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Nanostrutture Fotoniche Tridimensionali con Disordine Controllato

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Nanostrutture Fotoniche Tridimensionali con Disordine Controllato
Università degli studi di Firenze
Facoltà di Scienze Matematiche Fisiche e Naturali
Corso di laurea specialistica in scienze fisiche e astrofisiche
Tesi di laurea specialistica
Nanostrutture Fotoniche Tridimensionali
con Disordine Controllato
Engineering Disorder in 3D Photonic
Nanostructures
Candidato: Lorenzo Cortese
Relatore: Prof. Diederik Wiersma
Correlatore: Prof. Massimo Inguscio
Supervisore: Dott. Matteo Burresi
anno accademico 2011/2012
Indice
Introduzione
1
1 Trasporto della luce in sistemi fotonici completamente disordinati ed in sistemi ordinati
5
1.1 Sistemi fotonici disordinati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8
1.1.1 Scattering indipendente . . . . . . . . . . . . . . . . . 9
1.1.2 Effetti di interferenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11
1.2 Cristalli fotonici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 12
2 Direct Laser Writing
2.1 Assorbimento a due fotoni . . . . . . . . . . . . . . . . . .
2.2 Processo di fotopolimerizzazione . . . . . . . . . . . . . . .
2.3 Confinamento spaziale del processo di fotopolimerizzazione
2.4 Photoresist . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
2.5 Lo strumento Nanoscribe Photonic Professional . . . . . .
2.5.1 Apparato ottico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
2.5.2 Programma di controllo remoto . . . . . . . . . . .
2.5.3 Procedura di fabbricazione con il Nanoscribe . . . .
3 Sistemi fotonici amorfi
3.1 Struttura dei sistemi amorfi . . . . . . . . . . . . . . . .
3.1.1 Sistemi di sfere dure . . . . . . . . . . . . . . . .
3.2 Tetrahedrally connected dielectric networks . . . . . . . .
3.2.1 Generazione del sistema di sfere impacchettato . .
3.2.2 Generazione della rete tetraedrica di connessioni .
3.2.3 Proprietà di scattering di una singola connessione
3.2.4 Fabbricazione delle strutture . . . . . . . . . . . .
3.3 Caratterizzazione ottica . . . . . . . . . . . . . . . . . .
3.3.1 Misura dello scattering mean free path (ls ) . . . .
i
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39
39
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51
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66
66
4 Woodpiles con centri di disordine
4.1 La struttura woodpile . . . . . . . . . . . . . .
4.2 Campioni fabbricati . . . . . . . . . . . . . . .
4.3 Caratterizzazione SEM . . . . . . . . . . . . .
4.4 Misure di diffrazione . . . . . . . . . . . . . .
4.4.1 Apparato sperimentale . . . . . . . . .
4.4.2 Risultati ottenuti . . . . . . . . . . . .
4.5 Misure di trasmissione e riflessione . . . . . .
4.5.1 Apparato sperimentale ed operazioni di
4.5.2 Risultati ottenuti . . . . . . . . . . . .
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73
74
76
77
81
83
84
86
86
89
Conclusioni
97
Appendice
100
A Listati di programma
101
Ringraziamenti
107
Bibliografia
109
ii
Introduzione
La propagazione della luce all’interno di un materiale è fortemente influenzata dalla natura del materiale stesso. Ad esempio la luce solare all’interno
di una nuvola è ben descritta tramite un modello diffusivo, che considera la
luce come un corpuscolo che compie un moto browniano dovuto all’interazione con gli ostacoli che incontra (in questo caso gocce di vapore acqueo).
In questo modello quindi non è considerata la natura ondulatoria della luce.
In altre situazioni la luce può essere considerata come raggio in un mezzo
uniforme. Questo è il caso dell’ottica geometrica, dove la lunghezza d’onda
della luce è sensibilmente maggiore della scala sulla quale il materiale mostra disomogeneità. La luce quindi non vede le differenze nel materiale che
intervengono su scale molto minori della lunghezza d’onda, e si propaga come se il mezzo fosse uniforme. In altri sistemi invece la propagazione della
luce è dominata da effetti di interferenza, causati da riflessioni e rifrazioni
all’interno del materiale, e quindi la luce si comporta a tutti gli effetti come
un’onda. Questi sistemi sono caratterizzati da variazioni di indice di rifrazione su scala paragonabile alla lunghezza d’onda della radiazione utilizzata
per investigarli, e ci riferiremo ad essi chiamandoli sistemi fotonici.
La variazione di indice di rifrazione in un sistema fotonico può avvenire in
maniera periodica o completamente disordinata. In figura 1 è mostrato come,
a partire dalla solita unità costituente (una sfera dielettrica), si possano ottenere sistemi fotonici completamente disordinati e sistemi fotonici ordinati,
periodici (cristalli fotonici). Il trasporto della luce in sistemi ordinati presenta aspetti comuni al trasporto di elettroni in solidi cristallini. All’interno del
materiale, sotto particolari condizioni, è inibita la propagazione della luce
in certe regioni spettrali (bandgaps fotoniche) [1]. Anche la luce in sistemi
disordinati presenta forti analogie con gli elettroni in sistemi atomici disordinati. Un esempio è l’analogo ottico della localizzazione di Anderson [2, 3],
dove il trasporto della luce si arresta improvvisamente e la luce si localizza
spazialmente in certe regioni del materiale.
In questa tesi vengono studiati sistemi fotonici che non possono essere considerati né sistemi ordinati, né sistemi completamente disordinati, affrontando
1
Figura 1: Sistema disordinato e sistema ordinato ottenuti a partire dalla medesima unità
costituente, una sfera dielettrica.
il problema mediante due approcci diametralmente opposti. Infatti sono
realizzate ed investigate otticamente sia strutture disordinate con un certo
grado di ordine (strutture fotoniche amorfe), sia strutture ordinate con un
certo grado di disordine. Studi sull’effetto dell’interazione fra ordine e disordine nelle proprietà di trasporto della luce sono di fondamentale importanza
dal momento che un certo grado di disordine in strutture ordinate ed un
certo grado di correlazione in strutture disordinate sono sempre presenti in
natura. Recentemente sistemi che combinano proprietà dovute sia al disordine che all’ordine hanno ricevuto molto interesse da parte della comunità
scientifica, sia in riferimento alla natura della formazione delle bandgaps fotoniche [2, 4, 5], sia per osservare il verificarsi della localizzazione della luce a
lunghezze d’onda ottiche [2, 6].
Nello studio proposto in questa tesi la tecnica di fabbricazione utilizzata ci
fornisce la possibilità unica di realizzare strutture tridimensionali mantenendo un completo controllo sulla loro architettura e sul disordine all’interno di
esse. La tecnologia è chiamata direct laser writing [7, 8] e sfrutta il processo
di fotopolimerizzazione a due fotoni indotta da un laser ad impulsi ultracorti
focalizzato su un materiale fotosensibile. Questa tecnica di fabbricazione ci
permette di costruire strutture polimeriche con basso contrasto di indice di
rifrazione, con le quali è possibile studiare le proprietà di trasporto nel regime
di scattering debole. Inoltre, tali strutture possono essere utilizzate in futuro
come templates da infiltrare con silicio [9], ottenendo un elevato contrasto
di indice di rifrazione nella struttura ed aumentando l’interazione radiazione
materia, in maniera da ottenere nuove proprietà fotoniche.
2
Organizzazione della tesi
Nel capitolo 1 è proposta un’introduzione sulla propagazione della luce in
sistemi disordinati ed in sistemi ordinati (cristalli fotonici).
Nel capitolo 2 è analizzata in dettaglio la tecnica utilizzata per la fabbricazione delle strutture fotoniche proposte in questo lavoro di tesi, il direct laser
writing. Inizialmente vengono fornite le conoscenze di base per comprendere
tale tecnica, in seguito viene analizzato in dettaglio il funzionamento degli
strumenti utilizzati.
Il capitolo 3 costituisce la parte centrale del lavoro di tesi. Vengono proposti sistemi fotonici caratterizzati dall’introduzione di ordine in una struttura
complessivamente disordinata: i cosiddetti sistemi fotonici amorfi. All’inizio del capitolo sono introdotti i concetti fondamentali per comprendere la
struttura di un sistema amorfo. La parte centrale del capitolo è dedicata alla
progettazione, allo studio ed alla fabbricazione tramite direct laser writing
di un particolare tipo di sistema amorfo, ovvero quello costituito da una rete tetraedrica di connessioni di materiale dielettrico. Nella parte conclusiva
del capitolo viene invece presentata una preliminare caratterizzazione ottica
delle strutture fabbricate.
Nel capitolo 4 è presentato uno studio di sistemi caratterizzati dall’introduzione di centri di disordine all’interno di una struttura complessivamente
ordinata. Le strutture studiate sono cristalli fotonici woodpiles con all’interno delle particelle scatteranti in bassa concentrazione distribuite in maniera
casuale. Nella prima parte del capitolo è fornita una breve spiegazione della
struttura woodpile. Nella restante parte è presentata una caratterizzazione
dei campioni al microscopio elettronico ed una preliminare caratterizzazione
ottica. Il lavoro presentato in questo capitolo si inserisce in un progetto di
ricerca già avviato e la fabbricazione di queste ultime strutture non è oggetto
di questa tesi di laurea.
3
4
Capitolo 1
Trasporto della luce in sistemi
fotonici completamente
disordinati ed in sistemi
ordinati
Quando la luce incontra un ostacolo, ovvero una disomogeneità all’interno
del mezzo in cui si propaga, essa può essere deviata, riflessa, assorbita. Lo
scattering della luce consiste in una diffusione più o meno casuale di essa da
parte di un ostacolo. Le proprietà di scattering di una particella sono molto
complesse. Il campo elettromagnetico incidente induce una polarizzazione
elettrica nella particella. Questa polarizzazione genera una nuova onda che
influenza nuovamente la polarizzazione della particella. Il campo uscente è il
risultato di questo meccanismo ricorsivo.
Nel corso di questa tesi ci riferiremo esclusivamente a fenomeni di scattering
elastico, che non comportano la perdita di energia da parte del fotone. In
assenza di assorbimento la sezione d’urto di scattering σs , descrive il flusso
di energia rimosso tramite lo scattering della luce da una particella. Essa è
data dal rapporto fra il flusso di energia rimosso tramite lo scattering Fs e
l’intensità del campo incidente secondo la relazione
Fs (ω) = σs (ω)Iin (ω),
(1.1)
dove ω è la frequenza dell’onda elettromagnetica.
La dipendenza della sezione d’urto di scattering dalla lunghezza d’onda λ
dipende fortemente dalle dimensioni (R) della particella scatterante rispetto
alla lunghezza d’onda incidente. Il caso di λ R corrisponde allo scattering
di Rayleigh [10]. In questo limite la sezione d’urto di scattering è direttamente proporzionale alla quarta potenza della frequenza ω. Un esempio di
5
Figura 1.1: Andamento della sezione d’urto di scattering (normalizzata rispetto alla
sezione d’urto geometrica) relativa ad una sfera di raggio R di indice di rifrazione 2.8 [12].
scattering di Rayleigh è lo scattering della luce da parte delle particelle che
compongono l’atmosfera terrestre. Il colore blu del cielo dipende dal fatto
che la luce blu è diffusa in maniera molto maggiore rispetto alle altre frequenze. Il caso di λ R corrisponde all’ottica geometrica. In questo limite un
fascio di luce all’interno di un materiale può essere decritto come un raggio
che si propaga dentro lo scatteratore. Il caso di scattering da particelle di
dimensioni comparabili alla lunghezza d’onda della luce (λ ∼ R) è il cosiddetto scattering di Mie [10, 11]. In questo limite il problema definito dalle
equazioni di Maxwell può essere risolto in maniera esatta solo per particolari
geometrie delle particelle scatteranti (es. sfere o cilindri infiniti). In questo
regime avviene uno scattering risonante e l’andamento in frequenza della sezione d’urto del processo è caratterizzato dalle cosiddette risonanze di Mie,
le quali dipendono dalla forma, dalle dimensioni e dall’indice di rifrazione
della particella. In figura 1.1 è mostrato l’andamento della sezione d’urto
di scattering per una sfera al variare del rapporto fra il raggio R e la lunghezza d’onda λ. Per R/λ 1 siamo nel limite di scattering di Rayleigh,
mentre quando R e λ sono dello stesso ordine di grandezza siamo nel regime
di scattering di Mie. L’interazione fra la radiazione e le strutture fotoniche
presentate in questo lavoro di tesi ricade nel limite di scattering di Mie in
quanto la modulazione dell’indice di rifrazione in esse avviene su scala paragonabile alla lunghezza d’onda della radiazione incidente.
Quando la luce è scatterata da un sistema di particelle l’intensità dello scattering sarà dovuta a fenomeni di interferenza fra le varie onde scatterate.
6
Figura 1.2: Riflessione di Bragg da una famiglia di piani separati da una distanza d.
L’intensità totale scatterata è determinata dalla relazione
I(r, t) =
cn
|E1 (r, t) + E2 (r, t) + E3 (r, t) + . . . |2 ,
2
(1.2)
dove n è l’indice di rifrazione effettivo del sistema e c è la velocità della luce
nel vuoto. I campi elettrici Ei (r, t) sono i contributi al campo elettrico totale
dovuti ai singoli eventi di scattering. In questo modo la somma tiene conto
delle fasi reciproche fra i campi provenienti da differenti eventi di scattering.
Un sistema con modulazione periodica dell’indice di rifrazione è un caso particolare di sistema di scatteratori in cui la propagazione della luce è dominata
da effetti di interferenza. La relazione di fase tra le onde scatterate è determinata dalla distanza periodica tra scatteratori e questo definisce le proprietà
di trasporto della luce. Un insieme di piani cristallini ad esempio (figura 1.2),
a causa dell’interferenza costruttiva e distruttiva, agisce come uno specchio
quando si verifica la condizione di Bragg
mλ = 2nd cos θ,
(1.3)
dove m è un numero intero, n è l’indice di rifrazione effettivo del sistema, d
è la distanza fra due piani adiacenti del cristallo e θ è l’angolo di riflessione.
Per ottenere interferenza costruttiva in riflessione è necessario che la differenza di cammino ottico fra i due fasci riflessi da due differenti piani reticolari
sia uguale ad un multiplo intero della loro lunghezza d’onda.
Nel caso di sistemi dove la modulazione dell’indice di rifrazione avviene in
7
maniera casuale, sotto particolari condizioni possono essere trascurate le relazioni di fase fra le onde provenienti dai differenti eventi di scattering e quindi
per ottenere l’intensità totale scatterata possono essere semplicemente sommate le intensità scatterate nei diversi eventi. Questa è l’approssimazione
di scattering indipendente. Sotto altre condizioni anche nel caso di sistemi
random il trasporto della luce è dominato da fenomeni di interferenza. In tal
caso possono essere osservati fenomeni quali coherent backscattering e localizzazione di Anderson.
In questo capitolo sono presentati i concetti fondamentali per comprendere le
proprietà di trasporto della luce nella materia. Nella prima parte viene studiata la propagazione della luce in sistemi completamente disordinati, mentre
nella seconda parte è analizzata la propagazione in sistemi fotonici ordinati,
ovvero i cristalli fotonici.
1.1
Sistemi fotonici disordinati
Consideriamo la propagazione della luce in un sistema completamente disordinato, che non presenta assorbimento, in cui l’indice di rifrazione varia in
maniera casuale nello spazio (come vedremo nel capitolo 3 in questo caso
non esiste alcuna correlazione fra la posizione degli scatteratori). Quando
le dimensioni delle particelle scatteranti sono molto minori rispetto alla lunghezza d’onda della luce ed il sistema è molto denso, la luce si propaga come
se fosse in un materiale effettivo omogeneo, non riuscendo a “distinguere” le
particelle. Quando però il sistema è sufficientemente diluito, la propagazione
della luce è fortemente disturbata dall’effetto dello scattering multiplo dalle
particelle. In tale sistema un fascio di luce coerente non si propaga liberamente, ma dopo una certa distanza verrà scatterato. La distanza media percorsa
dalla luce fra due eventi successivi di scattering è chiamata scattering mean
free path ls . Quando ls λ ciascun evento di scattering può essere considerato indipendente (approssimazione di scattering indipendente). In questa
approssimazione ogni particella scattera la luce in modo differente da tutte le
altre. Non ci sono quindi relazioni sistematiche di fase fra le onde scatterate
dalle differenti particelle. L’effetto medio netto è che le intensità delle onde
scatterate possono essere sommate senza tenere conto delle fasi relative fra
esse, ovvero tralasciando i fenomeni di interferenza. Al contrario, quando
ls ∼ λ, l’interferenza assume un ruolo cruciale nelle proprietà di trasporto
della luce e non è più possibile considerare l’approssimazione di scattering
indipendente.
8
Figura 1.3: Esempio di random walk in due dimensioni.
1.1.1
Scattering indipendente
Nell’approssimazione di scattering indipendente la luce all’interno di un materiale viene descritta come un camminatore (walker ) che compie cammini
fra un evento di scattering e l’altro. Assumiamo che la distanza ∆x percorsa
dalla luce fra un evento di scattering e l’altro è una variabile non correlata,
ovvero non dipende dagli eventi di scattering precedenti. La dimensione di
ciascun passo è quindi distribuita in maniera casuale ed il trasporto della
luce è identificato come un esempio di random walk (figura 1.3 (a)). Non è
considerata, quindi, la natura ondulatoria della luce. Non è possibile avere
una previsione deterministica, come in meccanica, della posizione di un oggetto (in questo caso il fotone) che compie un random walk. Per studiare
le proprietà di trasporto della luce in questo limite è necessario un approccio di tipo probabilistico. Se la probabilità di avere un evento di scattering
è costante allora la probabilità di un fotone di percorrere indisturbato una
distanza ∆x prima di essere nuovamente scatterato può essere considerata
esponenziale:
−∆x
),
(1.4)
P (∆x) ∼ exp(
ls
dove ls è lo scattering mean free path. Nel caso di basse densità di scatteratori, senza correlazioni spaziali fra le loro posizioni, ls dipende unicamente
dall’inverso del prodotto fra la densità di scatteratori ρ e la sezione d’urto di
scattering:
1
ls =
.
(1.5)
ρσs
9
Nel caso che la sezione d’urto di scattering sia anisotropa, le proprietà di
trasporto della luce sono ben descritte dal transport mean free path lt (figura
1.3 (b)), dato da:
ls
,
(1.6)
lt =
1 − hcos θi
dove hcos θi è il coseno medio dell’angolo di scattering per ciascun evento
di scattering (per θ compreso fra 0 e π abbiamo scattering nel semispazio in
avanti rispetto allo scatteratore, altrimenti backscattering). Il transport mean
free path costituisce la distanza media nella quale la luce perde memoria della sua direzione di propagazione iniziale. Dopo una distanza comparabile a
lt gli eventi di scattering sono completamente indipendenti e la propagazione diventa random anche nella direzione di propagazione. La distribuzione
esponenziale delle distanze percorse dai fotoni fra due eventi successivi di
scattering è suggerita dall legge di Lambert-Beer, che descrive l’intensità di
un fascio coerente trasmessa attraverso un mezzo opaco, omogeneo, senza
assorbimento, di spessore L:
L
I(L) = I(0) exp(− ).
ls
(1.7)
In prima approssimazione infatti il fascio uscente dal materiale sarà composto
da tutti quei fotoni che non sono stati deviati dalla direzione di propagazione
iniziale.
Per descrivere le proprietà della luce diffusa è utile considerare l’espansione
di una nuvola di fotoni all’interno del materiale diffusivo. Tale nuvola avrà
un raggio medio, R, che dipende dalla fluttuazione quadratica media della
posizione del fotone ad un determinato tempo t:
p
R ' hX(t)2 i.
(1.8)
Per tempi molto maggiori dell’intervallo di tempo medio fra due eventi di
scattering la fluttuazione quadratica media della posizione del fotone dipende
linearmente dal tempo:
X(t)2 ∼ 2Dt,
(1.9)
dove D è la costante di diffusione, collegata all’espansione della nuvola di
fotoni. La distribuzione degli X può essere vista come la probabilità per
un fotone proveniente dalla posizione iniziale x0 al tempo t0 di essere trovato nella posizione X al tempo t. Questa probabilità associata al processo
del random walk deve soddisfare un’equazione di diffusione che esprime la
tendenza del sistema a raggiungere l’uniformità. Analogamente può essere scritta un’equazione di diffusione per la densità di energia W del campo
10
elettromagnetico. Dal momento che la propagazione su scale maggiori del
transport mean free path è completamente casuale, ci sarà un flusso netto di
luce J (per unità di volume) solo se la densità di energia W non è uniforme.
La dipendenza del flusso di luce per unità di volume J dalla variazione della
densità di energia è data dalla legge di Fick:
J = −D∇W,
(1.10)
dove D è la costante di diffusione, che dipende dalle caratteristiche microscopiche del sistema. La conservazione dell’energia, in presenza di una sorgente
di luce S, è espressa dall’equazione di continuità:
∂W
+ ∇ · J = S.
∂t
(1.11)
Combinando queste due equazioni otteniamo l’equazione di diffusione per la
luce:
∂W
= D∇2 W + S
(1.12)
∂t
Questa equazione è estremamente generale e descrive il comportamento della
luce all’interno di mezzi diffusivi, come ad esempio una nuvola, senza la
necessità di considerare la natura ondulatoria della luce.
1.1.2
Effetti di interferenza
Molti aspetti della propagazione della luce in sistemi disordinati non possono
essere descritti nell’approssimazione di scattering indipendente. Illuminando
un sistema random con un fascio laser, l’immagine della luce scatterata è
spesso caratterizzata da una moltitudine di spots luminosi disposti in modo
casuale ed intervallati da regioni scure. Tale immagine è chiamata speckle
pattern. Questo è segno evidente che lo scattering multiplo attraverso un
sistema random non implica necessariamente la perdita della coerenza, ma
viene conservata una memoria della fase dell’onda. Infatti gli spots luminosi
presenti nello speckle sono dovuti ad interferenza costruttiva, mentre quelli scuri ad interferenza distruttiva. In figura 1.4 è mostrato un esempio di
speckle pattern ottenuto illuminando un comune foglio di carta con luce laser. In sistemi diluiti la perdita della memoria della fase avviene dopo aver
effettuato una media su molte configurazioni di disordine. Lo speckle, infatti,
riflette la posizione istantanea degli scatteratori. Se effettuiamo una media
su diverse configurazioni di disordine lo speckle viene eliminato e rimane un
alone di luce diffusa. Nel regime di scattering forte, dove kls ∼ 1, la memoria della fase dell’onda viene mantenuta anche dopo aver mediato su diverse
11
Figura 1.4: Speckle pattern ottenuto illuminando un comune foglio di carta con un He-Ne
laser.
configurazioni di disordine. In questo caso non è più valida l’approssimazione di scattering indipendente che ci permette di descrivere la propagazione
della luce come un processo diffusivo. Anche dopo aver effettuato una media su diverse configurazioni di disordine certi cammini della luce rimangono
più probabili di altri, generando effetti di interferenza fra onde contropropaganti. Effetti importanti dovuti all’interferenza in sistemi disordinati sono
il coherent backscattering [13–15], ovvero l’osservazione di un incremento di
un fattore due dell’intensità della luce scatterata all’indietro rispetto al background di luce diffusa, e la localizzazione di Anderson [3], nella quale gli
effetti di scattering multiplo ricorrente portano ad un completo arresto della
luce ed alla sua localizzazione spaziale.
1.2
Cristalli fotonici
I cristalli fotonici [1, 2] sono materiali caratterizzati da una modulazione periodica dell’indice di rifrazione su scala paragonabile alla lunghezza d’onda
della luce utilizzata per investigarli. Ci riferiamo a cristalli fotonici in una,
due o tre dimensioni a seconda che la modulazione periodica dell’indice di
rifrazione sia lungo una, due o tre dimensioni dello spazio. In figura 1.5 è
mostrato uno schema di cristalli fotonici unidimensionali, bidimensionali e
tridimensionali.
Nei cristalli fotonici il trasporto della luce è dominato da effetti di interfe12
Figura 1.5: Schema di cristalli fotonici unidimensionali, bidimensionali e tridimensionali
[16]. Colori differenti indicano materiali con indice di rifrazione differente.
renza dovuti a precise relazioni di fase fra le onde scatterate dalle interfacce
delle zone a differente indice di rifrazione. L’effetto risultante, sotto particolari condizioni chesaranno mostrate in seguito, è la formazione di regioni di
frequenze per cui la propagazione della luce è inibita all’interno del cristallo.
