Donne vittime della tratta. Esperienze e metodologie
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Donne vittime della tratta. Esperienze e metodologie
Equal Li.fe Libertà femminile - DONNE VITTIME DELLA TRATTA - ESPERIENZE E METODOLOGIE LIBERE - TE LIRA - FREE - LI.FE. - Libertà Femminile Equal Li.fe Libertà femminile DONNE VITTIME DELLA TRATTA ESPERIENZE E METODOLOGIE manuale_4_intro 20-05-2005 17:52 Pagina 1 progetto Li.fe. Libertà Femminile Donne vittime della tratta esperienze e metodologie a cura di: Flavia Mulè Team di progetto: Bruno Ballauri Laura Emanuel Simona Meriano con il contributo della partner di sviluppo febbraio 2005 manuale_4_intro 20-05-2005 17:52 Pagina 2 Soggetto capofila Provincia di Torino-Assessore alle Pari Opportunità e Relazioni Internazionali Partners Città di Torino, Città di Moncalieri. Associazione Compagnia delle Opere, Associazione Gruppo Abele, Associazione Tampep O.N.L.U.S., Casa di Carità Arti e Mestieri, Cicsene, Confcooperative Unione Provinciale di Torino, Ufficio per la Pastorale dei Migranti Curia Arcidiocesana, Università degli Studi di Torino Comitato di pilotaggio APID-Associazione Promozione Donna, Comando Provinciale dell’Arma dei Carabinieri, Confartigianato Torino, Consulta Femminile Comunale di Torino, Consulta Femminile Regionale del Piemonte, CGIL, CISL, UIL, CNA Torino, Prefettura di Torino, Procura della Repubblica di Torino, Questura di Torino, Zonta International manuale_4_intro 20-05-2005 17:52 Pagina 3 INDICE SOMMARIO capitolo 1 I soggetti ........................................................ pag. 11 capitolo 2 Percorso metodologico ......................................... » 22 capitolo 3 Altre maglie della rete ......................................... » 33 capitolo 4 Percorsi di accoglienza ......................................... » » » 36 36 39 » 43 5.1. Riflessione a margine dell’esperienza di IDEA Donna . . . . . . . . . . . . 5.2. Lavoro e donne vittime di tratta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » » » 53 53 62 capitolo 6 Destini incerti e guerre quotidiane . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 64 capitolo 7 Rappresentazioni del corpo, della sessualità e dell’affettività in donne vittime della tratta » 79 4.1. Il ruolo dell’operatore nelle comunità di accoglienza . . . . . . . . . . . . 4.2. L’Esperienza di accoglienza del Progetto Antares . . . . . . . . . . . . . . . 4.3. Per le vittime della tratta degli esseri umani quali operatori, per quali comunità? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . capitolo 5 Oltre la borsa lavoro ........................................... ................ manuale_4_intro 20-05-2005 17:52 Pagina 4 manuale_4_intro 20-05-2005 17:52 Pagina 5 INTRODUZIONE Dall’inizio degli anni ’90, prostituzione e tratta sono fenomeni correlati tra loro. Riguardano un numero sempre maggiore di persone e incidono in maniera significativa sul tessuto economico e sociale del Paese e dell’intera Unione Europea. Il fenomeno della tratta secondo stime dell’ONU e dell’Organizzazione mondiale dei Migranti riguarda circa 4 milioni di persone di cui 500.000 nel territorio dell’Europa Occidentale. La prostituzione è diventata, negli ultimi anni, uno dei commerci più promettenti. Risulta essere la terza voce di guadagno, dopo armi e droga, del crimine organizzato. Prevenire e contrastare lo sviluppo dell’industria del sesso è diventata una delle priorità politiche per l’Unione Europea, che dal 1996 si è impegnata attivamente nell’elaborare un approccio globale e interdisciplinare, concernente i reati collegati allo sfruttamento sessuale. L’art. 29 del Trattato di Amsterdam indica la lotta contro la tratta di esseri umani come uno degli obiettivi per la realizzazione di uno spazio di libertà, sicurezza, giustizia. Nell’ottobre 1999 le conclusioni del Consiglio Europeo di Tampere conferiscono mandato all’Unione Europea affinché si impegni in un’azione di lotta contro la tratta ed in particolare contro lo sfruttamento sessuale di donne e bambini. Dall’analisi della situazione Europea si evidenzia come la mancanza di una legislazione integrata non permette di superare le differenze tra i diversi sistemi e la difficoltà di cooperazione tra gli organismi giuridici dei diversi paesi. Questo consente ai trafficanti una sorta di spazio d’impunità. In Italia nel Febbraio 1998 viene istituito il Comitato interministeriale di coordinamento delle azioni di Governo contro la tratta di donne e di minori ai fini di sfruttamento sessuale. Nel Luglio 1998 in occasione dell’emanazione del Testo Unico sull’immigrazione, il legislatore ha introdotto nel nostro sistema l’art. 18, strumento specifico per combattere la tratta dei esseri umani. Questo dispositivo legislativo rappresenta una rilevante novità giuridica non solo a livello Italiano ma anche Europeo. L’art.18 del Dlgs 286/98, rimasto immuta-to anche dopo l’entrata in vigore della legge 189/2002 (nota come BOSSI-FINI) che ha parzialmente modificato il precedente impianto normativo, è particolarmente importante perché conferisce rilievo alla protezione delle vittime ed al loro reinserimento sociale. Altro elemento innovativo e qualificante della norma di legge è rappresentato dalla possibilità di rilasciare, alle donne che intraprendono il percorso d’inserimento sociale, manuale_4_intro 20-05-2005 17:52 Pagina 6 manuale_4_intro 20-05-2005 17:52 Pagina 7 un permesso di soggiorno che può diventare definitivo. Si è voluto superare il concetto di protezione legato alla collaborazione giudiziaria che prevedeva il rilascio di un permesso di soggiorno per il tempo strettamente necessario al procedimento penale. Il Dipartimento per le Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio, in ottemperanza a quanto disposto dall’art.18 (D.L.vo 286/98), ha avviato i percorsi atti a contrastare i fenomeni di tratta di donne e minori. Il Regolamento di attuazione (D.P.R. 394 - 31 agosto 1999 ) art. 27 ha contribuito a sancire il doppio percorso previsto per l’art. 18. Uno “giudiziario” caratterizzato dal ruolo preminente del Pubblico Ministero, l’altro “sociale” che attribuisce un rilievo prevalente ai servizi sociali e alle associazioni accreditate, quando durante gli interventi sociali rilevino situazioni di violenza o di grave sfruttamento. In questo caso il Questore deve valutare la sussistenza del pericolo e il conseguente “nulla-osta” al rilascio del Permesso di Soggiorno sulla base di quanto contenuto nella relazione, senza acquisire il parere del Magistrato. Dal 1998 esiste un Comitato Interministeriale, presieduto dal Ministro per le Pari Opportunità e dal Ministro per gli Affari Sociali, che si occupa del monitoraggio, dell’attuazione e della valutazione di tutte le azioni contro la tratta, nonché della formulazione di proposte per l’attuazione delle linee guida europee contenute nella dichiarazione ministeriale dell’Aia del 26 aprile 1997 e degli atti internazionali sottoscritti dall’Italia. Successivamente all’istituzione del Comitato, è stata formata la Commissione Interministeriale per l’attuazione dell’art.18, con funzioni di controllo, indirizzo e programmazione delle risorse. Da allora sono state sostenute azioni finalizzate a raggiungere tale obiettivo. L’adozione della nuova legge in materia di tratta ha permesso di orientare gli interventi non solo sul piano repressivo ma anche sul versante della prevenzione. Le donne immigrate che si prostituiscono in Italia sono circa 20.000 (Eurispes 2001), anche se è difficile, vista la situazione di irregolarità di maggior parte dei soggetti, valutare numericamente il fenomeno. Il numero di straniere che operano a Torino e nella prima cintura continua ad essere rilevante. Riguardo la provenienza geografica dei soggetti, pur rimanendo consistente il flusso migratorio dalla Nigeria, continua ad aumentare il numero delle donne provenienti dal Centro e dall’Est Europa, soprattutto dalla Romania. La liberalizzazione delle frontiere, la diffi-cile situazione sociale ed economica di quel Paese – determinata dalle trasformazioni politiche e sociali avvenute negli anni – hanno incrementato in modo considerevole il flusso migratorio verso l’Europa. manuale_4_intro 20-05-2005 17:52 Pagina 8 manuale_4_intro 20-05-2005 17:52 Pagina 9 Si conferma una sempre maggior conoscenza, da parte delle donne, dei vantaggi offerti dalla legge e la consapevolezza di quello che sarà il loro destino in Italia. Il fenomeno delle straniere dedite alla prostituzione risulta comunque in crescita, causa l’estrema povertà che colpisce intere aree del pianeta e costringe i più deboli ad accettare anche condizioni di vita impietose. Il miraggio rappresentato dall’Occidente, la possibilità di possedere e consumare i beni imposti da una certa cultura, il desiderio di emancipazione personale e di lasciarsi alle spalle un passato non felice, trovano terreno fertile in queste giovani donne, tanto da indurle a includere l’opzione della prostituzione nel loro progetto migratorio. manuale_4_intro 20-05-2005 17:52 Pagina 10 manuale_4_A 20-05-2005 17:43 Pagina 11 Progetto Equal Li.fe. - Libertà Femminile I soggetti capitolo 1 I soggetti A Torino, i progetti di reinserimento sociale di donne vittime di tratta sono promossi e coordinati dal Gruppo Abele, dall’Associazione Tampep, dall’Ufficio per la Pastorale dei Migranti della Caritas, dall’Ufficio Stranieri e Minori Stranieri del Comune di Torino e il Volontariato Vincenziano che si occupa prevalentemente di minorenni. Queste realtà sono tempo impegnate a ridurre i fenomeni discriminatori e a migliorare le condizioni di vita di donne e minori, promuovendo una cultura basata sul diritto di cittadinanza effettiva. Questi soggetti, pur mantenendo la specificità dei propri programmi, hanno sviluppato, nel corso degli anni, conoscenza reciproca, collaborazione, attitudine al confronto, che hanno consentito la creazione di una vera e propria rete sociale: senza disperdere le peculiarità nelle buone prassi predisposte da ogni singolo progetto. Il collegamento tra i progetti è garantito, oltre che dalla pratica quotidiana, anche dai momenti di verifica assicurati dagli incontri all’interno del Progetto Li.fe. e del Coordina- 11 mento Interregionale Liguria, Piemonte e Valle d’Aosta, contro la Tratta. Si è avvertita la necessità, soprattutto da parte di chi, da molti anni, si occupa di queste problematiche, di elaborare una sorta di manuale sulle buone prassi. Queste metodologie, predisposte e affinate negli anni per offrire interventi sempre più puntuali ed aderenti allo scenario che ci si trovava di fronte, rappresentano un prezioso strumento di lavoro per i soggetti coinvolti e per tutti quanti sono interessati in attività di aiuto e sostegno alle persone vittime di tratta, consapevoli che le procedure individuate rappresentano un obiettivo raggiunto ma ulteriormente perfezionabile. Questo lavoro va considerato, infatti, come laboratorio permanente, aperto ai contributi dei sempre più numerosi referenti rispetto ad un fenomeno in continua evoluzione. Per un’agevole comprensione del panorama torinese è opportuno partire dalla presentazione dei soggetti attuatori, dall’analisi delle specificità di ogni singola Associazione o Ente, dai progetti e dalle buone pratiche sviluppate, intendendo evidenziare la corrispondenza tra azioni, obiettivi individuati e risultati ottenuti. manuale_4_A 20-05-2005 12 17:43 Pagina 12 Progetto Equal Li.fe. - Libertà Femminile I soggetti Gruppo Abele Progetto Prostituzione e Tratta delle Persone Corso Trapani 95/a - 10141 Torino Tel. 0113841021 Fax 0113841025 e-mail: [email protected] La prostituzione è un tema di cui il Gruppo Abele si è occupato sin dalla sua costituzione. Oltre 35 anni fa, uno dei primi interventi fu quello nell’Istituto di rieducazione femminile di Torino, il Buon Pastore, che ospitava ragazze che si affrancavano dalla strada. Da allora, sono state molte le persone seguite: ragazzi e ragazze tossicodipendenti che si prostituivano per procurarsi la droga, transessuali, donne straniere. Accanto ad attività di accoglienza in strutture, quali le Comunità Gabriela e Patricia, il Gruppo ha collaborato a progetti specifici, volti a prevenire la diffusione delle malattie sessualmente trasmissibili. Il Progetto Prostituzione non è solo accoglienza: come per tutte le iniziative del Gruppo Abele, c’è sempre un intreccio continuo con progetti culturali e di impegno politico. • Informazione Inchieste approfondite sul fenomeno attraverso la rivista ASPE e poi attraverso le pubblicazioni monotematiche di “PAGINE”. Ambasciate. Come, dove, quando, perché e per chi (a cura di Andrea Dragone), Pagine n. 4/2003. Attività di ricerca, realizzata dal Centro di documentazione, su tematiche specifiche (prostituzione e HIV). • Pubblicazioni “L’Italia delle opportunità 2/C Prostituzione e tratta delle persone – Emilia Romagna e Lombardia” a cura di M. Da Pra Pocchiesa e M. T. Tavassi. “L’Italia delle opportunità 2/D Prostituzione e tratta delle persone Numero Verde 800290290” a cura di M. Da Pra Pocchiesa e M.T. Tavassi. “Sessualità, corpi fuori luogo, cultura di R. Beneduce” a cura di F. Borrello e M. Da Pra Pocchiesa. Dai bisogni ai progetti. Quali interventi di comunità. di Leopoldo Grosso – a cura di M. Da Pra Pocchiesa e Carla Giochetto. Nell’anno 2003, oltre alle pubblicazioni redatte dallo sportello giuridico, sono stati pubblicati numerosi testi sull’argomento tratta e prostituzione. • Formazione Progetto di formazione realizzato in collaborazione con la Regione Piemonte. L’iniziativa ha coinvolto una vasta rete territoriale: la Regine Piemonte, la Liguria, La Valle d’Aosta, oltre a persone provenienti da tutta Italia. • Iniziative I NTI Sportello giuridico INTI in collaborazione con l’ASGI, (Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione), istituito nel 2003 con il sostegno della Regione Piemonte e del Dipartimento per le Pari Opportunità del Ministero Affari Sociali. È rivolto ad associazioni ed enti che lavorano su queste tematiche. Lo sportello giuridico raccoglie informazioni sulle leggi in vigore e si pone come un riferimento, a Torino, per raccogliere richieste e osservazioni e per elaborare soluzioni e strumenti da condividere. INTI dispone di una linea telefonica dedicata cui fare riferimento, nei giorni ed orari indicati, per ottenere informazioni, formulare richieste di moduli e materiali o fissare un appuntamento. Lo sportello mette a disposizione materiale giurisprudenziale (massime e sentenze) e legislativo (leggi, decreti, circolari e progetti di legge), nazionale ed internazionale, raccolto ed archiviato; elabora materiali didattici sul tema. Lo sportello è collegato alle realtà di accoglienza, in quanto fornisce un orientamento verso altri servizi, in modo mirato, a seconda dell’esigenza. Le informazioni sui diritti degli stranieri in Italia e l’elaborazione di soluzioni che consentano di raggiungere una posizione stabile e legale – districandosi nel complesso di norme burocratiche – hanno funzione di accompagnamento, accoglienza ed educazione alla legalità. Nato per operare in Piemonte, l’INTI oggi rappresenta un punto di riferimento che ha respiro nazionale per associazioni ed enti, attraverso rapporti di collaborazione con studi legali operanti nelle diverse realtà italiane. manuale_4_A 20-05-2005 17:43 Pagina 13 Progetto Equal Li.fe. - Libertà Femminile I soggetti INTI, così come il Progetto Prostituzione e Tratta delle Persone, ha organizzato numerosi incontri di formazione. Ha pubblicato inoltre: — Minori stranieri non accompagnati; Avv. Mariella Console, febbraio 2003. — La condizione dei richiedenti asilo nel nostro Paese; Avv. Lorenzo Trucco, marzo 2003. — Le norme che regolamentano la fase di allontanamento dal territorio dello Stato, con analisi dei diversi tipi (e le diverse procedure) di espulsione; Avv. Guido Savio, aprile 2003. • Numero Verde e servizio di accoglienza per la prostituzione e la tratta Il Numero Verde è stato attivato il 26 luglio 2000 e dispone di 14 postazioni locali dislocate sul territorio nazionale, cui vengono passate le chiamate a seconda della loro provenienza. La postazione del Piemonte e Valle d’Aosta ha come referente istituzionale la Provincia di Torino ed è gestita dal Gruppo Abele, che ha strutturato il servizio in tre unità: — postazione telefonica attiva tutti i giorni, festivi compresi. Nelle ore non coperte dalla postazione, il Numero Verde Nazionale può passare le chiamate di emergenza ad un cellulare attivo dalle 15 alle 3, tutti i giorni dell’anno (necessario riferimento anche per gli operatori del Numero Verde che si trovano di fronte a richieste urgenti di accoglienza di notte o nei giorni festivi); — servizio di accoglienza: colloqui preliminari; invio in casa di fuga o in altri servizi del territorio; eventuale presa in carico diretta della persona, con relativi accompagnamenti; 13 — attività di coordinamento e rapporti con l’esterno. Tale unità pone particolare cura nella formazione degli operatori impegnati nel progetto e nella ricerca di nuove risorse sul territorio. • Comunità Gabriela È una comunità di fuga e di Prima Accoglienza, nata (8 marzo 2001) per rispondere ai bisogni emersi dalle richieste pervenute al Numero Verde e per incrementare i posti disponibili nella Città, vista la carenza di questo tipo di risorsa. Gabriela è quindi una comunità dove si pongono le basi per costruire un progetto di inserimento sociale. È aperta a donne in difficoltà che subiscono violenza, eventualmente con il loro bambino. I posti disponibili sono 6-7 al massimo. La comunità è gestita da operatori specificamente preparati e da volontari che collaborano ad attività diversificate, ed è previsto il supporto di mediatrici culturali. Offre inoltre la formazione professionale, vita di comunità, inserimenti lavorativi. • Progetto Patricia Il Progetto, avviato nell’aprile 2002, ha come obiettivo l’accoglienza di donne sole o con bambini. In una struttura appositamente adibita, vengono inserite queste donne vittime di violenza, provenienti da altre comunità o dagli sportelli dei servizi pubblici o del privato sociale operanti sul territorio. Le donne per essere inserite nel progetto devono avere un buon grado di indipendenza ed essere ad un livello avanzato nel programma di autonomia. manuale_4_A 20-05-2005 14 17:43 Pagina 14 Progetto Equal Li.fe. - Libertà Femminile I soggetti Associazione Tampep Onlus Corso Brescia 10 - 10152 Torino Tel. 011859821 e-mail: [email protected] Tampep nasce come progetto europeo di prevenzione dell’AIDS e delle malattie sessualmente trasmissibili (STD), con l’obiettivo di coinvolgere direttamente le prostitute immigrate. Le considerazioni fondamentali che hanno portato alla nascita di questo progetto sono state: — la mancanza di informazioni su AIDS e STD nella madrelingua delle donne; — la constatazione dello stato di povertà di queste donne e delle pessime condizioni di vita nel paese ospitante; — la necessità di facilitare il contatto tra le donne immigrate e le istituzioni presenti sul territorio attive in campo medico e sociale La rete internazionale di Tampep attualmente comprende circa 20 paesi. Anche in Italia l’Associazione Tampep si propone di contrastare i sistemi di coercizione e sfruttamento delle persone adulte e minori, vittime della tratta e dello sfruttamento sessuale. Per questa ragione, Tampep si pone come obiettivo principale quello si sviluppare strategie adeguate per raggiungere il target group, per esempio attraverso produzione e distribuzione di materiale informativo specifico tradotto nelle diverse lingue. Il principio è che l’emancipazione avviene attraverso l’accesso all’informazione. La metodologia di Tampep si fonda: — sulla mediazione culturale come ponte tra la cultura del paese ospitante e le motivazioni, i bisogni e le credenze delle donne immigrate; — sulla pere education, perché le educatrici pari, esercitando il ruolo di leader all’interno gruppo possono sostenere gli interessi delle donne e favorirne una crescita di consapevolezza; — sull’unità di strada, con un equipe mobile che interviene nei luoghi di prostituzione. L’attività di unità di strada che Tampep svolge sul territorio di Torino e provincia, in orario pomeridiano e notturno, permette di rag- giungere le donne direttamente sulla strada con l’obiettivo di fornire un servizio di informazione su: — prevenzione sull’AIDS e sulle STD; — sicurezza; — istituzioni italiane, sulle legge italiana in materia di immigrazione; — organizzazione dei servizi socio-sanitari favorendone l’accesso e un uso corretto; Queste attività rientrano nel progetto Antares, realizzato a Torino e provincia da Tampep attraverso un finanziamento congiunto del Dipartimento delle Pari Opportunità (Presidenza Consiglio dei Ministri) e della Provincia di Torino (Assessorato alla Solidarietà Sociale). In queste azioni, rientrano la produzione e diffusione di materiale informativo specifico, unità di strada e lavoro sul campo, informazione e orientamento ai servizi sanitari, sostegno psicologico, orientamento ai percorsi formativi, al mercato del lavoro e alle soluzioni residenziali, raccolta dei dati informativi sul target group e costante monitoraggio sul territorio, aggiornamento ed approfondimenti per mediatori culturali, peer educators e street workers. L’Associazione Tampep è stata referente per il progetto transnazionale di Equal Life – Gender Street – la cui partnership di sviluppo comprende Olanda, Austria e Provincia di Pisa. Il progetto si è concluso il 1º dicembre 2005, con conferenza finale a Bruxelles. È stato prodotto un manuale in lingua inglese e italiana, i cui contenuti più qualificanti sono la comparazione dei contesti sociali e legislativi in relazione al fenomeno della tratta, la descrizione delle buone prassi individuate dai singoli progetti e l’analisi dei modelli locali e nazionali di networking e mainstreaming. • Informazione Unità di strada Tampep L’Associazione Tampep, fin dall’inizio della sua attività sul territorio di Torino e provincia, ha avuto la comunicazione e la diffusione dell’informazione come suoi obiettivi fondamentali. La complessità del fenomeno della prostituzione straniera in strada fa emergere una valutazione di carattere culturale e di genere, che ci porta a riflettere sulla condizione di svan- manuale_4_A 20-05-2005 17:43 Pagina 15 Progetto Equal Li.fe. - Libertà Femminile I soggetti taggio che la donna migrante si trova a vivere, sia da un punto di vista interculturale (la donna è debole perché è straniera), che da un punto di vista sociale (la donna è stigmatizzata in quanto prostituta e quindi emarginata). È evidente dunque il valore che assume la possibilità di accedere all’informazione, come primo passo verso l’emancipazione. Per non compromettere l’efficacia dell’intervento è importante tenere conto sia del contesto sociale che delle differenze culturali, sviluppando strategie adeguate per raggiungere il target group, attraverso la produzione e la distibuzione di materiale informativo tradotto in diverse lingue. Partendo dall’analisi del bisogno, viene ideato e scritto in bozza il testo, che viene poi testato e modificato insieme alle donne, perché il messaggio risulti chiaro e comprensibile. Una volta ottenuto il testo definitivo, viene stampato il volantino e distribuito con le seguenti modalità: — attraverso l’attività di Unità di Strada (sul territorio di Torino e Provincia), con campagne di diffusione mirate (in base alla nazionalità del target, o all’argomento specifico); — in sede, durante l’orario di sportello aperto al pubblico (tutti i giorni, dalle 10 alle 14); — attraverso l’attività di operatori sociali in altri servizi della rete; — mettendo a disposizione il materiale presso ambulatori e/o consultori frequentati dal target. Nell’ambito del Progetto Antares, è stato creato del materiale informativo in base ai bisogni emergenti; per esempio sono stati prodotti dei volantini di approfondimento sulla legge Bossi-Fini e dei volantini sull’asilo politico, particolarmente rivolto alle donne nigeriane. Tutta l’attività di diffusione di informazioni socio-sanitarie e di accesso ai servizi si avvale del supporto di mediatrici culturali e peer educators. Oltre al materiale tradizionalmente prodotto e distribuito da Tampep, sulla prevenzione dell’HIV e delle malattie sessualmente trasmissibili, vengono sistematicamente distribuiti i volantini dell’ambulatorio MST dell’Amedeo di Savoia, in cui viene descritto il servizio e le modalità di accesso e vengono riportati sia l’indirizzo dell’ospedale che della sede di Tampep. 15 Se le condizioni lo permettono, già durante il contatto in strada viene fatto un buon lavoro di counselling sanitario; in ogni caso si rimanda ad un secondo momento, presso la sede dell’Associazione, la possibilità di approfondire gli argomenti di interesse per la donna. Il momento del contatto in strada è fondamentale per conoscersi, per ascoltare i bisogni, per offrire informazioni e nuovi punti di riferimento, non solo in senso relazionale, ma proprio in termini di territorio, fornendo indirizzi utili. La relazione diventa più significativa quando la donna raggiunge la nostra sede e fa una richiesta, che può essere di maggiori informazioni o di accompagnamento ai servizi sanitari. Se la donna conosce la città ed è in gado di muoversi da sola senza problemi, le vengono fornite tutte le indicazioni per raggiungere il servizio e per accedervi nel modo corretto. Il counselling approfondito sull’Art. 18 viene normalmente fatto presso la nostra sede o in luogo tranquillo e protetto, mai durante il contatto in strada, per non mettere a rischio la sicurezza della donna, che può essere in quel momento sotto controllo di altre persone. L’attività di informazione e counselling sanitario e il lavoro più strettamente mirato alla realizzazione di azioni di aiuto alle vittime del traffico, sono due momenti distinti, ma fortemente connessi. Promuovendo la tutela della salute, come bene primario, si vuole restituire centralità alla persona, favorendo l’assunzione di responsabilità fino al prendersi cura di sé, a cominciare dal proprio corpo. Quando la donna riconosce di avere dei diritti e ha una corretta informazione, ha già fatto un passo per sottrarsi a chi la sfrutta. Uno degli obiettivi fondamentali dell’attività di diffusione delle informazioni, è quello di offrire alle donne il sostegno necessario per realizzare scelte più costruttive e comunque di autotutela. Grazie all’Unità di Strada, che da anni contatta le donne per strada, è stato dato un contributo decisivo alla lotta contro il traffico e lo sfuttamento sessuale, che riducono la persona a un oggetto, utile solo a produrre denaro. Attraverso una corretta informazione le donne possono diventare più consapevoli e scoprire che ci sono alternative e opportunità accessibili. L’accompagnamento ai servizi sanitari è un momento prezioso per instaurare la relazione manuale_4_A 20-05-2005 16 17:43 Pagina 16 Progetto Equal Li.fe. - Libertà Femminile I soggetti di fiducia e spesso incoraggia la donna a esplicitare la richiesta di aiuto per uscire dal giro della prostituzione. L’ équipe di Tampep inoltre offre un servizio di consulenza non solo a persone straniere, ma anche a cittadini italiani, soprattutto uomini, che sono alla ricerca di informazioni di vario genere, dall’ambito sanitario a quello legislativo e sociale. Oltre ai colloqui che si svolgono in sede, sono molto numerose le consulenze telefoniche. Infine, poiché il lavoro di Tampep si svolge in concertazione con diversi enti, associazioni, gruppi, istituzioni, risulta importante sottolineare che è costantemente in atto con gli altri attori della rete, lo scambio di dati, buone prassi, riflessioni e studi, sia a livello informale, tra operatori impegnati sul campo, che in ambiti istituzionali, durante tavoli di lavoro congiunti e incontri di formazione. • Formazione Aggiornamento ed approfondimenti per mediatori culturali, peer educators e street workers. Corso di formazione alle ONG nigeriane e nel law enforcement training a fianco dell’ufficio nazionale antimafia • Iniziative Tra i progetti più significativi realizzati negli ultimi anni, ha assunto particolare rilevanza il progetto TURNAROUND, finanziato dalla Regione Piemonte e dalla Provincia di Torino. L’obiettivo è quello di promuovere una campagna di informazione e consapevolezza delle forme di inganno e sfruttamento, di cui sono vittime le donne immigrate provenienti dalla Nigeria, spesso indotte alla prostituzione una volta giunte in Europa. In particolare sono state attivate azioni di sensibilizzazione per la società civile italiana e nigeriana sul fenomeno dello sfruttamento della donna migrante, coinvolgendo Autorità locali e ONG. Nel 2002 una delegazione della Città di Torino, composta da rappresentanti di Tampep, Questura e Procura, ha compiuto una missione in Nigeria per valutare l’andamento del Progetto e instaurare un rapporto diretto con le Forze dell’Ordine nigeriane. Con il fine di combattere insieme i trafficanti di esseri umani. Il Progetto ha inteso promuovere azioni rivolte all’empowerment delle donne attraverso il microcredito. A tale scopo è stata creata una rete di interlocutori in Nigeria, con cui sviluppare le azioni. Tampep, nel corso del 2003, ha realizzato per l’UNICRI il progetto UKINÈ, integrato all’attività consueta di sostegno alle vittime di tratta e che ha visto Tampep anche nella veste di formatore in Nigeria. Capofila del Progetto ALNIMA (Albania, Nigeria, Marocco), programma di cooperazione internazionale finanziato dalla Commissione Europea. Progetto di rimpatrio assistito per cittadini stranieri colpiti da decreto di espulsione. L’Associazione è referente per le attività concernenti la Nigeria, e realizza l’accoglienza a Lagos delle donne rimpatriate dalle ONG locali, la formazione e l’orientamento/training per la creazione di microimprese, con l’attivazione di microcrediti a sostegno delle stesse. manuale_4_A 20-05-2005 17:43 Pagina 17 Progetto Equal Li.fe. - Libertà Femminile I soggetti Ufficio per la Pastorale dei Migranti via Ceresole 10 - 10155 Torino Tel. 0112462092 - 0112462443 e-mail: [email protected] • Da vittime a cittadine anno II Il Progetto è la prosecuzione del programma di protezione sociale avviato quattro anni fa a favore delle donne in percorsi di uscita dalla tratta nella provincia di Torino. I progetti realizzati in questi anni sono: “Liberiamo dalle moderne schiavitù” (anni 2000, 2001, 2002) e “Da vittime a cittadine” (anno 2003). Gli obiettivi di fondo perseguiti sono: liberare le donne dalla schiavitù della tratta e condurle in un percorso di riconoscimento – individuale e sociale – dell’essere “cittadine”, cioè soggetti titolari di diritto. Per aiutare la donna a uscire dai percorsi di tratta – secondo una metodologia consolidata in questi anni – si mettono in moto alcune azioni (accompagnamento logistico, giuridico, psicologico e di mediazione culturale), atte a rafforzare l’identità delle donne. La donna viene poi accompagnata nel suo percorso di autonomia attraverso la formazione linguistica e professionale, il sostegno per l’inserimento lavorativo, l’assistenza per la ricerca abitativa, il coinvolgimento in momenti aggregativi. Ogni azione ha in sé lo scopo di costruire intorno alla donna un tessuto relazionale e di riferimento indispensabile per il sostegno della donna nel delicato percorso di uscita dal “giro”. Il progetto è integrato con le azioni di sistema attivate (numero verde nazionale) e con i progetti territoriali presenti (lavoro di strada, mediazione culturale...). Nello specifico, vi è una collaborazione con i progetti della Provincia di Torino, con il Gruppo Abele, con il Comune di Torino e con i centri di accoglienza ad esso legati, nonché con la Regione Piemonte e con la rete giuridica (Questura, Forze di Polizia, Prefettura, Magistratura, Tribunali). Il progetto promosso dall’Ufficio per la Pastorale dei Migranti presenta alcune specificità che, fatto salvo il rispetto dei principi propri dei programmi di protezione sociale per le vittime della tratta, come la predisposizione di percorsi individualizzati per l’integrazione sociale, ne caratterizzano l’attuazione. La Caritas Diocesana rappresenta un punto di riferimento importante per gli accompagnamenti 17 di donne straniere che si prostituiscono, e desiderano smettere, da parte dei loro partner o da parte di altre persone che vogliono prestare aiuto. Le soluzioni proposte debbono quindi tener conto, da un lato delle opportunità e risorse che queste persone, se intenzionate a proseguire nell’azione di aiuto, possono offrire alle donne; dall’altro si impone una particolare attenzione, da parte del servizio, nella gestione della relazione con la donna e nell’interazione con le figure di aiuto “informali”. Le principali criticità sono rappresentate dalle esigenze di tutela della riservatezza e dalla necessità di proporre percorsi di emancipazione, non sempre percepiti dalle donne come necessari. Altro aspetto sviluppato in modo specifico, all’interno del percorso di integrazione proposto dall’Ufficio per la Pastorale dei Migranti, è l’attenzione alla dimensione spirituale del benessere delle donne inserite in protezione sociale. In questo senso vanno le azioni di socializzazione e l’organizzazione di incontri di preghiera, molto frequentati in particolare dalle donne di origine nigeriana. • Informazione Atti del convegno sul tema “Tratta e percorsi di cittadinanza: “Da vittime a cittadine”, novembre 2002. • Formazione Sono organizzati per le donne che si rivolgono allo sportello: — Corsi per l’acquisizione della lingua e cultura italiana a più livelli; — Corsi di formazione professionale presso Scuole Professionali qualificate; — Corsi di economia domestica presso l’Associazione Un Progetto al Femminile; Inoltre: — Corsi di formazione per gli operatori/volontari che desiderano avvicinarsi a tale realtà — Partecipazione al coordinamento locale e nazionale sulla tratta promosso da Caritas Migrantes e Usmi in collaborazione con il Ministero delle Pari Opportunità e la Comunità Europea. • Iniziative Incontri settimanali con la comunità nigeriana. Momenti di incontro religioso (ecumenico e cattolico) manuale_4_A 20-05-2005 18 17:43 Pagina 18 Progetto Equal Li.fe. - Libertà Femminile I soggetti Ufficio Stranieri - Comune di Torino Divisione Servizi Sociali Rapporti con le Aziende Sanitarie Settore Stranieri e Nomadi Via Cottolengo 26 - 10152 Torino Tel. 011442 9411- 9412 e-mail: [email protected] [email protected] L’Amministrazione cittadina inizia ad affrontare le problematiche relative all’aiuto a persone vittime di tratta e sfruttamento sessuale dal 1997, e quindi prima dell’avvio dei progetti collegati all’articolo 18 (T.U.286/98). Questa pluriennale esperienza ha fatto sì che questo servizio venisse a conoscenza di tale fenomeno, e soprattutto ha consentito la messa a punto di interventi di sostegno e aiuto. Gli interventi sul campo hanno indicato che queste persone, vittime di maltrattamenti e coercizioni, una volta liberatesi dalle condizioni di violenza chiedono di continuare a ricercare opportunità nel Paese di immigrazione, tranne che in pochissime situazioni (richiesta di rimpatrio). Il Progetto Freedom della Città di Torino è uno dei progetti finanziati dal Ministero delle Pari Opportunità per l’attuazione dell’art.18. Tale progetto prevede svariate azioni integrate, finalizzate al consolidamento di una rete che coinvolge molteplici realtà del privato sociale, a cui ha affidato la realizzazione degli interventi, mantenendo un ruolo di coordinamento e garantendo la formazione e la supervisione sugli operatori. Il progetto ha permesso di ampliare e consolidare la rete nata per l’accoglienza di donne immigrate in condizioni di disagio e di fornire maggiori e specifiche risorse per la gestione dei programmi di protezione e di inserimento sociale. Sono state sperimentate soluzioni di collegamento tra le strutture di accoglienza e il raggiungimento della piena autonomia delle donne. In questo senso, le convivenze guidate hanno rappresentato una valida proposta poiché hanno consentito di ridurre le permanenze in comunità risolvendo temporaneamente le difficoltà nel reperire risorse abitative autonome. Il progetto garantisce inoltre percorsi formativi e di accompagnamento al lavoro: fondamentale si è rivelato l’utilizzo dei tirocini formativi seguiti con idonee azioni di tutoraggio. • Informazione Osservatorio Interistituzionale sugli Stranieri in Provincia di Torino, 2000-2001-2002-2003, a cura di Città di Torino e Prefettura di Torino. • Formazione Per gli operatori: — continua la supervisione del gruppo di lavoro a cura dell’Associazione Frantz Fanon, che si occupa di consulenze psicologiche e psichiatriche per immigrati. Questa metodologia di lavoro si è dimostrata qualificante, vista la specificità dell’intervento e le problematiche altamente complesse che si incontrano nel lavoro con le donne inserite nel progetto (emarginazione, prostituzione, malattie mentali); — i momenti di supervisione e confronto consentono di ulteriore confronto tra le varie realtà coinvolte. Per le utenti: — tirocini formativi che spaziano dallo studio della lingua italiana a più livelli, ad attività teorico/pratiche di economia domestica, cucina, sartoria, assistenza ad anziani, sono propedeutici all’inserimento lavorativo e vengono solitamente proposti all’inizio del percorso, quando la mancanza di ricevuta di permesso di soggiorno non consente ancora l’attivazione della borsa lavoro. Alle frequentanti viene corrisposto un gettone di presenza. Sono previste verifiche intermedie tra gli operatori del Comune e i docenti che propongono le attività. Questi tirocini vengono organizzati dall’Associazione Alma Mater, dall’Associazione Progetto al Femminile, dall’Associazione Ewiwere; — obiettivo importante del progetto è la formazione e l’apprendistato lavorativo attraverso tirocini formativi (borse-lavoro) di durata variabile, svolti presso Aziende in grado di garantire una ragionevole possibilità di inserimento lavorativo al termine del tirocinio o quantomeno un effettivo miglioramento del profilo professionale al termine dell’esperienza. Tale modalità ha consentito ad un numero elevato di donne l’apprendimento o il manuale_4_A 20-05-2005 17:43 Pagina 19 Progetto Equal Li.fe. - Libertà Femminile I soggetti perfezionamento in itinere della lingua italiana, l’acquisizione di un profilo professionale e la sperimentazione della complessità del mondo del lavoro e delle sue regole. L’accompagnamento e la supervisione di tutor con formazione specifica e competenze professionali garantisce una forma di 19 mediazione e l’individuazione di variabili preziose per eventuali ulteriori reinserimenti. • Iniziative Predisposizione e coordinamento di una rete di strutture che vanno dalla pronta accoglienza agli alloggi di convivenza guidata per un totale di circa 65 posti. manuale_4_A 20-05-2005 20 17:43 Pagina 20 Progetto Equal Li.fe. - Libertà Femminile I soggetti Progetto europeo Equal-Life Li.fe-Libertà Femminile è un progetto avviato nel 2001 dall’Assessorato alle Pari Opportunità della Provincia di Torino e finanziato nell’ambito del Pic-Equal, sull’Asse Pari Opportunità (Misura 4.2). È un progetto nato per garantire adeguato coordinamento ed efficace sviluppo di tutti gli interventi a favore delle vittime della tratta. Questo progetto ha visto come capofila la Provincia di Torino, e la collaborazione di altri partner quali: Città di Torino, Città di Moncalieri, Università degli Studi di Torino, Confcooperative Unione Provinciale di Torino, Tampep, Ufficio per la Pastorale dei Migranti-Arcidiocesi di Torino, Associazione Compagnia delle Opere, Associazione del Gruppo Abele e Cicsene. Inoltre si è costituito un Comitato di Pilotaggio composto da: APID, CGIL, CISL, UIL, CNA, Comando Provinciale dell’Arma dei Carabinieri, Commissione regionale pari opportunità, Confartigianato, Consulta femminile regionale, Consulta femminile comunale di Torino, Prefettura di Torino, Procura della Repubblica di Torino, Promozione Donna, Questura di Torino, Zonta Club International. All’interno del progetto, i partner hanno avviato una sperimentazione rivolta a quindici beneficiarie, individuate dai referenti dei quattro progetti cittadini. Partendo dalla condivisione del Percorso Metodologico e delle buone pratiche poste in essere abitualmente, si è ritenuto di approfondire alcuni aspetti particolarmente problematici, al fine d’individuare soluzioni innovative e proposte d’intervento che comportassero, nell’ambito delle azioni intraprese, un valore aggiunto. le novità proposte, l’individuazione di una persona di riferimento per le donne: la “life-friend”, in grado di accompagnarle nelle diverse fasi del percorso agendo da ponte tra i referenti delle diverse fasi: inserimento lavorativo, abitativo, referenti istituzionali ecc... La sperimentazione ha previsto, inoltre, l’attribuzione di una “carta di credito” per ogni beneficiaria, per consentire alle donne di provvedere autonomamente alle proprie esigenze. Il percorso ipotizzato ha proposto modalità di accoglienza alternative alla comunità tradizionalmente intesa, tramite gli inserimenti negli alloggi di convivenza guidata, già nelle prime fasi del percorso. Siamo quindi giunti verso la conclusione di tale percorso; i risultati saranno esaminati, discussi, rielaborati e, sicuramente, tale bagaglio di esperienza sarà la base di un lavoro duraturo, sempre più articolato, malleabile e soggetto ad eventuali miglioramenti. Il percorso intrapreso potrà senza meno arricchire un patrimonio già esistente, ovvero quello delle “buone prassi” già messe in atto da anni. manuale_4_A 20-05-2005 17:43 Pagina 21 Progetto Equal Li.fe. - Libertà Femminile I soggetti Progetto Libere - Te Lira - Free ll progetto Libere - Te Lira - Free, è stato finanziato nell’ambito del FSE 2000/2006-Obiettivo 3 POR Piemonte ASSE E-Misura E1, che si pone tra gli altri obiettivi di migliorare la posizione della componente femminile attraverso interventi diretti a rimuovere le cause oggettive e culturali di discriminazione operanti nei confronti delle donne,promuovendo il riconoscimento e la valorizzazione della componente femminile nel mondo del lavoro. Il Progetto ha avuto l’obiettivo di diffondere una cultura di parità, per promuovere l’integrazione culturale, sociale, lavorativa e abitativa di donne che escono da situazioni di prostituzione forzata. Tra le azioni di sensibilizzazione sono stati realizzati un video, un manuale. È stato inoltre 21 prodotto un fotoromanzo che, rivolto alle beneficiarie, ha favorito il trasferimento di informazioni utili da e verso le donne vittime di tratta. Accanto a ciò, un convegno “Parlare di tratta e di prostituzione, parlare alla prostituzione”, un’occasione per riflettere sulla comunicazione e sull’informazione sui temi della tratta e della prostituzione. I partner del progetto Libere-Te-Lira-Free sono gli stessi che hanno costituito la partnership del progetto Equal Li.fe, con la sola aggiunta della società S&T che si è occupata del coordinamento e delle attività progettuali. Sono state inoltre coinvolte alcune donne che hanno vissuto l’esperienza della tratta e dello sfruttamento, in qualità di esperte. Anche il Comitato di Pilotaggio di Li.Fe ha aderito all’iniziativa Libere-Te-Lira-Free ed ha sostenuto e condiviso le attività sviluppate dal progetto. manuale_4_A 20-05-2005 22 17:43 Pagina 22 Progetto Equal Li.fe. - Libertà Femminile Percorso metodologico capitolo 2 Percorso metodologico Il desiderio di creare e sperimentare ulteriormente un modello di percorso, che possa far tesoro delle buone pratiche utilizzate in questi anni dai referenti dei progetti, ha favorito molte occasioni di incontro e confronto tra gli operatori che il progetto Equal Life - Libertà al femminile ha promosso. Questi incontri hanno evidenziato l’esigenza di condividere gli obiettivi, conseguire una maggiore omogeneità e standardizzazione delle prassi operative, delle procedure, e dei materiali utilizzati per la raccolta dei dati e delle informazioni, per ovvi problemi di comparabilità degli stessi. Allo stesso tempo si è avvertita l’esigenza di un confronto per rivalutare i criteri adottati per l’inserimento e la permanenza nel programma e le condizioni che possono determinarne l’interruzione. È stato analizzato tutto il percorso di reinserimento sociale che viene proposto alle donne scomponendolo in fasi: 1) Primo contatto 2) Presa in carico 3) Accoglienza (Prima, Seconda, Alloggi di convivenza guidata) 4) Accompagnamenti sanitari 5) Regolarizzazione 6) Consulenza legale 7) Formazione 8) Inserimenti lavorativi 9) Inserimenti abitativi. Ci si è preoccupati di far emergere obiettivi comuni e criticità riscontrate, evidenziando quanto vi è di comune ai quattro progetti e le relative specificità. Il collegamento in rete e l’azione integrata con altri soggetti e altri progetti operanti sul territorio ha rappresentato l’elemento qualificante per il conseguimento di risultati quanto più possibile efficaci e duraturi. 