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Test di comprensione verbale
TESTO I DISCOTECHE: DIVERTIMENTO E SICUREZZA L'età è, purtroppo, la variabile "dipendente" che non ci consente di conoscere a fondo il mondo delle discoteche. Per noi ultra quarantenni, la tecno, il rap, l'underground sono termini da decifrare. A noi le 'cubiste' possono fare ricordare solo correnti pittoriche moderne, per noi l'ecstasy si realizza in un momento di serenità dopo una giornata intrisa di lavoro e di problemi. Per noi l'alcool vuoi dire ancora un buon novello, Sangiovese o Chianti che sia, a tavola, come diluente su fumanti tagliatelle. Per questo, per tutto questo, non capiamo quel mondo. I giovani, molti giovani, vi sono immersi invece quasi totalmente con tutti i conseguenti problemi per loro e per le loro famiglie. Quel genitore che vede un figlio partire verso le 23 per una discoteca, senza provare apprensione, alzi una mano! Ma perché tanto vivace questa rnigrazione verso gli stabilimenti notturni del divertimento? La risposta è proprio nel concetto di divertimento. E’ fin troppo evidente quanto sia attraente per un giovane la musica, specie se sparata con cannonate di decibel che, per un over 40 - non abituato, possono provocare crisi delirium tremens. Tuttavia è impensabile che il fenomeno discoteche sia solo attivato dalla pur forte attrazione fatale della musica. In realtà il diciottenne, il ventenne, sentono forte la voglia di aggregazione, di compagnia, di stare con le masse, anche solo per non far niente. La discoteca, quindi è ritrovo, incontro, massimo momento di socializzazione (fosse pure solo gestuale nella babele musicale), per una gran parte di ragazzi che non trova oggi valide alternative aggregative. Questo è un fatto. Poi è evidente che la complicità della notte, la voglia di trasgressione fanno il resto. Ma di chi è la responsabilità se oggi per i giovani non esistono in pratica, se si esclude lo sport (ma solo in forma aggregante di tipo spesso violento), altre diverse potenti calamite aggregative? E’ facile rispondere con la solita hit parade delle responsabilità: la famiglia, la scuola, la società ecc. La ricerca della responsabilità, almeno nell'irnmediato, è inutile. Qggi la realtà è questa e con questa si devono fare i conti. E’ fin troppo evidente che gli interessi economici sottostanti il circuito discoteche sono enormi, ma non si può affermare che siano solo i gestori i difensori di questo modello. Al loro fianco, agguerriti, ci sono. anche molti giovani che a centinaia di migliaia sottoscrivono l'appello contro la proposta di legge che limita l'orario delle discoteche e la vendita di alcolici. Che in centinaia in una notte di gennaio di fronte a un fruttuoso blitz della Guardia di Finanza, in una maxi-discoteca del torinese, fra le più grandi d'Europa, occupano un piazzale e si scatenano con le autoradio delle loro macchine, a tutto volume, incuranti dei fatto che nella stessa discoteca siano stati trovati droga e migliaia di biglietti col falso timbro SIAE. I giovani difendono con le unghie il loro diritto al divertimento, a questo tipo di divertimento che noi abbiamo contribuito a costruirgli. E nostro dovere cercare di modificare questo modello, questa concezione esasperata del divertimento, ma i tempi saranno lunghi e il risultato incerto. Oggi dobbiamo assolutamente attivare presidi adeguati, di sicurezza, per una gioventù che troppo spesso brucia le sue delusioni nell'alcool e nella droga, subendo rischi incredibili sulle strade, nel rientro verso la vita normale in albe sempre più grigie. Non possiamo però non rilevare che il sangue sulle strade si versa sette giorni alla settimana e non solo il sabato sera. Quest'aspetto troppo Spesso viene dimenticato. Ben vengano il riordino degli orari delle discoteche, limitazioni nel consumo degli alcoolici, e repressioni severe nell’uso personale di sostanze stupefacenti, consumo che però, è bene ricordarlo, oggi è ammesso da una legge dello stato. Attenzione però, non è affatto scontato che una chiusura anticipata e una sorta di proibizionismo nel consumo di alcoolici risolvano tutti i problemi. La moda dei far tardi non si annulla certo per decreto , potrebbero svilupparsi, sulla scia delle nuove limitazioni di legge, nuovi e pericolosi modelli organizzativi del divertimento come le 'after hour" e i 'rave party", quelle feste private semi clandestine nelle quali lo 'sballo" potrebbe ancor più dilagare, praticamente senza controlli. 'Tuttavia il toccasana rimane la formazione di una nuova e diversa cultura che può partire da oggi, ma riguarderà forse il domani, con un nuovo modello educativo. Oggi, da subito, si possono attivare costanti, continui, severi presidi per la sicurezza della nostra gioventù, all'interno delle discoteche e all'esterno, sulle strade. Ma non con blitz eclatanti e inusuali, bensì con controlli metodici e ordinari. Si dovrà cominciare a pensare finalmente che quella della sicurezza dei giovani nelle discoteche e nelle strade è un'emergenza e corme tale deve essere affrontata. Diversamente la partita sarà persa. I giovani hanno il diritto di divertirsi secondo i loro modelli che noi abbiamo sicuramente contribuito a costruire, noi i responsabili della sicurezza, i politici, la società, abbiamo il dovere di garantire in ogni modo l'ordinato svolgersi delle cose,'il loro ritorno a casa, sani! In attesa di modelli migliori. QUESITI RELATIVI AL TESTO I T011. Il fascino delle discoteche dipende prevalentemente A. B. C. D. E. dalla trasgressione dalla noia della vita quotidiana dalla possibilità di socializzazione dall'assenza dei genitori dai loro orari T012. La disco-music piace perché A. B. C. D. E. non è musica classica è di moda è importata dall'America è ritmata ad alto volume si capiscono bene le parole T013. La chiusura anticipata delle discoteche non basta perché A. B. C. D. E. i giovani cercherebbero nuovi e più pericolosi ritrovi le discoteche aprirebbero prima la musica sarebbe più assordante i giovani protesterebbero le strade sarebbero più affollate T014. Gli incidenti stradali A. B. C. D. E. T015. A. B. C. D. E. avvengono solo il sabato notte avvengono quando il guidatore è mancino avvengono solo il sabato notte avvengono in misura maggiore il sabato notte non avvengono mai di sabato avvengono perché le macchine non sono sicure La sicurezza dei giovani nelle discoteche e fuori è un problema inesistente un problema che ciascuno risolve per suo conto solo un problema di ordine pubblico solo un problema economico un problema educativo e di costume TESTO II LE CONSEGUENZE DELLA PESTE Enorme, fu la mortalità causata della peste nera. Moltissime città europee ne uscirono decimate. (quando però cerchiamo di tradurre questo incontrovertibile dato di fatto in termini numerici e di stabilire con cifre esatte il numero dei morti provocato dall'epidemia, iniziano difficoltà insormontabili. Molte sono infatti le cronache che ci danno dei dati numerici o delle percentuali, ma si ha l'impressione che esse siano esagerate e, mancando in quel tempo ogni tipo di registrazione anagrafica, siano frutto soltanto di impressioni e di stime in eccesso. La cosa si spiega facilmente. L'eccezionale violenza del flagello impressionò moltissimo i contemporanei, alcuni dei quali arrivarono a paragonare la peste allo stesso, diluvio universale. Un cronista irlandese, il francescano Clyn arriva a scrivere: "lo scrivo qui, aspettando la morte, in mezzo ai morti." Nella generale alta mortalità, due fenomeni vanno sottolineati. La peste nera fu una tipica epidemia “proletaria”; vogliamo dire con ciò che essa colpì molto di più l'elemento meno abbiente, e quindi più denutrito, dei ricchi. I ricchi infatti cercavano di sfuggire al flagello rifugiandosi nelle isolate abitazioni di campagna dove attendevano, restando senza alcun contatto con l’esterno, che il morbo terminasse. Altra considerazione da fare è che le più alte percentuali di morti si ebbero tra i conviventi in comunità, soprattutto frati e monache che conducevano vita comunitaria. Limitandoci ad alcuni dati ricorderemo che nel convento fiorentino dei Camaldolesi morirono 21 monaci su 28; nel convento domenicano di S. Maria Novella morirono 80 frati, mentre nel convento domenicano di Bologna i morti furono oltre 110. Alcuni piccoli monasteri e conventi furono poi totalmente svuotati, così che per gli uffici sacri si stabilì, nell'agosto del 348, che potessero esercitarli anche i laici, dato che era quasi impossibile trovare dei monaci o dei frati. Minore fu indubbiamente la moria tra i preti, i quali vengono anzi accusati da molti cronisti di vile e colpevole trascuratezza del loro ministero in tempo di peste. Posti nella scelta di chiudere la maggior parte dei conventi e dei monasteri o di sostituire comunque gli antichi effettivi, molti ordini religiosi scelsero questa seconda strada, a tutto discapito delle qualità intellettuali e soprattutto morali dei nuovi ordinati. Nella seconda metà dei trecento si hanno pertanto molti frati immorali e tanto ignoranti da non saper neppure leggere e scrivere, come ci conferma il capitolo generale dei Domenicani del 1376. Per valutare esattamente le conseguenze più profonde della peste nera sia nel campo dell'agricoltura, sia in quello più sfuggente delle arti e della sensibilità collettiva, è opportuno tener presente che il disastro demografico dei 1348 non solo s'inseriva in una congiuntura già in crisi da alcuni decenni, ma che la peste fece la sua riapparizione nei luoghi già colpiti in cicli distanti tra di loro in media 10-12 anni, e così si ebbe, ad esempio, la peste ancora nel 1360-1363; 1371-1374; 1381-1384 e 1399. Se la peste nera avesse colpito una popolazione sana e ben nutrita, per la nota legge del recupero biologico che si attua dopo ogni calamità epidemica, non sarebbe forse occorso neppure un ventennio per colmare i vuoti demografici provocati dall'epidemia. Invece il ripresentarsi della calamità compromise in modo definitivo il recupero demografico ed accorsero interi decenni, e spesso due o tre secoli, perché le città ricuperassero il numero degli abitanti che avevano alla vigilia della peste nera. Alla diminuzione degli uomini, delle braccia da lavoro, fece riscontro, com'è naturale, quello delle terre coltivate. La peste nera bloccò di colpo e definitivamente quella lenta migrazione agricola che i tedeschi stavano portando avanti da secoli verso i paesi slavi situati ad est; ma ovunque furono abbandonate le terre di più recente bonifica e colonizzazione. Arretrarono ovunque soprattutto i terreni coltivati a cereali e riprese ovunque ad espandersi la boscaglia, la foresta, l'incolto. Altre conseguenze della peste nera sono le trasformazioni di terreni già coltivati a cereali in prateria adatta ai pascoli, l'estendersi notevole della grossa proprietà, l'abbandono quasi costante dell'insediamento sparso e il rafforzamento dei borghi più importanti, il crollo dei prezzi dei cereali, data la diminuita richiesta da parte dei consumatori, e infine un forte rialzo dei salari agricoli, dato lo scarseggiare della mano d'opera contadina, falcidiata dalle carestie e dalla peste. La peste ebbe notevoli riflessi anche sulle città. Non si fonderanno più città nuove, non si amplieranno più le cinte murarie, non si il riuscirà anzi neppure a riempire completamente la superficie urbana incorporata nelle ultime cerchie di mura, progettate ed eseguite tra la fine del '200 e gli inizi del '300, in tempo di ottimismo demografico. Firenze, Perugia, Bologna e decine di altre città non usciranno dal cerchio delle mura trecentesche che alla fine dell'ottocento. La frenesia di vivere che colpì i sopravvissuti al flagello, oltretutto arricchiti dalle eredità dei morti, rimise in auge i generi di lusso, e questo segnò il declino della lana e l'ascesa della seta. Aumentarono poi sensibilmente i salari degli operai inaugurando un intenso, se pur breve, periodo d'oro dei salariato urbano. La classe dirigente, fosse essa composta in prevalenza da nobili redditieri o da borghesi commercianti e artigiani, dopo un primo momento di sconcerto, decise di intervenire con l'aggressivo supporto della legge per porre un limite alla crescita dei salari e per far riprendere a tutti il lavoro nelle città, dato che 'di presente - come nota con una certa acredine il borghese Matteo Villani - ristata la mortalità... il popolo minuto, huomini e femmine, per