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Identifico come talento solo colui che consegue effettivamente

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Identifico come talento solo colui che consegue effettivamente
Corso
per
Tecnico
Nazionale
PROJECT WORK
Le componenti psicologiche
di un atleta di alto livello
Maestro Nazionale
Alessandra Murialdo
INDICE
INTRODUZIONE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 1
CAPITOLO 1
AUTOCONSAPEVOLEZZA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
“
3
Immagine del sé . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . “
Stima di sé . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . “
Vulnerabilità del sé . . . . . . . . . . . . . . . . . . . “
4
6
8
CAPITOLO 2
CREDERE in sé
( self efficacy )
. . . . . .
Self efficacy e prestazione sportiva
. . . .
. . . . . . . “
. . . . . . .
15
“
17
LOCUS OF CONTROL (attribuzione di casualità) . . . . . . . “
22
CAPITOLO 3
CAPITOLO 4
MONITORARE LE SENSAZIONI . . . . . . . . . . . . .
“ 28
CAPITOLO 5
PENSARE POSITIVO (self talk)
. . . . . . . . . . . . . . “ 39
Controllo dei pensieri . . . . . . . . . . . . . . . . .
Tecniche di controllo dei pensieri . . . . . . . . . . . .
“ 40
“ 43
CAPITOLO 6
LA CONCENTRAZIONE
. . . . . . . . . . . . . . . . . “ 48
Prospettive teoriche . . . . . . . . . . . . . . . . . . “ 49
Allenamento alla concentrazione . . . . . . . . . . . . . . “ 55
CAPITOLO 7
CONTROLLO DELL’ATTIVAZIONE . . . . . . . . . . . . pag. 58
Arousal e prestazione . . . . . . . . . .
Procedure di autoregolazione . . . . . . .
Strategie di autoregolazione ( muscle-to-mind)
Strategie di autoregolazione ( mind-to-muscle)
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
“
“
“
“
59
65
67
70
CAPITOLO 8
LE ABILITA’ IMMAGINATIVE . . . . . . . . . . . . . . “ 73
Ipotesi teoriche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Allenamento all’imagery . . . . . . . . . . . . . . . .
Imagery e preparazione mentale . . . . . . . . . . . .
“ 73
“ 79
“ 84
CAPITOLO 9
LA GESTIONE DELLO STRESS . . . . . . . . . . . . . . “
Concetti teorici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Manifestazioni dello stress . . . . . . . . . . . . . . .
Gestione dello stress
. . . . . . . . . . . . . . . . .
87
“ 88
“ 91
“ 93
CAPITOLO 10
IL GOAL SETTING . . . . . . . . . . . . . . . . . . . “ 106
Indicazioni metodologiche
. . .
. . . . . . . . . . . .
“ 108
INTRODUZIONE
Con questo mio lavoro voglio fornire ai Maestri alcune nozioni sulle
componenti psicologiche che un giocatore di alto livello deve possedere.
Queste abilità completano e ottimizzano il lavoro che noi Maestri
svolgiamo sul campo.
Devono, però, essere considerati due importanti aspetti :
1) l’atleta deve essere a conoscenza della necessità di possedere
queste componenti per raggiungere grandi risultati
2) così come tutte le abilità, anche quelle psicologiche, devono
essere allenate e programmate adeguatamente
Identifico come talento solo colui che consegue effettivamente risultati
elevati e non chi,inizialmente, sembra dotato, ma poi, per una varietà di
ragioni, non arriva ad esprimere pienamente le proprie potenzialità.
La principale difficoltà di identificare il talento nasce soprattutto dal
fatto che la prestazione sportiva più semplice non è mai davvero semplice.
Ogni prestazione infatti è influenzata da una molteplicità di fattori di varia
natura, che, nella maggior parte dei casi, dipendono dall’interazione tra le
riserve genetiche del potenziale di prestazione e gli effetti dell’adeguata e
voluminosa pratica motoria negli anni più sensibili allo sviluppo motorio e
poi, nel contesto di un sistema razionale di allenamento.Qualunque sia lo
sport praticato non è possibile limitare il talento al semplice possesso di
caratteristiche biologiche vantaggiose. La trasformazione del talento
potenziale in talento attuale implica certamente almeno altri due livelli di
requisiti:
_ fattori psicologici e caratteriali (personalità, controllo emotivo,
continuo supporto interno alla motivazione)
_ fattori di sostegno (servizi medici,ortopedici, tecnologie, staff)
Per talento sportivo deve essere quindi inteso normalmente quel
soggetto che appare caratterizzato da presupposti di prestazioni adeguati,
in rapporto al ventaglio di caratteristiche motorie e psicologiche che
risultano significative per la pratica efficace di una determinata prestazione
sportiva.
Nella mia ricerca cercherò di sviluppare le componenti psicologiche che
un atleta deve possedere e controllare per riuscire ad ottenere risultati
eccellenti. Aspirare all’eccellenza richiede molti sforzi. Un impegno teso a
fornire a qualunque costo prestazioni che mettano alla prova il potenziale
dell’atleta. Significa non lasciare nulla di intentato.
Mi concentrerò quindi sulle seguenti abilità mentali:
- autoconsapevolezza
- credere in sè
- locus of control
- monitorare le sensazioni
- pensare positivo
- concentrarsi
- controllare l’attivazione
- visualizzazione
- gestione dello stress
-
goal setting
CAPITOLO 1
AUTOCONSAPEVOLEZZA
“La consapevolezza di sé è la cosa più importante per chi vuole
diventare un campione”
BILLIE JEAN KING
In qualità di allenatore devo conoscere a fondo l’atleta perciò devo
incoraggiarlo nello sviluppo della consapevolezza del Sé. Intendo il Sé
come il sistema dei concetti di cui dispone un individuo per definire se
stesso.
Una persona tende continuamente a interpretare e reinterpretare nozioni,
idee e immagini di sé attraverso le esperienze maturate nelle diverse
occasioni. Così, da una parte un individuo può ritenersi capriccioso e altre
volte calmo, oppure aggressivo quando compete, ma docile al di fuori
della competizione. Tuttavia, malgrado queste oscillazioni, ci sono
generalmente un nucleo e un senso stabile del Sé che si consolidano
attraverso l’esperienza. Perciò una persona può considerarsi equilibrata,
nonostante si percepisca talvolta aggressiva e talvolta docile. Questa
concezione del Sé implica tre principi:
-
è possibile comprendere il Sé chiedendo alla persona di
descriversi
-
il Sé è essenzialmente stabile
-
alcuni aspetti del Sé possono cambiare in circostanze diverse.
Ciò suggerisce che il mondo “privato” dell’atleta può essere più
“accessibile” a chi gli lavora accanto. Indica anche che una maggiore
comprensione favorisce la relazione lavorativa fra di essi. Diverrà così più
facile riconoscere quando è il caso di spingere, di incoraggiare, di essere
direttivi oppure di blandire o lasciar riposare l’atleta. Implica inoltre una
migliore accuratezza nel prevedere come l’atleta reagirà in varie
circostanze. E’ utile approfondire tre aspetti del Sé:
-
immagine di Sé
-
stima di Sé
-
vulnerabilità del Sé
Immagine di Sé
Riguarda la visione che l’atleta ha di sé rispetto ai costrutti di cui
dispone. Per sollecitare una descrizione dell’immagine di sé, il primo
passo consiste nell’invitare l’atleta a descriversi, anche selezionando da
una lista (tabella 1) quelle descrizioni che meglio rappresentano il modo in
cui si vede. Il numero ottimale di descrizioni è fra otto e dieci. Queste
descrizioni vengono poi trascritte su un profilo di autoconsapevolezza,
secondo lo schema riportato in figura 1. Le descrizione devono essere
mantenute così come sono date dall’atleta e non essere alterate.
I passi successivi per la misura dell’immagine di sé sono:
-
riportare le descrizioni nella colonna di destra del profilo (fino a
dodici)
-
chiarire con l’atleta ciò egli intende per ciascuna definizione
-
identificare il polo di “ contrasto” per ciascuna definizione e
trascriverlo nell’apposita colonna di sinistra, utilizzando gli stessi
termini dell’atleta.Per elicitare il polo di contrasto, talvolta è utile
chiedere all’atleta di definire l’opposto della sua descrizione o di
descrivere qualcuno che non è simile alla sua descrizione.Individuare
i contrasti fornisce gli “assi di discriminazione”e aiuta a chiarire la
descrizione dell’atleta. Ad esempio, “pigro”, come opposto di
“ambizioso” suggerisce che l’ambizione ha a che vedere con lo
sforzo, con il darsi da fare, mentre “modesto”, quale opposto di
“ambizioso” implica che l’atleta interpreta l’ambizione in termini di
vanità e presunzione. Pertanto, il polo di contrasto migliora e rafforza
il significato.
-
invitare l’atleta ad attribuire un punteggio a ciascuna
descrizione, rispetto a “come sono”, utilizzando una scala da 0 a 7,
dove 7 significa essere uguale alla descrizione. Il punteggio viene
riportato sul profilo, tratteggiando la casella corrispondente,come
illustrato in figura 2. In questo modo si ha una rappresentazione
visiva di come l’atleta si percepisce.
-
calcolare il punteggio relativo all’immagine di sé: sommare
ciascun punteggio e dividere la somma per il numero delle
descrizioni. Nell’esempio riportato nella figura 2, il punteggio 66
diviso per 11 descrizioni dà una media di 6,0. Il punteggio relativo
all’immagine del Sé può essere analizzato in diversi modi.Lo
illustriamo con riferimento all’atleta descritto in figura 2
-
punteggio
dell’immagine
di
sé:
indica
il
grado
di
corrispondenza tra i punteggi dell’atleta e la sua descrizione.
Nel caso riportato in figura 2, il punteggio è piuttosto elevato.
Nel caso in cui fosse basso, significherebbe che l’atleta non ha fornito
una descrizione di sé molto accurata.
-
descrizioni fondamentali del Sé : a queste descrizioni viene
attribuito il punteggio massimo. L’atleta che stiamo considerando
vede se stesso come affidabile, determinato, compiacevole e modesto.
-
un’ idea di come l’atleta vede se stesso : questo atleta sembra
essere conscio di sé (non esuberante o vanitoso) e compiacente nelle
relazioni interpersonali; si percepisce tuttavia qualcosa di poco
amichevole, che è il risultato della sua cautela e della sensazione che
troppa socialità potrebbe essere controproducente per le esigenze
dello sport. E’ interessante notare come egli si veda anche come
persona di cattivo umore. Rispetto alle caratteristiche considerate
favorevoli nel contesto sportivo – determinato, disciplinato,
affidabile, energico – l’atleta si attribuisce un punteggio molto alto.
“Quando giochi a tennis esponi davvero la tua anima.”
JOHN MCENROE
Stima di sé
Può essere definita come la valutazione di sé rispetto alla visione
ideale del Sé. Una misura dell’autostima si ha chiedendo all’atleta di
attribuire un punteggio a “come vorrei essere” (l’ideale) per ciascuna
delle descrizioni e riportandolo successivamente sul profilo di
autoconsapevolezza della figura 2. La discrepanza tra il punteggio
“come sono” e “come vorrei essere” fornisce una valutazione
dell’autostima. Ancora in riferimento alla figura 2, la stima di sé può
essere analizzata in modi diversi:
-punteggio di autostima. E’ la somma di tutte le differenze di
valutazione fra “come sono” e “come vorrei essere”. Dalla figura 2
risulta una differenza di un punto a “energico”, 2 punti a “allegro”, 2
punti a “compiacente”, e così via.La somma delle differenze è 10. Un
punteggio totale elevato indica bassa stima di sé, dal momento che
l’atleta avverte una notevole distanza fra sé e l’ideale. Al contrario, un
punteggio basso segnala elevata stima di sé, poiché l’atleta si ritiene
molto vicino a come vorrebbe essere.
-Direzione del cambiamento.In genere l’ideale viene percepito come
vicino al lato della descrizione, come nel caso di “energico” “allegro” e
“disciplinato”, ad indicare come l’atleta vorrebbe essere. Tuttavia, come
nel caso di “compiacente” e “di cattivo umore”, l’ideale è collocato più
vicino al polo di contrasto. Ciò non significa voler essere come descritto
nel polo di contrasto, ma sicuramente segnala la necessità di una visione
di sé più moderata in tali aree.
Sulla scorta di tali informazioni, l’atleta può essere aiutato a migliorare
la stima di sé rispetto a
quelle aree che al momento egli percepisce come
discrepanti rispetto all’ideale. Come?
1)Aiutando l’atleta a selezionare una descrizione alla quale lavorare
per qualche tempo, che non sarà necessariamente quella che presenta la
maggiore discrepanza tra “come sono” e l’ideale.
2)Discutendo su come il situarsi più vicino all’ideale potrebbe
migliorare la prestazione. Si tratta di sollecitare l’atleta a descrivere i
vantaggi che comporterebbe l’essere simile all’ideale.
3)Lavorando alle possibilità di cambiamento. Significa chiedere
all’atleta di:
-descrivere ciò a cui vorrebbe somigliare e come si sentirebbe se
fosse di un punto più vicino all’ideale;
- analizzare ciò che vorrebbe cambiare e ciò che rientra sotto il suo
controllo nel percorso verso l’ideale;
-definire in quali situazioni si senta più vicino all’ideale e in che
modo sia possibile rimanerci stabilmente.
4)Concordando di lavorare insieme con una strategia che consenta di
raggiungere l’ideale e monitorando regolarmente i progressi.
Vulnerabilità del Sé
Può essere definita come il concetto di sé in condizione di stress.E’
una modalità assai utile per comprendere il comportamento e
l’atteggiamento degli atleti quando il percorso si fa più difficile. Le
descrizioni del sé elicitate attraverso il profilo di autoconsapevolezza
vengono trasferite nella colonna centrale della figura 3. L’atleta viene
invitato a descrivere sia la situazione nella quale si percepisce come
meno vicino alla descrizione, sia quella in cui si sente più vicino. La
figura 4 fornisce un esempio che riguarda un atleta durante la
preparazione per il campionato di eccellenza. Questo tipo di procedura
fornisce un chiaro resoconto di ciò che allenatore e atleta dovrebbero
evitare (se possibile) e di ciò che dovrebbero invece fare in modo che
accada per far sì che l’atleta si avvicini alla gara in un clima di fiducia e
libero da distrazioni.
Il profilo può essere analizzato prestando attenzione alle tematiche
proposte dalle risposte dell’atleta.
Essere consapevoli di come l’atleta interpreta e valuta se stesso viene
spesso ritenuto come una sorta di prodotto secondario del tempo passato
dall’allenatore ad allenare l’atleta e ad osservarne le reazioni in
differenti situazioni.Assai più agevole è invitare l’atleta a commentare
alcuni aspetti del proprio Sé.Nello sport, gli aspetti del Sé che assumono
maggiore rilevanza sono l’autoimmagine, l’autostima e la modalità di
reazione in situazioni stressanti. L’allenatore che è in grado di conoscere
questi aspetti può giocare un ruolo importante nell’assistere l’atleta a
produrre il massimo rendimento. Inoltre, esplorando questi aspetti del Sé
con la collaborazione dell’atleta, egli può anche migliorare la
comprensione del proprio Sé.
fig2
CAPITOLO 2
CREDERE IN SE’ (SELF EFFICACY)
Uno dei fattori che influenza la prestazione è la fiducia che l’atleta
ripone nelle proprie capacità di affrontare una specifica situazione
competitiva.Può succede infatti che un soggetto, se pur in possesso di un
adeguato livello di abilità e padronanza tecnica, in alcune situazioni dubiti
delle proprie risorse; tali sensazioni soggettive di inadeguatezza sono in
grado di condizionare negativamente una prestazione.
Bandura ha introdotto il concetto di self-efficacy per definire la fiducia
nelle capacità personali
di eseguire un compito con esito positivo
attraverso l’espressione di abilità. Le aspettative di efficacia sono distinte
dalle aspettative di risultato, la convinzione cioè che un certo
comportamento condurrà ad un certo esito. Una persona, infatti, può
sapere che una particolare sequenza di azioni porta a specifiche
conseguenze, ma se ritiene di non essere in grado di eseguire quanto
necessario tali conoscenze non influenzano il suo comportamento.
La self-efficacy rappresenta per Bandura il meccanismo cognitivo che
media le informazioni sull’efficacia
personale: le persone elaborano,
valutano, integrano informazioni inerenti le loro capacità provenienti da
diverse fonti ed agiscono di conseguenza, evitando situazioni che
ritengono superiori alle loro forze; si impegnano con sicurezza in attività
giudicate alla loro portata. Le aspettative di efficacia
non solo
condizionano la scelta di affrontare o meno una certa situazione, ma, una
volta iniziata l’attività, determinano la quantità di sforzo profuso e la
persistenza nell’impegno anche di fronte a difficoltà od esperienze
negative; maggiore è la convinzione di poter agire con successo, maggiori
sono impegno e costanza nel tentare di realizzare il compito richiesto.
Naturalmente, le aspettative da sole non sono in grado di determinare la
prestazione desiderata se mancano o sono carenti le capacità necessarie,
oltre che l’interesse e la motivazione. Ma una volta presenti abilità
adeguate e validi incentivi, le aspettative di efficacia sono decisive per la
scelta di un’attività, lo sforzo speso e la persistenza anche di fronte a
temporanei insuccessi.
Quando un soggetto si trova ad affrontare una situazione complessa di
presa di decisione, è necessaria un’efficace elaborazione di informazioni
multimediali, che spesso contengono ambiguità ed incertezze: le
conoscenze preesistenti vanno valutate ed integrate con gli elementi attuali
per trarre regole predittive che consentano una soluzione adeguata. Ciò
richiede un forte senso di efficacia per rimanere orientati sul compito
anche di fronte alla paura di sbagliare.
La self-efficacy influenza anche il tipo di pensiero anticipatorio. Chi
possiede un alto senso di efficacia visualizza scene di successo, che
forniscono una guida positiva per la prestazione, ed analizza mentalmente
valide soluzioni agli eventuali problemi; chi si valuta incapace è più
incline a visualizzare scenari di fallimento e a fissare il suo pensiero su
aspetti negativi.
Alcuni atleti, in effetti, affrontano le situazioni competitive già perdenti
in partenza , poiché tendono a rimuginare su errori e sconfitte precedenti.
Proprio in ambito sportivo diversi studi hanno evidenziato che visualizzare
invece una propria esecuzione accurata migliora la successiva prestazione.
Self-efficacy e prestazione sportiva
La teoria di Bandura rappresenta una cornice teorica di riferimento per
spiegare la relazione fra processi cognitivi e prestazione sportiva.
Il ruolo dei fattori cognitivi è uno degli aspetti su cui la ricerca in
psicologia dello sport ha rivolto l’attenzione, sia per indagare i meccanismi
che si attivano di fronte a situazioni di problem-solving, fatica, disagio,
rischio e a volte dolore fisico, sia per elaborare strategie che consentano
agli atleti di affrontare con successo gli aspetti avversivi e stressanti della
competizione.
Diversi studiosi hanno analizzato la relazione tra self-efficacy e
prestazione, e l’effetto di differenti modalità di intervento ai fini di un
incremento delle aspettative individuali di efficacia.Tali aspettative
derivano da processi cognitivi mediante i quali vengono elaborate
informazioni relative alle capacità personali che provengono da alcune
fonti principali: realizzazione di prestazioni, esperienze sostitutive,
persuasione, arousal emozionale.