1) Primo contatto I referenti dei progetti concordano obiettivi comuni tra i quali: — ricercare un rapporto di fiducia tra operatori e ragazze; — fornire chiarimenti sulle opportunità previste dalla legge (questioni legali, contenuti del programma), evidenziandone eventuali problemi e difficoltà, al fine di garantire una corretta informazione e prevenire successivi fraintendimenti; — far emergere, sostenere e verificare le motivazioni della donna, aumentandone il livello di consapevolezza; — offrire opportunità di ascolto alle donne che chiedono di uscire dalla condizione di sfruttamento sessuale e dalla clandestinità; — proporre un cambiamento di vita presentando un cammino alternativo che prevede la possibilità di raggiungere l’autonomia economica ed abitativa; — contrastare le organizzazioni criminali, proponendo alle donne la denuncia in alternativa al pagamento del debito ma anche come possibilità di collaborare all’emancipazione di altre donne; — garantire accoglienza immediata per situazioni di emergenza, protezione e fuga. Tutti i partner, in questa fase di primo contatto, ricostruiscono, attraverso il dialogo e la compilazione di schede o materiale appositamente elaborato, la storia personale della donna, al fine di orientarne la scelta e verificare la reale possibilità di sporgere denuncia. Sin dai primi colloqui, ci si avvale della collaborazione dei mediatori culturali, sia per facilitare la comprensione linguistica, sia per predisporre ad una situazione di maggiore empatia con l’utilizzo della lingua d’origine. A partire dai primi contatti, viene prospettata l’articolazione del percorso di inserimento sociale e, sia quando l’inserimento nel programma avviene su richiesta delle Forze dell’Ordine, sia che avvenga per iniziativa della donna stessa che decide di allontanarsi dal “giro” ma non dispone di risorse abitative valutate sicure, si propone l’immediato inserimento in comunità, illustrandone regole e modalità. Vi sono alcune differenze nelle modalità del primo contatto, che rispecchiano le caratteristiche specifiche di ciascun gruppo proponente. manuale_4_A 20-05-2005 17:43 Pagina 23 Progetto Equal Li.fe. - Libertà Femminile Percorso metodologico Gruppo Abele Il Gruppo Abele entra in contatto con persone che giungono, in molti casi, tramite il Numero Verde. Vi si rivolgono non solo donne in difficoltà, ma anche gli amici o talvolta i clienti stessi. Il Numero Verde è attivo dalle ore 15 alle 3 tutti i giorni dell’anno, festività comprese. È in collegamento con il Punto Rete Nazionale. Nelle restanti ore esiste un servizio di reperibilità a mezzo telefono cellulare, cui il Numero Verde Nazionale inoltra le chiamate urgenti. La postazione del Piemonte è dotata inoltre di un’accoglienza in Casa di Fuga nella notte e nei fine settimana. Spesso le richieste di inserimento provengono da parte delle Forze dell’Ordine. Tampep Per Tampep, l’accesso al programma di protezione sociale avviene prevalentemente mediante contatti e relazioni spesso avviate già in precedenza con l’unità di strada. I rapporti che si creano inducono, talvolta, la donna a chiedere informazioni rispetto alle opportunità offerte dalla legge e successivamente, in taluni casi, a chiedere l’inserimento nel programma. UPM All’UPM, nella maggioranza dei casi, le donne vengono accompagnate da amici italiani, spesso clienti, da connazionali e, più raramente, da parte della Caritas Nazionale. Comune di Torino Per l’Ufficio Stranieri del Comune di Torino, l’inserimento nel programma avviene quasi sempre su richiesta delle Forze dell’Ordine. Più raramente le persone si rivolgono autonomamente, o accompagnate da fidanzati o da amici, chiedendo una presa in carico. Spesso le altre Associazioni referenti di Progetti nel territorio Torinese richiedono l’inserimento di donne presso le comunità che aderiscono alla rete FREEDOM; tuttavia, l’elevato numero di inserimenti effettuati annualmente nel Progetto rende difficile accogliere tali richieste. Tra le criticità maggiormente riscontrate dagli operatori che si occupano di questa delicata fase di aggancio, si possono evidenziare 23 in modo particolare: — la scarsa conoscenza della lingua italiana, la povertà di risorse socio-culturali, il basso livello di scolarizzazione, la cultura di origine; — il contesto relazionale molto limitato, spesso non hanno amicizie al di fuori di qualche ex cliente; — la solitudine e il senso di emarginazione, che denotano la fatica delle donne a creare reti relazionali e affettive significative e stabili; — la difficoltà a riconoscere e ribellarsi a situazioni di violenza cui si sono assuefatte; — l’approccio imprudente che alcuni rappresentanti delle Forze dell’Ordine, privi di adeguata formazione, mettono in atto, anche se inconsapevolmente, nei confronti delle donne: prospettando loro un percorso più semplice e meno articolato di quello che dovranno affrontare nella realtà, con l’inverosimile promessa di ottenere quasi immediatamente i documenti e il lavoro; — l’atteggiamento di alcuni clienti zelanti, decisi a ”salvare” la ragazza-vittima, anche quando la donna non ha ancora maturato alcuna richiesta di aiuto e la decisione di affrancarsi dall’attività di prostituzione. Sottovalutando l’importanza di tale decisione e del fatto che è responsabile solo se soggettiva, autonoma e motivata da parte della donna. 2) Presa in carico La presa in carico rappresenta un momento particolarmente delicato in cui occorre saper accogliere, ascoltare e comprendere la situazione reale ed emotiva che le donne si trovano a vivere, astenendosi da giudizi e valutazioni. L’atteggiamento di apertura ed ascolto è il presupposto che consente di valutare, una volta ricostruita la storia della donna, quali siano le migliori soluzioni da mettere in atto. È necessario garantire agli operatori, che gestiscono questa delicata fase del percorso, un supporto formativo in grado di consentire una lettura competente dei bisogni e atto ad accompagnare ai progetti proposti. Le notizie che sono fornite dai soggetti debbono essere valutate e verificate con attenzione, di modo da non esporsi al rischio di un manuale_4_A 20-05-2005 24 17:43 Pagina 24 Progetto Equal Li.fe. - Libertà Femminile Percorso metodologico percorso fallimentare perché fondato su dati non veritieri o incompleti. La fase della denuncia non si limita solo alla stesura del resoconto dei fatti, poiché una denuncia circostanziata, ricca di dettagli, ma soprattutto sorretta da una forte motivazione personale, è condizione di base, oltre che per l’esito delle successive indagini, per il sostegno della donna stessa. Il racconto della propria storia costituisce un momento liberatorio, che dà alla persona la percezione di aver iniziato a riscattarsi e di aver in qualche modo reso giustizia e libertà alla propria vita; con la consapevolezza di aver avuto un ruolo di vittima di tratta e sfruttamento. Tutti i referenti dei progetti individuano come obiettivo primario: — aiutare a far acquisire alle donne la consapevolezza di essere state vittime di tratta e sfruttamento; — offrire gli strumenti necessari per consentire alle stesse di prendere decisioni in merito alla propria vita futura; — fornire ogni supporto utile per una preparazione accurata della denuncia garantendo un sussidio legale se necessario; — orientare e garantire accompagnamento ai servizi di territorio. In questa fase del percorso vengono elaborate le richieste personali e viene predisposta una prima ipotesi di progetto d’aiuto e accompagnamento individualizzato, partendo dalla valutazione sia delle risorse individuali che delle opportunità messe a disposizione dei singoli progetti. Viene definito un vero e proprio contratto, controfirmato dalle interessate, con l’articolazione di un progetto che cadenza gli incontri e riporta le risorse da utilizzare. Alcune donne, potendo beneficiare di soluzioni abitative autonome (ospitalità di un fidanzato o di un’amica fidata), non richiedono l’inserimento in comunità e la loro situazione è verificata dagli operatori nelle varie fasi del programma. Le richieste di rimpatrio volontario sono molto poche; in questo caso tutti i partner pianificano questo evento, in collaborazione con ONG. Qualora la richiedente non abbia ancora sporto denuncia, vengono presi accordi con la Questura per l’accompagnamento presso i loro uffici e rendere la propria deposizione. La figura dei mediatori culturali è ritenuta importante, soprattutto nella fase di ricostruzione della storia della donna, nella definizione del progetto e nei casi di gestione di conflitti. 3) Accoglienza • Prima Accoglienza/Casa di Fuga Obiettivi comuni: garantire alle donne un periodo di stabilità e protezione, che consenta la rielaborazione delle esperienze precedenti e la riflessione sul nuovo progetto di vita. In questa fase gli operatori che entrano in relazione con la donna possono verificare la sua motivazione ad intraprendere il percorso di emancipazione dalla prostituzione e sostenerla nella riscoperta di una vita normale. L’obiettivo dell’accoglienza non è soltanto quello di rispondere alle esigenze delle donne di trovare una collocazione adeguata, ma quello di inserirle in una strategia articolata di rapporti e relazioni al fine di costruire nuovi legami sociali. È prevista una permanenza residenziale variabile da 15 giorni ad alcuni mesi. La durata di questo periodo varia, oltre che dal progetto, dalla disponibilità di posti nelle comunità di Seconda Accoglienza. La finalità dell’inserimento è quella di offrire un luogo protetto e sicuro dove le donne possano essere accolte nella fase iniziale dopo il loro allontanamento dalla situazione di pregiudizio. È l’occasione per rielaborare le esperienze precedenti con il dovuto distacco, riflettere sulla possibilità di cambiamento, scoprire e sperimentare una vita diversa nella quotidianità. Criticità È opinione degli operatori interessati che le comunità di accoglienza rappresentino una valida opportunità per le donne che escono dalla prostituzione, in quanto creano l’occasione per conoscere le donne da vicino, aiutarle e sostenerle affettivamente, emotivamente e psicologicamente; Le stesse caratteristiche delle comunità non sono adatte indistintamente per tutte le donne, tanto da essere vissute da alcune di loro come un’ esperienza fortemente condizionante. Si sta ipotizzando un più diffuso ricorso a strutture di autonomia, affinché dopo un ini- manuale_4_A 20-05-2005 17:43 Pagina 25 Progetto Equal Li.fe. - Libertà Femminile Percorso metodologico ziale breve periodo trascorso in comunità, ritenuto indispensabile per una prima osservazione e per sostenere ed orientare le donne in questo difficile momento di transizione, si utilizzino queste altre modalità di accoglienza: alloggi di convivenza guidata, di risocializzazione e strutture residenziali, sul modello dei foyer francesi. Progetti di accoglienza sempre più articolati, soluzioni flessibili e interventi diversificati che favoriscono l’autonomia decisionale e la libera scelta di stili individuali. Laddove gli interventi educativi all’interno delle nuove strutture non dovessero essere assicurati (realtà a bassa soglia), è opportuno prevedere altri interventi sul territorio: attività diurne risocializzanti, di apprendimento e recupero delle abilità sociali, accompagnamenti di educativa territoriale, gruppi di auto-mutuo aiuto sul modello francese delle femmes rélés (donne legate, rete di solidarietà), quale possibile contesto in grado di sostituire quella lasciato nel proprio Paese. Talvolta la permanenza in comunità si protrae oltre il termine del percorso sociale, poiché i tempi di permanenza delle ospiti presso le strutture sono condizionati soprattutto dalla difficoltà a trovare soluzioni abitative autonome. In tutti i casi, è opportuno limitare la durata dell’accoglienza in comunità a periodi medio brevi, poiché si è osservato che permanenze troppo prolungate, determinano insofferenze e frustrazioni e sfociano talvolta in comportamenti inadeguati ed aggressivi tra le ospiti. La presa in carico delle donne per lunghi periodi rischia, inoltre, di favorire atteggiamenti di delega del proprio progetto di vita,si tende ad instaurare relazioni di carattere assistenziale. Ciò rende difficile il recupero di abilità e autonomie personali. La fase dei rapporti e dei contesti artificiali è indispensabile per la fase di avvio del cambiamento, ma diventa deleteria se si protrae senza esaurirsi nella fase di raggiungimento delle capacità di autonomia. Gruppo Abele Il Gruppo Abele coordina una Casa di Fuga: Comunità Gabriela utilizzata per le situazioni di emergenza, prevalentemente di notte o durante il fine settimana. Il passaggio dalla Prima alla Seconda Accoglienza, per il Gruppo Abele, avviene median- 25 te trasferimento dalla comunità Gabriela alla comunità Patricia, o in una accoglienza del Comune di Torino, oppure in un’ulteriore risorsa individuata a livello regionale: in queste due situazioni si ha una presa in carico da parte dei referenti dei rispettivi progetti. Tampep Per la realizzazione dei programmi utilizza due alloggi, che l’associazione ha ottenuto dal comune di Torino. Si tratta di alloggi con una disponibilità totale di 6 posti. Nel caso di carenza di risorse, l’Associazione può avvalersi per le donne dell’ospitalità temporanea presso strutture messe a disposizione da altri Enti e Associazioni: Casa di Fuga, Gruppo Abele, Pronta Accoglienza del Comune di Torino; all’occorrenza vengono utilizzate pensioni o alberghi della Città o altre soluzioni ricercate in provincia, nella regione Piemonte o presso altri progetti a livello nazionale. UPM UPM si occupa prevalentemente di donne nigeriane che vengono inserite presso la comunità del Sermig poiché non dispone di risorse proprie di accoglienza. Ricerca e quando possibile inserisce in comunità individuate a livello regionale e nazionale. La maggior parte delle donne, rimane a casa dell’amico/fidanzato, qualora questo dichiari disponibilità ad ospitarle. Vengono inserite nei corsi di alfabetizzazione organizzati in sede. Comune di Torino Il Comune dei Torino coordina una struttura di Pronta Accoglienza gestita dal Volontariato Vincenziano. L’inserimento è predisposto dall’ufficio Stranieri che, acquisiti sufficienti elementi di conoscenza della donna e in accordo con gli operatori della comunità, individua la collocazione più idonea (compatibilmente ai posti disponibili) tra le risorse di seconda accoglienza della rete Freedom. In questa prima fase del percorso le regole sono più rigide, si concede una limitata autonomia, solitamente le donne vengono seguite nei vari accompagnamenti e si richiede una temporanea sospensione dei precedenti rapporti ed un uso limitato del cellulare. manuale_4_A 20-05-2005 26 17:43 Pagina 26 Progetto Equal Li.fe. - Libertà Femminile Percorso metodologico Qualora i posti in pronta accoglienza siano esauriti è possibile avvalersi della convenzione stipulata dalla città con alcune pensioni ed alberghi per l’ospitalità a persone in difficoltà. Dal punto di vista formativo, dopo un breve periodo di adattamento, si propongono alle ospiti corsi di alfabetizzazione tenuti inizialmente da volontari della comunità e successivamente organizzati da altri centri: Alma Mater, Caritas, Vides Laurita, Progetto al Femminile, Scuola Parini e altri C.T.P. • Seconda Accoglienza o accoglienza di medio periodo Questa fase del percorso si differenzia a seconda delle risorse dei progetti. Nelle comunità di Seconda Accoglienza gli educatori e gli operatori garantiscono una presenza costante. Solitamente il trasferimento dalla Prima alla Seconda accoglienza avviene dopo un medio periodo (circa 1/3 mesi), ed in presenza della ricevuta del Permesso di Soggiorno. In questo periodo poiché sono stati acquisiti sufficienti elementi di conoscenza della donna è possibile definire una ulteriore fase del progetto educativo individuale, precisandone obiettivi, tempi, strumenti e modalità di verifica. Il periodo d’inserimento nella Seconda accoglienza varia da 6 a 12 mesi. In questa fase l’aiuto e il confronto con gli operatori è volto a garantire la realizzazione del programma individuale, soprattutto per ciò che riguarda la formazione professionale e l’inserimento lavorativo. Gruppo Abele Comunità di Seconda Accoglienza (Casa Patricia). Il Progetto avviato nell’aprile 2002, ha come obiettivo l’accoglienza di donne sole o con bambini. Vengono inserite donne vittime di violenza provenienti da altre comunità o dagli sportelli dei servizi pubblici o del privato sociale operativi sul territorio. Le donne per essere inserite nel progetto devono avere un buon grado di indipendenza ed essere ad un livello avanzato nel programma di autonomia. Gli operatori non sono presenti continuativamente ma soltanto alcuni giorni alla setti- mana garantiscono negli altri momenti la reperibilità telefonica di un educatore a rotazione. Mantengono comunque la disponibilità a garantire gli accompagnamenti più impegnativi e importanti. Tampep Trasferimento dall’alloggio di prima accoglienza a quello di medio periodo gestito dall’Associazione. Se ciò non è possibile si richiede l’ospitalità alle Comunità del Comune di Torino o ad altre strutture individuate a livello provinciale, regionale o nazionale. Comune di Torino Il Comune di Torino, ente promotore del progetto Freedom, cui aderiscono, come enti attuatori, diverse associazioni. E, di conseguenza, un discreto numero di comunità, per quel che riguarda la seconda Accoglienza dispone: — 4 Comunità di Seconda Accoglienza che aderiscono al progetto Freedom; — 2 Comunità di Seconda Accoglienza che collaborano al progetto a titolo di Volontariato. Grazie a queste risorse il Comune è in grado di predisporre un percorso d’accoglienza sufficientemente articolato: dalla pronta alla seconda accoglienza e, successivamente, agli alloggi di convivenza e di autonomia. Le maggiori risorse economiche dell’Ente Locale, le possibilità di accedere a particolari progetti specifici, consentono di non vincolare la progettualità soltanto ai finanziamenti annuali. Inoltre, alcune Associazioni del privato sociale impegnate da molti anni in attività d’accoglienza alle persone svantaggiate hanno dimostrato negli ultimi anni grande interesse nei confronti di questa problematica. A molte di queste Associazioni il Comune eroga un contributo economico al funzionamento. Questa collaborazione, nata per offrire accoglienza a donne in difficoltà, garantisce ospitalità e sostegno a donne vittime di tratta: aumentando così il numero totale dei posti messi a disposizione della rete della Città. Talvolta in queste comunità vengono inserite donne, vittime di tratta, che fanno riferimento agli altri progetti. Nelle comunità di Seconda Accoglienza gli educatori e gli operatori sono presenti con continuità. manuale_4_A 20-05-2005 17:43 Pagina 27 Progetto Equal Li.fe. - Libertà Femminile Percorso metodologico UPM Per le donne che non hanno soluzioni abitative proprie e che sono state inserite al Sermig vengono ricercate altre soluzioni a livello regionale o nazionale. • Alloggi di convivenza guidata Queste convivenze sono gestite da: Gruppo Abele, Tampep, Ufficio Stranieri del Comune. L’ultima fase dell’accoglienza è prevista per donne che hanno portato a termine un percorso formativo, stanno lavorando o per lo meno sono inserite in borsa-lavoro, sono pronte per una maggior autonomia pur avendo ancora bisogno di riferimenti stabili e di un accompagnamento educativo per la gestione della casa, del denaro e delle relazioni interpersonali. Viste le notevoli difficoltà che le donne straniere, in particolare africane, incontrano nel momento in cui cercano una sistemazione abitativa autonoma, la convivenza guidata permette alle stesse, per un periodo di circa un anno, di sperimentarsi in una condizione di autonomia, seppur con un intervento di monitoraggio degli operatori e un tempo ragionevole per la ricerca di un alloggio. In alcune situazioni, le donne inserite partecipano economicamente alle spese di gestione dell’alloggio, con un contributo pattuito al momento dell’ingresso. Le donne sono inserite dopo un periodo trascorso nelle comunità di seconda accoglienza. Le ospiti dispongono delle chiavi dell’alloggio e si amministrano autonomamente provvedendo all’acquisto dei generi alimentari, alla preparazione dei pasti, alla cura di se delle proprie cose e degli spazi a disposizione. Solitamente viene garantita una fornitura di alimenti di prima necessità: pasta, riso, olio. Gruppo Abele Comunità di terzo livello “Patricia” (vedi scheda Gruppo Abele a pag 13). 4) Accompagnamenti Sanitari Tutti gli operatori coinvolti nei progetti sono particolarmente sensibili al problema della salute. Si consiglia alle donne, fin dai primi colloqui, di sottoporsi agli accertamenti di routine. Vengono accompagnate presso gli sportelli ISI per ottenere il foglio STP che consente l’ac- 27 cesso ai servizi alle persone non iscritte al SSN. L’obiettivo è quello di far conoscere le strutture sanitarie, le loro peculiarità per rendere indipendente la donna nell’accesso ai servizi sanitari, insegnandole come raggiungerli, come usufruirne in modo corretto contenendo il ricorso alle strutture Ospedaliere. Obiettivi comuni: — Cura della propria salute; — Prevenzione e informazione Sanitaria; — Facilitazione nell’accesso ai servizi; — Autoresponsabilizzazione alla cura e igiene personale; Gli operatori hanno consolidato rapporti con: — Sportelli ISI - ASL1 - ASL 4 — Ambulatorio Universitario DENIS - ospedale Amedeo di Savoia — Centro MST - Ospedale Dermatologico — Ospedale Sant’Anna — CPA - Lungo Dora Savona — Consultori familiari di zona — Centri di salute mentale Durante il periodo di presa in carico tutte le donne si sottopongono agli esami di routine: — Screening — Esami MTS — Visite ginecologiche — Approfondimenti su bisogni già espressi. Sarebbe auspicabile una più efficace comunicazione tra i vari Enti ed Associazioni che si occupano di Salute (ISI - Camminare Insieme Sermig) al fine di concretizzare interventi efficaci per diagnosi e cure precoci. Molto si sta cercando di fare per ciò che riguarda la prevenzione sanitaria, sia per quel che riguarda le malattie sessualmente trasmissibili, sia per cercare di ridurre l’elevato numero d’interruzioni di gravidanze. Criticità Spesso le donne inserite nel programma presentano problemi psicologici importanti. L’elevata incidenza di disagio psicologico e la vulnerabilità psico-emotiva delle utenti, hanno contribuito a rendere particolarmente complessa la gestione dei loro bisogni e talvolta hanno determinato il rischio di fallimento o l’interruzione del progetto individuale. L’eventualità di un ritorno a modalità di vita “borderline”, rende necessario mantenere un manuale_4_A 20-05-2005 28 17:43 Pagina 28 Progetto Equal Li.fe. - Libertà Femminile Percorso metodologico buon livello di attenzione a tutti i segnali di disagio, anche per quei casi in cui pare essere stata raggiunta una relativa stabilità. 5) Regolarizzazione Per ciò che concerne l’iter di regolarizzazione delle donne le modalità adottate sono analoghe per i quattro progetti. L’accompagnamento in Questura per quel che attiene la presentazione dell’istanza per il rilascio del Permesso di Soggiorno ma soprattutto per quel che concerne la deposizione, è a carico dell’Ente o della Associazione referente del programma. Alle Forze dell’Ordine compete l’istruttoria giudiziale e la redazione della risultanza delle indagini alla Procura. Talvolta l’appuntamento in Questura per il verbale relativo alla denuncia viene preceduto da una relazione inviata dai referenti dei progetti al fine di effettuare una prima verifica con la Squadra Mobile della sussistenza di elementi significativi. Per alcune situazioni molto particolari, è stato predisposto il percorso sociale anche in assenza di denuncia, con il riconoscimento effettivo da parte della Questura. I rapporti assidui con le Forze dell’Ordine, soprattutto con la Questura si sono sviluppati e consolidati nel tempo e attualmente sono di reciproca collaborazione. Trascorse alcune settimane dal momento della denuncia e dopo i riscontri positivi delle Forze dell’Ordine la donna viene accompagnata dai referenti, presso l’Ufficio Immigrazione in Via Grattoni 3, per la presentazione dell’istanza di permesso di soggiorno. La ricevuta consente l’attivazione di alcune risorse previste dal programma: — iscrizione al Servizio Sanitario Nazionale (con validità di sei mesi); — iscrizione al Centro per l’impiego; — accesso ai Tirocini Formativi (Borse Lavoro); — possibilità di stipulare un regolare contratto di lavoro, in base all’accordo firmato dalla Questura locale di Torino e dalla Direzione Provinciale del Lavoro. Un’altra procedura comune a tutti i referenti, è rappresentata dalla modalità di contatto con i Consolati e le Ambasciate dei paesi d’origine delle donne. Permangono notevoli difficoltà rispetto al rilascio dei documenti di identità. Per quanto riguarda l’Ambasciata Nigeriana, nonostante alcune difficoltà, è comunque possibile ottenere il passaporto se pur ad un costo molto elevato (in proporzione alla disponibilità economica delle donne) L’iter da seguire, per ricevere l’autorizzazione all’accompagnamento, prevede: prenotazione telefonica, trasmissione breve relazione sulle donne e sintesi della denuncia sporta dalle stesse o perlomeno autodichiarazione di quanto reso a verbale in Questura. Alcune criticità si riscontrano con i consolati di Moldavia, Ucraina, Bulgaria, mentre si registra una maggior disponibilità per quel che riguarda il consolato Albanese. Decisamente positivo il rapporto di collaborazione con il consolato Romeno che, pur non rilasciando i Passaporti sul territorio Italiano, in ottemperanza alla convenzione dell’Aia, trova sempre gli accorgimenti e le semplificazioni per risolvere i problemi delle donne segnalate. Criticità Il confronto del gruppo di lavoro evidenzia: — una scarsa conoscenza, da parte di alcuni rappresentanti delle Forze dell’Ordine, privi di una formazione specifica, di quanto previsto dall’art. 18 del Testo Unico e dei possibili percorsi da proporre alle donne fermate nel corso di una retata; — i prolungati tempi d’attesa per il rilascio del permesso di soggiorno. I motivi vanno ricondotti prevalentemente ai tempi lunghi della Magistratura per la concessione del “parere”; — l’esigenza di una maggiore comunicazione tra l’Autorità Giudiziaria e i referenti del percorso sociale. Attualmente, nel caso in cui non venga identificata la persona denunciata, o qualora il giudice non ravvisi elementi significativi nella deposizione, la pratica può essere archiviata senza nessuna comunicazione; — l’esigenza di condividere ulteriormente e omogeneizzare i criteri di permanenza o interruzione del programma; — scarso raccordo tra le Forze dell’Ordine, le diverse Questure, anche limitrofe, dove si riscontrano differenze enormi nell’interpretazione dell’art.18. manuale_4_A 20-05-2005 17:43 Pagina 29 Progetto Equal Li.fe. - Libertà Femminile Percorso metodologico La non certezza della pena, pene irrilevanti inflitte alle sfruttatrici tolgono la fiducia delle donne denuncianti nei confronti dei referenti dei progetti, sia nelle Autorità competenti. 6) Consulenza Legale Le donne sono del tutto impreparate a comprendere un sistema legislativo complesso come il nostro. Nei paesi da cui provengono la maggior parte delle donne (Nigeria e Paesi dell’Est), le Istituzioni e gli organismi preposti all’applicazione della legge sono pressoché inesistenti o corrotti. È dunque necessaria una vera e propria educazione alla legalità per la maggior parte delle donne. Molto spesso la complessità del contesto rende necessaria la consulenza legale. Tutti i progetti prevedono la supervisione sui casi e l’assistenza legale individualizzata per le situazioni che lo richiedono. Alcuni avvocati dell’ASGI hanno acquisito una competenza specifica e gestiscono dal 2003 lo sportello giuridico INTI, istituito dal Gruppo Abele, rivolto ad enti ed associazioni che si occupano di queste tematiche. Le criticità evidenziate: l’inconsistenza e la mancata garanzia della pena (patteggiamenti, espulsioni non effettuabili) fanno si che i veri responsabili criminali del fenomeno, forti anche della consulenza legale che l’acquisito potere economico riesce loro a garantire, continuano ad agire esponendo le ragazze e le loro famiglie a possibili ritorsioni, minando così la loro fiducia nella protezione che le istituzioni dovrebbero garantire. Sarebbe auspicabile la costituzione di un gruppo di lavoro con avvocati civilisti e penalisti al fine di approfondire le possibilità offerte dal gratuito patrocinio e la possibilità di costituirsi parte civile sia da parte delle donne che eventualmente dagli Enti e Associazioni, soprattutto qualora si riuscissero a stilare accordi bilaterali tra l’Italia ed i paesi maggiormente coinvolti nel traffico. 7) La formazione professionale Nella PS, solo la Casa di Carità Arti e Mestieri ha la formazione professionale come finalità specifica, anche se l’ente collabora, per la sua attività, sia con i partner che si occupano delle fasi precedenti, sia con aziende, per 29 esempio del mondo della cooperazione, rappresentata nella PS da Confcooperative e da Compagnia delle Opere. Le note qui inserite valgono, comunque, per il mondo della Formazione professionale nel suo insieme. La formazione professionale può essere inquadrata all’interno dei diritti sociali degli immigrati, diritti che, in particolare nel caso dei lavoratori stranieri, precedono l’accesso ai diritti civili e ai diritti politici . Attraverso la formazione professionale e la conquista di uno status lavorativo più qualificato, gli immigrati possono compiere un passo avanti molto importante nel loro percorso di “cittadinizzazione”. Già oggi in effetti la formazione professionale destinata agli immigrati si trova a rispondere ad un arco molto ampio di esigenze sociali. In carenza di altri interventi di politica sociale, educativa, occupazionale, al sistema formativo è stato chiesto: — di occuparsi della formazione linguistica e della socializzazione degli immigrati alla società italiana; — di attuare surrettiziamente interventi di natura assistenziale, assicurando un reddito minimo a quanti, arrivati da poco o disoccupati senza risorse su cui contare, si trovano in condizione di necessità; — di offrire opportunità di socializzazione e apprendimento a donne giunte in Italia senza progetti professionali definiti, come mogli al seguito o come vittime dello sfruttamento sessuale; — di occuparsi di giovani con accentuata fragilità identitaria e bisognosi di interventi pedagogici, culturali ed esperienziali per il reinserimento nel lavoro e nella società; — di assicurare un’occupazione a immigrati che, più che essere interessati alla formazione, hanno l’obiettivo di trovare un lavoro e disporre di un reddito relativamente stabile; — di far acquisire l’insieme di quelle norme di comportamento fondamentali (e spesso differenti rispetto alla cultura di origine) necessarie per l’integrazione prima lavorativa e di conseguenza sociale; — di fare da filtro per l’assunzione di forza lavoro da parte delle aziende; Nel contesto della formazione professionale rivolta a donne vittime di tratta occorre sottolineare che non sono mai state realizzate manuale_4_A 20-05-2005 30 17:43 Pagina 30 Progetto Equal Li.fe. - Libertà Femminile Percorso metodologico attività formative rivolte esclusivamente a gruppi di esse (sia perché non esistono appositi finanziamenti, sia per evitare fenomeni di ghettizzazione). Nel passato le donne hanno potuto partecipare ad attività di formazione rivolta ad utenza generica o a specifici corsi che prevedono la partecipazione esclusiva di migranti. I risultati di questa attività sono stati positivi soprattutto laddove le segnalazioni sono arrivate attraverso enti che si occupano di accoglienza e soprattutto quando l’ente è riuscito ad operare in stretto contatto con la rete territoriale di supporto. In particolare, dal punto di vista della formazione professionale, uno degli interlocutori privilegiati è la rete dei CTP, che permettono di integrare l’acquisizione di competenze linguistiche per il lavoro con l’acquisizione degli attestati necessari per migliorare la propria posizione sociale e lavorativa. La formazione professionale è inoltre per alcune categorie di migranti, in particolare per donne vittime di tratta, un’opportunità difficile da sfruttare in quanto raramente ad essa è collegata l’erogazione di un sostegno al reddito significativo. Ciò pone il sistema della formazione e le persone che ad esso si rivolgono di fronte ad un bivio: da un lato occorre erogare corsi brevi (in modo che le persone possano essere repidamente assunte e ricevere un reddito); dall’altro i percorsi brevi non possono fornire un sufficiente supporto all’acquisizione di competenze tecniche consistenti (ma in molti casi nemmeno di competenze di base che rendano le persone più apprezzabili da parte dei datori di lavoro). 8) Inserimenti lavorativi All’elaborazione di questa fase hanno contribuito: Confcooperative, Compagnia delle Opere, UPM, Gruppo Abele, Comune di Torino. Nella serie di interventi possibili volti a combattere lo sfruttamento sessuale delle donne, una delle azioni di supporto fondamentali per l’inserimento nella società riguarda il lavoro. Il riconoscimento e la valorizzazione delle competenze possedute e utilizzate nella propria esperienza individuale, o sviluppabili attraverso adeguati iter formativi, può aiutare le persone che si affacciano su percorsi lavorativi inediti e individualizzati. Oggi l’assetto organizzativo e strutturale della maggioranza delle cooperative sociali di tipo B aderenti a Confcooperative e delle ditte aderenti a Compagnia delle Opere, consente di garantire un monitoraggio costante e corretto degli inserimenti lavorativi contemplati dall’art. 18 della L. 40, tentando di promuovere la progressiva autonomizzazione dei soggetti coinvolti e di realizzare gli obiettivi legati all’integrazione stabile, al termine del percorso formativo previsto dalle borse lavoro, all’interno dei luoghi di svolgimento del percorso stesso. La gestione degli inserimenti lavorativi si svolge attraverso diverse fasi: — Prima accoglienza; — Valutazione del potenziale e della motivazione; — Contatti con le aziende; — Progettazione dell’intervento: la creazione della rete con altri servizi; — Verifica in itinere sull’andamento del percorso lavorativo. Obiettivi generali comuni: — creazione di percorsi di autonomia personale e di inserimento lavorativo di chi ha beneficiato delle misure di protezione e integrazione sociale; — accesso al mercato del lavoro attraverso la conoscenza di base del funzionamento del contesto lavorativo; — acquisizione della strumentazione attitudinale, comportamentale al fine di facilitare l’inserimento; — conquista graduale di un buon livello di autonomia lavorativa in coerenza con il proprio profilo di competenza; — collaborazione fra i diversi tutor impegnati a seguire il percorso individuale del soggetto (tutor aziendale, tutor formativo, tutor inserimento abitativo). Tutti i progetti utilizzano il tirocinio formativo (borsa-lavoro) quale strumento facilitatore all’inserimento lavorativo. Gli inserimenti più problematici sono seguiti da tutor affinché garantiscano un monitoraggio costante del percorso effettuato dal soggetto e instaurino un rapporto diretto con il tutor aziendale per risolvere tempestivamente le diverse problematiche. Negli ultimi anni si è privilegiata la ricerca di opportunità nel mondo della piccola e manuale_4_A 20-05-2005 17:43 Pagina 31 Progetto Equal Li.fe. - Libertà Femminile Percorso metodologico media impresa, giudicando meno produttivo il lavoro di cura da svolgersi in contesti familiari. Alcuni interventi hanno prevalentemente carattere educativo, visto il livello culturale di partenza di alcune donne, altri sono più propriamente finalizzati all’inserimento lavorativo. L’esperienza di inserimento in borsa-lavoro ha mostrato ancora una volta la difficoltà che queste donne, spesso prive di profilo professionale spendibile sul mercato del lavoro, con scarsa conoscenza della lingua e talvolta bassa scolarizzazione, incontrano nel contatto con le realtà aziendali. Le donne che trovano maggiori opportunità dal punto di vista lavorativo provengono prevalentemente dai paesi dell’est (Moldova, Ucraina, Romania, Albania) e hanno età compresa tra i 18 e i 26 anni, grande predisposizione all’apprendimento della lingua italiana e dimostrano una forte adesione al progetto lavorativo. Più difficoltoso è l’inserimento nel mondo del lavoro per le donne provenienti dalla Nigeria, per una marcata differenza culturale e una grande fatica ad apprendere la lingua italiana e le nostre logiche di vita. I settori in cui sono stati effettuati il maggior numero di inserimenti in borsa-lavoro e lavorativi: — alberghiero/ristorazione; — imprese di pulizia; — comparto floro/vivaistico; — piccola industria (assemblaggi); — attività commerciali e artigianali (pastifici, parrucchiere); — servizi alla persona (preclusi in parte ai soggetti di colore). Criticità — Crisi dell’area economico – produttiva torinese specie in alcuni comparti, unitamente a fenomeni di discriminazioni delle donne migranti, in particolare se di origine africana, nell’accesso al mercato del lavoro; — Per le donne di colore: indisponibilità dello sbocco nell’assistenza domiciliare e nel lavoro domestico, mercato principale per le donne immigrate; — Bassi livelli salariali, dovuti alle mansioni generiche, o alla possibilità, per le aziende, di ricorrere a contratti di apprendistato; — Ulteriori complicazioni dovute a situazioni — — — — — — — 31 precarie di salute, sieropositività, patologie psichiche o difficili situazioni familiari, talvolta per la presenza di figli molto piccoli; Il ritardo nel rilascio del permesso di soggiorno (tale situazione a volte genera nelle donne nervosismo, ansia, incapacità di concentrarsi, che si ripercuotono nell’ambito lavorativo). Alcune ditte inoltre non accettano di assumere con la sola ricevuta della domanda di rilascio del p.d.s., nonostante l’accordo siglato tra Questura e Ufficio per l’impiego, ostacolando pertanto il processo di inserimento lavorativo nel proprio organico. Ostacolano inoltre l’inserimento lavorativo: Basso livello d’istruzione e analfabetismo informatico; Difficoltà ad impostare un coerente progetto di miglioramento professionale (fretta di guadagnare anche per far fronte alle richieste che giungono dalle famiglie); Localizzazione delle risorse della rete di accoglienza: le Comunità sono spesso in zone centrali, mentre le opportunità di lavoro sono spesso in zone periferiche o extraurbane; Regolamenti, norme di convivenza e orari (spesso incompatibili con quelli di lavoro); Problemi di interazione personali con i colleghi con datori e colleghi di lavoro (incomprensioni); Presenza di figli molto piccoli: difficoltà nel garantire servizi di baby parking, e comunque limitazioni per quanto riguarda localizzazioni e orari. 