la soperchia abbondanza che si trova delle cose, non volevano lavorare agli usati mestieri". La peste ebbe riflessi notevoli anche nel campo della religiosità, dell'arte e della letteratura. La peste esasperò la sensibilità collettiva e rese drammaticamente presente il tema della morte, della dissoluzione dei cadaveri. Da qui l'apparire di temi iconografici sostanzialmente alieni dalla concezione cristiana e tradizionale della vita, quali quello del trionfo della morte dalla quale si può fuggire soltanto attingendo alla gloria (è il soggetto, per esempio, dei poemetto petrarchesco I trionft). In pittura si. diffondono le danze macabre, specie di girotondi in cui dame e cavalieri riccamente vestiti si tengono per mano con scheletri o corpi in dissoluzione. Il corpo divorato dai vermi, con le orecchie vuote e le ossa che fuoriescono da brandelli di carte è poi il tema preferito dalla scultura gotico tardo-trecentesca che domina ancora in Europa ed anche nell'Italia padana. Nasce una nuova forma di misticismo che mette in primo piano i rapporti diretti tra uomo e Dio senza l'intermediazione di una gerarchia ecclesiastica che si ritiene in gran parte corrotta e forse causa della peste, intesa in senso medioevale quale una punizione per i peccati degli uomini. Nascono nuove e più insistenti critiche alla Chiesa ufficiale e si chiede con insistenza una riforma dei costumi del clero e un ritorno al cristianesimo evangelico. QUESITI RELATIVI Al TESTO II T021.La peste è. paragonata al diluvio perché A. B. C. D. E. fu di estrema violenza e diffusione si diffondeva coi traffici marittimi colpiva i poveri iniziava all'improvviso risparmiava i più previdenti T022. La qualità dei clero era scaduta perché A. B. C. D. E. si erano chiuse le scuole molti non credevano più molti non ci credevano più la peste colpiva di più gli intellettuali si dovevano sostituire in fretta i morti i costumi erano corrotti T023. Per recupero biologico si intende A. B. C. D. E. il ritorno della popolazione nelle sue sedi il recupero della mortalità dovuta alla peste la ripresa della salute dopo la guarigione l'aumento della disponibilità di cibo l'aumento della produzione agricola T024 I salari aumentarono perché A. B. C. D. E. la manodopera era scarsa i padroni erano terrorizzati i consumi erano calati c'erano meno scambi oltremare si erano organizzate le corporazioni T025. La sensibilità collettiva cambiò perché A. B. C. D. E. la gente si divertiva di più le famiglie erano disgregate era subentrata l'ossessione della morte c'erano molte agitazioni sociali la vita era più difficile TESTO III ARTIGIANATO E ARTE A FIRENZE L'affermazione dell'opera e della personalità dell'artigiano e dell'artista non nascerà tanto da un'astratta e teorica loro rivalutazione, quanto dal riconoscimento del concreto contributo che le arti meccaniche. proprio in virtù del fattore tecnico produttivo, apportano alla vita pratica ed economica prima che culturale della comunità. E questo si verifica in Italia nell'ambito del nuovo ordinamento politico e sociale dei libero Comune, che accoglie e organizza le risposte produttive e stimola e favorisce lo sviluppo delle tecniche. La società comunale diviene anzi gelosa custode delle fonti della sua prosperità, tra le quali le attività artistiche non tardano ad occupare i primi posti. Cellula vitale di questa nuova organizzazione sarà infatti, a partire dalla fine del Duecento e per tutto il Quattrocento, la bottega dei maestro d'arte. Sotto la direzione del maestro, che è anche responsabile unico della sua gestione, la bottega riunisce in sé la pratica delle varie attività artistiche collegate alla pittura o alla scultura. Entrambe sono spesso esercitate di persona dallo stesso maestro (nasce l'eclettismo tecnico), come nel caso dell'Orcagna che usa il vezzo di firmarsi pittore nelle opere plastiche e scultore in quelle pittoriche, o dello stesso Giotto che si occupa, oltre che di pittura, anche di scultura e architettura. Insieme alle opere d'arte, la bottega produce anche lavori a livello artigianale; e questo non solo per il fatto, che essa rappresenta ancora l'unica depositaria delle tecniche produttive, anche dei beni di consumo, ma soprattutto perché tale tipo di prodotti costituisce una cospicua, spesso preponderante parte dei cespiti della bottega. La produzione artistica e artigianale trecentesca documenta d'altronde ampiamente tale molteplice attività della bottega sotto la direzione del maestro cui spetta almeno l'ideazione, il disegno dei vari prodotti, all'esecuzione dei quali provvedono poi in parte gli aiuti e gli allievi. Questi ultimi diverranno a loro volta maestri solo dopo un lunghissimo apprendistato (dieci-dodici anni), durante il quale non è loro consentito eseguire e vendere in proprio. Tali norme, dettate probabilmente anche da motivi economici, divengono una garanzia della serietà della preparazione professionale dell'artista, che acquista una padronanza assoluta dei mezzi tecnici. In tal modo l'allievo, se ha talento diviene un artista cui non difetta il mestiere, se non ne ha resta un ottimo artigiano. L'importanza dell'organizzazione di bottega sta proprio nel fatto che in essa si raccolgono e si sfruttano in perfetto sincronismo i risultati dell'esperienza sia dei mestiere che dell'arte. Così mentre il primo si avvale della qualità del prodotto artistico (oltre che del costante controllo del maestro), la seconda si giova della perizia tecnica frutto del quotidiano esercizio nella produzione artigiana. E’ nella bottega d'altronde che si opera la prima selezione sulla base del talento, e che si concreta per la prima volta e si dimostra il valore individuale dell'artista, per cui il prestigio personale, il 'nome" del maestro divengono la maggiore garanzia della bontà del lavoro e insieme la giustificazione del suo costo. L'antica aspirazione al riscatto dell'attività artistica dalle arti meccaniche, sarà raggiunta tuttavia soltanto nel pieno Rinascimento con l'affermazione del nuovo concetto filosofico di arte. Ciò che viene ora a distinguere l'arte dal mestiere non infatti più soltanto la sua assimilazione alla poesia, con l'implicito riconoscimento della componente razionale e fantastica, ma il nuovo fondamento scientifico. La qualità artistica non viene più valutata in ragione dell'aderenza ai modelli stabiliti dalla tradizione, ma in rapporto alla validità dei risultati della originale ricerca dell'artista nel campo della realtà e della fenomenologia naturale. Gli obiettivi di tale ricerca saranno quelli dell'armonia proporzionale e della definizione volumetrico-spaziale dei corpi; gli strumenti scientifici, lo studio dell'anatomia, dell'ottica, dlella matematica e della geometria; la prima pratica applicazione, la prospettiva lineare. QUESITI RELATIVI AL TESTO III T031. A. B. C. D. E. Il termine bottega significa il luogo di acquisto dei materiali l'abitazione dell'artista il laboratorio del 'maestro e degli apprendisti l'ufficio dei comune che regolava le Arti il cantiere T032. Eclettismo tecnico significa A. B. C. D. E. l'imitazione di diversi modelli antichi l'imitazione dei maestro da parte dello scolaro la mancanza di originalità la presenza di tecniche diverse nella stessa opera la capacità di praticare arti diverse T033. Il comune proteggeva gli artisti perché A. B. C. D. E. l'artigianato favoriva la prosperità' della comunità gli artisti davano lustro poteva utilizzarli per opere pubbliche gli artisti avevano bisogno di aiuti finanziari proteggeva tutte le attività T034 Il periodo di apprendistato era lungo perché A. B. C. D. E. il maestro non voleva concorrenza gli apprendisti non erano pagati garantiva la padronanza assoluta dei mezzi tecnici garantiva la segretezza delle procedure di bottega gli apprendisti servivano al maestro T035 La separazione tra arte e mestiere avviene per A. B. C. D. E. il collegamento tra artè, filosofia e scienza la comparsa di alcuni grandi geni la crisi delle botteghe la scadente qualità degli apprendisti la crisi dell'economia comunale TESTO IV LA POTENZA MOTRICE DEL FUOCO (1824) E’ stata spesso sollevata la questione se la potenza motrice1 del calore sia limitata, o infinita. Si è così cercato a lungo, e si cerca ancora oggi, se non esista un agente preferibile al vapore acqueo come mezzo per sviluppare la potenza motrice del fuoco; se l'aria, per esempio, non presenti, a questo riguardo, grandi vantaggi. La produzione di moto nelle macchine a vapore è sempre accompagnata, da una circostanza sulla quale dobbiamo fissare l'attenzione: il ristabilimento di equilibrio nel calore, cioè il suo passaggio da un corpo la cui temperatura è più o meno elevata a un altro in cui essa è più bassa. Cosa succede infatti in una macchina a vapore del tipo di quelle attualmente in attività? Il calore, sviluppato nel focolare per effetto della combustione, attraversa le pareti della caldaia, genera vapore e in qualche modo vi si incorpora. Così, facendosene veicolo, il vapore trasferisce il calore prima nel cilindro, in cui compie una qualsivoglia funzione, e di là nel condensatore, dove si liquefà per contatto con l'acqua fredda che vi si trova. Dunque il risultato finale è che l'acqua fredda dei condensatore assorbe il calore sviluppato nella combustione. Essa si scalda tramite il vapore, come se fosse stata posta direttamente sul focolare. La produzione della potenza motrice è dunque dovuta, nelle macchine a vapore, non a un consumo reale di calore, ma al suo trasferimento (da un corpo più caldo a uno più freddo, cioè al ristabilimento del suo equilibrio, equilibrio supposto rotto per una qualche causa, un’azione chimica, quale la combustione, o di tutt'altra natura. Segue da questo principio che, per generare la potenza motrice, non è sufficiente produrre il calore: bisogna anche disporre di un corpo freddo, senza il quale il calore sarebbe inutile. In effetti, se ci si trovasse in presenza solo di corpi caldi come i nostri focolari, come si potrebbe operare la condensazione del vapore? Ovunque esista una differenza di temperatura, ovunque si possa avere ristabilimento dell'equilibrio dei calore, si può avere anche produzione di potenza motrice. Il vapore acqueo è un mezzo per realizzare questa potenza, ma non è certo il solo: tutti i corpi della natura possono essere impiegati a questo scopo. E’ naturale porsi a questo punto una domanda al tempo stesso curiosa e importante: la potenza motrice del calore è quantitativamente immutabile, o varia con l'agente di cui si fa uso per realizzarla, con la sostanza scelta come tramite per l'azione del calore? Abbiamo già posto in rilievo un fatto di per sé evidente, o che almeno diventa chiaro non appena si riflette sulle variazioni di volume causate dal calore: ovunque esista una differenza di temperatura si può avere produzione di potenza motrice. Inversamente, ovunque si possa consumare questa potenza, è possibile generare una differenza di temperatura, è possibile provocare una rottura di equilibrio nel calore. E’ da un dato di esperienza che la temperatura dei fluidi gassosi si eleva attraverso la compressione e si abbassa attraverso la rarefazione. Ecco quindi un mezzo certo per far variare la temperatura dei corpi e rompere a piacere l'equilibrio del calore operando con una data sostanza. 1 Ci serviamo qui dell'espressione "potenza motrice' per designare l'effetto utile che un motore è capace di produrre. Come si sa, la misura di questo effetto, che è assimilabile al sollevamento di un peso a una certa altezza dal suolo, è data dal prodotto del peso per l'altezza a cui si suppone innalzato. Prova ne sia il vapore acqueo impiegato in maniera inversa rispetto a quella delle macchine a vapore. Per convincersene, basta riflettere attentamente sul modo in cui si sviluppa la potenza motrice mediante l’azione del calore sul vapore acqueo. Immaginiamo di avere due corpi, A e B, mantenuti ciascuno a una temperatura costante, e supponiamo che la temperatura di A sia più elevata dii quella di B: i due corpi, ai quali si può somministrare o sottrarre calore senza far variare la loro temperatura, espleteranno la funzione di due serbatoi di calore infinitamente estesi. Chiameremo il primo "focolare" e il secondo "refrigerante". Se si vuole generare potenza motrice con il trasferimento di una certa quantità di calore da A a B, si potrà procedere nella maniera seguente: 1) sottrarre calore ad A per formare il vapore, cioè far assolvere a questo corpo le funzioni del focolare, o piuttosto dei metallo di cui è costituita la caldaia, nelle macchine ordinarie; supporremo qui che il vapore venga generato alla stessa temperatura di A; 2) una volta raccolto il vapore in un recipiente di volume variabile, per esempio un cilindro munito di pistone, aumentare il volume di questo e di conseguenza anche quello del vapore; così rarefatto, esso si porterà spontaneamente a una temperatura più bassa, come accade a tutti i fluidi elastici; ammettiamo che la rarefazione sia spinta fino al punto in cui la temperatura corrispondo a quella di B; . 