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“Portami con te lontano”. Istruzione e
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TORINO
DIPARTIMENTO DI CULTURE, POLITICA E SOCIETÀ
DOTTORATO DI RICERCA IN SOCIOLOGIA E SCIENZA POLITICA
INDIRIZZO IN SOCIOLOGIA
CICLO: XXIV
“Portami con te lontano”.
Istruzione e inserimento sociale dei giovani migranti
al termine della scuola secondaria di II grado
TESI PRESENTATA DA: Arianna Santero
TUTOR: Prof. Rocco Sciarrone
COORDINATORE DEL DOTTORATO: Prof.ssa Maria Carmen Belloni
ANNI ACCADEMICI: 2009 – 2011
SETTORE SCIENTIFICO-DISCIPLINARE DI AFFERENZA: SPS/07
2
Indice
Introduzione
1.
Prospettive teoriche e ricerche empiriche sull’inserimento scolastico
dei bambini e dei giovani migranti
p. 6
p. 10
1.1. Aspetti istituzionali e analisi del curriculum
p. 12
1.2. Risultati scolastici e rischio di dispersione
p. 17
1.3. Scelte scolastiche
p. 25
1.4. Scuola, extra-scuola e condizione giovanile
p. 31
1.4.1.
Assimilazione e integrazione
p. 31
1.4.2.
Socialità giovanile dei migranti in Italia
p. 39
2.
Approccio teorico, domande e ipotesi, disegno della ricerca
p. 45
2.1. La definizione del problema
p. 45
2.1.1.
Oggetto della ricerca e campi teorici
p. 45
2.1.2.
Il contesto istituzionale: interazione tra livelli
p. 51
2.1.3.
Le traiettorie scolastiche: investimento e progettualità
p. 53
2.1.4.
Le traiettorie di migrazione e inserimento sociale: la famiglia come
unità d’analisi
2.1.5.
Quattro ipotesi sulla specificità dei migranti
p. 54
p. 57
2.2. Il disegno della ricerca
p. 61
2.2.1.
Dati di contesto
p. 62
2.2.2.
Analisi della normativa e interviste ai testimoni qualificati
p. 62
2.2.3.
Interviste con studenti e genitori migranti
p. 63
3.
Gli studenti migranti nel sistema scolastico italiano e in Piemonte
p. 64
3.1. Gli alunni con cittadinanza non italiana
p. 64
3.1.1. Un rapido cambiamento
p.64
3.1.2. Eterogeneità di provenienze, distribuzione territoriale e scolastica
p. 67
3.1.3. Scuole statali e non statali
p. 69
3.1.4. Esiti scolastici diseguali
p. 70
3.2. Il caso del Piemonte
p. 71
3.2.1. L’aumento delle presenze
p. 71
3.2.2. Promossi, respinti e ripetenti
p. 74
3.2.3. Gli iscritti alla secondaria di II grado e all’università
p. 75
3
3.3. Orientamento e distribuzione degli stranieri nelle secondarie di II grado
della città di Torino
3.4. Chi arriva al termine delle secondarie di II grado?
3.5. Una survey con gli studenti dell’ultimo anno di scuola secondaria di II
grado in Piemonte
p.79
p. 83
p. 84
3.5.1. La scelta della scuola secondaria di II grado
p. 84
3.5.2. La rappresentazione del percorso scolastico pregresso
p. 89
3.5.3. La formazione extrascolastica
p. 91
3.5.4. Le aspettative di istruzione terziaria e/o inserimento nel mercato del
lavoro
p. 93
3.5.5. I legami amicali
p. 98
3.5.6. Aspirazioni di un futuro ceto medio immigrato?
p. 98
4.
In cerca di un modello italiano. Analisi interlivello di legislazione e
pratiche di inserimento
4.1. Le indicazioni del centro: intercultura, individualizzazione, incertezza
nell’implementazione
4.1.1. Ammissione a scuola: alcuni passi da gambero?
4.1.2. Gestire la concentrazione: assegnazione alla classe e fondi per scuole in
aree ad alto flusso immigratorio
p. 101
p. 102
p. 104
p.106
4.1.3. Integrazione linguistica: una faccenda prioritaria ma inizialmente locale
p. 110
4.1.4. Formazione degli insegnanti e dei dirigenti: il rischio “fai-da-te”
p. 110
4.1.5. Valutazione differenziata: normativa chiara, applicazione carente
p. 111
4.1.6. Tutela dell’identità culturale e intercultura: nucleo centrale del “modello
italiano”
p. 112
4.1.7. Interferenze, convergenze e accoppiamenti laschi tra ambiti di policies
p. 114
4.1.8. Fuor di retorica: tra alti e bassi di coerenza e continuità
p. 122
4.2. Attività degli enti locali (Piemonte/Torino): personalismo, partnership,
pragmatismo
p. 122
4.2.1. Iniziative, agenzie e funzioni
p. 123
4.2.2. Le specificità del contesto
p. 125
4.3. Buone prassi e “disprassie” degli istituti scolastici: varietà, volontarismo,
vaga valutazione
p. 129
4.3.1. Inserimento in classe e prima accoglienza
p. 130
4.3.2. Modifiche del Pof in chiave interculturale
p. 135
4.3.3. Governance, relazioni con la famiglia e l’extrascuola
p. 136
4.3.4. Innovare più di quanto richieda il centro o attuare strategie di
evitamento?
4.4. Cambiamenti e eterogeneità. L’importanza di guardare ai diversi livelli di
attuazione
p. 139
p. 146
4
5.
Il percorso migratorio familiare
p. 152
5.1. La partenza dei genitori
p. 155
5.2. Gli anni della separazione
p. 169
5.3. Il processo di riunione familiare
p. 175
5.4. Le convivenze familiari in seguito alla stabilizzazione in Italia
p. 195
5.5. Effetti della traiettoria migratoria familiare sul percorso di inserimento
lavorativo dei genitori
5.6. Rappresentazioni della mobilità geografica e sociale nel passaggio da una
generazione all’altra
6.
Il percorso di istruzione-formazione
p. 202
p. 210
p. 212
6.1. L’inserimento in classe e il primo ciclo di istruzione
p. 213
6.2. La “scelta” della scuola secondaria di II grado
p. 237
6.3. L’esperienza scolastica nel secondo ciclo di istruzione
p.264
7.
p. 274
Le aspirazioni e i progetti post-diploma
7.1. L’istruzione terziaria
7.2. Le aspettative occupazionali e di inserimento sociale tra obbligazioni e
desiderio di adultità
7.3. Genitori e figli a confronto. I progetti di mobilità sociale familiare durante
la transizione alla vita adulta
p. 274
p.302
p.313
Conclusioni
p. 318
Appendice metodologica
p. 336
Bibliografia
p. 362
5
Introduzione
A mio figlio Attilio Mauro che ha il nome di mio padre
Portami con te lontano / ...lontano... / nel tuo futuro.
Diventa mio padre, portami / per la mano / dov'è diretto sicuro / il tuo passo d'Irlanda / l'arpa del tuo profilo
/ biondo. Alto / già più di me che inclino / già verso l'erba.
Serba / di me questo ricordo vano / che scrivo mentre la mano / mi trema.
Rema / con me negli occhi al largo / del tuo futuro, mentre odo / (non odio) abbrunato il sordo / battito del
tamburo
che rulla - come il mio cuore: in nome / di nulla - la Dedizione.
(G. Caproni, Il muro della terra)
Int.: Per trovare un buon lavoro che carte servono in mano?
Verim: Perché uno può cercarlo ma non trovarlo, eh?
Int.: Per trovarlo.
Verim: (0.03) Come potrei rispondere. Uno deve aver studiato, con lo studio. Uno però può anche avere i
soldi, e fregarsene dello studio, pagare, e ottenerlo lo stesso, un buon lavoro (0.02).
Int.: Quindi studio o corruzione?
Verim: Sì. Io parlo di cose reali, non è che… però credo che lo studio, sia disponibile a tutti (sorride).
(stud. 15: Verim, Liceo α scientifico, 21 M, Albania)
Non chiedo il mondo ma neanche… una via di mezzo, no?
(stud. 43: Eduard, IP β sala bar, 20 M, Romania)
La ricerca qui presentata riguarda i percorsi in istruzione e le aspettative di inserimento
occupazionale dei giovani migranti al termine delle scuole secondarie, in Italia e in
particolare in Piemonte, intesi come parte del progetto di mobilità geografica e sociale
familiare. Lo scopo principale è stato indagare come le traiettorie migratorie,
occupazionali e familiari, in un dato contesto istituzionale, abbiano plasmato
l’individuazione della scuola superiore frequentata e le prospettive post-diploma degli
studenti e delle studentesse.
La presenza di studenti migranti nella scuola secondaria superiore italiana è in aumento,
soprattutto nel nord del paese. La transizione dall’istruzione secondaria a quella terziaria
(o al mercato del lavoro) dei giovani immigrati è ancora un tema poco indagato,
nonostante la sua rilevanza non solo per l’emergere di nuovi bisogni educativi ma anche
per le sue implicazioni sul piano dell’acquisizione dei diritti politici e sociali da parte
delle nuove generazioni di migranti. Dal punto di vista teorico inoltre, guardare alla
strutturazione delle disuguaglianze educative come “sistema aperto all’esterno” permette
di inserire gli studi sulle migrazioni all’interno di cornici teoriche relative a cambiamenti
6
più generali dei sistemi scolastici nazionali e del ruolo dell’istruzione nei processi di
riproduzione delle asimmetrie di classe, genere e provenienza nazionale.
L’indagine empirica si è svolta combinando con un approccio multimetodo: (1) l’esame
descrittivo dei dati del Ministero dell’Istruzione sulle presenze e gli esiti degli studenti
con cittadinanza non italiana in Italia e dei risultati di una survey rivolta ai frequentanti nativi e migranti - l’ultimo anno delle scuole medie superiori in quattro province del
Piemonte, regione italiana scelta perché il fenomeno migratorio a scuola è
quantitativamente e qualitativamente significativo, realizzata all’interno del progetto
Erica-WP31; (2) l’analisi della normativa e delle policies per l’inserimento degli alunni
migranti a livello nazionale e locale; la realizzazione e l’analisi tematica di interviste
semistrutturate rivolte a (3) 18 testimoni qualificati, insegnanti referenti o funzione
strumentale per l’inserimento degli allievi stranieri, operatori/trici dei servizi educativi e
scolastici locali e del privato sociale; (4) 56 studenti migranti campionati da sei scuole
secondarie di II grado scelte in base ai curricola e all’incidenza di allievi con cittadinanza
non italiana, nella città di Torino, capoluogo di regione che ha attivato innovative pratiche
di sostegno all’istruzione secondaria dei migranti; (5) 17 genitori degli studenti
intervistati, provenienti da diverse aree geografiche e con differenti posizioni sociali nel
paese di origine e destinazione.
Il lavoro è articolato come segue. Nel primo capitolo si è cercato di dar conto del nesso
tra istruzione e immigrazione, identificando quattro principali filoni di studio che si sono
sviluppati tra i campi teorici della sociologia dell’educazione, delle migrazioni e delle
disuguaglianze sociali: lo studio delle risposte didattiche e politiche alla presenza dei
migranti nelle organizzazioni scolastiche; le ricerche sulle disuguaglianze “etniche” di
riuscita scolastica; quelle sulle disuguaglianze nelle scelte scolastiche, data la riuscita; le
riflessioni sui processi di “integrazione”, “assimilazione” e “incorporazione” dei figli
dell’immigrazione nei sistemi sociali di destinazione. Nonostante la varietà di metodi e
presupposti analitici, spesso incompatibili e non comunicanti tra loro, questo ricco
insieme di contributi sembra volto a coniugare la duplice attenzione da un lato all’impatto
degli immigrati sulle scuole che li ricevono, dall’altro agli esiti dei processi di scolarità
sui destini sociali dei giovani immigrati.
1
ERICA - Enriching Regional Innovation Capabilities in the Service Economy. The institutional and
Cultural Roots of Development in a knowledge-based society - WP3 Improving the supply of knowledge,
educational and professional choices, Regione Piemonte - Bando Scienze Umane e Sociali, Dipartimento di
Scienze Sociali dell’Università di Torino e Ires Piemonte.
7
Il secondo capitolo presenta l’approccio teorico seguito e il disegno della ricerca.
L’impostazione adottata mira a evitare sia le visioni più strutturaliste, secondo le quali i
vincoli presenti nelle società di destinazione omologherebbero inesorabilmente verso il
basso le possibilità di inclusione dei migranti, sia quelle più assimilazioniste, fiduciose
nella graduale affermazione di eguali opportunità nel passaggio da una generazione
migratoria a quella successiva. Piuttosto è necessario indagare empiricamente le
specificità dei percorsi educativi dei migranti non solo come effetto delle risorse familiari
e individuali in un dato momento, ma anche della graduale definizione di una strategia di
posizionamento sociale familiare, nelle sue fasi e conseguenze, diverse per i componenti
delle convivenze familiari in base a genere, generazione, ruolo e collocazione sociale.
L’esame dei dati quantitativi di contesto è ricostruito nel terzo capitolo, dal quale emerge
come gli studenti immigrati che sono riusciti a completare il secondo ciclo di istruzione
abbiano superato severi processi di selezione scolastica e tendano a concentrarsi
nell’istruzione tecnica e professionale più spesso che i nativi.
Il quarto capitolo confronta tre livelli di reazione istituzionale alla presenza degli studenti
migranti: quello nazionale, caratterizzato dallo sviluppo coerente di un modello inclusivo
e interculturale, ma ancora né pienamente prescrittivo né supportato da finanziamenti
strutturali e diffusi capillarmente sul territorio; quello locale, nel quale l’implementazione
delle politiche ministeriali ha seguito un andamento pragmatico e colto stimoli dal basso,
rischiando però di frammentarsi in interventi molto legati all’impegno del singolo
decisore e alle sperimentazioni; e infine il livello scolastico, segnato da una straordinaria
varietà di procedure, dipendenti in larga parte dall’interpretazione volontaristica degli
operatori e docenti. Negli interstizi tra i livelli di intervento e gli scarti tra norme e prassi
si annidano incertezza e disinformazione, di fronte alle quali le famiglie migranti si
differenziano per capacità di reperire risorse aggiuntive e usufruire delle opportunità a
disposizione
per
evitare
o
meno
l’accumulo
di
ritardo
scolastico
prodotto
istituzionalmente.
Le traiettorie educative degli studenti e quelle occupazionali e familiari dei genitori sono
restituite nella quinta parte. Vedremo come la preferenza per i percorsi tecnicoprofessionali derivi da specifiche rappresentazioni del ruolo di questo tipo di
insegnamento per le famiglie migranti e come l’istruzione terziaria possa essere un canale
di accesso per raggiungere posizioni che si collocano “nel mezzo” della stratificazione
sociale in Italia. Analizzeremo il ruolo della famiglia di origine come attore decisionale
internamente differenziato, la storia della sua ristrutturazione e la combinazione di risorse
8
materiali, relazionali e cognitive nella definizione delle diverse traiettorie di inclusione
nel paese di destinazione degli studenti. Individueremo infine alcuni criteri per definire
una tipologia delle famiglie coinvolte nella ricerca, in base alla carriera occupazionale dei
genitori e alla carriera scolastica dello studente/studentessa intervistata. Gli studenti del
liceo si distinguono per percorsi “ambiziosi” verso l’alto, mentre quelli di istituto tecnico
e professionale propendono più spesso per percorsi prudenti o di inclusione verso il basso.
Dal punto di vista dei genitori migranti, tuttavia, il fatto di avere stabilizzato la propria
riunione familiare in Italia e avere permesso ai figli di concludere l’istruzione secondaria
è già un successo. I giovani migranti li hanno già “portati lontano”. La sfida dei prossimi
anni del sistema di istruzione terziario e del mercato del lavoro italiano sarà trattenerli, o
attrarne altri ugualmente qualificati, se non vorrà perdere l’occasione di valorizzarne il
capitale umano.
Ringrazio Rocco Sciarrone per la sua supervisione, i gruppi di ricerca ERICA-WP3 e
SECONDGEN, in particolare Michael Eve¸ Nicola Negri, Manuela Olagnero, Maria Perino,
Franco Ramella e Roberta Ricucci per il confronto teorico e metodologico. Chiara Saraceno
per le riflessioni su stratificazione sociale e mobilità familiare. Tiziana Nazio, Nicola
Pannofino, Giovanni Semi e Luca Storti per avere discusso alcune parti di questo lavoro.
Eduardo Barberis, Francesca Biondi dal Monte e Concetta Mascali per il confronto sul
contesto istituzionale. Gli operatori del Cosp e della Rilevazione Scolastica della Regione
Piemonte, Laura Bevione, Maria Angela Donna e Grazia Scala per i materiali e la
disponibilità. Ouail El Azhari per i consigli sulla traccia di intervista. Davide Donatiello,
Manuela Negro e Marco Romito per il dialogo e i suggerimenti di lettura. Le insegnanti e le
operatrici scolastiche contattate per l’indispensabile collaborazione nel momento della
discesa sul campo. Casa Ancarola e le “ragazze” per il supporto e l’ironia. Andrea per tutte le
volte che mi ha aiutata a guardare i fatti da un’altra prospettiva.
9
1. Prospettive teoriche e ricerche empiriche sull’inserimento
scolastico dei bambini e dei giovani migranti
La ricerca sui giovani immigrati2 in Europa è un fenomeno relativamente recente,
sviluppatosi soprattutto a partire dagli anni Novanta (Crul, 2005), periodo che nella storia
della “sociologia dell’istruzione” (Schizzerotto e Barone, 2006) è stato caratterizzato da
una fase di consolidamento dello statuto epistemologico e metodologico della disciplina e
da un interesse prevalente verso le problematiche del nesso tra diversità - differenze disuguaglianze, e dell’istruzione come opportunità di mobilità sociale (Besozzi, 2007).
In effetti gran parte degli studi condotti nell’Europa occidentale e negli Stati Uniti per
spiegare gli effetti dello “svantaggio etnico”3 sui più generali meccanismi di riproduzione
2
La dizione “immigrati” connota la prospettiva del paese ricevente i flussi migratori (Busoni, 2003) e
stigmatizza, secondo alcuni dei soggetti coinvolti in questa ricerca, alla stregua di termini come
“extracomunitari” o “stranieri”. Come spiega un intervistato “Quando tu accendi il televisore, sentirai
centomila volte «Immigrati, immigrati, clandestini», questa roba alla fine dà fastidio! Ti dà… è un
sentimento che tu non puoi… capire, è quello che io ho, di essere fuori posto” (stud. 35: Koffi, IT α
elettrotecnico, 20 M, Costa d'Avorio). Verrà impiegata per indicare la direzione della mobilità geografica,
come il termine “emigrati”, e sostituita dove possibile dal concetto di “migrante”. Tale concetto, ampliando
la definizione delle Nazioni Unite (“una persona che si è spostata in un paese diverso da quello di residenza
abituale e che vive in quel paese da più di un anno”) può includere anche spostamenti più brevi o interni ai
confini nazionali, come ricorda Ambrosini (2005) e sottolinea la natura transitoria e bidirezionale della
mobilità spaziale, enfatizzata dal campo teorico del transnazionalismo (Portes, Guarnizo e Halle, 2002;
Wimmer e Glick Schiller, 2003; Cingolani, 2005).
3
Il termine “etnia” nella letteratura anglosassone indica la provenienza nazionale o l’origine culturale e
geografica. Studiosi e studiose italiani hanno messo in luce il processo di costruzione sociale dell’etnicità
dei migranti da parte della società ricevente (Dal Lago, 2004; Queirolo Palmas, 2007), altri ritengono che la
dizione possa essere impiegata, proprio per intendere il processo di etichettamento da cui deriva, per
sostituire il concetto di “razza”, il quale è basato su una selezione di tratti fisici definiti culturalmente come
salienti (ad es. Zanfrini, 2004), e va inteso anche alla luce dei fenomeni di biologizzazione del sociale (v.
Campani, 2003, sul contributo del Black feminism) e “gerarchizzazione razziale” (Ambrosini, 2005, pp.
135-136). Un maturo filone di studi dell’antropologia culturale mostra che, sebbene il concetto di “etnia”
sia “finzione” (Fabietti, 1999, p. 60), esso possiede “una qualche realtà”, pur non “coestensiva della
nozione” (Id., p. 133), e ha effetti sulla strutturazione delle relazioni di potere tra gruppi sociali con interessi
diversi in interazione tra loro (Remotti, 1996; Aime, 2004 e 2006). Riflessioni utili emergono dalle teorie
del triplice svantaggio sulle migrazioni femminili (per una breve rassegna cfr. Santero, 2008). Dal punto di
vista dell’analisi sociologica, mi sembrano necessarie tre cautele, di natura metodologica, teorica e di
divulgazione dei risultati, nell’impiego del concetto di “etnia”. Innanzitutto, come sottolinea FitzGerald
(2008), per aggregare provenienze diverse occorre tenere conto dei fattori socio-economici alla base della
caratterizzazione dei gruppi nazionali e delle minoranze native, nonché del mutamento nel tempo della loro
collocazione sociale relativa nel paese di riferimento, per non impiegare categorie troppo eterogenee al loro
interno e quindi distorcenti. Dal punto di vista teorico, inoltre, pur indagando le specificità legate all’origine
nazionale o geografica, va evitato il ricorso al concetto di etnia come “variabile rifugio”, a cui imputare
tutta la varianza non spiegata da altri fattori, con la consapevolezza di maneggiare una “tipica categoria
sociologica” (cfr. Ambrosini, 2011). Infine, ultimo ma non meno importante, data la responsabilità delle
10
e mobilità sociale iniziano con l’analisi dei processi attraverso cui l’origine sociale e
nazionale influenza esiti e transizioni nel sistema scolastico, visti come fattori che
condizionano la futura collocazione occupazionale (cfr. ad es. Thompson e Crul, 2007;
Heat, Rothon e Kilpi, 2008; Lindemann e Sarr, 2011).
Le disuguaglianze educative non consentono direttamente di preconizzare le future
disuguaglianze sociali. In paesi nei quali gli esiti scolastici dei migranti nei livelli di
studio superiori appaiono relativamente buoni, ad esempio, possono risultare più
problematici i processi di inserimento nel mercato del lavoro, e viceversa in altri paesi
dove la selezione precoce dell’indirizzo di studi tendenzialmente orienta gli immigrati
verso indirizzi professionali, i tassi di occupazione possono essere elevati4. Studiare le
asimmetrie tra i percorsi in istruzione di migranti e nativi comunque permette di
verificare come all’interno di un’istituzione per mandato meritocratica e rivolta a tutti si
configurino processi di selezione e riproduzione sociale più o meno severi in base a
caratteristiche sociologicamente rilevanti.
Le indagini sull’inserimento scolastico degli alunni di origine immigrata si sono
sviluppate quindi da subito, nei paesi a più lunga tradizione immigratoria, all’intersezione
fra i “campi teorici” (Bagnasco, 2007) relativi a educazione-istruzione, migrazioni e
disuguaglianze sociali. Mentre la produzione di ricerche empiriche, talvolta anche
applicate, è stata notevole, la riflessione teorica è maturata soprattutto nell’ambito dello
studio delle disuguaglianze in istruzione, per quanto riguarda la sociologia
dell’educazione, e nell’analisi delle traiettorie di inclusione sociale delle “seconde
generazioni”5, nell’ambito della sociologia delle migrazioni.
I primi studi sulle migrazioni in Italia, come è accaduto anche per altri campi teorici
accumunati dall’interesse verso forme di irregolarità, invisibilità e “devianza” sociale,
hanno seguito per la maggior parte un approccio guidato dai problemi sostantivi. Questo
approccio ha portato alla luce processi sociali nascosti e poco indagati, nonostante dati
scienze sociali nella costruzione e legittimazione del discorso pubblico sulle relazioni “inter-etniche” e sulle
migrazioni, nella divulgazione dei risultati di ricerca occorre tentare di prevenire l’errato utilizzo dei dati
evitando eccessivo schematismo, specie in paesi, come l’Italia, in cui il rischio di semplificazioni, se non di
vere e proprie strumentalizzazioni politiche (cfr. Sciarrone, 2006) è elevato.
4
Come emerge dal confronto tra il caso francese e quello tedesco sviluppato dai progetti di ricerca TIES e
EFFNATIS.
5
Sull’appropriatezza del termine “seconde generazioni” come categoria sociologica si è molto discusso,
con resistenze anche da parte dei giovani migranti (cfr. Ambrosini e Molina, 2004; Ambrosini, 2005;
Ricucci, 2005; Comune di Bologna, Osservatorio sulle Differenze, 2006; Chaloff e Queirolo Palmas, 2006;
Santero, 2006; Ambrosini, 2011). Qui è volto ad indicare i figli di almeno un genitore nato all’estero, nati
nel paese di destinazione, secondo l’approccio decimale proposto da Rumbaut (1997). Per generazione 1.5
intenderò i migranti arrivati dai 12 anni di età (come ad es. in Kasinitz et al., 2008). La locuzione “giovani
con background di immigrazione” includerà sia le G2 che le G1.5.
11
istituzionali lacunosi. D’altro canto, ricerche preziose per informazioni raccolte e
intuizioni sui processi in corso sono state realizzate talvolta senza tener conto degli studi
precedenti, oppure senza chiarire con rigore le fonti e i metodi di costruzione della
documentazione empirica. Il filone di studi su mobilità sociale e disuguagliane educative,
viceversa, è un approccio guidato più dal tipo di teoria, se non dal tipo di metodo o di
dati, per cui ha caratteri quasi paradigmatici (si basa, ad esempio, su algoritmi condivisi e
spesso anche su banche dati rese disponibili alla comunità scientifica). Lo sviluppo delle
conoscenze appare quindi di andamento più cumulativo, ma talvolta rischia di incorrere
nel feticismo del metodo, rinunciando a includere, almeno a livello teorico, ciò che i dati
quantitativi, in quanto sempre costruiti, non possono dirci. L’integrazione dei tre campi
teorici sopra menzionati può quindi essere utile per coniugare l’attenzione al problema
sostantivo con la cura degli aspetti più teorici e metodologici.
Con questo scopo è possibile individuare, seppure soltanto a livello analitico e per
definire la strumentazione teorica a cui si è fatto riferimento per questa ricerca6, quattro
aree tematiche tra loro interconnesse sull’inserimento scolastico dei migranti nei diversi
contesti: i) aspetti istituzionali e analisi del curriculum; ii) risultati scolastici e rischio di
dispersione; iii) scelte scolastiche; iv) relazioni tra scuola, extrascuola e condizione
giovanile come processi di inclusione/esclusione sociale dei giovani migranti.
1.1.
Aspetti istituzionali e analisi del curriculum
Un primo insieme di ricerche è volto a classificare le norme e le procedure organizzative
di inclusione degli allievi migranti adottate a livello nazionale. In questa prospettiva il
rapporto Eurydice (2004) ha identificato quattro modelli di integrazione scolastica in
Europa7: i) modello integrato, in cui i minori immigrati sono inseriti nelle classi
6
Uno stato dell’arte sulle ricerche italiane su educazione, migrazioni e generazioni si trova ad esempio in
Giovannini e Queirolo Palmas (2010). Le teorie sulla presenza e la riuscita degli immigrati nella scuola e in
generale nella società di destinazione hanno considerato, nella letteratura dei paesi a più lunga tradizione
immigratoria, in particolare statunitense, i cambiamenti dei flussi migratori, del sistema economico
internazionale e delle politiche sociali, del lavoro e di gestione dell’immigrazione. Lo scopo di questo
capitolo non è restituire l’estensione di questo dibattito nella sua interezza, ma organizzare per tratti
essenziali i contributi che maggiormente hanno influenzato le ricerche sulle “seconde generazioni” in
Europa, con particolare riferimento all’inserimento scolastico in Italia, per definire il quadro teorico di
riferimento della ricerca di tesi.
7
La politica europea sull’educazione-istruzione dei minori stranieri può essere letta all’interno di un
graduale processo di sviluppo di una linea di azione comune sull’immigrazione e sull’asilo a partire dal
Trattato di Amsterdam del 1999. La direttiva del Consiglio del 25 luglio 1977 prevedeva, per i soli figli di
12
scolastiche ordinarie con i loro coetanei e le misure di supporto, in prevalenza
linguistiche, sono fornite individualmente durante l’orario curriculare, o, talvolta, ii)
extracurriculare; iii) modello separato transitorio che prevede la costituzione di classi
separate per gli alunni immigrati per un periodo di inserimento iniziale, e in parallelo la
possibilità di assistere alle lezioni ordinarie con gli altri coetanei; iii) modello separato a
lungo termine per cui sono istituite classi speciali per uno o più anni scolastici in base alle
competenze linguistiche in L2 degli alunni. All’interno di questi modelli, talvolta misti, il
rapporto ricostruisce le diverse misure sviluppate dai paesi europei, riconducendole a tre
gruppi di interventi: 1. sostegno linguistico; 2. adattamento dei contenuti disciplinari,
specialmente in relazione alle difficoltà linguistiche iniziali8; 3. riduzione delle
dimensioni delle classi scolastiche (Eurydice, 2004).
Malgrado sia utile per inquadrare i diversi contesti normativi nelle loro linee generali,
questa tipologia non verifica applicazione o finanziamento delle misure dichiarate dai
contributi nazionali, né legge tali misure in relazione alle caratteristiche dei sistemi
educativi e alle presenze dei migranti. Per cogliere meglio l’adattamento del sistema
scolastico alla diversità culturale occorre quindi guardare non solo agli aspetti
organizzativi ma anche a quelli “curricolari” in senso stretto, didattici e pedagogici9.
Questo filone di indagine si sviluppa grazie ai contributi degli studi storici e organizzativi
sulla scuola e a quelli che si concentrano sul ruolo e gli atteggiamenti degli attori sociali
nella trasmissione dei saperi e dei curricula (Besozzi, 2006 e 2007; Fischer, 2003 e 2007;
lavoratori immigrati cittadini di paesi membri, accoglimento dei loro bisogni specifici e insegnamento di
lingua e cultura dei paesi d’origine. I Consigli europei da Lisbona a Bruxelles sembrano esprimere
progressivamente la volontà di garantire ai bambini immigrati gli stessi diritti all’istruzione dei bambini
cittadini degli Stati membri, quanto meno nel caso di regolari residenti di lungo periodo, tuttavia rimangono
disposizioni diverse in base allo status giuridico dei bambini: il diritto all’istruzione per gli irregolari e le
misure di sostegno per i bambini immigrati non sono sempre previsti, anche se mirano in quasi tutti gli stati
ad assicurare conoscenze linguistiche in L2 indipendentemente dalla posizione giuridica. Le normative in
materia dei singoli stati si sviluppano per la maggior parte tra la fine degli anni Novanta e gli inizi degli
anni Duemila (Eurydice, 2004).
8
Le misure per la valorizzazione e l’insegnamento della lingua e della cultura d’origine dei migranti si
realizzano decisamente in subordine rispetto alle prime tre misure menzionate. Nonostante da tempo si
riconosca il ruolo positivo del plurilinguismo per l’apprendimento e lo sviluppo cognitivo dei bambini, in
alcuni paesi le iniziative sono addirittura diminuite (Eurydice, 2004; Fieri, 2007). In gran parte dei paesi
Europei, si tratta di occasioni formative di solito extracurricolari e raramente svolte al livello dell’istruzione
superiore (Eurydice, 2009a). Questo ha due conseguenze: non garantire pari opportunità di partecipazione;
non modificare il curriculum scolastico, specie negli ordini scolastici a più marcata vocazione disciplinare,
in chiave plurilingue.
9
La teoria del curriculum riguarda sia i contenuti dell’insegnamento, sia la visione pedagogica dei processi
educativi organizzati dalla scuola in modo esplicito e implicito (curriculum nascosto). Secondo questa
prospettiva, il curriculum scolastico è l’esito di un processo di istituzionalizzazione della trasmissione
culturale volutamente selettivo, determinato da giochi culturali, politici e sociali. Esso esprime non solo le
pratiche istituzionali di organizzazione scolastica e insegnamento, ma anche i principi che le ispirano o che
dovrebbero ispirarli, in ottica prescrittiva-ideale (cfr. ad es. Forquin, 1989; Schizzerotto e Barone, 2006).
13
Schizzerotto e Barone, 2006). La differenza culturale sfida la legittimità dei criteri di
selezione dei contenuti e dei modi dell’istruzione formale, e a questa sfida sistemi
scolastici diversi hanno storicamente risposto in maniera differente. Gli studiosi sono
pervenuti all’individuazione di alcune tipologie, finalizzate a identificare le peculiarità
nazionali (ad esempio assimilazione in Francia, segregazione in Germania, melting pot
negli U.S.A.), oppure le concezioni della società (v. Besozzi, 1999) o della filosofia
politica (ad es. Fischer e Fischer, 2002) alla base dei diversi curricula. Nonostante
manchi un accordo generale, con riferimento alla letteratura italiana è possibile
individuare
tre
approcci
idealtipici,
definiti
nel
corso
degli
anni
Novanta:
assimilazionismo, multiculturalismo e intercultura (cfr. ad es. Martiniello, 1997; Besozzi,
1999; Giovannini, 1998; Fischer e Fischer 2002; Fischer 2003 e 2007; Della Zuanna et.
al., 2009; Santagati, 2009)10.
I curricula assimilazionisti sono uniformanti e etnocentrici, finalizzati all’assorbimento
delle differenze, o alla loro negazione (Besozzi, 1998). I docenti che seguono questa
impostazione richiedono dunque agli alunni un adattamento unilaterale alla cultura
maggioritaria, vivono la diversità come un deficit, da rimuovere nell’interesse del
bambino (Cuturi, 2003; Spagna, 2003) tramite diverse forme di “educazione
compensativa”, di solito poco efficaci (Fischer e Fischer, 2002). Tra i rischi di questa
impostazione
sono
stati
evidenziati:
omologazione
culturale
(Besozzi,
1998),
sradicamento identitario dei ragazzi (Gobbo, 2002 e 2003), abbandono e insuccesso per la
mancata condivisione degli obiettivi scolastici. A questo modello in passato è stato
accostato il caso francese, in cui la scuola pubblica, strumento di socializzazione allo
Stato laico e all’identità nazionale, ha scelto di escludere anche fisicamente, in nome di
principi universalistici, elementi simbolo della diversità culturale, rifiutandosi persino di
rilevare la provenienza degli alunni, e in questo modo rendendo difficile monitorare e
“nominare” le diseguaglianze “etniche”. Le politiche in questo contesto sembrerebbero
formulate principalmente a livello nazionale e concentrate su specifiche cause di disagio
più che indirizzate ai migranti (Fieri, 2007). L’impatto delle “Zep”, zones d’éducation
prioritaires, è stato messo in relazione alla concentrazione scolastica degli allievi meno
avvantaggiati e alla loro stigmatizzazione, anche in relazione alla politica che limitava la
scelta scolastica al quartiere di residenza (con conseguenti trasferimenti delle famiglie per
10
Il quadro sarà mosso in futuro dalle politiche di inserimento scolastico degli allievi immigrati nei paesi
dell’Est Europa, che, come per il Sud Europa, saranno caratterizzati da flussi non più prevalentemente in
uscita, ma anche in entrata. Al momento, con qualche eccezione (cfr. Fieri, 2007), si tratta di modelli poco
studiati.
14
consentire l’iscrizione scolastica dei figli in istituti meno segnati dal fenomeno
dell’immigrazione). Le contraddizioni di questo modello sono venute alla ribalta
nell’opinione pubblica dopo le rivolte delle banlieue parigine (Lagrange e Oberti, 2006).
Il tipo ideale del curriculum multiculturalista prevede invece tolleranza e compresenza
di diverse culture, e mantenimento da parte degli alunni di specificità valoriali e
comportamentali, ma solo nella sfera privata, in modo da non entrare in contraddizione
con i riferimenti normativi stabiliti dalla maggioranza (o dalla società di arrivo), ritenuti
base comune e inviolabile della convivenza a cui tutti devono aderire. Questa
impostazione può portare a stereotipia o reificazione delle differenze, occultando le
disuguaglianze socio-economiche con spiegazioni culturaliste.
Oltre che inclusivo, il modello interculturale è invece basato sullo scambio e sulla
conoscenza di tutte le forme culturali presenti a scuola, valorizza la diversità degli alunni
e li coinvolge in un processo di modificazione e adattamento delle proposte didattiche (v.
Santerini, 2012). La relazione educativa non è concepita come trasmissione di
conoscenze, ma come negoziazione e co-costruzione. Questa impostazione è stata
adottata come riferimento pedagogico dal sistema scolastico italiano, anche se, come
vedremo, le risorse per l’applicazione di questi principi sono frammentarie e le pratiche
educative si avvicinano spesso ai primi due tipi ideali illustrati.
I tentativi di individuare modelli di inserimento dei migranti, non solo a scuola ma più in
generale nella società, hanno mostrato numerosi limiti, innanzitutto quello di non riuscire
a cogliere la complessità dei mutamenti in atto. Come è noto, con la nozione di “tipo
ideale” in sociologia si intende una costruzione concettuale ottenuta mediante
l’accentuazione unilaterale di una quantità di fenomeni (Weber, 1999 [1922]), per cui si
tratta di uno strumento euristico, e l’operazione di astrazione che lo genera, con Löwith,
“non forza la realtà ma la costituisce”. Tuttavia tipizzazioni troppo generali rischiano di
perdere di efficacia, e non aiutano a individuare variazioni nazionali e sub nazionali11 per
cui nel corso degli anni Duemila si è cercato di problematizzarle e di specificarle.
Con queste cautele, attualmente si evidenziano quindi elementi di convergenza tra i tipi
ideali sopra menzionati: in Europa l’attenzione politica si sposta dall’accesso al successo
11
Nel caso tedesco, ad esempio, prima delle riforme della legge sulla cittadinanza del 2002 e
sull’immigrazione del 2004, il modello del lavoratore ospite si è accompagnato a poche indicazioni
didattiche, classi differenziali e tendenza all’etnicizzazione dei problemi scolastici, malgrado la grande
differenza di approcci istituzionali sub nazionali (cfr. Fieri, 2007). Altri modelli riconducibili a forme di
pluralismo multiculturale, come quelli inglese e olandese, prevedevano invece l’inserimento degli alunni
stranieri nelle classi ordinarie, con eventuali corsi aggiuntivi.
15
scolastico e la maggior parte dei paesi europei tiene conto dell’approccio interculturale12.
Inoltre si lega sempre di più la concessione della cittadinanza all’acquisizione di
competenze linguistiche e culturali (Zincone, 2009). Alcuni osservatori hanno notato che
i corsi di lingua e cultura del paese di destinazione, nell’ottica dei paesi riceventi, non
sono finalizzati a favorire un buon inserimento sociale e occupazionale, ma piuttosto per
testare la lealtà degli immigrati.
Gli stati riceventi tendono a chiedere di più ai nuovi arrivati, in termini di requisiti e prove di
integrazione, ricodificando la cittadinanza come una relazione contrattuale. Rispetto alla
posizione liberale, che vede la cittadinanza come un veicolo di integrazione, si torna almeno
parzialmente verso una concezione più conservatrice e restrittiva, della cittadinanza come
premio all’integrazione (Ambrosini, 2011, p. 23)13.
D’altra parte si stanno attuando più diffusamente politiche di riconoscimento linguistico e
si sviluppano riflessioni sul contributo della scuola nel rapporto tra cittadinanza e
educazione civica: mentre per i nativi la scuola svolge un ruolo complementare alla
famiglia, per i migranti l’educazione scolastica alla convivenza civile assumerebbe una
funzione di integrazione eminentemente importante. Le ricerche francesi mettono in luce
il tentativo di recupero delle tradizioni per tutti, autoctoni o meno, attraverso la scuola
statale, invece in Gran Bretagna il focus è sul ruolo della comunità locale come comunità
educante sia per la maggioranza sia per le minoranze.
Comparare la reazione istituzionale alla presenza dei migranti fermandosi al livello
nazionale presenta notevoli difficoltà, non solo pragmatiche, dovute alla mancanza di
informazioni standardizzate sulle politiche, sulle pratiche e sui loro esiti. Per quanto
riguarda l’Italia, ad esempio, è ancora in via di costruzione un sistema centrale di
valutazione dell’impatto delle politiche pubbliche e delle pratiche educative, sia in
generale sia nello specifico per l’inserimento degli alunni immigrati14. Inoltre le ricerche
dovrebbero
considerare
diverse
tradizioni
migratorie
nazionali,
modalità
di
incorporazione dei migranti nelle società, caratteristiche dei sistemi educativi,
12
Diversi piani strategici nazionali per l’istruzione nel periodo 2007-2013 in Europa si fondano sulla
diversità linguistica e culturale, anche in paesi che in letteratura non sono inseriti nei “modelli
interculturali” (ad esempio: Germania, Estonia, Spagna, Portogallo, Finlandia, Irlanda, Grecia,
Lussemburgo, Slovenia) (Eurydice, 2009a). Inoltre la Commissione europea promuove iniziative per la
diffusione dell’approccio interculturale dal 1992, ad esempio cercando di stimolare il cooordinamento
internazionale nella progettazione e realizzazione degli interventi educativi (cfr. Comenius, 2000).
13
Il D.M. del 4 giugno 2010 sul permesso di soggiorno a punti, criticato da docenti, Università e alcune
Regioni, tende a ribaltare quest’ottica anche per le migrazioni temporanee (cfr. Zincone, 2010).
14
Anche se esistono eccezioni (cfr. Battistin, Covizzi e Schizzerotto, 2010), si veda ad esempio il dibattito
sull’allargamento dell’applicazione dei test INVALSI. Nello specifico per le politiche scolastiche per gli
immigrati, si stanno moltiplicando le esperienze di ricerca-azione interculturale a livello locale, con il
sostegno di Osservatori e centri di ricerca (cfr. ad es. sull’Italia Colombo e Santagati, 2011; Colussi, 2010;
Besozzi, Colombo e Santagati, 2010; Orim, 2009), tuttavia, anche a livello europeo c’è poca attenzione per
disegni di valutazione centralizzati (Eurydice, 2004).
16
valorizzazione dei titoli educativi sul mercato del lavoro (Queirolo Palmas, 2005).
Occorrerebbe riconoscere le specificità per ogni gruppo nazionale di migranti tenendo
conto delle disomogenee classificazioni adottate dai paesi di destinazione. Da un lato i
sistemi educativi si differenziano molto per grado di standardizzazione e stratificazione
(Allmendinger, 1989, in Erikson, 2009), dall’altro lato i flussi migratori hanno
caratteristiche e storie molto eterogenee: mentre in Italia la scelta della scuola secondaria
di secondo grado interessa prevalentemente migranti di prima generazione e mezzo, ad
esempio, o in minor misura quelli di seconda generazione, in paesi a più lunga storia
migratoria le scuole e le famiglie stanno gestendo la transizione alla scuola secondaria di
migranti di terza o quarta generazione, ed assume rilevanza il passaggio all’università.
Per comprendere i processi sociali attraverso cui il contesto istituzionale influenza le
traiettorie scolastiche dei migranti e non migranti sembra più efficace concentrarsi su
come le policies educative nazionali e locali plasmino l’ambiente istituzionale in un
contesto di confronto internazionale sempre più esplicito (Chaloff e Queirolo Palmas,
2006; Queirolo Palmas, 2006; Cobalti, 2007; Luciano, Demartini e Ricucci, 2009). Nel
corso dell’analisi, quindi, verificheremo come i diversi livelli di intervento nazionale,
locale e di istituto scolastico configurino un insieme di vincoli e opportunità definito in
base non solo al piano normativo, modellizzabile secondo il contributo dell’approccio per
tipi ideali, ma anche allo scarto tra norme e prassi e all’uso strategico delle fonti
normative da parte degli attori sociali.
Proseguiamo quindi la disanima della letteratura sulla riuscita a scuola degli allievi
migranti collocandoci in prospettiva più micro fondata.
1.2.
Risultati scolastici e rischio di dispersione
Le ricerche propriamente dedicate a risultati e dispersione scolastica15 costituiscono forse
il corpus di studi più consistente e anche quello più connesso con il campo teorico
relativo allo studio delle disuguaglianze educative. Temi cruciali sono le condizioni della
15
Il termine “dispersione scolastica” indica diverse forme di insuccesso scolastico tra cui ripetenze,
abbandoni, interruzioni degli studi, trasferimenti da una scuola all’altra e debiti formativi. Nella parte
empirica della ricerca useremo il più specifico e ristretto concetto di abbandono scolastico (drop-out), in
modo da tenerlo separato dagli altri fenomeni. Un uso più ampio del termine si trova tra gli altri in Argentin
(2007): secondo i risultati dell’indagine Iard, che non tiene conto dell’origine nazionale, il rischio di
dispersione tra gli studenti italiani risulta più elevato tra i maschi, iscritti a istituti professionali o tecnici,
con origini sociali medio-basse.
17
riuscita nei diversi paesi e tra “etnie” e il ruolo delle scuole tra innovazione e processi di
segregazione (Queirolo Palmas, 2005a).
Negli Stati Uniti la tematica è stata particolarmente studiata, in riferimento al succedersi
nel tempo delle generazioni migratorie (Kasinitz et al., 2008) e al dibattito
sull’importanza relativa da attribuire alle dimensioni della classe sociale e della “razza”
(cfr. ad es. Roediger, 2011). Questo sforzo di concettualizzazione, a causa delle sue
profonde implicazioni per le politiche, è stato oggetto di critiche e revisioni radicali,
anche da parte dei movimenti per i diritti civili16. I principali approcci nel loro sviluppo
storico risentono dunque chiaramente del clima politico e sociale in cui le disuguaglianze
“etniche” in istruzione si strutturavano. Sono sintetizzati ad esempio da Gobbo (2002) e
Ravecca (2009). Le teorie genetiche degli anni ’20 del Novecento imputavano le
disuguaglianze di riuscita sostanzialmente a carenze cognitive, con affermazioni del tipo:
“l’Army Mental Test ha provato oltre ogni scientifico dubbio che, come i negri americani,
gli italiani e gli ebrei sono geneticamente ineducabili. Significherebbe sprecare denaro
cercare di dare una buona educazione anglosassone a questi ritardati mentali ed imbecilli”
(Brigham, 1923, A study of American intelligence, in Id., p. 17). Anche se
quest’impostazione è stata abbandonata, portano a conseguenze simili le teorie
dell’inferiorità culturale, impiegate ancora per tutti gli anni Sessanta, le quali spiegano le
disuguaglianze strutturali riducendole unicamente a fattori ascritti individuali o culturali.
Più sofisticate, le teorie dell’autoselezione hanno messo in evidenza il fatto che gli
emigranti possiedano caratteristiche diverse dalla popolazione left behind, in quanto la
mobilità geografica selezionerebbe gli individui più dotati a livello motivazionale e
intellettivo. Questa visione, per quanto sobria e fondata sull’osservazione delle migrazioni
qualificate, non riesce a spiegare l’entità degli insuccessi scolastici delle seconde
generazioni. Acquisirono maggiore credibilità quindi le teorie della discontinuità
culturale, oggi ancora diffuse in maniera latente, come accennato in precedenza, in alcune
impostazioni didattiche e curricolari di tipo assimilazionista. La diminuzione nel tempo
della discrepanza tra valori familiari e scolastici spiegherebbe il miglioramento della
riuscita in istruzione nel passaggio da una generazione migratoria all’altra e in relazione
all’età di arrivo nel paese di destinazione. Adottano questa prospettiva anche le ricerche
16
Il film “Shame” (1962), ad esempio, mostra che le tensioni in seguito al processo di de-segregazione
scolastica, non fossero legate tanto ai processi di immigrazione dall’estero ma piuttosto alle relazioni “interrazziali” tra nativi americani. Va ricordato che la teorizzazione statunitense sull’inserimento a scuola dei
migranti è il frutto di una rielaborazione che non ha potuto non tenere conto delle riflessioni in merito al
multiculturalismo e alle relazioni tra “etnie” già presenti sul territorio.
18
che si concentrano sulla scuola e sul ruolo degli insegnanti per “sanare” le differenze
culturali. Il problema di queste teorie è dar conto degli esiti positivi di alcune minoranze,
come quelle asiatiche, che pur essendo culturalmente più dissimili al sistema valoriale
statunitense rispetto ad altre provenienze, come quella messicana, manifestano
performance scolastiche migliori anche dei nativi. L’ipotesi del “dual frame” motiverebbe
questo dato con il fatto che le generazioni 1.5, a differenza che i giovani con origini
migranti nate nel paese di destinazione, manterrebbero un doppio riferimento: al paese dei
genitori e a quello di arrivo. Comparando le condizioni di vita preferirebbero quindi
investire nel paese di destinazione, con maggiore motivazione rispetto ai coetanei nati
negli Stati Uniti, i quali dispongono di un unico riferimento: quello alla cultura
dominante, all’interno della quale si ritrovano emarginati. Per quanto utile per
comprendere alcune differenze nelle disposizioni cognitive, questa ipotesi, se applicata
rigidamente sulla sola base della generazione di appartenenza, rischia di rivelarsi
etnocentrica. Il contributo delle teorie folk del successo, sviluppate tra gli altri da Ogbu, è
stato quello di superare questa debolezza, confrontando l’atteggiamento verso la cultura
dominante delle minoranze involontarie coercitivamente incorporate e delle minoranze
volontarie: in questo modo è emerso che le prime hanno performance negative perché
rifiutano la cultura della maggioranza, mentre le seconde, pur mantenendo legami più
stretti con la cultura d’origine, riconoscono come condivisibili alcuni aspetti della cultura
della società di destinazione e di conseguenza investono nell’istruzione come mezzo di
ascesa sociale. Questa interpretazione, se applicata schematicamente, nasconde tuttavia il
fatto che il rifiuto culturale possa essere una reazione al “razzismo istituzionale”
(Wieviorka, 2000), non prevede che gli stereotipi possano influenzare la percezione di sé
auto e etero attribuita e quindi anche le performance (cfr. Ravecca), inoltre, pur adottando
concezioni della “cultura” tutt’altro che ingenue, finisce per sottolineare la dimensione
simbolica e valoriale, a discapito di quella socio-economica.
L’ipotesi che pare più promettente anche per lo sviluppo delle teorizzazioni
contemporanee europee, è quella dell’immigrant optimism. I primomigranti, a causa del
loro inserimento in settori occupazionali e sociali svantaggiati, tenterebbero di riscattarsi
attraverso la proiezione di aspettative elevate sui figli che condurrebbero a buoni risultati
scolastici, anche se questi non necessariamente si traducono in ritorni occupazionali
equivalenti, generando tensioni e frustrazioni (cfr. Boyd e Grieco, 1998; Kao e Tienda,
1998; Boyd, 2002). Questa ipotesi è molto interessante per la sua portata analitica,
rispetto ai nostri scopi di integrare le teorizzazioni sulla performance dei giovani migranti
19
con quelle relative alle disuguaglianze sociali e in particolare educative, dal momento che
consente di guardare contemporaneamente al posizionamento sociale delle famiglie
migranti nella stratificazione sociale del paese di destinazione e alla riuscita scolastica dei
componenti più giovani delle famiglie. Come nota Ravecca (2009) essa ha il limite di non
considerare il fatto che, a differenza della prima generazione di immigrati, le seconde
generazioni sarebbero consapevoli della non spendibilità del titolo di studio nel mercato
occupazionale, per cui potrebbero disattendere le speranze dei genitori. Per applicare
questa ipotesi sembra quindi necessario tenere conto delle variabili strutturali che
condizionano l’ingresso nel mondo del lavoro e di come esse compaiono nelle
rappresentazioni dei giovani migranti. Inoltre appare utile, come vedremo nel corso
dell’analisi, confrontare empiricamente le rappresentazioni di figli e genitori, almeno in
paesi, come l’Italia, in cui l’inserimento scolastico di livello superiore, e la transizione
scuola-lavoro o scuola-università, riguarda ancora prevalentemente la G1.5.
Inoltre vanno inclusi nell’analisi diversi fattori, che agiscono non solo a livello di
individuo, ma anche di scuola e di contesto locale e nazionale. Ordinando quindi per
livelli di analisi le variabili esplicative delle performance scolastiche degli studenti
migranti impiegate in letteratura, troviamo, a livello micro, le risorse socio economico
familiari (di solito operativizzate con reddito, eventuale presenza di sussidi, collocazione
occupazionale dei genitori); le risorse culturali (livello di istruzione dei genitori; risorse
linguistiche; dati sui consumi culturali, ad esempio frequentazione di biblioteche); la
struttura familiare (presenza o meno di entrambi i genitori, in particolare è controllato
l’effetto delle madri sole, numero di componenti della convivenza familiare17); l’effetto
delle aspettative elevate dei genitori nei confronti dell’istruzione18.
A livello meso sono stati inclusi nelle analisi aspetti esclusivamente scolastici, come la
composizione socio-economica o “etnica” degli utenti della scuola, o l’atteggiamento
17
Si rende il termine household con la dizione “convivenza familiare” (Saraceno e Naldini, 2007, p. 17) per
sottolineare l’elemento della co-residenzialità. Nel corso del testo verrà indicato di volta in volta cosa si
intende per “famiglia”, e si terrà conto del significato e dei confini attribuiti al concetto dai migranti
coinvolti nella ricerca (cfr. Balsamo, 2003; Busoni, 2003).
18
In merito alle variabili a livello individuale, raramente gli studi sociologici più recenti sulla riuscita
scolastica includono aspetti psicologici o capacità cognitive dei soggetti tra le variabili esplicative, sia per la
difficoltà di produrre misure attendibili e valide (si vedano le critiche all’impiego dei test del Q.I.), sia
perché gli interessi disciplinari della sociologia si rivolgono verso altri aspetti. Inoltre, come gli studi di
genere hanno ampiamente dimostrato (cfr. ad es. i saggi in Piccone Stella e Saraceno, 1996), la distinzione
tra naturale e sociale è una distinzione culturalmente determinata, peraltro non neutrale rispetto alle
disuguaglianze di potere tra gruppi.
20
degli insegnanti, ma anche, più recentemente, il capitale sociale19 degli studenti e l’effetto
del vicinato. In questa ottica, ci si interroga sugli effetti della “densità etnica”, ad esempio
analizzando se la concentrazione dei migranti nel quartiere bacino d’utenza della scuola
sia un fattore di rischio, oppure di vantaggio, per le diverse provenienze nazionali.
Secondo le ricerche disponibili non è chiaro l’effetto rilevato, ma soprattutto in USA per
alcune minoranze sarebbe positivo, per altre negativo20. Un’interessante indagine sul caso
olandese (Fleischmann et al., 2009)21 intende verificare i meccanismi attraverso i quali il
vicinato ha un effetto sulla riuscita scolastica: capitale sociale, socializzazione collettiva,
competizione per risorse scarse e deprivazione relativa. Lo “svantaggio etnico” risulta
significativo soprattutto per le seconde generazioni di turchi, meno per i marocchini e
ancora meno per gli italiani. Esistono effetti di composizione per lo status socioeconomico ed effetti positivi dell’etnicità in interazione con la densità etnica, inoltre si
rileva un effetto positivo forte e significativo della stabilità residenziale sulla
continuazione della scuola. La variabile comunità di origine, poi, è stata interpretata come
resistenza giovanile da parte di alcuni gruppi alla cultura dominante, oppure come
atteggiamento nei confronti dell’istruzione in base all’etnia, o anche facendo
genericamente riferimento alla dimensione valoriale-religiosa, e quindi al controllo
morale esercitato dal gruppo d’origine sugli studenti. Tra i contributi di etnografia e
etnometodologia significativo è quello di Ogbu (1987) che mette in luce il ruolo di
cultura, storia e tradizione in relazione con il gruppo dominante e le conseguenze in
termini di emarginazione e rifiuto.
Infine, a livello macro – comparativo, gli studiosi che si sono concentrati sugli esiti hanno
guardato ai sistemi scolastici nel loro complesso, più che alle politiche educative per i
migranti e al modo in cui queste politiche vengono realizzate, individuando elementi
istituzionali diversi per paesi di destinazione e ipotizzando, in mancanza di altre ipotesi
19
Anche se a livello di teorizzazione il concetto di capitale sociale è generalmente inteso in senso lato,
come le risorse che circolano all’interno della rete di riferimento dei migranti, rilevandolo poi in modo
qualitativo, si stanno sviluppando, piuttosto che indagini che utilizzino piccoli campioni per misurare le
caratteristiche dei legami con gli strumenti di calcolo propri della network analysis, soprattutto ricerche che,
come quelle citate, utilizzano i dati sulle caratteristiche dell’area di residenza come proxy per misurare la
“mixité” dei legami sociali dei residenti.
20
Heat, Rothon e Kilpi (2008) concludono, dopo una rassegna critica degli studi sugli effetti della
concentrazione “etnica” sui risultati scolastici, che per affermare che questi effetti scompaiano controllando
per classe sociale occorrerebbero ulteriori indagini che coinvolgano più gruppi di minoranze.
21
L’indagine cross-sectional si concentra sugli esiti scolastici nella scuola secondaria di secondo grado, e
utilizza come variabili di controllo per la regressione logistica multilevel le seguenti: percentuale etnica,
mobilità residenziale, urbanizzazione, il fatto di possedere la casa, la percentuale di “single household”
(N=145.000).
21
esplicative, che tali caratteristiche potrebbero influenzare in particolare la riuscita dei
migranti.
Tra le moltissime ricerche empiriche che tengono conto di più livelli analitici condotte nel
Nord America e in paesi europei a più lunga tradizione migratoria, ne cito alcune
significative per accuratezza dei dati e impianto teorico.
Portes e Hao (2004) indagano gli effetti dei contesti scolastici (composizione etnica e
socio-economica dell’utenza) sulla performance (voto di diploma e rischio di drop-out)
per 5266 studenti nati negli Stati Uniti con genitori nati in Cina, Corea, Vietnam e
Messico su un campione rappresentativo di 42 scuole della Florida attraverso una survey
e uno studio follow-up tre anni dopo. Risulta importante l’effetto scuola22, diverso a
seconda delle provenienze: per i messicani, al contrario che per le altre minoranze
considerate, frequentare un istituto con iscritti di status alto aumenta la probabilità di
abbandono23. Il fatto che l’ambiente competitivo abbia effetti deteriori per ragazzi con
background svantaggiati mette in discussione il culturalismo e spinge a considerare gli
effetti delle risorse materiali, anche se le aspettative dei genitori migranti verso
l’istruzione dei figli sarebbero sempre elevate.
Nell’Europa occidentale, altrettanto importante è il primo tentativo di comparazione
trans-nazionale sulle disuguaglianze “etniche” sulla riuscita scolastica, coordinato da
Heath e Brinbaum (2007)24 con l’obiettivo di verificare se esistono processi comuni in
paesi diversi e in particolare se lo status socio-economico ha ovunque lo stesso peso. I
risultati dipendono dall’impiego di dati e metodi diversi, come precisano i coordinatori,
ma
mostrano
piuttosto
univocamente
che
il
background
socio-economico
tradizionalmente impiegato come variabile indipendente spiega bene gli insuccessi sia
delle maggioranze che delle minoranze, specie se provenienti dall’Europa. Tuttavia per
dare conto delle variazioni tra nazioni di arrivo e di provenienza, segnatamente in Belgio
e Gran Bretagna, occorrono spiegazioni aggiuntive, legate alle competenze linguistiche,
22
L’effetto dello status familiare interagisce con quello degli utenti della scuola. Un elevato status socioeconomico medio degli utenti della scuola ha effetto positivo e rinforzato da status familiare alto, mentre
l’effetto dello status familiare è neutralizzato nelle scuole con utenza mediamente di status molto basso; a
parità di altre condizioni, le femmine mostrano risultati significativamente migliori, specie in scuole con
molti asiatici.
23
Esistono inoltre peculiarità della seconda generazione: l’effetto della lunghezza della residenza negli
USA è negativo, l’effetto dell’origine nazionale (positivo per asiatici e negativo per messicani) diminuisce
nelle scuole in cui è alta la proporzione di ragazzi della stessa etnia. I ragazzi di origine messicana mostrano
significativi svantaggi che sono aumentati dalla scuola che frequentano.
24
L’indagine in Belgio coinvolge migranti da Turchia, Marocco e Italia; in Gran Bretagna da India, Caraibi,
Pakistan; in Francia da Nord Africa e Portogallo; in Germania da Turchia, Italia, Jugoslavia, Grecia; in
Olanda da Marocco, Turchia, Caraibi; in Norvegia da Turchia, Pakistan, India; negli USA ispanici, in
particolare da Messico e Cuba.
22
alle aspirazioni genitoriali, ma anche al sistema scolastico e agli effetti della
concentrazione dei migranti25. Questi studi sono metodologicamente solidi, inoltre hanno
il merito di fornire letture ricche e empiricamente fondate della conformazione delle
disuguaglianze educative in base alla provenienza nazionale. Tuttavia, oltre alle difficoltà
di ogni ricerca comparativa menzionati nel primo paragrafo, proprio per l’ammirevole
sforzo di collocare le indagini sulle performance dei migranti all’interno delle riflessioni
più generali sulla riuscita scolastica, appurano l’importanza relativa dei fattori
normalmente impiegati per spiegare le disuguaglianze di riuscita, ma si confrontano meno
con le riflessioni sui processi di inclusione dei migranti nella società, per cui non
sembrano pervenire a una inclusione dei risultati di ricerca all’interno di riflessioni
analitiche sulla esistenza o meno di specifici meccanismi sociali che influenzano
l’inserimento scolastico e sociale dei giovani con background di immigrazione.
In Italia i lavori su questo tema si sono sviluppate molto più recentemente. Diversi studi
condotti nelle principali città del centro nord sul primo ciclo di istruzione considerano la
riuscita scolastica come processo multidimensionale, secondo un approccio sviluppato da
Elena Besozzi (2007) e altri (Fischer e Fischer, 2002; Giovannini e Queirolo Palmas,
2002) che include come fattori che influenzano la riuscita scolastica: status sociale e
culturale, origine etnico-culturale, motivazioni e aspettative; doti individuali e impegno
nello studio; clima di classe, aiuto da insegnanti e genitori; aspettative verso il futuro;
ambiente come contesto di vita e il mercato del lavoro di riferimento. Altre ricerche locali
sul successo scolastico degli alunni immigrati sono state sviluppate dalla Fondazione
Ismu, poi in collaborazione con l’Osservatorio Regionale per l’integrazione e la
multietnicità: a partire dagli anni Novanta è stato costruito un sistema di rilevazione di
presenze e esiti scolastici dei migranti in Lombardia, che ha mostrato come il successo
scolastico non sia favorito tanto dalla “vicinanza culturale” tra cultura di origine e cultura
italiana (espressa dalla scuola), e neppure dalle competenze in lingua seconda o dalla
nazionalità prese singolarmente, ma dai modi e dai tempi entro cui si realizza il processo
25
Gli autori propongono alcune ipotesi: (1) la selezione precoce sfavorirebbe i migranti, ma i risultati non
supportano questa ipotesi, per cui occorrerebbe conoscere meglio il meccanismo di selezione, inoltre i
sistemi selettivi stanno diventando più flessibili; (2) la questione della concentrazione scolastica in quartieri
poveri, con turnover di docenti e insegnanti non qualificati potrebbe fornire opportunità diseguali; (3) la
natura e la possibilità di istruzione terziaria (es. il sistema statunitense aperto e internamente differenziato è
diverso che quelli belga e tedesco chiusi ma più paritari al loro interno) sono altri fattori istituzionali di cui
tenere conto.
23
di acculturazione alla società ricevente, inteso in senso complessivo, sia per gli alunni
italiani che per i migranti26.
La prima ricerca quantitativa nazionale con un campione rappresentativo di studenti è
quella realizzata dai demografi Dalla Zuanna, Farina e Strozza (2009) nelle scuole
secondarie di primo grado di diverse province italiane. I risultati mostrano alti tassi di
insuccesso scolastico tra i migranti, ritardi per la collocazione in classi inferiori rispetto
all’età e conseguenti problemi di socializzazione e sottostima delle capacità, nonché la
mancanza di aiuto familiare adeguato.
Anche i dati PISA (Programme for International Student Assessment) forniscono
informazioni sulla famiglia di origine e sulle performance dei quindicenni, con il
vantaggio di monitorare direttamente le competenze senza la eventuale distorsione della
valutazione da parte degli insegnanti. La numerosità campionaria, tuttavia, non consente
di disaggregare per nazionalità di origine: è utilizzabile solo la variabile dicotomica
italiano - straniero distinguendo tra studenti nati in Italia da genitori nati all’estero oppure
studenti nati all’estero, inoltre mancano informazioni sulla struttura familiare. Gli
stranieri frequentano più spesso gli istituti tecnici e professionali rispetto agli italiani,
indipendentemente dal titolo di studio del padre, e le competenze degli studenti nati fuori
dall’Italia sono sistematicamente inferiori rispetto agli altri, pur controllando la lingua
parlata in famiglia, anche se i loro esiti riproducono al ribasso quelli degli italiani,
mediamente più bassi nel sud della penisola (Mantovani, 2008). Controllando le altre
variabili socio-demografiche e motivazionali individuali, il contesto scolastico e le risorse
educative e umane, il fatto di essere nati nel paese di somministrazione del test risulta uno
dei fattori più influenti sul punteggio medio, in misura diversa a seconda delle regioni
(Borrione e Donato, 2008). Secondo i dati PISA 2009, gli studenti con background di
immigrazione in Italia ottengono punteggi medi inferiori sia rispetto ai nativi italiani sia
rispetto al punteggio medio Ocse degli studenti immigrati. Le differenze tra nativi e
migranti in Italia rimangono tra le più elevate nell’area Ocse dopo aver controllato per
status socio-economico, anche se in Italia il 30% circa degli studenti più svantaggiati
socio-economicamente ottiene buone performance (dato corrispondente alla media Ocse)
(OECD, 2011).
26
Cfr. Santagati (2010) per una sintesi delle attività svolte negli ultimi anni dal Gruppo di ricerca sulla
Scuola per l’Osservatorio Regionale per l’Integrazione e la Multietnicità, diretto da Elena Besozzi e
coordinato da Maddalena Colombo. Un elenco dei rapporti di ricerca e alcune pubblicazioni sono
disponibili su www.orimregionelombardia.it.
24
L’impostazione teorica di questi studi, debitrice nei confronti dei lavori statunitensi
sull’integrazione scolastica delle minoranze, tende a sottolineare la dimensione delle
discriminazioni e delle disuguaglianze subìte dagli alunni con background di
immigrazione (cfr. Allasino e Eve, 2008). Diverse ricerche rilevano tuttavia che il
benessere a scuola a livello di secondaria di I grado è espresso più dai migranti che dai
nativi (Fischer e Fischer, 2002)27. Alcuni studi condotti in Francia e Italia, inoltre,
evidenziano che a parità di status sociale gli studenti migranti ottengono risultati migliori
a scuola, e inoltre, come emerso anche negli USA, che l’impatto dell’“etnia” sulle
performance scolastiche è variabile a seconda delle provenienze nazionali (Vallet e
Caille, 1996; Fischer e Fischer, 2002). Un aspetto chiave per comprendere il successo
scolastico dei migranti sarebbe quindi l’effetto delle elevate aspirazioni verso l’istruzione
dei genitori immigrati. Per uscire da schemi troppo rigidi basati sull’individuazione dei
fattori prevalenti e includere i percorsi di istruzione all’interno dei più ampi progetti
migratori familiari, a rischio di micro riduzionismo, sembra quindi utile non limitarsi a
sottolineare gli esiti delle disuguaglianze scolastiche, normalmente sfavorevoli per i
migranti, ma vedere come la riuscita o l’insuccesso a scuola si inseriscano nel percorso
scolastico degli studenti e vengano affrontati dalle famiglie migranti.
Passiamo quindi dall’insieme di ricerche sugli “effetti primari”, che, secondo Boudon
(1973), includono tutte le condizioni che influenzano la minore o maggiore soddisfazione
dei requisiti di apprendimento scolastici, ad altre ricerche che si concentrano invece sugli
“effetti secondari”, cioè si riferiscono al fatto che, date le prestazioni scolastiche, i
percorsi in istruzione dipendono da una serie di decisioni di investimento educativo
compiute nelle famiglie.
1.3.
Scelte scolastiche
Diversi ricercatori hanno adottato la distinzione di Boudon tra effetti primari e secondari
per testare empiricamente la teoria della scelta razionale dei percorsi scolastici. Secondo
27
Anche tra gli studenti italiani, ad esempio di scuola secondaria, il benessere a scuola risulta comunque
molto diffuso (Argentin, 2007). Da un recente studio sulla socialità giovanile risulta che la scuola è il
contesto di maggiore esclusione percepita (Ponti, 2011, p. 89), ma forse questo risultato, peraltro ricavato
da un campione non probabilistico, può essere anche legato al fatto che le relazioni amicali sono più
elettive, e quindi potenzialmente meno conflittuali, e le interazioni non strettamente amicali nello spazio
pubblico extrascolastico sono più di “traffico” e meno continuative che a scuola, e quindi sentite come
meno problematiche perché meno intense e frequenti.
25
il principio della scelta tra differenti alternative in istruzione (compreso l’abbandono), la
famiglia, intesa come unica funzione di utilità, opterebbe per l’alternativa con la maggiore
utilità percepita, in base ai benefici attesi dall’alternativa scelta (B), alla probabilità di
successo nell’ottenimento del traguardo educativo e dei benefici attesi (P) e ai costi
soggettivi previsti per la realizzazione di questa alternativa (C), come formalizzato
dall’equazione U = B * P – C. Questi tre elementi concorrerebbero, in modo variabile a
seconda del contesto istituzionale, a orientare i giovani appartenenti alle classi sociali alte
verso percorsi di istruzione di livello più elevato rispetto alle classi meno avvantaggiate,
data la loro maggiore capacità di sostenere i costi dell’istruzione, prevedere più elevati
ritorni occupazionali e benefici sociali dai percorsi formativi lunghi e calcolare maggiori
probabilità di successo. Le famiglie quindi svilupperebbero diverse strategie di
investimento educativo, “dall’alto” (forte motivazione a evitare la mobilità discendente)
oppure “dal basso” (date le risorse economiche limitate, scegliere l’alternativa con più
bassi costi e rischi e tuttavia sufficiente per proteggere dalla “caduta”, per esempio le
scuole professionali). Per Boudon le risorse culturali, intese come titolo di studio dei
genitori, non rientrerebbero tra le cause degli effetti secondari, per Erikson (2009) invece
sono importanti per calcolare costi, benefici e probabilità di successo e sostenere gli
studenti nella riuscita scolastica.
Il punto di riferimento dell’attuale ripresa di questo filone di studi è il modello formale
realizzato di Breen e Goldthorpe (1997), il quale per semplificazione riguarda la scelta di
continuare oppure no a studiare e si basa sull’assunzione che le famiglie vorrebbero che i
figli raggiungessero una posizione sociale almeno pari alla loro. Il modello permette di
“spiegare” statisticamente che più persone continuano a studiare a causa della riduzione
dei costi per lo studio, ma che le differenze di status tendono a persistere nelle scelte
scolastiche, perché i costi dell’educazione hanno un impatto ancora differente sulle
diverse classi sociali. Laddove le differenze nei costi dell’istruzione tra le classi sociali
diminuiscono, si attenua anche la disuguaglianza degli esiti, come ad esempio in Svezia
(Breen e Goldthorpe, 1997). Altri lavori successivi mostrano l’esistenza di differenze
nelle scelte a vari nodi di transizione scolastica tra studenti di diverse origini sociali, dato
lo stesso livello di performance (v. ad es. Jackson et al. 2007 sulla cumulazione di effetti
primari e secondari in Gran Bretagna; Becker e Hecken, 2009; Erikson e Rudolphi, 2010).
Nonostante i riscontri empirici, questo modello ha sollevo numerose critiche (cfr. Barone,
2005). Innanzitutto le scelte umane sono in parte razionali e in parte relazionali. Inoltre
non è facile distinguere tra effetti primari e secondari: si accumulano e sono
26
interdipendenti lungo la carriera educativa; la distinzione non va interpretata in modo
rigido perché la riuscita passata esercita una importante influenza sulle scelte, e la ricerca
non ha ancora chiarito le ragioni delle disuguaglianze di riuscita e il peso dei diversi
fattori – in parte menzionati nel paragrafo precedente - scolastici (ad es. discriminazioni
dei docenti) o dell’origine sociale (ad es. predisposizione culturale delle famiglie); in più
ciò che si identifica come effetto primario può includere meccanismi secondari. Isolare le
transizioni come se fossero eventi separati, poi, sarebbe semplificatorio, perché in alcuni
sistemi educativi sono molto connesse tra loro. Infine, mancano ancora, malgrado i
risultati empirici si stiano rapidamente arricchendo, esplicite misure dell’importanza
relativa dei diversi elementi del modello in diversi contesti istituzionali e transizioni tra
ordini di scuola. Malgrado le cautele necessarie, le comparazioni transnazionali
potrebbero gettare luce sui meccanismi sottesi alle disuguaglianze nelle scelte (cfr.
Erikson, 2009; Erikson e Rudolphi, 2010). A questi aspetti, va aggiunto secondo chi
scrive che non solo la scelta se continuare o meno oppure la scelta dell’indirizzo
scolastico o universitario sono importanti, ma lo sono anche tutta una serie di micro scelte
quotidiane, tra cui il numero di ore da dedicare allo studio, il seguire o meno corsi di
approfondimento o sostegno all’apprendimento extracurricolari, di cui non possiamo
tenere traccia con dati quantitativi e che spesso non appaiono come eventi su cui investire
cognitivamente nei termini di “scelta cruciale” (Cavalli e Facchini, 2001) neppure agli
occhi di chi le compie28.
Per quanto riguarda nello specifico il nostro tema, negli Stati Uniti molte ricerche hanno
tentato di spiegare la segregazione scolastica, con tecniche di analisi diverse. Tedin e
Weiher (2004) per esempio realizzano un esperimento per verificare se la scelta avviene
sulla base della qualità della scuola oppure in base alla concentrazione etnica e mostrano
che i genitori con un livello di istruzione più basso selezionano in base alla “etnia” degli
iscritti dando meno peso alla qualità dell’insegnamento, perché non riescono a traslare la
qualità in successo dopo la scuola, mentre tra i più istruiti prevale l’attenzione alla qualità,
vista come importante per il successo dei figli al termine della scuola.
In Gran Bretagna esistono ricerche sulla scelta dell’università. I fattori che influenzano la
scelta di iscrizione identificati da Shiner e Modood (2002) sono: popolarità del corso,
corsi di laurea consolidati o di recente istituzione, vicinanza dell’università all’abitazione.
Per gli immigrati l’accesso è più facile presso le c.d. “nuove università”, meno prestigiose
28
Ringrazio Michael Eve e Franco Ramella per aver discusso questa considerazione.
27
e meno finanziate, dal momento che alle selezioni cinesi, bengalesi e indiani sembrano
favoriti rispetto agli inglesi. Lo studio mostra inoltre che l’istruzione superiore incide
fortemente sulla possibilità di accesso all’università, per cui comprendere le
disuguagliane educative a livello secondario è fondamentale anche per capire quelle che
si manifestano ai livelli superiori del sistema educativo.
Nello studio comparativo coordinato da Heath e Brinbaum (2007), citato in precedenza, si
applica la distinzione tra effetti di stratificazione primari (sui risultati nella scuola
dell’obbligo) e effetti secondari (sul tasso di continuazione nell’istruzione secondaria e
terziaria). Questa distinzione secondo gli autori sarebbe particolarmente utile per studiare
le transizioni scolastiche dei figli degli immigrati perché la “dissonanza culturale”
avrebbe effetto maggiore rispetto allo status nell’aumentare il rischio di insuccesso
scolastico nella scuola obbligatoria. Viceversa le scelte di continuare gli studi per gli
immigrati potrebbero essere più ambiziose che quelle della maggioranza, a parità di
status, anche per la selettività del processo di immigrazione che premierebbe i migranti
più qualificati, e per le aspettative di discriminazione nel mercato del lavoro che questi
possono avere in quanto immigrati, per superare le quali occorrerebbe qualificarsi di più.
Dal momento che si riscontrano risultati diversi nei diversi paesi29, gli autori propongono
alcune ipotesi che andrebbero testate con dataset comparabili longitudinali: (a) non tutti
gli immigrati sono “selezionati positivamente”, come emerge dal dibattito in economia:
alcuni “lavoratori ospiti” sono stati selezionati proprio perché non qualificati, ad esempio
i turchi in Belgio o Germania; (b) affinché la selezione positiva funzioni, le aspirazioni
dei genitori dovrebbero trasmettersi ai figli, questo avverrebbe maggiormente in presenza
di una struttura familiare forte, come mostra il dibattito sull’assimilazione segmentata
negli Stati Uniti; (c) i tassi di prosecuzione dipendono dalla riuscita scolastica precedente,
quindi l’ipotesi della selezione positiva potrebbe essere testata più propriamente
comparando minoranze e maggioranze con risultati scolastici uguali.
29
La dissonanza culturale e linguistica spiegherebbe gli esiti scolastici di pakistani e bangladesi perché in
particolare le madri conoscono poco l’inglese, ma non si può applicare ai nordafricani in Francia, ad
esempio, per cui rischia di essere una spiegazione ad hoc. La resistenza nera caribeana al razzismo del
sistema scolastico inglese può essere interpretata come una forma di dissonanza culturale, non dovuta alle
differenze tra paese di arrivo e destinazione ma alle esperienze dei giovani nella scolarizzazione
occidentale, tuttavia, avvertono gli autori, è difficile dimostrare perché questo meccanismo agisce
significativamente solo in Gran Bretagna e non tra i maghrebini in Francia e Olanda, per esempio. Tra gli
effetti secondari in Francia le alte aspirazioni della famiglia possono portare a scelte di scuola secondaria
più ambiziose, ma lo stesso risultato non è purtroppo verificabile in altri paesi a causa di banche dati più
povere. Comunque il meccanismo della selezione positiva potrebbe essere applicato anche ad altri gruppi
(indiani in Gran Bretagna e Norvegia, greci in Norvegia). Ma anche qui occorre evitare spiegazioni ad hoc:
i coordinatori del progetto si chiedono perché il meccanismo della selezione positiva e delle aspirazioni
genitoriali più elevate non funzioni per spiegare i tassi di continuazione in Belgio e Norvegia.
28
Anche questo filone di ricerca, ripreso ciclicamente nella letteratura internazionale a
partire dagli anni sessanta, è di nuovo sviluppo in Italia. Nella penisola la transizione a
cui si guarda per indagare gli effetti secondari sulle disuguaglianze “etniche” al momento
è quella relativa al passaggio tra scuola secondaria di primo e di secondo grado (Queirolo
Palmas, 2006). I dati ministeriali indicano che i migranti si iscrivono più spesso che i
nativi in agenzie di formazione professionale e istituti tecnici, cioè intraprendono percorsi
scolastici più brevi, orientati al rapido inserimento nel mercato del lavoro. Le fonti del
Ministero dell’Istruzione attualmente disponibili purtroppo non permettono di controllare
se i percorsi professionalizzanti sono correlati con lo status socioeconomico o la riuscita
scolastica.
Sul processo di definizione della decisione familiare esistono alcuni studi qualitativi, tra
cui quello di Galloni (2008b) che ricostruisce con metodo etnografico aspettative di
docenti, famiglie, figli adolescenti a partire dall’osservazione di una “giornata di
orientamento”. In Lombardia e in particolare a Milano alcuni ricercatori coordinati da
Graziella Favaro stanno considerando le scelte scolastiche delle famiglie come strategie
di mobilità sociale in relazione alla concentrazione urbana e scolastica dei migranti sul
territorio, secondo l’impostazione adottata da Oberti in Francia (2007). Inoltre una
inchiesta basata sull’analisi di 1000 questionari somministrati nella primavera del 1999
nelle terze medie di dieci città italiane a studenti italiani e migranti mostra l’importanza
della riuscita scolastica, del luogo di nascita e del tempo di permanenza in Italia, della
condizione professionale dei genitori e del loro capitale culturale, quest’ultimo più
importante per gli stranieri che per gli italiani, nonostante la dequalificazione subìta dai
genitori migranti nel mercato del lavoro una volta in Italia (Queirolo Palmas, 2006). Tali
fattori si confermano importanti anche nella città di Torino (Luciano et al., 2009). Ricucci
(2010) suggerisce che sono influenti gli orientamenti verso il basso compiuti dai docenti,
e/o da considerazioni pragmatiche basate sulla vicinanza della scuola all’abitazione, sulla
presenza di connazionali o sulla reputazione dei diversi istituti scolastici. Riprendendo la
letteratura, l’autrice nota che nei discorsi dei giovani migranti compare una sorta di
“ossessione” dei genitori per lo studio, ma anche la propensione a scegliere percorsi
professionalizzanti in modo da svolgere lavori “da stranieri”.
Questi studi sono rilevanti per gettare luce su alcuni fattori considerati del processo
decisionale sull’istruzione, ma non sono volti a stimare quantitativamente l’impatto della
riuscita scolastica sulle scelte educative delle famiglie migranti e non migranti, tenuto
29
conto della classe sociale di appartenenza. Inoltre, non essendo longitudinali, non
permettono di distinguere tra effetti primari e secondari.
Sulla situazione italiana nel suo complesso, è possibile leggere i risultati dello studio
ITAGEN2 (Dalla Zuanna et al., 2009), dato che nella seconda wave un terzo dei
rispondenti è passato alla scuola media superiore. Gli stranieri che scelgono percorsi
professionali sono “il doppio rispetto ai ragazzi figli di italiani, mentre per i licei la
situazione è opposta. La differenza tra i due gruppi aumenta con il tempo di arrivo in
Italia: più del 60% dei ragazzi stranieri che nel 2006 erano in Italia da meno di tre anni si
è iscritto a un istituto o a una scuola professionale. Il divario permane forte anche tra i
ragazzi stranieri nati in Italia, per cui la proporzione di iscritti a un istituto o scuola
professionale è superiore di oltre 10 punti percentuali rispetto agli italiani. Inoltre, a parità
di risultato conseguito all’esame di terza media, gli stranieri tendono lo stesso a iscriversi
a scuole più professionalizzanti” (Id., pp. 134-135). Anche lo studio di Ravecca (2009, p.
137), condotto a Genova, giunge alla conclusione che “le prestazioni degli studenti
italiani sono solo di poco superiori: la principale forma di penalizzazione degli studenti
ecuadoriani […] è piuttosto l’eccesso di concentrazione nell’istruzione professionale”. Il
primo tentativo di integrare le banche dati disponibili noto a chi scrive è stato svolto con
accuratezza da Azzolini (2012), il quale considerando sia la riuscita sia la preferenza per i
diversi tipi di scuola secondaria di II grado (INVALSI, PISA, ITAGEN2, ISFOL,
Indagine Istat sulle Forze di Lavoro) ha mostrato che l’effetto dello status socioeconomico sui percorsi di istruzione dei migranti è diverso in base ai gruppi nazionali, più
forte per i gruppi meno svantaggiati.
Questi dati, per il modo in cui sono strutturati, non mirano a ricostruire i processi
decisionali delle famiglie. Per comprendere come le condizioni di partenza e le
aspettative familiari influenzino le scelte in istruzione dei figli, individuando le specificità
connesse all’origine migratoria dal punto di vista dei protagonisti dei percorsi di
inclusione/esclusione, sembra opportuno collocare le traiettorie in istruzione dei giovani
migranti all’interno dei progetti familiari di inserimento nella società di destinazione.
Inoltre per verificare come il percorso pregresso influenza le scelte successive e
considerare anche i casi di riuscita scolastica, si può spostare l’attenzione dalla prima
transizione (dalla scuola media alla superiore) alla seconda transizione (dalle scuole
superiori all’università oppure al mercato del lavoro). Perché le famiglie degli allievi
migranti, a parità di riuscita scolastica, tendono a preferire traiettorie formative più brevi
di quelle dei coetanei italiani? Quali elementi sono considerati importanti nella scelta?
30
Esistono strategie di mobilità sociale alla base delle decisioni scolastiche? Le famiglie
migranti intendono il percorso in istruzione dei figli come modalità di accesso alle
posizioni sociali “intermedie” nella società di arrivo? I componenti della famiglia hanno
aspettative e desideri diversi in base al genere o alla generazione? Come avviene la
negoziazione della scelta? Per cogliere i meccanismi di riproduzione delle disuguaglianze
sociali, non solo scolastiche, a partire dalle strategie degli attori in merito ai percorsi
educativi, è utile guardare alla discussione sull’inserimento delle “seconde generazioni”.
1.4.
Scuola, extrascuola e condizione giovanile
1.4.1. Assimilazione e integrazione
Questo insieme di ricerche guarda non solo alla scuola, ma anche al mercato del lavoro,
alla socialità e ai più estesi processi di identificazione - differenziazione culturale e
politica. Si tratta di temi divenuti cruciali per lo sviluppo delle teorizzazioni
sull’integrazione degli immigrati, a partire dal dibattito sui figli dell’immigrazione degli
anni Sessanta negli Stati Uniti (Crul, 2005). Nelle rassegne della letteratura c’è accordo
sull’individuazione di tre approcci: il paradigma assimilazionista, quello neoassimilazionista e l’approccio dell’assimilazione segmentata.
Il paradigma assimilazionista nella sua versione classica è stato abbandonato dalla ricerca
scientifica ma è ancora molto presente nei discorsi pubblici (Ambrosini, 2011). Gli
immigrati, visti come fonte di sconvolgimento dell’ordine sociale, verrebbero assorbiti
nella società di destinazione, conformandosi ad essa con una traiettoria di omologazione
lineare nel tempo. Il modello “straight line” (Warner e Srole, 1945, in Kasinitz et al.,
2008) prevedeva la successione dei gruppi di immigrati ultimi arrivati ai livelli più bassi
della stratificazione sociale, per il fatto che più lunga era la loro permanenza, maggiore
doveva essere anche la loro integrazione. Gli studi che mostrarono mobilità sociale
ascendente nel passaggio da una generazione all’altra e perdita di competenze nella lingua
madre nelle seconde e terze generazioni furono essenziali per la formulazione di questo
paradigma (Crul, 2005). Le debolezze di questo approccio oggi sono evidenti: esso ignora
le differenze tra i nativi e il fatto che i migranti, anche di prima generazione, possano
inserirsi a diversi livelli nella stratificazione sociale del paese di destinazione. Inoltre,
essendo un modello unidimensionale, non tiene conto del fatto che gli immigrati possano
inserirsi economicamente e mantenere il legame con la cultura d’origine, nonché il fatto
31
che riescano a modificare la cultura maggioritaria, la quale, nel modello classico, detiene
uno status più elevato rispetto a quella delle minoranze.
Questa impostazione inoltre, come quelle corrispettive presentate nel paragrafo sulla
riuscita scolastica, è stata molto criticata dai movimenti per i diritti delle minoranze e per
la tutela delle differenze che a partire dagli anni Sessanta hanno messo in luce le
contraddizioni delle metafore dell’orchestra, della tenda, del melting pot30. Dagli anni
Settanta negli Stati Uniti si moltiplicano le politiche di matrice multiculturalista. Tuttavia
l’assimilazione nella società americana, così come era stata prevista dalle teorie classiche
(assorbimento nella scuola e nel mercato del lavoro, scomparsa della lingua madre e
adesione al sistema simbolico della società di arrivo, parziale nella seconda generazione e
completo nella terza) non si manifesta. Dagli anni Ottanta e Novanta scompare la fiducia
nell’esistenza di un processo necessario e spontaneo di progressiva inclusione socioculturale degli immigrati. Lo slittamento concettuale compiuto è stato quindi quello di
comparare le immigrazioni del passato, in particolare dall’Europa, con quelle di oggi, da
un più ampio spettro di paesi, verificando se le seconde generazioni sono meglio o peggio
inserite (nel sistema educativo, nel mercato del lavoro, nella struttura sociale), e in più
breve o lungo tempo. Questo tipo di domande di ricerca, alle quali ovviamente non è
possibile rispondere globalmente a causa delle differenze macro-storiche e delle diverse
fasi dei processi migratori (per cui sulle migrazioni di oggi sappiamo ancora poco degli
effetti di lungo periodo sulle carriere delle seconde generazioni), si innestano su due
interrogativi che sembrano guidare nel profondo la letteratura statunitense sulle
conseguenze di lungo termine dell’immigrazione: che cosa significa essere americani? È
davvero possibile la mobilità sociale negli Stati Uniti, e fino a che punto? Basandosi
principalmente su dati relativi ai figli di messicani, Gans (1992, in Kasinitz et al., 2008),
ha introdotto il concetto di “second generation decline” invertendo il modello di Warner e
Srole: l’autore ha verificato che la mobilità sociale per le attuali seconde generazioni non
sarebbe più possibile, come invece accadeva in passato, senza aver raggiunto qualifiche
educative elevate, perché nell’economia contemporanea l’istruzione è diventata un
prerequisito indispensabile per l’ascesa sociale. Gans ha sottolineato il rischio di
permanenza in povertà, elevato specialmente per alcune “etnie”, ad esempio quelle
ispaniche, le quali nelle seconde generazioni maturerebbero atteggiamenti negativi verso
30
Il panorama dei movimenti neri, femministi, giovanili di sinistra, così come quello della loro produzione
intellettuale, è ovviamente ampissimo. Alcune riflessioni sulle molteplici forme di marginalità prima taciute
e poi assunte dai militanti come grimaldello critico nei confronti dell’ideologia egualitarista americana sono
contenute ad esempio in hooks (1998).
32
la scuola, mentre altri gruppi etnici, più legati alle tradizioni familiari, condividerebbero
la motivazione ad assimilarsi economicamente della famiglia.
Nonostante l’aumento nella disparità di reddito e la permanenza dei “conflitti razziali”,
alcuni studiosi rimangono convinti che il concetto di assimilazione sia ancora utilizzabile,
se depurato dalla matrice normativa e etnocentrica che l’aveva generato. Per questi
ricercatori, indipendentemente dalla volontà dei singoli attori sociali coinvolti, i gruppi di
immigrati tenderebbero ad imparare la lingua del paese di destinazione, ad inserirsi nel
mercato del lavoro al di fuori dell’ethnic business, a rompere con il tempo l’endogamia
matrimoniale. Ad esempio Alba e Nee (1997) sostengono, usando prevalentemente dati
sulle seconde generazioni, che sebbene esistano diversi percorsi di integrazione,
l’orientamento sul lungo periodo per la maggior parte dei gruppi rimane l’assimilazione.
In questa corrente di pensiero, Brubacker (2001) considera due accezioni distinte di
assimilazione: 1) il processo generale e astratto di rendersi, o rendere, simili alla
maggioranza; 2) l’esito finale e concreto di incorporazione come completo assorbimento
nella società ricevente. Il secondo significato, specie dal punto di vista dell’assimilazione
culturale, oggi non si ritiene più una via praticabile, invece la prima accezione, se si pone
l’accento non tanto sull’elemento coercitivo del “rendere” simili, ma piuttosto sul
“rendersi” simili, per Brubaker si può utilizzare. Secondo l’autore l’assimilazione è un
processo multidimensionale che riguarda diversi aspetti, non necessariamente coinvolti in
egual misura, per cui gli approcci olistici, sia scientifici che politici, sono errati: in
particolare l’assimilazione della sfera culturale non deve essere normativamente
rinforzata, ma piuttosto le politiche devono riguardare l’inclusione paritaria nella sfera
economica e sociale. L’assimilazione va dunque intesa come un processo collettivo e
graduale emergente dall’aggregazione di micro-azioni di individui, in gran parte non
intenzionale e intergenerazionale, cioè evidente soprattutto nel passaggio da una
generazione all’altra (Ambrosini, 2011).
La prospettiva dell’assimilazione segmentata (Zhou, 1997) si focalizza proprio
sull’inserimento sociale delle G2, e vede come sfaccettata non solo la traiettoria di
assimilazione, ma anche la struttura della società ricevente all’interno della quale i
migranti si collocheranno: i segmenti in cui gli immigrati possono collocarsi sono la
classe media, l’“underclass”, oppure la loro stessa comunità etnica, mantenendo cioè
anche nella società di arrivo forti legami culturali con il paese di origine e inserendosi in
specifiche nicchie economiche. Questo approccio è stato molto utilizzato per studiare le
carriere di inserimento di giovani con origini messicane e asiatiche negli Stati Uniti. Per
33
Ravecca (2009) esso può essere meglio compreso se inserito nel contesto delle teorie dei
modelli di incorporazione. Esse identificano diverse forme di adattamento, che si
realizzano secondo geometrie variabili in base alle politiche, ai fenomeni di
discriminazione razziale attuati dalla società ricevente, alla concentrazione spaziale degli
immigrati (con conseguente “zonizzazione” di fenomeni di marginalità sociale e devianza
come alternative all’inclusione) e alla segmentazione del mercato del lavoro della società
destinazione. Portes e Zhou (1993) evidenziano tre modelli di incorporazione. Il primo,
denominato “assimilazione ortodossa” o classica, permetterebbe l’integrazione socioeconomica degli individui solo in seguito all’adesione totale ai modelli culturali Wasp
(White Anglo-Saxon Protestant), secondo quanto avevano ipotizzato i primi teorici
assimilazionisti. Il secondo modello, espresso con la nota dizione “downward
assimilation”, si manifesta con stili di vita oppositivi ed esclusione sociale dei giovani
con background di immigrazione. Il terzo modello, detto di “assimilazione selettiva”,
consiste nell’affiancare al veloce avanzamento economico il mantenimento dei valori e
dei legami di solidarietà su base “etnica”. Il concetto di “assimilazione segmentata” è
dunque impiegato nel contesto dei modelli di incorporazione per indicare il fatto che, in
uno stesso contesto di arrivo, alcuni gruppi “etnici” possono sviluppare percorsi di
isolamento, altri di mobilità ascendente, altri ancora di mobilità sociale discendente.
Nonostante sia stato molto impiegato, il frame teorico dei modelli di incorporazione è
segnato da alcuni paradossi. Innanzitutto l’impiego di indicatori macro, ad esempio basati
sulle rappresentazioni dell’immigrazione da parte dei mass-media, sul clima di ricezione
societale, non sono generalizzabili in tutti i contesti: l’ostilità espressa dalla maggioranza
(o percepita come tale) nei confronti di alcuni gruppi di immigrati del secolo scorso può
avere esiti diversi di quella che sperimentano i giovani di origine messicana oggi. Senza
arricchire l’analisi con dati a livello micro e meso, si rischiano spiegazioni tautologiche
dei processi di assimilazione verso il basso come esito delle minori aspettative di effettiva
collocazione occupazionale per via della ricezione societale percepita (concetto
problematico dal punto di vista dell’operativizzazione), che trasmetterebbe l’idea di
subire discriminazioni all’ingresso sul mercato del lavoro.
Alcuni elementi meso sociologici sono stati introdotti dai teorici dell’assimilazione
segmentata che hanno indagato in particolare gli effetti positivi e negativi del capitale
sociale. Strette reti sociali di controllo comunitario per Zhou (1997) preserverebbero i
giovani dai rischio di devianza. Il capitale sociale “etnico” delle famiglie, inoltre,
risulterebbe ancora più importante di quello economico (occupazione dei genitori) e
34
culturale (titolo di studio dei genitori) per favorire la riuscita scolastica dei figli in aree
povere e in scuole con alto tasso di drop-out, fornendo incentivi di tipo normativo e
valoriale in grado di rinforzare nei giovani la concezione dell’istruzione come canale di
accesso alla classe media, come mostra lo studio sulle famiglie vietnamite di New
Orleans (per una sintesi Bonizzoni e Caneva, 2011). Processi di trasmissione
generazionale altrettanto importanti riguardano specifici aspetti culturali, ad esempio
religiosi, come fonte di controllo sociale ma anche di supporto all’investimento nella
mobilità sociale, anche tramite l’istruzione (Id.). I legami con i pari, inoltre, per i migranti
come per i nativi, favorirebbero l’acquisizione di autonomia nei riti di passaggio all’età
adulta. Per i giovani migranti le relazioni amicali possono favorire lo scambio e il
confronto interculturale, ma anche, come accennato nel paragrafo sulla riuscita scolastica,
offrire una fonte alternativa di identificazione, oppositiva rispetto a quella istituzionale
della società di maggioranza, ostacolando l’acquisizione di competenze e certificati
spendibili nel mercato del lavoro e talvolta l’inglobamento in circuiti di devianza (cfr.
Bonizzoni e Caneva, 2011). Esistono quindi anche meno studiati effetti negativi del
capitale sociale per l’integrazione economica e culturale dei figli dell’immigrazione. Se
da un lato le risorse relazionali facilitano l’accesso nel mercato del lavoro, dall’altro
possono condurre all’assimilazione verso il basso, o imprigionare all’interno di nicchie
etniche (Ambrosini, 2005).
Guardano a questi diversi aspetti Kasinitz e colleghi (2008). Il loro studio ha coinvolto
giovani adulti con genitori immigrati provenienti da cinque diverse aree di origine (in
comparazione con tre gruppi di nativi di controllo) nella metropoli di New York, e ha
riguardato il loro inserimento socio-economico, politico e culturale. Le aspettative e
l'investimento familiare in istruzione risultano diversi per ciascun gruppo, così come gli
atteggiamenti riscontrati da parte del sistema scolastico. Malgrado il serio utilizzo delle
classiche variabili socio-economiche, e anche alcune utili riflessioni ad esempio sul
concetto di discriminazione e sulle differenze di genere, un limite di questo studio è
rimanere a un livello piuttosto descrittivo dei fattori influenti, senza approfondire quali
siano i processi sociali alla base delle differenze tra gruppi “etnici”, innescati dall’evento
migratorio e dai suoi effetti sulla collocazione sociale della prima e della seconda
generazione nel paese di destinazione.
Questo lavoro di teorizzazione negli Stati Uniti ha permesso lo sviluppo di analisi
quantitative dell’integrazione socio-economica delle “seconde generazioni” (e successive)
anche nel contesto nord europeo. Una rassegna delle principali ricerche descrittive sulle
35
performance delle seconde generazioni nell’Europa occidentale (Austria, Belgio, Gran
Bretagna, Danimarca, Francia, Germania, Paesi Bassi, Norvegia, Svezia, Svizzera) mostra
che gli ambiti di integrazione considerati sono i seguenti: performance scolastiche
nell’istruzione obbligatoria, livello di qualifiche raggiunte, tassi di disoccupazione e
inserimento occupazionale (Heat, Rothon e Kilpi, 2008). Data la frequente collocazione
dei genitori immigrati di prima generazione nelle posizioni più basse della stratificazione
sociale del paese ricevente, centrale per questo insieme di studi è verificare quanto le
origini sociali possano spiegare, attraverso l’identificazione di specifici o generali
meccanismi di riproduzione sociale, le associazioni, tra background di immigrazione e
esiti in istruzione (ME), e tra origine “etnica” e destinazione sociale (MD), normalmente
operativizzata con la classe occupazionale (Id., v. figura 1.1)31.
Fig. 1.1 – Schema esplicativo delle disuguaglianze etniche.
Educazione (E)
Status di minoranza (M)
Classe di origine (O)
Destinazione (D)
Fonte: Heat, Rothon e Kilpi, 2008 (adattamento da Kalter et al., 2007).
