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«Mi sarete testimoni…»: la missione nel quotidiano

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«Mi sarete testimoni…»: la missione nel quotidiano
“Giovani evangelizzatori dei giovani”
Hisar - Diocesi di Sofia-Plovdiv
Bulgaria
Sabato 17 aprile 2010
«Mi sarete testimoni…»: la missione nel quotidiano
Parto dalla premessa che il mio intervento non ha certamente la pretesa di rispondere
alle tante domande che portate nel cuore. Forse - e questo è buono se succederà - ne
nasceranno altre e sarà bello poterle condividere e confrontarsi in assemblea.
Provo, allora, a mettere in circolo qualche risonanza sul tema della testimonianza.
Cosa significa oggi, concretamente, essere testimoni del Vangelo di Gesù nella
ferialità delle nostre giornate? Cosa significa essere testimoni nella nostra storia
personale di vita, attraversata da difficoltà, incertezze sul futuro, paure…
“Testimoniare” è un verbo esigente: non indica semplicemente una raccomandazione
che Gesù lascia ai discepoli. Anzi, dice un comando del Signore: «Mi sarete
testimoni, fino agli estremi confini della Terra» (At 1,8).
“Testimoniare”, e quindi diventare a nostra volta portatori della Buona Notizia del
Vangelo in mezzo ai nostri amici, essere “evangelizzatori”, è qualcosa che non si
improvvisa. E non saranno certamente le tecniche e le metodologie, per quanto siano
importanti, a favorire la testimonianza del Signore.
Ho voluto articolare la riflessione in tre tappe:
I)
Il primato della vita spirituale
II)
Da discepoli evangelizzati ad apostoli evangelizzatori
III) La scelta dell’ordinario
Iniziamo, allora, dal primo dei tre punti:
Il primato della vita spirituale
Mi pare che come giovani saremo buoni “evangelizzatori” se prima di tutto saremo
stati “evangelizzati”, se il Vangelo è diventato giorno dopo giorno sempre più
familiare con la nostra vita. Se la Parola di Dio, in fondo, continua senza sosta a farci
ardere il cuore.
Vi invito, qui, a fare un piccolo esercizio di “memoria”.
Guardate alla vostra vita, a tutte le esperienze e ai legami di bene che avete
intrecciato in questi anni. Fate riemergere alcune parole che vi sono state rivolte da
qualche persona, parole che vi hanno fatto sentire unici, speciali. Parole cariche di
“Giovani evangelizzatori dei giovani” - Hissar (Bulgaria), sabato 17 aprile 2010
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fiducia in voi, parole che in qualche modo vi hanno trasformato, magari dandovi il
coraggio di iniziare cammini importanti per la vostra vita.
Richiamate anche tutta quella carica di emozioni e di sentimenti che si è generata
nell’esperienza di un innamoramento, senza eliminare le delusioni o le frustrazioni
che a volte comporta l’essere stati innamorati.
Tutto questo ci aiuta a dare un contorno più concreto a quella stessa esperienza che i
nostri due amici di Emmaus si trovarono a vivere nel momento in cui il Signore
Risorto scomparve dalla loro vista dopo aver spezzato il pane con loro.
Ricordate cosa si dissero l’un l’altro? «Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre
conversava con noi lungo il cammino?».
Il cammino di vita dei due di Emmaus è anche il nostro e qui sento un primo punto
importante: domandiamoci se anche il contatto con la Parola di Dio è capace, oggi, di
farci ardere il cuore. Chiediamoci se nella nostra vita ci sono alcune parole del
Vangelo che ritornano con maggiore insistenza, che ci interpellano e ci provocano.
Io sento preziosi per la mia vita alcuni passi del Vangelo che personalmente mi hanno
accompagnato e che ancora oggi mi custodiscono.