Realizzazione di prestazioni.
Dalla riuscita in un dato compito derivano le informazioni più
significative, fondate su reali esperienze di abilità personali. Ovviamente,
le esperienze vissute come successo aumentano le aspettative di efficacia,
mentre quelle percepite come fallimento le abbassano. Il grado di
influenza della realizzazione di prestazioni sulla self-efficacy dipende da
una serie di fattori, quali difficoltà del compito, sforzo profuso , quantità di
aiuto ricevuto, scansione temporale di successo- insuccesso, attribuzione
della riuscita alla abilità personale o a circostanze fortuite.
Molte metodiche di allenamento sono fondate su espedienti che
consentono all’atleta fin dall’inizio un’esecuzione approssimativa,
semplificando i movimenti o utilizzando dei sussidi per assicurare
possibilità di riuscita.
La ricerca in ambito motorio e sportivo ha dimostrato che le tecniche
basate sulla realizzazione determinano incrementi sia delle aspettative di
efficacia che della prestazione. Un’adeguata formulazione di obiettivi (
goal setting) fornisce all’atleta gli standard con cui misurare la propria
prestazione e rappresenta un forte fattore motivazionale; per l’incremento
della self-efficacy sono significativi in particolare gli obiettivi a breve
termine. Una volta stabiliti gli obiettivi, è anche importante fornire al
soggetto feedback che gli consentano una valutazione dei progressi.
Esperienze sostitutive
Informazioni sull’efficacia personale derivano anche da processi di
confronto sociale: vedere altri riuscire nell’esecuzione di una certa attività
può determinare in chi osserva la convinzione di esserne anch’egli capace.
Persuasione.
Tecniche persuasive vengono spesso usate dagli allenatori per cercare di
influenzare positivamente il comportamento degli atleti. Incitamenti ed
incoraggiamenti verbali (“ Dai che puoi farcela”, “Sei il più forte “ )
hanno lo scopo di convincere l’atleta, attraverso la suggestione, di potersi
impegnare con successo. La persuasione verbale è utile come stimolo
iniziale, ma risulta valida se mantenuta all’interno di limiti realistici di
prestazione. Dipende, inoltre, da credibilità, prestigio e fiducia di cui gode
l’allenatore.
Arousal emozionale.
Anche il livello e la qualità di attivazione fisiologica forniscono
indicazioni relative all’efficacia personale. Una situazione difficile o
stressante, come una competizione, in genere elicita arousal emozionale
che, a seconda delle circostanze, ha anche un valore informativo
relativamente alla competenza. Le persone fanno in parte riferimento al
grado di attivazione fisiologica per giudicare il proprio stato di ansia e
difficoltà; poiché in genere un’eccessiva attivazione incide negativamente
sulla prestazione, è probabile che un soggetto si senta più sicuro delle
proprie capacità quando non si percepisce troppo teso ed agitato.Ansia e
paura non sono caratteristiche fisse di eventi situazionali; derivano
piuttosto dal divario che si percepisce fra potenziali aspetti avversativi
dell’ambiente e proprie capacità di farvi fronte. Chi ritiene di poter
padroneggiare
quanto
sta
accadendo
non
vive
sensazioni
di
apprensione,mentre chi pensa di non poter esercitare un adeguato controllo
sperimenta alti livelli di attivazione vissuti come ansia.
Il livello di arousal emozionale in situazioni stressanti è dunque
influenzato non solo dalla percezione di efficacia relativa alle capacità di
affrontare gli avvenimenti, ma anche dalla self-efficacy
inerente le
capacità di controllare le stesse sensazioni apprensive disfunzionali. La
causa principale di tensione non è tanto la quantità di pensieri negativi e
stressanti, quanto piuttosto la percezione della propria incapacità a
modificarli.
Quando l’aumento dell’arousal fisiologico viene interpretato come ansia
o paura dell’insuccesso, tecniche di riduzione dell’arousal (ad es.
attraverso rilassamento o biofeedback) influenzano positivamente la selfefficacy; risultati ancora migliori si ottengono utilizzando la persuasione
verbale per convincere l’atleta che un abbassamento dell’arousal
migliorerà la prestazione. Altre tecniche mirano invece ad una
ristrutturazione cognitiva: se l’interpretazione dell’arousal come paura
viene manipolata e modificata in un’ interpretazione di attivazione
positiva, può di conseguenza aumentare il senso di efficacia personale.
Considerata l’importanza che la self-efficacy riveste per la performance
sportiva, è utile conoscere tecniche e strategie che la sviluppano e
mantengano. Mahoney suggerisce di analizzare innanzi tutto le aspettative
di efficacia personale dell’atleta, attraverso resoconti retrospettivi o
interviste condotte nei momenti antecedenti la prestazione. Indica quindi
alcune strategie per innalzare la self-efficacy:
1) uso di sussidi esterni per facilitare la prestazione;
2) ripetizione immaginativa della prestazione corretta;
3) incoraggiamento semplice e sincero che esprima fiducia nelle
capacità dell’atleta;
4) osservazione di un’altra persona che esegue con successo la
risposta desiderata (modeling);
5) controllo dei pensieri (ad es. avviando monologhi interiori di
sicurezza ed efficacia prima della prestazione).
Un’ulteriore strategia, da utilizzare però solo occasionalmente per
superare barriere psichiche sulla prestazione, è il biofeedback errato:
all’atleta si può far credere di aver superato un proprio limite quando in
realtà vi si è solo avvicinato, o viceversa di essersi avvicinato ad un limite
quando in effetti l’ha già superato. Mahoney raccomanda comunque un
utilizzo moderato di queste procedure, limitato a situazioni eccezionali.
Accanto alle metodiche attuabili direttamente dall’allenatore (gli
espedienti didattici per garantire l’esecuzione, l’uso di dimostrazioni con
modelli simili e diversificati, un’adeguata formulazione di obiettivi, le
rassicurazioni e gli incoraggiamenti verbali) ve ne sono altre proponibili in
modo specifico dallo psicologo dello sport (il self talk, la reinterpretazione
dell’arousal, le visualizzazioni).
CAPITOLO 3
LOCUS OF CONTROL (ATTRIBUZIONE DI CAUSALITA’)
E’ possibile individuare due tipologie opposte di soggetti: quelli
definiti come Dame e quelli definiti come Pedine. I primi si
percepiscono come causa dei propri comportamenti. Sono alla ricerca di
qualcosa che per loro abbia un significato personale > apprendere a
distinguere le caratteristiche rilevanti proprie delle situazioni >sapere
cosa fare > impegnarsi in attività appropiate > sentirsi causa delle
proprie azioni.
Le Pedine si ritengono mosse da altri, destinate all’insuccesso e prive
di controllo sugli avvenimenti. La causalità personale si definisce col
termine di locus di causalità. Si dice che un soggetto è Dama quando si
considera causa dei suoi comportamenti, mentre è Pedina colui che
ritiene che le proprie azioni siano causate da fattori esterni. Il fattore
cruciale è la convinzione di poter scegliere.
La dimensione del locus of control è un costrutto che prende in
considerazione la percezione che una persona possiede del rapporto che
intercorre tra il suo comportamento e la realizzazione (successo o
insuccesso). Se ciò che accade viene percepito come conseguenza diretta
delle proprie azioni, allora la persona viene definita in possesso di locus
of control interno.
In caso contrario, oppure quando viene percepita una scarsa relazione
tra azioni ed avvenimenti, prevale un locus of control esterno.
Molte ricerche indicano che gli “interni” tendono ad essere molto più
produttivi degli “esterni”: per ottenere risultati, occorre impegnarsi e
cogliere le relazioni di causalità: inevitabilmente ciò che viene fatto e
come viene fatto influenzerà i risultati. Gli “esterni” tendono a
considerare i fattori esterni come determinanti delle proprie capacità di
realizzazione. E’ possibile attuare programmi mirati a modificare la
prospettiva degli “esterni”, in modo tale da far assumere loro la
responsabilità della propria condizione.
Il rinforzo può contribuire a modellare il comportamento. Ad esempio,
commentare
il risultato mettendo in rilievo lo sforzo prodotto per
ottenerlo, può far riflettere sulle cause delle azioni. Insegnando agli
atleti ad attribuire il giusto valore dell’impegno, aumenta l’orgoglio
verso i loro successi e ciò migliora la loro dedizione. Inoltre occorre
assegnare maggiori responsabilità nell’identificare gli obiettivi e nel
dedicare energie per ottenerli. Gli obiettivi che ognuno si pone
personalmente, potrebbero essere più motivanti e significativi rispetto a
quelli stabiliti da altri. E’ stato riscontrato che gli obiettivi scelti
personalmente sono migliori predittori nelle prestazioni di quanto non
lo sono quelli assegnati da altri. L’obiettivo è proporre esperienze di
presa di decisione che responsabilizzino coloro che posseggono un locus
of control esterno. Il risultato dovrebbe essere che impegnandosi più
duramente, si otterranno migliori risultati. Essere “pedine” e avere un
locus of control esterno sono entrambe caratteristiche inadeguate, ma
non tali da essere immodificabili attraverso esperienze specifiche. Un
allenamento diretto a rafforzare il senso di causalità personale può dare
buoni risultati: genitori e allenatori potrebbero cercare di identificare
coloro che, tendenzialmente, sono “pedine” e di conseguenza mettere in
atto possibili strategie di rimodellamento.
Consideriamo ora le ragioni che ciascuno di noi utilizza per spiegare i
propri successi o insuccessi. E’ importante capire che insuccesso è
solamente ciò che viene percepito come tale. Il miglioramento dovrebbe
essere interpretato come un successo personale e l’impegno a migliorare
dovrebbe essere rinforzato. Dweck ha identificato due stili diversi di
coping, l’uno definito come orientamento alla padronanza, l’altro come
incapacità appresa. Coloro che manifestano il primo stile, tendono ad
attribuire gli insuccessi ad un impegno insufficiente. Il risultato è che
lavorano ancora più duramente. L’atleta impara dalle esperienze
precedenti che, normalmente, l’impegno intenso porta al successo. I
soggetti che manifestano una incapacità appresa pensano che i propri
insuccessi siamo dovuti alla mancanza di capacità, ed hanno la
percezione che lavorare duramente non serve, perché non fa la
differenza; non si può fare nulla contro capacità inadeguate. Per cui,
generalmente, mostrano una scarsa motivazione, che riflette livelli di
impegno insufficienti in attività che rappresentano una sfida e,
ovviamente, prestazioni modeste. Paradossalmente, ogni successo è
attribuito alla facilità del compito, sottostimando le proprie capacità o
l’impegno dedicato ad esso. E’ necessario creare situazioni che aiutino
gli atleti a superare la loro incapacità appresa e a modificare le
attribuzioni che spiegano i successi e gli insuccessi.
Gradualmente il successo o l’insuccesso vengono interiorizzati e
attribuiti maggiormente all’impegno, dimostrando così che uno stile di
coping orientato alla padronanza è migliore di quello improntato alla
incapacità appresa.
Un costrutto connesso allo stile di coping è lo stile di attribuzione.
Quando si considera una prestazione, per un atleta è abbastanza tipico
non solo valutare le sue qualità e la sua efficacia, ma anche realizzare
una valutazione personale sui potenziali fattori atti a determinarla. Ciò
avviene soprattutto quando il risultato è negativo, inaspettato e/o
importante. Questi comportamenti
o ragioni esplicative vengono
definite attribuzioni. Come e perché si pensa a ciò che si è fatto?
Le cause di attribuzione di successo o di insuccesso di un’ azione
sono state descritte da Weiner in uno schema di classificazione a tre
dimensione:
-
locus of control (interno vs. esterno)
-
stabilità (stabile vs. instabile)
-
controllabilità (controllabile vs. incontrollabile)
Le attribuzioni all’abilità e all’impegno sono considerate interne, e,
quindi, ricadono sotto il proprio controllo. Difficoltà del comportamento
e fortuna, due altre possibili attribuzioni, sono sempre fattori esterni alla
persona. Abilità personale e livello di difficoltà sono visti come fattori
relativamente stabili e non cambiano di molto. Impegno e fortuna sono
fattori relativamente instabili (fluttuanti). Possono differenziarsi in modo
considerevole, a seconda delle circostanze.
Quando si parla di attribuzioni e di modificazione delle valutazioni
cognitive, è importante sottolineare le dimensioni piuttosto che le sole
ragioni.
Generalmente, possedendo certe informazioni relative, le persone
formano attribuzioni sulle cause, che, a loro volta, possono influenzare
il futuro livello di aspirazione. Probabilmente, ciò che differenzia un
soggetto che presenta un elevato livello di achievement da uno che
presenta un livello basso, è la diversa percezione di ciò a cui attribuire la
responsabilità di un risultato.
Gli high achievement
generalmente credono che il successo sia
dovuto sia alle capacità, sia all’impegno e che l’insuccesso sia il risultato
della mancanza di impegno o di altre ragioni comunque controllabili
(per es. strategie, tecnica).
I low achievement non esprimono particolari preferenze nell’attribuire
le cause del successo, mentre sono convinti che l’insuccesso sia sempre
dovuto a scarsa capacità.
Weiner ha suggerito che le attribuzioni possano sia accrescere sia
inibire diversi parametri, quali aspettative, emozioni e tutti i
comportamenti correlati al raggiungimento di uno scopo. Per esempio,
coloro che usano attribuzioni personali (interne, controllabili, instabili)
sembrano essere più perseveranti nel raggiungere lo scopo, anche dopo
un insuccesso. Probabilmente, ciò è dovuto al fatto che ritengono di
poter controllare le situazioni e di fatto agiscono in modo tale da favorire
il successo.
Ad esempio, una prestazione ottimale può essere attribuita all’abilità e
all’impegno, il che aumenta il livello di aspettative di futuri successi in
compiti simili. A sua volta, ciò produce un grado maggiore di
perseveranza e di impegno. Perciò quando ci si confronta con una
situazione competitiva,è probabile che si elevino le aspettative di
successo immediato. Ciò avrà come esito la migliore prestazione
possibile. I feed-back riguardanti
una prestazione negativa possono
incoraggiare o scoraggiare la prestazione successiva: tutto dipende da
come viene interpretato l’insuccesso, cioè se viene considerato come
necessità di maggior impegno, oppure come il risultato di limiti
personali.
Per riassumere il modello di Weiner suggerisce nel caso in cui
l’insuccesso viene attribuito a ragioni interne, instabili e controllabili (ad
es. la mancanza di impegno), le aspettative future di successo
dovrebbero rimanere stabili. Inoltre si possono sperimentare emozioni
negative come sentirsi in colpa per non essersi impegnati abbastanza e
ciò può avere un’influenza motivante. In tal modo si produrrà,
probabilmente, una continuità nel perseverare e nell’allenarsi con
sempre maggior impegno.
Di contro, se l’insuccesso viene attribuito a cause interne, stabili e
incontrollabili (ad es. la capacità naturale) diminuiscono le aspettative di
successo futuro e si cominciano a sperimentare emozioni negative come
vergogna e umiliazione. Di conseguenza l’allenamento diventerà
discontinuo dal momento che non si crede più che porterà al successo.
Come si vede, il tipo di attribuzione che ogni persona produce diventa
un elemento critico nel determinare la qualità della prestazione e la
futura perseveranza in una data attività.
Allenarsi ad acquisire uno stile di attribuzione più adeguato può essere
utile per migliorare l’impegno ed innalzare il livello di achievement.
CAPITOLO 4
MONITORARE LE SENSAZIONI
Sembra scontato affermare che lo stato emotivo dell’atleta influenza la
prestazione, sia in allenamento che in gara.
Talvolta è difficile per gli atleti verbalizzare le loro sensazioni, dal
momento che in genere si insegna a controllare le reazioni emotive come
parte della preparazione alla gara.
Inoltre alcuni atleti ritengono l’espressione dei loro sentimenti un segno
di debolezza.
Per superare il problema della verbalizzazione delle emozioni,sono state
sviluppate una serie di scale che richiedono all’atleta di attribuire un
punteggio al proprio umore.
La scala più nota è il Profilo degli stati di umore (Profile of mood states,
POMS),un elenco si 65 aggettivi che misurano sei aspetti delle emozioni –
tensione, depressione, stanchezza, confusione, rabbia e vigore. Morgan è
riuscito a dimostrare che una particolare configurazione di punteggi al
POMS è risultata predittiva del successo alle qualificazioni olimpiche.Nota
come “profilo ad iceberg”, tale configurazione è caratterizzata da bassi
punteggi di tensione, depressione, stanchezza, confusione e rabbia, cui si
contrappone un punteggio elevato di vigore.
Più recentemente, in un contesto applicativo più significativo, Morgan e
i suoi colleghi hanno scoperto che il POMS è sensibile ai cambiamenti
emotivi che si accompagnano al variare dell’intensità dell’allenamento.
La scala diventa così uno strumento possibile per il monitoraggio
dell’overtraining, della stanchezza, dell’esaurimento delle riserve.
Sono stati fatti degli sforzi per ridurre la lunghezza del POMS e renderlo
di più rapida somministrazione, senza peraltro diminuire la sensibilità
dello strumento.
Il POMS è stato originariamente sviluppato per l’uso in ambito clinico,
e, malgrado gli adattamenti realizzati per l’impiego nel contesto sportivo, è
tuttora prevalente l’intento di misurare un disturbo psicologico.
Nasce così la “Scala delle sensazioni” (fig.5) in ambito sportivo,
tenendo presenti le seguenti esigenze:
-
velocità di somministrazione: la scala prevede 20 item
-
gli item , come nel POMS, sono rappresentati da aggettivi che,
diversamente dal POMS, sono stati generati dagli atleti, non dagli
psicologi. Essi, perciò, rappresentano descrizioni più significative
dell’esperienza emotiva e di conseguenza risultano più accettabili per
l’atleta
-
La scala presenta un equilibrio fra sensazioni “positive” e
“negative” evitando in tal modo di focalizzare l’interesse sugli
aggettivi negativi, cosa non necessaria e addirittura controproducente,
dal momento che la scala può venire impiegata durante la prestazione
dei tornei e in prossimità delle gare.
-
una volta compilata, la scala fornisce una rappresentazione
visiva delle sensazioni dell’atleta che rende più agevole per
l’allenatore la comprensione dello stato emotivo.
-
la Scala delle sensazioni ha come cornice di riferimento la
teoria dei costrutti personali. Essa sostiene che le emozioni emergono
quando il modo in cui una persona interpreta se stessa e gli eventi
subisce un cambiamento oppure quando cerca di resistere al
cambiamento.Le emozioni quindi riflettono la persona in transizione.
La tabella 2 riporta un’interpretazione di ciascun item della Scala
delle sensazioni.
La somministrazione della scala è estremamente facile. L’atleta è
invitato a fornire un punteggio per ciascun item a seconda di come si sente
al momento.Come misura viene impegnata una scala di valutazione che va
da 0 (per niente) a 10 (moltissimo). La valutazione dell’atleta viene
riportata nella relativa colonna e offre all’allenatore una rappresentazione
visiva immediata del modo in cui l’atleta si sente in quel momento.