9) Inserimento abitativo All’elaborazione di questa fase hanno contribuito: Cicsene e Confcooperative. Facilitare l’inserimento abitativo e favorire l’incontro tra domanda e offerta sono temi centrali sui quali il Cicsene ha da sempre sviluppato ed elaborato studi, progetti sperimentali e collaborazioni, nella convinzione che una sistemazione abitativa stabile e adeguata rappresenti per ogni uomo il presupposto fondamentale per l’inserimento nella vita sociale della città. Il Cicsene segue le fasi legate all’inserimento abitativo in autonomia, che necessariamente manuale_4_A 20-05-2005 32 17:43 Pagina 32 Progetto Equal Li.fe. - Libertà Femminile Percorso metodologico deve essere affrontato in modo congiunto ad altri percorsi di integrazione, quello lavorativo e sociale in particolare. La sperimentazione riguardante l’inserimento abitativo intende favorire il graduale passaggio della beneficiaria dalla precarietà alla stabilità con l’aumento delle capacità di autogestione e della consapevolezza di poter controllare il contesto di riferimento attraverso una maggiore integrazione nel tessuto sociale e lo sviluppo di nuove relazioni significative. L’accompagnamento nella ricerca della casa si affianca ad un serio orientamento sull’utilizzo degli strumenti legislativi disponibili, che possono agevolare e talvolta facilitare il reperimento di risorse abitative. Tra le azioni più significative segnaliamo: — attivazione dei canali pubblici e privati per il reperimento di sistemazioni abitative, specie sul mercato privato; — elaborazione e realizzazione di azioni di informazione e sensibilizzazione volte ai proprietari e alle agenzie immobiliari (anche per modificare alcune delle prassi attuali, per esempio tentando di far intestare il contratto a più donne, ancorché in borsa lavoro e in possesso della sola ricevuta della domanda di permesso di soggiorno); — stima, insieme agli altri partners, dei tempi di permanenza nelle strutture di bassa soglia, e poi nelle strutture di II e III livello, in modo da avere un’indicazione sui tempi medi della sperimentazione; — attivazione di strumenti comuni di valutazione delle attitudini della beneficiaria per effettuare gli inserimenti abitativi (idoneità a condividere la sistemazione abitativa, adattabilità, rispetto delle regole, disagio psichico, ecc.); — promozione e incentivazione della propensione al risparmio delle donne in borsa lavoro (ad es. con l’apertura di un libretto di risparmio postale), in modo da renderle più autonome al momento del passaggio in alloggio privato nel pagamento di cauzione, volture, ecc. A questo scopo si ritiene importante proporre percorsi motivazionali e di responsabilizzazione a partire dalla fase dell’accoglienza; — favorire l’intestazione dei contratti di locazione a più donne, anche se non ancora assunte ma in borsa lavoro. Obiettivo comune: — consentire alla donna di proseguire nel percorso di emancipazione ed autonomia, sperimentando in prima persona la gestione della sistemazione abitativa, con tutto ciò che comporta: rapporti di vicinato e con la proprietà, la gestione delle proprie risorse economiche per far fronte al pagamento del canone, delle spese e delle utenze. — ipotizzare un percorso formativo e di consulenza sugli obblighi degli inquilini, sulle regole di convivenza condominiale e sulla gestione della casa e delle spese ad essa riferibili. manuale_4_A 20-05-2005 17:43 Pagina 33 Progetto Equal Li.fe. - Libertà Femminile Altre maglie della rete capitolo 3 Altre maglie della rete Assume particolare importanza la diffusione della conoscenza della rete dei servizi e delle opportunità che la città nel suo complesso offre nonché la promozione d’opportunità di partecipazione dei cittadini stranieri alla vita sociale, politica e cittadina Sportello ISI-ASL1 Via San Domenico 24/c orario: 13/17 tutti i giorni Referente: Cooperativa Senza Frontiere ISI-ASL2 Via Tofane c/o Ospedale Martini orario:13.30/16 lun mer Referente: Cooperativa Sanabil ISI-ASL4 Lungo Dora Savona 24 - orario: 13/17 lun mar ven Referente: Cooperativa Senza Frontiere I Centri ISI sono sportelli sanitari atti a garantire le cure ai cittadini stranieri non iscritti al Servizio Sanitario Nazionale, consentendone l’accesso a parte delle prestazioni sanitarie con una tessera codificata con la sigla STP (stranieri temporaneamente presenti). In questi servizi operano diverse figure professionali: personale Sanitario e Medico per effettuare la prima visita e fornire le indicazioni sanitarie. Inoltre sono utilizzati mediatori culturali per far in modo che gli utenti del servizio possano comprendere correttamente prescrizioni mediche, ubicazione e utilizzo dei servizi. Ambulatorio Universitario DENIS Ospedale Amedeo di Savoia C.so Svizzera stanza 8 Tel. 011/ 4393788 - orario: 13/14 lun gio Tel. 011/ 70954214 - orario: 14/20 lun mer ven Centro MST Ospedale Dermatologico San Lazzaro Via Cherasco 21 Orario: 8/10 dal lunedì al venerdì Screening malattie sessualmente trasmissibili Ospedale Sant’Anna - Centro SVS Corso Spezia 60 - piano terra tel. 0113134180 - e-mail FSV Referente del Centro: Dottor Donadio 33 Il Centro SVS funziona 24 ore su 24 per 365 giorni all’anno. Nato per dare una risposta tecnica e professionale sia nella fase di pronto soccorso sia nel lungo termine, offre servizio di accoglienza e pronto intervento. All’interno del Centro operano una ginecologa, un’ostetrica, un’assistente sociale. Viene offerta, inoltre, assistenza Medico-Legale, Sociale e Psicologica. È possibile utilizzare per gli appuntamenti il servizio telefonico. Tutte le mattine funziona l’Ambulatorio (lunedì giovedì ore 9/13 e martedì mercoledì venerdì 8/14) dove prestano la loro attività un’ostetrica e una ginecologa. CPA - Prevenzione Tubercolosi Lungo Dora Savona 26 Orario: dalle 8 alle 15 tutti i giorni Associazione CAMMINARE INSIEME Sede Legale Piazza Giovanni XXIII, 26 Sede Operativa via Cottolengo, 24/a e-mail: [email protected] [email protected] Responsabile: Corrado Ferro Orario: dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 12 e dalle 15 alle 17, sabato dalle 9 alle 12 Servizi offerti Medicina Generale: tutti i giorni di apertura; Angiologia, Cardiologia, Chirurgia, Dermatologia, Ecografia, Gastroenterologia, Ginecologia, Neurologia, Oculistica, Cardiologia, Ortopedia, Otorinolaringoiatria, Pediatria, Pneumologia: su prenotazione; Odontoiatria: tutte le mattine dal lunedì al sabato e solo per medicina estrattiva e conservativa compatibilmente con la disponibilità di volontari Inoltre dal lunedì al venerdì dalle 14,30 alle 18 viene garantita l’attività di segretariato sociale, l’assistenza alimentare,sanitaria ed economica a circa 30 donne in gravi condizioni di disagio socio-economico nei tre mesi prima del parto e per i tre successivi. Poliambulatorio Giovanni Paolo II - Sermig Strada del Fortino, 1 Tel. 0114368566 - Fax 0115215571 e-mail [email protected] orario: lunedì, martedì, giovedì, venerdì dalle 17 manuale_4_A 20-05-2005 34 17:43 Pagina 34 Progetto Equal Li.fe. - Libertà Femminile Altre maglie della rete Servizi offerti Medicina Generale, Pediatria, medicazioni e terapia iniettiva: tutti i giorni di apertura Visite specialistiche di Chirurgia, Dermatologia, Ginecologia, Otorinolaringoiatria, Urologia: su appuntamento; Consulenze di Cardiologia, Chirurgia Plastica, Endocrinologia, Fisiatria, Gastroenterologia, Infettivologia, Ortopedia, Neurologia: su appuntamento; Cure odontoiatriche: su appuntamento Fornitura di occhiali dopo la valutazione dell’Ottico: su appuntamento. Il Poliambulatorio è operativo dal 1989 nella sede del Sermig nel vecchio Arsenale militare di Torino, ora trasformato in Arsenale della Pace. Possono usufruirne tutte le persone che necessitano di assistenza medica e che non hanno accesso al Servizio Sanitario Nazionale. Ai pazienti sono anche forniti alcuni farmaci essenziali alle cure stabilite. Centro Frantz Fanon Via Vassalli Eandi Tel. 01170954214 e-mail: [email protected] Responsabile: Roberto Beneduce Orario: lunedì, mercoledì, giovedì ore 14/18 Servizio di counselling, psicoterapia e supporto psicosociale per gli immigrati e le loro famiglie (c/o D.S.M. A.S.L. 2). Il Centro Frantz Fanon fa parte dell’omonima associazione, fondata nel 1997. Oltre al Centro, nel quale viene condotta l’attività clinica, l’Associazione promuove progetti di formazione e di consulenza rivolti ad operatori sociali e sanitari. Collabora con il Comune di Torino: dal 1999 ad oggi, ha contribuito alla costituzione di un gruppo di lavoro e di coordinamento all’interno del il Progetto “Freedom” e dal 2003 offre un’attività di consulenza etnopsichiatrica e di supervisione all’interno del Progetto “Una finestra sulla piazza” (progetto rivolto alla prevenzione del disagio giovanile dei minori stranieri non accompagnati e a rischio di esclusione sociale). In questi anni ha svolto attività cliniche, di ricerca e di formazione in Progetti rivolti a rifugiati, richiedenti asilo e vittime di tortura, vittime della tratta e dello sfruttamento, detenuti stranieri ecc. Centro MAMRE Strada Maddalene 366, 10154 Torino Telefono e fax 011852433 Orari: lunedì, martedì, mercoledì, giovedì dalle 14 alle 19 Via Saluzzo 30, 10125 Torino Telefono e fax 0116694936 Orari: martedì e giovedì dalle 9 alle 12.30, mercoledì dalle 14 alle 19 Web: www.mamreonlus.org e-mail: [email protected] Direttore: Francesca Vallarino Gancia Il Centro Mamre nasce con finalità di aiuto nei confronti della popolazione immigrata. Nelle due sedi, propone un sostegno psicologico o una psicoterapia specifica a seguito dell’analisi dei bisogni e delle problematiche espresse dalla persona o dalla famiglia che qui si rivolge o viene inviata dagli Enti o Centri cittadini. Associazione Almaterra Centro Interculturale delle donne Alma Mater Via Norberto Rosa 13/A Tel. 011-2464330/011-2467002 fax 0112056133 e-mail: www.arpnet.it/alma Orario: lunedì/venerdì 9.30/18 Nasce nel 1994 da un gruppo di donne italiane e straniere. Le socie sono volontarie. Propone attività: — Accoglienza diurna — Mediazione culturale — Consulenza Giuridica — Centro di documentazione — Spazio bimbi — Alma Teatro — Banca del Tempo — Laboratorio di Sartoria — Laboratorio di Lingua Italiana manuale_4_A 20-05-2005 17:43 Pagina 35 Progetto Equal Li.fe. - Libertà Femminile Altre maglie della rete — Gruppi di auto-aiuto — Hammam: bagno turco Nel corso degli anni sono state seguite molte donne inserite in percorsi di protezione sociale. Soprattutto per quel che riguarda i corsi di lingua italiana e i tirocini formativi propedeutici all’inserimento lavorativo Associazione Ewiwere Lungo Dora Firenze 151/a, 10153 Torino Sede operativa c/o Parrocchia Sant’Ignazio di Loyola Via Monfalcone 150, 10136 Torino Telefono 3498466989 Formazione per donne in difficoltà per l’inserimento lavorativo. 35 I.G.I. Sportello di Informazione Giuridica per Immigrati C.so Brescia 14/c - Torino Tel. 011 856589 Lo sportello di informazione giuridica per immigrati, è gestito dalla Cooperativa Senza Frontiere. Vi collaborano operatori italiani e stranieri. La consulenza è gratuita. Servizi offerti — Consulenza su questioni giuridiche attinenti la normativa sull’immigrazione (legge 40 – T.U. 286/98) — Supporto tecnico per la compilazione di atti, moduli e documentazione varia. — Supporto consultivo e di mediazione ai lavoratori che si trovano in situazioni conflittuali con il proprio datore di lavoro. — Formazione degli operatori in collaborazione con gli avvocati dell’ASGI (Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione). manuale_4_A 20-05-2005 36 17:43 Pagina 36 Progetto Equal Li.fe. - Libertà Femminile Percorsi di accoglienza Il lavoro di reinserimento sociale di donne vittime di tratta consiste nella messa a punto di un progetto integrato di servizi, organizzazioni ed istituzioni capaci di raccordarsi e collaborare in maniera sinergica. L’intervento è stato tanto più efficace quanto più culture e formazioni di diverso orientamento hanno saputo ricomporsi in un gruppo omogeneo e interprofessionale. Il confronto tra i diversi referenti della rete, la formazione congiunta di operatori pubblici e privati, le competenze congiuntamente sviluppate nel corso di tanti anni di attività, l’approccio integrato tra i patners hanno rappresentato elementi indispensabili per l’analisi e l’elaborazione teorica finalizzata a sperimentare interventi. L’esame del percorso metodologico e delle “buone prassi” in esso contenute, evidenziano l’importanza del lavoro di rete, la complessità della problematica, la necessità della condivisione delle conoscenze e l’opportunità che i diversi attori si incontrino per la realizzazione dei progetti individuali. Vale pertanto la pena di dedicare una parte della presente pubblicazione ai contributi tecnici particolarmente significativi, di alcuni operatori, impegnati da anni sulle tematiche trattate. capitolo 4 Percorsi di accoglienza 4.1. Il ruolo dell’operatore nelle comunità di accoglienza A partire dal 1999 l’Ufficio Stranieri del Comune di Torino ha avviato interventi a favore di donne vittime della tratta e dal 2000 coordina un complesso progetto denominato Freedom finalizzato alla realizzazione di programmi di protezione sociale attraverso interventi individualizzati. Sin dall’inizio il Comune di Torino si è posto come obiettivo la costruzione di una rete che veda la partecipazione delle realtà del privato sociale e del volontariato esistenti sul territorio. All’interno della rete, rivestono particolare importanza le strutture dove sono accolte le donne che decidono di intraprendere il programma di protezione sociale. Le strutture di accoglienza si distinguono in: 1) comunità di prima accoglienza (o pronto intervento); 2) comunità di Seconda accoglienza (o accoglienza di medio periodo); 3) alloggi di convivenza guidata e alloggi di autonomia. Nel corso degli anni sono aumentate le adesioni di associazioni e di gruppi che hanno determinato una crescita delle risorse di accoglienza, sia per ciò che riguarda l’accoglienza di medio periodo (da 6 a 7 comunità), sia per ciò che concerne le risorse di alloggi di autonomia (dai 2 alloggi iniziali del progetto Freedom agli attuali 6 alloggi). Il lavoro di accoglienza prevede una condivisione degli obiettivi del progetto quadro e del progetto educativo individualizzato attraverso un lavoro in rete con gli altri servizi che offrono prestazioni differenti, quali: percorsi formativi, inserimenti lavorativi, interventi sanitari, presa in carico psicologica e consulenze legali. Il progetto prevede, inoltre, che vi siano Comunità in grado di accogliere donne in gravidanza o con figli a carico. Il lavoro di rete viene coordinato dall’Ufficio Stranieri. Gli operatori delle comunità verificano via via il raggiungimento degli obiettivi prefissati e il rispetto del programma. La supervisione del lavoro di rete è affidata al Centro Frantz Fanon. 1) Comunità di prima accoglienza La comunità di Prima Accoglienza è gestita dal Volontariato Vincenziano. La struttura può accogliere un massimo di 8 donne e il periodo di inserimento previsto è di breve e media durata (1-3 mesi). Talvolta il periodo si prolunga a seconda della disponibilità dei posti nelle strutture di Seconda Accoglienza. Gli inserimenti vengono disposti dall’Ufficio Stranieri. Nella fase di Prima accoglienza l’attenzione è posta sulla sicurezza personale dei soggetti. Questo periodo è caratterizzato da alcune limitazioni alla loro autonomia, dovute alla scarsa conoscenza delle stesse e delle motivazioni che le hanno spinte ad intraprendere il percorso di protezione sociale. La finalità dell’inserimento è quella di accogliere le donne che rientrano nel progetto Freedom, consentendo loro il allontanamento dalla realtà di provenienza. Per approfondire la conoscenza delle donne, le loro risorse, difficoltà e bisogni specifici, risulta fondamentale ricorrere al lavoro del manuale_4_A 20-05-2005 17:43 Pagina 37 Progetto Equal Li.fe. - Libertà Femminile Percorsi di accoglienza mediatore culturale, la cui collaborazione viene garantita dall’Ufficio Stranieri. In questo periodo vengono effettuati interventi di tipo: Sanitario — Iscrizione all’ISI — Screening e prevenzione delle malattie sessualmente trasmissibili — Accompagnamenti specialistici (ad esempio per cure odontoiatriche) — Consulenza psicologica Formativo — Corsi di alfabetizzazione che vengono tenuti inizialmente all’interno della struttura e in seguito all’esterno (CTP o associazioni) — Corsi di formazione presso associazioni presenti sul territorio. Inoltre, vengono effettuati accompagnamenti di vario tipo: presso Questura, Ufficio Stranieri, ecc. Acquisizione dei documenti ottenibili a seguito della ricevuta del permesso di soggiorno. 2) Comunità di seconda accoglienza Durante il periodo di Prima Accoglienza, gli operatori possono calibrare più precisamente la portata dell’intervento, in modo da ridefinire gli obiettivi e le risorse con le donne, individuando la tipologia di accoglienza più idonea al soggetto. Le comunità di Seconda accoglienza sono gestite da: — Sermig “Come Noi”, (otto posti) — Casa Miriam - Cottolengo, (sei posti) — Vides Laurita, (dieci posti) — Comunità Effatà, (sei posti) — Cooperativa Sociale Progetto Tenda, (dieci posti). In base all’esperienza fatta in questi anni, il periodo di inserimento varia in modo significativo in relazione al concorrere di una complessità di variabili tra cui: nazionalità, presenza di figli, alfabetizzazione e conoscenza della lingua italiana, gravi disagi psicologici, capacità relazionali, opportunità lavorative, presenza o assenza di una rete di relazioni familiari e 37 sociali e infine la disponibilità di una sistemazione abitativa. Queste comunità si differenziano per lo stile educativo e le modalità di lavoro differenti. Le diversità più evidenti riguardano: — la formazione specifica degli operatori: professionali o volontari; — i valori di riferimento dell’organizzazione: laica o religiosa. Le diverse scelte teorico-metodologiche di riferimento portano ad attivare differenti modalità di gestione organizzativa della quotidianità: orari, uscite, visite di amici, familiari, gestione della preparazione e fruizione dei pasti, ecc. La quotidianità della vita comunitaria ha in questa fase una rilevanza fondamentale. L’esperienza ha mostrato nel corso degli anni l’inefficacia di soluzioni che non tengano conto dei problemi che le donne manifestano, sia individualmente che nelle dinamiche relazionali (con gli operatori e con le altre donne ospiti). Il lavoro dell’operatore è quello di costruire, nel processo interattivo con le donne, un significato delle azioni e delle rappresentazioni, in grado di mobilitare le loro risorse emotive e cognitive al fine di orientare l’agire quotidiano. “Ed è proprio restando a contatto con la quotidianità, in un movimento continuo di vicinanza e di lontananza, che cerchiamo di organizzare il pensiero, la conoscenza, l’orientamento, le funzioni di ricostruzione di legami all’interno di un orizzonte sociale spesso frammentato”1. I differenti modelli di Comunità hanno nel tempo garantito interventi differenziati, diventando base di riferimento nella costruzione del significato dei progetti individuali. Le comunità di Seconda Accoglienza garantiscono alle ospiti uno spazio protetto, grazie alla presenza costante di operatori, in cui diventa possibile elaborare insieme un progetto individuale, precisando con maggior aderenza obiettivi, tempi, strumenti e modalità. In accordo con l’Ufficio Stranieri si concordano gli obiettivi individuali per ogni donna tenendo in considerazione le aspettative che sempre accompagnano l’esperienza della Nota 1. D. Jeantet, L’accompagnamento all’inserimento sociale, Animazione sociale, giugno-luglio 2003, p. 48. manuale_4_A 20-05-2005 38 17:43 Pagina 38 Progetto Equal Li.fe. - Libertà Femminile Percorsi di accoglienza migrazione, le reali risorse della persona e le opportunità offerte dal territorio. Negli ultimi anni si è registrato un incremento di inserimenti di donne che presentano particolari sofferenze e disagi psicologici. La Comunità di Seconda Accoglienza è in questi casi il luogo dove viene garantita loro una maggiore tutela e presa in carico. In questa fase del percorso sociale, gli interventi si articolano in diversi ambiti al fine di mettere a disposizione delle donne tutti gli strumenti necessari per un effettivo percorso di autonomia. Gli interventi sono effettuati dagli operatori delle comunità o da altri operatori della rete. In questa fase, al di là dei diversi stili di lavoro e modalità di accoglienza delle differenti comunità, gli interventi mirano a consolidare l’autonomia delle donne nelle svariate necessità di contatto con il territorio, garantendo in ogni caso un supporto di accompagnamento e informazione puntuale. Inoltre, si privilegia la ricerca di un inserimento lavorativo o l’inizio di una borsa lavoro formativa al fine di garantire alla donna un effettivo livello di autonomia. 3) Alloggi di convivenza guidata e di autonomia Gli alloggi di convivenza guidata sono destinati a persone che hanno già raggiunto un discreto livello di autonomia, una buona conoscenza della lingua italiana e dei servizi sul territorio. Il passaggio dalla comunità di Seconda accoglienza all’alloggio di convivenza avviene nel momento in cui si avvii un inserimento lavorativo o l’attivazione di una borsa lavoro. In alcuni casi specifici in cui la donna è particolarmente indipendente e autonoma, l’inserimento diretto dalla pronta accoglienza in un alloggio di convivenza guidata si rivela più idoneo rispetto a un inserimento in una comunità protetta. Gli alloggi di convivenza guidata sono gestiti da: — Cooperativa sociale Progetto Tenda (2 alloggi di convivenza guidata) — Alma Mater, (2 alloggi di autonomia) — Effatà, (2 alloggi di autonomia) I tempi di permanenza variano soprattutto in funzione di un inserimento lavorativo sicuro e delle opportunità di trovare una sistemazione abitativa autonoma. Spesso la non garanzia dello sbocco lavorativo per chi è in borsa lavoro, la precarietà del lavoro (contratti a tempo determinato, lavori interinali, etc.), la carenza di soluzioni abitative nel mercato privato e l’inaccessibilità all’edilizia residenziale pubblica, finiscono per prolungare i tempi di permanenza delle donne e di congestionare il numero di posti disponibili. Negli alloggi di convivenza guidata, le donne si gestiscono autonomamente e possiedono le chiavi dell’alloggio. In alcuni casi viene loro richiesto un contributo economico per la gestione della casa; sono tenute a rispettare le regole relative alla convivenza e a comunicare agli operatori eventuali brevi periodi di assenza dall’alloggio. Negli alloggi di convivenza guidata viene garantito un passaggio di alcune ore al giorno da parte di un operatore e alcuni accompagnamenti (sanitari, di consulenza psicologica, relativi all’acquisizione dei documenti mancanti, ecc.) in base alle differenti esigenze delle donne, al fine di mettere a loro disposizione tutti gli strumenti necessari per un inserimento effettivo nella società. In genere si ritiene necessario l’accompagnamento quando la donna presenti ancora difficoltà, soprattutto a causa della lingua o per la mancanza di conoscenza dell’iter burocratico. La difficoltà di reperire degli alloggi per una sistemazione abitativa autonoma delle donne straniere ospiti nelle accoglienze, rende il passaggio agli alloggi di autonomia indispensabile, quasi obbligatorio. Alcune Associazioni, talvolta, decidono di farsi garanti nel contratto d’affitto, per le donne che hanno accolto in precedenza nelle loro strutture. Il lavoro dell’operatore nelle comunità d’accoglienza per donne straniere Dal confronto delle esperienze degli operatori nelle comunità, risulta evidente la difficoltà e la complessità del lavoro con donne che accedono al programma di protezione sociale. Se all’inizio problemi concreti, quali ad esempio l’ottenimento dei documenti e la ricerca del lavoro, assorbiva la quasi totalità dell’attenzione degli operatori, oggi emerge la necessità di articolare maggiormente gli interventi e di approfondire gli aspetti legati alla manuale_4_A 20-05-2005 17:43 Pagina 39 Progetto Equal Li.fe. - Libertà Femminile Percorsi di accoglienza complessità delle singole storie nell’intreccio di dimensioni individuali, sociali, etiche, antropologiche, giuridiche, psicologiche. I problemi rilevati dagli operatori nel lavoro quotidiano, riguardano la difficoltà delle donne ad aderire ai percorsi concordati. Tale difficoltà si manifesta attraverso la non osservanza delle regole, le menzogne, le manipolazioni, il sentirsi presi in giro, la mancanza di fiducia e di rispetto nei confronti degli operatori e dei volontari, una scarsa motivazione ad intraprendere il percorso sociale e infine la poca pazienza a rispettarne. A ciò si aggiunge la difficoltà di gestione delle dinamiche con le altre donne ospiti all’interno delle comunità e le difficoltà relazionali, esterne alla comunità, sia nei rapporti informali (amici, fidanzati, parenti) sia in quelli formali (formazione, lavoro, scuola). Tali problemi possono essere aggravati anche dall’aspetto di “controllo sociale” che l’operatore è tenuto a svolgere nella realizzazione del programma di protezione. Le difficoltà di comprensione e i malintesi facilmente generano i conflitti che portano l’operatore a orientarsi verso modelli di gestione della Comunità più rigidi e 2 regolamentati. Le continue trasgressioni delle donne possono indurre gli operatori a dimettere le ospiti ,che in questo modo rischiano di interrompere il programma di protezione e di ritornare nei circuiti dell’irregolarità. La supervisione si è rilevata uno strumento fondamentale nell’acquisizione di competenze professionali specifiche a partire dalle esperienze e dai vissuti degli operatori, spesso stanchi. Come afferma Roberto Beneduce, quando le persone si trovano al cospetto di fatti e termini come prostituzione, sessualità, denaro, godimento, sfruttamento, tratta o schiavitù, ognuno di noi fa convergere in essi spesso senza esserne consapevole, le appartenenze religiose politiche di genere culturali, di classe e di età, che orientano i nostri stili di lavoro e di relazione2. La capacità di lavorare sulle situazioni caratterizzate da incomprensione incomunicabilità e conflitto obbliga a fare emergere le nostre rappresentazioni e i nostri sistemi di valori e rende necessario attuare un processo di mediazione per “reinventare” degli stili di interazione che 39 prescindano dalle cosiddette “gabbie identitarie”. Il lavoro di supervisione ha saputo fornire, inoltre, agli operatori nozioni e rappresentazioni specifiche delle culture di origine delle donne utilizzate spesso come risorse simboliche e strategie per ripensare e riaffermare la loro identità storica culturale e geografica. Familiarizzare con i significati e le logiche di nozioni quali ad esempio culto di possessione, vudù o stregoneria, diventa un importante strumento di lavoro per evitare tanto un atteggiamento etnocentrico (che riconduce tutto ai nostri modelli), quanto un banalizzante relativismo culturale, che consente di costruire strategie di intervento ce relazioni di aiuto più efficaci. All’inizio di questo paragrafo abbiamo sottolineato l’esigenza di “andare oltre” la considerazione dei problemi concreti e poter acquisire così competenze più specifiche nel lavoro educativo, affrontando la complessità della relazione con le donne che entrano nel programma di protezione sociale. Riteniamo tuttavia, che il lavoro educativo all’interno del più globale progetto di autonomia si possa realizzare solo nella misura in cui siano presenti reali e fruibili risorse formative lavorative e abitative. Questa esigenza emerge ancor di più nelle situazioni di donne che presentano gravi disagi psicologici e psichiatrici. Nella nostra esperienza, i percorsi di accompagnamento delle donne si semplificano quando l’inserimento in percorsi socio lavorativi assumono toni e modalità più stabili. La precarietà del mondo del lavoro e le nove disposizioni dettate dalla legge Bossi - Fini rischiano di vanificare il lavoro di anni e di far rientrare le donne in circuiti di irregolarità. MONICA CHIRIELEISON, ALINA PORRINIS Cooperativa Sociale Progetto Tenda 4.2. L’Esperienza di accoglienza del Progetto Antares L’obiettivo fondamentale del Progetto Antares è quello di accogliere la richiesta di aiuto nella sue molteplici forme, offrendo alla donna uno spazio privo di giudizi morali, nel quale avviene uno scambio caratterizzato dalla comprensione. La relazione interpersonale, a Nota 2. R. Beneduce, Sessualità, “Corpi fuori luogo”, cultura, Edizione Pagine, n. 2/2003, p. 7. manuale_4_A 20-05-2005 40 17:43 Pagina 40 Progetto Equal Li.fe. - Libertà Femminile Percorsi di accoglienza cominciare dalle prime fasi del contatto, che sia in strada o altrove, è sempre una relazione dotata di senso. Dare senso alla relazione non vuole dire cercare di “salvare” la donna o di “recuperarla”; vuole dire prima di tutto ascoltarla e comprendere i suoi bisogni, ricercando un reciproco rapporto di fiducia e offrendole nuovi punti di riferimento. È importante proporre alla donna argomenti che suscitino il suo interesse, attraverso un’informazione dettagliata e puntuale, al fine di far emergere la motivazione a cambiare le proprie condizioni di vita, assumendosene le responsabilità. Metodologicamente, una volta presa in carico la donna, viene ricostruita la sua storia personale, con il supporto, se necessario, della mediatrice culturale, che non solo favorisce la comprensione linguistica, ma contribuisce a creare un clima emotivo favorevole. La ricostruzione realistica della vicenda personale della donna, ci permette di conoscerla meglio, prendendo in considerazione anche il progetto migratorio che l’ ha portata a lasciare il paese d’origine e le condizioni familiari, che sempre e comunque sono motivo di condizionamento. Se la donna non ha ancora formalmente sporto denuncia contro i propri trafficanti e sfruttatori, quando entra in contatto con noi, la informiamo in modo dettagliato circa le opportunità offerte dall’art. 18, valutiamo e programmiamo insieme le fasi del percorso, identificando le risorse, definendo strumenti e obiettivi. Solo successivamente, una volta verificata la sua motivazione, la donna viene accompagnata presso gli Uffici della Squadra Mobile della Questura di Torino per verbalizzare la denuncia. Le denunce opportunamente preparate e maturate hanno normalmente un buon esito per le indagini e per la ragazza stessa. È infatti un momento liberatorio, che dà alla persona la sensazione di essersi veramente riscattata e di aver reso in qualche modo giustizia e dignità alla propria vita.Una denuncia sorretta da tale motivazione non rischia di venire ritrattata in sede di incidente probatorio o dibattimento, né a causa di minacce. Un obiettivo importante consiste nell’aiutare la donna ad acquisire la consapevolezza di essere stata sfruttata e non di essere colpevole di un reato: lavorare sul sentimento di colpa e sulle dinamiche di dipendenza richiede impegno ed è un percorso doloroso. Dall’altra parte è fondamentale favorire il rinforzo degli aspetti positivi della personalità e non ridure la donna a un “oggetto” dell’intervento educativo, coinvolgendola nella definizione del programma e riconoscendo la sua soggettività. Quando una donna viene accompagnata dalle Forze dell’Ordine, spesso ha già denunciato i propri sfruttatori l’alto numero di casi segnalati dalle Forze dell’Ordine è dovuto al forte aumento di violenze e aggressioni subite in strada dalle donne da parte non solo di clienti e delinquenti comuni, ma volute dagli sfruttatori stessi, che pagano bande di “picchiatori” per infliggere punizioni o intimorire le loro vittime con lo scopo di scoraggiare ogni volontà di ribellione o fuga. Questi gravi fatti, ormai frequenti, determinano l’intervento di Polizia e Carabinieri, che poi devono reperire un’accoglienza adeguata. Il lavoro di concertazione con le Forze dell’Ordine, ha permesso di dare una risposta più articolata alle situazioni di emergenza, soprattutto nei casi di serio pericolo per la donna. L’accoglienza in fase di emergenza, resta un nodo critico, a causa della carenza di risorse, così come risulta talvolta insufficiente il numero di posti disponibili in comunità. Questi problemi si ripercuotono negativamente sui programmi di protezione delle donne, per le quali vengono trovate soluzioni abitative non sempre adatte al momento contingente (per es. presso amici/clienti oppure in pensioni o alberghi). Il bagaglio culturale della donna ha un ruolo fondamentale nel favorire il processo di integrazione sociale e influenza l’atteggiamento nei confronti degli iter burocratici e delle procedure che sono necessarie per l’ottenimento di documenti di vario genere (passaporto, permesso di soggiorno, ma anche tessera sanitaria, codice fiscale ecc.). Il livello culturale incide anche sul valore attribuito dalle donne nigeriane a credenze di tipo magicorituale, come il voo-doo, con il quale vengono vincolate ad un debito nei confronti delle sfruttatrici. Le donne con un basso grado di scolarizzazione sono molto più assoggettate a questo condizionamento e con più difficoltà riescono ad emanciparsi. Le donne che hanno manuale_4_A 20-05-2005 17:43 Pagina 41 Progetto Equal Li.fe. - Libertà Femminile Percorsi di accoglienza avuto un’educazione scolastica più prolungata, hanno strumenti culturali più forti per contrastare tale condizionamento e riescono, in fase rielaborativa del vissuto di sfruttamento a riconoscere le situazioni di violenza e sudditanza e a mettere in campo risorse psichiche per riorganizzare la propria identità in un contesto nuovo, riappropriandosi del diritto di autodeterminazione. Purtroppo il dato che emerge, è quello di un notevole abbassamento del livello di istruzione delle donne, soprattutto africane. Abbiamo numerosi casi di donne nigeriane analfabete, per le quali è necessario un percorso di alfabetizzazione e formazione adeguato, nel caso in cui decidano di rimanere in Italia. Raramente le donne accettano progetti di rimpatrio assistito, perché normalmente fuggono da gravi condizioni di povertà nel loro paese e sentono forte la necessità di guadagnare denaro da inviare a casa alla famiglia. Il Progetto Antares si avvale per l’accoglienza di due alloggi, nella città di Torino, gestiti direttamente dall’Associazione Tampep. In particolare, l’alloggio per la “convivenza guidata”, doveva essere destinato a donne in fase di “sgancio”, con una buon livello di autonomia. In realtà, nell’ultimo anno, la tipologia delle donne ospitate si è modificata e sono state inserite anche donne all’inizio del percorso, oppure donne già dimesse dal programma, ma che per ragioni diverse (perdita del lavoro, emergenza abiatativa), hanno usufruito di una nuova accoglienza da parte dell’associazione. L’esperienza e l’analisi costante dei bisogni emergenti, hanno determinato una notevole flessibilità. Questo è avvenuto per rispondere alle criticità, nelle fasi di emergenza, di prima e di seconda accoglienza. Per fare un ulteriore esempio, è stato significativo il caso di una donna nigeriana, ormai dimessa da tempo dal programma art.18, che è stata accolta per tutta la durata della gravidanza e per alcuni mesi dopo il parto, perché non è stato possibile reperire una sistemazione alternativa e non vi erano posti disponibili nelle comunità per mamme con bambini. Per fornire alcuni dati, dal mese di settembre 2002 al mese di aprile 2005, sono state accolte nei nostri alloggi 24 donne, di cui 13 nigeriane, 2 albanesi, 3 romene, 2 brasiliane, 2 ucraine, 1 marocchina, 1 bulgara. Di queste 41 24 donne, 12 sono state inserite direttamente da Tampep, 6 sono state inviate da altri enti e associazioni, 6 sono state accolte in seguito a richiesta delle Forze dell’Ordine. Poiché gli alloggi ospitano contemporaneamente donne in diverse fasi del percorso art. 18, gli obiettivi e gli strumenti sono stati necessariamente diversificati e si possono così schematizzare: Prima Accoglienza: — Offrire protezione e contenimento; — Instaurare una relazione di ascolto e dialogo; — Proporre uno stile di vita e offrire un’esperienza affettiva diversa da quelli vissuti in precedenza; — Individualizzazione del percorso; — Accompagnamento e orientamento sanitario; — Orientamento ai corsi di alfabetizzazione; — Regolarizzazione (perm. di soggiorno, passaporto, tessera sanitaria ecc.). Seconda Accoglienza: — Sostegno alla donna nell’elaborazione della propria esperienza; — Orientamento formativo e lavorativo; — Inserimento lavorativo; — Ampliamento della rete sociale e amicale. Terza Accoglienza: — Inserimento lavorativo stabile; — Ricerca soluzione abitativa autonoma; — Ottenimento del permesso di soggiorno per lavoro. L’équipe che si occupa della gestione degli alloggi, è composta da operatrici sociali, mediatrici culturali, tirocinanti dell’Università di Torino e volontarie, impegnate in varie attività, in diverse ore del giorno e della sera. Non è garantita la presenza notturna, anche se vengono fatti sistematicamente dei controlli. Il presupposto fondamentale è il riconoscimento della complessità della situazione di convivenza tra donne, a volte di diversa nazionalità, che si trovano a livelli diversi del programma di integrazione art. 18. L’équipe ha lavorato con flessibilità e con la capacità di rispondere, se necessario, ai bisogni nuovi e alle problematiche espresse dalle donne. Oltre al lavoro di supporto per risovere tutta una serie di questioni pratiche (come l’iter di rego- manuale_4_A 20-05-2005 42 17:43 Pagina 42 Progetto Equal Li.fe. - Libertà Femminile Percorsi di accoglienza larizzazione, l’ottenimento di documenti di vario genere, le iscrizioni ai corsi di lingua o professionali), e di accompagnamento, (per ex. presso un servizio sanitario o per un colloquio di lavoro), l’équipe si è impegnata a promuovere un clima di fiducia reciproco e a creare uno spazio per il confronto e l’elaborazione. I momenti di “gruppo”, con ospiti, operatrici e mediatrici, hanno consentito, partendo dagli aspetti organizzativi della quotidianità, di approfondire successivamente gli aspetti legati alle relazioni interpersonali, riflettendo sulle dinamiche e affrontando i conflitti. La scelta dell’équipe è stata quella di non strutturare eccessivamente il momento del “gruppo” collettivo, perchè l’esperienza fatta negli anni con donne migranti in art. 18, ha dimostrato che