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Introduzione alla formulazione debole dei problemi ai limiti per EDP

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Introduzione alla formulazione debole dei problemi ai limiti per EDP
Introduzione alla formulazione debole
dei problemi ai limiti per EDP
per il Corso di Metodi Matematici per
l’Ingegneria
Marco Bramanti
Politecnico di Milano
31 maggio 2012
Indice
1 Derivate deboli e spazi di Sobolev
1.1 Il concetto di derivata debole . . . . . .
1.2 Derivata debole, caso unidimensionale .
1.3 Derivata debole, caso multidimensionale
1.4 Spazi di Sobolev . . . . . . . . . . . . .
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2 Formulazione debole di problemi ellittici
2.1 Operatori uniformemente ellittici . . . . . . . . . .
2.2 Problemi ai limiti e de…nizione di soluzione debole
2.3 Risultati di esistenza . . . . . . . . . . . . . . . . .
2.4 Risultati di regolarità . . . . . . . . . . . . . . . .
2.5 Risoluzione numerica di problemi ai limiti in forma
2.6 Alcuni esempi svolti . . . . . . . . . . . . . . . . .
1
1.1
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1
1
4
7
10
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. . . .
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. . . .
debole
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18
18
21
26
33
34
38
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Derivate deboli e spazi di Sobolev
Il concetto di derivata debole
Gli spazi di funzioni …n qui incontrati nel corso sono di due tipi: gli spazi C k
di funzioni continue o derivabili, adatti ad esempio allo studio classico delle
equazioni di¤erenziali ordinarie, e gli spazi di Lebesgue Lp e in particolare L2 ,
adatti allo studio dei problemi di analisi di Fourier e approssimazione di funzioni. Nello studio delle equazioni a derivate parziali, l’individuazione degli spazi
funzionali opportuni si è rivelato essere un problema tanto cruciale quanto delicato. Gli spazi C k in più variabili, molto usati nel 19 secolo soprattutto nello
sviluppo dei metodi di risoluzione esplicita di problemi ai limiti per equazioni
1
a derivate parziali piuttosto semplici e su domini semplici, si sono rivelati inadeguati per il successivo sviluppo della teoria: risultati generali di esistenza
e unicità per problemi ai limiti per equazioni a derivate parziali non valgono
mai in questi spazi. Ad esempio, …n dagli inizi del 20 secolo è noto che per
l’equazione di Poisson
u=f
esistono funzioni f continue per cui l’equazione non ha soluzione C 2 . Per ottenere la risolubilità in senso classico dell’equazione, il termine noto f dev’essere
“un po’più che continuo”, precisamente dev’essere hölderiano, ossia soddisfare
una condizione di continuità del tipo:
jf (x1 )
f (x2 )j
c jx1
x2 j
per qualche
2 (0; 1] (se
= 1 stiamo parlando delle funzioni lipschitziane
che già conosciamo; la condizione di Hölder è in generale più debole). Sotto
quest’ipotesi l’equazione ha soluzioni classiche non solo C 2 , ma con derivate
seconde a loro volta hölderiane. E’ questo il contenuto della teoria sviluppata
da Schauder nel 1934, che rappresenta un quadro concettuale coerente in cui
trattare certe classi di equazioni a derivate parziali dal punto di vista classico
(ossia richiedendo che la soluzione abbia tutte le derivate che compaiono nell’equazione almeno continue e l’equazione sia soddisfatta in ogni punto del dominio). Questa teoria (di cui nel seguito non diremo nulla) non costituisce però
l’ultima parola sull’argomento. In e¤etti lo studio delle equazioni a derivate
parziali compiuto nel 20 secolo ha messo in luce come anche in questo contesto l’integrale di Lebesgue abbia un ruolo centrale, e gli spazi di funzioni in
cui studiare EDP debbano essere anch’essi in qualche modo modellati sull’integrale. Cerchiamo di motivare questa a¤ermazione con qualche osservazione più
speci…ca.
1. L’equazione di Poisson per il potenziale newtoniano è:
u=f
dove f ha il signi…cato di densità (di carica o di massa). Ora, dal punto di
vista …sico una funzione densità tipicamente può essere discontinua, ed è il
suo integrale su un certo dominio ad esprimere una grandezza …sica misurabile
(carica o massa totale). Quand’è così, l’equazione di¤erenziale esprime allora
un’uguaglianza tra le derivate seconde della soluzione e una funzione integrabile
ma generalmente discontinua. Quindi è sensato cercare la soluzione in uno spazio
di funzioni le cui derivate di ordine massimo siano integrabili ma generalmente
discontinue.
2. Nella deduzione di molte equazioni a derivate parziali della …sica matematica, ad esempio l’equazione di Poisson per il potenziale, l’equazione di di¤usione del calore, l’equazione di continuità, le equazioni di Maxwell, la deduzione
matematica dell’equazione di¤erenziale segue uno schema ricorrente:
(i) si scrivono opportune equazioni di bilancio che eguagliano tra loro due
integrali, esprimenti in modo diverso una stessa quantità …sica (tipicamente tale
2
quantità è la velocità istantanea di incremento di una certa grandezza …sica in
una regione …nita dello spazio);
(ii) applicando il teorema della divergenza o del rotore (cioè analoghi multidimensionali della “formula di integrazione per parti” tipica degli integrali in
una variabile) si riscrive l’equazione come un unico integrale, esteso ad una
generica regione dello spazio, uguagliato a zero;
(iii) per la genericità di tale regione, se ne deduce che la funzione integranda deve annullarsi, quindi si ottiene un’equazione (di¤erenziale) che dev’essere
soddisfatta puntualmente.
Vediamo quindi che nella deduzione stessa delle equazioni di¤erenziali, le
grandezze dotate di un signi…cato …sico diretto sono spesso integrali di certe
espressioni (contenenti le derivate della funzione incognita e termini noti). Ad
esempio, l’equazione di di¤usione del calore in condizioni stazionarie si può
scrivere nella forma:
div (a (x) ru (x)) = f (x)
dove u è la funzione incognita (temperatura), a (x) un coe¢ ciente di conducibilità, f (x) un termine di sorgente di calore. In realtà il coe¢ ciente di
conducibilità a (x) può realisticamente essere discontinuo, quindi l’epressione
div (a (x) ru (x)) ha un signi…cato dubbio, dal punto di vista del concetto classico di derivata. Se si seguono i passi della deduzione di questa equazione,
si osserva però che il primo membro nasce dall’applicazione del teorema della
divergenza all’integrale di super…cie:
Z
a (x) ru (x) dS,
@
che esprime il ‡usso termico uscente dalla regione . A¢ nché questo abbia
signi…cato è su¢ ciente che il prodotto a (x) ru (x) sia una funzione continua
(non necessariamente derivabile), il che può accadere anche in casi in cui il
coe¢ ciente a (x) e il gradiente ru (x) siano ciascuno discontinuo. Si capisce
quindi che per poter considerare situazioni …sicamente interessanti, occorre a
volte attenuare le richieste di regolarità sulla soluzione.
3. Ci sono grandezze importanti dal punto di vista sia matematico che …sico,
legate a certi problemi ai limiti per EDP, espresse da integrali della soluzione
o di sue derivate. Ad esempio abbiamo visto che se u è un’autofunzione del
laplaciano
u + u = 0 in
u = 0 su @
allora è
R
= R
2
jruj dx
2
juj dx
(quoziente di Rayleigh). Gli autovalori sono quantità importanti tanto per lo
sviluppo della teoria matematica quanto per il loro signi…cato …sico (frequenze
di vibrazione del sistema, livelli energetici...). Il fatto che un autovalore sia il
quoziente tra le norme L2 del gradiente della soluzione e della soluzione stessa
3
signi…ca che queste norme integrali hanno un ruolo importante nello studio
dell’equazione.
La conclusione di queste osservazioni è la seguente: è naturale, nello studio
delle equazioni a derivate parziali, introdurre degli spazi di funzioni in cui la
norma pesi certi integrali della funzione e certi integrali di sue derivate. Queste
norme infatti controllano quantità che sono signi…cative sia nel processo di deduzione dell’equazione, sia in relazione ai termini che compaiono nell’equazione
stessa, sia in relazione a certe proprietà matematicamente e …sicamente rilevanti
della soluzione.
Tuttavia sappiamo già che se gli spazi C k vengono muniti di norme integrali,
quelli che si ottengono sono spazi non completi. Questo signi…ca che le norme
integrali che dobbiamo de…nire non dovranno pesare le “solite” derivate: se
vogliamo sperare di ottenere spazi completi, dovremo anche generalizzare il concetto di derivata, e introdurre norme che pesino l’integrale di queste “derivate
generalizzate”. Come per ottenere uno spazio completo di funzioni integrabili è stato necessario de…nire un concetto di integrale più ‡essibile (quello di
Lebesgue), grazie a cui più funzioni risultano integrabili, analogamente occorrerà ora de…nire un concetto di derivata più ‡essibile, grazie a cui più funzioni
risultino derivabili. E’ questo il concetto di derivata debole, che ora introdurremo. Gli spazi di funzioni derivabili in questo senso debole sono gli spazi di
Sobolev, introdotti a metà anni 1930 e a tutt’oggi quadro funzionale standard
per molti problemi di equazioni a derivate parziali. I risultati di esistenza per
problemi ai limiti che dimostreremo successivamente sono invece degli anni 1950.
Per generalizzare il concetto di funzione derivabile in un contesto di funzioni integrabili l’idea, suggerita anche dalle osservazioni fatte in precedenza, è
quella di assegnare un ruolo centrale alla formula di integrazione per parti (e
analogamente, in più variabili, al teorema della divergenza). Infatti è proprio
questa, nella deduzione …sica delle equazioni, a costituire il passaggio chiave che
trasforma una quantità sempre dotata di signi…cato …sico in un’altra che solo
nei casi regolari lo è.
Illustriamo l’idea matematica di derivata debole, prima nel caso unidimensionale e poi in quello n-dimensionale.
1.2
Derivata debole, caso unidimensionale
De…nizione 1.1 Sia (a; b) un intervallo aperto in R (può anche essere a =
1; b = +1). Chiamiamo spazio delle “funzioni test” sull’intervallo (a; b) lo
spazio C01 (a; b) delle funzioni in…nitamente derivabili in (a; b) e identicamente
nulle fuori da un intervallo chiuso e limitato strettamente contenuto in (a; b).
De…nizione 1.2 Chiamiamo L1loc (a; b) lo spazio delle funzioni localmente integrabili in (a; b) ; cioè delle funzioni f che appartengono a L1 [ ; ] per ogni
intervallo chiuso e limitato [ ; ] strettamente contenuto in (a; b).
Si noti che, in particolare, se f 2 L1loc (a; b) e
L (a; b).
1
4
2 C01 (a; b) allora f
2
2 C01 (a; b) e f 2 C 1 (a; b). Allora si ha
Consideriamo ora due funzioni
(formula di integrazione per parti):
Z
b
Z
b
f 0 dx = [f ]a
a
e quindi (per l’annullamento di
Z
b
f 0 dx
a
agli estremi)
b
0
f dx =
Z
b
f 0 dx:
(1.1)
a
a
Avendo in mente questa uguaglianza quando f 2 C 1 (a; b) ; diamo ora la seguente
de…nizione:
De…nizione 1.3 (Derivata debole) Sia f 2 L1loc (a; b). Diciamo che f ha
derivata debole in (a; b) se esiste una funzione g 2 L1loc (a; b) tale che
Z
Z
b
f 0 dx =
a
b
g dx
a
8 2 C01 (a; b) :
0
In tal caso si scrive g = f . Nella de…nzione precedente, l’integrale è quello di
Lebesgue.
E’ chiaro che se f 2 C 1 (a; b) allora la derivata classica di f soddisfa la
de…nizione precedente, cioè: se f è derivabile in senso classico in (a; b) ; allora è
derivabile anche in senso debole in (a; b), e la derivata debole coincide con quella
classica. Si tratta di capire cos’abbiamo guadagnato con questa de…nizione, cioè
quali altre funzioni risultano avere derivata debole.
Esempio 1.4 Sia f (x) = jxj in ( 1; 1). Proviamo a calcolare la derivata debole
di f . Si ha:
Z 1
Z 0
Z 1
jxj 0 (x) dx =
x 0 (x) dx +
x 0 (x) dx =
1
1
0
in ciascun integrale possiamo ora fare le integrazioni per parti standard
Z 0
Z 1
0
1
= x 0 (x) 1 +
(x) dx + x 0 (x) 0
(x) dx =
1
poiché
0
( 1) = 0
=
Z
0
(x) dx
1
Z
1
(x) dx =
0
Z
1
g (x) (x) dx
1
con g (x) =sgn(x). Pertanto esiste la derivata debole
0
jxj = sgn (x) .
5
Si potrebbe commentare: sapevamo già che la derivata del modulo è il segno
di x! Questa osservazione non coglierebbe il punto, però. Occorre ri‡ettere sul
fatto che il concetto di derivata debole è un concetto globale, non puntuale o
locale: data una funzione f 2 L1loc (a; b) ; o si può determinare una funzione
che abbia il diritto di chiamarsi sua derivata debole sull’intervallo (a; b), oppure
diremo che la funzione non ha derivata debole in (a; b). In particolare, non ha
senso dire che una funzione è derivabile in senso debole in ( 1; 1) per x 6= 0.
Nell’esempio appena visto, la funzione sgn(x) è una funzione L1loc ( 1; 1) (in
particolare non dà problema il fatto che sia de…nita solo quasi ovunque), che
soddisfa la de…nizione di derivata debole di jxj in ( 1; 1) ; mentre dal punto
0
di vista classico è jxj =sgn(x) solo per x 6= 0. Come mostreranno i prossimi
esempi, se f è derivabile in senso classico tranne un numero …nito di punti,
questo di per sé non implica che la funzione uguale alla derivata classica quando
questa esiste sia una derivata debole.
