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L`OMBRA DELLO TSUNAMI

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L`OMBRA DELLO TSUNAMI
L'OMBRA DELLO TSUNAMI
Philip M. Bromberg
PREFAZIONE
Questo testo rappresenta, insieme a "Standing in the Space" (1998) e "Destare il Sognatore" (2006),
una metafora attraverso la quale Bromberg cerca di esplicare la sua visione del funzionamento
mentale e del processo clinico.
Alla visione classica delle relazioni oggettuali e del conflitto, Bromberg sostituisce l´idea di un
Funzionamento Psichico centrato su stati del Sé multipli, mossi da processi di diversa intensità, in
interazione dinamica tra loro grazie ad un uso non difensivo della dissociazione.
E´ la disconferma traumatica di questi aspetti del Sé, che non hanno trovato un posto nella relazione
con altri significativi, a creare un processo in cui la normale molteplicità viene convertita in una
struttura rigida in cui tali aspetti "illegittimi" continuano a vivere, ma in clandestinità ed isolamento.
Questo porta la Dissociazione a divenire un modo per gestire lo spazio relazionare, ottenendo una
falsa coerenza ed un´illusoria sicurezza. Sara quindi compito del clinico "destare il sognatore",
parafrasando uno dei titoli dei libri di Bromberg, al fine di svegliare il paziente dai processi ipnoidi che
dominano il suo funzionamento mentale, restituendogli quella fluidità e molteplicità dei Sé che fondano
la percezione di chi egli sia.
Il concetto di Ombra, già presente nel testo "Lutto e Melanconia" di Freud (1917) in cui era
interpretato come l´identificazione con i precoci oggetti di cura, viene rivisto da Bromberg come
l´insieme di quei traumi silenziosi e cumulativi che possono verificarsi nel corso dello sviluppo, e che
portano il paziente alla costante ricerca di difendersi dagli affetti disregolati determinati proprio da
queste ombre.
Per la mente prigioniera di processi dissociativi il passato traumatico smette di esistere come
esperienza interna, ma quello che lascia è una costante sensazione di paura, la quale non viene
percepita come frutto di quello che è accaduto ma come risposta ad un pericolo che si sta per
presentare.
L´Ombra dello Tsunami è quindi da intendere come la continua minaccia, all´interno della mente del
paziente, di soccombere al flusso degli affetti disregolati e come il costante tentativo di controllarli.
Quando la mente viene trasformata in una struttura preposta a vigilare su quest´ombra, l´alterità non
può essere percepita come una presenza interna, sia essa rassicurante o persecutoria, ma come il
segnale di allarme di un pericolo imminente dal quale difendersi obliterando l´immagine dell´altro,
quindi distorcendola o prosciugandola da qualunque significato affettivo, al fine di farla aderire
all´immagine dell´oggetto interno, ottenendo cosi una stabilita affettiva.
In tal senso vigilanza, sospettosità paranoide, manipolazione, seduttività, psicopatia,
depersonalizzazione, esperienze extracorporee, stati di trance e abuso di sostanze sono modalità
utilizzate per affrontare l´ombra dello tsunami, conservando un fragile senso di continuità personale.
Dato che per Bromberg la Dissociazione è un Fenomeno Intrinsecamente Relazionare, il
trattamento si baserà su un´elaborazione del trauma precoce che non libera il paziente da quello che
gli è stato fatto nel passato ma che permette di comprendere cosa esso debba fare a se stesso e agli
altri per convivere con tale trauma.
Il clinico dovrà quindi prestare ascolto ai cambiamenti degli stati del Sé, utilizzando il proprio senso
d´identità come un organo di percezione, perché è proprio grazie a questi elementi che può cogliere le
disregolazioni che danno avvio alla dissociazione e all´enactment. E´ solo riconoscendo in sé quegli
stati del paziente che non hanno trovato conferma nel suo sviluppo che si può legittimare il trauma,
consentendo quindi di creare uno spazio diadico capace di includere la soggettività di entrambi,
regolando inoltre gli effetti traumatici e conducendo a quello che può essere definito come il Ritiro
dello Tsunami.
Necessario è quindi, per Bromberg, un progressivo abbandono della terminologia classica dell´analisi,
basata su rimozione, regressione ed interpretazione, per giungere ad una condivisione
dell´esperienza interna tra analista e paziente che consenta il venire meno del pericolo di
un´inondazione degli aspetti traumatici, riconsegnando al soggetto risorse e capacità, quindi aspetti
del Sé, prima sequestrati dalla struttura mentale dissociativa, i quali possono ora prendere parte e
contribuire al discorso umano, facendosi influenzare ed influenzando gli altri, in un´ottica basata sulla
progressiva crescita personale.
ATTACCAMENTO, TRAUMA, DISSOCIAZIONE. UNA PREMESSA NEUROBIOLOGICA.
Allan Schore
Questo capitolo introduttivo, scritto da Allan Schore su richiesta di Bromberg, si basa sul tentativo di
interconnettere le idee psicoanalitiche relazionari con gli elementi che stanno emergendo rispetto agli
studi neurobiologici. Una sempre maggiore attenzione viene quindi assegnata all´emisfero destro e
all´importanza che esso assume sia nelle relazioni di attaccamento primarie che nel corso di ogni
esperienza intersoggettiva, andando quindi a minare la rilevanza che veniva assegnata all´emisfero
sinistro, responsabile del linguaggio, dalla psicoanalisi freudiana.
Sviluppo: Attaccamento e Sviluppo del Sè Nucleare Connesso all´Emisfero Destro
In una serie di lavori sulla Teoria della Regolazione, Schore ha creato una moderna visione della
Teoria dell´Attaccamento, secondo cui è fondamentale la sintonizzazione sul piano psicobiologico
della madre con la dinamica di crescendo e decrescendo degli stati interni di attivazione corporea del
bambino.
Necessari risultano inoltre momenti di non sintonizzazione, che Bromberg definisce come Collisioni
Intersoggettive, in quanto permettono una risposta di stress nel bambino, la quale potrà essere poi
regolata con la co-partecipazione del caregiver stesso, creando un modello secondo cui gli affetti
negativi e lo stress relazionare possono essere regolati.
Alla fine del primo anno di vita, i circuiti corticali e sottocorticali lateralizzati nell´emisfero destro
imprimono nella memoria implicita-procedurale del bambino dei modelli operativi di attaccamento, i
quali codificano le strategie di regolazione affettive necessarie nelle relazioni interpersonali.
La maturazione dell´emisfero destro, e con esso del sistema limbico e dal tronco encefalico,
dipendono quindi dalle primarie relazioni caregiver-bambino.
Tale sistema è poi necessario al soggetto in quanto:
- regola gli aspetti somatici degli affetti;
- funziona come precoce sistema di allarme;
- controlla il livello di stress (asse ipotalamo-ipofisi-surrene).
Psicopatogenesi: l´Impatto Negativo del Trauma Legato all´Attaccamento e della Dissociazione
sullo Sviluppo dell´Emisfero Destro
La presenza del Trauma Evolutivo-Relazionare, identificabile in un caregiver che partecipa in modo
inadeguato alla regolazione degli stati affettivi del bambino prolungando per lunghi periodi di tempo gli
stati di affettività negativa, può condurre a due Pattern di Risposta distinti:
- Iperattivazione: il rifugio sicuro materno diventa una fonte di minaccia, attivando l´asse
ipotalamo-ipofisi-surrene che crea uno stato psicofisiologico di paura-terrore;
- Dissociazione: disimpegno del bambino dagli stimoli del mondo esterno. Questo stato parasimpatico
di conservazione-ritiro si verifica in situazioni di impotenza e disperazione, in cui l´individuo si inibisce
e cerca di evitare l´attenzione, cosi da diventare "invisibile". Lo stato di arresto metabolico dissociativo
è un sistema che funziona in tutto il corso della vita al fine di estraniarsi e risparmiare energie in
situazioni di pericolo. Esso, a livello neurobiologico, dipende dal complesso dorso-vagale, il quale è
una delle due componenti del midollo del tronco encefalico.
I bambini vittime di gravi traumi infantili o appartenenti a famiglie in cui la dissociazione è la strategia
relazionare e regolativa d´elezione, possono giungere, come sostenuto da Coyne (1995) ad estendere
queste modalità, utilizzate primariamente con scopi difensivi rispetto a situazioni difficili, ad un ampio
range di fonti di stress quotidiane, andando a minare la continuità della loro esperienza.
Questi eventi psicobiologici sono poi vissuti nel corso della vita sia sul piano intrasoggettivo che in
quello intersoggettivo, in cui vengono comunicati attraverso interazioni intime di
transfert/controtransfert tra emisferi destri.
Psicopatogenesi: Manifestazioni Cliniche della Dissociazione Patologica
Da quanto esposto si evince che abusi o esperienze traumatiche nella prima infanzia possono alterare
la maturazione del sistema limbico lateralizzato a destra, producendo alterazioni neurobiologiche che
diventano il substrato di una varietà di conseguenze psichiatriche, tra cui instabilità affettiva,
inefficiente tolleranza allo stress, danneggiamento della memoria e disturbi dissociativi.
Due recenti studi dimostrano anche che la dissociazione si associa a una compromissione della
competenza dell´emisfero destro a elaborare le emozioni, sopratutto quelle negative.
In linea con lo spostamento di attenzione dalle cognizioni al primato degli affetti su base corporea, i
ricercatori clinici si stanno concentrando sulla Dissociazione Somatoforme, secondo cui il soggetto
non è solo distaccato dall´ambiente ma anche dal Sé, dalle azioni e dal senso di identità.
Tale dissociazione, la quale è dimostrato dipenda dall´emisfero destro e dal suo ipofunzionamento,
crea inoltre una disconnessione mente-corpo, la quale può condurre al collasso del Sè-Implicito, con
un´amplificazione degli affetti di vergogna e disgusto, e da cognizioni riguardanti il senso di
disperazione ed impotenza.
Tale modello, come sottolineato sia da Schore che da Bromberg, crea la forza principale che si
oppone agli aspetti emotivo-motivazionali del processo di cambiamento in psicoterapia.
La Psicoterapia: il Ruolo Cruciale degli Enactment nel Processo di Cambiamento Affettivo
Gli Enactment, elemento centrale del trattamento terapeutico di Bromberg, mostrano, nella Teoria
della Regolazione di Schore, due aspetti fondamentali:
- Comunicazioni Relazionari Inconsce: quelli che vengono descritti come Enactment, sono considerati
da Schore come comunicazione inconsce tra emisferi destri che, accompagnandosi costantemente
alle comunicazioni verbali, permettono di comprendere le mutazioni degli Stati del Sé di cui spesso
parla Bromberg.
La co-creazione di un sistema di comunicazione dell´emisfero destro consente quindi al terapeuta di
agire come un regolatore degli stati affettivi, siano essi consci o inconsci, regolati e disregolati del
paziente;
- Meccanismo di Cambiamento Psicoterapeutico Connesso al Ritirarsi dello Tsunami: un principio
generale di lavoro sugli enactment in casi di affetti traumatici e dissociazione, è che il terapeuta
sintonizzato psicobiologicamente in maniera sensibile consente al paziente di ri-esperire gli affetti
disregolati in dosa affettivamente tollerabili nel contesto di un ambiente sicuro, cosi che i sentimenti
traumatici soverchianti possono essere regolati e integrati nella sua vita. Questi elementi sono
evidenziabili inoltre in una maturazione progressiva dell´emisfero destro.
Quello a cui si sta assistendo è quindi un Mutamento di Prospettiva in Psicoanalisi, il quale si
riscontra in tre elementi principali:
- cambiamento del focus non più sul contenuto ma sul processo;
- dal primato della cognizione all´importanza degli affetti inconsci;
- allontanamento progressivo dal concetto di tecnica.
PARTE PRIMA
REGOLAZIONE AFFETTIVA E PROCESSO CLINICO
CAPITOLO I - IL RITIRARSI DELLO TSUNAMI
Il "Dono"
Il poeta scozzese Robert Burns (1786) ha scritto "oh, che potere ci da il dono, vedere noi stessi come
gli altri ci vedono". Va però fatto notare come questo "dono" sia qualcosa di molto difficile da accettare
in quanto mette il soggetto davanti a quelle parti di "non-me" che è difficile tollerare.
Secondo Bromberg, quando si è in grado di vedere se stessi nel modo in cui gli altri ci vedono, senza
dissociarsi dall’esperienza di come si considera se stessi, ci si sta Relazionando in Maniera
Intersoggettiva. Il problema riguarda però il fatto che la capacità dell’essere umano di relazionarsi
intersoggettivamente è irregolare, in quanto vedere se stessi attraverso gli occhi di un altro può
diventare eccessivamente stressante perché l’immagine dell’altro può essere sentita troppo
discrepante dall’esperienza di sé che si sta facendo in quel momento per far sì che entrambe possano
essere conservate in mente simultaneamente. Quando questo si verifica, la mente si attrezza per
lenire lo stress attraverso l’uso difensivo di un normale processo cerebrale, che è definibile
Dissociazione. Il segnale che dà l’inizio al processo dissociativo proviene tipicamente da un altro, sia
esso un’altra persona o un’altra parte del Sé. Le esperienze di sé eccessivamente discrepanti sono
conservate adattivamente in stati del Sé separati che non comunicano tra loro, per lo meno in un certo
periodo.
Per alcuni soggetti la dissociazione non è un processo mentale per affrontare il normale stress di uno
specifico momento ma una struttura che governa la vita restringendone la varietà. In questi casi la
mente/cervello organizza i suoi stati come un sistema protettivo che tenta, proattivamente, di zittire
l’eccesso esperienziale a stati del Sé discrepanti con la gamma di stati, limitati dissociativamente, di
cui si fa esperienza in un dato momento come “me”. La funzione evoluzionistica è di assicurare la
sopravvivenza della continuità del Sé relegando il funzionamento riflessivo a un ruolo minore o a
nessun ruolo. Limitando fortemente la partecipazione del giudizio cognitivo riflessivo, la mente/cervello
consente al sistema limbico di utilizzare se tesso come una linea privata che funziona, come definito
da van der Kolk (1995), come un “rilevatore di fumo”, volto a rilevare eventi potenzialmente non
previsti capaci di innescare una disregolazione affettiva.