Dagli studi censiti, emerge che tra i giovani immigrati con origini sud europee lo
svantaggio educativo è spiegato principalmente dall’origine socio-economica, mentre tra
quelli che provengono da paesi extraeuropei anche controllando per classe sociale
permangono disuguaglianze in istruzione, favorevoli per indiani e cinesi in Inghilterra e
per i provenienti dall’Asia sud orientale in Francia. Oltre ai fattori esplicativi che
accomunano migranti e nativi, dalla rassegna di Heat e colleghi per i migranti risulta
significativa la non conoscenza della seconda lingua, sia degli allievi che dei loro genitori
(anche se per chiarire meglio questo punto occorrerebbe indagare l’effetto del
bilinguismo, che può anche essere positivo). Uno studio mostra anche la minore
conoscenza del sistema scolastico da parte dei genitori immigrati in Germania e Norvegia
come fattore di svantaggio (Kristen, 2005 e Colding et al., 2005, in Heat, Rothon e Kilpi,
2008). La tendenza a scegliere discipline più applicative tra le seconde generazioni che
31
Mancano ricerche che verifichino se M altera la relazioni OD, sono pochi gli studi che controllano se MD
è spiegata da O mentre esistono più lavori sulla relazione ED mediata da M (Id.).
36
giungono all’istruzione secondaria superiore e terziaria, poi, potrebbe essere spiegata con
il timore di ricevere discriminazioni sul mercato del lavoro che le condurrebbe verso
prospettive più sicure. Sulle aspettative di inserimento occupazionale, Heat e Li (2008, in
Heat, Rothon e Kilpi, 2008) ipotizzano, adottando l’ipotesi del “dual frame”, che la prima
generazione abbia basse aspirazioni perché guidata da un frame cognitivo rivolto al
mercato occupazionale del paese di origine, mentre le seconde generazioni, adottando i
riferimenti cognitivi dei coetanei, abbiano aspettative più simili a quelle dei nativi,
principio che spiegherebbe perché, una volta ottenuto un posto di lavoro, la mansione sia
simile a quella degli autoctoni ad esempio in Inghilterra e Svezia. Sull’effetto della
concentrazione etnica abbiamo in parte già detto. Malgrado non siano molti gli studi
quantativi, teoricamente e in base ai risultati qualitativi potremmo aspettarci un effetto
negativo sulle performance nel mercato del lavoro per la carenza di capitale sociale
bridging, e un effetto positivo sul trovare un’occupazione all’interno dell’ethnic business
dovuto alla prevalenza di capitale sociale bonding (Heat, Rothon e Kilpi, 2008). Gli esiti
lavorativi possono anche dipendere da discriminazione e razzismo da parte dei datori di
lavoro: su questo tema sono disponibili principalmente ricerche qualitative e esperimenti.
Esistono ricerche soprattutto in Inghilterra, meno in altri paesi, e più qualitative, che
mostrano minori aspettative degli insegnanti e anche atteggiamenti di razzismo espressi
dai compagni nativi. Tuttavia in proposito occorre applicare la cautela segnalata da
Modood (2004), secondo cui non basta provare l’esistenza di atteggiamenti o
comportamenti discriminatori perché questi siano esplicativi, ma va indagato anche come
essi vengono percepiti dai giovani migranti e soprattutto quali reazioni provochino.
Spiegare la varianza tra nazioni è la prossima frontiera di questo insieme di studi in
Europa. Sono ancora poche le ricerche comparative internazionali. Crul (2005) cita tre
grandi progetti di ricerca che hanno costituito il primo passo in questa direzione: ESF32,
ISCEY33, EFFNATIS34. Il più recente, EFFNATIS, si è concentrato sulla relazione tra
politiche di integrazione nazionale e esiti per le seconde generazioni. In alcuni paesi fu
realizzata una survey con un questionario comune (Germania, Francia e Gran Bretagna),
mentre in altri si impiegarono fonti secondarie (Svezia, Olanda, Svizzera, Finlandia e
32
“International Migration and the Cultural Sense of Belongingness of the Second Generation”, studio
pionieristico sviluppato negli anni Ottanta.
33
“International Comparative Study on Ethnocultural Youth”, coinvolse dodici paesi, tra cui otto europei, a
metà degli anni Novanta, raccogliendo informazioni sia psicologiche sia su abitudini linguistiche,
discriminazioni e scolarizzazione, procedendo tuttavia per analisi paese per paese, o per gruppi di paesi, e
non comprensive di tutti e 12 i casi.
34
EFFNATIS, “Effectiveness of National Integration Strategies towards Second Generation Migrant Youth
in Comparative European Perspective”, sviluppato alla fine degli anni Novanta in otto paesi europei.
37
Spagna), per cui il materiale empirico fu difficile da confrontare, anche per il fatto che i
gruppi nazionali di immigrati nei diversi Stati erano diversi (Crul, 2005). Dopo queste
prime esperienze di ricerca, nel 2000 fu lanciato un programma comparativo
sull’inserimento delle seconde generazioni di turchi e marocchini in sei paesi europei
(Crul e Vermeulen, 2003). Le banche dati utilizzate furono quella di EFFNATIS,
integrate da ulteriori studi nazionali e fonti secondarie, laddove esistenti. Le opportunità
di carriera scolastica dei giovani turchi si mostrarono diverse a seconda del contesto di
arrivo: in particolare la percentuale di iscritti nella formazione e istruzione professionale,
in Francia, Belgio e Paesi Bassi le percentuali variavano da un terzo e un quarto del
totale, mentre in Austria e Germania tra i due terzi e i tre quarti. I giovani Turchi quindi
godevano di maggiori probabilità di accesso all’istruzione terziaria nei primi tre paesi. I
ricercatori verificarono anche le performance scolastiche e notarono che in Francia, per
esempio, il più alto tasso di ingresso dell’istruzione superiore si accompagnava anche al
più alto tasso di drop-out: circa metà non otteneva il diploma secondario di secondo grado
(un terzo nei Paesi Bassi e ancora meno in Germania e Austria). Negli ultimi due paesi il
collegamento tra corsi professionali e mercato del lavoro assicurava alla maggioranza dei
turchi di seconda generazione l’acquisizione di esperienze e qualifiche lavorative tramite
il sistema di apprendistato, per cui in questi paesi la disoccupazione risultava tre o quattro
volte più bassa che in Francia, Belgio e Paesi Bassi. In questi tre paesi, e soprattutto in
Francia, la collocazione sociale delle seconde generazioni di turchi risultò più polarizzata
tra un consistente gruppo di persone inserite con qualifiche professionali medio-alte da un
lato, e un gruppo di persone in condizioni di disoccupazione o difficoltà di primo ingresso
nel mercato del lavoro dall’altro. Per comparare l’impatto del contesto nazionale sulle
traiettorie di integrazione delle seconde generazioni, naturalmente, non basta guardare
alle differenze di inclusione nel sistema scolastico, ma anche nella transizione scuolalavoro. Secondo l’approccio istituzionale di Crul e Vermeulen (2003) le differenze
nazionali possono dipendere sia dal sistema educativo nazionale (età dell’obbligo
scolastico, orario della scuola primaria, caratteristiche del sistema scolastico, selezione
del tipo di istruzione più o meno precoce) sia dal grado di formalizzazione della
transizione scuola-lavoro (ad esempio attraverso il sistema dell’apprendistato). Il
programma TIES35, ha sviluppato ulteriormente questa prospettiva, focalizzandosi sui
contesti urbani di otto paesi europei.
35
“The Integration of the European Second generation”, programma coordinato da Maurice Crul e Jens
Schneider.
38
Dal momento che l’attenzione al contesto nazionale o locale è maggiore in Europa che
negli Stati Uniti (Crul e Vermeulen, 2003), dove si tende piuttosto a comparare i percorsi
di integrazione di “etnie” residenti in uno stesso paese o città (cfr. ad es. Kasinitz et al.,
2008), mettere in luce i meccanismi attraverso cui l’ambiente istituzionale plasma i
percorsi di integrazione può essere il contributo teorico delle ricerche europee
sull’immigrazione (cfr. Crul, 2005). Questo insieme di ricerche, inoltre, mostra che
l’effetto delle aspettative educative è evidente solo in alcuni contesti di ricezione, e invita
a testata empiricamente la selettività del processo migratorio da un lato, e la capacità dei
genitori di trasmettere le proprie aspettative ai figli dall’altro lato (Heat, Rothon e Kilpi,
2008). Il Sud Europa, nel quale solo recentemente sta crescendo la presenza delle
“seconde generazioni”, appare un contesto particolarmente interessante per cogliere i
processi di inserimento sociale dei giovani migranti. Purtroppo, anche perché come detto
l’integrazione delle seconde generazioni in Italia è un fenomeno recente, mancano studi
comparativi di questo tipo che includano la penisola. Tuttavia sono state realizzate
ricerche qualitative molto informative rispetto ai nuovi processi di inclusione/esclusione
in corso. Vediamo quindi la letteratura sviluppata a proposito del caso italiano.
1.4.2. Socialità giovanile dei migranti in Italia
Il concetto impiegato per descrivere un positivo inserimento nella società ricevente nella
letteratura italiana non è tanto assimilazione, ma piuttosto integrazione, intesa come
processo multidimensionale, articolato e non lineare, locale e dipendente dal contesto
istituzionale (Ambrosini, 2011; Bonizzoni e Caneva, 2011). Data la novità del fenomeno,
non è al momento possibile studiare le carriere di inserimento delle diverse generazioni di
immigrati attraverso studi longitudinali o confronti tra periodi diversi. Le ricerche italiane
che si collocano nel filone di studi sull’integrazione delle “seconde generazioni”, cercano
quindi di collegare scuola e extrascuola in ottica cross sectional, e di cogliere le
prospettive di inserimento solo a livello di aspettative sul futuro dei soggetti coinvolti
nelle ricerche.
Per Costa (2008) si possono individuare tre filoni di letteratura italiana sulle relazioni tra
scuola e extrascuola per i minori migranti: i) quello che sottolinea la componente “etnica”
delle reti di aggregazione; ii) quello che considera altri elementi differenzianti, come
genere, età anagrafica e di arrivo in Italia, interessi e passioni, stratificazione sociale,
abitazione, occupazione e scolarizzazione; iii) lo studio di particolari forme di
socializzazione dei giovani, come la formazione di “bande”.
39
Recentemente le ricerche sulle reti sociali informali dei giovani migranti tendono a unire i
primi due filoni di studio (cfr. Ambrosini, Bonizzoni e Caneva, 2011). Uno dei risultati
più confermati è il seguente: più l’arrivo in Italia è recente più le reti amicali tendono a
stringersi tra coetanei connazionali o di origine immigrata (Comune di Bologna,
Osservatorio sulle Differenze, 2006; Cologna, Granata e Novak, 2007). Da una survey
condotta con adolescenti immigrati in Lombardia emerge che i legami amicali degli
intervistati si strutturano per effetto dell’età di arrivo in Italia, più co-etniche per i neoarrivati e tendenzialmente più costituite da italiani per i nati in Italia, e non in base al tipo
di istruzione secondaria frequentata, anche se tra gli iscritti ai corsi di istruzione e
formazione professionale prevalgono le amicizie con altri stranieri, specialmente nati
all’estero. L’età di arrivo influenza positivamente anche la frequenza di centri religiosi,
piuttosto diffusa soprattutto nella generazione 1.5 non solo perché permette di praticare la
fede ma anche perché facilita la creazione dei primi legami sociali nel nuovo paese: è
correlata positivamente con le ore di tempo libero trascorse con amici e genitori insieme.
Le figlie svolgono più spesso lavori domestici rispetto ai maschi, e hanno minori libertà
di movimento, trascorrono il tempo libero in luoghi più strutturati, chiusi e controllati
rispetto ai coetanei (Ponti, 2011). La socializzazione con il gruppo dei pari all’interno
delle organizzazioni di strada è studiata come una forma particolare di capitale sociale,
con l’obiettivo di uscire dalla visione patologica delle “bande”, invenzione mediatica e
costruzione sociale della società ricevente. I giovani migranti raccontano la loro
esperienza all’interno delle organizzazioni come “ferita sociale e personale non
cicatrizzata”, resistenza simbolica e forma di identificazione critica e creativa. Il
contributo di queste ricerche che impiegheremo nel lavoro sul campo consiste nel
suggerimento a non “etnicizzare” dall’alto, ma a guardare all’agency e alla definizione di
sé dei protagonisti (v. ad es. Queirolo Palmas, 2005b e 2006; Fexia et al., 2007;
Bonizzoni e Caneva, 2011)36.
Aggiungiamo un altro filone di studi, sviluppato tra antropologia, scienze dell’educazione
e sociologia, che sottolinea il ruolo dei centri aggregativi, probabilmente destinato ad
assumere grande rilevanza per l’inserimento scolastico dei migranti nel passaggio dal
policentrismo formativo a un sistema formativo integrato, in una fase di contrazione della
36
Collegato solo in parte a questo filone di studi, in Italia si sta sviluppando una riflessione sui percorsi dei
minori non accompagnati, e anche alcune ricerche sulla devianza, e il controllo della devianza, dei minori
migranti (cfr. Prina, 2008). Questa letteratura non mira ad indagare gli effetti di questi processi sui percorsi
scolastici e formativi, e per questo non è stata inclusa in questa rassegna, ma sembra molto istruttiva per
arricchire il dibattito su criminalità e criminalizzazione degli immigrati (Martino e Santero, 2010).
40
spesa pubblica in istruzione e limitato sviluppo delle politiche giovanili. Esistono ricerche
etnografiche basate sulla tecnica dell’osservazione partecipante ad esempio su:
associazionismo etnico-giovanile e amicizie interculturali a Torino (Costa, 2008);
mantenimento dell’identità e separazione dei tunisini a Mazara del Vallo (Dallavalle,
2008); ragioni della partecipazione dei sikh a Cremona (Galloni, 2008a). Le domande da
cui muovono questi studi sono: in quale misura la presenza o la creazione di luoghi di
incontro contribuiscono, da un lato, all’educazione e alla formazione dei singoli soggetti
e, dall’altro, alla costruzione di un possibile “clima” interculturale”? I risultati di ricerca
dimostrano l’importanza dei contesti che organizzano il tempo libero per la centralità del
gruppo dei pari nell’adolescenza, nel processo di acquisizione non solo di migliori abilità
scolastiche (funzione di doposcuola) ma anche di modalità culturali di individuazione e
identificazione da condividere o inventare con i coetanei.
Un altro insieme di studi di caso condotti in Lombardia ha coinvolto centri aggregativi
diversi per tipo di utenza, mista o co-etnica, grado di chiusura all’accesso,
standardizzazione e finalizzazione delle attività, di tipo ricreativo, religioso o di sostegno
all’apprendimento. Emerge un quadro composito, in parte a sostegno delle teorie
dell’acculturazione selettiva. Alcune forme di partecipazione favoriscono lo scambio di
conoscenze, informazioni e sostegno affettivo tra pari migranti e educatori italiani, ma
contemporaneamente sembrano inibire l’apertura verso l’esterno. Esistono poi occasioni
di socialità più informali e aperte, talvolta a forte base territoriale, talvolta meno, come
nel caso dei centri commerciali. Questi luoghi di incontro informali, pur essendo ricchi di
potenzialità di incontri “misti”, non necessariamente conducono alla conoscenza
reciproca e all’allargamento della propria rete sociale, ma possono viceversa essere
segnati da pratiche di distinzione e marcatura dei confini interne ed esterne. Le
associazioni co-etniche, si rivelano invece non solo importanti luoghi di costruzione
identitaria, anche attraverso la pratica religiosa, ma anche luoghi dove negoziare
collettivamente il controllo sociale esercitato dalle famiglie sugli adolescenti, in
particolare sulle femmine, e vere e proprie risorse politiche (Bonizzoni, 2011; Pozzi,
2011; Mauri, 2011; Marsigli, 2011; Caneva, 2011; Cominelli, 2011).
Le ricerche sull’associazionismo degli immigrati forniscono altri spunti di analisi che
sarebbero da sviluppare con ricerche mirate sulle “seconde generazioni”. Molte
associazioni tra le attività a sostegno dell’inclusione sociale prevedono l’erogazione di
corsi formativi o linguistici nella prima o nella seconda lingua, ponendosi come vere e
proprie agenzie formative extrascolastiche: si potrebbe indagare l’impatto di questa
41
frequenza sulla riuscita a scuola. Inoltre la rete associativa, oltre a essere uno dei pochi
spazi sociali in cui sono riconosciuti il titolo di studio e le competenze degli adulti, può
essere un luogo di investimento per la mobilità sociale individuale e familiare, attraverso i
contatti delle famiglie con le istituzioni, il privato sociale e le organizzazioni di
rappresentanza in Italia e all’estero. L’ampliamento delle risorse relazionali e informative,
ovviamente, dipende dai finanziamenti alle associazioni, piuttosto discontinui, e dalla
possibilità concreta dei singoli di partecipazione alle attività, di solito subordinata al
raggiungimento di condizioni di lavoro e di vita relativamente stabili. Inoltre l’eccessivo
personalismo rilevato in alcune realtà associative di immigrati può creare difficoltà
nell’ascolto dei bisogni di tutti gli associati, e, forse, in particolare dei membri meno
avvantaggiati o autorevoli, tra cui probabilmente i più giovani (cfr. ad es. Caselli e
Grandi, 2011).
Oltre che per gli aspetti sostantivi prima citati, da tener presenti per definire gli effetti del
percorso migratorio su quello scolastico, gli studi sulla socialità delle “seconde
generazioni” hanno il merito di far emergere l’agency dei giovani migranti nella
costruzione di capitale sociale, spesso visto nelle ricerche non focalizzate sui figli
dell’immigrazione come risorsa passivamente ricevuta dalla famiglia o dalla “comunità”
(Ambrosini, 2011). Un limite di questo filone di studi è invece lo scarso riferimento alla
dimensione spaziale e temporale37. Lo spazio influisce sulla configurazione delle reti
sociali delle seconde generazioni in almeno tre modi. Innanzitutto i legami si
(de)costruiscono in maniera diversa a seconda dell’età di emigrazione, per effetto della
mobilità geografica (Eve, 2010 in Ambrosini, 2011). Inoltre in ragione del “carattere
situato e pragmatico dell’identità e della differenza” (Bonizzoni e Caneva, 2011, p. 54;
cfr. Colombo e Semi, 2007). Infine per l’influenza della dimensione locale delle politiche
per l’immigrazione (Caponio, 2006). Nonostante con le nuove tecnologie della
comunicazione e dell’informazione e con la diminuzione dei costi dei trasporti i giovani
di oggi abbiano acquisito maggiori possibilità di movimento e di scambio in un contesto
transnazionale, i vincoli fisici rimangono importanti per strutturare la vita quotidiana, così
come le caratteristiche del quartiere di residenza, studio e tempo libero e le definizioni dei
confini, e della percezione di “normalità” della frequentazione di determinati luoghi,
specialmente nel territorio urbano (cfr. Ambrosini, Bonizzoni e Caneva, 2011).
37
Come è noto, lo spazio era tenuto in grande considerazione nei primi studi sulle migrazioni di inizio
Novecento, quando i fondatori della scuola di Chicago notarono il susseguirsi di gruppi di immigrati nei
diversi quartieri della città, e identificarono un primo livello “ecologico” della vita urbana (cfr. Hannerz,
2001).
42
Non sono molte le ricerche italiane che indagano direttamente gli effetti della relazione
tra genitori e figli per l’integrazione scolastica e sociale, anche se viene ampiamente citata
la presunta elevata aspettativa in istruzione dei genitori come possibile fattore di sostegno
alla riuscita. Uno studio condotto a Torino (Cologna, Granata e Novak, 2007) fa emergere
possibili incomprensioni e conflitti tra generazioni a causa del diverso vissuto
dell’emigrazione da parte di giovani, spesso ricongiunti e talvolta nati in Italia, e gli adulti
primomigranti. Gli uni più vicini allo stile di vita dei pari autoctoni, mentre gli altri
spesso orientati a preservare nei figli, e soprattutto nelle figlie, conformità rispetto alle
aspettative di ruolo e ai valori di riferimento della rete migratoria più che l’acquisizione di
risorse e capacità che favoriscano integrazione socio-economica in Italia.
Per quanto riguarda le aspettative sul futuro inserimento nella società italiana, dalle
ricerche condotte in Italia emergono alcuni elementi che sarebbe interessante
approfondire con analisi mirate. Innanzitutto l’importanza della dimensione di genere, e
in particolare la tendenza delle ragazze a immaginare minori asimmetrie tra donne e
uomini nell’inserimento socio-economico e politico rispetto ai coetanei maschi, nonché a
esprimere il desiderio di un maggiore investimento in istruzione ai fini del successo
occupazionale (Cologna, Granata e Novak, 2007; per una ricerca su giovani musulmani
cfr. Negri e Scaranari Introvigne, 2005). Si rileva anche un desiderio di riscatto,
nonostante le strategie progettuali risultino spesso confuse e poco concrete (Cologna,
Granata e Novak, 2007).
Questi studi offrono risultati complementari a quelli svolti all’interno degli istituti
scolastici, ma faticano a chiarire il nesso tra esperienze educative extrascolastiche e
riuscita a scuola38. Lo studio coordinato da Eve (2009) attraverso una inchiesta
campionaria rivolta a giovani italiani e stranieri in Piemonte, indaga diverse dimensioni
dell’integrazione, tra cui gli atteggiamenti e i comportamenti relativi all’esperienza
scolastica, le concezioni del tempo libero, la rete amicale e familiare. Dai risultati della
survey emerge che i percorsi di integrazione sembrano influenzati più dalle esperienze di
socializzazione negli ambienti sociali locali in Italia – la scuola, il quartiere, il gruppo dei
pari - che dalla cittadinanza dei genitori. Dalla ricerca coordinata da Ambrosini,
Bonizzoni e Caneva (2011), inoltre, risulta che il tipo di scuola frequentato condiziona la
composizione della rete amicale: più mista tra i liceali che tra gli iscritti all’istruzione
38
Un interessante tentativo in questa direzione è quello di verificare gli effetti del capitale sociale e della
concentrazione etnica nel quartiere di residenza sugli esiti scolastici. I risultati empirici di questi studi per
motivi espositivi vengono inclusi nell’area tematica relativa alla riuscita scolastica.
43
tecnica e professionale. Per la ricerca presentata controlleremo quindi se la scuola
frequentata ha un impatto nel definire e caratterizzare le relazioni con i pari di
riferimento, e se in che modo i legami amicali possono influenzare i percorsi scolastici
successivi.
Per inserire lo studio dei percorsi di inserimento scolastico dei migranti all’interno dei
progetti migratori familiari appare dunque utile integrare questi quattro filoni di studio,
guardando: (a) alla cornice istituzionale, non colta con quadro concettuali troppo astratti
ma piuttosto nelle sue definizioni di vincoli e opportunità concrete per gli attori sociali;
(b) alla riuscita scolastica come processo multidimensionale che costituisce non solo un
esito in un determinato momento, ma anche uno dei fattori influenti per le traiettorie in
istruzione successive; (c) al processo di individuazione della scuola da frequentare come
il frutto di scelte non strettamente razionali, ma costruite nell’interazione; (d) alle
aspirazioni di inserimento sociale dopo al primo ciclo di istruzione, sia dei giovani
migranti che dei loro genitori. Presentiamo quindi nel prossimo capitolo l’approccio
teorico impiegato per la ricerca.
44
2. Approccio teorico, domande e ipotesi, disegno della ricerca
2.1. La definizione del problema
2.1.1. Oggetto della ricerca e campi teorici
La ricerca riguarda il percorso di istruzione e le aspettative di inserimento sociale degli
studenti migranti (con entrambi i genitori nati all’estero) al termine delle scuole
secondarie di II grado.
Lo scopo è duplice: i) indagare retrospettivamente i meccanismi sociali alla base delle
scelte scolastiche dei migranti al termine della scuola media inferiore; ii) esplorare le
prospettive post-diploma espresse da adolescenti e genitori migranti, dopo averne
ricostruito le traiettorie scolastico-formative, migratorie e familiari e le loro
interconnessioni. Lo studio è focalizzato sul ruolo dell’istruzione come investimento per
la collocazione sociale dei figli degli immigrati. In particolare si intende verificare se il
percorso scolastico è assunto dagli studenti migranti e dai loro genitori come fattore di
mediazione della mobilità sociale nel passaggio da un sistema di stratificazione all’altro, e
se esistono asimmetrie scolastiche orizzontali o verticali legate a specifici percorsi di
mobilità o a effetti di riproduzione – sociale o migratoria - familiari.
Sono tuttora assenti studi sistematici sul posizionamento sociale dei primomigranti in
Italia, non limitati alla dimensione economica della stratificazione. Alcune indicazioni
possono emergere guardando al loro inserimento nel mercato del lavoro (cfr. Bagnasco,
2008). Anche se generalmente non emigrano le persone che costituiscono gli strati più
svantaggiati della popolazione, ma viceversa chi detiene una posizione di classe media
nel paese di origine (Ambrosini, 2005), le indagini condotte in Italia hanno evidenziato
processi di omologazione verso il basso delle qualifiche occupazionali dei migranti.
Innanzitutto mancano quelli che la letteratura considera i principali fattori di attrazione
delle skilled migrations: una politica migratoria specifica, il prestigio dell’Ente di
destinazione, la remunerazione, la sicurezza di una continuità di carriera e un clima
culturale tollerante verso la diversità e aperto alle innovazioni, in relazione all’area di
origine, ma anche alle altre possibili destinazioni (cfr. ad es. Brandi, 2001 e 2006;
45
Avvenuto et al., 2004; Beltrame, 2008). Le procedure di riconoscimento delle qualifiche
ottenute all’estero sono complesse, frammentate e costose, su di esse gravano
disinformazione e arbitrarietà39. Ma soprattutto, non sempre le competenze acquisite dai
migranti sono richieste nel territorio di destinazione (Ambrosini, 2001a). L’elevata
richiesta di manodopera in settori a bassa produttività, e di contro il sistema della ricerca,
soprattutto tecnologica, sottodimensionato rispetto ad altre aree a economia avanzata; il
ruolo delle reti migratorie nel favorire l’inserimento in settori “etnicizzati”; la
discriminazione statistica, che secondo gli studi disponibili tende a colpire specialmente
alcune provenienze; l’opposizione dei colleghi italiani ad avere un - o una – responsabile
“straniera” sono tutti elementi che contribuiscono alla collocazione dei migranti in ambiti
lavorativi meno pagati e prestigiosi (Ambrosini, 2001b; Ambrosini e Molina, 2004;
Avveduto et al., 2004). Numerose indagini locali (Kofman, 1999; Perrañas, 2000; Cambi
et al., 2003) e nazionali (cfr. Caritas, 2011) testimoniano che per le immigrate
l’inserimento occupazionale “verso il basso”, o in determinati settori ad esempio della
cura40, è particolarmente diffuso, anche per effetto di un mercato del lavoro sfavorevole
alle donne, specie se prive di titoli di studio riconosciuti e se madri di bambini piccoli
(Saraceno, 2003; Luciano, 2008; Dal Boca e Mencarini, 2011). Insieme alla
sottoccupazione femminile, esistono anche meno visibili fuoriuscite dal mercato delle
laureate ricongiunte proprio per evitare la sotto-occupazione (Santero, 2011). Secondo il
rapporto Istat sulla situazione del paese nel 2010, insieme ai fenomeni di sovraistruzione
e sottoutilizzo delle competenze degli immigrati, a causa della crisi economica tra i
migranti è aumentata anche la disoccupazione (Istat, 2011). L’impatto della crisi è stato
più forte per alcune provenienze, laddove la componente di maschi impiegati
nell’industria era maggiore (marocchini, albanesi), in particolari aree territoriali, nel
centro-nord del paese, dove la presenza dei cittadini stranieri rimane più consistente, e per
specifiche categorie di lavoratori, quelli con titolo di studio elevato per i quali è
aumentata la sottoutilizzazione (Caritas, 2011).
Tuttavia anche nel 2010 permane una percentuale consistente di lavoratori e lavoratrici
con cittadinanza non italiana che svolgono professioni qualificate come dirigenti,
imprenditori, tecnici (7,1%) oppure impiegati e addetti alle attività commerciali (16,4%
39
Ad eccezione di alcune categorie professionali (infermieri, tecnici sanitari di radiologia medica e
operatori socio-sanitari) per le quali il Ministero della Salute e alcune Province e Regioni hanno predisposto
percorsi ad hoc.
40
Sulle caratteristiche degli impieghi nel settore domestico e di cura delle migranti cfr. ad es. Anderson
(2000), Scrinzi (2004) e Abbatecola (2005).
46
del totale) (Rilevazione sulle forze di lavoro Istat, in Caritas, 2011). Nonostante i migranti
tendano a situarsi nelle posizioni meno avvantaggiate della struttura occupazionale
ricevente, anche in Italia esistono diversi canali di accesso a posizioni intermedie. Alcune
vie sembrano meno praticabili dai primomigranti per ragioni normative, come quella del
pubblico impiego e della libera professione, mentre altre, come l’attività autonoma o il
lavoro dipendente nel settore privato, risultano più accessibili (Allasino e Eve, 2008)41.
Per i figli dei migranti almeno parzialmente scolarizzati in Italia, le opportunità di accesso
alle posizioni “nel mezzo” della scala sociale potrebbero essere diverse rispetto a quelle
dei genitori per almeno due ordini di fattori di carattere istituzionale: il loro percorso
formativo è riconosciuto in Italia; hanno possibilità di naturalizzazione relativamente
maggiori rispetto ai loro genitori (nonostante, come si vedrà, ancora minori rispetto a
quelle dei giovani G1.5 o G2 in altri paesi di destinazione). Inoltre la frequenza della
scuola e di altre agenzie di socializzazione in Italia potrebbe comportare un
avvicinamento dei giovani migranti agli stili di vita dei coetanei nativi. Tra gli esiti dei
lunghi percorsi in istruzione, poi, compaiono non solo vantaggi economici e materiali,
come più bassi rischi di disoccupazione, più opportunità di svolgere lavori interessanti e
meglio pagati, migliore salute e vita più lunga (Erikson, 2009), ma anche vantaggi di tipo
simbolico e culturale, come la possibilità di ottenere posizioni sociali prestigiose,
accumulare risorse relazionali per far valere i propri diritti e partecipare attivamente alla
vita politica del luogo in cui si abita. Guardare come propone Savage (1992, in Bagnasco,
2008) agli “assets”, in particolare alla proprietà (dimensione più strettamente economica e
occupazionale), alla burocrazia (dimensione dell’autorità e del potere, in senso
relazionale), alla cultura (dimensione normativa e valoriale) consente di definire in ottica
multidimensionale le condizioni strutturali in cui i migranti e i non migranti agiscono,
anche se, per cogliere concretamente le definizioni della situazione da parte degli attori,
occorre specificarle empiricamente in relazione al contesto normativo e economico
locale.
41
Diverso è il caso dei cittadini stranieri di paesi a sviluppo avanzato, per i quali l’accesso a classi medie o
medio alte è favorito dai vantaggi derivati dal contesto economico di partenza e dallo status giuridico di cui
godono e i modi per loro di regolazione dei flussi immigratori. Essi rappresentano una minoranza dei
migranti in Italia (nel 2010 i residenti cittadini di paesi dell’Ue15 e dell’America settentrionale erano
rispettivamente il 3,7% e lo 0,4% degli stranieri; cfr. Caritas, 2011) per cui la prospettiva analitica di
seguito presentata è piuttosto pensata per cogliere i meccanismi di riproduzione e mobilità sociale legati alle
immigrazioni da paesi a forme pressione migratoria.
47
Il nesso tra cittadinanza e ceto medio immigrato42 è ancora sotto indagato in Italia. Il
dibattito pubblico ha affrontato da tempo - all’interno di un altro ambiente teorico, quello
delle politiche migratorie - una specifica dimensione di questo nesso: il peso relativo
degli immigrati in qualità di fruitori del welfare. I ragionamenti sugli indicatori di
integrazione (cfr. Zincone, 2009) includono variabili relative all’impatto dei cittadini
stranieri sulle politiche, in termini sia di spesa pubblica sia di maggiore o minore
conflittualità legata alla percezione da parte dei nativi dell’utilizzo dei servizi da parte
degli “stranieri”. Le richieste di riconoscimento culturale finora sono rimaste piuttosto in
secondo piano, anche se non mancano episodi di negoziazione che hanno conquistato
almeno temporaneamente la ribalta mediatica, tra cui alcuni sforzi dell’associazionismo
di matrice religiosa per ottenere luoghi di culto o le rivendicazioni contro la perdita di
status dovuta alle discriminazioni nel mercato del lavoro. Una serie di nuove professioni
del mercato culturale, tra cui giornalisti specializzati in tematiche multiculturali, scrittori
di letteratura migrante, interpreti, mediatori interculturali, stanno consolidando la
costruzione di relazioni culturali volte a connotare positivamente lo status migratorio. Ma
la partecipazione politica degli stranieri in senso stretto, anche a causa dei citati processi
di naturalizzazione particolarmente difficoltosi in Italia, è ancora limitata, persino a
livello locale. La formazione di rappresentanze di interessi in effetti è fondamentale per
favorire processi di inserimento sociale dall’estero meno asimmetrici.
In particolare per i giovani di origini migranti, i processi di chiusura e mobilità sociale
possono essere studiati, oltre che dal punto di vista della classe occupazionale, anche dal
punto di vista delle dinamiche “di ceto”, inteso come posizionamento nella stratificazione
sociale secondo la distribuzione di prestigio, il rispetto di criteri culturali, l’adozione di
stili di vita rilevanti, con importanti implicazioni per il raggiungimento di una “piena
cittadinanza sociale” (Bagnasco, 2008). È in questo senso infatti che una middle class
accessibile a tutti è auspicabile dal punto di vista della coesione “multiculturale” in
società nelle quali ai primo migranti si susseguono successive generazioni migratorie.
Nonostante il passaggio dall’istruzione secondaria alla terziaria (o al mercato del lavoro)
dei giovani con background di immigrazione sia ancora poco tematizzato in Italia, esso
può dunque essere un punto di accesso privilegiato per studiare i processi di
stratificazione sociale alimentati dall’estero. Questa prospettiva permette di inserire gli
studi sulle migrazioni all’interno di cornici teoriche relative alla società nel suo
42
Proprio per cogliere i diversi canali di accesso al ceto medio aperti ai migranti, si preferisce pensare alle
posizioni intermedie che essi stanno costituendo o occupando come a un universo plurale.
48
complesso e integrare le ricerche sul ruolo della scuola per l’acquisizione delle
competenze necessarie a esercitare i diritti-doveri di cittadinanza, con quelle sulle
“seconde generazioni”. Inoltre, come nota Queirolo Palmas è una “frontiera attraverso cui
guardare l’età matura della presenza scolastica dei giovani di origine immigrata, così
come i nuovi processi di discriminazione e selezione in atto” (2006, p. 19). In questo
senso l’accesso dei migranti a posizioni di ceto medio potrebbe essere un prerequisito
fondamentale per la loro partecipazione alla ridefinizione dei patti sociali oggi in
discussione.
Per semplificare, iniziamo a focalizzare l’attenzione sul passaggio tra due paesi, quello di
origine e quello di destinazione. In forma schematica possiamo pensare ad essi come a
due contesti nei quali si realizzano fenomeni di mobilità sociale intergenerazionale. Nella
figura 2.1 rappresentiamo due tavole di mobilità sociale, una per il paese di origine e una
per il paese di destinazione, raffiguranti il passaggio dalle classi sociali dei genitori a
quelle dei figli (classi alte, medie e operaie).
Fig. 2.1 – La mobilità intergenerazionale come processo aperto all’esterno e le tre dimensioni
dell’analisi: il contesto normativo, le traiettorie individuali e familiari, le strategie e le aspettative di
inserimento sociale.
49
Ovviamente i processi di mobilità spaziale e sociale sono più fluidi rispetto ai confini
degli stati e possono essere diretti verso più paesi o configurarsi in circolazioni, come
bene hanno documentato i teorici del transnazionalismo (v. capitolo 1, nota 1).
Consapevoli delle cautele da adottare per mantenere uno sguardo più ampio, assumiamo
tuttavia il riferimento al paese di destinazione in termini analitici, come contesto
strutturale in cui si realizzano almeno in parte, in un dato periodo, i progetti di
inserimento e le eventuali strategie di mobilità sociale, e in termini empirici, come punto
di partenza per il lavoro sul campo.
Assumiamo inoltre che le specifiche strategie di inserimento sociale degli attori in una
data situazione, secondo la definizione di essa data dagli attori, generino effetti di
composizione determinanti per la strutturazione e la modifica dei processi di
stratificazione sociale, e che queste strategie possano essere comprese all’interno di più
ampie traiettorie di mobilità sociale e spaziale, influenzate, a livello macro e meso, dal
contesto socioeconomico di ricezione dei flussi migratori e dal sistema scolastico. Le
dimensioni di analisi considerate sono dunque tre, come mostra lo schema nella figura
2.1: i) il contesto; ii) le traiettorie di mobilità internazionale, insieme alla collocazione
sociale familiare e alla riuscita scolastica individuale; iii) i processi decisionali, le
strategie e rappresentazioni. Le famiglie nel più ampio quadro situazionale costruiscono
attivamente i loro percorsi migratori e occupano una posizione nella stratificazione
sociale; i componenti più giovani si inseriscono a scuola con esiti diversi; ognuno dei
componenti della convivenza familiare può maturare le proprie aspettative e
rappresentazioni in merito alla collocazione sociale che ha avuto e che vorrebbe ottenere
in futuro, in relazione alle altre due dimensioni. La ricerca si propone di indagare i
processi attraverso cui il contesto influenza le traiettorie, e le traiettorie influenzano
decisioni e aspettative, da intendersi non pre-determinate dai vincoli e dalle opportunità
contestuali, ma progettate attivamente dagli attori sociali, individui e famiglie.
L’approccio impiegato si sviluppa così all’intersezione tra i quattro campi teorici
individuati nel capitolo precedente (figura 2.2) e mira a evitare sia la concezione delle
traiettorie degli immigrati come completamente plasmate dalle discriminazioni “etniche”
(Allasino e Eve, 2008) sia spiegazioni ad hoc. Vediamo per ognuno dei campi teorici
quali strumenti concettuali ci hanno aiutato a costruire la nostra “cassetta degli attrezzi”.
50
Fig. 2.2 – Campi teorici di riferimento e prospettiva adottata.
2.1.2. Il contesto istituzionale: interazione tra livelli
Gli studi sulla dimensione istituzionale della ricezione degli alunni migranti in Italia
hanno rilevato lo scarto tra indicazioni pedagogicamente accurate e assenza di risorse, e
l’attivazione “a macchia di leopardo” di proposte inclusive dal basso. È stata poi dedicata
maggiore attenzione ai contenuti delle norme che al processo di policy-making, e pochi
studi hanno riguardato il livello locale. Esistono lavori che ricostruiscono alcuni aspetti
dei contesti urbani, ad esempio su Torino (Demartini et al., 2008), Bologna, Ancona e
Catania (Barberis, Demozzi e Taddia, 2011) oppure specifici interventi a livello regionale
(Lagomarsino e Torre, 2009). Il censimento delle “buone pratiche interculturali” nelle
scuole della Lombardia (Orim, 2010) ha il merito, oltre che di essere l’unico in Italia, di
non porsi l’obiettivo di conteggiare tutte le pratiche43, ma di individuare quelle “buone”
secondo criteri di qualità e innovazione.
Le politiche sull’immigrazione in Italia sono caratterizzate da elevata differenziazione
territoriale, sia socio-economica e “identitaria”, sia nell’efficienza delle amministrazioni
locali; e da legislazioni nazionali sull’immigrazione recenti (cfr. ad es. Caponio, 2010).
Per il nostro tema è utile ricordare anche che il sistema scolastico italiano è
tradizionalmente centralizzato, ma negli ultimi anni si è attuato un significativo processo
di decentramento che ha coinvolto sempre di più gli enti locali, e dal 1997-1999 le spinte
in questo senso sono ulteriormente aumentate (cfr. CNI Unesco, 2000)44. Nel frattempo,
43
Limite delle raccolte di buone prassi segnalato dal rapporto Fieri (2007).
Sull’importanza del livello urbano per le politiche educative cfr. ad es. i materiali della European
Conference of Educational Research 2011 Urban education (www.eera.de/ecer2011). Un elenco delle
funzioni di Miur, Ufficio scolastico regionale (Usr), Assessorato all’Istruzione e Formazione delle regioni,
Ufficio scolastico provinciale (Usp), Amministrazione comunale, istituti scolastici e organi collegiali si
44
51
dagli anni Duemila, da parte dell’Unione Europea emerge maggiore attenzione al livello
locale e urbano delle politiche per l’integrazione.
L’analisi riguarda dunque l’interazione fra tre livelli di intervento: nazionale, locale e di
singolo istituto scolastico, per comprendere qualitativamente se il processo di mediazione
e attuazione delle indicazioni centrali da parte degli enti locali (regione, comune) e le
strategie di (non) adeguamento alla normativa da parte di scuole e singoli operatori
plasmino le traiettorie formative degli studenti migranti. Cercheremo anche di verificare
se esistono margini di negoziazione in ottica botton-up, e le eventuali contraddizioni e
differenze di approccio tra livelli, con lo scopo di definire il contesto normativo
all’interno del quale si strutturano i percorsi scolastici dei giovani intervistati.
La letteratura sulla governance multilivello delle migrazioni tende a evidenziare
divergenza e politicizzazione negli orientamenti al livello nazionale, implementazione e
attivazione degli attori del territorio a livello locale, pragmatismo e convergenza nelle
azioni al livello della street level bureaucracy dato che incontra faccia a faccia i migranti
(Caponio e Borkert, 2010). Per verificare se questo schema è applicabile alle politiche
educative per i migranti in Italia, si procederà comparando “in verticale” i tre diversi
livelli di intervento nel territorio specifico dove si svolgono le vicende dei giovani
coinvolti nella ricerca45.
trova in Eurydice (2009b). Fino alla c.d. “Legge sull’autonomia” (la L. 59/97, in particolare l’art. 21
attribuisce autonomia didattica e organizzativa e personalità giuridica alle istituzioni scolastiche che
abbiano i requisiti dimensionali previsti; il DPR n. 275/99 norma l’autonomia didattica e organizzativa, di
ricerca, di sperimentazione e di sviluppo, la definizione del Piano dell’offerta formativa, art. 3, e dei
curricula, art. 8), le Sovrintendenze scolastiche regionali e i Provveditorati agli studi avevano in sostanza il
compito di rappresentare localmente il ministero e le scuole non godevano di grande indipendenza nelle
proprie scelte finanziarie, didattiche e organizzative.
45
Non prendiamo in esame il sistema della formazione professionale (FP), malgrado molto frequentato dai
minori di origine immigrata, con maggiore partecipazione e soddisfazione, nonché migliori esiti scolastici
pregressi rispetto agli italiani (Cavaletto, Dagnes e Molino, 2010) e anche se, come afferma Besozzi (2011),
gli studenti migranti di FP non sono propriamente una “fascia debole” ma viceversa suggeriscono
rappresentazioni diverse, non di basso profilo, dell’offerta formativa dei CFP, perché la FP meriterebbe
riflessioni a parte e perché questa ricerca empirica, per l’interesse a cogliere strategie di ceto medio, si
concentra sui percorsi degli iscritti all’ultimo anno della scuola secondaria statale di II grado. Per una
sintesi efficace dei mutamenti normativi nella FP italiana con riferimento ai migranti si vedano Lodigiani e
Pais (2006). Lo studio di Santagati (2011), inoltre, contestualizza il caso della Provincia di Torino
nell’ambito italiano con una indagine teoricamente fondata sulla FP come opportunità di integrazione dei
giovani migranti. Anche l’inserimento degli alunni Rom e Sinti meriterebbe una trattazione dedicata, per
cui non è oggetto di questa rassegna. Nella sua audizione alla Commissione Cultura in occasione
dell’indagine sull’accoglienza degli alunni stranieri, Nazzareno Guarnieri, presidente della Federazione
Romanì, fa notare le seguenti questioni: il 70% della popolazione Rom e Sinti in Italia ha la cittadinanza
italiana (per cui non risulta dalle statistiche sugli alunni stranieri); i progetti educativi per favorirne la
scolarità spesso sono influenzati da stereotipi e pregiudizi e dunque non sono efficaci, come mostra
l’elevatissima dispersione scolastica, in alcune situazioni pari al 100% già al termine della primaria, quasi
totale nella secondaria di II grado, per cui occorrerebbe più partecipazione dell’associazionismo Rom e
Sinti, materiale didattico specifico e maggiore formazione per i docenti. Per l’istruzione universitaria è
formalmente garantita parità di trattamento per i cittadini italiani e stranieri, inoltre intese tra atenei di Stati
52
2.1.3. Le traiettorie scolastiche: investimento e progettualità
L’istruzione è qui intesa non tanto, o non solo, come insieme di conoscenze, abilità e
competenze, ma come investimento per la successiva collocazione occupazionale e
sociale nel corso della vita (cfr. Erikson, 2009). Il focus dell’attenzione è rivolto dunque
non tanto alla riuscita scolastica, ma piuttosto alle rappresentazioni dell’utilità sociale
dell’istruzione formale e alle decisioni in merito a scuola, università e altra formazione,
dati i risultati scolastici. Adottiamo un approccio che parte dalla formulazione classica
della scelta razionale (Breen e Goldthorpe 1997; Jackson et.al. 2007; Erikson e Rudolphi
2009; cfr. Schizzerotto e Barone, 2006; sul contesto torinese Olagnero e Bonica, 2009;
Cavaletto, 2010; Olagnero e Cavaletto, 2011), considerando gli attori capaci di valutare
costi, benefici e probabilità di successo, nell’ottica della microfondazione teorica.
Assumiamo tuttavia il processo di individuazione dell’appropriatezza del percorso
scolastico da seguire come una successione dinamica di micro scelte, spesso quotidiane e
implicite. Oltre alla spendibilità percepita dei titoli di studio nel mercato del lavoro, si
indagheranno eventuali concezioni dell’acquisizione di credenziali educative come
strumenti di contrasto nei confronti dei processi di omologazione verso il basso e
negazione di rispettabilità e riconoscimento sociale connessi allo status migratorio. Questi
elementi potrebbero contribuire a superare una impostazione ortodossa della scelta
razionale, ed evitare che scelte scolastiche “di successo” di particolari gruppi rimangano
“invisibili” a causa di modelli teorici eccessivamente deterministici (Moore, 2007, in
Fischer, 2009).
Nel sistema scolastico italiano la scelta dell’indirizzo di studio secondario di II grado è
prevista relativamente tardi, all’età di 14 anni, ed è reversibile, dal momento che è
possibile cambiare tipo di insegnamento o indirizzo durante gli studi superiori. Tuttavia la
filiera scolastica frequentata (istituti professionali, istituti tecnici o licei) condiziona la
propensione a continuare gli studi all’università e anche i ritorni occupazionali. I processi
di orientamento e ri-orientamento degli studenti con background di immigrazione, inoltre,
diversi, borse di studio e sussidi dovrebbero favorire la mobilità internazionale studentesca. Per l’istruzione
terziaria dunque il problema prioritario non sembra tanto il regolamento sulle iscrizioni degli stranieri,
malgrado esistano rigidità e rischi discriminatori connessi alle procedure di concessione dei permessi di
soggiorno per motivi di studio, severe e intricate, all’iter di riconoscimento delle qualifiche educative
conseguite all’estero, finora macchinoso e ampiamente discrezionale, alla scelta di alcune Università di
aumentare le tasse universitarie per gli stranieri (su quest’ultimo punto ha scritto Biondi dal Monte, 2011).
Il problema piuttosto sembra la bassa attrattività degli atenei italiani per chi viene dall’estero. Dal momento
che i protagonisti di questa ricerca hanno frequentato la secondaria superiore in Italia, tuttavia, le loro
traiettorie non sembrano particolarmente influenzate da questo insieme di questioni, per cui il capitolo si
concentra sul sistema scolastico.
53
vanno letti nell’ambito dei cambiamenti più generali dei sistemi scolastici nazionali
(universalizzazione della scolarizzazione secondaria46, politiche di “quasi mercato”
dell’istruzione, privatizzazione e decentramento, riforma della scuola secondaria di
secondo grado) che determinerebbero una maggiore importanza delle scelte dei genitori
rispetto a abilità e sforzi degli studenti (Brown, 1997, in Cobalti, 2007).
2.1.4. Le traiettorie di migrazione e inserimento sociale: la famiglia come unità d’analisi
In un recente lavoro condotto in Spagna da Portes e colleghi è emerso che gli obiettivi dei
genitori, insieme alle competenze linguistiche in L2, il genere e il ritardo scolastico, sono
le principali determinanti delle aspirazioni educative dei giovani migranti (Portes et al.,
2011). Per comprendere questo tipo di influenze intergenerazionali, nella nostra ricerca la
famiglia sarà intesa come attore sociale complesso e differenziato al suo interno. In
particolare si guarderà alle differenze in base al genere, alla generazione, alle aspettative e
al coinvolgimento nel progetto migratorio e di inserimento sociale e lavorativo nel
contesto di arrivo. Nella migrazione genitori e figli possono avere esperienze e
competenze diverse rispetto all’inserimento nel paese di destinazione. Si analizzerà se
esistono per questa ragione differenze di aspettative rispetto alle ambizioni scolastiche dei
figli e come avviene la mediazione tra familiari nell’individuare il percorso scolastico da
seguire. In particolare si controllerà se le traiettorie migratorie, educative e famigliari
sono percepite dagli studenti come coerenti e condivise, e la presenza di eventuali scarti o
contraddizioni.
Si indagherà inoltre il ruolo dei genitori nel sostegno scolastico, la struttura delle
convivenze familiari come fattore condizionante le scelte scolastiche (ad esempio per
effetto di famiglie “spezzate” o iter di ricomposizione familiare complessi), l’eventuale
importanza di relazioni parentali extra convivenza familiare. Nella migrazione la famiglia
può diventare nucleare e isolata: si cercherà di cogliere se i processi di creazione di nuovi
legami con vicini o conoscenti possono essere rilevanti nella costruzione di preferenze e
progetti di inserimento scolastico e occupazionale dei figli. La parentela potrebbe da un
lato contribuire alla riproduzione delle disuguaglianze, veicolando determinate aspettative
e risorse culturali e informative, oppure contribuendo alla rielaborazione cognitiva e
emotiva della “normalità” di alcuni percorsi piuttosto che altri, per esempio per
46
Per Esteve (2003) la “terza rivoluzione educativa” comprende i seguenti ulteriori elementi di mutamento:
scuola secondaria obbligatoria; espansione dell’istruzione terziaria; importanza dell’educazione prescolare;
superamento della pedagogia dell’esclusione; educazione come diritto e non privilegio; società della
conoscenza.
54
l’accettazione di iscrivere un figlio con rendimento scolastico alto nell’istruzione o
formazione professionale. Dall’altro lato potrebbe esistere un uso strategico della
parentela (o dei legami amicali degli studenti e dei loro genitori) per favorire
l’inserimento nel sistema scolastico e lavorativo dei componenti più giovani della
convivenza familiare.
L’investimento scolastico (e nella formazione extrascolastica) indica inoltre gli
atteggiamenti e le aspettative nei confronti della dipendenza economica dei figli e degli
obblighi dei genitori, è un “banco di prova della stessa efficacia sociale dei genitori, delle
loro capacità e disponibilità a investire effettivamente nei figli, e a offrire loro le chances
migliori” (Saraceno e Naldini, 2007, p. 153). Le transizioni scolastiche, la prima, dal
primo al secondo ciclo di istruzione, ma soprattutto la seconda, dalla scuola all’università
o al mercato del lavoro, possono dunque essere influenzate dalla definizione di “adultità”
e dei suoi confini. Per questa ragione si indagheranno i tempi sociali per il passaggio
all’età adulta significativi per i migranti al termine della secondaria.
Le ricerche sulla condizione giovanile in Italia mostrano la diminuzione dei conflitti tra
generazioni e l’allungamento dei tempi di coabitazione con i genitori, anche se
quest’ultimo aspetto recentemente sembra essere più contenuto (Buzzi et al., 2007).
Rispetto alle aspettative di futuro, secondo Cavalli (2007, p. 20) gli orizzonti temporali
dei giovani italiani sarebbero schiacciati tra i timori della perdita di “opulenza” dei
genitori, la scarsa attenzione delle politiche per scuola e università, la carenza di
opportunità
occupazionali
e
abitative,
l’accumulazione
del
debito
pubblico.
Ciononostante si rileva una diffusa soddisfazione per la propria vita e fiducia nella
meritocrazia, pur nella consapevolezza dell’importanza dei legami personali per trovare
lavoro (Buzzi et al., 2007). In Europa, e non soltanto in Italia, i giovani si trovano a
entrare in mercati del lavoro da un lato sempre più globalizzati e interconnessi, dall’altro
lato segnati sempre più pesantemente da precarietà e incertezza (Blossfeld, Hofäcker e
Bertolini, 2011). Guardare a “cosa accade nel mezzo” offre interessanti caveat in
proposito. Siamo di fronte a un processo di de-standardizzazione dei tempi e della
sequenza degli eventi di transizione alla vita adulta “da ceto medio” nel capitalismo
organizzato. Posticipare l’uscita (e gli altri eventi di transizione all’adultità) risulta in
questo contesto una efficace strategia di tenuta della posizione di classe, gestendo
l’incertezza attraverso l’impiego delle risorse precedentemente accumulate dalla famiglia
di origine (Negri e Filandri, 2010). Le dotazioni familiari appaiono quindi importanti per
cogliere le opportunità che emergono da un mercato del lavoro più flessibile,
55
caratterizzato non solo dall’impiego opportunistico dei “contratti atipici” da parte dei
datori di lavoro, ma anche dall’espansione, pur contenuta rispetto ad altri paesi, della
“tecnostruttura”, intesa come insieme dei lavoratori qualificati cruciali per lo sviluppo
dell’economica della conoscenza. In questo paese soprattutto la classe operaia appare
svantaggiata e “vulnerabile”, in seguito alle ristrutturazioni dell’inizio degli anni Duemila
e ulteriormente dopo il 2008. In particolare i giovani di origine operaia sembrano faticare,
maggiormente che in passato rispetto alle altre classi, nell’ottenimento delle risorse
necessarie per formare nuove coppie in casa di proprietà (e non nello sconveniente
mercato degli affitti) e per fronteggiare periodi di discontinuità lavorativa, in altre parole
per aspettare e cogliere l’occasione professionale più coerente con le proprie qualifiche.
Abbiamo visto che gli immigrati si inseriscono prevalentemente nel basso della
stratificazione sociale in Italia, anche se non mancano collocazioni “nel mezzo” (Eve e
Allasino, 2008). Si può ipotizzare dunque che i migranti dispongano di minori risorse
relazionali e economiche a sostegno di transizioni verso tenori di vita adulta da ceto
medio (legami sociali per la ricerca di un primo lavoro con possibilità di carriera,
sostegno finanziario da parte dei genitori non solo per il proseguimento degli studi
superiori ma anche per l’acquisto della casa, aiuto di cura per l’accudimento dei figli). Per
i migranti dunque potrebbe occorrere “più tempo” (rispetto ai nativi ceteris paribus) per
individuare offerte di lavoro promettenti. Viceversa proprio la collocazione in basso nella
stratificazione dei primo migranti, e la conseguente ridotta capacità della famiglia di
origine di accumulare ricchezza, o l’investimento di essa in paesi diversi da quello di
residenza, insieme all’adozione di norme sulle transizioni all’età adulta dei paesi di
origine, potrebbe orientarli a ridurre i tempi di attesa e reperire immediatamente risorse
attraverso il mercato del lavoro. Svolgere la ricerca nel pieno della crisi economica
potrebbe rendere più evidenti questi aspetti, dato che l’attuale congiuntura sembra avere
acuito le difficoltà dei migranti e avere ampliato il divario tra questi e i nativi, a causa
delle diseguali risorse dei due gruppi. Significativo in questo senso è il dato sulla
flessione delle rimesse verso i paesi di origine, e quello sulla caduta dell’incidenza delle
case acquistate in Italia dagli stranieri47.
Oltre alle traiettorie scolastiche, si porrà attenzione all’esistenza di altri progetti o
comportamenti volti a migliorare la collocazione sociale della famiglia nel paese di
47
Dopo alcuni anni di aumento, con incidenze molto elevate (13,7% nel 2004, 13,9% nel 2005, 15,5% nel
2006 e 16,7% nel 2007), la percentuale scende notevolmente a partire dal 2008 (15,1) fino ad arrivare al
12,8% nel 2009 e all’8,7% nel 2010 (Scenari immobiliari, elaborazione Caritas, 2011).
56
destinazione, in particolare la mobilità occupazionale dei genitori o (dei fratelli e sorelle
adulti), i progetti di trasferirsi in altri paesi o regioni dove le opportunità di ascesa o
mantenimento di status sono ritenute migliori.
2.1.5. Quattro ipotesi sulla specificità dei migranti
Il processo di formazione dei percorsi e delle aspettative in istruzione e occupazione può
dipendere, nel caso di giovani con genitori immigrati, dalla loro specifica posizione
sociale, economica e culturale48 nella società di ricezione. Non si guarderà tanto a fattori
di tipo identitario, a differenti attitudini e predisposizioni nazionali richiamati vagamente
dagli approcci del “nazionalismo metodologico” (Eve, 2011; Eve e Perino, 2011). Ma
piuttosto alle strategie di adeguamento al contesto e agli eventuali tentativi di modificare
la situazione da parte degli attori sociali, individui e famiglie. Livelli occupazionali e
retributivi medi più bassi49, eventuali pregiudizi percepiti dovuti all’origine nazionale50,
processi di riunificazione familiare, status giuridico sono alcuni degli elementi che
concorrono a definire la situazione in cui agiscono in modo peculiare i migranti rispetto ai
nativi. In particolare la nostra ricerca cercherà di indagare come sono intesi gli
investimenti in istruzione da parte dei migranti, in uno specifico contesto locale.
Secondo una prima lettura, pessimistica, le famiglie migranti, come i soggetti scelti da
Newman per rappresentare esempi di ceto medio in crisi (in Semi, 2006), potrebbero
correre questo rischio: perseguire il raggiungimento di standard legati a principi di
meritocrazia (acquisizione di titoli di studio) e scoprire che si tratta di canali di accesso al
ceto medio basati su patti sociali ormai superati. Inseguire stili di vita di ceto medio basati
necessariamente su stabilità occupazionale, buona salute e presenza di entrambi i coniugi
nel mercato occupazionale (acquisto della casa, consumi distintivi, ad esempio vacanze e
automobile, percorsi scolastici lunghi per i figli), potrebbe risultare per loro
particolarmente poco prudente, in mancanza di risorse accumulate, di una rete parentale
di sostegno, di un welfare generoso e protettivo. Inoltre spesso il permesso di soggiorno
48
Non consideriamo qui la cultura nel suo più ampio senso antropologico, ma il capitale culturale inteso
come: 1) titolo di studio e credenziali educative, competenze, capacità e conoscenze, nonché nozioni
relative al sistema di istruzione del paese di destinazione; 2) riconoscimento di status connesso a particolari
comportamenti distintivi nella stratificazione sociale, ad esempio di consumo culturale, stili di vita,
frequentazione di aree territoriali e abitative.
49
Ad eccezione che per i dipendenti inquadrati come quadri e dirigenti, per i quali lo scostamento di
retribuzione media mensile rispetto ai cittadini Ue15 è positivo (Di Sciullo, 2011).
50
I concetti di “razza” o “etnia”, intesi come definizioni sociali e ovviamente non come attributi ontologici,
sono stati impiegati come variabili ulteriori di stratificazione sociale, specie nella letteratura
angloamericana, insieme al genere e alla classe (note bibliografiche si trovano in Semi, 2006; v. cap. 1).
57
del “capofamiglia” o di altri componenti della convivenza domestica è legato al
mantenimento del lavoro. In questi casi quindi il venir meno di uno degli aspetti sopra
citati potrebbe ri-orientare repentinamente le scelte formative verso il basso. Oppure,
proprio per l’incertezza legata al permanere di tutti questi elementi, le traiettorie
formative dei figli potrebbero essere già dall’inizio immaginate come brevi, per poi
allungarsi al termine della scuola secondaria di II grado, in caso di buona riuscita
scolastica precedente e di raggiungimento di una posizione occupazionale e sociale
(anche in termini di status giuridico) “sicura” da parte dei genitori.
Ma è possibile immaginare anche una seconda interpretazione, più ottimistica. Le
famiglie migranti che aspirano alle posizioni di mezzo, proprio in funzione della loro
specifica collocazione, potrebbero individuare strategie più flessibili di adattamento ai
cambiamenti in corso, rispetto alle famiglie native. Innanzitutto, anche in ragione
dell’esperienza di dequalificazione subita dalla generazione dei primo migranti, le G1.5 e
G2 potrebbero porre più attenzione rispetto ai nativi nello scegliere percorsi di studio
richiesti nel mercato del lavoro del paese di destinazione/residenza, mantenendo un
riferimento cognitivo costante alle opportunità di inclusione socio-economica non solo
locale, ma anche internazionale. Inoltre, pur avendo presumibilmente meno risorse per
posizionarsi nello spazio urbano secondo criteri di distinzione rispetto ai nativi,
potrebbero godere di maggiori risorse da attivare (ad esempio tramite la parentela
transnazionale) per movimenti più ampi, verso altri paesi nei quali la situazione si
percepisce come più favorevole per transizioni alla vita adulta che permettano ai
componenti giovani della famiglia di conquistare posizioni “nel mezzo” della
stratificazione sociale. Torniamo quindi al nesso tra acquisizione di piena cittadinanza
sociale, speranze di mobilità sociale e “lealtà”. Rimanere in Italia, e dunque rispettare
(contribuire a ridefinire) i patti sociali, per i giovani migranti che aspirano al ceto medio
potrebbe essere un progetto attraente solo con la promessa di trovarvi opportunità eque di
ingresso nell’adultità.
Per verificare empiricamente quanto queste due letture siano plausibili, la ricerca si basa
su quattro ipotesi relative alla specificità dei migranti.
1. Ipotesi degli squilibri di status. Tra i genitori migranti, più spesso che tra i nativi, può
manifestarsi la non corrispondenza tra qualificazione e titoli di studio, in particolare
titolo di studio e qualifica ottenuta nel paese d’origine, e collocazione sociooccupazionale in Italia, per processi di omologazione verso il basso di redditi, stili di
vita, prestigio. Lo squilibrio di status potrebbe causare, a parità di collocazione sociale
58
nel paese di destinazione, un maggiore investimento in istruzione da parte dei genitori
migranti, sia per il loro più elevato capitale culturale, sia per il desiderio di investire
nell’istruzione dei figli per migliorarne la collocazione sociale individuale e familiare.
Appartenere a famiglie transnazionali, inoltre, potrebbe favorire l’elaborazione di
progetti bi-nazionali di istruzione o inserimento occupazionale (anche se nel caso
delle G1.5 o G2 il trasferimento nel paese di origine dei genitori spesso non
costituisce un “ritorno” ma piuttosto un’emigrazione), in funzione della percezione
della minore o maggiore accessibilità relativa di posizioni “nel mezzo” della
stratificazione sociale nei diversi contesti nazionali di riferimento.
2. Ipotesi dei trasferimenti verso l’alto. Le risorse economiche da investire per
l’istruzione dei componenti più giovani della famiglia possono dipendere da
trasferimenti finanziari intergenerazionali che seguono modelli diversi da quelli delle
convivenze familiari non migranti: in particolare la natura transnazionale delle reti
parentali e le esigenze dei parenti rimasti in paesi d’origine con sistemi di welfare
meno ricchi che quelli di destinazione possono ridurre la disponibilità al sostegno
delle seconde generazioni in favore dei componenti più anziani left-behind, anche se
con la distanza le obbligazioni potrebbero ridursi, come è stato rilevato in Francia e
Germania (Attias-Donfut e Wolff, 2008; Baykara-Krumme, 2008).
Inoltre, mentre tra i giovani italiani è minoritaria la contribuzione al bilancio familiare
(Buzzi et al., 2007), tra i migranti obbligazioni di trasferimenti verso l’alto, dai figli ai
genitori, non solo legate a specifiche esigenze economiche, ma anche a definizioni dei
tempi di transizione all’età adulta e delle responsabilità ad essa connesse, differenti
rispetto a quelle del paese di destinazione, potrebbero orientare a un precoce
inserimento professionale, o a carriere formative brevi e dunque “più sicure”, ovvero
meno rischiose in termini di opportunità di riuscita. Anche se ovviamente i tempi
sociali sono definiti dall’universo simbolico di riferimento, in prima istanza
ipotizziamo che essi siano considerati legittimi per ragioni strutturali, piuttosto che
culturali in senso ampio (Baykara-Krumme, 2008).
3. Ipotesi della non conoscenza del sistema di istruzione. Secondo questa ipotesi la
conoscenza del sistema scolastico e universitario del paese di residenza da parte dei
genitori migranti può essere parziale (o relativamente inferiore a quella dei non
migranti a parità di altre condizioni) per difficoltà di comunicazione scuola-famiglia,
informazioni incomplete nella rete migratoria o applicazioni di frame cognitivi basati
su altri sistemi scolastici, ad esempio del paese di origine (naturalmente in relazione al
59
tempo di arrivo e alla generazione migratoria). Da uno studio condotto in Piemonte ad
esempio emerge che la formazione professionale in alcuni paesi di provenienza dei
ragazzi migranti, tra cui il Marocco, è ritenuta un’opzione di alta qualità e prestigio,
concezione che non si riscontra affatto tra gli iscritti italiani (Donato et al., 2009; cfr.
Cavaletto, Dagnes e Molino, 2010). Il ruolo degli insegnanti, di agenzie educative
extrascolastiche o di altri adulti ritenuti “esperti”, ma anche dei figli minori, potrebbe
quindi risultare più importante nelle decisioni delle famiglie migranti che in quelle dei
nativi. Tuttavia nel corso della permanenza in Italia è possibile che, attraverso le
interazioni con gli italiani, anche i migranti vengano socializzati a strategie distintive
di classe media nella scelta scolastica. In questo senso l’acquisizione non solo di un
titolo di studio, ma di un percorso scolastico in determinate scuole socialmente
“distintive” può essere inteso, alla stregua di altri consumi culturali, come strumento
di costruzione del sé, risorsa di status da spendere non solo per il mercato del lavoro
ma anche ad esempio in quello matrimoniale (cfr. Semi, 2006). Possiamo ipotizzare
che il fatto di trasferirsi in un altro contesto renda molto più difficile per i genitori
migranti acquisire queste competenze relative ai tratti distintivi di classe
nell’orientamento scolastico, in quando eminentemente contesto-specifiche. Ma
supponiamo che, nei casi in cui i migranti siano riusciti ad acquisire tali competenze,
esse risultino esplicitamente come tali.
4. Ipotesi della percezione della ricezione societale. Ipotizziamo che le rappresentazioni
della posizione dei migranti nella società di destinazione possano influenzare il
processo di definizione delle mete sociali realisticamente raggiungibili e di
conseguenza plasmare le strategie di inserimento adottate. In particolare ipotizziamo
che siano prese in considerazione la normativa sull’immigrazione e quella sul sistema
scolastico, piuttosto che generici atteggiamenti di chiusura o “razzismo” espressi dai
nativi nei confronti dei migranti. Cercheremo inoltre di ricostruire alcune immagini
dei meccanismi di ingresso e mobilità occupazionale in Italia, in comparazione con
altri paesi di riferimento per i giovani migranti (il paese di origine e altri eventuali
paesi di destinazione prefigurati). La ricezione societale in questi termini è intesa sia
come reazione istituzionale alla presenza dei cittadini stranieri (legislativa formale),
sia come contesto socio-economico di inserimento dei giovani, sia nativi sia migranti,
nel mercato del lavoro locale e internazionale (reclutamento e opportunità di carriera)
e nelle interazioni quotidiane (status immigratorio). Se e come le rappresentazioni
60
della ricezione societale influiscano sui progetti e sulle aspirazioni professionali e di
mobilità dei migranti sono ritenute due questioni da indagare empiricamente.
2.2. Disegno della ricerca
In Italia la presenza dei migranti al termine della secondaria di II grado è recente e ancora
contenuta, per questa ragione è stato scelto come caso di studio la regione Piemonte, dove
l’incidenza degli studenti migranti sul totale è superiore a quella della media nazionale e
relativamente consistente anche al termine della secondaria. La città di Torino risulta
interessante non solo per la più diffusa presenza di studenti migranti rispetto al resto della
regione, ma anche perché enti locali e associazioni hanno attivato pratiche di sostegno
all’istruzione secondaria superiore specifiche per i migranti. D’altro canto la distribuzione
degli studenti con cittadinanza italiana e non italiana per tipo di insegnamento in
Piemonte è analoga a quella del resto della penisola per cui si può ipotizzare che i
processi di scelta della scuola superiore siano simili a quelli che avvengono nel resto
d’Italia (v. capitolo 3).
L’indagine empirica si è svolta con un approccio multi metodo (sul tema delle “seconde
generazioni” cfr. ad es. Kasinitz et al., 2008), combinando: 1) analisi della normativa e
delle policies per l’inserimento degli alunni migranti a livello nazionale e locale; 2)
interviste a 18 testimoni qualificati (insegnanti referenti o funzione strumentale per
l’inserimento degli allievi stranieri, operatori/trici dei servizi educativi e scolastici locali,
e del privato sociale); 3) consultazione descrittiva dei dati Miur e Rilevazione Scolastica
della Regione Piemonte sulle presenze e gli esiti degli alunni con cittadinanza non italiana
e dei risultati di una survey rivolta all’universo dei frequentanti (nativi e migranti)
l’ultimo anno delle scuole medie superiori in quattro province del Piemonte realizzata
all’interno del progetto Erica-WP351; 4) interviste qualitative semistrutturate rivolte a 56
studenti migranti campionati da sei scuole secondarie di II grado nella città di Torino,
caratterizzate da diversi curricola e incidenza di allievi con cittadinanza non italiana; 5)
interviste a 17 genitori degli studenti intervistati, provenienti da diverse aree geografiche,
campionati a partire dalla scuola secondaria di secondo grado frequentata dai figli in base
51
ERICA - Enriching Regional Innovation Capabilities in the Service Economy. The institutional and
Cultural Roots of Development in a knowledge-based society - WP3 Improving the supply of knowledge,
educational and professional choices, Regione Piemonte - Bando Scienze Umane e Sociali, Dipartimento di
Scienze Sociali dell’Università di Torino e Ires Piemonte.
61
all’eloquenza delle informazioni emerse durante il colloquio con gli studenti per gli scopi
di questa ricerca (v. appendice metodologica).
2.2.1. Dati di contesto
Dopo una ricognizione quantitativa della presenza e degli esiti scolastici degli allievi con
cittadinanza non italiana negli istituti secondari di secondo grado in Italia, sono stati
analizzati in prospettiva descrittiva i percorsi scolastici e le aspettative degli studenti
nativi e migranti al termine delle secondarie in Piemonte, in modo da controllare se, a
parità di collocazione occupazionale e titolo di studio dei genitori, tra le risposte al
questionario dei due gruppi di studenti permangono differenze statisticamente
significative. Il disegno cross-sectional ha avuto il vantaggio di fotografare le
rappresentazioni degli studenti nel momento della conclusione del loro percorso
scolastico; in questi casi i dati possono essere affetti dal c.d. “razionalization bias”
quando i rispondenti riportano contemporaneamente aspettative e scelte, o da altri
problemi che riguardano gli indecisi, per i quali il processo decisionale è ancora aperto, e
i non rispondenti. In ricerche volte a verificare la portata di tale limite metodologico,
tuttavia, la decisione misurata tre mesi prima la reale transizione è risultata altamente
credibile (Heine e Willich, 2006 in Becker e Hecken, 2009). Per i nostri scopi la survey
ha permesso di contestualizzare la ricerca qualitativa e di leggere le interviste ai migranti
alla luce di quanto emerso dell’inchiesta campionaria con gli studenti italiani.
2.2.2. Analisi della normativa e interviste ai testimoni qualificati
Gli aspetti inclusi in questa fase di analisi sono stati: le norme e le indicazioni ministeriali
per l’inserimento degli alunni con cittadinanza non italiana nella scuola statale con
riferimento alla normativa per l’ingresso e il soggiorno dei minori migranti dagli anni
Ottanta ad oggi; le iniziative di formazione interculturale degli insegnanti; il sostegno
all’apprendimento e l’orientamento alla scelta della scuola secondaria di II grado rivolte
alle famiglie migranti in Piemonte e nel capoluogo di Regione; i recenti mutamenti del
sistema scolastico secondario di secondo grado particolarmente rilevanti per i migranti.
Le fonti impiegate sono state i documenti ufficiali (norme, indicazioni procedurali,
rapporti istituzionali), integrate con interviste semistrutturate rivolte a testimoni
qualificati. Le interviste hanno permesso di cogliere la dimensione applicativa delle
norme e alcune differenze di implementazione a livello locale e di istituto scolastico.
Inoltre hanno contribuito a caratterizzare i migranti che giungono al termine della scuola
62
secondaria di II grado rispetto a quelli che abbandonano e ai non migranti con elementi
qualitativi che attualmente sfuggono alle statistiche istituzionali. Questa prima parte del
lavoro, approfondita nel corso della ricerca, ha contribuito a specificare la traccia di
intervista per gli studenti e i genitori.
2.2.3. Interviste con studenti e genitori migranti
L’analisi qualitativa dei processi decisionali è indispensabile per indagare i meccanismi di
formazione delle preferenze e delle aspettative di genitori e figli, gli elementi considerati
e i soggetti coinvolti nella definizione delle strategie educative e di mobilità sociale,
l’integrazione di processi di scelta orientati al futuro e quelli pragmatici rivolti al passato,
l’eventuale calcolo costi-benefici e la dimensione simbolico-normativa. In sintesi: per
ricostruire il processo di costruzione delle “buone ragioni” delle scelte secondo la
rappresentazione degli attori. Per fare emergere questi aspetti l’intervista semistrutturata
si rivela uno strumento di costruzione della documentazione empirica molto appropriato.
Il campionamento è stato effettuato a partire da sei istituti di secondo grado nella città di
Torino, individuati in base ai dati istituzionali e alle informazioni emerse dalle interviste
ai testimoni qualificati per il tipo di insegnamento (due licei, due istituti tecnici, due
istituti professionali); l’incidenza degli iscritti stranieri (per ogni tipo di insegnamento, la
scuola con la maggiore incidenza di alunni stranieri sul totale e, per costituire un piccolo
gruppo di controllo, quella con l’incidenza minore con almeno cinque alunni migranti
nelle classi quinte); l’offerta formativa specifica per i migranti (secondo le indicazioni dei
testimoni qualificati, le tre scuole per tipo di insegnamento con offerta formativa
specifica). Il campione è stato ridefinito in base al genere, non sono stati necessari
aggiustamenti per paese di provenienza.
Riflessioni sulla dinamica di successione e sovrapposizione nel tempo di due diverse
“seconde generazioni” di immigrati in Piemonte, quella degli anni ’60 dal meridione
italiano e quella attuale dall’estero, e sull’inserimento sociale dei giovani migranti una
volta usciti della istruzione-formazione, sono emerse dal progetto Secondgen52, al quale
ho avuto l’opportunità di prendere parte, favorendo l’inquadramento delle specificità dei
migranti dall’estero oggi in merito ai percorsi in istruzione in relazione ai successivi
eventi di transizioni alla vita adulta.
52
SECONDGEN – Second generation: migration processes and mechanisms of integration among
foreigners and italians (1950-2010), Regione Piemonte - Bando Scienze Umane e Sociali, Università del
Piemonte Orientale – Dipartimento di Scienze Sociali e Dipartimento di Storia e Scienze Politiche
dell’Università di Torino, Fieri e Gruppo Abele.
63
3. Gli studenti migranti nel sistema scolastico italiano e in Piemonte
3.1.Gli
Gli alunni con cittadinanza non italiana
3.1.1. Un rapido cambiamento
Secondo i dati Miur gli alunni con cittadinanza non italiana (cni)53 erano 711.046 nel
2010/11. Si tratta di una cifra piccola, se paragonata alla situazione nordeuropea54. Ma in
questi paesi gli studenti migranti sono aumentati gradualmente nel secolo scorso, mentre
nella penisola in un decennio sono passati dallo 0,8% del 1997/98 al 7,9% del totale nel
2010/11 (v. figura 3.1).
Fig. 3.1 – Alunni con cittadinanza non italiana, 1983-2011
1983 2011 (v.a. e %).
800.000
700.000
600.000
500.000
400.000
300.000
200.000
100.000
1983/84
1984/85
1985/86
1986/87
1987/88
1988/89
1989/90
1990/91
1991/92
1992/93
1993/94
1994/95
1995/96
1996/97
1997/98
1998/99
1999/00
2000/01
2001/02
2002/03
2003/04
2004/05
2005/06
2006/07
2007/08
2008/09
2009/10
2010/11
0
Fonte:: elaborazione da Dutto (2000) e www.istruzione.it.
Negli anni il tasso di crescita ha subito un rallentamento: si è scesi da un incremento
medio pari al +16% nel 2007/8 al +10% nel 2008/09 fino al +7% nel 2009/10. Per il Miur
(2009b) la diminuzione della crescita è legata all’impatto della crisi economica sui flussi
migratori: all’aumento consistente del numero dei nati in Italia corrisponde una
53
I dati non comprendono quelli relativi ai CTP, includono invece gli iscritti ai corsi serali di scuola
secondaria di II grado. Per “stranieri” si intendono tutti gli alunni con la cittadinanza non italiana.
54
Paesi diversi hannoo diverse norme di naturalizzazione e procedure di rilevazione del dato sull’origine
straniera degli alunni. Un’informazione raccolta in modo standardizzato sul luogo di nascita dei genitori e
degli studenti iscritti alle secondarie di II grado è quella relativa
relativa al campione dei quindicenni coinvolti
nell’indagine Pisa (2009). Da questo dato emerge che l’incidenza degli studenti con background di
immigrazione di prima e soprattutto di seconda generazione in Italia è ancora contenuta rispetto alla media
OECD (www.oecd.org).
64
contrazione dei nuovi ingressi. Il processo di stabilizzazione delle presenze in corso in
effetti è evidente guardando al crescente numero degli studenti con cittadinanza non
italiana (cni) nati in Italia. Nel 2010/11 raggiungono il 9% degli alunni con cni alle
secondarie di II grado, salgono al 23,8% secondarie di II grado, superano la metà del
totale (52,9%) nelle primarie e arrivano al 78,3% nelle scuole del’infanzia. Lo stesso anno
solo il 3,8% dei cittadini stranieri iscritti alle superiori era arrivato nell’anno scolastico in
corso (contro il 6,9% dell’anno precedente), il 5,5% alla scuola secondaria di I grado e il
5,4% alla primaria (contro rispettivamente l’11,3 e il 15,5% del 2008/09) (Miur e Ismu,
2011).
Le percentuali di stranieri sul totale sono diverse per ordine di scuola, con una presenza
minore nelle scuole superiori, e da anni più consistente alla primaria, seguita da
secondaria di primo grado e scuola dell’infanzia; anche se assistiamo a un aumento del
numero assoluto di iscritti con cittadinanza non italiana anche alle secondarie di II grado,
nel 2009/10 essi rappresentano il 5,8% della popolazione scolastica totale, contro il 9%
alla primaria e quasi il 9% nei restanti tipi di scuola (figura 3.2).
Fig. 3.2 – Numero degli alunni stranieri e incidenza sul totale degli alunni per ordine e grado di istruzione,
2001-2011 (v.a. e %).
3.000
3%
2.500
2,5%
9%
2.000
1.500
2,5%
8,8%
1,1%
1.000
8,6%
500
5,8%
0
01/02 02/03 03/04 04/05 05/06 06/07 07/08 08/09 09/10 10/11
dell'infanzia
primaria
secondaria di I grado
secondaria di II grado
Fonte: elaborazione da www.istruzione.it.
Alle secondarie di II grado l’incidenza dei cittadini stranieri sul totale degli studenti è
cresciuta più lentamente che negli altri ordini di scuola, anche se nel 2010/11 il 21,6%
degli alunni con cni in Italia era iscritto in quell’ordine di scuola (contro il 10,4% nel
1998/99). L’inserimento a scuola degli studenti migranti in Italia, dunque, solo
recentemente sta interessando il secondo ciclo di istruzione.
65
Per i nostri scopi è importante considerare il grosso divario che si è manifestato da subito
per numero di iscritti con cni tra tipi di scuole superiori, in particolare tra gli istituti
professionali, nei quali l’incidenza media degli studenti cittadini stranieri sul totale supera
l’11%, e i licei, dove essa si attesta intorno al 2,5% (v. tabella 3.1).
Tab. 3.1 – Distribuzione degli alunni con cittadinanza non italiana e degli alunni totali per scuola statale e
non statale, incidenza alunni stranieri, a.s. 2010/11 (% di colonna).
Alunni con cni
Tipo di
insegnamento
Alunni italiani
v.a.
incidenza alunni con
cni sul totale alunni
Istruzione artistica
4.418
4,6
% sul
totale con
cni
2,9
Istituti professionali
62.089
11,4
40,4
19,2
Istituti tecnici
58.340
6,5
38
33,2
Licei
28.675
2,5
18,7
43,9
Totale
153.522
5,8
Fonte: Miur e Ismu (2011).
100
100
% sul totale
italiani
3,6
Mentre per gli allievi nativi è evidente la propensione ad iscriversi ai licei, i migranti si
concentrano maggiormente negli istituti tecnico-professionali, dove, in corrispondenza
con il processo di liceizzazione che caratterizza la popolazione scolastica italiana, i tassi
di bocciatura e dispersione scolastica sono mediamente più elevati. Questa distribuzione
tuttavia va letta secondo una prospettiva di genere. Sono soprattutto le femmine, migranti
e non migranti, a scegliere il liceo55. In questo tipo di insegnamento, inoltre, i nati in Italia
sono circa il 12%, mentre nell’istruzione tecnica il 9,6% e in quella professionale il 6,8%
(Miur e Ismu, 2011).
Malgrado l’incidenza degli studenti con cni sulla popolazione scolastica dell’istruzione
secondaria superiore è ancora contenuta nelle classi quinte, i diplomati con background di
immigrazione sono sempre di più. Nel 2009/10 hanno ottenuto il diploma 14.318 giovani
cittadini stranieri, il 3,2% di tutti i diplomati. Per il 40% sono riusciti a conseguire il titolo
di studio presso istituti tecnici, molti di più che ai professionali (30,1%) e ai licei (26,3%).
Considerando il genere emerge tuttavia un altro dato interessante: tra le femmine,
prevalgono le diplomate al liceo rispetto a quelle dei professionali (32,3% vs 28,3%). Le
ragazze sono la spia più evidente di un processo di liceizzazione che forse inizierà a
55
In totale i ragazzi alla secondaria di II grado con cni nel 2010/11 sono 75.711 (49,7%) e le ragazze 76.659
(50,3%). La percentuale delle femmine sul totale degli studenti cittadini stranieri sale al 70,3% nei licei e al
66,7% nell’istruzione artistica.
66
coinvolgere anche i migranti. Nel 2005/06 infatti i diplomati con cni al liceo erano solo
un quinto del corrispondente totale (Miur e Ismu, 2011).
3.1.2. Eterogeneità di provenienze, distribuzione territoriale e scolastica
Un altro dato di contesto utile per studiare i processi di inserimento nel caso italiano
riguarda la varietà delle cittadinanze presenti: gli alunni stranieri in Italia provengono da
più di 180 paesi diversi (Commissione Cultura, 2011), anche se negli ultimi anni la loro
distribuzione si sta concentrando maggiormente intorno alle prime provenienze. La
nazionalità più rappresentata, considerando insieme le scuole di ogni ordine e grado, da
cinque anni è romena, a cui segue quella albanese, che era stata prevalente dal 2000 al
2006, e marocchina, la prima cittadinanza per numero di iscritti dall’inizio dagli anni
Novanta al 2000. Moldavia e India sono le provenienze recentemente più aumentate,
anche in ragione dei flussi migratori da quei paesi all’Italia.
Anche se le presenze dei migranti a scuola sono legate all’andamento dei flussi di
mobilità degli adulti, come abbiamo detto a proposito degli effetti della crisi economica,
esse tuttavia seguono anche dinamiche diverse, soprattutto per quanto riguarda la scuola
secondaria. La Moldavia, insieme all’Ucraina, sono i paesi di origine più frequenti alla
secondaria di II grado (v. tabella 3.2).
Tab. 3.2 - Alunni con cittadinanza non italiana per principali cittadinanze e ordine di
scuola, a.s. 2010/11 (v.a. e % di riga).
Infanzia
Primaria
v.a.
Sec. I grado
Sec. II grado
Totale
%
v.a.
%
v.a.
%
v.a.
%
v.a.
%
Romania
26.411
20,9 47.084
37,2
28.128
22,2
24.829
19,6
126.452
100
Albania
21.964
22,1 34.779
35,1
20.149
20,3
22.313
22,5
99.205
100
Marocco
22.419
24,2 36.472
39,4
20.038
21,7
13.613
14,7
92.542
100
Cina
5.873
18
11.905
36,4
8.784
26,9
6.129
18,7
32.691
100
Moldavia
2.678
13
5.408
26,3
5.095
24,8
7.399
36
20.580
100
India
4.494
21,9 7.447
36,3
4.731
23
3.864
18,8
20.536
100
Filippine
3.569
18,1 7.506
38
4.498
22,8
4.193
21,2
19.766
100
Ecuador
3.180
16,3 5.470
28
4.816
24,7
6.071
31,1
19.537
100
Tunisia
4.681
25,5 7.426
40,5
3.757
20,5
2.469
13,5
18.333
100
Ucraina
2.044
11,7 3.923
22,5
4.553
26,2
6.888
39,6
17.408
100
Totale
144.628 20,3 254.644 35,8 158.261 22,3 153.513
Fonte: Miur e Ismu (2011).
21,6
711.046
100
La distribuzione delle provenienze varia non solo tra ordini di scuole, ma anche tra tipi di
insegnamento all’interno dello stesso grado scolastico. Negli istituti professionali si
67
concentrano prevalentemente i marocchini (li frequenta il 55,6% del totale), gli indiani
(49,9%) e ecuadoregni (49%), nei tecnici invece gli studenti cittadini di Moldova
(46,3%), Perù (43%), Romania (43,2%), Ucraina (41%) e Cina (40,6%). Ai licei anche se
mediamente è ridotta la presenza relativa degli studenti con cni, sono iscritti il 22,7% dei
rumeni, il 22,5% degli ucraini e il 21,1% degli albanesi. All’interno di alcune provenienze
le femmine sono sovra rappresentate rispetto ai maschi: alla superiori, guardando ai
gruppi più presenti, tra i moldavi, gli ucraini, i romeni, i brasiliani, i polacchi, i filippini e
gli ecuadoregni (Miur e Ismu, 2011).
Tab. 3.3 –Alunni con cittadinanza non italiana sulla popolazione scolastica per regione e ordine di scuola,
a.s. 2010/11 (v.a. e % sul totale degli alunni).
Infanzia
Primaria
Sec. II grado
Totale
v.a.
%
v.a.
%
12,5 14.156
8,7
68.070
11,6
309
8,6
5,2
1.459
8,1
38.261
14.882
13,1 24.244
12,8 14.788
Valle d'Aosta 363
10
9
Lombardia
37.835
523
%
Sec.I grado
%
Piemonte
v.a.
v.a.
v.a.
%
264
13,7 64.037
14
13,7 32.918
9
173.051
12,5
Trentino A.A. 3.790
11,7 5.524
10,1 3.459
10
6,7
15.591
9,5
Veneto
18.485
13,3 31.416
13,6 19.022
13,3 15.991
8,1
84.914
11,9
Friuli V.G.
3.753
11,9 5.746
11,2 3.721
11,9 4.053
8,7
17.273
10,8
Liguria
3.951
10,6 6.800
11
12,2 5.520
9,4
21.069
10,7
Emilia R.
15.638
13,7 29.165
15,2 18.013
15,7 19.818
11,7
82.634
14
Toscana
10.935
11,5 19.820
12,6 12.516
13
13.162
9
56.433
11,4
Umbria
3.389
14
5.616
14,8 3.562
15
3.715
10,2
16.282
13,3
Marche
5.347
12,7 8.810
12,9 5.588
12,9 6.282
9
26.027
11,7
Lazio
12.031
8
23.722
9,1
15.471
9,5
16.252
6,5
67.476
8,2
Abruzzo
2.479
6,8
4.226
7,4
2.780
7,5
2.665
4,4
12.150
6,3
Molise
218
2,8
479
3,6
314
3,4
332
2,1
1.343
2,9
4.798
2.818
Campania
2.733
1,4
6.010
1,8
3.983
1,9
4.459
1,3
17.185
1,6
Puglia
2.410
2
5.142
2,5
3.035
2,2
3.230
1,5
13.817
2
Basilicata
327
2,1
702
2,6
426
2,4
420
1,3
1.875
2
Calabria
1.884
3,1
3.590
3,7
2.463
3,9
2.432
2,3
10.369
3,2
Sicilia
3.448
2,3
7.573
2,9
4.717
2,7
4.029
1,5
19.767
2,3
Sardegna
730
1,7
1.499
2,2
1.035
2,3
997
1,3
4.261
1,8
Italia
144.628 8,6
711.046
7,9
254.644 9
158.261 8,8
Fonte: Miur e Ismu, 2011
153.513 5,8
Soprattutto per quanto riguarda la scuola secondaria di II grado, inoltre l’incidenza degli
allievi con cni sulla popolazione scolastica è ancora molto più consistente nel
Settentrione, minore nell’Italia centrale e più contenuto nel Mezzogiorno. Mentre in
Piemonte l’inserimento degli allievi migranti alle superiori è numericamente consistente,
nelle isole si tratta ancora di un fenomeno residuale (tabella 3.3), specialmente per quanto
68
riguarda gli ultimi anni dei percorsi di studi liceali (Miur, 2009a). Per questa ragione il
Piemonte può essere considerato un caso interessante per studiare i primi effetti
dell’aumento dei migranti alle secondarie di II grado.
3.1.3. Scuole statali e non statali
Un ultimo dato sulla presenza degli alunni con cni in Italia da considerare per questa
ricerca riguarda la loro incidenza nelle scuole private. Dai dati Miur emerge che gli
studenti stranieri tendono a frequentare le scuole non statali meno spesso che i cittadini
italiani, in tutti gli ordini di scuola (tabella 3.4).
Tab. 3.4 – Distribuzione degli alunni con cittadinanza non italiana e degli alunni totali per scuola statale e
non statale (% di riga) e incidenza degli alunni stranieri sul totale, a.s. 2007/08.
Alunni stranieri
Infanzia
Primaria
Sec. I grado
Sec. II grado
Sc.
statale
61,9
95,7
97,9
96
Alunni totali
Sc. non
Sc.
Sc. non
statale
Statale
statale
38,1
58,1
41,9
4,3
91
9
2,1
94,9
5,1
4
93
7
Fonte: elaborazione da Miur (2009a).
Incidenza alunni
stranieri sul totale
Sc.
Sc. non
statale
statale
7,2
6,1
8,1
3,7
7,6
3
4,5
2,5
I dati sulla concentrazione dei cittadini stranieri in alcune scuole o classi scolastiche
andrebbero letti anche in relazione alla variabile sulla gestione pubblica o privata
dell’istituzione scolastica, ma non sono disponibili in questa forma. Inoltre non si può
verificare solo attraverso il numero degli iscritti se le differenze di composizione
dell’utenza sono dovute a strategie di selezione informale dei nuovi iscritti da parte delle
scuole private per prevenire fenomeni di white flight o conservare determinate immagini
dell’istituzione scolastica, all’effetto delle rette scolastiche delle scuole private nello
scoraggiare i meno abbienti, sovra rappresentati tra i migranti, oppure ad altre ragioni ad
esempio legate ad aspettative in merito all’offerta formativa. Rispetto alla differenza di
performance tra scuola pubblica e privata, va ricordato che in Italia, a differenza che nella
media OECD, gli studenti delle scuole private ottengono performance peggiori rispetto a
quelli della scuola pubblica secondo Pisa 2009 (OECD, 2011), per cui la minore
concentrazione dei migranti nella scuola non statale non può essere considerata, in Italia,
una delle forme in cui le disuguaglianze nelle risorse economiche familiari agiscono sui
risultati conseguibili in istruzione. Anche se alla scuola dell’infanzia quasi quattro
studenti con cittadinanza non italiana su dieci optano per il privato, forse anche per la
69
necessità dei genitori di trovare un centro di custodia a pagamento per i figli, non
trovando posto nelle strutture pubbliche, per quanto riguarda le secondarie di II grado la
loro iscrizione alle scuole non statali è molto contenuta. Per questa ragione nella ricerca
empirica ci concentreremo sulla scuola pubblica.
3.1.4. Esiti scolastici diseguali
Come accennato nel primo capitolo, i tassi di promozione degli alunni di origine
immigrata risultano significativamente inferiori rispetto a quelli dei nati da genitori
italiani. L’asimmetria è particolarmente evidente nella secondaria di II grado:
l’andamento delle promozioni segue quello per gli italiani, con tassi più elevati per tutti ai
licei e più bassi agli istituti professionali, dove il divario per provenienza è minore ma
sono promossi solo 6,6 stranieri su 10 (tabella 3.5).
Tab. 3.5 – Tassi di promozione (promossi su 100 scrutinati) per cittadinanza, ordine di scuola e tipo di
insegnamento, a.s. 2009/10; differenza alunni con cni e italiani, a.s. 2002/03.
Alunni con Alunni
Differenza
Differenza
cni (a)
italiani (b)
(a-b)
2002/03
96,5
99,8
-3,3
-4,4
Primaria
87,8
96
-8,2
-8,6
Secondaria di I grado
70,6
85,9
-15,3
-13,3
Secondaria di II grado
di cui: Licei
80,1
92,2
-12,1
Istituti tecnici
70,1
82,4
-12,3
Istituti professionali
65,8
75,4
-9,6
Istruzione artistica
71,5
83,4
-11,9
Nota: la tabella non include il dato sugli alunni del quinto anno di scuola secondaria di II grado scrutinati e
ammessi all’esame di Stato. Hanno ottenuto il diploma sul totale degli esaminati il 95,4% degli studenti con
cni e il 98,2% degli italiani.
Fonte: elaborazione da Miur e Ismu (2011).
Anche se gli stranieri nati in Italia conseguono votazioni ed esiti migliori rispetto alle
G1.5 (Miur, 2009), nelle secondarie di II grado le asimmetrie tra italiani e non italiani
rimangono evidenti, e i tassi di ripetenza degli iscritti stranieri sono particolarmente
elevanti nel primo biennio delle scuole superiori: ripetono l’anno il 13,5% degli iscritti
stranieri in prima (italiani 10%); l’11,6% in seconda (8,6%); il 10,2% in terza (italiani
8,2%); l’8,2% in quarta (6,5%); il 5,5% in quinta (italiani 3,5%) (Miur e Ismu, 2011).
L’asimmetria in base alla cittadinanza tra i tassi di promozione/bocciatura tuttavia non è
così forte come quella tra i tassi di ritardo, nonostante la loro recente lieve diminuzione
(tabella 3.6).
70
Tab. 3.6 – Alunni in ritardo su 100 per cittadinanza e livello scolastico, a.s. 2010/11 e differenza tra alunni
con cni e italiani a.s. 2007/08.
Primaria
Sec. I grado
Sec. II grado
Alunni con cni
Alunni italiani
Differenza
(a)
(b)
(a-b)
18,2
2
+16
47,9
8,5
+39,4
70,6
25,14
+45,46
Fonte: elaborazione da www.istruzione.it.
Differenza
(2007/08)
+19,3
+44,9
+47,4
Il fatto che questa asimmetria sia così elevata suggerisce che il ritardo degli studenti con
cittadinanza non italiana, elevatissimo alle superiori, sia dovuto a processi non
strettamente connessi con le difficoltà di riuscita. Nel prossimo capitolo analizzeremo il
contesto normativo e l’implementazione delle politiche nel caso piemontese per cogliere
questi processi. Proseguiamo quindi la lettura dei dati istituzionali sulle presenze degli
allievi con cittadinanza non italiana in Piemonte.
3.2.Il caso del Piemonte
3.2.1. L’aumento delle presenze
La percentuale degli stranieri sul totale allievi in Piemonte è sopra la media nazionale,
anche se con differenze provinciali (figura 3.3).
Fig. 3.3 – Percentuale di alunni con cittadinanza non italiana sul totale, Piemonte e resto d’Italia per
area geografica, a.s. 2009/10.
Fonte: Rilevazione Scolastica della Regione Piemonte, elaborazione Ires.
Le presenze sono aumentate numericamente soprattutto alla primaria, ma anche negli altri
ordini e gradi di istruzione, come mostra la figura 3.4.
71
Fig. 3.4 – Numero di stranieri iscritti nelle scuole piemontesi per tipo di scuola dall’a.s. 1998/99 al
2009/10.
Fonte:: elaborazione da Rilevazione Scolastica della Regione Piemonte e Ires.
Nel 2009/10 gli stranieri nati in Italia raggiungono il 77% nelle scuole dell’infanzia del
Piemonte e il 52% nelle primarie, mentre rimangono ancora il 19,6% alle secondarie di I
grado e solo il 7,2% alle secondarie di II grado (Rilevazione Scolastica della
dell Regione
Piemonte e Ires). Ciò vuol dire che l’aumento degli iscritti con cni nel primo ciclo di
istruzione è sempre più dovuto ai nati in Italia, mentre i processi istituzionali che
plasmano le traiettorie scolastiche degli allievi stranieri in parte scolarizzati
scolarizzati all’estero
riguardano soprattutto gli studenti del secondo ciclo di istruzione.
Tab. 3.7 - Studenti stranieri in Piemonte per livello di scuola (v.a., % e % di variazione dall’anno
scolastico precedente), a.s. 2005/6, 2008/9 e 2009/10, e incidenza
incidenza dei cittadini stranieri sul totale dei
residenti per le fasce di età corrispondenti ai livelli scolastici (3-5,
(3 6-10, 11-13
13 e 14-18
14
anni) al
01/01/2010.
Allievi
stranieri
% str/tot.
2005/06
2008/09
2009/10
% sul var. a.s. Allievi
% sul var. a.s. Allievi
% sul var. a.s. residenti
01.01.10
tot.
04/05
stranieri tot.
07/08
stranieri tot.
08/09
Infanzia
8.848
8,1
+20,1
12.720
11,4
+13,8
Primaria
16.586
9,1
+14,7
22.518
12
Sec. I grado
9.581
8,6
+21,8
13.503
11,7
Sec. II grado 7.900
4,9
+28,7
11.980
7,3
Totale
13.954
12,3
+9,7
14,5
+5,3
23.364
12,4
+3,8
11,4
+11,9
14.281
12,2
+5,8
10,4
+9,8
13.129
8
+9,6
10,1
42.915 7,6 +19,8 60.721
10,5 +9,3
64.728 11,1 +6,6
Fonte:: elaborazione da Rilevazione Scolastica della Regione Piemonte, Ires e Istat.