3) condensare il vapore mettendolo a contatto con B ed esercitando allo stesso tempo su di esso una pressione costante, finché non sia interamente liquefatto; B in questo caso svolge il ruolo dell'acqua di iniezione nelle macchine ordinarie, con la sola differenza che esso condensa il vapore senza mescolarvici e senza subire variazioni di temperatura. Le operazioni appena descritte avrebbero potuto essere fatte in senso e ordine inverso. Nulla impediva di formare il vapore con il calore e alla temperatura di B, di comprimerlo in modo da fargli acquisire la temperatura di A, infine di condensarlo a contatto con quest'ultimo, continuando la compressione fino a ottenere una completa liquefazione. Con la nostra prima serie di operazioni, avevamo avuto contemporaneamente produzione di potenza motrice e passaggio di calore da A a B; con la serie inversa, consumo di forza motrice e ritorno di calore da B ad A. Ma se in entrambi i cui si è operato sulla stessa quantità di vapore e non si è avuta perdita alcuna di potenza motrice e di calore, la quantità di potenza motrice prodotta nel primo caso sarà uguale a quella che verrà consumata nel secondo, e la quantità di calore passata nel primo caso da A a B sarà uguale a quella che nel secondo passerà, in senso inverso, da B ad A. Si potrebbero allora ripetere indefinitamente coppie di operazioni successive di questo genere senza ottenere, nel complesso, né produzione di potenza motrice, né passaggio di calore da un corpo all’altro. Ora, se esistessero mezzi per impiegare il calore in modo più vaiitaggioso, se cioè fosse possibile, con un qualche metodo a disposizione, far produrre al calore una quantità di potenza motrice superiore a quella da noi realizzata con la prima serie di operazioni, basterebbe sottrarre una parte di questa potenza per far risalire, con il metodo appena indicato, il calore dal corpo B (refrigerante) al corpo A (focolare), insomma per ristabilire lo stato di cose iniziale e porsi in tal modo nella condizione di ripetere una operazione dei tutto simile alla prima e via di seguito. Si otterrebbe così non soltanto il moto perpetuo, ma una creazione indefinita di forza motrice senza consumo né di calore né di qualsivoglia altro agente. Ora, una tale creazione è assolutamente contraria alle nostre attuali conoscenze e a tutte le leggi della meccanica e della buona fisica; è una ipotesi inammissibile2. Si deve dunque concludere che il massimo di potenza motrice risultantedall'impiego del vapore è anche il massimo di potenza motrice realizzabile con qualsivoglia mezzo. 2 Nella sua accezione generale e filosofica il termine 'moto perpetuo" deve comprendere non solo un moto suscettibile di prolungarsi indefinitamente dopo aver ricevuto un primo impulso, ma l'azione di un apparecchio, comunque costruito, capace, di creare potenza motrice in quantità illimitata, capace di trarre successivamente dalla quiete tutti i corpi della natura che vi si trovino immersi e di annullare in essi il principio di inerzia, capace infine di trovare in se stesso le forze necessarie per muovere l'universo intero, e prolungare e accelerare incessantemente il suo moto. Sarebbe, questa, una vera e propria creazione di forza motrice che, se attuabile, renderebbe inutile ogni tentativo di sfruttare le correnti d'acqua e d'aria e i combustibili; noi avremmo a disposizione una sorgente inesauribile da cui attingere a volontà. QUESITI RELATIVI AL TESTO IV T041. Per potenza motrice si intende l'effetto utile di un motore come A. B. C. D. E. prodotto di un peso per l'altezza a cui è sollevato dal motore velocità acquisita dalla forza motrice prodotto della coppia per il numero di giri dell'albero motore lavoro meccanico ottenuto nell'unità di tempo spostamento delle forze resistenti al moto T042 Per ottenere potenza motrice, dalla macchina a vapore condizione necessaria è A. B. C. D. E. il consumo reale di calore sottratto a un corpo caldo lo sviluppo di calore per effetto della combustione nel focolare il trasferimento di calore da un corpo più caldo ad uno più freddo la generazione di vapore nella caldaia l'espansione dei vapore contro un pistone mobile T043 L'inversione della sequenza delle operazioni nella macchina a vapore proposta produce A. B. C. D. E. compressione dei vapore nel cilindro e successiva espansione in caldaia consumo di potenza motrice e ritorno di calore dal refrigerante al focolare né potenza motrice né trasferimento dì calore movimento dei vapore dal refrigerante al focolare raffreddamento del refrigerante e riscaldamento del focolare T044 Se esistessero mezzi più vantaggiosi del vapore per sfruttare il calore si avrebbe A. B. C. D. E. potenza motrice usando ripetutamente la medesima quantità di calore un massimo per la potenza motrice ottenibile da una macchina conversione di potenza motrice in calore violazione della conservazione della potenza motrice trasformazione del calore in potenza motrice meccanica T045 Il moto perpetuo A. B. C. D. E. viola il principio di inerzia per i sistemi meccanici è una ipotesi ammissibile ma contraria alle concezioni fisiche accettate. è lo stato di moto inerziale dei corpi naturali è l'effetto di un motore concepibile ma non realizzabile praticamente è la creazione di potenza motrice in quantità illimitata TESTO V COPERNICO E L'ELIOCENTRISMO La ricerca di una nuova cosmologia non fu mai così evidente come in Copernico, Egli non fu il primo a rendersi conto dei problemi presenti nella pratica astronomica dell'epoca ma a differenza degli astronomi del Medioevo, non partì più dal presupposto che la terra stesse ferma e avvertì la necessità di trovare interpretazioni alternative del moto apparente dei corpi celesti. I suoi studi in Italia, dove passò diversi anni, prima a Padova e poi a Bologna, lo portarono a cercare ispirazione nel periodo anteriore ad Aristotele. Copernico descrive la sua ricerca nella prefazione al De revolutionibus orbium caelestium (1543) e confessa di essere colpito dall'incoerenza con la quale sfere omocentriche, excéntri ed epicicli venivano usati per descrivere il moto dei pianeti.. Egli era convinto che alla base del cosmo vi fossero armonia e simmetria, e dispiaciuto per la confusione di rappresentazioni geometriche. In quanto umanista, Copernico si rivolse istintivamente alle fonti antiche. Scoprì cosi che Eraclide, Ecfanto, Niceta, Filolao e Aristarco di Samo avevano affermato che la Terra si muoveva “sebbene l'opinione potesse sembrare assurda?”. Copernico decise di sviluppare questa ipotesi e tutto ciò che essa poteva significare. Se la Terra non è più il centro delle rivoluzioni celesti, il Sole diventa il primo candidato a occupare quella posizione. Prima di avanzare un argomento geometrico a sostegno di questa ipotesi, Copernico ne offre una giustificazione che è profondamente radicata nella visione ermetica del mondo. “In mezzo a tutti sta il Sole. In effetti , chi, in questo tempio bellissimo, potrebbe collocare questa lampada in un luogo diverso o migliore di quello da cui possa illuminare tutto quanto insieme? Per questo, non a torto, alcuni lo chiamano lucerna del mondo, altri mente, altri guida. Così, certamente, il Sole, come su un trono regale, governa la famiglia degli astri che gli sta intorno”. Copernico giunge ad affermare che in questo modo troviamo “una ammirevole simmetria del mondi”, che è il fine dell'astronomia. In reltà, Copernico non riuscì mai a realizzare quel sistema armonioso che tanto desiderava costruire. Passò anni a calcolare le orbite dei pianeti e avrebbe rimandato la pubblicazione del suo manoscritto ben oltre il 1543, se il giovane Retico non lo avesse convinto a farlo pubblicare a Norimberga. Le difficoltà incontrate da Copernico sono in gran parte dovute al fatto che le orbite dei pianeti sono ellittiche e non circolari. Per ottenere un'approssimazione ragionevole della traiettoria reale dei corpi celesti Copernico dovette ricorrere ai circoli convenzionali di Tolomeo, cioè a circolo portante o deferente al quale potevano essere allacciati uno o due circoli più piccoli chiamati epicicli, a cui il pianeta era a sua volta legato. Egli utilizzò anche gli excentri, circoli in cui il centro non era il Sole ma qualche punto opportuno nello spazio. Il moto dei pianeti non veniva spiegato usando sempre gli stessi elementi e, benché i risultati fossero spesso più soddisfacenti di quelli raggiunti da Tolomeo, gli astronomi di professione non riuscivano a trovare nell'opera di Copernico quell'unità organica che egli aveva promesso. Il mondo di Copernico è finito, e delimitato da una sfera di stelle fisse immobili. I pianeti stessi sono ancora avvolti in sfere cristalline: di qui il titolo, del capolavoro di Copernico, De revolutionibus orbium caelestium. Copernico seguì le orme dei cosmologi Medioevali, i quali ipotizzarono sovente che ciascuna sfera cristallina fosse abbastanza spessa da comprendere l'epiciclo al quale era legato il singolo pianeta. Ma, ponendo la Terra tra i pianeti, Copernico distrusse la suddivisione del cosmo in due livelli, che costituiva il contrassegno della cosmologia aristotelica.. Lo Stagirita aveva distinto nettamente tra mondo lunare e mondo sublunare: dalla Luna in poi c'era un'unica materia celeste, l'etere, “che è eterno, non è soggetto ad alcuna crescita o diminuzione, non ha età, è inalterabile ed impassibile”. Questa materia era essenzialmente diversa dagli elementi (terra, acqua, aria e fuoco) presenti nel mondo sublunare, ovvero quello, terreno. Le leggi del moto non erano le stesse nei due mondi: i corpi celesti erano dotati di moto circolare, che Aristotele supponeva essere inerziale, ovvero uniforme ed ininterrotto, mentre il moto naturale degli elementi del mondo sublunare era rettilineo, dal centro della terra verso l'esterno nel caso dell'aria e del fuoco e dall'esterno verso il centro per quanto riguardava la terra e l'acqua. In questa prospettiva la fisica terrestre era irrilevante per la. comprensione del moto dei corpi celesti. Fu proprio questa concezione che Copernico mise in questione allorché attribuì alla Terra la terza orbita intorno al Sole dopo Mercurio e Venere. Se la Terra era un pianeta, le leggi celesti erano valide sulla Terra oppure quelle terrestri erano valide nei cieli. Copernico non giunse a elaborare le implicazioni di questo spostamento della Terra, ma poiché i corpi gravi continuavano a cadere sulla Terra, non aveva più alcun senso definire la gravità - come aveva fatto Aristotele - come movimento verso il centro del mondo. Poiché la rotazione diurna della Terra intorno al proprio asse e la rivoluzione annuale intorno al Sole erano ormai considerate naturali, il moto circolare cessò di essere appannaggio della materia celeste. La distinzione tra materia celeste e materia terrestre cessò di costituire la base della spiegazione, per diventare una semplice descrizione della posizione relativa dei corpi nello spazio. Un universo armonioso richiedeva un'unica fisica. QUESITI RELATIVI AL TESTO V T051. Cosa spinse Copernico ad abbandonare il geocentrismo? A. B. C. D. E. La lettura della fisica di Aristotele L'osservazione dei moti dei corpi celesti Il contrasto tra la spiegazione geocentrica e le affermazioni dei libri sacri La constatazione che tale teoria non garantiva una spiegazione armonica dell'Universo La lettura delle opere di Tolomeo T052. Perché il sistema copernicano non è perfetto? A. B. C. D. E. usa strumenti matematici inadeguati sbagliava nel calcolo delle fasi lunari per nessun o di questo motivi non aveva capito che anche il Sole si muove sosteneva che. le orbite planetarie sono circolari T053. La scelta del Sole come centro del sistema fu dovuta A. B. C. D. E. a precisi calcoli matematici all'influenza delle teorie ermetiche all'influenza delle teorie umaniste al fatto che il Sole è