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L`OMBRA DELLO TSUNAMI
L'OMBRA DELLO TSUNAMI Philip M. Bromberg PREFAZIONE Questo testo rappresenta, insieme a "Standing in the Space" (1998) e "Destare il Sognatore" (2006), una metafora attraverso la quale Bromberg cerca di esplicare la sua visione del funzionamento mentale e del processo clinico. Alla visione classica delle relazioni oggettuali e del conflitto, Bromberg sostituisce l´idea di un Funzionamento Psichico centrato su stati del Sé multipli, mossi da processi di diversa intensità, in interazione dinamica tra loro grazie ad un uso non difensivo della dissociazione. E´ la disconferma traumatica di questi aspetti del Sé, che non hanno trovato un posto nella relazione con altri significativi, a creare un processo in cui la normale molteplicità viene convertita in una struttura rigida in cui tali aspetti "illegittimi" continuano a vivere, ma in clandestinità ed isolamento. Questo porta la Dissociazione a divenire un modo per gestire lo spazio relazionare, ottenendo una falsa coerenza ed un´illusoria sicurezza. Sara quindi compito del clinico "destare il sognatore", parafrasando uno dei titoli dei libri di Bromberg, al fine di svegliare il paziente dai processi ipnoidi che dominano il suo funzionamento mentale, restituendogli quella fluidità e molteplicità dei Sé che fondano la percezione di chi egli sia. Il concetto di Ombra, già presente nel testo "Lutto e Melanconia" di Freud (1917) in cui era interpretato come l´identificazione con i precoci oggetti di cura, viene rivisto da Bromberg come l´insieme di quei traumi silenziosi e cumulativi che possono verificarsi nel corso dello sviluppo, e che portano il paziente alla costante ricerca di difendersi dagli affetti disregolati determinati proprio da queste ombre. Per la mente prigioniera di processi dissociativi il passato traumatico smette di esistere come esperienza interna, ma quello che lascia è una costante sensazione di paura, la quale non viene percepita come frutto di quello che è accaduto ma come risposta ad un pericolo che si sta per presentare. L´Ombra dello Tsunami è quindi da intendere come la continua minaccia, all´interno della mente del paziente, di soccombere al flusso degli affetti disregolati e come il costante tentativo di controllarli. Quando la mente viene trasformata in una struttura preposta a vigilare su quest´ombra, l´alterità non può essere percepita come una presenza interna, sia essa rassicurante o persecutoria, ma come il segnale di allarme di un pericolo imminente dal quale difendersi obliterando l´immagine dell´altro, quindi distorcendola o prosciugandola da qualunque significato affettivo, al fine di farla aderire all´immagine dell´oggetto interno, ottenendo cosi una stabilita affettiva. In tal senso vigilanza, sospettosità paranoide, manipolazione, seduttività, psicopatia, depersonalizzazione, esperienze extracorporee, stati di trance e abuso di sostanze sono modalità utilizzate per affrontare l´ombra dello tsunami, conservando un fragile senso di continuità personale. Dato che per Bromberg la Dissociazione è un Fenomeno Intrinsecamente Relazionare, il trattamento si baserà su un´elaborazione del trauma precoce che non libera il paziente da quello che gli è stato fatto nel passato ma che permette di comprendere cosa esso debba fare a se stesso e agli altri per convivere con tale trauma. Il clinico dovrà quindi prestare ascolto ai cambiamenti degli stati del Sé, utilizzando il proprio senso d´identità come un organo di percezione, perché è proprio grazie a questi elementi che può cogliere le disregolazioni che danno avvio alla dissociazione e all´enactment. E´ solo riconoscendo in sé quegli stati del paziente che non hanno trovato conferma nel suo sviluppo che si può legittimare il trauma, consentendo quindi di creare uno spazio diadico capace di includere la soggettività di entrambi, regolando inoltre gli effetti traumatici e conducendo a quello che può essere definito come il Ritiro dello Tsunami. Necessario è quindi, per Bromberg, un progressivo abbandono della terminologia classica dell´analisi, basata su rimozione, regressione ed interpretazione, per giungere ad una condivisione dell´esperienza interna tra analista e paziente che consenta il venire meno del pericolo di un´inondazione degli aspetti traumatici, riconsegnando al soggetto risorse e capacità, quindi aspetti del Sé, prima sequestrati dalla struttura mentale dissociativa, i quali possono ora prendere parte e contribuire al discorso umano, facendosi influenzare ed influenzando gli altri, in un´ottica basata sulla progressiva crescita personale. ATTACCAMENTO, TRAUMA, DISSOCIAZIONE. UNA PREMESSA NEUROBIOLOGICA. Allan Schore Questo capitolo introduttivo, scritto da Allan Schore su richiesta di Bromberg, si basa sul tentativo di interconnettere le idee psicoanalitiche relazionari con gli elementi che stanno emergendo rispetto agli studi neurobiologici. Una sempre maggiore attenzione viene quindi assegnata all´emisfero destro e all´importanza che esso assume sia nelle relazioni di attaccamento primarie che nel corso di ogni esperienza intersoggettiva, andando quindi a minare la rilevanza che veniva assegnata all´emisfero sinistro, responsabile del linguaggio, dalla psicoanalisi freudiana. Sviluppo: Attaccamento e Sviluppo del Sè Nucleare Connesso all´Emisfero Destro In una serie di lavori sulla Teoria della Regolazione, Schore ha creato una moderna visione della Teoria dell´Attaccamento, secondo cui è fondamentale la sintonizzazione sul piano psicobiologico della madre con la dinamica di crescendo e decrescendo degli stati interni di attivazione corporea del bambino. Necessari risultano inoltre momenti di non sintonizzazione, che Bromberg definisce come Collisioni Intersoggettive, in quanto permettono una risposta di stress nel bambino, la quale potrà essere poi regolata con la co-partecipazione del caregiver stesso, creando un modello secondo cui gli affetti negativi e lo stress relazionare possono essere regolati. Alla fine del primo anno di vita, i circuiti corticali e sottocorticali lateralizzati nell´emisfero destro imprimono nella memoria implicita-procedurale del bambino dei modelli operativi di attaccamento, i quali codificano le strategie di regolazione affettive necessarie nelle relazioni interpersonali. La maturazione dell´emisfero destro, e con esso del sistema limbico e dal tronco encefalico, dipendono quindi dalle primarie relazioni caregiver-bambino. Tale sistema è poi necessario al soggetto in quanto: - regola gli aspetti somatici degli affetti; - funziona come precoce sistema di allarme; - controlla il livello di stress (asse ipotalamo-ipofisi-surrene). Psicopatogenesi: l´Impatto Negativo del Trauma Legato all´Attaccamento e della Dissociazione sullo Sviluppo dell´Emisfero Destro La presenza del Trauma Evolutivo-Relazionare, identificabile in un caregiver che partecipa in modo inadeguato alla regolazione degli stati affettivi del bambino prolungando per lunghi periodi di tempo gli stati di affettività negativa, può condurre a due Pattern di Risposta distinti: - Iperattivazione: il rifugio sicuro materno diventa una fonte di minaccia, attivando l´asse ipotalamo-ipofisi-surrene che crea uno stato psicofisiologico di paura-terrore; - Dissociazione: disimpegno del bambino dagli stimoli del mondo esterno. Questo stato parasimpatico di conservazione-ritiro si verifica in situazioni di impotenza e disperazione, in cui l´individuo si inibisce e cerca di evitare l´attenzione, cosi da diventare "invisibile". Lo stato di arresto metabolico dissociativo è un sistema che funziona in tutto il corso della vita al fine di estraniarsi e risparmiare energie in situazioni di pericolo. Esso, a livello neurobiologico, dipende dal complesso dorso-vagale, il quale è una delle due componenti del midollo del tronco encefalico. I bambini vittime di gravi traumi infantili o appartenenti a famiglie in cui la dissociazione è la strategia relazionare e regolativa d´elezione, possono giungere, come sostenuto da Coyne (1995) ad estendere queste modalità, utilizzate primariamente con scopi difensivi rispetto a situazioni difficili, ad un ampio range di fonti di stress quotidiane, andando a minare la continuità della loro esperienza. Questi eventi psicobiologici sono poi vissuti nel corso della vita sia sul piano intrasoggettivo che in quello intersoggettivo, in cui vengono comunicati attraverso interazioni intime di transfert/controtransfert tra emisferi destri. Psicopatogenesi: Manifestazioni Cliniche della Dissociazione Patologica Da quanto esposto si evince che abusi o esperienze traumatiche nella prima infanzia possono alterare la maturazione del sistema limbico lateralizzato a destra, producendo alterazioni neurobiologiche che diventano il substrato di una varietà di conseguenze psichiatriche, tra cui instabilità affettiva, inefficiente tolleranza allo stress, danneggiamento della memoria e disturbi dissociativi. Due recenti studi dimostrano anche che la dissociazione si associa a una compromissione della competenza dell´emisfero destro a elaborare le emozioni, sopratutto quelle negative. In linea con lo spostamento di attenzione dalle cognizioni al primato degli affetti su base corporea, i ricercatori clinici si stanno concentrando sulla Dissociazione Somatoforme, secondo cui il soggetto non è solo distaccato dall´ambiente ma anche dal Sé, dalle azioni e dal senso di identità. Tale dissociazione, la quale è dimostrato dipenda dall´emisfero destro e dal suo ipofunzionamento, crea inoltre una disconnessione mente-corpo, la quale può condurre al collasso del Sè-Implicito, con un´amplificazione degli affetti di vergogna e disgusto, e da cognizioni riguardanti il senso di disperazione ed impotenza. Tale modello, come sottolineato sia da Schore che da Bromberg, crea la forza principale che si oppone agli aspetti emotivo-motivazionali del processo di cambiamento in psicoterapia. La Psicoterapia: il Ruolo Cruciale degli Enactment nel Processo di Cambiamento Affettivo Gli Enactment, elemento centrale del trattamento terapeutico di Bromberg, mostrano, nella Teoria della Regolazione di Schore, due aspetti fondamentali: - Comunicazioni Relazionari Inconsce: quelli che vengono descritti come Enactment, sono considerati da Schore come comunicazione inconsce tra emisferi destri che, accompagnandosi costantemente alle comunicazioni verbali, permettono di comprendere le mutazioni degli Stati del Sé di cui spesso parla Bromberg. La co-creazione di un sistema di comunicazione dell´emisfero destro consente quindi al terapeuta di agire come un regolatore degli stati affettivi, siano essi consci o inconsci, regolati e disregolati del paziente; - Meccanismo di Cambiamento Psicoterapeutico Connesso al Ritirarsi dello Tsunami: un principio generale di lavoro sugli enactment in casi di affetti traumatici e dissociazione, è che il terapeuta sintonizzato psicobiologicamente in maniera sensibile consente al paziente di ri-esperire gli affetti disregolati in dosa affettivamente tollerabili nel contesto di un ambiente sicuro, cosi che i sentimenti traumatici soverchianti possono essere regolati e integrati nella sua vita. Questi elementi sono evidenziabili inoltre in una maturazione progressiva dell´emisfero destro. Quello a cui si sta assistendo è quindi un Mutamento di Prospettiva in Psicoanalisi, il quale si riscontra in tre elementi principali: - cambiamento del focus non più sul contenuto ma sul processo; - dal primato della cognizione all´importanza degli affetti inconsci; - allontanamento progressivo dal concetto di tecnica. PARTE PRIMA REGOLAZIONE AFFETTIVA E PROCESSO CLINICO CAPITOLO I - IL RITIRARSI DELLO TSUNAMI Il "Dono" Il poeta scozzese Robert Burns (1786) ha scritto "oh, che potere ci da il dono, vedere noi stessi come gli altri ci vedono". Va però fatto notare come questo "dono" sia qualcosa di molto difficile da accettare in quanto mette il soggetto davanti a quelle parti di "non-me" che è difficile tollerare. Secondo Bromberg, quando si è in grado di vedere se stessi nel modo in cui gli altri ci vedono, senza dissociarsi dall’esperienza di come si considera se stessi, ci si sta Relazionando in Maniera Intersoggettiva. Il problema riguarda però il fatto che la capacità dell’essere umano di relazionarsi intersoggettivamente è irregolare, in quanto vedere se stessi attraverso gli occhi di un altro può diventare eccessivamente stressante perché l’immagine dell’altro può essere sentita troppo discrepante dall’esperienza di sé che si sta facendo in quel momento per far sì che entrambe possano essere conservate in mente simultaneamente. Quando questo si verifica, la mente si attrezza per lenire lo stress attraverso l’uso difensivo di un normale processo cerebrale, che è definibile Dissociazione. Il segnale che dà l’inizio al processo dissociativo proviene tipicamente da un altro, sia esso un’altra persona o un’altra parte del Sé. Le esperienze di sé eccessivamente discrepanti sono conservate adattivamente in stati del Sé separati che non comunicano tra loro, per lo meno in un certo periodo. Per alcuni soggetti la dissociazione non è un processo mentale per affrontare il normale stress di uno specifico momento ma una struttura che governa la vita restringendone la varietà. In questi casi la mente/cervello organizza i suoi stati come un sistema protettivo che tenta, proattivamente, di zittire l’eccesso esperienziale a stati del Sé discrepanti con la gamma di stati, limitati dissociativamente, di cui si fa esperienza in un dato momento come “me”. La funzione evoluzionistica è di assicurare la sopravvivenza della continuità del Sé relegando il funzionamento riflessivo a un ruolo minore o a nessun ruolo. Limitando fortemente la partecipazione del giudizio cognitivo riflessivo, la mente/cervello consente al sistema limbico di utilizzare se tesso come una linea privata che funziona, come definito da van der Kolk (1995), come un “rilevatore di fumo”, volto a rilevare eventi potenzialmente non previsti capaci