Questo l’andamento di alcuni profili tipici:
-
il profilo “a gradini”. Rappresenta lo stato ideale (fig.6 ), con
punteggi elevati ai primi otto item “positivi”, cui si contrappongono
decisamente i bassi punteggi ai rimanenti item “negativi”. Tale
profilo suggerisce che l’atleta si trova in uno stato emozionale “di
forma”.
-
il profilo a “sinusoide”. Illustrato in fig.7, questo profilo
caratterizza gli atleti che vengono sottoposti ad un programma di
condizionamento fisico. Esso registra la sensazione dell’atleta di
venire prosciugato di energie. Somministrazioni ripetute fino
all’avvicinarsi della competizione potranno mettere in luce il
cambiamento, con punteggi più elevati di energia e più bassi di
stanchezza, in modo tale da avvicinarsi sempre più al profilo a
“gradini”.
-
il profilo “a slalom”. La fig.8 illustra un tipico esempio che si
riscontra durante la fase di preparazione alla competizione. Malgrado
le sensazioni siano generalmente positive, l’atleta manifesta ansia di
tipo somatico (tensione e nervosismo) e di tipo cognitivo
(preoccupazione e sensazione di essere sotto pressione).
-
profilo “a picchi”. Occasionalmente il profilo può presentare un
singolo item in cui viene attribuito un punteggio differente rispetto al
solito. Può essere un indizio che l’atleta ha bisogno di aiuto. Talvolta
rappresenta la contrarietà o la rabbia per un aspetto di cui l’allenatore
non è consapevole, un senso di esclusione o di tristezza che riguarda
un evento estraneo allo sport, o l’emergere della nostalgia. in tal
modo i problemi possono venire utilmente messi in luce e affrontati
prima che interferiscano pesantemente con il programma di
allenamento.
tipo
il profilo “collassato”. Come si può dedurre dalla fig.9, questo
di
profilo
deve
immediatamente
richiamare
l’interesse
dell’allenatore. L’atleta si sente stanco e stressato e, come
già
segnalato precedentemente, ciò lo rende particolarmente vulnerabile
nei confronti degli infortuni.
Il monitoraggio regolare degli atleti con la Scala delle sensazioni
contribuisce ad evidenziare minimi cambiamenti che rappresentano
campanelli
di
allarme
dello
stress.La
rapida
e
agevole
somministrazione della Scala delle sensazioni e l’utilità delle
informazioni che è in grado di fornire sull’esperienza emozionale
dell’atleta suggeriscono che essa può diventare uno strumento quasi
quotidiano per monitorare i cambiamenti e i progressi. La
valutazione, naturalmente, rappresenta solo un primo passo. Tuttavia
quando allenatore e psicologo sono a conoscenza delle sensazioni e
dei sentimenti dell’atleta,diventa più agevole sostenerlo nei migliori
dei modi o adattare il programma di allenamento per far sì che
corrisponda alle sue necessità.
CAPITOLO 5
PENSARE POSITIVO (SELF TALK)
Nella prestazione sportiva si riscontra una stretta relazione fra
la
fiducia che un atleta nutre nelle proprie capacità e il successo che ottiene.
Soprattutto gli atleti di vertice manifestano un’elevata fiducia, avendo
sperimentato di frequente nel corso della carriera sportiva esperienze
gratificanti, a cui sono usualmente associati pensieri positivi. Ciò che i
soggetti pensano o dicono, relativamente alla loro attività sportiva, è un
elemento critico per la prestazione. Dal punto di vista cognitivocomportamentale si può affermare che vi è continuità fra i pensieri di una
persona e il suo comportamento.
Normalmente ogni individuo passa una grande quantità di tempo a
parlare a se stesso. Non sempre vi è la consapevolezza di questo dialogo
interiore molto personale (self talk) e del suo contenuto; ciononostante i
pensieri sono in grado di influenzare direttamente le sensazioni, le azioni e
più in generale il modo soggettivo di concepire e vedere il mondo. Ma se
da un lato pensieri
appropriati e positivi elicitano sentimenti di
adeguatezza al compito e facilitano di conseguenza una buona prestazione,
dall’altro pensieri
inappropriati e negativi suscitano percezioni di
inadeguatezza e apprensione che condizionano sfavorevolmente l’esito
delle attività.
Quasi tutti gli atleti sperimentano qualche volta durante la loro carriera
dubbi sulle capacità personali, scarsa fiducia in se stessi e tensione; ma se
questi stati d’animo tendono a ripetersi di frequente e a diventare cronici,
allora impediscono l’espressione piena del proprio potenziale. Atleti
fiduciosi, invece, riferiscono tipicamente dialoghi interni, fantasie e sogni
in cui immaginano se stessi vincitori e capaci di raggiungere il successo.
Controllo dei pensieri
Dal punto di vista operativo è importante che l’atleta
impari a
controllare i pensieri e a usare in modo vantaggioso il self talk per
conseguire diversi obiettivi: apprendimento di abilità, correzione degli
errori, controllo dell’attenzione, elicitazione di emozioni positive,
incremento della fiducia in se stesso.
Apprendimento di abilità
Il
self talk, inizialmente suggerito attraverso parole stimolo (dallo
psicologo dello sport o dall’allenatore), serve per ricordare e fissare
aspetti chiave dell’esecuzione motoria; le parole
possono descrivere
particolari fasi del movimento o una determinata sequenza di azioni. Con
tale finalità, il self talk dovrebbe essere quanto più essenziale possibile,
poiché una eccessiva verbalizzazione tende a disorientare il soggetto e
causare “ paralisi da analisi “. Al progredire delle acquisizioni il self talk
dovrebbe mutare seguendo i progressi e adattandosi alle necessità
emergenti; può cambiare anche per essere rivolto ad aspetti diversi della
prestazione, quali strategie e sensazioni, piuttosto che alle problematiche
tecniche come nella prima fase. Attraverso l’apprendimento si ricerca una
riduzione del controllo volontario a vantaggio di un’ esecuzione
automatica; se inizialmente l’attenzione è diretta alle caratteristiche
rilevanti per l’esecuzione del gesto tecnico, quando il movimento è stato
automatizzato va rivolta ad altri fattori, ad esempio gli aspetti tattici. Il self
talk, attraverso una scelta adeguata di parole stimolo, aiuta l’atleta a
focalizzare l’attenzione sugli elementi rilevanti per la prestazione.
Correzione degli errori
Nella correzione degli errori consolidati è necessario attivare
intenzionalmente un controllo cosciente sulla precedente esecuzione
automatica. In questa prospettiva il self talk è un mezzo efficace per
“deautomatizzare” i movimenti e ricostruire nuove risposte; più drastico è
il cambiamento da realizzare e più dettagliato dovrà essere il self talk nella
fase di riapprendimento. Per essere realmente efficace è essenziale che il
contenuto delle affermazioni sia diretto ai risultati desiderati piuttosto che
agli errori da correggere od eliminare; in altre parole i soggetti dovrebbero
imparare a dirigere i loro pensieri su ciò che desiderano che accada
piuttosto su
quello che vogliono evitare, rinforzando in tal modo
l’abitudine a pensare in maniera positiva. Se si impara a mantenere un
atteggiamento positivo e costruttivo nei confronti degli errori si ricavano
informazioni essenziali per lo sviluppo delle abilità; tale processo è
favorito da un appropriato dialogo interiore. L’atleta deve mutare la
convinzione di non essere perfetto o invulnerabile, sapere che può
commettere degli errori ma anche correggerli attraverso un impegno
assiduo per l’acquisizione di competenze fisiche e psichiche.
Controllo dell’attenzione
Una delle abilità fondamentali che l’atleta deve acquisire è quella di
dirigere e mantenere l’attenzione sugli elementi rilevanti del compito,
escludendo stimoli irrilevanti o disturbanti. Nideffer distingue due
dimensioni dell’attenzione, direzione e ampiezza, da cui derivano quattro
tipi di focus attentivo: esterno-ampio, esterno-ristretto, interno-ampio,
interno-ristretto. Spesso alcune discipline richiedono l’utilizzo di uno stile
flessibile con rapide variazioni del focus attentivo: quando risultano
fondamentali adattamenti repentini dell’attenzione,adeguate forme di self
talk sono di aiuto.
Elicitazione di emozioni positive
Un altro effetto vantaggioso del self talk è collegato alla possibilità di
associare parole stimolo a sensazioni o emozioni utili per la prestazione:
ogni parola ha infatti una sua precisa tonalità emozionale, variabile
soggettivamente, collegabile alla qualità e al contenuto del movimento.
Incremento della fiducia
Il self talk è impiegato per attivare una maggiore fiducia nelle
potenzialità personali; infatti è più facile ottenere ciò che si ritiene di poter
realmente conseguire. Frasi affermative credibili sono particolarmente utili
per evocare stati d’animo positivi che a loro volta condizionano il
comportamento; le frasi sono spesso spontanee, si collegano facilmente ad
emozioni e sensazioni di una particolare esperienza di soddisfazione e
successo. Il livello di fiducia che un atleta possiede dipende anche dal
genere di informazioni che gli vengono fornite dall’allenatore e dalle
esperienze vissute in allenamento. E’ quindi importante formulare obiettivi
realistici e raggiungibili e strutturare condizioni che permettano, attraverso
un ragionevole sforzo,di incrementare la prestazione; aspettative non
realistiche tendono ad indebolire la fiducia del soggetto e a farne scendere
il rendimento.
Tecniche di controllo dei pensieri
Molte sono le tecniche sviluppate per il controllo dei pensieri. Per
poterle apprendere e impiegare efficacemente è innanzi tutto necessario
che l’atleta prenda coscienza dei contenuti dei suoi dialoghi interni nelle
diverse situazioni ; deve individuare accuratamente il modo in cui parla a
se stesso, identificando i pensieri, e gli eventi ad essi associati, che aiutano
la prestazione e quelli che invece la ostacolano. Il self talk può essere
costituito da brevi parole stimolo, oppure da monologhi e frasi articolate e
complesse di contenuto variabile. Riconoscere i pensieri e le sensazioni ad
essi collegate che favoriscono la risoluzione dei problemi e la prestazione
è già un primo passo per incrementare il rendimento sportivo.
Arresto del pensiero
Attraverso questa tecnica si mira a bloccare i pensieri negativi e di
sfiducia nelle capacità personali, con lo scopo di interrompere l’influenza
che stati d’animo negativi esercitano sul comportamento. La procedura
richiede che l’atleta si eserciti a focalizzare brevemente l’attenzione su uno
o più pensieri negativi e quindi ad utilizzare uno stimolo prestabilito
(trigger) di arresto momentaneo del pensiero. Il trigger può essere
costituito da una parola (“stop”, “basta”, ecc.) o da un’azione (schioccare
le dita, battere
le mani, ecc. ); scelto in conformità ad esigenze e
preferenze individuali, va praticato costantemente, anche durante
l’allenamento, allorché si manifestino pensieri disturbanti. Soprattutto
nelle prime fasi di addestramento, gli atleti possono utilizzare in modo
manifesto i loro trigger, ad esempio pronunciando la parola “stop” ad alta
voce nel momento in cui si presenta un pensiero negativo. Ci si allena
efficacemente anche in stato di rilassamento scegliendo il pensiero
disturbante da eliminare, visualizzando vividamente la situazione specifica
nella quale esso si manifesta, esercitando quindi l’interruzione del pensiero
attraverso il trigger selezionato. Questa procedura va ripetuta finchè il
dialogo negativo e le sensazioni disturbanti di ansia e preoccupazione sono
completamente eliminati.
Ristrutturazione dei pensieri
Pensieri distorti ed irrazionali sono modificati prendendo in esame
possibili differenti interpretazioni del loro significato, delle circostanze e
del contesto in cui si sono manifestati; l’obiettivo è di creare “cornici”
alternative di riferimento e modi diversi di percepire ed interpretare la
situazione. Pensieri perfezionistici o, al contrario, catastrofici sono
ridimensionati valutando in modo realistico la situazione e formulando
obiettivi di prestazione appropriati. Un ulteriore problema è rappresentato,
in alcuni atleti, dalla tendenza a considerare fatti e persone in termini
assolutistici. Quel tipo di pensiero “tutto o niente” può portare a
categorizzare gli eventi come successo o insuccesso, piuttosto che ricavare
da esperienze e persone quanto di positivo offrono. La categorizzazione
negativa è dannosa, poiché le “etichette” a fatti e individui tendono a
cristallizzarsi, diventando poi molto difficili da cancellare. Concezione
irrazionale è anche credere che il proprio valore come individuo dipenda
esclusivamente dal risultato sportivo, personalizzando in maniera
egocentrica molti eventi esterni e spesso non collegati al contesto reale.
Riguardo all’esito della prestazione sportiva, è frequente che gli atleti
tendano ad attribuire successo o insuccesso a fattori esterni che sfuggono
al controllo soggettivo (la fortuna, l’arbitro, i compagni, gli avversari),
piuttosto che analizzare i meriti e le responsabilità personali. E’ invece
importante che l’atleta impari a privilegiare l’attribuzione interna per
affrontare la situazione in modo più realistico e conseguire una padronanza
maggiore degli eventi. In questo modo si cerca anche il controllo sul
pensiero superstizioso, in particolare quando associato a valutazioni
negative. Le superstizioni originano dal legame che si stabilisce tra una
prestazione scadente, o un incidente, e qualsiasi altro fatto casuale in grado
di attirare l’attenzione; il legame fra pensiero ed evento così formato può
generalizzarsi poi a situazioni simili. Per smantellare le concezioni
superstiziose è utile che l’atleta si eserciti proprio nelle situazioni temute,
ovviamente con una certa gradualità, finchè riesce a realizzare anche in
quel contesto una prestazione soddisfacente.
Una modalità di ristrutturazione è costituita dalla trasformazione dei
pensieri negativi in positivi. Le affermazioni negative o disturbanti vanno
sistematicamente analizzate e sostituite con parole o frasi positive che
consentano di recuperare il controllo della situazione. Questa procedura è
efficacemente realizzata anche con l’aiuto di visualizzazioni,in stato di
rilassamento, delle scene in cui i pensieri negativi si manifestano. Per
modificare il contenuto dei pensieri, l’atleta va sollecitato a considerare
fatti e ragioni per mettere in discussione e rifiutare convinzioni irrazionali
e nocive. Dal punto di vista operativo, l’atleta va invitato ad analizzare e
contestare in maniera logica e ragionevole i costrutti negativi, per poi
identificare le affermazioni positive.
Elaborazione di frasi affermative
Frasi affermative personali sono molto utili per suscitare sentimenti di
fiducia e di controllo sulle proprie capacità.
Le affermazioni vanno formulate al tempo presente e orientate all’azione
che si intende svolgere,
evitando obiettivi estremamente difficili o
impossibili da conseguire. Possono essere impiegate nei momenti critici
della prestazione, quando la fatica aumenta, in situazioni di stress o
durante un periodo di attività monotona.
Le affermazioni positive sono distinte in :
a) incoraggiamenti personali (“così va bene”, “è l’opportunità
giusta” );
b) frasi per controllo dello sforzo (“ concentrati sulla fluidità del
movimento”, “esegui la strategia “ ) ;
c) frasi per il raggiungimento di obiettivi parziali della prestazione
( “ accelera “,
“spingi di più” );
d) frasi positive generali ( “ ottimo lavoro”, “ ben fatto “ ).
Una combinazione di self talk positivo e di pensieri specifici al compito
incrementa la prestazione in misura maggiore rispetto ad ogni componente
preso singolarmente.
Scelta di parole con contenuto emozionale
Le parole che attivano associazioni dirette con il movimento sono in
grado di influenzare la prestazione. Sensazioni importanti e caratteristiche
dell’azione, come velocità, forza, equilibrio, stabilità, potenza, vengono
attivate da parole appropriate prima o durante l’attività.
Un movimento automatizzato è in genere disturbato dall’intervento di
pensieri coscienti di controllo durante l’esecuzione; questo non accade per
le parole con contenuto emozionale, che non sono dirette al controllo
esecutivo ma al potenziamento di caratteristiche dell’azione.
Direzione del pensiero
Durante l’attività sportiva i pensieri possono essere diretti verso
contenuti non inerenti al compito (dissociativi) o, viceversa, a contenuti
specifici (associativi).
Pensieri dissociativi, impiegati più o meno
consapevolmente o volontariamente, agiscono come distrattori per
alleviare sensazioni di fatica, dolore o noia. Pensieri associativi, invece,
sono diretti al monitoraggio delle sensazioni specifiche dell’attività
motoria ed agli aspetti tecnici e tattici; sono in grado, almeno in certi
momenti, di elevare notevolmente le potenzialità di prestazione.
Piuttosto che propendere in maniera assoluta per una delle strategie è
meglio considerare i vantaggi di entrambe.
CAPITOLO 6
LA CONCENTRAZIONE
La capacità di controllare i processi motori e di pensiero e di dirigere e
mantenere l’attenzione su di un compito per una corretta esecuzione, in
relazione alle richieste situazionali, sono riconosciute come importanti
fattori per la prestazione sportiva. In particolare, per la gestione dei
processi attentivi l’atleta deve imparare a:
a) selezionare gli stimoli a cui rivolgere l’attenzione trascurandone
altri non rilevanti,
b) spostare l’attenzione al momento opportuno verso informazioni
appropriate,
c) mantenere l’attenzione sugli stimoli importanti.
La concentrazione è sostanzialmente la capacità di focalizzare
l’attenzione su di un compito per un certo periodo di tempo, senza essere
disturbati o influenzati da stimoli esterni e interni non pertinenti.
Una delle maggiori differenze fra lo sport di oggi e quello di un tempo
sta, a livello cognitivo, nella complessità delle informazioni che l’atleta
deve elaborare, in particolare negli sport di situazione. Rispetto ad un
tempo sono aumentate molto le richieste elaborative a cui l’atleta deve
rispondere. Le operazioni cognitive, in sintesi, sono costituite da:
a) raccolta di informazioni esterne ed interne attraverso gli organi
di senso (analizzatori) importanti per il movimento (visivo, uditivo,
cinestesico, vestibolare e tattile);
b) elaborazioni delle informazioni (confronto delle informazioni in
entrata con quelle già depositate in memoria; attivazione di processi
decisionali, scelta e programmazione della risposta);
c) esecuzione e controllo della risposta.
Atleti abili riescono senza sforzo, in maniera quasi passiva e
automatica,a non essere distratti e a non reagire a stimoli irrilevanti.
Prospettive teoriche
Le connessioni fra attenzione e prestazione sono state studiate attraverso
diverse prospettive; fra le più importanti vi sono quella cognitivista, con la
teoria dell’elaborazione delle informazioni, e quella psicosociale. Ogni
corrente teorica
ha dato origine a ricerche tese a verificare aspetti
particolari dei processi attentivi :la teoria dell’elaborazione delle
informazioni si è rivolta allo studio delle caratteristiche cognitive
dell’attenzione, quali la selettività, la capacità e l’automatismo; nella
prospettiva psicosociale, invece, sono state studiate le influenze delle
caratteristiche individuali e dell’ambiente sui processi attentivi. Ogni area
di ricerca offre un contributo alla comprensione delle complesse relazioni
fra processi attentivi e prestazione.
