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Il dito di Dio - Gustare la Parola

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Il dito di Dio - Gustare la Parola
IL DITO DI DIO (Lc 11,20)
NELL’ESEGESI MODERNA E PATRISTICA
L. D. Chrupcała
L’esegesi patristica presenta un valore inestimabile per la comprensione della
Scrittura. E’ un dato di fatto assodato ormai da tempo e senza bisogno di ulteriori conferme. I risultati ai quali giunge la raffinata esegesi moderna – accusata spesso (e qualche volta non senza fondamento) d’aver perso il senso di
un’immediatezza esistenziale –, sovente sono proprio quegli stessi risultati
offerti dalla profonda intuizione dei Padri, benché ottenuti con un metodo diverso e con un’acutezza davvero stupefacente. A questa constatazione si aggiunge poi un altro fattore. Benché armata di vari metodi, tuttavia l’esegesi
attuale si rivela talvolta insufficiente per fornire una risposta ai quesiti che scaturiscono dal testo sacro, forse perché – tra l’altro – le esigenze del mezzo
scientifico d’interpretazione vengono anteposte allo stesso oggetto da comprendere. Più d’una accusa, si tratta piuttosto di un semplice ma nello stesso
tempo impegnativo richiamo ad attingere dalle ricchezze del passato, portatrici di un valido contributo per l’intelligenza della Parola di Dio. Nelle pagine
che seguono, cercheremo di fare nostra una di queste perle preziose.
Un detto di Gesù tramandatoci nella redazione di Luca contiene un’enigmatica espressione: “Se io scaccio i demoni con il dito di Dio (ejn daktuvlw/
qeou'), di conseguenza è giunto a voi il regno di Dio” (Lc 11,20). Il problema
di questo passo sorge in seguito alla sua comparazione con il parallelo presente nel vangelo di Matteo. Qui infatti si legge: “Ma se io scaccio i demoni
per virtù dello Spirito di Dio (ejn pneuvmati qeou'), è certo giunto fra voi il
regno di Dio” (Mt 12,28).
Indubbiamente, siamo di fronte ad una vera crux interpretum. Quale versione è originale – ci si chiede – e che cosa propriamente significa “il dito di
Dio”, la locuzione di cui Luca si serve al posto del matteano “Spirito di Dio”?
Nel presente contributo intendiamo rispondere a queste domande.
Partendo, quindi, da Lc 11,20 si vorrà illustrare il tema biblico del “dito
di Dio”, e ciò sia a livello esegetico, sia dal punto di vista patristico.
I. Lc 11,20 nell’interpretazione attuale
Prima di sentire in proposito l’opinione dei Padri, vediamo anzitutto i passi biblici contenenti “il dito di Dio” e in seguito il tentativo dell’esegesi
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odierna di dare una soluzione alla questione del tenore primitivo di
Lc 11,20//Mt 12,28.
1) Il dito di Dio nell’AT
L’immagine del dito (in ebr. [B'x]a)e riferito a Dio ricorre nell’AT quattro
volte. Sebbene poco impiegata, è senz’altro una maniera d’esprimersi assai
singolare 1.
a) In due casi, dito diventa il mezzo con cui vengono scritte le tavole
della legge. Nel primo testo il narratore sacro riferisce: “Quando il Signore
ebbe finito di parlare con Mosè sul monte Sinai, gli diede le due tavole della
Testimonianza, tavole di pietra, scritte dal dito di Dio” (Es 31,18) 2.
b) Nel secondo testo, lo stesso fatto viene raccontato con le parole di
Mosè: “il Signore mi diede le due tavole di pietra, scritte dal dito di Dio, sulle
quali stavano tutte le parole che il Signore vi aveva detto sul monte, in mezzo al fuoco, il giorno dell’assemblea” (Dt 9,10) 3.
c) Una volta il dito (al plurale) appare nel contesto dell’opera creatrice di Dio: il salmista canta che il cielo, la luna e le stelle sono opera
delle dita di Dio: “Se guardo il tuo cielo, opera delle tue dita, la luna e
le stelle che tu hai fissate…” (Sal 8,4). Le creature invece – verrà detto
più oltre (v. 7) – sono “opera delle mani” di Dio. La differenza del mezzo
creativo usato dall’autore biblico è da ascrivere probabilmente allo stupore e alla meraviglia ch’egli prova di fronte alla bellezza del cielo e
degli astri. Essi infatti, proprio in quanto “opera delle dita di Dio”, sono
1. Cf. H. Schlier, “davktulo"”, TWNT II (1935) 21 (GLNT II, 791-794), il quale presenta
pure qualche raro esempio tratto dalla letteratura giudaica. Non viene qui contato Is 40,12
che costituisce un caso a parte; nelle versioni della LXX e della Vulgata di questo passo
compare la traduzione “tre dita”, una metafora per indicare il potere infinito di Dio sul creato; cf. S. Bartina, “Dito di Dio”, EncB II (1969) 961-962. Fausto di Riez (Ps. Pascasio
Diacono), De Spiritu sancto I,7 (PL 62,16B) riferirà le “tre dita” del passo isaiano alle persone della Trinità; cf. Rabano Mauro, De Universo VI (PL 111,160B). Va osservato poi
che la Vulgata anche altrove traduce la “mano” con “dito”: Gdc 18,19; Gb 21,5; 29,9; Prv
31,19.
2. In Es 32,16, per certi versi un parallelo di Es 31,18, si legge invece: “Le tavole erano
opera di Dio, la scrittura era scrittura di Dio, scolpita sulle tavole”.
3. A livello grammaticale, c’è da chiedersi quale valore ha l’espressione “dal dito di Dio”;
è un complemento d’agente, come traduce la Bibbia della CEI, o di causa efficiente (o mezzo)? Es 31,18LXX: tw'/ daktuvlw/ tou' Qeou' e Dt 9,10LXX: ejn tw'/ daktuvlw/ tou' Qeou' rendono l’ebraico µyhiOla‘ [B'x]a,B]. Si tratta quindi del secondo valore.
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più splendenti, delicati, e possiedono un meraviglioso tessuto e ornamento con cui ricoprono la volta celeste 4.
d) L’ultima ricorrenza del dito di Dio nell’AT è il passo di Es 8,15; qui,
al dito di Dio sono attribuiti i miracoli compiuti da Mosè: “Allora i maghi
dissero al faraone: ‘E’ il dito di Dio!’. Ma il cuore del faraone si ostinò e
non diede ascolto, secondo quanto aveva predetto il Signore”.
2) Es 8,15 e la tradizione giudaica
Vogliamo soffermarci un attimo su quest’ultimo passo, perché stando agli
studiosi sembra che esso sia il più confacente per la comprensione del
logion evangelico di Lc 11,20.
Nel capitolo 8 del libro dell’Esodo si racconta che dopo la piaga delle rane
il Signore ne manda un’altra a causa dell’indurimento del faraone. Questa volta
il prodigio delle zanzare compiuto da Mosè (ma il fratello Aronne ne è l’esecutore materiale) crea un problema ai maghi egiziani, che non sono in grado
di fare altrettanto con le loro magie. Essi allora, riconoscendo nell’azione la
potenza divina, dissero al faraone: “Il dito di Dio è questo” [Es 8,15LXX:
davktulo" Qeou' ejstin tou'to / letteralmente: “ciò è (un) dito di Dio”].
Nella tradizione giudaica il versetto di Es 8,15 è stato oggetto di varie
riletture.
Nel targum Neofiti 1 si legge: “E i maghi dissero al faraone: ‘Questo è
il dito della potenza (che viene) dalla parte del Signore’” 5.
Il midrash Esodo Rabba 10,7 recita: “I maghi, appena si resero conto
di non essere in grado di produrre zanzare, riconobbero che era Dio ad
operare e non le arti magiche. Essi non hanno più preteso di confrontarsi
con Mosè per produrre le piaghe”.
Anche nella comunità di Qumran si procede ad una rilettura della
vicenda narrata nell’Esodo, benché in una prospettiva diversa, ossia in
4. Così E. Panier, Les Psaumes traduits et commentés, in L. Pirot - A. Clamer (éd.), La
Sainte Bible, V, Paris 1950, 85.
5. M. McNamara, Targum Neofiti 1: Exodus. Translated, with Introduction and Apparatus,
and Notes (by R. Hayward) (The Aramaic Bible. The Targums 2), Edinburgh 1994, 35, rimanda nella nota a: Esodo Rabba 10,7; midrash Tanhuma Wa’era 14; talmud babilonese
Sanhedrin 95b. In quest’ultimo testo si cerca di spiegare il mezzo con cui l’angelo del Signore punì l’esercito di Sennacherib (cf. Is 37,36). “R. Eliezer disse: ‘Egli li percosse con la sua
mano, come è scritto: Israele vide la mano potente con la quale il Signore aveva agito contro
l’Egitto…(Es 14,31)’. R. Joshua disse: ‘Egli li percosse con il suo dito, come è scritto: Allora
i maghi dissero al faraone: E’ il dito di Dio! (Es 8,15)’”. Cf. anche Sanhedrin 67b.
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chiave di una lotta dualistica tra il bene (principe delle luci) e il male
(Belial). Nel Documento di Damasco V,18-19 leggiamo: “Poiché anticamente sorsero Mosè e Aronne per mezzo del principe delle luci, ma Belial
suscitò Jahaneh e suo fratello, nella sua astuzia, quando Israele fu salvato
per la prima volta” 6.
Lo stesso fatto viene interpretato nel Libro dei Giubilei 48,8-11 nel
modo seguente: “E tutto ciò il Signore lo fece in favore degli Israeliti, in
virtù dell’alleanza che aveva stretto con Abramo, e per trar vendetta degli
Egiziani che li avevano ridotti in schiavitù. Il principe Mastema era contro
di te e voleva farti cadere in mano a faraone ed aiutò i maghi d’Egitto, che
poterono sì fare il male, ma inutilmente; e Dio li colpì” 7.
Nella tradizione giudaica, lo scontro di Mosè e Aronne con i maghi
egiziani era visto quindi come una lotta tra Dio e il principe Mastema/Belial, una lotta vinta con il dito della potenza di YHWH. I maghi compresero di trovarsi davanti ad un’opera di Dio e non di demoni. Non tutti i testi
di queste interpretazioni erano già scritti nell’epoca di Gesù, ma ciò non
toglie la possibilità di un’origine più antica.
Quello che preme di sottolineare è il modo metaforico con cui viene
indicata la forza e la potenza di Dio. Il “dito”, in quanto è il compimento
della mano e il membro più perfetto di essa, può costituire una variante
della “mano (braccio/destra) di Dio” 8. Sarà probabilmente per questo mo-
6. Tr. L. Moraldi, I manoscritti di Qumran (UTET), Torino 1974, 237. Vedi inoltre Te-
stamenti dei XII Patriarchi: Giuseppe XX,2. I nomi dei due maghi egiziani, Iannes e
Iambres, che si opposero a Mosè, sono stati accolti dalla tradizione cristiana; essi simboleggiano uomini falsi e ingannatori: “Sull’esempio di Iannes e di Iambres che si opposero
a Mosè, anche costoro si oppongono alla verità: uomini dalla mente corrotta e riprovati in
materia di fede” (2Tm 3,8). Per i nomi e la leggenda dei due fratelli, cf. H.L. Strack - P.