Anche in Piemonte, come nel resto d’Italia, l’incidenza degli studenti stranieri sul totale è
più consistente nel primo ciclo di istruzione, il quale, come vedremo, è il più attivo nella
progettazione interculturale. Tuttavia in Piemonte raggiunge valori elevati anche nella
secondaria di II grado (tabella 3.7). Come si vede dall’ultima colonna della tabella
t
3.7, il
72
rapporto tra stranieri e residenti sul territorio è inferiore rispetto a quello tra studenti con
cni e totale degli studenti nelle fasce di età corrispondenti alle secondarie di II grado. Il
tasso di scolarizzazione per gli stranieri al livello secondario di II grado, infatti, nell’anno
che possiamo considerare per semplificare quello di inizio della crisi economica, è
notevolmente inferiore a quello degli italiani, mentre è altissimo alla secondaria di I
grado, forse a causa dei ritardi scolastici degli stranieri o dei ri-orientamenti ai CTP
(figura 3.5).
Fig. 3.5 - Tasso lordo di scolarizzazione per livello di scuola e cittadinanza italiana e straniera,
a.s. 2008/09.
130
120
110
100
90
80
70
60
50
127,5
109,8
99,8 97,9
105,9
99,2 100,4
103,5
90,4 88,3
84,9
67,9
Infanzia
Allievi con cittadinanza straniera
Primaria
I grado
Allievi con cittadinanza italiana
II grado
Tutti gli allievi
Nota: il tasso di scolarizzazione è il rapporto percentuale tra gli iscritti e i residenti in età per frequentare;
può assumere valori superiori a 100 per la presenza di ripetenze, anticipi di frequenza o studenti residenti in
altre regioni, inoltre alcuni iscritti stranieri potrebbero essere in condizioni di irregolarità rispetto al
soggiorno e quindi non risultare tra i residenti.
Fonte: Rilevazione Scolastica della Regione Piemonte - Ires.
Per effetto della congiuntura e del conseguente cambiamento dei flussi immigratori in
Piemonte, inoltre, nel passaggio dal 2007/08 al 2008/09 il tasso di scolarizzazione nella
scuola secondaria di II grado era diminuito sia per gli italiani che per gli stranieri, e
soprattutto per le straniere. Nel 2009/10 comunque, pur mantenendo questa differenza di
genere, il tasso di scolarizzazione degli stranieri è salito di circa due punti percentuali
rispetto all’anno precedente, mentre quello degli italiani è rimasto sostanzialmente
invariato (Rilevazione scolastica regionale e Istat). Questa differenza tuttavia potrebbe
essere imputata non tanto a un aumento della scolarità dei giovani migranti, ma piuttosto,
come emerso dalle interviste ai testimoni qualificati, alla loro diminuzione sul territorio di
riferimento per il rientro nei paesi di destinazione.
73
3.2.2. Promossi, respinti e ripetenti
Considerare il maggiore rischio di abbandono scolastico degli studenti migranti rispetto ai
nativi è essenziale per leggere il seguente dato: il divario tra alunni con o senza
cittadinanza italiana nelle proporzioni di ripetenti sul totale sembra restringersi alla
secondaria di II grado (tabella 3.8). Forse perché più rigida anche verso gli alunni italiani,
ma più probabilmente perché frequentata da studenti stranieri precedentemente
“selezionati” dal sistema scolastico (o da altri processi sociali). Come mostra la tabella
3.8, i dati sul Piemonte seguono l’andamento dei divari di riuscita tra studenti italiani e
non italiani registrati in Italia.
Tab. 3.8 – Alunni ripetenti per provenienza, ordine e grado di istruzione, Piemonte e Italia, a.s. 2007/08.
Alunni ripetenti
Alunni ripetenti italiani
stranieri per 100 alunni per 100 alunni
frequentanti stranieri
frequentanti italiani
Primaria
155
0,7
0,2
Sec. di I grado
782
6,5
3,1
Sec. di II grado
838
7,7
6,4
Totale Piemonte
1.775
4
3,2
TOTALE ITALIA
21.021
4,5a
3,4b
Note: (a) media italiana ripetenti con cni: primaria 0,9; secondaria di I grado 6,3; secondaria di II grado 9,3;
(b) media italiana ripetenti italiani: primaria 0,2; secondaria di I grado 2,7; secondaria di II grado 6,9.
Fonte: Miur (2009a).
Numero alunni
ripetenti stranieri
Tab. 3.9 - Studenti stranieri: risultati di scrutini ed esami, scuola secondaria di II grado, a.s. 2007/08.
M
I
II
III
IV
V
Totale
F
I
II
III
IV
V
Totale
Tot.
I
II
III
IV
V
Totale
Scrutinati /
Esaminati
1.666
1.060
947
599
379
4.651
1.754
1.350
1.071
771
617
5.563
3.420
2.410
2.018
1.370
996
10.214
Promossi
631
470
548
267
366
2.282
809
730
686
483
587
3.295
1.440
1.200
1.234
750
953
5.577
Giudizio
sospeso
450
349
173
226
0
1.198
483
398
206
213
0
1.300
933
747
379
439
0
2.498
Respinti
% promossi
% respinti
585
241
226
106
13
1.171
462
222
179
75
30
968
1.047
463
405
181
43
2.139
37,9
44,3
57,9
44,6
96,6
49,1
46,1
54,1
64,1
62,6
95,1
59,2
42,1
49,8
61,1
54,7
95,7
54,6
35,1
22,7
23,9
17,7
3,4
25,2
26,3
16,4
16,7
9,7
4,9
17,4
30,6
19,2
20,1
13,2
4,3
20,9
% Giudizio
sospeso
27,0
32,9
18,3
37,7
0,0
25,8
27,5
29,5
19,2
27,6
0,0
23,4
27,3
31,0
18,8
32,0
0,0
24,5
Fonte: Rilevazione Scolastica della Regione Piemonte - Ires.
La selezione per gli allievi con cittadinanza non italiana è dunque molto dura nei primi
anni di scuola superiore (è promosso solo il 37,9% degli studenti stranieri maschi e il
74
46,1% delle femmine nelle classi I, contro il 95,7% degli iscritti all'ultimo anno), come
mostra la tabella 3.9.
La percentuale di respinti sul totale degli allievi cittadini stranieri, e il divario con il dato
relativo agli italiani, sono elevati soprattutto all’inizio della scuola secondaria di II grado
(figura 3.6).
Fig. 3.6 – Percentuale di allievi respinti sul totale in Piemonte per cittadinanza e classe scolastica,secondo
ciclo di istruzione, a.s. 2009/10.
40
30
20
28,8
16,7
17,6
17,5
10,2
10,8
10
19,7
16,5
10,1
8,6
3,2
1,6
0
I
II
III
Allievi con cittadinanza straniera
IV
V
Totale
Allievi con cittadinanza italiana
Fonte: Rilevazione Scolastica della Regione Piemonte - Ires.
Anche se la percentuale di respinti scende a picco passando dal primo anno delle superiori
al secondo, ancora nel momento di conseguire la qualifica (al terzo anno degli istituti
professionali pre-riforma) o il diploma rimangono differenze tra italiani e stranieri: sono
bocciati rispettivamente l’1,4 e il 3% degli ammessi all’esame, con differenze di genere a
favore delle femmine in entrambi i gruppi, e differenze di provenienza più marcate tra i
maschi alla maturità (bocciati italiani 1,8% vs stranieri 4,3%). Vediamo quindi come si
distribuiscono le presenze dei cittadini stranieri tra istruzione secondaria e terziaria in
Piemonte.
3.2.3. Gli iscritti alla secondaria di II grado e all’università
Come nel resto d’Italia tra i cittadini non italiani prevale la scelta dei percorsi di
istruzione tecnica o professionale, in Piemonte con una leggera preferenza del primo tipo
di scuola rispetto al secondo (figura 3.7). Nel 2009/10 il 77,5% degli studenti stranieri di
scuola secondaria di II grado frequenta un istituto professionale o tecnico, contro il 53%
degli italiani (media nazionale a.s. 2007/08 78.4 vs 54.3, Miur, 2009).
75
Fig. 3.7 – Distribuzione percentuale degli studenti per cittadinanza e tipo di insegnamento, scuola
secondaria di II grado, Piemonte, a.s. 2009/10.
Stranieri
37,7
Italiani
19,7
0%
39,8
6,5
13,7 2,2
9,6
33,7
3,7
80%
100%
33,4
20%
Istituto professionale
40%
Istituto tecnico
60%
Ex magistrali
Licei
Indirizzi artistici
Fonte: elaborazioni da Rilevazione Scolastica della Regione Piemonte - Ires.
Senza considerare due specifici indirizzi tecnico-professionali (agricoltura e ambiente e
agrario), l’incidenza degli stranieri sul totale degli studenti varia dal 2,2% dei licei
classici, al 22% degli istituti professionali ad indirizzo sanitario, frequentati più da
femmine che da maschi. Una quota elevata di cittadini non italiani si trova anche presso
istituti professionali ad indirizzo industria e artigianato (20%) e commerciale-turistico
(18,5%) (v. tabella 3.10).
Tab. 3.10 – Numero di studenti stranieri per genere e indirizzo di scuola secondaria di II grado, Piemonte,
a.s. 2009/10.
Ip agricoltura e ambiente
Ip industria e artigianato
Ip serv. comm. turis.
Ip servizi alberghieri
Ip servizi sociali
Ip atipico
Ip sanitario e ausiliario
It agrario
It industriale
It commerciale
It per geometri
It per il turismo
It periti aziendali
It attività sociali
It aeronautico
Ex istituto/scuola magistrale
Liceo scientifico
Liceo classico
Liceo linguistico
Ist. d'arte
Liceo artistico
Altri
Totale
F
4
195
1.488
402
354
45
128
4
410
1.054
170
107
300
142
2
776
890
224
103
87
112
22
7.019
M
8
1.333
460
335
36
49
115
15
1.787
557
562
20
54
32
13
81
494
43
11
31
61
13
6.110
T
12
1.528
1.948
737
390
94
243
19
2.197
1.611
732
127
354
174
15
857
1.384
267
114
118
173
35
13.129
% sul tot.
0,7
19,7
18,5
8
14
7
21,9
0,7
9,2
11,6
8,9
9,9
9,4
14,3
5,9
5,6
3,6
2,2
5,6
6,9
4,3
33
8
Fonte: Rilevazione Scolastica della Regione Piemonte. Elaborazioni da dati Ires.
76
In media l’incidenza degli allievi con cittadinanza non italiana sul totale è del 14,4% negli
IP, 9,4% negli IT, 5,6% nelle ex magistrali, 5% negli indirizzi artistici, scende al 3,4% nei
licei (Rilevazione Scolastica della Regione Piemonte e Ires, a.s. 2009/10).
Rispetto alle provenienze, nelle secondarie di II grado sono più rappresentati gli studenti
di origine europea, e in subordine latinoamericana, rispetto agli altri livelli di scuola. Le
prime cinque nazionalità nel 2009/10 in ordine di presenze alle superiori sono Romania,
con 3.992 studenti, il 30% del totale, seguita a distanza da Albania con 1.928 allievi,
Marocco con 1.824 e poi Perù (885) e Moldova (556) (Rilevazione Scolastica della
Regione Piemonte; cfr. figura 3.8).
Fig. 3.8 – Piemonte, percentuale di studenti stranieri per area di provenienza e livello scolastico, a.s.
2009/10.
secondaria II grado
33,2
25,5
secondaria I grado
32,4
24,3
primaria
29,5
dell'infanzia
27,9
0%
20%
Europa Ue
Europa
10,4 7,6
22,6
21,9
15,1 6,5 19,5
7,5 6,8
5,86,2
40%
America
60%
Asia
25,2
33,5
38,2
80%
100%
Africa
Note: sono esclusi dal grafico i provenienti dall'Oceania (0,1% alla scuola secondaria di II grado, assenti
dagli altri ordini di scuola) e gli apolidi (0,1% alla primaria e assenti altrove). Gli studenti stranieri
considerati in Piemonte nel 2009/10 sono 13.954 alla materna, 23.364 alle elementari, 14.281 alle medie e
13.129 alle superiori.
Fonte: elaborazioni da Rilevazione Scolastica della Regione Piemonte - Ires.
La storia immigratoria italiana è troppo recente per poter verificare se la composizione
per provenienze degli studenti con cni alle secondarie rifletta la struttura demografica,
l’andamento dei flussi immigratori e il grado di stanzialità delle diverse provenienze
nazionali, oppure processi di selezione scolastica che colpiscono maggiormente alcune
provenienze piuttosto che altre.
Gli iscritti all’ultimo anno delle secondarie nel 2008/09 con cni sono 1.265, in media il
4,6% del totale (tabella 3.11).
77
Tab. 3.11 - Iscritti totali e stranieri al V anno, scuole secondarie di II grado statali e non statali, province
del Piemonte, a.s. 2008/09.
Provincia
AL
AT
BI
CN
NO
TO
VCO
VC
Totale
M
1.152
548
530
1.805
989
7.135
561
628
13.348
Iscritti totali
F
1.173
504
606
2.103
1.019
7.645
549
602
14.201
Tot
2.325
1.052
1.136
3.908
2.008
14.780
1.110
1.230
M
44
30
24
69
19
316
10
32
544
27.549
Iscritti stranieri
F
63
23
28
97
48
422
8
32
721
str/totale
Tot
107
53
52
166
67
738
18
64
1.265
4,6
5
4,6
4,2
3,3
5
1,6
5,2
4,6
Fonte: elaborazione da Rilevazione Scolastica Regione Piemonte, Settore DB 1508 - Edilizia Scolastica e
Osservatorio sull'Edilizia Scolastica.
Tab. 3.12 – Politecnico, Università di Torino e Università del Piemonte Orientale, percentuale di stranieri
sugli iscritti a.a. 2008/09 e dati Almalaurea sull’inserimento occupazionale a tre anni dalla laurea per
gruppi disciplinari, anno 2010.
ingegneria
medico
economicostatistico
linguistico
politicosociale
architettura
giuridico
scientifico
(SMFN)
letterario
chimicofarmaceutico
insegnamento
psicologico
educazione
fisica
geo-biologico
(veterinario)
agrario
Totale
studenti studenti
%
stranieri str./str. stranieri
(v.a.) in totale sul totale
1.696
30,8
9,3
1.589
1.446
78,1
1,8
85,8
78,3
tempo dalla
laurea al 1°
lavorod
3,2
643
11,7
7,7
1.905
1.709
54,6
0,4
56,8
40,1
4,6
627
11,4
5,3
1.555
1.366
69,3
1,5
92,7
89,1
4,8
563
10,2
10,2
1.126
1.197
42,1
6,2
50
90
4,4
455
7,9
5,3
1.455
1.248
52,5
6,1
77,7
88,3
6,3
350
6,3
5,3
1.314
1.009
63,7
4,1
88,9
87,2
3,8
298
5,3
3,8
1.270
1.122
56,3
9,4
63,5
55
11,4
227
4,1
4,9
1.498
1.069
57,3
2,8
68,6
60,7
5,9
198
3,6
2,1
1.211
1.014
33,1
7,3
66,7
80,7
6,3
128
2,3
5,5
1.463
1.334
76,5
3
83,3
79,5
3,1
123
2,2
2
1.188
1.064
60,6
4,3
88,9
95,1
5,7
76
1,4
2
1.188
976
42,6
7
81,3
77,9
9
55
1,2
1,9
1.209
1.126
34,2
4,9
91,3
73,9
4,5
50
0,9
3,7
1.226
998
35,2
4,6
47,5
43
6,1
24
0,4
1,4
1.115
993
73,9
3,5
78,8
77,3
5,5
5.505
100
5,4
-
-
-
-
-
-
-
guadagnoa
M
F
% lavoro
stabileb
tasso di
disoc.c
% che lavora
M
F
Note: (a) mensile netto, media in euro. I dati Almalaurea in tabella non sono disaggregati per cittadinanza;
(b) autonomo o alle dipendenze con contratto a tempo indeterminato; (c) def. Istat - Forze di lavoro; (d)
medie in mesi.
Fonte: elaborazione da Miur - Indagine sull'Istruzione Universitaria 2009, Ires e indagine Almalaurea 2011.
Rispetto alle iscrizioni all’università, vediamo che l’incidenza degli studenti stranieri è
più elevata presso corsi di studi in ingegneria (in particolare dell’informazione56), lingue,
56
Fanno parte dell'ingegneria dell'informazione i corsi di studi più legati alle tecnologie della
comunicazione: ingegneria informatica, elettronica, telecomunicazioni, automazione e biomedica.
78
medicina e farmacia, e più bassa negli indirizzi umanistici (scienze della formazione,
psicologia, lettere) e ad agraria. I settori discilinari in cui si concentrano maggiormente gli
stranieri, ad esclusione di lingue e scienze politiche, secondo i dati Almalaurea (non
disaggregati per cittadinanza), a tre anni dalla laurea portano maggiori ritorni di reddito
(tabella 3.12).
3.3.Orientamento e distribuzione degli stranieri nelle secondarie di II grado della
città di Torino
In questa città essere nati da un’altra parte non è tanto… non ti fa sentire tanto diverso… perché qua ormai
è un misto, è difficile trovare qualcuno che è nato sempre…
a Torino per esempio, qua ormai trovi rumeni, cinesi, marocchini, francesi, spagnoli, di tutto!
(studente IP, documentario “Tutto è possibile”, Torino, 2010)
Le scuole superiori di Torino raccolgono gran parte degli studenti della provincia,
raggiungendo quasi la metà del totale regionale. Gli studenti con cittadinanza non italiana
nel 2009/10 sono 5165 e provengono da 95 paesi diversi, anche se le prime dieci
nazionalità raccolgono circa l’87% del totale degli stranieri (tabella 3.13).
Tab. 3.13 – Città di Torino. Studenti con cittadinanza non italiana nelle scuole secondarie di I grado per
nazionalità,prime dieci cittadinanze, v.a. e %, a.s. 2009/10.
Cittadinanza
Romania
Numero allievi
1.996
% sul totale stranieri
38,64
Perù
653
12,64
Marocco
610
11,81
Moldova
310
6
Albania
303
5,87
Brasile
154
2,98
Cina
144
2,79
Ecuador
129
2,5
Filippine
121
2,34
Egitto
62
1,2
Altri paesi
683
13,22
TOTALE
5165
100
Fonte: elaborazione da Rilevazione Scolastica Regione Piemonte, Settore DB 1508 - Edilizia Scolastica e
Osservatorio sull'Edilizia Scolastica.
L’incidenza percentuale degli stranieri in classe è più elevata nella città considerata
rispetto alla media sia provinciale che nazionale, superando nel biennio degli istituti
professionali i 20 punti percentuali (tabella 3.14).
79
Tab. 3.14 - Studenti stranieri in provincia di Torino (a.s. 2009/10) e in Italia (a.s. 2008/09) per tipo di
scuola e classe scolastica, v.a. e incidenza % sul totale degli studenti.
Totale provincia di
Torino
v.a.
%
I
IP
IT
Liceo
Totale
Resto della
provincia
v.a.
%
Città di Torino
v.a.
%
Italia (2008/09)
v.a.
%
846
17,9
677
22,6
169
9,8
19.594
13,0
II
614
15,9
497
20,1
117
8,5
12.420
10,7
III
693
17,2
574
21,7
119
8,5
9.868
8,9
IV
397
12,2
328
15,8
69
5,8
6.521
6,9
V
279
9,7
234
12,1
45
4,7
4.349
5,5
I
854
12,8
544
18,2
310
8,4
16.883
7,8
II
624
11,3
412
16,9
212
6,9
10.553
5,9
III
616
11,1
410
16,7
206
6,7
9.765
5,3
IV
430
8,9
291
13,3
139
5,3
6.738
4,1
V
318
6,7
238
10,7
80
3,2
5.426
3,1
I
509
5,6
331
6,8
178
4,2
9.389
3,3
II
319
4,0
217
5,2
102
2,7
6.385
2,4
III
279
3,5
181
4,3
98
2,6
5.160
2,1
IV
268
3,5
170
4,3
98
2,7
4.015
1,7
V
205
2,9
155
4,0
50
1,5
2.946
1,3
7.251
8,5
5.259
11,6
1.992
5,0
130.012
4,8
Fonte: Elaborazione da Miur (2009b) e dati Usr Piemonte.
Fig. 3.9 - Distribuzione percentuale degli studenti per cittadinanza e tipo di insegnamento, scuola
secondaria di II grado, città di Torino, Piemonte e Italia, a.s. 2009/10 e 2010/11.
100%
20
36
25,9
38
33,4
43,9
19,7
0%
italiani
47,5
39,8
50%
24,4
21,6
22,5
46,9
49,7
stranieri
italiani
città di Torino
33,2
37,7
stranieri
italiani
Piemonte
IP
IT
40,4
19,2
stranieri
Italia
Liceo
Note: per la città di Torino gli istituti d'arte sono stati aggregati agli IT, i licei artistici ai licei; per l'Italia e il
Piemonte invece l'istruzione artistica è stata aggregata interamente ai licei (rispettivamente scelta dal 3,6%
degli italiani e dal 2,9% degli stranieri in Italia, al 3,7 degli italiani e al 2,2% degli stranieri in Piemonte). Il
dato sull'Italia è l'ultimo disponibile: a.s. 2010/11, quello sul Piemonte e Torino a.s. 2009/10.
Fonte: Elaborazione da Usr e Miur – Ismu (2011).
Anche a Torino, come in Piemonte e in Italia, i migranti propendono per l’istruzione
tecnico-professionale piuttosto che per i licei (figura 3.9).
Come vedremo nel prossimo capitolo, esiste un servizio di orientamento gestito dal
Comune che somministra un test attitudinale multidimensionale a tutti gli iscritti alla
80
scuola secondaria di I grado, i cui risultati sono utilizzati da docenti e operatori comunali
nel processo di orientamento alla scelta al termine della terza media. Malgrado siano a
disposizione traduzioni del test in più lingue, e i responsabili dell’attività di orientamento
raccomandino alle scuole di proporre il test solo agli alunni senza difficoltà linguistiche
(vale anche per i dislessici), gli operatori osservano che le traduzioni non sono consultate
spesso dai ragazzi migranti e, anche per ragioni organizzative, partecipano al test un
numero non quantificabile di allievi che stanno ancora acquisendo dimestichezza con
l’italiano come seconda lingua. Da una prima esplorazione della banca dati sembra che i
punteggi conseguiti dagli stranieri siano inferiori rispetto a quelli conseguiti dagli italiani,
non solo nelle prove strettamente linguistiche (figura 3.10).
Fig. 3.10 – Punteggi medi per prova del “test Arianna” ottenuti degli studenti di scuola secondaria di I
grado. Stranieri e italiani, serie storica 2005-2011.
4,0
4,0
stranieri
LG1
3,5
italiani
LG1
3,5
LG2
3,0
AS1
2,5
AS2
LG2
3,0
AS1
2,5
AS2
2,0
CRT
2,0
CRT
1,5
SPZ
1,5
SPZ
1,0
LN1
1,0
LN1
LN2
,5
LN2
,5
ST1
ST2
ST1
,0
2005
2006
2007
2008
2009
2010
2011
2005
2006
2007
2008
2009
2010
2011
,0
ST2
Note: Dimensioni: LG logica, LN linguistica, SPZ spaziale, CRT concreta, AS astratta, ST strategica. Casi
validi in totale: 23.305 italiani; 3.413 stranieri. Anno 2011: la rilevazione è avvenuta a periodo di
somministrazione non ancora concluso per cui tiene conto di circa un terzo delle scuole normalmente
coinvolte. Attribuzione della cittadinanza in base a nome e cognome dello studente.
Fonte: elaborazione da Cosp, Città di Torino.
Al momento non è possibile approfondire la questione controllando se esiste un effetto
delle variabili socio-demografiche (titolo di studio e occupazione dei genitori) e un
“effetto scuola”, e neppure il percorso di istruzione successivo alla somministrazione del
test; inoltre andrebbero acquisiti dati più puntuali sulla cittadinanza.
Nella provincia di Torino, capoluogo escluso, la differenza nelle proporzioni di ripetenti
tra italiani e non italiani è -2,1 punti percentuali, dato simile alla media italiana (Miur e
81
Ismu, 2011). Nel capoluogo invece il divario tra percentuali di ripetenti italiani e stranieri
è più ridotto, soprattutto negli istituti professionali, dove l’incidenza dei ripetenti sul
totale è più elevata tra gli italiani, tranne che all’ultimo anno (tabella 3.15).
Tab. 3.15 - Studenti ripetenti sul totale in provincia di Torino per cittadinanza, tipo di insegnamento e
classe scolastica, a.s. 2009/10 (v.a. e %).
I
IP
IT
Totale provincia di Torino
% italiani % stranieri
ripetenti
ripetenti
(a-b)
sul totale
sul totale
italiani (a) stranieri (b)
15,2
12,8
2,4
Città di Torino
% italiani % stranieri
ripetenti
ripetenti
(a-b)
sul totale
sul totale
italiani (a) stranieri (b)
15,5
11,8
3,7
Resto della provincia
% italiani
% stranieri
ripetenti
ripetenti sul
(a-b)
sul totale
totale
italiani (a) stranieri (b)
14,7
16,6
-1,9
II
12,5
12,4
0,1
13,9
12,1
1,8
10,2
13,7
-3,5
III
10,3
8,1
2,2
10,7
8,5
2,2
9,5
5,9
3,6
IV
9,5
7,3
2,2
11,9
7,9
4,0
5,7
4,3
1,3
V
4,9
6,1
-1,2
5,2
5,6
-0,4
4,5
8,9
-4,4
I
11,6
10,9
0,7
11,8
9,6
2,2
11,5
13,2
-1,7
II
8,9
8,8
0,0
8,9
8,0
0,9
8,8
10,4
-1,5
III
10,7
8,3
2,4
13,0
9,0
4,0
9,0
6,8
2,2
IV
10,1
6,7
3,3
10,9
7,6
3,4
9,4
5,0
4,4
V
5,1
6,0
-0,8
5,6
7,6
-2,0
4,8
1,3
3,5
I
5,7
6,3
-0,5
5,7
5,4
0,3
5,8
7,9
-2,1
II
4,0
4,1
-0,1
4,9
4,1
0,8
2,9
3,9
-1,0
III
4,1
3,9
0,2
3,9
2,2
1,7
4,3
7,1
-2,8
IV
2,8
2,6
0,2
3,0
2,4
0,6
2,7
3,1
-0,4
V
1,9
2,0
0,0
2,1
2,6
-0,5
1,7
0,0
1,7
Totale
7,0
8,3
-1,3
7,5
8,2
-0,7
6,5
8,6
-2,1
L
Fonte: elaborazione dati Usr Piemonte.
A Torino, inoltre, rispetto alla media nazionale, alle superiori prevalgono le G1.5,
soprattutto nelle classi V: studenti nati nel paese di origine e parzialmente scolarizzati in
Italia (tabella 3.16); in Italia compare una proporzione simile, ma sono mediamente di più
sia gli arrivati in corso d’anno che le seconde generazioni, nel 2009/10 rispettivamente il
6,9% e l’8,7% dei cittadini non italiani alle superiori (Miur e Ismu, 2011).
82
Tab. 3.16 - Studenti cittadini non italiani nati in Italia (G2) e arrivati nel corso dell'anno scolastico
(N.A.I.) sul totale degli studenti stranieri alle secondarie di II grado in provincia di Torino per tipo di
insegnamento e classe scolastica, a.s. 2009/10 (%).
Totale provincia
Città di Torino
Resto della provincia
% G2
% N.A.I.
% G2
% N.A.I.
% G2
% N.A.I.
I
7,2
12,8
8,6
13
1,8
11,8
II
5,5
4,9
6
4,4
3,4
6,8
III
6,5
5,9
7,1
5,9
3,4
5,9
IP
IV
3,5
1
3,7
0
2,9
5,8
V
4,3
1,4
5,1
0,9
0
4,4
I
9,4
4,3
9,7
3,3
8,7
6,1
II
7,5
1,4
8,7
1,9
5,2
0,5
IT
III
6
4,4
6,3
5,1
5,3
2,9
IV
4,9
1,9
4,8
2,7
5
0
V
6,3
0,9
6,3
1,3
6,3
0
I
8,3
6,1
10,9
6,9
3,4
4,5
II
9,1
3,1
11,1
3,7
4,9
2
Liceo
III
7,2
3,6
8,8
3,3
4,1
4,1
IV
6,3
3
6,5
4,1
6,1
1
V
4,9
0,5
5,8
0,6
2
0
6,7
4,6
7,5
4,7
4,8
4,1
Totale
Fonte: elaborazione dati Usr Piemonte.
3.4.Chi arriva al termine delle secondarie di II grado?
Gli studenti stranieri che oggi frequentano l’ultimo anno nelle secondarie di II grado in
Italia e in Piemonte sono ancora relativamente pochi. La quota di G1.5 è superiore a
quella degli altri ordini di scuola, inoltre l’istruzione media superiore si colloca tra
obbligo e post-obbligo scolastico, per cui il tasso di scolarizzazione dei migranti in questa
fascia di età sembra subire le oscillazioni maggiori dovute all’andamento dei flussi
immigratori. A Torino comunque l’incidenza dei cittadini non italiani sulla popolazione
scolastica nel trienno degli istituti tecnici e professionali supera il 15%, e in media nelle
secondarie di II grado è superiore a quella che in Italia si trova nel primo ciclo di
istruzione.
Come si vede dalla percentuale di studenti stranieri che hanno subìto ripetenze, elevata in
particolare all’inizio della secondaria di II grado, dal ritardo scolastico e delle bocciature
che li colpiscono significativamente di più rispetto ai coetanei e dai bassi tassi di
scolarizzazione nella fascia di età corrispondente a questo ordine di scuola, i cittadini
83
stranieri iscritti nelle classi V superiore sono una popolazione ancora più selezionata
rispetto a quella degli italiani: si tratta di studenti che sono riusciti a superare diversi
processi di selezione e dispersione scolastica.
Dal momento che il divario per cittadinanza tra i tassi di ritardo è superiore a quello tra i
tassi di ripetenze, verifichereno nel capitolo 4 se alcuni di questi processi selettivi
attengono all’interazione tra norme di livelli territoriali e ambiti di policies diversi, a
pratiche informali di interpretazione strategica della normativa oppure alla mancata
conoscenza della stessa da parte dei soggetti attuatori.
Dalle interviste ai testimoni qualificati condotte nella città di Torino per questa ricerca57
emergono le seguenti caratteristiche, di tipo qualitativo e non ricavabili dai dati
istituzionali finora resi disponibili dal Miur, distintive dei migranti che giungono al
termine della secondaria superiore rispetto ai drop-out: maggiore stabilità familiare, sia
dal punto di vista della struttura familiare (presenza dei genitori), sia dal punto di vista del
sostegno allo studio anche attraverso legami transnazionali (genitori non presenti
fisicamente ma attenti, figure di riferimento anche se “a distanza”), maggiore
investimento familiare nell’istruzione come canale di mobilità sociale ascendente,
percorsi scolastici meno frammentati, più impegno e tempo dedicato allo studio da parte
dello studente, migliore riuscita scolastica pregressa. I testimoni privilegiati inoltre
sottolineano la maggiore difficoltà delle famiglie migranti rispetto a quelle native nel
gestire la ri-motivazione all’apprendimento del figlio/figlia in caso di insuccesso
scolastico, in particolare in seguito a bocciature. Vedremo dalle interviste agli studenti se
e come questi aspetti sono stati vissuti dai ragazzi coinvolti nella ricerca. La popolazione
oggetto di questo lavoro, come da ipotesi, si configura quindi come punto di accesso
privilegiato per studiare traiettorie di inserimento “forti”, relativamente alla popolazione
migrante, nella società di arrivo.
3.5.Una survey con gli studenti dell’ultimo anno di scuola secondaria di II grado in
Piemonte
Per contestualizzare le interviste qualitative, prendiamo adesso in esame alcuni aspetti del
percorso scolastico e delle aspettative di inserimento nell’istruzione terziaria e nel
57
V. appendice metodologica sulla procedura di campionamento dei testimoni qualificati.
84
mercato del lavoro attraverso la lettura descrittiva58 dei risultati di a una survey sulle
carriere formative e le aspettative di impiego degli studenti alla fine della scuola superiore
in Piemonte realizzata nell’ambito del progetto Erica-WP3 (v. appendice metodologica).
3.5.1. La scelta della scuola secondaria di II grado
Nel campione, come nell’universo di riferimento, i migranti59 propendono per l’istruzione
tecnico-professionale più spesso che i nativi, inoltre mediamente ottengono voti peggiori
rispetto ai nativi. Tuttavia a parità di voto conseguito per la licenza media, i migranti
intervistati hanno scelto più frequentemente i tecnico-professionali. Inoltre da allora
hanno cambiato scuola superiore più spesso: il 22,8% contro il 13,8% dei non migranti.
Tra i migranti i cambi scuola hanno ridotto ulteriormente la percentuale dei liceali, in
misura maggiore che tra i nativi. Dunque la loro concentrazione nel tipo di insegnamento
tecnico o professionale non dipende solo dal fatto che questo percorso è preferito a quello
liceale al termine delle secondarie di I grado, a parità di voto all’esame di terza media, ma
anche dai successivi riorientamenti verso il basso che sono avvenuti durante le secondarie
di II grado (tabella 3.5.1).
Tab. 3.5.1 – Distribuzione per provenienza, voto di licenza media e tipo di insegnamento scelto al termine
della secondaria di I grado e attualmente frequentato (% di riga).
Tipo di insegnamento
Voto conseguito all’esame per la
licenza media
Altro
IT
liceo
ottimo
78,9
7,2
11,6
distinto
53,2
13,8
26,9
buono
22,8
17,4
42,1
Nativi
sufficiente
9,6
11
45
totale scuola scelta alla III media 41,9
13,1
31,4
totale scuola frequentata nel 2011
36,8
13,5
32,9
ottimo
64,5
1,3
21,1
distinto
45,2
11,9
29,6
12,2
7,7
45,4
Migranti buono
sufficiente
15,4
6,7
39,4
totale scuola scelta alla III media 29,4
7,6
36,4
totale scuola frequentata nel 2011
21,2
8,4
38,4
Fonte: elaborazione da dati Erica–WP3.
Liceo
IP/Cfp N
2,3
6,1
17,6
34,5
13,7
16,7
13,2
13,3
34,7
38,5
26,6
31,9
1285
1743
1865
981
5874
5927
76
135
196
104
511
523
58
La banca dati è stata consultata in modo descrittivo al solo fine di collocare quanto emerso dalle interviste
qualitative svolte con i migranti nella città Torino rispetto ai percorsi degli studenti migranti e nativi in
Piemonte.
59
V. appendice metodologica per la definizione operativa delle categorie impiegate.
85
I migranti hanno cambiato scuola per motivi meno legati alla riuscita scolastica effettiva
rispetto agli italiani, riconducibili più ad "altre" motivazioni, familiari e individuali
(tabella 3.5.2).
Tab. 3.5.2 – Distribuzione per provenienza e risposte alla domanda “Quale è stato il motivo per cui hai
lasciato la scuola dopo le medie?” (% di riga).
4,9
motivi legati
motivi legati
a problemi di
al clima della
rendimento
scuola
scolastico
15,4
25,9
mi sono
accorto/a che
altro N
mi piacevano
altre materie
30,9
11,3 754
1,9
15,7
33,3
motivi
individuali e
familiari
motivi legati
al clima in
classe
11,6
Migranti 17,6
Nativi
13,9
17,6
108
p < 0.05
Fonte: elaborazione da dati Erica-WP3.
Tab. 3.5.3 - Risposte alla domanda “Nella scelta della scuola dopo le medie, quanto sono importanti le
seguenti persone?” (% di riga).
non si per
applica nulla
poco
abbastanza
molto
N
Nativi
4,8
14,4
28
35,1
17,8
5927
Migranti
10,9
22,5
22,8
26,1
17,7
521
Nativi
2,0
8,7
23,1
41,5
24,8
5926
Migranti
3,3
13,2
23,4
31,7
28,4
521
Nativi
3,8
24,1
35
30,2
6,9
5927
Migranti
6,5
20,3
30,7
31,4
11,1
522
Nativi
24
33,1
21,1
14,6
7,1
5926
Migranti
26,4
30,8
22
12,3
8,4
522
Altri parenti (cugini, Nativi
ecc.)**
Migranti
19,1
44,6
24,4
9,5
2,4
5928
Padre**
Madre**
Insegnanti**
Fratelli/sorelle
30,7
42
16,9
6,9
3,5
521
Nativi
16,8
45,2
26,3
10
1,7
5926
Migranti
25,1
40,5
21,5
10
2,9
521
Tuoi amici di scuola
o fuori scuola**
Nativi
7,8
26
33,0
27,3
6
5926
Migranti
15,4
26,1
26,9
23,6
8,1
521
Referenti
dell'orientamento**
Nativi
9,6
27,2
29,5
27,8
5,9
5926
14,4
28,6
** p < 0.001
23,4
24,8
8,8
521
Amici di famiglia**
Migranti
Fonte: elaborazione da dati Erica–WP3.
Rispetto all’ipotesi della non conoscenza del sistema di istruzione, sembra che per i
migranti al momento della scelta della scuola secondaria di II grado siano stati meno
importanti, o non presenti, i genitori, mentre hanno rivestito un ruolo più centrale
orientatori (quando presenti) e docenti. La convivenza familiare dei migranti inoltre
86
appare meno accompagnata nella definizione del percorso scolastico dei figli dalle risorse
relazionali sia dei genitori (rete parentale e “amici di famiglia”) sia degli studenti stessi
(amici o compagni di scuola) (tabella 3.5.3).
La struttura delle motivazioni per cui è stata scelta la scuola frequentata espresse dai
migranti ripercorre quella dei nativi: prevale il desiderio di trovare lavoro (per il 24,1%
dei migranti), rispetto a motivazioni di carattere espressivo, legate all’attrazione per le
discipline trattate a scuola (17,6%), ma si tratta di piccole differenze percentuali (il 19,6%
dei nativi hanno scelto tra le motivazioni “la possibilità di trovare lavoro” e il 22,9% ha
preferito “l’interesse per le materie insegnate”).
Per i migranti, come per i nativi, è significativa la relazione tra scelta scolastica e titolo di
studio dei genitori, anche se gli studenti con almeno un genitore laureato che frequentano
il liceo sono quasi il 70% dei nativi e meno di un terzo dei migranti. La distribuzione per
tipo di insegnamento frequentato dai migranti con capitale culturale alto è dunque simile
a quella degli italiani con capitale culturale medio(tabella 3.5.4). Ma bisogna tenere
presente che si tratta di una popolazione più omogenea e più schiacciata verso il basso dal
punto di vista della collocazione occupazionale. Inoltre i dati sul titolo di studio dei
genitori migranti sono più lacunosi.
Tab. 3.5.4 – Distribuzione percentuale per provenienza e tipo di insegnamento frequentato, secondo il
capitale culturale e classe occupazionale familiare (% di riga).
Nativi
(n)
Migranti
(m)
cap.
cultur.
(cc)
alto
medio
basso
alto
medio
basso
Liceo
Altro
liceo
IT
IP
N
66,9
35
17,4
30,6
21
14,4
10,2
14,7
14
13
6,4
9,3
16,9
34,8
41,7
33,3
45,6
28,9
6
15,5
26,9
23,1
27
47,4
1148
3284
1403
108
281
97
classe occ.
(co)
Liceo
Altro
liceo
IT
IP
N
media+alta
45,4
12,2
30
12,4
3508
operaia
24,4
15,6
37,5
22,5
2349
media+alta
27,8
6,6
30,5
35,1
151
operaia
19
8,9
41,7
30,4
336
pncc < 0.001 pmcc < 0.001 pnco < 0.001 pmco < 0.05
Fonte: elaborazione da Erica–WP3.
A differenza che per i nativi, tuttavia, tra i migranti la concentrazione dell’insegnamento
tecnico o professionale non si manifesta più spesso tra chi ha genitori di classe
occupazionale meno avvantaggiata. Come si vede dalla tabella 3.5.4, i migranti di classe
medio-alta, diversamente dai coetanei nativi con i genitori nella stessa condizione
occupazionale, non disdegnano la formazione professionale: emergono differenze
percentuali tra classe operaia e classe medio-alta molto più contenute che tra i nativi. A
87
sostegno dell’ipotesi sullo squilibrio di status, quindi, nel caso dei migranti per
l’iscrizione dei figli al liceo sembra contare il fatto che i genitori siano diplomati o
laureati più che la loro situazione lavorativa. Anche se bisogna leggere il dato con cautela,
non solo perché si tratta di analisi descrittive meramente trivariate, ma soprattutto per la
possibile diversa composizione interna della classe medio-alta dei migranti rispetto a
quella dei nativi. In condizioni di squilibrio di status verso il basso, cioè di capitale
culturale familiare superiore alla classe occupazionale, per i migranti a differenza che per
i nativi la scuola scelta più spesso è l’istituto tecnico (tabella 3.5.5).
Tab. 3.5.5 - Squilibrio/corrispondenza di classe occupazionale e titolo di studio per scuola frequentata e
provenienza (% di riga).
Liceo
Nativi
Altro
liceo
IT
IP
N
cma_tma
49,5
12,4
27,9
10,2
100
2997
co_tma
30,3
15,9
35,1
18,6
100
1405
co_tb
15,4
15,2
41
28,4
100
913
cma_tma
30,1
8,1
29,3
32,5
100
123
20,5
7,9
48,4
23,2
100
254
16,9
12,3
23,1
p < 0.001
47,7
100
65
Migranti co_tma
co_tb
Note: cma = classe occupazionale familiare medio-alta; co = classe occupazionale familiare operaia; tma =
capitale culturale familiare medio-alto; tb = capitale culturale familiare basso; co_tma = squilibrio di status
verso il basso. In tabella non sono riportati i valori corrispondenti alla situazione di squilibrio di status verso
l’alto perché la numerosità dei migranti nel campione in quella condizione non permette di commentare il
dato.
Fonte: elaborazione da Erica-WP3.
Per i figli di migranti di classi medio alte e con titolo di studio medio-alto, la secondaria
di II grado adatta sembra non solo il liceo, come accade per i nativi, ma anche l’istituto
tecnico o professionale. Lo squilibrio di status potrebbe quindi agire da un lato riducendo
l’impatto della classe occupazionale dei genitori sulle scelte scolastiche dei figli (perché
spesso i migranti di classe operaia sono laureati o diplomati), dall’altro lato indirizzando
verso l’istruzione tecnica o, molto in subordine, professionale, forse anche per l’auspicata
riconoscibilità nel mercato del lavoro del diploma conseguito (a differenza della laurea
dei genitori, non riconosciuta nel mercato del lavoro e dunque priva di ritorni
occupazionali dell’investimento in istruzione terziaria). La non conoscenza del sistema di
istruzione italiano sembrerebbe manifestarsi in parte nella maggiore fiducia nei confronti
dei consigli orientativi dei docenti, in parte nell’applicazione, per definire le opzioni
scolastiche disponibili in Italia, di una cornice cognitiva derivata dall’esperienza
88
scolastica nel paese d’origine, dove prevale una formazione secondaria generalista (ad
esempio in diversi paesi dell’America Latina) oppure dove l’istruzione tecnica è un
canale formativo privilegiato per l’inserimento occupazionale in settori tecnico-scientifici
(ad esempio in Marocco). Verificheremo attraverso le interviste qualitative l’attivazione
di processi di questo tipo.
3.5.2. La rappresentazione del percorso scolastico pregresso
È in ritardo scolastico il 65% dei migranti intervistati (contro il 24% dei nativi). A parità
di collocazione occupazionale o titolo di studio dei genitori, i migranti sono più in ritardo
rispetto ai nativi, anche se gli studenti con genitori che svolgono lavori di qualificazione
medio-alta sembrano più protetti dalla non corrispondenza tra età e classe frequentata. In
base al capitale culturale emergono differenze significative solo tra gli italiani, non tra i
migranti.
Tab. 3.5.6 – Distribuzione per provenienza, capitale culturale e classe occupazionale familiare degli
studenti con età superiore a quella prevista per la classe V superiore (% di riga).
Nativi
(n)
Migranti
(m)
cap. cultur.
classe occ.
% in ritardo N
% in ritardo
(cc)
(co)
16,3
1148
alto
media+alta 21,2
22,8
3285
medio
32,4
1403
28,3
basso
operaia
61,1
108
alto
media+alta 57
65,8
281
medio
62,2
98
70,3
basso
operaia
pncc < 0.001 pmcc > 0.05 pnco < 0.001 pmco < 0.05
N
3507
2349
151
337
Fonte: elaborazione da Erica–WP3.
In effetti i ritardi dovuti alle bocciature sono solo una minima parte del totale: solo il 4%
degli intervistati migranti è stato bocciato alle elementari (nativi 0,6%), il 5% alle medie
(nativi 1,57%), il 26,3% alle superiori (nativi 22,6%). Sappiamo dai dati Miur che le
ripetenze colpiscono in media alle secondarie di II grado i migranti in misura molto
maggiore rispetto ai nativi, mentre la differenza tra percentuali di ripetenze rilevata dal
questionario nelle classi quinte non è statisticamente significativa. Questo dato
confermerebbe quanto emerso dalle interviste ai testimoni privilegiati: i migranti in V
sono stati meno bocciati che quelli che lasciano le secondarie di II grado.
89
Tab. 3.5.7 – Riposte alla domanda: “Tenendo conto dei voti ottenuti nelle diverse materie dall’inizio
dell'anno, come valuteresti oggi la tua prestazione scolastica?” per genere e provenienza (% di riga).
F
M
sopra la media nella media
sotto la media
Nativi
11,4
79,2
9,4
100 2971
Migranti
12,2
75,2
12,6
100 262
Totale
11,5
78,9
9,6
100 3233
Nativi
15,9
66,9
17,4
100 2631
Migranti
7,5
70,2
22,3
100 215
Totale
15,2
67,2
pf > 0.05 pm< 0.003
17,6
100 2846
N
Fonte: elaborazione da Erica–WP3.
Tab. 3.5.8 – Autovalutazione della riuscita scolastica all’inizio e al termine delle secondarie di II grado
per tipo di insegnamento e provenienza (% di riga).
“Se ripensi al primo anno di scuola superiore, come ti definisci?”
Liceo
IT
IP
Nativi
uno studente
con parecchie uno studente
difficoltà a
nella media
scuola
7,6
57,3
Migranti
13,2
Nativi
uno studente
che riesce
bene a scuola
N
35,1
100
2735
47,8
39
100
136
10,1
59,3
30,6
100
1720
Migranti
9,4
53,5
37,1
100
170
Nativi
10,1
59
30,9
100
832
Migranti
17,9
51
31
100
145
pliceo < 0.05 pit > 0.05 pip < 0.05
“Come ti definisci oggi che sei all'ultimo anno?”
Liceo
IT
IP
Nativi
6,7
60,8
32,6
100
2729
Migranti
14,8
54,8
30,4
100
135
Nativi
8,9
65,8
25,3
100
1785
Migranti
5,1
67,8
27,1
100
177
Nativi
12,5
58,1
29,4
100
864
Migranti
14,7
51,5
33,8
100
136
pliceo < 0.003 pit > 0.05 pip > 0.05
Fonte: elaborazione da Erica–WP3.
Lo stesso processo di selezione scolastica emerge dalle autovalutazioni sul rendimento
scolastico. All’inizio della scuola secondaria le differenze tra nativi e migranti sono
significativamente a sfavore dei migranti, soprattutto tra le femmine (che dichiarano
comunque di riuscire meglio rispetto ai maschi in entrambi i gruppi)60, sia nei licei che
60
A conferma del processo di affermazione di disuguaglianze in istruzione per genere a favore delle
femmine, cfr. ad es. Schizzerotto e Barone (2006).
90
negli istituti professionali (tabella 3.5.7 e 8). Alla fine delle superiori rimangono solo nei
licei e spariscono in IP e IT. E in effetti i migranti dichiarano di studiare più ore al giorno
dei nativi in tutti i tipi di insegnamento.
Le valutazioni dell’esperienza scolastica nel secondo ciclo di istruzione espresse dai
migranti sono meno severe di quelle espresse dai compagni nativi. Come era emerso a
proposito della scuola secondaria di I grado (Giovannini e Queirolo Palmas, 2002;
Fischer e Fischer, 2002), i migranti in quinta superiore apprezzano le competenze
didattiche e relazionali dei docenti e l’organizzazione scolastica più dei nativi.
Interessante per i nostri interrogativi di ricerca è la maggiore fiducia degli studenti
migranti di istruzione professionale dei ritorni occupazionali della qualifica che stanno
per conseguire rispetto a nativi nello stesso tipo di insegnamento (tabella 3.5.9).
Tab. 3.5.9 - Accordo all’affermazione “Dalla tua scuola si esce con buone competenze da spendere nel
mercato del lavoro” per paese d’origine e tipo di istruzione (% di riga).
per nulla
poco
abbastanza
molto
19
45,8
29,9
5,4
100
2183
Altro liceo 17,4
46
32,1
4,5
100
803
IT
5
22,6
54,9
17,5
100
1951
IP
8,1
28,7
48,3
14,9
100
990
Liceo
19,8
46,8
27
6,3
100
111
Altro liceo 18,2
40,9
34,1
6,8
100
44
IT
6,5
22
50,5
21
100
200
IP
7,3
20
50,3
22,4
100
165
Liceo
Nativi
Migranti
N
p < 0.001
Fonte: elaborazione da Erica–WP3.
Per i migranti anche di classe e capitale culturale medio-alto i percorsi tecnici e
professionali sembrano rappresentare occasioni per facilitare l’ingresso nel mercato del
lavoro più efficaci di quanto immaginano i nativi.
3.5.3. La formazione extrascolastica
La formazione extrascolastica può essere intesa come un investimento economico della
famiglia per la riuscita scolastica del figlio e la sua preparazione in vista del mercato del
lavoro, ma anche come una scelta di consumo delle famiglie. Può quindi essere un modo
attraverso il quale le disuguaglianze di risorse familiari influenzano il processo di
acquisizione di competenze da parte degli adolescenti.
91
Vediamo innanzitutto se esistono differenze tra nativi e migranti nell’usufruire di lezioni
private a pagamento come sostegno alla riuscita scolastica. I migranti che dichiarano di
non aver mai preso ripetizioni sono l’80,6% del totale, contro il 61,6% dei nativi. Sia il
titolo di studio che il tipo di attività lavorativa dei genitori italiani influenzano la
propensione a utilizzare questo servizio di aiuto per l’apprendimento, invece nel caso dei
migranti le risorse culturali e economiche familiari non sembrano rilevanti. Secondo le
risposte ai questionari, i nativi meno avvantaggiati ricorrono alle lezioni private più
spesso che i migranti con classe e capitale culturale elevati (v. tabella 3.5.10).
Tab. 3.5.10 – Risposta alla domanda “Nel corso dell’ultimo triennio ti è capitato di andare a ripetizioni a
pagamento di una o più materie? Sono esclusi i corsi di recupero” per paese d’origine, capitale culturale e
classe occupazionale familiare (% di riga).
cap.
cultur.
(cc)
alto
Nativi
medio
(n)
basso
alto
Migranti
medio
(m)
basso
classe
>una
solo
volta a
prima di
occ.
settimana verifiche
(co)
19,5
25,4
55,1 1147 media+
18,4
23,3
17,6
21,9
60,5 3285 alta
14,9
16,2
68,9 1403 operaia 15,5
18
11,1
13,9
75
108 media+
9,2
12,5
8,5
9,6
81,9 281 alta
6,1
7,1
86,7 98
8,3
operaia 7,7
pncc < 0.001 pmcc > 0.05 df = 2 pnco < 0.001 pmco > 0.05
>una
solo
volta a
prima di
settimana verifiche
no,
mai
N
no,
mai
N
58,2 3508
66,5 2349
78,3 152
84
337
Fonte: elaborazione da Erica–WP3.
Rispetto ai corsi di lingue straniere, anch’essi a pagamento, i migranti di classe medioalta investono invece quanto i nativi (li hanno frequentati rispettivamente il 35% e il
33%), quelli di classe operaia investono di più (25% vs 20%). Viceversa, l’unico gruppo
di nativi che investe più dei migranti in competenze linguistiche, a parità di altre
condizioni, è quello dei figli di almeno un genitore laureato: ben il 45% di loro ha
frequentato corsi di lingua, contro il 35% dei migranti. In totale possiedono certificati
linguistici il 66% dei migranti contro il 45,3% dei nativi. Viceversa hanno ottenuto
almeno alcuni moduli ECDL il 21% dei maschi nativi contro il 15% dei maschi migranti
(contro il 16% delle femmine, sia native sia migranti).
La differenza di genere nella formazione extrascolastica appare sociologicamente
interessante guardando alle motivazioni per le quali non si investe. I maschi nativi sono
quelli che investono di più, e se non lo fanno è principalmente perché hanno altre
preferenze sull’impiego del tempo libero. Le femmine, e in misura molto minore anche i
92
maschi migranti, dichiarano invece di non investire soprattutto per vincoli di tempo
(tabella 3.5.11).
Tab. 3.5.11 – Risposta alla domanda “A parte le lingue, stai cercando di procurarti altre competenze oltre
a quelle che ti fornisce la scuola, per esempio musica, cinema, teatro, web, fotografia…?” per genere e
paese d’origine (% di riga).
F
M
sì
vorrei, ma
non ho
tempo
no, perché fuori
della scuola
preferisco fare
altro
no, perché credo che se
si studia, quello che si
N
impara a scuola sia
sufficiente
Nativi
29,4
45,9
21,7
3,1
3131
Migranti
23,7
49,8
19,8
6,7
283
Nativi
36,4
26,7
32,3
4,5
2796
Migranti
29,5
35,4
29,1
p < 0.05
5,9
237
Fonte: elaborazione da Erica–WP3.
Purtroppo qui non abbiamo il dato sulle ragioni di tipo economico. Possiamo però
controllare se lo svolgimento di “lavoretti” impegna maggiormente i maschi o le femmine
(tabella 3.5.12).
Tab. 3.5.12 - Numero di risposte affermative su 100 per ogni item alla domanda "Ti è capitato in questi
ultimi due anni di svolgere qualche lavoro o lavoretto retribuito?" per provenienza e genere.
Nativi
Migranti
ho lavorato durante
tutto l’anno dopo la
scuola
ho lavorato
occasionalmente durante
l’anno scolastico
ho fatto lavoretti
estivi
non ho mai
lavorato
N
F
M
7,3
11
24,7
22,4
44,1
52,2
34,6
26
3125
2786
F
13,7
34,2
42,6
22,5
284
M
14,8
14
236
35,2
61,4
Fonte: elaborazione da Erica–WP3.
I migranti sono più impegnati in attività lavorative durante il periodo delle scuole
superiori, in egual misura tra maschi e femmine, mentre tra i nativi la proporzione di
ragazze che ha lavorato è minore rispetto a quella dei ragazzi.
3.5.4. Le aspettative di istruzione terziaria e/o inserimento nel mercato del lavoro
Sono numerosi gli studenti che dichiarano di volersi iscrivere all’università. Il 59,1% dei
migranti e il 62,3% dei nativi pensano di continuare a studiare. All’interno dello stesso
tipo di insegnamento, gli studenti migranti che provengono da IT e IP sono più propensi a
continuare con lo studio rispetto agli italiani, mostrando di intendere la frequenza di quel
93
tipo di scuola anche come canale di accesso all’istruzione terziaria, viceversa nei licei le
proporzioni di chi intende frequentare l’università sono molto simili, ma tra i migranti è
più elevata la percentuale di chi vorrebbero unire allo studio altre attività (figura 3.5.1).
Fig. 3.5.1 - Risposte alla domanda "Dopo la maturità cosa pensi di fare?" per tipo di insegnamento e
provenienza (%).
7,2
35,3
41,3
16,2
IP
Migranti
Nativi
7
22,9
15,6
36,7
15,4
31,2
16,6
IT
Migranti
54,8
Liceo
Nativi
12,6
28,1
41,5
27,4
Migranti
58
40
Nativi
0%
20%
17,8
continuare con
l'università anche
facendo altro
fermarmi al diploma e
trovarmi un lavoro
6,4 8,3
47
40%
continuare con
l'università come
studente a tempo pieno
60%
5,3 7,7
80%
non so ancora
100%
p < 0.05
Fonte: elaborazione da Erica–WP3.
Mentre per i nativi la distribuzione delle preferenze sull’andare o meno all’università è
diversa a seconda delle risorse culturali e della condizione occupazionale dei genitori (p <
0.001), per i migranti non emergono differenze tra figli di classe medio-alta e classe
operaia: prevale per entrambi i gruppi il desiderio di unire allo studio universitario altre
attività. I migranti figli di almeno un genitore laureato vorrebbero iscriversi all’università
nel 71% dei casi (nativi 82,8%), quelli con genitori almeno diplomati nel 60,1% dei casi
(63,6%), quelli con al massimo la licenza media che hanno espresso il medesimo
desiderio sono il 48% (44,2% dei nativi). Le ragazze propendono maggiormente per
continuare a studiare, anche part-time, sia tra i migranti (66,9% vs il 50% dei maschi) che
tra i nativi (69,7% vs il 53,9% dei maschi) (figura 3.5.2).
Tra le motivazioni per interrompere gli studi, i migranti indicano in ordine di preferenza
“non ho più tanta voglia di studiare” (34,6% vs il 50% dei nativi); “vorrei continuare, ma
dovrò andare a lavorare” (opzione scelta dal 28,7% dei migranti e solo dal 10% dei
nativi); “ho in mente un lavoro per cui mi basta un diploma” (20,6 vs 22,6); “non penso
che avere una laurea serva più di tanto a trovare lavoro” (11,8 vs 12,7) (Nm = 136 e Nn =
94
1500, p < 0.001). Dichiara dunque di rinunciare all’istruzione terziaria per ragioni
economiche un terzo dei migranti e uno su dieci dei nativi.
Migranti
Fig. 3.5.2. - Risposte alla domanda "Dopo la maturità cosa pensi di fare?" per provenienza e genere (%).
M
16,5
F
16,5
M
33,5
33,9
50,4
16,1
21,1
30,0
32,8
12,0
13,3
fermarmi al diploma e
trovarmi un lavoro
11,5
non so ancora
Nativi
23,9
continuare con
l'università come
studente a tempo
pieno
continuare con
l'università anche
facendo altro
F
26,9
0%
42,8
20%
18,9
40%
60%
80%
100%
p < 0.001
Fonte: elaborazione da Erica–WP3.
Tab. 3.5.13 - Risposte alla domanda "Se pensi di continuare all’università, a cosa prevedi di iscriverti?"
per provenienza (% di colonna).
Migranti
Nativi
Non so ancora
22,2
19,4
Medicina (professioni paramediche)
16,3
14,8
Ingegneria
14,6
12,3
Economia
14,1
12,9
Lingue e letterature straniere
12,2
6,2
9,4
5,1
Medicina (per la professione medica)
8,0
8,9
Giurisprudenza
7,8
8,5
Psicologia
7,5
9,4
Architettura
6,8
6,8
Scienze della comunicazione
5,2
4,3
Scienze politiche
3,8
4,8
Scienze motorie
3,4
5,4
Lettere e filosofia
2,7
4,9
Scienze chimiche
2,5
5,5
Scienze della formazione
2,3
6,4
Farmacia
1,8
2,8
Agraria
1,7
3,1
Biotecnologie
1,5
2,2
Veterinaria
0,3
2,8
521
Fonte: elaborazione da Erica–WP3.
5926
Informatica
N
95
Le facoltà preferite dai migranti sono simili a quelle più scelte dai nativi (tabella 3.5.13):
laurea per professioni paramediche, oppure ingegneria e economia, seguite da lingue e
informatica (invece i nativi scelgono in misura maggiore psicologia e medicina per la
professione medica).
Rispetto alle aspirazioni occupazionali, le professioni sanitarie sono le più ambite sia dai
migranti che dai nativi (figura 3.5.3).
Fig. 3.5.3 - Risposte alla domanda "Ti proponiamo un elenco di professioni. Quale tra queste vorresti
fare?" per provenienza (%).
100%
90%
80%
70%
60%
50%
40%
4,0
4,8
5,0
5,4
7,6
9,2
5,6
7,2
7,1
4,6
5,3
9,7
9,9
11,7
10,5
12,8
10%
professioni artistiche e creative
insegnamento
professioni giuridiche
professioni legate alle nuove
tecnologie
altro
6,7
non so ancora
13,3
turismo
30%
20%
comunicazione, pubblicità
14,3
10,3
16,4
18,6
0%
Migranti
professioni tecniche e scientifiche
professioni nel campo
dell’economia
professioni sanitarie
Nativi
Fonte: elaborazione da Erica–WP3.
Una delle vie di accesso al ceto medio migrante è il lavoro in proprio. Dal questionario
tuttavia non emergono differenze significative tra italiani e migranti a questo proposito:
aspirano al lavoro alle dipendenze circa il 20% degli intervistati nativi e il 23% dei
migranti, e a quello come imprenditori il 16% di entrambi i gruppi, mentre mirano alle
libere professioni circa il 30% di entrambi i gruppi. Con un importante effetto genere:
vorrebbero lavorare come imprenditori il 22,8% dei maschi nativi e il 24,5% dei migranti,
e solo il 9,5% delle femmine sia native che migranti. Mentre per i nativi con genitori con
titolo di studio alto o classe occupazionale medio-alta la percentuale di chi desidera la
libera professione sale rispettivamente al 38 e 32%, per i migranti non ci sono differenze
significative in base al capitale culturale o alla situazione lavorativa dei familiari adulti.
Fermandosi un passo prima dell’ingresso nel mercato del lavoro, il questionario non può
dirci molto sulle chances che questi ragazzi avranno rispetto alla ricerca del primo lavoro.
96
Tuttavia informazioni utili possono venirci in merito al capitale sociale: da questo punto
di vista i migranti sembrano svantaggiati rispetto ai nativi (tabella 3.5.14).
Tab. 3.5.14 - Risposte alla domanda "Nella tua famiglia o tra coloro che frequenti c’è qualcuno che svolge
il lavoro che vorresti fare?" per provenienza (% di sì per ogni item).
Migranti
Nativi
nessuno
62,3
55,4
amici di famiglia
cugini, zii, altri parenti
altri
uno o entrambi i miei
genitori
nonni
12,7
12
9,3
13,1
15
8,3
7,5
14
2,2
1,7
1,9
3,2
fratelli o sorelle
N
521
5926
Fonte: elaborazione da Erica–WP3.
I migranti si dichiarano più disponibili a spostarsi per trovare lavoro soprattutto all’estero,
anche tra i liceali, i più propensi alla mobilità nel campione.
Tab. 3.5.15 - Risposte alla domanda "Per lavorare saresti disposto a trasferirti anche per qualche anno?"
per provenienza e tipo di insegnamento (% di riga).
Nativi
Migranti
sì, in un'altra
sì, in un'altra
sì, anche
regione
all'estero
città
d'Italia
no
N
Liceo
13,5
10,5
68,9
7,1
2515
IT
16,5
13,6
56,7
13,2
1629
IP
14,2
12,9
55,4
17,4
765
Totale
14,6
11,9
62,7
10,7
4909
Liceo
9,0
5,5
80,7
4,8
145
IT
11,7
6,7
76,7
5
180
IP
13
5,5
72,6
8,9
146
Totale
11,3
5,9
pn < 0.001 pm > 0.05
76,6
6,2
471
Fonte: elaborazione da Erica–WP3.
Titolo di studio e collocazione occupazionale medio-alti spingono gli italiani a muoversi,
mentre non hanno impatto significativo sui migranti. Le femmine italiane sono quelle che
si dichiarano meno propense a trasferirsi, mentre il gruppo dei migranti non presenta
differenze di genere significative.
97
3.5.5. I legami amicali
La percezione di normalità di determinati percorsi di inserimento nella società italiana,
dal punto di vista della stratificazione sociale e occupazionale, può costruirsi
nell’interazione con il gruppo dei pari.
La scuola risulta un importante luogo di socializzazione. Hanno incontrato l’amico/a più
caro/a a scuola il 67,6% delle femmine e il 57,9% dei maschi nativi, il 68,6% delle
femmine e il 48% dei maschi migranti. I pari di riferimento tendono ad essere in
maggioranza esterni alla scuola per gli studenti di istituti professionali o tecnici, più
interni per chi frequenta il liceo: un dato che risulta più accentuato tra i migranti rispetto
ai nativi. I migranti inoltre tendono ad avere amici più grandi di età rispetto ai nativi,
soprattutto nei professionali, e più amici italiani se frequentano il liceo. Frequentare il
liceo quindi può implicare anche avere una rete di riferimento costituita maggiormente da
italiani con istruzione secondaria, e più alta probabilità di prosecuzione degli studi
nell’istruzione terziaria rispetto a chi frequenta altri tipi di scuola (tabella 3.5.16).
Tab. 3.5.16 - Risposte alla domanda "Chi sono i tuoi amici?" per provenienza e tipo di insegnamento
(% di riga).
Nativi
Migranti
tutti
compagn
i di
scuola
in
maggioranza
compagni/e di
scuola
Liceo
2,1
22
in egual
misura
compagni di
scuola e amici
esterni alla
scuola
44,1
IT
2,7
14,4
IP
3,1
15,5
Liceo
5,3
IT
IP
in
maggioranza
amici esterni
alla scuola
N
31,8
2956
39,6
43,3
1934
39,3
42,1
976
20,5
45
29,1
151
5,1
12,7
30,5
51,8
197
2,5
14,7
29,4
p < 0.001
53,4
163
Fonte: elaborazione da Erica–WP3.
3.5.6. Aspirazioni di un futuro ceto medio immigrato?
Dal questionario emergono differenze tra migranti e nativi al termine delle secondarie di
secondo grado sia rispetto al percorso scolastico sia rispetto ai desideri e ai progetti di
studio e inserimento occupazionale post-diploma. Anche se, per controllare effetti causali,
occorrono naturalmente modelli multivariati. Guardando all’istruzione non solo come
acquisizione di competenze, ma anche come investimento per la futura collocazione
occupazionale, si possono evidenziare alcune specificità connesse ai processi migratori da
98
approfondire nello studio qualitativo. Innanzitutto la scelta dei percorsi tecnicoprofessionali è preferita dai migranti anche quando conseguono un buon voto all’esame
per la licenza media, hanno genitori laureati o di classe occupazionale medio-alta. La
concentrazione dei migranti nell’istruzione tecnico-professionale è anche dovuta a
riorientamenti successivi, che avvengono nel corso della secondaria di II grado.
L’influenza esercitata da docenti e orientatori in questo processo sembra più elevata per i
migranti che per i nativi, anche perché i genitori dei migranti talvolta non sono presenti.
Le famiglie migranti inoltre paiono meno supportate nella scelta scolastica dalla rete
parentale e amicale di riferimento. Lo squilibrio di status vissuto dai genitori dei migranti
sembra tradursi in un minor effetto della collocazione occupazionale sulle traiettorie di
istruzione dei migranti, mentre il titolo di studio elevato si accompagna a segnali di
maggiore investimento in istruzione, anche se generalmente più contenuti rispetto a quelli
dichiarati dai nativi.
Secondo i dati istituzionali i migranti sono più colpiti dalla dispersione scolastica, e
dunque gli studenti al termine della secondaria sono più selezionati rispetto ai nativi. E in
effetti, come ipotizzato all’inizio di questo lavoro, proprio nei tipi di insegnamento in cui
la percentuale di bocciature e drop-out è più elevata, IT e IP, la percentuale di chi intende
continuare all’università è più elevata tra i migranti che tra i nativi. Al liceo viceversa i
migranti non hanno aspettative più elevate di prosecuzione degli studi all’università.
Anche se la gran parte di loro dichiara che vorrebbe continuare con l’istruzione terziaria,
ben un terzo afferma di non poterlo fare perché “dovrà andare a lavorare”. Altre
informazioni utili ci vengono dai dati sulla rete amicale: i migranti, già mediamente più
vecchi dei compagni di classe nativi (non per effetto di bocciature), tendono a frequentare
amici esterni alla scuola, non italiani e più grandi di età, specie se iscritti agli istituti
professionali o tecnici e se maschi. Per gli studenti del liceo, che tra l’altro sono più
spesso femmine, il riferimento relazionale è invece principalmente la scuola.
Inoltre i migranti in media conoscono meno familiari, amici o conoscenti che svolgono il
lavoro a cui essi aspirano. Rispetto alle aspirazioni di collocazione professionale, la
percentuale di chi mira a lavorare in proprio è simile a quella registrata tra i nativi.
Piuttosto è il genere che in questo caso fa la differenza. È probabile che i migranti
scolarizzati in Italia possano sfruttare (o si aspettino di poter sfruttare) canali di accesso al
ceto medio più simili a quelli aperti per gli italiani, dato che il titolo di studio che stanno
per conseguire, e quello che in alcuni casi vogliono ottenere in futuro, sono riconosciuti in
Italia. Inoltre è possibile che godano di uno status immigratorio giuridicamente più
99
protetto, o di più elevate probabilità di ottenere la cittadinanza italiana, necessaria per
alcuni lavori nel settore pubblico. Ma questo lo verificheremo con le interviste qualitative.
I migranti sembrano comunque molto più attrezzati che i nativi a entrare in un mercato
del lavoro qualificato sempre più internazionale: conoscono più lingue e sono più disposti
a trasferirsi all’estero per lavoro, sia i ragazzi che le ragazze. Tuttavia, e le diseguaglianze
tra famiglie sembrano passare anche da qui, hanno frequentato meno corsi formativi
extrascolastici a pagamento (ad esclusione dei corsi di lingue). I lavoretti, svolti in misura
maggiore che dai compagni italiani, e la “mancanza di tempo”, segnalata soprattutto dalle
ragazze, suggeriscono un maggiore impegno dei migranti nel lavoro familiare, o nel
trovare piccole fonti di reddito alternative per le proprie spese. Questo fatto, unito al più
lungo tempo dedicato allo studio e alle minori risorse economiche familiari, possono
concorrere al minor ricorso ad agenzie educative extrascolastiche. Per i migranti, ancor
più che per i nativi nella stessa condizione socio-economica, la scuola sembra quindi
rappresentare un’istituzione importante per accedere a posizioni meno svantaggiate nella
stratificazione sociale.
Proseguiamo quindi con l’analisi della reazione istituzionale alla presenza degli studenti
migranti.
100
4. In cerca di un modello italiano. Analisi interlivello di legislazione e
pratiche di inserimento
Tutto al più si grida un po’ e si geme sotto la sferza di qualche fatto, che in quei nostri fratelli offende il
nostro amor proprio nazionale, si grida e si compassiona e si reclama anche, se si vuole, qualche misura dal
Governo, e poi?
Tutto tace, tutto si copre di oblio, tutto rientra nella calma;
la calma infida dell’onda che nasconde la vittima e se ne preparano di nuove!
(G. B. Scalabrini, Prima conferenza sulla emigrazione, istituto Cristoforo Colombo, 1891)
La legge è chiara e va rispettata.
(M. Gelmini, 11 marzo 2011, www.istruzione.it)
La pace perpetua è certo un'idea impraticabile.
Ma i principi politici che tendono a questo scopo […] non sono affatto irrealizzabili […].
Dunque non si tratta più di sapere se la pace perpetua sia una cosa reale o un non senso,
e se noi non ci inganniamo nel nostro giudizio teorico, quando accettiamo il primo caso;
ma noi dobbiamo agire sul fondamento di essa, come se la cosa fosse possibile, il che forse non è...
(I. Kant, Metafisica dei costumi, 1797)
Da tempo gli osservatori hanno segnalato il rischio di una politica interculturale solo
simbolica, per mancanza di mezzi e coordinamento centrale. Gli interventi su due
modelli, nel Sud, interamente scolastico - ministeriale; nel Centro – Nord, promosso da
enti locali e associazionismo, individuati nei primi anni Duemila (Fischer e Fischer, 2002,
p. 32)61, sembrano negli ultimi tempi lasciare il posto a un sistema misto di
coordinamento tra pubblico, privato sociale e terzo settore. Come prospettato nel secondo
capitolo, di seguito si tenterà quindi di ricostruire il quadro istituzionale relativo
all’inserimento dei migranti a scuola in Italia dagli anni Ottanta al 2011 attraverso
l’analisi di tre livelli di intervento: nazionale, locale e di singolo istituto scolastico, e il
confronto tra norme e pratiche, con lo scopo di definire il contesto nel quale prendono
forma i percorsi scolastici degli studenti. Particolare attenzione verrà posta alle scuole
secondarie di II grado e, nel paragrafo sulla dimensione locale, alla regione Piemonte e
alla città di Torino.
61
Emerso anche per i progetti sulle lingue di minoranza (Miur, 2010b).
101
4.1.Le
indicazioni
del
centro:
intercultura,
individualizzazione,
incertezza
nell’implementazione
La scuola statale italiana ha storicamente dovuto gestire la diversità culturale (cfr. ad
esempio Gobbo, 2002; Dutto, 2000; Giovannini, 1998; Bonifazi, 1998), sia per effetto
delle migrazioni interne, sia per l'eterogeneità di dialetti e culture che ha caratterizzato la
penisola prima e dopo l'Unità nazionale. Fino al termine degli anni Settanta, tuttavia, il
tema della differenza tra culture a scuola è assente dalle politiche educative. Proprio per il
suo compito costitutivo della giovane identità nazionale62, quella italiana rimane
ufficialmente una scuola monolingue, poco incline a tenere conto dell’eterogeneità
culturale nei curricola63. La propensione per il modello integrato (v. cap. 1) si afferma
con lo sviluppo della riflessione pedagogica sulla disabilità e l’enfasi alla centralità della
persona, da accogliere nella sua unicità.
Io credo che, nella scuola italiana, la nostra idea di integrazione venga da molto lontano.
Dalla legge 517 del ‘77, una signora legge che ha fatto dell’integrazione un concetto
pedagogico chiave. Le scuole degli anni Settanta erano scuole di passione, scuole innovative,
ora ° se dovessi dire, direi che sono scuole di stanchezza °, ma negli anni Settanta molte
avevano voglia di sperimentarsi, sono state fatte grosse esperienze scolastiche e umane, e
questo ha costituito un terreno fertile per parlare di integrazione. Con la legge 72 si abolivano
le classi differenziali. Per cui l’integrazione è nata per una scuola inclusiva con i disabili, si è
parlato per la prima volta di Piani individualizzati personalizzati e questa è stata una
rivoluzione pedagogica (test. qual. 14: Lucia).
Nel corso degli anni Ottanta il concetto di educazione multiculturale viene impiegato per
fare riferimento alle minoranze storiche e alle loro esigenze linguistiche (Dutto, 2000).
Bisognerà attendere il 1989 per vedere riformulata la legislazione degli anni Venti (Regio
decreto n. 653 del 4 maggio 1925 sull’inserimento nella scuola italiana dei giovani
provenienti dall’estero). Proprio in quell’anno viene istituito il primo gruppo di lavoro per
l’inserimento degli alunni stranieri, presso la Direzione generale della scuola elementare,
formato non solo da funzionari ma anche da universitari e esperti64. Un anno prima della
“legge Martelli”.
62
In effetti il sistema scolastico dalla legge Casati (R.D. 13/11/1859) era pensato per formare la classe
dirigente, e non certamente per ridurre le disuguaglianze sociali nello spirito dell’unità nazionale, tuttavia
esso aveva permesso di superare “le tendenze centrifughe degli stati annessi al Regno d’Italia” (Milinterno,
2004). Ringrazio Concetta Mascali per avere discusso con me questo punto e Maria Angela Donna per
l’invio dei materiali.
63
Anche se, di fatto, specialmente nelle aree rurali, gli insegnanti di scuola elementare fino ad anni recenti
utilizzavano talvolta il dialetto.
64
In Portogallo fu creato nel 1991 all’interno del ministero dell’Educazione il Secretariado Coordenador
dos Programas de Educação Intercultural. In Spagna nella Ley Organica 1/1990 di Ordenamiento General
del Sistema Educativo (Logse) si menziona il rispetto per il pluralismo linguistico e culturale, ma i principi
dell’educazione interculturale comparvero la prima volta nel Real Decreto 299/1996. In Svezia invece la
102
Il modello di integrazione previsto dal centro nel corso degli anni Novanta è piuttosto
avanzato: non prevede un assimilazionistico e unilaterale adeguamento dell’alunno alla
scuola ricevente, ma si fonda sull’ideale pedagogico dell’intercultura (adattamento
reciproco, non solo dei migranti verso l’istituzione scolastica, ma anche viceversa).
L’articolo 36 della legge 40 del 1998, recependo molti contenuti delle precedenti circolari
ministeriali su iscrizione e vita scolastica degli alunni stranieri, prevede: obbligo
scolastico e pari opportunità di istruzione per tutti i minori stranieri; educazione
interculturale come fondamento pedagogico dell’organizzazione e della didattica;
mediazione interculturale; territorialità e coordinamento tra enti per favorire il diritto allo
studio degli studenti stranieri65. L’emanazione di questi orientamenti legislativi subisce
una battuta d’arresto a fine anni Novanta per riprendere dal 2006. I testi di riferimento più
recenti sono la C.M. 24/2006, Linee guida per l’accoglienza e l’integrazione degli alunni
stranieri (Miur, 2006) e il documento dell’Osservatorio nazionale per l’integrazione degli
alunni stranieri e per l’educazione interculturale: La via italiana per la scuola
interculturale e l’integrazione degli alunni stranieri (Miur, 2007). Questi ribadiscono
l’adesione all’approccio pedagogico interculturale, il diritto all’istruzione per tutti,
l’importanza della programmazione di corsi di italiano come L2 e dell’orientamento alle
famiglie, l’impiego di mediatori e interpreti, la formazione del personale a scuola (ad es.
D.M. 45/2005), la valutazione formativa. Per cogliere le implicazioni dei riferimenti
normativi sui percorsi scolastici, vediamo come procedono dalla fine degli anni Ottanta le
indicazioni nazionali rispetto alle seguenti questioni: ammissione a scuola; assegnazione
alla classe e fondi per scuole in aree a forte processo immigratorio; integrazione
linguistica; formazione di insegnanti e dirigenti; valutazione differenziata; tutela
dell’identità culturale del minore e educazione interculturale; politiche per l'integrazione e
risorse istituzionali.
dizione fu utilizzata la prima volta nei documenti ufficiali dieci anni prima, quando nel 1986 il Parlamento
stabilì che dovesse trattarsi di un approccio da adottare in tutti i tipi di scuola, su proposta della
Commissione governativa per il Linguaggio e l’eredità culturale (Comenius, 2000).
65
Il D.Lgs. n.286/98, Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norma
sulla condizione dello straniero, art. 38 Istruzione degli stranieri - Educazione interculturale (legge 40/98,
art. 36 L.943/86, art. 9, commi 4 e 5) stabilisce che "1. I minori stranieri presenti sul territorio sono soggetti
all’obbligo scolastico: ad essi si applicano tutte le disposizioni vigenti in materia di diritto all’istruzione, di
accesso ai servizi educativi, di partecipazione alla vita della comunità scolastica. 2. L’effettività del diritto
allo studio è garantita dallo Stato, dalle regioni e dagli enti locali anche mediante l’attivazione di appositi
corsi ed iniziative per l’apprendimento della lingua italiana. 3. La comunità scolastica accoglie le differenze
linguistiche e culturali come valore da porre a fondamento del rispetto reciproco, dello scambio tra le
culture e della tolleranza; a tale fine promuove e favorisce iniziative volte all’accoglienza, alla tutela della
cultura e della lingua d’origine e alla realizzazione di attività interculturali comuni".
103
4.1.1. Ammissione a scuola: alcuni passi da gambero?
L’istruzione in Italia è un obbligo per tutti, non solo un diritto, indipendentemente dalla
regolarità del soggiorno dei genitori. Il decreto presidenziale 394/1999 sviluppa in ottica
inclusiva la normativa precedente66 e stabilisce anche per i minori irregolari il diritto
all’istruzione e al conseguimento dei titoli di studio “nelle forme e nei modi previsti dai
cittadini italiani” (art. 45, co. 1). In quest’ambito la dottrina italiana appare dunque
precocemente protettiva nei confronti dei minori migranti rispetto a quella di molti paesi
dell’Unione europea, dove il processo di equiparazione degli irregolari ai nativi è stato
graduale, recente e talvolta ancora di là da venire (Eurydice, 2004). Diversi studiosi
hanno dunque segnalato la frattura tra politiche educative inclusive e legislazione sugli
ingressi escludente (ad es. Dutto, 2000). Negli ultimi anni, tuttavia, alcune misure e
proposte sono state lette come passi indietro. O, potremmo dire, come riavvicinamento tra
politiche migratorie e politiche educative per i migranti: riportano il dibattito dal successo
scolastico per tutti, all’accesso all’istruzione solo per alcuni.
Tra le mosse all’indietro, è normalmente inserita la mozione Cota sulle “classi ponte”,
molto criticata, modificata e infine non adottata67. Un altro segnale in questa direzione
sarebbe stato introdotto dalla legge 94/2009 che, modificando il T.U. sull’immigrazione
stabilisce, l’obbligo68 per lo straniero di esibire il permesso di soggiorno per richiedere
alla Pubblica amministrazione “licenze, autorizzazioni, iscrizioni ed altri provvedimenti
di interesse dello straniero comunque denominati”, fatto salvo, tra l’altro, le prestazioni
scolastiche obbligatorie. A questa modifica si accompagnano l’introduzione del reato di
ingresso e soggiorno illegale (art. 10-bis T.U. 286/98) e dell’obbligo per il pubblico
ufficiale e per l’incaricato di pubblico servizio di denunciare le notizie di reato (art. 331
c.p.p.). Tuttavia per l’Asgi (2009) l’accezione di prestazioni scolastiche obbligatorie può
includere, nella logica del diritto all’istruzione garantito da norme nazionali e
66
La C.M. 400/91 "Iscrizione degli alunni alle scuole materne, elementari e secondarie di primo e secondo
grado" prevedeva di iscrivere i minori stranieri soggiornanti regolari. Dalla C.M. n. 32/93 "Minori privi di
permesso di soggiorno", fino alla C.M. n. 119/95 "Iscrizione degli alunni alle scuole o istituti statali di ogni
ordine e grado" secondo cui l’iscrizione con riserva prevista dalla C.M. 5/94 si scioglie al conseguimento
del diploma di scuola media inferiore e superiore, il diritto all’istruzione è previsto anche per i minori
irregolari. Il T.U. del 1998 sancisce il fondamentale passaggio dal diritto all’obbligo scolastico anche per gli
stranieri irregolari (cfr. Cacciavillani e Di Bella, 2002).
67
Le classi ponte in alcuni paesi europei che optano per il modello separato, citate da Biondi dal Monte
(2011) come esempio di discriminazione attuata proprio dalle istituzioni incaricate di integrare, sono state
giudicate discriminanti dalla Corte europea, ad esempio con la sentenza D.H. e altri c. Repubblica Ceca, del
13 dicembre 2007. La Corte EDU ha affermato che iscrivere alunni rom in scuole speciali per deficit
intellettuale, anche dopo test cognitivi, è discriminante e viola il diritto all’istruzione (art. 14 CEDU e art. 2
Prot. n. 1). Altre sentenze sul tema sono state Sampanis e altri c. Grecia, sentenza del 5 giugno 2008, Oršuš
e altri c. Croazia, Folgerø e altri c. Norvegia, sentenza del 29 giugno 2007.
68
Obbligo poi parzialmente attenuato da successive circolari interpretative.
104
internazionali69, la scuola dell’infanzia e la scuola secondaria di II grado fino alla
maggiore età. Inoltre il personale scolastico non sarebbe tenuto a richiedere documenti
comprovanti la regolarità del soggiorno, e l’obbligo di denuncia sarebbe concreto solo in
caso di certezza del reato di soggiorno illegale, difficilmente valutabile da parte di P.U. e
potenzialmente lesivo del diritto di istruzione del minore.
Anche la nota ministeriale dell’8 maggio 2009 sull’esibizione del codice fiscale all’esame
di maturità è stata letta dall’opposizione di governo e dalle confederazioni sindacali come
possibile fonte di discriminazione nell’accesso all’istruzione (al conseguimento del titolo)
per gli studenti irregolari. Il ministero ha rassicurato sulla funzione meramente
conoscitiva della disposizione, legata all’Anagrafica degli studenti e alla lotta alla
dispersione scolastica, e sulle possibilità di essere ammessi all’esame anche senza codice
fiscale. Il presunto esito discriminatorio della misura è stato definito dal Ministro “la
solita montatura della sinistra”. Tuttavia, nelle scuole secondarie di II grado,
l’applicazione corretta della legislazione ha la conseguenza di vietare l’iscrizione
all’esame per gli irregolari, come spiegano le testimoni qualificate.
In teoria per gli irregolari non sarebbe possibile frequentare l’ultimo anno, noi permettiamo di
frequentare ugualmente, ma poi non puoi iscriverli all’esame, là ti chiedono il codice fiscale e
non si scappa. Li iscriviamo sub conditione, anche a scuola hanno tre anni per regolarizzarsi,
ma poi se non lo fanno non possono più frequentare, e anche l’iscrizione sub conditione
all’esame di quinta non è legale. E’ tutta un’area di semi-illegalità nella quale questi vivono
quando arrivano alla maggiore età (ins. ref. IT Alfa 2: Vittoria).
La messa in discussione del diritto all’istruzione per gli irregolari sembra quindi retorica,
per quanto riguarda i minori. Diventa effettiva, a seconda della solerzia nell’applicazione
della normativa, per i maggiorenni. Quando sono irregolari essi si collocano,
nell’espressione efficace di Vittoria, in un’area di semi-illegalità, più o meno emersa, con
più o meno conseguenze, a seconda dell’istituto scolastico in cui si trovano e della
decisione degli operatori di agire contra legem. Ma questo riguarda appunto i
maggiorenni, che sono solo una piccola parte degli studenti migranti in Italia. Di fatto per
tutti gli altri l’iscrizione rimane obbligatoria in qualunque momento dell’anno. Rispetto ai
servizi educativi prescolastici a gestione locale che hanno tentato di vietare l’iscrizione ai
minori irregolari, motivando tale scelta con la cronica carenza di posti e con il presunto
tentativo di incarnare la volontà delle famiglie italiane, la reazione del centro finora è
sempre stata sanzionatoria. Inoltre lo stesso Ministro dell’istruzione Gelmini aveva
esplicitato il mantenimento dello iato tra minori e maggiorenni, semmai acuito
69
Costituzione italiana, Dichiarazione universale dei diritti umani, Convenzione internazionale di New
York sui diritti del fanciullo (1989), legge delega 53/2003 e D.M. 139/2007.
105
dall’inasprimento delle norme sugli ingressi, commentando la sentenza della Corte di
Cassazione del marzo 2010 secondo cui non è possibile chiedere di rimanere in Italia per i
soggiornanti irregolari con figli minori iscritti a scuola.
Ritengo giusta la sentenza dei giudici. La scuola italiana è pronta ad accogliere i bambini in
difficoltà e a supportarli in un percorso educativo che li prepari e li formi. Il nostro sistema
d’istruzione ha sempre incluso e mai escluso e le colpe dei genitori non possono ricadere sui
figli. Allo stesso modo però non si può giustificare chi utilizza i bambini e li strumentalizza
per sanare situazioni di illegalità. La legge è chiara e va rispettata. Per questo i giudici hanno
ragione quando affermano che si finirebbe col legittimare l’inserimento di famiglie di
clandestini strumentalizzando l’infanzia (11 marzo 2010, www.istruzione.it).
Le indicazioni del centro appaiono quindi più politicizzate nella retorica, ma
sostanzialmente invariate nei contenuti, per la scuola primaria, secondaria di I grado e
secondaria di II grado fino all’assolvimento dell’obbligo. Più discrezionalità, e effetti non
solo retorici dell’approccio securitario all’immigrazione, appaiono a livello di scuola
dell’infanzia (o pre-scuola) e anni finali di scuola secondaria di II grado.
4.1.2. Gestire la concentrazione: assegnazione alla classe e fondi per scuole in aree ad
alto flusso immigratorio
L’assegnazione alla classe dovrebbe basarsi sull’età anagrafica, a meno che il Collegio
docenti non deliberi diversamente in base alle competenze, ai titoli conseguiti dallo
studente prima dell’iscrizione e al sistema scolastico del paese d’origine. La C.M.
205/1990 consigliava di riunire gli alunni per gruppo linguistico, e procedere per
raggruppamenti transitori in base alle esigenze, ma sempre all’interno delle scuole e delle
classi con tutti gli altri allievi nativi. Su questo punto, un’innovazione è rappresentata
dalla circolare sull’istituzione del limite del 30% di allievi stranieri per classe (C.M.
2/2010). Anche se il centro dagli anni Ottanta raccomanda di evitare la concentrazione
scolastica degli alunni immigrati70, è la prima volta che emana una misura di intervento
specifica. La circolare sembra avere colto esigenze espresse anche dal mondo della scuola
e dal livello locale (Anci, 2009). Inoltre sembra voler rispondere ai timori sulla
concentrazione spaziale dei migranti nelle città.
Vogliamo evitare che nelle nostre scuole si riproducano gli stessi “ghetti” che già esistono in
molti quartieri delle città italiane. Sono questi i veri ostacoli all’inclusione. Per affrontare il
problema dell’immigrazione quindi sono necessarie proposte che, a differenza delle politiche
permissive del passato, puntino concretamente all’inclusione degli stranieri. Nella scuola,
70
D.P.R. 10 settembre 1982, n. 722, Art. 1 “L'assegnazione alle classi degli alunni iscritti ai sensi del
presente articolo è effettuata, ove possibile, raggruppando alunni dello stesso gruppo linguistico che,
comunque, non devono superare il numero di cinque per ogni classe”. Anche se nell’‘82 i migranti erano
così pochi che la richiesta di iscrizione poteva rivolgersi direttamente al Provveditorato agli studi.
106
come nei quartieri delle nostre città, è necessario combattere l’esclusione (15 febbraio 2010,
www.istruzione.it).
“Dispiace constatare” continua il Ministro “che, anche in questa occasione, la sinistra ha
saputo solo strumentalizzare senza avanzare alcuna proposta convincente per governare
questi fenomeni” (Id.). In realtà la circolare è stata apprezzata da membri di diversi
schieramenti politici in quanto utile per la programmazione. Oltre a istanze organizzative,
essa riporta però una visione degli immigrati in classe come fonte di “disagio”,
“difficoltà”, “aspetti problematici e criticità di non facile gestione e soluzione, che
incidono negativamente sull’efficacia dei servizi scolastici e sugli esiti formativi” (C.M.
2/2010). Anche se la circolare ribadisce in nota l’adesione al progetto interculturale, si
può leggere nel testo un rovesciamento di quell’approccio: non sono l’istituzione
scolastica e la sua organizzazione a determinare gli insuccessi scolastici dei migranti, ma
sono gli alunni stranieri portatori di insuccesso nell’organizzazione scolastica. Appare
comunque di nuovo un rovesciamento più retorico che operativo, anzi in questo senso la
circolare sembra, relativamente alle altre, dare concretezza agli ideali della mixité.
La gradualità dell’entrata in vigore del provvedimento, le possibilità di modificare il
limite secondo valutazioni dell’Ufficio scolastico regionale, la richiesta di evitare “ogni
rigidità burocratica” nell’applicazione, in relazione a paese di nascita e competenze
linguistiche dei bambini stranieri da inserire nel computo, alle strutture professionali e
alle “consolidate esperienze attivate da singole istituzioni scolastiche”, a cui si
aggiungono “ragioni di continuità didattica” e “stati di necessità provocati dall’oggettiva
assenza di soluzioni alternative”, rendono al momento difficilmente interpretabili i primi
esiti dell’intervento, ma fanno presumere un ampio margine di negoziazione a livello
locale, deroghe e applicazioni parziali. Molto dipenderà da come si organizzeranno le
strutture di coordinamento previste (scuole polo, task force regionale, gruppo nazionale di
lavoro). Secondo i primi dati ufficiali, la circolare “è stata rigidamente rispettata
consentendo solo in realtà specifiche la concessione di deroghe”, sei in Lazio, due in
Toscana (Prato) e Friuli, 20 in Piemonte. L’84% delle scuole in Lombardia applicheranno
l’indicazione (www.istruzione.it). Tuttavia la circolare continua a suscitare perplessità, in
particolare sulla eventuale coercizione degli spostamenti e il coinvolgimento del
territorio, e sulla valutazione delle competenze linguistiche. Ma anche sulle modalità di
107
monitoraggio dell’applicazione stessa. Inoltre, dalla fine del 2011 compaiono le prime
cause per discriminazione per la chiusura di scuole ad alta concentrazione di migranti71.
In ogni caso in Italia è la prima volta che si propone una misura per diminuire o prevenire
la segregazione spaziale a scuola. Come è noto infatti, in altri paesi, ad esempio Stati
Uniti o Francia, si è molto dibattuto sul contrasto tra ideali di uguaglianza di opportunità e
mixité da un lato e diritto di libera scelta delle famiglie dall’altro. Ma in Italia finora le
politiche avevano riguardato esclusivamente la riduzione degli effetti negativi della
concentrazione scolastica dei migranti e la gestione positiva di tale concentrazione. Con
questi scopi dal 1999 al 2002 il ministero dell’istruzione (Miur) aveva stanziato 10
miliardi di lire all’anno per “l'incremento del fondo d'istituto delle scuole situate in zone a
forte processo immigratorio” (C.M. 294/99, C.M. 221/2000, C.M. 155/01). D’intesa con
le organizzazioni sindacali, i criteri di assegnazione dei fondi tenevano conto per ciascuna
provincia della presenza di alunni stranieri o nomadi per scuola, pari o superiore al 10%.
Dal 2002/03 si continua ad assegnare il 70% dei fondi con questo criterio e il restante
30% sulla base del numero di alunni stranieri e/o nomadi presenti sul territorio regionale
(C.M. 106/02).
I fondi dal 2003/04 si uniscono a quelli per la prevenzione del disagio scolastico per un
totale di 53.195.060 euro, cifra invariata fino ad oggi. Si tratta di un finanziamento diretto
centralizzato, erogato dal Miur alle istituzioni scolastiche che abbiano presentato progetti
ritenuti idonei. I criteri di ripartizione tra gli Usr sono gli stessi dal 2005. Le variabili
considerate
(socio-economiche,
sanitarie,
culturali,
incidenza
della
criminalità,
dispersione scolastica e percentuale di alunni stranieri) fanno sì che più della metà delle
risorse sia attribuito alle scuole del Mezzogiorno, dove si registra relativamente maggiore
disagio e minore presenza di allievi migranti. Come si vede dalla tabella 4.1, nell’ultimo
periodo, in concomitanza con l’aumento degli alunni immigrati in Italia soprattutto al
Nord, la proporzione dei fondi destinata al Settentrione è aumentata. Questo fatto,
unitamente alla possibilità dei singoli Usr di destinare porzioni di fondi diverse a disagio
scolastico o integrazione degli allievi immigrati72 fanno pensare a un aumento dei
finanziamenti rivolti all’inclusione dei migranti, a discapito di quelli contro disagio e
dispersione. Anche se, va detto, negli ultimi anni una proporzione sempre maggiore di
alunni drop-out ha origini migranti. Gli ultimi ritardi o omissioni nell’erogazione degli
71
Sezione prima di scuola primaria, via Paravia, Milano.
Ad esempio in Lombardia nel 2009 si è stabilito di attribuire alle aree a forte flusso immigratorio il 90%
dei fondi, e dedicarne solo il 10% al disagio scolastico, Prot. n. MIUR AOODRLO R.U. 34981, Milano, 18
dicembre 2008.
72
108
stanziamenti73 e il loro carattere progettuale rendono difficile impiegarli per garantire
interventi strutturali.
Tab. 4.1 – Finanziamenti a progetti per scuole in aree a forte processo immigratorio e contro
l’emarginazione scolastica, percentuali per area dall’a.s. 2003/04 al 2011/12.
Usr
Piemonte
Lombardia
Veneto
Friuli Venezia Giulia
Liguria
Emilia Romagna
Totale nord
Toscana
Umbria
Marche
Lazio
Abruzzo
Molise
Totale centro
Campania
Puglia
Basilicata
Calabria
Sicilia
Sardegna
Totale sud e isole
Totale (€ 53.195.060 per a.s.)
Periodo 2003-07
3,8
7,4
4,6
0,9
1,0
2,4
20,2
2,9
1,2
2,2
4,8
2,6
0,8
14,7
21,5
13,5
1,9
7,3
17,3
3,5
65,1
100,0
Fonte: Miur74.
Periodo 2007-2012
5,0
11,9
6,1
1,4
1,8
5,7
32,0
4,1
1,4
2,4
6,1
2,3
0,6
16,9
16,5
10,0
1,9
5,8
13,5
3,5
51,1
100,0
Le politiche sulla prevenzione della segregazione spaziale sono state criticate perché la
vicinanza fisica non implica necessariamente interazione positiva; inoltre, non è chiaro
come definire le soglie più opportune di eterogeneità; infine mancano valutazioni
dell’impatto delle politiche de-segreganti (e in Italia anche dati sugli effetti della
concentrazione “etnica” a scuola e sul cosiddetto neighbourhood effect). Ma forse il
limite più sostanziale di questo tipo di politiche è che esse si rivolgono alla rimozione
delle disuguaglianze sociali tramite un mero tentativo di ri-distribuzione della
popolazione dello spazio. Per essere efficaci dovrebbero essere invece integrate, se non in
una “macropolitica d’inclusione socio-economica” (Alietti, 2011, p. 50), quanto meno in
73
Confermato dalla nota MIUR 28.07.2011, prot. n. 5981, “Progetti finanziati ai sensi dell'art. 9 CCNL
2006-2009. Misure incentivanti per progetti relativi alle aree a rischio, a forte processo immigratorio e
contro l'emarginazione scolastica. EE.FF. 2009, a.s. 2009/2010 e 2010, a.s. 2010/2011. Ricognizione risorse
erogate”.
74
Contratto Collettivo Integrativo Nazionale sui criteri di attribuzione delle risorse per le scuole collocate in
aree a rischio, con forte processo immigratorio e contro la dispersione scolastica, Art. 9 del C.C.N.L.
Comparto Scuola – Misure incentivanti per progetti relativi alle aree a rischio, a forte processo
immigratorio e contro l’emarginazione scolastica. Anni Scolastici 2003/04-2011/12 (C.M. 40/04; C.M.
41/05; C.M. 91/06; Prot. n. 4300/A6 del 2006; Prot. N. AOODGSC/779 del 2008; Prot. 3152 del 3 maggio
2010; Prot. 4315 del 23 giugno 2010; C.M. 67/11).
109
attività di valorizzazione dell’eterogeneità. Vedremo a livello di istituto scolastico alcuni
processi di concentrazione.
4.1.3. Integrazione linguistica: una faccenda prioritaria ma inizialmente locale
Il centro invita da tempo a porre come prioritaria l’educazione linguistica coordinandosi
con associazioni e enti locali (Miur, 2007). Dagli anni Ottanta spetta alle regioni
organizzare “appositi corsi di lingua e cultura italiana al fine di favorire l’integrazione
nella comunità italiana dei lavoratori extracomunitari e delle loro famiglie” (L.
