una delicata scia di baci su di esso. Sorrido malizioso quando i nostri occhi si incontrano di nuovo. “Oh, Ana. Mi stai facendo morire”. Mi guarda per un attimo, poi la spugna morbida passa sulla mia schiena, tenendosi al di sotto della linea del rossetto. Sta bene attenta, la mia Ana, a non farmi del male. Posso solo immaginare quanta sofferenza gli provochi tutto questo. Stringo forte gli occhi, rivedendola davanti a me, mentre trova il coraggio di dirmi quello che non riuscivo ad ammettere a voce alta. Io la amo. E il suo coraggio dà un’altra spinta al mio. «Tutta la schiena» le sussurro con un filo di voce. «Con l’asciugamano» aggiungo. Poi respiro forte e stringo gli occhi, preparandomi al dolore. La spugna sfrega contro di me, ma, stranamente, il dolore non è così forte. Dentro di me la paura non mi ha abbandonato del tutto, ma la fiducia sta repentinamente prendendo il suo posto. Mi fido di Anastasia. Lei non mi picchierà selvaggiamente. Lei non mi abbandonerà, non mi lascerà vivere nell’indifferenza. Lei mi sta conducendo per mano in un posto in cui mi sento bene. Ad un tratto si ferma, e io mi rilasso completamente. Ana mi deposita un veloce bacio sulla spalla. La guardo e i nostri occhi sono di nuovo incollati, come se stessero facendo l’amore a dispetto dei nostri corpi. Le sorrido, divertito, mentre mi circonda con le braccia, asciugandomi l’addome. L’effetto del suo tocco così vicino al mio punto sensibile è immediato. «Tieni questo» mi sussurra passandomi l’asciugamano umido. contro la pelle, Corrucciando la fronte, la fisso senza capire. «Ricordi in Georgia? Mi hai fatta toccare usando le tue mani» mi spiega paziente. Le sue parole, però, questa volta non sono così confortanti. Il dolore è più acuto davanti. Fa male. Fa molto male. Non lo so se è perché la cicatrice più profonda è quella del mio cuore. Ma fa male. Resto in silenzio, senza sapere cosa dire. Lei mi tocca la mano e d’istinto so cosa fare. Gliela affido senza pensare, titubante, ma fiducioso in fondo. É lei a guidarla. Sul mio petto, lentamente, impacciata, con un ritmo tutto nostro. Sono consapevole di essere rigido come un pezzo di legno. Ma non è così dentro, invece. Dentro sono un tumulto di emozioni, di sensazioni. Sento un fuoco dentro, un calore divamparmi nelle vene al ritmo del suo tocco che, pur da sopra il mio, mi fa fremere. Immobile, la seguo nel suo lento percorso sul mio petto, sul mio corpo torturato fino quando non ha perso tutta la sua linfa vitale. Ma lei, lei con il suo sorriso dolce, i suoi occhioni da bambina, lei con la sua mano tremante, lei che forse ha più paura di me in questo momento, mi sta facendo tornare in vita. Il suo tocco, anche in questo modo, è sconvolgente. Fremo, di desiderio, di rabbia per non essermi lasciato andare prima, di furia per aver perso una vita intera a fare altro piuttosto che cercarla. Anche se non la conoscevo. Con cinque dita intrecciate alle mie mi sta dimostrando quanto può essere semplice affidarsi ad un’altra persona. Mi sta mostrando quello che lei fa con me giorno dopo giorno. Mi sta insegnando a fidarmi di lei. Mi mostra come amarla e come lasciarmi amare. E io non desidero altro che darle di più. Sempre di più. «Penso che tu sia asciutto adesso» mi sussurra dopo un tempo indefinito, lasciando cadere la mano calda dalla mia. Alzo gli occhi nello specchio per guardarla, ma fatico a riconoscere la mia immagine di fronte. Ho le guance accaldate, il respiro corto, trattenuto per l’eccitazione e la paura. «Ho bisogno di te, Anastasia» le sussurro, incapace di smettere di fissare lo specchio. «Anch’io ho bisogno di te» mi sussurra, inspirando a fondo. Le sue parole sono un balsamo per le ferite appena aperte. «Lascia che ti ami» le dico con la voce rotta dal desiderio. «Sì» risponde, la voglia è palese nel suo sussurro. D’istinto la stringo tra le braccia, baciandola con ardore. Ho davvero bisogno di lei. La bevo, mi immergo dentro di lei. La bacio avido, a fondo, aprendo la bocca come se volessi inghiottirla, come se non mi bastasse mai. Le mie dita scorrono sulla sua schiena, delicate, in contrasto con la vorace fame che mi spinge ad impossessarmi della sua bocca. La tocco, inebriato dal suo odore così buono, dal suo incantesimo che mi ha stregato da quel giorno di maggio, nel mio ufficio. Non smetto di baciarla, mentre la porto in camera da letto. Delicatamente le sfilo l’accappatoio e faccio lo stesso con l’asciugamano che mi copre. La lascio distendersi sul letto, ancora sfatto. Afferro un preservativo, aprendo la bustina e srotolando lentamente il profilattico sul mio sesso in attesa. Con estrema delicatezza, mi distendo accanto a lei, guardandola, mentre si gira a fissarmi. Una ciocca di capelli castana le ricopre il viso e allungo le dita per rimetterla a posto dietro il suo orecchio. Le dita accarezzano la sua pelle, facendola fremere. Poi seguono il delicato profilo del suo collo, della sua spalla, fino ad aprirsi dietro la sua schiena morbida e sensuale. Mi sporgo e la bacio, spingendola piano con la schiena sul materasso. E in un attimo sono dentro di lei. Non tutto. Solo la punta del mio sesso è immersa nel suo. La sensazione è sublime. Lei, eccitata, si stringe contro di me, spingendo i fianchi verso i miei. «Shh, piccola. Lasciami fare» le mormoro contro le labbra, baciandola a fondo. Con la lingua le accarezzo dolcemente la sua, poi seguo il profilo del suo labbro inferiore. Le mordicchio il mento, sentendola gemere. E, a quel punto, mi immergo lentamente dentro di lei. Ansimo nella sua bocca, assorbendo i suoi fremiti, il suo respiro affrettato. Mi muovo lento, dentro di lei, mentre ripeto il gesto, più su, con la mia lingua nella sua bocca. Le braccia di Ana salgono a circondarmi il collo, poi le sue dita si intrecciano ai miei capelli. I miei movimenti sono dolci, come non lo sono mai stati. Mi muovo venerando quel corpo che ho imparato a conoscere alla perfezione. Ogni angolo della sua pelle è impresso a fondo nella mia testa. Ma in questo momento non mi serve toccarla ovunque. In questo momento sento che la connessione tra di noi è così profonda che non esiste nessun altra cosa al di fuori di noi due, di questo letto, di quello che stiamo condividendo. Il mio ritmo aumenta, non veloce, ma deciso, costante. Sento i suoi gemiti aumentare di intensità, mentre nascondo il viso nell’incavo del suo collo, baciandola e mordicchiandole la clavicola. Poi risalgo, senza fermare il mio movimento, sfiorandole il collo con la punta del naso. Poi al naso sostituisco le labbra, roventi e desiderose di averla ancora. Mi fiondo sulla sua bocca, imprimendo a fondo gli ultimi colpi dentro di lei, mentre la sento stringersi attorno a me. Non è solo il suo sesso a serrarsi, ma anche le sue gambe e le sue braccia. Mi tiene stretto, avvinto. «Christian...» geme nel mio orecchio, in un sussurro pieno di spasmi, mentre viene, urlando sommessamente. Quel suono spezzato è la mia disfatta. Io le appartengo. Sono suo. Sono solo suo. Affondo la bocca nella sua, baciandola a fondo, mentre mi lascio andare in uno spasmo che mi sconquassa l’anima. Prima di crollare rotolo di fianco, trascinandola con me. Sussulta quando esco da lei con un gemito. Mi avvicino, depositandole un bacio delicato sulla fronte. “Grazie. Grazie, Ana. Grazie di esserci, di esistere. Grazie di avermi trovato”. Le sorrido, poi mi giro, sfilando il preservativo e buttandolo a terra. Lei afferra il suo cuscino, stendendosi sulla pancia, mentre io torno sul fianco e le accarezzo dolcemente la schiena, beandomi di quel tocco che mi dà la sicurezza che lei esiste. Ed è davvero mia. Ci sorridiamo a vicenda, appagati, esausti. Innamorati. «E così riesci anche a essere delicato» mormora sommessamente. «Mmh... a quanto pare, Miss Steele» le dico con un sorrisetto. «Non lo eri particolarmente la prima volta che... l’abbiamo fatto» mi dice, arrossendo. «No?» sogghigno divertito dal suo imbarazzo. «Quando ho rubato la tua virtù?» le domando con un sorrisetto ironico. «Io non credo che tu l’abbia rubata» borbotta, alzando un sopracciglio. «Credo di averti offerto la mia virtù piuttosto liberamente. Ti desideravo anch’io e, se ben ricordo, mi sono piuttosto divertita» mi dice, afferrandosi le labbra con i denti e mordicchiandole. Il ricordo di quanto quella notte mi abbia segnato nel profondo mi distrae per qualche attimo. Dentro di me si fa strada la consapevolezza che quella notte abbia segnato per sempre la mia esistenza. E ne sono felice. «Anch’io, adesso che ci penso, Miss Steele. Il nostro scopo è il piacere» le mormoro, guardandola con adorazione. «E questo significa che sei mia, completamente» aggiungo serio, sentendo una sensazione di possessività invadermi il petto. “Mia. Mia e di nessun altro. Dio, quanto è importante tutto questo. Io non potrò mai ricambiare abbastanza. Non sono stato solo suo. Ma di sicuro voglio esserlo per il resto dei miei giorni”. «Sì, sono tua» sussurra, guardandomi negli occhi. E sento che non mi sta mentendo, che lei non se ne andrà dalla mia vita. «Vorrei chiederti una cosa» aggiunge titubante. «Chiedi pure» le dico, preparandomi ad una sessione dell’Inquisizione di Anastasia. «Il tuo padre biologico... sai chi fosse?» chiede in un sussurro. Aggrotto la fronte. So cosa vuole sapere. Se a farmi del male è stato un lurido bastardo qualunque. Oppure il lurido bastardo che mi ha messo al mondo. Ma, almeno in questo, devo ringraziare il cielo di avermi dato un solo genitore indifferente e crudele. L’altro... l’altro probabilmente neppure ha ami saputo della mia esistenza. Scuoto la testa. «Non ne ho idea. Non era il bruto che le faceva da magnaccia, il che è già buono» le confesso. «Come lo sai?» chiede, facendosi più vicina, mentre stringe il cuscino più forte. «Per qualcosa che mio padre... qualcosa che Carrick mi ha detto» mi correggo. Per quanto lo vorrei, so bene che Carrick non è mio padre. Ana mi fissa, nel frattempo, in attesa. «Sei così avida di informazioni, Anastasia» le dico in un sospiro. «Il magnaccia ha scoperto il cadavere della puttana e ha telefonato alla polizia. Gli ci sono voluti quattro giorni per fare quella scoperta, comunque. È uscito sbattendo la porta, quando se n’è andato... lasciandomi con lei... con il suo corpo». Le riverso addosso la mia confessione, mentre i ricordi mi ottundono il cervello, mi asfissiano quasi. Ma ho bisogno che lei inizia a conoscermi. Anche attraverso il mio sporco passato. «Poi la polizia lo ha interrogato. Lui ha dichiarato che non aveva nulla a che fare con me, e Carrick mi ha detto che non mi assomigliava per niente» mormoro, cercando di non pensare a lui. Ma Anastasia affonda un colpo da maestra. «Ricordi il suo aspetto?» Il viso di quel porco mi si materializza davanti agli occhi. Il suo ghigno, il suo sporco sorriso lascivo e crudele. Il puzzo del suo alito, del suo corpo. La violenza racchiusa nei suoi calci, nei suoi pugni. L’eccitazione sadica che provava nel farmi urlare mentre la mia pelle bruciava e si marchiava. Stringo gli occhi, irrigidendomi. Quando li riapro, evito di guardarla. «Anastasia, questa non è una parte della mia vita su cui ritorno molto spesso. Sì, ricordo il suo aspetto. Non me lo dimenticherò mai». Faccio una pausa, cercando di domare la mia rabbia. «Possiamo parlare di qualcos’altro?» le chiedo, al limite della mia pazienza. «Mi dispiace. Non volevo turbarti» si affretta a rispondere, mortificata. Scuoto la testa, tentando di rassicurarla. «È una storia vecchia. Non ho voglia di ripensarci» la liquido frettolosamente. «Allora, qual è la sorpresa di cui mi parlavi?» mi dice, poggiandosi sui gomiti e guardandomi, cambiando spudoratamente argomento. Il pensiero della Grace era passato in secondo piano. Mi fa tornare il sorriso. «Ti va di uscire per una Voglio mostrarti qualcosa» le chiedo. boccata d’aria? «Certo» acconsente gioiosa. Le sorrido, felice. Scherzosamente la colpisco sul sedere nudo. «Vestiti. I jeans andranno benissimo. Spero che Taylor te ne abbia messi un paio in borsa» Con un salto atletico balzo giù dal materasso, infilandomi i boxer. Sento il suo sguardo addosso e mi giro, lasciandola godersi al vista del mio uccello che ha già ripreso vigore. “Mi sfogherò più tardi, Ana. Ora ti porto a raccogliere un altro pezzo della mia vita”. Lei non accenna a scollarmi lo sguardo di dosso. «Su» la sprono, in tono autoritario. Mi guarda, con un enorme sorriso sul suo bellissimo volto. «Stavo solo ammirando il panorama» mi dice maliziosa. Alzo gli occhi al cielo, con una risatina. Inizia a vestirsi e nella stanza cala il silenzio. Ma attorno a noi aleggia una strana aura, carica di elettricità, di erotismo, di desiderio. Un paio di volte le passo accanto, accarezzandole il viso e baciandola dolcemente sulla guancia. «Asciugati i capelli con il phon» le ordino dopo esserci vestiti. «Prepotente come sempre» borbotta. E manca poco non mi faccia anche la linguaccia. Mi sorride e non resisto all’impulso di chinarmi su di lei e poggiarle un bacio sulla testa. «Questo non cambierà mai, piccola. Non voglio che ti ammali» la avverto. Alza gli occhi al cielo, e io le faccio una smorfia, divertito dalla sua impertinenza. «Mi prudono le mani, sai, Miss Steele?» le dico, alzando un sopracciglio. «Sono felice di sentirlo, Mr Grey. Cominciavo a pensare che avessi perso smalto» ribatte, girandosi e aggiustandosi la camicetta azzurra. La sua affermazione mi lascia stordito. Il cazzo pulsa, in fiamme. E io vorrei solo sbatterla di nuovo su quel materasso e farla mia. «Posso facilmente dimostrarti che non è così, se lo desideri» le dico, fingendo una calma che in realtà non provo. Mi chino a prendere il mio maglioncino bianco, che metto sulle spalle. Ana mi fissa di nuovo, ammaliata. É un po’ lo stesso effetto che fa a me. Sempre. Le sorrido e le afferro la mano, trascinandola fuori dalla camera. E quel contatto mi tranquillizza all’istante. Sì, siamo ancora solo noi. Solo Christian e Anastasia. Non è cambiato nulla. Anche se ci amiamo. Forse ci siamo sempre amati. «Dove stiamo andando esattamente?» mi chiede mentre aspettiamo l’addetto al parcheggio, nella hall dell’albergo. La guardo, sfiorandomi il profilo del naso con l’indice e poi tamburellandoci sopra, cercando di mascherare il mio divertimento e la mia felicità. Anastasia mi sorride di rimando. La guardo dall’alto, poi mi chino, baciandola dolcemente. «Hai idea di quanto tu mi faccia sentire felice?» mormoro, e so da solo che il luccichio nei miei occhi riflette il suo in questo momento. «Sì... ce l’ho, e ben precisa. Perché tu fai lo stesso con me» sussurra contro le mie labbra. Le rubo un ultimo bacio veloce, mentre il rombo della mia R8 ci interrompe. «Grande macchina, signore» mi dice allegramente il valletto, restituendomi le chiavi. Infilo la mano in tasca, tirando fuori 50 dollari e mettendola in mano al ragazzo quando prendo le chiavi. Ana mi lancia un’occhiata sarcastica, alla quale rispondo con un sorrisetto. Mettendomi al volante, mi viene in mente che lei è ancora senza auto. ‘É senz’auto solo da poche ore, Grey’. Sì, ma non mi importa. Voglio rimpiazzare il disastro che ha combinato Leila. Eva Cassidy ci avvolge con la sua voce, mentre rifletto su dove portarla ad acquistare una nuova automobile. “Pensa Christian, pensa”. Sento che è una cosa che devo assolutamente fare. Poi mi viene in mente che nei paraggi c’è una concessionaria Saab. Perfetto. Non mi azzarderei a comprarle un’altra Audi rossa per nulla al mondo. «Devo fare una deviazione. Non ci vorrà molto» le dico, mentre mi arrovello il cervello pensando a come dirle che le sto comprando un’auto. La prima volta è stato relativamente facile. L’ho praticamente costretta ad accettare, blandendola con un paio di sorrisi e la promessa di una notte di sesso allettante. Ora le cose sono molto diverse. E poi, quale modello è il più adatto a lei. Mmmmm... credo di averlo individuato. «Certo» mormora lei, senza capire. Intravedo il cancello della concessionaria, accendo la freccia e svolto. Fermo l’auto e la guardo, scrutando al sua espressione. «Dobbiamo comprare una macchina nuova per te» le dico. Ana mi guarda alzando le sopracciglia e spalancando la bocca. Si gira intorno, dando un’occhiata all’insegna. «Non un’Audi?» chiede, quasi scioccata. Per la seconda volta da quando la conosco, arrossisco, imbarazzato dal mio stupido comportamento. «Pensavo che avresti apprezzato qualcosa di diverso» mormoro, a disagio, abbassando lo sguardo. Quando lo rialzo, quasi immediatamente, lei mi lancia un sorrisetto ironico. «Una SAAB?» chiede, incredula. «Sì. Una 9-3. Vieni» le dico, aprendo lo sportello. «Perché sempre macchine straniere?» mi chiede, senza muoversi. «I tedeschi e gli svedesi fanno le auto più sicure del mondo, Anastasia» le spiego. «Pensavo che mi avessi già ordinato un’altra Audi A3» chiede, divertita. “Ti prendi gioco di me, Miss Steele, non è vero?”. Le lancio uno sguardo divertito. «Posso annullare l’ordine. Vieni» Mentre scendo dall’auto e mi sposto al suo lato per aprirle lo sportello, ripenso alle sue parole. In realtà no. Non ho ordinato nessuna Audi. Ero troppo impegnato a proteggerti, Anastasia. Le apro la portiera. «Ti devo un regalo di laurea» le dico affettuosamente, tendendole la mano e aiutandola a scendere. «Christian, non c’è rimettendosi in piedi. nessun obbligo» mi dice, «Sì che c’è. Per favore. Vieni» le dico serio. C’è eccome l’obbligo, Ana. Devo proteggerti, tenerti al sicuro. La sua espressione è confusa, mi sembra anche di vederla rabbrividire. Ma mi prende la mano e mi segue dentro. Turniasky, il venditore, ci tratta con riverenza. Credo che potrebbe addirittura srotolare un tappeto rosso sul quale far camminare me e la mia signora per tutta la concessionaria. «Una SAAB, signore? Usata?» Lo guardo con un’espressione feroce. «Nuova» ribatto, stringendo forte le labbra. «Ha in mente un modello, signore?» mi chiede, viscidamente. «Una 9-3 2.0T Sport Sedan» dico senza batter ciglio. «Scelta eccellente, signore» «Di che colore, Anastasia?» chiedo a lei, piegando la testa di lato. «Ehm... nera?» risponde stringendosi nelle spalle. «Davvero, non c’è bisogno che tu lo faccia» Ignoro volutamente la seconda parte della sua frase, concentrandomi sulla prima, accigliato. «Il nero non si vede bene di notte» le spiego pratico. Ana stringe forte la mascella, trattenendosi dall’alzare gli occhi al cielo, esasperata. «Tu hai una macchina nera» borbotta, mentre la fisso, rimproverandola con lo sguardo. «Giallo canarino, allora» mi dice, alzando le spalle rassegnata. Faccio una smorfia, contrariato. «Di che colore vuoi che la scelga?» chiede, sconfitta. «Argento o bianca» le rispondo, soddisfatto. «Argento, allora. Sai, prenderò l’Audi» aggiunge per provocarmi, incrociando le braccia. “Non ti sto trattando da Sottomessa, Ana. Sto solo pensando alla tua sicurezza”. Turniasky impallidisce visibilmente, non capendo, ovviamente, il sarcasmo di Ana. «Forse le piacerebbe la decappottabile, signora?» chiede rivolgendosi direttamente a lei, capendo che, nonostante tutto, la decisione è sua. L’espressione di Anastasia si fa strana, come se l’idea l’allettasse. E non poco. Aggrotto la fronte. «Decappottabile?» le chiedo, con un sopracciglio alzato. Arrossisce di colpo, poi abbassa gli occhi, fissandosi le dita. Trattengo un sorriso, mentre mi giro verso Turniasky. «Quali sono le statistiche sulla sicurezza della decappottabile?» chiedo. Il venditore si dilunga nello spiegarmi tutte le caratteristiche del modello, mentre lo ascolto attentamente. Quando mi giro a guardarla la trovo lì a fissarmi, con un assurdo sorriso sul viso, che fa sorridere anche me. «Qualsiasi cosa tu abbia preso, ne vorrei un po’ anch’io, Miss Steele» mormoro divertito mentre il venditore si sposta al computer. «Sono ubriaca di te, Mr Grey» mi sussurra, gioiosa. «Davvero? Bè, di certo hai l’aria ebbra» la prendo in giro con un sorrisetto, baciandola velocemente sulle labbra. «E grazie per aver accettato la macchina. È stato più facile dell’ultima volta» le dico, tirando una sorta di sospiro di sollievo. «Bè, non è un’Audi A3» mi risponde, dondolandosi sui piedi come una bambina che è stata appena viziata dal papà. Sul mio viso si allarga un sorriso malizioso. «Quella non è la macchina per te» le dico, rimettendole a posto una ciocca di capelli castani dietro l’orecchio. «Mi piaceva» ammette, piegando la testa di lato. «Signore, la 9-3? Ne ho una nel nostro concessionario di Beverly Hills. Posso farla arrivare in un paio di giorni» ci interrompe Troy con un sorriso viscido. «Il top della gamma?» ribatto glaciale. «Sì, signore» «Eccellente» Tiro fuori la carta di credito e gliela porgo, mentre ci avviamo nell’ufficio di Troy per concludere l’acquisto. Apro la portiera di Ana e aspetto che si accomodi. Poi salgo al mio posto, sistemandomi. «Grazie» mi sussurra mentre infilo le chiavi e metto in moto. Mi giro e le sorrido. «Di nulla, Anastasia, davvero» Lo stereo si riaccende, riportando tra noi una musica dolce e confortante. «Chi è la cantante?» mi chiede curiosa. «Eva Cassidy» «Ha una bellissima voce» «È vero, ce l’aveva» commento. «Oh» «È morta giovane» «Oh» Sorrido tra me e me. Sembra quasi si senta in colpa anche per questo. «Hai fame? Non avevi finito la tua colazione» le dico, guardandola severamente. «Sì» ammette, con un piccolo e delizioso broncio. «Prima il pranzo, allora» le dico, tornando a guardare la strada mentre premo sull’acceleratore. Tra di noi cala il silenzio. Carico di promesse, aspettative, desiderio. Il mio forse, più forte del suo. Ma aleggia anche una certa aura di paura. Leila forse non ci starà seguendo, ma la sua ombra sì. Ed entrambi siamo capaci di percepirla, anche quando non vorremmo sentire altro che noi. Finalmente arriviamo. Svolto a sinistra e seguo la strada costiera, fino a fermarmi nel parcheggio di fronte al porticciolo turistico. «Mangeremo qui. Ti apro la portiera» le dico, inchiodandola al sedile. Scendo a faccio il giro. Una volta che ha messo i piedi a terra, la lascio appoggiarsi al mio braccio mentre ci incamminiamo sul lungomare. La osservo, mentre il venticello le scompiglia i capelli. «Quante navi» mormora, meravigliata, osservando le centinaia di imbarcazioni nel Puget Sound. Si stringe addosso la giacca, infreddolita. «Freddo?» le chiedo, anche se, senza aspettare risposta, la attiro contro di me, stringendola forte. «No, stavo solo ammirando la vista» mi dice con un sorriso dolce. Ha ragione, la vista è incantevole. Ma ora lei deve mangiare. «Potrei stare a fissarla tutto il giorno. Vieni, da questa parte» mormoro, guidandola all’interno del bar. La conduco verso il bancone, dove scorgo Dante, il barman. Ana si guarda intorno ammirata. «Mr Grey!» mi saluta Dante, con calore. «Che cosa la porta qui oggi?» chiede gioviale. «Dante, buongiorno» gli dico sorridendo. Poi faccio le presentazioni. «Quest’adorabile signora è Anastasia Steele» «Benvenuta» le dice lui con fare amichevole. «Che cosa vuole bere, Anastasia?» Lei si gira verso di me, che la guardo, aspettando la sua ordinazione. Sembra quasi sorpresa. ‘Forse è perché di solito non le lasci molta scelta, Grey’. «Mi chiami Ana, per favore. Prendo qualsiasi cosa beva Christian» risponde alla fine, con un sorriso timido. Mi viene da ridere perché so che sta delegando a me la scelta di quello che crede vino. Ma non ho nessuna intenzione di bere vino oggi. «Io prenderò una birra. Questo è l’unico bar di Seattle dove puoi ordinare una Adnams Explorer» le dico con un sorriso. «Una birra?» chiede, alzando le sopracciglia. «Sì» ridacchio. «Due Explorer, per favore, Dante» Il barman annuisce prepara le due birre sul bancone di fronte a noi. «Fanno una zuppa di pesce deliziosa qui» le dico, osservandola, in attesa della sua conferma. ‘Potrebbe anche rifiutare, in realtà. É una risposta quella che dovresti volere, Grey. Non una conferma’. Ok, sì. Dannazione, però! Un passo per volta. «Zuppa di pesce e birra, sembra fantastico» risponde lei. Sembra quasi soddisfatta. E lo sono anch’io. «Due zuppe?» chiede Dante, porgendoci le birre. «Sì, grazie» confermo l’ordine. Durante il pranzo mi lascio andare. Dopo la confessione, dopo la profondità dei sentimenti che ho scoperto di provare per lei, non c’è nulla che io possa nascondere a questa donna. Assolutamente nulla. ‘Bè, forse una cosa c’è ancora, Grey’. Già. Forse una c’è. Ma so che devo dirle anche quello. Devo solo pensare ad un modo. Devo trovare il momento adatto. Magari... magari un po’ per volta. ‘Se ne andrebbe, Grey. Scapperebbe via sulla luna e non vorrebbe vederti mai più, amico. Tieniti l’unica cosa buona che ti potrà mai capitare nella vita. E chiuditi quella cazzo di bocca’. Per un attimo la fisso, senza ascoltare quello che mi sta dicendo. Non voglio perderla. Non voglio che vada via. Voglio solo tenerla con me per sempre. Ogni santissimo giorno di questa fottutissima vita. «... e così sono tornata a Montesano, da Ray» Mi riscuoto a quelle parole. «Sei adorabile, Ana» le mormoro senza riuscire a smettere di toglierle gli occhi di dosso. Mi fissa per un attimo, arrossendo. Le sorrido e riprendo a conversare con lei, cercando di scoprire il più possibile. Quando finalmente ci alziamo, dopo aver pagato il conto, mi sento sempre più convinto della decisione che mi sta frullando in testa. Ho bisogno di vedere Flynn e parlarne anche con lui. Ma, onestamente, neppure un esercito potrebbe farmi cambiare idea. Devo solo trovare il modo. Solo... «Questo posto è fantastico. Grazie per il pranzo» mi dice mentre le prendo la mano, accompagnandola fuori. «Ci torneremo» le dico. «Voglio mostrarti qualcosa» aggiungo, improvvisamente in ansia. Ci tengo che oggi tutto sia per noi due. Voglio che si rilassi. E che sia felice. É il mio obiettivo di vita rendere felice questa donna meravigliosa. «Lo so... e non vedo l’ora, qualsiasi cosa sia» mi dice, credo trattenendosi a stento dal saltellare. Passeggiamo tra la gente, come una coppia normale. In questo momento non esistono stanze rosse delle torture, frustini e manette, o ex sottomesse pazze. Esiste il nostro amore. Solo quello. Ana ammira le navi, che si fanno più grandi mentre andiamo avanti. La guido lungo la banchina, fino a quando non arriviamo di fronte alla Grace. «Ho pensato che potevamo uscire per mare nel pomeriggio. Questa è la mia barca» le dico ansioso per la sua reazione. Ana rimane a bocca spalancata, ad ammirare il mio enorme catamarano. ‘Dovresti smetterla di mostrarle cose enormi per la prima volta, Grey’. Sorrido tra me e me, guardando con orgoglio gli scafi bianchi e affusolati della Grace, il ponte, la cabina spaziosa e l’albero maestro che domina dall’alto. «Wow...» mormora stupita. «L’ha voluta la mia società» le dico con orgoglio. «È stata interamente progettata dai migliori architetti navali del mondo e costruita qui a Seattle, nel mio stabilimento. Ha un’unità elettrica ibrida, derive a baionetta asimmetriche, una randa a picco...» «Okay... mi sono persa, Christian» mi interrompe, guardandomi con gli occhi enormi. Le faccio un gran sorriso. «È una barca bellissima» aggiungo. «Sembra imponente, Mr Grey» «Lo è, Miss Steele» «Come si chiama?» Invece di rispondere la tiro di lato, facendola sporgere appena per leggere il nome scritto sulla fiancata. GRACE. «Si chiama come tua madre?» mi dice aggrottando la fronte, stupita. «Sì». Piego la testa di lato, guardandola con aria interrogativa. «Perché, lo trovi strano?» le chiedo. Si stringe nelle spalle, tornando a fissare la scritta sulla barca, come se non lo credesse possibile. «Adoro mia madre, Anastasia. Perché non avrei dovuto chiamare la barca come lei?» le chiedo, continuando a non capire il suo stupore. Lei arrossisce violentemente. «No, non è questo... è solo che...» si blocca, senza sapere come continuare. «Anastasia, Grace Trevelyan mi ha salvato la vita. Le devo tutto» le dico, guardandola dritto negli occhi, lasciando trasparire tutta l’adorazione che provo nei confronti di mia madre. Mi ha dato tutto. Mi ha dato una vita, una casa. Mi ha dato da mangiare. Sospiro, cambiando argomento. Non voglio perdermi nella tristezza dei ricordi. Voglio perdermi dentro di lei. «Vuoi salire a bordo?» le chiedo, eccitato sia per la sua vicinanza che per il fatto che è la prima donna che porto a bordo della Grace. La prima e l’unica. Oltre Grace e Mia, ovvio. «Sì, certo» mi dice con un sorriso bellissimo. Le prendo la mano e la conduco lungo la stretta passerella e poi a bordo, sul ponte, dove la tettoia rigida ci ripara dal sole. Si gira intorno, ammirando il tavolo e la panca rivestita d’azzurro. Poi la vedo sussultare. Mi giro anch’io nella direzione in cui sta guardando, verso l’interno della cabina, e scorgo Mac, alto e biondo, nella sua polo chiara a maniche corte. «Mac» Sorrido all’uomo che si prende cura della mia barca. «Mr Grey! Bentornato!» mi accoglie calorosamente, stringendomi la mano. «Anastasia, questo è Liam McConnell. Liam, la mia fidanzata, Anastasia Steele» Ana sorride timida, stringendogli la mano che lui le tende. «Piacere» dice. «Mi chiami pure Mac» aggiunge lui amichevole. «Benvenuta a bordo, Miss Steele» «Ana, per favore» mormora lei, arrossendo. «Come si sta comportando, Mac?» intervengo, togliendola dall’imbarazzo, rivolgendomi a Mac. «È pronta a ballare il rock and roll, signore» risponde lui, entusiasta. «Mettiamoci in moto, allora» annuncio, piagando il collo a destra e sinistra e preparandomi per uno dei mie hobby preferiti. «La porterà fuori?» si informa lui. «Sì» dico con un sorrisetto. Poi mi rivolgo ad Ana. «Un rapido giro turistico, Anastasia?». Anche se, onestamente, l’unico giro turistico che ho in mente è sul letto che ci attende di là. «Sì, certo» annuisce entusiasta. Mi addentro nella cabina e Ana mi segue, ammirando il divano in pelle, color crema, sovrastato da un’imponente finestra ad arco che offre una vista panoramica del porto, e la cucina in legno chiaro sulla sinistra. «Questo è il salone. La cucina di bordo, di fianco» le spiego, indicandogliela. Poi la prendo per mano, guidandola verso la cabina principale. Moderna, raffinata, con il pavimento di legno chiaro. «Le camere da letto sono su entrambi i lati» le spiego, indicandole due porte. Apro quella più piccola ed entriamo nella mia cabina. Anastasia ammira l’enorme letto matrimoniale in legno chiaro e lino azzurro. Ricorda la mia camera all’Escala e sono sicura che lei lo abbia notato. «Questa è la cabina del capitano» le dico, fissandola con desiderio. «Sei la prima donna a entrare qui, a parte quelle della mia famiglia» aggiungo, sorridendole malizioso. «Loro non contano» Arrossisce, abbassando lo sguardo. Sorrido, attirandola in un abbraccio. Le mie dita scivolano tra i suoi capelli, tirandole la testa delicatamente all’indietro. La guardo e poi mi chino su di lei, baciandola a fondo e a lungo. La stringo, mentre lascio spazio alla passione, e i nostri corpi aderiscono perfettamente. Il suo calore è così confortante e rassicurante. Infonde speranza in ogni angolo della mia vita. Salire su questa barca non sarà più la stessa cosa dopo oggi. Avrò un ricordo di lei anche qui dentro, come in ogni anfratto della mia esistenza. Sento il suo cuore battere forte, quando ci stacchiamo, entrambi con il fiato corto. «Potremmo battezzare questo letto» le sussurro contro le labbra. Sento il suo corpo scosso da un fremito di desiderio. I miei occhi scorrono sulla pelle arrossata del suo collo e nella scollatura della sua camicetta. «Ma non adesso. Vieni, dobbiamo liberarci di Mac» le dico, divertito. La prendo per mano e la conduco nel salone, indicandole un’altra porta. «Lì dentro c’è l’ufficio, e qui di fronte altre due cabine» le spiego. «Perciò quante persone possono dormire a bordo?» mi chiede sospirando, mentre cerca di riprendersi. «Ci sono sette posti letto. Finora ho ospitato solo la mia famiglia. Mi piace navigare da solo. Ma non da quando ci sei tu. Ho bisogno di tenerti d’occhio» le dico, percorrendo il suo corpo meraviglioso da capo a piedi con lo sguardo. Mi giro e frugo nella cassapanca di fronte a me, tirando fuori un giubbotto salvagente. Non voglio che cada in acqua e si faccia del male. ‘Ma ti senti, Grey?’. Stizzito, zittisco il mio cervello, infilandole il giubbotto. «Ecco» le dico, stringendo forte le cinghie. Sorrido, alzando un sopracciglio, mentre il mio uccello, giá provato dal bacio di poco fa, si tende al di sotto della stoffa dei pantaloni. Lascio scorrere le dita sulle cinghie prima di allontanarle. «Ti piace legarmi, vero?» mi dice, quando alzo lo sguardo di nuovo su di lei. «In tutti i modi» le dico con voce roca, fissandola. «Sei un pervertito» mi dice, sorridendomi maliziosa. «Lo so» ribatto, mentre il mio sorriso si allarga. «Il mio pervertito» sussurra, e la sua voce bassa e vogliosa mi accarezza tutto il corpo. Sono sempre più eccitato. «Sì, tuo» confermo piano, attirandola a me e baciandola a fondo. «Sempre» aggiungo in un sussurro quando mi stacco da lei e la lascio andare. «Vieni» le dico, prima di perdere completamente il controllo e farla mia immediatamente. Le prendo la mano, conducendola sugli scalini che portano nell’abitacolo dove c’è il posto di comando, con il timone. Mac è a prua, che armeggia con alcune corde. «È qui che hai imparato tutti i giochetti con le corde?» mi chiede ad un innocentemente. tratto, sbattendo le palpebre «Il nodo parlato mi è stato utile» le dico, ammirato dalla sua audacia. «Miss Steele, mi sembri curiosa. Mi piaci quando sei curiosa, piccola. Sarei più che felice di mostrarti cosa posso fare con una corda» le dico, lasciandomi andare al mio desiderio. Ma me ne pento subito quando noto la sua espressione allarmata. Mi mordo l’interno della guancia, maledicendomi. ‘Non vuole, Grey. Non fare il coglione. Tieni la tua perversione in tasca per cortesia’. «Beccato!» mi dice all’improvviso, scoppiando a ridere. Il sollievo mi invade istantaneamente, mentre sorrido e la guardo con gli occhi stretti a fessura. “Piccola impudente. Sexy. Ma impudente”. «Me la vedrò con te più tardi, ora devo guidare la barca» annuncio con finta arroganza, accomodandomi davanti ai comandi. Premo il bottone di accensione e i motori si accendono. Mac corre a slegare la fune che ci tiene ancorati al porto, mentre io contatto la guardia costiera via radio. Ana guarda i movimenti di Mac, e per un attimo sono geloso. Poi si gira, stringendosi nelle spalle e sorridendomi maliziosa. “Chissà cosa pensa quella tua bellissima testolina, Miss Steele”. Dal piano inferiore Mac dà il via libera per la partenza. Lentamente usciamo dall’ormeggio e puntiamo verso l’ingresso del porto. Sorrido quando Anastasia saluta la piccola folla di curiosi che si è radunata sulla banchina dietro di noi, salutandoci mentre partiamo. Ma il mio corpo già la reclama. Mi volto verso di lei, attirandola tra le mie gambe. Le indico rapidamente i vari quadranti ed arnesi. «Afferra il timone» le ordino e, con mia sorpresa, lei non protesta, ma obbedisce prontamente. «Sì, capitano!» ridacchia felice, e quel suono mi inorgoglisce ancora di più. “La mia donna e la mia barca. Niente può superare questo momento”. Metto le mani sulle sue, guidando i suoi movimenti e insieme facciamo uscire la Grace dal porto. Pochi minuti dopo navighiamo lungo il Puget Sound. Il vento ci accarezza deciso il viso e io mi sento felice ed eccitato come un bambino. Anche lei sorride, girandosi a guardarmi per un attimo, per poi puntare di nuovo lo sguardo all’orizzonte. «È tempo di navigare» le dico, entusiasta. «Ecco. Prendi tu la barca. Mantienila su questa rottamare » le dico con gli occhi che luccicano per la gioia. Ana si gira a guardarmi con terrore. “Sì, Anastasia. Voglio che tu piloti la mia barca. Voglio dimostrarti che anch’io sono capace di darti fiducia”. Le sorrido, felice. «Piccola, è davvero facile. Reggi il timone e tieni gli occhi sull’orizzonte, sopra la prua. Sarai bravissima. Lo sei sempre. Quando le vele si alzano, sentirai la resistenza. Limitati a tenere la barca stabile. Quando ti faccio così...» le dico, mimandole il gesto di tagliarmi la gola «escludi i motori. Questo bottone» aggiungo, indicandole un grosso pulsante nero sulla destra. «Capito?» le dico, guardandola con un sorriso rassicurante. «Sì» annuisce, in preda al panico. Le do un bacio veloce sulle labbra, poi mi alzo dal mio sedile ed esco sulla parte anteriore della barca. Raggiungo Mac e insieme iniziamo a srotolare le vele, disfare le funi e rendere operativi argani e pulegge. Sento lo sguardo di Ana correre lungo la mia schiena, mentre io e Mac ci diamo da fare. Ma la lascio condurre la barca in santa pace, senza farle pressione. Issiamo la randa e il catamarano sbanda, sfrecciando in avanti. Sorrido mentre penso al panico che deve aver provato Ana, da sola nella cabina di pilotaggio. Quando anche la vela anteriore è a posto mi giro nella sua direzione. «Tieni la barca stabile, piccola, ed escludi i motori!» le urlo, facendole il segnale che abbiamo convenuto insieme. La vedo annuire con entusiasmo e pochi attimi dopo il rombo dei motori cessa. La Grace veleggia tranquilla, ora, sfiorando delicata l’acqua. «Mac, arriviamo fino a Bainbridge. Poi, preferirei stare da solo con Anastasia per un po’. Ti chiamo quando dobbiamo rientrare» Mac annuisce con un sorriso e io mi affretto a salire da Anastasia, piazzandomi di nuovo dietro il suo corpo. Le mie mani scorrono di nuovo sulle sue. «Che cosa ne pensi?» le grido, al di sopra del rumore del vento e del mare. «Christian! È fantastico!» urla entusiasta, girando il viso verso di me. Mi illumino, mentre un sorriso di pura gioia mi si spiaccica sul viso. «Aspetta che lo spinnaker sia issato» le dico, indicando con il mento Mac che spiega la vela rosso scuro. «Colore interessante» mi grida, dopo averla squadrata con curiosità. “Molto arguta, Miss Steele”. Le faccio un sorriso da predatore e le strizzo l’occhio con complicità. Mentre la Grace sfreccia a tutta velocità, noto che il suo sguardo passa in rassegna le vele. «Vele asimmetriche. Per la velocità» le spiego con un piccolo sorriso. «È incredibile» mormora, con gli occhi sgranati e attenti ad ogni dettaglio. “Dio se mi piace averla qui”. La lascio ammirare il panorama, mentre io mi godo la vista privilegiata di Miss Anastasia Steele con il viso arrossato dal vento e dall’aria fresca e gli occhi azzurri che rispecchiano la calma e la profondità del mare. “Ti amo, Anastasia. Ti amo come non credevo potesse mai essere possibile”. «A quanto stiamo andando?» mi chiede quando torna a fissarmi. «Quindici nodi» «Non ho idea di cosa significhi» dice con un sorriso. «Circa trenta chilometri orari» le spiego, scostandole si capelli dal viso e baciandole la tempia. «Tutto qui? Mi sembrava più veloce» Stringo la sua mano sul timone. «Sei adorabile, Anastasia. È bello vedere un po’ di colore sulle tue guance... e non perché arrossisci. Sei proprio come nelle foto che ti ha fatto José» le dico, all’orecchio. Lei si gira subito e le sue morbide labbra incontrano le mie. La sua lingua cerca la mia con insistenza e quella particolare dolcezza che solo lei sa infondere in un bacio. «Tu sì che sai come far divertire una ragazza, Mr Grey» mi mormora contro la bocca, quando si stacca da me. «Il nostro scopo è il piacere, Miss Steele» le sussurro. Le raccolgo i capelli con le mani, alzandoglieli, e la bacio piano sulla nuca. Un brivido la percorre da capo a piedi. «Mi piace vederti felice» le mormoro contro la pelle, stringendola più forte al mio corpo. Ana poggia la testa contro il mio torace e ci rilassiamo, entrambi in silenzio. Ogni tanto ridacchiamo, ci accarezziamo, ci baciamo. É tutto così normale. E straordinario allo stesso tempo. Le nostre carezze si fanno sempre più intime, sempre più provocanti, come i nostri sorrisi. Ci baciamo con passione, quasi voracità a volte. Quando un’ora più tardi ci ancoriamo in una piccola insenatura poco oltre l’isola di Bainbridge e Mac scende a terra con il gommone, afferro la mano di Anastasia e la trascino nella mia cabina. Sono eccitato e non desidero altro che perdermi nel suo fantastico corpo. Velocemente le sfilo il giubbotto di salvataggio, gettandolo da una parte. La fisso con bramosia, mentre sento già l’uccello fare male dalla voglia. Il suo respiro eccitato mi fa quasi perdere la ragione. Mi lecco le labbra, mentre la mia mano destra sale a sfiorarle il viso, il mento e la gola, fino al primo bottone della sua camicetta azzurra «Voglio vederti» sospiro con desiderio, slacciandole il bottone. Ana respira a fatica, sospira, quasi geme, mentre la bacio delicatamente sulle labbra rosee. Faccio un passo indietro, guardandola. «Spogliati per ardentemente. me» Obbedisce sempre. esitare, senza sussurro, guardandola sorprendendomi, come Non stacca gli occhi dai miei mentre, lentamente, slaccia tutti i bottoni della camicetta azzurra, godendo di ogni mio sguardo. Le accarezzo la pelle con gli occhi, pensando a come farla godere più e più volte. Il mio desiderio si fonde con il suo. Non riesco a staccarle gli occhi di dosso e il mio uccello, Cristo se fa male! É favolosa. Erotica, sexy, sensuale, dolce, maliziosa. É mia, soprattutto. Abbassa le braccia, lasciando scorrere la camicetta sulla sua pelle, facendola cadere a terra. Le sue dita si spostano sul bottone dei jeans. «Fermati» le ordino, trattenendomi a stento dal strapparle i pantaloni di dosso. «Siediti» Ana si accomoda sul bordo del letto. Mi avvicino e mi inginocchio davanti a lei, sfilandole lentamente le scarpe da ginnastica e le calze. Le prendo il piede sinistro, accarezzandolo e baciandole l’alluce, prima di mordicchiarlo scherzosamente. «Ah!» geme, mentre sono sicuro di vederla contrarre il suo sesso. Immagino com’è bagnata lì sotto. Non vedo l’ora di affondare dentro quel lago di piacere. Mi rialzo, facendola sollevare dal letto insieme a me. «Continua» le dico, allontanandomi di un passo e guardandola di nuovo in attesa. Inspira, abbassando la cerniera dei jeans. Lentamente infila i pollici nella cintura, poi, con un sopracciglio alzato e lo sguardo fisso nel mio, ancheggia lenta, fino a farsi scivolare i jeans lungo le gambe. “Cristo santo!”. Sento che sto per esplodere. La visione di Ana in reggiseno e perizoma di pizzo bianco mi sta uccidendo. É una morte lenta, e molto dolorosa. Soprattutto per il mio inguine. Un sorriso mi affiora sulle labbra, mentre guardo incantato i suoi movimenti. Rimane in piedi, guardandomi. Poi, lentamente, in modo quasi straziante, raggiunge il gancio del reggiseno dietro la schiena e lo slaccia, lasciandolo scivolare sulla sua pelle candida. Con la stessa lentezza sfila il perizoma, chinandosi fino alle caviglie, uscendone con grazia. I miei occhi sono incollati alla sua pelle nuda e risalgono insieme a lei. Siamo l’uno di fronte all’altra. In silenzio. Mi sfilo il maglioncino dalla testa e poi faccio lo stesso con la t-shirt. Poi sfilo velocemente scarpe e calzini, senza smettere di fissarla. Le mie mani scendono sul bottone del jeans, ma il desiderio nei suoi occhi aumenta. Si passa la lingua sul labbro inferiore, facendo un passo avanti. «Lascia fare a me» sussurra, guardandomi con aria provocante. Le mie labbra si contraggono in un moto di stupore, poi sorrido, passandomi la lingua sui denti. Allargo le braccia e la guardo. «Accomodati» le dico con voce roca. Si avvicina, infilando le dita nella cintura dei jeans e tirandomi, in modo da avvicinarmi. Sussulto leggermente, preso alla sprovvista, mentre un desiderio nuovo e pressante mi strazia lo stomaco. Slaccia il bottone dei miei pantaloni, ma prima di abbassare la zip mi accarezza lentamente l’uccello al di sopra del tessuto. Stringo gli occhi e contraggo i muscoli delle cosce, spingendomi verso la sua mano piccola e delicata. Voglio di più. Voglio molto, molto di più. «Stai diventando così sfrontata, Ana, così coraggiosa» le sussurro, spalancando di nuovo gli occhi e afferrandole il viso con entrambe le mani. Mi impossesso delle sue labbra, forte e deciso. Le sue mani si poggiano sulla mia vita, stringendomi forte. «Lo sei anche tu» mormora a bassa voce, contro le mie labbra. I suoi pollici mi torturano piano, disegnando cerchi lenti sulla mia pelle. Sorrido, lasciandomi andare al suo tocco. Poi la fisso a fondo. «Arriviamo al punto» le propongo con un sorrisetto. Ana sposta le mani sul davanti dei miei jeans, tirando giù la cerniera. Mi infila le dita nei boxer, accarezzandomi i peli pubici e poi... “Oh, cazzo. Cazzo, cazzo, cazzo!”. Mi stringe forte l’uccello, accarezzandomi fino a farmi fremere. Gemo, poggiando la fronte contro la sua. La mia bocca percorre la sua guancia e guaisce sulle sue labbra. La bacio di nuovo, possessivo, mentre lei mi esplora piano. La cingo con il braccio destro, poggiandole la mano aperta sulla schiena nuda. L’altra mano risale nei suoi capelli e la trattiene contro le mie labbra, in modo che io possa cibarmi di lei. «Oh, ti voglio così tanto, piccola» sospiro, allontanandomi di un passo e sfilandomi velocemente i jeans. E i boxer. Sfilo un preservativo dalla tasca e lo getto sul letto. La sento inspirare forte, mentre i suoi occhi si soffermano sul mio torace nudo. «Che cosa c’è, Ana?» mormoro, accarezzandole il viso. “Lo so cosa c’è. Lo so. Ma devi accettarle, Ana. Io non so se potrò mai farlo. Ma tu devi imparare a conviverci come ho fatto io. Sopportale per me. Sopportale con me, ti prego”. Come per rispondere alla mia richiesta inespressa, lei alza lo sguardo e mi fissa decisa. «Niente. Fa’ l’amore con me, adesso» mi dice dolcemente. La tiro verso di me, baciandola e lasciando scorrere le dita nei suoi capelli. La tengo stretta, mentre le nostre lingue si amano al nostro posto. Poi mi stacco da lei, portandola verso il letto e lasciandola distendere. Mi sdraio accanto a lei, lasciando scorrere il naso sul profilo delicato del suo mento, mentre le sue dita mi accarezzano i capelli. «Hai idea di quanto sia squisito il tuo profumo? È irresistibile» le dico mentre le sfioro la gola delicata, sempre con il naso, per poi passare ai seni, dove la bacio dolcemente. «Sei così bella» mormoro mentre lei sussulta. Prendo in bocca un capezzolo e lo succhio piano, a fondo. Ana geme, inarcandosi sul letto. «Fatti sentire, piccola» La mia mano scorre sulla sua pelle, fino alla sua vita, mentre il suo corpo si inarca sotto le mie carezze. Le succhio voracemente i seni morbidi e sodi, mentre le mie dita scorrono ovunque, esplorandola a fondo. Quando arrivo al ginocchio, le tiro su la gamba all’improvviso, piegandola sopra i miei fianchi. Spingo la mia erezione tra le sue gambe, strusciandomi addosso a lei mentre sussulta. Sorrido contro il suo seno, rotolando sulla schiena e portandola sopra di me. Allungo la mano e trovo il preservativo, passandoglielo. Ana scivola sulle mie gambe, afferrando il mio uccello che pulsa violentemente. Si china lentamente su di me, baciandone la punta. Poi apre la bocca e lo succhia delicatamente e lentamente, stringendolo forte. La sua lingua turbina in circolo. Torna a succhiare forte. Sono senza fiato, senza parole, sto per venire. Ma non ho la forza di staccarla da me. Cristo santo, è splendido! Gemo forte, inarcando i fianchi e spingendomi tutto nella sua bocca. “Cristo santissimo! Sono tuo. Sono completamente tuo. Fammi quello che vuoi, Anastasia!”. Ma lei succhia un’ultima volta, fortissimo. Poi si stacca, guardandomi e leccandosi le labbra. Sono senza fiato e non posso fare altro che guardarla. Velocemente apre la bustina del profilattico e lo srotola su di me. Allungo una mano verso di lei, che afferra prontamente, e poi l’aiuto a posizionarsi su di me. Lentamente, senza smettere di guardarmi, affonda su di me, accogliendomi tutto dentro di lei. Gemo ancora, profondamente, e così fa lei. Con le mani le afferro i fianchi, iniziando a spingermi dentro di lei. I suoi seni meravigliosi sobbalzano per il nostro movimento. Chiude gli occhi e geme sonoramente, accendendo ancora di più il mio desiderio. «Oh, piccola» le sussurro piano. Faccio leva sulla schiena a mi tiro su, in modo da tenerla di fronte. Anastasia sussulta, spalancando gli occhi e afferrandomi i bicipiti. «Oh, Ana, cosa mi fai provare» mormoro, baciandola a fondo. Lei si preme ancora di più su di me. Poi spalanca gli occhi, inchiodandomi al suo sguardo. «Ti amo» mormora dolcemente contro le mie labbra. Gemo, per il desiderio, per il senso di colpa, per mille cose. “Non merito il tuo amore, Ana. Ma non posso essere così stupido da lasciarti andare. Perché ti amo anch’io”. Stringo forte gli occhi, facendola rotolare sotto di me, deciso a provarglielo. Ana mi stringe le gambe attorno ai fianchi. La fisso, adorante. É diventata così sicura di sé. É bastato dirle che la amo, dirle quello che provo, per farla abbandonare completamente a me. Un lato di lei sarà per sempre indomabile, lo so. E lo adoro. Ma per il resto è mia. Solo mia. Mi accarezza dolcemente il viso, e torno a muovermi dentro di lei ad un ritmo deciso e controllato. Appoggio un braccio al di sopra della sua testa, carezzandole i capelli con la mano, mentre con l’altra le lascio dolci carezze sul viso. Poi la bacio, affondando la lingua nella sua bocca mentre mi unisco al suo sesso con il mio. Gode e geme, persa nell’estasi. Anche lei mi accarezza, pur restando nei limiti che le ho mostrato. Mi tocca le braccia, la parte bassa della schiena, spingendosi fin sul sedere. É meraviglioso. Nessuna mi ha mai toccato. Con nessun’altra ho condiviso così tanto. “Sono tuo, Ana. Per sempre. Anch’io ti sto dando qualcosa di me per la prima volta. Solo a te”. Sento il suo respiro accelerare, farsi sempre più affannato. Mi eccita ancora di più se possibile. Inizio a spingere forte dentro di lei, sempre di più, sempre con spinte più decise. Le bacio le labbra con forza e prepotenza. Poi il mento, la mascella, e infine le mordicchio l’orecchio. Il mio respiro ora corre veloce come il suo. La sento tremare e so che è solo questione di attimi. «Va tutto bene, piccola... lasciati andare per me... per favore... Ana» le mormoro piano contro le labbra. E in quell’istante lei esplode, meravigliosa. Non posso perdermi questo momento. «Christian» grida, in preda ad un violento orgasmo. E, mentre gemo a fatica, esplodo insieme a lei. Capitolo 13 «Mac sarà presto di ritorno» le mormoro piano, contro la pelle ancora sensibile e arrossata. «Mmh...» si lamenta lei, aprendo gli occhi e sbattendo le palpebre per riabituarsi alla luce che proviene da fuori. Ci fissiamo per lunghi attimi e la sua espressione felice e appagata riflette perfettamente la mia. É come mi sento. Felice. E appagato. «Mi piacerebbe davvero molto restare qui sdraiato con te per tutto il pomeriggio, ma Mac avrà bisogno di una mano con il gommone» le dico, protendendomi verso di lei e baciandole dolcemente le labbra morbide e gonfie per il mio assalto di poco fa. La guardo ancora, come se non riuscissi a fare a meno di quello che mi ispira il suo corpo delicato. «Ana, in questo momento sei bellissima, tutta in disordine e sexy. Mi fai desiderare di prenderti ancora» le sussurro, sorridendole malizioso. Gli effetti di quella visione, infatti, iniziano già a farsi sentire. Mi stiracchio e poi mi tirò su dal letto, girandomi verso di lei, gloriosamente nudo. Ana non fa nulla per nascondere il fatto che mi stia praticamente mangiando con gli occhi. Il mio uccello ha un piccolo fremito e sento l’erezione tornare. «Non sei tanto male, capitano» mi dice, scoccandomi un bacio e facendomi l’occhiolino. Sorrido sfacciatamente, mentre mi rivesto con calma, dandole modo di apprezzare quello che vuole vedere. Sospiro soddisfatto, mentre armeggio con i miei abiti. Questo è stato di sicuro uno dei momenti più belli della mia vita. Tutto quello che avevo prima... per quanto eccitante, non era niente. Poi mi vengono in mente alcune sue frasi ed allusioni. Ha continuato a lanciarmi frecciatine maliziose per tutto il giorno. La guardo per qualche attimo, distesa tra le lenzuola del mio letto, che da oggi è diventato il nostro letto. So che le piace il sesso estremo. Non vuole che le faccia del male. Ma onestamente non voglio nemmeno io. Eppure sento che con lei potrei spingermi un po’ oltre i confini della vaniglia. Il problema è che non so quanto oltre. E il pensiero di scoprirlo, dopo averla vista fuggire via da me, non mi entusiasma particolarmente. Eppure... eppure il desiderio di dominarla e vederla contorcersi di piacere sotto di me è vivo e pulsante come non mai. Forse dovrei sentirmi meschino per questo. Mi siedo accanto a lei, sul letto, chinandomi per infilare le calze e le scarpe. «Capitano, eh?» le dico sorridendole. «Bè, ma io sono il signore del vascello» la prendo in giro. Anastasia sposta la testa di lato, tutta arruffata e con un espressione compiaciuta post sesso. «Sei il signore del mio cuore, Mr Grey» sussurra, fissandomi negli occhi. “Sei mia, Anastasia Rose Steele. Solo mia”. Scuoto la testa, incredulo per la sua affermazione. “Non dire così, Anastasia. Non lo merito. Sei tu la signora del mio universo”. Mi chino su di lei, baciandola piano e a fondo. La mia mano si infila tra i suoi capelli, tirando il suo viso più vicino al mio, mentre le posseggo la bocca. Poi, dopo qualche attimo, mi stacco da lei. «Sarò sul ponte. C’è una doccia nel bagno, se vuoi. Hai bisogno di qualcosa? Un drink?» le chiedo premurosamente, carezzandole le labbra gonfie. Lei non risponde. Ma mi ripaga con un bellissimo sorriso estatico. “Cristo, se ti amo, Ana Steele”. «Cosa c’è?» le chiedo alla fine, realizzando che non ha proferito verbo. «Tu» dice semplicemente. «In che senso?» chiedo, aggrottando le sopracciglia. «Chi sei e cos’hai fatto a Christian?» mi dice socchiudendo piano gli occhi, scrutando i miei. Sento una fitta dritta al cuore. Sorrido mestamente, perché so che quel Christian è ancora qui. É ancora dentro questo corpo. «Non è molto lontano, piccola» le dico dolcemente, passando le dita lungo il suo braccio, ma senza riuscire a guardarla negli occhi. Scuoto la testa, piano. “Il Christian che hai lasciato la scorsa settimana, Ana, è qui. É sempre qui. E, a volte, fatico a trattenerlo dentro. Vorrei solo trovare un modo per farlo venire incontro a quello che vuoi tu. Ma fino a quando non lo trovo, è meglio che stia chiuso qui dentro”. «Lo vedrai fin troppo presto» le dico con un sorrisetto, mentre accarezzo con lo sguardo il suo corpo ancora nudo. «Specialmente se non ti alzi». Calo la mano sul suo sedere nudo, dandole un piccolo sculaccione. La sua schiena si inarca, mentre ride e guaisce. «Mi hai fatto spaventare» dice con una specie di sollievo nella voce e nello sguardo. «Davvero?» dico, aggrottando la fronte e riflettendo sulle sue parole. “Mi confondi, Ana. Mi confondi così tanto”. «Devi darmi qualche segnale, Anastasia. Come può fare altrimenti un uomo?» le mormoro, chinandomi su di lei e baciandola di nuovo. E di nuovo a fondo. La sensazione, mista al piacere di averle assestato quel piccolo colpo, che, ad essere davvero onesti, mi ha eccitato davvero, mi lascia con un groviglio di emozioni nello stomaco. Se non sapessi che Mac sta vagando senza meta da un bel po’, starei di nuovo affondando dentro di lei. «A più tardi, piccola» le mormoro contro le labbra, prima di alzarmi e rivolgerle un sorriso aperto e sincero. Tornando sul ponte avviso Mac e resto in attesa, osservando l’acqua calma e limpida. Il vento mi accarezza i capelli. Malinconico mi fisso le scarpe. Vorrei essere più bravo, con Anastasia. Vorrei capire cosa vuole, quando lo vuole e come lo vuole soprattutto. Mi confonde, mi eccita, mi stravolge completamente, lasciandomi sottosopra. Non so che fare il più delle volte. Ho una fottutissima paura di perderla. Se lei mi lasciasse... Cristo, nemmeno voglio pensarci! Non ce la farei, non supererei di nuovo quella sensazione di vuoto assoluto, quel buio che mi inghiottisce, mi divora per intero. Eppure... lei è attratta da quel buio. Magari non dal nero più profondo. Ma forse da un tenue grigio si. Sarei davvero curioso di sapere fin dove riesce a spingersi la sua curiosità e la sua voglia di osare. Ma temo la sua reazione se per caso dovessi metterla davanti a qualcosa che risultasse troppo. Vengo riscosso dai miei pensieri da Mac che fa ritorno a bordo. Lo aiuto con il gommone e quando risale sul ponte, il mio BlackBerry suona. «Grey» «Mr Grey, l’appartamento è stato controllato da cima a fondo. Tutto tranquillo, nessuna traccia di Miss Williams. Abbiamo cambiato i sistemi d’allarme e potenziato la sicurezza» L’efficienza di Taylor mi fa sospirare di sollievo. Nel frattempo Ana mi ha raggiunto e Mac si è dileguato al piano superiore. Mi avvicino a lei, baciandole i capelli. «Grande notizia» «Lei e Miss Steele potete tornare quando desiderate, signore» «Bene. Sì» «Abbiamo scoperto come ha fatto Miss Williams ad entrare, signore. Ha usato la scala antincendio per entrare ed uscire» «Davvero? La scala antincendio?» «Sì, signore. Così ha fatto in modo che non la trovassimo quando abbiamo perlustrato l’interno, per poi nascondersi all’interno quando abbiamo controllato le zone esterne all’appartamento» L’astuzia di Leila mi stupisce. Non la ricordavo così scaltra. Istintivamente accarezzo in modo possessivo la schiena di Ana. «Capisco» dico distrattamente. «Stiamo continuando le ricerche di Miss Williams, per il momento. Ho recuperato le vostre cose in albergo. Questa sera torna all’Escala, signore?» mi chiede Taylor, riscuotendomi dal mio rimuginare interiore. «Sì, stasera» confermo, chiudendo la chiamata. Mac accende i motori e Ana sobbalza per lo spavento. «È tempo di tornare» le dico, prendendo il giubbotto salvagente che ho portato con me dalla camera e allacciandoglielo per bene. Ancora una volta mi ritrovo ad accarezzare quelle cinghie e a combattere con la parte oscura di me. La bacio, a fondo, prendendomi tutto quello che posso di quella morbida bocca che sa darmi un piacere immenso. La prendo per mano, conducendola a bordo della nave e insegnandole qualche trucco del mestiere. Sorrido quando le spiego come fare i nodi. Le insegno a maneggiare la corda. Vederglielo fare, vedere la sua mano che accarezza la fibra naturale della corda è una visione celestiale. Riuscirò a combattere contro tutto questo? Contro la voglia che ho di sottometterla? Eppure non voglio che lei sia la mia Sottomessa. Voglio solo che sia mia. Voglio solo usare quello che conosco per darle piacere. Voglio tenerla ferma, stretta, legata. Voglio punirla, ma più di tutto voglio che lei mi porti a punirla. Voglio che mi sfidi, che mi spinga a dominarla. E che poi goda fino a svenire di piacere tra le mie braccia. Sono sempre più confuso. «Potrei legarti, uno di questi giorni» borbotta acidamente, mentre io le faccio un sorrisetto sfrontato. Faccio una smorfia divertito. «Prima dovrai prendermi, Miss Steele» le dico, sicuro di me. La vedo aggrottare la fronte, per chissà quale pensiero, e incupirsi immediatamente. Poi mi fissa. Ed è come se mi penetrasse a fondo, dentro l’anima. Se mai fossi certo di avere ancora un’anima. A volte sono quasi certo di averla lasciata sul tappeto marcio di una casa altrettanto marcia, a quattro anni, accanto al corpo freddo e cinereo di mia madre. Le prendo la mano e gliela bacio. «Vieni, facciamo un altro giro della barca» le mormoro, trascinandola via con me. Passiamo un po’ di tempo in giro sulla Grace, mentre le spiego le tecniche di costruzione, il design innovativo e la qualità dei materiali utilizzati per costruirla. Mi piace parlarne. La Grace è stata costruita dalla mia azienda, naturale che ne sia orgoglioso. Ma è forse quello che rappresenta che mi rende tanto orgoglioso. É un omaggio a mia madre. Alla donna che mi ha salvato da una vita di distruzione. La donna che mi ha preso con sé, accettando i miei limiti. É strano come prima di lei io non ricordi più nulla. Sì, la puttana e il suo magnaccia non mi abbandonano mai, ma è come se i miei ricordi, quelli che non rivivo nei miei sogni, quelli reali, iniziassero con Grace. É il mio angelo. La mia salvatrice. É stata il mio mondo per molto tempo. E ora il mio mondo è Ana. La porto con me, sedendomi nella cabina di comando, a guardare il mare. Lei resta in piedi, tra le mie gambe, con le mani sul timone. Il silenzio è rotto solo da me che le spiego, ogni tanto, come deve muoverlo. Ad un tratto la sento rabbrividire, mentre scuote piano la testa, sospirando con il respiro corto. Sorrido. Sono certo che sta ripensando a quello che è successo nella nostra cabina. A quanto e come ci siamo amati. Anch’io in realtà ci stavo pensando. La stringo, guardando le piccole onde davanti a noi, accarezzate dal sole del tramonto. «Navigare è una poesia vecchia come il mondo» le sussurro all’orecchio, baciandole piano la pelle delicata del collo. «Sembra una citazione» mormora, piegando la testa e dandomi pieno accesso al suo collo. Sorrido contro la sua pelle. «Lo è. Antoine de Saint- Exupéry» le dico. «Oh... adoro Il piccolo principe» «Anch’io» É ormai quasi sera quando ci addentriamo nel porto, sulle acque rischiarate dalle luci. Eseguo facilmente la manovra di rientro e riporto la Grace al suo posto. Mac salta giù ad assicurarla alla bitta. «Eccoci di ritorno» le dico, guardandola. «Grazie» mormora piano. «È stato un pomeriggio perfetto» Le sorrido, scostandole i capelli dal viso. «Lo penso anch’io. Forse potrei iscriverti a un corso di vela, per uscire da soli» le propongo. «Mi piacerebbe. Così potremmo battezzare il letto altre volte» Mi chino su di lei e le sfioro la pelle dietro l’orecchio con le labbra. «Mmh... non vedo l’ora, Anastasia» le sussurro, piano. La sento rabbrividire e espirare velocemente un paio di volte. É eccitata. Le faccio lo stesso effetto che lei fa a me. «Vieni, l’appartamento è a posto. Possiamo tornare» le dico con un sorriso. «E le cose che abbiamo in albergo?» mi chiede, spalancando gli occhi. «È già andato a prenderle Taylor» la rassicuro. Mi guardo e so che si sta chiedendo quando. «Stamattina, dopo aver perlustrato la Grace con la sua squadra» le dico, rispondendo alla sua domanda inespressa. «Quel poveretto non dorme mai?» mi chiede, alzando un sopracciglio. «Ma certo che dorme» ribatto, facendo altrettanto, con aria interrogativa. «Sta solo facendo il suo lavoro, Anastasia, e lo fa molto bene. Jason è una vera scoperta» dico con un sorriso soddisfatto. «Jason?» chiede senza capire. «Jason Taylor» le spiego, capendo il fraintendimento sul suo nome di battesimo. Ana ci pensa per qualche istante, poi mi guarda, mentre un sorriso affettuoso le si dipinge sul viso. «Gli sei affezionata» dico, scrutando la sua reazione. Mi sento mangiare vivo dalla gelosia. «Suppongo di sì» mi dice pacatamente. Il mio viso si rabbuia, la gelosia mi rode. «Non sono attratta da lui, se è per questo che ti stai accigliando. Smettila» mi dice con sufficienza. Mi imbroncio, sentendomi geloso. E ridicolo. «Penso che Taylor si prenda cura di te molto bene. Per questo mi piace. Mi sembra affidabile e leale. Esercita il fascino di uno zio su di me» mi spiega paziente, come se stesse parlando ad un bambino. «Di uno zio?» le chiedo con sarcasmo. “Zio Taylor. Fintanto che non hai desideri perversi sullo zietto, Anastasia, mi va bene”. «Sì» mi dice, alzando le sopracciglia. «Okay, di uno zio» le dico, ancora poco convinto. Ana scoppia a ridere di gusto. «Oh, Christian, cresci, per l’amor del cielo» La sua frase mi colpisce. Mi ricorda tanto quello che mi dice Flynn. “É normale, Christian, che a volte hai comportamenti irrazionali. Hai totalmente evitato la fase della tua adolescenza. Non l’hai vissuta. E dunque non l’hai affrontata e superata”. Aggrotto la fronte. “Questa donna mi legge davvero dentro”. «Sto cercando di farlo» le dico, alla fine. «Questo è vero» replica con dolcezza, alzando gli occhi al cielo, divertita. Immediatamente mi eccito. «Che ricordi mi evochi quando alzi gli occhi al cielo, Anastasia» le dico sorridendo. Lei, per tutta risposta, mi lancia uno sguardo malizioso. «Bè, se ti comporti bene, forse potremmo far rivivere qualcuno di quei ricordi» Le sue parole mi accarezzano direttamente l’uccello, facendolo fremere e combattere la forza di gravità. Ho un’erezione da paura sotto i pantaloni. Le sorrido con sarcasmo. «Comportarmi bene?» le dico, alzando un sopracciglio. «Dimmi, Miss Steele, che cosa ti fa pensare che voglia farli rivivere?» le chiedo, eccitato. «Probabilmente è il modo in cui i tuoi occhi si illuminano come se fosse Natale, quando lo dici» mi dice, senza abbandonare quel tono di malizia. Mi provoca. Lo vuole anche lei. ‘E se invece ti sbagliassi, Grey?’