Billerbeck, Kommentar zum Neuen Testament aus Talmud und Midrasch, III: Die Briefe des
Neuen Testaments und die Offenbarung Johannis, München 1926, 660-664.
7. Tr. P. Bonsirven, La Bibbia apocrifa, Milano 1974 rist., 93.
8. Così M. Lesêtre, “Doigt”, DB II (1899) 1462; R.G. Hamerton-Kelly, “A Note on
Matthew XII.28 par. Luke XI.20”, NTS 11 (1964-1965) 168; A. Niccacci, “Sullo sfondo
egiziano di Esodo 1-15”, LA 36 (1986) 25-26. – Sarà proprio sulla base dell’identificazione del dito di Dio con lo Spirito santo, che la patristica svilupperà a partire del II
s. in poi una dottrina delle due mani di Dio; vedasi E. Testa, “Le ‘due mani di Dio’, il
Verbo e lo Spirito Santo, cause del progresso della immagine e somiglianza”, in J.
Saraiva Martins (a cura di), Credo in Spiritum Sanctum. Atti del Congresso Teologico
Internazionale di Pneumatologia in occasione del 1600° anniversario del I Concilio di
Costantinopoli e del 1550° anniversario del Concilio di Efeso, Roma 22-26 marzo 1982
(Teologia e Filosofia 6), I, Città del Vaticano 1983, 747-757; I. Grego, “Le ‘due mani
di Dio’ nella storia della salvezza negli scritti di Ireneo di Lione”, Asprenas 36 (1989)
469-483.
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tivo che nella letteratura giudaica si cercherà di attribuire alle diverse dita
di Dio le singole opere potenti compiute da lui nella storia 9. Possiamo dire
pertanto che la mano e il dito significano entrambi simbolicamente la potenza che caratterizza le azioni divine 10.
Non va dimenticato inoltre che il dito, partecipe dell’attività e della forza esercitate dal braccio o dalla mano, si avvale tuttavia di una proprietà
esclusiva: il pregio della sua agilità permette in effetti di utilizzarlo in quelle azioni, singolari e delicate, che richiedono un impegno particolare 11.
Il dito infine – anzitutto l’indice – serve per segnalare o indicare qualche
cosa, anche metaforicamente. Il famoso affresco di Michelangelo della Cappella Sistina, che ha per tema la creazione dell’uomo, dà l’impressione 12 di
tradurre in una geniale e armoniosa forma plastica l’idea di cui stiamo parlando: la mano di Dio è in procinto di toccare col dito della sua potenza il
primo uomo, trasmettendogli in tal modo la forza divina necessaria alla vita 13.
L’esegesi moderna del passo di Es 8,15 si inserisce, pur con qualche sfumatura in più, nella linea della tradizione giudaica.
Contro l’evidenza del testo masoretico (e la traduzione della Vulgata), B.
Couroyer ha osservato 14 che nell’AT il “dito di Dio” al singolare non viene
mai impiegato per indicare la potenza. Quindi, attraverso un confronto di Es
8,15 con i testi egiziani, egli ipotizza che proprio da questi ultimi provenga
la sentenza dei maghi: “Dito di Elohim (è) questo” (Es 8,15TM: awhi µyhiOla‘
9. Per gli esempi vedi Strack - Billerbeck, Kommentar, III, 507-508; I. Löw, Die Finger in
der Litteratur und Folklore der Juden. Gedenkbuch für D. Kaufmann, 1900.
10. Cf. F. Zorell, Lexicon Hebraicum et Aramaicum Veteris Testamenti, Roma 1960,
216.293.314. Vedi al riguardo lo studio di E. Dhorme, “L’emploi métaphorique des noms de
parties du corps en hébreu et en akkadien”, RB 32 (1923) 185-212; J.K. Hoffmeier, “The Arm
of God Versus the Arm of Pharaoh in the Exodus Narratives”, Bib 67 (1986) 378-387: le descrizioni delle vittorie di YHWH-guerriero sul faraone si ispirano alle espressioni egiziane
che simboleggiano il potere del sovrano. Per il NT vedi invece K. Grayston, “The
Significance of the Word Hand in the New Testament”, in A. Descamps - A. De Halleux (sous
la dir.), Mélanges Bibliques en hommage au R.P. Béda Rigaux, Gembloux 1970, 479-487.
11. Cf. A. Pedrini, I simboli dello Spirito Santo. Il valore dei simboli in una riflessione
biblico-ascetica, Milano 1981, 51.
12. Lo notava già E. Käsemann, “Lukas 11,14-28: Meditation”, in Exegetische Versuche
und Besinnungen, I, Göttingen 19654, 244.
13. Sul significato del dito nel mondo greco-romano, giudaico e cristiano cf. K. Groß, “Finger”, in Th. Klauser (hrsg.), Reallexikon für Antike und Christentum, VII, Stuttgart 1969,
909-946. Sul simbolo della mano di Dio nelle raffigurazioni artistiche del cristianesimo vedi
la monografia di M. Kirigin, La mano divina nell’iconografia cristiana (Studi di Antichità
Cristiana 31), Città del Vaticano 1976.
14. “‘Le doigt de Dieu’ (Exode, VIII,15)”, RB 63 (1956) 481-495.
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[B'xa≤). Mentre il vocabolo µyhiOla‘ andrebbe riportato senza artifici ad una divinità in senso generico, a un dio qualsiasi 15, e non a YHWH quindi; il “dito”
invece si riferirebbe al bastone (awhi / “questo”) usato da Aronne. La tradizione giudaica, avendo perso di vista il richiamo originale al bastone, interpretò la formula in modo astratto. Dito, identificato con bastone, venne a
significare non una potenza magica qualunque, ma un’onnipotenza divina,
in quanto per operare il miracolo questa era indispensabile.
Diversa è la posizione di A. Niccacci 16 che nega la comparazione del
dito con il bastone di Aronne. Per lui, l’espressione biblica “il dito di Dio è
questo” significa semplicemente un’opera divina e non umana.
Lo stesso va detto per J.I Durham: benché veda interessante la teoria di
Couroyer, ritiene tuttavia che “the idea that the phrase ‘finger of god (God)’
refers literally to the staff of Aron […] is only arbitrarily supported. But
Couroyer may be correct in his suggestion that the Egyptian wizards are
declaring to Pharaoh the presence in this miracle of divine power without
confessing a belief in Yahweh, the God Moses and Aaron represent” 17.
3) Il dito di Dio nel NT
Il NT usa il termine davktulo": (a) nel senso proprio (Mc 7,33: Gesù mette le
sue dita negli orecchi del sordomuto; Gv 8,6: di fronte agli accusatori dell’adultera Gesù scrive per terra con il dito; Gv 20,25.27: il dito di Tommaso),
(b) come locuzione proverbiale (Mt 23,4//Lc 11,46: i farisei non toccano i pesi
“nemmeno con un dito”; Lc 16,24: il ricco epulone desidera che Lazzaro vada
ad intingere nell’acqua “la punta del dito”, è un’espressione per dire una piccola quantità) e (c) solo una volta – esattamente nel caso di Lc 11,20 – esso
assume il valore di un antropomorfismo riferito a Dio.
Trattandosi di un hapax del NT si può pensare che Gesù nella spiegazione
del suo esorcismo si sia rifatto ad un testo esplicito dell’AT, alludendo forse
all’interpretazione che esso aveva nell’ambiente vitale del suo tempo.
Secondo R.W. Wall 18, il logion lucano trova uno sfondo nell’orizzonte
deuteronomista. Un parallelo potrebbe costituire la sezione di Dt 9,1-10,11.
15. La nota della Bible de Jérusalem a Es 8,15 propende per questa versione.
16. “Sullo sfondo egiziano”, 24-25.
17. J.I Durham, Exodus (World Biblical Commentary 3), Waco (Texas) 1987, 109; egli tra-
duce Es 8,15(19): “This is an act of a god” (p. 106). Più esplicito ancora Zorell, Lexicon
Hebraicum, 76: “‘Dei digitus est’ = hoc fecit Deus”.
18. “‘The Finger of God’. Deuteronomy 9.10 and Luke 11.20”, NTS 33 (1987) 144-150.
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Gesù, come Mosè, si rivolge ad un uditorio ostile intendendo evocare alla memoria dei presenti “the recognition of a God who once revealed his salvation by
writing on stone but who now reveals his salvation by his finger’s new work,
the exorcism of demons” 19. L’espressione davktulo" Qeou' si presenterebbe in
questo contesto non come una designazione del potere di Dio oppure una descrizione della facilità con cui il messia riesce a sconfiggere il male, ma come un
evento rivelatore comparabile all’azione di Dio che scrive le sue promesse dell’alleanza, compiute ora in coloro che vengono liberati dal potere demoniaco.
Per quanto valida possa essere questa interpretazione, gli unici elementi a suo sostegno (e cioè l’identificazione di Gesù come “il profeta simile a
Mosè” e la frase-chiave ejn daktuvlw/ qeou') sono insufficienti per poterla
collegare con lo sfondo deuteronomista e fondare proprio su questo la comprensione sia del “dito di Dio” che del contesto dell’espressione lucana.
Tra le ricorrenze del termine “dito” riferito a Dio che troviamo nell’AT
solo il passo di Es 8,15 sembra adattarsi maggiormente al detto lucano dal
punto di vista letterario e contestuale. La vicenda raccontata in Es 8,15 trova infatti qualche punto d’incontro con quella di Lc 11,14-20 20. Gli avversari di Gesù, pur constatando l’efficacia del gesto miracoloso di Gesù,
erano ostili a vedere in esso il segno dell’opera di Dio. Il loro indurimento
era simile a quello del faraone. Al contrario gli esorcisti che scacciano i
demoni 21 sapranno riconoscere il vero significato dell’azione di Gesù (v.
19). Questa era possibile soltanto perché egli agiva munito di una forza
soprannaturale (v. 20).
E’ noto che l’AT fa continuo riferimento al concetto di forza o potenza
allo scopo di presentare l’opera liberatrice messa in atto da YHWH. L’esodo
19. Wall, “‘The Finger of God’”, 147.
20. Per le questioni letterarie inerenti a questa pericope rimando a R. Beauvery, “Jésus et
Béelzéboul (Lc 11,11-28)”, Assemblées du Seigneur 30 (1964) 26-36; A. George, “Parole de
Jésus sur ses miracles (Mt 11,5.21; 12,27.28 e par.)”, in J. Dupont (éd.), Jésus aux origines de
la christologie (BEThL 40), Gembloux 1975, 283-301; J. Schlosser, Le Règne de Dieu dans les
dits de Jésus (ÉB), I, Paris 1980, 127-134; R. Laufen, Die Doppelüberlieferungen der
Logienquelle und des Markusevangeliums (BBB 54), Bonn 1980, 127-134; R. Meynet, “Qui donc
est ‘le plus fort’? Analyse rhétorique de Mc 3,22-30; Mt 12,22-37; Luc 11,14-26”, RB 90 (1983)
334-350; G. Chico, “Jesús y Beelzebul. La Presencia del Reino en un Cuadro Polémico (Mt 12,2232; Mc 3,22-30; Lc 11,14-23; 12,10)”, Communio (Sevilla) 22 (1989) 41-52; H. Schürmann,
“QLk 11,14-36 kompositionsgeschichtlich befragt”, in F. Van Segbroeck - C.M. Tuckett - G.