Prospettiva cognitivista
Un assunto basilare nella teoria dell’elaborazione delle informazioni è
che fra stimoli recepiti attraverso gli organi di senso e risposte
comportamentali vi sono stadi intermedi di trattamento (memoria
sensoriale, a breve e a lungo termine; processi decisionali e
programmazione della risposta).
Nelle situazioni sportive l’organismo è bombardato costantemente da un
enorme mole di stimoli, che però non possono essere elaborati tutti
contemporaneamente dato che le capacità umane sono limitate: soltanto un
ammontare circoscritto di informazioni viene considerato in un certo
tempo ed è necessario allora selezionare gli stimoli. Attraverso la
selettività solo certe informazioni, provenienti dall’interno o dall’esterno
dell’organismo, sono trattate a diversi livelli del sistema, mentre altre sono
ignorate od eliminate. La difficoltà della situazione sportiva è stimata
proprio in base all’ammontare di informazioni presenti e alla possibilità di
risposta. Proprio il ritardo dei processi di risposta è un fattore critico nel
determinare l’esito di molte azioni sportive. Ne deriva che negli sport di
situazione l’atleta dovrebbe tendere, attraverso le sue azioni, ad aumentare
la quantità di indizi da inviare all’avversario e contemporaneamente
dovrebbe essere capace, a sua volta, di selezionare solo quelli importanti
da sottoporre a processi elaborativi.
La selettività dell’attenzione, ossia la capacità di ignorare le
informazioni sensoriali marginali e di prestare attenzione solo a quelle
importanti, è di estrema importanza; si tratta di un caratteristica cognitiva
che
contraddistingue
l’atleta
esperto
dal
principiante.
Distrattori
comunemente ritrovabili nelle situazioni sportive sono collegati sia a stati
interni
che
ad
eventi
esterni:
eccessivo
controllo
consapevole,
autovalutazione minuziosa, dubbi sulle proprie potenzialità, percezione di
fatica, dolore o ansia disturbano i processi attentivi prima o durante la
prestazione, così come stimoli esterni improvvisi di tipo uditivo o visivo
derivanti dal pubblico, avversario, ambiente, ecc.
Un modo per analizzare i processi attentivi e capire il loro
funzionamento è studiare i comportamenti di soggetti esperti mentre
eseguono un compito, confrontandoli poi con quelli di principianti.
Nell’esecuzione di abilità motorie ben apprese gli esperti utilizzano
maggiormente processi di elaborazione automatizzati, piuttosto che
controllati,che sono rapidi ed efficaci, si svolgono senza sforzo e
consentono l’esecuzione di più attività contemporaneamente (in parallelo).
Se però il compito è difficile o non familiare sono di solito attivati processi
consapevoli di controllo, più lenti, dispendiosi e con caratteristiche
esecutive seriali (uno o pochi compiti alla volta). Le differenze maggiori
fra elaborazioni automatizzate e controllate riguardano dunque parametri
di sforzo, rapidità e consapevolezza: le prime sono economiche, rapide,
scarsamente coscienti ed operano in parallelo, mentre le seconde sono
dispendiose, lente sotto il controllo consapevole ed operano in serie. Ogni
sport richiede una combinazione di elaborazioni
automatizzate e
controllate . Operazioni controllate sono maggiormente presenti negli sport
di situazione, nei quali all’esecuzione di abilità tecniche si aggiunge il
problema di effettuare rapide scelte decisionali ed ampi aggiustamenti
dell’azione;
sono
più
importanti,
inoltre,
nelle
prime
fasi
dell’apprendimento e nella gestione di informazioni nuove, mentre
elaborazioni automatizzate dirigono abilità ben apprese.
Le modalità di trattamento dell’informazioni sono considerate anche in
termini di capienza o “spazio” di elaborazione; date le limitate capacità dei
processi
attentivi,
la
possibilità
di
svolgere
più
compiti
contemporaneamente dipende da quanto spazio viene occupato da ogni
singolo compito. In altre parole, si può prestare attenzione a più stimoli o
effettuare più risposte contemporaneamente se ciò non eccede le risorse
dei processi attentivi; se un compito da solo occupa tutto lo spazio
disponibile, potrà essere svolta unicamente quello.
Con l’apprendimento e l’automatizzazione del movimento le richieste
attentive diminuiscono e l’attenzione può essere rivolta ad altri compiti.
Atleti evoluti sono poi capaci di dirigere appropriatamente il focus
attentivo, mantenerlo anche in presenza di distrazioni esterne e interne,
rifocalizzare immediatamente l’attenzione sulle informazioni importanti se
distratti.
Le limitazioni delle capacità attentive sono dovute, oltre che ad aspetti
funzionali, anche a fattori strutturali. Interferenze strutturali si verificano
quando due compiti eseguiti contemporaneamente utilizzano gli stessi
organi recettori od effettori.
Prospettiva psicosociale
L’interesse della psicologia sociale, per quando attiene ai processi
attentivi, è rivolto allo studio dell’influenza sulla prestazione di fattori
cognitivi disturbanti, quali la preoccupazione e l’eccessiva analisi, e delle
caratteristiche individuali e ambientali.
In abilità consolidate, tipicamente guidate da meccanismi elaborativi
automatizzati, l’uso inappropriato di processi consapevoli produce effetti
nocivi. Questi si evidenziano soprattutto in situazioni competitive se
l’atleta, per effettuare un’esecuzione accurata, cerca di controllare
consapevolmente la sua performance.
Preoccupazione e paura dell’insuccesso sono fattori che tendono ad
aumentare il desiderio soggettivo di porre sotto controllo la prestazione, ed
agiscono in senso contrario alle aspettative di accuratezza del gesto.
Timori
eccessivi,
inoltre,
tendono
a
causare
uno
spostamento
dell’attenzione verso pensieri negativi, che agiscono anch’essi come
distrattori. Differenze individuali in modalità e stili attentivi influiscono
sulle capacità di far fronte alle distrazioni e di passare in modo flessibile
da elaborazioni controllate ad elaborazioni automatizzate, soprattutto in
situazioni sportive altamente dinamiche. Secondo Nideffer, ogni persona
possiede un particolare stile attentivo relativamente stabile nel tempo, poco
modificabile, che può essere generalizzato a diverse situazioni; vi sono poi
aspetti dell’attenzione che invece sono specifici alle situazioni sportive e
maggiormente passabili di cambiamento.
Nideffer individua due dimensioni dell’attenzione:
a) l’ampiezza, che definisce l’attenzione lungo il continuum
ampio ristretto, con possibili variazioni graduali fra i due poli;
b) la direzione, che è invece solo interna o esterna, cioè rivolta
verso il soggetto o l’ambiente, e quindi non graduabile.
Da queste due dimensioni emergono quattro caratteristiche del focus
attentivo: ampio-esterno, ampio-interno, ristretto-esterno, ristretto-interno.
Differenti situazioni sportive richiedono impegni attentivi diversi e
l’atleta deve essere capace di modificare l’attenzione per adattarsi
flessibilmente alle circostanze.
Molti sport richiedono comunque che l’atleta sia capace di modificare
sovente il focus attentivo, anche in maniera repentina, in termini sia di
ampiezza che di direzione.
Modifiche incontrollate o inadeguate del focus attentivo conducono
facilmente a decrementi della prestazione. Attraverso un allenamento
appropriato e specifico si impara a controllare l’attenzione nelle sue
dimensioni; l’allenatore può anche suggerire direttamente all’atleta come
e dove essa vada diretta in una specifica circostanza.
Esistono differenze individuali nelle capacità attentive non solo in
funzione dell’apprendimento, ma anche di fattori biologici ereditari. Gli
atleti presentano, infatti, predisposizioni diverse (componenti di tratto
dell’attenzione), che interagiscono più o meno facilmente con le richieste
situazionali (componenti di stato). L’atleta esperto sarà in grado di
utilizzare le proprie riserve e di passare agevolmente da un focus attentivo
ad un altro. L’attenzione è anche in collegamento diretto con il livello di
aurousal dell’organismo: ad un basso livello di attivazione corrisponde
un’attenzione ampia che lascia penetrare stimoli sia pertinenti che
irrilevanti; all’aumentare dell’arousal l’attenzione comincia a restringersi,
fino ad un punto ottimale di selettività percettiva per le informazioni
importanti; un arousal troppo elevato, infine, determina un eccessivo
restringimento del campo percettivo, con conseguente perdita di stimoli
rilevanti, aumento della distraibilità e difficoltà a spostare l’attenzione da
una dimensione ad un'altra.
L’incremento dell’aurousal da basso a moderato si accompagna ad un
incremento delle selettività percettiva, di conseguenza gli stimoli
irrilevanti sono eliminati e la prestazione migliora. All’aumentare
dell’aurousal al di là di un punto ottimale l’attenzione continua a
restringersi (effetto tunnel), cosicché anche gli indizi rilevanti sono esclusi
e la performance si deteriora. L’atleta con un basso livello di attivazione
può prestare attenzione alla folla o pensare all’avversario piuttosto che
concentrarsi sulla gara. Una situazione di stress tende invece a produrre un
aumento eccessivo dell’arousal e, pertanto, un restringimento periferico
dell’attenzione; l’atleta può anche essere distratto dai sintomi somatici
dell’ansia
che
ne
catturano
l’attenzione
dirigendola
all’interno.
All’aumentare dell’arousal fisiologico al di là di un punto soggettivo
ottimale vi è la tendenza a far riferimento ai propri stili attentivi dominanti,
anche se non adeguati. Ma se lo stato di attivazione psicofisiologica
influenza l’attenzione, modifiche nel focus attentivo incidono a loro volta
sull’arousal: agendo sulla concentrazione si può quindi influire
sull’arousal.
Allenamento della concentrazione
Dai diversi approcci teorici emerge che l’attenzione è un fenomeno
complesso, influenzato da molteplici fattori che condizionano la capacità
di utilizzare processi elaborativi: differenze individuali, richieste
specifiche
della
disciplina
sportiva,
livelli
di
apprendimento
e
performance, situazioni ambientali, stati di arousal e di ansia. Uno stato
ottimale di attivazione è conseguito quando l’atleta è in grado di
mantenere un adeguato equilibrio fra elaborazioni automatizzate e
controllate, in rapporto alle richieste del compito. Disturbi nei processi
attentivi si verificano quando fattori interni ed esterni determinano un
disequilibrio fra i due tipi di elaborazione. L’obiettivo dell’allenamento
delle abilità attentive è lo sviluppo di un’attenzione selettiva per gli stimoli
rilevanti, capace di ignorare le informazioni di disturbo, adattare il focus
(nelle dimensioni ampiezza e direzione) e passare agevolmente da
elaborazioni controllate ad automatizzate (e viceversa) a seconda delle
necessità. L’atleta deve anche imparare a rifocalizzare rapidamente
l’attenzione quando necessario, evitando pensieri parassiti e distrazioni.
Il rilassamento somatico è spesso ritenuto un prerequisito per l’utilizzo
di tecniche immaginative e per l’incremento della concentrazione, dato che
i fattori di disturbo sono ridotti. L’orientamento dell’attenzione sulle
sensazioni corporee tende a sviluppare una certa sensibilità percettiva. La
rappresentazione mentale della performance in maniera vivida e
polisensoriale è tradizionalmente inserita in stato di rilassamento anche per
l’allenamento alla concentrazione; le visualizzazioni tendono a canalizzare
il focus attentivo su aspetti particolari della prestazione e su informazioni
rilevanti.
Una modalità per far fronte alla perdita di concentrazione dopo avere
commesso un errore è l’immediata correzione immaginativa, trasformando
mentalmente il fallimento in successo. In questo modo ci si concentra non
solo sui singoli elementi esecutivi da modificare, ma più in generale su
quello che deve essere fatto; vengono così ridotte le possibilità di
“ruminare” mentalmente sugli errori, con i giudizi di svalutazione e
biasimo che ne possono derivare.
Ulteriori procedure di allenamento alla concentrazione derivano
dall’impiego di tecniche di visualizzazione e rilassamento mediante le
quali l’attenzione è diretta alle sensazioni corporee e alla produzione di
immagini mentali. Anche le tecniche di biofeedback offrono un notevole
contributo.
L’introduzione di situazioni stressanti simili a quelle di gara aiuta
l’atleta a controllare l’attenzione anche in condizioni di disturbo. Questo
determina ripercussioni favorevoli nella gestione dello stress: se da una
parte il controllo dello stress migliora l’attenzione, dall’altra l’incremento
delle abilità attentive aiuta a ridurre lo stress.
Rituali di gara,
infine, sono impiegati da molti atleti per evocare
sensazioni collegate alla prestazione ideale e per ottenere una buona
prestazione. E’ importante inizialmente individuare questi comportamenti
tipici, attraverso colloquio ed eventuale trascrizione; se poi risultano adatti
vanno riprodotti in competizione al fine di aumentare la probabilità di
risposte ottimali.
CAPITOLO 7
CONTROLLO DELL’ ATTIVAZIONE
Atleti e allenatori affermano che per affrontare adeguatamente una
prestazione sportiva sia necessario incrementare il livello di attivazione
dell’organismo, per ottenere soprattutto in gara, la “carica” indispensabile
per rendere al massimo.
L’attivazione psicofisiologica (arousal)
viene considerata come una
funzione che permette l’accesso alle risorse energetiche dell’organismo per
prepararlo in maniera ottimale all’azione.
In generale, durante un’azione sportiva,
è necessario un livello di
attivazione superiore a quello del normale stato di riposo, ma non
eccessivamente alto. Le prime riflessioni teoriche riguardanti l’arousal
erano centrate sull’idea di “mobilitazione di energia”, durante situazioni
particolarmente stressanti o fortemente emotive, per difendere l’organismo
attraverso la lotta o la fuga (la cosiddetta sindrome “fight or flight”). La
massiccia reazione del sistema nervoso autonomo al pericolo percepito,
che originariamente generava risposte per la sopravvivenza, può ancora
risultare utile in situazioni di rischio o di emergenza. Ciò, però, non accade
normalmente nel contesto sportivo: anche se la reazione di intensa
attivazione è talvolta efficace in particolari momenti della gara, l’atleta ha
normalmente bisogno di mantenere il controllo dell’arousal e delle proprie
risposte. L’autoregolazione è appunto la capacità del soggetto di modulare
in modo adeguato il livello di attivazione necessario per eseguire con
successo una qualsiasi prestazione motoria e sportiva.
Come ci si allena per incrementare le risorse energetiche dell’organismo,
così ci si può allenare per migliorare le disponibilità mentali. L’energia
fisica influenza quella psichica e viceversa: ad uno stato psicofisico
ottimale corrisponderà un’elevata energia psichica (un atleta in forma
sente meno non solo la fatica fisica, ma anche quella mentale). Va
ricercato, dunque, il massimo incremento di questo fattore per il
conseguimento degli obiettivi della prestazione.
Il concetto di arousal va distinto da quello di ansia, anche se queste due
dimensioni indipendenti interagiscono tra loro. L’ansia può essere
considerata una dimensione cognitiva dello stato di attivazione: definisce
la sensazione soggettiva di tensione e di apprensione che si accompagna ad
un elevato arousal, con riferimento ad uno stato emotivo negativo.
Particolari richieste situazionali percepite come eccessive e pericolose
determinano reazioni emozionali negative, che si accompagnano o
associano facilmente all’attivazione del sistema nervoso autonomo.
L’ansia è considerata un costrutto multidimensionale con componenti
cognitive (preoccupazioni, pensieri ed immagini spiacevoli, distrazioni
attentive, ecc. ) e/o somatiche (collegate direttamente all’attivazione
fisiologica).
Arousal e prestazione
Dal punto di vista operativo è molto importante identificare il livello di
arousal ottimale richiesto per il massimo rendimento. Per comprendere la
relazione arousal-prestazione sono state inizialmente proposte due teorie,
la drive theory e la inverted-U theory.
Drive theory.
Questa teoria sostiene che la prestazione è prodotto dell’abitudine, intesa
come rapporto di dominanza fra risposte corrette e scorrette, e
dell’impulso.Nella teoria originale era suggerita una relazione lineare
positiva fra arousal e prestazione, prevedendo ad ogni incremento
dell’arousal un miglioramento proporzionale della prestazione. La teoria
modificata, invece, assume che l’arousal aumenti la probabilità di
comparsa della risposta dominante, indipendentemente dal fatto che essa
sia adeguata o meno:se essa è corretta come in genere si realizza in
compiti motori semplici o negli ultimi stadi di acquisizione di una abilità,
allora l’innalzamento dell’arousal migliora la prestazione in maniera
lineare; se però la risposta dominante è scorretta, come talvolta accade
nell’esecuzione di abilità complesse o durante le prime fasi di
apprendimento, l’incremento si rivela invece dannoso per la prestazione.
In
quest’ottica,
l’esecuzione
di
pertanto,
abilità
un
ben
aumento
dell’arousal
padroneggiate,
ma
faciliterebbe
danneggerebbe
l’apprendimento, l’applicazione di nuove abilità e strategie, l’esecuzione di
compiti complessi.
Inverted-U theory.
Questa
teoria
offre,
secondo
diversi
autori,
una
spiegazione
maggiormente plausibile per descrivere la relazione fra arousal e
prestazione. Essa postula che in compiti motori complessi l’arousal vada
mantenuto ad un livello ragionevolmente basso, mentre per attività più
facili possa essere maggiore. All’aumentare dell’arousal vi è un
progressivo incremento nella prestazione sino ad un punto ottimale, oltre il
quale ulteriori aumenti producono un graduale scadimento della
prestazione. L’esecuzione migliore si realizzerebbe, pertanto, ad un livello
intermedio di arousal. Quando si devono effettuare compiti di
coordinazione fine e abilità complesse o quando si imparano nuove abilità,
i livelli di arousal dovrebbero essere mantenuti relativamente bassi. Per
stabilire il grado ottimale di attivazione vanno esaminate le caratteristiche
sia del compito che dell’individuo. In generale, attività complesse
necessitano livelli di attivazione relativamente bassi; attività semplici,
viceversa, non sono ostacolate da livelli più elevati.
Ad ogni attività corrisponde un arousal ottimale per una prestazione
elevata.
Negli sport di situazione vi è l’esigenza di variare il grado di arousal,
talvolta in maniera repentina, in conformità ai cambiamenti situazionali.
Per quanto riguarda le relazioni con i processi attentivi, l’aumento
dell’arousal, determina un restringimento del focus dell’attenzione. Ad un
livello basso corrisponde una percezione ampia e poco selettiva, rispetto
agli stimoli; ad un arousal maggiore, entro la gamma di attivazione
ottimale,la selettività percettiva sugli indizi importanti aumenta, a
vantaggio della prestazione, parallelamente all’esclusione degli stimoli
irrilevanti; andando oltre una certa soglia si ha un ulteriore restringimento
percettivo con l’esclusione sia di stimoli importanti che irrilevanti, e la
prestazione diminuisce in accordo con quanto ipotizzato dalla teoria della
U-inversa.
Il restringimento dell’attenzione,è certamente dannoso negli sport di
situazione, quando è fondamentale un’ampia analisi percettiva per
decidere e reagire in modo rapido ed efficace. Ad un livello di arousal
eccessivo
aumenta
anche
la
distraibilità:
l’attenzione
“salta”
sporadicamente da uno stimolo all’altro, si rivolge a diverse sorgenti
rendendo impossibile la discriminazione dei segnali importanti e produce
così facilmente uno stato di confusione.
