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Il denaro sporco nella lotta al riciclaggio
Castaldo - Naddeo Il denaro sporco nella lotta al riciclaggio Che cos’è realmente il riciclaggio? Quali le più frequenti modalità operative e le tecniche di accertamento nella esperienza quotidiana? La definizione socio-economica del money laundering corrisponde alla nozione tipizzata nel codice penale italiano e nella normativa complementare?A questi interrogativi di fondo risponde in maniera chiara e completa il volume, che rappresenta nell’attuale panorama editoriale la prima opera destinata a occuparsi in chiave divulgativo-critica della complessa e articolata legislazione di contrasto al ‘denaro sporco’. Gli Autori, entrambi specialisti del settore, analizzano infatti l’art. 648-bis del codice penale, che prevede e punisce il riciclaggio, avendo cura di precisare i punti oscuri della fattispecie e le principali ‘questioni sul tappeto’. Segue un’interessante panoramica sugli obblighi di collaborazione attiva a cui sono tenuti, tra gli altri, intermediari finanziari, notai, avvocati e commercialisti, nonché sulle insidiose sanzioni amministrative e penali in caso di loro inosservanza. L’ultimo capitolo è dedicato alla responsabilità amministrativa degli enti ex D.Lgs. 231/2001 in tema di riciclaggio e offre una guida ragionata in materia di compliance aziendale e poteri e responsabilità dell’organismo di vigilanza.Completa la monografia un’utile appendice, con i principali testi normativi e la modulistica di riferimento. I contenuti e il taglio del lavoro fanno del libro un indispensabile strumento di consultazione e di approfondimento per tutti gli operatori d’area. 1/5/2012 INDICE – SOMMARIO Prefazione di NICOLA MANCINO ................................................... pag. XI Commento di MASSIMO DONINI .................................................... » XVII Introduzione .................................................................................. » CAPITOLO I IL RICICLAGGIO: FENOMENOLOGIA E RICADUTE 1. Che cosa è il riciclaggio ......................................................... pag. 1 1.1. Effettività ed ‘empiria organizzata’ nel riciclaggio ......... » 5 2. L’evoluzione del fenomeno .................................................... » 8 2.1. Dai canali tradizionali al riciclaggio finanziario .............. » 10 2.2. Nuove frontiere tecnologiche e Paradisi penali ............... » 18 2.3. La difficile percezione di un delitto al confine tra ‘white collar crime’ e criminalità organizzata .............................. » 26 2.4. Professionalizzazione dell’attività criminale: intermediari inconsapevoli e intermediari inquinati ...................... » 28 3. L’impatto del riciclaggio sull’economia sana: un moltiplicatore di criminalità dall’effetto destabilizzante ........................ » 32 3.1. Criminalità organizzata e crisi d’impresa .......................... » 36 3.2. Le dimensioni del fenomeno ............................................... » 40 CAPITOLO II PREVENZIONE DEL RICICLAGGIO ED ECONOMIC APPROACH : VERSO UNA POLITICA CRIMINALE INTEGRATA? 1. L’approccio economico nell’analisi del delitto di riciclaggio pag. 45 1.1. Teoria dei giochi: vantaggi limitati dell’equilibrio di Nash ........................................................................................ » 52 1.2. Prospettiva funzionalistica: raggiungibilità dell’ottimo di Pareto? ................................................................................ » 58 2. Il percorso à rebours dalla politica penale alla politica criminale integrata: verso un controllo efficace del riciclaggio ...... pag. 61 CAPITOLO III IL DELITTO DI RICICLAGGIO 1. La norma e i precedenti storici ............................................... pag. 65 2. Il bene giuridico, la tecnica di tutela e il difficile inquadramento sistematico ................................................................... » 76 3. Il soggetto attivo alla luce del c.d. beneficio di auto-riciclaggio .................................................................................... » 87 3.1. Problematiche connesse al riciclaggio nei reati associativi ........................................................................................... » 95 3.2. Il caso tranchant dell’«aggravante di riciclaggio» prevista dall’art. 416-bis sesto comma c.p. ................................ » 104 4. La condotta commissiva e l’esecuzione “in modo da ostacolare 1 l’identificazione della provenienza delittuosa”, quale nota modale dal valore tipizzante ............................................... » 109 4.1. L’ipotesi di “sostituzione” ................................................... » 119 4.2. Il “trasferimento” .................................................................. » 123 4.3. Le “altre operazioni”: una condotta assorbente? ............. » 128 5. Il riciclaggio per omissione .................................................... » 131 6. L’evento tra pericolo concreto e pericolo astratto .................. » 137 7. L’accertamento del pericolo ................................................... » 139 8. L’oggetto materiale del riciclaggio ........................................ » 141 8.1. I confini dell’espressione “denaro, beni o altre utilità” .. » 143 8.2. La locuzione “provenienti da delitto” ................................ » 146 8.3. La forzata convergenza dell’illegittimo non-impoverimento nel concetto di provenienza illecita ........................ » 154 8.4. Il riciclaggio indiretto: riflessi di carattere criminologico » 164 9. L’elemento psicologico .......................................................... » 171 9.1. Le insidie insite nell’ammissibilità del dolo eventuale ... » 178 9.2. Riflessi positivi ed effetti collaterali derivanti dalla cancellazione dell’elenco dei predicate crimes ...................... » 181 10. Le forme di manifestazione: consumazione e tentativo ......... » 188 11. Concorso di persone ............................................................... » 192 12. Regime sanzionatorio ............................................................. » 194 12.1. Diminuente e aggravante speciale del riciclaggio ......... » 196 12.2. Sequestro e confisca ........................................................... » 202 12.3. Una negatività condivisa ................................................... » 214 13. Punibilità: l’irrilevanza delle condizioni di procedibilità del reato presupposto .................................................................... » 215 13.1. Profili critici ........................................................................ » 14. Ampliamento degli spazi di non punibilità per l’agente provocatore .................................................................................. pag. 226 15. La difficile convivenza delle fattispecie affini con il delitto di riciclaggio ............................................................................... » 16. Il bilancio di un trentennio ..................................................... » 249 CAPITOLO IV OBBLIGHI DI COLLABORAZIONE E SORVEGLIANZA SUI SISTEMI DI PAGAMENTO: I LINEAMENTI DELLA DISCIPLINA DISCIPLINA INTERNA E INTERNAZIONALE DI PREVENZIONE DEL RICICLAGGIO 1. Introduzione ............................................................................ 2. I limiti all’uso del contante e la ‘collaborazione coattiva’ quale sovrastruttura di una strategia bidimensionale ......................... » 257 3. Restrizioni preventive e ‘orientamento’ dei capitali: la collaborazione passiva ....................................................................... » 262 3.1. Obbligo di comunicazione e sanzioni .................................. » 271 3.2. Le tendenze attuali nell’ambito dei sistemi di pagamento e le misure europee sui movimenti transfrontalieri ............ » 274 3.3. Gli overseers dei sistemi di pagamento ............................... » 280 4. Premessa ................................................................................. » 4.1. Identificazione e registrazione alla luce del (nostro) approccio differenziale su base consensuale .......................... » 286 5. Segnalazione di operazioni sospette: certezza del diritto, evidenza probatoria e dubbio come virtù ...................................... » 299 2 5.1. Il sesto senso dell’avvocato/professionista tra speciale attitudine e conoscenza causale superiore .............................. » 312 5.2. Responsabilità professionale e principio deontologico vs delazione ................................................................................. » 5.3. Financial Intelligence Unit interna e attori protagonisti del palcoscenico della prevenzione ...................................... » 331 5.4. La collaborazione attiva e la deriva internazionalistica ..... » 351 5.5. Criticità sistemiche ignorate: l’aspetto sanzionatorio ........ » 359 5.6. Test empirici di inefficienze congenite ................................ » 367 6. Cooperazione giudiziaria, scambio informativo e collaborazione investigativa: il GAFI e gli altri organismi antiriciclaggio .. » 374 7. Mediazioni non compromissorie: una proposta indebolita dall’humus comunitario ............................................................... » 385 CAPITOLO V LA RESPONSABILITÀ RESPONSABILITÀ AMMINISTRATIVA DEGLI ENTI DA RICICLAGGIO DI PROVENTI ILLECITI 1. Un’esigenza di diritto interno maturata alla luce del diritto internazionale ............................................................................. pag. 393 2. Le complicazioni fenomenologiche e gli spazi scoperti del societas delinquere non potest .................................................... » 399 3. L’art. 25 octies del D.Lgs. 231/01: ampliamento del numerus clausus e riflessi sulla compliance aziendale ........................... » 403 3.1. Meccanismi di ascrizione del fatto all’ente: la dibattuta questione dell’interesse e vantaggio .................................... » 409 4. Organismo di vigilanza interno ex D.Lgs. 231/01: il riciclaggio da ‘moltiplicatore di ricchezza’ a moltiplicatore di posizioni di garanzia? ................................................................................. » 5. L’aspetto sanzionatorio e la confisca obbligatoria ................... » 422 Appendce normativa ● Direttiva 2005/60/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 ottobre 2005, relativa alla prevenzione dell’uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo (c.d. “Terza Direttiva”) ................................................................. pag. 433 ● Decreto Legislativo 21 novembre 2007, n. 231 – Attuazione della Direttiva 2005/60/CE concernente la prevenzione dell’utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo nonché della direttiva 2006/70/CE che ne reca misure di esecuzione – aggiornato con le disposizioni integrative e correttive del Decreto Legislativo 25 settembre 2009, n. 151 .................................................................................... » 481 ● Regolamento per l’organizzazione e il funzionamento della Unità di Informazione Finanziaria (UIF), ai sensi dell’art. 6, comma 2, del D.Lgs. 21 novembre 2007, n. 231 .................. » 551 Modulistica ● Moduli segnalazioni operazioni sospette – operatori non finanziari ................................................................................. pag. 561 3 ● Moduli segnalazioni operazioni sospette – professionisti ..... » 573 Bibliografia ................................................................................... 4 Capitolo I: IL RICICLAGGIO: FENOMENOLOGIA E RICADUTE 1.Che cosa è il riciclaggio Nonostante il termine abbia recente origine (anni ’70 America, anni 80 Italia) parlare oggi di riciclaggio significa riferirsi a un fenomeno che è molto cambiato rispetto le sue sembianze originarie, sono molti i nomi attribuiti a tale fattispecie a segnare un panorama legislativo disomogeneo nonostante il minimo comun denominatore americano, all’inverso del profilo legislativo vi è un costante profilo economico e quindi criminologico, l’obbiettivo della criminalità è infatti rimuovere dal denaro sporco le informazioni atte a identificarne la provenienza delittuosa e dunque a ricostruire la paper trail (pista di carta), il riciclatore rimuoverà allora gli indici di anomalia cioè le caratteristiche peculiari che danno segno della provenienza illecita, una volta eliminata la fonte illecita ne viene simulata una lecita (la maggior parte del denaro criminale subisce tale sorte mentre fette minori sono reinvestite nell’economia sana per la maggior parte e residualmente di nuovo in quella illecita). Dinanzi al riciclaggio vi sono 3 necessità: - anteporre all’analisi normativa la ricostruzione fenomenologica - investigare gli aspetti di dannosità sociale per verificare la validità del modello repressivo preventivo - la consapevolezza della capacità di incidere sul fenomeno criminale risulterà dal Verlagerungseffekt (spostamento degli obiettivi scelti dalla criminalità che si accentua man mano che ci si avvicina all’efficienza del controllo 1.1.Effettività ed empiria organizzata nel riciclaggio 5 Occorre ricostruire il sistema individuando gli anelli deboli e testarne l’efficacia, questa è la stessa modalità operativa del crimine riorganizzato per una miglior penetrazione nel circuito economico e la massimizzazione del profitto facendo un’analisi dei rischi geo normativa; test attendibile sull’effettività delle norme è il raffronto tra opzione criminale e obiettivo legislativo, quindi sarà maggiore l’efficienza del controllo in una data area quando maggiore sarà lo shift (migrazione) criminale; particolare attenzione va riservata alle agenzie e alla ricaduta pratica delle norme, l’orientamento culturale dei consociati si fonda infatti su una tutela reale del sistema penale, al contrario una legislazione simbolica fornirà solo in apparenza una soluzione provocando nel medio - lungo raggi o una disillusione sull’efficacia della pena. Tutto ciò deve indurre a una valutazione della idoneità dell’intervento penale nella risoluzione del fenomeno criminale non confinata nella politica penale ma esaminando a pieno la politica criminale, vanno dunque evitate dilatazioni eccessive della tutela penale che portano solo ad una sua inefficacia 2.L’evoluzione del fenomeno L’esame dell’evoluzione del riciclaggio ci mostra un illecito profondamente trasfigurato grazie ai fenomeni di globalizzazione che hanno integrato le economie e portato uno scambio continuo tra reale e virtuale della ricchezza, la criminalità economica è una criminalità sistemica dunque si evolve in maniera razionale e infatti sembra essere lo specchio dell’evoluzione della società portando alla sua finanziarizzazione e all’immedesimazione in criminalità organizzata; e infatti la criminalità economica è ormai una tipica forma di criminalità organizzata che genera enormi flussi finanziari, dunque l’evoluzione della fattispecie è segnata dal progresso tecnologico e culturale; l’evoluzione criminale è passata dal “bucato a mano” (investimento diretto con modeste liquidità) alla “lavanderia” (complesse operazioni finanziaria), ciò rende più difficile identificare il riciclaggio che diviene un reato spersonalizzato. 2.1.Dai canali tradizionali al riciclaggio finanziario e oltre 6 Alcune riforme politiche hanno favorito il processo di globalizzazione di un fenomeno che già tipicamente è transnazionale: - abbattimento del controllo sui cambi creando una valuta comune o integrando il proprio circuito finanziario con una valuta secondaria semiufficiale (euro o dollaro) - apertura dei mercati dei capitali e conseguente integrazione dei sistemi finanziari, anche se va registrata un’inversione di tendenza volta alla creazione di partnership bilaterali di investimenti - concorrenza per i capitali che vede in competizione i soggetti che offrono servizi finanziari - innovazione tecnologica che ha facilitato le transazioni tutti cambiamenti che hanno accresciuto le opportunità criminose e depotenziato le capacità ispettive, cosa accentuata anche dalla distribuzione irregolare di strumenti di contrasto nei vari paesi (per taluni intenzionalmente volute per attirare i capitali). Il mutamento dello scenario ha portato a un mutamento della fattispecie di riciclaggio da 2 fasi (money laundering cioè il lavaggio, recycling cioè l’impiego) a una tripartizione con passaggi ciascuno idoneo a integrare il riciclaggio ma normalmente distinti: - placement il piazzamento del provento illecito nel mercato tramite intermediari finanziari o l’acquisto di beni - layering la stratificazione nel fornire alla ricchezza criminosa una copertura lecita tramite un caleidoscopio di operazioni che vanno dal trasferimento di fondi alle triangolazioni societarie - integration l’integrazione della reimmissione nei circuiti economici dei proventi lavati attraverso filtri al di sopra di ogni sospetto (es banche, grandi studi legali) in ogni fase l’informatica è fondamentale ma ha un ruolo enorme nel layering un’attività che dipende dalla rapidità delle transazioni, per cui dai metodi tradizionali quali l’approccio della targa d’ottone (società virtuali che coprono l’identità dei soggetti) passando per le scatole cinesi fino alle complesse operazioni finanziarie informatiche vi è una vasta fenomenologia del riciclaggio, con una 7 evoluzione diacronica del fenomeno riciclaggio monetario – bancario – finanziario, prova evidente del camaleontismo della criminalità economica. Infatti l’abbandono del riciclaggio monetario e la migrazione verso il settore bancario negli anni ’80 è corrisposto alle limitazioni imposte alla circolazione del contante (pur se vi è stata una grande crescita infrastrutturale dei pagamenti non in contante questi sono pari solo al 10% delle operazioni) da un lato e dalla maggiore efficienza dei circuiti bancari dall’altro, allo stesso modo una disciplina stringente del settore bancario ha portato a una migrazione verso le nuove forme dell’e-banking. Il riciclaggio è però un fenomeno molto ricco in cui convive la vecchia valigetta piena di banconote, con i trasferimenti di alta finanza, con i trasferimenti via FedEx e corrieri, con infine la pericolosa piaga delle banche clandestine cioè il Hawalla (parola urdu che si riferisce alla fiducia) un sistema che consente trasferimenti finanziari all’oscuro delle autorità con un meccanismo semplice ma efficace: il sender si reca presso l’hawallador (una rosticceria, lavanderia, negozio) e deposita la somma da trasferire ricevendo un chit (una ricevuta sotto forma di oggetto, es mezza carta), il receiver riceverà poi una somma pari dall’agente di arrivo esibendo il chit, con la possibilità poi di compensazioni periodiche in caso di molte operazioni. L’anticrimine lotta proprio su questi nuovi terreni del chiti banking e del cyberlaundering molto difficili per la grande segretezza che crea una grossa asimmetria informativa tra Stato e crimine. 2.2.Nuove frontiere tecnologiche e paradisi penali L’evoluzione tecnologica con la possibilità di agevoli connessioni intersoggettive a distanza ha mutato il panorama del riciclaggio rendendo obsoleta l’elencazione delle tecniche di riciclaggio, con il contatto diretto tra gli utenti si creano tecniche sempre più sofisticate e complesse, le grandi organizzazioni criminali si servono di professionisti dell’alta finanza che approfittano di un mercato senza confini per scovare e sfruttare le debolezze strutturali di taluni paesi; fra questi le nazioni offshore (fuori dalla costa) ha una grande attrazione per i riciclatori con una legislazione che strizza loro l’occhio non penalizzando il riciclaggio e garantendo condizioni tali da renderli bank heavens o tax heavens o company heavens, la 8 criminalità economica provvede allora a indirizzare le sue operazioni di placement e stratificazione in questi paradisi con un ottimo rapporto costi/benefici. Molte nazioni hanno costruito habitat ottimali all’afflusso di capitali (stabilità istituzionale, segreto bancario, anonimato societario) e su questo hanno fondato la loro crescita economica (pur subendo il rischio che i capitali criminali come arrivano così possono sparire facendo crollare lo Stato) e dunque hanno un atteggiamento non collaborativo verso l’anticrimine dei paesi che lottano contro il riciclaggio (nonostante anche le pressioni internazionali) vanificando il loro tentativo di equiparazione del rischio per i criminali, cosicché da un lato vi sono tali paesi e dall’altro dei veri e propri paradisi penali; invece una lotta al riciclaggio efficace necessita di un meccanismo penale comune (dalle norme sostanziali alle processuali alle indagini), ad aggressione globale risposta globale. 2.3.La difficile percezione di un delitto al confine tra white collar crime e criminalità organizzata Ormai il legame è indissolubile tra criminalità economica e organizzata, anzi questa è proprio una forma tipica di criminalità organizzata, tuttavia l’inquadramento di tale categoria nei white collar crimes complica la situazione sotto il profilo della percezione sociale del fenomeno, certamente i crimini dei colletti bianchi sono reati come si evince dagli studi criminologici sulla loro dannosità, più complicata è però la loro percezione dalla collettività. Paragonando un ladro professionista e un colletto bianco vi sono profonde somiglianze (abitualità, illeciti superiori ai procedimenti, scarso impatto sulla reputazione, disprezzo per la legge, premeditazione) fondamentale è la differenza reputazione, se infatti il primo si considera un criminale e come tale è percepito dalla collettività (e anzi si vanta della fama criminale) l’uomo d’affari si considera un cittadino rispettabile e tale è considerato dalla collettività, vi è dunque nell’aspetto della etero reputazione una scarsa considerazione della pericolosità dell’uomo d’affari che in apparenza pare onesto anche per la difficoltà di percepire le implicazioni lesive delle operazioni che compie, ma questi si sottrae alle legge anche se in modo più occulto rispetto al ladro ma con lo stesso significato criminoso, e 9 nonostante il riciclaggio sia fase integrante dei peggiori reati (dallo spaccio all’estorsione mafiosa) non è percepito come pericoloso dalla collettività. 