fonte della luce all'influsso delle cosmologie medioevali T054. L'universo secondo Copernico è A. B. C. D. E. infinito perché prodotto dall'infinita potenza divina infinito perché lo spazio non ha limiti finito sotto certi aspetti e infinito sotto altri, aspetti -finito perché il numero dei pianeti è finito finito perché esiste la sfera delle stelle fisse T055. La cosmologia copernicana è unitaria perché A. B. C. D. E. segue la cosmologia platonica ammette il- cielo delle stelle fisse ammette le macchie solari sopprime il dualismo tra moti sulla terra e moti dei corpi celesti vuole una spiegazione armonica TESTO VI LA MEMORIA Le immagini non sono immagazzinate come copie in facsimile di oggetti, o eventi, o parole, o frasi; il cervello non incasella foto polaroid di persone, cose, paesaggi; non archivia nastri registrati di musiche e discorsi, né fìlmati di episodi della nostra vita; non serba al proprio interno fogli promemoria e lucidi. In breve, sembra proprio che non vi siano immagini depositate in permanenza di alcunché, neppure miniaturizzate: né microfiche né microfilm né copie stampate. Nel corso della propria esistenza, ciascuno di noi acquisisce una marea di conoscenze, cosicché qualsiasi tipo di archiviazione porrebbe problemi di capacità; se il cervello fosse assimilabile a una biblioteca presto verrebbe a trovarsi in difetto di scaffali. Inoltre, l'axchiviazione di copie presenta di solito non facili problemi di efficienza dell'accesso, quando occorre ritrovarle. Per un esperienza diretta tutti sappiamo che quando vogliamo richiamare un dato oggetto, o volto, o scena, non otteniamo la riproduzione identica, ma piuttosto un'interpretazione, una versione ricostruita di fresco dell'originale. Inoltre, le versioni del medesimo originale si modificano con il passare degli anni e il mutare dell'esperienza, e nessuna è compatibile con una rigida rappresentazione in copia; la memoria è essenzialmente ricostruttiva. E però negare che nel cervello possano esistere figure permanenti di alcunché contrasta con la sensazione, comune a tutti, che in effetti noi possiamo evocare nell'occhio - o nell'orecchio - della mente, approssimazioni di immagini delle quali abbiamo fatto esperienza. Nè ciò è contraddetto dalla circostanza che tali approssimazioni non sono precise, o sono meno vivide delle immagini che intendono riprodurre. Si può pensare di dare risposta a questo problema osservando che le immagini mentali sono costruzioni momentanee, tentativi di riprodurre configurazioni di cui si è fatta esperienza, tali che la probabilità di una riproduzione precisa è bassa, ma quella di una riproduzione sostanziale può essere più o meno alta, a seconda delle circostanze in cui esse furono apprese e vengono richiamate. La permanenza di queste immagini evocate nella coscienza è in genere transitoria; spesso, poi sono imprecise o incomplete, anche se possono sembrare buone copie. Io credo che le immagini evocate esplicite scaturiscano dalla attivazione sincrona, passeggera, di schemi di eccitazione neurale per lo più nelle medesime cortecce sensitive di ordine inferiore nelle quali si sono manifestati in precedenza gli schemi di eccitazione neurale corrispondenti a rappresentazioni percettive. L'attivazione dà come risultato una rappresentazione topograficamente organizzata. A favore di questa ipotesi depongono svariate considerazioni, e qualche prova. Nella condizione nota come acromatopsia un danno localizzato alle cortecce visive di ordine inferiore provoca la perdita non solo della percezione ma anche della raffigurazione mentale del colore: chi ne è colpito non è più in grado di immaginarsi il colore nella mente, e se gli si chiede di pensare ad una banana, tale paziente sarà bensì in grado di raffigurarne la forma ma non il colore, e la vedrà in varie sfumature di grigio. Se la “conoscenza del colore” fosse depositata in un sistema diverso e' separato da quello su cui poggia la “percezione del colore”,i pazienti affetti da acromatopsia potrebbero immaginare il colore anche se non possono percepirlo in un oggetto esterno; ma non è così. In qual modo si formano le rappresentazioni topograficamente organizzate necessarie per fare esperienza di immagini evocate? Io credo che esse vengano costruite sul momento, per impulso di schemi neurali disposizionali acquisiti che si trovano in altri punti del cervello. Uso il ternine “disposizionale” poiché ciò che essi fanno, alla lettera, è ordinare altri schemi neurali intorno, suscitare attività neurale altrove, in circuiti che fanno parte dello stesso sistema e con i quali vi è una forte interconnessione neuronica. Le rappresentazioni disposizionali esistono come schemi potenziali di attività neuronica in piccoli insiemi di neuroni che io chiamo “zone di convergenza”; consistono, cioé, di un insieme di disposizioni che eccitano neuroni entro l'insieme. Le disposizioni correlate con le immagini evocabili sono state acquisite attraverso l'apprendimento, e perciò si può dire che esse costituiscono una memoria. Quel che le rappresentazioni disposizionali tengono immagazzinato nella loro minuscola comune di sinapsi non è “una figura”, di per sé, ma un mezzo per ricostituire una figura. Il fatto di avere una rappresentazione disposizionale del volto di zia Margherita non significa che la rappresentazione contenga quel volto, ma piuttosto gli schemi di scarica che innescano la ricostruzione istantanea di una rappresentazione approssimativa del volto di zia Margherita nelle cortecce visive di ordine inferiore. Le svariate rappresentazioni disposizionali che dovrebbero, più o meno in sincronia, mettersi in eccitazione perché il volto di zia Margherita compaia negli spazi della mente sono localizzate in diverse cortecce di associazione visive e di ordine superiore. Non vi è un'unica formula nascosta, per questa ricostruzione: zia Margherita come persona completa non esiste in un unico, singolo sito cerebrale, ma è distribuita in tutto il cervello, sotto forma di numerose rappresentazioni disposizionali, per questo o quell'aspetto. E quando voi evocate ricordi di cose relative a zia Margherita, e lei affìora in varie cortecce di ordine inferiore (visive, uditive, ecc.), in rappresentazione topografica, ancora è presente solo in vedute separate durante la finestra temporale nella quale ricostruite qualche significato della persona di lei. Supponiamo che tra cinquant'anni un esperimento immaginario vi consentisse di piombare dentro le rappresentazioni disposizionali visive che qualcuno ha di zia Margherita; sono convinto che, non vedreste alcunché che somigliasse al volto di zia Maxgheríta, perché le rappresentazioni disposizionali non sono topograficamente organizzate. Ma se provaste ad ispezionare gli schemi di attività presenti nelle cortecce visive di ordine inferiore di quel qualcuno entro un decimo di secondo dall'istante in cui le zone di convergenza per il volto di zia Margherita hanno scaricato all'indietro, allora sì, probabilmente, riuscireste a vedere schemi di attività che hanno qualche relazione con la geografia di quel volto. Vi sarebbe coerenza tra ciò che voi sapete del suo volto e lo schema di attività che trovereste nei circuiti delle cortecce visive di ordine inferiore di qualcuno che pure la conosceva e che stava pensando a lei. QUESITI RELATIVI AL TESTO VI T061. A. B. C. D. E. La memoria è un processo ricostruttivo perché rielabora e interpreta l'immagine. è costretta a selezionare i ricordi le immagini originali sono sbiadite si riferisce ad eventi passati fonde insieme ricordi diversi T062. Cosa si intende per schema disposizionale A. B. C. D. E. una disposizione specifica delle immagini un particolare schema attitudinale uno schema neurale acquisito che permette il ricordo.. il quadro dello stato somatopsichico del soggetto la struttura dei ricordi. T063. Cosa si intende per acromatopsia A. B. C. D. E. l'incapacità di immaginare i colori un'autopsia eseguita senza sali di cromo una forma acuta di daltonismo l'incapacità di percepire i colori una disfunzione del nervo ottico T064. L'ipotesi della coerenza afferma che A. le cellule cerebrali devono comunicare tra loro B. bisogna riprodurre la situazione percettiva iniziale C. deve esserci una analogia tra immagine e schemi di attività cerebrale comuni a diversi soggetti D. per ricordare è importante capire E. i ricordi coerenti si rievocano meglio T065. L'immagine nel cervello esiste come A. B. C. D. E. riproduzione fedele degli oggetti interpretazione emotiva dei vissuti variazione nello stato eccitativo di una singola cellula modificazione biochimica del sistema lìmbico schemi di eccitazione neuronale TESTO VII LA TEORIA DEI SISTEMI La scienza moderna è caratterizzata da una specializzazione sempre crescente, che è resa necessaria, all'interno di ciascun settore, dall'enorme quantità di dati e dalla complessità delle tecniche e delle strutture teoriche. In tal modo la scienza si scinde in innumerevoli discipline che generano continuamente delle nuove sotto-discipline. In conseguenza di questo fatto, il fisico, il biologo, lo psicologo e lo studioso di scienze sociali sono per così dire incapsulati nei loro universi privati e risulta difficile uno scambio di parole da un bozzolo all'altro. A questo si oppone, tuttavia, un altro aspetto interessante della questione. Esaminando l'evoluzione della scienza moderna incontriamo un fenomeno sorprendente. Problemi e concezioni simili si sono infatti sviluppati, del tutto indipendentemente, in campi completamente diversi. Lo scopo della fisica classica era quello di finalmente risolvere i fenomeni naturali in un gioco di unità elementari governate da “cieche” leggi naturali. Scopo che si esprimeva attraverso l’ideale di uno spirito laplaciano il quale potesse predire, in base alla posizione e alla quantità di moto delle particelle, lo stato dell'universo in un qualsiasi istante. Questa concezione meccanicista non subì alcuna modificazione, anzi, si rafforzò, quando le leggi deterministiche furono sostituite, in fisica, da leggi statistiche. Conformemente alla derivazione del secondo principio della termodinamica dovuta a Boltzmann, gli eventi fisici sono diretti verso stati di massima probabilità, e le leggi fisiche pertanto, sono essenzialmente delle “leggi del disordine”, il risultato di eventi disordinati, statistici. Tuttavia, in contrasto con una tale concezione meccanicista, in diversi settori della fisica moderna hanno fatto la loro apparizione dei problemi concernenti la totalità, l'interazione dinamica e l'organizzazione. Nell'ambito della relazione di Heisenberg e della meccanica dei quanti è diventato impossibile risolvere i fenomeni in eventi locali; problemi di ordine e di organizzazione compaiono sia che si tratti della struttura degli atomi e della architettura delle proteine, sia che si tratti di fenomeni di interazione in termodinamica. In modo analogo, la biologia, secondo la concezione meccanicista, vedeva il proprio fine nella risoluzione dei fenomeni vitali in entità atomiche e processi parziali. L'organismo vivente era risolto in cellule, le sue attività in processi fisiologici e, in ultima istanza, fisico-chimici, il comportamento in riflessi condizionati e non condizionati, il substrato dell'ereditarietà in geni, e così via. Al contrario, la concezione organicista è basilare per la biologia moderna. Non è solamente necessario studiare le parti ed i processi in stato di isolamento, ma anche risolvere i problemi decisivi che si trovano nell'organizzazione e nell'ordine che unificano quelle parti e quei processi, che risultano dall'interazione dinamica delle parti, e che rendono il comportamento delle parti ben diverso, quando è studiato entro il complesso, da quando è studiato in stato di isolamento. Inoltre, tendenze analoghe sono comparse in psicologia. Mentre la psicologia classica dell'associazione tentava di risolvere i fenomeni mentali in unità elementari - come se si trattasse di atomi psicologici - del tipo sensazioni elementari e simili, la psicologia della gestalt dimostrava l'esistenza e il primato di complessità psicologiche che non sono il risultato di una somma di unità elementari e che vengono governate da leggi dinamiche. Infine, nell'ambito delle scienze sociali, il concetto di società, intesa come somma di individui considerati alla stregua di atomi sociali, e cioè il modello dell'Uomo Economico, veniva sostituito dalla tendenza