Lo stato ottimale di arousal dipende, inoltre, dalle caratteristiche
individuali. Va considerato il grado di abilità del soggetto, poiché per uno
stesso compito il livello ottimale di arousal dei principianti è inferiore a
quello degli esperti; è anche per tale ragione che questi ultimi tendono ad
esprimersi meglio in gara, dove il livello di attivazione è generalmente
elevato, rispetto ai principianti.
Le persone differiscono non solo per qualità e quantità di esperienze
specifiche, ma anche per fattori di personalità che determinano il livello di
ansia. Di conseguenza, se un atleta prima di una gara è già in una
condizione di elevata tensione emotiva, con intensa attivazione, anche un
moderato aumento dell’arousal risulta eccessivo; se, viceversa, l’atleta è
più tranquillo, sarà in grado di tollerare un più alto livello di arousal senza
ricadute negative sulla prestazione. In generale, un moderato incremento
dell’ansia di stato prima della gara, che innalzi l’arousal ad un punto
ottimale, agevola la prestazione.
Teoria della catastrofe.
Anche questa teoria postula che incrementi dell’ansia di stato, e quindi
dell’arousal che ad essa si accompagna,, facilitino la prestazione fino ad un
punto ottimale. Rispetto a quanto avviene oltre a questo punto, mentre la
teoria della U-inversa ipotizza un decremento della prestazione curvilineo
e simmetrico, la teoria della catastrofe afferma invece che ciò che si
verifica è un ampio e drammatico deterioramento della performance
difficile per l’atleta da recuperare. L’aspetto innovativo di questa teoria è
che essa pone in relazione ansia cognitiva, arousal fisiologico (collegabile
almeno in parte all’ansia somatica) e prestazione in un rapporto
tridimensionale. Gli effetti dell’arousal fisiologico sulla prestazione
sarebbero mediati dall’ansia cognitiva: le conseguenze “ catastrofiche” si
manifesterebbero ad elevati livelli di arousal combinati ad elevata ansia
cognitiva.
Reversal theory.
La concezione di base di questa teoria è che la relazione fra arousal e
stati emotivi dipenda dall’interpretazione cognitiva che un soggetto dà del
proprio stato di attivazione. Elevata attivazione può essere interpretata
come eccitazione piacevole oppure come ansia, mentre bassa attivazione
può essere vissuta come rilassamento o noia.
Kerr individua quattro stati derivanti dalla relazione tra le due
dimensioni indipendenti stress e arousal: ansia, eccitazione, noia e
rilassamento.
Da questa prospettiva deriva che lo stato di attivazione è vissuto come
piacevole o spiacevole in base all’interpretazione soggettiva. Lo stato
psicofisico più gratificante e vantaggioso è ovviamente associato
all’assenza di stress, o comunque ad un livello minimo, ed ad un elevato
livello di arouasl.
Nel quadro teorico della reversal theory emergono, dal punto di vista
applicativo, quattro possibili strategie per modificare l’arousal negativo:
1) diminuzione dell’attivazione intensa vissuta come spiacevole
(ad esempio, con tecniche di rilassamento);
2) reinterpretazione dello stato di arousal elevato (da ansia ad
eccitazione, modificando i pensieri );
3) incremento della scarsa attivazione percepita come sgradevole (
ad esempio, attraverso tecniche respiratorie e movimenti rapidi);
4) reinterpretazione dell’arousal basso ( da noia a rilassamento).
La scelta dell’approccio adeguato va ovviamente effettuata dopo aver
identificato le condizioni psicofisiche che consentono all’atleta di
conseguire i massimi risultati.
E’ più utile aiutare l’atleta a modificare le sue percezioni cognitive
piuttosto che diminuire l’attivazione attraverso tecniche di rilassamento. Il
cambiamento interpretativo che ne deriva non solo fa sentire meglio
l’atleta, ma consente di mantenere un livello di arousal ottimale. Se elevato
arousal vissuto come ansia può essere reinterpretato come eccitazione
piacevole, uno stato di bassa attivazione vissuto come noia può essere
trasformato in rilassamento gradevole; in entrambi i casi, sensazioni
negative associate ad uno specifico stato di attivazione sono trasformate in
vissuti positivi. Differenze di personalità individuali sono pure importanti:
alcuni soggetti tendono di solito ad evitare alti livelli di arousal poiché
associati a sensazioni spiacevoli di ansia, mentre altri percepiscono
l’intensa attivazione come eccitante.
Procedure di autoregolazione
Per l’atleta è importante conoscere il proprio livello di arousal associato
al rendimento ottimale e le sue fluttuazioni durante la prestazione. Questo
si consegue con l’esperienza, le esercitazioni, l’identificazione di
percezioni, emozioni e comportamenti associati alla prestazione ideale. E’
interessante confrontare le risposte soggettive in gara con quelle in
situazioni non competitive e meno cariche dal punto di vista emotivo.
L’atleta deve imparare a mantenere il controllo dei fattori cognitivi
tendenzialmente
fluttuanti,
quale
la
presa
di
informazioni,
la
concentrazione, l’elaborazione degli stimoli rilevanti, la risoluzione dei
problemi tecnici e tattici, il controllo dei pensieri. I segnali di elevato
arousal associato ad ansia si riscontrano a diversi livelli: cognitivo,
affettivo e comportamentale. Dal punto di vista cognitivo possono
comparire, soprattutto in prossimità della gara, segni di diminuzione delle
capacità attentive, tendenza alla distrazione e dubbi sulle capacità
personali; sotto il profilo fisiologico si notano segni di reattività
emozionale (volto arrossato, palme sudate, pupille dilatate, ecc. ), mentre a
livello comportamentale si ha un decadimento della prestazione.
E’ quindi importante che l’atleta sviluppi le abilità e le strategie
necessarie per regolare le proprie reazioni psicofisiologiche.
Il primo passo è riconoscere il grado soggettivo di attivazione ottimale
associato alla massima prestazione.
Varie procedure di regolazione dell’arousal vengono apprese in uno
stato di distensione psicofisica. Tecniche di rilassamento si rivelano utili
per prendere coscienza della tensione muscolare a riposo e in attività, a
tutto vantaggio della prestazione; infatti, maggiore è la tensione muscolare
non controllata e più difficile diventa l’esecuzione motoria coordinata.
Nell’apprendere a decontrarre la muscolatura gli atleti sviluppano una
maggiore sensibilità verso le loro sensazioni e risposte corporee. Va
ricordato, inoltre, come le tecniche di rilassamento siano impiegate
diffusamente dagli psicologi dello sport anche per facilitare il
conseguimento
degli
altri
obiettivi
della
prestazione
mentale
(miglioramento della concentrazione, sviluppo delle abilità immaginative,
incremento della fiducia nelle capacità personali, ecc. ). Le tecniche di
rilassamento dovrebbero essere apprese in un ambiente quieto, caldo e
accogliente, seduti o distesi in una posizione confortevole che possa essere
mantenuta per un tempo sufficientemente
lungo da consentire lo
svolgimento indisturbato delle esercitazioni. Nella posizione seduta il
busto va mantenuto eretto, il dorso contro lo schienale, le gambe e le
braccia non incrociate, le mani adagiate confortevolmente sulle cosce ed i
piedi in appoggio piatto sul pavimento. In posizione supina, capo, collo e
busto vanno mantenuti allineati, le gambe tese e leggermente scostate, le
braccia disposte naturalmente lungo i fianchi. Dopo una prima fase di
apprendimento in situazioni “protette”, il rilassamento va indotto in
presenza di disturbi esterni e in situazioni anche stressanti. L’atleta deve
gradualmente imparare ad avviare risposte di distensione in qualsiasi
ambiente e circostanza; il rilassamento è anche utilizzabile in alcune fasi
particolari della prestazione, quando l’atleta ha bisogno di “disattivarsi”
momentaneamente, ritrovare la concentrazione ed eliminare aree di
tensione muscolare.
In generale, le tecniche di rilassamento sono suddivise in due categorie
fondate entrambe sulla stretta interazione psicobiologica mente-corpo:
1) tecniche muscle-to-mind, che partono dal corpo per l’avvio e
l’approfondimento di uno stato psicofisico di rilassamento. Un
esempio classico è il rilassamento progressivo di Jacobson;
2) tecniche mind-to-muscle, che prevedono un approccio mentale
e cognitivo. La meditazione, il training autogeno e le sue tecniche
immaginative in genere sono esempi di questo tipo di approccio.
Va sottolineato che nessuna singola strategia di autoregolazione da sola
possa essere efficace per tutti. Per questo motivo è importante utilizzare
diverse tecniche, incoraggiando nell’atleta l’identificazione e la pratica
flessibile delle procedure che per lui sono più vantaggiose. Se poi nel
tempo alcune strategie perdono la loro efficacia debbono essere
prontamente ristrutturate o rimpiazzate da altre elaborate a misura.
Strategie di autoregolazione muscle-to-mind
Attraverso
le
tecniche
muscle-to-mind
si
ricerca
l’avvio
e
l’approfondimento di uno stato di rilassamento partendo da sensazioni
corporee.Gli atleti, in genere, affrontano favorevolmente procedure di
questo tipo, probabilmente per l’abitudine a lavorare attivamente con il
proprio corpo.
Esercizi respiratori.
L’esecuzione di semplici atti respiratori lenti, completi e profondi di
solito determina di per sé una risposta di rilassamento ed è alla base di
molteplici
altre
esercitazioni.
Nell’inspirazione
diaframmatica,
il
diaframma si muove lentamente verso il basso, spingendo l’addome in
fuori e creando in tal modo una differenza pressatoria che facilita l’entrata
dell’aria nei polmoni. Un atto inspiratorio completo è eseguito
concentrandosi sul riempimento della parte inferiore dei polmoni, poi della
porzione mediale espandendo gradualmente il torace, ed infine delle zona
superiore innalzando lentamente petto e spalle; i tre stadi dovrebbero
essere eseguiti in maniera continua e fluida. Il respiro va trattenuto per
alcuni secondi e nell’inspirazione successiva si ripercorrono le tappe
precedenti svuotando i polmoni. Nell’espirazione
lenta e completa il
rilassamento è favorito prestando attenzione al gioco di tensionedistensione muscolare dell’addome e del torace. La respirazione
controllata è utile anche per il recupero delle energie nei momenti di
disimpegno dall’attività motoria e di pausa.
Un altro esercizio respiratorio, finalizzato al rilassamento, prevede
l’esecuzione di inspirazioni-espirazioni in rapporto 1 a 2; ci si aiuta
contando mentalmente 4 tempi di inspirazione ed 8 di
espirazione.
Espedienti per facilitare la consapevolezza dell’atto respiratorio consistono
nel vocalizzare o sospirare durante l’espirazione e focalizzare l’attenzione
sul ritmo del respiro.
Se una dinamica respiratoria lenta e profonda avvia il rilassamento, una
respirazione deliberatamente accelerata tende ad incrementare il livello di
attivazione. Un aumento dell’arousal si ottiene anche aumentando
l’intensità dell’attività motoria, che a sua volta determina un incremento
del ritmo respiratorio.
Esercizi di rilassamento progressivo.
La procedura classica sviluppata da Jacobson si basa sulla premessa
che rilassamento e tensione (questa derivante dall’ansia) siano due stati
contrapposti che non possono coesistere contemporaneamente. La tecnica
consiste nella contrazione sistematica e gradualmente più intensa di
specifici gruppi muscolari, mantenuti in tensione isometrica per alcuni
secondi
prima
di
essere
rilasciati.
Le
contrazioni
coinvolgono
progressivamente ed in maniera analitica tutti i settori muscolari: braccia ,
gambe, busto, collo, capo. Con l’allenamento la procedura viene
notevolmente abbreviata considerando solo i principali gruppi muscolari.
Attraverso
la
contrazione
volontaria
si
otttiene
una
maggiore
consapevolezza e sensibilità agli stati tensivi; dopo la tensione la fase
seguente di rilassamento è vissuta, per contrasto con maggiore intensità. Il
gioco di tensione / rilassamento tende a focalizzare l’attenzione verso
l’attività muscolare, contribuendo a sviluppare le capacità di contrazione.
Con l’allenamento, alle sensazioni di rilassamento si accompagnano
spesso percezioni di pesantezza e calore, favorite dalla distensione
muscolare e dal flusso più libero del sangue. Per migliorare il rilassamento
è utile l’aggancio a segnali stimolo costituiti da parole (come “calma” ) o
persino da colori immaginati (blu o verde) associati all’atto espiratorio. Un
corretto atteggiamento mentale è lasciare che tutto accada senza alcun
sforzo, che, viceversa, tenderebbe a produrre tensione.
Strategie di autoregolazione mind-to-muscle
Le strategie di rilassamento mind-to-muscle richiedono un’attività
mentale capace di avviare risposte psicobiologiche di rilassamento.
Meditazione.
Tali tipi di meditazione, derivati in genere da antiche pratiche orientali
(meditazione Zen, Hata Yoga), richiedono perlomeno quattro componenti
comuni: ambiente tranquillo, posizione confortevole, un “dispositivo
mentale” ed un atteggiamento passivo. Il dispositivo mentale è costituito
dalla ripetizione di una mantra (suono ritmico di una o due sillabe) o dalla
fissazione dello sguardo di un oggetto; focalizzando così l’attenzione è
favorito il passaggio da un orientamento esterno, sugli stimoli ambientali,
ad uno interno, relativo al proprio corpo.
Visualizzazioni.
Le visualizzazioni sono di solito introdotte dopo che è stato avviato il
rilassamento; si possono impiegare immagini di ambienti naturali e scene
distensive, come l’essere stesi in spiaggia sentendo il calore del sole e il
ritmico flusso delle onde, o il passeggiare in mezzo al verde in una
giornata primaverile. Le immagini utilizzate devono essere gradite al
soggetto e capaci di determinare sicure reazioni di rilassamento.
Per ottenere uno stato di attivazione ottimale prima della prestazione è
invece utile rievocare esperienze sportive positive, individuando
dettagliatamente comportamenti, emozioni, atteggiamenti e tutto ciò che
ha contribuito a determinare un arousal adeguato.
Anche l’energia che origina da sentimenti di rabbia, aggressività,
frustrazione, ed in genere da tutte le forti emozioni che
tendono ad
interferire con la prestazione, andrebbe convertita in una forza utile da
impiegare per migliorare il rendimento sportivo.
Rilassamento passivo.
Al contrario di quello attivo, nel rilassamento passivo non si richiede
alcuna tensione muscolare, ma la graduale concentrazione sui vari distretti
corporei da rilassare. Durante il rilassamento è utile soffermarsi
maggiormente sui gruppi muscolari nei quali si avverte un livello elevato
di tensione; quando la contrazione diminuisce o scompare si prosegue con
i restanti distretti corporei. Aree comunemente sede di tensione, soprattutto
in atleti ansiosi, sono quelle del collo e delle spalle.
Training Autogeno.
Il training autogeno di Schultz è un metodo di autodistensione da
concentrazione psichica per finalità psicoterapeutiche. Consiste in una
serie di esercitazioni strutturate, autosuggestioni, al fine di controllare
alcuni importanti processi psiofisilogici e sviluppare una serie di
sensazioni partendo da quelle di calma, pesantezza e calore.
L’attenzione, passiva e senza sforzo, è diretta alla produzione spontanea
di cambiamenti nel tono muscolare, nelle funzioni cardiovascolari
e
respiratorie, nell’equilibrio neurovegetativo e nello stato di coscienza. Un
vantaggio del TA è che esso tende a responsabilizzare il soggetto,
enfatizzando la necessità dell’impegno sistematico personale per
conseguire risultati; un operatore esterno è tuttavia necessario nelle prime
fasi di apprendimento della tecnica.
Il TA prevede 6 tappe consequenziali di allenamento (ciclo inferiore),
caratterizzate dallo sviluppo di sensazioni e manifestazioni corporee,
ognuna delle quali prepara la successiva:
1) pesantezza
2) calore
3) percezione e regolazione del ritmo cardiaco
4) regolazione del respiro
5) sviluppo di calore del plesso solare
6) sviluppo di freschezza alla fronte.
Ogni esercizio deve essere ben acquisito fino ad ottenere facilmente i
risultati desiderati; solo allora si passa all’esercizio successivo.
A livello sportivo, quando gli esercizi standard del ciclo inferiore sono
stati acquisiti, ed il soggetto è in grado di produrre i relativi fenomeni
agevolmente ed in breve tempo, sono introdotte immagini specifiche
rivolte agli obiettivi della preparazione mentale, inclusa la regolazione
dell’arousal. Una volta appresa la tecnica di base essa viene applicata in
situazioni di allenamento e di gara.
CAPITOLO 8
LE ABILITA’ IMMAGINATIVE
Molti atleti utilizzano le immagini mentali come aiuto per la prestazione
sportiva, riscontrando spesso che i loro risultati migliori si verificano
quando
l’azione
reale
coincide
esattamente
con
la
relativa
rappresentazione.
Gli atleti utilizzano spesso e spontaneamente attività immaginative per
anticipare, rivedere, correggere la prestazione e per prepararsi al meglio
alla gara.
Prima di una gara, l’atleta può raffigurarsi le difficoltà, le caratteristiche
e le richieste del compito, ripetendo mentalmente tutte le fasi dell’azione;
se poi la durata della prestazione, come nel tennis, è sufficientemente
lunga, può concentrarsi su di uno stimolo specifico e ripensare ad una
strategia anche durante l’esecuzione stessa. Al termine dell’azione, infine,
le varie fasi del gesto possono essere vissute mentalmente, rilevando
eventuali errori da correggere oppure ripetendo l’esecuzione esatta per
rafforzarla in memoria a lungo termine.
Ipotesi teoriche
Rassegne estensive sugli effetti della pratica mentale sono state
effettuate nel corso degli anni da vari autori. E’ stato riscontrato che la
pratica mentale produce spesso, ma non sempre, un effetto benefico sulla
prestazione.
La maggior parte degli studi sperimentali è stata fatta confrontando,
prima e dopo il trattamento, gruppi di soggetti sottoposti alle seguenti
procedure:
1) solo pratica motoria
2) solo pratica mentale
3) combinazione di pratica motoria e mentale
4) assenza di qualsiasi forma di esercitazione sul compito.
In genere si è visto che la pratica fisica determina incrementi superiori
della prestazione rispetto alla sola pratica immaginativa, e che quest’ultima
a sua volta conduce a risultati migliori rispetto all’assenza di pratica.
La pratica mentale risulta maggiormente efficace se combinata ( o
alternata ) con la pratica fisica; non sostituisce l’esercitazione concreta,
poiché viene a mancare il feedback indispensabile per identificare e
correggere in modo preciso gli errori, ma si combina ad essa validamente.
Va certamente sottolineato un duplice ruolo cognitivo e motivazionale
che l’immaginazione svolge nell’influenzare il comportamento. Dal punto
di vista cognitivo l’imagery agisce sia su strategie di comportamento
generali, sia su risposte specifiche; contribuisce a sviluppare la capacità di
focalizzare l’attenzione su stimoli rilevanti della prestazione, prevenendo
l’azione
disturbante
di
pensieri
o
altri
stimoli
distraenti.
