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conosciamo l`adda - Provincia di Bergamo
COMITATO
CENTRO
ADDA
Parco Adda Nord
Consorzio per la gestione
CONOSCIAMO L`ADDA
la pesca, le specie ittiche ed i suoi problemi
a cura di M. Barzaghi, M. Biolcati, A. Spini
Progetto didattico per le Scuole Medie Superiori
PROVINCIA
DI BERGAMO
Si ringraziano la Provincia di Milano, il Comune di Trezzo sull’Adda e la F.I.P.S.A.S. di Milano
per il contributo concesso.
SALUTI DEL PRESIDENTE DEL PARCO ADDA NORD
Quando il Comitato Centro Adda mi ha sottoposto – per un contributo alla pubblicazione – la
guida che tenete tra le mani, ho ritenuto opportuno fare in modo che anche il Parco Adda Nord
sostenesse questa “impresa” editoriale di questi amici del territorio dellʼAdda.
Lʼoccasione di una nuova, opportuna, pubblicazione relativa in questo caso alla fauna e allʼhabitat
ittici dellʼAdda mi pareva unʼoccasione utile per diffondere ulteriormente – oltre a ciò che quotidianamente viene fatto dal Parco, dalle Associazioni e dagli altri Enti preposti – informazioni e
notizie preziose per rendere sempre più consapevole ciascuno di noi dello straordinario patrimonio ambientale e naturale rappresentato dal nostro Fiume.
Una pubblicazione che è rivolta in particolare a bambini e giovani che, anche attraverso questa
guida, conosceranno magari per la prima volta un ambiente di straordinaria ricchezza ed assoluto
fascino.
Buona lettura.
Agostino Agostinelli
Presidente Parco Adda Nord
1
PREFAZIONE
Questa piccola pubblicazione che il nostro Comitato ha realizzato non ha certo pretese tecnico–scientifiche, ma vuole solo far conoscere ai ragazzi che abitano nei territori compresi nel Parco
Adda Nord, e non solo, cosa è la pesca sportiva e quali sono le problematiche legate al nostro
fiume.
Conoscere lʼAdda e le sue tradizioni è fondamentale soprattutto per i giovani poiché saranno loro
ad ereditare la responsabilità di conservare questo patrimonio naturale che abbiamo la fortuna di
possedere.
Purtroppo utilizziamo e sfruttiamo il nostro fiume senza accorgerci che lo stiamo gradualmente
distruggendo; gli scarichi inquinanti, la deframmentazione, i prelievi indiscriminati per la produzione di energia, lʼutilizzo in agricoltura e molti altri fattori dovrebbero più oculatamente considerare i parametri legati alla biodiversità e alla qualità delle nostre acque.
Il fiume è una entità “vivente” e come tale dovrebbe essere considerato! Molte specie ittiche sono
ormai scomparse e parecchie sono in via di estinzione, tutto ciò a causa del lento degrado che il
fiume sta subendo negli ultimi decenni.
I depuratori esistenti sono stati costruiti con forte ritardo e ormai sono diventati obsoleti. I controlli nei confronti delle aziende più inquinanti volti a verificare la qualità delle acque che gli scarichi
immettono direttamente nel fiume sono stati per molti anni quasi inesistenti.
Le sanzioni per chi provoca morie di pesci o gravi forme di inquinamento sono irrilevanti e questo
ha diffuso la consapevolezza che pagando una piccola sanzione pecuniaria si possa continuare ad
inquinare.
È necessario che vengano cambiate le strategie, che si comincino ad applicare in modo più deciso
le nuove leggi e le direttive europee riferite a piani di tutela delle acque.
Le Province di Milano, Lecco e Bergamo, il Parco Adda Nord, le amministrazioni locali e la Federazione della Pesca appoggiano sensibilmente il nostro Comitato per cui riteniamo indispensabile
che anche da parte di tutti i cittadini ci sia maggiore collaborazione verso questi Enti preposti alla
gestione del territorio.
Con questo nostro intervento vorremmo sviluppare negli studenti quella sensibilità ambientale e
quella coscienza civile che permetterà loro un giorno di garantire un futuro sempre più lungo e
roseo a questo territorio estremamente interessante dal punto di vista ambientale, ma anche fortemente antropizzato.
Barzaghi Maurizio
Presidente Comitato Centro Adda
In collaborazione con:
Biolcati Maurizio Presidente LBFI
Spini Andrea Carp Fishing Italia
3
INDICE
1.
1.1
1.2
1.3
1.4
1.5
1.6
LʼADDA: CONOSCERLA PER APPREZZARLA
Origine del nome
Il suo percorso dalla sorgente alla foce e dati generali
Origine e originalità del territorio
Caratteristiche morfologiche
Dati idrologici
Un poʼ di storia
pag.
pag
pag.
pag
pag
pag
pag
8
8
8
10
11
12
13
2.
2.1
2.2
2.3
2.4
LʼAMBIENTE ACQUATICO
Gli ambienti acquatici e vocazioni ittiche
Cenni di ecologia fluviale
Parametri ambientali caratteristici di un corso dʼacqua ed influenzanti le comunità ittiche
Analisi qualitativa delle acque
pag.
pag.
pag.
pag.
pag.
17
17
19
20
22
3.
3.1
3.2
3.3
3.4
LʼUTILIZZO DELLE ACQUE
I parchi, gli enti e le associazioni per la gestione
La produzione di energia da fonte idrica nel Parco Adda Nord
Derivazione delle acque per scopo irriguo
Turismo e fruizione nel Parco Adda Nord
pag.
pag.
pag.
pag.
pag.
25
25
25
27
29
4. LE SPECIE ITTICHE
4.1 Specie ittiche autoctone e naturalizzate
4.2 Specie ittiche alloctone
4.3 Elenco delle principali specie ittiche
pag.
pag.
pag.
pag.
30
31
33
33
5. LA PESCA NEL PASSATO E LA SUA EVOLUZIONE FINO AI GIORNI NOSTRI
pag. 96
6. SVILUPPO TECNOLOGICO DEI MATERIALI E NUOVE TECNICHE DI PESCA
pag. 101
7.
7.1
7.2
7.3
pag.
pag.
pag.
pag.
I PROBLEMI DEL FIUME
Cause di alterazione delle comunità ittiche: alcuni esempi
Gli uccelli ittiofagi
Il siluro e le specie ittiche alloctone
103
103
111
119
8. CONCLUSIONI E RINGRAZIAMENTI
pag. 121
9. GLOSSARIO
pag. 122
10. BIBLIOGRAFIA
pag. 124
5
IL PARCO ADDA NORD
Il Parco Adda Nord è un parco fluviale e
di cintura metropolitana esteso per circa
7.000Ha sul suolo di 34 comuni rivieraschi
disposti lungo il tratto di Adda che attraversa
lʼalta pianura, a valle del lago di Como.
Negli anni ʼ70 le rapide trasformazioni territoriali, lʼinquinamento ambientale e le future
previsioni di sviluppo urbanistico minacciavano la sopravvivenza delle aree verdi della
pianura lombarda, e sempre più sentita era la
necessità di tutelare le zone di elevata qualità
ambientale e paesistico-culturale della valle
dellʼAdda.
Con questi propositi nel 1983 è stato costituito il Parco Adda Nord a cui spetta lʼimportante ruolo di tutela e mantenimento del
territorio e degli elementi naturali attraverso
la mediazione fra le esigenze di promozione
e sviluppo delle attività economiche locali e
la salvaguardia dellʼecosistema.
La sede del Parco è ubicata presso Villa
Gina a Trezzo SullʼAdda.
Mappa dei 34 comuni che costituiscono il Parco Adda Nord
6
PRESENTAZIONE DEL COMITATO CENTRO ADDA
E ATTIVITÀ SVOLTE
Il Comitato Centro Adda è unʼassociazione costituita principalmente per tutelare la fauna
ittica e salvaguardare lʼecosistema fluviale. Questa società è nata grazie allʼiniziativa di alcuni
pescatori stanchi di assistere al costante degrado dei nostri fiumi che sta portando inevitabilmente ad una forte riduzione della fauna ittica. Eʼ stato quindi deciso di formare un Comitato
indirizzato a vigilare sul fiume, a collaborare con gli organi competenti e a segnalare loro
tempestivamente le problematiche più significative che stanno provocando questa situazione
di sofferenza dei nostri ecosistemi. Per ora il Comitato Centro Adda si propone di operare nel
bacino fluviale del tratto di Adda compreso tra Lecco e Truccazzano, che corrisponde allʼarea
territoriale del Parco Adda Nord. Queste sono le principali attività svolte:
1) Segnalare eventuali inquinamenti e situazioni di degrado ambientale (morie di pesci,
scarichi abusivi, scarichi di materiale, ecc.)
2) Segnalare episodi di bracconaggio o palese inosservanza dei regolamenti riferiti alla
pesca sportiva
3) Verificare la corretta applicazione delle leggi regionali e provinciali nel rispetto del Piano
di Tutela delle Acque e delle direttive comunitarie
4) Verificare il corretto funzionamento delle scale di risalta pesci che sono di proprietà degli
enti che gestiscono le grandi derivazioni e far pressione sugli organi competenti ove queste
strutture non siano previste
5) Segnalare e collaborare con gli enti preposti per la risoluzione dei problemi relativi ai
danni provocati dagli uccelli ittiofagi (soprattutto cormorani) e le specie ittiche non autoctone
(piani di contenimento)
6) Mantenersi aggiornati sullo stato di qualità e biodiversità del fiume e dei suoi affluenti nonché dei parametri che periodicamente vengono estrapolati e riguardano i descrittori
chimico-fisici e idromorfologici riguardanti la qualità delle acque
7) Collaborare con la F.I.P.S.A.S. e le Province alle semine del materiale ittico
8) Realizzare e gestire iniziative atte a favorire lo sviluppo e la salvaguardia del novellame
(ghiaieti, legnaie, alimentazione artificiale nelle aree di svernamento, ecc.)
9) Promuovere e partecipare ad iniziative per la pulizia delle sponde ed il contenimento della
vegetazione invasiva
10) Svolgere attività didattica e ambientale (soprattutto nelle scuole) per illustrare le caratteristi che del nostro fiume, le specie ittiche presenti e i problemi connessi al degrado delle
nostre acque illustrando i motivi principali riguardanti la scomparsa delle specie autoctone
11) Partecipare e organizzare convegni e riunioni specifiche legate alle nostre tematiche
12) Proporre a Province e F.I.P.S.A.S. eventuali modifiche da apportare a regolamenti riferiti
alla gestione della pesca sportiva (misure, divieti, aree di protezione, ecc.)
7
1. LʼADDA: CONOSCERLA PER APPREZZARLA
1.1 Origine del nome
Il nome “Adda” deriva dal termine “Abdua” che è di origine celtica e significa acqua corrente.
Sin dalla preistoria la presenza di un corso dʼacqua in un territorio potenzialmente colonizzabile era il primo presupposto affinché lʼinsediamento di una popolazione potesse condurre
ad una civiltà prospera.
Il termine “Adda” può essere interpretato in entrambi i generi come se fosse sostantivo
maschile o femminile. Un fatto curioso è che presso le popolazioni rivierasche che hanno
instaurato un rapporto di lavoro o affettivo e quasi “umano” col fiume, dominati da una sensazione di possesso, si verifica la tendenza a personificare il fiume Adda donandogli unʼidentità femminile.
1.2 Il suo percorso dalla sorgente alla foce e dati generali
Con i suoi 313 Km, lʼAdda occupa il quarto posto nella classifica per lunghezza dei fiumi
italiani: la precedono solamente il Po (652 Km) di cui è il maggiore affluente per lunghezza
ed il secondo per portata media alla foce (quasi 190 m3/sec), lʼAdige (410 Km) ed il Tevere
(405 Km). Il corso principale dellʼAdda ricade interamente in Lombardia, mentre parte del
bacino imbrifero (il sesto in Italia con unʼestensione di 7.979 Km2), è situato in territorio
elvetico.
I vari rami sorgentizi dellʼAdda nascono sulle Alpi Retiche dal giogo dello Stelvio e dal
Gruppo dellʼOrtles, più precisamente a 2.237m s.l.m. sul versante meridionale del Monte del
Ferro, nella Val Alpisella (Parco Nazionale dello Stelvio), una piccola valle alpina comunicante con la valle di Fraele dove si trovano i laghi artificiali di Cancano e San Giacomo.
Dalla valle di Livigno lʼAdda inizia ad assumere lʼaspetto di un torrente e quindi entra nella
conca di Bormio dove riceve il tributo del Braulio, del Bormina e del Frodolfo.
Di qui il fiume percorre tutta la Valtellina per 125 Km - facendo da confine tra Alpi Retiche
ed Orobie - arricchito dagli apporti del Roasco, del Poschiavino, del Mallero, del Masino e si
immette nel lago di Como presso Colico, più precisamente a Gera Lario in località Fuentes.
Lʼalto corso dellʼAdda ha carattere torrentizio con forte azione erosiva; la massa di detriti che
il fiume convoglia ha colmato lʼantico delta lacustre, formando il Pian di Spagna e isolando
così il lago di Novate Mezzola.
Il fiume esce dal Lario (il terzo lago più grande dʼItalia con una superficie di 145 Km2)
in fondo al ramo di Lecco presso lʼomonima città, riprende il suo corso solamente per
poche centinaia di metri dove è attraversata dai 3 ponti cittadini e si allarga per riprendere
le caratteristiche di lago formando i due bacini contigui di Garlate (4,47 Km2) e di Olginate
(0,77 Km2).
Lasciato questʼultimo specchio dʼacqua, scorre incassata fra due alte sponde di terreni prima
morenici fino al suo sbocco in pianura presso Trezzo sullʼAdda e poi alluvionali fino alla foce.
8
Ricevuto da sinistra il Brembo a Canonica DʼAdda si getta nella pianura padana, attraversa la
città di Lodi, serpeggia lenta e con ampi meandri ricevendo il Serio presso Gombito sinché
sfocia nel Po in località Castelnuovo Bocca dʼAdda, circa 10 Km a Ovest di Cremona.
LʼAdda è navigabile da Olginate fino a Robbiate e da Formigara alla foce; dallʼasta fluviale
prendono origine diversi canali di varie dimensioni tra cui spiccano per importanza:
• il Naviglio della Martesana: voluto da Filippo Maria Visconti nel 1443 e completato nel
1457, nasce in località Concesa a Trezzo SullʼAdda e porta le acque dellʼAdda sino a
Milano (al fine di congiungersi col Ticino, rendeva possibile la navigazione ponendo in
comunicazione il lago di Como con il lago Maggiore; durante il suo tragitto verso il capoluogo lombardo alimentava 16 ruote di mulini ed irrigava buona parte del territorio);
• il canale della Muzza: le sue acque, tratte dal fiume a Cassano dʼAdda, irrigano parte della
pianura milanese e tutto il Lodigiano per poi tornare nello stesso fiume sopra Castiglione
dʼAdda; la sua costruzione risale al 1220;
• il canale Vacchelli che ha inizio allo sbarramento di Bocchi a Comazzo (LO) serve per
irrigare la pianura cremasca e parte di quella cremonese.
LʼAdda in uscita dal lago di Lecco
LʼAdda che attraversa Lecco
Nascita del Naviglio Martesana in loc. Concesa a Trezzo
Conca madre a Paderno
9
Ruota del Mulino di Groppello sul canale Martesana
Chiusa su canale ENEL (Trezzo SullʼAdda)
1.3 Origine e originalità del territorio
La grande varietà di paesaggi e di ambienti naturali incontrati dallʼAdda durante il suo corso
(tra la montagna, il lago e la pianura) è dovuta allʼazione modellante dei ghiacciai nella parte
più Settentrionale e a quella del fiume stesso nella parte Meridionale.
Durante lʼultima glaciazione i ghiacciai, oggi limitati a pochi lembi residui in alta montagna,
avevano unʼestensione ben maggiore, arrivando quasi alle porte di Milano (il limite è stato
individuato a livello della collina di Montevecchia).
Le grosse “lingue” glaciali che scendendo dalle Alpi invadevano la pianura, lasciarono come
traccia del loro passaggio formidabili anfiteatri morenici, valli che si sarebbero trasformate
nei grandi laghi prealpini ed enormi ammassi di detriti: le colline chiamate “morene”.
Ritiratosi definitivamente il ghiacciaio, il fiume si è lentamente scavato il proprio letto
trasportando con sé enormi quantità di detriti. I territori attraversati sono perciò costituiti sia
da depositi fluvio-glaciali più antichi (argille rosso-giallastre, i cosiddetti “ferretti”) e localmente, soprattutto tra Paderno e Trezzo, da banchi conglomeratici caratteristici: si tratta del
“ceppo dellʼAdda” una roccia di origine glaciale molto resistente utilizzata nel secolo scorso
come pregiato materiale da costruzione (ne è un esempio illustre il basamento del duomo di
Milano). Depositi invece di epoca più recente di origine sabbiosa e ghiaiosa risultano presenti
soprattutto tra Cassano e Truccazzano.
Un altro residuo dellʼera glaciale è il lago di Sartirana un bacino dalla superficie di 11.
Ha di origine morenica dichiarato Riserva Naturale della Regione Lombardia molto ricco dal
punto di vista della biodiversità a livello di avifauna.
Altre tre zone umide di grande importanza per la fauna volatile sono state dichiarate S.I.C.
(Sito di Interesse Comunitario): il lago di Olginate, la cosiddetta “Palude di Brivio”, una
grande zona acquitrinosa formata dallʼisola della Torre e dallʼisolone del Serraglio e la riserva
naturale “le Foppe”oasi WWF a Trezzo sullʼAdda.
10
I “tre corni” a Paderno DʼAdda
La palude di Brivio (area S.I.C.)
1.4 Caratteristiche morfologiche
Analizzando il corso del fiume Adda salta allʼocchio come sia possibile suddividere il fiume,
dal punto di vista geografico, in due segmenti
principali:
• ADDA PRE-LACUALE (immagine a lato):
dalle sorgenti e per tutta la Valtellina, fino allʼingresso nel lago di Como (unico immissario).
• ADDA SUB-LACUALE (immagine sotto):
dallʼuscita del lago di Como (unico emissario)
attraversa la pianura padana fino alla foce.
Ad eccezione della Valtellina, in cui il fiume scorre obbligatoriamente con direzione
Est-Ovest, perché incassato tra il gruppo della Alpi Retiche
e quello delle Orobie, per il resto del suo tragitto lʼAdda si
muove da Nord verso Sud tagliando longitudinalmente la
Lombardia ed attraversando la Pianura Padana dividendola
idealmente in alta e la bassa pianura.
Lʼalta pianura si sviluppa a ridosso delle colline ed è
formata da detriti più pesanti come ciottoli e ghiaia tanto che
lʼacqua piovana, invece di rimanere in superficie, penetra nel
sottosuolo attraverso gli spazi esistenti fra i detriti e scende
in profondità fino a quando trova uno strato impermeabile
che blocca (in parte) il suo percorso, dando origine a grandi
depositi dʼacqua: le falde acquifere.
Lʼacqua presente nelle falde scorre verso il mare come un fiume
sotterraneo, ma molto lentamente. Lo strato impermeabile
costituito da quei detriti più fini e leggeri trasportati a maggior distanza dal fiume, come
11
argilla e sabbia, è tipico di alcuni strati della bassa pianura. Nel punto di incontro tra alta e
bassa pianura si crea la fascia delle risorgive, cioè quella zona di territorio in cui una parte
dellʼacqua sotterranea riemerge e continua il suo ciclo in superficie. Le acque di risorgiva
hanno caratteristiche particolari: una temperatura di 9-12°C per tutti i mesi dellʼanno ed una
portata costante durante le stagioni di circa 65 m3 al secondo; sono acque limpide e potabili
e spesso ricche di sostanze minerali.
I caratteri della vegetazione presente in queste zone, sono i più vari: dai prati asciutti, ai prati
umidi (le marcite) ad una vegetazione di tipo palustre, alle piante sommerse o natanti.
Il regime idrologico dellʼAdda è di tipo nivo-glaciale, caratterizzato cioè da un periodo di
magra invernale tra dicembre e marzo e da un incremento di portate in primavera in coincidenza con lo scioglimento delle nevi e lʼaumento delle precipitazioni (la cosiddetta “acqua
di neve”). Le portate massime vengono raggiunte generalmente durante lʼestate (giugno luglio), quando le temperature più elevate provocano il parziale scioglimento dei ghiacciai e
quando le probabilità di forti temporali che ingrossano il fiume sono maggiori.
Le portate dellʼAdda risultano regolate artificialmente lungo tutto il suo corso e la presenza
di grandi invasi, a partire da poco dopo le sorgenti (dighe di Cancano e S. Giacomo), ne
modificano sostanzialmente il regime idrologico. In relazione ai cicli di funzionamento degli
impianti idroelettrici, le acque invasate sono turbinate e restituite al fiume con un andamento
fortemente discontinuo, con variazioni consistenti fra il giorno e la notte, così come tra giorni
feriali e fine settimana. Subito a valle delle prese i volumi dʼacqua sono invece ridotti al solo
deflusso minimo vitale (per ora il 5% della portata media-annua).
1.5 Dati idrologici
• Sorgente: falde del Pizzo del Ferro, circa a
quota 2.237 m;
• Confluenza: nel fiume Po, poco a monte di
Cremona, circa a quota 35 m s.l.m.;
• Provincie attraversate: Sondrio, Como, Lecco,
Milano, Bergamo, Lodi e Cremona;
• Sbarramento di Olginate allʼuscita dal lago
di Garlate
Sbarramento di Olginate allʼuscita dal lago di Garlate
• Bacino tributario: 7.959 Km2;
• Bacino imbrifero alla diga di Olginate: 4.552 Km2;
• Portata media in ingresso nel Lario (loc. Fuentes, Gera Lario): 87 m3/s, con valori massimi di
177 m3 in giugno e minimi di 40 m3 in gennaio;
• Portata media allʼuscita dal Lario (loc. Lavello, Olginate): 168 m3/s, con valori massimi di
282 m3 in giugno e minimi di 88 m3 in marzo;
• Portata massima giornaliera media di afflusso al lago (18-7-1987): 1836 m3/s
• Portata massima giornaliera media di deflusso dal lago (20-7-1987): 918 m3/s
• Portata minima giornaliera media di deflusso dal lago (4-4-1953): 18 m3/s
12
1.6 Un poʼ di storia
Da sempre lʼAdda ha avuto unʼimportante funzione strategica. Soprattutto il suo medio corso,
tra Lecco e Cassano, ha rappresentato una vera e propria frontiera: via per chi calava da Nord
come conquistatore, ostacolo per gli eserciti che si rincorrevano nella pianura padana.
Non è un caso che dal 223 a.C. (data della battaglia tra Romani ed Insubri), gli scontri armati
si siano svolti quasi sempre nelle vicinanze dei guadi di Cassano, Trezzo, Vaprio, Canonica
e Cornate. Questi territori suscitarono interesse anche durante le invasioni barbariche: nella
zona di Trezzo fino a Fara Gera dʼAdda vi si insediarono i Longobardi della regina Teodolinda:
il re Autari costruì un palazzo ed una basilica di culto ariano e chiamò Fara Autarena.
Immediatamente dopo il periodo medievale, con lʼItalia delle Signorie, lʼAdda diventò un
confine di stato tra i più rigidi e stabili: quello tra il Ducato di Milano e la Repubblica della
Serenissima che durò ben 400 anni.
Sulle sponde del fiume si avvicendarono i domini dei Visconti, degli Sforza e dei francesi.
A questi ultimi si sostituirono gli spagnoli durante la Guerra dei Trentʼanni, con i Lanzichenecchi che da Nord discendevano lungo il corso del fiume portando epidemie, distruzione e
saccheggi. Agli spagnoli, pessimi amministratori, seguirono gli austriaci (interrotti solo dalla
parentesi napoleonica a fine ʻ700) che portarono pace, sviluppo tecnologico ed economico.
Durante il Rinascimento, il Ducato di Milano fu uno degli stati più tecnologicamente avanzati.
Ciò era dovuto principalmente al complesso sistema di canali artificiali che fin dallʼepoca
romana irrigava la pianura milanese rendendola uno dei territori più fertili dʼEuropa.
Su questo fitto reticolo di navigli, canali e rogge si svilupparono lʼindustria ed i commerci.
Lʼacqua forniva energia per mulini, filande, filatoi, fucine; ma era anche via di comunicazione
e trasporto di merci e persone dalla Valtellina e dalla Svizzera verso Milano.
Come abbiamo appena visto, lʼAdda non ha rivestito nel tempo solamente unʼimportanza geografica, paesaggistica, ambientale o naturalistica, ma ha accompagnato il cammino
dellʼuomo sin dalle prime civiltà. Sono quindi molteplici le connessioni e numerosi i collegamenti con lʼarte, la letteratura, la storia e la vita degli uomini.
Da Lecco a Cassano dʼAdda si sono create negli anni molteplici situazioni e si sono scoperti
parecchi siti di interesse che pongono lʼAdda in primo piano in molti ambiti, ecco i più
rappresentativi:
- lʼimportanza dellʼAdda ne “I Promessi Sposi”: già allʼapertura del romanzo il Manzoni
dà una descrizione particolareggiata dei luoghi intorno a Lecco dove si svolgono le
vicende dei protagonisti. Inoltre nellʼ”addio ai monti” di Lucia che sta andando a vivere nel
mona-stero a Monza, si nota quanto i poveri abitanti conoscessero a fondo ogni particolare e
quanto fossero attaccati agli elementi naturali caratterizzanti il territorio che abitavano.
Infine, il fiume Adda diventa “un amico, un fratello, un salvatore” per Renzo in fuga dai guai
di Milano; varcare il fiume è sinonimo di salvezza e vita nuova.
- il museo della seta di Garlate: dopo la rivoluzione industriale la Pianura Padana è diventata il fulcro territoriale per la bachicoltura. Il complesso serico di Garlate fu attivo fino agli
anni Cinquanta. Nel 1953 venne realizzato il Museo della Seta, che costituì il primo museo
di archeologia industriale in Italia e una preziosa testimonianza sulla lavorazione della seta
13
nel nostro territorio che fu, con la metallurgia del ferro, la principale risorsa economica della
provincia di Lecco fino agli anni Trenta del Novecento.
- Leonardo Da Vinci, il Rinascimento e lʼAdda: soggiornò a Milano per due lunghi periodi, dal 1482 al 1500 e ancora dal 1506 al 1512.
Durante questi periodi lungo le rive dellʼAdda,
Leonardo condusse studi ed esperimenti per il suo
trattato “Delle Acque”.
Dipinse i paesaggi del medio corso: il fiume tra
Monastirolo e Trezzo, la Martesana e il promontorio di Concesa, tra Vaprio e Canonica, progettò il
traghetto (foto) identico a quello tuttʼoggi funzionante ad Imbersago.
Il traghetto di Leonardo a Imbersago
Disegnò la pianta del castello di Trezzo.
Visitò la forra dellʼAdda, un canyon profondo 80 m che si
snoda tra i comuni di Paderno e Cornate in cui il fiume riprende le sue caratteristiche torrentizie diventando a tratti
turbolento, a tratti lento e profondo. Qui, gli scenari straordinariamente originali e le formazioni rocciose tipiche come
“i tre corni” hanno affascinato ed ispirato lʼartista tanto da
indurlo a studiarli, misurarli, disegnarli nei codici e ritrarli
sullo sfondo del dipinto “La Vergine delle Rocce”, “La Madonna e S. Anna” e, forse, anche in quello della Monna Lisa.
Ma Leonardo fece molto altro: concepì e progettò migliorie ed
aggiornamenti tecnologici per le chiuse idrauliche che ancora
oggi vengono chiamate “conche vinciane” e progettò il Naviglio di Paderno superando il dislivello tra Brivio e Trezzo al
fine di collegare il lago di Como con la città di Milano (Codice
Atlantico). Questi progetti di ingegneria fluviale vennero poi
realizzati nel Settecento.
La Vergine delle Rocce
- i castelli viscontei di Trezzo sullʼAdda e di Cassano:
il primo si staglia imponente sopra una doppia ansa che forma il fiume. Inizialmente era una roccaforte longobarda, mentre il castello vero e proprio venne
eretto nel 1300 per volere di Bernabò Visconti e
poi più volte conteso tra Federico Barbarossa, la
famiglia Torrazzi e quella Viscontea.
Il secondo domina lʼargine del canale Muzza, fu
costruito in data sconosciuta, ma già dalla fine
dellʼ800 accolse gli arcivescovi di Milano, gli
Sforza, gli spagnoli, i marchesi Castaldo, Bonelli
e i DʼAdda.
Castello visconteo a Trezzo SullʼAdda
14
- il ponte di Paderno: splendido esempio di archeologia industriale, è un manufatto in ferro
del 1887-89 progettato dallʼingegnere svizzero Jules Röthlisberger e destinato ad uso ferroviario e stradale che, grazie ad unʼarcata parabolica di 350 m, supera il fiume collegando la
sponda lecchese a quella bergamasca. Lungo
266 m, si eleva sopra il pelo libero dellʼacqua
di 85 m. La rilevanza del ponte San Michele dal
punto di vista storico è paragonabile a quella
della costruzione della Tour Eiffel, eretta esattamente negli stessi anni e con le stesse tecnologie. Entrambe le strutture allʼepoca della
costruzione divennero il simbolo del trionfo
industriale per i rispettivi paesi.
Ponte in ferro a Paderno dʼAdda
- Il villaggio operaio di Crespi dʼAdda:
dichiarato nel 1995 Patrimonio dellʼUmanità da parte dellʼUNESCO, è tra i più importanti esempi di villaggio operaio nel mondo e, per questo motivo, considerato un gioiello
dellʼarcheologia industriale. Sfiorato dal lento
scorrere dellʼAdda, proprio dove le acque del
fiume sono deviate verso Milano dal Naviglio
Martesana, Crespi dʼAdda è inserito in un contesto naturale di rara bellezza e suggestione.
I villaggi operai furono realizzati in Italia sullʼesempio di precedenti esperienze europee
a partire dal 1850. Erano agglomerati urbani
pensati per poter ospitare tutti i lavoratori di una
medesima fabbrica, dagli operai fino ai dirigenti; una classe imprenditoriale “illuminata”
Villaggio operaio a Crespi dʼAdda
vide in questa soluzione un modo per ovviare
alle deplorevoli condizioni in cui versavano le classi lavoratrici dellʼindustria, ancora in fase
iniziale di sviluppo, migliorando al contempo la produttività.
La famiglia Crespi mirava alla creazione di una comunità ideale nella quale si fondessero
armonicamente le necessità imprenditoriali e i bisogni della classe operaia.
- Le centrali idroelettriche: rappresentano un altro maestoso esempio di architettura fluviale;
accompagnano lʼAdda da Robbiate a Trezzo fondendosi armonicamente con lʼambiente.
Troviamo in successione le centrali Semenza, Bertini, Esterle e la Taccani. Questa parte di
territorio fino a Cassano dʼAdda fu quello che nellʼOttocento subì la prima industrializzazione
e, oltre agli esempi sopracitati, si può annoverare anche il Linificio-Canapificio Nazionale
di Fara Gera dʼAdda ed altri numerosi filatoi. Ciò che impressiona è quanto già allʼepoca
fosse radicata una sensibilità dal punto di vista ambientale e civile, infatti, per ogni impresa
(di qualsiasi tipo: linifici, filatoi, attività molitoria, ecc) che avesse a che fare con il fiume
era prevista la derivazione di un canale per la costituzione di un impianto destinato alla
15
Centrale Semenza e naviglio di Paderno dʼAdda
Villa Gina, sede del Parco Adda Nord
produzione di energia elettrica in modo da essere totalmente autosufficienti dal punto di vista
energetico e non pesare sulle disponibilità pubbliche.