. La guardo di nuovo. La scruto. No. Non mi sbaglio. Lo vuole. «Mi conosci già così bene» osservo, rapito dalla sua sicurezza. «Vorrei conoscerti meglio» mi dice, guardandomi con sincerità. Le faccio un sorriso affettuoso. «E io vorrei conoscere meglio te, Anastasia» Dopo aver salutato Mac, scendiamo sul molo. «Da dove viene Mac?» mi chiede Ana, quando ci allontaniamo sul molo. «Irlanda... Irlanda del Nord» mi correggo, continuando a camminare, tenendola per mano. «È un tuo amico?» continua ad indagare. «Mac? Lavora per me. Ha aiutato a costruire la Grace» rispondo. «Hai molti amici?» mormora ad un tratto. Aggrotto la fronte, guardandola, soppesando la sua domanda. Amici? Io? Non ne ho mai sentito il bisogno. Sono abituato a stare da solo. «Non molti. Facendo ciò che faccio... non coltivo le amicizie. C’è solo...» mi fermo prima di lasciarmi sfuggire il nome di Elena. Mi acciglio. Non voglio rovinare questo momento con lei. «Hai appetito?» le chiedo, cambiando argomento. Annuisce, con un breve sorriso. «Mangeremo dove abbiamo lasciato la macchina. Vieni» le dico, prendendole la mano. Arriviamo insieme al Bee, un piccolo ristorante italiano. Ci vengo sempre quando esco con la mia barca. Ci accomodiamo in un séparé, studiando attentamente il menu mentre sorseggiamo il delizioso Frascati che ho ordinato per entrambi. Abbasso il cartoncino plastificato che ho in mano e la osservo, mentre lascia scorrere il dito sul suo menu per scegliere. Ha le guance leggermente arrossate dal vento, i capelli un po’ scompigliati. É perfetta con le sue piccole imperfezioni. É la donna della mia vita. La donna che amo. La donna che voglio accanto ogni giorno. Per sempre. Quando alza gli occhi e mi guarda, resta sorpresa. Probabilmente perché ho uno sguardo letteralmente adorante. «Cosa c’è?» mi chiede, spalancando gli occhi grandi. «Sei molto carina, Anastasia. L’aria aperta ti dona» le dico, senza smettere di guardarla. Arrossisce, colorando di più le sue guance. «Il vento mi frastorna, a dirti la verità. Ma ho passato un bellissimo pomeriggio. Un pomeriggio perfetto. Grazie» mi dice sorridendo timidamente. Il mio sorriso di risposta è aperto e sincero. Mi piace sapere che l’ho resa felice. Anche se non compensa il male che le ho fatto, almeno spero che possa farglielo dimenticare. Con il tempo. «È stato un piacere» sussurro. «Posso chiederti una cosa?» mordicchiandosi un po’ il labbro. mi chiede, Il che mi fa capire che sta per indagare a fondo nella mia vita. Ma sono preparato. Posso e devo affrontarlo. «Qualsiasi cosa, Anastasia. Lo sai» le dico, piegando al testa di lato. «Non mi pare che tu abbia tanti amici. Perché?» Scrollo le spalle, con noncuranza, ma la mia espressione si fa più guardinga. Ok. Sincerità. «Te l’ho detto, non ne ho il tempo. Ho dei soci d’affari, anche se è un rapporto molto diverso dall’amicizia, suppongo. Ho la mia famiglia, tutto qui. A parte Elena» Mi irrigidisco, aspettandomi una sfuriata. Ma lei continua, come se niente fosse. «Nessun amico maschio della tua età con cui puoi uscire a scaricarti?» chiede. «Sai come mi piace scaricarmi, Anastasia» le dico con un mezzo sorriso. «E poi lavoro, consolido la mia attività». La guardo senza capire. É quello che faccio, che sono. Non ho bisogno di nient’altro. A parte lei. «È tutto quello che faccio. A parte navigare e volare ogni tanto» «Nemmeno al college?» incalza. «No» «Solo Elena, allora?» chiede, abbassando le spalle, quasi sconfitta. Annuisco, con aria diffidente. Non so dove vuole arrivare con tutte queste domande, ma mi sento a disagio. Con lei mi sembra sempre di confessare i miei peccati. «Dev’essere una vita solitaria» mormora. Piego le labbra, sorridendo appena. Ma evito di commentare. Solitaria è un eufemismo bello e buono. Ora che l’ho conosciuta e l’ho avuta posso dire di aver iniziato a vivere. Prima respiravo, occupavo un posto su questo pianeta. Ma di certo non stavo vivendo. «Che cosa vuoi mangiare?» le chiedo, cambiando argomento. «Prenderò il risotto» mi dice piano. «Ottima scelta» le dico sorridendo. Chiamo il cameriere e ordino risotto per due. Quando quest’ultimo si allontana, la vedo nuovamente nervosa. Si agita sulla sedia, fissandosi le dita. Alzo gli occhi al cielo, sospirando. «Anastasia, cosa c’è che non va? Dimmelo» la esorto. Alza gli occhi nei miei e leggo la preoccupazione stampata sul suo viso dolce. Inizio a preoccuparmi. Tutte queste domande, questo voler scavare nella mia vita. Non mi sta lasciando di nuovo, vero? No, non può essere. Eppure vedo il dubbio che le anima gli occhi. «Dimmelo» la incalzo con più enfasi. Sono davvero preoccupato. La vedo prendere aria nei polmoni, per poi espellerla lentamente. «Temo solo che questo non sia abbastanza per te. Sai, per scaricarti». Parla lentamente, come se fosse una confessione che ci allontanerà. La guardo sotto shock. Fremo di rabbia. “É colpa mia. Solo colpa mia. L’ho distrutta, fisicamente ed emotivamente. Ma lei è il mio tutto oramai. Non può e non deve sminuirsi in quel modo”. «Ti ho dato motivo di pensare che non sia abbastanza?» le chiedo severamente. «No» farfuglia, imbarazzata. «Allora perché lo pensi?» chiedo diretto. «So come sei fatto. Quali sono... mmh... i tuoi bisogni» balbetta, sempre più intimorita. Stringo gli occhi, sfregandomi la fronte con due dita. “Ha bisogno di sicurezze. L’ho venerata, l’ho protetta dal mondo. Le ho detto che la amo. Cosa... ” «Che cosa devo fare?» le chiedo esasperato dalla mia lotta interna con me stesso. «No, mi hai fraintesa... Tu sei fantastico, e so che sono solo pochi giorni che ci frequentiamo, ma spero che la mia presenza non ti stia forzando a essere qualcuno che non sei» si affretta a spiegarmi. Apro gli occhi, guardandola fisso. «Sono ancora me stesso, Anastasia, in tutte le mie cinquanta sfumature. Sì, devo lottare contro la mia tendenza ad avere il controllo su tutto... ma è la mia natura, il modo in cui ho affrontato la vita. Sì, mi aspetto che ti comporti in un certo modo, e quando non lo fai è stimolante e originale allo stesso tempo. Facciamo ancora quello che mi piace fare. Hai lasciato che ti sculacciassi dopo la tua bizzarra idea di fare un’offerta per l’asta, ieri» mi fermo per un attimo, prendendomi una pausa dal fiume di parole che le ho riversato addosso, sorridendo al ricordo di lei e di ieri sera. «Mi è piaciuto punirti. Non credo che lo stimolo mi passerà mai...» le confesso con un po’ di timore. «Ma ci sto provando, e non è così dura come pensavo» “Ecco, Ana. Ho finito la mia confessione. Ti prego, non lasciarmi”. Lei si sposta sulla sedia, arrossendo con forza. «Non m’importa» sussurra, deliziandomi con un sorriso timido. Sorrido anch’io, anche se poco. «Lo so. Nemmeno a me. Ma lascia che ti dica una cosa, Anastasia, tutto questo è nuovo per me e questi pochi giorni sono stati i migliori della mia vita. Non voglio cambiare niente» le confesso sincero. Sul viso le si dipinge lo stupore, prima, e poi la gioia. «Sono stati i migliori anche della mia, senza eccezioni» mormora piano. Il mio sorriso si allarga e lei ricambia, felice come me. «E così, non mi vuoi portare nella tua stanza dei giochi?» La sua domanda irrompe nella mia mente. Il ricordo dell’ultima volta in cui in cui ci sono stato con lei mi fa male, mi fa quasi mancare il respiro. «No, non voglio» mormoro, abbassando lo sguardo. «Perché no?» sussurra, quasi delusa. Alzo lo sguardo su di lei, scrutandola. Sono così confuso dalle sue reazioni. «L’ultima volta che ci siamo stati tu mi hai lasciato» le rispondo pacatamente. «Rifuggo da ogni cosa che potrebbe farti pensare di lasciarmi di nuovo. Ero devastato, quando l’hai fatto. Te l’ho detto. Non voglio sentirmi così mai più. Ti ho spiegato quello che sento per te». La scruto con ardore, sincerità. “Dimmi che mi capisci, Ana. Che mi prendi con te nonostante tutto quello che sono. Che mi ami. Che non mi lascerai. Mai più”. «Ma non mi sembra giusto. Non può essere molto rilassante per te doverti costantemente preoccupare di come mi sento. Hai fatto tutti questi cambiamenti per me, e io... io vorrei poter contraccambiare in qualche modo. Non lo so... forse... cercando... facendo qualche gioco...» balbetta piano, arrossendo fino alla radice dei capelli. “Cristo, Ana. Tu sei già tutto ciò di cui ho bisogno”. «Ana, contraccambi già più di quanto pensi. Per favore, per favore, non sentirti così» la imploro. Farei di tutto per non farle più del male. La fisso con gli occhi spalancati, cercando di rassicurarla e al contempo di rassicurare me stesso. «Piccola, è stato solo un weekend» continuo, prendendole una mano nella mia. «Diamoci del tempo. Ho pensato molto a noi la settimana scorsa, dopo che te ne sei andata. Abbiamo bisogno di tempo. Hai bisogno di fidarti di me, e io di te. Forse, un giorno, potremo assecondarci, ma adesso a me piaci così come sei. Mi piace vederti felice, rilassata e spensierata, e sono contento di sapere che in qualche modo sono io a farti sentire così. Non ho mai...». Fermo le mie confessioni a ruota libera. “Non ho mai fatto felice nessuno. Ho solo causato dolore, traendo piacere da quelle lacrime”. Mi passo una mano nei capelli, imprecando mentalmente contro il coglione che sono stato. «Dobbiamo imparare a camminare prima di poter correre» le dico e mi viene da ridere pensando che questa frase me l’ha ripetuta Flynn almeno un migliaio di volte. «Cosa c’è di tanto divertente?» mi chiede senza capire. «Flynn. Lo dice sempre. Non ho mai pensato che l’avrei citato» dico, ridacchiando e scuotendo la testa. «Un flynnismo, dunque» sorride anche lei. Rido di cuore. «Esatto» annuisco, di nuovo sollevato. Il cameriere ci interrompe, portando gli antipasti. E cambiamo argomento. Ma dentro di me sono felice. Abbiamo superato un altro scoglio. Uno dei tanti. So che alla fine di questa serie di ostacoli si trova quello insormontabile. Ma per il momento uno è andato. Abbiamo fatto un passo avanti nella direzione giusta. E lo abbiamo fatto insieme. Di nuovo. Dopo una gustosa cena, facciamo ritorno all’Escala. Anastasia è silenziosa, con la testa poggiata sul braccio, contro il finestrino della mia auto. Pensa, chissà a cosa. Forse a me. Almeno lo spero. E spero che i suoi pensieri siano positivi. Negli ultimi tre giorni ho imparato ad osservarla, ad osservare ogni dettaglio. Non farò in modo che mi lasci di nuovo. Non lo permetterò. Ma... se dovesse accadere, allora dovrò essere in grado di ricordare ogni dettaglio di lei. Se non potrò averla per sempre, mi crogiolerò almeno nel suo ricordo. Mi concentro sulla strada, lasciandola ai suoi pensieri. Io ho bisogno per un attimo di mettere insieme i miei. Ho bisogno di vedere Flynn, di sentire cos’ha da dire rispetto a tutto questo. La mia paura, la confessione dell’amore che provo per lei, la mia voglia di stravolgere la mia vita. E il desiderio che persiste di legare il suo corpo minuto e scoparla fino a farla svenire. A volte mi sento un mostro. Ovviamente è quello che sono, ma ho imparato a nasconderlo. Come polvere sotto un tappeto. Eppure ci sono momenti in cui quel tappeto si alza e la mia personalità viene fuori. É anche lei che la tira fuori comunque. Voglio proteggerla, farla stare bene. Ma un’occhiata a quella bocca carnosa e quegli occhi docili e selvaggi al tempo stesso, una sferzata della sua lingua biforcuta. E sono in ginocchio, in preda al desiderio perverso di piegarla alla mia lussuria perversa. Perché è così giusto e così sbagliato al tempo stesso? Mi sento così confuso. E poi ora c’è anche Leila e il fatto che non mi senta sicuro neppure a casa mia. Non temo per me, ma per lei. Ma non so dove altro andare. Dove altro portarla. Mi struggo tra la voglia di proteggerla e il bisogno di non farla sentire oppressa e indurla a scappare. Non so come comportarmi. E questo, oltre che confuso, mi rende nervoso. Quando ci avviciniamo al garage dell’Escala lancio un’occhiata in giro, sui marciapiedi e intorno all’edificio. Non la vedo, ma ho paura che lei sia in agguato e voglia fare del male ad Anastasia. Stringo le labbra, fremente di rabbia. Sawyer ci aspetta nel parcheggio. L’Audi malridotta è stata portata via, in modo che Ana non debba più vederla. Parcheggio accanto all’Audi Quattro e scendiamo entrambi. «Salve, Sawyer» lo saluta lei. «Miss Steele» Sawyer fa un cenno educato con il capo. «Mr Grey» «Nessun segno?» gli chiedo con rabbia. «No, signore» Annuisco, afferrando la mano di Anastasia. Mi sento così impotente per non essere in grado di assicurarle la protezione di cui necessita. Entriamo in ascensore e mi lascio distrarre dai miei pensieri. Ho bisogno di tenere sotto controllo la situazione. Altrimenti va a finire che impazzisco. E devo essere certo che Ana non si avventuri da sola da nessuna parte. Leila potrebbe essere ovunque, come ci ha dimostrato ieri sera. Mi volto verso di lei, scrutandola per pochi secondi. «Non ti è permesso uscire di qui da sola. Mi hai capito?» sbotto severo, aspettandomi una replica con i controcazzi. Ma lei mi sorprende. Aggrotta leggermente la fronte, ma la sua risposta è docile. «Okay» E poi, chissà perché, sorride. Sorride? Non me lo sto sognando? É davvero un sorriso, quello? Io voglio tenerla sotto chiave e lei sorride? Questa donna mi sta fottendo il cervello. Mio malgrado il suo sorriso mi contagia. «Cosa c’è di tanto divertente?» borbotto, cercando di mascherare l’ilarità. «Tu» mi risponde semplicemente, fissando i miei occhi grigi. «Io, Miss Steele? Perché sono divertente?» le dico, mettendo il broncio come un ragazzino. Ana mi guarda e vedo che il suo respiro si ferma per un attimo, mentre i suoi occhi si spostano e indugiano sulle mie labbra. «Non fare il broncio» mi dice, con voce roca e bassa. «Perché?» le chiedo divertito. «Perché mi fa lo stesso effetto che fa su di te quando faccio così» dice, afferrandosi il labbro inferiore con i denti e stringendolo in quel modo carnale e passionale che mi fa venire voglia di cose indicibili. Alzo un sopracciglio, mentre sento l’eccitazione montare dentro di me. La fisso, compiaciuto e sorpreso al tempo stesso. «Davvero?» le dico di nuovo, con voce roca. Mi avvicino al suo corpo, chinandomi su di lei e depositandole un bacio veloce e dolce sulle labbra. Ma quel contatto me la fa desiderare di più. Un brivido mi percorre da capo a piedi e il mio uccello si tende, come se volesse rompere i pantaloni. Poggio di nuovo le labbra sulle sue, ma stavolta anche lei mi assale. Le sue mani mi afferrano i capelli e la sua lingua danza a fondo con la mia. Le afferro il viso, avvicinandola di più. Ci baciamo, divoriamo, inghiottiamo a vicenda, mentre i nostri corpi si scontrano. Il mio torace sfiora le sue morbide curve, mentre il sangue pulsa veloce nelle nostre vene. Sento la corsa impazzita del suo cuore, che va di pari passo al mio. Percepisco il suo desiderio, forte e prepotente. E anch’io la voglio. Anch’io voglio farla mia e mia soltanto. La afferro prepotentemente, mentre dentro mi si risvegliano sentimenti che tentavo di tenere sopiti. Durante tutto il giorno mi ha provocato, stuzzicato con la sua malizia. E ora i miei istinti stanno prendendo prepotentemente il sopravvento. La voglio, la desidero. Voglio brutalmente farla mia, piegarla la mio desiderio e sentirla gemere il mio nome mentre mi implora di farla venire ancora e ancora. Le afferro i fianchi, spingendola contro la parete. Le mie mani le afferrano il viso, senza permettere di staccare le nostre labbra. Anche lei incrementa la presa sui miei capelli. Le piace. Le piace quando sono meno delicato. Quando la prendo e basta. Ho sempre più bisogno di lei. Il suo tocco, il suo calore, placano le mie ansie. Fintanto che sono dentro di lei, sono certo che nessuno le farà del male. ‘Nessuno tranne te, Grey’. Le porte dell’ascensore si aprono, mettendo a tacere sul nascere i miei pensieri. Stacco il mio volto dal suo, fissando i suoi occhi grandi e bramosi. Il mio corpo è ancora attaccato a lei. Il mio cazzo è enorme e dolorante e struscia lussurioso contro il suo ventre. «Wow...» le mormoro con il fiato corto. «Wow...» ripete lei, respirando a fondo. Non riesco a smettere di fissarla. «Che cosa mi stai facendo, Ana» mormoro, tracciando con il pollice il contorno delicato del suo labbro inferiore, gonfio per il mio assalto. Un movimento di Taylor, che ci attende fuori dall’ascensore, la distrae. Poi torna a guardarmi, sollevandosi sulle punte e baciandomi dolcemente l’angolo della bocca. «Potrei farti la stessa domanda» mi sussurra. Mi stacco da lei e le prendo la mano, mentre i miei occhi non desiderano null’altro che vederla nuda e ansimante sotto di me. «Vieni» le ordino piano. Taylor si raddrizza vedendoci finalmente uscire dall’ascensore. «Buonasera, Taylor» lo saluto in modo cordiale. «Mr Grey, Miss Steele» annuisce lui. «Ero Mrs Taylor ieri» esclama Ana con un sorriso. Taylor arrossisce, mentre dentro di me la gelosia e la rabbia si fondono e mi animano il petto. «Suona bene, Miss Steele» commenta Taylor con un sorriso. Lo fulmino con lo sguardo, ma Ana continua a flirtare con lui. «L’ho pensato anch’io» Le stringo la mano più forte. Mrs Taylor, Anastasia? Mrs Taylor? Vuoi quel fottuto Taylor? Vuoi che sia lui a farti urlare di piacere, a baciarti e farti impazzire? Fumante di rabbia le do uno strattone alla mano. «Se avete finito, mi piacerebbe essere aggiornato» Torno a lanciare un’occhiata torva a Jason, che si raddrizza e abbassa lo sguardo. «Mi dispiace» sento Ana che sussurra mentre lo sorpassiamo ed entriamo nell’appartamento. «Sarò da te tra poco. Voglio solo scambiare una parola con Miss Steele» grido a Taylor da sopra una spalla. Senza fermarmi, la conduco in camera da letto, chiudendo la porta una volta che l’ha oltrepassata. «Non flirtare con il rimprovero severamente. personale, Anastasia» la Ana mi guarda sconvolta. Apre la bocca, poi però la richiude. Poi la riapre, continuando a fissarmi. Le mani sui fianchi. «Non stavo flirtando. Ero solo amichevole... C’è differenza» borbotta stizzita. «Non essere amichevole con il personale e non flirtare con nessuno di loro. Non mi piace» le dico con rabbia. «Mi dispiace» borbotta, fissandosi le mani e alzando poi gli occhi a guardare il soffitto. Sembra una bambina, mi fa tenerezza, nonostante la rabbia che provo. Mi avvicino e le prendo il viso tra le mani, in modo da poterla guardare negli occhi. «Lo sai quanto sono geloso» le sussurro contro le labbra. «Non hai alcun motivo di essere geloso, Christian. Il mio corpo e la mia anima sono tuoi» La guardo, sbattendo le palpebre. “No, Ana. Non possono esserlo se io continuo a mentirti, a non dirti la verità. Non puoi appartenere ad un mostro come me”. Mi chino su di lei, come per reprimere i miei stessi pensieri. Non voglio pensare a tutto questo. Lei è qui, ora. La bacio delicatamente, ma velocemente sulle labbra. «Non ci metterò molto. Fa’ come se fossi a casa tua» le dico, con un leggero broncio. La lascio lì, stordita, confusa, barcollante. Mi dirigo a passi veloci nel salone. «Taylor! Nel mio ufficio, immediatamente!» Entro, lasciando la porta aperta. É Taylor a chiuderla quando mi segue. «Aggiornami sulla situazione» dico senza preamboli, girandomi di spalle e guardando fuori dalla vetrata. Non ci sono novità rispetto a quello che mi ha già detto per telefono. «Miss Williams dev’essere entrata dalla scala antincendio. Abbiamo cambiato codici e serrature. L’appartamento è pulito. Lei non c’è». Annuisco pensieroso. Ci accordiamo sulla sorveglianza, gli assicuro che parlerò dettagliatamente con Anastasia, e ci congediamo. Ma quando sento la maniglia girarsi, mi volto. «Mantieni le distanze con Miss Steele, Taylor. Non farmelo ripetere» dico freddamente, senza lasciar trapelare emozione alcuna nel tono di voce. Taylor non si gira neppure, e so che è perché ribolle di rabbia. Si comporta così quando sa di avere ragione e che io mi comporto come un bambino viziato. «Certo, Mr Grey» sibila, uscendo e chiudendo la porta dietro di lui. Quando torno in camera, la trovo in piedi a guardare i suoi abiti appesi nella cabina armadio. Quando si volta, noto il suo sguardo smarrito. «Oh, ce l’hanno fatta a spostare tutto» mormoro, distrattamente. É nuova anche per me la sensazione di condividere il mio spazio personale. Ma la realtà è che ora come ora Ana fa parte del mio spazio personale. Non posso immaginare di vivere senza di lei. O che qualcuno le faccia del male. Mi acciglio, mentre osservo la nuova disposizione della nostra roba. «Cosa c’è che non va?» mi chiede, preoccupata. Scuoto piano la testa, scrollandomi di dosso quelle preoccupazioni. «Taylor pensa che Leila sia entrata dalla scala antincendio. Deve aver avuto la chiave. Adesso tutte le serrature sono state cambiate. La squadra di Taylor ha controllato a fondo ogni stanza dell’appartamento. Lei non è qui» Mi fermo, esausto, passandomi una mano tra i capelli. «Vorrei tanto sapere dov’è. Sta eludendo tutti i nostri tentativi di trovarla, quando invece ha bisogno d’aiuto». Corrugo la fronte, mentre rimugino su dove potrebbe essere andata. Ana mi sorprende, avvicinandosi e stringendomi in un abbraccio. Il suo calore e il suo profumo mi avvolgono e mi confortano. La stringo a me, baciandole i capelli. «Cosa farai quando la troverai?» mi chiede, contro il mio petto. «Il dottor Flynn può occuparsene» le dico. John mi ha dato la sua disponibilità ad occuparsi di Leila durante il nostro ultimo incontro, quando gli ho raccontato tutto. Devo vederlo, in ogni caso. «E suo marito?» mormora Ana. «Se n’è lavato le mani di lei» ribatto sdegnato. «La sua famiglia vive nel Connecticut. Penso che qui sia sola» mormoro contro la sua testa. «Che tristezza» sussurra triste. “Sei sempre la solita, Ana. Non riesci a non dispiacerti per una persona. Anche se quella persona vuole farti del male. Ma io non sono così magnanimo”. Inspiro forte, rilassandomi contro di lei. Abbiamo bisogno di distrarci. Entrambi. «Ti va bene che abbia fatto portare qui le tue cose? Voglio dividere la stanza con te» le dico piano. Lei alza la testa dal mio petto, guardandomi negli occhi. «Sì» «Voglio che dormi con me. Non ho incubi quando dormi con me» le sussurro in un impeto di angoscia e liberazione. Non potrei sopportare di ripassare l’inferno che ho vissuto per cinque giorni. “Tu sei tutto per me, Anastasia”. «Hai incubi?» mi chiede, sgranando gli occhi. «Sì» confesso con un filo di voce. Mi aspetto di vederla scappare da un momento all’altro, ma lei mi stringe con più forza. Restiamo in silenzio, a confortarci l’uno con il calore dell’altra. É lei a parlare di nuovo. «Stavo preparando gli abiti per andare al lavoro domani mattina» mormora piano. «Lavoro!» esclamo incredulo, lasciandola andare e lanciandole un’occhiata di fuoco. «Sì, lavoro» replica lei, in preda alla confusione, guardandomi come se mi fosse spuntato un corno enorme sulla testa. Il mio sguardo riflette il suo. Quella fottuta pazzoide è lì fuori e cerca di ammazzarci entrambi e tu ti preoccupi del fottuto lavoro, Ana?? «Ma Leila... è là fuori» mi fermo, cercando di trovare il modo adatto per dirle quello che voglio dirle. «Non voglio che tu vada a lavorare» sbotto alla fine, non riuscendo a non farla passare per quello che è: una imposizione bella e buona. Ana sgrana gli occhi, alzando le sopracciglia. «Questo è ridicolo, Christian. Devo andare al lavoro» mi dice scioccata. «No che non devi» ribatto cocciuto. «Ho un nuovo impiego, che mi piace. Certo che devo andarci» mi dice decisa. «No, non devi» replico agitato, muovendo le mani in aria prima di poggiarle sui miei fianchi. «Credi che me ne starò qui a girarmi i pollici mentre tu giochi a fare il signore dell’universo?» Il suo tono di voce è quasi stridulo. La fisso con gli occhi socchiusi. «Francamente... sì» sbotto. La vedo scuotere la testa, mettersi le mani tra i capelli e credo stia quasi per lanciare un urlo di disperazione. Poi fa un lungo sospiro. «Christian, devo andare al lavoro» dice calma. «No, non devi» ribatto scontroso. «Sì. Io. Devo» mi dice lentamente, come se fossi un bambino piccolo che non riesce a comprendere il perché mangiare troppo gelato faccia male ai denti. Stringo la mascella e i pugni. “Oh, Ana. Quando fai così meriteresti proprio una bella sculacciata, Cristo santo!” «Non è sicuro» sibilo. «Christian... ho bisogno di lavorare per vivere, andrà tutto bene» «No, non hai bisogno di lavorare per vivere... E come sai che andrà tutto bene?». Oramai il mio tono di voce è salito di qualche ottava. Sto velocemente perdendo il controllo. Perché è così. Quando si tratta di lei, perdo le staffe facilmente. Non c’è nulla da fare. «Per l’amor del cielo, Christian, Leila era in piedi in fondo al tuo letto e non mi ha fatto niente, e sì, ho bisogno di lavorare. Non voglio che mi mantenga tu. Devo restituire il prestito studentesco» urla anche lei, mettendosi i pugni sui fianchi. Faccio una smorfia di disappunto. «Non voglio che tu vada al lavoro». So che è una battaglia persa. Ha indossato l’elmetto di guerra. Soccomberò io. «Non devi dirmelo tu, Christian. Non è una decisione che spetta a te» mi dice con veemenza. Mi passo una mano nei capelli, fissando quella furia travestita da brunetta sexy che ha bisogno di essere protetta dal mondo. Continuiamo a urlarci contro in silenzio. So come andrà a finire. Sarò io a cedere. Distolgo lo sguardo e mi passo di nuovo la mano nei capelli. «Sawyer verrà con te» sibilo a denti stretti. «Christian, non è necessario. Non essere irrazionale» esclama lei esasperata. «Irrazionale?» le ringhio contro. «O lui viene con te, o sarò davvero molto irrazionale e ti terrò qui» urlo. «In che modo, esattamente?» mi chiede sbalordita. «Oh, troverei un modo, Anastasia. Non mettermi alla prova» le dico con un’occhiata velenosa. «Okay!» urla, alzando le mani in alto. La fisso con la rabbia che mi sta infiammando le vene. «Okay, Sawyer può venire con me, se ti fa sentire meglio» sbotta ala fine, alzando gli occhi al cielo. Quel gesto mi fa arrabbiare ancora di più. D’istinto faccio un passo verso di lei, con l’intenzione di metterla spalle al muro e scoparla di santa ragione dopo una bella sculacciata. Ma lei fa un passo indietro. Quando mi rendo conto della situazione mi blocco, passandomi entrambe le mani nei capelli, e trattenendomi fisicamente dal continuare ad avanzare. “Devo uscire da qui, da questa stanza. Altrimenti mando al diavolo il fottutissimo buon senso”. Riprendo fiato e torno a fissarla. «Posso farti fare un tour della casa?» le dico, proseguendo con il piano originale. Quello di distrarla da tutto lo schifo e dalla storia di Leila, e di mostrarle la casa, in modo che abbia una concezione dello spazio più precisa. «Okay» risponde, in evidente confusione per il mio cambio di argomento. Le porgo la mano, aspettando che la prenda e stringendogliela dolcemente. «Non volevo spaventarti» le dico, per scusarmi. «Non mi hai spaventata. Stavo solo per andarmene» ribatte sarcastica. A quelle parole una fitta lancinante mi trafigge il petto. «Andartene?» sussurro, sgranando gli occhi. «Sto scherzando!» dice esasperata e divertita al tempo stesso. Deglutisco e sospiro di sollievo, conducendola fuori dalla cabina armadio. Pazientemente le faccio fare un piccolo tour guidato dell’appartamento, mostrandole le varie stanze da letto per gli ospiti al piano superiore, l’ala riservata a Jason e Gail, la stanza dove c’è il televisore e il divano. «E così hai un’Xbox?» sogghigna, ricordando la prima volta che è stata qui, quando le ho proposto di vedere la mia stanza dei giochi. «Sì, ma sono una frana. Elliot mi batte sempre. È stato divertente quando hai pensato che volessi portarti a giocare con l’Xbox» le dico con un sorriso. Ci stiamo rilassando di nuovo. Fortunatamente. «Sono contenta che mi trovi divertente, Mr Grey» mi risponde altezzosa, sorridendo piano. «Lo sei, Miss Steele... quando non sei esasperante, ovviamente» ribatto, con un sorrisetto. «Di solito irragionevole» sono esasperante quando tu sei «Io? Irragionevole?» le dico, alzando divertito le sopracciglia. «Sì, Mr Grey. Irragionevole potrebbe essere il tuo secondo nome» ribatte e dal tono mi aspetto quasi mi faccia la linguaccia. «Non ho un secondo nome» ribatto imitando la sua alterigia. «Irragionevole calzerebbe a pennello» mi dice con l’aria da saputella. «Credo che sia una questione di punti di vista, Miss Steele» «Sarei interessata a sentire l’opinione professionale del dottor Flynn» Le lancio un sorrisetto malizioso. «Pensavo che Trevelyan fosse il tuo secondo nome» afferma pensierosa. «No. Cognome» preciso. «Ma non lo usi» «È troppo lungo. Vieni» le ordino, mettendo fine al nostro siparietto. Ana mi segue docile, mentre torniamo nel salone e percorriamo il corridoio. Oltrepassiamo la lavanderia, la cantina, l’ufficio di Taylor. Con piacere noto che Taylor, pur continuando a mantenere la sua innata cortesia, evita lo sguardo di Anastasia. Alla fine giungiamo in biblioteca. Mano nella mano. «Qui ci sei stata» le dico, aprendo la porta e mostrandole la stanza. Lo sguardo di Ana brilla, mentre si posa sul tavolo da biliardo. «Possiamo giocare?» chiede, passandomi davanti ancheggiando e poggiandosi al tavolo, proprio di fronte a me, fissandomi negli occhi. Sorrido, sorpreso ed eccitato dalla sua audacia. «Okay. Hai mai giocato prima?» le chiedo sospettoso. «Qualche volta...» mi dice, distogliendo lo sguardo. So che sta mentendo. Piego la testa di lato, scrutandola. «Sei una pessima bugiarda, Anastasia. O non hai mai giocato in vita tua, oppure...» Ana si passa la lingua sulle labbra. «Temi un po’ di competizione?» chiede alzando un sopracciglio. «Dovrei avere paura di una ragazzina come te?» la prendo in giro, entrando nella stanza e avvicinandomi a lei. «Scommettiamo, Mr Grey» dice con spavalderia. «Sei così sicura di te, Miss Steele?» le sorrido, incredulo e divertito. E curioso ovviamente. «Che cosa vuoi scommettere?» le chiedo, fissandola. «Se vinco, voglio che mi porti ancora una volta nella tua stanza dei giochi» Le sue parole mi colgono di sorpresa. Lo stomaco mi va sottosopra per l’agitazione. Per farmi una proposta del genere dev’essere sicura di poter vincere. E se è sicura a tal punto e mi sta chiedendo questo... è perché lo vuole. Non mi ero sbagliato. Ana vuole essere dominata da me. Vuole essere legata e portata al limite dalla mia bocca, le mie mani e il mi cazzo. Sono eccitato, il pensiero di tornare ad avere quel potere su di lei mi inebria. Ma non posso farle del male, neppure se è lei a chiedermelo. Però... però potrei provare a dare ad entrambi quello che vogliamo. E per farlo devo vincere io. «E se vinco io?» chiedo, dopo essermi ripreso dallo shock iniziale. «Allora potrai scegliere tu» mi dice arrogante. Stringo le labbra, reprimendo un sorrisetto. Il pensiero di riaverla alla mia mercé mi manda quasi in estasi. «Okay, andata» le dico con un sorriso alla fine. «Vuoi giocare a pool, biliardo inglese o carambola?» «A pool, per favore. Gli altri non li conosco» Mi avvicino all’armadietto sotto la libreria, tirando fuori una grossa valigia di pelle dalla quale estraggo la custodia di velluto che contiene le palle da biliardo. Velocemente le ripongo sul tavolo verde. Ana osserva rapita i miei movimenti. Poi le passo la sua stecca e qualche pezzo di gesso. «Vuoi spaccare?» le concedo galantemente, sicuro di me. “So cosa voglio. E cosa vuoi tu, Ana. Vincerò io”. «Okay» accetta. Passa il gesso sulla punta della stecca, poi socchiude le labbra soffiando via quello in eccesso. Nel farlo mi guarda da sotto le ciglia, passandosi la lingua sulle labbra. “Cristo, se mi sto eccitando”. Si allinea con la palla bianca e con un colpo veloce, quasi inaspettato, colpisce il centro del triangolo di palle, talmente forte che una di quelle rigate finisce in buca. Stringo i denti. “La ragazzina sa benissimo quello che fa. Ma non posso permettermi di perdere. Il prezzo è troppo alto”. «Scelgo quelle rigate» mi dice con un sorriso angelico. Le lancio un sorrisetto di sbieco. «Prego» le dico cavallerescamente. Ana prosegue velocemente, mettendo in buca altre tre palle. Ha un’espressione soddisfatta, mentre il panico dentro di me cresce. Cerco di rimanere impassibile. La osservo rapito, mentre si allunga sul tavolo, distendendo la schiena, le gambe, concentrandosi. Mentre si lecca le labbra o le mordicchia piano. Finalmente sbaglia, cedendomi il turno. Si gira a guardarmi quando si accorge che sono rimasto immobile. «Lo sai, Anastasia, potrei stare qui a guardarti mentre ti pieghi e ti distendi sul biliardo per tutto il giorno» le dico con evidente desiderio. Lei arrossisce, imbarazzata. Le sorrido con malizia. Amo metterla a disagio in questo modo. La manda in confusione. E Dio solo sa se ho bisogno che sia confusa. Mi sta stracciando e ancora non abbiamo iniziato. Mi tolgo con calma il maglioncino e lo getto sullo schienale della sedia lì accanto. Le sorrido, avvicinandomi al tavolo. Sono cosciente del fatto che il mio corpo le provoca lo stesso effetto che il suo ha su di me. Mi piego sul tavolo e la lascio guardare. Con la coda dell’occhio la vedo a bocca aperta, la mano destra stringe con forza la stecca. Velocemente mando quattro palle in buca, poi sbaglio, imbucando la bianca. Impreco a denti stretti mentre Ana mi fa un sorrisetto. «Un errore banale, Mr Grey» mi prende in giro. Sorrido, fissandola malizioso. «Ah, Miss Steele, non sono che un povero mortale. Tocca a te, credo» le dico, indicando il tavolo da gioco. «Non starai cercando di perdere?» mi chiede alzando un sopracciglio. «Oh, no. Per quello che ho in mente come premio voglio vincere, Anastasia» le dico, stringendo le spalle. «Ma, del resto, voglio sempre vincere» Mi lancia uno sguardo a occhi socchiusi. Fa lentamente il giro del tavolo, piegandosi abbastanza da lasciarmi sbirciare il pizzo bianco della sua biancheria. Il mio uccello si tende, scalpita per essere liberato. Passo in rassegna gli oggetti nella mia scrivania, accanto alla porta. Sì, quello che voglio c’è. Ana si mette in posa. Una posa erotica, sexy, che mi fa venire voglia di sentirla gemere per ore. «So cosa stai facendo» le sussurro, con gli occhi cupi. Lei mi guarda, piegando la testa di lato, maliziosamente. Con la mano accarezza la stecca, riportando lo sguardo sul tavolo. «Oh, sto solo distrattamente. decidendo dove tirare» dice Poi sferra il colpo, mettendo la palla in posizione più favorevole. Si rialza e siamo proprio l’uno di fronte all’altra. Prepara il suo colpo successivo, piegandosi di nuovo sul tavolo, Dandomi accesso non solo al suo seno, ma anche alla curva del suo sedere. La sua schiena è inarcata, come tante volte ho potuto ammirarla mentre ero dentro di lei. Il fiato mi si blocca per qualche istante, prima che riesca a riprenderlo. Sono eccitato da morire, ma la mia reazione ha effetto anche su di lei, che sbaglia il colpo. Mi sposto velocemente, arrivando dietro di lei. Il panorama del suo meraviglioso culo è mozzafiato. Le poggio una mano sulla natica destra, palpandola e accarezzandola. La sento inspirare bruscamente. «Me lo stai facendo ondeggiare davanti per tentarmi, Miss Steele?» le sussurro all’orecchio. Poi alzo la mano e la colpisco forte. Ana sussulta, assorbendo il colpo. «Sì» mormora con un filo di voce, eccitata e vogliosa. «Stai attenta a quello che desideri, piccola» le dico, allontanandomi e raggiungendo l’altro lato del tavolo, preparandomi al tiro mentre le si massaggia il sedere. Una palla dentro, una la manco. Ana mi lancia un sorrisetto. «Stanza Rossa, stiamo arrivando» mi prende in giro. Alzo un sopracciglio, facendole cenno con la mano affinché prosegua. Due palle dentro. Ma quando arriva a quella arancione, intervengo. É maledettamente brava. Ma non voglio rischiare di perdere. Non voglio tornare lì dentro. Devo distrarla. «Nomina la tua buca» le dico a voce bassa ma decisa. «Buca d’angolo a sinistra» risponde in un sussurro. Tenta di concentrarsi, ma la mia voce ha avuto l’effetto sperato. Manca la palla arancione. Impreca tra sé e sé, mentre io faccio un ghigno soddisfatto. Metto in buca le ultime due palle piene. Mi stendo e mi allungo sul tavolo. Lo faccio apposta. Alimento la sua eccitazione. La sto mandando coscientemente fuori di testa. Quando mi rialzo per passare il gesso sulla stecca, la fisso negli occhi. É giunto il momento di sferrarle il colpo di grazia. «Se vinco io...» inizio, lasciandola in sospeso. Quasi si protende fisicamente verso di me per cavarmi di bocca le parole. Sposto lo sguardo sulla stecca, soffiando il gesso. Poi torno a guardarla dritto negli occhi azzurri. «Ti prenderò a sculacciate e poi ti scoperò su questo tavolo da biliardo» le dico con la voce carica di lussuria. La vedo trasalire di desiderio, stringere forte la stecca e deglutire. Alzo un sopracciglio, soddisfatto. «Buca d’angolo a destra» mormoro, nominando la mia buca e puntando la palla nera. Poi mi piego sul tavolo, sentendo il suo sguardo bruciarmi la pelle. E tiro. Capitolo 14 Con facilità colpisco la palla bianca, e mando in buca l’ultima nera che ho sul tavolo. Ana trattiene il respiro. Mi rialzo lentamente, sorridendole perfido. I miei occhi le accarezzano il corpo, famelici come non lo erano da tempo. Oggi mi ha portato al limite, mi ha stuzzicato, lanciato segnali. Ora non riesco più a stare buono e tenermelo nei pantaloni. Voglio scoparla. Voglio scoparla selvaggiamente e sentirla urlare di piacere. Poso la mia stecca sul bordo del biliardo e mi avvicino a lei, sotto il suo sguardo avido quasi quanto il mio. «Non sarai una che non sa perdere, vero?» mormoro piano, cercando di trattenere un ghigno di soddisfazione. «Dipende da quanto forte mi sculaccerai» sussurra, piano, appoggiandosi con tutte le sue forze alla stecca che ora le fa da sostegno. Gliela tolgo di mano, poggiandola sul biliardo. Infilo l’indice nello scollo della sua camicetta e la attiro al mio corpo. «Bene, contiamo le tue infrazioni, Miss Steele» le annuncio, con un sopracciglio inarcato, contando sulle dita. «Uno: mi hai fatto sentire geloso di un membro del mio personale. Due: hai discusso con me riguardo al tuo lavoro. Tre: hai deliberatamente fatto ondeggiare il tuo delizioso sedere davanti al mio naso negli ultimi venti minuti».Mi piego su di lei, strofinando il mio naso delicatamente contro il suo. «Voglio che tu ti tolga i jeans e questa camicetta così seducente. Ora» le mormoro sulle labbra, baciandola leggermente. Poi mi allontano, dirigendomi dritto verso la porta. Faccio scattare la serratura e il rumore riecheggia nel silenzio della stanza. Quando mi volto il mio sguardo è fuoco allo stato puro. So che quello che succederà cambierà di nuovo il nostro rapporto. É quasi come la prima volta che è stata qui. Devo mostrarle quello che posso fare e lei deve farmi capire fin dove posso spingermi. Ana non si è mossa di un millimetro. Per un attimo sono tentato di correre da lei e abbracciarla, ma non posso. Devo sapere. Devo continuare e sapere fin dove posso spingermi. La sculacciata di ieri sera ha riacceso certi desideri. Posso farne a meno se lei non vuole. Ma se volesse? Sarebbe l’inferno e il paradiso in un tutt’uno. «I vestiti, Anastasia. Mi pare che tu li abbia ancora addosso. Togliteli. O lo farò io per te» le ordino piano. «Fallo tu» mi dice con una voce carica di desiderio. Sorrido di traverso per quella sua impertinenza. «Oh, Miss Steele. È uno sporco lavoro, ma penso di poter raccogliere la sfida» le dico a bassa voce, senza abbandonare la mia aria arrogante. «Sei abituato a raccogliere sfide ben peggiori, Mr Grey» mi dice, alzando un sopracciglio. Le sorrido, avvicinandomi alla piccola scrivania ricavata nella libreria. «Che cosa intendi dire, Miss Steele?» le chiedo, chinandomi a prendere quello che mi serve. Fletto il righello di 20 centimetri, tenendolo per le due estremità e testandone la resistenza e la flessibilità. Non abbandono mai il suo sguardo, valutando la sua reazione. Sgrana gli occhi, impaurita, e sono tentato di gettarlo via. Ma poi la vedo stringere le gambe l’una contro l’altra. E il pensiero del paradiso bagnato che mi aspetta tra le sue cosce mi spinge ad andare avanti. Infilo il righello nella tasca posteriore dei miei jeans e mi avvicino a lei, fissandola come se volessi scoparla con lo sguardo. Il suo respiro è già corto. Mi inginocchio in silenzio e le slaccio rapidamente le scarpe da tennis, sfilandogliele insieme con le calze. Ana poggia le mani al bordo del biliardo dietro di lei, per tenersi in equilibrio. Sento il suo sguardo addosso. Le mie mani risalgono lungo le gambe fasciate dai jeans e le afferrano decise i fianchi. Infilo le dita nella cintura dei pantaloni, slacciando il bottone e abbassando la zip. All’improvviso alzo gli occhi sul suo viso, arrossato e con gli occhi già lucidi per l’attesa. Le sorrido malizioso e lei rimane senza fiato. Il suo seno si alza e si abbassa freneticamente. Le abbasso i jeans e lei ne esce con grazia, rimanendo davanti a me in perizoma di pizzo bianco. Le afferro le gambe da dietro, affondando le dita nella morbida carne liscia e profumata. Non resisto all’impulso di annusare il suo profumo e avvicino la punta del naso facendola scorrere sulla pelle delle sue cosce, sino al punto di congiunzione. Un tremito la percuote da capo a piedi. Il desiderio di costringerla a prendermi si fa più intenso. ‘Il vecchio Christian non si allontana mai, vero Grey?’. La sensazione, quei pensieri, mi sconvolgono. Ma la sua reazione a me è chiara. É eccitata. Per me. «Voglio essere piuttosto violento con te, Ana. Devi dirmi di fermarmi, se è troppo» ansimo contro il pizzo delle sue mutandine, baciandola nel punto in cui è più sensibile. Anastasia geme piano, mentre le ginocchia danno segni di cedimento. «Safeword?» mormora con la voce rotta dal desiderio. “No. Non sei la mia Sottomessa, Ana. Sei la donna che amo e che mi sta sconvolgendo la vita”. «No, nessuna safeword, dimmi solo di fermarmi, e io mi fermerò. Capito?» le mormoro contro il sesso, baciandola di nuovo e strofinando il mio viso spudoratamente su di lei, come se volessi impregnarmi del suo odore. Di lei. Mi alzo in piedi e la fisso. Ana continua a restare in silenzio, le palpebre pesanti per il desiderio. «Rispondimi» le ordino dolcemente. «Sì, sì, ho capito» mi dice scrutandomi. «Hai continuato a fare allusioni e a mandarmi segnali ambigui per tutto il giorno, Anastasia» le dico, per spiegarle il mio comportamento. Non voglio vederla fuggire di nuovo. Voglio che si fidi. E mi permetta di farla godere. Fino allo stremo. «Hai detto di temere che io avessi perso smalto. Non sono sicuro di capire cosa intendessi, e non so quanto seria fossi, ma lo scopriremo. Non voglio ancora tornare nella stanza dei giochi, perciò adesso proveremo in questo modo, ma se non ti piace, devi promettermi di dirmelo» L’ansia mi sta quasi divorando il petto. Ho paura che lei non mi creda. Che pensi che io sia tornato quello di un tempo. Quello di appena una settimana fa. “Credimi, Ana. Credimi per favore”. «Te lo dirò. Niente safeword» mi rassicura con un piccolo sorriso. «Siamo innamorati, Anastasia. Gli innamorati non usano safeword» le dico. Poi ci rifletto. In realtà non so cosa facciano gli innamorati. Per me è la prima volta. «O no?» le chiedo titubando per un secondo. «Credo di no» mormora lei, guardandomi. «Lo giuro» aggiunge, per darmi un’ulteriore rassicurazione. La scruto a fondo, cercando di decifrare la sua espressione e capire se mi sta mentendo. É nervosa, ma anche eccitata. Molto eccitata. Sorridendole mi rilasso, mentre le mie dita lavorano in fretta sui bottoni della sua camicetta azzurra. Invece di togliergliela la apro soltanto, ammirando il suo seno contenuto nel pizzo bianco del reggiseno. “Ora voglio divertirmi con te, Miss Steele”. Mi allontano per prendere la sua stecca, poggiata sul tavolo verde e vedo i suoi occhi farsi grandi per lo spavento. Ridacchio tra me e me. «Giochi bene, Miss Steele. Devo dire che sono sorpreso. Perché non hai messo in buca la nera?» le chiedo arrogante. Ana mi lancia un’occhiataccia e mette un tenero broncio. Le passo la stecca e lei si gira veloce, posizionando la palla bianca. Prima che possa piegarsi sul tavolo sono dietro di lei. Si abbassa e la mia mano si poggia sulla sua coscia destra. Il mio uccello si tende oltremisura. I jeans fanno male in quel punto. Le mie dita prendono a scorrere lentamente su e giù, poi risalgono fino al suo culo praticamente nudo e lo accarezzano leggermente. «Sbaglierò, se continui a fare così» sussurra con un filo di voce, eccitata come non mai. «Non m’importa se la colpisci o la manchi, piccola. Voglio solo vederti così... Mezza svestita, mentre ti allunghi sul mio tavolo da biliardo. Hai idea di quanto sei sexy in questo momento?» le sussurro all’orecchio, alimentando il desiderio di entrambi. La sento prendere un bel respiro, mentre il mio corpo si addossa al suo, seminudo. Ana fa di tutto per ignorare la sensazione delle mie dita sulla sua pelle, ma io non smetto di accarezzarle le natiche. «Buca d’angolo di sinistra» mormora. Non appena la stecca tocca la palla le assesto una sonora sculacciata sulle natiche. Lancia un urlo, ma non per il dolore. La palla bianca colpisce quella nera, che rimbalza sulla sponda. Non smetto di accarezzarla. “Ancora due tiri, Ana. Devo punirti per le tue tre infrazioni”. «Credo che tu debba ritentare» le sussurro all’orecchio, accarezzandole deliberatamente il libo con la lingua, mentre lei sussulta. «Dovresti concentrarti, Anastasia» Il suo respiro è un affanno eccitato. Lentamente mi ritraggo dal suo corpo, raggiungendo l’altra estremità del tavolo e rimettendo la palla in posizione. Poi le rimando quella bianca, facendola rotolare sul tavolo. La afferra in tutta fretta, riposizionandola. «Ahi, ahi» la ammonisco, sorridendole malizioso. «Aspetta» le intimo. Torno velocemente dietro di lei e la mia mano scende nuovamente sulla sua coscia. Questa volta è quella sinistra. E poi di nuovo quel meraviglioso culo che si ritrova. Le mie dita stringono la sua carne, mentre l’uccello mi sta scoppiando. «Prendi la mira» le ansimo nell’orecchio, mentre il mio corpo copre il suo. Ana geme, lasciando cadere per un attimo la testa sulla stecca. Poi la rialza e tenta di concentrarsi. Si sposta leggermente sulla destra, ma io non la mollo. Si piega, mentre osservo la curva perfetta della sua schiena. “Ti prenderò così, Ana. Ti entrerò dentro e non sarò per niente delicato. Provo un desiderio selvaggio nei tuoi confronti. Devo averti”. Ad un tratto prende la mira e tira. La mia mano affonda di nuovo sulla sua natica, forte. La vibrazione del colpo si riverbera nel mio braccio e in tutto il corpo. Ho il fiato corto come lei. Il mio cazzo pulsa violentemente. «Oh, no!» la sento sibilare mentre constata di non essere riuscita a mettere in buca la palla neppure questa volta. «Ancora una volta, piccola. E se la manchi anche adesso, te lo farò prendere» le sussurro eccitato all’orecchio. Torno in fretta a riposizionare la palla e in men che non si dica sono nuovamente dietro di lei. Il mio cazzo le sfiora la gamba, mentre la mia attenzione è calamitata dal suo sedere. Ho voglia di guardarlo mentre la penetro a fondo. Ho voglia di penetrarla anche lì, ma devo prepararla prima. Un giorno o l’altro magari... Lei si risistema in posizione e io ne approfitto per distrarla. «Ce la puoi fare» la incito dolcemente. Inaspettatamente inarca la schiena, spingendo il suo sedere sulla mia mano. Le do un colpetto. «Non vedi l’ora, eh, Miss Steele?» mormoro in un sussurro spezzato. Lei emette un profondo sospiro. “Non voglio ostacoli tra di noi”. «Bene, liberiamoci di questo» le dico, sfilandole lentamente il perizoma giù per le cosce. Risalendo le bacio entrambe le natiche, deliziosamente arrossate dai miei colpi. Lascio scorrere entrambi i palmi sul suo culo, palpandola e stringendola. «Tira, piccola» le dico, al limite del desiderio. Si inarca, perfetta come sempre, punta e lo so che ci sta provando davvero. Ma quando colpisce la palla con la stecca lo sappiamo entrambi che sbaglierà. Resta in attesa della mia sculacciata, ma ho altro in mente ora. Mi chino su di lei, schiacciandola contro il tavolo e lasciando che la stecca rotoli sul panno verde. Il mio uccello struscia contro il suo sedere. “Cristo!”. «L’hai mancata» le dico con dolcezza. «Appoggia i palmi delle mani sul tavolo» le ordino. Esegue subito. «Bene. Ora ti sculaccerò, così la prossima volta forse non lo farai» le mormoro contro l’orecchio destro, rialzandomi di poco e spostandomi alla sua sinistra. Strofino deliberatamente il mio cazzo fasciato dai jeans sul suo fianco. La sento gemere di nuovo, voluttuosamente. Il cuore batte forte. E il mio con il suo. Ma devo andare in fondo a questa cosa. Lo desidero così tanto. La desidero così tanto. Con la mano destra le accarezzo piano il sedere esposto al mio sguardo libidinoso. Con la sinistra, invece, le afferro i capelli, tenendola ferma. Le poggio il gomito sulla schiena tenendola giù. «Apri le gambe» mormoro. Questa volta esita e io estraggo il righello dalla tasca dei jeans e le assesto il primo colpo. Forte. Il sangue mi ronza nelle orecchie mentre guardo il segno del righello sulla sua pelle. Il mio uccello mi implora di liberarlo. Anastasia sussulta, scioccata. Ma continua a tenere serrate quelle gambe. Senza pensarci troppo la colpisco di nuovo con il mio righello. «Le gambe» ordino perentorio. Questa volta obbedisce subito, ansimando. La colpisco ancora, mentre il desiderio mi invade tutti i sensi. La donna che amo, che adoro, che venero è proprio qui ora, di fronte a me, riversa su un tavolo da biliardo, piegata ed esposta per me. I miei occhi sono fissi sul punto di giuntura tra le sue gambe. L’odore del suo sesso è vivo nell’aria e mi eccita, mi fa uscire di senno, mentre continuo ad arrossarle le natiche che vibrano forte ad ogni mio colpo. Come se non bastasse la straordinaria visione di cui posso godere, i suoi gemiti riempiono il silenzio rotto solo dai colpi ben assestati sulla sua pelle. Il mio respiro si fa più intenso, più rapido. Sto per venirmi nei pantaloni solo per questo spettacolo. La pelle di Anastasia si è fatta rossa, con i segni del righello ben visibili. Il solo pensiero di quanto la troverò bagnata quando sarò dentro di lei mi sta facendo capitolare. La percuoto di nuovo, più forte. Lancia un gemito assordante e io ringhio, cercando di trattenermi dall’esplodere. E poi la colpisco ancora più forte, al limite dell’esasperazione. Anastasia sussulta. «Fermati» dice in un mormorio. Lascio andare il righello di colpo, come se scottasse. E allento la presa su di lei. «Ne hai abbastanza?» le sussurro con la voce roca, pensando già a quello che voglio farle dopo. «Sì» Non c’è terrore nella sua voce, o nervosismo. C’è solo consapevolezza. Mi ha fermato quando non ce l’ha fatta più e io le ho obbedito all’istante. Si fida di me. E io di lei. «Ora voglio scoparti» le dico, tentando di calmare il mio affanno. «Sì» sussurra con desiderio. Mi abbasso la cerniera dei jeans, mentre lei si sdraia sul tavolo, posizionando le braccia davanti a lei. Sappiamo entrambi che sarò rude. E lo desideriamo entrambi. Quando facciamo sesso è l’unico momento in cui ho il pieno controllo di Anastasia. E piace ad entrambi. Mi tolgo in fretta jeans e boxer e mi avvicino a lei. Di colpo le infilo dentro due dita, senza preavviso. Come prevedevo. É fradicia. Le dita scivolano con facilità fino alla base, riempiendola tutta. Ana mugola di piacere, inarcando la schiena candida e spingendosi contro di me. Tiro fuori le dita e, anche se non può vedermi mentre lo faccio, le infilo in bocca e gusto il sapore della mia dolce Anastasia. Mi chino ed estraggo un preservativo dalla tasca dei jeans. É davvero una fortuna che io ne abbia sempre una scorta dietro. Sette giorni ancora e non ne avrò mai più bisogno. Per tutta la vita. Strappo la bustina e in fretta srotolo il preservativo sul mio cazzo in fiamme. Mi posiziono dietro di lei, allargandole le natiche e le cosce per penetrarla meglio. Quella visione è sublime. Piacere puro. Lentamente la penetro, un centimetro per volta. É stretta, bagnata. Favolosa. Una volta che sono tutto dentro di lei, le afferro i fianchi. Le mie dita si imprimono con forza nelle sue carni morbide. Gemo, in estasi, mentre la penetro ed osservo i segni sul suo culo. Mi ritraggo e rientro subito, con forza. Anastasia lancia un urlo strozzato. Mi fermo, ansimando. «Ancora?» le chiedo preoccupato. «Sì... sto bene. Lasciati andare... portami con te» mormora eccitata e senza un briciolo di fiato. Le sue parole mi mandano fuori di testa. Scivolo fuori dal suo corpo e poi rientro con violenza brutale, spingendomi a fondo dentro il suo sesso scivoloso. E inizio a scoparla con foga repressa, con ardore, con amore anche. Mi porto e la porto sull’orlo del precipizio a furia di spinte. La sua schiena è inarcata, il sedere arrossato e il suo corpo si sposta sul tavolo di panno verde ad ogni possente spinta del mio. Anastasia si serra attorno al mio cazzo in fiamme. “Cristo santissimo!”. Urla, ansima, geme forte, godendo fino allo stremo. Le mie spinte si fanno più vigorose, più profonde. E finalmente, con un urlo spezzato dal godimento, Anastasia gode tremando, in un orgasmo prosciugante. Mi lascio andare anch’io, riversandomi dentro di lei e premendo più forte le dita sui suoi fianchi. «Cazzo, Ana!» urlo, cadendo sfinito su di lei. I nostri respiri affannati si fondono mentre le forze mi abbandonano e scivolo sul pavimento trascinandomela addosso. La stringo forte, cullandola tra le mie braccia. «Grazie, piccola» riesco a dirle tra un respiro e l’altro, baciandola dolcemente su tutto il viso. Girando la testa posso vedere la sua guancia arrossata nel punto dove strofinava contro il panno verde del tavolo. La stringo di più. «Hai la guancia arrossata a causa del panno del tavolo» le mormoro, dispiaciuto, mentre la massaggio affettuosamente. «Com’è stato?» le chiedo, attento ad ogni sua minima reazione. Ho bisogno di saperlo. Un bisogno disperato. «Bello da far tremare le ginocchia» mormora con un sorriso e io mi rilasso all’istante. «Mi piaci violento, Christian, e mi piaci anche dolce. Mi piace che tutto questo succeda con te» mi sussurra contro le labbra. Chiudo gli occhi, sollevato, e la stringo a me con maggiore forza. «Non sbagli mai, Ana. Sei bellissima, brillante, stimolante, divertente, sexy, e io ringrazio ogni giorno la divina provvidenza che sia stata tu a venire a intervistarmi e non Katherine Kavanagh» le dico, depositandole un bacio dolce sui capelli che profumano di mare. Lei sorride, dolce, e poi sbadiglia contro il mio petto. «Ti ho sfinita» le dico con un sorriso. «Vieni. Facciamo il bagno e poi andiamo a letto» annuncio solenne. Ci rialziamo entrambi, rivestendoci e tenendoci per mano mentre entriamo nella nostra camera da letto e nel nostro bagno. Mentre lei si spoglia io ne approfitto per riempire la vasca con acqua e bagnoschiuma al gelsomino. Poi mi spoglio anch’io e insieme ci immergiamo al caldo. Siamo l’uno di fronte all’altra. Ci limitiamo a fissarci, sorridendoci come due idioti. Ma mi piace essere idiota con Anastasia. Anche l’idiozia ha il suo fascino con lei. Colmo per un attimo la distanza tra noi e le bacio le labbra morbide. Poi lascio le mie dita vagare sulle sue braccia e sott’acqua, sulle sue gambe, fino a raggiungere i piedi. Mi rimetto al mio posto e ne afferro uno, massaggiandoglielo. Ana chiude gli occhi e geme, lasciando ricadere la testa all’indietro. Sono bravo con i massaggi. Merito di Elena, certo. Ma sono contento di aver imparato tante cose da lei e che oggi possa, con tutte quelle cose, vedere quell’espressione di puro godimento sul volto della mia ragazza. Prendo l’altro piede e torno a massaggiarla. «Posso chiederti una cosa?» mi dice piano, rompendo il silenzio all’improvviso. «Certo. Qualsiasi cosa, Ana, lo sai» le dico, fissandola dolcemente. Fa un profondo respiro, mettendosi a sedere nella vasca. Storce un po’ il naso, per il dolore. «Domani, quando andrò al lavoro, puoi dire a Sawyer di lasciarmi davanti all’ingresso dell’ufficio e di venirmi a prendere alla fine della giornata? Per favore, Christian. Per favore» mi supplica. Blocco il mio massaggio, aggrottando la fronte. «Pensavo che fossimo d’accordo» borbotto. Non voglio litigare dopo tutto ciò che abbiamo condiviso poco fa. «Per favore» mi supplica. «E il pranzo?» le chiedo scettico. «Mi preparerò qualcosa da portarmi dietro, così non dovrò uscire. Per favore» Tiro su il suo piede e lo bacio delicatamente. Non ho intenzione di cedere. Ma non c’è bisogno che lei lo sappia. Sawyer sarà lì a controllarla. Con discrezione, senza farsi notare. Ma non la lascio in balìa di Leila un’altra volta. «Trovo davvero difficile dirti di no» mormoro. So che le sto mentendo e la cosa mi mette a disagio. Ma non ho intenzione di discutere con lei sulla sua sicurezza. E comunque non uscirà di lì. Non vedrà Sawyer. «Non uscirai?» mi assicuro. «No» mi dice, scuotendo la testa per sottolineare la sua decisione. «Okay» le dico Mi fa un sorriso luminoso, che mi fa sentire un po’ una merda. Ma dentro di me so che sto agendo per il meglio. Se le accadesse qualcosa non me lo saprei perdonare. «Grazie» dice, mettendosi in ginocchio e schizzando acqua ovunque. Si avvicina e mi bacia sulle labbra. «Prego, Miss Steele. Come sta il tuo sedere?» le chiedo, cambiando discorso. «Indolenzito, ma non troppo male. L’acqua lenisce il dolore» «Sono contento che tu mi abbia detto di fermarmi» le dico, osservandola negli occhi. «Anche il mio sedere è contento» ribatte con un sorrisetto. Il mio sorriso si allarga. Mi sporgo e la bacio. «Vieni, andiamo a letto». Quando rientro in camera da letto, Ana ha già indossato una delle mie t-shirt e si sta stiracchiando assonnata tra le lenzuola. «Miss Acton non ha procurato anche una camicia da notte?» le chiedo alzando un sopracciglio, guardando il suo corpo mezzo nudo che ho ancora voglia di possedere. «Non lo so. Mi piace indossare le tue t-shirt» farfuglia, con gli occhi quasi chiusi. Sorrido, chinandomi su di lei e baciandole la fronte, carezzandole delicatamente i capelli. Ho del lavoro arretrato da sbrigare, ma non mi va di lasciarla da sola in camera. L’ultima volta Leila l’ha scovata. «Devo lavorare. Ma non voglio lasciarti sola. Posso usare il tuo computer per connettermi con l’ufficio? Ti disturbo se lavoro qui?» le chiedo. «Non è il mio computer...» riesce a dire, prima di abbandonarsi al dolce oblio del sonno. Sorrido e torno velocemente nel salone a prendere il suo MacBook. Mi sistemo sul letto, di fianco alla mia bella addormentata e inizio a lavorare. Ogni tanto le lancio un’occhiata, le sposto qualche ciocca di capelli. Spesso mi ritrovo a sorridere mentre la guardo. É da poco passata mezzanotte quando finalmente mi decido a spegnere il pc e mettermi a dormire. Dopo cinque giorni d’inferno e tutta l’attività fisica che abbiamo dovuto recuperare, è normale che io sia stanco quasi quanto lei. Scosto la trapunta e mi infilo a letto, attirandola nelle mie braccia e cadendo quasi all’istante in un sonno profondo. Apro gli occhi di scatto mentre un corpo caldo si muove contro il mio. La radiosveglia urla le notizie sul traffico, mentre sbatto le palpebre abituandomi alla luce soffusa dei primi raggi del sole. Un paio di occhi azzurri mi guardano ancora velati di sonno. E il suo sorriso mi fa drizzare immediatamente il cazzo. «Buongiorno» mi mormora, avvicinandomi per accarezzarmi e darmi un bacio con le labbra morbide, impastate ancora di sonno. «Buongiorno, piccola. Di solito apro gli occhi prima che la sveglia si spenga» mormoro pensieroso. ‘Di solito, Grey, i tuoi occhi tentano di non chiudersi. Tentano di non rivivere tutto l’orrore. Di non ricadere nella paura che stringe lo stomaco e lo attanaglia fino a far male. Di solito i tuoi lunedì sono schifosi. Sempre. Anche dopo averla conosciuta lo erano. E lo erano anche i martedì, i mercoledì, i giovedì e i venerdì. Ma ora è con te per sempre. Non solo nei weekend’. «L’hai messa presto» sussurra Anastasia, stiracchiandosi tra le lenzuola e accucciandosi di nuovo contro di me. «Eh, sì, Miss Steele» le dico con un sorrisetto. «Devo alzarmi» le dico. Poi le deposito un piccolo bacio sulle labbra e uno veloce sulla punta del naso, scostandomi a malincuore dal suo corpo caldo e invitante e scendendo dal letto. Ana si solleva di poco, lanciando un’occhiata al mio corpo prima di ributtarsi teatralmente sui cuscini. Sorrido tra me e me mentre mi dirigo in bagno, lasciandola sonnecchiare ancora un po’. É troppo presto per lei. Forse lo è anche per me se penso al bocconcino che dorme tra le mie lenzuola. Ma devo darci dentro con il lavoro e devo organizzare la squadra di sicurezza. E devo anche parlare con Sawyer. Mi faccio la barba, mi lavo e torno di là per infilarmi nella cabina armadio e riuscirne dopo qualche minuto vestito di tutto punto. Oltrepassando il letto per dirigermi in salotto. Sorrido nell’osservare la mia ragazza beatamente addormentata come un piccolo angelo. Mi dirigo spedito nel mio ufficio, mandando un sms a Taylor, che poco dopo mi raggiunge insieme con Sawyer. Resto in piedi, dando le spalle alla finestra. E loro due fanno altrettanto, di fronte a me. La nostra conversazione sarà breve. «Jason, istruisci la squadra di sicurezza per l’intera giornata. Prima che io esca di casa avrai una lista con i miei spostamenti. Luke, tu ti occuperai della sicurezza di Miss Steele. Dovrai accompagnarla al lavoro e assicurarti che non metta piede fuori dal suo ufficio. Accompagnala, ma non deve accorgersi della tua presenza mentre è al lavoro. Miss Steele non sa di essere sorvegliata» Con la coda dell’occhio noto che Taylor stringe la mascella e so che non approva il mio comportamento. La sua filosofia è “una persona consapevole è più facile da gestire”. Ma è ovvio che non conosce a fondo la ribelle Miss Steele. «Per il momento è tutto, ci riaggiorniamo più tardi» dico, congedando entrambi con un cenno del capo. Mi chiedo distrattamente dove sia Leila Williams, mentre mando un messaggio ad Andrea chiedendole di prenotarmi un appuntamento con Flynn. Ho un’idea che mi gira in testa. Ma devo parlarne con lui. Per il bene di Ana, devo parlarne prima con lui. Il pensiero di Anastasia mi attira come una calamita alla nostra camera da letto. Mi aspetto di trovarla in bagno, sotto la doccia. E invece sono sorpreso nel vedere la sua chioma castana arruffata ancora avvolta tra le lenzuola. Ridacchio tra me e me. Quando scoprirà di aver dormito fino a tardi, andrà nel panico. Mi chino su di lei, sfiorandole la guancia con il naso. «Forza, dormigliona, alzati» le sussurro divertito, mordicchiandole l’orecchio. Ana si stiracchia, sorridendo ancora prima di aprire gli occhi. Inala il mio profumo e quando spalanca le palpebre sono contento di vedere il suo sorriso che si allarga mentre mangia con gli occhi il mio corpo contenuto nel completo nero. Mugola, in apprezzamento. «Cosa?» la prendo in giro. «Vorrei che tornassi a letto» mormora, girandosi verso di me e facendo le fusa. Il desiderio mi attraversa come una scarica elettrica. Mi lecco le labbra, mentre i miei occhi vagano sui lembi di pelle lasciati scoperti dal lenzuolo e dalla t-shirt. «Sei insaziabile, Miss Steele. Per quanto l’idea mi alletti, ho un appuntamento alle otto e mezzo, perciò tra poco devo uscire» le annuncio con un sorrisetto. Ana lancia uno sguardo alla sveglia e poi spalanca gli occhi, balzando giù dal letto allarmata e infilandosi in bagno. Rido di gusto, mentre mi alzo e resistendo alla tentazione di unirmi a lei, esco dalla camera e raggiungo Gail in cucina. «Buongiorno, Mr Grey» mi saluta lei educatamente. «Buongiorno Gail. Oggi Miss Steele ha intenzione di portarsi il pranzo da casa. Potrebbe prepararle lei qualcosa? Qualsiasi cosa Anastasia voglia. Per colazione, invece, preferisce pancake e bacon. E tè, Twinings English Breakfast» Lei annuisce con un gran sorriso e si mette a preparare la colazione, mentre io prendo il giornale dal tavolo e mi siedo al bancone. Venti minuti più tardi, Ana fa il suo ingresso in cucina. É meravigliosa nella sua gonna attillata grigia e la camicetta sulle stesse tonalità. I capelli raccolti e un paio di scarpe nere col tacco che me lo fanno tirare ancora di più. “Dio, Miss Steele. Dovrò scoparti solo con quelle addosso. É una promessa”. Poggio sul bancone la tazza con il caffè che stavo lentamente sorseggiando. Mi si avvicina e io non perdo tempo, attirandola a me. «Sei bellissima» le mormoro contro l’orecchio, mentre la bacio proprio sotto al collo. Sento, più che vedere, la sua pelle arrossarsi e sorrido soddisfatto. «Buongiorno, Miss Steele» ci interrompe mettendoci davanti la colazione di Anastasia. Gail, «Oh, grazie. Buongiorno» mormora lei in imbarazzo. «Mr Grey mi ha detto che gradisce portare qualcosa con sé per il pranzo. Che cosa preferisce mangiare?» Anastasia mi lancia un’occhiataccia, mentre io cerco di non scoppiare a ridere. Poi si rivolge di nuovo a Gail, educata e gentile. «Un sandwich... un’insalata. Non importa» le dice con un sorriso timido. «Improvviso subito qualcosa, signorina» «Per favore, mi chiami Ana» dice amichevole. «Ana» ribatte Gail, sorridendole con calore, mentre si occupa del tè. Anastasia si gira verso di me, soddisfatta, con un sopracciglio ironicamente alzato. Per me è arrivato il momento di andare a lavoro però. «Devo andare, piccola. Taylor tornerà a prenderti e ti lascerà all’ufficio con Sawyer» le annuncio. «Solo alla porta» mi ricorda lei, piegando la testa di lato. «Sì. Solo alla porta» le dico, alzando gli occhi al cielo. «Stai attenta, però» le annuncio, mentre il tarlo delle bugie mi rode nel profondo. Mi alzo alla vista di Taylor, afferrandole con possessività il mento e baciandola profondamente. “É meglio che capiate entrambi che lei è mia. Solo mia”. «A più tardi, piccola» le sussurro contro le labbra. «Buona giornata in ufficio, caro» mi dice sarcasticamente, mentre affonda la forchetta nei pancakes e Gail le passa la sua tazza di tè. Il mio telefono vibra e Andrea mi conferma l’appuntamento con Flynn. Taylor mi accompagna in fretta in ufficio e io sbrigo le ultime pratiche prima della riunione del lunedì mattina con Ros e i nostri collaboratori. Prima di entrare in sala riunioni scrivo una mail ad Anastasia. Ovviamente mi trattengo. So che la sua casella di posta è monitorata. E ne approfitto anche per mandare un sms a Barney per sapere se ha trovato qualcosa di interessante. Da: Christian Grey A: Anastasia Steele Data: 13 giugno 2011 8.24 Oggetto: Capo Buongiorno, Miss Steele, volevo solo dirti grazie per il meraviglioso fine settimana nonostante il dramma. Spero che non te ne andrai mai. E volevo anche ricordarti che le notizie riguardo alla SIP devono rimanere segrete per quattro settimane. Cancella questa mail non appena l’avrai letta Tuo Christian Grey Amministratore delegato, Grey Enterprises Holdings Inc. & capo del capo del tuo capo Sento il cuore che fino ad un mese fa non sapevo neppure di avere che palpita all’idea di stare con lei per tutta la vita. Sorrido. Cosa stavo facendo esattamente un mese fa a quest’ora? Cercavo un modo per evitare un’intervista con una ficcanaso arrivista e prepotente. E il giorno dopo avevo dovuto ammettere che quell’intervista era stata la cosa migliore che mi fosse capitata in tutta la mia vita. Da: Anastasia Steele A: Christian Grey Data: 13 giugno 2011 9.03 Oggetto: Prepotente Caro Mr Grey, mi stai chiedendo di venire a vivere da te? E, certo, ricordo che le prove delle tue memorabili doti di stalker non devono essere divulgate per altre quattro settimane. Devo fare l’assegno per Affrontiamolo Insieme e mandarlo a tuo padre? Per favore, non cancellare questa mail. Per favore, rispondi. TVB XXX Anastasia Steele Assistente di Jack Hyde, Direttore editoriale, SIP Sono nel bel mezzo della riunione quando il mio BlackBerry vibra. Non perdo tempo e le mando una mail di risposta, sorridendo come un coglione mentre Ros mi guarda con un sopracciglio inarcato. Da: Christian Grey A: Anastasia Steele Data: 13 giugno 2011 9.07 Oggetto: Prepotente? Io? Sì. Per favore. Christian Grey Amministratore delegato, Grey Enterprises Holdings Inc. Ci mette un po’ troppo per rispondere, e onestamente inizio a non riuscire a stare fermo sulla mia poltrona. Faccio un profondo respiro, tornando, per quel che posso, a concentrarmi sulla mia squadra. 13 minuti dopo sto uscendo dalla sala riunioni. Ed ecco la vibrazione del mio telefono. Trattengo il fiato, mentre apro la mail. ‘Da quando sei diventato un ragazzino, Grey?’ Da: Anastasia Steele A: Christian Grey Data: 13 giugno 2011 9.20 Oggetto: Flynnismo Christian, cos’è successo al “dobbiamo imparare a camminare prima di poter correre”? Possiamo parlarne stasera, per favore? Mi è stato chiesto di andare a un convegno a New York giovedì. Significa stare fuori a dormire per una notte, mercoledì. Volevo solo che tu lo sapessi. AX Anastasia Steele Assistente di Jack Hyde, Direttore editoriale, SIP «CHE COSA?» urlo quasi senza rendermene conto, mentre Olivia e Andrea sobbalzano, guardandomi terrorizzate. Entro nel mio ufficio e sbatto la porta, mentre digito furiosamente la mia risposta. Da: Christian Grey A: Anastasia Steele Data: 13 giugno 2011 9. 21 Oggetto: COSA? Sì. Parliamone stasera. Andrai da sola? Christian Grey Amministratore delegato, Grey Enterprises Holdings Inc. So che la risposta è no. Lo so. Lo sento. E non deve neppure pensare che io la lasci andare via con quel depravato. Avvio la chiamata. «Welch! Grey. Trovami qualsiasi cosa sia possibile trovare su quel figlio di puttana di Jack Hyde della SIP. Immediatamente» sbraito, mentre dall’altro lato del telefono Mr Efficienza si mette al lavoro. Bene. Lo pago per questo. Da: Anastasia Steele A: Christian Grey Data: 13 giugno 2011 9. 30 Oggetto: Non urlare in lettere maiuscole il lunedì mattina! Possiamo parlare anche di questo stasera? AX Anastasia Steele Assistente di Jack Hyde, Direttore editoriale, SIP Non perdo tempo a trovare un modo carino per non farla incazzare. Da: Christian Grey A: Anastasia Steele Data: 13 giugno 2011 9. 35 Oggetto: Non mi hai ancora sentito urlare Dimmelo. Se ci vai con quel depravato con cui lavori, allora la risposta è no, dovrai passare sul mio cadavere. Christian Grey Amministratore delegato, Grey Enterprises Holdings Inc. Le mie dita tremano, mentre sprofondano nei miei capelli, scompigliandoli. Da: Anastasia Steele A: Christian Grey Data: 13 giugno 2011 9. 46 Oggetto: No, TU non mi hai ancora sentita urlare Sì. Devo andarci con Jack. Voglio andarci. È un’opportunità interessante per me. E non sono mai stata a New York. Non fare una tempesta in un bicchiere d’acqua. Anastasia Steele Assistente di Jack Hyde, Direttore editoriale, SIP “Cristo santo! Cristo, Cristo, Cristo santissimo!”. Questa donna mi manda al manicomio. Respiro profondamente, ma la mia rabbia e la mia frustrazione restano inalterate. Da: Christian Grey A: Anastasia Steele Data: 13 giugno 2011 9. 50 Oggetto: No, TU non mi hai ancora sentito urlare Anastasia, non è per il fottuto bicchiere d’acqua che sono preoccupato. La risposta è NO. Christian Grey Amministratore delegato, Grey Enterprises Holdings Inc. Da: Anastasia Steele A: Christian Grey Data: 13 giugno 2011 9. 55 Oggetto: Cinquanta sfumature Christian, cerca di stare calmo. Io NON andrò a letto con Jack, non lo farei per tutto l’oro del mondo. Io ti AMO. Ed è questo che succede quando le persone si amano. Hanno FIDUCIA l’una nell’altra. Non penso che tu FARAI L’AMORE, SCULACCERAI, SCOPERAI o FRUSTERAI nessun altro. Ho FIDUCIA in te. Per favore, usami la stessa GENTIlEZZA. Ana Anastasia Steele Assistente di Jack Hyde, Direttore editoriale, SIP Le parole sullo schermo del mio computer mi colpiscono come un sonoro schiaffo. Stringo forte gli occhi. “Quale cazzo di parola della fottuta frase ‘le tue mail sono monitorate’ tu non hai afferrato, Miss Steele?”. Non sono più un uomo. Sono pura furia quando chiamo Barney affinché ripulisca il sistema della SIP, ma mi sento rispondere che gli ci vuole un po’ per effettuare la pulizia del sistema e che devo far cancellare la mail dalla mia sconsiderata fidanzata. Vado un bel po’ avanti e indietro, prima di decidermi a chiamarla. Ho bisogno di calmarmi. Ma fallisco miseramente. «Ufficio di Jack Hyde, sono Ana Steele» risponde professionalmente. «Vuoi per cortesia cancellare l’ultima mail che mi hai mandato e cercare di essere un po’ più discreta per quel che riguarda il linguaggio che usi dalla mail dell’ufficio? Te l’ho detto, il sistema è monitorato. Farò in modo di limitare i danni da qui» le ringhio contro, riattaccando prima che possa mettersi a discutere. Sospiro, lancio un mezzo urlo di frustrazione e sbatto il pugno sulla scrivania. L’aliante che mi ha regalato sobbalza e guardandolo mi ricordo del perché sono innamorato di lei. Il mio respiro si placa e al posto della furia resta solo l’esasperazione. Il mio cellulare suona. Lo sapevo. Tregua finita. «Cosa c’è?» grido esasperato. «Andrò a New York, che ti piaccia o no» sibila velenosamente. «Non cont...» ma sento il click del telefono. “Oh, no. No, Miss Steele. Non mi hai chiuso il telefono in faccia”. É in momenti come questi che vorrei mettermela sulle ginocchio e torturarla a suon di sculacciate per ore, giorni, cazzo! Stringo forte il telefono e poi compongo il numero. “Nessuno mi ferma, Anastasia. Neppure tu”. «Roach, Grey. Ho bisogno del prospetto delle spese anche di questo mese. Voglio poterle approvare personalmente, altrimenti l’accordo è saltato» Lo so, non ha colpa per la testardaggine della donna che mi sono scelto al mio fianco. Ma non mi lascerò sottrarre il controllo così facilmente da una ragazzina in gonna e camicetta attillate. ‘E scarpe sexy, Grey’. Scarpe fottutamente sexy! Ma quel pensiero non mi aiuta per niente. So solo che se fosse qui la scoperei fino a farle perdere i sensi contro quella parete di fronte a me. Contemporaneamente mi arriva una mail da Welch. É su Hyde. Dettagli su dettagli. E quando termino di leggerla non sono meno furioso di prima. Nulla di reale, concreto. Ma dalle informazioni che abbiamo si capisce che è un lurido porco. É l’unica spiegazione al fatto che le sue assistenti restano tre mesi e poi fuggono. Da: Anastasia Steele A: Christian Grey Data: 13 giugno 2011 10. 43 Oggetto: Che cosa hai fatto? Per favore, dimmi che non interferirai con il mio lavoro. Voglio davvero andare a quel convegno. Non avrei dovuto chiedertelo. Ho cancellato la mail offensiva. Anastasia Steele Assistente di Jack Hyde, Direttore editoriale, SIP Leggo la risposta di Ana e poi la mail di Barney, giunta subito dopo, che mi avvisa che è tutto a posto. Da: Christian Grey A: Anastasia Steele Data: 13 giugno 2011 10. 43 Oggetto: Che cosa hai fatto? Sto solo proteggendo ciò che è mio. La mail che mi hai mandato avventatamente ora è stata cancellata dal server della SIP, così come le mie mail a te. Si dà il caso che io mi fidi di te in modo assoluto. È di lui che non mi fido. Christian Grey Amministratore delegato, Grey Enterprises Holdings Inc. Mi appoggio allo schienale, serrando gli occhi e tentando di farmi passare l’incazzatura. Da: Anastasia Steele A: Christian Grey Data: 13 giugno 2011 10. 46 Oggetto: Cresci Christian, non ho bisogno di essere protetta dal mio capo. Potrebbe anche farmi delle proposte, ma io gli direi di no. Non puoi interferire. È sbagliato e prepotente sotto ogni punto di vista. Anastasia Steele Assistente di Jack Hyde, Direttore editoriale, SIP Il suggerimento a crescere mi innervosisce ancora di più. Piccato digito in fretta la mia categorica risposta. Da: Christian Grey A: Anastasia Steele Data: 13 giugno 2011 10. 50 Oggetto: La risposta è NO Ana, ho visto quanto sei “efficace” nell’opporti alle attenzioni indesiderate. Ricordo che è stato così che ho avuto il piacere di passare la mia prima notte con te. Perlomeno il fotografo prova dei sentimenti per te. Il depravato, invece, no. È un cascamorto seriale, e cercherà di sedurti. Chiedigli che cos’è successo alla precedente assistente e a quella prima di lei. Non voglio litigare su questo. Se vuoi andare a New York, ti ci porterò io. Possiamo andarci questo fine settimana. Ho un appartamento là. Christian Grey Amministratore delegato, Grey Enterprises Holdings Inc. I minuti passano in silenzio, mentre guardo fuori dalla finestra. Non ci provo neppure a concentrarmi sul lavoro. Non servirebbe a nulla. L’orologio mi dice che manca mezz’ora al mio appuntamento con Flynn. Forse potrei anticipare. Da: Anastasia Steele A: Christian Grey Data: 13 giugno 2011 11. 15 Oggetto: FW appuntamento a pranzo o peso irritante Christian, mentre eri impegnato a interferire con la mia carriera e a salvarti il culo per le mie mail imprudenti, ho ricevuto il seguente messaggio da Mrs Lincoln. Davvero, io non ho voglia di incontrarla. E anche se l’avessi, non mi è permesso lasciare questo edificio. Come abbia ottenuto il mio indirizzo di posta elettronica, non lo so. Che cosa mi suggerisci di fare? Ecco qui sotto il suo messaggio: Cara Anastasia, mi piacerebbe davvero molto pranzare con te. Credo che siamo partite con il piede sbagliato, e vorrei raddrizzare le cose. Sei libera qualche volta in settimana? Elena Lincoln Anastasia Steele Assistente di Jack Hyde, Direttore editoriale, SIP “Cristo Elena!”. Il pensiero della discussione che abbiamo avuto e la rabbia che prova Ana nei confronti di Elena, mi fa addolcire nei suoi confronti. Roach mi ha appena inviato una mail con le spese, tra cui quelle del viaggio per New York. Ovviamente approvo quelle per Hyde e boccio quelle per la sua assistente. E argino il problema. Ma Elena? Sospiro. Non so più cosa fare. Da: Christian Grey A: Anastasia Steele Data: 13 giugno 2011 11. 23 Oggetto: Peso irritante Non essere arrabbiata con me. Ho a cuore i tuoi migliori interessi. Se ti succedesse qualcosa, non potrei mai perdonarmelo. Penso io a Mrs Lincoln. Christian Grey Amministratore delegato, Grey Enterprises Holdings Inc. Mi rendo conto di averle parlato con il cuore in mano. Sospiro. Raccolgo il telefono ed esco dall’ufficio, per recarmi da Flynn. Da: Anastasia Steele A: Christian Grey Data: 13 giugno 2011 10. 