L’immaginazione,in quest’ottica ,comprende la rappresentazione degli
obiettivi e dei comportamenti per raggiungerli, con le relative conseguenze
ed esperienze emozionali associate. Ciò determina un aumento della
sensazione di controllo sulla situazione e di fiducia nelle capacità
personali, interpretabili con riferimento alla self-efficacy: attraverso le
immagini sono innalzate le aspettative di successo, che a loro volta
tendono ad aumentare le probabilità reali di ottenere esiti positivi.
Nell’applicare tecniche immaginative è però importante agire con una
certa cautela, poiché alcuni risultati dimostrano che quello che i soggetti
immaginano talvolta influenza la prestazione anche in senso negativo.
Alcuni autori ipotizzano che le richieste immaginative portino a rivolgere
l’attenzione sui processi motori, e che l’attenzione consapevole ad aspetti
della prestazione possa ostacolare il flusso di operazioni automatiche, al di
fuori
del controllo cosciente, necessarie per l’esecuzione di attività
motorie fini. La ripetizione immaginativa, inoltre, potrebbe causare un calo
di attenzione per gli stimoli rilevanti del compito. L’immaginazione,
quindi, può agire negativamente sulla prestazione in due modi:
ostacolando i processi automatici di controllo dei movimenti e facendo
dirigere l’attenzione verso stimoli non importanti.
Nello spiegare gli effetti positivi del mental imagery in ambito sportivo
sono state avanzate alcune ipotesi, fra le quali le più accreditate sono la
teoria psiconeuromuscolare e la teoria dell’apprendimento simbolico.
Teoria psiconeuromuscolare.
Essa deriva dalla constatazione che durante il movimento immaginato si
verifichino deboli pattern efferenti neuromuscolari simili a quelli generati
durante l’azione. Attività motorie immaginate vividamente producono
impercettibili stimolazioni nervose ai muscoli coinvolti nell’attività ed
altre risposte viscerali, ad esempio a livello cardiocircolatorio e
respiratorio, simili a quelli dell’esecuzione reale. Questi minuscoli impulsi
consoliderebbero la traccia di memoria del movimento determinando un
transfert positivo alle situazioni pratiche. Perciò sembra che compiere
realmente il movimento o solo immaginarlo determini l’attivazione degli
stessi sentieri nervosi che portano il messaggio alla muscolatura.
Migliore è la rappresentazione mentale, più attivato sarà il programma
motorio corrispondente e quindi più faticoso sembrerà il compito simulato
(con livelli di fatica probabilmente simili al compito reale). Il sistema
sensomotorio, specializzato nella generazione di impulsi motori,sarebbe
stimolato da attività immaginative e la rappresentazione mentale
conterrebbe una stima dello sforzo e dell’energia necessari per raggiungere
l’obiettivo.
Teoria dell’apprendimento simbolico.
Secondo questa teoria, alternativa alla precedente,la funzione principale
della pratica mentale è di rafforzare gli aspetti simbolici e/o cognitivi del
movimento. L’immaginazione agisce come un sistema di codifica per
comprendere e acquisire i pattern di movimento; aiuta il soggetto ad
esaminare e capire meglio la propria prestazione, ed a modificarla
appropriatamente quando necessario. Possono essere ripetuti mentalmente
gli aspetti sequenziali del compito, considerate le caratteristiche spaziali
dell’abilità, chiariti gli obiettivi, identificati potenziali problemi e
pianificate procedure efficaci di esecuzione. L’attività viene così preparata,
compresa, codificata, programmata e quindi svolta in modo sempre più
familiare e automatico.
La sua efficacia sarebbe in funzione di quantità e importanza delle
componenti cognitive presenti: nel continuum cognitivo-motorio le attività
che
si
collocano
verso
l’estremità
cognitiva
beneficherebbero
maggiormente della pratica mentale rispetto ad attività prevalentemente
motorie.
A livello sportivo elevate richieste cognitive si ritrovano in molteplici
circostanze (risoluzione di problemi, scelta di strategie, tattiche di gara).
Ad esempio, è probabile che gli atleti si anticipino mentalmente tutta una
serie di situazioni che potrebbero accadere in partita, e per ognuna
cerchino di trovare adeguate soluzioni; su queste abilità è dunque
opportuno un allenamento mentale sistematico.
Anche le ricerche sugli effetti del transfert bilaterale forniscono sostegno
alla teoria dell’apprendimento simbolico. In un compito da eseguire con la
mano sinistra, i soggetti che si erano esercitati mentalmente con la mano
destra operavano allo stesso modo, o anche meglio, di chi si era esercitato
fisicamente. Questo sembra indicare che responsabili degli effetti positivi
della pratica mentale siano meccanismi nervosi centrali (cognitivi),
piuttosto che meccanismi nervosi periferici (quale il feedback cinestesico
del movimento immaginato). Attività motorie e sportive prevalentemente
cognitive sarebbero apprese più rapidamente, attraverso la pratica mentale,
rispetto ad attività a carattere motorio-condizionale.
Gli elementi cognitivi del compito vengono acquisiti (oltre che mediante
l’esercitazione pratica) anche attraverso istruzioni fornite dall’esterno e
apprendimento osservativi (modeling). I risultati degli studi sul modeling
sono in linea con l’ipotesi dell’apprendimento simbolico ed in quest’ottica
il mental rehearsal potrebbe essere interpretato come un “modelig-covert”,
ovvero come una ripetizione mentale di comportamenti derivanti
dall’osservazione di altre persone. Più accurata è la rappresentazione
cognitiva delle caratteristiche dell’azione da imitare e migliore è la
riproduzione susseguente.
Teoria bioinformazionale.
Accanto
alle
teorie
psiconeuromuscolare
e
dell’apprendimento
simbolico, vengono considerate di rilievo altre teorie, derivanti dall’ambito
clinico e descritte come integrative in quanto al loro interno sono aggregati
risultati di studi che seguono diverse metodologie di ricerca. Una di esse è
la teoria
bioinformazionale. Questa suggerisce che le emozioni, e le
relative immagini mentali, coinvolgano una rete di strutture definite
preposizionali, codificate e immaginate in memoria a lungo termine,
contenenti informazioni sulle caratteristiche stimolo della situazione
immaginata e sulle risposte fisiologiche e comportamentali.
IL Visual behavior rehearsal (VMBR), programma di preparazione
mentale sviluppato da Suinn indipendentemente dal modello precedente, si
fonda anch’esso su un processo immaginativo olistico, che considera
un’integrazione totale dell’esperienza includendo sensazioni visive,
uditive, tattili, cinestesiche ed emozionali.
Triple-Code Model: ISM.
Un secondo modello integrativo, che pure riconosce l’importanza
fondamentale dei fattori fisiologici nei processi immaginativi, è stato
proposto da Ahsen. Acconto agli stimoli e alle risposte è considerato un
ulteriore importante elemento: il significato personale che le immagini
rivestono per l’individuo. Ogni immagine ha infatti un significato
soggettivo particolare e ciascuno proietta le sue esperienze all’interno del
processo immaginativo, cosicché le medesime istruzioni non produrranno
mai vissuti identici in soggetti diversi. Le immagini emozionali sono in
grado sia di migliorare che di peggiorare la prestazione: il loro impatto è in
funzione anche di reazioni determinate da caratteristiche di personalità
individuali. Per un proficuo lavoro con le immagini bisogna allora
considerare attentamente il significato che queste presentano per il singolo.
L’imagery differisce fortemente per ogni persona, potendo sia innalzare
che degradare la prestazione: un’immagine che produce effetti positivi per
un soggetto può non avere nessun effetto per un altro o addirittura essere
nociva. Nell’impiegare le tecniche immaginative, quindi, è importante
considerare i significati che le immagini acquisiscono individualmente e le
emozioni che ne derivano.
Allenamento all’imagery
Sono state individuate alcune specifiche condizioni che facilitano
l’allenamento all’imagery e rendono possibile un buon uso
delle
visualizzazioni nello sport. Esse sono la vividezza e controllabilità delle
immagini, correttezza delle immagini tecniche, allenamento sistematico,
atteggiamento ed aspettative, esperienza precedente sul compito,
attenzione ricettiva, direzione dell’immaginazione. Nello strutturare
programmi di allenamento mentale bisognerà considerare tali variabili,
assieme ad altre, quali età, capacità intellettive, personalità, motivazioni,
che coagiscono nello sviluppo delle abilità immaginative.
Vividezza e controllabilità delle immagini.
La vividezza è un
aspetto fenomenologico
delle immagini, una
caratteristica che rende possibile la loro ispezione consapevole. La
capacità di generare immagini chiare può essere considerata un
prerequisito per utilizzarle al meglio, per controllarle consapevolmente,
mantenerle stabili e trasformarle a piacere. Il coinvolgimento dei vari
canali sensoriali ed una certa pratica fisica sul compito contribuiscono a
rendere le immagini più vivide e dettagliate, attivando anche le relative
emozioni. La capacità di formare immagini dipende , fra gli altri fattori,
anche dall’abilità soggettiva e dall’esperienza specifica precedente.
Un requisito importante perché le immagini risultino efficaci è la loro
polisensorialità. Esse devono coinvolgere tutti i sensi per creare o ricreare
nella mente un’esperienza quanto più ricca possibile; non solo sensazioni
visive, ma anche cinestesiche, tattili,uditive, vestibolari. Se a livello
percettivo la similarità qualitativa delle immagini all’esperienza reale è
elevata, per la mente può risultare difficile distinguere fra realtà percepita e
realtà rappresentata. Immagini motorie realistiche, specifiche e precise
forniscono sensazioni che possiedono elementi percettivi comuni alle
esperienze di movimento; quanto immaginato vieni allora trasferito più
facilmente
alla
situazione
concreta
(principio
della
specificità
dell’apprendimento).
Le visualizzazioni devono comprendere, inoltre le caratteristiche
emozionali delle situazioni, poiché sono proprio tali aspetti che aiutano a
controllare stati emotivi, quali ansia, paura, rabbia, che influenzano, a
volte in modo determinante, la prestazione.
Martens consiglia, come primo passo per rendere le immagini più
vivide, di prendere coscienza delle emozioni e delle diverse sensazioni
percettive derivanti dai vari organi sensoriali durante l’esperienza motoria
e sportiva. Più l’atleta sente, vede percepisce e si rende conto delle sue
emozioni, tanto più sarà in grado di crearsi immagini vivide di queste
esperienze. Deve, inoltre, acquisire la capacità di controllare le immagini,
in funzione delle esigenze e delle richieste del compito. In contrario con i
sogni, l’attività immaginativa può essere sottoposta a controllo volontario.
Immagini non controllate, viceversa, tendono a distrarre la persona dal
compito o ad introdurre errori esecutivi. Il visualizzare un evento di
successo tende a determinare l’attesa di una prestazione simile, creando
condizioni favorevoli al suo verificarsi.
Correttezza delle immagini tecniche.
Nella pratica mentale bisogna porre attenzione alla correttezza delle
immagini, in quanto se sono rappresentati risposte sbagliate o esiti negativi
del movimento la prestazione scade.Esercitazioni reali e immaginative
hanno effetti simili sia positivi facilitanti l’acquisizione di abilità motorie,
sia negativi, di ostacolo all’apprendimento. Soggetti esperti hanno una
rappresentazione mentale precisa del movimento, realizzando un’elevata
corrispondenza fra immagine e attività reale nei parametri motori.
Per aiutare un soggetto a formare immagini appropriate possono essere
fornite istruzioni verbali dettagliate, adattate alle capacità di comprensione
individuali,
e
modelli
fotografie,filmati grafici).
Allenamento sistematico.
esecutivi
tramite
osservazione
diretta
(
Ogni persona possiede la capacità di utilizzare l’immaginazione, ma
come vanno costantemente allenate le abilità motorie, così anche le abilità
ad usare le immagini richiedono una pratica sistematica.
Ripetizioni mentali brevi, frequenti e svolte sistematicamente, inoltre,
sembrano più efficaci rispetto a visualizzazioni lunghe e saltuarie.
Atteggiamento ed aspettative.
L’imagery produce i risultati migliori se l’atleta è motivato e crede
profondamente in quanto sta facendo (come per lo sviluppo di tutte le altre
capacità di prestazione!) e se si considera capace di utilizzare
adeguatamente le immagini; il potere dell’imagery, viceversa,
viene
sostanzialmente perduto se non si crede alla sua efficacia. E’ importante
accordare all’imagery il giusto valore chiarendo che essa, come ogni altra
procedura di mental training, non può sostituirsi alla preparazione fisica e
tecnica, ma va a questa integrata sviluppandola gradualmente e
sistematicamente. Vi è generale accordo sul fatto che l’imagery da sola sia
preferibile all’assenza di pratica, ma che comunque, a parità di tempi di
esercitazione, non sia così efficace quanto l’allenamento concreto. Alla
pratica mentale viene a mancare il feedback dell’azione necessario per
rilevare e correggere gli errori eseguiti. La combinazione pratica e fisica
garantisce i risultati migliori; l’imagery deve essere concepita come
complementare all’allenamento senza sostituirsi ad esso.
Va ricordato che la pratica mentale può essere utilizzata non solo con
obiettivi di apprendimento o perfezionamento tecnico, ma anche con
finalità motivazionali: l’atleta capace che visualizza se stesso sul podio
prima della gara, o che si immagina mentre supera l’avversario, innalza il
suo desiderio di successo e si impegna più assiduamente per conseguirlo.
Esperienza precedente sul compito.
Gli atleti esperti sono maggiormente avvantaggiati dall’allenamento
immaginativo rispetto ai principianti; infatti, avendo già acquisito e
automatizzato abilità ad un livello elevato, possono attraverso l’imagery
allenare fattori diversi del gesto tecnico: la gestione dello stress
competitivo, la modulazione del livello dell’arousal, il miglioramento della
concentrazione, l’allenamento della fiducia nelle proprie possibilità.
Attenzione ricettiva.
Molto spesso prima delle visualizzazioni sono utilizzate procedure di
rilassamento, con l’obiettivo di ottenere uno stato mentale di attenzione
ricettiva proficuo per la creazione di immagini vivide e controllabili.
Martens raccomanda di conseguire, prima dell’allenamento immaginativo,
un buon livello di distensione attraverso il quale diminuire l’attività
dell’emisfero sinistro, sede del pensiero logico-verbale, a favore di un
incremento dell’attività dell’emisfero destro, sede del pensiero per
immagini.
Direzione dell’immaginazione.
Un altro importante aspetto da considerare nella pratica mentale è la
direzione dell’immaginazione; vi è una generale tendenza a considerare la
ripetizione “interna” (il soggetto che si vede eseguire il movimento da una
prospettiva interna, in prima persona) come più efficace rispetto alla
ripetizione “esterna” (il soggetto che si vede come in un filmato). Questa
concezione deriva dall’assunto che attraverso l’immaginazione interna si
attivino sensazioni sia visive che cinestesiche e dalla constatazione che tale
prospettiva si avvicini maggiormente a quella durante l’esecuzione reale.
L’immaginazione esterna, inoltre, potrebbe condurre il soggetto a
focalizzare l’attenzione su aspetti del compito irrilevanti o distraesti.
Imagery e preparazione mentale
Programmi di allenamento mentale fondati sull’utilizzo delle immagini
mirano a diverse finalità.
Apprendimento e perfezionamento di abilità motorie e sportive.
L’atleta esperto può utilizzare le visualizzazioni per esaminare
criticamente tutti gli aspetti della prestazione, scoprire le cause di eventuali
errori e problemi, anticipare possibili soluzioni.
Incremento delle capacità percettive.
L’immaginazione aiuta gli atleti a prestare attenzione agli stimoli
sensoriali importanti della situazione sportiva, ad escludere le informazioni
irrilevanti e, in definitiva, a diventare maggiormente consapevoli di quanto
sta accadendo, per rispondere in maniera sempre più adeguata alle
circostanze.
Elaborazione e ripetizione di strategie di gara.
Possono essere visualizzate situazioni competitive, elaborate ed
analizzate soluzioni di tipo tattico. Ripetere mentalmente le strategie di
gara aiuta a rinforzarle e a consolidarle in memoria, rendendole più
efficacemente e rapidamente disponibili in situazione reale.
Controllo delle risposte fisiologiche.
Attraverso un allenamento immaginativo adeguato vengono regolate
funzioni corporee normalmente involontarie, come il battito cardiaco, la
pressione del sangue e la temperatura della pelle.Il controllo di alcuni di
questi parametri fisiologici serve per modulare lo stato di attivazione prima
e nel corso della prestazione. Il controllo delle risposte fisiologiche
favorisce, inoltre, il recupero di energie e capacità di prestazione dopo
affaticamento fisico.
Allenamento di abilità mentali.
Controllo dell’attenzione, gestione dello stress, modulazione dello stato
di attivazione, goal setting sono esempi di abilità esercitabili con
l’immaginazione. Effetti motivazionali, inoltre, sono ottenuti attraverso
scene di successo, nelle quali l’atleta immagina vividamente se stesso
eseguire in maniera ottimale e conseguire gli obiettivi.
Attraverso l’anticipazione mentale è possibile prepararsi a qualsiasi
evento, anche inatteso o non familiare.
Recupero degli infortuni.
L’immaginazione può essere utilizzata per controllare le sensazioni
dolorose causate da un infortunio, nonché per accelerare i tempi del
recupero e per mantenere le abilità tecnico-motorie fino al momento in cui
si riprende l’attività. Come si è visto, la pratica fisica è sicuramente più
efficace rispetto alla sola pratica immaginativa, ma quest’ultima determina
risultati migliori rispetto all’assenza di pratica. Quando le possibilità di
allenarsi sono limitate, è dunque vantaggioso continuare a farlo almeno a
livello immaginativo.
CAPITOLO 9
LA GESTIONE DELLO STRESS
Il termine stress è generalmente impiegato in riferimento a fattori che
suscitano reazioni soggettive di ansia o tensione; stimoli stressanti
(stressor) producono risposte a livello fisiologico, comportamentale e
cognitivo.
Non è necessariamente l’intensità dello stressor che determina la
reazione,
quanto
piuttosto
la
percezione
personale,
ovvero
l’interpretazione cognitiva degli eventi. Il modo in cui l’atleta percepisce
la situazione e le proprie capacità di affrontare le richieste, accanto
all’anticipazione delle conseguenze (successo o fallimento), influenzano
pesantemente le risposte dell’organismo. Chi nutre fiducia in sé e ritiene di
poter padroneggiare la situazione (elevata self-efficacy) non vive,in
genere, uno stato eccessivo di apprensione, mentre chi pensa di non poter
esercitare un adeguato controllo sugli eventi (bassa self-efficacy)
sperimenta alti livelli di attivazione vissuti come ansia. Per questo ciò che
è molto stressante per una persona può non esserlo per un'altra.
La presenza di un elevato livello di ansia è nociva per la prestazione e
crea vissuti negativi di inadeguatezza e sfiducia nelle capacità personali.
La teoria della self-efficacy postula che per giudicare il proprio stato di
ansia e difficoltà le persone si basino anche sul grado di attivazione
fisiologica, che quando eccessivo può essere interpretato come segnale di
scarsa efficacia. Una certa stabilità emotiva, con un livello relativamente
basso di ansia e tensione, è una caratteristica che in generale
contraddistingue gli atleti di successo. Un livello moderato di ansia può
anche tradursi in un’attivazione psicofisiologica con effetti energizzanti a
volte utili per la prestazione.