- i palazzi e le ville “di delizia”: nei paesi che costeggiano il fiume lungo il suo cammino
numerosi sono gli esempi che testimoniano quanto questi ambienti fossero graditi e ricercati
dalle più importanti e prestigiose famiglie di quei tempi.
A testimonianza di tutto ciò ci rimangono oggi numerose
ville ed abitazioni di lusso costruite in epoche diverse e
secondo stili architettonici differenti, ma tutte accomunate da eleganza, location mozzafiato e giardini favolosi. Ecco alcuni esempi: villa Melzi dove soggiornoʼ
Leonardo e villa Castelbarco a Vaprio dʼAdda.
A Cassano dʼAdda troviamo Villa Borromeo, capolavoro del neoclassicismo lombardo. A Trezzo sullʼAdda
troviamo ancora villa Gina, oggi sede del Parco Adda
Villa Melzi, Vaprio dʼAdda
Nord, villa Gardenghi in stile tardo rinascimentale e poi
ancora villa Cavenago e Casa Bassi.
- lʼimpronta di Cluny: dopo il medioevo, la rinascita spirituale, culturale ed economica
fu guidata non da nuovi feudatari, ma dai monaci benedettini legati alla regola di Cluny, il
monastero francese da cui lʼordine cluniacense si diffuse in tutta Europa. I territori dellʼAdda
non fecero eccezione. Nel 1076 fu fondato il monastero di Pontida e divenne ben presto Priorato cluniacense. Ancora oggi molte chiese romaniche ci parlano del diffondersi di piccoli
monasteri benedettini lungo tutto il corso del fiume, come S. Benedetto in Portesana (Trezzo
sullʼAdda), S. Michele deʼ Verghi (Calusco dʼAdda), SS. Colombano e Gottardo (Arlate) ed
altri numerosi esempi sparsi nelle zone dellʼisola bergamasca (es. San Tomé ad Almenno
S. Bartolomeo). Altri luoghi che testimoniano la profonda spiritualità radicatasi in questi
territori sono il Santuario della Madonna del Bosco a Imbersago, il Santuario della Divina
Maternità a Concesa e il Santuario della Rocchetta.
16
2. LʼAMBIENTE ACQUATICO
2.1 Gli Ambienti acquatici e vocazioni ittiche
I criteri per la definizione della vocazione ittica vengono determinati in base alle caratteristiche
chimico-fisiche e biologiche, attuali e potenziali.
Per quanto riguarda gli ambienti lotici i criteri di valutazione maggiormente riconosciuti e
seguiti sono quelli che mettono in relazione la tipologia del popolamento ittico presente con le
caratteristiche morfometriche, geologiche e idrobiologiche dei corpi dʼacqua e vanno adeguatamente interpretati ed integrati in funzione della maggiore o minore incidenza dei fattori di
alterazione ambientale.
Sulla base di queste considerazioni si è giunti a suddividere i corsi dʼacqua in 5 categorie che,
generalmente ma non tassativamente in successione da monte a valle, sono riconducibili a:
1. “acque a salmonidi”
2. “acque a salmonidi e/o timallidi”
3. “acque a ciprinidi reofili”
4. “acque a ciprinidi limnofili”
5. “acque non vocazionali”
Le “acque a salmonidi” corrispondono ai tratti montani dei corsi dʼacqua caratterizzati da
notevole pendenza dellʼalveo, da elevata velocità di corrente, da basse temperature ed elevato
contenuto di ossigeno.
La comunità ittica è costituita prevalentemente da trote e solo in minima parte da specie
minori quali lo scazzone, la sanguinerola e il vairone.
Nella sequenza si possono
rinvenire le “acque a salmonidi
e/o timallidi”.
Pur mantenendo una buona
qualità ecologica complessiva
con una significativa velocità
di corrente, questi tratti fluviali
ospitano, oltre alle specie individuate nella zona precedente e ai
barbi, anche la trota marmorata e
La zona “del temolo”
il temolo (specie caratterizzanti).
Nelle “acque a ciprinidi reofili” possono essere ancora presenti trote e temoli, ma gradualmente le specie caratterizzanti e predominanti diventano il barbo, il vairone, il cavedano,
la savetta e la lasca, ovvero specie appartenenti alla famiglia dei Ciprinidi che prediligono
fondali ghiaiosi, pendenze e velocità di corrente moderate.
Le “acque a ciprinidi limnofili” si identificano normalmente nel tratto terminale del corso
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dʼacqua, dove pendenza e velocità di corrente sono ormai molto ridotte. Il popolamento ittico
manifesta una netta predominanza di Ciprinidi quali il triotto, la scardola, la tinca e la carpa
associati a rappresentanti di altre famiglie quali Percidi, Esocidi, Ictaluridi, Centrarchidi, ecc.
Unʼultima categoria di acque definite “non vocazionali” corrisponde a quei corsi dʼacqua che
non sono in grado di ospitare un popolamento ittico stabile a causa di diversi fattori di turbativa ambientale, quali le asciutte
stagionali e la grave alterazione
qualitativa delle acque.
Nella rappresentazione delle situazioni di incerta attribuzione (contemporanea o alternata presenza
di specie appartenenti a categorie differenti, progressivo e lento
mutamento delle vocazionalità)
si adotta la forma della “doppia
vocazionalità” o “interclasse”.
La zona “da barbo”
Per quanto riguarda gli ambienti lentici si adottano gli stessi criteri generali di valutazione
descritti per le acque correnti, integrando con unʼindicazione di carattere quantitativo.
Si possono così identificare alcune associazioni di specie che, unitamente ad un giudizio
quantitativo sullʼentità della predisposizione allo sviluppo delle diverse comunità ittiche,
permettano di individuare con sufficiente chiarezza il popolamento ittico presente e la vocazionalità di questi ambienti.
Le associazioni ravvisate sono riconducibili alle seguenti tre tipologie: “salmonidi”, “esocidicentrarchidi-percidi” e “ciprinidi”. Ogni categoria è rappresentata da unʼindicazione quantitativa che varia da “nulla”, a “scarsa”, a “discreta”, ad “abbondante”.
La prima tipologia è predominante nei bacini lacustri in cui la regione pelagica nettamente
prevalente in termini dimensionali, assicura temperature basse anche durante le stagioni più
calde e ospita un numero modesto di specie appartenenti per lo più alla famiglia dei Salmonidi.
Quando le componenti litorale e sublitorale acquistano una certa estensione, lʼampia varietà
dei regimi alimentari rende più eterogenea la composizione del popolamento ittico.
Esso comprende allora specie ittiche appartenenti per lo più allʼampia famiglia dei ciprinidi
e specie predatrici quali il luccio, il persico trota e il pesce persico.
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2.2 Cenni di morfologia fluviale
La morfologia di un tratto fluviale è schematizzabile in pochi e ben distinguibili mesohabitat:
• RASCHI: qui è favorito il processo di ossigenazione delle acque. Essi sono ricchi di forme
di vita, soprattutto macroinvertebrati che rappresentano la principale fonte alimentare per i
pesci. I fattori che influenzano la produzione di invertebrati sono essenzialmente la velocità di
corrente, i substrati e la profondità dellʼacqua.
• LAME: sono le zone di transizione tra pozze e raschi, rappresentano i punti ideali per la deposizione delle uova da parte dei pesci litofili in quanto assolvono in maniera ottimale lʼesigenza
di un elevato tenore di ossigeno per i processi metabolici.
In condizioni di naturalità i raschi si susseguono ad una distanza pari a circa 5-7 volte la
larghezza dellʼalveo bagnato.
• POZZE: solitamente associate ai raschi, permettono il deposito e lʼaccumulo degli elementi
energetici organici e costituiscono aree di rifugio per i pesci.
• MEANDRI: le anse dei meandri favoriscono la diversità idromorfologica e di conseguenza
la creazione di habitat diversi: essi rappresentano nei tratti medio bassi di un corso dʼacqua le
aree ideali per il rifugio della fauna ittica e, quando colonizzati da piante acquatiche, divengono
aree di deposizione delle uova per le specie fitofile e di svezzamento degli avannotti; lʼintero
meandro (compreso tra due curve con uguale concavità) occupa una lunghezza pari a 10-14
volte la larghezza.
• LANCHE E MORTE: costituiscono ambienti laterali ai fiumi, ad essi adiacenti, ma con
caratteristiche ambientali differenti.
Le lanche risultano ancora collegate al corso principale del fiume, le morte sono staccate e si
congiungono ad esso solo durante le piene.
Le dimensioni sono variabili, alcune risultano lunghe poche decine di metri, altre (ad esempio
la lanca di Cà del Conte, Soltarico e Cavenago dʼAdda nel lodigiano) possono raggiungere
alcuni chilometri di lunghezza.
La temperatura dellʼacqua subisce notevoli variazioni durante lʼanno, così come la profondità
è variabile da 2 a 6 -7 m nei punti più profondi; tuttavia tendenza naturale allʼinterramento che
coinvolge gli ambienti con acqua stagnante determina una graduale riduzione, nel tempo, dei
valori di profondità. Lʼacqua è ferma e il substrato è costituito da sabbia, fango e ghiaia.
In funzione della trasparenza dellʼacqua si verifica un proliferare di vegetazione acquatica più
o meno abbondante. La comunità ittica può essere variabile a seconda della qualità dellʼacqua
e di eventuali fenomeni di risorgenza.
19
2.3 Parametri ambientali caratteristici di un corso dʼacqua ed
influenzanti le comunità ittiche
Lo stato delle comunità ittiche è strettamente legato agli ambienti acquatici in cui esse vivono.
Risulta fondamentale prima di osservare la vita dei pesci, raccogliere informazioni circa
lʼambiente che li ospita.
TEMPERATURA DELLʼACQUA
È un parametro molto importante in quanto influenza la formazione delle comunità ittiche.
La temperatura dellʼacqua è determinata da fattori naturali e antropici quali altitudine, latitudine, clima locale, portata, interscambio con le falde, morfologia e natura geologica dellʼalveo, vegetazione riparia, presenza di scarichi termici e dighe (Damiani, 2005) ed interventi di
cementificazione delle sponde. Nelle acque di pianura lodigiane ad esempio, lʼinterscambio
tra acque superficiali e di falda è il fattore che consente, nel fiume Adda e nella fascia di
corsi a carattere sorgivo (i fontanili), il mantenimento di acque relativamente fresche anche
nei mesi estivi. La capacità termica dellʼacqua è in funzione del suo volume, cioè la quantità
dʼacqua che scorre in un corso dʼacqua nellʼunità di tempo (portata).
Se in un fiume o in un canale lʼacqua è poca, essa tenderà a scaldarsi o a raffreddarsi più
velocemente. La presenza di scarichi di tipo termico come, ad esempio, quelli veicolanti
acqua proveniente dal raffreddamento delle turbine delle centrali termoelettriche può determinare un innaturale innalzamento della temperatura dellʼacqua; anche gli scarichi fognari o
di acque superficiali come le tombinature hanno temperature più elevate rispetto a quelle dei
corpi idrici recettori. Analogamente la presenza di dighe può causare indirettamente una modifica (di solito un aumento) dei valori di temperatura di un corpo idrico.
In corsi dʼacqua di dimensioni medio piccole la presenza di vegetazione arborea e la conseguente ombreggiatura riducono il surriscaldamento dovuto ad insolazione.
I valori di temperatura influenzano lʼecologia e in particolar modo la biologia riproduttiva
delle specie ittiche (insieme ad altri fattori quali lʼintensità luminosa). Ambienti con acque
estive relativamente fresche possono ospitare specie ittiche sensibili quali i salmonidi.
Viceversa in corsi con acque calde albergano prevalentemente ciprinidi. Inoltre, la solubilità dellʼossigeno nellʼacqua è inversamente proporzionale allʼaumento della temperatura,
ad esempio, la trota non tollera temperature dellʼacqua superiori ai 18 gradi poiché a questa
temperatura la concentrazione di ossigeno scende al di sotto del 60% e non è sufficiente alla
sopravvivenza della trota.
VELOCITAʼ DELLA CORRENTE
Il tipo di flusso è, unitamente ad altri fattori, in grado di influenzare direttamente la vita dei
pesci. In corsi dʼacqua con tratti a flusso veloce e turbolento si osserverà la formazione di
comunità ittiche amanti della corrente (trota marmorata, temolo, barbo comune, vairone,
sanguinerola, ecc.). Viceversa, con acque lente predomineranno altre specie (carpa, carassio,
triotto, scardola, ecc.). La presenza di acqua corrente favorisce lʼossigenazione delle acque,
la loro depurazione e la pulizia dei ciottoli sul fondo risultando determinante al fine della
corretta deposizione delle uova da parte delle specie ittiche reofile.
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I danni maggiori vengono, però, causati dalle variazioni di velocità, quanto più sono repentine,
tanto più i danni sono maggiori.
Questa situazione è molto frequente in corpi idrici che subiscono derivazioni come il fiume
Adda.
TIPOLOGIA DEL SUBSTRATO
La composizione del fondo dei corsi dʼacqua è, congiuntamente alla velocità di corrente e
alla temperatura dellʼacqua, il parametro che più di tutti influenza la formazione delle comunità ittiche.
Su substrati ciottolosi e ghiaiosi depongono specie quali trota marmorata, temolo, barbo
comune, vairone, savetta, lasca, pigo, ecc. Viceversa la deposizione su sabbia e limo è rara
e le specie ittiche presenti in ambienti sabbiosi o limacciosi depongono generalmente sulla
vegetazione acquatica come luccio, carpa, tinca, triotto.
La presenza di una determinata composizione del fondo è di solito un fattore naturale, ma può
essere modificata da interventi antropici che alterano i processi di sedimentazione.
Per esempio, la presenza di uno sbarramento determina, nei tratti a monte, un accumulo
di sedimenti, per cui un tratto originariamente ciottoloso potrebbe diventare, a seguito della costruzione di tale opera, sabbioso o limaccioso. Tale alterazione comporterebbe anche
la modificazione della comunità ittica con vantaggio per le specie fitofile e svantaggio per
quelle litofile.
TORBIDITAʼ
La torbidità dellʼacqua può essere legata ad eventi naturali (piene, scioglimento delle nevi,
maggiore concentrazione di fitoplancton, ecc.) ma più spesso è da imputarsi a cause antropiche. Lʼacqua utilizzata per irrigare i campi che cola nuovamente nei corsi dʼacqua determina
un aumento del materiale in sospensione e, di conseguenza, della torbidità.
Analogamente lʼassenza di vegetazione lungo le rive favorisce, durante le piogge, lʼintorbidamento delle acque a seguito dellʼacqua sporca che percola dal terreno. Anche la presenza
di scarichi determina un aumento della torbidità. Nei corpi idrici con acqua ferma (lanche,
stagni) la torbidità dellʼacqua può essere imputabile ad un eccessivo sviluppo delle alghe.
Anche la tipologia del substrato influenza notevolmente la torbidità. Corsi dʼacqua ciottolosi
sono generalmente più trasparenti rispetto ad alvei con fondale limaccioso o sabbioso.
Lʼacqua torbida causa molti problemi ai pesci in quanto può determinare il soffocamento
delle uova deposte e danni a livello branchiale. Può anche alterare i processi di produzione
dellʼossigeno da parte delle piante acquatiche a causa della diminuzione dellʼintensità luminosa filtrante attraverso lʼacqua. Un ambiente con acqua torbida non potrà ospitare specie
sensibili alla qualità dellʼacqua; pertanto, in tali ambienti, è elevata la probabilità di rinvenire
quasi esclusivamente specie ittiche tolleranti.
ABBONDANZA DI RIFUGI
Si tratta di un parametro che può influenzare, a parità di altre condizioni, il numero dei
pesci presenti in un tratto. Un corso ricco di rifugi può ospitare un numero maggiore di pesci
rispetto ad uno che ne è privo.
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RUOLO DELLA VEGETAZIONE RIPARIA
La presenza di alberi lungo le sponde dei corsi dʼacqua è di fondamentale importanza al fine
di migliorare la qualità degli ecosistemi acquatici. Le piante sono in grado di “filtrare” lʼinquinamento da nutrienti (sali di fosforo e azoto) presenti nei terreni a causa degli apporti di
fertilizzanti alle colture agricole, anche se in questi casi la vegetazione di sponda non è utile
allo scopo. Determinano inoltre un aumento dellʼombreggiatura e di conseguenza impediscono
il surriscaldamento delle acque.
Le radici delle piante arboree, oltre ad aumentare la stabilità delle rive, costituiscono inoltre
importanti rifugi per la fauna ittica, soprattutto lungo le rogge ed i fossi allʼinterno dei quali,
per esigenze irrigue, la porzione centrale dellʼalveo è tenuta costantemente pulita e quindi
priva di ripari.
Non va poi dimenticato che la maggior parte dellʼalimento per i pesci è legato alla presenza
della vegetazione di sponda; si pensi agli insetti e soprattutto alle loro larve acquatiche.
La presenza di alberi ed arbusti lungo le rive, in sintesi, favorisce la presenza di comunità
ittiche stabili e diversificate.
TERRITORIO CIRCOSTANTE AL CORSO DʼACQUA
Il territorio circostante un corso dʼacqua ne influenza, direttamente o indirettamente, lo stato
qualitativo.
La presenza di aree boschive con scarsa urbanizzazione protegge naturalmente il corpo idrico
dagli apporti inquinanti; viceversa, se la matrice in cui il corso scorre è caratterizzata da un
paesaggio fortemente antropizzato, ricco di abitati, attività produttive e agricole, i rischi di
alterazione saranno notevolmente superiori ed occorrerà adottare specifiche misure di tutela
al fine di proteggere lo stesso dal degrado.
QUALITAʼ DELLʼACQUA
La qualità dellʼacqua ha, unitamente alle variabili sopra esposte, un ruolo fondamentale nella
formazione delle comunità ittiche. Le specie di pesci più sensibili allʼaumento della concentrazione di inquinanti, in genere ben rappresentate in corsi dʼacqua non depauperati, tendono
a scomparire lasciando spazio a quelle tolleranti che, se in grado di sopravvivere, possono
soppiantare le specie originarie e divenire infestanti.
2.4 Analisi qualitativa delle acque
Lʼanalisi delle acque è un metodo che, utilizzando diversi criteri di analisi (effettuate prima in
riva al fiume e poi in laboratorio), consente di disporre di diversi indici e parametri per poter
esprimere un giudizio di merito e, in funzione di questo, comprendere quale tipo di comunità
ittica può essere presente in un determinato corso dʼacqua oltre che dare indicazioni sullo
stato di salute di questo.
La direttiva europea stabilisce tre comparti qualitativi per la definizione dello stato ecologico
di un fiume.
Suddivisi in queste tre aree sono compresi tutti i criteri di giudizio che servono per fornire un
quadro completo della situazione sulla qualità delle acque superficiali:
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QUALITÀ IDROMORFOLOGICA
a) Regime idrologico
b) Continuità fluviale
c) Condizioni morfologiche (IFF)
2) QUALITÀ BIOLOGICA
a) Ittiofauna
b) Fitoplancton
c) Macrofite
d) Macroinvertebrati (IBE)
3) QUALITÀ FISICO - CHIMICA
a) Condizioni generali (LIM + parametri chimici)
b) Inquinanti sintetici (inorganici)
c) Inquinanti non sintetici (organici)
Indice di Funzionalità Fluviale (IFF): valuta lo stato complessivo dellʼambiente fluviale
e la sua funzionalità attraverso la descrizione di parametri morfologici strutturali e biotici
dellʼecosistema.
La scheda I.F.F. si compone di 14 domande che riguardano le principali caratteristiche
ecologiche di un corso dʼacqua: le condizioni vegetative delle rive e del territorio circostante
al corso dʼacqua, lʼampiezza relativa dellʼalveo bagnato, la struttura fisica e morfologica delle
rive, la struttura dellʼalveo e varie caratteristiche biologiche. Per ogni domanda è possibile
esprimere una sola delle quattro risposte predefinite.
Indice Biotico Esteso (IBE): consente di valutare la qualità biologica di un corso dʼacqua
mediante lo studio delle popolazioni di macroinvertebrati presenti nelle acque correnti.
Livello di Inquinamento da Macrodescrittori (LIM): fornisce una misura diretta del grado di
inquinamento di un corpo idrico.
Oggetto di indagine dellʼindice è il livello di inquinamento di natura chimica, chimico-fisica
e microbiologica dellʼacqua.
Il metodo prevede lʼesecuzione periodica di analisi volte a misurare: lʼOssigeno Disciolto
(OD), la Domanda Biologica di Ossigeno (BOD), la Domanda Chimica di Ossigeno (COD),
lʼazoto ammoniacale (NH4+), lʼazoto nitrico (NO3-), il fosforo totale e lʼEscherichia coli su
campioni dʼacqua. Il valore dellʼindice viene determinato sulla base dei dati derivanti dalle
analisi eseguite su campioni dʼacqua raccolti periodicamente dal corso dʼacqua oggetto di
indagine. La somma dei punteggi determina lo “Score” al quale è associata una “classe di
qualità”.
A questo indice si aggiungono le analisi dei classici parametri chimico – fisici relativi ai corpi
idrici ovvero: portata, temperatura, pH, conducibilità elettrica a 20°C, durezza, azoto totale,
ortofosfato, cloruri, solfati e solidi sospesi.
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Inquinanti chimici ed organici: si effettuano dei campionamenti e le relative analisi di laboratorio, ognuna atta ad individuare il singolo agente inquinante. Tra i primi si possono annoverare essenzialmente i metalli pesanti (Ni, Cd, Hg, Pb, Cr, Zn), mentre nei secondi si trovano
tutti quei composti di sintesi utilizzati in agricoltura (DDT, atrazine, aldrin, ecc.) o in ambito
industriale (tricloroetano, cloroformio, triclorobenzene, ecc.).
Questi indici concorrono a dare un giudizio globale espresso dallʼindice SECA:
Stato Ecologico dei Corsi dʼAcqua (SECA):
Giudizio sullo stato ecologico
Classe SECA
Ambiente non inquinato
1
Ambiente con moderati sintomi di inquinamento
2
Ambiente inquinato
3
Ambiente molto inquinato
4
Ambiente fortemente inquinato
5
Definisce, attraverso cinque classi di qualità, la complessità ecologica degli ecosistemi
acquatici e della natura fisica e chimica delle acque e dei sedimenti, delle caratteristiche del
flusso idrico e della struttura fisica del corpo idrico, considerando comunque prioritario lo
stato degli elementi biotici dellʼecosistema. Il SECA si ottiene incrociando due indici che
valutano la qualità chimica (indice LIM – livello di inquinamento dei macrodescrittori) e la
qualità biologica (indice IBE – indice biotico esteso) e scegliendo il peggior risultato tra i
due.
Lʼindice SEL (Stato Ecologico dei laghi) è analogo al SECA quando riferito ai bacini lacustri.
Per quanto riguarda il tratto di fiume Adda che ricade nei territori del Parco Adda Nord la
valutazione sintetica dellʼindice SECA riporta:
Situazione: buona per il fiume Adda e per il lago di Garlate, critica o molto critica per i suoi
affluenti
Qualità del dato: migliorabile (non esistono dati su alcuni affluenti: Sonna, Greghentino)
Evoluzione: parziale miglioramento
Commento: buono stato ecologico per il fiume Adda e critico per gli affluenti
24
3. LʼUTILIZZO DELLE ACQUE
3.1 I parchi, gli enti e le associazioni per la gestione
Il fiume Adda attraversa da Nord a Sud la Lombardia, una delle regioni da sempre più densamente abitate non solo in Italia, ma anche in Europa. Il continuo contatto tra lʼuomo e questo
fiume ha fatto sì che si instaurasse un rapporto dal quale le popolazioni rivierasche hanno
sempre tratto giovamento in diversi ambiti. Se fino a pochi decenni fa lʼAdda era soprattutto
fonte di sostentamento tramite la pesca ed altre attività strettamente connesse, ora rappresenta
anche un ambiente di svago e rigenerazione dallo stress quotidiano(dove praticare sport, passeggiare ed ammirare le bellezze naturali, architettoniche, storiche e artistiche) che ci consente
di migliorare la qualità della vita.
Il fiume viene utilizzato anche a livello produttivo per irrigare i campi coltivati e per produrre
energia idroelettrica.
Con lo scopo di regolamentare queste attività, salvaguardando lʼambiente e lo stato di salute
del fiume, sono sorti diversi Enti, Parchi e organismi formati da soggetti con caratteristiche
proprie e obiettivi differenti, ma tutti accomunati dal collettivo interesse di tutelare lʼAdda ed
il territorio circostante.
I dati che ora seguiranno sono relativi alla porzione di Adda facente parte del Parco Adda
Nord in quanto unʼanalisi globale relativa allʼintero corso del fiume sarebbe eccessiva e troppo
dispersiva rispetto agli obiettivi del corso didattico che ci siamo proposti di realizzare.
3.2 La produzione di energia da fonte idrica nel Parco Adda Nord
La gestione razionale delle risorse è uno
dei principi fondamentali dello sviluppo
sostenibile e, per questo, il tema dellʼenergia e della sostenibilità energetica
assume particolare rilevanza per lo sviluppo di un territorio e per le esigenze di
tutela dellʼecosistema.
La Lombardia è una delle aree più energivore dʼEuropa; la produzione ed il
consumo di energia generano numerose
pressioni ambientali che possono avere
La centrale Esterle in unʼantica raffigurazione
ricadute in termini di emissione di gas
serra e sostanze acidificanti.
Il fiume Adda è una risorsa idrica sulla quale storicamente si è sviluppata unʼimportante parte
dellʼeconomia lombarda che ha saputo sfruttare la presenza di salti dʼacqua per la produzione
di energia idroelettrica.
Sul fiume Adda sono infatti sorte le prime centrali idroelettriche della Lombardia che ancora
costituiscono le maggiori fonti di approvvigionamento energetico regionale.
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Nel territorio del Parco Adda Nord esistono attualmente diversi impianti per la produzione
energia da fonte idrica, alcuni dei quali attivi da molto tempo, altri più recenti; ecco un elenco
in successione da Nord verso Sud:
• Centrale Semenza di Robbiate, attiva dal 1920;
• Centrale Bertini di Cornate dʼAdda, attiva dal 1898, fu la prima centrale idroelettrica
costruita sul fiume Adda e per prima sperimentò il trasporto dellʼenergia elettrica a distanza,
nella fattispecie per consentire il funzionamento della rete tramviaria a Milano;
• Centrale Esterle sempre a Cornate dʼAdda, attiva dal 1914;
• Centrale Taccani a Trezzo sullʼAdda, attiva dal 1906;
Altre opere di dimensioni minori sono sorte presso opifici ed industrie tessili per sfruttare
le acque dellʼAdda al fine di produrre forza motrice ed energia elettrica destinata allʼattività
produttiva come ad esempio:
• lʼimpianto Leglertex di Crespi dʼAdda;
• lʼimpianto Italgen di Vaprio dʼAdda;
• la centrale del Linificio Canapificio nazionale di Fara Gera dʼAdda;
• la centrale Rusca di Cassano dʼAdda;
Alcuni di questi impianti, ridotta o cessata lʼattività produttiva, sono attualmente in disuso o
trasferiscono lʼenergia prodotta alla rete elettrica nazionale. Lʼinsieme delle centrali idroelettriche in funzione attualmente nel Parco fornisce una potenza installata totale pari a 93 MW
ed ha una producibilità media annua di 468 GWh, equivalenti ad un risparmio di energia da
fonti non rinnovabili di 117 ktep annui (chilotonnellate equivalenti di petrolio).
Potenza
Potenza Nom. Potenza media
Installata [kw] media annua [kW] annua [GWh]
Impianto
GESTORE
Centrale Semenza
Edison S.p.A.
3600
3569
18
Centrale Bertini
Edison S.p.A.
11320
9243
56
Centrale Esterle
Edison S.p.A.
30600
27395
175
13000
9176
62
Centrale Taccani Enel Prod. S.p.A.
Centrale Vaprio
Italgen S.p.A.
20000
14730
100
Centrale Fara
Adda Energi
1174
988
4
Centrale Rusca
Agri
10600
7158
60
Allʼinterno del Parco Adda Nord, lʼunica modalità di produzione dellʼenergia è da fonte
idroelettrica e non sono diffusi altri sistemi per la produzione di energia da fonti rinnovabili
a parte alcune iniziative e proposte di installazione di pannelli fotovoltaici.
26
Lʼenergia elettrica prodotta nel Parco Adda Nord viene utilizzata in parte dagli stessi produttori e per il 78% viene ceduta alla rete di trasmissione nazionale
3.3 Derivazione delle acque per scopo irriguo
Diversi paesi che ricadono allʼinterno del Parco Adda Nord, soprattutto nella zona Meridionale di questo come Cassano dʼAdda o Truccazzano e tutti quelli che accompagnano il resto
del corso dellʼAdda attraverso le province di Lodi e Cremona fino allo sbocco in Po, sono
caratterizzati da unʼintensa attività agricola come risorsa economica principale.
La zootecnia di altissimo livello che ci consente di primeggiare a livello mondiale con prodotti agroalimentari
di eccellenza (Prosciutto Crudo o il Grana Padano), non
può prescindere da unʼagricoltura intensiva ed altamente
meccanizzata le cui richieste di acqua per le colture
agrarie ammontano a molte centinaia di metri cubi al
secondo sottratti al fiume.
Per la coltivazione del mais, coltura che sta alla base
dellʼalimentazione di bovini e suini, i fabbisogni irrigui si manifestano a partire dalla tarda primavera fino
a metà/fine estate ed è proprio in questo periodo che la
derivazione di acqua dallʼasse fluviale diventa gravosa per lʼecosistema acquatico.
Per avere unʼidea della situazione si pensi che nellʼanno
2008, in Lombardia, sono stati coltivati a mais ben
260.000 Ha. Poiché ogni ettaro coltivato a mais necessita di circa 5.000 m3 di acqua, per irrigare la superficie
coltivata a mais della sola Regione Lombardia ci sono
voluti circa 1 miliardo di metri cubi dʼacqua!
Il fiume Adda è interessato da 15 opere di derivazione, di
cui 7 finalizzate alla produzione di energia idroelettrica,
7 utilizzate per scopi irrigui ed il Naviglio di Paderno
(foto a lato). Le derivazioni operate ai fini idroelettrici
costituiscono una parte rilevante del quantitativo totale
di acqua prelevata (circa il 75%) ma lʼaspetto fondamentale è che lʼacqua captata viene comunque restituita
al fiume più a valle, mentre per quanto riguarda le derivazioni irrigue, che rappresentano in media il 25% del
Conca Madre a Paderno DʼAdda
totale di acqua prelevata, il problema è maggiormente
accentuato poiché allontanano definitivamente lʼacqua dal fiume. I dati relativi alle portate
medie e massime derivate evidenziano le maggior disponibilità di prelievo concessa alle due
tipologie di utenze in condizioni di maggior disponibilità idrica del fiume.
Nei mesi estivi, il complesso delle utenze irrigue assorbe 230 m3/sec, alimentando un
comprensorio irriguo di 131.400 Ha.
27
Le due tipologie di derivazione possono creare situazioni di deficit idrico diverse: situazioni
locali di carenza, anche rilevanti, nel tratto compreso tra lʼopera di captazione e quella di
restituzione degli impianti idroelettrici, oppure situazioni di deficit idrico stagionale e lungo
diversi tratti del fiume per quanto riguarda le derivazioni irrigue.