32 Oggetto: Più tardi Possiamo discuterne stasera, per favore? Sto cercando di lavorare e le tue continue interferenze mi distraggono. Anastasia Steele Assistente di Jack Hyde, Direttore editoriale, SIP Stringo il BlackBerry, mentre entro nell’auto dove Taylor mi sta già aspettando. Pochi minuti dopo sono seduto a cospetto del mio psicologo di fiducia. Non perdo tempo. Per la prima volta ho bisogno di sfogarmi. Stare con quella donna è frustrante. Flynn sorride alla fine del mio monologo, e io quasi mi aspetto di trovare un solco nel pavimento sul quale sono andato avanti e indietro. «Dunque, le hai detto che sei innamorato di lei?» mi chiede John. «Sì» ammetto, e sono sorpreso dal constatare che non mi costa nessuna fatica. «Sono felice per te, Christian. É un passo importante questo». Poi si appoggia con la schiena alla poltrona e mi fissa, con le dita giunte sotto il mento. «E hai intenzione di chiederle di sposarti» mi chiede assorto nei suoi pensieri. «Si» rispondo con altrettanta facilità. I miei sentimenti per Ana e quello che voglio fare con lei non sono più fonte di dubbio per me. Mi accorgo da solo del cambiamento. «Christian, Anastasia non scapperà da te. Ti ama. Ma non puoi legarla a te per trattenerla nella tua vita. Ricordi? Devi imparare a camminare...» «…prima di poter correre. Lo so, John. Lo so, credimi. Ma so anche che ora, domani, fra dieci anni... io vorrò stare con lei. E voglio essere certo che anche lei lo voglia quanto lo voglio io». Lo guardo, implorandolo di capirmi. Lui annuisce, ma so che sta per mettermi in guardia. «Voglio che tu sia pronto al fatto che lei potrebbe rifiutare, potrebbe sentirsi soffocata» Le sue parole mi lasciano basito. Scuoto la testa, senza emettere suoni, mentre il pensiero mi scivola addosso riempendomi di orrore. «Sono certo che Ana ti ami, Christian. Ma è una ragazza responsabile. Vorrà delle risposte. Non è stupida e sono certo che ha capito che le tieni nascosto una parte della tua vita. Tieni presente che dovrai affrontarla prima o poi. E dovrai farlo prima di compiere il grande passo» Si ferma, poi sorride. Lo guardo con uno sguardo interrogativo, poi mi accascio contro la poltrona sulla quale sono seduto. «É la mia ancora di salvezza» sussurro, con gli occhi fissi nel vuoto. «Grazie a lei sono tornato a vivere. Ho superato il dolore, le mie paure. Ho superato tutto» Flynn mi scruta a fondo. «Christian... è la tua vita. Non puoi cancellarla. Puoi superarla e basta. L’amore di Anastasia ti aiuta, certo. Ma devi contare su te stesso, non dimenticarlo mai» Annuisco, consapevole. So che non dovrei essere dipendente da un’altra persona. Ma parliamo di Ana, non mi lascerebbe. Non glielo permetterei. «John... pensi che io possa farle del male? Pensi che il mio sadismo possa tornare in superficie anche di fronte a lei?» Flynn scuote la testa, sospirando. «Christian, abbiamo affrontato questo punto più volte. Tu non sei un sadico. Le pratiche sessuali che ti piacciono possono essere condivise con un partner consenziente. Per il resto, credo tu stia applicando a pieno regime quello che ti ho sempre suggerito. Hai centrato il tuo obiettivo e ti stai impegnando per raggiungerlo» Stringo forte le labbra e so che non avrò risposte più precise di queste. Ed è giusto. So che non è Flynn che può dirmi se la mia storia con Ana avrà un lieto fine. Quella è solo Anastasia. Quando esco dallo studio di Flynn dico a Taylor che ho intenzione di tornare a piedi. Ho bisogno di aria. É contrariato, ma può farci poco. Sono io che decido. Ho le mani in tasca e sono di nuovo davanti a quella vetrina di Cartier. La scatolina rossa che ho in tasca quando esco dopo 15 minuti questa volta contiene la cosa giusta. Sono appena tornato in ufficio quando il mio telefono squilla. É Taylor. Il mio pensiero corre ad Anastasia. «Grey» «Mr Grey, Miss Steele è appena uscita dall’ufficio per comprare il pranzo» mi annuncia con voce grave. Sappiamo entrambi che Gail le ha preparato il pranzo da casa. Ci deve essere dell’altro. «Falla seguire da Sawyer, non deve assolutamente perderla di vista» dico a denti stretti. “Cosa cazzo mi nascondi, Ana?”. Mi siedo alla scrivania, controllando l’orologio, mentre firmo dei documenti sulla mia scrivania. Quando ricevo un sms da Taylor che mi informa che è tornata in ufficio, è lì che la chiamo. «Ufficio di Jack Hyde...» «Mi avevi assicurato che non saresti uscita» la interrompo, con tono gelido e duro. Sento il suo respiro fermarsi e poi riprendere dopo pochi secondi, più accelerato. «Jack mi ha mandato a prendergli il pranzo. Non potevo dire di no. Mi stai facendo pedinare?» Le sue ultime parole sono di accusa e mi sento maledettamente in colpa e frustrato. «Questo è il motivo per cui non volevo che tornassi a lavorare!» esclamo, fuori di me dalla rabbia. «Christian, per favore. Sei così... così soffocante» sussurra con rabbia e sconforto. «Soffocante?» sussurro, sconvolto, sorpreso. Inevitabilmente mi torna in mente la conversazione appena avuta con Flynn. «Sì. Devi smetterla. Te ne parlerò stasera. Sfortunatamente, devo fermarmi fino a tardi per lavorare, visto che non potrò andare a New York» mi rimprovera, arrabbiata. «Anastasia, non voglio soffocarti» le dico in un sussurro, stringendo la scatolina rossa che ho nella tasca interna della giacca. «Bè, lo fai. Adesso devo lavorare. Ne parliamo più tardi» Senza aspettare una mia replica riaggancia, lasciandomi nello sconforto più totale. La giornata scorre piatta, sono depresso e di malumore. E tutto questo si riflette nel lavoro e nel mio rapporto con i miei dipendenti. Alle sei e mezzo sguscio fuori dall’ufficio e dico a Taylor di passare alla SIP. Pochi minuti dopo le sette siamo ancora in attesa di Ana. La preoccupazione cresce. Prendo il telefono e la chiamo. Risponde subito. «Ciao» mormora esausta. «Ciao, quando finisci?» le chiedo, cercando di rimanere calmo. «Per le sette e mezzo, credo» «Ci vediamo fuori» le annuncio, per farle sapere che sono già qui. «Okay» sussurra. «Sono ancora arrabbiata con te, ma è tutto» mi sussurra. «Abbiamo molto di cui parlare» «Lo so. Ci vediamo alle sette e mezzo» le confermo. «Devo andare. A dopo» dice, riagganciando, mentre io esalo un sospiro. Mi appoggio allo schienale della mia Audi Quattro. Il mio piede prende a tamburellare freneticamente. Sono spossato da questa giornata che mi ha letteralmente messo in ginocchio. Ana mi ha messo in ginocchio. E non riesco a non pensare che quello che vorrei, ora, è solo perdermi dentro di lei. Una leggera pioggia inizia a picchiettare sul tettuccio dell’auto, e sto guardando l’orologio proprio quando lei esce dalla SIP. Con una leggera corsa attraversa il marciapiede e si infila sul sedile accanto a me, mentre Taylor chiude la portiera dietro di lei. Non posso fare a meno di guardarla in attesa, aspettandomi una sfuriata da un momento all’altro. Stringo la mascella mentre lei si sistema e poi alza quell’azzurro cielo su di me. «Ciao» mormora. «Ciao» replico sulla difensiva. Prima che possa dire qualcosa sento il bisogno di placare la mia astinenza da lei. Allungo il braccio e le afferro la mano stringendo forte. «Sei ancora arrabbiata?» le chiedo cauto. «Non lo so» mormora. E io lo prendo come un no. Le sollevo la mano e le sfioro le nocche con le labbra, baciandola leggero. «È stata una giornata schifosa» confesso, iniziando a rilassarmi accanto a lei. «Sì, è vero» concorda lei. «Va meglio, ora che sei qui» le dico, stringendo le mie dita alle sue. Restiamo in silenzio durante il tragitto verso casa. Nessuno dei due parla. Nessuno dei due ha il coraggio di guardare l’altro. E io sono dilaniato dalla paura di perderla. Di certo questa non è la serata giusta per chiederglielo. Arrivati all’Escala, Taylor ci lascia dinnanzi all’ingresso principale e io le tengo la mano mentre corriamo all’interno per ripararci dalla pioggia e attendiamo l’ascensore. D’istinto mi scruto intorno, per controllare che non siamo seguiti da nessuno. «Immagino che tu non abbia trovato Leila» mi dice guardandomi. «No. Welch la sta ancora cercando» borbotto, ricordando l’infruttuosa conversazione che ho avuto con Welch. L’ascensore che arriva interrompe un ipotetico flusso di domande. La guardo, mentre le porte si chiudono, scoprendomi sorpreso ancora una volta da quanto sia fottutamente sexy. Anche i suoi occhi mi percorrono da capo a piedi. Quello sguardo, carico di desiderio, scatena la mia fame repressa per tutta la giornata. La ristrettezza dell’ambiente crea la solita carica magnetica che ci assale e ci spinge l’uno verso l’altra inesorabilmente. Stringo un attimo gli occhi e quando li riapro schiudo le labbra come per pregustare il suo sapore. «Lo senti?» dico esalando un respiro spezzato. «Sì» sussurra eccitata. Il mio cazzo pulsa violentemente. E non resisto più oramai. «Oh, Ana» gemo, dando voce ai miei istinti e afferrandola la avvolgo. Una mano sale dietro il suo collo, sostenendola, mentre le mie labbra si impossessano fameliche delle sue. Sento le sue dita tra i capelli, che stringono, esplorano, mentre ci divoriamo affamati di noi. «Odio litigare con te» mormoro contro la sua bocca, disperato. Per tutto il giorno ho temuto che lei volesse scappare da me. E ora eccola. É qui. E si sta sciogliendo nelle mie mani. Contro il mio corpo. E io non desidero altro che lei. La bacio di nuovo, disperato, bisognoso e lei riflette con la sua reazione tutte le mie sensazioni. Ci cerchiamo di più a vicenda, stringendoci l’uno addosso all’altra, sfregandoci, cercando di fonderci. Anastasia mi sorprende, afferrandomi con forza e spingendo il suo corpo tentatore contro il mio, con intenzione. Le nostre lingua cercando di fondersi mentre la mia mano scivola dal suo fianco sulla sua coscia e poi sotto la gonna attillata. Risalgo con le dita e il mio uccello sta per esplodere quando incontro il bordo delle sue calze. “Cristo santo!”. «Mio Dio, indossi le autoreggenti» gemo mentre mi sento esplodere la testa per il desiderio. Le mie dita audaci oltrepassano la pelle oltre l’elastico della calze. Sono arrivato ala capolinea. «Voglio vederti» ansimo mentre le spingo la gonna sui fianchi. Mi spingo ad allontanarmi per guardarla meglio e premere il bottone d’arresto dell’ascensore. Sono eccitato, bramoso di possederla e vederla mezza nuda, con gli occhi velati di desiderio, il seno pesante che si alza e si abbassa al ritmo del suo respiro agitato mi fa eccitare al limite del possibile. Si sorregge alla parete dietro di lei, guardandomi proprio come faccio io con lei. Con bramosia. La fisso e voglio comporre la mia opera d’arte personale, come nelle mie migliori fantasie erotiche. «Sciogliti i capelli» le ordino, pacato, con voglia. Ana alza lentamente le braccia, sciogliendo la coda e lasciando ricadere sulle spalle e sui seni la chioma bruna e fluente. «Slacciati i primi due bottoni della camicetta» le sussurro mentre penso a quanto forte la prenderò quando avrò colmato la distanza tra di noi. Ana ubbidisce slacciando un bottone dopo l’altro con lentezza esasperante. Scopre appena la parte superiore dei seni, lasciando la mia fantasia vagare sul pizzo del suo intimo. Deglutisco a fatica, sopraffatto dalla voglia id possederla. «Hai idea di quanto tu sia seducente in questo momento?» sussurro. I suoi denti affondano con calma nel labbro inferiore, facendomelo tendere fino all’inverosimile. Scuote piano la testa. Chiudo gli occhi per calmarmi, ma quando li riapro non ci sono riuscito. Mi avvicino, intrappolandola alla parete, con le mani ai lati della sua testa. Non la tocco e lei solleva sfrontata il viso, fissando i suoi occhi nei miei. Mi chino di poco, sfiorando il suo naso con il mio, dolcemente. Ansima rumorosamente, senza vergogna. «Penso che tu lo sappia, Miss Steele. Penso che ti piaccia farmi impazzire» mormoro, senza smettere di fissarla, inebriandomi del suo odore misto a quello della nostra eccitazione. «Ti faccio impazzire?» sussurra con voce roca. «In tutte le cose, Anastasia. Sei una sirena, una dea» le dico, colmando la distanza tra noi. La mia mano destra scivola sul suo fianco, afferrandole la coscia e facendogliela agganciare attorno al mio fianco. Sfrego la mia erezione poderosa e palpitante contro di lei, contro le sue mutandine fradicie. E la bacio, in profondità. Così come la penetrerò tra poco. Sento il suo gemito riverberarsi nella mia bocca, mentre si appoggia ai miei bicipiti per non perdere l’equilibrio, e poi al mio collo. «Sto per prenderti, lo sai?» dico, respirando a fatica mentre mi stacco dalle sue labbra. Ana si inarca, gemendo. Mugolo anch’io, mentre la spingo in alto contro la parete e mi slaccio i pantaloni quel tanto che basta per avere campo libero. «Tieniti forte, piccola» le mormoro, sostenendola senza sforzo, mentre estraggo l’immancabile preservativo dalla tasca. Lo accosto alle sue labbra e lei strappa la bustina con i denti, mentre mi fissa lasciva. L’aiuto tirandola e riusciamo ad aprirla. «Brava ragazza» le dico. Mi scosto appena e lo infilo in due secondi. Ho voglia di scoparla fino allo stremo. «Bene, non posso aspettare i prossimi sei giorni» le dico, mentre la fisso. «Spero che tu non sia troppo affezionata a queste mutandine» le dico con un sorriso sghembo e in men che non si dica le strappo via dal suo corpo. Ana ansima e senza perdere altro tempo affondo in quel delizioso lago di piacere. La sento stringersi attorno al mio uccello in fiamme. Si inarca contro di me, gemendo con voglia, con desiderio e mi sento obbligato a spingere e affondare dentro di lei. A darle tutto il piacere che mi chiede. Arretro e affondo di nuovo dentro di lei. Più forte. Anastasia getta la testa all’indietro, contro la parete, godendo. I miei colpi sono duri, ma misurati e lenti. «Sei mia, Anastasia» le mormoro contro la pelle delicata della gola, baciandola e mordicchiandola piano. «Sì. Tua. Quando lo capirai?» dice, ansimando. E io le credo. Le credo tanto da perdere la ragione e prendere a spingere dentro di lei. É mia. Solo mia. Posso averla a fondo. Sempre. Ovunque. Spingo, spingo sempre di più. La mascella contratta, le gambe tese per lo sforzo. Le sto dando quello che vuole, quello che voglio io. Sto placando la sete di entrambi. Colpisco a fondo, penetrando il suo sesso con tutta la mia lunghezza. Arrivo in profondità, mentre lei si stringe attorno ai miei fianchi, le sue braccia mi tengono stretto e le sue dita mi tirano i capelli. Siamo selvaggi, siamo bisognosi, desiderosi. Il mio ritmo è implacabile e più lei si stringe al mio cazzo, più mi avvicino all’orgasmo. «Oh, piccola» mormoro mentre lei viene, stringendosi a me quasi fino a stritolarmi. Mi fermo, afferrandola, abbracciandola e poi, finalmente esplodo in un potente orgasmo, mentre sussurro infinite volte il suo nome. Il silenzio attorno a noi è spezzato solo dai nostri respiri. I nostri corpi sono deboli, spossati e si sorreggono l’uno all’altra. La mia fronte è poggiata alla sua, mentre respiriamo l’uno nella bocca dell’altra. Quando ritrovo un minimo di stabilità, la rimetto in piedi. «Oh, Ana» mormoro. «Ho tanto bisogno di te» le dico sincero, baciandole la fronte. «E io di te, Christian» Capitolo 15 Quando i nostri respiri riescono a placarsi, la lascio andare, sistemandole gli abiti. Poi mi sposto, digitando la combinazione mentre l’ascensore riparte con un forte scossone verso l’attico dell’Escala. Anastasia si aggrappa con forza alle mie braccia per mantenere l’equilibrio. «Taylor si domanderà dove siamo» le sussurro, guardandola dall’alto con un sorrisetto lascivo. Mi sento molto meglio, ora. Molto, molto meglio. Anastasia sgrana gli occhi, passandosi freneticamente le dita nei capelli scuri nel tentativo di ricomporsi. Si vede da lontano che è stata scopata per bene. E io sono ancora più contento di poter rivendicare il mio possesso su di lei in questo modo. Ogni uomo che poserà i suoi occhi su di lei, ora, saprà che è mia. Solo mia. Si agita per un po’, combattendo contro le ciocche ribelli. Poi si arrende, riprendendo l’elastico e legandoli in una graziosa coda di cavallo. «Ce la farai» le dico con un gran sorriso, mentre mi riabbottono i pantaloni e infilo l’odiato preservativo in tasca. Quando le porte metalliche si aprono, Taylor è già in attesa, con una ruga preoccupata sulla fronte. Una rapida occhiata ad entrambi lo rende consapevole di quello che è appena successo. «Problemi con l’ascensore» mormoro, mentre Ana, a testa bassa, si infila nell’appartamento. La vedo correre di filato nella nostra camera. Ne approfitto per poggiare la giacca sul divano e uscire sul terrazzo per chiamare Elena. Non mi sono dimenticato del suo tiro mancino. Risponde al primo squillo. «Christian, tesoro!» «A che cazzo di gioco stai giocando, Elena?» ringhio infuriato. Resta per qualche attimo in silenzio. Sa benissimo a cosa mi riferisco, non avrò bisogno di spiegarglielo. «Christian... volevo solo essere d’aiuto. Anastasia ha il diritto di sapere tutto. Lei ti ama, non ti lascerà per questo» cerca di essere comprensiva, ma c’è una nota strana nella sua voce. Non è sicura neppure lei che andrà così alla fine. E io sono certo del contrario. «Elena, te lo dico per l’ultima volta. Lasciala. In. Pace. Non vuole vederti, non vuole parlarti e non vuole avere nulla che fare con te. Pensa che tu mi abbia molestato quando avevo 15 anni e, anche se so che non è così, non so come farle cambiare idea. Ho bisogno di tempo per pensare a come affrontare l’argomento. E soprattutto devo essere io a farlo, non tu» sbraito, continuando a tenere la voce bassa per paura che Ana possa sentirmi. «Ok, ok tesoro. Ne riparliamo a cena, magari? Ora devo andare» Chiude la conversazione lasciandomi solo ed esasperato. Leggo un sms di Taylor che mi avvisa che la SAAB di Ana è già arrivata in garage con un giorno di anticipo. Turniasky o come cavolo si chiama quel viscido ci si è messo d’impegno. Rientro e il sorriso caldo e gioioso di Gail mi conforta per un attimo. Mi siedo la bancone e chiacchieriamo della cena. Dopo qualche minuto sento un fremito alla spina dorsale e, quando mi giro, scorgo Ana che ci guarda sorridendo piano. Si avvicina piano, sedendosi sullo sgabello accanto al mio, mentre Mrs Jones ci serve un ottimo Coq au vin. «Buon appetito, Mr Grey, Ana» dice Gail, lasciandoci soli. Mi alzo e prendo una bottiglia di vino bianco dal frigo, poi mi riaccomodo e mi dedico esclusivamente a lei. Mi chiede del mio lavoro e, senza quasi rendermene conto, mi ritrovo a parlare del prototipo di cellulare alimentato ad energia solare. Il mio entusiasmo è impossibile da tenere a freno. Sono davvero eccitato per il progetto. E lei si lascia trasportare da me. Mi sorride, annuisce interessata, mangia di gusto. Poi mi chiede dell’appartamento di New York. Sorrido arrogante, ma sono costretto a confessarle che, a differenza di quello che pensa, non ho case sparse in tutto il mondo. L’appartamento nel quale vivo, quello di Aspen e quello di New York. Nient’altro. Quando finiamo di mangiare, rilassati come non mi sembrava possibile stando a come mi guardava poco più di un’ora fa in auto, lei si alza e mette i piatti nel lavandino, pronta a lavarli. La guardo ammirato. «Lascia tutto lì. Ci penserà Gail» dico piano, fissandola. Ana si volta, mi guarda per un attimo. Poi sospira e si allontana dal lavandino. Sorrido. Ma non è compiacimento. É felicità. Per averla qui. «Bene, ora che sei più docile, Miss Steele, possiamo parlare di oggi?» le dico, piegando la testa di lato. «Penso che sia tu quello più docile. Sto facendo un ottimo lavoro per domarti, credo» ribatte prontamente con un sorrisetto. «Domare me?» le rispondo divertito, con un ghigno sfacciato. Annuisce e mi ritrovo a pensare a quanto siano vere, in fondo, le sue parole. Aggrotto la fronte e ripenso a una cosa che mi ha detto Flynn non molto tempo fa. Parlava della mia infanzia e di quanto stare con Ana mi stava facendo crescere emotivamente. Sto davvero imparando da lei. É davvero lei a domare me. Fuori dalla camera da letto ovviamente. Quello è e sarà sempre il mio regno. «Sì. Può essere, Anastasia» le concedo, guardandola e maledicendo il bancone che ci separa. «Avevi ragione su Jack» mormora, abbassando gli occhi, appoggiandosi sul ripiano. La rabbia, la furia, la frustrazione si impadroniscono di me. Cerco di tenere tutto a freno, ma quando rialza gli occhi su di me, so di non esserci riuscito. «Ha provato a fare qualcosa?» le sussurro, combattendo contro l’insano istinto di uscire da questo appartamento e trovarlo per spaccargli quella faccia da culo. Ana si affretta a scuotere la testa. «No. E non ci proverà, Christian. Oggi gli ho detto che sono la tua fidanzata, e lui ha fatto retromarcia» Le sue parole non riescono a placare l’ansia che sento. «Sei sicura? Posso licenziare quel bastardo» ringhio rabbioso, mentre nella mia mente Jack Hyde non è più vivo da un pezzo. Anastasia sospira forte, scuotendo piano la testa. «Devi davvero lasciarmi combattere le mie battaglie. Non puoi costantemente anticipare le mie mosse e cercare di proteggermi. È soffocante, Christian. Non crescerò mai se continui a interferire. Ho bisogno di un po’ di libertà. Io non mi sognerei mai di immischiarmi nei tuoi affari» Sbatto piano le palpebre, più volte, tentando di assimilare le sue parole. Soffocante... ancora quella parola. Soffocante. La opprimo e non me ne rendo conto, preso dalla mia smania di controllo. Sospiro pesantemente, sconfitto. «Voglio solo che tu sia al sicuro, Anastasia. Se dovesse succederti qualcosa, io...» Io non sono in grado di proteggere un’altra persona. Io ne ho lasciata già morire una. Ed era mia madre, cazzo. «Lo so. Capisco perché ti senti così portato a difendermi e una parte di me lo apprezza. So che, se avessi bisogno di te, tu ci saresti, così come io ci sarei per te. Ma se vogliamo avere qualche speranza di un futuro insieme, devi fidarti di me e del mio giudizio. Sì, ogni tanto sbaglio, commetto errori, ma devo imparare» La fisso senza abbandonare l’ansia. “No, Anastasia. Tu non sai. Non capisci. Tu non immagini neppure il dolore e la sofferenza. Tu non sai che sarei pronto a morire pur di sapere che non ti capiterà mai l’orrore che è toccato a me. Pur di essere certo che il male, la perversione e il pericolo non ti tocchino”. ‘Eppure tu l’hai toccata, Grey. E tu sei il male, la perversione. Il pericolo sei tu’. Annaspo tra i miei pensieri e lei deve essersi accorta della mia agitazione. Gira velocemente attorno ala bancone e si avvicina. Afferra le mie braccia e se le stringe attorno alla vita, prima di appoggiarsi sui miei avambracci. «Non puoi interferire con il mio lavoro. È sbagliato. Non ho bisogno che tu parta alla carica come un cavaliere sul suo cavallo bianco per salvarmi ogni giorno. So che vorresti avere tutto sotto controllo, e ne capisco il perché, ma non puoi. È un obiettivo impossibile... Devi imparare a lasciar andare». Alza una mano e mi accarezza delicatamente il viso, mentre la guardo con gli occhi spalancati. Lasciar andare? Solo pensarlo mi fa male. «E se riuscirai a farlo, io mi trasferirò da te» aggiunge dolcemente quando vede che non reagisco. Quelle parole mi risvegliano dalla trance. Prendo aria, perché so che prima che succeda, devo dirle tutto. «Davvero?» sussurro sconvolto. «Sì» dice decisa. «Ma non mi conosci» le dico, aggrottando le sopracciglia. Sono sconvolto. Puro panico che mi attanaglia il petto. Non posso dirglielo. Non posso. Voglio che si trasferisca da me. Voglio stare con lei. I palmi delle mani iniziano a sudarmi, mentre il cuore accelera i suoi battiti. “Ti amo Ana. Ti amo così tanto. E non posso essere io ad allontanarti da me”. Le sue parole squarciano ancora una volta la nebbia che mi avvolge il cervello. «Ti conosco abbastanza, Christian. Niente di quello che potrai dirmi su di te mi spaventerà tanto da farmi scappare». Mi accarezza piano, con le nocche della mano, sulla guancia. La guardo, mentre l’ansia scema, lasciando il posto al dubbio. “Potrebbe... potrebbe davvero rimanere dopo tutto quello che mi porto dietro?”. «Se solo potessi essere un po’ più tollerante con me...» mi supplica, senza smettere di accarezzarmi delicatamente, scatenando un attacco di sincerità. «Ci sto provando, Anastasia. Non potevo starmene zitto e lasciarti andare a New York con quel... quel depravato. Ha una reputazione terribile. Nessuna delle sue assistenti è rimasta per più di tre mesi, né è stata confermata dall’azienda. Non voglio questo per te, piccola». Mi fermo, sospirando. «Non voglio che ti capiti niente. Se ti succedesse qualcosa di male... Il solo pensiero mi riempie di paura. Non posso prometterti di non interferire. Non se penserò che potresti farti del male». Mi fermo ancora, prendendo una boccata d’ossigeno. «Io ti amo, Anastasia. Farò qualsiasi cosa in mio potere per proteggerti. Non posso immaginare la mia vita senza di te» Questa volta è il turno di Anastasia di essere scioccata. Le palpebre si socchiudono per un attimo. Poi sembra tornare in sé. La fisso, con ardore, con amore. E lei fa lo stesso. «Ti amo anch’io» mi dice in un soffio, protendendosi verso di me e baciandomi con passione. Non perdo tempo. Le restituisco il bacio con la stessa intensità, abbracciandola, tenendola stretta. Ci divoriamo, mentre le nostre mani scorrono nei nostri capelli. Mi fermo un attimo, guardando l’azzurro dei suoi occhi, senza staccarmi troppo. Poi riprendo a baciarla, come se non mi bastasse mai. Ad interromperci è Taylor, che si schiarisce la gola. Mi tiro indietro all’improvviso, senza staccarmi da lei. Mi alzo, tenendole la vita con un braccio, mentre la fisso. «Sì?» dico, preoccupato. guardando Taylor, per un attimo «Mrs Lincoln sta salendo, signore» annuncia lui, imperturbabile. «Cosa?» chiedo frastornato. Jason si stringe nelle spalle, senza spiegare di più. Sospiro pesantemente e scuoto la testa. Vorrei perdermi dentro Anastasia, farla venire fino a farle ripetere infinite volte il mio nome. Fino ad essere sicuro che sia mia e di nessun altro. Fino ad essere certo che non abbia le facoltà intellettuali per pensare a nulla che non sia io. E invece ora mi tocca perdere tempo con quella rottura di coglioni che sta diventando Elena. «Bè, questo sarà interessante» mormoro con un sorrisetto rassegnato. «Hai parlato con lei oggi?» mi chiede sospettosa, mentre la tengo stretta, infilata tra le mie gambe. «Sì» «Che cosa le hai detto?» chiede curiosa. «Le ho spiegato che non vuoi vederla, e che capivo le tue ragioni. Le ho detto anche che non apprezzavo il suo agire alle mie spalle» Resto impassibile di fronte a lei. Tenta di scrutarmi, ma rimango sulla mia. «E lei cos’ha risposto?» «Ha liquidato il tutto come solo Elena sa fare» sbuffo con un ghigno. «Perché pensi che sia venuta?» chiede, giocherellando con i capelli. «Non ne ho idea» le dico sinceramente. Taylor ci interrompe di nuovo, entrando nel salone e annunciando Elena. Entra con disinvoltura, vestita di nero, con dei jeans attillati, e una camicetta che le accarezza il corpo. Una volta l’avrei trovata sexy ed eccitante. Una volta. Ora provo affetto per lei, ma amo la ragazza che sta fremendo di gelosia poggiata contro il mio corpo. Dio, se la amo! La stringo ancora di più. É un gesto involontario. Come se volessi proteggerla dal carico del mio passato che Elena potrebbe essere pronta a riversarle addosso. Elena si ferma di colpo, spostando i suoi occhi da me ad Ana. Sbianca e si irrigidisce. «Elena» la saluto, perplesso dalla sua reazione. Sembra sconvolta. Sbatte un paio di volte le palpebre e poi si riprende, ritrovando l’equilibrio. «Mi dispiace. Non sapevo che avessi compagnia, Christian. È lunedì» dice con un sorriso che si vede benissimo che è di pura circostanza. Ovvio. É lunedì. Ma Ana posso finalmente sfoggiarla ogni fottutissimo giorno della settimana. «La mia fidanzata» le dico, sfoggiando un sorriso dello stesso grado di falsità del suo. Lo sa e il suo atteggiamento muta all’istante. Si rilassa, sorridendo sinceramente stavolta. Anche se il suo sguardo mi mette a disagio. «Certo. Ciao, Anastasia. Non sapevo che fossi qui. So che non vuoi parlare con me. Va bene» dice, sforzandosi di includere anche Anastasia nel suo campo visivo. «Davvero?» ribatte Ana con sarcasmo, calma e fredda. Sia io che Elena la fissiamo stupiti. E io anche un pizzico ammirato. «Sì, ho afferrato il messaggio. Non sono qui per vedere te. Come ho detto, Christian di rado ha compagnia durante la settimana» si ferma e so che sta scegliendo con cura le parole, ma è evidentemente ancora turbata dalla fermezza con cui Anastasia ha affondato la sua stoccata. «Ho un problema, e ho bisogno di parlarne con lui» ribatte fermamente. «Oh!» esclamo, raddrizzando la schiena e divenendo attento. «Vuoi qualcosa da bere?» le chiedo educatamente. «Sì, grazie» risponde. Lascio a malincuore Ana, dirigendomi verso la dispensa dalla quale estraggo un bicchiere. Non le sto osservando, ma sento la tensione tra di loro. Sorrido tra me e me, per l’uscita di Ana. É splendida quando marca il territorio proprio come me. Sento gli sgabelli che si spostano e quando mi volto, per tornare da loro, le trovo entrambe sedute, in silenzio. Ana è seduta su quello che occupavo io, e tra loro ce n’è uno solo vuoto. Vado ad appollaiarmici sopra, mettendomi a fare da scudo tra Ana ed Elena. Verso ad entrambe del vino, poi mi giro verso Elena. «Cosa succede?» le chiedo, attento. Lei mi fissa nervosa, poi guarda Anastasia. Io prendo la mano della mia ragazza e la stringo affettuosamente. «Anastasia sta con me, adesso» dico, guardando Elena. Non so perché, ma so che è meglio mettere in chiaro le cose. Per entrambe. Elena deve capire che io ed Ana oramai stiamo insieme. E Ana deve capire fino in fondo quanto sono disposto a mettermi in gioco per lei, quanto siamo una sola cosa insieme. Elena si agita sullo sgabello, agitata, continuando a giocare con l’anello che porta al dito. Aggrotto la fronte. Non l’ho mai vista così preoccupata. «Qualcuno mi sta ricattando» dice poi, d’un fiato. Mi irrigidisco, mentre la mia testa fa i capitomboli. Su cosa? Per cosa? Per me, la nostra storia? Anastasia ha un sussulto e gli occhi di Elena si incupiscono per un attimo quando la guarda brevemente. Poi torna su di me. «Come?» le chiedo, senza riuscire a dissimulare l’orrore. Elena afferra la sua borsa enorme e ci fruga dentro, estraendone un biglietto. Me lo passa, ma non lo prendo in mano. «Appoggialo lì e aprilo» le ordino, indicandole il bancone con il mento. «Non vuoi toccarlo?» mi chiede aggrottando la fronte. «No. Impronte digitali» le dico deciso. «Christian, sai che non posso andare con questo dalla polizia» mi dice piccata. Poi mette il biglietto davanti a me e mi chino per leggerlo. «Chiedono solo cinquemila dollari» dico, mentre mi arrovello il cervello a pensare chi possa essere il mandante di quell’assurda richiesta. A chi potrebbe interessare far sapere che Elena ha un nuovo Schiavo? «Qualche idea su chi possa essere? Qualcuno della comunità?» le chiedo. «No» mi risponde dolcemente, quasi rassegnata. «Linc?» chiedo, con poca convinzione. «Cosa...? Dopo tutto questo tempo? Non credo» brontola Elena. «E Isaac lo sa?» mi informo. «Non gliel’ho detto» «Credo che dovrebbe saperlo» le dico fermamente. Elena scuote la testa e sento la mano di Anastasia tentare di sfuggire alla mia presa. Aumento la stretta, girandomi a fissarla, con la paura di vederla fuggire. «Cosa c’è?» chiedo preoccupato. «Sono stanca. Credo che andrò a letto» mi dice, evitandomi. La fisso negli occhi, per cercare di leggervi qualcosa, non so neppure bene cosa. Ma è stranamente impassibile. «Okay» le dico dopo qualche attimo di silenzio, sconfitto. «Non ci metterò molto» la rassicuro, lasciandole finalmente andare la mano. Si alza dallo sgabello, sotto lo sguardo perplesso di Elena, che la fissa come faccio io. Ana la fissa, scettica. «Buonanotte, Anastasia» le dice, con un sorriso tirato. «Buonanotte» mormora lei, freddamente. Poi si volta e scompare verso la nostra camera. Riprendo a guardare il foglio davanti a me. «Non penso che ci sia molto che posso fare, Elena» le dico, scuotendo la testa perplesso. «Se è una questione di denaro...» ma mi interrompo quando lei scuote la testa, con un sorrisetto imbarazzato. Elena non ha ricevuto un centesimo da suo marito, dopo che ci ha trovati insieme. Vive grazie al suo lavoro, che per fortuna va a gonfie vele. Ma mi sento comunque responsabile per quello che le è capitato. «Potrei chiedere a Welch di investigare» le propongo. «No, Christian, volevo solo che tu ne fossi al corrente» ribatte. Poi si volta, per controllare se Anastasia è ancora nei paraggi. «Mi sembri molto felice» mi dice, con un sorriso affettuoso, prendendomi una mano e stringendola piano. «Lo sono» le confermo tranquillo, sottraendo la mia mano dalla sua. Il suo sguardo si ferma sulle mie dita prima di tornare ai miei occhi. «Te lo meriti» mi dice decisa. Sembra che possa scoppiare a piangere da un momento all’altro. “Cristo, sembra mia madre!”. «Mi piacerebbe che fosse vero» dico, distogliendo lo sguardo dalla pietà che leggo nei suoi occhi. «Christian» mi rimprovera bonariamente. Torno a guardarla. «Lei sa quanto sei negativo verso te stesso? Riguardo a tutti i tuoi problemi?» Sottolinea tutti e io non riesco a non stringere le labbra, per la rabbia. «Mi conosce meglio di chiunque altro» ribatto, guardandola dritto negli occhi. «Ahi! Questo fa male» scherza lei. “Bè, accettalo, Elena. Solo lei mi conosce. Anche se non conosce il mio passato, conosce me”. «È la verità, Elena. Non devo fare giochetti con lei. Lasciala in pace, dico sul serio» le ringhio contro. «Qual è il suo problema?» mi risponde arrogante. «Tu... Quello che tu e io siamo stati. Ciò che abbiamo fatto. Lei non capisce» rispondo esitante. Esito non perché so che non è così. Dentro di me, sento che una piccola parte di me è d’accordo con Anastasia. Poi ci sono tutti gli altri fattori. Il contesto, quello che ero prima della mia relazione con Elena, quello che sono diventato dopo. Il nostro rapporto. Però, capisco il suo punto di vista. Una parte di me lo comprende, lo accetta come motivo alla base della sua avversione. «E tu faglielo capire» ribatte lei, acida, scostandosi i capelli dalla spalla con una mano. «È il passato, Elena. Perché dovrei guastare ciò che prova per me raccontandole della nostra relazione malata? Ana è buona, dolce e innocente, e per qualche strano miracolo mi ama» le dico, la fronte aggrottata nel tentativo di capire perché insiste tanto su questo punto. Fino ad oggi ha sempre fatto il contrario. Non ha mai voluto che raccontassi di lei a nessuno, tantomeno alle ragazze con cui ho scopato. «Non è un miracolo, Christian» mi dice tornando a sorridermi affettuosa. «Abbi un po’ di fiducia in te stesso. Sei un buon partito. Te l’ho detto e ripetuto. E anche lei mi sembra adorabile, forte, capace di tenerti testa» Ripenso alla sua furia di oggi, al mio piccolo tornado dai capelli scuri. Alla sua lussuria sfrenata quando si lascia andare con me. Solo con me. Alla sua bocca, le sue mani su di me. Alla sua intelligenza, la sua testolina che elabora una domanda al secondo. Al suo tormentarmi e a quanto io lo adori. «Io la amo» sussurro. «Non ti manca?» chiede Elena. Mi riscuoto dai miei pensieri, guardandola con espressione interrogativa. «Cosa?» domando. «La tua stanza dei giochi» mi dice calma, scrutando la mia espressione. I miei occhi si fanno sottili e la scruto a fondo prima di rispondere. «Questi non sono davvero affari tuoi» sibilo gelido. «Mi dispiace» dice lei con una espressione dispiaciuta. Ma si vede da lontano che non le dispiace affatto. Voleva solo tormentarmi. É lei che non capisce quello che abbiamo io e Ana. «Penso che sia meglio che tu vada. E, per favore, la prossima volta chiama prima di venire qui» le dico, alzandomi in piedi. Ora più che mai non vedo l’ora di raggiungere Ana in camera. «Christian, mi dispiace» mi ripete, stavolta senza arroganza. Si alza, recuperando il biglietto e infilandolo in borsa. «Da quando sei così sensibile?» mi dice con un tono di rimprovero. Un tono che conosco. É quello che usava anche quando mi legava alla testiera del suo letto. “Sei debole, Christian. Cerca di controllarti. Sii il signore del tuo universo. Tu, solo tu”. Quel pensiero mi fa venire i brividi. Sembra tutto così lontano da ora. Forse lo è, forse non troppo. Ma le cose mi vanno fottutamente bene così come sono ora. «Elena, tu e io abbiamo un rapporto d’affari che ha portato a entrambi enorme profitto. Lasciamo le cose come stanno. Quello che c’è stato tra noi appartiene al passato. Anastasia è il mio futuro, e non voglio compromettere la nostra relazione in nessun modo, perciò basta con queste stronzate» le dico e il mio tono non ammette repliche. «Capisco» si limita a dire, guardando a terra. «Senti, mi dispiace per il tuo problema. Forse dovresti affrontare la cosa e smascherare il loro gioco» le dico, con tono più conciliante. «Non voglio perderti, Christian» mi dice, poggiando la mano sul mio avambraccio. Fisso la sua mano, irrigidendomi all’istante. Poi la guardo. «Non sono tuo, perciò non puoi perdermi, Elena» ribatto deciso. «Non è quello che intendevo» mi dice, stringendo la presa e guardandomi implorante. «E cosa intendevi?» le dico bruscamente, avviandomi verso il corridoio. Lei è costretta a seguirmi. «Senti, non voglio discutere con te. La tua amicizia significa moltissimo per me. Starò lontana da Anastasia. Ma sono qui, se hai bisogno di me. Ci sarò sempre» mi dice seguendomi. Faccio un sorriso sghembo, quasi di scherno. «Anastasia pensa che tu mi abbia incontrato sabato scorso. Mi hai chiamato, tutto qui. Perché le hai detto una cosa diversa?» la accuso, girandomi di colpo, tanto che è costretta a fermarsi per non sbattermi contro. «Volevo che sapesse quanto ti ha ferito quando se n’è andata. Non voglio che ti faccia del male» ribatte, inspirando forte. «Lo sa. Gliel’ho detto io. Smettila di interferire. Davvero, ti stai comportando come una madre iperprotettiva» le dico rassegnato, girandomi esasperato e proseguendo verso il corridoio. La sento ridere. E il suono mi sembra nuovamente strano. Amaro quasi. «Lo so. Mi dispiace. Sai che tengo a te. Non avrei mai pensato che ti saresti innamorato, Christian. È molto gratificante vederlo. Ma non potrei tollerare che lei ti facesse del male» continua sulla sua linea. «Correrò il rischio» ribatto secco, chiudendo il discorso. «Ora, sei sicura di non volere che Welch faccia qualche indagine?» le chiedo. Sospira a fondo. «Immagino che non sarebbe acconsente rassegnata. una cattiva idea» «Okay. Lo chiamo domattina» «Grazie, Christian. E mi dispiace. Non volevo essere invadente. Vado. La prossima volta chiamerò» «Bene» Taylor compare sulla soglia e lo lascio accompagnare Elena all’ascensore. Io mi dirigo nella nostra camera, da Anastasia. Pensavo di trovarla già sotto le lenzuola, invece è ancora vestita di tutto punto, seduta sul bordo del letto, con le mani in grembo e un’espressione pensierosa. «Se n’è andata» le dico, dandole un’occhiata per indagare sulla sua reazione. Alza gli occhi su di me, puntando il suo azzurro nel mio grigio. «Mi dirai tutto? Sto cercando di capire perché pensi che lei ti abbia aiutato» mi dice, pacatamente. «Io la detesto, Christian. Penso che ti abbia causato danni incalcolabili. Tu non hai amici. Li ha tenuti lei lontano da te?» chiede in un sussurro. Sospiro esasperato. Non può continuare così. É come se la mia vita si fosse divisa in due pezzi che continuano a cozzare l’uno contro l’altro, senza riuscire a riunirsi. Mi passo velocemente una mano nei capelli. «Perché cazzo vuoi sapere di lei? Abbiamo avuto una relazione molto lunga, spesso mi faceva uscire di testa, e l’ho scopata in modi che non riusciresti nemmeno a immaginarti. Fine della storia» urlo. Mi rendo conto dei miei modi bruschi solo quando la vedo sbiancare e tremare leggermente. «Perché sei così infuriato?» sussurra, stringendosi le dita in grembo. «Perché tutta questa merda è finita!» ammettendolo per la prima volta ad alta voce. grido, La guardo rancoroso, non verso di lei, ma verso me stesso. Non riesco a non amarla senza rendermi conto che sto rinnegando il mio passato. La vita che ho vissuto fino ad oggi è nulla, cenere che vola via col vento. La stessa vita che ho faticato tanto a costruire. E ora non esiste nient’altro che lei. E io ne sono felice. Ma come può pensare che non sia un minimo destabilizzante per me? Sospiro a fondo, scuotendo la testa. ‘Non lo pensa perché tu non glielo dici, Grey’. Guardo il suo volto pallido e lei abbassa lo sguardo sulle sue dita. Mi siedo accanto a lei, cercando di guardarla negli occhi, ma lei non alza lo sguardo. «Che cosa vuoi sapere?» le chiedo rassegnato. «Non devi dirmelo per forza. essere invadente» mormora, ferita. Non voglio Stringo forte gli occhi. Mi ero ripromesso di non ferirla mai più. Perché cristo deve essere così fottutamente difficile? «Anastasia, non si tratta di questo. Non mi piace parlare di questa merda. Ho vissuto in una bolla per anni, senza che niente mi toccasse e senza dovermi giustificare con nessuno. Lei è sempre stata qui, come mia confidente. E ora il mio passato e il mio futuro sono in collisione, in un modo che non avrei mai pensato possibile». Alza lo sguardo su di me, gli occhi spalancati come i miei. «Non avrei mai pensato di avere un futuro con nessuno, Anastasia. Tu mi hai dato la speranza e mi hai fatto pensare a tutte le possibilità che ho» le confesso. I suoi occhi ora sono colpevoli. Li abbassa di nuovo sul suo grembo. «Ho ascoltato» sussurra. «Che cosa? La nostra conversazione?» le chiedo, rassegnato. «Sì» ammette «E allora?» le chiedo, senza rimprovero nel tono di voce. Probabilmente l’avrei fatto anch’io al suo posto. «Lei ci tiene a te» constata. «Sì, ci tiene. E io, a modo mio, ci tengo a lei. Ma non si avvicina neanche un po’ a quello che sento per te, se è di questo che stiamo parlando» le dico guardandola, poggiando una mano sulle sue. «Non sono gelosa» ribatte, alzando lo sguardo. «Tu non la ami» mormora, fissandomi. “Come cazzo puoi solo pensarlo, Anastasia?”. Sospiro pesantemente. «Molto tempo fa pensavo di amarla» le dico a denti stretti, trattenendo a stento la voglia di urlare che amore per me è sinonimo di Anastasia, che sono solo suo e non sono mai appartenuto a nessun’altra. «Quando eravamo in Georgia... hai detto che non l’amavi» Quasi mi viene da ridere. Ricorda tutto la mia adorabile bambina testarda. «È vero... Amavo te allora, Anastasia» le sussurro, senza riuscire a smettere di guardarla. «Sei l’unica persona per vedere la quale mi sono fatto un viaggio di cinquemila chilometri» Sul viso le si dipinge un’espressione confusa. «I sentimenti che nutro per te sono molto diversi da qualsiasi cosa io possa aver mai provato per Elena» le spiego. «Quando l’hai scoperto?» mi chiede titubante. Mi stringo nelle spalle, sorridendo piano. «Per ironia della sorte, è stata Elena a farmelo notare. Mi ha incoraggiato a venire in Georgia» La sua espressione è impenetrabile e questo non mi a sentire a mio agio. Scuote piano la testa, come se si stesse scrollando di dosso un pensiero spiacevole. «Perciò la desideravi? Quando eri più giovane» La sua è a metà tra una domanda e un’affermazione. «Sì» ammetto. «Ho imparato tantissimo da lei. Mi ha insegnato a credere in me stesso» «Ma ti ha anche picchiato selvaggiamente» Sorrido piano. «Sì, lo ha fatto» confesso anche quello. «E a te piaceva?» chiede esitando per un attimo. «All’epoca sì» confermo. «Così tanto da farti desiderare di farlo ad altri?» chiede, andando come sempre maledettamente dritta la punto. I miei occhi si allargano, e la guardo serio. Ricordo le frustate, ricordo i bastoni, ricordo Elena che mi seviziava. E ricordo il piacere che ne conseguiva. Non ho mai provato altro. Era l’unico modo che conoscevo. Prima di Ana. «Sì» mormoro. «E ti ha aiutato a farlo?» «Sì» «Si è sottomessa a te?» chiede, alzando piano le sopracciglia, con aria incredula. «Sì» «E ti aspetti che lei mi piaccia?» chiede amaramente. Ok, è arrivato il momento di smetterla con i fottuti monosillabi. «No» ammetto. «Anche se renderebbe la mia vita dannatamente più semplice» le dico esausto. «Comprendo la tua reticenza» aggiungo dopo aver osservato la sua espressione triste. «Reticenza! Accidenti, Christian, se si fosse trattato di tuo figlio, come ti sentiresti?» urla. La domanda mi coglie di sorpresa. Sbatto le palpebre, guardandola, senza capire. Mio... mio figlio? Ripenso a mia madre. Mia madre non ha fatto nulla per proteggermi. Probabilmente neppure io farei nulla. Sono figlio suo in fin dei conti. Stesso sangue, stessi geni. Sono un bastardo figlio di puttana. Mi rabbuio. «Non ero costretto a stare con lei. È stata una mia scelta, Anastasia» mormoro scontroso. «Chi è Linc?» chiede cambiando rotta. «Il suo ex marito» rispondo scrutandola. «Lincoln, il magnate del legno?» «Lui» le dico e mi scappa un ghigno. «E Isaac?» mi fissa. «Il suo attuale Sottomesso» La sua espressione è scioccata. «Ha più di venticinque anni, Anastasia... È adulto e consenziente» aggiungo in fretta, perché so quello che sta pensando. «La tua età» mormora, senza abbandonare la sua espressione sconvolta. “Cristo santo!” «Guarda, Anastasia, come ho detto anche a lei, Elena fa parte del mio passato. Tu sei il mio futuro. Non lasciare che lei si metta tra noi. E poi, francamente, quest’argomento mi sta stancando. Vado a lavorare un po’» sbotto, alzandomi dal letto. I suoi occhi mi seguono, ma lei resta immobile. «Lascia perdere, per favore» le dico scuotendo piano la testa. Le si acciglia, fissandomi testarda. Faccio per andarmene, poi mi viene in mente la sua auto nuova. Probabilmente si addolcirà. «Oh, quasi mi dimenticavo» mi volto di nuovo verso di lei «La tua macchina è arrivata con un giorno di anticipo. È nel garage. Taylor ha la chiave» «Posso guidarla domani?» chiede prontamente. «No» le rispondo, guardandola severamente. Sa che deve andare al lavoro accompagnata. Niente infrazioni alle regole stavolta. «Perché no?» chiede scontrosa. «Lo sai perché no. E questo mi ricorda una cosa: se devi uscire dal tuo ufficio, fammelo sapere. Sawyer era là, a controllarti. Sembra proprio che io non possa fidarmi di te» le dico, rimproverandola quasi come una bambina. «Sembra che nemmeno io possa fidarmi di te» mormora ferita. «Avresti potuto dirmi che Sawyer mi teneva d’occhio» mi accusa poi. «Vuoi litigare anche su questo?» ribatto esasperato. «Non sapevo che stessimo litigando. Pensavo che stessimo comunicando» borbotta provocatoria. Stringo forte gli occhi, cercando di recuperare il mio equilibrio. “Dio, possiamo tornare in ascensore, per favore?”. Sospiro, tornando a guardarla. «Devo lavorare» le dico con rinnovata calma. Esco dalla stanza senza guardarmi indietro e quasi corro nel mio studio. Chiudo la porta alle mie spalle e mi ci appoggio, espirando lentamente. Poi mi lascio cadere a terra, piano, scivolando con la schiena contro la porta. Non so quanto tempo ci resto in questa posizione. So solo che nella testa ho una confusione assurda. Mille pensieri e un unico punto fisso che mi consente di andare avanti. Il mio amore per lei. Solo che non so come affrontarlo. Quando riesco a rialzarmi dal pavimento del mio studio mi sembra passata un’eternità. Sento già la mancanza di Anastasia. Vorrei non avessimo litigato. Ma invece lo abbiamo fatto. Per la sua gelosia, per le sue fissazioni. Anche se non posso dire di essere senza colpa. Lo so che dovrei essere sincero con lei, dirle tutto. Davvero tutto. Ma la paura mi attanagli lo stomaco. Non voglio che se ne vada. Non voglio doverla perdere di nuovo, trovarmi a fare chilometri e chilometri di corsa solo per passare davanti casa sua e guardare inerme le luci accese. Non voglio essere costretto a non vederla. Ed è proprio questo che succederebbe se le riversassi addosso i miei reali problemi, la mia storia, il mio io più crudele e profondo. Anastasia è buona, gentile, non farebbe mai del male a nessuno. Mentre io per anni ho goduto nell’essere crudele con giovani donne come lei. Per pura e semplice vendetta contro la donna che mi ha messo al mondo. E il fatto che fossero consenzienti, che lo volessero, che mi supplicassero per ricevere quel trattamento non vale nulla. Sceglievo sottomesse convinte per sentirmi meno in colpa. Non dovevo giustificarmi con loro per le mie inclinazioni da bastardo pervertito. Ero il loro dominatore. Tornavo a casa tutte le sere come un imprenditore modello, mentre nei weekend davo libero sfogo alle mie perversioni. Il solo ricordare com’ero, come ero solito comportarmi mi fa scorrere un brivido lungo la spina dorsale. Non potrei mai immaginare di essere così crudele con Anastasia. La amo. Neppure all’inizio, quando ci siamo conosciuti, ho mai pensato di comportarmi con lei come mi ero comportato con tutte le altre. Ma lo capirebbe? Sarebbe pronta ad accordarmi questo tipo di fiducia? Forse no. Forse mi vedrebbe per quello che sono in realtà. Un mostro senza cuore. Eppure, per lei, ho trovato la forza di cercare il mio cuore. E finalmente sono riuscito a tirarlo fuori da questo petto martoriato. Faccio un profondo sospiro e apro la porta alle mie spalle. Devo trovarla. Trovarla e fare pace con lei. Dirle quanto è importante per me. Quando entro nella nostra camera una sensazione di gelo mi avvolge. Lei non c’è. Il mio cuore inizia a battere forte, mentre entro in bagno e poi ne esco per perlustrare la cabina armadio. Il mio respiro si fa affannoso mentre salgo i gradini due per volte e vado nella camera che una volta era sua. Niente, non è neppure qui. Passo in rassegna tutte le stanze, mentre la morsa al cuore si fa più forte, più dolorosa. Deglutisco e apro anche la stanza rossa. Ma non è neppure qui. Scendo di nuovo di sotto, aprendo tutte le porte al mio passaggio. E finalmente, quando penso che il cuore possa scoppiarmi nel petto, la trovo. É in biblioteca, addormentata sulla poltrona sulla quale si è rannicchiata. In grembo ha un vecchio libro. Quasi credo che possa scoppiare a piangere da un momento all’altro per la gioia di averla qui. Di averla ancora qui. É serena nel sonno, avvolta in una bellissima vestaglia di raso sottile, rosa pallido. Resto a guardarla per un po’, sentendo ad ogni secondo che passa il mio amore per lei crescere e farsi immenso. Stringo forte gli occhi, lasciandomi invadere dal sollievo quando finalmente la cortina di nebbia che avvolge il mio cervello si lascia penetrare dalla consapevolezza che lei è reale, non è fuggita e non è frutto della mia immaginazione. Piano, evitando di farla svegliare, la prendo tra le braccia, stringendomela al petto e la conduco fuori dalla stanza e nella nostra camera. Ma il movimento la fa sussultare e svegliare. Mi guarda nel dormiveglia, assonnata. «Ehi» le mormoro dolcemente «ti sei addormentata. Non riuscivo a trovarti» Strofino la punta del naso nei suoi capelli, inspirando a fondo il suo dolce profumo. Lei mi fa un sorriso stiracchiato, avvolgendomi le braccia attorno al collo e adagiandosi sul mio petto. La porto in camera e la distendo sul letto, coprendola con la trapunta leggera. «Dormi, piccola» le delicatamente le labbra rosee. sussurro, baciandole Si addormenta all’istante, aggiustandosi sulle lenzuola candide proprio come la sua pelle. Resto in ginocchio accanto a lei, a guardarla e ad accarezzarle i capelli. Alla fine, stremato, mi alzo per andare in bagno ed infilarmi una maglietta più comoda. É tardissimo, ma non ho voglia di dormire. Esco dalla camera, lasciando la mia ragazza dormire, e vado in salone. Quasi senza volerlo mi ritrovo seduto al pianoforte. Ma questa volta abbasso il coperchio, per non disturbarla. L’ultima volta che l’ho svegliata con le mie note malinconiche lei è andata via. Il ricordo è così doloroso. Mi chiedo per quanto tempo riuscirò ad andare avanti prima che la paura di perderla mi consumi. Forse non per molto. Forse alla fine mi toccherà morire pur di vederla felice. Prendo a suonare una melodia triste, che riflette il mio stato d’animo. Dopo il litigio di questa sera, non abbiamo parlato, non abbiamo deciso che è di nuovo tutto a posto. Mi sento frustrato, inappagato. Ho bisogno di appianare le cose, a modo mio. Ho bisogno di ridefinire la situazione secondo i miei confini e i miei limiti. L’attesa di un chiarimento che oramai avverrà tra qualche ora soltanto mi fa sentire più solo. Ma poi, come se fosse in connessione diretta con il mio cuore, la vedo apparire sulla soglia. All’inizio credo che si una apparizione, un sogno, una visione celestiale mandatami da Dio per farmi sapere qual è la cosa più preziosa che potrò mai avere in tutta la mia vita. É avvolta nel morbido raso rosa pallido, bella ed eterea. Poi si muove, avvicinandosi. Non distolgo i miei occhi dai suoi mentre si avvicina a me, leggera come una piuma. Le mie dita danzano sui tasti del pianoforte componendo una melodia che conosco a memoria e che ci avvolge completamente. Mi fermo solo quando mi raggiunge, venendomi di lato. «Perché hai smesso? Era splendida» mi sussurra, guardandomi con gli occhi splendenti alla luce fioca della luna. «Hai idea di quanto sei desiderabile in questo momento?» mormoro, senza abbandonare il suo corpo con i miei occhi nemmeno per un solo istante. «Vieni a letto» mi dice, tendendomi la mano. “Non abbiamo tempo per il letto, Ana. Sei mia e ti voglio ora”. Le prendo la mano che mi tende e la tirò all’improvviso, facendola cadere sulle mie ginocchia. Stringo quel tenero corpo e la sento tremare contro di me. «Perché litighiamo?» le mormoro, mordicchiando dolcemente il lobo del suo orecchio delicato. Sento il suo cuore battere forte e il calore del suo corpo aumentare. «Perché ci stiamo conoscendo, e tu sei testardo, irascibile, lunatico e difficile» mormora a corto di fiato, inclinando la testa di lato e permettendo alle mia labbra di esplorare la pelle morbida del suo collo. La sfioro con il naso, sorridendo contro la sua carne. «Io sono tutte queste cose, Miss Steele. C’è da chiedersi come tu riesca a sopportarmi» le dico, pizzicandole il lobo con i denti. «È sempre così?» sospiro piano. «Non ne ho idea» risponde con un filo di voce, abbandonata alle mie carezze. «Nemmeno io» le dico, tirando la cintura della sua vestaglia, che si apre e mi permette di accarezzarla con uno strato in meno di stoffa a separarci. La mia mano scende languidamente sul suo corpo, sul seno, percependo i suoi capezzoli immediatamente turgidi e pronti. Proseguo lentamente, carezzandole piano la vita i fianchi. Alla luce candida della luna la stoffa che le ricopre il corpo è così sottile da essere quasi trasparente. «Sei così bella sotto questo tessuto, e riesco a vedere tutto, anche questo» mormoro, pizzicandole piano il sesso attraverso la stoffa, sentendola rabbrividire, scossa dal piacere. L’altra mano la tiene ferma, stringendole i capelli alla base della nuca e tirandola contro di me. La guardo per un secondo prima di affondare la lingua nella sua bocca già schiusa e in attesa. Il mio bacio è profondo, possessivo, bisognoso. E lei mi risponde allo stesso identico modo. Geme piano, accarezzandomi il volto con una mano. La mia continua il suo percorso, sollevandole delicatamente la camicia da notte, fino a quando, dopo quella che sembra un’eternità, non riesco a scoprirle il sedere nudo e accarezzarle l’interno delle cosce con il pollice. Il mio cazzo freme e si agita sotto di lei. Mi alzo all’improvviso, sollevandola sul pianoforte e adagiandola sul coperchio. I suoi piedi poggiano sui tasti, producendo suoni a casaccio. Non ci bado, mentre le faccio scorrere le mani sulle gambe e le spalanco le ginocchia. Le afferro le mani, per farla distendere. «Sdraiati» le ordino, sorreggendola mentre si distende all’indietro. La lascio andare e le apro ancora di più le gambe, beandomi della vista del suo sesso voglioso già luccicante di umido godimento. I suoi piedi si muovono sui tasti e le note disarmoniche sono un intervallo rumoroso tra i nostri respiri affannati ma silenziosi. Mi chino, baciandole l’interno delle ginocchia, mentre Ana geme di puro piacere. Il raso morbido della sua camicia da notte scivola ancora, arricciandosi sul ventre. Con la coda dell’occhio la vedo serrare l’azzurro del suo sguardo mentre la mia bocca raggiunge il suo punto più dolce. Le deposito un bacio dolce, poi soffio delicatamente. Tiro fuori la lingua, accarezzandole deciso il clitoride in trepidante attesa delle mie attenzioni. La muovo in cerchio, mentre il mio uccello freme, voglioso di infilarsi in quella fessura stretta e umida. Le spalanco di più le gambe, desideroso di affondare in lei e godermi il suo sapore fino in fondo. Le mie mani la tengono ferma appena sopra le ginocchia, mentre la mia lingua affonda ripetutamente sulla sua soffice e morbida carne, raccogliendo il suo sapore Anastasia solleva i fianchi, inarcandosi per chiedere di più tra i gemiti incessanti. Io, dal canto mio, sto per venirmi nei pantaloni. Ma continuo implacabile. É la mia punizione per lei, per avermi fatto uscire fuori di testa qualche ora fa. Le sto rendendo pan per focaccia. «Oh, Christian, per favore» geme, in attesa di un rilascio che non le concederò facilmente. «Oh, no, piccola, non ancora» la provoco maliziosamente, mentre percepisco la sua eccitazione che cresce. «No» piagnucola, girando la testa da un lato e dall’altro. «Questa è la mia vendetta, Ana» ringhio dolcemente contro la sua carne tremula. «Discuti con me e io me la prenderò con il tuo corpo, in qualche modo» Lascio perdere la mia tortura per dedicarmi al resto del suo corpo. Le bacio la pancia, mentre le mie mani accarezzano il suo corpo, premendo sulla sua pelle e stuzzicandola. La muovo in cerchio contro il mio ombelico, mentre i miei pollici raggiungono l’apice tra le sue gambe. «Ah!» urla, mentre le spingo un dito dentro e l’altro continua a tormentarle il clitoride, lentamente, ad un ritmo costante, spossante, ma che non le permetterà di venire. Si inarca, geme, si contorce. Sento i miei boxer che si bagnano del mio stesso seme. “Cristo! É più difficile per me che per lei”. Sentirla implorare mi manda fuori di testa. «Christian!» grida, agitandosi senza controllo. Mi impietosisco, fermandomi un attimo. Mi sfilo velocemente la maglietta, sollevandole poi i piedi e facendola scivolare sul pianoforte. A tempo di record mi tolgo anche i pantaloni, recuperando dalla tasca un preservativo e infilandolo velocemente mentre la seguo e la ricopro con il mio corpo. Anastasia ansima, fissandomi esasperata e vogliosa. Quello sguardo, quegli occhi, la sua bellezza mi stringe il cuore in una morsa a metà tra il piacere e il dolore. «Ti desidero così tanto» le dico, sincero, mentre lentamente affondo dentro di lei. Mi prendo il mio tempo, la amo, la venero, spingo incessantemente dentro di lei. I miei fianchi, i miei glutei si flettono al ritmo incessante che decido di proposito di sostenere. Sono implacabile, impietoso nei miei affondi, ma non smetto un secondo di amarla e venerarla. Mi fermo un attimo, facendole allacciare le braccia attorno al mio collo. Poggio gli avambracci sul ripiano freddo del piano e porto le dita tra i suoi capelli, stringendole il viso tra le mani. Poi riprendo ad affondare dentro di lei, senza abbandonare mai i suoi occhi, neppure quando insieme veniamo sopraffatti dal piacere. Crollo esausto su di lei, rotolando sulla schiena e portandola con me. La stringo tra le braccia, e la osservo con un sorriso soddisfatto mentre mi guarda, tutta scarmigliata. Cautamente appoggia la guancia sul mio torace, rimanendo immobile. I nostri respiri sono coordinati e si placano insieme. Dolcemente le accarezzo i capelli con la mano. «Bevi tè o caffè alla sera?» mi chiede ad un tratto, trattenendo uno sbadiglio. «Che strana domanda» le dico, aggrottando la fronte. «Ho pensato che potevo portarti una tazza di tè, nello studio, e mi sono resa conto che non sapevo se l’avresti gradito» spiega la sua uscita. «Oh, capisco. Acqua o vino alla sera, Ana. Anche se potrei provare il tè» rispondo con un mezzo sorriso, continuando ad accarezzare il suo corpo. La mia mano è ora sulla sua schiena, tenera e delicata come se lei fosse di cristallo. «Sappiamo davvero poco l’una dell’altro» mormora, con un accenno di tristezza nella voce. «Lo so» le rispondo consapevole. “Tu non sai niente di me, Ana. Non sai tutto l’abisso della depravazione che mi porto dietro. Non conosci i cumuli di merda che mi si sono riversati addosso in tutti questi anni”. Stringo gli occhi con dolore. Con riluttanza la lascio andare quando si stacca da me, alzandosi e mettendosi a sedere. «Che cosa c’è?» mi chiede. Scuoto la testa, come per liberarmi dai miei pensieri, anche se so che non è possibile. Allungo una mano e le accarezzo una guancia, guardandola ardentemente. «Ti amo, Ana Steele» le dico, sincero come non lo sono mai stato in vita mia. “Sei la luce della mia vita fatta di buio e ombre”. Sollevandomi, la bacio a fondo, prima di farla scendere con me e portarla a letto. Sento un movimento accanto a me, poi le dita di Ana che scorrono tra i miei capelli, apro gli occhi di scatto, sorridendole piano. «Buongiorno» le dico, con la voce impastata dal sonno. «Buongiorno a te» mi dice, sorridendomi di rimando. La bacio, rendendomi conto di essere totalmente avvinghiato a lei, e la lascio finalmente libera, anche se controvoglia. La guardo attentamente. «Dormito bene?» le chiedo premuroso. «Sì, nonostante l’interruzione del mio sonno stanotte» Il mio sorriso diventa ampio, da bastardello arrogante quale sono. «Mmh... Tu puoi interrompermi in quel modo ogni volta che vuoi» le dico, mentre mi chino a baciarla di nuovo. «E tu? Hai dormito bene?» mi chiede lei. «Dormo sempre bene con te, Anastasia» le dico, con un sospiro soddisfatto. «Niente più incubi?» «No» le dico, incupendomi ma cercando di non darlo a vedere. Anastasia aggrotta la fronte e so che il suo cervello si è già messo in moto. «Che tipo di incubi sono?» spara. Questa volta non riesco a trattenere il mio cipiglio contrariato. Eppure non mi sottraggo alla sua domanda. «Si tratta di flashback della mia prima infanzia, o così dice il dottor Flynn. Alcuni sono vividi, altri meno». La mia voce si smorza leggermente al ricordo di quell’orrore che purtroppo ero costretto a rivivere tutte le fottute notti prima di incontrarla. Le mie dita, d’istinto, scorrono sulla sua pelle, sfiorandole la clavicola. «Ti svegli piangendo e urlando?» mi dice con un timido sorrido, cercando di smorzare la tensione. Le sue parole mi sconcertano. «No, Anastasia. Non ho mai pianto. Per quanto mi ricordi» le dico, aggrottando la fronte. Neppure da bambino ricordo il pianto. Le botte, le percosse, le bruciature mi hanno fatto crescere in fretta. Ricordo le urla, gli spasimi dovuto al dolore. Oh, cazzo se ricordo il dolore. Quello lo ricordo tutto, fino all’ultima cinghiata. Ma non ho memoria di me stesso con il volto rigato di lacrime. Lo shock, il terrore, la paura erano più forti dell’acqua salata che avrebbe dovuto sgorgarmi dagli occhi. L’odore della pelle bruciata era qualcosa di nauseabondo, faceva un male cane. Ma non ricordo lacrime. «Hai qualche ricordo felice della tua infanzia?» La sua voce penetra la mia oscurità, riportandomi indietro. La fisso pensieroso per un attimo, cercando di ricordare qualcosa di bello. «Ricordo la puttana drogata che faceva una torta. Ricordo il profumo. Una torta di compleanno, penso. Per me. E poi l’arrivo di Mia, con mia madre e mio padre. Mia madre era preoccupata per la mia reazione, ma io ho adorato la piccola Mia fin dal primo istante. La mia prima parola è stata “Mia”. E ricordo la prima lezione di pianoforte. Miss Katie, la mia insegnante, era fantastica. Allevava anche cavalli» Le sorrido, con un pizzico di nostalgia. «Hai detto che tua madre ti ha salvato. In che modo?» La sua domanda mi lascia basito. «Mi ha adottato» le rispondo semplicemente, stringendomi nelle spalle. “Chissà cosa ne sarebbe stato di me, altrimenti”. «La prima volta che l’ho incontrata, ho pensato che fosse un angelo. Era vestita di bianco ed era così gentile e calma, mentre mi visitava. Non lo dimenticherò mai. Se lei avesse detto no, o se Carrick avesse detto no...» Scrollo le spalle, lanciando un’occhiata alla sveglia dietro di lei. Non ho voglia di parlare di questo ora. «Questo è un discorso un po’ troppo profondo per la mattina presto» mormoro. «Ho giurato a me stessa di conoscerti meglio» mi dice lei, risoluta. arrivare a «Davvero, Miss Steele? Pensavo che volessi sapere se preferisco il tè o il caffè» le sorrido maliziosamente, mentre prendo coscienza del suo corpo quasi nudo contro il mio. «Comunque, credo che ci sia un modo per far sì che tu mi conosca meglio» La provoco, spingendo i fianchi in modo inequivocabile contro di lei. «Credo di conoscerti già abbastanza bene sotto quell’aspetto» mi dice in un rimprovero scherzosamente arrogante. Il mio sorriso si allarga alla sua impertinenza. «Non penso che ti conoscerò mai abbastanza bene sotto quell’aspetto» le sussurro contro le labbra morbide. «Ci sono indubbi vantaggi nello svegliarsi accanto a te» le dico, strusciando la mia poderosa erezione mattutina contro l’interno delle sue cosce. «Non devi alzarti?» mi chiede, la sua voce eccitata e calda mi investe e si scioglie su di me come miele fuso. «Non stamattina. C’è solo un posto dove voglio stare in questo momento, Miss Steele» le dico, fissandola con ardore, iniziando a strusciare le dita su uno dei suoi capezzoli. «Christian!» Sussulta per il mio attacco. In un baleno sono sopra di lei, a dominarla dall’alto per la seconda volta in poche ore. Uso il mio corpo per premerla sul letto. Afferrandole le mani gliele tiro sopra la testa, prendendo a baciarle la gola morbida. «Oh, Miss Steele» gemo piano, sorridendo contro la sua pelle, mentre con la mano libera percorro il suo corpo, sollevandole la camicia da notte. «Oh, quello che mi piacerebbe farti» mormoro. Senza perdere altro tempo mi allungo a prendere un preservativo. Glielo passo ed è lei ad aprirlo, senza restituirmelo. Capisco al volo le sue intenzioni e mi rimetto sulla schiena, portandola con me. Si mette a cavalcioni su di me e scivola sulle mie gambe. Sento le sue labbra depositare un morbido bacio sulla punta del mio pene, rosso e gonfio per l’eccitazione. Lo prende piano in bocca, succhiando piano. La sua lingua percorre dolcemente le vene in rilievo del mio sesso che ora pulsa violentemente. Poi mi infila il preservativo. Non resisto oltre e mi metto seduto, sollevandola e abbassandola lentamente sul mio cazzo. Affondo piano in lei, in profondità. Piano prendiamo il nostro ritmo, mentre le mie labbra si chiudono attorno ai suoi seni, a turno, mordendo, leccando, tirando con i denti i capezzoli turgidi. Le mani di Anastasia scivolano nei miei capelli mentre mi tiene la bocca ferma sulle sue tette che si muovono al ritmo delle mie spinte. Le sensazioni sono indescrivibili. Credo per entrambi, dal momento che il nostro orgasmo arriva veloce, inaspettato e ci travolge come un fiume in piena. «Quando incontrerò Claude, il tuo personal trainer, così vediamo cosa sa fare?» La voce di Anastasia interrompe il silenzio pacifico nel quale stiamo consumando le nostre rispettive colazioni preparateci da Mrs Jones. Alzo lo sguardo su di lei, mentre il suo profumo mi rievoca il sesso appena consumato e la doccia fatta insieme. Le faccio un sorrisetto sghembo. So perché vuole incontrare Claude. Vuole tenere il passo con la mia fame di sesso sfrenato. E di lei. «Dipende se vuoi andare a New York questo fine settimana oppure no... A meno che tu non voglia incontrarlo una delle prossime mattine. Chiederò ad Andrea di controllare i suoi impegni e fartelo sapere» le dico. «Andrea?» chiede, aggrottando deliziosamente la fronte. «La mia assistente personale» le spiego. Il suo viso si distende, malizioso. «Una delle tue tante bionde» scherza. «Lei non è mia. Lavora per me. Tu sei mia» ribatto serio. «Io lavoro per te» borbotta acida. Mi scappa un sorriso, nonostante mi impegni a fondo per trattenerlo. «È vero» le dico, mentre il sorriso si allarga sempre di più. Anche Ana sorride alla fine, rassegnata. «Forse Claude può insegnarmi il kick boxing» mi dice, lanciandomi un’occhiata arrogante, mentre finisce la colazione. «Ah, sì? Per aumentare le tue possibilità contro di me?» ribatto, alzando un sopracciglio e scrutandola dalla testa ai piedi. “Dio, me la farei di nuovo, ora, anche davanti a Mrs Jones”. «Continua a provocare, Miss Steele» le dico leccandomi il labbro inferiore, mentre lei arrossisce e chiude le cosce l’una contro l’altra. I suoi occhi vagano lontani dai miei, per l’imbarazzo, e vanno a poggiarsi sul pianoforte dietro di noi. Lo scruta, perdendosi per qualche attimo nelle sue fantasie. So a cosa pensa. So che ci sta immaginando lì sopra, nudi. So che sta rivedendo il mio viso mentre le affondo dentro, ripetutamente, facendola gemere e urlare di piacere. Il pensiero mi manda in estasi. «Hai alzato di nuovo il coperchio» lentamente, tornando a guardarmi. sussurra «Stanotte l’avevo chiuso per non disturbarti. Non ha funzionato, evidentemente, ma ne sono contento» le dico con aria provocante, mentre addento un pezzetto della mia omelette. Ana arrossisce violentemente, sorridendo debolmente e facendomelo diventare duro all’istante. Ad interrompere il nostro idillio pericoloso ci pensa Gail, che, ignara dei nostri piccoli pensieri perversi, piazza davanti ad Anastasia un sacchetto con il pranzo. «Questo è per dopo, Ana. Tonno va bene?» chiede gentile. «Oh, sì. Grazie, Mrs Jones» risponde prontamente lei, con un sorriso caloroso. Poi si gira a lanciarmi un’occhiata furba, mentre Mrs Jones si allontana discretamente. «Posso chiederti una cosa?» mi dice, quando si accorge che siamo totalmente soli. Si mordicchia piano il labbro, preoccupata. La mia espressione si fa seria. So che stanno per arrivare i guai. Era troppo bello per durare così tanto. «Certo» le rispondo immediatamente. «E non ti arrabbierai?» mi chiede titubante. Lo sconforto si impadronisce di me. «Riguarda Elena?» chiedo quasi con un lamento. «No» dice, guardandomi con i suoi occhioni e scuotendo la testa. «Allora non mi arrabbierò» le dico, piegando la testa di lato. Lei mi fissa per un attimo e sembra ripensarci. «Ma ho una domanda supplementare» mi dice piano, scrutando la mia espressione. «Ah» La guardo sconfitto. «Che riguarda lei» sussurra piano, come una bambina colta con il dito nel barattolo della marmellata che tenta di giustificarsi. Alzo platealmente gli occhi al cielo, esasperato. ‘Era troppo bello avere una donna per casa senza che avesse il permesso di parlare, vero Grey? Non ha firmato nessun contratto. Sei sempre in tempo per ripensarci’. Anche se so che Anastasia ha firmato in modo indelebile un patto con il mio cuore. «Di che si tratta?» le dico senza fare nulla per nascondere la mia insofferenza. «Perché ti arrabbi sempre quando ti chiedo di lei?» mi chiede aggrottando la fronte. «Onestamente?» Mi lancia un’occhiataccia fulminea. «Pensavo che fossi sempre onesto con me» mi rimprovera. «Tento di esserlo» la provoco. Stringe gli occhi a fessura e so che se quell’azzurro si tramutasse in acciaio io sarei morto sotto le sue stilettate. “Ok, Christian. Sai che non è divertente per lei”. «Questa mi sembra una risposta molto evasiva» borbotta acida. «Sono sempre onesto con te, Ana. Non voglio fare giochetti. Bè, non quel tipo di giochetti» le dico con un mezzo sorriso, cercando di rimetterla di buonumore. Ana allunga una mano sul bancone, tra di noi, tracciando disegni astratti col dito mentre avvampa. «Che tipo di giochetti ti piacerebbe fare?» sussurra. Quelle parole mi mandano di nuovo su di giri. “Farti svenire di piacere su questo bancone, per esempio. Scoparti per una giornata intera. Adorarti, venerarti, assaggiarti fino ad essere sazio di te”. Piego la testa, osservando con attenzione le curve del suo corpo sexy. «Miss Steele, ti lasci distrarre così facilmente» Le scappa una risatina da scolaretta che me lo fa tirare ancora di più. Riaggiusto la mia posizione sullo sgabello e le sorrido. «Mr Grey, tu mi distrai in così tanti modi» mi dice, con gli occhi luminosi così come lo sono i miei. «Il suono che preferisco al mondo è quello della tua risata, Anastasia. Ma qual era la tua domanda di partenza?» le chiedo dolcemente, incuriosito da tutto quel suo strambo teatrino. Alza il mento, fingendosi austera, ma la vedo ridere sotto i baffi. Poi aggrotta la fronte, cercando di ricordare la sua domanda. «Ah, sì. Vedevi le tue Sottomesse solamente nei fine settimana?» spara di botto. “Oh, eccoci. Ecco arrivare le domandone di prima mattina. Anastasia non viaggiare troppo con quella graziosa testolina che ti ritrovi. Lasciami un attimo di respiro. Non riesco a starti dietro”. «Sì, è così» le rispondo comunque, innervosito dalle sue parole. Ma lei, imprevedibilmente, mi ripaga con un sorriso luminoso e tutto dedicato a me. Aggrotto la fronte, senza capire. «Perciò niente sesso durante la settimana» mormora, leccandosi inconsapevolmente le labbra. Scoppio a ridere di gusto, spostandomi sullo sgabello. «Ah, era qui che volevi arrivare» le dico sollevato, senza riuscire a placare lo scoppio d’ilarità alla vista della sua espressione vagamente soddisfatta e compiaciuta. “Miss Steele, tu sì che sai come distrarre un uomo”. «Sembri molto compiaciuta di te stessa, Miss Steele» le dico, ammirato. «Lo sono, Mr Grey» mi dice con un sorrisetto. «Fai bene a esserlo» le sorrido, avvicinando il mio viso al suo. «Ora mangia la tua colazione» le ordino, scoccandole un’occhiata severa. La sento inspirare e poi concentrarsi di colpo sul suo piatto. Quando ho finito la mia colazione mi alzo e mi avvicino a lei. Lentamente mi posiziono dietro di il suo corpo, poggiando le mani sul bancone e intrappolandola col mio. «Devo parlare con Taylor. Finisci la tua colazione, Miss Steele. Poi andiamo a lavoro. E stasera...» sento il suo respiro mozzarsi e mi blocco di proposito, lasciandola in attesa. «... stasera, se fai la brava, potrei prenderti proprio qui, su questo bancone da cucina e farti mia per ore». La sento sussultare quando le bacio i capelli, inalando il suo odore e le sfioro leggermente il braccio con la punta delle dita. Poi la lascio lì, a respirare affannosamente, compiaciuto come quel gran bastardo che sono. Mi dirigo a grandi passi verso l’ufficio di Taylor, senza riuscire a celare l’erezione che mi ha scatenato la sola vicinanza ad Anastasia. «Ci sono novità?» chiedo pratico quando mi trovo faccia a faccia con Jason. «Purtroppo no. Oggi faremo controllare l’appartamento di Miss Steele, come da programma, per l’arrivo di Mr Kavanagh. Mi faccia sapere solo l’orario» Cazzo. Me ne ero completamente dimenticato. E credo anche Ana, dal momento che non ne ha fatto menzione. Odio doverlo fare, ma credo tocchi a me ricordarglielo. «Ottimo, Jason. Prepara il SUV» Esco e vado a recuperare Ana in attesa in salotto. Durante il tragitto verso la SIP restiamo seduti in silenzio sul sedile posteriore dell’Audi, mentre Taylor guida e, al suo fianco, Sawyer è al telefono con gli altri della squadra. «Non avevi detto che il fratello della tua coinquilina arriva oggi?» le trattenendomi dall’imprecare. chiedo indifferente, «Ethan...! Me l’ero dimenticato. Oh, Christian, grazie per avermelo ricordato. Devo tornare al mio appartamento» dice entusiasta. Mi rabbuio istintivamente. Non mi va a genio tutta questa felicità di rivedere quello stronzo. «A che ora?» chiedo. «Non so bene distrattamente. quando arriverà» risponde «Non voglio che tu vada da nessuna parte per conto tuo» le ordino freddamente. «Ma certo» borbotta, trattenendosi palesemente dall’alzare gli occhi al cielo per l’esasperazione. «Sawyer farà la spia... Ehm... Sarà di ronda, oggi?» chiede poi, lanciando un’occhiata nella direzione del povero Sawyer che arrossisce. «Sì» ribatto acido, lanciandole un’occhiataccia. «Se guidassi la SAAB sarebbe più facile» ribatte seccata, incrociando le braccia sotto al seno e girandosi a guardare fuori dal finestrino. «Sawyer avrà una macchina, e potrà portarti al tuo appartamento» le dico. Ma poi decido che sarò io a portarcela. Anche se ho già un impegno nel pomeriggio. Mentalmente mi appunto di chiedere ad Andrea di rivedere la mia agenda. «Okay. Ethan probabilmente mi contatterà in giornata. Ti farò sapere quali sono i suoi piani» dice, girandosi a guardarmi. La fisso, in completo silenzio. “Ethan ti contatterà? Dunque Ethan può contattarti quando vuole, Ana?”