a prendere in esame le società, le economie e le nazioni come se si trattasse di totalità sopraordinate rispetto alle loro arti. Il che, se implica i grandi problemi dell'econidmia pianificata e della deificazione della nazione e dello stato, riflette pure dei nuovi modi di pensare. Questo parallelismo tra principi conoscitivi generali appartenenti a campi diversi è ancor più notevole se si considera il fatto che questi sviluppi si sono verificati in piena indipendenza reciproca, e senza che si avesse, nella maggior parte dei casi, alcuna conoscenza sui lavori e sulle ricerche sviluppantesi in altri campi. Esiste un altro importante aspetto della scienza moderna. Sino ad un'epoca recente, la scienza esatta, e cioè il corpus delle leggi naturali, era pressochè identica alla fisica teorica. Ben pochi tentativi di stabilire leggi esatte in campi non prettamente fisici hanno ottenuto un qualche riconoscimento. Tuttavia, l'influenza esercitata e il progresso verificatosi nelle scienze biologiche, comportamentistiche e sociali rendono ora necessaria una espansione dei nostri schemi concettuali per poter elaborare dei sistemi di leggi in campi ove l'applicazione della fisica non è sufficiente o possibile. Gli organismi viventi sono essenzialmente dei sistemi aperti, vale a dire dei sistemi che scambiano materia con l'ambiente circostante. La fisica convenzionale e la chimica-fisica trattano di sistemi chiusi, e solo negli ultimi anni la teoria è stata estesa sino a includere i processi irreversibili, i sistemi aperti e gli stati di non equilibrio. Se vogliamo però applicare il modello di sistema aperto, per esempio, al fenomeno di sviluppo degli animali, giungiamo automaticamente ad una generalizzazione della teoria che si riferisce ad unità biologiche e non fisiche. In altre parole, stiamo trattando con dei sistemi generalizzati. E lo stesso è vero per i settori della cibernetica e della teoria dell'informazione, che hanno attirato su di sè, negli ultimi anni, un così grande interesse. Esistono insomma dei modelli, dei principi e delle leggi che si applicano a sistemi generalizzati o a loro sottoclassi, indipendentemente dal loro genere particolare, dalla natura degli elementi che li compongono e dalle relazioni o "forze", che si hanno tra essi. Risulta pertanto lecito il richiedere una teoria non tanto per dei sistemi di tipo più o meno speciale, ma dei principi universali che sono validi per i “sistemi” in generale. Il significato di questa disciplina può essere circoscritto come segue. La fisica verte su sistemi aventi livelli diversi di generalità. Essa si estende da sistemi piuttosto speciali, come quelli che vengono applicati dagli ingegneri nella costruzione di un ponte o di una macchina, alle leggi speciali delle discipline fisiche, come la meccanica o l'ottica, sino a leggi di grande generalità, come i principi della termodinamica, che si applicano a sistemi di natura intrinsecamente diversa, meccanica, termica, chimica od altro. Niente prescrive che ci si debba fermare ai sistemi che tradizionalmente sono trattati in fisica. Possiamo invece richiedere dei principi che siano applicabili ai sistemi in generale, indipendentemente dal fatto che questi ultimi siano di natura fisica, biologica o sociologica. Se proponiamo questa questione e se definiamo in modo conveniente il concetto stesso di sistema, troviamo che esistono modelli, principi e leggi che si applicano ai sistemi generalizzati indipendentemente dal loro genere, dai loro elementi particolari e dalle “forze” implicate. Una conseguenza dell'esistenza di proprietà generali dei sistemi consiste nella comparsa di similarità strutturali, o isomorfismi, in campi differenti. Si hanno delle corrispondenze tra i principi che governano il comportamento di entità che sono, intrinsecamente, molto diverse tra loro. Questa corrispondenza è dovuta al fatto che le entità in questione possono essere considerate, sotto certi punti di vista, come “sistemi”, e cioè come complessi costituiti da elementi in interazione. Il fatto che i campi citati, come pure molti altri, abbiano a che fare con “sistemi”, conduce ad una corrispondenza rispetto ai principi generali, e persino nei confronti di leggi particolari se si ha corrispondenza nelle condizioni relative ai fenomeni presi in esame. QUESITI RELATIVI AL TESTO VII T071. Per concezione meccanicistica si intende A. B. C. D. E. la teoria dell'uomo-macchina di Lamettrie la negazione del creazionismo la spiegazione 'materialista dei fenomeni naturali la spiegazioni della natura come insieme di unità elementari rette da leggi l'affermazione che nessun moto è reversibile T072. Un sistema si chiama chiuso quando A. B. C. D. E. non riceve apporti da sistemi esterni non si evolve nel tempo possiede un centro organizzatore si autoregola è composto da fenomeni del tutto esauriti T073. Le leggi naturali sono leggi del disordine perché A. B. C. D. E. in natura tutto è finalizzato non si possono fare previsioni accettabili non si possono riprodurre esattamente i fenomeni naturali l'essenza delle cose non è spiegabile esprimono delle probabilità statistiche T074. La concezione associazionista della psicologia A. B. C. D. E. risolve i fenomeni psichici in complessi di fenomeni somatici spiega la psiche come associazione di fenomeni elementari sostiene che la psiche individuale dipende dal gruppo sostiene lo stretto rapporto tra soma e psiche studia le dinamiche di gruppo T075. Di cosa si occupa la teoria generale dei sistemi? A. B. C. D. E. di tutti i fenomeni cibernetici delle leggi che sono comuni a sistemi diversi di ciò che distingue un sistema da un altro delle leggi che permettono l'organizzazione della materia di insiemistica TESTO VIII DEPRIVAZIONE RELATIVA E DISAGIO SOCIALE Una volta, parlando con un minatore, gli domandai quando fu la prima volta che nel suo distretto venne avvertita in modo più acuto la carenza di alloggi; rispose, “Quando ne fummo informati”, intendendo che “fino a molto di recente gli standard di vita erano così bassi che si accettava quasi ogni grado di sovraffollamento”. [Orwell 1962] Questo brano tratto dal brillante saggio di Orwell sulla condizione della classe lavoratrice inglese negli anni trenta, The Road to Wigan Pier, sottolinea un aspetto importante delle origini dello scontento. La deprivazione, come implica l'autore, non è una condizione assoluta ma è sempre relativa a qualche norma che stabilisce ciò che viene ritenuto accettabile. Questa è l’idea che è alla base di diverse spiegazioni dei disagi sociali, conosciute complessivamente come teoria della deprivazione relativa. La proposizione fondamentale della teoria della deprivazione relativa è che gli individui diventano scontenti e ribelli quando percepiscono l'esistenza di una discrepanza tra lo standard di vita di cui godono e quello di cui credono di dover godere. Secondo alcuni studiosi, proprio il divario tra le attese della persona X e ciò che essa esperimenta in modo diretto costituisce l'essenza di questo tipo di deprivazione. Ciò tuttavia non vale solo per i singoli individui; altri studiosi hanno fatto notare che esiste un altro tipo di deprivazione, una deprivazione che deriva dalla percezione da parte degli individui della fortune del loro gruppo. La principale è quella di Runciman, il quale suggerisce che nei movimenti collettivi il fattore più importante è la sensazione che l'ingroup sia deprivato in rapporto a qualche standard desiderato. Runciman definisce questo fenomeno “deprivazione fraternalistica”' (fraternalistic deprivation) per distinguerla dall'altra forma, la “deprivazione egoistica” (egoistic deprivation). Una delle domande di Runciman richiedeva agli intervistati di nominare i tipi di individui che a loro avviso “stavano visibilmente meglio” di loro. Questa domanda era seguita da un'altra nella quale dovevano esprimere la loro approvazione o disapprovazione per questo stato di cose. La maggior parte delle risposte alla prima domanda fece riferimento ad altri individui che erano simili in qualche modo all'intervistato, cioè individui simili o altri gruppi di lavoratori in occupazioni simili. Tuttavia, un numero notevole dei colletti bianchi più ricchi nominarono in realtà i lavoratori manuali meno ben pagati come coloro che stavano meglio, e in risposta alla seconda domanda furono questi intervistati che con più probabilità di tutti mostrarono disapprovazione. Questo risultato fu importante perché dimostrò che i membri di un gruppo “superiore” potrebbero sperimentare la deprivazione relativa. Fino ad allora, la maggior parte delle ricerche sulla deprivazione relativa si erano concentrate su gruppi subordinati più chiaramente deprivati. La teoria della deprivazione relativa ha avuto un certo successo nel permetterci di comprendere quando e dove sorgerà lo scontento sociale, specialmente se posta a confronto con la precedente teoria della frustazione-aggressività. Il suo successo è dovuto a tre revisioni importanti effettuate su tale approccio tradizionale. La prima, per la quale il merito va a Berkowitz, concerne l'enfasi posta sull'esperienza soggettiva della deprivazione anziché sul dato oggettivo. Come suggerisce Berkowitz, gli individui diventano frustrati e scontenti quando pensano di essere deprivati, non necessariamente quando sono deprivati. (Le due condizioni, naturalmente, possono spesso essere concomitanti.) In secondo luogo, nel formulare il concetto di deprivazione relativa come discrepanza tra ciò che “e'” e ciò che “dovrebbe essere?”, viene introdotta una nuova variabile cruciale, quella della legittimità percepita. In altre parole, il concetto di deprivazione relativa contiene al suo interno degli elementi di giustizia sociale. Da dove provengono tali idee? Sono innanzitutto costruite socialmente. Le percezioni da parte degli individui di ciò che è giusto o appropriato derivano principalmente da norme e valori che si sviluppano dalle dinamiche delle relazioni intragruppo e intergruppi. Questo permette allora di superare una delle obiezioni avanzate alla teoria della frustrazione-aggressività: la non plausibilità del fatto che interi gruppi di individui sperimentino contemporaneamente degli stati di attivazione simili. Se ciò che motiva lo scontento non è uno stato di frustrazione sperimentato individualmente, ma un senso di ingiustizia socialmente condiviso, allora l'uniformità del comportamento all'interno dei movimenti di protesta diventa più facile da comprendere. La terza differenza cruciale riguarda il riconoscimento che anche i gruppi dominanti possono essere scontenti! La teoria della frustrazione-aggressività concentrava la sua attenzione sulla situazione dei gruppi subordinati ed oppressi. Ma se la deprivazione viene ridefinita come un fenomeno relativo, ne deriva che se un gruppo di status più elevato vede la sua posizione superiore in pericolo allora anch'esso sarà incline ad agire per ristabilire lo status quo. Gli avvenimenti recenti verificatisi in Sudafrica, dove abbiamo visto il partito Nazionalista bianco al governo adottare misure ancora più dure e repressive contro la maggioranza negra, sono un'efficace illustrazione di questo fenomeno. La teoria della deprivazione relativa presenta allora diversi vantaggi rispetto ad altre spiegazioni dello scontento sociale. Essa tuttavia, presenta una difficoltà cui è necessario fare riferimento. Come abbiamo visto i confronti sociali sono una causa importante di deprivazione relativa poiché forniscono spesso i mezzi con i quali gli individui valutano la posizione del loro gruppo e il progresso nella società. Ma naturalmente l'eventualità che l'esito di un confronto conduca ad un sentimento di deprivazione o all'opposto alla gratificazione - dipende interamente dal gruppo che scegliamo per il confronto. Gli individui tendono ad usare “altri simili” per scopi di confronto. Tuttavia, non è così facile conciliare questa ipotesi con i casi più estremi di disagio sociale e di ribellione dove è presumibile che i membri del gruppo subordinato stiano in realtà facendo confronti tra loro e un gruppo dominante abbastanza differente. QUESITI RELATIVI AL TESTO VIII T081. La mancanza del fattore legittimità. A. B. C. D. E. trasforma la deprivazione relativa in deprivazione reale estende la deprivazione relativa a tutti i cittadini rende la deprivazione relativa transitoria impedisce che vengano ar inati i comportamenti'devianti rende più profondo