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Il denaro sporco nella lotta al riciclaggio

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Il denaro sporco nella lotta al riciclaggio
Castaldo - Naddeo
Il denaro sporco nella lotta al riciclaggio
Che cos’è realmente il riciclaggio? Quali le più frequenti modalità operative e le tecniche di accertamento
nella esperienza quotidiana? La definizione socio-economica del money laundering corrisponde alla
nozione tipizzata nel codice penale italiano e nella normativa complementare?A questi interrogativi di
fondo risponde in maniera chiara e completa il volume, che rappresenta nell’attuale panorama editoriale la
prima opera destinata a occuparsi in chiave divulgativo-critica della complessa e articolata legislazione di
contrasto al ‘denaro sporco’. Gli Autori, entrambi specialisti del settore, analizzano infatti l’art. 648-bis del
codice penale, che prevede e punisce il riciclaggio, avendo cura di precisare i punti oscuri della fattispecie e
le principali ‘questioni sul tappeto’. Segue un’interessante panoramica sugli obblighi di collaborazione
attiva a cui sono tenuti, tra gli altri, intermediari finanziari, notai, avvocati e commercialisti, nonché sulle
insidiose sanzioni amministrative e penali in caso di loro inosservanza. L’ultimo capitolo è dedicato alla
responsabilità amministrativa degli enti ex D.Lgs. 231/2001 in tema di riciclaggio e offre una guida
ragionata in materia di compliance aziendale e poteri e responsabilità dell’organismo di vigilanza.Completa
la monografia un’utile appendice, con i principali testi normativi e la modulistica di riferimento. I contenuti
e il taglio del lavoro fanno del libro un indispensabile strumento di consultazione e di approfondimento per
tutti gli operatori d’area.
1/5/2012
INDICE – SOMMARIO
Prefazione di NICOLA MANCINO ................................................... pag. XI
Commento di MASSIMO DONINI .................................................... » XVII
Introduzione .................................................................................. »
CAPITOLO I
IL RICICLAGGIO: FENOMENOLOGIA E RICADUTE
1. Che cosa è il riciclaggio ......................................................... pag. 1
1.1. Effettività ed ‘empiria organizzata’ nel riciclaggio ......... » 5
2. L’evoluzione del fenomeno .................................................... » 8
2.1. Dai canali tradizionali al riciclaggio finanziario .............. » 10
2.2. Nuove frontiere tecnologiche e Paradisi penali ............... » 18
2.3. La difficile percezione di un delitto al confine tra ‘white
collar crime’ e criminalità organizzata .............................. » 26
2.4. Professionalizzazione dell’attività criminale: intermediari
inconsapevoli e intermediari inquinati ...................... » 28
3. L’impatto del riciclaggio sull’economia sana: un moltiplicatore
di criminalità dall’effetto destabilizzante ........................ » 32
3.1. Criminalità organizzata e crisi d’impresa .......................... » 36
3.2. Le dimensioni del fenomeno ............................................... » 40
CAPITOLO II
PREVENZIONE DEL RICICLAGGIO ED ECONOMIC APPROACH : VERSO UNA POLITICA CRIMINALE INTEGRATA?
1. L’approccio economico nell’analisi del delitto di riciclaggio pag. 45
1.1. Teoria dei giochi: vantaggi limitati dell’equilibrio di
Nash ........................................................................................ »
52
1.2. Prospettiva funzionalistica: raggiungibilità dell’ottimo
di Pareto? ................................................................................ » 58
2. Il percorso à rebours dalla politica penale alla politica criminale
integrata: verso un controllo efficace del riciclaggio ...... pag. 61
CAPITOLO III
IL DELITTO DI RICICLAGGIO
1. La norma e i precedenti storici ............................................... pag. 65
2. Il bene giuridico, la tecnica di tutela e il difficile inquadramento
sistematico ................................................................... » 76
3. Il soggetto attivo alla luce del c.d. beneficio di auto-riciclaggio
.................................................................................... » 87
3.1. Problematiche connesse al riciclaggio nei reati associativi
........................................................................................... » 95
3.2. Il caso tranchant dell’«aggravante di riciclaggio» prevista
dall’art. 416-bis sesto comma c.p. ................................ » 104
4. La condotta commissiva e l’esecuzione “in modo da ostacolare
1
l’identificazione della provenienza delittuosa”, quale nota
modale dal valore tipizzante ............................................... » 109
4.1. L’ipotesi di “sostituzione” ................................................... » 119
4.2. Il “trasferimento” .................................................................. » 123
4.3. Le “altre operazioni”: una condotta assorbente? ............. » 128
5. Il riciclaggio per omissione .................................................... » 131
6. L’evento tra pericolo concreto e pericolo astratto .................. » 137
7. L’accertamento del pericolo ................................................... » 139
8. L’oggetto materiale del riciclaggio ........................................ » 141
8.1. I confini dell’espressione “denaro, beni o altre utilità” .. » 143
8.2. La locuzione “provenienti da delitto” ................................ » 146
8.3. La forzata convergenza dell’illegittimo non-impoverimento
nel concetto di provenienza illecita ........................ » 154
8.4. Il riciclaggio indiretto: riflessi di carattere criminologico » 164
9. L’elemento psicologico .......................................................... » 171
9.1. Le insidie insite nell’ammissibilità del dolo eventuale ... » 178
9.2. Riflessi positivi ed effetti collaterali derivanti dalla cancellazione
dell’elenco dei predicate crimes ...................... » 181
10. Le forme di manifestazione: consumazione e tentativo ......... » 188
11. Concorso di persone ............................................................... » 192
12. Regime sanzionatorio ............................................................. » 194
12.1. Diminuente e aggravante speciale del riciclaggio ......... » 196
12.2. Sequestro e confisca ........................................................... » 202
12.3. Una negatività condivisa ................................................... » 214
13. Punibilità: l’irrilevanza delle condizioni di procedibilità del
reato presupposto .................................................................... » 215
13.1. Profili critici ........................................................................ »
14. Ampliamento degli spazi di non punibilità per l’agente provocatore
.................................................................................. pag. 226
15. La difficile convivenza delle fattispecie affini con il delitto di
riciclaggio ............................................................................... »
16. Il bilancio di un trentennio ..................................................... » 249
CAPITOLO IV
OBBLIGHI DI COLLABORAZIONE E SORVEGLIANZA SUI SISTEMI DI PAGAMENTO: I LINEAMENTI DELLA
DISCIPLINA
DISCIPLINA INTERNA E INTERNAZIONALE DI PREVENZIONE DEL RICICLAGGIO
1. Introduzione ............................................................................
2. I limiti all’uso del contante e la ‘collaborazione coattiva’ quale
sovrastruttura di una strategia bidimensionale ......................... » 257
3. Restrizioni preventive e ‘orientamento’ dei capitali: la collaborazione
passiva ....................................................................... » 262
3.1. Obbligo di comunicazione e sanzioni .................................. » 271
3.2. Le tendenze attuali nell’ambito dei sistemi di pagamento
e le misure europee sui movimenti transfrontalieri ............ » 274
3.3. Gli overseers dei sistemi di pagamento ............................... » 280
4. Premessa ................................................................................. »
4.1. Identificazione e registrazione alla luce del (nostro) approccio
differenziale su base consensuale .......................... » 286
5. Segnalazione di operazioni sospette: certezza del diritto, evidenza
probatoria e dubbio come virtù ...................................... » 299
2
5.1. Il sesto senso dell’avvocato/professionista tra speciale attitudine
e conoscenza causale superiore .............................. » 312
5.2. Responsabilità professionale e principio deontologico vs
delazione ................................................................................. »
5.3. Financial Intelligence Unit interna e attori protagonisti
del palcoscenico della prevenzione ...................................... » 331
5.4. La collaborazione attiva e la deriva internazionalistica ..... » 351
5.5. Criticità sistemiche ignorate: l’aspetto sanzionatorio ........ » 359
5.6. Test empirici di inefficienze congenite ................................ » 367
6. Cooperazione giudiziaria, scambio informativo e collaborazione
investigativa: il GAFI e gli altri organismi antiriciclaggio .. » 374
7. Mediazioni non compromissorie: una proposta indebolita dall’humus
comunitario ............................................................... » 385
CAPITOLO V
LA RESPONSABILITÀ
RESPONSABILITÀ AMMINISTRATIVA DEGLI ENTI DA RICICLAGGIO DI PROVENTI ILLECITI
1. Un’esigenza di diritto interno maturata alla luce del diritto internazionale
............................................................................. pag. 393
2. Le complicazioni fenomenologiche e gli spazi scoperti del societas
delinquere non potest .................................................... » 399
3. L’art. 25 octies del D.Lgs. 231/01: ampliamento del numerus
clausus e riflessi sulla compliance aziendale ........................... » 403
3.1. Meccanismi di ascrizione del fatto all’ente: la dibattuta
questione dell’interesse e vantaggio .................................... » 409
4. Organismo di vigilanza interno ex D.Lgs. 231/01: il riciclaggio
da ‘moltiplicatore di ricchezza’ a moltiplicatore di posizioni di
garanzia? ................................................................................. »
5. L’aspetto sanzionatorio e la confisca obbligatoria ................... » 422
Appendce normativa
● Direttiva 2005/60/CE del Parlamento europeo e del Consiglio,
del 26 ottobre 2005, relativa alla prevenzione dell’uso
del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di
attività criminose e di finanziamento del terrorismo (c.d.
“Terza Direttiva”) ................................................................. pag. 433
● Decreto Legislativo 21 novembre 2007, n. 231 – Attuazione
della Direttiva 2005/60/CE concernente la prevenzione
dell’utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio
dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo
nonché della direttiva 2006/70/CE che ne reca misure
di esecuzione – aggiornato con le disposizioni integrative
e correttive del Decreto Legislativo 25 settembre 2009,
n. 151 .................................................................................... »
481
● Regolamento per l’organizzazione e il funzionamento della
Unità di Informazione Finanziaria (UIF), ai sensi dell’art. 6,
comma 2, del D.Lgs. 21 novembre 2007, n. 231 .................. » 551
Modulistica
● Moduli segnalazioni operazioni sospette – operatori non finanziari
................................................................................. pag. 561
3
● Moduli segnalazioni operazioni sospette – professionisti ..... » 573
Bibliografia ...................................................................................
4
Capitolo I:
IL RICICLAGGIO: FENOMENOLOGIA E RICADUTE
1.Che cosa è il riciclaggio
Nonostante il termine abbia recente origine (anni ’70 America, anni 80 Italia) parlare
oggi di riciclaggio significa riferirsi a un fenomeno che è molto cambiato rispetto le
sue sembianze originarie, sono molti i nomi attribuiti a tale fattispecie a segnare un
panorama legislativo disomogeneo nonostante il minimo comun denominatore
americano, all’inverso del profilo legislativo vi è un costante profilo economico e
quindi criminologico, l’obbiettivo della criminalità è infatti rimuovere dal denaro
sporco le informazioni atte a identificarne la provenienza delittuosa e dunque a
ricostruire la paper trail (pista di carta), il riciclatore rimuoverà allora gli indici di
anomalia cioè le caratteristiche peculiari che danno segno della provenienza illecita,
una volta eliminata la fonte illecita ne viene simulata una lecita (la maggior parte del
denaro criminale subisce tale sorte mentre fette minori sono reinvestite
nell’economia sana per la maggior parte e residualmente di nuovo in quella illecita).
Dinanzi al riciclaggio vi sono 3 necessità:
- anteporre all’analisi normativa la ricostruzione fenomenologica
- investigare gli aspetti di dannosità sociale per verificare la validità del modello
repressivo preventivo
- la consapevolezza della capacità di incidere sul fenomeno criminale risulterà
dal Verlagerungseffekt (spostamento degli obiettivi scelti dalla criminalità che
si accentua man mano che ci si avvicina all’efficienza del controllo
1.1.Effettività ed empiria organizzata nel riciclaggio
5
Occorre ricostruire il sistema individuando gli anelli deboli e testarne l’efficacia,
questa è la stessa modalità operativa del crimine riorganizzato per una miglior
penetrazione nel circuito economico e la massimizzazione del profitto facendo
un’analisi dei rischi geo normativa; test attendibile sull’effettività delle norme è il
raffronto tra opzione criminale e obiettivo legislativo, quindi sarà maggiore
l’efficienza del controllo in una data area quando maggiore sarà lo shift (migrazione)
criminale; particolare attenzione va riservata alle agenzie e alla ricaduta pratica delle
norme, l’orientamento culturale dei consociati si fonda infatti su una tutela reale del
sistema penale, al contrario una legislazione simbolica fornirà solo in apparenza una
soluzione provocando nel medio - lungo raggi o una disillusione sull’efficacia della
pena.
Tutto ciò deve indurre a una valutazione della idoneità dell’intervento penale nella
risoluzione del fenomeno criminale non confinata nella politica penale ma
esaminando a pieno la politica criminale, vanno dunque evitate dilatazioni eccessive
della tutela penale che portano solo ad una sua inefficacia
2.L’evoluzione del fenomeno
L’esame dell’evoluzione del riciclaggio ci mostra un illecito profondamente
trasfigurato grazie ai fenomeni di globalizzazione che hanno integrato le economie e
portato uno scambio continuo tra reale e virtuale della ricchezza, la criminalità
economica è una criminalità sistemica dunque si evolve in maniera razionale e infatti
sembra essere lo specchio dell’evoluzione della società portando alla sua
finanziarizzazione e all’immedesimazione in criminalità organizzata; e infatti la
criminalità economica è ormai una tipica forma di criminalità organizzata che genera
enormi flussi finanziari, dunque l’evoluzione della fattispecie è segnata dal progresso
tecnologico e culturale; l’evoluzione criminale è passata dal “bucato a mano”
(investimento diretto con modeste liquidità) alla “lavanderia” (complesse operazioni
finanziaria), ciò rende più difficile identificare il riciclaggio che diviene un reato
spersonalizzato.
2.1.Dai canali tradizionali al riciclaggio finanziario e oltre
6
Alcune riforme politiche hanno favorito il processo di globalizzazione di un
fenomeno che già tipicamente è transnazionale:
- abbattimento del controllo sui cambi creando una valuta comune o
integrando il proprio circuito finanziario con una valuta secondaria semiufficiale (euro o dollaro)
- apertura dei mercati dei capitali e conseguente integrazione dei sistemi
finanziari, anche se va registrata un’inversione di tendenza volta alla
creazione di partnership bilaterali di investimenti
- concorrenza per i capitali che vede in competizione i soggetti che offrono
servizi finanziari
- innovazione tecnologica che ha facilitato le transazioni
tutti cambiamenti che hanno accresciuto le opportunità criminose e depotenziato le
capacità ispettive, cosa accentuata anche dalla distribuzione irregolare di strumenti
di contrasto nei vari paesi (per taluni intenzionalmente volute per attirare i capitali).
Il mutamento dello scenario ha portato a un mutamento della fattispecie di
riciclaggio da 2 fasi (money laundering cioè il lavaggio, recycling cioè l’impiego) a
una tripartizione con passaggi ciascuno idoneo a integrare il riciclaggio ma
normalmente distinti:
- placement
il piazzamento del provento illecito nel mercato tramite
intermediari finanziari o l’acquisto di beni
- layering
la stratificazione nel fornire alla ricchezza criminosa una copertura
lecita tramite un caleidoscopio di operazioni che vanno dal trasferimento di
fondi alle triangolazioni societarie
- integration
l’integrazione della reimmissione nei circuiti economici dei
proventi lavati attraverso filtri al di sopra di ogni sospetto (es banche, grandi
studi legali)
in ogni fase l’informatica è fondamentale ma ha un ruolo enorme nel layering
un’attività che dipende dalla rapidità delle transazioni, per cui dai metodi
tradizionali quali l’approccio della targa d’ottone (società virtuali che coprono
l’identità dei soggetti) passando per le scatole cinesi fino alle complesse operazioni
finanziarie informatiche vi è una vasta fenomenologia del riciclaggio, con una
7
evoluzione diacronica del fenomeno riciclaggio monetario – bancario – finanziario,
prova evidente del camaleontismo della criminalità economica.
Infatti l’abbandono del riciclaggio monetario e la migrazione verso il settore
bancario negli anni ’80 è corrisposto alle limitazioni imposte alla circolazione del
contante (pur se vi è stata una grande crescita infrastrutturale dei pagamenti non in
contante questi sono pari solo al 10% delle operazioni) da un lato e dalla maggiore
efficienza dei circuiti bancari dall’altro, allo stesso modo una disciplina stringente del
settore bancario ha portato a una migrazione verso le nuove forme dell’e-banking.
Il riciclaggio è però un fenomeno molto ricco in cui convive la vecchia valigetta piena
di banconote, con i trasferimenti di alta finanza, con i trasferimenti via FedEx e
corrieri, con infine la pericolosa piaga delle banche clandestine cioè il Hawalla
(parola urdu che si riferisce alla fiducia) un sistema che consente trasferimenti
finanziari all’oscuro delle autorità con un meccanismo semplice ma efficace: il
sender si reca presso l’hawallador (una rosticceria, lavanderia, negozio) e deposita la
somma da trasferire ricevendo un chit (una ricevuta sotto forma di oggetto, es
mezza carta), il receiver riceverà poi una somma pari dall’agente di arrivo esibendo il
chit, con la possibilità poi di compensazioni periodiche in caso di molte operazioni.
L’anticrimine lotta proprio su questi nuovi terreni del chiti banking e del cyberlaundering molto difficili per la grande segretezza che crea una grossa asimmetria
informativa tra Stato e crimine.
2.2.Nuove frontiere tecnologiche e paradisi penali
L’evoluzione tecnologica con la possibilità di agevoli connessioni intersoggettive a
distanza ha mutato il panorama del riciclaggio rendendo obsoleta l’elencazione delle
tecniche di riciclaggio, con il contatto diretto tra gli utenti si creano tecniche sempre
più sofisticate e complesse, le grandi organizzazioni criminali si servono di
professionisti dell’alta finanza che approfittano di un mercato senza confini per
scovare e sfruttare le debolezze strutturali di taluni paesi; fra questi le nazioni offshore (fuori dalla costa) ha una grande attrazione per i riciclatori con una
legislazione che strizza loro l’occhio non penalizzando il riciclaggio e garantendo
condizioni tali da renderli bank heavens o tax heavens o company heavens, la
8
criminalità economica provvede allora a indirizzare le sue operazioni di placement e
stratificazione in questi paradisi con un ottimo rapporto costi/benefici.
Molte nazioni hanno costruito habitat ottimali all’afflusso di capitali (stabilità
istituzionale, segreto bancario, anonimato societario) e su questo hanno fondato la
loro crescita economica (pur subendo il rischio che i capitali criminali come arrivano
così possono sparire facendo crollare lo Stato) e dunque hanno un atteggiamento
non collaborativo verso l’anticrimine dei paesi che lottano contro il riciclaggio
(nonostante anche le pressioni internazionali) vanificando il loro tentativo di
equiparazione del rischio per i criminali, cosicché da un lato vi sono tali paesi e
dall’altro dei veri e propri paradisi penali; invece una lotta al riciclaggio efficace
necessita di un meccanismo penale comune (dalle norme sostanziali alle processuali
alle indagini), ad aggressione globale risposta globale.
2.3.La difficile percezione di un delitto al confine tra white collar crime e
criminalità organizzata
Ormai il legame è indissolubile tra criminalità economica e organizzata, anzi questa è
proprio una forma tipica di criminalità organizzata, tuttavia l’inquadramento di tale
categoria nei white collar crimes complica la situazione sotto il profilo della
percezione sociale del fenomeno, certamente i crimini dei colletti bianchi sono reati
come si evince dagli studi criminologici sulla loro dannosità, più complicata è però la
loro percezione dalla collettività.
Paragonando un ladro professionista e un colletto bianco vi sono profonde
somiglianze (abitualità, illeciti superiori ai procedimenti, scarso impatto sulla
reputazione, disprezzo per la legge, premeditazione) fondamentale è la differenza
reputazione, se infatti il primo si considera un criminale e come tale è percepito
dalla collettività (e anzi si vanta della fama criminale) l’uomo d’affari si considera un
cittadino rispettabile e tale è considerato dalla collettività, vi è dunque nell’aspetto
della etero reputazione una scarsa considerazione della pericolosità dell’uomo
d’affari che in apparenza pare onesto anche per la difficoltà di percepire le
implicazioni lesive delle operazioni che compie, ma questi si sottrae alle legge anche
se in modo più occulto rispetto al ladro ma con lo stesso significato criminoso, e
9
nonostante il riciclaggio sia fase integrante dei peggiori reati (dallo spaccio
all’estorsione mafiosa) non è percepito come pericoloso dalla collettività.
2.4.Professionalizzazione dell’attività criminale: intermediari
inconsapevoli e intermediari inquinati
La fisionomia del riciclaggio si è rapidamente evoluta e così anche il volto del
riciclatore, mentre la fase del placement continua di norma a essere svolta da
personale interno all’organizzazione in quelle di layering e integration i criminali si
avvalgono di esperti spesso esterni in grado di garantire un elevato risk
management, esperienza come il crollo della BCCI o dell’operazione Unigold contro i
cartelli colombiani mostrano come i finanzieri d’avventura siano stati affiancati in
misura crescente da soggetti specializzati con una professionalizzazione dell’attività
di riciclaggio in cui le banche nonostante la concorrenza di intermediari finanziari
alternativi e l’assottigliamento del segreto bancario continuano ad essere un nodo
fondamentale del riciclaggio, soprattutto ove vengano interamente assoggettate agli
interessi criminali divenendo imprese a partecipazione mafiosa cioè sorte nella
legalità ma poi infiltrate dalla mafia che cerca di penetrare sempre più nelle attività
finanziarie di riciclaggio.