La diminuita capacità di autoriflessione cognitiva a favore dell’importanza della sicurezza ha un prezzo
che, nel migliore dei casi, richiede alla persona di contrabbandare una vita che è secondaria a una
costante vigilanza. Il soggetto non arriverà mai a fare questo collegamento in quanto è la stessa
struttura dissociativa a essere progettata per operare al di fuori della consapevolezza cognitiva.
Arrivato in terapia, il soggetto si porgerà una domanda, la cui risposta sta nel processo stesso di
analisi, e che è identificabile in "in che misura la protezione contro il potenziale trauma vale il prezzo
che si sta pagando?".
Il Ritirarsi dello Tsunami
L’Enactment è un evento dissociativo condiviso. Esso è definibile come un processo di
comunicazione inconscia che riflette quelle aree dell’esperienza di sé del paziente in cui il trauma ha
compromesso in una certa misura la capacità di regolare gli affetti in un contesto relazionale e quindi
lo sviluppo del Sé a livello dell’elaborazione simbolica attraverso pensiero e linguaggio.
Una dimensione centrale nell’utilizzo terapeutico dell’enactment è l’aumento della competenza nella
regolazione degli stati affettivi. Questo richiede alla relazione analitica di diventare un luogo che
sostiene simultaneamente rischio e sicurezza, quindi una relazione che consenta il rivivere doloroso
del trauma precoce, senza che questo diventi solo una cieca ripetizione del passato.
Bromberg propone allora una visione della terapia come Relazione Sicura ma non Troppo, la quale
prevede la comunicazione da parte del terapeuta di un continuo interesse per la sicurezza affettiva del
paziente e l’impegno verso l’importanza dell’inevitabile rivivere doloroso.
E' fondamentale quindi la co-creazione di un inconscio relazionare, in cui analista e paziente possano
giocare, come sostenuto da Ringstrom (2001), con l'altro come oggetto, iniziando
contemporaneamente a mostrare qualcosa di sé come soggetti. Questo conduce al tema delle
Collisioni e Negoziazioni che, per Bromberg, sono fasi necessarie per giungere all'intersoggettività,
facendo quindi esperienza l'uno dell'altro come soggetti.
Attraverso le interazioni che costituiscono delle “sorprese sicure” s’incrementa la capacità del paziente
di distinguere emotivamente la spontaneità non traumatica da un trauma potenziale, il quale
rappresenta l’ombra dell’onda.
La Trasformazione, nel trattamento analitico, di stati del Sé “non-me” i quali possono essere
confrontati con l’esperienza soggettiva dell’analista e diventare parte della generale configurazione del
“me” del paziente, porta al Ritiro dello Tsunami, con una conseguente migliore capacità di
regolazione affettiva ed un fondamentale processo di crescita. Il fondamento di tale processo è allora
rinvenibile nella Negoziazione delle Collisioni tra Soggettività, in cui due sono gli elementi
importanti definiti da Bromberg:
- Negoziazione: avviene attraverso la creazione di uno stato mentale condiviso, quindi un canale di
comunicazione implicita che sostiene una conversazione tra sistemi limbici, con la conseguente
co-creazione di un inconscio relazionale che appartiene a entrambe le persone e a nessuno dei due.
La relazione paziente-terapeuta diventa quindi un ambiente terapeutico quando il confine tra Sé e
l’altro diventa sempre più permeabile;
- Collisione: riguarda la capacità, in via di sviluppo, di paziente e terapeuta di fare esperienza dell’altro
come un oggetto da controllare o da cui essere controllato, elementi che conducono a quel giocare
che conduce all'intersoggettività.
Alicia
Parlando del caso di Alicia, con la quale Bromberg è riuscito, attraverso una ripetizione costante
dell'enactment ed una progressiva ricomposizione del Sé-Scrittrice e del Sé-"con le persone, a creare
un linguaggio condiviso e un luogo relazionare d'incontro non dissociato, emerge quanto nel
trattamento l'Orrore Dissociato del Passato riempia il presente di un significato affettivo secondo cui
la sicurezza è un costante rischio in quanto mette alla prova la stabilità del senso di Sé.
Il rischio è dovuto al fatto che tanto più sicuro si sente nella relazione, tanta più speranza egli inizia a
sentire, e tanta più speranza egli inizia a sentire sempre meno farà affidamento in maniera automatica
sulla struttura mentale dissociativa per assicurarsi l’ipervigilanza come protezione
“sicurezza-insufficiente” contro la disregolazione affettiva. Di conseguenza le parti del Sé dedite a
preservare la sicurezza affettiva monitoreranno e si opporranno a ogni segno del fatto che il paziente
si sta fidando e sentendo sicuro.
Una Struttura Mentale Dissociativa è progettata per prevenire la rappresentazione cognitiva di
quello che per la mente può essere troppo da sostenere, ma ha anche l’effetto di portare alla
comunicazione agita dell’esperienza affettiva non simbolizzata e dissociata. Attraverso l’enactment,
l’esperienza affettiva dissociata è comunicata dall’interno di un bozzolo “non-me” condiviso fino a
quando non viene simbolizzata cognitivamente e linguisticamente attraverso una negoziazione
relazionale. Nella fase iniziale di un enactment, il bozzolo dissociativo condiviso sostiene la
comunicazione implicita senza una rappresentazione mentale. All’interno di questo bozzolo, quando
cambia lo stato del Sé di un paziente che sta organizzando la relazione nell’immediato, è anche lo
stato del Sé del terapeuta a cambiare, sempre in maniera dissociata, verso uno stato che riceve e
reagisce al cambiamento di stato del paziente.
L’Esperienza Traumatica può assumere la forma di una memoria episodica, spesso inaccessibile
alla persona se non su un piano affettivo, ma può anche essere formata solo da sensazioni somatiche
o immagini visive che ritornano come sintomi fisici o flashback senza significato narrativo. Il che
equivale a dire che la traccia sensoriale dell’esperienza è contenuta in una memoria affettiva, mentre
continuano a rimanere immagini e sensazioni corporee isolate percepite come staccate dal resto del
Sé. I processi dissociativi che mantengono l’affetto inconscio hanno una vita propria, una vita che è
sia interpersonale sia intrapsichica, una vita che è inscenata tra paziente e terapeuta nel fenomeno
dissociativo diadico chiamato Enactment.
Il Lavoro del Terapeuta consiste nell’utilizzare l’enactment in modo tale da dare un significato
rappresentazionale all’esperienza “non-me” del paziente, facendo si che si crei un collegamento
percettivo nella memoria di lavoro tra l’esperienza dissociata e il sé nel qui e ora come agente. Il
processo inizia con l’entrata in scena in maniera implicita del “non-me” nel qui e ora, attraverso un
evento affettivo nel mondo interno del terapeuta che si verifica come fenomeno reciproco collegato
all’esperienza dissociata del paziente.
Gli enactment si verificano ripetutamente, e ogni volta vengono elaborati sempre un po’ di più. La
ragione di quest’apparente ripetizione è che inizialmente l’unico tipo di rappresentazione del trauma
che una persona traumatizzata ha è una rappresentazione fortemente limitata, e ogni enactment è un
tentativo di simbolizzarla sempre più in un ricordo che gradualmente diventa rappresentabile nella
memoria a lungo termine. Più intenso è l’affetto non simbolizzato, più e potente la forza che tenta di
ostacolare la comunicazione tra isole separate del sé che contengono al loro interno realtà diverse
riguardo al passato e su come e se venirne a patti. Perché l’aspetto non simbolizzato del trauma trovi
una rappresentazione, la relazione analitica deve contenere l’interazione tra due Qualità Essenziali:
- Sicurezza;
- Crescita.
L’esperienza che il paziente fa dell’enactment deve essere un’esperienza in cui l’ombra dell’affetto
destabilizzante è sufficientemente forte da essere percepita, ma non così forte da aumentare
automaticamente l’uso della dissociazione. L’affetto evocato dal trauma non è solo spiacevole, ma è
un’iperattivazione disorganizzante che minaccia di sopraffare la capacità della mente di pensare, per
cui la disregolazione affettiva porta la persona al limite della depersonalizzazione o, talvolta,
dell’annichilimento. È la continuità del Sé a essere in gioco ed è qui che a vergogna contribuisce
maggiormente con il suo terribile colore.
La Vergogna Improvvisa, così come la paura, segnala che i Sé è, o sta per essere, violato, quindi la
mente-cervello innesca la dissociazione per prevenire il ritorno dello tsunami affettivo originario.
Quando un trauma viene rivissuto ne qui e ora del trattamento analitico, il tentativo di comunicare
questa esperienza con il linguaggio è dolorosamente difficoltoso a causa della Doppia Vergogna che,
come sottolineato da Lynd (1958) riguarda:
- vergogna per l'episodio originario;
- vergogna per i sentimenti eccessivamente intensi rispetto all'evento.
Uno degli aspetti più difficili della terapia è scovare la vergogna evocata dal processo terapeutico, così
che vi si possa indirizzare in un contesto relazionale. Nella misura in cui la vergogna del paziente
viene effettivamente dissociata nel qui e ora è molto probabile che l’analista non se ne accorga,
specialmente se si sta rivolgendo principalmente alle parole de paziente. Quindi quando si lavora in
aree in cui il trauma viene rivissuto, l’assenza manifesta di vergogna è il segnale che va ricercato il
luogo in cui si trova.
Il rivivere terapeutico di affetti traumatici non simbolizzati e la loro elaborazione cognitiva non crea
un’esperienza realmente traumatica, anche se paziente e terapeuta possono a volte sentirsi entrambi
vicini all’orlo del precipizio, in quanto lo scenario viene agito di continuo insieme al terapeuta ma,
rispetto al trauma originario, ora sono presenti altre parti del Sé in allerta, le quali attuano una
vigilanza nascosta che protegge il soggetto dall’esserne colpito all’improvviso.
Mario
Parlando del caso di Mario, un soggetto gravemente dissociato che nel corso della terapia è stato in
grado di riconoscere nel suo "mantra auto-squalificante" il fenomeno che gli permetteva di accedere
ad una trance dissociativa la cui funzione era quella di tranquillizzarsi, Bromberg mostra che, con la
creazione di una stato mentale condiviso tra paziente e terapeuta, i Pattern di Attaccamento
Congelati, i quali sono servi al paziente per adattarsi al precoce trauma relazionare, diventano
disponibili ad essere vissuti ed elaborati sul piano cognitivo e linguistico. Quando questo si verifica,
ogni nuovo enactment consente lo sviluppo di un certo grado di intersoggettività, che è quello che
rende la non linearità degli enactment non una semplice ripetizione. Man mano che i cicli non lineari di
collisioni e negoziazioni vanno avanti, la capacità di intersoggettività del paziente va lentamente
aumentando in quelle aree in cui precedentemente era preclusa o compromessa. Il potenziale per una
coesistenza del senso di Sé e alterità diventa non solo maggiormente possibile, ma inizia anche a
verificarsi con maggior spontaneità, con minor vergogna e senza una destabilizzazione affettiva.
Come sottolineato da Schore, la disorganizzazione e il disorientamento dell’attaccamento di tipo D,
associato all’abuso e alla trascuratezza, assomiglia, sul piano fenomenologico, a stati dissociativi, in
quanto durante degli episodi di trasmissione intergenerazionale del trauma dell’attaccamento, il
bambino si coordina con le strutture ritmiche degli stati di attivazione disregolati della madre.
Gloria
Per sottolineare l'importanza della Sincronia con le Strutture Ritmiche dell'Altro, Bromberg cita il
caso di una sua paziente, Gloria, con il quale si è sempre trovato a suo agio fino a quando, in una
seduta, ha avuto percezione di qualcosa a cui lei non voleva pensare, e che era rinvenibile nei
tentativi costanti della paziente di sintonizzarsi con l'altro, senza però mai ottenerne piacere.
Attraverso l'osservazione del fatto che la paziente cambiava posizione ogni volta che lo faceva il
terapeuta, Bromberg è risuscito quindi a ripensare al comportamento altruistico di Gloria come una
modalità compulsiva legata ad elementi dissociati.
Salvare la Pelle ad Amleto
Attraverso l'analisi della storia di Amleto, il quale utilizza la creazione di un "non-me", identificato nella
volontà divina, per accedere alla sua volontà, basata sul proposito di uccidere Claudio, Bromberg
analizza il Funzionamento della Dissociazione, in cui la mente, messa di fronte ad un'ombra che
contiene la possibilità di diventare un'inondazione, recluta i suoi stati del Sé all'interno di una "squadra
di sopravvivenza", in cui ciascuna parte è consapevole solo della propria parte della verità e il cui
obiettivo è sequestrare il Sé cosciente del rischio dello tsunami. Va però ricordato che non possibile
evitare una guerra interna tra parti avverse del sé cercando unicamente di aumentare il potere di una
delle parti.
Nel caso di Amleto, Orazio è il soggetto che, in uno stato molto responsivo rispetto ai suoi pensieri, gli
permette di resistere allo tsunami, offrendogli un luogo, la sua mente, come spazio di riflessione.
In definitiva il Trauma Evolutivo può essere visto come un fenomeno relazionare centrale, il quale
contribuisce alla disregolazione di ogni essere umano, anche nel caso di quegli individui il cui
attaccamento sicuro ha portato ad uno stato di relativa stabilità e resilienza.
Considerando quindi che si è tutti vulnerabili all’esperienza di trovarsi senza preavviso faccia a faccia
con l“alterità”; che talvolta, sebbene temporaneamente, viene vissuta come troppo “non-me” rispetto a
quanto la mente può far fronte, la differenza più grande tra le persone è la Misura in cui
l’iperattivazione affettiva va a toccare l’area di un trauma evolutivo non elaborato, che non è solo
spiacevole, ma mentalmente insostenibile, e quindi non disponibile alla cognizione. Il rischio che
questo accada è un aspetto centrale del lavoro con gli enactment.