il senso di deprivazione T082. La deprivazione relativa si differenzia da quella reale per A. B. C. D. E. l'intervento di fattori congiunturali motivi puramente economici l'assenza di motivi reali l'intervento della coscienza di essere deprivati i diversi parametri di misura adottati T083. La deprivazione relativa egoistica A. B. C. D. E. riguarda i gruppi sociali chiusi è la causa di una condotta priva di sensibilità sociale è tipica delle fasi di crisi sociale riguarda il disagio del singolo individuo è l'effetto di una totale carenza di altruismo T084. Quale difficoltà limita la predittività della teoria? A. B. C. D. E. La scarsità dei riscontri empirici La scarsa scientificità dei parametri di valutazione adottati La variabilità dei termini di confronto L'imprevedibilità degli sviluppi socio-economici L'imprevedibilità delle reazioni individuali T085. Anche un gruppo superiore può essere affetto da deprivazione relativa perché A. B. C. D. E. si forma delle aspettative esagerate prevede una minaccia al proprio status sopravvaluta la situazione degli altri gruppi non si è guadagnato una sufficiente legittimazione si trova in una situazione di instabilità TESTO IX Tutti sono concordi nel ritenere che il futuro che abbiamo davanti a noi sarà pieno di computer più sofisticati e complessi che controlleranno ogni cosa che ci circonda, dalle telefonate intercontinentali ai semafori stradali, dai voli transoceanici al forno della cucina di casa. Tutti sono oggi concordi nel ritenere che questo controllo sarà effettuato nel nostro interesse e non da un opprimente Grande Fratello. Alcuni cominciano però a porsi il problema se tali sistemi computerizzati avranno l'affidabilità necessaria a rendere accettabili sul piano sociopolitico le conseguenze di eventuali malfunzionamenti, specialmente se tali malfunzionamenti dovessero causare delle perdite di vite umane. Esiste inoltre il problema delle conseguenze che si potrebbero avere a causa dell'uso di modelli matematici di simulazione del comportamento umano rozzi, primitivi o comunque errati. Le prime avvisaglie di problemi dovuti alla complessità di computer responsabili di operazioni delicate ci sono già state. La messa fuori servizio per molte ore del sistema di chiamate telefoniche a lunga distanza della AT&T avvenuto quest'anno è senza dubbio un esempio di quello che potrà succedere quando vivremo in un mondo regolato da sistemi di computer molto più complessi di quelli attuali. Altri esempi sono stati la caduta di due aerei civili e la morte di quattro pazienti sottoposti a dosi sbagliate di radiazioni. In tutti questi casi la causa fu dovuta ad un software che non funzionava come ci si aspettava. Ciò che preoccupa maggiormente gli esperti è che l'operatore umano otterrà sempre maggiori informazioni non in modo diretto, attraverso cioè i suoi sensi, ma in modo mediato dal sistema di computer esperti i quali gli sottoporranno le informazioni ritenute più interessanti che tuttavia, in alcuni casi specifici, potrebbero non essere quelle necessarie ad assumere la giusta decisione. I piloti di aerei già oggi prendono molte delle decisioni più importanti sulla base di informazioni ottenute da strumenti, radar e radiofari, spesso predigerite dal sistema dì computer che li assiste nel loro lavoro. L'eccezionale velocità dei sistemi di computer, misurabili in nanosecondi, che sono miliardesimi di secondo, richiederà software sempre più affidabili, sempre più sicuri, sempre più a prova di errore. E quindi sempre più pericolosi. A prova di errore significa inevitabilmente fare riferimento ad un modello che permette di costruire un supervisore che interviene a correggere, o meglio ad impedire, l'esecuzione di ordini dell'operatore umano ritenuti errati. E' evidente la pericolosità di un uso generalizzato di sistemi a prova di errore non studiati a fondo, specialmente tutte le volte che si tratta di mettere eventualmente in pericolo delle vite umane. La gestione di un sistema elettronico per fare acquisti o dei conti correnti di una banca permette, per la sua stessa natura, la correzione di eventuali errori commessi dal sistema di computer e di valutare la convenienza di avere dieci correzioni con il sistema computerizzato contro le mille del sistema non computerizzato. Il problema si pone in un modo completamente diverso se si tratta di vite umane. Anche se l'analisi costi/benefici è decisamente favorevole, dieci morti causate da un sistema computerizzato possono essere. molto più importanti, socialmente o politicamente, di mille morti causate da eventi naturali. E' anche evidente la tentazione degli scienziati che elaborano modelli, di sviluppare preferibilmente quelli che piacciono di più al “Principe” che è sempre più ben disposto verso coloro le cui teorie sostengono la sua politica che verso chi sostiene teorie i cui risultati sono conflittuali con quello che lui si prefigge. Come spesso accade, il futuro è quindi pieno di promesse ma anche di incognite. L'uso di modelli è la via più sicura, la più pulita ma è inevitabile che gli operatori umani si abitueranno a considerare le risposte dei modelli non come il risultato della soluzione di un sistema di equazioni che cercano di descrivere il mondo reale ma come lo stesso mondo reale. Il risultato di questo atteggiamento non potrà che ridurre la possibilità di decisioni assunte sulla base di quello che viene comunemente chiamato buon senso. Mi sembra inevitabile che coloro che sviluppano le varie applicazioni software spendano più tempo a studiare ed a riflettere sull'operatore umano che dovrà lavorare con esse. Questo è senza dubbio alcuno molto difficile da ottenere: basti pensare come poco siano ancora considerate le esigenze di chi lavora in una segreteria da coloro che sviluppano i software per il trattamento testi. Una parte del problema potrà essere risolta, secondo alcuni, obbligando coloro che sviluppano software a studiare sociologia, psicologia e filosofia ed a lavorare direttamente nel settore dove verrà impiegata l'applicazione che stanno sviluppando. Non mi sembra però che questa sia la via maestra, considerata la notevole capacità di coloro che sanno, nei confronti di coloro che non sanno, di complicare le cose e di renderle incomprensibili solo per fare vedere a tutti quanto sono bravi. La soluzione del problema sta probabilmente nella diffusione capillare che i computer stanno avendo e nei progressi fatti nel settore della generazione di programmi. Questo farà si che molti avranno una conoscenza più o meno approfondita dei problemi che stanno a monte dello sviluppo di nuove applicazioni software mentre verranno resi disponibili sistemi di controllo della qualità del software sempre più accurati e precisi. Si dovrà arrivare ad una situazione simile a quella che si ha quando ci si fa un vestito su misura da un bravo sarto, che lo prova almeno due o tre volte, ed il vestito è sempre il risultato di una stretta collaborazione tra il sarto e colui che lo dovrà indossare. Finora coloro che hanno sviluppato applicazioni software si sono comportati come un sarto che, di fronte al cliente che gli fa notare che il vestito gli sta stretto, risponde che deve dimagrire. Solo attraverso una strettissima collaborazione tra gli utenti e coloro che sviluppano applicazioni software sarà possibile rendere disponibili quei sistemi computerizzati ottimali ed affidabili di cui il nostro mondo ha un estremo, bisogno. QUESITI RELATIVI AL TESTO IX T091. A. B. C. D. E. T092. A. B. C. D. E. T093. A. B. C. D. E. T094. A. B. C. D. E. Il brano ha un carattere Futuribile Aneddotico Scientifico Previsionale Apologetico Il computer consente: La simulazione del comportamento L'analisi del comportamento La falsificazione del comportamento La ricostruzione del comportamento La integrazione del comportamento Le applicazioni software sono: Risposte a un'esigenza sociale Espressioni di una tecnologia Risultato di un compromesso Frutto di un'interazione Indice di un progresso L’elaborazione di modelli è: Pericolosa Superflua Necessaria Ininfluente Facilitatoria TESTO X Al pari delle altre scienze, la fisica cerca di scoprire, ordinare e interpretare una certa categoria di fenomeni osservabili. Essa riposa quindi essenzialmente sull'osservazione di certi fatti constatabili nel mondo materiale mediante i nostri sensi. Ma essa non ha potuto evolversi da scienza qualitativa a scienza quantitativa esatta se non appoggiandosi costantemente sulla misura, ossia cercando di caratterizzare gli aspetti della realtà mediante numeri, di cui essa constata il valore in certi istanti e di cui segue le progressive variazioni nel tempo. Non potendo rappresentare globalmente a ogni istante lo stato infinitamente complesso del nostro mondo fisico, di cui, del resto, ogni osservatore non percepisce in ogni momento che un'infima parte di fenomeni, la fisica ha cercato di scoprire nel flusso ininterrotto di essi certi elementi, suscettibili sia di essere separati dagli altri mediante un'astrazione teorica, sia di essere caratterizzati da valori numerici esatti. Questi elementi sono le grandezze fisiche osservabili, e il fine della scienza fisica è appunto in primo luogo di determinare le relazioni esistenti tra i loro valori e le loro variazioni, poi d'interpretare queste variazioni e mostrarne la portata, coordinandole all'interno di quelle vaste costruzioni dello spirito che si chiamano teorie. Non bisogna credere che le varie grandezze considerate dal fisico si presentino spontaneamente e si impongano alla sua attenzione solo osservando la realtà. Ciò può accadere soltanto con le misure di lunghezza, di superficie e di volume e. forse, con certe grandezze che implicano la nozione di sostanza supposta indistruttibile. Già nella definizione esatta della grandezza “intervallo di tempo” noi urtiamo contro grandi difficoltà, insuperabili senza certe convinzioni in cui interviene in modo essenziale l'attività costruttiva del nostro spirito. A maggior ragione ciò si verifica quando le grandezze fisiche si presentano sotto una forma velata, dove è necessario, per trarne la definizione esatta, compiere uno sforzo di astrazione o appoggiarsi su nozioni già acquisite. Cosi, la storia della scienza ci mostra tutto il tempo e tutte le discussioni che. accorsero per giungere a distinguere nettamente la quantità di moto dall'energia, la massa inerte dal peso, la quantità di calore della temperatura. Nel linguaggio ordinario si conservano le tracce delle confusioni che durarono a lungo in questo campo e ancora oggi noi diciamo correntemente che un corpo è più caldo di un altro, laddove dovremmo dire che la sua temperatura è più elevata. Scienziati filosofi, come Pierre Duhem ed Edouard Le Roy, hanno insistito da tempo sul fatto che tutte le definizioni della fisica - quelle di grandezze in particolare - riposano su convenzioni o ipotesi e implicano un'adesione spesso implicita a teorie generalmente ammesse. La misura di ogni grandezza si effettua mediante una misura di lunghezza d’angolo, e solo indirettamente mediante concezioni teoriche si può risalire dalle constatazioni geometriche così effettuate alla grandezza medesima. Benché in questa materia non sia opportuno spingere lo spirito critico sino al paradosso, è certo che la natura non, ci offre spontaneamente le grandezze il cui studio e misura debbono servire di base alle speculazioni fisiche; queste grandezze, noi dobbiamo estrarle dalla realtà con uno sforzo di astrazione in cui intervengono tutte le nostre conoscenze teoriche e gli schemi del nostro pensiero. Una descrizione del mondo fisico fatta da un essere che avesse una struttura mentale o gli organi sensori profondamente diversi dai nostri, sarebbe senza dubbio straordinariamente diversa da quella che noi riusciamo a dare. Si è detto che l'arte è “l'uomo aggiunto alla natura”; la stessa definizione è valida anche per la scienza. Non tutte le grandezze. di cui si serve il fisico nei suoi ragionamenti possono essere osservate e misurate. Alcune servono solo come strumenti necessari al calcolo, ma si trascurano nelle verifiche sperimentali. Ponendosi da un punto di vista puramente fenomenologico, si è cercato di espellere dalle teorie fisiche tutte le grandezze non misurabili: la dottrina energetica e, più recentemente, la meccanica quantistica di Heisenberg sono esempi notevoli di tentativi del genere. Ma questi tentativi non sono mai completamente riusciti