NOME
DERIVAZIONE
Tipologia
Portata media annua
Portata mass. di
di captazione di concessione [m3/sec] concessione [m3/sec]
40,0
70,0
CENTRALE BERTINI (Edison) Idroelettrica
32,5
51,0
CENTRALE ESTERLE (Edison) Idroelettrica
72,0
80,0
CENTRALE TACCANI (Enel) Idroelettrica
132,0
180,0
ITALGEN VAPRIO DʼADDA Idroelettrica
87,7
130,0
CENTRALE RUSCA (Agri)
Idroelettrica
95,0
140,0
CENTRALE FARA (Energi)
Idroelettrica
38,0
65,0
CANALE BERGAMASCO
Irrigua
6 (solo estate)
10
NAVIGLIO MARTESANA
Irrigua
15
32,0
ROGGIA VAILATA
Irrigua
3
9,5
CANALE RETORTO
Irrigua
9
21,0
ROGGIA RIVOLTANA
Irrigua
4
7,0
CANALE MUZZA
Irrigua
62
112,0
CANALE VACCHELLI
Irrigua
18
38,5
[mc/sec]
CENTRALE SEMENZA (Edison) Idroelettrica
28
3.4 Turismo e fruizione nel Parco Adda Nord
La valle dellʼAdda presenta una spiccata vocazione turistica. Essa è infatti meta di molti
visitatori durante il corso dellʼanno che scelgono il Parco per dedicarsi ad attività sportive,
ad interessi naturalistici, allo svago - tra cui ovviamente ricordiamo la pesca sportiva - e alla
scoperta dei beni culturali. Molti scelgono di usufruire di un servizio di accompagnamento
con visite guidate che viene messo a disposizione dal Parco assieme ad associazioni culturali
del territorio. La fruizione dellʼarea protetta è rivolta anche alle scolaresche che frequentano il
Parco alla scoperta del territorio e dellʼambiente che molto spesso dista pochi chilometri dalle
loro case, ma che risulta a loro poco o parzialmente conosciuto.
Lʼindice di fruizione dellʼambiente fluviale che considera lʼutilizzo attuale, gli aspetti paesaggistici e la presenza di patrimonio disponibile, rivela come la maggior intensità dʼuso turistico
avvenga nei tratti compresi tra Imbersago e Trezzo (Area Leonardesca) e tra Trezzo e Crespi
DʼAdda (villaggio operaio), mentre è minore a Sud di Fara Gera DʼAdda.
Tra le attività sportive, oltre alla pesca, si annoverano quelle a stretto contatto dellʼacqua
come la canoa ed il kayak (esempio di attività agonistica presso la Canottieri Tritium a Trezzo
sullʼAdda) e quelle praticate nellʼintorno fluviale come il running, la mountain bike lungo i
sentieri e nei boschi che costeggiano le rive.
Unʼulteriore possibilità per trascorrere delle ore a stretto contatto con lʼambiente acquatico
è stata messa in atto dal Parco Adda Nord ed è rappresentata dallʼimbarcazione “Addarella”,
un natante spinto da motore elettrico che consente di navigare lungo lʼasse fluviale, per ora
da Brivio a Imbersago, permettendo di osservare bellissimi scorci di paesaggi e navigando
direttamente sulle acque dellʼAdda in modo completamente eco-compatibile.
Addarella, imbarcazione turistica eco-compatibile
Canottieri sullʼAdda a Trezzo
29
4. LE SPECIE ITTICHE
Salmerino alpino (Salvelinus alpinus)
Cheppia (Alosa fallax)
Seguirà ora un piccolo prontuario alieutico riguardante le più importanti specie ittiche
autoctone ed alloctone che popolano il tratto di fiume Adda compreso nellʼarea del Parco
Adda Nord. Le specie che troviamo in tabella (non tutte sono poi descritte in modo dettagliato)
ben rappresentano la comunità ittica globale dellʼintero fiume Adda, con alcune eccezioni
date da quei pesci che vivono solamente ad alta quota nei torrenti e laghi montani (salmerino),
oppure da quelle specie tipiche degli ecosistemi lacuali (agone, coregone, trota di lago) difficilmente censiti in acqua corrente.
Dalla foce dellʼAdda (Castelnuovo Bocca dʼAdda) risalendo dal Po, folte colonie di
pesce alloctono (Abramide, Aspio ecc.) stanno colonizzando sempre di più il tratto terminale
e medio del fiume sino a Lodi.
Le specie anadrome autoctone sono in continua diminuzione (Cheppia).
Nella descrizione delle specie viene fatto riferimento al loro “status attuale” attribuendo alla
predazione del cormorano e allʼinvadenza del siluro i principali motivi della “sofferenza” del
patrimonio ittico.
Abramide (Abramis brama)
30
Aspio (Aspius aspius)
È utile precisare che non solo queste sono le due uniche cause di deperimento dellʼittiofauna,
ma anche altri fattori hanno contribuito a creare questa situazione di degrado del nostro
fiume. La qualità delle acque, la deframmentazione, gli scarichi, la carenza di plancton ed il
forte grado di inquinamento degli affluenti che conferiscono le loro acque allʼAdda sono fattori importanti che, unitamente a siluro e cormorano, stanno determinando lʼimpoverimento
delle specie più sensibili a questi problemi.
Questo nostro vademecum ittico non vuole in alcun modo contrapporsi agli studi svolti dai
biologi con i quali il Comitato collabora attivamente, ma semplicemente dimostrare che
anche un gruppo di persone appassionate alla pesca dilettantistica può contribuire alla salvaguardia del fiume che più identifica la nostra regione, unʼarteria preziosa di linfa vitale che in
un certo senso unisce tutti noi… lʼAdda.
4.1 Specie ittiche autoctone e naturalizzate
Con il termine autoctone si intendono le specie che abitano da sempre le acque dellʼAdda e
si sono evolute pari passo insieme al resto dellʼecosistema acquatico. In questo raggruppamento
vi sono anche quelle specie introdotte in epoche passate e che storicamente ne fanno parte
tanto da essersi ormai integrate nellʼambiente fluviale. Esse vengono definite “specie naturalizzate” (es. la carpa che ha origine est europea e asiatica e fu introdotta in Italia dai romani).
Queste specie non rappresentano alcun pericolo di alterazione degli equilibri trofici.
Scendendo ancor più nello specifico ed andando oltre alla specie come categoria sistematica, si trovano i vari ceppi, ecotipi, razze, ecc. ovvero quelle particolari specie che si sono
talmente perfezionate e adattate a vivere in un determinato habitat che ormai risultano caratteristiche di quellʼambiente e possono presentare ulteriori caratteri di classificazione tali da
distinguerle anche allʼinterno della specie (es. luccio ecotipo Est europeo e italiano o marmorata trentina, slovena e dellʼAdda).
Diverse tra le specie autoctone elencate si trovano in serio pericolo di estinzione (es. lasca)
tanto che per alcune di queste sono in atto programmi di tutela finalizzati alla salvaguardia
e al ripopolamento: è il caso dei progetti “salviamo lo storione” e “marmoadda” ai quali il
Comitato Centro Adda collabora attivamente.
31
FAMIGLIA NOME COMUNE
Acipenseridi
Salmonidi
Timallidi
Clupeidi
Percidi
Centrarchidi
Esocidi
Ciprinidi
Anguillidi
Ictaluridi
Gadidi
Blennidi
Cottidi
Gobidi
Cobitidi
Storione cobice
Storione comune
Storione ladano
Trota marmorata
Trota fario
Trota lacustre
Temolo
Agone
Cheppia
Pesce persico
Persico sole*
Persico trota*
Luccio
Alborella
Barbo comune
Barbo canino
Carpa*
Cavedano
Gobione
Lasca
Pigo
Sanguinerola
Savetta
Scardola
Tinca
Triotto
Vairone
Anguilla
Pesce gatto*
Bottatrice
Cagnetta
Scazzone
Ghiozzo padano
Cobite
* = Specie naturalizzate
32
NOME SCIENTIFICO
Acipenser naccarii
Acipenser sturio
Huso huso
Salmo trutta marmoratus
Salmo trutta
Salmo trutta lacustris
Thymallus thymallus
Alosa fallax lacustris
Alosa fallax
Perca fluviatilis
Lepomis gibbosus
Micropterus salmoides
Esox lucius
Alburnus alburnus
Barbus barbus plebejus
Barbus meridionalis
Cyprinus carpio
Leuciscus cephalus
Gobio gobio
Chondrostoma genei
Rutilus pigus
Phoxinus phoxinus
Chondrostoma soetta
Scardinius erythrophtalmus
Tinca tinca
Rutilus erythrophtalmus
Leuciscus souffia muticellus
Anguilla anguilla
Ictalurus melas
Lota lota
Blennius fluviatilis
Cottus gobio
Padagobius martensi
Cobitis taenia
STATO DELLA SPECIE
Scadente
Estinta
Estinta
Pessimo
Sufficiente
Pessimo
Pessimo
Buono
Scadente
Sufficiente
Scadente
Scadente
Scadente
Scadente
Scadente
Scadente
Buona
Buono
Scadente
Pessimo
Scadente
Sufficiente
Pessimo
Buono
Buona
Scadente
Sufficiente
Pessimo
Scadente
Sufficiente
Buono
Sufficiente
Buono
Sufficiente
4.2 Specie ittiche alloctone
Queste specie non originarie del fiume Adda generalmente provengono dal Po e da centri
di pesca privati, oppure sono state introdotte involontariamente attraverso ripopolamenti o
intenzionalmente (commettendo unʼinfrazione della legge).
Alcune di esse, per caratteristiche specifiche, si sono integrate alterando gli equilibri ma senza comportare particolari stravolgimenti nellʼecosistema fluviale (es. persico trota e carpa);
hanno causato e provocano tuttʼora grossi danni allʼittiofauna indigena tanto da metterne a
repentaglio la sopravvivenza.
È il caso del siluro, del barbo dʼoltralpe, dellʼabramide e del carassio che si sono sostituiti a
certi pesci autoctoni occupandone la nicchia ecologica in quanto maggiormente competitivi
sul piano alimentare ed efficienti su quello riproduttivo.
FAMIGLIA NOME COMUNE
Ciprinidi
Percidi
Siluridi
Pecilidi
Abramide
Aspio
Barbo europeo
Carassio
Gardon
Pseudorasbora
Rodeo amaro
Lucioperca
Acerina
Siluro
Gambusia
NOME SCIENTIFICO
Abramis brama
Aspius aspius
Barbus barbus
Carassius carassius
Rutilius rutilius
Pseudorasbora parva
Rhodeus sericeus
Sander lucioperca
Gymnocephalus cernuus
Silurus glanis
mbusia holbrooki
STATO DELLA SPECIE
In espansione
In espansione
In rapida espansione
In espansione
In espansione
In rapida espansione
In rapida espansione
In espansione
Stabile
Rapida espansione
Stabile
Lʼelenco sistematico e i dati relativi alla diffusione sono riferiti alla situazione della
fauna ittica del tratto di fiume Adda compreso nei territori del Parco nel quinquennio
2005-2009.
4.3 Elenco delle principali specie ittiche
Veniamo ora allʼelenco delle specie di pesci più importanti dal punto di vista alieutico o che
risultano maggiormente in pericolo o più dannose presenti nel fiume Adda.
Premessa: Tutte le catture che vi mostriamo, dopo essere state fotografate per la documentazione del prontuario, sono state prontamente ed accuratamente rilasciate.
33
SPECIE ITTICHE AUTOCTONE O
NATURALIZZATE
LO STORIONE
Lo storione appartiene alla famiglia degli Acipenseridi che comprende attualmente 23 specie
suddivise tra quattro generi. Il genere Acipenser era presente in Italia con tre specie autoctone
divise in due generi:
1. Genere Acipenser: bocca piccola, preceduta da quattro barbi gli che, se allungati, non raggiungono la bocca stessa; membrane branchiosteghe separate. A questo genere appartengono
le specie Sturio e Naccarii.
2. Genere Huso: bocca grande, arcuata, preceduta da quattro barbigli nastriformi che, se allungati, raggiungono la bocca; membrane branchiosteghe unite. A questo genere appartiene lʼunica
specie Huso huso.
Tutte e tre le specie migravano lungo il Po ed i suoi affluenti fra
i quali il fiume Adda. Ora sono protette poiché risultano in grave
pericolo di estinzione.
Apparato boccale del genere
Gli storioni sono grandi pesci dal corpo massiccio e allungato
Acipenser
che si assottiglia progressivamente fino al peduncolo caudale, lo
scheletro è in gran parte cartilagineo (caratteristica tipica dei pesci più primitivi).
La pelle è priva di squame; si osservano soltanto piccoli raggruppamenti di dentelli a forma
di tubercoli. Su di essa sono disposte cinque serie longitudinali di grandi scudi ossei.
Queste formazioni dermoscheletriche sono particolarmente evidenti ed acuminate nei
soggetti giovani, mentre con lʼetà tendono a smussarsi. In talune specie finiscono col venire
riassorbite e scomparire (Huso huso).
Il capo mostra un muso proteso con quattro barbigli sul lato inferiore disposti in serie trasversalmente che precedono la bocca, tubiforme, protrattile, posta in posizione ventrale, provvista
di labbra carnose e priva di denti. I barbigli servono come organi tattili utili principalmente
per la ricerca del cibo, cambiano forma e posizione secondo le specie.
Lʼetà, nelle specie più grandi, può superare il secolo.
In età giovanile si nutrono di molluschi, anellidi, crostacei che sono aspirati dal fondo con la
caratteristica bocca “a soffietto”; anche i pesci di dimensioni proporzionali alla stazza dello
storione rientrano nella loro dieta.
Quasi tutte le specie compiono migrazioni anadrome, riproducendosi in fiume e svolgendo
le fasi trofiche in mare; solo pochissime specie o singole popolazioni possono completare il
loro ciclo vitale in acqua dolce.
Sono pesci prolifici, le femmine depongono numerosissime uova che aderiscono al substrato
ghiaioso, ma il degrado ambientale e la mancanza di adeguate misure di protezione, nonché
il sommarsi di pesanti alterazioni ambientali penalizzano in forma particolarmente grave o
irreversibile questi animali, caratterizzati da un accrescimento lento e da una maturazione
sessuale molto tardiva.
35
NOTA: Lo sbarramento di Isola Serafini sul Po è sprovvisto di scala di risalita, pertanto
lo storione non può raggiungere la parte di fiume Po a monte così come tutti i suoi affluenti quali Ticino e Sesia, ecc. nei quali un tempo era diffuso. Il fiume Adda si immette
a valle di Isola Serafini e potrebbe essere sfruttato dalle varie specie di Storioni se non
vi fossero altre dighe analogamente invalicabili.
Sono pesci molto importanti da un punto di vista alimentare ed economico.
Sin dallʼantichità gli storioni erano predati dallʼuomo per la loro carne molto pregiata ed
inoltre con le loro uova, opportunamente salate, si produce il famoso caviale.
LO STORIONE COMUNE (Acipenser sturio)
Acipenser sturio è una specie monotipica, anadroma. Nel Mare Mediterraneo è diffuso ovunque, frequente nellʼAdriatico. Risale tutti i maggiori fiumi ma, a causa delle interruzioni alla
continuità fluviale imposti da dighe e sbarramenti, la risalita si svolge per tratti sempre più
brevi. La cattura di grossi esemplari è sempre più rara. Nel Po è relativamente presente, ad
oggi risale sino a Casale Monferrato o alla confluenza dellʼAgogna.
Storione comune (Acipenser sturio)
Gli storioni Comuni sono pesci di grandi dimensioni e crescita rapida, con esemplari che
possono superare la lunghezza totale di cinque metri e il peso di molti quintali; nellʼareale
italiano le taglie restano al di sotto di questi valori, superando raramente la lunghezza di 2 m e
il peso di 200 Kg. Per le popolazioni italiane sono scarse le informazioni sullʼaccrescimento,
la durata del periodo vitale e la biologia riproduttiva. Lo storione è assai longevo, potendo
superare 40 anni di vita, anche se la maggior parte degli individui non oltrepassa i 25.
Status della specie:
Praticamente estinto nellʼarea del Parco Adda Nord.
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LO STORIONE COBICE (Acipenser naccarii)
In Italia la specie è autoctona. Lo storione cobice attualmente è noto con sicurezza soltanto
nel Mare Adriatico dal golfo di Trieste allʼisola di Corfù.
Lo storione cobice è una specie di grande taglia, anche se minore rispetto ad altri acipenseridi
e normalmente raggiunge la lunghezza massima di un metro mezzo ed il peso di 30 Kg.
Storione cobice (Acipenser naccarii)
Diffusione
Status della specie
Come tutti gli acipenseridi europei anche lo storione cobice ha subìto una forte rarefazione.
Sia nellʼAdda che in altri corsi dʼacqua ove è presente, questa specie è progressivamente
diminuita per gli sbarramenti che, soprattutto nel Po, impediscono quasi del tutto il raggiungimento delle zone più adatte alla riproduzione e per la degradazione qualitativa delle acque,
indotta principalmente dagli scarichi organici.
Si tratta di uno storione raro che va salvaguardato.
Acipenser naccarii, è tra le specie che la Direttiva 92/43 CEE colloca tra le più bisognose di
protezione e prevede azioni di sostegno alla sua salvaguardia.
Negli ultimi anni mediante la riproduzione artificiale sono stati ottenuti risultati incoraggianti
(un ottimo esempio è rappresentato dellʼavanotteria di Abbiategrasso).
La Regione Lombardia nellʼambito del progetto LIFE NATURA ha sviluppato in collaborazione con altri enti unʼimportante iniziativa per riportare in tutti i fiumi del Nord Italia lo
storione cobice: inizialmente sono stati seminati 30.000 storioni adulti di cui 14.000 muniti
di microchip per consentire lo studio approfondito di tutti i parametri necessari. Attualmente
continuano le semine e gli esiti sembrano positivi; nellʼarea del Parco Adda Nord abbiamo
riscontrato catture di esemplari superiori ai 10 kg.
Si tratta di un successo particolarmente importante in quanto potrebbe costituire il punto
dʼinizio per il recupero di questo interessantissimo endemismo delle acque italiane.
Resta comunque il fatto che se si vuole tutelare la specie è indispensabile assicurare agli
individui anche il completamento del ciclo vitale che, purtroppo, è reso impossibile a causa
della deframmentazione fluviale.
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LO STORIONE ATTILO O LADANO O BELUGA (Huso huso)
Protezione
Lo storione Attilo è incluso nellʼelenco delle specie gravemente minacciate di estinzione che
figurano nella direttiva 92/43 CEE.
Sul territorio della Repubblica Italiana ne è vietata la pesca, anche se a livello nazionale non
sono intraprese azioni per lʼincremento della specie.
Storione ladano (Huso huso)
Status della specie
Questo storione, sebbene non sia mai stato molto frequente, ha subìto un indubbio decremento nelle acque del fiume Adda dove, al giorno dʼoggi, non esistono nemmeno dati sulla
sua presenza. Oggi si ritiene che lo storione Attilo sia seriamente minacciato di estinzione in
Adriatico e, di conseguenza, nei bacini che in esso confluiscono.
Causa del calo numerico della specie, oltre allʼinquinamento delle acque, sono le troppe
alterazioni dellʼalveo dei fiumi che rendono impossibile la risalita agli esemplari adulti al
momento della riproduzione.
Lo storione Attilo è il gigante della famiglia. La lunghezza degli adulti raggiunge i 7,5 m e il
peso supera il quintale.
Lʼaccrescimento è molto veloce: dopo un anno gli avannotti toccano la lunghezza di 40-50
cm ed il peso di 250-500 g; a cinque anni si raggiungono lunghezze di un metro ed oltre, a
dieci anni il Ladano varia tra 140 e 170 cm, fino a raggiungere a venti anni taglie comprese
tra i 2 e i 3 m.
Gli esemplari di questa specie vivono almeno sino a 75 anni ma spesso arrivano ad essere
centenari. Nei fiumi della pianura padana hanno taglie molto inferiori rispetto agli esemplari
delle zone di origine della specie (mar Caspio), certamente per motivi legati allʼintensa perturbazione antropica del loro habitat.
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LA TROTA MARMORATA (Salmo trutta marmoratus)
Descrizione
Corpo fusiforme, slanciato, a sezione trasversale ovale e compressa in senso laterale. Testa
relativamente tozza. Bocca ampia in posizione mediana. Denti di medie dimensioni, robusti
ed acuminati. Pinne ben sviluppate. Pinne ventrali con inserzione posteriore rispetto alla
corrispondenza con lʼorigine della pinna dorsale. Pinna caudale con bordo posteriore diritto
o debolmente incavato.
Durante il periodo di frega nei maschi intervengono notevoli modificazioni morfologiche.
La livrea ha colore di fondo grigio, bruno o bruno verdastro sul dorso, con fianchi progressivamente più chiari fino a raggiungere il ventre, bianco con sfumature giallastre più o meno
marcate. Sul dorso sono presenti vermicolature sinuose scure, grigiastre o nerastre, estese sui
fianchi e sulla testa. Su entrambi i lati del corpo la colorazione ha riflessi argentei più o meno
marcati. Le pinne hanno tinta grigiastra o grigio giallastra e la pinna dorsale è punteggiata
di nero.
Habitat e abitudini
La trota marmorata vive di preferenza nel tratto medio superiore dei fiumi di maggiore portata, caratterizzati da acque con temperature non superiori ai 16 - 18°C, ben ossigenate, con
corrente da sostenuta a moderata e substrato
misto, formato da roccia, massi e ghiaia, ricco
di anfratti e intervallato da buche profonde.
In età giovanile la marmorata è di indole
gregaria mentre gli esemplari di taglia maggiore sono piuttosto stanziali e territoriali.
Si stabiliscono in un tratto di fiume ben definito dove restano al riparo dalle asperità del
Trota marmorata (Salmo trutta marmoratus)
fondale compiendo piccoli spostamenti per
attaccare le prede e per scacciare i potenziali competitori.
Le uniche migrazioni di una certa rilevanza vengono effettuate per raggiungere i settori di
frega. La porzione di fiume caratteristica per la vita della trota marmorata comprende anche
lʼhabitat del temolo, dello scazzone, della trota fario e di diverse specie di ciprinidi reofili.
Alimentazione
Nei primi anni di vita segue una dieta molto simile a quella della trota fario.
Si nutre soprattutto di larve e adulti dʼinsetti acquatici e terrestri, mentre con lʼaumento della
taglia la dieta si orienta nettamente verso lʼittiofagia (scazzoni, sanguinerole e vaironi).
Anche ogni altro pesce di dimensioni compatibili presente nel suo habitat è soggetto ad essere
attaccato.
I grandi esemplari mostrano spesso tendenza al cannibalismo, in particolare in tratti di torrente
o di fiume dove immissioni sovradimensionate di trote abbiano determinato la scomparsa
delle altre specie di pesci.
39
Status della specie
La trota marmorata è da sempre una specie ittica di alto pregio, anche se oggi il suo areale in
Adda risulta essersi ridotto notevolmente rispetto al passato.
È minacciata da numerose attività antropiche: modificazioni pesanti degli alvei fluviali come
cementificazioni e rettifiche, inquinamento delle acque; prelievi di ghiaia che distruggono
le aree di frega, eccessive captazioni idriche, variazioni di portata dei fiumi conseguenti alla
produzione di energia elettrica che - quando si verificano durante il periodo riproduttivo - distruggono uova e avannotti. La minaccia più consistente per questo salmonide è però rappresentata dalle frequenti ibridazioni con le trote fario introdotte mediante ripopolamenti, spesso
effettuati in modo massiccio per incentivare la pesca sportiva, in particolar modo nei tributari
dellʼAdda. Ne consegue un “inquinamento genetico”, una maggior competizione alimentare
e la diffusione di patologie. Il fenomeno dellʼinquinamento genetico è presente in quasi tutte
le popolazioni e gli ibridi sono spesso identificabili dal semplice esame della livrea.
Tutte queste cause ne hanno provocato lʼestinzione in varie parti dellʼareale del fiume Adda,
sia per il progressivo depauperamento delle popolazioni sia attraverso la perdita delle caratteristiche genotipiche e fenotipiche della specie in seguito allʼibridazione.
Per la sua sopravvivenza è importante la tutela dei tratti di corsi dʼacqua caratterizzati da
habitat idonei con particolare attenzione per le zone dove non sono compromessi gli elementi
morfologici e fisici necessari alla riproduzione. Necessaria, inoltre, in tali ambienti la riduzione della pressione di pesca mediante opportune limitazioni e divieti. La trota marmorata,
anche se in numero ridotto, è presente nel Parco Adda Nord.
Il progetto “marmoadda”, unʼiniziativa supportata dal Comitato Centro Adda che prevede
il salvataggio dei nidi di questa specie e la sua progressiva reintroduzione sta portando ai
risultati attesi per anni, infatti, in molte zone tra cui il canale “Martesana” sono stati catturati
diversi esemplari di ceppo originario
Trota marmorata catturata in loc. Canonica dʼAdda
40
Diffusione
LA TROTA FARIO (Salmo trutta fario)
Descrizione
Corpo fusiforme, slanciato, a sezione trasversale ovale e compressa in senso laterale.
Testa relativamente tozza. Bocca ampia, in posizione mediana. Denti di medie dimensioni,
robusti ed acuminati. Pinne normalmente sviluppate. Pinne ventrali con inserzione posteriore
rispetto alla corrispondenza con lʼorigine della pinna dorsale. Pinna caudale con bordo posteriore diritto o debolmente incavato.
Durante il periodo di frega, nei maschi, intervengono notevoli modificazioni morfologiche.
Il colore della livrea varia secondo le condizioni ambientali e lo stato fisiologico del pesce.
La tinta del dorso, generalmente verde bruno scuro con tonalità grigiastre, può variare fino
a bruno violaceo, bruno scuro, con sfumature giallastre. I fianchi sono progressivamente più
chiari, fino a raggiungere il ventre bianco, con sfumature giallastre più o meno marcate.
La parte superiore del corpo ed i fianchi presentano numerose macchie nere. I fianchi sono
punteggiati da piccole macchie rosse e nere, le rosse talvolta sono circondate da un alone
giallo o biancastro.
La colorazione della livrea viene impiegata spesso per distinguere le trote in vari stock; tra i
più comuni annoveriamo il “ceppo atlantico”, caratterizzato da aloni bianchi marcati attorno
alle macchie nere e da macchie nettamente ovali e il “ceppo mediterraneo” con macchie
rosse. Le caratteristiche genetiche delle trote selvatiche sono generalmente compromesse da
più di un secolo di introduzioni di materiale di allevamento, spesso ottenuto mediante incroci
tra fonti di varia provenienza. Tale contaminazione genetica ha ridotto notevolmente le trote
endemiche dellʼAdda. La trota fario è tipica di acque fresche e limpide e molto ossigenate
con temperature non superiori ai 18 - 20°C. Di indole stanziale e territoriale, si stabilisce in
un tratto di fiume o di torrente ben definito dove si nasconde ponendosi in agguato, col muso
rivolto alla corrente, in attesa di cibo. La sua sorprendente velocità di scatto intorno ai 40
Km/h le consente di catturare anche prede veloci sul filo della corrente.
Le migrazioni riproduttive e gli spostamenti di una certa importanza si svolgono per lo più
durante le ore crepuscolari e notturne.
Alimentazione
La dieta della trota è strettamente carnivora. Prede più frequenti sono insetti, crostacei, anellidi, gasteropodi, ecc. Gli esemplari di maggiore taglia cacciano scazzoni, sanguinerole e
vaironi. I grandi esemplari, territoriali e solitari spesso mostrano tendenza al cannibalismo,
soprattutto in tratti di fiume dove immissioni sovradimensionate di trote abbiano determinato
la scomparsa delle altre specie di pesci.
Un mito da sfatare
La famosa trota salmonata in natura non esiste. Nei corsi dʼacqua dove la dieta è composta
in misura importante da crostacei o se in allevamento viene alimentata con mangimi ricchi di
chitina e carotenoidi, le carni della trota assumono una colorazione rosea o arancione tanto
da essere erroneamente definite “salmonate”.
41
Riproduzione
La maturità sessuale viene raggiunta a circa 2 - 3 anni. Il periodo riproduttivo si estende da
ottobre a febbraio e talvolta giunge fino a marzo. Gli esemplari maturi possono compiere
piccole migrazioni per raggiungere le aree più adatte alla frega. Le zone riproduttive sono
rappresentate da acque pure, di scarsa profondità, correnti e bene ossigenate, con substrato
misto a ciottoli, ghiaia e sabbia.
Accrescimento
Le dimensioni massime sono condizionate dallʼambiente, nei ruscelli e nei torrenti di rado
raggiunge i 40 cm; nei fiumi con portata maggiore sfiora i 90 cm di lunghezza, con pesi oscillanti da 400 g fino a 7 Kg.
Status della specie
Le popolazioni selvatiche di ceppo puro sono rarissime e in via dʼestinzione.
Ripopolamenti eseguiti con materiale proveniente da allevamenti che incrociano riproduttori
di stock diversi o utilizzano ceppi selezionati artificialmente assicurano la presenza della
specie, ma ne determinano un livellamento genetico.
Protezione
In tutta Europa, la pesca della trota è soggetta a regolamentazione con periodi di divieto e
misura minima. La specie, considerando le popolazioni geneticamente “pure”, è inclusa nella
Lista Rossa IUCN (International Union for Conservation of Nature and Natural Resources),
come a basso rischio (LR/lc).
Trota fario (Salmo trutta fario)
42
LA TROTA DI LAGO (Salmo trutta lacustris)
Descrizione
Corpo tozzo e robusto se confrontato con le altre trote, a sezione trasversale ovale e
compressa in senso laterale. Testa relativamente tozza. Bocca ampia, in posizione mediana.
Denti di medie dimensioni, robusti ed acuminati. Squame cicloidi di piccole dimensioni.
Pinne normalmente sviluppate. Pinne ventrali con inserzione posteriore rispetto alla corrispondenza con lʼorigine della pinna dorsale. Pinna caudale ampia e massiccia con forma
nettamente biloba. La livrea appare da grigio a grigio azzurro o bruno bluastro sul dorso,
più chiara sui fianchi o bianco giallastra sul ventre. Macchie o punteggiature nere a forma di
“x” sono sparse sul dorso, sui fianchi e sulle pinne. Le pinne sono translucide con sfumature
grigiastre, quella dorsale è annerita alla base. Durante il periodo di frega i colori diventano
più intensi.
La trota di lago viene considerata da molti un ecotipo della trota Marmorata, infatti raggiunge le sue stesse dimensioni mentre la fario al massimo arriva a 7 – 8 Kg. Inoltre, con la
scomparsa o quasi della marmorata anche questa trota si è praticamente estinta.Non è un caso
che nel Lario siano almeno 20 anni che non si catturi una trota dal peso superiore ai 7 Kg
(limite della fario). La confusione nasce dal fatto che immettendo una trota fario, ma anche
una marmorata, in un ambiente lacustre, questa in breve tempo assume la livrea argentea con
chiazze a forma di X tipica della lacustre.La differenza la fanno il peso e gli accrescimenti.
Habitat e abitudini
I bacini che forma lʼAdda dove vivono queste trote sono abbastanza profondi da consentire
ai pesci di poter disporre di acque fresche e ben ossigenate anche durante il periodo estivo,
presentano fondali ricchi di ghiaia ed acque a bassa torbidità non soggette a forti apporti di
limo e fanghi durante i fenomeni di piena. Gli spostamenti delle trote di lago seguono cicli
stagionali in funzione del termoclino. Durante la buona stagione vivono negli strati di media
ed alta profondità in prossimità di punte rocciose o ghiaiose. Durante la notte o nelle ore più
fresche del giorno guadagnano le rive per cacciare piccoli pesci (alborelle, triotti, vaironi,
ecc.), o si spostano in superficie a caccia di insetti. Sono maggiormente attive nei giorni di
cielo coperto e nelle ore crepuscolari e notturne, mentre nei momenti di massima insolazione
restano al riparo. Le trote di lago sono più numerose in zone molto ombreggiate e frequentano le foci degli immissari nellʼepoca riproduttiva per cercare di risalirli; altro problema è
che ad oggi tutti gli immissari al Lario (Adda compreso) hanno una briglia invalicabile in
prossimità della foce.