Esempio 1.5 Sia f (x) = sgn (x) in ( 1; 1). Proviamo a calcolare la derivata
debole di f . Si ha:
Z 1
Z 0
Z 1
0
0
sgn (x) 0 (x) dx =
(x) dx +
(x) dx =
1
1
=
0
(0) + ( 1) + (1)
(0) =
2 (0)
poiché ( 1) = 0. A¢ nché esista la derivata debole di f dovrebbe esistere una
funzione g 2 L1loc ( 1; 1) tale che
Z 1
Z 1
sgn (x) 0 (x) dx =
g (x) (x) dx 8 2 C01 ( 1; 1)
1
1
cioè tale che
Z
1
8 2 C01 ( 1; 1) :
g (x) (x) dx = 2 (0)
1
E’facile capire che tale g non può esistere: l’integrale di g contro una funzione
test non può produrre sempre il valore della test in un punto. Quindi f non ha
derivata debole in ( 1; 1). Si osservi che dal punto di vista classico la derivata di
f esiste quasi ovunque ed è zero dove esiste. Tuttavia la funzione identicamente
nulla non è la derivata debole di f .
Esempio 1.6 Sia f (x) = x con 2 R, in (0; 1). Si osservi che qualunque sia
(anche negativo) f 2 L1loc (0; 1) (anche se in generale non sarà f 2 L1 (0; 1)).
Calcoliamo la derivata debole al modo seguente:
Z 1
Z 1
x 0 (x) dx =
x 0 (x) dx
0
"
(si noti che per ogni 2 C01 (0; 1) l’integrale in realtà è esteso a un intervallo
("; 1) con " > 0; dove " dipende dalla particolare ); nell’integrale scritto così si
6
può integrare per parti
Z
=
1
x
1
(x) dx =
"
Z
1
x
1
(x) dx:
0
0
Si ha ovviamente (x ) = x 1 anche nel senso delle derivate deboli. Per
2 (0; 1) questo esempio dà una funzione che nell’origine non è derivabile in
senso classico, e la cui derivata debole è comunque integrabile; per < 0 questo
esempio dà una funzione la cui derivata debole non è neppure integrabile, ma è
comunque localmente integrabile.
Il seguente teorema fa un po’ di chiarezza nelle situazioni che si possono
veri…care nel caso unidimensionale:
Teorema 1.7 Se f 2 L1loc (a; b) ha derivata debole L1loc (a; b), allora esiste una
funzione fe uguale quasi ovunque a f tale che fe 2 C (a; b). Più precisamente fe
è assolutamente continua:
Z x2
e
e
f (x1 ) f (x2 ) =
f 0 (t) dt per ogni x1 ; x2 2 (a; b) .
x1
In particolare: se una funzione è discontinua in un punto interno all’intervallo, certamente non ha derivata debole. E’possibile invece che abbia derivata
debole pur essendo non derivabile dal punto di vista classico in qualche punto
interno all’intervallo. Il teorema non si inverte, cioè non ogni funzione continua ha derivata debole. Infatti, non ogni funzione continua è assolutamente
continua:
Esempio 1.8 La funzione
f (x) =
x sin x12
0
per x > 0
per x 0
è continua ma non assolutamente continua in ( 1; 1) ; pertanto non ha derivata
debole in ( 1; 1). Omettiamo la dimostrazione di quest’a¤ ermazione.
1.3
Derivata debole, caso multidimensionale
Diamo ora la de…nizione analoga ma più generale di derivata debole di ordine
qualsiasi e in dimensione qualsiasi.
De…nizione 1.9 Sia
un aperto in Rn . Chiamiamo spazio delle “funzioni
1
test” su lo spazio C0 ( ) delle funzioni in…nitamente derivabili in e identicamente nulle fuori da un insieme chiuso e limitato strettamente contenuto in
.
De…nizione 1.10 Chiamiamo L1loc ( ) lo spazio delle funzioni localmente integrabili in ; cioè delle funzioni f che appartengono a L1 (K) per ogni insieme
chiuso e limitato K strettamente contenuto in .
7
De…nizione 1.11 (Derivata debole) Sia f 2 L1loc ( ). Fissato un multiindice
= ( 1 ; 2 ; :::; n )
con
j
interi non negativi, posto
j j=
+
1
2
+ ::: +
n;
diciamo che f ha derivata debole D f in se esiste una funzione g 2 L1loc ( )
tale che
Z
Z
@j j
j j
f 1 2
dx = ( 1)
g dx 8 2 C01 ( ) :
@x1 @x2 :::@xnn
In tal caso si scrive g = D f . Nella de…nzione precedente, l’integrale è quello
di Lebesgue.
E’ chiaro che se f 2 C j j ( ) allora la derivata classica di f soddisfa la
de…nizione precedente, cioè: se f è derivabile in senso classico in ; allora è
derivabile anche in senso debole in , e la derivata debole coincide con quella
classica. Troveremo però anche funzioni derivabili in senso debole senza essere
derivabili classicamente. Inoltre, come mostreranno gli esempi, a di¤erenza del
caso unidimensionale una funzione che ha tutte le derivate deboli del prim’ordine
non è necessariamente continua.
2
Esempio 1.12 Sia f (x; y) = jxj y in ( 1; 1) . Proviamo a calcolare la derivata
debole di Dx f . Si ha:
Z 1Z 1
Z 1
Z 0
Z 1
jxj y x (x; y) dxdy =
y
x x (x; y) dx +
x x (x; y) dx dy
1
1
=
=
Z
1
1
y
1
Z
1
0
Z
1
1
Z
(x; y) dx +
1
Z
0
1
(x; y) dx dy
0
1
sgn (x) y (x; y) dxdy
1
quindi esiste la derivata debole Dx f = sgn (x) y.
Esempio 1.13 Sia f (x; y) = x2 + y 2
con
2 R: Calcoliamo la derivata
debole Dx f in
= fx2 + y 2 < 1g (per simmetria, Dy f esisterà nelle stesse
ipotesi). Cominciamo a osservare che f 2 L1loc ( ) quando converge l’integrale
Z
1
2
d ;
0
cioè per 2 + 1 >
Z Z
1;
>
1: Quindi assumiamo
Z
Z p 2
x +y
2
x
1: Si ha:
1 y
1
2
>
(x; y) dxdy =
p
1
8
1 y2
2
x +y
2
x
!
(x; y) dx dy
per ogni y …ssato diverso da 0, la funzione x2 + y 2
è limitata e derivabile
anche se < 0, quindi nell’integrale interno in dx si può integrare per parti,
ottenendo
!
Z
Z p 2
1
1 y
=
p
1
=
Z Z
1
x2 + y 2
1
2x (x; y) dx dy
y2
1
x2 + y 2
Basta ora controllare per quali
2x (x; y) dxdy:
risulta localmente integrabile la funzione
1
x2 + y 2
Stimiamo l’integrale in polari:
Z 1
Z
2 2( 1) d = 2
0
2x:
1
2
d < 1 per
0
>
1=2:
Quindi la funzione ha derivata debole Dx f (e, per simmetria, Dy f ) per ogni
> 1=2: Si osservi che per < 0 in particolare la funzione f è discontinua,
e ciò non ostante ha derivate deboli del prim’ordine.
2
Esempio 1.14 Sia f (x; y) = x2xy
+y 2 in ( 1; 1) . Calcoliamo la derivata debole
Dx f (per simmetria, la derivata Dy f si calcolerà in modo analogo).
Z
1
1
Z
1
1
xy
x2 + y 2
x
(x; y) dx dy
per ogni y …ssato diverso da 0 la funzione x2xy
+y 2 è derivabile e limitata in x,
perciò nell’integrale interno si può integrare per parti e si ha:
!
Z 1 Z 1
y x2 + y 2
2x2 y
=
(x; y) dx dy
x2 + y 2
1
1
Z Z
y y 2 x2
=
(x; y) dxdy:
2
2 2
( 1;1)2 (x + y )
Controlliamo che la derivata trovata è L1loc :
Z Z
x2 +y 2 <1
y y2
(x2 +
x2
dxdy
2
y2 )
c
Z
0
1
3
4
d = c:
Quindi esistono le derivate prime deboli. Di nuovo, notare che la f (x; y) è
discontinua.
Esempio 1.15 Sia f (x; y) =sgn(x). La funzione non ha derivata debole in
2
( 1; 1) : La dimostrazione è analoga al caso unidimensionale.
9
L’esempio precedente ha un signi…cato generale: una funzione di 2 variabili
dotata di derivate deboli prime può essere discontinua in un punto, ma non può
avere una discontinuità a gradino lungo un segmento. Non può, ad esempio,
essere la funzione caratteristica di un aperto. Più in generale:
Esempio 1.16 In Rn , sia
tenuto nel primo.
un aperto e A
f (x) =
non ha derivate deboli prime in
un aperto strettamente con-
1 se x 2 A
0 se x 2
=A
:
Un risultato utile che dà una condizione su¢ ciente per la derivabilità in
senso debole è il seguente:
Teorema 1.17 (di Rademacher) Sia
Rn un aperto e f lipschitziana in
: Allora:
1. f ammette derivate parziali prime in senso classico quasi ovunque in ;
2. le derivate parziali prime di f sono funzioni L1 ( );
3. le derivate parziali prime di f sono anche derivate deboli.
Si tratta di un teorema profondo, che unisce idee classiche sulla derivabilità
alle idee di teoria della misura.
1.4
Spazi di Sobolev
Possiamo ora introdurre gli spazi di funzioni derivabili in senso debole:
De…nizione 1.18 (Spazi di Sobolev) Sia
spazio di Sobolev:
Rn un aperto. De…niamo lo
H 1 ( ) = f 2 L2 ( ) : f ha derivate deboli prime in L2 ( ) ;
munito della norma
kf kH 1 (
)
= kf kL2 (
)
+ kjrf jkL2 (
)
:
Più in generale, per k = 1; 2; 3::::
H k ( ) = f 2 L2 ( ) : f ha derivate deboli di tutti gli ordini …no a k in L2 ( ) ;
munito della norma
kf kH k (
)
= kf kL2 (
)+
k X
X
j=1 j j=j
10
kD f kL2 (
)
:
Come per gli spazi di Lebesgue, a¢ nché queste siano e¤ettivamente delle
norme occorre identi…care tra loro funzioni uguali quasi ovunque. In altre parole,
formalmente un elemento di uno spazio di Sobolev non è una funzione ma una
classe d’equivalenza di funzioni.
Gli spazi di Sobolev che abbiamo appena de…nito sono modellati sullo spazio
L2 . In modo analogo si possono de…nire per ogni p 2 [1; 1] spazi di Sobolev
di funzioni Lp con derivate deboli in Lp , ed in e¤etti nell’odierna teoria delle
equazioni a derivate parziali questi spazi di Sobolev sono fondamentali, ma per
le applicazioni che abbiamo in mente il caso p = 2 sarà su¢ ciente. Ciò che
rende speciali gli spazi di Sobolev H 1 e H k ; modellati su L2 , è che la loro
norma proviene da un prodotto scalare:
kf kH 1 (
= hf; f i con
Z
Z
hf; gi =
f gdx +
rf rgdx
)
(se considerassimo funzioni a valori complessi dovremmo de…nire il prodotto
scalare con un coniugato sul secondo fattore dell’integranda). Analogamente:
kf kH k (
= hf; f i con
Z
k X Z
X
hf; gi =
f gdx +
(D f ) (D g) dx:
)
j=1 j j=j
Il prossimo risultato è ormai semplice da dimostrare ma fondamentale. In
un certo senso è la motivazione della de…nizione di derivata debole che abbiamo
dato:
Teorema 1.19 Gli spazi H k ( ) (k = 1; 2; 3; :::) sono completi. Dunque sono
spazi di Banach e di Hilbert.
Dimostrazione. Proviamolo per k = 1, il caso generale si ottiene iterando
1
lo stesso argomento. Sia dunque ffk gk=1 una successione di Cauchy in H 1 ( ).
1
Per come è de…nita la norma H , questo signi…ca che:
1
ffk gk=1 è di Cauchy in L2 ( ) ;
1
(fk )x1 k=1 è di Cauchy in L2 ( ) ;
...
1
(fk )xn k=1 è di Cauchy in L2 ( ) :
Poiché L2 ( ) è completo, esisteranno f; g1 ; :::; gn 2 L2 ( ) tali che
fk ! f in L2 ( ) ;
2
(fk )xi ! gi in L ( ) ; per i = 1; 2; :::; n:
(1.2)
(1.3)
Proviamo che esiste la derivata debole fxi = gi per i = 1; 2; :::; n. Infatti per
de…nizione di derivata debole di fk si ha:
Z
Z
(fk )xi dx per ogni 2 C01 ( ) ; i = 1; 2; :::; n:
fk xi dx =
11
Passando al limite per k ! 1, per la continuità del prodotto scalare si ha:
Z
Z
f xi dx =
gi dx per ogni 2 C01 ( ) ; i = 1; 2; :::; n;
e questo signi…ca appunto che esiste fxi = gi per i = 1; 2; :::; n. Ma allora le
(1.3) dicono che (fk )xi ! fxi ; che insieme alla (1.2) dà fk ! f in H 1 ( ), e
H 1 ( ) è completo.