risulta decisamente più efficace come strumento educativo un “incontro”, che pone al centro la negoziazione e la condivisione delle regole e la gestione della casa, piuttosto che un “gruppo tematico”, con più alti contenuti rielaborativi e introspettivi. Abbiamo rilevato che partendo da problematiche assolutamente pratiche e contingenti le donne si sentono più facilmente coinvolte, assumendo il ruolo di protagoniste, e che da questo livello è possibile poi lavorare sulle relazioni e sui vissuti in modo più sereno, stimolando il confronto, la condivisione, il mutuo aiuto, ad un livello più profondo. La presenza della mediatrice culturale, ha reso accessibili codici e significati altrimenti non comprensibili, grazie al suo ruolo di “ponte”, tra l’équipe e le donne, che ha facilitato la comunicazione, soprattutto nei momenti di crisi e difficoltà. Durante le diverse fasi del percorso, i momenti critici che rischiano di compromettere il buon esito del programma concordato con la donna, sono caratterizzati da un profondo senso di inadeguatezza, forte delusione, paura per il futuro e rabbia. Quando la donna entra in contatto con il mondo esterno, si rende conto della difficoltà che comporta l’accesso nel mercato del lavoro e vede allontanarsi la realizzazione dell’autonomia personale. Il lavoro di recupero di questo sentimento di sconfitta e delusione è molto lungo e la relazione di fiducia viene messa in discussione fino alla chiusura emotiva della donna nei confronti dell’équipe. Le risorse che hanno permesso di superare e gestire le fasi critiche sono state fondamentalmente tre: la presenza costante delle operatrici con il supporto della mediatrice culturale che ha favorito la comprensione delle differenze culturali e dei contesti di provenienza delle donne; la possibilità di dare alle donne un segnale concreto di aiuto, inserendo nel Progetto Alnima alcune loro parenti in Nigeria a rischio di tratta, allentando un po’ la pressione da parte delle famiglie e favorendo la fiducia nei nostri confronti; Il contributo del personale di polizia della Questura è stato significativo, grazie ad un lavoro di controllo e contenimento, che in sinergia con l’équipe ha dato risultati molto positivi nei momenti di maggiore crisi delle donne. Abbiamo rilevato che, per alcune donne, a una maggiore azione di tutela, corrisponde una crescente consapevolezza che le difficoltà incontrate nell’insertimento sociale e lavorativo dipendono anche dalla propria responsabilità. Questa presa di coscienza rappresenta la prima spinta al cambiamento e all’autodeterminazione. In altri casi, il divario tra le proprie aspettative e le proprie capacità ha avuto un effetto inibente e depressivo, sfociando in una sintomatologia spesso identificabile come disturbo psicologico o addirittura psichiatrico. L’alto numero di donne in accoglienza con problematiche di questo tipo, richiede una risposta attenta e precisa. È indispensabile lo strumento dell’accompagnamento psicologico e/o psichiatrico, ma non è facile individuare tra le risorse disponibili un contesto psicoterapeutico adeguato e funzionale alla domanda. L’evidente complessità delle problematiche inerenti alla realizzazione dei percorsi di integrazione sociale, rende la Supervisione clinica periodica sui casi e sulle dinamiche dell’équipe, uno strumento irrinunciabile per l’attività dell’accoglienza di donne art. 18. Gli incontri di Supervisione hanno permesso alle operatrici di svolgere un percorso formativo importante dal punto di vista personale e professionale, mentre le riunioni di équipe, con cadenza settimanale hanno favorito il lavoro di gruppo, con la definizione e la condivisione delle linee di intervento e dei progetti. Le peculiari caratteristiche dell’art. 18 e del relativo regolamento di attuazione, unite alla specifica situazione di ogni donna e al conte- manuale_4_A 20-05-2005 17:44 Pagina 43 Progetto Equal Li.fe. - Libertà Femminile Percorsi di accoglienza sto sociale ed economico del nostro territorio, determinano la conseguenza per cui i programmi concordati con le donne prese in carico non possano realizzarsi, salvo rare eccezioni, nell’arco di pochi mesi, ma necessitano di alcuni anni. Questo fatto fa emergere con forza la complessità del lavoro di accoglienza e rende fondamentale la ricerca di sempre nuove risorse per far fronte ai bisogni delle donne vittime di tratta che chiedono aiuto per uscire dalla condizione di sfruttamento. Alle donne appena inserite in programma di protezione sociale, si aggiungono quelle prese in carico negli anni precedenti, che, seppure abbiano raggiunto le fasi finali del percorso, rimangono comunque “dipendenti” dall’Associazione: la precarietà del lavoro, la carenza di soluzioni abitative nel mercato privato e l’alto costo della vita, rendono sempre più faticoso il raggiungimento di un’autonomia stabile e di conseguenza si creano situazioni in cui la donna rimane in carico per più tempo di quello necessario. Particolarmente difficile risulta la situazione delle donne nigeriane, spesso con un basso livello di scolarizzazione, per le quali l’integrazione socio-lavorativa e abitativa richiede più tempo anche a causa dei pregiudizi che ci sono nei loro confronti. Associazione Tampep a cura di SIMONA MERIANO 4.3. Per le vittime della tratta degli esseri umani quali operatori, per quali comunità? Quali sono le esperienze delle case di accoglienza per donne vittime della tratta, gli stili di lavoro, le metodologie, nonché le difficoltà incontrate? Le realtà che fanno questo tipo di accoglienza sono tutte relativamente giovani e perciò molti sono ancora i nodi da sciogliere, tante le questioni ancora aperte, numerose le problematiche per le quali non è stata ancora trovata una soluzione o quantomeno “una buona prassi consolidata”. Molte case di accoglienza hanno avuto esperienze precedenti diverse, hanno un diverso background di lavoro sociale. Ciascuna ha impostato il proprio lavoro facendo seguire percorsi diversi di formazione ai propri opera- 43 tori, ciascuno ha una propria metodologia e anche una propria filosofia di intervento. Pur trattandosi di un lavoro comune, si deve partire da una presunzione di diversità, anche se spesso essa è più sfumata di quanto si possa credere. Partiamo dal presupposto che questa diversità sia la base e la ricchezza del confronto. Fare una analisi delle diversità significa innanzi tutto misurarsi con le piccole scelte operate nella quotidianità, spesso scelte organizzative, che a volte possono sembrare di poca importanza e che invece assumono un valore significativo per l’intervento individualizzato e per la conduzione delle comunità nel suo insieme. Le motivazioni al cambiamento, tra fragilità ed ambivalenze Alcune motivazioni che spingono le ragazze ad un percorso di uscita dalla condizione di prostituzione sono chiaramente identificabili, altre rimangono più incerte e insicure. La richiesta di aiuto nasce quasi sempre da una crisi la quale, per quanto drammatica e intensa possa essere, per alcune di loro con il tempo si rivela contingente, momentanea e non sufficiente a motivare il cambiamento. La funzione di questa crisi è quella di spostare, in molte di loro, il pendolo dell’ambivalenza della situazione che stanno vivendo. È come se, nel momento di crisi, il piatto della bilancia sulla vita che stanno facendo, si appesantisse decisamente su tutti gli aspetti negativi e insopportabili. Ciò motiva la decisione di scappare, col desiderio di cambiare vita. Questo genere di motivazione è molto diversa da quella che vive una persona che ha riflettuto a fondo sul cambiamento da raggiungere. È la disperazione e, in alcuni casi, la rabbia, la crisi del momento che agisce da catalizzatore rispetto ad uno dei poli di un’ambivalenza non risolta. In altri casi, invece, l’uscita dalla prostituzione, spesso forzata, avviene per gradi. La donna spesso giunge al servizio di accoglienza accompagnata da un amico-cliente che la sostiene nel percorso. In tutti i casi vi è un desiderio di cambiamento che è già presente nella persona e che si è potenziato nel momento della crisi. Ma si tratta di una motivazione ancora incerta e fragile, caratterizzata dall’in- manuale_4_A 20-05-2005 44 17:44 Pagina 44 Progetto Equal Li.fe. - Libertà Femminile Percorsi di accoglienza stabilità, sulla quale è necessario lavorare nel tempo, con un accompagnamento relazionale attento e fortemente individualizzato. I bisogni: protezione, aiuti materiali, uscita dalla solitudine delle donne accolte Se la motivazione nasce da un momento di crisi, i primi bisogni a cui rispondere sono innanzitutto quelli derivati dalla scelta repentina della “fuga”: da un lato quello della protezione dovuto alla paura e dall’altro il bisogno di aiuti materiali. Il terzo bisogno, che seguirà di lì a poco, è quello di uscire da un senso progressivo di solitudine che si fa sentire dopo il momento liberatorio della fuga. Il rischio della rappresaglia è difficile da valutare, ma è prima buona regola non sottovalutarlo mai. Le situazioni di sfruttamento e di vincolo sono molto differenziate, i singoli legami delle ragazze con le persone che le prostituiscono, anche. Una valutazione di pericolosità discende sicuramente dal racconto e dal vissuto dalle donne in fuga, ma non può rappresentare l’unico indizio. Capita a volte che a terribili racconti di minacce e rivalse (anche sui familiari) non seguano azioni dirette, come capita invece che a situazioni di sgancio apparentemente indolori seguano violenze e ritorsioni. Dopo un primo momento di forte drammatizzazione in cui alle ragazze le misure di protezione sembrano insufficienti, generando in loro un’ansia marcata, nasce presto, troppo presto in alcune, un atteggiamento di precoce sicurezza, per cui progressivamente non viene praticata più nessuna precauzione ed i loro comportamenti (telefonate a clienti ed “amiche”, frequentazioni di locali abituali, ecc.) diventano imprudenti. L’operatore fatica molto nel rassicurare prima e nel contenere poi, poco tempo dopo, superficialità ed imprudenza. È doveroso condurre insieme all’interessata un’analisi dei rischi, ripassando insieme la rete dei rapporti insicuri, cercando di capire bene a chi è opportuno telefonare ed a chi no da parte delle ragazze. In alcuni casi si rende necessario un taglio netto con tutto l’ambiente da loro precedentemente conosciuto. Tale scelta non è facile da gestire, man mano che affiora un senso di solitudine insieme all’incer- tezza sul proprio futuro. Tuttavia è bene aver presente che la maggior parte delle ragazze che vengono rintracciate è per via degli “errori“ successivi e delle leggerezze da loro compiute. L’agio della situazione di accoglienza dev’essere palpabile. La nuova casa e lo stile di vita che viene richiesto non può avere funzione di purgatorio. Le ragazze, con le abitudini acquisite, sono molto attente agli aspetti materiali, ai consumi permessi e vietati. Non si può essere subito “salutisti” sul numero di sigarette fumate. Il vino a tavola così come una birra al bar quando si esce, se fa parte delle abitudini e delle richieste, non sono azzerabili. Questo, naturalmente nelle situazioni di comunità in cui non ci sono persone che hanno un bere problematico. È evidente che la discussione sugli eccessi e sul limite viene aperta. Sull’ascolto della musica si contratta (sul volume), sugli orari di riposo, sulle tante libertà personali e di diritto alla privacy il limite è costituito dal rispetto per la convivenza reciproca. La casa di fuga e di accoglienza non è un albergo, ma nemmeno una comunità terapeutica. Una delle scelte quotidiane più controverse, che racchiude in sé tutte le problematiche (sicurezza, libertà personale, percezione della qualità della vita, risposta al senso di solitudine) riguarda l’uso del proprio telefonino: consentirlo, vietarlo, regolamentarlo, non c’è la ricetta, né la prescrizione invariabile per ogni situazione. Regole generali per tutti semplificano ma non evitano ingiustizie. Individualizzare è già faticoso, richiede molte spiegazioni, ma rimane la strada più remunerativa. L’accoglienza degli amici-clienti Avviene sempre più spesso che l’operatore si trovi a conoscere – ed accogliere – oltre che la donna che chiede aiuto e protezione, anche l’amico-cliente-fidanzato. I clienti affezionati, più o meno interessati alla persona oltre che ai suoi “servizi”, spesso cercano le ragazze telefonicamente e talvolta compaiono nei pressi della struttura. Alcuni di loro hanno facilitato la scelta della ragazza di uscire dal racket, informandola e accompagnandola al centro di accoglienza; poi fanno loro visita e si sentono collaborativi con gli operatori. Pur manuale_4_A 20-05-2005 17:44 Pagina 45 Progetto Equal Li.fe. - Libertà Femminile Percorsi di accoglienza nella loro ambivalenza è importante che gli operatori sappiano accogliere i clienti e valutare con loro il senso della richiesta che avanzano. Per due motivi: spesso sono persone con una vita affettiva, oltre che sessuale, complicata: non sanno come risolvere le loro contraddizioni, si vivono male nel loro ruolo ed anch’essi, in qualche misura, cercano un riscatto. Inoltre per le donne costituiscono un punto di riferimento, un appoggio, a volte anche una possibilità di aiuto economico, che dà loro la sensazione di essere meno sole e totalmente affidate agli operatori e ai servizi. Ogni cliente è, evidentemente, un caso a sé: per motivazioni, contraddizioni personali e modalità di proporsi. Come tale va analizzato e valutato nel suo aspetto-risorsa, ed anche facilitato allorché si renda disponibile ad esercitare correttamente ed utilmente una propria funzione. Una posizione pregiudizievole, che coglie nel cliente solo l’aspetto collusivo e l’esclusivo coinvolgimento sessuale, rischia di deprivarsi di una potenzialità che, adeguatamente verificata ed accompagnata, può risultare utile al percorso. Una preclusione nei suoi confronti apparirebbe inoltre troppo dura agli occhi delle ragazze, che farebbero fatica a darsene una spiegazione condivisibile. Più utile è elaborare con loro le modalità di rapporto, i significati, le implicazioni relazionali per entrambi. In alcune situazioni, seppur molto limitate, il cliente ha chiesto un aiuto per sé. Le tentazioni Oltre ai bisogni delle donne appena descritti, nella persona si muovono contemporaneamente dei “controbisogni “, delle tentazioni, dei piccoli rimpianti per alcuni aspetti della vita di prima. Questi possono essere vissute come delle “nostalgie”, spesso contraddittorie, rispetto alla situazione precedente. La più forte riguarda i legami affettivi che si erano costruiti nell’ambiente della prostituzione. Le persone sono sole, sradicate dai loro contesti ed hanno, come tutti gli esseri umani, l’esigenza di costruire legami affettivi. Questo significa che anche in un ambiente in cui si è relegati ci si lega a ciò che si trova, talvolta anche ai propri carcerieri. Questo aspetto è molto importante in quanto fa parte delle con- 45 traddizioni che gli operatori affrontano durante il percorso. A ciò si aggiungono i timori di aver lasciato il certo per l’incerto, di non riuscire a realizzare quello che era alla base del disegno o del sogno migratorio. C’è innanzitutto l’incertezza rispetto alla possibilità di reddito, all’acquisizione del permesso di soggiorno, e alla futura definizione di sé. Tra i timori e le incertezze si fanno largo le tentazioni. Tentazioni di ricorrere alla piccola rete di clienti più affezionati che mettono a disposizione risorse materiali e appoggi affettivi, accomunate dalla speranza di “pescare il jolly”, ovvero di sposare un italiano che risolve magicamente e in poco tempo tutti i problemi, come quello dell’ottenimento del permesso di soggiorno, che gli operatori faticosamente cercano di risolvere in tempi burocraticamente quasi sempre lunghi. Un altro dato da tenere presente è il fatto che il cambiamento nella vita di queste ragazze è repentino e totale. Da un giorno all’altro, talvolta da un’ora all’altra passano ad un stile di vita completamente diverso da quello precedente. C’è una sorta di cambiamento totale, per cui è importante che vengano mantenute alcune continuità. È per questo che i luoghi di pronto intervento, le case di fuga e di prima accoglienza, devono rispondere in maniera forte ai tre bisogni che sono emersi chiaramente: bisogno di protezione (paura); accoglienza e agio (solitudine); bisogni materiali. Bisogna cercare, soprattutto nella prima fase, di essere attraenti, investendo molto sulla relazione, sull’affettività, sul calore dell’accoglienza. L’agio materiale è una condizione necessaria, ma non sufficiente. L’elemento affettivo, il senso di fiducia e di sicurezza che si può infondere è molto importante, poiché può costituire una sorta di svelamento di un mondo e di possibilità nuove che sostanzialmente la povertà culturale e relazionale dell’esperienza precedente hanno impedito di conoscere. È importante aiutare le ragazze a recuperare un senso di meraviglia rispetto al non noto, o al non più noto, o al dimenticato. Aiutarle a ritrovare il gusto di fare delle cose che “facendo la vita” si erano perse o dimenticate. manuale_4_A 20-05-2005 46 17:44 Pagina 46 Progetto Equal Li.fe. - Libertà Femminile Percorsi di accoglienza Il fatto di sviluppare un ampliamento dell’orizzonte culturale cui erano state abituate produce sicuramente un effetto di attrazione e conferisce agli operatori un ruolo di promotori rispetto all’accesso a nuove situazioni ed ambienti ed è importante nel controbilanciare la percezione, nei loro confronti, come figure normative e di contenimento. Le scelte Questa prima fase costituisce dunque un crocevia di scelte possibili, che principalmente sono di tre tipi: — conferma e continuazione del percorso avviato con la fuga dalla situazione di prostituzione; — ottenimento del permesso di soggiorno, inserimento professionale, nuova autonomia personale; — rientro a casa, talvolta con un progetto lavorativo assistito nel Paese d’origine (praticabile solo in pochi casi); — ritorno e reinserimento nel mondo della prostituzione, in situazioni analoghe o diverse dalle precedenti. Le crisi dell’operatore Rispetto alla gamma di possibilità di scelta delle ragazze l’operatore può incorrere in una serie di crisi: — Delusione. Avviene nel momento in cui l’operatore si rende conto di dover passare da un’immagine della ragazza come vittima (e quindi della persona da aiutare, resa schiava, prostituita ecc.) all’immagine di una persona con le proprie contraddizioni, fragilità, rabbie, e molti rimpianti non per ciò da cui è fuggita, ma per ciò che in quell’ambiente ha lasciato. Un buon operatore deve essere consapevole che talvolta le persone che lui “aiuta” possano scegliere di tornare alla vita di prima. — Crisi da “garanzia“ del percorso. Questo avviene quando l’operatore si trova a dover fare delle promesse rispetto all’esito positivo del percorso, ovvero si trovi a dover fare da garante dello stesso. Spesso le ragazze si rivolgono a lui con una serie di ansie rispetto al proprio futuro e gli chiedono di dare loro delle certezze, che ahimè non può avere. In questo caso l’operatore dovrebbe infondere speranza, ma contemporaneamente fare attenzione a non sconfinare nell’illusione rispetto a situazioni difficili di cui non si hanno sicurezze sugli esiti. Un rischio che manda in crisi l’operatore, è quello di sbilanciarsi con una promessa che poi, se non realizzabile, scatena una reazione di aggressività e di risentimento nei suoi confronti. Un altro rischio di tipo opposto è quello di essere eccessivamente prudente, e di non riuscire a infondere speranza e fiducia nella persona. È un equilibrio difficile da trovare e mantenere che va cercato di volta in volta nelle singole relazioni con le donne accolte. Le funzioni delle case di accoglienza Le case di accoglienza di cui stiamo trattando hanno tutte, al di là delle loro diverse modalità di funzionamento e dei modelli di riferimento, quattro funzioni fondamentali. 1) Proporre uno stile di vita diverso da quello vissuto in precedenza. Si propongono ritmi ed orari di vita regolari, che per alcune ragazze comportano una trasformazione radicale delle loro abitudini precedenti, sia positive che negative, per cui non sempre questo adattamento al nuovo stile di vita è un’operazione semplice ed indolore. Nel proporre un cambiamento dello stile di vita è molto importante saper fungere da mediatori, avere elasticità nel rispetto delle culture e delle persone che ci troviamo di fronte: modelli troppo rigidi potrebbero essere controproducenti. A titolo di esempio si può citare l’abitudine, per noi scontata, di consumare due pasti a tavola insieme: per molte donne africane questa abitudine è del tutto sconosciuta e difficilmente concepibile. Un modello troppo rigido rischia di essere eccessivamente regolativo e richiedere uno sforzo di adattamento eccessivo rispetto alle capacità non solo di ciascuna persona, ma anche rispetto ai diversi gruppi culturali. L’organizzazione di una comunità rispetto ai momenti comuni e di privacy, nonchè rispetto alla distribuzione dei compiti deve variare a seconda del gruppo di ragazze con cui si lavora. Molto importante è anche offrire la possibilità di negoziazione delle regole in occasione di un momento comune di confronto, in cui le ospiti diventano protagoniste. manuale_4_A 20-05-2005 17:44 Pagina 47 Progetto Equal Li.fe. - Libertà Femminile Percorsi di accoglienza 2) Offrire contenimento. Una seconda funzione delle strutture di accoglienza è quella di offrire protezione e contenimento, rispetto alla tentazione di abbandonare la scelta fatta. Essenzialmente sono tre gli strumenti del contenimento all’interno della struttura. — La relazione con gli operatori. Per la donna scatta il meccanismo: più mi sento accolta, più mi sento accettata, più sto bene, meno è forte la tentazione. Al contrario: meno mi sento accolta, meno mi sento accettata e la tentazione diventa molto più forte. — Auto-aiuto tra pari. Un altro strumento sono le compagne con maggior anzianità anagrafica o di permanenza nella casa le quali solitamente hanno consolidato le loro scelte, dimostrano alle altre che il percorso è concretizzabile, nonostante le lunghe attese per il permesso di soggiorno. La relazione che si instaura fra di loro le fa sentire compagne di fuga, di avventura e di costruzione di altre risposte. Talvolta però le compagne possono anche fungere da esempio negativo, per cui è molto importante lavorare con tutto il gruppo. — Confronto con esterni. Il terzo strumento è quello che si può attuare dalla chiarificazione e dal confronto anche con le altre figure che non sono né gli operatori né i volontari ma sono altri gruppi sul territorio. Figure che sono autorevoli e che in qualche modo possono rassicurare sul futuro. Su questo si crea una rete che rassicura e che va oltre la comunità. Gli operatori stessi possono sentirsi meno caricati di responsabilità. 3) Individualizzare i percorsi. La terza funzione della casa è quella dell’individualizzazione dei percorsi. Innanzi tutto bisogna riuscire a definire con le ragazze un progetto di sé proiettato sul fuori, vale a dire costruire una prospettiva di reinserimento sul territorio, tenendo conto delle capacità e delle potenzialità di ciascuna ragazza. È un processo complesso, in quanto passa da una osservazione delle donne nel vivere la quotidianità durante la quale emergono punti di forza e di debolezza. Se in comunità c’è un gruppo di ragazze mediamente attento, la restituzione delle capacità di ciascuna viene 47 fatta direttamente dalle compagne, come una sorta di riconoscimento. Per esempio, se una ragazza è brava a cucinare questa capacità le viene riconosciuta immediatamente. Le ragazze fanno da specchio alle altre ragazze, le quali incominciano a rendersi conto di essere abili e capaci. A questo punto l’operatore interviene e vede se su queste capacità e abilità è possibile investire da parte loro. Da ciò può iniziare un percorso di approfondimento professionale o pre-professionale e quindi, pian piano, su questi aspetti si costruiscono nuove identità. Si devono, senza dubbio, recuperare le capacità del passato. Spesso, appena si instaura un rapporto di confidenza e di fiducia, le ragazze stesse tentano di fare emergere le cose in cui sono capaci. L’altro piano del percorso di individualizzazione è quello dell’elaborazione della propria esperienza. L’esperienza della prostituzione si inserisce all’interno di un “progetto“ più vasto che è quello “migratorio”. Il viaggio in occidente si colloca tra lo sfruttamento più bieco e l’opportunità. È questa la forbice all’interno della quale si ragiona. L’aspetto “opportunità” è incluso nel disegno migratorio, che è il primo grande denominatore di partenza all’interno del quale dobbiamo collocare tutte le esperienze. Non si può fare elaborazione dell’esperienza vissuta se non la si colloca all’interno del sogno migratorio, e del senso del progetto. Ed è proprio attraverso questo sogno migratorio che la persona va aiutata a ricostruire la propria biografia, che spesso viene raccontata a frammenti. Per questo è importante che l’operatore sappia farne buona memoria (e che gli operatori dell’équipe sappiano collegare i vari pezzi della ricostruzione). Nel racconto gli operatori coglieranno molte contraddizioni, che non vanno interpretate come bugie, bensì come tentativi di presentare una migliore immagine di sé e o come una sorta di autodifesa. Talvolta l’operatore può restituire qualche contraddizione, con delicatezza, perché questo consente la rielaborazione, la rilettura, la ricostruzione della propria biografia, della propria storia personale di cui il progetto migratorio è ponte tra passato e futuro. Ci sono dei frammenti di vita, molto spesso rimossi, che riguardano l’esperienza in strada, manuale_4_A 20-05-2005 48 17:44 Pagina 48 Progetto Equal Li.fe. - Libertà Femminile Percorsi di accoglienza che ha sedimentato nel profondo di sé un’immagine che si tende a rifiutare e che è spesso fortemente legata sia all’esperienza vissuta in strada, sia, per alcune donne, a violenze subite prima del percorso migratorio. In questi casi è importante cogliere e far emergere una richiesta di aiuto, per affrontare i traumi che le esperienze passate hanno lasciato. La formazione degli operatori di comunità è adeguata a questo tipo di aiuto? Se non lo è, è importante che almeno una figura venga formata in tal senso e che sappia orientare verso una persona professionalmente preparata all’interno del suo servizio o dei servizi territoriali (non tutti possono e devono sorreggere ed intervenire su storie di violenza profonde, sessuali e non). Man mano che i pezzi di esperienza affiorano, emergono le fatiche a “collocare” l’esperienza della prostituzione nella propria vita accompagnata – a volte – da sensi di colpa e vergogna. Quasi tutte le donne in un primo colloquio raccontano di essere state costrette a prostituirsi poi, col tempo e con la fiducia acquisita nell’operatore, emerge la verità: a volte è vero, a volte no ma questo è poco rilevante. Vi possono poi essere due situazioni tipo: — la donna riesce a “giustificare” il proprio esercizio della prostituzione in quanto conseguente ad una situazione di costrizione e raggiro. In questo caso i sensi di colpa sono pochi e prevale il sentirsi vittime; — la donna era consapevole di ciò che avrebbe fatto ma lo giustifica con il fatto che questa era l’unica possibilità per cambiare la propria vita e quella dei famigliari di fronte ad una assenza di prospettive nel suo Paese. In questo caso i sensi di colpa a volte emergono e sono di ordine culturale (giudizio nel Paese di provenienza e giudizio nel Pese di arrivo). In entrambi i casi sono presenti sia elementi di ambiguità sia tentativi di rimozione del passato rispetto a rapporti affettivi futuri (non vogliono che il nuovo partner sappia del passato). Gli elementi di ambiguità riguardano le “positività” riscontrate con l’esercizio della prostituzione: molto denaro, potere di sedurre, rimando di un valore di sé (la prostituta viene scelta rispetto ad altre) ecc., elementi con i quali, anche dopo aver smesso , continuerà a lungo a fare i conti. Quindi quando parliamo di individualizzazione intendiamo dire innanzitutto rivisitazione di sé, della propria storia, delle proprie relazioni, dei propri rapporti e quindi restituzione di un senso all’intera complessità della vicenda. Un altro aspetto che può affiorare è rappresentato da disturbi psichici. Alcune ragazze presentano disturbi di sofferenze psichiche, in parte riconducibili all’esperienza della tratta, in parte rapportabili a traumi e difficoltà vissute nel Paese di origine. La normalità e la routine che connotano, con la loro tranquillità ed ordinaria quotidianità, le case di accoglienza, fanno emergere con maggiore evidenza difficoltà relazionali, angosce e paure, modalità di rapporto con la realtà che, in alcune situazioni, sono rivelatrici di un vero e proprio disturbo psichico. Le forme assunte sono a volte interpretabili tramite i riferimenti abituali della psichiatria occidentale (DSM IV) in altre situazioni le caratteristiche culturali del Paesi di provenienza, le particolari vicende dell’esperienza migratoria, l’impatto violento col ruolo assunto nella strada, rendono più indecifrabili le modalità di scompenso ed estremamente ardua la ricerca di significati sintomatologici. Si rende necessario, in queste situazioni, ricorrere ad un aiuto di quei pochi servizi che dispongono di chiavi di lettura interculturale ed etno-psichiatrica, per riuscire a formulare la corretta diagnosi ed individuare di conseguenza la scelta del miglior trattamento. Altrimenti il rischio, per alcune di queste situazioni (non per tutte) consiste nel ricorrere al solo strumento psicofarmacologico, utile al contenimento dello scompenso, ma non sufficiente per la cura, se si vuole evitare il pericolo di una successiva cronicizzazione. L’approccio inter culturale offre anche una maggiore opportunità di “aggancio” al percorso terapeutico, facilitando l’accesso al servizio e aumentando la ritenzione al trattamento, come evidenziato da tutta la letteratura scientifica nord europea che si è occupata del rapporto tra immigrati e servizi sociosanitari. 4) Offrire una nuova esperienza affettiva. La quarta funzione è quella di fornire un’esperienza affettiva nuova e positiva. Le manuale_4_A 20-05-2005 17:44 Pagina 49 Progetto Equal Li.fe. - Libertà Femminile Percorsi di accoglienza precedenti esperienze probabilmente non sono state buone esperienze affettive: quelle con i clienti, perché il mestiere comporta la scissione tra affettività e sessualità e quelle con i propri sfruttatori, perché si tratta di un rapporto di soggezione e, molto spesso, di dipendenza. Molte delle esperienze affettive instaurate prima del progetto migratorio probabilmente sono state altrettanto negative o comunque povere e spesso assoggettate a culture maschili autoritarie. L’esperienza che si può fare in comunità è quella di relazioni affettive non mercificate, gratuite, senza contropartite. Si tratta di una sorta di esperienza correttiva nel senso che per un periodo abbastanza significativo (perché i mesi di permanenza nelle case di accoglienza possono essere molti) si sperimentano rapporti di reciprocità e di rispetto che dovrebbero dimostrare loro che il mondo è anche qualcos’altro da quello che hanno vissuto e conosciuto fondamentalmente sulla strada. Poiché le ragazze sono tutte ancora molto giovani, questo terreno ha grandi possibilità di riuscita. Le quattro funzioni della comunità sopra descritte si intersecano fra loro e si potenziano vicendevolmente: l’una non funziona se non ci sono contemporaneamente anche le altre. La diversità delle case Nello svolgimento di queste funzioni esistono modalità diverse che vanno da una minore a una maggiore strutturazione. Ci sono case molto strutturate in cui tendenzialmente sappiamo cosa si fa dal mattino alla sera e in cui tutto è definito. Altre case sono meno strutturate, ci sono degli impegni comuni e delle funzioni che ciascuno deve svolgere, ma molte parti della giornata sono da riempire. Su questo riempimento molte strutture si differenziano: vi sono quelle che optano per un riempimento collettivo e quelle che optano per un riempimento individuale, che puntano fin da subito sull’individualizzazione e altre che, invece, optano per una individualizzazione graduale. Una più alta strutturazione significa un grosso coinvolgimento collettivo ed anche un’alta definizione dell’attività interna. Ad esempio alcune case strutturano laboratori interni, altre invece spingono molto di più 49 verso un rapporto con l’esterno e sulla diversificazione dei progetti. Un’altra grande distinzione riguarda la presenza degli operatori che può essere molto forte, come ad esempio nel caso in cui uno o più operatori abitino a tempo pieno nella casa, o debole, come nel caso in cui gli operatori siano presenti a rotazione. Un terzo elemento di distinzione è il “regime” di chiusura e libertà rispetto alle uscite delle ospiti, ovvero il fatto che le ospiti siano libere di uscire da sole e quanto, o debbano invece essere accompagnate. Un altro elemento di differenziazione dei modelli di accoglienza può essere rintracciato nelle regole. Lo stare per alcuni mesi nelle case potrebbe essere visto come una prova generale di adattamento ad un impatto con un mondo che non è più quello sperimentato durante l’esperienza di prostituzione. Potrebbe anche essere letto come una esperienza accelerata di acculturazione (per acculturazione si intende l’apprendimento di tutta una serie di adattamenti ad esigenze, anche di rapporto, che la nostra società impone). È come dire che nelle case di accoglienza le ragazze fanno una sorta di prova generale di vita e di adattamento alla nostra cultura e società. Ma i mesi trascorsi in comunità sono anche corsi accelerati di relazioni di reciprocità e di interdipendenza, che si differenziano molto dalle esperienze particolari di gruppo che hanno fatto e dall’isolamento in cui molte di loro versavano. In tutto questo è interessante chiederci quanto si possa puntare su una educazione tra pari e quindi sulla risorsa dell’auto-aiuto. Qui i modelli di riferimento potrebbero essere due. Il primo consiste in un forte auto-aiuto fra di loro, ma secondo modelli molto gerarchizzati, come nelle comunità terapeutiche e quindi anche molto definito e prefigurato. Il secondo consiste in una valorizzazione dei momenti informali. Secondo questo modello si ritiene che ciò che favorisce di più il cambiamento siano i momenti informali, quelli non organizzati. Si lascia pertanto maggior spazio alla auto-organizzazione e alla negoziazione delle regole. Non esistono molte esperienze di autoaiuto in senso classico nelle case di accoglienza manuale_4_A 20-05-2005 50 17:44 Pagina 50 Progetto Equal Li.fe. - Libertà Femminile Percorsi di accoglienza di cui trattiamo. Le ragazze non si mettono in cerchio, non si raccontano pubblicamente fra loro e tanto meno raccontano le loro esperienze come nel caso di altre forme di aiuto che non sono assolutamente e meccanicamente trasportabili in questo ambito. In questo caso bisogna pensare a forme di auto-aiuto legate ai loro bisogni, anche contingenti, alla necessità di rispondere a esigenze organizzative tutte da inventare. Il lavoro di équipe Nessuno è navigatore solitario. Tanto meno chi si occupa di problematiche sociali così fortemente connesse con l’economia, la criminalità, le migrazioni dei popoli, i diritti delle persone. Se non si vuole essere destinati al naufragio occorre organizzarsi in gruppo, costituire un’équipe, una squadra di lavoro, tra operatori e volontari prima, inter-servizi (la squadra delle squadre) dopo. Essere un gruppo consente non solo di distribuire le difficoltà e le ansie di un compito che richiede una molteplicità di interventi, ma anche di distribuire meglio i ruoli da giocare in ambito comunitario. Già l’équipe mista, con operatori e volontari maschi e femmine, consente di far emergere a tutto tondo le modalità relazionali delle ragazze, per meglio conoscerle e offrire supporto. Sono anche altri i ruoli che possono suddividersi coloro che svolgono il lavoro di prendersi cura e supporto emotivo: c’è chi può aiutare ad intravedere un percorso, chi a definire un progetto, e chi, invece, può esercitare maggiormente un ruolo contenitivo e normativo. Il passaggio delle informazioni, tra operatori, è una funzione essenziale. Pur nella differenza di ognuno la linea deve essere comune ed un operatore che prende il posto dell’altro durante la giornata o la settimana deve poter garantire la continuità dell’intervento. Il passaggio dell’informazione, orale o scritta, riduce lo spazio degli errori e delle “manipolazioni” e nel contempo trasmette alle ragazze la sensazione di una guida attenta e ben organizzata. Mediatrici culturali e formazione interculturale La presenza dei mediatori culturali nelle strutture residenziali risulta di aiuto sia alle persone ospiti che agli operatori. Per le ragazze, in particolare se la scelta di uscire dal racket è avvenuta su proposta della mediatrice incontrata in strada, il livello di fiducia riposto in persone della stessa provenienza, consente di far meglio comprendere le asperità del percorso e contrastare con più efficacia i momenti di crisi. L’identificazione con una “pari”, che è riuscita ad integrarsi con successo nella realtà italiane, è la prova tangibile che l’obiettivo è raggiungibile. Con lei si possono confrontare più a fondo rispetto ad ansie e paure non sempre comprensibili per gli operatori italiani. La presenza delle mediatrici consente di spiegare i significati di molti atteggiamenti e comportamenti, e favorisce una azione tra i bisogni e i desideri delle ragazze, le esperienze del contesto, gli orientamenti degli operatori. Come già avviene in molti servizi del nord Europa l’obiettivo è disporre di operatori etnici, superando le figure stesse dei mediatori, a scavalco tra diverse tipologie di interventi ed eccessivamente frammentati nel loro apporto. Soprattutto là dove i servizi accolgono soprattutto utenza straniera, la presenza di operatori della stessa etnia diventa un considerevole fattore di facilitazione. In questo modo la “contaminazione” con gli operatori italiani risulta quotidiana, più sistematica e meno occasionale. Lo sguardo incrociato degli operatori, che comprende anche il punto di vista etnico, offre un doppio punto di riferimento ed amplia le capacità di lettura per l’intero servizio. E’ di fatto una formazione a base induttiva, a partire dalla discussione in èquipe delle singole situazioni, che integra la formazione più teorica, oggi indispensabile, sugli aspetti interculturali connessi all’accoglienza ed al trattamento delle persone immigrate. Alcune contraddizioni Nel momento in cui si sta lavorando per costruire delle opportunità “fuori” per le ragazze, ci si trova spesso stretti in una tenaglia di contraddizioni. Per quanto si sia lavorato bene per costruire le opportunità, capito quali siano le necessità e capacità delle ragazze, ci si trova di fronte alle aspettative delle ragazze che sono sempre un po’ troppo rispetto alle risorse presenti. In alcuni casi vi è la tentazione di un ritorno a un passato, rivisto e corretto, in cui procurarsi il denaro con manuale_4_A 20-05-2005 17:44 Pagina 51 Progetto Equal Li.fe. - Libertà Femminile Percorsi di accoglienza l’attività di prostituzione, ma non esercitata alle stesse condizioni e con le stesse modalità. Queste contraddizioni sono permanenti, ma emergono soprattutto nel momento in cui la delusione del fuori è alta, perché le aspettative erano notevoli e quindi il senso di delusione è forte. Un’altra contraddizione si manifesta nella dicotomia desiderio/paura dell’autonomia: da una parte c’è il desiderio di autonomia, ma dall’altra c’è la paura di sperimentarla. Molte di loro sono state abituate a dipendere in molti ambiti della vita: economico, culturale ed affettivo. Per molte di loro queste dipendenze significano dipendenza dal maschile. La contraddizione quindi si situa tra il bisogno di protezione e la voglia di disporre della propria libertà. Un’altra contraddizione riguarda da una parte la fatica di essere diversa (ovvero il desiderio di sentirsi normali) e dall’altra due aspetti che riguardano il passato: colpa e vergogna da una parte e il “positivo” del precedente “lavoro” dall’altra (molto denaro in breve tempo). Alla luce di quando detto bisogna tenere presente, nella fase di progettazione dei percorsi individuali, di alcuni aspetti: — è impossibile fare dei progetti in serie, che faciliterebbero sicuramente il lavoro degli operatori ma nuocerebbero alle ragazze; — il progetto individuale non può che nascere dall’ascolto dei desideri. Per quanto si sia condizionati dalle esigue opportunità lavorative a disposizione bisogna comunque