. La rabbia e la gelosia mi stanno fottendo il cervello, lo so. Ma non riesco a reagire in nessun altro modo. «Okay» acconsento alla fine, quando riesco a domare i miei istinti. «Da nessuna parte da sola. Mi hai capito?» le dico, facendole ondeggiare l’indice davanti al naso a mo’ di avvertimento. «Sì, caro» mormora, stringendo gli occhi a fessura. E così, dal nulla, mi spunta un sorriso. Perché ogni volta che mi sfida, mi borbotta dietro o ribatte ai miei ordini, mi ricorda perché la amo così tanto. «E magari dovresti tenere acceso il tuo BlackBerry. Ti manderò lì le mail. Così eviteremo che il tizio del mio ufficio informatico passi una mattinata interessante, okay?» le chiedo arrogante. «Sì, Christian» sbotta tra il divertito e l’esasperato, alzando gli occhi al cielo e facendomi drizzare l’uccello. Le scocco un sorriso malizioso. «Oh, Miss Steele, credo proprio che tu mi stia facendo prudere le mani» le sussurro, chinandomi fino a sfiorarle l’orecchio con le labbra. «Ah, Mr Grey, a te le mani prudono perennemente. Che cosa possiamo farci?» risponde con un sorrisetto da impudente. Rido, baciandole appena il lobo. Ma vengo distratto dalla vibrazione del mio telefono. Lo tiro fuori dalla tasca e impreco mentalmente alla vista del nome di Elena che lampeggia sul display. «Che cosa c’è?» dico non appena premo il tasto di ricezione. «Christian, tesoro» Elena resta interdetta per un attimo, ma prima che possa aggiungere qualcosa, continua a parlare con la sua voce troppo squillante per quest’ora del mattino. «Volevo solo ringraziarti per la tua disponibilità e dirti che non ho bisogno di Welch. Il biglietto è stato solo una stupida bravata di Isaac» I miei occhi si spalancano per lo stupore. «Stai scherzando...» le dico, sbigottito. «Purtroppo no, ma quello stupido me la pagherà cara. Si è comportato da idiota solo perché la scorsa settimana abbiamo discusso e gli ho fatto una scenata» «Per una scenata...» riesco a ripetere, ancora incredulo. «Quando te l’ha detto?» le chiedo, lasciandomi sfuggire un risolino. «Ieri sera, quando sono tornata a casa, l’ho messo alle strette per capire se avesse parlato con qualcuno della nostra relazione. Ovviamente... bé, conosci i miei metodi di tortura...» Per un attimo la lascivia nella sua voce mi fa venire un brivido di disagio. Elena rimane in attesa, come se si aspettasse una battuta o comunque una mia replica. Ma io resto zitto e lei si affretta a colmare il silenzio. «Comunque, per farla breve, alla fine ha confessato. Scusami se ho importunato te e la tua Anastasia, ieri sera» Mi infastidisce il modo in cui pronuncia il suo nome, ma lascio correre, affrettandomi a chiudere la conversazione. «No, non ti preoccupare. Non devi scusarti. Sono contento che ci sia una spiegazione logica. Mi sembrava un prezzo ridicolmente basso...» «Già, ma ora non sa in che guai si è ficcato» «Non ho dubbi che tu abbia pianificato qualcosa di diabolico e creativo per la tua vendetta. Povero Isaac». Sorrido, perché in effetti so di cosa è capace questa donna. Anche Elena ride, sollevata. «Se ne pentirà, credimi!» «Bene» rispondo, divertito. «Ora devo andare a lavoro. Volevo solo farti sapere l’epilogo della vicenda. Buona giornata, Christian» «Ciao» la saluto, chiudendo il telefono con un colpo secco. Mi giro immediatamente verso Ana. So che ha capito che stavo parlando con Elena. E mi aspetto che mi urli contro o che si incazzi di brutto. Eppure non riesco a trattenermi dal rilasciare il sollievo che sento alla scoperta che quella storia è finita. Sarebbero potuti risalire a me, in qualche modo. E non voglio esporre né Anastasia, né me stesso ad una tortura mediatica del genere. «Chi era?» mi chiede, fissandomi con freddezza. “Lo sai, Miss Steele. Perché torturarti?” «Vuoi davvero saperlo?» le chiedo tranquillo. Mi fissa per qualche istante, poi scuote piano la testa, girandosi a guardare fuori dal finestrino con un sospiro di sconforto. Stringo gli occhi, rendendomi conto che io al suo posto non riuscirei ad accettare la stessa situazione con passiva rassegnazione. «Ehi» le mormoro, allungando la mano e baciandole delicato ogni singola nocca. Quando arrivo al mignolo lo prendo tra le labbra e succhio forte, prima di morderlo delicatamente. Ana diventa rossa, stringe le gambe mentre il suo battito accelera. Sussulta, attraversata da un brivido di piacere, mentre lancia un’occhiata veloce agli occupanti dei sedili anteriori. Poi il suo sguardo azzurro cielo torna a poggiarsi su di me. La sua eccitazione accende la mia come un inevitabile processo di causa ed effetto. Le mie labbra si schiudono in un sorriso volutamente lento e carico di promesse carnali. “Ti voglio, Anastasia Steele. Non voglio nessun’altra. Solo tu”. «Non ti agitare, Anastasia» le mormoro. «Lei è il passato» Mentre lo dico le bacio il palmo della mano, a labbra aperte, godendo dei brividi che le scuotono il corpo. Con la coda dell’occhio mi accorgo che siamo appena arrivati alla SIP. La attiro bruscamente a me, appropriandomi di quelle labbra meravigliose che vorrei sentire addosso e dalle quali, invece, sono costretto a separarmi per tutta la giornata. La bacio a fondo, infilandole la lingua in profondità in quella sua bocca calda e accogliente. E a malincuore la lascio andare, guardandola attraversare, ancora frastornata, la porta d’ingresso dell’edificio che ospita la SIP, barcollando leggermente nel suo tubino azzurro e sui suoi sandali color crema. Quando arrivo in ufficio delego Andrea allo spostamento di tutti gli appuntamenti del pomeriggio. Poi faccio una breve riunione con Ros e finalmente ho un po’ di tempo per raccogliere le idee da solo nel mio immenso ufficio. Lancio un’occhiata all’aliante sul piedistallo e non resisto a scrivere una mail ad Ana. Da: Christian Grey A: Anastasia Steele Data: 14 giugno 2011 09. 23 Oggetto: Alba Adoro svegliarmi accanto a te la mattina. Christian Grey Amministratore delegato, Completamente e Totalmente Innamorato Cotto, Grey Enterprises Holdings Inc. Chiudo gli occhi, sorridendo mentre premo Invio. La sua risposta non è immediata come al solito e per un po’ mi lascia a tormentarmi sul fatto che la telefonata di Elena possa averla fatta innervosire. Poi, circa un quarto d’ora dopo, mentre bevo il mio terzo caffè della mattinata, ecco il trillo delle mail. Da: Anastasia Steele A: Christian Grey Data: 14 giugno 2011 09. 35 Oggetto: Tramonto Caro Completamente e Totalmente Innamorato Cotto, anch’io adoro svegliarmi con te. Ma amo essere a letto con te e negli ascensori e sui pianoforti e sui tavoli da biliardo e sulle barche e sulle scrivanie e nelle docce e nelle vasche da bagno e su certe croci di legno con manette e letti a quattro piazze con lenzuola di raso rosso e rimesse per le barche e camerette da ragazzo. Tua Sessualmente Folle e Insaziabile XX La sua mail mi manda in combustione. Per poco non mi strozzo con la mia bevanda. Gemo di frustrazione al fatto di non poterla avere qui con me. Il mio uccello si tende fino a farmi male mentre io immagino in pochi secondi ognuna di quelle situazioni descritte. “Cristo santo, Anastasia. Sei una vera tortura anche a distanza”. Da: Christian Grey A: Anastasia Steele Data: 14 giugno 2011 09. 37 Oggetto: Hardware bagnato Cara Sessualmente Folle e Insaziabile, ho appena schizzato caffè su tutta la mia tastiera. Non penso che mi sia mai capitato prima. Ammiro una donna così concentrata sulla geografia. Devo dedurre che tu mi vuoi solo per il mio corpo? Christian Grey Amministratore delegato, Completamente e Totalmente Scioccato, Grey Enterprises Holdings Inc. Un sorriso mi si disegna sul viso. É un sorriso sciocco. Il sorriso di un uomo perso d’amore per una donna. Da: Anastasia Steele A: Christian Grey Data: 14 giugno 2011 09. 42 Oggetto: Ridacchiando... bagnata anch’io Caro Completamente e Totalmente Scioccato, sempre. Devo lavorare. Smettila di importunarmi. SF&I XX Le sue parole mi eccitano ancora di più. Da: Christian Grey A: Anastasia Steele Data: 14 giugno 2011 09. 50 Oggetto: Devo? Cara SF&I, come sempre, ogni tuo desiderio è un ordine. Adoro che tu stia ridacchiando e sia bagnata. A più tardi, piccola. x Christian Grey Amministratore delegato, Completamente e Totalmente Innamorato Cotto, Scioccato e Stregato, Grey Enterprises Holdings Inc. Riduco ad icona la mia casella di posta elettronica e mi rimetto a lavoro, organizzando la relazione da presentare per l’azienda di Taiwan. All’una, nel bel mezzo della riunione con il mio team informatico, il mio telefono squilla. É Ana. Non mi chiama mai al lavoro. Rispondo immediatamente, preoccupato, interrompendo Barney e la sua spiegazione del funzionamento del nuovo sistema di sicurezza che stiamo progettando per la Grey Enterprises. «Anastasia» «Christian, Jack mi ha chiesto di comprargli il pranzo» piagnucola lei dall’altro capo del telefono. Mi rilasso completamente. «Pigro bastardo» borbotto sotto lo scrutinio attento di sei paia di occhi curiosi. «Perciò sto uscendo. Sarebbe meglio mi dessi il numero di Sawyer, così non dovrei disturbare te» mi dice, ignorando la mia lamentela. «Non è un disturbo, piccola» le rispondo con un sorrisetto, mentre l’unica donna non lesbica seduta al mio tavolo, arrossisce piano e abbassa lo sguardo. «Sei da solo?» mi chiede. «No. In questo momento ci sono sei persone che mi stanno fissando, domandandosi con chi diavolo stia parlando» le dico, divertito. «Davvero?» Ansima, facendosi prendere dal panico. «Sì, davvero. È la mia fidanzata» annuncio ai miei interlocutori, staccandomi leggermente dal telefono per farmi sentire. «Probabilmente pensavano tutti che fossi gay, sai» borbotta lei, imbarazzata. Rido di gusto alla sua battuta. «Sì, probabilmente» «Ehm... forse è meglio che vada» mi dice, impacciata. «Lo farò sapere a Sawyer» le rispondo, senza riuscire a trattenermi dal ridacchiare. Poi mi do un contegno. «Hai notizie del tuo amico?» «Non ancora. Sarai il primo a saperlo, Mr Grey» «Bene. A più tardi, piccola» le mormoro. «Ciao, Christian» la sento sorridere e immagino le sue labbra pronunciare il mio nome. Altra erezione inopportuna. Grazie mille, Miss Steele. Con un leggero sospiro mando un messaggio a Sawyer e riprendo la riunione con un umore decisamente alle stelle. Circa due ore più tardi, mentre sono immerso nelle scartoffie che si accumulano sulla mia scrivania, mi arriva una mail di Ana. Da: Anastasia Steele A: Christian Grey Data: 14 giugno 2011 14. 55 Oggetto: Ospiti da terre assolate Carissimo Completamente e Totalmente ICS&S, Ethan è arrivato e sta venendo qui a prendere le chiavi di casa. Mi piacerebbe molto assicurarmi che si sistemi bene. Perché non passi a prendermi dopo il lavoro? Possiamo andare all’appartamento, poi TUTTI fuori a mangiare, magari? Offro io. Tua, Ana X Sempre SF&I Anastasia Steele, Assistente di Jack Hyde, Direttore editoriale, SIP La mail non è stata inviata dal suo telefono, però. Stringo forte le labbra, contrariato. “Perché non riesci mai a fare come ti si dice, Ana?” Da: Christian Grey A: Anastasia Steele Data: 14 giugno 2011 15. 05 Oggetto: Cena fuori Approvo il tuo piano. Eccetto la parte in cui vuoi offrire! Offro io. Passo a prenderti alle sei. x PS: Perché non stai usando il tuo BlackBerry?! Christian Grey Amministratore delegato, Completamente e Totalmente Contrariato, Grey Enterprises Holdings Inc. Da: Anastasia Steele A: Christian Grey Data: 14 giugno 2011 15. 11 Oggetto: Prepotenza Oh, non essere così scontroso e irritabile. È tutto in codice. Ci vediamo alle sei. Ana X Alzo gli occhi al cielo. Che impertinente! Sospiro e non riesco a fare a meno di sorridere. Ho il sentore che mi sfiderà fino alla fine dei miei giorni. Morirò assistendo alla scena di lei che disobbedisce un altro dei miei ordini. Da: Christian Grey A: Anastasia Steele Data: 14 giugno 2011 15.18 Oggetto: Donna Impossibile Scontroso e irritabile! Te lo do io lo scontroso e irritabile. E non vedo l’ora. Christian Grey Amministratore delegato, Completamente e Totalmente Più Contrariato, ma Sorridente per qualche Sconosciuta Ragione, Grey Enterprises Holdings Inc. Da: Anastasia Steele A: Christian Grey Data: 14 giugno 2011 15.23 Oggetto: Promesse. Promesse Fatti sotto, Mr Grey. Anch’io non vedo l’ora. :D Ana X Anastasia Steele Assistente di Jack Hyde, Direttore editoriale, SIP Rimano un bel po’ a rileggere quest’ultima mail. L’altro giorno è stato fantastico sperimentare di nuovo con lei determinate cose. E ieri è stato... bé è stato sublime, perfetto per certi versi. Ma fino a dove riuscirà a sopportare per me? Mi passo una mano nei capelli, scompigliandoli leggermente, con un’unica certezza. “Questa donna mi manderà al manicomio”. Decido di lasciar perdere per il momento. Ne va della mia salute fisica e mentale. Mi rituffo a capofitto nel lavoro fino a quando non è ora di andare. Saluto con un gran sorriso Andrea e Olivia, che rischia di svenire, e per un attimo mi crogiolo nella sensazione della consapevolezza di non aver perso il mio fascino. Le donne mi cadono ancora ai piedi. Ma Anastasia riesce a trascinarmi con sé. Il pensiero di rivederla e stringerla di nuovo tra le braccia mi fa eccitare come un bambino al suo primo giro alle giostre. Passo per l’Escala per una doccia veloce. Mi cambio velocemente, mettendomi più comodo, e poi riparto insieme a Taylor per la SIP. Quando arrivo prendo il telefono e la chiamo. «Scontroso e Irascibile arrivato» dico quando risponde, con tono scherzoso, sorridendo anche se so che non può vedermi. Me la immagino illuminarsi e mordicchiarsi quel labbro carnoso. «Bene, qui Sessualmente Folle e Insaziabile. Immagino che tu sia fuori» mi risponde saputella. Abbasso volutamente il tono di voce, aggiustandomi sul sedile. «Lo sono, infatti, Miss Steele. Non vedo l’ora di vederti» Sento il suo respiro mozzarsi. É bello vedere che dopo tutto quello che è successo le faccio ancora lo stesso identico effetto che le ho fatto la prima volta che ci siamo sentiti al telefono. «Idem, Mr Grey. Arrivo subito» Chiude la comunicazione, lasciandomi in trepidante attesa a tamburellare con un piede a terra. Due minuti dopo la vedo uscire dalla porta, con un gran sorriso. Scendo, mentre lei si avvicina all’Audi. Il suo sguardo si posa sul mio corpo, famelico, e vorrei solo che invece di doverci sorbire una serata in compagnia del fratello della sua amica rompipalle, potessimo congedare Taylor e scopare sul sedile della mia Audi. Le sorrido e lei fa lo stesso. Sembriamo due completi idioti. Ma felici. Il petto mi si gonfia per la felicità e credo che l’effetto su di lei sia lo stesso. Oppure sono io che continuando a fissarle le tette me le immagino più grosse. Non lo so. So solo che la voglio, che è desiderabile come non mai, splendida in tutto. «Miss Steele, sei affascinante proprio come stamattina» le sussurro mentre la attiro a me, cingendola con le braccia e baciandola selvaggiamente. E spero proprio che, da dietro a quella porta, quel depravato del suo capo ci veda. «Anche tu, Mr Grey» mi sussurra contro le labbra, prima di rubarmi un altro bacio veloce. «Andiamo a prendere il tuo amico» le dico, carezzandole il naso con un dito, prima di darle un colpetto veloce e prenderla per mano. Le apro la portiera, lasciandola salire. In auto la nostra felicità non si dissolve. Parliamo della nostra giornata lavorativa, scherziamo, ridiamo. Poi le passo il foglio che Andrea mi ha premurosamente stampato questa mattina. «Questi sono gli orari in cui Claude è libero questa settimana» le dico, sorridendole piano. Ana guarda il foglio sorpresa, poi lo prende e lo scruta meglio. Il mio telefono squilla all’improvviso e nello stesso istante Taylor parcheggia sotto l’appartamento di Ana. É Ros, quindi sono obbligato a rispondere. «Grey. Ros, cosa c’è?» «C’è che è successo un casino, Grey» Mentre cerco di afferrare i dati che Ros mi snocciola al telefono, noto di sfuggita Ana che parla e mi fa cenno, per poi scendere dall’auto. «Abbiamo fatto un’analisi aggiuntiva questo pomeriggio. E Taiwan non sembra la soluzione migliore, Grey. Potrebbe andarci sfacciatamente bene o disastrosamente male» «Credi che non l’abbia previsto, Ros. Senti, ho un nuovo prospetto a cui sto lavorando da qualche giorno. Più tardi te lo invio per mail. Ne discutiamo domani» Dopo averla ascoltata discutere ancora per un minuto di rischi e conseguenze, di atti scellerati ed inopportuni, riesco a chiudere la conversazione. Mi giro e non scorgo Anastasia. É scesa dall’auto da troppo tempo. E non mi va che stia da sola in quell’appartamento con un uomo. Non riesco a sopportarlo. Apro la portiera e mi blocco a metà, mentre uno strano senso di disagio mi fa rabbrividire. Quasi in trance mi rivolgo a Taylor. «Salgo nell’appartamento. Se non mi faccio sentire tra due minuti esatti, seguimi». Capitolo 16 Faccio appena in tempo a girarmi che scorgo Ethan Kavanagh che, a passo lento e tranquillo, si avvicina al portone, cercando le chiavi. «Merda!» sibilo, sentendo crescere la sensazione di paura. Non ho neppure bisogno di dire a Taylor di scendere dall’auto. É già fuori e mi fa un cenno di intesa. Ci precipitiamo verso Ethan. Spalanca appena la bocca, mentre gli strappo le chiavi di mano e apro furioso il portone. Mi precipito di sopra, lasciando a Taylor il compito di impartire ordini. Il cuore mi palpita ad un ritmo serrato. “Ana, la mia Ana. Fa che non le sia capitato nulla. Per favore, per favore. Non posso perderla”. Le scale sembrano non finire mai, tutto intorno a me si muove a rallentatore, mentre sento il suono incessante del sangue che mi ronza in testa. Lo so, lo so che Leila è qui. Lo sento dal gelo che mi ha invaso le vene non appena ho messo piede fuori dall’auto. Riesco appena a percepire i passi di Taylor dietro di me. Quando arrivo al piano giusto mi precipito, spalancando la porta con un tonfo secco. Ed eccola. In piedi, dietro l’isola in cemento con in mano una tazza. Deglutisco a fatica, sollevato di trovarla intera. Poi il mio cuore sprofonda quando il mio sguardo si posa sulla canna della pistola che le viene puntata contro. La mano che la stringe è familiare ed estranea al tempo stesso. Pallida, smunta. Risalgo lungo il braccio calibrando attentamente la tensione dei muscoli che, seppure minima, c’è. Potrebbe sparare da un momento all’altro. Potrei perdere tutto da un momento all’altro. I miei occhi la fissano, ora. Sono furioso e allo stesso tempo imploro affinché vi legga una preghiera. Leila mi guarda, ma il suo sguardo è vuoto, confuso. Gli occhi appannati, un cappotto logoro che le copre quello che rimane del suo corpo esile. I capelli sporchi, appiccicati alla fronte. Stento a riconoscerla. Ma so che è colpa mia se si trova in questo stato. Quando mi mette a fuoco i suoi occhi si spalancano per un attimo e la sua mano si stringe con maggiore forza attorno alla pistola. Avverto la tensione di Anastasia, mentre il mio cuore si blocca. “Ok, Christian. Devi farla sparire di qui. Ora!”. Con la coda dell’occhio scruto la stanza, in cerca di ispirazione e, quando sto per perdere ogni speranza, è Leila stessa che mi fornisce la chiave di tutto su un piatto d’argento. China leggera il capo, guardandomi da sotto le ciglia scure. É un attimo. Capisco. Posso salvare Anastasia solo in un modo. Non sono sicuro che quello che farò non la ferirà allo stesso modo in cui potrebbe ferirla Leila se sparasse. Ma so che è l’unica possibilità che ho. Sento Taylor che si sposta dalla soglia, ma lo blocco subito, alzando un mano. Sento il suo sguardo addosso e un ringhio basso provenirgli dal petto, ma non mi importa. Ho un solo obiettivo. Anastasia. Deve andarsene di qui. Devo metterla al sicuro. Fisso il mio sguardo in quello di Leila e, lentamente, mi estraneo dal resto del mondo. Faccio fatica, ma devo. Metto a frutto anni di insegnamento di Elena. Ho un solo pensiero fisso. Salvare la donna che amo, la donna che mi ha aiutato a mettere da parte quello che ero un tempo. E, per farlo, devo tornare ad essere quello che ero un tempo. Raddrizzo piano le spalle, assumendo un’espressione dura. Leila non mi conosce in nessun altro modo che in questo. Mi ha sempre e solo visto così. É quello che conosce di me, quello che la rassicurerà in questo momento. Probabilmente ha avuto modo di vedermi con Anastasia, probabilmente il mio comportamento l’ha confusa. Sa che con Ana non sono mai stato così duro. Rivedere questo lato di me la farà sentire tranquilla, come se io fossi tornato da lei. I nostri occhi sono incollati, fissi gli uni negli altri e percepisco la sua eccitazione anche a distanza. Alzo leggermente il mento, squadrandola con freddezza, con autorità, senza trattenere la consapevolezza del potere che ho su di lei e sul suo corpo. La sensazione di fastidio, il senso di colpa mi attanagliano lo stomaco. Ma devo continuare questa assurda sceneggiata. Devo farlo per lei. Non c’è verso di farlo in altro modo. É l’unica occasione che ho. La tensione tra me e Leila cresce sempre di più. Sono certo che anche Ana riesce a percepirla. E sono certo che mi starà odiando in questo momento. Sta vedendo quello che sono, quello che mi porto dietro. Sta assistendo a qualcosa che nessuno di noi riuscirà a dimenticare. Faccio uno sforzo per non distogliere lo sguardo da Leila. Fisso i suoi occhi scuri e mi placo, mi calmo. Deve capire di essere al sicuro. E, soprattutto, di essere in mio possesso. D’istinto Leila schiude le labbra, eccitata, e sulle sue guance si diffonde un leggero rossore.”Ci siamo”. Faccio un unico passo in avanti, senza interrompere mai il contatto visivo con lei. “Sei inizi, puoi finire solo pronunciando la safeword. Ricordalo, Leila”. Lo sa. Lo sa perché sono stato io a dirglielo. E io so che, una volta riconosciutomi come suo Padrone, non farà nulla che non le venga ordinato senza prima pronunciare quella cazzo di safeword. Non è giusto quello che le sto facendo. Il mio è un crudele infierire su una donna malata, instabile. Ma se serve a salvare la donna che amo, allora me ne fotto del mondo intero, di Leila, del suo squilibrio, della sua pazzia e di tutto il resto. Può anche sparare a me. L’importante è che Ana si metta in salvo da tutto questo fottuto casino. La fisso intensamente, trovando dentro di me il coraggio per fare quello che devo fare. Per darle l’ultimo colpo di grazia. «Inginocchiati» Lo dico, lo sussurro a fior di labbra, ma la voce si rifiuta di uscire. Non so neppure se Leila mi abbia sentito. Ma, quasi simultaneamente, l’effetto su di lei è immediato. Abbassa le braccia e si lascia cadere sulle ginocchia leggermente divaricate, con il capo chino. Eccola. Leila la Sottomessa. La Leila che conosco. L’unica Leila che io abbia mai voluto conoscere. Mi rilasso leggermente, guardando la pistola scivolatale dalla mano e che ora giace a terra. A passi misurati raggiungo l’arma, chinandomi a raccoglierla malvolentieri. La guardo per un attimo, disgustato, mentre un brivido mi percorre la schiena. Mio malgrado sono costretto ad infilarla nella tasca della giacca per evitare che se ne riappropri. Anche se so che da quella posizione non si muoverà fino a che non sarò io a dirlo. La scruto dall’alto, mentre tutta la rabbia che mi porto dentro rischia di esplodere da un momento all’altro. Riesco a vedere solo una fottuta psicopatica che voleva uccidere la mia Ana. Realizzo che lei è ancora qui, in questa stanza. “Non odiarmi. Anastasia non odiarmi per quello che ti ho appena costretto a subire. Non odiarmi per tutto il male che so di averti appena inflitto. Io non sono così. Grazie a te non sono più così”. Devo fare violenza a me stesso per non correre da lei e stringerla forte e sussurrarle che è tutto ok, che va tutto bene, che io la proteggerò contro tutti. Ma non posso continuare a saperla qui. Devo sistemare le cose con Leila. Mi impongo una freddezza che non riesco a sentire. Non quando parlo con lei. O di lei. «Anastasia, va’ con Taylor» le ordino. A quelle parole Taylor oltrepassa finalmente la soglia, entrando nell’appartamento. «Ethan» sussurra lei, spaventata. «Al piano di sotto» le rispondo con distacco, senza guardarla. Guardo Leila. Deve sentirsi al sicuro, deve sentirsi mia. Anche se non lo è. Io non potrei mai volerla. Non dopo Anastasia. Sento un sospiro di sollievo provenire dalle labbra di Ana. Ma nessun movimento. Non ha intenzione di andarsene. “Maledizione!”. «Anastasia!» urlo, severo. Riesco a percepire solo il suo respiro mozzato. E il suo sguardo addosso. E posso solo immaginare lo strazio che l’immagine di me, in piedi come un potente imperatore, e Leila, pateticamente in ginocchio in attesa di ordini, deve provocarle. Mi avvicino a Leila, allontanandomi di più da Anastasia. Ed è tutto in questa sensazione. Capisco tutto, fino in fondo. Ho davanti il mio passato e alle spalle il mio futuro. É innaturale, è sbagliato. Se potevo ancora avere un minimo dubbio, eccolo dissiparsi in questo momento. Io amo lei. Io posso amare solo lei. Posso e voglio avere solo lei. «Per l’amor di Dio, Anastasia, vuoi fare quello che ti viene detto per una volta nella vita?» non riesco a non guardarla, e per fortuna la posizione in cui mi trovo ora non permette a Leila di vedermi. La fisso con rabbia. “Come puoi essere così stupida, Ana? Scappa. Scappa da tutto questo”. E all’improvviso mi rendo conto che potrebbe decidere di scappare anche da me. Dentro di me mormoro una preghiera silenziosa, che spero non resti inascoltata. “Ti prego. Ti prego. Ti prego. Sei tutto quello che ho. Sei tu, solo tu. Sei l’unica. Non odiarmi, non lasciarmi. Ti prego”. Ma nei suoi occhi vedo farsi strada il risentimento per il mio tono, la rabbia, la frustrazione, l’impotenza mentre con lo sguardo fa un’altalena tra me e la donna in ginocchio ai miei piedi. Non posso permettere che veda oltre. «Taylor, porta Miss Steele di sotto. Ora» ordino con un ringhio furioso. Taylor si limita ad annuire, mentre gli occhi azzurri di Anastasia non mi abbandonano, scavandomi a fondo dentro. «Perché?» sussurra smarrita. “Perché ti amo. Perché ti amo sciocca e testarda di una donna”. «Vai. Torna al mio appartamento» le dico fissandola intensamente. «Ho bisogno di restare da solo con Leila» le dico in fretta, cercando di farle capire che in realtà ho bisogno di restare da solo con lei, non con Leila. Ma devo essere sicuro che non possa più farle del male prima. Anastasia mi fissa e per un attimo sembra capire il mio messaggio sottinteso. Poi i suoi occhi si spostano nuovamente su Leila e il panico la scuote. “No! No, no, no! Anastasia come puoi solo pensare che io desideri questa donna?”. Faccio cenno a Taylor che le si avvicina. «Miss Steele. Ana» Le tende la mano, ma lei è immobile, angosciata e il cuore mi si spezza in due a vederle quella sofferenza sul viso. Continua a guardare me e la mia vittima sacrificale, come se si aspettasse di vedermi scoparla qui, davanti a lei, per mostrare al mondo quanto sono crudele. «Taylor» lo incalzo, stringendo le labbra fino a farle quasi illividire. “Trascinala per i capelli se è necessario, cazzo! Ma portala via di qui!”. Taylor sembra leggermi nella mente, perché si china e prende Ana tra le braccia, portandola fuori di peso, mentre lei non mi toglie gli occhi di dosso. Non riesco a reggere l’intensità del suo sguardo. Mi volto e faccio un sospiro. “Non rendere tutto vano. Devi occuparti di Leila ora”. Mi avvicino allo spettro della ragazza che era una volta Leila. Sulle labbra le aleggia un sorriso sereno. Lo conosco. So perché sorride. Sa che sono qui per lei ora. «Mi prenderò cura di te» sussurro, accarezzandole piano la testa, mentre l’angoscia mi stritola l’anima. É la mia penitenza. Ho una nuova possibilità per rimediare agli errori che ho commesso. Almeno con lei. Le tendo la mano. «Alzati, Leila» Il mio tono mi disgusta. Leila prende la mia mano, reggendosi a malapena sulle gambe mentre si rialza. Resta in silenzio, aspettando istruzioni precise. Come sempre. Come allora. Non posso farmi prendere dal panico proprio ora. La sorreggo, incamminandomi con lei verso il bagno. «Ora faremo un bagno, Leila» le dico, senza riuscire a trattenere il tormento nella mia voce. Lei annuisce piano, debolmente. «Sì, padrone» sussurra. Quell’appellativo mi fa sbiancare, le gambe rischiano di cedermi. Accuso il colpo, come se mi avessero appena colpito ripetutamente allo stomaco. Mi tornano in mente le parole di Elena. “Non ti manca... la tua Stanza dei Giochi?”. E poi mi giro a guardare Leila. Il suo sorriso sereno, il rossore sulle sue guance. “Padrone”. É questo che sono per lei. Il suo Padrone. Colui che provvede alle sue necessità, ai suoi desideri. Colui che ha il potere di darle piacere o negarglielo. Sono il suo Padrone. Non sono Christian, non sono il suo Mr Cinquanta Sfumature, non sono il suo fidanzato, non sono quello che la fa arrabbiare per poi fare pace distesi sul coperchio del mio pianoforte. Non sono l’uomo che le fa illuminare il viso di piacere, di gioia, d’amore. Sono solo un povero stronzo che l’ha umiliata, scopata, ridotta ad uno straccio. E lei... lei, semplicemente, non è Anastasia. Lei e tutte le altre non mi hanno mai fatto battere il cuore fino a farmelo sentire, non mi hanno mai scatenato il tumulto di emozioni che mi provoca quel piccolo tornado dagli occhi blu. Non mi hanno mai tirato fuori l’amore, nessuno c’è mai riuscito. Nessuno. Solo lei. Solo Anastasia. Quella consapevolezza è l’unica cosa che mi permette di continuare ad occuparmi di lei. Forse non mi perdonerà per quello che ha visto prima, ma è sicuro che non mi guarderebbe in faccia se sapesse che l’ho lasciata in questo stato. Ana è buona, è pura. E io posso solo imparare da lei. Mi chino ad aprire l’acqua della vasca, assicurandomi che sia della giusta temperatura. Verso del bagnoschiuma, mentre aspetto che si riempie. Mi tolgo la giacca, piagandola con cura e poggiandola sul ripiano della lavatrice. Sospiro, voltandomi verso la ragazza bruna alle mie spalle. «Spogliati, Leila» Il suo corpo reagisce con un tremito. Lo so come si sente. Si sente voluta, desiderata. Dopo tutto quello che ha passato forse è un sollievo sentirsi così. E io, invece, mi sento ancora più meschino. Alza un braccio, poggiandolo su uno dei bottoni del trench sgualcito e lurido. Ma l’arto ricade pesantemente. É troppo debole. Mi sbottono i polsini della camicia, arrotolandomi le maniche fin sui gomiti. Mi avvicino, mentre lei sussulta, probabilmente aspettandosi una punizione per non essere riuscita a portare a termine un semplice compito. Un fottuto, semplice compito. Le slaccio velocemente i bottoni, gettando il trench a terra. Le sfilo metodico la maglietta sporca, il reggiseno, i jeans e gli slip. I miei occhi si poggiano sul suo corpo. Ma quello che provo non è neppure lontanamente simile al desiderio. É disprezzo. Per me stesso. Perché Leila è solo il risultato di quello che io faccio alle donne. Rappresenta il modo in cui avrei potuto ridurre Anastasia. ‘E sei proprio certo che non lo farai, Grey?’. Chiudo piano gli occhi, poi li riapro, chinandomi per chiudere l’acqua. Le prendo la mano e la faccio entrare nella vasca, lasciandola accomodare. Lo sguardo di Leila si posa sulla mia camicia, poi di nuovo sulle mie mani. Non osa guardarmi negli occhi. Come potrebbe. Non le ho mai dato il permesso. «Guardami, Leila» le ordino, mentre annego nel mio stesso dolore. Lei sussulta. Poi obbedisce. I suoi occhi sono spenti, vitrei. Mi guarda. Qualche goccia che esce solitaria dal rubinetto della vasca interrompe di tanto in tanto il silenzio che ci avvolge. E poi, all’improvviso, distoglie lo sguardo. Ha capito. Ha capito tutto. Mi rilasso impercettibilmente e inizio a lavarla, mentre lei resta inerme. Passo la spugna sul suo corpo, delicatamente, come se temessi di renderla ancora più fragile. «Il Padrone è oscuro... al Padrone piacciono le obbedienti come me... e come lei» Quelle parole vanno dritte in profondità. La nausea mi colpisce all’improvviso e per un attimo sono tentato di vomitare. Poi Leila parla di nuovo. «Cos’ha lei... che io non ho?» chiede in un sussurro. Mi fermo, senza guardarla. Fisso l’acqua, diventata più torbida. Mi alzo e mi avvicino al lavandino. Afferro una bacinella e la riempio d’acqua calda. Poi torno da lei e le sciacquo i capelli lunghi e scuri. «Lei ha me» sussurro piano, senza essere neppure sicuro di averlo detto ad alta voce. In silenzio finisco di lavarla, assicurandomi che sia pulita fino in fondo. Vorrei poter ripulire allo stesso modo la mia e la sua anima, cancellare il dolore che ho inflitto a lei e a me stesso. E anche ad Anastasia. Ma non posso. Non è così semplice. Quando sono certo di aver terminato l’aiuto ad alzarsi. Leila è rimasta in silenzio per tutto il tempo. Ancora ora sta zitta, inerme. Mi tocca sollevarla di peso dalla vasca e portarla in camera di Anastasia, adagiandola sul letto dove solo pochi giorni fa ho fatto l’amore con la mia ragazza. Torno veloce in bagno a svuotare la vasca e prendere un pettine ed il phone. Trovo anche degli asciugamani puliti e li porto con me. Tampono delicatamente il suo corpo, fino ad asciugarlo. Poi le sollevo la testa e passo ai capelli, tamponando e asciugandoli, per avvolgerli, infine, in un telo bianco di spugna. Mi alzo dal letto e mi dirigo verso i cassetti e l’armadio che contengono gli abiti e la biancheria di Anastasia. Scelgo un completino semplice, di pizzo bianco e dall’armadio prelevo i pantaloni di una tuta e una maglietta bianca. Delicatamente, come se fosse una bambola di porcellana, la vesto. É un gesto così intimo da fare con una donna, ma io mi sento come se mi fossi estraniato dal mio corpo. Come se mi stessi osservando da fuori. E quello che vedo fa male, perché so che farebbe male a lei. Stoicamente resisto accanto a lei, prendendola di nuovo in braccio e facendola sedere sulla poltrona lì accanto. Inizio ad asciugarle i capelli, metodico, stando bene attento a non lasciarne neppure una ciocca bagnata. I miei pensieri, senza che possa farci nulla, iniziano a divagare. Mi ricordo com’era avere Leila a disposizione. Mi ricordo lei in ginocchio, a quattro zampe, legata a lasciarsi frustare nella mia Stanza dei giochi. Ricordo le lacrime che le solcavano il viso, portando con sé il mascara. Solchi neri, profondi, che ricalcavano quelli rossi e altrettanto profondi che io le avevo lasciato sulla schiena, sulle gambe, sul culo. E sotto quel fiume nero, le sue labbra sorridenti e appagate. Perché era quello che voleva. Leila era una perfetta Sottomessa. Sempre pronta a compiacere, a gratificare. E lei stessa si sentiva gratificata dal piacere che le procuravo. Avrei potuto farla distendere a terra davanti l’uscio di casa e usarla come zerbino. Lei sarebbe stata felice di accontentarmi, di compiacermi. Il pensiero è sgradevole ora. Ho usato molte donne come ho usato Leila. E tutto perché avevo una smania di vendicarmi di mia madre. Perché? Ricordo che da piccolo volevo proteggerla. Poi, nel tempo, dopo Elena, quel desiderio si è trasformato in voglia di vendetta. Lei non si era lasciata proteggere da me. Lei subiva passivamente le percosse, i pugni, le violenze a cui la sottoponeva quel lurido porco. Allora, forse, era quello di cui aveva bisogno. Era quello. Era quello e poi la sua dose. Lo faceva per essere premiata. Lo faceva per raggiungere il suo scopo, il suo piacere. Allora forse ero io quello sbagliato. Forse ero io a non capire che nella vita si deve sopportare per ricevere in cambio quello di cui abbiamo bisogno. Era quello che avevo fatto con Elena. Avevo accettato che lei mi trattasse alla stregua di un manichino, che mi violasse, che mi picchiasse. E poi che mi desse quello che volevo, quello di cui avevo bisogno per andare avanti. Che placasse la sete e la fame dei miei ormoni imbizzarriti. E, a mia volta, avevo dato ad altre quello che era stato dato a me. Nello stesso identico modo. Non siamo forse tutti così, a questo mondo? Non abbiamo forse bisogno tutti delle stesse cose? Ne avevo avuto la prova con mia madre. E sceglievo ragazze che le somigliavano per vendicarmi di avermi tolto la mia smania di proteggerla, di avermi fatto nascere per abbandonarmi. Ma poi... poi era arrivata lei. Era entrata nel mio ufficio, inciampando e cadendo goffamente a terra. E quando si era rialzata, aveva trascinato anche me dal fondo dell’abisso in cui ero sprofondato. Ora riuscivo a capirlo perfettamente. Ero sempre stato suo. Sempre. Dal primo sguardo, dal primo tocco della sua mano. Gli ero appartenuto sin dall’inizio. Dal primo all’ultimo bacio. Non ero mai stato in grado di riversare su di lei quella violenza, di associarla ad una parte della mia vita tanto oscura. Di associarla ad una persona che mi aveva ferito così tanto. Lei mi aveva ferito, sì, ma Anastasia mi aveva salvato. Dall’abisso del mio passato, dalla violenza, da tutto. E l’unica volta in cui avevo provato a ferirla sul serio, per lasciarmi tutto alle spalle, era stato lacerante. Ma avevo finalmente capito. Volevo lei. Volevo solo lei. Avrei sempre voluto solo lei. Perché le appartengo. É la signora del mio universo. Chiudo gli occhi, sospirando a fondo. Faccio alzare Leila e la adagio di nuovo sul letto di Anastasia. Torno in bagno a recuperare la mia giacca e il cellulare. Il telefono squilla due volte prima che qualcuno si decida a rispondere. «John, sono io. Ho trovato Leila. Ha bisogno del tuo aiuto» Flynn si mette immediatamente in moto. Lascio alla sua segretaria l’indirizzo di Anastasia e torno da Leila. É distesa sul letto, inerme, lo sguardo perso nel vuoto. Mi siedo sul bordo, accanto a lei, prendendole una mano tra le mie. «Mi dispiace, Leila. Mi dispiace così tanto» mormoro angosciato. Questo non cancellerà quello che le ho fatto, lo stato in cui l’ho ridotta. Ma ho bisogno di chiederle scusa. «Io... io sono stato così crudele con te. Ma ora sono qui. Ti aiuterò, te lo prometto. Non ti lascerò sola. Mi assicurerò che tu stia bene» Sorprendendomi, lei si gira a guardarmi, fissando i suoi occhi marroni nei miei. Le sue dita stringono le mie, poi mollano la presa, esauste. «Io non volevo... non volevo... non volevo... Lei... lei è come me. Però parla» sussurra. Poi scatta all’improvviso, rannicchiandosi in posizione fetale sul letto e continuando il suo mantra. «Non volevo, non volevo, non volevo» Si dondola, stringendosi le ginocchia. La fermo, mentre il dolore si propaga ad ondate nel mio corpo. «Leila... Leila, calmati» Ma lei continua. «Lei parla... lei dorme nel letto del Padrone... lei lo fa ridere... lei non è come me, come le altre, non è come noi.. lei è diversa... lei parla» «Sì, lei parla» dico, sospirando e lasciando ricadere le braccia. Anche lei si ferma, guardandomi. «Lei parla, Leila, perché non ha bisogno di me per farlo. Lei è forte, indipendente. Non è la mia Sottomessa. Non lo è mai stata. É la mia fidanzata, la donna che amo. Anche tu avevi un fidanzato, ricordi? Te lo ricordi, Leila?» I suoi occhi diventano grandi, pieni di paura. «Lui non c’è più... Sono sola... sola...» «No, non lo sei. Lo sei stata, ma io non ti lascerò sola. Mi prenderò cura di te. Mi assicurerò che tu stia bene» La suoneria del mio telefono ci interrompe. É Flynn. Apro la porta e mi trovo davanti lui, un’infermiera e Taylor. Li faccio entrare e gli indico la stanza di Anastasia. Poi fermo Taylor. «Dov’è Anastasia?» chiedo ansioso. «É andata a bere qualcosa e poi a casa, insieme a Mr Kavangh» risponde fissandomi. «Cosa cazzo ti è saltato in mente?» urlo. «Dovevi accompagnarla tu! Cristo santo, Jason! Era sconvolta!» Per la prima volta da quando lo conosco, Taylor mi guarda negli occhi sfidandomi quasi. «Giusto, Mr Grey, era sconvolta. Era talmente sconvolta che ho pensato che avrebbe voluto sfogarsi con qualcuno. E di certo non l’avrebbe fatto con me» Lo fisso con rabbia, ma so che ha ragione. Stringo forte le labbra, mentre con un moto esasperato raggiungo la stanza nella quale Flynn e l’infermiera stanno visitando Leila. «John...» mormoro, senza riuscire a distogliere lo sguardo dal braccio di Leila nel quale è infilato un ago al momento. «É solo un calmante, Christian» mi dice rassicurandomi «Ho chiamato una clinica qui a Seattle. La porteremo lì per una visita più approfondita e, stasera stessa, la trasferiremo in una struttura psichiatrica a Fremont. Stai tranquillo» aggiunge, dandomi una pacca sulla spalla e sorridendomi comprensivo. «É colpa mia, John...» mormoro senza riuscire a distogliere lo sguardo da lei. «Sai che non è così, Christian» Lo so? Forse. Ma forse in parte è davvero colpa mia. «Voglio aiutarla. Le ho promesso che mi sarei preso cura di lei» «Bene. Ora dobbiamo portarla via di qui» Ci adoperiamo per portarla giù, ma quando cerco una giacca per coprirla, non la trovo da nessuna parte. Ana ha portato via gli abiti per trasferirsi da me. Decidiamo di avvolgerla in un lenzuolo. Leila è scossa dai tremiti e mi occupo io stesso di portarla di sotto. Saliamo nell’auto di Flynn e partiamo verso la clinica, mentre Taylor torna all’Escala per occuparsi di Anastasia. In auto continuo a tenere Leila in braccio. Ora dorme, come una bambina. É fragile. Non riesco a staccare gli occhi dal suo viso segnato dal dolore e dalla solitudine. Da tutto quello che le ho fatto. «Non è colpa tua, Christian» La voce di Flynn penetra la nebbia che mi avvolge. Lo guardo, cercando di convincermi che la compassione che gli leggo negli occhi la merito. Ma non ci riesco. «Avrei potuto ridurre anche Anastasia in questo stato» mormoro, come se fossi in trance. «Non avresti potuto. Tu ami Anastasia. E lei ti ama. La vostra relazione e’ stata qualcosa di profondo sin dall’inizio, diverso dal contratto che avevi con le tue partner precedenti. Tu lo sai. E anche lei credo lo sappia, anche se la sua autostima andrebbe rinforzata per bene» Sorride e mi trovo a ricambiare. Il tragitto non è lungo e quando arriviamo ho appena consegnato Leila nelle mani degli infermieri della clinica quando sento il mio BlackBerry squillare. Rispondo in automatico, mentre fisso i due uomini che la portano via. «Grey» «Mr Grey, Ana non è all’Escala» Le parole di Taylor mi colpiscono dritte al cuore come una coltellata. Il dolore è così forte che quasi mi piego in due. Devo essere bianco come un cadavere perché Flynn si avvicina per sorreggermi. «Che cazzo vuol dire che non è all’Escala?» sibilo. «L’ho cercata in tutte le stanze e il portiere non l’ha vista entrare» No. No, no, no. Se n’è andata. É fuggita via da me. Mi ha lasciato di nuovo. La voce non riesce ad uscire, non ce la fa. Sono immobile, mentre sento Flynn dire qualcosa. Ma non riesco a capire cosa... sento solo una voce lontana. E poi un’altra che vi si sovrappone. «Mr Grey... Mr Grey è ancora lì?... Mr Grey... Christian?» la voce di Taylor finalmente riesce a scuotermi. «Devi trovarla. Devi trovarla o ti riterrò personalmente responsabile, Jason» ringhio contro la cornetta, mentre Flynn mi osserva con la fronte corrugata. «Mr Grey, io esco a cercarla. Lei torni qui all’Escala, nel caso si faccia viva» «Rintraccia il suo cazzo di BlackBerry se è necessario, ma cerca di trovarla!» «Il suo telefono è nell’Audi, Mr Grey. Miss Steele non ha portato la borsa con sé» «Fai il giro del mondo, Taylor, non me ne fotte un cazzo. La rivoglio indietro! Non avresti dovuto lasciarla andare da sola!» urlo nella cornetta, chiudendo la conversazione. Mi passo una mano nei capelli, mentre il mio piede destro fatica a stare fermo a terra. «Christian, cosa succede?» mi chiede Flynn con calma. Come cazzo fa? Come cazzo fa a restare impassibile di fronte a tutto? «Anastasia non è a casa. É andata via insieme con il suo amico, prima. E... non è tornata a casa» farfuglio in preda al panico. «Calmati, Christian. Questo non vuol dire che ti abbia lasciato. Avrà avuto bisogno di schiarirsi le idee» Lo guardo e per un attimo mi concedo il lusso di sperare. «Dovresti tornare a casa» continua. «Ci occuperemo noi di Leila. Stasera stessa la trasferiremo a Fremont» Annuisco, nervoso e sconfitto. «Devo tornare a casa. Potrebbe tornare» sussurro, guardando le pareti di un grigio squallido e triste. Saluto in fretta Flynn ed esco in strada, fermando un taxi. Salgo e do all’autista l’indirizzo dell’Escala. Il mio cuore batte all’impazzata. “Non può avermi lasciato. Non può. Ana non puoi aver creduto che io volessi Leila”. ‘Davvero, Grey? Davvero pensi che lei non ci abbia creduto? E se invece avesse visto quello che in realtà sei?’. Stringo forte gli occhi, poggiando la testa contro il sedile. Mi passo entrambi le mani nei capelli, e conto ogni singolo secondo che mi separa dal mio appartamento, alimentandomi con la speranza di trovarla dentro una volta arrivato. Ma quando spalanco finalmente la porta e percorro il corridoio, quello che vedo è il buio. L’oscurità. Sono di nuovo solo. Nella mia torre sospesa sulle nuvole. Sorrido amaro. Una volta l’ho sentita definirlo in questo modo il mio appartamento. La sconfortante sensazione di essere di nuovo solo contro il mondo mi fa venire voglia di spaccare qualcosa. Mi tiro forte i capelli con le dita, cercando di domare la rabbia, la frustrazione e più di tutto il dolore. Un dolore tanto forte e acuto che mi sembra di sentirlo come una sorta di ronzio sordo nelle orecchie. Poi mi accorgo che è il mio telefono. É Taylor. «Dimmi che l’hai trovata!» sbraito, andando avanti e indietro. «No, Mr Grey. Ho controllato il suo appartamento di nuovo» Sto per dirgli di non tornare se ci tiene alla sua vita quando mi appare come una visione. «È qui» esclamo sollevato, chiudendo il telefono. Mi giro a guardarla. Come al solito non riesco semplicemente ad essere contento di vederla. No. Devo fare lo stronzo. Perché sono incazzato. Perché dopo una giornata che definirla schifosa è dire poco, vorrei che le cose andassero bene almeno con lei. Ma non mi sembra questo il caso. «Dove cazzo avvicinandomi. sei stata?» le ringhio contro, Anastasia si porta una mano alla tempia, barcollando leggermente. É... è ubriaca? «Hai bevuto?» le chiedo, guardandola stupefatto. «Un po’» ammette, guardandomi con la fronte corrugata. Sussulto. Ana non beve. Mai. Quanto traumatico deve essere per lei quello che ha visto? Mi passo una mano nei capelli, che oramai stanno per conto loro. «Ti avevo detto di tornare qui» le dico pacato, anche se dentro ribollo di rabbia verso me stesso. Sono uno stronzo. Un povero stronzo. «Sono le dieci e un quarto di sera. Mi stavo preoccupando per te» continuo, fissandola dritto negli occhi. «Sono andata a bere un paio di birre con Ethan, mentre tu ti prendevi cura della tua ex» sibila acida, rimbrottandomi contro. «Non sapevo per quanto tempo saresti rimasto... con lei» Stringo gli occhi, riducendoli a due fessure e mi avvicino ancora a lei di un paio di passi. Ho solo voglia di stringerla e sapere che è qui davvero. E tutta intera soprattutto. Ma la sua espressione mi fa scattare un campanello d’allarme. «Perché dici così?» chiedo. Si stringe nelle spalle, abbassando lo sguardo ed evitando i miei occhi. «Ana, cosa c’è che non va?» chiedo, deglutendo a fatica, con paura. Perché ho paura. Di sentirle dire di nuovo che vuole andarsene. Che è tornata solo per dirmi addio. «Dov’è Leila?» mi chiede, invece di rispondermi, tornando a guardarmi. «In un ospedale psichiatrico a Fremont» le dico con disinteresse. Quello di cui mi importa ora è solo lei. Le scruto il volto, in cerca di qualche indizio che mi dica sul serio come si sente. «Ana, che cosa c’è?». Mi avvicino di più a lei, colmando la distanza. Resto in piedi di fronte a lei, senza toccarla. «Cosa c’è che non va?» mormoro in preda al panico. Lei inspira lentamente. Così lentamente che temo per quello che mi dirà. Poi inizia a scuotere piano la testa. Senza abbandonare i miei occhi. «Non vado bene per te» sussurra. «Cosa?» esclamo, spalancando gli occhi per il terrore. «Perché lo pensi? Com’è possibile che tu lo pensi?» la accuso. “Come fai a non renderti conto di quanto io ti ami, Anastasia? Cos’altro devo fare? Da quando ti conosco è stato sempre tutto per te. Qualsiasi cosa io abbia detto o fatto. Tutto per te”. «Non posso essere tutto quello di cui hai bisogno» mormora appena. «Tu sei tutto quello di cui ho bisogno» le dico deciso, senza distogliere lo sguardo. Guardami, Anastasia. Lo vedi quanto amore sento per te? «Il solo vederti con lei...» inizia, ma non finisce la sua frase, stringendo gli occhi per il dolore. «Perché mi fai questo? Questa faccenda non riguarda te, Ana. Riguarda lei». Inspiro forte, cercando l’aria che mi manca ora. Mi passo la mano nei capelli, tirandoli all’indietro. Devo spiegarle. «In questo momento è una ragazza molto malata». É l’unica cosa che riesco a dirle, mentre l’angoscia mi assale. «Ma io ho sentito... quello che condividevate» «Cosa? No» Mi avvicino per toccarla e farle capire che l’unica con cui posso condividere qualcosa è lei. Ma Ana si ritrae di scatto. Quel gesto fa male. Fa più male di qualsiasi altra cosa. Più male del dolore che provavo da piccolo. ‘Ora lo sa chi sei davvero, Grey’. «Stai scappando?» le chiedo, spalancando gli occhi per pura paura. Sembra sul punto di dire qualcosa, ma non risponde. «Non puoi» la imploro, mentre la gola mi si secca e quasi non riesco a respirare. «Christian... io...» le parole non riescono ad uscire dalla sua gola. “Non dirlo. Se non lo dici, non è vero”. Sento il suo respiro accelerare per la tensione. «No. No!» urlo disperato. «Io...» ancora una volta non dice nulla. Non dice una fottuta parola. Mi guardo intorno, provando a tentare di trovare un motivo valido per convincerla a restare. «Non puoi andartene. Ana, io ti amo!». É l’unica cosa che possiedo davvero e che posso donarle davvero. Il mio cuore, il mio amore. É tuo Ana. «Anch’io ti amo, Christian, è solo che...» «No... no!» la interrompo in preda alla disperazione, afferrandomi la testa con le mani. “Pensa, Christian. Pensa, pensa, pensa cazzo!” «Christian...» «No» mormoro l’ennesima volta. ancora, interrompendola per Non voglio sentirlo. Non voglio, non voglio, non voglio. Non posso sentirle dire ancora che vuole andare via. “Se non posso averti, Anastasia, la mia vita non ha senso. Io senza di te sono nulla, sono polvere, sono una carcassa umana. Non sono niente se non ti ho accanto. Ma perché non so dirle queste cose? Perché è così difficile dirlo ad alta voce?”. La guardo in preda al panico e so che sta per dire di nuovo qualcosa. “No, Ana. Io non ho nient’altro che te. Io vivo solo per te. Fai di me quello che vuoi”. Con un sospiro dilaniato dall’angoscia mi lascio cadere in ginocchio, davanti a lei. Non conosco altro modo di dirglielo. Non so cos’altro fare. “Eccomi, Anastasia. Eccomi prostrato ai tuoi piedi. Non c’è nulla più di questo che possa fare per farti capire che sono tuo e tuo soltanto”. Le mie mani scivolano sulle cosce, in quella posa che ho preteso da lei più di una volta. Era il mio modo di farle capire che mi apparteneva. Ora questo è le farà capire che io appartengo a lei. Faccio un profondo respiro e mi abbandono a quella consapevolezza. Io sono suo. Io appartengo a lei. Questa è la prima volta che riesco ad ammetterlo in modo così profondo. «Christian, cosa stai facendo?» la sua voce trasuda orrore. Non la guardo. Fisso il pavimento, come è giusto che sia. “Sei tu a decidere per me, Anastasia. Dimmi cosa vuoi, cosa devo fare”. «Christian! Che cosa stai facendo?» ripete a voce alta. Resto immobile. «Christian, guardami!» ordina con la voce spezzata. Alzo la testa immediatamente, eseguendo il suo ordine senza battere ciglio. La fisso impassibile, in attesa di pendere dalle sue labbra. “Sono tuo, Anastasia. Ora puoi capirlo fino in fondo. Ora puoi vedere fino a dove sei capace di spingermi. Ora sei tu ad avere il controllo. Sei tu che puoi gestire la situazione. Io sono tuo. Sono tuo, Anastasia Steele. Ti appartengo”. Capitolo 17 Resto in silenzio a fissare i suoi occhi azzurri spalancati in un misto di orrore e shock. “Sì, Anastasia. Sono ai tuoi ordini. Non so cos’altro fare, non so come comportarmi. E pur di non farti andare via da questa casa, lascio a te libera scelta sul mio futuro”. La fisso a fondo, senza quasi battere ciglio, mentre il sangue le defluisce totalmente dal viso, rivelando al sua carnagione di porcellana. Inspira forte, a fatica, tirando su col naso e tenendosi una mano sul petto, come a volersi liberare da una costrizione. La sua testa si muove piano. La scuote, incredula. Sembra quasi ferita in realtà. Ma io non mi muovo. Non posso. É lei a decidere se posso farlo o meno. «Christian, per favore, non fare così. Non voglio» sussurra con la voce strozzata, il respiro che fatica ad uscire. “No, Ana. Non posso. Non me l’hai ordinato, mi hai solo fatto una richiesta. Ho bisogno che tu sia precisa, che tu mi ordini di fare quello che vuoi che faccia”. Il pensiero di quanto deve averla ferita quella scena con Leila mi induce ad essere ancora più determinato. “Ecco, Anastasia. Sono nelle tue mani. E questo è il tipo di potere che avevo su Leila. Ecco perché ho dovuto usare il mio ascendente, ho dovuto usarlo a mio vantaggio per salvarti”. I miei occhi non lasciano mai i suoi, memore del suo ordine di guardarla. I suoi, invece, si riempiono di calde lacrime, che Ana cerca di trattenere a stento. «Perché stai facendo questo? Parlami» sussurra con un filo di voce, stringendo con forza la mano sul suo petto, fino a farsi sbiancare le nocche. Sbatto piano le palpebre, risvegliato dal suo comando. «Che cosa vorresti che ti dicessi?» le chiedo pacatamente, in attesa che mi dica cosa dire, le parole che devo pronunciare per evitare che lei mi lasci. ‘Forse ti lascerà lo stesso vedendoti in questo stato patetico’. Forse. Ma almeno saprò di averle dato libera scelta. Sono completamente nelle sue mani. Le lacrime iniziano silenziosamente a rigarle il viso in modo copioso. Sono lacrime grosse, piene di dolore, di stanchezza, di fatica. Vorrei poterle asciugare, poterle dire che va tutto bene. Ma la realtà è che non lo so se va davvero tutto bene. L’unica che può saperlo è lei. Ecco perché è così importante che sia lei a decidere. Potrebbe farmi di tutto in questo momento. Dio, potrebbe anche toccarmi. Anzi forse vorrei che lo facesse, per superare finalmente questo scoglio. Per essere costretto a fare i conti con la parte più dolorosa del mio passato e superarla grazie a lei. Ana mi scruta anche attraverso le lacrime. E sembra leggermi dentro. Sembra sapere quanto possa essere fragile una volta penetrata la mia corazza. Sono bravo a nasconderlo, certo. Ma sono anche cosciente del fatto che i miei demoni non mi abbandonano mai. Mai. In quelle iridi blu profonde vi leggo di tutto. Un velo di tristezza le rende quasi ipnotizzanti. Poi la osservo stringere le labbra, con forza, corrugando la fronte in un segno di determinazione. É bellissima la mia Anastasia. Inspira di nuovo, continuando a fissarmi, e alla fine la vedo abbassarsi. Ho un moto improvviso di rabbia, penso che stia per svenire e io sono qui, inerme, senza potermi muovere perché lei non mi dice di farlo. Ma poi capisco. Poi afferro il messaggio implicito. Anastasia si inginocchia piano, davanti a me, comunicandomi con quel gesto che non ha nessuna intenzione di dominarmi, di prendere decisioni che secondo lei non le spettano. Siamo sullo stesso livello, sullo stesso piano. E mi chiedo come ho fatto, in tutto questo tempo, ad arrogarmi il diritto di sapere cosa fosse meglio per lei. É evidente che è lei che conosce realmente come stanno le cose. Siamo entrambi allo stesso livello, allo stesso punto. Ed è per questo che la amo. Per il suo non sottomettersi alla mia volontà. Per il suo essere così viva e indipendente anche senza il mio aiuto. Il suo essere forte. Voglio che dipenda da me, ma sono orgoglioso della sua indipendenza. Del suo essere così com’è. Si asciuga le lacrime con il dorso delle mani, cercando di ricomporsi. Vorrei baciargliele via io quelle lacrime. Continuo a fissarla impassibile, in attesa. Ho bisogno che lei mi dica cosa fare. “Non perderla, per favore. Fa’ che non mi dica che devo lasciarla andare via”. «Christian, non devi fare così. Io non scapperò. Te l’ho detto e ridetto. Non scapperò. Tutto quello che è successo... è sconvolgente. Ho solo bisogno di un po’ di tempo per riflettere... un po’ di tempo per me stessa. Perché pensi sempre al peggio?» La sua voce è spezzata dai singhiozzi. Ma sento che è sincera. Sento che sta per dirmi tutto quello che le passa per la testa in questo momento. Stringo impercettibilmente le mani sulle cosce. Attendo. Attendo ancora. Lo so che non vorrebbe vedermi in ginocchio, l’ho capito. Ma se ora mi alzassi, non avremmo risolto niente. Si terrebbe tutto dentro. E io ho bisogno di sapere, invece. Ana trema, scossa dal mio essere immobile. Quando torna a parlare, balbetta per l’esasperazione, la paura, il terrore. «Stavo per suggerire che potrei tornare al mio appartamento stasera. Non mi hai mai dato tempo... tempo per riflettere bene sulle cose» Si ferma, interrotta da un singhiozzo troppo forte, e io la guardo incupendomi per un istante. Tempo? Tempo per riflettere e basta? ‘É ovvio che voglia tempo, coglione. Ti ha lasciato in un appartamento con la tua ex sottomessa ai piedi. Falla respirare, non opprimerla’. E se invece si allontanasse da me in modo definitivo dopo averci pensato? Ana sembra leggermi nella mente, perché si affretta a rispondere alla mia domanda inespressa. «Tempo per pensare, e basta. Ci conosciamo a stento, e tutto questo fardello che ti porti appresso... Ho bisogno... ho bisogno di tempo per riflettere. E ora che Leila è... Bè, ovunque sia... non è più là fuori e non è una minaccia... pensavo... pensavo...» Le parole le muoiono in gola, mentre i suoi occhi tristi penetrano a fondo i miei. La fisso attentamente, rendendomi conto che ancora una volta ha ragione. Sono irrazionale. É logico che non avrebbe potuto sedersi con me e chiacchierare come se niente fosse accaduto. É ovvio che ha bisogno di elaborarlo e metabolizzarlo. É stata perseguitata e minacciata di morte. Mi ha visto sottomettere un’altra donna e, anche se l’ho fatto per metterla in salvo, questo non cambia quello che i suoi occhi e la sua mente hanno conosciuto. Cazzo, io stesso faccio fatica a non farmi schiacciare dal peso di tutto questo. Lei è forte, sì. Ma non così tanto. «Vederti con Leila...» inizia di nuovo, chiudendo gli occhi, come se stesse dimostrando con i gesti e le sue parole la correttezza del discorsetto appena partorito dal mio cervello. «È stato un tale shock. Ho avuto una fugace visione di quella che è stata la tua vita... e...» Si blocca di nuovo, abbassando gli occhi mentre le lacrime le solcano il viso, scorrendo silenziose e cadendole in grembo e formando un piccolo laghetto sull’abito blu. «Ha a che fare con il mio non essere abbastanza per te. È stato un presentimento sulla tua vita, e ho così tanta paura che ti stanchi di me, e che poi te ne andrai... e che io finirò come Leila... un’ombra. Ti amo, Christian, e se tu mi lasci, sarà come vivere in un mondo senza luce. Vagherò nell’oscurità. Non voglio scappare. Sono solo spaventata dall’idea che tu mi lasci...» Mentre ascolto rapito le sue parole una fitta lancinante mi trafigge il cuore. La guardo, in ginocchio come me. Voleva dimostrarmi che siamo alla pari, ma lo ha fatto veramente solo con queste parole. In lei vedo riflesse le mie paure, i miei tormenti, la paura di non essere abbastanza per la donna che amo e di vederla allontanarsi da me, chiudendosi alle spalle la porta e lasciandomi vuoto e solo nella mia oscurità. “Ma io ti amo, Anastasia. Non puoi non vederlo. Non puoi pensare che me ne andrò dopo quanto ti sto dando di me stesso”. Eppure... eppure se le paure sono le stesse, perché l’amore non dovrebbe essere lo stesso? Forse sono io incapace di vedere che invece mi ama profondamente tanto quanto io amo lei. Forse non siamo mai stati così simili come in questo momento, mentre mettiamo a nudo le nostre anime e le nostre paure. Ma perché? Perché mi ami, Anastasia? Avresti mille motivi per non farlo. Qual è quello che ti spinge a fare il contrario? «Non capisco perché mi trovi attraente» mormora, tenendo gli occhi bassi. «Tu sei. Bè, tu sei tu... e io...» si stringe nelle spalle, tornando a guardarmi finalmente. «È solo che non lo capisco. Tu sei bellissimo, sensuale, di successo, buono, gentile e amorevole... tutte queste cose. E io no. E non posso fare quello che a te piace fare. Non posso darti quello di cui hai bisogno. Come potresti essere felice con me? Come potrei mai riuscire a tenerti legato a me?» Le sue parole sembrano tante stilettate date in successione. Io non sono bello, buono, gentile e... tutte queste cose, Ana. Io non sono nulla di fronte a te. Io non valgo niente di fronte alla tua bontà e forza d’animo. E tu mi dai quello di cui ho bisogno. Tu sei quello di cui ho bisogno. «Non ho mai capito cosa vedi in me. E osservarti con lei ha portato tutto a galla» sussurra alla fine, tirando su con il naso e cercando di asciugare le lacrime con le mani, come una bambina, piccola e fragile. Vorrei solo stringerla, ma sono incantato dalla sua onestà. Ha tirato fuori tutto, tutto. E quando ci alzeremo da qui, insieme, saprò cosa darle, saprò in che modo farla sentire sicura e felice. Io posso farcela, posso amarti. Non lo merito il suo amore e non è solo una convinzione. Ma posso renderla felice e amarla per tutta la vita. É il mio unico scopo. Alza appena le mani, sbattendole poi sulle gambe, in un moto di esasperazione. «Te ne starai qui in ginocchio tutta la notte? Perché lo farò anch’io!» esclama e non riesco quasi a trattenere un sorriso. “La mia adorabile Anastasia”. La osservo mentre flette le dita e mi guarda il petto e vengo assalito da un moto di terrore che mi impedisce di stringerla come avevo appena deciso di fare. ‘É ovvio che voglia toccarti, Grey. Tu non impazzisci se non puoi averla? Soprattutto in momenti come questo?’. «Christian, per favore... per favore... parlami» implora. Si tormenta le mani, mentre il panico e il terrore mi serrano la gola e mi impediscono ogni minimo movimento. Perché finalmente ho capito. Ho capito cosa devo fare per riallacciare quel debole filo che sembra si stia spezzando tra di noi. Devo darle l’unica cosa che ho sempre negato a tutte. L’unica che mi è rimasta da darle. Ma prima deve sapere come mi sento. «Per favore» mi implora e il suo tono risveglia la mia coscienza. Sbatto piano le palpebre e so di essere consapevole di quello di cui ho bisogno ora. «Ho avuto così tanta guardandola intensamente. paura» sussurro piano, Ana trattiene il respiro, visibilmente sollevata, poi espira profondamente e a lungo. Vorrei stringerla, ma devo trattenermi ancora. Devo dirle come mi sono sentito. Deve sapere. Dobbiamo sapere con cosa abbiamo a che fare. «Quando ho visto Ethan fuori dal palazzo, ho capito che qualcuno ti aveva fatta entrare nell’appartamento. Taylor e io siamo balzati fuori dall’auto. Avevamo capito. E vedere lei là, in quello stato, con te, e armata... Penso di essere morto un migliaio di volte, Ana. Qualcuno che minaccia la tua vita... La realizzazione di tutte le mie peggiori paure. Ero così arrabbiato con lei, con te, con Taylor, con me stesso» mi lascia parlare, attenta, mentre scuoto la testa ricordando il dolore che ho provato in quegli istanti. «Non sapevo quanto lei potesse essere instabile. Non sapevo cosa fare. Non sapevo come avrebbe reagito». Mi fermo per un attimo, tentando di trovare le parole adatte per farle capire che ogni cosa ho fatto e soprattutto perché l’ho fatto. «E poi lei mi ha dato la chiave. Aveva l’aria così contrita. E allora ho saputo quello che dovevo fare» Azzardo un’occhiata nella sua direzione, con la paura di vedere l’odio e il disgusto dipinti sul suo viso. Ma quello che vedo mi fa tremare il cuore dall’emozione. Nell’azzurro dei suoi occhi riesco solo a scorgere amore, apprensione, compassione. Mi perdo a guardarla, tanto che è lei, ad un certo punto, a spronarmi a continuare la mia confessione. «Va’ avanti» sussurra piano. Deglutisco velocemente. piano, inspirando ed espirando «Vederla in quello stato, sapere di aver avuto a che fare in qualche modo con il suo stato...». Chiudo gli occhi mentre il colpo al cuore che ho provato in quell’istante si ripete nello stesso identico modo. Li riapro subito, per controllare che lei sia davvero qui con me, che stia davvero bene e che davvero non ci siano più pericoli. La guardo e poi rivedo Leila. Avrei potuto ridurre anche Ana in quello stato. «È sempre stata così maliziosa e vivace» Rabbrividisco al solo pensiero di quello che avrei potuto fare di lei se solo avesse acconsentito dalla prima sera a firmare quel contratto. Il respiro mi si blocca nei polmoni, quasi soffocandomi, fino a quando non riesco ad espellerlo. E il solo pensiero, invece, di aver ridotto Leila in quel modo, di averla resa pazza, tanto da arrivare a perseguitare Anastasia. É stata tutta colpa mia. Lei era in pericolo. E la colpa era mia. Singhiozzo quasi, fino a quando non riprendo il mio flusso di parole. Ana rimane attenta, dandomi il mio tempo. «Avrebbe potuto farti del male. E sarebbe stata colpa mia» le dico, distogliendo gli occhi da lei, disgustato da me stesso. Resto in silenzio, sconcertato da tutto il peso delle mie colpe. «Ma non l’ha fatto» sussurra lei, facendomi voltare di nuovo a guardarla. «E tu non sei responsabile dello stato in cui si trova, Christian» aggiunge, sbattendo le palpebre e incoraggiandomi a continuare. “Mi stai dando l’assoluzione, Anastasia?”. La guardo e non riesco a credere che dopo quello ha sofferto a causa mia, dopo quello che ha visto, è ancora qui, accanto a me, a dirmi che va tutto bene. I suoi occhi subiscono un rapido mutamento, diventando colmi di lacrime e dolore. So che sta pensando alla stessa scena che ho in mente io. L’uomo che ama, in piedi, con un’altra donna prostrata ai suoi piedi pronta a fare tutto per compiacerlo. «Volevo solo che tu andassi via» mormoro, tentando di spiegarle le motivazioni alla base delle mie scelte. «Ti volevo lontana dal pericolo e... Tu. Proprio. Non. Te. Ne. Andavi» sibilo a denti stretti, frustrato ora come in quel momento. “Sì, questa donna mi manderà al manicomio. Ma la amo”. La fisso attento, mentre lei mi guarda con gli occhi spalancati, iniziando forse a capire. «Anastasia Steele, sei la donna più testarda che conosca» Chiudo di nuovo gli occhi, scuotendo la testa, incredulo dinnanzi alla realizzazione della sua sfacciata testardaggine. Anastasia sospira a lungo, di sollievo, come se si fosse appena tolta di dosso un pensiero. Riapro gli occhi, guardandola. “Mi dispiace. Anastasia. Mi dispiace”. «Non stavi scappando?» le chiedo, per essere ancora rassicurato. «No!» urla esasperato. Chiudo di nuovo gli occhi, rilassandomi del tutto dopo l’ennesima rassicurazione. Ma il dolore e l’angoscia per tutto quello che è successo. Per la fottuta paura di perderla. «Pensavo... Questo sono io, Ana. Tutto ciò che sono... E sono tutto tuo. Che cosa devo fare per fartelo capire? Per dimostrarti che ti voglio in tutti i modi possibili. Che ti amo» le sussurro con impeto. «Anch’io ti amo, Christian, e vederti così...» si ferma, iniziando a singhiozzare e a piangere sommessamente. «Pensavo di averti spezzato» «Spezzato? Me? Oh, no, Ana. Proprio l’opposto» le dico d’impeto, prendendole la mano. «Tu sei la mia ancora di salvezza» le sussurro, tentando di rassicurarla. Mi porto la sua morbida mano alle labbra, baciandone piano le nocche. Poi premo il mio palmo contro il suo. La sua piccola mano aderisce alla mia, tanto più grande della sua, ma perfette l’una contro l’altra. Guardo il modo in cui le nostre pelli aderiscono e si completano e dentro di me affiora deciso il desiderio di sentire quella completezza nella sua integrità. Spalanco gli occhi, per la paura di farmi male e farle male. Non vorrei fare qualcosa che non riesca poi a sopportare e mi porti ad allontanarla in modo brusco da me. Ma devo. Devo. É quello di cui ho bisogno. Oramai non posso sfuggire a questa realtà. Le mie dita si spostano, scivolando lungo il suo polso delicato. Posso sentire il sangue pulsarle nelle vene. Piano, delicatamente, tiro la sua mano verso di me, poggiandola sul mio petto. Per un attimo sbando, la mia mente vacilla e mi ritrovo a sudare, con il battito accelerato. É una sensazione del tutto nuova per me. La guardo e la mia mente mi ripropone una serie di flashback dei nostri incontri, dall’inizio ad oggi. Una sequenza di Anastasia con diverse espressioni, con un sorriso meraviglioso, con l’amore negli occhi. Tutto, ogni singolo istante, è stato per questo. Tutto. Lei è fatta per me. Lei è l’unica a cui avrei mai potuto concedermi totalmente. Sono tuo, Anastasia. Sono completamente tuo ora. Un brivido mi costringe a tornare alla realtà. La sensazione della sua mano sulla mia pelle, attutita dalla camicia, è come una pressa infuocata. Temo quasi possa lasciarmi un marchio, ma, allo stesso tempo, quel fuoco mi accende le vene di desiderio. Il mio respiro accelera, e il mio corpo è percorso da brividi di dolore e piacere. Il mio cuore inizia a battere all’impazzata, come anche il suo. “Sono tuo, Anastasia. Sono soltanto tuo”. Stringo forte la mascella, continuando a fissarla negli occhi grandi e spalancati. Sto facendo uno sforzo sovrumano per domare tutte queste sensazioni che mi si aggrappano allo stomaco, facendomi vacillare. Lei deve accorgersene, perché ad un certo punto sussulta, trattenendo il respiro per molto tempo. Senza smettere di fissarla, le libero lentamente il polso, lasciando la sua mano libera di muoversi sul mio petto. “Vedi, Anastasia, quanta fiducia riesco a riporre in te? Come fai ad avere ancora dei dubbi?”