2.4.Professionalizzazione dell’attività criminale: intermediari inconsapevoli e intermediari inquinati La fisionomia del riciclaggio si è rapidamente evoluta e così anche il volto del riciclatore, mentre la fase del placement continua di norma a essere svolta da personale interno all’organizzazione in quelle di layering e integration i criminali si avvalgono di esperti spesso esterni in grado di garantire un elevato risk management, esperienza come il crollo della BCCI o dell’operazione Unigold contro i cartelli colombiani mostrano come i finanzieri d’avventura siano stati affiancati in misura crescente da soggetti specializzati con una professionalizzazione dell’attività di riciclaggio in cui le banche nonostante la concorrenza di intermediari finanziari alternativi e l’assottigliamento del segreto bancario continuano ad essere un nodo fondamentale del riciclaggio, soprattutto ove vengano interamente assoggettate agli interessi criminali divenendo imprese a partecipazione mafiosa cioè sorte nella legalità ma poi infiltrate dalla mafia che cerca di penetrare sempre più nelle attività finanziarie di riciclaggio. Mentre le modalità originare di riciclaggio vedevano l’attività dell’intermediario limitata alla registrazione della transazione e quindi sfruttava un intermediario colluso o inconsapevole ovvero inconsapevole ma collaborativo nel monitoraggio però impossibilitato a rilevare l’anomalia in un’attività apparentemente insospettabile, oggi le lavanderie fanno si che l’organizzazione criminale stessa offra il servizio di riciclaggio quasi sempre supportata da intermediari inquinati; un intermediario cooperativo con la criminalità favorirà questa nei servizi bancari sia passivi (sui depositi e pagamenti) che attivi (sui prodotti finanziari ed erogazioni di credito; le politiche antiriciclaggio andranno ricalibrate su questa nuova figura che è meno sensibile agli incentivi, ha una minore eticità e una maggiore propensione al rischio, ciò genera notevoli resistenze al processo di internalizzazione dell’integrità nelle ipotesi di controllo criminale e impossibilità di internalizzazione nei casi di proprietà dell’impresa da parte del crimine organizzato. 10 3.L’impatto del riciclaggio sull’economia sana: un moltiplicatore di criminalità dall’effetto destabilizzante Gli effetti del riciclaggio vanno analizzati in tutte le sfaccettature che afferiscono al circuito economico, partendo da un’analisi macroeconomica l’ingresso di capitali illeciti nell’economia sana genera due conseguenze: - distorsione della concorrenza il criminale dispone di grandi liquidità a basso costo annullando così il rischio d’impresa, politiche di prezzo predatorio e contaminazioni mafiose dell’economia impongono l’arretramento dell’imprenditore sano che nel primo caso non ha possibilità di imporsi mentre nel secondo opta per scelte in contrasto con le leggi di mercato per mantenere un basso profilo (il crimine infatti predilige imprese decotte e imprese in forte crescita per l’infiltrazione) - destabilizzazione del mercato per i fenomeni di cui sopra vi è un’alterazione del mercato A livello microeconomico a seguito del contatto dell’impresa criminale con quella sana o proprio dell’infiltrazione vi è la conquista e il mantenimento di una posizione di dominio della prima (equazione pag 34) d’altronde il riciclaggio di proventi illeciti garantendo un elevato ROI (return of investment) diviene un moltiplicatore di criminalità, le operazioni di sbiancamento rendono effettiva la ricchezza illecita incidendo sull’ultima fase dell’iter criminis perpetuando il disvalore dei reati scopo e radicando nel criminale il proposito delittuoso, è una fase che si contrappone alla funzione normativa di generale prevenzione, l’accumulo di ricchezze consente poi all’organizzazione di crescere e radicarsi sul territorio sia grazie a reinvestimenti illeciti ma soprattutto a investimenti leciti che garantiscono contatti con l’economia sana e la politica. Il riciclaggio coinvolge in maniera crescente il sistema bancario e finanziario per cui intermediari sani sono inglobati nel crimine che ne sfrutta la vulnerabilità, e inoltre il 11 money laundering rende molto appetibile la carriera criminale; il riciclaggio è dunque una testa d’ariete che crea dei varchi nel confine fra economia lecita e illecita in modo da far assorbire la prima nella seconda e far penetrare la seconda nella prima. 3.1.Criminalità organizzata e crisi d’impresa Alla progressiva espansione della criminalità economica corrisponde il ritiro dell’impresa legale, rilevante dunque è lo studio delle relazioni fra crisi d’impresa e criminalità organizzata, il crimine può incidere sull’azienda come fattore esterno e come fattore endogeno in relazione ai suoi obiettivi di assumere posizione dominante nel mercato e ridurre il rischio del riciclaggio, dunque il crimine ha interesse a confondersi con l’impresa legale assumendone le sembianze tramite forme di partecipazione che garantiscono il controllo dell’impresa senza farlo emergere, vi è dunque un imprenditore lecito che conserva la gestione economica e tecnica di una società (anche perché ne ha la competenza) e un controllo indiretto del crimine, in apparenza non vi è nessun legame fra i due che invece è dato dal finanziamento che è esterno all’impresa e da cui dipendono le sue sorti, infatti questo di norma è temporaneo e può essere sottratto in qualsiasi momento provocando la rovina economica. L’iniziale legalità dell’impresa è strumentalizzata dal crimine che da valore del mercato la riduce a valore di mercato cioè a coefficiente remunerativo idoneo ad abbassare il rischio di scoperta del reato, tale fattore di crisi dell’impresa ha natura endogena al pari del trasferimento della proprietà aziendale all’imprenditore illecito, in tale circostanza vi è il massimo grado di compenetrazione criminale insito in tale atteggiamento collaborativo dell’impresa inquinata (bruco bianco, crisalide grigia, farfalla nera), l’imprenditore con il suo consenso al crimine è espone l’impresa al massimo grado di vulnerabilità (intesa come attitudine alla penetrazione da parte del crimine); al contrario l’impresa non collaborativa si espone al conflitto col crimine patendo l’estorsione e l’usura in caso di dissesto finanziario; insomma a una maggior vulnerabilità vi è maggiore stabilità finanziaria e quindi una minaccia immediata per il mercato e nel lungo termine per l’impresa stessa infatti il criminale non perseguirà sempre obiettivi di massimizzazione del profitto e inoltre quando 12 l’impresa diviene oggetto di controlli viene abbandonata dal criminale per evitare di essere scoperto e così va in rovina. 3.2.Le dimensioni del fenomeno Le peculiarità le del riciclaggio lo sottraggono da qualsiasi inquadramento statistico e sono possibili solo stime approssimative, gli USA sono in testa alle classifiche verso cui sono dirottate le liquidità illegali ma lo stesso Fondo monetario Internazionale afferma che non è possibile individuarne l’esatto ammontare a causa del commingling (commistione tra ricchezza lecita e illecita); tuttavia la dannosità sociale del reato va oltre il bene tutelato fino a investire l’ordine economico del mercato, una serie di effetti che non sono quantificabili in termini monetari ma evidenziano un fenomeno dirompente. Capitolo III: IL DELITTO DI RICICLAGGIO 1.La norma e i precedenti storici Il 648bis cp sanziona con la reclusione da 4 a 12 anni e multa da 1.032 a 15.493 euro il riciclatore con un incremento di pena quando ciò avviene nell’esercizio di un’attività professionale e una diminuzione quando il provento deriva da delitto punito nel massimo a una reclusione inferiore a 5 anni, fa salvo l’ultimo comma del 648 per cui è sanzionato anche se non punibile o imputabile o manchi una condizione di procedibilità per il reato presupposto; questa formula è l’ultima di un iter normativo che dalla prima introduzione del reato con il dl 59/1978 è stata oggetto di altre due rettifiche, detta legge introduce dopo il 648 una nuova ipotesi di “Sostituzione di denaro o valori provenienti da rapina aggravata, estorsione aggravata, sequestro di persona a scopo di estorsione”, il prototipo del riciclaggio nasce da un’esigenza di fronteggiare tali fenomeni criminali che dilagavano nell’Italia degli anni di piombo e che costituiscono il vero referente criminologico della 13 fattispecie, il reato è formulato come reato di attentato con una pena particolarmente elevata (da 4 a 10 anni) e le cui esigenze di introduzione sono confermate nella Relazione Ministeriale (che intende fronteggiare nuove forme di criminalità) e dalla contemporanea sostituzione del 630 cp (Sequestro di persona a scopo di estorsione); sono molti i tratti della fattispecie da cui emerge la fisionomia della legislazione emergenziale: - forte anticipazione della soglia di punibilità: si criminalizza il semplice compimento di fatti o atti diretti alla realizzazione dell’obiettivo pur in assenza del verificarsi dell’evento lesivo (fattispecie-rete) ed estensione fino alla sanzionabilità del semplice possesso di banconote provenienti da riscatto - estrema limitatezza dei reati presupposto: non si considerano molte fattispecie come il traffico di stupefacenti che sono la principale fonte di proventi illeciti e ciò ridimensiona l’efficacia della norma - conformazione delle condotte: il riferimento alla sola ripulitura materiale dimenticando la ripulitura giuridica è coniugata all’alternativa del dolo specifico di procurare a sé o altri un profitto (riciclaggio ricettazione) o aiutare gli autori dei delitti ad assicurarsi il profitto (riciclaggio favoreggiamento) e ciò pare sanzionare solo la perpetuazione di tali reati piuttosto che la lesività propria della riconversione di proventi criminali il riciclaggio delle origini nasce come forma speciale di ricettazione e favoreggiamento, vi sono però due elementi che rimarranno fino alla versione attuale: esclusione della responsabilità del concorrente nel reato base, irrilevanza delle cause soggettive di esclusione della pena. Dopo la sua introduzione da un lato emergono i limiti di una normativa emergenziale dall’altro vi è una presa di coscienza della gravità del fenomeno anche grazie agli imput di organismi internazionali (Basilea, Convenzione di Vienna), si ha così la l 55/1990 (Gava-Vassalli) in cui sono trasfuse diverse indicazioni della proposta della GdF del novembre 1989, recante “Nuove disposizioni per la prevenzione della delinquenza di tipo mafioso e di altre gravi forme di manifestazione di pericolosità sociale” che interviene sul 648bis rafforzandolo e rinominandolo come “riciclaggio”, l’intervento è però di ampio respiro si introduce infatti anche il 648ter (impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita) e interviene sul riciclaggio in una accezione bifasica (money laundering – recycling) 14 tipica del momento storico; si abbandona il modello di attentato e si riconduce il momento consumativo all’effettivo completamento della condotta, vi sono pene più aspre da 4 a 12 anni e molte altre innovazioni: - articolazione della condotta oggettiva nella sostituzione e ostacolare l’identificazione dell’origine delittuosa: ciò estende l’ambito applicativo nonostante l’indeterminatezza dell’espressione di ostacolare e la difficile armonizzazione con la sostituzione che pare in essa assorbita - ampliamento dei reati presupposto ai reati concernenti gli stupefacenti - sostituzione della nozione di “beni o valori” con quella di “denaro, beni o altre utilità” a conferma della filosofia espansionistica della norma che intende riferirsi a qualsiasi entità economicamente apprezzabile - eliminazione del dolo specifico alternativo di ricettazione o favoreggiamento sostituito col dolo generico della consapevolezza della provenienza illecita: si ampliano le potenzialità applicative - previsione dell’aggravante del reato commesso nell’esercizio della professione e inasprimento della pena: ciò per il grande disvalore insito nel comportamento del riciclatore che è un concorrente ex post di reati tipici della criminalità organizzata Si arriva così alla riforma della l 328/1993 che si inserisce in un sistema già orientato alla repressione di forme di criminalità prevalentemente associativa che ridisegna il 648bis e 648ter dando applicazione ai principi dell’art 6 Convenzione di Strasburgo, vi è la scomparsa dell’elenco analitico dei reati presupposto sostituito dal riferimento a “qualsiasi delitto non colposo”, vi è poi a rafforzare la norma la previsione della condotta di “trasferimento di denaro, beni o altre utilità” e la conversione della condotta di “riciclaggio-favoreggiamento” nella formula di chiusura che incrimina il comportamento di “altre operazioni in modo da ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa”; le pene restano quelle del ’90 e vi è l’introduzione dell’attenuante per delitto base inferiore a 5 anni di reclusione, si registra poi un’ottica punitiva mirata a colpire anche il riciclaggio oltre confine con la separazione delle giurisdizioni penali del reato di riciclaggio e quello presupposto preservata dal 648 uc nella riformulazione integrata dall’irrilevanza della carenza di una condizione di procedibilità del delitto a monte. 15 2.Il bene giuridico, la tecnica di tutela e il difficile inquadramento sistematico Il riciclaggio è inserito nel capo 2 titolo 13 libro 2 cp cioè nei delitti contro il patrimonio mediante frode, tale collocazione è però insoddisfacente e inoltre la molteplicità degli scopi perseguiti ha indotto la dottrina a qualificarlo come plurioffensivo impedendone l’enucleazione dell’interesse prevalente, c’è dunque accordo nel ritenere inadatta la collocazione ma divergenza su dove ricollocarlo, sotto il primo profilo l’attuale presenza tra i reati contro il patrimonio è giustificata dall’origine quale costola della ricettazione con cui similitudini di Tatbestand e opportunità di mantenerli consecutivi spiegano l’attuale collocazione di un delitto in cui la tutela patrimoniale è solo secondaria; invece la rivisitazione del patrimonio in chiave strumentale allo sviluppo della personalità fonda l’orientamento che colloca il reato tra quelli volti a contrastare la perpetuazione della precedente condotta antigiuridica, una posizione accolta in Svizzera ma contestata in Italia da obiezioni logiche (non è detto che il movimento del bene ne renda più complesso il recupero anzi proprio questo permette all’anticrimine di scoprire il reato) e giuridiche (tanto la ricettazione quanto il riciclaggio non richiedono che il delitto presupposto sia contro il patrimonio), vi è allora una diluizione della patrimonialità della fattispecie che impone di considerare l’offesa all’amministrazione della giustizia che nella vasta gamma di beni offesi dal riciclaggio funge da massimo comun denominatore, d’altro canto la teoria della patrimonialità non è al passo con l’evoluzione giuridica che propone una nuova prospettiva patrimoniale sganciata dal profilo individualistico e ancorata alla dimensione pubblicistica passando dal riferimento costituzionale della garanzia della proprietà (42 cost) a quello della tutela del risparmio (47 cost) nella specie investimento, si propone allora una concezione dinamica del patrimonio che dalla tutela del semplice bene porta alla tutela dell’ordine economico, quest’ultimo risulta gravemente offeso dal riciclaggio in grado di alterare pesantemente il mercato e ciò spinge autorevole dottrina a inquadrare il reato fra quelli contro l’economia. L’intreccio di prospettive del risparmio e dell’investimento evidenzia i profili pubblicistici di tutela e favorisce l’emersione dell’ordine pubblico come bene sicuramente posto in pericolo dal riciclaggio e certamente richiamato dalla norma quando si rivolge all’accertamento della responsabilità degli autori dei reati 16 presupposti e nella sua funzione di contrasto all’aumento delle attività illegittime, a conferma di ciò vi è la trasmigrazione dell’ordine economico che nell’impiego di denaro beni o utilità viene declassato a bene secondario subordinato all’ordine pubblico; in base a ciò non è opportuno liquidare l’ordine economico e l’ordine pubblico come rationes di tutela paragonabili a semplici obiettivi di organizzazioni politiche e parimenti occorre negare la formula del reato plurioffensivo che svuota l’istituto annichilendo le sue potenzialità selettive. La soluzione va dunque cercata in un’ottica tesa a restituire al bene giuridico il valore selettivo per individuare i fatti vietati (orientamento opposto elegge invece a momento fondamentale l’individuazione dello scopo), cosicché gli obiettivi di tutela presi in considerazione rivelano una scarsa capacità selettiva rivestendo un ruolo di secondo piano più consono a quello di beni finali mentre invece il bene giuridico tutelato va individuato dell’amministrazione della giustizia (e depone a favore di ciò anche il beneficio di auto riciclaggio che da un lato svilisce il riferimento alla consolidazione di una precedente situazione illecita e dall’altro esclude che l’interesse principalmente tutelato sia strettamente patrimoniale) intesa come impegno generale alla persecuzione di qualsiasi reato che viene perfettamente tutelato dalla norma che si rivolge in maniera solo mediata all’economia all’ordine pubblico o al patrimonio preservando in via diretta lo svolgimento delle indagini sulla provenienza delittuosa dei beni. Quest’ultimo è il dato caratterizzante le condotte di riciclaggio ed è significativo l’orientamento dottrinale che per evitare l’abrogazione del 648ter ritiene integrato il reato di impiego nel caso di ricezione di capitali sin dall’origine finalizzata al reimpiego e invece i reati di ricettazione o riciclaggio nei casi in cui l’iniziale ricezione di capitali illeciti non finalizzata all’impiego sia seguita dall’autonoma decisione di impiegarli; l’interesse fondamentale come amministrazione della giustizia è in linea con le funzioni che l’oggetto giuridico è tenuto ad assolvere (politico garantista, sistematico classificatoria, dommatico interpretativa) e impedisce svuotamenti della funzione garantista infatti rimane sempre presente soprattutto nelle più minacciose ipotesi di stratificazione e nelle ipotesi di riciclaggio mediante impiego o nei casi in cui l’impiego è funzionale a offuscare il paper trail in cui è in grado di svelare la reale direzione offensiva della condotta capace di piegare gli elementi altrimenti costitutivi del 648ter; inoltre essa favorisce la lettura costituzionalmente orientata 17 del 648bis ed evita di dilatare eccessivamente la fattispecie imponendo di colpire solo condotte idonee a ostacolare le indagini, consente poi di anticipare l’intervento penale inteso come intervento che prescinde dalla lesione al bene finale attestandosi sul momento prodromico del bene strumentale, solo con l’amministrazione della giustizia quale bene preminente della fattispecie il 648bis può assecondare il corretto inquadramento esegetico che lo colloca fra i reati di pericolo concreto, identificato come bene strumentale quindi oggetto sicuramente di concreta lesione tale bene si differenzia da ordine economico e ordine pubblico per cui non si potrà andare oltre la soglia del pericolo, per cui è in grado di supportare la forma di manifestazione anticipata nel rispetto del principio di offensività il perno su cui ruota un diritto penale dell’offesa. 3.Il soggetto attivo alla luce del beneficio di auto-riciclaggio Soggetto attivo può essere chiunque è dunque un reato comune, cosa confermata dall’aggravante per l’esercente di un’attività professionale che dunque è al di fuori degli elementi costitutivi del reato, a complicare la soggettività è però la clausola di esclusione di responsabilità per i concorrenti a qualsiasi titolo nel reato presupposto che resiste fin dalla prima formulazione della norma attribuendole valenza residuale, tale riserva riduce l’impatto applicativo infatti a dispetto dell’etichetta di reato comune va esclusa dalla punibilità l’ipotesi di autoriciclaggio (che non è una sottospecie), l’interpretazione che introduce il privilegio di autoriciclaggio è in linea con la clausola di riserva nella ricettazione e col privilegio di autofavoreggiamento e in linea con la giurisprudenza. Tuttavia è fra le sentenze che nascono gli elementi che alimentano il dibattito sul criterio discretivo utile a indicare quando si realizza il concorso nel reato presupposto (da cui dipende la sopravvivenza di riciclaggio e ricettazione altrimenti ridotti a post-facta non punibili), mentre la giurisprudenza fa uso del criterio temporale per cui vi è concorso quando l’accordo sul lavaggio del denaro preceda la consumazione del reato principale e invece c’è riciclaggio quando l’accordo è successivo, la dottrina fa leva sull’efficacia causale dell’accordo per cui nonostante il momento dell’intesa sia indiziante non è possibile rinvenire automaticamente il concorso a ogni contributo precedente la commissione del reato ma è necessario 18 che questo abbia realmente influenzato o rafforzato negli autori la decisione di delinquere e viceversa anche se vi è un accordo preventivo ma ininfluente sul proposito delittuoso sussiste riciclaggio. Sulla figura dell’autore del riciclaggio si costruisce la linea di confine tra prospettiva criminologica e prospettiva giuridica, infatti il riciclatore criminologico è di 3 tipi: - l’autore del reato base che opera il money laundering - un soggetto terzo all’oscuro della provenienza illecita che lava il denaro - il riciclatore professionale che opera come una “lavanderia” viceversa il riciclatore penalistico si attaglia solo sull’ultima figura che è di difficile afferrabilità a causa delle sue abilità operative e tecniche sofisticate (l’immunità da riciclaggio però proteggerebbe anche il riciclatore professionista in caso passi la tesi interpretativa per cui in caso di associazione per delinquere la fonte dell’illecito provento è il 416 o 416bis e non i singoli reati scopo); in tale ottica vi sono proposte per eliminare la clausola di riserva tuttavia trasferire il concorso da mero posterius non punibile a ipotesi di riciclaggio non avrebbe altro effetto che congestionare la fattispecie a farle perdere autonomia in quanto la maggior parte dei reati produce utilità e quindi in tutti questi casi vi sarebbe anche riciclaggio, e non convincono le dottrine riformiste che volendo eliminare l’autoriciclaggio ed evitare tali inconvenienti propongono di escludere dall’ambito del reato il mero godimento o utilizzo personale del bene (come il disegno di legge 733bis) in quanto utilizzano forme indeterminate scarsamente probabili e quindi inutili, non si vedono dunque all’orizzonte proposte coerenti con la costruzione normativa della fattispecie preferibili a quella attuale, e inoltre va osservato che in questi casi la messa a frutto della ricchezza illecita può essere evitata con gli strumenti tradizionali del sequestro e della confisca del prodotto prezzo o profitto del reato; per cui una vera riforma più che intervenire in campo repressivo deve agire sulle strategie preventive. 