Mentre le modalità originare di riciclaggio vedevano l’attività dell’intermediario
limitata alla registrazione della transazione e quindi sfruttava un intermediario
colluso o inconsapevole ovvero inconsapevole ma collaborativo nel monitoraggio
però impossibilitato a rilevare l’anomalia in un’attività apparentemente
insospettabile, oggi le lavanderie fanno si che l’organizzazione criminale stessa offra
il servizio di riciclaggio quasi sempre supportata da intermediari inquinati; un
intermediario cooperativo con la criminalità favorirà questa nei servizi bancari sia
passivi (sui depositi e pagamenti) che attivi (sui prodotti finanziari ed erogazioni di
credito; le politiche antiriciclaggio andranno ricalibrate su questa nuova figura che è
meno sensibile agli incentivi, ha una minore eticità e una maggiore propensione al
rischio, ciò genera notevoli resistenze al processo di internalizzazione dell’integrità
nelle ipotesi di controllo criminale e impossibilità di internalizzazione nei casi di
proprietà dell’impresa da parte del crimine organizzato.
10
3.L’impatto del riciclaggio sull’economia sana: un moltiplicatore di
criminalità dall’effetto destabilizzante
Gli effetti del riciclaggio vanno analizzati in tutte le sfaccettature che afferiscono al
circuito economico, partendo da un’analisi macroeconomica l’ingresso di capitali
illeciti nell’economia sana genera due conseguenze:
- distorsione della concorrenza
il criminale dispone di grandi liquidità a
basso costo annullando così il rischio d’impresa, politiche di prezzo predatorio
e contaminazioni mafiose dell’economia impongono l’arretramento
dell’imprenditore sano che nel primo caso non ha possibilità di imporsi
mentre nel secondo opta per scelte in contrasto con le leggi di mercato per
mantenere un basso profilo (il crimine infatti predilige imprese decotte e
imprese in forte crescita per l’infiltrazione)
- destabilizzazione del mercato
per i fenomeni di cui sopra vi è
un’alterazione del mercato
A livello microeconomico a seguito del contatto dell’impresa criminale con quella
sana o proprio dell’infiltrazione vi è la conquista e il mantenimento di una posizione
di dominio della prima (equazione pag 34)
d’altronde il riciclaggio di proventi illeciti garantendo un elevato ROI (return of
investment) diviene un moltiplicatore di criminalità, le operazioni di sbiancamento
rendono effettiva la ricchezza illecita incidendo sull’ultima fase dell’iter criminis
perpetuando il disvalore dei reati scopo e radicando nel criminale il proposito
delittuoso, è una fase che si contrappone alla funzione normativa di generale
prevenzione, l’accumulo di ricchezze consente poi all’organizzazione di crescere e
radicarsi sul territorio sia grazie a reinvestimenti illeciti ma soprattutto a
investimenti leciti che garantiscono contatti con l’economia sana e la politica.
Il riciclaggio coinvolge in maniera crescente il sistema bancario e finanziario per cui
intermediari sani sono inglobati nel crimine che ne sfrutta la vulnerabilità, e inoltre il
11
money laundering rende molto appetibile la carriera criminale; il riciclaggio è
dunque una testa d’ariete che crea dei varchi nel confine fra economia lecita e
illecita in modo da far assorbire la prima nella seconda e far penetrare la seconda
nella prima.
3.1.Criminalità organizzata e crisi d’impresa
Alla progressiva espansione della criminalità economica corrisponde il ritiro
dell’impresa legale, rilevante dunque è lo studio delle relazioni fra crisi d’impresa e
criminalità organizzata, il crimine può incidere sull’azienda come fattore esterno e
come fattore endogeno in relazione ai suoi obiettivi di assumere posizione
dominante nel mercato e ridurre il rischio del riciclaggio, dunque il crimine ha
interesse a confondersi con l’impresa legale assumendone le sembianze tramite
forme di partecipazione che garantiscono il controllo dell’impresa senza farlo
emergere, vi è dunque un imprenditore lecito che conserva la gestione economica e
tecnica di una società (anche perché ne ha la competenza) e un controllo indiretto
del crimine, in apparenza non vi è nessun legame fra i due che invece è dato dal
finanziamento che è esterno all’impresa e da cui dipendono le sue sorti, infatti
questo di norma è temporaneo e può essere sottratto in qualsiasi momento
provocando la rovina economica.
L’iniziale legalità dell’impresa è strumentalizzata dal crimine che da valore del
mercato la riduce a valore di mercato cioè a coefficiente remunerativo idoneo ad
abbassare il rischio di scoperta del reato, tale fattore di crisi dell’impresa ha natura
endogena al pari del trasferimento della proprietà aziendale all’imprenditore illecito,
in tale circostanza vi è il massimo grado di compenetrazione criminale insito in tale
atteggiamento collaborativo dell’impresa inquinata (bruco bianco, crisalide grigia,
farfalla nera), l’imprenditore con il suo consenso al crimine è espone l’impresa al
massimo grado di vulnerabilità (intesa come attitudine alla penetrazione da parte
del crimine); al contrario l’impresa non collaborativa si espone al conflitto col
crimine patendo l’estorsione e l’usura in caso di dissesto finanziario; insomma a una
maggior vulnerabilità vi è maggiore stabilità finanziaria e quindi una minaccia
immediata per il mercato e nel lungo termine per l’impresa stessa infatti il criminale
non perseguirà sempre obiettivi di massimizzazione del profitto e inoltre quando
12
l’impresa diviene oggetto di controlli viene abbandonata dal criminale per evitare di
essere scoperto e così va in rovina.
3.2.Le dimensioni del fenomeno
Le peculiarità le del riciclaggio lo sottraggono da qualsiasi inquadramento statistico e
sono possibili solo stime approssimative, gli USA sono in testa alle classifiche verso
cui sono dirottate le liquidità illegali ma lo stesso Fondo monetario Internazionale
afferma che non è possibile individuarne l’esatto ammontare a causa del
commingling (commistione tra ricchezza lecita e illecita); tuttavia la dannosità
sociale del reato va oltre il bene tutelato fino a investire l’ordine economico del
mercato, una serie di effetti che non sono quantificabili in termini monetari ma
evidenziano un fenomeno dirompente.
Capitolo III:
IL DELITTO DI RICICLAGGIO
1.La norma e i precedenti storici
Il 648bis cp sanziona con la reclusione da 4 a 12 anni e multa da 1.032 a 15.493 euro
il riciclatore con un incremento di pena quando ciò avviene nell’esercizio di
un’attività professionale e una diminuzione quando il provento deriva da delitto
punito nel massimo a una reclusione inferiore a 5 anni, fa salvo l’ultimo comma del
648 per cui è sanzionato anche se non punibile o imputabile o manchi una
condizione di procedibilità per il reato presupposto; questa formula è l’ultima di un
iter normativo che dalla prima introduzione del reato con il dl 59/1978 è stata
oggetto di altre due rettifiche, detta legge introduce dopo il 648 una nuova ipotesi di
“Sostituzione di denaro o valori provenienti da rapina aggravata, estorsione
aggravata, sequestro di persona a scopo di estorsione”, il prototipo del riciclaggio
nasce da un’esigenza di fronteggiare tali fenomeni criminali che dilagavano nell’Italia
degli anni di piombo e che costituiscono il vero referente criminologico della
13
fattispecie, il reato è formulato come reato di attentato con una pena
particolarmente elevata (da 4 a 10 anni) e le cui esigenze di introduzione sono
confermate nella Relazione Ministeriale (che intende fronteggiare nuove forme di
criminalità) e dalla contemporanea sostituzione del 630 cp (Sequestro di persona a
scopo di estorsione); sono molti i tratti della fattispecie da cui emerge la fisionomia
della legislazione emergenziale:
- forte anticipazione della soglia di punibilità: si criminalizza il semplice
compimento di fatti o atti diretti alla realizzazione dell’obiettivo pur in
assenza del verificarsi dell’evento lesivo (fattispecie-rete) ed estensione fino
alla sanzionabilità del semplice possesso di banconote provenienti da riscatto
- estrema limitatezza dei reati presupposto: non si considerano molte
fattispecie come il traffico di stupefacenti che sono la principale fonte di
proventi illeciti e ciò ridimensiona l’efficacia della norma
- conformazione delle condotte: il riferimento alla sola ripulitura materiale
dimenticando la ripulitura giuridica è coniugata all’alternativa del dolo
specifico di procurare a sé o altri un profitto (riciclaggio ricettazione) o aiutare
gli autori dei delitti ad assicurarsi il profitto (riciclaggio favoreggiamento) e ciò
pare sanzionare solo la perpetuazione di tali reati piuttosto che la lesività
propria della riconversione di proventi criminali
il riciclaggio delle origini nasce come forma speciale di ricettazione e
favoreggiamento, vi sono però due elementi che rimarranno fino alla versione
attuale: esclusione della responsabilità del concorrente nel reato base, irrilevanza
delle cause soggettive di esclusione della pena.
Dopo la sua introduzione da un lato emergono i limiti di una normativa
emergenziale dall’altro vi è una presa di coscienza della gravità del fenomeno anche
grazie agli imput di organismi internazionali (Basilea, Convenzione di Vienna), si ha
così la l 55/1990 (Gava-Vassalli) in cui sono trasfuse diverse indicazioni della
proposta della GdF del novembre 1989, recante “Nuove disposizioni per la
prevenzione della delinquenza di tipo mafioso e di altre gravi forme di
manifestazione di pericolosità sociale” che interviene sul 648bis rafforzandolo e
rinominandolo come “riciclaggio”, l’intervento è però di ampio respiro si introduce
infatti anche il 648ter (impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita) e
interviene sul riciclaggio in una accezione bifasica (money laundering – recycling)
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tipica del momento storico; si abbandona il modello di attentato e si riconduce il
momento consumativo all’effettivo completamento della condotta, vi sono pene più
aspre da 4 a 12 anni e molte altre innovazioni:
- articolazione della condotta oggettiva nella sostituzione e ostacolare
l’identificazione dell’origine delittuosa: ciò estende l’ambito applicativo
nonostante l’indeterminatezza dell’espressione di ostacolare e la difficile
armonizzazione con la sostituzione che pare in essa assorbita
- ampliamento dei reati presupposto ai reati concernenti gli stupefacenti
- sostituzione della nozione di “beni o valori” con quella di “denaro, beni o altre
utilità” a conferma della filosofia espansionistica della norma che intende
riferirsi a qualsiasi entità economicamente apprezzabile
- eliminazione del dolo specifico alternativo di ricettazione o favoreggiamento
sostituito col dolo generico della consapevolezza della provenienza illecita: si
ampliano le potenzialità applicative
- previsione dell’aggravante del reato commesso nell’esercizio della professione
e inasprimento della pena: ciò per il grande disvalore insito nel
comportamento del riciclatore che è un concorrente ex post di reati tipici
della criminalità organizzata
Si arriva così alla riforma della l 328/1993 che si inserisce in un sistema già orientato
alla repressione di forme di criminalità prevalentemente associativa che ridisegna il
648bis e 648ter dando applicazione ai principi dell’art 6 Convenzione di Strasburgo,
vi è la scomparsa dell’elenco analitico dei reati presupposto sostituito dal
riferimento a “qualsiasi delitto non colposo”, vi è poi a rafforzare la norma la
previsione della condotta di “trasferimento di denaro, beni o altre utilità” e la
conversione della condotta di “riciclaggio-favoreggiamento” nella formula di
chiusura che incrimina il comportamento di “altre operazioni in modo da ostacolare
l’identificazione della provenienza delittuosa”; le pene restano quelle del ’90 e vi è
l’introduzione dell’attenuante per delitto base inferiore a 5 anni di reclusione, si
registra poi un’ottica punitiva mirata a colpire anche il riciclaggio oltre confine con la
separazione delle giurisdizioni penali del reato di riciclaggio e quello presupposto
preservata dal 648 uc nella riformulazione integrata dall’irrilevanza della carenza di
una condizione di procedibilità del delitto a monte.
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2.Il bene giuridico, la tecnica di tutela e il difficile inquadramento
sistematico
Il riciclaggio è inserito nel capo 2 titolo 13 libro 2 cp cioè nei delitti contro il
patrimonio mediante frode, tale collocazione è però insoddisfacente e inoltre la
molteplicità degli scopi perseguiti ha indotto la dottrina a qualificarlo come
plurioffensivo impedendone l’enucleazione dell’interesse prevalente, c’è dunque
accordo nel ritenere inadatta la collocazione ma divergenza su dove ricollocarlo,
sotto il primo profilo l’attuale presenza tra i reati contro il patrimonio è giustificata
dall’origine quale costola della ricettazione con cui similitudini di Tatbestand e
opportunità di mantenerli consecutivi spiegano l’attuale collocazione di un delitto in
cui la tutela patrimoniale è solo secondaria; invece la rivisitazione del patrimonio in
chiave strumentale allo sviluppo della personalità fonda l’orientamento che colloca
il reato tra quelli volti a contrastare la perpetuazione della precedente condotta
antigiuridica, una posizione accolta in Svizzera ma contestata in Italia da obiezioni
logiche (non è detto che il movimento del bene ne renda più complesso il recupero
anzi proprio questo permette all’anticrimine di scoprire il reato) e giuridiche (tanto
la ricettazione quanto il riciclaggio non richiedono che il delitto presupposto sia
contro il patrimonio), vi è allora una diluizione della patrimonialità della fattispecie
che impone di considerare l’offesa all’amministrazione della giustizia che nella vasta
gamma di beni offesi dal riciclaggio funge da massimo comun denominatore, d’altro
canto la teoria della patrimonialità non è al passo con l’evoluzione giuridica che
propone una nuova prospettiva patrimoniale sganciata dal profilo individualistico e
ancorata alla dimensione pubblicistica passando dal riferimento costituzionale della
garanzia della proprietà (42 cost) a quello della tutela del risparmio (47 cost) nella
specie investimento, si propone allora una concezione dinamica del patrimonio che
dalla tutela del semplice bene porta alla tutela dell’ordine economico, quest’ultimo
risulta gravemente offeso dal riciclaggio in grado di alterare pesantemente il
mercato e ciò spinge autorevole dottrina a inquadrare il reato fra quelli contro
l’economia.
L’intreccio di prospettive del risparmio e dell’investimento evidenzia i profili
pubblicistici di tutela e favorisce l’emersione dell’ordine pubblico come bene
sicuramente posto in pericolo dal riciclaggio e certamente richiamato dalla norma
quando si rivolge all’accertamento della responsabilità degli autori dei reati
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presupposti e nella sua funzione di contrasto all’aumento delle attività illegittime, a
conferma di ciò vi è la trasmigrazione dell’ordine economico che nell’impiego di
denaro beni o utilità viene declassato a bene secondario subordinato all’ordine
pubblico; in base a ciò non è opportuno liquidare l’ordine economico e l’ordine
pubblico come rationes di tutela paragonabili a semplici obiettivi di organizzazioni
politiche e parimenti occorre negare la formula del reato plurioffensivo che svuota
l’istituto annichilendo le sue potenzialità selettive.
La soluzione va dunque cercata in un’ottica tesa a restituire al bene giuridico il
valore selettivo per individuare i fatti vietati (orientamento opposto elegge invece a
momento fondamentale l’individuazione dello scopo), cosicché gli obiettivi di tutela
presi in considerazione rivelano una scarsa capacità selettiva rivestendo un ruolo di
secondo piano più consono a quello di beni finali mentre invece il bene giuridico
tutelato va individuato dell’amministrazione della giustizia (e depone a favore di ciò
anche il beneficio di auto riciclaggio che da un lato svilisce il riferimento alla
consolidazione di una precedente situazione illecita e dall’altro esclude che
l’interesse principalmente tutelato sia strettamente patrimoniale) intesa come
impegno generale alla persecuzione di qualsiasi reato che viene perfettamente
tutelato dalla norma che si rivolge in maniera solo mediata all’economia all’ordine
pubblico o al patrimonio preservando in via diretta lo svolgimento delle indagini
sulla provenienza delittuosa dei beni.
Quest’ultimo è il dato caratterizzante le condotte di riciclaggio ed è significativo
l’orientamento dottrinale che per evitare l’abrogazione del 648ter ritiene integrato il
reato di impiego nel caso di ricezione di capitali sin dall’origine finalizzata al
reimpiego e invece i reati di ricettazione o riciclaggio nei casi in cui l’iniziale ricezione
di capitali illeciti non finalizzata all’impiego sia seguita dall’autonoma decisione di
impiegarli; l’interesse fondamentale come amministrazione della giustizia è in linea
con le funzioni che l’oggetto giuridico è tenuto ad assolvere (politico garantista,
sistematico classificatoria, dommatico interpretativa) e impedisce svuotamenti della
funzione garantista infatti rimane sempre presente soprattutto nelle più minacciose
ipotesi di stratificazione e nelle ipotesi di riciclaggio mediante impiego o nei casi in
cui l’impiego è funzionale a offuscare il paper trail in cui è in grado di svelare la reale
direzione offensiva della condotta capace di piegare gli elementi altrimenti
costitutivi del 648ter; inoltre essa favorisce la lettura costituzionalmente orientata
17
del 648bis ed evita di dilatare eccessivamente la fattispecie imponendo di colpire
solo condotte idonee a ostacolare le indagini, consente poi di anticipare l’intervento
penale inteso come intervento che prescinde dalla lesione al bene finale
attestandosi sul momento prodromico del bene strumentale, solo con
l’amministrazione della giustizia quale bene preminente della fattispecie il 648bis
può assecondare il corretto inquadramento esegetico che lo colloca fra i reati di
pericolo concreto, identificato come bene strumentale quindi oggetto sicuramente
di concreta lesione tale bene si differenzia da ordine economico e ordine pubblico
per cui non si potrà andare oltre la soglia del pericolo, per cui è in grado di
supportare la forma di manifestazione anticipata nel rispetto del principio di
offensività il perno su cui ruota un diritto penale dell’offesa.
3.Il soggetto attivo alla luce del beneficio di auto-riciclaggio
Soggetto attivo può essere chiunque è dunque un reato comune, cosa confermata
dall’aggravante per l’esercente di un’attività professionale che dunque è al di fuori
degli elementi costitutivi del reato, a complicare la soggettività è però la clausola di
esclusione di responsabilità per i concorrenti a qualsiasi titolo nel reato presupposto
che resiste fin dalla prima formulazione della norma attribuendole valenza residuale,
tale riserva riduce l’impatto applicativo infatti a dispetto dell’etichetta di reato
comune va esclusa dalla punibilità l’ipotesi di autoriciclaggio (che non è una
sottospecie), l’interpretazione che introduce il privilegio di autoriciclaggio è in linea
con la clausola di riserva nella ricettazione e col privilegio di autofavoreggiamento e
in linea con la giurisprudenza.
Tuttavia è fra le sentenze che nascono gli elementi che alimentano il dibattito sul
criterio discretivo utile a indicare quando si realizza il concorso nel reato
presupposto (da cui dipende la sopravvivenza di riciclaggio e ricettazione altrimenti
ridotti a post-facta non punibili), mentre la giurisprudenza fa uso del criterio
temporale per cui vi è concorso quando l’accordo sul lavaggio del denaro preceda la
consumazione del reato principale e invece c’è riciclaggio quando l’accordo è
successivo, la dottrina fa leva sull’efficacia causale dell’accordo per cui nonostante il
momento dell’intesa sia indiziante non è possibile rinvenire automaticamente il
concorso a ogni contributo precedente la commissione del reato ma è necessario
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che questo abbia realmente influenzato o rafforzato negli autori la decisione di
delinquere e viceversa anche se vi è un accordo preventivo ma ininfluente sul
proposito delittuoso sussiste riciclaggio.
Sulla figura dell’autore del riciclaggio si costruisce la linea di confine tra prospettiva
criminologica e prospettiva giuridica, infatti il riciclatore criminologico è di 3 tipi:
- l’autore del reato base che opera il money laundering
- un soggetto terzo all’oscuro della provenienza illecita che lava il denaro
- il riciclatore professionale che opera come una “lavanderia”
viceversa il riciclatore penalistico si attaglia solo sull’ultima figura che è di difficile
afferrabilità a causa delle sue abilità operative e tecniche sofisticate (l’immunità da
riciclaggio però proteggerebbe anche il riciclatore professionista in caso passi la tesi
interpretativa per cui in caso di associazione per delinquere la fonte dell’illecito
provento è il 416 o 416bis e non i singoli reati scopo); in tale ottica vi sono proposte
per eliminare la clausola di riserva tuttavia trasferire il concorso da mero posterius
non punibile a ipotesi di riciclaggio non avrebbe altro effetto che congestionare la
fattispecie a farle perdere autonomia in quanto la maggior parte dei reati produce
utilità e quindi in tutti questi casi vi sarebbe anche riciclaggio, e non convincono le
dottrine riformiste che volendo eliminare l’autoriciclaggio ed evitare tali
inconvenienti propongono di escludere dall’ambito del reato il mero godimento o
utilizzo personale del bene (come il disegno di legge 733bis) in quanto utilizzano
forme indeterminate scarsamente probabili e quindi inutili, non si vedono dunque
all’orizzonte proposte coerenti con la costruzione normativa della fattispecie
preferibili a quella attuale, e inoltre va osservato che in questi casi la messa a frutto
della ricchezza illecita può essere evitata con gli strumenti tradizionali del sequestro
e della confisca del prodotto prezzo o profitto del reato; per cui una vera riforma più
che intervenire in campo repressivo deve agire sulle strategie preventive.
3.1.Problematiche connesse al riciclaggio nei reati associativi
Sulla definizione penalistica del riciclatore incidono in senso negativo le
manifestazioni necessariamente plurisoggettive del reato ponendo problemi di
configurabilità del concorso fra riciclaggio e reato associativo e sul concetto di
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provenienza dell’oggetto materiale del reato, l’ammissibilità del concorso è
subordinata all’esclusione della provenienza del denaro dalle fattispecie associative.
Il beneficio di autoriciclaggio può portare a due conclusioni opposte:
- non punibilità dell’associato ogni volta che il denaro riciclato risulterà
provento della fattispecie associativa, quindi con esclusione del concorso
- mettendo in risalto il rapporto di provenienza dei beni va ritracciato il loro
legame con i reati scopo e non col reato di associazione per cui l’associato che
non vi abbia preso parte risponderà di riciclaggio in concorso col reato di
associazione
la seconda direzione consente di preservare un importante profilo del soggetto
attivo del reato che potrebbe venir compromesso dalla giurisprudenza che
considera chi ricicla il denaro di un’associazione non come semplice concorrente ma
come organizzatore, ciò combinato con l’espansione del reato associativo che
ammette la ipotesi di concorso eventuale dell’extraneus e allarga la responsabilità
dell’associato per concorso nei reati fine si avrebbe un assottigliamento della
punibilità per riciclaggio.