Alimentazione
I soggetti più piccoli seguono una dieta molto simile a quella delle trote di torrente. Le prede
più frequenti sono gli stadi larvali e adulti di insetti, anellidi e gasteropodi. Con lʼaumento
della taglia le trote di lago sviluppano una spiccata tendenza allʼittiofagia. Quando era presente nel Lario si nutriva di alborelle e gli esemplari di grandi dimensioni vivevano lontano
dalla riva e si nutrivano di agoni e coregoni.
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Riproduzione
La maturità sessuale viene raggiunta dai maschi tra i 4 e i 5 anni, mentre per le femmine tra
i 4 e i 7. Il periodo di frega va da ottobre sino alle prime settimane di gennaio. I riproduttori si portano alla foce degli immissari, risalendoli (dove possono) anche per lunghi tratti
alla ricerca di fondali adatti alla frega. Le zone riproduttive sono situate in acque pure, di
scarsa profondità, correnti e bene ossigenate, con substrato misto a ciottoli, ghiaia e sabbia.
La temperatura ottimale dellʼacqua è compresa tra circa 5 e 10°C. La deposizione avviene
generalmente di notte o nelle ore del crepuscolo. Non esistono cure parentali. Le uova, di
colore giallo-aranciato, con diametro variabile dai 3,5 ai 5 mm, sono deposte in numero di
circa 1.000 - 1.500 per ogni chilogrammo di peso della femmina. Il periodo di incubazione
richiede un tempo relativamente lungo, secondo la temperatura dellʼacqua.
Normalmente è di circa 40 - 80 giorni a temperature comprese tra i 6 e gli 8°C.
Gli avannotti restano coperti dalla ghiaia fino al riassorbimento del sacco vitellino, quindi
emergono e cominciano a cibarsi in modo autonomo.
Accrescimento
La crescita viene fortemente influenzata dalle
caratteristiche trofiche dellʼambiente.
Si tratta di un pesce di grande taglia: lunghezza
massima osservata 140 cm con peso massimo
30 Kg .
Status della specie
Le popolazioni selvatiche di ceppo puro sono
rarissime e in via dʼestinzione.
La maggioranza delle trote definite “di lago”
Trota di lago (Salmo trutta lacustris)
sono trote marmorate che hanno assunto livrea
simile a quella delle vere lacustri. La pratica di effettuare immissioni a scopo di ripopolamento
con materiale proveniente da allevamenti che incrociano riproduttori di stock diversi o utilizzano ceppi selezionati artificialmente da decenni garantisce la presenza della specie ma ne
determina un livellamento genetico. Per quanto riguarda gli stock genetici “puri”, una volta
identificati devono essere previste misure per la protezione e per la produzione di avannotti
destinati alle reintroduzione. Sono state segnalate poche presenze nella zona di Olginate.
Protezione
In tutta Europa la pesca della trota di lago è soggetta a regolamentazione, con periodi di
divieto e misura minima. La trota di lago non è inclusa nella Lista Rossa IUCN (International Union for Conservation of Nature and Natural Resources), perché considerata parte del
gruppo Salmo trutta.
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IL TEMOLO (Thymallus thymallus)
Etimologia
Latino: thymum = timo, pianta erbacea aromatica il cui profumo ricorda quello delle carni
di questo pesce.
Descrizione
Corpo affusolato a sezione trasversale ovale e compresso lateralmente.
Squame cicloidi grandi disposte in file orizzontali ben evidenti. Testa piccola, bocca relativamente piccola. Caratteristica è la pinna dorsale molto sviluppata, alta e fornita di raggi molli
molto flessibili. Pinna adiposa (importante carattere sistematico dei salmonidi).
Pinna caudale biloba. Pinne ventrali con origine nei pressi della corrispondenza con il centro
della base della pinna dorsale. Livrea grigio-verde sul dorso ed argentea o dorata sui fianchi,
ventre bianco. Negli individui adulti la pinna dorsale mostra spesso strisce giallo-verdi ed è
punteggiata da macchie chiare. Pinne pettorali, ventrali ed anale translucide, con riflessi bruno
giallastri. Le popolazioni dellʼEuropa centrale ed orientale hanno pinna caudale rossastra,
mentre le popolazioni indigene del versante italiano della catena alpina presentano la pinna
caudale con riflessi bluastri, più o meno marcati.
Habitat e abitudini
Il temolo vive in acque fresche, ben ossigenate, con substrato misto a pietra, sabbia e ghiaia a
corrente moderata tanto che lʼarea fluviale corrispondente al suo habitat viene definita “zona da temolo”.
Non tollera acque inquinate e con temperatura superiore ai 18°C. Di tendenza gregaria, forma branchi
composti anche da molti individui. A differenza delle
trote, i temoli non hanno tendenza a nascondersi in
anfratti del fondo o tra la vegetazione di sponda, ma
si spostano nei tratti aperti o si trattengono in vicinanza di ostacoli sommersi, seguendo il flusso della
corrente che trasporta gli insetti di cui si nutrono.
Diffusione
Alimentazione
Si ciba principalmente di micro e macroinvertebrati bentonici ed insetti, piccoli crostacei,
gasteropodi e oligocheti. Gli individui più grandi tendono a predare anche avannotti e piccoli
pesci bentonici.
Riproduzione
La maturità sessuale viene raggiunta a circa 3 anni. La frega avviene generalmente in primavera, da marzo a maggio, il periodo viene comunque condizionato dalle condizioni ambientali e dalla temperatura dellʼacqua. La deposizione ha luogo in acque di scarsa profondità,
correnti, ben ossigenate, con substrato misto a ghiaia, piccoli ciottoli e sabbia.
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Non esistono cure parentali. A seconda delle dimensioni ogni femmina emette da 2.000 a
8.000 uova giallastre, di media grandezza, con diametro compreso tra 2 e 3 mm.
Accrescimento
Al primo anno di vita i temoli raggiungono lunghezze totali comprese tra i 9 e gli 11 cm,
con un peso di circa 10 g; al secondo anno misurano da 19 a 22 cm e pesano da 70 a 100 g e
alla fine del terzo anno di vita toccano i 33 - 35 cm pesando dai 350 ai 400 g. A 8 - 9 anni i
temoli raggiungono lunghezze totali di circa 45 cm. Si tratta di pesci di taglia media, la taglia
massima segnalata è di 60 cm. Età massima riportata: 14 anni.
Status della specie
Le popolazioni stanno subendo un calo generalizzato a causa delle modificazioni antropiche
sugli habitat. La specie è molto sensibile ai fenomeni dʼinquinamento.
Le maggiori cause di rarefazione del temolo sono però rappresentate dalle alterazioni
effettuate agli alvei dei fiumi, in particolare risulta particolarmente grave la costruzione di
dighe ed altri sbarramenti (sprovvisti delle opportune scale di risalita) che interrompono
la continuità fluviale impedendo ai riproduttori di raggiungere le zone di frega. Oltre alle
modificazioni ambientali fisiche, anche le alterazioni conseguenti alle immissioni di specie
alloctone e ripopolamenti incauti hanno danneggiato la consistenza numerica delle popolazioni autoctone. La specie danubiana è presente nel Parco, mentre quella endemica (temolo
pinna blu) sta lentamente scomparendo.
Protezione
La specie è protetta da leggi comunitarie e nazionali che istituiscono misure minime e periodi
di divieto. Il temolo è incluso nella Lista Rossa IUCN (International Union for Conservation
of Nature and Natural Resources) come specie a basso rischio.
Temolo pinna blu (Thymallus thymallus), autoctono
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Temolo Danubiano specie alloctona
IL PERSICO REALE (Perca fluviatilis)
Descrizione
Corpo ovaliforme, slanciato, con altezza dellʼarea pre-dorsale marcata. La gibbosità dorsale
tende ad accentuarsi con lʼetà conferendo aspetto tozzo agli esemplari più grandi.
Squame ctenoidi (dotate di piccole punte che le rendono ruvide al tatto) profondamente
inserite nel derma. Testa grande con muso breve e leggermente affusolato.
Bocca molto ampia, occhio di grandi dimensioni con pupilla bordata di giallo.
Denti piccoli e numerosi. Due pinne dorsali, la prima prominente e dentellata con apici acuminati, la seconda più piccola e raggiata.
Pinna caudale biloba con apici evidenti.
Livrea variabile a seconda dellʼambiente. Colore di fondo verde oliva, verde brunastro o
grigio verdastro, più scura sul dorso, progressivamente più chiara sui fianchi che possono
assumere sfumature giallastre fino a diventare biancastre sul ventre. Sui fianchi sono presenti
da 5 a 7 strisce scure trasversali, più marcate sul dorso divengono sempre meno distinte e più
“appuntite” procedendo verso il ventre.
Tutte le pinne sono semitrasparenti e variamente colorate. Le pinne pettorali sono di colore
giallo scuro mentre le ventrali e la pinna anale sono rosso arancio.
Le pinne dorsali sono grigiastre come la caudale.
Habitat e abitudini
Specie moderatamente eurialina, di preferenza popola bacini con acque moderatamente fredde,
a corrente moderata, ben ossigenate e provviste dʼabbondante vegetazione sommersa.
Il persico reale staziona di norma a qualche metro di profondità; soltanto nella stagione invernale si sposta a profondità maggiori dove la temperatura stabile gli consente di non rallentare
la propria attività. Predilige i fondali rocciosi, ma si incontra anche su substrato sabbioso o
fangoso. Ama aree ricche di ostacoli sommersi, come tronchi e rami sommersi e di vegetazione.
Di indole gregaria, nei primi anni di vita forma branchi di centinaia dʼindividui, mentre gli
esemplari più anziani tendono a condurre vita solitaria.
La specie non ha abitudini stanziali, spesso i persici compiono lunghi spostamenti alla ricerca
di aree favorevoli allʼalimentazione e alla riproduzione.
Specie predatrice che caccia a vista, trascorre le ore dʼoscurità in quasi totale stasi restando
immobile sul fondo.
Alimentazione
Prettamente carnivoro ed ittiofago, queste tendenze si manifestano velocemente; già da
piccoli iniziano ad insidiare piccoli pesci ed avannotti presenti nei sottoriva.
Gli adulti predano sia invertebrati che piccoli pesci come giovani cavedani, triotti e soprattutto
alborelle. Queste ultime vengono spesso cacciate in gruppo.
Il persico reale preda spesso crostacei, questa sua caratteristica lo configura come buon
candidato per la lotta biologica alla specie alloctona gambero rosso della Louisiana (crostaceo alloctono infestante).
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Riproduzione
Il persico reale raggiunge la maturità sessuale allʼetà di due anni.
La frega si svolge da marzo sino a giugno-luglio. La deposizione avviene in prossimità della
riva con modalità collettive, ogni femmina viene seguita da numerosi maschi. Le femmine, a
secondo della loro taglia, emettono migliaia di uova del diametro di circa 2 mm, raccolte in
cordoni che aderiscono al substrato. Dopo circa 15 - 20 giorni nascono le larve, di 4 o 5 mm.
Essenziale per il buon fine della stagione riproduttiva è la presenza di vegetazione sommersa
a cui possano aderire le uova, in particolare dei canneti.
Dove questi habitat vengono distrutti si assiste anche ad un calo della presenza di persico reale,
ed allora ecco che per ricreare gli habitat adatti alla riproduzione del persico vengono introdotte artificialmente le cosiddette “legnaie”, ovvero fascine di legno appesantite in modo da
stabilizzarsi sul fondale ed assicurare ai persici dei supporti sui quali poter deporre le uova.
Accrescimento
In ambienti particolarmente favorevoli il persico reale raggiunge la lunghezza massima di
circa 40 cm ed il peso di 1,5 - 2 Kg.
Status della specie
La specie non sembra essere particolarmente minacciata. Il persico viene predato da molte
specie di uccelli ittiofagi e di pesci, come lucci, siluri e salmonidi. In alcune zone del Parco
dove lʼaumento delle popolazioni di cormorani è in continuo aumento, si denota spesso un
calo della specie.
Persico reale (Perca fluviatilis)
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IL PERSICO SOLE (Lepomis gibbosus)
Descrizione
Il persico sole ha corpo di forma ovale, fortemente compresso ai lati, coperto di squame
ctenoidi non molto grandi. Il muso è breve con bocca in posizione terminale, piccola ed obliqua verso lʼalto. La pinna dorsale inizia allʼaltezza del lobo opercolare e termina alla base del
peduncolo caudale. La pinna caudale, biloba, è debolmente incisa. La livrea del persico sole
ha colore di fondo bruno verdastro sul dorso, i fianchi sono più chiari mentre il ventre può
assumere tinte da giallastro ad arancio .
Entrambi i lati del capo mostrano strisce azzurre o celesti. Sul lobo opercolare si nota una
grande macchia nera, bordata di chiaro, con una macchia rossa allʼapice. Il dorso e i fianchi
sono coperti di macchie scure ed iridescenti. Lʼocchio ha lʼiride rossa. Le femmine hanno una
livrea meno vistosa dei maschi.
Habitat e abitudini
Il persico sole è un pesce molto adattabile e in grado di sopportare notevoli sbalzi di temperatura. La specie è stanziale e territoriale, allo stadio giovanile ha abitudini gregarie e tende
a formare piccoli branchi di alcune decine dʼindividui. Si adatta a vivere in una moltitudine
di ambienti, ma in Adda tende a localizzarsi nelle anse riparate, fuori dal flusso principale
della corrente.
Il persico sole risulta strettamente legato allʼhabitat dei sottoriva dove svolge la sua attività
alimentare e riproduttiva. La specie è particolarmente attiva durante la stagione estiva, nei
mesi invernali si sposta invece a maggiore profondità dove resta in stato quasi inattivo.
Alimentazione
Anche se questo pesce può cibarsi di detriti organici, la specie rimane spiccatamente carnivora.
La dieta del persico sole comprende una grande quantità dʼinvertebrati acquatici ricercati
prevalentemente sul fondo così come piante acquatiche, detriti organici e piccoli pesci.
Gli individui di maggior mole si nutrono in prevalenza di pesci, spesso catturando i più
grandi con azioni condotte da più individui. In questi casi un persico sole guida lʼattacco
iniziando a strappare le pinne della vittima presto imitato da altri soggetti che continuano ad
attaccare la preda fino a causarne la morte.
Riproduzione
La maturità sessuale è raggiunta a 2 - 3 anni per quanto riguarda le femmine, mentre a 4 anni
dai maschi. La riproduzione ha inizio a partire dalla tarda primavera quando la temperatura
dellʼacqua si aggira attorno ai 20 - 26°C.
Il maschio è molto territoriale e difende da tutti i potenziali rivali unʼarea utilizzata come
nido. La zona destinata alla riproduzione è realizzata dal maschio scavando una depressione
sul fondo nellʼimmediato sottoriva. Il maschio corteggia ogni femmina che si addentri nel
suo territorio spingendola ad entrare nella tana per deporre le uova. Ogni femmina depone
circa da 600 a 3.000 uova del diametro 1 mm circa, color ambra, che aderiscono al substrato.
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Il maschio sorveglia le uova fino alla loro schiusa che si verifica dopo 5 giorni a 28°C oppure
dopo 10 giorni se si hanno 16°C. Le cure parentali del maschio si estendono per alcuni giorni
anche agli avannotti.
La lunghezza media degli individui si aggira tra gli 8 ed i 25 cm, il peso è di poco superiore
ai 25 grammi.
Status della specie
La specie presente nel Parco non sembra essere particolarmente minacciata.
Persico sole (Lepomis gibbosus)
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IL LUCCIO (Esox lucius)
In biologia il luccio appartiene ad unʼunica specie ma, in seguito a continue immissioni di
lucci provenienti dallʼEst Europa, in breve tempo nel nostro Paese sono emersi due ceppi ben
differenti, per lo meno per quanto riguarda la
livrea: il luccio autoctono, definito “di ceppo
italico”, presenta sul dorso e sui fianchi evidenti zebrature o marezzature bianco argentate
o dorate; il luccio alloctono o “Est europeo”
possiede una livrea più chiara con il dorso ed i
fianchi caratterizzati da macchie semicircolari
di colore biancastro. In entrambi i casi le pinne
possono assumere colorazione da rossa a grigiastra e sono ornate da macchie scure.
Notevole esemplare di Luccio (Esox lucius)
Le due specie possono ibridarsi.
Descrizione
Corpo allungato e compresso. Muso appiattito e affusolato simile al becco di unʼanatra.
Bocca molto ampia con mandibola prominente.
Denti robusti ed acuminati, presenti su mascella,
mandibola, palato e lingua. Guance coperte di squame.
Pinna dorsale inserita nella parte posteriore del corpo
sopra la corrispondenza con la pinna anale. Pinne pettorali e ventrali relativamente piccole. Squame piccole
e cicloidi. Linea laterale in posizione mediana.
Livrea di fondo a tinta variabile, a seconda dellʼambiente, delle stagioni, dellʼetà degli esemplari e, non
ultimo, del ceppo genetico a cui appartiene.
Apparato boccale di luccio
Habitat e abitudini
Gli habitat prediletti sono le acque di pianura, ferme o a corrente moderata, con fondale
sabbioso o fangoso e ricche di vegetazione. Tende ad evitare acque eccessivamente torbide.
In alcuni grandi fiumi il luccio si spinge in acqua corrente. Il luccio è sedentario e territoriale,
solamente durante la stagione di frega si sposta per cercare i luoghi adatti alla riproduzione.
Questo pesce conduce vita solitaria; è un predatore attivissimo, eclettico e veloce.
Resta immobile, mimetizzato tra la vegetazione o al riparo di qualche ostacolo sommerso,
aspettando che la preda sia nel suo raggio dʼazione per aggredirla con scatto fulmineo.
Alimentazione
Carnivoro e ittiofago, tale tendenza si manifesta precocemente. A 4 - 5 cm di lunghezza
iniziano a cacciare altri avannotti, compresi quelli della propria specie. La dieta del luccio
adulto è costituita principalmente da pesci, crostacei e da altri invertebrati.
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Gli esemplari di maggiori dimensioni predano spesso anfibi, serpenti dʼacqua, piccoli
mammiferi ed uccelli acquatici.
Riproduzione
Mediamente i maschi raggiungono la maturità sessuale a 2 - 3 anni, mentre le femmine a 3
- 4. La frega si svolge da gennaio a maggio su fondali bassi e ricchi di vegetazione. Le uova,
giallo ambrate, del diametro di 2,5 - 3 mm e in numero da 15.000 a 20.000 per ogni chilogrammo di peso della femmina aderiscono alle piante acquatiche. Le larve schiudono dopo 3
- 15 giorni e sono lunghe 6,5 - 9 mm.
Accrescimento
Pesce di grande taglia, la lunghezza massima dei maschi è di circa 90 cm, mentre le femmine
raggiungono i 150 cm e 27 Kg di peso. Nel tratto fluviale del Parco non si ricordano catture
superiori ai 15 Kg.
Status della specie
Si registra una contrazione del numero dʼindividui che deve essere messa in relazione alla
scomparsa di aree ricche di vegetazione (canneti, erbai, campi inondati) a causa di opere di
bonifica e canalizzazione, alla cementificazione delle rive e allʼeliminazione delle lanche.
In mancanza di tali habitat i lucci sono impossibilitati a riprodursi.
Anche lʼinquinamento derivante da materiale organico e pesticidi contribuisce al calo numerico della specie. Nel Parco è presente con esemplari di ceppo Est europeo, mentre il luccio
di ceppo italico è in preoccupante diminuzione.
Livrea di luccio autoctono
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Livrea di luccio alloctono
LʼALBORELLA (Alburnus alburnus alborella)
Descrizione
Corpo allungato, snello, a sezione trasversale ovale e compressa lateralmente.
Testa relativamente piccola con bocca in posizione terminale, nettamente inclinata verso lʼalto
e mandibola prominente. Squame cicloidi relativamente piccole e fragilmente inserite nel
derma (si staccano facilmente dal corpo). Pinne ventrali con origine anteriore alla corrispondenza della pinna dorsale. Pinna anale, pinna dorsale, pinna caudale biloba, con margine
profondamente incavato ed apici dei lobi appuntiti.
Livrea del dorso grigio verdastra o bruno verdastra. Fianchi più chiari con squame argentee.
Ventre bianco argenteo. Presenza di una fascia longitudinale grigiastra o verdastra sui fianchi,
negli esemplari adulti appare scura e molto marcata.
Pinne translucide, giallastre o giallo grigiastre, con tonalità rosate o aranciate allʼepoca della
riproduzione, soprattutto nei maschi.
In entrambi i sessi durante il periodo della frega compaiono piccoli tubercoli nuziali sulle
pinne, sul dorso e sui fianchi.
Habitat e abitudini
In Italia è specie autoctona. Questo ciprinide mostra una discreta adattabilità potendo popolare diversi tipi di ambienti acquatici di pianura sufficientemente trasparenti e ricchi dʼossigeno. Nei fiumi preferisce acque di media profondità con corso lento e fondale limaccioso
dove si trattiene nelle aree a corrente più debole. Di indole gregaria, forma branchi anche
molto numerosi. Tra le specie ittiche con cui più frequentemente si trova associata vi sono
sia specie limnofile, come il triotto e la scardola, che specie moderatamente reofile, come la
lasca (ormai quasi estinta in Adda), il barbo, ed il cavedano.
Le alborelle si alimentano durante tutto il corso dellʼanno rallentando lʼattività solo nei
periodi più freddi. La ricerca del cibo si protrae per tutta la giornata durante la quale i branchi
seguono gli spostamenti giornalieri del plancton.
La specie sverna in branco a profondità maggiori di quelle preferite da altri ciprinidi presenti
nello stesso habitat.
Alimentazione
La dieta comprende microrganismi planctonici, alghe, detrito organico, insetti acquatici,
vermi e crostacei di larve di insetti.
Riproduzione
In entrambi i sessi la maturità sessuale è raggiunta tra il primo ed il secondo anno dʼetà.
In genere la loro riproduzione è osservabile da giugno fino a luglio compreso.
La riproduzione ha luogo con temperature dellʼacqua superiori a 15°C. Ogni femmina depone
circa 1500 uova di colore giallastro e del diametro di 1,5 mm circa. A causa delle ridotte
dimensioni le uova non maturano contemporaneamente ma a stadi, perciò ogni femmina depone più volte nellʼarco del periodo riproduttivo. Questo è uno dei motivi per cui lʼalborella
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si riproduce da maggio a luglio. La schiusa, in genere, richiede meno di una settimana.
Molto frequentemente sui laghi e lungo il corso dellʼAdda immediatamente sub-lacuale
vengono artificialmente costituiti dei letti di frega deponendo in acqua lungo le sponde grossi
quantitativi di ghiaia sulla quale lʼalborella depone le uova. Anche qui il Comitato Centro
Adda è presente nellʼorganizzazione nella attuazione e nella gestione di tali opere.
Status della specie
Nel fiume Adda e non solo, si è verificato un forte calo a partire dagli anni ʼ90 a causa dellʼinquinamento (e della pesca professionale smisurata per quanto concerne il Lario); attualmente
viene segnalato un modesto incremento grazie alla messa in opera dei letti di frega e ad una
pesante normativa che ne regola la pesca. Le principali cause di sofferenza per questa specie
sono la predazione da parte degli uccelli ittiofagi e la forte carenza di plancton, elemento
essenziale per il loro accrescimento. Tuttavia presso i biologi competenti il problema della
determinazione delle cause che hanno provocato questa forte diminuzione numerica delle
popolazioni di alborella resta un tema molto dibattuto.
Alborella (Alburnus alburnus alborella)
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IL BARBO ITALICO (Barbus barbus plebejus)
Descrizione
Corpo slanciato e robusto, fusiforme. La testa è allungata con muso appuntito; occhio piccolo.
Bocca infera, protrattile, circondata da spesse labbra. Sono presenti due paia di barbigli, il
paio più corto situato lateralmente alla porzione anteriore del labbro superiore, mentre quello più
lungo agli angoli della bocca. Squame cicloidi relativamente piccole, solidamente impiantate
nel derma e quasi impercettibili al tatto. Pinna dorsale allineata o leggermente spostata in
avanti rispetto alla corrispondenza con le pinne ventrali.
La pinna anale, piegata allʼindietro, non arriva alla base della caudale. Colorazione del dorso
bruno scuro o bruno verdastro. Fianchi giallastri o dello stesso colore del dorso progressivamente più chiari verso il ventre. Superficie ventrale bianca o bianco giallastra.
Pinne translucide di colore grigio verdastre, bruno giallastre o bruno verdastre con sfumature aranciate o rosse particolarmente marcate nel periodo di frega. Pinne dorsale e caudale
con punteggiatura nerastra più o meno intensa. In alcuni individui si fanno particolarmente
accentuate le tonalità dorate.
Habitat e abitudini
Ciprinide reofilo legato ad acque limpide, ossigenate, a corrente vivace e fondo ghiaioso o
sabbioso. Lʼhabitat di questa specie è talmente tipico da essere comunemente indicato come
“zona del barbo”. La specie ha comunque una discreta flessibilità di adattamento. Nei fiumi
più grandi può spingersi notevolmente a monte, fino a sconfinare nella “zona dei salmonidi”
e “del temolo”, mentre a valle si rinviene anche in acque moderatamente torbide, purché ben
ossigenate. Il barbo italico si raggruppa in branchi ed ama condividere il proprio habitat con
altri ciprinidi reofili quali soprattutto la lasca (in tutto il corso dellʼAdda quasi estinta), il
cavedano, lʼalborella, la savetta e il vairone.
La specie ha abitudini fotofobe e tende ad essere più attiva nelle ore crepuscolari e notturne.
Grazie al ricco corredo di terminazioni sensoriali poste nelle labbra e nei barbigli è perfettamente in grado di ricercare il cibo anche di notte. Si trattiene volentieri al di sotto dei salti
dʼacqua che, specie, nel periodo della frega, è capace di risalire con grandi guizzi. Ama le
pescaie, i tratti rocciosi dei fiumi ed i sottoriva accidentati e presso i piloni dei ponti si raduna
in branchi numericamente consistenti.
Alimentazione
Specie dallʼampio spettro alimentare, si nutre in prevalenza di invertebrati bentonici che
ricerca grufolando sul fondo sollevando i sedimenti con il muso. Gli individui più grandi, che
hanno abitudini solitarie, possono divenire ittiofagi.
Riproduzione
La maturità sessuale è raggiunta dopo 3 o 4 anni. La femmina fissa le uova sulle pietre del
fondo, quasi sempre dove lʼacqua è più profonda e dove le correnti sono forti. Ogni femmina
produce circa 8.000 - 9.000 uova per chilo di peso. Le uova sono giallastre ed adesive, dal
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diametro di 2,5 - 3 mm. A 16°C la schiusa avviene in circa 8 giorni. Circa 10 - 20 giorni dopo
la nascita le giovani larve iniziano a condurre vita libera muovendosi nella colonna dʼacqua
e formando spesso sciami misti con altri avannotti di ciprinidi reofili. Dopo pochi mesi i
giovani barbi iniziano a condurre vita prevalentemente bentonica.
Le uova del barbo sono tossiche per lʼuomo.
Accrescimento
Le femmine presentano un accrescimento leggermente superiore a quello dei maschi.
Gli esemplari di maggiori dimensioni raggiungono i 75 cm di lunghezza per 4 kg di peso con
unʼetà massima di 8 anni.
Status della specie
Pesce resistente e di discreta valenza ecologica. Pur risultando in diminuzione un poʼ ovunque può considerarsi ancora relativamente abbondante in molti corsi dʼacqua tra i quali lʼAdda.
Risente negativamente degli interventi antropici che modificano il fondale come i prelievi di
ghiaia e i lavaggi di sabbia che alterano i substrati riproduttivi; ciò ha determinato la contrazione di numerose popolazioni.
In più, la fortissima proliferazione di Barbus barbus e la presenza del siluro stanno mettendo
in pericolo la sopravvivenza della specie autoctona. Il barbo europeo è il diretto competitore
alimentare vincente nei confronti della specie italica. Inoltre, fenomeni di ibridazione minacciano la purezza dei ceppi genetici.
Protezione
In tutto il territorio italiano esistono misure minime, zone di protezione e periodi di divieto.
Nella Lista Rossa IUCN (International Union for Conservation of Nature and Natural
Resources) la specie è classificata a preoccupazione minima.
Barbo italico (Barbus barbus plebejus)
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Diffusione
LA CARPA (Cyprinus carpio)
Descrizione della forma selvatica
Corpo robusto, piuttosto allungato, sino a formare talvolta una gibbosità dorsale.
Testa conica con muso relativamente corto. Bocca terminale, piuttosto piccola, protrattile,
con labbra spesse e carnose. Presenza di due paia di barbigli. Lʼocchio ha medie dimensioni.
I denti faringei sono disposti su ciascun lato in tre serie e presentano leggere solcature. Corpo
interamente ricoperto da squame cicloidi. La linea laterale ha andamento quasi rettilineo e si
incurva appena verso lʼalto nella porzione anteriore. La pinna dorsale e quella anale hanno
base lunga e bordo concavo, lʼultimo raggio semplice è robusto e dentellato posteriormente.
La pinna caudale appare distintamente bilobata, con gli apici dei lobi arrotondati. Dorso e
fianchi bruno olivastri, con riflessi bronzeo dorati, particolarmente evidenti sui fianchi.
Il ventre è giallastro o bianco giallastro. Le pinne sono verdastre o grigio verdastre, talora
volgenti al rossiccio.
Razze di Cyprinus carpio
La Carpa è polimorfa. Nel tratto di Adda da
noi considerato sostanzialmente ne vivono
due varietà: la carpa regina, con squame fitte e
normali che formano un completo rivestimento e la carpa a specchi, dotata di pelle nuda
con poche e grandi squame, situate soprattutto
lungo la base della pinna dorsale e lungo la
linea laterale.
Carpa a specchi (Cyprinus carpio var. specularis)
Habitat e abitudini
In Italia è specie naturalizzata. Lʼhabitat tipico di questo ciprinide in Adda è quello delle
acque a lento corso, nelle sue rientranze e nelle morte. Preferisce i fondali profondi, melmosi,
con vegetazione sommersa o cosparsi di detriti ingombranti quali tronchi dʼalberi depositati
sul fondo. Pur potendo vivere anche in acque relativamente fredde, preferisce le acque calde
(temperatura ottimale compresa tra 15 e 25°C). Si adatta facilmente ad acque a basso tenore
di ossigeno. È una specie gregaria, soprattutto in età giovanile, che si muove solitamente in
piccoli branchi. Man mano che la carpa cresce tende ad isolarsi e a condurre vita solitaria.
Lʼhabitat normale della carpa è sempre un ambiente silenzioso e distante dai disturbi causati
dalla presenza di abitazioni. Questo pesce si trattiene volentieri anche presso i piloni dei
vecchi ponti sfruttando le buche esistenti nella parte più profonda. La carpa non è un pesce
nomade, ma ha abitudini stanziali e non ama allontanarsi troppo dal luogo che ha scelto per
ricovero e che le offre tutte le condizioni alimentari e ambientali di cui ha bisogno.
Tanto più la stagione e lʼacqua saranno fredde e tanto meno la carpa si muoverà.
Da ottobre a febbraio la sua attività motoria e alimentare si riduce al minimo; da febbraio ad
aprile essa comincia a muoversi maggiormente. Da maggio ad agosto, ricorrendo il periodo
della frega, la carpa si muove e si sposta sempre di più alla ricerca delle opportune zone di
57
deposizione. È attiva soprattutto di notte, mentre di giorno si limita a “pascolare” con lenti
movimenti, grufolando con i barbigli tra il limo in cerca di prede.