ascoltare i desideri in quanto comunicano comunque qualcosa; — riuscire a raccordare i desideri con la capacità e possibilità di realizzarli. Queste infatti sono molto spesso ridotte, ma è compito degli operatori riportare il tutto su un piano di realtà. Poiché il desiderio molto spesso è la proiezione di un ideale di sé, di un’immagine di sé, compito dell’operatore è quello di fare un lavoro di lima e di ancoraggio dei desideri, di aiutare la persona a fare i conti con la realtà e quindi costruire sulle capacità che vanno nella direzione della realizzazione di quel desiderio. Un lavoro quindi per rendere i desideri più realistici, per lavorare sul potenziamento delle capacità per la realizzazione del desiderio, per 51 lavorare sul contesto esterno che offre le opportunità ovvero incrociare le capacità, desideri e opportunità esterne. La parte più difficile di questo lavoro consiste nell’intervenire sul gap, sul divario tra la proiezione di ciò che si vorrebbe essere e fare e le capacità personali effettive per poterli realizzare. Nei progetti è fondamentale che non ci sia alcuna forzatura. Il compito degli operatori è quello di presentare la realtà e chiedere alle persone di sapervisi adattare. È però molto importante non azzerare i sogni, poiché lo spazio di illusione, che gli operatori sanno riconoscere come tale, è uno spazio vitale. Gli operatori devono evitare di imporre il proprio progetto e per farlo devono usare strumenti quali l’accompagnamento e il sostegno. In sintesi agli operatori viene richiesta sempre una presenza discreta, inizialmente di stimolo e di contenimento, successivamente di supporto. Tutto ciò non è facile e spesso comporta una serie di rischi di deragliamento per l’operatore. Rischi per l’operatore Un primo rischio consiste nell’immedesimarsi non tanto nella persona, nei suoi bisogni e nei suoi desideri, ma in ciò che lei rappresenta per la funzione di operatore e quindi compiere l’errore di non vedere la persona, bensì il suo percorso di ascesa, del quale egli si sente promotore e dal quale riceve la propria gratificazione. Lo stesso vale per quegli operatori che aderiscono a un principio di militanza e quindi non vedono la persona, bensì la giusta causa dalla quale traggono la propria gratificazione. Per loro conta non tanto la singola persona, quanto invece il battersi per una causa, con il rischio di mettere in primo piano, di nuovo, i propri bisogni anziché quelli delle persone che aiutano. Il secondo rischio consiste nel fatto che l’operatore sopravvaluti la propria importanza e che quindi, paradossalmente, si senta tanto più importante quanto più l’altro dipende da lui e quindi che non sappia fare un passo indietro al momento opportuno. Fare un passo indietro significa diminuire l’importanza del manuale_4_A 20-05-2005 52 17:44 Pagina 52 Progetto Equal Li.fe. - Libertà Femminile Percorsi di accoglienza proprio ruolo per far crescere gli altri e raramente ciò viene percepito come gratificante per l’operatore. Ecco allora che egli rischia di non aiutare realmente le persone. Bisogna sempre ricordarsi che aiutare un altro significa metterlo in grado di aiutarsi da sé. Il terzo rischio riguarda soprattutto gli operatori maschi, anche se le operatrici donne non ne sono del tutto escluse e consiste nel mettere in queste storie, che sono storie che riguardano nel profondo il senso della vita (l’affettività, la sessualità, ecc.), una serie di elementi di curiosità, talvolta morbosa, che può tradursi in domande intrusive e invasive. Ciò significa che l’operatore possa vivere attraverso l’esperienza altrui, e in casi estremi vi si identifichi o li condanni. Atteggiamenti simili sono spia di alcuni vissuti e quindi indicativi di un lavoro di introspezione che si dovrebbe fare. È importante che vi siano nelle case di accoglienza operatori maschi, non solo perché essi ricreano la normalità dei rapporti maschio/femmina, ma soprattutto perché essi rappresentano per le ragazze un terzo modello rispetto a quello di sfruttatore o di cliente, pur con tutte le difficoltà che questo comporta. Molto spesso le ragazze li mettono alla prova, tentano di sedurli, di veirificare le loro capacità di resistenza, ma una volta che esse hanno capito che il comportamento è diverso dai loro modelli di riferimento di strada, hanno la possibilità di sperimentarsi in rapporti “normali”, non mericificati e non di coercizione con l’altro sesso. È importante che l’operatore maschio venga supportato in tutto questo dalle sue colleghe femmine e che abbia la possibilità di confrontarsi costantemente con loro. a cura di LEOPOLDO GROSSO manuale_4_B 20-05-2005 17:44 Pagina 53 Progetto Equal Li.fe. - Libertà Femminile Oltre la borsa lavoro capitolo 5 Oltre la borsa lavoro 5.1. Riflessione a margine dell’esperienza di IDEA Donna Questo testo tratta il tema dell’inserimento socio – lavorativo delle persone in protezione sociale presentandone alcuni metodi e strumenti. Allo stesso tempo, si propone di analizzare i principali aspetti critici, di contesto e specifici, e indicare possibili soluzioni. Le considerazioni che seguono sono il risultato di una riflessione sul lavoro comune che ha visto impegnati, a partire dalla fine del 2001, i componenti dello staff del progetto Aperto3, gli operatori dell’Ufficio Stranieri Nomadi e Adulti in Difficoltà della Città di Torino e gli altri soggetti attivi all’interno del progetto Freedom. Le esperienze sopra citate sono relative a donne che sono state soggette alla tratta e allo sfruttamento sessuale, ed è a questo specifico gruppo di destinatari delle misure di protezione sociale che qui si fa riferimento. La protezione sociale per le persone che sono state oggetto di sfruttamento lavorativo, i collaboratori di giustizia, ecc. affronta altri nodi problematici, se non altro perché non riguarda necessariamente donne, e perché apre il campo delle provenienze nazionali all’intero pianeta, mentre nello sfruttamento della prostituzione questo è solitamente ristretto a Nigeria e paesi dell’Est Europa, e solo in misura molto minore a Nord Africa e Sud America. L’inserimento socio-lavorativo: una dimensione complessa Obiettivo specifico dell’accompagnamento all’inserimento socio – lavorativo è il raggiungimento di una condizione di maggiore consapevolezza e benessere attraverso la valorizzazione delle esperienze possedute, professionali e non, lo sviluppo di capacità personali e l’acquisizione di nuove competenze. L’accompagnamento si propone di contribuire ai 53 processi di autonomia personale, aiutando le donne a definire un progetto di vita che sappia conciliare le aspirazioni e potenzialità soggettive con le opportunità oggettive. A costo di essere didascalici, possiamo esemplificare il tutto dicendo che favorire l’autonomia significa predisporre le migliori condizioni affinché la persona che beneficia degli aiuti forniti dal progetto possa farne a meno nel più breve tempo possibile. Gli aspetti costituenti l’autonomia sono: — autonomia economica (e quindi abitativa), attraverso il lavoro; — autonomia data dalle conoscenze che permettono di muoversi in un sistema complesso e di fruire dei servizi e delle opportunità che vi si trovano; — autonomia affettiva, attraverso la ricostruzione di reti amicali e di confidenza che prendano il posto di quelle garantite, temporaneamente, dalle persone che operano nell’accoglienza dei progetti di protezione sociale. Sta ai progetti di protezione sociale garantire che questi aspetti dell’autonomia personale siano affrontati e che i bisogni ad essi connessi trovino risposta. Va da sé che si tratta di aspetti tra loro interrelati, e che gli operatori dei progetti di protezione sociale possono intervenire in modo significativo per le prime due forme di autonomia, mentre per quanto riguarda la sfera dell’affettività è preferibile favorire – con la maggiore discrezione possibile, e solo per chi sembra in difficoltà nel riorientarsi – l’apertura di un altro contesto relazionale, che permetta di evitare l’equivalenza autonomia = solitudine. Le possibilità di inserimento lavorativo sono influenzate, oltreché dalla componente del sapere e delle esperienze fatte, dalle motivazioni proprie di ciascun soggetto, e queste sono, a loro volta, fortemente condizionate dalla percezione del proprio stato di maggiore o minore benessere. Aiutare una persona ad attivare le risorse personali significa valorizzarne competenze ed esperienze, talvolta recuperare autostima. Ma anche porre in atto le condizioni affinché le Nota 3. Aperto, un progetto per l’integrazione socio – lavorativa delle donne straniere realizzato dall’associazione I.D.E.A. Donna Onlus grazie al contributo della Città di Torino, Divisione Servizi Sociali, Settore Stranieri Nomadi e Adulti in Difficoltà. Aperto ha inoltre ricevuto contributi dalla Fondazione CRT (2002) e JP Morgan Chase Bank (2003). Per un approfondimento sull’attività di Aperto nel biennio 2001-2002 si rimanda al Report redatto nel marzo 2003 e xerocopiato dalla Segreteria della Camera del Lavoro di Torino. manuale_4_B 20-05-2005 54 17:44 Pagina 54 Progetto Equal Li.fe. - Libertà Femminile Oltre la borsa lavoro difficoltà dell’accesso al mercato del lavoro non intersechino altre difficoltà: non poter decidere autonomamente delle proprie prospettive a breve – medio termine, non poter disporre liberamente del proprio tempo, non poter sviluppare appieno la propria dimensione sessuale ed affettiva, non potersi cibare dei propri alimenti preferiti, e così via. Ogni operatore di comunità potrebbe allungare facilmente la lista. Forse non è realistico pensare che strutture di accoglienza pensate in origine per altro tipo di ospiti, e riconvertite negli ultimi anni, in tutto o in parte, alle cosiddette “vittime della tratta”, possano proporre soluzioni per tutte le dimensioni del benessere di giovani donne provenienti da paesi lontani. Ma va almeno chiarito che la forma che prende l’accoglienza ha un forte impatto, tutto da studiare caso per caso, sulla possibilità di effettivo inserimento professionale. Allo stesso tempo, e rovesciando con ciò i termini della questione, è necessario ribadire che l’inserimento lavorativo è una componente fondamentale della “riuscita” di chi si trova in protezione sociale, e non un di più o qualcosa di meno importante, nella valutazione su “come sta andando il percorso della tale persona”. Donne che mostravano qualità e impegno, durante lo svolgimento del tirocinio, hanno perso o rischiato di perdere favorevoli opportunità di inserimento lavorativo perché espulse dall’accoglienza in quanto risultavano indocili ai regolamenti comunitari. Nel bilancio dei fattori positivi e negativi sull’andamento del percorso di integrazione, per ogni persona, il comportamento e i risultati raggiunti in azienda, riferiti dai datori di lavoro e dai tutor, vanno messi quantomeno sullo stesso piano del comportamento e dei risultati raggiunti in casa, sotto gli occhi degli operatori di comunità. Ricordando che, semmai, la scommessa personale sulle possibilità di effettiva integrazione socio-culturale si giocherà nel campo dell’ambiente di lavoro, non certo sulla maggiore o minore predisposizione alla vita comunitaria. Metodi e strumenti dell’inserimento lavorativo La progettualità dell’inserimento socio-lavorativo ha questi obiettivi specifici: — accompagnamento educativo all’inseri- mento lavorativo, attraverso l’offerta di varie forme di sostegno; — superamento di barriere culturali e di ostacoli all’integrazione derivanti da differenza culturale e processi di esclusione sociale subiti in pass. In quest’ottica si è mosso il progetto Aperto, prevedendo, oltre ad attività rivolte direttamente alle donne straniere in difficoltà (colloqui individuali, tutoring, laboratori di gruppo su tematiche diverse), una serie di interventi rivolti al contesto: mediazione culturale e mediazione dei conflitti nei luoghi dove si svolgono gli inserimenti; contatto con organi rappresentativi delle parti sociali attive sul mercato del lavoro (organizzazioni sindacali, associazioni artigiane, industriali e di categoria, organismi appartenenti al terzo settore); promozione di una cultura della gestione e valorizzazione della diversità nelle aziende e sul territorio. Per non dilatare eccessivamente il discorso, tratteremo qui alcuni metodi e strumenti sperimentati nella realtà torinese (e non solo, evidentemente), concentrando l’attenzione su quanto si fa insieme alle donne in protezione sociale. Il programma di protezione sociale si avvale da tempo di una misura di accompagnamento fondamentale, la borsa lavoro. Le borse lavoro sono tirocini formativi di durata variabile svolti presso aziende che siano in grado di garantire una ragionevole possibilità di inserimento lavorativo al termine della borsa o quantomeno un effettivo miglioramento del profilo professionale della borsista al termine dell’esperienza, quindi un buon contenuto formativo della stessa. L’azienda inserisce la tirocinante nella propria organizzazione produttiva o di servizio, con le mansioni che potrebbe svolgere se fosse regolarmente assunta, per un impegno settimanale massimo di 40 ore. Garantisce che possa essere affiancata a personale esperto, in grado di trasmetterle informazioni e prassi corrette. Il punto di forza della borsa lavoro, cioè l’erogazione di una somma che, seppur ridotta, permette alle beneficiarie di concepire l’attività svolta in azienda come un vero e proprio lavoro, ne fa anche uno strumento ambiguo. La necessità di guadagnare per far fronte alle richieste di denaro dei familiari nel paese di origine rende la borsa lavoro un buon com- manuale_4_B 20-05-2005 17:44 Pagina 55 Progetto Equal Li.fe. - Libertà Femminile Oltre la borsa lavoro promesso tra l’esigenza di lavorare da subito e quella di formarsi professionalmente. Ma di fatto, stante l’onerosità di questo strumento, si tende a privilegiarne forme di breve durata, in aziende che impiegano personale con basso know-how. Del resto, come concepire l’acquisizione di un buon contenuto formativo attraverso il solo tirocinio? E i corsi di formazione professionale che ci starebbero a fare? Il vero limite della borsa lavoro non è quindi il suo possibile “uso perverso”, con aziende che usufruiscono di manodopera gratuita, senza procedere mai ad assunzioni (una criticità riducibile con un attento tutoraggio esterno e con la traduzione della maturazione di esperienze – buone e cattive – in una affidabile banca dati), ma nel suo demolire, per il fatto stesso di esistere, l’opzione della partecipazione a corsi di formazione professionale. Ne consegue una impossibilità di acquisire professionalità di medio profilo. Le donne finiscono per scontare la fretta iniziale di guadagnare (poco) con il protrarsi a lungo di opportunità di lavoro precarie, sotto pagate o poco appetibili. Il tutor è la figura di snodo dell’inserimento in borsa lavoro. Si parla di tutoraggi individuali, sia perché intervengono in coerenza con l’attuazione di un programma individuale concertato tra l’organismo referente e la persona che beneficia delle misure attivate, sia perché è buona norma che la borsa lavoro sia erogata per presenze di una o due persone al massimo, per ogni azienda. Il tutor, figura distinta dal tutor aziendale, ha il profilo dell’operatore sociale professionale, con formazione specifica ed esperienze dirette di lavoro nel campo delle azioni di integrazione sociale per le donne vittime della tratta. In questo senso deve assumere alcune funzioni proprie del mediatore culturale, per permettere una migliore comprensione delle “regole” del mondo del lavoro, delle dinamiche interpersonali sul luogo di lavoro, in una prospettiva interculturale. È evidente che questo non esclude il ricorso a mediatori linguistico – culturali, in caso di bisogno (e per le ristrettezze economiche dei programmi di protezione sociale, bisognerebbe dire in casi di estremo bisogno, il che è un male). 55 Il “tutoring”, la presa in carico di ciascuna donna da parte di un operatore, è un rapporto bilaterale caratterizzato dalla continuità. Il termine “presa in carico” sottintende sempre un ruolo attivo della beneficiaria dell’intervento e una costante interazione tra la donna e l’operatore. Il tutor svolge un ruolo fondamentale nell’ambito del processo di transizione agito e subìto dalla donna, ponendosi come punto di riferimento costante e personale in tutto il percorso: dalla maturazione di un orientamento motivazionale e professionale, alle fasi di alternanza di formazione e lavoro, all’integrazione lavorativa vera e propria. Attraverso la relazione personalizzata che stabilisce con la donna, conquista la sua fiducia e con questa la possibilità di essere ascoltato nelle situazioni di crisi, se si presentano. Il tutor svolge le funzioni di orientamento, accompagnamento e sostegno nel percorso formativo e nell’attuazione e verifica dell’inserimento, in un confronto puntuale non solo con la donna ma anche con i responsabili delle aziende. Uno strumento di grande importanza è il “bilancio di competenze”, inteso come mezzo di avvio di un itinerario di orientamento individuale. Il termine “competenze” denota una capacità acquisita e concreta di svolgere determinati compiti, valorizzando le esperienze del soggetto e valutando le sue attitudini. La stesura del bilancio deve essere concepita nell’ottica della progressiva responsabilizzazione del soggetto coinvolto in vista dell’elaborazione autonoma e consapevole del proprio progetto socio professionale. È una riflessione “guidata” sulle proprie esperienze di lavoro e di vita, sulle proprie aspirazioni e motivazioni, e porta a comprendere la necessità dell’attivazione delle risorse personali per il raggiungimento dell’obiettivo finale. Attraverso colloqui successivi a carattere esplorativo, l’operatore tenta di far emergere e rilevare le competenze, le attitudini, le caratteristiche e le risorse della persona, evidenziando il più possibile punti di forza e debolezza. Il bilancio di competenze è utilizzato anche nei confronti delle persone che non hanno esperienze professionali, per aiutarle a definire meglio le proprie capacità e aspirazioni, e pro- manuale_4_B 20-05-2005 56 17:44 Pagina 56 Progetto Equal Li.fe. - Libertà Femminile Oltre la borsa lavoro gettare e mettere in atto percorsi formativi o professionali. In questi casi la parte dedicata alle esperienze professionali risulta ridotta e, piuttosto che di bilancio di competenze, si può parlare di bilancio di risorse, o di bilancio di orientamento. Ogni donna è invitata a rivisitare il proprio progetto di migrante. Le cosiddette “vittime della tratta” hanno posseduto, come ogni altro migrante, un proprio progetto di vita, di riuscita e emancipazione non solo economica, sul quale ha interferito in maniera più o meno pesante l’esperienza del traffico di esseri umani e dello sfruttamento. Potersi impossessare di nuovo di quelle idee, magari ingenue, permette di risarcire in parte le ferite subite dalla psiche nel lungo intervallo fra la vita di prima e quella attuale e contemporaneamente di individuare dei sentieri certi lungo i quali condurre le ipotesi sul proprio futuro. Criticità e soluzioni Passeremo ora in rassegna le criticità che riducono o impediscono l’accesso al mercato del lavoro in condizioni di coerenza con il proprio profilo di competenze, consapevolezza dei propri diritti di lavoratrice, autonomia e responsabilità di scelta. Per comodità di esposizione, queste criticità sono organizzate per ambiti problematici, in un percorso che muove dai fattori più generali, di contesto, fino a raggiungere la dimensione più specifica, quella della protezione sociale. Le soluzioni non sono altro che criticità cambiate di segno: nell’esposizione che segue si tentano alcuni approfondimenti che rendano questo principio maggiormente operativo. Il mercato del lavoro Nel considerare le criticità dell’accesso al mercato del lavoro, occorre distinguere tra criticità che potremmo definire “contingenti”, e legate all’area in cui ci troviamo ad operare, ed altre che sembrano invece caratterizzare più in generale lo scenario dell’inserimento socio – lavorativo delle donne migranti (e quindi non solo delle donne in protezione sociale). Tra le prime mettiamo senz’altro la crisi economica dell’area economico – produttiva torinese e in specie di alcuni comparti del manifatturiero, che è sotto gli occhi di tutti e che si ripercuote pesantemente sulle possibilità di sviluppo dell’occupazione. Tra le seconde contiamo: i fenomeni di discriminazione delle donne migranti nell’accesso al mercato del lavoro; la precarietà dell’impiego, dipendente dall’offerta prevalente di contratti di breve durata; i bassi livelli salariali, dovuti alle mansioni generiche, o alla possibilità, per le aziende, di ricorrere a contratti di apprendistato. La discriminazione delle donne migranti, in particolare se di origine africana, si traduce nell’indisponibilità dello sbocco nell’assistenza domiciliare e lavoro domestico (e se questo è, nella situazione attuale, il mercato principale per le donne immigrate, bisogna aggiungere che la giovane età delle donne che beneficiano delle misure di protezione sociale non sembra compatibile con questo tipo di impiego) e nelle attività commerciali di contatto con il pubblico. La scarsità di offerta di lavoro, le discriminazioni, la precarietà dell’impiego che significa, all’uscita dalla protezione sociale e grazie alle nuove norme nazionali sull’immigrazione, precarietà del diritto a soggiornare in Italia, l’incertezza sul futuro: è questo il contesto nel quale va costruito il progetto di inserimento lavorativo. Limiti e opportunità Le difficoltà di accesso al mercato del lavoro da parte delle donne straniere beneficiarie di misure di protezione sociale, oltre che alle peculiarità del particolare percorso di esclusione/inclusione sociale, vanno necessariamente riferite, come abbiamo visto, al contesto più ampio della questione occupazionale dei cittadini immigrati nel nostro paese. Dell’insieme di fattori analizzabili, quelli che sembrano più pertinenti all’argomento che qui trattiamo sono: — il rapporto fra capitale umano di esperienze e competenze professionali posseduto dalle donne e l’offerta di lavoro a loro accessibile, — il funzionamento dei dispositivi che permettono l’incontro fra domanda e offerta di lavoro. manuale_4_B 20-05-2005 17:44 Pagina 57 Progetto Equal Li.fe. - Libertà Femminile Oltre la borsa lavoro Del rapporto tra competenze e opportunità ci occuperemo nel prossimo paragrafo, ora trattiamo l’aspetto della ricerca del lavoro, evidenziando gli aspetti di rischio connessi ad una domanda di lavoratrici straniere stereotipata. In Italia l’incontro fra domanda e offerta di lavoro è spesso regolato in modo personalistico e informale: si cerca e trova lavoro attraverso il passaparola. Questo vale in particolare per la parte del mondo del lavoro più dinamica dal punto di vista occupazionale, quella delle piccole e medie imprese (PMI), vera ciambella di salvataggio dell’economia italiana negli ultimi venti anni. La presenza dei lavoratori immigrati si inserisce con relativa facilità in questo contesto mutuandone i modelli in reti informali di “specializzazione etnica”. Le reti etniche sono spesso rafforzate dall’attività di soggetti che propongono azioni solidaristiche (istituti religiosi, associazioni di volontariato e solidarietà sociale, ecc.). In questo modo si giunge ad un irrigidimento delle possibilità di scelta iniziale, o di movimento in una fase successiva, su determinate “tipicità” (i domestici filippini, gli allevatori sikh, ecc.). Possiamo dunque chiederci se queste reti etniche funzionano anche per le donne straniere beneficiarie di misure di protezione sociale. Si può osservare, in proposito, che le donne che abbandonano la prostituzione grazie all’art.18 D.Lgs. 286/98 lo fanno per lo più attraverso il cosiddetto “percorso giudiziario”, cioè denunciando le persone che le hanno condotte in Italia e poi costrette alla prostituzione. Ma queste persone, oltreché sfruttatori, sono i principali contatti con la realtà del paese di immigrazione, e di solito sono dei connazionali. Se ci riferiamo nuovamente al solo caso delle donne nigeriane, possiamo essere più netti: gli sfruttatori sono di solito delle sfruttatrici – le madam –, sono sempre connazionali e spesso provengono dalla stessa città se non dallo stesso quartiere da cui viene la donna. All’arrivo in Italia la donna inizia a fruire, certo in misura molto parziale e controllata, della rete di relazioni sociali che la madam ha tessuto nei suoi anni da immigrata in Italia. Conosce altre donne che lavorano per la madam, ecc. Tutto questo viene spazzato via dalla denuncia e, al di là del fatto che ciò che 57 viene spazzato via rappresenterebbe ben poca cosa per le possibilità di costruzione di una “rete etnica” informale, resta che la donna che ha denunciato è completamente priva di contatti e conoscenze spendibili. Si tratta di una posizione anomala. I migranti di solito si muovono attraverso reti di conoscenza e solidarietà interna, di gruppo o familiari. Non chi denuncia lo sfruttamento: la donna si trova ad interagire solo più con operatori sociali ed enti del paese di accoglienza, o con donne che si trovano nella sua stessa condizione. E questa interazione con gli operatori sociali ha, per così dire, una data di scadenza, un momento futuro in cui non sarà più di nessun aiuto. Queste considerazioni possono spiegare perché le donne faticano a rendersi autonome e come possano essere interpretati, anche in un’ottica di stabilizzazione occupazionale, i tentativi di costruzione ex novo di reti solidaristiche fra le donne beneficiarie di misure di protezione sociale. Tentativi a volte contraddittori, incoerenti, che indicano la ricerca di soluzioni ad una innaturale e pericolosa condizione di isolamento. Ma poiché le reti informali di tipo etnico sono anche, come abbiamo visto, un potente vincolo alla mobilità dell’immigrato all’interno del mercato del lavoro, l’innaturale condizione di isolamento della donna che ha denunciato si trasforma in una opportunità. I soggetti istituzionali e gli enti solidaristici che intervengono in questa fase hanno dunque la grande responsabilità di saper vedere, al di là della situazione contingente, dell’emergenza, della necessità di guadagnare subito, tutti i rischi dei percorsi stereotipati e tutte le opzioni che possano condurre, ora ed in futuro, alla ricerca di una occupazione che sia adeguata alle proprie competenze, corrispondente alle proprie aspirazioni, gratificante, capace di sviluppi. Il profilo di competenze Pur senza voler eccedere nelle generalizzazioni, bisogna riconoscere che tra le donne in protezione sociale vi è scarsità di profili professionali acquisiti nel paese di origine che siano direttamente spendibili in Italia, e vi è un diffuso analfabetismo informatico. manuale_4_B 20-05-2005 58 17:44 Pagina 58 Progetto Equal Li.fe. - Libertà Femminile Oltre la borsa lavoro Non è invece scontato che vi siano una scarsa conoscenza della lingua italiana, o un basso livello di istruzione. A prescindere dal titolo di studio conseguito nel paese di origine è però possibile incontrare donne africane, e talvolta donne albanesi, di scarsa istruzione, e non mancano casi di analfabetismo. Il grande limite è, come abbiamo visto, nell’indisponibilità generalizzata ad impostare un coerente progetto di miglioramento professionale, in genere dovuta alla fretta di guadagnare per far fronte alle richieste che giungono dalla famiglia di origine. L’incrocio tra competenze e opportunità richiede però qualche riflessione ulteriore. Il mercato del lavoro italiano si mostra per lo più incapace di riconoscere e valorizzare le competenze possedute dagli immigrati. Un primo elemento da discutere è quindi: esiste un tipico profilo di competenze della donna straniera beneficiaria di misure di protezione sociale? Non è così, evidentemente. Le donne straniere beneficiarie di misure di protezione sociale costituiscono un gruppo abbastanza eterogeneo per area geografica di provenienza (nella quasi totalità dei casi: Nigeria, Romania, Albania, Moldavia e altri paesi dell’Europa Orientale e Balcanica) da poterlo escludere con certezza. Nelle storie di queste donne si mescolano la provenienza da aree urbane o rurali, da paesi ad alta industrializzazione e fortemente strutturati nel sistema scolastico e formativo o da zone in ritardo di sviluppo e con un sistema scolastico poco efficiente, le situazioni familiari solide o disgregate, la necessità e la possibilità di lavorare subito e il fatto di essere partite appena finiti gli studi, o interrompendo la scuola (stiamo evidentemente intendendo il profilo di competenze in una accezione assai ampia). Limitandoci però alla nostra esperienza con le donne nigeriane, la possibilità di definire un profilo comune esiste. Le donne nigeriane provengono da un’area ben delimitata del grande paese africano: l’Edo State e in particolare la città di Benin City. Benin City ha sempre avuto il carattere di luogo del potere tradizionale, in quanto residenza dell’Oba, e l’importanza del grande crocevia commerciale, ma non vi ha affiancato un significativo sviluppo industriale. In un quadro generale di discreta industrializzazione del Sud Ovest del paese (si pensi al Delta State, a Port Harcourt, ecc.) ha mantenuto un profilo che potremmo definire “parassitario”, candidandosi a divenire, come è poi avvenuto, terra di emigranti. Non è questa la sede per approfondire i motivi che hanno portato alla “specializzazione” di Benin City nell’esportare donne attraverso la tratta per sfruttamento sessuale e gli argomenti che possano spiegare il fatto che poco meno del 90% delle donne avviate alla prostituzione in Italia e in Spagna proviene da una città che ha una popolazione di circa un decimo della “capitale di fatto” Lagos. Ci accontentiamo di assumere una certa omogeneità culturale (quasi tutte le donne provenienti da Benin City sono di etnia Benin), di età e di livello di istruzione. La maggior parte delle ragazze nigeriane che entrano nel programma di protezione sociale hanno una età compresa fra i 20 e i 26 anni, e hanno terminato il corso di studi superiore alla primaria (la Secondary School). Ma il corso di studi secondari seguito non sembra aver consentito di acquisire conoscenze che in Europa si considerano di base, e spesso le donne mostrano di essere in difficoltà nella lingua inglese, soprattutto se scritta, fino a delle forme di vero e proprio semi – analfabetismo (che le interessate, orgogliosamente, non amano ammettere). In molti casi hanno partecipato alle attività che la propria numerosa famiglia, spesso messa in difficoltà dalla separazione dei genitori, dalle dinamiche della poligamia, dalla scomparsa del padre o della madre, ha dovuto intraprendere per procurare di che vivere a tutti: piccole attività commerciali di tipo informale, come la vendita di preparati alimentari al mercato, oppure il lavoro nei campi, quando si viveva al villaggio. In genere sono le sorelle più grandi, da sempre abituate ad essere responsabilizzate nella cura dei più piccoli. Alcune hanno prestato lavoro presso esercizi commerciali della città (supermercati, ristoranti, ecc.) senza ricavarne una particolare esperienza formativa, almeno dal punto di vista della sua utilità in Italia. Quasi nessuna racconta di aver lavorato con dei macchinari industriali, o dichiara di avere conoscenze informatiche, una qualche specializzazione ecc. Ci troviamo quindi di fronte a delle scarse credenziali educative e competenze professionali che spiegano l’accesso ad un lavoro, manuale_4_B 20-05-2005 17:44 Pagina 59 Progetto Equal Li.fe. - Libertà Femminile Oltre la borsa lavoro in Italia, di basso profilo: scomodo, sporco, impegnativo, se non addirittura pericoloso. Si riproduce una situazione che le Nigeriane hanno già vissuto, anche se non compreso in pieno: la propria collocazione sul fondo di una piramide economica. Prima, nell’industria del sesso a pagamento, il lavoro di strada con le tariffe più economiche; ora, finalmente in grado di potersi posizionare nella compagine economica – produttiva socialmente riconosciuta, i mestieri peggiori, meno pagati, più precari. A queste donne si chiede quindi di accollarsi mansioni, orari e condizioni di lavoro non più accettate dalla manodopera nazionale. La consapevolezza del percorso di esperienze dure e in parte disperanti che queste donne hanno iniziato dal giorno del loro arrivo in Italia, e dell’urgenza delle richieste dei propri familiari, le spinge ad una grande disponibilità al lavoro, a qualunque condizione. La sfida che deve essere raccolta dai soggetti facilitatori dell’integrazione sociale è quella della valorizzazione di quelle esperienze che risultino direttamente spendibili sul mercato del lavoro italiano (poche, purtroppo) e soprattutto il miglioramento del profilo professionale delle donne. Tenendo presente il fatto che non ci troviamo di fronte a mature madri di famiglia che migrano alla ricerca dei mezzi economici per garantire un futuro migliore ai propri figli, ma a persone molto giovani, per le quali è improponibile il sacrificio dell’esistenza alle esigenze dei propri genitori, fratelli e sorelle. Alcune considerazioni sulle aspirazioni professionali di queste donne. Abbiamo stabilito che in gran parte non hanno mai avuto esperienze di lavoro operaio, eppure il “lavoro in fabbrica” resta il loro obiettivo principale, una volta superate le dichiarazioni iniziali di disponibilità a “qualsiasi lavoro”. Il livello di istruzione effettivo, più basso di quello ufficiale o dichiarato, costituisce una prima spiegazione del grado di soddisfazione che le donne nigeriane manifestano per il lavoro in fabbrica: è noto infatti che vi è una netta correlazione fra basso livello di istruzione e soddisfazione per il lavoro operaio. A questo si può aggiungere che l’inserimento in una azienda di produzione rappresenta effettivamente un obiettivo di medio alto profilo per una donna straniera, se 59 consideriamo l’impegno di tempo paragonandolo a quello dei servizi di cura alla persona e assistenza gli anziani (che possiamo ritenere una sorta di soglia inferiore di accesso al mercato del lavoro, tenendo presenti le considerazioni fatte prima sull’età delle nostre donne) e una certa maggiore garanzia di veder riconosciuti i propri diritti di lavoratrice. Infine, l’impiego in fabbrica permette di trasmettere una immagine di integrazione e di riuscita ai propri cari, nel paese di origine, dove il lavoro salariato in Europa appare come un miraggio. Le mansioni del lavoro operaio generico, o a bassa specializzazione, sono peraltro bene accette alle donne nigeriane. Una volta superata la difficoltà del velocizzare le operazioni manuali, la ripetitività dei gesti e il relativo isolamento sembrano rassicurarle. Possiamo spiegarci questo fatto con la particolare condizione in cui si trovano al momento dell’inserimento in azienda. Oltre alla comprensibile, e comune a tutti, timidezza iniziale, le donne devono fare i conti con la scarsa conoscenza della lingua italiana e la disabitudine a relazionarsi con gli italiani, soprattutto in un contesto lavorativo. Possiamo anche dare per certo che questa difficoltà abbia una origine marcatamente culturale, che porta la donna a chiudersi in se stessa, incapace, per il momento, di interpretare correttamente le dinamiche interpersonali, i ruoli all’interno del luogo di lavoro e le relazioni di genere (le donne nigeriane non sono capaci, in genere, di sostenere lo sguardo di un datore di lavoro maschio: non sarebbe educato). Ciò non toglie che col procedere dell’esperienza, e dell’integrazione sociale e culturale, le donne possano iniziare ad avvertire con fastidio gli elementi di ripetitività e di relativo isolamento delle mansioni che inizialmente svolgevano con un certo sollievo. Differenza culturale e deficit informativo La cultura di origine delle donne in protezione sociale può essere per certi aspetti simile alla nostra, così come può essere assai distante, ed è difficile generalizzare un modello di differenza culturale senza rischiare quegli schematismi che lo rendono inutile se non manuale_4_B 20-05-2005 60 17:44 Pagina 60 Progetto Equal Li.fe. - Libertà Femminile Oltre la borsa lavoro dannoso. Il modello organizzativo dell’impresa può non essere sconosciuto alle donne che si trovano in protezione sociale, soprattutto se hanno avuto esperienze lavorative “formali” nel proprio paese di origine. D’altra parte i problemi di interazione personale sono all’ordine del giorno, in azienda, e non solo in ambito multiculturale. Incomprensioni, difficoltà comunicative con i colleghi e i datori di lavoro sono accentuati dalla poca propensione alla gestione e valorizzazione della differenza, soprattutto nelle aziende di piccole dimensioni. Nel caso delle donne nigeriane, spesso le forme di deferenza tradizionali (legate all’età e al sesso) a cui abbiamo accennato sopra creano perplessità: il fatto di non essere guardati negli occhi, anziché come forma di rispetto, viene letto come timidezza, irresolutezza e rischia di essere inteso come segno di poca sincerità o fiducia. La trasgressione dei codici di deferenza, oppure l’incomprensione linguistica, possono scatenare le rimostranze delle donne, talvolta convinte di essere offese e discriminate ben oltre la realtà dei fatti. Ricordo la situazione divertente (ma solo a posteriori) di una donna nigeriana che, tirocinante nella cucina di un ristorante, scambiava il cantilenante “neh” dei piemontesi, in una contrazione di “negra”, e accusava i colleghi di razzismo. Si tratta di aspetti critici che vanno riducendosi mano a mano che l’integrazione socio – culturale si fa effettiva, ma che possono giocare in negativo nelle delicate fasi del primo inserimento in azienda. Da ultimo, ma non certo per importanza, è il caso di ribadire la necessità di ovviare alla scarsa conoscenza dei propri diritti di lavoratrice. In tal senso, uno dei mezzi migliori sembra l’organizzazione di incontri di gruppo condotti da sindacalisti, che permettano di acquisire conoscenze e fare domande in tono colloquiale 4. Le attività collettive provvedono a fornire strumenti utili al percorso di autonomia e di empowerment, e contemporaneamente contribuiscono a reintegrare le risorse sociali e personali perse lungo il percorso dell’emarginazione. La protezione sociale: effetti indesiderati L’inserimento lavorativo avviene dunque in un contesto problematico, sia per la riduzione degli spazi disponibili sul mercato del lavoro, sia per il gap linguistico (spesso) e formativo (quasi sempre) che le donne in protezione sociale devono superare. Ma il panorama delle criticità non sarebbe completo senza una analisi delle situazioni di crisi interne al percorso di emancipazione proprio della protezione sociale 5. Queste vanno dal ritardo nel rilascio del permesso di soggiorno, questione a Torino purtroppo irrisolta, al rischio di violazioni della riservatezza attraverso diciture nei documenti che rivelano dati personali sensibili. Il dubbio che il permesso non arrivi più resta costante per mesi e genera angoscia, incapacità di concentrarsi, nervosismo. La possibilità che il passato torni a galla diventa una incognita nei rapporti con il datore di lavoro, i colleghi, oltreché con le nuove amicizie, il proprio compagno, i conoscenti che devono costituire il contesto relazionale della “nuova vita”. Vi sono poi fattori di crisi specifici e legati alle forme di accoglienza e accompagnamento. La localizzazione delle risorse abitative della rete di accoglienza: le comunità sono spesso in zone centrali, mentre le opportunità di lavoro sono in genere in zone periferiche o extraurbane. I regolamenti e le norme di convivenza comunitaria (es. orari di rientro incompatibili con quelli di lavoro). La possibilità che le aziende che ospitano borse lavoro si limitino ad un ruolo “parassitario”, senza proporre sbocchi lavorativi. Nota 4. Una attività del genere è stata realizzata con “Porte Aperte”, ciclo di incontri realizzato in collaborazione con la CGIL di Torino all’interno di Aperto (2001-2002). 