Penso a quel «Seguimi» che Gesù rivolge al giovane ricco, come ci racconta
l’evangelista Marco. Un invito che, anche per me, nel mio cammino in Seminario,
diventa sfida quotidiana ad abbandonarmi totalmente a Lui, ad affidarmi a Dio, certo
di un “di più” di vita e di bene promesso alla mia vita.
E ancora: «Non temere», lo stesso che troviamo raccontato in Luca nell’incontro tra
l’arcangelo Gabriele e Maria. Di fronte a tanti dubbi se quella del Seminario fosse
stata la scelta giusta, se sarei stato capace di perseverare, alle tante domande sul
futuro, quel «Non temere» mi ha restituito fiducia e compagnia nei momenti più
faticosi.
«Voi chi dite che io sia?»: un invito nel mio cammino di vita e di fede a cercare e
scoprire il vero volto di Dio.
Per questo, per ciascuno di noi, diventa insostituibile il primato della vita spirituale
che significa recuperare una personale formazione di ascolto della Parola, di
preghiera, e di evangelizzazione del proprio vissuto.
C’è un altro passo del Vangelo che può aiutarci a chiarire questa idea ed è un brano
che personalmente mi piace richiamare più volte nel cuore nel corso delle mie
giornate.
In un momento difficile della relazione tra Gesù e i discepoli, perché molti di loro
avevano deciso di abbandonare la sequela del Signore per la sua parola ritenuta
troppo difficile da mettere in pratica, Gesù rivolgendosi al gruppetto rimasto fece
questa domanda: «Forse anche voi volete andarvene?».
Pietro dirà a nome di tutti: «Signore, da chi andremo? Tu solo hai parole di vita
eterna!».
“Giovani evangelizzatori dei giovani” - Hissar (Bulgaria), sabato 17 aprile 2010
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«Da chi andremo?»: anche questa è una domanda che a tratti ritorna viva,
specialmente quando vengo riempito da parole insignificanti, da stili di vita proposti e
imposti dalla televisione e dalla pubblicità (almeno in Italia, non so qui in Bulgaria)
come espressione di modelli di vita riusciti, da imitare a tutti i costi.
«Da chi andremo?». Una domanda che si trasforma in preghiera: davvero, Signore,
solo Tu hai parole che mi mettono in movimento, che cambiano la vita e la rendono
capace di avere gusto, senso e passione. Parole che promuovono la mia umanità,
parole di perdono per abbracciare la vita dopo aver tolto le pietre pesanti che si
annidano nel cuore. Una Parola, quella di Dio, che è amica dell’uomo: potremmo dire
addirittura “innamorata dell’uomo”.
Essere “testimoni” del Signore Risorto, allora,
chiama in causa prima di tutto il nostro rapporto con Dio.
Perché saremo buoni apostoli se al contempo sapremo essere profondamente
discepoli, in quella costante tensione del cuore per fare spazio a Dio nella nostra vita
e nelle pieghe delle nostre giornate.
Il primato della dimensione spirituale, per essere prima di tutto giovani evangelizzati,
ci chiede di ritrovare quella freschezza che solo un contatto quotidiano e fedele con la
Parola di Dio ci riesce a dare. Ci chiede di rinnovare il nostro “Sì” al Signore giorno
dopo giorno, la relazione e l’affidarsi a Lui. E di avere una piccola “Regola di Vita”
che metta al centro il legame con il Vangelo e l’Eucaristia.
Sento forte, infatti, il rischio di ascolti scontati, dove prevale la tentazione di sapere
davvero tutto di Dio e di Gesù, tanto da spegnere il Mistero e annullare la relazione.
Domandiamoci se siamo giovani capaci di “stupore” nell’ascolto della Parola del
Signore, se nell’ascolto profondo e vero del Vangelo il nostro cuore è capace di
aprirsi alla meraviglia e alla conversione. Gesù è davvero la Buona Notizia della
nostra vita?
Quanta inquietudine anima il nostro cuore nella ricerca di Dio? Tante pagine di vita
della Chiesa sono state scritte proprio da uomini e donne che avevano un animo
inquieto e appassionato, da profeti del loro tempo.