In un programma generale di mental training, l’abilità a controllare e
utilizzare in modo vantaggioso gli stimoli stressanti va sviluppata in
sintonia con gli altri aspetti della preparazione,in quanto ad essi collegata.
Lo stress, ad esempio, agisce in modo negativo sull’attenzione, causando
restringimento del focus attentivo e passaggio ad un focus interno rivolto
ai pensieri ed alle sensazioni corporee.
Concetti teorici
Nella psicologia dello sport, inizialmente, i termini di ansia, arousal e
stress furono spesso usati come sinonimi. Negli ultimi anni, però, col
progredire della ricerca si è venuta a delineare anche una maggiore
chiarezza terminologica e concettuale. Una discussione sullo stress e sui
concetti ad esso collegati richiede dunque una definizione dei termini
principali, per consentire un’efficace comprensione del significato dei
diversi fenomeni e delle loro interazioni.
Il
termine
arousal
viene
utilizzato
per
definire
l’attivazione
dell’organismo senza riferimento agli stati emotivi; indica una condizione
“neutrale” che riflette solo l’intensità delle risposte automatiche. Il termine
ansia esprime invece il vissuto soggettivo di agitazione e di apprensione
che si può accompagnare ad un grado elevato di arousal associato ad uno
stato d’animo negativo.
Una prima importante distinzione è quella fra ansia di stato e ansia di
tratto:
-
l’ansia di stato è concettualizzata come una condizione
dell’organismo transitoria, fluttuante nel tempo e specifica, che si
riferisce ai vissuti soggettivi di inquietudine, paura e tensione,
accompagnati da arousal fisiologico, in un particolare momento.
-
l’ansia di tratto è vissuta invece come una caratteristica
relativamente stabile e duratura di personalità, una predisposizione
generale a reagire a molte situazioni con un alto livello di ansia di
stato.Persone con elevata ansia di stato percepiscono una grande
varietà di situazioni come paurose e vi reagiscono con livelli di ansia
di stato eccessivi; sono quindi più vulnerabili allo stress, e
sperimentano più di frequente e con elevata intensità reazioni di ansia
di stato.
Nello sport l’ansia competitiva di tratto è stata definita da Martens la
tendenza a percepire le situazioni agonistiche come pericolose e a
rispondervi, di conseguenza, con sentimenti di tensione e apprensione.
Una seconda distinzione terminologica deriva dalle manifestazioni
soggettive degli stati ansiosi. Sono infatti identificate componenti
cognitive e somatiche, entrambe riferibili all’ansia sia di stato che di tratto.
- L’ansia cognitiva è la componente mentale, che origina da attese
negative sulla prestazione, paura delle conseguenze del fallimento e scarsa
fiducia nelle possibilità personali; si manifesta attraverso preoccupazioni,
pensieri e immagini spiacevoli, distrazioni attentive, aspettative di
insuccesso e svalutazione di se stessi,
- L’ansia somatica è la componente collegata all’attivazione
dell’organismo, in grado di determinare risposte fisiologiche quali
incremento della frequenza cardiaca, dispnea, sudorazione, tensione
muscolare; essa riflette la percezione della risposta fisiologica allo stress
psichico.
Lo stress è definito come il processo complessivo che conduce allo
sviluppo di ansia di stato. E’ determinato dalla percezione di un sostanziale
disequilibrio fra le richieste ambientali e le capacità personali di risposta,
in particolare quando il soggetto ha l’impressione che il fallimento porti a
conseguenze rilevanti.
Incertezza del risultato e importanza del risultato sono due costrutti
considerati determinanti per spiegare come situazioni competitive possano
indurre ansia di stato. L’incertezza di un risultato prima di una gara è
inevitabile, nonostante possibili previsioni più o meno accurate. Essa può
essere fonte di timore, ma anche costituire una sfida stimolante ed
avvincente:che
l’incertezza sia fattore positivo di sfida piacevole, o
negativo e fonte di eccessivo timore, dipende dalla percezione soggettiva
della situazione specifica. IL secondo costrutto, importanza del risultato, è
valutabile secondo parametri estrinseci (la vincita di una medaglia,
l’approvazione dei compagni) od intrinseci (il senso di competenza
personale, l’incremento dell’autostima).
Lo stress è il processo associato all’emergere dell’ansia di stato e si
verifica quando l’atleta percepisce che vi è un sostanziale disequilibrio fra
le richieste situazionali e le sue capacità di risposta, in circostanze vissute
soggettivamente come incerte ed importanti.
Maggiori sono l’incertezza e l’importanza del risultato e più elevata sarà
la paura che ne deriva, anche in relazione alle caratteristiche di personalità
individuali (ansia di tratto) ed alle esperienze precedenti. Persone con
elevati livelli di ansia competitiva di tratto tendono ad avere paura in
situazioni agonistiche e a rispondere, quindi, con elevati livelli di ansia di
tratto.
In sintesi, l’atleta considera le situazioni oggettive come più o meno
temibili in funzione di una valutazione soggettiva della situazione e del
ruolo dell’ansia di tratto nelle sua personalità; atleti con elevata ansia di
tratto tendono a rispondere a situazioni stressanti con alti livelli di ansia di
stato.
Manifestazioni dello stress
Lo stress si manifesta spesso con sintomi che incidono negativamente
sulla prestazione sportiva: scadimento delle abilità motorie, grado
eccessivo di arousal precompetitivo, sensazioni di inadeguatezza al
compito, diminuzione delle capacità di concentrazione.
I sintomi dello stress si manifestano, a seconda delle circostanze e delle
caratteristiche dell’individuo, su uno o più versanti fisiologico,
comportamentale e cognitivo.
A livello fisiologico, i segnali dello stress, e l’eccessivo aumento
dell’arousal, determinano aumenti in parametri quali frequenza cardiaca,
sudorazione, ritmo respiratorio, pressione del sangue, flusso di adrenalina,
accanto a sintomi di disagio psicofisico come difficoltà ad addormentarsi,
sonno irregolare, cefalee tensive, perdita di appetito, problemi digestivi e
affaticamento.
Sul piano comportamentale, nella muscolatura si manifestano tensioni,
rigidità, crampi, dolori, con conseguente rischio di infortuni oltre che
perdita delle coordinazioni fini e diminuzione della fluidità del
movimento.
A livello cognitivo si riscontrano disturbi dell’attenzione e della
concentrazione (distraibilità e incapacità a sostenere un adeguato focus
attentivo), e invasione di pensieri interferenti, catastrofici e di fallimento;
l’atleta si dimostra eccessivamente preoccupato per gli esiti della gara o
per le valutazioni negative che possono scaturire dalla sua prestazione.
L’attivazione di un sistema di pensiero disfunzionale provoca una
distorsione nella codifica e valutazione degli stimoli interni ed esterni.
L’atleta tende a pensare al peggio, ignorare gli eventi positivi, arrivare a
conclusioni in assenza dei fatti, accrescere o minimizzare il significato di
un evento, generare stabili attribuzioni interne di fallimento accanto ad
instabili attribuzioni esterne di successo; può trasformare situazioni
momentanee (“ in questa partita non sono riuscito a picchiare”) in
decisioni categoriche (“ non sono capace di tirare forte”). Questo sistema
disfunzionale di pensiero conduce a risposte inadeguate sotto il profilo non
solo prettamente cognitivo ( scarsa concentrazione, indecisione, basso
autocontrollo), ma anche fisiologico e comportamentale.
Le diverse modalità di reazione, combinate alle differenze individuali
nella reattività del sistema fisiologico, rendono difficile una valutazione
unidirezionale dell’ansia con sole misurazioni fisiologiche (ad esempio,
per mezzo di strumentazioni per rilevare il ritmo cardiaco o la
sudorazione) o cognitivo-comportamentali (check list di osservazione,
questionari di indagine). Per questo motivo vengono attualmente sempre
più sviluppati ed impiegati strumenti di rilevamenti multidimensionali che
considerino le diverse aree di reattività individuale. Molti questionari sono
stati strutturati per registrare sia le forme di stato che di tratto dell’ansia.
Gestione dello stress
La programmazione di un training di gestione dello stress, come del
resto avviene per lo sviluppo di tutte le abilità mentali, parte da
un’accurata analisi dell’atleta e della sua prestazione. Secondo Suinn, vi
sono in particolare due situazioni che rendono auspicabile l’intervento:
-
quando la storia dell’atleta dimostra che l’ansia non è solo
presente ma anche dannosa per la prestazione
-
quando l’ansia non è dannosa per la prestazione ma l’atleta si
sente a disagio per la sua presenza e, di conseguenza, desidera esercitare
un controllo maggiore sulle proprie reazioni emotive
L’allenamento alla gestione dello stress è allora usato per rimuovere
l’ansia che ostacola la performance, oppure per incrementare il livello di
benessere indipendentemente dal risultato sportivo (non è detto che ad una
diminuzione dell’ansia si accompagni automaticamente un miglioramento
della prestazione).
Varie procedure sono utilizzate per ridurre, od anche eliminare, gli
effetti delimitanti dell’ansia e dello stress; molte sono le stesse finalizzate
a modulare il livello di arousal dell’organismo.
Nel corso degli anni sono state sviluppate e messe a punto numerose
procedure di controllo dello stress, molte delle quali si basano ampiamente
su tecniche di rilassamento.
Non sempre, però, le tecniche di rilassamento sono in grado da sole di
determinare effetti positivi. Le risposte alle procedure di gestione dello
stress
dipendono,
infatti,
dalle
reazioni
soggettive
agli
stimoli
stressanti..Un’atleta può manifestare i segnali dello stress in prevalenza su
uno dei versanti fisiologico, comportamentale o cognitivo.L’ instaurarsi di
pensieri negativi tende a determinare specifiche risposte fisiologiche e
comportamentali e, viceversa, le risposte somatiche si riflettono nei
contenuti dei pensieri e nei comportamenti. L’identificazione
delle
modalità caratteristiche di risposta è importante per determinare la
procedura più appropriata. Se le reazioni si manifestano prevalentemente
a livello fisiologico o comportamentale saranno maggiormente indicate
tecniche somatiche, mentre se la reazione si riscontra nei contenuti dei
pensieri sarà più appropriato un approccio cognitivo.
Il controllo dell’ansia somatica viene conseguito efficacemente
attraverso tecniche quali il rilassamento progressivo e il biofeedback; il
controllo dell’ansia cognitiva è invece realizzato adeguatamente per mezzo
di strategie di self talk.
Alcune delle più importanti metodiche di intervento impiegano
rilassamento e visualizzazioni.
Flooding
Nel modello di estinzione, derivato dalle teorie dell’apprendimento,
l’ansia è concettualizzata come una risposta emozionale condizionata.
Il flooding è una procedura che fa riferimento al modello generale di
estinzione. Con questa modalità si espone il soggetto agli stimoli ansiogeni
in maniera diretta e, contemporaneamente, si impediscono le risposte di
evitamento. L’assunto di questa procedura è che l’esposizione prolungata
agli stimoli che evocano ansia in assenza di risposte di evitamento conduca
all’estinzione dell’ansia per quegli stimoli specifici. Affinché la tecnica
immaginativa sia efficace, ogni scena deve essere presentata nei dettagli,
con immagini vivide e polisensoriali; per aumentare il coinvolgimento
soggettivo è inoltre consigliabile incoraggiare le verbalizzazioni dell’atleta
mentre vive l’esperienza. Attraverso il flooding sono attivate forti
emozioni spiacevoli e, pertanto, molti psicologi tendono ad impiegare
questo approccio quando altri si sono rilevati insoddisfacenti.
Desensibilizzazione sistematica
Alternativo all’estinzione è il modello di controcondizionamento.
Attraverso le procedure derivanti da questo modello si ricerca il
condizionamento di una risposta incompatibile con l’ansia o con gli stimoli
che la provocano.
L’obiettivo del condizionamento è rimpiazzare l’eccitazione derivante
dal sistema nervoso simpatico con l’azione antagonista del sistema
parasimpatico. Una procedura molto conosciuta, basata su questi principi,
è la desensibilizzazione sistematica. Questa tecnica prevede il graduale
controcondizionamento dell’ansia, e delle relative risposte di tensione,
impiegando il rilassamento muscolare profondo e consapevole. Il soggetto
viene allenato al rilassamento muscolare profondo attraverso la procedura
classica di Jacobson richiedendo la tensione volontaria e il rilassamento
dei maggiori gruppi muscolari. Contemporaneamente viene stabilita, in
base alle indicazioni del soggetto, una gerarchia di stimoli che consiste in
10/15 scene ordinate in modo gradualmente crescente per intensità di ansia
che elicitano. In stato di rilassamento profondo viene poi richiesto di
immaginare per qualche istante, in maniera più vivida possibile, la scena
meno ansiogena della gerarchia. Se l’esperienza suscita tensione il
soggetto lo segnala (ad esempio sollevando l’indice della mano); la
visualizzazione
viene
immediatamente
sospesa
e
reinstaurato
il
rilassamento. Se la gerarchia è ben strutturata, il rilassamento dovrebbe
contrastare l’ansia. Ogni scena è rappresentata per un intervallo di tempo
progressivamente più lungo ( da 3 a , 10, 15 sec.) Si ottiene così un
decondizionamento, che va esteso gradualmente contrapponendo sempre
alle immagini ansiogene il rilassamento. In questo modo si procede verso
l’alto della scala per arrivare a controllare anche le situazioni più tensive.
Un fattore importante che determina l’efficacia della procedura è la
costruzione di una appropriata gerarchia di stimoli.
La desensibilizzazione è utile per aiutare gli atleti a superare
efficacemente paure specifiche e circoscritte.
Ristrutturazione cognitiva
Quando l’ansia si manifesta prevalentemente sul versante mentale,
attraverso pensieri irrazionali e negativi, allora è importante modificare le
cognizioni che spesso suscitano, mantengono e rinforzano le emozioni
disturbanti. Ciò può essere conseguito attraverso la ristrutturazione
cognitiva dei pensieri. Gli interventi individualizzati, diretti alla modifica
degli aspetti che suscitano emozioni negative, coinvolgono quattro stadi:
-
far comprendere al soggetto come le cognizioni medino
l’attivazione
emozionale.
Le
cognizioni
sono
tipicamente
automatizzate, modi abituali dl pensiero appresi che tendono a
manifestarsi al di fuori della consapevolezza;
-
identificare i flussi del pensiero irrazionali e limitanti;
-
attaccare direttamente le idee irrazionali e rimpiazzarle con
altre che prevengano o riducano l’ansia;
-
ripetere e stabilizzare il nuovo modo di pensare applicandolo
nelle circostanze importanti.La
modifica delle convinzioni irrazionali e delle affermazioni
valorizzanti dovrebbe
generalizzarsi alle diverse situazioni che evocano l’ansia.
Mentre nelle procedure di estinzione o controcondizionamento il
soggetto ha un ruolo relativamente passivo, con lo psicologo che propone
le esperienze, nell’approccio di ristrutturazione cognitiva l’atleta gioca un
ruolo molto più attivo e assume maggiore responsabilità nello sviluppo e
nell’applicazione dei nuovi modelli di pensiero.
Stress Inoculation Training (SIT) di Meichenbaum.
Una partecipazione più diretta del soggetto è ricercata anche attraverso
tecniche che richiedono l’acquisizione di molteplici abilità per affrontare
lo stress.
Una di queste è lo Stress Inoculation Training. E’ un programma di
apprendimento di abilità cognitive e di controllo fisiologico per affrontare
lo stress. La procedura globale comprende tre fasi:
-
fase
istrutiva
o
di
concettualizzazione.
Sono
fornite
informazioni per la formazione della natura delle risposte soggettive
agli eventi stressanti e dei presupposti del trattamento. L’atleta impara
a riconoscere ed esprimere le sensazioni, le paure e gli effetti che lo
stress produce nella prestazione sportiva e nella vita quotidiana;
-
fase di acquisizione di abilità di coping. Vengono insegnate una
serie di tecniche specifiche per affrontare gli eventi stressanti
(strategie cognitive, problem-solving, rilassamento, affermazioni
positive).
Situazioni
stressanti
sono
presentate
attraverso
immaginazione, filmati, role playning, modeling, esposizione
graduale in vivo;
-
fase di applicazione. L’atletica applica le abilità acquisite
affrontando nella realtà eventi stressanti.
Il soggetto è esposto a livelli graduali di stress che possano essere
affrontati con successo, spesso utilizzando gerarchie di stimoli simili a
quelle impiegate nella desensibilizzazione sistematica; man mano che
l’atleta impara ad affrontare le situazioni, sono considerati eventi via via
più ansiogeni. La gradualità degli stimoli stressanti è paragonabile alla
somministrazione, in ambito medico, di piccole dosi di vaccino, con il
sistema immunitario del paziente che ha poi il compito di sviluppare le
difese (gli anticorpi) per combattere la malattia.
Stress Management Training (SMT) di Smith.
Anche lo Stress Management Training sviluppato da Smith, è un
programma multimodale che comprende acquisizione e applicazione di
abilità cognitive e di rilassamento.
A differenza del SIT, però, l’applicazione delle abilità acquisite alle
situazioni reali non avviene in maniera graduale; le emozioni, infatti,
sono sperimentate in tutta la loro portata e talvolta anche esasperate in
intensità. Il rilassamento è ricercato attraverso il metodo di Jacobson o
con una procedura cognitiva. Le abilità cognitive sono sviluppate
abbinando la ristrutturazione delle idee irrazionali con l’allenamento
alle istruzioni positive (autoaffermazioni). Inizialmente rilassamento e
autoaffermazioni sono appresi separatamente, per poi essere combinati
in una risposta integrale da collegare al ciclo respiratorio: durante
l’inspirazione si ripetono mentalmente frasi affermative di riduzione
dello stress, mentre nell’espirazione lenta ci si concentra sul
rilassamento somatico. Una volta acquisite le abilità per affrontare le
situazioni stressanti si ricerca un’attivazione emozionale elevata (a
differenza del SIT in cui si procede da un livello di ansia basso a livelli
gradualmente crescenti); in uno stato di alta attivazione si richiede al
soggetto di mantenere la concentrazione
sulla situazione ansiogena
immaginata e sulle sensazioni che ne derivano. Sono inoltre fornite
suggestioni per identificare le emozioni, accompagnate da rinforzi
verbali all’aumentare dell’attivazione emozionale. Raggiunto un alto
grado di arousal, anche molto più intenso di quello normalmente
incontrato, è richiesto l’utilizzo delle abilità di gestione dello stress
precedentemente acquisite (immagini, affermazioni, rilassamento).
L’intensità emozionale evocata con l’ SMT è simile a quella suscitata
dal flooding, mentre nel SIT i livelli di ansia sono più vicini a quelli
osservati
nella
desensibilizzazione
sistematica.
Un’assunzione
fondamentale dell’ SMT è che l’apprendimento a gestire alti livelli
emozionali assicura il controllo ad intensità più moderate, mentre non è
detto che avvenga l’inverso.