3.1.Problematiche connesse al riciclaggio nei reati associativi Sulla definizione penalistica del riciclatore incidono in senso negativo le manifestazioni necessariamente plurisoggettive del reato ponendo problemi di configurabilità del concorso fra riciclaggio e reato associativo e sul concetto di 19 provenienza dell’oggetto materiale del reato, l’ammissibilità del concorso è subordinata all’esclusione della provenienza del denaro dalle fattispecie associative. Il beneficio di autoriciclaggio può portare a due conclusioni opposte: - non punibilità dell’associato ogni volta che il denaro riciclato risulterà provento della fattispecie associativa, quindi con esclusione del concorso - mettendo in risalto il rapporto di provenienza dei beni va ritracciato il loro legame con i reati scopo e non col reato di associazione per cui l’associato che non vi abbia preso parte risponderà di riciclaggio in concorso col reato di associazione la seconda direzione consente di preservare un importante profilo del soggetto attivo del reato che potrebbe venir compromesso dalla giurisprudenza che considera chi ricicla il denaro di un’associazione non come semplice concorrente ma come organizzatore, ciò combinato con l’espansione del reato associativo che ammette la ipotesi di concorso eventuale dell’extraneus e allarga la responsabilità dell’associato per concorso nei reati fine si avrebbe un assottigliamento della punibilità per riciclaggio. Il pericolo è scongiurato dalla considerazione dei reati scopo quale fonte del provento e dell’inserimento fra questi anche del riciclaggio, delitto fine dell’associazione del quale si potrà rispondere in concorso col reato associativo, vanno quindi prese le distanze da chi considera l’associazione mafiosa in ogni caso refrattaria di una responsabilità dell’associato in concorso con il riciclaggio, tale orientamento contrappone alla fisionomia statica del 416 il carattere dinamico del sodalizio ex 416bis teso al controllo delle attività economiche pur in sé lecite che generano però profitti ingiusti e come tali suscettibili di formare oggetto di riciclaggio, dunque grazie alla forza intimidatoria del sodalizio vi è idoneità alla produzione di guadagni oggetto di riciclaggio, da qui è breve il passo a giungere alla conclusione che il riciclaggio dell’associato in relazione a proventi prodotti direttamente dall’associazione non acquista autonoma rilevanza in base all’autoriciclaggio per cui tale associato sarà punibile solo per 416bis, tale conclusione sembra però perdere di vista il legame di derivazione dei beni traslando il requisito del metodo mafioso da strumento prodromico alla realizzazione delle 20 finalità dell’associazione cui non necessariamente sia concorso l’associato in fonte autonoma di proventi illeciti. Proprio il riferimento all’origine del denaro costituisce l’alveo in cui vincolare la corretta accezione del metodo mafioso, ne conseguono 3 ipotesi di concorso di riciclaggio e 416bis o di solo riciclaggio: - riciclatore estraneo all’associazione mafiosa - riciclatore compartecipe all’associazione mafiosa ma estraneo ai reati presupposto del riciclaggio - riciclatore concorrente eventuale nell’associazione mafiosa per i soli fatti di riciclaggio invece unico caso di applicazione esclusiva del 416bis è quello in cui il riciclatore è compartecipe dell’associazione e autore del reato presupposto, quindi opera l’autoriciclaggio. Questa è la soluzione preferibile pure se genera difficoltà maggiori di accertamento della riconducibilità dei diversi reati scopo ai relativi autori in associazioni così complesse, tuttavia va osservato che tale problema va risolto già in sede di responsabilizzazione dell’associato per lo specifico reato scopo onde evitare forme di responsabilità oggettiva. 3.2.Il caso tranchant dell’aggravante di riciclaggio ex 416bis6 cp Il 416bis6 cp prevede un’aggravante ove l’associazione mafiosa finanzi le attività economiche con proventi illeciti, vi è dunque esclusione di riciclaggio per l’associato che usi i proventi illeciti per il controllo di attività economiche lecite o illecite, l’aggravante prevede solo proventi illeciti (escludendo i proventi dal controllo mafioso di attività lecite) ma non richiede che il delitto a monte sia necessariamente posto dall’associazione che potranno provenire da terzi, per cui si parla di aggravante di riciclaggio; la ratio è contrastare la penetrazione nell’economia legale e l’offuscamento del paper trail, fra riciclaggio e aggravante di riciclaggio vi è un rapporto di specialità in favore della seconda (e infatti vi è una pena maggiore), ciò vale anche per le condotte che integrano il delitto di reimpiego ex 648ter. 21 La disposizione in esame ha importanti riflessi sistematici infatti non vi è dubbio che la provenienza del provento illecito è dai delitti dell’attività o da fatti criminosi posti da terzi, si esclude un concetto di associazione in grado ex se di produrre profitto; altra riflesso è sulla questione della concorrenza 616bis e 648bis infatti se l’associazione reimpiega proventi di terzi risponde del 648ter l’associato che ha svolto il reimpiego ma l’aggravante in esame è a carico di tutti gli associati. Alcune premesse non sono scardinabili: - il riciclaggio e il reimpiego in attività anche formalmente lecito è normale per i gruppi mafiosi - tale fatto rileva come elemento accessorio della condotta base aggravandone sensibilmente il trattamento sanzionatorio nonostante la previsione del beneficio di autoriciclaggio vi è dunque un atteggiamento favorevole a un’accezione dell’origine dei proventi illecita vincolata non all’associazione ma ai delitti scopo, tale visione legittima la rilevanza del riciclaggio come elemento circostanziale piuttosto che come fattispecie autonoma in grado di concorrere con quella associatva. 4.La condotta commissiva e l’esecuzione “in modo da ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa, quale nota modale del valore tipizzante Il 648bis iscrive nel riciclaggio le condotte di chi agisce in modo da ostacolare l’identificazione tramite 3 tipologie di azioni ricondotte in 2 macroaree: - “sostituzione” e “trasferimento”: criterio individualistico descrittivo - “altre operazioni”: criterio generico residuale vi è una formulazione ampia di alternative Mischegesetz su cui sorgono dubbi della conformità ai canoni di legalità, ma proprio tale deficit di determinatezza impone l’analisi preliminare dell’inciso “in modo da ostacolare” se infatti le si legge da tale angolazione le ipotesi di condotta sono unificate evidenziando l’autentico nucleo di disvalore del riciclaggio per cui queste saranno conformi al 648bis solo se in concreto idonee a ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa. 22 Primo punto fermo è che la corretta interpretazione della locuzione deve ricondurne la riferibilità a tutte le categorie di condotta, si afferma ciò in ragione di: - collocazione sintattica: l’espressione è in una parentetica a ridosso delle condotte - confronto sistematico: alla luce del bene giuridico non è riciclatore chi pone una sostituzione di denaro segnalando all’autorità - paradosso dell’interpretazione opposta: per cui sarebbero punibili per riciclaggio anche condotte inidonee a ostacolare le indagini - giurisprudenza: che vede come denominatore comune delle condotte di riciclaggio la tensione a rendere difficile l’accertamento della provenienza, cosa introdotta con la riforma del 1993 Secondo punto fermo è che l’espressione in esame non introduce un’ulteriore condotta di riciclaggio ma indica il modus di ciascuna condotta tipizzata con una formula che avvalora la natura di pericolo concreto del reato, l’attitudine ostative non è una superficiale modalità esecutiva ma un tratto essenziale e profondo di ciascuna condotta, in tale prospettiva la formulazione della norma riesce a individuare il nucleo di disvalore del reato e lo rende autonomo da ricettazione e favoreggiamento; l’ostacolo alla individuazione della provenienza pure se non vi sono delle soglie di rilevanza assume la funzione selettiva necessaria per contenere l’espansione del reato evitando lo scivolamento in esso delle ordinary commercial transactions, diversamente infatti vi sarebbe una trasformazione della sostanza del reato da money laundering a money spending. A garanzia dell’effettiva rideterminazione della norma vi è la scelta linguistica “in modo da” che si distingue da quella dei delitti di attentato “atti diretti a” che rende l’ostacolo alle indagini parametro di valutazione della lesività della condotta e strumento di accertamento dell’oggetto del dolo ed elemento differenziante rispetto fattispecie limitrofe; sono dunque sussunte nel 648bis le condotte che si materializzano come ostacolo all’investigazione piuttosto che come generico ostacolo alle indagini cui viceversa il legislatore fa riferimento nelle ipotesi di false informazioni al PM (371bis cp), non costituiscono invece reato i comportamenti che pur coinvolgendo operazioni su proventi illeciti sono inidonei a tale attitudine ostativa (ed eventualmente saranno ricettazione, favoreggiamento, incauto acquisto). 23 Non convince allora la tesi che riconduce alla locuzione “in modo da ostacolare” la risultante delle singole condotte, si ritornerebbe infatti alla riforma del 1990 cestinando l’arretramento della soglia di punibilità introdotto nel 1993, in quest’ottica l’interprete dovrà verificare un ostacolo (fase del perfezionamento) e non un impedimento (consumazione del reato) all’identificazione, facendo sussistere il tentativo di riciclaggio come qualunque atto idoneo diretto in modo non equivoco a realizzare un ostacolo all’identificazione, secondo tale orientamento la costruzione del riciclaggio come a forma libera o causalmente orientato comporta l’irrilevanza delle modalità descrittive della condotta facendo divenire elemento centrale l’evento che deve essere realizzato dal soggetto, quindi la modalità ostativa viene fatta fuoriuscire dall’azione e trasferita nell’evento naturalistico di danno, vi è dunque una sterilizzazione della condotta con conseguenze negativa sulla determinatezza e tassatività con uno sbilanciamento verso l’elemento soggettivo che assume il compito di individuare la fattispecie, privato così dall’argine garantistico di liceità si rischiano applicazioni disinvolte della norma facendo ad es rientrare in riciclaggio quello che è il “taroccamento dei veicoli” (cambiare targa o numero di telaio), la giurisprudenza considera automaticamente queste ultime fattispecie come operazioni che ostacolano l’identificazione della provenienza delittuosa e quindi applica il 648bis, tuttavia non si può considera fuori traccia tale applicazione di una norma nata per ostacolare la grande criminalità organizzata, la chiave selettiva non va ricercata nel principio di specialità per cui tale fattispecie rientrerebbe nel 10012 Codice della Strada, e tanto meno si potrebbe restringere la norma inserendovi solo beni pari al denaro col requisito della sostanziale liquidità. L’interprete deve concentrarsi sulla idoneità decettiva delle condotte per cui anche il taroccamento può rientrare nel 648bis se idoneo a ostacolare l’identificazione della provenienza, così il pericolo concreto consente di ridurre lo spettro applicativo e ricavare dalla condotta il significato offensivo, così i confini della norma non sono affidati all’incertezza dell’elemento psicologico; allo stesso modo non è riciclaggio la parcella del professionista pagata dall’autore di un reato doloso in quanto l’accettazione trasparente di un pagamento non interrompe il paper trail e non ha attitudine dissimulatoria inoltre non consente un guadagno al criminale ma anzi al contrario è un costo. 24 4.1.L’ipotesi di “sostituzione” La sostituzione è presente fin dalla formulazione originaria e rappresenta il riciclaggio più elementare che si ottiene sostituendo un bene sporco con uno pulito rendendo difficile il rintracciamento della originaria provenienza illecita, nella prassi sono tali molte condotte che implicano scambio o trasformazione, invece condotte sostitutive in senso stretto sono solo quelle del riciclatore senza collaborazione (es alterazione di scritture contabili) in cui vi è una trasformazione autonoma del riciclatore di beni fungibili di cui è stravolta la natura anche senza alterarne la denominazione o genere, su questa scia vi è la giurisprudenza che individua riciclaggio quando l’autore del reato presupposto versa i proventi a una società di cui è socio di maggioranza per cui quando tale spostamento della titolarità del bene avviene con la complicità di terzi estranei al reato base vi è riciclaggio in capo a questi. Diverse sono le ipotesi di sostituzione mediante scambio per cui spesso il riciclatore si avvale di terzi, queste interessano la maggioranza delle sostituzioni di beni infungibili in cui si interviene sulla titolarità del bene con un’attività molto legata all’atto di trasferimento (infatti fuori dai casi di sostituzione strictu sensu è raro che questa non si manifesti con il trasferimento), sebbene il trasferimento abbia autonoma rilevanza e le altre operazioni fanno rientrare fattispecie residuali l’identificazione delle condotte come sostitutive o di trasferimento è fondamentale per il principio di legalità e per l’individuazione di ipotesi di stratificazione o di riciclaggio indiretto e per fornire indizi concreti sulla sussistenza o meno di ipotesi di riciclaggio. Si evince la scarsa compatibilità tra riciclaggio e condotte sostitutive prive di trasferimento o trasferimenti non sostitutivi, dunque le condotte tipizzate possono risolvere dubbi sui confini applicativi della norma fornendo caratteri peculiari del fenomeno del riciclaggio e non solo delle condotte indicate; nonostante il riciclaggio mediante sostituzione sia molto variegato vi è un nucleo comune nel porre al posto di beni illeciti beni leciti, e infatti la Cassazione considera riciclaggio il deposito di denaro sporco in banca e il successivo ritiro. 4.2.Il trasferimento 25 Il trasferimento è identificato con lo spostare il provento delittuoso nell’identica composizione qualitativa nel patrimonio altrui con strumenti ripulitivi giuridici, il trasferimento è considerabile una specificazione della sostituzione, è stato introdotto nel 1993 con la ragione di non lasciare lacune ma risolve molte questioni interpretative; trasferimenti senza sostituzione ma in grado di ostacolare l’identificazione erano già puniti prima della riforma e poi se così non fosse si dovrebbe ritenere penalmente rilevante la condotta di trasferimento tout court compromettendo l’intero schema della norma. Dal trasferimento va esclusa la sovrapposizione con il verbo acquistare che è contenuto nella ricettazione, la dottrina prevalente adotta un’accezione in senso giuridico di trasferimento come traslazione interpersonale della proprietà o possesso anche per richiami normativi comunitari e interni (l 197/1991), sorgono però due ordini di dubbi su tale teoria: - dall’interpretazione criminologica del fenomeno: i sostenitori del trasferimento fisico rilevano che il riciclaggio spesso si avvalga di tecniche fondate sul trasporto materiale dei beni da allontanare dal luogo della produzione illecita facendo discendere l’esigenza di ricomprendere nel reato anche la semplice traslazione spaziale, alla stessa conclusione giunge quella dottrina che isola il trasferimento dalle ipotesi miste a sostituzione, e si segnalano le movimentazioni di denaro tramite sistemi elettronici di pagamento o banche clandestine in cui tuttavia la trasformazione del denaro in moneta scritturale configura ipotesi di sostituzione, l’obiezione criminologica insomma non fa breccia nella teoria e anche il riferimento allo spallonaggio è infruttuoso in quanto tale sistema è quasi sempre funzionale al trasferimento interpersonale - dall’analisi terminologica normativa: condotta sulla disciplina della prevenzione per dedurne la rilevanza materiale del trasferimento non ne scalfisce la consistenza esclusivamente giuridica di esso, infatti occorre cautela nel trasferire automaticamente in ambito penale conclusioni raggiunte in altri settori soprattutto dove spunti per una ricostruzione organica sono già ricavabili sul piano penalistico Va dunque confermata l’accezione giuridica del trasferimento mentre le operazioni di spostamento fisico rientrano nelle “altre operazioni”. 26 4.3.Le “altre operazioni”: una condotta assorbente? L’introduzione delle “altre operazioni” ha dilatato la fattispecie di riciclaggio, per alcuni è una seconda forma di condotta punibili mentre per altri è una terza tipologia di riciclaggio, a tale formula non si possono estendere le critiche di indeterminatezza per 2 motivi: - la presenza dell’inciso “in modo da ostacolare” esplica i suoi effetti anche sulle altre operazioni tratteggiandone la necessaria idoneità lesiva - l’aggettivo “altre” contribuisce a delimitare la condotta in quanto riconduce alla condotte innominate le caratteristiche di quelle espressamente contemplate e infatti la reale funzione delle condotte nominate è proprio di fissare i carattere delle “altre operazioni” evitando che semplicemente siano assorbite in esse. Dunque anche l’ultima condotta di riciclaggio cessa di essere a forma libera e rientra se non fra i reati a forma vincolata in un categoria di vincolatività parziale o a forma quasi libera, al contempo si risolvono i problemi di precisione del reato preservandone la grande estensione e la flessibilità in modo da adattarsi ai mutamenti delle tecniche di riciclaggio. In dottrina vi è poi la posizione che distingue tra altre operazioni con oggetto diretti i proventi del delitto base e altre operazioni per cui tali beni sono oggetto indiretto cioè sono compiute “in relazione a questi” ma incidono materialmente su un diverso oggetto, la locuzione in relazione a pare voler ricondurre nel riciclaggio anche operazioni suscettibili di produrre ostacolo all’identificazione della provenienza di un bene ma esercitate su un bene diverso, ciò è però una tendenza pericolosa perché rischia di dilatare eccessivamente la fattispecie a scapito della tipicità. 5.Il riciclaggio per omissione L’analisi della versione negativa come potenziale forma di riciclaggio è il luogo in cui si concentrano i problemi di materialità e offensività immanenti all’omissione, è alla luce del principio di legalità che va vagliata la possibilità di riciclaggio per omissione 27 in grado di assicurare una rigida delimitazione dell’illecito penale, in base alla distinzione fra reati omissivi in propri e impropri primo test di compatibilità va effettuato tra riciclaggio e reati di pura omissione dove a rilevare sono le specifiche omissioni in quanto tali, i reati omissivi propri sono reati di mera condotta costituiti da: - situazione tipica che attiva l’obbligo di agire - condotta omissiva - termine entro cui l’obbligo va adempiuto configurato il riciclaggio come reato di mera condotta si incontrano difficoltà sul ricostruire la situazione tipica in cui sorge l’obbligo di attivarsi e ciò porta autorevole dottrina a negare il riciclaggio mediante omissione in quanto il legislatore ha descritto condotte destinate ad esprimersi in forma commissiva. Certamente sostituire e trasferire postulano un’azione positiva, riguardo invece le altre operazioni analizzate su un piano astratto sembrano contenere anche modalità di concretizzazione omissiva, tuttavia da un lato vi è la possibilità che tale carattere sia assorbito dalla fattispecie generica di riciclaggio che però nel suo concreto manifestarsi è difficilmente ipotizzabile in forma omissiva, se infatti si fa riferimento all’omessa fatturazione tale condotta non è di per se sufficiente a integrare il riciclaggio ma dovrà necessariamente accompagnarsi ad altre condotte che sono di tipo commissivo, per cui rappresenta solo una parte della fattispecie di riciclaggio. Inoltre si osserva che le teorie a favore della connotazione omissiva si sbilanciano verso il settore preventivo, è indebito infatti traslare gli obblighi di collaborazione attiva (già previsti e puniti anche a titolo omissivo) dalla prevenzione alla repressione; e comunque la norma che configura il reato omissivo rivolge ai suoi destinatari un comando di agire agganciato a situazioni tipiche ben indicate cosa che nel 648bis non è fatta; insomma oltre alla non eseguibilità in forma omissiva delle condotte di riciclaggio vi è il disallineamento strutturale del reato dalle ipotesi omissive proprie tra le quali non può essere ricompreso. A questo punto occorre valutare la convertibilità del 648bis in illecito omissivo improprio, qui è da rilevare che la vincolatività della fattispecie benché parziale è sufficiente a disattivare la clausola di conversione ex 401 cp rendendo impossibile la realizzazione commissiva mediante omissione; analoga conclusione si ha adottando 28 il tradizionale discrimine tra reati omissivi propri e impropri della necessità della presenza o meno di un evento come requisito strutturale del fatto reato, infatti il riciclaggio dovrebbe consistere nella violazione dell’obbligo di impedire il verificarsi dell’evento tipizzato dalla fattispecie commissiva base, evento in realtà naturalisticamente inesistente soprattutto dopo la rielaborazione in un reato formulato come di mera condotta vincolata al pericolo concreto. Dunque non è possibile il riciclaggio commissivo mediante omissione. 6.L’evento giuridico tra pericolo concreto e pericolo astratto Muovendo all’identificazione della tipologia di pericolo nel reato occorre partire dalla locuzione “in modo da..” e dal bene giuridico, la prima va depurata da ogni interpretazione tendente a vederla come specificazione del dolo anche perché di norma la formula utilizzata per ciò è “al fine di..”, poi rifiutare di interpretare la norma in modo da considerare presunto o in re ipsa il pericolo in presenza di “sostituzione o trasferimento” consentono di anticipare in modo ponderato l’intervento penale, la norma così si evolve orientandosi a sanzionare le condotte di offuscamento della traccia di carta; tale sviluppo è reso possibile dal bene giuridico dell’amministrazione della giustizia in funzione centrale, un bene dalla valenza strumentale che insieme al requisito dell’ostacolo all’identificazione scongiura la repressione di condotte inoffensive e consente la qualificazione lesiva del reato in tutte le sue manifestazioni; in tale prospettiva l’idoneità a ostacolare può essere apprezzata nella sua corretta funzione di caratterizzazione dell’elemento materiale del reato conferendogli i tratti del pericolo concreto. 