Oggi mi chiedo se anche per noi in Italia - e per voi qui in Bulgaria - possa essere
ancora così: se il nostro cuore sente in fondo la passione per un cammino personale di
ricerca di Dio.
Chiediamoci insieme se il nostro è il cuore di discepoli che amano e che cercano il
volto di Dio, una relazione con Lui, e che si lasciano appassionare dalla ricerca delle
imprevedibili vie di Dio per incontrare gli uomini.
“Giovani evangelizzatori dei giovani” - Hissar (Bulgaria), sabato 17 aprile 2010
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Essere testimoni, come vedete, non è tanto questione di tecniche, ma ha alla base un
cuore conquistato da Dio. Di quel Dio che è perdutamente innamorato dell’uomo e
che si è fatto prossimo all’uomo.
E qui facciamo un passo avanti e arriviamo alla seconda tappa del nostro incontro:
Da discepoli evangelizzati ad apostoli evangelizzatori
Cosa significa, allora, “testimoniare” oggi nel nostro contesto quotidiano di vita fatto
di scuola, sport, lavoro e amicizie?
Mi pare che il discepolo evangelizzato nel profondo sia capace di diventare apostolo
evangelizzatore, cioè “buon profumo” di Gesù Risorto.
Sì: il testimone diventa il propagatore per vocazione di questo profumo, della gioia
della fede, partendo dalla “memoria grata”, riconoscente, della bellezza che ha avuto
per la sua vita l’incontro con Dio.
Ricordiamoci sempre di cosa Dio ha operato con noi: “ri-cordo” - spiega l’etimologia
della parola stessa - è qualcosa che si ferma nel cuore e di cui si vive.
Per diffondere questo profumo è chiaramente necessario il nostro personale
coinvolgimento e il nostro contatto con tutte le situazioni di vita nelle quali ci
veniamo a trovare, dalle più liete alle più faticose o dolorose.
Mi pare che “spargere il buon profumo di Gesù Risorto” sia quella continua tensione
a prolungare nel tempo lo stile di Dio, a “fare memoria” di Lui con la nostra vita.
Questo ci porta a domandarci quale “differenza”, come cristiani, siamo capaci di far
emergere nel confronto con gli uomini del nostro tempo. Quale “diversità” siamo
capaci di vivere.
Diversamente dalle derive ideologiche, infatti, il testimone non è soltanto colui che si
limita a “parlare” di qualcosa che conosce, ma è capace di manifestare con la propria
vita la verità di ciò che annuncia, ha fatto personale esperienza di quello che
testimonia.
La grande tentazione di oggi, sulla quale dobbiamo vigilare come cristiani, è quella di
proclamare in astratto valori perfetti, ma che non trovano riscontro in una personale
esperienza di vita. Quale la “differenza” che la nostra vita è capace di dire?
Come testimoni, quale “differenza” manifestiamo
nella qualità del nostro voler bene?
Ripresentare ai nostri compagni di viaggio la “memoria” viva del modo di amare di
Dio è il più alto servizio che come Chiesa saremo capaci di fare. E come credenti
abbiamo la responsabilità di offrire una umile, ma fiera testimonianza della nostra
“Giovani evangelizzatori dei giovani” - Hissar (Bulgaria), sabato 17 aprile 2010
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fede nel Dio di Gesù Cristo perché attraverso questa testimonianza altri possano dire:
«E’ bello vivere così!», si sentano interpellati nella profondità del proprio cuore.
Il priore di una comunità monastica italiana, grande amico dell’Azione Cattolica,
Enzo Bianchi, in un suo saggio dedicato proprio al tema della “differenza cristiana”
invita a non dimenticare che «l’indifferenza cresce man mano che scompare la
differenza» (Bianchi E., La differenza cristiana, Giulio Einaudi Editore, 2006, p. 75).