Osservazione 1.20 (Spazio H 1 e energia …nita) In diverse interpretazioni
…siche delle equazioni a derivate parziali che andremo a studiare negli spazi di
Sobolev, se u è la soluzione dell’equazione, l’integrale
Z
2
jruj dx
ha il signi…cato di energia. Per esempio, la densità di energia del campo elettrico
è data da
1
D E:
2
Nel vuoto i due campi sono proporzionali e pari al gradiente del potenziale
elettrostatico u; perciò
Z
Z
2
Energia in =
cru rudx = c
jruj dx:
Analoga relazione vale per l’energia del campo magnetico. Se invece u (x; y)
rappresenta la con…gurazione di una membrana elastica in equilibrio, la sua
energia potenziale elastica è ancora proporzionale a
Z
2
jruj dx:
Perciò lo spazio H 1 ( ) ha il signi…cato …sico di insieme di stati di un sistema
aventi energia …nita.
Abbiamo già detto che le funzioni regolari in senso classico hanno anche
derivate deboli. Se ad esempio u 2 C 1
con aperto limitato, certamente
u 2 H k ( ) per ogni k. E’ interessante chiedersi se, oltre a ciò, ogni funzione
in uno spazio di Sobolev può essere approssimata mediante funzioni regolari.
Il prossimo teorema raccoglie i risultati fondamentali in questa direzione. (Si
tratta in realtà di due diversi teoremi, che abbiamo condensato in un unico
enunciato. La dimostrazione di questi fatti è lunga ed elaborata, non la faremo).
Teorema 1.21 (Approssimazione con funzioni regolari) 1. Sia
Rn
k
1
un aperto qualsiasi e u 2 H ( ). Allora esiste una successione fuj g C ( )
tale che uj ! u in H k ( ). In altre parole: C 1 ( ) \ H k ( ) è denso in H k ( ).
2. Se inoltre
ha frontiera regolare, allora esiste una successione fuj g
C1
(funzioni regolari …no al bordo) tale che uj ! u in H k ( ). Nel caso in
cui è illimitato, si possono comunque scegliere le uj aventi ciascuna supporto
limitato. In altre parole: C 1
è denso in H k ( ).
12
Si osservi che il secondo risultato di approssimazione è più forte del primo,
e vale sotto un’ipotesi di regolarità sulla frontiera di , mentre il primo vale su
qualsiasi aperto :
Nello studio dei problemi ai limiti per equazioni a derivate parziali sarà
importante poter a¤ermare che una certa funzione appartenente ad H 1 ( ) si
annulla sul bordo del dominio. Il signi…cato di questa a¤ermazione però non è
ovvio, perché le funzioni H 1 ( ) sono de…nite quasi ovunque, e @ in generale
ha misura nulla, per cui non è chiaro che si possa dire quanto vale una funzione
di H 1 ( ) nei punti del bordo. Il modo in cui diciamo che u si annulla sul
bordo di fa intervenire l’approssimazione con funzioni regolari. Si consideri
la prossima:
De…nizione 1.22 Se
Rn è un aperto, de…niamo lo spazio H01 ( ) come
1
la chiusura di C0 ( ) in H 1 ( ). Esplicitamente, H01 ( ) è de…nito come il
sottoinsieme di H 1 ( ) costituito da quelle funzioni che sono limite in norma
H 1 ( ) di una successione di funzioni C01 ( ):
n
o
1
H01 ( ) = f 2 H 1 ( ) : 9 f k gk=1 C01 ( ) : k k f kH 1 ( ) ! 0 :
Si veri…ca facilmente che H01 ( ) è un sottospazio vettoriale di H 1 ( ), chiuso
e quindi completo. In altre parole, anche H01 ( ) è uno spazio di Hilbert. Questo
spazio contiene in particolare le funzioni regolari che si annullano puntualmente
sul bordo di . Più in generale, i suoi elementi sono le funzioni nulle sul bordo
nel senso degli spazi di Sobolev.
Si possono de…nire anche spazi di funzioni nulle su parte della frontiera:
De…nizione 1.23 Se
Rn è un aperto e
@ è una parte della frontiera
n 1
tale che H
( ) > 0, de…niamo lo spazio H 1 ( ) come la chiusura in H 1 ( )
dello spazio delle funzioni C 1 ( ) che si annullano in un intorno di :
H1 ( ) = f 2 H1 ( ) : 9 f
k
1
k gk=1
= 0 in un intorno di
C1 ( ) ;
:k
k
f kH 1 (
)
o
!0 :
La de…nizione di derivata debole è modellata sulla formula di integrazione
per parti. Ci aspettiamo che la formula di integrazione per parti “funzioni bene”
perciò tra due funzioni in spazi di Sobolev. Infatti:
Teorema 1.24 (Integrazione per parti) Per ogni f 2 H 1 ( ) ; g 2 H01 ( )
si ha:
Z
Z
f gxi dx =
fxi gdx:
(1.4)
1
Dimostrazione. Poiché g 2 H01 ( ) esiste f k gk=1
C01 ( ) : k ! g in
1
H ( ). Per queste k possiamo scrivere, per de…nizione di derivata debole di
f;
Z
Z
f ( k )xi dx =
fxi k dx:
13
Ora passiamo al limite per k ! 1 e per la continuità del prodotto scalare
abbiamo (1.4), poiché k ! g in L2 e ( k )xi ! gxi in L2 .
Si noti che la precedente formula di integrazione per parti ha bisogno che
almeno una delle due funzioni sia nulla al bordo. Altrimenti nel caso classico
comparirebbe anche un integrale di super…cie. Dobbiamo capire che cosa diventa
questa formula quando entrambe le funzioni sono H 1 ( ) ma non nulle al bordo.
Questo coinvolge il concetto di traccia di una funzione H 1 ( ) sul bordo di .
La domanda è: è possibile de…nire i valori di u su @ (pur essendo questo un
insieme di misura nulla)? La risposta, non scontata, è a¤ermativa: per quanto in
generale le funzioni H 1 ( ) siano de…nite quasi ovunque, la loro extra-regolarità
dovuta all’esistenza di derivate deboli fa sì che su insiemi di misura nulla ma
“abbastanza grandi”come sono gli insiemi di dimensione di Hausdor¤ n 1 (se
è un aperto regolare di Rn , il suo bordo è un insieme di dimensione n 1)
abbia senso considerare la restrizione di u. Questa restrizione risulta essere una
funzione L2 (@ ) ; quindi è anch’essa de…nita quasi ovunque rispetto alla misura
H n 1 su @ .
Teorema 1.25 Sia un dominio limitato di Rn con frontiera regolare, oppure
sia un semispazio di Rn : Esiste un operatore lineare continuo, detto operatore
di traccia,
1
2
0 : H ( ) ! L (@ )
è 0 u (x) = u (x) per x 2 @ , e per ogni u 2 H01 ( )
tale che per ogni u 2 C 1
è 0 u 0: La continuità di 0 signi…ca che vale la stima
k
con c dipendente solo da
0 ukL2 (@ )
c kukH 1 (
)
(1.5)
:
Dimostrazione. Lo proviamo nel caso del semispazio. Sia quindi
= fx = (x0 ; xn ) : xn
0g :
Sfrutteremo il Teorema 1.21 di approssimazione con funzioni regolari: ogni
u 2 H 1 ( ) può essere approssimata mediante funzioni C 1
aventi suppor1
to limitato. Sia dunque prima u 2 C
con supporto di u contenuto in
fx = (x0 ; xn ) : xn Kg per qualche K 1, e proviamo per queste u una stima
di tipo (1.5). Scriviamo:
Z xn
i
d h
2
2
2
0
0
u (x ; xn ) = u (x ; 0) +
u (x0 ; t) dt
dt
0
Z xn
@u
2
2
u (x0 ; 0) = u (x0 ; xn )
2u (x0 ; t)
(x0 ; t) dt
@x
n
0
Z xn
1=2 Z xn
1=2
@u
2
2
2
0
0
u (x ; xn ) + 2
u (x ; t) dt
(x0 ; t) dt
@xn
0
0
14
a2 + b2 si ha allora:
dove si è usata la disuguglianza di Schwarz. Poiché 2ab
2
0
ju (x ; 0)j
ju (x ; xn )j +
e integrando in x0 2 Rn
K
Z
2
0
1
1
xn
2
0
ju (x ; t)j dt +
0
Z
xn
0
2
@u
(x0 ; t) dt
@xn
e poi in xn 2 (0; K)
Z
2
Rn
Z
ju (x0 ; 0)j dx0
+
0
Z K
0
Z
Z
K
K
Z
2
Rn
Rn
1
1
Z
ju (x0 ; xn )j dx0 dxn
Z
xn
Z
2
ju (x0 ; t)j dtdx0 dxn
0
2
xn
@u
(x0 ; t) dtdx0 dxn
@x
n
1
n
0
R
0
Z K
Z
2
2
= kukL2 ( ) +
(K t)
ju (x0 ; t)j dx0 dt
0
Rn 1
!
Z K
Z
2
@u
+
(K t)
(x0 ; t) dx0 dt
0
Rn 1 @xn
+
2
2
kukL2 (
e dividendo per K
)+K
@u
@xn
2
L2 ( )
1
2
ku ( ; 0)kL2 (@
) + K kukL2 (
)
1+
1
K
2
kukL2 (
)
2
@u
@xn
+
2
2 kukH 1 (
L2 ( )
)
:
Si noti che la stima …nale ottenuta non contiene K, quindi non dipende dal sup1
porto della particolare funzione u. Sia ora u 2 H 1 ( ) e sia fuk gk=1 C 1
1
una successione uk ! u in H ( ) ; per le uk uh vale la stima precedente,
perciò:
2
2
kuk ( ; 0) uh ( ; 0)kL2 (@ ) 2 kuk uh kH 1 ( ) :
(1.6)
1
Poiché fuk gk=1 converge in H 1 ( ), è di Cauchy in H 1 ( ), pertanto tende a
zero il secondo membro della (1.6), e quindi anche il primo. Perciò la successione
1
fuk ( ; 0)gk=1 è di Cauchy in L2 (@ ), pertanto converge a una certa funzione
2
f 2 L (@ ); porremo
0u = f .
Si ha naturalmente
k
2
0 ukL2 (@ )
2
2 kukH 1 (
)
:
Inoltre questa funzione 0 u non dipende dalla particolare successione approssi1
1
mante fuk gk=1 , in quanto se fe
uk gk=1 è un’altra successione tendente a u in
1
H ( ) si ha:
kuk ( ; 0)
2
u
ek ( ; 0)kL2 (@
)
15
2 kuk
2
u
ek kH 1 (
)
! 0;
quindi le due successioni fuk ( ; 0)g ; fe
uk ( ; 0)g individuano lo stesso limite L2 (@ ).
La tesi è quindi dimostrata.
Il concetto di traccia permette ora di stabilire nel contesto di H 1 ( ) delle
formule di integrazione per parti perfettamente analoghe a quelle classiche:
Teorema 1.26 (Formule di Green) Sia un dominio regolare di Rn (su cui
vale il teorema della divergenza classico). Allora, indicando con il versore
normale esterno su @ :
1) Se u; v 2 H 1 ( ) ;vale la:
Z
Z
Z
uvxi dx =
uxi vdx +
( 0 u) ( 0 v) i dH n 1 :
(1.7)
@
1
2
2) Se u 2 H ( ) ; v 2 H ( )vale la:
Z
Z
Z
u vdx =
ru rvdx +
(
0 u)
@
n
X
(
0 vxi )
i dH
n 1
:
(1.8)
i=1
Le due identità precedenti si possono riscrivere in forma più espressiva così:
Z
Z
Z
uvxi dx =
uxi vdx +
uv i dH n 1
@
Z
Z
Z
@v
u vdx =
ru rvdx +
u dH n 1
@
@
sottointendendo che negli integrali di bordo le integrande vanno intese nel senso
delle tracce.
Dimostrazione. Siano u; v 2 H 1 ( ), e siano fuk g ; fvk g
C1
tali che
1
uk ! u e vk ! v in H ( ) (poiché il dominio è regolare questa approssimazione
si può fare, in base al Teorema 1.21). Per il teorema della divergenza classico si
ha:
Z
Z
Z
uk (vk )xi dx =
(uk )xi vk dx +
uk vk i dH n 1 :
@
Ora passando al limite per k ! 1, poiché
uk ! u in L2 ( )
vk ! v in L2 ( )
(uk )xi ! uxi in L2 ( )
(vk )xi ! vxi in L2 ( )
uk !
vk !
0u
in L2 (@ )
0v
in L2 (@ )
per la continuità del prodotto scalare si ha:
Z
Z
Z
uvxi dx =
uxi vdx +
(
@
16
0 u) ( 0 v)
i dH
n 1
:
Siano ora u 2 H 1 ( ) ; v 2 H 2 ( ), allora applicando la precedente con v
sostituita da vxi e poi sommando in i si ha:
Z
Z
Z
n
X
u vdx =
ru rvdx +
( 0 u)
( 0 vxi ) i dH n 1 :
@
i=1
L’ultimo risultato che ci occorre riguardo agli spazi di Sobolev è la seguente
disuguaglianza che riguarda le funzioni nulle al bordo:
Rn un dominio lim-
Teorema 1.27 (Disuguaglianza di Poincaré) Sia
itato. Allora per ogni u 2 H01 ( ) vale la:
kukL2 (
diam ( ) krukL2 (
)
)
:
(1.9)
Lo stesso vale per u 2 H 1 ( ) dove è una porzione di frontiera di
avente
misura H n 1 positiva (con una costante c ( ) che potrebbe essere diversa dal
diametro).
In base al teorema precedente, nello spazio H01 ( ) la norma H 1 ( ) è equivalente alla sola norma L2 del gradiente.