943/1986). La C.M. 2/2010 invita alla formazione di reti tra scuole di ordini e gradi
diversi e alla collaborazione con il territorio. La predisposizione di corsi L2 dunque è
compito del livello locale. Il DPR 89/2009 prevede che le due ore settimanali per
l’insegnamento della seconda lingua comunitaria nella scuola secondaria di I grado
possano essere impiegate a determinate condizioni per insegnare italiano come seconda
lingua. Tuttavia l’ammontare di queste ore nella secondaria può ridursi per effetto
dell’introduzione dell’insegnamento dell’inglese potenziato, “anche utilizzando le due ore
di insegnamento della seconda lingua comunitaria” (Regolamento per il primo ciclo
d’istruzione, art. 5, c. 10). Negli ultimi anni sono inoltre diminuite le risorse finanziarie
disponibili. La scarsità dell’erogazione finanziaria dal centro in tema di L2 acuisce la
diseguaglianza tra i comuni, come Firenze o Torino, in cui l’amministrazione cittadina si
prende carico di attivare i corsi con risorse economiche, organizzative e umane, e i
comuni che invece sono meno presenti (Commissione Cultura, 2011, p. 21). I tagli ai
bilanci degli enti locali non miglioreranno la situazione.
4.1.4. Formazione degli insegnanti e dei dirigenti: il rischio “fai-da-te”
Proprio per via del modello integrato italiano, l’unico personale responsabile
dell’inserimento di solito è l’insegnante di classe, a differenza che in gran parte degli altri
paesi europei dove prevale il ruolo di docenti di sostegno, assistenti di classe o mentori
specializzati (Eurydice, 2004)75. Secondo la C.M. 205/1990, gli organismi decentrati del
ministero dell’istruzione dovrebbero sostenere la formazione in servizio dei docenti,
concetto ribadito dalla C.M. 73/1994, secondo cui tra i contenuti della formazione vanno
incluse competenze metodologiche nella gestione di classi multietniche e di insegnamento
75
Anche perché in paesi a più lunga tradizione migratoria dove la normativa sulla cittadinanza è più
concessiva, l’attenzione tende a concentrarsi sui nuovi arrivati (vedi progetto ENAF - Elèves nouveaux
arrivants en France in Francia; NAEP – New arrivals excellence programme in Gran Bretagna).
110
dell’italiano come L2, e elementi normativi per favorire l’interazione con famiglie e con
enti territoriali. Dal centro sono stati organizzati alcuni seminari nazionali per dirigenti e
insegnanti di scuole multiculturali, a partecipazione non obbligatoria. Tra le funzioni
strumentali dei docenti, inoltre, è possibile istituire un referente per l’intercultura e
l’inserimento scolastico degli allievi stranieri. Ma anche questo strumento, per ovvie
ragioni legate alla numerosità variabile degli alunni migranti per scuola, non è
obbligatorio. Non emerge al momento alcuna intenzione di istituire qualifiche
riconosciute e certificate a livello nazionale su intercultura e insegnamento dell’italiano
come L2 per docenti di scuola dell’infanzia, primo e secondo ciclo di istruzione.
Malgrado il centro colga sempre l’occasione di sottolineare l’indispensabilità di questo
aspetto (cfr. Miur, 2007), tanto che si tratta di una delle poche misure accompagnate da
risorse, in Italia non è prevista alcuna formazione iniziale specifica di tipo obbligatorio.
Neanche la formazione in servizio è obbligatoria, né per i docenti né per dirigenti. Ma
questo vale per tutta la questione “aggiornamento”, non solo per quello relativo
all’accoglienza degli alunni “stranieri”. Anzi, nonostante le riforme ordinamentali in atto,
dal gennaio 2011 la spesa annua in formazione della P.A. è stata dimezzata rispetto
all’anno precedente (D.L. 78/10). La Commissione Cultura ha dunque rilevato i rischi di
questa formazione “fai da te”, spesso realizzata appoggiandosi al privato sociale e al
volontarismo dei singoli docenti.
4.1.5. Valutazione differenziata: normativa chiara, applicazione carente
L’adattamento dei programmi per i migranti (DPR 394/99 art. 45, comma 4, DPR122/09)
è riferibile anche alla valutazione (C.M. 24/06), in relazione alle Indicazioni nazionali per
i piani di studio personalizzati e al più generale passaggio, già dalla legge 517/77, a una
valutazione non più certificativa ma regolativa. La C.M. 2/10 conferma l’adozione di una
valutazione differenziata, soprattutto per la secondaria di II grado, basata su obiettivi di
apprendimento individuali e piani educativi personalizzati definiti dai Consigli di classe.
L’applicazione ricade quindi a livello scolastico, vedremo nel paragrafo successivo
alcune testimonianze sul come è implementata. Qui ci basta notare che le indicazioni
normative sono rimaste coerenti nel tempo, volte a personalizzare i percorsi stabilendo
collegialmente i criteri da adottare.
111
4.1.6. Tutela dell’identità culturale e intercultura: nucleo centrale del “modello
italiano”
Il rispetto della diversità nell’alimentazione è introdotto dalla C.M. 205/90. Le Linee di
indirizzo nazionale per la ristorazione scolastica esortano a diminuire i rischi di
malnutrizione sia in eccesso sia in difetto, dovuti anche alle difficoltà delle famiglie
migranti di conciliare le abitudini alimentari italiane con quelle del paese di origine, e
ridurre le disuguaglianze tra i bambini, e, tramite loro, le famiglie, assumendo “la varietà
come paradigma”. I termini rimangono comunque molto generali, senza chiarirne
l’obbligatorietà.
Sul diritto degli alunni di esporre nella scuola pubblica simboli religiosi, a differenza che
in Francia, la questione è stata risolta, quando si è manifestata, a livello di istituto
scolastico. Il dibattito infatti, in Italia non ha riguardato la laicità delle pratiche o della
rappresentazione del sé degli studenti (e delle loro famiglie), ma piuttosto la neutralità
confessionale dello Stato. Stranamente non per l’insegnamento della religione cattolica in
orario curriculare (non obbligatorio, e talvolta scelto da non cattolici), quanto piuttosto
per la presenza in aula del crocifisso. La Corte europea nel 2009 aveva giudicato che
l’esposizione violasse la Convenzione europea dei diritti dell’uomo (art. 2 prot. 1, diritto
all’istruzione e art. 9, libertà di pensiero, coscienza e religione). Il governo italiano ha
quindi presentato ricorso alla Grande Camera (Lautsi c. Italia – ricorso n. 30814/06),
sostenendo tra l’altro che la laicità non consisterebbe nel mantenimento di una posizione
agnostica o atea ma nello sforzo di armonizzare la pluralità religiosa. Nel marzo 2011 la
Corte ha assolto l’Italia per mancanza di elementi provanti l’eventuale influenza del
simbolo. Tuttavia ha affermato che non spetta alla Corte sciogliere un dibattito non risolto
neppure dalle principali istituzioni italiane: Consiglio di Stato e Corte di Cassazione.
La tutela della lingua di origine è prevista dal centro, secondo le direttive europee, a
partire dal 198176 (anche se non mancano esponenti politici che ancora oggi, malgrado il
generale accordo nella ricerca internazionale sul tema, vedono il mantenimento della L1
come deficit). Già la legge 943/86 stabiliva: “analogamente a quanto disposto per i figli
dei lavoratori comunitari e per i figli degli emigrati italiani che tornano in Italia, sono
attuati specifici insegnamenti integrativi, nella lingua e cultura di origine” (art. 9, c. 5). La
norma però non prevedeva fondi dedicati e demandava al livello locale o scolastico
76
L'art.3 della Direttiva comunitaria n 77/486 del 25 luglio 1977 “pone la necessità di promuovere,
coordinandolo con l'insegnamento normale, un insegnamento della madrelingua e della cultura del paese
d'origine” (C.M. 214/81).
112
l’attuazione. Dall’inizio degli anni Novanta il centro suggerisce attenzione interculturale
per comporre biblioteche e materiali didattici (C.M. 44/93). Più recentemente si
raccomanda un ripensamento dell’offerta formativa relativa alle lingue non italiane77
nell’ottica di conferire maggiore attenzione nel curriculum ordinario alle lingue madri dei
residenti in Italia (Miur, 2007). Tuttavia su questa dimensione sembrano più attivi gli
operatori locali che, come accennato nel primo capitolo, uniscono una logica mista di
finanziamento attraverso accordi bilaterali e nazionali78. In sintesi, dalla normativa si
evince un passaggio di enfasi dall’assimilazione linguistica e, in subordine, dal
valorizzare la lingua e la cultura d’origine (C.M. 301/89), all’obiettivo di coinvolgere
alunni italiani e migranti in un approccio pedagogico volto all’interazione tra le
differenze. Dalla fine degli anni Ottanta emerge la peculiarità dell’educazione
interculturale in Italia: attenzione all’individualità di ogni alunno e valorizzazione delle
sue risorse e dei suoi bisogni unici, differenti e dunque arricchenti79. Si esplicita inoltre il
nesso intercultura-democrazia e educazione alla cittadinanza80. Le circolari e le
indicazioni ministeriali su questo punto naturalmente vanno intese alla luce dei più
generali programmi scolastici per la scuola primaria e secondaria e degli orientamenti per
le scuole dell’infanzia. Dal 1994 si inizia infatti a rivolgere la riflessione interculturale
alle discipline scolastiche, con l’importante C.M. 73/94, la quale ricorda come elementi di
approccio interculturale si leggano già nei programmi della scuola media dal 1979, per la
scuola elementare dal 1985, negli orientamenti didattici della scuola materna dal 1991;
meno alle superiori anche se i programmi sperimentali del 1992 suggerivano
77
Sulle lingue di minoranza storiche cfr. Miur (2010b).
L’attivazione di corsi di lingua madre dei genitori per le G2 nel paese di destinazione, oltre che un
impatto sull’allargamento delle loro possibilità di rientrare al paese sfruttando le competenze acquisite in
Italia e quindi avendo più chances di collocarsi bene nella stratificazione sociale dell’area di origine,
favorisce anche il mantenimento di tali lingue, specie quando nel contesto dove sono parlate, come del caso
del bamiléké in Camerun, le possibilità di apprendimento formale sono limitate (Siebetcheu Youmbi, 2012).
79
La C.M. 301/89 invita a create "una serie di interventi intesi a garantire alla generalità degli immigrati
l’esercizio del diritto allo studio, e a valorizzare le risorse provenienti dall’apporto di culture diverse nella
prospettiva della cooperazione tra i popoli, nel pieno rispetto delle etnie di provenienza" e "di sollecitare gli
alunni ad accettare e capire quelle peculiarità, perché ciò contribuisce a promuovere una conoscenza
culturale aperta". La C.M. 205/90 esprime il tentativo di individualizzare i percorsi come segue: "gli alunni
stranieri sono prima di tutto alunni: bambini e bambine, ragazzi e ragazze con le loro individualità e
differenze, fra le quali l’appartenenza ad una diversa etnia si colloca come una delle variabili da prendere in
considerazione, senza tuttavia escludere gli opportuni accertamenti sul piano motorio, cognitivo e socioaffettivo che sono alla base di una corretta azione programmatoria per tutti gli alunni”. Confermano e
sviluppano questa impostazione la pronuncia del Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione (CNPI) su
“L’educazione interculturale nella scuola” del 23 aprile 1992 e su “Educazione civica, democrazia e diritti
umani” del 23 febbraio 1995; la C.M. 73/94 e la D.M. 58/96.
80
La C.M. 205/90 definisce l’educazione interculturale "condizione strutturale della società multiculturale
[che] avvalora il significato di democrazia, considerato che la diversità culturale va pensata quale risorsa
positiva per i complessi processi di crescita della società e delle persone”, temi ripresi negli anni Duemila
(Miur, 2007).
78
113
“significativi spunti” e chiavi “di rilettura degli stessi programmi vigenti”. L’approccio
pedagogico assunto a livello centrale in quegli anni aveva dunque anticipato
problematiche venute alla ribalta negli anni successivi. In particolare il rapporto tra
pluralità, cittadinanza e democrazia viene tematizzato presto dalle direttive sulla scuola.
Ultimamente anche le politiche educative più ampie, in particolare il “Terzo Piano
biennale nazionale di azioni e di interventi per la tutela dei diritti e lo sviluppo dei
soggetti in età evolutiva” (G.U. 09.05.2011, n. 106) prevedono di promuovere
l’interculturalità attraverso tutela della salute, accesso a servizi materno-infantili,
accompagnamento delle riunificazioni familiari, prevenzione dell’abbandono scolastico,
contrasto dei fenomeni di matrimonio e maternità precoce, sostegno agli affidamenti
familiari omoculturali.
L’adesione al modello interculturale è rinforzata dal centro attraverso l’organizzazione di
concorsi, seminari, convegni, con la collaborazione di studiosi e operatori scolastici
esperti. I testi elaborati in queste occasioni danno l’idea della maturità della riflessione
interculturale in Italia e della sua portata innovativa per il core curriculum. Emerge pure
lo sforzo di rinnovamento non solo pedagogico ma anche logistico, date alcune rigidità
organizzative della scuola. La partecipazione a queste iniziative è volontaria e non c’è
valutazione quantitativa della loro ricaduta, tuttavia esse contribuiscono alla
socializzazione dei materiali e soprattutto al confronto tra i diversi livelli di intervento. A
livello centrale, sono state fondate diverse agenzie di coordinamento. Dopo la
Commissione nazionale per l’educazione interculturale, nel 2004 viene istituito l’Ufficio
per l’integrazione degli alunni stranieri presso il Miur, Direzione generale dello studente,
e nel 2006 l’Osservatorio nazionale per l’integrazione degli alunni stranieri e
l’educazione interculturale. Tuttavia questo processo non è stato lineare. Anche in questo
ambito la discussione assume tratti di politicizzazione e disomogeneità (Ongini, 2010).
Ma di nuovo, fuori dal dibattito, le linee guida rimangono interculturali. Per l’attuazione è
quindi opportuno concentrare l’attenzione a livello di contesto e di scuola.
4.1.7. Interferenze, convergenze e accoppiamenti laschi tra ambiti di policies
Il Miur (2007) raccomanda di puntare alla sistematizzazione delle esperienze in corso,
nella consapevolezza che l’integrazione scolastica è solo parte di processi più generali di
inclusione. Oltre che dalle politiche per l’integrazione sociale sviluppate per altri ambiti
come lavoro, casa e salute (Besozzi, 2004), l’attuazione e l’efficacia delle indicazioni per
l’inserimento scolastico degli allievi stranieri a livello nazionale dipendono da almeno
114
altri
tre
insiemi
di
riferimenti
normativi
e
pratiche
attuative:
1.
gestione
dell’immigrazione; 2. naturalizzazione; 3. riforme del sistema scolastico.
1. Gestione dell’immigrazione. Rientrare in categorie più o meno protette, più o meno
“desiderabili” sul territorio italiano secondo la normativa in vigore81 incide sui percorsi
biografici e familiari dei bambini e dei giovani migranti. In particolare, dato che la nostra
analisi si concentra sul termine delle scuole secondarie e dunque coinvolge
principalmente migranti di generazione 1.5, è di fondamentale importanza la regolazione
dei ricongiungimenti familiari, la quale definisce le condizioni per le quali è possibile o
meno riunire le convivenze domestiche82. Altrettanto importanti sono i tempi di
attuazione, i ritardi burocratici, l’incertezza o la parzialità delle informazioni, i mutamenti
legislativi. Tutti elementi che complicano la pianificazione dei ricongiungimenti, ne
dilatano i tempi e, ovviamente in interazione con i percorsi di (ri)composizione familiare
e con le traiettorie di inserimento sociale e lavorativo dei membri adulti della famiglia,
contribuiscono a influenzare il momento di arrivo nel paese di destinazione dei minori. Se
per gli adulti arrivare in un mese piuttosto che in un altro, salvo che per i lavori stagionali,
può essere di secondaria importanza, per gli studenti arrivare ad anno scolastico inoltrato
81
I minori stranieri regolari (nati in Italia da genitori regolari, regolarizzati o entrati secondo la legge), fino
ai 14 anni sono inseriti sul permesso o la carta di soggiorno dei genitori o degli affidatari, seguendo la
condizione più favorevole dei genitori con i quali convivono. Dopo i 14 anni hanno un permesso o carta di
soggiorno autonoma per motivi familiari. I minori irregolari (entrati clandestinamente o con permesso di
soggiorno scaduto e non rinnovabile) per il T.U. sull’immigrazione (art. 19) fino ai 18 anni godono del
divieto di espulsione, e dunque hanno diritto di ottenere il permesso di soggiorno, salvo il diritto di seguire
il genitore o l’affidatario espulso. A 18 anni per chi non può ottenere la carta di soggiorno, il permesso di
soggiorno deve essere convertito in permesso per lavoro o studio. L’iscrizione anagrafica è fondamentale
per dimostrare la continuità della residenza, che deve essere regolare per richiedere, non oltre il
compimento del 19esimo anno, la cittadinanza. I minori non accompagnati sono protetti da una normativa
che prevede il collocamento in luogo sicuro, la tutela in mancanza di genitori o tutori, l’affidamento a una
famiglia o comunità. Possono essere regolarizzati e affidati a parenti regolari entro il 4° grado, in alternativa
hanno diritto al rimpatrio assistito per riunirsi alla famiglia di origine secondo quanto stabilito da Comitato
Minori Stranieri, Autorità Giudiziaria Minorile, Giudice Tutelare. Se hanno subito persecuzioni possono
richiedere asilo. In caso di gravi problemi nello sviluppo psico-fisico, hanno diritto a essere raggiunti da un
familiare residente all’estero per un tempo determinato tramite autorizzazione del Tribunale per i Minori.
Al compimento di 18 anni, i titolari di permesso per affidamento possono convertirlo in uno per studio,
accesso al lavoro, lavoro, solo a queste tre condizioni: essere in Italia da almeno 3 anni, aver partecipato per
almeno 2 anni a un progetto di integrazione sociale, avere documentazione che certifichi l’assunzione o la
frequenza a corsi di studio. Il visto ed il permesso di soggiorno per motivi di studio sono rinnovati, salvo
documentate ragioni di salute, solo a chi ha superato un esame il primo anno di corso e due esami gli anni
successivi, fino a un massimo di tre anni oltre la durata legale del corso di laurea. La conversione dei
permessi di studio in permessi di lavoro normalmente è subordinata al rispetto delle quote stabilite
annualmente, ma per i minori che diventano maggiorenni in Italia e per chi si laurea in Italia non è
necessario rientrare nelle quote. I minori che hanno subito violenze o sfruttamento grave (prostituzione,
lavoro coatto) e quelli che hanno scontato la pena della reclusione e hanno partecipato a un programma di
integrazione al termine della pena, possono ottenere un permesso di soggiorno per protezione sociale,
rinnovabile, che permette di lavorare.
82
Il “Pacchetto sicurezza” ha aumentato i costi dei ricongiungimenti e reso più severi i requisiti abitativi, in
modo irrealistico rispetto alla situazione sociale del paese secondo l’ultimo report MIPEX (Huddleston et
al., 2011).
115
può causare ritardi scolastici successivi, per bocciature dovute alle difficoltà linguistiche e
all’impossibilità di “mettersi al passo” con i compagni, rifiuto dell’iscrizione o riorientamento verso istituti scolastici più “accoglienti” (o in cui banalmente “c’è posto”, in
base alle norme che stabiliscono un numero massimo di alunni per classe), talvolta
maggiori difficoltà di inserimento relazionale o di apprendimento. La normativa sui
ricongiungimenti influenza l’inserimento scolastico anche in modo indiretto, plasmando
le condizioni in cui può avvenire il processo di riunificazione familiare. Tale processo
può avere esiti diversi sulla ri-collocazione e ri-significazione delle relazioni tra i
componenti della famiglia, lungo gli assi del genere e della generazione, e dunque sul
possibile ruolo della scuola nell’enfatizzare o minimizzare i conflitti tra genitori e figli, o
il loro riavvicinamento e la riappropriazione di ruoli. Vedremo meglio questi aspetti
analizzando le interviste agli studenti. Per gli scopi del capitolo riporto di seguito alcuni
brani dei colloqui con i testimoni qualificati, dai quali emerge che la “durezza” adottata
nei confronti degli adulti influenza indirettamente i percorsi scolastici dei minori, specie
nella prima e seconda transizione. Pina, Carmen e Claudia segnalano come con-causa
specifica di drop-out per alcuni migranti l’interazione tra diversi ordini di problemi legati
alla migrazione e all’effetto della normativa sugli ingressi, diversa per minorenni e
maggiorenni: disagio economico familiare, difficoltà legate al rinnovo del permesso di
soggiorno, irregolarità e rimpatri di parenti adulti, conseguenti spese giudiziarie,
ripercussioni economiche con ulteriore riduzione delle risorse monetarie disponibili,
necessità degli adolescenti di contribuire al bilancio familiare o di non proseguire oltre
l’istruzione secondaria, rinuncia a frequentare il liceo, in quanto scuola non conciliabile
con un lavoro a tempo pieno non solo per il curriculum, ma anche perché
prevalentemente diurna.
Alcuni di loro fanno la scelta di lavorare e di andare… anche perché il problema del permesso
di soggiorno non è un problema da poco. E quindi… se hanno già cominciato da alcuni anni
la scuola qui, non c’è problema, cioè hanno il permesso di soggiorno fino a quando non
concludono il ciclo di studi. In alcuni casi non è così (test. qual. 7: Pina).
Alcuni hanno condizioni familiari di insicurezza, ad esempio legate al permesso di soggiorno
che minaccia queste persone, la possibilità di restare o no, il rischio dei genitori che se
perdono il lavoro sono mandate via, perdono tutto quello che hanno costruito qui, è molto
sentito anche dai ragazzi e poi quando compiono 18 anni riguarda anche loro. Il numero degli
stranieri è diminuito con la crisi, forse perché sono entrati meno, forse perché le aspettative
dei genitori si sono abbassate, oppure anche per la paura di essere rintracciati, attraverso la
scuola, perché i bambini sono tutelati, ma i genitori no. Il preside segnala alla questura le
persone senza permesso di soggiorno. Noi viviamo quindi un enorme paradosso a scuola. Se
sono maggiorenni svolgono molte pratiche per loro, anche prima dei 18 anni lo fanno perché
conoscono meglio la seconda lingua dei genitori (ins. ref. IT Alfa 1: Carmen).
116
Fino a pochissimo tempo fa era molto comune il caso di famiglia qui clandestinamente.
Quindi io arrivo ad avere i 15-16 anni oltre ai quali la scuola non mi dà poi tutte quelle
garanzie di stabilità sociale, e allora in qualche modo… devo procurarmele. Procurarmele
magari vuol dire trovarsi un lavoro, trovarsi un permesso di soggiorno legato al lavoro…
diciamo che l’intervento dei ragazzi e delle ragazze in famiglia come supporti economici è
ancora abbastanza diffuso. Apparentemente per lo studente o la studentessa italiani no, anche
se qualche caso c’è. C’è anche da dire questo. Nel caso (dello studente, ndr) italiano spesso la
situazione era più sommersa. E non si scontrava in ogni caso con il problema della
clandestinità. Questo è un problema grosso, molto grosso. Clandestinità voleva dire per
esempio avere il padre e la madre qui che lavoravano, dopodiché il padre veniva magari
scoperto, arrestato, rimandato nel paese d’origine, anche non per motivi penali ma proprio
perché fuorilegge in quanto clandestino. Morale: resta magari un solo familiare e le esigenze
diventano… grosse. E a queste magari si aggiunge l’esigenza di pagare un avvocato. Che è
sempre stato un dramma nel contesto delle famiglie migranti. Spesso e volentieri mi veniva
presentato il caso dell’avvocato da pagare per madre o padre piuttosto che zio e zia, e… e lì
occorrevano ovviamente dei soldi ed è chiaro che il percorso scolastico scendeva in secondo
piano. Non sempre si perdeva. Perché per esempio in casi come questi io ho sempre fatto
molto ricorso ai corsi serali. Soprattutto per allievi molto motivati ecco. E qualcuno ce l’ha
fatta, che io sappia. Però è chiaro che diventava un onere molto maggiore. Ecco, questo
diciamo che determinava assolutamente la scelta della tipologia di studio superiore. Non si
poteva più andare al liceo. Laddove intervenivano delle necessità familiari il liceo veniva
escluso in automatico, subito. Perché troppo oneroso come studio, troppo gravoso, richiedeva
troppo tempo… e quindi poi ci si dirottava magari sul serale, ma magari anche il tecnico o
professionale, non esistendo poi di fatto salvo l’artistico un liceo serale (test. qual. 5:
Claudia).
Uno stesso evento, come la perdita del lavoro da parte di un genitore, nelle famiglie
migranti può comportare il mancato rinnovo del permesso di soggiorno del capofamiglia,
con effetti a cascata diversi per età (e genere) sugli altri componenti della convivenza
domestica. Essere per un periodo meno avvantaggiati economicamente, o irregolari, da
bambini piccoli ha effetti diversi sulla scolarità rispetto a esserlo al termine
dell’adolescenza. Il percorso liceale, in quanto lungo, impegnativo e soprattutto diurno
(non permette di lavorare), in questi casi è da scartare. Si tratta inoltre di un curriculum
che prevede una grossa formazione umanistica, in cultura e lingua italiana e latina (con in
più il greco antico al classico), poco utile per tornare al paese, o per spostarsi verso una
terza destinazione. Quindi è una scelta molto poco prudente, per chi ha la possibilità di
rimanere solo a determinate condizioni, che non è certo di poter soddisfare a lungo
termine. Essere inseriti in classi non corrispondenti all’età anagrafica entra in interazione
con problemi economici e legati al permesso di soggiorno, spingendo a interrompere gli
studi secondari o a continuarli al serale. Le leggi sull’immigrazione, inoltre, possono
influenzare anche l’investimento psicologico in istruzione e lavoro. L’esperienza di David
è spostata verso le traiettorie di maggiore fatica (come anche quella di altri operatori
extrascolastici intervistati), ma può aiutare a completare il quadro che emergerà dal
lavoro empirico, che si concentra invece sugli allievi che sono riusciti ad arrivare al
termine della secondaria. Oltre agli effetti negativi di essere collocati in classi non
117
corrispondenti all’età, David sottolinea le possibili conseguenze di legare il permesso di
soggiorno alla riuscita economica e la contraddizione di essere “non cittadini” a scuola.
La normativa lega la permanenza in Italia a ragioni economiche. Questo ha importanti
conseguenze sul piano psichico. Come diceva Sayad l’immigrato è un corpo che lavora.
L’immigrato è lo strumento del suo corpo e non viceversa! Per cui a volte riduce la
percezione di sé alla riuscita economica. La riuscita economica, o scolastica, diventano una
compensazione narcisistica. Detto questo, esistono diverse contraddizioni sull’inserimento a
scuola. Soprattutto per questo: i migranti sono non cittadini. La scuola invece è un’istituzione
creata per formare cittadini. Senza contare che i ricongiunti, in più, subiscono tutta una serie
di svalutazioni simboliche per il fatto di essere inseriti in classi non corrispondenti all’età…
(test. qual. 11: David).
Questi aspetti riguardano principalmente le generazioni di migranti arrivati a scuola nel
corso dell’infanzia o dell’adolescenza, che in Italia sono ancora la maggior parte degli
studenti di origine straniera negli ordini di scuola superiori. Con lo stabilizzarsi dei flussi
immigratori, tuttavia, sta crescendo la porzione degli studenti G2. Questi sembrano
godere non tanto di status giuridico più protetto, come vedremo tra poco, ma piuttosto di
maggiori risorse della rete migratoria familiare per agevolare l’inserimento scolastico.
Io ho avuto allievi e allieve che si sono iscritti, no, sono stati iscritti a scuola per il semplice
fatto che così almeno avevano il permesso di soggiorno per studio. Poi hanno continuato…
mhm… anche magari combattendo con i familiari che invece avrebbero voluto distaccarli.
[Questo oggi] nella scuola secondaria è sicuramente cambiato, molto. Perché iniziamo ad
avere seconde o terze generazioni, iniziamo ad avere dei ricongiungimenti parentali di nucleo
familiare. E non sembra ma si preoccupano già nella madrepatria di avvicinare la persona
nella madrepatria alla lingua che dovrà imparare. Per esempio io quest’anno nel corso di
italiano come L2 ho un ragazzino moldavo che è arrivato in Italia a settembre, quindi è
nuovo, ma con già alle spalle un anno e mezzo di italiano (test. qual. 5: Claudia).
2. Acquisizione della cittadinanza italiana. La naturalizzazione sembra pensata per
un’Italia più paese di emigrazione che di immigrazione (cfr. Zincone, 2006). Per la legge
91/92 i nati in Italia possono richiedere la cittadinanza alla maggiore età, mentre in altri
paesi è possibile molto prima. Per Ambrosini (2011) la ritrosia a concedere la cittadinanza
ai giovani migranti indica il loro essere visti come “posterità inopportuna” (Sayad, 2002)
dell’immigrazione, la proiezione dell’ancestrale paura dei componenti adulti della società
che i giovani non la riproducano uguale a se stessa. La L. 94/09 ha reso ancora più severe
e costose (da 80 a 200 euro) le procedure di naturalizzazione83. L’indagine della
83
Il testo unificato in vigore “subordina il diritto all'acquisto della cittadinanza dello straniero nato in Italia,
che vi abbia risieduto senza interruzioni fino alla maggiore età, alla frequenza con profitto di scuole
riconosciute sino all'assolvimento del diritto-dovere all'istruzione e alla formazione; per l'acquisto della
cittadinanza da parte dello straniero residente da 10 anni, prevede la stabilità della residenza e introduce uno
specifico percorso di cittadinanza, richiedendo i seguenti requisiti: possesso del permesso CE per
soggiornanti di lungo periodo e mantenimento dei requisiti di reddito, alloggio e assenza di carichi pendenti
per esso necessari; frequenza di un corso di un anno sulla storia e la cultura italiana e la Costituzione;
effettiva integrazione sociale e rispetto delle leggi e della Costituzione; rispetto degli obblighi fiscali; norme
di carattere amministrativo sono volte a garantire la conclusione in tempi certi del procedimento; modifica
la disciplina del giuramento, che viene esteso a tutti i casi di acquisto della cittadinanza” (www.camera.it).
118
Commissione Cultura mette in evidenza le difficoltà di naturalizzazione “per molti
giovani che ormai si sentono italiani, ma non sono riconosciuti come tali, scoraggiando la
prosecuzione di un percorso scolastico e d’istruzione dopo la scuola dell’obbligo” (2011,
p. 19). Questo tema andrebbe approfondito84.
Le insegnanti intervistate notano l’esistenza di differenze non solo inter-familiari,
determinate dal percorso migratorio, dal paese di provenienza e dalle risorse economiche
e culturali che agevolano la comprensione delle procedure e la forzatura dell’arbitrarietà
delle pratiche a proprio favore, ma anche di differenze intra-familiari, tra componenti
della stessa convivenza familiare. Con limitazioni importanti specie per chi progetta di
lavorare nel settore pubblico.
Ti racconto una situazione di una ragazza marocchina che è arrivata a tre anni, e che ha fatto
tutte le scuole, la famiglia […] ha chiesto anni fa la cittadinanza e l’ha ottenuta, però proprio
quando lei ha compiuto 18 anni, cioè è scaduta proprio quando lei è diventata maggiorenne.
Lei vuole fare il carabiniere. Quindi accedere a una professione interna allo Stato, questo…
infatti lei ha fatto autonomamente la domanda (sott.: di naturalizzazione), dovrebbero
accoglierla… poi c’è anche il discorso che la famiglia iraniana o cinese con la collocazione
occupazionale del padre molto forte ottiene molto più facilmente la cittadinanza che il padre
marocchino muratore… poi adesso la Romania è in Europa quindi è diverso però c’è un altro
Stato, un’altra diversità, però ci sono famiglie che ottengono molto più facilmente. In questa
famiglia la sorellina che era minorenne ha avuto automaticamente la cittadinanza, invece per
la sorella [grande] hanno dovuto rifare… era maggiorenne quindi ha rifatto la domanda,
adesso non so se lei ha ancora questo suo sogno (test. qual. 7: Pina).
3. “Riforme” (più o meno mancate) del sistema scolastico e pre-scolastico. I servizi
educativi pre-scolastici risultano preziosi per ridurre l’ampliamento del gap dovuto alle
disuguaglianze sociali e “etniche” lungo il percorso scolastico (cfr., sulla Germania,
Becker, 2009). L’Anci (2009) ha segnalato l’importanza di finanziare i nidi d’infanzia e
le scuole dell’infanzia italiane con interventi del centro anche per favorire l’integrazione
precoce dei migranti. Tuttavia al momento l’investimento in questo ambito appare
contenuto rispetto ad altri paesi europei (e agli obiettivi non solo di socializzazione e
riduzione delle disuguaglianze verso i bambini piccoli ma anche di sostegno alla
conciliazione e all’occupazione femminile). Gli elementi di maggiore ricaduta sui
percorsi scolastici dei migranti nel primo ciclo di istruzione sembrano la riduzione degli
organici e l’intenzione di ridurre il più possibile le compresenze.
Lo Stato ha ridotto i finanziamenti sulla scuola, ogni legge riduce il budget per l’istruzione e
le istanze di federalismo non riescono a riequilibrare. Sulla riforma Gelmini della scuola
primaria, posso dire che ° ha causato molti danni °. Ad esempio l’istituto comprensivo XXX
84
Il programma ACIT, Access to citizenship and its impact on immigrant integration (European University
Institute e EUDO Citizenship, University College Dublin, University of Edinburgh e Maastricht University)
cofinanziato dal Fondo europeo per l’integrazione, studierà l’impatto della legislazione sulla cittadinanza
sull’integrazione degli immigrati. L’Italia, insieme ad altri nove Stati membri, è stata selezionata come caso
studio.
119
aveva una delle ultime insegnanti sperimentali, specifiche per l’inserimento degli stranieri che
faceva un laboratorio linguistico per tutti gli allievi stranieri, per potenziare la conoscenza
linguistica, per affrontare meglio la situazione. E nonostante tutti i tentativi fatti, dall’anno
scorso è rientrata sulla classe, per contrazioni di organico (sospiro)… io non riesco a dire in
altro modo che non per miopia, perché questo ha fatto sì che la qualità di intervento per tutti,
ma soprattutto per stranieri è diventata più bassa. Se il laboratorio non c’è più e aumentano i
bambini che non sanno leggere e scrivere in italiano, l’insegnante che si vorrebbe unica
troverà sempre più difficoltà a insegnare e i livelli statistici medi si abbassano, per questo
dico miopia. L’istruzione non si può delegare al ministro dell’economia. Il taglio è stato su
tutto. Se si taglia chi ha dieci e lo si porta a otto è un conto, se si passa da quattro a due la
sofferenza è maggiore, era già un settore che andava avanti a progetti, Gelmini non ha
inventato nulla, ha proseguito quello fatto da altri. La destra è al governo da anni, ma la
presunta sinistra precedente aveva già una tecnocrazia che si muoveva in direzione non molto
dissimile (test. qual. 13: Nicola).
Avevamo l’attività di teatro e ora non più perché i fondi sono passati da cinque mila euro
l’anno a mille euro l’anno […]. Ora queste iniziative sono interrotte (ins. ref. IT Alfa 2:
Vittoria).
A livello di scuola secondaria di secondo grado, elementi che secondo gli intervistati
ridurranno le attività per l’inserimento degli allievi migranti sono: la riduzione dei quadri
orari (in media del 10-15%, Miur 2010a), l’aumento del divario tra licei e istituti
professionali (esplicitato anche nell’art. 2 dei progetti di revisione relativo all’identità del
tipo di istruzione), l’accorpamento degli indirizzi con conseguente aumento
dell’incertezza delle informazioni sui tipi di insegnamento, la differenziazione dei
curriculi che renderà più difficili i passaggi nel caso di ri-orientamenti in itinere. Gli orari
scolastici lunghi, con ore di “pratica”, in effetti erano un punto di forza per le aspettative
di efficacia inclusiva dei curricula degli istituti professionali, in quanto spesso si
traducevano in un prolungato sostegno all’apprendimento, di tutte le materie e della
lingua italiana, che in ambiente domestico i migranti, ma non solo, spesso non possono
ricevere.
Insegnante di matematica: Prevale più un’attività in istituto... che è comunque un’attività, no?
Non è che sei qui a far leva, no? Anzi è un’attività che diventa poi più rinforzata per tutti, no?
E prevale meno la componente autonoma.
Pina: Sì questo può essere anche un motivo per cui vengono orientati più presso i
professionali. Proprio perché buona parte delle attività vengono fatte in questo orario
scolastico e quindi anche l’apporto del sostegno famigliare è meno richiesto. Però in realtà…
Insegnante di matematica: Soprattutto per chi ha difficoltà di tipo linguistico, avere 40 ore di
lezione qui vuol dire avere a disposizione sempre delle persone con cui confrontarsi sulla
materia, alle quali puoi chiedere e ricevere risposta. A casa se chiedi notizie sui Promessi
Sposi è più complicato avere delle risposte (test. qual. 7: Pina).
Int.: Volevo chiederti se sulle modalità di inserimento ha un impatto la riforma, i
cambiamenti che ci sono nell’ordinamento della scuola?
Cinzia: Sì, perché crea ancora più confusione nelle famiglie. Le famiglie straniere ti dicevo
hanno già più difficoltà a comprendere l’ordinamento scolastico italiano, adesso con questi
ulteriori cambiamenti le difficoltà sono… aumentate. E poi il fatto che nella nostra scuola
siano diminuite così drasticamente le ore di pratica… crea un po’ di problemi, perché
aumentano molto le difficoltà degli stranieri. Soprattutto dei neo-arrivati, perché i neo-arrivati
almeno avevano la possibilità nelle materie pratiche di… insomma, di fare qualcosa, di
diminuire il loro senso di frustrazione.
120
Int.: Questo anche per gli italiani che hanno difficoltà?
Cinzia: Sì, sì, anche per loro, sì (test. qual. 9: Cinzia).
Nell’insegnamento professionale, inoltre, non è più previsto il rilascio di una qualifica
statale il terzo anno, per cui ora è possibile assolvere l’obbligo formativo, o abbandonare,
senza titolo che attesti il percorso svolto. Alcune regioni si stanno attivando, ma non
possono che rilasciare qualifiche a valenza territoriale. Gli operatori segnalano anche un
aumento del lavoro di orientamento con le famiglie per l’incertezza sui cambiamenti in
corso, e l’effetto del capitale culturale e sociale parentale nell’ottenere informazioni
corrette e aggiornate. Dotazioni che i migranti hanno spesso meno che i nativi (ad
esempio i migranti possono contare meno sui nonni). Con il risultato che le famiglie
meno avvantaggiate usano meno gli strumenti a disposizione.
Dal nuovo ordinamento non è più riconosciuta (la qualifica al terzo anno, ndr), anche se le
regioni stanno meditando di fare dei progetti di qualifica regionale. Non so cosa ne verrà fuori
perché… però praticamente non sarebbe più un titolo di Stato tra virgolette riconosciuto su
tutto il territorio nazionale, ma come le qualifiche professionali che si acquisiscono che ne so
da sciampista, meccanico, elettricista, elettrauto, non sempre hanno una valenza al di fuori
della regione in cui sono state date (test. qual. 7: Pina).
Negli ultimi due anni c’è stata questa storia della riforma, il problema della riforma che ha
mandato in tilt tutti, compresi gli insegnanti, c’è stato l’anno scorso una fibrillazione, ma
anche noi stessi insomma abbiamo dovuto inseguire tutti i vari momenti della riforma e anche
oggi non è così… per esempio il liceo musicale e coreutico di cui si sono lavati la bocca per
un anno non si sa dov’è, se esiste, e altre robe… scuole ancora oggi superiori che non
accettano di essere trasformate in questo modo, dove hanno accorpato i profili, non… e
quindi cerchiamo di dare informazioni robuste ai genitori anche se le informazioni robuste
non sono. Per esempio ora agli istituti professionali ci si potrebbe iscrivere chiedendo la
qualifica triennale. Allora questa a quanto pare è una bufala, perché noi non dico che lo
sappiamo ma l’abbiamo intuito che gli IP pare a oggi dopo due anni dalla riforma, non
abbiano molta intenzione di prepararli per la qualifica, perché vuol dire programmi diversi,
vuol dire concordare con la regione poi una prova di esame diversa. Quest’anno hanno detto
che lo faranno, allora quelli che si sono iscritti quest’anno noi li abbiamo invitati a dire
“Vogliamo anche la qualifica” ma non so se sia vero (che in questo modo la otterranno, ndr).
Allora in mezzo a tutto questo guazzabuglio sia le insegnanti che non se la sentono di parlare
loro alle famiglie chiedono a noi di farlo, sia le famiglie stesse chiedono una illustrazione.
[…] I più bravi sono quelli che chiedono più informazioni. Chi è più debole e svantaggiato a
volte neanche si presenta, come per esempio le famiglie degli stranieri. Per motivi che lei
indagherà. Perché… beh intanto uno non capiscono, due… non lo so. […] A volte
convochiamo una classe di 25 persone e vengono in 10. Invece magari nelle zone più ricche
vengono tutti. Per esempio con una collega con allievi bravi eccetera, per un ragazzo
stupendo non sono venuti i genitori, ma sono venuti i nonni! Per avere la conferma che è
bravo eccetera. “Sì è bravo, è bravo, faccia il liceo classico, non ci faccia perdere tempo!”. Eh
è così, chi più ha più sa, più vuol sapere eccetera, estremizzando i due poli, chi più sa più si
aggiorna più raggiunge i più alti gradi dell’insegnamento (test. qual. 2: Gianni).
In generale il rischio è che nello sforzo di attuazione delle riforme e delle
razionalizzazioni, le attività di inserimento per gli stranieri possano passare in secondo
piano, non solo per la riduzione dei finanziamenti o l’incertezza della normativa (Milione,
2011), ma in quanto non obbligatorie di fatto.
121
4.1.8. Fuor di retorica: tra alti e bassi, coerenza e continuità
In sintesi, guardando alla reazione istituzionale dal punto di vista della normativa statale,
emerge che mentre l’attenzione internazionale si sposta dall’accesso al successo
scolastico, in Italia le ultime indicazioni nazionali presentano elementi retorici in senso
opposto. Ciononostante, malgrado le differenti posizioni politiche dei governi che si sono
succeduti in questi anni in merito alla gestione dei flussi immigratori, è possibile
rintracciare un approccio abbastanza coerente in merito all’inserimento scolastico dei
minori migranti, basato su intercultura e inclusione individualizzata, malgrado la poca
chiarezza su finanziamento e (sanzioni in caso di mancata) implementazione (tabella 4.2).
Tab. 4.2 – Principali indicazioni normative e Legislature (1989-2011).
X
07.87/02.92
Goria De
Mita
Andreotti
DC PSI
PSDI RI,
PLI
diritto allo
studio, L2,
valorizzazion
e cultura
d’origine
(C.M.
301/89)
educazione
interculturale
per tutti
(C.M.
205/90)
XI
04.92/01.94
Amato
Ciampi
DC PSI
PSDI PLI
Indip.
coinvolgime
nto delle
famiglie
(C.M.
122/92)
intercultura
nelle
discipline,
convivenza
democratica
(C.M. 73/94)
XII
04.94/02.96
Berlusconi
Dini
FI AN LN
CCD UDC;
Gov. tecnico
XIII
05.96/03.01
Prodi
D’Alema
Amato
Ulivo PdCI
UDR Indip.
XIV
05.01-04.06
Berlusconi
FI LN AN
CCD-UDC
XV
04.06-02.08
Prodi
DLM DS
Udeur IdV
Verdi Prc
RnP
XVI
04.08-12.11
Berlusconi
PdL Fli LN
Mpa
intercultura
(T.u.98,art.3
6)
intercultura
come
“normalità
dell’educazio
ne” (Mpi,
Educazione
intercultural
e nella
scuola
dell’autonom
ia, 2000)
obbligo di
istruzione,
adattamento
individualizz
ato dei
programmi
(Dpr 394/99)
sostegno a
scuole in
aree a forte
processo
immigratorio
(C.M.
155/01
confermato
negli anni)
sintesi
normativa
precedente,
indicazioni
da buone
prassi delle
scuole (C.M.
24/06)
intercultura,
integrazione,
L2,
formazione
dirigenti
(Miur, 2007)
Piano
nazionale L2
(C.M.
807/08)
sintesi
normativa
precedente,
prevenire
concentrazio
ne soglia
30% (C.M
2/10)
Il tentativo centrale di individuare un modello italiano interculturale, integrato e
individualizzato, si scontra con una situazione ancora molto dinamica, non solo dal punto
di vista delle politiche dell’istruzione, ma anche di gestione dell’immigrazione. Pare
dunque acuirsi la differenza di trattamento dei minori, protetti in tema di istruzione dal
diritto internazionale sull’infanzia e dalla Costituzione italiana, e degli adulti, soggetti al
processo di chiusura, o tentativo formale di chiusura, delle frontiere, e di politicizzazione
122
del dibattito. Emergono così contraddizioni tra scuola e extrascuola e disuguaglianze di
status giuridico intra e inter familiari che sembrano pesare soprattutto su chi non rientra
nell’età dell’obbligo scolastico: i bambini molto piccoli e gli adolescenti che diventano
maggiorenni al termine della secondaria di II grado. Specie se non godono di una storia
migratoria e occupazionale familiare “forte”. Tuttavia l’attuale contesto sembra molto
propizio a “togliere” non a livello normativo ripeto, ma sostanziale e pratico anche ai
minori in età dell’obbligo. Intanto la scarsità di risorse spinge a essere più occhiuti nella
definizione delle categorie dei “meritevoli” di sostegno. Negli anni a venire ci aspettano
scelte dolorose, e in questi casi è possibile che paghi di più chi viene da fuori, soprattutto
se non vota. E soprattutto se è rappresentato come una fonte di pericolo, un rischio per la
collettività (e infatti alcuni progetti per l’integrazione dei migranti si fanno ora rientrare
nelle attività pro-sicurezza). Viene in definitiva confermato che il “modello italiano” è
ancora, nonostante l’aumento delle presente migranti, un modello molto inclusivo a
livello normativo ma debole, volontaristico e discrezionale, a livello sostanziale. Vedere
cosa succede in ambito meso-locale appare dunque interessante.
4.2. Attività degli enti locali (Piemonte/Torino): personalismo, partnership,
pragmatismo
4.2.1. Agenzie e attività rilevanti
In Piemonte l’attività istituzionale di inserimento scolastico dei migranti è storicamente
mediata dall’Ufficio scolastico regionale, dall’Unità territoriale dei servizi per gli alunni
stranieri (U.T.S.) e dal Comune di Torino. Nella prospettiva analitica adottata, riteniamo
che la rilevanza di queste agenzie non risieda soltanto nelle iniziative che esse
direttamente promuovono o gestiscono, ma soprattutto nella loro effettiva capacità di
strutturare da un lato le reti di collaborazione che si originano informalmente tra gli
operatori (cfr. ad es. Dutto, 2000), dall’altro soprattutto, di far dialogare i tre livelli di
intervento. Un primo terreno di dialogo istituzionale tra livelli riguarda le attività di
finanziamento. La definizione degli accordi di finanziamento sono momenti di confronto
e definizione delle linee di intervento su cui investire maggiormente. La ricchezza e la
solidità delle iniziative realizzate localmente dipende infatti da quali risorse normative
nazionali e internazionali gli operatori a questo livello intermedio riescano ad attivare.
Una seconda area di rilevanza concerne poi il monitoraggio dei bisogni degli utenti e la
123
valutazione degli interventi sovvenzionati, elementi indispensabili sia per rendere
effettive le misure previste sia per introdurre processi di innovazione bottom-up. Infine, il
terzo ambito di azione rilevante riguarda la circolazione di informazioni, la consulenza, il
sostegno al personale scolastico, anche attraverso il supporto alla creazione di legami tra
gli operatori. Il livello locale infatti può mediare la normativa nazionale intervenendo in
materia di predisposizione di misure di accoglienza, mediazione interculturale e
comunicazione, oltre che formazione dei docenti e sperimentazione educativa e didattica.
L’U.T.S., originariamente C.I.D.S.S. (Centro Informazione Documentazione Inserimento
Scolastico Stranieri) 85, è preposto alla formazione dei docenti e alla documentazione e
diffusione di materiali didattici e informativi, in collaborazione con il Gruppo regionale
intercultura del Piemonte86. Dal 2002 al 2011 le attività dell’Uts sono state finanziate da
diversi soggetti: non solo il Miur, a livello centrale, ma anche l’Usr Piemonte, il Csa di
Torino (Centro Servizi Amministrativi), la regione Piemonte (Assessorato alle Politiche
Sociali), la provincia di Torino e il comune di Torino. L’Uts si è occupato di analisi delle
presenze degli allievi e dei bisogni formativi dei docenti della scuola dell’obbligo;
coordinamento dei referenti provinciali presso l’Usr per la realizzazione dei progetti
didattici e formativi; costruzione e diffusione di materiale didattico e informativo per
famiglie, insegnanti, personale amministrativo; progettualità interculturale con le
famiglie. Ha dunque costituito un interfaccia sia tra utenti (alunni e famiglie) e istituzioni
scolastiche, sia tra operatori degli istituti scolastici e norme nazionali.
L’Usr, oltre a fornire risorse economiche e coordinamento, ha svolto consulenza
normativa, didattica e metodologica al personale scolastico in merito a iscrizione, aspetti
organizzativi e pedagogici dell’inserimento, piani di studio individualizzati, eventuali
problemi linguistici e culturali, progetti di inserimento e alfabetizzazione di italiano L2,
materiali didattici. Ha inoltre attivato, con accordo ministeriale, un progetto di
insegnamento di lingua e cultura di alcuni paesi di provenienza dei migranti con
insegnanti di Romania e Marocco, tramite ministero dell’istruzione rumeno e Consolato
marocchino, in scuole ad alta presenza di alunni “stranieri”, ma proposte a tutti gli alunni.
A livello del comune di Torino diverse attività di sostegno scolastico specifiche per i
migranti sono svolte dal Settore Integrazione Educativa della Divisione Servizi Educativi.
85
La scelta di parlare dell’Uts Piemonte rispetto ad altri centri polivalenti del territorio che concorrono a
definire il contesto di inserimento dei migranti, è dovuta alla sua lunga tradizione di attività, tra le prime in
Italia (Dutto, 2000) e al suo stretto collegamento all’Usr, livello istituzionale che ci interessa per riflettere
sul nesso tra politiche centrali e locali.
86
Attività documentate in Osservatorio Interistituzionale sugli Stranieri della provincia di Torino, 2003 e
anni seguenti.
124
A queste attività si affiancano altri progetti, o progetti svolti in partnership, della
Divisione Servizi Educativi, come il progetto “Provaci ancora Sam” di prevenzione della
dispersione scolastica nella scuola secondaria. Il Settore Integrazione ha gestito
direttamente l’erogazione della quota di fondi destinati dalla regione al diritto allo studio
(ex L.R. 49/85), e assegnati dalla città di Torino per progetti in favore dei minori stranieri
iscritti nelle scuole primarie e secondarie.
4.2.2. Le specificità del contesto
Da studi precedenti (cfr. ad es. Demartini et al., 2008) emergono alcuni tratti tipici delle
politiche educative per i migranti della città di Torino: associazionismo, esperienza
maturata dalle insegnanti con le migrazioni interne, anche se non sempre implementata,
imprenditività e interattività, anche se con difficoltà di coordinamenti strutturali e diffusi.
A questi elementi per i nostri scopi va aggiunta l’importanza dell’impegno personale di
alcuni operatori delle agenzie sopracitate per agevolare la costruzione di una governance
effettivamente multilivello, e la strutturazione nel tempo di partnership con orientamento
pragmatico, anche attraverso il co-finanziamento privato. Vediamo come questi aspetti
contribuiscono a plasmare il contesto.
Abbiamo anticipato che le attività di insegnamento dell’italiano come lingua seconda,
dedicate principalmente ai N.A.I., sono realizzate soprattutto dal livello locale. Negli anni
Ottanta si svolge a Torino la prima ricerca sui bisogni linguistici, il plurilinguismo l’uso
dei dialetti nelle famiglie, e dalla metà degli anni Ottanta si strutturano i primi corsi di
italiano come L2, con la collaborazione di Università e realtà locali a più lunga tradizione
migratoria. Già all’epoca una delle caratteristiche è stata il tentativo di impiegare
volontariato e terzo settore per riempire alcune lacune della struttura di accoglienza
formale, ma accompagnandola, tramite finanziamenti e risorse gestionali della Città, da
iniziative formative più strutturate.
Sono stati organizzati corsi in comune per formare figure tra i docenti in pensione disponibili
a entrare nelle scuole come supporto ai docenti impegnati su territori di facilitazione
all’inserimento scolastico… Quello che non è più riuscita a fare la scuola statale, Torino ha
cercato di farlo fare al volontariato, puntando sulla formazione, sempre perché Torino è una
realtà poliedrica, ha molti punti di interesse e disponibilità (test. qual. 13: Nicola).
Sullo scolastico naturalmente la nostra politica è stata quella di investire soprattutto sulla
formazione perché ci siamo resi conto che questo atteggiamento un po’ emergenziale sta
andando un po’ oltre il dovuto, perché non è più una novità da un po’ di tempo l’inserimento
degli stranieri, per cui cerchiamo di trasferire un po’ delle competenze affinché certe cose
sull’inserimento, sul multilinguismo inizino ad essere proprio più un patrimonio della scuola,
piuttosto che qualcosa che appartiene a esperti esterni (test. qual. 10: Tea).
125
Rispetto ad altre città, a Torino nella scuola primaria e secondaria di I grado la
progettazione sulla L2 si è legata al tema della cittadinanza ed è stata realizzata, anche se
entro quadri istituzionali diversi da un anno scolastico all’altro, da Uts e Comune, tramite
Accordi di programma siglati dalla regione Piemonte con il ministero della Solidarietà
Sociale in collaborazione con Usr Piemonte e Miur, ma anche con agenzie del privato
sociale con competenze di mediazione interculturale. Questo ha permesso di sviluppare
esperienze in modo cumulativo, nonché di formare un buon numero di operatori
scolastici, ma non ha consentito, proprio per mancanza di obblighi e risorse dal centro
(dal Miur) di rinnovare automaticamente di anno in anno le prassi consolidate.
Le iniziative di valorizzazione e insegnamento della L1 si sono sperimentate
individuando “dal basso” canali istituzionali prima non esistenti, e non previsti dal centro,
come nel caso degli accordi con consolati e ministeri dell’istruzione stranieri. Ma si è
trattato per forza di cose di iniziative coinvolgenti un piccolo numero di scuole. E in
questo senso frequentare una scuola in una grande città, e non in un piccolo comune,
anche all’interno della stessa regione o provincia, fa la differenza.
Un’altra linea di azione che si è sviluppata per l’impegno di alcune figure istituzionali è
stata l’allargamento della quota di fondi per il diritto allo studio destinata all’integrazione
degli alunni “stranieri”. Nel 2001/02 nella città di Torino essa corrispondeva al 10% del
totale, dal 2003/04 è salita al 15% (118mila euro) e dal 2005/06 al 20%, su proposta della
dirigente incaricata del settore integrazione. Intanto però è diminuito il fondo totale
regionale per il diritto allo studio. Le richieste di finanziamento hanno sempre superato di
molto la quota disponibile.
Sia le attività finanziate dai fondi per il diritto allo studio, sia quelle dei singoli istituti
scolastici si sono svolte principalmente nell’area dell’alfabetizzazione di italiano come
L2, coordinandosi con agenzie educative o operatori extrascolastici, tuttavia poco si sa
(non solo a Torino) della modificazione didattica secondo l’approccio interculturale e
degli effetti sulla riuscita scolastica dei corsi attivati. Altri finanziamenti hanno fornito
contributi per libri di testo nella scuola secondaria di I grado ad allievi stranieri regolari e
irregolari, e contributi per borse di studio ad allievi stranieri nella scuola primaria e
secondaria di I grado87.
87
Nel 2005 la responsabile del Settore integrazione calcolava che circa il 60% degli studenti stranieri
richiedevano un aiuto di questo tipo per la frequenza scolastica. Sarebbe interessante aggiornare il dato
controllando se c’è una differenza di proporzione con gli studenti italiani e se esistono relazioni tra la
richiesta di contributi per l’istruzione dei minori e i trasferimenti intergenerazionali verso l’alto delle
126
L’entità delle borse e i criteri di eleggibilità sono altri elementi stabiliti da questo livello
di intervento. Accanto alle misure direttamente rivolte agli studenti migranti, infatti, come
per le politiche nazionali hanno effetto interventi più generali. La scelta della regione
Piemonte di stanziare oltre 10 milioni di euro per il 2007-2009 per il programma di
orientamento scolastico, ad esempio, ha fornito supporto nel passaggio dalla scuola
secondaria di I grado a quella di secondo grado, nei primi due anni della secondaria
superiore, nel conseguimento di diploma e qualifica e nel passaggio tra scuola e mercato
del lavoro, con una sezione del progetto dedicata a stranieri e disabili88. Il test attitudinale
per i frequentati gli ultimi anni di scuola secondaria di I grado è somministrato con la
traduzione in arabo e inglese, è in via di preparazione la traduzione cinese. Dato il
contenuto testuale, il centro di orientamento della città di Torino richiede che la
somministrazione venga rivolta solo ad alunni con buone competenze linguistiche. Il
livello locale ha quindi tentato di adeguare gli strumenti orientativi alla consistente
presenza dei migranti. Tuttavia le segnalazioni di alunni con difficoltà linguistiche, siano
esse dovute alla diversa lingua madre, o a problemi di dislessia, non sempre sono
effettuate.
Gli operatori più attivi a livello locale si formano, cercano di apprendere quanto maturato
in altri contesti, talvolta attivano sperimentazioni in collaborazione con Miur e Università.
Condividono una concezione di studenti stranieri come risorsa, di scuola come istituzione
meritocratica, di pedagogia interculturale come approccio per tutti, e tentano di diffondere
questa visione. La rete tra operatori e le competenze acquisite favoriscono la creazione di
progetti di governance multilivello. Emblematico è il modo in cui il contesto locale
analizzato ha recepito la circolare 2/10 sulla soglia del 30% di alunni stranieri per classe:
attraverso la stesura di un protocollo realizzato da Usp e Città di Torino per la formazione
di reti di scuole e patti territoriali, l’educazione linguistica, il contrasto alla “fuga dei
nativi” attraverso arricchimento dell’offerta formativa e sensibilizzazione delle famiglie
italiane. Anche in questo caso, tuttavia, la capacità di coinvolgimento di tutti gli operatori
scolastici, e non solo di quelli direttamente incaricati e partecipi, e la ricaduta sulle
performance degli alunni non è monitorata quantitativamente.
Un elemento di continuità, malgrado i vincoli di bilancio mutevoli, appare comunque la
partnership tra enti e agenzie diverse. Malgrado il variegato configurarsi di tavoli con
famiglie migranti verso parenti adulti left-behid in paesi con welfare meno generosi (cfr. Attias-Donfut e
Wolff, 2008).
88
www.regione.piemonte.it/orientamento.
127
attori diversi su progetti di durata media, breve o brevissima, la collaborazione tra le
stesse agenzie, e spesso tra gli operatori di riferimento delle singole agenzie, ha
consolidato alcune pratiche e procedure di inserimento innovative e ha favorito il
diffondersi di buone competenze nel territorio regionale. Inoltre gli accordi istituzionali hanno
portato a strutturare processi inizialmente residuali, come la mediazione interculturale, nei servizi
educativi ma anche sanitari o socio-assistenziali.
Normalmente lavoriamo su committenza o stimolo di enti pubblici, in alcuni casi sono servizi
consolidati negli anni e dati in appalto, alcuni proprio nati per azione della cooperativa e poi
adottati dagli enti pubblici come educativa territoriale per minori non accompagnati e minori
stranieri, entrati a regime sono dati in appalto e può esserci avvicendamento delle
cooperative, idem per mediazione in aziende sanitarie: ormai l’hanno assunto stabilmente e lo
mettono in gara, poi sviluppiamo nostra progettualità su (nuovi, ndr) bandi (test. qual. 10:
Tea).
Di fatto i progetti educativi e didattici dedicati ai migranti richiedono ancora parecchio
impegno extracurricurale, di solito non pagato per mancanza di fondi.
I finanziamenti privati, hanno riguardato e riguardano specialmente progetti pilota,
spingendo alla creazione di sperimentazioni didattiche e organizzative, ma anche alla
frammentazione delle iniziative. Inoltre attualmente sono in diminuzione per effetto della
crisi economica.
Le differenze tra agende politiche e la generale diminuzione delle risorse sono sentiti
dagli operatori locali come minacce che rischiano di non garantire il mantenimento degli
stessi servizi offerti in passato. Se nel capoluogo di regione è prevalso il pragmatismo,
anche se legato all’impegno personale di alcune operatrici, a livello regionale sembra
possibile cogliere la politicizzazione delle decisioni di spesa, ma sarebbe da verificare
quanto pesi effettivamente il dibattito sull’immigrazione rispetto alle necessità di
risparmiare risorse pubbliche.
È emersa, anche in questo contesto di grande impegno, la precarietà delle iniziative,
dovuta sia all’erogazione di fondi su progetti, sia talvolta alle difficoltà di coordinamento
e di attivazione delle risorse dell’autonomia scolastica tra cui organico funzionale,
curriculum flessibile, piani educativi personalizzati. Scendiamo quindi a livello di istituto
scolastico.
128
4.3. Buone prassi e “disprassie” degli istituti scolastici: varietà, volontarismo, vaga
valutazione
Se negli anni Novanta, per Dutto (2000, p. 245) “le istituzioni reagiscono ma non
agiscono, mentre le risposte autentiche arrivano dalla società civile”, oggi l’attivazione
sembra più consistente. Protocolli di accoglienza, progetti specifici, risorse materiali e
umane utilizzate per garantire l’accesso e sostenere la riuscita scolastica degli allievi
stranieri vengono sempre più spesso indicate nei Piani dell’offerta formativa degli istituti
scolastici della penisola. Esiste in molte aree una buona collaborazione tra ricerca
empirica e pratiche interculturali nell’ambito della formazione per i docenti organizzata
dalle singole scuole, finanziata con fondi di istituto oppure bandi di concorso di enti locali
o Fondazioni. Sono ancora pochissime tuttavia le esperienze regionali di valutazione della
qualità e dell’innovazione educativa a livello di istituto scolastico. Besozzi e colleghe
(Besozzi, Colombo e Rinaldi, 2011) adottano l’approccio del “multiculturalismo
quotidiano” (Colombo e Semi, 2007) per studiare l’aspetto processuale del trattamento di
differenze e diversità nelle interazioni tra insegnanti, genitori, operatori e adolescenti
italiani e stranieri nel sistema di istruzione e formazione della Lombardia. Lo scopo delle
loro ricerche è sviluppare un indice di integrazione scolastico, partendo dall’ipotesi che
“un clima favorevole allo scambio nelle relazioni iter-etniche sia positivamente correlato
a un più alto grado di integrazione dei giovani stranieri e a una maggiore soddisfazione
complessiva degli utenti, sia autoctoni che immigrati” (Besozzi, Colombo e Rinaldi,
2011, p. 122). Tra i fattori che ostacolano l’adeguamento dei curricula in chiave
interculturale, oppure che aumentano stress, senso di ansia e inadeguatezza, stanchezza
degli operatori del settore nelle realtà scolastiche più impegnate, le studiose individuano:
- temporanea mancanza di leadership, dovuta a trasferimento di personale con elevato know
how in materia;
- mancanza di un indirizzo programmatico condiviso dalla maggioranza (almeno) dei docenti;
- conflittualità interne, anche di tipo ideologico, che trovano nell’accoglienza dei migranti un
terreno “sensibile” di esplicitazione e di scontro, rafforzando l’idea che è meglio non agire,
piuttosto che “prendere posizione”, o “dare fastidio”;
- difficoltà a commisurare gli impegni – a volte straordinari – ai risultati, soprattutto per i
docenti e il personale a contatto con l’utenza;
- scarso riconoscimento economico degli sforzi, non solo di quelli diretti agli allievi stranieri,
ma anche (e soprattutto) quelli di coordinamento, progettazione, valutazione, ecc.;
- debolezza ed eccessiva informalità delle intese con gli enti del territorio, con aggravio di
responsabilità sulle spalle del personale scolastico, ecc. (Besozzi, Colombo e Rinaldi, 2011,
p. 134).
129
In Piemonte gli operatori e i funzionari del Miur rilevano differenze tra gli ordini di
scuola, con maggiore attivazione alla scuola dell’infanzia e primaria, e meno alla
secondaria, specie di II grado. Anche i testimoni qualificati confermato questo quadro.
Partecipano meno (sott.: i docenti di scuola secondaria di II grado) perché sono meno gli
studenti stranieri. Poi alle elementari e medie il personale è più attrezzato in territorio di
intercultura e multilinguismo perché storicamente c’è stata una maggiore sensibilità da parte
degli insegnanti elementari, poi l’istruzione media e superiore privilegia l’istruzione
disciplinare però è poco attrezzata culturalmente e professionalmente di suo per accogliere
un’utenza straniera. Comincia a essere presente, comunque (test. qual. 13: Nicola).
Nella seconda metà degli anni Duemila tuttavia anche a livello di secondaria di II grado si
diffonde la progettualità interculturale. Questo dunque appare l’ordine di scuola più
interessante per cogliere i mutamenti in corso. I nodi applicativi più problematici (ma
anche quelli su cui si è più sperimentato e innovato) a livello scolastico in Italia sembrano
i seguenti: 1. inserimento in classe e prima accoglienza; 2. modifiche del Pof (piano
dell’offerta formativa) in chiave interculturale; 3. governance, relazioni scuola-famiglia e
scuola-extrascuola. La formazione insegnanti è trasversale a tutte le questioni. Si
configura un ampio spettro di azioni, che vanno dall’innovare più di quanto richieda il
centro all’attuare vere e proprie strategie di evitamento, largamente basate sul
volontarismo e valutate solitamente a livello qualitativo, da parte degli stessi operatori
coinvolti. Vediamo criticità e potenzialità nei diversi ambiti di intervento confrontando
quanto emerso dagli atti dei seminari nazionali per dirigenti e docenti sull’intercultura (in
particolare molto ricchi i materiali del Seminario nazionale per dirigenti scolastici
“Dirigere le scuole in contesti multiculturali” - Riccione 4 - 6 ottobre 2010) con quanto
accade nelle scuole secondarie II grado di Torino secondo le interviste ai testimoni
qualificati.
4.3.1. Inserimento in classe e prima accoglienza
Tra le problematiche segnalate dagli istituti scolastici al centro, emergono le seguenti:
mancanza di una fase di accoglienza (riconoscere l’importanza della fase di accoglienza
talvolta è un obiettivo, e non un presupposto), con conseguenti tempi compressi, senso di
spaesamento dell'alunno, difficoltà per i docenti nel conoscerlo e nel programmare gli
interventi e dunque difficoltà per l'alunno di dimostrare le proprie competenze.
Come anticipato a Torino (come nel resto d’Italia) risulta prevalente l’inserimento in
classi inferiori rispetto all’età, per non corrispondenza tra sistema educativo di partenza e
di arrivo (e prevalenza del criterio del percorso scolastico certificato svolto rispetto al
criterio dell’età anagrafica dello studente) e al desiderio di “dare tempo” allo studente
130
affinché acquisisca la lingua seconda, eventualmente anche attraverso la non ammissione
alla classe successiva.
I ragazzi che arrivano in Italia quindi che non sono… sono di prima generazione, prima
generazione e mezzo, in genere almeno un anno lo perdono nel passaggio. Anche se sono
arrivati… ad esempio in alcuni casi nei paesi dell’Est la scuola spesso inizia a sette anni
quindi automaticamente perdono un anno, anche se magari poi continuano senza… poi
magari ci sono altre cose come ad esempio… ehm… la scuola nostra di accesso alle superiori
è di otto anni. Però l’equipollenza con… non so, il titolo di studio in Marocco è di nove anni,
perché loro fanno sei più tre. […] E quindi automaticamente hanno un anno più degli altri,
anche se… Quindi il fatto che uno arriva, non sa l’italiano, dici ci vuole un po’ di tempo e poi
magari viene messo in una classe più bassa per… perché ci sono queste cose, per aiutarlo a
imparare l’italiano, oppure il fatto che fa fatica a inserirsi e quindi… ripete l’anno (test. qual.
7: Pina).
Inoltre emerge poca chiarezza sulla necessità della licenza media italiana. Alcune scuole
secondarie di II grado indirizzano preventivamente gli adolescenti alla secondaria di I
grado o al CTP ritenendo la licenza indispensabile all’iscrizione (e causando ulteriore
ritardo). Ma i minori di 16 anni con l’allungamento dell’obbligo scolastico non possono
iscriversi ai CTP. Inoltre i CTP sono nati e pensati come agenzie di educazione degli
adulti, per cui l’offerta formativa può non essere del tutto coincidente con le competenze
di base richieste dai licei.
La sensibilità c’è sempre stata da parte di qualcuno. Ora si sono stufati e li inseriscono nel
CTP dove la lingua non si impara. Cioè gli insegnanti sono bravi e impegnati, ma non puoi
mandare un ragazzo iscritto al liceo, in una buona struttura educativa, a perdere tempo là. La
lingua che uno deve perseguire nella scuola è la lingua per studiare, non per andare al
supermarket. È un’altra cosa, non si può ridurre, come fai a scrivere, se noi li incapsuliamo in
una struttura efficace, loro imparano perché sono sottoposti alla lingua corretta, a un popolo
che parla italiano. Nei CTP ci sono adulti analfabeti anche nella loro prima lingua! Hanno
tempi sfasati, fanno i corsi di pomeriggio, alla sera, poi cosa fanno i ragazzi tutto il giorno?
Vanno bene per prendere la terza media velocemente. E con questo scopo ci si può iscrivere a
tutti e due, liceo e CTP! Non è vero che se non hai fatto la terza media non puoi iscriverti al
liceo!!! Ci sono anche delle scuole, delle segreterie che danno questa informazione ma è
scorretta! Alcune segreterie rifiutano di prendere le iscrizioni! Allora io vorrei sapere cosa c’è
dietro a tutto ciò. La terza media ti serve per la maturità, ma anche questo è ancora da
discutere. Poi, per metterti al riparo da tutta una serie di ignoranti che poi si infilano in una
legge poco chiara e la manovrano come vogliono, anche i miei allievi hanno preso la terza
media ai CTP (test. qual. 18: Lara).
Altre scuole consigliano di iscriversi al CTP per rinforzare l’acquisizione della seconda
lingua, e contemporaneamente secondo quanto stabilito dalla normativa inseriscono i
minori direttamente in classe, ma come “studenti visitatori”, o “stagista del CTP”, cioè
non inseriti sul registro scolastico e privi di assicurazione, con accordi informali con i
referenti stranieri sulla frequenza. Anche su questo punto le intervistate notano lo
scollamento tra norme sugli ingressi restrittive e norme educative da un lato inclusive,
dall’altro influenzate dai processi di associazione tra cittadinanza e competenze, con esiti
contradditori e incertezze sulle procedure da adottare.
131
Qui c’è poi il problema che i ragazzi dai 14 ai 16 anni non possono fare i CTP e i corsi di
lingua che avrebbero potuto... in più con tutta la vicenda del permesso di soggiorno a punti i
CTP straripano. Questo è un momento molto difficile da questo punto di vista. Noi abbiamo
sempre considerato che chi aveva frequentato nel suo paese d’origine 8 anni, davamo per
scontato che avesse assolto fino alla terza media senza necessariamente rifarglielo fare questo
esame di terza media. Otto anni li aveva fatti e quindi poteva entrare nella scuola superiore.
Se adesso come pare viene fuori che comunque questa certificazione la debbano avere e
debbano accedere a un esame di idoneità… […] Peccato che appunto se provassimo a fare
delle domande sulla Costituzione agli studenti anche nativi… […] Sono tutte cose che a mio
parare tendono a dire: bisogna porre degli argini, è come se l’Italia ancora non avesse capito
che questo è. Questa è la condizione nel nostro paese, la demografia scolastica mostra che se
non ci fossero i figli degli immigrati avremmo chiuso metà delle scuole e… non so che cosa
si aspettino di ottenere con queste misure... la scuola deve solo fare il suo mestiere… (test.
qual. 1: Daniela).
Il risultato è che ogni scuola cerca di interpretare la normativa secondo le strategie di
accoglienza elaborate dalla sua cultura organizzativa situata. Con esiti diversi a seconda
dell’obiettivo (inserire, respingere o selezionare per competenze e attitudini) e delle
competenze degli operatori (non standardizzate dal centro). Mentre la transizione da
medie a superiori è piuttosto presidiata da orientatori esterni alla scuola, i riorientamenti e
gli arrivi dopo i 14 anni di età sono meno seguiti da professionisti dell’orientamento.
Cerchiamo il modo di inserimento che avvilisca di meno, non si può mettere un ragazzo di 17
anni in prima, ma non è più facile come curriculum, perché dipende dai paesi di provenienza,
e poi le prime normalmente hanno più problemi disciplinari e per i ragazzi più grandi è
degradante, specie se sono molto disorientati è pericoloso, è brutto per loro, è vissuto molto
come “Visto che sono straniero, loro mi retrocedono”, poi in prima molte materie sono orali
per cui è ancora più difficile. […] Non ci sono indicazioni chiare, è tutto lasciato
all’organizzazione individuale, e questo non funziona. Idem per il diploma di terza media:
serve o no? Alcune scuole superiori lo richiedono per iscriversi, altre suggeriscono di
frequentare i CTP, ma i ragazzi non possono essere iscritti contemporaneamente in due scuole
diverse. Le indicazioni direbbero di basarsi sull’età e sulle competenze, ma poi non sono
molto precise. Alla primaria si può seguire di più l’età ma da noi le competenze sono
fondamentali. Non esiste una struttura che faccia da filtro, che accompagni queste persone e
le orienti. […] Su undici che erano venuti a conoscere la scuola, ne abbiamo presi cinque. Li
prendiamo in base alla valutazione della scuola precedente e a che cosa vuole fare il ragazzo.
Qui matematica, fisica e scienze bisogna saperle bene. Può sembrare una grande selettività,
ma non ha senso che tu faccia la scuola meno indicata, non si tratta di scaricabarile o
cattiveria, anzi poi ne curiamo l’inserimento in altre scuole se sono da riorientare,
occorrerebbe un filtro neutro, persone che accompagnino, spieghino dove sono le diverse
agenzie formative sul territorio, se no si perseguono solo fallimenti (ins. ref. IT Alfa 1:
Carmen; ins. ref. IT Alfa 2: Vittoria, trascrizione a posteriori).
Queste scelte secondo le intervistate concorrono a determinare l’abbandono scolastico o
l’interruzione dell’istruzione secondaria.
Giunti alla qualifica, che per ora è ancora un titolo di studio, molti ragazzi stranieri, proprio
per la situazione della famiglia, le cose… o il fatto di avere perso degli anni nel passaggio
da… dalla scuola del paese di origine a questa scuola… spesso perdono un anno o due, che
serve per inserirsi o… quindi arrivano alla qualifica che invece di avere 17 anni ne hanno…
tutti 17 anni li hanno, se non 18 o 19. [Il percorso più breve] è proprio legato a quei due
motivi, una è la situazione economica della famiglia, l’altra è il fatto di aver perso o meno un
anno (test. qual. 7: Pina).
132
Verificheremo questa affermazione con le interviste ai ragazzi.
Interessante
sociologicamente è stato il dibattito sollevato dalla circolare sulle cause della
concentrazione, in Italia rilevata a partire dalla seconda metà degli anni Duemila89. Alcuni
studiosi avevano legato il fenomeno all’autonomia scolastica. È vero che con essa è
aumentata la discrezionalità degli istituti in termini di innovazione e pratiche didattiche.
Tuttavia con le ultime razionalizzazioni le risorse delle scuole sono sempre più contenute
e questo ne limita i margini di azione. Tra gli esperti intervistati per la tesi, in effetti, in
merito al sostegno agli studenti “stranieri” emerge la sensazione di una “autonomia dalle
ruote quadrate”90, che non gira a causa della mancanza delle risorse necessarie. In ogni
caso le strategie di assegnazione degli stranieri a determinate sezioni o sedi (come quelle
di – non - iscrizione), basandosi su pratiche informali, potevano differenziarsi
notevolmente anche in passato. Per cui non è tanto la maggiore autonomia degli istituti,
ma piuttosto il numero crescente degli studenti migranti ad avere evidenziato fenomeni di
concentrazione degli allievi stranieri in alcune scuole o aree, non direttamente imputabili
alla segregazione spaziale delle famiglie migranti. Esistono implicite strategie di chiusura,
selezione delle categorie di stranieri “accettabili” o delega ad altre scuole (Luciano et al.,
2009). Per Santerini (2011, in Commissione Cultura, p. 18) “tra le possibili spiegazioni,
non va sottovalutato […] un processo che ha visto alcune scuole «specializzarsi»
nell’accoglimento di bambini stranieri ed altre che hanno delegato e rinviato ad altri
istituti l’onere del loro inserimento, ammettendo un’impreparazione al raggiungimento
dell’obiettivo da realizzare”. Tali fenomeni possono essere legati non solo alle
competenze di base richieste dal tipo di insegnamento per la riuscita scolastica, come
emerso dal brano di intervista precedente, ma anche alla composizione sociale degli utenti
che storicamente frequentano la scuola, solo in parte dovuta all’area cittadina dove la
scuola è situata (e alla sua raggiungibilità con il trasporto pubblico). Anche le autorappresentazioni della scuola verso i futuri utenti e la disponibilità a inserire allievi ad
anno inoltrato per i testimoni qualificati sembrano contare. Gli orientatori considerano la
reputazione delle scuole in termini di esperienza in attività di inclusione “per stranieri”:
indirizzando gli utenti migranti verso gli istituti da loro definiti “più attrezzati”, sembrano
rinforzare la concentrazione di allievi migranti (e di competenze didattiche per includerli
da parte dei docenti).
89
In particolare a Bologna (comune di Bologna, Osservatorio sulle Differenze, 2006), Milano
(www.orimregionelombardia.it) e Torino (Comitato Oltre il Razzismo, 2006; Luciano et al., 2009).
90
Come è stato detto in tema di federalismo fiscale (cfr. Cammelli, 2011).
133
Ci sono licei che hanno maggiore apertura all’iscrizione degli stranieri, perché l’insieme
culturale degli studenti è più basso, ad esempio il Liceo XXX1, in questa zona, e altri come il
Liceo XXX2 che hanno un indirizzo più efficiente, cercano di dare più spazio
all’informazione culturale, altri invece si presentano come più difficili, all’open day la scuola
si presenta in un modo, l’offerta formativa è più ricca, il Liceo XXX1 è più orientato a lottare
contro la dispersione, perché è diversa l’utenza e la composizione. Per esempio nel liceo che
frequenta mia figlia una sola studentessa ha la madre non diplomata, tutti gli altri hanno
genitori laureati o diplomati, mentre in altri licei la situazione non è questa, ci sono estrazioni
operaie o impiegatizie, invece al Liceo XXX2 c’è estrazione di professionisti, perché la zona è
residenziale. Il liceo classico è la scuola meno attrezzata strutturalmente per accogliere utenza
straniera, diciamo di pensarci due o tre volte se qualcuno lo vuole fare perché la struttura
glottodidattica è già difficile per i madre lingua italiani, è già molto complesso (test. qual. 13:
Nicola).
Noi qui come scuola abbiamo il 30% di alunni… ehm non cittadini italiani, quindi come
scuola nel complesso. Però… ehm ci sono delle divisioni, a seconda delle sedi e tra diurno e
serale. Nel serale la percentuale è intorno al 40-50% e… nel diurno abbiamo una percentuale
che va minimo in alcune [sedi] mi pare il 15% invece nell’altra sede il 22%. Qui siamo sopra
il 30%, nel diurno di questa sede. [La] percentuale comunque maggiore rispetto ad altre
scuole dello stesso tipo direi che dipende anche dal fatto di essere promotrice abbastanza di
dinamiche di accoglienza. Questo sicuramente fa sì che… sì perché ricevo spesso e volentieri
telefonate da scuole vicine, o da centri [di sostegno ai migranti] o… e dicono: “Abbiamo un
ragazzo straniero, non sappiamo dove metterlo”. […] Se una scuola ha il 30% di stranieri e
l’altra lo 0% è chiaro che… Non è sempre solo un discorso di zonizzazione, eh? […] Voglio
dire noi qui abbiamo degli stranieri, alla scuola XXX3… ° li fanno tutti fuori °, siamo a due
passi e siamo lo stesso tipo di scuola… (ride) allora voglio dire, quindi la scuola è la stessa, il
tipo di professionale è lo stesso e il problema quindi è un altro. Ne hanno anche di stranieri,
ma ne fanno fuori anche abbastanza (ride), c’è una… (0.02). […] Così quelli lì... o li fa il
CTP o non li fa proprio nessuno ecco. Cioè la scuola non ha cercato di darsi una sua struttura
di accoglienza (test. qual. 7: Pina).
Riorientare ormai è il termine che si usa per dire “Vai e cercati un’altra scuola”. Io non so i
patimenti che ho avuto con questi uffici comunali che spacciano questo per orientamento, le
assistenti sociali, mi avessero pagato le ore che ho perso al telefono per acciuffare una
assistente sociale. Prova a telefonare a metà anno a qualsiasi liceo, ma persino istituto
tecnico, e ti chiudono tutte le porte. Ma non ne faccio una cosa morale, è perché nessuno ce la
fa più! Perché nessuno ha più voglia, perché sono tutti sfiniti! Specialmente quelli che
lavorano tanto! (test. qual. 18: Lara).
I processi di concentrazione dovuti a specifiche scelte del dirigente o della cultura
organizzativa della scuola, in effetti, avvengono anche a livello sub-scolastico, per
sezione o plesso. In particolare sarebbe interessante studiare la relazione tra gli
atteggiamenti di chiusura che si manifestano nel momento della richiesta di iscrizione da
parte di alunni immigrati e la percezione (reale o meno) da parte degli operatori scolastici
del rischio di processi di concentrazione “etnica” con conseguente caduta della
reputazione della scuola e perdita di alunni, e degli effetti di questi processi sulla riuscita
scolastica, o, come è emerso in uno studio etnografico, sulla propensione a promuovere o
bocciare (Santero, 2006). Esistono quindi strategie di ri-orientamento, o rifiuto
dell’iscrizione, attuate dalle singole scuole, che concorrono ad aumentare i ritardi.
I fenomeni di concentrazione in Italia, va ricordato, sono comunque per il momento
contenuti, e attenuati dall’eterogeneità delle provenienze degli alunni (a parte il caso dei
134
cinesi a Prato), inoltre la porzione di N.A.I. sta diminuendo, almeno nella scuola
dell’infanzia e primaria. La misura sulla soglia del 30% appare dunque uno strumento
importante di controllo centrale delle strategie di inserimento attuate a livello di istituto
scolastico. Tuttavia nonostante le rassicurazioni del Ministero esistono ancora fenomeni
di concentrazione degli stranieri in alcune sezioni, non per bisogni di apprendimento degli
utenti o del territorio, ma per strategie di “chiusura di ceto” di famiglie e dirigenti
scolastici. Durante il lavoro di ricerca sono stata contattata da un genitore italiano che mi
ha sottoposto questa problematica.
Sei mesi fa è iniziata la lotta per essere inseriti nelle classi migliori. Noi non abbiamo partecipato
perché non ci sembrava corretto. E così siamo finiti in questa sezione qui, la F. Abbiamo
scoperto che tutti quelli che non hanno partecipato alla lotta per l’inserimento nelle classi
migliori sono finiti qui. Nelle altre sezioni ci sono due o tre stranieri, nella nostra 9 su 19.
Sono tutti figli dei portieri, delle colf, che lavorano qui in questo quartiere e abitano nelle case
dove lavorano. È anche una questione di classe sociale, perché io e mia moglie siamo
entrambi laureati, non abbiamo niente a che spartire con il portiere, dopo avergli parlato un
po’ non abbiamo più niente da dire. Non ho niente contro di loro, ma come faccio a invitare a
cena queste persone qui? La preside ha detto che ormai le classi sono formate, e se non ci va
bene, ci dà il nullaosta e possiamo anche andare a iscriverci in un’altra scuola (genitore con
figlia iscritta in scuola secondaria di I grado, Roma, quartiere Parioli, 12.09.2011,
trascrizione a posteriori).
La circolare potrebbe essere uno strumento delle famiglie per segnalare irregolarità
compiute a livello di istituto scolastico, anche se si presta a strumentalizzazioni guidate da
finalità opposte: non volte a garantire un’equa distribuzione dei migranti ma a limitare
procedure di iscrizione informali che seguono le logiche della distinzione per classe
sociale.
4.3.2. Modifiche del Pof in chiave interculturale
Il Piano dell’offerta formativa (Pof) è lo strumento degli istituti scolastici per definire le
specificità del curriculum91. Le criticità emerse in Italia riguardano la mancanza di
formazione specifica dei docenti, la mancanza di materiali didattici specifici, la difficoltà
di gestione del coinvolgimento emotivo, le difficoltà nella valutazione in classi molto
eterogenee, specie quando gli studenti migranti non raggiungono le competenze di base.
Anche nella costruzione del Pof le relazioni con le famiglie sono da mediare, specie nel
periodo adolescenziale, o in condizioni di svantaggio sociale e rischio di devianza. Le
proposte di inclusione dell’intercultura nei currucula sono frammentate e eterogenee. I
curriculum sono particolarmente rigidi alle superiori, molto basati sulle discipline, con
difficoltà ad adeguarsi a contesto e punti di partenza degli alunni. Pur attuando
91
Contiene finalità generali e macro-aree di intervento, progetti portanti e specifici, aspetti organizzativi e
progettazione didattica e educativa, comprese le competenze da acquisire e i criteri di valutazione.
135
valutazioni individualizzate, l’Esame di Stato del primo ciclo e quello delle Superiori non
consentirebbero di tener conto della personalizzazione dei percorsi. Inoltre nel passaggio
da un ordine di scuola all’altro si rivelano discontinuità sull’idea di valutazione, in
generale, non solo per gli stranieri.
A Torino in diverse scuole secondarie di II grado la principale modifica del Pof è
l’introduzione dei corsi di italiano L2. Anche se, di nuovo, il problema è la stabilità delle
iniziative.
Negli ultimi tre anni noi abbiamo sempre più ragazzi alfabetizzati, ma che vengono per
imparare meglio l’italiano. Infatti non lo chiamiamo corso di italiano L2, ma lo chiamiamo
“corso di italiano L2 e approfondimento della lingua italiana”. Infatti sono molti anche gli
italiani che l’italiano non lo sanno. E vengono… (test. qual. 5: Claudia).
Nelle scuole più attive si organizzano anche corsi di scrittura di livello avanzato, aperti
anche ai nativi, e si attua una personalizzazione del percorso di apprendimento e della
valutazione, con adeguamento dei libri di testo, tutti aspetti particolarmente importanti
alle secondarie di II grado.
Alle superiori ci sono difficoltà in più perché i manuali sono scritti in un italiano difficile
anche per gli italiani, con immagini, titoli e indici, a cui soprattutto gli studenti stranieri si
affidano come indizi di comprensione, mal fatti, poche illustrazioni e non coerenti con i testi,
frasi non dirette ma contorte e molto articolate, didascalie non corrispondenti con le
immagini… (test. qual. 6: Maria).
Il tema della valutazione è un tema difficilissimo per gli insegnanti perché quando si lavora
su percorsi individualizzati… quando un ragazzo arriva non gli puoi chiedere la stessa mole
di lavoro che hanno fatto gli altri, quindi la sua valutazione deve essere una valutazione ad
hoc, basata [sul suo percorso] poi man mano ci sarà sempre meno divario, però lì gli
insegnanti si dividono proprio in due categorie, i rigidi che non vogliono sentir parlare di
questo lento avvicinamento e gli altri, e i buonisti, che invece gratificano fortemente e
trovano a volte più facile non essere esigenti con i ragazzi migranti. E di nuovo sono quelli
che poi li rovinano (test. qual. 1: Daniela).
Dal momento che tali attività non sono obbligatorie o monitorate quantitativamente dal
Miur o dagli Enti locali, non è possibile per ora testare l’effetto dell’inserimento
nell’offerta formativa di tali iniziative.
4.3.3. Governance, relazioni con la famiglia e l’extrascuola
Le risorse economiche disponibili, i tempi in cui queste risorse sono erogate, l’insieme di
esperti e figure che possono collaborare con il personale scolastico di ruolo sono elementi
fondamentali per la realizzazione dei progetti di inclusione. L’insieme di queste risorse
dipende non solo dai finanziamenti diretti del Miur, ma anche dalle intese che i singoli
istituti scolastici stabiliscono autonomamente con altre agenzie e organi di governo del
136
territorio. In Italia i “patti territoriali”92 condivisi risultano ancora pochi. Innanzitutto il
sistema scolastico italiano è stato storicamente piuttosto centralizzato, come detto nel
secondo capitolo. Inoltre non sempre le esigenze della scuola corrispondono a quelle delle
politiche locali, le une strettamente didattiche, le altre più volte alla gestione di dinamiche
sociali di lungo respiro e al confronto con gli elettori. Il turn-over del personale e la
mancanza di risorse, insieme alla sempre citata mancanza di formazione per docenti e
personale assistente tecnico e amministrativo, e l’assenza di continuità dei progetti e degli
accordi i rendono difficile l’azione. La riflessione interculturale tuttavia pone in primo la
questione del ruolo e dell’identità della scuola nel policentrismo formativo come
principale agenzia di istruzione e socializzazione. Nelle realtà più segnate dal fenomeno
migratorio si stanno creando reti di coordinamento tra scuole e agenzie formative del
territorio, soprattutto intorno a temi di valenza e ricaduta territoriale, come la
comunicazione scuola-famiglia, il sostegno alla genitorialità (che nel caso dei migranti
talvolta è alfabetizzazione in L2 delle madri), la creazione di eventi di incontro.
A Torino le iniziative di sostegno allo studio extrascolastico per gli studenti di origine
straniera delle superiori sono meno che quelle per gli altri ordini di scuola, per cui sale in
primo piano l’investimento economico delle famiglie in occasioni formative aggiuntive:
data la scarsità di servizi gratuiti, o a basso prezzo, gli studenti che necessitano di
supporto all’apprendimento devono ricorrere a lezioni private. Oppure orientarsi verso
istituti scolastici più impegnati a reperire, tramite progetti e accordi ad hoc e
finanziamenti privati, risorse per il sostegno alla riuscita. Le associazioni che offrono un
aiuto per lo studio alle scuole secondarie di II grado sono solo due, largamente basate su
lavoro volontario.
[I ragazzi che non frequentano queste due associazioni] se la devono cavare da soli, questo è
un bel problema. [Devono ricorrere a] ripetizioni private, poi magari la scuola fa qualcosa,
corsi di recupero, però sempre molto poco... poi magari in IV o V danno un po’ di strumenti
in più per cavarsela, ma nei primi anni… […] Con i ragazzi delle elementari e medie abbiamo
proprio delle ore in classe, progettiamo insieme, alle superiori no. Il problema è che la scuola
superiore viene considerata la scuola per chi ha già scelto che vuole studiare. Il che è
paradossale perché poi c’è l’obbligo fino ai 16 anni, però le attività educative... chi le vuole
va in quelle scuole come l’IP Alfa, è un istituto professionale e deve avere un quintale di casi
umani sia italiani che stranieri pazzesco, pazzesco… […] da quest’anno c’è un’attività, una
specie di Provaci ancora Sam [per la prevenzione della dispersione scolastica] con l’IP Alfa,
ma sono tutte cose molto recenti e piccoli numeri (test. qual. 4: Nina).
Un caso significativo di creazione di rete informale tra operatori scolastici ed
extrascolastici di scuola secondaria di II grado della città di Torino è stato, come
92
Accordi e protocolli di azione stipulati tra scuole, Miur, Urs, Enti locali, e talvolta anche Autorità
consolari (o ministeri dell’istruzione dei paesi di provenienza dei migranti), agenzie educative
extrascolastiche, esperti, imprese e fondazioni.
137
accennato prima, il Progetto Orientamento e Successo Formativo dell’associazione il
Nostro pianeta. Questa rete si è costituita per iniziativa di insegnanti e esperti del settore
educativo attraverso un finanziamento privato e il sostegno degli Enti locali, con
l’obiettivo di diffondere pratiche inclusive interculturali.
Quello che per noi era qualificante di questo progetto era la cultura del progetto. Quindi ad
ogni azione e ogni questione c’era da fermarsi e riflettere: “Allora va bene, ci siamo imparati
che in questa situazione qui si può fare così, si può fare cosà”. E a quel punto la diffondi. Però
bisogna avere in testa che un progetto vale nella misura in cui fa cultura. Cioè non è una
massa di azioni, è un progetto (test. qual. 1: Daniela).
L’associazione ha svolto molteplici funzioni, tra cui mediare le istanze normative
nazionali e il loro adeguamento territoriale, sostenere i docenti referenti e il personale di
segreteria facendo circolare informazioni e procedure attraverso uno sportello e la
consulenza di esperti (pedagogisti, psicologi, avvocati), creare momenti di sostegno allo
studio, alfabetizzazione nei periodi estivi, orientamento familiare, peer-tutoring93,
confronto tra adolescenti e genitori, raccogliere e diffondere il percorso sperimentato
tramite il web (Aa.Vv., 2010). La rete tra istituzioni è stata soprattutto una rete tra singoli
operatori, e questo ha permesso di sveltire le procedure burocratiche.
Un altro effetto molto positivo è stato anche che, proprio perché al nome di una scuola
corrispondeva il volto di un insegnante che conosceva quell’altro insegnante di quell’altra
scuola, noi siamo riusciti a riorientare i ragazzi, quando uno era stato inserito in una scuola
che non era adatta per lui, l’abbiamo riorientato senza mai fargli perdere l’anno. Questo che
un tempo nella scuola si poteva fare, si chiamavano progetti passerella poi sono decaduti non
si sa perché [...] ma questo è stato possibile proprio perché uno piglia su il telefono, chiama
l’insegnante che c’è dall’altra parte, dice “Guarda, ascolta, allora facciamo così, questo qui
viene da te, prepariamo, facciamo…!” […] Abbiamo avuto 0% di dispersione scolastica, eh?
[…] Nessuno ha perso del tempo, tutti sono stati sistemati in modo che facessero quel
percorso che, magari non nell’immediato, ma su un tempo più lungo, poteva garantire
successo (test. qual. 1: Daniela).
Nel vuoto normativo con il lavoro di equipe si sono sviluppate procedure di inserimento
non ancora previste dal Miur (ad esempio l’uso delle lingue veicolari), una serie di
pratiche consolidate e legittimate, a livello locale, applicabili anche in altri contesti (cfr.
Aa.Vv., 2010).
Io ho inserito in una quarta liceo scientifico un congolese, il venerdì è arrivato e il lunedì era
a scuola. E’ uscito dalla maturità con voti migliori di molti suoi compagni italiani. […] Ha
studiato sempre più di 10 ore al giorno. Per due anni. […] Sono soddisfazioni. Adesso fa
l’università, intanto lavora, gli abbiamo fatto fare l’animatori dei piccoli… […] Allora
abbiamo utilizzato anche tanto le lingue veicolari. Lui parlava francese, alcune materie gliele
abbiamo fatte studiare in francese in modo tale che facesse più in fretta. Perché se avessimo
dovuto aspettare che la sua competenza in italiano fosse tale da doversi studiare un libro in
letteratura… Scienze se l’è fatta tutta in francese […], abbiamo fatto questo tentativo alla
maturità. […] Si possono fare queste cose nel senso che la nostra normativa non esiste. Allora
nel vuoto della normativa è possibile fare diverse sperimentazioni. Se una cosa non c’è
93
Particolarmente efficace, pur con le sue criticità, nel caso di minori non accompagnati (v. Ragionieri,
2011).
138
proprio scritto che non lo puoi fare, io ci provo. Se funziona allora diventa una buona pratica
che può essere ripetuta. E può essere estesa (test. qual. 1: Daniela).
La preoccupazione degli attori coinvolti è dare continuità all’iniziativa, la quale, come
altre, per mancanza di finanziamenti (o decisioni di destinare altrove i finanziamenti)
rischia di essere interrotta.
È quello che mi sconvolge, perché una realtà come Nostro pianeta, come i centri di
educazione, oggi muoiano così… poi me è capitato di lavorare con la rete dei centri
permanenti, ora è tutto morto. Per motivi politici. Anche economici, ma politici. Ed è uno
spreco di risorse, perché quelle persone lì si sono formate per quindici anni - hanno - lavorato,
hanno - delle - competenze – utilizzabili - travasabili… (gesto con le mani) le buttiamo (test.
qual. 5: Claudia).
Nel caso dei progetti sperimentali con impatto positivo non solo sulle performances
scolastiche, ma anche sulla definizione di procedure inclusive nuove, la mancata
prosecuzione implica la perdita delle risorse investite nella formazione del personale.
Inoltre, al termine della secondaria di II grado, le attività di orientamento in uscita, verso
il mercato del lavoro o l’università, sono lacunose, e sembrano offrire poco sostegno
all’investimento delle competenze apprese durante gli studi secondari.
Mi piacerebbe che si smettesse di sprecare le risorse che continuamente formiamo. Noi
formiamo delle splendide risorse, e continuamente le buttiamo via. Io mi chiedo perché. Da
una parte e dall’altra eh? Risorse in andata e risorse in ritorno, eh! Perché un ragazzino mi
deve dire “Io questa estate torno in Equador”? E allora a me piacerebbe dirgli “Ma no dai, hai
un bel patrimonio, spendilo qua” e lui allora mi dice “Eh, ma io non so come spenderlo”. Ma
non come equadoreno, come essere umano (voce commossa). E questo mi spiace. E’ una
perdita. E purtroppo perché questo avvenga dovrebbe diventare prassi. E noi abbiamo
soltanto occasioni, non prassi. E questo è un po’ un peccato, un difetto italiano credo, non
solo nella scuola (test. qual. 5: Claudia).
4.3.4. Innovare più di quanto richieda il centro o attuare strategie di evitamento?
Per la diffusione di una progettualità interculturale, risulta cruciale il ruolo dei docenti
referenti.
Sicuramente noi abbiamo per la scuola torinese degli ottimi insegnanti referenti per gli alunni
stranieri che sono quelli con cui abbiamo lavorato, che però a volte si trovano a doversi
occupare anche di 200 studenti, perché quando… ed è il caso di molti istituti tecnici o
professionali perché dove la presenza degli alunni immigrati è superiore al 30% è evidente
che il referente ha un grossissimo lavoro, soprattutto di mediazione nei confronti dei sui
colleghi di classe che tendono un po’ a scaricare… ehm il ragazzo immigrato nel senso che
quasi quasi il ragazzo immigrato appartiene all’insegnante referente, no? E non al consiglio di
classe che deve farsene carico (test. qual. 1: Daniela).