5. Bisogna aggiungere che in protezione sociale trovano accoglienza anche donne che sono in precarie condizioni di salute fisica, avendo contratto malattie parzialmente invalidanti o debilitanti come diabete, paludismo e talassemia, o che sono Hiv positive. Non mancano inoltre le persone con problematiche di carattere psichico. Un fattore che incide fortemente sulla possibilità di trovare lavoro è poi la presenza di figli molto piccoli: anche quando il programma di protezione sociale è in grado di garantire servizi di babyparking, restano forti le limitazioni alla possibilità di accedere a lavori con orari o localizzazioni “scomodi” o organizzati per turni. manuale_4_B 20-05-2005 17:44 Pagina 61 Progetto Equal Li.fe. - Libertà Femminile Oltre la borsa lavoro E, volendo estendere il discorso agli aspetti di programmazione, troviamo che la scarsità delle risorse dedicate all’accoglienza diurna e al tutoraggio per inserimento lavorativo (i programmi di protezione, ora più che mai in difficoltà economica, tendono a garantire le esigenze primarie), si traduce in una conseguente minore professionalità degli interventi sociali di accompagnamento all’inserimento lavorativo. I progetti di protezione sociale per motivi umanitari hanno tra le caratteristiche peculiari la concezione partecipata tra enti pubblici e organizzazioni no-profit, che riconosce e codifica l’importanza e l’esigenza del lavoro di rete. Raramente vi sono solide connessioni di rete, non parliamo di forme di partenariato, con i servizi per l’impiego e la formazione, i sindacati, le associazioni datoriali. Questo, se da un lato garantisce una migliore “tenuta” del progetto sui dati sensibili relativi alle persone in protezione sociale, dall’altro impedisce la costruzione di interventi sufficientemente informati ed efficaci sotto l’aspetto dell’inserimento professionale. La difficoltà di attivare le risorse della formazione e lavoro a livello regionale e provinciale si lega alle ristrettezze economiche in cui si dibattono i progetti finanziati ex art. 18. A livello nazionale, un maggiore coinvolgimento del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali potrebbe consentire il reperimento delle risorse necessarie alla realizzazione di misure direttamente orientate alla formazione e all’occupazione delle persone in protezione sociale. Soluzioni individuali e soluzioni di gruppo Si dice a ragione che l’unione faccia la forza. Tuttavia i programmi di protezione sociale sembrano aver fatto proprio il principio del “progetto individuale”, escludendo a priori che le forme di solidarietà e condivisione tra le persone che si ritrovano, diciamo così “in comunità”, possano costituire una risposta alle sfide dell’autonomia. Facciamo un passo indietro. Abbiamo detto che le persone che si trovano in protezione sociale sono prive, di solito, di reti personali che le possano sostenere nei momenti di crisi, o che possano proporre le necessarie occasioni di svago e relax. L’inse- 61 rimento in protezione sociale comporta infatti la demolizione delle reti esistenti, magari costituite principalmente da nodi che esercitano una qualche forma di sfruttamento – nodi interni o esterni al racket –, e richiede la costruzione di nuove reti. Queste donne si trovano assieme temporaneamente e casualmente, ma hanno diverse cose in comune, e non tanto nelle dolorose esperienze del passato, quanto nelle problematicità del presente e del futuro. Ma le relazioni tra persone beneficiarie delle misure di protezione sociale che nascono all’interno delle strutture di accoglienza possono costituire una risorsa spendibile nel processo di integrazione presente e futuro? Vale la pena di investirvi tempo e risorse? L’eterogeneità culturale e le forme di accentuata competitività tra le donne che sono in accoglienza lasciano pensare che questi tentativi di condivisione dei problemi e di cooperazione siano, se non privi di valore, scarsamente sostenibili. Tuttavia se osserviamo lo sviluppo di queste relazioni nel medio periodo, e intendiamo con ciò il tempo dell’uscita dalle forme di accoglienza e dell’acquisizione dello status di “cittadino straniero qualunque”, non vediamo solo conflitti e interruzioni di rapporto, ma anche condivisione e solidarietà reciproca. È quindi ipotizzabile che parte delle difficoltà relazionali che intervengono quando queste persone sono ospiti nelle strutture di accoglienza dipendano, oltreché dallo stress tipico della protezione sociale (incertezze e ritardi sulla concessione del permesso di soggiorno, pressioni dei familiari, ecc.), dagli obblighi di convivenza. Vale quindi la pena di riflettere sulla possibilità di rafforzare la solidarietà tra pari, investendovi tempo ed energie degli operatori sociali. Conclusioni L’inserimento lavorativo dei cittadini stranieri, e delle donne in particolare, passa di questi tempi, purtroppo, per i contratti a tempo determinato. Le persone in protezione sociale è scontato si ritrovino in seria difficoltà appena uscite dall’ombrello protettivo del programma, se non sono ancora uscite dal precariato lavorativo. Le donne inserite nei programmi di protezione sociale sono: straniere; molto giovani manuale_4_B 20-05-2005 62 17:44 Pagina 62 Progetto Equal Li.fe. - Libertà Femminile Oltre la borsa lavoro (mediamente); prive di un solido profilo professionale; sole. Se non fossero assistite da misure di accompagnamento, sarebbero facilmente risucchiate ai margini della società e poi da lì nella clandestinità, nell’abuso e nello sfruttamento. I risultati più significativi che possiamo proporci di raggiungere sono relativi alla capacità delle donne di rendersi autonome. Non bisogna creare o rafforzare dipendenze, ma garantire un processo, graduale e misurato, di emancipazione. Le donne seguite nell’ambito di Aperto hanno mostrato determinazione, capacità di adattamento e di apprendimento (in un contesto adeguato). Molte hanno ottenuto risultati significativi; tutte hanno condiviso con gli operatori un percorso non solo professionale, ma di autonomia personale e di grande umanità. Sembra però necessario predisporre altro: luoghi di condivisione di esperienze ed informazioni, dove poter usufruire di servizi e strumenti (banalmente: una linea telefonica fissa che possa essere utilizzata da chi si trova in difficoltà anche solo a fare telefonate di ricerca lavoro) e di adeguate forme di orientamento, accompagnamento e formazione. È il progetto di un drop in per la ricerca attiva del lavoro, che contiamo di realizzare in un prossimo futuro, con l’aiuto di tutti. CRISTIANO BERTI I.D.E.A. Donna Onlus 5.2. Lavoro e donne vittime di tratta Il concetto di “inserimento lavorativo” rimanda a quello di “integrazione sociale e ambientale” soprattutto per le persone extracomunitarie e in particolare per le donne vittime di tratta di cui oggi ci occupiamo. Per sviluppare le problematiche dell’orientamento e dell’inserimento lavorativo è d’obbligo la distinzione tra donne provenienti dai Paesi dell’Europa dell’Est e donne africane, in particolare nigeriane e donne che hanno già fatto un percorso di emancipazione all’interno di comunità. Costruire un’esperienza nell’ambito dell’inserimento lavorativo delle donne adulte straniere, vittime della tratta, ha richiesto in prima istanza un’approfondita conoscenza della loro cultura, dei luoghi di provenienza e delle loro storie personali; in seguito una seria verifica dell’effettiva capacità e disponibilità del mondo del lavoro, ad includere nei processi produttivi donne che portano con sé l’esperienza del lavoro di strada, anche se coatto. La ricerca della risorsa lavorativa è stata fatta dapprima a largo raggio e poi ristretta alle piccole aziende e alle attività artigianali (parrucchieri, pasticceria, pastifici, ristoranti) dopo aver verificato che le suddette attività sono le più interessate e disponibili a fare formazione, a trasmettere capacità e conoscenza e a mettersi in relazione con giovani donne che spesso non hanno mai svolto una vera e propria attività lavorativa nel paese d’origine e con le quali è quindi possibile poter cominciare da zero. Le donne sono generalmente molto giovani, con vissuti familiari di grande povertà materiale e morale, problemi di alcolismo e tutto ciò che ne consegue. Hanno un’istruzione medio bassa, suppliscono in molti casi ad assenze paterne e materne nella crescita dei minori, vivono prevalentemente in piccoli e poveri paesi lontani dalle grandi città. Le donne dell’Est hanno una buona predisposizione all’apprendimento della lingua italiana e dopo essersi affrancate dal lavoro coatto di strada, dimostrano una forte adesione al progetto lavorativo e un consolidamento delle scelte maturate con l’obbiettivo di stabilirsi in Italia, paese considerato ricco e pieno di opportunità. Per quanto riguarda le ragazze nigeriane l’orientamento e l’inserimento è risultato decisamente più difficile e problematico per diverse ragioni: distanza culturale, difficoltà linguistiche, scarsa predisposizione a certi tipi di lavoro, molta prevenzione da parte dei datori di lavoro, soprattutto negli esercizi aperti al pubblico, difficoltà a rispettare i ritmi ed i tempi di lavoro. Per loro si cercano lavori più semplici e ripetitivi con tempi decisamente più lunghi di entrata nella nostra logica lavorativa. L’inserimento lavorativo è stato effettuato mediante l’erogazione di borse lavoro di 6/9 mesi. Al momento in cui arrivano a noi per l’orientamento lavorativo, anche dopo un percorso in comunità, quasi tutti i loro sogni sono spezzati, hanno ferite morali che le rendono fragili e, a volte, aggressive e desiderose di risarcimento. Al colloquio, la prima cosa che emerge, al di là dell’esplicita richiesta di lavoro, è un manuale_4_B 20-05-2005 17:44 Pagina 63 Progetto Equal Li.fe. - Libertà Femminile Oltre la borsa lavoro grande bisogno di relazioni significative e di famiglia, che spesso ricercano nel rapporto con il cliente che le ha “salvate” e che ha sopperito ai loro primi bisogni materiali. Non fanno richieste di un particolare lavoro, non avendo o quasi, esperienze precedenti ma si capisce che il lavoro deve essere strettamente legato ad un ambiente in cui si possano sviluppare relazioni significative, attenzione ai loro bisogni, comprensione delle loro paure. Ecco perché ci siamo prevalentemente rivolti ad attività commerciali e artigianali a conduzione familiare, a cooperative o a piccole aziende con pochi dipendenti. In tali luoghi, infatti, più che in altri, si possono porre in atto le relazioni predette anche grazie al fatto che le ragazze hanno voglia di apprendere un mestiere, rispettano gli orari, si impegnano per apprendere la nostra lingua e cercano di adattarsi all’ambiente. Non sono stati attivati percorsi lavorativi come collaboratrici domestiche o badanti in quanto la giovane età delle ragazze ed il loro desiderio di mantenere le relazioni intraprese al loro arrivo in Italia non sono compatibili con un lavoro “chiuso” e a tempo pieno. Certamente lo strumento “borsa 63 lavoro” è fondamentale e, in molti casi, indispensabile a tutela di entrambi i contraenti. Le borse lavoro vengono attivate dal Consorzio “Abele Lavoro” e prevedono la presenza di un tutor che segue e verifica l’andamento dell’inserimento lavorativo. Nella nostra esperienza il turoggio viene svolto da persone adeguatamente formate nell’accompagnamento e nella relazione d’aiuto con persone straniere e vittime di tratta. Nel 70% dei casi le borse lavoro sono sfociate in un’assunzione. Il buon esito degli inserimenti ha creato offerte di lavoro ulteriori che hanno reso più facile l’inserimento lavorativo. Purtroppo i progetti finanziati dagli enti pubblici prevedono borse lavoro poco remunerative, rendendo difficile, almeno a medio termine, un percorso di autonomia economica con il grave rischio di ricadute nella situazione pregressa. Possiamo concludere che l’inclusione lavorativa è l’elemento primo per essere cittadine a tutti gli effetti e per indurre un reale cambiamento nella nostra società che si sta misurando con il grande problema dell’integrazione sociale delle persone extracomunitarie. Gruppo Abele manuale_4_C 20-05-2005 64 17:45 Pagina 64 Progetto Equal Li.fe. - Libertà Femminile Destini incerti e guerre quotidiane capitolo 6 Destini incerti e guerre quotidiane Appunti etnopsicologici sulla cura di donne africane sfruttate SIMONA TALIANI 6 Fratellino, una cosa posso garantirle: come inizio di vita quello di Teresa Batista è stato un inizio coi fiocchi: le pene che ha sofferto lei da bambina ben pochi le patiscono all’inferno; orfana di padre e di madre, sola al mondo – sola contro Dio e contro il Diavolo, per lei neanche Dio ha provato compassione. Ebbene quella dannata ragazzina ha superato, così da sola, il periodo più duro, il peggio del peggio, e è uscita fuori sana e salva all’altra riva col sorriso sulle labbra […]. Il difficile per Teresa è stato imparare a piangere, perché era nata per ridere e stare allegra. Non glielo hanno voluto permettere, ma lei ha tenuto duro, testarda come un mulo quella Teresa Batista. E il paragone è sbagliato, giovanotto, perché essa non aveva niente del mulo al di fuori della testardaggine; non era né un maschiaccio, né una pretenziosa, né una sboccata – ah, che bocca pulita e profumata che aveva! – né una vipera, né una prepotente, né un’attaccabrighe… Era una tiranna solo in amore; come ho già detto e confermo, era nata per amare e solo in amore era rigorosa. E allora perché l’hanno chiamata Teresa Attaccabrighe? Ebbene, amico mio, proprio perché era brava a litigare, audace e altera, come lei non c’era nessuna, ma non ce n’era neanche con un cuore di miele così. Odiava le chiassate e risse non ne provocava mai; però, certamente a causa di quello che le era successo da bambina, non sopportava di vedere un uomo picchiare una donna. JORGE AMADO, Teresa Batista stanca di guerra 7 Nascita e premesse metodologiche del Centro Frantz Fanon In questi anni di lavoro clinico, l’incontro quotidiano con la sofferenza di cittadini immigrati ha reso necessario riflettere sul ruolo delle ideologie della cura nel rendere accessibile (o all’opposto) faticose le parole dell’Altro e sulle modalità di ascolto che vengono adoperate e all’interno delle quali può arenarsi la relazione interpersonale costruita. Gli interrogativi che rimangono spinosi in questo ambito di attività riguardano il nostro fare quotidiano con persone straniere che vivono spesso nella clandestinità e che hanno vissuto episodi traumatici connessi all’esperienza catastrofica del viaggio, ai soprusi subiti nel corso della migrazione, agli abusi e allo sfruttamento a cui queste vite sono andate incontro. La violenza segna questi percorsi, scanditi da tappe predeterminate nelle più importanti città africane ed europee (da Abidjan a Casablanca, fino a Madrid; da Bucarest a Praga, fino a Milano); tappe durante le quali questi corpi sono alla mercé degli uomini, o delle donne, che li ‘vendono’8: corpi di vita, e di infinito arricchimento, e corpi di morte, di sterilità, di rinuncia. Agire all’interno delle istituzioni con questa utenza immigrata obbliga a riconoscere e a interrogare la conflittualità che è in gioco nei processi di costruzioni identitarie ambivalenti, precarie, faticose. Sono donne, queste, che hanno attraversato territorio così diversi, sopportato esperienze così dolorose, rinunciato in Nota 6. Simona Taliani è psicologa e docente di antropologia culturale (Università di Torino). Collabora dal 1997 con il Centro Frantz Fanon e dal 1999 è consulente del Comune di Torino all’interno del Progetto Freedom, dedicandosi in modo particolare alla formazione degli operatori e all’ascolto psicologico rivolto a donne straniere in difficoltà. All’analisi delle situazioni cliniche presentate in questo lavoro ha contribuito Roberto Beneduce, etnopsichiatra e antropologo, responsabile del Centro Frantz Fanon. 7. Jorge Amado, Teresa Batista stanca di guerra, Einaudi, Torino, 1975, pp. 10-11. 8. Non ritengo ci sia termine più proprio di questo, sebbene si debba sottolineare quanto le modalità attraverso cui vengono stipulati questi ‘contratti’, questi cicli di ‘crediti’ e ‘debiti’ infiniti, siano differenti se consideriamo i vari contesti della prostituzione (differenziando, a grandi linee, quello cosiddetto ‘africano’ da quello che coinvolge prevalentemente le donne provenienti dall’est europeo). manuale_4_C 20-05-2005 17:45 Pagina 65 Progetto Equal Li.fe. - Libertà Femminile Destini incerti e guerre quotidiane molti casi a diventare madri o a essere madri dei loro figli, dimostrato con caparbietà la loro intenzione a portare a termine un progetto di migrazione, per noi a volte talmente confuso da essere impossibile, irraggiungibile. Chi sono queste donne? Cosa desiderano per il loro futuro? Cosa chiedono alle istituzioni? È evidente, per molti degli operatori che lavorano in questo ambito, che le domande poste da queste donne ci interrogano a fondo, rispetto al nostro mandato istituzionale e agli obiettivi da perseguire; allo stesso tempo, queste domande ci impegnano sul piano delle responsabilità, a partire dalle scelte che operiamo e dalle politiche (della cura, dell’educazione, dell’assistenza) che noi stessi, in qualità di operatori, riproduciamo. La relazione tra operatore e utente nel campo specifico della clinica e della psicoterapia interculturali obbliga, per altro, a una riflessione critica e originale delle teorie e delle metodologie psicologiche. Questa relazione promuove dei processi di riconoscimento della differenza e della sofferenza umana che sono per molti versi peculiari. È intorno a questa coppia antropologica (Identità/Alterità), generata dall’incontro con l’Altro culturale, e al processo psicologico soggiacente (riconoscimento dell’Altro e dell’Identico) che si cercherà di tornare ripetutamente in queste brevi riflessioni. Fulcro di questo discorso è l’esperienza del Centro Frantz Fanon9 di Torino e, più in particolare, il lavoro condotto in questi anni all’interno del Progetto Freedom, in collaborazione con gli uffici socio-assistenziali della città. Il Centro Frantz Fanon nasce ufficialmente nel 65 1996, come un gruppo di lavoro interdisciplinare e interculturale composto da psichiatri, psicologi, sociologi, mediatori culturali, antropologi, educatori. La presenza sul territorio di una fascia sempre più ampia di popolazione immigrata ha reso, infatti, importante una riflessione sulla reale accessibilità ai servizi sanitari e, allo stesso tempo, una valutazione sulle modalità di accoglienza delle domande di cura, nonché sulle modalità attraverso le quali rendere efficace l’intervento terapeutico proposto all’utenza straniera. A fronte di un basso numero di persone immigrate prese in carico dai servizi dei Dipartimenti di Salute Mentale di Torino e di alcuni eventi - sentinella di donne immigrate provenienti dai Servizi di Pronto Soccorso o dai Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura10 e inviati presso il Centro con la diagnosi maledetta per eccellenza (quella di schizofrenia)11, il lavoro di questi anni si è caratterizzato per promuovere forme di cura sensibili alla fenomenologia della sofferenza in altri orizzonti culturali e sociali. Ciò per promuovere delle strategie di presa in carico efficaci sotto il profilo diagnostico e contemporaneamente terapeutico, in grado di limitare l’effetto di quello che Arthur Kleinman ha definito nei termini di una “fallacia categoriale”12: la possibilità, cioè, che qualora i medici non riescano a contestualizzare adeguatamente il significato dei sintomi, delle esperienze e delle sofferenze di pazienti provenienti da altri contesti socio-culturali, possano produrre diagnosi improprie e terapie non legittime. Il rischio in questi casi è di muoversi frettolosamente dal registro del ‘siamo tutti uguali’ a quello non meno problematico Nota 9. Servizio di counselling, psicoterapia e supporto psicosociale per gli immigrati e le loro famiglie (c/o D.S.M. A.S.L. 2). Il Centro Frantz Fanon fa parte dell’omonima associazione, fondata nel 1997. Oltre al Centro, nel quale viene condotta l’attività clinica, l’Associazione promuove progetti di formazione e di consulenza rivolti ad operatori sociali e sanitari. Collabora con il Comune di Torino: dal 1999 ad oggi, ha contribuito alla costituzione di un gruppo di lavoro e di coordinamento all’interno del il Progetto “Freedom” e dal 2003 offre un’attività di consulenza etnopsichiatrica e di supervisione all’interno del Progetto “Una finestra sulla piazza” (progetto rivolto alla prevenzione del disagio giovanile dei minori stranieri non accompagnati e a rischio di esclusione sociale). In questi anni ha svolto attività cliniche, di ricerca e di formazione in Progetti rivolti a rifugiati, richiedenti asilo e vittime di tortura, vittime della tratta e dello sfruttamento, detenuti stranieri ecc. 10. Roberto Beneduce, Delia Frigessi, Simona Taliani, Francesco Vacchiano, Etnopsichiatria clinica e migrazione: l’esperienza del Centro Frantz Fanon, in Morosini, de Girolamo, Picardo, Polidori (a cura di), La ricerca in salute mentale: risultati, implicazioni, ricadute, Rapporto Intermedio di Progetto al termine della Prima Fase, Istituto Superiore di Sanità, Roma, 2000, pp. 50-56. 11. Roberto Beneduce, Sessualità, corpi fuori luogo, cultura. Pratiche e discorsi su immigrazione e prostituzione, in “Pagine” Gruppo Abele, Torino, 2003, 2, pp. 6-63. 12. Arthur Kleinman, Social Origins of Distress and Disease, Yale University Press, London, 1986, p. 46. manuale_4_C 20-05-2005 66 17:45 Pagina 66 Progetto Equal Li.fe. - Libertà Femminile Destini incerti e guerre quotidiane del ‘siamo incommensurabilmente diversi’ (un rischio che corrono gli operatori sociali non meno di quelli sanitari). È stato proprio a partire da alcune storie di giovani donne africane, dai loro vissuti di ‘smarrimento’ e di ‘confusione’, dagli ‘episodi di agitazione psicomotoria’ e dai loro racconti disorientanti, prossimi al ‘delirio religioso’, che abbiamo sviluppato le prime riflessioni sia sul senso della malattia per persone straniere impaurite, spaventate, traumatizzate; sia sulle modalità di accogliere il loro intenso disagio. Il presente contributo si propone di sviluppare alcune riflessioni sui problemi di cura posti da donne immigrate provenienti dall’Africa sub-sahariana, ciò che non esaurisce la questione più generale. Si deve, infatti, riconoscere che una riflessione sulle domande di ascolto e i bisogni di cura delle donne originarie dell’Est europeo meriterebbe un’analisi di almeno due aspetti: a) le esperienze di violenza domestica vissute da queste donne all’interno delle famiglie d’origine e, in particolare, le ambivalenze nei confronti delle figure ‘maschili’ (padre, fratelli, figli, sfruttatori); b) lo stato ‘anaffettivo’ che presentano nel parlare delle loro storie: sono molti gli operatori che sottolineano l’impossibilità di penetrare i vissuti, gli stati emotivi, di queste giovani donne che si raccontano “senza una lacrima”, “come se stessero parlando di un’altra persona”, “come se stessero parlando d’altro”. Donne moderne? In questi anni di attività clinica, le testimonianze raccolte dai singoli pazienti13 ci spinge a ritenere che un numero crescente di malintesi – e di conflitti – nel contesto dei Servizi sia dovuto alla fede che molti operatori sociali e sanitari nutrono nella nozione di ‘progresso’ e di ‘modernità’, aderendo senza nessuna screpolatura ai paradigmi della scienza medica. La nozione di ‘progresso’ (che chiama diretta- mente in causa la questione dell’alterità e delle modalità con cui rapportarsi ad essa), fonda le sue premesse sulla rivendicazione di una necessaria e progressiva modernizzazione di tutti coloro che sono (ancora) ancorati ai retaggi della tradizione. Questo obbligo a essere moderni, a progredire, nasconde una richiesta di definitiva assimilazione dell’Altro ai nostri parametri o, per riprendere le parole di Frantz Fanon, nasconde una richiesta di alienazione dai suoi sistemi di riferimento. Chiedendo all’Altro di diventare come noi si introduce, infatti, una logica perniciosa perché si offre come unica soluzione una trappola: se come noi non diventa, il problema si riduce ad essere dell’ordine di una sua mancanza (naturale o naturalmente culturale). Il tipo di ragionamento che viene così proposto legittima equazioni discutibili al fine di sostenere che questi individui, incapaci di modernizzarsi, mancano di capacità cognitive sufficienti oppure che mancano di capacità relazionali oppure, ancora, che mancano delle capacità di adattamento necessarie a ogni integrazione. Il problema, nella sua drammaticità storica, sorge ogni qualvolta questi individui sembrano ostinati a non voler rientrare all’interno della cornice che gli offriamo: ostinati, dunque, a rimanere da qualche parte esseri mancanti. “È una donna primitiva nel modo che ha di accudire il suo bambino”, diceva un giorno un operatore di comunità per descrivere il comportamento di una donna nigeriana nei confronti del figlio di pochi mesi. Alcuni gesti messi in atto da questa madre avevano preoccupato l’équipe: primitivi erano i suoi bruschi movimenti nel prendere il bambino da un braccio, nel sollevarlo sulla schiena, nel posizionarlo sul dorso per farlo dormire in una posizione quanto mai scomoda… Questioni di punti di vista, si dirà. Questioni di punti di vista, certo, che però trasformano di fatto l’Altra in una primitiva, in una arretrata, in una incapace: sinonimi (più o meno) irriguardosi della diversità di Nota 13. Dal 1996 ad oggi sono stati presi in carico circa settecento casi. Le persone che sono state seguite provengono prevalentemente dal Marocco, dalla Nigeria, dalla Repubblica Democratica del Congo, dalla Costa d’Avorio, dal Senegal, dal Perù, dall’Ecuador, dall’Argentina, dall’Albania e dalla Romania. Le donne inviate dal servizio socioassistenziale dell’Ufficio Stranieri Adulti e Minori, e dalle comunità d’accoglienza, all’interno del progetto “Freedom”, sono state circa novanta (in particolare, ci si è occupati di donne nigeriane, rumene, albanesi e ucraine). Rimangono ancora ‘invisibili’ le donne marocchine avviate alla prostituzione (poche, almeno, sono quelle arrivate presso il nostro servizio). manuale_4_C 20-05-2005 17:45 Pagina 67 Progetto Equal Li.fe. - Libertà Femminile Destini incerti e guerre quotidiane cui l’Altra è portatrice con i suoi gesti, i suoi modelli, il suo modo di camminare, di vestire, di mangiare… Questioni non di poco conto, dunque. L’attenzione che come gruppo di lavoro prestiamo da sempre alle ricerche medicoantropologiche (Arthur Kleinman, Byron Good), alle riflessioni politiche e sociologiche (Edward Said, Abdelmalek Sayad), alle aspre critiche rivolte alla psichiatria coloniale (Frantz Fanon), è pertanto tutt’altro che ingenua, tanto più – vorremmo dimostrare – nella clinica e nella psicoterapia. Guardare agli individui stranieri che incontriamo come a dei soggetti politici, senza obbligarli ad essere ciò che supponiamo che siano o che supponiamo debbano diventare (dei corpi addolciti e addomesticati dalle nostre pratiche sociosanitarie), è nella maggioranza dei casi una strategia efficace sotto un profilo psicoterapeutico, perché produce cambiamenti, genera vincoli, costruisce alleanze, facilita l’instaurarsi di relazioni transferali e, laddove sia effettivamente necessario, permette di essere molto più accorti nel riconoscere i segni di un sempre possibile deragliamento nel dominio del patologico di vite contraddistinte da una profonda ambiguità relazionale, per variabili che concernono l’intricato sfondo storico, sociale, politico e psicologico di cui hanno avuto esperienza e su cui poggia oggi la loro natura umana. Riteniamo che un tale percorso di riflessioni sia oggi indispensabile da percorrere se si vuole riuscire a collocare la diversità culturale delle altre donne, immigrate (e, contemporaneamente, ‘indigene’, ‘primitive’, ‘colonizzate’, ‘ex-colonizzate’, ‘traumatizzate’, ‘vendute’) dentro la trama delle loro sofferte individualità. Assenza di permesso di soggiorno, mancanza di lavoro, impossibilità di trovare una casa: storia di un arresto cardiaco ‘sospetto’ Le donne nigeriane, che vengono inserite nei programmi di protezione sociale da parte della Questura e che l’Ufficio Stranieri del 67 Comune di Torino affida alle comunità di accoglienza, sembrano essere “le più difficili da gestire”. In questi ultimi anni, durante dei momenti particolarmente critici per gli operatori delle comunità d’accoglienza, si è addirittura ipotizzato di limitare la loro presenza all’interno delle singole strutture: ‘tre’ è sembrato il numero sostenibile, al di sopra del quale alcuni operatori riferivano di non riuscire più a evitare la riproduzione di dinamiche complesse, segnate da episodi di intensa aggressività. I problemi causati da queste giovani donne non sono stati pochi, né si può dire che siano stati semplici da risolvere: vetrate rotte, coltelli ostentati, accuse e minacce di ogni tipo contro altre donne e i loro bambini. Ciascun operatore può ritrovare nella sua esperienza immagini di litigi furibondi: scene di ordinaria violenza che queste donne sembrano perpetrare tra di loro. Le minacce e le accuse di stregoneria in questi casi sono, facilmente, dietro l’angolo. Il problema sembra, però, essere meno connesso a una questione di ‘quantità’ e più legato a una incomprensione di fondo su quello che succede tra queste donne14. Alcune delle loro posizioni culturali sono disorientanti, perché viene nominato un’invisibile a noi poco familiare (nelle sue molteplici possibilità di manifestarsi: attraverso la possessione di uno spirito, l’attacco di stregoneria di una rivale, il ritorno di entità ancestrali risentite…): sono posizioni culturali che, per queste ragioni, potremmo definire scomode perché non sappiamo bene in che modo poterle utilizzare nella relazione con l’utente. Diverse sono state le occasioni di parlare di simili questioni durante gli incontri di coordinamento che vedevano coinvolti gli operatori (laici e non) delle comunità di accoglienza: rispetto a queste donne nigeriane, ai loro modelli interpretativi e ai loro gesti, è andato via via emergendo questo aspetto che chiama in causa le dimensioni del ‘religioso’, del ‘morale’ e del ‘sanitario’ (inteso, qui, come ricerca di Nota 14. Proprio a partire da queste considerazioni, abbiamo cercato in questi anni di promuovere con alcuni operatori sociali una strategia di intervento educativo che fosse finalizzate a ricostruire in modo puntuale: a) i percorsi migratori di queste donne; b) le relazioni gerarchiche tra le donne che si trovavano nella stessa struttura d’accoglienza (in termini di età, appartenenze a gruppi etnici, sociali, religiosi, ecc.); c) le ‘posizioni’ sociali assunte da ciascuna donna prima dell’inserimento nel progetto sociale previsto per legge dopo la denuncia alle Forze dell’Ordine. manuale_4_C 20-05-2005 68 17:45 Pagina 68 Progetto Equal Li.fe. - Libertà Femminile Destini incerti e guerre quotidiane salute e di benessere). Perché sono malato? Perché il mio bambino è malato? Perché non ho ancora il permesso di soggiorno? Perché non riesco a trovare un lavoro stabile? Cosa ho fatto di ‘male’ e chi mi ha fatto del ‘male’? Come ritrovare la salute perduta? A chi affidarmi? Domande diverse alle quali si risponde ricorrendo, il più delle volte, a interpretazioni simili che chiamano in causa l’azione di un ‘terzo mal intenzionato’ che blocca i progetto fatti e che impedisce la loro realizzazione. Sono rappresentazioni che sarebbe più semplice far dimenticare? Se potessimo selezionare definitivamente che cosa trattenere di un determinato mondo culturale e che cosa, invece, rigettare nel mondo inutile della superstizione, della credenza, della stupidità, avremmo così risolto una buona parte dei nostri problemi? La via apparentemente più facile non necessariamente è quella ‘efficace’ (come si può facilmente intuire, sono questione talmente delicate per le quali diventa impossibile poter scegliere in nome di qualcun altro che cosa ricordare e che cosa dimenticare del proprio universo culturale di riferimento, a meno di non riprodurre forzature, costrizioni e logiche di violenza). Proviamo, ora, a focalizzare due o tre punti della questione, attraverso l’analisi del disagio di una giovane donna nigeriana, inviataci da un’équipe di comunità15. Da alcuni anni seguiamo presso il Centro Frantz Fanon un équipe di educatori operanti all’interno del progetto “Freedom”, per un lavoro di supervisione delle situazioni difficili che hanno in carico. Nella maggior parte dei casi questi operatori si trovano ad interagire con donne nigeriane, provenienti soprattutto dalla città di Benin City, appartenenti in prevalenza al gruppo etnico Edo (più rare sono invece le donne Igbo e Yoruba, provenienti rispettivamente dal sud-est e dal sud-ovest della Nigeria). A seguito di un forte malessere di una di queste donne – che viene descritto come una sorta di ‘morte apparente’ nel corso della quale la giovane “perdeva lentamente calore e si faceva sempre più fredda”, e il cui battito cardiaco rallentava gradualmente – alcuni degli educatori si recano in ospedale, dopo aver chiamato d’urgenza l’ambulanza. A questo primo episodio segue un secondo momento di crisi nel quale si hanno da parte di Miracle episodi di vomito insieme alla comparsa di alcune crisi convulsive, con caduta a terra e perdita di coscienza (e, a detta del personale infermieristico nuovamente chiamato d’urgenza, arresto cardiaco)16. Il personale medico presente in ospedale non riscontra alcuna anomalia cardiaca, né neurologica, dopo ripetuti accertamenti. Per queste ragioni invia la ragazza presso il Servizio psichiatrico di diagnosi e cura per un accertamento psichiatrico. Dopo il colloquio con Miracle, gli operatori presenti in ospedale vengono rassicurati dal medico psichiatra sullo stato di salute della donna e sulle sue paure di morire, espresse attraverso una confusione generalizzata e il terrore che qualcuno potesse farle del male. Nel corso del colloquio, emerge infatti che la ragazza è cristiana. Gli operatori dell’équipe vengono invitati a ripetere a Miracle che il “vudù non esiste” in modo da convincere la donna dell’inconsistenza di queste paure. La ragazza continua invece disperatamente a ripetere che si deve trattare di vudù. Su segnalazione dei servizi che avevano in carico la ragazza, si sono tenuti alcuni incontri presso il Centro Frantz Fanon. Nel corso del primo incontro Miracle rievoca anche con noi la paura del vudù. D’altra parte questa categoria esplicativa emerge continuamente in situazioni e in contesti eterogenei: dalla questura ai servizi sociali fino ai reparti ospedalieri dei servizi psichiatrici di diagnosi e cura. Nel corso dei colloqui successivi i problemi di Miracle vengono articolati a partire da una Nota 15. La donna viene incontrata da Roberto Beneduce (etnopsichiatria) e da Simona Taliani e Jessica Ghioni (psicologhe). Manca la figura del mediatore culturale, perché la ragazza rifiuta di incontrare qualunque connazionale. Una riflessione a parte andrebbe dedicata alla mediazione culturale in ambito clinico con donne così ‘spaventate’ e così vulnerabili: nel momento, cioè, in cui devono parlare del proprio malessere, e lo devono fare nel modo più intimo. I colloqui vengono fatti in inglese. 16 . Il nome ‘Miracle’ è chiaramente uno pseudonimo. manuale_4_C 20-05-2005 17:45 Pagina 69 Progetto Equal Li.fe. - Libertà Femminile Destini incerti e guerre quotidiane forte preoccupazione che la ragazza ha per la madame: dopo la denuncia che ha sporto nei confronti di una donna sua connazionale, inizia a temere che qualcuno possa fare qualcosa sulle valige, sugli abiti e su gli altri suoi effetti personali, lasciati nella precedente abitazione. La madre, dal canto suo, nel corso di una telefonata le raccomanda di riprendersi tutti i suoi oggetti. Insieme a questi discorsi ne emergono altri in cui la presenza di un universo invisibile viene ricordata con nitidezza dalla giovane donna: — Miracle era stata riconosciuta fin da piccola come “spirito - incarnato” dalla propria madre, bambina ogbanje17; — è diventata adepta al culto della Regina delle Acque, fin da adolescente; il giorno dopo aver sognato un corso d’acqua e una voce che la chiamava decise di recarsi insieme ad alcune amiche al fiume lungo il quale veniva celebrato il rituale di Mami Wata da donne vestite di bianco che danzavano in cerchio18; — è ‘madre’ di una figlia mai nata, da lei donata quando era ancora nel suo grembo alla divinità delle acque, perché da questa richiestale durante un sogno; Miracle ci descrive il momento in cui si immerge nel fiume per lasciarvi il corpo (feto già morto) di sua figlia; — da sempre sente delle ‘voci’ che chiamano il suo nome (prima in Nigeria, per strada, oggi qui in Italia, in comunità o sul posto di lavoro), voci che la madre le ha detto fin dalla prima infanzia di ignorare (“prima di 69 rispondere – Miracle ricorda insieme a noi le parole della madre – voltati e guarda se vedi qualcuno; procedi avanti e non rispondere se non c’è nessuno dietro di te”); — ci parla, infine, dei suoi molteplici nomi con i quali è stata chiamata alla nascita: sono sette quelli che ricorda con noi e con essi rievoca i volti delle persone che glieli avevano dati (tracciando insieme i destini che ciascuno di questi nomi aveva configurato per lei). Miracle è una bella e giovane donna nigeriana, non ancora trentenne, giunta in Italia come molte altre donne straniere – dopo viaggi estenuanti attraverso diversi paesi – fino all’arrivo definitivo in qualche città del nord; come tante avviata anche lei alla prostituzione. Certamente non bastano questi dati biografici per riuscire a comprendere che cosa abbia contribuito a determinare la crisi cardiaca e l’estrema paura di morire, che aveva coinvolto profondamente anche gli operatori della comunità (che davvero dicono di essersi visti mancare sotto gli occhi una ragazza apparentemente in buone condizioni di salute fino a qualche istante prima). Le riflessioni vanno nutrite con altri dati che riguardano da un lato il fenomeno migratorio nella città di Torino, dall’altro l’organizzazione istituzionale che si fa carico di queste storie migratorie. La comunità nigeriana, sebbene non sia la più rappresenta e numerosa nella città, ha saputo costruire momenti aggregativi rilevanti intorno ad alcune Chiese protestanti e carisma- Nota 17. Il termine è igbo, ma viene comunemente utilizzato dalle donne edo che incontriamo; letteralmente significa ‘spirito incarnato’ ed è una nozione che secondo alcuni autori si incontra in area yoruba attraverso l’espressione che indica il ‘bambino nato per morire’ (abi-ku: nascere e morire). 