Queste regioni spettrali sono chiamate bandgaps fotoniche in analogia alle
bandgaps elettroniche tipiche di strutture quali semiconduttori. In quest’ultimo caso, infatti, per un elettrone soggetto al potenziale periodico dovuto
alla periodicità del reticolo cristallino la densità dei livelli energetici si annulla in alcuni intervalli di energie, che risultano quindi preclusi alla particella.
Nel caso di un materiale fotonico, la modulazione periodica dell’indice di rifrazione n ha sui fotoni un effetto in prima approssimazione analogo a quello
del potenziale periodico sugli elettroni nei semiconduttori. La modulazione
dell’indice di rifrazione in materiali fotonici modifica la relazione di dispersione ω = ω(k) dei fotoni rispetto al caso della propagazione in materiali
omogenei, nei quali essa è data da ω(k) = vk, con v = c/n velocità della luce
nel mezzo. La variazione della relazione di dispersione modifica la densità
di stati del campo elettromagnetico D(~ω), definita come il numero di modi
permessi per unità di volume e frequenza. La relazione che lega ω(k) alla
densità di stati in funzione della frequenza ω, in un generico mezzo materiale,
è data da:
1
ω2
.
(1.13)
D(~ω) =
~π 2 c2 |∂ω/∂k|
La densità degli stati si annulla all’interno della bandgap mentre tende all’infinito in prossimità del bordo della gap, dove la velocità di gruppo dell’onda,
definita come vg = ∂ω/∂k, tende a zero.
13
In analogia con i cristalli atomici, per i cristalli fotonici può essere sviluppata
una trattazione teorica basata sul formalismo di Bloch [16, 17]. Il punto di
partenza sono naturalmente le equazioni di Maxwell. Consideriamo un mezzo costituito da regioni omogenee di materiale dielettrico, ovvero un sistema
in cui la costante dielettrica dipende dalla posizione r ( = (r)). Per semplificare il problema consideriamo un materiale non magnetico, isotropo e
senza perdite. Assumiamo inoltre che non presenti effetti non lineari e che la
costante dielettrica non dipenda dalla frequenza ω ovvero sia una funzione
reale positiva di r. Considerate queste assunzioni, le equazioni di Maxwell in
assenza di sorgenti risultano essere:
∂H(r, t)
=0
∂t
∂E(r, t)
=0
∇ · [(r)E(r, t)] = 0 ∇ ∧ H(r, t) − 0 (r)
∂t
∇ · H(r, t) = 0
∇ ∧ E(r, t) + µ0
(1.14)
dove E e H sono i campi elettrico e magnetico, 0 la costante dielettrica
del vuoto e µ0 la permeabilità magnetica del vuoto. Considerando soluzioni
armoniche di tipo E(r, t) = E(r)e−iωt e H(r, t) = H(r)e−iωt dalle equazioni
di Maxwell si ottiene l’equazione:
1
ω 2
∇∧
∇ ∧ H(r) =
H(r),
(1.15)
(r)
c
√
dove si è sostituito c = 1/ 0 µ0 , velocità della luce nel vuoto. Questa equazione, nota come master equation, racchiude tutte le informazioni sul campo
magnetico. Noto il campo H si risale facilmente ad E tramite la relazione
E(r) =
ic
∇ ∧ H(r).
ω
(1.16)
Un’importante proprietà della master equation è la sua scalabilità. Consideriamo che la costante dielettrica (r) abbia variazioni su un fattore di scala
s diverso, ovvero 0 (r) = (r/s) (s < 1 consiste in un’espansione uniforme
del sistema, s > 1 in una compressione). Effettuando un cambio di variabili
r0 → sr e ω 0 = ω/s per il nuovo sistema otteniamo un’equazione formalmente identica alla 1.15 in r0 e ω 0 . La scalabilità delle equazioni di Maxwell è
responsabile quindi di una sostanziale differenza fra il caso fotonico ed il caso
elettronico. In un cristallo fotonico il comportamento dell’onda elettromagnetica non dipende solo dalla lunghezza d’onda, ma dal rapporto fra questa
e il passo reticolare del campione considerato. Esiste, inoltre, un fattore di
scala anche per la costante dielettrica . Se consideriamo di scalare la costante dielettrica di un fattore s2 , 0 (r) = (r/s2 ), operando la sostituzione
14
ω 0 = sω si ottiene un’equazione formalmente identica alla 1.15.
Un’altra sostanziale differenza fra i casi elettronico e fotonico è dovuta al
fatto che non è possibile intrappolare un fotone in una buca di potenziale
ottenendo uno stato legato come accade invece per gli elettroni.
L’analogia fra il caso fotonico e quello elettronico risale invece al fatto che è
possibile riscrivere l’eq. 1.15 come:
ω 2
b
Θ(r)H(r) =
H(r)
(1.17)
c
b
dove l’operatore Θ(r)
è definito come
1
b
∇∧.
Θ(r)
=∇∧
(r)
(1.18)
b
Si può dimostrare che Θ(r)
è un operatore hermitiano e definito positivo
(per reale e positivo) e quindi ha autovalori (ω 2 /c2 ) reali e positivi. La
risoluzione dell’eq. 1.15 si riduce, quindi, ad un problema agli autovalori per
b formalmente analogo all’equazione di Schrödinger stazionaria,
l’operatore Θ
utilizzata nello studio delle proprietà degli elettroni in reticoli atomici:
b
H(r)ψ
= Eψ
(1.19)
b è l’hamiltoniana del sistema con autofunzione ψ e relativo autovalore
dove H
E. Un cristallo fotonico corrisponde al caso di costante dielettrica del materiale periodica per vettori del reticolo R = l1 a1 + l2 a2 + l3 a3 , con ai vettori
primitivi del reticolo e li sono numeri interi, ovvero (r) = (r + R). Anche
b sarà quindi periodico (Θ(r)
b
b + R)). Analogamente al
l’operatore Θ
= Θ(r
b del sistema è periocaso elettronico, dove per un cristallo l’hamiltoniana H
dica a causa della presenza del potenziale periodico, ricadiamo nelle ipotesi
del teorema di Bloch. La soluzione dell’equazione 1.17 può essere scelta della
forma
H(r) = Hn,k (r)eik·r
(1.20)
dove Hn,k (r) ha la periodicità del reticolo (Hn,k (r) = Hn,k (r + R)) e risolve
un altro problema agli autovalori. Le soluzioni sono valori discreti ωn (k).
Il teorema di Bloch implica anche che due stati che differiscono per vettori
G, che soddisfano la condizione eiG·R = 1, sono in realtà lo stesso stato.
Questo suggerisce la definizione di un reticolo nello spazio reciproco dei vettori d’onda G che genera onde piane con la periodicità del reticolo diretto.
Possono essere quindi definiti i vettori primitivi del reticolo reciproco bi , i
quali soddisfano la condizione bi · aj = 2πδij . In funzione di essi il vettore del
reticolo reciproco risulta G = m1 b1 + m2 b2 + m3 b3 , con mi interi. I vettori
15
Figura 1.6: Schema del processo di formazione della gap fotonica in un cristallo fotonico
unidimensionale. A sinistra è presentato il caso di materiale omogeneo, dove la relazione
di dispersione è data da ω(k) = (c/n)k con c velocità della luce nel vuoto e n indice di
rifrazione del materiale. A destra è presentato il caso di un cristallo fotonico unidimensionale. Ai bordi della zona di Brillouin sono due i modi ammessi dalla simmetria spaziale del
reticolo. Il modo che concentra l’energia nelle zone ad alto dielettrico ha una frequenza
minore, il modo che concentra l’energia nelle zone a basso dielettrico ha una frequenza
maggiore.
d’onda quindi possono essere studiati in una regione ben definita del reticolo
reciproco, chiamata prima zona di Brillouin (FBZ).
La relazione di dispersione ωn (k) consiste in una successione di funzioni continue di k che comunemente sono chiamate bande. Sotto particolari condizioni
può accadere che per vettori appartenenti al reticolo reciproco esistano due
soluzioni caratterizzate dalla medesima periodicità ma spazialmente traslate l’una rispetto all’altra. In particolare è possibile dimostrare che i modi
del campo a frequenza più bassa sono spazialmente concentrati in regioni
ad alto dielettrico, mentre modi di frequenza più alta sono concentrati in
regioni a basso dielettrico. Dal momento che l’energia associata al campo
elettromagnetico è proporzionale al prodotto della funzione dielettrica (r)
con il quadrato del campo elettrico, le due onde con lo stesso vettore d’onda
k trasportano energie differenti. Questo implica l’esistenza di una regione
di frequenze per cui è inibita la propagazione del campo elettromagnetico in
qualsiasi direzione. In questa regione, nel limite di sistema infinito, la densità
degli stati D(~ω) si annulla. Questa regione di frequenze è chiamata bandgap
fotonica.
16
Per chiarire questo concetto possiamo considerare il semplice caso di un cristallo fotonico unidimensionale, ovvero il classico specchio dielettrico, in riferimento alla figura 1.6. Per questo sistema è possibile dimostrare l’esistenza
di una bandgap fotonica [18]. Consideriamo un sistema costituito da due
differenti strati con differente costante dielettrica, 1 ed 2 che si alternano
lungo l’asse z con periodicità a. In prossimità del bordo della zona di Brillouin (kz = ±π/a) i modi supportati hanno una lunghezza d’onda λ = 2a. Ci
sono esclusivamente due configurazioni spaziali ammissibili per questi modi,
senza violare la simmetria della cella unitaria. Una consiste nel posizionare i nodi di inversione del campo in mezzo alla regione di alto dielettrico,
l’altra nel posizionarli in quella a basso dielettrico. Nel primo caso l’energia
elettromagnetica è concentrata nella regione ad alto dielettrico, nel secondo
caso nella regione a basso dielettrico. Dal momento che nelle regioni ad alto
dielettrico si concentrano modi di frequenza più bassa, mentre nelle regioni
a basso dielettrico quelli di frequenza più alta, è intuitivo capire come i due
modi considerati a bordo banda sono separati in frequenza, generando cosı̀
una zona di gap. Per questo motivo comunemente ci si riferisce alla banda
con energie minori come alla banda dielettrica, mentre alla banda con energie
maggiori come alla banda d’aria.
Per cristalli fotonici in due e tre dimensioni non esiste una dimostrazione
rigorosa che provi l’esistenza di bandgaps fotoniche. Molti cristalli fotonici
possiedono gaps fotoniche solo per specifiche direzioni di incidenza della luce.
L’apertura di una bandgap completa, ovvero per ogni direzione di incidenza,
è rara e dipende da diversi fattori. Uno di questi è la geometria del reticolo
cristallino, ovvero come la cella primitiva si ripete nelle tre dimensioni, es.
fcc (face-centered cubic), bcc (body-centered cubic), ecc... Se la zona di Brillouin associata alla geometria del reticolo si avvicina ad una forma sferica, la
periodicità spaziale del cristallo sarà indipendente dalla direzione nello spazio. Questa è una proprietà chiave per l’apertura di una bandgap completa in
quanto in questo caso le gaps nelle differenti direzioni tendono a sovrapporsi.
Al contrario, con reticoli aventi una cella di Brillouin con minore simmetria
sferica, le gaps nelle differenti direzioni saranno a frequenze diverse. Strutture fotoniche che possiedono bandgaps più ampie hanno la struttura cristallina
del diamante [19]. Un esempio di cristallo fotonico con reticolo tipo diamante
è il woodpile [19, 20], che è costituito da barre (rods) di materiale dielettrico impilate come una catasta di legna. Un ulteriore fattore fondamentale
nell’apertura della gap è la filling fraction, ovvero la percentuale del volume
totale del sistema occupata dal materiale con indice di rifrazione più alto.
Inoltre, è importante il contrasto di indice di rifrazione fra i materiali che
compongono il cristallo fotonico. Un elevato contrasto di indice di rifrazione
favorisce l’apertura di una bandgap completa. Per avere una bandgap per
17
Figura 1.7: Geometrie differenti aprono gaps per differenti polarizzazioni
entrambe le polarizzazioni della radiazione è di fondamentale importanza la
topologia del sistema [16, 21]. Ad esempio, in due dimensioni, regioni isolate
ad alto dielettrico sono indispensabili per l’apertura di bandgaps per polarizzazione TM, mentre connessioni fra le regioni ad alto dielettrico favoriscono
l’apertura di bandgaps per la polarizzazione TE (figura 1.7). In tre dimensioni quindi, per ottenere un sistema che abbia una bandgap per entrambe le
polarizzazioni, è logico pensare ad una struttura che presenti connessioni di
materiale dielettrico lungo tutte le direzioni in cui il vettore campo elettrico
incidente può puntare.
18
Capitolo 2
Direct Laser Writing
La realizzazione di strutture fotoniche tridimensionali fu proposta nel 1987
[1,2] e da allora sono stati fatti molti progressi sul piano fabbricativo. Strutture fotoniche periodiche layered, come ad esempio il woodpile [20], possono
essere fabbricate tramite tecniche estremamente raffinate, solitamente utilizzate per la fabbricazione di strutture bidimensionali, come litografia electronbeam. Altri tipi di strutture fotoniche tridimensionali, ordinate e disordinate,
possono essere fabbricate tramite tecniche di autoassemblaggio per deposizione. Questo approccio include la sedimentazione autorganizzata di nanosfere
di materiale dielettrico in strutture tridimensionali ordinate tipo opali [22].
Le tecniche appena elencate però rendono possibile la fabbricazione esclusivamente di una limitata classe di sistemi, con determinate geometrie e simmetrie. Un altro approccio per la fabbricazione di strutture tridimensionali è
la litografia laser. Esso sfrutta la caratteristica di certi materiali, fotosensibili
alla radiazione ultravioletta, di cambiare a livello chimico-fisico se esposti a
radiazione. Strutture periodiche possono essere ottenute tramite litografia
olografica, ovvero esponendo il materiale fotosensibile al campo periodico risultante dall’interferenza fra diversi fasci laser.
A partire dalla fine degli anni novanta è stata sviluppata la tecnica di litografia laser chiamata direct laser writing (scrittura laser diretta) [7, 8]. Tale
tecnica permette la fabbricazione di strutture tridimensionali ad elevata risoluzione (fino a 100 nm) sfruttando il processo di fotopolimerizzazione in
un materiale indotto dall’assorbimento a due fotoni. Una particolare miscela
fotosensibile (photoresist) è illuminata tramite un fascio laser fortemente focalizzato. La regione del materiale in cui avviene assorbimento a due fotoni
polimerizza, ovvero cambia le sue caratteristiche chimico-fisiche. Muovendo
il fuoco del fascio laser all’interno della resina fotosensibile, è quindi possibile
polimerizzare un tracciato precedentemente progettato. Le parti del materiale non polimerizzate alla fine del processo sono poi eliminate tramite dei
19
Figura 2.1: Schema illustrativo dei processi di assorbimento a uno (1PA) e due fotoni
(2PA).
solventi che non attaccano le regioni precedentemente esposte alla radiazione.
In sostanza è come avere una penna la cui punta (il fuoco del laser) scrive
su un foglio “tridimensionale” (il photoresist). L’importanza del direct laser
writing sta nella possibilità di fabbricare strutture tridimensionali, sulla base
di un progetto, in pochi passaggi relativamente semplici e rapidi. Il direct
laser writing è utilizzato in vari ambiti scientifici, dalla fotonica, su cui mi
concentrerò in questa tesi, alla nanofluidica, alla biologia [23].
Nella prima parte del presente capitolo sono mostrati i principi su cui si basa
il direct laser writing, ovvero il processo di fotopolimerizzazione indotta da
assorbimento a due fotoni. Nella seconda parte è analizzato in dettaglio l’apparato sperimentale utilizzato per fabbricare le strutture oggetto di questo
lavoro di tesi tramite direct laser writing.
2.1
Assorbimento a due fotoni
L’assorbimento a due fotoni è un processo non lineare in cui una molecola o
un materiale assorbe simultaneamente due fotoni per raggiungere uno stato
eccitato con energia pari alla somma delle energie dei due fotoni coinvolti.
In figura 2.1 è rappresentato uno schema di tale processo. In generale una
molecola può passare dallo stato fondamentale g allo stato eccitato e o assorbendo un solo fotone di energia pari alla differenza di energia fra gli stati g ed
e, oppure tramite l’assorbimento simultaneo di due fotoni la cui somma delle
energie è pari alla differenza energetica fra i due stati. L’assorbimento a due
fotoni può essere interpretato come l’eccitazione da parte di un singolo fotone
di uno stato virtuale con una vita media estremamente breve. Quando un
20
secondo fotone, di energia pari alla differenza fra lo stato eccitato e lo stato
virtuale, viene assorbito prima che il livello virtuale decada, si completa il
processo di assorbimento a due fotoni. Se l’energia di questi due fotoni è la
stessa allora si parla di assorbimento a due fotoni degenere.
La probabilità che una molecola assorba un fotone è proporzionale all’intensità della sorgente di eccitazione:
n(1) = σ(ν)Ng
I
,
hν
(2.1)
dove n(1) è il numero di molecole eccitate con processo ad un fotone per
unità di tempo e di volume nel materiale, σ è la sezione d’urto del processo
di assorbimento alla frequenza ν, Ng è la densità di molecole nello stato
fondamentale g, I è l’intensità della sorgente di eccitazione (energia per unità
di tempo e di superficie), e hν è l’energia del fotone.
La probabilità che una molecola assorba due fotoni simultaneamente è invece
proporzionale al quadrato dell’intensità della sorgente di eccitazione:
2
I
1
(2)
,
(2.2)
n = δ(ν)Ng
2
hν
dove n(2) è il numero di molecole eccitate con processo a due fotoni per unità
di tempo e di volume e δ(ν) è la sezione d’urto del processo di assorbimento
a due fotoni per fotoni di energia hν. Il fattore 1/2 è dovuto al fatto che
sono necessari due fotoni per eccitare una molecola.
Il processo di assorbimento a due fotoni è molto debole rispetto al quello ad
un fotone, infatti il rapporto n(2) /n(1) è tipicamente molto piccolo per potenze inferiori a circa 10 GW/cm2 e per sezioni d’urto di assorbimento tipiche
dei materiali utilizzati per la scrittura laser diretta. La scarsa efficienza dei
processi a due fotoni rispetto a quelli ad un fotone rende necessario l’utilizzo di laser impulsati con elevata potenza di picco. D’altro canto, proprio a
causa della scarsa efficienza e della dipendenza dal quadrato dell’intensità,
il processo di assorbimento a due fotoni fornisce un meccanismo tramite il
quale processi chimici e fisici possano essere attivati con un’elevata risoluzione spaziale in 3 dimensioni, dal momento che l’eccitazione è confinata in una
regione molto piccola dello spot della radiazione incidente. Infatti, l’intensità
di un fascio laser focalizzato decresce approssimativamente come il quadrato
della distanza z dal fuoco. Quindi, poiché la probabilità di avere assorbimento a due fotoni scala quadraticamente con l’intensità incidente, il numero di
stati eccitati tramite processi a due fotoni e ad un fotone scalano come z −4
e z −2 rispettivamente. In figura 2.2 è mostrata la dipendenza dell’intensità
e del quadrato dell’intensità per un fascio laser con profilo gaussiano dalla
21
Figura 2.2: Confronto fra probabilità di assorbimento a un fotone e due fotoni (eq. 2.1
e 2.2) per un fascio gaussiano con waist w0 al variare della distanza z dal fuoco [24] (i
parametri relativi ad un fascio gaussiano sono definiti in seguito, fig. 2.4).
distanza z dal fuoco. Gli andamenti delle curve spiegano come l’eccitazione
a due fotoni sia confinata in un volume molto più piccolo rispetto a quella
ad un fotone.
Sfruttare l’assorbimento a due fotoni per indurre polimerizzazione in un materiale fotosensibile è di fondamentale importanza per ottenere la migliore
risoluzione delle parti polimerizzate. Per fare ciò è essenziale l’utilizzo di
un’eccitazione laser ad impulsi ultracorti (∼ 102 f s) fortemente focalizzata
sul materiale. Il primo vantaggio è che un laser al femtosecondo ha una potenza di picco molto maggiore di un laser in continua. Un altro vantaggio
dei laser ad impulsi ultracorti è che trasferiscono l’energia dei fotoni molto
più rapidamente di quanto necessita agli elettroni per trasferire l’energia all’interno del materiale. In questo modo fra un impulso e l’altro gli elettroni
eccitati hanno tempo per rilassarsi, evitando effetti di surriscaldamento del
materiale. Molti materiali fotosensibili assorbono nell’ultravioletto, ed hanno
una finestra trasparente nella regione del rosso e vicino infrarosso, dove quindi non è possibile avere assorbimento ad un fotone. Eccitazioni fornite dai più
comuni laser ad impulsi al femtosecondo cadono in questa regione spettrale
(es. 680 − 1000 nm per un Ti:Sapphire laser ) e possono quindi penetrare a
fondo nel photoresist senza essere assorbite se non tramite assorbimento a
due fotoni in una limitata regione del fuoco del fascio.
22
2.2
Processo di fotopolimerizzazione
La fotopolimerizzazione indotta da una sorgente laser è un tipo di reazione fotochimica che ormai da diversi anni è sfruttata nella fabbricazione di
materiali di elevata qualità. Particolari materiali fotosensibili (photoresist)
subiscono una significativa transizione di fase, da liquido a solido, dopo essere
stati sottoposti a radiazione. La parte di photoresist non polimerizzata può
quindi essere facilmente rimossa con dei solventi, in maniera tale che rimanga
esclusivamente la parte solidificata dopo il processo di fotopolimerizzazione.
Le componenti base del photoresist liquido di partenza sono monomeri e oligomeri, i quali dopo aver assorbito la radiazione incidente si solidificano polimerizzando. Il processo di polimerizzazione ha inizio grazie alla presenza nel
photoresist di molecole di basso peso particolarmente sensibili all’irradiazione
della luce. Queste molecole sono chiamate fotoiniziatori e una volta irradiate
liberano specie attive (radicali, ovvero specie chimiche molto reattive costituite da molecole aventi un elettrone spaiato) che attaccano i monomeri e li
rendono cosı̀ capaci di legarsi ad altri monomeri. Questo processo è chiamato
fotoiniziazione ed è riassunto dalla seguente equazione:
hν
I −→ I ∗ →
− R·,
(2.3)
dove I indica il fotoiniziatore, R· il radicale e I ∗ lo stato intermedio del
fotoiniziatore dopo l’assorbimento di un fotone.
Un’importante caratteristica della polimerizzazione è la reazione a catena
con la quale si formano le macromolecole a partire dai monomeri. I radicali
prodotti dai fotoiniziatori dopo l’assorbimento della radiazione reagiscono con
i monomeri e gli oligomeri producendo radicali di monomeri, che si combinano
con altri monomeri, e cosı̀ via. Tale reazione a catena è schematizzata dalla
seguente equazione:
M
M
R · +M →
− RM · −→ RM M · . . . −→ RMn ·,
(2.4)
dove M è l’unità monomerica (o oligomerica) e Mn è la macromolecola contenente n unità monomeriche. La reazione a catena termina quando due
radicali si ricombinano fra di loro, disattivandosi:
RMn · +RMm · →
− RMm+n R.
(2.5)
Riassumendo il processo di fotopolimerizzazione avviene per passi successivi: (i) fotoiniziazione (equazione 2.3), (ii) reazione a catena (eq. 2.4) e (iii)
interruzione della reazione (eq. 2.5).
23
Figura 2.3: Diagramma energetico del processo di polimerizzazione a due fotoni [8].
Molti materiali fotosensibili polimerizzano se illuminati con radiazione ultravioletta. Lo stesso tipo di reazione può comunque avvenire, se l’intensità
incidente è sufficientemente elevata, tramite assorbimento a due fotoni di
luce con lunghezza d’onda inferiore. Nel caso di polimerizzazione indotta
da un processo di assorbimento a due fotoni i fotoiniziatori vengono eccitati e liberano un radicale tramite l’assorbimento simultaneo di due fotoni.
L’equazione 2.3 quindi in questo caso può essere riscritta come:
2hν 0
− R·
I −−→ I ∗ →
(2.6)
dove ν 0 ∼ ν/2 indica la frequenza del fotone del fascio di eccitazione.