di innescare una disregolazione affettiva. La diminuita capacità di autoriflessione cognitiva a favore dell’importanza della sicurezza ha un prezzo che, nel migliore dei casi, richiede alla persona di contrabbandare una vita che è secondaria a una costante vigilanza. Il soggetto non arriverà mai a fare questo collegamento in quanto è la stessa struttura dissociativa a essere progettata per operare al di fuori della consapevolezza cognitiva. Arrivato in terapia, il soggetto si porgerà una domanda, la cui risposta sta nel processo stesso di analisi, e che è identificabile in "in che misura la protezione contro il potenziale trauma vale il prezzo che si sta pagando?". Il Ritirarsi dello Tsunami L’Enactment è un evento dissociativo condiviso. Esso è definibile come un processo di comunicazione inconscia che riflette quelle aree dell’esperienza di sé del paziente in cui il trauma ha compromesso in una certa misura la capacità di regolare gli affetti in un contesto relazionale e quindi lo sviluppo del Sé a livello dell’elaborazione simbolica attraverso pensiero e linguaggio. Una dimensione centrale nell’utilizzo terapeutico dell’enactment è l’aumento della competenza nella regolazione degli stati affettivi. Questo richiede alla relazione analitica di diventare un luogo che sostiene simultaneamente rischio e sicurezza, quindi una relazione che consenta il rivivere doloroso del trauma precoce, senza che questo diventi solo una cieca ripetizione del passato. Bromberg propone allora una visione della terapia come Relazione Sicura ma non Troppo, la quale prevede la comunicazione da parte del terapeuta di un continuo interesse per la sicurezza affettiva del paziente e l’impegno verso l’importanza dell’inevitabile rivivere doloroso. E' fondamentale quindi la co-creazione di un inconscio relazionare, in cui analista e paziente possano giocare, come sostenuto da Ringstrom (2001), con l'altro come oggetto, iniziando contemporaneamente a mostrare qualcosa di sé come soggetti. Questo conduce al tema delle Collisioni e Negoziazioni che, per Bromberg, sono fasi necessarie per giungere all'intersoggettività, facendo quindi esperienza l'uno dell'altro come soggetti. Attraverso le interazioni che costituiscono delle “sorprese sicure” s’incrementa la capacità del paziente di distinguere emotivamente la spontaneità non traumatica da un trauma potenziale, il quale rappresenta l’ombra dell’onda. La Trasformazione, nel trattamento analitico, di stati del Sé “non-me” i quali possono essere confrontati con l’esperienza soggettiva dell’analista e diventare parte della generale configurazione del “me” del paziente, porta al Ritiro dello Tsunami, con una conseguente migliore capacità di regolazione affettiva ed un fondamentale processo di crescita. Il fondamento di tale processo è allora rinvenibile nella Negoziazione delle Collisioni tra Soggettività, in cui due sono gli elementi importanti definiti da Bromberg: - Negoziazione: avviene attraverso la creazione di uno stato mentale condiviso, quindi un canale di comunicazione implicita che sostiene una conversazione tra sistemi limbici, con la conseguente co-creazione di un inconscio relazionale che appartiene a entrambe le persone e a nessuno dei due. La relazione paziente-terapeuta diventa quindi un ambiente terapeutico quando il confine tra Sé e l’altro diventa sempre più permeabile; - Collisione: riguarda la capacità, in via di sviluppo, di paziente e terapeuta di fare esperienza dell’altro come un oggetto da controllare o da cui essere controllato, elementi che conducono a quel giocare che conduce all'intersoggettività. Alicia Parlando del caso di Alicia, con la quale Bromberg è riuscito, attraverso una ripetizione costante dell'enactment ed una progressiva ricomposizione del Sé-Scrittrice e del Sé-"con le persone, a creare un linguaggio condiviso e un luogo relazionare d'incontro non dissociato, emerge quanto nel trattamento l'Orrore Dissociato del Passato riempia il presente di un significato affettivo secondo cui la sicurezza è un costante rischio in quanto mette alla prova la stabilità del senso di Sé. Il rischio è dovuto al fatto che tanto più sicuro si sente nella relazione, tanta più speranza egli inizia a sentire, e tanta più speranza egli inizia a sentire sempre meno farà affidamento in maniera automatica sulla struttura mentale dissociativa per assicurarsi l’ipervigilanza come protezione “sicurezza-insufficiente” contro la disregolazione affettiva. Di conseguenza le parti del Sé dedite a preservare la sicurezza affettiva monitoreranno e si opporranno a ogni segno del fatto che il paziente si sta fidando e sentendo sicuro. Una Struttura Mentale Dissociativa è progettata per prevenire la rappresentazione cognitiva di quello che per la mente può essere troppo da sostenere, ma ha anche l’effetto di portare alla comunicazione agita dell’esperienza affettiva non simbolizzata e dissociata. Attraverso l’enactment, l’esperienza affettiva dissociata è comunicata dall’interno di un bozzolo “non-me” condiviso fino a quando non viene simbolizzata cognitivamente e linguisticamente attraverso una negoziazione relazionale. Nella fase iniziale di un enactment, il bozzolo dissociativo condiviso sostiene la comunicazione implicita senza una rappresentazione mentale. All’interno di questo bozzolo, quando cambia lo stato del Sé di un paziente che sta organizzando la relazione nell’immediato, è anche lo stato del Sé del terapeuta a cambiare, sempre in maniera dissociata, verso uno stato che riceve e reagisce al cambiamento di stato del paziente. L’Esperienza Traumatica può assumere la forma di una memoria episodica, spesso inaccessibile alla persona se non su un piano affettivo, ma può anche essere formata solo da sensazioni somatiche o immagini visive che ritornano come sintomi fisici o flashback senza significato narrativo. Il che equivale a dire che la traccia sensoriale dell’esperienza è contenuta in una memoria affettiva, mentre continuano a rimanere immagini e sensazioni corporee isolate percepite come staccate dal resto del Sé. I processi dissociativi che mantengono l’affetto inconscio hanno una vita propria, una vita che è sia interpersonale sia intrapsichica, una vita che è inscenata tra paziente e terapeuta nel fenomeno dissociativo diadico chiamato Enactment. Il Lavoro del Terapeuta consiste nell’utilizzare l’enactment in modo tale da dare un significato rappresentazionale all’esperienza “non-me” del paziente, facendo si che si crei un collegamento percettivo nella memoria di lavoro tra l’esperienza dissociata e il sé nel qui e ora come agente. Il processo inizia con l’entrata in scena in maniera implicita del “non-me” nel qui e ora, attraverso un evento affettivo nel mondo interno del terapeuta che si verifica come fenomeno reciproco collegato all’esperienza dissociata del paziente. Gli enactment si verificano ripetutamente, e ogni volta vengono elaborati sempre un po’ di più. La ragione di quest’apparente ripetizione è che inizialmente l’unico tipo di rappresentazione del trauma che una persona traumatizzata ha è una rappresentazione fortemente limitata, e ogni enactment è un tentativo di simbolizzarla sempre più in un ricordo che gradualmente diventa rappresentabile nella memoria a lungo termine. Più intenso è l’affetto non simbolizzato, più e potente la forza che tenta di ostacolare la comunicazione tra isole separate del sé che contengono al loro interno realtà diverse riguardo al passato e su come e se venirne a patti. Perché l’aspetto non simbolizzato del trauma trovi una rappresentazione, la relazione analitica deve contenere l’interazione tra due Qualità Essenziali: - Sicurezza; - Crescita. L’esperienza che il paziente fa dell’enactment deve essere un’esperienza in cui l’ombra dell’affetto destabilizzante è sufficientemente forte da essere percepita, ma non così forte da aumentare automaticamente l’uso della dissociazione. L’affetto evocato dal trauma non è solo spiacevole, ma è un’iperattivazione disorganizzante che minaccia di sopraffare la capacità della mente di pensare, per cui la disregolazione affettiva porta la persona al limite della depersonalizzazione o, talvolta, dell’annichilimento. È la continuità del Sé a essere in gioco ed è qui che a vergogna contribuisce maggiormente con il suo terribile colore. La Vergogna Improvvisa, così come la paura, segnala che i Sé è, o sta per essere, violato, quindi la mente-cervello innesca la dissociazione per prevenire il ritorno dello tsunami affettivo originario. Quando un trauma viene rivissuto ne qui e ora del trattamento analitico, il tentativo di comunicare questa esperienza con il linguaggio è dolorosamente difficoltoso a causa della Doppia Vergogna che, come sottolineato da Lynd (1958) riguarda: - vergogna per l'episodio originario; - vergogna per i sentimenti eccessivamente intensi rispetto all'evento. Uno degli aspetti più difficili della terapia è scovare la vergogna evocata dal processo terapeutico, così che vi si possa indirizzare in un contesto relazionale. Nella misura in cui la vergogna del paziente viene effettivamente dissociata nel qui e ora è molto probabile che l’analista non se ne accorga, specialmente se si sta rivolgendo principalmente alle parole de paziente. Quindi quando si lavora in aree in cui il trauma viene rivissuto, l’assenza manifesta di vergogna è il segnale che va ricercato il luogo in cui si trova. Il rivivere terapeutico di affetti traumatici non simbolizzati e la loro elaborazione cognitiva non crea un’esperienza realmente traumatica, anche se paziente e terapeuta possono a volte sentirsi entrambi vicini all’orlo del precipizio, in quanto lo scenario viene agito di continuo insieme al terapeuta ma, rispetto al trauma originario, ora sono presenti altre parti del Sé in allerta, le quali attuano una vigilanza nascosta che protegge il soggetto dall’esserne colpito all’improvviso. Mario Parlando del caso di Mario, un soggetto gravemente dissociato che nel corso della terapia è stato in grado di riconoscere nel suo "mantra auto-squalificante" il fenomeno che gli permetteva di accedere ad una trance dissociativa la cui funzione era quella di tranquillizzarsi, Bromberg mostra che, con la creazione di una stato mentale condiviso tra paziente e terapeuta, i Pattern di Attaccamento Congelati, i quali sono servi al paziente per adattarsi al precoce trauma relazionare, diventano disponibili ad essere vissuti ed elaborati sul piano cognitivo e linguistico. Quando questo si verifica, ogni nuovo enactment consente lo sviluppo di un certo grado di intersoggettività, che è quello che rende la non linearità degli enactment non una semplice ripetizione. Man mano che i cicli non lineari di collisioni e negoziazioni vanno avanti, la capacità di intersoggettività del paziente va lentamente aumentando in quelle aree in cui precedentemente era preclusa o compromessa. Il potenziale per una coesistenza del senso di Sé e alterità diventa non solo maggiormente possibile, ma inizia anche a verificarsi con maggior spontaneità, con minor vergogna e senza una destabilizzazione affettiva. Come sottolineato da Schore, la disorganizzazione e il disorientamento dell’attaccamento di tipo D, associato all’abuso e alla trascuratezza, assomiglia, sul piano fenomenologico, a stati dissociativi, in quanto durante degli episodi di trasmissione intergenerazionale del trauma dell’attaccamento, il bambino si coordina con le strutture ritmiche degli stati di attivazione disregolati della madre. Gloria Per sottolineare l'importanza della Sincronia con le Strutture Ritmiche dell'Altro, Bromberg cita il caso di una sua paziente, Gloria, con il quale si è sempre trovato a suo agio fino a quando, in una seduta, ha avuto percezione di qualcosa a cui lei non voleva pensare, e che era rinvenibile nei tentativi costanti della paziente di sintonizzarsi con l'altro, senza però mai ottenerne piacere. Attraverso l'osservazione del fatto che la paziente cambiava posizione ogni volta che lo faceva il terapeuta, Bromberg è risuscito quindi a ripensare al comportamento altruistico di Gloria come una modalità compulsiva legata ad elementi dissociati. Salvare la Pelle ad Amleto Attraverso l'analisi della storia di Amleto, il quale utilizza la creazione di un "non-me", identificato nella volontà divina, per accedere alla sua volontà, basata sul proposito di uccidere Claudio, Bromberg analizza il Funzionamento della Dissociazione, in cui la mente, messa di fronte ad un'ombra che contiene la possibilità di diventare un'inondazione, recluta i suoi stati del Sé all'interno di una "squadra di sopravvivenza", in cui ciascuna parte è consapevole solo della propria parte della verità e il cui obiettivo è sequestrare il Sé cosciente del rischio dello tsunami. Va però ricordato che non possibile evitare una guerra interna tra parti avverse del sé cercando unicamente di aumentare il potere di una delle parti. Nel caso di Amleto, Orazio è il soggetto che, in uno stato molto responsivo rispetto ai suoi pensieri, gli permette di resistere allo tsunami, offrendogli un luogo, la sua mente, come spazio di riflessione. In definitiva il Trauma Evolutivo può essere visto come un fenomeno relazionare centrale, il quale contribuisce alla disregolazione di ogni essere umano, anche nel caso di quegli individui il cui attaccamento sicuro ha portato ad uno stato di relativa stabilità e resilienza. Considerando quindi che si è tutti vulnerabili all’esperienza di trovarsi senza preavviso faccia a faccia con l“alterità”; che talvolta, sebbene temporaneamente, viene vissuta come troppo “non-me” rispetto a quanto la mente può far fronte, la differenza più grande tra le persone è la Misura in cui l’iperattivazione affettiva va a toccare l’area di un trauma evolutivo non elaborato, che non è solo spiacevole, ma mentalmente insostenibile, e quindi non disponibile alla cognizione. Il rischio che questo accada è un aspetto centrale del lavoro con gli enactment. L’uso della relazione paziente-terapeuta avviene quindi attraverso l’elaborazione congiunta e non