Alimentazione
Specie onnivora che ricerca il cibo alla superficie e nella compagine dei sedimenti di fondo.
Nella dieta della carpa, contrariamente a quanto sostenuto da molti, lʼimportanza alimentare
dei vegetali è secondaria. La specie si alimenta aspirando tutto quello che ha a raggio di bocca e
selezionando direttamente dentro la cavità boccale ciò che tratterrà per nutrirsi.
Gli elementi scartati saranno poi espulsi con un “soffio”. La dieta preferita è costituta da larve
di insetti, molluschi, gasteropodi e bivalvi, crostacei e vermi che vengono raggiunti nella
melma a profondità superiore anche ai 10 cm. Lʼattività alimentare è legata alla temperatura
dellʼacqua e cessa quando lʼacqua scende sotto i 6°C.
Riproduzione
La maturità sessuale è raggiunta a 2 - 4 anni dʼetà. I maschi solitamente maturano un anno
prima delle femmine. La riproduzione inizia a metà maggio e può protrarsi sino al mese
di luglio. Quando la temperatura dellʼacqua
raggiunge i 18 - 20°C durante il giorno e non
scende sotto i 14 - 15°C di notte, i maschi e
le femmine si portano in acque poco profonde
e provvedono alla deposizione delle uova che
vengono attaccate ai tappeti di vegetazione.
La frega delle carpe è molto rumorosa: i
maschi, molto eccitati, si abbandonano a violente evoluzioni compiendo numerosi salti fuori
dallʼacqua. La femmina depone circa 100.000
- 200.000 uova per kg di peso che misurano
circa 1,5 mm di diametro. La schiusa avviene
Carpa regina (Cyprinus carpio)
dopo 5 - 6 giorni. Lʼaccrescimento degli avannotti è rapido; a un anno di età la lunghezza è di 15 cm e il peso di 200 g. A tre anni di età una
carpa è già pronta per la riproduzione ed ha già acquistato rispettabili dimensioni. Gli adulti
arrivano sino ai 130 cm di lunghezza con un peso massimo che si aggira sui 40 Kg, ma 20
- 25 Kg sono già eccezionali.
Status della specie
Presente in tutta lʼarea del Parco.
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IL CAVEDANO (Leuciscus cephalus)
Descrizione
Corpo allungato a sezione trasversale ovale, poco compresso lateralmente. Testa relativamente
grande. Bocca in posizione terminale, con labbra spesse e mascella superiore leggermente
più lunga di quella inferiore. Lʼapertura orale raggiunge allʼindietro il margine anteriore dellʼocchio. Denti faringei molto ravvicinati con bordo uncinato e seghettato. Squame cicloidi.
Pinna dorsale con origine di poco posteriore alla corrispondenza con la base delle pinne ventrali. Pinna anale a bordo esterno convesso. Pinna caudale falcata. Livrea variabile a seconda
delle condizioni ambientali e fisiologiche.
La tinta di base del dorso è generalmente grigio verde con riflessi brunastri o bluastri. Fianchi
argentei o tendenti al dorato, dello stesso colore di fondo del dorso, gradatamente più chiari
procedendo verso il ventre. Ventre e parte inferiore del capo di colore bianco perlaceo o
bianco giallastro.
Pinne ialine, traslucide e semitrasparenti. Pinna dorsale e pinna caudale più scure e spesse.
Le pinne pettorali sono di colore giallo o arancio rossastro, le pinne ventrali e pinna anale di
colore arancio o rosso.
Habitat e abitudini
Specie ancora molto diffusa, preferisce fondali duri misti a ghiaia, sabbia e pietrisco, ma
si incontra normalmente anche
in zone con acque lente, fondale
fangoso e ricco di vegetazione
sommersa. In acqua corrente risulta più abbondante nella “zona
del barbo”.
Poco sensibile allʼinquinamento, spesso vive in prossimità
di scarichi fognari per cibarsi
dei rifiuti presenti tra i liquami
(comunemente chiamato “spazzino dʼacqua dolce”).
Di indole gregaria, forma
branchi anche molto numerosi e composti generalmente da
Cavedano catturato a Trezzo sullʼAdda
individui della stessa taglia ed
età. Gli esemplari di più grossi tendono ad isolarsi o a spostarsi in piccoli gruppi formati da
due a poco più di una decina di esemplari.
Durante la bella stagione la maggiore attività si osserva nelle ore crepuscolari, mentre nelle
ore centrali della giornata i branchi stazionano quasi immobili vicino alla superficie.
Dallʼinizio dei primi freddi fino a primavera si trattengono in profondità, entrando in attività
durante le ore centrali della giornata.
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Alimentazione
Specie onnivora ed opportunista, le componenti della dieta variano a secondo della stagione
e della capacità trofica dellʼhabitat. Lʼalimentazione comprende sostanze animali, vegetali,
detrito organico e rifiuti. Tra le componenti di origine animale predominano insetti acquatici
e loro larve, molluschi, vermi, crostacei, uova ed avannotti. Gli esemplari di taglia più grande
sono attivi predatori di altre specie ittiche e di piccoli anfibi come immaturi di rana, girini e
tritoni. In estate la componente vegetale è maggiore ed oltre ad alghe filamentose e macrofite
acquatiche comprende anche frutta e semi caduti in acqua. Nella loro dieta hanno un peso
notevole anche sostanze di origine antropica. Lʼalimentazione viene spesso integrata da rifiuti
urbani e dalle pasture gettate in acqua dai pescatori.
Riproduzione
La frega ha luogo da aprile a luglio, con temperature dellʼacqua non inferiori ai 12°C e si
svolge in modo collettivo, in piccoli gruppi in cui prevalgono numericamente i maschi.
La deposizione avviene in più di un ciclo, di solito durante la notte, prevalentemente su
fondali ghiaiosi, in acque basse, correnti e ben ossigenate. Per ogni stagione la femmina
può produrre fino a circa 50.000 uova per chilogrammo di peso. Le uova sono adesive ed
hanno diametro di 1,5 - 2 mm. Dopo la fecondazione le uova aderiscono al substrato fino alla
schiusa. Lo sviluppo embrionale richiede circa 10 - 12 giorni. Alla schiusa le larve misurano
circa 4 mm.
Status della specie
Nel Parco Adda Nord sono presenti in numerose colonie, ma lʼingente numero di cormorani
svernanti nel Parco e il veloce insediamento del siluro stanno già portando questa specie ad
una rapida diminuzione.
È un pesce molto resistente allʼinquinamento risultando presente persino in acque rese eutrofiche da scarichi industriali o in siti a bassa concentrazione di ossigeno.
Cavedano (Leuciscus cephalus)
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IL GOBIONE (Gobio gobio)
Descrizione
Si tratta di un pesce dal corpo allungato e fusiforme, sub cilindrico nella parte anteriore e compresso in quella caudale. La testa è relativamente grossa e corta, appiattita dorsalmente e con
muso allungato. La bocca è situata in posizione ventrale; in corrispondenza della connessura
labiale presenta due barbigli tattili. Gli occhi sono situati piuttosto in alto. Il corpo è coperto
da squame cicloidi, grosse e saldamente impiantate. La linea laterale ha andamento quasi
orizzontale. Pinna dorsale a base corta, ha origine un poco più avanti della corrispondenza
con le pinne ventrali. La pinna caudale mostra unʼincisura molto marcata sul margine.
Il dorso del gobione è grigio verdastro o brunastro, più chiaro e con riflessi argentei sui
fianchi. Il ventre è grigio argenteo. Nella regione dorso-laterale sono presenti numerose
piccole macchie nere distribuite in modo irregolare e generalmente bordate di grigio.
Lungo i fianchi si possono notare una serie di 5 - 10 grandi macchie scure, più marcate
negli esemplari giovani; una macchia scura è presente anche sullʼopercolo. La pinna dorsale
e la caudale sono dello stesso colore del dorso mentre le altre possono uniformarsi a tale
colorazione oppure essere biancastre o giallo biancastre; tutte le pinne sfoggiano numerose
macchiette bruno nerastre o nere, presenti soprattutto sulla pinna dorsale caudale.
Habitat e abitudini
Ciprinide tipicamente reofilo, il gobione vive in acque correnti e fresche a fondo ghiaioso o
sabbioso. Ama le acque limpide e non troppo fredde, meglio se con vegetazione acquatica.
La specie è gregaria, a volte forma gruppi costituiti da numerosi soggetti ma, generalmente,
gli individui tendono a distribuirsi uniformemente sul fondale del corso dʼacqua. Si trova
spesso associato al barbo, allʼalborella, al cavedano e alla lasca (ormai assente in Adda).
In estate i branchi si trattengono in acque basse o poco profonde mentre in inverno si portano
a profondità maggiori. Date le sue piccole dimensioni e abitudini di vita, il gobione è una
specie che tende a sfuggire allʼattenzione e alla cattura, pertanto la consistenza delle sue
popolazioni può essere talora notevolmente sottostimata.
Alimentazione
Il gobione è essenzialmente carnivoro e, come tutte le specie bentoniche, ricerca il
proprio cibo sul fondo. La dieta comprende larve di insetti, crostacei e anellidi; gli individui
di maggiori dimensioni si nutrono anche di molluschi e talora di altri piccoli pesci.
Riproduzione
La maturità sessuale viene in genere raggiunta al 2° anno dʼetà. Il periodo riproduttivo risulta
in genere da aprile a giugno. Il gobione è un pesce che vive in branchi; nel periodo della
riproduzione tali branchi si fanno via via più numerosi e si portano nelle aree di frega.
Le uova vengono deposte dalle femmine in porzioni separate (a intervalli di più giorni) e
successivamente fecondate dai maschi in acque basse (talvolta profonde solo pochi centimetri), su pietre o piante. Le uova hanno un colore azzurro, più o meno intenso e misurano circa
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1,5 - 1,9 mm di diametro. Contrariamente a quanto avviene di solito, un solo maschio può fecondare più uova di diverse femmine. La schiusa richiede 7-8 giorni a temperatura di 17°C.
Accrescimento
Lʼetà massima varia da 4 a 5 anni a seconda delle popolazioni. La lunghezza massima tocca
i 20 cm (media di 15-16 cm).
Status della specie
Nel Parco la specie è messa in pericolo dalla costruzione di sbarramenti artificiali invalicabili
e da alterazioni della qualità dellʼacqua. Quasi estinto, attualmente è ricomparso nei territori
del Parco. Il gobione è una specie sensibile allʼinquinamento e allʼalterazione dei fondali
(escavazioni). È per questo considerato un valido bioindicatore poiché la sua presenza indica
generalmente condizioni ambientali inalterate. Viene spesso confuso con il barbo dal quale si
distingue per avere un solo paio di barbigli.
Gobione (Gobio gobio)
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Particolare della testa
IL PIGO (Rutilus pigus)
Descrizione
Corpo alto ed allungato, compresso in senso laterale, con profilo dorsale molto arcuato negli
esemplari di taglia maggiore. Testa robusta, muso conico e bocca in posizione inferiore.
Squame relativamente grandi di tipo cicloide. Pinna dorsale ed anale a bordo libero concavo.
Pinna caudale biloba con incisura moderatamente profonda. Livrea del dorso variabile da
verde oliva a bruno verdastro. Fianchi dello stesso colore di fondo del dorso, gradatamente
più chiari procedendo verso il basso.
Squame dei fianchi argentee negli immaturi con sfumature bronzee o dorate
negli adulti. Ventre di colore biancastro
con riflessi argentei o dorati.
Pinne ialine con sfumature grigie o
verdastre. Pinne dorsale e caudale più
scure e spesse delle altre.
Solo durante il periodo di frega, i maschi assumono una livrea dai toni più
brillanti e sviluppano su ogni lato del
capo e sopra lʼocchio due file orizzonPigo (Rutilus pigus) maschio pronto per la riproduzione
tali di tubercoli nuziali distinti e separati.
(notare i tubercoli nuziali che rivestono il suo corpo)
Tali tubercoli sono grandi, appuntiti, ed
occupano circa il 50% della parte esposta delle squame.
Habitat e abitudini
Predilige le zone profonde a corrente lenta, ricche di vegetazione sommersa, con substrato
a prevalenza di sabbia e ghiaia. Specie gregaria e stanziale, forma branchi numerosi; quelli
composti da individui adulti sono costituiti da esemplari di varia taglia ed età, mentre i giovani tendono ad associarsi anche con altri ciprinidi.
Nei fiumi si trattengono su alti fondali dove la corrente è più moderata e svernano in acque
profonde, al riparo di grandi massi o tra gli anfratti del fondale.
Alimentazione
Specie onnivora. Lʼalimentazione comprende sostanze animali tra cui predominano insetti
acquatici, vermi, molluschi e crostacei, mentre tra i vegetali si ciba di alghe filamentose e
detrito organico. In estate la componente vegetale diventa prevalente.
Riproduzione
La riproduzione si svolge da aprile a giugno, con temperatura non inferiori ai 14°C e può
esser anticipata o posticipata secondo le condizioni climatiche e la portata dei corsi dʼacqua.
La deposizione si svolge in acque basse, correnti e ben ossigenate, con fondali sabbiosi e
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ghiaiosi. La fecondità è elevata, per stagione ciascuna femmina può produrre diverse migliaia di uova adesive di circa 2 mm di diametro. Dopo la fecondazione le uova aderiscono al
substrato fino alla schiusa. La durata della vita del pigo è di 9 - 15 anni.
Status della specie
Specie endemica, il pigo è tra i pesci più rappresentativi dei grandi fiumi dellʼItalia settentrionale. In Italia e Svizzera Rutilus pigus risulta in declino in tutta la sua area originaria di
diffusione per via dellʼormai compromessa qualità delle acque e a causa della costruzione di
dighe e sbarramenti invalicabili che impediscono ai pesci di raggiungere aree di riproduzione
adatte. Il pigo sta progressivamente scomparendo da molti corsi dʼacqua a seguito dellʼintroduzione di specie ittiche alloctone congeneri (Rutilus rutilus) la cui presenza minaccia
lʼintegrità genetica delle popolazioni. Il pigo, anche se in diminuzione, è presente nel Parco.
Protezione
In Italia e in Svizzera la specie è protetta da misure minime e periodi di divieto di pesca.
Recentemente è stato avviato un programma di allevamento in cattività e reintroduzione in
natura. La specie Rutilius pigus viene citata come minacciata nellʼallegato III della convenzione di Berna (fauna protetta) ed è segnalata tra le specie a rischio nella Direttiva Europea
“Habitat” (92/43 CEE)
Pigo catturato in localitaʼ Fara Gera dʼAdda
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Diffusione
LA SAVETTA (Chondrostoma soetta)
Descrizione
Corpo massiccio, allungato, a sezione trasversale ovale e leggermente compresso. Testa relativamente piccola, a forma conica, con muso appuntito ad apice arrotondato. Bocca in posizione ventrale con apertura orale diritta. Il labbro superiore è prominente. Labbro inferiore
provvisto di uno spesso margine corneo. Denti
faringei lunghi e a forma di coltello. Occhio
di dimensioni medie. Squame cicloidi relativamente piccole. Pinne dorsale e anale con
bordo posteriore concavo. Pinna caudale con
lobi appuntiti e margine esterno ad incisura
marcata. Pinne ventrali inserite a livello della
corrispondenza con la base della pinna dorsale.
Colorazione del dorso variabile da grigio cenerina a grigio verdastra o grigio brunastra.
Fianchi argentei con macchie scure sul bordo
a costituire linee parallele fra loro. Ventre di
Savetta: particolari del capo
colore bianco argentato. Pinne dorsale e caudale scura, con sfumature grigio verdastre. Pinna anale con leggere sfumature rosee. Pinne pari translucide, con sfumature giallastre, rossicce o color arancio più o meno marcate.
Caratteristica particolare è che la cavità interna ha un epitelio nero.
Habitat e abitudini
Specie reofila diffusa in laghi e fiumi di portata medio elevata con substrato duro misto a
sabbia, ghiaia, pietrisco e provviste di abbondante vegetazione sommersa. Frequenta prevalentemente corsi dʼacqua di pianura. Relativamente stanziale, bentonica e gregaria, forma
branchi di taglia ed età eterogenee anche molto numerosi, spesso in associazione con altri
ciprinidi reofili. Durante lʼestate la savetta staziona frequentemente al riparo di grossi massi
o della vegetazione sommersa, quasi sempre in prossimità di acque medio veloci.
In inverno si sposta in acque profonde, nascondendosi in anfratti o sotto grandi massi protetta
da forti correnti dove resta in stato latente o svolge attività ridotta. Effettua notevoli spostamenti tanto in ambiente fluviale che lacustre, specialmente durante la stagione di frega.
Alimentazione
Specie onnivora. Nella dieta ha ruolo fondamentale la componente vegetale, in particolare
alghe e diatomee. Nel regime alimentare rientrano discrete quantità di detrito organico e, in
misura minore, invertebrati bentonici come insetti acquatici, molluschi, vermi e crostacei.
Gli avannotti e gli immaturi più giovani si cibano di microinvertebrati e di plancton; con la
crescita la componente vegetale aumenta progressivamente fino a divenire nettamente dominante. In tempi passati la savetta era considerata pesce dannoso alla fauna ittica autoctona a
causa del fatto che si ciba anche di uova di altri pesci.
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Riproduzione
La frega avviene da marzo a giugno a seconda delle condizioni climatiche dellʼanno in corso, ma
con temperature dellʼacqua non inferiori ai 15°C. Nei fiumi i branchi di riproduttori compiono
migrazioni per portarsi in acque a corrente rapida, ben ossigenata e con substrato ghiaioso o
sassoso. La deposizione si svolge generalmente di notte. La fertilità è relativamente elevata;
per stagione ogni femmina produce fino a circa 100.000 uova. Le uova sono adesive, di colore verdastro, del diametro di 1,5 mm e dopo la deposizione aderiscono al substrato fino alla
schiusa. Lʼaccrescimento non è particolarmente veloce; le savette misurano 13 - 15 cm al 3°
anno e 22 - 26 cm (per 100-200 g di peso) al 5° anno. Può raggiungere le dimensioni di 45
cm con un peso di quasi 2 Kg. Età massima 9 anni.
Status della specie
La savetta è una delle specie che ha maggiormente risentito dellʼinquinamento e della
costruzione di dighe e sbarramenti privi di scale di risalita, impedendo gli spostamenti verso
le aree adatte alla deposizione delle uova, riducendone sia lʼareale che la consistenza delle
popolazioni. Lʼavvento del siluro e il sempre più cospicuo numero di cormorani allʼinterno
del Parco hanno inflitto a questa specie un colpo mortale, scomparendo di fatto dal tratto
di Adda del Parco Adda Nord. Solo grazie al lavoro del Comitato Centro Adda coadiuvato
da F.I.P.S.A.S., Province e Parco Adda Nord, dopo anni di accurate semine stanno timidamente ricomparendo a macchia di leopardo, soprattutto nella provincia di Lecco, Bergamo,
Milano.
Protezione
Trattandosi di un endemismo delle acque italiane, la savetta in Adda è protetta.
La specie è inserita nellʼannesso III della Convenzione di Berna, sulla conservazione della
fauna selvatica europea e degli habitat naturali, come specie minacciata. Nella Lista Rossa
IUCN (International Union for Conservation of Nature and Natural Resources) la specie è
classificata in pericolo.
Savetta (Chondrostoma soetta)
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Diffusione
LA SCARDOLA (Scardinius erythrophthalmus)
Descrizione
Corpo robusto, alto e allungato, a sezione trasversale ovale e lateralmente compressa.
Gli esemplari di taglia maggiore mostrano una gibbosità pronunciata. Testa con profilo dorsale
diritto o leggermente convesso. Muso appuntito
nella zona anteriore con apice allʼaltezza del centro dellʼocchio o di poco più in basso.
Bocca in posizione terminale, leggermente
inclinata verso lʼalto. Livrea del dorso variabile
da verde oliva a verde bluastro.
Fianchi dello stesso colore di fondo del dorso, con
squame argentee, più chiari procedendo verso
il basso. Ventre di colore bianco, talvolta con
sfumature giallastre. Iride di colore dorato punteggiata da melanofori scuri.
Pinne pari e pinna anale semitrasparenti, di colore
grigiastro negli esemplari adulti.
Particolari anatomici della scardola: squame cicloidi Pinne dorsale e caudale più scure e spesse.
Habitat e abitudini
Si tratta di una specie limnofila diffusa in acque a corso medio lento, ricche di vegetazione
sommersa e di sponda e con substrato prevalentemente fangoso. Non sopravvive in acque che
si mantengano a temperature inferiori a 12 - 15°C per la maggior parte dellʼanno.
Grazie ad unʼelevata tolleranza a bassi livelli di ossigeno disciolto e ad una relativa capacità
di sopravvivere in acque moderatamente inquinate o leggermente salmastre, la sua presenza
cala sensibilmente solo in quei bacini dove entra in competizione alimentare o viene predata
da specie ittiche alloctone. Di indole stanziale e gregaria forma branchi numerosi composti
da esemplari di varia taglia ed età. Resta generalmente attiva anche in inverno mentre la
ricerca del cibo rallenta fino a fermarsi completamente soltanto se la temperatura dellʼacqua
raggiunge valori prossimi ai 4°C.
Alimentazione
Specie onnivora, prevalentemente fitofaga. La dieta degli adulti si basa prevalentemente su
sostanze vegetali come alghe filamentose e macrofite acquatiche; in misura minore comprende
anche insetti, vermi, crostacei, molluschi, uova ed avannotti di altre specie.
Riproduzione
La frega si svolge da aprile a luglio, con temperatura dellʼacqua non inferiore a 15°C, anticipata o posticipata secondo le condizioni climatiche annuali. I riproduttori si radunano in
branchi numerosi e la deposizione si svolge con modalità collettiva in acque poco profonde,
ricche di vegetazione sommersa come canneti o aree di esondazione dove lʼacqua ha coperto
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prati e pascoli. La fecondità è relativamente elevata: le femmine più grandi possono produrre
fino a 100.000 piccole uova rossastre, adesive e del diametro di circa 1 - 1.5 mm.
Dopo la fecondazione le uova aderiscono al substrato fino alla schiusa.
Accrescimento
La maturità sessuale viene raggiunta a 2 anni nei maschi e a 3 anni dalle femmine.
Specie di taglia medio piccola, in media gli esemplari misurano dai 15 ai 25 cm e pesano da
200 a 300 g. La taglia massima è di circa 40 cm e circa 1 - 2 Kg di peso.
Status della specie
Ancora ben presente in alcuni tratti del Parco, in particolare quelli adiacenti ai centri abitati
dove i cormorani sono relativamente disincentivati a predare. In altre zone isolate la specie è
gravemente in pericolo in quanto in modo massiccio è predata da essi.
Scardola (Scardinius erythrophthalmus)
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LA TINCA (Tinca tinca)
Descrizione
Corpo ovale, tozzo e spesso, a sezione trasversale ovale poco compressa lateralmente. Squame
cicloidi piccole, saldamente inserite nel derma e protette da abbondante muco. Bocca protrattile con labbra spesse e carnose. Presenza di un paio di barbigli mascellari. Occhio relativamente piccolo.
Pinna dorsale relativamente alta, altre pinne normalmente sviluppate con apici arrotondati.
Livrea variabile a seconda dellʼhabitat. Dorso generalmente bruno nerastro o verdastro, fianchi dello stesso colore di fondo del dorso con riflessi dorati e gradatamente più chiari verso
la zona ventrale. Ventre giallo con possibili riflessi arancio o rossastri. Pinne bruno nerastre,
bruno verdastre, con riflessi rosei o arancio.
Tinca (Tinca tinca): particolari anatomici della regione caudale e del capo
Habitat e abitudini
Specie fitofila obbligata, in Adda vive nei tratti di fiume a corso lento o nelle rientranze e
nelle morte. Predilige in ogni caso zone ricche di vegetazione sommersa con substrato molle
ed esposte a temperature estive relativamente elevate. Anche se la temperatura dellʼacqua
ottimale per la specie è compresa tra i 15 ed i 24° C, per brevi periodi resiste a temperature di
poco superiori ai 37°C. Sopporta acque leggermente acide, bassi livelli dʼossigeno disciolto
e sopravvive a lungo allʼasciutto (in presenza di umidità elevata), popolando ambienti proibitivi per altre specie.
Moderatamente fotofoba, mostra maggiore attività durante le ore crepuscolari e notturne.
Di indole gregaria e stanziale forma branchi composti da esemplari di varia taglia ed età che
durante la bella stagione stazionano in acque basse, lungo le sponde, ai margini dei canneti o
in aree ricche di vegetazione sommersa. Nei mesi più rigidi la tinca entra in latenza e sverna
affossata nel limo del fondo. Lʼabitudine ad immergersi nel limo del fondale si manifesta
talvolta in estate quando le temperature o la carenza di ossigeno non consentono alla specie
la possibilità di svolgere la normale attività alimentare.
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Alimentazione
Specie onnivora, la sua dieta varia a seconda della stagione. In età adulta la tinca diventa principalmente carnivora (attenzione, non ittiofaga!), ripiega su sostanze vegetali quando non
sono disponibili fonti di cibo di
origine animale. Generalmente la
sua dieta comprende insetti, crostacei, molluschi, vermi e, in caso
di necessità, macrofite acquatiche
e detrito organico.
Riproduzione
In Italia la frega generalmente
inizia a maggio quando la temperatura dellʼacqua raggiunge i
19°C, con un optimum termico
compreso tra i 22 ed i 24°C e si
protrae sino a luglio. La riproduNotevole esemplare di 3,5 Kg
zione della tinca si svolge in più
riprese (da 1 a 9 volte per anno), con intervalli di 11 - 15 giorni ed ha luogo in acque basse e
ricche di vegetazione sommersa, come canneti o erbai. Ogni volta la femmina depone le uova
in piccoli gruppi, mentre uno o più maschi la seguono fecondando le uova ad ogni emissione.
La fecondità è elevata: femmine del peso di un paio di chilogrammi possono produrre per
stagione fino a 300.000 uova verdastre del diametro di 0,8 - 1,5 mm. La schiusa si verifica in
4 - 8 giorni. Forti escursioni termiche durante lʼincubazione innalzano il tasso di mortalità.
Le larve appena nate restano attaccate alla vegetazione acquatica per circa 10 giorni fino al
riassorbimento del sacco vitellino. Durante i primi mesi di vita si trattengono a mezzʼacqua
e solo in seguito acquisiscono lʼabitudine di vivere sul fondo. La maturità sessuale viene
raggiunta tra i 2 ed i 6 anni. Solitamente i maschi maturano un anno prima delle femmine.
La tinca raggiunge una lunghezza massima di 70 cm con un peso di 5 Kg, ma la media degli
esemplari è di circa 20 – 40 cm, con un peso tra 600 g e 2 Kg.
In Adda si sono effettuate catture di esemplari superiori ai 4 Kg con misure di oltre 50 cm.
Status della specie
Nel Parco Adda Nord la specie, seppur presente in folte colonie, attualmente sta subendo una
notevole flessione per la preoccupante azione predatoria del cormorano e del siluro.
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IL TRIOTTO (Rutilus erythrophthalmus)
Descrizione
Corpo allungato e leggermente compresso in senso laterale. Profilo dorsale più o meno
arcuato. I soggetti che vivono in acque lente o ferme hanno corpo di altezza maggiore.
Testa relativamente piccola, muso arrotondato e bocca terminale. Linea laterale situata sotto
la linea mediana del corpo, incurvata verso lʼalto nella parte anteriore. Peduncolo caudale
relativamente sottile. Pinna caudale
biloba e nettamente incisa.
Livrea del dorso più o meno scura, variabile da verde oliva a bruno
verdastro. Fianchi dello stesso colore
di fondo del dorso, con riflessi argentei e gradatamente più chiari in senso
dorso-ventrale. Striscia scura laterale
molto marcata, estesa dallʼocchio alla
fine del peduncolo caudale.
Iride di colore rossastro, con bordi
dorati e radi piccoli melanofori scuri.
Pinne ialine, con sfumature grigie o
verdastre. Pinne dorsale e caudale
più scure e spesse delle altre. Le pinne pari e la pinna anale possono assumere sfumature
arancio, giallastre o di colore rosso, tinte che divengono più marcate durante la stagione della
riproduzione.
Habitat e abitudini
Specie fitofila, tipica di acque ricche di vegetazione a corso lento o moderato, può essere
presente anche in corsi dʼacqua con corrente più veloce e su substrato a prevalente ghiaia e
pietrisco. Ha abitudini gregarie e tende a formare gruppi anche molto numerosi, spesso in
associazione con altri ciprinidi come la scardola, la tinca, lʼalborella ed il carassio. Durante i
mesi più caldi si trattiene in acque poco profonde. Nei fiumi sverna in profondità.
Alimentazione
Specie onnivora a bassa specializzazione alimentare che varia secondo lʼetà e le stagioni.
Comprende sostanze animali tra cui predominano insetti acquatici, molluschi, crostacei e
vegetali come alghe filamentose, macrofite acquatiche e detrito organico.
In estate la componente vegetale è maggiore. Lʼalimentazione viene spesso integrata con
pasture gettate in acqua dai pescatori sportivi.
Riproduzione
La frega generalmente si svolge da maggio a giugno, ma può essere anticipata o posticipata a
seconda delle condizioni climatiche. La deposizione avviene in più riprese, a brevi intervalli,
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su substrati ricchi di vegetazione sommersa. Rispetto alle ridotte dimensioni, la specie è
molto prolifica; per stagione, ogni femmina produce alcune migliaia di piccole uova adesive.
Dopo la fecondazione le uova aderiscono alla vegetazione acquatica o ad altri elementi del
substrato fino alla schiusa. La durata dello sviluppo embrionale è breve. La schiusa si verifica
dopo pochi giorni dalla fecondazione.
Accrescimento
Specie di piccola taglia ha unʼaccrescimento è relativamente veloce. Dimensione massima
segnalata 20 cm. Età massima riportata 7 anni.
Nel Nord Italia la specie è endemica. Allʼinterno del Parco Adda Nord è presente ancora in
buon numero, anche, se negli ultimi anni, ha subìto un calo numerico per lʼincessante incremento della presenza di colonie di cormorani svernanti nel Parco e a causa del degrado della
qualità delle acque.
Triotto (Rutilus erythrophthalmus)
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IL VAIRONE (Leuciscus souffia muticellus)
Descrizione
Corpo allungato, snello, fusiforme, leggermente compresso e coperto di squame piuttosto
grandi. Il muso è piccolo. La bocca ha labbra piccole e termina al di sotto della narice anteriore.
Pinna dorsale corta che nasce posteriormente a livello dellʼinserzione delle pinne ventrali.
Pinna anale corta. Pinna caudale biloba con margine nettamente incavato.
La colorazione è blu metallica scura o nero verdastra dorsalmente, argentea sui fianchi con
una banda longitudinale nera estesa dallʼocchio alla coda.
Lʼocchio è di colore argenteo.
La pinna dorsale è grigia così come quella caudale; le pinne pettorali ventrali hanno una
macchia arancione alla loro base.
Habitat
Specie amante di acque correnti, limpide e ricche di ossigeno, il vairone è tipico del tratto
pedemontano dei corsi dʼacqua e lo si rinviene abbondante soprattutto in quelli di minori
dimensioni. Vive di preferenza nei raschi delle acque correnti limpide a fondo ghiaioso.
Alimentazione e abitudini
Il vairone ha abitudini gregarie, forma branchi che solo in casi eccezionali arrivano a contare
più di un centinaio dʼindividui.