Nel processo di fotopolimerizzazione intervengono anche altre molecole chiamate cross linkers. Tali molecole legano catene polimeriche diverse formando
dei ponti. La presenza di queste molecole in un photoresist conferisce maggiore rigidità alle parti polimerizzate a seguito dell’assorbimento a due fotoni.
In figura 2.3 è mostrato uno schema del processo di fotopolimerizzazione a
due fotoni. Gli elettroni di valenza del fotoiniziatore sono eccitati dallo stato
fondamentale S0 al primo stato eccitato di singoletto S1 tramite l’assorbimento simultaneo di due fotoni. Gli elettroni eccitati rilassano verso lo stato
di tripletto T1 , che ha un tempo di vita medio sufficientemente lungo da permettere al fotoiniziatore di subire la rottura dei legami producendo radicali e
dando inizio al processo di polimerizzazione. Gli elettroni possono comunque
decadere allo stato fondamentale in maniera radiativa, senza liberare radicali, sia dal livello eccitato di singoletto che di tripletto. I radicali prodotti
possono essere disattivati tramite molecole che li intrappolano senza forma24
Figura 2.4: Schema di un fascio gaussiano con waist ω0 [25].
re altri radicali (quenching dei radicali, RQ). In generale per ottimizzare il
processo di polimerizzazione è utile utilizzare molecole che riducono al minimo i processi di ricombinazione alternativi, quali rilassamento radiativo e
disattivazione dei radicali.
2.3
Confinamento spaziale del processo di fotopolimerizzazione
Abbiamo già visto come la possibilità di sfruttare l’assorbimento a due fotoni
per iniziare la fotopolimerizzazione garantisca una migliore risoluzione spaziale del processo di polimerizzazione (figura 2.2) rispetto al processo indotto
dall’assorbimento di un fotone. L’eccitazione indotta in un materiale da una
sorgente di impulsi ultracorti può, quindi, essere confinata nelle tre dimensioni ed il volume di confinamento è minore se il processo coinvolto è quello
di assorbimento simultaneo di due fotoni. Il volume del materiale che si polimerizza a seguito dell’eccitazione viene chiamato voxel e generalmente ha
una forma ellissoidale a causa dell’asimmetria spaziale del fuoco del laser che
genera l’eccitazione. Le dimensioni del voxel dipendono da vari fattori, quali
i parametri del laser di eccitazione, il tempo di irradiazione ∆t, il quadrato
dell’intensità della radiazione incidente I 2 e l’efficienza quantica di polimerizzazione (definita come il rapporto fra il numero di unità monomeriche
polimerizzate ed il numero di fotoni necessari per la loro polimerizzazione).
Variando l’intensità della radiazione ed il tempo di irraggiamento abbiamo
quindi la possibilità di controllare le dimensioni del voxel.
La distribuzione di energia dello spot del laser e la polarizzazione del fascio
determinano direttamente la risoluzione spaziale del voxel. A titolo di esempio possiamo considerare un fascio gaussiano, in relazione alla figura 2.4.
25
Le dimensioni dello spot focale sono date dal waist w0 sul piano ortogonale
all’asse ottico e da zR = nπw02 /λ0 lungo l’asse ottico, dove n è l’indice di
rifrazione del materiale e λ0 la lunghezza d’onda nel vuoto. La risoluzione dello spot nel fuoco è limitata dalla diffrazione, e, secondo il criterio di
Rayleigh, risulta w0 = 1.22λ0 /(nN A) sul piano ortogonale all’asse ottico,
dove N A è l’apertura numerica del fascio. È quindi chiaro che l’obbiettivo di focalizzazione ridistribuisce spazialmente l’energia del fascio e che un
ruolo importante è giocato dalla sua apertura numerica. È stato infatti dimostrato [26, 27] che all’aumentare di N A aumenta l’intensità del picco del
fascio incidente (dovuto all’incremento dell’angolo di convergenza) e che alte
aperture numeriche migliorano la risoluzione spaziale dello spot sia lungo la
direzione dell’asse ottico del fascio che nella direzione ortogonale. L’apertura numerica influisce anche nell’aspect ratio del voxel ellissoidale, ovvero
il rapporto fra i suoi assi maggiore (lungo l’asse ottico) e minore (sul piano
focale). All’aumentare dell’apertura numerica dell’obbiettivo di focalizzazione l’aspect ratio si riduce (rimanendo comunque maggiore di uno), ovvero il
voxel tende a diventare più sferico [27]. Nonostante ciò l’uso di obbiettivi
con elevata apertura numerica (ad esempio N A = 1.4) può recare problemi
di asimmetria del voxel sul piano focale xy a causa di effetti di depolarizzazione del fascio. Se consideriamo un fascio incidente lungo l’asse z, con
polarizzazione lineare ad esempio lungo l’asse x, nel focalizzare con angoli di
convergenza grandi (elevato N A) si rompe la simmetria cilindrica del sistema
e si generano componenti del campo non trascurabili lungo y e lungo z [28].
Questo effetto dà luogo ad asimmetrie nelle dimensioni del voxel sul piano
focale xy, che possono essere eliminate utilizzando un fascio polarizzato circolarmente [27]. Il campo elettrico associato ad un fascio con polarizzazione
circolare non ha infatti una direzione privilegiata sul piano ortogonale all’asse
ottico.
Una delle principali caratteristiche del processo di fotopolimerizzazione a due
fotoni è la possibilità di superare il limite imposto dalla diffrazione (legato
alle ottiche del sistema) di cui abbiamo appena parlato. Infatti la fotopolimerizzazione è un processo non lineare caratterizzato da una soglia. Tale soglia
è determinata dall’efficienza che hanno i fotoiniziatori nel produrre specie che
danno luogo al processo di polimerizzazione a partire dagli stati eccitati di
tripletto. Questa reazione di produzione di radicali deve competere con gli
altri canali di deattivazione degli stati eccitati, quali ad esempio fluorescenza
e quenching dei monomeri. La soglia è inoltre determinata dalla reattività
dei radicali liberi nei confronti dei monomeri. In figura 2.5 è mostrato come
le dimensioni del voxel dipendano dall’intensità di soglia del processo di fotopolimerizzazione.
Oltre che alla potenza di soglia le dimensioni del voxel dipendono dal tempo
26
Figura 2.5: Schema di come le dimensioni del voxel dipendano dalla soglia (threshold )
del processo di fotopolimerizzazione.
di esposizione del photoresist alla radiazione. Una volta avviato il processo di
polimerizzazione, la concentrazione di monomeri ed oligomeri diminuisce in
maniera esponenziale con il tempo, e di conseguenza si osserva un aumento
logaritmico delle dimensioni del voxel all’aumentare del tempo di esposizione [29].
Il vero limite alla risoluzione è dovuto alla distanza minima fra due voxels
adiacenti [30]. Questo problema di risoluzione è dovuto alla diffusione dei radicali liberi all’interno del materiale causando polimerizzazione anche in zone
che non sono state esposte direttamente alla radiazione [31]. Consideriamo
ad esempio di polimerizzare due linee parallele all’interno del photoresist. Se
le due linee sono troppo vicine fra loro i radicali generati si diffonderanno,
accumulandosi soprattutto nella regione compresa fra le due linee direttamente esposte ed avviando in essa il processo di polimerizzazione [30]. Il
risultato ottenuto in questo caso sarà una sola linea di spessore maggiore
(merging, mescolamento delle linee). Tale fenomeno può essere sfruttato, se
non abbiamo necessità di polimerizzare linee con elevata risoluzione spaziale,
affiancando più linee per ottenerne una avente una base con minore ellitticità,
ovvero un’aspect ratio più vicina al valore 1 (come sarà mostrato in figura
2.10 e nel capitolo 3 figura 3.16). La difficoltà di risolvere due voxels o linee
adiacenti viene generalmente risolta aggiungendo nel photoresist i cosiddetti
radical quenchers, ovvero particolari molecole che velocizzano la terminazione
dei radicali evitandone la diffusione nelle regioni vicine a quelle esposte alla
27
Figura 2.6: Esempio di laser induced breakdown su guide d’onda fabbricate con photoresist IP-L 780, dovuto a sovraesposizione del materiale alla radiazione laser (immagine
gentilmente concessa da Sara Nocentini, gruppo di ottica dei sistemi complessi, LENS).
radiazione. Naturalmente la riduzione dei radicali liberi deve essere ben bilanciata con la necessità di avere un’elevata efficienza di fotopolimerizzazione
dal momento che essi sono i responsabili dell’attivazione di questo processo.
L’intensità del fascio incidente ed il tempo di esposizione non possono essere
arbitrariamente grandi. Quando l’irraggiamento supera una certa soglia (che
dipende dal photoresist utilizzato) il materiale si danneggia irreparabilmente.
Questo fenomeno è chiamato laser induced breakdown e generalmente non è
legato al processo di assorbimento a due fotoni, ma è dovuto a processi di
natura termica o a generazione di plasma. Il breakdown provoca ablazione
della superficie del materiale e microesplosioni all’interno di esso (figura 2.6).
Le dimensioni del voxel quindi possono essere controllate variando la potenza
del laser ed il tempo di irraggiamento esclusivamente in un intervallo definito
dall’intensità di soglia di polimerizzazione e l’irraggiamento per il quale viene
indotto il breakdown.
2.4
Photoresist
Diversi materiali fotosensibili adatti per la tecnologia di direct laser writing
sono ormai facilmente reperibili in commercio. Il photoresist utilizzato nel
corso di questo lavoro di tesi è l’IP-L 780, fornito dalla ditta Nanoscribe.
Esso consiste in una miscela liquida a base acrilica in cui è presente anche un
fotoiniziatore. Il fotoiniziatore ha un’elevata sezione d’urto di assorbimento
a due fotoni ad una lunghezza d’onda di 782 nm. A questa lunghezza d’onda
l’IP-L risulta trasparente per il processo di assorbimento ad un fotone. Tale
28
materiale garantisce un’ottima risoluzione laterale del voxel (∼ 100 nm), ma
le parti polimerizzate non hanno un’elevata rigidità. L’indice di rifrazione a
λ = 782 nm è pari a 1.48 prima dell’esposizione e 1.52 dopo l’esposizione alla
radiazione.
Il processo di sviluppo del photoresist dopo la fotopolimerizzazione consiste
nel trattare il materiale con appositi solventi che solubilizzano esclusivamente le parti non polimerizzate. L’IP-L 780 può essere sviluppato tramite un
bagno in isopropanolo.
Molte difficoltà nell’ottenere strutture di elevata qualità tramite direct laser
writing sono comuni alla maggior parte dei photoresists esistenti. Un problema è causato del restringimento (shrinkage) delle regioni polimerizzate
che avviene durante il processo di sviluppo. Durante lo sviluppo il solvente
riesce parzialmente ad entrare anche nelle regioni polimerizzate, provocando
rigonfiamenti (swelling) nel materiale. Quando il solvente evapora, lascia
dei vuoti all’interno delle parti polimerizzate le quali tendono a restringersi
ed a piegarsi. Un altro problema è dovuto alla diffusione dei radicali verso
regioni non direttamente esposte alla radiazione, e provoca, come descritto
nella sezione precedente, il mescolamento (merging) di regioni polimerizzate
vicine.
2.5
Lo strumento Nanoscribe Photonic Professional
Lo strumento da noi utilizzato per fabbricare strutture fotoniche tramite
il processo di scrittura diretta laser è uno strumento commerciale fornito
dalla ditta Nanoscribe (fig. 2.7). Tale dispositivo permette la fabbricazione
di strutture fotoniche in maniera abbastanza automatizzata, in quanto la
maggior parte dei parametri da cui dipende il processo di scrittura sono
controllabili tramite un computer.
2.5.1
Apparato ottico
Il sistema che costituisce il Nanoscribe è composto da tre parti principali: un
setup ottico (optics cabinet in fig. 2.7), un microscopio invertito Carl Zeiss
Axio Observer ed il supporto in cui vengono posizionati i campioni. Questi
dispositivi sono posti su un tavolo isolato per mezzo di aria compressa per
evitare vibrazioni che potrebbero influenzare il processo di scrittura laser.
Una rappresentazione schematica dello strumento Nanoscribe è riportata in
figura 2.8.
L’optics cabinet comprende il laser che fornisce l’eccitazione ed il sistema di
29
Figura 2.7: Immagine dello strumento Nanoscribe Photonic Professional [32].
Figura 2.8: Schema ottico dello strumento Nanoscribe.
30
Figura 2.9: Schema a blocchi del laser integrato nel dispositivo Nanoscribe. L’impulso
uscente dal seed laser è iniettato in un amplificatore a fibra ottica Erbium doped (EDFA)
e poi duplicato in frequenza da un cristallo non lineare.
controllo della potenza. La sorgente integrata nel dispositivo è un laser ad
impulsi ultracorti (< 150 f s) ad una lunghezza d’onda di ∼ 782 nm. Tali
parametri sono particolarmente favorevoli per sfruttare il processo di fotopolimerizzazione indotto dall’assorbimento a due fotoni. Come anticipato
nei precedenti paragrafi, l’utilizzo di un laser ad impulsi ultracorti è di fondamentale importanza in quanto garantisce un’elevata potenza di picco ed
evita effetti di surriscaldamento termico del photoresist. Lo schema a blocchi
del laser è mostrato in figura 2.9. L’eccitazione è fornita da un seed laser
a fibra ottica passively mode-locked con frequenza di ripetizione impulsi di
∼ 50 M Hz. Tale eccitazione è iniettata in un amplificatore a fibra ottica
Erbium doped (EDFA) a 1564 nm. L’impulso laser in seguito passa in un
cristallo non lineare che converte la lunghezza d’onda base di 1564 nm in
782 nm. In tabella 2.1 sono elencate le caratteristiche dell’uscita del laser.
Il fascio laser successivamente passa in un modulatore acusto-ottico (AOM).
In uscita dall’AOM viene selezionato solo il primo ordine del reticolo generato dalla modulazione acustica. L’AOM è controllato dal computer ed ha la
funzione cruciale di regolare la potenza incidente sul materiale fotosensibile. Successivamente è posto un primo polarizzatore per polarizzare il fascio
linearmente. Una successiva lamina λ/4 è posta per polarizzare il fascio circolarmente ed evitare cosı̀ asimmetrie nella fotopolimerizzazione sul piano
ortogonale all’asse ottico dovute ad effetti di depolarizzazione (vedi sezione
2.3). In seguito il fascio è diviso da un beam sampler ed una parte è raccolta
da un rivelatore che ne controlla la potenza.
L’altra parte del fascio è allargata tramite due lenti ed inviata in verticale tramite un sistema di specchi al microscopio invertito. L’obbiettivo del
microscopio è un obbiettivo Carl Zeiss ad immersione in olio con ingrandimento 100× ed apertura numerica N A = 1.4. L’obbiettivo focalizza il fascio
sul photoresist posto su un substrato di vetro (spessore 170 µm) solidale con
un supporto portacampioni. Fra l’obbiettivo ed il substrato di vetro è posto
l’olio (Zeiss Immersol 518 F, indice di rifrazione n = 1.518), in cui è immerso l’obbiettivo. La presenza dell’olio aumenta l’apertura numerica del fascio
ed elimina il mismatch di indice di rifrazione con la prima interfaccia del
substrato di vetro. La caratteristica principale che automatizza il processo
31
Pulse width
< 0.15 ps
Wavelenght
782 nm
Repetition rate
50 M Hz
Average output power
> 50 mW
Spectral width
∼ 10 nm
Power stability
< 2% over 24 hours
Tabella 2.1: Caratteristiche tecniche della sorgente laser integrata nel Nanoscribe.
di scrittura laser tramite lo strumento Nanoscribe è il sistema di autofocus
installato nel microscopio. Tale sistema riesce a determinare con precisione
la posizione dell’interfaccia vetro-photoresist rispetto all’obbiettivo in maniera autonoma dal processo di scrittura. Questa operazione è necessaria per
riuscire a polimerizzare regioni aderenti al vetro e non sospese nel materiale
fotosensibile. Il microscopio è inoltre collegato ad una camera che permette
di controllare in tempo reale il processo di scrittura.
Il portacampioni è inserito in un supporto dotato di un sistema di nanoposizionamento guidato da un cristallo piezoelettrico con feedback elettronico,
capace di muovere il supporto lungo i tre assi (piano del vetrino e ortogonale
ad esso) con precisione nanometrica. Il range massimo del movimento del
portacampioni è di 300 µm lungo ciascun asse. La possibilità di controllare
il movimento del portacampioni rispetto al fuoco del fascio laser tramite il
computer è alla base della tecnologia del direct laser writing.
Il sistema di autofocus, combinato con il movimento ad alta precisione del
portacampioni, consente di misurare la quota dell’interfaccia rispetto all’obbiettivo su tutto l’intervallo di escursione del portacampioni (300 × 300 µm),
rilevando l’inclinazione della superficie del substrato rispetto al piano ortogonale all’asse ottico e tenendone conto durante le operazioni di scrittura.
2.5.2
Programma di controllo remoto
Le operazioni di scrittura laser sono controllate e progettate tramite un apposito software (Nanowrite) di gestione del Nanoscribe.
Come input al programma viene dato un file contenente tutti i parametri
inerenti la fabbricazione e la lista delle coordinate sulle quali il portacampioni deve muoversi. Tali coordinate costituiscono il tracciato della struttura da
fabbricare. Il principio di scrittura laser infatti consiste nel polimerizzare le
linee comprese fra i punti le cui coordinate sono elencate nel file di input. Di
seguito sono elencati i comandi maggiormente utilizzati per la fabbricazione
delle strutture proposte in questa tesi.
32
Elenco dei comandi utilizzati
LaserPower
ScanSpeed
AccelerationTime
DecelerationTime
LineNumber
LineDistance
FindInterfaceAt z
TiltCorrection
Specifica la potenza del laser in percentuale
rispetto al suo massimo valore.
Specifica la velocità di scrittura.
Specifica il tempo con cui la potenza del laser
raggiunge la potenza impostata partendo da
potenza 0, per tenere conto dell’accelerazione del piezoelettrico all’inizio della scrittura
di una linea (fig. 2.12).
Specifica il tempo con cui la potenza del laser
raggiunge il valore 0 partendo dalla potenza
impostata, per tenere conto della decelerazione del piezoelettrico alla fine della scrittura di
una linea (fig. 2.12).
Specifica il numero di linee che sono scritte per
ciascuna linea programmata (fig. 2.10).
Specifica la distanza fra le linee del comando
LineNumber (fig. 2.10).
Specifica l’offset della coordinata z lungo la
direzione ortogonale al substrato rispetto alla posizione dell’interfaccia vetro-resist (fig.
2.11).
Misura e compensa l’inclinazione del substrato
di vetro rispetto all’asse ottico.
In figura 2.10 è mostrato uno schema del funzionamento dei comandi LineNumber e LineDistance. Affiancando due o più linee il risultato finale sarà
una linea unica con spessore maggiore (merging, mescolamento delle linee,
vedi sez. 2.3).
In figura 2.11 è schematizzato il funzionamento del comando FindInterfaceAt
z. Per valori positivi di z è compiuta una traslazione verticale del fuoco verso il basso rispetto all’interfaccia vetro-resist, dando inizio alle operazioni di
scrittura all’interno del substrato di vetro. Questa operazione è necessaria
per alcuni particolari tipi di strutture per assicurarsi che le regioni polimerizzate aderiscano al vetro e non rimangano sospese nel resist.
In figura 2.12 è mostrata una misura (fornita dal personale Nanoscribe) dei
tempi di accelerazione e decelerazione del piezoelettrico a confronto con i tempi di incremento e decremento della potenza del laser. I tempi di incremento
e decremento della potenza sono regolabili tramite i comandi AccelerationTime e DecelerationTime. AccelerationTime e DecelerationTime troppo brevi
rispetto ai tempi in cui il piezoelettrico raggiunge la sua velocità di regi33
Figura 2.10: Schema illustrativo dell’azione del comando LineNumber nell’unire due
punti, P1 e P2. A destra sono mostrate le sezioni ellissoidali di ciascuna linea.
Figura 2.11: Sistema di autofocus con individuazione automatica dell’interfaccia vetroresist. Il comando FindInterfaceAt z imposta una traslazione verticale del fuoco del fascio
di una quota z verso l’interno del substrato.
34
Figura 2.12: Misura dei tempi di accelerazione (decelerazione) del piezoelettrico e di
incremento (decremento) della potenza del laser [32]. AccelerationTime e DecelerationTime troppo brevi possono creare sovraesposizione nel photoresist danneggiando i campioni, mentre AccelerationTime e DecelerationTime troppo lunghi possono causare non
polimerizzazione nei punti iniziale e finale delle linee.
me possono creare sovraesposizione nel photoresist danneggiando i campioni,
mentre AccelerationTime e DecelerationTime troppo lunghi possono causare
non polimerizzazione nei punti iniziale e finale delle linee.
2.5.3
Procedura di fabbricazione con il Nanoscribe
Il processo di fotopolimerizzazione è molto sensibile alle condizioni ambientali. Per questo temperatura ed umidità del laboratorio sono tenute costantemente sotto controllo, a valori di (22 ± 1) °C per la temperatura e inferiori
al 60 % per l’umidità. Ciascuna lampada del laboratorio è inoltre dotata di
filtri per tagliare lunghezze d’onda ultraviolette ed evitare polimerizzazione
del photoresist non indotta dal laser.
Prima di preparare il campione da polimerizzare è necessario allineare il sistema ottico, in maniera tale che il fascio entri verticale nel microscopio
invertito. È inoltre necessario effettuare una calibrazione della potenza del
laser, rimuovendo l’obbiettivo di focalizzazione e raccogliendo il fascio in un
power meter. In questo modo è possibile calibrare i valori della potenza impostabili da computer tramite il comando LaserPower, associando ad essi un
valore in mW . Tale operazione è necessaria per riprodurre le stesse condizioni di potenza incidente in differenti sessioni di fabbricazione compensando
gli effetti dovuti alle fluttuazioni del laser.
Il passo successivo consiste nella pulizia del substrato di vetro sul quale dovrà
essere deposto il photoresist. Il vetrino viene pulito usando apposite salviette,
prima con acetone per rimuovere lo sporco più grossolano, e successivamente
35
con isopropanolo per rimuovere gli aloni lasciati dall’acetone. Infine è asciugato con un leggero flusso di azoto.
Una volta pulito, il vetrino viene incollato sul supporto portacampioni con
colla facilmente rimovibile tramite acetone. Da un lato del substrato viene
deposta una goccia di polimero, mentre dall’altro lato una goccia di olio per
l’obbiettivo ad immersione. Il portacampioni viene quindi inserito nel supporto mobile guidato dal piezoelettrico al di sopra dell’obbiettivo. In seguito
l’obbiettivo viene avvicinato al campione, riconoscendo automaticamente la
posizione dell’interfaccia vetro-resist. Viene poi eseguita una scansione dell’interfaccia su tutto il range di escursione del piezo sul piano del vetrino
(300 µm × 300 µm), per misurare la quota dell’interfaccia in vari punti e calcolare l’inclinazione del substrato in maniera da apportare delle correzioni al
processo di scrittura (TiltCorrection). L’ultimo passo consiste nel caricare
nel software di gestione il file di input contenente la lista delle coordinate
che costituiscono il tracciato da polimerizzare ed i parametri di scrittura, ed
avviare la scrittura laser. Il processo di scrittura è controllabile in tempo
reale tramite una camera collegata al microscopio invertito.
Una volta terminata la scrittura viene allontanato l’obbiettivo dal vetrino
e viene rimosso il portacampioni dal supporto mobile. Prima di sviluppare
il resist si rimuovono la colla e l’olio dal vetrino con acetone. Lo sviluppo
delle parti polimerizzate consiste nel tenere il vetrino con il resist in bagno in
particolari solventi, che solubilizzano solamente le regioni non polimerizzate.
ILa procedura di sviluppo per l’IP-L 780 consiste in due bagni in isopropanolo, il primo di 20 minuti ed il secondo di 10 minuti. Dopo il secondo
bagno l’isopropanolo rimasto aderente al vetro viene fatto evaporare tramite
un leggero flusso di azoto.
36
Capitolo 3
Sistemi fotonici amorfi
In questo capitolo studieremo sistemi fotonici tridimensionali caratterizzati
dall’introduzione di ordine in una struttura complessivamente disordinata: i
cosiddetti sistemi fotonici amorfi. Tali sistemi sono stati recentemente proposti [4,5,33] e realizzati in modo da operare nella regione delle microonde [34],
ma non è ancora stato fabbricato un materiale simile che operi a lunghezze
d’onda ottiche (400 − 1600 nm).