Il liceo Alfa mi pare, ma comunque un liceo, ha un insegnante in servizio che fa 10 ore con
gli stranieri, ma è l’unico caso… poi non ne hanno così tanti là. Noi abbiamo chiesto
distacchi per anni. Però l’unico distacco che conosco è quello. Poi la funzione strumentale è
un lavoro organizzativo. [E le ore di lavoro in più previste extra insegnamento] non sono
molte. Cioè in realtà non bastano. Sono le stesse ore per una scuoletta di 300 – 400 studenti,
139
noi qui che ne abbiamo 1600 e che arriviamo a fine anno a 1800 perché arrivano… (test.
qual. 7: Pina).
Si tratta di solito nel contesto delle secondarie di II grado di Torino, di personale molto
motivato.
Gli insegnanti, soprattutto quelli di frontiera… davvero i referenti hanno ben presente la
situazione dei ragazzi immigrati. E sono persone che hanno proprio scelto di farlo perché gli
interessa, una forma di mission sociale, perché poi di per sé è un lavoro gramo, nel senso che
poi a scuola ti scaricano addosso, no? I casi dei ragazzi eccetera. Per cui è sempre gente molto
motivata. E poi è anche gente che aveva voglia a questo punto di fare un salto di qualità nel
senso non solo di offrire un servizio ma anche di avere una cultura di progetto intorno al
successo scolastico (test. qual. 1: Daniela).
La cultura organizzativa degli istituti scolastici dunque influenza il modo in cui si
progetta, vengono raccolte informazioni sugli studenti, si pianificano le azioni in base a
risorse e risultati attesi. Non in tutte le scuole le funzioni strumentali riescono a
coinvolgere i colleghi in un progetto interculturale comune.
Fino all’anno scorso avevo l’incarico di funzione strumentale, poi mi sono dimessa per
l’impossibilità di svolgere il mio ruolo all’interno della scuola. Posso essere un po’ polemica?
Sì? Perché mi sono resa conto che il mio ruolo era assolutamente… formale ma non
sostanziale, nel senso che io facevo delle cose, proponevo delle attività, ad esempio ho scritto
il protocollo di accoglienza che è anche sul nostro sito, ma nella realtà dei fatti tutto questo
non era applicato, non era portato avanti, a partire dalla dirigente. E allora visto questo, dato
che mi ero stufata di fare il manichino per la dirigente ho preferito smettere. Anche se poi in
realtà informalmente io continuo a seguire i ragazzi che conosco, da anni, e continuo a
mantenere i rapporti con le associazioni, con chi… ho sempre lavorato […]. Vorrei… che ci
fosse molta più preparazione degli insegnanti, quindi davvero che tutti gli insegnanti,
specialmente quelli di Lettere, fossero costretti a seguire dei corsi di aggiornamento per
capire… insomma la realtà che devono affrontare perché la maggior parte dei miei colleghi
non ha idea della realtà che devono affrontare. Vorrei che ci fosse un insegnante che si
occupasse solo di quello, magari un insegnante che avesse il distacco (test. qual. 9: Cinzia).
A parte i corsi di italiano come lingua seconda, normalmente attivati a Torino, sembra
risicata l’attenzione applicativa alle indicazioni ministeriali. Per cui da un lato c’è spazio
per l’innovazione, come abbiamo visto, ma dall’altra parte non è obbligatorio attivarsi.
Salvo dei buoni propositi e delle belle frasi, no io direi che il ministero se ne è sempre
piuttosto lavato le mani. Per l’amor del cielo… mhm però questa è una mia illazione, io sono
ben felice che non dia nessun orientamento perché così almeno ci possiamo muovere. Mhm
devo dire che io lo trovavo già pregevole quando ho iniziato a lavorare con allievi non
madrelingua e clandestini, io credo di non aver avuto allievi in regola fino al 2000, io per
dieci anni avevo allievi regolarmente… sì. Il fatto che non ci fossero regolamenti salvo
l’obbligo scolastico, salvo la possibilità di ottenere un permesso di soggiorno a me è sempre
andata benissimo. Trovo che meno regole dà meglio si sta. Temo le regole del... le temo. [...]
I corsi istituzionali si fermano alla primaria. Perché costano meno. E direi c’è poca cultura
istituzionale dell’apprendimento della lingua italiana come lingua straniera, cioè
dell’accoglienza istituzionale, c’è ben poco. D’altra parte la sfera adolescenziale è un po’
quella sempre nel mezzo e anche quella un po’… che ha meno iniziative. Il che da un lato dà
ampio spazio, dall’altro purtroppo secondo me impedisce che subentri una prassi. Cioè
mentre comunque anni e anni di attenzione all’estraneo tra noi tra virgolette in qualche modo
ha fatto affermare prassi nella scuola primaria, nella scuola secondaria non è mai prassi, è
sempre un’eccezione, bisogna ricominciare sempre da zero, proprio perché non è
istituzionalizzato. Non è obbligatorio tenere un corso di italiano per stranieri. Non è
140
obbligatorio avere una certa accoglienza per, non è obbligatorio usare i libri facilitanti, anzi
non ce ne sono. Non è obbligatorio frequentare i siti che… so che… per quanto riguarda mi
va bene così si fanno delle cose carine, però non diventa prassi (test. qual. 5: Claudia).
Il risultato è che esistono delle buone progettualità, legate soprattutto agli insegnanti
referenti e alle fasi di accoglienza: anche se non mancano iniziative più ampie, esse sono
sporadiche e non strutturali, quasi esclusivamente nell’extrascolastico, soprattutto nella
scuola secondaria di II grado.
Int.: Perché c’è più attenzione nei primi anni di scuola che dopo?
Tea: Probabilmente è una questione innanzitutto numerica, e forse però è anche proprio un
bisogno diverso. Nel senso che il sostegno allo studio alla secondaria di II grado si ritrova in
ambienti come doposcuola, non come mediazione o sostegno specifico… perlomeno non
viene così recepito dalle scuole. Solitamente la scuola si attiva a chiedere un sostegno, o
quando viene percepito un immediato problema linguistico, e quindi si attiva, anche un po’ un
disorientamento, oppure laddove ci sono delle prassi o delle collaborazioni attive da molti
anni e delle modalità proprio di gestire l’accoglienza, quindi magari con l’inserimento in
laboratori di italiano, o un accompagnamento con un servizio di mediazione interculturale, e
questo però si è consolidato nelle scuole primarie e nelle scuole medie. […] Sulla secondaria
di II grado abbiamo fatto comunque degli interventi di sostegno allo studio individualizzato,
questo ci viene spesso richiesto da istituti tecnici di Torino, laboratori di conoscenza sui vari
paesi, molto più interattivi di solito che per medie o elementari, su come vivono i giovani nei
vari paesi anche affinché i ragazzi riescano a capire meglio proprio le difficoltà dei loro
compagni eccetera. E… poi abbiamo fatto dei progetti più nello specifico sull’orientamento
[…]. I discorsi sul bilinguismo, la lingua per lo studio… è una cosa che viene molto dopo, su
cui noi stiamo lavorando ma che per l’insegnante… non genera quell’urgenza… di trovare
una soluzione ecco (test. qual. 10: Tea).
Alcune insegnanti non solo non si adoperano per la valorizzazione del plurilinguismo in
classe, ma raccomandano di non adoperare la lingua madre nemmeno in casa, ampliando
il rischio che Favaro (2011) chiama di “bilinguismo sottrattivo” o “semilinguismo”. In
generale nonostante l’impegno profuso specie da alcuni docenti, l’atteggiamento di
valorizzazione interculturale è, a detta degli esperti del settore, ancora da costruire.
Sicuramente il vissuto a scuola dei ragazzi è determinante rispetto poi alla loro capacità di
proiettarsi come essere cittadini attivi e inseriti positivamente in questa società. Ci sono
proprio a volte anche dei vissuti e degli episodi simbolici dei ragazzi a scuola che poi
determinano la loro capacità di auto proiettarsi in questo ambiente. Sicuramente a scuola
vivono situazioni di discriminazioni o percezioni di razzismo che poi rischiano di proiettare
come autorappresentazione. Diciamo che se la scuola poi e il percorso di istruzione
secondaria riesce a valorizzare il loro apporto specifico, quindi anche la loro ricchezza
linguistica e culturale, per loro sarà più facile poi immaginarsi di poterlo fare nel mondo fuori
dalla scuola. Questo spesso non avviene. Io lo vedo soprattutto dal punto di vista, e già è un
bel segno, linguistico. A scuola oggi è ancora difficile far passare l’idea dello sviluppo di più
lingue. Innanzitutto dal punto di vista dello sviluppo psicologico emotivo e cognitivo dei
ragazzi, e poi anche come appunto ricchezza potenziale per il loro inserimento lavorativo, per
il loro inserimento sociale, per quello che possono proprio portare come loro contributo, no?
Alla società. E già da lì insomma se ci fosse una valorizzazione anche solo della pluralità
linguistica, poi tutto il resto viene anche dopo. E poi tutta la valorizzazione che si fa della
pluralità culturale molto spesso non… non è fatta in maniera del tutto positiva, c’è ancora
l’idea di lavorare sull’intercultura e multicultura… […] Sarebbe utile che la scuola desse se
non altro l’idea a questi ragazzi che la loro ricchezza appunto a partire da quella linguistica
può essere un valore nel senso che può essere un aiuto (test. qual. 10: Tea).
141
Le differenze tra una scuola e l’altra nella capacità di attivarsi possono dipendere sempre
di più anche dalle abilità di fund raising sviluppate da insegnanti, dirigenti o personale
tecnico-amministrativo.
Le scuole più intraprendenti fanno più progetti, hanno più esperienza, hanno più risorse, e
così via, fanno più progetti, ottengono ancora più risorse, in un circolo vizioso. Non va bene
distribuire a pioggia, ma questo circolo vizioso va contro l’obiettivo che ci poniamo, cioè che
le scuole garantiscano una posizione uniforme a tutti (test. qual. 14: Lucia).
L’inclusione scolastica degli alunni stranieri, in quanto tematizzata da bandi specifici,
subisce andamenti diversi rispetto alle risorse ordinarie, con il rischio di generare tensioni
tra le famiglie di utenti nell’attuale diminuzione dei fondi per l’istruzione.
Sulla didattica ci siamo, finanziamenti ci sono. Per gli alunni stranieri. Perché il paradosso è
che noi adesso facciamo gli scrutini, attiviamo dei corsi. Ma non abbiamo i soldi per attivarli
sugli alunni non stranieri. Perché il ministero non ha dato, se non delle quote ridicole rispetto
a quello che è il nostro fabbisogno per i corsi di recupero. Quindi il recupero è un obbligo, far
fare il recupero è un obbligo, giustamente, eh? Però non abbiamo tanti fondi per. E allora poi
andiamo alla discriminazione opposta, capisci cosa arriviamo a… ? Allora prima dicevo con
la mia vicepreside “Senti ma” lei fa “Quest’anno non possiamo fare i corsi, recupero in
itinere”. Quindi sospendiamo le lezioni per 15 giorni, l’avanzamento del programma per 15
giorni, in quei 15 giorni ogni disciplina fa l’avanzamento del programma di quel
quadrimestre, per chi ha l’insufficienza, oppure fa l’approfondimento per chi non ha la
sufficienza. Invece per gli alunni stranieri al pomeriggio possiamo fare i corsi. […] Sono
fondi dedicati… questa disponibilità di fondi io l’ho… cioè esiste negli ultimi tre anni, noi
abbiamo tre fonti differenti per attività che puntino al successo… […] Ci sono questi bandi e
sono tutti pubblici, cioè tipo quello del [Fondazione bancaria] è stata un’eccezione e lì va beh
era un finanziamento privato, ma … Miur, provincia, regione… l’ultimo è arrivato proprio
lunedì mattina e io ho parlato adesso e parteciperò anche a questo (test. qual. 8: Edda).
Sui fondi la percezione a livello di scuola e privato sociale emersa nelle interviste ai
testimoni qualificati è la seguente:
•
difficoltà di avere chiaro il quadro dei finanziamenti;
•
sospetto verso enti erogatori al contempo destinatari dei fondi e valutatori
dell’efficacia e dell’efficienza della spesa;
•
sfasamenti tra tempi di progettazione, comunicazione della vincita di bandi,
erogazione dei fondi da un lato, tempi scolastici e necessità di avviare le attività
didattiche e educative dall’altro;
•
preferenza a finanziare progetti sperimentali e con elevato ritorno di immagine, con
conseguente stimolo a innovare e comunicare i risultati, ma anche freno a costruire
strutture continuative e procedure certe, penalizzazione dei progetti dall’avvio più
lento (ad esempio con bambini rom), meno appariscenti, o con carattere routinario e
procedurale (es. protocolli di accoglienza, L2, adeguamento dei materiali didattici e
per la valutazione);
142
•
talvolta mancata condivisione di obiettivi tra ordini di scuola diversi e livelli di
governance;
•
importanza delle competenze e del coinvolgimento dei singoli decisori locali, specie
se con ruolo di broker nelle cabine di regia e nei tavoli di coordinamento; e dei singoli
docenti e dirigenti, anche per le difficoltà attuative delle norme sull’autonomia.
Possibili effetti perversi di legare i finanziamenti esclusivamente ai progetti sono il
rischio di relegare le attività a terzi (i responsabili del progetto), introdurre innovazioni
parziali o formali per rientrare sotto l’ombrello delle “sperimentazioni”, generalmente più
finanziate, perdendo di vista gli obiettivi sostanziali a lungo termine; adottare forme di
valutazione sommarie e poco utili per la continuazione dei percorsi imparando dagli
errori; innescare circoli viziosi che amplificano la localizzazione dei diritti (scuole più
attive innovano di più, ottengono più fondi, dunque attuano più progetti, acquisiscono più
competenze, innovano ancora di più, attirano ancora più risorse, e così via).
Silvia: I progetti annuali danno eterna insicurezza, non c’è reale validazione dei progetti, tutti
gli anni si produce, si fa finta di valutare e poi questo non ti permette di trovare delle strade
per proseguire.
Giada: C’è sempre l’ottica dell’emergenza, e poi i tempi delle norme non corrispondono con
quelli delle attività e tra loro, sono diversi per norma, per livello, poi ci sono i tempi di
rendicontazione interminabili, i tempi di scrivere i progetti… […]
Silvia: È difficile dare continuità, i criteri cambiano sempre, fai un progetto e poi devi
cambiare sempre qualcosina per riproporlo l’anno dopo, è difficile tenere la barra dritta e
pensare cosa vuoi fare con quei ragazzini lì. […]
Giada: Ci vuole molta più struttura e molto più pragmatismo perché il decisore non ha il
polso della situazione. [Elenco di alcuni progetti nella Città di Torino] ma in queste iniziative
si spendono soldi e poi non resta niente. Il comune ha investito tanti soldi in iniziative come
[altro elenco], sempre con l’idea che possano farcela poi da sole queste iniziative. Ma
piuttosto dai meno all’inizio e portale avanti, non buttare diecimila progetti e poi ti arrangi…
Ad esempio la formazione sulla L2, non è obbligatoria per tutti gli insegnanti, ma se vuoi
puntare su quello, devi far confluire tutte le risorse su quello, non disperdere. […]
Silvia: Ma avere tanti progetti equivale a scaricare le responsabilità educative su terzi. E far
finta che non esistano, ma questa aggressività prima o poi viene fuori, perché mettere tutto
sotto il tappeto coloratissimo non fa sparire i problemi. […]
Giada: Dagli anni ‘90 a livello nazionale abbiamo niente struttura e tutto progetto. È chiaro
che la struttura costa di più. E poi anche l’autonomia, è stata un’ottima idea ma non si è
pienamente realizzata, esistono differenze. […]
Ester: Manca la memoria storica di quello che è stato fatto, si condividono poco le buone
prassi.
Giada: Le motivazioni delle istituzioni sono di facciata, di ritorno di immagine, ad esempio
anche le fondazioni, e loro pesano molto sulle scelte locali. […]
Giada: Ad esempio se il decentramento non avviene, hai dispersione dei fondi. Nel privato
sociale alcune cose sono state fatte, ma non riesce a coordinarsi, è difficile avere uno sguardo
complessivo per integrare.
Silvia: Sì, si vede ad esempio per i corsi di italiano per adulti. Sono stati fatti mille corsi e
tutti identici, invece occorre differenziare, se no tutte le aspettative, le emozioni, le energie, i
pensieri, i progetti dei volontari vanno sprecati, e non hai alfabetizzato nessuno. […] Le cose
che hanno funzionato è perché le persone coinvolte si sono costruite delle competenze. Una
volta che togli la persona, capisci che non era una cosa magica che se c’era quella persona lì,
a quel tavolo le cose funzionavano (test. qual. 15: Giada; test. qual. 16: Ester; test. qual. 17:
Silvia).
143
Gli educatori e gli insegnanti più attivi sentono l’esigenza di una “struttura” che renda
l’approccio inclusivo vincolante e le attività di programmazione certe e rendicontabili, in
modo che l’accesso ai servizi sia davvero un diritto degli alunni e studenti, e non una
“concessione”, legata al buon cuore del singolo operatore o alle risorse di attivazione
degli utenti più avvantaggiati. Con l’effetto di escludere, o spingere all’isolamento, chi
non gode di queste due dotazioni.
La scuola... aiutarla sarebbe quello di poter veramente fare... cioè non appiccicare, perché
quello che facciamo sono tutte cose appiccicate, non esiste una struttura di accoglienza. Tanto
per dire in Francia ci sono i centri di accoglienza, in Belgio ci sono le strutture di accoglienza,
quindi… poi che funzionino bene, funzionino male, questo è un altro discorso, però noi… è il
fatto di non poter contare, se non su cose a costo zero. Cioè certo che io posso mettere un
giudizio sospeso, il ministero mi autorizza a fare quello, però devo comunque essere io a fare
in modo che il ragazzo segua un corso, preparare le lezioni separate e cose di questo genere, e
poi grazie se riusciamo dalla regione ad avere qualche soldo per ricompensare chi fa questo
lavoro in più. Questo sicuramente è una di quelle cose che a livello strutturale come scuola,
visto che comunque ormai siamo in parecchie scuole ad avere a livello strutturale più del 30%
di alunni stranieri, un terzo della classe non può essere trattato come gli altri, quindi devi
avere la possibilità di dare quelle cose che… noi tante volte facciamo dei corsi misti perché
manca la possibilità di avere dei percorsi differenziati e con gli stranieri che hanno bisogno
più di altri, manca questa possibilità di fare questo. E l’altra cosa è che comunque quello che i
ragazzi, la percezione che hanno, io me ne rendo conto, è “Meno male che sono venuto al
XXX (istituto in cui lavora l’intervistata, ndr), meno male che ho incontrato il professore
talaltro”, cioè che questo, tutto questo è come dire, una concessione… ma in effetti la
cittadinanza viene concessa, non viene… non è che tu hai diritto ad avere la cittadinanza
perché maturi dei diritti ad avere la cittadinanza o meno. […] Però quello che noi vediamo è
che le persone con la stessa situazione eccetera eccetera, uno la ottiene subito, l’altro non la
ottiene mai, e non c’è una regola (test. qual. 7: Pina).
Per supplire alle carenze finanziarie di ministero e enti locali, per le secondarie la
creazione di reti di scuole può fare la differenza, come mostra l’attivazione di corsi di
italiano L2. Gli intervistati sottolineano che occorre differenziare ulteriormente l’offerta
formativa, e inserire gli interventi nella didattica ordinaria, specialmente sulla lingua
seconda, nonostante sia difficile coinvolgere tutti i docenti in questo processo di
adeguamento del curriculum. Nella storia di attivazione di un corso di italiano come
seconda lingua all’interno di un liceo, sotto riportato come caso emblematico, si evincono
i seguenti elementi processuali: il ruolo della docente referente motivata e disponibile a
orari di lavoro lunghi e non pagati, l’attenzione del dirigente scolastico e il suo impegno
per cercare (inventare) le procedure amministrative più adeguate per “strutturare”
l’intervento, le strategie di evitamento attuate dai docenti non coinvolti nell’intervento, le
modalità di negoziazione per far inserire l’intervento a pieno titolo nell’offerta formativa
della scuola, la continua necessità di trovare risorse economiche, non sempre con
successo e dunque con andamento ondivago e “buchi”, il malessere e le questioni
144
deontologiche che questo tipo di processo fa emergere e che, in mancanza di reti tra
scuole, le insegnanti referenti devono gestire da sole.
Da 6 anni lo organizzo (sott.: il corso di glottodidattica L2) internamente alla scuola. Ci sono
questi approcci alla lingua a pioggia, trenta ore di qua, 25 ore di là, qualcuno nell’intervallo,
in modo che poi nessuno sa la lingua. Questa formula in uno stato civile dovrebbe essere
legge: se un ragazzo arriva per riunificazione familiare, e non sa l’italiano, è inutile che stia lì
a bivaccare tutta la mattina. Allora sono riuscita a spuntarla per tutta una serie di elementi
casuali per i quali ogni tanto la scuola funziona. Ho iniziato a far per conto mio e a dimostrare
che funzionava, poi c’è stato veramente un colpo di genio del preside, che poi è andato (è
stato trasferito, ndr), perché a scuola è così (voce triste), ha chiesto per me un semi congedo,
un distacco sulla L2. Così ogni anno c’erano almeno 260 ore di italiano fatte, cioè studiato,
fatto esercizi, eccetera, per ogni ragazzo. Per questo anno “ponte”, in cui il ragazzo usciva
dalla classe per frequentare al mattino alcune ore di italiano come lingua seconda, richiedevo
didattica semplificata. Io per questo ci ho perso le notti. Dopo un mese di italiano i colleghi
mi dicevano “Eh ma non sa leggere I Promessi Sposi”, magari ragazzi cinesi appena arrivati!
Allora io “Non puoi aspettare? E non bocciarlo tutti gli anni? Non puoi pensare che sono
analfabeti, anche loro hanno studiato nel loro paese, in un’altra lingua”. Nelle ore al mattino li
portavo fuori dalla classe. E i colleghi protestavano moltissimo, perché togliergli gli studenti
è > come togliergli il sangue, preferiscono che stiano là in classe infilati come degli spiedi,
induriti con l’amido < infilati là che non capiscono niente! “Ah poi restano indietro di
matematica, ah poi restano indietro di inglese!”. […] Non mi piace inventare le didattiche,
bisogna essere molto seri, questi corsi di italiano piovono così come se fossero… e per questo
il livello rimane quello di chi suona la chitarra prendendo le dispense all’edicola, è diverso da
chi va direttamente alla fonte della lingua con un insegnante che a sua volta ha sperimentato,
ha imparato… Però fare le ore di lezione al mattino e poi al pomeriggio significa farsi un
mazzo, MAZZO PAZZESCO, e totalmente GRATIS!!! Perché ho dovuto iniziare senza
essere pagata? Perché questi corsi che sto facendo ora non so se verrò pagata, perché io devo
fare dei corsi che sono in pensione, gratis? È tutto nel volontarismo più schifoso. MI FA
SCHIFO QUESTO VOLONTARIATO! E io mi chiedo ma perché lo devo fare, è giusto che
io lo faccia? Vorrei dire di no, vorrei non farlo! > Però penso a L., R., C. (nomi di studenti,
ndr), che sono arrivati il 15 settembre e ora scrivono, che cosa ne sarebbe stato di loro se non
l’avessi fatto? < […] Visto che ci vivi tutti i giorni con i ragazzi, allora è proprio una attività,
non deve essere un progetto (con i gesti: “separato e circoscritto”), ma deve essere
un’attività continua, con una valenza, con dei tempi, invece si fa così, un progetto, così fai
quelle ore lì, le paghi, insomma è tutto un problema burocratico, ma problema didattico
niente! (test. qual. 18: Lara).
L’intervistata motiva il suo lavoro extra con l’empatia nelle vicende formative e
biografiche degli studenti, ma sottolinea la percezione di grande distanza con i processi di
razionalizzazione in corso, sentiti come movimenti che seguono logiche parallele, se non
incompatibili, rispetto a quelle della didattica e della relazione educativa con studenti e
famiglie.
Nelle scuole professionali di Torino sembra essere maturata più consapevolezza della
necessità di attivarsi rispetto ai licei, ma anche in questo tipo di insegnamento molto
dipende dall’impegno del singolo docente nell’appoggiarsi anche a organizzazioni
extrascolastiche.
Scuole professionali come livello… però anche lì, ci sono delle persone che fanno delle cose,
magari anche come funzione o referente per gli stranieri, ma come anche qui. Qui adesso una
parte degli insegnanti si è adeguato, una grossa parte… (sorride e fa segno con le mani di
“piatto totale”) e non è che sia un’isola felice. Quindi per i professionali potrei dire che più o
meno tutti fanno qualcosa (test. qual. 7: Pina).
145
4.4. Cambiamenti e eterogeneità. L’importanza di guardare ai diversi livelli di
attuazione
Avevamo visto nel primo capitolo che la cornice normativa del centro plasma le
opportunità di inserimento in modi peculiari e differenti da un paese all’altro, tuttavia essa
non si costituisce in “modelli” identificabili univocamente come più performanti su tutti
gli aspetti dell’integrazione94. Non è detto che, tramite l’approccio dei tipi ideali, sia
possibile individuare insiemi coerenti di linee politiche sull’inserimento scolastico e
extrascolastico dei migranti: è più facile trovare sistemi misti ed elementi contradditori.
Le tipologie basate sull’analisi del curriculum o dei dispositivi di organizzazione
scolastica stabiliti a livello nazionale possono essere comunque utili sia per cogliere i
mutamenti nel tempo nelle retoriche e nelle policies centrali, sia per verificare come una
stessa politica, una volta legittimata ed entrata a regime nella burocrazia scolastica, possa
nel tempo mutare nei suoi obiettivi impliciti a livello locale o scolastico. Così lo stesso
progetto può essere inteso, ad esempio, in senso strumentale secondo un approccio
assimilazionista, rivendicativo in ottica pluralista, o di scambio reciproco nell’ottica
interculturale (cfr. Lagomarsino e Torre, 2009), ma soprattutto a una adesione formale
alle indicazioni normative di una scuola può corrispondere l’attivazione di pochi o
pochissimi operatori all’interno di essa. La caratteristica peculiare del modello italiano,
cioè l’inserimento individualizzato di ogni allievo, in ogni momento dell’anno, con
approccio interculturale e reciproco adattamento tra istituzione scolastica e studente,
proprio per la sua flessibilità, dà ampi margini di discrezionalità, fatto che, anche per le
specificità ordinamentali e organizzative del sistema scolastico in Italia, si traduce in
diseguale distribuzione dei diritti sul territorio.
Come è stato teorizzato sulle politiche migratorie, anche per quanto riguarda le politiche
educative per i migranti a livello centrale (Miur) si stabiliscono i principi guida e le
priorità dell’agenda, in relazione all’approccio ideologico dei decisori politici, e alle
manifestazioni di chiusura verso l’immigrazione del bacino elettorale di riferimento.
Ultimamente anche nel settore delle politiche educative, fino agli anni 2000 relativamente
al riparo dalla politicizzazione rispetto agli altri ambiti delle politiche migratorie e per
l’integrazione dei migranti, emergono infatti discussioni sulla legittimità e l’efficacia
dell’approccio interculturale rispetto a quello assimilazionista. Tuttavia, fuori dalla
94
EFFNATIS, 2001, Final report, pp. 17-18, www.efms.uni-bamberg.de/pdf/finalreportk.pdf.
146
retorica non sembrano dominare a questo livello tendenze alla divergenza. I cambiamenti
dei sistemi educativi nazionali, anche con la spinta della globalizzazione e delle idee
economiche neoliberiste che ne sono alla base (Cobalti, 2007), influenzano notevolmente
le decisioni dei singoli stati in merito alle politiche educative, verso tutti. Date le minori
risorse economiche e culturali degli studenti con background di immigrazione (intese
come conformità alle richieste scolastiche, conformi a loro volta per mandato alla cultura
di maggioranza), la contrazione della spesa in istruzione e alcuni cambiamenti (tra cui
aumento del divario tra istituti e licei, incertezza per le riforme in corso) rischiano tuttavia
di colpirli maggiormente. Dalle interviste condotte con i testimoni qualificati emerge
anche che la contrazione degli orari scolastici, in particolare quelli dedicati ad attività più
pratiche in istituti tecnici e professionali (cfr. Miur, 2010a), sembra penalizzare
maggiormente gli allievi con difficoltà di apprendimento, tra cui i migranti di generazione
1.5 in fase di acquisizione della L2. L’affanno e il ritardo con cui sono emanati i
regolamenti centrali e locali, inoltre, rendono più complesso il lavoro di organizzazione
scolastica e orientamento delle famiglie.
Alcuni segnali di mutamento a livello locale e di variabilità regionale e sub-regionale che
emergono dall’interazione tra i diversi livelli di attuazione delle politiche nelle secondarie
di II grado di Torino riguardano:
-
la
differenziazione
e
specializzazione
dei
servizi
tra
dinamiche
di
istituzionalizzazione e rischi di frammentazione;
-
la diffusione delle competenze sul territorio, non solo nel capoluogo ma anche nei
piccoli e medi centri di tutte le provincie e nei diversi ordini scolastici;
-
l’effetto della contrazione delle risorse pubbliche per l’istruzione nell’ampliare il
divario tra istituti scolastici più o meno abili ad attrarre finanziamenti.
Il sistema scolastico italiano non ha finora premiato con avanzamenti di carriera gli
insegnanti più attivi, se non con carichi di lavoro aggiuntivo, spesso non pagato e non
riconosciuto da parte di colleghi per i quali molte indicazioni del centro non solo non
vengono applicate, ma non sono neppure note. Nella scuola come “organizzazione
burocratica lascamente connessa” a livello di istituto scolastico vengono attuati processi
di delega e negoziazione della normativa, processi che il centro non sembra al momento
riuscire a re-indirizzare. Se le priorità a livello nazionale e europeo risultano
l’insegnamento della lingua seconda e l’approccio interculturale con le famiglie, per gli
insegnanti le questioni urgenti oltre a quella linguistica sono la gestione della classe, il
147
reperimento di risorse aggiuntive, i criteri di valutazione e inserimento da adottare caso
per caso.
Non è detto che al livello degli operatori, l’interfacciarsi direttamente con l’utenza
immigrata porti a soluzioni pragmatiche convergenti verso un approccio interculturale. Il
fatto che alcune scuole adottino pratiche più inclusive può essere dovuto a ordini di
ragioni interessanti da un punto di vista sociologico, ad esempio composizione
dell’utenza e processi di concentrazione “etnica”, turn-over degli insegnanti, sovraccarico
di funzioni, ma anche diverse idee di successo scolastico, diverse idee di come si diventa
“buoni studenti” nell’interazione, diversa presenza propulsiva del sistema associativo
territoriale, diversa (o diseguale) formazione e capacità di acquisire competenze di
dirigenti e insegnanti. Se le indicazioni centrali sono negli ultimi anni coerentemente
interculturali, a livello locale e scolastico, proprio per la necessità di governare i processi
con risorse scarse, in sostanza è ancora ampiamente diffuso un approccio
assimilazionistico o multiculturale. Come ha notato Aybek (2010) a proposito degli
operatori del sistema di formazione professionale in Germania, gli operatori scolastici
sembrano distanti dalle implicazioni delle politiche migratorie più generali. Anche per il
mandato disciplinare (in senso epistemico) della secondaria di II grado non adottano
modificazioni globali della didattica per la valorizzazione della differenza, salvo i
referenti più formati, comunque numerosi e influenti, in contesti come quello di Torino. Il
“contagio” interculturale sembra più efficace tra colleghi e esperienze situate
territorialmente, piuttosto che tramite orientamenti emanati del centro a cui si può tanto
facilmente aderire nella forma, quanto facilmente disobbedire nella sostanza. Mentre
nell’ambito della formazione professionale i formatori esperti dei bisogni specifici degli
allievi migranti in provincia di Torino sono ormai un gruppo ampio e diffuso e stanno
istituzionalizzando procedure standard di inserimento, almeno sull’italiano come L2
(Santagati, 2011), nell’istruzione secondaria di II grado, specie di tipo liceale, rimangono
una minoranza. Come sintetizza una delle operatrici intervistate:
Nel caso dell'integrazione stranieri che è certamente un cambiamento fortissimo, la capacità
della scuola di far muro di gomma diventa particolarmente evidente, tanto più se alle
affermazioni di principio non seguono regole precise e risorse. Lo stesso vale per il discorso
del ruolo degli enti locali; anche in questo caso un decentramento ed una sussidarietà che non
hanno vincoli e risorse, e sono importanti tutti e due, rischiano di essere fonti di iniziative
frammentarie e di fatto inefficienti. Il rispetto della L1, un sapere effettivamente interculturale
cioè non trasmesso ma costruito insieme non sono cose semplici da realizzare. Non si può
pensare di incidere effettivamente sulla realtà complessiva della scuola con raccomandazioni
e non con piani d'azione ben definiti a livello nazionale ma [...] le politiche sull'immigrazione
in realtà vanno in tutt'altra direzione rispetto alle raccomandazioni che si fanno a livello
scolastico (test. qual. 15: Giada).
148
Per capire come il contesto istituzionale plasma le traiettorie formative dei migranti
occorre dunque guardare alla complessità nell’interazione tra i diversi livelli di policies
educative. La letteratura italiana, pur citando l’importanza del livello meso (enti locali),
spesso anche coinvolto direttamente nel supporto e nella promozione della ricerca sociale,
sembra piuttosto concentrata a cogliere lo iato esistente tra indicazioni centrali e pratiche
nelle singole realtà scolastiche, forse anche per la marginalità delle politiche scolastiche
nel dibattito pubblico sull’immigrazione, lasciato all’attenzione (al buonismo, come è
stato detto) degli addetti ai lavori oppure agli episodi di violenza o scandalo (Chaloff e
Queirolo Palmas, 2006). Viceversa, proprio in epoca di razionalizzazioni, può essere utile
approfondire le linee di azione degli enti locali, tra cui: sedi del Miur regionali e
provinciali; centri istituzionali a livello urbano o inter-comunale; reti associative tra
scuole o organizzazioni del privato sociale, tra operatori scolastici e intese
interistituzionali. Proprio perché soggetti attuatori delle politiche, gli enti locali sono
cruciali per capire come si realizzano le policies educative per l’inserimento scolastico dei
migranti, come si strutturano e gestiscono le risorse in relazione al privato sociale, come
si costruiscono partnership e interventi, in sintesi come si determina la localizzazione dei
diritti sul territorio nazionale.
In questo contesto, di grande interesse è il ruolo dell’Unione, e in particolare della
Commissione europea. Senza dubbio le rilevazioni, le raccomandazioni, la mediazione
con la ricerca universitaria e l’autorevolezza degli organismi europei, nonché
l’erogazione di fondi per specifici progetti, possono essere strumenti per favorire la
convergenza tra gli orientamenti centrali degli stati membri (e degli aspiranti tali). La
spinta interculturale registrata dai rapporti Eurydice può essere un segnale in questo
senso. Tuttavia occorrono studi ulteriori per verificare come nel concreto il livello
sovranazionale possa influenzare le decisioni dei singoli paesi, e le traiettorie dei migranti
e non migranti. Forse il rapporto diretto tra livello europeo e livello meso-locale potrebbe
essere la chiave di volta per comprendere meglio la situazione. A questi elementi
aggiungerei come elemento condizionante per il futuro l’opposizione talvolta espressa da
parte degli utenti italiani verso progetti “per stranieri” (cfr. Santero, 2008), problematica
che sarebbe interessante studiare più approfonditamente in relazione ai processi di policy
making locale e alla contrazione della spesa pubblica in istruzione.
Mentre al livello di intese locali e reti scolastiche i processi di innovazione sembrano più
frequenti, non emerge se e come le istituzioni più innovative riescano a influenzare il
modello del centro, sembrano piuttosto svilupparsi diversi rivoli di attività poco
149
comunicanti: un sapere non cumulativo, sparso, che dialoga solo dopo tempo e lunghi
giri. Tuttavia i seminari formativi nazionali, le udienze parlamentari, gli Usr sono tutti
tramiti importanti e il Miur nelle sue indicazioni sembra fare sintesi, oltre che della
normativa internazionale, anche delle sperimentazioni attuate a livello locale e scolastico.
Inoltre esistono a livello locale processi di introduzione di innovazioni dal basso, come
nel caso della mediazione interculturale a Torino. Esperienze come le “scuole delle
mamme”, la rete tra istituti secondari di II grado Nostro pianeta, l’uso delle lingue
veicolari nei primi periodi di inserimento, difficilmente verranno adottate dal centro come
interventi strutturali, e forse non possono esserlo. Ma del resto, come è emerso dalle
interviste, le indicazioni nazionali in Italia sono molto orientate a fornire mete progettuali
e poco a dare “struttura”. Forse è anche per questo che finora il progetto interculturale del
centro non è stato messo radicalmente in discussione.
In conclusione, il modello italiano sembra quindi caratterizzato a livello centrale da
intercultura, approccio individualizzato e indicazioni vaghe sull’implementazione; a
livello locale (Piemonte/Torino) da pragmatismo e creazioni di partnership per
fronteggiare le razionalizzazioni, ma anche da innovazioni introdotte dall’impegno
personale di singoli operatori, e poi interrotte per mancanza di struttura. Gli istituti
scolastici di livello secondario di II grado sono attori compositi al loro interno, talvolta
riescono a maturare buone prassi collettive, ma più spesso la frammentazione si manifesta
non solo da una scuola all’altra, ma anche all’interno dello stesso istituto, per effetto della
concentrazione degli iscritti migranti in alcune sedi o sezioni, o del maggiore o minore
investimento in formazione e progettazione dei docenti e dei dirigenti scolastici. Tutto
ciò, unito alla presenza di un sistema di valutazione nazionale che si sta solo
recentemente costituendo, e al fatto che il livello decisivo per stabilire come e quanto
attivarsi secondo le indicazioni centrali sia posto molto in basso (rete di scuole, docenti,
dirigenti), rende i tentativi di generalizzare l’approccio interculturale poco autorevoli (in
modo simile a quando segnalato sui progetti per le lingue minoritarie Miur, 2010b).
Inoltre occorre osservare non solo le politiche specifiche per l’inserimento scolastico dei
migranti, isolatamente, ma anche i cambiamenti più generali dei sistemi di istruzione in
cui esse prendono forma e le norme su immigrazione e cittadinanza. Il grande ritardo
scolastico dei migranti e, in parte, anche il loro inserimento nell’istruzione tecnicoprofessionale (ma questo andremo a verificarlo con le interviste ai ragazzi nei prossimi
capitoli) risultano connesse a questo accoppiamento lasco tra norme e risorse, mancanza
150
di definizione e monitoraggio di standard nazionali minimi e variegate consuetudini
informali.
151
5. Il percorso migratorio familiare
L’attenzione alla famiglia migrante è cresciuta per motivi da un lato legati ai cambiamenti
dei flussi migratori internazionali e dall’altro interni alla ricerca sociologica95. È
aumentata, in concomitanza con la femminilizzazione dei movimenti migratori,
l’incidenza delle riunioni familiari sui motivi di ingresso dall’estero96, in parte per effetto
della stabilizzazione di molti gruppi nazionali nel paese di destinazione, in parte come
esito perverso dei tentativi di chiudere le frontiere attuati dai paesi che ricevono
immigrazione. D’altro canto a livello analitico i Gender studies hanno evidenziato il ruolo
delle donne nei processi migratori97 e gli studi sui minori migranti e le G2, rilevanti anche
per le loro implicazioni politiche, hanno spinto ad approfondire le dinamiche familiari. La
riflessione teorica si è dunque sviluppata criticamente a partire dalla nuova economia
delle migrazione, approccio che considera la famiglia, e non l’individuo, il principale
attore delle decisioni migratorie. Tali decisioni sono intendese però, come alcuni hanno
contestato, in senso squisitamente economicista, un calcolo di probabilità di successo
degli investimenti in base a considerazioni in merito alla deprivazione relativa percepita
dalle famiglie. Il contributo della network analysis ha allargato i riferimenti oltre il nucleo
familiare (cfr. Zanfrini, 2012), studiando come le vicende di questo si inseriscano
creativamente all’interno della più ampia rete migratoria, dando vita a processi
multidimensionali (relazionali, affettivi, politici, culturali) di inclusione/esclusione nelle
società di destinazione e partenza non sempre ottimali dal punto di vista economico. Gli
studi di genere, inoltre, hanno invitato ad aprire la “scatola nera” (Hondagneu-Sotelo,
1995, in Phizackea, 2003, p. 31) della famiglia, “arena” internamente differenziata per
95
Questa tematica recentemente è stata oggetto di un importante sforzo interdisciplinare, coinvolgendo
anche antropologi, giuristi, scienziati politici e economisti. Una recente rassegna sull’approccio della
psicologia sociale si legge in Regalia (2012), interessante anche il contributo delle scienze dell’educazione
e della psicologia dello sviluppo, in particolare sul parenting nella migrazione (in italiano cfr. Chinosi,
2002; Valtolina, 2012).
96
Secondo l’ultimo report disponibile, le riunioni famigliari sono la prima ragione di ingresso regolare degli
immigrati in area Ocse, con differenze tra paesi: nel 2010negli Stati Uniti raggiungono il 74,1% degli
ingressi regolari e in Canada il 60,4%; in Italia rimane prevalente l’ingresso per lavoro (40,5%) mentre i
ricongiungimenti costituiscono il 28,6% del totale (Oecd, 2012).
97
Una rassegna della letteratura si trova in Santero (2008). Malgrado il genere sia evidentemente un
concetto relazionale, almeno binario (cfr. Piccone Stella e Saraceno, 1996), questo filone di studi ha
riguardato principalmente le donne.
152
genere e generazione, in relazione anche ai diversi contesti istituzionali e alle definizioni
culturalmente diverse di “famiglia” (Foner, 1997). L’importanza del “mandato familiare”
alla base della partenza, come avverte Zanfrini (2012, p. 11), mette quindi in discussione
la “volontarietà della migrazione”: non si può assumere a priori che l’emigrazione sia
frutto di una scelta ponderata, ma bisogna tener conto di vincoli e obbligazioni. Guardare
alla famiglia come unità di analisi consente quindi, oltre che di superare l’impostazione
individualistica del singolo come attore decisionale, anche di evidenziare il contrasto tra
retorica del controllo e realtà migratoria (e il modo di gestire tale contrasto dai governi
nazionali e dall’Ue, cfr. Boswell e Geddes, 2011).
Innanzitutto è necessario definire il campione degli intervistati, procedura come è noto
non neutrale. Le famiglie migranti si possono classificare in base ai tempi di arrivo dei
componenti (ricongiungimento al maschile, al femminile, arrivo simultaneo, nucleo
neocostitutivo), oppure alla struttura familiare nella migrazione (famiglie diasporiche in
caso di reti transazionali, famiglie mancanti in caso di minori non accompagnati o nuclei
monoparentali) (cfr. Balsamo, 2003; Demetrio, 2003; Tognetti Bordogna, 2004;
Ambrosini, 2005). I ricongiungimenti possono avvenire in coppia, in formula selettiva
quando i figli arrivano in periodi diversi, oppure per scelta o imposizione, o ancora
svilupparsi “a pendolo” quando non sono definitivi (Valtolina e Colombo, 2012). Altri
percorsi di riunione familiare avvengono in seguito a instabilità coniugale e nuova unione
nel paese di destinazione (cfr. Ambrosini, 2005). Infine, i coniugi che si conoscono e
sposano esclusivamente tramite la rete parentale dopo la partenza di uno dei due, dalle
statistiche risultano ricongiungimenti, ma sono in realtà nuclei “neocostitutivi di fatto”
(Santero, 2008). Queste definizioni vanno impiegate tenendo presente che anche quando
formate dagli stessi componenti, e non sempre è così, le famiglie prima della partenza
sono sempre diverse da quelle che diventano in seguito alla mobilità geografica (Menjìvar
e Abrego, 2009), tanto che in letteratura si parla di “tre famiglie” (Esparragoza, 2003 in
Ambrosini, 2010): quella del paese di origine, quella immaginata durante la separazione e
quella che si ricostruisce nel paese di destinazione. Da un lato i genitori si rifanno a
un’immagine dei figli left behind pre-partenza (Leonini, 2010), che non può ovviamente
tener conto dei cambiamenti che i figli hanno attraversato crescendo nel paese di origine.
Dall’altro lato i figli spesso instaurano legami significativi con gli adulti che si prendono
cura di loro, e il legame con i genitori si affievolisce, anche se non sempre la riunione
comporta senso di estraneità (Bonizzoni, 2010). Le relazioni tra adulti e bambini inoltre
mutano per i nuovi ruoli e le nuove competenze acquisite, che possono rovesciare le
153
gerarchie precedenti ad esempio nel caso i minori conoscano meglio la lingua seconda dei
genitori o le mogli acquisiscano migliori condizioni lavorative del marito (Lagomarsino,
2006).
Con scopo meramente analitico, iniziamo a considerare la convivenza familiare e la
famiglia nucleare come riferimenti di partenza, specificando dove necessario strutture
diverse in base ai rilievi empirici. Guardando ai modi di ingresso degli studenti
intervistati, il campione è costituito in prevalenza da ricongiunti (47 casi su 56), di cui in
un solo caso alla sorella maggiore (Aicha) e negli altri ai genitori, cinque casi di
emigrazione simultanea di genitori e figli (Marisa, Lorena, Andrés, Zëdlir, Fernando), tre
nate in Italia (Safia, Fadia e Saloua), un minore non accompagnato (Ouail). L’età media
all’arrivo in Italia dei ricongiunti è 11,7 anni: più elevata agli istituti professionali (12,5
anni), si abbassa a 11,3 anni tra gli studenti di IT e 9,1 anni ai licei. Il numero medio di
componenti delle convivenze familiari al momento dell’intervista è 3,7, più elevato ai
licei perché sono meno frequenti in questo tipo di scuola gli studenti con nuclei
monoparentali. Gli studenti che abitano con entrambi i genitori, o un genitore con il
compagno/a, infatti, nel campione sono 39 su 56, solo la metà nel caso di intervistati
iscritti agli IP, 15 su 20 agli IT e quasi tutti (14 su 16) ai licei. Quattro studentesse di
istituto professionale su venti abitano in un nucleo diverso da quello della famiglia di
origine, in due casi con il loro compagno e negli altri due casi da sole. Gli studenti del
liceo sono dunque arrivati prima in Italia dei compagni nell’istruzione tecnicoprofessionale e fanno parte più spesso di nuclei con entrambi i genitori, nessuno di loro,
ma neanche gli iscritti ai tecnici, ha già compiuto la prima transizione verso l’età adulta:
la fuoriuscita dal nucleo familiare di origine, fatto invece registrato tra gli studenti di
istituto professionale. Consideriamo quindi sia la storia della ricomposizione della
convivenza familiare sia la struttura del nucleo al momento dell’intervista, per verificare
se e come le modalità e i tempi di riunione abbiano influenzato i percorsi di inserimento
sociale dei bambini e quelli occupazionali degli adulti98.
98
Una sintesi tematica delle interviste agli studenti e ai genitori si trova al termine dell’appendice
metodologica.
154
5.1. La partenza dei genitori
Una delle domande fondative degli studi sulle emigrazioni: è perché si emigra? Le ragioni
compongono un quadro complesso, costituito nella sintesi di Ambrosini (2010) da fattori
di spinta, (differenze di reddito sostanzialmente, e di benessere economico più in
generale), fattori di attrazione (soprattutto domanda di lavoro), fattori legati ai modelli di
consumo e alle rappresentazioni dei paesi di destinazione ottimistiche, per non dire
mendaci,
veicolate
dai
mass
media,
fattori
normativi
(regolazione
politica
dell’immigrazione che favorisce o scoraggia determinate modalità e direzioni migratorie),
fattori politici e storici concernenti le relazioni tra paesi, in particolare forti per le excolonie, fattori relazionali (reti migratorie), oltre che risorse e aspirazioni prettamente
individuali e familiari. Senza pretesa di esaustività, evidenziamo in ottica multicausale
l’interazione tra ruolo familiare e definizione della scelta emigratoria.
La decisione di partire dei genitori è definita in base alla rappresentazione dell’area di
origine rispetto all’Italia e a eventuali paesi terzi rispetto alle opportunità individuali e
familiari nella collocazione nella struttura occupazionale e sociale, anche in relazione alle
proprie competenze e qualifiche, e nell’ottenimento di una buona qualità della vita, intesa
in senso multidimensionale, dal punto di vista della sicurezza fisica, della partecipazione
politica, della generosità del welfare, propria e per gli altri membri della convivenza
familiare, se presenti. Questi elementi accomunano i diversi percorsi emigratori in misura
diversa a seconda del ruolo del primo migrante nella struttura familiare di riferimento
(uomini soli, uomini sposati, donne sposate, donne divorziate, con o senza figli) e della
carriera lavorativa compiuta nel paese di origine o in altri paesi prima di arrivare in Italia.
Le partenze dei padri provenienti dal nord Africa prima dell’unione coniugale e della
nascita dei figli sono narrate come percorsi primariamente individuali, rappresentati
innanzitutto come un modo per migliorare la propria posizione lavorativa, dopo
migrazioni interne o in altri paesi, oppure precedenti collaborazioni con aziende italiane.
Sono venuto qua perché come ho detto a lei non avevo più niente da fare in Marocco, no?
Rimanevo disoccupato, non avevo lavoro. Sai una persona all’età di 22, 23, 24 (sott.: anni) è
molto forte, deve cercare il lavoro, io ero una di quelle persone, le energie non trovavo dove
sprecarle se mi accetta il termine. Le mie energie per fare la mia vita, per fare il mio futuro
(gen. 3: Amer, padre di Safia [7], Liceo α, Marocco).
Mio padre ha iniziato a lavorare lì in Tunisia per una ditta italiana […], poi sapendo che in
Italia, qui a Torino c’era la stessa ditta, siccome il suo sogno è stato sempre andare oltre la
Tunisia, e voleva… cioè non gli bastava. E è voluto… voleva venire in Europa. E siccome c’è
stata l’occasione di questo lavoro, dato che lui parlava già italiano in Tunisia… Perché in
quella ditta, le persone con cui lavorava spesso erano italiani. Quindi lui aveva già iniziato a
155
parlare italiano prima che venisse qui in Italia, naturalmente le parole più… molto… però già
era qualcosa (stud. 37: Saloua, Liceo α socio-psico-pedagogico, 20 F, Tunisia).
Il progetto migratorio dei giovani uomini in questo stadio iniziale – e in questa situazione
familiare – appare del tutto reversibile, nel caso non si riveli aderente alle aspettative di
autorealizzazione che l’avevano definito, come spiegano Karim e Hind.
Int.: Perché era venuto?
Karim: Per provare, vedere… lì stanno esaurendo i cantieri, il lavoro, li abbiamo messi in
attivo tutti, e così una volta finito, non c’era più niente, e così, battere il ferro quando è caldo,
usare le conoscenze perché [...] in quel periodo che sono partito io il nostro paese passava una
crisi profonda, economica. Allora ho pensato: “Mi mangio il fegato io, prima che me lo
mangiano loro! Se c’è la possibilità, parto”. [...] Diciamo che… era… non mi vedevo in
Tunisia. Io ho lavorato solo con italiani, eravamo quattro italiani e quattro tunisini, per le
strade della Tunisia. E poi ho pensato: “Se le cose vanno a buon fine continui, se no strappi e
vai”. Quello ci ha portati qua è pensare a una alternativa nel mondo del lavoro (gen. 8:
Karim, padre di Saloua [37], Liceo α, Tunisia).
E poi proprio l’anno in cui sono nata io, no, anche prima, no, è prima, prima, ha fatto il… è
venuto qua in Italia. Prima non c’erano i problemi di… problemi di entrare che ci sono ora,
permesso di… penso che comunque ci volesse il visto, perché è una cosa… però non era così
complesso. Tant’è che è venuto in aereo, tranquillissimo, erano atterrati a Roma e quindi... E
era venuto con dei suoi amici, semplicemente per avventura, per vedere come si stava giù
qua, e… hanno visto che si poteva stare qua e non sono più tornati indietro (stud. 16: Hind,
Liceo α scientifico, 22 F, Marocco).
L’emigrazione è narrata come un evento innanzitutto biografico che riguarda il singolo.
Dall’analisi emerge che partire aveva costituito in questi casi una strategia per ottimizzare
contemporaneamente due transizione all’età adulta: l’ingresso nel mercato del lavoro e il
trasferimento in una abitazione diversa da quella del nucleo familiare di origine.
Scegliendo, talvolta insieme a coetanei compaesani, un luogo dove le opportunità di
riuscita lavorativa, se colte, avrebbero offerto maggiori ritorni. Emigrare dagli strati
sociali meno avvantaggiati di paesi come il Marocco o la Tunisia, specie nei casi in cui
l’ingresso è stato clandestino, è descritto innanzitutto come una sfida individuale.
Tuttavia la selezione degli emigranti appartenenti alla classe media è una questione di
investimento familiare, secondo la “gerarchizzazione sociale” attuata nelle aree di
partenza (sul Marocco v. El Miri, 2011). Da una analisi più approfondita delle interviste,
infatti, è emerso che anche per gli uomini non sposati la partenza è dipesa dalla situazione
familiare, malgrado così non venga sempre immediatamente restituita dai padri
maghrebini intervistati. La loro scelta di emigrare si era basata sulle risorse e sui vincoli
della famiglia di origine, in particolare derivanti da un lato dalle obbligazioni di
trasferimenti finanziari verso i fratelli, dall’altro lato dalle chances di ottenere supporto
parentale per necessità economiche nel paese di origine e eventualmente di destinazione.
156
Mio papà ha avuto una vita abbastanza difficile, perché i suoi si sono, cioè sono divorziati. E
quindi poi un po’ con la mamma, un po’ con il nonno, non si trovava bene con fratellastri,
sorellastre, frat… perché non non non… cioè non erano sorelle sue. E poi anche lui essendo il
più grande doveva badare a tutti, ma era il più distante, sia da una parte che dall’altra, e
quindi ha scelto di… come dire, di fare l’adulto, e se n’è andato a vent’anni, così, non ° so
bene l’età ma non ci ha impiegato tanto a partire ° (stud. 16: Hind, Liceo α scientifico, 22 F,
Marocco).
Il ruolo della famiglia di origine nella decisione di partire degli uomini soli sono emersi
soprattutto dalle interviste con le studentesse99, piuttosto che da quelle con i padri. Nel
discorso sull’emigrazione condiviso da alcuni gruppi nazionali a flussi emigratori ancora
prevalentemente maschili, come quelli dal Maghreb verso l’Italia, le partenze di giovani
maschi tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta è rappresentata come
un’avventura individuale, un tentativo, quasi un azzardo, anche per le condizioni
effettivamente precarie di primo inserimento che l’avevano caratterizzata, a partire dalle
norme di riferimento per quanto riguarda l’ingresso regolare, ma anche l’abitazione e il
lavoro.
Amer: Io quando sono entrato, sono entrato dalla Sicilia. E ho attraversato tutta l’Italia.
Int.: Ha vissuto in altre città?
Amer: Sì, ma non volevo stare. Quando arrivo in una città, guardo un giorno o due…
[Pensavo] “No. Non è il mio posto”. Allora ho cambiato da città a città. Da Trapani, Catania,
Palermo, Napoli, Roma. Allora alla fine ho detto “Torino”.
Int.: Ah, perché era arrivato in Sicilia, conosceva già qualcuno per avere dei riferimenti?
Amer: No, non conoscevo nessuno […], avevo solo un sacco a pelo, lo zaino, dove c’è un po’
di vestiti, le cose, e sono andato. […]
Int.: Aveva deciso da solo, non aveva chiesto a qualcuno della sua famiglia? Fratelli?
Amer: No, no. È anche grazie all’esperienza militare che ho fatto. Perché quello mi ha aiutato
troppo per iniziare la mia vita da solo qua in Italia. […] Nel senso anche se dormo fuori non
avrò paura, cerco di mettermi sempre nel posto più sicuro, dormo in stazione o quando vedo
una questura mi metto vicino alla questura, comunque vado in posti così. Allora…
Int.: Non aveva paura?
Amer: No. Ero più coraggioso. [...]
Int: Quando è venuto la prima volta pensava già che si sarebbe fermato, avrebbe avuto una
famiglia qua?
Amer: La verità: no, non avevo le idee chiare. Perché il futuro non lo sa nessuno. Ho detto
“Boh, vado, vedo le cose come vanno” e lì (sott.: l’Italia) mi ha dato. Così ho fatto... Quando
vedo una cosa che va, mi adatto… e sono rimasto (gen. 3: Amer, padre di Safia [7], Liceo α,
Marocco).
I genitori partiti invece dopo l’unione coniugale nel campione provengono per la maggior
parte dall’Europa orientale, ma anche in parte dall’America meridionale e dall’Asia. Essi
collocano esplicitamente la scelta di emigrare nell’ambito di ristrutturazioni delle
economie dei paesi di origine, motivandola non con la mera necessità di garantire la
sussistenza propria e del nucleo, ma piuttosto come “paura di cadere”, condivisa da molti
connazionali, in seguito a modificazioni macro della struttura occupazionale (e delle
99
Nel campione degli intervistati e nella popolazione scolastica al termine della scuola secondaria in Italia e
a Torino, gli studenti provenienti dal Maghreb sono prevalentemente femmine. Per questa ragione non è
stato possibile analizzare narrazioni dell’emigrazione paterna da parte di figli maschi.
157
posizioni relative delle classi occupazionali), anche nei casi in cui la posizione di partenza
è quella operaia, specie per gli operai qualificati. Come emerge dai brani seguenti, le reti
migratorie non solo hanno favorito la partenza, ma sono citate per auto situare la propria
storia emigratoria nell’ambito di trasformazioni più generali dell’economia, all’interno
delle quali avevano preso forma le decisioni di partire di altri connazionali. Peraltro nel
contesto locale, l’opinione pubblica (giornali, mass media) rappresenta positivamente,
anche in toni semplificatori, il sacrifico di partire per i propri cari del “buon padre di
famiglia”, mentre esecra la figura del “bongiornista”, “giovane senza famiglia, donnaiolo
e nullafacente che, mentre in Italia vive di espedienti, in Romania ostenta i segni fasulli
del proprio successo” (Cingolani, 2009, p. 99).
Int.: Lei prima di partire lavorava là, vicino a Bacau?
Costantin: Sì, lavoravo, però… l’ho sentito, che non dura molto questa azienda… Così è
stato, perché… quelli che giravano i soldi, i giganti, hanno iniziato a prendere tutti i piccoli.
Poi cassa integrazione come si dice qua… e poi via. Ognuno doveva scegliere la sua strada,
quindi… ma sono migliaia di ex-operai che non fanno più il loro lavoro di prima. Fanno
quello che hanno trovato dopo. Per andare avanti con la famiglia. Eh… (gen. 9: Costantin,
padre di Elisabeta [2], IP α, Romania).
Int.: Tuo papà era venuto prima di voi?
Yin Mei: Sì, sì, da 20 anni, quando io ero nata.
Int.: Non sai perché?
Yin Mei: Voleva cambiare Stato, poi in quegli anni c’erano grandi flussi di emigrazione, e lui
si è aggregato, qua a Torino incontra pure persone che conosce, da quando era in Cina, quindi
non è l’unico. Int.: Lui è venuto per motivo di lavoro, queste cose qua?
Yin Mei: Sì, sì. (stud. 13: Yin Mei, Liceo α scientifico, 19 F, Cina).
Int.: Tu sai perché era venuto tuo papà?
Ivona.: Sì, perché in Romania non aveva più lavoro, e se trovava lavoro era molto basso
rispetto a quello che mio papà aveva fatto, venendo qui si è trovato subito lavoro (stud. 42:
Ivona, IP α sociale, 20 F, Romania).
Talvolta la “paura di cadere” è dovuta a eventi improvvisi ad esempio legati alla chiusura
di attività economiche, rispetto ai quali, data anche la situazione macro economica del
paese, la strategia di fronteggiamento più efficace risulta la partenza.
Nicoleta: Purtroppo hanno ammazzato quello (sott.: il direttore della catena di ristoranti dove
entrambi i coniugi lavoravamo), hanno venduto tutto, e siamo rimasti… (sott.: senza lavoro).
Valeriu: Per questo sono venuto nel 1998 qua. Per questo, perché a noi andava bene nel
nostro paese. Guadagnavo bene, avevo la casa. […] Per questo siamo venuti qui. Potevamo
partire da anni Novanta.
Nicoleta: Se venivamo allora…
Valeriu: Ma non siamo venuti, perché stavamo bene lì. Quando è iniziata la situazione
finanziaria a andare giù, abbiamo pensato di andare (gen. 1: Nicoleta e Valeriu, genitori di
Dimitri [19], IT α, Romania).
Int.: Non sai perché era partita?
Rustam: Sicuramente era partita per il lavoro.
Int.: Non aveva più la sua attività commerciale?
Rustam: È andata male… quindi ci siamo trasferiti qua (stud. 45: Rustam, IP β cucina, 20 M,
Moldavia).
158
I genitori con status medio-alto del paese di origine pongono enfasi sul desiderio di
migliorare le proprie condizioni lavorative, o il proprio potere di acquisto, spostandosi in
un contesto ritenuto, prima della partenza, più meritocratico e meglio governato rispetto
al paese di origine (anche alle zone più ricche di questo, nel caso di precedenti migrazioni
interne), e a eventuali paesi terzi, più vicini ma meno accoglienti.
È venuta qua, praticamente per… sistemarsi anche economicamente. Là certo non stava male
in quel senso, però lei… voleva un futuro migliore, qualcosa di meglio (stud. 39: Pilar, IP α
sociale, 20 F, Perù).
Perché in Albania non c’avevo niente. Proprio niente. Lo stipendio (sott.: di docente
universitario) era troppo basso, non c’avevo la casa, niente. Ma se c’avevo la casa, non
venivo qui. Non venivo qui, non venivo qui. [...] A me non è piaciuto emigrare. Grecia era
vicino, andavo a piedi, ma non li ha voluti gli albanesi, li odiava, sono andato per insegnare,
ma non conoscevo la lingua greca. Sono arrivato (sott.: tornato in Albania) col pensiero che
arrivando la democrazia, cambiava il nostro paese. Ho aspettato, ho aspettato, ho aspettato…
ma non è cambiato, sempre per male. È arrivato il ’97 e sempre per male. Sempre non avevo
niente, cosa dovevo fare? Per questo sono partito, per l’economia (gen. 5: Skordian, padre di
Verim [15], Liceo α, Albania).
Lui in realtà era… lavorava in Libia. […] Dalla Libia non hanno mai chiesto dimissioni dal
lavoro e niente, perché… perché comunque in Libia stavano bene e andavano al lavoro e
tutto, e hanno voluto cambiare (stud. 16: Hind, Liceo α scientifico, 22 F, Marocco).
In realtà noi, abbiamo fatto una scelta... come dire... idealistica... come dire, non so, un
sogno... non è stata una scelta di motivazione economica, di necessità di venire, di uscire dal
nostro paese per trovare nuove opportunità. Probabilmente nuove opportunità sì, ma nel senso
che volevamo più giustizia e più riconoscimento alle proprie capacità. Più riconoscimento e
molto probabilmente eravamo troppo fiduciosi delle nostre competenze, acquisite del nostro
percorso, nella nostra vita lavorativa come vita diciamo... del nostro percorso di istruzione.
[Mio marito e io] avevamo lavorato sempre in Regione e, sì, nel posto avevamo una
situazione economica serena, non posso dire che no, il contrario, sicuramente non abbiamo
passato la fame, non abbiamo sentito la crisi economica, anche nell'anno più difficile, che è
stato il '92, quando da un giorno all'altro il costo della benzina si è alzato di trentadue volte100.
E il nostro stipendio […] non girava per quattro o cinque giorni […], poi tutto si è stabilizzato
e le cose sono andate a noi come famiglia, tranquillamente. Direi abbastanza bene. Solo che
ci rimaneva… c'è stato un periodo direi politico, anche la nostra aspirazione è stata sempre di
sforzarci, studiare, continuare, migliorare ed essere riconosciuti. […] Penso io così, una
insoddisfazione personale che noi… sì abbiamo pensato, parlato con alcuni amici
sicuramente, abitavano qua. E avevano detto: “No, di là è diverso, tu vieni, sei più
riconosciuto, guadagni molto di più e non ti sforzi tanto”, perché lì ad esempio non c'è orario
(sott.: di lavoro). […] Poi un giorno mio marito dice “Ma è meglio, noi qua non abbiamo un
futuro, io sono arrivato a questo livello, non potrò arrivare di più...”. E io ero arrivata al
livello f5, poi f6, f7 sono i livelli che... quelli che vengono... diciamo nominati dal Ministero,
non è che… sono incarichi di ° confianza (trad. it: fiducia), anche reciproca, di confianza °. E
ho detto va beh, allora perché non pensiamo di andarcene in altro posto? Un posto che tu puoi
essere più riconosciuto, dove sicuramente hanno… ti chiedono cosa hai studiato (gen. 4:
Adolfina, madre di Flor [6], Liceo α, Perù).
Come si legge Adolfina sottolinea la “tenuta” delle risorse familiari anche nei periodi di
maggiore crisi dell’economia nazionale. L’intervista è usata in questi casi anche come
modo per contrastare l’omologazione verso il basso che i genitori altamente qualificati nel
paese di origine sentono di aver subito nelle rappresentazioni della società ricevente,
100
Anno dell’autogolpe dell’allora presidente Alberto Fujimori.
159
sottolineando l’eccezionalità della loro carriera lavorativa rispetto agli “altri migranti”,
come emerge di seguito.
Int.: Pensavate all’Italia come a un paese (sott.: più stabile politicamente rispetto
all’Argentina)?
Consuelo: L’abbiamo pensato in quel senso, non solo il miglior mercato di lavoro, perché il
lavoro non ci mancava a nessuno dei due, lavoravamo bene e guadagnavamo bene tutti e due,
probabilmente la nostra situazione è diversa dagli altri migranti. Abbiamo preso la decisione
perché volevamo fare un cambio in quanto che non sopportavamo più questo fatto di cercare
di lottare e non riuscire a fare niente, e era continuamente remare incontro alla corrente e ogni
cosa che tu facevi eri incontro de tutto ciò che ti capitava e diventavi alla fine uno stupido
che… che cosa fa questo, continua a lottare? (gen. 11: Consuelo, madre di Fernando [33], IT
α, Argentina).
La stabilità politica è ritenuta uno degli elementi importanti nella decisione di partire dai
genitori con buone collocazioni professionali nel paese di origine. Essa è intesa come
insieme di risorse istituzionali, incluse quelle di welfare e la cornice normativa, ritenute
più amichevoli per far fruttare il proprio capitale umano.
In soli tre casi l’emigrazione è dovuta anche all’evitamento di guerre e violenze politiche
(o rischio di arruolamento per gli uomini). Ma persino in questi casi, accanto ovviamente
alla ricerca della sicurezza personale, emergono intenzioni di mantenere, o migliorare, la
propria posizione nella stratificazione sociale, come si legge ad esempio nel brano
seguente, nel quale la studentessa ricostruisce le ragioni della partenza del padre.
Int.: Sai perché era venuto?
Marina: Aveva preso il credito dal padrone e l’aveva finito per la casa, ha visto che non ce la
faceva a finire tutto, allora è venuto su. E poi lui ha sempre girato, anche da giovane, appena
finita la scuola è andato in Slovenia, di qua e di là. E poi in quel periodo c’era anche la guerra
da noi, e con l’Albania c’erano scontri (voce rotta). Eh… e tutti gli uomini che erano
disponibili andavano… in tante persone sono emigrate qua anche per quel motivo.
Int.: Anche per non dover essere arruolate.
Marina: Sì, poi lui che ha prestato servizio nel ’90 e nel ’91, gli anni che io ero appena nata.
Int.: L’avrebbero richiamato?
Marina: Sì, no, avendo indossato la divisa… allora è dovuto spostarsi (stud. 47: Marina, IP β
arte bianca, 20 F, Macedonia).
Per Zuna, primomigrante partita dopo il matrimonio e la nascita dei figli al paese,
l’intenzione di sfuggire alla guerra è stata impiegata per legittimare la sua decisione di
sfruttare una sanatoria per fermarsi da sola in Italia, dove si recava periodicamente da
anni per lavoro. L’opzione di stabilirsi in Italia, inizialmente avversa dal marito e
osteggiata da tutto il resto della famiglia, è divenuta accettabile una volta ridefinito il
proprio personale progetto migratorio in senso familiare, a causa della necessità di
assicurare una fonte di reddito al sicuro dagli effetti della guerra e riunire, in seguito, i
figli.
Zuna: Io era venuta qua per fare un lavoro per me. […] Io veniva qua per comprare la roba
(sott.: i gioielli che vendeva al paese) e quando sono arrivata hanno fatto la sanatoria per il
160
permesso e poi io ho chiesto il permesso di soggiorno, ho fatto la domanda e mi sono fermata
e tanto lì c’era la guerra anche in Costa d’Avorio.
Int.: Comunque anche il mercato dei gioielli (sott.: del quale facevi parte) era un mercato di
lusso, forse con la guerra era difficile trovare…?
Zuna: Sì sì.
Int.: E quindi si era fermata perché aveva trovato un modo per avere un contratto regolare?
Zuna: Sì sì.
Int.: E questa era una decisione che aveva preso anche con la sua famiglia, erano d’accordo?
Zuna: Nessuno voleva che io sto qua, perché mio figlio anche era giù e è venuto quando ho
avuto il permesso, dopo.
Int.: E suo marito era d’accordo?
Zuna: No no.
Int.: Come ha fatto a convincerlo?
Zuna: Ho parlato e anche lui ha visto che qua stavo lavorando e che lì le cose non andavano
troppo bene a quella epoca e poi… ° non ha detto più niente, ha accettato ° […]. Non è che
facciamo la fame lì (sorride), siamo venuti qua perché le cose non vanno bene con questi
politici che hanno rovinato tutto (gen. 7: Zuna, madre di Koffi [35], IT α, Costa d'Avorio).
Nel caso di coppie sposate, o conviventi, entrambi emigranti, la negoziazione della
partenza tra coniugi è il primo passo per una graduale definizione di un progetto
stabilizzazione.
Int.: Come è andata la decisione di partire?
Stefan: Sono undici fratelli loro (sott.: nella famiglia di mia moglie), nove femmine e due
maschi, e venendo qua le sue sorelle e i suoi fratelli, i suoi cognati, le è venuta l’idea di venire
anche lei. Per due o tre mesi. Ha trovato un lavoro, era il 1995, si è data… è stato prima della
sanatoria. E la signora dove lavorava aveva paura di tenerla in casa senza documenti. Le ha
fatto i documenti, ma le ha detto “Stai almeno un anno” (sorride). E poi… dopo un anno… è
venuta in Romania per un mese e mi ha chiesto di poter ritornare. Era una cosa difficile, però
ho accettato per altri sei mesi, fino a quando poi ho deciso di venire anche io.
Int.: Perché?
Stefan: Perché alla Telecom era una cosa che non mi piaceva tanto. Era una persona di paese
che mi telefonava sempre, anche di notte, di domenica, anche… per guasti. […] Ho
bisticciato con il principale e poi… in un momento di euforia ho detto: “Lascio anche io tutto
e vado in Italia”. Tanto pensavo anche io per un anno, poi quando ho visto che tutti gli altri
hanno portato i figli, abbiamo portato anche noi, 1999, alla fine di agosto, li abbiamo portati
qua. Abbiamo trovato insieme un lavoro a [Comune confinante con Torino], io facevo il
giardiniere e mia moglie i lavori in casa. I miei figli hanno iniziato la scuola qua. […]
Int.: Però lei quando era venuta all’inizio immaginava già che sarebbe rimasta?
Miranda: No, no!
Int.: Se le avessero detto: vedrà che i suoi figli vorranno rimanere…
Miranda: No, no! Perché sono arrivata prima io, e mio marito è venuto qua dopo, però io
neanche il passaporto lo volevo vedere. Dicevo: “Sto un anno, due, faccio una montagna di
soldi” (sorride), sai che pensavamo che lì si fanno i soldi così, sai! (sorride).
Int.: Perché lei aveva già fratelli qui e così lo vedeva come un investimento economico (sott.:
partire).
Miranda: Sì, ma neanche loro sai non lavoravano tanto. Però ° io pensavo: “Sono una donna,
vado da persone anziane, perché ci sono tanti anziani ° ” (gen. 2: Miranda e Stefan, genitori
di Gratian [28], IT α, Romania).
La scelta di partire per prime per le donne coinvolte nella ricerca è motivata con
l’aspettativa di avere maggiori opportunità di trovare lavoro rispetto al marito, data la
richiesta di operatrici nel settore della cura in Italia e anche potendo contare su una rete
migratoria femminile di connazionali.
Int.: Perché aveva pensato di venire lei qua, e non suo marito?
161
Maricel: No, perché… io non lo so come spiegare. Mia cugina… è mia cugina proprio e
allora… io… come si dice. Perché lei mi ha detto di venire, io, non mio marito, perché lo sai,
qua per uomo… ° è un po’ difficile °. Per donna si può fare tutto, ma per uomo… e adesso
trova perché siamo come coppia, se è da solo non credo che trova (sott.: lavoro) (gen. 6:
Maricel, madre di Trisha [30], IP α, Filippine).
Mia madre ha lavorato sempre in quella fattoria, poi sempre per motivi di lavoro e cose così
dovevano mandare via altra gente, e quindi anche lei (sott.: come era successo prima a mio
padre) è dovuta andare via da lì. In Romania ha detto “Non posso fare niente, cioè altre
possibilità non ho” e quindi ha deciso di venire per prima mamma qui. Perché ° per una
donna è più facile trovare lavoro ° cioè sapeva già che avrebbe fatto la badante o cose così
(stud. 49: Mirko, Liceo β scientifico, 19 M, Romania).
Un altro motivo dell’emigrazione che differenzia le madri dai padri del campione è
l’unione coniugale con cittadini italiani. In quattro casi infatti la partenza della primo
migrante (madre o sorella maggiore dell’intervistata) è dovuta al matrimonio (Marisa,
Lorena, Rocio e Aicha).
Int.: Sai perché tua mamma era venuta?
Rocio: Allora perché il marito di mia madre era venuto da noi in Ecuador e si sono conosciuti
lì, era lì per lavoro, di lì è nato tutto (stud. 55: Rocio, IT β grafico, 21 F, Ecuador).
Lei (sott.: mia sorella) era sposata con un italiano, lei era un capo di una fabbrica di
un’azienda di camice a Casablanca, poi è voluta venire qua anche per aiutarmi, ha conosciuto
un italiano, si sono sposati, e ci ha fatto venire tutti qua, poi non sono andati d’accordo e si
sono separati, poi ha trovato questo compagno e ha fatto due figli (stud. 21: Aicha, IP α
aziendale, 20 F, Marocco).
A volte è il desiderio di emigrare a motivare il matrimonio, e non viceversa, specie da
paesi a flussi di emigrazione ancora prevalentemente maschili. La ricerca qui presentata
non aveva lo scopo di indagare questi aspetti, ma è interessante notare che nel caso delle
intervistate, lo spostamento ha riguardato la moglie, dal paese a forte pressione migratoria
di cui era originaria verso l’Italia, paese del marito, anche se in un caso al momento
dell’intervista il nucleo familiare è rientrato al paese di origine della moglie perché i
genitori, entrambi di classe operaia in Italia, prospettano di avviare una attività
imprenditoriale più facilmente là. Di nuovo siamo di fronte a progettazioni familiari in
base alle chances di mobilità nei sistemi di stratificazione sociale di riferimento, intese in
senso relativo, per l’unità familiare e per ognuno dei membri. Vedremo come la
costituzione di coppie miste influenzi il tipo di risorse, innanzitutto cognitive, che gli
adulti di riferimento possono impiegare nella definizione del percorso di istruzione dei
giovani migranti.
Le coppie neocostitutive di fatto, invece, sono formate da coniugi sposati nel paese di
origine, nel campione nel Maghreb, ma conviventi effettivamente solo nel paese di
destinazione, una volta ultimata la procedura di ricongiungimento familiare. La partenza
della moglie in questi casi era finalizzata a sposarsi con il futuro marito, già emigrante
162
durante il fidanzamento, malgrado le notizie sul primo periodo di inserimento arrivassero
rarefatte, quando i mezzi di comunicazione non erano efficienti e economici come oggi.
Int.: Sapeva quindi che sareste venuti?
Asmaa: Sì, sì. Conosciuti ’86, sposati ’89, mi scrive lettere perché se telefoni una botta…
adesso non si fanno più… “Sai sto passando questo periodo, che questo problema…” adesso
sul computer vedi, un altro mondo.
Karim: Comunque io sono stato fedele, eh? (ride) Ho tenuto la parola: ritorno e ti sposo.
Anche se sono stati due anni molto lunghi, non siamo più in città, non siamo insieme. Qua
non è stato facile. Sono stati due anni… di tutto! Di sofferenza, di lontananza dai tuoi
familiari, soldi proprio giusti. Fino alla Legge Martelli, che ha poi reclutato tutti. ° Mia
moglie era anche ansiosa… cosa fa questo qua… io sono stato innamorato di lei dal primo
giorno e l’amo fino a che dio non ci separi. […]
Int.: Voi vi conoscevate già in Tunisia quindi?
Asmaa: Ma non è la città tanto grande allora si conosce tutti…
Karim: Sono le grandi famiglie della città, come in Sicilia, le famiglie fanno il fidanzamento
prima della partenza, un anno là, poi due anni qua, sai io mi sono sistemato, trovare casa e
lavoro, sai Torino com’è, e adesso noi all’inizio gli stranieri eri… era molto difficile, ti parlo
di 25 anni fa, era difficile perché non hai referenze, non hai riferimenti, non hai quello che
dici: “Quello là lo conosco e ti puoi fidare”. Sono andato giù, ci siamo sposati, una settimana
ed è venuta subito. Ho preso un permesso di tre mesi dal lavoro, perché quest’attesa di
sposarsi stava diventando molto lunga… [...]
Int.: Lei sapeva di questo progetto (sott.: di vivere in Italia)?
Asmaa: Prima, no. Poi sì.
Karim: Quando ci siamo conosciuti non c’era questo traguardo per niente. Ma dove trova un
bravo ragazzo come me? (ride).
Asmaa: L’idea dell’Italia non mi ha fatto cambiare…
Karim: Parliamo di quei tempi lì. O sei ricco e allora ti metti nella vetrina e scegli (sott.: il
coniuge) “Questo è il mio tipo, quello no!”. Però, sul livello comune, di gente comune, se
trovi una donna di famiglia buona, per bene, educata, e tutto il resto, nel futuro… perché
l’origine di quella famiglia com’è? Sfrutta la famiglia dopo, questa è la prospettiva della
nostra famiglia. Quindi se lui trova una donna così, è benedetto dal signore. Viceversa lui
beneducato, famiglia conosciuta, lavoratore, me lo sposo eccome! È quello, nel nostro mondo
di quei tempi. Oggigiorno manca questo. Oggi si cerca il divertimento più che altro, il
materialismo… oggi la donna guarda: “Com’è il lavoro, la casa, la macchina? Ci sono
interessi? Allora no. Io devo sposare un poveraccio, un morto di fame? Allora rimango
single!”.
Int.: Quindi notate questa differenza.
Asmaa: Sì.
Karim: Sì, drasticamente […].
Int.: E lei era d’accordo? Sapeva che sareste venuti a vivere in Italia?
Asmaa: Sì, sì, sì. Si sta male in Tunisia.
Karim: [...] Di là quando uno è fidanzato decade tutto, sono patti proprio radicali, quei patti
che prendono per la vita. Io ho vissuto due anni in Europa, ho visto tante cose… ma se non
l’avessi più voluta sarebbe caduto il rispetto della famiglia, avrebbero detto “Quello è un
bastardo” e la tua famiglia dopo una cosa così non è più una famiglia per bene. Tutto questo è
il
senso,
ha
molto
peso…
anche
se
qualcuno
lo
fa.
Asmaa: Sì! (gen. 8: Karim e Asmaa, genitori di Saloua [37], Liceo α, Tunisia).
La storia di Karim e Asmaa fa emergere diverse dimensioni dell’intreccio tra traiettoria
familiare e migratoria: il ruolo della parentela per garantire la rispettabilità dei fidanzati,
l’importanza di tenere fede agli impegni presi malgrado l’incertezza dovuta alla
lontananza, il ruolo della posizione sociale nella definizione di un “buon matrimonio”. La
partenza di Karim si è definita dopo il fidanzamento, e la scelta di Asmaa di raggiungerlo
163
è motivata dall’intervistata non solo in ragione del rispetto del patto familiare che precede
il contratto matrimoniale, ma anche di un suo desiderio personale di partire. In altri casi,
invece, il matrimonio con un emigrante, e la conseguente partenza delle giovani spose,
per le famiglie di origine agiate risulta già di per sé una delle possibili strategie per evitare
perdita di status sociale (El Miri, 2011). Anche senza programmare pre- partenza un
inserimento occupazionale della moglie nel paese di destinazione.
Diverso è il caso delle madri single, provenienti dall’Est Europa e dal Sud America. Per
loro la scelta di spostarsi è maturata in basa al calcolo delle opportunità di inserimento
economico nell’area di arrivo, necessario soprattutto quando, in seguito alla separazione
dal marito o compagno, gli oneri di mantenimento dei figli e quelli del lavoro di cura di
fatto spettano esclusivamente alla madre.
Loro si sono separati, mia mamma e mio papà, lei è venuta qua apposta, dopo la separazione
(stud. 56: Miguel, IT β grafico, 20 M, Brasile).
I miei sono separati, lui, mio padre, quando avevo sei mesi è andato in Germania, allora lei è
rimasta sola con due bambini. [...] E… lei si occupa di questo ambito qua, ristorazione, ha
avuto qualche ristorante, di qua e di là, ma alla fine i soldi che investiva… cioè li investiva di
là e in casa non c’erano mai soldi. Allora ha detto di venire qua perché lo stipendio è molto
più alto che di là. Eh! (stud. 1: Adia, Ipα sociale, 19 F, Romania).
La partenza è vista dalle protagoniste, e dai loro figli, come una delle conseguenze del
divorzio/separazione. Non solo dal punto di vista simbolico, relazionale e affettivo,
dimensioni tutte importanti e influenti, come aveva bene illustrato Decimo (2005). Ma
anche dal punto di vista economico, come modo di stabilizzare le entrate del nucleo,
quando l’unica percettrice di reddito è una donna.
Int.: Sapevi perché era partita?
Sabina: Sì, per il denaro, perché poi non ci poteva offrire più niente, andare a scuola e tutto il
resto. […] Poi io per fare il liceo mi dovevo spostare 50 km e… fino ad andare in una città,
quella più grossa. […] Mia madre ha detto “Prima guadagniamo un po’ di soldi e poi
vediamo come va”. Ma visto che da noi… non vanno le cose così bene, il lavoro si trova
difficilmente, poi anche se si trova lo stipendio è poco. Poi per due figlie… non basta. E poi
ci ha portato qua (stud. 44: Sabina, IP β sala bar, 20 M, Romania).
Lorian: Mia madre era in cerca… come dire? Di lavoro e comunque di un altro futuro per me,
perché in quel momento voleva dare un futuro a me, per portarmelo avanti per conto mio.
Int.: Renderti autonomo?
Lorian: Anche quello, aiutarmi a crescere e tutto (stud. 48: Lorian, IP β sala bar, 20 M,
Romania).
Per Luana, la madre di Lorian, partire avrebbe implicato dequalificazione occupazionale
nel paese di destinazione per il probabile inserimento nel settore domestico o del lavoro di
cura, ma avrebbe anche procurato il miglioramento della posizione sociale del figlio
rimasto nella società di origine, per effetto delle rimesse.
164
Anche in casi di genitori sposati compaiono narrazioni dell’emigrazione nelle quali la
partenza dei primo migranti è finalizzata a garantire più opportunità di formazione e
lavoro ai figli.
Dal punto di vista economico, stiamo abbastanza bene rispetto ad altri, magari… Però mio
padre si aspettava… un futuro migliore vivendo all’estero, in Italia… sicuramente prospettive
migliori per lui, magari lui non tanto, però per i suoi figli, quindi per noi, il discorso è per me
e mia sorella. E… e anche, dal punto di visita politico, era abbastanza contrario al regime che
c’era prima in Romania, quindi appena ha potuto quello è stato (stud. 50: Iulian, Liceo β
scientifico, 19 M, Romania).
Abbiamo detto “Dobbiamo offrire ai nostri figli una migliore possibilità” (gen. 11: Consuelo,
madre di Fernando [33], IT α, Argentina).
E comunque mia madre è ° migrata qua… ° mmh… nel ‘92. Io ero piccola, appena nata,
mmh, e ha deciso di farlo perché… non è che si guadagna tanto facendo questi lavori. E
allora i miei erano già grandi, e mia madre se ne è accorta che… non bastano, non bastano i
salari per… ° per mandarci avanti °, allora ha deciso di emigrare qua (stud. 30: Trisha, IP α
sociale, 22 F, Filippine).
Non penso che uno come me o come un altro sono venuti in Italia per diventare ricchi. No.
Però per fare un futuro ai nostri figli e… di… vivere un po’ meglio (gen. 2: Stefan, padre di
Gratian [28], IT α, Romania).
Int.: Voi quando siete venuti pensavate anche a lui e al suo futuro?
Nicoleta: Sì. Per quello siamo scappati via.
Valeriu: ° 70-80% per lui °.
Nicoleta: Per lui.
Int.: Perché per lui?
Nicoleta: Era piccolo, era piccolo.
Valeriu: Perché non avevamo forza così.
Nicoleta: Economica. […]
Valeriu: Per lui, per il suo futuro. Perché là non ti aiuta nessuno, eh? Nessuno, nessuno lì ti
aiuta. Invece qua abbiamo trovato, ° non ti guardano neanche in faccia là, perché sono poveri
anche loro, no? Non ti può aiutare un parente o un amico ° […].
Int.: Pensavate a vostro figlio (sott.: quando avete deciso di venire in Italia) come più
opportunità di studio, di lavoro?
Valeriu: Di studio. Di studio. Sì.
Int.: Ah, per farlo studiare?
Valeriu: Sì. Sì perché si vedeva da quando era piccolino che era bravo (gen. 1: Nicoleta e
Valeriu, genitori di Dimitri [19], IT α, Romania).
La partenza dei genitori è rappresentata in funzione dell’inserimento dei figli nella società
di destinazione, sia dal punto di vista della sicurezza economica assicurata dal migliore
ritorno lavorativo dei genitori (o della rete sociale di riferimento), sia dal punto di vista
della protezione dello stato sociale, incluso il sistema educativo.
Int.: Sai perché è venuto?
Georgeta: Per poterci offrire una vita migliore a me e mia sorella. […] Per poter studiare,
per… magari per opportunità di lavoro meglio di quelle che avevano avuto loro.
Int.: Mmh... Loro comunque avevano un’attività.
Georgeta: Sì, ma non è che si stava male. Però i soldi, i salari erano bassissimi. E andando
avanti è sempre peggio la vita lì, non migliora niente, e quindi voleva offrirci una vita
migliore a noi (stud. 17: Georgeta, IT α meccanico, 20 F, Romania).
165
Per quasi tutti i giovani intervistati ricongiunti (a parte una, che attraversava al momento
dell’intervista una fase di difficoltà economica e scolastica) le ragioni della partenza dei
genitori, e la loro inclusione in queste, sono state discusse e comprese, anche se talvolta
anni dopo la separazione. Il progetto migratorio ha tra i suoi significati principali “dare un
futuro migliore” proprio a loro, ai figli. Questo elemento fa parte di tutti i racconti
collettivi della migrazione familiare ricostruiti attraverso le interviste. Anche nel caso in
cui il primo migrante fosse partito prima del matrimonio e della nascita dei figli, la sua
permanenza in Italia, e la stabilizzazione del nucleo familiare nella penisola, è
continuamente rimotivato dalla narrazione della migrazione familiare come processo
definito, gradualmente o dai suoi esordi, per garantire a tutti i componenti, in particolare
quelli più giovani, più opportunità di inserimento sociale.
Le modalità di arrivo del primo migrante, invece, non sempre fanno parte della narrazione
dell’emigrazione condivisa tra i familiari, specie quando l’ingresso è avvenuto in
condizioni irregolari o illegali.
Come abbiamo visto attraverso le interviste ai testimoni qualificati, la regolarità del
soggiorno dei genitori facilita l’ingresso dei figli e la loro permanenza nei circuiti
formativi più lunghi e formali. Uno dei modi di ingresso regolare per gli intervistati è
stato l’acquisizione della cittadinanza italiana dall’estero, nel caso di sudamericani
discendenti da italiani, oppure di matrimoni misti con italiani. L’ingresso con la
cittadinanza ha anche agevolato l’arrivo simultaneo del genitore e dei figli.
Avrei un fratellastro che ha avuto discendenze italiane e diciamo che ha aiutato lui mio padre,
ci ha aiutati per venire in Italia. È molto più grande. È venuto molto tempo prima perché la
sua madre ha discendenza italiana e è riuscito a prendere la cittadinanza italiana (stud. 6:
Flor, Liceo α scientifico, 18 F, Perù).
Accanto a questa modalità di ingresso regolare compare, in un solo caso, il contratto di
lavoro per chiamata dall’Italia.
Int.: E sai perché erano venuti?
Malika: No, mio padre, cioè… una… ° una sua parente da lontano era sposata con un italiano.
E poi sono venuti da noi in Marocco, era venuto da lei e sono venuti da qua, poi ha visto le
cose che fa mio padre, e gli ha detto “Ti faccio un contratto e vieni a lavorare con me” e
adesso è da undici anni che lui lavora per lui.
Int.: Ah, perché ha avuto questa possibilità di lavoro?
Malika: Sì. Quindi dopo tre anni ha fatto ricongiungimento per famiglia con mio fratello, poi
per me e…
(stud. 29: Malika, IP α sociale, 22 F, Marocco).
Gran parte dei genitori primo migranti, tuttavia, hanno trascorso un periodo di
irregolarità, spesso di più anni, di solito prolungando la permanenza oltre la regolarità, ma
in alcuni casi anche a partire dall’ingresso, avvenuto appoggiandosi ad organizzazioni
166
criminali, ottenendo a caro prezzo i documenti per l’espatrio, anche in caso di insuccesso
dell’operazione.
Skordian: Il 10 aprile del 2001 sono venuto qua, con un visto falso eh? Come un uomo dei
sindacati, come si dice. Ho pagato quattro milioni di lire per il visto. […] I migranti tu devi
sapere che se fanno qualcosa qua, sono sempre in collegamento con gli italiani. Quando ero là
in quella casa, c’era un uomo italiano, alto due metri, uno che faceva paura, un giorno mi
hanno portato due ragazze moldave e mi hanno detto “Scegli una e lavori”, come merce. Hai
capito? Mio fratello in Albania è un poliziotto, e loro mi hanno detto “Per te professore,
prendi questa”. Io facevo il muratore e là mi tenevano con 100mila lire a settimana, e loro mi
dicevano “Ma perché professore? Prendi questa e non hai problemi”. Poi dal ’97 hanno
iniziato a controllarli quelli con la maschera, quelli che escono rari. Ma mio fratello, erano
suoi amici, nel 2000 erano una organizzazione troppo forte qua, erano troppo forti. Nel 2000
hanno aperto anche una ditta per coprire questo. Così, abbiamo fatto anche un lavoro, a
piastrellare, e andavo a pubblicizzare casa per casa che avevano fatto almeno un lavoro. Ma
nel 2001 la polizia li ha fatti pezzi a pezzi, tutti. Ma erano tremendi. Ma è un mondo… che
non è il mio mondo. Non solo la polizia, ma si fanno male tra di loro, perché i protettori
hanno i loro posti, se qualcuno esce, c’è la guerra.
Int.: E ora sa che ne è stato di loro?
Skordian: Sono tornati tutti in Albania, espulsioni. Una volta eravamo svegli alle cinque di
mattina, esce un fratello e prende la ragazza per portarla a casa. Alle 5.10 entrano due
poliziotti, io stavo dormendo, non ero abituato a quegli orari. L’avevano fermato quello che
era uscito, con le sue chiavi sono entrati. Li arrestano tutti, mi toccano, mi svegliano, dormivo
con la tuta del lavoro. Mi hanno detto “Dormi tu”. I poliziotti, adesso penso che loro li
conoscevano tutti per nome, cognome, e ragazze. Penso che loro sapevano che non facevo
quel lavoro. ° Una ragazza, la moldava, ha fatto tutti i nomi °, perché erano duri con lei,
anche la picchiavano. Loro stavano a meno dieci fuori, venivano a casa ghiacciate, loro
pensavano “Se una è scema, che accetta questo, devi trattarla così”. Una ventina per cento ce
l’hanno anche ragione (gen. 5: Skordian, padre di Verim [15], Liceo α, Albania).
Nel 2000 sono arrivato qua ai primi di gennaio… da solo. Avevo qualche parente che abitava
qui che mi ha ospitato perché il momento era difficile… Anzi, per arrivare qua ho pagato
mille dollari. […] Sempre con… C’erano delle abitudini, delle regole che dovevo rispettare :
non uscire, non potevo… non sapevo la lingua. C’era la polizia, facevano delle pattuglie. Poi
i posti erano… […] non potevo andare nei luoghi affollati dove c’erano sì, c’erano riunioni
degli stranieri… Però loro erano in regola quindi io non potevo, anche se li conoscevo, lì non
potevo andare perché ° se mi fermavano non potevo dire niente °. Poi … ho trovato qualcosa
da lavorare, > ho lavorato in nero < dal 2000 fino a quando è arrivata la legge Bossi-Fini, nel
2002, no? Mi sembra. Da settembre 2002 io sono in regola. Anzi, ottobre (gen. 9: Costantin,
padre di Elisabeta [2], IP α, Romania).
L’Italia come meta è stata scelta, in aggiunta agli altri elementi sopra citati relativi alle
opportunità di inserimento lavorativo e di situazione politica stabile, proprio in ragione
delle maglie normative ritenute meno “rigide” rispetto alla regolarità del soggiorno101.
E allora (sott.: quando ho deciso di partire) ho cercato… era mia intenzione la Francia. […]
Perché la Francia è molto conosciuta in Marocco. Perché la Francia non so se lo conosce, la
Francia ° ha colonizzato il Marocco per un periodo °, allora è molto conosciuta in Marocco.
L’Italia sì, non è… sì, sapevamo che era un paese europeo perché l’avevamo studiato, ma non
sapevamo niente di… però sapevamo che c’era altra gente che sono venuti prima di noi, e
hanno parlato di… che l’Italia è anche un bel paese da vivere, molto sociale, e infatti ci ho
pensato di venire qua. Era anche ° una strada più facile per entrare ° (gen. 3: Amer, padre di
Safia [7], Liceo α, Marocco).
101
In realtà il fenomeno dell’immigrazione irregolare non riguarda affatto soltanto l’Italia o l’Europa
meridionale. Esso costituisce da tempo un elemento strutturale, molto importante per i regimi di welfare e
per molti settori economici anche dei paesi di destinazione a più lunga tradizione migratoria (cfr. Sciortino,
2011).
167
È importante ricordate che i genitori degli intervistati sono entrati in Italia
prevalentemente nel corso degli anni Novanta, quando il divario tra regolari e irregolari,
dal punto di vista dei diritti sociali, dell’accesso al lavoro e della tutela giuridica, era
meno aspro di oggi. Inoltre, allora come attualmente, l’irregolarità non costituisce di per
sé né un indicatore di marginalità né una identità totalizzante che assorbe tutti i ruoli
rivestiti dagli attori sociali (Sciortino, 2011), ma piuttosto rappresenta una sorta di “fase”
del percorso di stabilizzazione in Italia, attraversata così diffusamente anche a causa di
procedure di acquisizione del permesso di soggiorno che “obbligano” all’illegalità
(Ferraris, 2008)102. In effetti dalle interviste l’irregolarità non sembra dipendere tanto
dalla collocazione degli emigranti nel paese di origine in posizioni svantaggiate (Skordian
ad esempio era docente universitario, Valeriu direttore di una catena di ristoranti), ma
piuttosto dalla gestione politica dei flussi migratori e dalle norme nelle aree di partenza e
destinazione.
Noi avevamo fatto la richiesta per il visto, ma non ce l’avevano data. No, no, no, no.
L’abbiamo fatta per anni. Un anno e mezzo che mia madre andava all’ambasciata albanese là
per… no niente non ce l’hanno mai data (stud. 15: Verim, Liceo α scientifico, 21 M, Albania).
L’irregolarità del primo periodo tuttavia è ricordata da tutti gli intervistati con angoscia e,
come vedremo, ha avuto l’effetto di una “ferita” nella traiettoria occupazionale di
inserimento nel mercato del lavoro per gli altamente qualificati al paese.
Le vicissitudini dell’inserimento dei genitori in Italia sono state rese note ai giovani
migranti di solito molto più tardi, dopo il loro arrivo in Italia. Nel primo periodo dopo la
partenza, i genitori avevano preferito trasmettere ai figli, ancora bambini, immagini
positive
Lorian: Quando è arrivata nel ’99 l’ha raccontata come il paese delle meraviglie, no? Perché
c’era tutto rispetto alla Romania, no? Quindi la gente che si saluta così per strada anche se
non si conosce, persone al mercato, tutto più bello.
Int.: Te lo raccontava anche al telefono
Lorian: Solo per telefono. Io non ho più visto mia madre per circa tre anni. E… le prime volte
al telefono erano tragiche.
Int.: Eri piccolino.
Lorian: Sì, mi chiamava “Come stai?” e subito a piangere.
Int.: Ti mancava.
Lorian: Eh, sì, mi mancava tantissimo (stud. 48: Lorian, IP β sala bar, 20 M, Romania).
In letteratura si sottolinea che la discrepanza tra visioni edulcorate del paese di
destinazione pre-partenza e dura realtà dell’arrivo acuisca la fatica iniziale dei bambini
102
Tanto che le regolarizzazioni sono paradossalmente ritenute uno dei – principali – strumenti di politica
migratoria in Italia (Barbagli, Colombo e Sciortino, 2004; Ambrosini, 2012).
168
riuniti, tuttavia i racconti positivi dei genitori, stando ai brani di intervista analizzati, non
sembrano tanto volti a riflettere una immagine del sé adulto vincente sul piano della
mobilità sociale, ma piuttosto a mitigare le sofferenze dei figli dovute alla separazione.
5.2. Gli anni della separazione
Un tempo non sapevo / che cosa volesse dire / la parola malinconia. / Adesso l’ho imparato.
Se lo guardo, / non è più così blu il cielo / che si offre ai miei occhi,
se li guardo, / non mi appaiono più così verdi / ora i prati.
Perciò, è triste persino / la mia bicicletta.
Insieme percorriamo le sponde / di un lungo fiume.
E penso… / Laggiù i raggi del sole / ed il fiume si è fatto azzurro.
Forse anche questa vita / può essere bella.
(Yin Chai e Jian Sang, C.I.D.I.S.S., 1997).