In alcuni ambienti la sua distribuzione si sovrappone in parte con quella della trota (di cui è la
principale fonte di alimentazione), ma solitamente si trova associato ad altri ciprinidi.
La sua attività si svolge di preferenza in vicinanza del fondo o a mezzʼacqua.
Nelle giornate molto fredde, durante le ore di sole, si può trovare in acque profonde, nelle
cosiddette “buche” sotto le cascate.
Durante la primavera e lʼestate sʼincontra con maggior facilità nelle prime ore del mattino o
dopo il tramonto.
Si tratta di un pesce onnivoro molto agile, aggredisce il cibo con grande velocità mediante
piccoli scatti fulminei. La dieta, date le piccole dimensioni, è costituita prevalentemente da
piccoli invertebrati di fondo planctonici e da insetti alati che caccia a pelo dʼacqua.
Riproduzione
La maturità sessuale viene raggiunta a 2 o 3 anni a seconda dellʼambiente.
Il vairone si riproduce tra la fine di aprile e quella di agosto, in funzione della temperatura
dellʼacqua e delle altre condizioni climatiche.
Come altre specie ittiche tende a riunirsi in branchi che stazionano a lungo nel luogo scelto
per la deposizione e la fecondazione delle uova. Lo si trova, in genere, in acque basse a fondo
sabbioso molto ben ossigenate dalla corrente.
Come altri ciprinidi anche il vairone ha uova adesive.
Dopo la deposizione aderiscono al substrato e vengono in seguito fecondate dai maschi.
La schiusa avviene dopo circa 5 giorni.
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Status della specie
Il vairone è una specie indigena dellʼItalia settentrionale.
Nel Parco la popolazione è in netto calo, non solo perché si tratta di una specie molto predata
dalle colonie stanziali di cormorani, ma anche a causa della progressiva scomparsa degli
habitat che predilige.
Solo ultimamente e grazie anche allʼentrata in vigore della legge che assicura il Deflusso
Minimo Vitale sembra che a valle di alcuni sbarramenti in via di ristrutturazione possano
crearsi degli ambienti idonei ad un nuovo insediamento del vairone. Ciò comporterebbe con
ogni probabilità anche la presenza della trota marmorata che ripone in questo piccolo ciprinide
la sua principale fonte di alimentazione.
Vairone (Leuciscus souffia muticellus)
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LʼANGUILLA (Anguilla anguilla)
Descrizione
Corpo serpentiforme, subcilindrico nella parte anteriore che si comprime in senso laterale
nella parte posteriore. Capo subconico, in alcuni individui più largo e appiattito.
Muso alquanto appiattito nella parte distale con mandibola più lunga della mascella superiore.
Bocca di medie dimensioni, in posizione terminale, con mandibola più o meno prominente.
Due paia di narici, quelle anteriori sono tubuliformi e poste in posizione molto avanzata.
Occhi piccoli in posizione arretrata rispetto allʼapertura della bocca ed al di sopra della stessa
fessura branchiale, stretta e posta immediatamente avanti allʼinserzione delle pinne pettorali.
Tutte le pinne sono costituite da raggi molli. La lunga pinna dorsale ha origine a circa metà
della distanza tra lʼapice delle pettorali e lʼano; pinna anale lunga con origine posta davanti
alla metà della lunghezza del corpo; entrambe confluiscono formando una pinna caudale
diflocerca. Pinne ventrali assenti. Pinne pettorali normalmente sviluppate. Scaglie cicloidi
molto piccole, di forma ellittica. Pelle viscida per abbondante secrezione di muco grazie
alle ghiandole mucipare di cui è ricca la pelle. Colorazione variabile in rapporto allʼhabitat,
alla taglia ed allo stadio di sviluppo dei soggetti: da bruno verdastra a bruno scura sul dorso,
gradualmente più chiaro sui fianchi, con ventre bianco o giallastro. Lʼaspetto degli occhi e la
colorazione variano quando lʼanguilla raggiunge la maturità sessuale.
Stadi larvali: prima di assumere lʼaspetto sopra descritto le anguille attraversano una lunga
fase di sviluppo larvale, nella quale la specie ha un aspetto assai diverso ed una successiva
fase post larvale, in cui la piccola anguilla è ancora depigmentata.
Il “leptocefalo” è la forma larvale marina tipica
degli Anguilliformi. Il leptocefalo dellʼanguilla
presenta forma a foglia di salice, ha testa molto
piccola, è fortemente compresso in senso laterale
ed è completamente trasparente.
Si sviluppa dalla larva dopo la schiusa dellʼuovo,
nellʼarea riproduttiva del Mar dei Sargassi.
Nellʼarco di un periodo lungo 3-4 anni viene trasportato passivamente dalle correnti superficiali
marine fino alle coste europee, compreso il Mar Anguilla adulta “argentina” e anguilla “gialla” sub-adulta
Mediterraneo. I leptocefali trascinati attraverso
lo Stretto di Gibilterra subiscono una metamorfosi graduale.
In questa fase il corpo si riduce notevolmente in altezza e si accorcia in lunghezza e acquista
una forma sub cilindrica.
Lʼano e lʼorigine della pinna dorsale si spostano in avanti ed il muso si arrotonda.
Nella successiva fase, nota come “cieca”, la piccola anguilla è già simile allʼadulto, ma resta
depigmentata e trasparente. Le cieche, di lunghezza variabile da 65 a 80 mm, iniziano la
migrazione in acque interne. Insediatesi nel nuovo ambiente, le stesse pigmentano e subiscono
una nuova metamorfosi verso lo stadio di anguille “gialle”. Si completa la formazione delle
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scaglie, gli occhi si riducono, la testa si allarga, la colorazione diventa bruna sul dorso e giallo
limone sui lati. Tali trasformazioni rendono gli animali più adatti alle acque continentali.
Tuttavia non si è ancora raggiunta la maturità sessuale. Le anguille gialle sono quindi da
considerarsi sub-adulte e raggiungeranno gradualmente lʼaspetto definitivo. In questa fase
viene denominata “argentina”.
Habitat
Da adulto abita indifferentemente le acque salate, salmastre e dolci, spingendosi fino a 1000
metri sopra il livello del mare. Molti autori considerano lʼanguilla un pesce dʼacqua dolce,
anfibiotico nel periodo precedente e seguente la riproduzione che passa dalle acque dolci al
mare per riprodursi.
In mare preferisce i fondali melmosi e sabbio-melmosi e la si può trovare nelle praterie di
poseidonia costiere, presso porti o porticcioli che possono offrire un riparo durante le mareggiate, nelle lagune salmastre, alle foci dei fiumi, in qualunque corso dʼacqua, sia esso fiume,
canale, fosso o addirittura fogna cittadina, nei laghi, negli stagni, nelle paludi e perfino nei
pozzi. Anche se sullʼargomento sussistono incertezze e disparità di vedute sembra che siano
i soggetti di sesso femminile ad addentrarsi maggiormente nel reticolo idrografico delle terre
emerse, mentre i maschi tenderebbero più frequentemente ad arrestarsi nel tratto inferiore dei
corsi dʼacqua e in acque lagunari, se non addirittura nelle acque marine costiere.
Rispetto alle caratteristiche fisiche dellʼacqua, lʼanguilla è un pesce eurialino, euritermo ed
euribate, ovvero tollera agevolmente variazioni di salinità, temperatura e pressione.
Sopporta abbastanza bene le basse concentrazioni di ossigeno. In condizioni estreme può
uscire dallʼacqua e sopravvivere a lungo in ambienti sufficientemente umidi sfruttando le sue
possibilità di svolgere una respirazione cutanea resa possibile da unʼampia vascolarizzazione
della pelle.
Alimentazione e abitudini
Lʼanguilla mostra ampia adattabilità a diverse condizioni ecologiche distribuendosi durante
la fase trofica nelle acque interne dalle zone salmastre fino ai torrenti di montagna e colonizzando ogni tipo di ecosistema acquatico. Durante la risalita riesce spesso a superare gli
eventuali ostacoli, entro certi limiti, a volte uscendo dallʼacqua e aggirandoli.
È un pesce di fondo pertanto anche nel tratto di Adda del Parco preferisce substrati molli
nei quali infossarsi durante i periodi freddi, ma si adatta anche a fondi duri nei quali siano
presenti anfratti e nascondigli in assenza dei quali lʼanguilla si scava caratteristiche buche
per ripararsi. Dotata di un organo olfattivo notevolmente sviluppato, lʼanguilla ha abitudini
lucifughe, si muove in cerca di cibo specialmente al calar del sole fino alle prime ore del
mattino e resta infossata nel fango durante le ore più calde del giorno. In situazioni di acqua
torbida dovute a piccole piene del fiume si muove anche di giorno. Dʼinverno si nutre pochissimo preferendo restare infossata nel fondo in apparente stato di anabiosi. La sua attività
è massima nelle fasi di alta marea. Sia in mare che in acque interne non ama la trasparenza e
lʼeccessiva luminosità.
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La permanenza nelle acque interne è di circa 8 - 15 anni per i maschi e di 10 - 18 anni per
le femmine. Oltre certe dimensioni si sviluppano tendenze ittiofaghe anche nei confronti di
individui della stessa specie. Lʼanguilla si nutre preferibilmente di uova e di avannotti di pesci, ma attacca anche i pesci adulti. In pratica mangia di tutto: anellidi, molluschi, crostacei,
larve di insetti, pesci.
Riproduzione
La specie è migratrice catadroma e quindi - fra lʼautunno e lʼinizio dellʼinverno, ma
talvolta anche in primavera - le anguille adulte o
“argentine”, (“maretiche” se femmine, “capitoni”
se maschi) scendono in mare e percorrendo probabilmente dai 15 ai 40 Km al giorno, migrano
fino al Mare dei Sargassi, zona della loro riproduzione.
Il Mar dei Sargassi ed il lungo viaggio che compiono le cieche per giungere nel Mediterraneo (nellʼAtlantico centrale, fra i 50 - 65° di longitudine Ovest e fra i 20 - 30° di latitudine
Nord, ad una distanza di circa 4000 - 7000 Km dalle regioni europee e nord - africane nelle
quali la specie si sviluppa)
Si pensa che ogni femmina possa emettere, in acque relativamente calde e fino alla profondità
di 1000 m, da 1 a 6 milioni di uova del diametro di 1-3 mm che schiudono solo se la temperatura è superiore ai 20°C. Dopo la frega gli adulti muoiono
e le larve cominciano a spostarsi gradualmente verso Oriente
grazie allʼaiuto della Corrente del Golfo e di quella NordAtlantica sino a raggiungere, dopo circa 3 anni, le coste europee e africane.
Le scoperte che hanno consentito di inquadrare il problema
della riproduzione dellʼanguilla rappresentano uno dei più
interessanti capitoli dellʼittiologia, anche perché ancora non
tutti gli aspetti sono stati chiariti. Il piccolo e strano pesce
trasparente a forma di foglia di salice, (a lato) classificato
come specie con il nome di Leptocephalus brevirostris, non è
altro che la larva dellʼanguilla europea, scoperta di Grassi e
Stadio giovanile (cieca)
Calandruccio. Dopo numerosi anni di ricerche è dimostrato
che lʼanguilla europea si riproduce nel Mare dei Sargassi.
La distanza tra le aree trofiche e lʼarea riproduttiva, fino a oltre 6000 km, porta a mettere
in dubbio che le anguille europee possano svolgere una migrazione così lunga e a sostenere lʼipotesi che il reclutamento nelle acque europee avvenga da parte di individui nati
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dalla riproduzione di anguille americane, che pure si riproducono nel Mare dei Sargassi
dopo avere compiuto una migrazione notevolmente meno lunga. Le due specie, quella europea (A. anguilla) e quella americana (A. rostrata), pur avendo aree riproduttive contigue,
sembrano però essere geneticamente isolate. Negli ultimi anni numerose ricerche hanno cercato di chiarire i diversi aspetti della migrazione in mare delle anguille argentine, prendendo
in considerazione diversi meccanismi di orientamento che potrebbero essere utilizzati per
raggiungere lʼarea riproduttiva.
Accrescimento
Le diverse abitudini alimentari e le condizioni termiche delle acque determinano una notevole
variabilità nei tassi di crescita dellʼanguilla.
I maschi possono raggiungere una lunghezza di 50 cm, mentre le femmine possono raggiungere i 150 cm e pesare fino a 6 Kg.
Status della specie
La specie è diminuita in questi ultimi 40 anni a causa di sbarramenti, assenza di scale di
risalita, deviazioni e inquinamenti di vario genere. Il problema più serio che minaccia la
specie è rappresentato dalla migrazione verso il mare, infatti percorrendo lʼAdda verso il
Po, le anguille transitano nei canali che portano acqua alle centrali idroelettriche e passando
facilmente dalle griglie vengono poi turbinate, ovvero uccise dallʼimpatto con le pale delle
turbine in movimento. Nel periodo autunnale è frequente trovare anguille morte a valle delle
centrali idroelettriche. Se invece i canali sono irrigui, si pensi al canale Muzza, le anguille
finiscono disperse nei piccoli canali di pianura. Quindi, in ogni caso, non riescono a raggiungere il mare per riprodursi.
Protezione
La specie viene protetta con misura minima in molti paesi,
inclusa lʼItalia.
Status della specie
Anche se in costante calo, la specie è ancora presente nel
Parco.
Diffusione
In Italia è specie autoctona e comunemente presente nelle
acque dolci di tutta la penisola e delle isole maggiori, dal
livello del mare fino ad una quota di circa 1.500 m, nonché
nelle acque marine che bagnano il nostro Paese.
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Anguilla “argentina” (Anguilla anguilla)
LA BOTTARICE (Lota lota)
Descrizione
La Bottatrice ha il corpo allungato a sezione cilindrica nella porzione anteriore e compresso
nella regione caudale.
La pinna dorsale è doppia, con la prima sezione corta e la seconda molto lunga.
La testa è fornita di piccoli occhi, appiattita e la sua bocca è di media grandezza con la
mascella superiore piuʼ lunga di quella inferiore e dotata di piccoli denti uncinati. La pinna
caudale è di forma ovale ed è piuttosto piccola, le pinne pettorali e le ventrali sono inserite
presso la gola ed hanno dimensioni relativamente modeste.
La sua pelle appare liscia e ricca di muco; sul dorso la colorazione della livrea è bruno-verdastra, marezzata da macchie chiare e scure; chiazze intensamente colorate sono presenti
anche sulle pinne.
Habitat e abitudini
Solitamente predilige grandi profondità (fino a 200m) e acque fredde e pulite.
Non ama le acque correnti, il suo habitat ideale è rappresentato da grandi e medi laghi.
È comunque presente in esigue colonie nel Parco Adda Nord, soprattutto in alcuni punti del
fiume caratterizzati da notevoli profonditaʼe fondali prevalentemente a substrato roccioso.
Alimentazione
Eʼcarnivora e si ciba principalmente di crostacei bentonici, molluschi, larve di insetti e pesci.
Gli esemplari più grandi si nutrono quasi esclusivamente di pesci e di grossi crostacei.
Riproduzione
La Bottatrice raggiunge la maturità sessuale a 2 - 3 anni .
La frega si svolge in inverno (da dicembre a marzo), con una temperatura dellʼacqua assai
bassa, in acque profonde e su fondo ghiaioso o sabbioso.
Le sue uova hanno piccole dimensioni (circa 1 mm), sono deposte in gran numero, centinaia
di migliaia per femmina e schiudono dopo un mese.
Alla nascita le larve misurano circa 3 mm.
Accrescimento
Lʼaccrescimento in lunghezza è relativamente veloce: 14 - 17 cm al termine del primo anno,
30 - 40 cm al terzo.
Si tratta di un pesce di taglia media, generalmente misura 40-50 cm ma può arrivare anche a
80 -100 cm. e può raggiungere i 10 - 15 anni dʼetà.
Status della specie
È lʼunico pesce che risiede in acque dolci appartenente alla stessa famiglia del merluzzo.
La specie in Adda è in notevole sofferenza a causa dellʼ inquinamento e dellʼ alterazione degli
habitat (esempio la costruzione di sbarramenti impedisce le migrazioni riproduttive).
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Protezione
In quasi tutti i paesi europei esistono norme di protezione sottoforma di misure minime e
periodi di divieto.
Coppia di bottatrici (Lota lota); la mandibola inferiore è dotata di un lungo barbiglio
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LA CAGNETTA (Blennius fluviatilis)
Descrizione
Pesce di piccola taglia dal corpo allungato, lievemente compresso ai lati e posteriormente
sottile. Il capo è arrotondato e robusto con profilo anteriore obliquo. Bocca piccola, terminale, con labbra ben sviluppate. Sopra entrambi gli occhi sono presenti due brevi tentacoli
sopraorbitali.
La pinna dorsale, molto lunga, raggiunge il peduncolo caudale e può presentare un lieve
abbassamento centrale. Pinna anale lunga, estesa dallʼapertura anale al peduncolo caudale.
Pinna caudale con profilo nettamente convesso. Pinne pettorali ben sviluppate e composte da
soli raggi molli. Pinne ventrali piccole e collocate anteriormente alle pinne pettorali.
Colore di fondo della livrea verdastro con sfumature gialle o grigie sul dorso. Fianchi più
chiari e ventre biancastro o bianco sporco tendente al giallo. I fianchi sono ornati da macchie
irregolari scure, presenti anche sulle pinne.
Pinna anale con margine bianco, spesso orlato da punti o piccole macchie nere. Lʼestremità
anteriore della pinna dorsale dei giovani può presentare una macchia scura.
Habitat e abitudini
Specie eurialina, diffusa sia in acque dolci che in acque salmastre. È presente allʼinterno del
Parco. Prospera in acque limpide con bassi fondali formati da ciottoli piatti e da rocce ricche
di anfratti. La cagnetta è moderatamente fotofoba e la sua attività si svolge in prevalenza
durante le ore crepuscolari e notturne. I giovani hanno abitudini gregarie mentre gli adulti
sono sedentari e territoriali. Sia i maschi che le femmine cercano di conquistare un territorio
individuale. Il territorio fa capo ad un anfratto che viene sorvegliato e tenuto pulito con il
movimento delle pinne e del corpo. Spesso la cagnetta giunge a trasportare fuori dalla tana
ciottoli e frammenti di vegetali usando la bocca. Questo pesce è in grado di utilizzare le pinne
pettorali in modo da creare una corrente dʼacqua diretta ad estromettere le proprie feci dalla
tana.
Alimentazione
La dieta è principalmente composta da invertebrati di fondo come anellidi, crostacei, molluschi, insetti e loro larve. Occasionalmente i soggetti più grandi possono predare avannotti di
altre specie.
Riproduzione
La maturità sessuale viene solitamente raggiunta a circa 3 anni. La frega si svolge da aprile
a luglio. Il maschio è territoriale, corteggia la femmina e la spinge ad entrare nella propria
tana dove avviene la deposizione e la fecondazione delle uova. La frega si svolge varie volte
ed ogni femmina può emettere da 200 a 300 uova per volta. Ciascun uovo è provvisto di filamenti adesivi con i quali si ancora sotto le pietre della tana. Il maschio sorveglia la covata per
tutta la durata dellʼincubazione. Le uova hanno diametro di circa 1 mm e a 20°C schiudono
in circa due settimane. Alla nascita le larve sono lunghe circa 3 mm.
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Status della specie
Si tratta di un pesce di difficile cattura ed osservazione, per questo è piuttosto arduo valutare
correttamente lo stato di salute delle singole popolazioni. Le principali cause di rarefazione
della specie sono rappresentate da inquinamento, distruzione dellʼhabitat ed introduzione di
specie ittiche alloctone. Estrazione di ghiaia, creazione di dighe, canalizzazione dei fiumi
ne frammentano lʼareale. Lʼeccessivo prelievo idrico nei mesi di magra e le operazioni di
drenaggio compromettono spesso lʼesito delle stagioni riproduttive.
Protezione
La specie è citata nellʼAppendice III della Convenzione di Berna sulla fauna protetta.
La specie è iscritta nella Lista Rossa IUCN come specie a basso rischio.
Cagnetta (Blennius fluviatilis)
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LO SCAZZONE (Cottus gobio)
Descrizione
Pesce di piccola taglia con corpo fusiforme, assottigliato progressivamente fino allʼesile
peduncolo caudale. Pelle quasi totalmente priva di squame, soltanto in corrispondenza della
linea laterale sono osservabili alcune scaglie. Testa grande ed appiattita, con occhi ravvicinati, situati in posizione dorsale. Bocca grande con labbra carnose. Denti piccoli uniseriati,
disposti su entrambe le mascelle. Due pinne dorsali contigue. La prima dorsale più corta e più
bassa della seconda. Pinna anale contrapposta alla seconda dorsale. Pinna caudale con margine
posteriore convesso. Pinne pettorali molto sviluppate. Colore di fondo della livrea verdastro,
bruno-grigio o grigio-giallo sul dorso e sfumato gradatamente fino al ventre biancastro.
Sul dorso e sui fianchi sono presenti marmoreggiature. Macchie scure sono disposte in serie
trasversali sulle pinne. Durante il periodo di frega la livrea presenta tonalità più intense.
Habitat e abitudini
Specie tipica dei torrenti montani e dei laghetti dʼalta quota dove sʼincontra fino ad oltre
2.000 m. Nelle zone più settentrionali del suo areale, vive anche in acque di pianura a condizione che siano limpide, fresche e ben ossigenate, con temperature non superiori a 14 - 16°C.
Esistono popolazioni eurialine presenti alle foci dei fiumi e nei mari a bassa salinità.
C. gobio ha abitudini stanziali e moderatamente gregarie. Fotofobo, risulta particolarmente
attivo durante le ore crepuscolari e notturne. Nelle ore di maggiore insolazione resta rintanato
tra gli anfratti del fondo. C. gobio risulta molto sensibile a qualsiasi forma dʼinquinamento
idrico.
Alimentazione
È specie esclusivamente carnivora. Si nutre principalmente dʼinvertebrati di fondo, di piccoli
pesci e di avannotti e uova di altre specie. Le componenti dellʼalimentazione dipendono dalle
caratteristiche del corso dʼacqua in cui vive e dallʼabbondanza relativa di determinati gruppi
dʼinvertebrati. Normalmente lo scazzone mangia crostacei, larve di insetti (ditteri, tricotteri,
efemerotteri e plecotteri), anellidi come sanguisughe, lombrichi, molluschi.
Riproduzione
La maturità sessuale viene raggiunta tra il secondo ed il terzo anno dʼetà, a seconda delle
caratteristiche trofiche dellʼambiente. Il periodo riproduttivo inizia verso la fine di febbraio
e può prolungarsi fino alla metà di maggio. I maschi preparano una tana da adibire a nido
sfruttando una cavità sotto a un sasso o ad altri oggetti sommersi adatti allo scopo. Sono
territoriali e respingono ogni potenziale rivale. La riproduzione è preceduta da un rituale di
corteggiamento diretto ad indurre la femmina ad entrare nel nido. I maschi corteggiano ogni
femmina che entra nel territorio. Nel nido, possono essere presenti uova deposte anche da
dieci femmine diverse. La deposizione è seguita dalla fecondazione da parte del maschio.
Ogni femmina depone soltanto poche centinaia di uova, dal diametro variabile da 2.2 a 3.0
mm e di colore giallo, arancio o ambra, riunite a formare unʼunica massa.
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Il maschio sorveglia la covata sino alla schiusa che si verifica generalmente dopo 3 - 4 settimane. Alla nascita le larve misurano circa 6 - 7.5 mm. Come altre specie che vivono in
acque fredde hanno un grande sacco vitellino in grado di alimentarle fino al momento in cui
iniziano a cibarsi autonomamente.
Accrescimento
Generalmente la crescita è più veloce nelle femmine rispetto ai maschi. A partire dal secondo
anno dʼetà la mortalità nei maschi è superiore rispetto alle femmine, probabilmente in relazione allo stress delle cure parentali. Specie di piccole dimensioni, lunghezza massima circa
18 cm. Ciclo vitale: circa 4 - 5 anni.
Status della specie
Pur essendo ancora abbondantemente diffuso in molte località, C. gobio ha subito una
notevole contrazione nella consistenza e nel numero delle sue popolazioni.
Uno dei principali fattori di rarefazione della specie è sicuramente lʼaumento di immissione
di salmonidi in acque libere a causa di semine spesso effettuate in maniera disarmonica e
sovradimensionata. La specie inoltre è minacciata da alterazioni di origine antropica.
Cagnetta (Blennius fluviatilis)
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SPECIE ITTICHE ALLOCTONE
IL BARBO EUROPEO (Barbus barbus)
In Italia si tende a confondere il Barbus barbus con il Barbus plebejus e a denominare
entrambe le specie col nome generico di “barbo”. Inoltre molti pescatori erroneamente lo
classificano come “barbo portoghese”.
Descrizione
Corpo slanciato a sezione trasversale ovale moderatamente compressa lateralmente. Bocca
ventrale con quattro barbigli sul labbro superiore. Labbro inferiore spesso, con lobo mediano
rigonfio. Profilo ventrale quasi rettilineo, dorso appena arcuato. Pinna dorsale con bordo
posteriore concavo. Squame cicloidi relativamente piccole, saldamente inserite nel derma.
Colorazione del dorso variabile da bruno verde a verde nerastro più o meno scuro. Fianchi di
colore progressivamente più chiaro fino al ventre che è bianco o bianco giallastro. Sulle parti
superiori ed i fianchi sono diffuse delle piccole macchie scure (mentre nel barbo nostrano si
tratta di una fitta puntinatura). Pinne ialine, giallastre o grigio verdastre che possono presentare alcune macchie scure. Tranne la dorsale, tutte le pinne presentano sfumature di tonalità
rossastra.
Habitat e abitudini
Corso medio ed inferiore di fiumi a grande e media portata con acque limpide e corrente
veloce (zona del barbo). Specie gregaria e bentonica legata a substrati duri, misti a ghiaie
grossolane, pietre e sabbia. Forma branchi più o meno numerosi costituiti da esemplari di
varia taglia ed età a cui spesso si associano altri ciprinidi.
Di tendenze moderatamente fotofobe, B. barbus ha una bassa tolleranza per acque molto
fredde. Gli esemplari di questa specie trascorrono i mesi più rigidi in stato latente, riuniti
in gruppi che si raccolgono nei tratti più profondi dei fiumi, nelle buche che si aprono nelle
rive o sotto massi,ecc. Durante il periodo di riproduzione, gli adulti si riuniscono in grandi
branchi che compiono migrazioni anche per distanze considerevoli al fine di raggiungere
luoghi adatti alla frega. Gli avannotti frequentano acque basse e si trattengono spesso lungo
le sponde dei corsi dʼacqua dove restano in attività durante tutta la giornata.
Alimentazione
La dieta si compone principalmente di invertebrati, come insetti e loro larve, vermi, molluschi e crostacei. In misura minore viengono assunti detriti organici, vegetali, uova ed avannotti di pesce. Gli adulti di taglia maggiore hanno abitudini notevolmente aggressive e tendono a diventare ittiofagi predando attivamente piccoli pesci bentonici come ghiozzi, cobiti
e scazzoni.
Riproduzione
La frega ha luogo da maggio a luglio, quando la temperatura dellʼacqua raggiunge i 15°C. Le
femmine vengono singolarmente corteggiate da gruppi di maschi e depongono a più riprese,
con intervalli di circa 10 - 15 giorni in una stessa stagione. La deposizione ha luogo su fondali
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ghiaiosi, in zone di bassa profondità, in acque molto ossigenate a corrente sostenuta.
Ogni femmina depone da 3.000 a 6.000 uova di colore giallastro, dal diametro di circa 2 mm
e provviste di filamenti adesivi. La durata dello sviluppo embrionale è relativamente breve e
richiede da 10 a 15 giorni.
Accrescimento
A seconda della popolazione la maturità sessuale viene raggiunta dai maschi tra il secondo ed
il quinto anno di vita, mentre le femmine maturano circa uno o due anni più tardi.
Dimensione massima segnalata (ma non documentata) nel tratto alto Adda è di 85 cm per un
peso 6 kg. La durata della vita di B. barbus è stimata di poco superiore ai 15 anni.
Status della specie
Allʼinterno della sua area di diffusione originaria la specie appare ancora relativamente
comune ed abbondante. In Adda B. barbus può essere minacciato da alterazioni antropiche di
vario genere tra cui predomina lʼinquinamento e la regimazione dei corsi dʼacqua.
Allʼinterno del Parco il B. barbus è stato spesso introdotto (illegalmente o incoscientemente)
in aree estranee alla sua distribuzione naturale, spesso determinando il declino o la scomparsa
di specie ittiche autoctone quali Barbus plebejus, temolo e marmorata.
Protezione
Nelle zone dove la specie è autoctona è protetta. Nella Lista Rossa IUCN (International
Union for Conservation of Nature and Natural Resources) la specie è classificata a preoccupazione minima (LC, Least Concern).
Barbo europeo (Barbus barbus) di circa 2 Kg
Barbo europeo di 4 Kg dalla livrea dorata
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IL CARASSIO (Carassius carassius)
Descrizione
Corpo robusto decisamente tozzo, a sezione trasversale ellittica, compressa lateralmente,
con gibbosità evidente specialmente negli esemplari più vecchi. Bocca in posizione terminale relativamente piccola. Non sono presenti barbigli e questo è il principale carattere che
lo distingue dalla carpa. Pinna dorsale lunga sul cui bordo posteriore si nota una marcata
dentellatura. Pinna anale corta. Colorazione verde oliva o bronzeo rossastra, più scura sul
dorso, progressivamente più chiara sui fianchi che presentano spesso riflessi dorati. Ventre
biancastro o giallastro. Negli individui giovani è spesso presente una macchia circolare scura
alla base della coda. Le pinne sono grigie, bronzee o dorate.
Habitat e abitudini
Il carassio popola acque ferme o a lento corso e si incontra in buon numero nei tratti pianeggianti dei grandi fiumi. È un pesce poco esigente che tollera bene acque a basso tenore di
ossigeno (meno di 1 mg/l), torbide e talvolta sensibilmente inquinate, sopportando meglio
degli altri ciprinidi forti escursioni di temperatura (da circa 0°C ad oltre 30°C).
La sua rusticità lo rende in grado di colonizzare acque di qualità scadente.
Alimentazione
Specie onnivora. La dieta comprende invertebrati acquatici come insetti e loro larve, molluschi, crostacei e vermi, elementi dello zooplancton e fitoplancton, e una notevole quantità di
piante acquatiche e detrito organico.
Riproduzione
Il carassio va in frega da maggio fino a giugno. Occasionalmente il periodo della riproduzione
può protrarsi fino a luglio inoltrato. La riproduzione ha luogo a temperature dellʼacqua non
inferiori a 18°C. Ogni femmina depone sulla vegetazione acquatica parecchie migliaia di
uova. Queste sono dorate e misurano da 1,4 a 1,7 mm di diametro. Sono adesive ed aderiscono
al substrato. La schiusa avviene dopo 5 - 10 giorni.
Accrescimento
La maturità sessuale è raggiunta a 3 - 4 anni. La crescita del carassio è fortemente influenzata
dalle condizioni dellʼhabitat. Gli esemplari di questa specie possono raggiungere i 50 cm di
lunghezza e i 2 Kg di peso. La durata della vita supera i dieci anni.
Status della specie
Specie alloctona e infestante in Italia. Le notizie sulla sua distribuzione sono molto frammentarie. La sua presenza nel Parco è certa e discrete colonie sono state riscontrate presso Fara
Gera dʼAdda.
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Carassio (Carassius carassius) catturato in località Fara Gera dʼAdda
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IL GARDON (Rutilus rutilus)
Descrizione
Corpo allungato, a sezione traversale ellittica, leggermente compresso in senso laterale.