e nelle teorie intervengono sempre certe grandezze non misurabili: così in meccanica ondulatoria la famosa funzione d'onda. Nondimeno le grandezze misurabili hanno una importanza maggiore, perché solo per esse la teoria può ricevere l'indispensabile controllo sperimentale delle sue conseguenze. Qui sorge la questione di sapere se è possibile distinguere, fra le grandezze osservabili, quelle propriamente misurabili da quelle soltanto “definibili”.Molti autori fanno infatti questa distinzione: le grandezze propriamente misurabili sarebbero quelle tra cui è possibile, stabilire relazioni di uguaglianza, disuguaglianza e somma; le grandezze semplicemente definibili sarebbero quelle per cui ciò non ha senso. Le prime corrisponderebbero a fattori di capacità, e potrebbero rappresentarsi sia coll'addizione di elementi indipendenti (lunghezze, superfici, volumi), sia con la variazione della quantità d'una sostanza indistruttibile (massa, quantità d'elettricità ecc.); le seconde invece corrisponderebbero a fattori d'intensità e non potrebbero in alcun modo rappresentarsi con una somma di elementi o con la variazione d'una quantità di sostanza: il potenziale elettrico e la temperatura ne sarebbero esempi tipici. QUESITI RELATIVI AL TESTO X T101. Il brano ha un carattere: A. B. C. D. E. Letterario Artistico Critico Filosofico Scientifico T102. Le grandezze definibili sono: A. B. C. D. E. Misurabili osservabili Astrazioni Elaborazioni Immaginazioni T103. La fisica è: A. B. C. D. E. Una scienza impregnata di filosofia Una scienza sui generis Una scienza qualitativa Una scienza quantitativa Una filosofia empirica T104. Le convenzioni: A. B. C. D. E. Prescindono dalla scientificità Integrano la scientificità Sono presenti in fisica Esulano dalla fisica Vincolano la fisica TESTO XI Cronologicamente, l'arco creativo mozartiano si inscrive nell'età dell'Illuminismo. Non solo. Per molti aspetti, la cultura e l'arte del nostro musicista partecipano profondamente dello spirito dei Lumi, si radicano e si innervano sul binomio delle idee-forza della seconda metà del Settecento: Ragione e Natura. Certamente, quando Mozart, intorno al 1776 - i suoi vent'anni - raggiunge la piena maturità culturale e artistica, e le sue opere attingono a una totale autonomia creativa, i grandi capiscuola francesi dei Lumi hanno da tempo chiuso la loro stagione più alta. Opere come il Dizionario filosofico e il Trattato della tolleranza di Voltaire, il Contratto sociale e l'Emilio di Rousseau, gli stessi scritti centrali della creatività di Diderot, appartengono ad una generazione precedente. Nel 1778, con la scomparsa di Voltaire e di Rousseau - i due grandi nemici muoiono nello stesso anno! - sembra ormai essersi chiuso il tempo più glorioso dei Lumi. Possiamo quindi collocare la maturità dell'opera mozartiana in un'epoca di matura e quasi declinante Aufklarung, una sorta di splendido e umbratile autunno dei Lumi, un'età, splenglerianamente, più di Civilisation che di Kultur, ma in cui germinano i primi segni e scorrono le prime linfe di un'età nuova, che va verso l'aurora della Romantik. Questo calmo autunno - un interstizio tra le battaglie roventi per i Lumi degli anni Cinquanta e Sessanta e le battaglie della Rivoluzione degli anni Novanta - si articola in una tensione tra sereno appagamento e rinnovate inquietudini Il primo nasce dalle battaglie storiche già vinte: una sostanziale libertà nella circolazione delle idee, la strategia dell'attenzione da parte dell'aristocrazia nei confronti delle nuove idee, le riforme civili ottenute da alcuni principi illuminati. All'interno dello stesso ceto ecclesiastico si va costituendo una nouvelle vague di abati innovatosi, di scienziati e di teologi-filosofi seguaci dell'empirismo lockiano e impegnati in un'ardente battaglia non solo contro la vecchia Scolastica e questo è ovvio ma anche contro la derivazione, da Descartes, di una nuova metafisica. Intanto i re-filosofi (Federico II e Federico Guglielmo II in Prussia, Giuseppe II in Austria, Caterina II in Russia) dichiarano di voler perseguire la pubblica felicità e avviano le prime riforme, che graffiano ma non lesionano l'ancien régime feudale-aristocatico. Più complesse - e talvolta ignare delle loro stesse cause - le rinnovate inquietudini. Serpeggiano perplessità sulla raison illuministica come codice universale di comportamento; si esplorano, talvolta alla ricerca di un'analisi sempre più approfondita delle sorgenti del piacere e del dolore, nuove aree della percezione e della coscienza. I gruppi più radicali politicamente, da parte loro, si interrogano chiedendosi se non occorra dare una spallata più forte e più drastica all'Ancien Régime. La Nature,e magari “les passions de l’âme” sembrano quasi fare aggio, come valore, sulla Raison; di quest'ultima si scorgono i limiti, ma non se ne nega mai la fondamentale funzione equilibratrice. In Germania, la prima ondata rinnovatrice, modesta e moderata era stata quella della cultura pietistica, per molti aspetti estranea ai Lumi. La generazione decisiva era stata invece quella dei Lessing e dei Wieland, che avevano rinnovato la cultura del Nord e del Centro, il primo con il suo teatro dichiaratamente borghese e antifeudale, il secondo, più moderatamente ma forse ancor più incisivamente sul grande pubblico, con un sapiente eclettismo che faceva tesoro di tutte le fonti possibili. Wieland toccava con mano leggera tutti i generi letterari, dal romanzo al poema, dalla novella al pamphlet ideologico, apparentemente ossequioso alla tradizione classicheggiante di stampo francese, in realtà rinnovandola senza parere secondo le esigenze della Raison e secondo le modalità di una ironia dissacrante. In tutto questo fervore di una Aufklarung sottoposta a una grande tensione che la porterà ad autodistruggersi, per generare il Werther e il Prometheus goethiani, il ruolo culturale dell'Austria è periferico, ma ricettivo. Vienna non produce una cultura veramente nuova, attiva però la circolazione nel territorio dei nuovi spettacoli, delle nuove forme teatrali ed espressive, delle nuove idee. Nessun creatore originale è austriaco, ma la capitale funziona come un buon canale di trasmissione della creatività italiana, francese e tedesca. Italiane, francesi e tedesche erano state, difatti, le matrici culturali e creative della rigenerazione della tragedia per musica e del ballet ad opera di Durazzo, Angiolini, Calzabigi, Noverre e Gluck, l'evento a raggio europeo di gran lunga più importante prodotto nella Vienna degli anni Sessanta. In seguito, soprattutto grazie a Giuseppe II e alla sua politica culturale, si rappresentano i drammi del teatro moderno, da Shakespeare a Lessing, si leggono i testi dei nuovi Lumi di Francia, d'Italia e di Germania. In questo mondo, in questa cultura vive e opera Mozart. Certamente, la sua esperienza di “viandante cosmopolita” gli rende più facile sottrarsi al provincialismo austriaco. Influenze culturali come quelle recepite nei viaggi dell'adolescenza, e le esperienze accumulate a Mannheim, monaco e Parigi, prima del 1781, e poi a Dresda, Lipsia e Berlino negli ultimi anni, lo segnano profondamente. Forse, almeno a nostro avviso, la centralità culturale, la sua esperienza decisiva è quella verificatasi a Mannheim nel 1778, dove Wolfang avrà occasione di vivere all'interno di una società di liberi artisti mediatori del carattere internazionale della nuova cultura. Mannheim, sotto l’egida del principe elettore Karl Theodor, era un centro apertissimo alla cultura illuministica, un crocevia di incontri, un filtro tra cultura francese e cultura tedesca, soprattutto attraverso Wieland. Da Mannheim in poi, Mozart fa propria quella civiltà dello spettacolo, della produzione e della fruizione artistica che sarà poi uno dei canali culturali per lui più decisivi. Il teatro di prosa, le accademie, il melodramma, l'opera buffa, il Singspiel, il melologo, sono i luoghi di una formazione non solo professionale, ma anche culturale e umana. La nostra prospettiva critica fondata sull'idea di una specializzazione -settoriale e specifica ci impedisce talvolta di cogliere la fruttuosa poliedricità della figura professionale del teatrante settecentesco, intendendo con questo termine non solo il musicista, ma il traduttore, il librettista, l'impresario, l'esecutore-interprete. QUESITI RELATIVI AL TESTO XI T111. Il brano ha un carattere: A. B. C. D. E. Emblematico Aneddotico Storico Critico Apologetico T112. La tragedia per musica: A. B. C. D. E. 41. La metafisica: A. B. C. D. E. 2. Nasce Evolve Si trasforma Si rigenera Si specifica E' contestata E' rinnovata E' trasformata E' sostenuta Nessuna delle precedenti affermazioni è desumibile dal testo L’Austria è culturalmente: A. B. C. D. E. Propositiva Ricettiva Elaborativa. Replicativa Innovativa Emblematico: attinente a una figura allegorica, a un simbolo Allegoria: figura retorica per mezzo della quale l’autore esprime e il lettore ravvisa un significato riposto, diverso da quello letterale Aneddoto: particolare curioso, inedito, raccolto a fine moralistico o ricreativo più che storiografico, in margine a un personaggio o a un evento famoso Apologetico: che ha per fine la difesa e l’esaltazione di una fede, specialmente religiosa TESTO XII I matematici del XX secolo svolgono un'attività intellettuale altamente sofisticata, difficile da definire; ma gran parte di ciò che oggi va sotto il nome di matematica è il risultato di uno sviluppo di pensiero che originariamente era accentrato attorno ai concetti di numero, grandezza e forma. Le vecchie definizioni della matematica come quella di “scienza del numero e della grandezza” non sono più valide; tuttavia esse indicano le origini delle varie branche della matematica. Le nozioni originarie collegate ai concetti di. numero, grandezza e forma si possono far risalire alle epoche più antiche in cui visse l'uomo e vaghi accenni a nozioni matematiche si possono vedere adombrati in forme di vita che forse hanno anticipato il genere umano di parecchi milioni di anni. Darwin in Descent of man (L'origine della specie) (1871) notò che certi animali superiori posseggono capacità come la memoria e l'immaginazione, e oggi è ancor più evidente che le capacità di distinguere il numero, la dimensione, l'ordine e la forma - rudimenti di un istinto matematico- non sono proprietà esclusiva del genere umano. Esperimenti effettuati con corvi, per esempio, hanno mostrato che almeno certi uccelli sono in grado di distinguere insiemi contenenti fino a quattro fino a quattro elementi. In numerose forme inferiori di vita è chiaramente presente una consapevolezza delle differenze esistenti in strutture che si trovano nel loro ambiente, e ciò è affine all'interesse del matematico per la forma e la relazione. Un tempo si pensava che la matematica avesse direttamente a che fare con il mondo della nostra esperienza sensibile; fu solo nel XIX secolo che la matematica pura si liberò dalle limitazioni imposte dalla osservazione della natura. E' chiaro che originariamente la matematica nacque come un aspetto della vita quotidiana dell'uomo; e se è valido il principio biologico della "sopravvivenza del più adatto", la durata del genere umano probabilmente non è del tutto priva di rapporto con lo sviluppo di concetti matematici nell'uomo. In un primo tempo le nozioni primitive di numero, grandezza e forma facevano, forse, riferimento più a contrasti che non a somiglianze: la differenza tra un solo lupo e molti lupi, la disuguaglianza di dimensioni tra un pesciolino e una balena, la dissomiglianza tra la rotondità della Luna e la rettilinearità di un piano. Gradualmente deve essere emersa, dal disorientamento di esperienze caotiche, la consapevolezza che esistono somiglianze: e da questa consapevolezza di somiglianze di numero e di forma trassero origine tanto la scienza della natura quanto la matematica. Le differenze stesse sembrano rinviare a somiglianze: infatti, il contrasto tra un solo lupo e molti lupi, tra una pecora e un gregge, tra un albero e una foresta suggerisce che un lupo, una pecora e un albero hanno qualcosa in comune: !