lineare di un canale di comunicazione agito e dissociato, in cui la paura del paziente della disregolazione affettiva, identificabile nell’ombra dello tsunami, viene fatta ritirare dalla capacità sempre più ampia di distinguere in maniera sicura la probabilità di uno shock mentale che può essere effettivamente soverchiante da quel tipo di esperienze eccitanti in cui la tensione si trova inevitabilmente mischiata al rischio della spontaneità. In quest'ottica la paura del paziente della disregolazione, per come viene rivissuta nel presente agito, diventa sempre più contenibile come evento cognitivo, rendendo così in grado la mente/cervello di diminuire il suo affidamento automatico sulla dissociazione come un “rivelatore di fumo” affettivo. PARTE SECONDA INCERTEZZA CAPITOLO II - "IT NEVER ENTERED MY MIND" Confessando un suo segreto, relativo al fatto che fatica ad abbandonare oggetti o situazioni a cui si sente affezionato, Bromberg introduce il tema del Restare lo Stesso nel Cambiamento, elemento che, anche se risulta logicamente impossibile, incarna due fenomeni che non possono coesistere, anche se lo fanno. In un qualche modo quindi il processo di cambiamento consente la negoziazione tra differenti voci interne, ognuna consacrata a non cambiare, vale a dire, consacrata a restare la stessa così da preservare la continuità del Sé. L’esperienza diretta di un Cambiamento del Sé è allora effettivamente un segreto che sfugge alla consapevolezza conscia. Quando il trauma relazionare è un elemento fondamentale dell'infanzia del paziente, il terapeuta sente l’inadeguatezza delle parole come mezzo per raggiungere il paziente e spesso fa esperienza di un crescente senso di futilità rispetto al conoscerlo realmente. Questa sensazione è un piccolo esempio dell’abissale impotenza sentita dal paziente stesso, basata sull’incapacità di comunicare con il linguaggio. E' in questa situazione che la danza di parole che unisce il terapeuta e il paziente conduce in un Posto Segreto, in cui la forma soggettiva della realtà risulta incomunicabile attraverso il comune discorso umano, in quanto organizzata dall’esperienza subsimbolica e comunicata attraverso l’enactment. L’enactment è allora un processo dissociativo diadico, definibile come un bozzolo all’interno del quale la comunicazione subsimbolica è temporaneamente inaccessibile perché è indebolito il funzionamento riflessivo. Se il terapeuta si è rivolto ad ascoltare il materiale troppo a lungo senza aver tenuto in vita la sua esperienza interna della relazione, spesso ha inizio in lui un processo dissociativo, che può aver avuto inizio nel paziente, ma che presto avviluppa entrambi. La sequenza di eventi viene vissuta ma non riconosciuta cognitivamente dal terapeuta, in quanto i suoi stati del Sé cambiano dissociativamente sempre immediatamente dopo quelli del paziente, così che il cambiamento non è solitamente percepito fino a quando non si fa evidente la presenza di un disagio o di un'irritazione. Attraverso la dissociazione, si fugge dall’inutilità di aver bisogno da un altro di quello che non è possibile esprimere in parole. Quello che ha inizio come materiale diventa parole vuote. Dato che terapeuta e paziente condividono un campo interpersonale che appartiene in parti uguali a entrambi, ogni ritiro non segnalato da una parte di una di queste persone interromperà lo stato della mente dell’altro. L’interruzione tuttavia, solitamente non è elaborata cognitivamente da uno dei due, per lo meno inizialmente. Per il terapeuta diventa sempre più difficile concentrarsi, e solo quando questa esperienza raggiunge la soglia della consapevolezza conscia, facendosi angosciante, il suo tentativo di concentrarsi può portare a percepire sul piano esperienziale il potere anestetizzante di quello che sta avvenendo tra di loro nel qui e ora. Invariabilmente, la sua risposta contribuisce interattivamente alla costruzione di un processo di comunicazione che, al tempo stesso, ricapitola esperienze passate del paziente e stabilisce il contesto per una nuova forma di esperienza. Solo un Sassolino nella Scarpa Questo paragrafo è dedicato all'analisi di alcuni frammenti di un caso clinico di Bromberg, rappresentato da una paziente bulimica, le cui azioni dissociate di vomito autoindotto cominciavano a diventare esperienze sempre più coscienti di più esperienze d'abuso da parte dei genitori. Bromberg ricorda che in quella fase, in cui iniziava a sentire l'angoscia della paziente e la vergogna del volerle fare esternare il suo segreto, non era consapevole del dolore dissociato della paziente, inflitto da un’altra parte di Sé, per far sì che la brama, identificabile nella frase "ho bisogno che qualcuno lo sappia", diventasse desiderio, quindi "voglio dirglielo". L’unica parte della paziente che si sente degna di essere amata esiste per proteggere i segreti di famiglia. Ricordarli e svelarli perché lo voleva rendeva la paziente vulnerabile al pericolo di un attacco interno condotto da altre parte di sé. In una seduta, che seguiva a una notte passata con un violento vomito autoindotto, la paziente urla, arrabbiata verso il terapeuta, “non riuscirà mai a farmi smettere di vomitare. Non vuoterò mai il sacco”. In quel momento il Bromberg entrò dolorosamente in contatto con i suoi sentimenti dissociati di vergogna e decise lui stesso di “vuotare il sacco”, condividendo, secondo un processo di self-disclosure, quello con cui lui stesso è entrato in contatto, inclusa la consapevolezza e il suo personale rammarico per averla lasciata troppo tempo da sola con il suo dolore. Dopo una pausa, la paziente riferisce che si sente in due modi diversi contemporaneamente, e che solo a pensarlo le viene mal di testa: - si sente furiosa verso il terapeuta; - sa di volergli bene e non voleva ferirlo. A quel punto il terapeuta le dice che solo quando si era apertamente arrabbiata con lui si è reso conto di quello che da sempre giaceva sotto la sua rabbia, identificabile nel dolore e la vergogna di dover aver a che fare con tutto quello da sola. Questo esempio mostra che, quando la dissociazione è all’opera, ogni stato di consapevolezza contiene la sua verità, incapsulata sul piano esperienziale e agito in modo continuo. Il segreto svelato durante un enactment è che, mentre il paziente sta raccontando qualcosa a parole, sta avvenendo una seconda conversazione, identificabile in quella che Schore chiama "conversazione tra sistemi limbici". I Segreti e la Corruzione del Desiderio I segreti, così come i pazienti, contengono un’esperienza affettiva nella forma di ricordi impliciti dei Sé che diventano “non-me” perché le realtà soggettive che contengono si sono perse nella traduzione. Questi stati del Sé rimangono non comunicabili attraverso le parole, perché gli è negato il significato simbolico all’interno della cornice sovraordinata di un “me” a cui è consentito di esistere nelle relazioni umane. Tutto questo deriva dall'esperienza di essere invalidati come reali dalla mente di qualcun' altro significativo che ha utilizzato il linguaggio non per condividere esperienze, ma per trasportarle fuori dall’esistenza. È quando l’altro originario è una figura di attaccamento primaria, un genitore o un altro il cui il significato è, sul piano interpersonale, simile a quello del genitore, che una persona ha il potere di destabilizzare lo stato mentale del bambino interrompendo il legame relazionale che organizza il suo senso di continuità del Sé. Per preservare il rapporto di attaccamento e proteggere la stabilità mentale, la mente innesca una soluzione per la sopravvivenza, la dissociazione, che le consente di aggirare la lotta mentalmente disorganizzante insita nel riflettere senza possibilità di alleviare il dolore e la paura causati dal proprio range di percezione, portando a erigere categorie non conflittuali dell’esperienza come parti diverse del Sé. Inevitabilmente quindi vi è la Corruzione del Desiderio dato che il salutare desiderio del bambino di comunicare la sua esperienza soggettiva a un altro di cui ha bisogno, viene infuso di vergogna, perché l’altro di cui ha bisogno non riconosce, o non riconoscerà, l’esperienza del bambino come qualcosa di legittimamente pensabile. Il legame di attaccamento che organizza la stabilità del Sé del bambino viene quindi messo a repentaglio, ed esso giunge a sentire non che ha fatto qualcosa di sbagliato, ma che c’è qualcosa di sbagliato in se stesso. Per sopravvivere a questa destabilizzazione del senso del Sé, la mente sequestra la parte della sua esperienza soggettiva che diventa così illegittima, dissociando la parte di se stesso che sa di doverla legittimare. Poiché il bambino ha dissociato una parte della soggettività originariamente sentita come reale e legittimata, egli inizia a dubitare della propria legittimità come persona. Successivamente dubiterà sia della propria legittimità come persona sia della realtà della sua esperienza interna. Da adulto egli dovrà convivere con la sensazione che sia successo qualcosa di cattivo, ma quella sensazione non è organizzata come una cognizione ma come uno stato incomunicabile di bramosia, che ricopre come un velo la memoria implicita. La bramosia diventa un fantasma “non-me” che infesta perché il desiderio di comunicarlo al terapeuta direttamente dal luogo interno di illegittimità diventa esso stesso fonte di vergogna. Così il senso di vergogna è amplificato: - Prima Fonte di Vergogna: viene dal credere che quello che sente non sarà considerato reale dagli altri; - Seconda Fonte di Vergogna: deriva dalla paura di perdere l’attaccamento degli altri, e quindi anche il senso nucleare del Sé, perché crede che il terapeuta non attribuirà validità alla sua disperata sensazione di conoscere quello che sente. La bramosia del paziente di comunicare un’esperienza del Sé dissociata deve venire riconosciuta dal terapeuta, ma quello che simultaneamente deve venire riconosciuto è che esso non può fare esperienza mentale della legittimità di questa bramosia senza essere ricoperto di vergogna dalle altre parti de Sé. La verità affettiva con cui vive il paziente viene sospettata di essere una bugia o per lo meno un’esagerazione, e non è mai sicuro che si tratti di un segreto realmente esistente o se lo stia inventando, conducendo quindi a vivere in un tormentato isolamento, ed è questa esperienza che diventa la verità essenziale del paziente, il suo segreto, in cui le parole e le idee diventano delle bugie vuote. In ogni trattamento, lo Sviluppo dell’Autoriflessione è parte di ciò che viene ottenuto tramite il trattamento analitico. Dato che ognuno degli stati del Sé del paziente ha dei programmi propri rispetto ai segreti, ogn'uno di loro deve diventare disponibile nei propri termini alla gamma degli stati del Sé del terapeuta. Questo richiede che si riconosca in misura crescente il suo contributo dissociativo agli enactment, e si diventi sempre più in grado di rifletterci sopra e di usare questo riconoscimento, in maniera relazionale, con ogn'uno dei Sé o stati del Sé del paziente. Quando questo si verifica, la soggettività dissociata del paziente si trasforma, in maniera non lineare, in una Soggettività Autorifessiva. Il paziente diventa in grado, in maniera più libera e sicura, di far esperienza di una mente che sta facendo esperienza della sua mente, che sta facendo esperienza delle loro menti in quelle aree del funzionamento mentale in cui la dissociazione ha tenuto prigioniera l’intersoggettività. Il titolo del capitolo, che letteralmente significa "non mi è mai passato per la mente", è tratto da una canzone di Rodgers e Hart (1940), la quale parla del dolore vuoto che si trova nell'anima di una persona quando brama un altro assente, non riuscendo a pensare di averlo perso. CAPITOLO III - "MENTALIZE THIS!" Le recenti prospettive sulla Mentalizzazione si basano sulla considerazione che la capacità di abbracciare in maniera irrazionale la propria mente e quella altrui all’interno di un’esperienza coerente derivino dalla conquista dell’intersoggettività. In questo capitolo Bromberg giunge a considerare la Mentalizzazione seguendo due strade: - considerazione della Dissociazione come processo mentale normale che riveste un ruolo evoluzionistico nel configurare e riconfigurare i propri stati del Sé nella vita di tutti i giorni; - considerazione del Trauma come il modo in cui la dissociazione viene arruolata all’interno di un irrigidimento post-traumatico dei confini tra gli stati del Sé che trasforma un normale processo in una struttura patologica. In presenza del trauma non è solo la capacità di mentalizzare a essere compromessa, e per risanarla occorre un processo di collisioni e negoziazioni. Stati del Sé e Dissociazione La capacità dell’uomo di vivere una vita fatta di autenticità e autoriflessione richiedere una continua dialetti fra l’unità e la separatezza dei suoi stati del Sé. Se tutto va bene, la persona è solo vagamente o momentaneamente consapevole dei singoli stati del Sé e delle loro rispettive realtà, poiché ognuno funziona come parte della salutare illusione di un’identità personale coesa, considerabile quindi come uno stato cognitivo ed esperienziale sovraordinato vissuto come “Io”. Ciascun stato del Sé fa parte di un insieme funzionale, influenzato da un processo di negoziazione interna con la realtà, i valori, gli affetti e i punti di vista degli altri. Nonostante i conflitti e l’ostilità tra i diversi aspetti del Sé, difficilmente uno stato del Sé è totalmente precluso dall’esperienza di “me-ness”. In una personalità relativamente coesa, la dissociazione è una funzione sana e adattiva della mente umana, un processo fondamentale che permette ai singoli stati del Sé di funzionare in modo ottimale quando una completa immersione in una certa realtà, un singolo stato affettivo intenso o la sospensione della propria capacità di autorifessione è esattamente quello che si sta cercando o si desidera à quei momenti che richiedono concentrazione, orientamento al compito o un abbandono totale a un’esperienza