Testa robusta con muso appuntito. Bocca relativamente piccola in posizione terminale.
Livrea del dorso variabile da verde oliva a bruno verdastro. Fianchi dello stesso colore di
fondo del dorso con squame argentee, gradatamente più chiari in senso dorso-ventrale.
Assenza di striscia scura laterale.
Se si osserva lʼesemplare da una certa angolazione, tra dorso e parte superiore dei fianchi, si
nota una striscia longitudinale iridescente dorata. Ventre di colore bianco, talvolta con sfumature giallastre. Negli adulti lʼiride è tipicamente di colore rosso con riflessi dorati; nei giovani
è dorata. Pinna dorsale e caudale semitrasparenti dello stesso colore del dorso, con sfumature
grigie o verdastre. Le pinne pari e la pinna anale sono di colore rosso, di tonalità più intensa
durante il periodo riproduttivo.
Habitat e abitudini
Specie ubiquitaria ad ampia valenza ecologica.
In Adda è un pesce alloctono che ha colonizzato alcuni tratti. Mostra elevata resistenza ad
agenti inquinanti e a basso livello di ossigeno disciolto, per questo risulta avvantaggiato in tutti
gli ambienti soggetti a forte impatto antropico.
Di indole gregaria, forma branchi anche numerosissimi composti da esemplari di taglia ed
età eterogenee. I branchi non compiono grandi spostamenti e tendono a trattenersi dove è
più facile la ricerca del cibo. Solo durante il periodo di frega i riproduttori si radunano per
migrare alla ricerca di zone adatte alla riproduzione. Durante i mesi più caldi si trattengono
in acque poco profonde, lungo i litorali lacustri e le sponde dei fiumi di portata maggiore.
Nei fiumi i branchi svernano in acque profonde, sotto grandi massi o in anfratti del fondale,
mentre nei laghi scendono sotto la linea del termoclino senza però interrompere del tutto
lʼattività alimentare.
Alimentazione
Dieta onnivora a composizione variabile secondo lʼetà ed i cicli stagionali. Lʼalimentazione
comprende insetti acquatici, vermi, molluschi, crostacei, plancton, alghe filamentose e detrito
organico. In estate la componente vegetale può divenire predominante.
Riproduzione
La frega generalmente si svolge da aprile a giugno, quando la temperatura dellʼacqua supera
i 12°C, con optimum compreso tra i 16 ed i 17°C; a seconda delle condizioni climatiche
dellʼannata può essere anticipata o posticipata.
Gli accoppiamenti si svolgono collettivamente e si concludono nellʼarco di 5 - 10 giorni.
La frega avviene in acque profonde, ben ossigenate, con fondali a prevalenza di sabbia e
ghiaia. Specie molto prolifica, le femmine più grandi possono produrre fino a centomila uova
per stagione. Le uova sono adesive e di colore giallastro.
90
Accrescimento
Raggiungono la maturità sessuale tra il secondo ed il terzo anno di vita, le femmine solitamente un anno più tardi. La velocità di crescita e la dimensione massima sono condizionate
dalla capacità trofica dellʼambiente. Età massima riportata: 14 anni.
Status della specie
Questa specie alloctona è presente nel Parco, dati non ufficiali riferiscono di discrete colonie
di gardon in localitaʼ Fara Gera dʼAdda e a Canonica dʼAdda.
Lʼareale originario della specie è molto vasto. In Italia è stato introdotto, volontariamente
o accidentalmente, insieme a materiale da ripopolamento di provenienza estera o per scelta
deliberata.
Gardon (Rutilus rutilus)
Gardon catturato in loc. Fara Gera DʼAdda
di 47cm per 1,150 Kg di peso
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IL RODEO AMARO (Rhodeus sericeus)
Descrizione
Il R. sericeus è molto simile a R. amarus, del quale è stato a lungo considerato conspecifico.
Corpo alto e compresso, con dorso dotato di gibbosità più o meno accentuata.
Squame relativamente grandi, disposte a formare un disegno reticolare. Linea laterale incompleta ed è limitata a poche squame. Si distingue da R. amarus per pochi caratteri morfologici
legati alla forma della testa, alla linea laterale ed al numero di raggi indivisi nelle pinne.
Livrea molto variabile, a seconda delle condizioni ambientali e fisiologiche, complessivamente simile a R. amarus.
Habitat e abitudini
Lʼambiente tipico è rappresentato da corsi dʼacqua a flusso lento, piccoli laghi e stagni dove
vive a stretto contatto con le rive e fra la vegetazione. Questa specie preferisce acque a
corrente lenta dove i fondali sono composti da sabbia fine o da uno strato sottile di fango; solo
raramente si incontra in acque più correnti. Questo genere di habitat coincide con quello dei
mitili (Anodonta cygnea) ed altri bivalvi, necessari per il ciclo riproduttivo della specie.
Alimentazione
La dieta è identica a quella di R. amarus: composta in prevalenza di alghe filamentose, diatomee, piccoli crostacei, vermi, larve di insetti, ecc. Sembra che la componente vegetale della
dieta sia predominante.
Riproduzione
La specie presenta evidente dimorfismo sessuale nel periodo di frega come in R. amarus.
I maschi sviluppano tubercoli nuziali sulla testa, da ogni lato del muso e sopra gli occhi.
La femmina emette un ovipositore vicino allʼapertura genitale che può essere più lungo del
corpo. Nei maschi la colorazione diventa molto accesa.
La taglia dei maschi è generalmente maggiore di quella delle femmine. La frega si svolge
con le stesse modalità di R. amarus. Avviene da aprile a maggio, a seconda delle condizioni
climatiche e delle portate dei corsi dʼacqua. Le femmine utilizzano lʼovopositore per introdurre le uova nella camera branchiale di molluschi bivalvi lamellibranchi attraverso il loro
sifone respiratorio. Il maschio depone lo sperma sopra il mollusco che ne filtra una parte
insieme allʼacqua introdotta per la respirazione. In questo modo le uova vengono fecondate.
Il procedimento viene ripetuto più volte. Durante tutto il periodo di frega, il maschio difende
energicamente il bivalve dagli altri maschi. Le uova rimangono protette dentro il mollusco
fino al momento della schiusa che si verifica 2 o 3 settimane più tardi.
Gli avannotti lasciano il loro rifugio circa due giorni dopo, quando il sacco vitellino è
stato riassorbito.
I bivalvi utilizzati per la riproduzione appartengono generalmente ai generi Anodonta ed
Unio, possono essere anche scelti altri molluschi dei generi Pseudanodonta, Cristaria,
Margaritifera e Dahurinaia (Smith et al., 2004).
92
Status della specie
R. sericeus è ancora generalmente considerato come forma orientale di R. amarus.
Questo ascriverebbe tutte le popolazioni native in Europa alla specie R. amarus. Gli esemplari
di R. sericeus dovrebbero essere considerati come specie alloctona probabilmente sfuggita
da allevamenti ornamentali od immessa con materiale ittico proveniente dallʼestremo Oriente
siberiano. Attualmente la reale diffusione di questa specie resta molto difficile da stabilire,
principalmente per la difficoltà di attribuire gli esemplari catturati a questo o quel gruppo.
Rodeo amaro (Rhodeus sericeus)
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IL SILURO DʼEUROPA (Silurus glanis)
Descrizione
Corpo robusto, a sezione cilindrica nella parte anteriore e lateralmente molto compresso in
quella posteriore. Testa grande, larga e depressa. Bocca ampia, in posizione infera.
Denti disposti in una sola larga fila. Tre paia di barbigli; quelli mascellari se piegati allʼindietro raggiungono il bordo posteriore delle pinne pettorali. Mascella inferiore più lunga di
quella superiore. Occhi piccoli. Assenza di squame, pelle nuda rivestita da abbondante muco.
Pinna dorsale molto piccola. Pinna anale molto lunga e confluente con la caudale.
Pinna caudale piccola con bordo posteriore arrotondato. Pinne pettorali provviste di un
robusto raggio spinoso. Colore di fondo della livrea nero bluastro sul dorso e sulla testa,
gradatamente sfumato verso il ventre bianco giallastro. Lungo i fianchi sono presenti marezzature scure. Lʼiride è giallastra. Pinne translucide, scure, con sfumature di colore simile a
quello del dorso.
Habitat e abitudini
Specie bentonica, predilige acque ferme o a lento corso, ma può vivere bene anche in fiumi
a corrente relativamente veloce. S. glanis ha grande capacità di adattamento vivendo sia in
acque fredde, ossigenate e profonde che in acquitrini melmosi a basso tenore dʼossigeno.
Resiste bene allʼinquinamento ed al degrado dellʼhabitat. Pesce fotofobo con picco di massima
attività coincidente con le ore crepuscolari e notturne, durante le quali si aggira sul fondo
cercando il cibo con i barbigli tattili. Si può mantenere in attività anche durante il giorno, specialmente in condizioni di tempo coperto e di torbidità delle acque. Gli adulti sono territoriali
e solitari, mentre i giovani tendono a vivere in branchi.
Alimentazione
Nella dieta di avannotti e degli immaturi prevalgono invertebrati, alghe e macrofite.
Negli esemplari adulti la componente vegetale scompare lasciando il posto a una dieta
composita costituita di pesci di ogni genere e dimensione, anfibi, uccelli acquatici, mammiferi roditori, crostacei, anellidi e larve dʼinsetti. NellʼEuropa meridionale, dove il siluro è
stato accidentalmente introdotto, la tendenza ittiofaga della specie causa seri problemi alla
sopravvivenza delle popolazioni ittiche autoctone stravolgendo gli equilibri rimasti inalterati
fino al suo arrivo.
Riproduzione
Il siluro dʼEuropa raggiunge la maturità sessuale dai 3 ai 5 anni dʼetà a seconda della disponibilità di cibo e dellʼambiente in cui vive. Il periodo riproduttivo va dalla tarda primavera
allʼestate, quando la temperatura dellʼacqua raggiunge circa i 20°C. Il maschio, territoriale,
ripulisce dai detriti il fondale e scava una depressione dove la femmina depone le uova.
La specie è molto prolifica e la femmina depone diverse migliaia di uova per ogni chilo di
peso. Il maschio sorveglia le uova fino alla schiusa che, con la temperatura dellʼacqua superiore ai 20 - 24°C, avviene di solito dopo tre o quattro giorni.
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Accrescimento
Non attraversando fasi di inattività invernale e continuando ad alimentarsi durante tutto il
corso dellʼanno, gli individui immessi nei nostri fiumi, aumentando velocemente di taglia,
mostrano un accrescimento più veloce che nelle zone di origine. Il siluro dʼEuropa può
raggiungere la lunghezza di 5 m ed il peso di 400 Kg. In Italia la media oscilla tra gli 80 e i
220 cm di lunghezza per un peso corrispondente compreso tra i 10 ed i 110 kg. Età massima
rilevata: 30 anni.
Status della specie
In molte zone dellʼarea di distribuzione originaria, la specie è considerata rara e vulnerabile a
causa dellʼantropizzazione di larga parte dellʼhabitat naturale e della forte pressione di pesca.
Alcune popolazioni si sono estinte mentre altre sono quasi scomparse. Al contrario, nelle
zone dove questa specie è stata introdotta si assiste invece ad un suo sviluppo infestante e
deleterio per le specie autoctone.
Il siluro è presente in quasi tutta lʼarea del Parco Adda Nord con una densità di popolazione
in costante aumento ed è anchʼesso causa di danni per il mantenimento dellʼequilibrio delle
comunità ittiche autoctone.
Siluro catturato nelle acque dellʼAdda
Grosso esemplare di siluro (Silurus glanis)
La specie è originaria dei grandi fiumi dellʼEuropa centrale e dellʼAsia Nord Occidentale ed
è stata introdotta per scopi alieutici in molti paesi europei.
In Italia è specie alloctona. Introdotto nel 1956, oggi il Siluro è diffuso nel Po e nei suoi
affluenti ed ha fatto la sua comparsa nel corso medio inferiore del fiume Arno.
NellʼAdda allʼinterno dei territori del Parco è stato censito a valle dello sbarramento di
Olginate fino a Trezzo sullʼAdda, Fara Gera dʼAdda e Rivolta dʼAdda. La sua presenza è in
costante aumento.
Il Comitato Centro Adda si prodiga costantemente affinché vengano attuati piani di contenimento soprattutto in quei settori del fiume non ancora pesantemente colonizzati da questa
specie.
95
5. LA PESCA NEL PASSATO E LA SUA EVOLUZIONE
FINO AI GIORNI NOSTRI
Prima degli anni ʻ60 la quasi totalità dei pescatori, allora non molti, catturava il pesce perché
era fonte di sostentamento per le proprie famiglie o per commerciarlo, prevalentemente con
le popolazioni rivierasche.
Solo dopo gli anni ʻ60 si è gradualmente diffuso il concetto di pesca sportiva, per divertimento e per un sano impiego del tempo libero. Il numero dei pescatori stava fortemente
incrementando e una buona percentuale di questi ha iniziato a rilasciare le prede subito dopo
la cattura. Nel passato si pescava quasi esclusivamente con le reti e con le fiocine; ancora non
esistevano il filo di nylon né tantomeno le canne in fibra di vetro. Questi tipi di attrezzature
hanno fatto la loro prima comparsa solo dopo gli anni ʻ50.
Al posto del filo si usava il crine intrecciato della coda di cavallo e la canna da pesca non era
altro che una canna di bambù opportunamente lavorata. Gli ami erano ricavati dagli aghi che
le donne utilizzavano per cucire, venivano riscaldati e piegati a mano.
In quel periodo si utilizzavano anche le nasse che erano costruite a mano e venivano deposte
sul fondo del fiume; erano prodotte con il canneto intrecciato in modo tale che il pesce quando
entrava non riuscisse più a riguadagnare la libertà.
La pesca con la fiocina veniva praticata prevalentemente di notte con lʼausilio di lampade
alimentate a carburo e con il supporto della barca, allora costruita a mano con legno di rovere.
La fiocina era innestata su un palo lungo fino a cinque metri.
Lampada a carburo, inizi ʻ900
96
Fiocina forgiata a mano, fine ʻ800
I diritti esclusivi di pesca appartenevano ad alcuni proprietari i quali affidavano la possibilità
di pescare in certi tratti di fiume solo a pochi pescatori che esercitavano questo mestiere per
professione.
Nel primo dopoguerra nasce la Federazione
Italiana Pesca Sportiva che inizia ad acquistare
questi diritti in modo tale che il crescente numero di pescatori dilettanti possa liberamente
recarsi in tutte le acque rilevate dalla Federazione. Questʼultima le gestisce anche sotto
lʼaspetto della vigilanza e delle semine da effettuare, in accordo con le rispettive Province.
(obblighi ittiogenici).
Siamo arrivati così verso gli anni ʻ70, si moltiplicano le iniziative supportate dal volontariato
Foto scattata presso una sagra del pesce
e quasi in ogni paese rivierasco si svolgono
sagre e manifestazioni che vedono il diffondersi di piatti tipici come lʼalborella fritta o in
carpione, la polenta con anguilla, la tinca ripiena, il risotto con pesce persico, ecc.
In tutti i paesi nascono società di pesca sportiva, in prevalenza associate alla Federazione,
e a queste società aderiscono centinaia di pescatori che promuovono diversi tipi di attività
collaterali.
Si organizzano gare di pesca (a volte fino a 600 concorrenti), si svolge attività didattica verso
il settore giovanile e si inizia così a diffondere in modo corretto il principio che la pesca deve
rispettare il fiume, la sua biodiversità e la salvaguardia delle specie ittiche presenti.
A questo proposito vorremmo ricordare che proprio nel 1980, la società Tritium di Trezzo
sullʼAdda ha effettuato in Italia la prima gara (95 concorrenti) mantenendo il pesce “in vivo”
in apposite nasse e rilasciandolo subito al termine della manifestazione
Gara di pesca (Trezzo sullʼAdda)
Gara di pesca per settore giovanile (Trezzo sullʼAdda)
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Pescatori al lavoro per creare i letti di frega artificiali
Ghiaieto artificiale (Trezzo)
Legnaie artificiali per favorire la deposizione delle uova da parte di alcune specie ittiche
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In pochi anni questo esempio si è diffuso ed è diventato una regola comune permettendo di
salvare tutto il pesce catturato nelle migliaia di manifestazioni che venivano e vengono tuttora
disputate su tutto il territorio nazionale.
Vi è unʼevoluzione anche a livello governativo: la Regione Lombardia emana leggi e
regolamenti riferiti alla pesca sportiva e demanda alle Province la gestione delle acque e la
possibilità di modificarne parte dei regolamenti.
Nascono le prime consulte provinciali che portano alla messa a punto della “carta delle
vocazioni ittiche” e di piani ittici dettagliati per ogni provincia. Vengono stabiliti i periodi
di cattura e le misure minime per ogni singola
specie che, naturalmente, variano in rapporto
alle caratteristiche del fiume e alla densità della
popolazione ittica presente. Si riservano aree ben
determinate di fiumi e laghi destinate alla tutela
e al ripopolamento del patrimonio ittico in cui la
pesca viene vietata; altre la consentono ma con
lʼobbligo di rilasciare immediatamente il pescato
(zone no kill) o con particolari restrizioni circa
lʼazione di pesca (divieto di utilizzo della larva di
mosca carnaria, limitazioni in merito alle quantità consentite di esche e pastura per ogni singolo Zona “No Kill”: qui il pesce si rilascia immediatamente!
pescatore).
Le Province, col supporto della F.I.P.S.A.S. e del volontariato, realizzano impianti per la
riproduzione del pesce (avanotterie) privilegiando le scelte verso le specie in maggior
“sofferenza”. Alcuni impianti si specializzano maggiormente nella riproduzione
di ciprinidi sia di lago che di fiume, altri
rivolgono la loro attenzione esclusivamente
verso salmonidi (temoli, trote e salmerini) o
altre specie quali lucci e storioni.
Per arrivare a produrre con successo questo
materiale ittico si affrontano fasi delicate
della vita dei pesci e dei rispettivi avannotti (ad
es. fasi di fecondazione, spremitura, incubazione). Serve quindi tanta passione e perfetta conoscenza della biologia e del ciclo
riproduttivo specifico dei soggetti allevati.
Il risultato finale: la semina nelle acque del fiume di materiale
geneticamente puro riprodotto nellʼavannotteria di Abbiategrasso (MI)
99
Le principali fasi di lavorazione si possono così riassumere:
1) cattura dei riproduttori (o utilizzo di quelli presenti in avanotteria)
2) spremitura e fecondazione delle uova (che si può eseguire direttamente al momento della
cattura)
3) posizionamento delle uova in apposite vasche di stabulazione fino alla nascita degli
avannotti e il loro parziale sviluppo
4) trasferimento del novellame in apposite vasche per favorire il loro accrescimento fino
alla misura necessaria per essere immessi nei fiumi o nei laghi.
La qualità dei riproduttori è indispensabile per garantire la continuità della purezza e lʼintegrità genetica
della specie (Avannotteria di Abbiategrasso, MI)
100
6. SVILUPPO TECNOLOGICO DEI MATERIALI E NUOVE
TECNICHE DI PESCA
Dopo gli anni ʻ70 inizia unʼevoluzione tecnica, che continua tuttʼora, riguardante i materiali
e le attrezzature utilizzate dalla grande massa dei pescatori sportivi; anche le tecniche di
pesca si evolvono rapidamente ed alcune metodologie, utilizzate in Francia e in Inghilterra,
cominciano a prendere piede anche da noi.
Sul mercato compaiono i primi mulinelli,
le prime canne fisse telescopiche realizzate
in fibra di vetro, i fili di nylon molto sottili
e resistenti e tutte le attrezzature che fanno
da corredo e comodità al pescatore.
Verso gli anni ʻ80 arrivano sul mercato le
prime canne in struttura di carbonio che
offrono al pescatore il vantaggio della leggerezza e unʼ ottima resistenza ai carichi
di rottura.
Si cominciano a vedere canne fisse che
misurano oltre i 10 metri ed altre canne
Uno dei primi mulinelli apparsi sul mercato
denominate Roubiasienne che, formate da
pezzi innestati, raggiungono la lunghezza di 14,30 metri permettendo così di pescare con una
sola canna e con la massima precisione sulla lunghezza desiderata.
Con lʼavvento del carbonio e di nuove tecnologie vengono in seguito realizzate canne più
corte, ma molto potenti che permetteranno di sviluppare nuove tecniche di pesca sia nei laghi
che nei fiumi.
Queste nuove tecniche possiamo così riassumerle: pesca allʼinglese, pesca alla bolognese,
pesca a roubiasienne, pesca a spinning, pesca a mosca, pesca a ledgering, carp-fishing ed
altre tecniche minori.
Una notevole percentuale di pescatori frequenta i laghetti privati dove è possibile effettuare
quasi tutte le tecniche descritte in precedenza e cimentarsi in manifestazioni sportive organizzate per pescare sia il pesce bianco che la trota.
Ormai anche a livello mediatico la pesca rappresenta un grosso business: si possono trovare
in quasi tutte le edicole riviste specializzate che trattano ogni argomento, dallʼagonismo alla
vita dei pesci passando per tutte le varie tecniche di pesca.
Prendono piede anche alcune trasmissioni televisive a puntate interamente dedicate a questa
disciplina.
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Tecnica di pesca a ledgering
Tecnica di pesca a passata con canna bolognese
Tecnica di pesca a carp fishing
Tecnica di pesca con canna a roubasienne
102
7. I PROBLEMI DEL FIUME
7.1 Cause di alterazione delle comunità ittiche: alcuni esempi
Variazione artificiale dei livelli idrici
Le variazioni artificiali dei livelli idrici rappresentano uno dei problemi principali a carico
delle comunità ittiche. La fluttuazione dei livelli di portata, per apertura o chiusura di paratie, è un fattore critico che può compromettere seriamente il successo riproduttivo di molte
specie. Un esempio è dato dai nidi di trota marmorata, creati dal pesce quando il livello
dellʼacqua era elevato e successivamente rinvenuti in condizioni di asciutta.
Situazioni come questa, perpetuate nel corso degli anni, possono portare alla graduale
riduzione della specie per carenza di esemplari giovani.
Nidi di trota marmorata rimasti allʼasciutto
Il discorso è valido non solo per la trota marmorata, ma anche per altre specie che depongono
sui ciottoli e sulla ghiaia quali il temolo ed i ciprinidi reofili (alborella, savetta, lasca, barbo
comune, cavedano, vairone, ecc.). Il danno derivante dalla riduzione delle portate è accentuato
nel periodo estivo perché favorisce il surriscaldamento delle acque.
Tra le variazioni artificiali dei livelli idrici la situazione estrema è rappresentata dallʼasciutta
totale, soprattutto dei navigli, operata solitamente per esigenze di manutenzione idraulica che
determina la morte dellʼintera comunità ittica presente nel fiume a meno che non vengano
disposti interventi straordinari (logisticamente impegnativi e onerosi) atti al recupero delle
specie presenti. Anche gli aumenti di portata causati da manovre idrauliche causano seri
danni poiché la corrente può rivoltare i ciottoli ai quali sono attaccate le uova oppure trascinare i giovani quando essi non sono ancora in grado di opporsi alle correnti.
Infine, seppure non siano elementi dominabili, ma solo prevedibili, anche i fenomeni
atmosferici e i relativi cambiamenti climatici dellʼultimo decennio (ad esempio siccità anno
2003), caratterizzati da lunghi periodi con alte temperature oppure da precipitazioni intense e
103
non distribuite lungo lʼarco delle stagioni, hanno accentuato queste problematiche di carenza
dei volumi di acqua e forte oscillazione delle portate idriche con evidenti disagi per il mantenimento di tutti gli equilibri negli ecosistemi fluviali.
Uova di pesce ormai compromesse rimaste in secca a causa
di improvvise captazioni
Alterazioni della morfologia fluviale: dighe, sbarramenti, briglie e
microderivazioni
La presenza di una diga (con conseguente sbarramento totale o parziale che interessi lʼasse
fluviale) determina una profonda alterazione degli habitat originari. Il tratto a monte perde il
carattere torrentizio ed assume un aspetto
simil-lacustre, mentre il tratto a valle, se
è presente una derivazione, è solitamente
povero di acqua, a volte per alcuni chilometri. Le comunità ittiche risultano pertanto molto alterate (si passa da un ambiente per pesci dʼacqua corrente ad uno
per specie dʼacqua ferma). La presenza di
molti sbarramenti (la cosiddetta deframmentazione fluviale) accentua il problema
compromettendo le naturali caratteristiche
del fiume per lunghi tratti.
Briglia sullʼAdda nei pressi di Maleo (CR)
Le dighe e le briglie inoltre impediscono
la migrazione dei pesci a scopo sia riproduttivo che alimentare. Le specie che hanno maggiormente risentito del problema sono quelle bisognose di spostarsi lungo il corso del fiume
per trovare i luoghi adatti alla deposizione delle uova. Una soluzione al problema della migrazione dei pesci è rappresentata dalle scale di risalita. Purtroppo questi impianti, realizzati
nel periodo di costruzione degli sbarramenti, cioè nei primi decenni del secolo scorso, risul104
tano inadeguati alle esigenze del giorno dʼoggi.
Per quanto riguarda il tratto di Adda sub-lacuale, la situazione delle scale di risalita è
completamente da rivedere anche se negli ultimi anni grazie al Parco Adda Nord e alle
Province si è iniziato ad intervenire cercando di imporre ai gestori la nuova costruzione o il
ripristino della funzionalità delle scale esistenti (come previsto dalla legge regionale in occasione del rinnovo dei disciplinari che in alcuni casi scadono nel 2023!).
Questa tematica è da valutare attentamente anche perché il deflusso minimo vitale
(D.M.V.) è probabile che generi un falso “richiamo” per la risalita dei pesci pregiudicandone la funzionalità. Quindi affinché una scala di risalita sia efficace è fondamentale che:
• sia quanto più possibile vicino allo sbarramento;
• sia vicina al punto di rilascio del deflusso minimo vitale;
• abbia pendenza idonea affinché tutti gli individui, di tutte le specie, possano risalirla;
• sia dimensionata sulla grandezza degli individui (si pensi ad un riproduttore di storione).
Si ricordi poi che la specie che risale, in genere ridiscende, perciò è importante che sia
assicurata la discesa evitando che i pesci finiscano nei canali di derivazione, siano essi per
scopi idroelettrici o irrigui.
Tra le varie cause di alterazione vanno citate anche le microderivazioni: lo sfruttamento dei
piccoli corsi dʼacqua o dei torrenti montani per la produzione a fini idroelettrici comporta una
continua frammentazione causando la riduzione parziale o totale della portata dʼacqua con
conseguenti effetti deleteri sulle comunità ittiche esistenti (soprattutto per i salmonidi).
Alterazione della morfologia fluviale: escavazioni, rettificazioni,
difese spondali, navigazione
Gli habitat fluviali possono essere alterati anche da escavazioni in alveo, rettificazioni del
percorso fluviale e dalla costruzione di difese spondali. Lʼescavazione determina danni diretti
allʼittiofauna (mortalità dovuta allo schiacciamento, distruzione di eventuali uova deposte o
di avannotti, ecc), inoltre comporta anche una modifica della morfologia fluviale e lʼabbassamento dellʼalveo che favorisce di conseguenza i fenomeni di erosione delle sponde.
Solitamente le opere di escavazione sono accompagnate da deviazioni temporanee e quindi
dalla messa in asciutta di alcune porzioni del letto fluviale.
In alcuni casi le escavazioni sono però indispensabili per ripristinare il danno creato dallʼuomo
o da eventi naturali eccezionali. Se a valle di una diga si forma un accumulo di materiali
che impediscono lʼaccesso verso le scale di risalita oppure forti piene alterano il flusso delle
acque creando situazioni di esondazione diventa necessario intervenire.
La costruzione di difese riparie con massi ciclopici e/o con cemento determina unʼalterazione
degli habitat acquatici nei pressi delle rive. Le massicciate si accompagnano spesso ad opere
di rettificazione fluviale che determinano una modificazione dei processi di sedimentazione,
un aumento della velocità di corrente ed una perdita degli habitat di riva, essenziali per i
primi stadi di vita dei pesci.
105
Anche la navigazione, se effettuata indiscriminatamente (con natanti sovradimensionati
dallʼelevato pescaggio) e su tratti non idonei (zone con alvei sabbiosi e/o ghiaiosi caratterizzate da bassa profondità) può causare pesanti alterazioni del letto del fiume, erosioni e modificazione delle sponde con conseguenze negative per la sopravvivenza dei pesci in seguito
allʼazione modellante da parte di grossi volumi dʼacqua creata dal moto ondoso.
Inquinamento delle acque
Lʼinquinamento delle acque può determinare unʼalterazione anche profonda delle comunità ittiche; in
particolare occorre distinguere:
• Inquinamento da sostanze nutrienti (composti del
fosforo e dellʼazoto) e/o a carattere prevalentemente
organico: tipico degli scarichi civili, può portare ad
una proliferazione di microrganismi e alghe determinando come conseguenza diretta la diminuzione del
contenuto di ossigeno disciolto ed il possibile sviluppo
di patogeni. In presenza di questa tipologia di scarichi
si possono osservare danni elevati a carico delle uova
deposte, mentre i pesci adulti in genere sembrano più tolleranti.
• Inquinamento di tipo tossico: da composti inorganici (metalli pesanti, pesticidi, idrocarburi ed altri prodotti chimici). Può determinare morie generalizzate, riduzione di fertilità,
mancanza delle disponibilità alimentari,
ecc. Possono rientrare in questa categoria
gli scarichi degli allevamenti zootecnici
che, seppur costituiti prevalentemente da
sostanze organiche, per lʼelevata quantità
di inquinanti immessi determinano morie
generalizzate di pesce a valle dei punti di
scarico.
Analogamente anche gli scarichi derivanti
da attività industriali risultano molto pericolosi.
Nelle foto: uno degli scarichi censiti
dal Comitato Centro Adda
Come se non bastasse, anche gli impianti
di depurazione - che dovrebbero assicurare
un continuo e corretto risanamento delle
acque nere domestiche e industriali - molto spesso sono mal funzionanti e insufficienti di
fronte alle reali necessità.
Nonostante la continua crescita demografica che ha interessato il territorio, resta il dubbio
che per questi impianti siano stati effettuati solo pochi e sottodimensionati ammodernamenti
tecnologici.
106
Un importante lavoro effettuato dal Comitato Centro Adda e dal Parco Adda Nord ha
visto la mappatura di tutti gli scarichi civili, industriali, pubblici e privati che - in modo
più o meno lecito - riversano le loro acque nere lungo il corso dellʼAdda da Lecco fino
a Truccazzano. Sono state censite ed opportunamente segnalate tramite apposita documentazione ben 228 situazioni critiche. Alcune in seguito a questa opera di denuncia sono
state regolarizzate, altre no.
Sarebbe utile e necessario proseguire questo lavoro (con lʼappoggio di Parchi, Province,
Comuni e autorità competenti) effettuando un nuovo controllo per verificare quanti di
questi scarichi siano ancora abusivi e per pianificare le opportune misure di intervento.
A tal proposito vorremmo citare questo significativo esempio.
A Trezzo sullʼAdda, nel tratto compreso tra la centrale Taccani e lo sbarramento Italgen situato
a valle di questa, sono stati eliminati e convogliati al depuratore ben quattro scarichi che entravano nel fiume. In questi ultimi due anni, in questo tratto vi è stata una forte ripresa delle specie
ittiche e sono ricomparse persino le alborelle che da anni non si vedevano più.
Per cui togliere gli scarichi e far partire il D.M.V. ha prodotto subito un miglioramento della
situazione!