Dimostrazione. Proviamo solo il risultato per H01 ( ). Poiché
in particolare è contenuto in una striscia del tipo:
x = (x0 ; xn ) : x0 2 Rn
S
1
è limitato,
; a < xn < b
con a; b 2 R. Consideriamo prima una funzione u 2 C01 ( ). Allora si ha
(essendo u nulla sul bordo di S; quindi u (x0 ; a) = 0):
Z xn
@u
0
u (x ; xn ) =
(x0 ; t) dt:
@x
n
a
Per la disuguaglianza di Schwarz:
ju (x0 ; xn )j
(xn
2
(xn
ju (x0 ; xn )j
Z
2
xn
@u
a)
(x0 ; t) dt
@x
n
a
!
Z xn
2
@u
0
a)
(x ; t) dt
@xn
a
!
Z b
2
@u
a)
(x0 ; t) dt
a @xn
1=2
(b
!1=2
e integrando
2
kukL2 (
)
=
Z
Rn
(b
1
Z
b
a
a)
Z
Rn
(b
2
a)
2
ju (x0 ; xn )j dxn dx0
1
Z
b
Z
a
a
2
krukL2 ( )
17
b
2
@u
(x0 ; t) dtdx0 dxn
@xn
1
da cui la (1.9) per u 2 C01 ( ). Sia ora u 2 H01 ( ) ; sia fuk gk=1
che uk ! u in H 1 ( ). Per quanto appena dimostrato è
kuk kL2 (
)
(b
a) kruk kL2 (
)
C01 ( ) tale
per ogni k:
Passando al limite per k ! 1 si ha la (1.9) per u. E’chiaro in…ne che se è
limitato, orientando opportunamente gli assi si può sempre scegliere l’insieme S
in modo che (b a) uguagli il diametro di :
Si noti che la dimostrazione fatta sfrutta l’annullamento delle funzioni solo
su una porzione di frontiera di . Si intuisce quindi che il teorema possa valere
anche per funzioni H 1 ( ) nulle su una porzione qualunque di @ . Ne omettiamo
la dimostrazione.
2
Formulazione debole di problemi ellittici
2.1
Operatori uniformemente ellittici
Consideriamo ora la seguente classe di equazioni a derivate parziali di tipo
stazionario:
Lu
n
X
(aij (x) uxi )xj +
i;j=1
n
X
bi (x) uxi + c (x) u = f (x) in
Rn :
i=1
Si dice che la parte principale (cioè quella contenente le derivate seconde) è
scritta in forma di divergenza, in quanto
n
X
(aij (x) uxi )xj =
i;j=1
div (A (x) ru (x))
n
con A (x) = (aij (x))i;j=1 . Questa classe di operatori di¤erenziali contiene al
proprio interno vari casi signi…cativi. Ad esempio, in un’equazione di di¤usione
del calore in un mezzo omogeneo e isotropo la parte principale sarà del tipo
c u;
che corrisponde ad una matrice A costante multipla dell’identità. Se il mezzo
è isotropo ma non omogeneo, la matrice A sarà del tipo a (x) I con I matrice
identità, e la parte principale sarà
div (a (x) ru) :
In…ne se il mezzo è anche non isotropo, in generale la A sarà una matrice piena.
Questo signi…ca che un gradiente di temperatura ru porta ad un ‡usso di calore
q non parallelo a ru, ma ruotato secondo la matrice A; cioè con una legge
q=
A (x) ru:
18
Il fatto che il calore passi dal corpo più caldo al corpo più freddo signi…ca che q
e ru devono sempre formare un angolo acuto, ossia A (x) ru ru > 0. Questa
disuguaglianza deve discendere da una proprietà della matrice A (x), in modo
che possa valere qualunque sia il vettore ru. Dev’essere cioè
A (x)
> 0 per ogni
2 Rn ; x 2 :
Si suppone anzi, di solito, che questa condizione di positività della matrice sia
soddisfatta in modo uniforme rispetto a x, ossia che esista una costante positiva
per cui è
2
A (x)
j j per ogni 2 Rn ; x 2 ;
(2.1)
condizione che viene detta di uniforme ellitticità (della matrice o dell’operatore
di¤erenziale).
La parte principale dell’operatore è detta, per il suo signi…cato …sico, termine
di di¤ usione. Veniamo agli altri termini dell’equazione. La parte che coinvolge le
derivate prime di u è il termine di trasporto. Ad esempio, è quello che descrive
la variazione di temperatura in un mezzo continuo dovuta ad un movimento
convettivo nel mezzo stesso (cioè ad uno spostamento di materia calda, anziché
alla di¤usione di calore in materia immobile).
Un’equazione di di¤usione può descrivere non solo la di¤usione del calore in
un corpo, ma anche la di¤usione di un soluto in un solvente. In questo caso
la funzione incognita u ha il signi…cato di concentrazione del soluto, anziché di
temperatura.
In…ne, il termine contenente la u è detto termine di reazione, e compare ad
esempio in modelli di di¤usione (di un soluto in un solvente) in cui una certa porzione del soluto viene assorbita o decade. Per il suo signi…cato …sico ed
anche per motivi matematici, il coe¢ ciente c (x) di questo termine è generalmente assunto di segno non negativo: questo segno signi…ca che il termine è
responsabile di una diminuzione del soluto, nel tempo. Si tenga presente che
stiamo studiando un’equazione stazionaria che è pensata come punto d’arrivo,
all’equilibrio, dello stato di un sistema che per sua natura evolve nel tempo. In
altre parole, il signi…cato …sico dei vari termini dell’equazione si capisce meglio
pensando alla corrispondente equazione di evoluzione ut + Lu = 0:
Supporremo che tutti i coe¢ cienti dell’equazione, aij ; bj ; c siano misurabili
e limitati (ma non necessariamente continui o derivabili, neppure i coe¢ cienti
aij che pure compaiono sotto derivata!). Questo corrisponde …sicamente ad ammettere la presenza di discontinuità nella composizione del mezzo. Supporremo
sempre che valga la condizione di uniforme ellitticità (2.1). (Quando questa non
vale, si dice che l’operatore è degenere, e la teoria corrispondente può essere
decisamente più complessa).
Il termine noto f sarà supposto in L2 ( ). Per un’equazione di questo tipo
si è interessati a studiare vari tipi di problemi al contorno:
1. Problema di Dirichlet: equazione di¤erenziale + condizione
u = g su @ :
19
Per esempio, signi…ca che la temperatura al bordo del corpo è mantenuta controllata (termostato).
2. Problema di Neumann: equazione di¤erenziale + condizione
@u
= h su @ :
@
Per esempio, signi…ca che il ‡usso termico al bordo del corpo è mantenuto
controllato. In particolare, se h = 0 signi…ca che il corpo è termicamente isolato.
La condizione di Neumann ha questa forma quando la matrice dei coe¢ cienti
faij g è diagonale (mezzo isotropo); altrimenti va sostituita con una condizione
sulla derivata conormale:
aij (x) uxi
j
= h su @ :
La derivata conormale di u è la derivata nella direzione A (x) : è questa la
direzione del ‡usso di¤usivo legato ad un’equazione di questo tipo. Si può
anche scrivere in forma più espressiva:
@u
= h su @ :
@ A
3. Problema misto: equazione di¤erenziale + condizioni
u = g su
@u
= h su
@ A
0
1
dove @ = 0 [ 1 . Signi…ca che su parte del bordo è controllata la temperatura
mentre su un’altra parte del bordo è controllato il ‡usso termico.
4. Problema di Robin: equazione di¤erenziale + condizioni
@u
+ k (u
@ A
u0 ) = 0 su @
con k > 0 costante. Signi…ca che sul bordo il ‡usso termico è proporzionale alla
di¤erenza tra la temperatura del corpo e la temperatura esterna u0 . Questo è
ciò che accade se il corpo scambia liberamente calore con l’ambiente esterno.
Abbiamo riportato per completezza questo tipo di problema, di cui però non ci
occuperemo in seguito.
Vediamo che cosa signi…ca esattamente, dal punto di vista matematico, risolvere uno di questi problemi, ossia: discutiamo cosa si possa intendere per
soluzione di un problema di questi tipi. Come vedremo, una buona de…nizione
di soluzione in questo contesto non è a¤atto ovvia, ed è un buon punto di
partenza per dimostrare un risultato di esistenza della soluzione.
20
2.2
Problemi ai limiti e de…nizione di soluzione debole
1. Problema di Dirichlet omogeneo, parte principale laplaciano.
Consideriamo il problema di Dirichlet per l’equazione Lu = f . Per gradualità, cominciamo dal caso in cui la parte principale è il laplaciano e il dato al
bordo è zero:
Pn
u + i=1 bi uxi + cu = f in
(2.2)
u=0
su @ :
Possiamo pensare di imporre la condizione al contorno u = 0 su @ semplicemente richiedendo che la soluzione appartenga a H01 ( ) (che è stato de…nito
appunto come spazio delle funzioni nulle al bordo). In questo modo la condizione al contorno è incorporata nello spazio funzionale. Però l’equazione è del
second’ordine, perciò a¢ nché si possa calcolare u la soluzione dovrebbe stare
in H 2 ( ) ; non solo in H 1 ( ). Vogliamo trovare una formulazione alternativa
dell’equazione di¤erenziale che sia basata sulla de…nizione di derivata debole,
cioè sulla formula di integrazione per parti. L’idea è: per cominciare supponiamo che la funzione u sia abbastanza regolare da poter soddisfare l’equazione
in senso puntuale quasi ovunque: supponiamo che u 2 H 2 ( ) \ H01 ( ) risolva
l’equazione:
n
X
u+
bi uxi + cu = f
i=1
che in questo caso può essere interpretata come uguaglianza tra due funzioni
L2 ( ), quindi uguaglianza quasi ovunque. Si dice che u è soluzione dell’equazione in senso forte. Adesso moltiplichiamo ambo i membri per una funzione
2 H01 ( ) ed integriamo in :
Z
udx +
n Z
X
bi uxi dx +
i=1
Z
cu dx =
Z
f dx
in…ne integriamo per parti nel primo integrale, l’unico che coinvolge derivate
seconde della u. In base alle formule di Green (1.8) per u 2 H 2 ( ) e 2 H01 ( )
si ha (avendo la traccia nulla su @ )
Z
r
rudx +
n Z
X
i=1
bi uxi dx +
Z
cu dx =
Z
f dx 8 2 H01 ( ) .
(2.3)
Quindi se u 2 H 2 ( ) \ H01 ( ) e u risolve l’equazione quasi ovunque, allora è
soddisfatta questa identità. D’altro canto questa identità non coinvolge derivate
seconde di u; ma ha senso per ogni funzione u 2 H01 ( ). Diremo allora che:
De…nizione 2.1 u è soluzione debole del problema (2.2) se u 2 H01 ( ) e vale
la (2.3).
Il pregio di questa de…nizione è duplice: da una parte è basata su una
formulazione integrale che come abbiamo spiegato è naturale da vari punti di
21
vista; dall’altra, richiede una derivata in meno rispetto a quelle che sono scritte
nell’equazione.
Supponiamo di sapere che u è soluzione debole dell’equazione. In generale, u
avrà solo derivate prime, e non potrà soddisfare l’equazione in senso puntuale. Se
però sapessimo che u 2 H 2 ( ) ; allora potremmo fare il passaggio di integrazione
per parti a ritroso arrivando a
Z
(Lu f ) = 0 per ogni 2 H01 ( ) :
In particolare l’uguaglianza vale per ogni 2 C01 ( ) ; e per noti teoremi di
annullamento questo è su¢ ciente per a¤ermare che Lu f = 0 quasi ovunque
in :
Conclusione: se u è soluzione in senso debole e inoltre u 2 H 2 ( ), allora
u è anche soluzione in senso forte. Questo chiarisce che la nozione di soluzione
debole è una generalizzazione della nozione di soluzione forte (o classica, quando
coe¢ cienti e soluzione sono regolari), consistente con essa.
Osserviamo ora che la (2.3) ha la seguente struttura logica:
determinare u 2 H01 ( ) tale che
a (u; ) = T
dove
a (u; ) =
Z
r
per ogni
2 H01 ( ) ;
n Z
X
bi uxi dx +
rudx +
i=1
Z
cu dx
e una forma bilineare sullo spazio di Hilbert H01 ( ), e
Z
T =
f dx
è un funzionale lineare continuo su H01 ( ). Il Teorema di Lax-Milgram sarà
quindi lo strumento per provare l’esistenza delle soluzioni. Prima di discutere
in dettaglio i risultati di esistenza, però, passiamo in rassegna ad altri problemi
ai limiti, per illustrare le corrispondenti de…nizioni di soluzione.
2. Problema di Dirichlet omogeneo, parte principale in forma di
divergenza.
Consideriamo ora il problema:
Pn
Pn
in
i;j=1 (aij (x) uxi )xj +
i=1 bi uxi + cu = f
(2.4)
u=0
su @ :
Ragioniamo in modo analogo al caso precedente. Supponiamo in un primo
momento che u 2 H 2 ( ) \ H01 ( ) e che i coe¢ cienti aij siano regolari (è
su¢ ciente lipschitziani), in modo che l’equazione possa essere soddisfatta in
22
senso forte, cioè sia un’uguaglianza in L2 ( ). Moltiplichiamo ambo i membri
dell’equazione per 2 H01 ( ) e integriamo in :
n Z
X
(aij uxi )xj dx +
i;j=1
n Z
X
bi uxi dx +
i=1
Z
cu dx =
Z
f dx:
Quindi integriamo per parti nel primo integrale (l’unico che coinvolge derivate
seconde della soluzione). Poiché 2 H01 ( ) e se u 2 H 2 ( ) e aij 2 Lip ( )
allora aij (x) uxi 2 H 1 ( ), per (1.7) si ha:
n Z
X
aij uxi
xj dx
+
i;j=1
n Z
X
bi uxi dx +
i=1
Z
cu dx =
Z
f dx 8 2 H01 ( ) ;
(2.5)
identità che ha il pregio di avere senso per ogni u 2 H01 ( ) e inoltre per aij 2
L1 ( ). Diremo quindi che:
De…nizione 2.2 u è soluzione debole di (2.4) se u 2 H01 ( ) e vale la (2.5).