Van Belle - J. Verhetden (edited by), The Four Gospels 1992. Festschrift Frans Neirynck (BEThL
100), I, Leuven 1992, 563-586; M.E. Boring, “The Synoptic Problem, ‘Minor’ Agreements, and
the Beelzebul Pericope”, in Van Segbroeck, The Four Gospels, I, 587-619.
21. L’allusione di Gesù all’esistenza di questo genere di persone è ben confermata; cf. Lc
9,49; At 19,13-19; Flavio Giuseppe, Antiquitates Judaicae VII,2.
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dall’Egitto e il passaggio miracoloso del Mar Rosso si pongono fra gli eventi più rammentati fino a diventare il prototipo di ogni liberazione da qualsiasi situazione di miseria e di angoscia 22. L’antichissimo canto di Mosè
testimonia al riguardo: “La tua destra, Signore, terribile per la potenza, la tua
destra, Signore, annienta il nemico […] stendesti la destra, li inghiottì la terra”; i nemici del popolo “per la potenza del tuo braccio restano immobili
come pietre” (Es 15,6.12.16; cf. inoltre 13,14; 32,11; Dt 7,19; 9,26.29; Is
51,9-10). La potenza di YHWH si rivela anche nella creazione: “Ah, Signore Dio, tu hai fatto il cielo e la terra con grande potenza e con braccio forte;
nulla ti è impossibile” (Ger 32,17). E’ opera di Dio la conquista della terra
promessa: “Poiché non con la spada conquistarono la terra, né fu il loro braccio a salvarli; ma il tuo braccio e la tua destra…” [Sal 43(44),4].
La constatazione di questi eventi straordinari fa nascere negli ebrei la
convinzione che nessuno fuori di Dio è capace di fare opere e prodigi come
lui (cf. Dt 3,24), e quindi nessuno eccetto YHWH è in grado di portare la
salvezza. Proclamare allora che Dio esercita nel mondo la sua potenza, vuol
dire annunciare che da lui soltanto proviene la salvezza.
Di fronte ai testi citati e soprattutto al libro dell’Esodo con il quale Lc
11,20 si vede imparentato, potrebbe sorgere l’idea che il versetto allo studio implichi un’allusione esplicita ad un nuovo Mosè nonché ad un nuovo
Esodo. Così ad es. leggiamo nella nota z) della TOB: “Jésus est le nouveau
Moïse qui chasse les démons par son propre pouvoir”.
Un senso piuttosto metaforico che non una reale conformità riconosce
invece S. Sabugal 23. Secondo lui, Gesù agisce con lo stesso potere usato da
Mosè per la realizzazione delle gesta salvifiche dell’Esodo: gli esorcismi
di Gesù inaugurano perciò il “nuovo esodo” messianico, liberando il nuovo Israele dalla tirannia imposta dal “faraone” diabolico.
Pure A. Roosen, che rifiuta una semplice comparazione (in particolare
fra i maghi egiziani e gli esorcisti ebrei), vede nondimeno una certa analogia, quanto alla qualità di oggetto dell’attività svolta dal rappresentante di
Dio (Mosè / Gesù). I maghi egiziani, constatando il carattere eccezionale
dell’opera di Mosè, concludono: “Questo è il dito di Dio”. Sullo sfondo di
questa situazione, l’attività di Gesù, per meritare la qualifica del “dito di
Dio”, deve distinguersi da quella dei suoi concorrenti. “Comme il s’agit
cependant d’exorcismes dans les deux cas, on devra conclure qu’une dif-
22. Vedi su questo P. Biard, La puissance de Dieu, Paris 1960.
23. “Reino y reinado de Dios en el mensaje de Jesús”, Estudio Agustiniano 20 (1985) 273-
293 (qui 289).
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férentiation pourra se faire seulement dans la quantité, c’est-à-dire dans
l’universalité de l’action de Jésus” 24.
L’allusione ad un nuovo Mosè o ad un nuovo Esodo, tra l’altro molto
significativa dal punto di vista teologico e non sconosciuta presso gli autori neotestamentari, si rivela in questo caso ingiustificata per la mancanza
di motivi letterari sufficienti. Tuttavia, non può esserci alcun dubbio che il
detto di Gesù si richiami all’esorcismo come ad un’esperienza dell’attività
escatologica di Dio 25.
4) Il dito di Dio o lo Spirito di Dio?
Il detto di Lc 11,20 ha un parallelo in Mt 12,28. Quello che distingue i due
passi è la diversa formulazione di una sola locuzione: secondo la versione
lucana, Gesù scaccia i demoni ejn daktuvlw/ qeou'; in base invece al testo di
Matteo, ciò avviene ejn pneuvmati qeou'.
Quale formula bisogna ritenere originaria? Inoltre, al di là dell’espressione letteraria, è lecito pensare che i due passi evangelici si riferiscono
proprio a due realtà opposte?
Numerosi sono gli autori che hanno cercato fin’ora di risolvere la questione del logion primitivo 26.
La maggioranza propende per la versione lucana, fondandosi sull’antropomorfismo del “dito di Dio” e sull’interesse che il terzo evangelista ha
per lo Spirito santo. Una minoranza degli studiosi considera invece originale l’espressione di Matteo, sostenendo che Luca abbia introdotto l’immagine del dito di Dio in conformità con Es 8,15 27. Vediamo brevemente
gli argomenti di queste due posizioni 28.
24. A. Roosen, Le Royaume de Dieu dans l’œuvre de Luc (Pars diss. ad Lauream in Facul-
tate S. Theologiae apud Pontificiam Universitatem S. Thomae de Urbe), Louvain 1969, 37.
25. Così N. Perrin, Rediscovering the Teaching of Jesus, London-Evanston 1967, 67.
26. Cf. tra gli altri Hamerton-Kelly, “A Note on Matthew”, 167-169; A. George, “‘Par le doigt
de Dieu’ (Lc 11,20)”, in Études sur l’œuvre de Luc (SB), Paris 1978, 127-132; Schlosser, Le
Règne de Dieu, I, 133-134; J.-M. Van Cangh, “‘Par l’esprit de Dieu - par le doigt de Dieu’ MT
12,28 par. LC 11,20”, in J. Delobel (edited by), LOGIA. Les paroles de Jésus – The Sayings
of Jesus. Mémorial Joseph Coppens (BEThL 59), Leuven 1982, 337-342.
27. La ricostituzione del testo originale ha interessato molti studiosi. Per una lista abbondante
di sostenitori delle due posizioni rimando a George, “‘Par le doigt de Dieu’”, 127 note 2 e 4.
28. Qualcuno ha tentato una terza via, proponendo come originale l’espressione ejn ojnovmati qeou',
ma ciò è infondato (vedi in R. Bultmann, Die Geschichte der synoptischen Tradition, Göttingen
19573, 175 nota 2). Più verosimile, ma ugualmente difficile da comprovare, l’ipotesi “mediana”
92
L. D. CHRUPCAŁA
Luca si serve di antropomorfismi come cei;r kurivou (Lc 1,66; At 7,50 con
la citazione di Is 66,2; 11,21; 13,11; cf. anche 4,28.30) e bracivwn di Dio (Lc
1,51 con la citazione di Sal 88,11; At 13,17 dove appaiono molte reminiscenze dell’AT: Es 6,1.6; Dt 4,34; 5,15; 9,26.29). Queste immagini, oltre che testimoniare la cura con la quale Luca preserva le fonti antiche (ciò riguarda in
primo luogo il vangelo) 29, evidenziano la predilezione dell’evangelista per il
linguaggio anticotestamentario; esse sono quindi una caratteristica del suo
stile. Così si potrebbe spiegare l’apparizione del dito di Dio in 11,20 come un
cambiamento redazionale, sebbene la metafora sia unica in tutto il NT.
E’ noto l’interesse particolare del terzo evangelista per lo Spirito santo 30. Il numero delle presenze di pneu'ma solo nel vangelo supera le menzioni matteane (Lc: 36; Mt: 19). Se poi aggiungiamo il libro degli Atti (70
volte), ci rendiamo subito conto dell’importanza che questo tema assume
nell’opera lucana. Sembra perciò inverosimile che Luca abbia potuto tralasciare pneu'ma se l’avesse veramente trovato nella sua fonte.
Contro questa evidenza si hanno però due passaggi nei quali la menzione
dello Spirito che figurava nelle fonti è stata da Luca evitata. In Lc 20,42 Gesù
introduce una citazione del Sal 110 con le parole: “Davide stesso nel libro
dei Salmi (ejn bivblw/ yalmw'n) dice”. In questo luogo il testo parallelo di Mc
12,36 riporta ejn tw'/ pneuvmati tw'/ aJgivw/ e Mt 22,43 usa l’espressione più breve ejn pneuvmati. La seconda omissione l’abbiamo in Lc 21,15. Alla promessa di Gesù di dare ai discepoli “lingua e sapienza” i testi paralleli di Mt 10,20
e Mc 13,11 hanno la promessa dello Spirito che parlerà in essi. Luca però
conosce lo stesso logion con la menzione dello Spirito (cf. 12,12) 31.
di G. Strecker, Der Weg der Gerechtigkeit. Untersuchung zur Theologie des Matthäus
(FRLANT 82), Göttingen 1962, 168: la differenza sarebbe dovuta non all’attività redazionale degli
evangelisti, ma all’impiego di due versioni indipendenti della Q (su questo vedi più avanti).
29. E’ in linea con questo che C.K. Barrett, The Holy Spirit and the Gospel Tradition, London
1947 (rist. 1954), 63, considerava la versione lucana del detto di Gesù “one of the few
references to the Spirit (which) disappear from the earliest stratum of the Gospel tradition”.
30. La bibliografia al riguardo è fiorente. Qui basti solo accennare a qualche studio: G.R.
Beasley-Murray, “Jesus and the Spirit”, in Descamps - De Halleux, Mélanges bibliques,
463-487; G. Haya-Prats, L’Esprit force de l’Eglise. Sa nature et son activité d’après les
Actes des Apôtres (LD 81), Paris 1974; A. George, “L’Esprit Saint dans l’œuvre de Luc”,
RB 85 (1978) 500-542; M.M.B. Turner, “Jesus and the Spirit in Lucan Perspective”, TynB
32 (1981) 3-42; M.-A. Chevallier, “Luc et l’Esprit Saint”, RSR 56 (1982) 1-16.
