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Chiesa buona e Chiesa cattiva

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Chiesa buona e Chiesa cattiva
PRIMA PARTE
PERCORSI TEMATICI
12. Chiesa buona e Chiesa cattiva
Lo schema di Calvino
In un saggio sui Promessi sposi, Italo Calvino afferma:
Attorno a Renzo e Lucia e al loro contrastato matrimonio, le forze in gioco si dispongono in una figura
triangolare, che ha per vertici tre autorità: il potere sociale, il falso potere spirituale e il potere spirituale
vero.
Due di queste forze sono avverse e una propizia: il potere sociale è sempre avverso, la Chiesa si divide in
buona e cattiva Chiesa, e l’una s’adopera a sventare gli ostacoli frapposti dall’altra.
Questa figura triangolare si presenta due volte sostanzialmente identica: nella prima parte del romanzo
con don Rodrigo, don Abbondio e fra Cristoforo, nella seconda con l’innominato, la monaca di Monza e
il cardinal Federigo. (da Una pietra sopra, Einaudi)
Nella Chiesa, come nell’universo manzoniano in genere, si fronteggiano dunque due principi opposti:
• i rappresentanti della Chiesa buona sono animati da spirito di carità;
• i rappresentanti della Chiesa cattiva sono animati dal sentimento dell’egoismo. (link Percorso 5.
Egoismo e carità)
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I Promessi Sposi in rete © La Spiga Edizioni 2010 – www.laspigaedizioni.it
La Chiesa buona: fra Cristoforo
Fra Cristoforo è il personaggio in cui lo spirito di carità è più forte ed evidente. Esso emerge in
particolare:
•
•
•
quando fra Cristoforo va a parlare con don Rodrigo per aiutare i due promessi (cap. V-VI);
quando fra Cristoforo aiuta i due promessi a scappare da Olate e a rifugiarsi altrove (cap. VIII);
quando fra Cristoforo torna a Milano per accudire gli appestati del lazzaretto (cap. XXXV).
Fra Cristoforo è animato anche dall’ideale della giustizia:
•
•
in gioventù pensava di poterla realizzare con le proprie forze (cap. IV)
dopo la conversione la considera invece prerogativa di Dio (cap. XXXV) (link Percorso 6. La
giustizia)
La Chiesa buona: il cardinal Federigo Borromeo
Anche Federigo è animato dallo spirito di carità.
Manzoni ne parla la prima volta quando lo presenta ai lettori:
La carità inesausta di quest'uomo, non meno che nel dare, spiccava in tutto il suo contegno. Di facile
abbordo con tutti, credeva di dovere specialmente a quelli che si chiamano di bassa condizione, un viso
gioviale, una cortesia affettuosa; tanto più, quanto ne trovan meno nel mondo. (cap. XXII, pag. 410)
Dalla carità, osserva Manzoni, derivano tre atteggiamenti fondamentali per comprendere il carattere di
Federigo:
• la generosità, soprattutto nelle elemosine;
• la modestia, nel tenore di vita;
• la severità nei confronti dei sacerdoti tiepidi o pigri.
La carità di Federigo emerge infine durante la carestia e la peste e gli ispira gli unici interventi efficaci
(per quanto insufficienti) ad alleviare le sofferenze della popolazione.
In qualche luogo appariva un soccorso ordinato con più lontana previdenza, mosso da una mano ricca di
mezzi, e avvezza a beneficare in grande; ed era la mano del buon Federigo. Aveva scelto sei preti ne'
quali una carità viva e perseverante fosse accompagnata e servita da una complessione robusta; gli
aveva divisi in coppie, e ad ognuna assegnata una terza parte della città da percorrere, con dietro
facchini carichi di vari cibi, d'altri più sottili e più pronti ristorativi, e di vesti. (...)
Non c'è bisogno di dire che Federigo non ristringeva le sue cure a questa estremità di patimenti, né
l'aveva aspettata per commoversi. Quella carità ardente e versatile doveva tutto sentire, in tutto
adoprarsi, accorrere dove non aveva potuto prevenire, prender, per dir così, tante forme, in quante
variava il bisogno. Infatti, radunando tutti i suoi mezzi, rendendo più rigoroso il risparmio, mettendo
mano a risparmi destinati ad altre liberalità, divenute ora d'un'importanza troppo secondaria, aveva
cercato ogni maniera di far danari, per impiegarli tutti in soccorso degli affamati. (cap. XXVIII, pag.