7.L’accertamento del pericolo Identificare il riciclaggio come reato di pericolo concreto ha riflessi anche sulle modalità di accertamento del pericolo, in questi reati il pericolo è elemento tipico espresso contemplato nel testo della norma delineando un elemento costitutivo della fattispecie che il giudice dovrà sottoporre ad accertamento casistico secondo il metodo della prognosi postuma (o ex ante) in concreto, il giudice allora nel verificare la conformità del fatto al tipo dovrà idealmente collocarsi nel momento 29 dell’azione e formulare la prognosi su base totale prendendo in considerazione il massimo delle conoscenze disponibili al momento del giudizio comprese eventuali conoscenze ulteriori dell’agente (la giurisprudenza invece pone solo le circostanze conosciute o conoscibili al momento dell’azione); è una verifica puntuale in base alla quale dovranno considerarsi integrative del reato le operazioni volte a impedire o anche solo a rendere difficile l’accertamento della provenienza attraverso qualsiasi espediente che consista nell’aggirare la normale esecuzione dell’attività posta in essere, invece è esclusa la punibilità delle condotte non in grado di ostacolare questo tipo di indagini, è dunque un requisito comune a tutte le condotte punite inconciliabile con le modalità di accertamento presuntive; sebbene il pericolo sia stato sussunto nella condotta che direttamente lo cagiona dispensando dalla verifica della incidenza causale dell’azione sull’evento di pericolo non si è mai affermato di poter prescindere dal relativo accertamento quale attitudine speciale della condotta da apprezzare in concreto, un elemento essenziale di questa la cui concreta verifica è onere della prova dell’accusa con un positivo effetto sulla tipicità normativa. 8.L’oggetto materiale del riciclaggio L’espressione “denaro beni o altre utilità” ha dato un grande contributo alla determinazione e specificazione del fatto tipico, questa è stata introdotta nel 1990 sostituendo l’originaria “denaro o valori” che aveva presentato molti dubbi interpretativi comprimendo l’efficacia della norma, in tal modo invece ci si è voluti riferire a ogni tipo di bene con una omnicomprensività del reato che attiene a ogni entità patrimoniale attuale e non solamente ipotizzabile o sperata, un oggetto materiale esteso fino a comprendere beni immateriali; ciò ha avuto però degli effetti collaterali in quanto si è forse peccato per eccesso e si pone il rischio di interferenza con altri reati in particolare la ricettazione, e vi sono rischi di elusione dell’obbligatorietà dell’azione penale connessi all’espansione della discrezionalità selettiva del magistrato, vi è dunque per dottrina e giurisprudenza da eseguire un actio finium regundorum; in tale prospettiva una demarcazione dei confini del reato può ricavarsi dalla delimitazione dell’oggetto materiale e dalla corretta considerazione della sua origine o provenienza (il disvalore del reato è proprio in essa e non nel particolare tipo di oggetto). 30 8.1.I confini dell’espressione “denaro, beni o altre utilità” Le difficoltà interpretative sollevate dall’oggetto materiale trovano conferma nel coinvolgimento della Cassazione che nel 1997 ha ricompreso in esso anche il taroccamento di veicolo, un’interpretazione che dilata la fattispecie fino a ricomprendervi condotte punibili per ricettazione e smarrisce gli obiettivi di tutela della norma che si rivolge a combattere l’alterazione sistematica e a catena di certi beni che per i loro valore e la diffusione sul mercato sono suscettibili di cagionare ingenti danni patrimoniali; tali dibattiti interessano la rilevanza economica dell’oggetto prima che dal punto di vista quantitativo da quello qualitativo: - solo i beni suscettibili di valutazione economica alla stregua del denaro che funge da nota qualificante di “beni e altre utilità” - qualunque cosa che possa formare oggetto di diritti a norma del 810 cc la seconda posizione è alla base della corrente che identifica ricettazione e riciclaggio, il termine “bene” rapportato al corrispondente nella ricettazione “cosa” risulterebbe più esteso in quanto comprensivo oltre che delle cose anche dei beni immateriali che in esso rifluiscono anche per l’introduzione dell’espressione integrativa “altre utilità”, in tal modo però sfumano i confini dell’oggetto materiale e quindi delle condotte ulteriormente sfumate in tipicità da quanti ne sostengono la natura bifronte: - quella espressamente definita - quella atipica richiamata dalle condotte esercitate su oggetti materiali diversi dai proventi stessi e idonee a ripercuotersi su di essi riguardo la produzione dell’ostacolo all’identificazione della provenienza tale posizione si basa su un’interpretazione allargata del collegamento sintattico che unisce le “altre operazioni” all’oggetto giuridico, in tale prospettiva la locuzione “in relazione a” comporta dinamiche comportamentali trilaterali consentendo di attrarre nel riciclaggio anche condotte eseguite su oggetti diversi da “denaro beni o altre utilità provenienti da delitto non colposo” fino a includervi qualunque oggetto anche di natura lecita o provenienza diversa da delitto doloso in grado di riflettersi 31 sul bene tipizzato; tutta questa interpretazione apre falle nella determinatezza della fattispecie che la modalità ostativa è insufficiente a colmare. Tali problematiche devono ricondurre l’oggetto del riciclaggio a un’interpretazione più aderente alla ratio legis e meglio conformata alla struttura normativa in cui “beni” o “altre utilità” rigorosamente “provenienti da delitto non colposo” possono essere identificati in modo da ricomprendervi entità differenziate purché riconducibili all’ampio insieme qualificato dall’essenza economico-finanziara, nella nozione di “beni o altre utilità” devono farsi rientrare oltre ai beni di rilievo economico anche gli strumenti finanziari, i beni immateriali (es avviamento aziendale), i preziosi e ogni altra utilità comparabile al denaro e ad esso omogenea; l’analisi della norme pone infatti in risalto la relazione tra “denaro” e “beni o altre utilità” che dal primo sono arricchiti in termini di qualificazione pratica con un grosso contributo in termini di determinatezza. 8.2.La locuzione “provenienti da delitto” Il concetto di provenienza delittuosa considerato da una dottrina il cardine per un’interpretazione non troppo generica del riciclaggio nonostante sia compreso sin dalla prima formulazione nella norma è ancora oggetto di dibattiti, ciò accentuato dall’eliminazione del catalogo dei reati fonte che ha reso più complesso il presupposto positivo del riciclaggio e vanificato la giurisprudenza precedente in quanto si è passati dalla necessità di estendere l’applicazione della norma al problema inverso, fondamentale è non confondere la provenienza da reato con l’identificazione del reato presupposto si pongono problemi interpretativi: - l’inclusione del prezzo del reato nel concetto di derivazione da delitto insieme al prodotto e al profitto - la forma di manifestazione minima richiesta ai fini della rilevanza del reato a monte - la tipologia di delitti suscettibili di generare proventi - la rilevanza del riciclaggio stesso quale fonte di proventi illeciti riciclabili Per la risoluzione dei primi due problemi un aiuto proviene dall’analisi della giurisprudenza in tema di confisca per la quale per prezzo del reato può intendersi il 32 compenso dato o promesso per indurre istigare o determinare un soggetto a commettere il reato, è cioè qualcosa che si distingue sia dalla pertinenza del reato che dalle nozioni di prodotto o profitto, sotto il primo aspetto infatti è evidente la distinzione col prezzo essendo la pertinenza inclusiva del corpus delicti e dei producta sceleris e delle cose che servono ad accertare la consumazione dell’illecito del suo autore e delle circostanze che legano tali elementi all’accertamento dell’illecito, è inammissibile confondere il concetto di provenienza da reato con quello di pertinenza del reato (previsto dal sequestro) per cui risulta l’oggetto del riciclaggio diverso dall’oggetto del sequestro, ma neanche può considerarsi il prezzo semplicemente assorbito nei concetti di prodotto o profitto, i beni confiscabili sono ciò che direttamente e immediatamente risulta dall’esecuzione del reato ovvero le cose che furono create o trasformate o acquisite mediante il reato o ne sono naturale conseguenza, il profitto è ciò che pur non essendo direttamente un risultato deriva come conseguenza economica immediata direttamente correlata col reato e da esso economicamente risultante come primo provento dallo scambio del prodotto del reato, insomma sono due species di uno stesso genus (il provento) distinte dal prezzo che pur richiamato insieme ad esse nell’accezione di corpo del reato ex 253 cpp se ne discosta nella prospettiva repressiva del riciclaggio; in tale contesto non è però sufficiente il legame labile con il reato insito nella funzione cautelare in quanto siamo nell’aspetto punitivo ove servono requisiti stringenti valorizzati dal legislatore con la scelta del termine “provenienti”. Alla luce di ciò può considerarsi il concetto di prezzo come compenso dato, in quanto escluderlo dall’oggetto materiale del riciclaggio e ricettazione è fonte di grosse difficoltà, in tale accezione poi il prezzo è allineato al provento e distinto dallo strumento o mezzo del reato presupposto che non può invece figurare tra i beni oggetto del riciclaggio, può allora affermarsi che rileva per il riciclaggio e la ricettazione qualsiasi provento che scaturisca dai reati presupposto sia come prodotto o profitto o prezzo esclusi gli strumenti impiegati per la loro realizzazione, tale prospettiva risolve a monte la questione dell’ammissibilità della forma tentata del reato base e di scongiurare paradossali conseguenze, sotto il primo profilo i delitti non colposi possono produrre proventi in forma diversa anche a prescindere dal loro perfezionamento quindi è un accrescimento patrimoniale può essere generato dalla forma tentata non è dunque la tipologia di manifestazione consumata o tentata del reato base ma l’incremento economico a essere il prius del 33 riciclaggio, sotto il secondo profilo è evidente la contraddizione nel considerare escluso da riciclaggio e ricettazione il denaro per indurre a commettere un sequestro di persona e invece incluso il denaro consegnato come riscatto, benché tale dottrina si riferisce solo al compenso dato residuava ancora una distinzione tra prezzo e provento in senso stretto che è destinata a sfumare ove si pensi alle nozioni di prodotto e profitto esaltandone la comune natura di guadagno criminoso ovvero di ricavi da reato al lordo delle spese sostenute per conseguirlo (rapporto del GAFI del 1990). Allineandosi all’ampia nozione comunitaria di provento il riciclaggio dilata la sua applicazione e l’interprete deve sfruttare tutta la capacità selettiva dell’oggetto materiale per circoscrivere il reato, ne consegue una visione del presupposto positivo del riciclaggio che selezioni tra i delitti non colposi quelli in grado di generare denaro beni o altre utilità come prodotto profitto o prezzo del reato; sotto il primo aspetto è sanzionato infatti anche il riciclaggio indiretto (o a catena) cioè operazioni che incidano su beni oggetto di precedente riciclaggio d’altronde la preferenza all’accezione giuridica e non naturalistica del provento illecito rende non indispensabile il rapporto diretto con il bene o l’utilità prodotta dal delitto doloso ai fini della configurabilità del riciclaggio; riguardo invece il reato presupposto la clausola di selezione nella norma limita l’applicazione solo ai delitti non colposi (cosa per alcuni troppo selettiva perché esclude ipotesi significative come le contravvenzioni del gioco d’azzardo e la lottizzazione abusiva) sarà dunque necessaria una verifica incidentale del reato presupposto in tutti i suoi aspetti essenziali, cioè non ci si può limitare a supporre l’esistenza generica di un delitto presupposto sulla sola base del carattere sospetto delle operazioni ma pur non necessario che questo sia accertato giudizialmente è necessario che risulti dagli elementi di fatto. 8.3.La forzata convergenza dell’illegittimo non-impoverimento nel concetto di “provenienza illecita” Dal paragrafo precedente derivano due ordini di conseguenze: - impossibilità di classificazioni ex ante in grado di distinguere reati fonte di ricchezza illecita da quelli che non lo sono 34 - indefettibilità di una valutazione casistica delle fattispecie di reato presupposto sono profili utili per i dubbi sull’inclusione tra i reati presupposto della frode fiscale e dei delitti tributari in genere, non vi è un problema di qualificazione del provento ma di interpretazione del concetto della provenienza su cui si divide la dottrina: - natura dinamica ne esalta i connotati intrinseci nel complemento di moto da luogo - natura statica pone in rilievo il nesso di provenienza in senso economico nel senso di derivazione causale dal delitto in cui l’arricchimento o il mancato depauperamento trova collocazione in altri termini la provenienza postulerebbe: - un flusso di ricchezza illecita proveniente dall’esterno e incamerata dal riciclatore che vi opera (nel primo caso) - la conservazione illecita di un quantum già interiorizzato nella sfera patrimoniale del reo attraverso attività legittime (nel secondo caso) le due tesi portano a conclusioni diverse sull’inclusione o meno tra i reati presupposto delle ipotesi di reato che producono vantaggi economici sotto forma di risparmio o mancato depauperamento o illegittimo non-impoverimento, la prima tesi le esclude la seconda le include. La soluzione del problema deve partire dalla corretta interpretazione della “provenienza”, punto di convergenza è il riconoscimento ad essa della funzione connettiva tra oggetto materiale del riciclaggio e reato presupposto, sulla base di tale funzione una dottrina ha affermato che è la nozione di provenienza che deve adattarsi alle caratteristiche dei reati presupposto e non il contrario e sulla base di ciò si includono le frodi fiscali in quanto l’ampiezza del presupposto positivo del riciclaggio (la provenienza) non legittimerebbe l’esclusione di categorie delittuose in assenza di argomentazioni giuridiche adeguate e per di più in presenza di provvedimenti interni e internazionali che fanno esplicito riferimento alla tax matters come inclusa nei reati presupposto, infine da un punto di vista fenomenologico la violazione di norme tributarie può essere usata al fine di riciclare proventi illeciti o generare vantaggi contabili o fiscali. 35 Diverso orientamento ritiene però che l’impossibilità di considerare i reati tributari presupposto del riciclaggio è proprio nel fatto che la violazione delle norme tributarie può essere usata per riciclare proventi illeciti, infatti se prima si occultano le somme e poi si evade il fisco è il delitto tributario ad aver determinato i profitti illeciti presupposto dell’evasione evidenziando un’inversione del rapporto di presupposizione che dimostra come siano fatti illeciti estranei al 648bis. Tra le due tesi vi sono comunque zone di convergenza, l’orientamento rigorista esclude dai resti presupposto quelli tributari in quanto afferiscono a risorse che non derivano da illecito ma da legittime attività che sono in maniera illecita sottratte all’imposizione fiscale, non vi è dunque un lucro ma una mancato depauperamento che si confonde con l’intero patrimonio del reo dal quale non potrebbe essere distinto per specificazione rendendo impossibile l’identificazione nel suo ammontare, certo le difficoltà probatorie non sono un dato decisivo ma confermano la necessità di discernimento del vantaggio economico che proviene dal delitto presupposto; con il DLgs 74/2000 la casistica dei reati tributari si è tuttavia allargata comprendendo fattispecie come la vendita di fatture false per cui anche gli orientamenti più restrittivi ammettono che siano fonti illecite di arricchimento chiaramente identificabile; da questo punto di vista si può meglio apprezzare l’orientamento che dà risalto ai rilievi pragmatici del reato qualificando la provenienza come entrata profittevole nella disponibilità dell’autore di un vantaggio economico generato ex novo, in tal modo si dà una lettura alternativa della Convenzione di Strasburgo limitando le fattispecie di reato base a quelle in grado di creare ricchezza secondo un concetto ben lontano dall’indebito non-impoverimento dell’evasione fiscale, è un orientamento apprezzabile che frena alla dilatazione della fattispecie intervenendo in funzione selettiva già a monte trascurando quelle ipotesi per cui si ha riconoscimento automatico del beneficio di autoriciclaggio ai casi di riciclaggio da evasione in cui spesso autore del reato e riciclatore coincidono. Una potenziale soluzione è allora intermedia: i reati tributari vanno valutati casisticamente e considerati fonte di riciclaggio ogni volta siano alla base di un arricchimento effettivo ovvero di un’utilità identificabile in concreto. 8.4.Il riciclaggio indiretto: riflessi di carattere criminologico 36 Il riciclaggio indiretto (o a catena) si riferisce a condotte di ripulitura con oggetto denaro beni o altre utilità già sottoposte a lavaggio, tale forma di money laundering è la costante delle attuali modalità di riciclaggio che proprio in ragione della complessità hanno capacità di offuscare il paper trail che passa attraverso diversificate fasi di collocamento stratificazione e integrazione, da un punto di vista fenomenologico dunque non vi è problema ad ammettere riciclaggio di ulteriore grado, problemi invece sono per quello giuridico nonostante dottrina e giurisprudenza dominanti accettino tale conclusione, si pongono però problemi sul “perché” e sul “fin dove” punire il riciclaggio indiretto. Sul primo problema vi è convergenza di opinioni in quanto avalla il riciclaggio indiretto non solo chi inserisce tra i reati presupposto il riciclaggio stesso ma anche la dottrina restringe il provento da riciclaggio al solo prezzo incassato dal riciclatore per l’operazione compiuta, in altre parole l’applicazione del riciclaggio spesso non si consuma con la prima operazione conservando la sua valenza lesiva e quindi la ratio applicativa della norma; sono osservazioni consolidate dalla prassi che isola la tesi fondata sulla impossibilità di occultare la provenienza di beni già oggetto di dissimulazioni. Sul secondo problema occorre individuare un criterio idoneo a limitare i livelli di estensione della fattispecie, sono stati individuati diversi punti di riferimento dall’interposizione del terzo in buona fede che interrompe la catena (origine te3desca) al dolo da riciclaggio per cui i reati sono configurati finché l’agente sappia che essi provengono da reato. Ora occorre considerare le implicazioni sulla punibilità del riciclaggio indiretto, ove considerata novazione del presupposto la forma di riciclaggio mediata diventerà fonte delle disponibilità oggetto del riciclaggio sostituendosi al presupposto originario, le conseguenze si rifletto nell’impedimento della configurazione di ipotesi di concorso formale di reati o di riciclaggio continuato e discendono dalla operatività del beneficio di autoriciclaggio, operatività che invece è esclusa ove si continuasse a considerare reato presupposto il delitto da cui è scaturito inizialmente il provento per cui le successive ipotesi di ripulitura saranno compiute sugli stessi beni da soggetti diversi rispetto all’autore del reato base configurando altrettante condotte punibili per riciclaggio; un chiarimento legislativo sul punto dovrebbe muovere dalla funzione di moltiplicatore di ricchezza che ha il riciclaggio, l’attenzione si deve allora 37 focalizzare sul momento in cui la condotta raggiunge l’obiettivo, per cui ove si consideri la moltiplicazione di ricchezza progressivamente generata da ciascuna fase costitutiva delle operazioni complesse la fonte del provento oggetto della successiva operazione di riciclaggio andrebbe rintracciata in ogni livello di pulitura (riciclaggio indiretto = riciclaggio da riciclaggio), per cui deriverebbe inammissibilità di concorso e reato continuato. In senso contrario (prof) ove si consideri il riciclaggio quale meccanismo in grado di moltiplicare la ricchezza solo a ripulitura avvenuta ovvero a consumazione (non semplice perfezionamento) delle operazioni di lavaggio dovremmo ritenere il riciclaggio indiretto fondato sul provento del delitto iniziale come punto di riferimento dell’operatività della clausola di autoriciclaggio e quindi di potenziale legittimazione della rilevanza penale delle diverse condotte integrate nel riciclaggio a formazione complessa, vi è dunque la potenziale ammissibilità di un concorso formale di reati e di riciclaggio continuato. Da altra angolazione il riciclaggio mediato risulterebbe ammesso in quanto ulteriormente lesivo del bene tutelato finché residui una tracciabilità dell’origine illecita, il paper trail garantirà un margine di accertamento investigativo e la sussistenza di un ulteriore pericolo di cancellazione della provenienza illecita, da quanto affermato discende la non configurabilità di un riciclaggio indiretto inteso come riciclaggio da riciclaggio o meglio la non configurabilità di un riciclaggio collocabile a valle del ciclo complesso di lavaggio, in tali ipotesi la consumazione della modalità strutturata di lavaggio avrà generato ricchezza tuttavia pur potendo parlare di provento da riciclaggio (elemento diverso dal prezzo o costo da riciclaggio cioè quanto impiegato per operarlo) mancheranno gli elementi necessari per il perfezionamento della fattispecie in quanto non vi sarà il pericolo concreto per il bene giuridico essendo cancellato il paper trail, d’altronde se si conviene sulla caratteristica strumentale del riciclaggio ovvero sulla sua funzione dissimulatoria del reddito derivante dal delitto anche sotto la lente criminologa il riciclaggio da riciclaggio non avrebbe motivo di essere; infine in tale ottica andrebbero riconsiderati anche i rapporti tra riciclaggio e reati presupposto così come regolati dal 6483, anche in tal caso l’operatività della norma farà perno sull’ultima condotta di riciclaggio o sul delitto a monte a seconda di quella che può essere considerata la fonte del provento illecito, così l’inimputabilità o la non punibilità dell’autore del 38 delitto base implicherà un referente diverso in base al tipo di riciclaggio ricorrente, il reato delle cui sorti il legislatore ha inteso svincolare il riciclaggio sarà quello integrato dall’autore dell’operazione di riciclaggio immediatamente precedente laddove tale condotta produca un lucro secondo la teoria del moltiplicatore di ricchezza, ovvero quello commesso dall’autore del reato a monte nelle tecniche di riciclaggio articolare su operazioni complesse in grado di produrre ricchezza solo al termina della catena di transazioni. 