31. A parte le suddette omissioni, occorre far cenno pure a Lc 11,13, il passo situato nell’immediata vicinanza della scena di Beelzebul. Il confronto sinottico aiuta a scoprire che Luca,
al posto delle ajgaqav (Mt 7,11) che il Padre darà ai richiedenti, mise la menzione dello pneu'ma
a{gion (Lc 11,13). E’ un chiaro esempio d’esplicitazione pneumatologica da parte del terzo
evangelista, che potrebbe rassomigliare a quella matteana nei confronti di Lc 11,20.
IL DITO DI DIO NELL’ESEGESI MODERNA E PATRISTICA
93
Questi due passaggi ci fanno vedere perciò che forse la predilezione lucana per la parola pneu'ma è stata “enfatizzata fin troppo” 32. Di conseguenza, fondare su questo fatto l’originalità di Lc 11,20 non sembra del
tutto pertinente.
Se gli argomenti dei sostenitori della versione lucana non hanno un
peso preponderante nella discussione, anche la risposta della parte opposta
regge poco. E’ vero che l’accostamento della figura di Mosè a quella di
Gesù è presente nell’opera lucana (Lc 9,28-36; 12,14; 24,19; At 3,12-26;
7,14-44), ma questo fatto può appartenere già alla tradizione e non
necessariamente alla redazione 33, e ciò andrebbe proprio a favore dell’originalità di Lc 11,20 (sempre però se è vero che nel caso di Lc 11,20 ci sia
proprio questo accostamento). Gesù stesso ha potuto benissimo evocare
l’esempio di Es 8,15 nel contesto di indurimento dei farisei nei riguardi del
suo agire.
Raccogliendo i dati pro e contro non possiamo dire con certezza che
l’espressione ejn daktuvlw/ qeou' sia originaria, come del resto la mancanza
di motivi sufficienti non autorizza ad ammettere il contrario 34.
Se tuttavia la questione del testo primitivo crea problemi, non incide
affatto sul significato dell’espressione lucana considerarla originale oppure essere inclini a vedere in essa una modifica dell’espressione origi-
32. Così si esprime Hamerton-Kelly, “A Note on Matthew”, 167: “There is, however, the
possibility that Luke’s ‘fondness for the world pneu'ma’ has been overemphasized”. Vedi
inoltre le osservazioni critiche J.E. Yates, The Spirit and the Kingdom, London 1963, 9094; “Luke’s Pneumatology and Lk. 11,20”, in F.L. Cross (edited by), Studia Evangelica.
III: Papers presented to the Second International Congress on New Testament Studies
(Oxford 1961), Part 1: The New Testament Scriptures (TU 87), Berlin 1964, 295-299. Secondo lo Yates, la buona conoscenza del linguaggio biblico permise a Luca di ricorrere ad
un’immagine parallela. Il motivo di questo cambiamento linguistico andrebbe ricercato in
una visione particolare della pneumatologia lucana.
33. F. Gils, Jésus prophète d’après les évangiles synoptiques (Orientalia et Biblica Lovaniensia 2), Louvain 1957, 40, ritiene come primitiva l’espressione matteana, la quale sarebbe stata abbandonata da Luca per creare un parallelismo tra Gesù e Mosè. Il tema del
nuovo Mosè non è però – come afferma Gils stesso alla p. 29 – un’invenzione di Luca, ma
un riflesso di tutta la tradizione evangelica comune. Per una visione d’insieme del tema di
Gesù come nuovo Mosè negli scritti lucani e la relativa bibliografia cf. F. Bovon, L’œuvre
de Luc. Études d’exégèse et de théologie (LD 130), Paris 1987, 73-96. Segnalo inoltre R.F.
O’Toole, “The Parallels Between Jesus and Moses”, BibTheolBull 20 (1990) 22-29.
34. J. Coppens conclude il dilemma col dire: “l’exception de Lc XI,20 à une règle générale
est peut-être favorable à l’authenticité de la variante” [“Le message de Jésus prophète
messianique et serviteur de Dieu”, in Coppens, Le Messianisme et sa relève prophétique.
Les anticipations vétérotestamentaires. Leur accomplissement en Jésus (BEThL 38),
Gembloux 1974, 235].
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L. D. CHRUPCAŁA
naria. Infatti, pur essendo diverse dal punto di vista letterario, le due
espressioni hanno tuttavia una perfetta corrispondenza concettuale 35. Di
conseguenza, come scrive E. Rasco 36, “nada cambia en el sentido del
dicho: en todo caso Lucas no separa rígidamente Jesús y el Espíritu”.
L’eventuale cambiamento effettuato da Luca sarebbe dovuto a motivi di
ordine teologico 37.
E’ invece relativamente facile dimostrare la riformulazione della fonte
ad opera di Matteo. La menzione dello Spirito in Mt 12,28 s’accorda bene
con il contesto. Un passo proprio a Matteo (la citazione di Is 42,1-4 con
l’accenno allo Spirito) precede la controversia su Beelzebul, che termina
con il logion sulla bestemmia contro lo Spirito santo (Mt 12,32). Con l’introduzione di pneu'ma laddove la fonte Q aveva davktulo" Matteo avrebbe
potuto racchiudere in un punto il rapporto che univa la controversia sugli
esorcismi con ciò che precede e segue 38.
35. Lo notava già Barrett, The Holy Spirit, 63: “of course, it is true that there is no real
difference of meaning between finger of God and Spirit of God: both are metaphors used to
denote the mighty power of God”. E’ altrettanto irenica l’opinione di W.C. Van Unnik,
“Jesus the Christ”, NTS 8 (1962) 115: “Whatever version of this logion is original, it
indicates in any case that the almighty power of God works through Jesus”. Simile T.
Lorenzmeier, “Zum Logion Mt 12,28; Lk 11,20”, in H.D. Betz - L. Schottroff (hrsg.), Neues
Testament und christliche Existenz. Festschrift für Herbert Braun, Tübingen 1973, 291:
“Welche von beiden (Formulierungen) auch die ursprüngliche sein mag, inhaltlich besagen
beide dasselbe: durch das Wirken Jesu tut sich die Macht Gottes kund”; cf. anche
Käsemann, “Lukas”, 244.
36. La teología de Lucas: origen, desarrollo, orientaciones (AG 201), Roma 1976, 103 nota
264.
37. Così W. Kirchschläger: se tutta l’attività di Gesù è sostenuta dallo Spirito, anche la
presenza del regno si deve all’azione di Gesù realizzata con lo Spirito; vero questo, ma
non lo è di meno il fatto che negli scritti lucani una concreta opera salvifica di Gesù non
è ricondotta direttamente allo Spirito. “Dies ist kein Widerspruch, sondern vielmehr die
Betonung einer besonderen Nuance” [Jesu exorzistisches Wirken aus der Sicht des Lukas.
Ein Beitrag zur lukanischen Redaktion (ÖBS 3), Klosterneuburg 1981, 234]. Con maggior
enfasi, propende per un motivo teologico R.P. Menzies, “Spirit and Power in Luke-Acts:
A Response to Max Turner”, JSNT 49 (1993) 17: “By replacing pneuvmati qeou' with
daktuvlw/ qeou' Luke eliminated a reference which attributed Jesus’ exorcisms to the agency
of the Spirit”.
38. M.A. Chevallier, Souffle de Dieu. Le Saint-Esprit dans le Nouveau Testament. I: Ancien
Testament, Hellénisme et Judaïsme. La tradition synoptique. L’œuvre de Luc (Le point
théologique 26), Paris 1978, 156: “Jésus, le Serviteur doté du souffle selon Is 42 (1er
élément), chasse les démons par la puissance du souffle (2e élément), si bien qu’en
l’accusant de les chasser par Béelzéboul, les pharisiens blasphèment contre le souffle (3e
élément)”. Cf. anche M. Trautmann, Zeichenhafte Handlungen Jesu. Ein Beitrag zur Frage
nach dem geschichtlichen Jesus (FzB 37), Würzburg 1980, 262; L. Sabourin, L’Évangile
IL DITO DI DIO NELL’ESEGESI MODERNA E PATRISTICA
95
Infine, non si deve neppure scartare a priori l’ipotesi di C.S. Rodd 39.
Tenuto conto di una breve forma proverbiale del logion evangelico, si potrebbe supporre che ne esistessero due versioni parallele, divergenti in
qualche piccola espressione ma identiche nella sostanza. Mentre Matteo
attinse il suo detto dalla Q (dove poteva comunque essersi già verificato
il cambiamento in “Spirito di Dio”, volto ad eliminare così un antropomorfismo e mettere in evidenza che il potere di Gesù sui demoni proveniva dal suo possesso dello Spirito), Luca viceversa trovò il detto con la
menzione del “dito di Dio” in una fonte particolare e, consapevole della
sua singolarità, lo accolse credendo si avvicinasse più da vicino al modo
di parlare di Gesù.
Se queste supposizioni sono in grado, tutt’al più, di affermare l’assenza
in Q dell’espressione “dito di Dio”, esse tuttavia non chiariscono, beninteso, la questione del logion originale di Gesù.
II. Il dito di Dio nei Padri
Seppure assente a livello puramente letterale, il ruolo dello Spirito sembra
essere comunque fondamentale nell’azione esorcistica di Gesù, di cui in Lc
11,20. Questa idea, che corrisponde alla visione lucana dello Spirito, non
rappresenta tuttavia un’acquisizione dell’esegesi moderna, ma è stata percepita e largamente accolta già dai Padri della chiesa 40.
de Luc. Introduction et commentaire, Roma 1987, 235. Per E. Schweizer, “pneu'ma ktl.”,
TWNT VI (1959) 395 (GLNT X, 950-951): “pneuvmati is wahrscheinlich Korrektur der
Gemeinde, die die Wirkungen des Geistes in ihrer Mitte erfahren hat, für das ursprüngliche
daktuvlw/”; secondo G. Schneider, “davktulo"”, EWNT I (1980) 659, l’espressione matteana
“ist sekundär und stammt wohl von Matthäus”. A P. Grelot, Chi sei tu, o Cristo?, Firenze
19843, 154 nota 82, sembra poi che la locuzione di Matteo derivi da un adeguamento al
linguaggio più abituale, in quanto piuttosto che l’immagine vi si afferra l’idea. Lo riteneva
prima P. Gaechter, Das Matthäus Evangelium, Innsbruck-Wien-München 1963, 402:
“‘Geist Gottes’ ist demnach eine legitime, alt-urchristliche, theologische Umschreibung des
ursprünglicheren, weil anthropomorphen Ausdrucks ‘Finger Gottes’ in Lk 11,20”. E’ in
questo senso che F. Lambiasi, Lo Spirito Santo: mistero e presenza. Per una sintesi di
pneumatologia (Corso di teologia sistematica 5), Bologna 1987, 52 nota 43, parla di una
esplicitazione pneumatologica di Lc 11,20 in Mt 12,28.
39. “Spirit or Finger”, ExpT 72 (1960-1961) 157-158; il Rodd difende la variante matteana.
40. Come rileva a buon diritto Rasco, La teología, 104: “Esta profundidad de la expresión
lucana la percibieron ya en la antigüedad algunos Padres”; egli cita Clemente di Alessandria, Atanasio, Agostino e inoltre Tommaso d’Aquino.