-a loro unicità. Nella stessa maniera si sarebbe osservato che certi altri gruppi, come le coppie, possono essere messi in corrispondenza biunivoca. Le mani possono essere appaiate con i piedi, con gli occhi, con le orecchie o con le narici. Questo riconoscimento di una proprietà astratta che certi gruppi hanno in comune, e che chiamiamo numero, rappresenta un grande passo verso la matematica moderna. E' inverosimile che tale riconoscimento sia stato dovuto alla scoperta di un singolo individuo o di una singola tribù: si trattò più probabilmente di una consapevolezza graduale che si è forse sviluppata a uno stadio altrettanto primitivo dello sviluppo culturale dell'uomo quanto lo fu l'uso del fuoco, forse circa 300.000 anni fa. Che lo sviluppo del concetto di numero sia stato un processo lungo e graduale, è indicato dal fatto che alcune lingue, come il greco, hanno conservato nella loro grammatica una distinzione tripartita tra uno, due e più di due, mentre la maggior parte delle lingue moderne fanno soltanto una distinzione di "numero" bipartita tra il singolare e il plurale. Evidentemente i nostri più antichi antenati in un primo tempo contavano soltanto fino a due, indicando con “molti” qualsiasi insieme superiore. Ancor oggi molti popoli primitivi continuano a contare gli oggetti disponendoli in gruppi di due. La consapevolezza del numero diventò alla fine sufficientemente estesa e viva da far nascere il bisogno di esprimere tale proprietà in qualche modo. Dapprima presumibilmente si utilizzò soltanto un linguaggio di segni. Le dita di una mano poterono facilmente venire usate per indicare un insieme di due o tre o quattro o cinque oggetti, mentre il numero uno in un primo momento non venne generalmente riconosciuto come vero “numero”. Usando le dita di entrambe le mani si poterono rappresentare gruppi di oggetti contenenti fino a dieci elementi; combinando le dita delle mani con quelle dei piedi si potè giungere fino a venti. Quando le dita si dimostrarono insufficienti, si poterono usare mucchi di pietre per rappresentare una sia stato dovuto alla scoperta di un singolo individuo o di una singola tribù: si trattò più probabilmente di una consapevolezza graduale che si è forse sviluppata a uno stadio altrettanto primitivo dello sviluppo culturale dell'uomo quanto lo fu l'uso del fuoco, forse circa 300.000 anni fa. Che lo sviluppo del concetto di numero sia stato un processo lungo e graduale, è indicato dal fatto che alcune lingue, come il greco, hanno conservato nella loro grammatica una distinzione tripartita tra uno, due e più di due, mentre la maggior parte delle lingue moderne fanno soltanto una distinzione di “numero” bipartita tra il singolare e il plurale. Evidentemente i nostri più antichi antenati in un primo tempo contavano soltanto fino a due, indicando con “molti” qualsiasi insieme superiore. Ancor oggi molti popoli primitivi continuano a contare gli oggetti disponendoli in gruppi di due. La consapevolezza del numero diventò alla fine sufficientemente estesa e viva da far nascere il bisogno di esprimere tale proprietà in qualche modo. Dapprima presumibilmente si utilizzò soltanto un linguaggio di segni. Le dita di una mano poterono facilmente venire usate per indicare un insieme di due o tre o quattro o cinque oggetti, mentre il numero uno in un primo momento non venne generalmente riconosciuto come vero “numero”. Usando le dita di entrambe le mani si poterono rappresentare gruppi di oggetti contenenti fino a dieci elementi; combinando le dita delle mani con quelle dei piedi si potè giungere fino a venti. Quando le dita si dimostrarono insufficienti, si poterono usare mucchi di pietre per rappresentare una corrispondenza con gli elementi di un altro insieme. Spesso l'uomo primitivo, usando tale schema di rappresenta zione, ammucchiava le pietre in gruppi di cinque, giacché l'osservazione delle mani e dei piedi gli aveva reso familiari i multipli di cinque. Come notò Aristotele, l'uso, oggi diffuso, del sistema decimale non fu altro che il risultato del fatto anatomico accidentale che la maggior parte di noi è nata con dieci dita dei piedi e dieci dita delle mani. Dal punto di vista matematico è un peccato che l'uomo di Cro-magnon e i suoi discendenti non avessero quattro o sei dita per ogni mano. Sebbene sembri che, storicamente, il contare con le dita, o la pratica di contare per cinque e per dieci sia venuto più tardi del calcolare per due e per tre, i sistemi quinario e decimale quasi sempre rimpiazzarono gli schemi binario e ternario. Uno studio di parecchie centinaia di tribù di indiani d'America, per esempio, mostrò che quasi un terzo usava una base decimale e che circa un altro terzo aveva adottato un sistema quinario o quinario-decimale; meno di un terzo aveva un sistema binario, e quelli che facevano uso di un sistema ternario costituivano meno dell'1% del gruppo. Il sistema vigesimale, con base venti, si riscontrava in circa il 10% delle tribù. Mucchi di pietre erano mezzi effimeri per la conservazione di informazioni; perciò l'uomo preistorico, talvolta, registrava i numeri incidendo intaccature su un bastone o su un pezzo di osso. Scarso è il numero di registrazioni del genere pervenute fino, a noi. In Cecoslovacchia, però, è stato trovato un osso di lupo che presenta, profondamente incise. cinquantacinque intaccature. Queste sono disposte in due serie: venticinque nella prima e trenta nella seconda; all'interno di ciascuna serie le intaccature sono distribuite in gruppi di cinque. Tali scoperte archeologiche forniscono una prova del fatto che l'idea di numero è molto più antica di progressi tecnologici quali l'uso di metalli o la costruzione di veicoli a ruote. Tale idea precede la nascita della civiltà e della scrittura, nel senso usuale del termine: ci sono infatti pervenuti resti archeologia dotati di significato numerico, come l'osso testè descritto, che appartengono a un periodo risalente a circa 30.000 anni fa. Ulteriori testimonianze concernenti i più antichi concetti dell'uomo intorno al numero si possono riscontrare nella lingua inglese odierna. A quanto pare, le parole eleven e twelve significavano originariamente “l'uno in più” e “due in più”; ciò indica che il prevalere del concetto decimale risale a un'epoca molto antica. Tuttavia è stata avanzata l'ipotesi che forse la parola indo-europea che sta a indicare otto sia derivata da una forma duale usata per indicare quattro, e che la parola latina novem, che significa nove, vada forse collegata con novus (nuovo), nel senso che era l'inizio di una nuova serie. Parole del genere possono forse venire interpretate come indicanti la persistenza per un certo periodo di una scala quaternaria o ottonaria, così come la parola francese quatre-vingt usata tutt'oggi sembra essere il residuo di un sistema vigesimale. QUESITI RELATIVI AL TESTO XII T121. Il brano ha un carattere: A. B. C. D. E. Letterario Filosofico Scientifico Storico Didascalico T122. La matematica ha origine: A. B. C. D. E. Nell'esperienza concreta Nella speculazione filosofica Nell'ispirazione religiosa Nella soluzione di problemi Nella elaborazione teorica T123. Il numero fu inizialmente espresso: A. B. C. D. E. Impiegando pietre Incidendo legni Mediante rappresentazioni Mediante simboli Mediante segni T124. Il numero è: A. B. C. D. E. Un concetto simbolico Un indice semantico Una proprietà astratta Una proprietà derivata Una proprietà empirica Didascalico: di componimento letterario che si proponga fini informativi e divulgativi (Devoto-Oli) TESTO XIII Ci sono più di 1000 asteroidi con un diametro superiore ad un chilometro le cui orbite incrociano quella della Terra. In media tre di questi asteroidi urtano contro la superficie del nostro pianeta ogni milione di anni. Corpi celesti di dimensioni inferiori sono assai più numerosi e cadono sulla Terra molto più frequentemente. Le tracce di tali impatti sono molto evidenti sulle superfici della Luna, di Marte e di Mercurio, ma anche sulla Terra non mancano i segni di numerose cadute. Uno di questi crateri, probabilmente il più studiato, è quello di Ries in Germania cha ha un diametro di 26 km ed una profondità di 800 metri. Esso fu prodotto circa 15 milioni di anni fa dall'impatto di un asteroide di diametro superiore ad un km. Gli studi effettuati hanno messo in luce che tale impatto provocò tremende manifestazioni distruttive, dovute all'energia cinetica del corpo caduto, che hanno dato luogo ad enormi pressioni unite ad altissime temperature nonché a numerosissimi frammenti “sparati” tutto intorno come proiettili ad altissima velocità. E' solo di pochi anni fa la scoperta di un violentissimo impatto avvenuto 65 milioni di anni orsono, durante il periodo Cretaceo, di un asteroide di circa 10 km di diametro. Gli asteroidi di tali dimensioni non sono molto diffusi nello spazio che ci circonda e gli esperti calcolano che in media sulla Terra ne cada uno ogni 40 milioni di anni. L'evidenza scientifica di un tale avvenimento è stata sostenuta da molti mediante la constatazione che esiste una forte anomalia nella concentrazione di iridio, un metallo che costituisce spesso questi asteroidi, in un sottile strato di rocce sedimentarie formatesi alla fine del Cretaceo. Sono state trovate tali anomalie sia in rocce sedimentarie marine sia in 'quelle non marine e in molte località sparse in tutto il pianeta. Oltre alle anomalie della concentrazione di iridio, altre tracce di tale evento sono state trovate dai paleontologi. Gli effetti variano moltissimo a seconda che si analizzino depositi terrestri o marini. I più colpiti risultano gli organismi planctonici con conchiglia calcarea che vivevano negli strati vicino alla superficie degli oceani tropicali. molto meno colpiti risultano gli organismi con conchiglia di silice. Alcuni scienziati hanno ipotizzato che un forte aumento dell'acidità della superficie degli oceani fu determinato da una grande quantità di ossidi di azoto prodotti alle elevatissime temperature causate dall'impatto e quindi ricaduti come acidi nitrico e nitroso nel corso di precipitazioni di pioggia fortemente acida. Mentre sulla Terra l'effetto della caduta di tali piogge acide veniva attenuata dalla grande capacità di neutralizzazione del suolo, negli oceani esso colpiva solo le acque superficiali che divenivano fortemente acide. Non tutti gli scienziati sono d'accordo sulla dimostrazione scientifica che un tale impatto sia effettivamente avvenuto alla fine del Cretaceo, 65 milioni di anni fa ed oggi siano in effetti solo gli inizi delle scoperte che probabilmente avverranno nel settore dell'interpretazione dei fenomeni legati all'impatto di grandi asteroidi con il nostro pianeta. Quello che è il caso di sottolineare. in un mondo dove tutti sembrano ritenere il nostro pianeta modificato solo dall'azione perversa dell'uomo, è che la Terra è stata testimone di moltissime estinzioni di specie di animali e di piante. Alcune sono avvenute molto lentamente a causa di mutamenti climatici e dell'alterazione delle nicchie ecologiche che hanno favorito lo sviluppo di nuovi e più forti competitori. In altri casi una larga frazione delle varie forme viventi si è rapidamente estinta come sembra sia accaduto 65 milioni di anni fa, durante il Cretaceo, a causa delle conseguenze dell’impatto di grossi corpi celesti caduti sulla Terra. La frequenza di tali eventi è piuttosto elevata come dimostrano i vari crateri esistenti ancora sulla superficie terrestre. Tra le cause di preoccupazione, e sono moltissime, sul futuro dell'umanità sul pianeta Terra deve essere inclusa anche quella di venire impallinati dallo spazio. Esistono oggi i mezzi per effettuare interventi protettivi. E' però necessario cominciare a lavorare per creare adeguate strutture operative in grado di eseguire tali interventi qualora si dovesse decidere di farli. Non è infatti pensatile che si possano gestire, al contrario di quello che avviene nei film di fantascienza, tali momenti di crisi planetaria 'dal podio di assemblee internazionali. QUESITI RELATIVI AL TESTO XIII T131. Il brano ha un carattere: A. B. C. D. E. Fantascientifico Letterario Storico Politico Informativo T132. L’iridio si ritrova: A. B. C. D. E. In tutti gli asteroidi Nella maggior parte degli asteroidi In tutti gli asteroidi di certe dimensioni Nella maggior parte degli asteroidi di certe dimensioni Negli asteroidi caduti sulla terra T133. Gli asteroidi hanno dimensioni: A. B. C. D. E. Generalmente inferiori a 1 Km Generalmente intorno a 1 Km Generalmente superiori a 1 Km Molto variabili Imprecisabili T134. La terra si è modificata: A. B. C. D. E. Per opera dell'uomo Per l'alterazione delle nicchie ecologiche Per i mutamenti climatici Per A, B, C Per nessuna delle cause sopra indicate