9.L’elemento psicologico L’elemento psicologico nel riciclaggio è legato ai reati presupposto che integrano parte dell’oggetto del dolo e alla locuzione modale, la prospettiva si complica in quanto il punto di osservazione degli elementi costitutivi del fatto tipico non è quello dell’autore del reato base ma quello di qualsiasi soggetto, per cui nella sfera psicologica del riciclatore insieme alla consapevolezza della generica provenienza del bene da delitto non colposa va rintracciata la coscienza della capacità ostativa di quel particolare modus agendi che ne è premessa logico-giuridica della volontaria realizzazione dell’operazione; l’elemento psicologico del riciclaggio è il dolo generico, con una struttura soggettiva meno definita rispetto al passato in cui si richiedeva nel momento rappresentativo i richiami agli specifici reati presupposto e in quello volitivo in cui si richiedeva il fine di procurare a sé o ad altri il profitto. La ricostruzione come dolo generico si discosta dalla Convenzione di Strasburgo del 1990 ma risponde a esigenze di semplicità e chiarezza e a esigenze di natura strutturale in quanto le fattispecie a dolo specifico sono costituzionalmente compatibili solo con i reati di danno in cui la particolare formulazione del dolo funge da limitazione della punibilità a una particolare finalità dell’azione; nei reati di pericolo invece il disvalore dell’evento corrisponde al disvalore della condotta e risulta contrassegnato da quello specifico orientamento modale in assenza del quale le condotte sarebbero prive della necessaria lesività, nessuna finalità che sta oltre il fatto materiale tipico quindi ma un carattere intrinseco alla condotta che andrà accertato di volta in volta sortendo l’effetto che prima era del dolo specifico; per il 648bis le operazioni devono essere oggettivamente capaci di ostacolare il paper trail e ciò deve integrare il momento rappresentativo del dolo, per cui non vi è reato 39 dove il soggetto si sia rappresentato la semplice operazione senza acquisirne il dato della provenienza delittuosa. Tale conclusione va distinta dagli orientamenti che vedono nella disposizione una forma di dolo specifico implicito che si avrebbe per la finalità di ripulire il bene intesa come elemento ulteriore, è una considerazione già usata dalla cassazione in passato per distinguere riciclaggio da ricettazione, tale impostazione è stata promossa da una dottrina per cui i reati a dolo specifico implicito in quanto caratterizzati da un particolare modo d’essere del fatto presentano un’analoga corrispondenza dell’elemento soggettivo per cui la commissione di tali reati postula la consapevolezza e volontà di dirigere la condotta verso il fine implicito e la coscienza dell’esatto significato che essa assume rispetto al fine; tale versione si discosta dalla tradizionale dottrina sul tema e conduce a un pericoloso arretramento interpretativo portando la connotazione oggettiva della modalità nella sfera psicologica dell’agente, in tal modo oltre che frustare gli obiettivi della riforma sorgono maggiori difficoltà dimostrative; l’interpretazione appare poi inutile se si osserva come per garantire davvero il rispetto del principio di offensività nei reati a dolo specifico l’estremo pericolo va considerato pericolo concreto per cui non si avrà dolo specifico quando l’azione sia inidonea al conseguimento dello scopo. Dunque il soggetto non dovrà voler integrare la condotta di riciclaggio col fine di creare un ostacolo, ma nell’agente dovrà riscontrarsi il voler realizzare una condotta di trasferimento o sostituzione o un’altra operazione oggettivamente e concretamente contraddistinta dalla capacità ostativa. 9.1.Le insidie nell’ammissibilità del dolo eventuale Il merito riconosciuto alla teoria del dolo specifico implicito è di porre in risalto la locuzione “in modo da..” con la quale si possono risolvere i problemi relativi l’ammissibilità del dolo eventuale, quando la norma statuisce che le condotte devono svolgersi con tale modalità non solo è un carattere statico-descrittivo ma una peculiarità oggettiva dell’operazione che andrà spezzettata nel suo aspetto dinamico complessivo ovvero nel modo in cui essa è stata realizzata, in tal modo si potrebbe ammettere come anche condotte astrattamente inidonee a offuscare il paper trail possano risultare adeguate allo scopo se considerate nella complessiva 40 operazione; tutto ciò non consente però l’operare di forme depotenziate di dolo in quanto l’intenzionalità della realizzazione comporta che il soggetto abbia organizzato la causalità in modo da porre in essere una situazione non casuale ma preordinata e ciò si riflette sulla struttura del fatto perché anche processualmente la prova della realizzazione dolosa richiede la sussistenza di elementi della realtà che rivelino il finalismo del volere, tutto ciò nel riciclaggio richiede per forza di cose il dolo intenzionale e non una mera accettazione del rischio della provenienza illecita. Accettando il dolo eventuale nel riciclaggio si indebolisce il momento volitivo sgretolando la tipicità del reato, alla carenza della funzione ulteriormente selettiva propria del dolo intenzionale devono poi aggiungersi le difficoltà probatorie di dimostrazione di aver agito nell’indifferenza del risultato lesivo, cui si sommano le difficoltà ancor maggiori di distinguere il dolo eventuale dalla colpa cosciente in questa sede in quanto la costruzione del reato come ipotesi di pericolo concreto avvicinerebbe il dolo indiretto più che altro a una colpa aggravata dalla rappresentazione dell’evento. Dunque i dati esterni e precostituiti della realtà presente o passata sono oggetto di rappresentazione più che di volontà così come i presupposti della condotta, per cui la stessa distinzione tra dolo e colpa incentrandosi su criteri esclusivamente rappresentativi e non anche volitivo accentuerà gli aspetti problematici e le incertezze. 9.2.Riflessi positivi ed effetti collaterali derivanti dalla cancellazione dell’elenco dei predicate crimes L’eliminazione del catalogo dei reati presupposto ha dilatato la fattispecie normativa e a prima vista semplificato l’accertamento probatorio specie in merito al dolo, infatti è necessario dimostrare che l’autore del reato sia a conoscenza della provenienza illecita del bene e prima della riforma della provenienza da specifici reati e non altri, forse questo è motivo dello scarso numero di condanne, tuttavia l’estensione non a singoli reati ma a tutti i delitti non colposi non ha di molto semplificato la cosa in quanto se si conosce che è un delitto non colposo di norma si conosce il delitto e quindi permane uno scarso numero di condanne. 41 La consapevolezza della provenienza illecita è elemento fondamentale, fermo che in base al richiamo al 648 uc non è richiesta una sentenza di condanna per il reato presupposto occorre analizzare cosa si intende per coscienza della provenienza illecita, facendo attenzione a evitare indagini personalistiche in interiore homine è evidente quanto sia complesso l’onere di dimostrare la consapevolezza della provenienza illecita del provento senza averlo illecitamente generato, qui l’esigenza di assicurare al dolo un contenuto autentico di colpevolezza che impone accertamenti non meno complessi di quelli fondati sul numero chiuso di reati, per cui ove si riuscisse a fornire la prova della consapevolezza del riciclatore in ordine alla provenienza del provento si sarebbe anche in grado di dimostrare la consapevolezza da un particolare tipo di delitto. Dunque l’eliminazione dei reati presupposto fa pendere la bilancia costi/benefici verso i primi e inoltre riduce la forza repressiva della norma, per questo una riforma volta a recuperare l’effettività della norma deve concentrarsi su specifiche forme delittuose, prima di una scelta deve però essere identificato con precisione il nemico da combattere che sarà principalmente la criminalità organizzata e dunque fra i reati presupposto devono esserci quelli da cui trae i suoi maggiori introiti. 10.Le forme di manifestazione: consumazione e tentativo L’evoluzione normativa ha avuto i suoi riflessi sulla configurabilità del tentativo, va precisato che il delitto si perfeziona in caso le condotte siano idonee a ostacolare anche se non vi è un effettivo sbarramento all’identificazione ma è resa solo più difficoltosa, la versione del 1978 escludeva il tentativo, la versione del 1990 era configurabile ma vi era un reato di evento e di danno, con la versione attuale invece vi è un reato di pericolo concreto secondo la dottrina dominante compatibile col tentativo quando vi è un’operazione tentata ma non portata a termine (e si fanno gli esempi dello smurfing cioè aperture di conto o depositi per il frazionamento delle operazioni, o la concessione di fido a favore di un criminale che voglia confondere queste somme con quelle illecite) tuttavia proprio l’ostacolo è già consumazione, ricordando che il reato è a condotta parzialmente libera l’unico tentativo teoricamente ammissibile è il tentativo compiuto in quanto solo in questo si potrà apprezzare l’idoneità della condotta, da un punto di vista pratico però nei casi in cui l’azione è compiuta con atti idonei a ostacolare vi è già il reato, vi è dunque 42 impossibilità pratica del tentativo di riciclaggio senza metterne in discussione la struttura del reato. Su questo dibattito si innesta quello sulla configurabilità del tentativo nei reati di pericolo contestato da chi osserva che si punirebbe il pericolo di un pericolo anticipando eccessivamente la punibilità, dove comunque si accolga un concetto graduabile di pericolo per cui per il tentativo vi sarebbe un pericolo meno intenso si punirebbe per riciclaggio anche ogni operazione compresa nelle fasi primarie del metodo roll program (serie di operazioni finanziarie frazionate attraverso cui si aggirano i controlli statali), eppure se si ritiene che l’agente non abbia creato il necessario pericolo vuol dire che gli atti sono inidonei e dunque non vi è neppure tentativo, infatti pur ammettendo un pericolo graduabile nel tentativo vi sarebbe la probabilità minima di pericolo, e la probabilità della probabilità minima è una non probabilità. Tali osservazioni rilevano anche per il tempus e locus commissi delicti, il tempo del delitto sarà il momento in cui il soggetto avrà realizzato la condotta in maniera da ostacolare l’identificazione della provenienza senza attendere la conclusione dell’intera operazione di riciclaggio ma è sufficiente che gli atti posti in essere siano idonei di per sé, il luogo sarà quello in cui ciò è avvenuto. 11.Concorso di persone Il riciclaggio può manifestarsi anche in forma plurisoggettiva tuttavia il legislatore si è poco soffermato sulla fattispecie specie nella disciplina preventiva e ciò ha determinato un impatto normativo limitato degli obblighi di collaborazione attiva; maggiori problemi riguardano il concorso fra condotte attive e omissive come nei casi di compartecipazione omissiva dei dirigenti o degli amministratori dell’intermediario che non impediscono operazioni di riciclaggio commesse materialmente da questo, sono ipotesi omissive improprie escluse dal riciclaggio monosoggettivo potrebbero ritornare in quello concorsuale sulla base di un preciso potere giuridico idoneo a impedire il compimento di specifiche azioni illecite di terzi, una puntuale costruzione della posizione di garanzia che non sembra soddisfatta nel caso in esame, deve dunque ripetersi anche per il concorso omissivo quanto già detto sulla medesima forma monosoggettiva; l’esclusione di tale configurabilità in 43 forma negativa è più compatibile con il carattere della causazione dell’evento altrimenti assorbito nel mancato impedimento che è fondamentale per il principio di offensività. 12.Regime sanzionatorio La sanzione per il riciclaggio è reclusione da 4 a 12 anni e multa da 1.032 € a 15.493 € (analoga è per il 648ter), questa è rimasta sostanzialmente invariata fin dalla riforma del 1990 che l’aveva inasprita, tuttavia a tale costanza è corrisposto un radicale mutamento dei reati presupposto che ha portato riflessioni dottrinali sulla sperequazione della pena per il riciclaggio rispetto a quella di molti di questi , cosa già osservata dopo la riforma del 1990 quando al catalogo dei reati furono inseriti quelli relativi il traffico di stupefacenti le cui pene per la fattispecie di lieve entità non superano i 6 anni; il disallineamento sanzionatorio non è appianato neanche con l’attenuante del 3° comma in quanto la pena resta molto più elevata. Tutto ciò porta contraccolpi sul piano operativo per cui si registrano anomale strategie difensive volta a confessare il reato presupposto per beneficiare dell’autoriciclaggio e quindi ottenere una sanzione minore; così il riciclatore penalistico si allontana sempre più da quello criminologico come l’autore di un reato di perpetuazione delle conseguenze lesive di ogni altro delitto, mentre dal secondo punto di vista è un soggetto che concorre con la criminalità organizzata che può essere colto solo con specifici reati matrice. 12.1.Diminuente e aggravante speciale del riciclaggio L’attenuante speciale è incapace di colmare il gap tra precetto e sanzione di riciclaggio, nonostante la pena sia diminuita se il reato base non ha una pena superiore a 5 anni la riduzione sarebbe di 1/3 e dunque vi sarebbe comunque una sanzione non inferiore agli 8 anni, tale disomogeneità può essere accentuata dal principio del bilanciamento a presidio del giudizio di prevalenza o equivalenza in caso di concorso eterogeneo ex 69 cp per cui qualora prevalgano le sole aggravanti vi sarebbe un ulteriore aumento, a prevalere potrebbero essere proprio le aggravanti speciali cioè: 44 - fatto commesso nell’esercizio di un’attività professionale - fatto commesso da persona sottoposta a misura di prevenzione nel secondo caso vi è l’aumento da 1/3 alla metà, la misura di prevenzione deve essere contenuta in un provvedimento definitivo mentre il periodo di operatività dell’aggravante va da quello di applicazione del provvedimento fino a 3 anni dalla cessazione della sua esecuzione. Riguardo la prima aggravante vi sono difficoltà interpretative per la locuzione “attività professionale”, riguardo cosa debba intendersi la legge individua: - attività nell’ambito della quale la commissione del 648 e ss comporta l’applicazione di misure disciplinari o la revoca del titolo abilitante - categorie di intermediari abilitati a eseguire operazioni in denaro o titoli al portatore per somme superiori a 20 milioni ovvero uffici della PA, banche, ecc.. altra questione interpretativa è la necessità o meno di un nesso causale tra lo svolgimento dell’attività professionale e il riciclaggio e se l’esercizio abusivo della professione possa rilevare ai fini dell’aggravante, la risposta può derivare dalla ratio della norma di impedire che il soggetto possa avvalersi di attività professionali che agevolino la ripulitura e nello scoraggiare il ricorso a esperti per ciò e in genere nell’evitare che competenze professionali specifiche si pongano al servizio del crimine, in tale prospettiva un rapporto occasionale difficilmente agevola la commissione del reato invece all’opposto lo agevola una professione anche abusivamente esercitata. Si pone ora un ulteriore argomento a sostegno della reintroduzione del catalogo dei reati, infatti l’incidenza dell’attenuante dipende dall’effettiva sussistenza del reato presupposto che va accertato giudizialmente e non in base alla mera prova logica della provenienza da delitto che è incapace di qualificarlo, per cui anche nell’attuale formulazione normativa il necessario accertamento della forma circostanziata del riciclaggio comporta inevitabilmente un’indagine sul tipo di reato a monte, si stempera così l’obiezione al reinserimento del catalogo fondata sulle difficoltà di accertamento e si comprendono gli scarsi risultati probatori ottenuti dalla sua eliminazione. 45 12.2.Sequestro e confisca Il legame più labile implicito nel concetto di pertinenza al reato e conseguente mitigazione dell’onere probatorio insieme alla maggior estensione dei beni sequestrabili o confiscabili rispetto a quelli riciclabili sono elementi che rapportati alla criminalità del profitto inducono a ritenere tali strumenti adeguati a contrastare il riciclaggio, la loro maggior penetrazione è esaltata dal meccanismo del 12sexies dl 306/1992 e si colloca nel filone degli interventi preventivi patrimoniali inaugurato dalla legge Rognoni-La Torre orientato alla semplificazione probatoria, ne discende uno strumento agile conformato alla pena patrimoniale ma in grado di abbinare la metodologia delle pro-active investigations al fine di individuare patrimoni illeciti; i punti di forza del sistema sono l’impiego di tecniche di indagine non focalizzate solo su un singolo reato o bene ad esso collegato ma su flussi economici afferenti a determinati soggetti in grado di scardinare anche l’economica criminale consolidata; il provvedimento di cui al 12sexie nei casi di condanna o applicazione della pena su richiesta per alcuni gravi reati prevede sia sempre disposta la confisca della pertinenza di denaro beni o altre utilità purché vi sia una sproporzione quantitativa rispetto al reddito o all’attività economica esercitata di cui il soggetto non sia in grado di fornire giustificazione, vi è dunque una funzione punitivo-repressiva evidenziata dell’esclusione di ogni accertamento della pericolosità della cosa, e proprio l’irrilevanza della pertinenzialità del bene rispetto al reato dilata la potenza dell’istituto colpendo beni acquisiti anche in epoca anteriore o successiva il reato. L’efficacia della misura è garantita da un sequestro preventivo sugli stessi beni soggetti al 12sexies così fornendo anche il vantaggio di un intervento rapido previsto nel corso delle indagini preliminari per il reato presupposto, e infatti proprio le lentezze processuali forniscono alla criminalità un grosso vantaggio, che però viene intaccato da indagini patrimoniali mirate che partendo dal basso cioè dalle operazioni più prossime al reato si sviluppano a catena e si estendono anche a soggetti terzi (il sequestro può coinvolgere anche terzi intestatari fittizi) e a territori diversi da quello d’origine (confisca internazionale introdotta dalla Convenzione di Strasburgo condensata sulla semplificazione probatoria dell’origine illecita tradotta nella dilatazione dei termini per le indagini e nella confisca per equivalente che è uno strumento residuale ove residui una parte non confiscata dal 12sexies, tale 46 confisca è stata estesa al riciclaggio interno estendendo anche i poteri di indagine del PM fino all’udienza delle conclusioni). Tali nuovi strumenti si sono resi necessari risultando la confisca tradizionale inadeguata in quanto impone di ricostruire il nesso tra provento e reato cosa che nel riciclaggio è impossibile vista la commistione del provento col patrimonio lecito dell’autore, la nuova confisca risulta vincolata per il fumus commissi delicti all’astratta configurabilità sull’indagato di una delle ipotesi criminose senza prevedere indizi di colpevolezza o la loro gravità e per il periculum in mora alla mera circostanza della confiscabilità del bene (cioè sproporzione e mancata giustificazione); dunque una volta accertata la responsabilità per determinati reati si considera il patrimonio del reo frutto di pregresse attività illecite in forza di una presunzione relativa ancorata ai criteri della confisca, ciò è stato considerato da alcuni inversione dell’onere della prova, tuttavia c’è da considerare che i metodi tradizionali sono inadatti al riciclaggio e che confiscando tali risorse economiche si previene anche la commissione di futuri crimini. Ne risulta un triplice effetto: - impedimento della soddisfazione dell’expected utility da parte della criminalità in conseguenza della sottrazione del benefit - scardinamento patrimoniale dell’organizzazione che dai proventi illeciti trae sostentamento - sterilizzazione della provenienza dei beni e recupero alle casse dell’Erario si deve poi osservare che il parametro probatorio posto dal legislatore perde la sua inadeguatezza se confrontato con lo status giuridico del soggetto che infatti va dimostrato, allora la tesi dell’inversione dell’onere della prova non può essere considerata soluzione interpretativa esclusiva, questa si basa sul presupposto che il soggetto deve dimostrare non solo la provenienza lecita del patrimonio ma anche che sia stato acquistato con strumenti leciti, è un’interpretazione rigoristica che si scontra con un diverso indirizzo che reinterpreta il 12sexies in maniera costituzionalmente orientata cioè come causa di una presunzione relativa di illecita accumulazione patrimoniale superabile con l’allegazione di elementi giustificativi della lecita provenienza del bene anche privi di valenza probatoria civilistica in tema 47 di diritti reali, dunque è onere del PM dimostrare la provenienza illecita salvo l’onere delle allegazioni gravante sul soggetto. 12.3.Una negatività condivisa Riguardo i punti di contatto tra le misure patrimoniali con gli obblighi di collaborazione attiva entrambe sono finalizzate all’accertamento di situazioni patrimoniali rilevanti prescindendo dalla commissione di un reato o dalla qualificazione di un provento, la disciplina preventiva è inoltre una legislazione che sfrutta la leva antiriciclaggio per impiantare obblighi su una prospettiva di moral suasion a largo spettro, è un metodo articolato su un sistema di delazione anonima cioè accusare senza assumersi le responsabilità delle conseguenze, si è di fronte allora a uno scopo etico perseguito con mezzi di certo non etici per cui si può ritenere che il vero obbiettivo sia solo un’estetica dell’etica, e non possono non segnalarsi le carenze di appeal di tale sistema, infatti l’etica ha bisogno di libertà e di autonomia non di uno Stato che la imponga. 