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L. D. CHRUPCAŁA
Negli scritti patristici la voce “dito” ricorre spesso e viene impiegata
dai Padri in diverse occasioni 41. Tuttavia, il nostro interesse è circoscritto
unicamente a quelle testimonianze in cui il dito, quale attributo di Dio, si
connette con la figura dello Spirito santo. Facendo una lettura dei testi, divisi secondo le varie tematiche, si cercherà di dare un fondamento all’idea
che vede nell’espressione di Lc 11,20 l’azione dello Spirito.
1) La prima testimonianza
E’ difficile stabilire se spirito dell’Epistola di Ps. Barnaba si riferisca proprio allo Spirito santo. Il testo in questione dice:
Mosè stava digiunando sul monte Sinai quaranta giorni e quaranta notti, per
ricevere l’alleanza del Signore con il popolo. E Mosè ricevette dal Signore le
due tavole scritte in spirito dal dito della mano del Signore (gegrammevna" tw'/
daktuvlw/ th'" ceiro;" kurivou ejn pneuvmati) 42.
Molto simile suona un passo di Ireneo di Lione:
E nel deserto Mosè riceve da Dio le leggi; le dieci sentenze su tavole di pietra,
scritte col dito di Dio; e il dito di Dio è quello che è steso dal Padre allo Spirito santo 43.
Secondo L.M. Froidevaux 44, Ireneo citerebbe qui proprio il testo di
Barnaba 14,2. A giudizio di P. Prigent invece, si tratta al massimo di una
lontana reminiscenza, ma pure ciò mancherebbe di fondamento perché nel
versetto della Lettera di Barnaba non si ha l’accostamento dito di Dio e
Spirito santo, e inoltre l’espressione in spirito è un’immagine che serve ad
attenuare la forza dell’antropomorfismo 45.
41. Vedi la presentazione di Groß, “Finger”, 937-945.
42. Ps. Barnaba, Epistola catholica 14,2: PG 2,768A; testo in P. Prigent, L’Épître de
Barnabé. Introduction, traduction et notes (SCh 172), Paris 1971, 178; tr. F.S. Barcellona,
Epistola di Barnaba, Torino 1975, 113.
43. Demonstratio apostolicae Praedicationis 26; tr. E. Bellini, Contro le eresie e gli altri
scritti, Milano 1981, 499; esiste solo nella versione armena: PO 12,679-680.
44. Démonstration de la Prédication Apostolique. Nouvelle traduction de l’arménien avec
introduction et notes (SCh 62), Paris 1959, 73-74; egli propone la seguente traduzione del
passo di Ireneo: plavka" liqivna" gegrammevna" tw'/ daktuvlw/ tou' Qeou', kai; oJ davktulo" Qeou'
ejstin o{per ei|lken ajpo; tou' Patro;" ejn tw'/ ÔAgivw/ Pneuvmati.
45. Cf. P. Prigent, L’Épître de Barnabé I-XVI et ses sources (ÉB), Paris 1961, 62.
IL DITO DI DIO NELL’ESEGESI MODERNA E PATRISTICA
97
2) Il dito come potenza di Dio
Alcune delle prime interpretazioni patristiche del “dito di Dio” vedono in
esso l’azione di una forza soprannaturale. Così, Tertulliano definisce il dito
di cui in Es 8,15 come la potenza del creatore:
Presso il faraone, infatti, quegli avvelenatori, adoperati contro Mosè, chiamarono “dito di Dio” la potenza del creatore (“questo è il dito di Dio”),
che significava qualcosa sia pur piccola, ma pur sempre potentissima. Poiché anche Cristo intende questo, Egli ricorda, non cancella le cose antiche (evidentemente, esse gli appartengono), e quindi definì la potenza di
Dio “dito di Dio”, tale che doveva essere creduta appartenente a nessun
altro Dio se non a Colui presso il quale essa era stata così chiamata.
Quindi, si era avvicinato il regno di Colui la cui potenza era chiamata
“dito di Dio” 46.
Anche Clemente Alessandrino identifica il dito con la potenza divina.
All’inizio dell’interpretazione allegorico-mistica del decalogo – che rappresenta tra l’altro un esempio di lettura della Scrittura in senso “gnostico” cristiano –, egli fa un riferimento al testo di Es 31,18 con il seguente
commento:
Se le tavole scritte sono “opera di Dio”, si troverà che rivelano [conformità
con la] creazione della natura. Con “dito di Dio” s’intende infatti la potenza di
Dio, per cui è compiuta la creazione del cielo e della terra, e di questi le [due]
tavole s’intenderanno simboli 47.
Il più tardivo Cosma Indicopleuste non parla espressamente della potenza di Dio, ma il concetto rimane comunque trasparente. Presentando
l’opera di Mosè, il monaco sinaitico ritiene inconcepibile come uno possa nutrire ancora dei dubbi; ciò infatti sarebbe irragionevole per il semplice fatto di un gran numero di testimoni a favore di Mosè. Cosma
quindi conclude:
46. Adversus Marcionem IV,26: PL 2,457AB; CSEL 47,3,512; tr. C. Moreschini (a cura di),
Opere scelte di Quinto Settimio Florente Tertulliano (UTET), Torino 1974, 559.
47. Stromatum VI,16: PG 9,357C; tr. G. Pini, Stromati. Note di vera filosofia, Milano 1985,
751. Procopio di Gaza, Commentarius in Exodum 8,22, descrive il significato del dito di
Dio in questo modo: ajnti; tou' th'/ qeou' ejnergeiva/ tau'ta givnetai, kai; oujk ajnqrwvpwn (PG
87,553A). Vedi anche Giovanni Crisostomo, In Matthaeum Homilia XLI,28, il quale, dopo
aver citato i due passi paralleli di Matteo e Luca, commenta: megivsth" dunavmew" e[rgon
ejsti; to; daivmona" ejkbavllein, ouj th'" tucouvsh" cavrito" (PG 57,447).
98
L. D. CHRUPCAŁA
Davvero, esprimendo anch’io la mia ardente convinzione, (direi) che, a meno
che non si voglia diventare nemico di Dio, non è possibile contraddire a Mosè;
infatti, si dovrà convenire, contriti, su queste parole: “Il dito di Dio è su di
lui” (Es 8,15), e confessare la sconfitta, così come l’hanno fatto indovini e
maghi egiziani Jannes e Jambre a proposito di Mosè 48.
E’ interessante rilevare ancora la voce di Ireneo di Lione, il quale connette il fatto raccontato nell’Esodo all’incarnazione del Figlio di Dio, la
vera potenza di Dio che opera la salvezza del popolo:
Perciò anche Mosè per indicare una figura di Cristo “gettò il bastone a terra”
(Es 7,9-10), affinché, dopo essersi incarnato, condannasse e ingoiasse (Es
7,12) tutta la prevaricazione degli Egiziani che insorgeva contro l’economia
di Dio e gli stessi Egiziani attestassero che era “il dito Dio” (Es 8,15) ad operare la salvezza per il popolo, e non il figlio di Giuseppe 49.
Del dito di Dio come potenza di Cristo parla anche Esichio Presbitero.
Si legge in Lv 4,6 che nel caso del sacrificio espiatorio il sacerdote dovrà
intingere il dito nel sangue del giovenco e fare con esso sette aspersioni
dinanzi al Signore di fronte al velo del santuario. Esichio paragona quindi
il santuario (il velo/la figura) e il santo dei santi con la persona di Cristo:
la carne (il velo/la figura) e la potenza divina. “Per questo motivo – dice –
il dito di Dio viene chiamato la sua potenza” 50, e in seguito cita i passi di
Es 8,15; Sal 8,4 e Lc 11,20. Il dito quindi sta per significare la potenza della
divinità del Signore; intinto nel sangue della passione, il dito ha mostrato
che nella carne di Cristo agiva la potenza divina.
3) Il dito di Dio identificato con lo Spirito santo
A prescindere però da queste poche “eccezioni”, nell’esegesi dei Padri, sia
greci che latini, il “dito di Dio” del testo lucano viene regolarmente identificato con lo Spirito santo.
48. Topographia Christiana III,56: PG 88,164B. Per testo e traduzione cf. W. Wolska-
Conus, Topographie Chrétienne (SCh 141), I, Paris 1968, 492-493].
49. Adversus haereses III,21,8: testo in A. Rousseau - L. Doutreleau (éd.), Contre les hérésies. Livre III (SCh 211), II, Paris 1974, 422; tr. Bellini, Contro le eresie, 286.
50. Esichio Presbitero, Commentarius in Leviticum I (PG 93,822D).
IL DITO DI DIO NELL’ESEGESI MODERNA E PATRISTICA
99
a) Lo Spirito nella creazione (Sal 8,4)
La creazione – scrive Ambrogio di Milano – è l’opera della grande potenza
di Dio (Ger 32,17), del Padre e del Figlio, ma anche dello Spirito.
Quando infatti cielo e terra venivano creati, lo Spirito vi alleggiava sopra. A proposito dello Spirito, poi, lo stesso David dice in un altro salmo: “Manda il tuo Spirito e saranno creati” (Sal 103,30); e ancora altrove: “Vedo i tuoi cieli, opera delle
tue dita” (Sal 8,4). Certo Dio non creò il cielo e la terra con dita corporee, ma con
la grazia dello Spirito settiforme, con quel dito di cui trovi scritto nel Vangelo: “Se
col dito di Dio io scaccio i demoni” (Lc 11,20). Questo dito è altrove definito
Spirito, come è scritto: “Se nello Spirito di Dio scaccio i demoni” (Mt 12,28). Se
allora lo Spirito è il dito di Dio, visto che il Figlio ne è il braccio, lo Spirito, cooperando col Padre e col Figlio nell’unità della loro azione, ha collaborato alla creazione del cielo e della terra. Il Figlio chiamò “dito” lo Spirito per indicare l’unità
della divinità attraverso la metafora dell’unità delle membra del corpo 51.
Ambrogio mette qui in rapporto i due testi paralleli di Luca e Matteo e
da questo confronto trae la conclusione ermeneutica. Questo metodo di accostarsi al testo biblico, usato anche da altri Padri, potrebbe essere chiamato di tipo “sostitutivo, perché funziona come un sistema algebrico, dove
l’incognita esegetica viene risolta mediante la sua sostituzione con un termine che altrove appare noto” 52.
E’ quanto mai curiosa l’interpretazione di Giovanni Crisostomo il quale, commentando il passo del Sal 8,4 giunge alla conclusione che non è casuale l’attribuzione della creazione dei cieli alle dita e non alla mano di
Dio; ciò dimostra infatti che per la realizzazione delle grandi opere è sufficiente la più piccola potenza divina 53.
51. Ambrogio, De apologia (altera) prophetae David 12,63: PL 14,955CD; testo e tr. F.
Lucioli, Opere esegetiche V (Opera omnia 5), Milano-Roma 1981, 210-213.