Le strategie di gestione dello stress offrono, secondo Smith, due
potenziali
vantaggi
rispetto
all’approccio
di
estinzione
e
di
controcondizionamento. Il primo è costituito dall’assunzione di una
maggiore responsabilità da parte dell’atleta, con la conseguente
attribuzione dei progressi agli sforzi personali piuttosto che a fattori
esterni. Il secondo vantaggio è collegato allo sviluppo delle abilità
generali e versatili per affrontare lo stress applicabili ad una varietà di
situazioni. La generalizzazione delle strategie apprese non si verifica con
il flooding o la desensibilizzazione sistematica.
Allenamento multimediale alla gestione dello stress di Burton
Una procedura multimediale di gestione dello stress derivante da un
modello psicofisiologico è stata elaborata da Burton, con quattro tipi di
approccio a seconda delle relazioni fra ansia cognitiva e somatica e delle
differenze funzionali degli emisferi cerebrali.
Per la maggior parte dei soggetti destrimani l’emisfero sinistro è
specializzato
in
elaborazioni
analitiche
e
sequenziali
guidate
principalmente da pensieri specifici e verbalizzazioni interiori. Una
predominanza emisferica sinistra si ha, nello sport, quando l’atleta
utilizza abilità cognitive logiche e di risoluzione di problemi
(apprendimento di nuove abilità, modifica di abilità preesistenti,
sviluppo di strategie competitive). L’emisfero destro, invece, è
specializzato in elaborazioni in parallelo guidate da processi visuospaziali che integrano simultaneamente diversi tipi di input (attività
intuitive, creative e di orientamento spazio-temporale, emozioni,
esecuzione di abilità automatizzate). Nell’acquisizione di una abilità
l’emisfero sinistro, con la mediazione di operazioni verbali, controlla la
costruzione mentale di una copia dell’azione da svolgere (quali muscoli
contrarre, in quale ordine, con quale velocità) ; l’esercitazione rende poi
possibile il consolidarsi degli apprendimenti e la correzione degli errori,
con la creazione di un riferimento mentale sempre più raffinato. Quando
l’atleta ha imparato ad eseguire un’abilità correttamente, il controllo per
un’esecuzione automatica può passare all’emisfero destro, che integra in
un’immagine complessa le informazioni analitiche del sinistro.
L’emisfero destro, dunque, dirige l’esecuzione di abilità automatizzate.
L’ansia somatica quando si manifesta in relazione all’emisfero
sinistro, ad esempio con tensioni muscolari locali prima della gara, è
controllabile attraverso tecniche di rilassamento corporeo, biofeedback
elettromiografico, ipnosi (nelle sue componenti di rilassamento),
esercizio fisico e stretching; quando in relazione all’emisfero destro, con
attivazione generale dell’organismo, può invece essere gestita attraverso
training autogeno, biofeedbak (temperatura e conduttanza della pelle),
respirazione Yoga, tecniche di meditazione ed esercitazioni motorie
intense. L’ansia cognitiva collegata all’emisfero sinistro, determinata da
pensieri negativi e sovranalisi del comportamento, viene ridotta
attraverso un corretto goal setting e tecniche di gestione dello stress
quali la meditazione trascendentale, il controllo dei pensieri, l’impiego
di parole o frasi stimolo ed affermazioni positive, la ristrutturazione
cognitiva, l’ipnosi (nelle sue componenti suggestive); quella collegata
all’emisfero destro, che si manifesta ad esempio attraverso immagini
disastrose, realistiche e vivide, relative alla propria prestazione, va
gestita con tecniche di ristrutturazione cognitiva finalizzate al
cambiamento dell’immagine di sé, e con ipnosi nelle sue componenti
immaginative.
In situazioni pratiche, comunque, i quattro tipi di ansia sono
difficilmente separabili e distinguibili, in quanto medesimi stimoli
situazionali sono in grado di determinare più tipi di risposte. Ad
esempio, reazioni somatiche condizionate a stimoli specifici, quali la
presenza del pubblico e la visione degli avversari, potranno suscitare
nell’atleta preoccupazione per i sintomi; viceversa, immagini e pensieri
negativi sono in grado di provocare risposte somatiche (tensione
muscolare, orinazione frequente, problemi gastrointestinali). Se quindi la
riduzione dell’ansia cognitiva incide positivamente su aspettative di
successo, controllo dei pensieri negativi e distraenti, prevenzione
dell’analisi e della valutazione eccessiva della prestazione, è parimenti
necessario diminuire l’ansia somatica vissuta e valutata negativamente.
Inoltre, è difficile ridurre l’ansia cognitiva fintanto che l’ansia somatica
non sia stata attenuata al punto da permettere l’utilizzo di tecniche
cognitive di gestione dello stress.
In un’ottica di intervento multimediale, l’ansia è quindi considerata
nei suoi risvolti cognitivi e somatici, ed affrontata nelle sue molteplici
espressioni soggettive. Gli atleti vanno aiutati a sviluppare un
programma personalizzato di gestione dello stress; va loro insegnato
come modificare in modo rapido ed efficace tensione muscolare, livello
di arousal, dialogo interno, immagini competitive ed obiettivi, in
accordo con le richieste della situazione. Le procedure disattivanti
suggerite da Burton comprendono rilassamento somatico combinato a
tecniche respiratorie yoga. Ottenuto il rilassamento l’atleta associa ad
ogni
espirazione
una
parola
stimolo
(ad
esempio
“calma”)
concentrandosi sulle sensazioni di distensione che si sviluppano a livello
corporeo. Procedure energizzanti prevedono invece respirazioni
frequenti e immagini adeguate; allo stato di attivazione è poi associata
una parola stimolo ( ad esempio “potenza”, “forza”) ogni tre
respirazioni. Le procedure di disattivazione vanno praticate la sera prima
di addormentarsi, mentre quelle di attivazione al risveglio. Dopo alcune
settimane di pratica costante, le parole stimolo diventeranno capaci di
suscitare le risposte psiofisiologiche corrispondenti nell’arco di pochi
istanti.
Biofeedback
Il biofeedback è stato spesso impiegato per il conseguimento degli
obiettivi del mental training, fra i quali, appunto, il controllo dello stress.
E’ un monitoraggio delle funzioni biologiche mediante strumentazioni
che avvertono immediatamente il soggetto, attraverso segnali uditivi o
visivi, dei cambiamenti in atto in parametri fisiologici quali ritmo
cardiaco, tensione muscolare, temperatura e conduttanza cutanea.
L’atleta interagisce direttamente con un dispositivo sensibile che lo
informa in tempi virtualmente reali dei suoi cambiamenti nelle funzioni
biologiche, anche quelle regolate dal sistema nervoso autonomo. Con
tentativi successivi, sostenuti dal rinforzo strumentale, l’atleta apprende
a controllare i suoi parametri fisiologici, normalmente inconsapevoli, e a
modificarli. Attraverso il biofeedback è emerso chiaramente che processi
organici ritenuti in passato al di fuori della regolazione volontaria sono
invece, entro certi limiti, modulabili coscientemente. Ad esempio l’atleta
rilevando il proprio battito cardiaco può imparare a diminuire la
frequenza attraverso strategie cognitive; quando le sensazioni associate
al controllo cardiaco sono ben riconosciute e padroneggiate, la
strumentazione viene rimossa e il soggetto si esercita a regolare il ritmo
cardiaco autonomamente.
Altre modalità di intervento
Nella gestione dello stress, alcune ulteriori modalità prevedono la
simulazione di situazioni competitive che replichino le condizioni
tecniche, tattiche psicologiche, sociali e situazionali della gara. Gli
effetti dello stress sono specifici alla situazione; ne deriva che gli atleti
dovrebbero sperimentare frequentemente in allenamento le situazione di
stress, che più li mettono in difficoltà, simili a quelle che poi saranno poi
vissute in gara.
Il modeling covert è un’altra procedura che, nella sua forma
essenziale, prevede l’apprendimento di nuovi comportamenti, o la
modifica di quelli esistenti, visualizzando scene in cui altre persone
(modelli) agisco in modo efficace. Gradualmente le scene sono
modificate e l’atleta immagina se stesso nella situazione difficoltosa o
temuta. Nella fase finale i comportamenti desiderati sono messi in atto in
situazioni reali.
Tecniche di controllo dello stress possono essere attivate anche
durante la gara quando i sintomi della fatica o una sequenza di errori
scatenano facilmente reazioni stressanti.
Un’ulteriore modalità proficuamente impiegata per la gestione dello
stress è l’ipnosi.
CAPITOLO 10
IL GOAL SETTING
La formulazione di obiettivi, o goal setting, rappresenta un momento
fondamentale di ogni programmazione.
Il goal setting è uno strumento efficace per l’incremento della
prestazione.
Gli effetti positivi derivanti dal goal setting vengono attribuiti a
diversi fattori. Gli obiettivi influenzano la prestazione:
- dirigendo l’attenzione e l’azione su aspetti importanti del compito;
- aiutando ad attivare e modulare un impegno adeguato;
- agendo non solo sullo sforzo immediato, ma anche sulla persistenza;
- sollecitando spesso lo sviluppo e l’impiego di nuove strategie di
apprendimento e/o di risoluzioni del compito.
Il fatto che obiettivi specifici e ragionevolmente difficili, vissuti come
una sfida stimolante, siano in grado di determinare una prestazione più
elevata rispetto alla mancanza di obiettivi o a una loro formulazione
generica trova una spiegazione anche in termini motivazionali: obiettivi
difficili inducono maggiori sforzi, e la loro specificità assicura che lo
sforzo sia indirizzato appropriatamente. Viene così attivata una relazione
ciclica fra processi cognitivi e motivazionali: gli obiettivi, dirigendo
l’attenzione su un compito preciso, tendono ad aumentare la
motivazione, che stimola lo sviluppo di strategie cognitive per la ricerca
di soluzioni, le quali a loro volta sostengono l’impegno e la persistenza
nello sforzo.
Un modello di strategia specifica considera il rapporto fra processi
cognitivi e sforzo mentale nella soluzione di un compito gradualmente
più difficile: al livello più basso, a strategie immediatamente
identificabili e disponibili corrispondono livelli limitati di sforzo e i
processi cognitivi operano in maniera automatica; all’aumentare della
difficoltà del compito, le strategie possono essere identificate dopo
riflessione, attivando il pensiero creativo e la ricerca di informazioni
esterne, mentre i processi cognitivi diventano meno automatici e più
deliberativi, con un costo mentale più elevato.Il goal setting, pertanto,
può stimolare un incremento nello sforzo cognitivo ed espandere i
processi di ricerca di strategie efficaci e specifiche. Anche la percezione
di efficacia personale rappresenta un aspetto importante del goal setting:
le persone che nutrono fiducia nelle proprie capacità tendono a
perseguire con maggiore tenacia i propri obiettivi, anche di fronte ad
ostacoli, inconvenienti e delusioni. La self-efficacy, assieme alle
capacità personali e all’esperienza, rappresentano uno dei fattori
determinanti per la scelta degli obiettivi. Il sentirsi in grado di realizzare
un certo compito stimola il soggetto a porsi traguardi più elevati e
rafforza l’impegno per il loro conseguimento; nello stesso tempo, il fatto
di stabilire obiettivi adeguati influenza direttamente la fiducia nelle
capacità personali, poiché si fonda su aspettative realistiche di successo.
Nel goal setting sono individuati quattro aspetti che influenzano
positivamente la prestazione:
1) obiettivi difficili si dimostrano più efficaci rispetto ad obiettivi facili.
Il grado di difficoltà deve essere mantenuto entro limiti ragionevoli e
realistici. Gli obiettivi e le attività proposte devono essere
strettamente individualizzati;
2) obiettivi specificati dettagliatamente e formulati in maniera chiara e
comprensibile determinano una migliore prestazione rispetto alla
mancanza di obiettivi o ad una loro vaga formulazione;
3) gli effetti positivi del goal setting vengono potenziati fornendo al
soggetto feedback sul risultato conseguito. Anche il coinvolgimento
dei soggetti nel riconoscimento, nella valutazione e nella correzione
dell’errore è un espediente efficace per l’incremento della
prestazione;
4) la partecipazione attiva del soggetto alla scelta degli obiettivi conduce
a risultati migliori. Quando un persona viene coinvolta nella scelta dei
propri obiettivi, tende tipicamente a sceglierli più ambiziosi rispetto a
quando essi sono assegnati da qualcun altro. L’efficacia del goal
setting è in stretta relazione con l’accettazione degli obiettivi da parte
di chi deve conseguirli: se questi sono imposti dall’esterno e non
realmente accettati dal soggetto non potranno, mancando l’interesse,
agire efficacemente nei loro effetti motivazionali.
Indicazioni metodologiche
Individualizzare gli obiettivi.
Gli obiettivi vanno innanzi tutto formulati in accordo con le
caratteristiche soggettive. Esperienze passate, personalità, capacità
individuali, ritmi di acquisizione ed incrementi della prestazione sono
strettamente collegati fra loro, rendendo ogni persona diversa dalle altre.
Identificare obiettivi significativi per il soggetto.
Gli obiettivi devono essere accettati dall’atleta e ciò è facilitato
coinvolgendo quest’ultimo nella procedura di goal setting. Dal punto di
vista cognitivo, gli atleti acquisiscono una comprensione più chiara e
dettagliata del compito e di quanto debbono conseguire; dal punto di vista
motivazionale,gli obiettivi stabiliti con il coinvolgimento personale sono in
genere più facilmente accettati e più stimolanti rispetto a quelli imposti
dall’esterno. Partecipare alla scelta dei propri traguardi evita alle persone
con bassa autostima di vivere un senso di frustrazione di fronte
all’eventuale fallimento in compiti difficili stabiliti da qualcun altro. E’
importante programmare con una certa flessibilità, ricercando obiettivi più
o meno impegnativi e stimolanti, non solo per rendere più rapidi i
progressi, ma anche per far fronte e superare eventuali momenti di stasi o
regressi temporanei.
Stabilire obiettivi specifici e misurabili.
Obiettivi specifici, espliciti e numerici sono più efficaci nello stimolare
cambiamenti e nel dirigere il comportamento in modo preciso rispetto alla
mancanza di obiettivi o ad esortazioni generiche a fare del proprio meglio.
La conoscenza del fine agisce come elemento motivante.
Individuare obiettivi difficili ma realistici.
Più elevato è l’obiettivo e
più il soggetto potrà essere stimolato a
raggiungerlo. Stabilire obiettivi difficili incrementa la motivazione
intrinseca e migliora la prestazione. Obiettivi facili, al contrario,
determinano decrementi nella prestazione.
In genere si ritiene che le difficoltà dell’obiettivo debbano essere
mantenute entro limiti realistici, che non superino cioè le effettive capacità
individuali, poiché mete irrealistiche producono fallimento e frustrazione e
l’abbandono degli sforzi per il loro conseguimento. Vanno però tenute in
considerazione le caratteristiche e le modalità individuali di reagire di
fronte alle difficoltà e all’insuccesso: in tali situazioni, infatti, alcune
persone continuano a credere nelle proprie capacità e a perseverare nel
compito, mentre altre perdono fiducia e diventano meno sicure di se stesse.
Per alcuni, obiettivi molto difficili risultano estremamente motivanti.
Anche il fatto di scegliere obiettivi più o meno difficili è in funzione di
caratteristiche individuali: soggetti dotate di buone capacità e motivati al
successo, con alta self-efficacy, tendono a scegliere obiettivi elevati e
stimolanti, mentre soggetti meno capaci o poco fiduciosi nelle proprie
capacità selezionano obiettivi più limitati, che garantiscono maggiore
probabilità di evitare il fallimento. Inoltre chi ha esperienze passate di
successo tende a perseguire obiettivi difficili, al contrario di chi ha
sperimentato frequenti situazioni di insuccesso.
Va comunque tenuto presente che al progredire degli apprendimenti, e
più in generale del livello di prestazione, per ottenere anche piccoli
miglioramenti sono necessari sforzi ed impegno molto maggiori di quelli
richiesti
nelle
fasi
iniziali.
Gli
obiettivi
dovrebbero
essere
sì
sufficientemente difficili da costruire una sfida, ma, quando necessario,
dovrebbero venire ridimensionati ed adattati costantemente alle capacità ed
ai progressi reali. Con atleti orientati al fallimento può invece risultare
opportuno stabilire obiettivi abbastanza facili o molto difficili. Con
compiti facili viene fornita la possibilità di sperimentare situazioni di
successo o di incrementare il senso di competenza personale; con compiti
difficili viene invece dato il pretesto per giustificare il fallimento, ma nello
stesso tempo, l’impegno profuso contribuisce ad elevare il livello di
abilità.
Identificare obiettivi a breve, a medio e a lungo termine.
E’ importante delineare dei termini temporali per consentire gli obiettivi
e stabilire un loro ordine sequenziale. Traguardi a breve e a media
scadenza sono importanti perché consentono incrementi ragionevolmente
rapidi nella prestazione, aumentando di conseguenza self-efficacy e
motivazione individuale a persistere nel compito e migliorare. In assenza
di obiettivi a breve scadenza gli atleti spesso perdono di vista gli obiettivi a
lungo termine.
Privilegiare obiettivi di prestazione.
Stabilire obiettivi di risultato, come “vincere una gara”, non rappresenta
una modalità adeguata di goal setting. Gli atleti, infatti, hanno solo un
controllo parziale sul risultato finale di una competizione, poiché entrano
in gioco anche numerosi elementi esterni (abilità degli avversari, fattori
ambientali).
Formulare gli obiettivi in termini positivi.
Quando possibile vanno identificati comportamenti da acquisire
piuttosto che comportamenti da estinguere. La formulazione positiva aiuta
gli atleti a pensare in termini di successo invece che di fallimento e crea
corrette aspettative.
Progettare strategie di raggiungimento degli obiettivi.
In presenza di molteplici obiettivi, questi vanno gerarchizzati in ordine
di importanza e conseguiti gradualmente a partire da quelli più importanti.
Fornire una valutazione degli obiettivi.
Un goal setting efficace deve essere accompagnato da costanti e precise
informazioni sulla prestazione. Attraverso statistiche, percentuali, punteggi
sono fornite informazioni oggettive sulla prestazione. Martens consiglia di
utilizzare grafici che contengano tre tipi di informazioni:
- il livello iniziale
- i progressi rispetto al punto di partenza
- gli obiettivi da raggiungere.
Le migliori prestazioni sono conseguite quando goal setting e feedback
sono abbinati.
Risulta particolarmente utile la registrazione in forma scritta degli
obiettivi fissati e conseguiti, che aiuta a ricordare quanto stabilito e a
rinnovare l’impegno.
Sostenere l’atleta nel conseguimento degli obiettivi.
L’atleta deve essere coinvolto attivamente nella procedura di goal
setting, poiché questo incide positivamente sull’impegno e sul senso di
responsabilità personali, e dà la sensazione di poter controllare
direttamente le proprie azioni. Le interazioni che il tecnico stabilisce e
l’attenzione per l’atleta come individuo costituiscono un potente stimolo
all’impegno, anche di fronte alla fatica e alle difficoltà. Va però messo in
evidenza come non tutti gli atleti dimostrino interesse per il goal setting e
qualcuno possa anche avere atteggiamenti negativi. Queste considerazioni,
comunque, sono valide in riferimento a tutte le procedure di allenamento
mentale che, per essere veramente efficaci, richiedono come prerequisito
indispensabile la partecipazione attiva e il coinvolgimento dell’atleta.
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