Ragazze di pochi mezzi. Il concetto di povertà in Jane Austen.
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Ragazze di pochi mezzi. Il concetto di povertà in Jane Austen.
Ragazze di pochi mezzi. Il concetto di povertà in Jane Austen. “There are certainly not so many men of large fortune in the world, as there are pretty women to deserve them.”1 La povertà e la necessità di evitarla, soprattutto grazie a un buon matrimonio, sembrano essere i motori che spingono ad agire le eroine dell’autrice inglese Jane Austen. Perché “poverty is a great evil; but to a woman of education and feeling it ought not, it cannot be the greatest.”2 In un mondo, quello della Austen, in cui “nessun intrigo o colpo di scena politico valevano per lei quanto la vita in una casa di campagna”3 non c’era posto per le passioni, ma solo per il buon senso; e il buon senso le suggeriva che la felicità è nell’armonia tra i coniugi più che nell’attrazione ed è soprattutto il denaro a garantire la serenità necessaria affinché un matrimonio funzioni. “Nel suo atteggiamento verso la morale e verso l’emozione Jane Austen si dimostra, in Sense and Sensibility, una vera classicista. È tutt’altro che cinica nei confro nti dell’amore, e disprezza il matrimonio di convenienza; però ritiene che il decoro sia più importante della felicità, e appare convinta che, se è un bene che i matrimoni siano l’espressione di un sentimento autentico, l’importante è che abbiano le carte in regola per funzionare, e ciò si può stabilire in base a criteri basati sull’assoluta concretezza. La doti indispensabili alla felicità sono l’equilibrio e il buon senso, pervasi da una tranquilla, disciplinata armonia delle forze morali, dirette e dominate dall’intelligenza e accompagnate da una discreta rendita.” 4. Sense and Sensibility (Senno e Sensibilità), scritto nel 1797, è il romanzo giovanile dell’autrice inglese, ed è la storia delle due sorelle Dashwood: Elinor, che rappresenta la ragione, il buon senso, e Marianne, incarnazione della passionalità e del sentimento. Le due giovani sono costrette ad abbandonare la casa natia, assieme alla loro madre, perchè cacciate via dal fratello maggiore, figlio di primo letto del padre ed erede di tutti i suoi beni: devono perciò cominciare a vivere modestamente. Per lo ro è un vero e proprio shock, non solo per l’abbandono dell’amata tenuta, ma anche per lo stile di vita che cambia in modo radicale: sono povere e contrarre un buon matrimonio diventa quasi impossibile. Situazione piuttosto frequente, questa, nelle cosiddette “famiglie allargate” dell’epoca, dove la seconda moglie, e i figli avuti da questa, venivano considerati alla stregua di usurpatori. Il dramma si faceva ancora più vivo se si trattava di donne alle quali garantire una dote per il matrimonio. Il viscido fratellastro delle Dashwood, irretito dalla moglie, finirà per non passare loro neanche una piccola rendita, trasgredendo alle ultime volontà del genitore. Elinor e Marianne verranno aiutate da una cugina della madre e, nonostante le cattive premesse, spo seranno entrambe un buon partito. Ma il passaggio dallo stato di sconforto e miseria alla felicità e al benessere economico non sarà indolore, soprattutto per la sorella più giovane, Marianne. Quest’ultima infatti si innamorerà dapprima di un perfetto farabutto: Willoughby, un riccastro che dapprima resta affascinato dalla bellezza della ragazza, ma poi le preferirà una più ricca. Egli si giustifica dicendo: “My affection for Marianne, my thorough conviction of her attachment to me, it was all insufficient to outweigh that dread of poverty, or get the better of those false ideas of necessity of riches, which I was naturally inclined to feel; and expensive society had increased”5 Quindi proprio il vile Willoughby ammetterà la sua debolezza, la sua inclinazione alla ricchezza e, parole sue, il “terrore della povertà”. Nel mondo della società inglese dell’epoca sarà la stessa Austen ad ammettere che solo un legame 1 fortissimo può durare senza che i due siano economicamente prosperi. Ma le insidie per le ragazze povere ma belle sono rappresentate proprio da uomini come Willoughby, ovvero “affascinanti mascalzoni che rappresentano una minaccia costante nella società in cui vivono le eroine di Jane Austen.” 