Il pericolo è scongiurato dalla considerazione dei reati scopo quale fonte del
provento e dell’inserimento fra questi anche del riciclaggio, delitto fine
dell’associazione del quale si potrà rispondere in concorso col reato associativo,
vanno quindi prese le distanze da chi considera l’associazione mafiosa in ogni caso
refrattaria di una responsabilità dell’associato in concorso con il riciclaggio, tale
orientamento contrappone alla fisionomia statica del 416 il carattere dinamico del
sodalizio ex 416bis teso al controllo delle attività economiche pur in sé lecite che
generano però profitti ingiusti e come tali suscettibili di formare oggetto di
riciclaggio, dunque grazie alla forza intimidatoria del sodalizio vi è idoneità alla
produzione di guadagni oggetto di riciclaggio, da qui è breve il passo a giungere alla
conclusione che il riciclaggio dell’associato in relazione a proventi prodotti
direttamente dall’associazione non acquista autonoma rilevanza in base
all’autoriciclaggio per cui tale associato sarà punibile solo per 416bis, tale
conclusione sembra però perdere di vista il legame di derivazione dei beni traslando
il requisito del metodo mafioso da strumento prodromico alla realizzazione delle
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finalità dell’associazione cui non necessariamente sia concorso l’associato in fonte
autonoma di proventi illeciti.
Proprio il riferimento all’origine del denaro costituisce l’alveo in cui vincolare la
corretta accezione del metodo mafioso, ne conseguono 3 ipotesi di concorso di
riciclaggio e 416bis o di solo riciclaggio:
- riciclatore estraneo all’associazione mafiosa
- riciclatore compartecipe all’associazione mafiosa ma estraneo ai reati
presupposto del riciclaggio
- riciclatore concorrente eventuale nell’associazione mafiosa per i soli fatti di
riciclaggio
invece unico caso di applicazione esclusiva del 416bis è quello in cui il riciclatore è
compartecipe dell’associazione e autore del reato presupposto, quindi opera
l’autoriciclaggio.
Questa è la soluzione preferibile pure se genera difficoltà maggiori di accertamento
della riconducibilità dei diversi reati scopo ai relativi autori in associazioni così
complesse, tuttavia va osservato che tale problema va risolto già in sede di
responsabilizzazione dell’associato per lo specifico reato scopo onde evitare forme
di responsabilità oggettiva.
3.2.Il caso tranchant dell’aggravante di riciclaggio ex 416bis6 cp
Il 416bis6 cp prevede un’aggravante ove l’associazione mafiosa finanzi le attività
economiche con proventi illeciti, vi è dunque esclusione di riciclaggio per l’associato
che usi i proventi illeciti per il controllo di attività economiche lecite o illecite,
l’aggravante prevede solo proventi illeciti (escludendo i proventi dal controllo
mafioso di attività lecite) ma non richiede che il delitto a monte sia necessariamente
posto dall’associazione che potranno provenire da terzi, per cui si parla di
aggravante di riciclaggio; la ratio è contrastare la penetrazione nell’economia legale
e l’offuscamento del paper trail, fra riciclaggio e aggravante di riciclaggio vi è un
rapporto di specialità in favore della seconda (e infatti vi è una pena maggiore), ciò
vale anche per le condotte che integrano il delitto di reimpiego ex 648ter.
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La disposizione in esame ha importanti riflessi sistematici infatti non vi è dubbio che
la provenienza del provento illecito è dai delitti dell’attività o da fatti criminosi posti
da terzi, si esclude un concetto di associazione in grado ex se di produrre profitto;
altra riflesso è sulla questione della concorrenza 616bis e 648bis infatti se
l’associazione reimpiega proventi di terzi risponde del 648ter l’associato che ha
svolto il reimpiego ma l’aggravante in esame è a carico di tutti gli associati.
Alcune premesse non sono scardinabili:
- il riciclaggio e il reimpiego in attività anche formalmente lecito è normale per i
gruppi mafiosi
- tale fatto rileva come elemento accessorio della condotta base aggravandone
sensibilmente il trattamento sanzionatorio nonostante la previsione del
beneficio di autoriciclaggio
vi è dunque un atteggiamento favorevole a un’accezione dell’origine dei proventi
illecita vincolata non all’associazione ma ai delitti scopo, tale visione legittima la
rilevanza del riciclaggio come elemento circostanziale piuttosto che come fattispecie
autonoma in grado di concorrere con quella associatva.
4.La condotta commissiva e l’esecuzione “in modo da ostacolare
l’identificazione della provenienza delittuosa, quale nota modale del
valore tipizzante
Il 648bis iscrive nel riciclaggio le condotte di chi agisce in modo da ostacolare
l’identificazione tramite 3 tipologie di azioni ricondotte in 2 macroaree:
- “sostituzione” e “trasferimento”: criterio individualistico descrittivo
- “altre operazioni”: criterio generico residuale
vi è una formulazione ampia di alternative Mischegesetz su cui sorgono dubbi della
conformità ai canoni di legalità, ma proprio tale deficit di determinatezza impone
l’analisi preliminare dell’inciso “in modo da ostacolare” se infatti le si legge da tale
angolazione le ipotesi di condotta sono unificate evidenziando l’autentico nucleo di
disvalore del riciclaggio per cui queste saranno conformi al 648bis solo se in
concreto idonee a ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa.
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Primo punto fermo è che la corretta interpretazione della locuzione deve ricondurne
la riferibilità a tutte le categorie di condotta, si afferma ciò in ragione di:
- collocazione sintattica: l’espressione è in una parentetica a ridosso delle
condotte
- confronto sistematico: alla luce del bene giuridico non è riciclatore chi pone
una sostituzione di denaro segnalando all’autorità
- paradosso dell’interpretazione opposta: per cui sarebbero punibili per
riciclaggio anche condotte inidonee a ostacolare le indagini
- giurisprudenza: che vede come denominatore comune delle condotte di
riciclaggio la tensione a rendere difficile l’accertamento della provenienza,
cosa introdotta con la riforma del 1993
Secondo punto fermo è che l’espressione in esame non introduce un’ulteriore
condotta di riciclaggio ma indica il modus di ciascuna condotta tipizzata con una
formula che avvalora la natura di pericolo concreto del reato, l’attitudine ostative
non è una superficiale modalità esecutiva ma un tratto essenziale e profondo di
ciascuna condotta, in tale prospettiva la formulazione della norma riesce a
individuare il nucleo di disvalore del reato e lo rende autonomo da ricettazione e
favoreggiamento; l’ostacolo alla individuazione della provenienza pure se non vi
sono delle soglie di rilevanza assume la funzione selettiva necessaria per contenere
l’espansione del reato evitando lo scivolamento in esso delle ordinary commercial
transactions, diversamente infatti vi sarebbe una trasformazione della sostanza del
reato da money laundering a money spending.
A garanzia dell’effettiva rideterminazione della norma vi è la scelta linguistica “in
modo da” che si distingue da quella dei delitti di attentato “atti diretti a” che rende
l’ostacolo alle indagini parametro di valutazione della lesività della condotta e
strumento di accertamento dell’oggetto del dolo ed elemento differenziante
rispetto fattispecie limitrofe; sono dunque sussunte nel 648bis le condotte che si
materializzano come ostacolo all’investigazione piuttosto che come generico
ostacolo alle indagini cui viceversa il legislatore fa riferimento nelle ipotesi di false
informazioni al PM (371bis cp), non costituiscono invece reato i comportamenti che
pur coinvolgendo operazioni su proventi illeciti sono inidonei a tale attitudine
ostativa (ed eventualmente saranno ricettazione, favoreggiamento, incauto
acquisto).
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Non convince allora la tesi che riconduce alla locuzione “in modo da ostacolare” la
risultante delle singole condotte, si ritornerebbe infatti alla riforma del 1990
cestinando l’arretramento della soglia di punibilità introdotto nel 1993, in
quest’ottica l’interprete dovrà verificare un ostacolo (fase del perfezionamento) e
non un impedimento (consumazione del reato) all’identificazione, facendo
sussistere il tentativo di riciclaggio come qualunque atto idoneo diretto in modo non
equivoco a realizzare un ostacolo all’identificazione, secondo tale orientamento la
costruzione del riciclaggio come a forma libera o causalmente orientato comporta
l’irrilevanza delle modalità descrittive della condotta facendo divenire elemento
centrale l’evento che deve essere realizzato dal soggetto, quindi la modalità ostativa
viene fatta fuoriuscire dall’azione e trasferita nell’evento naturalistico di danno, vi è
dunque una sterilizzazione della condotta con conseguenze negativa sulla
determinatezza e tassatività con uno sbilanciamento verso l’elemento soggettivo
che assume il compito di individuare la fattispecie, privato così dall’argine
garantistico di liceità si rischiano applicazioni disinvolte della norma facendo ad es
rientrare in riciclaggio quello che è il “taroccamento dei veicoli” (cambiare targa o
numero di telaio), la giurisprudenza considera automaticamente queste ultime
fattispecie come operazioni che ostacolano l’identificazione della provenienza
delittuosa e quindi applica il 648bis, tuttavia non si può considera fuori traccia tale
applicazione di una norma nata per ostacolare la grande criminalità organizzata, la
chiave selettiva non va ricercata nel principio di specialità per cui tale fattispecie
rientrerebbe nel 10012 Codice della Strada, e tanto meno si potrebbe restringere la
norma inserendovi solo beni pari al denaro col requisito della sostanziale liquidità.
L’interprete deve concentrarsi sulla idoneità decettiva delle condotte per cui anche
il taroccamento può rientrare nel 648bis se idoneo a ostacolare l’identificazione
della provenienza, così il pericolo concreto consente di ridurre lo spettro applicativo
e ricavare dalla condotta il significato offensivo, così i confini della norma non sono
affidati all’incertezza dell’elemento psicologico; allo stesso modo non è riciclaggio la
parcella del professionista pagata dall’autore di un reato doloso in quanto
l’accettazione trasparente di un pagamento non interrompe il paper trail e non ha
attitudine dissimulatoria inoltre non consente un guadagno al criminale ma anzi al
contrario è un costo.
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4.1.L’ipotesi di “sostituzione”
La sostituzione è presente fin dalla formulazione originaria e rappresenta il
riciclaggio più elementare che si ottiene sostituendo un bene sporco con uno pulito
rendendo difficile il rintracciamento della originaria provenienza illecita, nella prassi
sono tali molte condotte che implicano scambio o trasformazione, invece condotte
sostitutive in senso stretto sono solo quelle del riciclatore senza collaborazione (es
alterazione di scritture contabili) in cui vi è una trasformazione autonoma del
riciclatore di beni fungibili di cui è stravolta la natura anche senza alterarne la
denominazione o genere, su questa scia vi è la giurisprudenza che individua
riciclaggio quando l’autore del reato presupposto versa i proventi a una società di
cui è socio di maggioranza per cui quando tale spostamento della titolarità del bene
avviene con la complicità di terzi estranei al reato base vi è riciclaggio in capo a
questi.
Diverse sono le ipotesi di sostituzione mediante scambio per cui spesso il riciclatore
si avvale di terzi, queste interessano la maggioranza delle sostituzioni di beni
infungibili in cui si interviene sulla titolarità del bene con un’attività molto legata
all’atto di trasferimento (infatti fuori dai casi di sostituzione strictu sensu è raro che
questa non si manifesti con il trasferimento), sebbene il trasferimento abbia
autonoma rilevanza e le altre operazioni fanno rientrare fattispecie residuali
l’identificazione delle condotte come sostitutive o di trasferimento è fondamentale
per il principio di legalità e per l’individuazione di ipotesi di stratificazione o di
riciclaggio indiretto e per fornire indizi concreti sulla sussistenza o meno di ipotesi di
riciclaggio.
Si evince la scarsa compatibilità tra riciclaggio e condotte sostitutive prive di
trasferimento o trasferimenti non sostitutivi, dunque le condotte tipizzate possono
risolvere dubbi sui confini applicativi della norma fornendo caratteri peculiari del
fenomeno del riciclaggio e non solo delle condotte indicate; nonostante il riciclaggio
mediante sostituzione sia molto variegato vi è un nucleo comune nel porre al posto
di beni illeciti beni leciti, e infatti la Cassazione considera riciclaggio il deposito di
denaro sporco in banca e il successivo ritiro.
4.2.Il trasferimento
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Il trasferimento è identificato con lo spostare il provento delittuoso nell’identica
composizione qualitativa nel patrimonio altrui con strumenti ripulitivi giuridici, il
trasferimento è considerabile una specificazione della sostituzione, è stato
introdotto nel 1993 con la ragione di non lasciare lacune ma risolve molte questioni
interpretative; trasferimenti senza sostituzione ma in grado di ostacolare
l’identificazione erano già puniti prima della riforma e poi se così non fosse si
dovrebbe ritenere penalmente rilevante la condotta di trasferimento tout court
compromettendo l’intero schema della norma.
Dal trasferimento va esclusa la sovrapposizione con il verbo acquistare che è
contenuto nella ricettazione, la dottrina prevalente adotta un’accezione in senso
giuridico di trasferimento come traslazione interpersonale della proprietà o
possesso anche per richiami normativi comunitari e interni (l 197/1991), sorgono
però due ordini di dubbi su tale teoria:
- dall’interpretazione criminologica del fenomeno: i sostenitori del
trasferimento fisico rilevano che il riciclaggio spesso si avvalga di tecniche
fondate sul trasporto materiale dei beni da allontanare dal luogo della
produzione illecita facendo discendere l’esigenza di ricomprendere nel reato
anche la semplice traslazione spaziale, alla stessa conclusione giunge quella
dottrina che isola il trasferimento dalle ipotesi miste a sostituzione, e si
segnalano le movimentazioni di denaro tramite sistemi elettronici di
pagamento o banche clandestine in cui tuttavia la trasformazione del denaro
in moneta scritturale configura ipotesi di sostituzione, l’obiezione
criminologica insomma non fa breccia nella teoria e anche il riferimento allo
spallonaggio è infruttuoso in quanto tale sistema è quasi sempre funzionale al
trasferimento interpersonale
- dall’analisi terminologica normativa: condotta sulla disciplina della
prevenzione per dedurne la rilevanza materiale del trasferimento non ne
scalfisce la consistenza esclusivamente giuridica di esso, infatti occorre
cautela nel trasferire automaticamente in ambito penale conclusioni
raggiunte in altri settori soprattutto dove spunti per una ricostruzione
organica sono già ricavabili sul piano penalistico
Va dunque confermata l’accezione giuridica del trasferimento mentre le operazioni
di spostamento fisico rientrano nelle “altre operazioni”.
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4.3.Le “altre operazioni”: una condotta assorbente?
L’introduzione delle “altre operazioni” ha dilatato la fattispecie di riciclaggio, per
alcuni è una seconda forma di condotta punibili mentre per altri è una terza
tipologia di riciclaggio, a tale formula non si possono estendere le critiche di
indeterminatezza per 2 motivi:
- la presenza dell’inciso “in modo da ostacolare” esplica i suoi effetti anche sulle
altre operazioni tratteggiandone la necessaria idoneità lesiva
- l’aggettivo “altre” contribuisce a delimitare la condotta in quanto riconduce
alla condotte innominate le caratteristiche di quelle espressamente
contemplate
e infatti la reale funzione delle condotte nominate è proprio di fissare i carattere
delle “altre operazioni” evitando che semplicemente siano assorbite in esse.
Dunque anche l’ultima condotta di riciclaggio cessa di essere a forma libera e rientra
se non fra i reati a forma vincolata in un categoria di vincolatività parziale o a forma
quasi libera, al contempo si risolvono i problemi di precisione del reato
preservandone la grande estensione e la flessibilità in modo da adattarsi ai
mutamenti delle tecniche di riciclaggio.
In dottrina vi è poi la posizione che distingue tra altre operazioni con oggetto diretti i
proventi del delitto base e altre operazioni per cui tali beni sono oggetto indiretto
cioè sono compiute “in relazione a questi” ma incidono materialmente su un diverso
oggetto, la locuzione in relazione a pare voler ricondurre nel riciclaggio anche
operazioni suscettibili di produrre ostacolo all’identificazione della provenienza di un
bene ma esercitate su un bene diverso, ciò è però una tendenza pericolosa perché
rischia di dilatare eccessivamente la fattispecie a scapito della tipicità.
5.Il riciclaggio per omissione
L’analisi della versione negativa come potenziale forma di riciclaggio è il luogo in cui
si concentrano i problemi di materialità e offensività immanenti all’omissione, è alla
luce del principio di legalità che va vagliata la possibilità di riciclaggio per omissione
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in grado di assicurare una rigida delimitazione dell’illecito penale, in base alla
distinzione fra reati omissivi in propri e impropri primo test di compatibilità va
effettuato tra riciclaggio e reati di pura omissione dove a rilevare sono le specifiche
omissioni in quanto tali, i reati omissivi propri sono reati di mera condotta costituiti
da:
- situazione tipica che attiva l’obbligo di agire
- condotta omissiva
- termine entro cui l’obbligo va adempiuto
configurato il riciclaggio come reato di mera condotta si incontrano difficoltà sul
ricostruire la situazione tipica in cui sorge l’obbligo di attivarsi e ciò porta autorevole
dottrina a negare il riciclaggio mediante omissione in quanto il legislatore ha
descritto condotte destinate ad esprimersi in forma commissiva.
Certamente sostituire e trasferire postulano un’azione positiva, riguardo invece le
altre operazioni analizzate su un piano astratto sembrano contenere anche modalità
di concretizzazione omissiva, tuttavia da un lato vi è la possibilità che tale carattere
sia assorbito dalla fattispecie generica di riciclaggio che però nel suo concreto
manifestarsi è difficilmente ipotizzabile in forma omissiva, se infatti si fa riferimento
all’omessa fatturazione tale condotta non è di per se sufficiente a integrare il
riciclaggio ma dovrà necessariamente accompagnarsi ad altre condotte che sono di
tipo commissivo, per cui rappresenta solo una parte della fattispecie di riciclaggio.
Inoltre si osserva che le teorie a favore della connotazione omissiva si sbilanciano
verso il settore preventivo, è indebito infatti traslare gli obblighi di collaborazione
attiva (già previsti e puniti anche a titolo omissivo) dalla prevenzione alla
repressione; e comunque la norma che configura il reato omissivo rivolge ai suoi
destinatari un comando di agire agganciato a situazioni tipiche ben indicate cosa che
nel 648bis non è fatta; insomma oltre alla non eseguibilità in forma omissiva delle
condotte di riciclaggio vi è il disallineamento strutturale del reato dalle ipotesi
omissive proprie tra le quali non può essere ricompreso.
A questo punto occorre valutare la convertibilità del 648bis in illecito omissivo
improprio, qui è da rilevare che la vincolatività della fattispecie benché parziale è
sufficiente a disattivare la clausola di conversione ex 401 cp rendendo impossibile la
realizzazione commissiva mediante omissione; analoga conclusione si ha adottando
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il tradizionale discrimine tra reati omissivi propri e impropri della necessità della
presenza o meno di un evento come requisito strutturale del fatto reato, infatti il
riciclaggio dovrebbe consistere nella violazione dell’obbligo di impedire il verificarsi
dell’evento tipizzato dalla fattispecie commissiva base, evento in realtà
naturalisticamente inesistente soprattutto dopo la rielaborazione in un reato
formulato come di mera condotta vincolata al pericolo concreto.
Dunque non è possibile il riciclaggio commissivo mediante omissione.
6.L’evento giuridico tra pericolo concreto e pericolo astratto
Muovendo all’identificazione della tipologia di pericolo nel reato occorre partire
dalla locuzione “in modo da..” e dal bene giuridico, la prima va depurata da ogni
interpretazione tendente a vederla come specificazione del dolo anche perché di
norma la formula utilizzata per ciò è “al fine di..”, poi rifiutare di interpretare la
norma in modo da considerare presunto o in re ipsa il pericolo in presenza di
“sostituzione o trasferimento” consentono di anticipare in modo ponderato
l’intervento penale, la norma così si evolve orientandosi a sanzionare le condotte di
offuscamento della traccia di carta; tale sviluppo è reso possibile dal bene giuridico
dell’amministrazione della giustizia in funzione centrale, un bene dalla valenza
strumentale che insieme al requisito dell’ostacolo all’identificazione scongiura la
repressione di condotte inoffensive e consente la qualificazione lesiva del reato in
tutte le sue manifestazioni; in tale prospettiva l’idoneità a ostacolare può essere
apprezzata nella sua corretta funzione di caratterizzazione dell’elemento materiale
del reato conferendogli i tratti del pericolo concreto.
7.L’accertamento del pericolo
Identificare il riciclaggio come reato di pericolo concreto ha riflessi anche sulle
modalità di accertamento del pericolo, in questi reati il pericolo è elemento tipico
espresso contemplato nel testo della norma delineando un elemento costitutivo
della fattispecie che il giudice dovrà sottoporre ad accertamento casistico secondo il
metodo della prognosi postuma (o ex ante) in concreto, il giudice allora nel
verificare la conformità del fatto al tipo dovrà idealmente collocarsi nel momento
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dell’azione e formulare la prognosi su base totale prendendo in considerazione il
massimo delle conoscenze disponibili al momento del giudizio comprese eventuali
conoscenze ulteriori dell’agente (la giurisprudenza invece pone solo le circostanze
conosciute o conoscibili al momento dell’azione); è una verifica puntuale in base alla
quale dovranno considerarsi integrative del reato le operazioni volte a impedire o
anche solo a rendere difficile l’accertamento della provenienza attraverso qualsiasi
espediente che consista nell’aggirare la normale esecuzione dell’attività posta in
essere, invece è esclusa la punibilità delle condotte non in grado di ostacolare
questo tipo di indagini, è dunque un requisito comune a tutte le condotte punite
inconciliabile con le modalità di accertamento presuntive; sebbene il pericolo sia
stato sussunto nella condotta che direttamente lo cagiona dispensando dalla verifica
della incidenza causale dell’azione sull’evento di pericolo non si è mai affermato di
poter prescindere dal relativo accertamento quale attitudine speciale della condotta
da apprezzare in concreto, un elemento essenziale di questa la cui concreta verifica
è onere della prova dell’accusa con un positivo effetto sulla tipicità normativa.