piacevole. In circostanze normali, quindi, la dissociazione promuove l’integrazione delle funzioni dell’Io escludendo gli stimoli eccessivi o irrilevanti. Considerando il Trauma e la Dissociazione Difensiva, quest'ultima, oltre al ruolo normale prima indicato, può anche svolgere la funzione di difesa, da intendere come una reazione al trauma, che, a sua volta, è un flusso caotico di affetti non regolabili nella mente, che minaccia la stabilità del Sé e talvolta a stessa salute mentale. Il conflitto intrapsichico viene quindi vissuto come insostenibile perché la discrepanza non si verifica tra i contenuti mentali discordanti, ma fra aspetti del Sé alieni, fra stati del Sé talmente discrepanti da non poter coesistere in un singolo stato di coscienza senza minacciare di destabilizzare la continuità del Sé. L’affetto traumatico non è solo ansia ad alto volume. È lo shock di un flusso affettivo sufficientemente intenso da disgregare il pensiero in quanto intrinsecamente caotico. Il motivo per cui il trauma non termina mai per il cervello è che esso lascia un residuo di un affetto non elaborato, dissociato, che il cervello non è in grado di regolare, identificabile in quello che Bromberg definisce come l'Ombra dello Tsunami. Per questo motivo quello che il cervello non è in grado di regolare cerca di controllarlo. Dopo che il trauma si è verificato, la mente arruola la dissociazione per assicurarsi preventivamente che lo shock destabilizzante dello tsunami non si ripeta mai più, per cui si crea una struttura mentale dissociata che anticipa in maniera vigile l’ombra prima che possa ripresentarsi in maniera inaspettata, trasformando la mente in un "rilevatore di fumo" e la vita in un periodo di attesa sospeso. La dissociazione difensiva mostra il suo marchio disconnettendo la mente dalla sua capacità di percepire quello che viene esperito come troppo da sostenere per il senso di Sé. Essa quindi riduce ciò che è davanti agli occhi a una banda ristretta di realtà percettiva, privata di una rilevanza emotiva personale per il Sé che la sta sperimentando. Nel trauma che nasce dalle relazioni umane, ciò che viene svuotato di rilevanza personale sono le interazioni nel qui e ora, avvertite come troppo destabilizzanti per essere passibili di elaborazione cognitiva. La capacità della mente di contenere riflessivamente la soggettività di un’altra persona in un contesto relazionale viene compromessa e, a sua volta, viene danneggiata la capacità intersoggettiva, evidenziando così uno stretto legame con il concetto di mentalizzazione. L’individuo è in larga parte incapace di vedersi riflessivamente negli occhi di un altro perché i diversi stati del Sé, che in precedenza erano in grado di coesister adattivamente, sono ora separato da uno stato ipnoide in modo da ricoprire ciascuno un ruolo protettivo. Perché l’esperienza di conflitto intrapsichico possa avere luogo, il vuoto tra gli spazi dissociati del Sé deve essere colmato dalla relazionalità umana. Quando un paziente non è in grado di contenere un’esperienza di conflitto intrapsichico, l’obiettivo immediato è quello di far leva sulla relazione terapeutica per aiutare i pazienti a trasformare la loro esperienza del Sé in qualcosa di più che isole di verità, quindi aiutarli a diventate capaci di “restare negli spazi” fra gli stati del Sé, in modo da favorire il passaggio dalla dipendenza dalla protezione fornita dalla dissociazione alla capacità di percepire il conflitto interno come qualcosa di sostenibile. All’inizio del trattamento ogni stato del Sé è egosintonico quando il suo grado di dissociazione è in crescendo e la possibilità di poter fare esperienza degli altri stati del Sé, in maniera conflittuale, come ego-alieni non può essere data per scontata. In questi casi è necessario lo sviluppo di un Io osservante, da intendere, secondo Bromberg, come la crescente capacità del paziente di contenere ed elaborare la comunicazione interna fra stati del Sé discrepanti senza che questa comunicazione venga automaticamente preclusa dalla dissociazione difensiva. Dissociazione e Mentalizzazione Quello che Janet (1907) considerava, analizzando le manifestazioni di dissociazione nell'isteria, come Sintesi Personale, può essere descritta come la Comunicazione Fluida fra gli Stati del Sé, da intendere come la capacità di rimanere negli spazi tra realtà diverse senza perderne alcuna. Essa è quindi la capacità della persona di ospitare in un dato momento una realtà soggettiva che non può essere facilmente contenuta dal Sé che in quel momento sente come “me”. Le persone capaci di riflettere sull’esperienza soggettiva che qualcun'altro ha di loro nell’ambito dell’esperienza che fanno di se stesse, quindi le persone che riescono a restare fra gli spazi, si stanno allora relazionando in maniera intersoggettiva. Per Fonagy e Target, tale funzione è conseguita attraverso la Mentalizzazione, che è la capacità che permette alla persona di riflettere sulle discrepanze fra l’esperienza che ha di se stessa e il modo in cui sembra esistere nella mente di un altro, senza essere costretta a segregare queste discrepanze in stati del Sé disconnessi e isolati. In altri termini la capacità di mentalizzare rende meno probabile che la mente ricorra automaticamente alla dissociazione per proteggere la sua stabilità di fronte all’esperienza dell’alterità. Bisogna quindi favorire la simbolizzazione cognitiva dell’esperienza affettiva non elaborata che è subsimbolica, non dichiarativa e procedurale. Questo tipo di esperienza diventa visibile al terapeuta come fenomeno percettivo, per cui il più delle volte quello che rileva è un qualche cambiamento in se stesso, anche se ovviamente può notare un cambiamento nel paziente stesso. Bisogna però considerare che questa consapevolezza in sé non posta immediatamente a una concomitante consapevolezza che sta avvenendo qualcosa tra loro. L’essenza della dissociazione sta nell’alterare l’esperienza percettiva, prosciugando così il contesto interpersonale di significato personale. Scollegando la mente dalla percezione riflessiva dall’esperienza diadica affettiva, la persona rimane fuori dal pericolo di fare esperienza diretta dell’alterità dell’altro. Quando la dissociazione dà luogo a stati del Sé che svolgono preventivamente questa funzione protettiva, a prescindere dal Sé che in un dato momento definisce il senso del Sé, esso diventa un bozzolo isolato. Quando la coerenza tra stati del Sé è sostituita da un bozzolo dissociativo, la persona esiste in uno stato di consapevolezza in cui ha un accesso limitato simultaneo alla sua gamma di stati del Sé per consentire uno scambio autentico con a soggettività degli altri. Senza una coerenza tra gli stati del Sé, egli è solo parzialmente vivo. Qualunque sia lo stato della realtà dissociata dell’individuo, la persona che si relaziona con lui sarà interpersonalmente adattata per combaciare con l’immagine dell’oggetto interno e assicurarsi una stabilità affettiva. Il titolo del capitolo, Mentalize This!, oltre ad essere una rivisitazione del film "Analyze This!" in cui il più potente gangster di New York va a farsi analizzare per entrare in contatto con le sue emozioni (in Italia il titolo è stato tradotto con "Terapia e Pallottole"), sta ad indicare l'inevitabilità dello scontro fra soggettività nel lavoro terapeutico. In quest'ottica la Negoziazione tra Collisioni e Sicurezza è al cuore del cambiamento psicoterapeutico e richiede un impegno del terapeuta a sintonizzarsi con l'equilibrio instabile tra sicurezza affettiva e sovraccarico. Ciò che consente all’intersoggettività di emergere da un enactment, sono i momenti in cui il limite della disregolazione, che Le Doux (1996) chiama il sistema della paura, viene attivato in condizioni sicure ma non troppo. In queste condizioni la situazione analitica diventa non solo una ripetizione dei fallimenti passati del paziente, ma un occasione per aumentare la coerenza tra stati del Sé. Questi eventi relazionali sono chiamati Sorprese Sicure perché è solo attraverso la sorpresa che una nuova realtà, rappresentata da uno spazio tra spontaneità e sicurezza, viene co-costruita e prende vita. Il processo terapeutico richiede che il paziente ed il terapeuta rimangano insieme negli spazi tra realtà e si muovano in modo sicuro, ma non troppo, da una parte all’altra della linea di confine. È l’impatto diadico della sorpresa sicura che permette all’enactment di diventare più di una mera ripetizione del passato, e quindi di costituire un elemento fondamentale nella promozione terapeutica della mentalizzazione. La capacità del terapeuta di offrire un ambiente sicuro non rappresenta in sé la fonte dell’azione terapeutica. Per quanto l’analista debba cercare di non oltrepassare la capacità del paziente di sentirsi al sicuro nel suo studio, è impossibile che ci riesca, ed è proprio a causa di questa impossibilità che il cambiamento terapeutico può avvenire. Le collisione tra le soggettività dei due soggetti riflettono l’esteriorizzazione delle differenze negli stati del Sé in ciò che è vissuto come realtà nel mondo interno del paziente. Il Sé Nucleare dell’individuo, quindi quello modellato dai primi pattern di attaccamento, è definito sia dal modo in cui i primi oggetti genitoriali lo percepiscono sia da quello che gli negano di essere. I genitori disconfermano l’esistenza relazionale di quegli aspetti del Sé del bambino che dissociano percettivamente. Questo rende gli aspetti disconfermanti non negoziabili dal punto di vista relazionale, perché le esperienze soggettive che organizzano questi stati non possono essere condivise e confrontate in maniera comunicativa, con il modo in cui appaiono nella mente dell’altro. Il punto essenziale è che la “disconferma” in quanto non negoziabile sul piano relazionale, è traumatica per definizione. Da questo nasce la connessione tra i termini di Trauma Evolutivo e Trauma Relazionale. Al fine di mantenere stabile la continuità del proprio Sé nel corso dello sviluppo, ogni individuo continuerà ad agire, almeno in qualche misura, secondo i primi modelli di attaccamento, appresi in modo procedurale, sui quali risiede il Sé nucleare, così da rimanere riconoscibile come se stesso. Questo perché il modo in cui una certa persona è vista nella mente di un altro deve riflettere il Sé nucleare che era il “bambino dei suoi genitori”. Per la maggior parte delle persone, nel corso della vita quest’immagine evolve ed è rimodellata in modo tale che i modelli relazionali che definiscono il Sé vengono ampliati, modificati e integrati in una configurazione individuale in larga parte non dissociata. Tuttavia, se nelle prime fasi di vita alcune parti del Sé vengono sistematicamente disconfermate, il compito di continuare a esistere nella mente di un altro, e quindi ai propri occhi, come lo stesso Sé che era il “bambino dei suoi genitori”, è molto più complicato e difficile perché implica dover dissociare quegli stati del Sé che sono discordanti con esso. Queste parti tendono poi a restare non simbolizzate sul piano cognitivo e sono organizzate come isole di realtà affettiva che, in quanto segregate, non sono modificabili attraverso la risoluzione di un conflitto. Tuttavia essere hanno una vita propria, una vita che decide il destino di un individuo tanto quanto del “me” che può essere pensato ed espresso a parole. Prima di poter confluire in ciò che la persona sente come “me”, le parti “non-me” del Sé devono essere ricondotte all’autorifessione mediante simbolizzazione cognitiva e linguistica in un contesto relazionale. Finché questo non avviene, le parti “non-me” continueranno a incombere e ad agire dissociativamente quanto non può essere pensato o detto, causando problemi al paziente e alle persone intorno a lui. Trattandosi di voci guidate dagli affetti proveniente da parti del Sé disconfermate sul piano relazionale, la loro presenza è comunicata senza un contesto cognitivo condiviso, che potrebbe consentire all’affetto di sviluppare un significato negoziato consensualmente. L’enactment è un processo che prende forma in un bozzolo a due, che il paziente non incontra solo nella relazione analitica ma anche altre varie volte, sopratutto nelle relazioni più rilevanti. Però nella relazione terapeutica esso può essere usato in una forma nuova che, attraverso scontri ripetuti e non lineari tra soggettività, può far giungere alla nascita di aspetti intersoggettivi. Un atteggiamento terapeutico che invece cercasse sistematicamente di evitare collisione tra le due soggettività finirebbe inevitabilmente per essere percepito dal paziente come disconfermante. In casi come questo il paziente avverte che il terapeuta non lo sta realmente contenendo nella propria mente e, mancando agli stati del Sé dissociati un ambiente per rimanere vivi, non si sviluppa la Mentalizzazione. Lo sviluppo della capacità di mentalizzazione richiede quindi una maggior capacità di entrare in collisione con la soggettività e gli stati mentali dell’altro. L’equilibrio tra sicurezza affettiva e il vederci nel modo in cui gli altri ci vedono è sempre mutevole, ed è la sintonizzazione del terapeuta con queste variazioni, più che l’esatta applicazione della tecnica, a promuovere la mentalizzazione. Roseanne In questo esempio clinico Bromberg cita il caso di Roseanne, una paziente il cui senso del Sé era stato gravemente danneggiato nell'infanzia da un padre sadico e disturbato, i cui comportamenti tendevano a voler far sentire colpevole e inadeguata la figlia. In una fase dell'analisi in cui la paziente continuava, nonostante i risultati raggiunti, a riferire quanto fosse inutile la terapia o ogni cambiamento nella sua vita, facendo sentire il terapeuta costantemente frustrato, Bromberg, non cosciente di rischiare di agire il ruolo del padre disconfermante ed aggressivo, decide di raccontare a Roseanne la storia di una bambina che riceve un pacchetto dal padre, con la promessa che però non lo aprirà finché non glielo dirà lui. Dopo quattro anni d'attesa, e tra l'altro è significativo che