6 Queste eroine, come in quel periodo tutte le ragazze per bene ma nullatenenti, non possono rischiare: la loro bellezza è una garanzia di sicurezza non solo economica, ma anche sociale. Assicurarsi un buon matrimonio -patrimonio non è facile per loro, che hanno a disposizione una dote appena dignitosa. Sono così costrette ad usare un bel faccino e modi civettuoli solo con chi può dar loro ciò a cui anelano; il resto è una pericolosa perdita di tempo e di energie, oltre che di rispettabilità. Per l’autrice la galanteria di questi conquistatori o, meglio, cercatori di dote e di grazie, spesso si accompagna alla viltà e all’egoismo, quindi ad una totale assenza di principi morali, base del buon vivere. La teoria secondo cui un matrimonio felice si basa in principal modo sul benessere economico, la Austen la mette in bocca al personaggio di Charlotte Lucas. Cinica, ma quantomai assennata, Charlotte è la migliore amica di Elizabeth Bennet, protagonista del più famoso romanzo della Austen, Pride and Prejudice (Orgoglio e Pregiudizio): “Happiness in marriage is entirely a matter of chance. If the dispositions of the parties are ever so well known to each other or ever so similar beforehand, it does not advance their felicity in the least. They always continue to grow sufficiently unlike afterwards to have their share of vexation; and it is better to know as little as possible of the defects of the person with whom you are to pass your life” 7 . Colpita, ma non dissuasa dalle parole dell’amica, Elizabeth, ammettendo che il piano di Charlotte è ottimo se la questione è strettamente collegata al contrarre un buon matrimonio, replica: “If I were determined to get a rich husband, I dare say I should adopt it”8. Lo svolgimento della vicenda darà ragione a una sorta di giusto mezzo tra la ragione e il sentimento: la giudiziosa, anche se inizialmente prevenuta, Elizabeth, infatti, sposerà per amore il ricchissimo Mr. Darcy. Il padre della ragazza cercherà di dissuadere la figlia, per paura di perderla, benché sia costretto ad ammettere: “He is rich, to be sure, and you may have more fine clothes and fine carriages that Jane”9. Ma il matrimonio manderà in visibilio l’invadente madre di lei, che non farà che ripetere: “Oh! My sweetest Lizzy! How rich and how great you will be!” 10 , ma ancora più nel particolare, la signora Bennet ci tiene a precisare che “it is a great comfort to have you so rich, and when you have nothing else to do, I hope you will think of us”11. Tutte le madri austeniane, se sono presenti nel romanzo, non fanno altro che desiderare un buon matrimonio per le loro figlie. Riuscire ad accasare una figlia come si conviene, risulta quasi requisito indispensabile per essere vincenti nella società. Avere infatti più di una zitella in casa era quasi una sconfitta, per una madre che tanto aveva fatto per sposarsi e per mettere al mondo dei figli. È un po’ come oggi il mito del figlio istruito, meglio se laureato e possibilmente inserito nel mondo del lavoro. All’epoca della Austen la faccenda era ancora più complessa, perché da un lato la società premeva affinché le giovani ragazze con pochi mezzi sposassero un uomo del loro livello, dall’altro canto le madri spingevano il più possibile verso un buon partito per migliorare la loro posizione sociale. Nelle campagne questo era molto più evidente, non solo perché si viveva in un microcosmo, ma anche per la necessità di offrire alle giovani la possibilità di uscire da quel mondo angusto per vivere altrove, magari in città, anche se solo una parte dell’anno. Vivere in un altro posto era anche garanzia per una vita meno monotona: andare a trovare una sorella o una figlia in un altro paese o, meglio