8.L’oggetto materiale del riciclaggio
L’espressione “denaro beni o altre utilità” ha dato un grande contributo alla
determinazione e specificazione del fatto tipico, questa è stata introdotta nel 1990
sostituendo l’originaria “denaro o valori” che aveva presentato molti dubbi
interpretativi comprimendo l’efficacia della norma, in tal modo invece ci si è voluti
riferire a ogni tipo di bene con una omnicomprensività del reato che attiene a ogni
entità patrimoniale attuale e non solamente ipotizzabile o sperata, un oggetto
materiale esteso fino a comprendere beni immateriali; ciò ha avuto però degli effetti
collaterali in quanto si è forse peccato per eccesso e si pone il rischio di interferenza
con altri reati in particolare la ricettazione, e vi sono rischi di elusione
dell’obbligatorietà dell’azione penale connessi all’espansione della discrezionalità
selettiva del magistrato, vi è dunque per dottrina e giurisprudenza da eseguire un
actio finium regundorum; in tale prospettiva una demarcazione dei confini del reato
può ricavarsi dalla delimitazione dell’oggetto materiale e dalla corretta
considerazione della sua origine o provenienza (il disvalore del reato è proprio in
essa e non nel particolare tipo di oggetto).
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8.1.I confini dell’espressione “denaro, beni o altre utilità”
Le difficoltà interpretative sollevate dall’oggetto materiale trovano conferma nel
coinvolgimento della Cassazione che nel 1997 ha ricompreso in esso anche il
taroccamento di veicolo, un’interpretazione che dilata la fattispecie fino a
ricomprendervi condotte punibili per ricettazione e smarrisce gli obiettivi di tutela
della norma che si rivolge a combattere l’alterazione sistematica e a catena di certi
beni che per i loro valore e la diffusione sul mercato sono suscettibili di cagionare
ingenti danni patrimoniali; tali dibattiti interessano la rilevanza economica
dell’oggetto prima che dal punto di vista quantitativo da quello qualitativo:
- solo i beni suscettibili di valutazione economica alla stregua del denaro che
funge da nota qualificante di “beni e altre utilità”
- qualunque cosa che possa formare oggetto di diritti a norma del 810 cc
la seconda posizione è alla base della corrente che identifica ricettazione e
riciclaggio, il termine “bene” rapportato al corrispondente nella ricettazione “cosa”
risulterebbe più esteso in quanto comprensivo oltre che delle cose anche dei beni
immateriali che in esso rifluiscono anche per l’introduzione dell’espressione
integrativa “altre utilità”, in tal modo però sfumano i confini dell’oggetto materiale e
quindi delle condotte ulteriormente sfumate in tipicità da quanti ne sostengono la
natura bifronte:
- quella espressamente definita
- quella atipica richiamata dalle condotte esercitate su oggetti materiali diversi
dai proventi stessi e idonee a ripercuotersi su di essi riguardo la produzione
dell’ostacolo all’identificazione della provenienza
tale posizione si basa su un’interpretazione allargata del collegamento sintattico che
unisce le “altre operazioni” all’oggetto giuridico, in tale prospettiva la locuzione “in
relazione a” comporta dinamiche comportamentali trilaterali consentendo di
attrarre nel riciclaggio anche condotte eseguite su oggetti diversi da “denaro beni o
altre utilità provenienti da delitto non colposo” fino a includervi qualunque oggetto
anche di natura lecita o provenienza diversa da delitto doloso in grado di riflettersi
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sul bene tipizzato; tutta questa interpretazione apre falle nella determinatezza della
fattispecie che la modalità ostativa è insufficiente a colmare.
Tali problematiche devono ricondurre l’oggetto del riciclaggio a un’interpretazione
più aderente alla ratio legis e meglio conformata alla struttura normativa in cui
“beni” o “altre utilità” rigorosamente “provenienti da delitto non colposo” possono
essere identificati in modo da ricomprendervi entità differenziate purché
riconducibili all’ampio insieme qualificato dall’essenza economico-finanziara, nella
nozione di “beni o altre utilità” devono farsi rientrare oltre ai beni di rilievo
economico anche gli strumenti finanziari, i beni immateriali (es avviamento
aziendale), i preziosi e ogni altra utilità comparabile al denaro e ad esso omogenea;
l’analisi della norme pone infatti in risalto la relazione tra “denaro” e “beni o altre
utilità” che dal primo sono arricchiti in termini di qualificazione pratica con un
grosso contributo in termini di determinatezza.
8.2.La locuzione “provenienti da delitto”
Il concetto di provenienza delittuosa considerato da una dottrina il cardine per
un’interpretazione non troppo generica del riciclaggio nonostante sia compreso sin
dalla prima formulazione nella norma è ancora oggetto di dibattiti, ciò accentuato
dall’eliminazione del catalogo dei reati fonte che ha reso più complesso il
presupposto positivo del riciclaggio e vanificato la giurisprudenza precedente in
quanto si è passati dalla necessità di estendere l’applicazione della norma al
problema inverso, fondamentale è non confondere la provenienza da reato con
l’identificazione del reato presupposto si pongono problemi interpretativi:
- l’inclusione del prezzo del reato nel concetto di derivazione da delitto insieme
al prodotto e al profitto
- la forma di manifestazione minima richiesta ai fini della rilevanza del reato a
monte
- la tipologia di delitti suscettibili di generare proventi
- la rilevanza del riciclaggio stesso quale fonte di proventi illeciti riciclabili
Per la risoluzione dei primi due problemi un aiuto proviene dall’analisi della
giurisprudenza in tema di confisca per la quale per prezzo del reato può intendersi il
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compenso dato o promesso per indurre istigare o determinare un soggetto a
commettere il reato, è cioè qualcosa che si distingue sia dalla pertinenza del reato
che dalle nozioni di prodotto o profitto, sotto il primo aspetto infatti è evidente la
distinzione col prezzo essendo la pertinenza inclusiva del corpus delicti e dei
producta sceleris e delle cose che servono ad accertare la consumazione dell’illecito
del suo autore e delle circostanze che legano tali elementi all’accertamento
dell’illecito, è inammissibile confondere il concetto di provenienza da reato con
quello di pertinenza del reato (previsto dal sequestro) per cui risulta l’oggetto del
riciclaggio diverso dall’oggetto del sequestro, ma neanche può considerarsi il prezzo
semplicemente assorbito nei concetti di prodotto o profitto, i beni confiscabili sono
ciò che direttamente e immediatamente risulta dall’esecuzione del reato ovvero le
cose che furono create o trasformate o acquisite mediante il reato o ne sono
naturale conseguenza, il profitto è ciò che pur non essendo direttamente un
risultato deriva come conseguenza economica immediata direttamente correlata col
reato e da esso economicamente risultante come primo provento dallo scambio del
prodotto del reato, insomma sono due species di uno stesso genus (il provento)
distinte dal prezzo che pur richiamato insieme ad esse nell’accezione di corpo del
reato ex 253 cpp se ne discosta nella prospettiva repressiva del riciclaggio; in tale
contesto non è però sufficiente il legame labile con il reato insito nella funzione
cautelare in quanto siamo nell’aspetto punitivo ove servono requisiti stringenti
valorizzati dal legislatore con la scelta del termine “provenienti”.
Alla luce di ciò può considerarsi il concetto di prezzo come compenso dato, in
quanto escluderlo dall’oggetto materiale del riciclaggio e ricettazione è fonte di
grosse difficoltà, in tale accezione poi il prezzo è allineato al provento e distinto dallo
strumento o mezzo del reato presupposto che non può invece figurare tra i beni
oggetto del riciclaggio, può allora affermarsi che rileva per il riciclaggio e la
ricettazione qualsiasi provento che scaturisca dai reati presupposto sia come
prodotto o profitto o prezzo esclusi gli strumenti impiegati per la loro realizzazione,
tale prospettiva risolve a monte la questione dell’ammissibilità della forma tentata
del reato base e di scongiurare paradossali conseguenze, sotto il primo profilo i
delitti non colposi possono produrre proventi in forma diversa anche a prescindere
dal loro perfezionamento quindi è un accrescimento patrimoniale può essere
generato dalla forma tentata non è dunque la tipologia di manifestazione
consumata o tentata del reato base ma l’incremento economico a essere il prius del
33
riciclaggio, sotto il secondo profilo è evidente la contraddizione nel considerare
escluso da riciclaggio e ricettazione il denaro per indurre a commettere un
sequestro di persona e invece incluso il denaro consegnato come riscatto, benché
tale dottrina si riferisce solo al compenso dato residuava ancora una distinzione tra
prezzo e provento in senso stretto che è destinata a sfumare ove si pensi alle nozioni
di prodotto e profitto esaltandone la comune natura di guadagno criminoso ovvero
di ricavi da reato al lordo delle spese sostenute per conseguirlo (rapporto del GAFI
del 1990).
Allineandosi all’ampia nozione comunitaria di provento il riciclaggio dilata la sua
applicazione e l’interprete deve sfruttare tutta la capacità selettiva dell’oggetto
materiale per circoscrivere il reato, ne consegue una visione del presupposto
positivo del riciclaggio che selezioni tra i delitti non colposi quelli in grado di
generare denaro beni o altre utilità come prodotto profitto o prezzo del reato; sotto
il primo aspetto è sanzionato infatti anche il riciclaggio indiretto (o a catena) cioè
operazioni che incidano su beni oggetto di precedente riciclaggio d’altronde la
preferenza all’accezione giuridica e non naturalistica del provento illecito rende non
indispensabile il rapporto diretto con il bene o l’utilità prodotta dal delitto doloso ai
fini della configurabilità del riciclaggio; riguardo invece il reato presupposto la
clausola di selezione nella norma limita l’applicazione solo ai delitti non colposi (cosa
per alcuni troppo selettiva perché esclude ipotesi significative come le
contravvenzioni del gioco d’azzardo e la lottizzazione abusiva) sarà dunque
necessaria una verifica incidentale del reato presupposto in tutti i suoi aspetti
essenziali, cioè non ci si può limitare a supporre l’esistenza generica di un delitto
presupposto sulla sola base del carattere sospetto delle operazioni ma pur non
necessario che questo sia accertato giudizialmente è necessario che risulti dagli
elementi di fatto.
8.3.La forzata convergenza dell’illegittimo non-impoverimento nel
concetto di “provenienza illecita”
Dal paragrafo precedente derivano due ordini di conseguenze:
- impossibilità di classificazioni ex ante in grado di distinguere reati fonte di
ricchezza illecita da quelli che non lo sono
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- indefettibilità di una valutazione casistica delle fattispecie di reato
presupposto
sono profili utili per i dubbi sull’inclusione tra i reati presupposto della frode fiscale e
dei delitti tributari in genere, non vi è un problema di qualificazione del provento ma
di interpretazione del concetto della provenienza su cui si divide la dottrina:
- natura dinamica
ne esalta i connotati intrinseci nel complemento di moto
da luogo
- natura statica
pone in rilievo il nesso di provenienza in senso economico
nel senso di derivazione causale dal delitto in cui l’arricchimento o il mancato
depauperamento trova collocazione
in altri termini la provenienza postulerebbe:
- un flusso di ricchezza illecita proveniente dall’esterno e incamerata dal
riciclatore che vi opera (nel primo caso)
- la conservazione illecita di un quantum già interiorizzato nella sfera
patrimoniale del reo attraverso attività legittime (nel secondo caso)
le due tesi portano a conclusioni diverse sull’inclusione o meno tra i reati
presupposto delle ipotesi di reato che producono vantaggi economici sotto forma di
risparmio o mancato depauperamento o illegittimo non-impoverimento, la prima
tesi le esclude la seconda le include.
La soluzione del problema deve partire dalla corretta interpretazione della
“provenienza”, punto di convergenza è il riconoscimento ad essa della funzione
connettiva tra oggetto materiale del riciclaggio e reato presupposto, sulla base di
tale funzione una dottrina ha affermato che è la nozione di provenienza che deve
adattarsi alle caratteristiche dei reati presupposto e non il contrario e sulla base di
ciò si includono le frodi fiscali in quanto l’ampiezza del presupposto positivo del
riciclaggio (la provenienza) non legittimerebbe l’esclusione di categorie delittuose in
assenza di argomentazioni giuridiche adeguate e per di più in presenza di
provvedimenti interni e internazionali che fanno esplicito riferimento alla tax
matters come inclusa nei reati presupposto, infine da un punto di vista
fenomenologico la violazione di norme tributarie può essere usata al fine di riciclare
proventi illeciti o generare vantaggi contabili o fiscali.
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Diverso orientamento ritiene però che l’impossibilità di considerare i reati tributari
presupposto del riciclaggio è proprio nel fatto che la violazione delle norme
tributarie può essere usata per riciclare proventi illeciti, infatti se prima si occultano
le somme e poi si evade il fisco è il delitto tributario ad aver determinato i profitti
illeciti presupposto dell’evasione evidenziando un’inversione del rapporto di
presupposizione che dimostra come siano fatti illeciti estranei al 648bis.
Tra le due tesi vi sono comunque zone di convergenza, l’orientamento rigorista
esclude dai resti presupposto quelli tributari in quanto afferiscono a risorse che non
derivano da illecito ma da legittime attività che sono in maniera illecita sottratte
all’imposizione fiscale, non vi è dunque un lucro ma una mancato depauperamento
che si confonde con l’intero patrimonio del reo dal quale non potrebbe essere
distinto per specificazione rendendo impossibile l’identificazione nel suo
ammontare, certo le difficoltà probatorie non sono un dato decisivo ma confermano
la necessità di discernimento del vantaggio economico che proviene dal delitto
presupposto; con il DLgs 74/2000 la casistica dei reati tributari si è tuttavia allargata
comprendendo fattispecie come la vendita di fatture false per cui anche gli
orientamenti più restrittivi ammettono che siano fonti illecite di arricchimento
chiaramente identificabile; da questo punto di vista si può meglio apprezzare
l’orientamento che dà risalto ai rilievi pragmatici del reato qualificando la
provenienza come entrata profittevole nella disponibilità dell’autore di un vantaggio
economico generato ex novo, in tal modo si dà una lettura alternativa della
Convenzione di Strasburgo limitando le fattispecie di reato base a quelle in grado di
creare ricchezza secondo un concetto ben lontano dall’indebito non-impoverimento
dell’evasione fiscale, è un orientamento apprezzabile che frena alla dilatazione della
fattispecie intervenendo in funzione selettiva già a monte trascurando quelle ipotesi
per cui si ha riconoscimento automatico del beneficio di autoriciclaggio ai casi di
riciclaggio da evasione in cui spesso autore del reato e riciclatore coincidono.
Una potenziale soluzione è allora intermedia: i reati tributari vanno valutati
casisticamente e considerati fonte di riciclaggio ogni volta siano alla base di un
arricchimento effettivo ovvero di un’utilità identificabile in concreto.
8.4.Il riciclaggio indiretto: riflessi di carattere criminologico
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Il riciclaggio indiretto (o a catena) si riferisce a condotte di ripulitura con oggetto
denaro beni o altre utilità già sottoposte a lavaggio, tale forma di money laundering
è la costante delle attuali modalità di riciclaggio che proprio in ragione della
complessità hanno capacità di offuscare il paper trail che passa attraverso
diversificate fasi di collocamento stratificazione e integrazione, da un punto di vista
fenomenologico dunque non vi è problema ad ammettere riciclaggio di ulteriore
grado, problemi invece sono per quello giuridico nonostante dottrina e
giurisprudenza dominanti accettino tale conclusione, si pongono però problemi sul
“perché” e sul “fin dove” punire il riciclaggio indiretto.
Sul primo problema vi è convergenza di opinioni in quanto avalla il riciclaggio
indiretto non solo chi inserisce tra i reati presupposto il riciclaggio stesso ma anche
la dottrina restringe il provento da riciclaggio al solo prezzo incassato dal riciclatore
per l’operazione compiuta, in altre parole l’applicazione del riciclaggio spesso non si
consuma con la prima operazione conservando la sua valenza lesiva e quindi la ratio
applicativa della norma; sono osservazioni consolidate dalla prassi che isola la tesi
fondata sulla impossibilità di occultare la provenienza di beni già oggetto di
dissimulazioni.
Sul secondo problema occorre individuare un criterio idoneo a limitare i livelli di
estensione della fattispecie, sono stati individuati diversi punti di riferimento
dall’interposizione del terzo in buona fede che interrompe la catena (origine
te3desca) al dolo da riciclaggio per cui i reati sono configurati finché l’agente sappia
che essi provengono da reato.
Ora occorre considerare le implicazioni sulla punibilità del riciclaggio indiretto, ove
considerata novazione del presupposto la forma di riciclaggio mediata diventerà
fonte delle disponibilità oggetto del riciclaggio sostituendosi al presupposto
originario, le conseguenze si rifletto nell’impedimento della configurazione di ipotesi
di concorso formale di reati o di riciclaggio continuato e discendono dalla operatività
del beneficio di autoriciclaggio, operatività che invece è esclusa ove si continuasse a
considerare reato presupposto il delitto da cui è scaturito inizialmente il provento
per cui le successive ipotesi di ripulitura saranno compiute sugli stessi beni da
soggetti diversi rispetto all’autore del reato base configurando altrettante condotte
punibili per riciclaggio; un chiarimento legislativo sul punto dovrebbe muovere dalla
funzione di moltiplicatore di ricchezza che ha il riciclaggio, l’attenzione si deve allora
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focalizzare sul momento in cui la condotta raggiunge l’obiettivo, per cui ove si
consideri la moltiplicazione di ricchezza progressivamente generata da ciascuna fase
costitutiva delle operazioni complesse la fonte del provento oggetto della successiva
operazione di riciclaggio andrebbe rintracciata in ogni livello di pulitura (riciclaggio
indiretto = riciclaggio da riciclaggio), per cui deriverebbe inammissibilità di concorso
e reato continuato.
In senso contrario (prof) ove si consideri il riciclaggio quale meccanismo in grado di
moltiplicare la ricchezza solo a ripulitura avvenuta ovvero a consumazione (non
semplice perfezionamento) delle operazioni di lavaggio dovremmo ritenere il
riciclaggio indiretto fondato sul provento del delitto iniziale come punto di
riferimento dell’operatività della clausola di autoriciclaggio e quindi di potenziale
legittimazione della rilevanza penale delle diverse condotte integrate nel riciclaggio
a formazione complessa, vi è dunque la potenziale ammissibilità di un concorso
formale di reati e di riciclaggio continuato.
Da altra angolazione il riciclaggio mediato risulterebbe ammesso in quanto
ulteriormente lesivo del bene tutelato finché residui una tracciabilità dell’origine
illecita, il paper trail garantirà un margine di accertamento investigativo e la
sussistenza di un ulteriore pericolo di cancellazione della provenienza illecita, da
quanto affermato discende la non configurabilità di un riciclaggio indiretto inteso
come riciclaggio da riciclaggio o meglio la non configurabilità di un riciclaggio
collocabile a valle del ciclo complesso di lavaggio, in tali ipotesi la consumazione
della modalità strutturata di lavaggio avrà generato ricchezza tuttavia pur potendo
parlare di provento da riciclaggio (elemento diverso dal prezzo o costo da riciclaggio
cioè quanto impiegato per operarlo) mancheranno gli elementi necessari per il
perfezionamento della fattispecie in quanto non vi sarà il pericolo concreto per il
bene giuridico essendo cancellato il paper trail, d’altronde se si conviene sulla
caratteristica strumentale del riciclaggio ovvero sulla sua funzione dissimulatoria del
reddito derivante dal delitto anche sotto la lente criminologa il riciclaggio da
riciclaggio non avrebbe motivo di essere; infine in tale ottica andrebbero
riconsiderati anche i rapporti tra riciclaggio e reati presupposto così come regolati
dal 6483, anche in tal caso l’operatività della norma farà perno sull’ultima condotta
di riciclaggio o sul delitto a monte a seconda di quella che può essere considerata la
fonte del provento illecito, così l’inimputabilità o la non punibilità dell’autore del
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delitto base implicherà un referente diverso in base al tipo di riciclaggio ricorrente, il
reato delle cui sorti il legislatore ha inteso svincolare il riciclaggio sarà quello
integrato dall’autore dell’operazione di riciclaggio immediatamente precedente
laddove tale condotta produca un lucro secondo la teoria del moltiplicatore di
ricchezza, ovvero quello commesso dall’autore del reato a monte nelle tecniche di
riciclaggio articolare su operazioni complesse in grado di produrre ricchezza solo al
termina della catena di transazioni.
9.L’elemento psicologico
L’elemento psicologico nel riciclaggio è legato ai reati presupposto che integrano
parte dell’oggetto del dolo e alla locuzione modale, la prospettiva si complica in
quanto il punto di osservazione degli elementi costitutivi del fatto tipico non è
quello dell’autore del reato base ma quello di qualsiasi soggetto, per cui nella sfera
psicologica del riciclatore insieme alla consapevolezza della generica provenienza
del bene da delitto non colposa va rintracciata la coscienza della capacità ostativa di
quel particolare modus agendi che ne è premessa logico-giuridica della volontaria
realizzazione dell’operazione; l’elemento psicologico del riciclaggio è il dolo
generico, con una struttura soggettiva meno definita rispetto al passato in cui si
richiedeva nel momento rappresentativo i richiami agli specifici reati presupposto e
in quello volitivo in cui si richiedeva il fine di procurare a sé o ad altri il profitto.