3. Problema di Dirichlet non omogeneo, parte principale in forma
di divergenza.
Consideriamo ora il problema:
Pn
Pn
in
i;j=1 (aij (x) uxi )xj +
i=1 bi uxi + cu = f
(2.6)
u=g
su @ :
Se il dato al bordo non è zero, non possiamo più assumere u 2 H01 ( ).
Occorre anche precisare che tipo di funzione è g, e dove risulta de…nita. Supponiamo, per semplicità, che la funzione g non sia de…nita solo su @ , ma sia
g 2 H 1 ( ). Sappiamo che in questo caso è ben de…nita la traccia di g su @ ;
in altre parole il dato al bordo è ben de…nito. Dire che u = g su @ dovrebbe
essere equivalente a dire che u g = 0 su @ ; che a sua volta si può esprimere
con la richiesta u g 2 H01 ( ). Chiederemo quindi che il dato al bordo sia
soddisfatto in questo senso:
si cerca u 2 H 1 ( ) tale che u g 2 H01 ( ).
Sia v = u g: Allora se u risolve l’equazione di partenza, formalmente v
risolve l’equazione
n
X
(aij vxi )xj +
i;j=1
0
=@
=f+
n
X
bi vxi + cv
i=1
n
X
(aij uxi )xj +
i;j=1
n
X
i;j=1
n
X
i=1
(aij gxi )xj
n
X
1
bi uxi + cuA
bi gxi
cg:
i=1
23
0
@
n
X
i;j=1
(aij gxi )xj +
n
X
i=1
1
bi gxi + cg A
Si osservi che se g 2 H 1 ( ) allora
F
f
n
X
bi gxi
i=1
mentre
n
X
(aij gxi )xj
n
X
(aij vxi )xj +
i;j=1
n
X
j=1
cg 2 L2 ( ) ;
(Fj )xj con Fj 2 L2 ( ) :
Quindi: la soluzione che cerchiamo è la funzione u = g + v dove v è de…nita
come la soluzione in H01 ( ) dell’equazione
i;j=1
n
X
bi vxi + cv = F +
i=1
n
X
(Fj )xj
j=1
che andrà interpretata anch’essa in senso debole, così:
Z
Z
n Z
n Z
X
X
aij vxi xj dx +
bi vxi dx +
cv dx =
F dx
i;j=1
i=1
n Z
X
Fj
xj dx
j=1
(2.7)
8 2 H01 ( ).
Quindi la risoluzione di un problema di Dirichlet con dato al bordo non zero
si trasforma, con il cambio di incognita u = g + v, in un altro problema di
Dirichlet con dato al bordo nullo ma termine noto dell’equazione un po’ più
complicato.
4. Problema di Neumann omogeneo.
Consideriamo ora il problema:
Pn
Pn
(aij (x) uxi )xj + i=1 bi uxi + cu = f
i;j=1
Pn
i;j=1 aij uxi j = 0
in
su @ :
(2.8)
dove la condizione al contorno, di tipo Neumann, consiste nel chiedere che la
derivata conormale di u, cioè la derivata nella direzione A (x) , sia nulla. E’
questa la direzione del ‡usso di¤usivo legato ad un’equazione di questo tipo. Se
la parte principale fosse il laplaciano, o comunque la matrice A (x) fosse del tipo
a (x) I (isotropia del mezzo) ritroveremmo la solita derivata normale.
La soluzione non sarà in generale una funzione H01 ( ). Supponiamo prima
che u 2 H 2 ( ) ; aij siano regolari, e u soddis… l’equazione. Moltiplichiamo per
2 H 1 ( ) e integriamo su :
Z
Z
n Z
n Z
X
X
bi uxi dx +
cu dx =
f dx:
(aij uxi )xj dx +
i;j=1
i=1
Ora integriamo per parti il primo integrale. Poiché aij uxi e sono entrambe
funzioni H 1 ( ) la formula di Green (1.7) dà:
n Z
n Z
n Z
X
X
X
(aij uxi )xj dx =
aij uxi xj dx
( 0 (aij uxi )) ( 0 ) i dH n
i;j=1
i;j=1
i;j=1
24
@
1
:
Pn
Ora poiché 2 H 1 ( ) in generale ( 0 ) 6= 0; in compenso i;j=1 ( 0 (aij uxi )) i
è proprio la derivata conormale di u; che per ipotesi è nulla. Otteniamo quindi:
Z
Z
n Z
n Z
X
X
aij uxi xj dx +
bi uxi dx +
cu dx =
f dx 8 2 H 1 ( ) :
i;j=1
i=1
(2.9)
Questa formulazione ha senso nelle sole ipotesi aij 2 L1 ( ) e u 2 H 1 ( ),
perciò:
De…nizione 2.3 Diremo che u è soluzione debole di (2.8) se u 2 H 1 ( ) e vale
la (2.9).
Si osservi che la formulazione è molto simile a quella del problema di Dirichlet
omogeneo, con la di¤erenza che ora sia la u che la stanno in H 1 ( ) anziché
in H01 ( ).
5. Problema misto omogeneo.
Consideriamo ora il problema misto:
Pn
8 Pn
<
i;j=1 (aij (x) uxi )xj +
i=1 bi uxi + cu = f
u
=
0
: Pn
i;j=1 aij uxi j = 0
in
su
su
(2.10)
0
1
dove 0 [ 1 = @ ; 0 \ 1 = ;. Cominciamo a imporre la condizione nulla di
Dirichlet su 0 chiedendo che u 2 H 10 ( ). Supponendo u anche in H 2 ( ) e i
coe¢ cienti aij regolari, moltiplichiamo l’equazione per 2 H 10 ( ) e integriamo
in :
Z
Z
n Z
n Z
X
X
bi uxi dx +
cu dx =
f dx:
(aij uxi )xj dx +
i=1
i;j=1
Ora integriamo per parti il primo integrale. Poiché aij uxi e
funzioni H 1 ( ) la formula di Green (1.7) dà:
n Z
X
(aij uxi )xj dx =
i;j=1
n Z
X
aij uxi
i;j=1
=
i;j=1
(
0
(aij uxi )) (
0
)
i dH
n Z
X
i;j=1
Analizziamo ora l’integrale di bordo
n Z
X
( 0 (aij uxi )) ( 0 ) i dH n 1
i;j=1 @
n Z
X
xj dx
n 1
+
0
n Z
X
i;j=1
(
0
(
0
sono entrambe
(aij uxi )) (
0
)
i dH
@
(aij uxi )) (
0
)
i dH
n 1
:
1
Poiché
2 H 10 ( ) nel
Pnprimo integrale è ( 0 ) = 0 e il primo integrale si
annulla; d’altro canto i;j=1 ( 0 (aij uxi )) i è la derivata conormale di u; che
25
n 1
:
per ipotesi è nulla su 1 , quindi il secondo integrale è pure nullo. Otteniamo
quindi:
Z
Z
n Z
n Z
X
X
aij uxi xj dx +
bi uxi dx +
cu dx =
f dx 8 2 H 10 ( ) ;
i;j=1
i=1
(2.11)
formulazione che ha senso nelle sole ipotesi u 2 H 1 ( ) ; aij 2 L1 ( ).
De…nizione 2.4 Diremo che u risolve (2.10) se u 2 H 10 ( ) e vale (2.11).
La formulazione è ancora analoga a quella del problema di Dirichlet omogeneo e del problema di Neumann omogeneo, soltanto che ora sia u che
appartengono allo spazio di Hilbert H 10 ( ).
2.3
Risultati di esistenza
Passiamo ora nuovamente in rassegna ai vari problemi che abbiamo impostato nel paragrafo precedente per stabilire dei risultati di esistenza, unicità e
dipendenza continua delle soluzioni dai dati, sotto opportune ipotesi.
1.-2. Problema di Dirichlet omogeneo, parte principale in forma
di divergenza
Consideriamo il problema:
Pn
Pn
in
i;j=1 (aij (x) uxi )xj +
i=1 bi uxi + cu = f
(2.12)
u=0
su @
(il caso in cui la parte principale è il Laplaciano è un caso particolare). Supponiamo che sia un dominio limitato di Rn , la matrice aij sia simmetrica, i
coe¢ cienti aij 2 L1 ( ) e sia soddisfatta la condizione di uniforme ellitticità:
2
j j
n
X
aij (x)
2
j j per ogni
i j
i;j=1
2 Rn .
(2.13)
Delle due disuguaglianze precedenti, l’ellitticità è la prima, cioè la stima dal
basso della forma quadratica; la stima dall’altro è un modo di esprimere la
limitatezza dei coe¢ cienti aij ; come vedremo, è comodo scrivere la condizione
in questa forma. I numeri e esprimono limitazioni dal basso e dall’alto per
il minimo e il massimo autovalore della matrice faij (x)g, rispettivamente.
Supponiamo anche:
n
X
i=1
b2i
!1=2
bi ; c 2 L1 ( ) , con
B;
L1 (
)
kckL1 (
)
26
C;
f 2 L2 ( ) :
(2.14)
La formulazione debole del problema è:
n Z
X
aij uxi
xj dx
+
i;j=1
n Z
X
bi uxi dx +
i=1
2 H01 ( ):
Poniamo allora, per u;
a (u; ) =
n Z
X
aij uxi
xj dx +
i;j=1
T
=
Z
Z
cu dx =
n Z
X
Z
f dx 8 2 H01 ( ) :
bi uxi dx +
i=1
Z
cu dx
f dx
e osserviamo quanto segue:
1. T è un funzionale lineare continuo su H01 ( ). La linearità è ovvia, mentre
per Schwarz:
Z
jT j =
f dx
kf kL2 ( ) k kL2 ( ) kf kL2 ( ) k kH 1 ( ) :
In particolare quindi
kT k
kf kL2 (
)
:
2. La forma a (u; v) è bilineare e continua su H01 ( ). La bilinearità è ovvia,
proviamo la continuità. Osserviamo preliminarmente che la forma bilineare su
Rn
n
X
( ; )=
aij i j
i;j=1
soddisfa la de…nizione di prodotto scalare (l’uniforme ellitticità della matrice
implica la proprietà di positività), per cui la disuguaglianza di Cauchy-Schwarz
implica la seguente disuguaglianza algebrica:
n
X
aij
i j
@
n
X
aij
i j
i;j=1
i;j=1
e quindi
0
n Z
X
2
1=2
j j
aij uxi
11=2 0
A
i;j=1
aij
i j
i;j=1
2
j j
xj dx
@
n
X
Z
1=2
=
11=2
A
j jj j
jruj jr j dx
Allora si ha, applicando la disuguaglianza di Schwarz e le ipotesi di limitatezza
27
sui coe¢ cienti:
ja (u; )j
n Z
X
aij uxi
xj dx
+
i;j=1
Z
n Z
X
bi uxi dx +
i=1
jruj jr j dx +
kjrujkL2 (
Z
( + B + C) kukH 1 (
b2i
i=1
kjr jkL2 (
)
n
X
)
!1=2
Z
jruj j j dx +
+ B kjrujkL2 (
) k kH 1 (
cu dx
)
Z
k kL2 (
jcu j dx
)
+ C kukL2 (
)
k kL2 (
):
Perciò la forma bilineare è continua.
3. Studiamo la coercività della forma bilineare su H01 ( ) :
a (u; u) =
n Z
X
aij uxi uxj dx +
i;j=1
n Z
X
bi uxi udx +
i=1
Z
cu2 dx:
Ora per l’ellitticità:
n Z
X
Z
aij uxi uxj dx
i;j=1
2
jruj dx:
(2.15)
Supponiamo che valga la condizione di segno
c (x)
allora
Z
0;
cu2 dx
(2.16)
0:
(2.17)
In…ne, per il calcolo già visto sopra
n Z
X
bi uxi udx
B kjrujkL2 (
i=1
)
kukL2 (
)
:
(2.18)
Ricordiamo che per la disuguaglianza di Poincaré, essendo u 2 H01 ( ) si ha:
kukL2 (
diam ( ) kjrujkL2 (
)
)
:
(2.19)
Combinando (2.15), (2.17), (2.18), (1.9) si ha:
2
a (u; u)
kjrujkL2 (
(
)
Bdiam (
B kjrujkL2 (
2
)) kjrujkL2 ( )
)
kukL2 (
)
:
Se vale la condizione (di piccolezza dei termini del prim’ordine, o di piccolezza
del dominio )
B
2diam ( )
28
(2.20)
)
allora si ha
2
a (u; u)
kjrujkL2 (
2
In…ne, ancora per la disuguaglianza di Poincaré,
kukH 1 (
)
= kukL2 (
)
+ kjrujkL2 (
)
)
:
(diam ( ) + 1) kjrujkL2 (
)
perciò
a (u; u)
2 (diam ( ) + 1)
kukH 1 (
)
e la forma è coerciva, sotto le ipotesi (2.16) e (2.20). Raccogliamo nel prossimo
teorema ciò che si può allora concludere applicando il teorema di Lax-Milgram
alla forma bilineare a sullo spazio di Hilbert H01 ( ):
Teorema 2.5 Si consideri il problema (2.12) su un dominio
Assumiamo le ipotesi (2.13), (2.14) e inoltre
c (x)
B
0 quasi ovunque in
2diam ( )
limitato di Rn .