ancora, in un’altra città, voleva spesso dire uscire dalla routine per qualche mese e tornare trionfanti nella propria residenza abituale con qualcosa di nuovo e possibilmente strabiliante da raccontare alle amiche, cognate, conoscenti, meglio 2 se invidiose. Una ricchezza di argomenti che mutavano le solite chiacchiere del paese. Inoltre le sorelle minori, che avevano una congiunta maritata in un altra contea o città, avevano più possibilità di sposarsi e di uscire a loro volta dal paese. Difatti andando a trovare le sorelle, o a volte anche i fratelli – che magari avevano studiato e lavoravano in città – le giovani potevano partecipare alla vita sociale di un altro posto e conoscere gente nuova. In un mondo in cui il maggior svago delle ragazze erano i balli e le letture per signorine, avere una possibilità in più doveva sembrare ai loro occhi quasi una conquista, o per lo meno una chance in più. “La materia prima dei suoi romanzi fu la «routine» quotidiana delle visite, delle spese, del cucito, del pettegolezzo e di tante altre faccende insignificanti [...] Non c’è in lei né romanticismo né sentimentalismo, ma una acuta penetrazione del rapporto tra convenzioni sociali e temperamento individuale”12. Spesso la possibilità di allargare le proprie conoscenze, spezzando la monotonia delle giornate di ragazze che non vivevano in grandi agglomerati urbani, veniva offerta dai viaggi di piacere di una pseudo-aristocrazia, annoiata della città, che andava a passare qualche mese in campagna. È il caso di Pride and Prejudice, dove l’arrivo non di uno ma addirittura di due scapoli nel paese suscita un clamore immenso e tutte le famiglie con fanciulle non maritate cominciano a spingere per conoscerne e sperare di sedurne almeno uno. Il romanzo comincia, molto argutamente, con una sorta di assioma: “It is a truth universally acknowledge, that a single man in possession of a good fortune must be in want of a wife.”13 Le premesse ci sono tutte per introdurci nella casa dei Bennet e darci un’idea ben precisa di quali siano le aspirazioni della madre per garantire il futuro delle cinque figlie, povere ma belle. Soprattutto le prime due, Jane e la protagonista Elizabeth “sono belle, intelligenti, ma di assai pochi mezzi a causa della inalienabilità delle loro proprietà, tanto deprecata dalla madre. [...] Le ragazze per bene ma di pochi mezzi devono assicurasi un uomo finché possono, o affrontare lo zitellaggio in precario equilibrio tra la miseria e la rispettabilità, povero di soddisfazioni personali e di rispetto sociale.” 14 Del resto era proprio ciò che aveva fatto la loro madre: grazie alla sua avvenenza aveva sposato il povero signor Bennet e poi si era guadagnata un posto nel mondo in qualità di donna maritata. Peccato poi non aver avuto la “benedizione” di un figlio maschio, al quale lasciare la, seppur esigua, proprietà del marito. Quando l’esuberante signora cercherà di far sposare la secondogenita Elizabeth con il cugino pastore, Mr. Collins, che alla morte del signor Bennet erediterà la casa e i pochi averi di famiglia, la giovane si ribella sdegnosamente. Meglio povera e zitella che maritata ad un personaggio tanto grottesco: il prezzo che le si chiede per garantire la sicurezza economica dell’intera famiglia è troppo alto. La sua amica Charlotte Lucas, che abbiamo visto non credere affatto al sentimento, ma solo alla fortuna, prenderà il posto di Elizabeth, sposando il viscido Collins. La bruttina, ma acuta Charlotte ha sfruttato l’unica possibilità che aveva per non rimanere zitella e per uscire dall’indigenza: il pastore per lei è il male minore. Uno dei romanzi più cupi e a tratti privo della solita ironia, che caratterizza il resto della produzione della Austen, è Mansfield Park. La protagonista, Fanny Price, è una ragazza mite e umile, quasi timorosa del mondo che la circonda, non certo 1 Chawton: casa di Jane Austen (dal 1809 al 1817) una eroina modello. Questo romanzo 3 delinea la possibilità che la società