La ricostruzione come dolo generico si discosta dalla Convenzione di Strasburgo del
1990 ma risponde a esigenze di semplicità e chiarezza e a esigenze di natura
strutturale in quanto le fattispecie a dolo specifico sono costituzionalmente
compatibili solo con i reati di danno in cui la particolare formulazione del dolo funge
da limitazione della punibilità a una particolare finalità dell’azione; nei reati di
pericolo invece il disvalore dell’evento corrisponde al disvalore della condotta e
risulta contrassegnato da quello specifico orientamento modale in assenza del quale
le condotte sarebbero prive della necessaria lesività, nessuna finalità che sta oltre il
fatto materiale tipico quindi ma un carattere intrinseco alla condotta che andrà
accertato di volta in volta sortendo l’effetto che prima era del dolo specifico; per il
648bis le operazioni devono essere oggettivamente capaci di ostacolare il paper trail
e ciò deve integrare il momento rappresentativo del dolo, per cui non vi è reato
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dove il soggetto si sia rappresentato la semplice operazione senza acquisirne il dato
della provenienza delittuosa.
Tale conclusione va distinta dagli orientamenti che vedono nella disposizione una
forma di dolo specifico implicito che si avrebbe per la finalità di ripulire il bene
intesa come elemento ulteriore, è una considerazione già usata dalla cassazione in
passato per distinguere riciclaggio da ricettazione, tale impostazione è stata
promossa da una dottrina per cui i reati a dolo specifico implicito in quanto
caratterizzati da un particolare modo d’essere del fatto presentano un’analoga
corrispondenza dell’elemento soggettivo per cui la commissione di tali reati postula
la consapevolezza e volontà di dirigere la condotta verso il fine implicito e la
coscienza dell’esatto significato che essa assume rispetto al fine; tale versione si
discosta dalla tradizionale dottrina sul tema e conduce a un pericoloso arretramento
interpretativo portando la connotazione oggettiva della modalità nella sfera
psicologica dell’agente, in tal modo oltre che frustare gli obiettivi della riforma
sorgono maggiori difficoltà dimostrative; l’interpretazione appare poi inutile se si
osserva come per garantire davvero il rispetto del principio di offensività nei reati a
dolo specifico l’estremo pericolo va considerato pericolo concreto per cui non si avrà
dolo specifico quando l’azione sia inidonea al conseguimento dello scopo.
Dunque il soggetto non dovrà voler integrare la condotta di riciclaggio col fine di
creare un ostacolo, ma nell’agente dovrà riscontrarsi il voler realizzare una condotta
di trasferimento o sostituzione o un’altra operazione oggettivamente e
concretamente contraddistinta dalla capacità ostativa.
9.1.Le insidie nell’ammissibilità del dolo eventuale
Il merito riconosciuto alla teoria del dolo specifico implicito è di porre in risalto la
locuzione “in modo da..” con la quale si possono risolvere i problemi relativi
l’ammissibilità del dolo eventuale, quando la norma statuisce che le condotte
devono svolgersi con tale modalità non solo è un carattere statico-descrittivo ma
una peculiarità oggettiva dell’operazione che andrà spezzettata nel suo aspetto
dinamico complessivo ovvero nel modo in cui essa è stata realizzata, in tal modo si
potrebbe ammettere come anche condotte astrattamente inidonee a offuscare il
paper trail possano risultare adeguate allo scopo se considerate nella complessiva
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operazione; tutto ciò non consente però l’operare di forme depotenziate di dolo in
quanto l’intenzionalità della realizzazione comporta che il soggetto abbia
organizzato la causalità in modo da porre in essere una situazione non casuale ma
preordinata e ciò si riflette sulla struttura del fatto perché anche processualmente la
prova della realizzazione dolosa richiede la sussistenza di elementi della realtà che
rivelino il finalismo del volere, tutto ciò nel riciclaggio richiede per forza di cose il
dolo intenzionale e non una mera accettazione del rischio della provenienza illecita.
Accettando il dolo eventuale nel riciclaggio si indebolisce il momento volitivo
sgretolando la tipicità del reato, alla carenza della funzione ulteriormente selettiva
propria del dolo intenzionale devono poi aggiungersi le difficoltà probatorie di
dimostrazione di aver agito nell’indifferenza del risultato lesivo, cui si sommano le
difficoltà ancor maggiori di distinguere il dolo eventuale dalla colpa cosciente in
questa sede in quanto la costruzione del reato come ipotesi di pericolo concreto
avvicinerebbe il dolo indiretto più che altro a una colpa aggravata dalla
rappresentazione dell’evento.
Dunque i dati esterni e precostituiti della realtà presente o passata sono oggetto di
rappresentazione più che di volontà così come i presupposti della condotta, per cui
la stessa distinzione tra dolo e colpa incentrandosi su criteri esclusivamente
rappresentativi e non anche volitivo accentuerà gli aspetti problematici e le
incertezze.
9.2.Riflessi positivi ed effetti collaterali derivanti dalla cancellazione
dell’elenco dei predicate crimes
L’eliminazione del catalogo dei reati presupposto ha dilatato la fattispecie normativa
e a prima vista semplificato l’accertamento probatorio specie in merito al dolo,
infatti è necessario dimostrare che l’autore del reato sia a conoscenza della
provenienza illecita del bene e prima della riforma della provenienza da specifici
reati e non altri, forse questo è motivo dello scarso numero di condanne, tuttavia
l’estensione non a singoli reati ma a tutti i delitti non colposi non ha di molto
semplificato la cosa in quanto se si conosce che è un delitto non colposo di norma si
conosce il delitto e quindi permane uno scarso numero di condanne.
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La consapevolezza della provenienza illecita è elemento fondamentale, fermo che in
base al richiamo al 648 uc non è richiesta una sentenza di condanna per il reato
presupposto occorre analizzare cosa si intende per coscienza della provenienza
illecita, facendo attenzione a evitare indagini personalistiche in interiore homine è
evidente quanto sia complesso l’onere di dimostrare la consapevolezza della
provenienza illecita del provento senza averlo illecitamente generato, qui l’esigenza
di assicurare al dolo un contenuto autentico di colpevolezza che impone
accertamenti non meno complessi di quelli fondati sul numero chiuso di reati, per
cui ove si riuscisse a fornire la prova della consapevolezza del riciclatore in ordine
alla provenienza del provento si sarebbe anche in grado di dimostrare la
consapevolezza da un particolare tipo di delitto.
Dunque l’eliminazione dei reati presupposto fa pendere la bilancia costi/benefici
verso i primi e inoltre riduce la forza repressiva della norma, per questo una riforma
volta a recuperare l’effettività della norma deve concentrarsi su specifiche forme
delittuose, prima di una scelta deve però essere identificato con precisione il nemico
da combattere che sarà principalmente la criminalità organizzata e dunque fra i reati
presupposto devono esserci quelli da cui trae i suoi maggiori introiti.
10.Le forme di manifestazione: consumazione e tentativo
L’evoluzione normativa ha avuto i suoi riflessi sulla configurabilità del tentativo, va
precisato che il delitto si perfeziona in caso le condotte siano idonee a ostacolare
anche se non vi è un effettivo sbarramento all’identificazione ma è resa solo più
difficoltosa, la versione del 1978 escludeva il tentativo, la versione del 1990 era
configurabile ma vi era un reato di evento e di danno, con la versione attuale invece
vi è un reato di pericolo concreto secondo la dottrina dominante compatibile col
tentativo quando vi è un’operazione tentata ma non portata a termine (e si fanno gli
esempi dello smurfing cioè aperture di conto o depositi per il frazionamento delle
operazioni, o la concessione di fido a favore di un criminale che voglia confondere
queste somme con quelle illecite) tuttavia proprio l’ostacolo è già consumazione,
ricordando che il reato è a condotta parzialmente libera l’unico tentativo
teoricamente ammissibile è il tentativo compiuto in quanto solo in questo si potrà
apprezzare l’idoneità della condotta, da un punto di vista pratico però nei casi in cui
l’azione è compiuta con atti idonei a ostacolare vi è già il reato, vi è dunque
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impossibilità pratica del tentativo di riciclaggio senza metterne in discussione la
struttura del reato.
Su questo dibattito si innesta quello sulla configurabilità del tentativo nei reati di
pericolo contestato da chi osserva che si punirebbe il pericolo di un pericolo
anticipando eccessivamente la punibilità, dove comunque si accolga un concetto
graduabile di pericolo per cui per il tentativo vi sarebbe un pericolo meno intenso si
punirebbe per riciclaggio anche ogni operazione compresa nelle fasi primarie del
metodo roll program (serie di operazioni finanziarie frazionate attraverso cui si
aggirano i controlli statali), eppure se si ritiene che l’agente non abbia creato il
necessario pericolo vuol dire che gli atti sono inidonei e dunque non vi è neppure
tentativo, infatti pur ammettendo un pericolo graduabile nel tentativo vi sarebbe la
probabilità minima di pericolo, e la probabilità della probabilità minima è una non
probabilità.
Tali osservazioni rilevano anche per il tempus e locus commissi delicti, il tempo del
delitto sarà il momento in cui il soggetto avrà realizzato la condotta in maniera da
ostacolare l’identificazione della provenienza senza attendere la conclusione
dell’intera operazione di riciclaggio ma è sufficiente che gli atti posti in essere siano
idonei di per sé, il luogo sarà quello in cui ciò è avvenuto.
11.Concorso di persone
Il riciclaggio può manifestarsi anche in forma plurisoggettiva tuttavia il legislatore si
è poco soffermato sulla fattispecie specie nella disciplina preventiva e ciò ha
determinato un impatto normativo limitato degli obblighi di collaborazione attiva;
maggiori problemi riguardano il concorso fra condotte attive e omissive come nei
casi di compartecipazione omissiva dei dirigenti o degli amministratori
dell’intermediario che non impediscono operazioni di riciclaggio commesse
materialmente da questo, sono ipotesi omissive improprie escluse dal riciclaggio
monosoggettivo potrebbero ritornare in quello concorsuale sulla base di un preciso
potere giuridico idoneo a impedire il compimento di specifiche azioni illecite di terzi,
una puntuale costruzione della posizione di garanzia che non sembra soddisfatta nel
caso in esame, deve dunque ripetersi anche per il concorso omissivo quanto già
detto sulla medesima forma monosoggettiva; l’esclusione di tale configurabilità in
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forma negativa è più compatibile con il carattere della causazione dell’evento
altrimenti assorbito nel mancato impedimento che è fondamentale per il principio di
offensività.
12.Regime sanzionatorio
La sanzione per il riciclaggio è reclusione da 4 a 12 anni e multa da 1.032 € a 15.493
€ (analoga è per il 648ter), questa è rimasta sostanzialmente invariata fin dalla
riforma del 1990 che l’aveva inasprita, tuttavia a tale costanza è corrisposto un
radicale mutamento dei reati presupposto che ha portato riflessioni dottrinali sulla
sperequazione della pena per il riciclaggio rispetto a quella di molti di questi , cosa
già osservata dopo la riforma del 1990 quando al catalogo dei reati furono inseriti
quelli relativi il traffico di stupefacenti le cui pene per la fattispecie di lieve entità
non superano i 6 anni; il disallineamento sanzionatorio non è appianato neanche
con l’attenuante del 3° comma in quanto la pena resta molto più elevata.
Tutto ciò porta contraccolpi sul piano operativo per cui si registrano anomale
strategie difensive volta a confessare il reato presupposto per beneficiare
dell’autoriciclaggio e quindi ottenere una sanzione minore; così il riciclatore
penalistico si allontana sempre più da quello criminologico come l’autore di un reato
di perpetuazione delle conseguenze lesive di ogni altro delitto, mentre dal secondo
punto di vista è un soggetto che concorre con la criminalità organizzata che può
essere colto solo con specifici reati matrice.
12.1.Diminuente e aggravante speciale del riciclaggio
L’attenuante speciale è incapace di colmare il gap tra precetto e sanzione di
riciclaggio, nonostante la pena sia diminuita se il reato base non ha una pena
superiore a 5 anni la riduzione sarebbe di 1/3 e dunque vi sarebbe comunque una
sanzione non inferiore agli 8 anni, tale disomogeneità può essere accentuata dal
principio del bilanciamento a presidio del giudizio di prevalenza o equivalenza in
caso di concorso eterogeneo ex 69 cp per cui qualora prevalgano le sole aggravanti
vi sarebbe un ulteriore aumento, a prevalere potrebbero essere proprio le
aggravanti speciali cioè:
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- fatto commesso nell’esercizio di un’attività professionale
- fatto commesso da persona sottoposta a misura di prevenzione
nel secondo caso vi è l’aumento da 1/3 alla metà, la misura di prevenzione deve
essere contenuta in un provvedimento definitivo mentre il periodo di operatività
dell’aggravante va da quello di applicazione del provvedimento fino a 3 anni dalla
cessazione della sua esecuzione.
Riguardo la prima aggravante vi sono difficoltà interpretative per la locuzione
“attività professionale”, riguardo cosa debba intendersi la legge individua:
- attività nell’ambito della quale la commissione del 648 e ss comporta
l’applicazione di misure disciplinari o la revoca del titolo abilitante
- categorie di intermediari abilitati a eseguire operazioni in denaro o titoli al
portatore per somme superiori a 20 milioni ovvero uffici della PA, banche,
ecc..
altra questione interpretativa è la necessità o meno di un nesso causale tra lo
svolgimento dell’attività professionale e il riciclaggio e se l’esercizio abusivo della
professione possa rilevare ai fini dell’aggravante, la risposta può derivare dalla ratio
della norma di impedire che il soggetto possa avvalersi di attività professionali che
agevolino la ripulitura e nello scoraggiare il ricorso a esperti per ciò e in genere
nell’evitare che competenze professionali specifiche si pongano al servizio del
crimine, in tale prospettiva un rapporto occasionale difficilmente agevola la
commissione del reato invece all’opposto lo agevola una professione anche
abusivamente esercitata.
Si pone ora un ulteriore argomento a sostegno della reintroduzione del catalogo dei
reati, infatti l’incidenza dell’attenuante dipende dall’effettiva sussistenza del reato
presupposto che va accertato giudizialmente e non in base alla mera prova logica
della provenienza da delitto che è incapace di qualificarlo, per cui anche nell’attuale
formulazione normativa il necessario accertamento della forma circostanziata del
riciclaggio comporta inevitabilmente un’indagine sul tipo di reato a monte, si
stempera così l’obiezione al reinserimento del catalogo fondata sulle difficoltà di
accertamento e si comprendono gli scarsi risultati probatori ottenuti dalla sua
eliminazione.
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12.2.Sequestro e confisca
Il legame più labile implicito nel concetto di pertinenza al reato e conseguente
mitigazione dell’onere probatorio insieme alla maggior estensione dei beni
sequestrabili o confiscabili rispetto a quelli riciclabili sono elementi che rapportati
alla criminalità del profitto inducono a ritenere tali strumenti adeguati a contrastare
il riciclaggio, la loro maggior penetrazione è esaltata dal meccanismo del 12sexies dl
306/1992 e si colloca nel filone degli interventi preventivi patrimoniali inaugurato
dalla legge Rognoni-La Torre orientato alla semplificazione probatoria, ne discende
uno strumento agile conformato alla pena patrimoniale ma in grado di abbinare la
metodologia delle pro-active investigations al fine di individuare patrimoni illeciti; i
punti di forza del sistema sono l’impiego di tecniche di indagine non focalizzate solo
su un singolo reato o bene ad esso collegato ma su flussi economici afferenti a
determinati soggetti in grado di scardinare anche l’economica criminale consolidata;
il provvedimento di cui al 12sexie nei casi di condanna o applicazione della pena su
richiesta per alcuni gravi reati prevede sia sempre disposta la confisca della
pertinenza di denaro beni o altre utilità purché vi sia una sproporzione quantitativa
rispetto al reddito o all’attività economica esercitata di cui il soggetto non sia in
grado di fornire giustificazione, vi è dunque una funzione punitivo-repressiva
evidenziata dell’esclusione di ogni accertamento della pericolosità della cosa, e
proprio l’irrilevanza della pertinenzialità del bene rispetto al reato dilata la potenza
dell’istituto colpendo beni acquisiti anche in epoca anteriore o successiva il reato.
L’efficacia della misura è garantita da un sequestro preventivo sugli stessi beni
soggetti al 12sexies così fornendo anche il vantaggio di un intervento rapido previsto
nel corso delle indagini preliminari per il reato presupposto, e infatti proprio le
lentezze processuali forniscono alla criminalità un grosso vantaggio, che però viene
intaccato da indagini patrimoniali mirate che partendo dal basso cioè dalle
operazioni più prossime al reato si sviluppano a catena e si estendono anche a
soggetti terzi (il sequestro può coinvolgere anche terzi intestatari fittizi) e a territori
diversi da quello d’origine (confisca internazionale introdotta dalla Convenzione di
Strasburgo condensata sulla semplificazione probatoria dell’origine illecita tradotta
nella dilatazione dei termini per le indagini e nella confisca per equivalente che è
uno strumento residuale ove residui una parte non confiscata dal 12sexies, tale
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confisca è stata estesa al riciclaggio interno estendendo anche i poteri di indagine
del PM fino all’udienza delle conclusioni).
Tali nuovi strumenti si sono resi necessari risultando la confisca tradizionale
inadeguata in quanto impone di ricostruire il nesso tra provento e reato cosa che nel
riciclaggio è impossibile vista la commistione del provento col patrimonio lecito
dell’autore, la nuova confisca risulta vincolata per il fumus commissi delicti
all’astratta configurabilità sull’indagato di una delle ipotesi criminose senza
prevedere indizi di colpevolezza o la loro gravità e per il periculum in mora alla mera
circostanza della confiscabilità del bene (cioè sproporzione e mancata
giustificazione); dunque una volta accertata la responsabilità per determinati reati si
considera il patrimonio del reo frutto di pregresse attività illecite in forza di una
presunzione relativa ancorata ai criteri della confisca, ciò è stato considerato da
alcuni inversione dell’onere della prova, tuttavia c’è da considerare che i metodi
tradizionali sono inadatti al riciclaggio e che confiscando tali risorse economiche si
previene anche la commissione di futuri crimini.
Ne risulta un triplice effetto:
- impedimento della soddisfazione dell’expected utility da parte della
criminalità in conseguenza della sottrazione del benefit
- scardinamento patrimoniale dell’organizzazione che dai proventi illeciti trae
sostentamento
- sterilizzazione della provenienza dei beni e recupero alle casse dell’Erario
si deve poi osservare che il parametro probatorio posto dal legislatore perde la sua
inadeguatezza se confrontato con lo status giuridico del soggetto che infatti va
dimostrato, allora la tesi dell’inversione dell’onere della prova non può essere
considerata soluzione interpretativa esclusiva, questa si basa sul presupposto che il
soggetto deve dimostrare non solo la provenienza lecita del patrimonio ma anche
che sia stato acquistato con strumenti leciti, è un’interpretazione rigoristica che si
scontra con un diverso indirizzo che reinterpreta il 12sexies in maniera
costituzionalmente orientata cioè come causa di una presunzione relativa di illecita
accumulazione patrimoniale superabile con l’allegazione di elementi giustificativi
della lecita provenienza del bene anche privi di valenza probatoria civilistica in tema
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di diritti reali, dunque è onere del PM dimostrare la provenienza illecita salvo l’onere
delle allegazioni gravante sul soggetto.
12.3.Una negatività condivisa
Riguardo i punti di contatto tra le misure patrimoniali con gli obblighi di
collaborazione attiva entrambe sono finalizzate all’accertamento di situazioni
patrimoniali rilevanti prescindendo dalla commissione di un reato o dalla
qualificazione di un provento, la disciplina preventiva è inoltre una legislazione che
sfrutta la leva antiriciclaggio per impiantare obblighi su una prospettiva di moral
suasion a largo spettro, è un metodo articolato su un sistema di delazione anonima
cioè accusare senza assumersi le responsabilità delle conseguenze, si è di fronte
allora a uno scopo etico perseguito con mezzi di certo non etici per cui si può
ritenere che il vero obbiettivo sia solo un’estetica dell’etica, e non possono non
segnalarsi le carenze di appeal di tale sistema, infatti l’etica ha bisogno di libertà e di
autonomia non di uno Stato che la imponga.
13.Punibilità: l’irrilevanza delle condizioni di procedibilità del reato
presupposto
Sempre presente nella norma è stato il riferimento all’applicazione all’ultimo
comma del 648 una norma che però non è stata altrettanto statica, nella sua
formulazione odierna configura la quasi totale estraneità alle vicende del delitto
matrice del riciclaggio distinta in 3 momenti
- imputabilità
- punibilità
- procedibilità
il riferimento è al reato presupposto nell’ultimo caso o al suo autore nei primi due,
la sua identificazione può essere più semplice come in un riciclaggio non strutturato
in cui si identifica con reato base o più complessa come in un riciclaggio strutturato
in cui si pone il dubbio se sia il reato base o il precedente riciclaggio, il discrimine
può essere la capacità della condotta di generare proventi in base alla teoria del
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moltiplicatore della ricchezza; individuato il reato matrice vi è l’impermealizzazione
delle sorti del riciclaggio rispetto a questo che non risente della cause di esclusione
della pena o dei vizi di capacità di intendere e di volere o dei profili di procedibilità
(querela o richiesta i procedimento o autorizzazione a procedere; quindi è punito
per riciclaggio anche se il reato base è commesso all’estero, controverso il punto
della necessità o meno della doppia incriminazione, tali conseguenze discendono
dalla lettura sistematica della locuzione sulla condizione di procedibilità che va
calata nel conteso di ratifica della Convenzione di Strasburgo che intende proprio
colpire il riciclaggio transazionale); vi è dunque emancipazione del riciclaggio pur se
tale assunto va contestualizzato perché continua il reato a monte a essere prius
necessario del money laundering.
Parte della dottrina richiamandosi al 1701 sostiene l’insensibilità del riciclaggio
rispetto all’estinzione dell’illecito base e alla sua irrilevanza penale, sono conclusioni
basate sulla negazione di un riconoscimento formale al reato presupposto privato di
un ruolo strutturale nella fattispecie di riciclaggio restando vincolante come fonte
del provento; la posizione non è condivisibile da un punto di vista politico criminale
perché sarebbe assente ogni interesse a perseguire condotte di ostacolo
all’identificazione di una provenienza che non è più illecita, e da un punto di vista
dogmatico in virtù del rispetto della struttura normativa dell’illecito che richiede la
provenienza sia illecita, dunque l’estinzione del reato presupposto a seguito di
abolitio criminis estingue anche il riciclaggio, parimenti la scriminante per il reato
fonte, contrariamente si violerebbe il principio di legalità e tassatività,
analogamente deve dirsi per i casi di novazione legislativa e declaratoria di
incostituzionalità del prius; la conferma di ciò si ricava a contrario dal 648 uc che fa
riferimento solo a imputabilità e punibilità e procedibilità cioè situazioni che a
differenza delle precedenti non sono in grado di escludere l’esistenza del reato base.