La nostra fede acquista senso quando è proclamata anche con la nostra vita: non può
restare esperienza intimistica o spiritualistica.
Sottolineo, allora, tre attenzioni che mi sembrano importanti per avviare uno stile di
“differenza”: la simpatia per la storia, la capacità di ascoltare, il coraggio del
Vangelo.
La simpatia per la storia
La nostra storia, in qualche modo, ci appartiene. Per questo è importante saperla
“abitare”, che significa stare nel nostro contesto sociale e storico con responsabilità,
nella consapevolezza che il tempo che ci è dato è il tempo favorevole per il nostro
cammino di fede.
Non c’è un tempo storico più o meno propizio per vivere il cammino dietro al
Signore: non pensiamo che durante l’esistenza terrena di Gesù tutto fosse più facile.
Anzi: abbiamo appena vissuto la Pasqua e riascoltato il racconto dell’inizio della
passione del Signore. Abbiamo visto quale grande paura ha invaso il cuore dei
discepoli nel seguire Gesù nei momenti della prova, quale paura avesse quel gruppo
che aveva condiviso così da vicino il cammino del Maestro, tanto da lasciarlo solo…
Simpatia per la storia significa in qualche modo sentirci responsabili della storia che
viviamo e che costruiamo con le nostre scelte e i nostri desideri di bene.
In altre parole: non temiamo di “impastarci” con la nostra storia, ma abitiamo i luoghi
dei nostri amici, impariamo anche a cercare quelli più lontani, facciamoci vicini a
questi, andiamoci incontro dove si trovano!
Quanta e quale “simpatia” manifestiamo per i luoghi della nostra vita? Pensiamo agli
ambienti che frequentiamo: la parrocchia, la scuola, lo sport, la famiglia, il proprio
quartiere, ma anche la vita politica o il mondo della cultura.
Non essere arroccati su di sé è un continuo imparare a “stare” con gli altri in un
dialogo fatto di accoglienza, cordialità e ascolto. E possiamo fare questo perché
tenendo desta la nostra fede nel Risorto, abbiamo evangelizzato le nostre fragilità e le
nostre paure per poter andare senza timore incontro all’altro: senza il timore del
mondo, di essere minoranza insignificante, senza il timore di confrontarsi con le altre
religioni e culture
“Giovani evangelizzatori dei giovani” - Hissar (Bulgaria), sabato 17 aprile 2010
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Interrogarci sulle nostre paure ci porta di riflesso a interrogarci sulla qualità della
nostra fede e su quanto siamo capaci di stare in ascolto di Dio ed affidarci a Lui.
Apostoli che evangelizzano sono coloro che puntano al bene, giovani che stanno in
mezzo agli altri con una fede viva, col desiderio di gioire per il bene dell’altro.
La capacità di ascoltare
Nell’ambito della testimonianza, l’ascolto non è cosa secondaria: si tratta di ascoltare
quelle che sono le domande di senso dei nostri amici, le domande che portano nel
cuore sulla loro vita, sul loro futuro, sulla loro fede.
Ascoltare non è semplice; lo sapevano anche alcuni autori medievali che hanno
sottolineato l’importanza e il primato dell’ascolto col fatto che ciascuno di noi ha due
orecchie e una bocca sola.
Ascoltare il vissuto di chi ci sta accanto, di chi ci consegna un tratto della propria
storia faticosa e piena di grovigli: è importante la presenza accanto agli altri giovani,
il camminare insieme a loro, ascoltarli. Anche questo è un volto che manifesta la
bellezza del prendersi cura di un altro. A volte si educa più con una presenza, con un
ascolto, che con tante parole. Si fa intuire all’altro come mi stia a cuore la sua vita,
che il suo bene per me è importante.
Chi ascolta, ancora, è una persona che pensa e che sa informarsi di quello che
succede nel proprio paese e nel Mondo, per leggere con la grammatica del Vangelo
quello che accade.