13.Punibilità: l’irrilevanza delle condizioni di procedibilità del reato presupposto Sempre presente nella norma è stato il riferimento all’applicazione all’ultimo comma del 648 una norma che però non è stata altrettanto statica, nella sua formulazione odierna configura la quasi totale estraneità alle vicende del delitto matrice del riciclaggio distinta in 3 momenti - imputabilità - punibilità - procedibilità il riferimento è al reato presupposto nell’ultimo caso o al suo autore nei primi due, la sua identificazione può essere più semplice come in un riciclaggio non strutturato in cui si identifica con reato base o più complessa come in un riciclaggio strutturato in cui si pone il dubbio se sia il reato base o il precedente riciclaggio, il discrimine può essere la capacità della condotta di generare proventi in base alla teoria del 48 moltiplicatore della ricchezza; individuato il reato matrice vi è l’impermealizzazione delle sorti del riciclaggio rispetto a questo che non risente della cause di esclusione della pena o dei vizi di capacità di intendere e di volere o dei profili di procedibilità (querela o richiesta i procedimento o autorizzazione a procedere; quindi è punito per riciclaggio anche se il reato base è commesso all’estero, controverso il punto della necessità o meno della doppia incriminazione, tali conseguenze discendono dalla lettura sistematica della locuzione sulla condizione di procedibilità che va calata nel conteso di ratifica della Convenzione di Strasburgo che intende proprio colpire il riciclaggio transazionale); vi è dunque emancipazione del riciclaggio pur se tale assunto va contestualizzato perché continua il reato a monte a essere prius necessario del money laundering. Parte della dottrina richiamandosi al 1701 sostiene l’insensibilità del riciclaggio rispetto all’estinzione dell’illecito base e alla sua irrilevanza penale, sono conclusioni basate sulla negazione di un riconoscimento formale al reato presupposto privato di un ruolo strutturale nella fattispecie di riciclaggio restando vincolante come fonte del provento; la posizione non è condivisibile da un punto di vista politico criminale perché sarebbe assente ogni interesse a perseguire condotte di ostacolo all’identificazione di una provenienza che non è più illecita, e da un punto di vista dogmatico in virtù del rispetto della struttura normativa dell’illecito che richiede la provenienza sia illecita, dunque l’estinzione del reato presupposto a seguito di abolitio criminis estingue anche il riciclaggio, parimenti la scriminante per il reato fonte, contrariamente si violerebbe il principio di legalità e tassatività, analogamente deve dirsi per i casi di novazione legislativa e declaratoria di incostituzionalità del prius; la conferma di ciò si ricava a contrario dal 648 uc che fa riferimento solo a imputabilità e punibilità e procedibilità cioè situazioni che a differenza delle precedenti non sono in grado di escludere l’esistenza del reato base. 13.1.Profili critici Problemi aperti rimangono cosa il giudice debba accertare a fondamento del riciclaggio e quale sia il minimo standard per poter parlare di provenienza da delitto (è sufficiente il nomen? se no come coniugare l’accertamento col riferimento al 648? e in caso vi sia una pronuncia del tenore del “fatto non sussiste” o “non 49 costituisce reato”?), in base a quanto detto in taluni casi il delitto di riciclaggio dovrebbe degradare a condotta penalmente irrilevante con l’utilizzo dello strumento della revisione processuale. Del resto vi è un’esigenza di riformulazione verso la chiarezza normativa per evitare conseguenze paradossali come il riciclaggio di Stato in caso di fondi acquisiti tramite l’erario, tutto ciò sia pure di natura sostanziale ha grandi riflessi processuali in quanto l’attuale formulazione della norma ha creato un processo in cui alla ricerca della prova si sostituisce il sospetto incentivando la prova logica e la prova indiziaria. 14.Ampliamento degli spazi di non punibilità per l’agente provocatore Sulla convinzione che l’informazione sia un bene pubblico sono stati elaborati diversi impianti normativi fra cui la causa di non punibilità speciale per l’agente provocatore in tema di riciclaggio, inizialmente norma di riferimento era il 12quater l 356/1992 che non puniva la condotta di riciclaggio di tale soggetto finalizzata ad acquisire elementi di prova in merito a tali delitti, questa norma lasciava immutato quanto disposto dal 51 cp ponendosi in rapporto di specialità sia da un punto di vista soggettivo che finalistico, la norma puntava infatti a colmare il gap fra crimine e Stato e raggiungere una simmetria informativa; la formula però aveva prestato il fianco a critiche innanzitutto non si fa espresso riferimento al trasferimento che resta comunque implicitamente compreso nella formula che non è variata con la norma odierna cioè il 9 l 146/2006 (pag 229) una disposizione che si inserisce nel quadro di potenziare la figura dell’agente provocatore estendendo lo strumento in esame anche ai privati che cooperano con gli inquirenti. Pure negli ampi spazi di manovra che la norma lascia all’anticrimine restano dubbi sulla sua efficacia, questi afferivano alla formula ambigua del verbo “procedere” anteposto alla condotta di sostituzione: - se ricomprendeva condotte consumate l’inutilità della norma deriva dal 49 cp che impone la non punibilità di condotte in difetto di un autentico lavaggio - se viceversa si fosse voluto limitare l’attività degli ufficiali ai soli atti prodromici il lavaggio sarebbe risultata pleonastica in quanto sono operazioni già non punibili per carenza di dolo da consumazione 50 oggi nonostante il superamento della formula ambigua continuano ad esservi incertezze come riguardo agli effetti della scriminante nei confronti di tutti i correi in applicazione del 1992 cp in quanto si considerano oggettive le clausole di esclusione dell’antigiuridicità (se il fatto è lecito devono considerarsi lecite anche le attività dei partecipi), e non serve neanche evidenziare che la condotta dell’agente è antagonista alla nota modale del reato e quindi a difettare sarebbe la configurabilità del tipo in quanto configurando il fatto come reato impossibile si estenderebbe anche ai correi. 15.La difficile convivenza delle fattispecie affini col delitto di riciclaggio Le fattispecie di cui al 648 648bis 648ter hanno forti analogie e frequenti sovrapposizioni in cui spesso prevale il riciclaggio, ciò specie a seguito della dilatazione di tale reato che finisce col coprire ipotesi delle altre due norme la cui applicazione diviene residuale, dal punto di vista psicologico mentre la ricettazione è orientata al profitto (dolo specifico) riciclaggio e impiego si allineano al dolo generico, l’unico criterio in grado di favorire la comprensione dei confini fra norme è la lettura oggettiva dell’idoneità della condotta a cagionare ostacolo all’identificazione della provenienza, per cui si preferirà il riciclaggio alla ricettazione quando il comportamento non si limita all’acquisizione del bene ma lo manipoli per ostacolare l’indagine, inoltre il riciclaggio potrebbe anche non includere la materiale ricezione della res che sarà sottratta alla ricettazione in caso la condotta abbia modalità decettiva (un meccanismo che rischia di assorbire condotte al riciclaggio come nel caso di taroccamento dei veicoli). Il vero problema è impedire che anche nella più tradizionale ipotesi di ricettazione sia colta un’ontologica idoneità ingannatoria in grado di farla trasmigrare nel riciclaggio, d’altra parte la semplificazione di una modalità ingannatoria in re ipsa metterebbe in crisi le potenzialità discretive del disvalore oggettivo, seguendo tale criterio la ricettazione prevarrà solo dove la condotta non presenti l’idoneità a ostacolare la provenienza delittuosa del bene con una espansione incontrollata del riciclaggio ove si ritenga l’idoneità ostativa implicita nella condotta; risultati migliori non li raggiunge chi rinviene elemento specializzante del riciclaggio nella funzione di lecito-vestizione, al rapporto con il circuito dei beni leciti si riferisce anche la 51 dottrina che distingue il dinamismo del riciclaggio dalla staticità della ricettazione, neanche il riferimento all’oggetto materiale è definitivo essendo analogo il concetto di “denaro beni o altre utilità” a quello di “denaro o cose” della ricettazione. L’attenzione va allora concentrata sulla provenienza delittuosa dei beni che per cui si ha ricettazione per ogni delitto in ricettazione e impiego e invece limitata nel riciclaggio, ciò che rimane è allora solo il tratto modale che svela l’apparente conflitto fra le norme quando in realtà si può ipotizzare un concorso materiale dei dure reati quando all’azione del ricevere i beni per ottenere un profitto consegua una sostituzione, data comunque la frequente sovrapposizione tra riciclaggio e ricettazione spessa dovuta alle potenzialità di nascondimento della provenienza insiste in quest’ultima restano dubbi sul concreto spazio operativo del 648 specie di fronte a condotte in cui vi è unità di azione. Nel micro-sistema legislativo a progressione specializzante viene ora in rilievo il delitto di impiego una fattispecie in rapporto di specialità rispetto al riciclaggio che è integrata qualora: - non vi sia staticità acquisitva - l’attività a seguito dell’acquisizione sia specificamente impiegare in attività economiche o finanziare il provento illecito come il riciclaggio in tale delitto vi è una rigorosa qualificazione del termine finale della condotta che prevede appunto l’impiego in tale attività, è questa una distinzione in teoria valida ma sul piano pratico il reimpiego ne postula sempre (a differenza del riciclaggio) la preventiva ricezione e tale prius logico implica matematicamente la configurazione della ricettazione destinata a prevalere per la clausola residuale in apertura del 648ter (si è parlato di irrazionalità sistematica), e infatti la funzione residuale della norma ne fa discendere l’assoluta simbolicità. Altro orientamento cerca invece di recuperare uno spazio operativo alla norma ritenendola applicabile ai casi di ricezione di proventi sin dall’inizio finalizzate all’impiego in attività economiche o finanziarie, tale tentativo non trova però riscontro nella pratica in cui si scontra con le difficoltà del profilo psicologico oltre che con un atteggiamento decettivo probabilmente presente in chi riceve il denaro, per cui l’autore del 648ter agirà di sicuro in modo da non far trapelare l’origine illecita integrando così il riciclaggio; altri sforzi di autonomia della norma sono 52 fondati sulla ratio legis che però finiscono con la differenziazione tipologica dell’autore del reato in quanto l’autore del 648bis è il riciclatore professionista invece quello del 648ter è l’imprenditore che si mette in affari con la malavita utilizzandone i proventi. Dunque in fin dei conti rimarrebbe fuori dal 648bis solo l’impiego di proventi da delitto colposo, tuttavia occorre interrogarsi se davvero il legislatore abbia voluto estendere i casi di impiego ai proventi casualmente derivanti da reato, cioè se sia ipotizzabile un provento da delitto colposo o il concetto per sua natura sia naturalisticamente doloso, e tale barriera naturale finirebbe con annullare l’operatività della norma. Da quanto affermato si può appoggiare certamente un’eliminazione della norma, oppure una sua conservazione sotto forma di aggravante speciale del riciclaggio pur con alcuni accorgimenti in quanto in molti casi l’impiego è una tecnica finalizzata al nascondimento della provenienza specie nel riciclaggio strutturato in tali ipotesi quindi rileverebbe come autonoma fattispecie di riciclaggio e non semplice circostanza quindi mettendo in dubbio la soluzione prospettata o almeno imponendole la formulazione di un criterio distintivo oggettivo. Le complicazioni derivanti dall’espansione del riciclaggio non si fermano alle norme vicine ma si estendono a ipotesi quali: - favoreggiamento reale (379 cp) la clausola di riserva con cui si apre la norma rende tale figura sussidiaria a riciclaggio e impiego che hanno precedenza applicativa, la specifica direzione finalistica della condotta darà luogo al reato solo quando l’autore si attivi per assicurare il prodotto il profitto o il prezzo del reato a chi lo ha commesso senza generare ostacolo all’identificazione della provenienza, ciò potrebbe avvenire in caso di aiuto a riciclaggio consumato tuttavia in tal caso da un lato il provento è già al sicuro dall’altro non risulta integrata la condotta che consistere nell’aiutare a rendere definitivo il vantaggio delittuoso, salvo voler distinguere i due reati in funzione della finalità soggettiva permangono i rischi di assorbimento nel riciclaggio 53 - incauto acquisto (712 cp) e omessa denuncia di cose provenienti da delitto (709 cp) unica differenza col riciclaggio risiederebbe nell’elemento psicologico - trasferimento fraudolento di valori (12quinquies l 356/1992) la norma colpisce i negozi indiretti, fiduciari ovvero tutte le transazione opache in cui vi è un dolo specifico alternativamente di eludere le disposizioni in tema di misure di prevenzione patrimoniali o di contrabbando ovvero di agevolare la commissione del 648 o 648bis o 648ter; la fattispecie riecheggia il favoreggiamento e infatti c’è chi la qualifica come favoreggiamento di favoreggiamento per recuperare spazi operativi al 379, tale interpretazione è però destinata all’insuccesso per l’espansione del riciclaggio per cui un’agevolazione della condotta che lo integra finisce per ricadere in esso, dunque parte della dottrina considera simbolica la norma in esame, altra parte invece limita i casi di applicazione alle ipotesi in cui il 648bis sarebbe inapplicabile per il beneficio di autoriciclaggio o difficoltà probatorie sulla provenienza delittuosa; tutto ciò evidenzia lo scarso coordinamento sistematico per cui la condotta in esame si rivela una forma di manifestazione del riciclaggio, a nulla rileverebbero le distinzioni da un punto di vista cronologico per cui la norma sarebbe antecedente o contemporanea ai reati di cui al 648 e ss laddove invece il delitto di riciclaggio non può essere che successivo rispetto al reato presupposto, tuttavia non resisterebbe comunque alla forza attrattiva nel riciclaggio - impiego di carte di pagamento (12 DLgs 231/2007) la norma si applica all’indebito utilizzo, falsificazione, alterazione, possesso, cessione, acquisizione tese al conseguimento di un profitto (dolo specifico) di carte di credito o di pagamento o documento analogo, l’interprete si trova in difficoltà in quanto gli illeciti di cui al 559 dello stesso decreto possono fungere da prius del riciclaggio e che l’illegittimo impiego delle carte di pagamento può nello stesso tempo generare illecitamente un provento e trasferirlo in modo da ostacolare la provenienza, l’apparente concorso di norma viene risolto allora col beneficio di autoriciclaggio che escluderà il 648bis in caso del singolo comportamento con doppia qualificazione da parte del medesimo autore - usura vi può essere un concorso fra usura e riciclaggio ove la prima abbia un ruolo servente ovvero sia praticata in modo da ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa del denaro prestato, tale concorso è possibile 54 però solo se il denaro prestato origini dall’illecito altrui, infatti inquadrando l’usura come tecnica di riciclaggio vi sarà un concorso formale di reati, invece se il riciclaggio usuraio ha ad oggetto gli interessi usurai stessi o coinvolga proventi generati dallo stesso riciclatore l’autoriciclaggio escluderà l’applicazione del 648bis 16.Il bilancio di un trentennio L’espansione dalla originaria previsione del 1978 ha allontanato la norma dal referente criminologico, occorre interrogarsi sul perché punire il riciclaggio, la prospettiva penalistica è evitare la cancellazione del paper trail, in caso invece di riciclatore/autore del reato presupposto lo si punirebbe per preservare le ragioni della vittima e impedire che tragga profitto dal crimine, ma per ciò è sufficiente il sequestro e la confisca ed è inutile il reato di riciclaggio al più potrebbe rilevare come aggravante, a nulla valgono le illusioni di un maggior rigore punitivo per contrastare il fenomeno criminoso visto che con l’espansione della norma di riciclaggio sono crollate le condanne; vi deve essere dunque uno sforzo normativo teso al recupero dell’efficacia della norma migliorandone la determinatezza servendosi anche di analisi criminologiche fin qui scarsamente considerate. 55 Capitolo IV: OBBLIGHI DI COLLABORAZIONE E SORVEGLIANZA SUI SITEMI DI PAGAMENTO: I LINEAMENTI DELLA DISCIPLINA INTERNA E INTERNAZIONALE DI PREVENZIONE DEL RICICLAGGIO 4.Premessa La prevenzione del riciclaggio costruita dagli obblighi di collaborazione attiva ha nel DLgs 231/2007 uno strumento di riorganizzazione e sistematica, questo recepisce la Direttiva 2005/60/CE (III direttiva antiriciclaggio) codificando raccomandazioni del GAFI e del FMI al fine di prevenire l’utilizzo del sistema finanziario ed economico a fini di riciclaggio o finanziamento del terrorismo con misure volte a tutelarne l’integrità e la correttezza dei comportamenti, gli obblighi che si impongono sono: - verifica della clientela (in luogo della mera identificazione) - registrazione - segnalazione di operazioni sospette la sensibilità riconosciuta ai destinatari insieme alle informazioni possedute nel corso della loro attività conferisce alla collaborazione attiva un aspetto più vicino a quello preventivo che investigativo, incidi cono i principi generali nella misura in cui prospettano un’impostazione modulare degli obblighi di riciclaggio in relazione al caso concreto (tipo di cliente, di rapporto..); la norma si rivolge a categorie sempre 56 più ampie e diversificate di destinatari distinti per classi in base all’omogeneità dell’attività svolta: - intermediari finanziari e altri soggetti esercenti attività finanziaria professionisti revisori contabili altri soggetti 4.1.Identificazione e registrazione alla luce del (nostro) approccio differenziale su base consensuale Aspetto innovativo della disciplina concerne l’identificazione del cliente per cui si impone una “verifica adeguata” che assorbe e fortifica l’obbligo, pare che il legislatore abbia modellato il vecchio obbligo di identificazione seguendo l’approccio differenziale su base consensuale (cap 2 para 1) cioè modulare gli adempimenti antiriciclaggio in ragione del destinatario con strumenti a penetrazione soggettiva variabile, momenti fondamentali sono: - passaggio dal semplice al complesso racchiude il principio portante della collaborazione attiva improntata sul know your client (KYC), riguardo la figura del professionista il contenuto degli obblighi di verifica si ricava dal 18: o identificare il cliente e verificarne l’identità in base a documenti dati o informazioni ricavati da una fonte affidabile e indipendente o identificare l’eventuale titolare effettivo e verificarne l’identità (beneficial owner) o ottenere informazioni sullo scopo e sulla natura prevista del rapporto continuativo o della prestazione professionale o svolgere un controllo costante nel corso del rapporto - nuova filosofia del risk based approach vi è un aumento degli obblighi del professionista con un ruolo quasi investigativo, l’obbligo dell’identificazione è infatti esteso dal momento genetico all’intero arco della relazione e si impone l’identificazione del beneficial owner ma soprattutto si impone di ottenere informazioni sullo scopo e natura della relazione; la previsione ha senso solo se riferita a particolari figure professionali come l’avvocato d’affari ed 57 è tesa a ricostruire scopo e natura ulteriori dell’operazione ovvero la reale fisionomia di una condotta; il professionista dovrà dimostrare di aver chiesto al cliente informazioni supplementari per quegli elementi che presentano tratti di anomalia e quindi in mancanza di segnalazione dimostrare di aver avuto una giustificazione plausibile. Va segnalato il dispendio di risorse per il professionista per lo svolgimento di compiti che esulano dalla normale attività e spesso la intralciano, al sovraccarico di oneri si tenta di porre rimedio con la graduazione offerta dal risk base approach in virtù del quale vi sono tre livelli di attenzione: - standard - semplificato - rafforzato commisurati alla quantificazione del rischio che dovrà effettuare il professionista, sono criteri già richiamati in precedenza dal dm 141/2006 ma qui rilevano non come ricondotti al sospetto di riciclaggio ma in funzione preselettiva del grado di adeguatezza da rispettare nella verifica della clientela; nonostante le potenzialità deflattive della norma risulta ancora molto sbilanciata in quanto tralascia l’aspetto consensuale che è fondamentale per l’approccio differenziale in quanto il benefit perseguito dallo Stato non è apprezzabile dall’obbligato, inoltre vi è grande timidezza legislativa nell’attuare tale approccio con una pericolosa disposizione al 255 per cui non si applicano gli obblighi semplificati quando si abbia motivo di ritenere che l’identificazione così operata non sia attendibile, ciò comparato al 20 per cui i soggetti obbligati devono dimostrare all’autorità che la portata delle misure è adeguata al rischio si carica di tale onere il professionista che voglia adottare l’approccio semplificato rendendo tale opzione meramente teorica finché le autorità non indichino una casistica in cui la verifica semplificata sia astrattamente adeguata. Al contempo andranno ripensati anche i meccanismi sottesi alla procedura semplificata che oggi impongono un’istruttoria comunque particolareggiata e dispendiosa con obblighi di conservazione documentale risolvendosi in sostanza in un’eccezionale esenzione dagli obblighi di registrazione e tenuta dell’archivio unico; è probabilmente negli obblighi di registrazione che si verifica invece una reale diversificazione degli oneri in linea con la ratio di semplificazione e proporzionalità 58 che dovrebbe sottendere l’approccio differenziale, la regolare ottemperanza di tali obblighi ben scandita anche da un punto di vista temporale (30 giorni) impone l’istituzione e la tenuta di un archivio unico informatico (AUI), la regola è stemperata però da soluzioni alternative in ragione della diversità degli obbligati (registro della clientela, sistemi informatici, custodia dei documenti); anche le singole opzioni sono modulabili con forme di attuazione particolareggiata come quella di avvalersi di un autonomo centro di servizio per l’AUI degli intermediari finanziari. Alternativa all’archivio è il registro della clientela a fini antiriciclaggio per cui i dati andranno conservati nel fascicolo di ciascun cliente, cosa molto funzionale agli studi di piccole dimensioni, nonostante però tale alternatività di soluzioni è unico il rigore nella conservazione per assicurare la consultazione dei dati (per l’archivio si impone chiarezza completezza immediatezza unicità dei criteri di tenuta; per il registro si richiede numerazione firma), ciò è funzionale alle finalità degli obblighi di registrazione che sono utilizzati per qualsiasi indagine su operazioni di riciclaggio o finanziamento del terrorismo ma soprattutto per corrispondenti analisi della UIF o qualsiasi altra autorità competente, ciò rivela i segni di un’incompleta realizzazione dell’approccio differenziale su base consensuale, base che risulta antagonista a questo immenso database che ha le forme a volte del rapporto client-server altre del peer-to-peer, un programma molto complesso i cui costi sono interamente a carico del privato, e se ciò non bastasse si aggiunge la contaminazione dell’obiettivo anti riciclaggio cagionata dall’utilizzabilità dei dati a fini fiscali. 