13.1.Profili critici
Problemi aperti rimangono cosa il giudice debba accertare a fondamento del
riciclaggio e quale sia il minimo standard per poter parlare di provenienza da delitto
(è sufficiente il nomen? se no come coniugare l’accertamento col riferimento al
648? e in caso vi sia una pronuncia del tenore del “fatto non sussiste” o “non
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costituisce reato”?), in base a quanto detto in taluni casi il delitto di riciclaggio
dovrebbe degradare a condotta penalmente irrilevante con l’utilizzo dello
strumento della revisione processuale.
Del resto vi è un’esigenza di riformulazione verso la chiarezza normativa per evitare
conseguenze paradossali come il riciclaggio di Stato in caso di fondi acquisiti tramite
l’erario, tutto ciò sia pure di natura sostanziale ha grandi riflessi processuali in
quanto l’attuale formulazione della norma ha creato un processo in cui alla ricerca
della prova si sostituisce il sospetto incentivando la prova logica e la prova indiziaria.
14.Ampliamento degli spazi di non punibilità per l’agente provocatore
Sulla convinzione che l’informazione sia un bene pubblico sono stati elaborati diversi
impianti normativi fra cui la causa di non punibilità speciale per l’agente provocatore
in tema di riciclaggio, inizialmente norma di riferimento era il 12quater l 356/1992
che non puniva la condotta di riciclaggio di tale soggetto finalizzata ad acquisire
elementi di prova in merito a tali delitti, questa norma lasciava immutato quanto
disposto dal 51 cp ponendosi in rapporto di specialità sia da un punto di vista
soggettivo che finalistico, la norma puntava infatti a colmare il gap fra crimine e
Stato e raggiungere una simmetria informativa; la formula però aveva prestato il
fianco a critiche innanzitutto non si fa espresso riferimento al trasferimento che
resta comunque implicitamente compreso nella formula che non è variata con la
norma odierna cioè il 9 l 146/2006 (pag 229) una disposizione che si inserisce nel
quadro di potenziare la figura dell’agente provocatore estendendo lo strumento in
esame anche ai privati che cooperano con gli inquirenti.
Pure negli ampi spazi di manovra che la norma lascia all’anticrimine restano dubbi
sulla sua efficacia, questi afferivano alla formula ambigua del verbo “procedere”
anteposto alla condotta di sostituzione:
- se ricomprendeva condotte consumate l’inutilità della norma deriva dal 49 cp
che impone la non punibilità di condotte in difetto di un autentico lavaggio
- se viceversa si fosse voluto limitare l’attività degli ufficiali ai soli atti
prodromici il lavaggio sarebbe risultata pleonastica in quanto sono operazioni
già non punibili per carenza di dolo da consumazione
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oggi nonostante il superamento della formula ambigua continuano ad esservi
incertezze come riguardo agli effetti della scriminante nei confronti di tutti i correi in
applicazione del 1992 cp in quanto si considerano oggettive le clausole di esclusione
dell’antigiuridicità (se il fatto è lecito devono considerarsi lecite anche le attività dei
partecipi), e non serve neanche evidenziare che la condotta dell’agente è
antagonista alla nota modale del reato e quindi a difettare sarebbe la configurabilità
del tipo in quanto configurando il fatto come reato impossibile si estenderebbe
anche ai correi.
15.La difficile convivenza delle fattispecie affini col delitto di riciclaggio
Le fattispecie di cui al 648 648bis 648ter hanno forti analogie e frequenti
sovrapposizioni in cui spesso prevale il riciclaggio, ciò specie a seguito della
dilatazione di tale reato che finisce col coprire ipotesi delle altre due norme la cui
applicazione diviene residuale, dal punto di vista psicologico mentre la ricettazione è
orientata al profitto (dolo specifico) riciclaggio e impiego si allineano al dolo
generico, l’unico criterio in grado di favorire la comprensione dei confini fra norme è
la lettura oggettiva dell’idoneità della condotta a cagionare ostacolo
all’identificazione della provenienza, per cui si preferirà il riciclaggio alla ricettazione
quando il comportamento non si limita all’acquisizione del bene ma lo manipoli per
ostacolare l’indagine, inoltre il riciclaggio potrebbe anche non includere la materiale
ricezione della res che sarà sottratta alla ricettazione in caso la condotta abbia
modalità decettiva (un meccanismo che rischia di assorbire condotte al riciclaggio
come nel caso di taroccamento dei veicoli).
Il vero problema è impedire che anche nella più tradizionale ipotesi di ricettazione
sia colta un’ontologica idoneità ingannatoria in grado di farla trasmigrare nel
riciclaggio, d’altra parte la semplificazione di una modalità ingannatoria in re ipsa
metterebbe in crisi le potenzialità discretive del disvalore oggettivo, seguendo tale
criterio la ricettazione prevarrà solo dove la condotta non presenti l’idoneità a
ostacolare la provenienza delittuosa del bene con una espansione incontrollata del
riciclaggio ove si ritenga l’idoneità ostativa implicita nella condotta; risultati migliori
non li raggiunge chi rinviene elemento specializzante del riciclaggio nella funzione di
lecito-vestizione, al rapporto con il circuito dei beni leciti si riferisce anche la
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dottrina che distingue il dinamismo del riciclaggio dalla staticità della ricettazione,
neanche il riferimento all’oggetto materiale è definitivo essendo analogo il concetto
di “denaro beni o altre utilità” a quello di “denaro o cose” della ricettazione.
L’attenzione va allora concentrata sulla provenienza delittuosa dei beni che per cui
si ha ricettazione per ogni delitto in ricettazione e impiego e invece limitata nel
riciclaggio, ciò che rimane è allora solo il tratto modale che svela l’apparente
conflitto fra le norme quando in realtà si può ipotizzare un concorso materiale dei
dure reati quando all’azione del ricevere i beni per ottenere un profitto consegua
una sostituzione, data comunque la frequente sovrapposizione tra riciclaggio e
ricettazione spessa dovuta alle potenzialità di nascondimento della provenienza
insiste in quest’ultima restano dubbi sul concreto spazio operativo del 648 specie di
fronte a condotte in cui vi è unità di azione.
Nel micro-sistema legislativo a progressione specializzante viene ora in rilievo il
delitto di impiego una fattispecie in rapporto di specialità rispetto al riciclaggio che è
integrata qualora:
- non vi sia staticità acquisitva
- l’attività a seguito dell’acquisizione sia specificamente impiegare in attività
economiche o finanziare il provento illecito
come il riciclaggio in tale delitto vi è una rigorosa qualificazione del termine finale
della condotta che prevede appunto l’impiego in tale attività, è questa una
distinzione in teoria valida ma sul piano pratico il reimpiego ne postula sempre (a
differenza del riciclaggio) la preventiva ricezione e tale prius logico implica
matematicamente la configurazione della ricettazione destinata a prevalere per la
clausola residuale in apertura del 648ter (si è parlato di irrazionalità sistematica), e
infatti la funzione residuale della norma ne fa discendere l’assoluta simbolicità.
Altro orientamento cerca invece di recuperare uno spazio operativo alla norma
ritenendola applicabile ai casi di ricezione di proventi sin dall’inizio finalizzate
all’impiego in attività economiche o finanziarie, tale tentativo non trova però
riscontro nella pratica in cui si scontra con le difficoltà del profilo psicologico oltre
che con un atteggiamento decettivo probabilmente presente in chi riceve il denaro,
per cui l’autore del 648ter agirà di sicuro in modo da non far trapelare l’origine
illecita integrando così il riciclaggio; altri sforzi di autonomia della norma sono
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fondati sulla ratio legis che però finiscono con la differenziazione tipologica
dell’autore del reato in quanto l’autore del 648bis è il riciclatore professionista
invece quello del 648ter è l’imprenditore che si mette in affari con la malavita
utilizzandone i proventi.
Dunque in fin dei conti rimarrebbe fuori dal 648bis solo l’impiego di proventi da
delitto colposo, tuttavia occorre interrogarsi se davvero il legislatore abbia voluto
estendere i casi di impiego ai proventi casualmente derivanti da reato, cioè se sia
ipotizzabile un provento da delitto colposo o il concetto per sua natura sia
naturalisticamente doloso, e tale barriera naturale finirebbe con annullare
l’operatività della norma.
Da quanto affermato si può appoggiare certamente un’eliminazione della norma,
oppure una sua conservazione sotto forma di aggravante speciale del riciclaggio pur
con alcuni accorgimenti in quanto in molti casi l’impiego è una tecnica finalizzata al
nascondimento della provenienza specie nel riciclaggio strutturato in tali ipotesi
quindi rileverebbe come autonoma fattispecie di riciclaggio e non semplice
circostanza quindi mettendo in dubbio la soluzione prospettata o almeno
imponendole la formulazione di un criterio distintivo oggettivo.
Le complicazioni derivanti dall’espansione del riciclaggio non si fermano alle norme
vicine ma si estendono a ipotesi quali:
- favoreggiamento reale (379 cp)
la clausola di riserva con cui si apre la
norma rende tale figura sussidiaria a riciclaggio e impiego che hanno
precedenza applicativa, la specifica direzione finalistica della condotta darà
luogo al reato solo quando l’autore si attivi per assicurare il prodotto il
profitto o il prezzo del reato a chi lo ha commesso senza generare ostacolo
all’identificazione della provenienza, ciò potrebbe avvenire in caso di aiuto a
riciclaggio consumato tuttavia in tal caso da un lato il provento è già al sicuro
dall’altro non risulta integrata la condotta che consistere nell’aiutare a
rendere definitivo il vantaggio delittuoso, salvo voler distinguere i due reati in
funzione della finalità soggettiva permangono i rischi di assorbimento nel
riciclaggio
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- incauto acquisto (712 cp) e omessa denuncia di cose provenienti da delitto
(709 cp)
unica differenza col riciclaggio risiederebbe nell’elemento
psicologico
- trasferimento fraudolento di valori (12quinquies l 356/1992)
la norma
colpisce i negozi indiretti, fiduciari ovvero tutte le transazione opache in cui vi
è un dolo specifico alternativamente di eludere le disposizioni in tema di
misure di prevenzione patrimoniali o di contrabbando ovvero di agevolare la
commissione del 648 o 648bis o 648ter; la fattispecie riecheggia il
favoreggiamento e infatti c’è chi la qualifica come favoreggiamento di
favoreggiamento per recuperare spazi operativi al 379, tale interpretazione è
però destinata all’insuccesso per l’espansione del riciclaggio per cui
un’agevolazione della condotta che lo integra finisce per ricadere in esso,
dunque parte della dottrina considera simbolica la norma in esame, altra
parte invece limita i casi di applicazione alle ipotesi in cui il 648bis sarebbe
inapplicabile per il beneficio di autoriciclaggio o difficoltà probatorie sulla
provenienza delittuosa; tutto ciò evidenzia lo scarso coordinamento
sistematico per cui la condotta in esame si rivela una forma di manifestazione
del riciclaggio, a nulla rileverebbero le distinzioni da un punto di vista
cronologico per cui la norma sarebbe antecedente o contemporanea ai reati
di cui al 648 e ss laddove invece il delitto di riciclaggio non può essere che
successivo rispetto al reato presupposto, tuttavia non resisterebbe comunque
alla forza attrattiva nel riciclaggio
- impiego di carte di pagamento (12 DLgs 231/2007)
la norma si applica
all’indebito utilizzo, falsificazione, alterazione, possesso, cessione,
acquisizione tese al conseguimento di un profitto (dolo specifico) di carte di
credito o di pagamento o documento analogo, l’interprete si trova in difficoltà
in quanto gli illeciti di cui al 559 dello stesso decreto possono fungere da prius
del riciclaggio e che l’illegittimo impiego delle carte di pagamento può nello
stesso tempo generare illecitamente un provento e trasferirlo in modo da
ostacolare la provenienza, l’apparente concorso di norma viene risolto allora
col beneficio di autoriciclaggio che escluderà il 648bis in caso del singolo
comportamento con doppia qualificazione da parte del medesimo autore
- usura
vi può essere un concorso fra usura e riciclaggio ove la prima abbia
un ruolo servente ovvero sia praticata in modo da ostacolare l’identificazione
della provenienza delittuosa del denaro prestato, tale concorso è possibile
54
però solo se il denaro prestato origini dall’illecito altrui, infatti inquadrando
l’usura come tecnica di riciclaggio vi sarà un concorso formale di reati, invece
se il riciclaggio usuraio ha ad oggetto gli interessi usurai stessi o coinvolga
proventi generati dallo stesso riciclatore l’autoriciclaggio escluderà
l’applicazione del 648bis
16.Il bilancio di un trentennio
L’espansione dalla originaria previsione del 1978 ha allontanato la norma dal
referente criminologico, occorre interrogarsi sul perché punire il riciclaggio, la
prospettiva penalistica è evitare la cancellazione del paper trail, in caso invece di
riciclatore/autore del reato presupposto lo si punirebbe per preservare le ragioni
della vittima e impedire che tragga profitto dal crimine, ma per ciò è sufficiente il
sequestro e la confisca ed è inutile il reato di riciclaggio al più potrebbe rilevare
come aggravante, a nulla valgono le illusioni di un maggior rigore punitivo per
contrastare il fenomeno criminoso visto che con l’espansione della norma di
riciclaggio sono crollate le condanne; vi deve essere dunque uno sforzo normativo
teso al recupero dell’efficacia della norma migliorandone la determinatezza
servendosi anche di analisi criminologiche fin qui scarsamente considerate.
55
Capitolo IV:
OBBLIGHI DI COLLABORAZIONE E
SORVEGLIANZA SUI SITEMI DI PAGAMENTO: I
LINEAMENTI DELLA DISCIPLINA INTERNA E
INTERNAZIONALE DI PREVENZIONE DEL
RICICLAGGIO
4.Premessa
La prevenzione del riciclaggio costruita dagli obblighi di collaborazione attiva ha nel
DLgs 231/2007 uno strumento di riorganizzazione e sistematica, questo recepisce la
Direttiva 2005/60/CE (III direttiva antiriciclaggio) codificando raccomandazioni del
GAFI e del FMI al fine di prevenire l’utilizzo del sistema finanziario ed economico a
fini di riciclaggio o finanziamento del terrorismo con misure volte a tutelarne
l’integrità e la correttezza dei comportamenti, gli obblighi che si impongono sono:
- verifica della clientela (in luogo della mera identificazione)
- registrazione
- segnalazione di operazioni sospette
la sensibilità riconosciuta ai destinatari insieme alle informazioni possedute nel
corso della loro attività conferisce alla collaborazione attiva un aspetto più vicino a
quello preventivo che investigativo, incidi cono i principi generali nella misura in cui
prospettano un’impostazione modulare degli obblighi di riciclaggio in relazione al
caso concreto (tipo di cliente, di rapporto..); la norma si rivolge a categorie sempre
56
più ampie e diversificate di destinatari distinti per classi in base all’omogeneità
dell’attività svolta:
-
intermediari finanziari e altri soggetti esercenti attività finanziaria
professionisti
revisori contabili
altri soggetti
4.1.Identificazione e registrazione alla luce del (nostro) approccio
differenziale su base consensuale
Aspetto innovativo della disciplina concerne l’identificazione del cliente per cui si
impone una “verifica adeguata” che assorbe e fortifica l’obbligo, pare che il
legislatore abbia modellato il vecchio obbligo di identificazione seguendo l’approccio
differenziale su base consensuale (cap 2 para 1) cioè modulare gli adempimenti
antiriciclaggio in ragione del destinatario con strumenti a penetrazione soggettiva
variabile, momenti fondamentali sono:
- passaggio dal semplice al complesso
racchiude il principio portante della
collaborazione attiva improntata sul know your client (KYC), riguardo la figura
del professionista il contenuto degli obblighi di verifica si ricava dal 18:
o identificare il cliente e verificarne l’identità in base a documenti dati o
informazioni ricavati da una fonte affidabile e indipendente
o identificare l’eventuale titolare effettivo e verificarne l’identità
(beneficial owner)
o ottenere informazioni sullo scopo e sulla natura prevista del rapporto
continuativo o della prestazione professionale
o svolgere un controllo costante nel corso del rapporto
- nuova filosofia del risk based approach
vi è un aumento degli obblighi del professionista con un ruolo quasi investigativo,
l’obbligo dell’identificazione è infatti esteso dal momento genetico all’intero arco
della relazione e si impone l’identificazione del beneficial owner ma soprattutto si
impone di ottenere informazioni sullo scopo e natura della relazione; la previsione
ha senso solo se riferita a particolari figure professionali come l’avvocato d’affari ed
57
è tesa a ricostruire scopo e natura ulteriori dell’operazione ovvero la reale
fisionomia di una condotta; il professionista dovrà dimostrare di aver chiesto al
cliente informazioni supplementari per quegli elementi che presentano tratti di
anomalia e quindi in mancanza di segnalazione dimostrare di aver avuto una
giustificazione plausibile.
Va segnalato il dispendio di risorse per il professionista per lo svolgimento di compiti
che esulano dalla normale attività e spesso la intralciano, al sovraccarico di oneri si
tenta di porre rimedio con la graduazione offerta dal risk base approach in virtù del
quale vi sono tre livelli di attenzione:
- standard
- semplificato
- rafforzato
commisurati alla quantificazione del rischio che dovrà effettuare il professionista,
sono criteri già richiamati in precedenza dal dm 141/2006 ma qui rilevano non come
ricondotti al sospetto di riciclaggio ma in funzione preselettiva del grado di
adeguatezza da rispettare nella verifica della clientela; nonostante le potenzialità
deflattive della norma risulta ancora molto sbilanciata in quanto tralascia l’aspetto
consensuale che è fondamentale per l’approccio differenziale in quanto il benefit
perseguito dallo Stato non è apprezzabile dall’obbligato, inoltre vi è grande
timidezza legislativa nell’attuare tale approccio con una pericolosa disposizione al
255 per cui non si applicano gli obblighi semplificati quando si abbia motivo di
ritenere che l’identificazione così operata non sia attendibile, ciò comparato al 20
per cui i soggetti obbligati devono dimostrare all’autorità che la portata delle misure
è adeguata al rischio si carica di tale onere il professionista che voglia adottare
l’approccio semplificato rendendo tale opzione meramente teorica finché le autorità
non indichino una casistica in cui la verifica semplificata sia astrattamente adeguata.
Al contempo andranno ripensati anche i meccanismi sottesi alla procedura
semplificata che oggi impongono un’istruttoria comunque particolareggiata e
dispendiosa con obblighi di conservazione documentale risolvendosi in sostanza in
un’eccezionale esenzione dagli obblighi di registrazione e tenuta dell’archivio unico;
è probabilmente negli obblighi di registrazione che si verifica invece una reale
diversificazione degli oneri in linea con la ratio di semplificazione e proporzionalità
58
che dovrebbe sottendere l’approccio differenziale, la regolare ottemperanza di tali
obblighi ben scandita anche da un punto di vista temporale (30 giorni) impone
l’istituzione e la tenuta di un archivio unico informatico (AUI), la regola è stemperata
però da soluzioni alternative in ragione della diversità degli obbligati (registro della
clientela, sistemi informatici, custodia dei documenti); anche le singole opzioni sono
modulabili con forme di attuazione particolareggiata come quella di avvalersi di un
autonomo centro di servizio per l’AUI degli intermediari finanziari.
Alternativa all’archivio è il registro della clientela a fini antiriciclaggio per cui i dati
andranno conservati nel fascicolo di ciascun cliente, cosa molto funzionale agli studi
di piccole dimensioni, nonostante però tale alternatività di soluzioni è unico il rigore
nella conservazione per assicurare la consultazione dei dati (per l’archivio si impone
chiarezza completezza immediatezza unicità dei criteri di tenuta; per il registro si
richiede numerazione firma), ciò è funzionale alle finalità degli obblighi di
registrazione che sono utilizzati per qualsiasi indagine su operazioni di riciclaggio o
finanziamento del terrorismo ma soprattutto per corrispondenti analisi della UIF o
qualsiasi altra autorità competente, ciò rivela i segni di un’incompleta realizzazione
dell’approccio differenziale su base consensuale, base che risulta antagonista a
questo immenso database che ha le forme a volte del rapporto client-server altre
del peer-to-peer, un programma molto complesso i cui costi sono interamente a
carico del privato, e se ciò non bastasse si aggiunge la contaminazione dell’obiettivo
anti riciclaggio cagionata dall’utilizzabilità dei dati a fini fiscali.
5.Segnalazione di operazioni sospette: certezza del diritto, evidenza
probatoria e dubbio come virtù
Il massimo della collaborazione attiva è l’obbligo di segnalazione delle operazioni
sospette (SOS), il tema è anche quello dei luoghi comuni e dell’approssimazione che
rischiano di trasformarlo in un rebus concettuale, occorre dunque ragionare in
modo da restituire prevedibilità alla norma perché solo la certezza del diritto
consente l’impiego della forza; il dubbio è però il fulcro della norma infatti il 41
impone ai soggetti obbligati di inviare alla UIF una segnalazione di operazione
sospetta quando sanno o sospettano o hanno motivi ragionevoli di sospettare
riciclaggio o finanziamento del terrorismo, dunque ad eccezione di coloro che sanno
59
è innegabile che alla base della segnalazione vi sia lo stato dubitativo, sorprende poi
la qualificazione dell’operazione come sospetta stante la neutralità che la
contraddistingue e dunque può essere compreso ciò solo contestualizzandola come
già il legislatore del 1991 aveva suggerito analizzando le caratteristiche del caso
concreto; la locuzione “induca a ritenere” incarna lo stato di dubbio su cui poggia il
sospetto, un’interpretazione della norma indurrebbe a riordinare le posizioni
“sanno, hanno motivi per sospettare, sospettano” creando un climax discendente e
una scala che va dal dubbio alla certezza, tale lettura dilaterebbe la casistica delle
operazioni anticipando la segnalazione al livello del dubbio che confligge con la
stessa norma che nel comma successivo menziona “evidenze probatorie” come
supporto indefettibile di un sospetto, cioè le caratteristiche dell’operazione in
concreta su cui il dubbio è elevato a sospetto ponderato irrigidendo i confini
dell’aspetto psicologico che oggi sono esasperati dal mero sospetto di un tentativo
di riciclaggio; si registra allora una maggiore libertà nel percorso indirizzato alla
segnalazione che abbandona il rigore della rigida sequenza legata al convincimento
della provenienza illecita del bene tanto da ammettere che ad essere segnalata sia
un’operazione diversa e distinta rispetto a quella materialmente richiesta di
compimento.