. Lei schiude piano le labbra, mentre flette leggermente le dita sulla stoffa della mia camicia. Trattengo il fiato, senza sapere dove si sposterà. Le sue dita si fermano e sul volto le si dipinge un’espressione contrita. Fa per allontanare la mano, ma la fermo. «No» le dico d’istinto, coprendo le sue dita con le mie e premendole di nuovo sul mio petto. «Non farlo» Mi guarda, poi il suo sguardo si sposta sulle mie dita che coprono le sue. Piano, avanzando sulle ginocchia, si avvicina a me. Le nostre gambe si toccano. Con infinita lentezza, per darmi il tempo di capire quello che sta facendo o, più probabilmente, per cambiare idea, alza l’altra mano. La fisso in silenzio. I miei occhi si spalancano ancora, ma non la fermo. Ho bisogno del suo tocco. Ora che so com’è, non riuscirei più a farne a meno. Piano le sue dita agili iniziano a sbottonarmi la camicia. Nessuno dei due guarda in direzione del mio petto. É come se fossimo avvinti da un incantesimo. Grigio contro azzurro. Azzurro contro grigio. E in mezzo tutto l’amore che due persone complicate come noi sono capaci di darsi a vicenda. Finalmente riesce a slacciare la camicia e mettere a nudo il mio torace. Deglutisco, ma stavolta non è paura. É desiderio. L’unica cosa che mi terrorizza è il pensiero di averla tenuta lontana da me per tutto questo tempo. Schiudo le labbra, in attesa. Ma lei esita. Mi fissa, come per chiedermi se davvero può farlo. Sposto leggermente la testa, inspirando e concentrandomi per prevenire le sensazioni derivanti dal suo tocco. Sposta leggermente la mano, ma poi esita di nuovo. «Sì» le dico d’un fiato, cosciente del fatto che le serva il mio assenso dichiarato per andare avanti. Non rischierebbe mai e poi mai di farmi del male. Neppure per una cosa che desidera così tanto. Lei non è come me. Deglutisce e finalmente poggia le dita sul mio petto, carezzando delicatamente i peli, all’altezza dello sterno. Chiudo gli occhi d’istinto, aspettandomi quello che ho sempre ricevuto quando qualcuno mi ha toccato in quel punto. Dolore, puzzo di pelle bruciata, marchi, cicatrici. Mi aspetto di provare tutto questo. Il ricordo di tutte quelle sensazioni è più vivo che mai dentro la mia testa. Quasi mi sembra di percepirlo quel dolore. Ma poi, ad un tratto, sparisce. Sparisce lasciando il posto a un fremito dolceamaro. Oddio, per tutto questo tempo mi sono negato la sensazione meravigliosa e bruciante della sua carne a contatto con la mia. Una sensazione così intensa e carnale che faccio fatica ad accettare che possa essere reale. Poi d’improvviso sparisce. Spalanco gli occhi e le riporto la mano che ha appena allontanato di nuovo sul mio petto. «No» le mormoro riuscendo a stento a tenere a bada l’emozione. «Ne ho bisogno» Chiudo di nuovo gli occhi, accettando a fatica di nuovo il suo tocco. Il mio cuore lo riconosce come buono, necessario. Ma la mia mente lo respinge ancora. Deve ancora convincersi che non porta crudeltà e malvagità. Ho conservato solo per me stesso questa parte di me per anni. E ora la sto condividendo con la donna che più di tutto amo al mondo. Capisco perfettamente come deve essersi sentita la prima volta che si è donata a me. Mi ha donato qualcosa di prezioso e inestimabile. Una parte di lei rimasta intatta e pura. Mi ha dato la possibilità di appropriarmi di quella parte, forse la più preziosa che avesse a parte il cuore. E ora io li possiedo entrambi. Bene, Anastasia. Il mio cuore lo hai da tempo. Questo è tutto quello che mi rimane. Ed è tuo. Apro gli occhi di scatto e la fisso con desiderio, passione, ardore. “É tutto tuo, Ana. Tu mi possiedi come mai ha fatto nessun’altra, anima e corpo”. Sento il respiro accelerarsi sempre di più, mentre l’ondata di sensazioni nuove mi travolge e mi culla, trasportandomi in una dimensione nuova. Una dimensione dove tutto questo è possibile. Dove Anastasia è libera di fare di me quello che vuole. Dove io e lei siamo davvero una sola cosa. Il sangue mi ronza forte nelle orecchie, escludendo qualsiasi altro rumore proveniente dall’esterno. Riesco a concentrarmi solo sui suoi occhi azzurri, ricolmi di lacrime che non riescono a cadere giù però. Come me credo che sia incantata da questo nuovo essere noi due insieme. La punta delle sue dita scorre piano sulla mia pelle. Per un attimo barcollo, cedendo quasi al richiamo così primitivo del suo tocco. “Dio, fa male dentro. Ma è... è meraviglioso”. Forse, in tutto questo tempo, con tutto quello che ho fatto, cercavo solo di arrivare a questo. Questo è il confine perfetto tra dolore e piacere. Il dolore di una vita intera. E il piacere di quello che può essere da oggi in avanti questa vita. Mi rilasso, la paura cede il passo all’eccitazione causata dalla sua pelle a contatto con la mia. Come ho potuto negarmi per tanto tempo tutto questo? Come ho potuto pensare che questa parte del mio corpo non riconoscesse il suo come tutte le altre parti? Ansimo, mentre la voglia di unirmi a lei ancora di più, sempre più in profondità mi assale. Voglio stringerla, voglio baciarla, voglio farla mia per provarle quanto a fondo mi è entrata dentro con una semplice carezza. Ad un tratto mi fissa più intensamente, sporgendosi leggermente in avanti, chinandosi sul mio petto. Capisco immediatamente cosa ha intenzione di fare. Non la fermo. Non la fermo per il puro bisogno di avere ancora di più. Delicatamente, quasi come se avesse paura di farmi male, mi deposita un bacio leggero sul petto. Il mio cuore sta per esplodere, il mio respiro accelera al limite dell’inverosimile mentre l’unica cosa che riesco a percepire dentro di me ora è puro e fiammeggiante desiderio di lei. Un gemito mi si spezza in gola alla sensazione delle sue calde labbra che scivolano piano sulla mia pelle. Stringo forte gli occhi e la sento sussultare e poi fermarsi. Il vuoto di quella sensazione è la cosa più dolorosa che io abbia mai provato. «Ancora» mi ritrovo ad implorare in un sussurro. Dopo qualche attimo sento di nuovo le sue labbra. Stavolta sfiorano leggiadre una delle mie cicatrici. Una di quelle che fa più male. Trasalisco, per il tocco inaspettato e per il fatto di scoprire che un suo bacio equivale ad una sorta di cura per il mio tormento interiore. Le sue labbra scivolano calde e umide sulla mia pelle, arrivando ad un altro traguardo, un’altra cicatrice gelosamente custodita fino ad oggi solo con me stesso. Il dolore al petto si trasforma in desiderio pressante. Non riesco a trattenere un gemito roco e la stringo forte a me, infilandole una mano nei capelli e tirandogli la testa su, verso di me. La bacio violentemente, facendo pressione fino a che le sue labbra non si arrendono all’implacabilità delle mie. Continuiamo a divorarci a vicenda, mentre le sue mani si spostano tra i miei capelli, intrecciandosi alle ciocche scompigliate dei miei capelli ramati. «Oh, Ana» sospiro mentre l’intensità di quello che provo per questa donna mi invade il corpo, totalmente. Mi sento così pieno, completo, così impotente di fronte alla grandezza di quello che mi ha appena donato Anastasia. E non so come esprimerlo. Non ho le parole giuste, neppure tenerla così stretta credo possa trasmetterle quanto io la ami e quanto ci tengo e lei, a noi due, a quello che è diventata per me. É tutto talmente intenso, talmente forte. Totalmente incontrollabile. La attiro sotto di me, sul pavimento e non mi rendo conto di quello che succede. Vedo solo i suoi occhi sgranarsi fino all’inverosimile, le sue dita scorrere sulle mie guance. I suoi occhi si spostano sulle sue mani, poi di nuovo su di me, con stupore e dolore. «Christian, per favore, non piangere. Facevo sul serio quando ho detto che non ti avrei mai lasciato. Sono qui. Se ti ho dato l’impressione di volermene andare, mi dispiace... Per favore, per favore, perdonami. Ti amo. Ti amerò per sempre» Sto piangendo. Sto piangendo. Io che non ho mai pianto, mai. Neppure da piccolo, neppure per tutta quella merda. Mai. Ora sto piangendo. E le lacrime che sto versando è come se fossero una purificazione. Ma in realtà c’è ancora altro. C’è ancora un ultimo pezzo. Un ultimo tassello che deve essere messo a posto. “Te ne andrai, Anastasia. Vorrai andartene dopo quello che sto per dirti. Ma spero che l’intensità di quello che ho appena condiviso con te, di quanto mi è costato, ti facciano capire che il mio passato non conta. Che ho iniziato a vivere da quando ti ho incontrato mia bella, bellissima e testarda ragazza”. Stringo forte gli occhi e quando li riapro sono determinato a mettere il mio cuore nelle sue mani completamente. «Cosa c’è?» mi chiede. La paura mi attanaglia il cuore per un momento. Ma non perdo la determinazione. E lei mi legge dentro. Mi affonda le dita nel petto e riesce sempre a tirarmi fuori quello che provo. É stato così dal primo giorno. «Qual è questo segreto per cui pensi che possa scappare a gambe levate? Che ti fa credere così fermamente che me ne andrei?». La sua voce trema, e non le importa di non darlo a vedere. É stremata. Io l’ho stremata. E sto per darle il colpo di grazia. «Dimmelo, Christian, per favore...» Sospiro a fondo. Facendo leva sulle mani, per non pesarle addosso, mi rialzo, incrociando le gambe mentre mi metto a sedere di fronte a lei che si sta tirando su. Il senso di colpa mi sta dilaniando. La fisso, cercando la giusta dose di coraggio. Quel fottuto coraggio che pensavo di aver trovato e che invece ora è completamente sparito. «Ana...» inizio per poi bloccarmi quasi immediatamente. “Cristo santissimo. Merda! É finita, sta per finire. Ed è tutta colpa mia. Tutta colpa mia e della scia di orrore che mi porto dietro. Ma lei merita di sapere. Se voglio avere una sola speranza devo dirglielo”. Ripenso a tutte le volte che mi ha detto che nonostante tutto non potrebbe mai lasciarmi. “Ti prego, fa che sia vero. Ti prego, fa che sia vero”. Inalo a fondo, e poi sputo fuori quelle parole che tante volte ho ripetuto dentro di me, cercando il modo adatto per rivelargli lo schifo d’uomo che sono. «Sono un sadico, Ana. Mi piace frustare le ragazze brune come te perché assomigliate alla puttana drogata... alla mia madre biologica. Immagino che tu possa capire perché» Lo dico d’un fiato, evitando di incanalare aria nei polmoni, come se per la confessione che ho appena reso non la meritassi. Vedo Anastasia sbiancare totalmente, barcollare tanto da doversi appoggiare con i palmi al pavimento, mentre i suoi occhi si svuotano, divengono vitrei e senza espressione. La paura mi sta fottendo il cervello, me lo sta divorando dall’interno. E non riesco a fermare queste fottute lacrime. “Eccolo. Eccolo il momento in cui mi guardi, Anastasia, e vedi la merda che sono, vedi l’orrore concepito per sbaglio, mai voluto, mai desiderato. Perché dovresti desiderarlo tu? Perché se questo mostro ha cercato di farti del male? Sì, oggi ti amo. Cristo se ti amo, Anastasia. Ma puoi crederlo? Riesci ancora a crederlo dopo tutto questo?”. La risposta si fa spazio dentro me. E fa male. Mi sta lacerando. Perché so che non può. Sento che non riuscirà a passare anche questo ultimo ostacolo. “Ho lastricato il tuo percorso con me di ostacoli, Anastasia. E tu sei stata esemplare nel superarli tutti e dare la forza anche a me. Ma l’ultimo... bé l’ultimo è troppo grande persino per la tua immensa forza”. É ancora in silenzio. Immobile e in silenzio. Ana non resta mai troppo a lungo senza esporre la sua arguta risposta. «Hai detto che non eri un sadico» sussurra inespressivamente alla fine, persa nei suoi ricordi. Si sta aggrappando a qualcosa per negare quello che ha appena sentito. «No, ti ho detto che ero un Dominatore. Se ti ho mentito, è stata una bugia di omissione. Mi dispiace» Abbasso gli occhi, sentendomi una merda ancora di più. Avevo intenzione di fare di lei il mio nuovo giocattolo e le ho pure mentito. Poi, però, mi è entrata talmente dentro che ho pensato solo ad amarla. «Quando mi hai fatto quella domanda, immaginavo una relazione completamente diversa tra noi» mormoro, per spiegarle il mio comportamento. “Allora, Anastasia, credevo non ci fosse bisogno che sapessi. Credevo che non saremmo mai arrivati a questo punto. Non credevo di amarti. Non lo sapevo ancora”. Non so più cosa dirle, cosa fare. Mi sento la gola serrata, fatico a respirare. “Non andartene. Non lasciarmi”. Anastasia sospira forte, prendendosi la testa tra le mani, le dita infilate nei capelli che stringe ai lati delle tempie. «Dunque è così» sussurra senza voce, tornando a fissarmi. «Non posso darti quello di cui hai bisogno» Aggrotto le sopracciglia, deglutendo a fatica mentre la gola mi si serra. Con uno sforzo immenso riesco a tirare fuori le parole questa volta. «No, no, no. Ana. No. Tu puoi. Tu davvero mi dai ciò di cui ho bisogno» Stringo forte i pugni. “Credimi. Abbi fede. Abbi fede nel mio amore, nel nostro amore. Amami ancora Anastasia. Non smettere proprio ora”. «Per favore, credimi» la supplico, inerme, mai così sincero come ora. «Non so cosa credere, Christian. È una situazione così incasinata» sussurra con la voce che trasuda dolore. Le parole faticano ad uscire dalla sua gola, strozzate dalla voglia di piangere. Cerco il suo sguardo con il mio. Ora che ho confessato, ora che sono pulito, sento che ho dentro solo la determinazione di tenerla accanto a me. «Ana, credimi. Quando mi hai lasciato dopo che ti ho punito, la mia visione del mondo è cambiata. Non stavo scherzando quando ho detto che avrei evitato di sentirmi in quel modo un’altra volta» la supplico. La supplico perché ora non sono così orgoglioso per farlo. Ora so quello di cui ho bisogno per vivere. E devo prendermelo ad ogni costo. «Quando hai detto di amarmi, è stata una rivelazione. Non me l’aveva mai detto nessuno prima, ed è stato come se io avessi messo una pietra sopra a tutto, o forse come se tu avessi messo una pietra sopra a tutto, non lo so. Il dottor Flynn e io ne stiamo ancora discutendo» Le spiego tutto, le dico tutto. Ho un’unica occasione. Questa sera. Ora. Non me la lascerò scappare. Mi guarda, aggrottando la fronte, cercando di capire qualcosa che evidentemente le sfugge. «Che cosa significa tutto questo?» mi mormora alla fine. «Significa che non ho bisogno di quelle cose. Non adesso» le dico con decisione, senza smettere di fissarla. «Come fai a saperlo? Come fai a esserne così sicuro?» chiede, lacerata dal dubbio. «Lo so e basta. Il pensiero di farti male... in qualsiasi modo reale... è aberrante per me». Sospiro, rilassando le spalle. Non credo di essere mai stato così sincero in tutta la mia vita. Nè con Flynn, né con Elena. Neppure con me stesso. É proprio vero che Ana sa tirare fuori il meglio dalle persone. Persino in quelle in cui di meglio non c’è nulla. Persino da me. «Non capisco. E che ne è delle regole? Delle sculacciate e di tutte le perversioni sessuali?» chiede sommessa, come se avesse paura della mia risposta. Mi passo una mano nei capelli, scuotendo leggermente la testa. Quasi sorrido se penso a tutto quello che ho fatto prima di lei. Sculacciate? Perversioni sessuali? “Tu non hai visto di cosa sono capace, Anastasia”. Faccio un lungo sospiro. «Parlo di tutta la merda più pesante, Anastasia. Dovresti vedere cosa posso fare con un bastone o con un flagellatore» Sgrana gli occhi e spalanca la bocca, atterrita. «Meglio di no» sussurra. «Lo so. Se tu volessi fare quelle cose, allora andrebbe bene... Ma non vuoi e io lo accetto. Posso non fare tutte quelle stronzate con te, se non vuoi. Te l’ho già detto una volta, hai tutto il potere. E ora, da quando sei tornata, non sento più quell’impulso» la guardo sperando che scruti nei mie occhi e ci legga la verità di quello che le sto dicendo. «Quando ci siamo incontrati, era quello che volevi, giusto?» chiede, massaggiandosi una tempia con le dita, come se fosse in preda ad un gran mal di testa. «Sì, indubbiamente» rispondo con sincerità. «Come può il tuo impulso sparire e basta, Christian, come se io fossi una panacea, e tu fossi, diciamo così, guarito? Non riesco ad afferrarlo» Sospiro di nuovo, cercando di trovare le parole giuste. «Non direi guarito... Non mi credi?» le chiedo poi, in preda all’ansia di nuovo. «È solo che lo trovo... incredibile. Il che è diverso» ribatte, alzando un sopracciglio. «Se tu non mi avessi lasciato, probabilmente non mi sentirei così. Il tuo allontanarti da me è stata la cosa migliore che tu abbia mai fatto... Per noi. Mi ha fatto capire quanto ti volessi. Solo te. E quando dico che ti vorrei in tutti i modi possibili, lo intendo davvero». “Ti voglio, Anastasia. Voglio renderti felice per ogni secondo della tua vita. Voglio sposarti e fare di te la donna della mia vita. Voglio che il mondo intero sappia che apparteniamo l’uno all’altra”. Ana mi fissa, in silenzio. Sospira a fondo, con la fonte aggrottata, mentre poggia le mani all’indietro, scostandosi di poco per mettersi in una posizione più comoda. Non ha l’aria di chi vuole fuggire. La speranza mi illumina il cuore. «Sei ancora qui. Pensavo che, a questo punto, te ne saresti già andata» sussurro incredulo, ammirando ancora una volta la sua immensa forza. «Perché? Perché potrei pensare che sei uno psicopatico che fustiga e si scopa le donne che assomigliano a sua madre? Che cosa ti ha dato quest’impressione?» sibila velenosa, fissandomi con gli occhi ridotti a due fessure. Sbianco di fronte alla sua reazione diretta, acida. «Bè, non l’avrei messa proprio in questi termini, ma... sì» dico, sentendomi per l’ennesima volta, in questi ultimi 28 anni, un emerito pezzo di merda. Ripenso a quante volte il pensiero che ha appena espresso lei con tanta veemenza mi ha tenuto sveglio di notte, magari dopo aver fustigato fino alle lacrime una delle mie Sottomesse. Leila, per esempio. Alzo di nuovo gli occhi su di lei, implorandola in silenzio di credere che sono davvero cambiato. Aggrotta le sopracciglia e quasi sento la sua testolina pensare e ripensare per tentare di capire qualcosa di tutta questa fottuta situazione di merda in cui l’ho messa. A un certo punto distoglie lo sguardo da me, che sono rimasto in attesa, sospirando e guardandosi attorno. «Christian, sono esausta. Possiamo discuterne domani? Voglio andare a letto» mormora esausta. Mi raddrizzo, guardandola attentamente. «Non te ne vai?» sussurro incredulo. «Vuoi che me ne vada?» ribatte ironica. «No! Pensavo che te ne saresti andata, quando avessi saputo» mormoro, in preda ad una nuova ansia. Sono in attesa. In attesa di sapere la sua decisione definitiva. E, contro ogni aspettative, lei ha scelto quello che volevo. Lei sta scegliendo me. Non ho manipolato le sue decisioni, l’ho lasciata libera dal mio controllo. E lei, la mia adorabile ragazza, ha scelto me. O almeno così sembra. «Non lasciarmi» sussurro ancora, fissando i miei occhi nei suoi. “Guardami, Anastasia. Guarda l’amore che sento per te. Non lasciarmi. Non lasciarmi.” «Oh, devo gridarlo forte: no! Non me ne andrò!» urla come per liberarsi, sbruffando e guardandomi storto. «Davvero?» sgrano gli occhi per lo sgomento, stentando a crederle. Ha davvero scelto me. Ha davvero scelto me. «Cosa devo fare per farti capire che non scapperò? Cosa posso dire?» ribatte esasperata, agitando le mani in aria e scuotendo piano la testa. “Sposami, Anastasia. Resta con me per tutta la vita. Dimmi che vuoi essere mia e mia soltanto”. La fisso, sentendo che è arrivato per me il momento di chiederle anche quest’ultimo sforzo. Deglutisco a fatica, apprestandomi a fare quello che non avrei mai creduto di poter fare in vita mia. «Una cosa che puoi fare c’è» mormoro mentre l’aria mi manca e la testa inizia a girarmi. «Cosa?» chiede più calma, come in attesa di un’illuminazione che venga dal cielo. «Sposami» sussurro di colpo, riuscendo a malapena a tirare fuori la voce. Anastasia sbanda, sbattendo le palpebre diverse volte. Rimane immobile, penso sia sotto shock. Poi la vedo agguantare piano con i denti il labbro superiore, come per trattenere una risata. No, anzi. Sta proprio ridendo. Come se si fosse appena arresa al peso del suo destino si lascia cadere all’indietro sul pavimento, scoppiando in una fragorosa risata. La guardo mentre si copre il viso con il braccio e continua a ridere in maniera isterica. Di tutte le reazioni avrebbe potuto avere, questa non l’avevo presa neppure in considerazione. “É così folle il fatto che voglia sposarti, Ana. É così inadeguata la mia proposta? Ti sei forse resa finalmente conto che non sono alla tua altezza e per questo ridi del mio ardito coraggio nel chiederti di condividere la tua vita con me? Avresti ragione su tutto, Anastasia. Su tutto”. La consapevolezza di non essere l’uomo migliore che incontrerà nella sua vita, mi turba nel profondo. ‘Un giorno si girerà intorno e si accorgerà che là fuori esiste uno meno problematico di te, che può renderla felice come e meglio di te, Grey’. Il pensiero mi ferisce a fondo. Quando finalmente il suo sfogo nervoso si esaurisce, le sollevo dolcemente il braccio, guardandola negli occhi. Torreggio sopra di lei, guardando i suoi bellissimi occhi velati dalle lacrime. La guardo, sorridendole triste, mentre le asciugo una lacrima dalla guancia con i polpastrelli. «Trovi che la mia proposta sia divertente, Miss Steele?» le chiedo amareggiato. Si ferma di colpo, mentre un’espressione di rimorso le appare sul volto segnato dalle lacrime. Solleva una mano, accarezzandomi teneramente la guancia, mentre mi godo il suo calore. «Mr Grey... Christian. Il tuo tempismo è senza dubbio...» mi guarda, mentre la voce le si smorza in gola. Le sorrido piano, capendo le sue remore, ma non riesco a sentirmi come se mi avesse rifiutato. Ho bisogno di una rassicurazione. «Così mi ferisci, Ana. Mi sposerai?» le chiedo, premendo il viso contro la sua mano. Anastasia si tira su, inginocchiandosi di fronte a me, improvvisamente più serena. Mi poggia le mani sulle ginocchia, mentre continua a fissare i miei occhi grigi e tristi. «Christian, ho incontrato la tua psicotica ex con una pistola, sono stata cacciata dal mio appartamento, mi sono ritrovata con te che diventavi un turbine...» Apro la bocca, per dirle che è tutto finito, che la amo. Ma lei mi poggia delicatamente due dita sulle labbra, accarezzandole. Obbedisco al suo muto ordine di tacere. «Mi hai appena rivelato qualche informazione francamente scioccante riguardo a te stesso, e ora mi chiedi di sposarti» Socchiudo un solo occhio, muovendo la testa da una parte e dall’altra, soppesando la sua dichiarazione e il suo punto di vista. Sorrido divertito dalla mia impulsività. É normale che sia così scossa. Anche lei sorride. «Sì, credo che sia un’analisi giusta e accurata» le rispondo mio malgrado. Lei scuote la testa, divertita. «Cos’è successo all’appagamento ritardato?» mi chiede con un sorriso. «L’ho superato, ora sono un deciso sostenitore dell’appagamento immediato. Carpe diem, Ana» mormoro, incapace di smettere di guardarla. «Guarda, Christian, ti conosco da circa tre minuti, e ci sono ancora tante cose che devo sapere. Ho bevuto troppo, ho fame, sono stanca e voglio andare a letto. Ho bisogno di riflettere sulla tua proposta, proprio come ho avuto bisogno di riflettere sul contratto che mi hai dato. E, a essere sincera...» aggiunge, arricciando le labbra in un modo delizioso «...non è stata la proposta più romantica del mondo» Piego la testa di lato, arrendendomi di fronte alla sua analisi precisa e corretta come sempre. “E, comunque, non mi ha detto no”. «Un punto per te, Miss Steele» sospiro, sollevato in un certo senso. sospira, nella sua voce c’è un certo sollievo. «Perciò non è un no?» le chiedo speranzoso. «No, Mr Grey, non è un no, ma non è neanche un sì. Me lo chiedi solo perché hai paura, e non ti fidi di me» dice sicura di se stessa. La guardo, con tutto l’amore che provo per lei. «No, te lo chiedo perché ho finalmente trovato qualcuno con cui voglio passare il resto della mia vita» La sento trattenere il respiro e le sue gote si tingono di un rosso leggero, mentre fatica a chiudere le palpebre. La bocca le si apre quasi inconsapevolmente. E io non riesco a smettere di dichiararle il mio amore incondizionato. «Non avrei mai pensato che mi sarebbe capitato» continuo, osservando i suoi lineamenti delicati e la sua bellezza mozzafiato. «Posso pensarci... per favore? E pensare anche a tutto quello che è successo oggi? A quello che mi hai appena detto? Mi hai chiesto pazienza e fiducia. Bene, chiedo le stesse cose a te, Grey. Ne ho bisogno adesso» La guardo, cercando di leggere i suoi occhi azzurri. É sincera. Non mi sta rifiutando. Ha davvero bisogno di tempo. Mi protendo verso di lei, sistemandole una ciocca ribelle dietro l’orecchio. «Posso farcela» le dico, baciandola velocemente sulle labbra. «Non molto romantico, eh?» le dico, inarcando le sopracciglia e guardandola divertito. Ana scuote la testa per ammonirmi, divertita. «Cuori e fiori?» le chiedo dolcemente. Annuisce, mordicchiandosi piano il labbro e io le sorrido. «Hai fame?» «Sì» mormora. «Non hai mangiato» La mia non è una domanda, ma una constatazione. La fisso severamente, ma la mia espressione non ha effetto su di lei. «No, non ho mangiato» mi dice, sedendosi sui talloni e guardandomi annoiata e divertita allo stesso tempo. «Essere cacciata dal mio appartamento dopo essere stata testimone dell’intima interazione del mio fidanzato con la sua ex Sottomessa mi ha considerevolmente guastato l’appetito» Mi lancia un’occhiataccia, piantandosi i pugni nei fianchi. Scuoto la testa, alzandomi da terra e porgendole la mano. «Lascia che ti prepari qualcosa da mangiare» le propongo. «Non possiamo andarcene a letto e basta?» mormora stanca, porgendomi la sua mano e lasciandosi aiutare a rialzarsi. La guardo con affetto, sorridendole piano, indulgente. «No, hai bisogno di mangiare. Vieni» le ordino dolcemente. La trascino nella cucina, sospingendola verso uno sgabello al bancone, dirigendomi poi verso il frigo. “A noi due, mostro bianco”. Scruto le provviste, indeciso. «Christian, non ho poi tanta fame» borbotta alle mie spalle. Semplicemente la ignoro. «Formaggio?» le chiedo. «Non a quest’ora» ribatte stancamente. «Pretzel?» riprovo. «Freddi di frigorifero? No» esclama. Mi volto verso di lei, sorridendole sfrontato. «Non ti piacciono i pretzel?» «Non alle undici e mezzo di sera. Christian, vado a letto. Puoi startene lì a rovistare nel frigorifero per il resto della notte, se vuoi. Sono stanca, e ho avuto una giornata fin troppo impegnativa. Una giornata che vorrei dimenticare» dice scivolando giù dallo sgabello, risoluta. Le lancio uno sguardo di rimprovero, ma lei mi ignora. Con la coda dell’occhio scorgo uno dei miei piatti preferiti. Mrs Jones me ne lascia sempre una ciotola piena. La tiro fuori, tornando a guardare Ana pieno di speranza. «Maccheroni al formaggio?» Agito la ciotola in aria, speranzoso. Ana mi scruta per un attimo con un sopracciglio inarcato. «Ti piacciono i maccheroni al formaggio?» chiede, guardandomi con curiosità. Annuisco con entusiasmo, sorridendole e la vedo ricambiare con affetto. «Ne vuoi un po’?» le chiedo, mordicchiandomi il labbro inferiore. Sospira a fondo. Poi alla fine annuisce, portandosi una mano allo stomaco che brontola. Il mio sorriso in risposta è ampio ed esprime tutto il sollievo che provo. Dopo una giornata del genere non deve assolutamente andare a letto a stomaco vuoto. In meno di due secondi sono all’opera. Tolgo il foglio d’alluminio che copre la ciotola e la infilo nel microonde. Ana torna a sedersi sullo sgabello e sento i suoi occhi seguirmi in ogni movimento. «Allora sai usare il microonde?» mi prende in giro bonariamente alle mie spalle. «Se il cibo è confezionato, di solito riesco a farci qualcosa. È con quello vero che ho problemi» Prendo tutto il necessario e apparecchio, sotto il suo occhio attento e curioso. «È molto tardi» borbotta, poggiando il mento sulle braccia incrociate dinnanzi a sé. «Non andare a lavorare guardandola mentre sbadiglia. domani» le chiedo, Ha bisogno di riposare. A lungo. E io ho bisogno di lei. Per sempre. «Io devo andare a lavorare domani. Il mio capo è in partenza per New York» Lo dice con un pizzico di rammarico. La guardo accigliato. «Vuoi andarci questo fine settimana?» «Ho controllato le previsioni del tempo e pare che pioverà» mi dice, scuotendo la testa come una bambina. «Oh, allora che cosa ti va di fare?» le chiedo, visibilmente sollevato. Il trillo del fornetto ci interrompe per un attimo. «In questo momento voglio solo affrontare un giorno alla volta. Tutta questa eccitazione è... sfiancante» conclude, alzando un sopracciglio quasi a sfidarmi. Ignoro la sua espressione, dedicandomi alla cena. Mi concentro. Non ricordo di aver mai fatto nulla del genere prima. Ho sempre avuto qualcuno che facesse queste cose per me. Ma, per una volta, è quasi rilassante potermi occupare di qualcuno a cui tengo. Distribuisce i maccheroni nei piatti mentre il loro profumo delizioso si intrufola nelle narici. La guardo di sottecchi, rendendomi conto di quanto è provata dopo questa giornata sfiancante. “Dio, potevo renderla uguale a Leila”. «Mi dispiace per Leila» mormoro, guardandola negli occhi. «Perché?» chiede, prima di infilare in bocca una forchettata di maccheroni e assaporarla a fondo. «Dev’essere stato uno shock terribile per te trovarla nel tuo appartamento. Taylor lo aveva controllato prima. È molto turbato» le dico, ricordando l’espressione colpevole e tormentata di Jason. «Non biasimo Taylor» mi dice calma. «Nemmeno io. È stato fuori a cercarti» le dico. «Davvero? Perché?» chiede, aggrottando la fronte. «Non sapevo dove fossi. Hai lasciato la borsa, il telefono in macchina. Non potevo neppure rintracciarti. Dove sei andata?» domando, scrutandola. In fondo è stata tutto il tempo con Ethan Kavanagh. Dove sono stati? «Ethan e io siamo semplicemente andati nel bar dall’altra parte della strada. Così potevo guardare cosa succedeva» ammette, continuando a mangiare. «Capisco» mormoro, mentre affondo la prima forchettata in bocca, gustando quel sapore che mi riporta ai giorni felici della mia infanzia. Quelli con Grace. Ana si schiarisce la gola, poi lancia la sua stoccata. «E tu cos’hai fatto con Leila nell’appartamento?» chiede, fingendosi disinteressata. Si gira a guardarmi e al velo di gelosia e tormento che leggo nei suoi occhi mi blocco, restando con la forchetta a mezz’aria. Deglutisco. «Vuoi saperlo davvero?» le chiedo con un filo di voce. La vedo sbiancare e so che teme il peggio. «Sì» sussurra debolmente. Stringo le labbra, inalando aria a fondo nei polmoni. Per un attimo esito, ma poi penso ad una sola cosa. Dopo questo, non ci saranno più segreti. Nessun segreto. «Abbiamo parlato, e le ho fatto un bagno» le dico, la mia voce spezzata dalla paura di quello che le vedo in volto. Mi affretto ad aggiungere qualcos’altro. «E le ho fatto indossare qualcuno dei tuoi vestiti. Spero che non ti dispiaccia. Era sporca» I suoi occhi si abbassano sul piatto quasi intatto. Credo che stia per vomitare. Vacilla visibilmente, rimanendo in rigoroso silenzio. Ma il suo respiro accelerato la dice lunga su come si sente. Fa un profondo respiro, ma l’aria sembra non bastarle mai. «Era tutto ciò che potevo fare, Ana» le dico dolcemente, cercando di calmarla. «Provi ancora dei sentimenti per lei?» mi chiede in un sibilo, fissandomi con disgusto. «No!» esclamo angosciato. allarmato, chiudendo gli occhi Quando li riapro, lei si è voltata dall’altro lato per evitare di guardarmi. «L’ho vista così... così diversa, così distrutta. Tengo a lei, come ogni essere umano tiene a un altro» le dico, mentre si gira, ma tiene lo sguardo basso. Scrollo le spalle, tentando di togliermi di dosso quella sensazione di disagio che mi dà il solo pensare a Leila in quello stato. «Ana, guardami» la imploro. Trema, in silenzio, senza avere il coraggio di alzare lo sguardo. «Ana» quasi singhiozzo. «Cosa?» sibila con al voce ridotta a un filo. «Non significa niente. È stato come prendersi cura di un bambino, un bambino distrutto» mormoro cercando di farle capire che davvero non conta niente per me, davvero conta solo lei. Non posso credere che ha superato il macigno del mio passato e non riesce a superare questo. Il petto mi si spacca in due per l’ennesima volta oggi. «Ana?» chiedo per l’ennesima volta, spezzato in due dalla sua indifferenza. Si alza in silenzio, mettendo il piatto nel lavello dopo aver gettato il suo contenuto nella pattumiera. «Ana, per favore» Si gira di scatto, rabbiosa. «Smettila, Christian! Smettila di dire: “Ana, per favore!”» grida forte, mentre un fiume di lacrime trattenute per troppo tempo inizia a scorrere sul suo bellissimo viso segnato dal dolore. «Ne ho abbastanza di tutta questa merda per oggi. Sto andando a letto. Sono stanca ed emotivamente provata. Ora lasciami perdere» Velocemente si gira e fugge a rintanarsi in camera da letto, mentre sconvolto la guardo allontanarsi da me. Stringo forte gli occhi, imprecando contro me stesso e alzandomi per seguirla dopo qualche attimo. Trascino i piedi a terra, quasi con la paura di trovarla devastata. Quando arrivo in camera trovo i suoi vestiti sparsi sul pavimento e la porta del bagno chiusa. Appoggio la mano sulla maniglia, ma mi blocco. Poggio la fronte alla porta e ascolto mio malgrado il rumore dei suoi singhiozzi. Ognuno di essi è come una coltellata che mi trapassa da parte a parte. L’ho giurato. Ho giurato a me stesso che non le avrei mai più fatto del male. Non l’avrei più fatta piangere. E invece eccoci qui. É di nuovo una porta a separarci. Ma stavolta non le permetterò di andare via. Mi sono messo a nudo per lei. Farò di tutto pur di tenerla con me al sicuro, amarla e rispettarla come merita. “Io ti amo Ana Steele. Ora più che mai. Io, il mio passato, i miei tormenti. É tutto tuo. Ti appartengo come non sono mai appartenuto neppure a me stesso. Senza di te non saprei da dove iniziare a vivere”. Capitolo 18 Abbasso piano la maniglia della porta del bagno, trovandomi davanti una Anastasia disperata, in lacrime, crollata a terra sul pavimento, avvolta nella mia t-shirt. Non mi guarda. É scossa dai singhiozzi, ma rimane inerme anche quando mi inginocchio a terra e la prendo tra le braccia, facendola sedere sulle mie gambe. «Ehi» le dico guardandola dolcemente, mentre con una mano le scosto i capelli dal viso, carezzandole una guancia bagnata. «Per favore, Ana, non piangere» la scongiuro. Lentamente alza le braccia, allacciandomele al collo e sprofondando con la testa nell’incavo della spalla. La stringo forte a me, per calmarla, sussurrandole parole di conforto contro i capelli, mentre le accarezzo gentilmente e ritmicamente la schiena. «Mi dispiace, piccola» sussurro piano. Anastasia reagisce alle mie parole con uno scoppio più acuto di pianto. La lascio sfogarsi continuando a coccolarla, a sorreggerla. Non so neppure io per quanto. Ma aspetto. Aspetto per minuti, ore, potrebbero essere anche giorni tanto è lo strazio che provo al suono dei suoi singhiozzi. Ma alla fine si calma. Smette di sussultare e di versare lacrime. Lacrime che ancora una volta le ho causato io. Lentamente, quando sono certo che non sta davvero piangendo più, neppure silenziosamente, mi alzo, portandola in braccio nell’altra stanza e depositandola gentilmente sul letto. Mi spoglio in fretta, rimanendo in boxer e infilandomi una t-shirt uguale alla sua, presa dallo stesso cassetto. Spengo tutte le luci e mi avvicino al letto, stendendomi accanto a lei e attirandola tra le mie braccia. La tengo stretta, baciandole il capo e resto in silenzio, cullato dal battito del suo cuore che presto diventa regolare. Inalo a fondo il suo profumo, maledicendo me stesso per averla gettata nello sconforto. ‘Non conosci proprio le mezze misure, Grey. O tutto. O niente’. Già, proprio così. Tutto o niente. Prendere o lasciare. Mi ritrovo a pensare inevitabilmente ai suoi occhi quando le ho confessato il mio oscuro passato. Non era terrorizzata o spaventata. Era solo inevitabilmente schiacciata dal peso che capire chi sono comporta. Ma è qui ora. Con me. E anche se ho temuto che se ne sarebbe andata, averla qui ora è la cosa più confortante che abbia mai provato. É rimasta, nonostante un cuore ferito. É rimasta. Qui. Per me. Le mie membra si rilassano totalmente, mentre rilascio la tensione accumulata durante tutta la giornata di oggi, mi allungo sul comodino a prendere il telefono. Mentalmente ed emotivamente stanco, assolvo al mio ultimo compito della giornata più lunga ed estenuante della mia vita. Dire ad Andrea che domani non vado in ufficio. Domani voglio perdermi dentro Anastasia per sempre. Le gambe sono immobilizzate. Paralizzate. Un diffuso dolore al petto e alla testa mi avvolge, impedendomi persino di emettere un suono. I miei occhi sono spalancati, sul mio viso troppo piccolo e smunto. Riesco a muovere solo le dita, stringendole attorno alla mia coperta. Dalla mia posizione riesco a vedere le gambe di mia madre, nell’altra stanza. Sono bianche, troppo bianche. E ferme, come se fossero le gambe di un morto. Ma non è così. Lei è viva. E tra le sue gambe ce ne sono un altro paio, più scure di quelle della mamma. E si muovono. Sento la mamma lamentarsi, piangere piano. E invece quell’uomo fare versi strani, mentre la spinge contro il divano. Poi lancia un urlo che mi fa spaventare. Stringo forte gli occhi e quando li riapro, lui è in piedi. Si sta allacciando i pantaloni. «Puttana frignona» sibila lui. Quando ha finito di sistemarsi la camicia a quadri, sporca come lui, sposta le gambe della mamma con un calcio, facendola cadere completamente sul tappeto verde. Per un attimo i nostri occhi si incrociano. I miei, sempre spalancati. I suoi, pieni di sofferenza e di dolore. Credo che stia per dirmi qualcosa, credo che voglia dirmi di scappare. E dovrei. Lo so. Sono uscito dal mio cantuccio nel ripostiglio. É lì che devo stare quando la mamma parla con i suoi amici. Lui me lo ripete sempre. E quando non lo faccio merito una punizione. Perché sono un piccolo stronzo figlio di puttana. É quello che dice. É quello che sono. Però la mamma ha gridato. E piangeva. E quell’uomo non era un amico, io non l’ho mai visto. E poi la porta si spalanca. Non riesco a scappare da sotto al tavolo della cucina, dove sono inginocchiato. Nell’altra stanza lui e quell’altro uomo si scambiando una stretta di mano. Poi l’uomo gli consegna dei soldi. E anche una bustina. E poi se ne va. Deglutisco. Lui si china sulla mamma. «Stupida puttana drogata! Quante cazzo di volte devo dirti che non devi piangere? A loro non piaci quando piangi! E se a loro non piaci io perdo i miei soldi, puttana del cazzo!» Urla, poi le tira un calcio nello stomaco. Si china di nuovo su di lei, afferrandola per i capelli. Vorrei fermarlo. Vorrei essere grande e fermarlo. Ma non lo sono. Sono un piccolo stronzo figlio di puttana e non riesco a muovermi da sotto questo tavolo. Si rialza, continuando a tenerla per i capelli mentre la trascina lungo il pavimento fino in cucina. Si gira intorno alla ricerca di un posacenere per la sua sigaretta, sporca come lui. Sulla soglia si ferma. Mi ha visto. Mi guarda con uno strano luccichio negli occhi e un ghigno pauroso sulle labbra. Abbandona la mamma, lasciandola sbattere contro un muro e in due passi mi ha raggiunto. Ora sono i miei capelli che vengono stretti dalle sue dita. Ora sono io che vengo trascinato fino alla poltrona sudicia sistemata poco distante dal tavolo da pranzo, accanto alla finestra. La mamma mi guarda, i suoi occhi vogliono dirmi qualcosa, lo sento, ma non riesco a capire cosa. Mi strappa la maglietta di dosso, mentre io resto in silenzio. E poi sento il familiare dolore. Acuto, forte. Unito al puzzo della mia carne che brucia. Un urlo viscerale mi sfugge dalla gola. E lo sento ridere. Si ferma per un attimo, il tempo necessario per lanciare a mia madre la bustina con la polvere bianca. Lei arranca sul pavimento, con un sorriso sereno sul viso. Io urlo di nuovo, per l’ennesimo marchio a fuoco. La mamma mi guarda, e per un attimo credo che trovi la forza di alzarsi e venire a sottrarmi dalle grinfie del mostro. Ma poi si stringe la bustina al petto. E sorride. Sorride, anche se i suoi occhi sono vuoti. E poi la sua immagine si fa sfocata, indistinta. E io non sono più piccolo, ma adulto. E la mamma non è più la mamma. É Anastasia. La mia Anastasia. Riversa a terra, in lacrime, piena di lividi che le ho procurato io. Ha un vestito bianco, addosso. Un abito da sposa. Ma è insanguinato. É sporco. E lei si alza, vacillando. E apre la porta. Urlo, ma non riesco a scuotere il suo torpore. Al di là della porta c’è Leila, pallida come un fantasma. E Jennipher. E Susi. E tutte le altre. Tutte pallide, tutte ridotte a scheletri. Tutte macchiate di sangue. Tutte che tendono la mano alla mia Ana. «No!» urlo, devastato dal dolore. Sento la voce di Anastasia come un sussurro. «Christian» Ma lei non si gira. Afferra tutte quelle mani che si tendono verso di lei. E si unisce a loro. Ma io non voglio. “No, no, no, no, no!!”. Mi sveglio di soprassalto, con il calore familiare della mani di Anastasia sulle spalle. Ansimo, stravolto. Fisso la stanza attorno a me, prima di poggiare lo sguardo su di lei. Erano giorni che non avevo un incubo. Da quando se n’era andata. «Te ne sei andata, te ne sei andata, devi essertene andata» borbotto, accusandola. Il dolore è ancora forte e istintivamente mi tocco il petto all’altezza del cuore. «Sono qui» mormora, sedendosi accanto a me sul letto. «Sono qui» ripete dolcemente, guardandomi negli occhi. La sua mano si poggia sul mio viso, accarezzandomi. Ci metto un po’ a realizzare quello che è appena accaduto. La fisso, notando che non era accanto a me nel letto quando mi sono svegliato. Era in piedi. “Fuggivi da me, Ana? Domattina non ti avrei più trovata?”. Mi guardo intorno, quasi aspettandomi di vedere la sua valigia da qualche parte. Ma non c’è. E lei indossa ancora solo la mia t-shirt. «Te n’eri andata» sussurro con affanno, cercando di respirare. «Sono andata a prendere da bere. Avevo sete» mi spiega, continuando ad accarezzarmi. Chiudo gli occhi, stanco e turbato, stropicciandomi il viso con le mani. Quando torno a guardarla, non posso fare a meno di rivederla come nel mio incubo. Ma non è così. Ho bisogno di lei. Di farle capire che la amo. Che lei non è come tutte le altre. Non come mia madre. «Sei qui. Oh, grazie a Dio» la afferro per la vita, attirandola a me per il bisogno di stringerla forte. «Sono andata solo a bere» sussurra contro il mio collo. La stringo ancora di più, prima di scostarmi di poco per guardarle il viso e scostarle i capelli scuri. La accarezzo, guardandola come se non riuscissi a credere che è qui per davvero. Ana mi accarezza dolcemente i capelli. Poi lascia scorrere le dita sulla mia guancia. «Christian, sono qui. Non vado da nessuna parte» mi dice ancora una volta, come se sapesse che ho bisogno di sentirglielo dire. «Oh, Ana» le dico, sospirando forte. Ho bisogno di placare la mia sete di lei. Di sapere che stiamo bene. Anche lei deve sapere quello che provo davvero. E so dirglielo solo in un modo. Le afferro il mento, tenendola ferma mentre mi approprio della sua bocca, trasmettendole tutto il desiderio e il disperato bisogno che sto provando. Ma anche tutta la paura che mi ha tormentato in quel sogno. Ana geme e le mie labbra si spostano sul suo viso, sul collo, poi tornano alle sue labbra carnose, mordicchiandole, mentre le mie mani vanno in esplorazione sul suo corpo. La sinistra resta nei suoi capelli, tenendola salda a me, mentre la destra si infila sotto la maglietta, risalendo fino al seno. Ana è scossa da un brivido, mentre mugola piano il suo desiderio che pulsa nell’aria con il mio. Chiudo la mano attorno alla sua dolce rotondità, stringendo le dita attorno al suo capezzolo turgido. «Ti voglio» mormoro contro le sue labbra gonfie per il mio assalto. «Sono qui per te. Solo per te, Christian» sussurra lei, arrendendosi alla nostra passione. Gemo forte, tornando a baciarla come un disperato. Le sue mani si fanno intrepide e mi sfilano in fretta la maglietta madida di sudore. La aiuto a farla scivolare via dal mio corpo, poi la faccio alzare, spogliando anche lei freneticamente. La guardo, sperando che riesca a leggermi dentro, a capire che non ci sono più ostacoli tra di noi. Le afferro il viso, stringendolo tra le mani mentre la penetro con la lingua, sentendo la sua che si contorce in una sensuale danza contro il mio palato. Il mio uccello pulsa chiedendo di essere liberato, mentre si struscia contro la pelle di porcellana della sua gamba. Non riesco a staccarmi da lei neppure quando cadiamo entrambi sul letto. Con una gamba le apro le sue, infilandomici in mezzo. Ad un tratto la sento irrigidirsi del tutto, diventando quasi di ghiaccio. «Christian... fermati. Non posso» sussurra contro la mia bocca, cercando di sottrarsi alla mia presa. Quelle parole mi feriscono, a fondo. Ma so che come me ha bisogno di rassicurazioni. “Solo, devi permettermi di dartele, Anastasia. So farlo solo così. Lasciati andare. Per favore”. «Cosa? Cosa c’è che non va?» mormoro, lasciandole spazio per respirare, ma lasciandole sul collo una scia di baci. La punta della mia lingua le percorre la pelle, mentre cerco di farla cedere. «No, per favore. Non posso farlo, non ora. Ho bisogno di tempo, per favore» sussurra. Ma il suo corpo dice tutt’altro. E io approfitto della sua indecisione. «Oh, Ana, non pensare troppo a quello» le sussurro, mordicchiandole piano il lobo dell’orecchio mentre le faccio sentire la mia erezione tra le gambe, strofinandola con vigore contro il suo clitoride gonfio. «Ah!» sussulta, inarcandosi verso di me. Ma non è realmente con me. E io non posso prenderla così. Ho bisogno che si dia a me. E credo che lei abbia bisogno della stessa cosa. Sospiro, piano, guardandola negli occhi. Mi avvicino al suo viso. «Io sono quello di prima, Ana. Ti amo e ho bisogno di te. Toccami. Per favore» Strofino il mio naso contro il suo, e lascio scorrere le mie labbra sulle sue senza baciarla. Non avrei mai pensato di chiederle una cosa del genere. Non avrei mai pensato di desiderare una cosa del genere. Ma lo voglio. Voglio sentire le sue mani su di me. Voglio provare quel misto di eccitazione e paura e tormento e piacere. Quello che solo Anastasia può donarmi. Voglio essere suo allo stesso modo in cui lei è mia. Ana mi guarda sconvolta, senza muoversi. Faccio leva sulle braccia, rimanendo su di lei a guardarla, incapace di staccare gli occhi dai suoi. Esitante, alza una mano e mi accarezza lo sterno, incantata dal mio corpo come io lo sono dal suo. Sussulto al suo tocco e stringo gli occhi, assaporando quella sensazione così contrastante. Per un attimo temo che lei mi abbandoni, ma il suo calore si sposta sulla mia spalla. Tremo, di piacere e dolore. Di puro desiderio. “Oh Dio, è così bello abbandonarmi a lei”. Gemo forte e lei si fa più audace. Mi attira a sè, facendomi ricadere sul suo corpo. Le sue mani vanno a posarsi sulla mia schiena, accarezzandomi piano mentre mi stringe forte. Dalla gola mi sfugge un gemito roco e lei mi fa eco. Nascondo la testa nell’incavo del suo collo, baciando la sua pelle che fino ad oggi non era mai stata così unita alla mia. La succhio, mordo e mi sposto fino al mento, impadronendomi di nuovo della sua bocca, con possessività. Poi scendo sul suo seno caldo e sodo, mentre lei mi accarezza incessantemente la schiena. le succhio forte un capezzolo, che subito diventa una meraviglioso bocciolo turgido e invitante. Anastasia geme forte, conficcandomi leggermente le unghie nella pelle e lasciandole scorrere per tutta la lunghezza della schiena. “Cristo!”. Il mio uccello ha un guizzo e credo di non essere mai stato tanto eccitato in vita mia. E la mia eccitazione deriva da una profonda connessione fisica, mentale e spirituale con la donna che mi sta facendo tutto questo. Un gemito gutturale mi muore in gola. «Oh, cazzo, Ana» riesco a dire in un sussurro, contro il suo seno. La sento ansimare, proprio come me. É eccitata proprio come me. La mia mano percorre il suo ventre piatto, sino ad infilare due dita tra le sue gambe e immergerle dentro di lei. La fonte del suo e del mio piacere. Non esiste nient’altro che noi ora. Muovo le dita in circolo, mentre lei ansima vogliosa e si inarca contro al mia mano. «Ana» sussurro. E non resisto oltre. Mi stacco velocemente da lei, mettendomi seduto sul letto. Mi sfilo completamente i boxer e afferro un preservativo dal comodino. La fisso, passandoglielo. La decisione, come sempre, è solo sua. «Lo vuoi fare? Puoi ancora dire di no. Puoi sempre dire di no» mormoro fissandola ardentemente. «Non darmi la possibilità di pensare, Christian. Anch’io ti desidero» mi dice d’un fiato. E mi basta questo per ora. Domani penseremo al resto. Ana apre la bustina argentata con i denti, mentre mi posiziono tra le sue gambe. Le sue dita tremano mentre mi infila il profilattico, eccitandomi ancora di più. «Attenta» le sussurro con un sorriso. «Così mi smonti, Ana» Mi guarda, ma non perdo più tempo. Mi allungo su di lei e la vedo perdersi. Ma non voglio. La voglio presente. Voglio che sia cosciente di ogni attimo. Che in ogni momento sappia che è lei la donna della mia vita. Mi sposto all’improvviso, mettendomela sopra. «Prendimi tu» sussurro, guardandola con desiderio puro e cocente. “Sono tuo, Anastasia”. Con una lentezza esasperante si alza per poi abbassarsi su di me, accogliendomi tutto dentro di lei. La mia testa si rovescia all’indietro e gemo forte, chiudendo gli occhi. Mi afferra le mani, sostenendosi e iniziando a scoparmi al suo ritmo. Sento la sua bocca che scorre sul mio mento, la sua lingua sulla pelle. Apro gli occhi afferrandole di colpo i fianchi e regolarizzando il suo ritmo. Fisso la meravigliosa dea che mi sta cavalcando come una selvaggia amante. E voglio di più. Ora capisco cosa intendeva quando continuava a ripetermelo. “Sei il mio di più, Ana Steele”. «Ana, toccami... ti prego» la supplico. Mi guarda, lasciandomi lentamente le mani e poggiando le sue sul mio torace. Grido a quell’ondata di calore, mentre mi spingo ancora più a fondo nel suo ventre, invaso dal godimento puro e totale. «Ah» geme, facendo scorrere delicatamente le unghie sul mio petto. Mugolo, contorcendomi. Sto per esplodere. Ho bisogno di riprendere il controllo. Mi sposto all’improvviso, rimettendola sotto di me. «Basta» ansimo. «Basta, per favore» Le sue mani si spostano immediatamente sul mio viso, sul quale, per la seconda colta per oggi, scorrono calde lacrime di sollievo. Mi attira verso di sé, baciandomi, mentre continuo implacabile ad inchiodarla al materasso, affondando sempre di più dentro di lei. Sono al limite, ma lei è tesa. «Lasciati andare, Ana» mormoro contro le sue labbra. «No» sussurra, spalancando gli occhi sconvolta. «Sì!» esclamo con determinazione. “Non abbandonarmi, Ana. Mai. Non ora. Non domani. Mai”. Muovo i fianchi, ruotandoli e affondando ancora in lei. Il suo corpo reagisce a dispetto della sua mente. «Avanti, piccola, ne ho bisogno. Vieni con me» la supplico, tirandole il labbro con i denti. E lei si sgretola completamente sotto di me, urlando il suo piacere mentre si aggrappa alle mie spalle e mi stringe tra le sue gambe. E, finalmente, vengo anch’io, perdendomi completamente nel suo calore avvolgente e urlando il suo nome come una supplica al cielo affinché non me la porti mai via. Mai. Mi rendo conto che il mio corpo sta schiacciando il suo. Ma Anastasia sembra non dispiacersi di questo. Mi tiene stretto tra le sue braccia, accarezzandomi dolcemente i capelli, mentre i nostri respiri piano ridivengono regolari e si placano insieme, godendosi il torpore causato dall’orgasmo. Stringo forte gli occhi, pensando a quanto sarei devastato nel profondo se lei mi lasciasse. L’incubo torna a tormentarmi. Vederla in quello stato, sapere di essere la causa della sua pena infinita, del suo tormento, è semplicemente straziante. Preferire morire piuttosto che farle del male in quel modo. Preferirei morire piuttosto che perderla. «Non lasciarmi mai» le sussurro. Sento un piccolo sospiro, quello che di solito fa quando alza gli occhi al cielo. Le mie labbra si distendono in un piccolo sorriso. «So che stai alzando gli occhi» mormoro, senza muovermi e continuando a godermi le sue coccole post sesso. «Mi conosci bene» replica piano lei. «Vorrei conoscerti meglio» le dico, con un sospiro profondo. «E io vorrei conoscere meglio te, Grey. Cosa c’era nel tuo incubo?» chiede piano, come se fosse una cosa normale. Come se mi stesse chiedendo di compilare la lista della spesa. «Il solito» mento. Ma per stasera le ho già concesso tanto. Non ho voglia di metterla in ansia. E spero che lei desista dal chiedere altro. «Raccontamelo» Come non detto. Deglutisco, irrigidendomi. Non mi piace mentirle. Non lo faccio mai. Ma davvero non sono pronto a questo. Ma lei non è pronta a sostenere un rifiuto sul mio passato a questo punto di questa strana giornata. Sospiro forte e decido di accontentarla almeno in parte. «Devo avere all’incirca tre anni, e il magnaccia della puttana drogata è di nuovo fuori di sé. Fuma, una sigaretta dopo l’altra, e non riesce a trovare il posacenere» Ok, ho mentito solo un po’. In fondo è questo quello che di solito sono costretto a rivivere. E, in fondo, è un po’ la verità anche in questo caso. Mi focalizzo su questo ricordo orribile prima che possa indagare oltre. «Fa male» le confesso. «È il dolore che ricordo. È quello che mi fa avere gli incubi. Quello, e il fatto che lei non facesse niente per fermarlo» mi sfogo con un sibilo rabbioso. Sento Anastasia stringersi di più al mio corpo. Alzo la testa, colpito dalla sua reazione, e trovo un paio di occhi tristi e feriti. «Tu non sei come lei. Non pensarlo neanche per un istante. Per favore» le dico, tenendo gli occhi fissi nei suoi. Ana mi guarda, sbattendo le palpebre. Le sue labbra si increspano in un sorriso impacciato, ma riconoscente. Poggio di nuovo la testa sul suo petto. «Qualche volta nei miei sogni lei è distesa sul pavimento, e penso che stia dormendo. Ma non si muove. Non si muove mai. E io ho fame. Sono davvero affamato» Non so perché glielo racconto. Forse perché è giunto il momento. Forse perché ora che ho deciso di condividere la mia vita con lei, ora che le ho raccontato la parte peggiore di me e lei non è fuggita, ora posso dirle tutto. Così continuo. La rendo partecipe di tutte quelle dolorose sensazioni che ho provato per anni. «C’è un rumore sonoro e lui è di ritorno, e mi colpisce forte, imprecando contro la puttana. La sua prima reazione era sempre quella di usare i pugni o la cintura» Stringo forte gli occhi, deglutendo al ricordo vivido del suo pugno che mi colpisce il mio piccolo stomaco, già attraversato da spasmi lancinanti per la fame. «È per questo che non ti piace essere toccato?» mormora lei, togliendomi i capelli dalla fronte. Stringo gli occhi, mi sento così esposto. Mi sistemo meglio su di lei, tenendola ancora più stretta. “Per questo. Perché non l’ha mai fatto nessuno. Perché ho paura di saper reagire solo nel modo in cui sono stato abituato. Con la violenza. E non voglio farti del male”. «È complicato» mormoro. Giro la faccia, strusciandomi piano contro il suo seno, inspirando a fondo il suo profumo di sesso e di Ana. «Rispondimi» aggrottate. mi incalza, con le sopracciglia Sospiro di nuovo contro uno dei suoi seni. ‘La brunetta non molla, Grey’. «Lei non mi voleva bene. Io non ne volevo a lei. Il solo modo di toccare che conoscevo era... violento. Viene tutto da lì. Flynn lo spiega meglio di me» tento di liquidare in fretta l’argomento. «Posso vedere Flynn?» mi chiede all’improvviso, sorprendendomi. Alzo la testa, squadrandola bene in viso. «Mr Cinquanta Sfumature ti sta contagiando?» le chiedo con un sopracciglio inarcato ed un mezzo sorrisetto. «Molto di più. Mi piace come mi sta contagiando in questo momento» mi risponde, sorridendo in modo provocante, mentre il suo corpo si struscia audacemente contro il mio. Sorrido, strusciando il mio uccello pulsante tra le sue cosce. «Sì, Miss Steele, piace anche a me» Mi tiro su, incollando le mie labbra alle sue e baciandola profondamente. Quando ci stacchiamo i nostri occhi sono riluttanti a seguire le nostre labbra. La fisso, scrutando l’azzurro magnifico dei suoi occhi profondi e pieni di sentimento. «Sei così preziosa per me, Ana. Facevo sul serio riguardo al matrimonio. Potremo conoscerci meglio, così. Io mi prenderò cura di te e tu potrai prenderti cura di me. Potremo avere dei bambini, se vorrai. Metterò il mondo ai tuoi piedi, Anastasia. Ti desidero, corpo e anima, per sempre. Per favore, pensaci» le sussurro sentendomi un’anima in pena. Ho bisogno del suo amore. Ho bisogno del suo sì. Ne ho bisogno per sentirmi davvero accettato. Perché una donna che accetta le conseguenze di un matrimonio con me, non potrà mai lasciarmi. Ho bisogno di un legame. Di un legame che attesti che lei sia mia. E di nessun altro. Mia. Mia moglie. La mia donna. La donna della mia vita. La signora del mio universo. «Ci penserò, Christian. Lo farò» mi rassicura, ma la sua voce trema leggermente. «Mi piacerebbe davvero molto parlare con il dottor Flynn, sempre che non ti dispiaccia» chiede di nuovo. «Qualsiasi cosa per te, piccola. Qualsiasi. Quando vorresti vederlo?» le chiedo, superando la paura che magari Flynn possa fare luce su degli aspetti di me e del mio passato con cui non vorrei lei fosse costretta a confrontarsi. «Il prima possibile» risponde cauta, quasi aspettandosi un rifiuto. «Okay. Domani mattina prenderò un appuntamento» le dico, lanciando di sfuggita un’occhiata all’orologio. «È tardi. Dovremmo dormire» le dico, allungando una mano e spegnendo la luce sul comodino. Mi distendo accanto a lei e la attiro contro di me, abbracciandola forte e strusciando la punta del naso contro il suo collo. «Ti amo, Ana Steele, e ti voglio al mio fianco, sempre» mormoro contro al sua pelle, baciandole il collo. «Ora dormi» le ordino dolcemente. La sento prendere un profondo sospiro ed espirare tutta l’aria. Ascolto il ritmo del suo cuore, che rallenta fino a stabilizzarsi. E quando sono certo che lei si sia addormentata, allora mi addormento anch’io, tenendola sempre stretta a me, in modo che nessuno possa portarmela via. Sollevo piano le palpebre attirato dal gran frastuono, da qualcosa che mi sfugge dalle braccia e si rifugia in bagno sbattendo la porta. Muovo piano il collo, spalancando le braccia nel letto ancora caldo e impregnato del suo odore. Guardo di sbieco la sveglia, che ieri sera non ho puntato, ovviamente. Le 8.45. Non penserà davvero di andare a lavoro, spero. E, comunque, oramai è tardi. Cinque minuti esatti ed è fuori dal bagno. La guardo divertito e diffidente allo stesso tempo. Dopo la giornataccia di ieri io voglio solo rifugiarmi tra le sue braccia. Possibile che per lei sia diverso? La osservo asciugarsi in fretta e avvicinarsi alla cabina armadio, scegliendo un paio di pantaloni neri e una camicetta dello stesso colore. Poi si avvicina al cassetto della biancheria, sfilandone un completo in pizzo nero. Sfila l’asciugamano dal suo corpo e il mio cazzo semi eretto si tende del tutto. É impossibile non notarlo, dato che il lenzuolo è praticamente sollevato in quel punto. Osservo il suo corpo minuto e delicato, arrossato dallo sfregamento del cotone dell’asciugamano e dall’acqua calda. Ana infila in fretta le mutandine e il reggiseno, lanciandomi un’occhiata di sfuggita. Cristo, voglio solo raggiungerla, sfilarglieli di nuovo e farla mia. «Stai bene» mugolo frustrato. «Puoi chiamare e dire che sei malata, lo sai» Le sorrido di sbieco, sapendo benissimo l’effetto che ha su di lei. Mi guarda e per un attimo mi sembra indecisa. Poi finisce di abbottonarsi la camicetta. «No, Christian, non posso. Non sono un amministratore delegato megalomane con un bellissimo sorriso, che può andare e venire a suo piacimento» mi dice, scuotendo piano la testa. «Adoro venire a mio piacimento» la provoco, aprendo ancora di più il mio sorriso. «Christian!» mi rimprovera, fingendosi scioccata, gettandomi addosso l’asciugamano. Scoppio a ridere di gusto, parando appena in tempo il telo di cotone umido. «Bellissimo sorriso, eh?» le chiedo con un’espressione da arrogante. «Sì. Lo sai che effetto mi fa» risponde indispettita, infilandosi l’orologio. «Davvero?» ribatto, sbattendo piano le palpebre con aria innocente. «Sì che lo sai. Lo stesso effetto che fa su tutte le donne. È davvero irritante vederle andare in estasi» borbotta. «Ah, sì?» le dico, inarcando un sopracciglio, senza riuscire a trattenere un sorriso. «Non fare l’innocente, Mr Grey, non ti si addice» dice mentre si acconcia i capelli in una coda di cavallo sexy da morire e infila le scarpe nere con il tacco alto. Il mio cazzo punta decisamente all’insù nel vedere la sua mise da femme fatale. Si avvicina al letto, chinandosi per darmi un bacio. Di colpo l’afferro, lasciandola cadere sul materasso e coprendola con il mio corpo. I miei occhi frugano le sue curve. Le sorrido calorosamente. Lei mi fissa, scuotendo la testa con esasperazione. «Cosa posso fare per convincerti a rimanere?» le chiedo dolcemente, sfiorando il suo naso con la punta del mio. Sento il suo respiro farsi corto e le palpebre socchiudersi per l’eccitazione. É tentata, lo so. Ma so anche che ha bisogno dei suoi spazi e di tenere occupata la mente. La lascerò andare al lavoro. Ma voglio giocare un po’ ora. «Non puoi fare nulla» mormora, divincolandosi dalla mia presa e mettendosi a sedere. «Lasciami andare» mi dice con un sorriso. Faccio il broncio e lei si scioglie. Sorride luminosa, sfiorandomi le labbra con la punta delle dita e guardandomi con affetto. Poi si china su di me. Per un istante mi guarda negli occhi. Si avvicina piano alle mie labbra, sfiorandole e ritraendosi di pochi millimetri. Mi avvicino io e la faccio mia. La bacio a fondo, con passione. “Ok, andrai a lavoro oggi, Ana. Ma devi sapere cosa ti perdi”. Quando ho finito di possedere la sua bocca, la rimetto in piedi, tenendola per le braccia per assicurarmi che sia perfettamente in equilibrio prima di lasciarla andare. Mentre si risistema la camicetta, mando un sms a Taylor. Quando si gira, ancora stordita, la guardo e le scocco un altro sorriso. «Taylor ti accompagnerà. È più veloce che cercare posto per il parcheggio. Ti sta aspettando fuori» le dico, gentilmente. «Okay. Grazie» mormora, aggrottando leggermente le sopracciglia. Poi il suo viso si rasserena e lei mi sorride di nuovo. «Goditi la tua mattinata di riposo, Mr Grey. Mi piacerebbe restare, ma il proprietario della società per cui lavoro potrebbe non approvare che i suoi impiegati non vadano in ufficio solo per un po’ di sesso» mi dice altezzosa, afferrando la sua borsa dalla sedia. «Personalmente, Miss Steele, non ho dubbi che approverebbe. In effetti potrebbe insistere su questo punto» ribatto con lo stesso tono. «Perché te ne stai a letto? Non è da te» chiede squadrandomi. Incrocio le mani dietro la testa, inarcando un sopracciglio e tornando ad assumere la mia aria da bastardo arrogante e presuntuoso. «Perché posso, Miss Steele» le rispondo, cercando di trattenermi dal ridere. Scuote piano la testa, con un luccichio divertito negli occhi. «A più tardi, piccolo» mi dice, soffiandomi un bacio e uscendo di corsa dalla stanza. “Cristo. Già mi manca”. Prendo il mio BlackBerry e sto per scriverle una mail quando mi vibra tra le mani. É Welch. «Grey» «Mr Grey, buongiorno. L’ho chiamata per avvisarla di un’anomalia nel sistema della posta interna della SIP» Mi metto a sedere sul bordo del letto. «Sono tutto orecchi» sibilo. «Bene. Dalla scorsa settimana il sistema è stato tenuto sotto controllo, come da lei richiesto. Quello che abbiamo scoperto è che la casella postale di Miss Steele è stata costantemente monitorata anche da Mr Hyde. Ogni mail che Miss Steele ha inviato o ricevuto è stata letta dal suo capo» «Cristo!» sibilo di nuovo. «Welch, mi serve un controllo approfondito su Jack Hyde. Qualsiasi cosa. Voglio sapere tutto quello che c’è da sapere. Continua a monitorare le mail di Ana» Chiudo la chiamata, e le scrivo una mail per avvisarla. Da: Christian Grey A: Anastasia Steele Data: 15 giugno 2011 9. 05 Oggetto: Mi manchi Per favore, usa il tuo BlackBerry. X Christian Grey Amministratore delegato, Grey Enterprises Holdings Inc. Il mio telefono squilla di nuovo. «Grey» «Christian, non poltrire. Porta le tue deliziose chiappette da milionario in ufficio. Taiwan ha bisogno di essere monitorata» Sospiro pesantemente. «Arrivo Ros» Mi avvio verso il bagno, poi torno indietro e le mando un’altra mail. Da: Christian Grey A: Anastasia Steele Data: 15 giugno 2011 09. 06 Oggetto: Mi manchi Il mio letto è troppo grande senza di te. A quanto pare dovrò andare anch’io al lavoro. Anche i direttori generali megalomani hanno bisogno di fare qualcosa. X Christian Grey Amministratore delegato che si gira i pollici, Grey Enterprises Holdings Inc. Mi infilo in fretta sotto la doccia, ribollendo di rabbia per Hyde, Taiwan, per lei che se ne è andata a lavoro. Mi lavo in fretta e un quarto d’ora dopo sono pronto. Mi fermo in cucina, dove scopro che, ovviamente, lei non ha mangiato. Faccio colazione almeno io, borbottando tra me e me. Poi, quando Taylor torna, mi faccio accompagnare al lavoro, mentre Ros mi richiama almeno altre cento volte, avvisandomi di aver fissato un paio di incontri in settimana. Quando arrivo in ufficio sono di pessimo umore. Il mio telefono vibra, avvisandomi della ricezione di una mail. É lei. Da: Anastasia Steele A: Christian Grey Data: 15 giugno 2011 9. 27 Oggetto: Buon per te Il mio capo è furioso. È colpa tua che mi hai fatto tirare tardi con le tue... bricconate. Dovresti vergognarti. Anastasia Steele Assistente di Jack Hyde, Direttore editoriale, SIP Controllo, ma il messaggio è stato inviato dal suo pc. “Cristo, Ana! Ti risulta difficile fare per una volta una cosa?”. Lo rileggo, sorridendo tra me e me. Sospiro. Non voglio metterla in allarme con il fatto della sorveglianza speciale al quale il suo infido capo la sottopone di nascosto. Da: Christian Grey A: Anastasia Steele Data: 15 giugno 2011 9. 32 Oggetto: Bricconate? Non devi lavorare, Anastasia. Non hai idea di quanto le mie bricconate mi facciano inorridire. Ma mi piace tenerti alzata fino a tardi ;) Per favore, usa il BlackBerry. Oh, e sposami, per favore. Christian Grey Amministratore delegato, Grey Enterprises Holdings Inc. Due minuti più tardi sento di nuovo il familiare ronzio. Da: Anastasia Steele A: Christian Grey Data: 15 giugno 2011 9. 35 Oggetto: Devi guadagnartelo Conosco la tua naturale propensione a darmi il tormento, ma ora smettila. Devo parlare con il tuo strizzacervelli. Solo allora potrò darti la mia risposta. Non sono contraria a vivere nel peccato. Anastasia Steele Assistente di Jack Hyde, Direttore editoriale, SIP Il riferimento a Flynn mi fa infuriare stavolta. Non voglio assolutamente condividere le mie menate personali con quel coglione di Hyde. Mando un messaggio a Welch dicendogli di cancellare dal sistema della SIP le mail che Ana scambia con me. Poi le mando un’altra mail. Da: Christian Grey A: Anastasia Steele Data: 15 giugno 2011 9. 40 Oggetto: BLACKBERRY Anastasia, se devi iniziare a discutere del dottor Flynn, allora USA Il BLACKBERRY. Questa non è una richiesta. Christian Grey Amministratore Holdings Inc. delegato, Ora Contrariato, Grey Enterprises Ana non risponde e io vengo distratto da Andrea che mi avverte degli appuntamenti della giornata. Le concedo un minuto, poi la liquido. Sospiro mentre compongo il numero di Flynn. Risponde al primo squillo. «John, Grey. Ho bisogno di un appuntamento» «Christian, so che ultimamente non riesci a fare a meno di me, ma sai che puoi chiamare direttamente Cynthia. Ti fisserà un appuntamento appena possibile» mi risponde gentile e divertito al tempo stesso. «In realtà non sono io ad avere bisogno di te. O meglio, sì, ovviamente. Ma è... è Ana che vuole vederti» gli dico con un filo di voce. «Ana?» chiede curioso. «Sì... io, le ho chiesto di sposarmi. E le ho raccontato del mio passato. E le ho detto che sono un sadico» sospiro, stringendo gli occhi. «Forse è meglio se fissiamo un appuntamento prima noi due da soli» Flynn resta per un attimo in silenzio. Sento il rumore di fogli che vengono girati. «Ok, Christian. Ci vediamo oggi pomeriggio alle 16.00. E domani sera, invece, fissiamo un appuntamento con Ana e te insieme» «Grandioso» gli dico, anche se più che soddisfatto sono solo in ansia. Quando chiudo con lui, Ros fa capolino nel mio ufficio, avvisandomi di una riunione imminente. Le faccio cenno che arrivo subito e mando un’altra mail ad Anastasia, che non ha risposto all’ultima. Da: Christian Grey A: Anastasia Steele Data: 15 giugno 2011 9. 50 Oggetto: Discrezione È la miglior virtù. Per favore, sii discreta... Le mail dal tuo posto di lavoro sono monitorate. QUANTE VOLTE TE LO DEVO DIRE? Sì. Maiuscole urlanti, come dici tu. USA Il TUO BLACKBERRY. Il dottor Flynn ci può incontrare domani sera. X Christian Grey Amministratore delegato ancora contrariato, Grey Enterprises Holdings Inc. Mi passo una mano nei capelli e faccio un profondo sospiro prima di uscire dal mio ufficio e dirigermi nella sala riunioni per gettarmi a capofitto nel lavoro. Oltre due ore dopo, quando finalmente un’iperansiosa Ros mi lascia libero e la smette di tormentarmi con Taiwan e i rischi che corriamo, i piani di rientro degli esuberi e l’organizzazione della comunicazione interna all’azienda, riesco finalmente a ritagliarmi un minuto per controllare le mail. Anastasia non si è fatta viva. Spero non se la sia presa. Ovviamente da parte mia non è stata una mossa intelligente rimproverarla in quel modo. Non dopo ieri. O ieri sera. O questa notte. Le ho riversato addosso un casino di merda e ora mi permetto anche di rimproverarla perché quel depravato del suo capo è un voyer 2.0. “Stronzo figlio di puttana”. Da: Christian Grey A: Anastasia Steele Oggetto: Sleale Data: 15 giugno 2011 12. 