5.Segnalazione di operazioni sospette: certezza del diritto, evidenza probatoria e dubbio come virtù Il massimo della collaborazione attiva è l’obbligo di segnalazione delle operazioni sospette (SOS), il tema è anche quello dei luoghi comuni e dell’approssimazione che rischiano di trasformarlo in un rebus concettuale, occorre dunque ragionare in modo da restituire prevedibilità alla norma perché solo la certezza del diritto consente l’impiego della forza; il dubbio è però il fulcro della norma infatti il 41 impone ai soggetti obbligati di inviare alla UIF una segnalazione di operazione sospetta quando sanno o sospettano o hanno motivi ragionevoli di sospettare riciclaggio o finanziamento del terrorismo, dunque ad eccezione di coloro che sanno 59 è innegabile che alla base della segnalazione vi sia lo stato dubitativo, sorprende poi la qualificazione dell’operazione come sospetta stante la neutralità che la contraddistingue e dunque può essere compreso ciò solo contestualizzandola come già il legislatore del 1991 aveva suggerito analizzando le caratteristiche del caso concreto; la locuzione “induca a ritenere” incarna lo stato di dubbio su cui poggia il sospetto, un’interpretazione della norma indurrebbe a riordinare le posizioni “sanno, hanno motivi per sospettare, sospettano” creando un climax discendente e una scala che va dal dubbio alla certezza, tale lettura dilaterebbe la casistica delle operazioni anticipando la segnalazione al livello del dubbio che confligge con la stessa norma che nel comma successivo menziona “evidenze probatorie” come supporto indefettibile di un sospetto, cioè le caratteristiche dell’operazione in concreta su cui il dubbio è elevato a sospetto ponderato irrigidendo i confini dell’aspetto psicologico che oggi sono esasperati dal mero sospetto di un tentativo di riciclaggio; si registra allora una maggiore libertà nel percorso indirizzato alla segnalazione che abbandona il rigore della rigida sequenza legata al convincimento della provenienza illecita del bene tanto da ammettere che ad essere segnalata sia un’operazione diversa e distinta rispetto a quella materialmente richiesta di compimento. L’importanza di una valutazione critica dei motivi a sostegno del sospetto di riciclaggio connesso all’operazione segnalata è ricavabile dall’intero sistema che scandisce i diversi momenti dal sorge del dubbio alla segnalazione: - indicatori di anomalia favoriscono lo sviluppo del sospetto sono elaborati da Banca d’Italia ministero della giustizia e quello dell’interno secondo una ripartizione dei compiti, sono criteri ad alta definizione in base ai quali le categorie coinvolte possono orientare l’iter valutativo dell’operazione, tale valutazione pur non implicando attività investigativa necessita della conoscenza del cliente usando tutto il patrimonio informativo che garantisce la necessaria contestualizzazione degli indici di anomalia, in tale prospettiva sono fondamentali le indicazioni del Decalogo della Banca d’Italia e le istruzioni operative della UIF che fanno riferimento alle caratteristiche dell’operazione, sono linee guida non vincolanti o esaustive ma indirizzano l’esame dei fatti il cui esito e responsabilità restano sul soggetto, si ricava allora la centralità del processo valutativo 60 - iter interno il modello per gli intermediari finanziari è su un duplice livello di valutazione: o segnalazione al responsabile aziendale dell’antiriciclaggio: l’operatore segnala a questo soggetto che di norma è il legale rappresentante dell’azienda o segnalazione all’UIF: il responsabile non ha un mero compito notarile ma procede ad una rivalutazione funzionale alla segnalazione all’UIF sfruttando i maggiori elementi conoscitivi rispetto all’operatore (processo valutativo a rafforzamento progressivo); a sostegno della valutazione vi è il potente software GIANOS che però esalta il ruolo soggettivo nel processo critico-valutativo, il programma si compone di tabelle decisionali strutturate per consentire l’interpretazione dell’operatività della clientela e individuarne comportamenti atipici, tali tabelle sono costituite da operazioni correlate tradotte in algoritmi, esse non risultano leggibili nei programmi informatici in modo da rendere indispensabile una rivalutazione ad opera del segnalante, invece la misura e il peso delle fasce di rischio sono in chiaro e personalizzabili garantendo un aiuto all’operatore che non viene ridimensionato ma resta il cardine del sistema - trasmissione della segnalazione alla UIF anche questa fase ribadisce l’essenza del giudizio sotteso alla segnalazione in quanto lo schema della segnalazione nel relativo modulo comprende un riquadro in cui indicare la descrizione dei motivi del sospetto riportati in relazione agli indicatori di anomali, la compilazione del quadro è essenziale a riprova di ciò vi sono le segnalazioni risultate infondate perché prive della valutazione dell’operazione e descrizione dei motivi del sospetto Della norma può offrirsi una lettura alternativa considerando i motivi ragionevoli per sospettare in modo autonomo come un tertium genus, infatti tali motivi sono gli input che il soggetto avrebbe dovuto cogliere attraverso un’istruttoria adeguata, una terza categoria in grado di elevare i compiti di vigilanza a livelli d’attenzione superiore in cui rileva anche la colpa lievissima in relazione alla particolare competenza che il legislatore ha scorto nell’obbligato, l’estensione della punibilità a condotte superficiali o negligenti è insito nei ragionevoli motivi avallato da una posizione normativa che evidenzia il climax senza stavolta ricorrere al correttivo 61 della postergazione di grado; anche tale interpretazione non sembra condivisibile infatti non è plausibile pretendere dal privato l’assunzione di ruoli di intelligence così tecnici e svincolati da un riferimento normativo certo. Si riaffaccia allora il dubbio come una virtù in grado di gestire un sistema di rischio con l’approccio di matrice anglosassone e la sanzione di stampo romanista difficilmente conviventi, ciò evidenzia il conflitto tra giustizia e certezza del diritto, nonostante si segnalano le disfunzioni di questo sistema non sono affrontate per la prevalenza del diritto comunitario, ritorna allora la formula di Radbruch per cui il diritto positivo conserva il suo predominio anche quando ingiusto e inadeguato a meno che il contrasto tra legge e giustizia divenga intollerabile. 5.1.Il sesto senso dell’avvocato/professionista tra speciale attitudine e conoscenza causale superiore In un processo di interpretazione di segni così mutabili fondamentale è essere abile a prendere decisioni, alla base di ciò vi sono delle sovrastrutture mentali frutto delle conoscenze ed esperienze del decisore, le conseguenze pratiche si riflettono in una soggettivizzazione del rischio generando un warning potenziato o al contrario una sottovalutazione dell’anomalia, è qui che può esprimersi l’intuizione quale approccio immediato in grado di guardare alla realtà senza costrizioni aprioristiche, è la sede del sesto senso; il DLgs 231/2007 anticipa l’obbligo di decisione all’insorgere del dubbio, essa si può fondare: - sesto senso: quando vi è poco tempo per decidere è molte informazioni - ragionamento: quando c’è molto tempo e va giustificata la propria scelta L’avvocato che assiste il proprio cliente in operazioni finanziarie dovrà in breve tempo valutare molte informazioni e procedere se del caso a segnalare senza ritardo ove possibile prima di eseguire l’operazione, questo schema richiama la decisione per intuizione, tuttavia la decisione intuitiva è per definizione inspiegabile ponendosi in contraddizione con l’obbligo del segnalante di giustificare e descrivere i motivi del sospetto, più appropriato sarebbe invece il modello analitico che assicura la ricostruzione del processo decisionale che media il giudizio (euristica); i richiami normativi al sospetto e al dubbio evidenziano l’importanza che da il 62 legislatore al sesto senso per cui possiamo affermare che la decisione è figlia dell’interconnessione tra intuizione ed euristica del giudizio. L’attività valutativa del professionista non si risolve in un percorso standardizzato ma vi è una forte connotazione psicologica, ciò rende la disciplina preventiva precaria per: - asimmetrie socio-epistemologiche prodromiche alle segnalazioni: il fenomeno della percezione selettiva fornisce un’ulteriore spiegazione alla resistenza opposta dagli avvocati, in quanto non si potrebbe colmare il gap di questa categoria con gli intermediari finanziari per il loro patrimonio conoscitivo specifico - disfunzioni concernenti lo standard oggettivo del dovere di diligenza: mettono in crisi i tentativi di conciliazione delle esigenze di generalizzazione e di personalizzazione dell’agente modello, , per cui il sesto senso dell’avvocato è nella disciplina un elemento che concorre a delineare una figura differenziata di agente modello traslando una particolare attitudine personale dalle “speciali capacità” alle “maggiori conoscenze causali”, vi è dunque uno stravolgimento dello standard di diligenza imponendo lo sfruttamento integrale di una dote eccezionale sotto la minaccia della sanzione In quest’ottica le deviazioni sistematiche (bias) dalle scelte corrette sul dovere di segnalazione saranno considerate errori colposi dell’obbligato dotati di rilevanza penale a prescindere dalla verifica della capacità del soggetto agente di uniformare il proprio comportamento alla regola violata, vi è una vanificazione degli sforzi di personalizzazione del giudizio di colpa e il risorgere della preoccupazione di evitare il rischio di una strumentalizzazione dell’agente concreto per fini di difesa sociale e tutela di beni giuridici. 5.2.La responsabilità professionale e principio deontologico vs delazione Un sistema che ha al centro la delazione è sicuramente instabile, la dilatazione dei soggetti obbligati ha ampliato formalmente la fonte di SOS cui non è seguito un aumento delle segnalazioni come evidenziato dal governatore Draghi per cui i professionisti sono restii a ciò, questo per una cultura professionale fondata su 63 principi deontologici che fanno prevalere la riservatezza sull’obbligo di delazione nonostante la clausole di deresponsabilizzazione da ciò; si confrontano sul tema due blocchi di norme: - norme che blindano il segreto professionale: 622 cp 200 cpp 118 249 cpc che combinate con quelle dell’ordinamento professionale non si limitano a disciplinare il segreto professionale ma ne evidenziano le diverse nature per cui l’avvocato deve rispettare il proprio status anche quando è chiamato a collaborare con l’amministrazione della giustizia - norme antiriciclaggio: individuano nei destinatari degli obblighi di collaborazione agenti al servizio della legalità vedendo l’avvocato come un ausiliario della polizia giudiziaria il Consiglio nazionale forense ha preso posizione evidenziando la necessità di rispettare il segreto professionale che trova fondamento direttamente nella Costituzione nel diritto di difesa, dunque una normativa antiriciclaggio efficace e ragionevole deve raccordarsi con la disciplina professionale dell’avvocato a cominciare dal segreto professionale. Il legislatore a tutela dell’avvocato delatore deresponsabilizza la segnalazione non considerandola violazione degli obblighi di segretezza, l’uso del termine obbligo e non di diritto evidenzia la prospettiva assunta di tutela del cittadino, si evidenzia dunque un rapporto di proporzionalità inversa tra obbligo di segretezza e obbligo di segnalazione, fondamentale è il riferimento al 12c DLgs 231/2007 che puntualizza la limitazione del coinvolgimento degli avvocati ai casi di operazioni finanziarie o immobiliari di trasferimento o gestione di denaro o di conti o società tratteggiando l’ambito di competenza dei consulenti legali (business lawyer), a fare da contraltare a tale disposizione vi è una riespansione dell’obbligo di segretezza per le informazioni che l’avvocato ottiene dal cliente nell’espletamento del ministero difensivo, la questione controversa è allora nella zona grigia fra attività di difesa (sicuramente esclusa dalla delazione) e quella di consulenza para-giuridica, è possibile distinguere allora 3 tipi di attività: - legata al procedimento giurisdizionale in itinere con l’espletamento di difesa o rappresentanza 64 - svincolata da un procedimento in itinere ma di natura strettamente giuridica in cui possono rientrare l’esame della posizione giuridica del cliente e la consulenza sull’eventualità di intentare un procedimento - para-giuridica svincolata da un procedimento in itinere o in fieri, è l’attività del business lawyer solo in relazione a questa si pone l’obbligo di segnalazione tale interpretazione è in linea con la posizione comunitaria e l’unica in grado di stemperare lo sgretolamento del segreto professionale. I pilastri della riservatezza e della fiducia che sorreggono il segreto professionale come base del diritto di difesa non possono scivolare in secondo piano dinanzi una politica criminale del sospetto, eppure la formula di chiusura del 41 ha proprio tale tenore, escluso che le segnalazioni possano violare l’obbligo di segretezza non portano responsabilità di alcun tipo se poste in essere in buona fede per le finalità di legge, vi è così un vulnus al rapporto fiduciario sotto un duplice profilo: - violazione della riservatezza delle notizie scambiate tra le parti - libertà di comunicazione tra avvocato e cliente infatti obbligare l’avvocato a mettere a disposizione dello Stato le notizie riservate dell’assistito significa calpestare il rapporto fiduciario che gli ha consentito di acquisirle; le preoccupazioni crescono se l’attenzione si sposta sugli obblighi di creazione di database l’accesso ai quali non è neppure subordinatamente condizionato al sospetto di riciclaggio; ma il colpo di grazia al legame fiduciario è la compromissione della libertà di comunicazione tra professionista e cliente che si ha col divieto di tipping-off ex 46 che vieta al primo di dare comunicazione dell’avvenuta segnalazione al di fuori dei casi di legge e non si può comunicare all’interessato o a terzi che è in corso o può essere svolta un’indagine in materia di riciclaggio o finanziamento al terrorismo. Si estromette il cliente dai flussi informativi sia in uscita ma ancor più discutibile quelli di ritorno (48) infatti è fatto divieto anche di dare notizia a questi di segnalazioni conclusesi con l’archiviazione, ma allora come può continuare un rapporto di fiducia in queste circostanze? perché al cliente non è assicurato almeno il flusso di ritorno consentendogli di sospettare della propria banca o cambiarla? 65 5.3.Financial Intelligence Unit interna e attori protagonisti del palcoscenico della prevenzione In un sistema dove la segnalazione alimenta la disciplina preventiva antiriciclaggio la FIU ne rappresenta il cuore, concluso il livello di valutazione dell’obbligato la FIU esercita le funzioni di ricezione approfondimento e trasmissione alla competenti autorità di informazioni finanziarie, inizialmente le sue funzioni era dell’Ufficio italiano cambi ora dell’Unità di Intermediazione Finanziaria (UIF) presso la Banca d’Italia con un peculiare regime giuridico, questa non ha personalità giuridica è regolata da un regolamento della Banca d’Italia che le attribuisce mezzi e risorse per i propri fini, resta però l’autonomia sul piano operativo e gestionale, la sua attività si distingue sia dall’analisi investigativa che dalla repressione del reato valorizzando la funzione di collegamento e filtro. La razionalizzazione del DLgs 231/2007 ha interessato l’intera prevenzione in particolare i poteri delle autorità coinvolte affidate alla responsabilità del ministero delle finanze tramite il Comitato di sicurezza finanziaria con funzione di coordinamento, la UIF provvede a inoltrare le SOS agli organi investigativi (Direzione Investigativa Antimafia e Nucleo Speciale di Polizia Valutaria della GdF) ovvero all’autorità giudiziaria, salvo decida l’archiviazione; quest’ultimo passaggio non è fondato su basi solide ma su una sostanziale deregolamentazione anche se sono allo studio linee precise. La UIF sottopone le SOS a un’attività di analisi e apprendimento grazie a un vasto e diversificato parco di fonti informative (dalle autorità di vigilanza alle UIF estere) che consentono lo studio particolareggiato di ogni operazione segnalata confluendo in una relazione tecnica che è allegata alla SOS, qualunque sia la destinazione di quest’ultima la relazione fornisce un approfondimento e agevolazione per il proseguo delle indagini o del procedimento giurisdizionale anche in caso sia disposta l’archiviazione, questa è una forma sui generis in quanto è posta comunque in modo da consentire la consultazione degli organi investigativi, non vi sono però criteri in base ai quali decidere l’archiviazione e addirittura peggiorativa è l’intenzione dell’UIF di operare la relazione solo per casi meritevoli di approfondimento rendendo l’operato più efficace ma impossibile il controllo degli organi investigativi. 66 Il problema è generato dalla crescita delle segnalazioni che congestionano l’azione di vigilanza, più opportuno sarebbe focalizzare l’attenzione sulla difficoltosa selettività delle SOS, è discusso poi anche il modello prescelto per la UIF sarebbe infatti preferibile una collocazione presso istituti giudiziari per valorizzare gli aspetti collaborativi con la magistratura oppure presso le strutture di polizia coniugando le funzioni di intelligence con quelle di rango investigativo riducendo l’esito dell’istruttoria alla secca alternativa archiviazione/trasmissione all’autorità giudiziaria smaltendo i tempi di una collaborazione tra UIF e PG sempre più intensa con inutili duplicazioni di passaggi e perdite di tempo vista la distinzione netta fra i due organi. In realtà l’UIF svolge un’analisi tattica sulle segnalazione che può confermare la fondatezza del sospetto o indurre a ravvisare un fumus di reato, nel primo caso trasmette le SOS al NSPV o alla DIA che ne informano il Procuratore nazionale antimafia qualora siano attinenti alla criminalità organizzata, nel secondo caso le SOS sono trasmesse direttamente all’autorità giudiziaria che probabilmente richiamerà in gioco l’UIF con compiti di consulenza tecnica; un sistema lento non migliorato dalla recente introduzione della possibilità per l’UIF di sospendere l’operazione sospetta a seguito di una specifica istruttoria convalidata da decreto del giudice di durata massima di 5 giorni lavorativi, troppo breve per bloccare l’ingresso dei proventi illeciti nel mercato ma abbastanza lungo da danneggiare gravemente l’attività economica del segnalato, a ciò si aggiunga la deresponsabilizzazione della UIF per segnalazioni infondate cui si cercato di porre rimedio recuperando la responsabilità per danni cagionati con dolo o colpa grave. Riguardo il sistema dei controlli in generale vi è un’imponente mole di soggetti che sovraintendono ex art 7 al rispetto della normativa antiriciclaggio, una fitta trama di flussi informativi che vedono affianco a interventi ispettivi generali approfondimenti mirati rivolti anche a operazioni sospette non segnalate, che pecca però dove il controllore non ha supervisione programmatica salvo gli insufficienti riferimenti al controllo potenziale degli organi investigativi agevolato dalle modalità di evidenza imposte all’UIF, e ai poteri ispettivi del Nucleo della GdF in funzione integrativa dell’attività di verifica della UIF, strumenti poco penetranti che non riescono ad assicurare un livello anche minimo di tutela al segnalato. 67 5.4.La collaborazione attiva e la deriva internazionalistica Se il giudizio sulla disciplina preventiva si focalizzasse sul numero di segnalazioni sarebbe sicuramente positivo, questo dato isolato però non è decisivo in quanto non è la segnalazione lo scopo ultimo della collaborazione attiva, invece un’analisi attenta dimostra l’esito fallimentare del sistema causato dagli eccessi, un quadro in cui anche l’aumento esponenziale di segnalazioni si rivela dannoso quasi un ostacolo, ciò favorito dalla disciplina di matrice comunitaria che ha generato pecche evidenziate anche dalla Banca d’Italia, fra queste la dilatazione della nozione di riciclaggio a fini preventivi che ingloba anche l’autoriciclaggio, poi l’aumento delle categorie di soggetti tenuti alla segnalazione; difetti cui le proposte della UIF di sostituire la relazione tecnica con forme meno complesse non risolvono e anzi peggiorano infatti il carico si scaricherebbe sugli organi investigativi costretti a fare un lavoro ulteriore. I tempi di gestione delle SOS sono quindi molto elevati, al 2008 in media 70 giorni, e inoltre ben il 90% di esse sono state trasmesse agli organi investigativi, dunque una funzione praticamente inutile per la UIF e anzi dannosa perché genera un ritardo che poi si riflette sulle indagini, il trend è comunque quello dei paesi con un analogo sistema come Germania e USA; tali risultati evidenziano l’annullamento dei benefici della segnalazione cioè immediatezza della reazione e fattore sorpresa, in un sistema lento in cui le azioni sono falciate dalla prescrizione e che da preventivo non può che trasformarsi in repressivo però privo delle garanzie di civiltà giuridica per il segnalato; l’Unità va dunque soppressa non ottemperando ai suoi fini di filtro tra segnalato e anticrimine e separazione della fase preventiva da quella repressiva, auspicabile è invece un sistema judical model o law enforcement model che ha come unici due sbocchi l’archiviazione o la trasmissione all’autorità giudiziaria. 