18. La letteratura sulle rappresentazioni di divinità femminile delle acque è ricca di riferimenti. Per un approfondimento bibliografico si rimanda al lavoro di Roberto Beneduce, Trance e possessione in Africa, Bollati Boringhieri, Torino, 2002. Qui, vogliamo evocare, piuttosto, le descrizioni tratte dai racconti e dai romanzi di autori come Achebe, Soynka, Okri e altri ancora. Ecco cosa scrive Jorge Amado a proposito di questo meraviglioso personaggio che è Teresa Batista: “Teresa Batista stava dormendo nella casa di Oxùm dove l’aveva alloggiata la Iyalorixà [la sacerdotessa], quando fece un sogno su Januario Gereba, dal quale si sveglio angosciata. In sogno l’aveva visto in mezzo al mare, arrampicato su uno scoglio tra onde colossali, circondato di schiuma e di enormi pesci. Janù tendeva le braccia verso di lei e Teresa si avvicinava camminando sull’acqua come se fosse in terra ferma. Quando stava già per raggiungerlo, ecco che dal mare si alza un’apparizione celeste, mezza donna e mezza pesce, una sirena. Ravvolse Januario con i suoi capelli lunghi e verdi, così lunghi da coprire le squame della sua coda verde come il colore del fondo del mare, e lo portò via con sé. Soltanto all’ultimo momento, quando ormai la sirena e il marinaio stavano per scomparire nell’acqua, Teresa vide la faccia dell’encantada e si accorse che non era Iemanjà [Mami Wata nel pantheon del candomblé brasiliano], come le era parso, ma bensì la morte, il suo volto era un teschio, le sue mani due artigli rinsecchiti”. Cfr. Jorge Amado, Teresa Batista stanca di guerra, Op. cit, pp. 124-125; e più oltre nel testo i sogni di Miracle. manuale_4_C 20-05-2005 70 17:45 Pagina 70 Progetto Equal Li.fe. - Libertà Femminile Destini incerti e guerre quotidiane tiche che sono proliferate in diversi quartieri nell’ultimo decennio (gestite da pastori che arrivano direttamente dalla Nigeria, dal Ghana o dagli Stati Uniti). A parte il mercato e i negozi di prodotti ‘etnici’, le Chiese sono certamente i luoghi privilegiati di incontri tra connazionali. Parallelamente, le comunità d’accoglienza hanno finito con l’assumere ‘profili etnici’ ben delineati: si sono, in altre parole, concentrate fasce d’utenza sempre più omogenee (tanto che si può parlare di comunità d’accoglienza ‘nigeriane’ o ‘rumene’ o ancora, più in generale, di ‘giovani dell’est europeo’, ecc.). La costituzione di ‘micro-sistemi etnici’ trova le sue origini in fattori molteplici, che proviamo qui a elencare: dalle banali esigenze ali- mentari delle donne ai più seri problemi di razzismo tra gruppi di immigrate; dal rifiuto di alcune comunità a gestire una tipologia di donna che non corrisponde all’immaginario collettivo della ‘vittima’, ma che è più prossimo a quello di una ‘imprenditrice alla ricerca di ricchezza’19, al problema di non avere un’adeguata preparazione professionale per affrontare le conseguenze sanitarie e ‘di condotta morale’ che queste donne hanno nei confronti della loro ‘malattia’20. Uno degli elementi che non dovrebbe mai essere sottovalutato nel corso di questi interventi sociosanitari è che per alcune delle donne immigrate che sono state vittime della tratta questi possibili incontri con persone loro con- Nota 19. Molte di queste donne, soprattutto quelle provenienti dai Paesi africani, continuano – anche dopo aver sporto denuncia – ad avere relazioni privilegiate con uomini italiani che da clienti si trasformano in fidanzati (e in desiderati futuri mariti). È in queste circostanze sempre molto labile il confine che distingue tra relazioni ‘ambigue’ e relazioni ‘autentiche’: non si riesce con facilità a comprendere quale ruolo abbiano questi uomini italiani nella vita delle donne che incontriamo. Il problema risiede probabilmente nella visione che abbiamo di questi eventi, rimanendo il più delle volte radicati dentro una morale che separa nettamente la sfera dell’affetto da quella del rendiconto economico. In realtà siamo probabilmente di fronte a delle donne che queste due sfere non le considerano per nulla distinte. Può essere utile per comprendere queste modalità di relazione riprendere un passaggio del lavoro di Roy Wagner (L’invenzione della cultura, Mursia, Milano, 1992). L’autore si sofferma sull’opposizione tra ‘denaro’ e ‘amore’: “L’amore (nella nostra società) è tradizionalmente ciò che «il denaro non può comprare», e si presume che il dovere stia al di sopra degli interessi personali. […] E naturalmente il ruolo della prostituta che da «per denaro» quello che le altre donne fanno «per amore» e vive in «una casa che non è una vera casa», simboleggia un mondo alla rovescia di vizio e di corruzione per molti americani. Le relazioni interpersonali, e in particolare le relazioni famigliari, dovrebbero essere private e «al di sopra» degli interessi economici; non si dovrebbe usarle per guadagnare soldi” (1992, p. 39). Sennonché ci ricorda Wagner “ciò che noi chiamiamo «produzione» in queste società fa parte della simbolizzazione anche delle relazioni personali più strette […]. È dunque «produzione» ciò che gli uomini e le donne, o gli uomini, le donne e i bambini, fanno insieme; essa li colloca socialmente nei loro diversi ruoli e simbolizza anche il significato della famiglia” (ivi, p. 40). Il discorso sviluppato dall’antropologo americano può essere ripreso e trasposto in una realtà di migrazione che mantiene per certi aspetti immutate queste prassi relazionali, nel corso delle quali il partner diventa l’oggetto del nostro investimento affettivo, la fonte del nostro guadagno e la fonte della ricchezza per i nostri familiari. Queste modalità di interazione sociale lasciano, però, molti operatori interdetti, dal momento che i loro progetti sono nella maggior parte dei casi centrati sulla realizzazione delle condizioni che permettono alla donna di essere autonoma e indipendente (centrati, dunque, sulla sola sfera produttiva); così come lasciano interdette molte volontarie religiose, a partire da modelli della sessualità e delle relazioni affettive tra uomo e donna chiaramente divergenti. 20. Parlare di ‘moralità’ significa, in questo caso, voler evocare i termini di una complessa problematica di cui sono protagonisti gli operatori sociali e sanitari coinvolti in questo tipo di lavoro con un’utenza infetta: la percezione del rischio di diffusione del virus dell’hiv, la negazione della malattia e il rifiuto a seguire qualsiasi precauzione preventiva che tuteli se stesse e i partner con i quali si hanno rapporti sessuali sono tematiche riprese di frequente nel corsi di momenti formativi e di supervisione, perché si ha la sensazione nel lavoro quotidiano di trovarsi di fronte ad un problema senza soluzione. Sono donne queste che, nonostante la malattia o la condizione di sieropositività, continuano ad avere rapporti molteplici, senza usare alcun contraccettivo (e, per queste ragioni, molte rimangono incinte). Incuranti delle loro condizioni, sembrano essere sprezzanti nei confronti della morte e della tutela della loro salute (nei casi di aborto, per esempio, si compromettono le difese immunitarie già indebolite dalla malattia, rendendo ancora più precario il loro stato di salute). Lo scenario che emerge in queste storie di immigrazione non sembra essere molto diverso da quelli tracciati dai lavori di antropologia medica. Con alcuni di questi lavori condividiamo le premesse teoriche che articolano variabili eterogenee al fine di collocare il fenomeno in una cornice storica ampia: la dimensione più propriamente sanitaria viene correlata ai rapporti politici tra gruppi e generazioni, alle ferite lasciate aperte dal colonialismo, alla proliferazione di discorsi morali e religiosi portati dai missionari occidentali e alla distruzione di pratiche locali di intervento nella gestione della sessualità, all’indebolimento delle medicine tradizionali e ai rapporti di potere soggiacenti tra medicina moderna e strategie di cura locali, ecc. manuale_4_C 20-05-2005 17:45 Pagina 71 Progetto Equal Li.fe. - Libertà Femminile Destini incerti e guerre quotidiane nazionali non hanno sempre valenza positiva: sia che questi avvengano nelle Chiese o nelle strutture d’accoglienza nelle quali sono accolte a seguito della denuncia sporta in questura. In questi incontri le variabili che ci sfuggono sono tante e tali che si hanno davvero pochi margini per tenere sotto controllo l’evoluzione delle dinamiche di questi scambi: l’introduzione di una nuova ragazza, l’incontro di una madame o di un’amica della madame, una telefonata in Nigeria, la nascita di un bambino avuto con un uomo italiano (o comunque l’evento di una nascita), il raggiungimento di un posto fisso di lavoro o di un permesso di soggiorno… sono eventi questi che alimentano rancori e desideri di vendetta, che scatenano paure per chi è rimasto a casa, che generano invidia e gelosia rispetto a chi sembra riuscire a realizzare un progetto migratorio ‘in salita’. Nel momento in cui Miracle è stata trovata svenuta sul pavimento senza segni di vita evidenti alcune ragazze, rivolgendosi agli operatori, hanno espresso un medesimo sentimento di paura, gridando se le si voleva vedere tutte morte. Miracle, al pari di altre donne, da alcuni mesi viveva sia in comunità che nei luoghi esterni d’incontro un confronto continuo e incessante con persone per lei ‘potenzialmente pericolose’ (e non è forse marginale che una donna con la quale abitava era sospettata di essere una madame e che altre donne le avevano recentemente ricordato la sua precedente affiliazione a Mami Wata, praticando davanti a lei alcuni rituali di preghiera). Il terrore di morire in queste donne è vivo, tangibile, narrato ogni qualvolta si dia loro la possibilità di farlo: non si ha bisogno di utilizzare ‘tanti giri di parole’ per evocare i loro drammi quotidiani dal momento che i loro vissuti sono ‘banali’ vissuti di morte. Molte di loro sentono venir meno il proprio corpo: o perché malato, o perché alla mercé tanto dei bianchi quanto dei propri stessi connazionali. A partire da queste esperienze, dove il corpo è protagonista indiscusso, sembrano vacillare anche le identità di queste donne, prese dall’angoscia di trovare sempre nuovi ancoraggi che permettano loro di sentirsi vive. 71 La vicenda di Miracle mostra la nodosità delle variabili in gioco in un intreccio che è difficile da sciogliere: all’improvviso, il percorso di una bella e giovane donna che teme l’attacco di alcune connazionali muta di segno e diventa tortuoso, scandito da ‘attacchi’, ‘arresti cardiaci’, ‘angoscia di morte’. Miracle inizia a perdere la sua tranquillità, in comunità, sul lavoro, in chiesa… La sua biografia ci dice in modo chiaro anche quanto i nostri dispositivi di indagine risultino inefficaci nel gestire le angosce e le paure di queste persone: aderire alla fede cristiana, di certo, non scongiura dalle ripercussioni magiche dei diversi vudù. Si può essere cristiani e contemporaneamente adepti di confraternite, si può prendere un medicamento in ospedale e contemporaneamente pregare la propria divinità, portarle delle offerte o compiere un qualsiasi altri rituale terapeutico: la concatenazione di queste contraddizioni potrebbe continuare per una lunga sequenza di eventi e fenomeni diversi, a testimonianza della fluidità di queste posizioni, mai rigidamente assunte da colui che le sceglie. L’antropologia medica ha da tempo dedicato molti dei suoi sforzi teorici all’analisi dei percorsi di cura intrapresi dalle persone nell’intento di potersi liberare definitivamente dal male che si è su di loro abbattuto, e ha riconosciuto che un tratto saliente di questi itinerari è spesso non solo la loro complessità, ma soprattutto la contraddittorietà che li contraddistingue: nella ricerca ostinata di uno stato di salute da ritrovare, i malati (insieme ai loro familiari) cercherebbero la strategia più soddisfacente, realizzando in questo teatro della cura una “flessibilità pragmatica” che ha ricevuto da numerosi autori la definizione di “pluralismo medico”. Il problema che qui vogliamo analizzare riguarda, però, un’ulteriore dimensione: anche se prendessimo seriamente in considerazione la frase che ci viene detta (“è vudù”), con l’intenzione di scendere nel territorio del culturale che l’altro sembra offrirci, fermarsi ad essa sarebbe ancora non sufficiente. Questa frase poco o nulla ci dice della persona che abbiamo davanti e della sua cultura di riferimento. Il rischio è proprio quello di cadere nell’illusione manuale_4_C 20-05-2005 72 17:45 Pagina 72 Progetto Equal Li.fe. - Libertà Femminile Destini incerti e guerre quotidiane di comprendere attraverso un tratto che riconosciamo come culturale, indicatore di una differenza che è sotto gli occhi di tutti e che non può essere negata. Le derive del culturalismo in psicologia Di fronte a queste identità sfuggenti – che non sono mai soltanto quello che noi avremmo ritenuto, o voluto, che fossero – rimane aperta la questione delle posizioni da tenere rispetto a questioni specificatamente psicologiche: come rapportarsi al mondo reale dell’Altro e contemporaneamente al suo mondo immaginario? Miracle è una donna ‘moderna’, simile ad altre trentenni – desiderosa di raggiungere una indipendenza economica e una sufficiente autonomia –, che utilizza dei dispositivi ‘tradizionali’ per parlare, padroneggiare e risolvere il suo disagio: parla della sua identità sfuggente (di ogbanje), padroneggia le voci suadenti dei ‘compagni’ che la chiamano fin da bambina (attraverso una strategia di lunga data, insegnatale dalle madre, che è quella di non voltarsi), chiama in causa l’intervento di Mami Wata (la sua relazione con una divinità che possiede i corpi dei suoi adepti). Fanon si interrogava sull’“irrealismo” presente nelle storie cliniche dei suoi pazienti algerini: un irrealismo di cui siamo, oggi, testimoni quando l’Altro, straniero, ce ne offre la possibilità, narrandoci l’intimità del suo proprio dolore. Fanon non sembrava motivato a lasciarsi interrogare da queste dimensioni della ‘Cultura’: la sua posizione è già esplicita nella scelta delle parole che utilizza nel descrivere queste attività culturali (egli parla di uomini “circuiti”, preda di “fantasmi” e “fantasie”, vittime di “sdoppiamenti della personalità”, malati)21. Sembra che Fanon abbia sottovalutato almeno tre ordini di questioni, rinunciando a comprendere il significato e il ruolo di alcuni dei dispositivi culturali che andava descrivendo: in questo risiede probabilmente il limite delle sue riflessioni circa questi eventi22. Dal momento che il nostro discorso vuole, al contrario, guardare anche alla pratica terapeutica, dobbiamo necessariamente passare attraverso questi limiti per provare a costruire dispositivi di cura più efficaci e relazioni interpersonali autenticamente interessate al disagio e alla sofferenza degli utenti stranieri. 1) In primo luogo, Fanon ha proposto una concezione statica di questi gesti e di queste azioni (parlando di una “cristallina” e “perenne” permanenza) e ha così riprodotto l’immagine di una cultura ‘tradizionale’ bloccata nel tempo (e, dunque, fuori dalla storia). Ad uno sguardo più attento ci si accorge al contrario delle continue trasformazioni di questi rituali, di queste rappresentazioni di alterità non umane, di questi mondi meta-empirici e degli stessi oggetti di cui ci si serve all’interno di questi mondi culturali. Se prendiamo come esempio quello di Mami Wata, divinità femminile nel pantheon yoruba, madre delle acque e donatrice di fertilità e ricchezza, riconosciamo i tratti di queste continue manipolazioni, negoziazioni e modulazioni culturali nel momento in cui ripercorriamo la storia della sua iconografia: metafora di un viaggio tra Asia, Europa e Africa, l’immagine che maggiormente la rappresenta approda nel Golfo di Guinea per poi estendersi ancora oltre, verso il fiume Congo, fino all’Africa dei Grandi Laghi; il dipinto di un essere a cavallo tra mondo umano e mondo animale probabilmente nasce in Germania e viene ripreso da una fotografia scattata alla fine dell’Ottocento a una donna proveniente dalle isole di Samoa; questa figura metà donna e metà pesce, ha tratti decisamente indoeuropei e una carnagione bianca; oggi indossa occhiali da sole, apparecchiature elettroniche e dona un successo fatto di automobili nuove, stereo, vestiti alla moda europea. Il fenomeno sociale rappresentato da Mami Wata – oltre a illustrare ciò che Roy Wagner ha definito “l’invenzione della cultura” attraverso un processo grazie al quale un gruppo circoscritto di persone costruisce la realtà del proprio mondo –, è anche Nota 21. Frantz Fanon, I dannati della terra, Einaudi, Torino, 1979. 22 . Questo limite non è però né immotivato, né ingenuo, ma probabilmente il prodotto di interessi storicamente comprensibili, se si considera la realtà sociale di quel periodo: Fanon concentra tutto il suo lavoro sulla necessità della lotta politica e per questo lascia talvolta a margine riflessioni e interessi più strettamente clinici. manuale_4_C 20-05-2005 17:45 Pagina 73 Progetto Equal Li.fe. - Libertà Femminile Destini incerti e guerre quotidiane una sorta di “antropologia alla rovescia”, dal momento che questa volta gli altri siamo noi. In questo caso, infatti, sono gli Altri a guardarci, a descriverci e a creare un’immagine di ciò che siamo, attraverso l’icona di questa donna proveniente da qualche porto europeo (probabilmente, quello di Amburgo), fondando il loro proprio immaginario collettivo sui bianchi, le loro ricchezze, la loro opulenza... Scrive Henry John Drewal che questa immagine simbolizzò la diversità esotica dell’Altro per due aree culturali ampiamente differenti: Mami Wata “era una misteriosa e sensuale incantatrice di serpenti orientale per gli Europei, ma uno spirito acquatico europeo per gli Africani!”23. Questo alternarsi di sguardi – oggi per noi Mami Wata può diventare la rappresentante del massimo grado dell’alterità africana – obbliga a riconoscere le repentina modificazioni dei mondi culturali che continuamente inventiamo. 2) Fanon ha poi colto in questi fenomeni culturali soltanto uno degli aspetti in essi contenuti: egli ha appiattito sull’unica variabile religiosa l’interpretazione di questi momenti collettivi, che invece – come hanno evidenziato altri autori – sarebbero piuttosto prodotti (e produttori) di discorsi (anche) politici, (anche) terapeutici, (anche) economici. La macchina della possessione, per riprendere l’esempio da lui riportato, è un dispositivo complesso e “paradossale”, che ordina una serie molteplice e contraddittoria di eventi sociali, psicologici e politici: ridurlo soltanto a un evento religioso significa il più delle volte rischiare di perdere la parte più interessante delle cose dette da questi corpi in movimento frenetico e drammaticamente incontrollato24. 3) Infine, l’elemento di certo più problematico nelle riflessioni di Fanon sembra essere la riduzione dei dispositivi di pensiero analizzati ad attività irreali, operando una strategia del tutto simile a quelle promosse dalla medicina e dalla psichiatria coloniale. Indebolendo la portata che questi episodi culturali hanno nella vita dei singoli – ritenendo, addirittura, che ci si potesse fare beffe dei propri antenati, dei 73 propri zombies, dei propri cavalli a due teste, dei propri gin, senza dover pagare alcun prezzo per l’affronto così commesso – Fanon sembra non accorgersi di introdurre una modalità di alienazione tra le altre. Questa forma di alienazione dell’individuo dai propri sistemi di riferimento, dalla propria cultura, o meglio, da alcune posizioni assunte dalla propria cultura, si traduce nei fatti in una presa di distanza da un intero mondo reale composto dai propri parenti, dai propri familiari, dal proprio gruppo, dai propri simili, oltre che dalle proprie divinità. Queste posizioni culturali, sebbene non siano forse da tutti condivise in modo univoco, rimangono per ciascuno in qualche modo attive: negarne l’esistenza, o disfarsene, significa costringersi a non poterne più parlare. Questa mancanza di parole si traduce, alla fine, in un allontanamento dal proprio mondo reale, dal momento che viene meno la possibilità stessa di raccontarlo, di evocarlo, di ricostruirlo secondo nuove forme. Una volta perse le parole per descrivere una realtà non rimane altro da fare che constatare il mero prodotto di una fantasia infantile e rozza. E chi continua ad aderire a queste posizioni culturali, chi continua a tenerle vive nella memoria e nella pratica, nonostante la loro scomodità storica, finisce nella maggioranza dei casi per essere etichettato nella sua inferiorità (intellettuale, cognitiva, psichica). Rimane, infatti, sospesa una questione importante in un lavoro che voglia dirsi clinico (o anche in un intervento di tipo psicosociale). Se, come per altro scriveva Frantz Fanon, il mondo dell’immaginario non può essere costruito che a partire dal reale in cui ciascuno vive, quale reale possiamo costruire quando non possediamo più alcun immaginario che dia conto della storia nostra e della storia dei nostri simili? Quali tipi di umanità si generano a partire da questi processi storici e da questa forma di alienazione che è l’espropriazione dell’individuo dal proprio immaginario collettivo? Se togliamo all’altra persona ciò che le permette di orientarsi nel mondo – le parole con cui sa esprimere l’accaduto, l’esperienza e il Nota 23. Cfr. Drewal, H. J., Performing the Other. Mami Wata Worship in Africa, ‘The Drama Review’, 32 (2), 1988, pp. 160-185. 24. Cfr. Beneduce, Roberto e Taliani, Simona, Un paradosso ordinato. Possessione, corpi, migrazioni, ‘Antropologia. Annuario’, I (1), pp. 15-41. manuale_4_C 20-05-2005 74 17:45 Pagina 74 Progetto Equal Li.fe. - Libertà Femminile Destini incerti e guerre quotidiane proprio vissuto – cosa le rimane per poterci parlare dei suoi problemi più attuali, delle sue reali preoccupazioni, dei suoi drammi più profondi? Proposte di ascolto: verso un etnopsicologia clinica A partire dall’esperienza condotta in questi anni, possiamo certo riconoscere che un individuo non è mai solo la ‘sua cultura’, né è mai solo ‘una cultura’: produrre simili sovrapposizioni significa ridurre gli uomini e le donne che incontriamo a corpi di cera, da esporre in un museo pieno di curiosità, fossili viventi delle nostre teorie. D’altra parte, però, negare loro l’uso delle rappresentazioni che nutrono l’immaginario collettivo dentro il quale sono cresciuti e dei significati che ordinano la loro realtà implica metterli nella condizione di non poter accedere alla differenza di cui sono portatori: a questo punto il passo verso una loro disumanizzazione non è distante, sia che questa venga prodotta attraverso le forme più volgari di ‘razzismo’ – attraverso le metafore bestiali, i riferimenti alla primitività e alla selvatichezza – sia che questa avvenga attraverso una patologizzazione della sua natura, con un discorso medico e psicologico più velato, ma non per questo meno violento. La letteratura etnopsicolgica ed etnopsichiatrica è densa di materiali che continuano incessantemente a mettere in discussione questi temi, nel tentativo di costruire un dispositivo di cura che abbia di condivisi i seguenti tre punti: a) gli Altri pensano almeno quanto noi; b) gli Altri hanno costruito delle teorie sulla ‘malattia’ e sul ‘male’; c) a partire da queste teorizzazioni gli Altri hanno sperimentato delle pratiche terapeutiche per intervenire sul disagio del singolo, di una famiglia, di un gruppo. Queste premesse, se condivise, impegnano ad adottare uno sguardo che sia messo a fuoco sul singolo e, contemporaneamente, sulle culture che nel corso della sua vita ha attraversato, ricostruendo con la persona un insieme completo delle diverse costruzioni e posizioni culturali che ha assunto negli anni. Detto in altri termini, non è sufficiente parlare di vudù, di Mami Wata o di djenn, come se questi diventassero delle nuove formule o dei nuovi ‘sintomi’ pronti per l’uso (sebbene questi siano anche dei sintomi «prêt-à-porter» per colui che li utilizza, come dice Tobie Nathan, dal momento che questi costrutti culturali lo aiutano a decodificare il suo proprio malessere e gli consentono di esprimerlo in un modo culturalmente riconoscibile dai tecnici della cura ai quali si affida). È necessario ricostruire insieme alla persona la sua collocazione rispetto a questi costrutti culturali e rispetto alle azioni che sempre vengono operate una volta che questi costrutti sono stati evocati (rituali di possessione, cerimonie di guarigione, scene sacrificali, elevazione di un altare domestico). Questo tentativo ha significato nella relazione terapeutica con Miracle iniziare a esplorare quelle stesse nozioni che davano forma al suo intimo senso di malessere, attraverso il linguaggio onirico, il ricordo, la rievocazione di volti familiari in alcune circostanze di vita particolarmente significative (cerimonia del nome, adesione alla confraternita, sepoltura della bambina mai nata) per cercare di co-costruire insieme a lei un’appartenenza sostenibile, a partire dalla constatazione che la sua adesione all’universo culturale nel quale era cresciuta stava lentamente perdendo di consistenza, lasciando spazio a sentimenti di morte, angosce di aggressione, assenza di strategie di intervento. La ricostruzione della propria cultura o la co-costruzione di uno spazio culturale altro, anche radicalmente nuovo, sembra rivestire all’interno del processo terapeutico un punto nevralgico su cui far leva al fine di offrire alla persona la possibilità di riappropriarsi di una realtà vivibile. A questo proposito torna certamente utile riprendere le riflessioni di Ernesto De Martino, in La fine del mondo, sui vissuti apocalittici conosciuti da coloro che iniziano a sentir sgretolare il terreno culturale sul quale stanno camminando; così come è certamente utile ritornare a discutere sulla centralità delle costruzioni culturali nella risoluzione della crisi25. L’autore assegna alla Cultura un ruolo fondamentale al fine di stemperare il momento della crisi e ricostruire il senso di presenza necessario per riaf- Nota 25. Ernesto de Martino, La fine del mondo. Contributo alle analisi delle apocalissi culturali, Einaudi, Torino, 2002. manuale_4_C 20-05-2005 17:45 Pagina 75 Progetto Equal Li.fe. - Libertà Femminile Destini incerti e guerre quotidiane fermare la propria esistenza di fronte al gruppo familiare e sociale. Un discorso che procede verso la stessa prospettiva teorica – e che attribuisce alla Cultura una funzione altrettanto centrale nella prassi terapeutica – è quello sviluppato dalla psicologa canadese Ellen Corin: la vulnerabilità psicologica che investe alcuni momenti peculiari dell’esistenza delle persone procede verso una risoluzione nel momento in cui il soggetto riesce ad ancorarsi ai nuclei culturali profondi che lo hanno formato. Nel corso del terzo colloquio Miracle ci racconta tre sogni, avuti nel corso della settimana: 1) a seguito di un incidente, Miracle cade e qualcuno va in suo soccorso ad alzarla. La macchina finisce dentro l’acqua e c’è ovunque molto sangue. Una ‘piccola donna’ la vuole aiutare. «Dove era questa piccola donna?» – «Nell’acqua» – «L’hai riconosciuta?» – «No, non ho visto la sua faccia» – «Che lingua parlava?» – «Lui parlava in edo» – «Lui o lei?» – «Non ricordo, ricordo solo che era piccola». 2) Mentre Miracle cammina un serpente le morsica la gamba. Lei urla e si sveglia. Ricorda ancora che c’era molto sangue. 3) Sogna una donna, con un bambino in braccio (una donna che è ospite nella sua stessa comunità). Questa donna portava una maschera sul volto: “Cosa fai?”, le chiede Miracle; “Voglio ammazzarti”, le risponde la donna. «La maschera era di animale o di donna?» le chiede il terapeuta. «Era una maschera di animale», risponde Miracle. Dopo l’evocazione di questi sogni Miracle inizia a parlare di Mami Wata («The Queen of the water told me during the dream»): ci parla meno del rituale che ha compiuto quattro anni prima (fatto quasi “casualmente”, ci dice) e si concentra maggiormente sull’episodio in cui ha ‘donato’ sua figlia (ancora feto) alla divinità, «per rinsaldare i legami con l’acqua». Anche il padre della bambina era, come lei, un bambino ogbanje. Quando ha ‘sepolto’ il piccolo corpo era sola. Ha immerso i piedi e le gambe nell’acqua, sentendo freddo. Dice che la bambina doveva essere data all’acqua per poi poterne avere una da tenere. 75 Dopo circa due mesi, Miracle torna sulla vicenda legata a Mami Wata. Ci dice che la madre, il fratello e la sorella di circa dieci anni continuano ad andare al fiume nel quale lei aveva fatto il rituale, diventando adepta del culto, perché anche loro membri della confraternita. Ciascuno si immerge nel fiume ad ‘una altezza’ differente (cambia, cioè, il livello di profondità dell’acqua). «Mia madre non è abbastanza forte per andare dove vado io» ci dice: il suo livello di profondità è alto (indica che l’acqua le arriva alla testa) «l’acqua a mia madre arriva alle ginocchia». La sorella più piccola è quella che si avvicina di più al suo grado di forza. Nel tentativo compiuto di esplorare i meandri dell’immaginario di Miracle ci si imbatte in questa divinità di donna-pesce, che diventa in questo caso un prezioso argomento per ricostruire l’ambiente reale della donna. Altrove ci siamo soffermati sulle costruzioni identitarie di queste donne che si riconoscono ‘figlie della divinità’ o ‘spiriti incarnati’ (Beneduce e Taliani, 2001)26, sempre sospese tra territori confinanti l’umano e il non-umano (Miracle ci dice che la madre la ascoltava parlare e piangere nel sonno quando era piccola: «lasciatemi – diceva Miracle bambina – non me ne andrò». Al fine di spezzare questi legami invisibili, come abbiamo già ricordato, la madre la esortava a non girarsi mai quando sentiva le voci chiamare il suo nome, a non rispondere e a stare tranquilla). Qui vogliamo, però, soffermarci su un altro aspetto di queste rappresentazioni: Mami Wata diventa spesso in queste vicende non solo il pretesto per partire, concentrando intorno a sé le motivazioni per intraprendere il viaggio verso l’Europa, ma anche il personaggio centrale che ritorna immancabilmente ogni qualvolta il progetto migratorio sembra lentamente, ma irrimediabilmente, fallire. Questa divinità, infatti, dal momento che incorpora tutti i sogni di arricchimento e di successo di queste donne (lei stessa in qualche modo europea e bianca inviterebbe i suoi adepti a diventare come i bianchi, andando in qualche città europea, promettendo loro facili guadagni), viene richiamata – o torna spontaneamente – quando desideri personali, aspettative sociali e Nota 26. Beneduce e Taliani, 2001, Un paradosso ordinato, Op. cit. manuale_4_C 20-05-2005 76 17:45 Pagina 76 Progetto Equal Li.fe. - Libertà Femminile Destini incerti e guerre quotidiane fallimenti si incontrano nello spazio della migrazione27. Nel momento in cui questi progetti migratori sembrano giunti ad un impasse (manca il permesso di soggiorno, manca il lavoro, non si riesce a contrarre alcuna relazione stabile, si protrae il tempo della sterilità) queste donne si trovano costrette a rinegoziare con la divinità l’intero progetto. L’incontro di Miracle con Mami Wata (o meglio, con le donne adepte del culto nei luoghi di frequentazione quotidiana della comunità e della chiesa, e con le ‘piccole donne’ e le ‘donne/animali’ che sogna di notte) ha riaperto negli ultimi mesi ferite mal cicatrizzate: queste relazioni con le entità dell’invisibile sono rese esplicite, d’altra parte, anche dall’esplorazione di alcuni segni memorizzati nella loro forma fisica. Delle piccole cicatrici sul volto simmetriche e regolari ci parlano di lei bambina e dei sistemi di cura a cui era stata sottoposta attraverso scarificazioni ed erbe medicamentose. Alcune ferite da taglio più recenti, provocate da una sua connazionale con delle forbici nel corso di un litigio, ci dicono della sua fatica nel relazionarsi con le altre donne nigeriane e della violenza che contraddistingue questi incontri. Un corpo onirico che viene morsicato da un serpente e la visione notturna di se stessa esangue ci lasciano intravedere il suo legame con l’alterità divina, spirituale, meta-empirica. Un’esistenza, quella di Miracle, che lotta ancora per la sopravvivenza; un corpo a cavallo tra la vita e la non-vita. Il fenomeno di Mami Wata, tutt’altro che statico e immutabile, è ancora una volta inventato da queste donne nel corso dei loro percorsi migratori per dirci tra le altre cose delle motivazioni che le avevano spinte a partire, dei desideri e dei bisogni che hanno alimentato queste scelte, dei fallimenti e delle aspettative deluse, degli smacchi e delle possibili soluzioni. Miracle, dopo due anni in Italia, senza permesso di soggiorno, senza soldi da mandare in Nigeria, senza ancora dei figli, sembra voler chiedere conto a Mami Wata di quanto le sta succedendo (torna alla memoria una scena del filmato di Ernesto De Martino in cui una donna tarantolata negozia inginocchiata di fronte all’icona di San Paolo la sua guarigione, chiedendo un segno di buon auspicio: di fronte alla richiesta del Santo di una nuova offerta, tira decisa un pugno contro il quadro, che il figlio piccolo tiene in mano, pronunciando tra l’ira e lo sconforto un secco “no”). La giovane donna esprime attraverso le sue parole e il materiale onirico tutta l’ambivalenza che la divinità ha nei suoi confronti (una piccola donna che prima la vuole aiutare, poi uccidere), ma contemporaneamente anche la ambivalenza che lei stessa ha nei confronti di Mami Wata, la sua resistenza ad aderire incondizionatamente al culto (una figlia è stata ‘donata’, ma nessun bambino è stato ancora ricevuto): sembra anche lei aspettare un segno. Allo stesso tempo è come se – in alcuni passaggi – volesse lei stessa offrirci gli elementi di una possibile soluzione: se la sorella più piccola in Nigeria facesse per lei qualcosa al fiume, forse il suo progetto migratorio – e il suo stato di salute – potrebbero migliorare. Riaprire lo spazio della negoziazione con le entità dell’invisibile che governano le esistenze non permette solo di inventare continuamente la divinità – e la propria cultura – ma è utile al singolo affinché egli possa incessantemente ricostruire la propria realtà di individuo e la realtà delle relazioni interpersonali. A mo’ di conclusioni A conclusione di queste riflessioni, ci sembra di poter dire che è a partire da questo immaginario denso e in continuo movimento che riusciamo nella pratica clinica a farci carico del mondo reale di questi individui, senza false sovrapposizioni (‘stato psicotico acuto’) o culturalizzazioni sterili (‘vudù’), in un processo che si dia come obiettivo quello di accompagnare il soggetto verso una posizione “recalcitrante”: così come scrive Tobie Nathan “l’elettrone è recalcitrante rispetto alla volontà del fisico [nel senso che] l’elettrone vive imperturbabilmente la sua vita d’elettrone quali che siano le mosse Nota 27. Anche l’attività della prostituzione sembra non smentire la sua presenza: ogni adepto di Mami Wata, infatti, mantiene con la divinità un rapporto privilegiato ed esclusivo (nessun legame stabile e duraturo dovrà essere contratto attraverso il matrimonio perché Mami Wata è ‘marito’ di queste donne e ‘moglie’ di questi uomini, che rimangono condannati a intrecciare con gli altri esseri umani soltanto relazioni saltuarie e casuali). manuale_4_C 20-05-2005 17:45 Pagina 77 Progetto Equal Li.fe. - Libertà Femminile Destini incerti e guerre quotidiane e gli intrighi messi in atto dal ricercatore”28. La prospettiva teorica adottata nel corso di queste riflessioni permette di evocare almeno tre ordini di questioni inerenti ai rapporti di potere e ai processi di significazione degli eventi che si costruiscono nella relazione in situazioni cliniche e psicoterapeutiche: 1) la prima concerne la collocazione sociale di questi individui, immediatamente iscritti all’interno di un sistema naturale di ineguaglianza nel momento in cui – in quanto immigrati, clandestini, provenienti da Paesi sottosviluppati – li si colloca ai gradini più bassi della ‘modernità’; 2) la Seconda, in continuità con la prima, si interroga sulle implicazioni che un tale sistema di ineguaglianza produce in merito alla possibilità di aderire all’obbligo politico di obbedire o di non obbedire alle norme sociali, sanitarie, educative dettate dalla società nella quale si emigra. Ci sembra che sia soltanto a partire dall’iscrizione di questi individui all’interno di una posizione politica riconosciuta che si possa chiedere loro il consenso e la stipulazione di un patto sociale che diventi garante dei rapporti di reciprocità, di scambio e di integrazione. L’interrogativo rimane aperto: al di fuori di questa prospettiva – senza che avvenga alcun riconoscimento politico – come è possibile richiedere l’adesione, il consenso, l’obbedienza, senza riprodurre logiche di dominio più sfumate, ma non per questo meno violente? 29; 3) la terza e ultima di queste questioni rimanda a un interrogativo scottante: in virtù di quali teorie, o di quali posizioni politiche, si possono estromettere dal corpo politico intere categorie di persone, ritenendo che l’umanità 77 di cui sono rappresentanti sia meno significativa (pregnante, importante, evoluta) della nostra?30. Riconoscere l’Altro come soggetto politico non significa attribuire indiscriminatamente a chiunque la consapevolezza storica dei processi esaminati, né significa che tutti abbiano il medesimo livello di consapevolezza politica dei drammi, dei cambiamenti, dei radicamenti storici che hanno segnato le loro e le altrui esistenze. Più semplicemente, tale processo di riconoscimento costringe gli psicologi (e le altre categorie professionali coinvolte in queste riflessioni) a leggere la storia nella quale questi eventi prendono corpo, promuovendo così facendo la costituzione di una scienza della storia capace di articolare le contraddizioni che in essa si snodano e capace di riconoscere l’Altro come soggetto che ha qualcosa da dire (nel caso da noi preso in considerazione, un soggetto che ha qualcosa da dire sul malessere che lo affligge e sulle pratiche da intraprendere per riuscire a risolverlo o a stemperarlo). Il tipo di lavoro clinico che a partire da queste premesse abbiamo cercato di far emergere dovrebbe poter significare gli eventi di cui la persona è protagonista e allo stesso tempo riuscire ad accompagnarla nella ricerca di un territorio culturale nel quale momentaneamente potersi fermare (un territorio che non è né ‘naturale’ né ‘eterno’, né ‘immutabile’, né ‘più vero di altri’). L’etnopsicologia che stiamo proponendo è tale se è capace di stare nelle congiunture, sia aprendo uno spazio di negoziazione tra diversi registri e lessici: lo psicologico e il culturale, il sociale e l’individuale, il politico, il religioso e il terapeutico; sia affrontando ciò Nota 28. Tobie Nathan, Fonctions de l’objet dans les dispositifs thérapeutiques, ‘Ethnopsy, les mondes contemporains de la guérison’, 2001 (1), p. 6. 29 . È sufficiente portare qualche breve esempio per capire in quali posizioni difficili rischiamo di trovarci: perché delle donne o degli uomini affetti da malattie veneree (sieropositive, affette dal virus dell’HIV, da epatiti…) dovrebbero ubbidire ai progetti di prevenzione sociale della malattia e di sensibilizzazione se non viene riconosciuto loro alcun diritto politico (alcun diritto di parola, di cura, di decisione)? L’essere solidali con un gruppo significa pensarsi come parte di questo gruppo; al di fuori di esso, il sabotaggio di strategie di prevenzione (l’uso del preservativo, l’astensione dai rapporti a rischio), il radicamento a propri sistemi di cura, la manipolazione delle informazioni possono facilmente diventare atti di rivendicazione politica di una minoranza non riconosciuta. 30 . Un interrogativo alquanto imbarazzante, che potremmo ritradurre con la seguente domanda: “In che cosa – per esempio – l’usanza di prendersi cura dei parenti anziani nella propria casa è più primitiva di quella di abbandonarli a se stessi o metterli negli istituti per la vecchiaia? In che cosa un sistema religioso che si fonda sul monoteismo e ha una storia di persecuzioni contro le eresie, di caccia alle streghe e di sante crociate è meno o più primitivo di una religione che si dimostra tollerante verso le credenze e le pratiche spirituali diverse?” (Hsu cit. in Godelier, 1980, pp. 1137-1138). Cfr. Godelier, Maurice, Voce ‘Primitivo’, in Enciclopedia, Einaudi, Torino, 1980, pp. 1130-1145. manuale_4_C 20-05-2005 78 17:45 Pagina 78 Progetto Equal Li.fe. - Libertà Femminile Destini incerti e guerre quotidiane che caratterizza ogni storia di vita incontrata nello spazio clinico: la molteplicità delle posizioni culturali assunte dagli individui nel corso della loro propria esistenza. In un articolo pubblicato la prima volta nel 1965 su Psychopathologie africaine Andras Zémpleni e Jacqueline Rabain hanno parlato a questo proposito di “analisi delle congiunture”, volendo indicare con questa espressione la necessità di promuovere tanto in antropologia quanto in psicologia una decostruzione dell’apparente coerenza e omogeneità dei costrutti culturali – al fine di dissolvere l’unità delle credenze – favorendo una loro articolazione nella molteplicità delle valenze di cui sono formalmente composti: “domandarsi quali siano le funzioni sociali e psicologiche di una credenza – scrive Jacqueline Rabain – significa ragionare come se questa credenza possedesse realmente una unità concettuale… Ora questa ipotesi è falsa. L’unità della credenza è immaginaria”31, perché etnograficamente ricostruita. In realtà, nella clinica l’ascolto delle narrazioni continuamente riproposte dalle persone che incontriamo impone di osservare con attenzione questi molteplici frammenti in cui possono frangersi le nozioni culturali evocate: questa posizione teorica sembra da un lato scongiurare il rischio di reificare facili rappresentazioni stereotipate degli Altri (e delle loro credenze, dei loro sistemi di ragionamento); dall’altro sembra imporre un ‘riconoscimento di fatto’ dell’Altro che ci sta di fronte, come auspicava Frantz Fanon, diventando, di fatto, l’utente la persona più competente per parlare di sé; sembra, infine, acconsentire a un avvicinamento, a una prossimità sempre più intima con il mondo privato di colui che sta parlando, partecipando in questo modo attivamente alla ricostruzione di una realtà possibile. Nota 31. Jacqueline Rabain, L’enfant nit ku bon au sevrage: histoire de Thilao, in Nathan, Tobie, L’enfant ancêtre, La Pensée sauvage, Grenoble, 2000, p. 112. manuale_4_D 20-05-2005 17:50 Pagina 79 Progetto Equal Li.fe. - Libertà Femminile Rappresentazioni del corpo, della sessualià e dell’affettività in donne vittime della tratta capitolo 7 Rappresentazioni del corpo, della sessualità e dell’affettività in donne vittime della tratta Il fenomeno della tratta degli esseri umani, che da più di un decennio si è riaffacciato in molti paesi europei, non solo è diventato oggetto di indagine sulle differenti modalità di reclutamento e assoggettamento coercitivo, ma ha imposto un ripensamento dei modelli di intervento e cura delle giovani donne provenienti, in particolare modo, dalla Nigeria e da molti paesi dell’Est Europeo. L’Italia costituisce una delle principali aree di destinazione e approdo delle organizzazioni criminali e delle persone destinate alla prostituzione, anche per la sua posizione geografica sul Mediterraneo che ne facilita gli ingressi illegali soprattutto dai paesi balcanici. Se è vero che l’emigrazione espone le persone ad un cambiamento dei parametri spazio-temporali e dei differenti linguaggi comunicativi, non possiamo non tener conto degli aspetti più complessi concernenti le rappresentazioni del corpo ed i conseguenti vissuti a livello corporeo32. Gli atteggiamenti corporei e gli aspetti complessi della comunicazione non verbale assumono forme differenti da cultura a cultura, e comportano cambiamenti non automatici né scontati, dove natura e cultura, biologia e psichismo si incrociano. Il corpo resta il luogo privilegiato della manifestazione dei conflitti, come d’altronde accade anche in Occidente; e a qualsiasi latitudine e in qualsiasi cultura esprime la sofferenza interna dell’individuo e parla più di quanto una mente smarrita possa dire. 79 Mi sembra importante riflettere sulla questione del corpo, partendo da alcune testimonianze delle ragazze che vengono a Mamre33 a chiedere aiuto per riprendere in mano la propria vita, dopo essere passate dall’esperienza della tratta. In realtà la richiesta di aiuto non sempre nasce da loro, ma spesso sono spinte dalla rete protettiva che le circonda; la loro motivazione ad intraprendere un percorso di aiuto psicologico è debole e incerta, quasi quanto il loro desiderio di cambiamento. Bisogna lavorare sull’instabilità emotiva che le caratterizza, costruire basi di fiducia attraverso uno spazio di ascolto “pulito”, ritessere legami interrotti non solo e non sempre con la famiglia, ma anche con se stesse, aiutarle a raccontarsi e a ricostruire la propria biografia, la propria storia personale riprendendo il discorso del loro progetto migratorio che è il filo conduttore, il ponte tra il passato e il futuro. Lavorando su questi aspetti si costruiscono nuove identità, nuove visibilità sociali, nuovi luoghi, in persone che hanno vissuto per un periodo più o meno lungo della loro vita “fuori luogo”. “Fuori luogo” erano i loro corpi, non solo perché fuori dal loro contesto originario, dalla loro cultura, dal loro paese, ma perché “in nessun luogo” o in “non luoghi”, non riconosciuti come facenti parte della persona e che la persona non riconosce come facenti parte di Sé34. Lasciati i “luoghi della memoria” i corpi si dirigono (a volte costretti) verso “non luoghi” dove si incontrano, ignorandosi, migliaia di itinerari individuali, dove i passi si perdono e dove facilmente si possono inserire profondi sensi di solitudine, che in certi casi possono sconfinare in vere e proprie angosce, timori di abbandono, vissuti in cui questi corpi si sentono persi e lasciati a se stessi o in balia di altri. Tutto ciò può essere motivo di disorientamento e mettere a dura prova la tenuta psicologica e l’identità della persona. Il non luogo è il contrario della “dimora” dove tutto è fami- Nota 32. S. Abou ha esaminato la percezione del tempo, dello spazio, dell’Io e dell’ideale dell’Io negli immigrati di inizio secolo. Vedi S. Abou, L’identitè culturelle, Editions Antrophos, 1981. 