15 Non ho più tue notizie. Per favore, dimmi che è tutto okay. Sai quanto mi preoccupo. Manderò Taylor a controllare! X Christian Grey Amministratore delegato iperansioso, Grey Enterprises Holdings Inc. Mi siedo sulla mia poltrona in pelle e fisso l’aliante che mi ha regalato Anastasia. “Prima o poi riusciremo a ricostruire la nostra bolla perfetta, Miss Steele. Te lo prometto”. L’interfono suona e Andrea mi avverte della prossima riunione. Mi alzo, aggiustandomi la giacca e portando le mie deliziose chiappette da milionario nell’ufficio dell’ansiosa Ros. “Dovrò obbligarla a prendersi una vacanza prima o poi”. Ad attendermi trovo uno dei delegati dell’azienda che stiamo cercando di inglobare. Imposto al deviazione di chiamate al telefono dell’azienda, in modo da non perdermi nessuna chiamata di lavoro importante e inizio la presentazione. Venti minuti più tardi l’interfono della sala conferenze squilla. Ros mi guarda accigliata e preoccupata. Mi sposto, rispondendo bruscamente. «Andrea, sono in riunione» faccio per chiudere, ma lei mi interrompe. «Mi scusi Mr Grey, Miss Steele al telefono per lei» Il mio cuore prende a palpitare. Ana non mi chiama mai in ufficio. “Idiota, ovviamente ti ha chiamato al cellulare”. Sì, ok. Ma Ana non chiama mai quando è a lavoro. Controllo il telefono, tirandolo fuori dalla tasca, e non vedo mail. «Arrivo» sibilo. Mi scuso in fretta con il nostro ospite e lascio una Ros incazzatissima a dirigere l’ultima parte della presentazione mentre mi defilo nella hall. Non aspetto neppure di arrivare in ufficio, ma rispondo dal telefono di Andrea. «Stai bene?» le chiedo preoccupato non appena afferro la cornetta. «Sì, benissimo» mi risponde lei, come stordita. Faccio un profondo sospiro di sollievo. «Christian, perché non dovrei stare bene?» sussurra, cercando di rassicurarmi. «Di solito sei così veloce a rispondere alle mie mail. Dopo quello che ti ho raccontato ieri, ero preoccupato» le dico piano, mentre Andrea mi interrompe con un gesto. Le faccio un cenno e lei mi avverte che la delegazione taiwanese vuole parlare con me. «No, Andrea. Di’ loro di aspettare» le dico severamente, senza degnarla più della mia attenzione. Il mondo può aspettare. Taiwan può aspettare. E senz’altro può aspettare quella rompipalle di Ros. Ana viene prima di tutto. Ma Andrea mi interrompe di nuovo. «Mr Grey, la sua presenza è davvero necessaria. Servono delle firme e i nostri ospiti devono ripartire per Taiwan» Mi giro, fulminandola con lo sguardo. Olivia, alla scrivania di fronte, sussulta per il timore. «No. Ho detto di aspettare» esclamo spazientito. «Christian, sei chiaramente impegnato. Ti ho chiamato solo per farti sapere che sto bene, ed è vero. Ho una giornata molto piena, tutto qui. Jack continua a far schioccare la frusta. Ehm... voglio dire...» si ferma di colpo, rendendosi conto della pessima scelta di parole. Resto in silenzio, tenendola per un po’ sulle spine. Ma in realtà sono divertito. La immagino lì a mordicchiarsi il labbro e arrossire. Sento che trattiene il respiro. Faccio un piccolo sospiro sarcastico, girandomi e abbassando la voce per non far origliare le mie assistenti. «Fa schioccare la frusta, eh? Bè, un tempo lo avrei definito un uomo fortunato» commento sarcastico. «Non farti mettere i piedi in testa, piccola» «Christian!» mi rimprovera e io sorrido compiaciuto. «Tienilo solo d’occhio, tutto qui. Senti, sono felice che tu stia bene. A che ora devo passare a prenderti?» le chiedo. «Ti manderò una mail» «Dal BlackBerry» ribatto severo. «Sì, signore» borbotta di rimando. «A più tardi, piccola» sussurro. «Ciao...» mormora. E nessuno dei due riaggancia. «Riaggancia» mi rimprovera bonariamente. Sospiro pesantemente, avvertendo la sua mancanza in ogni nervo del mio corpo. «Vorrei che non fossi mai andata al lavoro stamattina» le sussurro sottovoce. «Anch’io. Ma sono occupata. Riaggancia» mi ordina con finta severità. «Riaggancia tu» sorrido, prendendola in giro. «Ci siamo già passati» mormora piano. Chiudo gli occhi e la immagino. «Ti stai mordendo il labbro» le sussurro. Lo fa sempre quando gioca a fare la maliziosa. La sento sussultare e mi viene da ridere. «Vedi? Tu pensi che io non lo sappia, Anastasia. Ma io ti conosco meglio di quanto tu creda» le mormoro, mentre immagino di conoscerla ancora più a fondo. Sempre più a fondo. «Christian, parleremo più tardi. Ora, davvero, anch’io vorrei non averti lasciato stamattina» mi sussurra piano, con il respiro affannoso. So che è eccitata. E, Cristo, io non so come cazzo nascondere la mia fottuta erezione ora. «Aspetto la tua mail, Miss Steele» le dico in un sospiro. «Buona giornata, Mr Grey» sussurra lei, chiudendo la conversazione. Dopo pranzo, dopo la furia di Ros per il tiro mancino che le ho giocato con la presentazione, dopo un mucchio di scartoffie da firmare e dopo aver offerto il mio jet privato alla delegazione taiwanese per rimediare al fatto che la mia telefonata con Ana gli ha fatto perdere il volo, eccomi davanti all’ufficio di Flynn. Esattamente con 40 minuti di anticipo. Cynthia è gentile e mi lascia accomodare dentro, con il benestare del buon dottore, che mi sorride e mi ascolta pazientemente. Quando finisco il mio racconto, John mi scruta per qualche attimo. «Quindi hai chiesto ad Ana di sposarti dopo averle rivelato una parte del tuo passato... Interessante» mormora. «Come ti sei sentito quando non ti ha detto subito di sì?» Lo fisso negli occhi, spalancando i miei. «Ferito... forse. Ok, sì. Ferito, all’inizio. Ma ho pensato che aveva tutto il diritto di rifiutare un mostro come me» sussurro, abbassando gli occhi a terra. John sospira. «Christian tu non sei un mostro. Anastasia ha solo bisogno di riflettere sulla tua proposta. Ma non per i motivi che credi tu. É giovane, tu sei giovane. Vi conoscete da poco, ed è ovvio che lei voglia riflettere bene su una situazione che cambierebbe per sempre il suo futuro. Nelle ultime settimane la sua vita è stata stravolta. E la causa di tutti i cambiamenti sei tu. Ora le serve spazio e tempo per capire quello che vuole» Mi sorride gentile, ma con me non attacca. «E se io non fossi quello che vuole?» chiedo, timoroso. «Me lo chiedi perché pensi di non essere l’uomo giusto per lei, ovviamente. Ma credi di essere sbagliato per come conduci la vostra relazione o per quello che ti porti dietro, Christian?» Alzo lo sguardo su di lui e lo fisso in silenzio per un po’. «Tu lo sai chi sono, John. E cosa ho fatto. Potrei farle del male» John scuote la testa. «Io so che sei un giovane uomo onesto, premuroso e amorevole con la donna che ama. So che lei ti ha dato la forza per affrontare il tuo passato. So che grazie a lei hai fatto passi da gigante. Anastasia ti ama, farà la scelta giusta. E anche se dovesse essere quella di non sposarti, sono sicuro che non ha intenzione di uscire dalla tua vita» Sospiro, senza ribattere. Poi mi alzo, preparandomi ad andare. «Lei come sta?» «Sto aspettando notizie dalla clinica. Stai tranquillo, è in ottime mani» Quando esco dall’ufficio di John mi sento parzialmente rassicurato. Controllo il telefono e trovo una sua mail. Da: Anastasia Steele A: Christian Grey Data: 15 giugno 2011 16.11 Oggetto: Antidiluviano Caro Mr Grey, quando, esattamente, me lo avresti detto? Che cosa posso regalare al mio vecchietto per il suo compleanno? Magari delle batterie nuove per il suo apparecchio acustico? X Anastasia Steele Assistente di Jack Hyde, Direttore editoriale, SIP “Maledetta Mia”. Stringo forte le labbra e salgo nel SUV, mentre Taylor mi riporta alla Grey Enterprises. Dev’essere stata per forza lei. Eppure sa che odio il mio compleanno. Non mi piace festeggiarlo. Da: Christian Grey A: Anastasia Steele Data: 15 giugno 2011 16.20 Oggetto: Preistorico Non si sfottono i più anziani. Felice che tu sia viva e vegeta. E che Mia si sia fatta sentire. Le batterie sono sempre utili. Non mi piace festeggiare il mio compleanno. X Christian Grey Amministratore delegato, Enterprises Holdings Inc Sordo La sua risposta è immediata. come una Campana, Grey Da: Anastasia Steele A: Christian Grey Data: 15 giugno 2011 16.24 Oggetto: Mmh Caro Mr Grey, riesco a immaginarti mentre facevi il broncio e scrivevi l’ultima frase. Mi fa un certo effetto. XOX Anastasia Steele Assistente di Jack Hyde, Direttore editoriale, SIP Scorrendo la mail mi accorgo che, ancora una volta, è inviata dal suo computer dell’ufficio. Da: Christian Grey A: Anastasia Steele Data: 15 giugno 2011 16.29 Oggetto: Occhi al cielo Miss Steele, USA Il TUO BLACKBERRY!!! x Christian Grey Amministratore delegato, con le Mani che Prudono, Grey Enterprises Holdings Inc. Quando mi risponde, obbedendo finalmente, sono già seduto alla mia scrivania, in ufficio. Da: Anastasia Steele A: Christian Grey Data: 15 giugno 2011 16.33 Oggetto: Ispirazione Caro Mr Grey, ah... le tue mani che prudono non riescono più a stare ferme, vero? Mi domando che cosa ne direbbe il dottor Flynn. Ma ora so che cosa regalarti per il tuo compleanno. E spero che mi faccia male... ;) AX Una scarica di adrenalina mi percorre da capo a piedi. Il mio cazzo pulsa e si tende all’istante al pensiero di Anastasia esposta a me. Il ricordo del suo culo completamente a mia disposizione, mentre era piegata sul tavolo da biliardo della mia biblioteca, mi manda in estasi. Il caffè che sto bevendo mi va di traverso e devo riaggiustarmi i pantaloni un paio di volte. L’erezione che sto sfoggiando sotto la mia scrivania è ai limiti dell’imbarazzante. Da: Christian Grey A: Anastasia Steele Data: 15 giugno 2011 16.38 Oggetto: Angina Miss Steele, non credo che il mio cuore potrebbe sopportare il colpo di un’altra mail come quella, o i miei pantaloni, per quel che importa. Comportati bene. X Christian Grey Amministratore delegato, Grey Enterprises Holdings Inc. Mi appoggio allo schienale della mia sedia, chiudendo gli occhi e ripercorrendo con la mente il suo corpo nudo. La tentazione di alzarmi e provvedere all’impellente bisogno fisico è davvero troppa, ma decido di non cedere. Ho bisogno della mia disobbediente Miss Steele in carne ed ossa. Il suo ricordo non basta. Il mio telefono vibra di nuovo. Da: Anastasia Steele A: Christian Grey Data: 15 giugno 2011 16.42 Oggetto: Difficile Christian, sto cercando di lavorare per il mio capo, che mi mette a dura prova. Per favore, smettila di importunarmi e non mettermi anche tu a dura prova. La tua ultima mail mi ha quasi mandato in combustione. AX PS: Puoi passare a prendermi alle 18.30? Sorrido risposta. compiaciuto, digitando velocemente la Da: Christian Grey A: Anastasia Steele Data: 15 giugno 2011 16.47 Oggetto: Ci sarò Niente mi darebbe maggior piacere. A dire il vero, mi vengono in mente diverse cose che mi darebbero un piacere ancora maggiore, e tutte riguardano te. X Christian Grey Amministratore delegato, Grey Enterprises Holdings Inc. Rimetto il telefono in tasca e cerco di rilassarmi e far defluire il sangue dal punto preciso sotto la cintura in cui si è accumulato. Mi concentro sulle pratiche per l’acquisizione e lascio che il lavoro mi assorba completamente fino a quando Taylor non mi manda un messaggio, avvertendomi che è ora di passare a prendere Ana. Scendo di sotto e mi infilo in auto, mentre un brivido mi percorre la schiena. Mi sento strano, una sensazione di pericoloso disagio mi attraversa. Quando arriviamo davanti alla SIP, sono un fascio di nervi oramai. Capitolo 19 Guardo impaziente il portone principale della SIP. L’interno è deserto, dato che l’orario d’ufficio è passato da più di un’ora. Sono le 18.20. Faccio un profondo sospiro e mi rilasso contro lo schienale, anche se non riesco a scrollarmi di dosso una strana sensazione. Quando Ana uscirà faremo un bel discorsetto su BlackBerry e congegni elettronici vari. Forse è meglio metterla al corrente che Jack monitora le sue mail. Sarà più vigile ed eviteremo spiacevoli conseguenze. Oggi ho anche avvertito Roach del comportamento scorretto di Hyde. E gli ho detto di prepararsi nel caso decidessi di farlo fuori prima delle 4 settimane che mi separano dall’acquisizione ufficiale della SIP. Per un attimo i miei pensieri sono calamitati da altro. Questa mattina, prima di andare in ufficio, sono entrato nella Stanza dei giochi. Tutti quegli aggeggi, tutto il dolore che rappresentano quelle quattro mura. Mi è sembrato di averlo esorcizzato una volta per tutte. Non so se è un’illusione. Non so se è realmente così. Non so neppure se riuscirò ad usare di nuovo tutte quelle cose con Ana. Forse un giorno. Quello che è certo è che non userò le verghe con lei. E quindi, in attesa di capire cosa voglio farne di tutto quello, ho iniziato dalle verghe. Ho incaricato Taylor di portarle via. Sospiro, giocherellando con il telefono, mentre combatto la tentazione di inviarle una mail. La verità è che non vedo l’ora di vederla, dopo la pessima giornata di ieri. E di amarla. E di perdermi in lei. E di un sacco di altre cose. Sto quasi per scendere e andare a recuperare la mia testardissima fidanzata, quando la vedo uscire finalmente. Noto immediatamente che qualcosa non va. Ana esce di corsa, come se stesse fuggendo da qualcuno. Quando la porta si chiude alle sue spalle, lei si ferma, inspirando più volte. Poi, ad un certo punto, si accascia verso il marciapiede, senza forze. Esco immediatamente dall’auto, sbattendo la portiera dietro di me. Taylor mi segue. In meno di due secondi siamo accanto a lei. Mi inginocchio e la prendo in grembo, sorreggendole la schiena con un braccio. «Ana, Ana! Cosa c’è?» urlo in preda al panico, tastandole gli arti per controllare che non sia ferita. Anastasia sembra in trance, non mi risponde, non accenna a muoversi in nessun modo. “Mio Dio, Ana! Rispondi!”. Le afferro la testa con entrambe le mani, scrutandole gli occhi. Il terrore si impadronisce di me. La realizzazione di tutte le mie paure. Il suo corpo si rilassa completamente contro il mio, mentre io non riesco a fare altro che guardarla e implorarla affinché parli. Dolcemente riprovo a scuoterla. «Ana. Cosa c’è? Stai male?» le chiedo, deglutendo a fatica. Finalmente accenna una risposta. Muove appena la testa, rispondendo negativamente alla mia domanda. «Jack» sussurra debole. Sgrano gli occhi e guardo Taylor, che sparisce immediatamente nell’edificio alla ricerca del figlio di puttana. La rabbia inizia a montarmi dentro e stavolta niente potrà fermarmi. Ucciderò quello stronzo pervertito con le mie stesse mani. La guardo di nuovo. Cosa cazzo le avrà fatto per ridurla in questo stato? «Cazzo!» impreco ad alta voce, stringendola forte contro il mio petto e baciandole la testa. «Che cosa ti ha fatto quel depravato?» le chiedo furente. A quel punto Ana scoppia a ridere istericamente, scuotendo piano la testa. «È per quello che gli ho fatto io» mormora, continuando a ridere senza controllo. La fisso sbalordito, mentre si perde nuovamente in uno stato di trance isterica. «Ana!» la scuoto di nuovo e lei si ferma, guardandomi finalmente. «Ti ha toccata?» le chiedo con rabbia. Il solo pensiero mi disgusta. «Solo una volta» sussurra, accasciandosi contro la mia spalla. Il mio corpo reagisce alle sue parole irrigidendosi da capo a piedi. Mi alzo di scatto, portando Anastasia in braccio. «Dov’è quello stronzo?» sibilo. Come in risposta alla mia domanda, dall’interno dell’edificio sentiamo provenire urla attutite. Taylor starà dando una bella ripassata a quel figlio di puttana, ma il colpo di grazia voglio avere il piacere di darglielo io. Rimetto gentilmente in piedi Anastasia, assicurandomi che stia bene. «Riesci a reggerti da sola?» le chiedo preoccupato dal suo equilibrio precario. Le si stabilizza, rilassando le spalle e inspirando l’aria fresca. «Non andare. Non farlo, Christian» mi implora poi, rendendosi conto che ho deciso di entrare. Ma ora sono io quello perso nel mio mondo di furia e rabbia. «Sali in macchina» le ringhio contro, accecato dalla furia. «Christian, no» mi supplica, afferrandomi il braccio. Mi divincolo dalla sua presa inefficace e me la scrollo di dosso. «Entra in quella dannata macchina, Ana» sibilo. «No! Per favore!» mi supplica di piagnucolando. «Rimani. Non lasciarmi da sola» nuovo, Quelle parole mi riportano per un attimo al presente. Mi passo una mano nei capelli, lanciandole un’occhiata carica di risentimento. Guardo la porta e poi lei, deciso a rimanere e prendermi cura della donna che amo. Dall’edificio arrivano ad un tratto delle urla molto più acute. Poi il silenzio. “Cristo, Taylor!”. Tiro fuori il mio telefono, pronto ad accertarmi che sia tutto a posto. «Christian, Jack ha le mie mail» La voce di Ana è appena un sussurro. Alzo lo sguardo su di lei, fissandola. «Cosa?» chiedo, aggrottando la fronte. «Le mail che ti ho mandato. Voleva sapere dove finiscono le tue. Stava cercando di ricattarmi» La furia omicida si impossessa di nuovo di me. Stringo forte le labbra e la fisso con gli occhi socchiusi. «Cazzo!» esclamo furibondo. Digito in fretta il numero di Barney, che risponde al primo squillo. «Barney. Grey. Ho bisogno che tu acceda al server centrale della SIP e cancelli tutte le mail che Anastasia Steele mi ha mandato. Poi accedi ai file di dati di Jack Hyde e accertati che non siano archiviate lì. Se ci sono, cancellale» «Vuole che resetti tutto, Mr Grey?» «Sì, cancella tutto. Adesso. Fammi sapere quando hai fatto» Chiudo la chiamata premendo con rabbia il pulsante e subito compongo il numero di Roach. «Roach. Grey. Hyde. Lo voglio fuori. Adesso. All’istante. Chiama la sicurezza. Fagli sgombrare subito la scrivania, oppure la prima cosa che farò domani mattina sarà liquidare questa società. Hai già tutte le giustificazioni di cui hai bisogno per dargli il benservito. Mi hai capito?» Roach rimane per un attimo interdetto dalla mia veemenza. Poi sospira. «Come preferisci, Grey. Quello stronzo non mi è mai andato a genio» Chiudo la telefonata soddisfatto e mi volto verso Anastasia. «BlackBerry» sibilo un’occhiata di fuoco. a denti stretti, lanciandole «Per favore, non essere arrabbiato con me» sussurra, sbattendo le palpebre con aria colpevole. «Sono arrabbiato con te proprio adesso» le ringhio contro, passandomi una mano nei capelli, esasperato. «Sali in macchina» le ordino deciso. «Christian, per favore...» «Sali in quella dannata macchina, Anastasia, o che Dio m’aiuti, ti ci chiuderò dentro io» la minaccio con tutta la furia che oramai non riesco a trattenere. «Non fare niente di stupido, per favore» mi implora. E quella parola mi manda proprio in bestie. «STUPIDO!» esplodo esasperato. «Ti ho detto mille volte di usare quel cazzo di BlackBerry. Non venirmi a parlare di cose stupide. Entra in quella fottutissima macchina, Anastasia. ORA!» le urlo contro, incurante dei suoi sussulti di paura. Il mio corpo è attraversato da visibili brividi di rabbia allo stato puro. «Okay» mormora, esitando ancora. «Ma per favore, sta’ attento» “Non avrei bisogno di stare attento a non uccidere quello stronzo se tu avessi usato quel fottutissimo cellulare del cazzo!”. Evito di risponderle e le indico la macchina, lanciandole un’occhiata assassina. Ma Ana non molla. «Per favore, sii prudente. Non voglio che ti succeda niente. Ne morirei» mormora e sembra soffrire realmente. Il sentimento mi è talmente familiare che mi riscuoto dal mio stato. Sbatto le palpebre, tornando al presente con lei. Abbasso le braccia e inalo aria preziosa per i miei polmoni. «Starò attento» le dico, più calmo. Finalmente si decide a muovere quelle fottutissime gambe e a dirigersi verso il SUV. La seguo con lo sguardo fino a quando non entra e si chiude dentro. Poi mi precipito come una furia all’interno della SIP. Passo in rassegna l’ufficio di Hyde, poi sento un tonfo provenire da una stanza più isolata. Mi ci fiondo, trovando Hyde riverso a terra, con il viso gonfio e le mani strette sullo stomaco. Taylor ansima, furioso. «E non azzardarti a toccarla mai più, lurido pezzo di merda!» gli sta urlando contro. Mi avvicino e sia Taylor che Hyde si girano a guardarmi. Il mio sguardo è fisso su quel pezzo di merda che giace davanti ai miei piedi. Scuoto piano la testa, guardandolo. Con un sorrisetto perfido sulle labbra. «Lo sai, sapevo che eri uno schifoso pervertito... ma credevo non fossi così stupido da toccarla pur sapendo che era la mia fidanzata» Gli sferro un calcio nello stomaco, colpendolo a metà sulle nocche delle mani giunte a protezione. Hyde fa un verso di dolore, urlando. «Non l’ho toccata! Non le ho fatto nulla! Quella stronza mi ha dato un calcio nelle palle, Cristo santo!» urla, in preda alle fitte lancinanti. Mi avvicino al suo viso e il puzzo di alcool mi disgusta al punto che rischio di vomitargli addosso. Quell’odore mi riporta indietro nel tempo. La furia si impadronisce di me, di nuovo. Lo afferro per i capelli e gli alzo la testa. «Non azzardarti mai più a chiamarla stronza, brutto figlio di puttana!» gli urlo in faccia. E poi lo colpisco. Un pugno dritto sulla mascella. E ancora. E un altro. Mi alzo trascinandolo con me sul pavimento. Gli sferro una ginocchiata nello stomaco. Continuo a colpirlo violentemente, riversando su si lui tutta la rabbia che ho in corpo. Sto per sferrargli un altro pugno quando Taylor mi blocca. «Mr Grey, si fermi!» Ansimo, sopraffatto dalla furia. Continuo a guardare il verme lurido, con la voglia di sfondargli il cranio. «Mr Grey... si fermi, la prego. Non ne vale la pena. Miss Steele la sta aspettando» Solo il nome di Anastasia riesce a placarmi per un attimo. Stringo forte i capelli di Hyde e poi lo spingo violentemente con la testa contro il pavimento. Taylor mi lascia il braccio. «Alzati, lurido porco» gli urlo, tirando fuori un fazzoletto dalla tasca e pulendomi il sangue dalla mano. Hyde si muove a stento, ma, da vigliacco, credo stia per farsi sotto dalla paura. Lentamente tenta di mettersi in piedi, scivolando un paio di volte sul suo stesso sangue. «Raccatta le tue quattro cose e vattene da qui. Taylor, assicurati che porti via le sue stronzate» Taylor afferra Jack per un braccio e lo trascina fuori dalla piccola cucina. Ho bisogno di un momento per riprendermi e non scagliarmi di nuovo contro di lui. Lo ammazzerei stavolta. Sospiro, poggiandomi contro il mobiletto sul quale c’è un pacco di dolcetti aperto. Stringo forte gli occhi. Pochi minuti dopo Taylor mi chiama. Usciamo dalla SIP e troviamo un taxi pronto ad aspettare Jack Hyde. Lo lascio nel disprezzo, sicuro che Taylor ha rinnovato l’invito a sparire per sempre. Mi dirigo verso il SUV, salendo al posto di guida, accanto ad Anastasia che si è sistemata sul sedile del passeggero. Taylor sale dietro di lei. Metto in moto e sfreccio in direzione dell’Escala. Nel silenzio, riesco distintamente a sentire i suoi occhi su di me. Il telefono dell’auto suona, interrompendo i miei pensieri su quanto mi ci vorrebbe per tornare indietro e uccidere Hyde. «Grey» rispondo scontroso. «Mr Grey, sono Barney» Mi faccio subito attento. «Barney, sono con il vivavoce, e ci sono altre persone in macchina» lo avverto prudente. «Signore, tutto fatto. Ma ho bisogno di parlare con lei di qualcos’altro che ho trovato nel computer di Mr Hyde» Quell’affermazione mi lascia perplesso. Cos’altro avrà trovato? «Ti chiamerò non appena arrivo a destinazione. E grazie, Barney» dico, pensieroso. «Nessun problema, Mr Grey» Chiudo la conversazione, rimuginando su quello che il mio tecnico informatico ha appena detto. Sospiro pesantemente. Finirà mai questo periodo di merda? «Hai intenzione di parlarmi?» mi sento chiedere pacatamente da Anastasia. Mi volto verso di lei. Il suo sguardo è a metà tra il “tisto-giudicando-un-infantile-moccioso” e il “va-bene-ècolpa-mia-ma-anche-tua-quindi-non-tirarla-per-lelunghe”. Torno a guardare la strada davanti a me. «No» borbotto, mettendo il broncio. So che si trattiene a stento dall’alzare gli occhi al cielo. Incrocia le braccia sotto il seno e guarda fuori dal finestrino. Per un attimo la guardo di sottecchi. É vestita tutta di nero. La mi piccola ninja coraggiosa. “Dio, non so cosa avrei fatto se l’avessi persa!”. Per fortuna siamo quasi arrivati all’Escala. Fermo l’auto davanti all’ingresso principale e scendo, girando attorno all’auto per aprirle la portiera. «Scendi» le ordino piano. Taylor fa il mio stesso percorso al contrario, mettendosi al posto di guida. Le porgo la mano e la guido all’interno della hall, fino all’ascensore. «Christian, perché sei così arrabbiato con me?» mormora, mentre aspettiamo. Quasi stento a credere che abbia potuto partorire una domanda così stupida. «Lo sai il perché» le rimbrotto contro mentre entriamo finalmente in ascensore e digito il codice per l’attico. Sospiro, prima di girarmi verso di lei che fissa il pavimento. «Dio, se ti fosse capitato qualcosa, a questo punto quell’uomo sarebbe morto» le dico gelido, tirando fuori la rabbia mista al disprezzo che ho provato nell’ultima ora. Le porte dell’ascensore si chiudono e iniziamo a salire. «Per come stanno le cose, gli rovinerò la carriera, così che non possa più approfittarsi delle ragazze, cane miserabile che non è altro» dico ad alta voce quello che penso, come per compilare un piano. Lei alza lo sguardo su di me e io non resisto oltre a starle lontano. Devo accertarmi che sia viva, in carne ed ossa. «Cristo, Ana!» Mi butto su di lei, afferrandola per le spalle e spingendola nell’angolo. Le mie mani si infilano nei suoi capelli, tirandoglieli all’indietro. La costringo a sollevare il viso e la bacio, finalmente. La bacio a lungo, a fondo, come per reclamarla. “Si mia, Ana. Solo mia. Nessun altro deve averti. Nessuno può toccarti”. Spingo il mio corpo contro il suo con forza, con rabbia, desiderio represso. Possesso. A fatica riesco a staccarmi da lei, fissandola mentre ansimo senza fiato. Il mio corpo preme di più sul suo, costringendola ad appiattirsi contro la parete dell’ascensore. Per un attimo ripenso all’ultima volta che ci siamo trovati in una situazione del genere. Il cazzo mi tira in un modo incredibile. Ho voglia di prenderla. Ho voglia di sesso spinto, violento. Ho voglia di sottometterla e farle capire che solo io so cosa è bene per lei. Questo desiderio mi lascia spiazzato per un attimo. Ana si aggrappa a me per sorreggersi, fissandomi. «Se ti fosse successo qualcosa... Se lui ti avesse fatto del male...» rabbrividisco involontariamente, non riuscendo a placare il profondo tormento che mi anima. «BlackBerry» le ordino, calmandomi. «D’ora in avanti. Capito?» Anastasia annuisce, deglutendo, senza smettere di guardarmi. Lentamente mi tiro su dal suo corpo, lasciandola libera proprio nell’istante in cui l’ascensore si ferma e le porte si aprono. Guardo la mia piccola testarda guerriera e ricordo le parole di Hyde. «Ha detto che gli hai dato un calcio nelle palle» le dico con un mezzo sorriso, quasi ammirato, riprendendo il controllo di me stesso. «Sì» sussurra lei, calmando il respiro. «Bene» commento, con un gesto della testa, ammirato. «Ray è un ex militare. Mi ha istruita bene» mormora, guardandomi di lato. «Sono veramente felice di sentirlo» dico, sospirando più tranquillo. Poi la guardo, inarcando un sopracciglio, divertito. «Devo ricordarmelo» Le prendo la mano e la conduco fuori dall’ascensore, sul pianerottolo e poi in casa. Casa nostra. Dove è al sicuro. Mi segue e la sento sospirare di sollievo. Arrivati in cucina le lascio la mano, guardandola. «Devo chiamare Barney. Non ci metterò molto» le dico, avviandomi verso l’ufficio. Mi barrico dentro, poggiando la testa contro la porta ed inalando a fondo. Rilascio tutta la tensione. Sbatto diverse volte le palpebre, cercando di riprendermi dall’ennesima giornata di merda. Poi afferro il telefono e chiamo Barney. «Grey. Dimmi tutto» «Mr Grey, signore, il computer di Hyde è stato una vera rivelazione. Abbiamo trovato un’intero archivio con informazioni personali su tutte le sue assistenti. Poi, in una cartella a parte, informazioni su di lei» Rimango basito. «Su di me?» chiedo incredulo. «Sì, Mr Grey. File che parlano di lei, della sua vita, della sua impresa. E nella stessa cartella, informazioni personali sulla sua famiglia e su Miss Anastasia Steele» Stringo forte le labbra. «Ho bisogno di farmi un resoconto della situazione, Barney. Inviami tutto per mail» «Come desidera, signore» Riattacco, rimettendo a posto il telefono nella tasca dei pantaloni e togliendomi la giacca. Poggio le mani sulla scrivania, reprimendo l’impulso di scagliare qualcosa contro il muro. Domani devo assolutamente vedere Bastille. Ne va della mia salute mentale. Quando mi sono calmato a sufficienza, apro la porta e torno in cucina, cercando di mostrarmi di buon umore. «’sera, Gail» saluto educatamente Mrs Jones, intenta a preparare la cena. Punto al frigo e ne estraggo del vino, riempendo un calice preso dalla credenza. «Buonasera, Mr Grey. In tavola tra dieci minuti, signore?» mi chiede gentile. «Perfetto» le dico con un sorriso. Poi sollevo il bicchiere in direzione di Anastasia, portandomi sullo sgabello accanto al suo. «Agli ex militari che addestrano bene le loro figlie» dico, guardandola con amore. «Alla salute» mormora piano, sollevando il suo bicchiere verso il mio. Ha l’area mesta, spaurita. Più di prima, appena dopo l’aggressione. Aggrotto la fronte, scrutandola. «Cosa c’è?» le chiedo, bevendo un sorso di vino. «Non so se ho ancora un lavoro» sussurra a testa bassa. Piego la testa di lato, guardandola quasi divertito. «Vuoi ancora averne uno?» le chiedo. «Certo» risponde d’impeto, alzando di nuovo lo sguardo sui di me. «Allora ce l’hai ancora» le dico semplicemente. Mi guarda stupita. Poi alza gli occhi al cielo e io sorrido, realmente rilassato. Mi alzo, poggiando il bicchiere di vino sul bancone e mi avvicino a lei, abbracciandola forte e cullandola mentre io mi cullo in lei. Mrs Jones ci interrompe, sorridendoci e mettendoci davanti un ottimo tortino di pollo, dileguandosi subito dopo. Mangiamo in silenzio. Vorrei sapere tutto quello che Hyde le ha fatto, ma ora come ora non voglio turbarla. E non voglio ritrovare l’istinto omicida appena sopito. «Cosa c’è nel computer di Jack, Christian?» La guardo, rimanendo con la forchetta a mezz’aria. Come posso dirglielo? Come posso dirle che ancora una volta è finita nei guai per colpa mia? Da quello che Barney mi ha detto, Ana era solo un modo per colpire me. Perché? Cosa vuole da me Hyde? «Nulla che debba preoccuparti» le rispondo, tornando a mangiare. «Christian...» mi rimprovera lei. «Ho detto nulla di cui debba preoccuparti, Ana» rispondo brusco, scostando il piatto e afferrando il calice col vino. Me ne concedo un sorso generoso, guardandola mentre bevo. «Christian, ogni volta che dici così finisce che mi trovo in mezzo a... a qualcosa in cui non dovrei essere. Devo ricordarti di Leila?» «Nulla. Di. Cui. Preoccuparti» sibilo «Ora mangia, Ana. Per favore» aggiungo più docilmente. Lei sospira sonoramente, ma poi riprende a mangiare il suo tortino in silenzio. Ma la tregua dura pochi attimi. «Ha chiamato José» dice, fingendo noncuranza. La guardo, mentre lei arrossisce di colpo. «Ah» le dico, girandomi sullo sgabello fino a pormi verso di lei. “Dio, ti prego. Un figlio di puttana per volta” «Vuole consegnarti le foto venerdì» mi dice, riempiendosi subito la bocca di cibo, come per impedirsi di dire altro. «Una consegna personale. Che gentile» borbotto acido. Deglutisce piano. «Vorrebbe uscire. Per un drink. Con me» mormora. E io a stento mi trattengo dall’esplodere. «Capisco» mormoro, aspettando che continui. «E Kate e Elliot dovrebbero essere tornati» aggiunge frettolosamente, come per giustificarsi. Odio quando lo fa. Lo odio. Perché devi giustificarti, Ana? Cosa pensi di fare con il tuo pseudo amico del cazzo? Poggio la forchetta sul piatto e aggrotto la fronte. «Che cosa mi stai chiedendo esattamente?» le chiedo brusco. Lei alza la testa di scatto, stizzita. «Non ti sto chiedendo niente. Ti sto informando dei miei programmi per venerdì. Senti, vorrei vedere José, e lui vorrebbe fermarsi a dormire. Può stare qui oppure nel mio appartamento, ma se starà là, allora dovrei esserci anch’io» dice d’impeto, contenendo a stento il tono della voce. La fisso sbalordito, con gli occhi spalancati. «Ci ha provato con te» sussurro incredulo. «Christian... settimane fa. Era ubriaco, io ero ubriaca, tu hai salvato la situazione. Non succederà più. Non è Jack, per l’amor di Dio» mi dice come se spiegasse ad un bambino. «C’è Ethan là. Può tenergli lui compagnia» ribatto, aggrappandomi a tutto quello che mi viene in mente. “Ana e José da soli. Non capiterà mai più. Mai”. «Vuole vedere me, non Ethan» Evito di rispondere a quest’ultima affermazione, ma le lancio un’occhiata eloquente. «È solo un amico» dice, mettendosi un po’ troppa enfasi. «Non mi piace» sibilo, riducendo gli occhi a due fessure. Ana chiude i suoi per un attimo, facendo un profondo respiro. «È un mio amico, Christian. Non lo vedo dall’inaugurazione della mostra, ed è stato un incontro troppo breve. So che tu non hai amici, a parte quella donna orrenda, ma non mi lamento quando la vedi!» esclama. Il suo tono di voce è salito di pari passo alla sua irritazione. Sbatto le palpebre, scioccato dalla sua irruenza. La guardo senza parlare e lei ne approfitta per rincarare la dose. Ma quasi non la sento. Le sue parole mi rimbombano nelle orecchie. “Quella donna orrenda... quella donna orrenda”. É così che la vede? Come io vedo José? Per un attimo riesco a mettermi nei suoi panni. Se lei vede Elena come io vedo José, allora... forse José per me è innocuo quanto Elena lo è per lei. Forse. Di certo non li lascerò insieme da soli di nuovo. «Voglio vederlo. Sono stata una pessima amica per lui» «È questo ciò che pensi?» sussurro, con gli occhi fissi su di lei. «Che penso di cosa?» risponde aggrottando la fronte. «Di Elena. Preferiresti che non la vedessi?» le chiedo pacatamente. «Esattamente. Preferirei che non la vedessi» mi risponde fredda. «Perché non l’hai detto?» mormoro, senza capire. «Perché non sta a me dirlo. Tu pensi che lei sia la tua unica amica» mi dice, stringendosi nelle spalle. Sembra esasperata, come se non riuscissi ad afferrare un concetto che invece è fondamentale. «Proprio come non sta a te dire se posso o non posso vedere José. Lo capisci?» La guardo stranito. Il suo ragionamento non fa una piega. Ovvio. Sospiro, profondamente, guardandola. «Può stare qui, suppongo» borbotto scontroso. «Così posso tenerlo d’occhio» Mi dà fastidio solo pensare alla sua presenza sotto il mio stesso tetto, e non cerco neppure di nasconderlo. Come Ana non nasconde affatto il suo sollievo. «Grazie! Sai, se verrò a vivere qui anch’io...» inizia, ma poi si blocca, abbassando lo sguardo imbarazzata. Annuisco. Non c’è neppure bisogno di chiederlo. «Non è che ti manchi lo spazio» Mi regala finalmente un sorriso e anch’io cedo, seppur riluttante. «Lo stai facendo per me quel sorrisetto, Miss Steele?» le dico, inarcando un sopracciglio. «Assolutamente sì, Mr Grey» dice in fretta, alzandosi e portando il suo piatto nel lavello. Dopo averlo pulito lo infila in lavastoviglie. Fa lo stesso con il mio. La guardo, ammirando la solita grazia dei suoi movimenti. «Lo farà Gail» le dico piano. «L’ho fatto io adesso» dice, sorridendomi, restando in piedi accanto al lavello. La fisso intensamente e vorrei spogliarla qui, ora. e farla mia su questo bancone. Ma ho bisogno di dare un’occhiata ai file che mi ha inviato Barney e decidere una strategia d’azione con Taylor. «Devo lavorare per un po’» le dico, scusandomi e scostandomi dal bancone, restando però seduto. «Fantastico. Troverò qualcosa da fare» risponde con un sorriso affettuoso. «Vieni qui» le ordino dolcemente, senza smettere di fissarla. Obbedisce all’istante, aggrappandosi a me. La stringo forte tra le braccia e la coccolo per un po’. «Tutto okay?» le sussurro tra i capelli, prima di baciarglieli. «Okay?» chiede, con la fronte aggrottata, scostandosi di poco per guardami. «Dopo quello che è successo con quello stronzo? Dopo quello che è successo ieri?» aggiungo, stringendola un po’ più forte. «Sì» sussurra piano, quasi contro le mie labbra. La stringo di nuovo, più forte, godendomi la sensazione del suo corpo contro il mio. «Non litighiamo» mormora piano, contro il mio collo. Le bacio i capelli, inalando il suo dolce profumo. «Hai un profumo meraviglioso come sempre, Ana» «Anche tu» sussurra, baciandomi delicatamente il collo. Poi la lascio andare, scendendo dallo sgabello. «Ne avrò per un paio d’ore» le dico, allontanandomi e rintanandomi di nuovo nello studio. “Ora veniamo a noi, fottuto figlio di puttana”. Efficiente come al solito, Barney mi ha inviato tutto il materiale che è riuscito a recuperare dal pc di Hyde. Numerosi file su di me, tutto ciò che è possibile recuperare online per intenderci. Nulla di trascendentale. Ma è alquanto strano che Jack si sia concentrato su di me e non su Anastasia, che sembrava essere il suo obiettivo principale. E che fossi io il suo bersaglio lo si capisce anche dalle informazioni che ha raccolto sulla mia famiglia. Quello che mi sfugge è il perché? Che fosse riuscito a sapere qualcosa sull’acquisizione della SIP? Ana di certo non è stata molto discreta nelle sue mail. Che volesse invece semplicemente puntare al denaro e utilizzare quelle mail per ricattarmi? Bè, questo avrebbe senso a dire il vero. Chiudo il pc e mando un sms a Taylor. Ho bisogno di chiudere con questa faccenda, ora. E tornare dalla mia ragazza. Meno di un minuto dopo Jason è di fronte a me. Faccio un profondo sospiro, scrutandolo e leggendogli negli occhi tutta la preoccupazione che sento anch’io. «Jason... grazie per il tuo intervento, questa sera» inizio, sincero. «Mr Grey, non deve ringraziarmi. É il mio dovere» risponde celermente, come se la conversazione lo mettesse in imbarazzo. E in effetti mette in imbarazzo anche me. Ma sento il bisogno di fargli sapere che apprezzo la sua dedizione e la protezione che offre a me, ma anche ad Anastasia. «Lo so, Jason. Lo so. Ma desideravo ringraziarti lo stesso. Per quello che fai, quotidianamente. E per come ti prendi cura di Anastasia» Taylor annuisce. Io annuisco. E il discorso è chiuso. «Ora abbiamo altro di cui preoccuparci comunque» gli faccio cenno di accomodarsi di fronte a me e poi gli porgo i documenti che ho stampato. «Questo è quello che Barney ha trovato nel computer di quel figlio di puttana» Taylor li afferra, facendoli scorrere rapidamente e poi guardandomi perplesso. «Conosceva già Hyde prima?» chiede, in modalità 007. «No. Ma lui monitorava la casella di posta elettronica di Anastasia. Credo volesse usare le mail che ci scambiavamo per ottenere del denaro» Jason annuisce. «Bene. Non credo che al momento nutra ancora intenzioni simili. Ad ogni modo preferirei continuare a mantenere gli uomini della scorta, se per lei non è un problema. Sorveglieranno lei e Miss Steele fino a quando non saremo certi che Hyde sarà fuori dai giochi. E preferirei tenere sotto controllo anche la sua famiglia, Mr Grey. In modo discreto per il momento» Annuisco, rassegnato. Consegno a Taylor anche le informazioni sulle altre assistenti di Jack Hyde, incaricandolo di coordinarsi con Welch e scoprire il più possibile. Poi, incapace di resistere oltre, mi alzo e abbandono lo studio, dirigendomi in camera da letto. Ana non c’è, è il panico mi assale. Non è neppure in bagno, ma i suoi vestiti sono a terra e nell’aria c’è il profumo del bagnoschiuma. Deve aver fatto la doccia. Stavolta vado dritto in biblioteca, ma neppure lì la trovo. Salgo al piano superiore e mi dirigo nella sua vecchia stanza. Niente. Tornando in corridoio una strana sensazione mi assale. So dov’è. Vorrei solo capire perché ci è andata. Lo strano impulso provato qualche ora fa in ascensore diventa inaspettatamente incontrollabile. Solo saperla nella mia stanza dei giochi mi eccita in maniera indicibile. Quando entro la trovo vicino al cassettone, intenta a guardare il contenuto di un cassetto. Rapidamente mi guardo intorno. Le verghe sono ancora qui. Tutto è ancora qui. E io ho dimenticato la porta aperta. E ora lei è qui dentro. Prende tra le dita sottili un dilatatore anale e l’impulso di spogliarla e di mostrare a quella mente curiosa come funziona e quanto può piacerle mi eccita a dismisura. Trattengo a stento il respiro. Lo scruta per un po’. Poi capisce, perché dopo un’ultima occhiata veloce, lo rimette giù come se scottasse. Di colpo raddrizza la schiena e mi rendo conto che è consapevole della mia presenza. Alza di scatto la testa, guardandomi come una bambina colta a fare una marachella. «Ciao» dice con un sorriso nervoso. Ha gli occhi spalancati, come se avesse timore. Di me. É pallida. Il respiro corto. Le sue guance sono l’unico tocco di colore. L’unico punto rosso nel bianco niveo del suo corpo così minuto e sexy. É così sottomessa. Inspiro piano, calmandomi all’istante in quell’ambiente così familiare. «Che cosa stai facendo?» le chiedo pacatamente, senza avvicinarmi. Il suo viso diventa di un rosso acceso. Così meravigliosamente rosso che mi turba in modo profondo. «Ehm... ero annoiata e curiosa» bofonchia in evidente imbarazzo. «Una combinazione molto pericolosa» mormoro, lasciando scorrere l’indice sul mio labbro inferiore mentre la contemplo, lì, davanti a me, con addosso la sua tuta e la canottiera. Così remissiva che mi sembra di essere tornato indietro di settimane. Non smetto di fissarla negli occhi, neppure mentre faccio un passo all’interno della stanza, spostandomi dalla soglia e chiudendo la porta alle mie spalle. Mi avvicino di poco, poggiandomi disinvolto al cassettone che lei sta esplorando. «Dunque, che cosa ti incuriosisce, esattamente, Miss Steele? Forse posso illuminarti» le chiedo, mantenendo il mio tono calmo. «La porta era aperta... Io...» tenta di giustificarsi e questo mi fa eccitare ancora di più. É una sensazione familiare, ma nulla a che vedere con quello che accomunava tutte le mie sottomesse, che mi spingeva a farle mettere in ginocchio e possederle per ore. É familiare perché l’ho già provata. Con lei. É sempre stato così. É sempre stato diverso. Le lancio quasi un sorrisetto, prima di rilassarmi un po’, poggiando i gomiti sul cassettone e il mento sulle mani giunte, osservando la stanza attorno a me. «Sono entrato qui stamattina, domandandomi cosa fare di tutto questo. Devo essermi dimenticato di chiudere» Per un attimo mi rimprovero per la mia dimenticanza. Ma poi, guardandola, penso quasi che sia stata provvidenziale. Stasera potremmo capire molte cose l’uno dell’altra. «Ah» esclama, con gli occhi sempre sgranati. «Ma ora eccoti qua, curiosa come sempre» le dico, sorpreso sul serio dal fatto che si sia avventurata qui dentro. Anche la sua percezione di me dev’essere cambiata. «Non sei arrabbiato?» mormora in un ansito, guardandomi a fatica negli occhi. Piego la testa di lato, valutando la sua domanda. In passato lo sarei stato. In passato avrei potuto ridurre in lacrime la malcapitata che avrebbe osato introdursi qui dentro senza il mio permesso. Ma ora riesco solo a vedere la mia curiosa quasi futura moglie che si districa tra mille attrezzi che vorrei usarle per procurarle piacere e vederla contorcersi per il godimento. Le sorrido. «Perché dovrei essere arrabbiato?» aggrottando leggermente la fronte. le chiedo, «Mi sento come se avessi sconfinato... e tu ce l’hai con me» sussurra, leggermente sollevata. Aggrotto di più la fronte, riflettendo sul suo atteggiamento. “Ti faccio ancora così paura, Ana? Per questo non vuoi sposarmi?”. «Sì, hai sconfinato, ma non sono arrabbiato. Spero che un giorno vivrai qui con me, e tutto questo...» mi alzo dalla mia posizione, indicando la stanza con un gesto vago della mano. «... sarà anche tuo» Anastasia spalanca la bocca e gli occhi, guardandomi incredula. Scuote piano la testa, ma riprendo a parlare prima che possa farlo lei. «È per questo che sono stato qui oggi. Cercavo di decidere cosa fare» picchietto leggermente l’indice sulle mie labbra, riflettendo su quello che ha detto di me. «Sono sempre arrabbiato con te? Non lo ero stamattina» le dico, tornando a guardarla negli occhi. Ana sorride subito, arrossendo piano. «Eri allegro. Mi piace il Christian allegro» mormora maliziosamente. «Davvero?» inarco un sopracciglio e le sorrido. Il mio cuore manca un battito alla visione spettacolare di lei con gli occhi luccicanti e vispi e quel sorrisetto audace sulle labbra. La amo. Non c’è nulla da fare. Anastasia abbassa lo sguardo sugli strumenti che ha davanti. «Cos’è questo?» mi chiede cauta, sollevando un dilatatore anale. Inspiro a fondo, eccitato come non mai. «Sempre a caccia d’informazioni, Miss Steele. Quello è un dilatatore anale» le rispondo dolcemente. «Oh...» mormora, senza fiato. «L’ho comprato per te» aggiungo, osservando la sua reazione. Si volta di scatto, guardandomi. «Per me?» chiede scioccata. Annuisco piano, scrutandola attento. La sua piccola e deliziosa fronte si aggrotta pensierosa. «Compri... Sottomessa?» ehm... giocattoli nuovi... per ogni Il suo imbarazzo mi eccita e mi diverte al tempo stesso. «Alcune cose. Sì» rispondo senza perdere la mia calma. «Dilatatori anali?» chiede timorosa. «Sì» Deglutisce visibilmente, osservando l’oggetto freddo che ha tra le dita e stringedolo come per tastarne la durezza. Lo gira su se stesso, poi lo rimette lentamente a posto. Ne afferra un altro. «E questo?» chiede, tirando fuori le sfere anali. «Sfere anali» le dico, scrutandola attentamente. Le le esamina attentamente e giurerei di vederla stringere le gambe forte. “Ti eccita, Ana?”. Continuo ad incalzarla. «Fanno un certo effetto se le tiri fuori durante l’orgasmo» aggiungo pratico, indicandole vagamente con le dita. «Sono per me?» sussurra. «Per te» rispondo piano, annuendo con lentezza. «Dunque questo è il cassetto anale?» chiede, spostando lo sguardo sul cassetto aperto e poi di nuovo verso di me. Non riesco a trattenere un sorrisetto malizioso. «Se preferisci» Rimette a posto le sfere e chiude in fretta il cassetto, avvampando improvvisamente. Soffoco una risata. «Non ti piace il cassetto anale?» le chiedo fingendo innocenza, divertito. Lei per tutta risposta si stringe nelle spalle, con un sorrisetto sulle labbra. «Non è proprio in cima alla mia lista “cose da fare con Christian”» mi rimbrotta contro con falsa disinvoltura. Poi, timidamente, apre il secondo cassetto. Mi viene da ridere. «Quello contiene una selezione di vibratori» la avverto. Lo richiude prima di esplorarne il contenuto. «E quello dopo?» mormora, viola dall’imbarazzo. «Quello è più interessante» Mi fissa negli occhi, poi, senza distogliere lo sguardo, lascia scorrere le dita sui pomelli e apre il cassetto. La guardo ammirato e compiaciuto. Quando i suoi occhi si spostano sul contenuto del cassetto, sul viso le si dipinge un’espressione scioccata. Prende in mano delle pinze e il pensiero di lei con quelle addosso mi fa tirare l’uccello in un modo incredibile. «Pinze genitali» le spiego, spostandomi e mettendomi accanto a lei. Anastasia le rimette subito a posto, alzando con le dita due pinzette unite da una catenella. La guardo, facendomi leggermente più vicino al suo corpo. «Alcuni di questi sono per il dolore, ma la maggior parte sono per il piacere» le mormoro quasi contro l’orecchio. In questo momento la sto immaginando nuda, mentre la penetro a fondo contro quella croce di legno. Brutalmente. Violentemente. E poi ancora più lento. Amandola e venerandola. «Che cos’è questo?» chiede, accarezzando con le dita le pinze. «Pinze per capezzoli. Per entrambi» le dico, passandomi la lingua sulle labbra mentre guardo la sua reazione scioccata. «Entrambi? I capezzoli?» chiede con un sussulto. Le sorrido maliziosamente. «Bè, ci sono due mollette, piccola. Sì, entrambi i capezzoli, ma non è quello che intendevo. Queste sono sia per il piacere sia per il dolore» Fissandola con desiderio cupo, gliele tolgo di mano. «Dammi il mignolo» le mormoro. Obbedisce all’istante e io le pizzico solo la punta del mignolo con una pinza. «La sensazione è molto intensa, ma è quando si tolgono che si provano il dolore e il piacere più forti» sussurro. Quando tolgo la pinza Ana mi guarda con languore, assaporando il piacere e il dolore. É sexy da impazzire. «Mi piace la foggia» mormora. Le sorrido divertito. «Lo sai, Miss Steele? Credo che ci avrei scommesso» Anastasia annuisce timidamente. Prende le pinze e le ripone nel cassetto. Mi sporgo in avanti, prendendone un altro paio dal cassetto. «Queste sono regolabili» le dico, sollevandole per fargliele guardare meglio. «Regolabili?» «Le puoi mettere molto strette... oppure no. Dipende dall’umore» mormoro, guardandola. Siamo vicinissimi e ho un’erezione da paura al solo pensiero di tutto quello che potrei farle. Ana deglutisce visibilmente, eccitata dalle mie parole. Poi distoglie lo sguardo, incapace di reggere il mio oltre. Prende in mano un altro attrezzo. «E questo?» mi dice, osservando la rotella perplessa. «Quella è una rotella neurologica di Wartenberg» le spiego. «Per?» mi chiede, curiosa. La guardo e poi le tendo la mano. «Dammi la mano. Con il palmo in su» le ordino dolcemente. Senza interrompere il contatto con i miei occhi, mi tende la mano sinistra. La prendo dolcemente, carezzandole le nocche con il pollice. Anastasia è scossa da un brivido e i suoi occhi si socchiudono, in preda al desiderio. Lentamente faccio scorrere la rotella sul palmo della sua mano tesa. «Ah!» esclama, restando poi ad osservarsi il palmo, ansimando piano. «Immaginala sul seno» le mormoro. Ci mette tre secondi esatti ad elaborare la sensazione e ritrae subito la mano, arrossendo fino alla radice dei capelli. Il suo respiro è molto più affannoso e posso sentire il suo cuore battere ad una velocità impazzita anche a distanza. «C’è una linea di confine molto sottile tra piacere e dolore, Anastasia» continuo a sussurrarle, chinandomi e rimettendo a posto la rotella. Lei fissa di nuovo gli oggetti nel cassetto. «Mollette da bucato?» sussurra stupita. «Si possono fare parecchie cose con una molletta da bucato» le dico, con gli occhi che ardono nei suoi. Anastasia spinge il cassetto indietro, chiudendolo. «È tutto?» le chiedo divertito. Fissa l’ultimo cassetto, indecisa. «No...» mi risponde, aprendo il quarto cassetto. Resta sorpresa di fronte al contenuto. Alla fine ne estrae una cinghia alla quale è attaccata una pallina. «È una ball gag. Una specie di bavaglio. Per tenerti buona» le spiego, con un sorrisetto divertito. «Limiti relativi» mormora lei, senza staccare gli occhi dalla ball gag. «Ricordo» le dico, rassicurandola. «Puoi comunque respirare. I denti afferrano la pallina» La prendo tra le dita, mimandole una bocca che tiene stretta la pallina. «Hai mai indossato una ball gag?» mi chiede all’improvviso, osservando i miei movimenti. Mi irrigidisco all’istante a quel ricordo. «Sì» mormoro sommesso. «Per soffocare le urla?» mi chiede titubante. Chiudo gli occhi, leggermente esasperato. Ma non posso pretendere che capisca. Questo mondo non le appartiene. «No, non è fatta per questo» ribatto calmo. «Ha a che fare con il controllo, Anastasia. Quanto indifesa ti sentiresti legata e senza poter parlare? Quanto ti dovresti fidare, sapendo che ho potere su di te? Che devo saper leggere il tuo corpo e le tue reazioni, piuttosto che sentire le tue parole? Ti rende più dipendente, e dà a me il controllo definitivo» continuo e non posso negare che il mio corpo risponde automaticamente a quella serie di immagini appena create dalla mia mente. Vorrei averla così. Ora. «Ne parli come se ti mancasse» mi dice a voce bassa, deglutendo. «È ciò che conosco» le mormoro di rimando, guardandola senza riuscire a nascondere il desiderio perverso che mi porto dentro. «Tu hai potere su di me. Sai di averlo» sussurra abbassando gli occhi. «Ce l’ho? Mi fai sentire... indifeso» le dico, scrutandola. “Mi sto mettendo a nudo per te, Anastasia”. «No!» esclama, riportando di scatto lo sguardo nel mio. «Perché?» chiede, quasi sconvolta. «Perché sei la sola persona che conosco che possa davvero farmi male» confesso, mentre le mie dita, incapaci di starle lontane, le accarezzano una ciocca di capelli birichina e poi la riportano al loro posto, dietro l’orecchio. «Oh, Christian... Questo vale per entrambi. Se tu non mi volessi...» La sua voce si smorza ed è percorsa da un brivido visibile. Mi guarda, come per capire qualcosa di profondo. Poi scrolla piano la testa. «L’ultima cosa che voglio è farti male. Ti amo» mi sussurra. Le sue mani raggiungono i lati del mio viso, scorrendo lungo la mascella e infilandosi nei capelli. Chino la testa di lato, appoggiando il viso contro il suo palmo. Le dita lasciano cadere la cinghia nel cassetto per poi raggiungere la sua vita e stringerla forte a me. Il suo profumo è inebriante. Voglio solo portarla a letto e tenerla stretta per tutta la notte. «Abbiamo finito con la presentazione e descrizione del campionario?» le chiedo piano, contro l’orecchio, mentre le mie mani risalgono lungo la sua schiena fino ad infilarsi sotto i capelli e afferrarle piano la nuca. «Perché, cosa vuoi fare?» chiede con quel suo tono malizioso. Il mio corpo risponde in automatico, eccitandosi e premendosi di più contro il suo. Ma la mia testa non lo segue. La bacio piano, delicato. E lei si scioglie tra le mie braccia. É evidente che desidera di più. «Ana, oggi sei stata quasi aggredita» le mormoro contro le labbra. «Allora?» chiede, strusciandosi contro di me. Le tiro la testa all’indietro, in modo da poterla guardare negli occhi. Sono lucidi, le pupille dilatate. É eccitata. E anche io lo sono. Ma... «Cosa significa “allora”?» la rimprovero severamente. Per tutta risposta, Ana mi lancia uno sguardo adorante. «Christian, sto bene» sussurra. La stringo forte, come per accertarmene. «Quando penso a ciò che poteva succedere» le dico, spostando il viso sulla sua spalla, tra i suoi capelli che hanno sempre quel buon profumo. «Quando imparerai che sono più forte di quello che sembro?» sussurra lei contro il mio collo, facendomi rabbrividire di piacere. «Io lo so che sei forte» rimbrotto contro il suo orecchio. Le bacio i capelli e poi la lascio andare, allontanandomi di poco da lei per permettere al mio corpo di calmarsi. Ana sospira, sconfitta. Poi si gira e fa per richiudere il cassetto, ma la sua attenzione viene catturata da qualcosa. Quando si china e tira fuori la barra divaricatrice, i miei piani per calmare la mia erezione falliscono in maniera misera. Riesco solo a vedere il suo corpo nudo, legato e praticamente pronto per me. Riesco a vederla impotente, mentre geme e non può fare altro che accogliermi dentro di lei. «Questa è una barra divaricatrice con manette per mani e piedi» le dico, il mio respiro è corto e eccitato. «Come funziona?» mi chiede affascinata, rigirandosela nelle mani. Non riesco più a trattenermi. «Vuoi che te lo mostri?» le sussurro, sorpreso da me stesso. Chiudo forte gli occhi per riprendermi, ma il desiderio di vederla in quello stato è troppo forte e va avanti da troppe ore. Sto cedendo, ma non voglio farlo qui dentro. Non dove mi basterebbe allungare una mano e afferrare un bastone per tornare ad essere un bastardo figlio di puttana. Non è quello che voglio o di cui ho bisogno. Ma non voglio neppure rischiare che succeda. «Sì, voglio una dimostrazione. Mi piace essere legata» La sua voce è bassa, carica di desiderio. Mi fa venire voglia di farle di tutto. «Oh, Ana» mormoro a metà tra il desiderio per lei e il panico per quello che ho intenzione di farle. Posso davvero? Riuscirò a non farle più del male? «Cosa c’è?» chiede, spaesata. «Non qui» dico di colpo. «Cosa vuoi dire?» «Ti voglio nel mio letto, non qui. Vieni» Le prendo di mano la sbarra e la conduco fuori di corsa. «Perché non qui?» mi chiede quando giungiamo sulle scale che portano di sotto. Mi giro a guardarla. Sono sullo scalino sotto al suo, e siamo alla stessa altezza. La fisso dritto negli occhi. «Ana, tu puoi anche essere pronta a tornare là dentro, ma io no. L’ultima volta che ci siamo stati tu mi hai lasciato. Quando lo capirai?» le dico, accigliandomi e lasciandola andare, esasperato. «Di conseguenza, tutto il mio atteggiamento è cambiato. Tutta la mia visione della vita è radicalmente mutata. Te l’ho detto. Ciò che non ti ho detto è...» mi fermo, passandomi una mano nei capelli. Non ho mai dovuto giustificare tanto le mie azioni. Dire il perché del mio comportamento. Fare i conti con la mia coscienza e con la voglia di essere un uomo migliore per un’altra persona. Non sono mai stato innamorato. «Sono come un alcolista in recupero, okay? È l’unico paragone che mi viene in mente. L’impulso è sparito, ma non voglio avere tentazioni. Non voglio farti del male» sussurro, guardandola angosciato. Il ricordo di quello che le ho fatto passare mi fa male ogni secondo della mia vita. Non voglio più rischiare. Anastasia mi guarda, mi scruta a fondo. E come sempre mi sento totalmente esposto ai suoi occhi. «Non posso sopportare l’idea di farti del male perché ti amo» aggiungo. E sono totalmente sincero. Un attimo dopo, Anastasia si è lanciata su di me, sbattendomi con la schiena contro la parete. La barra divaricatrice mi cade di mano mentre la sua bocca cerca la mia con violenza quasi. Sono sorpreso dal suo assalto, ma ci metto poco a restituirle quel bacio passionale. Le nostre lingue si intrecciano, le nostre bocche sono fameliche e voraci. Le mie mani scorrono lungo la sua schiena, mentre il mio uccello pulsa violentemente contro il suo ventre morbido. Le sue dita corrono nei miei capelli, stringendoli forte mentre tutto il suo corpo si preme contro il mio. Il desiderio esplode. Gemo forte nella sua bocca, con l’unico desiderio di girarla, metterla con le spalle al muro e scoparmela all’istante. «Vuoi che ti scopi qui sulle scale?» mormoro respirando con affanno. «Perché in questo momento lo farei» «Sì» ribatte sfrontata, guardandomi intensamente. La fisso a fondo e riesco a vedere tutta la sua voglia. Identica alla mia. «No. Ti voglio nel mio letto» Cogliendola di sorpresa la sollevo all’improvviso, caricandomela in spalla. Anastasia lancia un urlo di sorpresa e non riesco a resistere. La sculaccio forte, facendola urlare ancora di più. Mentre scendo mi chino a raccogliere la barra divaricatrice e poi vado dritto giù, fermandomi solo quando arrivo nella nostra camera da letto. La lascio scivolare in piedi e butto la sbarra sul materasso. Ana mi guarda e mi sorride piano. «Non penso che mi farai del male» mormora. “Come fa ad essere così? Come fa ad essere lei a voler rassicurare me?”. Se è possibile, la amo ancora di più. «Nemmeno io penso che ti farò del male» le dico. Il bisogno di lei si è fatto impellente. Senza starci troppo a pensare mi avvicino, prendendole il viso con entrambe le mani e baciandola a fondo. La mia lingua le scivola quasi in gola e le geme contro le mie labbra, mandandomi in estasi. «Ti desidero così tanto» le sussurro contro le labbra, staccandomi da quel bacio che rischia di consumarmi. «Sei sicura dopo... dopo oggi?» le chiedo titubante ancora. «Sì, anch’io ti desidero. Voglio spogliarti» sussurra sfrontata. Spalanco gli occhi mentre un’ondata di desiderio mi scorre sottopelle. Le sue mani. Su di me. Deglutisco, pregustando il piacere. «Okay» le dico, cauto, ma ansimando. Ana allunga le dita verso i bottoni della mia camicia. Trattengo il fiato a quella sensazione nuova e stupenda. «Non ti toccherò, se non vuoi» mi sussurra per rassicurarmi. «No» le dico in fretta. «Fallo pure. È fantastico. Sto bene» mormoro, godendomi il calore delle sue dita sul mio corpo inesplorato. Le mie labbra si schiudono, sono inebriato dal piacere. Il mio uccello è in fiamme, tutto in me attende l’attimo in cui potrò essere dentro di lei. La paura si mescola con la lussuria, rendendomi ubriaco di quella sensazione che solo Anastasia riesce a procurarmi semplicemente sfiorando delicata la mia pelle. «Voglio baciarti lì» mormora d’un tratto. Faccio un profondo respiro, inalando l’aria che inizia a mancarmi. «Baciarmi?» chiedo stranito. «Sì» sussurra sottovoce, continuando a slacciare i bottoni. Poi si china in avanti. Trattengo il respiro mentre le sue morbide labbra si posano leggere sul mio torace. La sensazione è favolosa. Ne voglio ancora, ne voglio sempre. Mi godo ogni residuo di quella emozione del tutto nuova. Quando finisce di slacciarmi la camicia e mi guarda, la fisso, aspettando la sua prossima mossa. «Sta diventando più facile, vero?» mi chiede piano, straordinariamente padrona di se stessa. Annuisco, ammirandola, scoprendomi a chiedere se lei mi vedeva allo stesso modo all’inizio della nostra relazione. Lascia cadere la camicia dalle mie spalle, mentre io non riesco a fare altro che facilitarle i movimenti. «Che cosa mi hai fatto, Ana? Dimmelo» mormoro, facendo finalmente un passo avanti. «Qualunque cosa sia, non ti fermare» continuo, infilandole le mani nei capelli e spingendole la testa all’indietro. Il suo collo candido e liscio è totalmente esposto all’assalto violento delle mie labbra, che succhiano la pelle morbida, baciandone ogni centimetro. Dalla gola le sfugge un gemito che si riverbera contro la mia bocca. Mi fermo un attimo ed è sufficiente per farla tornare alla carica. Le sue dita giungono intrepide alla cintura dei miei pantaloni, slacciando il bottone e abbassando la zip. «Oh, piccola» mormoro senza fiato, mentre risalgo fino al suo orecchio. Spingo i fianchi contro la sua piccola mano, godendomi la sensazione di quello sfregamento. Sento Anastasia respirare forte e poi allontanarsi di un passo. La guardo aggrottando la fronte. Mi fissa per un attimo intensamente. Troppo intensamente. Poi si lascia cadere in ginocchio, guardandomi da sotto le lunghe ciglia. “Cristo santissimo”. «Ehi...» cerco di protestare e allo stesso tempo tenere a bada l’istinto di metterglielo in bocca e spingerlo fino in gola. Mi tira giù di colpo i pantaloni e i boxer, bruscamente, liberando il mio cazzo che svetta sù, contro l’ombelico. Si avvicina prima che possa aprire bocca per fermarla e in un attimo sono avvolto dal suo calore. Gemo forte, mentre lei succhia avidamente, mugolando di piacere contro la mia carne. “Cristo, sì!”. Ana non distoglie lo sguardo dal mio. La guardo mentre lascia scomparire la mia asta dura dentro la sua bocca e poi si ritrae. E poi di nuovo a fondo. Succhia avida, affamata, come se da questo dipendesse la sua vita. Bè, di certo in questo momento ne dipende la mia. Sento le gambe cedere, mentre la sua lingua mi stuzzica, mi avvolge, mi stimola a fondo. «Cazzo» sibilo, afferrandole spingendola ancora più a fondo. piano la testa e Ora sono tutto dentro di lei e sento le sue meravigliose labbra succhiare sempre di più. I muscoli delle gambe si contraggono, il mio uccello si tende e sento che sto per venire. Cerco di scostarla, di fermarla. Ma lei non accenna a liberarmi. Lavora a ritmo serrato, facendo guizzare la lingua in modo divino. “Cazzo, cazzo, cazzo, cazzo!”. «Ana» sibilo, cercando di tirarmi indietro e uscire dalla sua bocca calda. Le sue dita si imprimono a fondo nella pelle dei miei fianchi e invece di lasciarmi inizia ad andare più a fondo con le sue spinta, fissando i suoi meravigliosi occhi azzurri, così innocenti, nei miei. E così mi riduce in ginocchio, ad implorarla. «Per favore» ansimo forte, alzando e abbassando il petto, cercando di controllarmi. «Sto per venire, Ana» gemo al limite. E lei affonda ancora, lasciandoselo scivolare in gola. Poi si ritrae piano, succhiando forte. E non resisto. Capitolo, svuotandomi nella sua bocca perfetta lanciando un urlo roco e liberatorio, mentre le stringo forte i capelli e chiudo gli occhi perdendomi in posto esplorato solo poche volte e solo con lei. Quando li riapro, rilasciandole la testa, la trovo in ginocchio a leccarsi le labbra e guardarmi trionfante e maliziosa. Le faccio un sorrisetto, tentando di ristabilirmi. “Ti renderò pan per focaccia, stanne pure certa, Miss Steele”. «Oh, dunque è questo il gioco a cui stiamo giocando, Miss Steele?» Mi chino all’improvviso, cogliendola alla sprovvista, e la afferro da sotto le braccia e la tiro su. La bacio in fretta, senza darle un attimo di respiro. La mia lingua si attorciglia alla sua, e riesco a sentire il mio stesso sapore. Mi stacco piano, ansimandole in bocca e assorbendo il suo respiro. «Sento il mio sapore. Il tuo è migliore» mormoro piano, leccandole le labbra. Le sfilo piano la maglietta, gettandola sul pavimento e poi la sollevo da terra, buttandola sul materasso. Afferro con le mani le estremità dei pantaloni che ha addosso e glieli sfilo veloce, spogliandola del tutto e lasciandola nuda. Ana stringe le gambe l’una contro l’altra, mentre con le dita si accarezza la pancia. La guardo, ammirandola da capo a piedi. «Sei una donna bellissima, Anastasia» mormoro sinceramente ammirato. Lei piega la testa di lato, sorridendomi maliziosa. «Tu sei un uomo bellissimo, Christian, e hai un sapore meraviglioso» Le faccio un sorrisetto furbo, alzando un sopracciglio e afferro la barra accanto a lei. Prendendole la caviglia sinistra gliela chiudo velocemente nella cavigliera, verificando con il mignolo lo spazio rimasto tra la pelle e la cinghia. Non distolgo lo sguardo da lei, che invece guarda attenta i miei movimenti. «E ora vediamo di cosa sai tu. Se ricordo bene, sei una leccornia straordinariamente squisita, Miss Steele» Apre la bocca, ma riesce solo ad esalare un sospiro. Le afferro veloce l’altra caviglia, chiudendola nella cinghia in pelle allo stesso modo. Ora le sue gambe sono aperte, a circa mezzo metro di distanza. La visione è strepitosa, ma voglio di più. «La cosa bella di questo divaricatore è che si può allungare» le sussurro, premendo il pulsante al centro e facendola spalancare di un altro mezzo metro. “Ohhh... sì, Miss Steele. Aperta, vogliosa e mia”. Il suo respiro si fa più veloce e le guance le si arrossano rapidamente. Mi passo la lingua sulle labbra. «Oh, ci divertiremo un mondo con questa, Ana» le dico perfidamente divertito. Afferro la barra e la giro, ribaltandola sul materasso. «Vedi cosa posso farti?» le dico, ammirando il suo culo perfetto. La giro bruscamente, cercando di domare il mio cazzo che ha già ripreso vigore. Mi fissa a bocca spalancata, ansimando senza fiato. «Queste manette sono per i polsi. Penserò se mettertele oppure no. Dipende se ti comporterai bene oppure no» le sussurro. «Quando non mi comporto bene?» mi provoca lei. «Mi vengono in mente alcune infrazioni» ribatto, facendole scorrere le dita sotto i piedi e facendole il solletico. Tenta di divincolarsi ma la barra glielo impedisce. Il mio sorriso si allarga, sardonico. «Il BlackBerry, per esempio» le dico, fissandola con gli occhi ridotti a due fessure. Non posso negare che mi manca tutto questo. Mi manca punirla per la sua impertinenza. Ana sussulta. «Che cosa mi farai?» sussurra, guardandomi negli occhi. «Oh, non rivelo mai i miei piani» le sorrido, mordicchiandomi piano il labbro inferiore con un espressione maliziosa. Salgo carponi sul letto, mettendomi in ginocchio tra le sue gambe, ammirando il suo sesso aperto e già bagnato. «Mmh... Sei così aperta, Miss Steele» Lentamente, in piccoli cerchi, le sfioro la pelle dell’interno coscia, senza smettere di guardarla. «È tutta una questione di attesa, Ana. Che cosa ti farò?» le dico lentamente. Ana si inarca leggermente, gemendo e contorcendosi. «Ricordati: se qualcosa non dovesse piacerti, basta che tu mi dica di fermarmi» mormoro, come per rassicurare entrambi. Poi mi chino su di lei, baciandole il ventre morbido. Succhio piano la sua pelle, la sfioro con i denti, lasciando piccoli morsi non dolorosi. É lei è così impotente. Le accarezzo piano le gambe, senza però giungere dove mi vuole davvero. «Oh, per favore, Christian» mi supplica, gemendo forte. «Oh, Miss Steele. Ho scoperto che sai essere impietosa nei tuoi assalti amorosi su di me. Credo di poter contraccambiare il favore su di te» le sussurro contro la pelle della pancia. Le sue dita stringono forte la trapunta. La mia bocca scende verso il suo sesso e le mie mani risalgono verso la stessa meta. Ana mugola di puro piacere, esposta al mio sguardo e alla mia fame di lei. Lascio lentamente scivolare due dita dentro la sua fessura. Si stringe meravigliosamente attorno a me, gemendo e sollevandosi per venirmi incontro. Gemo anch’io, incapace di dominare quella sensazione meravigliosa. «Non la finisci mai di sorprendermi, Ana. Sei così bagnata» mormoro contro il suo pube, mentre muovo piano le dita, affondandole dentro di lei ad ogni movimento. Si inarca ancora e stavolta la mia bocca la raggiunge. La mia lingua la assapora lentamente, girando, ruotando, stuzzicandola e portandola la limite, mentre le mie dita la penetrano ripetutamente. Anastasia inarca la schiena, cercando in qualche modo di assorbire il cumulo di sensazioni. «Oh, Christian» mugola con un verso acuto. «Lo so, piccola» le dico in un sospiro, soffiando dolcemente sul suo clitoride gonfio e bagnato dei suoi umori. «Ah! Per favore!» sopportazione. implora, al limite della Il senso di potenza mi inebria. É mia. Solo io posso decidere se farla venire oppure no. «Di’ il mio nome» le ordino. Voglio che gridi il mio nome quando la farò godere. Voglio esserci io nei suoi pensieri, voglio esserne sicuro. «Christian» dice con voce stridula. Quel suono mi eccita come non mai. É sempre come la prima volta in cui l’ho sentito. «Ancora» le dico. «Christian, Christian, Christian Grey» grida forte, squarciando il silenzio della stanza da letto. «Sei mia» le dico dolcemente, parlandole sul clitoride. Poi allungo la lingua un’ultima volta. Anastasia si libera finalmente, lasciandosi andare ad un orgasmo strabiliante che non accenna a placarsi per diversi minuti. Io mi prendo tutto quello che riesco a prendermi. Leccandola e succhiando i suoi umori, bevendo la sua essenza, dolce come lei. Poi non riesco a resistere oltre. Afferro la sbarra, girandola sul letto. «Stiamo per provare questo, piccola. Se non ti piace, o è troppo scomodo, dimmelo e io mi fermerò» sussurro, ammirando incantato il suo culo. Ho voglia di scoparlo. Ho voglia di possederla tutta. Ho voglia di prenderla selvaggiamente e farla capitolare di nuovo. Me la tiro addosso, in modo che stia seduta su di me e mi godo la frizione del mio cazzo che struscia tra le sue natiche. Ansimo furiosamente. «Stenditi, piccola» le sussurro contro l’orecchio, leccandoglielo e baciandoglielo prima di rilasciarla. «Testa e torace sul letto» Ancora non si è ripresa del tutto, ma obbedisce. Le tiro indietro le mani, assicurando le manette con le quali le blocco alla barra, accanto alle caviglie. É stupenda. Ginocchia flesse, il sedere meravigliosamente esposto ai miei occhi. E non può muoversi. «Ana, sei bellissima» le sussurro, rapito dalla visione. Mi allungo verso il cassetto del comodino, afferrando un preservativo. Strappo la bustina e me lo infilo, masturbandomi furiosamente mentre le guardo il culo completamente mio. Con una mano la accarezzo sulla schiena, giungendo fino alle natiche. Mi fermo per un istante, ansimando. «Quando sarai pronta, voglio anche questo» le dico, mentre con l’indice premo sull’ano che si contrae deliziosamente. Anastasia ansima forte, tendendosi. «Non oggi, dolce Ana, ma un giorno... Ti voglio in ogni modo. Voglio possedere ogni centimetro di te. Sei mia» sibilo infervorato ed eccitato. Le mie dita scendono ancora, senza darle tempo di pensare. La accarezzo piano, poi non resisto oltre. Mi posiziono dietro di lei e la penetro di colpo, lanciando un gemito sonoro. «Ahi! Piano!» si lamenta e mi immobilizzo, ansimando senza fiato. «Stai bene?» chiedo preoccupato. «Fa’ piano... Fammici abituare» sussurra, muovendo leggermente il sedere. Scivolo completamente fuori da lei e poi la penetro di nuovo, piano stavolta. Le pareti del suo sesso mi avvolgono mentre inizio a pomparla a fondo. «Sì, bene, ora ci sono» sussurra ad un certo punto, la voce arrochita dal desiderio. Gemo, riprendendo a fotterla con più velocità. Ad ogni affondo le mie dita si stringono contro le sue natiche e i suoi fianchi. Mi spingo dentro di lei, inchiodandola al letto. Il rumore dei miei testicoli gonfi e grossi che sbattono contro le sue natiche mi eccita ancora di più. Inizio a prendere il mio ritmo, implacabile, duro. Ogni affondo va a segno, incitato dai gemiti di piacere di Anastasia. E alla fine la sento serrarsi forte attorno a me ed esplodere urlando contro la trapunta. Mi lascio andare, seguendola immediatamente. «Ana, piccola» grido, crollandole addosso senza forze. Ansimo e mi costringo ad alzarmi, slacciandole cavigliere e manette. Poi la attiro a me, lasciandola accomodarsi tra le mie braccia. Anastasia esala un sospiro e chiude gli occhi, addormentandosi di colpo. Le bacio la fronte, sorridendo di fronte alla sua espressione beata. Passo la mezz’ora seguente ad analizzare il mio e il suo comportamento. Sono stato troppo violento? Non lo so. Ma le è piaciuto. Trovo ancora difficile districarmi tra il piacere ed il dolore. Mi ha stravolto la vita. Non ho più certezze. Ma la amo. E amo il modo in cui mi fa sentire. Così normale. Così... vivo. La guardo, accarezzandole i capelli e coccolandola. Quando finalmente si sveglia, si guarda attorno, confusa e indolenzita. «Potrei osservarti dormire per ore, Ana» mormoro, baciandole nuovamente la fronte. Lei sorride e si strofina piano contro di me. «Non vorrei mai stringendola piano. lasciarti andare» aggiungo, Ana si accoccola di nuovo, baciandomi una spalla. «Non voglio andarmene mai. Non lasciarmi andare via» mormora. E poi come si è svegliata, così si addormenta di nuovo. «Ho bisogno di te» le sussurro contro i capelli, ma non sono certo mi abbia sentita. Ma non importa. Domani potrò dirglielo di nuovo. Mi rilasso contro il suo corpo e mi abbandono anch’io al sonno e alla stanchezza. In fondo, abbiamo un’intera vita davanti per parlare e dirci quanto abbiamo bisogno l’uno dell’altra. Capitolo 20 Quando mi sveglio, Anastasia è ancora addormentata tra le mie braccia. Spalanco gli occhi poco per volta, abituandomi alla luce che penetra dalla portafinestra. É adorabile. Sorrido, mentre mi avvicino e mi inebrio del suo profumo. Lascio il mio naso scorrere contro il suo collo, mentre il mio sesso pulsa contro il suo fianco. Su e giù, contro la sua gamba. Mi ricorda la mattina che mi sono svegliato nel suo letto. Mio Dio. Sono passate solo poche settimane