L’uso della relazione paziente-terapeuta avviene quindi attraverso l’elaborazione congiunta e non
lineare di un canale di comunicazione agito e dissociato, in cui la paura del paziente della
disregolazione affettiva, identificabile nell’ombra dello tsunami, viene fatta ritirare dalla capacità
sempre più ampia di distinguere in maniera sicura la probabilità di uno shock mentale che può essere
effettivamente soverchiante da quel tipo di esperienze eccitanti in cui la tensione si trova
inevitabilmente mischiata al rischio della spontaneità.
In quest'ottica la paura del paziente della disregolazione, per come viene rivissuta nel presente agito,
diventa sempre più contenibile come evento cognitivo, rendendo così in grado la mente/cervello di
diminuire il suo affidamento automatico sulla dissociazione come un “rivelatore di fumo” affettivo.
PARTE SECONDA
INCERTEZZA
CAPITOLO II - "IT NEVER ENTERED MY MIND"
Confessando un suo segreto, relativo al fatto che fatica ad abbandonare oggetti o situazioni a cui si
sente affezionato, Bromberg introduce il tema del Restare lo Stesso nel Cambiamento, elemento
che, anche se risulta logicamente impossibile, incarna due fenomeni che non possono coesistere,
anche se lo fanno. In un qualche modo quindi il processo di cambiamento consente la negoziazione
tra differenti voci interne, ognuna consacrata a non cambiare, vale a dire, consacrata a restare la
stessa così da preservare la continuità del Sé. L’esperienza diretta di un Cambiamento del Sé è allora
effettivamente un segreto che sfugge alla consapevolezza conscia.
Quando il trauma relazionare è un elemento fondamentale dell'infanzia del paziente, il terapeuta sente
l’inadeguatezza delle parole come mezzo per raggiungere il paziente e spesso fa esperienza di un
crescente senso di futilità rispetto al conoscerlo realmente. Questa sensazione è un piccolo esempio
dell’abissale impotenza sentita dal paziente stesso, basata sull’incapacità di comunicare con il
linguaggio. E' in questa situazione che la danza di parole che unisce il terapeuta e il paziente conduce
in un Posto Segreto, in cui la forma soggettiva della realtà risulta incomunicabile attraverso il comune
discorso umano, in quanto organizzata dall’esperienza subsimbolica e comunicata attraverso
l’enactment.
L’enactment è allora un processo dissociativo diadico, definibile come un bozzolo all’interno del quale
la comunicazione subsimbolica è temporaneamente inaccessibile perché è indebolito il funzionamento
riflessivo. Se il terapeuta si è rivolto ad ascoltare il materiale troppo a lungo senza aver tenuto in vita
la sua esperienza interna della relazione, spesso ha inizio in lui un processo dissociativo, che può
aver avuto inizio nel paziente, ma che presto avviluppa entrambi. La sequenza di eventi viene vissuta
ma non riconosciuta cognitivamente dal terapeuta, in quanto i suoi stati del Sé cambiano
dissociativamente sempre immediatamente dopo quelli del paziente, così che il cambiamento non è
solitamente percepito fino a quando non si fa evidente la presenza di un disagio o di un'irritazione.
Attraverso la dissociazione, si fugge dall’inutilità di aver bisogno da un altro di quello che non è
possibile esprimere in parole. Quello che ha inizio come materiale diventa parole vuote. Dato che
terapeuta e paziente condividono un campo interpersonale che appartiene in parti uguali a entrambi,
ogni ritiro non segnalato da una parte di una di queste persone interromperà lo stato della mente
dell’altro. L’interruzione tuttavia, solitamente non è elaborata cognitivamente da uno dei due, per lo
meno inizialmente. Per il terapeuta diventa sempre più difficile concentrarsi, e solo quando questa
esperienza raggiunge la soglia della consapevolezza conscia, facendosi angosciante, il suo tentativo
di concentrarsi può portare a percepire sul piano esperienziale il potere anestetizzante di quello che
sta avvenendo tra di loro nel qui e ora. Invariabilmente, la sua risposta contribuisce interattivamente
alla costruzione di un processo di comunicazione che, al tempo stesso, ricapitola esperienze passate
del paziente e stabilisce il contesto per una nuova forma di esperienza.
Solo un Sassolino nella Scarpa
Questo paragrafo è dedicato all'analisi di alcuni frammenti di un caso clinico di Bromberg,
rappresentato da una paziente bulimica, le cui azioni dissociate di vomito autoindotto cominciavano a
diventare esperienze sempre più coscienti di più esperienze d'abuso da parte dei genitori. Bromberg
ricorda che in quella fase, in cui iniziava a sentire l'angoscia della paziente e la vergogna del volerle
fare esternare il suo segreto, non era consapevole del dolore dissociato della paziente, inflitto da
un’altra parte di Sé, per far sì che la brama, identificabile nella frase "ho bisogno che qualcuno lo
sappia", diventasse desiderio, quindi "voglio dirglielo". L’unica parte della paziente che si sente degna
di essere amata esiste per proteggere i segreti di famiglia. Ricordarli e svelarli perché lo voleva
rendeva la paziente vulnerabile al pericolo di un attacco interno condotto da altre parte di sé.
In una seduta, che seguiva a una notte passata con un violento vomito autoindotto, la paziente urla,
arrabbiata verso il terapeuta, “non riuscirà mai a farmi smettere di vomitare. Non vuoterò mai il sacco”.
In quel momento il Bromberg entrò dolorosamente in contatto con i suoi sentimenti dissociati di
vergogna e decise lui stesso di “vuotare il sacco”, condividendo, secondo un processo di
self-disclosure, quello con cui lui stesso è entrato in contatto, inclusa la consapevolezza e il suo
personale rammarico per averla lasciata troppo tempo da sola con il suo dolore.
Dopo una pausa, la paziente riferisce che si sente in due modi diversi contemporaneamente, e che
solo a pensarlo le viene mal di testa:
- si sente furiosa verso il terapeuta;
- sa di volergli bene e non voleva ferirlo.
A quel punto il terapeuta le dice che solo quando si era apertamente arrabbiata con lui si è reso conto
di quello che da sempre giaceva sotto la sua rabbia, identificabile nel dolore e la vergogna di dover
aver a che fare con tutto quello da sola.
Questo esempio mostra che, quando la dissociazione è all’opera, ogni stato di consapevolezza
contiene la sua verità, incapsulata sul piano esperienziale e agito in modo continuo. Il segreto
svelato durante un enactment è che, mentre il paziente sta raccontando qualcosa a parole, sta
avvenendo una seconda conversazione, identificabile in quella che Schore chiama "conversazione tra
sistemi limbici".
I Segreti e la Corruzione del Desiderio
I segreti, così come i pazienti, contengono un’esperienza affettiva nella forma di ricordi impliciti dei Sé
che diventano “non-me” perché le realtà soggettive che contengono si sono perse nella traduzione.
Questi stati del Sé rimangono non comunicabili attraverso le parole, perché gli è negato il significato
simbolico all’interno della cornice sovraordinata di un “me” a cui è consentito di esistere nelle relazioni
umane.
Tutto questo deriva dall'esperienza di essere invalidati come reali dalla mente di qualcun' altro
significativo che ha utilizzato il linguaggio non per condividere esperienze, ma per trasportarle fuori
dall’esistenza. È quando l’altro originario è una figura di attaccamento primaria, un genitore o un altro
il cui il significato è, sul piano interpersonale, simile a quello del genitore, che una persona ha il potere
di destabilizzare lo stato mentale del bambino interrompendo il legame relazionale che organizza il
suo senso di continuità del Sé. Per preservare il rapporto di attaccamento e proteggere la stabilità
mentale, la mente innesca una soluzione per la sopravvivenza, la dissociazione, che le consente di
aggirare la lotta mentalmente disorganizzante insita nel riflettere senza possibilità di alleviare il dolore
e la paura causati dal proprio range di percezione, portando a erigere categorie non conflittuali
dell’esperienza come parti diverse del Sé.
Inevitabilmente quindi vi è la Corruzione del Desiderio dato che il salutare desiderio del bambino di
comunicare la sua esperienza soggettiva a un altro di cui ha bisogno, viene infuso di vergogna,
perché l’altro di cui ha bisogno non riconosce, o non riconoscerà, l’esperienza del bambino come
qualcosa di legittimamente pensabile. Il legame di attaccamento che organizza la stabilità del Sé del
bambino viene quindi messo a repentaglio, ed esso giunge a sentire non che ha fatto qualcosa di
sbagliato, ma che c’è qualcosa di sbagliato in se stesso. Per sopravvivere a questa destabilizzazione
del senso del Sé, la mente sequestra la parte della sua esperienza soggettiva che diventa così
illegittima, dissociando la parte di se stesso che sa di doverla legittimare. Poiché il bambino ha
dissociato una parte della soggettività originariamente sentita come reale e legittimata, egli inizia a
dubitare della propria legittimità come persona. Successivamente dubiterà sia della propria legittimità
come persona sia della realtà della sua esperienza interna.
Da adulto egli dovrà convivere con la sensazione che sia successo qualcosa di cattivo, ma quella
sensazione non è organizzata come una cognizione ma come uno stato incomunicabile di bramosia,
che ricopre come un velo la memoria implicita. La bramosia diventa un fantasma “non-me” che infesta
perché il desiderio di comunicarlo al terapeuta direttamente dal luogo interno di illegittimità diventa
esso stesso fonte di vergogna. Così il senso di vergogna è amplificato:
- Prima Fonte di Vergogna: viene dal credere che quello che sente non sarà considerato reale dagli
altri;
- Seconda Fonte di Vergogna: deriva dalla paura di perdere l’attaccamento degli altri, e quindi anche il
senso nucleare del Sé, perché crede che il terapeuta non attribuirà validità alla sua disperata
sensazione di conoscere quello che sente.
La bramosia del paziente di comunicare un’esperienza del Sé dissociata deve venire riconosciuta dal
terapeuta, ma quello che simultaneamente deve venire riconosciuto è che esso non può fare
esperienza mentale della legittimità di questa bramosia senza essere ricoperto di vergogna dalle altre
parti de Sé. La verità affettiva con cui vive il paziente viene sospettata di essere una bugia o per lo
meno un’esagerazione, e non è mai sicuro che si tratti di un segreto realmente esistente o se lo stia
inventando, conducendo quindi a vivere in un tormentato isolamento, ed è questa esperienza che
diventa la verità essenziale del paziente, il suo segreto, in cui le parole e le idee diventano delle bugie
vuote.
In ogni trattamento, lo Sviluppo dell’Autoriflessione è parte di ciò che viene ottenuto tramite il
trattamento analitico. Dato che ognuno degli stati del Sé del paziente ha dei programmi propri rispetto
ai segreti, ogn'uno di loro deve diventare disponibile nei propri termini alla gamma degli stati del Sé
del terapeuta. Questo richiede che si riconosca in misura crescente il suo contributo dissociativo agli
enactment, e si diventi sempre più in grado di rifletterci sopra e di usare questo riconoscimento, in
maniera relazionale, con ogn'uno dei Sé o stati del Sé del paziente. Quando questo si verifica, la
soggettività dissociata del paziente si trasforma, in maniera non lineare, in una Soggettività
Autorifessiva. Il paziente diventa in grado, in maniera più libera e sicura, di far esperienza di una
mente che sta facendo esperienza della sua mente, che sta facendo esperienza delle loro menti in
quelle aree del funzionamento mentale in cui la dissociazione ha tenuto prigioniera l’intersoggettività.
Il titolo del capitolo, che letteralmente significa "non mi è mai passato per la mente", è tratto da una
canzone di Rodgers e Hart (1940), la quale parla del dolore vuoto che si trova nell'anima di una
persona quando brama un altro assente, non riuscendo a pensare di averlo perso.
CAPITOLO III - "MENTALIZE THIS!"
Le recenti prospettive sulla Mentalizzazione si basano sulla considerazione che la capacità di
abbracciare in maniera irrazionale la propria mente e quella altrui all’interno di un’esperienza coerente
derivino dalla conquista dell’intersoggettività.
In questo capitolo Bromberg giunge a considerare la Mentalizzazione seguendo due strade:
- considerazione della Dissociazione come processo mentale normale che riveste un ruolo
evoluzionistico nel configurare e riconfigurare i propri stati del Sé nella vita di tutti i giorni;
- considerazione del Trauma come il modo in cui la dissociazione viene arruolata all’interno di un
irrigidimento post-traumatico dei confini tra gli stati del Sé che trasforma un normale processo in una
struttura patologica. In presenza del trauma non è solo la capacità di mentalizzare a essere
compromessa, e per risanarla occorre un processo di collisioni e negoziazioni.
Stati del Sé e Dissociazione
La capacità dell’uomo di vivere una vita fatta di autenticità e autoriflessione richiedere una continua
dialetti fra l’unità e la separatezza dei suoi stati del Sé. Se tutto va bene, la persona è solo vagamente
o momentaneamente consapevole dei singoli stati del Sé e delle loro rispettive realtà, poiché ognuno
funziona come parte della salutare illusione di un’identità personale coesa, considerabile quindi come
uno stato cognitivo ed esperienziale sovraordinato vissuto come “Io”.
Ciascun stato del Sé fa parte di un insieme funzionale, influenzato da un processo di negoziazione
interna con la realtà, i valori, gli affetti e i punti di vista degli altri.
Nonostante i conflitti e l’ostilità tra i diversi aspetti del Sé, difficilmente uno stato del Sé è totalmente
precluso dall’esperienza di “me-ness”. In una personalità relativamente coesa, la dissociazione è una
funzione sana e adattiva della mente umana, un processo fondamentale che permette ai singoli stati
del Sé di funzionare in modo ottimale quando una completa immersione in una certa realtà, un singolo
stato affettivo intenso o la sospensione della propria capacità di autorifessione è esattamente quello
che si sta cercando o si desidera à quei momenti che richiedono concentrazione, orientamento al
compito o un abbandono totale a un’esperienza piacevole.