L’importanza di una valutazione critica dei motivi a sostegno del sospetto di
riciclaggio connesso all’operazione segnalata è ricavabile dall’intero sistema che
scandisce i diversi momenti dal sorge del dubbio alla segnalazione:
- indicatori di anomalia
favoriscono lo sviluppo del sospetto sono elaborati
da Banca d’Italia ministero della giustizia e quello dell’interno secondo una
ripartizione dei compiti, sono criteri ad alta definizione in base ai quali le
categorie coinvolte possono orientare l’iter valutativo dell’operazione, tale
valutazione pur non implicando attività investigativa necessita della
conoscenza del cliente usando tutto il patrimonio informativo che garantisce
la necessaria contestualizzazione degli indici di anomalia, in tale prospettiva
sono fondamentali le indicazioni del Decalogo della Banca d’Italia e le
istruzioni operative della UIF che fanno riferimento alle caratteristiche
dell’operazione, sono linee guida non vincolanti o esaustive ma indirizzano
l’esame dei fatti il cui esito e responsabilità restano sul soggetto, si ricava
allora la centralità del processo valutativo
60
- iter interno
il modello per gli intermediari finanziari è su un duplice livello
di valutazione:
o segnalazione al responsabile aziendale dell’antiriciclaggio: l’operatore
segnala a questo soggetto che di norma è il legale rappresentante
dell’azienda
o segnalazione all’UIF: il responsabile non ha un mero compito notarile
ma procede ad una rivalutazione funzionale alla segnalazione all’UIF
sfruttando i maggiori elementi conoscitivi rispetto all’operatore
(processo valutativo a rafforzamento progressivo); a sostegno della
valutazione vi è il potente software GIANOS che però esalta il ruolo
soggettivo nel processo critico-valutativo, il programma si compone di
tabelle decisionali strutturate per consentire l’interpretazione
dell’operatività della clientela e individuarne comportamenti atipici, tali
tabelle sono costituite da operazioni correlate tradotte in algoritmi,
esse non risultano leggibili nei programmi informatici in modo da
rendere indispensabile una rivalutazione ad opera del segnalante,
invece la misura e il peso delle fasce di rischio sono in chiaro e
personalizzabili garantendo un aiuto all’operatore che non viene
ridimensionato ma resta il cardine del sistema
- trasmissione della segnalazione alla UIF
anche questa fase ribadisce
l’essenza del giudizio sotteso alla segnalazione in quanto lo schema della
segnalazione nel relativo modulo comprende un riquadro in cui indicare la
descrizione dei motivi del sospetto riportati in relazione agli indicatori di
anomali, la compilazione del quadro è essenziale a riprova di ciò vi sono le
segnalazioni risultate infondate perché prive della valutazione dell’operazione
e descrizione dei motivi del sospetto
Della norma può offrirsi una lettura alternativa considerando i motivi ragionevoli per
sospettare in modo autonomo come un tertium genus, infatti tali motivi sono gli
input che il soggetto avrebbe dovuto cogliere attraverso un’istruttoria adeguata,
una terza categoria in grado di elevare i compiti di vigilanza a livelli d’attenzione
superiore in cui rileva anche la colpa lievissima in relazione alla particolare
competenza che il legislatore ha scorto nell’obbligato, l’estensione della punibilità a
condotte superficiali o negligenti è insito nei ragionevoli motivi avallato da una
posizione normativa che evidenzia il climax senza stavolta ricorrere al correttivo
61
della postergazione di grado; anche tale interpretazione non sembra condivisibile
infatti non è plausibile pretendere dal privato l’assunzione di ruoli di intelligence così
tecnici e svincolati da un riferimento normativo certo.
Si riaffaccia allora il dubbio come una virtù in grado di gestire un sistema di rischio
con l’approccio di matrice anglosassone e la sanzione di stampo romanista
difficilmente conviventi, ciò evidenzia il conflitto tra giustizia e certezza del diritto,
nonostante si segnalano le disfunzioni di questo sistema non sono affrontate per la
prevalenza del diritto comunitario, ritorna allora la formula di Radbruch per cui il
diritto positivo conserva il suo predominio anche quando ingiusto e inadeguato a
meno che il contrasto tra legge e giustizia divenga intollerabile.
5.1.Il sesto senso dell’avvocato/professionista tra speciale attitudine e
conoscenza causale superiore
In un processo di interpretazione di segni così mutabili fondamentale è essere abile
a prendere decisioni, alla base di ciò vi sono delle sovrastrutture mentali frutto delle
conoscenze ed esperienze del decisore, le conseguenze pratiche si riflettono in una
soggettivizzazione del rischio generando un warning potenziato o al contrario una
sottovalutazione dell’anomalia, è qui che può esprimersi l’intuizione quale approccio
immediato in grado di guardare alla realtà senza costrizioni aprioristiche, è la sede
del sesto senso; il DLgs 231/2007 anticipa l’obbligo di decisione all’insorgere del
dubbio, essa si può fondare:
- sesto senso: quando vi è poco tempo per decidere è molte informazioni
- ragionamento: quando c’è molto tempo e va giustificata la propria scelta
L’avvocato che assiste il proprio cliente in operazioni finanziarie dovrà in breve
tempo valutare molte informazioni e procedere se del caso a segnalare senza ritardo
ove possibile prima di eseguire l’operazione, questo schema richiama la decisione
per intuizione, tuttavia la decisione intuitiva è per definizione inspiegabile
ponendosi in contraddizione con l’obbligo del segnalante di giustificare e descrivere
i motivi del sospetto, più appropriato sarebbe invece il modello analitico che
assicura la ricostruzione del processo decisionale che media il giudizio (euristica); i
richiami normativi al sospetto e al dubbio evidenziano l’importanza che da il
62
legislatore al sesto senso per cui possiamo affermare che la decisione è figlia
dell’interconnessione tra intuizione ed euristica del giudizio.
L’attività valutativa del professionista non si risolve in un percorso standardizzato
ma vi è una forte connotazione psicologica, ciò rende la disciplina preventiva
precaria per:
- asimmetrie socio-epistemologiche prodromiche alle segnalazioni: il fenomeno
della percezione selettiva fornisce un’ulteriore spiegazione alla resistenza
opposta dagli avvocati, in quanto non si potrebbe colmare il gap di questa
categoria con gli intermediari finanziari per il loro patrimonio conoscitivo
specifico
- disfunzioni concernenti lo standard oggettivo del dovere di diligenza: mettono
in crisi i tentativi di conciliazione delle esigenze di generalizzazione e di
personalizzazione dell’agente modello, , per cui il sesto senso dell’avvocato è
nella disciplina un elemento che concorre a delineare una figura differenziata
di agente modello traslando una particolare attitudine personale dalle
“speciali capacità” alle “maggiori conoscenze causali”, vi è dunque uno
stravolgimento dello standard di diligenza imponendo lo sfruttamento
integrale di una dote eccezionale sotto la minaccia della sanzione
In quest’ottica le deviazioni sistematiche (bias) dalle scelte corrette sul dovere di
segnalazione saranno considerate errori colposi dell’obbligato dotati di rilevanza
penale a prescindere dalla verifica della capacità del soggetto agente di uniformare il
proprio comportamento alla regola violata, vi è una vanificazione degli sforzi di
personalizzazione del giudizio di colpa e il risorgere della preoccupazione di evitare il
rischio di una strumentalizzazione dell’agente concreto per fini di difesa sociale e
tutela di beni giuridici.
5.2.La responsabilità professionale e principio deontologico vs delazione
Un sistema che ha al centro la delazione è sicuramente instabile, la dilatazione dei
soggetti obbligati ha ampliato formalmente la fonte di SOS cui non è seguito un
aumento delle segnalazioni come evidenziato dal governatore Draghi per cui i
professionisti sono restii a ciò, questo per una cultura professionale fondata su
63
principi deontologici che fanno prevalere la riservatezza sull’obbligo di delazione
nonostante la clausole di deresponsabilizzazione da ciò; si confrontano sul tema due
blocchi di norme:
- norme che blindano il segreto professionale: 622 cp 200 cpp 118 249 cpc che
combinate con quelle dell’ordinamento professionale non si limitano a
disciplinare il segreto professionale ma ne evidenziano le diverse nature per
cui l’avvocato deve rispettare il proprio status anche quando è chiamato a
collaborare con l’amministrazione della giustizia
- norme antiriciclaggio: individuano nei destinatari degli obblighi di
collaborazione agenti al servizio della legalità vedendo l’avvocato come un
ausiliario della polizia giudiziaria
il Consiglio nazionale forense ha preso posizione evidenziando la necessità di
rispettare il segreto professionale che trova fondamento direttamente nella
Costituzione nel diritto di difesa, dunque una normativa antiriciclaggio efficace e
ragionevole deve raccordarsi con la disciplina professionale dell’avvocato a
cominciare dal segreto professionale.
Il legislatore a tutela dell’avvocato delatore deresponsabilizza la segnalazione non
considerandola violazione degli obblighi di segretezza, l’uso del termine obbligo e
non di diritto evidenzia la prospettiva assunta di tutela del cittadino, si evidenzia
dunque un rapporto di proporzionalità inversa tra obbligo di segretezza e obbligo di
segnalazione, fondamentale è il riferimento al 12c DLgs 231/2007 che puntualizza la
limitazione del coinvolgimento degli avvocati ai casi di operazioni finanziarie o
immobiliari di trasferimento o gestione di denaro o di conti o società tratteggiando
l’ambito di competenza dei consulenti legali (business lawyer), a fare da contraltare
a tale disposizione vi è una riespansione dell’obbligo di segretezza per le
informazioni che l’avvocato ottiene dal cliente nell’espletamento del ministero
difensivo, la questione controversa è allora nella zona grigia fra attività di difesa
(sicuramente esclusa dalla delazione) e quella di consulenza para-giuridica, è
possibile distinguere allora 3 tipi di attività:
- legata al procedimento giurisdizionale in itinere con l’espletamento di difesa o
rappresentanza
64
- svincolata da un procedimento in itinere ma di natura strettamente giuridica
in cui possono rientrare l’esame della posizione giuridica del cliente e la
consulenza sull’eventualità di intentare un procedimento
- para-giuridica svincolata da un procedimento in itinere o in fieri, è l’attività del
business lawyer
solo in relazione a questa si pone l’obbligo di segnalazione
tale interpretazione è in linea con la posizione comunitaria e l’unica in grado di
stemperare lo sgretolamento del segreto professionale.
I pilastri della riservatezza e della fiducia che sorreggono il segreto professionale
come base del diritto di difesa non possono scivolare in secondo piano dinanzi una
politica criminale del sospetto, eppure la formula di chiusura del 41 ha proprio tale
tenore, escluso che le segnalazioni possano violare l’obbligo di segretezza non
portano responsabilità di alcun tipo se poste in essere in buona fede per le finalità di
legge, vi è così un vulnus al rapporto fiduciario sotto un duplice profilo:
- violazione della riservatezza delle notizie scambiate tra le parti
- libertà di comunicazione tra avvocato e cliente
infatti obbligare l’avvocato a mettere a disposizione dello Stato le notizie riservate
dell’assistito significa calpestare il rapporto fiduciario che gli ha consentito di
acquisirle; le preoccupazioni crescono se l’attenzione si sposta sugli obblighi di
creazione di database l’accesso ai quali non è neppure subordinatamente
condizionato al sospetto di riciclaggio; ma il colpo di grazia al legame fiduciario è la
compromissione della libertà di comunicazione tra professionista e cliente che si ha
col divieto di tipping-off ex 46 che vieta al primo di dare comunicazione
dell’avvenuta segnalazione al di fuori dei casi di legge e non si può comunicare
all’interessato o a terzi che è in corso o può essere svolta un’indagine in materia di
riciclaggio o finanziamento al terrorismo.
Si estromette il cliente dai flussi informativi sia in uscita ma ancor più discutibile
quelli di ritorno (48) infatti è fatto divieto anche di dare notizia a questi di
segnalazioni conclusesi con l’archiviazione, ma allora come può continuare un
rapporto di fiducia in queste circostanze? perché al cliente non è assicurato almeno
il flusso di ritorno consentendogli di sospettare della propria banca o cambiarla?
65
5.3.Financial Intelligence Unit interna e attori protagonisti del
palcoscenico della prevenzione
In un sistema dove la segnalazione alimenta la disciplina preventiva antiriciclaggio la
FIU ne rappresenta il cuore, concluso il livello di valutazione dell’obbligato la FIU
esercita le funzioni di ricezione approfondimento e trasmissione alla competenti
autorità di informazioni finanziarie, inizialmente le sue funzioni era dell’Ufficio
italiano cambi ora dell’Unità di Intermediazione Finanziaria (UIF) presso la Banca
d’Italia con un peculiare regime giuridico, questa non ha personalità giuridica è
regolata da un regolamento della Banca d’Italia che le attribuisce mezzi e risorse per
i propri fini, resta però l’autonomia sul piano operativo e gestionale, la sua attività si
distingue sia dall’analisi investigativa che dalla repressione del reato valorizzando la
funzione di collegamento e filtro.
La razionalizzazione del DLgs 231/2007 ha interessato l’intera prevenzione in
particolare i poteri delle autorità coinvolte affidate alla responsabilità del ministero
delle finanze tramite il Comitato di sicurezza finanziaria con funzione di
coordinamento, la UIF provvede a inoltrare le SOS agli organi investigativi (Direzione
Investigativa Antimafia e Nucleo Speciale di Polizia Valutaria della GdF) ovvero
all’autorità giudiziaria, salvo decida l’archiviazione; quest’ultimo passaggio non è
fondato su basi solide ma su una sostanziale deregolamentazione anche se sono allo
studio linee precise.
La UIF sottopone le SOS a un’attività di analisi e apprendimento grazie a un vasto e
diversificato parco di fonti informative (dalle autorità di vigilanza alle UIF estere) che
consentono lo studio particolareggiato di ogni operazione segnalata confluendo in
una relazione tecnica che è allegata alla SOS, qualunque sia la destinazione di
quest’ultima la relazione fornisce un approfondimento e agevolazione per il
proseguo delle indagini o del procedimento giurisdizionale anche in caso sia disposta
l’archiviazione, questa è una forma sui generis in quanto è posta comunque in modo
da consentire la consultazione degli organi investigativi, non vi sono però criteri in
base ai quali decidere l’archiviazione e addirittura peggiorativa è l’intenzione
dell’UIF di operare la relazione solo per casi meritevoli di approfondimento
rendendo l’operato più efficace ma impossibile il controllo degli organi investigativi.
66
Il problema è generato dalla crescita delle segnalazioni che congestionano l’azione
di vigilanza, più opportuno sarebbe focalizzare l’attenzione sulla difficoltosa
selettività delle SOS, è discusso poi anche il modello prescelto per la UIF sarebbe
infatti preferibile una collocazione presso istituti giudiziari per valorizzare gli aspetti
collaborativi con la magistratura oppure presso le strutture di polizia coniugando le
funzioni di intelligence con quelle di rango investigativo riducendo l’esito
dell’istruttoria alla secca alternativa archiviazione/trasmissione all’autorità
giudiziaria smaltendo i tempi di una collaborazione tra UIF e PG sempre più intensa
con inutili duplicazioni di passaggi e perdite di tempo vista la distinzione netta fra i
due organi.
In realtà l’UIF svolge un’analisi tattica sulle segnalazione che può confermare la
fondatezza del sospetto o indurre a ravvisare un fumus di reato, nel primo caso
trasmette le SOS al NSPV o alla DIA che ne informano il Procuratore nazionale
antimafia qualora siano attinenti alla criminalità organizzata, nel secondo caso le
SOS sono trasmesse direttamente all’autorità giudiziaria che probabilmente
richiamerà in gioco l’UIF con compiti di consulenza tecnica; un sistema lento non
migliorato dalla recente introduzione della possibilità per l’UIF di sospendere
l’operazione sospetta a seguito di una specifica istruttoria convalidata da decreto
del giudice di durata massima di 5 giorni lavorativi, troppo breve per bloccare
l’ingresso dei proventi illeciti nel mercato ma abbastanza lungo da danneggiare
gravemente l’attività economica del segnalato, a ciò si aggiunga la
deresponsabilizzazione della UIF per segnalazioni infondate cui si cercato di porre
rimedio recuperando la responsabilità per danni cagionati con dolo o colpa grave.
Riguardo il sistema dei controlli in generale vi è un’imponente mole di soggetti che
sovraintendono ex art 7 al rispetto della normativa antiriciclaggio, una fitta trama di
flussi informativi che vedono affianco a interventi ispettivi generali approfondimenti
mirati rivolti anche a operazioni sospette non segnalate, che pecca però dove il
controllore non ha supervisione programmatica salvo gli insufficienti riferimenti al
controllo potenziale degli organi investigativi agevolato dalle modalità di evidenza
imposte all’UIF, e ai poteri ispettivi del Nucleo della GdF in funzione integrativa
dell’attività di verifica della UIF, strumenti poco penetranti che non riescono ad
assicurare un livello anche minimo di tutela al segnalato.
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5.4.La collaborazione attiva e la deriva internazionalistica
Se il giudizio sulla disciplina preventiva si focalizzasse sul numero di segnalazioni
sarebbe sicuramente positivo, questo dato isolato però non è decisivo in quanto non
è la segnalazione lo scopo ultimo della collaborazione attiva, invece un’analisi
attenta dimostra l’esito fallimentare del sistema causato dagli eccessi, un quadro in
cui anche l’aumento esponenziale di segnalazioni si rivela dannoso quasi un
ostacolo, ciò favorito dalla disciplina di matrice comunitaria che ha generato pecche
evidenziate anche dalla Banca d’Italia, fra queste la dilatazione della nozione di
riciclaggio a fini preventivi che ingloba anche l’autoriciclaggio, poi l’aumento delle
categorie di soggetti tenuti alla segnalazione; difetti cui le proposte della UIF di
sostituire la relazione tecnica con forme meno complesse non risolvono e anzi
peggiorano infatti il carico si scaricherebbe sugli organi investigativi costretti a fare
un lavoro ulteriore.
I tempi di gestione delle SOS sono quindi molto elevati, al 2008 in media 70 giorni, e
inoltre ben il 90% di esse sono state trasmesse agli organi investigativi, dunque una
funzione praticamente inutile per la UIF e anzi dannosa perché genera un ritardo
che poi si riflette sulle indagini, il trend è comunque quello dei paesi con un analogo
sistema come Germania e USA; tali risultati evidenziano l’annullamento dei benefici
della segnalazione cioè immediatezza della reazione e fattore sorpresa, in un
sistema lento in cui le azioni sono falciate dalla prescrizione e che da preventivo non
può che trasformarsi in repressivo però privo delle garanzie di civiltà giuridica per il
segnalato; l’Unità va dunque soppressa non ottemperando ai suoi fini di filtro tra
segnalato e anticrimine e separazione della fase preventiva da quella repressiva,
auspicabile è invece un sistema judical model o law enforcement model che ha
come unici due sbocchi l’archiviazione o la trasmissione all’autorità giudiziaria.
5.5.Criticità sistemiche ignorate: l’aspetto sanzionatorio
L’apparato sanzionatorio del DLgs 231/2007 si compone di 6 delitti 2
contravvenzioni 15 illeciti amministrativi, senza dubbio imponente all’opposto delle
esigenze di depenalizzazione, dove l’anticipazione della punibilità fino alla messa in
pericolo non sempre risulta agganciata al principio di offensività, certo sono ovvie le
ragioni di politica criminale ma le sanzioni dovrebbero tener conto delle incertezze
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dell’accertamento e finiscono per perdere la loro forza repressiva nella scarsa
determinatezza della fattispecie, vi è poi grande confusione per l’abuso del rinvio e
la genericità nell’individuare condotte e soggetti.
Le sanzioni penali sono al 55 mentre quelle amministrative al 56 e ss, emerge una
gerarchia degli obblighi in quanto le sanzioni più gravi riguardano gli obblighi di
acquisizione informativa su cui si regge il KYC per cui sanzioni penali sono per
l’identificazione e registrazione, invece la segnalazione riceve una sanzione
amministrativa pecuniaria dall’1% al 40% dell’operazione ed eventuale
pubblicazione della pena; tuttavia la norma penale colpisce anche condotte di scarsa
offensività come l’omessa o falsa identificazione e registrazione anche in casi fortuiti
ovvero le irregolarità di tipo organizzativo degli organi di controllo delle persone
giuridiche; paradossalmente invece l’omessa istituzione dell’archivio unico
informatico è un illecito amministrativo.