Nel caso dei ricongiunti, la partenza dei genitori, nel momento in cui era avvenuta, è
ricordata innanzitutto come il vissuto di un distacco.
La separazione dai genitori emigranti stagionali dall’Europa dell’Est in effetti, era
cominciata gradualmente, prima della partenza definitiva di uno o entrambi i genitori.
Concentrare il tempo di lavoro in un altro paese è visto inizialmente da queste madri (e in
parte anche dai padri intervistati) come un modo di conciliare responsabilità di cura e
lavoro pagato, specie in concomitanza di investimenti economici come l’acquisto della
casa, traslando nello spazio e in momenti diversi dell’anno i due compiti: cura nel periodo
di rientro al paese, di solito estivo, lavoro nel resto dell’anno trascorso fuori. La relazione
educativa tra genitori e figli, però, secondo gli intervistati, si crea quando la coabitazione
è prolungata e continuativa. Nel caso di Ionel, come nelle famiglie neocostitutive di fatto,
il riconoscimento del padre come figura autorevole (e dunque influente per i progetti del
figlio) si costruisce solo dopo la riunione familiare in Italia.
Int.: Non hai ricordi di questa cosa (sott.: di quanto tuo padre emigrava periodicamente per
lavoro)?
Ionel: Eh… no… So solo che veniva raramente a casa… Soprattutto la prima volta, fino al
‘92-’93…° veniva una volta l’anno °… d’estate, e per noi ° era uno sconosciuto… °
Int.: Ci credo…
Ionel: Ci portava i dolci, erano tutti felici… (sorride) ° ma poi chiedevamo a mia mamma:
“Quando se ne va il signore?” (sorride) cioè “Si sta soffermando troppo…” […] E fino al ‘93
è rimasto così, perché abbiamo comprato una casa nel ‘94 e dovevamo mettere un po’ di soldi
da parte. Però poi, dal ‘94 in poi veniva più spesso, veniva… sia d’inverno per le vacanze
natalizie, che d’estate, poi a volte anche a Pasqua si faceva le settimane…
Int.: Era in Italia o anche in altri paesi?
Ionel: E’ stato, prima del ‘91 in Germania, Belgio, Austria e Ungheria, si è fatto un po’…
quella zona. [...] Non so quanto si sia fermato °. In Germania… un po’ di più… […] io ero
ancora piccolo… Sì, poi è rimasto un po’ in Italia, poi è tornato per cercare lavoro > non so
dirle l’anno < in Romania… ma non ha trovato molto allora è tornato qua. Ed è rimasto qua.
169
[...] (sott.: Inizialmente mi facevo giustizia da me con i compagni di scuola). Poi, piano piano,
mi sono calmano (ride). Ma perché ° perché soprattutto senza mio padre, mia mamma… non
è che poteva seguirmi in tutto e per tutto, per quanto lei… ° sono stato un po’ birichino
(sorride) nell’infanzia. Poi venendo qua, la pressione di mio padre, ogni giorno addosso, mi
ha fatto molto calmare. Per forza (sorride) (stud. 52: Ionel, IT β grafico, 20 M, Romania).
Per le famiglie originarie da aree molto distanti dall’Italia, ad esempio dall’Asia o
dall’America del Sud, gli spostamenti sono molto più costosi. Genitori partiti quando i
figli erano piccolissimi risultano dai racconti degli studenti intervistati figure quasi
evanescenti: la relazione genitoriale, e insieme ad essa, anche la narrazione della
migrazione familiare come progetto di mobilità sociale collettivo, si è costruita dopo la
riunione nel paese di destinazione, con i figli ormai grandi. Dal racconto di Bai non solo
la situazione socio-economica familiare prima della partenza dei genitori, ma tutta la sua
prima infanzia sembrano svanire.
Bai: E ha deciso di venire qua, e io piccolo non ho neanche un ricordo di mio padre, perché
mio padre è andato via quando… prima che io nascessi, e mia madre è andata via subito
dopo, quando sono nato, avevo un anno o forse meno, e è andata via. Infatti vivevo con i miei
nonni. E quando ero piccolo non avevo neanche un ricordo dei miei, non sapevo neanche chi
fossero, e ero… non lo so, non avevo i genitori, non saprei descriverlo… non so, non sapevo
neanche cosa fossero mamma e papà, perché vivevo con i nonni, non sapevo chi fossero, mi
dicevano “Poi li incontrerai” eccetera, infatti dopo qualche anno, mia mamma è tornata per
portarmi in Italia e li ho conosciuti, però non sapevo chi fossero e cosa fossero. [Mia sorella]
forse qualcosa in più, ma non penso tanto neanche lei. Forse qualche vicenda in più, forse si
ricordava quando mia madre è partita, però io niente, proprio zero, i primi cinque anni della
mia vita non so neanche cosa è successo, non ho neanche ricordi.
Int.: In generale?
Bai: In generale, in generale. Ricordo vagamente qualcosa di quando avevo sei anni, vivevo
con i miei nonni e facevamo la classica vita di campagna, e basta, nient’altro (stud. 46: Bai,
IP β cucina, 21 M, Cina).
Per Bai l’autocollocazione in un progetto migratorio familiare, e la sua relazione con il
paese di origine dei genitori, avviene nel corso dell’adolescenza, anche attraverso un
viaggio di un anno in Cina per imparare la lingua dei genitori, compiuto al termine del
triennio di scuola secondaria superiore.
Nelle aree di partenza in cui i flussi emigratori, sono più forti, in questo caso, verso
Torino, la regione intorno a Bacau della Romania ad esempio, o quella intorno a
Khouribga in Marocco, i figli di emigranti sono sempre di più, contribuendo a diffondere
tra i bambini con genitori all’estero per lavoro la percezione di normalità dei nuclei
familiari separati o transnazionali.
Int.: C’erano tanti tuoi amici con genitori fuori?
Adia: Che avevano un genitore in un altro paese? Sì, sì. Adesso soprattutto sono in tanti, c’è
una famiglia di sicuro che ha almeno un membro della famiglia che è venuto in un altro
paese. Perché c’è una situazione… (stud. 1: Adia, Ipα sociale, 19 F, Romania).
Int.: E tu sapevi che saresti venuto? Cioè ti avevano detto che…
Mirko: Eh, quando già mamma parte capisci che… di solito in classe o tra gli amici c’era
comunque qualcuno che… ha i parenti o la mamma, il papà, il fratello, magari più grande,
170
che è partito. Di solito tornano, ma quando la mamma, cioè la mamma è andata via… e poi
anche quando… non è che… cioè ero piccolo, quindi non è che dovessero spiegare a me le
cose, e quando papà è partito avevo capito che mi sarei riunito anche io (stud. 49: Mirko,
Liceo β scientifico, 19 M, Romania).
Il mantenimento dei legami tra genitori e figli durante la separazione della convivenza
familiare alimenti frequenti e complessi scambi tra paesi (Bonizzoni, 2010; Boccagni e
Lagomarsino, 2011). Sono soprattutto le madri, rispetto ai padri, a curare le relazioni a
distanza, come emerge da studi sulle emigrazioni dal Centro e Sud America (cfr. Mejìvar
e Abrego, 2009; Abbatecola, 2010 in Boccagni e Lagomarsino, 2011). Le primo-migranti
da questi paesi svolgono due ruoli nei confronti dei figli lasciati al paese: procacciatrici di
reddito con l’invio di rimesse e “buone madri” prestatrici di cure a distanza (Bonizzoni,
2010; Boccagni e Lagomarsino, 2011). Nonostante la profusione di sforzi, tuttavia, la
documentazione empirica sull’argomento evidenzia marcata insoddisfazione per la
superficialità e l’inadeguatezza delle relazioni a distanza (Boccagni, 2009; Bonizzoni,
2010).
Per le famiglie intervistate, i doni acquistati in Italia e inviati al paese per i figli sono stati
un modo non solo per mantenere le relazioni genitoriali, come ricorda Adia, ma anche un
segno di status tra bambini, come racconta Veronica.
Adia: Certamente mi mancava mia mamma.
Int.: Vi sentivate?
Adia: Sì, sì, ci sentivamo sempre, tutti i giorni mi chiamava. Magari mi mandava dei pacchi,
con dei vestiti, dolci, queste cose (stud. 1: Adia, Ipα sociale, 19 F, Romania).
Mia nonna mi raccontava che il primo giorno di scuola ero proprio fuori (tono ironico). Mi
sveglio all’una di mattino, vado a svegliare mia nonna: “Nonna, nonna, ma che ora è? Non
andiamo a scuola?” mia nonna che mi fa “Veronica! Vai a dormire che è ancora presto”.
“Uffa, quando arriva questa scuola?”. Sono andata a dormire, alle cinque sono alzata, mia
nonna mi ha mandato di nuovo a letto, e finalmente alle sette sono alzata, ero contentissima!
Perché avevo tutto nuovo, le mutande, le scarpe luminose, il… zainetto di Titty… perché
queste cose ° me l’ha comprate mio padre, e in Ghana pensano che chi è in Europa è ricco °
allora mi aveva comprato mio padre, ero… cioè ero contentissima! L’uniforme ben stirata,
truccata, mia nonna mi aveva truccata, pettinata, avevo i capelli così (gesto codini), uno qui e
uno là, camminavo così (gesto con fierezza), con le scarpe luminose! E sono… cioè sono
andata a scuola e ero contentissima, ho visto la maestra e … (ride) quando l’ho vista… subito
mi sono alzata la gonna per fare vedere le mie mutande nuove! (ride) (Veronica, 18 anni, F,
Ghana, studentessa IP Alberghiero di Torino, documentario“Tutto è possibile”).
Le esatte motivazioni dell’emigrazione dei genitori, come prima spiegato, non sono
chiare ai bambini più piccoli left behind e naturalmente tutti gli eventi familiari della
prima infanzia sono esperiti da loro innanzitutto emotivamente, secondo la fase del loro
sviluppo cognitivo e psicologico nel momento in cui erano avvenuti. Tuttavia i ricordi
dell’impatto dell’emigrazione nella percezione di sé dei bambini figli di emigranti
all’interno dello spazio sociale che all’epoca era il loro riferimento si configurano con più
171
chiarezza in seguito, nelle narrazioni degli adolescenti migranti, una volta risignificati alla
luce delle consapevolezze che i giovani hanno maturato, più sistematiche e globali, sul
funzionamento della stratificazione sociale. Dal racconto di Veronica emerge come questi
ricordi assumano il significato, anche imbarazzante, dell’uso delle risorse familiari inviate
dai genitori, costate a entrambe le parti, genitori e figli, tutta la sofferenza del distacco,
nell’ottica del posizionamento sociale. L’invio di denaro e di regali e le telefonate sono
gli unici contatti dei figli con i genitori, in particolare con la madre, la cui mancanza è più
sentita dagli intervistati. Quando ciò che si riceve è inferiore alle aspettative possono
dunque manifestarsi incomprensioni, vissuti abbandonici, talvolta risentimento, specie
quando si percepisce come adulto prestatore di cure la nonna, piuttosto che la madre
lontana. Questi aspetti sono chiariti dopo la riunione familiare e la verifica da parte dei
figli delle reali condizioni di vita e lavoro dei genitori in Italia, come spiega Tania.
Int.: E tu là eri con qualche parente mentre tua madre era qua?
Tania: Sì ero con mia nonna, la madre di mio padre. E sono stata lì con lei, mia madre ogni
mese mi mandava dei soldi, vestiti, cibo… Sì, sì, ero là con mia nonna… che si prendeva cura
di me! (sorride). Int.: Vi sentivate con tua madre?
Tania: Sì, sì, ogni giorno. Poi chiedeva a mia nonna come andavo a scuola, se tutto a posto…
[...] E poi a volte mia madre mi mandava pochi soldi, cioè 200 euro, e io pensavo “Eh sì, lei
lavora, lei c’ha tanti soldi, lei mi manda solo pochi euro”… ma quando sono venuta qua ho
capito che qua i soldi si fanno veramente… pesante! E quindi devi lavorare tanto per avere
uno stipendio, queste cose qua, poi in realtà ho capito che se mi mandava pochi soldi c’era un
motivo, comunque doveva pagare un affitto e queste cose qua. E poi ho capito che non è che
non me li voleva mandare più, ma che lo stipendio era basso e comunque doveva vivere
anche lei (stud. 4: Tania, IP α sociale, 20 F, Romania).
La scelta dei parenti a cui affidare i figli si basa su considerazioni di natura economica,
ma anche relazionale. Il materiale empirico conferma quanto emerso dagli studi sulla
“catena globale della cura” (cfr. ad es. Anderson, 2000; Parrañas, 2000; Balsamo, 2003;
Colombo, 2003; Andall, 2003; Ehrenreich e Hochschild, 2004) e sulle migrazioni
familiari (cfr. Mejìvar e Abrego, 2009) in merito alla prevalenza dell’affidamento a
parenti donne.
Adia: Prima sono stata da una zia, poi da un’altra. Dalla prima sono stata poco, era giovane,
quindi mia madre ha pensato di farmi stare dall’altra, che aveva anche lei due figli quindi…
Int.: Della tua età o…
Adia: Una di due anni più piccola e l’altra ancora di due anni più piccola. Riusciva a gestirci
tutte e tre (ride). Sì, si prendeva cura, non sono stata mai… (stud. 1: Adia, Ipα sociale, 19 F,
Romania).
Int.: Non stavi con tuo papà? Là stavi coi nonni?
Emil: No…° stavo con mia madrina °. Perché, cioè, non avevo i nonni e… ° non c’era un
buon rapporto con mio padre e… ° (stud. 54: Emil, IT β professionale grafico, 20 M,
Romania).
Jessica: All’inizio era brutto perché non mi ha lasciato subito con mio padre. Mi ha lasciato in
campagna con dei miei nonni. E all’inizio era brutto, perché già in campagna non mi piaceva.
Int.: Eh, immagino, sarà stato diverso dalla città.
172
Jessica: Sì, molto. Poi mi ricordo che mi mancava, e piangevo tutte le sere (0.02). Poi un
giorno sono andata in vacanza da mio padre e sono rimasta lì (nella capitale, ndr).
Int.: E tua madre era d’accordo?
Jessica: Ma non mi ha detto niente. Tanto sapeva che non mi piaceva stare là.
Int.: E il fratello che adesso ha 13 anni?
Jessica: E’ rimasto con mia zia. E mio fratello più grande era rimasto con mio padre, però
loro non hanno un bel rapporto, quindi è venuto in campagna. Ci siamo scambiati (sorride)
(stud. 18: Jessica, Liceo α socio-psico-pedagogico, 21 F, Ecuador).
Gli adolescenti, a differenza dei bambini, raccontano di avere potuto in qualche misura
partecipare alla scelta dei parenti presso cui vivere durante la separazione dai genitori.
Abitavo con i miei nonni, miei zii, mio zio il fratello di mia sorella… eh non di mia sorella, di
mia mamma, mia zia e i miei cugini. E basta. […] Sono cresciuta con loro, quindi… (stud.
39: Pilar, IP α sociale, 20 F, Perù).
Dal punto di vista affettivo, “il paradosso della cura transnazionale è che proprio quando
è gestita con successo può complicare i progetti di ricongiungimento dei figli”
(Bonizzoni, 2010, p. 111). Le relazioni con i parenti presso cui gli intervistati sono
cresciuti sono ricordate con affetto e nostalgia, anche se non mancano casi in cui i
bambini affidati vengono considerati a tutti gli effetti risorse da impiegare nelle attività
produttive del nucleo che li ospita.
Prima abitavo con i miei a Bacau, lì vicino in campagna, quando sono partiti io e mia sorella
siamo stati ancora due anni con i nostri cugini, era una casa grande, con gli animali, il grano,
le barbabietole da zucchero, mungevo le mucche… zucchero, grano e queste cose non le
compra mio zio, le produceva lui aiutato dai figli, anche io davo una mano, era un lavoro
molto faticoso (stud. 12: Alexandru, Liceo α scientifico, 21 M, Romania).
La rete parentale transnazionale ha svolto diverse funzioni nel delicato periodo della
separazione del nucleo, oltre a quella di garantire la cura e la tutela dei minori. La prima è
aiutare a preconizzare le difficoltà della separazione dai figli, prima della partenza di uno
dei genitori.
Mia madre la chiamava (sott.: una zia già in Italia) dal Perù, le diceva che non sapeva cosa
fare, e mia zia le ha detto “Senti, se vuoi possiamo aiutarti a venire qua, però sappi che è
dura, so che hai un figlio quindi sappi che non è facile, perché non è vicino”. Mia madre ha
deciso di partire, di lasciare il Perù. Per trovarsi un futuro (stud. 38: Diego, IT α
elettrotecnico, 21 M, Perù).
La seconda è mediare la relazione tra genitori emigrati e figli left behind gestendo
innanzitutto le comunicazioni, e poi le risorse inviate.
Parlavamo al telefono due volte a settimana, c’era il telefono fisso. E io cioè… per ogni cosa
che avevamo bisogno, se i miei nonni dovevano comprare qualcosa… per ogni cosa
dovevano sempre andare a parlare dal fisso, perché loro ancora quella volta là non avevano il
telefono fisso. Tramite un giardino a cinque minuti vicino a casa mia… verso le nove e mezza
– dieci, andavo sempre giù, a telefonare. E parlavo con loro, mi mandavano… anche le
collette, dei soldi… ma più che altro per i miei nonni, loro dicevano “Ma lasciate perdere, che
io ce l’ho da mantenerla…” (stud. 2: Elisabeta, IP α sociale, 20 F, Romania).
173
Oltre a occuparsi dell’acquisto dei beni di consumo per il mantenimento dei figli, alla rete
parentale è affidato talvolta il compito di investire le rimesse nell’area di origine. Gli
studenti intervistati tuttavia non hanno coscienza di questi aspetti, anche per la loro
giovane età durante gli anni della separazione, per cui pochi brani di intervista hanno
potuto riguardare l’impiego delle rimesse da parte dei parenti ai quali erano stati affidati:
l’esperienza riportata dai ragazzi pone soprattutto enfasi alla dimensione affettiva e alla
sostituzione dei nonni (zie, sorelle maggiori) ai genitori. Emerge tuttavia da due interviste
alle madri come l’atteggiamento della parentela nei confronti degli investimenti
economici al paese abbia influenzato la successiva definizione del loro progetto
migratorio individuale e familiare.
Luana: Sono venuta perché volevo lavorare, mettere i soldini da parte, e comprarmi una casa
e magari tornare con qualche soldino e aprire magari una mia attività (sorride) […] E poi
invece sono cambiate le cose e (sorride) non… non sono più… cioè anche la situazione che si
è creata a casa mia, diciamo che io gli mandavo i soldi però non sono mai riuscita a metterli
da parte.
Int.: Lei li mandava anche con la prospettiva di aprire una attività lì (sott.: in Romania)?
Luana: Sì, sì, infatti.
Int.: Però non riuscivano loro a tenerli?
Luana: Non riuscivano, li hanno spesi tutti quanti, e ce n’erano parecchi soldi, perché io, tutto
quello che guadagnavo, mi tenevo solo 200mila lire, perché allora c’erano ancora le lire. E
tutto il resto lo mandavo a casa. Dovevano essere dei bei soldini, in pratica con tutto quello
che avevo mandato dovevano già comprarmi la casa. E… invece… li hanno spesi tutti. Mi
sono trovata senza soldi e senza nulla (sorride). (gen. 10: Luana, madre di Lorian [48], IP β,
Romania).
Nel caso di Luana, le rimesse da lei accumulate in Italia non sono state investite dai
genitori in Romania, ma spese in modi diversi da quelli che lei aveva progettato. Anche
per questa ragione l’intervistata ha modificato la sua idea iniziale di fermarsi solo
temporaneamente in Italia, trasferendosi in modo definitivo con il figlio. L’emigrazione
diventa definitiva non solo per fattori macro contestuali, ma anche per l’esigenza di
affrancarsi dalle obbligazioni verso i suoi genitori, nonni di Lorian, e dalla loro ingerenza
della pianificazione finanziaria del nucleo.
Nel caso di Zuna, invece, l’attività commerciale da lei avviata in Costa d’Avorio è gestita
dal marito e dalla figlia maggiore, per cui il suo progetto diventa quello tornare, quando la
situazione politica si sarà stabilizzata abbastanza da consentire ai figli di frequentare
regolarmente la scuola.
Int.: Pensa di tornare?
Zuna: Certo. Se le cose vanno bene preferisco tornare. Perché già io aveva già messo un
negozio giù.
Int.: Sempre nell’ambito della gioielleria?
Zuna: No ho cambiato, vestiti capi di abbigliamento, così.
Int.: E quindi ha già trovato un posto dove aprire?
Zuna: Sì, ho già aperto.
174
Int.: C’è qualcuno che lavora per lei giù?
Zuna: Sì.
Int.: E quindi riesce a seguire di qua la contabilità
Zuna: Sì, con l’aiuto di mio marito, mia figlia grande che ha 22 anni e tutti lavoriamo.
Int.: Ok e quindi sa già che quando torna ha la sua attività avviata, pensa di lavorare sempre
in proprio, come imprenditrice.
Zuna: Sì (gen. 7: Zuna, madre di Koffi [35], IT α, Costa d'Avorio).
La rete parentale, in particolare i nonni degli studenti intervistati, sembra dunque avere un
peso nella scelta del luogo principale in cui investire per la propria collocazione nella
stratificazione sociale, a partire dall’efficacia e lungimiranza con cui investe le rimesse
inviate dai primo migranti durante la loro assenza. Tuttavia normalmente il peso della rete
parentale nel paese di origine nelle decisioni migratorie viene meno, o diminuisce
notevolmente, quando i bambini si riuniscono ai genitori in Italia.
5.3. Il processo di riunione familiare
Raramente l’emigrazione dell’intero nucleo, e quindi anche dei figli, era già prevista alla
partenza del primo migrante, salvo quando l’acquisizione della cittadinanza italiana era
avvenuta prima di partire. L’inclusione dello spostamento dei figli nel paese di
destinazione nella strategia migratoria dipende dalla valutazione delle opportunità e
bisogni (Gasparetti e Hannaford, 2009), ma anche dai costi che la riunione comporta dal
punto di vista relazionale, affettivo e economico, nonché dal percorso di istruzione e in
generale accesso al welfare che si prevede i figli possano avere nel paese di destinazione,
in comparazione con quello di origine.
Il percorso più diffuso, descritto in questi termini anche dai protagonisti, è di graduale
stabilizzazione.
Mio padre è venuto come appunto clandestino, perché prima si faceva così. Poi pian piano ha
iniziato a lavorare, si è messo in regola e ha avuto il permesso di soggiorno, e così poteva
portare mia madre. Poi comunque (sott.: ha portato noi figli) (stud. 36: Dalila, Liceo α sociopsico-pedagogico, 20 anni, Tunisia).
I miei genitori, come tutti, come tutti i rumeni che sono venuti qua, nessun rumeno è arrivato
qua e ha detto “Adesso prendo la famiglia e la porto qua”. Tutti. Perché… anche mia madre
quando è venuta qua, ma tutti, non solo mia… arrivano tutti per un periodo limitato di tempo, un
anno o due, si fanno un po’ di soldi (stud. 28: Gratian, IT α meccanico, 19 M, Romania).
Sono arrivata qua quattro anni fa. I miei genitori abitavano già qua da molto tempo. Hanno
trovato lavoro e poi hanno deciso di portare me e mio fratello (stud. 25: Adelka, Liceo α sociopsico- pedagogico, 20 F, Romania).
Int.: Sapeva che sareste rimasti in Italia a vivere con tutta la famiglia?
175
Maricel: No, io non sapevo, però piano piano, quando ho preso soggiorno, ho cominciato a
prendere uno o due (sott.: figli) (gen. 6: Maricel, madre di Trisha [30], IP α, Filippine).
Int.: E poi tua mamma, anche se eravate piccole sai se c’era già un’idea di venire tutti qua?
Yuliana: L’idea era che andavano loro (sott.: genitori) e poi tornavano. Poi all’improvviso
dovevamo partire anche noi (sott.: figli) (stud. 41: Yuliana, IP α sociale, 19 F, Moldavia).
L’arrivo dei figli, anche per le norme sulle riunioni familiari, è avvenuto dunque in
condizioni di regolarità per quasi tutti i minori intervistati.
No, io da questo punto di vista sono stata fortunata perché mio papà aveva tutti i documenti a
posto quindi mi ha messo anche a me subito a posto. Mia mamma era quella senza documenti
però adesso siamo entrati nella Comunità europea… era un po’ un peso questa sfilza di
documenti che avevano a casa, tra il permesso di soggiorno, tra tutti i documenti che dovevo
fare per andare in Romania, per tornare… era un po’ un peso, perché ero sempre divisa tra
scuola, questura e casa. Però no, no, tutto a posto (stud. 3: Carolina, IP α sociale, 19 F,
Romania).
In due casi gli studenti intervistati sono entrati clandestinamente in Italia: Ouail e Verim.
Ouail è emigrato come minore non accompagnato e ha chiesto asilo politico, provenendo
da un’area segnata dal conflitto armato, dopo avere attraversato diversi paesi è stato
affidato a una coppia di italiani.
Int.: Quindi hai vissuto in Afghanistan, in Pakistan…?
Ouail: Sì, in Afghanistan, in Pakistan, in Indonesia, Malesia, Turchia, Grecia, Italia. […]
All’inizio sono uscito perché… ero piccolo, poi anche in Afghanistan non avevo possibilità di
studiare, poi anche rischiavo di essere preso dai talebani per fare servizio militare […].
Int.: Beh, sarà una soddisfazione avere superato tutto questo.
Ouail: Sì, sì. Soddisfazione è che tu, tu adesso, tu vedi un poliziotto, ° non ti nascondi °.
Quando… tu sai dove andare sta sera, dove dormire, almeno hai una famiglia, una casa dove
tu… ° ti senti sicuro °. Questa… poi anche questa è una soddisfazione: quando uno ti vede su
una strada, e ti dice: “Ciao, come stai?” (sorride). Questa è una grande soddisfazione, perché
avere amici è difficile. Non è difficile, poi qua, in un paese che tu… non è tuo quindi… (voce
commossa). Quindi ti fa piacere che uno si preoccupi per te, una famiglia che si prende cura
di te, degli amici che quando non vieni a scuola ti chiamano “Ciao, come stai?”, che… si
preoccupano diciamo. Questa è una soddisfazione (stud. 11: Ouail, IP α aziendale, 20 M,
Afghanistan 103.
Per Ouail l’acquisizione di uno status giuridico regolare e di una rete familiare di
riferimento è stata una dura conquista, come per alcuni dei genitori intervistati. Per Verim
invece la clandestinità è durata un periodo molto più breve, e nei sui ricordi è consistita
soprattutto nel rischioso viaggio verso l’Italia.
Verim: Prima è venuto mio padre, mi sembra nel ‘98. Poi siamo venuti noi, attraverso… con i
documenti falsi. Siamo partiti… dall’Albania, da Tirana, prima abbiamo fatto una volta, ci
abbiamo provato, è andata male. Siamo partiti dall’Albania con i documenti falsi, abbiamo
fatto fare i documenti. Siamo partiti da Tirana e siamo andati a Vienna. E da lì dovevamo
andare a Malpensa. Fare due giri […] però a Vienna ci hanno fermato […] perché i passaporti
103
Solo dal 1996 la comunità internazionale si è concentrata sulla prevenzione del reclutamento dei
bambini soldato e nel 2000 è stato adottato un protocollo addizionale facoltativo alla Convenzione dei diritti
del fanciullo; il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite dovrebbe ricevere notizie precise da diverse aree
a rischio, tra cui l’Afghanistan (Azar, 2012), ma la storia di Ouail mostra che all’epoca della sua partenza
queste informazioni non sono state impiegate per concedergli asilo dai diversi paesi dove aveva tentato di
richiederlo prima di arrivare in Italia.
176
erano falsi, e ci hanno rimandato indietro. E abbiamo vissuto una notte all’aeroporto di
Vienna, io, mia madre e mia sorella, eravamo in tre. Poi ci abbiamo ritentato e questa volta è
finita bene. Siamo… sempre dall’Albania, abbiamo fatto un percorso andando in Macedonia,
anche a piedi, di notte, a piedi. Anche un po’ pericoloso perché se uno si fermava gli altri non
aspettavano, naturalmente andavano avanti, e allora rimaneva perso. […] Noi avevamo un
mucchio di valigie, di cose, e il percorso era lungo, e allora se uno si stancava… però gli altri,
tranne i propri familiari si potevano fermare, però ovviamente perdevi tutto, non sapevi dove
andare, era notte. È durato… tipo tre giorni. […] Noi siamo andati in Macedonia, con una
macchina. Poi lì, siamo stati in un hotel. Pagato sempre naturalmente dalle persone che
avevano organizzato tutto. Siamo stati due giorni lì, perché dovevamo aspettare la risposta. Se
si poteva fare il viaggio o meno. Allora siamo stati dentro l’hotel, due giorni. Poi il secondo
giorno, verso la fine della giornata, ci hanno detto che si poteva fare. Allora siamo andati con
la macchina in un posto, ci siamo raccolti come gruppo. Poi da qua è arrivata una persona che
doveva guidarci, e ci ha guidato dentro una… un bosco… tutta la notte, abbiamo viaggiato. E
poi siamo arrivati in una strada della Grecia. E ci hanno messi… era una colonna. […] Faceva
freddissimo. E ognuno doveva aspettare la macchina propria, che lo portava in un posto.
Quando arrivava, se lo portava, e gli altri aspettavano. È arrivata la nostra macchina, ci ha
portato ad Atene. E da Atene, da alcune persone, poi abbiamo preso l’aereo e siamo arrivati a
Malpensa. E a Malpensa ci aspettava mio padre. […] Mi ricordo che (sott.: quella che
avevamo attraversato verso la Macedonia) era una vasta pianura, era un campo da arare,
quello. Noi camminavamo, no? E in lontananza c’era un fascio di luce, che la polizia
proiettava no? Per vedere le persone, no? Ci abbassavamo ogni volta che vedevamo una luce,
così, così. Tutti (stud. 15: Verim, Liceo α scientifico, 21 M, Albania).
Alcuni minori intervistati hanno conosciuto periodi di irregolarità di tutti i componenti
della famiglia in Italia. Il progetto migratorio familiare in queste fasi era alquanto fragile,
come le condizioni lavorative dei genitori e abitative di tutto il nucleo. Il racconto del
padre di Dimitri fa capire in modo eloquente come la precarietà dello status giuridico
renda arduo qualsiasi progetto a lungo termine nel paese di destinazione. La traiettoria di
inserimento di questo nucleo familiare, e di altri nelle medesime condizioni, è dipeso
anche da svolte arbitrariamente permissive da parte delle Forze dell’ordine, per la quale
Valeriu non è stato rimpatriato.
Valeriu: All’inizio è stato un po’ difficile ° perché eravamo senza il permesso di soggiorno °.
[…] E non sono riuscito… mi credi che in quattro anni, io non ho sognato. Andavo a dormire,
nessun sogno. Come ho preso quel pezzo di carta, il permesso di soggiorno effettivamente è
un pezzo di carta, ho iniziato anche io a sognare di notte (sorride).
Nicoleta: Perché ti entravano in casa, ti portavano via.
Valeriu: Avevi paura.
Nicoleta: Avevi paura, tanta paura […].
Valeriu: Ringrazio a dio e alla polizia di Torino, perché una mattina, eravamo tutti e quattro,
in stanza, in quella che avevamo, io avevo costruito in un angolo il bagno, in un angolo…
erano cinque per cinque (sott.: metri). Un angolo ho fatto il bagno, uno cucina, il letto a
castello, matrimoniale, no? A castello. In un angolo dormiva mio figlio, in un altro angolo
mia suocera. E io con mia moglie di sopra.
Int.: Quando eravate qua a Torino?
Valeriu: Sì. ° Alle cinque di mattina, cinque e mezza, bussano alla porta: “Polizia”. Hanno
preso, da tutti i palazzi intorno, in giro, 87 persone. Ci hanno portati via. Però hanno portato
solo me. E quando siamo arrivati lì il questore di Torino mi ha controllato, mi ha preso delle
impronte “Ma tu non eri sulla punto?” Io gli ho detto “Io non ho fatto niente, voglio solo
lavorare”. E si è preso di me, no? E ha detto “Voi mi portate persone di questo genere? Voi
dovete portarmi i ladri, non gente di questo tipo”. È venuta la televisione, i giornalisti. Sono
stato l’unico di 87 persone, che è stato rilasciato. Ci hanno consigliato di andare a protestare.
Però sono stato l’unico di 87 persone, che mi hanno rilasciato. Invece gli altri sono stati
portati al paese. Ma tra di loro c’erano anche persone bravissime, che conoscevamo noi,
177
erano i nostri vicini. Però hanno capito loro la nostra situazione. Vedi che, anche se sono
poliziotti… capiscono. Anche se ero fuorilegge, non avevo il permesso di soggiorno, ero una
persona clandestina. Potevano farmi rimpatriare, anche io. Però c’è stata una poliziotta che si
è ricordata di me, quando mi hanno preso. “Ah, ma lei è… con la mamma, moglie e figlio…
Tu stai qui”. E a questo io ringrazio. Perché poteva cambiare… tutto. Tutto poteva cambiare.
Perché tornare non potevo tornare perché avevo paura che ti prendono e ti mettono in galera.
(0.02) Ne abbiamo passate. Però sono passate. Sono passate. Adesso stiamo un po’… bene.
Però stiamo sempre lavorando. Se non lavori non fai niente, niente, niente. Non puoi stare
qua. Come degli intrusi. Con aiuti… a chi?(gen. 1: Nicoleta e Valeriu, genitori di Dimitri
[19], IT α, Romania).
Le strategie di mobilità sociale familiare – o mantenimento di status – attraverso
l’emigrazione dipendono quindi anche dal caso, dai modi in cui la normativa viene
applicata dal singolo operatore e dalla sua personale ideologia in merito all’accettabilità
di alcuni migranti rispetto ad altri. Per le famiglie con figli al termine della secondaria di
secondo grado la permanenza in Italia, e la conclusione degli studi secondari dei figli, è
stato dunque anche l’esito dello scarto tra norme e applicazioni di esse non solo attuato
dai migranti, ma anche dalle figure di controllo. Nell’intervista i genitori di Dimitri si
rappresentano come soggetti in grado di “meritarsi” l’accoglienza della società italiana
contribuendo allo sviluppo economico del paese, lavorando e non appoggiandosi al
welfare.
Diversi studi sulle famiglie migranti sottolineano la discrasia tra emigrazione scelta dei
genitori e emigrazione imposta dei figli ricongiunti. Al momento dell’intervista, tuttavia,
gli studenti intervistati hanno rielaborato il processo di riunione familiare accogliendone
le ragioni, anche se alcuni di essi inizialmente non le approvavano, o non le potevano
comprendere, dato che erano arrivati in Italia senza sapere che si sarebbero fermati.
Georgeta: (sott.: Mio papà mi mancava) ma io non volevo venire in Italia. Hanno detto °
“Vieni tre mesi, e poi ritorni qua” invece mi hanno mentito e poi mi hanno tenuta qua °.
Int.: E neanche tua sorella lo sapeva?
Georgeta: No, che saremmo rimaste qua, no.
Int.: E quindi questo discorso che eravate venuti per voi te l’hanno fatto dopo.
Georgeta: Sì (stud. 17: Georgeta, IT α meccanico, 20 F, Romania).
Non necessariamente la mancata comunicazione ha implicato opposizione al percorso
migratorio, ma occorre ricordare che stiamo parlando di famiglie stabilizzate e di giovani
migranti che hanno superato diversi processi di selezione scolastica (e migratoria). I modi
di comunicazione della partenza non risultano avere influito l’esito della riunione
familiare. Anche questo fatto può essere dovuto al concentrarsi della ricerca sugli studenti
e le studentesse con percorsi scolastici di successo: quanto emerso dalle interviste ai
testimoni qualificati suggerisce che il disagio intrafamiliare in seguito a riunioni
conflittuali possa aumentare il rischio di drop-out da scuola prima del termine delle
superiori (o di rientro al paese).
178
Int.: Lo sapevi (sott.: che saresti partito), cioè, non è stata una cosa improvvisa…
Ionel: No, no, solo il fatto che °°… speravo il più tardi possibile…(sorride) Per gli amici
soprattutto…quella scuola, mi piaceva… ero molto affezionato a loro. Poi … > sapevo che
avrei incontrato un mondo nuovo tra virgolette <… Quindi, a dieci anni… non me la sentivo
(sorride) tanto di cominciare così… da zero. Però… poi, piano piano, mi sono…
Int.: Tu sai perché? Sono venuti? Cioè perché…
Ionel: Mio padre… ° è stato il primo a non poter tornare presto in Romania e quindi… anche
per stare di più con noi. Perché, come ti dicevo, ci conoscevamo solo per telefono, ma… i
rapporti… in un altro paese… boh, fai una vacanza più intensa possibile però… il rapporto
affettivo…non è… non era un rapporto da genitore. E quindi anche per averci con sé (stud.
52: Ionel, IT β grafico, 20 M, Romania).
Non vivere più separati dai figli e seguirli meglio nello studio e nell’educazione sono
motivi ricorrenti della riunione per i genitori.
Int.: Perché li avevate portati?
Stefan: Perché li abbiamo portati tutti, tutti li portavano qua. Perché non puoi vivere qua, e
lasciare i figli a vivere là con sorelle, nonne, con fratelli, no, no. Va bene, li puoi lasciare,
mezz’anno, un anno, dai. E poi ti devi decidere. Come genitore, devi stare con loro. […] Per
tutto. Devi dare una educazione, che un altro non sei sicuro che lo dà come un genitore. Uno
quando impara da una sorella, da mia sorella, come si fanno le cose, quale comportamento
non si accetta, allora uno quando gli dico “Io sono… è mio figlio”. Non… […] Una cosa
giusta. Vuoi che decidi di portarli qua, oggi? Se no te ne ritorni in Romania, e fai la vita come
puoi fare lì (gen. 2: Stefan, padre di Gratian [28], IT α, Romania).
Koffi: [Mia madre] era già qua. Mmh… sì, per motivi che non so ancora spiegare però… lei è
venuta qua, però… non so per quale altra ragione sono dovuto… cioè mi sono spostato anche
io (sorride).
Int.: Come non lo sai? Cioè che cosa ti hanno detto per farti venire?
Koffi: Forse perché un anno sono andato più o meno, così così a scuola, e si sono messi in
testa che “Qui non vuole studiare, mettiamolo di là e vediamo se…”
Int.: Se riesci a studiare?
Koffi: Sì (stud. 35: Koffi, IT α elettrotecnico, 20 M, Costa d'Avorio).
Zuna: E anche adesso con la guerra perché anche le scuole lì ci vuole un po’ di tempo per
stabilizzare le cose, allora adesso sta facendo raggiungimento per portare i due piccoli, 15 e
11 anni, e poi quando vanno bene le cose torniamo tutti insieme. Per studiare. [...] Anche
l’università! Allora devi salvare… l’anno scorso 2010 che non era ancora finito lì, allora non
parliamo del 2011, che deve essere un anno bianco all’università. E allora oggi a scuola,
domani no, oggi a scuola, domani no, anche con tutti i proiettili che sparavano lì, a casa mia
sono entrati due proiettili con i bambini piccoli.
Int.: Lei era lì?
Zuna: No io ero qua, un mese fa o due, un mese fa! Quando facevano i bombardamenti, un
mese fa e la guerra. Per quello ho detto basta, li porto qua. Solo quella grande non so cosa
devo fare perché lei è quasi alla fine e ha 22 anni e non può venire qua non può fare
raggiungimento altrimenti la portava anche qua. E quando le cose vanno bene, poi torniamo
tutti (gen. 7: Zuna, madre di Koffi [35], IT α, Costa d'Avorio).
Non è facile indagare il punto di vista dei figli nel momento in cui si erano trasferiti in
Italia, per l’età molto giovane di gran parte di loro all’emigrazione, per l’intrecciarsi nelle
loro narrazioni di diversi piani, quello delle aspettative create durante la separazione e
quello dell’esperienza dell’ingresso in Italia vissuta successivamente, infine per i
sentimenti contradditori che nutrivano nei confronti della partenza.
Io prima l’ho voluto, quando stavamo aspettando il visto piangevo perché volevo andare ma
era un’emozione: paese nuova, gente nuova, lingua nuova, sai, così piangevo. Poi ci è arrivata
una telefonata dicendo che era impossibile, poi dopo due ore ci hanno chiamato dicendo che
179
il visto era uscito e lì piangevo perché non volevo andare (stud. 21: Aicha, IP α aziendale, 20
F, Marocco).
Da una parte volevo partire per riunirmi ai miei genitori, ma dall’altra parte no, perché scuola
nuova, compagni nuovi, lingua nuova… sai (stud. 12: Alexandru, Liceo α scientifico, 21 M,
Romania).
Int.: Tu ti ricordi com’è stata la partenza? Forse eri piccolino…
Iulian: Ero piccolo, no, non capivo niente… cioè nel senso…
Int.: Non hai il ricordo dell’evento?
Iulian: Ho un ricordo che siamo andati… Siamo arrivati in un posto, ma non riuscivo a
concepire: > ero in Italia, ero in Romania, erano Stati differenti, c’erano 2000 chilometri di
distanza <
Int.: Non avevi idea?
Iulian: Per me era tutto lo stesso mondo… (stud. 50: Iulian, Liceo β scientifico, 19 M,
Romania).
Per me era totalmente indifferente se venire, cioè per me l’Italia è un paese che sentivo
vagamente, nucleo del calcio italiano, ma niente altro. E poi ero anche piccola, non avevo
minimamente pensato alle difficoltà che si potessero creare, se ci sono, se non ci sono, se ci
sono dei lati negativi o positivi, era qualcosa di quasi fatale, cioè dato fatalmente, non mi
sono mai posta la domanda se era un bene o un male, se volevo o non volevo. Era
un’esperienza nuova, che tuttavia… cioè non avevo degli elementi per poter dire: “No, non lo
faccio”, ma neanche degli elementi per dire “Ah, che bello, la faccio”, era un qualcosa… cioè
era quasi un cammino normale per me. Non mi sono mai posta il problema di “Oddio, devo
lasciare tutto!” (stud. 16: Hind, Liceo α scientifico, 22 F, Marocco).
Si può comunque affermare che per i figli ricongiunti da bambini partire è stato nella gran
parte dei casi sostanzialmente un modo per riavvicinarsi ai genitori, tanto desiderato
quanto sconosciuto nelle conseguenze che avrebbe avuto sulla loro quotidianità, amicale e
scolastica.
Ma io non è che ero molto convinto, però ero piccolo. L’unica cosa…° cioè stare insieme alla
mamma…° beh quindi sono venuto per forza (stud. 54: Emil, IT β professionale grafico, 20
M, Romania).
Int.: Quindi tu volevi venire?
Lorian: Sì, sì, perché io sono molto legato a mia madre, dove è lei devo esserci assolutamente
anch’io. […] È stata più o meno una sorpresa quando è arrivata perché mi aveva detto due o
tre mesi al massimo. Subito dopo tre o quattro settimane all’incirca, è tornata: “Dai, prepara
la roba, che ce ne andiamo”. Eh!
Int.: Eri contento?
Lorian: Sì, sì, proprio stracontento (stud. 48: Lorian, IP β sala bar, 20 M, Romania).
Ho fatto la prima elementare. E poi mio papà mi ha detto che saremmo andati a trovare la
mamma e io quindi ero contentissimo! Solo che… solo per questo fatto qua, non pensavo alle
conseguenze, alla scuola, che sarebbe stato tutto diverso, a queste cose qua. Solo a mia
madre. E quindi… ho vissuto il viaggio pensando solamente che ero contento, e basta (stud.
38: Diego, IT α elettrotecnico, 21 M, Perù).
Dalila: Ero da sola, con i miei nonni, in Tunisia, e non vedevo l’ora di venire qua.
Int.: Perché?
Dalila: Non so, forse perché i miei erano qua e mi sentivo sola [...] ogni volta che mi
chiamavano io piangevo, dicevo “Voglio venire là” (stud. 36: Dalila, Liceo α socio-psicopedagogico, 20 anni, Tunisia).
Int.: Quando eri venuta qui lo sapevi? Volevi venire?
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Costela: Eh, sì perché mi mancavano i miei genitori. E… volevo… ero anche curiosa su come
sarebbe stato vivere in un altro paese. Poi non mi trovavo nemmeno a vivere con mio zio, non
è come vivere con la propria famiglia, con i propri genitori, quindi volevo vivere con i miei
genitori (stud. 26: Costela, IT α informatico, 20 F, Romania).
Int.: E quindi siete stati due anni in cui tu eri la capofamiglia?
Marina: Da soli io e mio fratello.
Int.: E tu lì volevi… non volevi venire in Italia?
Marina: No… cioè sì, da un punto di vista si conteneva molto di più mio fratello perché mio
fratello è una peste. Poi uno che non ha…
Int.: Ha due anni in meno di te?
Marina: Sì. Però… io non è che posso fare sia la mamma che il papà, io sono la sorella! E
mancando le figure importanti nell’età in cui è dovuto crescere… ° è stato tragico, allora per
forza siamo dovuti venire su… però °.
Int.: Per quello quindi eri d’accordo?
Marina: Sì, all’inizio sì (stud. 47: Marina, IP β arte bianca, 20 F, Macedonia).
In alcuni casi l’emigrazione è stata vista anche dai figli come spostamento verso un paese
che avrebbe offerto maggiori possibilità per il proprio futuro (anche se è difficile capire se
si tratta di rielaborazioni successive alla partenza). Visione poi giudicata ottimistica e
ridimensionata, ad eccezione della valutazione del sistema sanitario e di istruzione,
rimasta generalmente positiva.
Sono venuta qua per studiare, anche per la salute. Perché qua ci sono più possibilità, per gli
ospedali, non è a pagamento, invece in Marocco è tutto a pagamento, devi pagare 100 euro
per visita. Poi ci si trova bene come paese (stud. 21: Aicha, IP α aziendale, 20 F, Marocco).
Consuelo: Lì è tutto il corso (sott.: delle cose), che se tu sei bravo hai l’obbligo di “aiutarci”
(tono ironico) a tutti per esempio, no? E allo stesso tempo, questo veramente stupido, chi
studia, ce ne approfittiamo di lui. Una cosa che non erano i principi che noi volevamo
insegnare ai nostri figli. Che infatti tanto lo studio che ho avuto io è con me. Lui (sott.: mio
marito) lo vedrà anche, quando possa lavorare: impone (quel)lo che ha fatto lui. (Sott.: queste
cose) ci hanno portato a potere fare una scelta della nostra vita e decidere cosa fare. Uno deve
impegnarsi per se stesso e non perché sei stato capace di ingannare, derubare o de offrire
soldi a un altro per fare una cosa (sott.: illegale). Noi non volevamo quello, quello è stato il
principio che ci ha spinto a fare questa mossa grossa (sott.: e partire). [...]
Int.: e anche ai ragazzi l’avevate detto così come idea, loro condividevano?
Consuelo: Beh lì è stato due cose diverse, mentre Fernando era d’accordo di venire perché
anche lui pativa dalla situazione come noi, Rosa era più piccola, non era tanto decisa e aveva
più paura del cambiamento, ma adesso lei si è adattato perfettamente (gen. 11: Consuelo,
madre di Fernando [33], IT α, Argentina).
Int.: Quindi tu volevi venire?
Mirko: Sì, sì, perché c’erano i miei. Poi comunque è Italia e… cioè c’è quella idea sai, che si
ha, è l’America dell’Europa.
Int.: Ah sì?
Mirko: Eh, l’idea è quella, poi vieni qua, è ovvio che certi miglioramenti ci sono, però °
diciamo che ci sono degli aspetti anche molto negativi, perché dappertutto è così ° (stud. 49:
Mirko, Liceo β scientifico, 19 M, Romania).
Int.: Volevi venire?
Dimitri: Sì, sì, tanto. Con la situazione che c’era lì, tutti parlavano dell’Italia “Ah, l’Italia è un
paese così e così”… poi alla fine… è un paesino (stud. 19: Dimitri, IT α informatico, 21 M,
Romania).
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Per i figli di divorziati partiti da adolescenti più che scelta del paese dove vivere emigrare
è stata la scelta del genitore da cui abitare.
Jessica: Ogni tanto mi viene ancora (sott.: nostalgia dell’Ecuador). Però ho detto “Ma mia
madre è qua da sola”, poi… si era sposata, ha divorziato… poi… (stud. 18: Jessica, Liceo α
socio-psico-pedagogico, 21 F, Ecuador).
Non è che sono venuta in Italia perché stavo male a Cuba, cioè io ho seguito mia mamma.
Perché i miei si sono lasciati, mia mamma ha detto: “Tu sei ormai grande, se vuoi finire la
scuola finiscila, poi ti porto, o vieni in vacanza” io ho detto “No! Mio padre ti ha lasciato,
quando mio fratello era piccolo, allora io seguo te. Perché dovrei stare qua, quando lui non mi
ha mai guardato?”. Ho seguito mamma, anche se non volevo. Cioè io avevo là tutta una vita
già costruita. Qua ho iniziato da capo (stud. 10: Lorena, IP α aziendale, 22 F, Cuba).
L’avversione più secca a lasciare il proprio paese di origine era stata provata dagli
adolescenti che conoscevano appena, o non conoscevano ancora, o non conoscevano più,
i genitori, e stavano per entrare nell’età adulta nel paese di origine.
Il ricongiungimento in adolescenza è difficile. E proprio i ragazzi non hanno nessuna voglia
di essere sradicati dal paese dove loro ormai sono cresciuti. Non hanno voglia di venire qui e
fare questa fatica enorme di dover recuperare un padre e una madre di cui ormai non sanno
più niente, che spesso trovano in nuovi matrimoni o nuove forme di convivenza, e quindi
devono ricominciare da capo anche da questo punto di vista affettivo. Questo in modo
particolare è vero per i ragazzi latino americani. Perché intorno ai 15-16 anni vivono con
grande autonomia e sono alla fine della scuola superiore, che là è molto breve. Quando
arrivano qui si trovano con dei bamboccetti infilati in delle classi di prima o seconda
superiore, gli tocca rifare il percorso della scuola superiore, hanno anche una scuola che
spesso è anche abbastanza debole dal punto di vista del sistema e della richiesta di
conoscenze e competenze e di conseguenza si ritrovano molto male nel senso che stanno qui
a soffrire, a soffrire una relazione con la madre. Questa madre che poi non sa più come
cavarsela perché aveva lasciato un bambino e si ritrova a questo punto un uomo (test. qual. 1:
Daniela, responsabile associativa progetto studenti stranieri nelle scuole secondarie
superiori).
I peruviani sono tutti con le madri, non esiste una figura paterna, oppure è in Perù lontana e
estranea. Sono quasi tutti ricongiunti alle madri, dopo sei o sette anni che non le vedono, e
soprattutto le ragazze la prima cosa che fanno è azzuffarsi, si picchiano con le madri (test.
qual. 18: Lara, insegnante presso Liceo Alfa).
Int.: E per te come è stato vedere tua madre dopo tanto tempo?
Jessica: Eh, all’inizio è stato difficile. Perché non ero abituata ad avere una madre. Perché
mio padre comunque mi lasciava così, cioè non è che si preoccupava come una madre, che mi
chiama ogni cinque secondi “Cosa fai?” .
Int.: Ah. Quindi eri molto autonoma, tu?
Jessica: Sì, sì!
Int.: Ti organizzavi, avevi i tuoi tempi…
Jessica: Poi mio padre non mi chiamava mai… quindi… Ma non che se ne fotteva, però
essendo maschio… (stud. 18: Jessica, Liceo α socio-psico-pedagogico, 21 F, Ecuador).
I bambini più piccoli che non avevano sviluppato un legame affettivo con i genitori hanno
affrontato le difficoltà connesse a ogni trasferimento insieme a quelle di creare un nuovo
nucleo familiare con adulti fino a quel momento estranei.
Int.: Ti ricordi se volevi venire?
Pilar: No! È stato bruttissimo, io mi ricordo che non volevo nemmeno imbarcarmi sull’aereo,
ma piangevo tanto! Ma perché era un altro mondo per me, nel senso io ero abituata a stare
182
con mia nonna, per me mia nonna era mia madre, quindi… per me era lasciare una persona
cara lì… (voce rotta), poi un altro paese, tutto diverso, poi con mia mamma, che la conoscevo
poco anche (voce rotta). Non è stata una cosa molto bella (stud. 39: Pilar, IP α sociale, 20 F,
Perù).
Int.: E ti ricordi quando era venuta tua mamma la prima volta, quando l’hai vista?
Bai: Sì, era… stavo dormendo. Perché avevano detto che sarebbe arrivata in giornata, l’ho
aspettata tutta la giornata e non è arrivata. Dicevano “Arriva tra poche ore” e poi mi ero pure
addormentato perché intanto era diventata sera, erano le dieci e qualcosa, e è arrivata a tarda
notte, se non sbaglio era mezzanotte, tra le undici e mezzanotte, mi sono svegliato e ho
pianto. Non… non so perché, perché non ero neanche emozionato. Va beh un po’ sì perché
mi son commosso, ma… ero un po’ sorpreso. E… sorpreso e… scioccato forse, anche perché
comunque mi è apparsa davanti così, e non sapevo né cosa dire né cosa fare… non saprei
descriverlo.
Int.: Forse era l’emozione?
Bai: Può essere ma non mi ricordo se ero emozionato, più la sorpresa che mi ha…
Int.: Siete rimasti un po’ in Cina e poi siete venuti qua?
Bai: Sì, siamo dovuti partire quasi subito, siamo rimasti qualche giorno giusto per conoscerci
(sorride) un po’ meglio e salutare i nonni e poi siamo partiti. Abbiamo preso l’aereo e siamo
venuti qua.
Int.: Sapevi che saresti venuto?
Bai: Non pensavo. […] Non pensavo di venire qua a vivere, infatti quando sono arrivato non
mi sono trovato e volevo tornare dai nonni, anche perché mi mancavano. Io volevo tornare a
casa, però non potevo. La prima settimana, il primo periodo, non mi trovavo proprio (stud.
46: Bai, IP β cucina, 21 M, Cina).
Anche quando i genitori erano persone molto care, la partenza è ricordata come un
passaggio faticoso.
Se prima dicevo “Ma sì, vediamo” dopo ho detto “Ma forse potevo anche non vedere!”
(sorridiamo) Ma perché cambiare tutto era veramente… brutto, brutto ma brutto, adesso lo
dico con franchezza. Non avere né parenti, amici, né la lingua… […] E era duro da
sopportare non capire niente, non capire cosa diceva la gente, se ti stava insultando, se ti stava
dicendo cortesie, non sai… cioè anche andare a comprarti un biglietto, non sai, ti devi
preparare le frasi ben fatte a casa, però basta che qualcosa cambia e già vai in tilt. Mi ricordo
che quando (sorride) dovevo fare una commissione, qualcosa, sempre mi preparavo il mio
discorso per strada, in modo da farlo… sperando che le cose vadano bene, cioè che non ci
siano varianti che mi facciano… andare in tilt (stud. 16: Hind, Liceo α scientifico, 22 F,
Marocco).
Io chiedevo “Ma quand’è che passano ‘sti tre mesi e ritorniamo?” Perché noi avevamo i
nostri amici là e tutto. Cioè eravamo piccole, là potevamo uscire, giocare, senza avere paura
di uscire per strada… Qua invece quando siamo arrivate per un bel po’ di anni… cioè non ci
facevano uscire a giocare, perché avevano paura. Perché qua è anche una città più grande, con
tutta la gente che c’è qua (stud. 17: Georgeta, IT α meccanico, 20 F, Romania).
Il nucleo familiare ha avuto un ruolo cruciale per “ammortizzare” l’impatto del
trasferimento, anche perché gran parte degli intervistati ha raggiunto l’Italia prima della
stabilizzazione di flussi migratori familiari dai paesi a forte pressione migratoria,
avvenuta tra la fine degli anni Novanta e l’inizio degli anni Duemila, per cui i
connazionali presenti nell’area di destinazione erano ancora soprattutto adulti, e le reti
parentali ancora rarefatte.
Hind: …né parenti, amici, né la lingua…
Int.: Ah, non ne avevi?
Hind: No, > son venuti dopo qua < (stud. 16: Hind, Liceo α scientifico, 22 F, Marocco).
183
Int.: E quindi quando tu eri venuto non c’erano altri bambini? Tuoi cugini o tuoi coetanei?
Diego: No, ero l’unico. Mi ricordo anche che da noi… ogni domenica si andava a messa, no?
E c’era una specie di chiesa che era frequentata da peruviani, cioè quelli che c’erano, pochi,
però erano quelli. E io ero l’unico bambino in quel periodo, si conoscevano tutti e io ero
l’unico bambino che c’era. […] Poi con il tempo sono arrivati anche altri, miei amici, ho
conosciuto altri amici… col tempo. Perché noi siamo arrivati che era il ’95, ’96 (stud. 38:
Diego, IT α elettrotecnico, 21 M, Perù).
Quasi tutto il tempo siamo stati uniti, quando c’è stata quella fase all’inizio dove ognuno non
conosce nessuno… io praticamente non parlavo italiano, niente… boh, quando sono
arrivato… questa è stata una cosa… rassicurante (stud. 33: Fernando, IT α informatico, 19
M, Argentina).
Non sempre tuttavia i genitori hanno potuto accompagnare i figli in queste fasi di
inserimento iniziale, a causa dell’orario di lavoro lungo, difficile da ridurre proprio dopo
l’arrivo dei figli, quando aumenta il bisogno di risorse familiari e il rischio di perdere il
lavoro – e il permesso di soggiorno, va evitato per non compromettere l’inserimento della
famiglia nel paese di destinazione. Alcuni figli di madri emigrate sole hanno dovuto
contare nelle prime fasi di inserimento sul sostegno del compagno della madre, sostegno
non richiesto e talvolta sentito come intrusione e fonte di ulteriore spiazzamento e senso
di inadeguatezza.
Era febbraio, un sabato, quando sono arrivata. E di domenica il giorno dopo c’era il
Carnevale. E mia mamma doveva andare a lavorare, perché aveva il turno. Lì lavorava già per
la cooperativa in un altro posto. Allora c’era il suo compagno, e mi ha portato lui. E anche lì è
stato un po’… perché non lo conoscevo io il suo compagno! E allora anche lì è stato un po’…
non è stata una bella cosa (stud. 39: Pilar, IP α sociale, 20 F, Perù).
Lorian: Poi arrivare qua… sono rimasto proprio senza fiato.
Int.: Perché?
Lorian: Eh, perché… tutto diverso rispetto alla Romania. Ma anche per la gente, tipo mi
ricordo il primo giorno che sono arrivato, sono arrivato in una famiglia, perché mia madre
lavorava, faceva la badante per una signora, e era riuscita comunque anche a integrarsi con
questa nuova famiglia. Solo che non c’era tutta sta cosa, a lei non piaceva più di tanto, aveva
la testa solo sul lavoro, solo sulla povera vecchietta che doveva seguire. Fatto sta che conosce
poi il figlio di questa famiglia, e da lì… da lì… (0.03) è partito tutto. Quindi… sono
successe… da quel momento, che mia mamma mi ha detto pure… me l’aveva detto prima per
telefono “Guarda, adesso sto con un ragazzo, magari quando arrivi lo chiami pure papà” e io
ci sono rimasto un po’… come dire, un po’ male, perché vedere una figura paterna, non
l’avevo mai vista e non ci ero abituato. Poi una persona che non conoscevo nemmeno.
Quando sono arrivato mi ricordo il primo giorno, tutti che mi chiedevano in italiano: “Cosa
vuoi? Vuoi questo, vuoi una pizza, vuoi un gelato?” e io non capendo niente… guardavo mia
mamma “Dimmi qualcosa” e alla fine cosa ho detto? “Voglio il the” perché mi sembrava la
parola più facile da dire (stud. 48: Lorian, IP β sala bar, 20 M, Romania).
Per alcuni studenti il tentativo di inserirsi in Italia è avvenuto in due fasi, a causa del
grave malessere provato nel primo periodo in Italia, con un rientro al paese (e
conseguente ulteriore ritardo scolastico).
Gloria: In prima elementare sono arrivata, non riuscivo ad adattarmi, piangevo perché era
difficile, così mia madre ha deciso che non voleva più vedermi così, così siamo tornate
indietro. E poi in terza quando sono arrivata, siamo arrivate e ci siamo fermate del tutto.
184
Int.: Eri già cresciuta e quindi…
Gloria: No, in realtà è stato comunque difficile, è stato un periodo orribile, che poi… però
con il tempo è passato (stud. 31: Gloria, IT α liceo tecnologico, 20 F, Romania).
Rustam: Io ho fatto la seconda media ma non mi era piaciuto quindi l’anno dopo sono tornato
là. Invece mio fratello è rimasto. Poi quando sono tornato ho fatto la terza. (0.02)
Int.: Ma sei stato qualche mese o tutto un anno?
Rustam: No, ° sono stato tutto un anno °.
Int.: ° Ah, quindi di qua hai perso un anno °.
Rustam: ° Sì. Infatti poi ci ho pensato, adesso avrei già finito se non fossi andato ° […].
Int.: E poi perché sei tornato?
Rustam: Eh perché ci ho ripensato (ride), ho detto “Eh, se rimango là, non è che avrò un
grande futuro” (ride).
Int.: Pensavi anche al lavoro?
Rustam: Sì. […] Gli sbagli si pagano (stud. 45: Rustam, IP β cucina, 20 M, Moldavia).
Nonostante l’opposizione iniziale, tuttavia, gli studenti intervistati hanno risignificato la
partenza come una fase cruciale della loro crescita e apprendimento. In un caso, inoltre,
riavvicinarsi ai genitori è raccontato come un modo salvifico di evitare carriere devianti.
Eduard: ° Stavo prendendo delle strade sbagliate lì senza i genitori °.
Int.: Perché?
Eduard: Eh, perché con i ragazzi più grandi, ti influenzano… da piccolo… stavo prendendo
quelle strade lì. ° Non riuscivano a controllarmi bene °. Quindi è stato giusto che io sia venuto
qui. Sono cambiato moltissimo. […] Nel senso che in Romania stavo facendo delle cose
brutte come (0.02) nel senso magari… ° rubare ° o… poi non ne avevo bisogno, eh? Lo
facevo solo con i ragazzi più grandi, per fare vedere che ero qualcuno, per non farmi
escludere dal gruppo. […] Andavamo in giro di notte… veramente ero un ragazzino, non è
che era tanto normale. E poi…
Int.: E a scuola come andavi?
Eduard: Eh a scuola non andavo… cioè finche c’erano i miei genitori molto bene. La
sufficienza anche piena ce l’avevo. Poi dopo che sono venuti qui… non è che avevo voti
brutti, è che non avevo proprio i voti, non andando. […] I miei amici che mi venivano a
prendere… nessuno che mi controllava, sì, i nonni, ma non avevano quel… cioè non avevano
quel potere di tenermi a bada… è facile raccontare cavolate e poi fare altre cavolate. E poi
sono venuto qua e ho fatto tutto, ho messo la testa a posto, sono cambiato da così a così,
cioè… anche grazie ai miei genitori che mi sono stati dietro e… ° mi hanno diciamo salvato,
portandomi via ° […]. Appena arrivato io ero molto scontento, perché la vita qua, per i
giovani intendo… a parte che là mi sentivo tra i grandi, perché mi sentivo protetto, mi sentivo
qualcuno. Perché nessuno mi poteva dire niente, cioè altri gruppi, perché avevo il mio
gruppo. Qua invece è tutta un’altra… un altro… cioè lì ° si sta per strada, fino a tardi, vedi i
ragazzi per strada ° […] E ero molto triste, pensavo che era un male essere venuto. Però poi
pensandoci, con la testa che ho adesso, posso dire che… ° è stata forse la migliore cosa che
mi sia mai capitata °. Io dico sempre che in Romania, o mia mamma mi trovava in carcere da
qualche parte o non mi trovava proprio.
Int.: Era una vita proprio pericolosa quella che facevi…
Eduard: Sì, sì, sì. Con persone malfamate…
Int.: Anche con ° droga ° e queste cose…?
Eduard: Sì, sì, anche quello. ° Trovavi gente in carcere, gente che si droga e… ° Cioè quando
penso a queste cose io sono fiero di come sono adesso. Quindi sono… cioè ripensandoci
adesso è proprio una buona cosa essere venuto qua. Però prima no, non capivo niente (stud.
43: Eduard, IP β sala bar, 20 M, Romania).
Quando possibile il periodo di arrivo è stato pensato per favorire l’inserimento scolastico
dei figli, dato che come abbiamo visto garantire loro la migliore istruzione possibile è una
delle ragioni della loro riunione.
185
Sono venuta a luglio, così avrei avuto anche del tempo per imparare la lingua (stud. 26:
Costela, IT α informatico, 20 F, Romania).
Capivo che dovevo finire le elementari lì, perché non aveva senso cambiare da una scuola
all’altra senza finire, e infatti sono venuto qua e sono partito con le medie quindi un altro
ciclo, perché comunque anche lì avrei dovuto cambiare scuola (stud. 49: Mirko, Liceo β
scientifico, 19 M, Romania).
Posticipare il ricongiungimento talvolta è dovuto alla decisione dei genitori di far
socializzare i figli alla lingua e alla cultura dell’area di origine, in base alle idee sulla
genitorialità, culturalmente oltre che socialmente forgiate, e sull’appropriatezza degli
stimoli (dis)educativi dell’area di residenza dei figli minori104.
Int.: Ti ricordi se te l’avevano già detto che saresti venuta?
Malika: Mmh un anno prima! Sì, sì. [...] Perché quando mio padre aveva… aveva già la casa
e tutto quanto... ° cioè lui voleva farlo anche prima perché aveva tutto… a posto, è solo che
mia madre gli fa “No, aspetti un po’, non li portiamo così piccoli che dimenticano anche le
cose di qua, meglio che li portiamo un pochettino grandi”. E infatti hanno fatto bene!
(sorride) (stud. 29: Malika, IP α sociale, 22 F, Marocco).
I tempi di riunione desiderati dai genitori possono subire tuttavia variazioni impreviste,
per ragioni normative (diritto di famiglia, politiche migratorie)105, amministrative (tempi
di attesa per l’emanazione di visti, quote, certificati) o economiche (mancato possesso dei
requisiti per le riunioni familiari, o preferenza in fasi di incertezza occupazionale per il
risparmio e l’invio più copioso di rimesse ai figli lasciati con i parenti al paese).
Int.: Sta pensando di venire sua figlia, è d’accordo?
Zuna: Sì, sì, sì, ha già il passaporto all’ambasciata, non è stato quello un problema, ma di
guerra, perché avevano bloccata, non la lasciavano partire, ma adesso la gente lavora. Hanno
sbloccato. Vediamo, fino al mese prossimo penso che loro possono arrivare (gen. 7: Zuna,
madre di Koffi [35], IT α, Costa d'Avorio).
Prima non riusciva (sott.: a farci riunire) perché ci volevano dei documenti, mio padre doveva
firmare, lui non voleva. Ma alla fine è entrata una legge che se mia mamma, noi eravamo
nella custodia di mia mamma, allora ci ha potute prendere, e siamo venute qua. Però prima
non ci poteva prendere perché ci serviva la casa. Qua. Per motivi di denaro e tutto, non
l’aveva (stud. 44: Sabina, IP β sala bar, 20 M, Romania).
Abbiamo iniziato a preparare i documenti ° nel ‘98 solo che ° la burocrazia… è tutto un
processo lunghissimo… tipo vado a Bucarest… girano, ti mancano delle cose, vai fino a
Paschai che sono 500 chilometri… Quindi un tragitto lunghissimo per un solo documento,
eccetera… e nel 2001 siamo riusciti a arrivare. Però va bene (stud. 52: Ionel, IT β grafico, 20
M, Romania).
In effetti, non esiste un diritto della famiglia a emigrare, e anche dopo la direttiva europea
del 2003 sulle riunioni familiari, l’immigrazione familiare in Europa è ritenuta
104
Nel caso dei genitori senegalesi, ad esempio, il contesto del paese di origine appare più educativo che
quello italiano, oltre che garantire la teranga, una solidarietà innanzitutto familiare, ma non solo, che si può
attivare anche nel caso di migrazioni di ritorno, o verso altri paesi (Gasparetti e Hannaford, 2009).
105
I ritardi delle riunioni non avvengono solo in Italia. Alcuni risultati di ricerca sull’impatto della
legislazione migratoria statunitense nel prolungare la separazione delle famiglie guatemalteche e
salvadoregne si legge in Menjìvar e Abrego (2009).
186
“indesiderata”106 per cui gran parte degli Stati membri hanno reso più severi i criteri di
ammissibilità (cfr. Oecd, 2012), trasformando quelle che nella proposta più liberale della
direttiva erano misure di integrazione in requisiti per l’integrazione107 (Boswell e Geddes,
2011).
I requisiti per la riunione di cittadini stranieri, insieme alla collocazione non favorevole
nel mercato del lavoro italiano dei migranti, normalmente rendono difficile l’arrivo
simultaneo di tutti i familiari lasciati al paese. L’ordine di ricongiungimento del coniuge,
se presente, e dei figli, dunque, è un altro aspetto che condiziona il ritardo delle
riunificazioni e conseguentemente anche degli inserimenti scolastici, dato che raramente
le riunioni sono simultanee108.
Ha portato mio fratello da subito, cioè fin da piccolo, ma poi comunque si basava anche sul
reddito mi pare, non poteva portare troppi figli, e quindi ha portato mia madre, mio fratello,
perché era anche maschio, più piccolo, quindi ha portato lui qua. Poi è cambiata anche la
situazione al lavoro quindi poi non poteva più… diciamo che venivo comunque durante
l’estate, cioè mi trascurav… cioè passavo molto tempo con loro. Però poi… mi ha portato qua
definitivamente. Avevo poi la residenza qua (stud. 36: Dalila, Liceo α socio-psicopedagogico, 20 anni, Tunisia).
Nel caso di più figli, il loro avvicinamento non segue tanto ragioni scolastiche, ma
affettive (riunire i bambini più piccoli per primi, dato che avrebbero sofferto
maggiormente il distacco dai genitori, o quelli meno avversi alla partenza) e normative
(riunire i figli più grandi in modo da portarli tutti prima del compimento del diciottesimo
anno).
106
Gli studiosi hanno evidenziato “pro” e “contro” dell’emigrazione familiare, e del mantenimento dei
legami transnazionali, per i paesi di origine e destinazione, dal punto di vista economico (ad esempio
ingresso di persone non collocabili per età o non richieste nel mercato del lavoro ricevente e aumento della
disoccupazione o della concentrazione in nicchie occupazionali, soprattutto nel settore della cura), politico
(difficoltà di legittimarne il controllo per l’inapplicabilità di criteri di gestione economici, aumento delle
richieste ai sistemi di welfare, in particolare educativo, sanitario, dell’housing sociale, in competizione con i
nativi meno avvantaggiati), demografico (ringiovanimento della popolazione nel paese di destinazione e
diminuzione della pressione demografica che i giovani esercitano sul mercato occupazionale dei paesi a
forte emigrazione), culturale (favorire il multiculturalismo nel paese di destinazione da un lato, ma anche il
peggioramento dei sistemi di istruzione e sanità pubblici in favore di quelli privati nel paese di origine),
della stratificazione sociale (ingrandimento delle fasce deboli della popolazione nel caso di flussi da paesi a
forte pressione migratoria, enfasi dell’emigrazione come metodo di mobilità sociale a discapito
dell’investimento e l’impegno nel paese di origine) (cfr. Boswell e Geddes, 2011; Baggio, 2012; Zanfrini,
2012).
107
La politicizzazione del dibattito ha riguardato concetti di famiglia diversi da quelli europei – o
eurocentrici, sia per quanto riguarda l’estensione della famiglia sia per quanto riguarda le relazioni tra i
componenti, in particolare di genere, ma anche escamotage per violare la normativa sugli ingressi per
lavoro attraverso finti matrimoni, ad esempio. In questo modo, nonostante la convergenza su alcuni aspetti,
la discrezionalità dei singoli stati è mantenuta per definire l’unità familiare, imporre restrizioni in base
all’età, periodi di attesa prima della riuione, specificazioni delle misure di integrazione (Boswell e Geddes,
2011).
108
Ad eccezione degli estremi più avvantaggiati – migranti benestanti – o svantaggiati – richiedenti asilo –
della stratificazione migratoria, come ricorda Ambrosini (2010). A questi casi vanno aggiunti quelli in cui
l’acquisizione della cittadinanza italiana avviene prima della partenza dall’estero, nel caso di migranti con
antenati italiani in Sud America.
187
Prima sono venuti i miei fratelli, e poi io e mio padre insieme. […] Perché poi il
ricongiungimento ha l’età limite credo fino ai 18 puoi e poi non puoi più, e quindi hanno
preso prima loro, e poi io, visto che sono più piccola (stud. 30: Trisha, IP α sociale, 22 F,
Filippine).
Si determinano in questo modo differenze tra familiari per l’età di arrivo in Italia, con
conseguenze sugli atteggiamenti e le risorse, innanzitutto linguistiche, nei confronti del
progetto migratorio familiare, di cui il percorso di istruzione dei più giovani fa parte. I
nati in Italia, poi, non hanno esperienza migratoria diretta e non hanno mai vissuto nel
paese di origine dei genitori (e dei fratelli maggiori, se presenti). Le famiglie migranti
sono quindi per la maggior parte non solo mixed dal punto di vista dello status giuridico,
ma anche dal punto di vista della storia migratoria dei singoli membri, anche all’interno
della stessa generazione, genitori o figli.
Int.: Siete venuti tutti insieme?
Andrés: No, sono venuto prima io, > mio fratello e mia mamma <, poi mio papà è venuto
successivamente.
Int.: Ah sì? E invece l’altro fratello no…
Andrés: L’altro fratello no, ha quattro anni. È nato nel 2006 (stud. 23: Andrés, IT α liceo
tecnologico, 18 M, Colombia).
Int.: Tuo fratello è nato dopo?
Hind: Sì, è nato qua. E… mentre tutte le sorelle, cioè io e le mie sorelle siamo nate in
Marocco. È mio padre ad essere venuto qua per primo, essendo stato 18 qua, e poi abbiamo
fatto il ricongiungimento e siamo venute tutte qua, mamma e tre figlie (stud. 16: Hind, Liceo
α scientifico, 22 F, Marocco).
Elisabeta: Mio fratello era alle elementari. È arrivato nel 2003, un anno prima. […] E quindi
andava alla scuola elementare, poi andava ai giardini, giocava con gli altri bambini i quali
erano sia rumeni sia italiani […], quando vieni da un livello un po’ in basso, impari più in
fretta le cose.
Int.: Cioè dici se arrivi da più piccolo?
Elisabeta: Sì. Apprendi delle cose nuove.
Int.: Ah. Quindi lui ha avuto meno difficoltà di te perché è venuto da più piccolo?
Elisabeta: Sì, sì! (stud. 2: Elisabeta, IP α sociale, 20 F, Romania).
Nel caso di coppie miste formate dopo l’emigrazione, i nati in Italia da padre italiano e
madre migrante, fratelli minori delle intervistate, hanno anche uno status giuridico
diverso dalle sorelle maggiori.
Allora (sott.: mia madre) è venuta con mia sorellina. Io ero con mia nonna e non sapevo
niente di quello che succedeva qua, poi si son sposati, poi cinque anni fa è nato il mio
fratellino, il bastardino è nato (sorridendo) (stud. 55: Rocio, IT β grafico, 21 F, Ecuador).
Anche se, a differenza che nel contesto statunitense (Fix e Zimmermann, 1999), tutti i
componenti delle famiglie migranti in Italia godono di alcuni diritti sociali, ad esempio
quello alle cure mediche di emergenza, per i giovani migranti avere o meno attraversato
periodi di irregolarità ha determinato minori o maggiori precarietà nelle condizioni di vita
188
rispetto ai fratelli o sorelle sempre regolari. E avere o no la cittadinanza italiana potrà fare
la differenza nella scelta dei percorsi post-diploma, come vedremo nel capitolo 7.
L’arrivo non simultaneo dei componenti del nucleo determina dunque asimmetrie
intrafamiliari. Queste talvolta sono giocate in positivo, come risorsa aggiuntiva, per
quanto riguarda la trasmissione della lingua madre dei genitori anche ai fratelli minori
nati in Italia.
Diego: Son nati qua (sott.: i miei fratelli) e ogni volta che parliamo, io penso che sia meglio
che loro sappiano due lingue, l’italiano e lo spagnolo. E quindi anche se mia sorella dice
sempre che è italiana e è nata qua, le parlo sempre in spagnolo… le dico che è meglio che lei
parli anche spagnolo, perché è bello avere due culture, non solo una. Ma… io le dico
“Quieres hablar en español?” e lei mi risponde in italiano. E quindi… è così, solo che lei lo
capisce, è che non lo parla, è così.
Int.: Con i tuoi riuscite a parlare un po’ di spagnolo?
Diego: Con i miei parliamo sempre in spagnolo. Però con i bambini… un po’ in italiano e un
po’ in spagnolo. Così, per non dimenticarlo (stud. 38: Diego, IT α elettrotecnico, 21 M,
Perù).
Altre asimmetrie all’interno del nucleo familiare si creano nel caso di nuove unioni tra il
genitore e la compagna/o conosciuta in Italia.
Int.: Non parli con il fidanzato di tua mamma delle tue decisioni?
Carolina: Ma non è che ci vediamo tanto perché mia mamma l’ha capito che a me non va
molto a genio, poi lui lavora anche fuori Torino, magari ci vediamo una volta al mese, o per
fare una grigliata d’estate, ma non è che… lo vedo pochissimo.
Int.: Non è un punto di riferimento per te.
Carolina: No, no! (stud. 3: Carolina, IP α sociale, 19 F, Romania).
Jessica: In realtà… (sorride) secondo lui sono stata io la causa del divorzio.
Int.: Ma dai.
Jessica: Sì. “Da quando sei arrivata, tua madre ha cambiato”… di qua e di là. Poi si lamentava
sempre.
Int.: Perché c’eri tu?
Jessica: Sì, sì, sì. Si vede che non mi sopportava.
Int.: Ma loro avevano altri figli?
Jessica: No, no, no, solo loro due. Perché dava molta importanza ai soldi. Poi io metto questo,
tu metti quello, questo è per tua figlia. [...]
Int.: E come era cambiata, non lo sai?
Jessica: Non è che era cambiata, ma lui era molto chiuso in lui. Tipo gli dicevamo “Usciamo
a fare un giro?” lui diceva “Voi prendete il pullman e andate pure, io vado a vedermi la
partita”. Allora a mia madre non le andava di stare sempre lì a chiedere e allora usciva con
me, facevamo le cose noi due.
Int.: Mmh.
Jessica: E secondo lui questo era il cambiamento. Poi alla fine il problema erano anche i
soldi. Perché lui pagava solo per lui, e mia madre pagava per lei e per me. Però all’inizio non
era così. Perché lui era d’accordo che io venissi in Italia…
Int.: Ah, infatti ti volevo chiedere questo. Non era una cosa… se ci avete pensato un anno non
era una cosa improvvisata.
Jessica: No, loro ci avevano pensato tanto anche prima. Per cui lui era d’accordo che io
venissi. Poi da quando sono arrivata mi diceva: “Tu quando fai 18 anni te ne vai via, vero?”
(sorride). Eh va beh.
Int.: E’ stato un po’ così.
Jessica: Lascia stare… (stud. 18: Jessica, Liceo α socio-psico-pedagogico, 21 F, Ecuador).
189
Segnali di non accettazione e conflitto traspaiono dalle scelte discorsive degli intervistati,
volte a occultare queste figure, malgrado la coabitazione.
Int.: Adesso siete solo tu e tua mamma oppure…
Suzana: Sì, sì, sì.
Int.: Vive con qualcuno, un compagno?
Suzana: C’è il suo marito, perché comunque lei è sposata.
Int.: E lui cosa fa?
Suzana: Lui è in pensione adesso.
Int.: Non sai cosa aveva fatto prima?
Suzana: Ha lavorato nei telefoni credo.
Int.: L’aveva conosciuto già in Romania?
Suzana: No, l’ha conosciuto qua mia madre, e io l’ho conosciuto dopo, quando sono arrivata.
° Comunque va bene °.
Int.: Ma non è una persona… per esempio adesso volevo chiederti con chi ti sei confrontata
per decidere cosa fare dopo (stud. 40: Suzana, IP α sociale, 19 F, Romania).
In altri casi gli intervistati esplicitano il senso di estraneità che provano e che li mette a
disagio.
Lorian: E poi ha comunque (sott.: mia madre) trovato un altro compagno… boh, un po’ mi sta
sul culo perché comunque non è quello… non gli ho mai chiesto niente della serie sii più
gentile con me, per carità è una brava persona, però ci sono delle volte che guardi delle
persone che magari ° il padre ce l’hanno, e vedi magari… i compagni, ad esempio io ho fatto
calcio, ho fatto basket, no? E… vedere i padri che magari il figlio ha segnato e il padre “Eh!
Mio figlio!” e tutto. Io quando tipo giocavo a calcio o basket, segnavo quel goal o quel
canestro, mi giravo: soltanto i compagni di squadra. Sì, sì, caricone “Hai vinto! Abbiamo
vinto noi la scommessa” e tutto.
Int.: Quindi non chiedi a quest’uomo di farti da padre.
Lorian: Cioè… sto bene così, se lui non mi caga, io non lo cago. Perché al momento è una
situazione del genere. Quando lui arriva a casa io… cioè quando io arrivo a casa mia “Ciao”
“Ciao” “Come va?” “Bene”. Vado nella mia stanza per i fatti miei. Se lui… non mi chiede
neanche come sto, devo essere sempre io quello scemo che gli chiede come sta. Però almeno
io l’educazione ce l’ho. Alcune persone hanno il buon senso di chiedere come sta anche
l’altra persona. Come è andata a scuola… io faccio… Se… gliel’avrei detto a voce alta, urlato
“OH, SE DEVI VIVERE CON NOI, METTICI ANCHE TU IL TUO BUON SENSO di fare
qualcuno, non essere solo come dire uno sconosciuto in casa. Fatti riconoscere” (stud. 48:
Lorian, IP β sala bar, 20 M, Romania).
Le ristrutturazioni familiari e le nuove unioni dopo la separazione dei genitori
naturalmente non riguardano solo i migranti: alcuni elementi di conflittualità familiare,
negazione e non accettazione accomunano gli adolescenti con background di
immigrazione ai coetanei nativi109. L’interconnessione fra le traiettorie migratoria e
familiare tuttavia comporta alcune specificità. Innanzitutto gli squilibri emotivi e
109
Va sottolineato che mentre gli effetti delle separazioni (e delle nuove unioni) sullo sviluppo cognitivo e
le performance dei figli nel corso del tempo sono controversi anche senza considerare la variabile
provenienza geografica (una breve rassegna attenta a dati e metodi si trova ad esempio in Kim, 2011), c’è
più accordo tra le studiose di migrazioni familiari e femminili nel segnalare che l’imputazione della
propensione alla devianza dei giovani migranti alla struttura della convivenza familiare, monogenitoriale,
specie con madri sole, e in generale il discredito di forme familiari semplicemente diverse da quella
culturalmente definite “normali” dal paese ricevente flussi migratori (Ho, 1999; Kofman, 1999) possono
indicare il rifugio in spiegazioni semplificatorie e etnocentriche, in mancanza di documentazione empirica
esaustiva e attendibile e in presenza di evidenti difficoltà metodologiche a causa dell’interferenza di
molteplici fattori che andrebbero isolati in ottica longitudinale e comparativa.
190
relazionali dovuti al trasferimento, e lo sforzo conseguente di riprogettare la propria
quotidianità nel nuovo contesto di residenza, si aggiungono a quelli di comprensione e
creazione dei nuovi legami familiari, per cui la convivenza familiare in ri-definizione
fatica a fornire il supporto, anche in termini di auto collocazione in una sfera intima
protetta e rassicurante, su cui invece hanno potuto contare i minori intervistati emigrati in
simultanea, oppure riuniti a persone conosciute e care dopo brevi separazioni. D’altra
parte dopo il periodo di conoscenza iniziale, le nuove unioni più durature risultano una
fonte di sostegno e per alcuni anche di sostituzione della famiglia “mancante” a causa
dell’emigrazione con nonni, cugini, zii acquisiti in Italia.
Lorian: Il padre di lui (sott.: del compagno di mia madre), quindi come dire tra virgolette mio
nonno, mi ha aiutato tantissimo! Cioè tempo tre mesi riuscivo comunque a dialogare con una
persona italiana, anche sconosciuta. E mi ha aiutato moltissimo, sì, dai numeri, alle lettere,
alle frasi.
Int.: Era un maestro?
Lorian: No, no, era pure in pensione, una persona che anche non avendo niente da fare,
comunque ha dedicato quasi tutto il tempo… a me. Quindi… ha avuto un buon approccio
(stud. 48: Lorian, IP β sala bar, 20 M, Romania).
Dietro l’angolo c’è la nonna e suo fratello (sott.: del marito di mia madre), invece la bisnonna
è dall’altra parte di Torino e ci sentiamo tutte le sere, e la andiamo a trovare il fine settimana,
loro (sott.: mia madre e il marito) vanno perché io devo studiare, viene a trovarmi la
bisnonna, oppure vado io a trovarla, e poi […] la bisnonna è sempre in giro, le telefono prima
di andare oppure a volte vado e non la trovo, perché tutti i giorni è fuori, quasi come gli
agenti segreti sai? (ride) Va, esce, il lunedì esce con le sue amiche, prende il pullman, fa i
suoi giretti sai, e la sera è l’unico momento della giornata che riusciamo a trovarla [racconto
delle attività della bisnonna e con la bisnonna, con molto affetto e dovizia di dettagli] invece
la sua figlia, nostra nonna, lei non va a trovarla (stud. 55: Rocio, IT β grafico, 21 F,
Ecuador).
In questi casi per i migranti la parentela acquisita italiana ha favorito il primo inserimento
in Italia e migliorato il benessere e la coesione familiare.
Quando le nuove unioni si rompono, invece, gli squilibri di reddito, e in generale le
oscillazioni relative alla situazione economica del nucleo familiare che seguono ogni
separazione, possono avere esiti più profondi per i genitori migranti divenuti single e i
loro figli, dal momento che si tratta di nuclei che rispetto a quelli nativi da un lato
dispongono mediamente di minori entrate finanziarie e risparmi, dall’altro possono
contare meno sul sostegno economico (e affettivo) della rete parentale o amicale di
supporto, perché rarefatta dall’immigrazione, costituita da emigranti, vicini ma
generalmente collocati in basso nella stratificazione sociale del paese di destinazione,
oppure da persone geograficamente lontane, rimaste nei paesi d’origine. L’instabilità
delle nuove unioni può quindi provocare effetti spiazzanti, specie nei casi in cui il
progetto di stabilizzarsi nel paese di destinazione del genitore aveva anche ragioni
191
affettive, come nel caso delle madri nel campione trasferite definitivamente in Italia per
avvicinarsi al marito o compagno. L’assenza di una rete familiare di riferimento, forse
perché a prevalenza femminile, sembra particolarmente evidente nel caso dei padri
migranti single, anche se più rari nel campione come nella popolazione.
Oltre che le dinamiche intra-familiari, per capire come il percorso di riunione familiare
influenza la progettualità nel paese di destinazione occorre analizzare le conseguenze
dello spostamento sulla percezione della propria posizione sociale da parte dei membri
della convivenza familiare. L’impatto con il nuovo contesto è stato sentito come
omologazione verso il basso dagli studenti provenienti da origini sociali medio-alte nella
stratificazione del paese di origine.
Flor: Ricordo che mio padre è partito il giorno del mio compleanno, però in quel momento
ero contenta, perché dicevo “Italia… wow! Europa!”, in Perù è sempre così. E… poi quando
sono venuta ero sempre contenta, però appena sono arrivata non mi è piaciuto molto, perché
la casa dove eravamo era molto… non so, era molto brutta. Non mi è piaciuta per niente.
Perché noi comunque in Perù stavamo bene, non è che siamo venuti perché avevamo
problemi economici (voce rotta). È stata come un’avventura diciamo. Mio padre è partito
senza sapere tanto quali sarebbero state le conseguenze, e… però non è che… cioè abbiamo
pensato che sarebbe stato magari troppo facile venire qua e trovare tutte le cose pronte, invece
non è così. E quindi è stato un po’ difficile all’inizio, sì. Ad esempio mia mamma voleva
tornare. Perché comunque noi abbiamo preso un biglietto di andata e ritorno se non ricordo
male. Però il ritorno non sarebbe contato e… perché noi dovevamo stare per sempre (voce
rotta). Solo che mia mamma aveva ancora questi dubbi, perché non le piaceva.
Int.: Non avete mai usato il biglietto per il ritorno.
Flor: No, no (ride). Però qualche volta lo pensavamo.
Int.: Avevate sempre il biglietto lì…
Flor: Sì, sì (ride). (stud. 6: Flor, Liceo α scientifico, 18 F, Perù).
Int.: Era come te l’aspettavi (sott.: l’Italia)?
Koffi: Effettivamente non avevi grandi pretese. Sapevo che sarebbe stata una novità, nel
senso di dire… la lingua, la scuola… ogni mattina c’era mio padre che ci accompagnava e poi
andava al lavoro. Qui che cosa succede? Che tu ti devi alzare, prendere il pullman, per andare
a scuola. Quindi già qui c’è una grande differenza. Quindi… sapevo che… comunque è una
esperienza che ti fa crescere. Qualcosa di diverso.
Int.: Ti senti cresciuto?
Koffi: Mah! Abbastanza! (sorride) (stud. 35: Koffi, IT α elettrotecnico, 20 M, Costa
d'Avorio).
I brani sopra citati mostrano che alcuni elementi dello stile di vita dati per scontati al
paese, dipendente dalla diversa situazione socio-economica familiare, come il tipo di
abitazione e l’uso dell’auto privata invece del trasporto pubblico, vengono
improvvisamente meno con l’inserimento in Italia. Questo processo di “caduta” è
accompagnato dalla latente stereotipia che associa i migranti all’immagine di “poveri”, e
porta al desiderio di rientrare al paese, dove essi detenevano una posizione più
avvantaggiata nella stratificazione sociale. Anche se gli intervistati descrivono questi
momenti delicati come fasi di crescita, emerge la propria auto definizione dello squilibrio
di status subito a causa del trasferimento. La dequalificazione professionale dei genitori è
192
restituita con imbarazzo (cfr. Kasinitz et al., 2008) e tensione dai figli: nelle interviste
mettono in risalto più i tentativi di mantenimento della posizione occupazionale, le
relative difficoltà incontrate e i lavori che i genitori avrebbero potuto svolgere in base alle
credenziali conseguite al paese, piuttosto che le caratteristiche del lavoro effettivamente
svolto dai genitori in Italia.
Fernando: Mia madre faceva la fisioterapista, e continua a farlo qua.
Int.: Ah, è riuscita…
Fernando: Sì, sì, siamo venuti muovendoci perché lei aveva già fatto un contratto
dall’Argentina, se no… i miei non avrebbero mai rischiato di venire qua senza lavoro, senza
contratto eccetera. Invece… per mio papà è stato un po’ più difficile, doveva rifare il titolo,
non c’era corrispondenza, e quindi… boh, prima faceva il professore di matematica, chimica
e fisica… e adesso…
Int.: In una scuola media?
Fernando: Sì, sì, in una scuola media, che qua sarebbe un liceo, e adesso lavora °°
all’[incomprensibile] °°.
Int.: Dove?
Fernando: All’Arcobaleno, per la raccolta differenziata. Almeno (voce che trema) ha trovato
una sistemazione lì, per un po’ di tempo.
Int.: Sì, sì, sì.
Fernando: Poi… vedrà, comunque lui vuole fare la validazione del titolo…
Int.: Quindi si sta informando per la traduzione?
Fernando: Sì, va beh dovrà imparare l’italiano a fondo per insegnare, però (voce che trema)
nel frattempo aveva già indagato a fondo su delle scuole o anche… lui aveva anche insegnato
nel carcere, dato che qua ci sono le carceri piene di peruviani o… poteva… insegnare lì (stud.
33: Fernando, IT α informatico, 19 M, Argentina).
Anche per gli studenti che partivano da origini sociali più modeste, spostarsi ha implicato
il passaggio dallo status di “figlio di emigrante” a quello di “figlio di immigrato”. Mentre
le rimesse permettevano loro il mantenimento di uno stile di vita elevato al paese, con
istruzione e cure mediche a pagamento e beni di lusso, la necessità di contenere le spese
delle famiglie migranti in Italia impedisce di adottare i modelli di consumo dei coetanei
nativi (cfr. Leonini, 2010). Inoltre la definizione sociale dell’emigrante come genitore di
successo conferiva rispettabilità e generava ammirazione, se non invidia, ai suoi figli
rimasti nel paese di origine, mentre in Italia l’immagine sociale dello straniero è percepita
come svilente, e i ragazzi avvertono ostilità, rifiuto e declassamento, da cui, non
conoscendo la lingua della maggioranza, sentono di non potersi difendere.
Le narrazioni del primo inserimento in Italia degli studenti riflettono tutte le difficoltà
linguistiche, logistiche, socio-economiche e relazionali affrontate dai giovani migranti.
Eh… i ragazzi… intanto sono degli adolescenti come gli altri e quindi passano… periodi…
più o meno lunghi di difficoltà legati all’adolescenza, all’adolescenza in una terra
straniera.Un’adolescenza… con la presenza dei genitori che hanno vissuto la loro adolescenza
in un altro paese e che quindi difficilmente condividono, capiscono, colgono, accolgono di
buon favore il modo di comportarsi degli adolescenti italiani a cui i loro figli rischiamo di
assomigliare sempre di più. […] Soprattutto le madri sole [hanno] difficoltà con questi figli
adolescenti che arrivano essendo stati veramente autonomi e adulti spesso, no? In Latino
America prima di arrivare qua. E ritornare ad avere il ruolo di bambino piccolo, dotato di una
193
mamma e inserito in una classe di ragazzini che quindi avendo fatto una vita molto soft
spesso sono veramente piccoli nei loro confronti (test. qual. 1: Daniela).
La fase più conflittuale dell’adolescenza e dell’arrivo, segnalata da Daniela come critica
in particolare durante la scuola secondaria superiore, è tuttavia ritenuta in parte superata.
Elisabeta: All’inizio piangevo, perché ho detto […] “No, io per ottobre me ne vado al mio
paese, non voglio rimanere qua” […] , perché come faccio a andare avanti se non capisco la
lingua? Preferisco avere qualcuno che mi parla, cioè vado a un colloquio, vado a un negozio,
vado al mercato, cioè non capisco… le persone. […] Ma non mi è mai dispiaciuto. Perché
non è una cosa da pentirsi.
Int.: Sei comunque soddisfatta?
Elisabeta: Sì, sì. Perché ho conosciuto delle persone nuove, che mi hanno consigliato delle
scuole… come andare avanti (stud. 2: Elisabeta, IP α sociale, 20 F, Romania).
Tania: Eh… e poi… sono venuta qua in Italia… e è cambiato tutto.
Int.: Che cosa?
Tania: Cioè nel senso proprio… in Romania ero magrissima. Eppure mangiavo. E poi sono
venuta qua e ho cominciato a ingrassare. […] Perché uscivi davanti al palazzo e giocavi con i
vicini. Qua era caldo poi non conoscevo nessuno, poi piano piano ho conosciuto delle ragazze
rumene che venivano a scuola con me, e cominciavamo a uscire giorno per giorno… ah sì,
era un po’ bruttino, perché in Romania ero abituata a uscire, davanti al palazzo con dei vicini,
così. Invece qua anche se volevo uscire non sapevo dove andare. Perché dove abitavo prima
non c’era il cortile. E quindi… dovevamo stare in casa a giocare.
Int.: Per quello e poi anche per altre cose?
Tania: Sì, all’inizio mi dava tanto fastidio perché gli altri parlavano in italiano, e – io – non –
riuscivo – a – capire! Mamma mia, mi dava - fastidio - da morire! Ho detto come cavolo! E
allora mi sono messa a studiare, ho detto “Mo io voglio capire tutto!”. E… ero nervosissima,
perché non riuscivo a capire cosa mi dicevano! (sorride) E stavo lì a volte con il dizionario a
cercare parola per parola per capire! E poi mi sono messa lì a studiare i verbi, ° tutte le cose °.
No, per il resto no, piano piano mi sono abituata (stud. 4: Tania, IP α sociale, 20 F,
Romania).
Quando ho saputo la decisione dei miei di venire qua… e… non l’ho presa tanto bene, nel
senso che ho detto esclusivamente ai miei all’inizio che io non voglio venire, non voglio
partire… in quel momento avevo un gruppo di amici molto sudato, molto… stavamo molto
bene insieme. Era un periodo molto bello per me, l’adolescenza, gli amici, il primo amore
anche… […] solo che ° la scelta era già stata fatta quindi non potevo più fare niente ° […]
E… (sorride) adesso ricordo che sì, nel senso che ho cambiato un po’ le mie opinioni, nel
senso che sono cresciuta, sono maturata, penso di… di essere cresciuta molto, e questo mi ha
aiutato ancora di più. Non so, se fossi rimasta in Romania, adesso, ° non sarei maturata così
tanto ° (voce commossa). Però non la vedo come una cosa negativa, anzi. È una cosa positiva.
E quindi adesso mi rendo conto che è stato un bene. Ho patito, è vero, ho patito tante cose,
però è stato un bene, sì, essenzialmente. Sì. (stud. 8: Karina, Liceo α scientifico, 20 F,
Romania).
Portare a termine il corso di studi superiori, dunque, è un segnale di integrazione positiva
e riuscita del percorso di inserimento degli adolescenti, almeno parziale. Ma anche, e
soprattutto, indica la comprensione e la condivisione della strategia di mobilità geografica
e sociale a livello familiare.
194
5.4. Le convivenze familiari in seguito alla stabilizzazione in Italia
Al momento dell’intervista, quindi, i nuclei familiari sembrano avere trovato un loro
equilibrio, anche se continuamente soppesato, ridiscusso e ridefinito, in merito al percorso
migratorio familiare. Gli studenti e le studentesse sono chiaramente consapevoli di farne
parte, e di avere assunto un ruolo pro-attivo nell’orientarne il proseguimento. Il rapporto
dei figli con i genitori è stato segnato da questo processo, a tratti per i ragazzi confuso,
contradditorio e contrastato, di negoziazione della strategia migratoria e di inserimento
sociale familiare. Le relazioni tra le generazioni nelle famiglie migranti sono state
ridefinite non solo per la fase del corso di vita attraversata dai figli, ma anche per gli esiti
della reciproca conoscenza tra i membri della convivenza approfondita dopo il
ricongiungimento, nel caso di minori riuniti, e per lo sviluppo nel tempo di atteggiamenti
diversi in merito agli stili genitoriali italiani da parte dei genitori, anche di figli nati in
Italia.