Un sistema amorfo è un sistema non deterministico, cioè senza una determinata relazione tra le posizioni delle unità costituenti (es. siti atomici, o
zone con diversa costante dielettrica nel caso di materiali fotonici) come nel
caso di sistemi cristallini e quasicristallini. I sistemi amorfi sono isotropi e
non possiedono alcun reticolo cristallino né polidomini cristallini, ma mostrano solo ordine a corto raggio nelle posizioni delle loro unità costituenti.
Alcuni esempi di materiali amorfi nella fisica dello stato solido sono costituiti da vetri e liquidi altamente viscosi, nei quali, nonostante la mancanza
di reticolo cristallino, vi sono forti correlazioni spaziali tra le posizioni dei
siti atomici. Sistemi fotonici amorfi possono essere collocati in una categoria
intermedia rispetto a cristalli fotonici ed a sistemi fotonici completamente
disordinati, mostrando caratteristiche proprie di entrambi i sistemi. È stato
già mostrato come sistemi fotonici amorfi bidimensionali e tridimensionali
con forte contrasto di indice di rifrazione possano aprire una bandgap fotonica (in analogia con le gaps elettroniche in materiali amorfi come il silicio
amorfo [35]). Analogamente al caso elettronico lo studio dei fenomeni di interazione radiazione materia mostra interessanti caratteristiche per frequenze
prossime al band edge, dove la densità di stati aumenta e diminuisce la velocità di gruppo della luce nel materiale. È stato infatti osservato un sensibile
incremento dell’intensità di scattering che facilita la formazione di stati localizzati [4, 5, 33, 34, 36–39].
Lo studio di sistemi fotonici amorfi risulta di fondamentale importanza nella
37
Figura 3.1: Immagine al microscopio elettronico di una struttura fotonica amorfa in
materiale polimerico realizzata in questo lavoro di tesi.
comprensione della reale natura delle bandgaps fotoniche in 2 e 3 dimensioni.
Recenti studi hanno infatti ipotizzato che le cause per cui si aprono gaps in
sistemi fotonici non siano necessariamente imputabili alla presenza di ordine
a lungo raggio, ma abbiano radici più profonde [4,40,41]. Nel caso di sistemi
periodici (cristalli) la presenza delle gaps è spiegata a partire dal teorema di
Bloch, il quale prevede che gli stati ammissibili per la radiazione nella materia siano stati estesi e non locali. I sistemi amorfi invece sono intrinsecamente
locali, dove l’ordine è presente solo localmente, eppure è stato mostrato che
essi possiedono gaps. Studi recenti mostrano come le risonanze di Mie di
singoli scatteratori e la loro distribuzione locale (iperuniformità [4]) abbiano
un ruolo fondamentale nell’apertura di gaps fotoniche.
Lo scopo di questa tesi è quello di preparare un template polimerico mediante direct laser writing che ci permetta, tramite processi di doppia inversione
al silicio [9], di ottenere un materiale fotonico amorfo costituito da una rete
tetraedrica di connessioni con alto contrasto di indice di rifrazione, adatto
ad operare a lunghezze d’onda ottiche (un esempio è mostrato in figura 3.1).
Tale tecnologia di fabbricazione ci fornisce la possibilità unica di controllare
esattamente la struttura, decidendo le esatte posizioni e le dimensioni degli
scatteratori. All’inizio del presente capitolo (sezione 3.1) sono introdotti i
concetti fondamentali per comprendere la struttura di un sistema amorfo.
La parte centrale del capitolo (sezione 3.2) è dedicata alla progettazione, allo studio ed alla fabbricazione tramite direct laser writing di un particolare
tipo di sistema amorfo, ovvero quello costituito da una rete di connessioni di
38
materiale dielettrico. Nella parte conclusiva del capitolo (sezione 3.3) è infine
presentata una preliminare caratterizzazione ottica delle strutture fabbricate.
3.1
Struttura dei sistemi amorfi
Sistemi amorfi reali, come ad esempio il silicio amorfo, sono stati studiati e
rappresentati a partire dalla cosiddetta continuous random network [42, 43].
Tale metodo consiste nel considerare la struttura cristallina del diamante,
con legami tetraedrici, come struttura di partenza, ed introdurre modifiche
invertendo e spostando un grande numero di legami interatomici, con l’imposizione che ciascun sito continui ad avere 4 legami. Un’importante classe di
sistemi amorfi, quali liquidi altamente viscosi, può essere invece modellizzata
tramite un sistema di sfere dure non compenetrabili altamente impacchettato, nel quale però non si può riconoscere la presenza di ordine a lungo raggio.
Tale sistema è il punto di partenza per lo studio e la realizzazione dei sistemi
fotonici amorfi trattati in questo lavoro di tesi. Come infatti vedremo, questo
sistema ci dà la possibilità di controllare il grado di ordine della struttura
che intendiamo progettare, variando esclusivamente la densità del sistema di
sfere.
3.1.1
Sistemi di sfere dure
Impacchettamento delle sfere
Per comprendere il grado d’ordine posseduto da un sistema non deterministico di sfere dure è necessario introdurre il problema dell’impacchettamento
di sfere in un volume finito, ovvero di come disporre N sfere di volume Vs
non compenetrabili in un contenitore di volume V . La congettura di Keplero
(la cui parziale dimostrazione è dovuta a Carl Friederich Gauss (1831) e a
Thomas Hales (1998)) ci dice che la più alta densità (packing fraction, pf )
ottenibile da una qualsiasi disposizione di sfere, regolare o irregolare, è data
dall’impacchettamento cubico a facce centrate (fcc) e dall’impacchettamento
esagonale (hcp) e vale:
π
(3.1)
pf = √ ' 0.74048,
3 2
dove
N Vs
pf ≡
.
(3.2)
V
La massima densità di sfere ottenibile con impacchettamento casuale (Random Close Packing), ovvero in assenza di una disposizione regolare, è invece
39
Figura 3.2: Ordine e densità di impacchettamento in sistemi 2D.
0.64 [44–47].
Per impacchettamento compatto casuale di sfere (random close packing) si
intende una configurazione casuale di sfere in cui ciascuna sfera è impossibilitata a muoversi (se non disturbando la posizione delle sfere adiacenti) a
causa della presenza di altre sfere a contatto [48]. In 3 dimensioni è necessario un minimo di 4 sfere esterne per immobilizzare la sfera centrale [49, 50].
Un buon esempio di sistema di sfere random close packed è un recipiente
contenente sfere che viene agitato sotto l’azione della forza di gravità fino a
quando le sfere non hanno raggiunto una nuova configurazione più compatta. In seguito (paragrafo 3.2.1) daremo una breve descrizione di un metodo
generale per la generazione di un sistema di sfere random close packed. Dalla
figura 3.2 possiamo notare come la densità di impacchettamento sia correlata
in maniera forte al grado di ordine del sistema. Basse densità corrispondono
ad una configurazione disordinata senza correlazioni, mentre all’aumentare
della densità il sistema tende ad assumere una configurazione più ordinata.
In quest’ottica un sistema amorfo composto da sfere è un sistema altamente impacchettato, dove però l’impacchettamento è casuale e dove non sono
presenti polidomini ordinati.
Struttura e funzioni di correlazione
L’approccio per studiare sistemi a molte particelle come ad esempio un sistema di sfere dure, è quello di caratterizzarli tramite la posizione media delle
particelle e le correlazioni spaziali fra esse.
Consideriamo un sistema chiuso in un volume V di N particelle sferiche interagenti, le cui interazioni sono rappresentate dal potenziale a N particelle
φN (rN ) dove rN ≡ {r1 , r2 , ..., rN } rappresenta la configurazione spaziale delle
40
N particelle. Il potenziale φN (rN ) può essere decomposto in termini di interazione a 1, 2, 3,..., N particelle. In molti sistemi fisici ci possiamo limitare
a studiare solo i primi due termini di questo sviluppo, ovvero
N
φN (r ) ≈
N
X
ϕ1 (ri ) +
i=1
N
X
ϕ2 (ri , rj )
(3.3)
i<j
La quantità ϕ1 (ri ) rappresenta l’interazione a una particella con un potenziale dovuto ad un campo esterno, mentre ϕ2 (ri , rj ) rappresenta l’interazione
fra due particelle del sistema. Il sistema di sfere dure che consideriamo è caratterizzato da particelle che non interagiscono fra loro per distanze maggiori
del diametro D della sfera, ma risentono di una forza repulsiva infinita per
distanze uguali o inferiori a D. Per tale sistema quindi il potenziale a coppie
nella eq. (3.3) è dato da:
(
+∞, se 0 ≤ r ≤ D
ϕ2 (r) =
(3.4)
0,
se r > D
Nello studio di sistemi a molte particelle è di primaria importanza la funzione
di correlazione a coppie, chiamata anche funzione di distribuzione radiale,
g2 (r) (o g(r)) la quale è legata alla probabilità di trovare una particella ad
una certa distanza r da una particella di riferimento (figura 3.3). Essa è
definita dalla relazione:
4πρg(r)r2 dr =
numero medio di particelle nella corona sferica di spessore dr e raggio r rispetto a una
particella di riferimento posta in r = 0.
(3.5)
La funzione di correlazione a coppie è di centrale importanza nello studio di
sistemi che presentano correlazioni spaziali fra le unità che li compongono,
in quanto è strettamente legata al grado di ordine del sistema. In sistemi
senza ordine a lungo raggio e nei quali le particelle sono molto lontane l’una dall’altra abbiamo che g(r) → 1. In questo modo ogni deviazione di g
dall’unità ci dà una misura della correlazione spaziale fra particelle, con l’unità che corrisponde al caso di nessuna correlazione. La funzione g2 è legata
direttamente al fattore di struttura S(k) tramite la relazione [52]
Z
S(k) = 1 + ρ (g2 (r) − 1)eik·r dr.
(3.6)
Il fattore di struttura descrive le proprietà di scattering della radiazione da
parte del materiale, essendo direttamente legato all’ampiezza dell’onda scatterata. In figura 3.4 sono mostrati la funzione di correlazione a coppie ed
41
Figura 3.3: Schema del calcolo della funzione di correlazione a coppie g(r) [51].
Figura 3.4: Funzione di distribuzione radiale g(r) e fattore di struttura S(k) per sistemi
di sfere dure di diametro 1 µm con diverse densità di impacchettamento, generati con la
procedura riportata nel paragrafo 3.2.1. A basse densità di impacchettamento e per lunghe
distanze g(r) e S(k) tendono all’unità (assenza di ordine).
42
il fattore di struttura relativi a sistemi di sfere dure di diametro 1 µm con
diverse densità di impacchettamento, generati con la procedura riportata nel
paragrafo 3.2.1. I programmi sviluppati per il calcolo di g ed S sono riportati in appendice A e si basano sullo schema mostrato in figura 3.3. Si noti
come per lunghe distanze dalla particella di riferimento ed al diminuire della
densità di impacchettamento g tenda ad 1, mentre S tende ad 1 per grandi
vettori d’onda.
Trasporto della luce in sistemi con correlazioni
Nel capitolo 1 abbiamo trattato le proprietà di scattering di sistemi ordinati
e disordinati. Abbiamo già visto come in sistemi completamente disordinati
(S(k) → 1) sufficientemente diluiti possiamo considerare l’approssimazione
di scattering indipendente. In tale approssimazione la natura ondulatoria
della luce viene trascurata e quindi non viene considerata la relazione di
fase fra le onde scatterate dai centri di scattering a differenti distanze fra
loro. Tale assunzione è giustificata dal fatto che, dopo un’opportuna media
sulle realizzazioni del disordine, tutte le distanze fra scatteratori sono state
prese in considerazione e mediate. In questa approssimazione consideriamo
trascurabili gli eventi di scattering ricorrente (vedi capitolo 1 sezione 1.1). Le
proprietà di trasporto della luce possono essere trattate in maniera statistica e
la propagazione della luce può essere descritta da un’equazione di diffusione
[15]. La distanza media fra due eventi di scattering (scattering mean free
path ls ) dipende allora esclusivamente dalla sezione d’urto di scattering σs
del singolo scatteratore e dalla loro densità numerica ρ tramite la relazione
ls =
1
.
ρσs
(3.7)
Abbiamo inoltre visto come nel caso di scattering anisotropo le proprietà di
trasporto della luce siano ben descritte dal transport mean free path lt , il
quale è legato a ls tramite la relazione
lt =
1
ls
=
ρσt
1 − hcos θi
(3.8)
dove hcos θi è il coseno medio dell’angolo di scattering per ciascun evento di
scattering (per θ compreso fra 0 e π abbiamo scattering nel semispazio in
avanti rispetto allo scatteratore, altrimenti backscattering).
In un sistema non più diluito (kls ∼ 1) ma sempre con S(k) = 1, gli effetti di
scattering ricorrente sulle proprietà di trasporto non sono più trascurabili e gli
effetti di interferenza fanno sı̀ che le equazioni di diffusione non descrivano
in maniera appropriata il trasporto della luce. Quando kls ≤ 1 avviene
43
un completo arresto della luce, ovvero la localizzazione della luce secondo
Anderson [3].
La presenza di ordine locale (S(k) 6= 1) però modifica in maniera sensibile
il trasporto di luce sia per sistemi diluiti che densi. Nel regime di scattering
debole (kls > 1) è stato mostrato [39, 53] che il transport mean free path
generalizzato considerando la struttura del sistema è dato dalla relazione
π
1
= ρσtc = 6
c
lt
k0
2k0
Z
ρF (q)S(q)q 3 dq,
(3.9)
0
dove ltc è il transport mean free path in presenza di correlazioni (ltc = lt in assenza di correlazioni), k0 = 2πneff /λ, q = 2k0 sin θ/2, neff l’indice di rifrazione
effettivo del sistema. La dipendenza dalle caratteristiche di scattering di una
singola particella è espressa tramite il fattore di forma F (q) = k02 (dσs /dΩ)
dove dσs /dΩ è la sezione d’urto differenziale di singolo scattering, mentre la
dipendenza dalla struttura del sistema è data dal fattore di struttura S(q).
A ltc è associato uno scattering mean free path lsc che tiene conto dell’ordine
locale del sistema:
lsc
.
(3.10)
ltc =
1 − hcos θi
Le equazioni 3.9 e 3.10 sono fondamentali per descrivere il trasporto in un materiale dove sono presenti forti correlazioni fra gli scatteratori. Infatti, pur
rimanendo nell’approssimazione di scattering indipendente, tengono conto
delle posizioni relative delle particelle, considerando la presenza di scatteratori vicini, la cui distanza conserva in media le relazioni fra le fasi delle onde
scatterate. Questa è un importante generalizzazione di lt in quanto tratta
gli eventi di scattering come indipendenti ma mantiene la memoria della fase dell’onda. Possiamo quindi considerare σsc una sezione d’urto effettiva di
scattering del sistema correlato. Al momento non è ancora stata effettuata
un’analisi teorica dell’andamento dei parametri in eq. 3.9 e 3.10 applicata
al sistema amorfo oggetto di questa tesi, ma costituisce un passo successivo del progetto di ricerca. In figura 3.5 sono mostrati alcuni risultati tratti
da [53] e [39]. In fig. 3.5 (a) è mostrato come ltc per un sistema di sfere di
polistirene si discosti dal suo valore nel caso di sistema senza correlazioni fra
particelle [53]. In fig. 3.5 (b) è riportato il rapporto ltc /lsc = 1/(1 − hcos θi)
per sfere di polistirene [39]. Si noti come per certe densità (volume fraction
Φ) si abbia prevalentemente backscattering (ltc /lsc < 1), ovvero tali sistemi
inibiscono il trasporto della luce.
Nel caso di un sistema con alto contrasto di indice di rifrazione, come ad
esempio strutture in silicio, siamo in presenza di scattering forte (kls < 1)
dove dominano effetti di interferenza e scattering ricorrente che complicano
44
Figura 3.5: (a) 1/ltc per una sospensione di sfere di diametro 0.46 µm di polistirene cariche elettrostaticamente sottoposte ad una radiazione laser di lunghezza d’onda
λL = 514 nm [53]. I punti costituiscono i valori misurati, la linea continua l’andamento
previsto teoricamente per il sistema con correlazioni (eq. 3.9) mentre la linea tratteggiata
costituisce l’andamento teorico nel caso di particelle senza correlazioni (nell’approssimazione di scattering indipendente). (b) ltc /lsc per una sospensione di sfere di diametro 114nm
di polistirene cariche elettrostaticamente sottoposte ad una radiazione laser di lunghezza
d’onda λL = 532 nm [39]. I punti sono i risultati sperimentali, mentre la linea continua
costituisce il calcolo teorico.
la trattazione. Al momento non è nota una trattazione teorica che consideri
tali effetti in un sistema con forti correlazioni. Inoltre è noto che in sistemi
con scattering risonante [5,33], la presenza di correlazioni “aiuta” l’apertura
di una bandgap al cui band edge ci si aspetta di osservare stati localizzati
della luce. Trattazioni teoriche esaustive su tali argomenti ancora non sono
presenti in letteratura.
3.2
Tetrahedrally connected dielectric networks
Come già introdotto precedentemente il nostro scopo è quello di creare un
template polimerico tramite direct laser writing di una struttura fotonica
amorfa da poter infiltrare con silicio cosı̀ da ottenere un elevato contrasto di
indice di rifrazione. Un aspetto fondamentale da considerare nella progettazione di sistemi fotonici è la topologia del sistema. È noto infatti che particolari geometrie favoriscono l’apertura di bandgaps fotoniche per entrambe
le polarizzazioni della radiazione [16,21]. In due dimensioni ad esempio (vedi
figura 3.6) sistemi caratterizzati da regioni isolate ad alto indice di rifrazione
favoriscono l’apertura di bandgaps per polarizzazione TM, mentre connessioni fra le regioni ad alto indice di rifrazione favoriscono l’apertura di bandgaps
per polarizzazione TE. In tre dimensioni quindi, per ottenere un sistema
che abbia una bandgap per entrambe le polarizzazioni, è logico pensare ad
una struttura che presenti connessioni di materiale dielettrico lungo tutte le
direzioni in cui il vettore campo elettrico incidente può puntare. Le strut45
Figura 3.6: Geometrie differenti aprono gaps per differenti polarizzazioni
ture fotoniche tridimensionali che possiedono bandgaps più ampie hanno la
struttura cristallina del diamante [19]. Come già accennato nel capitolo 1,
un esempio di sistema fotonico con la struttura del diamante che possiede
un’ampia bandgap è costituito dal woodpile [16, 19, 20], il quale è costituito
da pile di materiale dielettrico in aria. Strutture fotoniche amorfe che hanno
una geometria confrontabile con i woodpile sono costituite da una rete di connessioni tetraedriche di materiale dielettrico tetrahedrally connected dielectric
networks. Tali sistemi sono stati recentemente proposti [4, 5, 33] e realizzati in modo da operare nella regione delle microonde [34], ma non è ancora
stato fabbricato un materiale simile che possa operare a lunghezze d’onda
ottiche (400 − 1600 nm). Il metodo proposto da Edagawa e Imagawa [5, 34]
per generare tali strutture è basato sulla continuous random network [42,43]
che consiste nel considerare la struttura cristallina del diamante, con legami
tetraedrici, come struttura di partenza, ed introdurre delle modifiche invertendo e spostando un grande numero di legami interatomici, con l’imposizione
che ciascun sito continui ad avere 4 legami. Il metodo invece da noi utilizzato, oggetto dei prossimi paragrafi di questo capitolo, è stato proposto da
Florescu et al. [4] e consiste nel generare una rete di connessioni a partire da
un sistema di sfere dure. Tale metodo ci fornisce la possibilità di controllare
il grado di ordine del sistema variando la densità di impacchettamento del
sistema di sfere.
Un sistema costituito da una rete di connessioni è inoltre particolarmente
indicato per essere fabbricato tramite direct laser writing (capitolo 2). Tale
tecnica permette di polimerizzare linee in tre dimensioni in un materiale fo46
Figura 3.7: Rendering grafico di un sistema di sfere random close packed generato
tramite l’algoritmo LSA.
tosensibile con elevata qualità e risoluzione.
Nei successivi paragrafi è presentata la procedura di progettazione della rete
di connessioni tetraedriche a partire dalla generazione del sistema di sfere
random close packed. È poi proposto uno studio teorico preliminare sulle
proprietà di scattering della singola connessione ed infine la procedura di
fabbricazione dei campioni.
3.2.1
Generazione del sistema di sfere impacchettato
Per generare il sistema di sfere random close packed è stato utilizzato il programma in C++ fornito dal Complex Materials Theory Group della Princeton University [54,55]. Tale programma è basato sull’algoritmo LubachevskyStillinger (LSA) [56], il quale simula il processo fisico di compressione di un
sistema di particelle dure. Un numero Ns di sfere puntiformi a temperatura T , con velocità iniziali secondo la distribuzione di Maxwell-Boltzmann, è
generato in un contenitore di volume Vtot (è possibile impostare condizioni
periodiche al contorno). Le sfere vengono fatte espandere nel tempo e vengono calcolati gli urti sfera-sfera e sfera-parete in modo tale da stabilire la
pressione del sistema. Il programma termina quando il sistema di sfere converge ai valori di pressione interna o di packing fraction desiderati e genera
un file contenente le coordinate del centro di ciascuna sfera generata ed il
diametro. Un esempio di sistema di sfere random close packed generato con
il metodo appena descritto è riportato in figura 3.7.
47
Figura 3.8: Funzione di distribuzione radiale del sistema di sfere generato per la
realizzazione delle strutture fotoniche amorfe.
Il sistema di sfere generato per la realizzazione delle strutture fotoniche ha
le seguenti caratteristiche:
Ns
ds
Vbox
pf
= 33002
= 0.03333
=1
= 0.64,
(3.11)
dove Ns , ds , Vbox e pf sono rispettivamente il numero delle sfere generate, il
diametro di una sfera, il volume del contenitore cubico e la packing fraction
del sistema. La funzione di distribuzione radiale del sistema è riportata in
fig. 3.8 (il listato del programma utilizzato per il calcolo di g(r) è riportato in
appendice A). È stato scelto un sistema con pf = 0.64 (ovvero la massima
pf ammessa per un impacchettamento casuale) in maniera da avere il più
alto grado di ordine a corto raggio senza creare clusters nei quali si possa
riconoscere una struttura cristallina.
3.2.2
Generazione della rete tetraedrica di connessioni
Il sistema di sfere generato costituisce la base per la generazione della rete
tetraedrica interconnessa utilizzata per realizzare le strutture fotoniche. Il
48
Figura 3.9: Procedura di generazione di una rete interconnessa in 2D a partire da un
sistema di punti (punti in celeste) [4]. I punti in celeste costituiscono i vertici dei triangoli
generati dalla triangolazione di Delaunay, i punti in nero sono i baricentri dei triangoli, i
segmenti rossi sono le connessioni.
programma sviluppato per generare la rete è mostrato in appendice A. A
partire dal sistema di punti costituito dai centri delle sfere è stata effettuata una triangolazione di Delaunay [57]. Tale triangolazione divide lo spazio
in tetraedri aventi come vertici i centri delle sfere, massimizzando l’angolo
minimo fra tutti gli angoli di ogni tetraedro ed evitando cosı̀ la presenza di
tetraedri troppo allungati. In seguito vengono uniti i baricentri dei tetraedri
adiacenti (quelli con una faccia in comune). Ciascuna giunzione, quindi, avrà
solamente 4 connessioni. In figura 3.9 è riportata una schematizzazione 2D
della procedura effettuata per generare il sistema di connessioni [4]. In 2D
la triangolazione di Delaunay divide lo spazio in triangoli e sono presenti 3
connessioni per ogni giunzione, mentre in 3D lo spazio è diviso in tetraedri
e ci sono 4 connessioni per ogni giunzione. Confrontando questa geometria
con quella della struttura del silicio amorfo [35], risulta evidente l’analogia
fra le giunzioni nella struttura fotonica amorfa ed i siti atomici nel silicio.