dell’epoca poteva offrire alle parenti povere: fare da dame di compagnia, a volte trattate alla stregua di domestiche, a cugine, zie o lontane parenti ricche. Queste ultime si assicuravano un erede, se non avevano figli, ma il più delle volte rimediavano all’errore di sorelle sprovvedute, che avevano sposato uno squattrinato. Il potere che ne derivava era immenso : le ricche si sentivano benefattrici e la loro coscienza si alleggeriva alquanto, mentre le povere avevano la timida speranza che le figlie o i figli potessero aspirare a un avvenire migliore. Il tutoraggio dei parenti ricchi finiva nel momento in cui il ragazzo trovava un impiego dignitoso e la ragazza si sposava con un giovane che potesse garantirle una vita accettabile. Fanny è appunto la cugina povera e sfortunata, che viene accolta dalla famiglia della zia ricca. La trama ricorda un po’ la favola di Cenerentola, perchè alla fine Fanny sposerà il cugino e anche se non erediterà la tenuta degli zii, perchè il cugino deciderà di farsi pastore, sarà comunque paga di una stabilità affettiva ed economica superiore a quella di partenza. Per arrivare a questo non si pensi a una vita difficile, al parente ricco e cattivo che maltratta la povera e virtuosa fanciulla. Niente di tutto ciò, gli zii sono molto buoni con lei e tutti le vogliono bene e ne richiedono la compagnia. La nota cupa del romanzo è la totale passività di Fanny, che si sente in difetto rispetto agli altri, non solo perchè non è ricca come gli zii, ma soprattutto perchè sente di dover loro un’infinita gratitudine per la generosità che le ha permesso di uscire dall’indigenza. Certo Fanny fatica non poco a inserirsi nel raffinato mondo della nuova casa, quando, giunta povera e sola dalla campagna, si sente prendere in giro per la sua ignoranza. Del resto la povertà spesso significava ignoranza e lei non aveva avuto i mezzi necessari per istruirsi. Fanny poi si innamora del cugino e lui, a sua volta, si innamora di una cinica ragazza che non ha nessun pudore nell’affermare: “Poverty is exactly what I have determined against.” 15. Fanny non farà nulla per evitare di perdere l’amato bene, gli deve già tanto e il suo amore è un di più, che quasi stona. La giovane cinica rifiuterà di legarsi al cugino di cui Fanny è innamorata, proprio per evitare di diventare l’umile moglie di un curato. Lui ci rimarrà così male da confidare a Fanny – ignorandone in quel momento i sentimenti – che “I could better bear to lose her because not rich enough, than because of my profession”16. Ignora il poverino che in entrambi i casi l’avrebbe persa. Ancora più convinta della ragione e dell’assoluto bisogno di evitare il matrimonio e, peggio, il matrimonio d’amore con un uomo senza grandi fortune, è Emma. Emma è una ragazza che ha tutto dalla vita: l’unica protagonista creata dall’autrice inglese che non sia povera, anzi, come si legge nell’incipit del romanzo: “Emma Woodhouse, handsome, clever and rich, with a comfortable home and happy disposition, seemed to unite some of the best blessings of existence; and had lived nearly twenty-one years in the world with very little to distress or vex her”17. “Emma non è cattiva, ma solo viz iata dalla fortuna” 18 ha un padre ricco, ipocondriaco e profondamente egoista, che la vizia per farla rimanere accanto a sé e non farle venire in mente di abbandonarlo per un altro uomo. Ma anche la stessa Emma è egoista e molto più ingenua di quanto lei stessa creda. Il suo mondo è fatto di certezze, illusioni e comportamenti dettati dalla forma, più che dalla sostanza. Quando, dopo aver combinato il matrimonio della sua dama di compagnia, si galvanizza decidendo 2 Tipico abito del di diventare titolare degli altrui destini, il suo equilibrio si spezzerà. Man mano gli avvenimenti, nel loro svolgersi, le daranno sempre periodo Regency torto e cominceremo ad apprezzare questa ragazza che all’inizio 4 quasi odiavamo per la sua alterigia. Jane Austen era ben consapevole di aver creato un romanzo “la