In circostanze normali, quindi, la dissociazione promuove l’integrazione delle funzioni dell’Io
escludendo gli stimoli eccessivi o irrilevanti.
Considerando il Trauma e la Dissociazione Difensiva, quest'ultima, oltre al ruolo normale prima
indicato, può anche svolgere la funzione di difesa, da intendere come una reazione al trauma, che, a
sua volta, è un flusso caotico di affetti non regolabili nella mente, che minaccia la stabilità del Sé e
talvolta a stessa salute mentale.
Il conflitto intrapsichico viene quindi vissuto come insostenibile perché la discrepanza non si verifica
tra i contenuti mentali discordanti, ma fra aspetti del Sé alieni, fra stati del Sé talmente discrepanti da
non poter coesistere in un singolo stato di coscienza senza minacciare di destabilizzare la continuità
del Sé. L’affetto traumatico non è solo ansia ad alto volume. È lo shock di un flusso affettivo
sufficientemente intenso da disgregare il pensiero in quanto intrinsecamente caotico. Il motivo per cui
il trauma non termina mai per il cervello è che esso lascia un residuo di un affetto non elaborato,
dissociato, che il cervello non è in grado di regolare, identificabile in quello che Bromberg definisce
come l'Ombra dello Tsunami. Per questo motivo quello che il cervello non è in grado di regolare cerca
di controllarlo.
Dopo che il trauma si è verificato, la mente arruola la dissociazione per assicurarsi preventivamente
che lo shock destabilizzante dello tsunami non si ripeta mai più, per cui si crea una struttura mentale
dissociata che anticipa in maniera vigile l’ombra prima che possa ripresentarsi in maniera inaspettata,
trasformando la mente in un "rilevatore di fumo" e la vita in un periodo di attesa sospeso. La
dissociazione difensiva mostra il suo marchio disconnettendo la mente dalla sua capacità di percepire
quello che viene esperito come troppo da sostenere per il senso di Sé. Essa quindi riduce ciò che è
davanti agli occhi a una banda ristretta di realtà percettiva, privata di una rilevanza emotiva personale
per il Sé che la sta sperimentando.
Nel trauma che nasce dalle relazioni umane, ciò che viene svuotato di rilevanza personale sono le
interazioni nel qui e ora, avvertite come troppo destabilizzanti per essere passibili di elaborazione
cognitiva. La capacità della mente di contenere riflessivamente la soggettività di un’altra persona in un
contesto relazionale viene compromessa e, a sua volta, viene danneggiata la capacità intersoggettiva,
evidenziando così uno stretto legame con il concetto di mentalizzazione. L’individuo è in larga parte
incapace di vedersi riflessivamente negli occhi di un altro perché i diversi stati del Sé, che in
precedenza erano in grado di coesister adattivamente, sono ora separato da uno stato ipnoide in
modo da ricoprire ciascuno un ruolo protettivo.
Perché l’esperienza di conflitto intrapsichico possa avere luogo, il vuoto tra gli spazi dissociati del Sé
deve essere colmato dalla relazionalità umana. Quando un paziente non è in grado di contenere
un’esperienza di conflitto intrapsichico, l’obiettivo immediato è quello di far leva sulla relazione
terapeutica per aiutare i pazienti a trasformare la loro esperienza del Sé in qualcosa di più che isole di
verità, quindi aiutarli a diventate capaci di “restare negli spazi” fra gli stati del Sé, in modo da favorire il
passaggio dalla dipendenza dalla protezione fornita dalla dissociazione alla capacità di percepire il
conflitto interno come qualcosa di sostenibile.
All’inizio del trattamento ogni stato del Sé è egosintonico quando il suo grado di dissociazione è in
crescendo e la possibilità di poter fare esperienza degli altri stati del Sé, in maniera conflittuale, come
ego-alieni non può essere data per scontata.
In questi casi è necessario lo sviluppo di un Io osservante, da intendere, secondo Bromberg, come la
crescente capacità del paziente di contenere ed elaborare la comunicazione interna fra stati del Sé
discrepanti senza che questa comunicazione venga automaticamente preclusa dalla dissociazione
difensiva.
Dissociazione e Mentalizzazione
Quello che Janet (1907) considerava, analizzando le manifestazioni di dissociazione nell'isteria, come
Sintesi Personale, può essere descritta come la Comunicazione Fluida fra gli Stati del Sé, da
intendere come la capacità di rimanere negli spazi tra realtà diverse senza perderne alcuna. Essa è
quindi la capacità della persona di ospitare in un dato momento una realtà soggettiva che non può
essere facilmente contenuta dal Sé che in quel momento sente come “me”. Le persone capaci di
riflettere sull’esperienza soggettiva che qualcun'altro ha di loro nell’ambito dell’esperienza che fanno di
se stesse, quindi le persone che riescono a restare fra gli spazi, si stanno allora relazionando in
maniera intersoggettiva. Per Fonagy e Target, tale funzione è conseguita attraverso la
Mentalizzazione, che è la capacità che permette alla persona di riflettere sulle discrepanze fra
l’esperienza che ha di se stessa e il modo in cui sembra esistere nella mente di un altro, senza essere
costretta a segregare queste discrepanze in stati del Sé disconnessi e isolati. In altri termini la
capacità di mentalizzare rende meno probabile che la mente ricorra automaticamente alla
dissociazione per proteggere la sua stabilità di fronte all’esperienza dell’alterità.
Bisogna quindi favorire la simbolizzazione cognitiva dell’esperienza affettiva non elaborata che è
subsimbolica, non dichiarativa e procedurale. Questo tipo di esperienza diventa visibile al terapeuta
come fenomeno percettivo, per cui il più delle volte quello che rileva è un qualche cambiamento in se
stesso, anche se ovviamente può notare un cambiamento nel paziente stesso. Bisogna però
considerare che questa consapevolezza in sé non posta immediatamente a una concomitante
consapevolezza che sta avvenendo qualcosa tra loro.
L’essenza della dissociazione sta nell’alterare l’esperienza percettiva, prosciugando così il contesto
interpersonale di significato personale. Scollegando la mente dalla percezione riflessiva
dall’esperienza diadica affettiva, la persona rimane fuori dal pericolo di fare esperienza diretta
dell’alterità dell’altro. Quando la dissociazione dà luogo a stati del Sé che svolgono preventivamente
questa funzione protettiva, a prescindere dal Sé che in un dato momento definisce il senso del Sé,
esso diventa un bozzolo isolato. Quando la coerenza tra stati del Sé è sostituita da un bozzolo
dissociativo, la persona esiste in uno stato di consapevolezza in cui ha un accesso limitato simultaneo
alla sua gamma di stati del Sé per consentire uno scambio autentico con a soggettività degli altri.
Senza una coerenza tra gli stati del Sé, egli è solo parzialmente vivo. Qualunque sia lo stato della
realtà dissociata dell’individuo, la persona che si relaziona con lui sarà interpersonalmente adattata
per combaciare con l’immagine dell’oggetto interno e assicurarsi una stabilità affettiva.
Il titolo del capitolo, Mentalize This!, oltre ad essere una rivisitazione del film "Analyze This!" in cui il
più potente gangster di New York va a farsi analizzare per entrare in contatto con le sue emozioni (in
Italia il titolo è stato tradotto con "Terapia e Pallottole"), sta ad indicare l'inevitabilità dello scontro fra
soggettività nel lavoro terapeutico. In quest'ottica la Negoziazione tra Collisioni e Sicurezza è al
cuore del cambiamento psicoterapeutico e richiede un impegno del terapeuta a sintonizzarsi con
l'equilibrio instabile tra sicurezza affettiva e sovraccarico. Ciò che consente all’intersoggettività di
emergere da un enactment, sono i momenti in cui il limite della disregolazione, che Le Doux (1996)
chiama il sistema della paura, viene attivato in condizioni sicure ma non troppo. In queste condizioni la
situazione analitica diventa non solo una ripetizione dei fallimenti passati del paziente, ma un
occasione per aumentare la coerenza tra stati del Sé.
Questi eventi relazionali sono chiamati Sorprese Sicure perché è solo attraverso la sorpresa che una
nuova realtà, rappresentata da uno spazio tra spontaneità e sicurezza, viene co-costruita e prende
vita.
Il processo terapeutico richiede che il paziente ed il terapeuta rimangano insieme negli spazi tra realtà
e si muovano in modo sicuro, ma non troppo, da una parte all’altra della linea di confine. È l’impatto
diadico della sorpresa sicura che permette all’enactment di diventare più di una mera ripetizione del
passato, e quindi di costituire un elemento fondamentale nella promozione terapeutica della
mentalizzazione. La capacità del terapeuta di offrire un ambiente sicuro non rappresenta in sé la fonte
dell’azione terapeutica. Per quanto l’analista debba cercare di non oltrepassare la capacità del
paziente di sentirsi al sicuro nel suo studio, è impossibile che ci riesca, ed è proprio a causa di questa
impossibilità che il cambiamento terapeutico può avvenire. Le collisione tra le soggettività dei due
soggetti riflettono l’esteriorizzazione delle differenze negli stati del Sé in ciò che è vissuto come realtà
nel mondo interno del paziente.
Il Sé Nucleare dell’individuo, quindi quello modellato dai primi pattern di attaccamento, è definito sia
dal modo in cui i primi oggetti genitoriali lo percepiscono sia da quello che gli negano di essere. I
genitori disconfermano l’esistenza relazionale di quegli aspetti del Sé del bambino che dissociano
percettivamente. Questo rende gli aspetti disconfermanti non negoziabili dal punto di vista relazionale,
perché le esperienze soggettive che organizzano questi stati non possono essere condivise e
confrontate in maniera comunicativa, con il modo in cui appaiono nella mente dell’altro. Il punto
essenziale è che la “disconferma” in quanto non negoziabile sul piano relazionale, è traumatica per
definizione. Da questo nasce la connessione tra i termini di Trauma Evolutivo e Trauma Relazionale.
Al fine di mantenere stabile la continuità del proprio Sé nel corso dello sviluppo, ogni individuo
continuerà ad agire, almeno in qualche misura, secondo i primi modelli di attaccamento, appresi in
modo procedurale, sui quali risiede il Sé nucleare, così da rimanere riconoscibile come se stesso.
Questo perché il modo in cui una certa persona è vista nella mente di un altro deve riflettere il Sé
nucleare che era il “bambino dei suoi genitori”. Per la maggior parte delle persone, nel corso della vita
quest’immagine evolve ed è rimodellata in modo tale che i modelli relazionali che definiscono il Sé
vengono ampliati, modificati e integrati in una configurazione individuale in larga parte non dissociata.
Tuttavia, se nelle prime fasi di vita alcune parti del Sé vengono sistematicamente disconfermate, il
compito di continuare a esistere nella mente di un altro, e quindi ai propri occhi, come lo stesso Sé
che era il “bambino dei suoi genitori”, è molto più complicato e difficile perché implica dover dissociare
quegli stati del Sé che sono discordanti con esso. Queste parti tendono poi a restare non simbolizzate
sul piano cognitivo e sono organizzate come isole di realtà affettiva che, in quanto segregate, non
sono modificabili attraverso la risoluzione di un conflitto. Tuttavia essere hanno una vita propria, una
vita che decide il destino di un individuo tanto quanto del “me” che può essere pensato ed espresso a
parole. Prima di poter confluire in ciò che la persona sente come “me”, le parti “non-me” del Sé
devono essere ricondotte all’autorifessione mediante simbolizzazione cognitiva e linguistica in un
contesto relazionale.
Finché questo non avviene, le parti “non-me” continueranno a incombere e ad agire dissociativamente
quanto non può essere pensato o detto, causando problemi al paziente e alle persone intorno a lui.
Trattandosi di voci guidate dagli affetti proveniente da parti del Sé disconfermate sul piano relazionale,
la loro presenza è comunicata senza un contesto cognitivo condiviso, che potrebbe consentire
all’affetto di sviluppare un significato negoziato consensualmente.
L’enactment è un processo che prende forma in un bozzolo a due, che il paziente non incontra solo
nella relazione analitica ma anche altre varie volte, sopratutto nelle relazioni più rilevanti. Però nella
relazione terapeutica esso può essere usato in una forma nuova che, attraverso scontri ripetuti e non
lineari tra soggettività, può far giungere alla nascita di aspetti intersoggettivi.
Un atteggiamento terapeutico che invece cercasse sistematicamente di evitare collisione tra le due
soggettività finirebbe inevitabilmente per essere percepito dal paziente come disconfermante. In casi
come questo il paziente avverte che il terapeuta non lo sta realmente contenendo nella propria mente
e, mancando agli stati del Sé dissociati un ambiente per rimanere vivi, non si sviluppa la
Mentalizzazione.
Lo sviluppo della capacità di mentalizzazione richiede quindi una maggior capacità di entrare in
collisione con la soggettività e gli stati mentali dell’altro. L’equilibrio tra sicurezza affettiva e il vederci
nel modo in cui gli altri ci vedono è sempre mutevole, ed è la sintonizzazione del terapeuta con queste
variazioni, più che l’esatta applicazione della tecnica, a promuovere la mentalizzazione.
Roseanne
In questo esempio clinico Bromberg cita il caso di Roseanne, una paziente il cui senso del Sé era
stato gravemente danneggiato nell'infanzia da un padre sadico e disturbato, i cui comportamenti
tendevano a voler far sentire colpevole e inadeguata la figlia.
In una fase dell'analisi in cui la paziente continuava, nonostante i risultati raggiunti, a riferire quanto
fosse inutile la terapia o ogni cambiamento nella sua vita, facendo sentire il terapeuta costantemente
frustrato, Bromberg, non cosciente di rischiare di agire il ruolo del padre disconfermante ed
aggressivo, decide di raccontare a Roseanne la storia di una bambina che riceve un pacchetto dal
padre, con la promessa che però non lo aprirà finché non glielo dirà lui. Dopo quattro anni d'attesa, e
tra l'altro è significativo che fossero quattro anni che Roseanne era in terapia da Bromberg, la
bambina decide di aprirlo e scopre che è vuoto.