In realtà, mentre nel silicio amorfo i centri di scattering sono costituiti dai
siti atomici, nella struttura fotonica amorfa da noi progettata consideriamo
che i centri di scattering siano le connessioni di dielettrico (che chiameremo
rods). Questa scelta è legata all’analogia con la struttura fotonica woodpile
(la cui unità fondamentale è la rod dielettrica), che è la struttura fotonica
49
Figura 3.10: (a) Rendering grafico di una rete di connessioni tetraedrica [5]. (b) Correlazioni fra i centri delle connessioni (rods, in rosso) e fra le giunzioni (in nero) della rete
di interconnessioni generata
più vicina al sistema amorfo progettato [5, 19, 34].
Il sistema ottenuto è stato opportunamente scalato in maniera da ottenere la
lunghezza media delle connessioni pari a 1 µm. Queste dimensioni sono state
scelte in quanto la lunghezza d’onda della bandgap di sistemi fotonici di tipo
diamante amorfo diminuisce spostandosi verso lunghezze d’onda ottiche (per
materiali ad alto contrasto di indice di rifrazione) al diminuire delle dimensioni del sistema [5, 33, 34]. Strutture del genere, di dimensioni cosı̀ ridotte
ed in cui si ha un esatto controllo della posizione e delle dimensioni delle
unità costituenti, non sono ancora state fabbricate tramite direct laser writing. Come già accennato nel capitolo 2 una migliore risoluzione del processo
di scrittura potrà essere raggiunta tramite lo sviluppo di nuovi polimeri [30].
In figura 3.10 sono riportate le funzioni di distribuzione radiale relative al
sistema generato. La correlazione fra le giunzioni ha il massimo assoluto ad
una distanza pari alla lunghezza media delle connessioni (r ' 1 µm), mentre
la correlazione fra i centri delle connessioni ha il massimo in r ' 0.80 µm.
Come mostrerò in seguito (paragrafo 3.2.4) il processo di fabbricazione attualmente ci ha permesso di realizzare esclusivamente strutture di dimensioni
complessive abbastanza ridotte. Sono quindi state progettate 10 strutture amorfe (10 differenti realizzazioni di disordine) a partire dal sistema di
sfere dure generato (3.11). Le strutture sono state opportunamente scalate in maniera tale da avere una lunghezza media delle connessioni pari a
50
Lx
(µm)
Ly
(µm)
Lz
(µm)
Nmedio
lmedia
(µm)
rjunct
(µm)
rrod
(µm)
16
16
16
4689
1.00
1.00
0.80
Tabella 3.1: Caratteristiche della rete di connessioni progettata. Lx , Ly e Ly sono
le dimensioni del volume in cui è racchiuso il sistema, Nmedio il numero medio di rods
(connessioni) nelle 10 differenti realizzazioni di disordine, lmedia la lunghezza media delle
rods, rjunct la distanza per cui g(r) relativa alle giunzioni è massima, rrod la distanza per
cui g(r) relativa ai baricentri delle rods è massima.
lmedia = 1 µm. In tabella 3.1 sono presenti le caratteristiche del sistema
fotonico amorfo progettato.
3.2.3
Proprietà di scattering di una singola connessione
Come mostrato nel paragrafo sul trasporto della luce in sistemi con correlazione (equazioni 3.7, 3.8 e 3.9), lo studio delle proprietà di scattering di un
singolo elemento che compone la struttura fotonica, in approssimazione di
scattering indipendente, costituisce una delle informazioni base per la comprensione delle proprietà di trasporto della luce in sistemi complessi.
Nel caso della struttura tetrahedrally connected dielectric network la singola
particella scatterante può essere identificata con la rod cilindrica che costituisce la connessione fra due giunzioni. Abbiamo già visto (capitolo 1) che,
quando le dimensioni R della particella sono dello stesso ordine di grandezza della lunghezza d’onda incidente (R ∼ λ), per particolari geometrie (es.
sfere e cilindri infiniti), il problema definito dalle equazioni di Maxwell può
essere risolto in maniera esatta (soluzione di Mie [10, 11]). La principale
caratteristica della soluzione è la presenza nella sezione d’urto di scattering
delle cosiddette risonanze di Mie, le quali dipendono dalla forma, dalle dimensioni e dall’indice di rifrazione della particella. In figura 3.11 è mostrata
la sezione d’urto di scattering di un cilindro infinito ricavata con la teoria di
Mie. Recenti studi hanno ipotizzato un’influenza delle risonanze di Mie nella
formazione di bandgaps in sistemi fotonici periodici ed in sistemi dove non
vi è ordine a lungo raggio [40, 41, 58]. Uno studio preliminare della sezione
d’urto di scattering del singolo elemento ci dà quindi un’idea più dettagliata
circa le geometrie del sistema da fabbricare in maniera tale che esso mostri
interessanti proprietà di trasporto della luce a lunghezze d’onda ottiche.
Abbiamo già accennato che l’unità di scattering nel nostro caso è costituita da una rod, la quale, per semplicità è schematizzata come un cilindro di
51
Figura 3.11: Sezioni d’urto di scattering per un cilindro infinito di diametro d = 500 µm
con asse di simmetria ortogonale alla direzione di propagazione (asse z) dell’onda incidente.
(a) Indice di rifrazione del cilindro n = 1.52 (analogo all’indice di rifrazione del polimero
IPL-780 utilizzato nella fabbricazione della struttura amorfa). (b) Indice di rifrazione del
cilindro n = 3.5 (cilindro in silicio).
dimensioni finite. Dal momento che per cilindri finiti non esiste una soluzione esatta del problema definito dalle equazioni di Maxwell, ci siamo dovuti
avvalere di metodi di calcolo numerico.
Calcolo delle proprietà di scattering
Per il calcolo delle proprietà di scattering di una singola particella abbiamo utilizzato programma messo a disposizione in internet da Yu-lin Xu e B.
Gustafson [59, 60]. Il metodo con cui il programma calcola le proprietà di
scattering di una singola particella è il metodo della T-matrix 1 [62–64]. Tale
metodo è stato introdotto da P. C. Waterman nel 1965 e consiste nell’esprimere il campo incidente su una particella di forma arbitraria ed il campo
scatterato in funzioni d’onda sferiche vettoriali (VSWFs). La T-matrix trasforma i coefficienti legati all’espansione dell’onda incidente in quelli legati
all’espansione dell’onda scatterata. Nota la T-matrix, possiamo risalire alle
proprietà di scattering della singola particella. Consideriamo una particella di una determinata forma (non necessariamente sferica) e di dimensioni
finite, e fissiamo l’origine del sistema di riferimento dentro la particella. Il
campo incidente è dato da:
inc inc
E inc (R) = E inc eikninc R = E⊥inc einc
⊥ + Ek ek
(3.12)
dove k = 2π/λ, R è il raggio vettore, e⊥ e ek sono i versori che definiscono
le polarizzazioni, tali che ninc = e⊥ ∧ ek . La dipendenza temporale e−iωt
1
Per una trattazione esaustiva si rimanda a [61].
52
è inglobata nei campi. Nella regione di campo lontano (kR 1) l’onda
scatterata diventa sferica, ed è data da:
sca
sca
E sca (R) = E⊥sca (R, nsca )esca
⊥ + Ek (R, nsca )ek
(3.13)
dove nsca = R/R, R · E sca = 0. Si definisce la matrice di ampiezza di scattering S la matrice 2 × 2 che trasforma linearmente le componenti del campo
elettrico dell’onda incidente nelle componenti del campo elettrico dell’onda
diffusa. In questa notazione abbiamo:
sca inc eikR
E⊥
E
S(nsca , ninc ) ⊥inc .
(3.14)
sca =
Ek
Ek
R
La matrice S dipende dalle direzioni dell’onda incidente e scatterata, dalle
dimensioni, dalla morfologia e dalla composizione della particella, e dalla
sua orientazione rispetto al sistema di riferimento. A partire dalla matrice
di ampiezza di scattering possiamo calcolare tutte le altre caratteristiche
di scattering della particella. Nel metodo della T-matrix [61–64] i campi
incidente e diffuso sono espressi tramite funzioni vettoriali sferiche Mmn ,
0
0
Nmn , Mmn
e Nmn
come segue:
∞ X
n
X
E inc (R) =
0
0
(kR)]
(kR) + bmn Nmn
[amn Mmn
(3.15)
n=1 m=−n
E
sca
(R) =
∞ X
n
X
[pmn Mmn (kR) + qmn Nmn (kR)]
(3.16)
n=1 m=−n
La relazione tra i coefficienti del campo diffuso (pmn e qmn ) e incidente (amn
e bmn ) è lineare ed è data dalla matrice di transizione T (T-matrix ):
0
pmn =
∞
n
X
X
n0 =1
11
12
[Tmnm
0 n0 am0 n0 + Tmnm0 n0 bm0 n0 ]
(3.17)
22
21
[Tmnm
0 n0 am0 n0 + Tmnm0 n0 bm0 n0 ],
(3.18)
m0 =−n0
0
qmn =
∞
n
X
X
n0 =1 m0 =−n0
o in maniera compatta
11
p
a
T
T 12 a
=T
=
.
q
b
T 21 T 22 b
(3.19)
I coefficienti amn , bmn , pmn e qmn possono essere espressi in funzione del campo incidente e del campo diffuso e quindi, conoscendo la matrice T per una
53
data particella, si può risalire al campo diffuso e, tramite l’equazione 3.14,
agli elementi della matrice di ampiezza di scattering. Una volta nota la matrice S, è possibile risalire alla sezione d’urto di scattering σs ed al fattore
di anisotropia hcos θi, relativi al processo di scattering di un’onda elettromagnetica da una particella.
La caratteristica principale del metodo della T-matrix è che gli elementi di
T non dipendono dai campi incidente e diffuso, ma dipendono esclusivamente dalla forma, dalle dimensioni, dall’indice di rifrazione della particella e
dalla sua orientazione rispetto al sistema di coordinate. A livello computazionale questo metodo permette di calcolare T ed utilizzarla per ricavare le
proprietà di scattering per tutte le differenti direzioni di incidenza e diffusione della radiazione. Il programma utilizzato [59] per i nostri scopi calcola
numericamente la T-matrix tramite l’extended boundary condition method
(EBCM) [62–64], sfruttando la routine Fortran messa a disposizione da M.
Mishchenko [65].
Il programma di base utilizzato [59] è stato modificato in maniera tale da permetterci di analizzare spettralmente l’andamento della sezione d’urto totale
di scattering σs e del fattore di anisotropia hcos θi, per le due polarizzazioni
della radiazione. Il centro di scattering è costituito da un cilindro di diametro d = 0.5 µm ed altezza h = 1 µm. Le dimensioni del cilindro sono state
impostate, coerentemente con i limiti posti dalla tecnica fabbricativa, in maniera tale da avere uno scattering risonante per lunghezze d’onda ottiche. La
radiazione incidente è un’onda piana diretta lungo l’asse z del sistema di riferimento. Sono state studiate due diverse configurazioni del cilindro: la prima
con asse di simmetria parallelo alla direzione di incidenza della radiazione, la
seconda con asse di simmetria ortogonale alla direzione di propagazione. Uno
schema della disposizione del cilindro è mostrato in figura 3.12. Nei seguenti
paragrafi sono mostrati i risultati ottenuti per cilindri con basso indice di
rifrazione (n = 1.52, uguale a quello dell’IP-L) e con alto indice di rifrazione
(n = 3.5, uguale a quello del silicio).
Indice di rifrazione basso (n = 1.52)
In figura 3.13 sono mostrati gli andamenti della sezione d’urto di scattering
e del fattore di anisotropia per cilindri con d = 0.5 µm, h = 1 µm e n = 1.52,
ovvero con lo stesso indice di rifrazione del polimero (IP-L 780 ) utilizzato
per la fabbricazione delle strutture fotoniche amorfe. Nel caso di incidenza
ortogonale all’asse di simmetria del cilindro σs ha il massimo per entrambe le
polarizzazioni in prossimità di circa 2λ = nd. Questo risultato è praticamente uguale alla soluzione esatta ottenuta per un cilindro di uguale diametro ma
di altezza infinita (fig. 3.11 (a)). Per incidenza parallela all’asse di simmetria
54
Figura 3.12: Schema delle disposizioni del cilindro indagate rispetto alla radiazione
incidente
Figura 3.13: Sezione d’urto di scattering e fattore di anisotropia per cilindri con d =
0.5 µm, h = 1 µm e n = 1.52
55
Figura 3.14: Sezione d’urto di scattering e fattore di anisotropia per cilindri con d =
0.5 µm, h = 1 µm e n = 3.5
del cilindro questa risonanza si sposta verso lunghezze d’onda maggiori, come
ci possiamo aspettare che avvenga per una particella di dimensioni maggiori.
In quest’ultima configurazione σs si abbassa drasticamente in una regione
compresa fra 400 e 450 nm circa. Come vedremo, questo andamento provoca
un aumento dello scattering mean free path ls (eq. 3.7) che è stato osservato sperimentalmente nelle strutture costruite. L’andamento del fattore di
anisotropia (fig. 3.13 (b)) ci dice che per entrambe le configurazioni del cilindro e per tutte le polarizzazioni l’onda scatterata si propaga in media nel
semispazio in avanti rispetto allo scatteratore.
Indice di rifrazione alto (n = 3.5)
In figura 3.14 sono mostrati gli andamenti della sezione d’urto di scattering
e del fattore di anisotropia per cilindri con d = 0.5 µm, h = 1 µm e n = 3.5,
ovvero con indice di rifrazione simile a quello del silicio. Questa analisi risulta
molto utile in quanto, come già accennato nel capitolo 2, le strutture fabbricate con il photoresist IP-L 780 possono essere “trasformate” in strutture
in silicio tramite processi di doppia inversione [9]. Lo spettro di σs mostra
strutture interessanti al suo interno e possiamo identificare la risonanza principale compresa fra 2 µm e 3 µm. Anche in questo caso possiamo trovare
analogie con la soluzione analitica per cilindri infiniti (fig. 3.11 (b)). Per
un’onda polarizzata ortogonalmente all’asse del cilindro, nel caso di cilindro
infinito, la sezione d’urto di scattering mostra una prima risonanza a 2.5µm
e cresce verso una seconda risonanza oltre 4.5µm. Questa risonanza non è
osservata nel caso di cilindro finito. Per quanto riguarda un’onda polarizzata
parallelamente all’asse del cilindro, sia il caso di cilindro infinito sia quello
56
di cilindro di dimensioni finite mostrano due risonanze comprese tra 1.5 e
2.5 µm. In questa regione spettrale il fattore di anisotropia diventa negativo, stando ad indicare una forte inibizione del trasporto di luce. Per grandi
lunghezze d’onda (> 4µm) hcos θi → 0, ovvero lo scattering diventa isotropo.
3.2.4
Fabbricazione delle strutture
Le strutture sono state realizzate mediante la tecnica di direct laser writing
(DWL), descritta nel capitolo 2, utilizzando lo strumento Nanoscribe. La
fabbricazione di strutture di elevata qualità e risoluzione tramite direct laser
writing costituisce un ambito di ricerca ancora poco esplorato e con elevate
potenzialità, in quanto tale tecnica dà la possibilità di controllare con esattezza la struttura del sistema che stiamo fabbricando.
Nonostante tale strumento sia abbastanza automatizzato, il processo di fabbricazione necessita di un grande lavoro di prove, calibrazioni e di studio
dei processi di sviluppo dei campioni per far sı̀ che si ottengano le strutture
desiderate. Come già accennato nel capitolo 2, durante il processo di fabbricazione bisogna tener conto di molti parametri, quali ad esempio la potenza
della radiazione incidente e la durata dell’irraggiamento, la pulizia del substrato di vetro sul quale aderiscono i campioni, la qualità del polimero, la
temperatura e l’umidità del laboratorio (che influenzano la stabilità del laser e l’efficienza di polimerizzazione), l’allineamento del sistema ottico. Nei
paragrafi seguenti sono presentati i procedimenti relativi alla fabbricazione
delle strutture amorfe progettate (paragrafo 3.2.2).
Photoresist
Il photoresist utilizzato per la fabbricazione delle strutture fotoniche amorfe è IP-L 780, fornito dalla ditta Nanoscribe (vedi cap. 2, sez. 2.4). Tale
materiale garantisce un’ottima risoluzione ma una bassa stabilità meccanica
delle parti polimerizzate. In futuro verrà utilizzato un altro photoresist, IPG 780, anch’esso prodotto da Nanoscribe. Esso garantisce maggiore rigidità
delle regioni polimerizzate, e quindi una maggiore stabilità meccanica delle
strutture, caratteristica (come mostrerò in seguito) molto importante ai fini
di ottenere campioni di elevata qualità. Questo a scapito, però, di una risoluzione minore e di un processo di preparazione più complesso e lungo (tale
photoresist necessita di un prebaking prima di essere utilizzato).
57
Calibrazione dei parametri di scrittura laser
Sono stati effettuati diversi lavori di calibrazione nei quali sono stati fatti
variare parametri di scrittura laser, quali la velocità di scrittura (ovvero la
velocità con cui si muove il portacampioni, ScanSpeed ), la potenza del laser
(Laserpower ), il tempo di incremento e decremento della potenza del laser
(Acceleration/DecelerationTime), il numero di linee affiancate che costituiscono una rod (Linenumber ) e la loro distanza (Linedistance) (vedi descrizione nel capitolo 2 paragrafo 2.5.2). Lo scopo è quello di trovare i valori
ottimali che permettano di ottenere strutture forti abbastanza da rimanere
in piedi ed una buona risoluzione e controllo sulle dimensioni delle connessioni (rods) di dielettrico.
Il lavoro classico di calibrazione della potenza consiste nel disegnare linee che
aderiscono al substrato di vetro, a potenza crescente, a velocità di scrittura
costante, in maniera tale da risalire alla potenza di soglia oltre la quale si ha
polimerizzazione a due fotoni. Tale procedura è stata ripetuta per diverse
velocità di scrittura. Nel caso in questione la struttura amorfa è costituita
da una rete di connessioni lunghe mediamente 1 µm. Tale lunghezza rende
la fabbricazione delle strutture molto più complessa rispetto al caso di strutture quali woodpliles (presentati nel capitolo 4), che sono utilizzate ormai
come standard per il direct laser writing. Le linee del lavoro di calibrazione
sono costituite da segmenti di 1 µm messi in successione fino a formare una
linea unica. Un’illustrazione schematica del lavoro di calibrazione della potenza di scrittura è riportato in figura 3.15 (a), mentre in figura 3.15 (b) è
riportata un’immagine al microscopio elettronico di un lavoro effettuato. La
calibrazione con linee segmentate è necessaria in quanto simula le operazioni che il laser ed il cristallo piezoelettrico (che muove il campione) devono
compiere durante la scrittura delle strutture amorfe. Una volta arrivato al
termine di un segmento il laser viene bloccato dal modulatore acusto ottico
(AOM), il piezo muove il campione facendolo tornare nella posizione iniziale
(coordinate (0, 0, 0)) e poi lo sposta sul punto iniziale del nuovo segmento
facendo ricominciare le operazioni di scrittura. In questa maniera è possibile calibrare anche i tempi di accelerazione e decelerazione della potenza
del laser e la velocità di scrittura in maniera che si abbia una polimerizzazione abbastanza uniforme anche nelle giunzioni. La velocità di scrittura
influenza molto la polimerizzazione in quanto, assieme alla potenza, fissa la
dose di radiazione laser incidente sul photoresist. Velocità elevate sono ottimali per scrivere strutture caratterizzate da linee lunghe senza giunzioni
(es. woodpiles), mentre per fabbricare strutture caratterizzate da linee corte
interconnesse abbiamo bisogno di velocità ridotte in modo da avere buon
controllo sulla polimerizzazione alle giunzioni.
58
Figura 3.15: (a) Schema di un lavoro di calibrazione della potenza del laser. (b) Immagine SEM effettuate dopo aver deposto sul campione uno strato di 10 nm di materiale
conduttivo (oro), di un lavoro di calibrazione della potenza.
Una volta trovati parametri che definiscono la soglia di polimerizzazione, sono state fabbricate piccole strutture amorfe di prova variando leggermente
tali parametri in maniera tale da trovare quelli che garantissero maggiore
stabilità meccanica alle strutture e limitassero i problemi legati a shrinkage
e bending (vedi capitolo 2).
Il successivo lavoro di calibrazione agisce invece sui parametri Linenumber
e Linedistance che agiscono sul numero di linee costituenti una rod e sulla loro distanza. Lo scopo di questa calibrazione è quello di ottenere rods
aventi una base con ridotta ellitticità (aspect ratio, ovvero il rapporto fra gli
assi maggiore e minore della base, che tende all’unità) nonostante la forma
ellissoidale del voxel (vedi capitolo 2 sez. 2.3). Fissati potenza incidente, velocità di scrittura, tempi di incremento e decremento della potenza del laser,
Linenumber e Linedistance, vengono disegnate linee orizzontali segmentate,
ciascuna però ad una distanza dal substrato di vetro leggermente maggiore
di quella immediatamente precedente. In tal modo alcune linee aderiranno
al substrato di vetro, mentre altre si ripiegheranno e si adageranno sul substrato appoggiandosi sul fianco. In questa maniera è possibile analizzare le
immagini SEM per misurare sia lo spessore delle linee sul piano del substrato
di vetro, sia lo spessore lungo la direzione ortogonale ad esso. Questa procedura è stata ripetuta per diversi valori di Linenumber e Linedistance. In
figura 3.16 (a) è riportato uno schema della procedura ideata per effettuare la calibrazione dell’aspect ratio della rod. L’immagine (b) ritrae una rod
effettuata con il parametro Linenumber impostato sul valore 1, ma con una
59
potenza di scrittura troppo elevata. Con questi parametri il rapporto fra gli
spessori orizzontale e verticale della rod è d/h = 2/9, ovvero la base della
rod ha un’elevata ellitticità. In fig. 3.16 (c) il paramentro Linenumber è impostato sul valore 2. Risulta evidente dall’andamento a serpente della linea
segmentata la non uniformità della polimerizzazione all’inizio ed alla fine di
ciascun segmento dovuta alla troppa differenza fra i tempi di incremento e
decremento della potenza del laser (con il comando Linenumber 2 ogni segmento è composto da una linea scritta dal punto iniziale a quello finale del
segmento ed una linea scritta dal punto finale a quello iniziale del segmento,
vedi capitolo 2 paragrafo 2.5.2). In fig. 3.16 (d) il parametro Linenumber
è impostato sul valore 3 ma risulta evidente che la separazione fra le linee
che compongono la rod (Linedistance) è troppo elevata. In fig. 3.16 (e) ed
(f) sono riportate immagini di rods fabbricate con parametri ottimali per i
nostri scopi, utilizzati per la fabbricazione delle strutture fotoniche amorfe
(parametri riportati in tabella 3.2). Con questi parametri otteniamo una
aspect ratio pari a d/h = 0.9
Difficoltà nella fabbricazione
In figura 3.17 sono riportate immagini SEM di alcune delle difficoltà più frequenti affrontate durante il processo di fabbricazione delle strutture amorfe.
Tali difficoltà riguardano soprattutto la stabilità meccanica delle strutture e
sono essenzialmente dovute ad effetti di prossimità nel polimero che causano
il mescolamento delle regioni polimerizzate (figura 3.17 (a)), e ad effetti di
restringimento (figura 3.17 (b)) e di piegamento (figura 3.17 (c)) delle parti polimerizzate (cap. 2, sez. 2.4). A causa della loro natura disordinata
le strutture amorfe risultano strutturalmente instabili e molto fragili. Tali
difficoltà rendono il processo di fabbricazione delle strutture fotoniche molto
complesso ed al momento non esistono sistemi fotonici analoghi al nostro
fabbricati tramite direct laser writing.