Il 55 punisce innanzitutto con la multa da 2.600 € a 13.000 € l’inosservanza degli
obblighi di adeguata verifica, pari pena si ha per chi omette la registrazione o è
tardiva o incompleta, aggravante a effetto speciale si ha con l’uso di mezzi
fraudolenti e raddoppia la pena nei casi di:
- violazione dell’obbligo di identificazione della clientela
- omessa tardiva o incompleta registrazione delle informazioni
- omessa o falsa indicazione delle generalità del soggetto per conto del quale è
eseguita l’operazione
a sua volta è sanzionato il cliente che omette o dà falsa indicazione delle generalità
del beneficial owner con reclusione da 6 mesi a 1 anno e multa da 500 € a 5.000 €,
invece in caso di ostacolo all’acquisizione delle informazioni la pena è arresto da 6
mesi a 3 anni e ammenda da 5.000 € a 50.000 €; è sanzionata per il cliente anche
l’omessa o falsa informazione sullo scopo o natura del rapporto continuativo o della
prestazione professionale riflettendo il 181c che impone tra gli obblighi di adeguata
verifica del cliente proprio quello di ottenere informazioni sullo scopo e natura, tale
sanzione però è connotata da un’eccessiva anticipazione della punibilità fino alla
colpa e oblitera la tutela di beni giuridici fondamentali come la privacy, inoltre è una
norma molto confusionaria perché accanto a rapporto e prestazione manca il
riferimento all’operazione ovvero alla movimentazione di mezzi di pagamento,
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inoltre dubbi applicativi investono il generico obbligo di dire la verità alla base della
forma di manifestazione commissiva del reato cioè l’aver l’esecutore delle
operazioni fornito informazioni false, tuttavia la contravvenzione è ristretta dalla
condotta di falso al solo profilo intenzionale che insieme alla clausola “salvo il fatto
costituisca più grave reato” finisce col vanificare l’efficacia della norma.
Sul piano amministrativo gli illeciti sono distinti in 2 categorie:
- relativi agli obblighi di prevenzione
- relativi la violazione delle basilari limitazioni all’uso del contante e dei titoli al
portatore
a viziare anche questo impianto sanzionatorio è la confusa convergenza tra
responsabilità del soggetto e delle persone giuridiche, ma soprattutto un incongruo
meccanismo di quantificazione della sanzione pecuniaria inspiegabilmente
agganciata a una percentuale delle operazioni divenendo eccessiva in caso di
operazioni finanziarie di alto valore aumentando il dilemma se segnalare o meno, se
poi si aggiungono i dubbi sul momento in cui scatta l’obbligo di segnalazione e che a
rilevare siano principalmente omissioni dovute a negligenza o disattenzione del
segnalante crescono le preoccupazioni.
5.6.Test empirici di inefficienze congenite
Dai grafici si evidenzia una crescita esponenziale del numero delle segnalazioni che
però al contrario è indice del fallimento del sistema che viene sovraccaricato, e
infatti la quasi totalità delle SOS è trasmessa agli inquirenti ma solo una piccola
parte arriva al giudice e una parte minima a condanna; dal punto di vista soggettivo
il segnalatore principale resta la banca seguita da Poste invece i professionisti in
particolare gli avvocati sono coinvolti in maniera praticamente nulla, sia per ragioni
di deontologia professionale che li legano al cliente sia per situazioni sociali esterne
di pressioni che distolgono dalla segnalazione, infatti esaminando la distribuzione
geografica delle segnalazioni ricalca in negativo la mappa del crimine; altro
confronto infine va fatto tra segnalazioni geograficamente distribuite e PIL delle
singole regioni evidenziando un maggior numero di segnalazioni dove il PIL è più
elevato proprio per il legame economico del reato; il sistema delle segnalazioni si
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rivela funzionante solo nelle realtà geografiche dove la criminalità è meno pervasiva
e invece è inapplicato nelle regioni ad alto rischio.
Capitolo V:
LA RESPONSABILITA’ AMMINISTRATIVA DEGLI
ENTI DA RICICLAGGIO DI PROVENTI ILLECITI
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1.Un’esigenza di diritto interno maturata alla luce del diritto
internazionale
La progressiva organizzazione del crimine è alla base della deindividualizzazione
della criminalità economica e da ciò derivano esigenze di incriminazione collettiva
anticipate da risposte internazionali e poi recepite a livello interno; riguardo
l’aspetto fenomenologico va registrata la graduale penetrazione dell’ente nella
criminalità economica per cui l’impresa è elevata a soggetto inconsapevolmente
strumentalizzato dal riciclatore (colpa di organizzazione) o soggetto attivo di
riciclaggio (politica d’impresa); tale ruolo dell’ente è stato compreso da convenzioni
internazionali già alla fine degli anni ’90 invece in Italia è stata la legge 146/2006 a
far rispondere l’ente per fatti di riciclaggio o reimpiego attuati con modalità
transnazionali, vi è dunque una doppia condizione per il reato presupposto cioè che
abbia i requisiti del cp e che sia punito con reclusione non inferiore nel massimo a 4
anni e che sia commesso con modalità transnazionali; ciò ha generato una
pericolosa incongruenza perché non si puniscono fatti dello stesso tipo ma interni, e
non ha rilievo osservare come l’apparato organizzativo sia necessario per fatti
transnazionali perché può ritrovarsi anche in fatti nazionali; il vuoto legislativo che
aveva depotenziato la forza repressiva è stato colmato dal decreto delegato
231/2007 che ha esteso la responsabilità a fatti interni.
2.Le complicazioni fenomenologiche e gli spazi scoperti del societas
delinquere non potest
Per la criminalità economica il modello di riferimento del delinquente individuale
finisce col rivelarsi inservibile perché non adeguato alle connotazioni e prestazioni
superiori dell’organizzazione, la criminalità d’impresa ha una natura plurisoggettiva
e pluricentrica in cui centrale è il ruolo dell’ente, sarebbe dunque deleterio il
rispetto dell’antico principio societas delinquere non potest come già evidenziato
dal Bricola tempo fa; la massimizzazione dell’utilità perseguita dal crimine con
l’ottimizzazione delle risorse e il contenimento dei rischi di discovery spiega gli sforzi
della criminalità tesi al mantenimento dell’asimmetria informativa con l’anticrimine
e giustifica la criminalizzazione dell’ente, ciò è sostenuto da chiare esigenze legate a:
72
-
superamento del modello weberiano
peculiarità organizzative della corporate governante post industriale
caratteristiche di autogestione flessibilità e decentralizzazione endo-aziendale
parcellizzazione dei processi causali dell’ente
ed è consentito dall’abbandono del principio di umanità ad ogni costo e dal
riconoscimento della volontà sociale come consistente realtà per cui l’ente da pura
sintesi di relazioni interpersonali acquisisce soggettività reale e colpevolezza
autonoma dal dolo (politica d’impresa) alla colpa (colpa di organizzazione o di
reazione), e pur non volendo accettare l’idea di un’impresa redimibile comunque la
sanzionabilità funge da deterrente per cui il modello fondato sulle rational choices
troverà applicazione nella realtà imprenditoriale imponendo un adeguamento del
sistema repressivo ma soprattutto di quello preventivo; ancora una volta dunque
non si può prescindere da una base consensuale in quanto la prevenzione dipende
dall’autorevolezza delle norme che sia in grado di generare un rispetto per
convinzione, dunque solo in base a un modello consensuale si può auspicare
l’assunzione di ethics based programs endoaziendali in grado di generare protocolli
decisionali interni che riducano la necessità dei controlli penali esterni, si archivia
così definitivamente l’antico brocardo.
3.L’art 25octies DLgs 231/2001: ampliamento del numerus clausus e
riflessi sulla compliance aziendale
Il microsistema della responsabilità amministrativa dell’ente da reato delineato dal
DLgs 231/2001 fa si che l’ente risponda penalmente delle condotte integrate dai
soggetti che al suo interno rivestano anche di fatto una posizione apicale o
subordinata qualora tali condotte siano compiute nel suo interesse o a suo
vantaggio e siano sussumibili fra i reati presupposto, di queste il legislatore fornisce
un numero chiuso che risponde a esigenze di certezza e tassatività pur nel suo
ritmico ampliamento con il sistema della numerazione a seguire, ne consegue
l’auspicato coinvolgimento degli enti in ossequio a postulati di razionalità
criminologica, un’estensione accompagnata dall’eliminazione di una grave
disarmonia internormativa infatti il 641 d 2007 ha abrogato le norme che limitavano
la responsabilità dell’ente alla configurazione transazionale della fattispecie, per cui
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anche su base nazionale la realizzazione ad assetto collettivo di 648 e ss cp genera
una responsabilità dell’organizzazione con applicabilità di una sanzione pecuniaria
da 200 a 800 quote, ovvero in caso il provento sia da delitto per il quale vi reclusione
superiore nel massimo a 5 anni la sanzione è da 400 a 1000 quote, in aggiunta vi
sono poi sanzioni interdittive per durata non superiore a 2 anni.
Il contrasto al riciclaggio risulta fondato sul sistema degli obblighi di collaborazione
attiva teso al superamento dell’approccio statico verso una gestione del rischio
dinamica e dall’interno, il DLgs 231/2007 si salda col DLgs 231/2001 creando un
unicum il cui centro non è più la mera conformazione passiva alla regola ma
l’assorbimento dei principi legali come tappa di un iter di centralizzazione etica
come aspetto reputazionale dell’azienda spendibile sul mercato; cosicché l’impresa
è indotta a sviluppare anticorpi in grado di preservarla dalla sanzione assicurando al
contempo un surplus economico grazie all’ottimizzazione dei processi interni e al
maggiore appeal sul mercato, l’ente è spinto all’adozione e attuazione di modelli
organizzativi e gestionali idonei a monitorare il rischio di riciclaggio (risk analysis) e a
eliminare o minimizzare le potenzialità di verificazione (risk assessment e risk
management); è una politica criminale allineata con gli obblighi di adeguata verifica
e segnalazione sulle persone fisiche e come in quest’ultima mancano schemi
normativamente predefiniti di un modello organizzativo standard, ma d’altra parte
si richiedono schemi personalizzati e flessibili per ogni azienda affinché la misura sia
efficace e non mero adempimento burocratico, e infatti il 73 DLgs 231/2001 lega la
corretta strutturazione del modello alla natura dell’ente per un’adeguata
predisposizione dei protocolli aziendali che saranno calibrati sui rischi che corre
l’ente; dunque tutto questo apparato normativo mira a costituire un monito alle
società per sensibilizzarle ad adempiere ai doveri di controllo.
3.1.Meccanismi di iscrizione del fatto all’ente: la dibattuta questione
dell’interesse e vantaggio
Il policentrismo della criminalità economica impone il confronto con forme di
imputazione che vanno necessariamente al di là della responsabilità individuale o
dei classici paradigmi concorsuali per approdare a modelli collettivizzati, si
inseriscono meccanismi ascrittivi oggettivi e soggettivi nuovi, vi sono infatti
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fattispecie a struttura complessa nell’ambito delle quali la condotta del soggetto si
innerva su un tessuto organizzativo inadeguato alla prevenzione proiettandosi
nell’interesse o a vantaggio dell’ente, dunque perché un ente possa rispondere del
reato presupposto dimensione normativa (posizione qualificata dell’agente) e
naturalistica (proiezione del reato nell’interesse dell’ente) devono combinarsi tra
loro; l’ascrizione del fatto all’ente andrà tenuta distinta dalla sua colpevolezza (reato
imputabile alla mancata adozione di modelli organizzativi) e a maggior ragione dalla
realizzazione monosoggettiva di reati presupposto che nell’ente rinvengano solo
l’occasionale contesto espressivo.
Affinché la responsabilità dell’ente non si trasformi in responsabilità collettiva è
necessario un accertamento in concreto dell’interesse inteso quale perimetrazione
della condotta dell’ente in grado di confermarne il primo livello d’appartenenza, la
ricostruzione dell’interesse in termini oggettivi rivitalizza l’espressione “a suo
vantaggio” infatti è noto che l’ente non risponde se le persone indicate hanno agito
nell’interesse esclusivo proprio o di terzi che dunque è una circostanza interruttiva
del nesso di iscrizione oggettivo in ossequio al principio della personalità della
responsabilità penale; se si accettasse una connotazione soggettiva dell’interesse si
finirebbe con disattivare la funzione di responsabilizzazione societaria proprio nei
casi in cui come per le più complesse operazioni di riciclaggio di proventi illeciti si
assiste a una parcellizzazione del contributo causale in grado di mettere in crisi la
ricostruzione psicologica della condotta complessiva; in altri termini si finisce con
l’identificare l’interesse collettivo col motivo dell’azione criminosa e ciò renderebbe
problematica la capacità del criterio di agganciare il reato all’ente nel suo complesso
perché i fattori che si assumerebbero come rilevanti non si distinguerebbero
strutturalmente da quelli che costituiscono il rimprovero individuale; l’approccio
appena descritto dovrà indurre a una lettura dell’operazione di riciclaggio che non
prescinda dall’esame del suo contenuto, delle modalità esecutive e del risultato per
cui si dovrà investigare i connotati reali della condotta in grado di rivelarne le
potenzialità lucrative per l’ente (dalle anomalie finanziarie alle anomalie di rapporti
intersoggettivi), elementi che potranno segnare il coinvolgimento dell’ente in ogni
fase del riciclaggio con diverse modalità partecipative ed espressioni soggettive dalla
colpa di organizzazione alla politica d’impresa.
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4.Organismo di vigilanza interno ex DLgs 231/2001: il riciclaggio da
“moltiplicatore di ricchezza” a moltiplicatore di posizioni di garanzia?
L’introduzione del 25octies DLgs 231/2001 ha conferito ulteriore importanza agli
aspetti organizzativi in funzione dei controlli interni, si è voluto rafforzare il sistema
di blindatura dell’ente dalle ingerenze criminali incidendo profondamente sulla
governante aziendale per contrastare il processo di scivolamento irriflessivo verso la
decisione illegale imponendo una pausa di ponderazione che spinga verso la
decisione legale; questo è anche il restyling del 52 DLgs 231/2007 infatti la norma
non si riferisce esclusivamente al consiglio di sorveglianza o al comitato di controllo
di gestione ma richiama espressamente l’organismo di vigilanza (OdV) che sarà
tenuto agli obblighi di comunicazione e prima di vigilanza, tale organo risulta mutato
geneticamente su due punti:
- il compito di vigilare sul funzionamento e l’osservanza dei modelli trasmuta
nella osservanza delle norme di cui al DLgs 231/2007
- la esternalizzazione di un organismo fin ora contraddistinto da rilevanza
aziendale in conseguenza degli obblighi di comunicazione non solo diretti al
titolare ma ora anche alle autorità di vigilanza di settore e al ministero
dell’economia
perplessità sorgono ove tale organo sia sistemato in posizione di garanzia in grado di
determinare una potenziale responsabilità per riciclaggio commissivo mediante
omissione, ove si ritenesse configurabile una responsabilità del compliance office ex
402 cp dovremmo affermare che il riciclaggio da “moltiplicatore di ricchezza” diviene
“moltiplicatore di posizioni di garanzia” in virtù di tale estensione di responsabilità.
Analizzando il DLgs 231/2007 è possibile isolare una responsabilità penale dell’OdV
ex 555 che sanziona con reclusione fino a 1 anno e multa da 100 € a 1000 € chi
essendovi tenuto omette di effettuare la comunicazione di cui al 522, tuttavia il
reato proprio di omessa comunicazione da parte degli organismi di controllo non va
confuso con la responsabilità omissiva da posizione di protezione, se si ricostruisce
l’obbligo di garanzia secondo i principi penali costituzionalizzati questo è l’obbligo
giuridico gravante su specifiche categorie predeterminate di soggetti previamente
forniti di adeguati poteri giuridici di impedire eventi offensivi di beni altrui affidati
alla loro tutela per l’incapacità dei titolari di proteggerli, si può dunque apprezzare la
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differenza con l’obbligo di sorveglianza che è l’obbligo giuridico gravante su
specifiche categorie di soggetti privi di poteri giuridici impeditivi di vigilare su altrui
attività per conoscere dell’eventuale commissione di fatti offensivi e informare il
titolare del bene; proprio quest’ultima è la tipologia di obbligo dell’OdV cioè un
semplice obbligo di attivarsi non un obbligo di garanzia.
La struttura dell’OdV non comporta un mutamento del tipo di controllo che resta
incardinato sul monitoraggio del rispetto delle norme preventive ma al più dei
destinatari dell’eventuale comunicazione che ora sono anche esterni, ciò è
confermato dalle modifiche al 52 DLgs 231/2007 per cui il “decreto correttivi” ha
chiarito che lo specifico obbligo di vigilanza grava su tutti i componenti degli organi
di controllo delle società destinatarie della normativa antiriciclaggio che hanno
notizia delle eventuali violazioni realizzate specificando che la vigilanza compete a
ciascun componente secondo le proprie attribuzioni e competenze, vi è così un
rafforzamento del canale informativo sotto il profilo contenutistico (norme
antiriciclaggio) e dei destinatari (autorità esterne), non vi è nessuna trasformazione
dall’attività di controllo all’obbligo giuridico di impedire il laundering in azienda, non
vi è dunque responsabilità penale (ex 402 cp) per mancato impedimento del delitto
ma vi è punibilità per omessa sorveglianza.
Infine la netta demarcazione tra responsabilità per omessa comunicazione sul OdV e
responsabilità per riciclaggio commesso mediante omissione che non gli è ascrivibile
è in linea con la finalità della normativa antiriciclaggio di azzerare il gap informativo
in quanto la complessità dell’’economia impedisce alle istituzioni un’adeguata
conoscenza locale, che con tale sistema sembra garantita; dunque a una prima
lettura lo strumento penalistico diretto all’orientamento culturale dell’impresa, a un
arricchimento cognitivo delle situazioni locali sembra da plaudire.
Tuttavia la strategia normativa non è quella della piramide di Braithwaite (alla base
dialogo, al centro deterrenza in base a costi/benefici, all’apice coercizione) ma
quella che fa perno sul cardine penalistico senza considerare gli obiettivi di profit
aziendali, e infatti accogliere la normativa significa acquisire nuove e più specifiche
competenze i cui costi restano a carico del destinatario senza essere controbilanciati
da incentivi, inoltre a parte le resistenze della naturale lealtà fattuale (lega l’OdV ai
fini anche illeciti dell’azienda) il rischio di inottemperanza alla norma è aggravato
dallo sviamento di funzioni dell’OdV la cui costituzione è legata all’esistenza di un
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modello ex 231 e dunque formalmente facoltativa una volta costituito sarà
penalmente obbligato al rispetto dei compiti dell’art 52 finendo col destinarvi la
maggior parte delle sue risorse essendo più rischiosa una svista sui profili
antiriclaggio e dunque tralasciando altri profili di sicurezza dell’azienda.
5.L’aspetto sanzionatorio e la confisca obbligatoria
La sanzione è l’unico strumento usato dal legislatore per raggiungere l’obiettivo e
diviene il debole propulsore di un sistema di collaborazione coattiva in cui deve
indirizzare l’OdV al difficile e innaturale compito di controllore antiriciclaggio indurre
l’imprenditore a schermare l’azienda con un modello organizzativo, fermare le
pulsioni criminose; l’esito è fallimentare per 3 motivi:
- consensuale
è difficile coinvolgere con la sola minaccia, servono dunque
altri strumenti di moral suasion
- strutturale
ove pure fosse approntato un modello organizzativo idoneo
non si potrebbe parlare di ethics based programs perché la società si
conformerà ai controlli senza interiorizzarne il valore di legalità ma vedendoli
solo come costi
- genetico
la sanzione è viziata da profonde disarmonie interne infatti la
forbice pecuniaria (100 1000 €) è sperequata rispetto a quella interdittiva,
inoltre da un punto di vista sistematico mentre l’omessa segnalazione di
operazioni sospette comporta una sanzione amministrativa l’omessa
comunicazione della medesima infrazione da parte dell’OdV fa scattare una
sanzione penale, per spiegare ciò si potrebbe riconsiderare il ruolo dell’organo
in un ottica di maggior rigore come titolare di una posizione giuridica di
garanzia, tuttavia soluzione scartata per i dubbi di costituzionalità in punto di
determinatezza e tassatività
si deve inoltre segnalare come la raffica di nuove incriminazioni sia in
controtendenza rispetto l’esigenza di depenalizzazione da più parti sollevata, si
investe infatti anche la persona giuridica di responsabilità solidale per violazioni ex
57 e 58 DLgs 231/2007 in quanto il 59 la prevede anche in caso di mancata
identificazione o non perseguibilità dell’autore delle violazioni; la disposizione è
completata dal 25octies DLgs 231/2001 che prevede sanzioni interdittive che
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colmano le inefficienze sanzionatorie della pena pecuniaria pur non risolvendo la
sostanziale incongruità della scelta sanzionatoria che per molti aspetti non ricalca la
scala del cp e tradisce l’ordine imposto dalla natura dei delitti contro il patrimonio
mediante frode che già nell’inferno dantesco erano più gravi di quelli violenti perché
minavano la rete etica degli obblighi sociali.
Fra i molti difetti della disciplina vanno apprezzati i progressi in termini di maggiore
specificità e completezza degli obblighi di legge, da apprezzare è l’introduzione del
648quater cp che dispone in caso di condanna o applicazione della pena su richiesta
la confisca obbligatoria del prodotto o profitto del riciclaggio o dell’impiego,
nonostante il carattere cautelare la misura finisce ad avere connotati punitivi,
questa possiede alcune caratteristiche peculiari che la differenziano dal 12 sexies l
356/1992 che è rafforzata, ancora una volta il punto dolente è infatti la prova della
provenienza illecita su cui il legislatore lavora su 2 fronti:
- ampliare i poteri investigativi del PM che può compiere ogni attività
integrativa di indagine che si renda necessaria circa i proventi da sottoporre a
confisca
- assottigliare il comparto probatorio necessario, ciò grazie la sincronizzazione
tra 12sexies e 648quater mentre la prima consente di sequestrare e poi
confiscare i beni del condannato per riciclaggio e reimpiego
indipendentemente dal nesso di pertinenzialità con il reato ma previo
accertamento dell’esistenza di una sproporzione tra reddito dichiarato e
patrimonio disponibile la seconda postula il rapporto di pertinenzialità e
derivazione concentrandosi su prodotto o profitto del reato ma senza ulteriori
oneri probatori
ad affilare ulteriormente la confisca è il secondo comma del 648quater che prevede
la confisca per equivalente, per cui la ratio della norma è che il reato non deve
rendere e neanche l’occultamento del profitto, la confisca assume allora un ruolo
centrale grazie anche all’estensione della confisca di valore nel sistema di
responsabilità amministrativa dell’ente da reato ex 19 DLgs 231/2001; restano
comunque le perplessità di un sistema di controllo esclusivamente penalistico per
cui come scrive Luderssen è tempo di recuperare la responsabilità per i giuristi della
progettazione in materia politico-criminale.
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