Questa storia fa precipitare Roseanne in un terrore assoluto e la sua immagine si trasforma in quella
della bambina spaventata che era stata nell'infanzia.
Riflettendo nelle sedute successive su quanto avvenuto, Bromberg si rende conto che la paziente
aveva voluto attuare un comportamento sadico e frustrante nei suoi confronti, non concedendogli mai
la "soddisfazione" di aver raggiunto qualche risultato, e lui, inconsapevolmente, aveva risposto come il
padre sadico.
L'elaborazione di questo enactment ha però permesso ad entrambi di giungere a confrontarsi su un
terreno di sensazioni e pensieri prima non esprimibili a parole, comprendendo finalmente quale era il
ruolo interattivo che essi stavano agendo nel corso dell'analisi, e, tramite questo sviluppo delle
capacità di mentalizzazione e questa apertura reciproca, arrivare a sviluppare nuovi risultati.
Coda
Nel saggio "Giocare con la Realtà" (1996), Fonagy e Target riflettono su quanto la Mentalizzazione si
sviluppi nel bambino grazie alla possibilità di separare la realtà esterna dai pensieri. Se questo non
avviene si giunge ad una minacciosa sovrapposizione tra realtà esterna ed interna che nel bambino, e
successivamente nell'adulto, può condurre ad un'incapacità di tollerare la presenza di una mente
nell'altro, con il costante desiderio di "cannibalizzarla", elemento che era cardine nel pensiero di
Roseanne.
CAPITOLO IV - COLMARE IL VUOTO DISSOCIATIVO
Il termine Psicoanalisi Relazionale, coniato da Mitchell e Greenberg durante una serie di contri con
un piccolo gruppo di analisti, tra cui lo stesso Bromberg, è stato scelto per due ragioni:
- la considerazione per cui la mente, in tutte le sue manifestazioni evolutive sane o psicopatologiche,
si struttura e funziona secondo una modalità relazionale;
- la possibilità del termine di unire una serie di idee anche differenti tra loro.
Rifiutando quindi le concezioni classiche di conflitto e di rimozione, Bromberg giunge quindi a
teorizzare un Funzionamento Mentale organizzato da una relazione dissociativa continuamente
mutevole, in cui gli stati del Sé si dimostrano più o meno capaci di partecipare all'esperienza mentale
di un conflitto interno.
Quando la dissociazione diviene poi la struttura fondamentale del funzionamento intrapsichico ed
intersoggettivo del paziente, gli stati del "non-me" vengono agiti da entrambi i partecipanti alla
relazione analitica, senza che di essi vi sia una rappresentazione cognitiva.
In quest'ottica, Colmare il Vuoto Dissociativo prevede un coinvolgimento attivo con i cambiamenti
degli stati del Sé, il quale permetta di coinvolgersi in un incontro percettivo in cui anche le parti
"non-me", grazie all'interpretazione e al coinvolgimento affettivo, possono emergere nel qui ed ora ed
essere quindi integrate nel senso di continuità del paziente.
Mayer (2007), analizzando quelle che definisce come Esperienze Anomale, definibili come percezioni
veritiere che però si verificano in un contesto che le rende inesplicabili rispetto a quello che si
considera come realtà, ha sottolineato l'importanza di un pensiero non lineare in analisi che,
attraverso l'accettazione creativa della mancanza di chiarezza, permetta lo sviluppo dell'inconscio
relazionare, luogo in cui finalmente l'interpretazione può assumere un senso.
Harris (2009) evidenzia inoltre che il motore del lavoro psicoanalitico è un indispensabile paradosso in
cui morte e movimento sono legati intimamente quando si affronta assieme l'abisso.
Temi Clinici
I seguenti Temi Clinici possono, secondo Bromberg, fornire degli esempi di quanto esposto nel suo
libro e, principalmente, in questo capitolo:
1. Improvvisi Cambiamenti nell'Argomento: attraverso un ascolto attento, il terapeuta può divenire
consapevole che un improvviso cambiamento nell’argomento si accompagna a un cambiamento nel
modo di presentarsi, affetti inclusi. Quello che sta avvenendo è definibile come un cambiamento negli
stati del Sé e nelle rispettive realtà che li organizzano. Il proprio orecchio clinico ascolta la voce di
un’altra pare del Sé e ha la possibilità di invitarla nella relazione accettandola nei suoi termini,
piuttosto che parlandone come se fosse semplicemente un cambiamento nell’umore. Gli stati del Sé
sono moduli altamente individualizzati di essere, ognuno configurato dalla sua organizzazione di
cognizioni, credenze, affetto e umore dominanti, accesso alla memoria, abilità, comportamenti, valori,
azioni e regolazione fisiologica. Quando tutto è andato bene sul piano evolutivo, ogni stato del Sé è
sufficientemente compatibile con i modi di essere degli altri stati del Sé da consentire una generale
coerenza tra loro, che a sua volta crea la capacità di sopportare l’esperienza di un conflitto interno.
Tuttavia quando è all’opera una Dissociazione Proattiva Protettiva, è più facile che cambiamenti negli
stati del Sé raggiungano la consapevolezza percettiva nel terapeuta, ovviamente se esso risulta
capace di coinvolgere liberamente il paziente della posizione di osservatore-partecipe. Va comunque
ricordato che i cambiamenti possono essere inizialmente percepiti non come qualcosa del paziente,
ma come una destabilizzazione dei processi mentali del terapeuta, in cui la consapevolezza di un
fastidio che non si riconosce immediatamente come tale è l'effetto di un enactment dissociativo che
sta avvenendo nella relazione;
2. Uso Ingannevole del Linguaggio del Conflitto: in maniera ingannevole un paziente può
sembrare in conflitto quando in realtà è dissociato, perché utilizza il linguaggio del conflitto per
mantenere il legame di attaccamento con il terapeuta. Dire che sta cercando in tutti i modi di sentire
una cosa invece di un’altra, ma non sembra riuscirci è una frase in cui, grazie all'uso della
congiunzione "invece di", il paziente cerca di simulare il linguaggio del conflitto. In questi casi bisogna
però considerare che la dissociazione in atto sta portando il paziente ad obliterare un’altra parte di sé,
considerandola come malata e cercando di sostituirla con una parte sana, rappresentata dalla parte
che il paziente sente che il Terapeuta vuole far emergere;
3. Resistenza?: una situazione frequente è quella in cui il paziente, dopo una seduta produttiva e
apparentemente soddisfacente per entrambi, torna in uno stato oppositivo, arrabbiato, accusatorio,
disperato o anche pronto a interrompere il trattamento. Bisogna considerare che in questi casi il Sé
del paziente che sta partecipando ora era presente come uno stato "non-me" dissociato durante la
precedente buona seduta e non esisteva in essa sul piano relazionale. Per questo Sé l’apparente
successo delle interpretazioni del terapeuta nella precedente seduta è stato completamente inutile.
Ora che non è più "non-me", questa parte del paziente è un partecipante e sta attaccando perché, con
il suo comportamento autoriflessivo, l’altra parte stava implicitamente sostenendo che il terapeuta è
sufficientemente affidabile da infondere un po’ di speranza. In quest'ottica, e differentemente dalla
visione classica psicoanalitica secondo cui questi momenti rappresentano conflitti inconsci, le parti
che più piacciono al terapeuta del paziente vengono attaccate, cercando di screditare il loro ruolo e
quello del terapeuta;
4. Concretezza del Pensiero: un indicatore della dissociazione può essere la rilevazione di un rigido
focus sul contenuto delle interpretazioni del terapeuta, il quale si accompagna ad un atteggiamento
totalmente dimentico dell'esperienza del paziente verso la persona che la sta offrendo. In tali casi il
paziente effettua quello che può essere definito come un check-out relazionale;
5. Memoria Stato-Dipendente: quando la dissociazione è all’opera, la memoria è organizzata da
qualcosa che è conosciuto, più che dal fatto che questo qualcosa sia o no ricordato. Ad esempio il
paziente può dire "ho dimenticato quello di cui abbiamo parlato l’altra volta, penso fosse qualcosa
su…". In questo senso quindi la seduta non è stata dimenticata, ma il paziente non riesce a ricordarla
in quanto la memoria è stato-dipendente, soprattutto se un’intensa attivazione affettiva l’ha resa
minacciosa per la parte del Sé la cui esperienza non è stata riconosciuta o elaborata in quella seduta.
Perché la seduta sia ricordata personalmente, il paziente deve essere in grado di avere accesso allo
stato del Sé che vi ha partecipato e allo stato del Sé che l’ha osservata. In caso contrario la struttura
mentale dissociativa farà si che l’esperienza sia solo una sorta di ricordo;
6. Rivivere Percettivo e Sicurezza Affettiva: in situazioni come quella precedente a cui si è
accennato, quindi quando il paziente non ricorda cosa si è detto in seduta, Bromberg trova utile il
tentativo di parlare con quella parte del paziente che, nella seduta precedente, ha provato i sentimenti
più intensi. La speranza è quella che il paziente possa sentirsi sufficientemente sicuro da accedere a
quello stato del Sé o, per lo meno, possa mostrare segni di confusione cognitiva in seguito alla
domanda.
Uno dei modi migliori sembra quello di invitarlo a pensare alla seduta precedente e chiedergli "cosa le
sembra?" (what is it like?), domanda che, come sottolineato da vari autori, tra cui McGilchrist (2009) e
Nagel (1979), ha l'obiettivo di invitare il soggetto a rivivere dal di dentro quelle situazioni, giungendo
ad essere interpersonalmente riflessivo.
Tale domanda, la quale mette a rischio la sicurezza dell'identità del paziente in quanto mette in atto il
rivivere la situazione e la vergogna connesse al trauma, è fondamentale però per sviluppare una
crescita stabile della personalità, la quale ruota attorno alla creazione di un collegamento tra
esperienza soggettiva e rappresentazione mentale del qui e ora del Sé come agente o come colui che
fa esperienza. Nonostante l’instabilità e la confusione, paziente e terapeuta possono rivelarsi in grado
di tenere duro durante un enactment e produrre un progresso terapeutico se la vergogna dissociata
del terapeuta non conduce, in maniera riflessiva, a un periodo indefinitamente lungo in cui il disagio
del paziente viene vissuto come espressione del bisogno che lui riconosca il suo dolore e se ne
preoccupi. Bisogna comunque ricordare che nei momenti in cui si sta rivivendo un’esperienza, il
paziente è spaventato non solo da quello che, nel passato, lo spaventava, ma perché è lo stesso
enactment nel presente a essere spaventoso.
Di conseguenza, la co-costruzione di un nuovo significato personale comporta sempre una certa
destabilizzazione del Sé, ed è quindi di importanza capitale che il terapeuta comunichi una continua
attenzione per la sicurezza del paziente mentre sta facendo i suo lavoro;
7. Sopravvivere alla Confusione: il lavoro con gli enactment è un processo che comporta una
collisione tra soggettività, processo che può essere definito come Sopravvivere nella Confusione. Il
terapeuta, invece che tenere duro considerandola come una confusione affettiva, deve analizzare tale
tensione come il fallimento di una tecnica corretta o il risultato della patologia del paziente. Quando è
una di queste opzioni a essere scelta è nell’interesse del terapeuta ritrovare stabilità.
Come sottolineato da Stechler (2003) se il terapeuta è in grado di restare connesso con la sua
destabilizzazione e con quella del paziente, essa può influenzare la scelta del suo successivo stato
verso un’apertura e un’autenticità affettiva, elemento che verrà condiviso dal paziente stesso. Se
invece in tali momenti critici il paziente sente un congelamento, la terapia non può proseguire in modo
ottimale.
Marta
Per spiegare i concetti prima espressi, Bromberg parla del caso di Marta. Questa paziente,
traumatizzata da una madre violenta ed aggressiva, aveva sintomi riguardanti un controllo compulsivo
dell'alimentazione, che estendeva inoltre al controllo sulle altre persone, terapeuta compreso, attuato
tramite il tentativo di sviare la conversazione ogni volta che gli argomenti si dimostravano più rilevanti.
Nel secondo anno di analisi, Marta, dopo aver saltato una seduta, si presenta da Bromberg
raccontando divertita che la settimana prima era a correre nel parco ed era così rilassata che si era
totalmente dimenticata della seduta. Bromberg, spazientito da questo modo allegro, percepito come
un ulteriore tentativo di spostare l'attenzione, di raccontare questo evento le chiede come pensa che
lui si sia sentito. Questa domanda, che lo stesso terapeuta si rende conto avere un tono ed un
significato aggressivo, porta Marta a mostrare una sua parte infantile e dissociata, la quale si chiede
quale sia il senso di dover rivivere l'orrore subito nell'infanzia.
Nonostante, o anzi forse grazie, al suo errore, Bromberg riesce, insieme alla paziente, ad accedere a
ciò che entrambi avevano dissociato, quindi la vergogna per il trauma, e a mettere in evidenza come
lui stesso stesse in quel momento agendo il ruolo genitoriale disturbato, negando alle parti più mature
e libere del Sé di Marta, quelle che si erano dimenticate la seduta, di emergere.
Questi elementi hanno quindi consentito ad entrambi di avere la possibilità di mostrare la parte più
vulnerabile di se, creando così un contatto ed una progressiva ricomposizione della dissociazione.
Questo processo clinico, che è quello che Bromberg chiama Destare il Sognatore, si basa quindi
sulla mutua possibilità di paziente e terapeuta di accedere al proprio Sognatore, inteso come uno
stato del Sé dissociato che si manifesta principalmente, ma non solo nei sogni, creando quindi una
relazione in cui il rischio di ferire o di essere ferito non è più vissuto come pericoloso ma come motore
del cambiamento.
PARTE TERZA
BARCOLLARE, AGGRAPPARSI
CAPITOLO V - VERITA' E RELAZIONALITA' UMANA
La Verità, intesa come fenomeno soggettivo, continua ad avere un importante ruolo nel lavoro clinico,
ma solo quando emerge nel contesto di una dialettica con il fenomeno intersoggettivo
dell'Accuratezza.