Un’ottima adesione delle parti polimerizzate al substrato di vetro sul quale
sono cresciute è di fondamentale importanza per la stabilità delle strutture. Per ottenere ciò il primo accorgimento da prendere è di assicurarsi che
il substrato sia accuratamente pulito. Il vetrino viene quindi prima pulito
con acetone (utilizzando le apposite salviette per pulire le ottiche), poi con
isopropanolo ed infine lo sporco residuo è rimosso con un flusso di azoto. Per
garantire la massima adesione della struttura al substrato è compiuta una
traslazione verticale delle coordinate della struttura di 1.5 µm verso l’interno
del substrato (in riferimento al capitolo 2 paragrafo 2.5.2 è stato importato
il comando FindInterfaceAt 1.5 ). In questo modo le operazioni di scrittura
iniziano all’interno del substrato di vetro dandoci la sicurezza che le con60
Figura 3.16: Immagini SEM di alcuni lavori di calibrazione dell’aspect ratio della rod
effettuate dopo aver deposto sui campioni uno strato di 10 nm di materiale conduttivo
(oro). (a) Schema della procedura di calibrazione. In rosso è riportata la sezione ellissoidale della rod. (b) Linenumber 1, potenza troppo elevata (si noti la grande differenza fra
gli spessori delle linee). (c) Linenumber 2, troppa differenza fra i tempi di incremento e
decremento della potenza (l’andamento a serpente è dovuto al fatto che si ha polimerizzazione durante la fase di incremento della potenza, ovvero all’inizio della linea, ma non nella
fase di decremento). (d) Linenumber 3, Linedistance troppo grande (le 3 linee affiancate
che costituiscono ciascuna linea sono troppo separate l’una dall’altra). (e), (f) Parametri
ottimali, usati in seguito per la fabbricazione delle strutture.
61
Figura 3.17: Immagini SEM, effettuate dopo aver deposto sui campioni uno strato di
10 nm di materiale conduttivo (oro), di alcuni tipici problemi riscontrati durante la fabbricazione delle strutture. (a) Collasso della struttura durante le operazioni di sviluppo
con merging delle rods. (b) Restringimento della struttura e distacco delle rods dai muri. (c) Piegamento delle rods. (d) Fragilità delle strutture, perdita di molte giunzioni e
connessioni.
62
nessioni delle parti inferiori della struttura siano aderenti al vetro. Questa
operazione è resa necessaria dalla natura disordinata della struttura progettata, nella quale le connessioni non hanno una direzione privilegiata e dove
non è possibile definire alcun layer. Problemi di questa natura non si rilevano per strutture layered come ad esempio i woodpiles, nelle quali abbiamo la
certezza che lo strato inferiore aderisce al substrato di vetro.
Il fatto che l’IP-L sia un photoresist liquido impone che la sequenza di scrittura non possa essere arbitraria. Il programma che genera la rete interconnessa
(vedi appendice A) fa in modo tale che il punto iniziale del tracciato da polimerizzare sia in prossimità del punto finale del tracciato precedentemente
polimerizzato. Questo fa sı̀ che si crei una rete polimerica interconnessa sin
dall’inizio del processo di scrittura, evitando la possibilità di avere giunzioni
polimerizzate sospese nel liquido. Per lo stesso motivo la direzione di scrittura è eseguita dal basso verso l’alto, ovvero si cominciano a polimerizzare le
giunzioni inferiori in maniera che aderiscano al substrato, e successivamente
quelle superiori. L’utilizzo di IP-G come photoresist dovrebbe risolvere parzialmente queste difficoltà in quanto è un materiale ad alta viscosità. Questo
fatto aiuterà nella realizzazione di sistemi complessi e disordinati che richiedono sequenze di scrittura non convenzionali.
Una difficoltà importante è costituita dal restringimento delle parti polimerizzate durante il processo di sviluppo. Questo effetto è maggiore per gli
strati superiori delle strutture, ovvero quelli che non aderiscono al substrato di vetro. Per alcuni photoresists tale difficoltà è superata circondando le
strutture con mura stabilizzanti molto spesse [66]. Abbiamo invece notato
come per le strutture amorfe in IP-L 780 questo espediente non risolvesse il
problema, anzi aggiungesse ulteriori problematiche di adesione e tensioni nei
punti di contatto delle rods con le mura (figura 3.17 (b)).
Successi fabbricativi
Nonostante le difficoltà appena descritte, sono state progettate e realizzate
10 strutture fotoniche amorfe (10 differenti realizzazioni di disordine) le cui
caratteristiche medie sono riportate in tabella 3.1. Lo spessore effettivo di
ciascuna struttura è Lz ' 14.5 µm avendo cominciato la scrittura ad una
profondità di 1.5 µm all’interno del substrato di vetro. Dallo studio delle
calibrazioni dell’aspect ratio delle rods sono stati scelti parametri che forniscono uno spessore “orizzontale” della rod pari a d ' 0.45 µm, mentre uno
spessore “verticale” pari a h ' 0.55 µm. I parametri di scrittura utilizzati
per la fabbricazione delle strutture sono riportati in tabella 3.2. In figura 3.18
è riportata l’immagine SEM di un campione contenente 10 strutture amorfe, mentre in figura 3.19 sono presentati alcuni particolari di tali strutture.
63
Figura 3.18: Immagine SEM di un campione con 10 differenti realizzazioni di disordine
LaserPower
4.60 mW
ScanSpeed
20 µm/s
AccelerationTime 0.020 ms
DecelerationTime 0.085 ms
FindInterfaceAt
1.5 µm
LineNumber
3
LineDistance
150 nm
Tabella 3.2: Valori dei parametri principali utilizzati per la fabbricazione delle strutture
amorfe. La spiegazione di tali parametri è riportata nel capitolo 2.
Osservando la figura 3.19 risulta evidente che le strutture fabbricate sono
fedeli a quelle progettate. La tetraedricità delle connessioni è ben visibile ed
il restringimento degli strati superiori delle strutture è limitato. Purtroppo le
difficoltà descritte nel paragrafo precedente hanno permesso la fabbricazione
di strutture di dimensioni ridotte (16 µm × 16 µm × 14.5 µm). Le dimensioni
ridotte delle strutture fabbricate rendono molto difficoltosa la loro caratterizzazione ottica. A causa delle ridotte dimensioni sul piano del substrato la
radiazione focalizzata nei campioni tende infatti ad uscire dai bordi laterali
delle strutture dopo essere stata scatterata. Allo stato attuale strutture più
grandi hanno mostrato una sensibile instabilità meccanica. Una soluzione
a tale problema potrebbe essere costituita dall’utilizzo di un altro tipo di
photoresist, l’ IP-G.
64
Figura 3.19: Immagini SEM di alcuni particolari delle strutture amorfe realizzate. In (c)
è presente un’immagine ottenuta inclinando il campione a 45°. In (d) è messo in evidenza
il restringimento (seppur abbastanza ridotto) degli strati superiori della struttura.
65
3.3
Caratterizzazione ottica
La caratterizzazione ottica effettuata sulle strutture fotoniche amorfe fabbricate consiste nella misura dello scattering mean free path attraverso l’analisi
spettrale della luce balistica trasmessa dal campione nell’approssimazione di
scattering indipendente. Le misure effettuate costituiscono quindi una caratterizzazione preliminare dei campioni. Le dimensioni ridotte dei campioni
fabbricati hanno impedito di caratterizzare le strutture con la misura del
transport mean free path tramite l’analisi della trasmissione totale dal campione, misure del profilo del fascio, e misure time resolved. Per queste misure
occorre che le dimensioni del campione siano sufficientemente grandi da garantire che la luce scatterata non esca dai bordi dei campioni. Occorre inoltre
uno spessore tale da essere nel regime di scattering multiplo, in maniera da
poter studiare come la presenza di correlazioni influisce nelle proprietà di
trasporto della luce.
3.3.1
Misura dello scattering mean free path (ls )
Lo scopo di questa caratterizzazione è quello di ricavare lo scattering mean
free path ls dall’analisi spettrale su larga banda (400 nm ÷ 1000 nm) della
luce balistica trasmessa dal campione. La relazione tra la trasmissione T e
lo scattering mean free path nel regime di scattering debole (kl > 1) è data
dalla legge di Lambert-Beer :
T =
−L
I
=e l ,
I0
−L
l=
,
ln T
(3.20)
dove I è l’intensità della luce balistica (ovvero quella non rimossa dal fascio
iniziale) trasmessa dal campione, I0 l’intensità incidente, L è lo spessore del
campione lungo la direzione di incidenza della luce, l è l’extinction mean free
path, il quale tiene in considerazione tutti i processi per cui la luce viene
rimossa dal fascio incidente. Nel nostro caso il campione non presenta assorbimento per le lunghezze d’onda indagate, quindi possiamo considerare
l = ls , ovvero l’unico fattore che rimuove la luce dal fascio è lo scattering
elastico con le unità che compongono la struttura. Nell’equazione 3.20 è stata trascurata la riflettività dall’interfaccia aria-struttura in quanto l’indice di
rifrazione effettivo del materiale è prossimo a quello dell’aria data la scarsa
densità del sistema (filling fraction ∼ 0.2).
La misura della luce balistica ci permette di ricavare ls dato dall’equazione
3.7 che considera eventi di scattering indipendenti l’uno dall’altro. Questo
66
Figura 3.20: Schema dell’apparato sperimentale usato nella misura dello scattering mean
free path.
perché è sufficiente un singolo evento di scattering per modificare la direzione del fotone e quindi rimuovere la luce dal fascio. Nonostante essa sia una
caratterizzazione preliminare e concettualmente molto semplice, le dimensioni ridotte dei campioni costruiti hanno reso queste misure molto complesse
dal punto di vista sperimentale. Una caratterizzazione più completa, che
permetta di ricavare informazioni sul trasporto della luce in presenza di correlazioni, potrà essere effettuata solo quando le nostre capacità fabbricative ci
permetteranno di costruire strutture con superficie più grande e con maggiore
spessore.
Apparato sperimentale ed operazioni di misura
In figura 3.20 è riportato uno schema dell’apparato sperimentale utilizzato per le misure di scattering mean free path. La sorgente utilizzata è una
sorgente supercontinua LEUKOS SM-8-OEM. Essa è costituita da un seed
laser a 1064 nm con impulsi di circa 1 ns e frequenza di ripetizione 8 KHz
iniettato in una fibra a cristallo fotonico (PCF ) in maniera tale da generare
un allargamento spettrale tramite effetti non lineari di conversione in frequenza. Le specifiche tecniche della sorgente sono riportate in tabella 3.3. Il
fascio in uscita dalla fibra ottica a cristallo fotonico è collimato tramite un
obbiettivo Olympus MS Plan 10X con apertura numerica N A = 0.30, ingrandimento 10X e working distance pari a 10.20 mm. Il fascio è focalizzato
sul campione tramite un obbiettivo Carl Zeiss EPIPLAN con apertura numerica N A = 0.20, ingrandimento 10X e working distance pari a 14.3mm. Il
campione è montato su un supporto tipo polarizzatore, il quale permette un
67
Spectral bandwidth
Total average power
Seed repetition rate
Seed pulse width
Power stability
Spatial mode
Polarization state
420 nm − 2200 nm
> 20 mW
∼ 8 KHz
∼ 1 ns
±1.5 %
Single mode T M00
Unpolarized
Tabella 3.3: Caratteristiche tecniche della sorgente supercontinua LEUKOS SM-8-OEM.
movimento di rotazione attorno all’asse ottico del fascio laser incidente. Fra
il campione e l’obbiettivo di focalizzazione, quasi a contatto col campione, è
posto un pinhole di diametro pari a 11.3 µm con lo scopo di pulire il fascio
dal rumore dovuto a fenomeni di diffrazione e di interferenza generati dalle
ottiche del sistema. La pulizia del fascio è necessaria per investigare una
larga banda spettrale, in quanto ci permette di compensare la dispersione
cromatica causata dalle ottiche (soprattutto dall’obbiettivo di focalizzazione) particolarmente forte per lunghezze d’onda inferiori a 500 nm. Il pinhole
ed il campione sono molto vicini fra loro in quanto è necessario che entrambi
siano in prossimità del fuoco del fascio incidente. La luce balistica è raccolta
a grandi distanze dal campione (∼ 25 cm) tramite una lente asferica e focalizzata in una fibra ottica. La fibra è accoppiata ad uno spettrometro a fibra
ottica Ocean Optics USB 2000 che contiene al suo interno un apparato di
rivelazione (CCD).
La necessità di effettuare una caratterizzazione spettrale su larga banda ha
imposto una serie di accorgimenti durante le misure oltre l’introduzione del
pinhole. Lo spettro fra 400 nm e 1000 nm è stato diviso in 4 parti, nelle quali
sono stati utilizzati differenti filtri cromatici, per compensare il limitato dynamic range dei rivelatori (< 103 ), e due diversi rivelatori Ocean Optics. Il
limitato dynamic range dei rivelatori ha inoltre imposto l’utilizzo di un filtro
neutral density per la misura di I0 , ovvero la luce raccolta in assenza del
campione. Tale filtro è stato calibrato spettralmente effettuando una misura
dello spettro della luce incidente in assenza del filtro ed in presenza di esso.
In tabella 3.4 sono mostrate le componenti usate. I campioni sono costituiti
dalle 10 strutture amorfe realizzate (vedi paragrafo 3.2.4). Dopo ciascuna
misura di trasmissione attraverso il campione è stata effettuata una misura di referenza dell’intensità I0 della radiazione trasmessa dal substrato di
vetro sul quale aderiscono le strutture. In questa maniera possiamo risalire
all’intensità effettiva trasmessa dalle strutture.
68
λ
Filtro cromatico
400 nm ÷ 440 nm
Band Pass 40 nm a Ocean Optics USB
400 nm
2000 200 nm ÷ 850 nm
Ocean Optics USB
2000 200 nm ÷ 850 nm
Long Pass 610 nm
Ocean Optics USB
2000 550nm÷1100nm
Long Pass 850 nm
Ocean Optics USB
2000 550nm÷1100nm
420 nm ÷ 610 nm
600 nm ÷ 860 nm
840 nm ÷ 1000 nm
Rivelatore
Tabella 3.4: Componenti utilizati nelle misure di trasmissione.
Risultati sperimentali e confronto con la teoria
In figura 3.21 è mostrato lo spettro di trasmissione relativo alle strutture
amorfe analizzate. Lo spettro è il risultato di una media sulle 10 differenti realizzazioni di disordine fabbricate. L’intensità trasmessa è molto bassa
(T ∼ 10−3 ) su tutto lo spettro, segno evidente che le strutture fabbricate
diffondono la luce in maniera sensibile. Si può notare chiaramente un picco
di trasmissione fra 410 e 430nm (inset in figura 3.21). Questo picco nella trasmissione coincide con la drastica riduzione della sezione d’urto di scattering
della singola rod osservata nei calcoli teorici per incidenza parallela all’asse
di simmetria del cilindro (figura 3.13). Dopo il primo picco la trasmissione
aumenta all’aumentare della lunghezza d’onda.
Lo scattering mean free path è stato ricavato dalle misure di trasmissione tramite la legge di Lambert-Beer (equazione 3.20), considerando lo spessore del
campione fabbricato lungo la direzione di incidenza della luce (Lz = 14.5µm),
ed è mostrato in figura 3.22. Nello stesso grafico è mostrato l’andamento dello
scattering mean free path calcolato in maniera teorica a partire dalla sezione
d’urto di scattering di una singola rod. Il calcolo teorico di ls è stato effettuato tramite l’equazione 3.7 a partire dalla conoscenza della sezione d’urto
di scattering per una singola rod (paragrafo 3.2.3), considerando un sistema
composto da rods cilindriche di diametro d = 1 µm ed altezza h = 0.5 µm
con la stessa densità numerica del sistema fabbricato (vedi tabella 3.1). Per
ottenere ls l’orientazione dei cilindri è stata randomizzata, ovvero è stata
calcolata una media della sezione d’urto di scattering sulle tre configurazioni
del cilindro studiate (incidenza luce lungo asse z, cilindro con asse parallelo
a asse x; incidenza luce lungo asse z, cilindro con asse parallelo a asse y;
incidenza luce lungo asse z, cilindro con asse parallelo a asse z) e sulle polarizzazioni. Nonostante sia la misura sperimentale sia la trattazione teorica
69
Figura 3.21: Spettro di trasmissione relativo alle strutture amorfe fabbricate. i quattro
simboli differenti sottolineano le quattro parti in cui è stato suddiviso lo spettro per riuscire
ad effettuare le misure (vedi tabella 3.4).
Figura 3.22: Confronto fra ls misurato e ls calcolato a partire dalla conoscenza della
sezione d’urto di scattering da una singola rod. Le due rette mettono in evidenza come
ls teorico e misurato mostrino lo stesso incremento all’aumentare della lunghezza d’onda
(∼ 0.0017 µm/nm).
70
siano caratterizzazioni preliminari, si nota come l’andamento sperimentale di
ls segua l’andamento di quello teorico, seppure mostrando valori di poco più
elevati. Le differenze di valori sono imputabili al fatto che dalle immagini
SEM non otteniamo una conoscenza precisa del sistema fabbricato. In questa maniera, la schematizzazione fatta a livello teorico, dove si è considerato
unarod cilindrica di lungezza 1 µm e diametro 0.5 µm, può non rispecchiare
precisamente le caratteristiche geometriche del sistema reale.
Dai risultati sperimentali si comprende quindi che le strutture fabbricate sono
strutture molto “scatteranti”. Nonostante il sistema fabbricato abbia un contrasto di indice molto basso lo scattering mean free path misurato (ed anche
quello calcolato) risulta breve e paragonabile a quello di sistemi caratterizzati
da un alto contrasto di indice di rifrazione, come materiali ceramici [67].
71
72
Capitolo 4
Woodpiles con centri di
disordine
In questo capitolo verranno presentati sistemi fotonici caratterizzati dall’introduzione di centri di disordine all’interno di una struttura periodica. L’approccio allo studio del disordine è quindi diametralmente opposto a quello
adottato nel capitolo 3, in cui sono stati studiati sistemi caratterizzati dall’introduzione di ordine in strutture complessivamente disordinate.
La struttura che costituisce la base ordinata dei sistemi studiati in questo
capitolo è il cristallo fotonico woodpile [20]. Tale sistema è già stato ampiamente studiato [19, 20, 68], in quanto la sua particolare struttura layered
ne permette la fabbricazione mediante tecniche litografiche ben collaudate,
tipicamente utilizzate per sistemi bidimensionali. È stato mostrato che per
determinati filling fraction (rapporto fra il volume del materiale ad alto indice di rifrazione e il volume totale del sistema) e contrasto di indice di
rifrazione, il cristallo fotonico woodpile possiede una bandgap fotonica molto
ampia [19].
In questo capitolo sono proposti woodpiles polimerici, fabbricati mediante
direct laser writing, nei quali sono stati introdotti centri di disordine in bassa
concentrazione. La presenza di tali imperfezioni modifica il comportamento
della luce all’interno del cristallo fotonico, causando deviazioni dal comportamento dovuto alla natura periodica delle strutture. Le strutture fabbricate,
dato il basso contrasto di indice di rifrazione aria-polimero, non possiedono
una bandgap completa, ma una stop band esclusivamente nella direzione normale al piano individuato dai layers che costituiscono il cristallo. In figura
4.1 è mostrato un esempio di struttura a bande per un woodpile con reticolo
fcc ad alto contrasto di indice di rifrazione [69].
Questa parte del lavoro di tesi si inserisce in un progetto di ricerca già avviato, che mira a studiare come l’introduzione di piccole quantità di disordine
73
Figura 4.1: Esempio di struttura a bande calcolata per un woodpile con reticolo fcc, rods
a sezione ellittica di spessore d = 0.25 a (a periodicità sul piano del layer ), con costante
dielettrica = 11.76 [69].
influenza le proprietà di trasporto della luce in sistemi ordinati. La tecnica
fabbricativa del direct laser writing ci fornisce la possibilità unica di controllare e progettare il disordine all’interno delle strutture. Questo approccio è
una novità nello studio di sistemi fotonici ordinati con centri di disordine.
Finora infatti la presenza di disordine in strutture periodiche era il risultato
di difetti intrinseci nei processi fabbricazione [6].
Nella prima parte del presente capitolo è fornita un’overview sulla struttura
fotonica woodpile. Successivamente sono presentati i campioni fabbricati, costituiti da un woodpile senza disordine e tre woodpiles con differenti (basse)
concentrazioni di disordine, ed una loro caratterizzazione ottica. Il processo
di fabbricazione delle strutture è invece trattato in maniera molto breve, in
quanto non fa parte di questo lavoro di tesi.
4.1
La struttura woodpile
La struttura woodpile consiste in una successione di layers costituiti da
rods parallele di dielettrico. L’orientazione delle rods appartenenti ad un
layer è ortogonale a quella delle rods dei layers adiacenti. La sequenza di
layers per cui è possibile aprire una stop band per la struttura woodpile è
ABCDABCD . . . , dove C e D sono layers con la stessa orientazione rispet74
Figura 4.2: Immagine schematica di una struttura woodpile. A destra è presente
un ingrandimento, con sequenza dei layers ABCDA, dove sono evidenziate le grandezze
fondamentali in un woodpile [70].
tivamente di A e B traslati orizzontalmente di una quantità pari alla metà
della separazione fra rods [20]. Una rappresentazione schematica di questa
struttura è mostrata in figura 4.2. Secondo le notazioni riportate in figura,
a è la distanza fra rods adiacenti, d ed h sono gli spessori della rod rispettivamente sul piano del layer e lungo la direzione ortogonale ad esso, c è la
periodicità della struttura lungo la direzione ortogonale ai piani individuati
dai layers.
La simmetria del reticolo dipende dal rapporto c/a. Dalla figura 4.3 si osserva come la simmetria della zona di Brillouin cambia al variare di tale
rapporto. La struttura bcc (body-centered-cubic) si ottiene
per c/a = 1, la
√
struttura f cc (face-centered-cubic) invece per c/a = 2. Per altri valori di
c/a abbiamo una generica struttura ct (centered-tetragonal ) [70]. In cristalli
fotonici woodpiles la simmetria del reticolo influisce
√ sulla posizione della stop
band [69]. In particolare per c/a che va da 1 a 2 (ovvero andando da un
reticolo bcc ad un reticolo f cc) abbiamo un redshift della posizione del centro
della gap. La posizione della gap dipende inoltre dalle dimensioni complessive
del sistema (naturale conseguenza delle proprietà di scala dei cristalli fotonici) e dalla filling fraction del sistema. Incrementando il volume del materiale
dielettrico rispetto all’aria (ovvero aumentando lo spessore delle rods), si ha
un redshift nella lunghezza d’onda della gap.
75
Figura 4.3: Woodpiles con differenti rapporti c/a. La simmetria della zona di Brillouin
cambia al variare di tale rapporto [69].
4.2
Campioni fabbricati
I campioni fabbricati sono costituiti da una struttura ordinata di base e
tre strutture ottenute inserendo centri di disordine (scatteratori) in questa
struttura. Le strutture sono state fabbricate mediante direct laser writing
nel gruppo di ottica dei sistemi complessi, LENS, all’interno quale è stato
svolto questo lavoro di tesi. La procedura di fabbricazione risulta complessivamente più semplice rispetto a quanto descritto nel capitolo 3. Trattandosi
di strutture ordinate, in cui ogni layer poggia su quello inferiore, tali strutture non soffrono di particolari problemi di stabilità meccanica. La presenza
di rods molto lunghe (100 µm) e l’assenza di giunzioni (tipiche invece dei
sistemi fotonici amorfi) rendono più semplici le procedure di calibrazione dei
parametri di scrittura laser, potendo concentrarsi esclusivamente sulla ricerca della soglia di polimerizzazione, senza preoccuparsi delle difficoltà relative
alla polimerizzazione agli estremi delle rods (vedi capitolo 3).
La struttura ordinata, che costituisce il background delle strutture fabbricate,
è un woodpile le cui caratteristiche progettate sono riportate in tabella 4.1.
A causa del basso contrasto di indice di rifrazione tale struttura non possiede una bandgap completa, ma solo una stop band per incidenza normale
ai piani dei layers. I centri di disordine sono costituiti da ispessimenti nella
rod distribuiti in maniera casuale all’interno del campione. Essi sono ottenuti durante il processo di fotopolimerizzazione sovraesponendo determinati
punti delle rods alla radiazione laser.
76
Lx
(µm)
100
Ly
NL
(µm)
100
a
(µm)
c
(µm)
Simm.
1
1.414
f cc
24
Tabella 4.1: Caratteristiche del woodpile progettato che costituisce il background periodico dei campioni fabbricati. Lx ed Ly sono le dimensioni sul piano del substrato di vetro,
ovvero le dimensioni laterali di ciascun layer, NL è il numero di layers, a è la distanza fra
rods e c la periodicità nella direzione ortogonale al layer (fig. 4.2). Simm. è la simmetria
del reticolo.
Sigla struttura
WP
WPD1000
WPD3000
WPD6000
Ns
ns
0
0
1000 1/60
3000 1/20
6000 1/10
nV
(µm−3 )
0
0.012
0.036
0.072
Tabella 4.2: Caratteristiche dei campioni progettati. Ns è il numero di scatteratori
inseriti nella struttura, ns il numero di scatteratori per cella unitaria, nV la densità di
scatteratori.