52. L.F. Pizzolato, La dottrina esegetica di sant’Ambrogio (SPM 9), Milano 1978, 291; egli
cita l’esempio tratto dall’Enarratio in Psalmum 43,66 (PL 14,1174D-1175A): “Che cosa
voglia dire qui (in Lc 11,20) ‘dito’, lo spiega la Scrittura stessa, che in un altro libro del
vangelo dice: ‘Che se nello Spirito di Dio io scaccio i demoni’ (Mt 12,28). Dunque il dito
di Dio è lo spirito di Dio. Dio è spirito e nella sua natura non ha nulla di corporeo, ma è
puro spirito. Dunque, cacciare i demoni nel dito di Dio equivale a cacciarli nello Spirito di
Dio. Perciò anche Davide, uomo di Dio, esclama: ‘Vedrò i cieli, opera delle tue dita’ (Sal
8,4). Cioè, i cieli sono opera del tuo Spirito, secondo anche quanto sta scritto: ‘I cieli sono
stati stabiliti dalla parola del Signore e ogni loro valore deriva dallo spirito della sua bocca’
(Sal 32,6)” [testo e tr. L.F. Pizzolato, Opere esegetiche VII/II. Commento a dodici Salmi
(Opera omnia 8), Milano-Roma 1980, 164-165].
53. Cf. Giovanni Crisostomo, Expositio in Psalmum 8 (PG 55,115).
100
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b) Lo Spirito e il dono della legge (Es 31,18; Dt 9,10)
Pure altri testi biblici che contengono la parola dito sono in grado d’alimentare l’interpretazione pneumatologica. E’ interessante a questo punto
richiamare un testo di Gregorio di Nissa, in cui la vicenda delle tavole della legge consegnate da Dio a Mosè viene messa in relazione con l’incarnazione di Gesù:
Il vero legislatore di cui Mosè era figura riplasmò di sua iniziativa, con materiale preso dalla terra, la nostra natura, raffigurata nelle tavole di pietra. La carne,
nella quale scese la divinità, non proviene da unione maritale, ma fu da lui stesso preparata, come facendo sopra di sé il lavoro del tagliapietre. Il dito di Dio vi
incise poi le sue lettere. Lo Spirito santo infatti discese sulla Vergine e la virtù
dell’Altissimo la coprì con la sua ombra (Lc 1,35). Dopo questo evento la natura umana riebbe l’antica infrangibile compattezza e ritornò immortale in virtù
delle lettere che vi incise il dito di Dio, che è lo Spirito santo, secondo una
espressione frequentemente usata dalla Scrittura [davktulo" de; pollach' para;
th'" Grafh'" ojnomavzetai to; Pneu'ma to; a{gion]. E’ allora che avviene in Mosè
la meravigliosa trasformazione che lo circonfuse di luce gloriosa e insostenibile da occhi mortali. A chi è pienamente istruito nei misteri della fede, non sfuggirà l’esatta corrispondenza tra il senso letterale di questi fatti e la loro
interpretazione in senso spirituale. Il Restauratore dell’umana natura che giaceva spezzata (devi vedere indicato in queste parole colui che si è dato pensiero di
rimediare alle nostre fratture), dopo averle ridato l’antica bellezza, servendosi
del dito di Dio, è diventato inaccessibile agli occhi degli indegni, poiché da lui
emana tanta luce di gloria da abbagliare la vista 54.
Agostino commenterà invece lo stesso fatto in senso allegorico, riferendosi alle Sacre Scritture:
Leggiamo che è stata scritta dal dito di Dio la Legge data per mezzo di Mosè,
suo santo servo (cf. Es 31,18; Dt 9,10); e molti in questo dito di Dio riconoscono lo Spirito santo. Per questa ragione se intendiamo giustamente come dita
di Dio i ministri stessi ricolmi dello Spirito santo – poiché è lo Spirito stesso
che opera in essi, ed è per loro mezzo che è stata redatta a nostro vantaggio
tutta la divina Scrittura – altrettanto giustamente intenderemo che sono detti
cieli, in questo passo, i libri dell’uno e dell’altro Testamento. Sta di fatto che i
maghi del re Faraone, dopo essere stati vinti da Mosè, dissero di lui: “questi è
54. De vita Moysis 2: PG 44,398B; testo in J. Danielou, La vie de Moïse (SCh 1 bis), Paris
19552, 101-102; tr. C. Brigatti, La vita di Mosè, Alba 1967, 175.
IL DITO DI DIO NELL’ESEGESI MODERNA E PATRISTICA
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il dito Dio” (Es 8,15); sta inoltre scritto: “il cielo sarà piegato come un libro”
(Is 34,4); anche se così è detto di questo cielo etereo, opportunamente tuttavia
con questa similitudine si nominano i cieli per intendere allegoricamente i libri. “Giacché vedrò – dice – i cieli, opera delle tue dita”, cioè vedrò e comprenderò le Scritture, che tu hai scritte per mezzo dei tuoi ministri grazie
all’opera dello Spirito santo 55.
Il motivo corrente di cui si serve il vescovo d’Ippona per parlare del
dito di Dio identificato con lo Spirito santo è quello pasquale. Come
nell’AT, cinquanta giorni dopo la Pasqua fu consegnata al popolo la legge
scritta dal dito di Dio, così pure nel NT le leggi divine vengono scritte nei
cuori dei credenti nel giorno della Pentecoste, il cinquantesimo dopo la
Pasqua di Gesù. Ecco un testo in cui vengono messi in parallelo i fatti delle due Alleanze:
Siccome siamo già in grado di conoscere in modo evidente, dietro confessione degli stessi maghi del faraone, in che modo lo Spirito di Dio sia stato
chiamato nel Vangelo, vediamo ora quale nome abbia preso. Avendo i
giudei detto, schernendo il Signore: “Costui caccia i demoni in nome di
Beelzebub, principe dei demoni” (Mt 12,24), Gesù rispose: “Se io caccio i
demoni nello Spirito di Dio…”. L’espressione viene così riportata da un
altro Evangelista: “Se io caccio i demoni nel dito di Dio” (Lc 11,20). Ciò
che il primo ha chiamato “Spirito di Dio”, l’altro l’ha chiamato “dito di
Dio”. Perciò lo Spirito di Dio è il dito di Dio. Perciò la legge data ai giudei
è stata scritta dal dito di Dio, la legge data sul monte Sinai nel cinquantesimo giorno dopo l’uccisione dell’agnello (cf. Es 31,18; Dt 9,10). Celebrata
la Pasqua dal popolo giudaico si compiono cinquanta giorni dall’uccisione
dell’agnello, e viene data la legge scritta dal dito di Dio. Si compiono cinquanta giorni dall’uccisione di Cristo e viene lo Spirito santo, cioè il dito di
Dio. Ringraziamo Dio che nella sua provvidenza ci nasconde il significato e
nella sua bontà ce lo svela. Vedete ora che anche i maghi del faraone lo
hanno confermato apertamente. Venendo meno alla terza prova dissero: “Qui
c’è il dito di Dio” (Es 8,15) 56.
55. Enarratio in Psalmum 8,4: PL 36,111-112; testo e tr. R. Minuti, Esposizioni sui salmi
(NBA 25), I, Roma 1967, 118-119.
56. Sermones de Scripturis VIII,11,14: PL 38,74; testo e tr. P. Bellini, Discorsi I (1-50) sul
Vecchio Testamento (NBA 29), Roma 1979, 146-147. Lo stesso tema ritornerà in De civitate
Dei XVI,43,1 (PL 41,522). Cf. anche Epistola 55,16,29 (PL 33,218-219); Sermo 156,13,14
(PL 38,857); De Trinitate II,15,26 (PL 42,862); De Spiritu et Littera 16,28; 21,36 (PL
44,218.222). Vedi inoltre Prospero di Aquitania, Liber contra Collatorem 10,2 (PL
51,240B)
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L. D. CHRUPCAŁA
Il motivo per cui la legge fu data da Dio tramite lo Spirito santo risiede nella natura eminentemente spirituale della legge. Ecco in proposito la
spiegazione di Ambrogio di Milano:
Con questo dito, come leggiamo, Dio scrisse tavole di pietra che Mosè ricevette (Es 31,18). Dio, infatti, non formò con un dito corporeo gli apici e le
lettere di questi scritti, ma dette la legge mediante il suo Spirito. E per questo
l’Apostolo disse: “La legge, infatti, è spirituale” (Rm 7,14), legge che, di sicuro, è stata scritta “non con l’inchiostro, ma con lo Spirito del Dio vivo, non
sulle tavole di pietra, ma sulle tavole di carne del cuore” (2Cor 3,3). Se l’epistola dell’Apostolo è scritta con lo Spirito, che cosa ci impedisce di credere
che anche la legge di Dio sia stata scritta “non con l’inchiostro, ma con lo
Spirito di Dio”, quella legge che certamente non macchia, ma illumina i segreti del nostro cuore e della nostra mente? 57.
La legge scritta sulle tavole di pietra aveva un valore tipologico.
Nonostante le tavole fossero frantumate da Mosè, ciò che fu scritto non
venne mai cancellato. La scrittura incisa dal dito di Dio, vale a dire lo
Spirito santo, rimane per sempre 58.
c) Lo Spirito operatore di segni (Es 8,15)
Fra tutti i passi biblici contenenti l’espressione “il dito di Dio” è comunque lo scontro di Mosè con i maghi egiziani, raccontato in Es 8, quello che
attira maggiormente l’attenzione dei Padri.
Atanasio d’Alessandria, commentando a lungo il comportamento dei
giudei nei confronti di Gesù e la loro “bestemmia contro lo Spirito santo”, che consisteva nel fatto d’aver negato la divinità di Gesù attribu-
57. Ambrogio, De Spiritu Sancto III,3,13a: PL 16,812D-813A; testo e tr. C. Moreschini,
Opere dogmatiche II. Lo Spirito Santo (Opera omnia 16), Milano-Roma 1979, 270-271. Cf.
anche Enarratio in Psalmum 43,65 (PL 14,1174CD-1175A); Cirillo di Alessandria, De
adoratione in spiritu et veritate I,1,8 (PG 68,144CD).
58. Per altri testi sul dito di Dio identificato con lo Spirito santo che scriveva sulle tavole
della legge si veda: Ireneo, Demonstratio 26 (PO 12,679-680); Ps. Atanasio di Alessandria,
De Trinitate et Spiritu Sancto XII,21 (PG 26,1216BC); De titulis Psalmorum VIII,6 (PG
27,673C): ∆Erga levgei tou;" oujranou;" tou' Pneuvmato" tou' aJgivou; Ps. Ambrogio, De Spiritu
Sancto libellus I (PL 17,1098D); Eucherio di Lione, Formularum spiritalis intelligentiae 1
(PL 50,732B); Instructionum ad Salonium I,1 (PL 50,779B); Severiano di Gabala, De mundi
creatione oratio V,3 (PG 56,475); Beda il Venerabile, De Tabernaculo et vasis eius I,6 (PL
91,409AB).