511-512)
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Federigo dava a tutti, com'era da aspettarsi da lui, incitamento ed esempio. Mortagli intorno quasi tutta
la famiglia arcivescovile, e facendogli istanza parenti, alti magistrati, principi circonvicini, che
s'allontanasse dal pericolo, ritirandosi in qualche villa, rigettò un tal consiglio, e resistette all'istanze
(...). Non trascurò quelle cautele che non gl'impedissero di fare il suo dovere (sulla qual cosa diede anche
istruzioni e regole al clero); e insieme non curò il pericolo, né parve che se n'avvedesse, quando, per far
del bene, bisognava passar per quello. (...) Visitava i lazzeretti, per dar consolazione agl'infermi, e per
animare i serventi; scorreva la città, portando soccorsi ai poveri sequestrati nelle case, fermandosi agli
usci, sotto le finestre, ad ascoltare i loro lamenti, a dare in cambio parole di consolazione e di coraggio.
Si cacciò in somma e visse nel mezzo della pestilenza, maravigliato anche lui alla fine, d'esserne uscito
illeso. (cap. XXXII, pag. 586)
La Chiesa cattiva
Don Abbondio è il più importante rappresentante della Chiesa cattiva: i suoi comportamenti sono quasi
sempre ispirati al principio dell’egoismo, della ricerca del proprio comodo, della difesa di sé.
La paura, il sentimento che domina questo personaggio, è la conseguenza concreta dell’egoismo che lo
anima.
Più sottile è l’egoismo di Gertrude, che assume forme differenti a seconda dei casi:
- orgoglio per la propria condizione sociale;
- vanità, cioè desiderio di essere lodata e ammirata;
- sensualità, cioè aspirazione a piaceri terreni, fisici;
Gertrude, appena entrata nel monastero, fu chiamata per antonomasia la signorina; posto distinto a
tavola, nel dormitorio; la sua condotta proposta all'altre per esemplare; chicche e carezze senza fine, e
condite con quella famigliarità un po' rispettosa, che tanto adesca i fanciulli, quando la trovano in coloro
che vedon trattare gli altri fanciulli con un contegno abituale di superiorità.
Gertrudina, nudrita nelle idee della sua superiorità, parlava magnificamente de' suoi destini futuri di
badessa, di principessa del monastero, voleva a ogni conto esser per le altre un soggetto d'invidia.
I parenti e l'educatrici avevan coltivata e accresciuta in lei la vanità naturale, per farle piacere il
chiostro; ma quando questa passione fu stuzzicata da idee tanto più omogenee ad essa, si gettò su quelle,
con un ardore ben più vivo e più spontaneo. (cap. IX, pag. 179 e segg.)
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Aiutanti e oppositori
Gli esponenti della Chiesa buona sono “aiutanti” degli “eroi”, cioè dei protagonisti Renzo e Lucia:
• fra Cristoforo tenta di convincere don Rodrigo a non tormentare Lucia e aiuta i promessi a
scappare da Olate (capp. V e VIII);
• il cardinale contribuisce alla conversione dell’innominato, alla liberazione di Lucia e alla sua
permanenza sicura da donna Prassede (capp. XXIII e segg.).
Gli esponenti della Chiesa cattiva sono “oppositori”, cioè collaborano con gli antagonisti don Rodrigo e
innominato (prima della conversione);
• don Abbondio ubbidisce all’ordine di don Rodrigo e rifiuta di denunciare il fattaccio al vescovo
(cap. I, II ecc.);
• Gertrude collabora al rapimento di Lucia da parte dell’innominato (cap. XX).
Un romanzo “diseducativo”?
L’immagine complessa e sfaccettata della Chiesa che emerge dai Promessi sposi non è piaciuta,
soprattutto nell’Ottocento, ad alcuni lettori cattolici, che la trovavano poco rispettosa, troppo lontana
dall’immagine ideale della Chiesa che uno scrittore cattolico, a loro giudizio, avrebbe dovuto trasmettere
ai lettori.
Ecco per esempio il giudizio di Giovanni Bosco (1815-1888), giustamente famoso come filantropo e
santo, meno come critico letterario:
La stima che abbiamo di quest’opera non ci tratterrà tuttavia di biasimare altamente il ritratto che ci
porge di don Abbondio e quello della sgraziata Gertrude. Il Manzoni, che voleva dare all’Italia un libro
veramente morale ed ispirato da sentimento cattolico, poteva, certo, presentarci migliori caratteri; gli
stessi romanzieri d’oltr’Alpe ben altra idea ci porgono generalmente del parroco cattolico. Il giovane
poi, che fin dai suoi primi anni ha imparato, coll’amore ai genitori, la venerazione al proprio parroco,
dovrà necessariamente ricevere cattiva impressione nella mente e nel cuore dopo siffatta lettura. (da I
promessi sposi a cura di A. Jacomuzzi e A.M. Lombardi, SEI)
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