fossero quattro anni che Roseanne era in terapia da Bromberg, la bambina decide di aprirlo e scopre che è vuoto. Questa storia fa precipitare Roseanne in un terrore assoluto e la sua immagine si trasforma in quella della bambina spaventata che era stata nell'infanzia. Riflettendo nelle sedute successive su quanto avvenuto, Bromberg si rende conto che la paziente aveva voluto attuare un comportamento sadico e frustrante nei suoi confronti, non concedendogli mai la "soddisfazione" di aver raggiunto qualche risultato, e lui, inconsapevolmente, aveva risposto come il padre sadico. L'elaborazione di questo enactment ha però permesso ad entrambi di giungere a confrontarsi su un terreno di sensazioni e pensieri prima non esprimibili a parole, comprendendo finalmente quale era il ruolo interattivo che essi stavano agendo nel corso dell'analisi, e, tramite questo sviluppo delle capacità di mentalizzazione e questa apertura reciproca, arrivare a sviluppare nuovi risultati. Coda Nel saggio "Giocare con la Realtà" (1996), Fonagy e Target riflettono su quanto la Mentalizzazione si sviluppi nel bambino grazie alla possibilità di separare la realtà esterna dai pensieri. Se questo non avviene si giunge ad una minacciosa sovrapposizione tra realtà esterna ed interna che nel bambino, e successivamente nell'adulto, può condurre ad un'incapacità di tollerare la presenza di una mente nell'altro, con il costante desiderio di "cannibalizzarla", elemento che era cardine nel pensiero di Roseanne. CAPITOLO IV - COLMARE IL VUOTO DISSOCIATIVO Il termine Psicoanalisi Relazionale, coniato da Mitchell e Greenberg durante una serie di contri con un piccolo gruppo di analisti, tra cui lo stesso Bromberg, è stato scelto per due ragioni: - la considerazione per cui la mente, in tutte le sue manifestazioni evolutive sane o psicopatologiche, si struttura e funziona secondo una modalità relazionale; - la possibilità del termine di unire una serie di idee anche differenti tra loro. Rifiutando quindi le concezioni classiche di conflitto e di rimozione, Bromberg giunge quindi a teorizzare un Funzionamento Mentale organizzato da una relazione dissociativa continuamente mutevole, in cui gli stati del Sé si dimostrano più o meno capaci di partecipare all'esperienza mentale di un conflitto interno. Quando la dissociazione diviene poi la struttura fondamentale del funzionamento intrapsichico ed intersoggettivo del paziente, gli stati del "non-me" vengono agiti da entrambi i partecipanti alla relazione analitica, senza che di essi vi sia una rappresentazione cognitiva. In quest'ottica, Colmare il Vuoto Dissociativo prevede un coinvolgimento attivo con i cambiamenti degli stati del Sé, il quale permetta di coinvolgersi in un incontro percettivo in cui anche le parti "non-me", grazie all'interpretazione e al coinvolgimento affettivo, possono emergere nel qui ed ora ed essere quindi integrate nel senso di continuità del paziente. Mayer (2007), analizzando quelle che definisce come Esperienze Anomale, definibili come percezioni veritiere che però si verificano in un contesto che le rende inesplicabili rispetto a quello che si considera come realtà, ha sottolineato l'importanza di un pensiero non lineare in analisi che, attraverso l'accettazione creativa della mancanza di chiarezza, permetta lo sviluppo dell'inconscio relazionare, luogo in cui finalmente l'interpretazione può assumere un senso. Harris (2009) evidenzia inoltre che il motore del lavoro psicoanalitico è un indispensabile paradosso in cui morte e movimento sono legati intimamente quando si affronta assieme l'abisso. Temi Clinici I seguenti Temi Clinici possono, secondo Bromberg, fornire degli esempi di quanto esposto nel suo libro e, principalmente, in questo capitolo: 1. Improvvisi Cambiamenti nell'Argomento: attraverso un ascolto attento, il terapeuta può divenire consapevole che un improvviso cambiamento nell’argomento si accompagna a un cambiamento nel modo di presentarsi, affetti inclusi. Quello che sta avvenendo è definibile come un cambiamento negli stati del Sé e nelle rispettive realtà che li organizzano. Il proprio orecchio clinico ascolta la voce di un’altra pare del Sé e ha la possibilità di invitarla nella relazione accettandola nei suoi termini, piuttosto che parlandone come se fosse semplicemente un cambiamento nell’umore. Gli stati del Sé sono moduli altamente individualizzati di essere, ognuno configurato dalla sua organizzazione di cognizioni, credenze, affetto e umore dominanti, accesso alla memoria, abilità, comportamenti, valori, azioni e regolazione fisiologica. Quando tutto è andato bene sul piano evolutivo, ogni stato del Sé è sufficientemente compatibile con i modi di essere degli altri stati del Sé da consentire una generale coerenza tra loro, che a sua volta crea la capacità di sopportare l’esperienza di un conflitto interno. Tuttavia quando è all’opera una Dissociazione Proattiva Protettiva, è più facile che cambiamenti negli stati del Sé raggiungano la consapevolezza percettiva nel terapeuta, ovviamente se esso risulta capace di coinvolgere liberamente il paziente della posizione di osservatore-partecipe. Va comunque ricordato che i cambiamenti possono essere inizialmente percepiti non come qualcosa del paziente, ma come una destabilizzazione dei processi mentali del terapeuta, in cui la consapevolezza di un fastidio che non si riconosce immediatamente come tale è l'effetto di un enactment dissociativo che sta avvenendo nella relazione; 2. Uso Ingannevole del Linguaggio del Conflitto: in maniera ingannevole un paziente può sembrare in conflitto quando in realtà è dissociato, perché utilizza il linguaggio del conflitto per mantenere il legame di attaccamento con il terapeuta. Dire che sta cercando in tutti i modi di sentire una cosa invece di un’altra, ma non sembra riuscirci è una frase in cui, grazie all'uso della congiunzione "invece di", il paziente cerca di simulare il linguaggio del conflitto. In questi casi bisogna però considerare che la dissociazione in atto sta portando il paziente ad obliterare un’altra parte di sé, considerandola come malata e cercando di sostituirla con una parte sana, rappresentata dalla parte che il paziente sente che il Terapeuta vuole far emergere; 3. Resistenza?: una situazione frequente è quella in cui il paziente, dopo una seduta produttiva e apparentemente soddisfacente per entrambi, torna in uno stato oppositivo, arrabbiato, accusatorio, disperato o anche pronto a interrompere il trattamento. Bisogna considerare che in questi casi il Sé del paziente che sta partecipando ora era presente come uno stato "non-me" dissociato durante la precedente buona seduta e non esisteva in essa sul piano relazionale. Per questo Sé l’apparente successo delle interpretazioni del terapeuta nella precedente seduta è stato completamente inutile. Ora che non è più "non-me", questa parte del paziente è un partecipante e sta attaccando perché, con il suo comportamento autoriflessivo, l’altra parte stava implicitamente sostenendo che il terapeuta è sufficientemente affidabile da infondere un po’ di speranza. In quest'ottica, e differentemente dalla visione classica psicoanalitica secondo cui questi momenti rappresentano conflitti inconsci, le parti che più piacciono al terapeuta del paziente vengono attaccate, cercando di screditare il loro ruolo e quello del terapeuta; 4. Concretezza del Pensiero: un indicatore della dissociazione può essere la rilevazione di un rigido focus sul contenuto delle interpretazioni del terapeuta, il quale si accompagna ad un atteggiamento totalmente dimentico dell'esperienza del paziente verso la persona che la sta offrendo. In tali casi il paziente effettua quello che può essere definito come un check-out relazionale; 5. Memoria Stato-Dipendente: quando la dissociazione è all’opera, la memoria è organizzata da qualcosa che è conosciuto, più che dal fatto che questo qualcosa sia o no ricordato. Ad esempio il paziente può dire "ho dimenticato quello di cui abbiamo parlato l’altra volta, penso fosse qualcosa su…". In questo senso quindi la seduta non è stata dimenticata, ma il paziente non riesce a ricordarla in quanto la memoria è stato-dipendente, soprattutto se un’intensa attivazione affettiva l’ha resa minacciosa per la parte del Sé la cui esperienza non è stata riconosciuta o elaborata in quella seduta. Perché la seduta sia ricordata personalmente, il paziente deve essere in grado di avere accesso allo stato del Sé che vi ha partecipato e allo stato del Sé che l’ha osservata. In caso contrario la struttura mentale dissociativa farà si che l’esperienza sia solo una sorta di ricordo; 6. Rivivere Percettivo e Sicurezza Affettiva: in situazioni come quella precedente a cui si è accennato, quindi quando il paziente non ricorda cosa si è detto in seduta, Bromberg trova utile il tentativo di parlare con quella parte del paziente che, nella seduta precedente, ha provato i sentimenti più intensi. La speranza è quella che il paziente possa sentirsi sufficientemente sicuro da accedere a quello stato del Sé o, per lo meno, possa mostrare segni di confusione cognitiva in seguito alla domanda. Uno dei modi migliori sembra quello di invitarlo a pensare alla seduta precedente e chiedergli "cosa le sembra?" (what is it like?), domanda che, come sottolineato da vari autori, tra cui McGilchrist (2009) e Nagel (1979), ha l'obiettivo di invitare il soggetto a rivivere dal di dentro quelle situazioni, giungendo ad essere interpersonalmente riflessivo. Tale domanda, la quale mette a rischio la sicurezza dell'identità del paziente in quanto mette in atto il rivivere la situazione e la vergogna connesse al trauma, è fondamentale però per sviluppare una crescita stabile della personalità, la quale ruota attorno alla creazione di un collegamento tra esperienza soggettiva e rappresentazione mentale del qui e ora del Sé come agente o come colui che fa esperienza. Nonostante l’instabilità e la confusione, paziente e terapeuta possono rivelarsi in grado di tenere duro durante un enactment e produrre un progresso terapeutico se la vergogna dissociata del terapeuta non conduce, in maniera riflessiva, a un periodo indefinitamente lungo in cui il disagio del paziente viene vissuto come espressione del bisogno che lui riconosca il suo dolore e se ne preoccupi. Bisogna comunque ricordare che nei momenti in cui si sta rivivendo un’esperienza, il paziente è spaventato non solo da quello che, nel passato, lo spaventava, ma perché è lo stesso enactment nel presente a essere spaventoso. Di conseguenza, la co-costruzione di un nuovo significato personale comporta sempre una certa destabilizzazione del Sé, ed è quindi di importanza capitale che il terapeuta comunichi una continua attenzione per la sicurezza del paziente mentre sta facendo i suo lavoro; 7. Sopravvivere alla Confusione: il lavoro con gli enactment è un processo che comporta una collisione tra soggettività, processo che può essere definito come Sopravvivere nella Confusione. Il terapeuta, invece che tenere duro considerandola come una confusione affettiva, deve analizzare tale tensione come il fallimento di una tecnica corretta o il risultato della patologia del paziente. Quando è una di queste opzioni a essere scelta è nell’interesse del terapeuta ritrovare stabilità. Come sottolineato da Stechler (2003) se il terapeuta è in grado di restare connesso con la sua destabilizzazione e con quella del paziente, essa può influenzare la scelta del suo successivo stato verso un’apertura e un’autenticità affettiva, elemento che verrà condiviso dal paziente stesso. Se invece in tali momenti critici il paziente sente un congelamento, la terapia non può proseguire in modo ottimale. Marta Per spiegare i concetti prima espressi, Bromberg parla del caso di Marta. Questa paziente, traumatizzata da una madre violenta ed aggressiva, aveva sintomi riguardanti un controllo compulsivo dell'alimentazione, che estendeva inoltre al controllo sulle altre persone, terapeuta compreso, attuato tramite il tentativo di sviare la conversazione ogni volta che gli argomenti si dimostravano più rilevanti. Nel secondo anno di analisi, Marta, dopo aver saltato una seduta, si presenta da Bromberg raccontando divertita che la settimana prima era a correre nel parco ed era così rilassata che si era totalmente dimenticata della seduta. Bromberg, spazientito da questo modo allegro, percepito come un ulteriore tentativo di spostare l'attenzione, di raccontare questo evento le chiede come pensa che lui si sia sentito. Questa domanda, che lo stesso terapeuta si rende conto avere un tono ed un significato aggressivo, porta Marta a mostrare una sua parte infantile e dissociata, la quale si chiede quale sia il senso di dover rivivere l'orrore subito nell'infanzia. Nonostante, o anzi forse grazie, al suo errore, Bromberg riesce, insieme alla paziente, ad accedere a ciò che entrambi avevano dissociato, quindi la vergogna per il trauma, e a mettere in evidenza come lui stesso stesse in quel momento agendo il ruolo genitoriale disturbato, negando alle parti più mature e libere del Sé di Marta, quelle che si erano dimenticate la seduta, di emergere. Questi elementi hanno quindi consentito ad entrambi di avere la possibilità di mostrare la parte più vulnerabile di se, creando così un contatto ed una progressiva ricomposizione della dissociazione. Questo processo clinico, che è quello che Bromberg chiama Destare il Sognatore, si basa quindi sulla mutua possibilità di paziente e terapeuta di accedere al proprio Sognatore, inteso come uno stato del Sé dissociato che si manifesta principalmente, ma non solo nei sogni, creando quindi una relazione in cui il rischio di ferire o di essere ferito non è più vissuto come pericoloso ma come motore del cambiamento. PARTE TERZA BARCOLLARE, AGGRAPPARSI CAPITOLO V - VERITA' E RELAZIONALITA' UMANA La Verità, intesa come fenomeno soggettivo, continua ad avere un importante ruolo nel lavoro clinico, ma solo quando emerge nel contesto di una dialettica con il fenomeno intersoggettivo