;e
:
Allora per ogni f 2 L2 ( ) esiste una e una sola soluzione u 2 H01 ( ) del
problema, e vale la stima di stabilità (dipendenza continua della soluzione dal
termine noto f )
kukH 1 ( ) c kf kL2 ( ) ;
0
con
c=
2 (diam ( ) + 1)
.
Osservazione 2.6 La richiesta che i coe¢ cienti del termine del prim’ordine
siano piccoli non è del tutto naturale per il problema in esame, a di¤ erenza
della condizione sul segno di c. Quest’ipotesi dipende piuttosto dalla tecnica
dimostrativa usata. Se, oltre al teorema di Lax-Milgram, si fa uso anche della
teoria di Fredholm degli operatori compatti su spazi di Hilbert e di opportuni
principi di massimo per l’equazione ellittica, ques’ipotesi si riesce a rimuovere
(v. [2, Cap. 8]). Il prezzo da pagare è però lo sviluppo di una corposa teoria
di analisi funzionale. In e¤ etti la teoria di esistenza mediante il solo teorema
di Lax-Milgram è solo l’inizio della teoria delle soluzioni deboli per le equazioni
ellittiche.
3. Problema di Dirichlet non omogeneo, parte principale in forma
di divergenza.
Consideriamo ora il problema:
Pn
Pn
in
i;j=1 (aij (x) uxi )xj +
i=1 bi uxi + cu = f
(2.21)
u=g
su @ :
29
Abbiamo visto che la soluzione che cerchiamo è la funzione u = g + v dove
v è de…nita come la soluzione in H01 ( ) dell’equazione
n
X
(aij vxi )xj +
i;j=1
con
n
X
bi vxi + cv = F +
i=1
F
f
n
X
n
X
cg 2 L2 ( ) ;
bi gxi
n
X
(aij gxi )xj
i;j=1
j=1
(Fj )xj
j=1
i=1
mentre
n
X
(Fj )xj con Fj 2 L2 ( ) :
E’ cambiato solo il secondo membro dell’equazione. Nella formulazione
debole, si cerca u 2 H01 ( ) tale che
Z
Z X
n
a (u; ) =
F dx
Fj xj dx T :
j=1
Veri…chiamo che T è ancora un funzionale lineare continuo su H01 ( ):
#
Z "
n
n Z
X
X
jT j =
f
bi gxi cg dx
(aij gxi ) xj dx
i=1
kf kL2 (
+
)
i;j=1
+ B kjrgjkL2 (
)
+ C kgkL2 (
kjrgjkL2 ( ) kjr jkL2 ( )
n
k kH 1 ( ) kf kL2 ( ) + (B +
)
k kL2 (
+ C) kgkH 1 (
)
perciò T è continuo, con
kT k
kf kL2 (
)
+ (B +
+ C) kgkH 1 (
)
o
)
+
;
.
La forma bilineare è la stessa che nel caso del problema omogeneo, perciò è
continua e coerciva sotto le stesse ipotesi. Concludiamo:
Teorema 2.7 Si consideri il problema (2.21) su un dominio
Assumiamo le ipotesi (2.13), (2.14) e inoltre
c (x)
B
0 quasi ovunque in
2diam ( )
limitato di Rn .
;e
:
Allora per ogni f 2 L2 ( ) ed ogni g 2 H 1 ( ) esiste una e una sola soluzione
u 2 H 1 ( ) del problema, e vale la stima di stabilità
n
o
kukH 1 ( ) c kf kL2 ( ) + kgkH 1 ( ) .
30
4. Problema di Neumann omogeneo.
Consideriamo ora il problema:
Pn
Pn
(a (x) uxi )xj + i=1 bi uxi + cu = f
Pn i;j=1 ij
i;j=1 aij uxi j = 0
in
su @ :
(2.22)
La formulazione debole consiste nel cercare u 2 H 1 ( ) tale che
Z
a (u; ) =
f dx per ogni 2 H 1 ( ) ;
dove a è la stessa forma considerata ai punti precedenti. La di¤erenza sta
nello spazio di Sobolev che ora è H 1 ( ). Per funzioni H 1 ( ) non vale la
disuguaglianza di Poincaré, perciò la stima di coercività va rifatta:
Z
2
a (u; u)
kjrujkL2 ( ) B kjrujkL2 ( ) kukL2 ( ) +
cu2 dx:
Ora abbiamo bisogno di una condizione forte sul segno di c (x) se vogliamo
controllare dal basso la forma anche mediante la norma kukL2 ( ) . Chiederemo:
c (x)
c0 > 0:
Il termine c (x) dev’essere cioè discosto da zero. Si ha allora:
a (u; u)
2
kjrujkL2 (
k kjrujkL2 (
B kjrujkL2 (
)
)
2
)
+ kukL2 (
kukL2 (
2
)
+ c0 kukL2 (
)
)
per qualche k > 0; purché risulti
B2
4c0 < 0:
Ad esempio, se i termini del prim’ordine sono assenti e c (x) è discosto da zero, la
forma è coerciva; più in generale, i termini del prim’ordine devono essere piccoli
rispetto alla costante c0 . In compenso non abbiamo avuto bisogno di imporre
che sia limitato. Concludiamo:
Teorema 2.8 Si consideri il problema (2.22) su un dominio
iamo le ipotesi (2.13), (2.14) e inoltre
c (x)
B
2
c0 > 0 quasi ovunque in
di Rn . Assum-
;e
4c0 < 0:
Allora per ogni f 2 L2 ( ) esiste una e una sola soluzione u 2 H 1 ( ) del
problema, e vale la stima di stabilità
kukH 1 (
)
c kf kL2 (
31
)
.
Si ri‡etta sulla condizione c (x) c0 > 0 che è stata richiesta. In particolare
signi…ca che il termine di ordine zero non può mancare. Si consideri infatti il
problema:
Pn
Pn
(a (x) uxi )xj + i=1 bi uxi = f in
Pn i;j=1 ij
su @ :
i;j=1 aij uxi j = 0
Si osserva che la funzione u compare tanto nell’equazione quanto nelle condizioni
al contorno solo mediante le sue derivate. Perciò se u è soluzione del problema,
anche u+costante è soluzione. Viene a cadere l’unicità, pertanto il teorema non
può essere vero sotto queste ipotesi.
5. Problema misto omogeneo.
Consideriamo ora il problema misto:
Pn
8 Pn
<
i;j=1 (aij (x) uxi )xj +
i=1 bi uxi + cu = f
u
=
0
: Pn
i;j=1 aij uxi j = 0
in
su
su
0
(2.23)
1
dove 0 [ 1 = @ ; 0 \ 1 = ; con H n 1 ( 0 ) > 0. La formulazione debole del
problema consiste nel cercare u 2 H 10 ( ) tale che
Z
a (u; ) =
f dx per ogni 2 H 10 ( )
dove la forma bilineare è la stessa considerata in precedenza. Cambia ora lo
spazio di Hilbert. Su H 10 ( ) vale la disuguaglianza di Poincaré, quindi la
coercività si prova come nel caso 1, con la costante diam ( ) sostituita da una
più generica costante c ( ). La conclusione quindi è la seguente:
Teorema 2.9 Si consideri il problema (2.23) su un dominio di Rn limitato,
con @ = 0 [ 1 ; 0 \ 1 = ;; H n 1 ( 0 ) > 0. Assumiamo le ipotesi (2.13),
(2.14) e inoltre
c (x)
B
0 quasi ovunque in
c( )
;e
:
Allora per ogni f 2 L2 ( ) esiste una e una sola soluzione u 2 H 10 ( ) del
problema, e vale la stima di stabilità
kukH 1 (
)
c kf kL2 (
)
.
Terminiamo questa rassegna di risultati di esistenza citando senza dimostrazione
il seguente risultato sul problema agli autovalori per il laplaciano:
32
Teorema 2.10 Sia
ori:
un dominio limitato e regolare. Il problema agli autovalu + u = 0 in
u 2 H01 ( )
1
ammette una successione crescente di autovalori positivi f k gk=1 ,
un sistema di autofunzioni uk 2 H01 ( ) corrispondenti, tali che:
1
2
1) fu
n k gk=1
o è un sistema ortonormale completo di L ( );
2)
puk
R
k
1
k=1
k
! +1 e
è un sistema ortonormale completo di H01 ( ) con il prodotto
scalare
ru rvdx.
In particolare ciò signi…ca che
k
=
Z
2
jruk j dx:
Questo risultato in particolare ci dice che si può risolvere un problema di
Cauchy-Dirichlet per l’equazione del calore o delle onde, con dato al bordo nullo,
applicando la separazione di variabili e sviluppando il dato iniziale (supposto in
L2 ( )) in serie di autofunzioni uk .
2.4
Risultati di regolarità
Una domanda che può venire spontanea a questo punto è: abbiamo provato che
certi problemi hanno una soluzione debole in H 1 ( ); a questo modo però non si
arriva a provare che la soluzione possieda due derivate e soddis… l’equazione in
senso puntuale quasi ovunque (o ovunque). Da una parte, è ragionevole che sia
così quando i coe¢ cienti hanno la minima regolarità richiesta, L1 ( ). D’altro
canto, però, almeno nel caso in cui i coe¢ cienti siano più regolari, vorremmo
poter recuperare una nozione più forte di soluzione. Questo in e¤etti è possibile,
e fa parte della cosiddetta teoria della regolarità per le equazioni ellittiche. Si
può dire che tutta la …loso…a della teoria delle soluzioni deboli consista appunto
nello spezzare il problema della ricerca delle soluzioni in due due sottoproblemi:
1. Provare, sotto ipotesi minime, l’esistenza e unicità di una soluzione debole.
Questo, come abbiamo visto, non è di¢ cile, grazie alla teoria degli spazi di
Hilbert.
2. Provare che, nel caso i vari ingredienti dell’equazione (coe¢ cienti, termine noto, eventuali dati al bordo, e se richiesto anche il dominio stesso) sono
più regolari, anche la soluzione debole è in e¤etti una funzione più regolare, e
soddisfa l’equazione in un senso più forte.
Enunciamo, in modo schematico e senza dimostrazioni, i risultati che si ottengono, limitandoci per semplicità al caso del problema di Dirichlet omogeneo
(a cui comunque si riconduce anche il problema di Dirichlet non omogeneo). Nel
prossimo schema riassumiamo solo le ipotesi di regolarità, senza più ripetere le
ipotesi di altro tipo che devono comunque essere soddisfatte (uniforme ellitticità, condizione di segno su c (x) ; condizione di piccolezza del coe¢ ciente delle
derivate prime):
33
Soluzione u
in senso:
Ipotesi:
u2
1
minime:
ulteriori:
ulteriori:
ulteriori:
2.5
coe¢ cienti aij ; bj ; c 2 LP ( ) ;
n
termine noto T = f0 + j=1 (fj )xj
con fj 2 L2 ( )
coe¢ cienti aij 2 Lip ( ) ;
termine noto f 2 L2 ( )
dominio con frontiera C 2
coe¢ cienti aij ; bj ; c regolari
; bj ; c 2 C 1
)
(ad es.1 aij 2 C 2
termine noto f regolare (ad es. f 2 C 1
)
dominio regolare (ad es. con frontiera C 3 )
coe¢ cienti, termine noto e dominio di classe C 1
debole
H1 ( )
forte (q.o.)
H2 ( )
classico
C2
classico
C1
Risoluzione numerica di problemi ai limiti in forma
debole
Se, da una parte, la potenza del metodo basato sugli spazi di Hilbert è quella di
permetterci di dimostrare risultati di esistenza, unicità e dipendenza continua
della soluzione dai dati in condizioni molto generali (dominio di forma arbitraria, coe¢ cienti molto poco regolari), d’altro canto è facile capire che quando
ci si trova e¤ettivamente in una situazione generale (ad esempio siamo in più
variabili e il dominio non ha una forma semplice) non sarà possibile determinare
la soluzione esatta. In questo caso è utile ricorrere a metodi di calcolo numerico.
Un aspetto interessante della teoria in spazi di Hilbert è che si presta in modo naturale allo sviluppo di corrispondenti metodi numerici. Illustriamo l’idea
generale del metodo di Galerkin per discretizzare un problema ai limiti dei tipi
trattati in precedenza.
Sia V uno spazio di Hilbert, a (u; v) una forma bilineare continua e coerciva
su V :
ja (u; v)j
a (u; a)
M kukV kvkV
2
kukV
;
(2.24)
(2.25)
e consideriamo il problema:
determinare u 2 V tale che a (u; v) = T v per ogni v 2 V;
(2.26)
dove T 2 V 0 è assegnato. Ricordiamo che i problemi di Dirichlet omogeneo,
Neumann omogeneo e misto omogeneo si possono formulare in questo modo,
scegliendo rispettivamente V = H01 ( ), V = H 1 ( ), V = H 1 ( ). Supponiamo
1 In realtà è necessario di meno. L’ipotesi ottimale si esprime usando gli spazi di Hölder
C k; .
34
di avere una famiglia fVh gh>0 di sottospazi di V …nito dimensionali, dimVh =
Nh . La famiglia di sottospazi è indiciata su un parametro reale positivo che si
farà tendere a zero; il signi…cato di questo parametro potrebbe essere quello di
ampiezza della griglia di discretizzazione, come si spiegherà meglio in seguito.
Consideriamo il problema discretizzato:
determinare uh 2 Vh tale che a (uh ; vh ) = T vh per ogni vh 2 V
(2.27)
Per questo problema, ovviamente, vale a maggior ragione il risultato di esistenza, unicità e dipendenza continua della soluzione dai dati, in quanto la forma
bilineare è continua e coerciva a maggior ragione su uno spazio più piccolo. In
particolare varrà una stima di dipendenza continua
1
kuh kV
kT kV 0
con la stessa costante 1 che vale su tutto V . Concretamente, il problema
discretizzato si può risolvere così. Fissiamo una base in Vh ;
1;
2 ; :::;
Nh .