Le strutture disordinate si differenziano tra loro in base alla concentrazione di
scatteratori presente nel background periodico. In tabella 4.2 sono riportate
le sigle delle strutture in riferimento al numero di centri di disordine inseriti
nella struttura ordinata di base.
4.3
Caratterizzazione SEM
In questa sezione è presentata una caratterizzazione delle strutture al microscopio elettronico SEM. Tale analisi, seppur presentata all’inizio del capitolo,
è stata fatta solo dopo aver caratterizzato otticamente le strutture. Infatti,
dal momento che le strutture sono in materiale polimerico isolante, per riuscire a vederle al microscopio elettronico è stato necessario ricoprirle di un
sottile strato di materiale conduttivo (oro) tramite l’utilizzo di uno sputter
coater. Dall’analisi al microscopio elettronico è possibile evincere la qualità
delle strutture fabbricate. Possiamo quantificare gli effetti dovuti al restringimento (shrinkage, vedi capitolo 2) del polimero che avviene durante la fase
di sviluppo dei campioni attraverso i solventi. Possiamo inoltre misurare la
77
Figura 4.4: ((a) Immagine SEM del woodpile senza disordine (WP). (b) Particolare dello
stesso woodpile che mette in evidenza l’effetto di restringimento (shrinkage) del polimero
con conseguente distacco della struttura dalle mura rinforzanti.
distanza a fra le rods che costituiscono ciascun layer del woodpile ed avere
un’idea sullo spessore d della rod sul piano individuato dai layers.
Woodpile
In figura 4.4 (a) è mostrata l’immagine SEM dell’intera struttura. La struttura woodpile (cosı̀ come le altre strutture fabbricate) è circondata da spesse
mura rinforzanti. Lo scopo di tali mura è di aumentare la stabilità meccanica
delle strutture contrastandone il restringimento (shrinkage) che avviene durante il processo di sviluppo del polimero. Le dimensioni laterali della struttura sono pressoché uguali ai parametri di progettazione (100 µm × 100 µm).
Si può notare come le mura siano leggermente piegate. L’effetto di shrinkage della struttura è evidenziato nella figura 4.4 (b). Le forze associate al
restringimento del polimero hanno staccato in diversi punti il woodpile dalle
mura rinforzanti. Questo effetto è stato quantificato in circa 5 µm di restringimento nella regione del campione dove questo effetto è massimo. A causa
del restringimento la distanza fra le rods (periodicità a) adiacenti alle mura risulta compressa e sensibilmente differente dal valore impostato (1 µm).
Nonostante le difficoltà dovute allo shrinkage, la struttura appare di ottima
qualità e nelle zone non adiacenti alle mura la periodicità risulta uniforme.
Un particolare della struttura è mostrato nell’immagine SEM (ad elevato
ingrandimento) presente in figura 4.5 (a). Elaborando questa immagine al
computer è possibile misurare la distanza a fra le rods del layer superiore
78
Figura 4.5: (a) Immagine SEM ad elevato ingrandimento del woodpile. (b) Intensità
dei pixel corrispondenti ad una sezione orizzontale dell’immagine. I picchi meno intensi
corrispondono alle rods appartenenti al layer inferiore.
(fig. 4.5 (b)). L’immagine ingrandita viene sezionata e l’intensità dei pixels
è riportata in grafico. Ciascun picco corrisponde ad una rod. I picchi di
intensità maggiore corrispondono alle rods del layer superiore, mentre quelli di intensità inferiore a quelle appartenenti al layer inferiore. Il risultato
della misura di a è frutto di una media effettuata su diverse immagini SEM
prese in diversi punti della struttura. Per il campione in questione risulta
a = (956.3 ± 8.0) nm.
Dalle immagini SEM è possibile stimare in maniera approssimativa lo spessore d della rod sul piano. A causa della risoluzione del microscopio elettronico
a nostra disposizione, l’analisi non può essere molto accurata. Per il woodpile
è stato stimato uno spessore d di circa 185 nm.
Dall’analisi al microscopio elettronico non è possibile risalire alla periodicità c lungo la direzione ortogonale al piano definito dai layers e quindi non
è possibile risalire allo shrinkage lungo questa direzione. Una stima della
periodicità c verrà presentata in seguito.
Woodpiles con centri di disordine
In figura 4.6 sono mostrate immagini SEM relative alle strutture nominate WPD1000, WPD3000 e WPD6000. Si può osservare come anche queste
strutture risultino di elevata qualità. Da un confronto delle figure 4.6 (a), (b)
e (c) si nota chiaramente l’aumento della concentrazione di difetti (scatteratori) all’interno della struttura periodica di base. In prima approssimazione
possiamo considerare tali scatteratori come delle sfere di dielettrico. Dall’os79
Figura 4.6: (a)(a’) WPD1000, (b)(b’) WPD3000, (c)(c’) WPD6000. I cerchi evidenziano
due scatteratori.
80
Struttura
WP
WPD1000
WPD3000
WPD6000
a
(nm)
956.8
948.2
952.9
928.8
±
±
±
±
8.0
8.0
5.0
5.0
Tabella 4.3: Periodicità a delle strutture fabbricate misurata tramite indagine al
microscopio elettronico.
servazione delle figure 4.6 (b’) e (c’) possiamo stimare che essi abbiano un
diametro di circa 350 nm. Tale stima è puramente indicativa in quanto dalle
immagini SEM risulta difficile comprendere sia la forma degli scatteratori,
sia l’effettivo layer di appartenenza.
Dalle immagini SEM sono state inoltre misurate le distanze a fra le rods del
layer superiore con procedure analoghe a quanto fatto per il woodpile. I
risultati per tutte le strutture sono presentati nella tabella riassuntiva 4.3.
La struttura WPD6000 mostra una separazione fra rods superiore alle altre.
Questo fatto è sicuramente imputabile agli effetti di shrinkage che non sono
facilmente controllabili nel processo di fabbricazione. Da una stima preliminare dello spessori delle rods risulta che per le strutture WPD1000, WPD3000
e WPD6000 sia circa 195 nm, leggermente superiore a quanto stimato per
il woodpile. Questo può essere imputabile ad una fluttuazione della potenza
del laser durante la fabbricazione delle strutture (il lavoro per fabbricare le
quattro strutture dura circa 15 ÷ 16 ore ed il woodpile è la prima struttura
ad essere fabbricata).
4.4
Misure di diffrazione
In questa sezione sono presentate misure dell’angolo di diffrazione relative
alle strutture fabbricate.
Per studiare le proprietà della diffrazione relative al woodpile è utile pensare
alla struttura come una sovrapposizione periodica di cristalli fotonici bidimensionali [71]. In particolare, data la simmetria del woodpile, il sistema che
si riproduce lungo la direzione normale rispetto al piano del layer è costituito
da un reticolo quadrato. Come già mostrato in letteratura [72, 73] per incidenza normale della luce si aprono canali di diffrazione quando il modulo del
vettore d’onda incidente è maggiore di ciascun vettore del reticolo reciproco
relativo al cristallo bidimensionale, dato da G = m1 b1 +m2 b2 , con bi vettore
81
Figura 4.7: (a) Figura di diffrazione per incidenza normale relativa alla struttura WP
(woodpile senza disordine) illuminata da una sorgente supercontinua. Sono messi in
evidenza gli ordini diffrattivi (eq. 4.2 e 4.3). (b) Diffrazione dalla struttura WPD6000.
primitivo del reticolo reciproco e mi intero. In aria per un reticolo quadrato
questa condizione è data da
q
a
≥ m21 + m22 ,
(4.1)
λ
dove λ è la lunghezza d’onda della radiazione incidente e a è la periodicità sui
piani perpendicolari alla direzione di incidenza. Per a ≥ λ si aprono quattro
canali di diffrazione, che corrispondono alle coppie
(m1 , m2 ) = (1, 0), (0, 1), (−1, 0), (0, −1).
Un secondo insieme di picchi di diffrazione appare invece per a ≥
corrispondenza di
(m1 , m2 ) = (1, 1), (1, −1), (−1, 1), (−1, −1).
(4.2)
√
2λ, in
(4.3)
I picchi di diffrazione, per incidenza perpendicolare al piano definito dai
layers, che corrispondono alle coppie di eq. 4.2 sono direttamente collegati
alla periodicità a del reticolo quadrato, secondo la relazione
λ
= a sin θ,
neff
(4.4)
dove θ è l’angolo di diffrazione e neff è l’indice di rifrazione effettivo del woodpile. Quest’ultimo fattore è stato inserito come approssimazione per tenere
82
conto del fatto che il mezzo diffrattivo ha uno spessore finito nel quale la
lunghezza d’onda effettiva è diversa da λ. Noto l’indice di rifrazione effettivo
del materiale, è possibile quindi, da una misura dell’angolo di diffrazione,
risalire al passo reticolare. In realtà la determinazione a priori dell’indice
di rifrazione effettivo delle strutture fabbricate è molto complessa. Risulta
invece possibile la determinazione con buona precisione della distanza fra le
rods appartenenti allo stesso layer, tramite l’analisi al microscopio elettronico
(vedi tabella 4.3).
L’analisi proposta si basa quindi sulla misura dell’angolo di diffrazione per
incidenza normale, per risalire, tramite la relazione in eq. 4.4, all’indice di
rifrazione effettivo delle strutture (per λ = 632.8 nm), una volta nota la
distanza a fra le rods. In particolare è stato misurato l’angolo θ relativo all’ordine (1, 0).
In figura 4.7 (a) sono mostrati gli ordini di diffrazione relativi al woodpile fabbricato (struttura WP ) per incidenza normale. L’immagine è stata raccolta
su uno schermo illuminando il campione con una sorgente supercontinua. Le
misure proposte nel successivo paragrafo sono state fatte invece utilizzando
una sorgente monocromatica. Si noti come l’angolo di diffrazione aumenti
all’aumentare della lunghezza d’onda. In figura 4.7 (b) è riportato lo stesso profilo di diffrazione ma per la struttura WPD6000, ovvero quella con la
concentrazione massima di centri di disordine. I picchi di diffrazione sono
ben visibili, ma sono inseriti in un background di luce diffusa dai centri di
scattering.
4.4.1
Apparato sperimentale
In figura 4.8 è mostrato il setup ottico utilizzato per le misure dell’angolo di
diffrazione relativo alle strutture fabbricate.
La sorgente è costituita da un laser ad elio-neon (He-Ne) Thorlabs con emissione a λ = 632.8 nm e potenza di 5 mW . Il fascio è accoppiato in fibra
ottica mono modo e successivamente collimato tramite uno specchio parabolico. L’intensità del fascio è modulata tramite un chopper posto in prossimità
della sorgente, in maniera tale che il segnale da rivelare possa essere amplificato da amplificatori lock-in. Successivamente il fascio è diviso in due parti
da un beam splitter (BS). Una parte viene focalizzata su un rivelatore per
monitorare la potenza incidente sul campione. L’altra parte è focalizzata
tramite uno specchio parabolico sul campione. Nonostante non fossero necessari per le misure di diffrazione, sono stati utilizzati gli specchi parabolici
in quanto lo stesso setup sperimentale è stato sfruttato anche per le misure
di trasmissione e riflessione (paragrafo 4.5.1). Il campione è posto su una
traslation stage micrometrica che ci permette di scegliere la struttura (fra le
83
Figura 4.8: Apparato sperimentale utilizzato per le misure dell’angolo di diffrazione.
quattro presenti sul substrato di vetro) sulla quale focalizzare. Il rivelatore è posizionato a grande distanza dal campione (∼ 10 cm) su un supporto
ruotante motorizzato. Il fuoco del fascio, e quindi la struttura analizzata, è
posto sull’asse di rotazione del rivelatore. Per avere una buona risoluzione
angolare un’iride è stata messa a contatto con il rivelatore. Il campione è
montato in maniera tale che gli ordini di diffrazione (1, 0) e (−1, 0) siano
alla medesima quota. La rotazione del supporto su cui è posto il rivelatore e
l’acquisizione del segnale sono controllati tramite computer. La risoluzione
angolare data dal motore che genera la rotazione è pari a un centesimo di
grado. L’analisi effettuata è limitata all’analisi dell’ordine diffrattivo (1, 0)
per motivi dovuti alla limitata escursione della rotazione del supporto.
4.4.2
Risultati ottenuti
In figura 4.9 è mostrata l’intensità della radiazione trasmessa dal campione al
variare dell’angolo α del rivelatore rispetto ad esso, per le quattro strutture
analizzate. Ciascuno spettro è il risultato di una media fra misure effettuate
in punti differenti della solita struttura. In ascissa è presente l’angolo di rotazione del rivelatore rispetto al punto in cui inizia la rotazione. Il punto in cui
inizia la rotazione è stato scelto in maniera tale per cui durante la rotazione si
riescano a risolvere i picchi di intensità dovuti agli ordini di diffrazione (0, 0)
(ordine zero di diffrazione, luce balistica) e (1, 0). L’angolo di diffrazione è il
risultato della differenza fra le posizioni angolari di questi due picchi, ovvero
θ = α(1,0) − α(0,0) . Misurato l’angolo di diffrazione, nota la periodicità a sul
piano del layer (vedi tabella 4.3), è stato calcolato l’indice di rifrazione ef84
Figura 4.9: Misure dell’angolo del picco di diffrazione (1, 0) relative alle strutture WP,
WPD1000, WPD3000 e WPD6000.
85
Sigla struttura
WP
WPD1000
WPD3000
WPD6000
θ
(gradi)
neff
39.39 ± 0.30 1.04 ± 0.02
40.12 ± 0.30 1.04 ± 0.02
39.92 ± 0.35 1.04 ± 0.02
41.22 ± 0.32 1.03 ± 0.02
Tabella 4.4: Risultati delle misure di diffrazione.
fettivo del materiale neff tramite l’equazione 4.4. I risultati sono riportati in
tabella 4.4. Gli indici di rifrazione effettivi (per λ = 632.8 nm) delle diverse
strutture risultano in buon accordo fra loro e risultano molto vicini all’indice
di rifrazione dell’aria. Questo può dipendere dal fatto che le strutture fabbricate sono effettivamente poco dense, ovvero hanno una bassa filling fraction
(che è difficile da stimare a priori perché non sappiamo di quanto le rods
appartenenti a layers adiacenti si mescolino fra loro). Inoltre può dipendere
anche dal fatto che per la frequenza di indagine (632.8 nm) ricadiamo in una
banda d’aria, nella quale l’energia del campo elettromagnetico si concentra
in regioni della struttura a basso dielettrico.
4.5
Misure di trasmissione e riflessione
In questa sezione sono presentate misure di trasmissione e riflessione sulle
strutture fabbricate per incidenza perpendicolare al piano definito dai layers
dei woodpiles.
4.5.1
Apparato sperimentale ed operazioni di misura
Uno schema dell’apparato sperimentale utilizzato è mostrato in figura 4.10.
La sorgente utilizzata è una sorgente supercontinua LEUKOS SM-8-OEM
con emissione compresa fra 420 nm e 2200 nm. Le sue caratteristiche sono
elencate nel capitolo 3, tabella 3.3. Il fascio in uscita è collimato tramite
uno specchio parabolico. Successivamente è posto un filtro long pass con
lunghezza d’onda di taglio pari a 1100 nm. Tale filtro evita effetti di feedback
nella sorgente causati da riflessioni dal campione, che sono importanti per
lunghezze d’onda intorno alla lunghezza d’onda della pompa della sorgente
(1064 nm). Il fascio è successivamente diviso in due parti da un beam splitter
(BS). Una parte è focalizzata in un rivelatore con lo scopo di monitorare la
potenza della sorgente. L’altra parte è focalizzata sul campione tramite uno
86
Figura 4.10: Apparato sperimentale utilizzato per le misure di trasmissione (a) e
riflessione (b).
87
specchio parabolico. Il diametro dello spot nel fuoco risulta essere circa 40µm
per tutto lo spettro di emissione della sorgente supercontinua. La compensazione delle aberrazioni cromatiche è ottenuta grazie all’utilizzo degli specchi
parabolici per collimare e focalizzare il fascio combinato al fatto che la fibra
ottica a cristallo fotonico della sorgente supercontinua ha un’apertura numerica maggiore per lunghezze d’onda maggiori. Il fatto che le dimensioni dello
spot nel fuoco non dipendano in maniera significativa dalla lunghezza d’onda
è fondamentale per esperimenti di spettroscopia su larga banda su campioni
di dimensioni laterali ridotte come i nostri.
Nelle misure di trasmissione (fig. 4.8 (a)) la luce balistica trasmessa dal campione è accoppiata in una fibra ottica posta a grande distanza dal campione,
e inviata ad un monocromatore. Nelle misure di riflessione (fig. 4.8 (b)) la
luce riflessa dal campione è raccolta dallo specchio parabolico usato per la
focalizzazione. Il fascio riflesso è diviso dal fascio incidente tramite il beam
splitter, raccolto in fibra ottica ed inviato al monocromatore.
In entrambi i casi il fascio in uscita dalla fibra è modulato in intensità tramite un chopper in maniera da poter amplificare il segnale rivelato tramite un
amplificatore lock-in. Il fascio è focalizzato in un monocromatore Chromex
250 is/sm, con focale di 250 mm e reticolo 600 g/mm con blaze a 2 µm. In
uscita dal monocromatore è posto un rivelatore ad infrarosso. Il movimento del monocromatore e le acquisizioni degli spettri sono controllate tramite
computer.
Ogni operazione di misura consiste nel acquisizione di uno spettro dell’intensità trasmessa (riflessa) dal campione, e una misura di referenza. Il risultato
della misura è l’intensità trasmessa (riflessa) diviso l’intensità della referenza. Nel caso delle misure di trasmissione la referenza consiste nel segnale
trasmesso dal substrato di vetro sul quale aderiscono le strutture fabbricate.
Nel caso delle misure di riflessione la referenza consiste nel segnale riflesso
da uno specchio posto immediatamente accanto alle strutture, sullo stesso
supporto portacampioni. Trasmissione e riflessione sono quindi date dai segnali di trasmissione e di riflessione misurati diviso i segnali di referenza.
Nel calcolo della riflessione e della trasmissione gli spettri di intensità raccolti sono stati corretti per la riflessione dal substrato di vetro (4%) e per la
trasmissione dallo specchio utilizzato come riferimento (2%). Le correzioni
risultano importanti in quanto nello spettro di indagine trasmissione e riflessione spesso sono vicini ai valori 0 ed 1.
Gli spettri di trasmissione e riflessione riportati nel seguente paragrafo sono il
risultato di una media su diverse misure effettuate focalizzando su differenti
zone di ciascuna struttura.
88
Figura 4.11: Spettri di trasmissione e riflessione relativi alla struttura WP. In linea
continua sono presentati ti risultati sperimentali, in linea tratteggiata i risultati ottenuti
tramite simulazionim FDTD.
4.5.2
Risultati ottenuti
In figura 4.11 sono mostrati gli spettri di trasmissione e riflessione relativi
alla struttura WP (woodpile senza disordine), che costituisce il background
di tutte le strutture. In figura, agli spettri ottenuti sperimentalmente (in
linea continua) sono sovrapposti spettri (in linea tratteggiata) ottenuti tramite simulazioni FDTD (finite-difference time-domain) effettuate all’interno
del gruppo di ottica dei sistemi complessi in cui si è svolto questo lavoro di
tesi. Il metodo FDTD fu introdotto da K. S. Yee nel 1966 e consiste in una
tecnica per risolvere numericamente le equazioni di Maxwell all’interno di
sistemi non omogenei discretizzando i campi elettromagnetici sia nel tempo
che nello spazio [74]. La simulazione proposta è stata effettuata considerando una struttura woodpile con indice di rifrazione 1.52. I parametri fissati
sono, in riferimento alla figura 4.2, a, d ed h. I valori di a e d sono ottenuti
mediante l’analisi al microscopio elettronico, h è stato stimato effettuando
lavori di calibrazione delle dimensioni delle rods analoghi a quelli presentati
nel capitolo 3, paragrafo 3.2.4. I valori di trasmissione e riflessione risultanti
dalle simulazioni sono trasmissione e riflessione totali, ovvero integrate su
89
a
(µm)
d
(µm)
h
(µm)
c
(µm)
c/a
0.950
0.185
0.555
1.000
1.053
Tabella 4.5: Valori dei parametri impostati per il calcolo di trasmissione e riflessione
tramite simulazioni FDTD.
tutto il semispazio in avanti ed indietro rispettivamente. Nelle simulazioni
è stata variata la periodicità c nella direzione perpendicolare ai layers (non
misurabile con il SEM) fino a quando gli spettri calcolati avessero un buon
accordo con quelli misurati. I valori utilizzati per le simulazioni presentate
nella figura sono riportati in tabella 4.5. Si noti come la periodicità c, per
la quale gli spettri calcolati sono in accordo con quelli ottenuti sperimentalmente, sia ben diversa da quella impostata nel progettare le strutture con
simmetria fcc (tabella 4.1). Questa differenza è imputabile ad effetti di shrinkage nella direzione ortogonale ai layers che non possono essere stimati
tramite l’analisi delle strutture al microscopio elettronico.
Nonostante gli effetti di shrinkage sulla struttura, lo spettro del woodpile
mostra una stop band nell’infrarosso compresa fra 1.20 µm e 1.35 µm, dove la
trasmissione misurata è pressoché nulla e la riflessione si avvicina ad 1. In
figura 4.12 sono mostrati gli spettri di riflessione R e trasmissione T relativi
alle strutture fabbricate. Gli spettri riportati sono il risultato di una media
fra misure effettuate in differenti punti della solita struttura, e le barre di
errore sono date dalla deviazione standard. In grafico sono mostrate anche
le perdite L relative ai campioni, definite come L = 1 − (T + R). Le perdite
L sono costituite dalla luce diffusa e diffratta dai campioni in quanto per le
lunghezze d’onda indagate il materiale con cui sono fabbricate le strutture
non presenta assorbimento. Lungo l’asse delle ascisse è riportata la lunghezza d’onda normalizzata per la distanza a fra le rods misurata dalle immagini
SEM. In questa maniera è possibile confrontare gli spettri delle differenti
strutture, sfruttando la scalabilità delle equazioni di Maxwell (vedi capitolo
1).
Per le quattro strutture analizzate possiamo notare come le perdite siano
praticamente nulle nella regione della stop band, dove la radiazione incidente
è quasi completamente riflessa. Le perdite tendono ad aumentare nella regione del band edge, dove evidentemente lo scattering da difetti nel cristallo
e dai centri di disordine è più influente. In questa regione si ha infatti una
riduzione della velocità di gruppo dell’onda e la luce rimane più a lungo nel
materiale, avendo modo di interagire maggiormente con i centri di disordine e
con i difetti della struttura. A grandi lunghezze d’onda le strutture risultano
90
Figura 4.12: Spettri di trasmissione T e riflessione R relativi alle struuture WP (a),
WPD1000 (b), WPD3000 (c) e WPD6000 (d). Nei grafici sono mostrate anche le perdite
definite come L = 1 − (T + R).
91
praticamente trasparenti alla radiazione incidente e le perdite si annullano.
Questo avviene anche per le strutture “disordinate” in quanto la concentrazione di disordine è molto bassa (vedi tabella 4.2). Per lunghezze d’onda
inferiori alla gap gli spettri si fanno più strutturati e le perdite hanno valori
elevati. In questa regione infatti la luce risente maggiormente di eventuali
difetti nella struttura cristallina.
Le strutture caratterizzate dalla presenza di centri di disordine mostrano differenze negli spettri rispetto al woodpile “ordinato”. Si può infatti osservare
la formazione di nuovi canali di trasmissione parassiale all’interno della stop
band. Tali features sono evidenti sia negli spettri di trasmissione sia in quelli
di riflessione. Ad esempio, all’interno della stop band la struttura WPD1000
mostra un massimo dove la trasmissione parassiale raggiunge il 10 % e le
perdite sono praticamente nulle. Similmente la struttura WPD3000 mostra
un canale di trasmissione in avanti con valore di circa 20 % all’interno della
gap.