5.5.Criticità sistemiche ignorate: l’aspetto sanzionatorio L’apparato sanzionatorio del DLgs 231/2007 si compone di 6 delitti 2 contravvenzioni 15 illeciti amministrativi, senza dubbio imponente all’opposto delle esigenze di depenalizzazione, dove l’anticipazione della punibilità fino alla messa in pericolo non sempre risulta agganciata al principio di offensività, certo sono ovvie le ragioni di politica criminale ma le sanzioni dovrebbero tener conto delle incertezze 68 dell’accertamento e finiscono per perdere la loro forza repressiva nella scarsa determinatezza della fattispecie, vi è poi grande confusione per l’abuso del rinvio e la genericità nell’individuare condotte e soggetti. Le sanzioni penali sono al 55 mentre quelle amministrative al 56 e ss, emerge una gerarchia degli obblighi in quanto le sanzioni più gravi riguardano gli obblighi di acquisizione informativa su cui si regge il KYC per cui sanzioni penali sono per l’identificazione e registrazione, invece la segnalazione riceve una sanzione amministrativa pecuniaria dall’1% al 40% dell’operazione ed eventuale pubblicazione della pena; tuttavia la norma penale colpisce anche condotte di scarsa offensività come l’omessa o falsa identificazione e registrazione anche in casi fortuiti ovvero le irregolarità di tipo organizzativo degli organi di controllo delle persone giuridiche; paradossalmente invece l’omessa istituzione dell’archivio unico informatico è un illecito amministrativo. Il 55 punisce innanzitutto con la multa da 2.600 € a 13.000 € l’inosservanza degli obblighi di adeguata verifica, pari pena si ha per chi omette la registrazione o è tardiva o incompleta, aggravante a effetto speciale si ha con l’uso di mezzi fraudolenti e raddoppia la pena nei casi di: - violazione dell’obbligo di identificazione della clientela - omessa tardiva o incompleta registrazione delle informazioni - omessa o falsa indicazione delle generalità del soggetto per conto del quale è eseguita l’operazione a sua volta è sanzionato il cliente che omette o dà falsa indicazione delle generalità del beneficial owner con reclusione da 6 mesi a 1 anno e multa da 500 € a 5.000 €, invece in caso di ostacolo all’acquisizione delle informazioni la pena è arresto da 6 mesi a 3 anni e ammenda da 5.000 € a 50.000 €; è sanzionata per il cliente anche l’omessa o falsa informazione sullo scopo o natura del rapporto continuativo o della prestazione professionale riflettendo il 181c che impone tra gli obblighi di adeguata verifica del cliente proprio quello di ottenere informazioni sullo scopo e natura, tale sanzione però è connotata da un’eccessiva anticipazione della punibilità fino alla colpa e oblitera la tutela di beni giuridici fondamentali come la privacy, inoltre è una norma molto confusionaria perché accanto a rapporto e prestazione manca il riferimento all’operazione ovvero alla movimentazione di mezzi di pagamento, 69 inoltre dubbi applicativi investono il generico obbligo di dire la verità alla base della forma di manifestazione commissiva del reato cioè l’aver l’esecutore delle operazioni fornito informazioni false, tuttavia la contravvenzione è ristretta dalla condotta di falso al solo profilo intenzionale che insieme alla clausola “salvo il fatto costituisca più grave reato” finisce col vanificare l’efficacia della norma. Sul piano amministrativo gli illeciti sono distinti in 2 categorie: - relativi agli obblighi di prevenzione - relativi la violazione delle basilari limitazioni all’uso del contante e dei titoli al portatore a viziare anche questo impianto sanzionatorio è la confusa convergenza tra responsabilità del soggetto e delle persone giuridiche, ma soprattutto un incongruo meccanismo di quantificazione della sanzione pecuniaria inspiegabilmente agganciata a una percentuale delle operazioni divenendo eccessiva in caso di operazioni finanziarie di alto valore aumentando il dilemma se segnalare o meno, se poi si aggiungono i dubbi sul momento in cui scatta l’obbligo di segnalazione e che a rilevare siano principalmente omissioni dovute a negligenza o disattenzione del segnalante crescono le preoccupazioni. 5.6.Test empirici di inefficienze congenite Dai grafici si evidenzia una crescita esponenziale del numero delle segnalazioni che però al contrario è indice del fallimento del sistema che viene sovraccaricato, e infatti la quasi totalità delle SOS è trasmessa agli inquirenti ma solo una piccola parte arriva al giudice e una parte minima a condanna; dal punto di vista soggettivo il segnalatore principale resta la banca seguita da Poste invece i professionisti in particolare gli avvocati sono coinvolti in maniera praticamente nulla, sia per ragioni di deontologia professionale che li legano al cliente sia per situazioni sociali esterne di pressioni che distolgono dalla segnalazione, infatti esaminando la distribuzione geografica delle segnalazioni ricalca in negativo la mappa del crimine; altro confronto infine va fatto tra segnalazioni geograficamente distribuite e PIL delle singole regioni evidenziando un maggior numero di segnalazioni dove il PIL è più elevato proprio per il legame economico del reato; il sistema delle segnalazioni si 70 rivela funzionante solo nelle realtà geografiche dove la criminalità è meno pervasiva e invece è inapplicato nelle regioni ad alto rischio. Capitolo V: LA RESPONSABILITA’ AMMINISTRATIVA DEGLI ENTI DA RICICLAGGIO DI PROVENTI ILLECITI 71 1.Un’esigenza di diritto interno maturata alla luce del diritto internazionale La progressiva organizzazione del crimine è alla base della deindividualizzazione della criminalità economica e da ciò derivano esigenze di incriminazione collettiva anticipate da risposte internazionali e poi recepite a livello interno; riguardo l’aspetto fenomenologico va registrata la graduale penetrazione dell’ente nella criminalità economica per cui l’impresa è elevata a soggetto inconsapevolmente strumentalizzato dal riciclatore (colpa di organizzazione) o soggetto attivo di riciclaggio (politica d’impresa); tale ruolo dell’ente è stato compreso da convenzioni internazionali già alla fine degli anni ’90 invece in Italia è stata la legge 146/2006 a far rispondere l’ente per fatti di riciclaggio o reimpiego attuati con modalità transnazionali, vi è dunque una doppia condizione per il reato presupposto cioè che abbia i requisiti del cp e che sia punito con reclusione non inferiore nel massimo a 4 anni e che sia commesso con modalità transnazionali; ciò ha generato una pericolosa incongruenza perché non si puniscono fatti dello stesso tipo ma interni, e non ha rilievo osservare come l’apparato organizzativo sia necessario per fatti transnazionali perché può ritrovarsi anche in fatti nazionali; il vuoto legislativo che aveva depotenziato la forza repressiva è stato colmato dal decreto delegato 231/2007 che ha esteso la responsabilità a fatti interni. 2.Le complicazioni fenomenologiche e gli spazi scoperti del societas delinquere non potest Per la criminalità economica il modello di riferimento del delinquente individuale finisce col rivelarsi inservibile perché non adeguato alle connotazioni e prestazioni superiori dell’organizzazione, la criminalità d’impresa ha una natura plurisoggettiva e pluricentrica in cui centrale è il ruolo dell’ente, sarebbe dunque deleterio il rispetto dell’antico principio societas delinquere non potest come già evidenziato dal Bricola tempo fa; la massimizzazione dell’utilità perseguita dal crimine con l’ottimizzazione delle risorse e il contenimento dei rischi di discovery spiega gli sforzi della criminalità tesi al mantenimento dell’asimmetria informativa con l’anticrimine e giustifica la criminalizzazione dell’ente, ciò è sostenuto da chiare esigenze legate a: 72 - superamento del modello weberiano peculiarità organizzative della corporate governante post industriale caratteristiche di autogestione flessibilità e decentralizzazione endo-aziendale parcellizzazione dei processi causali dell’ente ed è consentito dall’abbandono del principio di umanità ad ogni costo e dal riconoscimento della volontà sociale come consistente realtà per cui l’ente da pura sintesi di relazioni interpersonali acquisisce soggettività reale e colpevolezza autonoma dal dolo (politica d’impresa) alla colpa (colpa di organizzazione o di reazione), e pur non volendo accettare l’idea di un’impresa redimibile comunque la sanzionabilità funge da deterrente per cui il modello fondato sulle rational choices troverà applicazione nella realtà imprenditoriale imponendo un adeguamento del sistema repressivo ma soprattutto di quello preventivo; ancora una volta dunque non si può prescindere da una base consensuale in quanto la prevenzione dipende dall’autorevolezza delle norme che sia in grado di generare un rispetto per convinzione, dunque solo in base a un modello consensuale si può auspicare l’assunzione di ethics based programs endoaziendali in grado di generare protocolli decisionali interni che riducano la necessità dei controlli penali esterni, si archivia così definitivamente l’antico brocardo. 3.L’art 25octies DLgs 231/2001: ampliamento del numerus clausus e riflessi sulla compliance aziendale Il microsistema della responsabilità amministrativa dell’ente da reato delineato dal DLgs 231/2001 fa si che l’ente risponda penalmente delle condotte integrate dai soggetti che al suo interno rivestano anche di fatto una posizione apicale o subordinata qualora tali condotte siano compiute nel suo interesse o a suo vantaggio e siano sussumibili fra i reati presupposto, di queste il legislatore fornisce un numero chiuso che risponde a esigenze di certezza e tassatività pur nel suo ritmico ampliamento con il sistema della numerazione a seguire, ne consegue l’auspicato coinvolgimento degli enti in ossequio a postulati di razionalità criminologica, un’estensione accompagnata dall’eliminazione di una grave disarmonia internormativa infatti il 641 d 2007 ha abrogato le norme che limitavano la responsabilità dell’ente alla configurazione transazionale della fattispecie, per cui 73 anche su base nazionale la realizzazione ad assetto collettivo di 648 e ss cp genera una responsabilità dell’organizzazione con applicabilità di una sanzione pecuniaria da 200 a 800 quote, ovvero in caso il provento sia da delitto per il quale vi reclusione superiore nel massimo a 5 anni la sanzione è da 400 a 1000 quote, in aggiunta vi sono poi sanzioni interdittive per durata non superiore a 2 anni. Il contrasto al riciclaggio risulta fondato sul sistema degli obblighi di collaborazione attiva teso al superamento dell’approccio statico verso una gestione del rischio dinamica e dall’interno, il DLgs 231/2007 si salda col DLgs 231/2001 creando un unicum il cui centro non è più la mera conformazione passiva alla regola ma l’assorbimento dei principi legali come tappa di un iter di centralizzazione etica come aspetto reputazionale dell’azienda spendibile sul mercato; cosicché l’impresa è indotta a sviluppare anticorpi in grado di preservarla dalla sanzione assicurando al contempo un surplus economico grazie all’ottimizzazione dei processi interni e al maggiore appeal sul mercato, l’ente è spinto all’adozione e attuazione di modelli organizzativi e gestionali idonei a monitorare il rischio di riciclaggio (risk analysis) e a eliminare o minimizzare le potenzialità di verificazione (risk assessment e risk management); è una politica criminale allineata con gli obblighi di adeguata verifica e segnalazione sulle persone fisiche e come in quest’ultima mancano schemi normativamente predefiniti di un modello organizzativo standard, ma d’altra parte si richiedono schemi personalizzati e flessibili per ogni azienda affinché la misura sia efficace e non mero adempimento burocratico, e infatti il 73 DLgs 231/2001 lega la corretta strutturazione del modello alla natura dell’ente per un’adeguata predisposizione dei protocolli aziendali che saranno calibrati sui rischi che corre l’ente; dunque tutto questo apparato normativo mira a costituire un monito alle società per sensibilizzarle ad adempiere ai doveri di controllo. 3.1.Meccanismi di iscrizione del fatto all’ente: la dibattuta questione dell’interesse e vantaggio Il policentrismo della criminalità economica impone il confronto con forme di imputazione che vanno necessariamente al di là della responsabilità individuale o dei classici paradigmi concorsuali per approdare a modelli collettivizzati, si inseriscono meccanismi ascrittivi oggettivi e soggettivi nuovi, vi sono infatti 74 fattispecie a struttura complessa nell’ambito delle quali la condotta del soggetto si innerva su un tessuto organizzativo inadeguato alla prevenzione proiettandosi nell’interesse o a vantaggio dell’ente, dunque perché un ente possa rispondere del reato presupposto dimensione normativa (posizione qualificata dell’agente) e naturalistica (proiezione del reato nell’interesse dell’ente) devono combinarsi tra loro; l’ascrizione del fatto all’ente andrà tenuta distinta dalla sua colpevolezza (reato imputabile alla mancata adozione di modelli organizzativi) e a maggior ragione dalla realizzazione monosoggettiva di reati presupposto che nell’ente rinvengano solo l’occasionale contesto espressivo. Affinché la responsabilità dell’ente non si trasformi in responsabilità collettiva è necessario un accertamento in concreto dell’interesse inteso quale perimetrazione della condotta dell’ente in grado di confermarne il primo livello d’appartenenza, la ricostruzione dell’interesse in termini oggettivi rivitalizza l’espressione “a suo vantaggio” infatti è noto che l’ente non risponde se le persone indicate hanno agito nell’interesse esclusivo proprio o di terzi che dunque è una circostanza interruttiva del nesso di iscrizione oggettivo in ossequio al principio della personalità della responsabilità penale; se si accettasse una connotazione soggettiva dell’interesse si finirebbe con disattivare la funzione di responsabilizzazione societaria proprio nei casi in cui come per le più complesse operazioni di riciclaggio di proventi illeciti si assiste a una parcellizzazione del contributo causale in grado di mettere in crisi la ricostruzione psicologica della condotta complessiva; in altri termini si finisce con l’identificare l’interesse collettivo col motivo dell’azione criminosa e ciò renderebbe problematica la capacità del criterio di agganciare il reato all’ente nel suo complesso perché i fattori che si assumerebbero come rilevanti non si distinguerebbero strutturalmente da quelli che costituiscono il rimprovero individuale; l’approccio appena descritto dovrà indurre a una lettura dell’operazione di riciclaggio che non prescinda dall’esame del suo contenuto, delle modalità esecutive e del risultato per cui si dovrà investigare i connotati reali della condotta in grado di rivelarne le potenzialità lucrative per l’ente (dalle anomalie finanziarie alle anomalie di rapporti intersoggettivi), elementi che potranno segnare il coinvolgimento dell’ente in ogni fase del riciclaggio con diverse modalità partecipative ed espressioni soggettive dalla colpa di organizzazione alla politica d’impresa. 75 4.Organismo di vigilanza interno ex DLgs 231/2001: il riciclaggio da “moltiplicatore di ricchezza” a moltiplicatore di posizioni di garanzia? L’introduzione del 25octies DLgs 231/2001 ha conferito ulteriore importanza agli aspetti organizzativi in funzione dei controlli interni, si è voluto rafforzare il sistema di blindatura dell’ente dalle ingerenze criminali incidendo profondamente sulla governante aziendale per contrastare il processo di scivolamento irriflessivo verso la decisione illegale imponendo una pausa di ponderazione che spinga verso la decisione legale; questo è anche il restyling del 52 DLgs 231/2007 infatti la norma non si riferisce esclusivamente al consiglio di sorveglianza o al comitato di controllo di gestione ma richiama espressamente l’organismo di vigilanza (OdV) che sarà tenuto agli obblighi di comunicazione e prima di vigilanza, tale organo risulta mutato geneticamente su due punti: - il compito di vigilare sul funzionamento e l’osservanza dei modelli trasmuta nella osservanza delle norme di cui al DLgs 231/2007 - la esternalizzazione di un organismo fin ora contraddistinto da rilevanza aziendale in conseguenza degli obblighi di comunicazione non solo diretti al titolare ma ora anche alle autorità di vigilanza di settore e al ministero dell’economia perplessità sorgono ove tale organo sia sistemato in posizione di garanzia in grado di determinare una potenziale responsabilità per riciclaggio commissivo mediante omissione, ove si ritenesse configurabile una responsabilità del compliance office ex 402 cp dovremmo affermare che il riciclaggio da “moltiplicatore di ricchezza” diviene “moltiplicatore di posizioni di garanzia” in virtù di tale estensione di responsabilità. Analizzando il DLgs 231/2007 è possibile isolare una responsabilità penale dell’OdV ex 555 che sanziona con reclusione fino a 1 anno e multa da 100 € a 1000 € chi essendovi tenuto omette di effettuare la comunicazione di cui al 522, tuttavia il reato proprio di omessa comunicazione da parte degli organismi di controllo non va confuso con la responsabilità omissiva da posizione di protezione, se si ricostruisce l’obbligo di garanzia secondo i principi penali costituzionalizzati questo è l’obbligo giuridico gravante su specifiche categorie predeterminate di soggetti previamente forniti di adeguati poteri giuridici di impedire eventi offensivi di beni altrui affidati alla loro tutela per l’incapacità dei titolari di proteggerli, si può dunque apprezzare la 76 differenza con l’obbligo di sorveglianza che è l’obbligo giuridico gravante su specifiche categorie di soggetti privi di poteri giuridici impeditivi di vigilare su altrui attività per conoscere dell’eventuale commissione di fatti offensivi e informare il titolare del bene; proprio quest’ultima è la tipologia di obbligo dell’OdV cioè un semplice obbligo di attivarsi non un obbligo di garanzia. La struttura dell’OdV non comporta un mutamento del tipo di controllo che resta incardinato sul monitoraggio del rispetto delle norme preventive ma al più dei destinatari dell’eventuale comunicazione che ora sono anche esterni, ciò è confermato dalle modifiche al 52 DLgs 231/2007 per cui il “decreto correttivi” ha chiarito che lo specifico obbligo di vigilanza grava su tutti i componenti degli organi di controllo delle società destinatarie della normativa antiriciclaggio che hanno notizia delle eventuali violazioni realizzate specificando che la vigilanza compete a ciascun componente secondo le proprie attribuzioni e competenze, vi è così un rafforzamento del canale informativo sotto il profilo contenutistico (norme antiriciclaggio) e dei destinatari (autorità esterne), non vi è nessuna trasformazione dall’attività di controllo all’obbligo giuridico di impedire il laundering in azienda, non vi è dunque responsabilità penale (ex 402 cp) per mancato impedimento del delitto ma vi è punibilità per omessa sorveglianza. Infine la netta demarcazione tra responsabilità per omessa comunicazione sul OdV e responsabilità per riciclaggio commesso mediante omissione che non gli è ascrivibile è in linea con la finalità della normativa antiriciclaggio di azzerare il gap informativo in quanto la complessità dell’’economia impedisce alle istituzioni un’adeguata conoscenza locale, che con tale sistema sembra garantita; dunque a una prima lettura lo strumento penalistico diretto all’orientamento culturale dell’impresa, a un arricchimento cognitivo delle situazioni locali sembra da plaudire. Tuttavia la strategia normativa non è quella della piramide di Braithwaite (alla base dialogo, al centro deterrenza in base a costi/benefici, all’apice coercizione) ma quella che fa perno sul cardine penalistico senza considerare gli obiettivi di profit aziendali, e infatti accogliere la normativa significa acquisire nuove e più specifiche competenze i cui costi restano a carico del destinatario senza essere controbilanciati da incentivi, inoltre a parte le resistenze della naturale lealtà fattuale (lega l’OdV ai fini anche illeciti dell’azienda) il rischio di inottemperanza alla norma è aggravato dallo sviamento di funzioni dell’OdV la cui costituzione è legata all’esistenza di un 77 modello ex 231 e dunque formalmente facoltativa una volta costituito sarà penalmente obbligato al rispetto dei compiti dell’art 52 finendo col destinarvi la maggior parte delle sue risorse essendo più rischiosa una svista sui profili antiriclaggio e dunque tralasciando altri profili di sicurezza dell’azienda. 5.L’aspetto sanzionatorio e la confisca obbligatoria La sanzione è l’unico strumento usato dal legislatore per raggiungere l’obiettivo e diviene il debole propulsore di un sistema di collaborazione coattiva in cui deve indirizzare l’OdV al difficile e innaturale compito di controllore antiriciclaggio indurre l’imprenditore a schermare l’azienda con un modello organizzativo, fermare le pulsioni criminose; l’esito è fallimentare per 3 motivi: - consensuale è difficile coinvolgere con la sola minaccia, servono dunque altri strumenti di moral suasion - strutturale ove pure fosse approntato un modello organizzativo idoneo non si potrebbe parlare di ethics based programs perché la società si conformerà ai controlli senza interiorizzarne il valore di legalità ma vedendoli solo come costi - genetico la sanzione è viziata da profonde disarmonie interne infatti la forbice pecuniaria (100 1000 €) è sperequata rispetto a quella interdittiva, inoltre da un punto di vista sistematico mentre l’omessa segnalazione di operazioni sospette comporta una sanzione amministrativa l’omessa comunicazione della medesima infrazione da parte dell’OdV fa scattare una sanzione penale, per spiegare ciò si potrebbe riconsiderare il ruolo dell’organo in un ottica di maggior rigore come titolare di una posizione giuridica di garanzia, tuttavia soluzione scartata per i dubbi di costituzionalità in punto di determinatezza e tassatività si deve inoltre segnalare come la raffica di nuove incriminazioni sia in controtendenza rispetto l’esigenza di depenalizzazione da più parti sollevata, si investe infatti anche la persona giuridica di responsabilità solidale per violazioni ex 57 e 58 DLgs 231/2007 in quanto il 59 la prevede anche in caso di mancata identificazione o non perseguibilità dell’autore delle violazioni; la disposizione è completata dal 25octies DLgs 231/2001 che prevede sanzioni interdittive che 78 colmano le inefficienze sanzionatorie della pena pecuniaria pur non risolvendo la sostanziale incongruità della scelta sanzionatoria che per molti aspetti non ricalca la scala del cp e tradisce l’ordine imposto dalla natura dei delitti contro il patrimonio mediante frode che già nell’inferno dantesco erano più gravi di quelli violenti perché minavano la rete etica degli obblighi sociali. Fra i molti difetti della disciplina vanno apprezzati i progressi in termini di maggiore specificità e completezza degli obblighi di legge, da apprezzare è l’introduzione del 648quater cp che dispone in caso di condanna o applicazione della pena su richiesta la confisca obbligatoria del prodotto o profitto del riciclaggio o dell’impiego, nonostante il carattere cautelare la misura finisce ad avere connotati punitivi, questa possiede alcune caratteristiche peculiari che la differenziano dal 12 sexies l 356/1992 che è rafforzata, ancora una volta il punto dolente è infatti la prova della provenienza illecita su cui il legislatore lavora su 2 fronti: - ampliare i poteri investigativi del PM che può compiere ogni attività integrativa di indagine che si renda necessaria circa i proventi da sottoporre a confisca - assottigliare il comparto probatorio necessario, ciò grazie la sincronizzazione tra 12sexies e 648quater mentre la prima consente di sequestrare e poi confiscare i beni del condannato per riciclaggio e reimpiego indipendentemente dal nesso di pertinenzialità con il reato ma previo accertamento dell’esistenza di una sproporzione tra reddito dichiarato e patrimonio disponibile la seconda postula il rapporto di pertinenzialità e derivazione concentrandosi su prodotto o profitto del reato ma senza ulteriori oneri probatori ad affilare ulteriormente la confisca è il secondo comma del 648quater che prevede la confisca per equivalente, per cui la ratio della norma è che il reato non deve rendere e neanche l’occultamento del profitto, la confisca assume allora un ruolo centrale grazie anche all’estensione della confisca di valore nel sistema di responsabilità amministrativa dell’ente da reato ex 19 DLgs 231/2001; restano comunque le perplessità di un sistema di controllo esclusivamente penalistico per cui come scrive Luderssen è tempo di recuperare la responsabilità per i giuristi della progettazione in materia politico-criminale. 79 80