IL DITO DI DIO NELL’ESEGESI MODERNA E PATRISTICA
103
endo i suoi miracoli a Beelzebul, richiama la vicenda dell’Esodo in
questo modo:
Or dunque, gli incantatori, i maghi, i fattucchieri del Faraone, benché avessero quasi tutto tentato, credettero tuttavia quando videro i prodigi operati da
Mosè e si ritirarono dichiarando che era il dito di Dio che faceva questi miracoli [davktulon ei\nai qeou' to;n tau'ta poiou'nta]. Ma i Farisei e gli Scribi, che
vedevano all’opera tutta la mano di Dio [o{lhn th; cei'ra tou' qeou'] ed erano
testimoni dei miracoli ancora ben più numerosi e ben più grandi fatti dal Salvatore stesso, dicevano che colui che li faceva, era questo Beelzebul che i
maghi, sebbene egli fosse proprio di loro, lo proclamavano tuttavia impotente
a fare anche delle opere inferiori a queste 59.
Sulla base dei testi paralleli di Mt 12,28 e Lc 11,20, S. Atanasio identifica quindi il dito di Dio della controversia narrata nell’Esodo con lo Spirito santo. Dicendo poi tutta la mano di Dio, egli vuol accentuare che la
cacciata del demonio muto fu l’effetto dell’azione congiunta di Gesù e dello Spirito.
Per Atanasio, se da una parte Spirito indica la vera e perfetta divinità di
Cristo, dall’altra però il termine Spirito di Dio “designa la persona stessa
dello Spirito santo nel quale Gesù compiva tutte le sue opere, essendo egli
lo Spirito proprio di Gesù” 60.
Altrove, il difensore del dogma niceno è ancor più esplicito. Spiegando
il senso delle parole di Gesù “io sono nel Padre e il Padre è in me; se non
altro, credetelo per le opere stesse” (Gv 14,11), Atanasio soggiunge:
L’opera di Dio Padre era scacciare i demoni: scacciare i demoni con lo Spirito santo. “Se dunque io - vien detto - scaccio i demoni” (Mt 12,28); mentre
Luca dice: “se dunque con il dito di Dio io scaccio i demoni” (Lc 11,20).
Poiché la Scrittura denomina Cristo braccio del Padre, chiama lo Spirito
santo dito di Dio [to;n Cristo;n bracivona ojnomavzei tou' Patro;", to; a{gion
59. Epistola IV ad Serapionem 22: PG 26,673A; tr. L. Iammarrone, Lettere a Serapione
sulla divinità dello Spirito Santo, Padova 1983, 213-214.
60. Iammarrone, Lettere a Serapione, 216 nota 113; cf. anche la nota 91 alla p. 206.
Vedi pure Ps. Atanasio, Disputatio contra Arium 42 (PG 28,496BC). Non solo la piaga
delle zanzare, ma tutti i segni operati da Mosè in Egitto vengono reputati opera del dito
di Dio, cioè dello Spirito santo. Per la vicenda di Mosè vedi inoltre: Didimo il Cieco
(Ps. Basilio Magno), Adversus Eunomium V (PG 29,716BC); Ps. Ambrogio, De Spiritu
Sancto libellus I (PL 17,1099AB); Girolamo, Commentariorum in Ezechielem I,1 (PL
25,19B); Agostino, Epistola 55,16,29 (PL 33,219); Quaestionum in Heptateuchum II,25
(PL 34,604).
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Pneu'ma davktulon qeou' kalei']. E quando invece il Figlio di Dio riceve il
nome di Verbo di Dio, lo Spirito santo viene chiamato soffio di Dio 61.
d) Il dito: simbolo della divinità dello Spirito
Nella controversia pneumatologica della seconda metà del IV s. si scontrarono fra di loro le tesi subordinazioniste degli ariani, che negavano la divinità della terza Persona della Trinità, e la reazione della parte ortodossa,
decisa a dimostrare con vari argomenti teologici e scritturistici la natura
divina dello Spirito santo. La questione fu chiarita in forma dommatica al
concilio di Costantinopoli del 381 con una definizione di fede in cui si afferma l’unità e la consustanzialità delle tre Persone divine 62.
Nel contesto dell’argomentazione sull’unità di natura delle tre Persone
trinitarie, Didimo il Cieco porta come esempio l’immagine corporale della
mano e del dito. Il Figlio viene definito “mano” / “destra” / “braccio” del
Padre; ciò significa che tra il Padre e il Figlio esiste l’uguaglianza dell’unica natura divina. La dignità divina dello Spirito santo invece si desume guardando l’immagine del dito:
Anche lo Spirito santo è indicato come il “dito” di Dio per (significare) l’unione di natura con il Padre ed il Figlio. Infatti in uno dei vangeli […] il Salvatore disse…
E per motivare questo fatto, Didimo mette in paragone i due testi evangelici di Lc 11,19-20 e Mt 12,28. Quindi conclude:
Da ciò si deve dedurre che lo Spirito santo è il dito di Dio. Se dunque il dito è
congiunto alla mano e la mano alla persona di colui di cui è mano, senza dubbio il dito è partecipe della sostanza di colui di cui è dito 63.
61. Atanasio, De incarnatione Dei Verbi, et contra Arianos 19: PG 26,1020A. Vedi inoltre
Primasio di Adrumeto, Commentariorum super Apocalypsim B. Joannis IV,13 (PL 68,882D).
62. Cf. Ch. Piétri, “Le débat pneumatologique à la veille du Concile de Constantinople (358-
381)”, in Saraiva Martins, Credo in Spiritum Sanctum, I, 55-87; E. Cavalcanti, “Lineamenti
del dibattito sullo Spirito Santo, da S. Basilio al concilio di Costantinopoli del 381”, in S.
Felici (a cura di), Spirito santo e catechesi patristica, Roma 1983, 75-92.
63. Didimo il Cieco, De Spiritu Sancto 20: PG 39,1051B-D; tr. C. Noce, Lo Spirito Santo
(Collana di testi patristici 89), Roma 1990, 91-92. Vedi anche Adversus Eunomium V (PG
29,717A). Vale la pena riportare qui un passo di Fausto di Riez (Ps. Pascasio Diacono), De
Spiritu sancto I,7: “Quando audis de Spiritu sancto dici, ‘Si ego in Spiritu Dei’, vel ‘Dei
digito ejicio daemones’, non gratiae imminutionem, sed substantiae demonstrari noveris unitatem: nec honoris discrepantiam, sed operis esse concordiam” (PL 62,16A).
IL DITO DI DIO NELL’ESEGESI MODERNA E PATRISTICA
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All’interno dell’essere di Dio si distinguono quindi le Persone che svolgono i ruoli propri a ciascuna. Come è uno il Figlio unigenito del Padre,
così anche
uno è lo Spirito santo, il vero Spirito santo, secondo quanto è scritto; egli è
glorificato con il Padre e il Figlio, dal profeta Davide è chiamato Spirito della
bocca (cf. Sal 32,6), e di lui insegniamo che è il dito di Dio, perché il Signore
dice nel vangelo: “Se io scaccio i demoni con il dito di Dio” 64.
L’immagine di mano/destra/braccio di Dio riferiti al Cristo e quella del
dito allo Spirito sono usate spesso per esprimere soprattutto l’unità di natura delle tre Persone divine. Qualche volta però queste applicazioni diventano anche delle complicate metafore 65.
Con grande semplicità interpreta Girolamo il significato del dito di Dio,
richiamandosi ai passi dell’AT:
“Ma se io scaccio i demoni in virtù dello Spirito di Dio…” (Mt 12,28). In Luca
questa frase è riferita così: “Ma se io caccio i demoni col dito di Dio…” (Lc
11,20). E’ quel dito che riconobbero anche i maghi quando cercarono di contrastare coi loro prodigi i prodigi di Mosè e Aronne affermando: “Questo è il
dito di Dio!” (Es 8,15); è il dito col quale sono state scritte le tavole di pietra
sul monte Sinai (Dt 9,10). Se il Figlio è la mano e il braccio di Dio, e lo Spirito santo è il dito di lui, una sola è la sostanza del Padre, del Figlio e dello
Spirito santo. Non ti scandalizzi la disuguaglianza delle membra, ma ti rafforzi nella fede l’unità del corpo 66.
64. Didimo il Cieco (Ps. Basilio Magno), Adversus Eunomium V: PG 29,733BC; cf. anche
PG 29,754B.
65. Cf. Evagrio Pontico (Ps. Basilio Magno), Epistola 8,11 (PG 32,265AB): “Se lo Spirito
santo è il dito di Dio […], lo Spirito santo è della stessa natura del Padre e del Figlio”;
Cirillo di Alessandria, Explanatio in Lucae evangelium (PG 72,704BC); Thesaurus de
sancta et consubstantiali Trinitate 34 (PG 75,576D-577A); Isidoro di Pelusio, Epistola 60
(PG 78,221C); Jobius Monaco, De incarnatione 5 (PG 86,3320A); Eucherio di Lione,
Formularum spiritalis intelligentiae 1.2 (PL 50,732C.737D); Vigilio di Tapso, Contra
Varimadum III,78 (PL 62,428D) che distingue l’azione svolta da tre dita della Trinità: del
Padre (Es 8,15; 31,18), del Figlio (Gv 8,6) e dello Spirito (Lc 11,20//Mt 12,28); Fulgenzio
di Ruspe, Contra sermonem Fastidiosi Ariani 2 (PL 65,510C); Cesario di Arles, Sermo
165,3 (PLS 4,424): “In extremo autem digiti, gratiam intellegitur Spiritus sancti”; Beda il
Venerabile, In Lucae evangelium expositio IV (PL 92,477C); Rabano Mauro, De Universo
VI (PL 111,160A-C); Allegoriae in Sacram Scripturam (PL 112,910C); Teofilatto, Enarratio in evangelium Lucae (PG 123,861AB).
66. Girolamo, Commentarium in Matthaeum II: PL 26,82D; CCL 77,93; tr. S. Aliquò, Commento al Vangelo di Matteo, Roma 1969, 112.
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Sull’immagine del dito si sofferma a lungo Ambrogio di Milano. Sdegnato per l’accusa dei giudei nei confronti di Gesù, egli ci offre il seguente
commento dei fatti narrati nel vangelo:
Quant’è enorme, a questo proposito, la follia di tal furore sacrilego! Si giunge
al punto che, mentre il Figlio di Dio ha assunto un corpo per distruggere gli
spiriti immondi…, certuni vanno in cerca dell’aiuto e dei rincalzi della potenza del diavolo! Ma è “col dito di Dio”, o senz’altro, secondo Matteo, “in virtù
dello Spirito di Dio” che si mandano via i demoni! Per cui si comprende che il
regno della divinità è, direi, come un corpo indiviso, poiché Cristo è la mano
destra di Dio, e lo Spirito sembra indicare l’immagine di un dito, come il tutto ben legato di un corpo raffigurante l’unità nella divinità… E, dato che si è
fatto il paragone con le nostre membra, non t’immaginare che la virtù divina
si debba dividere in parti: non si può dividere una realtà indivisibile, e, pertanto, l’accenno al dito non dev’essere riferito alla distinzione della potenza,
bensì alla figura dell’unità, poiché la destra di Dio dice: “Io e il Padre siamo
una cosa sola” (Gv 10,30); ma, benché la divinità sia indivisa, la persona è
distinta. Ma quando lo Spirito vien chiamato dito, si indica la potenza con cui
opera, dato che, come il Padre e il Figlio, così anche lo Spirito è autore delle
opere divine 67.