Al fine di far emergere la Speranza, elemento cardine del lavoro terapeutico secondo Friedman
(1988), il terapeuta deve essere in grado di riconoscere il paziente per quello che è, apprezzando le
sue caratteristiche fondamentali, e tra queste anche quelle problematiche. E' questo che Bromberg
definisce come cambiare rimanendo lo stesso.
L'assenza di questo riconoscimento nell'infanzia può portare allora il paziente ad essere
particolarmente vulnerabile a stati del Sé "non-me" pieni di irrealtà, oscurità e paura, in cui i confini e
la loro permeabilità risultano troppo insicuri per consentire lo sviluppo della mentalizzazione e
dell'inconscio relazionale, elementi cardine della terapia in quanto consentono di accedere alla visione
di chi si è realmente.
Dogmentativo
Raccontando un aneddoto relativo ad un suo caso clinico, in cui una paziente l'aveva accuratamente
definito "troppo dogmentativo", Bromberg riprende il suo concetto di Funzionamento Mentale Basato
sulla Dissociazione in cui quest'ultima avrebbe il ruolo adattivo di selezionare quali stati del Sé sono
più adeguati in una data situazione, affrontando così le mutevoli sfide della vita con creatività e
spontaneità. Ed è questa flessibilità quello che dà alla persona la notevole capacità di negoziare
simultaneamente stabilità del carattere e cambiamento, permettendogli di restare lo stesso nel
cambiamento.
Un funzionamento mentale ottimale consiste nella capacità della persona di avere accesso a stati del
Sé multipli in maniera conflittuale, e il trattamento psicoanalitico deve fornire un contesto favorevole
per facilitare la comunicazione interna tra stati disgiunti mantenuti sequestrati l’uno dall’altro in
maniera dissociativa. In trattamento, attraverso l’elaborazione simbolica congiunta di enactment tra
paziente e terapeuta, gli stati del Sé sequestrati diventano vivi come, usando la definizione di
Edelman (1989), presente ricordato. Questo processo non lineare è cumulativo in quanto consente al
paziente, in maniera affettiva e cognitiva, di far uso del presente ricordato per costruire, con il
terapeuta, un passato ricordato autentico. Dato che anche la capacità di fare esperienza in maniera
sicura di un conflitto interno viene accresciuta, il potenziale per la risoluzione di un conflitto viene a
sua volta facilitato.
Verità e Discontinuità della Coscienza
Sebbene la coscienza sia discontinua, nella vita di tutti i giorni non si è soggetti alla consapevolezza,
potenzialmente disgregante, di questa discontinuità a causa della necessaria illusione che la
maschera. L’Illusione di una Continua Unitarietà del Sé è generata dalla capacità evoluzionistica
della mente di radicare la coscienza in una delle configurazioni di stati del Sé che risultano più
adattive in quel momento. Tali elementi sono stati definiti da Mitchell (1991) come diverse versioni
della persona che incorporano conformazioni attive di esperienza e di comportamento, organizzate
intorno a un particolare punto di vista, un certo senso si sé, un modo di essere, le quali sostengono
l’ordinario senso fenomenologico che noi abbiamo di noi stessi come persone integre.
La sensazione di un senso di Sé unitario è un imperativo esperienziale che stabilizza la struttura di
stati del Sé del funzionamento mentale facendo esperire la rete degli stati della mente come continua,
e la transizione tra stati naturale e semplice. Ogni stato, “vero” per il Sé a cui appartiene, è capace di
sentirsi relativamente indipendente, sentendosi simultaneamente continuo con un’esperienza
sovraordinata di “me”.
Sebbene la Verità sia un fenomeno che serve a sostenere il bisogno soggettivo di ogni stato di
sentirsi legittimato senza essere destabilizzato dall’alterità, bisogna comunque considerare che essa è
stato-dipendente, come la memoria. In trattamento, il coinvolgimento interpersonale consente una
negoziazione tra stati del Sé sempre maggiore, che a sua volta permette all’esperienza
stato-dipendente di ogni specifica verità di cedere un po’ della sua sovranità a favori di un’esperienza
Sé-altro più flessibile.
La Prospettiva sulla Natura della Realtà di Bromberg si basa allora sulla considerazione che la
realtà di cui fa esperienza uno stato del Sé sarà coerente o incompatibile con la realtà degli altri stati
nella misura in cui è presente/assente una protezione dissociativa rispetto alla disregolazione affettiva.
In quest'ottica la crescita terapeutica di un paziente dipende dal facilitare la co-costruzione negoziata
di uno spazio transizionale in cui la questione di oggettivo/soggettivo e vero/falso perda il suo
significato.
Reti Neurali e Reti di Stati del Sé
Uno dei motivi per cui la crescita terapeutica richiede molto tempo è che l’organizzazione di stati del
Sé della mente è collegata all’organizzazione cerebrale di Reti Neurali, intese come gruppi di neuroni
che scaricano contemporaneamente e sono collegate per formare una comunità di connessioni
neurosinaptiche. Fino a quando lo stesso gruppo di neuroni di una comunità neurosinaptica continua a
scaricare insieme, sarà difficile per un nuovo gruppo di neuroni connettersi in quella comunità
apportando nuove informazioni alla rete.
Sebbene parte dell’adattamento darwiniano del cervello dipende dal fatto che venga consentito alle
reti neurali di espandersi attraverso l’uso di nuove informazioni, vi è sempre una Battaglia tra
Regolarità e Variazione. In quest'ottica la Stabilità, intesa come la sopravvivenza per mezzo della
regolarità, ha una priorità evoluzionistica uguale, e spesso anche maggiore, a quella della Crescita,
basata sulla sopravvivenza per mezzo della variazione, il che richiede che la verità di una rete neurale
e la verità di uno stato del Sé lavorino insieme per prevenire che nuove informazioni mettano alla
prova la stabilità del funzionamento della mente/cervello. Il cervello a sua volta utilizza il processo
della normale dissociazione per inibire regolarmente la consapevolezza simultanea disadattiva di stati
del Sé discrepanti. In situazioni improvvise, cariche affettivamente, possono crearsi delle condizioni
che divengono traumaticamente discrepanti per gli stati del Sé, e il tentativo di contenerle
simultaneamente nella coscienza innesca una dissociazione difensiva, in special modo quando il
tentativo di negoziazione tra le verità di stati del Sé è connessa all’attaccamento.
Il Trauma Evolutivo-Relazionale, il quale fa parte del processo di modellamento dei precoci pattern
di attaccamento e determina i Modelli Operativi Interni, da intendere come memorie procedurali che
organizzano il Sé nucleare e il suo grado di vulnerabilità alla destabilizzazione, è parte dell'esperienza
passata di tutti i soggetti ma in alcuni pazienti può condurre ad una struttura mentale dissociativa che
si è impossessata de funzionamento della personalità e della vita mentale. La Rigidità di tale struttura
sarà poi maggiore se uno degli stati separati che ne derivano è profondamente organizzato attorno al
Sé nucleare connesso all’attaccamento, e il trauma minaccia di violarlo. In questi momenti, la
minaccia di destabilizzazione affettiva porta con sé una potenziale crisi d’identità, in cui la mente è
sopraffatta dall’improvvisa estraneità, la quale rende il soggetto estraneo a se stesso e conduce ad
una follia reale.
L'assenza di un pensiero riflessivo e l'utilizzo della memoria procedurale attivano quindi una risposta
dissociativa, la quale rappresenta, utilizzando le parole di Puntnam (1992), la fuga quando non c'è via
di fuga.
Come sottolineato dalla Teoria del Darwinismo Neurale di Edelman (2004) la presenza di nuovi tipi
di interazioni consce e non consce con altre menti può portare a modificare le scariche sinaptiche,
creando nuove connessioni accidentali e serendipiche. Sarebbe questo l'effetto neurobiologico di
quello che Freud descriveva come insight.
A livello psicodinamico una sempre maggiore negoziazione dello stato del Sé crea un aumento
terapeutico alla tolleranza dell’affetto e diminuisce la paura della disregolazione, rinforzando la
capacità delle reti neurali di accettare nuove informazioni e consolidando la capacità della mente di
contenere e risolvere il conflitto interno. Ma il ripristino della coerenza tra stati del Sé è possibile solo
quando gli stati multipli di ogni partner possono abbandonare un po’ delle loro verità individuali e
riconoscere l’alterità come qualcosa si più che un “non-me”.
Conflitto, Rimozione, Resistenza
La dissociazione come normale funzionamento mentale agisce in dialettica con il Conflitto Interno.
Essa è volta ad assicurare che la versione della verità contenuta da un certo stato de Sé sia
rispettata, assicurando al tempo stesso che ogni stato possa facilmente avere accesso agli altri stati
portatori di versioni discrepanti, consentendo a un individuo di far esperienza del conflitto interno e
impegnarsi nella sua risoluzione. Ma, poiché la dissociazione può anche essere un mezzo per
assicurarsi proattivamente la stabilità del Sé preservando la mente dal fare esperienza di un caotico
affetto traumatico, essa non è semplicemente un modo diverso per riferirsi al concetto di rimozione. La
Rimozione si riferisce a un processo volto a negare un contenuto mentale che può portare a uno
spiacevole conflitto intrapsichico. Ma un conflitto può anche essere insostenibile per la mente. Quando
si verifica questo, la dissociazione non funziona in dialettica con il conflitto, ma mostra il suo segno
attraverso l’alienazione del paziente da aspetti del Sé incompatibili con il “me” di cui sta facendo
esperienza in quel momento. Per questo in quelle aree in cui la naturale dialettica tra conflitto e
dissociazione è compromessa, o interrotta, le interpretazioni del conflitto sono inutili.
La Resistenza si verifica non solo verso specifici contenuti dell’inconscio, ma anche verso l’esistenza
di un altro (non-me) da cui i fenomeni inconsci vengono sentiti provenire. Lo scopo della psicoanalisi
può essere concettualizzato come la formazione di una relazione interna collaborativa con un aspetto
della psiche che viene chiamato da Rather (2001) l’Altro Inconscio, identificabile anche in quello che
Bromberg definisce come "non-me".
E' quindi fondamentale, come sostenuto anche da Philips (1993), che la relazione analitica si focalizzi
sul processo e non solo sul contenuto, in quanto è grazie a questa attenzione che si giunge ad
illuminare non solo quello che è nascosto, ma primariamente quello che è assente nel paziente.
Sicurezza e Rischio
Ogni coppia paziente-terapeuta deve trovare il giusto Equilibrio tra Sicurezza e Rischio. Più la
comunicazione del terapeuta è basata sulla condivisione della sua esperienza soggettiva perché vuole
venirne a conoscenza, piuttosto che volere che abbia un impatto predeterminato sulla mente del
paziente, più verrà percepita come affettivamente onesta e con più facilità il paziente risponderà in
maniera simile. La fonte dell’azione terapeutica in psicoanalisi è la sintesi di un coinvolgimento
interpersonale affettivamente vivo con gli stati del Sé continuamente mutevoli che organizzano il
mondo oggettuale interno del paziente e del terapeuta. Questo si verifica in maniera più efficace
durante interazioni interpersonali spontanee libere. La novità interpersonale è ciò che consente al Sé
di crescere, perché è un imprevisto per entrambi ed è organizzato da quello che sta accadendo tra
due menti, non appartenendo a nessuno dei due. Il processo di reciproco coinvolgimento attivo con lo
stato della mente dell’altra persona consente alla percezione de Sé del paziente nel qui e ora di
condividere la consapevolezza con l’esperienza di narrative del Sé incompatibili e dissociate. Questo
processo porta a quello che si potrebbe chiamare Internalizzazione Terapeutica dell’Alterità. Quando
le esperienze interpersonali sono sicure ma non troppo, la permeabilità del confine Sé/altro viene
accresciuta, ed è attraverso la novità e la sorpresa di questo processo reciproco che prende forma
l’azione terapeutica, la quale può rivelarsi come quello che facilita i miglioramento di spontaneità e
flessibilità della struttura di personalità che deriva da un’analisi.
In un processo clinico Interpersonale/Relazionale la fonte primaria dell’azione terapeutica è la
relazione, non qualcosa creato attraverso di essa. Con il progredire dell’elaborazione congiunta delle
comunicazioni dissociate tra stati del Sé, il paziente diventa sempre più capace di organizzare, sul
piano interpersonale e tra stati del Sé, quello che sente come eccessivo, senza interrompere le
interazioni spontanee nel qui e ora, le quali includono delle sorprese sicure. Viene così creato un
circuito a feedback tra una maggiore spontaneità e una ridotta paura della disregolazione che
consente alle aree dissociate del trauma evolutivo di essere rivissute nel momento come parte di una
relazione di cura umanamente imperfetta che libera il suo mondo oggettuale interno dalla prigionia. Il
cervello riduce il suo innesco automatico della dissociazione, e la mente sostiene il crescente sviluppo
dell’intersoggettività, facilitando il potenziale del paziente di sostenere e risolvere il conflitto interno.
Gli enactment, nella misura in cui riportano in vita aspetti del trauma evolutivo all’attaccamento,
attivano il sistema della paura, ma una buona relazione analitica fornisce un atto premuroso,
autoriflessivo e coinvolto che non proteggerà costantemente la sua verità preservandola come
autoevidente. È questa combinazione paradossale che consente a qualcosa di nuovo di emergere e di
avere un impatto su mente e cervello. Stati del Sé che incarnano verità nascoste dietro il loro
isolamento diventano capaci di comunicare con altri stati perché le loro verità non sono a rischio. Dato
che ora spontaneità e sicurezza possono coesistere, le sorprese sicure incoraggiano lo sviluppo di un
canale intersoggettivo di comunicazione. La sicurezza di un paziente nella relazione è modellata dalla
disponibilità di ogni partner a lottare in ogni momento con l’esperienza dell’altro, ed è attraverso
l‘autentica reciprocità di questi incontri che paziente e terapeuta sono in grado di fare un uso
terapeutico delle loro collisioni affettive di Verità Personali.