dell'Accuratezza. Al fine di far emergere la Speranza, elemento cardine del lavoro terapeutico secondo Friedman (1988), il terapeuta deve essere in grado di riconoscere il paziente per quello che è, apprezzando le sue caratteristiche fondamentali, e tra queste anche quelle problematiche. E' questo che Bromberg definisce come cambiare rimanendo lo stesso. L'assenza di questo riconoscimento nell'infanzia può portare allora il paziente ad essere particolarmente vulnerabile a stati del Sé "non-me" pieni di irrealtà, oscurità e paura, in cui i confini e la loro permeabilità risultano troppo insicuri per consentire lo sviluppo della mentalizzazione e dell'inconscio relazionale, elementi cardine della terapia in quanto consentono di accedere alla visione di chi si è realmente. Dogmentativo Raccontando un aneddoto relativo ad un suo caso clinico, in cui una paziente l'aveva accuratamente definito "troppo dogmentativo", Bromberg riprende il suo concetto di Funzionamento Mentale Basato sulla Dissociazione in cui quest'ultima avrebbe il ruolo adattivo di selezionare quali stati del Sé sono più adeguati in una data situazione, affrontando così le mutevoli sfide della vita con creatività e spontaneità. Ed è questa flessibilità quello che dà alla persona la notevole capacità di negoziare simultaneamente stabilità del carattere e cambiamento, permettendogli di restare lo stesso nel cambiamento. Un funzionamento mentale ottimale consiste nella capacità della persona di avere accesso a stati del Sé multipli in maniera conflittuale, e il trattamento psicoanalitico deve fornire un contesto favorevole per facilitare la comunicazione interna tra stati disgiunti mantenuti sequestrati l’uno dall’altro in maniera dissociativa. In trattamento, attraverso l’elaborazione simbolica congiunta di enactment tra paziente e terapeuta, gli stati del Sé sequestrati diventano vivi come, usando la definizione di Edelman (1989), presente ricordato. Questo processo non lineare è cumulativo in quanto consente al paziente, in maniera affettiva e cognitiva, di far uso del presente ricordato per costruire, con il terapeuta, un passato ricordato autentico. Dato che anche la capacità di fare esperienza in maniera sicura di un conflitto interno viene accresciuta, il potenziale per la risoluzione di un conflitto viene a sua volta facilitato. Verità e Discontinuità della Coscienza Sebbene la coscienza sia discontinua, nella vita di tutti i giorni non si è soggetti alla consapevolezza, potenzialmente disgregante, di questa discontinuità a causa della necessaria illusione che la maschera. L’Illusione di una Continua Unitarietà del Sé è generata dalla capacità evoluzionistica della mente di radicare la coscienza in una delle configurazioni di stati del Sé che risultano più adattive in quel momento. Tali elementi sono stati definiti da Mitchell (1991) come diverse versioni della persona che incorporano conformazioni attive di esperienza e di comportamento, organizzate intorno a un particolare punto di vista, un certo senso si sé, un modo di essere, le quali sostengono l’ordinario senso fenomenologico che noi abbiamo di noi stessi come persone integre. La sensazione di un senso di Sé unitario è un imperativo esperienziale che stabilizza la struttura di stati del Sé del funzionamento mentale facendo esperire la rete degli stati della mente come continua, e la transizione tra stati naturale e semplice. Ogni stato, “vero” per il Sé a cui appartiene, è capace di sentirsi relativamente indipendente, sentendosi simultaneamente continuo con un’esperienza sovraordinata di “me”. Sebbene la Verità sia un fenomeno che serve a sostenere il bisogno soggettivo di ogni stato di sentirsi legittimato senza essere destabilizzato dall’alterità, bisogna comunque considerare che essa è stato-dipendente, come la memoria. In trattamento, il coinvolgimento interpersonale consente una negoziazione tra stati del Sé sempre maggiore, che a sua volta permette all’esperienza stato-dipendente di ogni specifica verità di cedere un po’ della sua sovranità a favori di un’esperienza Sé-altro più flessibile. La Prospettiva sulla Natura della Realtà di Bromberg si basa allora sulla considerazione che la realtà di cui fa esperienza uno stato del Sé sarà coerente o incompatibile con la realtà degli altri stati nella misura in cui è presente/assente una protezione dissociativa rispetto alla disregolazione affettiva. In quest'ottica la crescita terapeutica di un paziente dipende dal facilitare la co-costruzione negoziata di uno spazio transizionale in cui la questione di oggettivo/soggettivo e vero/falso perda il suo significato. Reti Neurali e Reti di Stati del Sé Uno dei motivi per cui la crescita terapeutica richiede molto tempo è che l’organizzazione di stati del Sé della mente è collegata all’organizzazione cerebrale di Reti Neurali, intese come gruppi di neuroni che scaricano contemporaneamente e sono collegate per formare una comunità di connessioni neurosinaptiche. Fino a quando lo stesso gruppo di neuroni di una comunità neurosinaptica continua a scaricare insieme, sarà difficile per un nuovo gruppo di neuroni connettersi in quella comunità apportando nuove informazioni alla rete. Sebbene parte dell’adattamento darwiniano del cervello dipende dal fatto che venga consentito alle reti neurali di espandersi attraverso l’uso di nuove informazioni, vi è sempre una Battaglia tra Regolarità e Variazione. In quest'ottica la Stabilità, intesa come la sopravvivenza per mezzo della regolarità, ha una priorità evoluzionistica uguale, e spesso anche maggiore, a quella della Crescita, basata sulla sopravvivenza per mezzo della variazione, il che richiede che la verità di una rete neurale e la verità di uno stato del Sé lavorino insieme per prevenire che nuove informazioni mettano alla prova la stabilità del funzionamento della mente/cervello. Il cervello a sua volta utilizza il processo della normale dissociazione per inibire regolarmente la consapevolezza simultanea disadattiva di stati del Sé discrepanti. In situazioni improvvise, cariche affettivamente, possono crearsi delle condizioni che divengono traumaticamente discrepanti per gli stati del Sé, e il tentativo di contenerle simultaneamente nella coscienza innesca una dissociazione difensiva, in special modo quando il tentativo di negoziazione tra le verità di stati del Sé è connessa all’attaccamento. Il Trauma Evolutivo-Relazionale, il quale fa parte del processo di modellamento dei precoci pattern di attaccamento e determina i Modelli Operativi Interni, da intendere come memorie procedurali che organizzano il Sé nucleare e il suo grado di vulnerabilità alla destabilizzazione, è parte dell'esperienza passata di tutti i soggetti ma in alcuni pazienti può condurre ad una struttura mentale dissociativa che si è impossessata de funzionamento della personalità e della vita mentale. La Rigidità di tale struttura sarà poi maggiore se uno degli stati separati che ne derivano è profondamente organizzato attorno al Sé nucleare connesso all’attaccamento, e il trauma minaccia di violarlo. In questi momenti, la minaccia di destabilizzazione affettiva porta con sé una potenziale crisi d’identità, in cui la mente è sopraffatta dall’improvvisa estraneità, la quale rende il soggetto estraneo a se stesso e conduce ad una follia reale. L'assenza di un pensiero riflessivo e l'utilizzo della memoria procedurale attivano quindi una risposta dissociativa, la quale rappresenta, utilizzando le parole di Puntnam (1992), la fuga quando non c'è via di fuga. Come sottolineato dalla Teoria del Darwinismo Neurale di Edelman (2004) la presenza di nuovi tipi di interazioni consce e non consce con altre menti può portare a modificare le scariche sinaptiche, creando nuove connessioni accidentali e serendipiche. Sarebbe questo l'effetto neurobiologico di quello che Freud descriveva come insight. A livello psicodinamico una sempre maggiore negoziazione dello stato del Sé crea un aumento terapeutico alla tolleranza dell’affetto e diminuisce la paura della disregolazione, rinforzando la capacità delle reti neurali di accettare nuove informazioni e consolidando la capacità della mente di contenere e risolvere il conflitto interno. Ma il ripristino della coerenza tra stati del Sé è possibile solo quando gli stati multipli di ogni partner possono abbandonare un po’ delle loro verità individuali e riconoscere l’alterità come qualcosa si più che un “non-me”. Conflitto, Rimozione, Resistenza La dissociazione come normale funzionamento mentale agisce in dialettica con il Conflitto Interno. Essa è volta ad assicurare che la versione della verità contenuta da un certo stato de Sé sia rispettata, assicurando al tempo stesso che ogni stato possa facilmente avere accesso agli altri stati portatori di versioni discrepanti, consentendo a un individuo di far esperienza del conflitto interno e impegnarsi nella sua risoluzione. Ma, poiché la dissociazione può anche essere un mezzo per assicurarsi proattivamente la stabilità del Sé preservando la mente dal fare esperienza di un caotico affetto traumatico, essa non è semplicemente un modo diverso per riferirsi al concetto di rimozione. La Rimozione si riferisce a un processo volto a negare un contenuto mentale che può portare a uno spiacevole conflitto intrapsichico. Ma un conflitto può anche essere insostenibile per la mente. Quando si verifica questo, la dissociazione non funziona in dialettica con il conflitto, ma mostra il suo segno attraverso l’alienazione del paziente da aspetti del Sé incompatibili con il “me” di cui sta facendo esperienza in quel momento. Per questo in quelle aree in cui la naturale dialettica tra conflitto e dissociazione è compromessa, o interrotta, le interpretazioni del conflitto sono inutili. La Resistenza si verifica non solo verso specifici contenuti dell’inconscio, ma anche verso l’esistenza di un altro (non-me) da cui i fenomeni inconsci vengono sentiti provenire. Lo scopo della psicoanalisi può essere concettualizzato come la formazione di una relazione interna collaborativa con un aspetto della psiche che viene chiamato da Rather (2001) l’Altro Inconscio, identificabile anche in quello che Bromberg definisce come "non-me". E' quindi fondamentale, come sostenuto anche da Philips (1993), che la relazione analitica si focalizzi sul processo e non solo sul contenuto, in quanto è grazie a questa attenzione che si giunge ad illuminare non solo quello che è nascosto, ma primariamente quello che è assente nel paziente. Sicurezza e Rischio Ogni coppia paziente-terapeuta deve trovare il giusto Equilibrio tra Sicurezza e Rischio. Più la comunicazione del terapeuta è basata sulla condivisione della sua esperienza soggettiva perché vuole venirne a conoscenza, piuttosto che volere che abbia un impatto predeterminato sulla mente del paziente, più verrà percepita come affettivamente onesta e con più facilità il paziente risponderà in maniera simile. La fonte dell’azione terapeutica in psicoanalisi è la sintesi di un coinvolgimento interpersonale affettivamente vivo con gli stati del Sé continuamente mutevoli che organizzano il mondo oggettuale interno del paziente e del terapeuta. Questo si verifica in maniera più efficace durante interazioni interpersonali spontanee libere. La novità interpersonale è ciò che consente al Sé di crescere, perché è un imprevisto per entrambi ed è organizzato da quello che sta accadendo tra due menti, non appartenendo a nessuno dei due. Il processo di reciproco coinvolgimento attivo con lo stato della mente dell’altra persona consente alla percezione de Sé del paziente nel qui e ora di condividere la consapevolezza con l’esperienza di narrative del Sé incompatibili e dissociate. Questo processo porta a quello che si potrebbe chiamare Internalizzazione Terapeutica dell’Alterità. Quando le esperienze interpersonali sono sicure ma non troppo, la permeabilità del confine Sé/altro viene accresciuta, ed è attraverso la novità e la sorpresa di questo processo reciproco che prende forma l’azione terapeutica, la quale può rivelarsi come quello che facilita i miglioramento di spontaneità e flessibilità della struttura di personalità che deriva da un’analisi. In un processo clinico Interpersonale/Relazionale la fonte primaria dell’azione terapeutica è la relazione, non qualcosa creato attraverso di essa. Con il progredire dell’elaborazione congiunta delle comunicazioni dissociate tra stati del Sé, il paziente diventa sempre più capace di organizzare, sul piano interpersonale e tra stati del Sé, quello che sente come eccessivo, senza interrompere le interazioni spontanee nel qui e ora, le quali includono delle sorprese sicure. Viene così creato un circuito a feedback tra una maggiore spontaneità e una ridotta paura della disregolazione che consente alle aree dissociate del trauma evolutivo di essere rivissute nel momento come parte di una relazione di cura umanamente imperfetta che libera il suo mondo oggettuale interno dalla prigionia. Il cervello riduce il suo innesco automatico della dissociazione, e la mente sostiene il crescente sviluppo dell’intersoggettività, facilitando il potenziale del paziente di sostenere e risolvere il conflitto interno. Gli enactment, nella misura in cui riportano in vita aspetti del trauma evolutivo all’attaccamento, attivano il sistema della paura, ma una buona relazione analitica fornisce un atto premuroso, autoriflessivo e coinvolto che non proteggerà costantemente la sua verità preservandola come autoevidente. È questa combinazione paradossale che consente a qualcosa di nuovo di emergere e di avere un impatto su mente e cervello. Stati del Sé che incarnano verità nascoste dietro il loro isolamento diventano capaci di comunicare con altri stati perché le loro verità non sono a rischio. Dato che ora spontaneità e sicurezza possono coesistere, le sorprese sicure incoraggiano lo sviluppo di un canale intersoggettivo di comunicazione. La sicurezza di un paziente nella relazione è modellata dalla disponibilità di ogni partner a lottare in ogni momento con