Le persone più influenti a cui gli studenti si rivolgono per prendere decisioni al momento
dell’intervista risultano i genitori, sia che essi si trovino in Italia, come nella maggior
parte dei casi, sia al paese di origine110. Padre e madre sono rappresentati dai ragazzi
come adulti significativi da consultare, senza ruolo propriamente prescrittivo. Salvo rare
eccezioni la relazione descritta sia dai genitori sia dai figli è basata sul dialogo e il
confronto aperto, anche se con differenze nell’intensità del controllo, per alcuni assente,
per altri, in particolare padri, più presente, e nella percezione della lealtà al progetto
migratorio genitoriale.
Int.: E tua mamma cosa ha detto (sott.: del tuo desiderio di diventare hostess)?
Lorena: Mia mamma è contenta, perché sa che… non mi ha mai detto “non farlo”. Ha
solamente detto “Ci sono i pro e i contro come in tutto. Sei te che devi valutare, oramai sei
grande. Cioè se ci vai a sbattere contro, contro la porta, ma ci sbatti perché… perché sei tu,
cioè hai voluto sbatterci tu, io ti avevo detto che c’erano i sassolini per poter schivarli, però se
te non riesci e ti fanno imparare questi sbattimenti contro la porta”… (stud. 10: Lorena, IP α
aziendale, 22 F, Cuba).
Consuelo: Questo credo che è l’importante che deve pensare soprattutto un genitore: uno non
fa un figlio per mettere le sue idee a questo figlio, per imporre sue idee, uno deve cercare di
aiutarlo.
Angel: Si (trad. it.: se) sono cresciuto così (sott.: come genitore, saprò far crescere così anche
mio figlio).
Consuelo: Tu sì, ma anche io.
Angel: I miei genitori erano vecchi… […]
Consuelo: Adesso tu lo (trad. it.: quello) che devi pensare è questo: che devi formare una
persona che poi fa parte del mondo. Si (trad. it.: se) tu lo vai incontro (trad. it.: contraddici)
solo perché non è lo che ti piace a te, non sai si è lo sbagliato. Devi cercare sì di aiutarlo, si
110
Ad eccezione dei padri divorziati usciti dalla convivenza familiare quando i figli erano piccoli, con cui
gli intervistati non hanno contatti significativi dalla prima infanzia.
195
infatti tuo figlio prende il percorso sbagliato credo che qualsiasi genitore cerca di aiutarlo, ma
non per cumplir con (trad. it. ottemperare) tuo capriccio o… uno deve cercare di informarsi e
vedere come è la situazione attuale e come le può aiutare, che poi il resto è la sua vita, e
quello che sta facendo il suo futuro (gen. 11: Angel e Consuelo, genitori di Fernando [33],
IT α, Argentina).
Specie quando la separazione è iniziata prima dell’emigrazione e le difficoltà di
comunicazione perdurano dopo l’arrivo, il confine tra assenza di controllo e assenza di
confronto è più labile, e gli studenti sembrano meno supportati da visioni adulte nelle loro
scelte, che sono descritte, anche con orgoglio, come questioni gestite abbastanza in
solitudine.
Int.: Quali sono i punti di riferimento quando devi prendere una decisione?
Carolina: (0.2) Stavo pensando a mia mamma, perché è la persona più importante, ma lei mi
dice “Ma… fai cosa ti senti… fai tu, vedi la cosa più adatta a te”… non è che… quindi
diciamo anche se non mi dà una mano, né mia mamma né il mio fidanzato, loro sono un po’ il
mio punto di riferimento (stud. 3: Carolina, IP α sociale, 19 F, Romania).
Quando ero piccola io abitavo con mia nonna perché visto che mio padre se ° n’era °… era
andato, doveva lavorare sempre mia madre. E allora io sono stata quando era in campagna da
mia nonna. E allora sono venuta a fare le elementari, poi quando ho finito le elementari lei era
già venuta qua, quindi ancora quattro anni di distanza quindi… andiamo d’accordo e tutto
però non c’è quella comunicazione… […]. All’inizio litigavo molto con lei, perché sono
arrivata proprio nell’età in cui ero… anche adesso sono adolescente, però a 16 anni ero
proprio… (ride) allora lei non sapeva proprio come comportarsi allora… litigavamo spesso.
Adesso no, andiamo d’accordo, però non comunico tanto (stud. 1: Adia, Ipα sociale, 19 F,
Romania).
Costantin menziona due concetti di (limitazione della) libertà nei confronti dei suoi figli:
libertà intesa in senso sbagliato, come tentazione di devianza giovanile, e libertà come
capacità di spesa per scegliere attività ludiche e ricreative. L’intervistato racconta di
essere riuscito a instaurare un rapporto di fiducia con i figli aiutandoli a acquisire senso
critico, mentre ritiene di avere potuto contribuire meno di quanto avrebbe voluto sul
versante dei consumi, ma pensa che il legame instaurato sia comunque positivo, e anche
la figlia intervistata condivide la stessa visione.
Costantin: Invece no, poi qua sono dei posti senza libertà, e… (sott.: la libertà) è stata
percepita male dai giovani che dopo i diciotto anni devono fare qualsiasi cosa anche essendo
sbagliata. Quindi non ti danno ragione, sto parlando dei miei figli. Però piano piano si sono
avvicinati a me perché spiegandogli una volta, due volte, tre volte, poi loro… quello che gli
ho spiegato io, quello che vedono all’esterno, all’esterno vuol dire fuori casa. A scuola, i
ragazzi, fanno riunioni che… qualche pasticca, qualche ecstasi, non lo so… hanno detto:
“Guarda forse avevi ragione”. No, io non dico che ho ragione… io ti posso spiegare. Io come
te ci sono stato… tu come me devi ancora… se tu prendi di buono quello che ti dico io. Tipo:
aiutami, fai la differenza. Io non dico di non dare ai buoni amici, di fare qualche sbandata,
però… ha un limite, non deve andare in discesa, fermati. Perché è bene che sia così, basta una
volta. Poi ti richiama, non so. […]
Int.: Sono legati?
Costantin: Sì, sì, siamo legati. Ci capiamo subito al volo e quando c’è dei problemi, per forza
sì, come no. Non esiste no.
Int.: Secondo voi con il fatto di esservi trasferiti in Italia, i rapporti genitori e figli li vedete
diversi? Vedendo anche famiglie italiane, vostri amici o colleghi…
Costantin: Sì. Sì, sì. Certo. E…
196
Int.: Li vedete meno legati?
Costantin: Sì, ° esatto °. Solo che loro… avevano bisogno di un po’ di più libertà. In che
senso. Non mi sono… ° non ho potuto aiutarli tanto io dal punto di vista economico ° .
Andare per viaggi, andare in gita. E… un po’ di volte sì, però quello che potevo permettermi,
100 euro, 150 diciamo per ciascuno. Dovevo anche avere i soldi in borsa, no? Non è facile,
quando prendi 1500 euro. Comunque sono andato qua a Milano, a Genova, Venezia, a
Rimini. C’è un… una… non penso trattoria, come si chiamano? Un agriturismo ad Asti,
Elisabeta proprio serviva per quel settore (gen. 9: Costantin, padre di Elisabeta [2], IP α,
Romania).
Per Skordian invece la fiducia e l’ammirazione ricevuta dai figli maggiori è diminuita in
modo dirompente con l’emigrazione e l’adolescenza, e di conseguenza anche la sua
capacità di controllarli, a causa del ruolo defilato della famiglia nel definire gli
orientamenti dei giovani in Italia, più influenzati dalla “società” che in Albania.
Int.: È lo stesso in Albania?
Skordian: No, ma i figli… qua cambia tutto, non è come in Albania che dicevamo noi, qua
cambia tutto! Io non controllo più niente! Dove vuoi andare? Di là. Ti piace di là? Vai.
Int.: Secondo lei i suoi figli hanno compreso questo (sott.: il fatto che vi considerereste falliti
come genitori se loro non studiano all’università e non trovano un buon lavoro)?
Skordian: Questa domanda è un po’ difficile adesso. Perché quando hanno fatto
l’adolescenza, qualcosa tra noi è cambiato. Non è che sono proprio i nostri figli. (0.04). Non è
una società che gira come la pensiamo noi. Non rimane più la famiglia legata. Qua è una cosa
che mi sta scappando dalle mani a me, con i figli grandi. E voglio essere forte con la piccola a
tenerla ancora legata. Noi per la scuola discutiamo tanto eh, a casa. Non è che lo lasciamo
perdere.
Int.: Perché discutete?
Skordian: Per andare a scuola. Io lo ho detto ai miei figli. Io sono partito per pagare ogni cosa
per voi, solo andate a scuola. Io ho rinunciato a tante cose per loro. Quando mio figlio era alle
medie, ha fatto me come suo ideale, l’ha letto anche a scuola, in un tema. Allora non sono più
io il suo ideale. Ci sono cantanti, altre cose… (0.02) perché se uno ha un ideale lo tiene
sempre. Io in questi anni non so dove ho sbagliato. È stato bocciato. Io l’ho lasciato libero
pensando che ce l’avrebbe fatta, e invece no.
Int.: Secondo lei perché?
Skordian: Qua è la società che ti prende di più della famiglia. Ma sono contento. Perché
hanno passato l’adolescenza, che è difficile. Senza fumare, senza bere, mio figlio non va mai
in discoteca. I vizi non li conoscono, almeno quello… Qua ce n’è troppi. Hanno passato
questa età senza avere un rischio, senza pericolo, mia moglie urla e corre dietro la piccola, io
dico che sono contento. Adesso sono ventenni. Invece con la piccola siamo quattro adulti che
la controllano, e non abbiamo paura, è la prima in classe (gen. 5: Skordian, padre di Verim
[15], Liceo α, Albania).
Malgrado Skordian tema che i figli non siano leali nei confronti della strategia migratoria
familiare, di cui la riuscita in istruzione fa parte, conclude ammettendo che il periodo
adolescenziale, caratterizzato da maggiore fragilità e rischio, è stato superato.
Anche il tentativo di selezionare le relazioni amicali dei figli con il gruppo dei pari, più
forte nella prima adolescenza soprattutto per le figlie femmine, sembra non solo una delle
dimensioni della cura dei figli, ma anche parte di un più generale progetto di inclusione
nella società di destinazione, volto dal punto di vista dei genitori a conservare elementi
valoriali ritenuti “tradizionali”. Come spiega Saloua la dimensione della pratica religiosa
è intesa dalla sua famiglia in questo senso, e il confronto con i genitori pare essersi
197
incanalato in modalità di gestione abbastanza soddisfacenti per entrambe le parti: non
emergono radicali rotture, ma piuttosto discontinuità, accettate dai genitori come
espressione della maggiore età della figlia, ormai giovane adulta.
A volte mia mamma, i miei genitori mi dicono “Vorrei che frequentassi più persone vicine
alla tua cultura”. Me lo dicono. Ma non per il fatto che… perché io ad esempio alcune cose, il
fatto di uscire il sabato sera per ubriacarsi, bere e tutto il resto, non lo faccio, per una certa
mia idea di religione. E magari… cioè infatti ci sono alcune cose… il fatto magari di avere il
fidanzato o queste cose qui… io il fidanzato se dovessi trovarlo… lo troverei se poi alla fine
lo scopo fosse andare al matrimonio. Non è che lo troverei così, perché mi piace, perché mi
piace e tutto il resto, ma poi c’è la finalità più… c’è un fine, non per passare il tempo o robe
varie. E quindi poi mi vedono che queste problematiche un po’ non sono tanto risolte, un po’
così. Però io glielo dico, io sono così, mi trovo bene con queste ragazze, con la mia amica, le
persone che frequento alla fine non sono appartenenti alla mia cultura ma tutt’altro, però io
mi trovo bene, cioè sto bene con loro (stud. 37: Saloua, Liceo α socio-psico-pedagogico, 20
F, Tunisia).
Karim: Saloua c’ha vent’anni, noi non siamo genitori, siamo amici. Genitori quando si deve
dire “Perché allora rosso invece di nero? Rischi di farti male”. Però tutto il resto… lasciamo a
lei decidere, 20 anni, ormai è grande. Io ad esempio ho bisogno di avere qualcuno che se vede
qualcosa che non va dica “Guarda, stai sbagliando questo” perché c’è sempre da imparare,
tutti i giorni, nel corso della vita. A volte Saloua mi suggerisce delle cose, anche il
piccolino… sono cose che noi purtroppo non avevamo visto.
Int.: E lei è d’accordo?
Asmaa: Certo, Saloua non è una bambina! (gen. 8: Karim e Asmaa, genitori di Saloua [37],
Liceo α, Tunisia).
Mentre negli anni della separazione le vicende economiche familiari erano sovente
occultate ai figli lasciati al paese, in Italia questi vengono coinvolti, talvolta per necessità,
quando si chiede loro di collaborare alle entrate del nucleo, ma più spesso nell’intenzione
di stimolare l’impegno alla riuscita in Italia, e contenere le richieste legate ai consumi.
Valeriu: Non nascondo (sott.: la nostra situazione finanziaria) perché i giovani di oggi
chiedono sempre, vanno a scuola, vede il suo amico di scuola vestito firmato, e viene a casa
“Mi puoi comprare questo?” “Guarda Dimitri, queste sono le nostre possibilità finanziarie.
Abbiamo questi soldi, per adesso ti devi vestire in questo modo”.
Nicoleta: Lui è stato comprensivo sempre. E quando abbiamo avuto, infatti tutto quello che
ha è di qualità, sceglie lui.
Valeriu: Sa il modo in cui arrivano le bollette, quelle che sono da pagare, le guarda anche lui,
dice “Guarda, riuscite a pagare?”. A volte no.
Nicoleta: Ma lui vuole lo stesso (ride). È così (gen. 1: Nicoleta e Valeriu, genitori di Dimitri
[19], IT α, Romania).
La volontà di rendersi autonomi, o collaborare all’economia domestica con il proprio
lavoro pagato, è presente nei discorsi degli studenti in nuclei monoparentali (ma anche nei
casi in cui i genitori, entrambi presenti, avevano difficoltà lavorative al momento
dell’intervista).
In quattro casi le studentesse (tutte di istituto professionale) avevano completato la prima
transizione alla vita adulta: il trasferimento in una abitazione diversa da quella della
famiglia di origine. Per Marina l’andare a vivere da sola è seguito a un periodo di
198
affidamento a una comunità per minori con l’aiuto dei servizi sociali, i quali avevano
giudicato la coabitazione con il padre e la compagna inadeguata per lei e al fratello
minore.
Sono successi dei casini qui in Italia con mio padre (sorride) e siamo stati prelevati dai servizi
sociali io e mio fratello e abitiamo… per adesso io da sola e lui è ancora in una struttura
protetta (stud. 47: Marina, IP β arte bianca, 20 F, Macedonia).
Altre due intervistate, Carolina e Tania, invece, avevano iniziato a coabitare con il
compagno, in entrambi i casi connazionale.
Int.: E adesso da quanto è che vivete insieme (sott.: con il tuo compagno)?
Carolina: Da quando avevo 17 anni.
Int.: Ah! Da presto!
Carolina: Sì! Perché prima con mia mamma stavamo in affitto, la casa che avevamo era
troppo grossa per poter pagare l’affitto solo mia mamma, e quindi lui è venuto ad abitare
presso di noi, lui ci dava una mano a pagare l’affitto. ° Poi ci siamo innamorati… ° […]
Prima (sott.: mia mamma) non era contenta, ma adesso gli sta simpatico, vede che noi
andiamo d’accordo, è una persona a posto quindi… ormai non può farci niente. I miei
genitori sono separati e quindi mio padre è in Romania, e non ha più rapporti con noi (stud. 3:
Carolina, IP α sociale, 19 F, Romania).
Infine abitare senza genitori può essere una necessità temporanea per terminare gli studi
in Italia mentre il resto della convivenza familiare è tornato nel paese di origine.
Abito adesso da sola, da sette mesi, perché i miei sono andati a Santo Domingo, perché mio
papà voleva andare via. Io sono rimasta perché è appunto l’ultimo anno di scuola… e niente
abito con una amica di mia mamma (stud. 5: Marisa, IP α turistico, 19 F, Santo Domingo).
L’opzione del rimpatrio, secondo le interviste considerata una delle possibili vie per
fronteggiare la perdita di lavoro in seguito alla crisi, è da considerarsi un altro scalino di
selezione superato dai migranti che raggiungono il termine delle secondarie di II grado
nel paese di destinazione.
Daniela: La crisi economica ha già determinato il rimpatrio di alcuni ragazzi, ° soprattutto
femmine °.
Int.: Perché secondo lei?
Daniela: Eh perché costa troppo tenerli qua. Soprattutto ragazze cinesi sono ° state rimandate
indietro °. Perché là costa meno e tutto sommato il progetto poi di tenerle qua facendole
faticare a venire a scuola eccetera aveva senso poi fino a un certo punto, se potevano tenerle
dentro un’attività tipo ristorante eccetera. Allora questo progetto di ricongiungimento in
questi anni è stato... probabilmente tutti loro avevano immaginato il ricongiungimento potesse
svolgersi nelle condizioni in cui loro avevano maturato le condizioni di poterlo chiedere
perché erano a posto con la casa, con il lavoro eccetera. E poi con la crisi economica, la
perdita del lavoro e poi tutti i problemi sul permesso di soggiorno eccetera molti hanno
rimesso in discussione il ricongiungimento… (test. qual. 1: Daniela).
La struttura familiare al momento dell’intervista è destinata a cambiare non solo per la
perdita di alcuni componenti per trasferimenti, al paese di origine, in nuovi nuclei
familiari in Italia oppure in paesi terzi, ma anche per la riunione di altri familiari dal paese
di origine. La presenza dei minori, specie se piccoli o in condizioni di disabilità, ad
199
esempio, può costringere a riorganizzare la dislocazione delle parenti donne, in modo da
garantirne la cura.
Quando sono venuta la prima volta è venuta anche l’altra mia sorella per prendersi cura di
me, più grande, ha vissuto con me. Io andavo a scuola e anche lei, il corso che ha fatto lei l’ho
fatto anche io (stud. 21: Aicha, IP α aziendale, 20 F, Marocco).
La stabilizzazione di una parte del nucleo, poi, può favorire l’emigrazione di figli grandi,
che avevano lasciato la convivenza familiare al paese. In questo tipo di decisioni sono
ancora i genitori i protagonisti, anche se gli intervistati sono più coinvolti di quanto erano
minori.
Int.: E adesso (sott.: tuo fratello) sta ancora in Ecuador.
Jessica: Sì, stanno ancora in Ecuador. Forse viene quello più grande.
Int.: Ah, quello di 22? Ci state pensando?
Jessica: E’ mia madre che pensa, io non penso (sorride). Cioè non vorrei neanche, perché
lascia i suoi figli… e li fa crescere già come noi, tutti divisi… (stud. 18: Jessica, Liceo α
socio-psico-pedagogico, 21 F, Ecuador).
Dai paesi a più lunga tradizione immigratoria verso l’Italia, l’emigrazione della
convivenza familiare degli intervistati fa parte dello spostamento più ampio della rete
parentale.
Praticamente quasi tutta la mia famiglia, non tutta, ma gran parte della mia famiglia, famiglia
nel senso allargato è qua. E quindi… siamo… a Torino e anche ° nelle vicinanze di Torino °.
Sì. In Romania ho ancora alcuni cugini e poi praticamente la famiglia di mio padre perché la
famiglia di mia madre è tutta qui. E i nonni che sono rimasti in Romania. [Vivono qua] i miei
genitori, i miei zii, i cugini. Una mia cugina è ritornata dopo il liceo in Romania, e sta
facendo l’università lì, però adesso, adesso vuole ritornare. Un altro mio cugino è
all’Inghilterra, all’università, io sono qua. E i miei zii sono qua (stud. 9: Julieta, Liceo α
scientifico, 20 F, Romania).
Int.: E alcuni (sott.: parenti) sono anche a Torino?
Gaby: Sì, sì, diciamo che dalla famiglia di mio padre, sono quasi tutti qua gli zii. E sono sette
persone. Per quanto riguarda mia mamma, loro sono cinque o sei.
Int.: Hai parenti anche in altri paesi? Gaby: Sì! Ho parenti in Spagna, Stati Uniti,
Venezuela… alcuni anche in Germania (stud. 32: Gaby, IT α liceo tecnologico, 22 M, Perù).
Mia mamma ha una sorella e due fratelli qua…e mio padre ha un altro fratello più… °
abbiamo cinque cugini, più… siamo un po’ tanti (sorride), sì. […] Mio padre ha cominciato a
portarli uno alla volta… a lavorare e quindi… (sorride) ° sì, si sono integrati anche loro °
(sorride) (stud. 52: Ionel, IT β grafico, 20 M, Romania).
Flor: Mia madre e mio padre hanno fatto venire i loro fratelli. Mio padre ha fatto venire suo
fratello nel 2008 e questa è una cosa molto buona perché qua può avere più opportunità di
lavoro perché in Perù era molto precario, e poi avendo anche dei figli, qua possono trovare
delle opportunità di studio, di lavoro, così. Ha portato qua suo fratello, mia madre ha portato
mia zia, sua sorella, due anni fa nel 2009, e proprio adesso è arrivato mio cugino (ride), sì, sì,
sì, adesso ci siamo allargati come famiglia. Poi lo stesso anno che siamo venuti noi, è venuta
una cugina di mia mamma a cui lei è molto legata, però è venuta a Milano, tutte le cugine di
mia mamma stanno tutte insieme a Milano. Dopo di noi è venuta una cugina di mio padre,
che abbiamo sempre aiutato, abbiamo contribuito come famiglia così, e lei ha portato suo
figlio l’anno scorso, e quest’anno, due settimane fa, ha portato suo figlio. Ci stiamo proprio
allargando velocemente sì! (ride) (stud. 6: Flor, Liceo α scientifico, 18 F, Perù).
Int.: C’è qualcuno che abita in altri paesi, all’estero?
200
Zuna: Siamo tanti, io sono qua, ho un fratello a Parigi. Ho un fratello a Parigi, una sorella in
Spagna, un’altra in America, in Virginia e basta, altri sono in Costa d’Avorio (gen. 7: Zuna,
madre di Koffi [35], IT α, Costa d'Avorio).
Anche senza viaggi o visite frequenti, infatti, il legame con i parenti nello spazio
transnazionale rimane a livello simbolico. Esso non riguarda soltanto, come si sottolinea
nell’ambiente teorico del transnazionalismo, il mantenimento nello spazio dell’unità
familiare dal punto di vista economico e “identitario”, ma anche la permanenza di un
riferimento cognitivo per la propria collocazione individuale e familiare all’interno di un
sistema di stratificazione sociale internazionale. Il posizionamento nella scala sociale dei
parenti rimasti nel paese di origine o residenti in altri paesi è considerato importante per
definire le opportunità di mobilità sociale, e dunque la strategia migratoria delle famiglie
migranti. In questo senso la rete parentale costituirà un riferimento per progettare
spostamenti futuri all’estero da parte degli studenti una volta conseguito il diploma.
Questo riferimento cognitivo permane anche quando il mantenimento del contatto con i
parenti left behind da parte dei genitori e il trasferimento di denaro verso di loro subisce
un arresto o diminuzione dopo la riunione dei figli.
Poche famiglie continuano a versare una somma regolarmente, ma come anticipato, le
informazioni sono lacunose perché si tratta di mansioni genitoriali. Rispetto all’ipotesi
dell’impatto dei trasferimenti intergenerazionali dai membri giù giovani a quelli più
anziani, dalle interviste non emerge che l’invio di rimesse da parte dei genitori verso i
nonni nel paese di origine diminuisca le risorse economiche familiari a disposizione dei
figli. Piuttosto tale pratica, insieme ad altri tipi di scambi come la prestazione di cure
recandosi personalmente al paese di origine in caso di necessità o l’invio di doni, sembra
esercitare un effetto più generale sulla rappresentazione dei rapporti intrafamiliari degli
studenti migranti, all’interno della quale ogni componente è responsabilizzato nei
confronti degli altri. In altre parole, non sembra tanto influente l’entità monetaria delle
rimesse nel diminuire i risparmi che la famiglia potrebbe investire nell’istruzione terziaria
dei figli, quanto piuttosto il frame concettuale di riferimento che vede come oggetto di
valore da rispettare le obbligazioni “verso l’alto”, dai componenti più giovani della
famiglia nei confronti delle generazioni precedenti. In questo senso, come vedremo, i
legami mantenuti dai genitori con i nonni contribuiscono a definire l’adultità degli
studenti come più imminente, e carica di responsabilità di “restituzione” nei confronti dei
genitori.
201
5.5. Effetti della traiettoria migratoria familiare sul percorso di inserimento
lavorativo dei genitori
Il processo di ricostruzione della famiglia nella migrazione, oltre a plasmare le
opportunità e le rappresentazioni di inserimento sociale e scolastico dei figli, rimodella i
percorsi dei genitori, non solo, come abbiamo visto, per quanto riguarda la sfera privata e
affettiva, ma anche agendo sul processo di collocazione nel mercato del lavoro locale.
Nel paese di origine la classe occupazionale familiare (in caso di discordanza tra i coniugi
si considera la più elevata) degli intervistati era medio alta per 36 famiglie su 50, mentre
in Italia 44 famiglie su 56 si concentrano nella classe operaia (v. tabella 5.1. e sintesi
tematica delle interviste in Appendice).
La maggior parte dei genitori degli intervistati possedeva collocazioni occupazionale
medio-alte nel paese di origine. In Italia invece per le madri prevalgono le occupazioni
nel settore della cura e collaborazione familiare, spesso informale. Per i padri lo spettro di
professioni è un po’ più ampio, ma in gran parte circoscritto ai settori dell’edilizia e
dell’industria metalmeccanica con bassa qualificazione.
Tab. 5.1 – Classe occupazionale familiare nel paese d’origine e in Italia
per tipo di insegnamento frequentato dai figli in Italia.
Nel paese
d’origine
Liceo
alta
media
operaia
missing*
totale
2
10
3
1
16
IT
2
13
4
1
20
IP
1
8
7
4
20
Totale
5
31
14
6
56
In Italia
alta
media
operaia
totale
Liceo
0
4
12
16
IT
0
4
16
20
IP
1
3
16
20
Totale
1
11
44
56
Nota: (*) i dati mancanti sono dovuti alle difficoltà dei figli di ricostruire la condizione occupazionale dei
genitori nel paese di origine e in un caso dalla partenza dei genitori in età molto giovane, con conseguente
primo ingresso nel mercato del lavoro nel paese di destinazione.
Secondo Santagati (2011, p. 173) la dequalificazione dei genitori in Italia, con
conseguente deprezzamento delle risorse culturali familiari, è un “fattore specifico di
svantaggio” per i migranti. Il tema delle forze lavoro necessarie per i mercati
occupazionali dei paesi riceventi e delle politiche più adatte ad attrarle è molto dibattuto
202
nei paesi riceventi flussi migratori111. Vediamo come il processo di dequalificazione, ma
anche quelli di (non) formazione, ricollocazione e mobilità lavorativa, sono dipesi, oltre
che dalle variabili macro contestuali e individuali e dai più studiati meccanismi relativi al
passaggio tra mercati del lavoro112, da processi legati all’interconnessione tra traiettoria
migratoria e familiare.
Come abbiamo visto nel primo paragrafo, la partenza delle donne primo migranti è spesso
nata dall’idea di potersi inserire facilmente nel mercato della cura, malgrado questo
avrebbe comportato perdita di status, in modo da garantire le rimesse ai familiari lasciati
al paese. In questi casi il processo di declassamento lavorativo è in parte accettato già
prima di partire, anche se in presenza di informazione imperfetta, attraverso la
mediazione della rete femminile delle connazionali, e conforme alle aspettative di ruolo
relative alla “buona madre”. Quando il primo migrante è un uomo, viceversa, può
accadere che la moglie esca dal mercato del lavoro locale per occuparsi dei figli piccoli e
curare l’investimento delle rimesse del marito nel paese di origine: anche in questo modo
la dequalificazione professionale della donna inizia prima di partire.
L’ingresso o la permanenza irregolare è invece una causa di perdita di status
professionale inattesa che ha effetto in seguito all’immigrazione. Essa è dovuta
innanzitutto ai costi dell’ingresso illegale, in particolare dei documenti falsi e dei trasporti
illegali, costi che le famiglie devono sostenere prima della partenza, e al finanziamento di
queste spese con tassi di restituzione elevatissimi.
Valeriu: Così abbiamo dovuto vendere la casa, che l’avevamo lì, abbiamo pagato…
Nicoleta: Tutto! Non abbiamo niente, solo la tomba di papà.
Valeriu: Perché in quegli anni si pagava 2000 dollari a testa, di persona, per arrivare qua. In
quegli anni.
Nicoleta: Non sapevi se arrivavi qua, perché io ho perso. Due volte ho provato di venire qua.
[...] Ho perso, abbiamo pagato un affitto anche di là. In mio paese, perché siamo rimasti fuori
casa.
Int.: Avevate venduto la casa per pagare il viaggio?
Valeriu: Sì, per pagare il viaggio. Aveva provato lei, per tre volte.
Nicoleta: Però i soldi li ho persi.
111
Non è ancora possibile vedere gli effetti dell’iniziativa della carta blu europea nel processo di
armonizzazione dei tentativi di “attrarre cervelli” nell’Unione, e nemmeno degli accordi bilaterali “di nuova
generazione” firmati a partire dal 2011 per migliorare il matching tra domanda e offerta di lavoro attraverso
la creazione di liste di candidati all’emigrazione e il rafforzamento della formazione professionale nei paesi
partner (Oecd, 2012). Sulle migrazioni qualificate dall’est Europa cfr. Brandi (2010).
112
Ad esempio l’impossibilità di trasferire le proprie competenze nel contesto ricettivo perché troppo legate
al sistema produttivo del paese di origine, il ruolo delle reti, delle organizzazioni sindacali e delle
associazioni nell’indirizzare in determinati settori, i pregiudizi dei datori di lavoro. Ambrosini (2010)
propone una rassegna delle modalità di inserimento occupazionale in Italia e degli attori coinvolti,
definendo anche diversi modelli territoriali. Il Piemonte e in particolare di Torino non sono da intendersi
come aree rappresentative di tutti i processi di inclusione lavorativa dei migranti nella penisola, ma come
casi significativi, data la fase matura dell’immigrazione familiare in Italia, per cogliere l’interazione tra
percorso migratorio familiare e carriera lavorativa nella migrazione.
203
Int.: E non li restituivano.
Nicoleta: Già con i documenti come si deve. Dovevo avere un lavoro, dovevo… (gen. 1:
Nicoleta e Valeriu, genitori di Dimitri [19], IT α, Romania).
La “restituzione del debito” per la partenza è una voce di spesa del bilancio familiare che
impatta moltissimo sulla ricerca del primo impiego dei genitori una volta giunti in Italia.
Anche quando esso è contratto con familiari, il prestito può essere inteso come vero e
proprio investimento, per cui le richieste di restituzione possono essere molto amare e
stringenti (specie perché non rispettarle potrebbe significare l’esclusione dal circuito dello
scambio di aiuti in futuro).
Int.: Avevate scelto Torino perché conoscevate qualcuno qua?
Valeriu: Sì, era mio fratello qua. Lui aveva già i documenti a posto. ° Però anche lui si è
comportato male °.
Int.: Ah, non vi ha aiutato un po’ all’inizio?
Valeriu: All’inizio sì, però in seguito a questo, ° se ti ha dato uno lui voleva due °. Però è
stato un aiuto, non posso negarlo, perché mi ha dato una spinta, no? Mi sono indebitato con
lui, però mi ha dato una spinta. E così sono riuscito a portare anche lei poi. Però ti dico… […]
in quegli anni riuscivo a mandare a casa ogni settimana quasi 200mila lire.
Int.: Come faceva?
Nicoleta: Con 50mila lire noi facevano la spesa per una settimana.
Valeriu: Lavoravo, lavoravo alla grande (gen. 1: Nicoleta e Valeriu, genitori di Dimitri [19],
IT α, Romania).
Sono rimasto da mia cugina cinque mesi. Ho lavorato là, non so se lo sai, questo lavoro…
portavo i cartoni, c’era una fabbrica piccola con giocattoli a via Sostegno, io mettevo la carta
colorata in 2000 buche, c’erano 2000 buche (fa segno di infilare) e mettevo la carta così, tutto
il giorno. Prendevo 15mila lire. Eh va beh. Dopo due mesi ho dormito con i protettori delle
prostitute, miei ex alunni in Albania, sì. Non sapevo dove dormire. Perché mia cugina era
andata a Genova. Di là solo dormivo, ma con le ragazze niente, non facevo niente. Anche se
mi dicevano “Professore, prendi una, lavori sei mesi, e vai via. Perché in edilizia non ce la
fai” mi dicevano (si tocca le braccia in segno di magrezza). […] Lei (sott.: mia cugina) ha
venduto due case che aveva là e non servivano, e ha dato i soldi a me [per partire]. Io dopo tre
anni le ho ridato. ° Perché noi per i debiti non dormiamo di notte ° (gen. 5: Skordian, padre
di Verim [15], Liceo α, Albania).
La ricerca del primo lavoro dunque è segnata dall’urgenza di percepire un reddito, non
solo per restituire ai creditori ma anche per inviare i guadagni al paese, dalla necessità di
svolgere lavori in nero non potendo essere titolari di contratti di lavoro e dovendo tutelare
l’invisibilità propria e della famiglia, se presente, nei confronti delle istituzioni italiane.
Ragioni di tempo (poco), risorse (poche) e status giuridico (irregolare) rendono così arduo
far valere le proprie qualifiche educative e professionali.
L’arrivo dei figli, poi, condiziona in diversi modi l’inserimento occupazionale dei
genitori. Prima della riunione, è importante per i genitori maturare i requisiti necessari per
attivare la procedura di ricongiungimento. Questa meta spinge alla richiesta di contratti di
lavoro regolari, con livelli di retribuzione adeguati, e di una casa conforme alle
204
caratteristiche stabilite per legge. Tuttavia la fretta di conseguire tali requisiti inibisce le
ricerche di lavoro più rischiose e lunghe, anche se più promettenti.
Dopo l’arrivo dei figli le esigenze economiche del nucleo crescono, per cui abbandonare
un lavoro sicuro per la ricerca di altri incarichi, sebbene più prestigiosi e corrispondenti
alle professionalità acquisite al paese, non risponde alle esigenze familiari, e
l’orientamento maggioritario, anche in presenza di due redditi, propendono per
conservare la posizione lavorativa acquisita.
Le difficoltà di conciliazione, pesanti anche per le madri italiane (Naldini e Saraceno,
2011) in un contesto di ancora marcata asimmetria di genere nella divisione intrafamiliare
lavoro di cura, ostacolano particolarmente le migranti donne, che godono meno dell’aiuto
di nonne o sorelle, specie se fanno parte di flussi migratori al maschile. Oppure se i
bisogni di cura dei minori sono particolarmente elevati, ad esempio in caso di disabilità.
Mia sorella a Torino (sott.: prima di avere figli) faceva le pulizie degli uffici in nero però non
ha trovato in altri modi, poi aveva bisogno di un lavoro part time anche per me (stud. 21:
Aicha, IP α aziendale, 20 F, Marocco).
Soprattutto per le donne migranti, dunque, l’accessibilità dei servizi pubblici per la prima
infanzia (e, nei casi di riunione dei nonni, anche per i grandi anziani fragili) è preziosa per
poter continuare a svolgere il proprio lavoro pagato.
Io per esempio la piccolina al nido l’ho messa da nove mesi e tre anni e mi sono trovata
benissimo, non avevo parenti, chi me la guardava? Così da quando ha nove mesi è andata al
nido, poi è passata subito alla materna, poi alle elementari… guarda la piccola poverina dai
nove mesi studia (ride), quando si ammalava… madonna ho fatto una fatica! Da sola qua…
come facevo? E allora qualche volta la grande rimaneva a casa a guardarmi la piccolina, stava
a casa da scuola quando io facevo il turno di mattina, invece quando io facevo la notte me la
guardavo di giorno, che fatica… era una fatica. Però non ho mai fatto due minuti di ritardo,
sai? Mai fatto, in tanti anni. E se ti comporti bene sei vista bene, e ho trovato sempre la porta
aperta (gen. 12: Elionor, madre di Pilar [39], IP α, Perù).
Altri processi attengono alla relazione di genere tra i genitori. La stima delle probabilità
di collocarsi “bene” nel paese di destinazione, oltre che per la definizione del desiderio di
partire di uno o entrambi i coniugi, è impiegata infatti non solo per favorire la strategia
collettiva di mobilità familiare, ma anche per riequilibrare le posizioni lavorative
individuali tra marito e moglie con l’emigrazione, processo che avviene verso l’alto o
verso il basso a seconda dei punti di partenza e delle opportunità di impiegare le proprie
qualifiche nel mercato lavorativo italiano, in modi diversi a seconda del genere. La
partenza è così negoziata dai coniugi in relazione alle posizioni relative nel mercato del
lavoro e alle conseguenze dell’emigrazione su di esse. Per Adolfina e il marito,
rispettivamente alto funzionario pubblico e tecnico informatico al paese, spostarsi ha
205
comportato un riequilibrio della coppia dal punto di vista del prestigio occupazionale e
del reddito percepito, a favore del marito.
Adolfina: Lui è stato il primo ad uscire e poi “Va bene, vai a vedere com'è, e poi ce ne
andiamo noi”, solo che lui...
Int.: Quindi lui sapeva, cioè, voi avevate già pensato di partire tutti e due?
Adolfina: Era lui che pensava più di me. Io non ero molto convinta. Non sapevo nulla di qua
e non sapevo nulla e... ed è che lui è stato una persona molto intraprendente, gli piaceva
tantissimo viaggiare, e allora “Va bene, va beh vai, vai a conoscere, vai a vedere, poi mi dici
come va”. Invece lui si era fissato questo obiettivo di portarci via a tutte, noi tre, io e le mie
figlie, perché diceva che, ovviamente sì, certamente qua la qualità di vita... anche se scendi
fino in fondo rimane sempre migliore di una qualità di vita di uno che rimane lì fino in fondo.
E quella è la verità. […] Lui (sott.: mio marito) non ha mai detto in realtà le difficoltà che
potevano esserci. Sicuramente lui ha lavorato tanto, si è dedicato a lavorare i primi due anni,
prima di portarci i documenti per poter venire, con la speranza che poi dopo, una volta
arrivati qua, con i figli a scuola, io sicuramente, due tre anni per […] imparare l'italiano, fare
qualche aggiornamento e poi dopo cercare una soluzione lavorativa più equa fra virgolette,
che in realtà i risultati sono altri. Dopo otto anni io mi rendo conto che è stato un sogno
nostro, un eccesso di fiducia nell'uguaglianza nelle pari opportunità, e sicuramente
un'immagine molto... sì, eccessiva. Nel senso che sì, in Europa sono più riconosciute le
persone, gli studi, eccetera, ma non sempre è così. Sicuramente se non ti conosce nessuno,
nessuno ti dà la fiducia per poter avere un'opportunità, si deve conoscere qualcuno. Perché se
tu sei nuova, sola, non ti conosce nessuno e nessuno ti dà la fiducia, e quella è la realtà. E
sicuramente per me è stato duro, perché io l'ho sentito subito. Il giorno stesso che sono
arrivata ho saputo che sarei stata io la sacrificata. La più sacrificata perché sicuramente lui
(sott.: il marito) più che altro ha un'altra mentalità. Lui dice “Belle figlie, facciamo qualsiasi
cosa”. Però io dico no, perché io avevo già una carriera, una carriera diciamo come dirigente,
come funzionario (sott.: di livello) cinque dal '93 fino al 2003! Erano diciamo circa dieci
anni, era una bella esperienza, in Regione sempre progetti di sviluppo, sempre in
pianificazione, credo che era una cosa bella. Abbiamo anche fatto un seminario di sviluppo
plurale in Giappone, è stato uno scambio in quel periodo, sono cose molto belle, che
sicuramente non sono importanti, però per me lo erano, e io volevo sicuramente continuare.
Qua è stato... sì... tre anni che… il primo anno italiano, dal mattino al pomeriggio, le figlie a
scuola, sono diventata casalinga che non ero mai stata al mio paese. Certo ho dovuto anche
imparare a cucinare (ride)… molte cose, però è stato... penso che sia stato anche un periodo,
grazie a dio, positivo, nel senso che mi sono avvicinata di più alle mie figlie, perché io di là
non ero tanto vicina a loro, le vedevo, arrivavo a casa e loro stavano dormendo, le vedevo il
fine settimana e qua ho dovuto stare molto più vicina a loro e seguirle. Seguirle io. E
sicuramente è stato un bene. Perché se non fosse stato così sarebbe stato diverso il risultato
che loro hanno avuto, no? Fino adesso. (gen. 4: Adolfina, madre di Flor [6], Liceo α, Perù).
La storia di Adolfina è emblematica per ricostruire alcuni meccanismi alla base della
dequalificazione. Innanzitutto il peso dei legami personali per trovare lavori altamente
qualificati in Italia sfavorisce chi arriva da fuori. Inoltre il contesto di inserimento
lavorativo italiano non è favorevole alle donne, specie per quanto riguarda il
raggiungimento di posizioni apicali, sia nel settore pubblico che in quello privato. Questi
due elementi erano del tutto imprevisti per Adolfina, partita proprio alla ricerca di un
contesto lavorativo “più meritocratico” che quello di partenza, e poi non informata dal
marito, arrivato prima di lei, delle reali condizioni di ingresso nel mercato del lavoro
italiano. Tra le righe emerge l’asimmetria tra i coniugi nel paese di origine nella divisione
del lavoro pagato e non pagato. Adolfina racconta di avere dedicato più tempo e energie
206
al ruolo di madre una volta in Italia, proprio a causa della dequalificazione, anzi del suo
rifiuto di accettare la dequalificazione. È proprio tale rifiuto a spingerla fuori dal mercato
del lavoro “primario”, verso impieghi precari e part-time, pur di evitare le mansioni “da
straniera” che le consigliano le connazionali, e che il marito accetta. Nel tempo le
competenze di Adolfina si deteriorano, per cui l’intervistata cerca di riqualificarsi e
aggiornarle, tuttavia anche questo compito non è facile, a causa della carenza di corsi di
livello post terziario, relativi alla branca di ingegneria gestionale in cui Adolfina si era
specializzata,che garantiscano inserimento occupazionale, a costi sostenibili per un
nucleo monoreddito di classe operaia. L’intervistata segue diverse piste formative
inserendosi finalmente nel mercato del lavoro, ma non allo stesso livello del paese di
origine. Come riconosce amaramente la migrante, il reclutamento per incarichi importanti
avviene sulla base di relazioni di fiducia e “reputazione”, molto difficili da costruire solo
sulla base dei titoli di studio e del curriculum, specie se maturati in un paese a forte
pressione migratoria. Il disagio provato da Adolfina non sembra così marcato per il
marito, per il quale le migliori condizioni di vita per il nucleo familiare in Italia sembrano
sufficienti per accettare la dequalificazione subita.
Le carriere dequalificate dei lavoratori migranti sono dunque esito di una successione di
eventi non solo relativi alla sfera occupazionale, ma anche a quella familiare del genitore
e degli altri componenti della famiglia transnazionale.
Alcuni segnali di stabilizzazione dei nuclei familiari hanno tuttavia riguardato l’acquisto
della casa nel paese di destinazione (per gran parte del campione la casa era già di
proprietà nel paese di origine), l’acquisto dell’auto e la possibilità di svolgere le vacanze
con la famiglia. Queste mete sono viste dagli intervistati come passi di mobilità sociale
ascendente, anche nei casi in cui, dopo l’iniziale caduta verso occupazioni manuali e
informali, uno dei genitori è riuscito a conquistare una condizione lavorativa più tutelata,
con un contratto di lavoro, anche se ancora manuale e poco qualificata. Peraltro va
sottolineato che l’inserimento lavorativo in fabbrica come operai qualificati, ad esempio
tornitori o saldatori, o in piccole e medie imprese edili, oppure nel settore dei servizi alle
imprese o alle persone o della ristorazione con incarichi di responsabilità, per i migranti
che partivano dalla classe operaia nel paese di origine costituisce a tutti gli effetti un
movimento verso l’alto113. Pur non raggiungendo il “mezzo” della stratificazione sociale
113
La percezione soggettiva del proprio status socio-economico può variare anche in seguito a eventi come
pensionamento e vedovanza, o al cambiamento di ruoli sociali e stati di salute, e non solo in base al
207
in Italia, per l’aumento del potere d’acquisto rispetto al paese di origine e le migliori
condizioni di vita e lavoro questi percorsi permettono di investire nell’immobiliare sia
nell’area di provenienza che di destinazione, progettare la gestione delle risorse
economiche familiari senza troppe ansie e garantire il sostegno ai figli fino all’istruzione
terziaria. Riuscire ad agire da “bravi genitori” e da “emigranti rispettabili”, lavoratori non
dipendenti dallo stato sociale e non coinvolti in carriere devianti, conferisce al progetto
migratorio le caratteristiche del successo, anche laddove le condizioni lavorative sono
diverse da quelle inizialmente sognate.
Le vie utilizzate invece dai primo migranti che sono riusciti a raggiungere posizioni
intermedie non sono state tanto l’assunzione come dipendenti, ma piuttosto il “mettersi in
proprio”, aprendo negozi (soprattutto nel caso dei cinesi) o avviando attività
imprenditoriali in collaborazione con italiani. In due casi l’ascesa della classe
occupazionale familiare è dovuta al matrimonio della madre migrante con un italiano
altamente qualificato.
L’avvio di attività imprenditoriali sembra la via più efficace per mantenere o riacquistare
posizioni sociali, dopo la caduta iniziale per l’ingresso in Italia. Per Ambrosini (2010)
questo meccanismo di mobilità sociale accomunerebbe i migranti alle classi operaie
italiane. Tuttavia i migranti si differenziano dalle classi operaie native, quando
provengono da posizioni intermedie nel paese di origine, per le esperienze professionali
compiute all’estero e il riferimento cognitivo alla rete parentale nel paese di origine,
spesso collocata nelle posizioni medio-alte della stratificazione sociale. Per i lavoratori
autonomi, in prevalenza padri, la famiglia ha costituito un serbatoio di forza lavoro da
impiegare per contenere le spese in Italia, e l’estensione transnazionale delle relazioni ha
fornito aiuto nella scelta della localizzazione delle attività e della sua gestione in caso di
sedi all’estero.
Per quanto riguarda l’assunzione come lavoratori dipendenti, la strada sembra più
complessa, perché passa per la certificazione delle competenze acquisite. Diversi elementi
concorrono a rendere difficile l’equipollenza e la traduzione del titolo di studio in Italia,
tra cui i costi e la complicatezza della procedura, le informazioni mancanti o sbagliate
fornite dagli uffici responsabili a riguardo e dalla rete dei connazionali, la mancata
percezione dell’utilità della traduzione nel contesto lavorativo italiano. Soprattutto su
quest’ultimo punto si concentrano gli intervistati, anche per le esigenze di guadagno
benessere economico (cfr. ad esempio Cornman et al., 2012). Nell’analisi tuttavia abbiamo considerato
indicatori più stabili nel tempo, per ricostruire la traiettoria di inserimento sociale familiare.
208
immediato sopra evidenziate. Il settore della cura nel suo versante formale sanitario è una
delle poche vie attraverso cui i genitori intervistati hanno potuto far riconoscere la loro
precedente qualifica professionale già prima della partenza.
Anche la mediazione culturale e la cooperazione internazionale sono stati ambiti di
inserimento delle madri che hanno tentato di preservare le competenze lavorative
maturate al paese. Si tratta di settori occupazionali presi in considerazione una volta
arrivate in Italia, proprio grazie alla condizione migratoria, tuttavia in questi casi per chi
si collocava “nel mezzo” non si è trattato di reale mantenimento della posizione non solo
perché il livello retributivo, di prestigio e di responsabilità e qualità delle mansioni svolte
è più basso in Italia rispetto a quello che le intervistate avevano acquisito nel paese di
origine, ma anche per la grande precarietà che caratterizza questo tipi lavori, specialmente
nei periodi di diminuzione di risorse pubbliche e private destinate al no-profit.
La natura saltuaria e informale di gran parte delle occupazioni svolte delle madri
migranti, soprattutto come abbiamo detto impiegate come colf o assistenti familiari, e
l’esposizione alla congiuntura degli uomini che lavorano come operai, in particolare nel
settore auto e nell’edilizia, rendono frequenti gli episodi di disoccupazione anche laddove
l’economia domestica sembrava stabilizzata. I corsi di formazione seguiti dai genitori
migranti nei periodi di assenza di lavoro potrebbero essere opportunità di riqualificazione,
e così vengono restituiti dalle interviste, ma i percorsi analizzati non presentano casi di
successo di questo tipo114. I tentativi di cetizzazione, in particolare l’accensione di un
mutuo per la casa, diventano così molto pesanti da sostenere, specie quando non si può
contare su forti risparmi accumulati e neppure sull’appoggio di trasferimenti finanziari da
parte di parenti o amici. La mancanza di un doppio reddito in Italia, periodico o
continuativo, ha conseguenze sull'intero nucleo e può spingere i figli a lavorare full time
per rimpiazzare le entrate mancanti di uno dei genitori, con gravi esiti sulla frequenza
scolastica, come vedremo nel caso di Ionel. Quando il periodo di mancato reddito
coincide con transizioni scolastiche importanti, ad esempio la scelta della scuola
secondaria o dell’università, nonostante l’enfasi dei primo migranti sulle potenzialità
della riuscita scolastica come canale di mobilità sociale, i figli devono fare i conti con
114
Non sono note a chi scrive ricerche quantitative italiane sugli effetti della disoccupazione degli
immigrati sulla qualità, oggettiva e soggettiva, del loro lavoro successivo, ma a livello europeo uno studio
comparativo su dati ECHP – European Community Household Panel (Austria, Danimarca, Spagna e Gran
Bretagna) mostra che la disoccupazione lascia ferite nella storia occupazionale, diverse a seconda del
contesto istituzionale, non solo per effetto delle specifiche politiche di protezione dei disoccupati e sostegno
all’occupazione, ma anche per elementi macro strutturali, tra cui, nei paesi sud europei, un sistema di
contrattazione collettiva che pone barriere piuttosto rigide agli outsiders che non godono di contratti
standard e un alto tasso di disoccupazione nel paese (cfr. Dieckhoff, 2011).
209
risorse familiari molto limitate e soprattutto incerte, nonché con il loro senso del dovere
nei confronti degli obblighi di restituzione verso i genitori.
5.6. Rappresentazioni della mobilità geografica e sociale nel passaggio da una
generazione all’altra
La migrazione non è solo uno spostamento individuale ma è, o diventa, nel caso di
emigrati adulti che diventano genitori dopo il trasferimento all’estero, una strategia di
collocarsi, singolarmente e in quanto membri di una famiglia, in un sistema di
stratificazione sociale internazionale, che si configura nei diversi Paesi e regioni secondo
regole e meccanismi di ingresso o mantenimento posizionale ritenute più o meno
convenienti per mantenere o acquisire status. Si tratta in gran parte di mantenimento di
status, dal momento che l’investimento migratorio riguarda principalmente chi si colloca
“in mezzo” nel paese di origine. Naturalmente queste strategie possono combinarsi ad
altre, come il matrimonio o l’avvio di attività imprenditoriali al paese, e riguardare solo
una parte dei membri della convivenza familiare. Sono strategie costruite sulla base di
informazioni imperfette, distorte secondo ragioni non sociologicamente neutrali o casuali,
definite sulla base di negoziazioni intra e inter familiari, tra componenti della famiglia e
della famiglia con altri sistemi sociali di riferimento, in primis con la rete parentale. Tali
negoziazioni avvengono in asimmetria di potere e risorse e anch’esse non sono neutrali
rispetto alla posizione sociale, al genere, ma anche al periodo, alla coorte, all’età dei
protagonisti di queste vicende. Si tratta di strategie che si modificano in progress anche
per il manifestarsi di vincoli e opportunità impreviste di natura macro istituzionale (socio
economico o normativo), meso (familiare o a livello di attività economiche o scolastiche
di impiego dei componenti della famiglia) o micro individuali. La selezione dei
componenti della famiglia da coinvolgere nella mobilità geografica, i tempi, l’ordine e le
modalità di coinvolgimento, fanno parte di queste strategie di posizionamento sociale
familiare, ma seguono anche altre logiche, di natura normativa, affettiva e relazionale, e
dipendono da fattori non strettamente economici o di funzionamento della stratificazione
sociale, in particolare attinenti al welfare, al cambiamento delle politiche e alla loro
applicazione, che possono agire in direzione opposta rispetto al fine di collocarsi “bene”
nella struttura occupazionale e sociale del principale paese di destinazione dei membri.
Osservando come i diversi componenti della convivenza familiare diventano partecipi, in
210
modi e tempi diversi e con ruoli sociali più o meno centrali, di queste strategie di mobilità
geografica e sociale, emergono tutti gli aspetti sopra citati.
La partenza dei genitori e poi del nucleo è stata dall’inizio, o è diventata, un modo per
trasferirsi in un contesto in cui fossero migliori le condizioni contestuali di
autorealizzazione. Questa rappresentazione dell’emigrazione è il nucleo del racconto
emigratorio familiare di tutte le interviste raccolte. Tra i genitori e i figli intervistati,
anche per effetto di autoselezione del campione dei genitori (v. nota metodologica) il
dialogo è impiegato per persuadere i figli dell’importanza del loro percorso di inclusione
verso l’alto nella società italiana. La strategia di mobilità sociale familiare, nei casi di non
raggiungimento delle mete sociali che la famiglia si era prefissata, viene posticipata e
attribuita alla generazione successiva a quella primo migrante. Questo processo viene
discusso esplicitamente in alcune famiglie, in altre rimane un leitmotiv latente, di cui i
figli sono comunque coscienti. Proseguiamo quindi nell’analisi delle interviste
verificando come il percorso in istruzione dei figli entra a far parte della strategia
migratoria familiare e si realizza in Italia.
211
6. Il percorso di istruzione-formazione
Come abbiamo visto nel primo e nel secondo capitolo, gli studi sulla riuscita e le scelte
scolastiche dei giovani migranti hanno indagato, soprattutto in paesi a lunga tradizione
migratoria che dispongono di ricche banche dati quantitative, fattori classicamente
utilizzati in sociologia dell’educazione per “spiegare” le disuguaglianze scolastiche, di
natura individuale (risorse socio-economiche familiari, titolo di studio dei genitori, ad
esempio), attribuiti all’istituzione scolastica (concentrazione di studenti con status basso o
background immigratorio nelle scuole o classi, ecc.), o legata all’origine “etnica”
(operativizzati in modo meno chiaro, normalmente con la nazionalità di origine dei
genitori ma senza spiegare bene i meccanismi causali, di solito attribuiti a una generica
attitudine della “comunità” migrante, all’impegno in istruzione come responsabilità
morale dei giovani di origine asiatica, oppure alle controculture giovanili come reazione
all’integrazione subalterna dei giovani di origine latina). Le ricerche qualitative,
sviluppate da subito anche nelle letterature dei paesi con più breve esperienza
immigratoria, hanno messo invece in luce aspetti relativi al nesso tra scuola e extrascuola,
occupandosi anche del ruolo delle realtà associative, del privato sociale e delle diverse
forme di aggregazione tra pari.
In questo capitolo cercheremo di integrare questi due approcci evidenziando come non
solo le risorse e i vincoli dati in un preciso momento, ma la più ampia storia del percorso
di immigrazione familiare, nel modo in cui viene rappresentata dai suoi protagonisti,
conferisca alla traiettoria scolastica dei migranti alcune specificità, che emergono in
relazione alla cornice istituzionale data dalle normative e pratiche scolastiche e dagli
attori che le realizzano nell’ambito locale. Tali specificità sono più evidenti durante
alcune transizioni e fasi del percorso in istruzione che seguiremo nei paragrafi seguenti
per ragioni espositive (primo inserimento a scuola in Italia, scelta del tipo di
insegnamento secondario e dell’istituto da frequentare, integrazione tra impegni scolastici
e extrascolastici nel corso delle secondarie di II grado, progettualità e rappresentazioni in
merito all’istruzione terziaria), ma, come vedremo, si costituiscono in un processo
212
cumulativo formato da dinamiche più micro, quotidiane, le quali, sebbene non interpretate
dagli attori come momenti cruciali, orientano verso alcune direzioni piuttosto che altre.
6.1. L’inserimento in classe e il primo ciclo di istruzione
Come nella popolazione, il ritardo scolastico dei migranti nel campione è elevato: 39 su
56 intervistati frequentano una classe inferiore rispetto all’età. Tuttavia esso è dovuto
esclusivamente a bocciature solo in cinque casi su 39 (v. tabella 6.1): per gli altri si è
creato durante il processo di inserimento scolastico in Italia. Va anche notato che per sette
ripetenti su 12, il ritardo dovuto allo spostamento dall’estero si è sommato a quello
dovuto all’insuccesso scolastico in Italia. Sono colpiti soprattutto gli studenti e le
studentesse migranti di istituto professionale e tecnico (15 su 20 in entrambi i tipi di
scuola) e, in misura minore, quelli ai licei (9 su 16).
Tab. 6.1 – Studenti e studentesse intervistate per tipo di scuola e ritardo scolastico: differenza tra età
dell’intervistato/a e l’età attesa dal sistema scolastico (in anni di età); allievi in ritardo, allievi ripetenti e
motivi del ritardo (v.a.).
Differenza tra età e età
Motivi del ritardo
attesa dal sistema scol. Totale in Totale
ritardo ripetenti esclusivamente ripetenze + esclusivamente
-1 0 1 2 3
ripetenze
altre ragioni
altre ragioni
Liceo 1 6 5 3 1
9
4
3
1
5
IT
0
5
10
2
3
15
Totale
16
6
1
5
9
20
IP
0
5
9
4
2
15
2
1
1
13
20
Totale
1
16 24
9
6
39
12
5
7
27
56
Tab. 6.2 – Studenti intervistati per tipo di scuola frequentata e livello scolastico del primo inserimento in
Italia (v.a.).
Infanzia*
Primaria
Media
Superiore
Liceo
4
5
5
2
Totale
secondaria
7
IT
1
8
5
6
11
20
IP
0
5
12
3
15
20
Totale
16
Totale
5
18
22
11
33
56
Nota: (*) incluse le tre studentesse nate in Italia, due iscritte al liceo e una all’istituto tecnico.
Poco più di metà del campione ha iniziato a frequentare le scuole italiane durante
l’istruzione secondaria, anche se non mancano gli arrivi durante le elementari o prima (v.
tabella 6.2). I ricongiunti nel corso delle scuole secondarie di primo e secondo grado si
213
concentrano nell’istruzione professionale (15 su 20), mentre sono di meno nell’istruzione
tecnica (11 su 20) e liceale (7 su 16).
Il processo di prima inclusione in classe è influenzato dalla traiettoria migratoria familiare
e dalla reazione istituzionale all’arrivo degli studenti migranti per: (a) i tempi dell’arrivo;
(b) il processo di individuazione del livello e grado scolastico più idoneo per
l’inserimento dei giovani migranti; (c) le attività a sostegno dell’inserimento svolte prima
di iniziare a frequentare le lezioni formali per iniziativa delle famiglie e (d) dopo l’inizio
delle lezioni per iniziativa delle scuole e dei docenti; (e) le relazioni con i compagni di
scuola; (f) gli atteggiamenti dello studente o studentessa migrante nei confronti del
trasferimento e del successivo squilibrio di status scolastico.
a. I tempi dell’arrivo
Come abbiamo visto nel paragrafo precedente l’arrivo dei ricongiunti (cioè la
maggioranza degli studenti migranti nel campione e attualmente nelle secondarie di II
grado in Italia) non sempre avviene nei tempi desiderati da genitori e figli: il tentativo di
arrivare durante l’estate per favorire l’iscrizione degli studenti a scuola a settembre riesce
più spesso ai cittadini di area Schengen. Inoltre gli sfasamenti possono dipendere da
differenze tra paesi nella distribuzione dell’anno scolastico rispetto all’anno solare, ad
esempio in Argentina l’anno scolastico termina d’inverno, in Italia d’estate.
L’arrivo in corso d’anno ha effetti deteriori sia sulla fruizione dell’offerta formativa
disciplinare generale, pensata per svilupparsi in ordine cumulativo e sequenziale, sia
sull’accesso ai percorsi di integrazione specifici per i migranti, dipendenti da risorse
stanziate tempo prima e in parte non più accessibili in corso d’anno. Dal punto di vista
della creazione dei primi legami con i compagni di classe, i racconti sugli inserimenti ad
anno inoltrato sono caratterizzati da ansia per il fatto di dover interagire con un gruppo di
pari già formato, con le proprie dinamiche interne e equilibri noti a tutto il resto della
classe ma non all’ultimo arrivato.
Infine arrivare in corso d’anno preclude l’iscrizione presso gli istituti scolastici che
rifiutano le domande di inserimento presentate oltre l’inizio dell’anno scolastico, per
ragioni didattiche e/o legate a pratiche informali di selezione degli allievi ritenuti
“desiderabili” per non compromettere la reputazione della scuola. Tali rifiuti non
caratterizzano tanto il primo ciclo di istruzione, in quanto scuola dell’obbligo, o le scuole
dell’infanzia, dove le domande di iscrizione sovranumero rispetto alle soglie ministeriali
214
finiscono presto in lista d’attesa anche quando sono rispettati i tempi di iscrizione, ma
piuttosto le scuole superiori115.
Per le famiglie migranti coinvolte nella ricerca non è sempre chiara la ragione alla base
del rifiuto dell’iscrizione, dato che la principale, o più autorevole, fonte di informazione è
il personale amministrativo delle scuole alle quali si rivolgono. La procedura di
inserimento in classe è normata da circolari ministeriali e regolamenti interni di istituto
che creano un quadro composito e variegato, come abbiamo visto nel capitolo 4, oscuro
nella sua completezza persino agli addetti ai lavori, per cui malgrado tali regolamenti
siano documenti ufficiali, e dunque accessibili, di fatto non sono fruibili da genitori che
non abbiano molto tempo e competenze, non solo linguistiche ma anche giuridiche, e
motivazioni di rivalsa elevate. Mediatori culturali o sindacati potrebbero costituire
riferimenti per le famiglie migranti, ma normalmente, proprio per la loro funzione di
sostegno alla coesione sociale e perché anch’essi in possesso di informazioni parziali, non
contraddicono il processo decisionale delle scuole e consigliano semplicemente di
orientarsi verso gli istituti noti per essere “più accoglienti”.
I passi successivi all’inclusione del figlio a scuola dipendono dalle indicazioni fornite
dalla prima segreteria scolastica contattata, a cui si aggiungono talvolta altre notizie
sommarie ricevute dalla rete migratoria, fatto che reitera la circolazione di istruzioni “per
stranieri”, oppure dai datori di lavoro italiani, i quali non sempre detengono informazioni
corrette, o aggiornate. Se per i ricongiunti durante il primo ciclo di istruzione l’arrivo in
Italia è coinciso con l’inserimento a scuola, per alcuni degli adolescenti che avevano
superato l’età dell’obbligo scolastico l’arrivo in corso d’anno spesso ha portato a preferire
un corso di lingua italiana informale propedeutico all’inserimento alle scuole superiori,
piuttosto che l’immissione diretta nel circuito dell’istruzione formale. Questo passaggio,
mediato dalla rete di connazionali e incoraggiato dalle istituzioni scolastiche che avevano
rifiutato l’iscrizione, causa ulteriore ritardo scolastico per la posticipazione della
frequenza delle lezioni formali.
Infine l’arrivo in corso d’anno può portare alla ripetenza non solo laddove l’allievo non
riesca a raggiungere performance ritenute adeguate per il passaggio all’anno successivo,
ma anche nel caso in cui il Regolamento d’istituto preveda un numero massimo di ore di
assenza per anno scolastico e naturalmente tale regolamento sia applicato. Anche in
115
Sarà interessante verificare se i rifiuti alle iscrizioni in corso d’anno alle secondarie di II grado
diminuiranno per effetto della spinta a mantenere alto il numero degli alunni in modo da evitare le chiusure
delle scuole “sottodimensionate” secondo criteri divenuti via via più stringenti per il processo di
razionalizzazione della rete scolastica italiana.
215
questo caso infatti si rilevano eccezioni. La pre-iscrizione a scuola nei tempi previsti e le
comunicazioni trasparenti dei genitori con le insegnanti referenti sulle ragioni della
posticipazione dell’arrivo del figlio, talvolta oggettivamente imprevedibili, permettono
l’inserimento anche in anche in corso d’anno, come testimonia Koffi.
Koffi: Anche prima di venire in Italia sapevo già che mi sarei iscritto in questa scuola.
Int.: Ma come? Si era già informata tua mamma?
Koffi: Sì, perché io le ho detto: “Voglio fare questo indirizzo” quindi lei ha scelto la scuola.
Int.: Ah, si era informata nella città di Torino, perché stava già a Torino?
Koffi: Sì, sì. Quindi prima di venire in Italia, sapevo già in quale scuola sarei andato.
Int.: E quindi avete fatto l’iscrizione.
Koffi: Sì.
Int.: Anche se era dicembre ti hanno inserito?
Koffi: Sì (stud. 35: Koffi, IT α elettrotecnico, 20 M, Costa d'Avorio).
b. L’individuazione del livello e grado scolastico più idoneo per l’inserimento
Un vincolo all’individuazione del livello scolastico di prima iscrizione dato dal
trasferimento da altri paesi è la non corrispondenza tra sistemi educativi: laddove nel
paese di provenienza l’obbligo scolastico inizia a sette anni di età, invece che a sei,
l’inserimento in Italia comporta quasi automaticamente un anno di ritardo scolastico.
Anche qui tuttavia, dato che la normativa prevede l’iscrizione in base all’età salvo diversa
decisione del collegio docenti, la capacità delle famiglie migrante di influire sulla
componente arbitraria della procedura è importante. Talvolta il ritardo scolastico è stato
evitato forzando opportunisticamente le discrepanze tra sistemi scolastici (cfr. brano di
intervista a Andrés), talaltra per la mancata conoscenza di tali differenze (v. genitori di
Dimitri).
In Colombia per l’età che avevo io dovevo fare la quarta elementare. Quindi arrivato qua ho
detto che facevo già la quarta elementare, allora mi hanno messo in quarta per evitare di
mettermi con i più piccoli (stud. 23: Andrés, IT α liceo tecnologico, 18 M, Colombia).
Nicoleta: L’abbiamo portato qui urgente, d’emergenza. Aveva 11 anni, in paese doveva
finire, dare l’esame per passare, da noi si chiama… le medie inferiori mi sembra. Purtroppo…
poi le dico, dall’inizio della scuola ha avuto dieci, dieci più. Mai un altro voto. L’abbiamo
portato qui ma in quinta elementare che l’ha iscritto mio marito, nel mese di marzo.
Valeriu: Io ho sbagliato. Mi sono sbagliato.
Nicoleta: Ma noi non abbiamo saputo.
Valeriu: Al posto di portarlo in quarta, l’ho portato in quinta.
Nicoleta: In quinta. Perché noi abbiamo pensato che doveva dare l’esame.
Valeriu: E lui ha perso un anno di… gioventù, no? Questo è stato (gen. 1: Nicoleta e Valeriu,
genitori di Dimitri [19], IT α, Romania).
Le scuole particolarmente severe nell’individuare la classe scolastica di inserimento sono
state scartate proprio per questa ragione delle famiglie migranti, anche se inizialmente le
avevano inserite nello spettro degli istituti ritenuti interessanti per le materie trattate (e
tale severità dal punto di vista dell’istituzione scolastica può essere impiegata non solo
216
per ragioni didattiche ma anche come “deterrente” per evitare nuove iscrizioni non
gradite).
La buona riuscita scolastica nel paese di origine, quando è stato possibile documentarla e
tradurla, è stata impiegata dai genitori per favorire l’inserimento in una classe
corrispondente all’età (nel campione è successo a Alexandru, Mirko, Sabina, Flor e
Fernando).
Sono qua dal 2003, dall’estate, ho finito la scuola in Romania, ho fatto la seconda media,
volevano mettermi nella prima media però non lo so, mio padre li ha convinti. Avevo
abbastanza buoni voti per cui non è stato troppo difficile (stud. 12: Alexandru, Liceo α
scientifico, 21 M, Romania).
Int.: Ma tu non hai un anno in più?
Int.: Ti hanno messo in una classe corrispondente all’età?
Sabina: Sì, perché hanno guardato i voti, hanno visto tutti i voti belli, allora mi hanno messo
in terza, perché loro dicevano di mettermi nella seconda un anno indietro, allora abbiamo
guardato i voti e mi hanno messo subito in terza.
Int.: Perché tu andavi bene (sott.: a scuola) in Romania?
Sabina: Sì (stud. 44: Sabina, IP β sala bar, 20 M, Romania).
Fernando: All’inizio sì, è stato un po’ duro, perché non mi volevano lasciare entrare.
Dicevano così, che a marzo è un po’ difficile ma che boh, poi hanno visto un po’ i risultati,
hanno visto che andavo bene, e allora mi hanno lasciato stare.
Int.: Cioè la pagella che avevi in Argentina?
Fernando: Sì, sì, hanno visto quella. Poi all’inizio non ci credevano neanche tanto, non mi
volevano lasciare entrare in aula perché dicevano che potevo disturbare gli altri. O… far
regredire il programma (sorride), poi ho fatto qualche compito e così hanno visto che potevo
andare avanti, e non mi hanno più detto niente (stud. 33: Fernando, IT α informatico, 19 M,
Argentina).
Le scuole secondarie con un’offerta formativa più strutturata per gli studenti migranti,
come l’IT Alfa nel campione, organizzano test di ingresso sulle abilità possedute dagli
studenti, in modo da individuare la classe di inserimento più appropriata in base alle
competenze, come è successo a Fernando e Zëdlir, facilitati anche per il fatto di non aver
avuto grosse difficoltà linguistiche.
Zëdlir: Abbiamo parlato con loro, “Vai, fai un esame per entrare, un test”. Ho fatto un esame
in matematica, uno in fisica…
Int.: Ma in che lingua?
Zëdlir: Italiano, no perché io lo sapevo già l’italiano. [...] Ho fatto il test e mi hanno detto
“Guarda se vuoi puoi andare in seconda, cioè continuare e non perdere nessun anno, però
sappi che è difficile. Oppure vai in prima e non avrai problemi”. Io sono andato in seconda, e
mi sono trovato bene, non ho mai avuto problemi (stud. 27: Zëdlir, IT α informatico, 20 M,
Albania).
Infine oltre agli aspetti più organizzativi e didattici anche gli attributi fisici degli studenti
e i loro effetti relazionali sul gruppo dei pari sono stati valutati dai docenti (v. brano di
Lorian).
Int.: Sei arrivato in prima media?
Lorian: Subito in prima media, hanno detto che avevo l’età giusta, ho saltato la quinta, non so
perché, perché noi iniziamo a sette anni, non come qui a sei penso.
217
Int.: E quindi hanno guardato più l’età che la fine delle elementari?
Lorian: Ma mia madre gli diceva: “Deve imparare tutto dalle basi, mettetelo in quinta” ma
“Eh, suo figlio, suo figlio non ha l’età di stare in quinta”. Mia madre che gli diceva “Ma
mettetelo, anche se è bocciato e un po’ più grande degli altri…”. Perché io ero alto quasi
come adesso, ero… un metro e ottanta ci arrivavo, cioè ero un gigante tra i bambini! Già a
scuola mi prendevano in giro “Ah, alto, alto!” e poi mi prendevano in giro per altro “Sporchi
rumeni, schifosi, andatevene via” (stud. 48: Lorian, IP β sala bar, 20 M, Romania).
A parte questi casi, tuttavia, gli altri inserimenti sono avvenuti verso il basso, tanto che
per gli intervistati risulta una eccezione essere inseriti in corrispondenza all’età.
Io da questo punto di vista mi ritengo fortunata perché sento altri ragazzi che arrivano e li
mettono un anno prima, perché non sanno l’italiano… invece noi siamo state fortunate,
perché ci hanno messo nell’anno giusto con l’età (stud. 6: Flor, Liceo α scientifico, 18 F,
Perù).
Le argomentazioni usate dagli insegnanti per legittimare con le famiglie migranti la
perdita di anni scolastici riguardano di solito la non conoscenza della lingua italiana e la
mancanza di competenze di base per la non corrispondenza tra sistemi scolastici, elementi
particolarmente rischiosi prima dell’esame per la licenza media.
Lì ho fatto fino a prima media, fino all’aprile della prima media. Venendo qua ho dovuto
rifare sia la prima media… sia non lo so per quali calcoli alla fine sono uscita con tre anni in
più dei miei compagni che adesso fanno le superiori. […] Non lo so, perché il sistema
marocchino è uguale a quello francese, per cui non c’è una reale corrispondenza, e quindi
hanno fatto i conti un po’ così, su per giù, mettiamola in prima media. Perché in V elementare
gli sembrava un po’ eccessivo. Io… non è che si poteva dire “No”, ho detto “Va bene”.
Quello è e quello rimane (stud. 16: Hind, Liceo α scientifico, 22 F, Marocco).
Ho fatto sia l’asilo che le elementari, sono venuta qui in Italia che dovevo fare la seconda
media solo che la preside ha detto che dovevo imparare bene le cose di base […] e ho rifatto
la prima media (stud. 55: Rocio, IT β grafico, 21 F, Ecuador).
Sono andata alle medie, ho rifatto la prima media mi sa, perché comunque non sapevo parlare
l’italiano. […] Mi ricordo che siamo andate là, abbiamo detto che ero appena arrivata, non
sapevo parlare… In Romania in effetti avevo fatto già la prima… la prima media, sai? E
comunque avevo detto che avevo fatto la prima media in Romania, ma mi hanno detto che
“Siccome non sai l’italiano, devi partire da zero” (stud. 4: Tania, IP α sociale, 20 F,
Romania).
Int.: Quindi sei arrivata qua…
Marina: A 14 anni.
Int.: E ti hanno messa giusta con l’età?
Marina: No, soltanto un anno in meno dei miei compagni, per la lingua mi hanno fatto tornare
indietro, io per gli anni dovevo essere giusta subito in prima superiore (stud. 47: Marina, IP β
arte bianca, 20 F, Macedonia).
Diciamo che ho perso un anno. Perché io avevo già frequentato la prima media là. Sono
arrivata a dicembre, poi non sapendo parlare bene la lingua… sono arrivata che c’erano le
vacanze di Natale quindi ho iniziato a gennaio! Quindi non sapendo parlare la lingua e tutto,
essendo che erano già passati mesi da quando era iniziata la scuola, quando è finita la scuola
hanno i chiamato i miei e gli hanno detto “Lei potrebbe iniziare la seconda, però se ricominci
la prima… sarebbe meglio così impara di più”. I miei hanno detto: “Sì, sì per noi va bene” e
niente. Alla fine penso anche io che sia stato meglio così, anche se ho perso un anno, perché
alla fine perso non è stato perché non mi hanno bocciato, niente, è stato meglio così. Appunto
per la lingua e… adattarmi comunque, perché è diverso (stud. 5: Marisa, IP α turistico, 19 F,
Santo Domingo).
218
Mentre per alcuni studenti l’inserimento in una classe scolastica inferiore rispetto all’età
risulta essere stata sostanzialmente arbitrario e nocivo, altri collocano il ritardo scolastico
dovuto al trasferimento e alla decisione del primo istituto scolastico frequentato in Italia
nell’ambito di una traiettoria educativa più lunga, che valutano complessivamente
soddisfacente: gli anni “persi” all’ingresso seguendo le indicazioni dei docenti hanno
evitato loro bocciature successive.
Io ho fatto due in Romania delle medie, e poi ho fatto qua prima media e seconda media. Per
non ammettermi subito all’esame, perché io avevo una paura! Allora (sott.: mi hanno detto)
“Prima fai la seconda, e – poi – andando avanti… con… quest’anno qua, tu riesci a… a
trovarmi meglio con i compagni, a masticare un po’ il linguaggio”. [...] Perché alla fine di
agosto, quando era andato mio padre a iscrivermi, gli hanno detto “Noi gli consigliamo di
andare in seconda”. Perché qua arrivavo… cioè ho fatto la seconda, andavo subito in terza a
fare l’esame… […] però ° io non sapevo la lingua °… Ma è stata una cosa per me, una cosa
che volevo io. Non è che mi hanno fatto una cosa contro. Mi hanno aiutato e quindi
quell’anno là ho potuto capire la lingua meglio e poi l’anno dopo fare l’esame (stud. 2:
Elisabeta, IP α sociale, 20 F, Romania).
Int.: Ti avevano messo nell’anno corrispondente all’età?
Daniel: Sì. Mi avevano chiesto se volevo fare: in base all’età, dovevo fare già la terza media.
Però… sicuramente mi bocciavano. Non sapevo l’italiano, non sapevo niente. Allora mio
padre ha detto: “No, no”. Avevo fatto la prima media in Romania, allora mio padre ha detto:
“È meglio aspettare un anno, e poi li fa tutti e tre”, ho fatto la seconda e la terza, è meglio. E
così… a posto (stud. 34: Daniel, IT α elettrotecnico, 19 M, Romania).
Alle secondarie di II grado, dove il mandato disciplinare è più spiccato, il ritardo
all’ingresso per ragioni didattiche, logistiche e organizzative è più elevato che nel primo
ciclo di istruzione, e lo scarto tra età attesa e età dello studente può arrivare fino a due o
tre anni scolastici. Ad esso si sommano talvolta ripetenze successive, per ragioni
linguistiche e/o accademiche. Inoltre le possibilità lasciate alle famiglie per contrastare
l’inserimento verso il basso sono minori che negli altri gradi di istruzione, anche se
rimane l’opzione di rivolgersi a un altro istituto scolastico.
Come spiega Adolfina, per chi arriva alle secondarie la documentazione del percorso
pregresso è essenziale, ma non tutte le famiglie sono consapevoli che servirà e non tutte
quelle che la ritengono preziosa possono ricostruirla prima di partire, per ragioni di costi e
tempi burocratici, lunghi nel paese di origine e in Italia. Inoltre di solito alla riunione dei
figli i genitori si trovano già in Italia.
Alla scuola superiore è ancora un'incognita dove vengono inseriti i ragazzi. Da quanto ho
saputo, alcuni professori chiedono nella scuola il programma di studio, mi sembra una cosa
giusta, così vedono tutte le cose che hanno fatto, > tutti i capitoli, tutti i contenuti di
matematica scienze eccetera <. E altri invece si guidano per l'età, altri vogliono far iniziare da
prima superiore, quindi sembra anche… anche se anno già finito di fare… (ride) per cui non
lo so, è la parte veramente più critica. Dal mio punto di vista la parte più critica, perché nelle
elementari, nella scuola media, più bello, vengono inseriti dalla loro età, soprattutto è così.
Anche persone se non hanno portato i documenti, molte persone vengono senza portare i
documenti, quello è un grande svantaggio. […] Invece se loro portassero almeno i documenti,
219
e poi il programma di studio, soprattutto per quelli più grandi, già sarebbe molto diverso. Io
sì, li ho portati, perché io sapevo che per travasarsi da una scuola ad un'altra, bisogna avere il
documento, senza documenti non c'è nulla, non sapevo che qua si poteva a seconda dell'età,
non l'ho mai saputo, e mai mi immaginavo. Lì ho portati, ma non servivano a nulla, però
comunque me li hanno ricevuto (ride). Però io comunque li ho portati. Il percorso è difficile
perché soltanto il visto o sa... il visto che si fa nei documenti di studio, la legalizzazione, quel
riconoscimento del consolato italiano, passa attraverso l’Istituto italiano di cultura e...
diciamo soltanto a Lima, parlo del Perù, esiste. Non c’è. Ogni persona che abita a Lima deve
portarsi i documenti, è molto difficile. Poi l'italiano di cultura non ti da informazione, sono
assolutamente chiusi. Sono assolutamente chiusi, e ricevono i documenti alle sei del mattino,
soltanto per le prime 20 persone che arrivano. Per una persona che non abita a Lima
veramente diventa molto difficile. Sicuramente hay (trad.: ci sono) dei motivi per cui uno non
li porta. […] Io non abitavo a Lima, io abitavo in Perù ma in una città della foresta
amazzonica vicino al Brasile. E sì, direi nel mio caso, per fortuna lavoravo […] in Regione, e
avevo accesso in Regione a molte, molte opportunità (gen. 4: Adolfina, madre di Flor [6],
Liceo α, Perù).
Uno dei modi per ovviare alle evidenti difficoltà linguistiche iniziali, e anche alla
mancanza della licenza media italiana (titolo di studio richiesto, di nuovo arbitrariamente,
solo da alcune scuole superiori per completare l’iscrizione), è stato frequentare
contemporaneamente la scuola superiore e i corsi serali o pomeridiani per adulti dei CTP.
Portare a termine con successo entrambi i percorsi ha richiesto grande sforzo, non è stato
compatibile con lavoretti o altri impegni extrascolastici.
Ouail: Non avevo possibilità (sott.: di frequentare una scuola secondaria di II grado statale)
perché non avevo fatto la scuola media. Quindi facevo contemporaneamente, facevo la scuola
media e questo corso.
Int.: Ah, e quando studiavi? Di notte?
Ouail: Sì.
Int.: E quando andavi alla scuola media?
Ouail: Scuola media facevo di pomeriggio, due o tre volte la settimana.
Int.: Ah. Facevi al CTP?
Ouail: CTP, giusto (stud. 11: Ouail, IP α aziendale, 20 M, Afghanistan).
Int.: Quando sei arrivato in Italia?
Koffi: Dicembre. Mi ricordo che sono arrivato in Italia un venerdì. Il lunedì sono venuto
subito a iscrivermi. Eh, era piuttosto difficile, per il fatto che già non sapevo la lingua. Il mio
primo anno ho fatto un’altra scuola per imparare l’italiano.
Int.: Il CTP, per prendere la terza media?
Koffi: Sì, sì, sì, sì. […] A mia madre più che altro, amici, l’hanno consigliato lei e mi ha detto
lei di iscrivermi. Quindi il primo anno ho fatto due scuole contemporaneamente. È stato
piuttosto pesante (sorride). […]
Int.: In che classe ti hanno inserito?
Koffi: In seconda.
Int.: Hanno riconosciuto il percorso che avevi fatto?
Koffi: Sì. Poi ho dovuto, chiaramente, visto che era in francese, la traduzione del diploma.
Int.: Sai se ti hanno inserito nell’anno corrispondente alla tua età?
Koffi: Probabilmente no. Visto che… se fossi rimasto lì sarei già diplomato sicuramente
(stud. 35: Koffi, IT α elettrotecnico, 20 M, Costa d'Avorio).
Mi sono iscritta alla scuola qua, l’IP Alfa, e poi nello stesso tempo mi sono iscritta il CTP,
quindi facevo tutto il mattino la scuola normale, poi di pomeriggio facevo il CTP. E cioè…
nell’arco di tre mesi, sono… ° sono riuscita a capire un po’ ° (stud. 29: Malika, IP α sociale,
22 F, Marocco).
220
c. Le attività di sostegno familiari pre-inserimento
Alcuni intervistati hanno seguito il primo anno in Italia i corsi di italiano, e l’anno
successivo si sono iscritti alle scuole superiori. Il tipo di corso di italiano frequentato è
dipeso dalle risorse familiari: Lorena, la cui madre ha sposato un veterinario italiano, ha
seguito costose lezioni private individualizzate, recuperando un anno scolastico.
Int.: Ah, quindi stavi proprio finendo (sott.: le superiori a Cuba)?
Lorena: Sì, stavo proprio finendo (voce triste). L’ultimo, il secondo anno. Qua ho iniziato
dalla seconda. Cioè il primo anno nel 2006, quei quattro mesi che ero qua, ho iniziato un po’
a imparare la lingua. Perché là (sott.: a Cuba) avevo fatto un corso, però non ho proprio
imparato niente. Dopo a dicembre mi sono informata, e poi sono venuta in questa scuola, mi
hanno detto “Sì, hai la possibilità di farti il salto in seconda”. Perché mi volevano in prima, ho
detto “In prima a 18 anni… mi sento un po’ a disagio”. Io non avevo mai fatto inglese e
francese. Non conoscendo l’italiano, conoscendo solo lo spagnolo, dovevo tradurre in tutte le
lingue. Però così ce l’ho fatta. Cioè sono andata in una scuola privata, mi sono preparata per
gli esami che ho dato a settembre, ce l’ho fatta e sono andata in seconda. Cioè dalla seconda
fino alla quinta non ho mai avuto problemi. […] L’ho frequentata a Rivoli (città dell’intorno
torinese, ndr), la scuola privata di lingue. Allora io sono arrivata ad agosto, settembre, ottobre
e novembre ho frequentato questa scuola che c’è a Rivoli, e è molto conosciuta. […] Proprio
per l’italiano. E poi sono andata non so se lei conosce a Rivoli il [nome di un noto istituto
secondario di II grado privato], lì io ho studiato tutte le materie, italiano, scienze,
matematica… con dei professori privatamente. C’eravamo poi io e il professore, mi facevo
cinque ore al giorno (sorride). […]
Int.: E questa (sott.: scuola) come l’avevi trovata?
Lorena: Sì, l’hanno… l’hanno… penso che l’ha trovata il marito di mia mamma (stud. 10:
Lorena, IP α aziendale, 22 F, Cuba).
Gli altri studenti invece hanno seguito le prime lezioni di italiano, normalmente gratuite,
presso associazioni di riferimento, di quartiere o religiose, facilmente contattabili tramite
la rete migratoria. Queste realtà associative hanno orientato in seguito al CTP, allungando
i tempi prima dell’iscrizione nelle secondarie di II grado.
Trisha: Allora quando sono arrivata qua, non sono subito andata a scuola a frequentarla così,
sono andata nella nostra chiesa, non è proprio una chiesa, è una comunità filippina dove c’è
una suora che insegna.. non è filippina, è italiana, che ci insegna la lingua italiana, e da lì ho
imparato un po’ le basi cioè come ti chiami, dove abiti e così. Poi dopo di quello, cioè dopo
due mesi di corso di italiano, poi sono andata a frequentare il CTP […] perché abitavo là
vicino, e lì ho imparato tante cose. […] È che avevamo chiesto io e mia madre, avevamo
chiesto alle tante scuole qua, se posso, ma ero venuta di febbraio quindi non potevano più
ammettermi. Quindi là ho perso un anno diciamo.
Int.: Perché non potevano più ammetterti?
Trisha: Sì, quindi là avevo già perso un anno, e poi… a settembre abbiamo… loro ci hanno
detto che non posso entrare perché devo prendere prima la licenza media italiana, non vale
quella filippina, non me la contano! E quindi per forza devo andare al CTP perché lì
rilasciano questa licenza media.
Int.: Quindi te l’avevano detto le scuole superiori a cui avevi chiesto.
Trisha: Mmh (segno affermativo). E quindi ho frequentato il CTP, e… (stud. 30: Trisha, IP α
sociale, 22 F, Filippine).
Altre attività di alfabetizzazione di italiano come lingua seconda extrascolastiche prima,
nel paese di origine, o contemporaneamente al primo ingresso a scuola in Italia si sono
svolte con l’aiuto di amici o conoscenti dei genitori. La qualità di questo tipo di aiuti è
221
dunque dipeso dalle risorse relazionali e finanziarie familiari. O dall’intraprendenza degli
studenti nel cercare tra i corsi gratuiti quelli di qualità più elevata e più stimolanti per
l’offerta educativa e le informazioni sui servizi cittadini erogate oltre all’alfabetizzazione
linguistica.
Int.: Ti ricordi se avevi fatto dei corsi di italiano?
Pilar: Allora, all’inizio, appena sono arrivata, c’era una amica di mia mamma che comunque
faceva… lavorava in un asilo nido, no, in una scuola materna. E allora io andavo da lei,
perché a volte lei non lavorava, stava a casa, e lei mi insegnava.
Int.: Era bilingue?
Pilar: Sì, sì, sapeva lo spagnolo, se no non capivamo. Era italiana, ma sapeva giusto
l’essenziale quindi riuscivamo a comunicare. Lei mi insegnava a scrivere e leggere. Poi ho
iniziato la scuola e facevo più fatica perché sai ci sono le doppie, le parole con l’apostrofo,
quelle cose lì facevo più difficoltà. Però poi mi avevamo messo quando avevo iniziato vicino
a una signora che credo era un’insegnante di sostegno, che mi aiutava a capire meglio cosa
facevamo o cosa… e quindi a volte mi ritrovavo anche nel pomeriggio con questa signora per
fare… ma era tipo una cosa di volontariato, perché era credo già in pensione.
Int.: Magari era una maestra in pensione?
Pilar: Sì, credo di sì. E quindi mi ha aiutato molto (stud. 39: Pilar, IP α sociale, 20 F, Perù).
Tutto con mia madre e con questo signore qua (sott.: il padre del compagno della madre). Ma
ho ancora a casa tutti i fogli con tutti gli appunti. Ci mettevamo fuori in giardino. The al
limone, carta e penna. Un libro a casa, e dovevo magari copiare la parte del libro, o mi faceva
il dettato, e io dovevo scrivere. Eh, è stato… ha funzionato parecchio (stud. 48: Lorian, IP β
sala bar, 20 M, Romania).
Un’amica di mia mamma mi ha prestato dei libri. Con il lessico, i verbi… e io li trascrivevo.
Sì, sapevo già parlare un pochettino, ma non più di tanto. E allora abbiamo deciso di fare
l’iscrizione (stud. 25: Adelka, Liceo α socio-psico- pedagogico, 20 F, Romania).
Int.: Avevi fatto anche dei corsi di italiano?
Suzana: Ma guarda io veramente avevo già preso delle lezioni quando ero nel mio paese
(stud. 40: Suzana, IP α sociale, 19 F, Romania).
Fernando: Prima di venire avevano fatto dei corsi, non erano neanche dei corsi, veniva una
persona da noi, tutti i sabati, e ci spiegava le cose di base, la grammatica… in quel momento
non mi sembravano neanche cose importanti, e il sabato mattina io non volevo fare niente
(sorride), e arrivava… perché di là non c’è la scuola sabato mattina, e veniva da noi e io non
avevo neanche la voglia… però un po’ l’ascoltavo.
Int.: Per la vostra famiglia o a scuola?
Fernando: No, veniva a casa nostra, veniva pagato, era nostro amico anche. Quindi niente,
abbiamo imparato un po’ ‘ste cose… e poi in realtà quando son venuto diciamo che non
sapevo parlare molto, non sapevo neanche fare una frase coerente. Ma… sì grazie a queste
basi, poi ascoltando tutto il giorno, venendo pure a scuola eccetera eccetera, alla fine ho
imparato abbastanza in fretta (stud. 33: Fernando, IT α informatico, 19 M, Argentina).
Int.: Avevi fatto anche qualche corso di italiano all’inizio?
Ivona.: Sì, mi ricordo prima di iniziare la scuola ho fatto due o tre mesetti durante l’estate,
all’Asai (sott.: associazione educativa). Ho fatto il corso di italiano, e poi latino, poi ho fatto
altre attività come piscina… […]
Int.: Ti ricordi come avevi conosciuto l’Asai appena arrivata?
Ivona.: Mi sembra che degli amici di mio padre la conoscevano già perché avevano dei figli
grandi e quindi l’avevano consigliato di mandarmi.
Int.: C’era anche tuo fratello?
Ivona.: Sì, perché io ero piccola, avevo 11 anni… (stud. 42: Ivona, IP α sociale, 20 F,
Romania).
222
Io avevo fatto proprio una lista di tutti i posti con corsi di italiano, anche ai CTP, avevo
guardato anche su internet, e tutti i giorni andavo, in posti diversi, no? Poi alla fine sono
rimasto soltanto nell’Asai perché era il posto che mi piaceva di più, mi trovavo di più, cioè mi
trattavano meglio rispetto agli altri posti, e alla fine ho deciso di andare solo lì. Cioè sono
andato all’Associazione per l’America Latina, al Cpt Parini e non mi piaceva tanto,
comunque sono quelli della zona mia, no? Sono andato fino a Porta Palazzo (sott.: quartiere
distante da quello dove abito) perché mi piaceva di più l’Asai (stud. 56: Miguel, IT β grafico,
20 M, Brasile).
Lo studio dell’italiano da soli invece non si è dimostrato molto efficace.
Mio papà ovviamente mi aveva detto “Studia durante l’estate, studia l’italiano, se no non
capisci niente” tutta l’estate con il libro in mano, lo guardavo così… (fa segno di poco
interesse, ride) Non sapevo niente! Tranne una parola, “altalena”, la prima parola del libro
(ride). Non sapevo niente tranne che cosa vuol dire altalena! (stud. 3: Carolina, IP α sociale,
19 F, Romania).
Ad agosto mi mettevo lì a imparare i verbi, ma comunque non son riuscita a studiare d’estate
(sorride) più di tanto, e quindi ho ricominciato a fare la prima media e con il tempo ho
iniziato… (stud. 4: Tania, IP α sociale, 20 F, Romania).
I docenti più disponibili, quando il dialogo scuola-famiglia instaurato è stato buono,
hanno supportato le famiglie nel localizzare i corsi di italiano più efficaci. Questo
passaggio è avvenuto dopo l’inserimento del primo figlio a scuola, per cui è stato utile
solo per i fratelli e le sorelle arrivati in un secondo momento.
Int.: Quindi da settembre (sott.: arriveranno gli altri i suoi figli?)
Zuna: Sì, sì, anche mi hanno dato un indirizzo per fare iscrizione per l’estate in una scuola
vicino Porta Nuova (sott.: stazione ferroviaria di Torino), per l’estate, per fare i compiti e
imparare l’italiano. Perché parlano francese e non parlano niente l’italiano. Per imparare un
po’ l’italiano prima di settembre.
Int.: Quindi proprio corsi di italiano, è un’associazione?
Zuna: Qua, me l’ha detto l’indirizzo un’insegnante dell’IT Alfa. E siccome loro non sono
ancora arrivati io non sono ancora andata a fare iscrizione e aspetto qua, per fare l’iscrizione.
Prima di settembre (gen. 7: Zuna, madre di Koffi [35], IT α, Costa d'Avorio).
d. Le attività di sostegno scolastico post-inserimento
La disponibilità personale dei singoli insegnanti per gli studenti è stata la prima forma di
sostegno scolastico percepita. Anche per le nate in Italia, come Safia, per le quali
ovviamente non compaiono gli stessi problemi di inserimento dei ricongiunti.
Safia: Mi ricordo addirittura il primissimo giorno. Ero stata presentata a tutta la classe,
ricordo questo momento in cui io ero in piedi davanti a tutta la classe e la maestra mi aveva
presentata alla classe e bon questo è il primo impatto con la scuola.
Int.: La scuola materna, dell’infanzia? Forse hai iniziato dopo?
Safia: Eh mi sembra che ho iniziato dopo, non ho mai chiesto a mia madre…. perché, questa
presentazione in piedi… magari eravamo rimasti di più in Marocco, devo chiedere a mamma.
E poi sono stata seguita da una maestra ° per la lingua penso…° per imparare meglio
l’italiano, invece dopo non ho più problemi, alle medie e alle superiori (stud. 7: Safia, Liceo
α scientifico, 19 F, Marocco).
Piano piano ho visto che non era come in Romania, e che gli insegnanti erano lì disposti ad
aiutarti, a spiegarti, quindi… E poi avevo fatto anche dei corsi di italiano. Cioè c’era un
professore che si fermava dopo le lezioni, e ci spiegava le cose, c’erano tanti ragazzi stranieri,
223
marocchini, tanti ragazzi stranieri… Sì all’inizio era un po’ così, poi piano piano ci siamo
abituati (stud. 4: Tania, IP α sociale, 20 F, Romania).
Ionel: Con gli insegnanti mi sono trovato benissimo, in tutte le scuole… E’ proprio… zero,
cioè come se fossi italiano, cioè dal punto di vista… culturale e quant’altro, nessuna
differenza… Neanche… né nei miei rapporti scolastici, né oltre, perché comunque, con tutti
gli insegnanti, anche in questa scuola > anche grazie ai progetti soprattutto extrascolastici < si
sono creati dei rapporti, non solo professore-insegnante ma anche ° dei legami affettivi °.
Quindi nessuna differenza. Anzi ° a me è sembrato addirittura che a me guardassero con…
boh non so, con degli occhi un po’ diversi ° cioè nel senso anche… Quando sbagliavo,
magari facevano anche meno caso di quando sbagliavano i miei compagni. Quindi da questo
punto di vista niente da dire, mi sono trovato bene.
Int.: Perché? Perché secondo te avevano questi atteggiamenti positivi?
Ionel: (sorride) Non lo so sinceramente. Un po’ per il mio andamento scolastico, penso. E un
po’ perché, comunque… cioè, comunque nei loro confronti… ° Mi è sempre piaciuto portare
rispetto per i professori ° perché quando mi scocciava, o mi sembrava che non avessero un
comportamento non troppo corretto, gli ho sempre portato rispetto. E quindi forse hanno
ricambiato questo mio comportamento (stud. 52: Ionel, IT β grafico, 20 M, Romania).
Mentre per altri diritti sociali la società civile ha anticipato l’intervento pubblico
istituzionale (Ambrosini, 2010), per l’istruzione come abbiamo visto nel quarto capitolo
gli interventi di inclusione interculturale si sono sviluppata a partire dagli anni Ottanta.
Altri accorgimenti didattici per favorire l’inserimento percepiti dagli studenti sono stati in
effetti la riduzione del programma scolastico e la sospensione della valutazione per il
primo periodo di acquisizione della lingua italiana. A conferma di quanto emerso dalle
interviste ai testimoni qualificati, tuttavia, si tratta di procedure che gli studenti hanno
associato allo sforzo di alcuni docenti particolarmente motivati.
La mia professoressa di italiano […] era bravissima! Mi sono trovata benissimo comunque, ci
dava sempre una mano, mi spiegava ancora e ancora le cose, poi mi sottolineava giusto sul
libro, perché siccome per me era difficile da capire, andare a studiare una cosa e non capirci
niente, per me era molto difficile. Allora lei mi dava poco poco da studiare, però quel poco io
lo dovevo sapere. No perché studiavo ° a memoria perché comunque non capivo tanto ° (stud.
3: Carolina, IP α sociale, 19 F, Romania).
Quando ero appena arrivato non sapevo niente di italiano, in terza media diciamo che…
avevo un po’ il programma… un po’ ridotto di storia e italiano. Perché poi nelle altre materie
riuscivo a cavarmela, soprattutto in matematica, e inglese un po’ (stud. 32: Gaby, IT α liceo
tecnologico, 22 M, Perù).
Qua in questa scuola, se tu studi, io sono arrivato non sapevo leggere, non sapevo parlare, se
tu studi, ti aiutano i professori, vedono che tu ti stai davvero impegnando, che tu stai
imparando (stud. 24: Bogdan, IT α elettrotecnico, 19 M, Romania).
Solo che qua nei primi sei mesi non mi hanno valutato. […] Non sapevo l’italiano e non
potevo fare le versioni dal latino all’italiano. E poi mi hanno valutato. Mi ricordo ancora il
mio primo voto per una versione di latino: ho preso sette! (sorride) (stud. 25: Adelka, Liceo α
socio-psico- pedagogico, 20 F, Romania).