Dato che Bromberg afferma che la Reciprocità Genuinità fa Chiasso, in cui il Chiasso è rilevabile in
ogni esperienza di differenza tra soggettività che aumenta il livello di disarmonia affettiva, per quanto
tenti di essere non intrusivo, il terapeuta non può evitare che il “rumore" interpersonale diventi talvolta
troppo forte. Quello che è importante è che i pazienti sentano in maniera continua lo sforzo di essere
con loro e lo sforzo di tenere a mente la loro paura e vergogna dissociate. In quest'ottica è la
continuità dell’essere che viene percepita, in special modo durante condizioni avverse, e fornisce
sicurezza.
L’onestà affettiva è raramente comunicata per mezzo del contenuto o del linguaggio, ma essa viene
principalmente comunicata attraverso un legame relazionale che sia mediato neurobiologicamente
dalla condivisione di stati tra emisferi destri, implicando il sentimento di unità Sé/altro che avviene
quando l’alterità diventa parte del Sé, una qualità speciale di relazionalità umana che renda conto del
perché un terapeuta che è “sicuro ma non troppo” corre un rischio che il paziente è disposto ad
assumersi.
Winnicott (1958) ha descritto il processo evolutivo che conduce alla Capacità di Essere Solo,
elemento che necessita della presenza di un altro e che si sviluppa attraverso l'Internalizzazione del
Legame Relazionare. Per lo sviluppo di tale elemento sono necessari momenti di assenza della
perfetta armonia, seguiti però dalla possibilità di Riparabilità, la quale prevede la partecipazione attiva
di entrambi i partner.
Secondo Bromberg la capacità di essere solo, consente al paziente di utilizzare questa esperienza in
due situazioni:
- quando è realmente da solo, consentendogli finalmente di sperimentare un senso di integrità e di
gioia prima impossibili da pensare;
- quando è con il terapeuta, grazie all'accresciuta sensazione di poter controllare attivamente le
relazioni attraverso l'efficacia personale, la quale non risulta più compromessa dall'ombra dello
tsunami.
Visto che però questa capacità del paziente non viene prima condivisa con il terapeuta, il quale
rimane quindi allo scuro di ciò che sta avvenendo nella relazione, quando il paziente decide di
mostrarla, attuando quello che può essere visto come un cambio delle regole della relazione, il
terapeuta si troverà in quella fase che Bromberg definisce come Barcollare e Aggrapparsi in cui,
persi i punti di riferimento e la familiarità con la mente del paziente, si crea una dissociazione che
porta allo sconnettersi affettivo dei due membri, con il terapeuta che rimane alla ricerca, dentro la sua
mente, di qualche idea che potrebbe essere vera.
Questo sfasamento, se non accettato per troppo tempo, crea a sua volta un terreno fertile per una
collisione tra verità soggettive, ed è proprio grazie alla negoziazione relazionare di queste collisioni
che si può giungere ad una crescita più autentica ed ampia.
Claudia
Attraverso l'analisi di una seduta del caso clinico di Claudia, Bromberg cerca di mostrare il
funzionamento di quanto prima ha sostenuto a livello teorico.
Claudia era una paziente traumatizzata e disconfermata nella sua soggettività quando era bambina
che, nel corso della vita, era riuscita comunque a costruirsi una propria famiglia, dovendosi però
costantemente confrontare con il suo desiderio di iper-controllo sulla figlia, dovuto al fatto che pensava
che, se avesse abbassato la guardia, sarebbe successo qualcosa di male.
In quella fase dell'analisi Bromberg si trovava ancora ad agire il ruolo di protezione nei confronti di
Claudia, nel tentativo di rifiutare una schema materno che la vedeva come non bisognosa di aiuto in
quanto priva di difetti (era questo che la madre continuava a dire a Claudia da bambina, mettendola a
confronto con il fratello bisognoso in quanto disabile).
La seduta che Bromberg descrive inizia con una telefonata della paziente in cui dice al terapeuta che
non l'ha trovato ma che comunque non è il caso di richiamarla perché si sarebbero visti alla sera.
Durante la seduta Claudia racconta che la telefonata era legata al fatto che nella notte aveva avuto
nuovamente un'esperienza di dissociazione, con la perdita della vista dall'occhio destro, a cui però
aveva saputo reagire.
Parlando di sua figlia Claudia arriva poi a definirsi come "nonna", e spiega questo termine dicendo che
si sente così in quanto ha già fatto da mamma a se stessa. Inoltre riferisce a Bromberg che la
telefonata aveva l'obiettivo di fare in modo che lui la richiamasse, e che questo lui doveva saperlo.
Tali elementi, imprevisti per l'analista che non la credeva ancora così capace di giocare con il proprio
pensiero e di non sentirsi inondata dalla paura dissociativa, portano Bromberg a ricercare nella propria
mente qualcosa da dire per uscire da questo caos in cui non riconosce la mente della sua paziente.
E' però stato solo grazie alla sua apertura verso Claudia, condividendo con lei quello che sentiva,
quindi il fatto che non sapeva che fare e che era destabilizzato, che si è riusciti a creare un inconscio
condiviso, utile per riflettere su quale messaggio si nascondeva dietro alla telefonata di Claudia.
Entrambi, analizzando le proprie sensazioni riguardo questi elementi, riuscirono quindi a comprendere
che il messaggio non detto che stava dietro alle loro comunicazioni riguardava il desiderio di Claudia
di veder riconosciuta come legittima l'urgenza del suo bisogno e che entrambi necessitavano di creare
uno spazio in cui la mente dell'altro non fosse più vissuta come aliena, giungendo allo sviluppo
dell'intersoggettività che è elemento cardine del processo psicoanalitico.
Un'Ultima Parola sulla Relazionalità Umana
Lo sviluppo di una capacità matura di Regolazione Affettiva si appoggia sull'utilizzo della naturale
dialettica tra Autoregolazione e Regolazione Relazionare. In quest'ottica la funzione dello
psicoterapeuta è quella di co-partecipante al processo di regolazione, il quale deve prevedere lo
sviluppo di una piacevolezza negli incontri con l'altro.
Nel processo terapeutico quindi, secondo Bromberg, bisogna essere in grado di non aggrapparsi ai
concetti di verità e realtà oggettiva per superare la paura dell'ignoto, ma conquistare una sicurezza
che deriva dalla relazionalità umana, basata sulla capacità di stare con il paziente con un
atteggiamento di disponibilità a "trafficare" con le proprie personalità, giungendo a dei profitti condivisi.
CAPITOLO VI - SE QUESTA E' TECNICA, SE NE TRAGGA IL MAGGIOR VANTAGGIO
POSSIBILE!
Parafrasando la frase attribuita nella rivoluzione a Patrick Henry "se questo è tradimento, se ne tragga
il maggior vantaggio possibile", Bromberg introduce il tema della Critica alla Tecnica Psicoanalitica
Classica. Partendo dalla considerazione secondo cui la fonte di azione tecnica è la relazione, egli
considera come la Posizione d'Ascolto rappresenti l'elemento su cui gli analisti cercano di tenere in
equilibrio il lavoro clinico con i pazienti.
Secondo la Psicoanalisi Classica, di impostazione freudiana, la mente dell'analista viene vista come
uno strumento per analizzare, elemento che richiama il tentativo di comprensione del paziente
attraverso la tecnica, fatta da un insieme di regole, più o meno rigide, utili per vedere ciò che è
nascosto all'interno dell'inconscio del paziente.
Tale tipo di ascolto non permette però un'apertura verso l'indagine diadica, ma influenzerà il modo in
cui l'analista concettualizza quello che ascolta e quello che sta facendo.
Anche lo stesso concetto di Attenzione Liberamente Fluttuante, creato da Freud (1912) rischia di
portare l'analista ad una valutazione relativa unicamente al contenuto, e non al contesto in generale, e
attiva l'innegabile tendenza umana, sottolineata da Pine (1988), a costruire un senso e ordinare le
informazioni che riceve.
Questi due elementi, quindi la Tecnica e l'Attenzione Liberamente Fluttuante, sono quindi diventati
una versione discreta di due componenti del lavoro clinico, relativi a come ascoltare e cosa fare.
Rispetto invece alla Psicoanalisi Interpersonale/Relazionare, già dal libro "Le Relazioni Oggettuali
nella Teoria Psicoanalitica" di Greenberg e Mitchell (1983), la posizione d'ascolto si basa sulla
sintonizzazione dell'analista su com'è per lui stare con il paziente e viceversa, cercando, attraverso
una considerazione percettiva del contesto relazionare generale, di creare una comprensione
consensuale che permetta, attraverso le negoziazioni e le collisioni, di generare gli elementi cognitivi e
linguistici comuni.
L'Inconscio Relazionale
Come sostiene Bromberg, in una relazione analitica è impossibile districare quello che è personale da
quello che è professionale. In quest'ottica in un Trattamento Psicoanalitico Ottimale il viaggio dei
due soggetti deve alla fine diventare una strada comune che co-crea stati del Sé "non-me" non
pensabili in eventi qui e ora agiti e vissuti sul piano interpersonale, così che diventino parte delle
configurazione sovraordinata del “me” del paziente. È solo allora che gli aspetti del Sé congelati del
paziente cesseranno di essere un mistero, e questo grazie al fatto che la reazione analitica cessa di
essere un mondo fatto di cerimonie e di altre recite. Il processo non lineare di collisione e negoziazioni
fra gli stati del Sé del paziente e del terapeuta incoraggia lentamente il riconoscimento degli aspetti
dissociati reciproci ma, dato che gli enactment sono così vivi sul piano percettivo, sono anche così
imprevedibilmente caotici che si definisce l’esperienza del terapeuta come Barcollare e Aggrapparsi.
Ciò significa che se il terapeuta non sente, in maniera personale, l’impatto delle parti dissociate del Sé
nel paziente che stanno tentando di trovare un’esistenza relazionale, e se non vi reagisce
personalmente, gli stati dissociati del Sé del paziente sono derubati dalla possibilità di un contesto
umano in cui essere riconosciuti e prendere vita.
Importante, per Bromberg, è anche considerare il concetto di Terzietà di Benjamin (1998), secondo
cui la relazionalità umana richiede la capacità di comunicazione intersoggettiva per rendere possibile
la capacità di andare oltre alla polarizzazione di Sé e altro. In questo modo si sviluppa uno spazio
mentale transizionale e il riconoscimento della soggettività dell’altro diventa raggiungibile attraverso la
negoziazione.
Lo sviluppo dell’intersoggettività dipende quindi dal fatto che un individuo sia in grado di fare
esperienza dell’altro come qualcuno che, in un modo o nell’altro, lo tiene a mente in maniera
amorevole, piacevole, odiosa o sconcertante, solo per nominarne alcuni. Durante il trattamento questo
sviluppo si basa sulla reciproca responsività verso un campo dissociativo condiviso, in cui il
riconoscimento della dissociazione nel funzionamento mentale di entrambi facilita l’aumento della
permeabilità degli stati del Sé man mano che vanno inciampando lunga la via, co-creando un
inconscio relazionale.
Un sostegno diretto alla necessità di abbandonare la tecnica deriva dalla considerazione secondo cui
ogni volta che il paziente ed il terapeuta possono avere ognuno accesso a condividere apertamente le
loro esperienze affettive dissociate di qualcosa che sta avvenendo tra loro, quindi un qualche aspetto
non simbolizzato cognitivamente della loro esperienza reciproca, percepito ma non pensabile, il
processo di condivisione di stati con cui questo avviene inizia ad ampliare il dominio e la fluidità del
dialogo. Questo a sua volta, porta a integrare e a rendere sempre più complesso il contenuto che
viene simbolizzato linguisticamente, diventando così disponibile all’autoriflessione e alla risoluzione
del conflitto. La realtà soggettiva degli stati di consapevolezza non simbolizzati del paziente, e
specialmente l’esperienza che il paziente fa del terapeuta, devono essere sentiti e riconosciuti dal
terapeuta. Quest’ultimo aspetto consiste in un processo di condivisione della sua esperienza
personale nel qui e ora, mentre mantiene aperto l’accesso allo stato del Sé da cui si originata.
Questo è il continuo e doloroso sforzo del terapeuta di lottare con l’imprevedibile processo della
condivisione dell’esperienza mutevole dei suoi stati del Sé che rappresenta il contributo più grande
alla crescita del paziente. Se si può parlare di una Tecnica Analitica Interpersonale/Relazionale,
questa, secondo Bromberg, si trova principalmente nella capacità del terapeuta di negoziare e
rinegoziare, lungo il corso dell’analisi, il significato di quello che costituisce un utile condivisione di
stati.
Dal punto di vista filosofico, i concetti prima espressi prendono due Spunti dalla Gestalt:
- teoria del campo, che sottolinea la centralità della percezione come fenomeno in grado di
organizzare la cognizione;
- bisogno di guardare ai fenomeni non comprensibili, come la crescita della personalità, specificando
le condizioni necessarie e sufficienti per far si che si verifichino, senza cercare un percorso lineare di
causa-effetto.
Inoltre la Mayer (2007) considera il fenomeno dell'intersoggettività attraverso il concetto di Esperienze
Anomale, intese come percezioni veritiere non compatibili con quanto può essere definito come
razionale. Tali esperienze vanno quindi a sottolineare il necessario Riconoscimento della Perdita,
secondo cui paziente e terapeuta devono condividere la possibilità di sospendere il pensiero razionale
mantenendo una sicurezza affettiva basata sull'attaccamento procedurale, e l'Accettazione del
Paradosso, quindi la tolleranza rispetto a due modi totalmente diversi di fare esperienza di se stessi
senza ricorrere alla dissociazione.
Per giungere a questo punto è necessario, sempre secondo la Mayer, un Invito, inteso come la
presenza di un altro coinvolto, con cui è possibile la condivisione dello stato mentale secondo cui si è
parte di un tutto.
Risulta inoltre necessaria la Capacità di Restare negli Spazi tra stati del Sé, la quale è elemento
fondamentale dell'intersoggettività umana.