l’esperienza dell’altro, ed è attraverso l‘autentica reciprocità di questi incontri che paziente e terapeuta sono in grado di fare un uso terapeutico delle loro collisioni affettive di Verità Personali. Dato che Bromberg afferma che la Reciprocità Genuinità fa Chiasso, in cui il Chiasso è rilevabile in ogni esperienza di differenza tra soggettività che aumenta il livello di disarmonia affettiva, per quanto tenti di essere non intrusivo, il terapeuta non può evitare che il “rumore" interpersonale diventi talvolta troppo forte. Quello che è importante è che i pazienti sentano in maniera continua lo sforzo di essere con loro e lo sforzo di tenere a mente la loro paura e vergogna dissociate. In quest'ottica è la continuità dell’essere che viene percepita, in special modo durante condizioni avverse, e fornisce sicurezza. L’onestà affettiva è raramente comunicata per mezzo del contenuto o del linguaggio, ma essa viene principalmente comunicata attraverso un legame relazionale che sia mediato neurobiologicamente dalla condivisione di stati tra emisferi destri, implicando il sentimento di unità Sé/altro che avviene quando l’alterità diventa parte del Sé, una qualità speciale di relazionalità umana che renda conto del perché un terapeuta che è “sicuro ma non troppo” corre un rischio che il paziente è disposto ad assumersi. Winnicott (1958) ha descritto il processo evolutivo che conduce alla Capacità di Essere Solo, elemento che necessita della presenza di un altro e che si sviluppa attraverso l'Internalizzazione del Legame Relazionare. Per lo sviluppo di tale elemento sono necessari momenti di assenza della perfetta armonia, seguiti però dalla possibilità di Riparabilità, la quale prevede la partecipazione attiva di entrambi i partner. Secondo Bromberg la capacità di essere solo, consente al paziente di utilizzare questa esperienza in due situazioni: - quando è realmente da solo, consentendogli finalmente di sperimentare un senso di integrità e di gioia prima impossibili da pensare; - quando è con il terapeuta, grazie all'accresciuta sensazione di poter controllare attivamente le relazioni attraverso l'efficacia personale, la quale non risulta più compromessa dall'ombra dello tsunami. Visto che però questa capacità del paziente non viene prima condivisa con il terapeuta, il quale rimane quindi allo scuro di ciò che sta avvenendo nella relazione, quando il paziente decide di mostrarla, attuando quello che può essere visto come un cambio delle regole della relazione, il terapeuta si troverà in quella fase che Bromberg definisce come Barcollare e Aggrapparsi in cui, persi i punti di riferimento e la familiarità con la mente del paziente, si crea una dissociazione che porta allo sconnettersi affettivo dei due membri, con il terapeuta che rimane alla ricerca, dentro la sua mente, di qualche idea che potrebbe essere vera. Questo sfasamento, se non accettato per troppo tempo, crea a sua volta un terreno fertile per una collisione tra verità soggettive, ed è proprio grazie alla negoziazione relazionare di queste collisioni che si può giungere ad una crescita più autentica ed ampia. Claudia Attraverso l'analisi di una seduta del caso clinico di Claudia, Bromberg cerca di mostrare il funzionamento di quanto prima ha sostenuto a livello teorico. Claudia era una paziente traumatizzata e disconfermata nella sua soggettività quando era bambina che, nel corso della vita, era riuscita comunque a costruirsi una propria famiglia, dovendosi però costantemente confrontare con il suo desiderio di iper-controllo sulla figlia, dovuto al fatto che pensava che, se avesse abbassato la guardia, sarebbe successo qualcosa di male. In quella fase dell'analisi Bromberg si trovava ancora ad agire il ruolo di protezione nei confronti di Claudia, nel tentativo di rifiutare una schema materno che la vedeva come non bisognosa di aiuto in quanto priva di difetti (era questo che la madre continuava a dire a Claudia da bambina, mettendola a confronto con il fratello bisognoso in quanto disabile). La seduta che Bromberg descrive inizia con una telefonata della paziente in cui dice al terapeuta che non l'ha trovato ma che comunque non è il caso di richiamarla perché si sarebbero visti alla sera. Durante la seduta Claudia racconta che la telefonata era legata al fatto che nella notte aveva avuto nuovamente un'esperienza di dissociazione, con la perdita della vista dall'occhio destro, a cui però aveva saputo reagire. Parlando di sua figlia Claudia arriva poi a definirsi come "nonna", e spiega questo termine dicendo che si sente così in quanto ha già fatto da mamma a se stessa. Inoltre riferisce a Bromberg che la telefonata aveva l'obiettivo di fare in modo che lui la richiamasse, e che questo lui doveva saperlo. Tali elementi, imprevisti per l'analista che non la credeva ancora così capace di giocare con il proprio pensiero e di non sentirsi inondata dalla paura dissociativa, portano Bromberg a ricercare nella propria mente qualcosa da dire per uscire da questo caos in cui non riconosce la mente della sua paziente. E' però stato solo grazie alla sua apertura verso Claudia, condividendo con lei quello che sentiva, quindi il fatto che non sapeva che fare e che era destabilizzato, che si è riusciti a creare un inconscio condiviso, utile per riflettere su quale messaggio si nascondeva dietro alla telefonata di Claudia. Entrambi, analizzando le proprie sensazioni riguardo questi elementi, riuscirono quindi a comprendere che il messaggio non detto che stava dietro alle loro comunicazioni riguardava il desiderio di Claudia di veder riconosciuta come legittima l'urgenza del suo bisogno e che entrambi necessitavano di creare uno spazio in cui la mente dell'altro non fosse più vissuta come aliena, giungendo allo sviluppo dell'intersoggettività che è elemento cardine del processo psicoanalitico. Un'Ultima Parola sulla Relazionalità Umana Lo sviluppo di una capacità matura di Regolazione Affettiva si appoggia sull'utilizzo della naturale dialettica tra Autoregolazione e Regolazione Relazionare. In quest'ottica la funzione dello psicoterapeuta è quella di co-partecipante al processo di regolazione, il quale deve prevedere lo sviluppo di una piacevolezza negli incontri con l'altro. Nel processo terapeutico quindi, secondo Bromberg, bisogna essere in grado di non aggrapparsi ai concetti di verità e realtà oggettiva per superare la paura dell'ignoto, ma conquistare una sicurezza che deriva dalla relazionalità umana, basata sulla capacità di stare con il paziente con un atteggiamento di disponibilità a "trafficare" con le proprie personalità, giungendo a dei profitti condivisi. CAPITOLO VI - SE QUESTA E' TECNICA, SE NE TRAGGA IL MAGGIOR VANTAGGIO POSSIBILE! Parafrasando la frase attribuita nella rivoluzione a Patrick Henry "se questo è tradimento, se ne tragga il maggior vantaggio possibile", Bromberg introduce il tema della Critica alla Tecnica Psicoanalitica Classica. Partendo dalla considerazione secondo cui la fonte di azione tecnica è la relazione, egli considera come la Posizione d'Ascolto rappresenti l'elemento su cui gli analisti cercano di tenere in equilibrio il lavoro clinico con i pazienti. Secondo la Psicoanalisi Classica, di impostazione freudiana, la mente dell'analista viene vista come uno strumento per analizzare, elemento che richiama il tentativo di comprensione del paziente attraverso la tecnica, fatta da un insieme di regole, più o meno rigide, utili per vedere ciò che è nascosto all'interno dell'inconscio del paziente. Tale tipo di ascolto non permette però un'apertura verso l'indagine diadica, ma influenzerà il modo in cui l'analista concettualizza quello che ascolta e quello che sta facendo. Anche lo stesso concetto di Attenzione Liberamente Fluttuante, creato da Freud (1912) rischia di portare l'analista ad una valutazione relativa unicamente al contenuto, e non al contesto in generale, e attiva l'innegabile tendenza umana, sottolineata da Pine (1988), a costruire un senso e ordinare le informazioni che riceve. Questi due elementi, quindi la Tecnica e l'Attenzione Liberamente Fluttuante, sono quindi diventati una versione discreta di due componenti del lavoro clinico, relativi a come ascoltare e cosa fare. Rispetto invece alla Psicoanalisi Interpersonale/Relazionare, già dal libro "Le Relazioni Oggettuali nella Teoria Psicoanalitica" di Greenberg e Mitchell (1983), la posizione d'ascolto si basa sulla sintonizzazione dell'analista su com'è per lui stare con il paziente e viceversa, cercando, attraverso una considerazione percettiva del contesto relazionare generale, di creare una comprensione consensuale che permetta, attraverso le negoziazioni e le collisioni, di generare gli elementi cognitivi e linguistici comuni. L'Inconscio Relazionale Come sostiene Bromberg, in una relazione analitica è impossibile districare quello che è personale da quello che è professionale. In quest'ottica in un Trattamento Psicoanalitico Ottimale il viaggio dei due soggetti deve alla fine diventare una strada comune che co-crea stati del Sé "non-me" non pensabili in eventi qui e ora agiti e vissuti sul piano interpersonale, così che diventino parte delle configurazione sovraordinata del “me” del paziente. È solo allora che gli aspetti del Sé congelati del paziente cesseranno di essere un mistero, e questo grazie al fatto che la reazione analitica cessa di essere un mondo fatto di cerimonie e di altre recite. Il processo non lineare di collisione e negoziazioni fra gli stati del Sé del paziente e del terapeuta incoraggia lentamente il riconoscimento degli aspetti dissociati reciproci ma, dato che gli enactment sono così vivi sul piano percettivo, sono anche così imprevedibilmente caotici che si definisce l’esperienza del terapeuta come Barcollare e Aggrapparsi. Ciò significa che se il terapeuta non sente, in maniera personale, l’impatto delle parti dissociate del Sé nel paziente che stanno tentando di trovare un’esistenza relazionale, e se non vi reagisce personalmente, gli stati dissociati del Sé del paziente sono derubati dalla possibilità di un contesto umano in cui essere riconosciuti e prendere vita. Importante, per Bromberg, è anche considerare il concetto di Terzietà di Benjamin (1998), secondo cui la relazionalità umana richiede la capacità di comunicazione intersoggettiva per rendere possibile la capacità di andare oltre alla polarizzazione di Sé e altro. In questo modo si sviluppa uno spazio mentale transizionale e il riconoscimento della soggettività dell’altro diventa raggiungibile attraverso la negoziazione. Lo sviluppo dell’intersoggettività dipende quindi dal fatto che un individuo sia in grado di fare esperienza dell’altro come qualcuno che, in un modo o nell’altro, lo tiene a mente in maniera amorevole, piacevole, odiosa o sconcertante, solo per nominarne alcuni. Durante il trattamento questo sviluppo si basa sulla reciproca responsività verso un campo dissociativo condiviso, in cui il riconoscimento della dissociazione nel funzionamento mentale di entrambi facilita l’aumento della permeabilità degli stati del Sé man mano che vanno inciampando lunga la via, co-creando un inconscio relazionale. Un sostegno diretto alla necessità di abbandonare la tecnica deriva dalla considerazione secondo cui ogni volta che il paziente ed il terapeuta possono avere ognuno accesso a condividere apertamente le loro esperienze affettive dissociate di qualcosa che sta avvenendo tra loro, quindi un qualche aspetto non simbolizzato cognitivamente della loro esperienza reciproca, percepito ma non pensabile, il processo di condivisione di stati con cui questo avviene inizia ad ampliare il dominio e la fluidità del dialogo. Questo a sua volta, porta a integrare e a rendere sempre più complesso il contenuto che viene simbolizzato linguisticamente, diventando così disponibile all’autoriflessione e alla risoluzione del conflitto. La realtà soggettiva degli stati di consapevolezza non simbolizzati del paziente, e specialmente l’esperienza che il paziente fa del terapeuta, devono essere sentiti e riconosciuti dal terapeuta. Quest’ultimo aspetto consiste in un processo di condivisione della sua esperienza personale nel qui e ora, mentre mantiene aperto l’accesso allo stato del Sé da cui si originata. Questo è il continuo e doloroso sforzo del terapeuta di lottare con l’imprevedibile processo della condivisione dell’esperienza mutevole dei suoi stati del Sé che rappresenta il contributo più grande alla crescita del paziente. Se si può parlare di una Tecnica Analitica Interpersonale/Relazionale, questa, secondo Bromberg, si trova principalmente nella capacità del terapeuta di negoziare e rinegoziare, lungo il corso dell’analisi, il significato di quello che costituisce un utile condivisione di stati. Dal punto di vista filosofico, i concetti prima espressi prendono due Spunti dalla Gestalt: - teoria del campo, che sottolinea la centralità della percezione come fenomeno in grado di organizzare la cognizione; - bisogno di guardare ai fenomeni non comprensibili, come la crescita della personalità, specificando le condizioni necessarie e sufficienti per far si che si verifichino, senza cercare un percorso lineare di causa-effetto. Inoltre la Mayer (2007) considera il fenomeno dell'intersoggettività attraverso il concetto di Esperienze Anomale, intese come percezioni veritiere non compatibili con quanto può essere definito come razionale. Tali esperienze vanno quindi a sottolineare il necessario Riconoscimento della Perdita, secondo cui paziente e terapeuta devono condividere la possibilità di sospendere il pensiero razionale mantenendo una sicurezza affettiva basata sull'attaccamento procedurale, e l'Accettazione del Paradosso, quindi la tolleranza rispetto a due modi totalmente diversi di fare esperienza di se stessi senza ricorrere alla dissociazione. Per giungere a questo punto è necessario, sempre secondo la Mayer, un Invito, inteso come la presenza di un altro coinvolto, con cui è possibile la condivisione dello stato mentale secondo cui si è parte