cui protagonista, diceva ridendo Jane, non sarebbe piaciuta a nessuno fuorché a lei” 19. Ma l’egoismo di Emma è generoso: come spesso accadeva a chi si sentiva più fortunato degli altri perchè ricco, anche lei decide di prendere sotto la sua ala protettrice una ragazza povera. Quest’ultima, per giunta figlia naturale di ignoti, in altre parole è una ragazza senza possibilità di elevarsi socialmente attraverso un buon matrimonio. Emma, dall’alto della sua bella casa e del cospicuo patrimonio, guarda ad Harriet, questo il nome della povera “figlia di nessuno”, quasi come ad un essere strano e constata quasi con meraviglia a quanto “poverty certainly has not contracted her mind” 20 . L’unico difetto di Harriet è proprio quello di dare ascolto alla sua nuova e ricca amica, che trasformerà la genuina ragazza in una sorta di “cercatrice di marito”. Per fortuna Emma si renderà conto, anche se tardi, di aver creato un mostro e rimedierà all’errore grazie al ricchissimo cognato di cui si scopre innamorata. “Il romanzo, all’apice della sua arte, è uno studio sottile di egoismo, presunzione, falsa sollecitudine e crudeltà sociale, e della loro mitigazione attraverso il disinganno e la crescente consapevolezza, che fanno salire Emma nella scala etica di quanto ella scende nella scala sociale” 21 . I ritratti degli uomini del romanzo restano memorabili: due ricchi, uno più giovane e scapestrato, l’altro più anziano e pacato. Se all’inizio Emma, che non vuole rendersi conto di come non bastino il denaro e la posizione sociale per rimanere bambine viziate, sembra presa dal primo, finirà poi per sposare il secondo e i maliziosi del paese ne attribuiranno la causa alla ricchezza del prescelto. Con convinzione, e prima di cedere alla tentazione del buon matrimonio, Emma dice alla sua amica: “Never mind, Harriet, I shall not be a poor old maid; and it is poverty only which makes celibacy contemptible to a generous public!”22. Così dicendo ha di certo in mente il grande privilegio che la vita le ha offerto, cioè di non essere povera come appunto lo è Harriet. Nel romanzo vi è anche un personaggio che Emma teme e invidia: la bella ma povera Jane Fairfax. Jane, benché virtuosa, bella e rispettata da tutti, se non trova marito è condannata dalla sua stessa povertà a cercare un posto di governante, lavoro che di frequente le ragazze povere ed istruite svolgevano per mantenersi. L’orrore che suscita in Emma e negli altri personaggi questa condizione rende bene l’idea di quanto fosse difficile, per la figlia di persone umili, poter non solo sposarsi ma anche soltanto vivere in modo dignitoso. Non di rado alcune di loro, se particolarmente avvenenti, si mettevano sotto l’ala protettrice di uomini ricchi che ne facevano le loro amanti. La lotta per sfuggire alla povertà diventava lotta per la sopravvivenza e la rispettabilità quasi cozzava con il benessere. La maggior parte delle ragazze senza mezzi preferiva cercare lavoro, rinunciando al matrimonio o a una vita sociale. L’ideale puritano della ragazza per bene impediva loro di essere ambiziose. Tuttavia nella letteratura, così come nella vita reale, non mancavano di certo le ragazze prive di scrupoli, come l’inarrestabile arrampicatrice Becky Sharp del romanzo del 1847 Vanity Fair di Thackeray. Northanger Abbey (L’abbazia di Northanger) fu pubblicato postumo, assieme a Persuasion (Persuasione), nel 1818. Si tratta di due romanzi completamente diversi, ma interessanti entrambi per capire l’evoluzione del pensiero e del genio dell’autrice. Northanger Abbey fu scritto intorno al 1797 ed è la storia di una ragazza qualunque, semplice e di pochi mezzi, che viene invitata da una ricca coppia di amici di famiglia a trascorrere con loro qualche tempo a Bath. Stazione termale alla moda e all’epoca molto d’élite. Bath era una vetrina notevole per le fanciulle che giungevano da ogni dove per accasarsi. Spesso veniva scelta come meta perchè Londra, durante la cosiddetta Season, ovvero la stagione dei balli e