Giovani dell’accoglienza e dell’ascolto prima di tutto. Senza chiaramente avere la
preoccupazione o l’ansia di rovesciare su chi abbiamo di fronte il “pacchetto” dei
contenuti della nostra fede.
Il non essere arroccati su di sé ci permette di costruire spazi nuovi per il “primo
annuncio” che non è - ripeto - il dire subito i contenuti della nostra fede o i nostri
dogmi anche a chi già è nella Chiesa, ma permettere all’altro di cogliere come Gesù
morto e risorto diventa importante per la propria vita, ha a che fare con la nostra vita.
Il coraggio del Vangelo
La storia della Chiesa ci presenta volti e storie di santità cristiana in ogni luogo e in
ogni tempo. Questo ci dice che non c’è un tempo più o meno favorevole per lo
sviluppo di un cammino di conversione e di santità: è questo, il nostro, quello di
ciascuno, il tempo favorevole, il “kairos” del Vangelo chiamato a diventare vita, il
tempo in cui il Vangelo ci permette di dare uno sguardo diverso sulla vita,
mostrandocene la bellezza e il gusto.
E questo è un itinerario aperto ad ogni uomo perchè il Vangelo è davvero la Buona
Notizia per tutti, non solo per i cristiani. La vita di Gesù e il suo voler bene sono stati
capaci di generare vita per noi e per tutti.
“Giovani evangelizzatori dei giovani” - Hissar (Bulgaria), sabato 17 aprile 2010
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La nostra testimonianza potrà allora fuggire la mediocrità se saremo capaci del
coraggio del Vangelo attraverso le nostre scelte quotidiane: a cosa dare o meno la
priorità, per cosa valga la pena lottare, quale speranza saremo capaci di mettere nelle
situazioni di fatica o di crisi, quale responsabilità assumerci fino in fondo. E ancora,
quali spazi di riconciliazione e di perdono si apriranno nella nostra vita, quali spazi di
dialogo.
Chiarito quindi il primato della dimensione spirituale per essere discepoli
evangelizzati capaci di diventare a propria volta apostoli evangelizzatori, affrontiamo
ora l’ultimo dei tre passaggi che voglio proporvi:
La scelta dell’ordinario
Intanto una doverosa precisazione: perché scegliere la strada dell’ordinario?
Perché l’ordinario è stato lo stile di Gesù, consapevoli che soltanto l’ordinario della
nostra vita - e non lo straordinario - è capace di mettere radici. Soltanto il cammino
quotidiano ci educa ad uno stile di sobrietà e di essenzialità.
L’ordinario della nostra vita, allora, può aiutarci a fare una buona sintesi personale
del cammino sin qui percorso, perché in qualche modo ci chiede di verificare la
qualità del legame tra la nostra fede e la nostra vita.
L’ordinario è il luogo in cui fede e vita vengono messi alla prova del tempo, contro la
tentazione di fare della fede e della vita due questioni che viaggiano su binari
paralleli destinati a non incrociarsi mai.
L’ordinario è anche il luogo della “perseveranza nella fedeltà” e qui vorrei essere
chiaro: anche la fatica va messa in conto per non essere giovani sprovveduti.
Non sempre nella nostra vita, sia pastorale che di fede, tutto sarà così semplice e
facile. Potranno capitare esperienze poco stimolanti, relazioni non semplici, cammini
parrocchiali che non puntano in alto. Tutto questo è da mettere in conto, non per
spaventarci, ma per richiamarci alla fedeltà. La fedeltà di chi continua ad
abbandonarsi con fiducia al Signore, trovando in Lui la forza di attraversare con
coraggio e speranza momenti di sterilità e di aridità, certi di essere - sempre e
comunque - sostenuti e portati sul palmo della mano da Dio.
E l’ordinario è anche il tempo della Chiesa, di una Chiesa che testimonia come il
Vangelo continui oggi a parlare ad ogni uomo e ad ogni donna attraverso le nostre
personali storie di vita e di fede poste nelle mani di Dio.