Gli spettri riferiti alla struttura WPD6000 risultano molto differenti da quelli delle altre strutture. Queste differenze possono essere dovute al fatto che
una concentrazione di scatteratori più elevata modifica completamente le caratteristiche di propagazione della luce all’interno della struttura. Differenze
rispetto alle altre strutture sono evidenti anche a lunghezze d’onda lunghe,
dove la trasmissione è sensibilmente inferiore ad uno. Questo fatto può indurci a pensare che la struttura WPD6000 non sia di buona qualità e presenti
disomogeneità al suo interno non visibili mediante il microscopio elettronico
(con cui è possibile analizzare solo la superficie dei campioni).
In figura 4.13 è riportato l’andamento dell’errore relativo degli spettri di trasmissione (ovvero il rapporto fra la deviazione standard σ e la trasmissione
T ). Le fluttuazioni dello spettro possono essere imputabili al fatto che le
differenti misure sono state fatte su regioni diverse del campione. Le concentrazioni di disordine relative alle strutture WPD1000, WPD3000 e WPD6000
sono molto basse. Considerando le dimensioni dello spot nel fuoco si può stimare di illuminare per ogni misura circa 120 scatteratori nel caso della struttura WPD1000, 360 per WPD3000 e circa 720 per la struttura WPD6000.
Quindi, data la bassa concentrazione di scatteratori, spostando il fascio all’interno della struttura, le regioni illuminate dal fuoco saranno sensibilmente
differenti l’una dall’altra. L’errore relativo risulta maggiore nella regione di
frequenze del band edge. In questa regione sono più significativi gli effetti dovuti alle disomogeneità nei campioni sulle proprietà di trasporto della luce,
ovvero piccoli cambiamenti nella struttura causano grandi fluttuazioni nello
spettro di trasmissione. Ciò è dovuto, come già accennato in precedenza, al
rallentamento della velocità di gruppo dell’onda ed al conseguente aumento
delle interazioni fra radiazione e materia.
92
Figura 4.13: Andamento dell’errore relativo degli spettri di trasmissione delle strutture
analizzate.
93
Figura 4.14: Grafico del rapporto fra la trasmissione dei woodpiles disordinati e la
trasmissione del woodpile. È riportato inoltre l’andamento nella regione del bandedge
dello scattering mean free path relativo al sistema di scatteratori (eq. 4.5). L’analisi è
stata effettuata per le strutture WPD1000, (a) e (a’), e WPD3000, (b) e (b’).
94
Per mettere in risalto il comportamento degli scatteratori all’interno del background periodico abbiamo riportato in grafico i rapporti fra la trasmissione
attraverso i woodpiles con disordine e la trasmissione attraverso il woodpile
“perfetto” (figure 4.14 (a) e (b)). Per lunghezze d’onda lunghe la trasmissione attraverso il woodpile tende ad 1. In questa regione la luce “vede” un
sistema omogeneo, con un certo indice di rifrazione effettivo. Le strutture con
disordine possono essere quindi considerate, per λ lunghe, come mezzi omogenei nei quali sono inseriti dei centri di disordine con concentrazione nV molto
bassa (tabella 4.2). In questa approssimazione la trasmissione attraverso i
woodpiles con disordine può essere considerata come il prodotto della trasmissione attraverso il woodpile perfetto e la trasmissione attraverso il sistema
disordinato di scatteratori in un mezzo omogeneo, ovvero TWPD = TWP TDIS .
Applicando la teoria di Mie per un sistema di scatteratori sferici con bassa
concentrazione, abbiamo che tale sistema mostra uno scattering mean free
path ls dell’ordine dei centimetri, ovvero molto maggiore dello spessore L dei
campioni. Per grandi lunghezze d’onda la luce non vede quindi la presenza
degli scatteratori. La situazione è diversa quando ci avviciniamo alla regione
del band edge, dove rallenta la velocità di gruppo e di conseguenza diminuisce
lo scattering mean free path del sistema. Essendo la concentrazione di scatteratori bassa possiamo continuare a considerare in prima approssimazione
la trasmissione dall’intera struttura come il prodotto fra la trasmissione del
woodpile e la trasmissione del sistema di scatteratori. Dal rapporto fra la
trasmissione TWPD e TWP possiamo ricavare la trasmissione TDIS . Da questa
trasmissione è possibile calcolare lo scattering mean free path ls associato al
sistema di scatteratori, secondo la legge di Lambert-Beer:
ls =
−L
,
lnTDIS
(4.5)
Il grafico di ls è riportato nelle figure 4.14 (a’) e (b’). Andando da grandi
lunghezze d’onda verso la regione del band edge ls diminuisce drasticamente
fino ad arrivare a valori inferiori a 10 µm, ovvero ls mostra una sensibile riduzione rispetto al caso di scatteratori inseriti in un sistema omogeneo.
Dal momento che l’andamento della trasmissione riferita alla struttura WPD6000
risulta molto differente dalle altre e sensibilmente inferiore ad 1 per lunghezze d’onda lunghe, tale struttura può non essere di buona qualità, e quindi
l’analisi appena descritta non è stata effettuata su di essa.
La trattazione effettuata è preliminare e fornisce solo un’idea di quanto la
riduzione della velocità di gruppo nella zona del band edge influisce sull’interazione della radiazione con la materia. Una riduzione dello scattering mean
free path cosı̀ marcata dovrà essere confermata da ulteriori esperimenti su
strutture analoghe per aumentare la rilevanza statistica dello studio, e la
95
propagazione nella regione spettrale del band edge dovrà essere studiata anche con misure time resolved.
Da notare che tale studio è stato possibile solo perché la quantità di disordine
è stata aggiunta in maniera controllata su una struttura di cui conosciamo
la qualità. Questo non può essere ottenuto con tecniche di fabbricazione
autoassemblanti e solo molto difficilmente con tecniche litografiche
96
Conclusioni
Il lavoro svolto in questa tesi si inserisce nel nuovo ambito della fotonica nato a partire dall’introduzione della tecnica fabbricativa direct laser writing.
Tale tecnica ci ha permesso di fabbricare strutture fotoniche tridimensionali
di elevata qualità, introducendo ordine in strutture complessivamente disordinate e disordine in strutture periodiche. L’unicità del direct laser writing
sta nel fatto che fornisce la possibilità di controllare completamente il grado
di ordine e di disordine, realizzando esattamente la struttura progettata. Le
strutture fabbricate, quindi, costituiscono un nuovo approccio allo studio del
disordine nei sistemi fotonici, in quanto fino ad ora esso è stato studiato alla
luce della sua presenza intrinseca in natura, legata a difetti nei processi di
fabbricazione.
Nel corso di questo lavoro di tesi sono state progettate e realizzate strutture
fotoniche amorfe costituite da una rete tetraedrica di connessioni di materiale dielettrico (capitolo 3). Recentemente strutture amorfe sono state ideate
e realizzate per operare nella regione delle microonde, ed hanno mostrato
proprietà interessanti quali l’apertura di bandgaps fotoniche [5,34]. Le strutture fabbricate in questo lavoro di tesi possono essere considerate il primo
passo per la realizzazione di sistemi che possano operare a lunghezze d’onda
ottiche, finora mai realizzati. Sono stati infatti prodotti templates polimerici
che possono essere infiltrati con silicio in maniera da aumentare il contrasto
di indice di rifrazione. Inoltre le proprietà ottiche di tali templates risultano interessanti di per sé, fornendo la possibilità di investigare le proprietà
di trasporto della luce in materiali disordinati tridimensionali al variare del
grado di correlazione fra scatteratori. Nel lavoro è stata sviluppata una procedura che ci permette di progettare strutture amorfe a partire da un sistema
ideale di sfere dure random close packed, sul quale è stata costruita una rete di interconnessioni di dielettrico. Tale procedura ci dà la possibilità di
controllare il grado di ordine del sistema semplicemente variando la densità
di impacchettamento delle sfere. Le strutture proposte sono caratterizzate
dalla massima densità di impacchettamento permessa per strutture non ordinate. Il risultato osservabile dalle immagini SEM è che le strutture sono
97
fedeli a quelle progettate e risulta evidente la tetraedricità delle connessioni di dielettrico che caratterizza i sistemi amorfi. Purtroppo difficoltà nella
fabbricazione hanno permesso la realizzazione solo di strutture di dimensioni
ridotte (cubi con lato di circa 15 µm), e quindi dovranno essere realizzati
ulteriori studi. Queste dimensioni hanno permesso esclusivamente una caratterizzazione ottica preliminare, costituita da misure della luce balistica
trasmessa dai campioni. Nonostante le strutture abbiano un basso contrasto
di indice di rifrazione (l’indice di rifrazione della parti polimeriche è pari a
1.52, l’indice di rifrazione medio dell’intera struttura è pari a circa 1.1) è
stato osservato che esse sono estremamente scatteranti, mostrando una trasmissione balistica molto bassa (∼ 10−3 ). Da queste misure è stato ricavato
lo scattering mean free path in approssimazione di eventi di scattering indipendenti l’uno dall’altro, il quale risulta essere di circa 2 µm nell’intervallo
spettrale analizzato. Sono inoltre state calcolate le proprietà di scattering
della singola unità che compone il sistema amorfo, schematizzata come un
cilindro di dimensioni finite, tramite la teoria di Mie. L’andamento dello
scattering man free path misurato risulta in accordo con la sezione d’urto di
scattering da un singolo cilindro calcolata; in particolare si è mostrato che
la trasmissione dai campioni aumenta in corrispondenza del valore minimo
della sezione d’urto di scattering.
Il lavoro svolto in questa tesi sui sistemi fotonici amorfi lascia aperte molte strade su cui concentrare gli sforzi futuri. Dal punto di vista teorico è
sicuramente necessario valutare come la presenza di correlazioni fra le posizioni degli scatteratori influisca sulle proprietà di trasporto della luce. La
caratterizzazione ottica delle strutture invece è condizionata dalle abilità fabbricative. Il prossimo passo sarà quello di utilizzare un nuovo photoresist che
garantisca maggiore stabilità meccanica alle strutture. In questo modo sarà
possibile costruire sistemi amorfi di dimensioni maggiori, tali da non influenzare le misure ottiche con effetti di bordo. La fabbricazione di strutture con
spessore tale da essere in regime di scattering multiplo potrà rendere possibile un’analisi sperimentale dell’influenza delle correlazioni sulle proprietà di
trasporto della luce. La caratteristica delle strutture fabbricate è che possono costituire una maschera per processi di infiltrazione con silicio. In questa
maniera sarà possibile studiare il loro comportamento nel regime di scattering forte.
Nel lavoro di tesi il disordine è stato studiato anche con un approccio differente, ovvero centri di disordine sono stati distribuiti in maniera casuale in
bassa concentrazione all’interno di cristalli fotonici woodpiles. La presenza
di scatteratori all’interno di una struttura periodica modifica il comportamento della luce all’interno di essa. Le caratteristiche delle strutture che
costituiscono il background periodico sono state indagate tramite indagine
98
al microscopio elettronico e tramite l’analisi del profilo di diffrazione. L’influenza della presenza del disordine nelle proprietà di trasporto della luce è
stata analizzata tramite misure di trasmissione balistica e di riflessione per
incidenza della luce ortogonale ai piani dei layers che compongono la struttura woodpile. Dalle misure risulta che il woodpile fabbricato possiede una
stop band nella regione spettrale compresa fra 1.20 e 1.35 µm, in cui la trasmissione si avvicina a 0 e la riflessione ad 1, in ottimo accordo con i calcoli
numerici effettuati. In questa regione le perdite della luce sono praticamente
nulle. È stato mostrato che la presenza di centri di disordine modifica la
struttura dello spettro di trasmissione, creando canali di trasmissione parassiale all’interno della regione proibita di frequenze. Le perdite di luce dai
campioni aumentano nella regione del band edge. In questa regione infatti la
riduzione della velocità di gruppo aumenta la probabilità di interazione della
radiazione con difetti nel cristallo e centri di scattering. I centri di disordine inseriti nel woodpile quindi hanno un’elevata influenza nelle proprietà
di trasporto della luce nella regione di frequenze del band edge, nonostante
la loro bassa concentrazione. In questa regione lo scattering mean free path
associato alla presenza dei centri di disordine si riduce notevolmente rispetto
al caso di una medesima concentrazione di scatteratori inserita però in un
mezzo omogeneo.
In futuro sarà necessario effettuare verifiche di quanto misurato analizzando
l’influenza del disordine in un numero maggiore di strutture ed effettuando
misure time resolved nella regione spettrale del band edge. Anche queste
strutture si prestano ad essere convertite in silicio tramite processi di infiltrazione. Con l’elevato contrasto di indice di rifrazione garantito dal silicio si
pensa che la struttura woodpile che costituisce il background periodico possieda una bandgap fotonica completa. Risulterà quindi importante analizzare
il ruolo dei centri di disordine all’interno della regione di frequenze proibita
ed a bordo banda, alla ricerca di fenomeni tipici dei materiali fortemente
disordinati, quali la localizzazione di Anderson per la luce.
99
100
Appendice A
Listati di programma
Calcolo funzione di correlazione a coppie (rdf.m)
% dati Nb punti g e n e r a t i calcola la f u n z i o n e di c o r r e l a z i o n e a coppie
% c a r i c a r e la marice con le c o o r d i n a t e dei punti e c h i a m a r l a poslist
dimX =40;
dimY =40;
dimZ =40;
V = dimX * dimY * dimZ ;
rmaxX = dimX /2;
rmaxY = dimY /2;
rmaxZ = dimZ /2;
latoX =4.5;
latoY =4.5;
latoZ =4.5;
dr =0.05; % r i s o l u z i o n e di c a m p i o n a m e n t o della rdf
R sf er ad i ca lc ol o = rmaxZ -( latoZ +7) ;
s = size ( poslist ) ;
Nb = s (1 ,1) ;
% dens = Nb / V ;
pf =0.49;
rs =0.5;
Vs =(4/3) * pi *( rs ^3) ;
dens = pf / Vs ;
t =1;
for i =1: Nb ;
if poslist (i ,1) <( rmaxX + latoX ) && poslist (i ,1) >( rmaxX - latoX ) && poslist (i
,2) <( rmaxY + latoY ) && poslist (i ,2) >( rmaxY - latoY ) && poslist (i ,3) <(
rmaxZ + latoZ ) && poslist (i ,3) >( rmaxZ - latoZ ) ;
a (t ,1) = i ;
t = t +1;
end
end
clear i ;
b = size ( a ) ;
c = b (1 ,1) -1;
sprintf ( ’% f ’ ,c )
for p =1: c ;
for cntj =1: Nb ;
distanza (p , cntj ,1) = sqrt ( ( poslist ( cntj ,1) - poslist ( a (p ,1) ,1) ) .^2 + (
poslist ( cntj ,2) - poslist ( a (p ,1) ,2) ) .^2 + ( poslist ( cntj ,3) poslist ( a (p ,1) ,3) ) .^2 ) ;
end ;
sprintf ( ’% f % f ’ ,p , 11 1 11 11 11 1 11 1)
k =1;
gianni = zeros (c , Nb ,1) ;
for j = dr : dr :( R sf er ad i ca lc ol o ) ;
for i =1: Nb ;
if distanza (p ,i ,1) >j - dr && distanza (p ,i ,1) <= j ;
101
gianni (p ,k ,1) = gianni (p ,k ,1) +1;
end
end
k = k +1;
end
for j =1:(( R s fe ra di c al co lo ) / dr ) % n o r m a l i z z o sulla corona sferica di
volume 4* pi * r ^2* dr con dr =1
rdf (p ,j ,1) = gianni (p ,j ,1) /( dens *4* pi *(( j * dr ) ^2) * dr ) ;
end
end
% calcolo la media delle rdf r e l a t i v e a punti diversi
rdfmedia = zeros ((( Rs f er ad ica lc ol o ) / dr ) ,1) ;
for j =1:(( R sf e ra di c al co lo ) / dr ) ;
for p =1: c ;
rdfmedia (j ,1) = rdfmedia (j ,1) + rdf (p ,j ,1) ;
end
end
paircorrmedia = rdfmedia / c ;
save rdf . txt paircorrmedia - ASCII
102
Calcolo fattore di struttura (structurefactor.m)
% s t r u c t u r e factor
% c a r i c a r e una matrice (r , g ( r ) ) con g f u n z i o n e di c o r r e l a z i o n e a coppie (
colonna 1 r , colonna 2 g ) e c h i a m a r l a a ;
N =4700;
V =16^3;
dens = N / V ;
% rs =0.5; % raggio sfere
% pf =0.34;% packing f r a c t i o n
% Vs =(4/3) * pi *( rs ^3) ;
% dens = pf / Vs ;
r = a (: ,1) ; % colonna degli r
g = a (: ,2) ; % colonna di g
b = size ( r ) ;
Nbin = b (1 ,1) ; % numero di bin
rmax = r ( Nbin ,1) ; % massimo valore di r range
rstep = r (2 ,1) -r (1 ,1) ; % uguale a rmax / Nbin d i m e s i o n e del bin su r
kmax =2* pi /( rstep ) ;
kstep =2* pi / rmax ;
kriga = linspace (0 , Nbin *( kstep ) , Nbin ) ;
k = kriga ’;
S = zeros ( Nbin ,1) ;
for i =1: Nbin ;
S (i ,1) =1;
for j =1: Nbin ;
S (i ,1) = S (i ,1) + (4* pi * dens / k (i ,1) ) * r (j ,1) * sin ( k (i ,1) * r (j ,1) ) *( g (j
,1) -1) * rmax / Nbin ;
end
end
sk =[ k S ];
save sk34smooth . txt sk - ASCII
plot (k , S )
103
Generazione rete di connessioni (network.m)
% c a r i c a t a una lista di punti random jam packed , fa una t a s s e l l a z i o n e di
d e l a u n a y in tetraedri , poi calcola il b a r i c e n t r o di ciascun tetraedro ,
poi unisce il b a r i c e n t r o di ciascun t e t r a e d r o con i b a r i c e n t r i dei 4
tetraedri adiacenti .
% c a r i c a r e la matrice con le ccord . del sistema di punti e c h i a m a r l a punti
dimx =20;
dimy =20;
dimz =10;
% faccio la t a s s e l l a z i o n e di d e l a u n a y a partire dalla matrice punti
A = delaunay3 ( punti (: ,1) , punti (: ,2) , punti (: ,3) ) ;
% calcolo il b a r i c e n t r o di ogni t e t r a e d r o
a = size ( A ) ;
k =0;
for i =1: a (1 ,1) ;
k = k +1;
b a r i c e n t r o d i s o r d i n a t o (k ,1) =( punti ( A (i ,1) ,1) + punti ( A (i ,2) ,1) + punti ( A (i ,3)
,1) + punti ( A (i ,4) ,1) ) /4;
b a r i c e n t r o d i s o r d i n a t o (k ,2) =( punti ( A (i ,1) ,2) + punti ( A (i ,2) ,2) + punti ( A (i ,3)
,2) + punti ( A (i ,4) ,2) ) /4;
b a r i c e n t r o d i s o r d i n a t o (k ,3) =( punti ( A (i ,1) ,3) + punti ( A (i ,2) ,3) + punti ( A (i ,3)
,3) + punti ( A (i ,4) ,3) ) /4;
end ;
clear k ;
clear i ;
k =1;
% ordino la matrice con le coord dei b a r i c e n t r i e la matrice dei t e t r a e d r i in
maniera tale che il punto i n i z i a l e del t r a c i a t o scritto con il
n a n o s c r i b e sia vicino del punto finale del t r a c c i a t o scritto
precedentemente
for z =0:( dimz -1) ; % le c e l l et t e lungo z hanno d i m e n s i o n e 1
for y =0:2:( dimy -2) ; % le c e l l e t t e lungo x e y hanno d i m e n s i o n e 2
for x =0:2:( dimx -2) ;
for i =1: a (1 ,1) ;
if b a r i c e n t r o d i s o r d i n a t o (i ,1) >= x && b a r i c e n t r o d i s o r d i n a t o (i
,1) <x +2 && b a r i c e n t r o d i s o r d i n a t o (i ,2) >= y &&
b a r i c e n t r o d i s o r d i n a t o (i ,2) <y +2 &&
b a r i c e n t r o d i s o r d i n a t o (i ,3) >= z && b a r i c e n t r o d i s o r d i n a t o
(i ,3) <z +1;
baricentro (k ,1) = b a r i c e n t r o d i s o r d i n a t o (i ,1) ;
baricentro (k ,2) = b a r i c e n t r o d i s o r d i n a t o (i ,2) ;
baricentro (k ,3) = b a r i c e n t r o d i s o r d i n a t o (i ,3) ;
T (k ,1) = A (i ,1) ;
T (k ,2) = A (i ,2) ;
T (k ,3) = A (i ,3) ;
T (k ,4) = A (i ,4) ;
k = k +1;
end
end
end
end
end
clear x ;
clear y ;
clear z ;
clear k ;
save j u n c t i o n s d e l a u n a y . txt baricentro - ASCII
a = size ( T ) ; % T ha lo stesso num di righe della matrice b a r i c e n t r o
% d e f i n i s c o il vettore che c o n t e g g i a i links di ciascun punto
cont atorelin ks = zeros ( a (1 ,1) ,1) ;
% d e f i n i s c o il tensore che mi dice con chi c o n n e t t e r e ogni punto
connessioni = zeros ( a (1 ,1) ,5 ,3) ;
for i =1: a (1 ,1) ;
b =1;
connessioni (i ,1 ,1) = baricentro (i ,1) ;
connessioni (i ,1 ,2) = baricentro (i ,2) ;
connessioni (i ,1 ,3) = baricentro (i ,3) ;
104
if baricentro (i ,3) < dimz -2 && baricentro (i ,3) >1 && baricentro (i ,1) >2 &&
baricentro (i ,1) < dimx -2 && baricentro (i ,2) >2 && baricentro (i ,2) <
dimy -2 % escludo i bordi
if co ntatorel inks (i ,1) <4
for j =1: a (1 ,1)
if con tatorel inks (j ,1) <4
k =0;
for m =1:4;
for n =1:4;
if T (i , m ) == T (j , n )
k = k +1;
end
end
end
if k ==3
b = b +1;
connessioni (i ,b ,1) = baricentro (j ,1) ;
connessioni (i ,b ,2) = baricentro (j ,2) ;
connessioni (i ,b ,3) = baricentro (j ,3) ;
cont atorelin ks (i ,1) = co ntatorel inks (i ,1) +1;
cont atorelin ks (j ,1) = co ntatorel inks (j ,1) +1;
end
end
end
end
end
i
end
% scrivo tutti i links sul file
fileid = fopen ( ’ delaunaypf0 .64 _ 2 0 x 2 0 x 1 0 r o d 1 m i c B U O N O . txt ’ , ’w ’) ;
for i =1: a (1 ,1) ;
for j =2:5
if connessioni (i ,j ,1) ~=0 && connessioni (i ,j ,2) ~=0 && connessioni (i ,j
,3) ~=0
fprintf ( fileid , ’ %8.3 f %8.3 f %8.3 f \ n %8.3 f %8.3 f %8.3 f \n -999
-999 -999 \ n ’ , connessioni (i ,1 ,1) , connessioni (i ,1 ,2) ,
connessioni (i ,1 ,3) , connessioni (i ,j ,1) , connessioni (i ,j ,2) ,
connessioni (i ,j ,3) ) ;
end
end
i
end
105
106
Ringraziamenti
Un ringraziamento particolare va al dott. Matteo Burresi, che ha supervisionato il progetto di tesi con grande professionalità. Un grazie di cuore, perché
mi hai aiutato a costruire qualcosa che mi ricorderò sempre.
Un sincero ringraziamento va al dott. Kevin Vynck, che ha contribuito in
modo significativo alla parte teorica e di simulazioni degli studi presentati,
ed a Rajeshkumar Mupparapu con cui ho condiviso intere giornate in laboratorio.
Desidero ringraziare coloro che hanno contribuito a questo lavoro, ovvero i
componenti del gruppo di ottica dei sistemi complessi, cominciando da Diederik, che ha riposto in me fiducia incondizionata, e continuando, rigorosamente
in ordine sparso, con Camilla, Romolo, JC, Sara, Hao, Daniele, Tomas, Giacomo, Gora, Marco, Francesco, Costanza, Filippo e Francesca.
Ringrazio sinceramente anche i miei amici Michele Carlà ed Andrea Bellandi
per il fondamentale aiuto fornito durante le fasi di programmazione al computer.
Infine desidero ringraziare tutte le persone che mi sono state vicino nella mia
vita e durante questi bellissimi anni di università. Vi bacio tutti, nessuno si
senta escluso.
107
108
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