Ecco il tratto di Adda immediatamente a valle della centrale Taccani appena sopracitato
107
Un breve accenno merita ora il Deflusso Minimo Vitale (D.M.V.), il cui rilascio è stato
reso obbligatorio dalla normativa regionale, a partire dal 1 gennaio 2009; in corrispondenza di ogni sbarramento deve infatti essere rilasciato il quantitativo minimo di acqua
necessario per mantenere vitali le condizioni di funzionalità e di qualità degli ecosistemi,
conservando la biodiversità caratteristica dellʼambiente fluviale.
La normativa regionale ha previsto, in modo generico sullʼintero territorio lombardo,
un rilascio minimo pari al 10% della portata media annua presente a monte della derivazione, con possibilità di vedere aumentata questa quota in base a caratteristiche ed
esigenze locali specifiche o alla presenza di ambiti tutelati.
Per consentire indagini di maggior dettaglio e verificare le reali necessità di rilascio
nelle singole situazioni, la normativa prevede la possibilità di attivare delle sperimentazioni, condotte su base scientifica, valutate dagli enti competenti, approvate da Regione
Lombardia e monitorate costantemente per tutta la loro durata.
La sperimentazione, avviata nel 2009, avrà una durata compresa tra i 3 e i 6 anni e
prevede di sperimentare nei diversi mesi dellʼanno, percentuali di rilascio variabili dal
5,5 al 10%, stabilite sulla base del tratto di fiume, della tipologia di prelievo idrico, se
idroelettrico o irriguo, delle diverse necessità, naturalistiche, agricole o produttive, che
si alternano nel fiume nel corso delle stagioni. Lʼobiettivo finale sarà quello di giungere
a definire la quota di rilascio più idonea, nei diversi tratti di fiume e nelle diverse stagioni, che garantisca la salvaguardia dellʼecosistema fluviale, soddisfacendo nello stesso
tempo le esigenze degli enti derivatori, che utilizzano lʼacqua come risorsa per produrre
energia idroelettrica e per lʼirrigazione in agricoltura.
Auspichiamo che al termine del programma di sperimentazione la quota di DMV possa
attestarsi a valori più vicini al 10% che non al 5,5% così che possa realmente apportare
quei benefici e vantaggi alla comunità fluviale, che la stessa normativa si prefigge di
raggiungere.
NOTA: Il D.M.V. comunque non deve solo assicurare la presenza di acqua a valle di una derivazione, ma anche
la presenza di habitat idonei alla sopravvivenza, o meglio allo sviluppo delle comunità acquatiche. Questʼultimo
aspetto risolverebbe il problema non solo nellʼimmediato, ma anche nel lungo periodo con grande benefici per tutte
le comunità ittiche.
1 Gennaio 2009: data storica, finalmente parte la normativa che assicura il Deflusso Minimo Vitale!
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Traslocazione di specie o popolazioni esotiche
Per traslocazione si intende il trasferimento di unʼentità faunistica (specie o popolazione) da
unʼarea allʼaltra. Con questa azione vanno ad essere stravolti i concetti ecologici di habitat,
nicchia ed ecotipo.
Le traslocazioni si possono suddividere in:
Introduzione (di specie esotiche): immissione di una specie in unʼarea posta al di fuori
dellʼareale di presenza storica. Le modalità con cui avvengono questi trasferimenti sono tra
le più disparate: ripopolamenti con materiale non certificato, assenza di conoscenze di base
da parte di personale e pescatori, laghetti privati comunicanti con corsi dʼacqua, immissioni
accidentali o volontarie. Esempio: introduzione del siluro in Italia.
Transfaunazione (di popolazioni esotiche): immissione di popolazioni appartenenti a
bacini idrografici differenti.
Esempio: immissione nelle acque italiane di lucci Est europei, immissione nel fiume Adda di
trote marmorate provenienti da fiumi trentini o sloveni.
Reintroduzione (di specie localmente estinte): immissione finalizzata a ristabilire una
popolazione estinta di una certa specie in una parte dellʼareale nel quale la presenza naturale
della specie era documentata in tempi storici.
Esempio: reintroduzione del gambero dʼacqua dolce italiano e dello storione cobice in aree
in cui era scomparso.
Ripopolamento: rilascio di individui appartenenti ad una popolazione ancora presente
nellʼarea oggetto di studio per incrementare numericamente la popolazione. Esempio: rilascio
di avannotti di trota marmorata prodotti da uova raccolte in asciutta o dalla fecondazione
artificiale di riproduttori selvatici del bacino del fiume Adda.
Reintroduzione e ripopolamento sono le uniche due tipologie di traslocazione che possono
essere considerate positive.
Su questo tema alcuni biologi sono in disaccordo. Il problema dei ripopolamenti pone, infatti,
notevoli rischi che possiamo così riassumere:
• Probabilità di diffusione di specie alloctone
• Introduzione di patologie che possono contagiare lʼittiofauna in tutto lʼambiente fluviale
• Diffusione di materiale genetico di scarsa qualità
È certo che sarebbe ideale agire a monte del problema ed in modo preventivo sulle cause che
provocano il degrado delle nostre acque, cosa che renderebbe inutile effettuare i ripopolamenti con i rischi che essi comportano.
Lʼintroduzione accidentale o volontaria di specie esotiche (perseguita a norma di legge), può
determinare lʼalterazione delle comunità ittiche e la concentrazione o estinzione delle popolazioni locali (*) di alcune specie per effetto dei fenomeni di competizione, di predazione e/o
inquinamento genetico (ibridazione di specie sistematicamente vicine, ad esempio ibrido tra
trota marmorata e fario).
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Il principale effetto della transfaunazione è lʼinquinamento genetico delle popolazioni locali,
con conseguente perdita dei caratteri adattativi delle stesse che la rendevano perfettamente
adattata a quel territorio e il relativo indebolimento della specie.
(*) queste specie indigene si trovano in totale equilibrio con lʼambiente in cui vivono in quanto
si sono coevolute con lʼambiente stesso. Questo equilibrio risulta unico ma anche molto
delicato: è sufficiente un evento di disturbo, ad esempio un nuovo pesce “straniero” appena
introdotto per stravolgere tutto; frequentemente il nuovo “inquilino” è vincente dal punto di
vista della competizione alimentare e maggiormente prolifico.
Uno dei pochi rimedi alla deframmentazione fluviale: la scala di risalita
La scala di risalita voluta fortemente dal Comitato Centro Adda
in loc. Concesa a Trezzo sullʼAdda
110
7.2 Gli uccelli ittiofagi
LʼAIRONE CENERINO (Ardea cinerea)
Morfologia
Lʼairone cenerino è, insieme allʼairone bianco maggiore, il più grande tra tutti gli ardeidi
presenti in Italia. Può arrivare ad unʼaltezza di circa 1 metro e ad unʼapertura alare di 175
cm. È facilmente riconoscibile sia per le grandi dimensioni che per la generale livrea color
grigio cenere da cui ne deriva il nome. Vola alto a lente battute dʼala, con la testa arretrata tra
le spalle, come a formare una “S”.
Abitudini
Lʼairone cenerino necessita di specchi dʼacqua aperti e poco profondi.
Nel Parco lo si può osservare mentre cammina lentamente o rimane perfettamente immobile
a ridosso dei canneti o nelle zone umide adiacenti al fiume oppure lungo i raschi nellʼattesa
di ghermire la preda. La ricerca del cibo è possibile in acque profonde fino a 60 cm grazie
alla lunghezza delle zampe.
Nellʼepoca della riproduzione le uova vengono covate per 25 giorni e per i 50 giorni successivi alla schiusa i genitori vanno e vengono dal nido portando alla prole pesci e altri piccoli
animali predigeriti.
Airone cenerino (Ardea cinerea)
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Distribuzione e habitat
Giungono in gruppo sulle rive dei nostri fiumi e delle nostre lagune costiere in primavera,
dopo aver trascorso lʼinverno nellʼAfrica tropicale. Allʼarrivo gli aironi tornano spesso a
occupare la garzaia abbandonata lʼanno precedente, ovvero un gruppo di grandi nidi, tutti
vicini, costruiti con rami secchi sulle cime degli alberi (la vita in colonia è necessaria per la
difesa dai predatori, come i corvi).
Dormitorio di airone cenerino
Cibo ed alimentazione
Si nutre di grossi insetti, piccoli roditori e uccelli di piccola mole, ma sostanzialmente la
sua dieta è il pesce dalle dimensioni non superiori ai 30 cm. Come tutti gli uccelli, gli aironi
hanno bisogno di molto cibo in rapporto al loro peso corporeo: fino a mezzo chilo di pesce al
giorno. Il becco ad arpione associato al lungo collo e alla sua particolare muscolatura permette
movimenti potenti e istantanei nellʼatto di cattura della preda. La tecnica di caccia solitamente
adottata è particolarmente interessante: passi lenti nellʼacqua seguiti da immobilizzazioni.
Una volta localizzato il pesce viene fiocinato con il possente becco e successivamente lanciato
in aria afferrato ed inghiottito dal capo, evitando così lʼapertura delle scaglie.
Relazione con lʼuomo e lʼambiente
Lʼairone cenerino è presente e nidifica nel Parco Adda Nord. In Italia nidifica in colonie abbastanza concentrate nel Veneto e in Lombardia e può ormai essere considerata specie stanziale.
Attualmente la sua presenza comporta pochi danni alle specie ittiche poiché la sua densità
di popolazione è ancora bassa, ma in continuo aumento e ben distribuita in tutta lʼarea del
Parco. Lʼairone cenerino cattura soprattutto i pesci vecchi o malati che sono quelli che più si
avvicinano alla superficie, ma non disdegna di catturare i piccoli pesci che si avvicinano alla
riva per la riproduzione.
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LO SVASSO MAGGIORE (Podiceps cristatus)
Morfologia
È il più grosso degli svassi, facilmente riconoscibile per i ciuffi nerastri e per la presenza, in
epoca di cova, di un evidente pennacchio castano e nero ai lati della testa.
Ha il becco carnicino ed è diffuso praticamente in tutta Europa.
È il più comune fra le cinque specie di svassi che vivono in Europa centrale. In primavera la
livrea nuziale è caratterizzata in entrambi i sessi dalla presenza di ciuffi auricolari neri molto
sviluppati, da pennacchi castano-rossicci ai lati della testa, con parti inferiori del collo e del
corpo quasi bianche. In abito invernale la testa è quasi bianca e gli ornamenti del capo appaiono fortemente ridotti o solo appena accennati. Il dorso è di colore grigio bruno. Si tratta
di uccelli molto ben adattati alla vita acquatica e, in particolare, alla pesca sotto la superficie
dellʼacqua. Ha il corpo a forma di siluro, le zampe attaccate molto indietro come fossero dei
remi, il becco sottile e appuntito e la coda estremamente corta. Considerati i tuffatori più abili
tra gli uccelli che frequentano le acque continentali, raggiungono in media la profondità di 5
metri e possono rimanere immersi, nuotando esclusivamente con le zampe lobate, per oltre
un minuto. Se disturbati, si allontanano nuotando sottʼacqua per tratti di oltre cento metri e
possono regolare il loro livello di galleggiamento gonfiando o comprimendo il piumaggio; in
caso di pericolo nuotano quasi sommersi.
Si curano spargendo tra le penne lʼolio secreto dallʼapposita ghiandola posta alla base della
coda; questo rito ha lʼobiettivo di mantenere idrorepellente il proprio piumaggio.
Svasso maggiore (Podiceps cristatus)
113
Abitudini
Il corteggiamento è composto da varie e complesse fasi. Per rafforzare il legame della coppia
entrambi eseguono danze aiutandosi con le piume della testa e con il becco.
Insieme i membri della coppia costruiscono il nido, una piattaforma di canne ancorata alla
vegetazione ove la femmina depone 4-5 uova e i piccoli nasceranno dopo 4 settimane ricoperti da un peluria bianca. A sei settimane i genitori si dividono la nidiata ed ognuno ha il
compito di nutrire la propria parte.
Anche se lʼaspetto potrebbe farlo passare per un animale nobile, lo svasso maggiore è in realtà
molto aggressivo e, non appena qualche animale si avvicina al nido, scatta subito lʼattacco;
al contrario, fuori dalla stagione riproduttiva sono molto socievoli.
Distribuzione e habitat
Lʼhabitat ideale di questo animale è costituito da zone con bacini idrici o fiumi lenti, tranquilli
e non inquinati. Negli anni ha iniziato a stabilirsi anche in bacini artificiali e durante la stagione riproduttiva migra verso estuari e coste. In Africa e Nuova Zelanda vive ad altitudini
piuttosto elevate e sopporta anche condizioni in cui lʼacqua è gelata.
Cibo ed alimentazione
Come è intuibile il lungo collo e il becco sono molto adatti a catturare prede subacquee.
Un singolo individuo di questa specie è in grado giornalmente di mangiare 150-200 g di
pesce a cui si devono aggiungere invertebrati come gamberi e gamberetti. La caccia consiste
nel tuffarsi in acqua fino a 30 secondi per circa 5 m individuare la preda, inseguirla e una
volta raggiunta colpirla col becco.
Relazioni con lʼuomo e con lʼambiente
Attualmente la sua presenza non comporta problematiche alle specie ittiche salvo nei casi
ove dimorano decine di coppie in zone ristrette. In queste zone, alimentandosi quotidianamente di centinaia di pesci di piccola taglia, possono impoverire la popolazione ittica presente
nellʼarea circoscritta.
114
IL CORMORANO (Phalacrocorax carbo)
Morfologia
Il cormorano è un uccello di grandi dimensioni con corpo nero e becco ad uncino.
Vi è comunque unʼampia variazione in termini di dimensioni nella vasta gamma di specie.
Sono stati censiti cormorani dal peso di 1,5kg fino a 5,3 kg, ma il peso medio si aggira fra i
2,6 ed i 3,7 kg. La lunghezza può variare da 70 a 102 cm e lʼapertura alare da 121 a 160 cm.
Ha un lungo collo fatto a “S” ed elastico che permettere di deglutire pesci di grossa taglia
(fino ad 1Kg). Ben adattato sia allʼacqua dolce che salata, gode di una vista eccezionale.
I cormorani hanno le piume permeabili e perciò passano molto tempo al sole ad asciugarsi le
penne. Le zampe munite di grandi membrane conferiscono a questi uccelli una forte spinta
sottʼacqua, potendo così arrivare fino ad una profondità superiore ai 6 metri.
Volano molto bene grazie alle ampie ali e alla forma affusolata; invece, il decollo dallʼacqua
è complicato a causa della posizione eretta delle zampe.
Distribuzione e habitat
Il cormorano può essere osservato in quasi tutti i continenti. In Italia esistono numerose
nidificazioni sparse in ambienti con vicinanza dʼacqua, sia interni come laghi e fiumi, che
sulla costa. La maggior parte dei cormorani migra allʼinizio della primavera per la riproduzione nellʼemisfero Sud.
Anche se non ancora ufficialmente provato, alcune colonie di cormorani sembrerebbero
divenute stanziali persino nei territori del Parco Adda Nord.
Foto scattata nel parco Adda Sud il 20/08/2009, periodo in cui il cormorano non dovrebbe essere presente in Italia
115
Abitudini
Il cormorano si riproduce e nidifica principalmente vicino alle zone costiere, ma anche nelle
regioni più interne. Depone 3-4 uova in un nido composto da alghe o ramoscelli e solitamente
si alimenta in acque poco profonde, portando la preda in superficie. È una delle poche specie
di uccelli che possa ruotare i propri occhi; ciò li aiuta nella caccia.
Cibo ed alimentazione
Tutte le specie di cormorano sono carnivore e si nutrono principalmente di pesce.
Il cormorano per sopravvivere mangia mediamente da un minimo di 400 g fino ad un massimo
di 900 g di pesce al giorno.
Cormorano (Phalacrocorax carbo)
Relazioni con lʼuomo e ambiente
Nel passato, molti pescatori professionisti vedevano nei confronti del cormorano un
concorrente per la pesca e per questo è stato cacciato fin quasi allʼestinzione; in seguito è
stato inserito nelle specie protette e il suo numero è esponenzialmente aumentato.
Al momento esistono circa 450.000 uccelli nidificanti in Europa Occidentale e di conseguenza
lʼaumento della popolazione ha posto ancora una volta il cormorano in conflitto con la pesca
e con tutti gli impianti di allevamento del pesce.
Nel Regno Unito ogni anno vengono rilasciate delle licenze che permettono di abbattere un
numero predefinito di cormorani per contribuire a ridurre la predazione; è tuttavia ancora
illegale uccidere un uccello senza tale licenza poiché risulta un animale protetto.
116
Nel territorio di competenza del Parco Adda Nord il cormorano arriva svernando ai primi di
ottobre e ritorna nei luoghi di nidificazione (Europa Occidentale) a fine marzo.
Attualmente la sua presenza è divenuta infestante e molte colonie formate da centinaia
di esemplari depredano i nostri fiumi che risultano gravemente impoveriti e che difficilmente potranno sostenere a lungo tale pressione predatoria.
Sul fiume Adda, lungo tutto il suo percorso, questi uccelli stanno radicalmente alterando la
composizione della fauna ittica, contribuendo a portare alcune specie autoctone addirittura
verso lʼestinzione totale (lasca, temolo, marmorata, savetta, pigo, alborella, ecc).
Nellʼultimo censimento redatto dalla Polizia Provinciale, nei quattro dormitori ufficiali
dislocati sul fiume Adda che da Olginate arrivano fino a Cassano (territori che interessano le provincie di
Lecco, Bergamo e Milano) sono stati
stimati circa 800 cormorani.
Considerando le piccole colonie
sparse a macchia di leopardo nel
tratto sopracitato, il numero di cormorani effettivo potrebbe lievitare
ad oltre 1000 esemplari.
Vengono spesi ogni anno tanti soldi
pubblici per gli incubatoi e per ripopolare il fiume e i laghi; i volontari
costruiscono i ghiaieti e le legnaie
per favorire la riproduzione dei ciDanno al pesce provocato dal cormorano
prinidi e dei salmonidi; bisogna
però chiedersi a cosa serve tutto ciò
se poi non viene contrastata la caccia indiscriminata che questo predatore esercita nei confronti dellʼittiofauna.
In più aree è stato riscontrato che a poco servono gli attuali strumenti di dissuasione non
cruenti (petardi, reti di protezione, nastri colorati) per ridurre la sua azione predatoria per
cui si rende necessario un piano ben ragionato e più vasto che coinvolga lʼintero territorio
nazionale.
Alcune Province (in base alla L.R. n° 31 - art. 139 - punto 7) hanno permesso piccoli piani di
abbattimento che riguardano globalmente poche decine di capi, ma questo non è nulla rispetto
alla grande quantità di volatili presenti per ben sei mesi nelle nostre acque.
Non si capisce perché vengano concessi piani di abbattimento per cornacchie grigie, nutrie,
piccioni, cinghiali, ecc. quando è certamente provato che anche il cormorano altera lʼequilibrio della fauna ittica e per questʼultimo non esiste alcuna possibilità di ridurre in modo
significativo la sua azione predatoria.
117
È stata resa operante la normativa sul Deflusso Minimo Vitale (D.M.V.) chiamata anche
“LEGGE SALVA FIUMI” proprio per salvaguardare il nostro patrimonio ittico, ma i benefici
apportati non saranno tali se non verranno affrontate celermente e contestualmente tutte le
forme di pressione e degrado finora descritte che minacciano i nostri fiumi e laghi.
Posa in opera della rete anticormorano in conca a Trezzo da parte del C.C.A.
118
7.3 Specie ittiche ittiofaghe alloctone
“Siluro si, siluro no?”.
Oggi la domanda dovrebbe essere posta diversamente, ovvero: “Siluro, come?”.
Come gestire un predatore alloctono? Come comportarci dove il siluro è diventato ormai una
realtà che pesa notevolmente nella biomassa fluviale?
La legge regionale stabilisce che i siluri catturati non debbano essere rilasciati in quanto
considerate specie alloctone infestanti. A livello teorico la legge appare sensata, ma in termini
pratici il grosso problema è determinato dallo smaltimento di questo pesce che raggiunge
taglie ragguardevoli (per cui subentra un problema di tipo sanitario). Non solo, anche la
cattura degli esemplari nel loro habitat comporta diverse difficoltà logistiche poiché lʼattività
di questo pesce risulta prevalentemente notturna.
Tuttavia sono auspicabili piani di contenimento ove questa specie raggiunga allarmanti
livelli di densità di popolazione che possano pregiudicare il naturale sviluppo delle altre
specie autoctone.
In definitiva sarebbe lʼideale mettere
a punto un piano di contenimento
nelle aree dove il siluro non si sia ancora diffuso in modo preponderante
perché è dimostrato che, successivamente allʼinsediamento in pianta stabile di questo pesce alloctono super
predatore nel corso dʼacqua in questione, le altre specie autoctone tendono a diminuire in modo drastico.
A conferma di ciò basti esaminare
la situazione del Po e del Ticino per
rendersi conto come in pochi anni il
siluro abbia velocemente prevalso a
discapito di tutte le altre specie.
Grosso esemplare di siluro
119
8. CONCLUSIONI E RINGRAZIAMENTI
Ora sappiamo qualcosa di più sulla pesca, sulle specie ittiche e sul meraviglioso territorio
che ci circonda.
Sono stati principalmente considerati i parametri del tratto di Adda sub-lacuale, ma gran
parte dei problemi riferiti al degrado delle nostre acque riguarda quasi tutti i fiumi e i laghi
italiani.
Il nostro Comitato riunisce in sé oltre venti società di pescasportivi residenti nel nostro territorio e sta cercando in ogni modo di contrastare questa continua situazione di abbandono.
Operiamo con le Province, le F.I.P.S.A.S., il Parco Adda Nord e le amministrazioni locali e
assieme cerchiamo di ottenere qualche risultato soddisfacente che permetta di gestire il fiume
salvaguardando la sua biodiversità.
I problemi sono molti a partire dagli scarichi che riversano le loro acque direttamente nel
fiume, la carenza dei depuratori, le scale di risalita mancanti o malfunzionanti, la qualità delle
acque, il deflusso minimo vitale (realizzato, ma ancora a livello sperimentale), le asciutte dei
canali e dei navigli, le specie alloctone invasive (siluro), ma soprattutto la predazione del
cormorano sono soltanto alcuni dei principali problemi che riguardano il nostro fiume.
Purtroppo i pesci non sono “visibili” e gran parte delle persone vede il fiume come appare
esternamente, ignorando le forme di vita che esso contiene.
Produrre energia o irrigare i campi sono attività di importanza primaria, ma riteniamo che
sia fondamentale sviluppare ulteriormente una sensibilità ambientale volta a salvaguardare la
biodiversità delle nostre acque.
Questo dovrebbe diventare un punto fisso per le autorità competenti e un obiettivo primario
per tutti noi partecipando attivamente alla tutela del nostro ambiente.
Particolari ringraziamenti vanno al Parco Adda Nord, Provincia di Milano, F.I.P.S.A.S.
Milano e Comune di Trezzo sullʼAdda per il contributo economico fondamentale alla realizzazione di questo opuscolo.
Si ringrazia vivamente anche la Provincia di Lecco e Bergamo per lʼappoggio incondizionato
offerto alla stesura di questa pubblicazione.
121
9. GLOSSARIO
- BACINO IMBRIFERO: è lʼarea topografica (solitamente identificabile in una valle o una
pianura) di raccolta delle acque che scorrono sulla superficie del suolo confluenti verso un
determinato corpo idrico recettore che dà il nome al bacino stesso (es. “il bacino idrografico
del Rio delle Amazzoni”). Ogni bacino idrografico è separato da quelli contigui dalla cosiddetta linea dello spartiacque;
- SUBSTRATO: è il fondo dei corpi idrici;
- PELAGICO: un organismo che nuota o viene trasportato dalla corrente e che svolge gran
parte del suo ciclo vitale lontano dal fondo del mare o di un lago. Questo termine viene utilizzato in contrapposizione a bentonico. Gli organismi pelagici possono essere suddivisi nelle
due categorie ecologiche di plancton e necton;
- BENTONICO: tutti gli organismi acquatici che vivono a stretto contatto col fondo;
- PLANCTON: è la categoria ecologica che comprende il complesso di organismi acquatici
galleggianti che, non essendo in grado di dirigere attivamente il loro movimento (almeno
in senso orizzontale), vengono trasportati passivamente dalle correnti e dal moto ondoso; si
divide in fitoplancton e zooplancton a seconda che lʼorigine sia, rispettivamente, vegetale o
animale;
- NECTON: è la categoria ecologica che comprende gli organismi acquatici che nuotano
attivamente;
- REOFILO: organismo adattato a vivere in acque ad elevata velocità di corrente;
- LIMNOFILO: organismo che vive nellʼambiente delle acque lacustri, stagnanti;
- LITOFILO: organismo che depone le uova su substrati duri (ciottoli, ghiaia);
- FITOFILO: organismo che depone le uova su vegetazione acquatica;
- LOTICO: sinonimo di ambienti ad acqua corrente;
- LENTICO: sinonimo di ambienti lacustri;
- SPECIE AUTOCTONA o INDIGENA: specie che si è originata ed evoluta nel luogo
in cui si trova. In particolare si definisce “endemica” una specie autoctona originariamente
presente in via esclusiva in unʼarea geografica ristretta;
- SPECIE ALLOCTONA o ESOTICA: specie estranea alla popolazione nativa e che si è
originata ed evoluta in un luogo differente rispetto a quello in cui si trova. Accidentalmente
o intenzionalmente immessa dallʼuomo in epoca storica;
- SPECIE MACROFITE: Con il termine macrofite acquatiche ci si riferisce ad un cospicuo
gruppo di specie vegetali che hanno in comune le dimensioni macroscopiche e lʼessere rinvenibili sia in prossimità sia allʼinterno di acque dolci superficiali e formanti aggregati macroscopicamente visibili. Le macrofite acquatiche possono essere ritenute degli ottimi indicatori
grazie alla loro spiccata sensibilità nei confronti dellʼinquinamento di natura organica e da
eccesso di nutrienti (eutrofizzazione), unitamente alla relativa facilità di identificazione e alla
scarsa mobilità;
- DIADROMA (specie): relative a pesci che regolarmente migrano tra acque dolci e marine
122
in un periodo ben definito dal ciclo vitale (es. anguilla);
- ANADROMA (specie): specie che risale la corrente, relativa cioè a specie che vive abitualmente in mare e che si porta nei fiumi per la riproduzione;
- EURIALINO: organismo acquatico che tollera le variazioni di salinità del mezzo in cui
vive;
- TROFICO (migrazione): molti pesci per la ricerca del cibo compiono migrazioni definite
trofiche;
- PARAMETRI BIOTICI: fattori biologici che costituiscono lʼecosistema;
- FATTORI ANTROPICI: antropizzazione è il processo mediante il quale lʼuomo modifica
lʼambiente naturale per renderlo più consono ai propri fini.
123
10. BIBLIOGRAFIA
- Definizione dellʼimpatto degli svasi dei bacini artificiali sullʼittiofauna e valutazione di
misure di protezione, Quaderni della ricerca – Regione Lombardia
- Fauna ittica e ambienti acquatici della provincia di Lodi, a cura di Simone Rossi
Provincia di Lodi
- Ciclo guida e carta del canale della Muzza, testi, foto e disegni di Albano Marcarini
Regione Lombardia, Consorzio Bonifica della Muzza Bassa Lodigiana
- Visitare lʼAdda: catalogo turistico – distretto biculturale dellʼAdda – Parco Adda Nord
- Da Capriate a Truccazzano – Parco Adda Nord
- Guida per il riconoscimento dei pesci della provincia di Lecco, a cura di Marco Aldrigo
e Roberto Facoetti – Provincia di Lecco
- Relazione sullo stato dellʼambiente del Parco Adda Nord – a cura di Davide Fortini,
Stefania Anghinelli e Elisabetta Rossi – Parco Adda Nord
DAL WEB:
- Valutazione della qualità delle acque superficiali della bassa bergamasca
Istituto di Istruzione Secondaria di Stato “Don Lorenzo Milani” - Romano di Lombardia
in collaborazione con il Parco del Serio
- http://www.ittiofauna.org, sito ufficiale dellʼassociazione ICHTHYOS
- http://www.ittiofauna.org/provinciarezzo/index.htm
portale dellʼufficio pesca della provincia di Arezzo, a cura di Stefano Porcellotti
- http://www.comune.dozza.bo.it/sellustra/mioweb2/Glossario.htm
portale del sito del comune di Dozza (BO), progetto Sellustralife
- http://www.addaconsorzio.it/ portale del consorzio dellʼAdda
- Foto in formato digitale fornite dal Parco Adda Nord, sezione Ecomuseo e Cultura
- Altre fonti web (motori di ricerca, Wikipedia)
Gli Autori hanno cercato con ogni mezzo i titolari dei diritti di alcune immagini senza riuscire
a reperirli; restano ovviamente a piena disposizione per lʼassolvimento di quanto occorra nei
loro confronti.
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UN PUNTINO NEL CIELO
Un puntino.
Un puntino lontano e alto nel cielo, in questo cielo azzurro e stupendo della mia Lombardia
che già allʼalba di questo nuovo giorno mi distrae dalla pesca.
Avanza da Sud come una creatura del vento, rapida e calma,
incurante di altri uccelli che incrociano la sua rotta attraversando il fiume.
Si avvicina: il sole mi è complice colorando un riflesso
dʼargento sulle sue grandi ali grigie: è uno dei nostri aironi.
E la mia mente lo raggiunge e vola alta insieme a lui.
Dimmi dunque, cosa vedi da lassù?
Questo lungo sentiero in basso è ancora e sempre azzurro?
Quanta vita tradiscono i lampi di luce nei grandi erbai dellʼAdda
simili a lunghi capelli verdi accarezzati da lieve corrente,
è sempre del colore della perla la sabbia del fondo?
Sino a dove sono arrivate le case, le cose e gli umori degli uomini lungo i suoi canneti?
Il volo ti ha portato sopra gli ultimi boschi e le ultime querce un tempo rigogliose e piene
di vita, ai cui piedi la violenza delle acque di piena ha lasciato il sudiciume umano che
giace tra i fiori: tantissimo e immensamente rivoltante.
Cosa vive ancora nei rivoli dʼacqua dei lunghi tratti di fiume spento,
nelle sterminate pietraie sporche che hanno solo il colore della morte, dove un tempo esso
donava la vita a te ed ai piccoli nel tuo nido?
Vola airone, e non pensare.
Ti ho visto lottare con furia tremenda contro il cormorano, esule affamato che la follia
dellʼuomo ha scalzato dal proprio ambiente e che ora ti ruba il cibo, come un freddo e
implacabile invasore, sfuggito alle leggi della natura contro il quale non esista rimedio.
Sappi che in questa lotta io sono dalla tua parte.
Dimmi airone: da lassù quali suoni ti porta il vento?
Non dirmi che ancora ti sorprende il canto della curiosa cannaiola alla quale risponde
lʼusignolo e il cannareccione, o il ticchettio del picchio o la risata del cuculo: quella freccia azzurra sul pelo dellʼacqua è martino col suo fischio beffardo, è lui il vero re della riva,
il cigno lo è del fiume intero.
O sono altri i frastuoni che salgono tanto in alto, ormai senza più controllo viluppati
in una appiccicosa ed insulsa frenesia chiamata progresso, foriera di ignoti destini che
dovranno fare i conti con lʼimportanza di una goccia dʼacqua e di un filo dʼerba.
Continua il tuo volo amico airone, io riprendo distrattamente a pescare, ricorda soltanto
che quelle strane, piccole creature che vedi, altri non sono che puntini, puntini umani.
Un pescatore dellʼAdda
Finito di stampare nel mese di Marzo 2010
da Azienda Grafica Modulimpianti s.n.c. - Capriate S. Gervasio (BG)
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