33 . Il Centro Mamre è stato fondato a Torino nel 2001. Attualmente ha due sedi di psicoterapia e aiuto psicologico per persone e famiglie immigrate. Specifici modelli di intervento e di cura psicoterapeutica sono indirizzati alle donne vittime della tratta. L’équipe del Centro è formata da psicologi psicoterapeuti, psichiatri, etnopsichiatri, antropologi medici e mediatori interculturali. 34 . Cfr. M. Augè, Non luoghi, Edizioni Elèuthera,1993. manuale_4_D 20-05-2005 80 17:50 Pagina 80 Progetto Equal Li.fe. - Libertà Femminile Rappresentazioni del corpo, della sessualià e dell’affettività in donne vittime della tratta liare, dove si depositano gli oggetti cari e si ritrovano gli affetti e i punti di riferimento. I “non luoghi” sono quegli spazi dell’anonimato ogni giorno più numerosi e frequentati da individui simili ma soli. Augè parla di stazioni, aeroporti, grandi supermercati, ma per quanto riguarda le donne della tratta, sono anche le frontiere, i marciapiedi, i parcheggi, o le camere d’albergo anonime e intercambiabili. Mi pare emblematico, a questo punto, introdurre la storia di Angela (nome fittizio), ragazza di 20 anni proveniente dalla Bulgaria che si racconta con diverse identità: ad ogni colloquio sostiene di essere nata in un luogo differente da quello detto la volta precedente (la prima volta dice di essere nata in Ucraina, poi in Moldavia e infine in Bulgaria), di avere nomi differenti a seconda delle persone che incontra e di essere stata venduta dal padre a due uomini che l’hanno trasportata per 5 anni (dall’età di 15 a 20 anni) verso luoghi che erano solo di transito, ma non sapeva mai quando sarebbe finito il suo viaggio, perché nessuno era in grado di aiutarla. Il suo corpo era in balia di altri, era in continuo transito, in anonimo passaggio, un contenitore sballottato, un corpo dotato di un’imprecisa e frammentata identità. Identità debole fin dall’inizio, essendo nata Angela da una coppia anomala, in cui padre e madre sono due fratelli. Lei è il frutto di una sessualità non normata, non controllata, frutto di un incesto. Parla del padre come di una persona buona con lei, e anche se non la mandava a scuola stava sempre in casa con lei; ma quando beveva un po’ di più voleva che lei gli “facesse delle cose strane”. Ci dice che Angela non è il suo vero nome, ma da quando è stata venduta dal padre le sono stati cambiati così tanti nomi che ora non sa nemmeno che nome dare a sua figlia che ha già un mese di vita. Ad ogni frontiera che passava le veniva cambiata identità; è stata trasportata in Moldavia dove le è stato “insegnato come lavorare” sulla strada, una sorta di iniziazione attraverso il dolore e la violenza, è passata in Romania dove è stata per un anno, ha transitato attraverso la Turchia dove si è fermata qualche mese, è stata portata in Kossovo dove era costretta a lavorare in locali notturni, ed è arrivata in Albania, luogo della sua partenza per l’Italia. Nel caso di Angela si configura bene questa espressione di “corpo fuori luogo”, corpo trasportato in altri luoghi alienati ed alienanti, appunto “non luoghi”. Le ragazze che incontriamo ci raccontano che nel periodo del loro lavoro hanno incontrato centinaia di corpi, uomini e donne, di cui non ricordano né volti né nomi. In alcuni casi si ricordano dell’ultimo cliente perché è l’uomo che le ha aiutate a fuggire o con il quale hanno negoziato un tipo di lavoro differente. E non è infrequente che se ne innamorino, iniziando una nuova storia che spesso è la riedizione di quelle passate dove si ripropongono le stesse dinamiche di sfruttamento. In ogni modo si tratta di corpi venduti, per cui di nessuno e di tutti, costretti a lasciare qualsiasi cosa, chiunque, ad andare da un’altra parte, chiamati ad abitare luoghi non sicuri, non definiti. Corpi inopportuni e condannati perciò all’esclusione sociale, corpi scissi tra affettività e sessualità. Corpi continuamente trasformati, e per dirla con un concetto di F. Remotti, “corpi culturalmente modellati”35. Rappresentazioni del corpo e cultura Credo che andando avanti in queste riflessioni non si possa non tenere conto del significato del termine “cultura”, con tutto ciò che comporta in quanto a complessità. In questi ultimi anni è cresciuto l’interesse per il concetto di cultura, soprattutto da parte delle scienze sociali, con una particolare attenzione da parte dell’antropologia. Sembrano tutti concordi ad affermare che la cultura non sia solo quell’insieme complesso di conoscenze, credenze, arte, morale, diritto, costumi, valori e idee condivise da un gruppo e trasmesse da una generazione all’altra36, ma la cultura partecipi alla costruzione di identità diverse attraverso i miti, i simboli, le lingue, le Nota 35. Cfr. F. Remotti (a cura di), Forme di umanità, Edizioni Paravia, Torino, 1999. 36. Cfr. E.B. Tylor, Primitive Culture, Harper & Row, 1973. manuale_4_D 20-05-2005 17:50 Pagina 81 Progetto Equal Li.fe. - Libertà Femminile Rappresentazioni del corpo, della sessualià e dell’affettività in donne vittime della tratta visioni cosmologiche e i rituali caratteristici di una determinata popolazione o gruppo etnico. Possiamo condividere la definizione di cultura di J. e J. Comaroff che affermano: “Noi concepiamo la cultura come uno spazio semantico, il campo di segni e di pratiche nel quale gli esseri umani si costruiscono e si rappresentano in rapporto con gli altri e, in conseguenza di ciò, si costruiscono e si rappresentano le loro società e le loro storie”37. La cultura non è mai un sistema chiuso, definito una volta per tutte, ma al contrario essa contiene saperi che partecipano alla “costruzione di diverse forme di umanità”. E le varie manifestazioni culturali, tutte le manifestazioni culturali in realtà, passano attraverso il corpo o ineriscono al corpo. Anche le manifestazioni culturali più spiritualizzate in realtà esigono una presenza, un esercizio del corpo, necessitano di una preparazione a cui il corpo è tutt’altro che estraneo. Non si può prescindere da questa consapevolezza della presenza e dell’incidenza del corpo. Nei rituali iniziatici africani, per esempio, ma anche in altri rituali di determinati gruppi, è il corpo ad essere oggetto di continue trasformazioni che incessantemente ridefiniscono la sua estetica, la sua forma, i suoi confini, attraverso massaggi, tatuaggi, cicatrici, incisioni, scarificazioni, circoncisioni e cosi via. Sappiamo che un tratto comune ai rituali iniziatici o a qualsiasi pratica effettuata sul corpo è il dolore: esperienza emotivamente intensa che non la si dimentica più per tutta la vita. Lascia un segno nell’esistenza di chi l’ha provato. Tutto ciò rinvia a un complesso universo simbolico come a differenti percezioni del corpo, della persona, della sessualità, della morte. Risulta chiaro allora che la nostra rappresentazione del corpo come inviolabile sia un prodotto culturale tanto quanto quello di un corpo soggetto a continui modellamenti. Gli antropologi, gli psicologi, e gli operatori nelle scienze sociali sono consapevoli da parecchi decenni di quello che Marcel Mauss 81 negli anni ’30 chiamava “le tecniche del corpo”38. Mauss metteva in luce come, per esempio, l’attività del camminare fosse un’attività che si impara culturalmente, come il respirare, il parlare, il mangiare, o il modo di vestire siano anch’esse attività culturali. Vediamo allora come tutte le manifestazioni del corpo siano modellate culturalmente. Iniziazione e modellamenti del corpo in donne vittime della tratta Mi soffermo a sottolineare l’importanza che assume il corpo in quanto “oggetto culturalmente modellato”, perché analogamente, anche se in contesti culturali differenti, con modi e fini diversi di attuazione, mi pare si possa fare un parallelo di come vengano modellati, trasformati i corpi delle ragazze vittime della tratta. Non credo che sia un parallelo troppo azzardato, nonostante le differenti percezioni di questo modellamento siano evidenti. Sappiamo, partendo dalle storie delle nostre ragazze, che c’è una sorta di “iniziazione al lavoro di strada con modellamento del corpo”. Se i corpi vengono diversamente modellati a secondo delle culture, dei periodi storici, degli strati sociali, dei vari contesti, forse vengono modellati partendo da determinate idee, presupposti che sono quelli che ineriscono a una certa qual idea di essere umano, a una certa qual idea di “persona”. Persona, nei casi delle ragazze vittime della tratta, da assoggettare, sottomettere, sfruttare, abbandonare e uccidere in alcuni casi. Si può pensare ai riti vudù per quanto riguarda le ragazze provenienti dalla Nigeria, riti di assoggettamento psicologico; come invece per le ragazze provenienti dall’Est Europeo l’iniziazione alla strada, come la definisco, avviene attraverso la violenza fisica e non solo. Riprendendo l’espressione di “corpo culturalmente modellato”, credo che tutti possano essere d’accordo sul fatto che per le ragazze che sono state vittime della tratta si attua un Nota 37. cit. in A. Mary, “Conversion et conversation: les paradoxes de l’entreprise missionnaire” in Cahiers d’Etudes Africaines, 160, XL-4. 38. Cfr. M.Mauss, Teoria generale della magia e altri saggi, G. Einaudi Editore, 1965. manuale_4_D 20-05-2005 82 17:50 Pagina 82 Progetto Equal Li.fe. - Libertà Femminile Rappresentazioni del corpo, della sessualià e dell’affettività in donne vittime della tratta intervento, una trasformazione del corpo di tipo estetico che ricalca certi modelli delle nostre società occidentali. Chi ha fatto un viaggio in treno o in pullman da Torino a Milano per esempio, gli sarà capitato di vedere gruppi di ragazze (di solito nigeriane) che salgono con l’aspetto di bambine e lungo il tragitto si trasformano; si truccano (mi verrebbe da dire si mascherano in funzione di questa recita che dovranno fare), si cambiano (in treno ci sono dei veri commerci di vestiti adatti a svolgere il lavoro), si mettono le unghie finte e delle vistose parrucche e scendono che sono trasformate in oggetti di desiderio sessuale. Vediamo allora come i vestiti appariscenti che connotano subito la donna come prostituta, il trucco, le unghie finte, il cambiamento di pettinatura, fanno parte di tutte quelle trasformazioni del corpo e, in definitiva, di quelle modificazioni della persona che la rappresentano in un determinato modo e le danno una certa percezione di sé, anche attraverso un certo modo di muoversi, attraverso un certo linguaggio da imparare e adottare. Mi raccontava una ragazza ucraina che le era stato dato un quaderno con le poche parole che doveva usare con i clienti. In modo emblematico la prima parola da dire loro era: “soldi”. Le altre erano “parcheggio, 5 minuti, non si parla”. E poi altre più specifiche riguardo alle prestazioni sessuali. Segre, uno studioso di queste tematiche, ha riscontrato che la percezione del mondo e della sessualità di queste ragazze si modifica al costo altissimo di un profondo mutamento di personalità che è peraltro indispensabile loro per affrontare questo tipo di vita39. Devono apprendere velocemente l’uso dell’aggressività e della volgarità, devono adattarsi velocemente ai nuovi luoghi, sia di lavoro che di abitazione (spesso sono case fatiscenti dove abitano in spazi ristretti con altre ragazze o alberghi di infima categoria). Anche le ore di lavoro e i ritmi sonno – veglia sono alterati. È importante sottolineare che c’è un vero modellamento, una trasformazione del “chi si è” psicologicamente e socialmente. E in questo caso il “chi si è” socialmente è stigmatizzante, oggetto di disapprovazione e lascia la donna nell’esclusione e nell’invisibilità sociale. I continui cambiamenti, una continua trasformazione di identità, diventa come una recita dei rapporti all’interno di relazioni in cui non esiste scambio né desiderio, né affettività, ma sono forzati e costretti nei limiti del contratto. La prostituzione come progetto di emancipazione Alla luce di tutto ciò è lecito pensare che tutto questo produca una trasformazione nella percezione che si ha rispetto al maschile, alla sessualità e al proprio corpo. Vedremo più avanti che queste trasformazioni, questi modellamenti culturali, come li abbiamo definiti, si dimostreranno ambivalenti nei confronti delle donne vittime della tratta. Ambivalenti in quanto se da una parte le danno la connotazione ambigua ed emarginante della prostituta, dall’altra c’è una sorta di attrazione. Riguardo alla percezione della prostituzione in Romania, tra i numerosi fattori che determinano le giovani ragazze a scegliere la prostituzione (condizioni economiche precarie, problemi familiari, aggressioni sessuali precedenti, matrimoni falliti e figli a carico), vi è anche l’attrazione verso un mestiere che promette una serie di vantaggi: guadagni grossi, possibilità di divertimento sicuro, opportunità di incontrare uomini con buone posizioni sociali, possibilità di proposte di matrimonio e speranze di arrivare a possedere determinati status symbol che i nostri mass media ripropongono insistentemente (abiti firmati, telefonino trendy, gioielli, auto di lusso e così via). Se è vero che è presente una sorta di inevitabilità a dover sottostare a certe condizioni di sfruttamento, è anche vero che c’è il senso di poter andare incontro a nuove “possibilità di divenire”. Non poche ragazze che incontriamo ci dicono di avere lasciato al loro paese una situazione familiare difficile e dei figli piccoli. Mi viene in mente una donna che è venuta a Mamre e che mi ha espresso chiaramente il Nota 39. Cfr. S. Segre, La prostituzione come costruzione sociale e l’identità delle prostitute straniere in Italia, in “Quaderni di Sociologia”, Vol. XLIV, 22. manuale_4_D 20-05-2005 17:50 Pagina 83 Progetto Equal Li.fe. - Libertà Femminile Rappresentazioni del corpo, della sessualià e dell’affettività in donne vittime della tratta suo dramma per aver lasciato in Moldavia il suo bambino di pochi mesi ad una vicina di casa. È scappata dal paese per sfuggire alla sua tossicodipendenza e alla estrema povertà che non le permetteva nemmeno di far sopravvivere il figlio. Consapevole dei danni della droga su se stessa e indirettamente sul figlio, sola senza genitori né marito, è partita per l’Italia per venire a lavorare sulla strada. Il suo progetto era di disintossicazione autonoma e lavorare sulla strada per poter dare un futuro a suo figlio. Arrivata nel nostro paese è stata presa tra le maglie di alcuni sfruttatori che l’hanno venduta a tre gruppi differenti e con i quali, racconta, non c’erano margini né di autonomia né di negoziazione. Ha lavorato qualche mese sui marciapiedi combattendo tra l’astinenza della roba, la vergogna e il disgusto di sé e il pensiero del figlio da crescere. Mi diceva che resisteva per lui, ma poi non ce l’ha più fatta e ha denunciato. Da quattro anni questa donna è uscita dalla tossicodipendenza, è stata sostenuta in un percorso di reinserimento sociale ed è stata aiutata da Mamre con colloqui psicologici. Oggi ha trovato un buon lavoro e sta per sposarsi. Ma ha perso suo figlio che nel frattempo è stato dato in affidamento alla famiglia a cui l’aveva lasciato al momento della partenza. A volte vive ancora profondi sensi di solitudine, ma ha acquistato fiducia in se stessa, ha ricostruito la sua dignità che credeva perduta e non si sente più persa in “non luoghi”, in balia di altri, ma ha costruito una familiarità e dei riferimenti affettivi, difficili spesso da ripensare una seconda volta. Ma ho in mente anche una giovane donna rumena (Maria, nome fittizio) la quale mi raccontava che cercava di ottenere più clienti possibili per mettere da parte il denaro che le permettesse di comprare quello che voleva per essere “alla pari” con tutti. Mi diceva: “…tanto gli uomini erano interessati solo a raggiungere l’orgasmo, la relazione non esisteva. Sono dei pezzi di merda e basta. Io gli lascio fare tutto quello che vogliono, ma poi sono io che li sfrutto e gli faccio ripagare tutto, mi devono camminare sotto le suole”. Maria sta seguendo un percorso di reinserimento sociale, ma ha difficoltà 83 a instaurare relazioni stabili con chiunque, e con gli uomini in particolare è sempre viva l’idea che oggi l’aguzzino è lei e che si vendicherà del male subìto. In questo senso bisogna un po’ abbandonare il modello spesso riproposto della donna vittima, andare oltre il binomio vittime/aguzzini, perché, anche se in modo invisibile, sovente all’interno di questo tipo di coppia i rapporti di potere sono negoziati, se non addirittura rovesciati. Quindi al di là delle ragioni economiche, sicuramente presenti e pressanti, c’è un altro livello di motivazioni, a volte forse inconsce e inconsapevoli, altre volte più calcolate, che partono tutte da un immaginario esterno fabbricato a partire dai modelli delle nostre società occidentali, e che influenzano le spinte, i desideri, i progetti migratori delle persone che arrivano da noi. Tutte queste trasformazioni cambiano la percezione di sé modificando anche la dimensione della sessualità e mettendo in gioco simbolicamente la gerarchia tra i sessi. J.e J. Comaroff prendono in esame proprio questo aspetto: il potere di tipo imprenditoriale che viene esercitato da queste donne attraverso una propria autonomia, per arrivare ad avere accesso a beni e potere economico. Uno psichiatra che lavora in una ASL di Torino mi raccontava che in una città delle Marche, non molto tempo fa, si è verificato il fenomeno delle “donne russe”. È iniziato quando un imprenditore delle Marche è andato in Russia ed è tornato con la moglie. La signora in questione ha impiantato un vero business, facendo venire in Italia altre donne russe e organizzando matrimoni con uomini italiani. La concertazione tra loro era realizzata in modo tale che le donne potessero spogliare economicamente il proprio marito, divorziare ed eventualmente risposarsi con un altro uomo con lo stesso fine. La donna oggi attraverso la prostituzione non fa altro che replicare, sul versante dello sfruttamento dei corpi, questa consuetudine femminile con la gestione del potere e dei beni. Non è così infrequente che alcune donne, dopo aver pagato il loro debito agli sfruttatori, diventino loro stesse sfruttatrici. manuale_4_D 20-05-2005 84 17:50 Pagina 84 Progetto Equal Li.fe. - Libertà Femminile Rappresentazioni del corpo, della sessualià e dell’affettività in donne vittime della tratta C’è una sorta di identificazione con l’aggressore e di coerenza con le economie occidentali di mercato. La sessualità e la prostituzione nei luoghi d’origine Che la prostituzione sia il mestiere più antico del mondo è un luogo comune da tutti conosciuto. Ma vale la pena per un momento analizzare il fenomeno, differenziando la percezione della sessualità e l’attività della prostituzione nei paesi d’origine, alla forma che si è sviluppata recentemente nei luoghi d’arrivo (Europa). I paesi dell’Europa centro – orientale e dell’ex Unione Sovietica hanno avuto una sempre crescente espansione nel circuito del sesso commerciale, che fino alla fine degli anni ’80 presentava modeste dimensioni, o perlomeno non si conosceva il fenomeno perché illegale e praticato clandestinamente. Questo perché sotto le dittature di questi paesi tutto veniva controllato, censurato: dalle informazioni agli studi, dal lavoro ai beni di consumo, dall’educazione ai comportamenti, dallo stile di vita alle attitudini e ai desideri, e anche la sfera sessuale era sottoposta a una forte censura e non esisteva una dimensione pubblica della sessualità. Veniva controllata l’affettività (tra marito e moglie non c’era un atteggiamento di fiducia), e i rapporti amorosi (tra fidanzati non si parlava mai di questioni politiche e non ci si poteva mai lasciare andare ad atteggiamenti troppo confidenziali); la femminilità veniva negata e la sessualità era un forte tabù in un periodo in cui L’Europa era l’Occidente libero che permetteva le contestazioni alle donne, la liberazione della loro femminilità e l’esaltazione della loro sensualità Nei paesi di regime anche le mode erano standardizzate. Si potrebbe dire anche in questo caso che i regimi, con le loro censure, rigidità, violenze psicologiche e non, con i loro muri reali e immaginari, hanno culturalmente modellato i corpi, le mode, i modi di pensare, la percezione di come essere persona, di come vivere l’affettività e la sessualità. Un’affettività fredda anche se profonda (e l’intensità della loro affettività la possiamo vedere dal molto che sono disposte a sacrifi- care per le loro famiglie, i loro figli), un’affettività modellata (riprendendo il termine già spesso usato) in una cultura di per sé fredda; una sessualità negata, repressa, subita e vissuta passivamente. Le giovani generazioni, che sono quelle delle ragazze che vengono da noi oggi, sono tutte concordi nel sostenere che la sessualità era ritenuta qualcosa di sporco, di vergognoso, di cui non si parlava mai, né a scuola, né in famiglia, era vissuta in modo nascosto. Non si fa fatica a pensare che la percezione della sessualità e il rapporto con il maschile fosse di subordinazione, dove il ruolo dell’uomo assumeva una posizione di tipo autoritario e maschilista. Ovviamente ogni generalizzazione è fuorviante, ma intenzionalmente enfatizzo degli aspetti che sicuramente sono stati condizionanti per molte donne dell’Est Europeo, dal momento che i contesti culturali e sociali influenzano anche le modalità di espressione dell’affettività e della sessualità. Con la caduta dei regimi che imponevano una programmata organizzazione sociale nasce un iniziale senso della liberazione, seguito subito da un forte disorientamento, da un senso di dis-organizzazione e una conseguente confusione. Non c’è più lo Stato, ma al suo posto non c’è nulla e la gente si accorge subito che regna il caos. Non ci sono più certezze, punti di riferimento e le stesse istituzioni non sono in grado di garantire nulla, nemmeno il lavoro che si aveva fino a quel momento. Crolla lo Stato che controlla, ma al suo posto non nasce uno Stato Sociale che difende i diritti dei cittadini. Tutti sono in balia di se stessi o degli altri e non c’è la capacità di prendere in mano la situazione perché l’omologazione precedente non ha permesso che si sviluppasse un pensiero individuale, creativo, ideativo, capace di emergere. La caduta dei regimi provoca cambiamenti troppo veloci che non riescono ad essere subito interiorizzati. Anche il vissuto della sessualità come tabù viene rapidamente modificato, in nome di una liberalizzazione del sesso. La prostituzione che sotto il regime comunista veniva praticata di nascosto perché non legale, dopo il 1989 esce manuale_4_D 20-05-2005 17:50 Pagina 85 Progetto Equal Li.fe. - Libertà Femminile Rappresentazioni del corpo, della sessualià e dell’affettività in donne vittime della tratta da un relativo anonimato e semi clandestinità per conoscere una larga espansione. In Romania, ma in molti paesi dell’Est, attorno al 1993, si vede un esplosione di case chiuse e si struttura sempre di più “l’industria del sesso”. Dagli anni 1998 al 2002 la prostituzione dell’Est entra in una rete internazionale, dimostrando di essere in grado di creare una rete di criminalità organizzata molto efficiente. Con l’apertura delle frontiere si aprono i nuovi orizzonti del sesso a pagamento e la rappresentazione del desiderio sessuale fa un ingresso massiccio nella quotidianità, attraverso i circuiti dei mass media: Internet, video porno, tv private, giornali, inserzioni di massaggi, offerte di posti di lavoro all’estero come ballerina o fotomodella, finti annunci matrimoniali, spogliarelliste e quant’altro. Secondo una ricerca di Ian Taylor e Ruth Jamieson la crescita di consumo dei servizi sessuali può essere compresa solo se considerata come parte della più ampia cultura delle società di mercato40. L’allargamento di questo consumo è parte del processo di liberalizzazione del commercio e delle attività economiche a livello globale e della più generale riorganizzazione della vita politica ed economica attorno al cittadino consumatore, catturato in un gorgo crescente di consumismo. La prostituzione sembra essere sempre più propriamente un “bene di consumo”. Come afferma Paola Monzini la spinta a considerare la mercificazione del sesso come un’opportunità, agisce soprattutto sull’immaginario di giovani donne che vivono in situazioni di precarietà economica e disagio familiare, portandole a sottostimare i forti rischi di sfruttamento spesso connessi all’organizzazione stessa in questo tipo di attività41. Al momento del crollo dei regimi, la prostituzione, praticata di nascosto e considerata illegale, ha iniziato a diffondersi in modo spontaneo. Molti altri paesi dell’Ex Unione Sovietica, paesi baltici e paesi dell’Europa centro - orientale hanno conosciuto una notevole espansione nel mercato del sesso, con una specializzazione nello sfruttamento delle donne. 85 È indicativo un fatto che mi è stato riferito da una mediatrice culturale proveniente dall’Estonia: quando si chiedeva alle ragazze di 13/14 anni che cosa volessero fare da grandi, loro dicevano con orgoglio che avrebbero fatto le “prostitute”; questo sogno era motivato dal fatto che le prostitute che lavoravano nei bordelli avevano vestiti costosi e guadagnavano molto denaro, in confronto ai loro genitori che con due lavori e dei miseri stipendi a malapena mangiavano. L’immaginario della prostituta era di una donna alta, magra, bella. La prostituta era il modello da raggiungere, un modello di autonomia, emancipazione, libertà. Un modello che certamente permetteva di dare un aiuto economico anche alle loro famiglie. Proprio questo si poteva ottenere venendo in Europa. Da ricerche sul campo si è visto, per esempio, che l’Ungheria ha una efficientissima industria sessuale, articolata sia nel campo della prostituzione che in quello della produzione di video e film. Oggi quasi la metà delle persone che si prostituiscono in Europa sono immigrate. La loro presenza ha incominciato a diventare consistente a partire dalla fine degli anni ’80, e ora le straniere hanno un ruolo fondamentale nei mercati di ogni paese, se pensiamo che il giro di affari delle persone ridotte in stato di semi schiavitù si aggira attorno ai 7 miliardi di dollari all’anno42. Trasformazioni e differenti modalità di reclutamento e prostituzione La prostituzione ha assunto nuove modalità di essere praticata e la rappresentazione di questo mestiere si è modificata. Le nuove forme di incontro tra chi si prostituisce e chi paga sono cambiate: vengono assunte nuove forme di reclutamento delle ragazze per i diversi paesi dell’Europa. Le strategie alla base dello sfruttamento, che ne permettono la sua realizzazione e sviluppo, variano anche in relazione delle nazionalità d’appartenenza e della capacità di autodifesa Nota 40. Cfr.I. Taylor e R. Jamieson, Sex Trafficking and the Mainstream of Market Culture in “Crime Law & Social Change”, 32 - 1999. 41. P. Monzini, Il mercato delle donne. Prostituzione, tratta, sfruttamento, Edizioni Donzelli, 2002. 42. Cfr. P. Monzini. manuale_4_D 20-05-2005 86 17:50 Pagina 86 Progetto Equal Li.fe. - Libertà Femminile Rappresentazioni del corpo, della sessualià e dell’affettività in donne vittime della tratta dei gruppi di donne coinvolte, nonché dal loro “progetto migratorio” o dalla costrittività violenta o meno che subiscono per esercitare la prostituzione. In altri termini, si ipotizza che le organizzazioni criminali o i singoli sfruttatori abbiano incominciato a praticare uno sfruttamento differenziale, non più solo attraverso l’uso della violenza sia fisica che psicologica, ma nella ricerca di consensi o modalità di “quieto vivere” tra le parti in causa, nella possibilità di accettare delle mediazioni per rendere strumentalmente vantaggiose le aspettative della donna (ad esempio non essere assoggettata a forme di violenza o torture) e degli sfruttatori (guadagnare denaro senza entrare continuamente in conflitto con la donna)43. Inoltre, sulla base delle tipologie e delle modalità con la quale si esercita la prostituzione, variano i rapporti tra gli sfruttatori e le donne coinvolte, sia nella fase di reclutamento e di assoggettamento, sia in base alla volontarietà o meno espressa dalla donna nonché la capacità di contrattare i luoghi dove si effettua l’attività di prostituzione44. Per le donne dei paesi dell’Est provenienti, in particolare, dall’Albania, Moldavia, Romania, la modalità di reclutamento è attuata ancora attraverso raggiri con promesse di lavoro e di matrimonio e l’assoggettamento è basato sulla violenza fisica e psicologica, sull’isolamento sociale e sul controllo ravvicinato, nonché sulle minacce nei confronti dei familiari. La prostituzione è ancora attuata sulla strada, anche se negli ultimi anni si assiste ad uno spostamento negli appartamenti. Per le donne russe, polacche, ucraine, slovene, bosniache il reclutamento ha modalità di tipo consensuale, mediante contratti attraverso agenzie di viaggio. Spesso il lavoro viene svolto per strada, ma appare consistente anche quello svolto nei locali di intrattenimento o in appartamenti. Per le donne nigeriane (si comprende anche la tratta di persone provenienti dal Ghana, Costa d’Avorio e Camerun), il reclutamento è basato su promesse di lavoro e con forme di indebitamento per sostenere le spese di viaggio e i primi mesi di permanenza nel paese d’arrivo. Viene stipulato un contratto suggellato dal rituale vudù che vincola la donna al rispetto assoluto del medesimo e al pagamento del debito. I luoghi dell’esercizio della prostituzione sono generalmente per strada, anche se in misura sempre maggiore vi è uno spostamento verso gli appartamenti o i locali notturni. Le donne presenti da maggior tempo nel paese lavorano in appartamenti, locali notturni o in Internet per porno video o film. Tutte le ragazze che incontriamo a Mamre ci dicono che lo scarto tra l’ideale sognato e la realtà a cui si va incontro si dimostra subito abissale. È pur vero che nei paesi dell’Est e dell’Ex Unione Sovietica la donna, con poche eccezioni, “viveva una mancanza di libertà totale essendo completamente sottomessa alla dominazione dei genitori o del marito” (tratto dal documento rumeno sulla prostituzione), la sua affettività era inibita, desessualizzata e orientata prevalentemente verso la famiglia. Direbbe Freud: “l’amore inibito nella meta”; la sessualità era subita e quindi vissuta in modo passivo. Ma se da un lato, quindi, c’è un atteggiamento marcatamente difensivo nei confronti della sessualità, dall’altro questa dimensione risulta per loro una possibilità di affermarsi ed affermare dei diritti. Per le ragazze e le donne in questione, fuggire dai propri paesi che hanno gravi problemi sociali (alcolismo, violenze intrafamiliari, abbandoni di minori) e pesanti problemi economici (alto tasso di disoccupazione, bassi stipendi, crescita sproporzionata dell’inflazione), significa voler costruire progetti di autonomia ed emancipazione, andare incontro a desideri di individualizzazione, essere disposte anche a sottostare alle regole dello sfruttamento da parte di organizzazioni criminali. La prostituzione è vissuta allora come chiave di cambiamento per una vita diversa. Come sosteneva una ragazza moldava: “se devo scegliere da chi essere sfruttata scelgo tra più sfruttatori”. È l’illusione di una scomposi- Nota 43. Cfr. F. Carchedi, Prostituzione, migrante e donne trafficate, Edizioni Franco Angeli, 2004. 44. Cfr. F. Carchedi, La prostituzione straniera e la tratta delle donne a scopo di sfruttamento sessuale, in “Le condizioni degli immigrati in Italia”, Agenzia romana per la preparazione al Giubileo, F. Carchedi (a cura di) “Migrazioni. Scenari per il XXI secolo”, Vol. II, So.gra.ro Spa, Roma, 2000. manuale_4_D 20-05-2005 17:50 Pagina 87 Progetto Equal Li.fe. - Libertà Femminile Rappresentazioni del corpo, della sessualià e dell’affettività in donne vittime della tratta zione del trauma che pare meno dolorosa da affrontare ed elaborare. Questo dà la cifra del fatto che la sudditanza (sessuale) non è più tollerata, in un mondo dove gli scambi, anche sessuali, sono diventati commerciali e a livello planetario. La donna, con la sua merce, entra a far parte del mercato e ha potere di negoziazione. La prostituzione è la possibilità di affacciarsi a nuove realtà e a nuove possibilità di essere. In questo senso la prostituzione sembra essere legata a un processo di emancipazione o emancipazione di un “falso sé” illusorio. Attraverso la prostituzione la donna sviluppa il suo progetto migratorio modificando la percezione di sé e della sua sessualità. Allora, i luoghi fino ad allora abitati vengono lasciati per altri luoghi, in fondo non meno freddi dei loro. A ben pensarci, le nostre città ricalcano il modello delle città nordiche, rispetto alle quali le ragazze dell’Est possono provare un minor senso di spaesamento, meno perdita di senso e di luogo rispetto ad esempio alle ragazze provenienti dall’Africa, dove il contesto ambientale è completamente differente. L’effetto di straniamento provocato dallo sradicamento dal proprio paese d’origine e dalla perdita dei riferimenti simbolici e affettivi significativi, viene enfatizzato nel caso delle ragazze che si prostituiscono per la prima volta in un paese straniero con un ambiente, un clima, una cultura molto differenti dalla loro. Nell’ambiente “nuovo” cadono i riferimenti significativi e la struttura della personalità corre il pericolo di indebolirsi e di frantumarsi. Si rafforza così un bisogno di dipendenza affettiva da oggetti familiari che viene cinicamente sfruttato dagli sfruttatori che, sulla base di processi di identificazione e spostamento vengono vissuti come “protettori”. Da un punto di vista psicodinamico si tratta di un tentativo di colmare il senso di vuoto e di sradicamento vissuto allontanandosi dal loro paese. Percorsi di cura con donne vittime della tratta Il lavoro condotto al Centro Mamre da un’équipe di psicoterapeuti, psichiatri, etnopsichiatri, antropologi medici e mediatori cultu- 87 rali, consiste in colloqui psicoterapeutici che permettono alla persona di affrontare, gestire ed eventualmente superare il dolore che crea problema. Molte ragazze, che provengono dal mondo della tratta, hanno subito mille trasformazioni e cambiato mille maschere di recita, e abbandonando quel vissuto per entrare in nuovi progetti di vita devono accettare nuove trasformazioni ed entrare in un altro percorso, quello della protezione sociale. Sembra di andare incontro ad una “duplice spoliazione”: dal mondo torbido e abbietto, dagli incontri occasionali e spesso perversi, al mondo, in un certo qual senso, delle origini. O per lo meno dove si vorrebbero ritrovare le origini di se stesse. Ma le origini sono lontane perché si è passate da continue trasformazioni di identità, da cambiamenti spazio – temporali a modificazioni della percezione di sé. È allora possibile costruire insieme a queste donne un progetto umano credibile? Bisogna rompere le barriere della paura reciproca, instaurare relazioni di fiducia, sospendendo ogni giudizio moralistico, e accettare le bugie o le mezze verità che vengono raccontate e che fino a quel momento hanno permesso loro di sopravvivere; è necessario stabilire una relazione di profondo rispetto e attraverso un ascolto attento e partecipante percorrere con loro la ri-narrazione della propria vita rivisitando il progetto migratorio e, realisticamente, riprogettare nel futuro. Molte ragazze, uscite dal mondo della strada, provano sensazioni di diffidenza, sfiducia, rassegnazione, apatia, depressione, fino ad arrivare ad atteggiamenti di aggressività, al disgusto di sé, e a tentativi autolesivi se non anticonservativi. In tutto questo percorso, non facile né scontato, si possono generare equivoci o malintesi, dovuti alle difficoltà che spesso le ragazze (e non meno gli operatori) trovano all’interno delle comunità di accoglienza. Non bisogna mai cadere nell’atteggiamento missionario o nell’illusione salvifica che, in termini psicologici, è l’onnipotenza di sostituirci a loro con un Io vicariante. manuale_4_D 20-05-2005 88 17:50 Pagina 88 Progetto Equal Li.fe. - Libertà Femminile Rappresentazioni del corpo, della sessualià e dell’affettività in donne vittime della tratta A volte abbiamo l’impressione che siano deboli e fragili e che il loro Io sia destrutturato. Ma nella maggior parte dei casi, queste ragazze che hanno subito traumi terribili, si sono strutturate delle difese forti e un Io aderente alla realtà. Il primo compito durante l’ascolto è raccogliere le motivazioni e i desideri al cambiamento, ma non di meno è importante una valutazione realistica delle possibilità di realizzazione45. Bisogna lavorare sul presente, sul “qui ed ora”, riducendo la portata delle ambizioni e articolandole in obiettivi progressivi. Solo in questo modo la possibilità del dialogo è davvero intrinseca nella situazione, è strutturale. Creare un progetto umano credibile significa, allora, creare un contesto di ascolto su ciò che le ragazze sono in grado di portare di loro, della loro storia, delle loro trasformazioni, e attraverso questo percorso poter lavorare sulle loro risorse, riprendendo le loro parti migliori che le aiuteranno a ricostruire fiducia, auto- stima e identità, al fine di creare una nuova cornice e di generare una nuova prospettiva, con la possibilità di poter scegliere uno tra i tanti modi possibili di essere al mondo: il loro. Rispettando la loro soggettività di “esseri unici”. Ma in qualsiasi lavoro di cura non basta usare l’ascolto, l’empatia, il rispetto o la simpatia: bisogna che la persona avverta che ci prendiamo cura di lei. E prendersi cura significa tenere conto dei diversi livelli di appartenenza della persona, compreso il livello degli antenati, degli spiriti, dei morti, delle divinità. Prendersi cura significa tenere conto dell’identità della persona e come questa identità si è formata, tenere conto della ragione di essere della persona, ancora prima della sua storia, andare al di là di ciò che è manifesto e lavorare attorno agli elementi impliciti del mondo che deve rappresentare. FRANCESCA VALLARINO GANCIA 46 Nota 45. Cfr. M. Da Pra Pocchiesa, Prostitute, prostituite, clienti. Che fare?, Edizioni Gruppo Abele, 2001. 46. Psicologa psicoterapeuta. Direttore del Centro Mamre.