La divinità è un corpo indiviso e ben compaginato, in cui il Cristo
assume la forma della mano (destra) di Dio e lo Spirito invece quella
del dito.
Agostino ritorna più volte sul significato del dito di Dio. Pur
muovendosi su un terreno già in parte dissodato da illustri predecessori 68, il suo contributo risulta altrettanto originale e degno d’essere
apprezzato. In primo luogo, l’identificazione del dito con lo Spirito
santo è per lui una cosa del tutto naturale, che scaturisce dal vangelo
stesso:
67. Ambrogio, Expositionis Evangelii secundum Lucam VII,92-93: PL 15,1810D-1811AB;
testo e tr. G. Coppa, Opere esegetiche IX/II. Esposizione del vangelo secondo Luca (Opera
omnia 12), Milano-Roma 1978, 160-161. Per Ambrogio, l’immagine del dito è la più appropriata per esprimere la divinità dello Spirito: “Che cosa si sarebbe potuto dire, dunque,
di più esplicito per indicare l’unità della divinità o dell’operazione, quella unità che è secondo la divinità del Padre, del Figlio e dello Spirito santo?” (De Spiritu Sancto III,3,12:
PL 16,812C).
68. Agostino dipende in parte da Didimo il Cieco; cf. B. Altaner, “Augustinus und Didymus der Blinde. Eine Quellenkritische Untersuchung”, Vigiliae Christianae 5 (1951) 116120 (qui 119).
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Cerchiamo ora che cosa sia nel Vangelo il dito di Dio: lo troveremo. Che
cosa significa: “dito di Dio”? Non che Dio abbia realmente la forma del corpo come l’abbiamo noi, così che mentre vede da una parte non vede dall’altra; oppure che sia limitato dalla sagoma delle varie membra, lui che è
totalmente ovunque e presente a tutto. Che cosa è allora il dito di Dio? Lo
Spirito santo. Fate attenzione. Donde proviamo questa affermazione? Dal
Vangelo. A volte infatti quanto un Evangelista dice in modo figurato, un altro
lo riporta in maniera più chiara […]. Mentre dunque un evangelista parla del
dito di Dio, l’altro espone la frase in diversa maniera per farci capire che il
dito di Dio è lo Spirito santo 69.
Ma bisogna stare attenti, prosegue Agostino, a comprendere bene la
metafora del dito; di questa infatti si tratta e non di una reale presenza
delle membra corporee in Dio. E altrove Agostino spiegherà il retto modo
di capire il dito e altre parti del corpo umano usate nella Bibbia in riferimento a Dio 70.
Narrando ai principianti della fede cristiana i fatti della storia biblica,
Agostino presenta ad un certo punto la vicende d’Israele in Egitto.
Quel popolo, quindi, fu condotto per quarant’anni nel deserto: ricevette
anche la Legge scritta dal dito di Dio (Es 31,18; Dt 9,10), con il qual
nome si vuol significare lo Spirito Santo, com’è detto molto esplicitamente nel Vangelo (Lc 11,20; Mt 12,28). Dio, infatti, non è né definito con
la forma del corpo, né bisogna immaginare in Lui membra e dita, come le
vediamo in noi: ma, poiché i doni di Dio vengono distribuiti ai Santi
tramite lo Spirito Santo, cosicché potendo cose diverse, non si discostino,
tuttavia, dalla concordia della carità, e nelle dita, soprattutto, appare una
certa divisione, che non è però scissione dell’unità, sia per questo, che per
altra causa qualsiasi, lo Spirito Santo viene chiamato dito di Dio: ma,
quando udiamo questo, non dobbiamo, comunque, pensare che Dio abbia
forma umana 71.
Vediamo infine un testo di Gregorio Magno, in cui il dito identificato
con lo Spirito santo viene ad indicare i doni dello Spirito, soprattutto quel-
69. Sermo 272/B,4; testo e tr. P. Bellini, Discorsi IV/2 (230-272/B) su i tempi liturgici (NBA
32/2), Roma 1984, 1052-1055. Vedi anche De consensu evangelistarum 2,38 (PL 34,1118).
70. Cf. De Genesi contra Manichaeos I,17,27: PL 34,186; tutti questi termini non indicano
membra corporee, ma potenze spirituali.
71. De catechizandis rudibus XX,35: PL 40,336; tr. A.M. Velli, La catechesi dei principianti (Letture cristiane delle origini 16), Torino 1984, 91.
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lo della fede, trasmessi agli uomini tramite il Cristo. Al commento di Ez
3,10-11 viene accostato il racconto della guarigione di un sordomuto (Mc
7,33-35). Alla fine l’autore si chiede:
Cosa significa che Dio creatore di ogni cosa, volendo guarire il sordomuto, gli
mise le dita negli orecchi, sputò e gli toccò la lingua con la saliva? Che significano le dita del Redentore, se non i doni dello Spirito Santo? Per cui in un
altro passo, scacciando il demonio, disse: “Se è con il dito di Dio che io scaccio i demoni…” (Lc 11,20). A questo proposito, per mezzo di un altro evangelista si riferisce che abbia detto: “Se è con lo Spirito di Dio…” (Mt 12,28).
Dai due passi si deduce che lo Spirito è chiamato dito di Dio. Perciò mettere
le dita negli orecchi è aprire per mezzo dei doni dello Spirito Santo la mente
del sordo all’obbedienza della fede 72.
Conclusione
Come risulta da questo gran numero di testimoni, l’esegesi patristica non
aveva nessuna difficoltà ad identificare il dito di Dio con la persona e l’azione dello Spirito santo.
Non stupisce perciò che uno fra i tanti titoli attribuiti allo Spirito santo
sia proprio quello di dito di Dio. In effetti, in un lungo elenco riportato da
Gregorio di Nazianzo non si dimentica questo appellativo 73.
L’esegesi dei Padri esercitò il suo influsso anche sulla liturgia. Il ben
noto inno Veni creator Spiritus invoca lo Spirito con una frase di chiara
derivazione evangelica: “Dexterae Dei tu digitus”. A partire dal IX s., probabile periodo di composizione ad opera di un autore ignoto, questa preghiera della Chiesa latina identificava il dito della mano di Dio con lo
Spirito santo 74.
72. Gregorio Magno, Homiliae in Ezechielem I,10,20: PL 76,894A; tr. E. Gandolfo, Omelie
su Ezechiele (Collana di testi patristici 17), I, Roma 1979, 217-218. Commentando lo stesso fatto evangelico di Marco, Beda il Venerabile scrive in termini molto simili: “Mittit
(Dominus) digitos suos in auriculas, cum per dona sancti Spiritus aures cordis ad intelligenda ac suscipienda verba salutis aperit. Namque digitum Dei appellari Spiritum sanctum
testatur ipse Dominus, cum dicit Judaeis… (Lc 11,20) […]. Digiti ergo Dei in auriculas
missi eius qui sanandus erat, dona sunt sancti Spiritus…” (In Marci evangelium expositio
II,7: PL 92,203-204; CCL 120,525-526).
73. Cf. Oratio 31,29: PG 36,165.
74. Cf. A.S. Walpole, Early Latin Hymns, Cambridge 1922, 373-376; e la nota della Bible
de Jérusalem a Lc 11,20.
IL DITO DI DIO NELL’ESEGESI MODERNA E PATRISTICA
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Non desta stupore quindi che il nuovo Catechismo della Chiesa cattolica, sulla falsariga del pensiero patristico, abbia voluto accogliere fra le
immagini bibliche dello Spirito anche quella di “dito”:
Il dito. “Con il dito di Dio” Gesù scaccia “i demoni” (Lc 11,20). Se la Legge
di Dio è stata scritta su tavole di pietra “dal dito di Dio” (Es 31,18), “la lettera
di Cristo”, affidata alle cure degli Apostoli, è “scritta con lo Spirito del Dio
vivente, non su tavole di pietra, ma su tavole di carne dei… cuori” (2Cor 3,3).
L’inno “Veni, Creator Spiritus” invoca lo Spirito Santo come “digitus paternae
dexterae – dito della destra del Padre” 75.
Questa interpretazione non sembra per nulla arbitraria, bensì sta a
confermare quanto Luca stesso riferisce sul rapporto di Gesù con lo
Spirito santo. La potenza mediante la quale Gesù si scontra con Satana
è da attribuire precisamente allo Spirito che risiede in lui. Un motivo
della presenza di ej n daktuvlw/ qeou' al posto del matteano ejn pneuvmati
qeou' può risiedere in una costante preoccupazione di Luca di preservare una tradizione biblica altamente espressiva; come anche può fondarsi sulla coerenza con le altre ricorrenze lucane sull’attività specifica
dello Spirito e su quella di Gesù. Per Luca infatti, lo Spirito è anzitutto la fonte del messaggio, la potenza che ispira Gesù al fine di svolgere la missione della parola (Lc 4,18-19), così come ha ispirato il
profeta Isaia (At 28,25), il re Davide (At 1,16; 4,25), Giovanni (Lc
1,15), Elisabetta (Lc 1,41), Zaccaria (Lc 1,67), Simeone (Lc 2,26), gli
apostoli (Lc 12,12; At 2,4; 4,8.31), Stefano (At 7,55), Paolo (At 13,9).
La distinzione fra l’opera dello Spirito centrata sulla missione della
parola e l’attività esorcistica di Gesù effettuata in virtù della potenza
esiste nondimeno solo a livello letterale e dimostra – come lo si vede
nel caso di Lc 11,20 – la preoccupazione del terzo evangelista d’essere
coerente all’interno della sua opera 76. In realtà però, le due attività, pur
separate in apparenza, provengono dalla stessa fonte: lo Spirito, il cui
possesso permette a Gesù di parlare con autorità e di compiere le azioni di potenza.
Tutto ciò ovviamente non smentisce, ma rafforza soltanto il fatto che
per Luca l’azione potente di Gesù in virtù del dito di Dio (Lc 11,20)
75. Catechismo della Chiesa cattolica, n. 700.
76. Cf. J. Guillet, “Saint Esprit. II. Nouveau Testament. I. Le Saint Esprit dans les Évangiles
synoptiques”, DBS XI (1986) 179.
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L. D. CHRUPCAŁA
equivalga proprio ad un agire giustificato e reso possibile grazie alla
pienezza della duvnami" tou' pneuvmato" (Lc 3,22; 4,1.14.18). Con e per
mezzo di questa potenza Gesù scaccia i demoni, guarisce i malati e proclama il messaggio del regno di Dio (Lc 4,36; 5,12.17; 6,19; 19,37;
24,19; At 2,22; 10,38).
Lesław D. Chrupcała, ofm
Studium Theologicum Jerosolymitanum
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