La validità della condizione
a (uh ; vh ) = T vh per ogni vh 2 Vh
è equivalente alla validità delle Nh condizioni
a uh ;
j
=T
j
per j = 1; 2; :::; Nh
(2.28)
(in quanto ogni vh 2 Vh si può scrivere come combinazione lineare delle funzioni
della base). A sua volta, la ricerca di uh equivale alla ricerca dei coe¢ cienti
Nh
fci gi=1
che permettono di scrivere
uh =
Nh
X
ci
i
(2.29)
i=1
e sostituendo questa scrittura nelle Nh equazioni (2.28) si trova il sistema:
!
Nh
X
a
ci i ; j = T j e quindi
i=1
Nh
X
a
i;
j
ci = T
j;
(2.30)
i=1
che è un sistema Nh
Nh nelle incognite ci avente per matrice dei coe¢ cienti
A= a
i;
35
j
Nh
i;j=1
e per termini noti i numeri T j . Sappiamo già che il problema dev’essere solubile, ma veri…chiamo direttamente che questa matrice è invertibile mostrando
che è de…nita positiva:
0
1
2
Nh
Nh
Nh
Nh
X
X
X
X
A
a i; j i j = a @
i i;
j j
j j
i;j=1
i=1
j=1
j=1
V
PNh
e questa norma si annulla solo se j=1 j j = 0; il che accade solo se tutti i numeri i sono nulli, poiché i vettori i sono per ipotesi linearmente indipendenti.
Dunque A è de…nita positiva e perciò invertibile. Il sistema lineare Nh Nh
(2.30) è quindi risolubile e i coe¢ cienti ci una volta determinati ci forniscono
mediante (2.29) la soluzione del problema discretizzato (2.27). Si tratta ora di
provare che la soluzione del problema discretizzato (2.27) converge alla soluzione
del problema originario (2.26). E’questo il contenuto del prossimo teorema:
Teorema 2.11 (Convergenza del metodo di Galerkin) Nelle ipotesi precedenti (2.24), (2.25), supponiamo che la famiglia di sottospazi fVh g sia scelta in
modo che
lim inf kvh vkV = 0 per ogni v 2 V .
h!0 vh 2Vh
Allora detta uh la soluzione del problema (2.27) e u la soluzione del problema
(2.26), si ha
lim kuh ukV = 0:
h!0
Dimostrazione. Sappiamo che
a (uh ; vh ) = T vh 8vh 2 Vh
(2.31)
e
quindi in particolare è anche
a (u; v) = T v 8v 2 V;
a (u; vh ) = T vh 8vh 2 Vh :
(2.32)
Sottraendo membro a membro (2.31) e (2.32) otteniamo
a (u
uh ; vh ) = 0 8vh 2 Vh :
(2.33)
Ora scriviamo, sfruttando la coercività, bilinearità e continuità della forma
a:
ku
uh k
2
a (u
= a (u
uh ; u
uh ; u
uh ) = a (u uh ; u vh ) + a (u
vh ) M ku uh k ku vh k ;
dove abbiamo sfruttato il fatto che, per (2.33), a (u
vh uh 2 Vh . Di conseguenza
ku
ku
2
uh k
uh k
u h ; vh
M ku uh k ku vh k
M
ku vh k 8vh 2 Vh
36
u h ; vh
uh )
uh ) = 0 perché
e quindi passando all’estremo inferiore al variare di vh 2 Vh ;
ku
M
uh k
inf ku
vh 2Vh
vh k :
Ora per la nostra ipotesi sulla famiglia di sottospazi fVh g, il 2 membro tende
a zero per h ! 0, dunque anche il primo, e la tesi è dimostrata.
Il metodo di Galerkin appena descritto è in realtà una famiglia di metodi,
o se vogliamo una strategia generale di risoluzione numerica del problema ai
limiti considerato. Per applicarlo concretamente occorre de…nire la famiglia di
sottospazi …nito dimensionali fVh g di V , e prima ancora naturalmente …ssare
l’attenzione su un particolare problema (Dirichlet, Neumann, misto) e quindi
…ssare lo spazio di Hilbert V . Poiché qui si entra qui nel calcolo numerico vero
e proprio, che esula dal contenuto di questo corso, daremo solo qualche cenno
schematico, rimandando al testo [3] per una trattazione approfondita.
Consideriamo per …ssare le idee il problema di Dirichlet omogeneo, per cui
V = H01 ( ), e supponiamo anche, per semplicità, che l’operatore abbia la forma
semplice
Lu = r (a (x) ru) + cu;
cioè la forma bilineare sia
Z
Z
a (u; v) =
a (x) ru (x) rv (x) dx +
c (x) u (x) v (x) dx:
(2.34)
Consideriamo brevemente i due casi: è un intervallo della retta (problema
unidimensionale) o è un aperto limitato del piano (problema bidimensionale).
Metodo degli elementi …niti nel caso unidimensionale
Sia = (a; b), suddividiamo (a; b) in N sottointervalli di ampiezza massima
h. De…niamo Vh come lo spazio delle funzioni continue in [a; b] e zero agli
estremi, che ristrette a ciascuno degli N intervallini risulti un polinomio di
grado r, con r = 1; 2; 3; ::: E’possibile scegliere una base di questo spazio in
modo che ogni elemento della base abbia supporto contenuto in non più di 3
intervallini adiacenti. A questo modo, quando si va a calcolare la matrice del
sistema lineare che corrisponde al problema discretizzato
a
i;
j
;
se la forma bilineare ha la forma (2.34) la matrice risulta tridiagonale, il che
ovviamente alleggerisce i calcoli rispetto al caso generale in cui la matrice sia
piena.
Si dimostra che in questo caso kuh ukV tende a zero dell’ordine di hr dove,
ricordiamo, h è l’ampiezza massima degli intervallini e r l’ordine dei polinomi,
purché però la soluzione esatta appartenga allo spazio H r+1 (a; b), cosa che
si può garantire se i coe¢ cienti a (x) ; c (x) sono su¢ cientemente regolari. Se
37
ad esempio a 2 Lip (a; b) ; c 2 L1 (a; b) si può scegliere solo r = 1. Se a 2
C 2 [a; b] ; c 2 C 1 [a; b] si può scegliere r = 2; e così via.
Metodo degli elementi …niti nel caso bidimensionale
In questo caso il dominio viene triangolato, ossia suddiviso, seguendo certe
avvertenze in cui qui non entriamo, in un certo numero di triangoli ciascuno di
diametro
h. (Supponiamo per semplicità che sia in partenza un dominio
poligonale, altrimenti la sua triangolazione potrà solo approssimare ma non
esaurirlo). Analogamente al caso unidimensionale, sceglieremo come Vh lo spazio
e zero su @ tali che la loro restrizione a ciascun
delle funzioni continue in
triangolino sia un polinomio in due variabili di grado r. Si può scegliere una
base di Vh costituita da elementi il cui supporto è contenuto in un piccolo numero
di triangoli (precisamente, tutti quelli contenenti un nodo …ssato). Questo farà
sì che, se la la forma bilineare ha la forma (2.34), la matrice a i ; j risulti
sparsa. Di nuovo, si dimostra che kuh ukV tende a zero dell’ordine di hr dove
h è il diametro massimo dei triangolini e r l’ordine dei polinomi, purché però
la soluzione esatta appartenga allo spazio H r+1 ( ) ; il che, come già spiegato,
si può garantire a priori sotto opportune ipotesi di regolarità dei coe¢ cienti
dell’equazione.
Per una trattazione del metodo di Galerkin in generale, ed in particolare del
metodo degli elementi …niti, rimandiamo a [3, Cap.3]. In…ne, segnaliamo che
gli elementi …niti non sono l’unico metodo per costruire sottospazi …nito dimensionali di H 1 ( ) adatti alla discretizzione dei problemi ai limiti. Si possono
utilizzare anche i cosiddetti metodi spettrali, che consistono nel de…nire spazi di
polinomi globali su , anziché funzioni aventi restrizione polinomiale su ciascun
intervallino o triangolino. Si rimanda per questo a [3, Cap. 4].
2.6
Alcuni esempi svolti
Esempio 2.12 Risolvere il seguente problema ai limiti unidimensionale:
0
(a (x) u0 (x)) = 1
u ( 1) = u (1) = 0
dove a (x) =
per x 2 ( 1; 1)
1 per x < 0
2 per x > 0
Signi…cato …sico: equazione di di¤ usione del calore (in stato stazionario) in una
sbarra che ha un coe¢ ciente di conducibilità diverso nella metà di destra e di
sinistra (es.: due metalli diversi saldati insieme); la temperatura ai due estremi
è tenuta costante zero; una sorgente di calore riscalda uniformemente la sbarra
in tutta la sua lunghezza (il termine noto 1).
Si osservi che la discontinuità di a (x) rende impossibile interpretare classicamente l’equazione. Più precisamente, dal punto di vista classico si potrebbe
ragionare come segue:
38
per x < 0 la u risolve l’equazione:
u00 = 1 in ( 1; 0)
u ( 1) = 0
quindi
x2
+ ax + b
2
e imponendo la condizione nell’estremo sinistro
u (x) =
u (x) = a (x + 1) +
x2
1
2
:
Per x > 0 la u risolve l’equazione
2u00 = 1 in (0; 1)
u (1) = 0
quindi
x2
+ cx + d
4
e imponendo la condizione nell’estremo destro
u (x) =
u (x) = c (x
Ricapitoliamo:
u (x) =
(
1) +
x2
1
4
:
2
a (x + 1) + 1 2x per x < 0
2
c (x 1) + 1 4x per x > 0
(2.35)
Ci servirà anche tener presente che:
u0 (x) =
a
c
x per x < 0
x
2 per x > 0
A questo punto abbiamo ancora due parametri da determinare, e dobbiamo
decidere come raccordare le due funzioni in x = 0.
Per avere una soluzione C 2 ( 1; 1) dovremmo imporre:
il raccordo continuo di u;
il raccordo continuo di u0 ;
il raccordo continuo di u00 :
Non è possibile: sono 3 condizioni, e abbiamo solo due coe¢ cienti. Bisogna
rinunciare ad avere una soluzione C 2 e fare qualche compromesso. Qual è il
compromesso giusto? La mentalità classica probabilmente suggerirebbe: se non
possiamo avere u 2 C 2 ( 1; 1) ; scegliamo almeno u 2 C 1 ( 1; 1). Imponiamo
quindi:
il raccordo continuo di u;
il raccordo continuo di u0 :
39
Facendo così si ha:
a + 12 =
a=c
c+
1
4
raccordo continuo di u in 0
raccordo continuo di u0 in 0
che dà
a=c=
1
8
e in de…nitiva
u (x)
(
=
1
8
1
8
(x + 1) +
(x 1) +
1 x2
2
1 x2
4
per x < 0
per x > 0
Vediamo invece che cosa richiede la de…nizione di soluzione debole. La prima
parte del discorso, cioè la scrittura di u nella forma (2.35) con i coe¢ cienti a; c
da determinarsi, è ancora corretta perché:
1. Se u è soluzione debole del problema su tutto ( 1; 1) ; lo è anche su ( 1; 0)
e su (0; 1): per vederlo, basta scegliere come particolari funzioni test H01 ( 1; 1)
funzioni che siano identicamente nulle su metà dell’intervallo.
2. D’altro canto su ( 1; 0) e su (0; 1) il coe¢ ciente a (x) è continuo (costante!),
perciò la soluzione debole è semplicemente la soluzione classica, che abbiamo
appunto determinato.
Questo mostra che anche la soluzione debole soddisfa le (2.35).
Sappiamo che le funzioni H 1 ( 1; 1) sono continue, quindi il raccordo di
continuità in 0 è necessario. Anche in questo caso dovrà valere quindi la
condizione:
a+
1
2
=
c+
1
4
raccordo continuo di u in 0.
Imponiamo, in…ne, che valga la de…nizione di soluzione debole:
Z 1
Z 1
a (x) u0 (x) 0 (x) dx =
1 (x) dx
1
cioè
Z
1
0
u0 (x)
1
0
(x) dx + 2
Z
1
u0 (x)
0
40
0
(x) dx =
Z
1
(x) dx
1
e quindi usando le espressioni che abbiamo calcolato per u0 nei due sottointervalli:
Z 0
Z 1
Z 1
x 0
0
(a x) (x) dx + 2
c
(x) dx =
(x) dx:
2
1
0
1
Possiamo ora integrare per parti in ciascuno dei due integrali a primo membro.
Ricordando che ( 1) = 0 si ha:
Z 0
Z 1
Z 1
h
i1
x
1
0
[(a x) (x)] 1 +
(x) dx + 2 c
(x) + 2
(x) dx =
(x) dx
2
0
1
0 2
1
Z 0
Z 1
Z 1
a (0) +
(x) dx 2c (0) +
(x) dx =
(x) dx
1
0
1
che dà semplicemente
a (0)
che dovendo valere per ogni
2c (0) = 0;
porta
a
2c = 0
una condizione di raccordo diversa da quella classica (a = c); che unita alla
condizione di raccordo continuo già imposta porta il sistema
a + 12 = c +
a 2c = 0
1
4
a=
c=
1
6
1
12
e quindi
u (x)
=
(
1
6 (x +
1
12 (x
2
1) + 1 2x per x < 0
2
1) + 1 4x per x > 0
Si osserva che questa soluzione non è C 1 ( 1; 1). La derivata prima di u è
discontinua. In compenso, la funzione a (x) u0 (x) è continua.
A questo punto ci si può chiedere: la temperatura della sbarra metallica
cosa fa in realtà? E’la soluzione classica di compromesso, C 1 ma non C 2 , o è
la soluzione debole, H 1 ma non C 1 ; con u0 discontinua ma au0 continua?