Coda
In chiusura del capitolo, citando un episodio in cui Meehl, forte sostenitore dell'evidenza empirica in
psicologia clinica, fa notare come la ricerca non possa informare "in nessun modo" la pratica clinica,
Bromberg sottolinea quanto la tecnica sia un elemento inutile, e a tratti fuorviante, del lavoro con il
paziente.
L'invito è quindi ad imparare più cose possibili sui modi per fare psicoterapia, a patto però di
dimenticarle quando ci si trova con il paziente.
CAPITOLO VII - PAROLE "DA ADULTI". UNA PROSPETTIVA SULLE FANTASIE
INCONSCE
Il concetto di Fantasia Inconscia, creato da Freud in una lettera a Fliess del 1897 e ripreso
successivamente dalla Klein, rimanda alla considerazione che vi siano degli spazi mentali nell'essere
umano dominati da uno scenario inconscio che viene ripetuto nella propria vita, anche a prescindere
degli eventi e delle relazioni reali.
Se per Freud tali fantasie aveva una funzione di appagamento di desiderio ed erano la base della
psicopatologia, per Melanie Klein esse erano interpretabili come necessità evolutive potenzialmente
trasformative, e fornivano la base per la creatività.
Seconda Bromberg e Grotstein (2004) tale concetto perde però la sua importanza nella psicoanalisi
interpersonale/relazionare, in quanto ogni interpretazione dell'analista può essere rivolta solo alle
fantasie consce del paziente, in quanto quando esso arriva a verbalizzarle hanno perso la loro
caratterizzazione inconscia, ed inoltre la stessa concettualizzazione di fantasia inconscia non può
essere vista nel suo carattere di contenuto ma in quello di processo. Secondo questa logica, per
Bromberg, i pazienti sono le loro fantasie inconsce e le vivono nell'atto della psicoanalisi.
Come sottolineato da Lyons-Ruth e dal Boston Change Process Study Group (2001), l'azione
psicoterapeutica deve quindi essere vista come una forma più collaborativa, inclusiva e coerente di
dialogo tra i due partner terapeutici, cercando di giungere ad un cambiamento dettato dal processo
relazionare di esplorazione del contenuto più che dalla scoperta di nuovi contenuti.
Il Conoscere Relazionare Implicito del paziente sarà quindi costantemente mutevole durante il
corso dell'analisi e la determinazione di ciò che è coscio/inconscio varierà in base a quale Sé del
paziente detiene in quel momento il controllo. Non è possibile allora distinguere tra realtà e fantasia, in
quanto ciò che per una parte è accessibile e considerabile come reale, può non esserlo per le altre.
Fantasia e Realtà
Il "Webster Unabridged Dictionary" (1983) da tre definizioni del concetto di Fantasia dal punto di vista
psicologico:
- immaginazione;
- un'immagine mentale irreale o illusoria;
- un'immagine mentale, come quelle che si verificano nei sogni da sveglio, che possiede una forma di
coerenza.
Tutti e tre questi significati rimandano ad elementi consci, quindi sostenere l'esistenza di una Fantasia
Inconscia mina una delle caratteristiche basilari del concetto di fantasia, creando inoltre aspettative
irrealistiche, relative al trovare qualcosa che funziona come una fantasia ma è inconscio, rispetto al
processo psicoanalitico.
Secondo l'Approccio Psicoanalitico Interpersonale/Relazionare, il quale si basa sulla
considerazione degli Enactment come eventi intrapsichici agiti nel contesto interpersonale, quello che
sembra lo sviluppo dell'insight e la scoperta di una fantasia inconscia non è altro che l'emergere nel
paziente di funzioni di autoriflessività in aree dell'esperienza in cui prima era negata la riflessione e
che consentiva unicamente lo sviluppo di enactment affettivi e subsimbolici.
Il concetto di Fantasia Inconscia può comunque essere mantenuto, a patto che però venga
considerato come un'esperienza dissociata co-costruita e non come un pensiero simbolizzato
rimosso.
Compito del terapeuta sarà quindi quello non di interpretare unicamente i contenuti verbali del
paziente ma, come sostenuto anche da Fonagy (1993), quello di fornire una ri-rappresentazione che
rifletta la soggettività dell'analista e del paziente stesso. In breve si può sostenere che, attraverso una
corretta rilevazione e verbalizzazione degli stati del Sé, siano essi "me" o "non-me" dell'analista, egli
può mostrare la sua rappresentazione della rappresentazione del paziente, consentendo quindi lo
sviluppo di uno simbolizzazione dell'esperienza emotiva e degli stati mentali.
In definitiva perché la percezione, elemento cardine dell'enactment, generi un atto di significato deve
essere costruito un contesto relazionare che contenga la realtà dell'analista e del paziente, in modo
che entrambi possano giungere ad un ri-integrazione degli stati del Sé dissociati.
La Mente Umana come un Sistema di Organizzazione del Sé Configurato Relazionalmente
Secondo Bromberg il Funzionamento della Personalità, sia esso normale o patologico, è da
intendere come una riorganizzazione continua e non lineare di configurazioni di stati del Sé. Questo
processo è mediato a livello cerebrale da una dialettica continua tra dissociazione e conflitto.
La dissociazione normale, un meccanismo cerebrale ipnoide intrinseco al funzionamento mentale
quotidiano, assicura che la mente funzioni in maniera più creativa possibile, selezionando una
qualsiasi configurazione di stati del Sé più adattiva in quel momento.
Quando la dissociazione viene arruolata come difesa contro il trauma, il cervello utilizza la sua
funzione ipnoide per limitare la comunicazione tra stati del Sé, isolando così la stabilità mentale di
ogni stato separato. La continuità del Sé è così preservata all’interno di ogni stato, ma viene
sacrificata la coerenza del Sé tra stati e sostituita da una struttura mentale dissociativa che preclude la
possibilità di un’esperienza conflittuale. Clinicamente, il fenomeno della dissociazione, giunge
maggiormente in soccorso durante gli enactment, richiedendo un’attenta sintonizzazione da parte del
terapeuta verso cambiamenti affettivi non riconosciuti nei suoi stati e in quelli del paziente. Attraverso
l’elaborazione cognitiva congiunta degli enactment messi in atto interpersonalmente e
intersoggettivamente tra le esperienze "non-me" di entrambi i soggetti, gli stati del Sé sequestrati del
paziente diventano vivi come un presente ricordato che può ricostruire affettivamente e
cognitivamente un passato ricordato. Dato che la capacità di fare esperienza in maniera sicura del
conflitto viene accresciuta, viene accresciuto anche il potenziale per la risoluzione del conflitto.
La psicoanalisi deve fornire un’esperienza percettivamente differente dalla memoria narrativa del
paziente, dato che i dati percettivi discordanti devono poter riorganizzare strutturalmente la narrativa
interna per far sì che la psicoanalisi sia una cura parlata genuina.
In quest'ottica è la relazione paziente-terapeuta a essere condotta dentro il racconto della narrativa, e
con il procedere dell’analisi è la relazione stessa che ricapitola aspetti della narrativa agiti nel qui e
ora. La cornice della vecchia narrativa del paziente viene ampliata fornendo un’esperienza
interpersonale che seppur fortemente familiare è percettivamente diversa. L’enactment è il principale
medium percettivo che permette questo cambiamento. Le narrative ampliate e validate
consensualmente contenenti esperienze ed eventi delle configurazioni Sé/altro precedentemente
escluse, ora iniziano a essere costruite perché questi eventi e esperienze non sono semplicemente un
modo nuovo di comprendere il passato, ma contengono una nuova simbolizzazione della realtà
percettiva.
Mentre la simbolizzazione cognitiva e linguistica sostituisce la dissociazione come dispositivo di
sicurezza per la stabilità del Sé del paziente, l’aumentata autoriflessività accresce l’illusione di
qualcosa che sta emergendo, qualcosa che si è sempre saputo ma si era respinto. Quindi, se si
ipotizza l’esistenza di un qualcosa che può essere chiamato Fantasia, è essenziale accettare l’idea
che non è una fantasia posseduta da una persona, ma il contrario, quindi è la persona a essere
posseduta dalla fantasia, da intendere allora come un’esperienza “non-me” a cui è negata una
simbolizzazione narrativa all’interno del Sé.
PARTE QUARTA
IL TRAGUARDO DELL'INTERSOGGETTIVITA'
CAPITOLO VIII - "THE NEARNESS OF YOU". UNA CONCLUSIONE PERSONALE
Bromberg inizia questo capitolo conclusivo sostenendo l'importanza della lettura e del fatto che vi sia
un'interazione affettiva tra gli stati del Sé dello scrittore e del lettore la quale consenta, così come nella
relazione psicoanalitica, un'alterità in cui l'altro non è sentito come "altro da te" ed in cui un soggetto
possa utilizzare gli stati del Sé di un'altra persona come se fossero i suoi.
In un Qualche Modo lo So
Se i termini di sapere e non sapere sono facilmente comprensibili, la concettualizzazione del Sapere
in un Qualche Modo, da intendere come consapevolezza ottenuta tramite l'assenza di un contesto
cognitivi nel dialogo affettivo tra emisferi destri, è più complessa.
Questo processo, il quale utilizza la dissociazione nelle sue componenti adattive, permette ai confini
Sé/altro di diventare sufficientemente permeabili da facilitare la transizione verso il sapere.
L'accesso a questo stato consente inoltre di fare esperienza del conflitto intrapsichico tra sapere e non
sapere, e quindi tra "me" e "non-me", così da trattenerlo come stato mentale abbastanza a lungo da
poter riflettere su cosa fosse e, quindi, simbolizzarlo cognitivamente.
Il Traguardo dell'Intersoggettività
Come sostenuto da Mary Tennes (2007), l'Esperienza di Incertezza è un elemento fondamentale
dell'intersoggettività in quanto consente l'accesso a realtà per le quali non si possiede un linguaggio
ed un contesto.
Come già accennato da Freud con la nozione di Transfert, e come successivamente ampliato da
Mayer (1996) e da Altman (2007), le persone sono capaci di ottenere informazioni da fonti remote
senza avere nessuna forma di contatto convenzionale con la fonte di informazione.
Nel futuro della ricerca in psicoanalisi si prospetta quindi la possibilità di un approfondimento,
attualmente assente, di quelle capacità della mente che trascendono quello che si conosce come
realtà e dei modi soggettivi di influenzarla.
Il Traguardo della Guarigione
Per spiegare il concetto prima espresso, Bromberg utilizza una propria esperienza personale. Nel
commento di Cavitch (2007) sul suo libro "Destare il Sognatore", tale autore mostra come il fatto che
Bromberg abbia cambiato la punteggiatura, elemento cardine della sua letteratura, di uno scritto della
Dickinson sia interpretabile come la partecipazione congiunta ad un enactment dissociativo tra
Bromberg e la scrittrice stessa.
Questa riflessione, fatta senza un significato accusatorio e denigrante, ha permesso a Bromberg di
accedere ad un esperienza dissociata, relativa alle critiche subite da un professore quando era
dottorando in letteratura inglese, e di integrarla in un processo soggettivo attraverso la presenza di un
contesto relazionare in cui era considerato come persona.
Questo esempio serve a comprendere come qualcosa che si sa in qualche modo possa divenire un
elemento conosciuto attraverso la rivisitazione dello scenario traumatico originario in un contesto che
permetta all'evento di diventare parte della realtà che definisce il proprio senso del Sé.
La Mosca del Tartufo
Utilizzando l'analisi del testo "The Fly-Truffler" di Sobin (1999), il quale racconta la storia del
protagonista Cabassac che, dopo la morte della moglie Julieta, perde la capacità di comprendere il
confine tra sogno vigile e realtà ed abbandona ogni attività pratica tranne il cercare tartufi attraverso
l'osservazione di dove si trovano le mosche, Bromberg evidenzia che vi sono soggetti in cui il precoce
sviluppo dell'intersoggettività non è riuscito ad aver luogo e, in momenti di crisi o di gravi perdite,
possono rivelarsi vulnerabili all'incertezza dei confini tra il senso di Sé e l'alterità. La perdita può quindi
diventare una minaccia alla continuità del Sé e condurre ad un'ansia da annichilimento.
L'assenza di un altro reale o immaginato, da intendere quindi come l'interiorizzazione di una figura
materna distinta da Sé, non ha quindi permesso a Cabassac di utilizzare l'altro per condividere ciò che
sentiva e lo ha condotto in un progressivo ritiro autistico in sé, in quanto la realtà rischiava di
disintegrare il confine tra Sé ed oggetto.
Questo testo mostra però anche come le donne della Provenza si prendano cura dei bachi da seta,
trattandoli come figli e cercando di preservarli da esperienze eccessivamente traumatiche, come il
forte rumore di un temporale, che potrebbe farli smettere di attuare il loro sviluppo.
Utilizzando quest'ultima parte come metafora, Bromberg propone quindi la visione di un rapporto
paziente-terapeuta come un continuo processo di destabilizzazione il quale, attraverso collisioni e
negoziazioni, possa condurre alla comprensione della possibilità dell'altro di contenere l'esperienza
interna del paziente.
In questo senso viene aggirato il problema della nozione classica di inconscio, il quale è qualcosa che
non può essere osservato ma solo inferito, in quanto l'Enactment può rendere "palpabile" questa
esperienza, la quale si basa su un processo relazionare dissociato.
La capacità di tollerare l'incertezza del "sapere in qualche modo" è dipendente, secondo Bromberg,
dalla possibilità di sostenere il diritto di esistere di ciascuna delle proprie parti e dalla presenza di un
altro che mantenga nella propria mente la propria esistenza e quella altrui.
Il titolo del capitolo è utilizzato in quanto rappresenta il titolo di una canzone di Carmichael e
Washington del 1937 in cui, in una strofa che Bromberg considera riassuntiva del concetto di
Conoscere Relazionare Implicito, affermano che "non è la dolce conversazione che mi da questa
sensazione. E' la tua vicinanza".
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