ed è cambiata tutta la mia vita. Lentamente anche lei inizia a stiracchiarsi, spostandosi di poco. Il mio uccello ora struscia contro le sue natiche nude. «Buongiorno, piccola» le sussurro, mordicchiandole piano il lobo dell’orecchio. La sento sussultare e stringere le gambe. Un mugolio leggero le sfugge dalle labbra. Piano le accarezzo un seno, lasciando scorrere le dita sul suo capezzolo inturgidito. Poi, senza preavviso, le afferro i fianchi, stringendola forte e attirandola contro il mio uccello duro. Ana si stiracchia, allungando le braccia in alto. Poi mi guarda da sopra una spalla. «Sei contento di vedermi» mormora piano, con la voce ancora impastata dal sonno, strusciandomi su di me. Mi sporgo fino a toccarle il mento con le labbra, sorridendo sulla sua pelle. «Sono molto contento di vederti» le sussurro contro l’orecchio. Lascio le dita vagare leggere sulla pelle del suo ventre, scivolando sempre più giù. Quando raggiungo il suo clitoride la sento espellere tutta l’aria che ha nei polmoni. Le racchiudo il sesso nella mano a coppa e sfrego le dita contro di lei. «Ci sono indubbi vantaggi nello svegliarsi accanto a te, Miss Steele» la provoco piano. Delicatamente la sposto, facendola sdraiare sulla schiena. «Dormito bene?» le chiedo, provocandola, mentre le mie dita scivolano ancora sul suo piccolo e turgido cumulo di nervi. Sorrido mentre lei ansima sempre di più, schiudendo le labbra in modo sensuale. I suoi fianchi iniziano a seguire il mio ritmo lento e delicato e le mie dita scivolano dentro di lei con facilità, mentre mi chino a baciarle le labbra morbide. Succhio piano il suo labbro inferiore, mentre mi godo la sensazione di essere impregnato dei suoi umori. Scendo piano verso il collo, lasciando una scia di baci sino alla clavicola, mordicchiandola, succhiandola. I suoi gemiti mi fanno eccitare ancora di più. La voglia che ho di lei non si sazierà mai. «Oh, Ana» mormoro in estasi contro la sua gola scoperta. «Sei sempre pronta» Le penetro la bocca con la lingua, adeguando il ritmo delle mie dita a quello dei miei baci. Le mie labbra si scostano dalle sue, sfiorando appena la sua pelle mentre mi muovo verso il basso. Le lascio scivolare sul suo corpo, fino a giungere ai suoi seni meravigliosi. Lentamente lascio scorrere la lingua su ognuno dei suoi capezzoli, succhiandoli, gustandoli, stringendoli con i denti. Anastasia si lascia sfuggire un gemito sonoro. «Mmh...» ringhio contro la sua pelle e sollevo la testa, ammirandola in preda al piacere. «Ti voglio adesso» le annuncio, senza darle possibilità di replica. Mi protendo verso il comodino, puntellandomi sui gomiti per prendere un preservativo. Quando torno da lei sono impaziente. Strofino il naso contro il suo, ansimando sulle sue labbra. Il mio cazzo pulsa violentemente contro il suo stomaco. Con un ginocchio le faccio aprire le gambe, mentre strappo la bustina color argento. «Non vedo l’ora che sia sabato» le dico, guardandola con ardore. «La tua festa?» ansima debolmente. La guardo con un sorrisetto da bastardo. «No. Così potrò smetterla di usare questi fottuti aggeggi» sbotto gettando via la bustina. «Definizione calzante» ribatte ridacchiando come una scolaretta. Quel suono mi penetra nelle orecchie, mandando un brivido a tutto il mio corpo. «Stai ridacchiando, Miss Steele?» le chiedo, alzando un sopracciglio. «No» risponde, cercando di restare seria, ma fallendo miseramente nel suo intento. «Questo non è il momento di ridacchiare» le sussurro, scuotendo la testa per ammonirla. Abbasso volutamente il tono di voce, fissandola con intensità. La sento restare senza fiato per un attimo. “Sì, Miss Steele. So ancora come far capitolare una donna. Nonostante tutti i tuoi sforzi per fare di me un uomo onesto”. «Pensavo che ti piacesse quando rido» sussurra eccitata, fissandomi negli occhi. «Non ora. Ho bisogno di fermarti, e penso di sapere come» le dico, guardandola. Mi infilo il preservativo e mi sollevo. Senza preavviso la giro sul letto, tirandole le gambe verso di me e facendogliele sollevare, in modo che si trovi con il sedere sollevato. «Resta con il viso sul letto, Ana. Incrocia le mani dietro la schiena» le ordino piano, accarezzandole la schiena. Obbedisce istintivamente, mentre ansima visibilmente. Con una mano afferro i suoi polsi, fermandoglieli sulla schiena. L’altra le accarezza una natica, piano, in maniera sensuale. «Ci siamo già passati, Miss Steele. Ti fidi di me?» le chiedo, assaporando la sensazione di dominio dovuta all’essere qui con lei, in questa stanza e in questa posizione. «Sì» sussurra debolmente. «Bene» mormoro, mentre lascio che la mia mano scorra sul suo bellissimo culo esposto. Parto dalla base della sua schiena, tracciando con l’indice la linea della sua spina dorsale. Scendo lungo le sue natiche, soffermandomi sul suo ano che, proprio come ieri sera, si stringe. Continuo, arrivando al suo sesso bagnato. Infilo un unico lungo dito dentro di lei, impregnandomi della sua eccitazione. Poi lo sfilo e me lo porto alle labbra. «Mmmm» dico succhiandolo. «Sai di buono come sempre, Miss Steele» La sua schiena si inarca leggermente. Torno ad accarezzarle una natica. Poi, all’improvviso, le assesto una sonora sculacciata. Anastasia sussulta, abbandonandosi ad un gemito che me lo fa tirare ancora di più. Aiutandomi con la mano libera, la apro, posizionandomi dietro di lei e, finalmente, penetrandola a fondo. Geme e il suono è attutito dal lenzuolo sul quale sta premendo la bocca. “Cristo com’è stretta”. Inizio a muovermi piano, uscendo quasi del tutto e poi rientrando dentro di lei. Quando il suo respiro inizia a farsi più affannoso, aumento la velocità delle mie spinte. «Oh, Ana. Non sai quanto è bello stare dentro di te. Solo tu riesci a farmi provare queste sensazioni» mormoro, mentre la mia mano libera raggiunge l’altra sui suoi polsi. La cavalco ancora, a ritmo serrato. Poi le mie dita scorrono sulla sua schiena bianco latte, fino alla nuca. Le afferro i capelli alla base del collo, costringendola ad alzare la testa. Affondo ancora di più dentro di lei, così in profondità che mi sembra di poterla attraversare completamente e fuoriuscire dall’altra parte. Anastasia lancia un urlo lussurioso e inizia a tremare tutta, scossa dagli spasmi di un’orgasmo potentissimo. La seguo a ruota, riversandomi completamente dentro di lei mentre urlo il suo nome ad alta voce, invocandola affinché prolunghi il mio piacere il più possibile. Entrambi crolliamo sul materasso, esausti. Mi sposto da lei, girandomi sulla schiena e portandola con me. «Oddio...» sussurra senza fiato. Mi viene da ridere. Mi avvicino, baciandole una tempia. «Se vuoi arrivare in tempo al lavoro è meglio se facciamo la doccia separati» le sussurro contro i capelli, inalando a fondo il suo profumo. Ana scoppia a ridere, annunciandomi che posso andare per primo. Quando mi infilo sotto l’acqua calda, mi sento un uomo nuovo. Leila è fuori dai giochi. Hyde pure. La mia ragazza è nel mio letto, impegnata a smaltire i postumi dell’orgasmo che le ho appena procurato. E io sto pensando di sposarla e di vivere con lei ogni giorno della mia vita. Alzo la testa, lasciando che l’acqua mi scorra sul viso. Di scatto apro gli occhi. Abbiamo un ultimo ostacolo da superare. La sua chiacchierata con Flynn. Ma a prescindere da quello che succederà, voglio fare qualcosa per lei. Voglio dimostrarle quanto sono cambiato. Quanto ho voglia di una nuova vita con lei. E credo di sapere come fare. Quando riemerge dalla camera da letto mi trovo ad ammirarla spudoratamente. Indossa quella fantastica gonna grigia che le fascia il sedere e le gambe come se fosse nuda. É sexy da impazzire. Le faccio un sorrisetto, mentre Mrs Jones le chiede cosa vuole per colazione. «Prenderò solo un po’ di cereali. Grazie, Mrs Jones» risponde con un sorriso rilassato. Arrossisce guardandomi mentre la fisso. Si accomoda sullo sgabello accanto al mio, incrociando le gambe. Mi avvicino, sfiorandole un orecchio. «Sei adorabile» le sussurro dolcemente. Mi lancia uno sguardo di apprezzamento. «Anche tu» dice con un sorriso ampio. Piego la testa, ammirandole spudoratamente le gambe. «Dovremmo comprarti qualche altra gonna» le dico pratico. «Mi piacerebbe portarti a fare shopping» le annuncio, tornando ad occuparmi della mia colazione mentre Mrs Jones le porge i cereali. «Mi domando che cosa succederà oggi al lavoro» chiede soprappensiero. «Dovranno rimpiazzare il depravato» dico con una smorfia, senza neppure tentare di nascondere il mio disgusto per quel lurido porco figlio di puttana. «Spero che prendano una donna come mio nuovo capo» La sua affermazione blocca il flusso dei miei pensieri che tendono all’omicidio di Jack Hyde. «Perché?» le chiedo, aggrottando la fronte. «Bè, tu avresti meno da obiettare se andassi via con lei» mi provoca con un sorrisetto. Cerco di trattenere un sorriso e riprendo a mangiare la mia omelette. «Cosa c’è di divertente?» chiede, scuotendo piano la testa con un sorriso. «Tu sei divertente. Mangia i tuoi cereali: tutti, se non vuoi altro» le ordino autoritario. Ana mi risponde con un’adorabile smorfia imbronciata. Poi, senza aggiungere altro riprende a mangiare. Terminata la colazione avviso Taylor che prenderemo la Saab di Anastasia per andare a lavoro. «Dunque, le chiavi vanno qui» la istruisco, indicandole l’accensione sotto la leva del cambio. «Strano posto» borbotta, senza riuscire a stare ferma. Saltella sul sedile, tastandone la comodità, sfiora i pulsanti con riverenza, accarezza le leve. Mi eccita un bel po’ vederla padroneggiare in auto. La fisso, cercando di mantenere la mia compostezza. «Sei piuttosto eccitata per tutto questo, eh?» le dico divertito, alzando un sopracciglio. Annuisce, regalandomi un sorriso da bambina. «Senti questo odore di macchina nuova. È ancora meglio del Modello Speciale Sottomessa... ehm... dell’A3» si corregge velocemente, diventando viola per l’imbarazzo. Trattengo un sorriso divertito, ammirando le sue proprietà linguistiche e il suo sarcasmo immancabile. «Modello Speciale Sottomessa, eh? Ci sai fare con le parole, Miss Steele» le dico, appoggiandomi allo schienale e fingendo disapprovazione. Lei mi fa un sorrisetto e so per certo che se non la smette inaugureremo la sua nuova auto in un modo molto più singolare che andando semplicemente a lavoro. «Bene, andiamo» le dico, facendo un cenno con la mano e indicando l’uscita del garage. Batte le mani euforica e avvia immediatamente il motore. Taylor, dietro di noi, mette in moto l’Audi, seguendoci. Ana parte piano e, quando la sbarra automatica ci lascia passare, si immette in strada. Guida in maniera fluida, ma lenta. Tamburella con le dita sullo sterzo, abituandosi all’auto. Ammetto di essere un tantino nervoso. Non è come lasciare guidare Taylor. «Possiamo accendere la radio?» mi chiede, sempre più impaziente, mentre siamo fermi al primo stop. «Voglio che ti concentri» le rispondo secco. «Christian, per favore, riesco a guidare con la musica accesa» dice, alzando gli occhi al cielo. “Piccola impenitente”. Le lancio un’occhiataccia, ma cedo, allungandomi e accendendo lo stereo. «Puoi attaccarci il tuo iPod e gli MP3, e anche metterci i CD» le spiego pratico, mentre i Police attaccano a tutto volume. Spengo immediatamente lo stereo, mormorando il titolo della canzone. «King of Pain» «Il tuo inno» mi dice con un sorrisetto, girandosi per un attimo verso di me. Stringo forte le labbra, assimilando quell’appellativo. “Mi vedi ancora così? Mi hai davvero visto così? Sì, forse un tempo le ero. Forse amavo il dolore. Ma ora non più. Ho bisogno che tu mi creda”. «Ho quell’album, da qualche parte» aggiunge in fretta. La guardo, ma sembra persa per un attimo nei suoi pensieri. Scruto a fondo il suo profilo delicato, le sue labbra schiuse. Osservo le sue dita affusolate stringere la pelle del manubrio e tamburellarci sopra mentre aspettiamo nel traffico. E quando mi riscuoto è troppo tardi. «Ehi, Miss Lingua Biforcuta. Torna indietro» le dico, quando mi accorgo che abbiamo sbagliato strada. Ana si ferma al semaforo successivo, confusa. «Sei molto distratta. Concentrati, Ana» la rimprovero. “Ecco perché non ti lascio prendere la tua auto da sola”. «Gli incidenti capitano quando non ti concentri» «Stavo solo pensando al lavoro» risponde abbattuta. «Andrà tutto bene, piccola. Fidati» la rassicuro con un sorriso. “Cosa potrebbe mai accaderti, Ana? L’azienda è mia. Non permetterai mai che ti succedesse qualcosa”. Mi guarda come se stesse leggendomi nel pensiero. «Per favore, non interferire. Voglio farcela da sola. È importante per me» mi dice, gentile, ma decisa. Stringo di nuovo le labbra, con l’intenzione di dirle che può pregarmi quanto vuole ma come non permetterei mai che le accadesse qualcosa, allo stesso modo non mi sognerei mai di raccomandarla o interferire nel suo lavoro. Sono molto leale su queste cose. E lei dovrebbe saperlo ormai. Ma prima che possa aprire bocca, mi interrompe. «Non litighiamo, Christian. Abbiamo passato una mattina meravigliosa. E ieri notte è stato...» si ferma, cercando le parole «...divino» sussurra alla fine. Chiudo gli occhi, assaporando il dolce ricordo di averla di nuovo alla mia mercé, mentre le sussurro che è mia, solo mia e non voglio lasciarla andare mai. «Sì. Divino» sussurro con dolcezza, prima di riaprire gli occhi e fissarla. «Intendevo davvero quel che ho detto» le dico deciso. «Cosa?» chiede senza capire. «Non voglio lasciarti andare» le sussurro, senza interrompere il contatto visivo. «Non voglio andarmene» risponde, guardandomi prima di ripartire con il verde. Sorrido e lei fa altrettanto prima di tornare a guardare la strada. La vedo arrossire e ridere tra sè. «Bene» le dico semplicemente, rilassandomi contro lo schienale. “Non guida male, la ragazzina”. Quando entriamo nel parcheggio a mezzo isolato dalla SIP, mi offro di accompagnarla sino all’ingresso. «Ti accompagno all’ingresso. Taylor mi verrà a prendere lì» Ana esce piano dall’auto, impedita nei movimenti dalla sua meravigliosa gonna, mentre la raggiungo dall’altro lato. Mi guarda, aggrottando le sopracciglia. Mi guardo anch’io, ma non riesco a scorgere nulla che non vada in me. ‘Oddio, Grey... io non direi che tu non abbia qualcosa fuori posto’. Quel pensiero mi ricorda di Flynn. E di quello che devo fare non appena arrivo in ufficio. «Non dimenticarti che vediamo il dottor Flynn stasera alle sette» le dico, tendendole la mano. Ana chiude l’auto con il telecomando e poi si lascia condurre da me. «Non lo dimenticherò. Compilerò una lista di domande da fargli» mi dice, seria. «Domande? Su di me?» le chiedo, mentre il panico cresce. Lei annuisce, pensierosa. «Posso rispondere io a qualsiasi tua domanda su di me» le dico, un po’ innervosito. Anastasia mi sorride all’improvviso, luminosa, divertita probabilmente dal mio comportamento. «Ma io voglio l’obiettiva e dispendiosa opinione del ciarlatano» mi dice. Non riesco a non essere preoccupato. Senza preavviso la attiro a me, lasciando scorrere le dita sulle sue braccia e poi bloccandole le mani dietro la schiena, mentre la fisso negli occhi. «È una buona idea?» chiedo, con paura, più a me stesso che a lei. L’ansia e la paura di perderla mi stanno divorando. “Ma Flynn ha l’obbligo del segreto professionale. Non mi tradirebbe mai. Credo. Spero. A meno che non decida di salvare Ana dall’abisso in cui potrei condurla se la mia natura si risvegliasse all’improvviso. Ma poi, può davvero accadere? Non mi ha cambiato per sempre? Io ne sono certo, ma... ” «Se non vuoi che lo faccia, non lo farò» La sua voce triste mi riporta da lei. Con uno strattone si libera la mano solo per toccarmi il viso. Mi abbandono alla dolce carezza del suo palmo. «Di che cos’hai paura?» mi chiede piano, tentando di rassicurarmi. «Che tu te ne vada» confesso a voce bassa. «Christian, quante volte te lo devo dire che non vado da nessuna parte? Mi hai già raccontato il peggio. Non ti lascio» mi dice con forza, liberandosi l’altra mano e prendendomi il viso con entrambe, per guardarmi negli occhi. «Allora perché non mi hai risposto?» le sussurro, completamente nel panico. «Risposto?» dice, fingendo di non capire. Ma oramai so capire quando mentre. «Sai a cosa mi riferisco, Ana» le dico con un sospiro. Sospira anche lei, rassegnata. «Voglio sapere se sono abbastanza per te, Christian. Tutto qui» confessa, abbassando lo sguardo. «E non ti fidi della mia parola?» esclamo esasperato, allontanadomi da lei e passandomi una mano nei capelli. “Come fai a non avere ancora capito che ti amo più della mia stessa vita, Ana? Che ho bisogno di te?” «Christian, tutto questo è successo così in fretta. E per tua stessa ammissione, hai cinquanta sfumature di tenebra dentro di te. Non posso darti quello che vuoi» mormora, incapace di guardarmi. «Non è solo per me. Ma questo mi fa sentire inadeguata, soprattutto dopo averti visto con Leila. Chi mi dice che un giorno non incontrerai qualcuna a cui piace fare quello che fai tu? E chi mi dice che tu non... non ti innamorerai di lei? Qualcuna che sia più adatta alle tue necessità» dice con dolore, torcendosi le mani. E io sento lo stesso dolore nel mio petto. «Conosco diverse donne a cui piace fare quello che mi piace. Nessuna di loro mi affascina nel modo in cui mi affascini tu. Non ho mai avuto un legame emotivo con nessuna di loro. Sarai solo tu per sempre, Ana» le dico, aprendole il mio cuore nel bel mezzo di un parcheggio di Seattle, alle 8 e qualcosa del mattino. Ma lei non vuole credermi. «Perché non hai mai dato loro una possibilità. Hai passato troppo tempo chiuso nella tua fortezza, Christian. Senti, ne discutiamo più tardi. Devo andare al lavoro. Forse il dottor Flynn saprà illuminarci» dice, sospirando per l’ennesima volta. Annuisco, sapendo che comunque non riuscirei ad ottenere nulla in questo modo. «Vieni» le ordino, tendendole la mano e accompagnandola sino all’ingresso. Mi avvicino, prendendole il viso tra le mani e baciandola a fondo, prima di lasciarla andare dentro. La accompagno con lo sguardo, accarezzando ogni sinuosa curva del suo corpo. “Devi credermi, Anastasia. Con te ho capito di essere vivo. Solo con te. Non potrei mai volere una donna che non fossi tu”. Dopo averla lasciata all’ingresso della SIP, averle tenuto la porta aperta mentre le davo un lungo bacio sotto l’occhio vigile della addetta alla reception, mi faccio accompagnare da Taylor in ufficio. Ros è via fino a domani e questo mi permette di passare buona parte della mattinata a mettere a punto in santa pace la strategia di acquisizione dell’azienda di Taiwan. É un grosso affare per la mia compagnia, ma Ros ci va molto cauta. Il mio BlackBerry vibra sulla scrivania. Quando leggo il nome, rispondo immediatamente, preoccupato. Lei non mi chiama mai. «Anastasia. Stai bene?» chiedo preoccupato. «Mi hanno appena dato il lavoro di Jack... Bè, temporaneamente» parla in fretta, quasi sottovoce. Il suo annuncio mi lascia più che stupito. «Stai scherzando?» replico, scioccato. «Hai qualcosa a che fare con questo?» sibila, tagliente. «No, no, affatto. Voglio dire, con tutto il rispetto, Anastasia, sei lì da poco più di una settimana, e non lo dico per farti torto» dico, sincero. «Lo so» replica leggermente incazzata. «A quanto pare, Jack mi apprezzava davvero» mormora ironica. «Ah, sì?» commento acido, in tono freddo, alzandomi dalla poltrona in pelle. Di fronte al suo silenzio, sospiro pesantemente. «Bè, piccola, se pensano che tu possa farcela, sono sicuro che ce la farai. Congratulazioni. Forse dovremmo festeggiare dopo aver incontrato il dottor Flynn» suggerisco in tono conciliante. «Mmh... Sei sicuro di non aver niente a che vedere con questo?» chiede, poco convinta. Il suo tono mi ferisce, ad essere sincero. Mi acciglio, fissando fuori dalla finestra. Il tono con cui le rispondo è più minaccioso di quello che vorrei. «Dubiti di me? Mi fa arrabbiare che tu lo faccia» Ancora silenzio, poi un leggero sospiro. «Mi dispiace» mormora alla fine. Il suono dell’interfono mi distrae per un attimo. «Mr Grey, Mr Roach è qui» annuncia Andrea. «Se hai bisogno di qualcosa, fammelo sapere. Io sono qui. E, Anastasia?» dico, rivolto alla bruna testarda all’altro capo del telefono. «Cosa c’è?» chiede in ansia. «Usa il BlackBerry» aggiungo laconicamente. «Sì, Christian» risponde automaticamente, con un pizzico di rimorso nella voce. Non riaggancio. Non vorrei mai lasciarla. E so che sono stato duro con lei. «Dico davvero. Se hai bisogno di me, sono qui» le ripeto dolcemente, con affetto. «Okay» risponde piano. «Sarà meglio che vada. Devo trasferire le mie cose» annuncia con un sospiro. «Se hai bisogno di me... Davvero» insisto, sottovoce. «Lo so. Grazie, Christian. Ti amo» mormora piano. Sorrido, rilassandomi. «Ti amo anch’io, piccola» sussurro piano. «Ci sentiamo più tardi» aggiunge, anche lei più rilassata e tranquilla. «A più tardi, piccola» le dico ridendo, chiudendo la telefonata e preparandomi a ricevere Roach. Dico ad Andrea di lasciarlo accomodare e mi preparo a riceverlo. Roach, in completo elegante ma informale, apre la porta, salutandomi con un sorriso. Mi alzo e vado a stringergli la mano. «Roach» Gli sorrido anch’io, gentile, ma non sincero. Credo che Roach, come me, sospettasse già delle tendenze perverse di Hyde. Avrebbe dovuto rimuoverlo dall’incarico tempo fa. «Grey» risponde, accorgendosi del mio tono gelido seppure impeccabile. «Accomodati» gli dico, indicando il divanetto dietro di lui. Io mi siedo sulla poltrona, invece, poggiando la schiena al cuscino e guardandolo dritto negli occhi. «Ti ho chiesto di venire perché ho bisogno del tuo aiuto per mettere definitivamente fuori gioco Hyde» Lo dico senza preamboli. Mi guarda sorpreso per un attimo, indurendo la mascella. «L’ho licenziato, come mi hai chiesto. Ho saputo quello che è successo, Grey. Mi dispiace per la ragazza» borbotta. In realtà sembra più “dispiaciuto per la ragazza perché il fatto è successo appena dopo aver venduto la sua società”. La cosa mi fa innervosire ancora di più. «Miss Steele non è ‘una ragazza’. É la mia fidanzata. E tenerla al sicuro è uno dei motivi per cui ho comprato la tua fottuta società, Roach» sibilo, lanciandogli un’occhiata torva. I suoi piccoli occhi si spalancano. «Io... non ne avevo idea, Grey... Merda!» aggiunge alla fine, quasi nel panico. «Nessuno ne aveva idea. Anastasia ci tiene ad affermarsi da sola e di certo non ha bisogno di me per farlo. É brillante, intelligente, determinata. Tenerla al sicuro, però spetta a me» spiego con fredda calma. Roach annuisce, facendosi attento. «So che nessuna delle assistenti di Jack Hyde è durata più di tre mesi. Ho fatto delle ricerche, ma non sono riuscito a scoprire tutto quello che avevo bisogno di sapere. Ho bisogno di una relazione dettagliata sui rapporti di lavoro delle assistenti che hanno preceduto Anastasia. Ho intenzione di farla pagare cara a quel figlio di puttana» dico, alzandomi e facendogli capire che non mi aspetto una replica. Mi aspetto che agisca. Ora. Roach mi imita d’istinto, aggiustandosi la giacca sportiva blu intenso che indossa. «Farò il possibile, Grey. Conta pure su di me. Stamattina presto il consiglio d’amministrazione si è riunito e abbiamo deciso di affidare a Miss Steele il posto di Hyde. Temporaneamente, almeno. Avresti poi deciso tu cosa fare in seguito. Non abbiamo ritenuto opportuno, comunque, informare il personale di quanto accaduto, in modo da tutelare Anastasia. Non... non sapevo che fosse la tua fidanzata, Grey» mi guarda, mentre io chiudo gli occhi quasi con sofferenza, immaginando cosa mi toccherà subire da quella piccola testarda. Dopo aver congedato Roach, mando un sms a Taylor e mi avvio verso l’ascensore. Mezz’ora più tardi sto ammirando il panorama del Puget Sound dall’ampio terrazzo di quella che spero diventerà la casa di Mr e Mrs Grey. É un’abitazione stupenda. Quando stamattina presto, mentre Ana era sotto la doccia, ho contattato l’agente immobiliare, non credevo che mi sarei trovato davanti la casa perfetta entro oggi. Ma questa è davvero perfetta. É spaziosa, adattabile alle nostre esigenze. Perfetta per una famiglia. Perfetta per ricreare quel calore in cui sono stato avvolto la prima volta che ho messo piede a casa dei Grey. C’era calore ovunque, anche nello sguardo accigliato di Elliot. Voglio questo per Anastasia. Per quella che sarà la mia famiglia. Voglio vivere qui con lei e fare di quel calore la ragione della mia vita. Voglio darlo a lei, voglio darmi a lei. Completamente. Quando faccio rientro in ufficio, dopo pranzo, mi organizzo la giornata in modo da avere tempo per vedere anche Bastille. Ho bisogno di smaltire la rabbia repressa da ieri e l’ansia in vista dell’appuntamento con Flynn. E anche quella per la decisione di portare Ana a vedere la nuova casa. Ho un nodo allo stomaco che non so come sciogliere se non sudando e sfogandomi contro uno più duro di me. Chiamo Andrea e la faccio venire nel mio ufficio per riorganizzare l’agenda. Poi rimetto in ordine la scrivania e afferro la giacca, preparandomi ad uscire. Taylor mi accompagna ad ordinare un mazzo di rose bianche e rosa per Ana. Scrivo a mano il suo biglietto e faccio in modo che venga consegnato direttamente alla SIP. “Congratulazioni, Miss Steele. E tutto da sola! Nessun aiuto dal tuo amministratore delegato megalomane, iperamichevole, vicino di casa. Con amore, Christian” Sorrido mentre lo compilo, immaginando la sua espressione sognante quando lo leggerà. In auto, mentre raggiungo Bastille, il mio telefono vibra contro la coscia. Lo sfilo dalla tasca, sorridendo. Da: Anastasia Steele A: Christian Grey Data: 16 giugno 2011 15.43 Oggetto: Megalomane ...è il tipo di maniaco che preferisco. Grazie per i bellissimi fiori. Sono arrivati in un grande cesto di vimini, che mi fa pensare a picnic e coperte. AX Sorrido. Soprattutto perché non vedo più la firma “assistente di Jack Hyde”. Da: Christian Grey A: Anastasia Steele Data: 16 giugno 2011 15. 55 Oggetto: Aria fresca Maniaco, eh? Il dottor Flynn potrebbe avere qualcosa da dire in proposito. Vuoi fare un picnic? Potremmo divertirci all’aria aperta, Anastasia... Come sta andando la tua giornata, piccola? Christian Grey Amministratore delegato, Grey Enterprises Holdings Inc. La risposta è quasi immediata. La ricevo mentre attraverso il corridoio della palestra, verso gli spogliatoi. Da: Anastasia Steele A: Christian Grey Data: 16 giugno 2011 16. 00 Oggetto: Frenetica La giornata è volata. Ho a stento un momento libero per pensare a qualcosa che non sia il lavoro. Penso di potercela fare! Ti racconto tutto quando arrivo a casa. L’aria aperta sembra... interessante. Ti amo. AX PS: Non preoccuparti per il dottor Flynn. Al solo pensiero il mio uccello ha un fremito nel pensare alle varianti del sesso all’aria aperta. Mi spoglio e infilo i pantaloncini. Da: Christian Grey A: Anastasia Steele Data: 16 giugno 2011 16. 09 Oggetto: Ci proverò... ...non temere. A più tardi, piccola. x Christian Grey Amministratore delegato, Grey Enterprises Holdings Inc. Alle sei sono già a casa, con molta meno rabbia e molta più ansia di prima. Mi sono lavato, vestito e ora sono a telefono con quella scassacoglioni di Ros che mi sta dando un’ottima notizia. «Abbiamo trovato il modo di far funzionare il nuovo sistema di videosorveglianza. Mark e i ragazzi ci stanno lavorando, in attesa della prossima riunione» «Ros, è grandioso. Dillo a Barney e partiamo da quel punto» rispondo entusiasta, mentre mi volto, attirato da un rumore alle mie spalle. Ana è tornata. Finalmente. «Allora a domani, Grey» mi saluta allegra Ros. Riattacco, salutandola, e raggiungo Ana, mentre mi guarda timida, rimanendo sulla soglia. «Buonasera, Miss Steele» mormoro, chinandomi a baciarle delicatamente le labbra. Il mio corpo quasi si scioglie accanto al suo. «Congratulazioni per la tua promozione» le dico, stringendola a me e baciandole la tempia, inalando il suo dolce profumo. «Ti sei fatto la doccia» mi dice, inspirando a fondo anche lei. «Mi sono appena allenato con Claude» le spiego, sorridendo. «Ah» mi guarda, con gli occhi grandi e bellissimi. «Sono riuscito a stenderlo un paio di volte» annuncia, mentre il mio sorriso diventa raggiante. “Sì, sono un arrogante e presuntuoso figlio di puttana”. ‘Un cazzone figlio di puttana, Grey... ’ «Non succede spesso?» mi chiede lei, tirando la testa indietro e fissandomi dritta negli occhi, divertita. «No. Dà una grande soddisfazione quando capita. Hai fame?» le chiedo, scrutando la sua espressione che non mi convince per niente. Scuote la testa, in silenzio. «Cosa c’è?» aggrotto le sopracciglia, fissandola attento. «Sono nervosa. Per il dottor Flynn» mi confessa, abbassando gli occhi, improvvisamente troppo timida per guardarmi. «Anch’io. Com’è andata la tua giornata?» le chiedo per cambiare argomento ed evitare di pensarci troppo. Allento la presa, lasciandola andare mentre mi racconta nel dettaglio il resoconto della sua giornata e le sue nuove mansioni. É un piacere ascoltarla e per un po’ riesco anche a dimenticare Flynn e la dura prova che ci attende. «Ah, c’è un’ultima cosa» aggiunge alla fine, alzandosi dallo sgabello sul quale si era seduta. «Oggi sarei dovuta andare a pranzo con Mia» La seguo con lo sguardo, inarcando un sopracciglio a sentire il nome di mia sorella. «Non me l’avevi detto» la accuso. «Lo so, me ne sono dimenticata. Comunque, non ci sono potuta andare per via della riunione e allora Ethan si è offerto di prendere il mio posto» “Ok. Odio quando risponde con un ‘me lo sono dimenticato’. Non mi piace che sia in combutta con mia sorella alle mie spalle. E non mi piace Ethan. Meno che mai quando è accostato a mia sorella nella stessa frase”. Mi acciglio ancora di più quando la vedo tormentarsi il labbro. Sa che non mi piace la situazione. «Capisco. Smettila di morderti il labbro» le dico, alzandomi. L’improvvisa voglia di inchiodarla al muro deve essere davvero palese. La vedo cercare una via d’uscita. «Vado a darmi una rinfrescata» mi dice in fretta, allontanandosi prima che io possa aggiungere altro. Cammino su e giù lungo la stanza, mentre la aspetto. Non so come sia possibile che ancora non si sia formato un fosso a terra. Ripenso a mille cose. Ripenso a lei e a come mi ha cambiato la vita. Poche settimane di conoscenza e sono un uomo completamente nuovo. Per lei ho affrontato tutti gli ostacoli della mia vita. Tutti meno che l’incontro con uno strizzacervelli stasera. Ne abbiamo passate tante. Probabilmente ne passeremo ancora tante. Ma ora so che l’unico obiettivo reale della mia vita è renderla felice. Non importa come, non importa su chi dovrò passare e quali teste dovranno cadere. Anastasia dovrà essere felice. Per me. Perché possa guardarmi e non vedere il marcio che mi porto dentro. Non solo almeno. Ma anche qualcosa di buono. Quando finalmente torna da me, la abbraccio, baciandole la testa. Sa di buono. Sa di Ana. Sorrido contro al sua testa e la prendo per mano, in silenzio, mentre scendiamo di sotto. Nessuno dei due dice granché durante il viaggio e la tensione inizia a crescere sempre di più. Ana sembra sorpresa quando dopo pochi chilometri accosto per parcheggiare la Saab. «Di solito vengo da casa facendo una corsa» le spiego, mentre lei mi osserva rapita. «È una grande macchina» le dico sorridendo. «Lo penso anch’io» ribatte sorridendo anche lei. Poi inspira forte. «Christian... io...» inizia, in ansia evidente. «Cosa c’è, Ana?» le chiedo, accarezzandole il dorso della mano per calmarla. Inspira bruscamente, infilando la mano nella borsa. «Ecco» mi dice, tirando fuori una piccola scatolina nera con un nastro. «Questo è per te, per il tuo compleanno. Vorrei dartelo adesso... ma solo se mi prometti di non aprirlo fino a sabato, okay?» sussurra in imbarazzo. Sbatto le palpebre un paio di volte. Sono sorpreso. Deglutisco piano, prendendo la scatolina tra le dita. «Okay» mormoro piano, ma divertito. Le nostre dita si toccano per un attimo e la familiare scossa elettrica tra di noi mi scuote da capo a piedi. Osservo la scatolina, scuotendola. Dall’interno si sente un rumore strano, non riesco a decifrare di cosa si tratti. Aggrotto la fronte poi la curiosità mi invade, facendomi sentire come un bambino la notte prima di Natale. Apro gli occhi, guardandola mentre le sorrido. Mi mordicchio piano il labbro inferiore, impaziente. «Non puoi aprirlo fino a sabato» mi rimprovera. «Ho capito» le dico, annuendo esasperato. «Perché me lo stai dando adesso?» chiedo curioso, infilando la scatola nella tasca interna della giacca. Ana mi scocca un sorriso malizioso. «Perché posso, Mr Grey» mi dice, alzando un sopracciglio, con un sorrisetto sfrontato. Trattengo a stento un sorriso. «Ah, Miss Steele, mi rubi le battute» le dico, scendendo dall’auto e andando ad aprirle la portiera. Saliamo in silenzio fino allo studio di Flynn. Saluto Cynthia con calore e i suoi occhi si illuminano quando mi vede mano a mano con Anastasia. Ana si guarda intorno mentre facciamo ingresso nello studio di John, seduto alla sua scrivania. Quando ci vede si alza, galantemente e ci viene incontro. «Christian» mi sorride amichevolmente. «John» rispondo teso, stringendogli la mano. «Ti ricordi di Anastasia?» «Come potrei non ricordarmene? Benvenuta, Anastasia» la saluta lui, facendola una sorta di piccola riverenza prima di stringerle la mano. «Ana, per favore» mormora lei in imbarazzo. «Ana» ripete lui, indicandoci con un cenno i divani. Guido Anastasia nella stanza, indicandole il divano su cui sedersi. Mi siedo su quello a fianco al suo, abituato ad avere il mio spazio in questo studio. Tra di noi, a dividerci, il tavolino con la lampada che ho osservato diverse volte. É posizionato strategicamente, con la presenza costante di una scorta di fazzolettini. Io non ne ho mai avuto bisogno. Ricordo le lacrime dell’altra sera, con Ana. ‘Magari non ne hai avuto bisogno fino ad ora, Grey’. Ok. Potrei essere anche grato della presenza dei fazzolettini arrivato a questo punto della mia vita. Ana lancia occhiate incuriosite alla stanza. Mi metto comodo, allungando la mano sino a prendere quella di Ana e stringerla per rassicurarla. Flynn si schiarisce la gola, poi si rivolge direttamente a lei. «Christian ha chiesto che tu lo accompagnassi a una delle nostre sedute» esordisce, guardandola attentamente. «Solo perché tu lo sappia, consideriamo questi incontri assolutamente riservati...» inizia a dire, ma si blocca all’improvviso. Seguo il suo sguardo e colgo l’espressione di Ana. Un sopracciglio alzato in segno di stupore. «Io... ehm... ho firmato un accordo di riservatezza» mormora, arrossendo. D’istinto le lascio la mano, ritraendomi al mio posto. Sembra quasi che debba difendermi anche da lei stasera. Non pensavo fosse così imbarazzante. Non con le due persone che sanno tutto di me. «Un accordo di riservatezza?» aggrottando la fronte e guardandomi. rimarca Flynn, “Ok, John. Potrei averlo omesso. Ma non l’ho mai vista come una mia Sottomessa. Mi è sfuggito di mente”. Mi stringo nelle spalle, senza dire nulla. «Inizi tutte le tue relazioni con una donna con un accordo di riservatezza?» mi chiede Flynn, quasi in tono sarcastico. «Quelle contrattuali, sì» rispondo. Flynn sorride piano. «Hai altri tipi di relazioni con le donne?» mi chiede sarcastico. «No» rispondo dopo un attimo di pausa, divertito dalla piega che sta prendendo la discussione. Sbircio Ana e riesco quasi a percepire la sua frustrazione. «Come pensavo» annuisce Flynn, tornando a guardare Anastasia. «Bene, immagino di non dovermi preoccupare della riservatezza, ma posso suggerire che voi due discutiate di questa faccenda, a un certo punto? Se ho capito bene, non ti stai più facendo coinvolgere in relazioni contrattuali» dice, guardando ora il taccuino davanti a sé e scribacchiando qualcosa. «Spero in un tipo di contratto diverso» azzardo dolcemente, guardando la mia fidanzata che arrossisce di colpo. Anche Flynn scruta la sua espressione. «Ana, devi perdonarmi, ma probabilmente conosco di te molto più di quanto pensi. Christian mi ha raccontato parecchie cose» dice, cercando di metterla a suo agio, ma l’effetto direi che è l’opposto. Il buon dottore la incalza, senza darle tempo di pensare troppo. «Un accordo di riservatezza?» prosegue, togliendosi gli occhiali. «Questo deve averti scioccata» Non è una domanda. É un’affermazione. Perché lo sa. Sono stato io a raccontarglielo. Ana lo fissa, poi sbatte le palpebre un paio di volte. «Oh, credo che lo shock per quello sia diventato insignificante, viste le più recenti rivelazioni di Christian» replica con voce bassa, una leggera punta di esitazione nel suo tono. «Ne sono sicuro» Il dottor Flynn le sorride gentile. Poi cambia bersaglio. «Allora, Christian, di cosa vorresti parlare?» La domanda mi lascia perplesso. “Di niente. Io non volevo neppure venire”. Mi stringo nelle spalle e scarico la responsabilità su di lei. L’ha voluto? Ora tocca a lei sbrogliarsi dalla situazione. «Anastasia voleva vederti. Forse dovresti chiederlo a lei» ribatto scontroso. Flynn alza lentamente lo sguardo. “Merda”. Conosco quello sguardo. Sta per tirarmi una stoccata delle sue. Guarda Ana che invece evita il suo sguardo. «Ti sentiresti più a tuo agio se Christian ci lasciasse per un po’?» La butta lì con nonchalance. Ana d’istinto fissa gli occhi nei miei. La guardo aspettandomi la sua mano sulla mia e un sorriso rassicurante. Sono così pronto a sentirle dire di no che quando invece pronuncia quel sì è come una badilata in testa. Mi acciglio e apro la bocca per dirle che non esiste al mondo. Ma poi mi calmo. “Ok. Ok, posso superare questa cosa”. Mi alzo e lancio un’occhiataccia a Flynn. «Grazie, Christian» mi dice, impassibile. “Stronzo”. Mi giro a guardare Ana, con uno sguardo d’accusa. Poi esco dalla stanza, chiudendo la porta alle mie spalle. “Cristo”. L’anticamera è vuota. Cinthya deve essersene andata da poco. Inizio a camminare su e giù mentre l’ansia mi assale. Non posso fare a meno di sentirmi tradito da Anastasia. Avrei voluto esserci lì dentro. Avrei dovuto, Cristo santo! Parlano di me, non di un estraneo. E Dio solo sa cosa cazzo uscirà fuori da quella fottuta bocca di John. Provo a fare dei sospiri profondi, tentando di calmarmi. Guardo l’orologio. Sono qui fuori da appena un minuto e ho voglia di spaccare tutto, sfondare quella cazzo di porta e caricarmi Ana in spalla per portarla a casa. Sospiro di nuovo. Mi passo una mano nei capelli. Stando attento a non fare rumore mi avvicino alla porta. Tento di origliare qualcosa, trattenendo il respiro per non permettere al minimo rumore di disturbarmi, ma è impossibile. Riesco solo a sentire un cicaleccio indistinto e sommesso. Mi allontano in fretta, portandomi al lato opposto della stanza per espirare, come se temessi che potessero udirmi. Guardo di nuovo l’orologio. Appena tre minuto. Cristo! Mi siedo sul divanetto in sala d’attesa, poggiando i gomiti sulle cosce e unendo gli indici davanti a me. Devo evitare di pensare a Flynn che parla del mio passato chiuso in una stanza con Anastasia. Io... io avrei almeno voluto essere presente per spiegarle, per difendermi. Per dirle che ora non sono più quello di una volta. Che sono l’uomo che la ama e che non le farò più del male. Lei avrebbe potuto credermi, mi avrebbe guardato negli occhi e mi avrebbe creduto, ne sono certo. Ma ora sono bloccato qui dentro, confinato in questo spazio. Cinque minuti appena. Cinque minuti di strazio della mia anima. Sospiro e, quasi come un presentimento, stringo gli occhi sopraffatto dai ricordi. Ricordi di noi. Sorrido nel ripensarla timida e impacciata, quel primo giorno nel mio ufficio. Sorrido per la sua aria smarrita, per i suoi capelli tenuti fermi, per la sua memorabile caduta sulla mia moquette. Sorrido e so di essermi innamorato di lei al primo sguardo, alla prima parola che ho udito dalla sua voce. So che non c’è stato scampo per me da quel primo momento. E tutti i baci, le carezze, tutte le volte che abbiamo fatto l’amore. Non è mai stato qualcosa di semplice. Con lei non è mai semplice. É sempre di più. É il mio di più. Sospiro forte. Dieci fottutissimi minuti. Manca ancora mezz’ora. Mi alzo, percorrendo la stanza e soffermandomi a guardare il mio riflesso nel vetro dell’ampia finestra che affaccia su Seattle. Mi guardo. Fisicamente non sono diverso da quello che ero appena poche settimane fa. Ma dentro... dentro sono un altro. Sono morto e rinato. E vivo solo per lei ormai. Vorrei che lei lo capisse e per quanto so che in parte lo fa, non posso fare a meno di pensare che in fondo, un giorno, spalancherà i suoi occhioni dolci e puri e mi vedrà per il mostro che ero. Che sono. Perché per quanto io possa lottare, non riuscirò a liberarmi del mio passato. Almeno non tanto in fretta. Deglutisco visibilmente, passandomi entrambe le mani nei capelli. Ho una fottuta paura. Anastasia è la persona più buona che abbia mai incontrato. Quello che provo per lei non ha nulla a che vedere con le fantasie di un quindicenne nei confronti di una donna sexy ed esperta come Elena, o della sete di vendetta e di controllo di un Dominatore nei confronti della sua Sottomessa. Il ricordo di Leila mi fa dolere il petto. Non voglio ridurla in quello stato. Non voglio sottometterla. Voglio che mi sfidi, che mi guardi negli occhi, che si arrabbi con me. Voglio che facciamo pace rotolandoci nel nostro letto. Voglio svegliarmi accanto a lei ogni fottuta mattina e andare a dormire tenendola tra le braccia tutte le sere. Voglio che mi completi, che mi infonda la giusta dose di coraggio che mi permetta di essere un uomo migliore. Voglio che mi sposi perché non riesco ad immaginare la mia vita senza il suo sorriso impertinente e la sua lingua biforcuta a stuzzicarmi. Nonostante l’ansia mi stia stringendo forte il petto in una morsa, mi ritrovo a sorridere quando ripenso alla nostra prima volta. La sua prima volta. E un po’ anche la mia. A stento la ricordo la prima volta che ho fatto sesso in assoluto. Ricordo l’eccitazione, ricordo Elena tentare di mettermi a mio agio con il suo sorriso sprezzante. Ricordo il sesso e poi ancora, nel corso di quei sei anni, ancora tanto sesso. Ricordo le perversioni. Ma la dolcezza della prima volta che sono entrato in lei, ha ormai spazzato via tutta la mia vita prima di conoscerla. Il suo calore, la sua passione, l’importanza di quel momento, mi hanno cambiato per sempre. Se prima potevo avere solo pensato di avere una via di scampo, da quel momento sono stato perfettamente cosciente di essere irrimediabilmente suo. Ammetterlo mi è costato tempo e fatica. Ma l’ho fatto. Quando sbircio l’orologio, mancano appena due minuti alla fine della seduta. Mi faccio coraggio e indosso la mia faccia da bronzo migliore, bussando forte alla porta della stanza di Flynn. Non aspetto risposta. Entro e basta, lanciando un’occhiata sospettosa ad entrambi. Ana arrossisce di colpo. John, invece, con la sua solita calma, mi sorride divertito. «Bentornato, Christian» mi dice senza scomporsi. «Pensavo che il tempo fosse scaduto, John» rispondo, sostenendo il suo sguardo nella consapevolezza che entrambi sappiamo che sto mentendo. «Quasi, Christian. Unisciti a noi» ribatte indicandomi con un cenno il divanetto di fronte. lui, Questa volta mi siedo accanto ad Ana, afferrandole il ginocchio possessivamente con la mano, ribadendo il concetto, per chi in questa stanza non l’avesse capito, che lei è mia. Solo mia. Flynn abbassa gli occhi sulla mia mano, con un sorrisetto. Poi cattura lo sguardo di Anastasia. «Hai qualcos’altro da chiedermi, Ana?» le domanda con un tono di voce leggermente preoccupato. Ana si limita a scuotere la testa, arrossendo. «Christian?» chiede, rivolto a me stavolta. «Non oggi, John» sibilo, ancora incazzato. Flynn annuisce con un breve sospiro. Poi china gli occhi sul foglio davanti a sé. «Potrebbe essere un bene se veniste ancora insieme. Sono sicuro che Ana avrà delle altre domande» Mio malgrado annuisco. Ripetere tutto questo strazio? NO. Ana può chiedere a me direttamente. La guardo e lei arrossisce di colpo. “Cosa gli hai chiesto, Anastasia?”. Le afferro la mano, scrutando il suo volto meraviglioso segnato dall’ansia e dall’imbarazzo. «Tutto okay?» le chiedo, stringendo forte la sua piccola mano e cercando di trattenerla a me, di farle sentire quanto la amo. Lei mi fissa, esitando per un istante. Poi le sue labbra si distendono in un sorriso e annuisce, molto più tranquilla. La mia mano stringe la sua ancora. “Tu non sei le altre, Ana. Tu non sei Leila”. Mi volto di scatto verso John. «Come sta lei?» chiedo, abbassando la voce come se lei potesse non sentirmi. La sento tendersi, ma mi concentro sul mio medico. «Ce la farà» risponde lui con un sorriso tirato, ma in qualche modo rassicurante. «Bene. Tienimi aggiornato sui suoi progressi» ribatto. «Lo farò» annuisce lui, guardandomi negli occhi. All’improvviso mi sento meglio e peggio allo stesso tempo. La nostra ora di chiacchiere inutili è finita e io devo spremere Ana per sapere cosa le ha rivelato Flynn. «Possiamo andare a festeggiare la tua promozione?» le chiedo mettendoci un po’ troppa enfasi nella mia richiesta. Anastasia annuisce timida e io mi alzo. In fretta salutiamo Flynn, mentre la sospingo fuori dall’ufficio, quasi di peso. Una volta arrivati in strada mi volto verso di lei a guardarla. Inspiro forte. «Com’è andata?» chiedo, senza riuscire a smascherare l’ansia. «È andata bene» risponde sibillina. La fisso con sospetto. Lei imita una delle mie pose caratteristiche, piegando la sua deliziosa testolina di lato. «Mr Grey, per favore, non guardarmi in quel modo. Per ordine del dottore, ti darò il beneficio del dubbio» dice con un mezzo sorriso enigmatico. Il fatto di non riuscire a capirla mi irrita da morire. «Che cosa vuol dire?» chiedo astioso. «Vedrai» ribatte laconicamente. Piego le labbra all’ingiù, stringendo gli occhi e scrutandola. «Sali in macchina» le ordino freddo, aprendo di scatto la portiera del passeggero. Ana mi guarda torva, ma veniamo interrotti dalla suoneria del suo cellulare. Lo tira fuori dalla borsa, sbiancando quando attentamente. vede il numero. La guardo «Ciao!» squittisce allegra, rispondendo, anche se noto un pizzico di ansia nella sua voce. Mi fissa, mentre io la scruto con sospetto. “José” mima con le labbra e il mio cuore viene stretto in una morsa di gelosia. Il mio sguardo diventa di ghiaccio e lei se ne accorge. «Scusa, non ti ho chiamato. È per domani?» chiede, con la voce leggermente tremante. Eppure i suoi occhi non lasciano mai i miei. La sua espressione è sorpresa mentre ascolta. Poi diviene leggermente imbarazzata. «Bè, sto da Christian in questo momento e lui dice che, se vuoi, puoi rimanere a dormire a casa sua» asserisce timorosa. Stringo le labbra al solo pensiero, ma averlo in casa mia equivale alla possibilità di sfondargli il cranio se la tocca solo con un dito. Dopo una manciata di minuti di silenzio, Ana si volta, dandomi le spalle e passeggiando sino al limite del marciapiede. É poco distante da me. Posso comunque sentire ciò che dice. «Sì» risponde al suo amico in un soffio. Ancora silenzio. Poi la vedo spostare la testa e so che ha appena alzato gli occhi al cielo. «Seria» le sento dire a malapena. Il mio cuore manca un battito. “Seria? Cosa?” «Sì» continua, rispondendo sibillina. Un attimo di silenzio, poi uno sbuffo quasi ironico. «Certo... Puoi venire a prendermi al lavoro?... Ti mando un messaggio con l’indirizzo... Alle sei?» chiede. Qualche attimo di silenzio, poi chiude con un tono più leggero e felice. «Fantastico. Ci vediamo» Quando si volta mi trova appoggiato alla sua auto, a fissarla. «Come sta il tuo amico?» le chiedo caustico. «Sta bene. Mi verrà a prendere al lavoro, e penso che usciremo a bere qualcosa. Vuoi venire con noi?» mi chiede cordiale, mentre accenna a muoversi verso l’auto. Esito per un istante, tendendomi, tentato dal dirle che non esiste al mondo che le se ne vada in giro da sola con quel figlio di puttana. Poi mi ricordo che è appena stata da Flynn. E io ancora non so cosa le ha detto. Potrebbe essere sul punto di lasciarmi. Chi credo di essere per arrogarmi il diritto di decidere per lei chi vedere e chi no? «Non pensi che ci proverà con te?» le chiedo torvo. «No!» esclama esasperata. «Okay» le dico, sollevando le mani in alto in segno di resa. «Tu esci con il tuo amico, e noi ci vediamo più tardi in serata». “E ti dimostrerò che sei mia. Che puoi essere solo mia. Che non esisteranno altri uomini per te, Anastasia. Mai”. Per un attimo sembra spiazzata, sorpresa dal fatto che io sia stato così arrendevole. «Vedi? Posso essere ragionevole» le dico, sorridendo con malizia. Le sue labbra rosee si incurvano in un piccolo sorrisetto, mentre mi scruta. «Posso guidare?» mi chiede all’improvviso, fissando la Saab dietro le mie spalle. Sbatto le palpebre, sorpreso dalla richiesta. «Preferirei che non lo facessi» rispondo, restio a cederle il controllo alla guida. «Perché?» chiede sorpresa, alzando un sopracciglio. «Perché non mi piace che guidi qualcun altro, quando ci sono io». E perché devo portarti dalla mia sorpresa. «Stamattina ce l’hai fatta, e sembri tollerare che Taylor guidi per te» risponde lei diretta. «Mi fido ciecamente della guida di Taylor» ribatto altezzoso, squadrandola dall’alto. «E della mia no?» risponde piccata, mettendosi con le mani sui fianchi. «Onestamente, la tua mania del controllo non conosce limiti. Guido da quando avevo quindici anni» sbraita furiosa. Scrollo le spalle con aria noncurante e lei riduce i suoi occhi a due piccole fessure. «È la mia macchina?» mi chiede rabbiosa. La scruto, con la fronte aggrottata. «Certo che è la tua macchina» rispondo severo. «Allora dammi le chiavi, per cortesia. L’ho guidata due volte, e solo per andare e tornare dal lavoro. Mi stai rubando tutto il divertimento» conclude la sua sfuriata con un tenero broncio che mi fanno scappare un sorriso. «Ma non sai dove stiamo andando» le rispondo, più pacato. «Sono sicura che potrai illuminarmi, Mr Grey. Hai fatto un ottimo lavoro fin qui» dice maliziosa, sbattendo le ciglia scure e sorridendo provocatoria. La fisso, abbagliato e stupito per qualche attimo. E anche compiaciuto. Poi le sorrido, disarmato dalla sua tenerezza. «Un ottimo lavoro, eh?» mormoro, alzando un sopracciglio. Ana arrossisce di colpo. «In gran parte sì» mormora piano. «Bè, in questo caso...» le annuncio, sospirando e girando attorno alla macchina per aprirle la portiera del conducente e consegnarle le chiavi. Ana si accomoda, aggiustandosi la gonna. Le scruto le gambe, affamato di lei. Ma prima di toccarla, in qualsiasi modo, voglio sapere com’è andata con Flynn. Vado ad accomodarmi e lei mette in moto. Le do le prime indicazioni, poi mi fermo per un attimo a guardarla. Il suo profilo è spettacolare, mozzafiato. I capelli le incorniciano il volto pallido ma eccitante. Ogni tanto i denti afferrano il suo labbro carnoso, stringendolo mentre al tensione aumenta nel suo corpo. «Qui a sinistra» le ordino, facendole imboccare la strada per la I-5. Sterza un po’ troppo bruscamente, senza decelerare in curva. «Accidenti, rallenta, Ana» le dico, afferrandomi saldamente al cruscotto per non piegarmi di lato. Alza gli occhi al cielo, con uno sbuffo, mentre Van Morrison ci accompagna in sottofondo. Ana sembra sicura, ma un sorpasso azzardato mi fa rizzare i capelli in testa. “Ma chi cazzo me l’ha fatto fare di cederle il controllo alla guida?” «Rallenta!» le urlo contro. «Sto rallentando!» grida di rimando, infuriata. Sospiro quando finalmente la sua guida si stabilizza un po’ sull’interstatale e decido che è giunto il momento di afferrare in mano la situazione. «Cosa ti ha detto il dottor Flynn?» le chiedo. L’ansia traspare e non so come mascherarla. «Te l’ho detto: mi ha suggerito di darti il beneficio del dubbio» Mi fissa brevemente e la sento farfugliare un’imprecazione sottovoce. Poi accende la spia luminosa, segnalando che deve accostare. La guardo senza capire. «Che cosa stai facendo?» le chiedo allarmato. «Ti lascio guidare» ribatte tranquilla. «Perché?» le domando, sorpreso. «Così posso guardarti» risponde. Scoppio a ridere di gusto a quell’uscita. «No, no. Hai voluto guidare tu. Allora guida, e ti guarderò io» la prendo in giro. Ana si gira verso di me, accigliata, senza accennare a riportare gli occhi sulla fottuta strada. «Tieni gli occhi sulla strada!» le ordino. Per tutta risposta, il suo sguardo si fa più torvo e lei accosta subito prima di un semaforo, scendendo dall’auto come una furia e sbattendo la portiera dietro di sé. Rimane immobile sul marciapiede, con le braccia incrociate sotto al petto, fissandomi con un’espressione truce. In meno di due secondi sono fuori con lei. «Che cosa stai facendo?» le chiedo con rabbia. «No, tu cosa stai facendo!?» mi urla contro. Lancio un’occhiata all’auto. «Non puoi parcheggiare qui» le dico calmo. «Lo so» ribatte acida. «Allora perché l’hai fatto?» «Perché ne ho abbastanza che mi abbai ordini. O guidi tu, oppure chiudi la bocca e lasci guidare me!» urla come una bambina. La mia pazienza sta arrivando al limite massimo di sopportazione. «Anastasia, torna in macchina, prima che prendiamo una multa» sibilo. «No» ribatte decisa, sfidandomi con il mento in aria e gli occhi scintillanti. La fisso sbalordito. A parte lei nessuna ha mai pronunciato quella parola in mia presenza. É il bello di essere un Dominatore. Non esistono richieste non soddisfatte. Non esistono “no”, di nessun genere. E invece mi ritrovo a guardare una brunetta tutta pepe che mi sfida ad ogni parola e ad ogni sguardo e che si rifiuta di fare quello che le chiedo. Mi passo una mano nei capelli, scompigliando in maniera esasperata la mia chioma ribelle. Per un attimo mi fissa con uno sguardo strano, poi, lentamente, si lascia andare ad un sorriso. La guardo confuso, aggrottando la fronte. «Cosa c’è?» esclamo sconfitto. «Tu» risponde, senza trattenersi dal ridacchiarmi in faccia. «Oh, Anastasia! Sei la donna più irritante del pianeta» sbotto, sollevando le mani in aria per non strapparmi i capelli. «Benissimo. Guiderò io» decido risoluto. All’improvviso Anastasia afferra il bavero della mia giacca e mi attira a sé, modellando il suo corpo contro il mio. Il desiderio e la brama di possederla mi invadono immediatamente. «No, tu sei l’uomo più irritante del pianeta, Mr Grey» mi sussurra provocante contro le labbra. Il suo fiato caldo mi accarezza piano, il suo profumo mi invade i sensi rendendo quasi difficile pensare con lucidità. Respiro a fondo quell’aroma avvolgente, fissandola con lussuria mentre la stringo, appiattendola ancora di più contro di me. «Allora, forse siamo fatti l’uno per l’altra» ribatto dolcemente, con un piccolo sorriso, prima di inspirare forte, per un ultima volta, l’odore dei suoi capelli. Ana si stringe ancora di più a me, quasi volesse penetrarmi nell’anima e io mi rendo conto che era questo che avrei voluto che facesse sin da quando siamo usciti da quel maledetto studio. Con quest’abbraccio mi sta dicendo che non ha intenzione di andarsene. Non ora almeno. La sento rilassarsi contro di me e io d’istinto faccio lo stesso. «Oh... Ana, Ana, Ana» sospiro sulla sua testa. Le sue piccole braccia si aggrappano a me come se fossi un’ancora di salvezza e invece non riesce a capire che è tutto il contrario. Sono io che resto a galla solo grazie a lei. É lei che mi sta salvando dall’abisso della mia oscurità. Rimaniamo per qualche minuto immobili, in strada, come se non ci importasse del mondo intero. Sospiro, alla fine, lasciandola andare per primo e aprendole la portiera del passeggero. Sale, accomodandosi tranquilla e mi sento i suoi occhi addosso mentre rientro nell’abitacolo dall’altro lato, improvvisamente più calmo e felice, tanto da mettermi a canticchiare sottovoce una vecchia canzone di Van Morrison. Continuo a guidare tranquillo, fino a quando la canzone non termina. Nel silenzio che segue l’avvio della prossima traccia sorrido. «Sai, se avessimo preso la multa, la macchina è intestata a te» la punzecchio. «Bè, allora è un bene che abbia avuto una promozione. Posso permettermi le contravvenzioni» ribatte compiaciuta, fissandomi. Trattengo un sorriso, mentre mi incanalo lungo la strada che dobbiamo percorrere. Ana mi guarda curiosa. «Dove stiamo andando?» chiede, fingendo quasi noncuranza. «È una sorpresa. Cos’altro ti ha detto Flynn?» la incalzo, curioso e avido d’informazioni anch’io. Dopo quel momento che abbiamo vissuto poco fa in strada, non credo le abbia raccontato il mio passato nei minimi dettagli. Lei sospira, poi si accascia contro lo schienale. «Ha detto qualcosa a proposito del TTBBOS o una roba del genere» mormora, guardando dinnanzi a sé. «TBOS. L’ultimo ritrovato della psicologia» sussurro di rimando. Ok. Le ha detto che tipo di percorso sto seguendo. Poi? Ma è lei a farmi un’altra domanda ora. «Hai provato altri metodi?» Sbuffo con arroganza. «Piccola, li ho provati tutti. Cognitivismo, Freud, funzionalismo, terapia della Gestalt, comportamentismo... Citane uno, e io l’ho sperimentato» le dico, lasciando trapelare un pizzico di amarezza. “Non ho mai desiderato essere davvero aiutato. Ma ora che ti ho, avrei voluto impegnarmi di più. Avrei voluto che ci fosse stato un metodo per farmi guarire, per farmi essere una persone migliore. La persona che tu meriti, Ana “. «Pensi che quest’ultimo approccio ti aiuterà?» chiede, genuinamente interessata. «Cosa dice il dottor Flynn?» replico di rimando. «Dice di non fissarsi sul tuo passato. Di focalizzarsi sul futuro... su dove tu vuoi essere» risponde. Annuisco. È ciò che dice anche a me. Ma non riesco a dissimulare un’espressione poco convinta. Mi giro a guardarla per un secondo, scrutandola. «Cos’altro?» insisto. «Abbiamo parlato della tua paura di essere toccato, anche se l’ha chiamata in un modo diverso. E dei tuoi incubi e dell’odio verso te stesso» “Merda”. Comprensibile che lei glielo abbia chiesto. Comprensibile anche che sia stato questo il filo conduttore della loro conversazione. Mi mordicchio piano il pollice. Sento che c’è altro, comunque. Mi giro a guardarla di nuovo e lei mi rimprovera. «Occhi sulla strada, Mr Grey» borbotta, alzando un sopracciglio. Le faccio un sorrisetto divertito, poi torno a guardare l’asfalto. «Avete parlato per un’eternità, Anastasia. Cos’altro ti ha detto?» continuo a chiedere. «Non pensa che tu sia un sadico» mormora sottovoce. Il cuore mi balza nel petto. «Davvero?» chiedo, aggrottando la fronte e fissandola un secondo. “É di questo che volevi parlargli. É per quello che mi hai chiesto di vederlo? Tu... tu ancora non credi che con te non è come per le altre. Tu non sei una replica sbiadita della donna che ho odiato con tutto me stesso. Tu sei la donna che amo con tutto me stesso”. «Sostiene che il termine non è riconosciuto in psichiatria. Non dagli anni Novanta» risponde, sorridendo come per riportare il buonumore tra di noi. La fisso poco convinto, sospirando lentamente. «Flynn e io abbiamo opinioni diverse al riguardo» ribatto piano. «Mi ha detto che pensi sempre il peggio di te stesso. So che è vero» mormora lei con un filo di voce. «Ha anche menzionato il sadismo sessuale, ma dice che è una scelta di vita, non una condizione psichiatrica. Forse è a questo che ti riferisci tu» Le sue parole mi mandano in bestie. “Io sono un uomo spregevole, Anastasia. Quella di Flynn è una giustificazione. E anche la tua lo è. Sono un mostro”. Le lancio un’occhiata torva e stringo le labbra riducendole ad una linea sottile. «E così... ti è bastata una seduta con il buon dottore per diventare un’esperta» le dico acido, evitando il suo sguardo. La sento sospirare a fondo. «Senti, se non vuoi sentire quello che mi ha detto, allora non chiedermelo» ribatte inaspettatamente tranquilla. Per qualche minuto rimango in silenzio, perso a dividermi tra la voglia di soddisfare la mia curiosità e la paura di far venire a galla cose che preferirei tenere per me. Ma all’ultimo la prima ha la meglio sulla seconda. «Voglio sapere di cosa avete discusso» le dico, prendendo l’uscita ad ovest dell’I-5. La luce del sole che inizia a tramontare ci rischiara, illuminando il nostro percorso. Non c’è immagine che possa rendere di più la mia storia con Ana. La luce. Un percorso illuminato. Ma, proprio come per il tramonto, le tenebre, le mie tenebre sono sempre in agguato. «Mi ha definita la tua amante» mormora. «Davvero?» le dico cordialmente, tentando di tenere a bada il nervosismo crescente. «Bè, è un termine appropriato. Credo che descriva accuratamente ciò che siamo. Non trovi?» rispondo, agitato. «Pensavi alle tue Sottomesse come amanti?» la sua domanda arriva come una stilettata al cuore. “Non puoi pensarlo davvero”. Aggrotto la fronte, fissandola per un attimo prima di svoltare di nuovo. Ana osserva curiosa. «No. Loro erano partner sessuali» rispondo, non propriamente a mio agio. «Tu sei la mia unica amante. E voglio che tu sia anche di più per me» le sussurro sincero. Più che vedere, sento il suo sorriso meraviglioso e mi rilasso impercettibilmente. «Lo so» risponde piano e una punta di emozione di insinua nella sua voce, inorgogliendomi. «Ho solo bisogno di tempo, Christian. Per pensare a quello che è successo in questi ultimi giorni» mormora. Ci fermiamo ad un semaforo e ne approfitto per scrutarla, in silenzio. Piego la testa di lato, godendomi a fondo i suoi lineamenti preoccupati. Anch’io la guardo preoccupato. “Sei pronta, Anastasia? Sei pronta a lasciarti tutto alle spalle per me? Perché io andrei in capo al mondo ora per te. Voglio che tu sia la mia vita. E so che ti ho detto che avrei aspettato, ma sto bruciando per te”. Il mio petto inizia a battere forte, contro la piccola scatolina che mi ha regalato prima. Chissà cosa conterrà? Quando il semaforo diventa verde, alzo un po’ il volume della musica in auto e riparto. Siamo quasi arrivati. Svolto nel quartiere residenziale, dirigendomi verso il Puget Sound. «Dove stiamo andando?» mi chiede per l’ennesima volta, mentre svolto nella strada giusta, lungo la 9th Ave Nw. «Sorpresa» le dico, con un sorriso misterioso. Ed ecco che svolto nel vialetto di quella che spero sarà la nostra nuova casa. Dove può davvero iniziare la nostra nuova vita. Dove il mio passato non è presente, ma solo lei e quello che sono con lei. Capitolo 21 Entro nel viale ampio e curato. Le abitazioni che insistono sulla strada sono quasi tutte ad un solo piano, in legno. Alcuni bambini giocano negli spiazzali. Tutto qui intorno fa pensare alla famiglia. Svolto a sinistra e mi fermo quando giungo dinnanzi al cancello alto e bianco. Mi sporgo dal finestrino, digitando il codice che mi ha inviato Miss Kelly questo pomeriggio e attendo che il cancello si apra. Quando mi giro a fissarla l’ansia che ho cercato di tenere sotto controllo torna a sommergermi prepotentemente. “Sto forse sbagliando? Probabilmente portarla qui subito dopo averle fatto incontrare Flynn non è stata una buona idea. Ma non sarei stato capace di aspettare oltre. E poi siamo in tempo per il tramonto”. Ana mi scruta, aggrottando le sopracciglia. “Voglio passare la mia vita con te, in questa casa. Non dirmi di no, Ana.” «Che cosa c’è?» mi chiede, preoccupata. «Un’idea» le dico, distogliendolo attraversando il cancello con la Saab. sguardo e Prosegue nel viale alberato che affaccia sul vasto prato dell’abitazione, pieno di erba e fiori selvatici. Sembra di entrare in un altro mondo. Dopo una curva entriamo nell’ampio viale d’accesso fino a raggiungere la casa in pietra rosa chiaro, con tutte le luci accese. L’auto di Miss Kelly è già qui. Parcheggio dinnanzi al portico e la guardo, sospirando a fondo. «Continuerai ad avere una mente aperta?» le chiedo titubante. Ana si acciglia di nuovo. «Christian, ho avuto bisogno di una mente aperta dal giorno in cui ti ho conosciuto» risponde, alzando un sopracciglio. La guardo, lanciandole un sorrisetto ironico. Touché. «Un punto per te, Miss Steele. Andiamo» Scendo dall’auto e vado ad aprirle la portiera. Quando scende dalla Saab le do una lunga occhiata. Poi mi chino su di lei, baciandola a fondo. Ana sembra leggermente stupita dal mio comportamento. Le tendo la mano e la conduco davanti all’uscio. La porta di legno scuro si apre quasi automaticamente e ne esce Miss Kelly, avvolta in un abito viola. «Mr Grey» mi sorride con calore, e ci scambiamo una stretta di mano. «Miss Kelly» Olga Kelly si volta verso Ana, allungandole la mano. Lei la guarda e poi mi scruta di sottecchi. «Olga Kelly» si presenta. «Ana Steele» mormora lei in risposta. Miss Kelly si addossa alla porta, facendoci spazio per entrare. Ana fa un passo avanti per poi bloccarsi davanti all’improvviso, sotto shock. La casa è completamente vuota. Restiamo nell’ingresso, tra le pareti gialle, mentre lei assimila lo stupore. Trattengo il fiato, estremamente in ansia. Ana si gira intorno, osservando attentamente l’antico lampadario in cristallo, i pavimenti di legno e le porte chiuse incastonate sulle pareti. Prima che il suo cervello vada in fumo, le afferro la mano, guidandola nell’anticamera. «Vieni» le dico, facendole attraversare l’arco fino all’enorme vestibolo. Ad accoglierci c’è un ampio scalone con una bellissima ringhiera in ferro battuto, estremamente lavorata. Attraversiamo il salone, nel quale è presente solo un apio tappeto che attutisce il rumore delle nostre scarpe sul pavimento, e punto dritto alla portafinestra che affaccia sulla terrazza in pietra. Di sotto abbiamo il prato enorme e curatissimo. E poi una vista tale da mozzare il fiato. Ed è proprio questo, fortunatamente, l’effetto che ha su Anastasia. Guardo la mia bellissima fidanzata restare a bocca aperta ad ammirare il crepuscolo sul Puget Sound. Il sole sta per tramontare e si riflette sull’acqua pacata, che scorre imperturbabile senza curarsi di noi. Rosso, arancio, giallo. Ma i miei occhi non sono attratti da questo. Sono attratti da lei. Sempre da lei. Le stringo forte la mano, senza riuscire davvero a credere, nonostante sia qui con me in carne ed ossa, che lei sia davvero mia. Resta in silenzio per un’eternità, tanto che la mia ansia, mai del tutto sopita, torna prepotentemente a galla di nuovo. «Mi hai portata qui per ammirare il panorama?» sussurra piano, timorosa. “Sì, ma non solo”. Annuisco, scrutandola a fondo. «È sconvolgente, Christian. tornando a fissare l’orizzonte. Grazie» mormora, Inspiro forte, deglutendo a fatica. Ho un groppo in gola che brucia. Le lascio la mano, decidendo che è giunto il momento. «Come la vedresti se fosse così per il resto della tua vita?» Io stesso faccio fatica a sentire il suono della mia voce, ma lei ci riesce. Si volta di scatto, i suoi occhi enormi come non li ho mai visti prima di oggi. Ci fissiamo, con emozioni contrastanti che animano le menti di entrambi. Sorpresa per lei, shock oserei dire. Ansia e timore per me. Timore di non essere abbastanza, che tutto ciò non sia abbastanza per lei. E io voglio darle solo il meglio. «Ho sempre desiderato vivere sulla costa. Navigavo su e giù sul Sound sognando queste case. Questo posto non rimarrà in vendita a lungo. Vorrei comprarlo, demolirlo, e costruire una nuova casa, per noi» le sussurro, guardandola con amore, con speranza. Riesco quasi a sentire il suo cervello elaborare quella richiesta e tutte le conseguenze che ne derivano. «È solo un’idea» aggiungo cauto quando non accenna a parlare. Ana si gira lentamente verso l’interno della casa, scrutandola. Poi aggrotta la fronte. «Perché vuoi demolirla?» mi chiede, il suo sguardo di nuovo su di me. Spalanco gli occhi, valutando la sua reazione. Non mi ha detto di no. «Mi piacerebbe costruire una casa più ecosostenibile, usando le ultime tecnologie. Potrebbe occuparsene Elliot» le spiego. Ana torna a guardare l’interno dell’edificio e mi volto anch’io. Miss Kelly ci attende all’ingresso. Scruta e riscruta, bevendone ogni particolare. «Possiamo dare un’occhiata alla casa?» mi chiede poi, titubante. La guardo, sorpreso. Non mi aspettavo una resa tanto immediata. Sbatto le palpebre, ritrovando il mio equilibrio interiore. «Certo» le dico immediatamente, scrollando le spalle per darmi una smossa. Ora sono io quello che sembra paralizzato. L’ho sognato per tutto il giorno questo momento, aspettandomi una lotta estenuante per convincerla. E invece eccola venirmi incontro. Miss Kelly ci accompagna in ogni anfratto dell’abitazione: salone, cucina abitabile con soggiorno annesso, stanza della musica, biblioteca, piscina coperta, sala fitness, il cinema privato nel piano inferiore e una sala giochi. Conosco già la casa, ovviamente. Ho potuto fare anche un tour virtuale non appena ho contattato l’azienda immobiliare, pertanto posso dedicarmi ad osservare Anastasia. I suoi occhi azzurri sono limpidi e brillano quasi mentre si posano su ogni muro, ogni pietra, ogni angolo di questa casa. É quasi come se anche lei, come me, riesca a vederci come una famiglia qui dentro. Felici, entrambi, con una schiera di bambini a seguito. Il pensiero mi fa irrigidire leggermente, ma il fatto che questa fantasia abbia bisogno di molto tempo per concretizzarsi mi rassicura. «Non potresti rendere più ecologica e sostenibile la casa esistente?» mi chiede ad un tratto. La fisso con perplessità. Poi mi giro intorno. «Dovrei chiederlo a Elliot. È lui l’esperto» le rispondo con un piccolo sorriso. Miss Kelly, nel frattempo, ci mostra la camera da letto padronale, con le sue ampie finestre a tutta parete che aprono su un balcone con annessa vista spettacolare. Visitiamo anche le altre cinque stanze da letto del piano. Mentre l’agente immobiliare si impegna a spiegarmi come inserire nella proprietà scuderie e cavalli, di cui onestamente non me ne fotte un cazzo, noto con la coda dell’occhio Anastasia immergersi a fondo in questa casa. La sua piccola mano accarezza una parete, i suoi occhi la seguono sognanti. Non bado alle parole che mi vengono rivolte, totalmente rapito dalla visione della mia piccola personale dea. É lei a riportarmi al presente, inserendosi nella conversazione. «Il recinto dovrebbe prendere il posto dell’attuale prato?» chiede, genuinamente interessata. «Sì» risponde Miss Kelly con un ampio sorriso, fiutando l’affare. Ana abbassa lo sguardo, come per riflettere, e insieme all’agente immobiliare torniamo in salotto. Miss Kelly ci lascia soli, con discrezione e io ne approfitto per ricondurla di nuovo sul terrazzo. Il sole non c’è più e le luci della città lontana rischiarano l’atmosfera. L’abbraccio, sollevandole il mento con un dito e fissandola a lungo negli occhi. «Molte cose a cui pensare?» le chiedo comprensivo. Anastasia annuisce piano. «Volevo essere sicuro che ti piacesse prima di comprarla» le dico, a mo’ di scusa. «La vista?» chiede, mentre il suo sguardo si sposta sul Sound. Annuisco. «Adoro la vista, e mi piace la casa, così com’è» mormora, tornando a fissarmi. «Davvero?» le chiedo sorpreso, bevendo la sua immagine con lo sguardo. “Mi rendi sempre l’uomo più felice del mondo, Ana”. Le sue labbra morbide si increspano in un sorriso timido, solo per me. «Christian, mi avevi già conquistata con il prato» mi dice con un pizzico di ironia. Schiudo le labbra per dire qualcosa, ma rimango come ipnotizzato dalla sua espressione sognante. Mi serve appena qualche attimo per riprendermi e sorriderle. Le afferro i capelli con entrambe e le mani e la bacio a fondo, a lungo, mentre l’aria fresca della sera ci avvolge e ci culla dolcemente. Dopo aver salutato Miss Kelly, torniamo in auto e ci avviamo verso Seattle. Non riesco a smettere di guardarla e di sorriderle come un bambino. «Quindi la comprerai?» mi chiede ad un tratto. «Sì» le rispondo deciso. «E metterai l’Escala in vendita?» domanda con una punta di rimpianto. Aggrotto la fronte senza capire. «Perché?» chiedo. «Per pagare...» la sua voce si smorza, mentre evidentemente ripensa a quello che stava per dire. Arrossisce di colpo, guardandomi proprio mentre io faccio lo stesso. Le sorrido maliziosamente. «Fidati, me lo posso permettere» ribatto ironico. «Ti piace essere ricco?» chiede a bruciapelo. «Sì. C’è forse qualcuno a cui non piace?» le rispondo, incupendomi. “Sono stato anche estremamente povero, Ana. Non ho avuto niente. Neppure da mangiare. Non voglio ripetere quell’esperienza. Non voglio assolutamente che io o peggio tu