dei ricevimenti (di corte e non solo), era inaccessibile per via degli elevati costi degli affitti. Bath invece era più o meno accessibile per tutto l’anno e, a seconda 5 del quartiere dove la famiglia della ragazza da marito risiedeva, consentiva l’avviarsi di un determinato giro di conoscenze. Vi erano infatti quartieri destinati all’aristocrazia e ai ricchi, e altri più popolari. La protagonista di questo romanzo è vittima di uno sgradevole equivoco: alloggiando infatti nel quartiere dei ricchi, assieme ai suoi benefattori, viene scambiata dal padre del giovane innamorato per una ricca ereditiera e invitata nella loro proprietà, l’abbazia di Northanger appunto. Lo sprovveduto padre sogna per il figlio un matrimonio d’interessi e, quando viene a scoprire che la ragazza non è che la povera figlia di un pastore, la congeda bruscamente perchè “she was guilty only of being less rich than he had supposed her to be”23. Persuasion è l’ultimo e più complesso romanzo di Jane Austen. Vi torna il tipico tema della Cenerentola, già evidente nell’analisi precedente di tutti i suoi romanzi. La protagonista non è povera ma bella, ma fa parte di una categoria diversa: è la figlia di un aristocratico sciocco e vanesio, costretto da ristrettezze economiche a cedere in affitto la sua tenuta e a vivere in un appartamento meno caro, a Bath. Cresciuta senza il supporto di una madre, morta troppo giovane, Anne Elliot, la protagonista, ha una sorta di tutrice. Accadeva spesso che le giovani aristocratiche orfane di uno dei genitori venissero guidate alla vita da ricche zie o semplicemente da amiche di famiglia, spesso senza figli. Anne ha Lady Russell, una donna dalla spiccata personalità, che ha un potere immenso su di lei, ormai non più fanciulla. Anne è infatti l’unica protagonista della Austen ad avere più di 25 anni, 3 Lettera della Austen datata 29 ovvero un’età al limite del nubilato perpetuo. “La settembre 1815, da Chawton protagonista ha completato la sua formazione [...]: è passata attraverso un’esperienza formativa (quando otto anni prima ha incontrato il vero amore), ha commesso l’errore che ha provocato la sua infelicità (si è lasciata “persuadere” a lasciare l’uomo di cui era innamorata perchè socialmente inferiore) e ne ha tratto un insegnamento per il futuro”24 ossia di non farsi più influenzare dagli altri nelle decisioni che riguardano la sua vita. Anne sa di aver commesso un errore e Lady Russell cerca di addolcirle la pillola ragionando assieme a lei sull’accaduto, e convincendola che non ha sbagliato, ma “at ninenteen, to involve yourself with a man who has nothing but himself to recommend him! Spirit and brilliance to be sure, but no fortune and no connections! It was entirely prudent of you to reject him.”25 Quando il suo amore perduto ricompare sulla scena, ricco e ancora innamorato, sarà Anne a non voler sembrare una cacciatrice di ricchezza e benessere. La situazione si è completamente rovesciata e la giovane donna ne sente il peso sulle spalle. L’amato Frederick però gioca d’astuzia e riesce a riconquistare la donna, che non ha mai smesso di amare. Stavolta Lady Russell dovrà accettare che la sua figlioccia, ormai non più ricca come un tempo, possa rifiutare per la seconda volta il non più povero Capitano. “Persuasion insegna a non pretendere troppo dalla vita, e il sereno ripensamento che porta l’eroe a proporre il matrimonio all’eroina otto anni dopo essere stato respinto è un simbolo di attesa paziente”26. Jane Austen, figlia di un modesto rettore dello Hampshire, penetra con discrezione nell’anima della società inglese del suo tempo e ne analizza con acuta ironia le mille sfaccettature. Come in un ricamo elaborato con estrema raffinatezza, l’autrice coglie il conflitto tra le esigenze morali della comunità e le convenienze 6 sociali ed economiche. La Austen vive e scrive prima dello sconvolgimento della rivoluzione industriale, che muterà profondamente gli equilibri della società aumentando il divario tra ricchi e poveri. Ciò sarà colto e analizzato a fondo da un’altra autrice inglese: Elizabeth Gaskell, nei suoi romanzi a sfondo sociale. “Nella sua commedia d’ambiente borghese e aristocratico provinciale, la Austen è grande come il più gran romanziere che abbia mai dato fondo a cielo e terra [...]