di un tutto. Risulta inoltre necessaria la Capacità di Restare negli Spazi tra stati del Sé, la quale è elemento fondamentale dell'intersoggettività umana. Coda In chiusura del capitolo, citando un episodio in cui Meehl, forte sostenitore dell'evidenza empirica in psicologia clinica, fa notare come la ricerca non possa informare "in nessun modo" la pratica clinica, Bromberg sottolinea quanto la tecnica sia un elemento inutile, e a tratti fuorviante, del lavoro con il paziente. L'invito è quindi ad imparare più cose possibili sui modi per fare psicoterapia, a patto però di dimenticarle quando ci si trova con il paziente. CAPITOLO VII - PAROLE "DA ADULTI". UNA PROSPETTIVA SULLE FANTASIE INCONSCE Il concetto di Fantasia Inconscia, creato da Freud in una lettera a Fliess del 1897 e ripreso successivamente dalla Klein, rimanda alla considerazione che vi siano degli spazi mentali nell'essere umano dominati da uno scenario inconscio che viene ripetuto nella propria vita, anche a prescindere degli eventi e delle relazioni reali. Se per Freud tali fantasie aveva una funzione di appagamento di desiderio ed erano la base della psicopatologia, per Melanie Klein esse erano interpretabili come necessità evolutive potenzialmente trasformative, e fornivano la base per la creatività. Seconda Bromberg e Grotstein (2004) tale concetto perde però la sua importanza nella psicoanalisi interpersonale/relazionare, in quanto ogni interpretazione dell'analista può essere rivolta solo alle fantasie consce del paziente, in quanto quando esso arriva a verbalizzarle hanno perso la loro caratterizzazione inconscia, ed inoltre la stessa concettualizzazione di fantasia inconscia non può essere vista nel suo carattere di contenuto ma in quello di processo. Secondo questa logica, per Bromberg, i pazienti sono le loro fantasie inconsce e le vivono nell'atto della psicoanalisi. Come sottolineato da Lyons-Ruth e dal Boston Change Process Study Group (2001), l'azione psicoterapeutica deve quindi essere vista come una forma più collaborativa, inclusiva e coerente di dialogo tra i due partner terapeutici, cercando di giungere ad un cambiamento dettato dal processo relazionare di esplorazione del contenuto più che dalla scoperta di nuovi contenuti. Il Conoscere Relazionare Implicito del paziente sarà quindi costantemente mutevole durante il corso dell'analisi e la determinazione di ciò che è coscio/inconscio varierà in base a quale Sé del paziente detiene in quel momento il controllo. Non è possibile allora distinguere tra realtà e fantasia, in quanto ciò che per una parte è accessibile e considerabile come reale, può non esserlo per le altre. Fantasia e Realtà Il "Webster Unabridged Dictionary" (1983) da tre definizioni del concetto di Fantasia dal punto di vista psicologico: - immaginazione; - un'immagine mentale irreale o illusoria; - un'immagine mentale, come quelle che si verificano nei sogni da sveglio, che possiede una forma di coerenza. Tutti e tre questi significati rimandano ad elementi consci, quindi sostenere l'esistenza di una Fantasia Inconscia mina una delle caratteristiche basilari del concetto di fantasia, creando inoltre aspettative irrealistiche, relative al trovare qualcosa che funziona come una fantasia ma è inconscio, rispetto al processo psicoanalitico. Secondo l'Approccio Psicoanalitico Interpersonale/Relazionare, il quale si basa sulla considerazione degli Enactment come eventi intrapsichici agiti nel contesto interpersonale, quello che sembra lo sviluppo dell'insight e la scoperta di una fantasia inconscia non è altro che l'emergere nel paziente di funzioni di autoriflessività in aree dell'esperienza in cui prima era negata la riflessione e che consentiva unicamente lo sviluppo di enactment affettivi e subsimbolici. Il concetto di Fantasia Inconscia può comunque essere mantenuto, a patto che però venga considerato come un'esperienza dissociata co-costruita e non come un pensiero simbolizzato rimosso. Compito del terapeuta sarà quindi quello non di interpretare unicamente i contenuti verbali del paziente ma, come sostenuto anche da Fonagy (1993), quello di fornire una ri-rappresentazione che rifletta la soggettività dell'analista e del paziente stesso. In breve si può sostenere che, attraverso una corretta rilevazione e verbalizzazione degli stati del Sé, siano essi "me" o "non-me" dell'analista, egli può mostrare la sua rappresentazione della rappresentazione del paziente, consentendo quindi lo sviluppo di uno simbolizzazione dell'esperienza emotiva e degli stati mentali. In definitiva perché la percezione, elemento cardine dell'enactment, generi un atto di significato deve essere costruito un contesto relazionare che contenga la realtà dell'analista e del paziente, in modo che entrambi possano giungere ad un ri-integrazione degli stati del Sé dissociati. La Mente Umana come un Sistema di Organizzazione del Sé Configurato Relazionalmente Secondo Bromberg il Funzionamento della Personalità, sia esso normale o patologico, è da intendere come una riorganizzazione continua e non lineare di configurazioni di stati del Sé. Questo processo è mediato a livello cerebrale da una dialettica continua tra dissociazione e conflitto. La dissociazione normale, un meccanismo cerebrale ipnoide intrinseco al funzionamento mentale quotidiano, assicura che la mente funzioni in maniera più creativa possibile, selezionando una qualsiasi configurazione di stati del Sé più adattiva in quel momento. Quando la dissociazione viene arruolata come difesa contro il trauma, il cervello utilizza la sua funzione ipnoide per limitare la comunicazione tra stati del Sé, isolando così la stabilità mentale di ogni stato separato. La continuità del Sé è così preservata all’interno di ogni stato, ma viene sacrificata la coerenza del Sé tra stati e sostituita da una struttura mentale dissociativa che preclude la possibilità di un’esperienza conflittuale. Clinicamente, il fenomeno della dissociazione, giunge maggiormente in soccorso durante gli enactment, richiedendo un’attenta sintonizzazione da parte del terapeuta verso cambiamenti affettivi non riconosciuti nei suoi stati e in quelli del paziente. Attraverso l’elaborazione cognitiva congiunta degli enactment messi in atto interpersonalmente e intersoggettivamente tra le esperienze "non-me" di entrambi i soggetti, gli stati del Sé sequestrati del paziente diventano vivi come un presente ricordato che può ricostruire affettivamente e cognitivamente un passato ricordato. Dato che la capacità di fare esperienza in maniera sicura del conflitto viene accresciuta, viene accresciuto anche il potenziale per la risoluzione del conflitto. La psicoanalisi deve fornire un’esperienza percettivamente differente dalla memoria narrativa del paziente, dato che i dati percettivi discordanti devono poter riorganizzare strutturalmente la narrativa interna per far sì che la psicoanalisi sia una cura parlata genuina. In quest'ottica è la relazione paziente-terapeuta a essere condotta dentro il racconto della narrativa, e con il procedere dell’analisi è la relazione stessa che ricapitola aspetti della narrativa agiti nel qui e ora. La cornice della vecchia narrativa del paziente viene ampliata fornendo un’esperienza interpersonale che seppur fortemente familiare è percettivamente diversa. L’enactment è il principale medium percettivo che permette questo cambiamento. Le narrative ampliate e validate consensualmente contenenti esperienze ed eventi delle configurazioni Sé/altro precedentemente escluse, ora iniziano a essere costruite perché questi eventi e esperienze non sono semplicemente un modo nuovo di comprendere il passato, ma contengono una nuova simbolizzazione della realtà percettiva. Mentre la simbolizzazione cognitiva e linguistica sostituisce la dissociazione come dispositivo di sicurezza per la stabilità del Sé del paziente, l’aumentata autoriflessività accresce l’illusione di qualcosa che sta emergendo, qualcosa che si è sempre saputo ma si era respinto. Quindi, se si ipotizza l’esistenza di un qualcosa che può essere chiamato Fantasia, è essenziale accettare l’idea che non è una fantasia posseduta da una persona, ma il contrario, quindi è la persona a essere posseduta dalla fantasia, da intendere allora come un’esperienza “non-me” a cui è negata una simbolizzazione narrativa all’interno del Sé. PARTE QUARTA IL TRAGUARDO DELL'INTERSOGGETTIVITA' CAPITOLO VIII - "THE NEARNESS OF YOU". UNA CONCLUSIONE PERSONALE Bromberg inizia questo capitolo conclusivo sostenendo l'importanza della lettura e del fatto che vi sia un'interazione affettiva tra gli stati del Sé dello scrittore e del lettore la quale consenta, così come nella relazione psicoanalitica, un'alterità in cui l'altro non è sentito come "altro da te" ed in cui un soggetto possa utilizzare gli stati del Sé di un'altra persona come se fossero i suoi. In un Qualche Modo lo So Se i termini di sapere e non sapere sono facilmente comprensibili, la concettualizzazione del Sapere in un Qualche Modo, da intendere come consapevolezza ottenuta tramite l'assenza di un contesto cognitivi nel dialogo affettivo tra emisferi destri, è più complessa. Questo processo, il quale utilizza la dissociazione nelle sue componenti adattive, permette ai confini Sé/altro di diventare sufficientemente permeabili da facilitare la transizione verso il sapere. L'accesso a questo stato consente inoltre di fare esperienza del conflitto intrapsichico tra sapere e non sapere, e quindi tra "me" e "non-me", così da trattenerlo come stato mentale abbastanza a lungo da poter riflettere su cosa fosse e, quindi, simbolizzarlo cognitivamente. Il Traguardo dell'Intersoggettività Come sostenuto da Mary Tennes (2007), l'Esperienza di Incertezza è un elemento fondamentale dell'intersoggettività in quanto consente l'accesso a realtà per le quali non si possiede un linguaggio ed un contesto. Come già accennato da Freud con la nozione di Transfert, e come successivamente ampliato da Mayer (1996) e da Altman (2007), le persone sono capaci di ottenere informazioni da fonti remote senza avere nessuna forma di contatto convenzionale con la fonte di informazione. Nel futuro della ricerca in psicoanalisi si prospetta quindi la possibilità di un approfondimento, attualmente assente, di quelle capacità della mente che trascendono quello che si conosce come realtà e dei modi soggettivi di influenzarla. Il Traguardo della Guarigione Per spiegare il concetto prima espresso, Bromberg utilizza una propria esperienza personale. Nel commento di Cavitch (2007) sul suo libro "Destare il Sognatore", tale autore mostra come il fatto che Bromberg abbia cambiato la punteggiatura, elemento cardine della sua letteratura, di uno scritto della Dickinson sia interpretabile come la partecipazione congiunta ad un enactment dissociativo tra Bromberg e la scrittrice stessa. Questa riflessione, fatta senza un significato accusatorio e denigrante, ha permesso a Bromberg di accedere ad un esperienza dissociata, relativa alle critiche subite da un professore quando era dottorando in letteratura inglese, e di integrarla in un processo soggettivo attraverso la presenza di un contesto relazionare in cui era considerato come persona. Questo esempio serve a comprendere come qualcosa che si sa in qualche modo possa divenire un elemento conosciuto attraverso la rivisitazione dello scenario traumatico originario in un contesto che permetta all'evento di diventare parte della realtà che definisce il proprio senso del Sé. La Mosca del Tartufo Utilizzando l'analisi del testo "The Fly-Truffler" di Sobin (1999), il quale racconta la storia del protagonista Cabassac che, dopo la morte della moglie Julieta, perde la capacità di comprendere il confine tra sogno vigile e realtà ed abbandona ogni attività pratica tranne il cercare tartufi attraverso l'osservazione di dove si trovano le mosche, Bromberg evidenzia che vi sono soggetti in cui il precoce sviluppo dell'intersoggettività non è riuscito ad aver luogo e, in momenti di crisi o di gravi perdite, possono rivelarsi vulnerabili all'incertezza dei confini tra il senso di Sé e l'alterità. La perdita può quindi diventare una minaccia alla continuità del Sé e condurre ad un'ansia da annichilimento. L'assenza di un altro reale o immaginato, da intendere quindi come l'interiorizzazione di una figura materna distinta da Sé, non ha quindi permesso a Cabassac di utilizzare l'altro per condividere ciò che sentiva e lo ha condotto in un progressivo ritiro autistico in sé, in quanto la realtà rischiava di disintegrare il confine tra Sé ed oggetto. Questo testo mostra però anche come le donne della Provenza si prendano cura dei bachi da seta, trattandoli come figli e cercando di preservarli da esperienze eccessivamente traumatiche, come il forte rumore di un temporale, che potrebbe farli smettere di attuare il loro sviluppo. Utilizzando quest'ultima parte come metafora, Bromberg propone quindi la visione di un rapporto paziente-terapeuta come un continuo processo di destabilizzazione il quale, attraverso collisioni e negoziazioni, possa condurre alla comprensione della possibilità dell'altro di contenere l'esperienza interna del paziente. In questo senso viene aggirato il problema della nozione classica di inconscio, il quale è qualcosa che non può essere osservato ma solo inferito, in quanto l'Enactment può rendere "palpabile" questa esperienza, la quale si basa su un processo relazionare dissociato. La capacità di tollerare l'incertezza del "sapere in qualche modo" è dipendente, secondo Bromberg, dalla possibilità di sostenere il diritto di esistere di ciascuna delle proprie parti e dalla presenza di un altro che mantenga nella propria mente la propria esistenza e quella altrui. Il titolo del capitolo è utilizzato in quanto rappresenta il titolo di una canzone di Carmichael e Washington del 1937 in cui, in una strofa che Bromberg considera riassuntiva del concetto di Conoscere Relazionare Implicito, affermano che "non è la dolce conversazione che mi da questa sensazione. E' la tua vicinanza".