possiamo trovarci in una situazione del genere”. Ana smette di farmi domande, abbassando lo sguardo. Sospiro, tentando di spiegarmi meglio. «Anastasia, imparerai anche tu a essere ricca, se dirai di sì» aggiungo piano. «La ricchezza è qualcosa a cui io non ho mai aspirato, Christian» mi dice, accigliandosi. «Lo so. Mi piace questo di te. Ma non hai nemmeno mai sofferto la fame» le dico con semplicità, sperando che mi capisca. Ana resta zitta, come soppesando le mie parole. Per qualche minuto il silenzio regna nell’abitacolo. Poi la sento inspirare e osservare la strada. «Dove stiamo andando?» chiede allegramente, notando che non mi sto dirigendo all’Escala. «A festeggiare» le dico. Non appena mi ha detto della promozione ho deciso di portarla al Mile Highe. Le piacerà. E poi... ho in mente anche una piccola vendetta per ripagarla della sfiancante attesa a cui mi sta sottoponendo. Chiamiamolo un piccolo incentivo a velocizzare il processo mentale che la porterà a rispondere positivamente alla mia proposta di matrimonio. Mi rilasso lentamente. «Festeggiare cosa, la casa?» chiede aggrottando la fronte. «Te lo sei già dimenticato? Il tuo ruolo di direttore editoriale ad interim» le dico con un sorrisetto. «Oh, sì» sorride piano. «Dove?» «Al mio club» «Il tuo club?» chiede incredula. «Sì. Uno dei miei club» preciso. Mi sorride e sul quel sorriso accelero, impaziente di arrivare a fine serata solo per godermi ogni millimetro del suo corpo contro il mio. L’ascensore ci porta al 76esimo piano della Columbia Tower. Ci teniamo per mano e mi stacco solo quando ci accomodiamo al bancone, in attesa che il nostro tavolo sia pronto. «Cristal, signora?» le chiedo, porgendole una coppa di champagne ghiacciato. «Oh, grazie, signore» ribatte enfatizzando l’ultima parola che mi causa un fremito dritto al basso ventre. Mi guarda sbattendo le ciglia, con un’espressione civettuola. La scruto, guardandola a fondo. «Stai flirtando con me, Miss Steele?» chiedo, fingendo quasi noncuranza. «Sì, Mr Grey. Che cosa hai intenzione di fare in proposito?» chiede guardandomi da sotto le ciglia, provocandomi. «Sono sicuro che mi verrà in mente qualcosa» le rispondo, notando il cenno del cameriere. «Vieni, il nostro tavolo è pronto» le sussurro, mentre pregusto la sua espressione quando farò la mia prossima mossa. Arrivati al tavolo la fermo prima che possa sedersi. Le prendo un gomito e avvicino il suo orecchio alla mia bocca. «Va’ a toglierti le mutandine» le sussurro, la voce arrochita dal desiderio. La sento rabbrividire per l’eccitazione improvvisa. E rabbrividisce anche il mio uccello impaziente. «Vai» le ordino senza lasciarle possibilità di scelta. Mi fissa e si rende conto solo ora che non sto affatto scherzando. Senza dire neppure una parola mi cede la sua coppa di champagne e gira sulle sue scarpe alte, dirigendosi in bagno. Mi accomodo, sorseggiando l’ottimo Cristal e pensando a cosa le farò nelle prossime due ore come minimo. ‘Al diavolo, Grey. Divertiamoci tutta la notte’. Ho già ordinato le ostriche e il resto della cena quando Anastasia torna in sala lo fa quasi barcollando sulle scarpe alte, rossa in viso e gli occhi accesi da un luccichio malizioso. Mi alzo, aspettando che si accomodi. «Siediti accanto a me» mormoro. Quando esegue, mi siedo anch’io. «Ho ordinato per te. Spero che non ti dispiaccia» Sorrido, passandole la coppa di champagne e scrutando il suo aspetto che ispira sesso da lontano. Le guance le si arrossano di più e mi autoimpongo di portare a termine il mio obiettivo. Non toccarla, in modo da alimentare il suo desiderio. Appoggio le mani alle mie cosce, contraendo le dita. D’istinto Ana si protende quasi impercettibilmente in avanti, schiudendo le gambe. Saperla nuda lì sotto mi eccita in una maniera incredibile. Il cameriere giunge al nostro tavolo portando un vassoio di ostriche su ghiaccio. Come la nostra prima sera all’Heatman. Lo stesso pensiero deve averle attraversato la mente, perché mi guarda arrossendo di colpo. «Mi sembrava che ti fossero piaciute le ostriche, l’ultima volta che le hai mangiate» le sussurro a voce bassa. «L’unica volta ansimando. che le ho mangiate» risponde, Le faccio un sorrisetto compiaciuto per la sua reazione. “Sei già in ginocchio per me, Ana?” «Oh, Miss Steele, quando imparerai?» le rispondo, inspirando e scegliendo un’ostrica dal vassoio. Sollevo anche l’altra mano dalla coscia, mentre lei sussulta, vogliosa di farsi toccare. Ma non lo farò. Non ancora. Prendo una fetta di limone, mentre lei si acciglia. «Imparare cosa?» mi chiede. Riesco quasi a sentire il battito accelerato del suo cuore a distanza. Schiaccio lentamente il limone, facendo sport scorrere il succo sull’ostrica. «Mangia» le dico piano, avvicinando il guscio alla bocca, stando bene attento a non toccarla. «Sposta lentamente indietro la testa» le mormoro, eccitato quanto lei. Obbedisce all’istante, lasciando che l’ostrica le scivoli in bocca e poi giù per la gola. Ne mangio una anch’io, senza distogliere lo sguardo dal suo. Poi gliene porgo un’altra, sempre evitando ogni contatto. Osservo le sue dita fremere per il desiderio di avere di più, mentre il mio cazzo fa un male atroce rinchiuso nei pantaloni. In silenzio consumiamo tutte e 12 le ostriche. Mi lecco le labbra, guardandola con desiderio. «Ti piacciono ancora le ostriche?» le chiedo quando ingoia l’ultima. Ana annuisce e arrossisce di colpo. Potrei quasi giurare di sentirla gemere. «Bene» ribatto con un sorrisetto. Si agita sulla sedia, leccandosi le labbra mentre mi fissa. Fingo indifferenza e torno a poggiare la mano sulla coscia. I suoi occhi mi implorano di toccarla, di portarla al culmine del piacere con un solo dito. Ma non lo farò. La consapevolezza di avere questo potere sulla donna che mi tiene sotto scacco mi eccita a dismisura. É come averla in ginocchio nella mia Stanza dei giochi. Solo che non avevo mai pensato di poter dominare ad un livello così intimo, così sensuale, così privo di dolore. Faccio scorrere la mano su e giù lungo la coscia, come se quel tocco fosse per lei. Il mio cazzo è duro come il marmo ormai. Sollevo di poco il palmo, riportandolo poi dov’era, dandole solo l’illusione che potrei muovermi verso di lei e soddisfare la sua voglia. Il cameriere si avvicina e ritira il vassoio. Qualche minuto dopo ritorna con le nostre portate, interrompendo il lussurioso gioco di sguardi messo in piedi da me e la mia ragazza. Branzino con asparagi, patate e salsa olandese. «Uno dei tuoi piatti preferiti, Mr Grey?» mi chiede, ricordando evidentemente la nostra cena per discutere del contratto. «Assolutamente sì, Miss Steele. Anche se credo che il mio preferito sia il merluzzo come lo fanno all’Heathman» La mia mano continua a muoversi su e giù per la coscia. Sento il suo respiro spezzarsi e implorare silenziosamente. «Mi sembra di ricordare che fossimo nella tua sala da pranzo privata, allora, a discutere del contratto» sussurra con voce bassa e piena di desiderio. «Giorni felici» scherzo malizioso. «Stavolta spero di arrivare a scoparti» le mormoro. Le mie dita si staccano dalla stoffa dei miei pantaloni e lei ne segue vogliosa la traiettoria. Ma il movimento serve solo ad afferrare il coltello. Assaggio un delizioso boccone di branzino, guardandola di sottecchi. «Non contarci» borbotta mentre alzo lo sguardo su di lei, sorridendo divertito. «A proposito di contratti... l’accordo di riservatezza?» chiede timorosa. «Straccialo» le dico semplicemente, continuando a mangiare, mentre anche lei inizia. «Che cosa? Davvero?» domanda stupita. «Sì» annuisco per confermare la mia decisione. «Sei sicuro che non correrò al “Seattle Times” con le mie rivelazioni?» mi stuzzica alzando un sopracciglio. Rido di gusto, scuotendo la testa di fronte al suo umorismo. «No, mi fido di te. Ti darò il beneficio del dubbio» le dico, sospirando felice. Il suo sorriso timido in risposta è stupendo. «Idem» mormora, arrossendo piano. La fisso con gli occhi lucidi di amore e felicità. Ancora non posso credere che la mia vita sia così mutata dall’ultima volta che ho mangiato le stesse cose in sua compagnia. «Sono molto contento che indossi un vestito» le sussurro, lasciando vagare il mio sguardo sul suo corpo e giù lungo le cosce. La sua pelle si arrossa all’improvviso, di nuovo eccitata. «Allora perché non mi tocchi?» sibila, con una nota di rimprovero nella voce. «Ti mancano le mie carezze?» la provoco con un sorrisetto da gran bastardo. «Sì» risponde con un filo di voce, ma sono quasi sicuro che mi stia maledicendo. «Mangia» le ordino pacato. «Non mi toccherai, è così?» chiede, con la fronte aggrottata. «No» le dico e, per avvalorare la mia decisione, scuoto la testa. Ana ansima senza contenersi. Quel gemito soffocato mi scuote dalla testa ai piedi, regalandomi vibrazioni uniche. «Prova solo a immaginare come ti sentirai quando saremo a casa» le sussurro, provocandola ancora. «Non vedo l’ora di portartici» «Sarà colpa tua se prenderò fuoco qui settantaseiesimo piano» borbotta lei a denti stretti. al «Oh, Anastasia, troveremo il modo di estinguere l’incendio» le dico a bassa voce, avvicinandomi al suo orecchio ma stando attento a restare a distanza di sicurezza. Infilza furiosamente il suo povero branzino e io ridacchio senza farmi scorgere. Giocare con lei è sempre così entusiasmante. Per un attimo si lascia prendere dal gusto favoloso del cibo. Chiude gli occhi e abbandona la testa leggermente all’indietro, gemendo di piacere. Quella visione mi manda in estasi. Quando li riapre mi fissa, per poi spostare lo sguardo sul suo grembo. Seguo anch’io quella direzione e la vedo alzarsi l’orlo del vestito scoprendo di più la carne liscia delle sue cosce. Mi fermo con la forchetta in aria, mentre l’aria fuoriesce silenziosamente dai miei polmoni per non accennare a fare più ritorno. Deglutisco, facendo uno sforzo immane per impormi l’autocontrollo di cui necessito. Dopo qualche attimo riprendo a mangiare. Lei fa lo stesso, ma subito dopo calamita di nuovo i miei occhi. Poggia il coltello sul tavolo e lascia che le stesse dita scorrano in mezzo alle cosce, battendo leggermente sulla pelle. Mi fermo di nuovo, fissandola bramoso. «So cosa stai cercando di fare» La mia voce suona bassa e roca persino alle mie orecchie. «So che lo sai, Mr Grey» replica lei, con uno sguardo carico di erotismo e allo stesso tempo frustrazione. «È questo il bello» Anastasia solleva un asparago e mi guarda da sotto le ciglia. Lentamente lo immerge nella salsa olandese e lascia la punta vorticare ripetutamente. «Non rovescerai la situazione, Miss Steele» le sussurro con un sorriso. Allungo la mano e le prendo l’asparago, senza sfiorarla neppure. Lei aggrotta la fronte, ma io la ignoro. «Apri la bocca» le ordino piano. Mi fissa per qualche attimo, la tensione erotica tra di noi ci attrae inesorabilmente l’uno verso l’altra. L’azzurro dei suoi occhi è come un mare profondo in cui rischio di perdermi da un momento all’altro. Ci guardiamo ed è una sfida, un rogo ardente che si scatena tra di noi. Anastasia schiude di poco la bocca. Un gesto lento, misurato, come quello di passarsi la lingua sulle labbra, inumidendole e facendomi desiderare di farle schiudere allo stesso modo contro la pelle rovente del mio membro pulsante. Sorrido arrogante. “Non vincerai questa battaglia, Miss Steele. Ho un piano per te e per questa serata”. «Apri di più» le sussurro come se invece della sua bocca mi stessi riferendo al suo sesso che già immagino bagnato, umido e caldo. Geme e non riesce del tutto a contenersi. Quel suono mi invia una scarica elettrica alla spina dorsale. I suoi denti candidi affondano nel rosa del suo labbro inferiore e io sussulto, inspirando a fondo alla vista della sua carne stretta a tal punto da rischiare di ferirsi. La voglia aumenta. Senza distogliere gli occhi dai miei, Ana apre la bocca e lascia scivolare dentro l’asparago. Sento la pressione della sua lingua e lei inizia a succhiare piano la salsa. Mastica e mugola in un modo talmente erotico che per un attimo sono tentato a cedere e infilarle le dita sotto la gonna. Chiudo gli occhi per recuperare la forza di volontà e quando li riapro li vedo riflessi nei suoi. Due pozze di desiderio. Di lei. L’elettricità attorno a noi è palpabile. Ana geme sommessamente e allunga una mano in direzione della mia coscia. Rapidamente le afferro il polso, bloccandola. «Oh, no, non lo farai, Miss Steele» le mormoro piano. Mi porto la sua mano alla bocca e do sollievo ad entrambi per un attimo, sfiorandole le nocche con le labbra. Ma è un contatto che deve bastarci. Almeno per il momento. «Non toccare» la ammonisco rimettendole la mano sul ginocchio nudo. dolcemente, Anastasia mette un delizioso broncio. «Giochi slealmente» borbotta frustrata. «Lo so» le dico con un sorriso, alzando la coppa di champagne nella sua direzione, prontamente imitato da lei. «Congratulazioni per la promozione, Miss Steele» le dico mentre facciamo tintinnare i bicchieri. Arrossisce, chinando il capo. «Sì, piuttosto inaspettata» mormora. Già. E non l’avresti ottenuta se quel viscido porco non ti avesse messo le mani addosso. In un certo senso, è riuscito nel suo intento. Ma non dovrà mai più incrociare la mia strada. Jack Hyde è un cadavere che cammina. «Mangia» le ordino più severo. «Non ti porterò a casa finché non avrai finito la cena, e allora potremo davvero festeggiare» aggiungo guardandola senza nascondere neppure un briciolo della voglia che ho di scoparla fino allo stremo. «Non sono affamata. Non di cibo» mi sussurra. Le sue guance arrossate sono un piacere per i miei occhi bramosi. Scuoto la testa, sorridendo divertito. «Mangia, oppure ti metterò sulle mie ginocchia, proprio qui, e intratterremo gli altri ospiti» le sussurro, inarcando un sopracciglio. Osservo il suo corpo attraversato da un fremito e so che sta soppesando le mie parole per capire se sono serio o meno. Stringe le labbra, fissandomi truce. La mia bocca si tende in un sorrisetto sfacciato. Prendo un asparago e lo intingo nella salsa olandese. «Mangia questo» le dico a voce bassa. Si sporge con un sospiro e mi accontenta. «Tu non mangi abbastanza. Hai perso peso da quando ti conosco» le dico gentile, osservandola masticare. «Voglio solo andare a casa e fare l’amore» mormora dolce e sconsolata. Le sorrido complice. «Anch’io, e lo faremo. Mangia» le ordino nuovamente. Sospira di nuovo, riluttante, ma inizia a consumare la sua cena, mentre io torno a dedicarmi alla mia. “Oh, Ana. Non tenermi il broncio. Ti soddisferò prima di quanto pensi”. «Allora, è tanto che conosci Ethan Kavanagh?» le chiedo per cambiare discorso e soprattutto perché voglio capire quanto posso fidarmi di una persona come lui. Oltretutto è andato a pranzo con mia sorella. Ho visto Ethan e conosco Mia. Mi sono appena trovato un altro bel problema. «Quattro anni, da quando conosco Kate in pratica. É un buon amico» sottolinea nel tentativo di prevenire un mio attacco di gelosia. Ma al momento è mia sorella a darmi il tormento. «Ho avuto il piacere di fare affari con suo padre, ma non l’avevo mai incontrato prima della tua laurea» Ana sembra sorpresa e passiamo i restanti venti minuti a chiacchierare dei miei affari nel mondo delle telecomunicazioni. Tra una chiacchiera e l’altra poggio la mia mano sulla mia coscia, proprio accanto alla sua. Percepisco il suo calore e lei si agita, di sicuro percependo il mio. Quando finalmente finisce di mangiare la guardo e le sorrido. «Brava bambina» le dico, lasciandole capire quanto la farà godere il mio compiacimento. Lei aggrotta al fronte, fissando il piatto vuoto di fronte a sè. «E adesso?» chiede, senza preoccuparsi di nascondere la sua voglia. «Adesso? Ce ne andiamo. Credo che tu abbia certe aspettative, Miss Steele. Che io intendo soddisfare al meglio delle mie capacità» le annuncio, battendo le mani sulle ginocchia. «Al meglio... delle tue... ca... pa... cità?» balbetta lei, incapace di formulare pensieri coerenti. Sorrido, alzandomi. «Non dobbiamo pagare?» mi chiede, mentre il fiato le si accorcia. Piego la testa di lato, fissandola sfrontato dalla testa ai piedi. «Sono un socio del club. Mi manderanno il conto. Vieni, Anastasia, dopo di te» le dico, spostandomi di lato per farla alzare. La fisso con ardore, immaginando il suo sesso umido e scivoloso che tenta di trattenere la prova della sua eccitazione. Si ferma proprio di fronte a me, lisciandosi il vestito sui fianchi. Mi chino, stando attento a non sfiorarla, e mi avvicino al suo orecchio. «Non vedo l’ora di portarti a casa» le sussurro con un tono carico di promesse. Quando ci avviciniamo all’uscita, dico al cameriere di far preparare la mia auto e di inviarmi il saldo al mio indirizzo. Mentre aspettiamo l’ascensore sorrido tra me e me per quello che intendo farle. Ci raggiungono due coppie di mezza età che per un attimo sembrano aver mandato in fumo il mio piano. Ma poi ci ripenso. Meglio. Quando le porte si aprono la afferro per un gomito e la guido verso il fondo della cabina. Nell’ascensore entra anche Mr Colt, nel suo solito sgraziato abito marrone. Ma questo uomo si veste mai di altri colori? Ci salutiamo educatamente, mentre quasi impercettibilmente mi spingo più a fondo nella cabina. Le porte si chiudono nel chiacchiericcio generale. Mi chino a terra, fingendo di aver bisogno di legarmi una stringa. Poi, senza dare troppo nell’occhio, le metto una mano sulla caviglia. La sento sussultare. Mentre mi alzo lascio scorrere la mano lungo il suo polpaccio teso, il retro del suo ginocchio e l’interno della sua coscia. Raggiungo il suo meraviglioso culo, accarezzandolo mentre mi sposto dietro di lei. Ana trattiene il respiro mentre inizio a giocare con le dita, accarezzando la sua pelle. Arretriamo ancora di più la sento sussultare quando mi avvicino pericolosamente al suo sesso gonfio. E quando lo raggiungo le soffoca un gemito. E anch’io. «Sempre pronta, Miss Steele» le sussurro con possessività. E con fame. Di lei. Ana si tende fino al limite e geme di nuovo, meno discreta di prima. «Stai ferma e buona» le sussurro all’orecchio. Sento al sua pelle arrossarsi, e il suo sesso umido e voglioso aprirsi di più. É completamente fradicia. La penetro con un dito, affondando nel suo ventre ripetutamente. Le ansimo nell’orecchio e lei si abbandona contro di me mentre il braccio che ho usato per cingerle la vita si stringe di più contro di lei. All’ennesimo gemito la zittisco di nuovo. «Ssh» le sibilo calmo contro l’orecchio. Ma sono tutt’altro che calmo. Arretro ancora mentre nell’ascensore sale altra gente. Il mio cazzo struscia dolorosamente tra le sue natiche. Prendo a strofinare il naso nei suoi capelli, inebriandomi del suo profumo. E, alla fine, infilo un secondo dito nel suo recesso umido. Geme e si stringe contro di me, avviluppandomi in lei. «Non venire» le sussurro piano all’orecchio, leccandole il lobo. «Ti voglio dopo» Allargo la mano libera sul suo ventre, accarezzandola da sopra al suo abito, mentre sotto la sto scopando con veemenza, sfidandola a resistere. Solo perché gliel’ho ordinato. Quando raggiungiamo il piano terra le porte si aprono e le persone fuoriescono dall’ascensore. Lentamente sfilo le dita dal suo sesso e le bacio la nuca. Ana si gira verso di me, lisciandosi il vestito e dietro di lei Mr Colt mi fa un segno di saluto uscendo con sua moglie. Rispondo educato e poi torno a guardare lei. Sembra quasi che barcolli e, anche se posso sembrare calmo e controllato, dentro non sto messo meglio di lei. «Pronta?» le chiedo con malizia e un briciolo id impazienza. Non aspetto la sua risposta e non resisto. Mi infilo l’indice e il medio, che fino a pochi secondi fa erano dentro di lei, nella mia bocca mai sazia del suo sapore. Succhio, ripulendole dai suoi umori. «Strepitoso, Miss Steele» le sussurro, mentre Ana viene visibilmente scossa da un tremito di piacere. «Non posso credere che tu l’abbia fatto» mormora senza più fiato o forze. «Sarai sorpresa da quello che posso fare, Miss Steele» le dico, spostandole una ciocca di capelli, ormai umidi di sudore, dietro l’orecchio. «Voglio portarti a casa, ma forse non arriveremo più in là della macchina» le dico sorridendole e prendendole la mano per uscire dall’ascensore. «Vieni» le ordino quando si gira a fissare il pavimento dell’atrio dietro di sé. «Sì, lo voglio fare» mormora decisa, tornando a guardarmi. «Miss Steele!» la ammonisco, fingendomi disgustato dalla sua volgare e oscena proposta. «Non ho mai fatto sesso in macchina» borbotta imbronciata. Mi fermo di botto, girandomi a sollevarle il mento con le due dita che erano infilate dentro di lei. La fisso truce. “Con chi avresti dovuto farlo, Ana? Pensi che non lo sappia?” «Mi fa molto piacere saperlo. Devo dire che sarei stato molto sorpreso, per non dire arrabbiato, se l’avessi fatto» le sussurro contro le labbra. Lei arrossisce e sbatte le palpebre, rendendosi solo ora conto di quello che ha detto. Aggrotta la fronte, fissandomi. «Non è ciò che intendevo» mormora. «Che cosa intendevi?» le chiedo brusco. «Christian, è solo un modo di dire» tenta di giustificarsi. «Il famoso detto “Non ho mai fatto sesso in macchina”. Sì, ce l’avevo sulla punta della lingua» sbotto, incazzato. «Christian, non stavo riflettendo. Per l’amor del cielo, hai appena... mmh... mi hai appena fatto quella cosa in un ascensore pieno di gente. Ho la testa confusa» Il suo imbarazzo mi fa calmare. Aggrotto la fronte, fissandola. «Che cosa ti ho fatto?» chiedo, sfidandola a dirlo ad alta voce. Vedo il suo rossore aumentare mentre si acciglia di più. «Mi hai fatta eccitare, molto. Ora portami a casa e scopami» mi sussurra contro le labbra. Rimango a bocca aperta, sorpreso dalla sua audacia dettata dalla voglia impellente. Poi scoppio a ridere di gusto. «Sei una romanticona, Miss Steele» le dico prendendola per mano e la guido fuori dall’edificio dove ci attende la nostra auto. Le tengo aperta la portiera dell’auto e, dopo averla fatta accomodare, invio un sms a Taylor mentre faccio il giro, chiedendogli di togliere il vaso di fiori dal tavolo dell’ingresso e spegnere le telecamere in quella zona. E di prendersi la serata libera con Gail. Il mio piano è preciso. E lo porterò a termine fino in fondo. Monto in auto e accendo il motore. «E così vuoi fare sesso in macchina» mormoro con un sorrisetto soddisfatto. «Molto francamente, sarei stata felicissima di farlo sul pavimento dell’atrio» dice, con la voce carica d’urgenza. «Credimi, Ana, anch’io. Ma non mi piace essere arrestato a quest’ora della notte, e non volevo scoparti in un gabinetto. Bè, non oggi» replico calmo. La sento girarsi di scatto sul sedile. Mi volto e i suoi occhi sono famelici, le guance arrossate dal desiderio e la bocca schiusa come in attesa. “Dio, cosa farei a quella bocca proprio ora!”. «Intendi dire che era una possibilità?» sussurro con un filo di voce. «Oh, sì» mormoro roco. «Torniamo indietro» ordina frettolosamente. Mi volto di scatto verso di lei e scoppio a ridere di gusto per la sua impazienza. Mi fissa e non riesce a trattenersi. Ride anche lei, reclinando la testa contro il sedile. Quando mi riprendo, le poggio una mano sul ginocchio, accarezzandola piano. L’effetto su di lei è immediato. Smette di ridere e trattiene il respiro, fissando gli occhi sulla mia mano. Trattiene un gemito. E io devo sforzarmi di non accostare e dare sollievo al mio uccello che pulsa da più di un’ora. «Abbi pazienza, Anastasia» le dico, scivolando nel traffico. Per tutto il tragitto restiamo in silenzio. La mia mano si stacca di rado dal suo ginocchio e l’abitacolo si carica di attesa, di respiri smorzati, di battiti accelerati. Non vedo l’ora di potermi immergere in lei, di essere inghiottito dal suo sesso famelico. Voglio scoparla per tutta la notte. La giornata è stata lunga e frenetica e piena di cose nuove e, forse, troppo grandi per due ragazzi quali siamo. Ma intendo passare ogni attimo della mia vita con questa donna, dividere con lei ogni respiro. Ne sono più che convinto. Fortunatamente il traffico non è così denso e riusciamo ad arrivare a casa in breve tempo. Parcheggio la Saab nel garage dell’Escala e spengo il motore. Sento i suoi occhi seguire ogni minima mossa e il mio respiro accelera in reazione alla consapevolezza che Ana è seduta accanto a me in uno spazio così ristretto. Mi volto a guardarla, poggiandomi alla portiera, con il gomito sul volante. Mi porto le dita alle labbra, come se riuscissi ad assaporare il suo dolce nettare. Con il pollice e l’indice gioco con il mio labbro inferiore, osservando la sua reazione. Arde di lussuria, si lecca ripetutamente le labbra e non smette di fissarmi la bocca. Credo che possa saltarmi addosso da un momento all’altro. E la voglia è assolutamente reciproca. Quando i suoi occhi raggiungono finalmente i miei la vedo deglutire faticosamente. Mi sfugge un sorrisetto compiaciuto. «Scoperemo in macchina quando e dove deciderò io. In questo momento voglio prenderti su ogni superficie disponibile del mio appartamento» le sussurro pacatamente. «Sì» mormora il suo assenso. Poi chiude gli occhi, sporgendosi lentamente verso di me. La guardo, così arrendevole e tutta mia. Se la bacio ora, dopo non averla toccata per tutta la sera, va a finire che il mio controllo va a farsi fottere e lei con lui, perché non resisterò a non saltarle addosso. Con tutta al forza di volontà di questo mondo mi impongo di non muovere neppure un muscolo. Resto immobile. Fermo come una statua, ammirando i suoi lineamenti e cercando di resistere ad assecondare la voglia che mi pulsa tra le gambe. Dopo qualche secondo d’attesa, Ana riapre gli occhi, confusa. Apre la bocca per parlare, ma la blocco subito, prima che possa pensare qualcosa di spiacevole. «Se mi baci adesso, non lo faremo nell’appartamento. Vieni». Apro la portiera e scendo, girando attorno all’auto per far scendere anche lei. Le prendo la mano e ci dirigiamo all’ascensore. Nell’attesa non riesco a smettere di far scorrere il pollice sul dorso della sua mano. Ana me la stringe, respirando al ritmo dei cerchi che descrivo sulla sua pelle. “La mia piccola bambina è impaziente. Bene, Ana. Così impari a farmi aspettare”. «Allora, cos’è successo all’appagamento immediato?» sbotta ad un tratto, con evidente impazienza. «Non si addice a ogni situazione, Anastasia» mormoro, divertito. «Da quando?» chiede scettica. «Da stasera» ribatto prontamente. «Perché mi stai torturando così?» si lamenta. «Occhio per occhio, Miss Steele» le dico soddisfatto. «Come ti sto torturando io?» dice, aggrottando la fronte. «Credo che tu lo sappia» ribatto seccamente. Ana alza lo sguardo su di me, pensierosa. Poi sembra capire. La guardo negli occhi. “Sì, Ana. Voglio la tua risposta. Voglio il tuo sì”. Un sorrisetto a metà tra il divertito e l’imbronciato le compare sul viso. «Anch’io credo nell’appagamento ritardato» sussurra. Poi si volta e mi sorride piano, timidamente. Non resisto oltre. Con un deciso strattone la attiro tra le mie braccia. Le stringo la nuca e le avvicino le labbra alle mie, reclinando appena il suo capo per permetterle di guardarmi negli occhi. Ansimo contro le sue labbra. «Cosa devo fare per farti dire di sì?» le chiedo sottovoce, fissandola intensamente. Ana sbatte le palpebre un paio di volte, respirando a fatica. «Dammi un po’ di tempo... per favore» mi implora piano. Sbuffo, esasperato. Poi incollo le mie labbra alle sue, baciandola a fondo e a lungo. La mia lingua scivola contro al sua, turbinando come se stessimo già facendo l’amore. L’ascensore arriva e le porte si aprono. Senza staccarmi da lei, la spingo all’interno. Le mie mano avvolgono le sue curve, i suoi fianchi, mentre inghiottisco i suoi ansiti di piacere. Geme e lo stesso faccio io. La spingo contro la parete e le infilo le dita nei capelli, trattenendola mentre le saccheggio la bocca in preda ad un desiderio che mi rende quasi instabile. Spingo il bacino contro di lei, sfregando la mia erezione quasi dolorosa contro il suo ventre. Con la lingua le accarezzo il labbro inferiore, poi le mordo piano il mento, il collo, succhiando forte proprio sotto l’orecchio. I suoi gemiti si fanno più forti mentre si aggrappa disperata alle mie spalle per non cadere. La sua gamba si alza, stringendosi e strusciandosi contro il mio fianco. La inchiodo alla parete, mentre le mie dita frugano frenetiche il suo corpo minuto e sexy. Lascio scivolare una mano dai suoi capelli al mento, alzandoglielo per guardarla negli occhi. «Io ti appartengo» le sussurro contro la bocca affamata ancora di me. «Il mio destino è nelle tue mani, Ana». La imploro quasi, dicendole quella che è la verità. Io sono suo. Completamente ed inesorabilmente suo. Ana geme, anzi quasi ringhia, aggrappandosi con le dita alla mia camicia e poi alla mia giacca. Me la sfila freneticamente dalle spalle, proprio mentre raggiungiamo il nostro piano. Incespichiamo nell’uscire e la spingo contro la parete di fianco, premendole il mio corpo contro il suo. La mia giacca cade ai miei piedi, ma non mi importa. La mia mano vogliosa scende ad accarezzarle una gamba, mentre la bacio con voracità, assorbendo i suoi gemiti. Freneticamente le alzo il vestito fin sui fianchi. «La prima superficie è qui» le dico d’un fiato, staccandomi da lei per un attimo. Anastasia mi guarda, gli occhi velati da puro desiderio. Bruscamente le afferro i fianchi e la sollevo da terra, facendo strisciare contro la parete la sua schiena. «Avvolgi le gambe intorno a me» le ordino brusco. Obbedisce all’istante, serrando le caviglie dietro la mia schiena. Quando sento la presa assicurata mi volto e la faccio distendere sul tavolo dell’atrio, rimanendo tra le sue gambe aperte per me. Ansimando infilo la mano nella tasca destra dei pantaloni e tiro fuori un preservativo. La passo a lei, mentre mi abbasso la cerniera senza distogliere lo sguardo dal suo. Il rumore della zip si fonde con i nostri ansiti vogliosi. «Ti rendi conto di quanto mi ecciti?» le sussurro, riprendendo fiato. «Che cosa?» ansima confusa, scuotendo il capo. «No... io...» «Bè, lo fai» mormoro lascivo. «Tutte le volte» Torno a sfilarle la bustina dalle mani e Ana geme. Sorrido perfidamente mentre la guardo e estraggo il preservativo, infilandomelo piano. Le mie mani scivolano entrambe sul mio cazzo che pulsa, per poi allargarsi sulle sue cosce, spalancandole di più con un gesto repentino. Mi posiziono all’ingresso del suo sesso, strusciando la punta sulle sue labbra aperte. «Tieni gli occhi aperti. Voglio vederti» le sussurro. Poi, lasciando il mio membro duro come il marmo, le afferro entrambe le mani, inchiodandola alla superficie del tavolo, e finalmente mi immergo tutto dentro di lei. Ana geme sonoramente, inarcando la schiena e accogliendomi con un sospiro roco. La testa si reclina all’indietro e i suoi occhi si chiudono. «Occhi aperti!» ringhio furioso contro di lei. Mi sta stritolando ed è una sensazione sublime. Le stringo di più le mani, costringendola a tornare a guardarmi mentre affondo ancora di più in lei. “Oh, Dio! É meravigliosa. Le labbra rosse spalancate in una muta richiesta di non fermarmi, gli occhi azzurri aperti e fissi nei miei, velati da uno spesso strato di incoscienza dovuta al piacere”. Lentamente mi ritraggo, sentendo ogni centimetro del suo sesso completamente avviluppato al mio, nel tentativo di trattenerlo. Mi immergo di nuovo in lei, a fondo, con un ringhio liberatorio. Apro la bocca anch’io, ma le parole per dirle quanto è meravigliosa non riescono ad uscire. Sto fremendo di piacere, sto pulsando al centro del suo ventre. Anastasia mi osserva e i suoi occhi ora brillano di una luce diversa, mentre la sua lingua accarezza languidamente le sue labbra. Affondo di nuovo, fissandola, fissandoci. Siamo persi l’uno nell’altra mentre ci fondiamo nel silenzio dell’atrio, nel quale rimbombano solo i nostri respiri eccitati e affamati. “Non mi stancherò mai di te, Anastasia. Mai. Sposami”. Ana si stringe sempre di più, costringendomi a fermarmi per non venire. Continuo a guardarla, mentre affondo implacabile dentro il suo corpo morbido e voluttuoso. Tutto mio. Tutta mia. Ormai conosco questa pelle, quest’anima meglio della mia. Quando mi rendo conto che sta per venire accelero con un ringhio soffocato. La fisso negli occhi. Grigio contro azzurro. Azzurro contro grigio. E veniamo. Insieme. «Sì, Ana!» urlo, liberandomi dentro di lei, crollando sul suo corpo esanime e sudato. Appoggio la testa sul suo seno e sento le sue dita tra i capelli, che mi cullano, mi proteggono. Il suo respiro che tenta di placarsi dà il ritmo anche al mio. Stremato dal violento amplesso appena consumato, alzo di poco la testa, fissandola. Desiderio e amore si rimescolano nelle vene. Ho ancora bisogno di lei. «Non ho ancora finito con te» mormoro, allungandomi per baciarle teneramente le labbra. Mi rialzo, tastando l’equilibrio prima di tornare a guardare il punto dove siamo ancora uniti. Mi ritraggo e poi affondo di nuovo dentro di lei un’ultima volta, per sottolineare quello che le ho appena detto. C’è l’ho ancora maledettamente duro. Mi sfilo completamente da lei e tolgo il preservativo, annodandolo con noncuranza e infilandolo in tasca, mentre Ana si solleva sui gomiti. É sexy così scompigliata e discinta su quel tavolo. Incapace di resistere, mi fiondo sulle sue labbra gonfie e arrossate. Stringendole la testa con le mani e divorando ogni centimetro delle sue labbra. Quando finalmente mi stacco da lei, la sua espressione è appagata. «Sei silenziosa, Miss Steele» le dico con un sorrisetto, mentre mi riaggiusto la cerniera e le tendo la mano per farla rialzare. «Sono stremata, Mr Grey» ribatte con un sorriso sfrontato. La faccio scendere e aderisco di nuovo al suo corpo, mentre le tiro giù l’abito. Poi la bacio di nuovo, come se non riuscissi più a saziarmi di lei stasera. Geme nella mia bocca, mordendomi il labbro inferiore quando mi allontano di qualche millimetro. «Qualcuno qui è ancora affamato» le dico, guardando i tratti morbidi del viso dopo il sesso. Anastasia si allontana leggermente da me, guardandomi da sotto le lunghe ciglia e si morde il labbro. Lentamente. Deliberatamente. “Cristo santissimo!”. Sembra impossibile ma sto per venirmi nei pantaloni. Mi allontano, superandola e aprendo la porta dell’ingresso. Poi le faccio cenno di entrare e richiudo la porta dietro di noi. La agguanto da dietro prima che possa sfuggirmi. Le mie labbra scivolano tra i suoi capelli e raggiungono il suo orecchio. «Vai in camera, Anastasia. Spogliati e aspettami sul nostro letto» le sussurro. La sento deglutire a fatica, ma, in silenzio, si allontana in direzione della nostra camera da letto. Mi appoggio con le spalle al muro, prendendomi qualche momento per calmarmi. Non voglio che finisca tutto molto presto. Non mi era mai capitato di sentirmi così. Quando sono certo di aver riconquistato la calma, mi incammino con le mani in tasca, facendo una piccola sosta per gettare il preservativo nel cesto dell’immondizia. Quando entro in camera da letto il suo odore mi invade le narici. Nell’aria c’è il profumo del suo shampoo, della sua pelle, del sesso che abbiamo appena fatto. Inspiro piano, mentre la fisso. É seduta sul bordo del letto, mi guarda da sotto le ciglia e ha le mani giunte in grembo. É nuda. Completamente nuda. Lentamente, mi tolgo le scarpe e le calze. I suoi occhi si fissano sui miei piedi nudi e la sento inspirare forte. Mi sfilo in fretta la camicia e poi anche i jeans e i boxer. Mi avvicino a lei, rimanendo in piedi. Il suo sguardo sale, fermandosi sulla mia erezione mentre le sfugge un piccolo gemito. Poi sale ancora. E raggiunge il mio. «Stenditi sulla schiena, Anastasia» mormoro, accarezzandole una ciocca e rimettendola a posto dietro l’orecchio. Si lascia cadere all’indietro e io le afferro le gambe appena sopra le ginocchia. Con un movimento rapido la spingo in avanti sul letto e le apro le gambe. Mi inginocchio guardandola. Allungo l’indice e lo passo in verticale dal suo clitoride lungo tutta la fessura bagnata. «Sei bellissima, Anastasia» le dico piano, guardandola con gli occhi che scintillano di piacere. «Christian...» Geme il mio nome come se fossi la cosa più importante per lei. Normalmente fatico a crederci, ma in momenti come questi lo so. So che ha bisogno di me. So che non c’è nient’altro e nessun altro per lei. In momenti come questi so di essere l’unico nella sua mente e nella sua anima. E quando pronuncia il mio nome ne sono certo ancora di più. «Dillo ancora» le ordino pacatamente, mentre il mio uccello mi sfiora lo stomaco, pulsando violentemente. Il mio dito continua a tracciare quella scia di piacere su di lei. «Christian... ti prego» supplica. Non resisto oltre. La attiro a me e incollo la bocca al suo sesso palpitante. Lecco e succhio voracemente, gustandomi i suoi umori e godendo delle sue urla e dei suoi gemiti. Non mi fermo, continuo ad un ritmo estenuante e implacabile. Lei inizia a piagnucolare, continuando ad implorarmi, fino a quando non esplode, irrigidendosi e inarcando la schiena. Il suo sesso aderisce perfettamente alla mia bocca e la mia lingua lo penetra, turbinando nel suo recesso bagnato. Quando ricade sul materasso mi stacco da lei, girandola. «In ginocchio, Anastasia. Voglio prenderti da dietro» ordino sbrigativo. Geme, rialzandosi a fatica sulle ginocchia tremanti. Ma oramai sono fuori controllo. Non resisto oltre. Con le mani le allargo le natiche, gemendo alla vista del suo culo esposto ai miei sguardi libidinosi. Con la punta del mio uccello scivolo lentamente tra le sue labbra, senza penetrarla. Mi bagno e poi lascio scivolare il cazzo sul suo ano. Si irrigidisce, ma prontamente torno più giù, entrando in lei con una profonda spinta. Ringhio, accompagnando il movimento dei miei fianchi, affondando implacabile dentro di lei. Ana affonda la testa nel materasso, spostando le mani davanti a lei. I suoi gemiti sono soffocati dalla trapunta. Si irrigidisce ancora, di nuovo, avviluppandomi tanto da far risultare difficile il semplice gesto di ritrarmi. Lascio scivolare la mano destra sulla sua schiena, chinandomi a baciargliela tra un affondo e l’altro. Poi le afferro i fianchi, stringendoli forte fino ad imprimerle i segni delle mie dita sulla pelle candida. La tiro all’indietro, mentre le vado incontro. Sento che sto per venire. Non resisto oltre. E anche lei si stringe ancora. Le mani si stringono in due pugni che sbiancano per la tensione. «Ora, Ana!» urlo, assestandole una sonora sculacciata sulla natica destra. Anastasia urla e insieme veniamo in un orgasmo catartico. Crolla sul materasso e io su di lei. Ansimiamo, senza accennare a riprenderci. Dopo qualche minuto passato ad ascoltare i nostri respiri, mi costringo a spostarmi di lato, attirandola tra le mie braccia. Sospiro beato, mentre prendo ad accarezzarle ritmicamente la schiena nuda. «Soddisfatta, Miss Steele?» chiedo con una certa dose di arroganza da maschio alfa. Mormora soltanto, annuendo piano con la testa. Dopo qualche attimo di silenzio alza la testa, fissandomi come per mettermi a fuoco e io le sorrido dolcemente. Piega la testa, guardandomi intensamente il petto e io mi irrigidisco istintivamente perché so cosa sta per fare. Con le labbra rosse mi sfiora i peli sul petto, inspirando il mio odore ad occhi chiusi. Mi metto sul fianco. Occhi contro occhi. “Non mi fai male quando mi tocchi, ma non sono ancora abituato”. «Il sesso è così per tutti? Mi sorprende che la gente riesca a uscire di casa» mormora timidamente, abbassando lo sguardo per poi rialzarlo quasi subito. Le scocco un sorriso malizioso. «Non posso parlare per tutti, ma è dannatamente speciale con te, Anastasia» le dico con passione, chinandomi a baciarla. «Questo perché tu sei dannatamente speciale, Mr Grey» mi dice con un ampio sorriso, accarezzandomi il viso. Rimango per un attimo sorpreso da quel gesto che tradisce tutta l’intimità che abbiamo, quanto profondamente ho permesso a questa donna di entrare nella mia vita e di scavare dentro di me. “Io speciale, Miss Steele? No. Potrei ferirti senza neppure rendermene conto. Non sono l’uomo giusto per te e mi spiace che tu debba avere a che fare con me. Ma sono talmente egoista da non permetterti di allontanarti da me”. «È tardi. Dormi» le dico. Mi chino a baciarla piano, poi mi stendo sulla schiena, spengo l’abat-jour e l’attiro a me, tenendola abbracciata. «Non ti piacciono i complimenti» conviene piano. «Dormi, Anastasia» le ordino in un mormorio. La stanchezza inizia a farsi sentire. ‘Non sei più un ragazzino, Grey. Anche il tuo cazzo ha bisogno di riposare alla tua età’. «Amo quella casa» mormora aggiustandosi sul mio petto e respirando profondamente. Spalanco gli occhi e fisso il soffitto. Se non è un sì questo... ‘Non correre, Grey’. Lo so, non devo correre, ma non posso fare a meno di sorridere. «Io amo te. Ora, dormi» le dico mentre la felicità mi invade. Chino la testa e infilo il naso nei suoi capelli, facendo il pieno del suo odore prima di tornare al mio posto sul cuscino. Sospiro e sento il suo respiro farsi regolare. Dorme. L’ho sfinita. E lei ha sfinito me. Questa donna è il mio angolo di paradiso. Non voglio perderla, voglio amarla, proteggerla, difenderla da tutto. Voglio essere il centro del suo universo proprio come lei, piccola e insicura, ma allo stesso tempo una forza della natura, è il centro del mio universo. L’indomani mattina mi sveglio presto. Ho una colazione di lavoro, una montagna di cose da fare in ufficio e io e Ros dobbiamo anche andare e tornare da Vancouver per un problema di finanziamento all’Università. Sono certo che non ci può essere nessun problema di finanziamento quando sono io a finanziare. Ma devo accertarmi di persona che quella massa di incompetenti riescano per una volta a fare il proprio lavoro ed imparino per la prossima. Mi infilo sotto la doccia e mi rilasso per qualche minuto. Ho i muscoli leggermente indolenziti a causa dello stress e della tensione accumulata nelle ultime settimane. Ora le cose stanno andando lentamente ognuna al proprio posto. Sorrido, mentre mi sfrego il bagnoschiuma sulla pelle, nel ripensare alla serata di ieri, al nostro gioco erotico e a tutto quello che è successo qui all’Escala. Dal garage al letto. Sospiro forte. Ho già di nuovo voglia di lei. E se non dovessi andare in quello stramaledetto ufficio, probabilmente riprenderei la maratona di sesso da dove l’abbiamo interrotta stanotte. Quando esco dalla doccia mi asciugo frettolosamente i capelli e poi mi avvolgo un asciugamano attorno ai fianchi. Entro nella cabina armadio e scelgo un completo blu. Con cura mi vesto, stando attento ad ogni dettaglio. Quando finalmente sono pronto torno in camera. Anastasia dorme profondamente e quasi mi dispiace svegliarla per salutarla. Ma non esiste che io vada via senza dimostrarle quanto la ami. Mi chino su di lei, baciandole la pelle appena dietro l’orecchio. «Devo andare, piccola» le sussurro, dandole un secondo bacio. La sento rabbrividire e le sue palpebre si spalancano di colpo. Si gira di scatto verso di me, assonnata, mentre mi rialzo e la guardo con un sorrisetto sfrontato. So che nonostante sia mezza addormentata sta praticamente sbavando. É lo stesso effetto che lei fa a me. Sempre. «Che ore sono?» chiede in ansia. «Non allarmarti. Ho una colazione di lavoro» le dico rassicurandola. Mi chino di nuovo su di lei, strofinando il mio naso contro il suo e respirando l’odore di Anastasia, sonno e sesso. Lei fa lo stesso con me. «Hai un buon profumo» mormora, mentre si stiracchia mettendo in mostra uno dei suoi seni candidi che sfugge da sotto la lenzuolo. Allunga le braccia e me le avvolge attorno al collo. «Non andare» piagnucola mettendo il broncio. come una bambina, La guardo piegando la testa di lato, con un sopracciglio alzato. «Miss Steele, stai cercando di trattenere un uomo dall’andare a svolgere la sua onesta giornata di lavoro?» chiedo con un sorrisetto. Sbadiglia e annuisce pigramente. La guardo ammirandola sul serio e le sorrido, felice che mi desideri così tanto da volermi sempre con sé. «Per quanto tu sia una vera tentazione, devo andare» le dico solennemente. Poi mi chino sulla sua bocca e la bacio lentamente, profondamente. Prima che questo bacio mi dia alla testa sono però costretto ad alzarmi. «A più tardi, piccola» le dico, facendole l’occhiolino e sparendo dalla stanza prima che i miei buoni propositi e la mia fitta giornata di lavoro vadano a farsi fottere. Sono in perfetto orario quando raggiungo Ros e il team di Barney per fare colazione. Discutiamo del nuovo sistema di sicurezza, dei miglioramenti che sono stati prontamente effettuati sul primo modello e di una eventuale prova in azienda da effettuare nel massimo riserbo per testare le potenzialità e la reale efficacia del sistema. Quando torniamo in ufficio sono pienamente soddisfatto di come stanno andando le cose. Poi mi ricordo che oggi arriva anche quel figlio di puttana del fotografo. Ed ecco che il mio umore scende in picchiata. Ho già predisposto tutto per il suo arrivo. Starà nella vecchia camera di Anastasia. O meglio quella che non è mai stata di Anastasia. Ma solo delle altre. Aggrotto la fronte. ‘Lascia perdere, Grey. Lascia stare il tuo passato. Sii egoista e goditi tutto il tempo che hai ancora davanti’. Bè... in effetti ripensando al mio appartamento mi vengono in mente un sacco di altre cose. D’istinto afferro il BlackBerry e le invio una mail. Da: Christian Grey A: Anastasia Steele Data: 17 giugno 2011 08. 59 Oggetto: Superfici Ho calcolato che ci sono almeno trenta superfici da provare. Non vedo l’ora di sperimentarle tutte, una per una. Poi ci sono i pavimenti, le pareti. E non dimentichiamo il terrazzo. Dopodiché c’è il mio ufficio... Mi manchi. X Christian Grey Amministratore delegato priapeo, Grey Enterprises Holdings Inc. Sorrido al mio telefono nel ripensarla piccola, assonnata e implorante. Entro nell’ascensore e mi dirigo in garage, dove Ros già mi aspetta insieme a Taylor per andare a prendere Charlie Tango e volare sino a Vancouver. La sua risposta non tarda ad arrivare. Da: Anastasia Steele A: Christian Grey Data: 17 giugno 2011 09. 03 Oggetto: Romantica? Mr Grey, hai una sola cosa in testa. Mi sei mancato a colazione. Ma Mrs Jones è stata molto premurosa. AX Aggrotto la fronte davanti a quella piccola informazione volutamente provocatoria. Mi tocco la giacca, proprio sopra al cuore, sentendola piccola scatolina sotto il palmo. Non me ne separo mai. E muoio dalla curiosità di sapere cosa ci sia dentro. Ora anche questo? É di sicuro qualcosa per il mio compleanno. Cosa stai architettando, Anastasia? Da: Christian Grey A: Anastasia Steele Data: 17 giugno 2011 09. 07 Oggetto: Intrigato In cosa sarebbe stata premurosa Mrs Jones? Che cosa stai combinando, Miss Steele? Christian Grey Amministratore delegato curioso, Grey Enterprises Holdings Inc. Sospiro, mentre entro in auto insieme a Ros intenta a chiacchierare al telefono con uno dei nostri clienti. Ho vaghi ricordi del mio compleanno. Dei primi compleanni, intendo. Quelli a casa Grey me li ricordo. Erano giorni felici, certo, dove venivo riempito di regali, di affetto. Ma per me non c’erano mai voli in aria, come per Elliot. Non c’erano gli abbracci di mamma, non c’erano feste con tanti bambini che giocavano insieme. Grace ci ha provato qualche volta. Ma finivo per picchiarli. Era una sofferenza per me e per loro. Alla fine, per il mio bene, e soprattutto per quello dei miei compagni di classe, ci siamo limitati alle feste intime di famiglia. Dei primi quattro anni della mia vita ricordo invece una torta al cioccolato. Non ho in mente la torta vera e proprio. Ma il profumo lo ricordo distintamente. E poi niente. Forse solo il viso di Ella che mi regala uno dei rari sorrisi che le ho visto nel breve lasso di tempo che abbiamo passato insieme. Ma poi la sera arrivava sempre lui. E il mio regalo non era di certo come quello degli altri bambini. E le candeline non ero io a spegnerle. Stringo gli occhi, massaggiandomi la tempia. Il BlackBerry vibra, distraendomi. Ana. Sempre la mia ancora di salvezza. Da: Anastasia Steele A: Christian Grey Data: 17 giugno 2011 09. 10 Oggetto: È un segreto... Aspetta e vedrai. È una sorpresa. Devo lavorare... Lasciami in pace. Ti amo. AX Sbuffo, attirando l’attenzione di Ros. Da: Christian Grey A: Anastasia Steele Data: 17 giugno 2011 09. 12 Oggetto: Frustrato Detesto quando mi tieni nascoste le cose. Christian Grey Amministratore delegato, Grey Enterprises Holdings Inc. Taylor sfreccia nel traffico del mattino, conducendoci verso l’edificio che ospita l’elisuperficie. Non è così distante dalla Grey Enterprises. Il display del mio BlackBerry si illumina quasi subito. Da: Anastasia Steele A: Christian Grey Data: 17 giugno 2011 09. 14 Oggetto: Pazienza È per il tuo compleanno. Un’altra sorpresa. Non essere così irritabile. AX Non riesco a non essere irritabile. Non ci riesco perché sono curioso. Mi accarezzo di nuovo la giacca, tastando la scatolina. La voglia di sapere cosa contiene mi assale. Ma non l’aprirò. Mancano meno di 16 ore. Posso tenere duro ancora. Evito di rispondere per un po’, con la voglia di tenere anche lei sulle spine come me. Ma quando poi mi decido a farlo siamo ormai arrivati a destinazione. Sospiro, infilando il telefono in tasca e ripromettendomi di chiamarla non appena atterriamo a Vancouver. Saluto il mio vecchio e fidato insegnante di volo, faccio accomodare Ros, congedo Taylor, ordinandogli di tenere sotto controllo Ana in mia assenza, e poi monto a bordo preparandomi ad uno dei piccoli piaceri della mia vita. Pilotare il mio Charlie Tango. Il volo d’andata fila liscio. A parte Ros, che parla come un fiume in piena. E a parte la sensazione di malessere dovuta al fatto di aver borbottato contro la mia ragazza e non averle ancora chiesto scusa. Arrivati all’università, dopo qualche minuto d’attesa nell’anticamera del rettore, veniamo fatti accomodare sulle comode poltroncine rivestite in pelle, solo per essere informati che non esiste nessun disguido finanziario con l’istituto di credito e che Ros può tranquillamente firmare al mio posto per le donazioni come delegata dal sottoscritto. «Mi dispiace per l’increscioso equivoco, Mr Grey. Non so come sia potuto accadere. Non l’avremmo disturbata per una sciocchezza del genere» É la centesima frase di scuse che mi sento rivolgere dal rettore della WSU. «Gli impiegati dovrebbero limitarsi a svolgere le proprie mansioni. E non prendere iniziative proprie senza essere abbastanza competenti» sbotto, pensando a quanto tempo abbiamo perso a causa di una segretaria troppo solerte. Ros mi guarda di traverso, mentre si congeda con più garbo dal povero rettore che quasi trema. “Certo, sono il loro maggiore finanziatore. Crede di aver appena mandato tutto a puttane”. Sbuffo, avvicinandomi e stringendogli la mano. Ana disapproverebbe il mio comportamento. Ana. Non l’ho ancora chiamata. Ma devo farlo. «Farò sbloccare il pagamento che questa mattina avevo predisposto di bloccare in maniera preventiva. Per la prossima settimana le accrediterò altri 100mila dollari. Ci tengo che la convenzione vada avanti. Voglio vedere i risultati. Dirò al mio team di ricerca di confrontare i risultati con quelli del team della WSU entro fine mese» dico con un breve sospiro. Il rettore si illumina, stringendomi calorosamente la mano. «Sarà un piacere per noi, Mr Grey. E stia tranquillo che fatti incresciosi come quello di stamane non si verificheranno in futuro» Annuisco senza rispondere e, con un piccolo cenno a Ros, mi avvio verso l’uscita. Guardo il mio orologio e scopro che se mi sbrigo posso fare in tempo a raggiungerla per pranzo. E fare pace a modo mio. Magari nel suo ufficio. O in auto, visto che sembra entusiasmarla così tanto l’idea. Sawyer, il nostro autista, ci riporta in fretta da Charlie Tango. Salgo a bordo e mentre Ros si concentra sui documenti che si è portata dietro, io inizio a pensare ad un modo per far dire una semplice sillaba alla mia fidanzata. Vuole cuori e fiori. É questo che desidera. Ed è proprio questo quello in cui non sono bravo. Non ho mai fatto niente di romantico per nessuno. A parte ballare. Ma se lo fai perché te lo ordinano e a quello segue una scopata, bè.. non si può dire che sia qualcosa di romantico. Cosa potrebbe piacerle? Cosa potrei fare per lei? Cuori e fiori... cuori e fiori per un sì. Cuori e... «Oh, ma quello e monte Saint Helens! Sai che non ci sono mai stata?» L’urlo nella cuffia per poco non mi fa venire un infarto. Mi volto a guardare Ros, alla quale brillano gli occhi. Ros è drogata di avventura ed eccitazione per il pericolo. «Sì. Fino a poche settimane fa c’era il divieto di sorvolo. Ora, a quanto pare, è stato revocato» le urlo di rimando. Mi guarda, ma non osa chiedere. Mi volto prima che possa lasciarmi impietosire. Ma è troppo tardi. Ho visto quell’espressione sul suo volto. E da quando sto con Anastasia sembra che io mi sia rammollito, perché non riesco più a dire di no a nessuno. «Vuoi dare un’occhiata più da vicino?» le chiedo, tornando a guardarla. Ros alza le sopracciglia e mi fissa con stupore. «Se non fossi lesbica bacerei quel tuo delizioso culo da miliardario che ti ritrovi, Grey!» urla, con gli occhi che scintillano. Mi lascio andare ad una risata, mentre inizio a calare a bassa quota, per sorvolare la montagna. Siamo ad una distanza di sicurezza quando le spie sul quadro dei comandi si illuminano. Aggrotto la fronte, mentre Ros si volta, distogliendo gli occhi dal meraviglioso spettacolo sotto di noi. Alla luce rossa lampeggiante, si aggiunge un suono intermittente. «Cristo! Cristo, cristo, cristo!» impreco furiosamente, osservando il segnale che indica un incendio al motore. Pochi attimi e anche una seconda spia si illumina. Le fiamme hanno raggiunto il secondo motore. L’elicottero inizia a perdere quota velocemente. Ros si tiene alla cintura, senza emettere un fiato. Stiamo volando troppo bassi e anche lei lo sa. Il velivolo trema, vortica pericolosamente su sé stesso. Devo atterrare. E devo farlo subito, Cristo! Deglutisco e il mio unico pensiero è che se mi schianto contro il suolo non la vedrò più. Non la vedrò più. E non posso permettermi di perderla. «Che cazzo succede, Grey?» urla Ros quando l’elicottero inizia a traballare ancora più forte. «Un incendio al motore! Dobbiamo atterrare!» le urlo, senza distogliere gli occhi dal pannello dei comandi. “Posso farcela, posso farcela. Devo farcela”. Con una prontezza di riflessi che stento a credere mi appartenga nelle situazioni normali, inizio la manovra di atterraggio. Sono troppo vicino al suolo per farlo bene. Ma devo riuscirci. Stringo i denti e impugno i comandi. L’elicottero vortica su se stesso e Ros urla. Tocchiamo terra con un botto potente e secco. L’appoggio non è stabile, il terreno sotto di noi cede e rischiamo di finire in un precipizio. Il mio pensiero corre di nuovo ad Anastasia. “Non posso morire ora. Non dopo averti trovata. L’ho desiderato per anni. Ho desiderato mettere fine alla mia vita per giorni e notti. Ma non ora. Dio, ti prego, non ora”. Avvisto uno spazio che consente una discreta manovra d’atterraggio e inizio a scendere, determinato a vivere come mai prima d’ora. Ci fermiamo dopo qualche metro fatto quasi in picchiata, Charlie Tango gira su se stesso più volte, prima che io riesca a stabilizzarlo. Spengo in fretta tutti i dispositivi elettronici di bordo, ansimando, e girandomi a guardare Ros atterrita. Purtroppo anche la radio va a farsi benedire. Ma non ho tempo da perdere. Mi slaccio la cintura e faccio lo stesso con quella di Ros. Apro la portiera e balzo giù, correndo dall’altro lato e aiutando Ros a fare lo stesso. Le fiamme si stanno espandendo, la coda è totalmente andata. Rischiamo di essere investiti da uno scoppio poderoso. Devo spegnere l’incendio. Mi sfilo la giacca, consegnandola a Ros. «Non lasciarla. Qualsiasi cosa succeda, non lasciarla» Annuisce, fissandomi sconvolta. Mi giro vero l’elicottero e prendo un profondo respiro. Risalgo su Charlie Tango mentre il fumo mi entra dritto nei polmoni. Tossisco, gli occhi mi lacrimano. Ma devo riuscire ad afferrare l’estintore. Lotto tra il fumo che inizia ad invadere tutta la cabina di pilotaggio, ma finalmente riesco a staccare l’estintore di bordo e ad azionarlo. “Non posso morire. Non oggi che ho fatto il coglione e non l’ho neppure salutata. Non posso lasciarla. Non posso non tornare da lei e non abbracciarla, baciarla, stringerla e perdermi nel suo corpo per tutta la notte”. Le fiamme sembrano non placarsi, ma dopo un po’ iniziano ad affievolirsi. Sono sudato, devo aver il viso annerito dal fumo nero, proprio come Ros, addossata alla parete della montagna, lontana da me qualche metro, che continua a tossire. Non so quanto tempo passa, ma alla fine riesco a domare il rogo. Getto l’estintore di lato, cadendo a terra e stendendomi sulla schiena. Guardo il cielo azzurro sopra di me. É azzurro come i suoi occhi. Ansimo, sorridendo come un coglione perché la rivedrò. La visione di quella distesa sconfinata viene guastata dalla testa di Ros, che fa capolino sulla mia. «É meglio che trovi un modo per riportarmi casa, Grey. O prendo a calci...» «…il mio culo da miliardario, Ros. Sì. Lo so» le dico, abbozzando un sorriso e tirandomi su. «Stai bene?» le chiedo, guardandola preoccupato. «Nulla che non rifarei» mi dice con un sorrisetto da vera dura. Ricambio il sorriso, ma quando mi volto a guardare Charlie Tango il mio cuore smette per un attimo di battere. La coda è completamente andata. Mi avvicino per controllare. I motori sono entrambi andati. Mi acciglio. Sembra strano. Il mio elicottero è controllato prima e dopo di ogni volo. Può essere colpa di un corto circuito? Il mio cervello si mette in moto. C’è qualcosa che non mi torna in questa situazione. Mentre continuo ad ispezionare il velivolo e ad effettuare la conta dei danni, Ros mi si avvicina, reggendo il suo BlackBerry. «Non c’è campo. Ho provato in tutti i modi. Ma il GPS ancora funziona. Ci porterà alla strada più vicina» mi dice, mostrandomi lo schermo. Annuisco, pensieroso, senza riuscire a smettere di pensare all’incendio anomalo. «Sarà bene che spenga il mio. Questi cosi non durano molto. Ecco perché investo sull’energia solare» dico con un sorriso amaro. Ros alza gli occhi, fissando il cielo. «Sarà meglio mettersi in cammino subito. Rischiamo di non arrivare neppure per domani» borbotta, fissandosi i tacchi. Il pensiero mi colpisce come una sferzata sulla schiena. “Domani? Assolutamente no. Non lascio Anastasia da sola per l’intera notte con quel figlio di puttana sotto al mio tetto”. Il cuore inizia a battere più veloce, mentre annuisco senza riuscire a proferire parola, dando uno sguardo all’orologio. É appena mezzogiorno. Devo tornare prima dell’orario di chiusura degli uffici della SIP. A malincuore spengo il BlackBerry, e io e Ros ci incamminiamo giù per il sentiero. Restiamo in silenzio per un bel po’ di chilometri. Ros inizia ad arrancare sui tacchi di media altezza e, seppure a malincuore, le propongo una sosta. Ci sediamo su un paio di grossi massi sul ciglio del sentiero. Da fumatrice incallita, Ros estrae un pacchetto di sigarette e ne accende una. Sa che non fumo, ma me la offre lo stesso una sigaretta. Scuoto la testa e lei sbuffa, facendo scattare l’accendino. Sospiro, stringendo forte la giacca tra le mani. Non voglio lasciare Anastasia nelle mani di quel viscido porco. Potrebbe farle di tutto. Ne è capace, lo ha già dimostrato. Lei potrebbe non riuscire a difendersi, anche se Taylor ha l’ordine di tenerla sott’occhio sempre. Potrebbe lasciarsi sopraffare da lui. Potrebbe... potrebbe rendersi conto che non è me che vuole, ma lui. É questo il pensiero che fa male davvero. José non è un pervertito. José ha sbagliato una volta, ma la ama. La ama davvero. Non quanto la amo io. Ma la ama. E non la sculaccerebbe, non la scoperebbe contro una croce di legno, non ha una stanza segreta con ammennicoli per tutti i tipi di tortura sessuale. José è un ragazzo semplice, come lei. Che potrebbe darle cuori e fiori a volontà. Le mie dita stringono forte la giacca blu, sporca di polvere e di fumo. «Cosa diavolo ci tieni in quella giacca, Grey?» mi chiede Ros, indicandola con il mento. «Un regalo di Anastasia. Per il mio compleanno» le dico in tono mesto, fissando la giacca. La sento sorridere, ma non alzo il capo. «Conta davvero tanto per te» Non è una domanda. É una affermazione. E non c’è bisogno che io risponda. «Allora domani festa all’Escala?» chiede, alzandosi e scrollandosi di dosso un po’ di polvere. Mi alzo anch’io, pronto a rimettermi in marcia. «No. A casa dei miei. Sei invitata, a proposito. E anche Gwen ovviamente» le dico, sorridendole. «Forza, in marcia» ribatte lei. «Per colpa tua avrò un sacco di lavoro arretrato lunedì» Ci mettiamo di nuovo in marcia. Il telefono di Ros si scarica a metà percorso e sono costretto ad accendere il mio. Noto una mail, una chiamata persa e un messaggio vocale. So che è lei a scrivermi. Ma non posso rischiare di far scaricare la batteria. Dopo circa 4 ore riusciamo a raggiungere il ciglio di una strada che, a quanto pare, non è molto trafficata. Siamo entrambi distrutti, sudati e ricoperti di polvere. «Chi dei due mette per primo in mostra le proprie grazie?» mi chiede con un sorrisetto. Scuoto la testa con un sorriso e proprio in quel momento scorgiamo un camion. Entrambi ci sbracciamo e l’uomo alla guida rallenta fino a fermarsi accanto a noi. Ci scruta, accostando e spegnendo il motore. Gli raccontiamo brevemente del nostro incidente, gli offriamo dei soldi, spalancando i portafogli. In due abbiamo 600 dollari, ma lui rifiuta con convinzione, sorridendo. Mi dà una pacca sulla spalla e poi ci invita a salire. Di norma non ci si fida degli estranei. Soprattutto un estraneo che sa che hai 600 dollari addosso. Ma questo estraneo è l’unico che può condurmi da Anastasia. E io ho già perso troppo tempo insieme a Ros e i suoi tacchi. Durante il viaggio, lento e straziante, il buon uomo divide il suo pranzo con noi due. Mentre conversa con Ros, ripongo in tasca il mio telefono ormai spento e inutile. Il pensiero corre ad Anastasia. Cosa starà facendo? Mi reputerà uno stronzo. Per il tono brusco in cui ho risposto e perché non mi sono fatto vivo per l’intera giornata. Se penso che ho rischiato di non vederla mai più il mio cuore si ferma di battere. Non posso immaginare di stare senza di lei. Non posso immaginare di lasciarla. Mai. Ho bisogno di averla nella mia vita. E non importa se non vuole sposarmi, non importa se non riuscirà mai ad amarmi come io amo lei, se il mio passato sarà sempre un ostacolo che non le permetterà di vedere quanto sono cambiato. Mi basta averla. Egoisticamente mi basta averla nella mia vita. Mi basta che mi permetta di abbracciarla, di baciarla, di stringerla forte a me e placare l’ansia del mio cuore. Infilo le dita nella taschina interna della giacca ed estraggo la scatolina. La scuoto leggermente. É leggera. Il rumore non è forte. La stringo, perché è l’unica cosa che mi ricorda lei ora. L’unica cosa che mi lega a lei. So che in questo momento sarà seduta a chiacchierare con il suo amico che non le schioda gli occhi di dosso. So che magari neppure sta pensando al suo fidanzato stronzo e lunatico che non la cerca da ore. Probabilmente pensa ad una ripicca. Probabilmente mi starà odiando. Probabilmente per dispetto berrà, e anche lui. E potrebbe farle di nuovo delle avances. E io non arriverò in tempo stavolta. Il viaggio è interminabile. Oltre all’ansia per Anastasia, il pensiero dell’incendio torna ad affacciarsi alla mia mente. Un incendio al motore può sempre accadere. Basta un nonnulla. Un corto circuito. Ma ad entrambi? É un po’ troppo strano. Una sensazione di gelo mi invade. E poi proprio stamattina, con il falso allarme alla WSU? Tutta la faccenda è alquanto strana. Finalmente, dopo ore di viaggio nella cabina scomoda del camion, il conducente ci congeda nei pressi dell’abitazione di Ros. Scendo con lei, e ringraziamo l’uomo che ha rappresentato la nostra salvezza. Sono impaziente di correre a casa. Ros mette una mano sulla mia. «Sarà meglio che avvisi Andrea. Probabile che qualcuno ti abbia cercato in ufficio. É tardissimo» «Pensaci tu, Ros. Ora voglio solo andare a casa da Ana» rispondo, mentre gli occhi già fuggono lungo la strada. Lei sorride e mi lascia finalmente andare, salendo nel suo appartamento. Faccio due passi in strada. La gente mi guarda, mi fissa con troppa attenzione. Ovviamente è perché sono vestito in modo elegante, ma sono sporco di terra, fumo e sudore. Allora prendo a correre. Corro quelle poche centinaia di metri che mi separano dal mio appartamento. Anche se quando arrivo mi accoglie uno stuolo di giornalisti. «Ma che cazzo... ?» sibilo, restando dall’altro lato della strada. Cerco una via di fuga, ma non posso neppure chiamare Taylor. Sospiro, avvicinandomi alla folla. Qualche attimo di silenzio, i giornalisti mi fissano. Poi iniziano a piovere domande su domande. Fortunatamente nell’atrio staziona Sawyer, che accorre in mio aiuto, facendomi spazio tra la folla e riuscendo a ficcarmi nell’ascensore. Le porte si chiudono lasciando fuori la calca e i flash che mi accecano. «Grazie, Sawyer» mormoro, poggiandomi al muro e chinandomi per sfilarmi le scarpe e le calze. Ho i piedi doloranti e la testa mi scoppia. «Dovere, signore» mugugna di rimando. Poi alza la manica. «Mr Grey è con me, T» dice. Stringo forte gli occhi, mentre stiamo per giungere all’attico. «Miss Steele è in casa?» chiedo, strofinandomi gli occhi mentre il mio cuore accelera i battiti. “Dimmi di sì”. Sawyer si gira a guardarmi come se fossi pazzo. Poi si ricompone in fretta. «Certo, Mr Grey» Sospiro di sollievo e proprio in quel momento le porte si aprono. Esco ed entro in casa mia. Percorro il corridoio, senza riuscire a frenare la voglia che ho di stringerla forte contro di me. Ma quando arrivo nel salone mi blocco di colpo. “Ma che cazzo succede?” Capitolo 22 Mia madre, Mia, Elliot. Ethan Kavanagh e Josè. Una Anastasia disperata e in lacrime. Sono tutti lì a fissarmi, mentre il mio sbalordimento aumenta. Il silenzio riecheggia tra di noi, mentre fatico a capire il perché di quei visi sofferenti. A riscuoterci è il grido strozzato di mia madre. «Christian!» urla, gettandosi nella mia direzione. Faccio solo in tempo a poggiare delicatamente la giacca sul pavimento, insieme con le scarpe e le calze. Mia madre, in un gesto così poco usuale per noi, mi abbraccia, stringendomi a sé, baciandomi ripetutamente le guance. La stringo, confortato da quel calore dopo la pessima giornata, ma i miei occhi sono calamitati dai suoi. Mi fissa freddamente, come per mettermi a fuoco. Dio, ma cos’è successo qui? «Mamma?» La guardo, scostandomi leggermente da lei, che continua ad accarezzarmi il viso e i capelli, ben consapevole del fatto che non può toccarmi altrove. Il desiderio di sentire le sue amorevoli carezze mi tiene avvinto per un attimo al suo sguardo. Ma non è oggi il momento di capire quanto possiamo spingerci oltre. «Pensavo che non ti avrei rivisto mai più» mi sussurra, baciandomi di nuovo, tra le lacrime. «Mamma, sono qui» la rassicuro, iniziando a sentire il senso di colpa serpeggiarmi dentro. «Sono morta un migliaio di volte oggi» mormora con un filo di voce, piangendo e singhiozzando senza più contenersi. La mia espressione si incupisce. Il sospetto di essere diventato un caso mediatico nelle ultime ore mi aveva sfiorato. Ma ora ho piena contezza di quello che ho causato alla mia famiglia. Avrei dovuto avvisarli. Avrei potuto in effetti. Ma sono rimasto concentrato sulla mia folle ossessione per José e quello che avrebbe potuto fare ad Ana in mia assenza. Ana. La mia bellissima Ana che ora mi fissa, distrutta dal pianto. D’istinto abbraccio Grace. Le sfugge un sussurro sorpreso, ma subito si lascia andare, singhiozzando sulla mia camicia. «Oh, Christian» dice a malapena, con la voce rotta dal pianto, stringendosi di più a me. Le accarezzo la schiena, la cullo tra le mie braccia, assaporando quel contatto tra madre e figlio che ho tanto agognato in tutti questi anni. Ma il mio sguardo è solo per lei. Solo per Anastasia, per il suo bellissimo volto rigato da grosse e calde lacrime. Il grido di mio padre dal corridoio mi fa voltare di scatto, mentre Grace sussulta, impaurita. «È vivo! Merda... sei qui!» Lo vedo uscire dall’ufficio di Taylor. Mi fissa per qualche istante, guarda il modo in cui stringo la mamma. E poi si precipita ad unirsi al nostro abbraccio, aggrappandosi ad entrambi. Tutto quel calore è così nuovo per me. É tutto così diverso. Per la prima volta sento di non essere solo, di non dover per forza contare solo su me stesso. Sento di far parte della mia famiglia fino in fondo. Il petto di mio padre sussulta per un singhiozzo. «Papà?» chiedo sconvolto, alzando di poco la testa. Sento Mia fare un verso di gioia e di esasperazione allo stesso tempo. Poi con un balzo è accanto a noi, aggiungendosi a questo strambo abbraccio di gruppo. Mio padre è il primo a staccarsi. Si asciuga lentamente gli occhi offuscati dalle lacrime e mi batte una mano sulla spalla, sorridendomi calorosamente. Anche Mia si stacca, asciugandosi gli occhi rossi. Infine, anche mia madre fa un passo indietro. Guarda le sue braccia, poi le mie, e abbassa lo sguardo, rendendosi conto solo ora di quanto siamo vicini. «Scusa» mi sussurra, portandosi una mano alla bocca e singhiozzando di nuovo. «Ehi, mamma, va tutto bene» la rassicuro. «Dove sei stato? Che cos’è successo?» mi chiede, piangendo di nuovo, afferrandosi la testa con le mani senza riuscire a smettere di lacrimare. Guardo quella donna che darebbe la vita per me, ne sono certo. In qualche modo è proprio quello che ha fatto 24 anni fa. Mi ha donato la sua esistenza, ha perso i suoi anni migliori dietro un bambino complicato, un adolescente problematico e un uomo troppo confuso e ricolmo di problemi per lasciarsi andare all’affetto dei propri cari, di quella famiglia in cui è sempre stato, ma alla quale non è mai appartenuto fino in fondo. Almeno fino ad oggi. «Mamma» mormoro, facendo un passo avanti e stringendola di nuovo. Le mie labbra si perdono nei suoi capelli, cercando, con un piccolo e umile bacio, di ripagarla almeno un po’ di quello che ha fatto per me in tutti questi lunghi e tormentati 24 anni. «Sono qui. Sto bene. Mi ci è solo voluto un tempo infinito per tornare da Portland. Cos’è questo comitato di accoglienza?» chiedo con un mezzo sorriso. Quando alzo gli occhi mi riscuoto, scrutando tutti i presenti. Ci sono davvero tutti. Persino Miss Irritazione dai Capelli Rossi. E sembra anche dispiaciuta. Ma è lei che subito cercano i miei occhi. Solo lei. Solo in questo momento mi accorgo che il figlio di puttana le tiene la mano. Lo guardo e lui la lascia andare. Stringo gli occhi fino quasi a socchiuderli e le mie labbra si tendono in una linea dura. Ana, sospira, le lacrime continuano a scorrere come un fiume. É distrutta. Ma sempre bellissima. Devo sforzarmi per tornare a concentrarmi sulla piccola donna tra le mie braccia, ancora scossa dai singulti. «Mamma, io sto bene. Cos’è successo?» le chiedo, prendendole il viso bagnato tra le mani e asciugandole le lacrime. «Christian, sei stato dato per disperso. Il tuo piano di volo... Non l’hai mai comunicato a Seattle. Perché non ci hai contattati?» chiede, con una disperazione che non le ho mai visto. «Non pensavo che mi ci sarebbe voluto così tanto» le dico, guardandola sconfortato, capendo solo ora come deve essersi sentita per tutte queste ore. Come devono essersi sentiti tutti. «Perché non hai chiamato?» chiede, tirando su con il naso e guardandomi con aria d’accusa. «Il mio cellulare aveva la batteria scarica». “Scusa, mamma”. «Non potevi farci avere notizie... in qualche altro modo?» insiste, torcendo il fazzoletto che ha tra le mani, mentre mio padre le poggia una mano sulla spalla. «Mamma... è una lunga storia» sussurro quasi senza voce. «Oh, Christian! Non farmi mai più una cosa del genere! Hai capito?» urla, minacciandomi come solo una madre può fare. «Sì, mamma» le dico con un sorriso timido, asciugandole le lacrime che continuano a scorrere e tornando a stringermela al petto, mentre lei, di fronte a quel gesto, piange ancora più forte. Quando