Scegliere l’ordinario è darsi tutto il tempo necessario per generare cammini di
condivisione e di comunione, di reciproca benedizione, perché la nostra Chiesa
diventi volto luminoso di Dio innamorato dell’uomo.
Per questo, allora, si fa urgente la scelta di una appartenenza ecclesiale da vivere con
responsabilità e creatività! Sentitevi giovani protagonisti della Chiesa di Bulgaria!
“Giovani evangelizzatori dei giovani” - Hissar (Bulgaria), sabato 17 aprile 2010
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Il contributo di tutti è importante per generare cammini di comunione tra noi e un
tessuto di relazioni buone segnate dall’amicizia evangelica. E questo cammino capite - lo si può affrontare solo nell’ordinarietà, in quel quotidiano che si costruisce
giorno dopo giorno. Con impegno, mettendo in conto anche qualche insuccesso, ma
con quella “fatica buona” che ciascuno di noi sceglie liberamente di affrontare per
raggiungere le vette alte, le cose belle, una vita che punta in alto. Sapendo che nel
momento del dubbio e della tempesta, l’unica “zattera” alla quale affidarsi senza
paura sarà solo il Vangelo.
Scegliere l’ordinario è scegliere una testimonianza che non accetta di firmare un
contratto a tempo “part-time”. L’ordinario è il tempo in cui la vita e la fede chiedono
di essere “trafficati”, messi in gioco: si tratta di mettere in dialogo la fede con
l’esistenza di oggi.
E, concludo, l’ordinario diventa il luogo dove possiamo fare della nostra vita un dono
all’altro.
Quale alta e bella testimonianza ci consegnano coloro che si spendono gratuitamente
per gli altri e mettono a servizio i propri talenti, si giocano in prima linea negli
impegni da affrontare. Se questo già succede nelle nostre comunità apriamoci allo
stupore, perché siamo di fronte al miracolo del bene che, nonostante tutto, è presente
e continua ad operare.
Che bello se nelle nostre comunità ciascuno potesse sentirsi accolto e valorizzato per
quello che è, ma anche per quello che può diventare, per fargli emergere tutte le
potenzialità di cui è dotato e di quelle che può acquisire.
Essere giovani appassionati del Vangelo è prendersi insieme la grande responsabilità
di avere a cuore l’educazione dei più piccoli e dei ragazzi alla vita cristiana. Essere
responsabili in prima persona, ma anche “corresponsabili”, condividere la
responsabilità insieme, pensando al bene dei nostri gruppi e dei singoli che li
compongono.
“Testimoniare” è voce del verbo “educare”. Il teologo Romano Guardini ha parole
illuminanti su questo: «Educare - spiega - significa che io do a quest’uomo coraggio
verso se stesso. Che gli indico i suoi compiti ed interpreto il suo cammino, non i miei.
Significa aiutare l’altra persona a trovare la sua strada verso Dio».
Alla luce dell’ascolto della Parola di Dio, l’accompagnamento può diventare, allora,
occasione per mettere al centro il bene, per trasmettere la gioia dell’incontro con il
Signore, per guardare con coraggio e speranza alle domande di felicità, costruendo
un’educazione fondata sui desideri e non sulla minaccia del futuro.
Guardiamo alla possibilità di educare come ad una strada per rendere concreta la
nostra testimonianza, accompagnandoci nel cammino l’uno con l’altro all’incontro
col volto luminoso di Dio.
Luca Sardella
“Giovani evangelizzatori dei giovani” - Hissar (Bulgaria), sabato 17 aprile 2010
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Domande per la riflessione personale e la condivisione in gruppi:
- Ho incontrato o conosciuto testimoni credibili del Vangelo?
- Quali sono le difficoltà che vivo nella testimonianza?
“Giovani evangelizzatori dei giovani” - Hissar (Bulgaria), sabato 17 aprile 2010
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