. I suoi individui sono sempre in funzione di una società” 27 . Confinandosi volutamente nella limitata area della sua vita di provincia, Jane Austen descrisse con abilità e minuzia la commedia umana, senza risparmiare alcuna critica. Cinzia Giorgio scrittrice 1 “Certamente nel mondo gli uomini ricchi sono meno numerosi delle ragazze carine che li meriterebbero.” (Jane Austen, Mansfield Park, 1814). 2 “La povertà è un grande male; diventa però ancora più grande in una donna istruita e consapevole di non dover essere povera” (Id. , The Watsons, 1805). 3 Virginia Woolf, Jane Austen in Per le strade di Londra, Il Saggiatore, Milano 1963. 4 Pietro Meneghelli, Introduzione a Jane Austen, Senno e Sensibilità, Newton Compton, Roma 1995. 5 “Il mio affetto per Marianne e il mio totale convincimento di essere ricambiato non sono stati sufficienti per compensare il terrore della povertà, né per scrollarmi di dosso la falsa idea della necessità di essere ricchi, che istintivamente provavo; idea che l’alta società aveva accresciuto” (Jane Austen, Sense and Sensiblity, 1811). 6 David Daiches, Storia della letteratura inglese, Vol. II, Cap. XVIII, Garzanti, Milano 1980. 7 “La felicità nel matrimonio è solo questione di fortuna. Non basta conoscersi molto bene o avere caratteri compatibili. I due sposi continueranno sempre a crescere sufficientemente diversi per avere la loro parte di afflizioni; inoltre meno si sa dei difetti della persona con la quale si deve passare il resto della vita, e meglio è” (Jane Austen, Pride and Prejudice, 1813). 8 “Se fossi determinata a sposare un uomo ricco, devo dire che lo adotterei [il tuo piano]” (ibid.). 9 “E’ certamente ricco, e tu potrai avere molti più bei vestiti e carrozze di Jane” (ibid.). 10 “Oh! Mia dolcissima Lizzy! Quanto sarai ricca e magnifica!” (ibid.). 11 “E’ un grande conforto per me sapere che sei così ricca, quando non avrai nulla da fare spero che ti ricordi di noi” (ibid.). 12 David Daiches, op. cit. 13 “E’ una verità universalmente riconosciuta che uno scapolo provvisto di molte ricchezze, debba essere in cerca di moglie.” (Jane Austen, Pride and Prejudice, 1813). 14 David Daiches, op. cit. 15 “La povertà è proprio ciò che sono determinata ad evitare.” (Jane Austen, Mansfield Park, 1814) 16 “Avrei potuto sopportare meglio di perderla perchè non sufficientemente ricco, anziché per la mia professione” (ibid.). 7 17 “Emma Woodhouse, bella, intelligente e ricca, con una casa confortevole e un’indole felice, sembrava riunire in sé alcune delle migliori fortune della vita; ed era vissuta circa ventun’anni nel mondo con pochi dispiaceri e difficoltà” (Jane Austen, Emma, 1815). 18 David Daiches, op. cit. 19 Dara Kotnik, Jane Austen ovvero genio e semplicità, Rusconi, Milano 1996. 20 “La povertà non ha ristretto la sua mente” (Jane Austen, Emma, 1815). 21 Nemi D’Agostino, voce Jane Austen in Enciclopedia europea, Garzanti, Milano 1980. 22 “Non preoccuparti, Harriet, non sarò una povera zitella; è solo la povertà a rendere il celibato disprezzabile per il grande pubblico!” (Jane Austen, Emma, 1815). 23 “La sua sola colpa era di essere meno ricca di quanto lui avesse creduto” (Jane Austen, Northanger Abbey, 1818). 24 Ornella De Zordo, Il linguaggio del desiderio: Jane Austen e la sua ultima eroina, introduzione a Persuasione, Newton Compton, Roma 1996. 25 “A diciannove anni, impegnarti con un uomo che aveva solo se stesso da offrire! Un uomo brillante e intelligente, certo, ma senza denaro né amicizie! E’ stato assolutamente prudente da parte tua rifiutarlo” (Jane Austen, Persuasion, 1818). 26 David Daiches, op. cit. 27 Mario Praz, Storia della letteratura inglese, Cap. XVII, Sansoni, Firenze 1960. 8