41
Se si ripercorre la deduzione matematica dell’equazione di di¤usione del
calore, si vede che la funzione j (x) = a (x) u0 (x) ha il signi…cato …sico di
densità di corrente termica (legge di Fourier di di¤usione del calore). In presenza di una discontinuità a salto nel coe¢ ciente di conducibilità, cioè in presenza
di una brusca discontinuità nelle proprietà …siche del mezzo, non c’è una ragione
…sica per cui la derivata della temperatura debba essere continua. La continuità
della densità di corrente termica è invece una condizione più naturale. Inoltre
la funzione au0 (e non direttamente la funzione u0 ) viene a sua volta derivata.
La de…nizione di soluzione debole porta in questo caso a richiedere la continuità delle due funzioni che vengono derivate: u e au0 . La soluzione …sicamente
signi…cativa è quella debole.
Esempio 2.13 Determinare la soluzione debole del seguente problema ai limiti:
per x2 + y 2 < 4
per x2 + y 2 = 4
div (a (x; y) ru) = 1
u=0
1 per x2 + y 2 < 1
2 per 1 < x2 + y 2 < 4
con a (x; y) =
Signi…cato …sico: equazione di di¤ usione del calore (in regime stazionario) in
una piastra metallica circolare costituita da due materiali con coe¢ ciente di
conducibilità diverso, uno che occupa un disco centrale e l’altro la corona circolare esterna. La temperatura al bordo è …ssata a zero, la piastra è riscaldata
uniformemente (il termine di sorgente 1).
Ragioniamo così. Anzitutto poiché l’equazione, il dominio, il dato al bordo
e il termine noto sono radiali, ci aspettiamo una soluzione radiale, del tipo
u (x; y) = u ( ).
Sul cerchio interno x2 + y 2 < 1 la u risolve l’equazione
u = 1;
senza condizioni al contorno. In coordinate polari (supponendo già u radiale) si
riscrive così:
1 0
u00
u = 1;
che ponendo u0 = v si risolve come equazione lineare del prim’ordine in v e poi
per integrazione in u. Si trova:
2
u ( ) = a log
4
+ b;
ma la parte in logaritmo non è accettabile perché vogliamo una soluzione limitata in 0, quindi a = 0 e
2
u( ) =
4
+ b per
42
2 (0; 1) :
Sulla corona circolare
2 (1; 2) la u soddisfa invece l’equazione
2 u = 1;
che diventa
1
u00
u0 =
1
;
2
con integrale generale
2
u ( ) = c log
+ d per
8
2 (1; 2)
e ora non c’è motivo di scartare la soluzione logaritmica perché siamo su (1; 2).
In compenso dobbiamo imporre la condizione al contorno u (2) = 0 che dà
1
2
d
;
log 2
c=
quindi
u( ) =
1
2
d
log 2
2
log
+ d per
8
2 (1; 2) :
Ora dobbiamo ragionare su come raccordare i due pezzi di soluzione per
= 1.
Una funzione H 1 di due variabili in generale può essere discontinua, ma se
è radiale non può avere una discontinuità a salto in , perché questo corrisponderebbe ad una discontinuità a salto della funzione in due variabili lungo una
circonferenza, cosa incompatibile con l’esistenza di derivate deboli. Quindi la
u ( ) deve raccordarsi con continuità in = 1: Questo porta a:
1
+b
4
b
1
+ d;
8
1
= d+ ;
8
=
quindi
u( )
u0 ( )
=
=
(
(
2
4
1
2
d
log 2
+d+
1
8
log
8
d
log 2
+d
per
2
1
2
per
2
1
4
per
per
2 (0; 1)
2 (1; 2)
2 (0; 1)
2 (1; 2)
Ora imponiamo che sia soddisfatta la de…nizione di soluzione debole, per
determinare l’ultimo coe¢ ciente. La condizione
Z
Z
a (x; y) ru r dxdy =
dxdy;
x2 +y 2 <4
x2 +y 2 <4
43
applicata a delle
radiali e riscrivendo gli integrali in coordinate polari dà
Z 2
Z 2
a ( ) u0 ( ) 0 ( ) d =
( ) d
0
0
(si faccia attenzione alla comparsa del fattore dovuto al passaggio in coordinate
polari) che possiamo ora riscrivere esplicitamente:
Z
1
2
2
0
0
( )d +
Z
1
2
2
d
log 2
2
1
1
0
4
( )d =
Z
2
( ) d :
0
Ora integriamo per parti in ciascun integrale a primo membro e ricordiamo che
(2) = 0 (attenzione: (0) non è zero in generale, perché = 0 è l’origine, non
il bordo del dominio)
1
2
+
Z
2
( )d
1
=
Z
2
( )
+
0
2
Z
1
( )d +
0
1 2d
log 2
( ) d
0
che porta a
1
(1)
2
ossia
1 2d
log 2
1 2d
log 2
1
2
= 0; d =
(1) = 0
1
2
e in de…nitiva otteniamo la soluzione del problema iniziale:
(
2
5
per 2 (0; 1)
42 + 8
u( ) =
1
+
per 2 (1; 2)
8
2
44
2
2
2
( )
1
Esempio 2.14 Si risolva il seguente problema di Sturm-Liouville con coe¢ ciente discontinuo, nel senso delle soluzioni deboli.
0
(a (x) u0 ) + u = 0 per x 2 ( 1; 1)
u ( 1) = u (1) = 0
con
1 per x < 0
a (x) =
2 per x > 0
Si osservi che a (x) per quanto discontinuo è discosto da zero, come nei problemi di Sturm-Liouville regolari. Ci aspettiamo quindi che esista una successione
di autovalori e una successione di corrispondenti autofunzioni che siano un sistema ortonormale completo di L2 ( 1; 1). Veri…cheremo questo fatto risolvendo
il problema. Per intanto possiamo dire che, grazie alla solita dimostrazione,
gli eventuali autovalori sono necessariamente positivi: se u è autofunzione
corrispondente a ;
Z 1
Z 1
Z 1
2
2
2
0
0
u (x) dx
a (x) u (x) dx =
u (x) dx;
1
da cui
1
1
> 0:
In ( 1; 0) la u risolve
u00 + u = 0
u ( 1) = 0
per x 2 ( 1; 0)
(senza condizione …ssata in 0), da cui (essendo
u (x) = a cos
p
x + b sin
45
> 0),
p
x
e imponendo la condizione u ( 1) = 0;
0 = a cos
p
b sin
p
;
p
= a cot
;
h
p
p
u (x) = a cos
x + cot
b
sin
p
i
x
Analogamente,
per x 2 ( 1; 0) :
2u00 + u = 0 per x 2 (0; 1)
u (1) = 0
da cui
u (x) = c cos
r
2
!
x
+ d sin
e imponendo la condizione u (1) = 0
r !
r !
0
= c cos
d
=
u (x)
c cot
"
= c cos
+ d sin
2
r !
2
2
!
x
;
;
2
r
2
r
!
x
r !
cot
2
sin
r
2
!#
x
per x 2 (0; 1) :
Ora dobbiamo imporre delle condizioni di raccordo in x = 0. La u dev’essere
continua, quindi imponiamo
u (0) = a = c:
Poiché il problema è omogeneo, l’unico parametro rimasto si può …ssare uguale
a 1. Perciò abbiamo
8
p
p
p
>
x + cot
sin
x
per x 2 ( 1; 0)
< cos
q
q
q
u (x) =
>
cot
sin
per x 2 (0; 1) :
: cos
2x
2
2x
8 p
p
p
p
p
>
sin
x +
cot
cos
x
per x 2 ( 1; 0)
<
q
q
q
q
q
u0 (x) =
>
cos
per x 2 (0; 1) :
:
2 sin
2x
2 cot
2
2x
Con identità trigonometriche la u si riscrive in forma più semplice:
8
p
sin(
(x+1))
>
>
p
per x 2 ( 1; 0)
<
sin(
)
p
u (x) =
sin
2 (1 x)
>
>
p
per x 2 (0; 1) :
:
sin
2
46
Non abbiamo ancora determinato , e non abbiamo ancora sfruttato la
de…nizione di soluzione debole. Imponiamo ora:
Z 1
Z 1
a (x) u0 (x) 0 (x) dx =
u (x) (x) dx
1
Z
0
u0 (x)
0
(x) dx + 2
1
Z
Z
1
u0 (x)
0
(x) dx =
0
1
1
u (x) (x) dx
1
e integriamo per parti nei due integrali a primo membro, all’interno dei quali la
u0 è continua. Si ha (il calcolo è più chiaro se non scriviamo la forma esplicita
di u e u0 ):
0
0
[u (x) (x)]
=
Z
1
1
Z
0
00
0
u (x) (x) dx + [2u (x)
1
1
(x)]0
Z
1
u00 (x) (x) dx
0
u (x) (x) dx:
1
Ora per come è stata determinata la u, risulta u00 = u in ( 1; 0) e in (0; 1),
perciò gli integrali si sempli…cano e, sfruttando ( 1) = 0; si ha
u0 0
2u0 0+
u0 0
= 2u0 0+
r
(0) = 0
e quindi
p
cot
p
cot
p
=
2
=
p
2
cot
2 cot
r !
2
r !
2
:
Questa è l’equazione che, risolta in , dà gli autovalori. Ponendo t =
tratta di cercare gli zeri della funzione
f (t) = cot t +
p
47
2 cot
t
p
2
:
(2.36)
p
si
Il gra…co è il seguente:
1
e si vede che esiste e¤ettivamente una successione f n gn=1 di autovalori.
Determinando numericamente le prime soluzioni approssimate dell’equazione
f (t) = 0 e ricordando che gli autovalori sono i quadrati di questi zeri possiamo
scrivere i primi autovalori:
1
3:58458
2
12:9095
3
4
31:6026
52:9368
5
85:4482
Tracciamo i gra…ci delle prime autofunzioni corrispondenti
8
p
sin(
n (x+1))
>
>
p
per x 2 ( 1; 0)
<
sin(
n)
p
un (x) =
n
sin
2 (1 x)
>
>
p
per x 2 (0; 1) :
:
n
sin
2
48
6
122:133
Le autofunzioni un quindi hanno l’andamento qualitativo di funzioni del tipo
sin (n x); in particolare un (x) ha n 1 zeri nell’intervallo ( 1; 1). Si tratta di
un sistema ortogonale completo di L2 ( 1; 1).
Un’applicazione del problema di Sturm-Liouville precedente potrebbe essere
la seguente:
Esempio 2.15 Si risolva il seguente problema di Cauchy-Dirichlet per l’equazione
del calore con coe¢ ciente di conducibilià discontinuo, nel senso delle soluzioni
deboli.
8
per x 2 ( 1; 1) ; t > 0
< ut = (a (x) ux )x
u ( 1; t) = u (1; t) = 0 per t > 0
:
u (x; 0) = sin x
per x 2 ( 1; 1)
con
1 per x < 0
a (x) =
2 per x > 0
Impostando il problema mediante separazione di variabili,
u (x; t) = X (x) T (t)
49
si trova
0
XT 0
= T (a (x) X 0 )
T0
(t)
T
che porta
0
(a (x) X 0 )
=
X
=
0
(a (x) X 0 ) + X = 0 per x 2 ( 1; 1)
X ( 1) = X (1) = 0
e
T0 =
T:
Dunque si trova il problema di Sturm-Liouville precedente, e le soluzioni a
variabili separate sono
un (x; t) = e n t Xn (x)
dove
Xn (x) =
e
p
n
8
>
>
<
p
sin(
n (x+1))
p
sin(
n)
sin
>
>
:
p
sin
n
2
p
per x 2 ( 1; 0)
(1 x)
per x 2 (0; 1) :
n
2
è l’n-esima soluzione positiva dell’equazione
cot t +
p
2 cot
t
p
2
= 0.
La soluzione del problema sarà del tipo
u (x; t) =
1
X
cn e
nt
Xn (x)
n=1
con cn scelti in modo che sia
1
X
cn Xn (x) = sin x:
n=1
Calcoliamo i primi coe¢ cienti. Ci serve anzitutto calcolare i coe¢ cienti di
normalizzazione
Z 1
2
In =
Xn (x) dx:
1
Il calcolo numerico dà i seguenti valori per i primi interi n:
In
n=1
1:08375
2
4:1915
3
2:23712
4
1:31944
5
23:4058
6
1:00234
Calcoliamo quindi i coe¢ cienti di Fourier di sin x rispetto a questo sistema
ortogonale:
Z 1
1
cn =
(sin x) Xn (x) dx:
In
1
50
cn
n=1
0:102342
2
0:466046
3
4
0:172129
5
0:0881589
6
0:00230943
0:0333009
A titolo di veri…ca, il gra…co di u0 (x) = sin ( x) ra¤rontato con la somma
parziale
6
X
S6 (x) =
cn Xn (x)
n=1
è il seguente:
La corrispondente somma parziale della soluzione u (x; t),
u6 (x; t) =
6
X
cn e
nt
Xn (x)
n=1
ha il seguente gra…co:
ed è una buona approssimazione della soluzione del problema iniziale.
51
Riferimenti bibliogra…ci
[1] H. Brezis: Analisi Funzionale. Teoria e Applicazioni. Liguori Ed.
[2] D. Gilbarg, N. S. Trudinger: Elliptic Partial Di¤erential Equations of Second
Order. 2nd edition. Springer.
[3] A. Quarteroni: Modellistica numerica per problemi di¤erenziali. Terza ed.
Springer, 2006.
[4] S. Salsa, F. Vegni, A. Zaretti, Zunino: Invito alle equazioni a derivate
parziali. Springer, 2009.
52
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