L’assenza di valutazioni per il primo periodo facilita la gestione dell’inserimento a scuola
e nella società in generale, inoltre in alcuni casi è una necessità, quando per le ragioni
224
sopra esposte gli arrivati in corso d’anno non vengono iscritti ufficialmente a scuola, ma
iniziano a frequentarla come uditori.
Lì c’erano persino… ho fatto quei mesi e mezzo di alfabetizzazione in quella scuola, perché
arrivando a scuola a metà aprile… non ho neanche fatto l’iscrizione. O mi iscrivevano, e mi
bocciavano, o andavo l’anno dopo. Però pur non essendo iscritta regolarmente, andavo a
scuola, facevo le lezioni normali, e poi l’anno seguente ho fatto proprio, mi sono iscritta
normalmente, e seguivo con loro (sott.: gli altri compagni, delle materie scientifiche, le
materie come dire umanistiche per lo più storia, oppure geografia, alcune volte anche italiano,
le facevo separate, con corsi di alfabetizzazione (stud. 16: Hind, Liceo α scientifico, 22 F,
Marocco).
Praticamente appena sono arrivata sono andata alle medie. E… perché sono arrivata a marzo,
quindi ho fatto due o tre mesi alle medie, però come alunna libera, non facevo interrogazioni
o compiti, non ero proprio iscritta a scuola, era solo per ambientarmi, un po’… alla società
(ride) (stud. 6: Flor, Liceo α scientifico, 18 F, Perù).
Gli studenti riconoscono l’impegno extra dei docenti più disponibili, soprattutto di lingua
e letteratura italiana e latina, i quali, grazie ai compiti e alle spiegazioni aggiuntive, hanno
favorito l’apprendimento dell’italiano per studiare durante le lezioni ordinarie.
Gaby: A volte, facendo anche latino, a volte…
Int.: Ti venivano dei dubbi?
Gaby: Sì, sì. Però allo stesso tempo imparavi tantissimo dal latino. Perché dovevi andarti a
costruire, a trovarti le parole, ste cose no? Quindi è stato molto… diciamo una materia molto
importante, per imparare la lingua. Anche se all’inizio è stato un po’ difficile, perché già non
sapendo l’italiano, e poi dover cercare altre parole… però poi alla fine grazie ai professori,
soprattutto quelli di italiano, mi sono trovato bene. Perché diciamo che lei sapeva che non
parlavo tanto bene in italiano e quindi mi faceva, riusciva a far sempre dei temi in più rispetto
agli altri, quindi sempre me li correggeva, e poi me li portava. Mi diceva: “Questo è così,
questo è cosà”, e poi boh.
Int.: E quindi ti è servito molto per la lingua?
Gaby: Sì nel biennio soprattutto la professoressa che ho avuto è stata molto brava. In terza sai
che i professori un po’ si cambiano, no? Quindi… danno per scontato che tu sappia già la
lingua e quindi… (sorride) evitano di farti certe cose (stud. 32: Gaby, IT α liceo tecnologico,
22 M, Perù).
È stato difficile il primo anno, non sapevo niente. Capivo malapena, non parlavo. Mi ha
aiutato tantissimo un prof […]. Me lo sono ritrovato qua, […], insegnava italiano sì, poi è
venuto qua. Sapete le ore di compresenza? All’inizio [non] eravamo tanti, c’ero solo io, poi
sono arrivati ancora due, poi al terzo anno ancora uno quindi eravamo in totale quattro. Ci
prendeva in queste ore di compresenza, eravamo solo romeni in classe, e… ci faceva le
declinazioni, coniugazioni, grammatica insomma (stud. 12: Alexandru, Liceo α scientifico,
21 M, Romania).
Un altro strumento organizzativo impiegato da questi docenti è stato l’utilizzo delle ore di
compresenza, durante le quali la classe è gestita da due insegnanti contemporaneamente,
oppure il supporto degli insegnanti di sostegno. Questa seconda misura è raccontata con
riferimento all’effetto stigmatizzante, e infatti in parte tabuizzato, che ha avuto sulle
relazioni tra pari soprattutto alle scuole medie (Lorian) a differenza che alle elementari
(Yin Mei).
Della serie che alle lezioni quando c’ero anche io veniva un’altra ragazza, tipo sostegno, no?
Cioè mi prendevano già per scemo quando sapevo parlare già abbastanza bene, no? Tipo “Q-
225
u-e-s-t-a-è-l-a-c-a-s-a” e io “Sì, lo so che q-u-e-s-t-a-è-l-a-c-a-s-a!”(stud. 48: Lorian, IP β
sala bar, 20 M, Romania).
Int.: Facevi qualche corso di italiano?
Yin Mei: Eh, sì… praticamente… ero… seguivo un po’ in disparate, insieme a un altro
bambino italiano, che non so, non era tanto abile, non lo so. E io stavo… stavo qualche volta
con lui a studiare italiano. Ma comunque in prima elementare, in seconda elementare era
facile. Anche gli altri bambini stavano imparando a leggere e scrivere in italiano, quindi
eravamo allo stesso livello (stud. 13: Yin Mei, Liceo α scientifico, 19 F, Cina).
Di seguito si legge l’impegno profuso dal personale scolastico di sostegno per seguire,
anche individualmente, le prime fasi di inserimento in Italia e contemporaneamente quelle
terminali della scuola secondaria di I grado, in preparazione dell’esame di licenza media.
Io ad esempio in terza media avevo anche il sostegno, la prof. di sostegno. Perché sono
arrivata io e dopo è arrivato un altro ragazzo bulgaro, e ci siamo trovati, parlavamo sempre la
stessa lingua, non è che… cambiava. E questa professoressa di sostegno per un ragazzo
diversamente abile ci faceva italiano perché la prof. di italiano le aveva chiesto se ci prendeva
e ci… ci riusciva a spiegare qualcosa. E noi andavamo con questa professoressa e lei ci
spiegava tutto. Letteratura, ci insegnava le poesie a memoria. Se anche io non capivo niente
(sorride),
il
Cinque
maggio,
non
ho
capito
niente,
ancora
oggi.
Int.: Anche alcuni italiani non capiscono niente del Cinque maggio (sorrido).
Marina: (sorride) Anche nelle parafrasi ho avuto delle difficoltà, però… (sorride). Erano da
studiare a memoria e me le sono dovute studiare… però quando erano da studiare a memoria
ho studiato tutte le parole a memoria. Anche la pronuncia ho dovuto studiarla a memoria. Ad
esempio… ho dovuto affrontare l’esame…
Int.: Come era andato?
Marina: L’esame per me è stato facile (sorride), però… dietro c’è stato tanto lavoro. Perché
al pomeriggio avevamo le ore con una professoressa, facevamo delle relazioni, più o meno
una tesina, sceglievamo un argomento, poi andavi con lei al computer, poi cercavi il
materiale, poi te lo studiavi con lei, lo ripetevi 150 volte.
Int.: Quindi hai lavorato proprio tanto. Perché hai imparato lingua e contenuto nello stesso
momento.
Marina: Eh… perché facevo terza media e dovevo superare l’esame (stud. 47: Marina, IP β
arte bianca, 20 F, Macedonia).
Int.: Che anno sei entrato alle medie mi hai detto?
Eduard: Il terzo. Il primo anno qua e dovevo preparare l’esame di terza. Però mi hanno
aiutato i professori. Mi sono stati dietro e mi hanno detto: “lo facciamo per benino” ero con i
professori che mi hanno spiegato tutto.
Int.: Hai avuto dei corsi con un insegnante solo per te?
Eduard: Sì, con la professoressa di italiano e a volte con quello di sostegno. Soprattutto
all’inizio, loro facevano lezione per bene, di italiano, storia… e io non capendo, avevo questo
supporto, un professore che era stato bravissimo. Adesso non mi ricordo il nome però mi
spiegava tutto, mi faceva capire, mi ripeteva tutto per bene (stud. 43: Eduard, IP β sala bar,
20 M, Romania).
Come abbiamo visto nel capitolo quattro, queste risorse sono state duramente ridotte in
seguito alle razionalizzazioni, mentre il numero degli studenti migranti, non solo nati in
Italia ma anche nuovi arrivati dall’estero, è aumentato. Altre iniziative percepite come
molto inclusive dai migranti, anche se non propriamente dedicate a loro, sono state le
attività espressive scolastiche, ad esempio teatro o danza, frequenti durante il primo ciclo
di istruzione, durante le quali gli studenti hanno potuto sentirsi parte attiva della comunità
scolastica anche prima di sviluppare raffinate competenze comunicative in L2.
226
Int.: Come ti eri trovata all’inizio?
Ivona.: Ma diciamo bene perché avevo incontrato delle ragazze simpatiche rumene, e poi mi
ero iscritta subito a un corso di danza, così mi sono impegnata subito nella scuola, così mi
sono trovata bene, per fortuna ho avuto qualcuno con cui parlare, poi l’italiano anche se
avevo fatto il corso non è che sapevo parlare chissà che (stud. 42: Ivona, IP α sociale, 20 F,
Romania).
E poi con quella attività teatrale, ho potuto partecipare, facevamo degli spettacoli (stud. 2:
Elisabeta, IP α sociale, 20 F, Romania).
La principale misura di integrazione scolastica dal punto di vista degli studenti comunque
rimane il corso di italiano come seconda lingua. Le rappresentazioni di tale intervento
sono generalmente positive (cfr. brano di Ionel), anche se gli intervistati sottolineano
alcuni limiti: la scarsa differenziazione dei livelli, che rende inutile, se non
stigmatizzante, frequentarli per chi ha già raggiunto un livello avanzato (v. intervista a
Gloria); l’avvio dei corsi in ritardo rispetto alle esigenze comunicative dei N.A.I.; il
numero contenuto di posti disponibili per frequentarli nelle scuole a più alta incidenza di
alunni migranti, per cui vengono penalizzati gli studenti che hanno già acquisito le
capacità comunicative di base (come nel caso di Mirko, a cui i docenti chiedono di
smettere di seguirli); l’importanza di unire a questi percorsi la frequenza delle lezioni
ordinarie insieme al resto della classe per moltiplicare le ore di esposizione alla lingua
seconda per studiare e non “rimanere indietro” con il programma scolastico (Miguel);
l’utilità dei riferimenti grammaticali e sintattici “in più” durante le lezioni ordinarie,
integrati e legati ai contenuti disciplinari trattati, in particolare relativi ad altre lingue, ad
esempio latino.
Int.: Ahh… E una cosa che ° visto che ti sento anche un po’ come esperto ° questi corsi sono
una
cosa
che
consiglieresti?
Ionel: Beh, senz’altro… Cioè, sono proprio le basi… Perché comunque a scuola è difficile,
cioè un professore sì, può essere disponibile quanto vuole, ma ha una lezione da seguire e
tutto quanto, quindi stare dietro solo a te… se invece vai in corso proprio specifico dove ci
sono dieci ragazzi come te… Io ero proprio da solo, quindi (ride) sono stato anche più
fortunato (ride). Cioè, è molto diverso, anche perché durante le ore di lezione più che altro
impari il linguaggio scolastico, impari la lezione, impari la vita di un autore piuttosto che la
matematica, i numeri o quant’altro. Mentre invece, se vai a un corso impari anche delle cose
che ci sono in casa, il tavolo, la sedia, e quant’altro, le padelle, e cosivvia, quindi nomi che
senz’altro non avrei incontrato durante l’orario scolastico. Sì, molto produttivo per me…
(stud. 52: Ionel, IT β grafico, 20 M, Romania).
C’erano dei corsi che secondo me erano totalmente inutili! E così perdevo le ore di lezione…
E questo poi anche alle medie tra l’altro! Che alle medie lo trovato una cosa veramente
assurda! […] Perché un conto è se lo scegli tu, perché devi farlo. Un conto alle medie perché
ormai sapevo abbastanza bene l’italiano, o comunque come gli altri, il fatto che dovessi farlo
per forza solo perché ero straniera l’ho trovato ingiusto, cioè non avere la possibilità di
scegliere se farlo o no. […] Perché immagino che gli insegnanti vedessero che lo capivo
l’italiano, non avevo bisogno di un corso preparatorio […] tra l’altro nell’orario scolastico, se
vogliono farlo potevano farlo nell’orario extrascolastico e uno ci va se deve andarci, ma non
nelle ore di matematica che… (stud. 31: Gloria, IT α liceo tecnologico, 20 F, Romania).
227
A scuola diciamo che i corsi sono partiti tardi, dopo circa quattro o cinque mesi, e a me non
me li hanno fatti fare, perché sapevo già… cioè ce n’erano così tanti (sott.: studenti stranieri),
quindi hanno detto: “Quelli che sanno già un po’ parlarlo non li fanno”. E quindi soprattutto li
facevano i cinesi e i marocchini, perché cioè: è più difficile. E quindi noi rumeni eravamo in
sette nella mia classe, nessuno l’ha fatto in quella scuola. Poi magari nelle altre lo facevano,
però da noi che eravamo su 300 ragazzi, 250 stranieri quindi hanno detto quelli che più o
meno son capaci non li fanno, quindi io non li ho fatti i corsi (stud. 49: Mirko, Liceo β
scientifico, 19 M, Romania).
Int.: E qua c’era qualche corso di italiano nella scuola?
Miguel: Sì, hanno aperto la possibilità di fare corsi di italiano. Però ho scelto io di non fare.
Perché mi poteva impegnare altri tre pomeriggi di nuovo a scuola e non potevo usarli, no? Poi
anche perché non avevo voglia di venire a scuola al pomeriggio, diciamole chiare le cose
(ride).
Int.: Quindi questo lo consiglieresti a chi è appena arrivato, ma per chi arriva dopo non è…
Miguel: Sì. Non è tanto necessario. Perché poi impari vivendole ogni giorno le cose, con i
tuoi amici, gli insegnanti, i compagni di classe, lì impari davvero (stud. 56: Miguel, IT β
grafico, 20 M, Brasile).
Seguendo la storia dell’inserimento scolastico degli studenti intervistati, arrivati a partire
dagli anni Novanta, si coglie la strutturazione sempre più formale di questi interventi,
inizialmente sperimentali e individuali o quasi (v. Elisabeta), poi sempre più inclusi nel
piano dell’offerta formativa delle scuole, ma anche il loro rimanere, specie a livello di
secondaria di II grado, fondati sull’esigenza di fornire competenze linguistiche di base.
Solo negli istituti scolastici superiori con gli insegnanti più attivi, nel nostro campione le
scuole Alfa (come spiega Adelka), sono stati organizzati corsi di italiano di livello
avanzato (utili anche per gli studenti madrelingua italiani). Negli altri il sostegno
all’acquisizione dell’italiano per studiare dipende in sostanza dal volontariato
“miracolare”, come lo definisce Marina, dei docenti di Lettere.
Int.: C’era qualcuno che ti aiutava?
Elisabeta: A scuola una professoressa. Che mi prendeva un’ora ogni giorno, per… imparare
meglio la lingua. Eravamo solo io e un’altra ragazza, solo due, tutti gli altri erano italiani.
Perché quella volta non c’erano ancora tanti stranieri come adesso (stud. 2: Elisabeta, IP α
sociale, 20 F, Romania).
Adelka: Il primo anno che sono arrivata qua sì, seguivo un corso di italiano, dove nella nostra
scuola, allo scientifico, sempre al Liceo Alfa, c’era una professoressa che aveva raccolto tutti
gli stranieri e aveva cercato di insegnarci, dalle cose più semplici ai verbi, le frasi più, fino a
arrivare ai concetti più difficili. Int.: Ti era servito?
Adelka: Sì, moltissimo! Anche perché l’anno dopo, mi ero iscritta sempre in questo corso, ma
mi hanno detto che non c’era più bisogno, bastava una volta alla settimana, per fare
esercitazioni scritte su articoli di giornale, saggi brevi…
Int.: Come approfondimento?
Adelka: Sì, sì. Int.: E quindi è una cosa che tu consiglieresti? È da fare in altre scuole?
Adelka: Sì, sì, perché a me è servito tantissimo. Questo genere di cose è molto utile (stud. 25:
Adelka, Liceo α socio-psico- pedagogico, 20 F, Romania).
Int.: Secondo te questi corsi di italiano sono utili, li consiglieresti?
Marina: Allora io delle medie sono contenta, alle superiori dipende chi li fa. Io ad esempio
con la professoressa […] che l’ha fatto, lei aveva un modo di fare… noi arrivavamo al
pomeriggio, dopo la scuola, se io non avevo capito qualcosa di alcune materie, ad esempio
228
merceologia, che avevamo fatto, si metteva lì, con io che non capivo niente, cercava di
spiegarci, e aiutava. Perché i primi anni in una scuola, così specifica, su certe materie, con
certi linguaggi… se non… cioè devi proprio entrarci, perché se no all’inizio non capivi
niente! Sono utili? Tanto! Però ci devono essere persone dietro (sorride) che hanno voglia di
farlo e… veramente brave, perché se no… Questi ultimi anni non sono stati più fatti per
motivi più… amministrativi, non si sa. Li hanno fatti solo per le prime e le seconde, per certi
ragazzi e basta. Io ho sempre chiesto di avere un corso di italiano perché anche in quinta ne
avrei bisogno per Letteratura italiana, ho ancora delle difficoltà. Soprattutto scrivere è
difficile, parlare è un’altra roba. E quando ho bisogno, se anche non è più la prof. degli
stranieri, la prof. […], mi aiuta sempre. Anche con la tesina, la stessa cosa.
Int.: Quindi avete questo supporto così?
Marina: Sì, è un po’… miracolare (sorride) (stud. 47: Marina, IP β arte bianca, 20 F,
Macedonia).
Oltre a predisporre i corsi di italiano come seconda lingua per più tempo durante l’anno
scolastico e per più livelli di competenza, le scuole Alfa agevolano gli studenti con buona
riuscita scolastica a recuperare gli anni perduti per l’ingresso in Italia organizzando le
prove d’esame necessarie, e progettano esperienze educative di stage in collaborazione
con i paesi di origine dei migranti.
Prima ho studiato in Romania, i primi cique anni. E poi sono venuta qua, e ho cominciato
dalle medie, fino ad arrivare qua. Diciamo solo che sono un anno in anticipo, perché prima e
seconda le ho fatte insieme. Qua, alle superiori. E boh, abbiamo fatto delle prove, sai per il
passaggio, e è così (stud. 40: Suzana, IP α sociale, 19 F, Romania).
Poi… la scuola da qua mi ha dato un’altra possibilità, cioè quel progetto che facciamo verso
il Maghreb, vado a marzo, partiamo, perché faccio la mediatrice. Perché portiamo un gruppo
di ragazzi italiani a fare uno stage in una scuola materna che c’è lì, a Marrakesh. Stiamo lì
una settimana. Perché hanno detto: “Invece di farlo in una scuola di Torino, magari li
portiamo oltre, così conoscono altre culture” (stud. 29: Malika, IP α sociale, 22 F, Marocco).
Tutte le scuole, anche le meno “attrezzate”, si appoggiano inoltre a privato sociale e al
volontariato, indirizzandovi gli studenti, e generalmente tentano di integrare più misure di
inserimento, orientando le famiglie verso i servizi educativi territoriali.
Int.: Avevi fatto corsi di italiano?
Sabina: No, c’era una professoressa, se avevo bisogno andavo di pomeriggio e facevo
qualche lezione. Era della scuola, non pagavo niente, e andavo.
Int.: E c’erano anche altri tuoi compagni? Sabina: Sì, sì, c’erano ragazzi stranieri delle altre
classi. Facevamo italiano (stud. 44: Sabina, IP β sala bar, 20 M, Romania).
Georgeta: Poi dopo mi è piaciuta la scuola, perché ho avuto una maestra che si è presa molta
cura di me, tipo mi ha mandato all’estate ragazzi…
Int.: Ti ha fatto fare anche cose al pomeriggio?
Georgeta: Sì, per imparare anche l’italiano, l’ho fatto durante le vacanze, mi ha fatto fare
estate ragazzi (stud. 17: Georgeta, IT α meccanico, 20 F, Romania).
Agli studenti sembra chiaro che è soprattutto l’approccio dei singoli docenti a fare la
differenza, unito alla cultura organizzativa delle scuole. L’accoglienza iniziale a scuola da
parte degli insegnanti è vissuta come una rassicurante facilitazione all’ingresso in aula
degli studenti, da tutti ricordato come spiazzante per l’immersione in un ambiente nuovo
con lingua e regole dell’interazione sconosciute. L’impatto positivo nella fase
229
dell’ingresso, emotivamente delicata, esercitato dalla disponibilità dimostrata dai docenti
permane nonostante la prima impressione della scuola italiana si conferma essere stata,
anche secondo questa analisi, quella di una scuola più lassista, meno severa, con
un’impostazione didattica meno nozionistica e studenti incapaci di tenere un
comportamento decoroso nei confronti del personale docente. In questo senso il passaggio
al liceo, a differenza che all’istituto tecnico o professionale, rappresenta per gli studenti
migranti una sorta di “ritorno all’ordine” che caratterizzava le scuole del paese di origine
(v. Karina).
Int.: Venendo al liceo qualcosa è cambiato (sott.: nel comportamento degli studenti rispetto
alle medie)?
Karina: Sì, è cambiato perché era più vicina questa scuola e questa realtà, a quella a cui ero
abituata in Romania. Cioè la scuola si rispettava di più, anche i rapporti tra insegnanti e
allievi erano diversi, non potevamo più… > io non lo facevo neanche alle medie < però non
ci si poteva più permettere di comportarci in un certo modo, era… abbiamo cominciato
comunque a fare interrogazioni, compiti, a fare cose normali, invece lì non si faceva, non so
perché, non si faceva quasi niente. Si faceva lezione, sì, il professore spiegava, però non si
faceva mai verifica, non c’era mai un modo per verificare le nostre conoscenze quindi… °
non so quanto studiassero °, sì, magari sì, però… Invece qua (ride) si studia, sì, si studia. E…
boh, è stato difficile, perché dovevo imparare l’italiano, non l’avevo ancora imparato bene,
neanche adesso. Lo devo ancora imparare molto, ma ° anche gli italiani lo dicono, non lo dico
solo io, dobbiamo imparare tante cose ancora °. È stato più difficile, ma mi sono trovata
persino meglio che alle medie. Sì. (stud. 8: Karina, Liceo α scientifico, 20 F, Romania).
e. Le relazioni con i compagni di scuola
Secondo quanto emerso dalla documentazione empirica il ruolo di compagni di scuola nel
costituire un clima di classe più o meno accogliente e di sostegno all’apprendimento
linguistico e disciplinare cambia non solo in base alle predisposizioni individuali, ma
anche del livello e grado scolastico, e nonché della composizione dell’utenza scolastica.
Innanzitutto occorre precisare che i racconti del primo inserimento, anche dal punto di
vista relazionale, restituiscono l’immagine di una fase del processo immigratorio verso
l’Italia precedente a quella attuale, per cui alcuni degli intervistati sono stati inseriti in
classi a totale composizione nativa, oggi in Piemonte più rare rispetto al momento del
loro arrivo.
Diego: Mi ricordo che sono entrato in questa classe piena di bambini che mi guardavano e io
non sapevo proprio parlare né cosa dire.
Int.: Ti ricordi proprio il momento che…
Diego: Sì, sì. Appunto perché… cioè penso che… non so come spiegare… che trovarsi in
mezzo… un bambino, in mezzo a tantissimi bambini che non conosce, che non parlano come
te, la tua lingua, sia stato… non traumatico, però impattante, nel senso che ti trovi lì, non sai
cosa dire, cosa fare, non sai neanche perché sei là, perché ogni volta che io pensavo di venire
pensavo di venire a trovare mia madre. Perché all’inizio io sono venuto con mio padre, in
aereo, perché mia madre era già qua, e quindi io ho dovuto fermarmi qua con lei. E essere
messo così a scuola, con un foglio in mano e una penna, non avevo neanche un quaderno… è
stato… non lo so, molto significativo per me. E quindi boh, nella scuola sono stato messo
così. E poi con il tempo ho imparato anche a parlare e a conoscere i miei compagni. Però da
230
quel punto (di vista, ndr) si sa che i bambini appena vedono qualcosa che non va oppure di
nuovo, cominciano a chiedere, ° cominciano anche a prendere in giro °. Mi ricordo che tutto
il primo anno non parlavo con nessuno e non riuscivo a comunicare. Io ero molto timido,
molto chiuso, e quindi anche se alcuni miei compagni mi invogliavano a parlare o volevano
chiedermi “Come ti chiami? Perché sei qua? Cosa fai?” io capivo un po’, solo che il problema
di rispondere era parlare, che non sapevo parlare. E quindi è stata così diciamo la integrazione
che ho avuto io con la lingua italiana, con i compagni italiani (stud. 38: Diego, IT α
elettrotecnico, 21 M, Perù).
Pilar: A Torino a quei tempi lì ce n’erano già, a Racconigi (sott.: cittadina dell’intorno
torinese) no, pochissimi. Io mi ricordo che ero l’unica straniera, in tutta la mia classe. Poi
però c’erano rumeni, albanesi, però peruviani come me… ero l’unica.
Int.: E quello ti dava disagio o…?
Pilar: Sì, un po’ disagio. Perché già mi chiedevano “Ma sei cinese, o cosa?” e io “No, non
sono cinese” e poi “Ma sei scura” e io “Eh, sì, sì, sono scura” e così. Però poi pian piano ci
siamo fatti amici tutti quanti e non è poi stato più tanto… brutto, nel senso… è stato bello
comunque (stud. 39: Pilar, IP α sociale, 20 F, Perù).
Ionel: Sicuramente all’inizio ero una sorpresa per tutti i compagni, soprattutto perché… Sì,
all’inizio… un po’ ero la mascotte della classe, posso dire, ero il primo straniero della classe
(sorride).
Int.: Ah, sì?
Ionel: Sì, mi posso definire così, tutti erano stupiti. E poi l’anno successivo è arrivato un altro
ragazzo africano. E > quindi boh, tutti intorno a me, a chiedermi, a fare (ride) e io ero un po’
spaesato (ride) < però poi, piano piano, cioè a furia di stare otto ore a scuola… perché stavo
otto ore lì a scuola… con loro, mangiavo con loro e tutto quanto, il nome di un piatto e altre
cose, piano piano, facendo anche il percorso di cui le ho parlato… Sono riuscito ad imparare
anche l’italiano (stud. 52: Ionel, IT β grafico, 20 M, Romania).
Le relazioni con i compagni agevolano il primo inserimento soprattutto alla scuola
primaria (v. interviste a Yim Mei, Aicha, Yuliana e Verim), mentre alla secondaria di I
grado si rilevano atteggiamenti stereotipati, derisioni o dispetti, come racconta Lorian.
Questi sono evidenti soprattutto nei confronti di migranti con buona riuscita scolastica (v.
Ionel).
Int.: Quando sei arrivata sei andata alle elementari, ti ricordi?
Yin Mei: Bè diciamo che le prime settimane sono state difficili perché non capivo una mazza.
Dopo un po’ ho iniziato a capire la lingua e comunque i bambini erano… diciamo che erano
stati molti gentili con me, capivano le mie difficoltà e quindi se sbagliavo non mi dicevano
niente, o scherzavano un po’ su, mi correggevano. E sì, mi sono trovata abbastanza bene
(stud. 13: Yin Mei, Liceo α scientifico, 19 F, Cina).
Sono arrivata in quinta elementare, gli altri mi tagliavano la gomma, me la incollavano sul
quaderno, mi scrivevano “Gomma”, e ci ho messo un anno ad imparare, poi avevo degli
amici che venivano a parlare con me, quindi ero obbligata a parlare, e non ci ho messo tanto a
imparare. Ero timida, anche adesso, ma questa timidezza sta piano piano andando via (stud.
21: Aicha, IP α aziendale, 20 F, Marocco).
Int.: E quella scuola come ti è sembrata all’inizio?
Yuliana: Mi sono trovata subito bene. C’erano delle ragazze rumene e una mi ha subito
aiutato, una mia compagna di classe, e abbiamo avuto un percorso sempre insieme, dalle
elementari, alle medie e poi di nuovo alle superiori. E lei mi ha aiutato molto quindi non ho
avuto tanto… sì all’inizio la difficoltà della lingua, poi comunque… (stud. 41: Yuliana, IP α
sociale, 19 F, Moldavia).
Verim: E… mi aiutava una ragazza, mi aiutava nello scrivere, nel parlare.
Int.: Ma traduceva in albanese?
231
Verim: No, no, no. No, solamente così, in italiano.
Int.: Ah sì? Una tua compagna?
Verim: Sì. Mi ricordo una cosa, io non sapevo cosa volesse dire ridere, no? E stavamo
giocando, e lei mi fa “Ridi”. Loro stavano ridendo tutti, io non stavo ridendo. Fa “Ridi” e io
non sapevo neanche cosa ci fosse da ridere. Fa “Ridi, ridi”. Me l’ha spiegato diverse volte,
no? Io ho fatto il sorriso e lei “Ridi!”. E io “Ah, ridi?”. Ho capito cosa voleva dire “Ridi”.
Comunque è andata bene. Niente forme di… non mi hanno mai discriminato dal gruppo, no,
no. Sono stato accettato diciamo (stud. 15: Verim, Liceo α scientifico, 21 M, Albania).
Int.: Ma eri l’unico?
Lorian: In classe sì. In quella classe, poi ce n’erano due o tre marocchini alla classe a fianco e
un’altro rumeno dall’altra parte, e bon.
Int.: Ma i compagni o anche gli insegnanti?
Lorian: Ma gli insegnanti… non ci cagavano fondamentalmente. Non ci dicevano niente. Più
che altro a casa gli altri, come dire, con mia madre dicevo “Non me posso più, come faccio a
studiare sentendo sempre loro?” e tutto. Poi alla fine un bel giorno è andata dalla preside. Gli
ha fatto il culo a quei due ragazzi, quelli che proprio pesantemente ci andavano a insulti (stud.
48: Lorian, IP β sala bar, 20 M, Romania).
Ionel: A volte li scocciava che noi prendessimo dei voti… migliori di loro… nell’analisi
grammaticale o quant’altro, nelle equivalenze… soprattutto nelle analisi grammaticali, lì
(sorride) si incavolavano un po’ di più i miei compagni.
Int.: E quindi cosa dicevano?
Ionel: Eh? No, ma anche “Eh, guarda questo rumeno che prende sempre ottimo e distinto! Eh,
guarda quell’altro che… viene qua e vuole insegnarci a noi l’italiano!” cioè le solite cose da
bambini (sorride) (stud. 52: Ionel, IT β grafico, 20 M, Romania).
Gli intervistati restituiscono un duplice effetto della concentrazione di studenti migranti
nelle scuole medie: da un lato sembra diminuire l’attenzione dei docenti al singolo
migrante e la ricchezza dell’offerta formativa (cfr. Flor), anche per effetto della peer
education, meno stimolante che nelle scuole a grande maggioranza di nativi, dall’altro
lato l’interazione con i compagni è caratterizzata dalla percezione di normalità dell’essere
tutti “nuovi” (v. intervista a Mirko).
E poi le medie guardando questo punto di vista non mi è piaciuta, sento che non ho fatto
niente, mi rendo conto adesso al liceo che ci sono un sacco di cose che non ho fatto, vedo
anche i miei compagni loro hanno imparato qualcosa dalle medie, e io proprio niente, e non lo
so, non l’ho trovata utile. […] Alcuni miei compagni avevano fatto latino alle medie, mentre
le mie compagne che vengono dalla stessa scuola che ho fatto io no, e siamo le uniche che
non l’abbiamo fatto. E poi ad esempio di arte, io sento i miei compagni che si ricordano
qualcosa dalle medie, e invece io no, ho tutto da iniziare, così (stud. 6: Flor, Liceo α
scientifico, 18 F, Perù).
Mirko: Diciamo che all’inizio imparavo tre parole in italiano, quattro in arabo, due in
albanese… era un po’… (sorride) però dopo un po’, dopo ovvio che impari l’italiano per
forza, perché se no non ti capisci con gli altri. Però se ci fossero stati… se ci fossero stati più
italiani magari sarei stato messo un po’ più da parte. Essendo che tutti eravamo diciamo alle
prime armi, ci aiutavamo a vicenda, non parlavamo italiano tra di noi ma imparavamo
andando avanti piano piano tutti insieme. […] È ovvio che un italiano usa parole più alte, più
accurate, poi parla più corretto in italiano, per cui le cose che ti dà sono quelle giuste. Però
all’inizio devi imparare a cavartela, nel senso che non è importante se riesci a dire bene il
verbo, cioè dire quello che devi dire, poi cioè farti capire, poi se l’hai detto giusto o meno
quello passa in secondo piano, viene dopo.
Int.: Ok, quindi più accogliente?
Mirko: Sì, perché io vedo anche certa gente di altre scuole che era meno diciamo… integrata
da questo punto di vista. […] Adesso penso che (sott.: nella scuola media che avevo
232
frequentato) siano ancora peggiorati, penso che di italiani non ce ne sia neanche uno. Perché è
anche la zona, […] nel senso… anche lì sono tre scuole messe insieme. C’è la [nome di una
sede], c’è la [nome di un’altra sede] e poi c’è la [nome della sede centrale], però alla [sede
centrale] tengono gli elementi più… gli italiani, qualche ragazzo rumeno, ci sono anche tanti
stranieri là, però molto di meno, invece nelle altre scuole buttano proprio tutti gli altri. Infatti
mi ricordo quando facevamo i tornei di calcio, perché si facevano tutte e tre le scuole insieme
[…], nelle squadre di calcio si vedeva, noi eravamo proprio… tutti insieme (sorride) mentre
nelle altre si vedevano, erano tutti italiani e magari uno straniero. Quelli della [sede centrale],
invece gli altri erano proprio tutt’altro.
Int.: Quindi lì sono scelte della dirigenza scolastica?
Mirko: Sì. Penso che abbia fatto la scelta di salvarne una e buttare tutti nelle altre. Però… non
lo so, penso che una scelta più adeguata sarebbe molto più utile a tutti quanti (stud. 49:
Mirko, Liceo β scientifico, 19 M, Romania).
Mirko riporta gli effetti dell’elevata incidenza di alunni con background di immigrazione,
esito non solo della distribuzione delle famiglie migranti sul territorio cittadino ma anche
della strategia della scuola di concentrare in un’unica sede gli iscritti migranti, nel
facilitare la creazione di legami tra studenti, in particolare della stessa provenienza, e
contemporaneamente il confronto con gli studenti nativi, in gran parte ripetenti e di umili
origini sociali, basato su stereotipi e segnato dal confronto sulla riuscita scolastica. Al
liceo invece i riferimenti all’origine nazionale nel gruppo dei pari vengono meno.
Penso che alle medie è proprio il periodo peggiore perché è proprio l’adolescenza in cui non è
che fai tanto il cattivo però… l’ambiente è un po’ così. Perché alle elementari penso che
siamo tutti felici, tutti bambini e giochiamo e bla bla bla. Quindi se uno viene alle elementari,
non importa, cioè siamo tutti uguali. Alle medie si vedono le differenze, cioè inizi a crescere
e a pensare cose stupide, cose così. E quindi penso che se fossi stato in una scuola normale,
dove c’erano più italiani, penso che sarei stato molto più emarginato, cioè non avrei fatto
questo anche progresso nella lingua, perché comunque sia non sarei stato seguito così. E poi
venendo qui, perché comunque cambia da diciamo dieci stranieri forse in tutta la scuola, però
siamo più maturi, anche se siamo comunque ancora ragazzini, però lo capisci che lo straniero
non è… cioè nessuno (sott.: si comporta diversamente con gli stranieri)! Poi magari adesso
che andiamo anche a votare magari uno per ragioni politiche qualcuno pensa certe cose sugli
stranieri, però quando viene a contatto con la persona umana cioè te ne freghi, non te ne rendi
nemmeno conto se è rumeno o italiano, cioè siamo tutti uguali. Però perché siamo cresciuti,
perché siamo un po’ più maturi. Alle medie non è così. Alle medie sei rumeno. Oppure sei
albanese, tutte cose così (stud. 49: Mirko, Liceo β scientifico, 19 M, Romania).
Il grado di scuola in cui avviene il primo inserimento in Italia, dunque, insieme alla
composizione dell’utenza, risultano avere influenzato il benessere e il clima di classe
percepito, elementi importanti per accompagnare, o ostacolare, l’inclusione linguistica e
relazionale degli alunni migranti.
f. Atteggiamenti nei confronti del trasferimento e squilibrio di status scolastico
Le riflessioni sul proprio posizionamento sociale dei giovani migranti in seguito
all’emigrazione riguardano innanzitutto la loro posizione scolastica, definita sulla base
della riuscita accademica e relazionale. Oltre allo “squilibrio di status” occupazionale
esperito dai genitori di cui abbiamo parlato nel capitolo 5, infatti, per i minori risulta
233
significativa la “caduta” di riuscita scolastica personale dovuta al trasferimento nella
scuola del paese di destinazione. Questa è determinata (i) dalle difficoltà linguistiche che
rendono impossibile nell’immediato tradurre le competenze intellettuali acquisite nel
paese di origine, e nel lungo termine valorizzare i contenuti appresi durante le prove di
valutazione; (ii) dalle norme che regolano l’interazione tra studenti, e tra studenti e
docenti diverse rispetto al paese di origine; (iii) dalla separazione dai compagni di classe e
dai legami amicali che popolavano la vita scolastica nel paese di origine; (iv) dalla
collocazione in classi scolastiche inferiori rispetto all’età, fatto che allontana dalle
transizioni alla vita adulta che si prospettavano all’orizzonte degli adolescenti nell’area di
partenza.
Karina: E là ero un po’… quando sono partita diciamo che ero… mi è sempre piaciuto, sono
sempre stata la più brava della classe, quindi solo il fatto di accettare, che non lo ero più, è
stato difficile per me. E… comunque era difficile, è stato un po’ difficile integrarmi, perché
comunque ° la scuola dove sono andata… ° ho patito un po’ di cose e… […]
Int.: Ma trovavi dei momenti in cui ti dicevano: “Ah, tu non sai questo, tu non sai quello”?
Karina: No, ma… vedevo io. Una cosa che mi ha fatto tanto soffrire è stata alle medie di
italiano ci facevano fare testi creativi. Comporre testi… si apprezzavano molto le metafore,
belle immagini, bisognava avere una conoscenza linguistica molto buona per poter accostare
termini… un po’… Mi piaceva, capivo, perché capivo quasi tutto, però non sapevo ancora
parlare bene, e mi piacevano tanto i testi dei miei compagni, e poi vedevo che l’insegnante, la
professoressa di italiano, apprezzava molto, e mi… volevo, volevo fare anche io così, anche
se non mi riusciva molto. Infatti piangevo, piangevo e stavo lì col dizionario, a cercare solo
parole belle! (stud. 8: Karina, Liceo α scientifico, 20 F, Romania).
Non lo so, lì (sott.: in Romania) non è che studiavo tanto. Però ero tra i più bravi della classe.
Qui non è che ho avuto problemi, anche alle medie, con matematica… sì un po’ di italiano,
però boh qua, già alle superiori, ci devi stare di più a studiare, non so come siano là le
superiori perché non le ho fatte. Però alle medie, io là arrivato a casa da scuola, e uscivo
fuori. Non… cioè non aprivo un libro, però prendevo sempre nove o dieci… (stud. 34:
Daniel, IT α elettrotecnico, 19 M, Romania).
Int.: A te sembra di andare meglio qua a scuola, come risultati scolastici?
Malika: Anche di là… di là andavo anche bene, però qua… ° qualche difficoltà sempre c’è °
[…] quando inizi a studiare italiano trovi qualche… trovi paroloni (ride) ti prende un po’ di
tempo, devi cercarla sul dizionario, devi capirla…
Int.: Sono tutti tempi in più, che là non avevi?
Malika: Sì, sì, là non l’avevo (stud. 29: Malika, IP α sociale, 22 F, Marocco).
Le difficoltà linguistiche e le diverse basi scolastiche costringono i migranti a dedicare
più tempo allo studio rispetto al paese di origine, conseguendo minori risultati116. Inoltre
le stesse difficoltà emergono nel momento delle prove di valutazione a scuola, enfatizzate
dalla componente emotiva legata alla prestazione, come spiega Hind ironicamente, per la
quale, anche dopo anni in Italia, questo rimane uno svantaggio rispetto ai nativi.
116
Come abbiamo visto nel capitolo 3, dai dati Erica–WP3 sugli studenti delle secondarie di II grado in
Piemonte risulta anche che i migranti dedichino allo studio individuale a casa più ore rispetto ai compagni
nativi.
234
Perchè poi io quando mi emoziono, il mio italiano va a farsi friggere (ride). Quindi parlo tutta
un’altra lingua (ride). No, te lo dico davvero. E… metto verbi che non c’entrano, soggetti,
transitivi che diventano intransitivi, delle robe assurde. Perché poi… nuoce, mi nuoce tanto,
tanto (stud. 16: Hind, Liceo α scientifico, 22 F, Marocco).
La percezione della perdita di status scolastico iniziale dipende anche dai differenti
parametri di valutazione adottati in Italia rispetto ai paesi di origine, dove la scala
docimologica prevedeva di impiegare anche i voti estremi, mentre in Italia difficilmente
alle secondarie si utilizzano il massimo (e il minimo) dei voti. In questo senso la
sospensione della valutazione nel periodo di inserimento iniziale sembra favorire un
avvicinamento graduale al sistema italiano.
Int.: A scuola, ti piaceva, riuscivi bene?
Adelka: Sì. Abbastanza. Mentre qui non riuscivo tanto con i voti. I professori qui non danno
il massimo come voto. Secondo me questo non dipende dal merito. Qui è il sistema che è
così. Ma in Romania davano anche i voti alti. Allora io pensavo: via via prenderò voti alti. E
invece poi ho capito che non era così (stud. 25: Adelka, Liceo α socio-psico- pedagogico, 20
F, Romania).
La perdita di status è accettata nell’ambito di una più generale comparazione tra sistema
scolastico nel paese di origine e di destinazione. Secondo le immagini dei migranti, nelle
scuole pubbliche italiane117 non c’è corruzione, a differenza che nei luoghi di partenza; le
risorse sono maggiori perché lo stato sociale è più ricco, per cui l’offerta formativa è
accessibile anche agli strati di popolazione meno abbienti, e più ampia e individualizzata,
con più laboratori e meno allievi per classe.
Int.: La scuola è diversa?
Zëdlir: La scuola sì, qui è più difficile, almeno l’IT Alfa, poi non so le altre scuole. (0.04).
Int.: Quindi la vedi più… ha un’offerta formativa più vantaggiosa?
Zëdlir: Sì. Da quel punto di vista diciamo che è stato meglio che io sono venuto qui. (0.03) °
Sì, la scuola è molto migliore ° (voce rotta) (stud. 27: Zëdlir, IT α informatico, 20 M,
Albania).
Int.: Avevi visto qualche laboratorio?
Fernando: Sì, sì, sì, avevo visto anche delle foto… ma sì, diciamo che in quel momento
qualunque cosa mi poteva sorprendere in confronto con l’Argentina. Perché la situazione là è
un po’… ° particolare °, diciamo che è completamente diverso.
Int.: Cioè la scuola è diversa?
Fernando: Ma sì, ci sono… tante, ma tantissime opportunità che di là non si vedono. Diciamo
che poi… a me a volte fa pena perché… con tante opportunità si potrebbe far molto meglio,
magari a volte invece…
Int.: Perché?
Fernando: Non so, tutti i laboratori, l’opportunità di fare esperienze tutto il tempo, di non
dover praticare solo guardando un po’ i libri, come si faceva là, qua ci sono parecchie
opportunità, e poi… (sospiro), non so neanche come… poi anche il resto, sull’educazione
bene, i professori spiegano tutti abbastanza bene, però qua l’unica cosa che si fa è criticare, e
dare sempre la colpa all’altro.
Int.: Da parte degli studenti o del mondo esterno alla scuola?
117
Per i migranti intervistati in Italia le scuole private sono meno prestigiose e di minore qualità formativa
rispetto alle pubbliche, viceversa che nei loro paesi di origine dei migranti, tuttavia le recenti riforme
scolastiche sono viste come tentativi di rovesciare questa situazione anche in Italia, con conseguenze
negative per le famiglie meno abbienti in termini di equità.
235
Fernando: No, io sto dicendo da parte degli studenti soprattutto.
Int.: Ah, che non sfruttano appieno queste opportunità dici?
Fernando: Sì, questo, e poi boh, non c’è neanche tanto la voglia… (stud. 33: Fernando, IT α
informatico, 19 M, Argentina).
È una domanda che mi pongo anche io, come è il clima del Marocco dal punto di vista
scolastico… […] Qua bene o male riusciamo tutti a studiare. Cioè… se uno non ne ha
voglia… ma poi per il resto non è assolutamente giustificato, perché comunque poi il governo
o lo stato ti viene incontro. Mentre invece là la situazione è assolutamente differente.
Perché… cioè anche… appunto la situazione economica non è assolutamente migliore… cioè
buona per le persone… e non riescono appunto a portare avanti gli studi (stud. 7: Safia, Liceo
α scientifico, 19 F, Marocco).
Anche le intervistate nate in Italia, come Safia, sono molto informate118, tramite il gruppo
dei pari rimasto al paese, sul sistema di istruzione nell’area di provenienza dei genitori, e
concordano su una rappresentazione dell’offerta formativa italiana vantaggiosa rispetto al
paese di origine. Mentre il primo ciclo di istruzione nel paese di origine descritto dagli
studenti dell’est Europa è molto impegnativo, tutti ritengono che le opportunità di
istruzione secondaria superiore in Italia siano maggiori, anche se gli studenti guardano
con preoccupazione alla riduzione di investimenti in istruzione, specialmente nelle attività
laboratoriali, ritenute dagli studenti il punto di forza degli istituti tecnici e professionali
per il successivo inserimento nel mercato del lavoro.
Gli intervistati raccontano di essersi inseriti in scuole in cui le competenze e le procedure
di inserimento degli allievi “stranieri” erano in via di costruzione, tuttavia le dotazioni di
organico (corpo docenti) e strumentali (macchinari, ore di lezione erogate) erano
maggiori rispetto a quelle attuali. Per gli studenti migranti arrivati al termine della
secondaria dunque l’impressione è stata quella di una scuola accogliente. Ma
naturalmente in questo disegno della ricerca non stiamo tenendo conto dei migranti dropout. Per i nostri scopi dobbiamo sottolineare che il modello integrato di inserimento degli
allievi stranieri, non in classi separate, presuppone competenze interculturali diffuse e
margini di flessibilità elevati nell’impiego del personale docente. Tali presupposti
dipendono dalle normative e dalle politiche scolastiche italiani generali, e non dalle
misure direttamente pensate per i migranti. Sull’ingresso di questi ultimi a scuola
mancano controlli sul rispetto delle normative, le quali lasciano comunque aperta ogni
contrattazione, nell’ottica di predisporre percorsi di inclusione il più possibile
individualizzati. In questo modo, tuttavia, si creano differenti traiettorie: i genitori
migranti con più risorse culturali (titolo di studio) e relazionali (conoscenze di persone
bene informate sul funzionamento del sistema scolastico italiano), in paesi nei quali il
118
Più informate dei coetanei partiti da piccoli dal sud America e con pochi rapporti con il paese di origine.
236
recupero e la traduzione del percorso scolastico pregresso dei figli è relativamente poco
costoso, hanno più chances di contrastare la prassi generale di inserire in classi inferiori
rispetto all’età. Il processo di selezione della scuola e classe scolastica di prima iscrizione
influenza la traiettoria educativa successiva, non solo dal punto di vista della riuscita
scolastica in senso strettamente accademico, ad esempio allungando il ritardo scolastico
tramite passaggi nell’istruzione informale per apprendere la lingua italiana, ma anche dal
punto di vista delle relazioni con il gruppo dei pari, in maniera diversa a seconda della
composizione dell’utenza scolastica. Gli intervistati sono riusciti a superare lo “squilibrio
di status scolastico” iniziale, e hanno individuato, anche in base ad esso, il tipo di scuola
frequentato al momento dell’intervista.
6.2. La “scelta” della scuola secondaria di II grado
Ricostruiamo nelle pagine che seguono il quadro cognitivo e le strategie attivate dalle
famiglie migranti per individuare la scuola frequentata dai figli119. Il processo che porta
all’iscrizione è per tutti costruito socialmente, in relazione alle reti di riferimento, agli
orientamenti e i ri-orientamenti ricevuti, alle prospettive di mobilità sociale familiare.
Non vengono considerati solo la riuscita scolastica precedente dello studente, i rischi e le
aspettative di successo in base alle risorse culturali dei genitori, ma anche gli esiti delle
attività di orientamento alla secondaria di I grado, gli affetti, la collocazione
dell’abitazione rispetto alle scuole e, non ultimo, le rappresentazioni del sistema
scolastico italiano, parziali ma arricchite in progress in modo selettivo rispetto a variabili
di interesse sociologico. Per questa ragione la “scelta” scolastica non è considerabile un
evento pienamente razionale e ottimale, ma piuttosto una successione di passi, via via
sempre meno reversibili, che portano a individuare l’opzione in quel momento ritenuta
dallo studente e dagli attori di riferimento, di solito i genitori, la più praticabile, non solo
in funzione dei desiderata futuri e delle risorse a disposizione, strutturate socialmente
nella loro distribuzione, ma anche, come vedremo, in base a elementi molto più effimeri e
apparentemente casuali.
119
In alcuni casi anche la scuola primaria e secondaria di I grado sono state individuate attraverso un
processo di selezione complesso, ma di solito data la giovane età dei bambini sono state preferite le scuole
più vicine a casa, in modo da ridurre gli spostamenti e diminuire il loro peso sulla gestione familiare (dato
che in Italia, a differenza dei paesi di origine, è obbligatorio accompagnare e andare a prendere i figli da
scuola).
237
Per analizzare le specificità che in questo processo conducono le famiglie migranti verso
l’istruzione tecnica e professionale più spesso che i nativi, e dall’altro lato i meccanismi
che consentono ad alcuni studenti con background di immigrazione di seguire traiettorie
scolastiche a lungo termine, si possono individuare alcuni percorsi idealtipici, tenendo
conto dell’interazione tra la fase della traiettoria migratoria familiare e la fase del
percorso di inserimento nel paese di destinazione, nel nostro caso l’Italia: (a) studenti
arrivati in Italia non oltre primo ciclo di istruzione (o nati in Italia) con traiettoria
migratoria familiare stabilizzata o ascendente vs instabile o discendente; (b) arrivati in
Italia al termine delle secondarie di I grado con traiettoria migratoria familiare stabilizzata
o ascendente vs instabile o discendente; (c) arrivati in Italia durante le secondarie di II
grado con traiettoria migratoria familiare stabilizzata o ascendente vs instabile o
discendente.
In base all’appartenenza a questa tipologia, i fattori che sono considerati da tutti i ragazzi
e dalle loro famiglie nel processo di individuazione della scuola hanno pesi e effetti
differenti. Tali fattori, a scopo meramente analitico, possono distinguersi in:
1. fattori scolastici inerenti il processo di orientamento (relativi alle procedure
istituzionali e informali di orientamento attivate dalle scuole): esiti di test
orientativi, diffusione di depliant, incontri e materiale informativo online,
contenuti informativi e emotivi delle attività di orientamento, consigli dei docenti
di scuola media, dei mediatori culturali e di altre figure educative, presentazione
delle scuole superiori durante le visite pre-iscrizione, accoglienza o rifiuto
dell’iscrizione da parte delle scuole superiori;
2. fattori scolastici inerenti le caratteristiche delle scuole superiori (relativi alle
scuole incluse nello spettro di possibili istituti scolastici da frequentare): offerta
formativa, orari delle lezioni, sede scolastica, composizione sociale dell’utenza,
reputazione;
3. fattori relazionali: consigli dei datori di lavoro e dei conoscenti dei genitori, scelte
scolastiche di amici e compagni di scuola degli studenti, esperienze dei fratelli e
delle sorelle maggiori (o di altri giovani di riferimento nella rete parentale);
4. fattori economici: risorse economiche familiari al momento della scelta, stima
della sicurezza di tali risorse a dieci anni dalla scelta;
5.
fattori culturali: titolo di studio dei genitori e percorso in istruzione degli altri
familiari di riferimento, in Italia o in altri paesi, idee sull’importanza
dell’istruzione per la mobilità sociale e la crescita personale;
238
6. fattori individuali relativi agli atteggiamenti dello studente e studentessa nei
confronti dell’istruzione e alle sue precedenti esperienze e esiti nell’istruzione
formale;
7. fattori inerenti il progetto migratorio familiare: prospettive di ritorno al paese di
origine o spostamenti in paesi terzi, rappresentazione della spendibilità dei titolo
di studio nel mercato del lavoro internazionale, aspettative di mobilità sociale
familiare e rappresentazioni dell’efficacia dell’offerta formativa e del titolo di
studio rilasciato dai diversi tipi di scuola per la futura collocazione professionale e
sociale nei sistemi di stratificazione sociale di riferimento.
Vediamo come questi si configurano a seconda della traiettoria migratoria familiare,
come ne viene modificata l’importanza relativa nell’eventualità di riorientamenti e cambi
scuola successivi alla prima scelta e infine proviamo a leggere con cautela gli effetti delle
ristrutturazioni familiari.
a. Studenti e studentesse arrivati in Italia durante il primo ciclo di istruzione o nati in
Italia
Questo gruppo di studenti è quello per il quale viene maggiormente valutata la riuscita
scolastica pregressa, normalmente sussunta dai consigli orientativi dei docenti delle
medie e/o delle attività di orientamento extrascolastiche, i quali dovrebbero tener conto
anche delle attitudini allo studio e alle predisposizioni verso alcune discipline (come
abbiamo visto nel capitolo 3 a proposito delle attività orientative a Torino).
Nel caso di difficoltà di riuscita e genitori non laureati, la propensione è sempre per
l’istituto professionale, motivata dall’attenzione dei genitori agli sbocchi occupazionali
dopo il diploma e alla sfiducia nelle possibilità di concludere con successo studi più
impegnativi, anche quando la traiettoria di inserimento socio-economico familiare è di
stabilizzazione.
Costantin: È stata raccomandata dagli insegnanti della scuola primaria (media, ndr). [...] Poi
ha scelto bene anche, perché è una scuola come dicevo io, è una scuola adatta al suo
potenziale di persona. Insegnare per esempio in una comunità di anziani o in un asilo di
bambini, non è difficile, ci vuole un po’ di serietà, quello sì, come il tirocinio. Con gli anziani
bisogna saper gestire anche qualcosa di medicina, nel senso amministrare i farmaci, di fare
qualche iniezione. Poi ci sono delle persone che hanno un po’ di… non so, emozioni
quando… per le iniezioni, ma le ho detto “Tu, di questo non ti devi preoccupare, perché a un
certo punto ti devi abituare a questo lavoro, e non ci saranno problemi, perché non è difficile.
Bisogna stare attenti e bisogna lasciare la testa al lavoro, ma poi ti prendi una pausa. Ad
esempio quando vedi un po’ di sangue, sai quando fanno esperimenti o… gira un po’ la testa,
ma devi andare avanti. A studiare, regolare. Se vuoi, se ti piace, lo puoi fare. Quello che
posso fare per te, io lo faccio. Però, ti devi informare. Come si fa l’iscrizione, com’è la tassa,
e… le altre spese che hai durante l’anno, è meglio che lo sai prima, invece che dopo ti trovi a
239
metà semestre e ti trovi tutto sballato, poi non ce la faccio, poi arriva questo momento che ti
gira la testa, che ti spinge di lasciare, ma il tuo progetto che avevi prima, fallisce poi”.
Octavia: Ma se dici che vuoi studiare, sei capace, devi andare, non che inizi un semestre e
dopo lasciare.
Int.: Se si inizia di deve portare a termine con successo?
Costantin: Sì. […] Anche se… per esempio io adesso non mi ricordo, ma ci sono anche
sezioni che puoi studiare solo tre anni, e ti danno qualcosa, una qualifica, però bassa un po’,
non è che puoi andare a… come fa Elisabetta, anche lì si può arrivare ai tre anni, ma lei ha
detto “Voglio finire, sono capace”. Poi ha preso un po’… come si dice, comprensione da
parte degli insegnanti, l’hanno aiutata, la vedo più coraggiosa, più serena, poi sì, è cresciuta
anche.
Int.: Quindi eravate d’accordo che facesse gli altri due, perché pensavate che poteva farcela?
Costantin: Sì, esatto, sì. Una ragazzina, lo trova un lavoro, o fisso, o come aiuto a una
famiglia, a un anziano, però se c’è questa possibilità di studiare e di andare un po’ più avanti,
che ne so, la speranza c’è sempre. Vai, poi un lavoro si trova, come donna. Per un uomo è più
difficile. Lo trovi, però non quello che vuoi veramente. Io quando sono venuto volevo fare
proprio il tornitore. Non si poteva (gen. 9: Costantin e Octavia, genitori di Elisabeta [2], IP
α, Romania).
Costantin spiega come ha persuaso la figlia, timorosa di non riuscire a svolgere
professioni sanitarie, delle sue possibilità di riuscita. È convinto che il fatto di essere una
ragazza la aiuterà comunque a trovare lavoro nel settore della cura. Interessante che
questo tipo di collocazione occupazionale sia rappresentata come sbocco lavorativo
femminile “normale” e sicuro anche senza titolo di studio, a differenza che le professioni
non qualificate svolte comunemente dagli uomini migranti, ritenute non adeguate per il
fratello di Elisabeta, il quale ha intrapreso studi tecnici anche per evitare di svolgere
mansioni come quelle accettate dal padre. Anche se la scelta dell’istituto professionale
avrebbe consentito di interrompere gli studi al terzo anno, la buona riuscita successiva di
Elisabeta ha convinto il padre a lasciarla proseguire fino al diploma nel settore dei servizi
sociali, nella speranza di vedere la figlia laureata in Scienze infermieristiche.
Anche per Tania il principale suggerimento è venuto dalla madre, già assistente agli
anziani, per gli sbocchi professionali offerti dalla scuola e per la possibilità di continuare
a studiare presso la Facoltà di Scienze infermieristiche.
Praticamente è partito tutto da mia madre. Perché lei già… qualche tempo fa lavorava
nell’ospedale, comunque la chiamavano qualche sera ad andare a fare qualche assistenza, e
già lì ero partita “Ma, mi piace, mia madre va all’ospedale” ero partita nel senso che vedevo
lei che andava all’ospedale, che era un lavoro abbastanza facile, che comunque non era a
contatto con il sangue cioè… era lì solo per fare assistenza agli anziani e bon. Così già da lì
mi è partita la cosa che volevo fare l’infermiera. […] E comunque era l’unico liceo che si
occupava… nel senso ho detto servizi sociali boh magari riesco poi a fare infermeria. E
quindi anche lei mi aveva detto “Sì scegli questa scuola qua così poi dopo magari riesci a fare
scienze infermieristiche” e io l’ho scelta subitissimo (stud. 4: Tania, IP α sociale, 20 F,
Romania).
Marisa e Pilar erano state consigliate molto chiaramente dagli insegnanti delle medie sul
seguire la filiera “corta”, e poi aveva scelto l’indirizzo sociale, invece di quello turistico
240
che avrebbero apprezzato per le materie linguistiche, per avere maggiori chances di
successo scolastiche e occupazionali, su consiglio delle madri già assistenti familiari.
Per gli studenti con riuscita alle medie buona o ottima, invece, e percorsi familiari non
ascendendenti, l’orientamento scolastico, accettato di buon grado dai genitori, è stato
verso i licei. In questi casi gli studenti intervistati, iscritti in scuole secondarie di II grado
a maggioranza di utenti italiani, hanno scelto l’istituto più frequentato dai compagni di
scuola.
Un po’ condizionato dal fatto che andavano alcuni amici, anche se non tanti e, non lo so…
Perché ne avevo sentito parlare, io non ne sapevo molto… comunque che era abbastanza
conosciuto, un liceo serio, comunque mi era stato indicato ai miei genitori dai professori, alle
medie dicevano che era un buon istituto, un buon liceo… (stud. 50: Iulian, Liceo β
scientifico, 19 M, Romania).
Poi invece per quanto riguarda il liceo più che altro ho scelto io. Lo ammetto, un po’ anche
per gli amici e per le conoscenze. E poi… ° e poi quello ° (stud. 51: Lauro, Liceo β
scientifico, 19 M, Filippine).
Carolina sceglie un liceo scientifico per l’orientamento dei docenti e della datrice di
lavoro della madre, ma, come vedremo, verrà riorientata verso l’IP Alfa.
Carolina: Prima avevo scelto il [liceo scientifico], perché comunque mi avevano consigliato
di fare un liceo, così. [...]
Int.: Ho capito. Te l’hanno consigliato anche le tue professoresse delle medie il liceo?
Carolina: Sì, sì, sì. C’è anche mia cugina lì. […] Quando avevo detto a mia mamma “Faccio
il liceo [scientifico]” lei lo aveva detto alla sua capa. E anche i figli suoi hanno frequentato il
liceo scientifico, e quindi le aveva parlato bene “Ah, sono bravissimi, danno una preparazione
buonissima” e quindi mia mamma era contentissima, per carità! (stud. 3: Carolina, IP α
sociale, 19 F, Romania).
Per Lorian, in nucleo familiare monoreddito, la preferenza per le materie artistiche è stata
messa in secondo piano rispetto all’esigenza di acquisire competenze più spendibili nel
mercato del lavoro, nonostante la madre avrebbe favorito anche studi tecnici o liceali. Dal
suo brano di intervista si evince, oltre che l’influenza delle prime esperienze lavorative di
Lorian, la componente ludica della individuazione della scuola da seguire, contenuta
anche nel consiglio di un amico.
Lorian: Prima di scegliere ‘sta scuola, sai che hai degli incontri nelle scuole in cui ti spiegano
un po’ il mondo delle superiori, no? E… fatto sta che mi son trovato… ero proprio a un bivio,
c’avevo due strade da prendere. Una era l’artistico perché mi piace un bordello disegnare e
fare come dire i fumetti, i fumetti mi piacciono un casino, poi nature morte, tutto faccio. Però
avevo questa idea che non porta il pane, l’artistico non porta il pane in casa. E poi avevo
questo amico che faceva l’alberghiero, no? A quel tempo mi faceva fare il cameriere, no? Ho
lavorato in qualche osteria, trattoria, sai […]. E sono andato da questo mio amico che mi ha
spiegato un po’ le cose. Poi come me l’ha detto... “Lì, mangi sempre!” sono rimasto così e ho
detto “Ah, questa è veramente la scuola che fa per me!” [...]
Int.: Non hai mai pensato di fare un liceo, ad esempio scientifico?
Lorian: No, no. A quel tempo pensavo che fosse una scuola per secchioni, a me non piace
studiare. Troppo difficile, sì. Latino, latino, latino a cosa serve? Latino è una lingua morta, a
cosa serve? Latino non lo studiano neanche più i preti, stai scherzando? A me non piace, è
241
come dire… poi fisica e altre… magari mi sarebbero piaciute, no? Cioè non lo so, ma così a
occhio nudo non mi rende la cosa (stud. 48: Lorian, IP β sala bar, 20 M, Romania).
Diverso è il caso degli studenti che ottengono buoni risultati scolastici alle medie, ma
risiedono in convivenze familiari che stanno attraversando fasi di mobilità discendente.
Ionel, nonostante gli ottimi risultati a scuola e il fermo orientamento dei docenti verso
percorsi liceali, ha considerato la situazione economica familiare, incerta nelle risorse a
disposizione nei dieci anni successivi alla scelta, la necessità di lavorare durante gli anni
delle secondarie e la spendibilità del diploma nel mercato del lavoro. Le sue motivazioni
tuttavia fanno anche riferimento all’ambiente scolastico, percepito come più “noioso” al
liceo frequentato dalla sorella. Va però sottolineato che gli istituti tecnici o professionali,
per i genitori migranti inseriti in settori lavorativi a bassa produttività con incarichi
manuali, costituiscono comunque occasioni di trovare sbocchi occupazionali più
gratificanti dei loro per i figli, come spiega Ionel al termine del brano di intervista di
seguito.
Ionel: Licei, licei, licei, poi il classico, poi… liceo scientifico… vai al Liceo Alfa, vai al
[nome di un altro liceo scientifico], vai di qua e di là. Solo che, sapendo anche… le possibilità
economiche, ho detto “Con un liceo devi poi anche fare l’Università ° successiva °” quindi ho
detto “Mi oriento verso un ITIS, poi se ci sarà la possibilità, la faccio volentieri l’università,
sennò… cercherò di trovarmi qualche lavoretto, qualcosa per… (sospiro). E quindi… ‘sta
scuola… mi han detto di sceglierla… Due settimane prima di sceglierla non la conoscevo
proprio, non ne avevo mai sentito parlare. E ci han dato un elenco a scuola, con tutte le
scuole, guardavo tutti i profili. Eh… Informatica non è mai stata la mia passione (ride). Mi
hanno detto… vai aeronautica, o quant’altro… neanche… E quindi, bon… avevo visto qua
grafica e fotografia. La fotografia da piccolo, cioè è stata una mia passione nascosta che… °
sbocciata qua ° però avevo scelto inizialmente di fare il corso di fotografia e quindi ho scelto
sta scuola così, tanto per… Non sapevo assolutamente a cosa sarei andato incontro… […]
Int.: Ho capito… E dicevi anche lavori che avessero degli sbocchi professionali?
Ionel: Sì, sì, ho pensato… Sì, sì, anche perché sono stato influenzato da questo punto di vista
anche dai genitori, perché mi ha detto… Cioè, più che altro ho ragionato anche da solo. […]
Ho pensato anche a questo, sì, senz’altro… perché ho detto: con la grafica, con la
pubblicità… c’è sempre bisogno e… [Poi] Mi sembrava abbastanza triste > la gente dei licei
< (sorride). Perché sono andato a vedere > anche il [liceo scientifico frequentato dalla
sorella], anche… sembravano tutti con quelle facce da morti (sorride) annoiati… e troppo
scolastici. E io sono sempre stato un tipo più vivace… più, cioè… più pieno di vita… se
possiamo dire così, sì (sorride) non… anche quello… cioè l’ho detto subito: “No, licei no,
escludiamo i licei e vediamo altro. [A mia sorella] ho detto: “Come fai a stare in ‘sta scuola?”
Io più di una settimana non durerei qua dentro (sorride). […] Uno stile di vita che non mi
apparteneva… > trovavo un mondo talmente < all’opposto dei miei ideali, dei miei hobbies e
al mio… > e vedevo anche che da una parte cioè ti condizionava la vita in un modo diverso il
liceo piuttosto che un ITIS, perché… sono solo materie scientifiche… laboratori comunque
niente… Eh poi, tempo libero poco e niente perché devi studiare molto di più da quanto ho
capito… […]
Int.: E in tutto questo i tuoi cosa dicevano?
Ionel: Diciamo che loro, più che altro ci han sempre detto: “Fate attenzione a ciò che
scegliete, noi cerchiamo di non condizionarvi più di tanto perché… comunque cioè, farvi fare
il medico… farvi fare un lavoro che non vi piace… piuttosto preferisco farvi fare qualcosa
che piace a voi, anche se guadagnerete di meno”. Nel senso che loro hanno detto, soprattutto
a me, mio padre mia detto: “Saldare è un lavoro che, dopo dieci anni che saldi, che fai lo
stesso lavoro… tutti i giorni otto ore al giorno, cioè diventa un po’ pesante” (sorride). ° Però
lui mi ha detto che comunque per lui… ormai si è abituato, cioè ci ha fatto l’abitudine, però,
242
lui dice per me di scegliere qualcosa di diverso, qualcosa che mi appassioni, che mi piaccia e
che… lo farei anche senza denaro. Quindi la grafica è proprio… la scelta più giusta che abbia
potuto fare ° (stud. 52: Ionel, IT β grafico, 20 M, Romania).
Come Ionel, Simona, uscita con distinto dalle medie, non segue le indicazioni di iscriversi
al liceo ricevute dai docenti di scuola secondaria i I grado, preferendo un istituto tecnico
per unire elementi teorici e pratici nel curriculum grazie all’offerta formativa laboratoriale
e lasciare aperta sia la strada dell’inclusione professionale dopo il diploma sia quella
dell’iscrizione all’università. Dalla sua ricostruzione emergono altri due aspetti: la
dimensione di genere che caratterizza alcuni istituti tecnici a prevalenza maschile,
elemento interessante da considerare per comprendere la tendenza delle ragazze migranti
a optare per i licei più spesso dei ragazzi, e la scelta della scuola in base alla popolazione
di origine migrante che la frequenta, più varia a Torino rispetto a Settimo, città
dell’intorno torinese.
Simona: Non ho fatto lo scientifico perché… sinceramente c’era troppa teoria. Non era un
problema di poter studiare o non poter studiare, ma proprio perché lì mi sarei annoiata
sicuramente. E quindi ho pensato a questa scuola va beh, per gli interessi, e poi per il fatto di
essere un tecnico implicava il fatto di usare i laboratori e tutto quanto infatti poi si è rivelata
la scelta migliore. Perché anche se avendo fatto lo scientifico o il classico mi avrebbe
preparato di più per l’università, o anche il linguistico, però alla fine… cioè era solo come
preparazione. Invece in questo caso, in questo settore, posso fare sia l’università che
approfondire in altri settori, che continuare a lavorare in questo campo.
Int.: […] Quindi tu avevi scartato Settimo perché l’istituto professionale non era…
Simona: Ma anche per le persone che ci sono a Settimo.
Int.: Perché?
Simona: Perché… c’è un po’… il tamarro diciamo. […] Ho visto una mia amica che ha fatto
le medie a Brandizzo, poi è andata alle superiori lì a Settimo e ho visto i cambiamenti.
Int.: Come?
Simona: Del tipo che è un po’… improntata a questo ambiente. […] Non saprei descrivertelo,
di persone un po’ superficiali, poi non è detto che siano tutte così, però è la maggioranza, è la
maggioranza. E poi son quei ragazzini che si sentono in pullman che magari urlano e gridano
e altre cose. Insomma era un po’ chiuso come... e boh quindi c’è più varietà a Torino. Anche
solo tra italiani, sono un po’ più diversi, non c’è solo un tipo e basta. [...] Mentre poi i
tecnici… c’erano molti tecnici per maschi tipo meccanica o elettronica che non mi
interessavano e boh, ho trovato fotografia e ho scelto questa. […]
Int.: Perché dici per maschi?
Simona: Perché… sono cose che non farei, il meccanico, l’elettricista… o comunque quelli
che sono a maggioranza maschile, con più studenti maschi, anche informatica ce ne sono…
cioè non è proprio per maschi, però comunque son studenti maschi lì. Non mi piace. Non è
perché è per maschi, più che altro non riuscirei a farlo, non mi piacerebbe.
Int.: Come lavoro futuro?
Simona: Sì, non perché pensavo troppi maschi, solo perché non mi piaceva l’indirizzo, il
lavoro che ti faceva fare dopo. […] Cioè non è neanche bello, ma se mi piaceva ad esempio
informatica sarei andata (stud. 53: Simona, IT β fotografia, 19 F, Romania).
Per gli altri studenti che hanno conseguito ottimo o distinto come valutazione all’esame di
terza media il proseguire con l’istruzione tecnica o professionale invece che liceale è stato
motivato con la mancanza di attitudine allo studio, anche se controllando il titolo di studio
243
e la collocazione lavorativa dei genitori in Italia si riscontrano situazioni di difficoltà
economica e qualifiche conseguite al paese di origine al massimo di livello secondario.
Non sempre l’istituto tecnico è stata una scelta di immediato inserimento lavorativo. In
particolare l’IT Alfa, è descritto come “un ottimo sbocco per i miei progetti futuri” date le
basi scientifiche che offre per continuare gli studi universitari (Fadia), del quale “ne
avevano parlato molto bene le persone dove lavorava mia mamma, le avevano detto che
era una scuola molto riconosciuta, molto famosa” (Costela), con indirizzi più liceali per i
quali “dovevo per forza andare all’università con questa scuola qui. […] Invece con
l’istituto… vai subito a lavorare dopo (0.02). Non mi sembra che mi possa interessare
questa… tipologia di vita diciamo” (Andrés). Mentre Fadia non era stata incoraggiata
dagli insegnanti, a causa della sua riuscita scolastica non ottima alle medie, Costela,
Gratian e Daniel hanno definito insieme alla scuola e alla famiglia un percorso condiviso.
Int.: Pensavi già a un lavoro che potevi fare dopo oppure quando sceglievi non…?
Daniel: No, no, ci avevo già pensato. Cioè ho pensato io, mi hanno dato dei consigli, mia
madre e mio padre. Come succede adesso per mio fratello, che li devo dare io (sorride).
Int.: Ah sì? Daniel: Certo. […] Ma non solo loro, anche gli insegnanti delle medie. Boh la
giudicano come una scuola buona, e quindi, sì, magari anche l’indirizzo, lavoro lo trovi. […]
Ho scelto l’istituto tecnico proprio per quello, perché ti dà la preparazione sia per andare
all’istituto tecnico sia all’università. Ci sono licei che non arrivano neanche al programma di
matematica che stiamo facendo noi, per dire.
Int.: Avevi scelto questo istituto perché volevi avere queste due strade? Ci avevi già pensato?
Daniel: Sì, sì. Volevo lasciarmi queste due scelte qua, se non va una, faccio l’altra (stud. 34:
Daniel, IT α elettrotecnico, 19 M, Romania).
Per Gratian la scelta si è radicata nelle sue aspirazioni professionali, malgrado i genitori
avrebbero preferito un liceo scientifico.
Gratian: Io per le auto non… non sono maniaco, però mi piace. Cioè capire come funziona
una macchina mi piace, vedere cosa c’è dentro mi piace. Poi… mi piace anche la manualità.
[…] Poi per quanto riguarda questo corso di meccanica, mi son trovato bene. Perché anche se
magari certe cose magari non mi interessavano, però si tratta di una bella fetta di argomenti
che mi piace, mi piace. Quindi un giorno mi piacerebbe arrivare a essere in ingegnere,
dipendente o no, questo ora non lo posso decidere. [...] Io volevo fare l’ingegnere meccanico
da quando ho fatto la seconda media.
Int.: Quindi l’hai scelto per il dopo?
Gratian: Sì, sì! Ecco, una cosa che mi dà fastidio: quelli che scelgono una scuola e dicono
“Mah, poi vediamo”. Per me è stata una cosa “Vado lì per fare quello, perché mi piace fare
quello”. E quindi prendo la scuola anche in un’altra ottica. Potendola prendere così, a me
tutto quello che faccio mi piace. C’è certa gente che dice: “A me questa scuola non mi serve a
niente. Non voglio farci niente, basta che esco con 60 e esco” (stud. 28: Gratian, IT α
meccanico, 19 M, Romania).
Int.: Parliamo della scuola, perché l’avevate scelta?
Miranda: Avevamo in mente questa meccanica.
Stefan: Questo mestiere.
Miranda: Questo mestiere. E lui ha voluto lì all’IT Alfa. Perché lì, quando finisci la terza
media, ti scrivono dove puoi andare. E gli hanno scritto scientifico. Io ° volevo scientifico °.
Ha detto: “Mamma, no! Perché lì (sott.: all’IT Alfa), io imparo tante cose. Invece allo
scientifico blablabla, blablabla”. Anche lì è un blablabla, però alla fine mi ha detto “Guarda,
io se finisco i cinque anni…”
244
Stefan: Senti a tuo padre gli ho detto.
Miranda: “Io posso anche lavorare” mi ha detto. Sai io ho pensato chissà dopo cinque anni se
lui vuole ancora fare l’università? Perché allo scientifico guai se non vai all’università. Allora
poi ho detto “Guarda, fai quello che vuoi”. E poi lui… è contento che ha scelto questa scuola.
Perché è tosta, eh? E tutti quelli che dicono “Ma, l’IT Alfa, vedremo se sarà in grado”. E tutti
quelli che parlano con lui, dicono “Guarda che tuo figlio ha tante cose in testa”, parliamo di
scuola, della sua meccanica, che è proprio…
Int.: Gli piace quell’argomento lì?
Miranda: Sì, sì, sì. Anche quando studia, mi dice “Guarda, se facessi il tecnico, se facessi
meccanica, se facessi solo questo, starei fino alle due o alle tre di notte, non è che mi
addormenterei”. È proprio portato (gen. 2: Miranda e Stefan, genitori di Gratian [28], IT α,
Romania).
Un altro caso di negoziazione tra genitori e figli sulla scuola secondaria più adatta è
quello di Gloria, per la quale i genitori avrebbero preferito un percorso tecnico o
professionale.
Gloria: Ero uscita con ° buono ° [alle medie]. Gli insegnanti non mi avevano consigliato
niente! (sorride) però avevo fatto quel test [di orientamento] e mi hanno detto “Va bene
scientifico”, io volevo lo scientifico e così sono andata a fare lo scientifico (sorride). […]
Ma… i miei avrebbero preferito se io fossi andata in un istituto perché avrei avuto
sicuramente un lavoro, invece così no. E… però io avevo la mania dello scientifico perché ci
andavano tutti, e allora ci volevo andare anche io, e così ci sono andata anche io.
Int.: Tu sapevi già che avresti voluto fare l’università?
Gloria: Sì, sì. […] Forse più per le possibilità di scegliere un altro lavoro, invece con
l’istituto… uno si fa già un’idea di cosa vorrebbe fare, io non avevo ancora l’idea di cosa
volessi fare. Quindi… volevo aspirare a qualcosa di più, a qualcosa di più alto, non solo…
(stud. 31: Gloria, IT α liceo tecnologico, 20 F, Romania).
Per gli iscritti all’istruzione professionale la negoziazione con i genitori ha riguardato
soprattutto il continuare gli studi dopo la qualifica, transizione affatto scontata tra gli
studenti dell’IP Beta: racconta di essere stato spinto Emil dal datore di lavoro presso cui
aveva svolto lo stage, Rustam, come si legge di seguito, da un insegnante. In questi casi i
genitori, con titoli di studio al massimo secondari, sembrano avere un ruolo marginale, a
parte quelli di Bai, i quali prima consigliano l’indirizzo alberghiero per le opportunità
imprenditoriali nel settore della ristorazione e poi non insistono perché il figlio consegua
il diploma.
Int.: Perché hai deciso di continuare dopo la qualifica?
Rustam: Ma io in realtà volevo finire dopo la qualifica, però il professore che avevo io di
cucina mi ha detto “Vieni, se no ti spezzo le gambe” (sorride) e così lui mi ha convinto di
continuare, poi diceva che con la qualifica non avrei trovato lavoro invece con il diploma
l’avrei trovato facilmente. […] Neanche i miei mi hanno mai obbligato a queste cose “Studia,
studia!”. No, “Se vuoi studiare studia, è per te che studi, non è che studi per noi”. Ho deciso
da solo. […]
Int.: Perché avevi optato per questa scuola qua?
Rustam: Le materie non le sapevo, però sentendo amici più grandi, e io ho soprattutto amici
più grandi, mi dicevano che se… questo lavoro (sott.: di cuoco) è pagato molto bene, trovi
facilmente lavoro perché ci sono moltissimi ristoranti che chiedono quindi è più facile trovare
lavoro (stud. 45: Rustam, IP β cucina, 20 M, Moldavia).
Bai: L’avevo scelto in base alla difficoltà della scuola, perché ero… come ti ho detto ero
proprio svogliato per quanto riguarda la scuola, e allora ho scelto proprio la scuola più
245
semplice, meno impegnativa, e ho scelto questa scuola qui. […] Il professionale mi sembrava
più adeguato, questo qui è un alberghiero…
Int.: Per cosa?
Bai: Ma, perché anche i miei volevano che imparassi qualcosa che diciamo centrasse con la
ristorazione, per diciamo una futura idea se potessi aprire un ristorante o trovare un lavoro
(stud. 46: Bai, IP β cucina, 21 M, Cina).
I genitori laureati nel paese di origine e stabilizzati in Italia, invece, hanno tutti orientato
esplicitamente i figli nel nostro campione verso i licei. Anche se inizialmente non
conoscevano il sistema scolastico italiano si sono attivati per chiarire le differenze tra tipi
di insegnamento e hanno appurato con gli insegnanti delle medie che la riuscita scolastica
del figlio o figlia indicasse una buona possibilità di farcela. Una volta identificata la
filiera più prestigiosa, ad esclusione del liceo classico per evitare il greco, ulteriore lingua
morta da aggiungere al latino già ritenuto impegnativo per i non madrelingua italiana, non
affrontato alle medie con alta incidenza di allievi migranti e non spendibile nel mercato
del lavoro, in questo caso le famiglie hanno proceduto scegliendo il liceo più vicino e con
la reputazione di essere una buona scuola.
Int.: Ti ricordi invece i tuoi cosa dicevano?
Flor: Eh mia madre voleva che andassi al posto migliore, cioè nella scuola migliore, che
insegnasse sempre di più, no? Poi oltretutto a lei sono sempre piaciute le matematiche, le
scienze, quindi mi suggeriva anche allora ho scelto questa scuola e quindi era d’accordo. […]
In Perù non c’è la differenza tra liceo e istituto, c’è solo una scuola unica uguale per tutti.
Materie come diritto e economia non si fanno, come si trovano ad esempio negli istituti, e a
parte latino le materie sono simili. [...]
Int.: Quindi tua mamma si è informata sul sistema scolastico italiano? O la informavi tu?
Flor: Eh… non ricordo forse… magari sentivo a scuola, ma probabilmente mia madre anche
si informava, perché lei vuole sempre informarsi, e poi non poteva fidarsi di me che ero una
bambina, lei andava a cercare, penso proprio di sì. [...] Int.: Tu sapevi già quando hai scelto il
liceo che avresti fatto l’università?
Flor: Sì sì. Forse perchè appena arrivata non sapevo molto come fosse l’istruzione, e mi
avevano detto istituto, vai lì e poi trovi lavoro. Poi ho capito che non era così, ma
inizialmente avevo capito che dovevo fare il liceo per poi andare all’università. Sì, sì (stud. 6:
Flor, Liceo α scientifico, 18 F, Perù).
Il ruolo dei genitori è stato importante per sostenere la scelta dei percorsi scolastici più
impegnativi, come raccontano Safia e il padre. L’opzione del liceo per tutti implica anche
la continuazione dello studio all’università, motivata dalle maggiori opportunità di
inserimento lavorativo futuro previste ottenendo la laurea.
Safia: Io avevo sempre avuto questo fascino per le materie scientifiche. Solo che io ho avuto
questa amica che è andata al liceo Alfa e è stata bocciata due volte, e allora là mi sono
terrorizzata, e sono tornata indietro e ho detto “Mai e poi mai io andrò al liceo Alfa. Però io
ho la grande fortuna di avere un padre che… non ti dico. Mi ha fatto ragionare e mi ha detto
“Guarda che tu sei diversa, comunque io so che tu ce la potrai fare, non è che perché tu hai
sentito una persona che ha fatto così anche tu ora rinunci alla scuola che vuoi fare” […]. E…
poi io gli ho detto “Ma c’è il latino, non ce la potrò mai fare” e lui mi ha detto “Ma latino è
una materia come tutte le altre, guarda che se la studi ce la potrai fare. Allora fai così: se ti va
tu ti iscrivi, inizi, poi se non ti piace o non ce la fai ti trasferisci”. Allora ho fatto così, ho
trovato proprio un clima che… ce l’avrei fatta. [...]
Int.: E quando avevi scelto il liceo sapevi già che avresti fatto l’università?
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Safia: Sì, un’altra cosa che mi è stata messa di fronte è questa, perché se scegli il liceo devi
assolutamente fare l’università, e con un diploma liceale non è puoi fare ° più di tanto ° (con
voce triste).
Int.: Qundi lo sapevi ma hai scelto lo stesso il liceo?
Safia: Sì.
Int.: E anche i tuoi si erano informati un po’ sulle scuole, lo sapevano?
Safia: Sì, anche perché io ho sempre avuto questa idea. Più vai avanti negli studi, più ottieni.
Non dal punto di vista economico, però magari un lavoro dove non devi fare mmh… non devi
° affaticarti più di tanto… poi non fare le pulizie, questo intendo ° (stud. 7: Safia, Liceo α
scientifico, 19 F, Marocco).
Anche in presenza di maggiore capitale culturale familiare e lunga stabilizzazione in
Italia, tuttavia la rappresentazione del sistema scolastico italiano da parte di genitori e
figli è andata raffinandosi nel corso del tempo. All’inizio si è basata soprattutto sulle
indicazioni dei docenti di riferimento e sulle esperienze in istruzione pregresse dei
genitori nel paese di origine. Dal brano di intervista con Amer è evidente quanto la
richiesta di chiarimenti e il dialogo tra genitori e insegnanti e genitori e figli faciliti la
composizione di un frame cognitivo più ricco e consapevole.
Amer: Io le controllo ogni volta (sott.: le mie figlie), cioè le controllo, vedo cosa fanno (sott:
a scuola). E vedevo che portava sempre otto, nove, sette e mezzo. E un giorno mi porta un
foglio scritto di scegliere cosa vuole fare. E le ho detto “Allora cosa dobbiamo fare qua?
Facciamo lo scientifico, eh?” così, scherzando. Lei aveva… era piccolina ancora. Ha detto
“Io non lo so”. “Io ero scientifico. Vedi tu cosa vuoi fare”. “Ah, non lo so, di cosa si tratta,
non capisco” di qua e di là. “Allora mi porti il diario”, ho scritto sul diario per avere un
appuntamento con la buonanima della sua maestra. […] Vado da lei, rimaniamo a parlare
così, mi fa “Può fare il liceo tranquillamente”. Passo dall’altra maestra, mi fa “Sì, ce la fa”.
Ma ho detto “Se mia figlia è contenta può fare il liceo”. Le ho detto “Adesso la parola liceo è
facile. Ma devi vedere cosa viene dopo”. “Ma cosa c’è?” Le ho raccontato un po’ di chimica,
fisica, di qua e di là, dei programmi, devi studiare un po’ di più, dice “Ma sì, studio, faccio”.
Anche lei è stata brava, ha fatto tutto. […]
Int.: Ah, così. Ma lei sapeva che lo scientifico era una buona scuola, perché aveva già
conoscenze del sistema scolastico italiano?
Amer: La verità: no.
Int.: Per sapere la differenza per esempio tra liceo, istituto professionale, istituto tecnico.
Amer: Sì, ma non è come adesso. Adesso sono molti di più (sott.: gli indirizzi), prima no. Ma
ho chiesto così “Per me basta che mia figlia va a studiare” io non sapevo neanche quanti anni,
saranno cinque o saranno dieci. Per me basta che vanno avanti negli studi. Grazie alla
maestra, buonanima della maestra che mi ha spiegato. Mi ha detto al liceo ha più probabilità
di andare avanti, con l’altro è un po’ più… ci vanno quelli che studiano di meno, mi ha detto
così.
Int.: Ho capito. Lei pensava già all’università?
Amer: Mia figlia sì. Anche io spero vanno oltre l’università (gen. 3: Amer, padre di Safia [7],
Liceo α, Marocco).
Nel caso di forte squilibrio di status occupazionale dei genitori, laureati o laureandi al
paese e in presenza di entrambi i genitori e almeno una fonte di reddito relativamente
stabile, prevale l’idea dell’importanza dell’istruzione per recuperare posizioni sociali e
occupazionali, anche in caso di scarsità di risorse economiche familiari al momento della
scelta scolastica o orientamento verso il basso da parte della scuola media (v. brano di
intervista con Verim).
247
Int.: E poi ti ricordi che scuola ti avevano consigliato?
Verim: Sì. Mi avevano detto… meccanico, qualcosa del genere, mi avevano consigliato. Però
io non l’ho seguito.
Int.: Un corso di formazione?
Verim: Sì. Non volevo andare al meccanico, già di mio. Volevo proseguire con la cultura,
non volevo inserirmi subito nella pratica, mi dava fastidio.
Int.: Perché?
Verim: Non lo so, è un mio fatto personale. (0.02) Perché già mio padre, voleva che io
diventassi qualcosa di grande. O medico, o… l’aspirazione del padre e io, almeno
meccanico… non me la sentivo proprio. Così ho scelto scientifico (stud. 15: Verim, Liceo α
scientifico, 21 M, Albania).
I genitori intervistati, tuttavia, hanno tentato di considerare, oltre alle loro aspirazioni,
anche le attitudini allo studio dei figli, diverse ad esempio nel confronto tra fratelli.
Int.: Perché avevate scelto proprio quella scuola (sott.: professionale per sua figlia)?
Skordian: Perché per mia figlia era più leggera, era adatta per mia figlia. Perché c’aveva…
era più, più adatta. Non è che mi ha raccomandato qualcuno. Anche mio figlio gli piace la
scienza, anche se non è il primo a scuola, ce l’ha… la testa. Mio figlio è più profondo, mia
figlia guarda di più il Grande Fratello. Da cosa guarda alla TV si vede la testa. Ci siamo
informati dove poteva andare bene, qua. Perché liceo scientifico non ce la faceva mia figlia
(gen. 5: Skordian, padre di Verim [15], Liceo α, Albania).
In seguito le idee sulle differenze tra tipi di scuola si completano con l’esperienza diretta
dei migranti e la scelta effettuata assume contorni più chiari, come racconta Adolfina.
Int.: Un professionale è diverso come ambiente da un liceo?
Adolfina: Sì, io ho visto un giorno, senza… sì, non immaginavo che fosse così diverso. Però
un giorno per caso mi sono trovata vicino lì, ad un istituto professionale e uscivano tutti da
scuola […] io aspettavo il (sott.: pullman numero) 49 e a quell'ora erano le 11 e mezza, e in
quel momento uscivano presto alle 12 probabilmente, e non arrivava mai. Io stavo lì, e poi ho
visto che vengono i ragazzi e andavano in modo così, il loro quaderno lo mettevano qua nelle
tasche, non portavano neanche... per loro non era importante, a loro non interessava, mamma
mia ci sono rimasta, e ho pensato meno male (ride) (sott.: che le mie figlie frequentano il
liceo)! No no, perché sicuramente per loro era normale, però un ragazzo straniero anche se è
stato del suo paese, un ragazzo tranquillo, sereno, che studia, eccetera, con questi compagni
per forza, per forza cambia. Definitivamente cambia, è così (gen. 4: Adolfina, madre di Flor
[6], Liceo α, Perù).
L’atteggiamento più critico nei confronti dell’orientamento verso il basso degli insegnanti
è espresso dai genitori di classe medio-alta al paese, i quali comunque non lo leggono
come una forma di discriminazione dovuta all’origine nazionale. Piuttosto per Adolfina
un effetto negativo sarebbe esercitato dai pregiudizi dei datori di lavoro italiani, ai quali i
suoi connazionali spesso si rivolgono per chiedere consigli sulla scuola dei figli.
Io non so ma però direi una cosa: tutti i ragazzi devono avere l'opportunità di fare una buona
scuola superiore, perché io ricordo che alla scuola media c'erano delle insegnanti […] che li
indirizzavano, alle mamme dicevano “Signora, suo figlio non può pensare neanche di
metterlo in un istituto tecnico, deve andare in una scuola professionale. Perché in un istituto
tecnico non ce la farà. Un liceo non si parla neanche”. E le mamme accettavano questo.
Mamme italiane. Io non ho avuto di questi problemi, perché le mie figlie andavano molto
bene a scuola. […] E la grande maggioranza [degli studenti stranieri] perché vanno lì (sott.:
agli IP)? I datori di lavoro, sia di quelli che sia di quelle che fanno il lavoro domestico, sia di
quelli che vanno a lavorare in fabbrica, chiedono al proprio datore di lavoro un consiglio.
Chiedono al datore di lavoro che conoscono, pensano che gli darà il miglior consiglio, dicono
“No! Porta tuo figlio al professionale”. Non so per quale motivo gli danno questo consiglio,
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perché pensano che sono avidi di trovare un lavoro al più presto e il figlio deve lavorare al più
presto, o non lo so, gli danno questo motivo, però alla fine non è un buon consiglio. Perché
poi non che poi alla fine vanno a lavorare, molti si perdono, molti non so, per me distruggono
il proprio futuro. E poi io parlando con gli insegnanti che dicevano “Tu non devi andare qua,
devi andare di là”, sono loro che stanno decidendo il futuro del proprio... del ragazzo lì,
dell'allievo. Non è possibile. Anche un alunno peggiore che ha i voti più bassi ha diritto a
aspirare a… diciamo a fare la scuola più difficile, perché nel percorso della loro adolescenza
posso cambiare. Adesso non gli piace studiare, ma dopo gli può piacere e le capacità le ha,
ogni persona, ogni essere umano li ha. Per cui io non riuscivo a capire per quale motivo
indirizzavano in questo modo, perché facevano moltissimo danni, tanto danni (gen. 4:
Adolfina, madre di Flor [6], Liceo α, Perù).
Dal commento di Adolfina emerge tutta l’importanza che la madre conferisce
all’istruzione, e anche la sua convinzione che la riuscita scolastica sia alla portata di tutti.
La mia professoressa di matematica mi aveva detto di andare al [nome di un liceo scientifico],
perché lì c’erano tanti rumeni. E ho detto: “Ma perché devo andare lì solo perché ci sono tanti
rumeni?” E allora io mi sono incavolata e ho scelto un altro liceo scientifico. Sempre
comunque in zona, perché venivano anche le altre compagne, forse così. […] Sì, sì, ha detto
“Ci sono tanti rumeni e sarà più facile”. E io mi sono incavolata e non ci sono andata apposta
(sorride). […] Non so perché mi abbia detto questo, forse non aveva cattive intenzioni, cioè
non penso, però… non mi piaceva l’idea. E quindi… (stud. 9: Julieta, Liceo α scientifico, 20
F, Romania).
Anche se ci sono casi in cui, come per Julieta, si rilevano riferimenti espliciti all’origine
nazionale da parte degli insegnanti durante l’orientamento, e il ri-orientamentio, degli
studenti migranti, questi risultano solo una componente dei meccanismi per i quali lo
stesso processo, apparentemente neutrale, condiziona diversamente le famiglie migranti
rispetto a quelle native. Innanzitutto va sottolineata la differenza tra singoli istituti
scolastici: in quelli a alta incidenza di studenti migranti l’attenzione verso questo tipo di
utenza appare elevata.
Int.: Ti ricordi se i professori alle medie ti avevano dato qualche consiglio?
Flor: Non mi ricordo… però forse sì, mi avevano suggerito lo scientifico, solo che non
ricordo molto, mi ricordo che si concentravano di più sui ragazzi problematici e così. […]
Int.: Secondo te in questi processi di orientamento ci sono differenze tra ragazzi nati in Italia
o no, i professori ci pensano?
Flor: In questo senso dato che nella scuola dove sono andata io c’erano molti stranieri non
penso che facessero queste differenze, anzi li guardavano molto, facevamo tanti progetti
diciamo con gli stranieri, quindi non penso che ci siano state delle differenze (stud. 6: Flor,
Liceo α scientifico, 18 F, Perù).
Inoltre la conoscenza pregressa del sistema di istruzione da parte dei genitori è, come da
ipotesi, basata su poche informazioni. Mentre i genitori laureati nel paese di origine
hanno raccolto pareri e consigli da diversi attori istituzionali e informali, i figli dei
genitori non laureati da tempo in Italia hanno individuato la scuola con maggiore
autonomia, come raccontano Georgeta, Alexandru e Yin Mei. Per Arzan e Dimitri invece
le aspettative dei genitori hanno chiuso le opzioni ai licei, malgrado la riluttanza dei figli.
Arzan: Andavo abbastanza bene. Infatti mi avevano consigliato il liceo scientifico. Cioè io
all’inizio, cioè non avevo tanta voglia. Infatti anche adesso non ne ho tanta voglia, però.
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Int.: Ma chi è che te l’aveva consigliato?
Arzan: Eh, i professori. Perché eravamo andati in un posto dove facevi un test, e loro ti
dicevano più o meno dove potevi andare. E a me avevano detto di andare al liceo scientifico.
Però cioè anche a me all’inizio piaceva. Cioè tra liceo classico e… cioè già i miei volevano
che facessi un liceo, cioè non gli piaceva che facessi una scuola professionale, così.
Int.: Ma perché?
Arzan: Ma perché, non lo so. Cioè mia mamma già da piccolo cioè mi… ogni volta, non so,
gli altri facevano fino a pagina 20, io sapevo fino a pagina 50 già gli argomenti che…
Int.: Ti faceva studiare più del richiesto?
Arzan: Sì!
Int.: Perché?
Arzan: Non lo so, boh.
Int.: Ci teneva tanto alla scuola?
Arzan: Eh, sì, sì. Infatti anche oggi sempre “Studia, studia!” (sorride).
Int.: Ma perché?
Arzan: Penso per un futuro migliore anche per me. Perché senza scuola, senza studio, non
puoi fare più niente qua in Italia. Quindi… […]
Int.: Tu sapevi già che avresti fatto l’università dopo la scuola?
Arzan: Sinceramente volevo anche trovarmi un lavoro, che guadagnassi tanto, però boh, non
ero ancora, non sapevo…
Int.: Non sapevi quale?
Arzan: No, e tuttora non lo so. Cioè penso prima a finire, e poi vediamo.
Int.: E quindi anche quando pensavi al liceo sapevi già che era una scuola che ti permetteva
poi di trovare un lavoro migliore dopo?
Arzan: Sì, sì, io per quello ho scelto quella scuola […] ero già partito con l’idea che dopo il
liceo avrei fatto per forza l’università (stud. 14: Arzan, Liceo α scientifico, 20 M, Albania).
Per la famiglia di Dimitri le rappresentazioni basate sul sistema scolastico del paese di
origine hanno causato uno sfasamento tra gli orientamenti dello studente e della scuola da
un lato e le intenzioni dei genitori dall’altro. In questo caso dopo i fallimenti scolastici
iniziali, il nucleo familiare è riuscito a recuperare la relazione genitoriale e la fiducia nelle
possibilità di riuscita del figlio, lasciando a lui il compito di scegliere la nuova scuola da
frequentare, come da sue intenzioni iniziali.
Dimitri: Io volevo inizialmente l’IT Alfa. Poi i miei volevano che facessi latino. Ho detto “Va
bene faccio latino”.
Int.: Perché?
Dimitri: Perché non lo so… ° volevo un po’ accontentarli, però alla fine si sono sbagliati °
(stud. 19: Dimitri, IT α informatico, 21 M, Romania).
Nicoleta: No, noi abbiamo sbagliato quando ha finito le medie. Perché loro ci hanno detto
dove poteva andare e… dall’inizio hanno detto all’IT Alfa.
Int.: Loro dalla scuola?
Nicoleta: Sì. E in nostro paese un liceo tecnico, o tecnologico, è l’ultimo liceo. Non lo so se
mi ha capito. Finche abbiamo capito noi cos’è qua, ci è voluto, però poveretto ha sofferto lui.
Tre anni.
Valeriu: L’abbiamo portato al liceo Alfa.
Nicoleta: Tre licei abbiamo cambiati! Finche si è ripreso […]
Valeriu: Non devi raccontare mai delle bugie, perché non ti posso aiutare quando… se mi
racconti delle bugie, è tardi a aiutarti.
Nicoleta: Infatti lui ha capito. Ma non aveva paura, aveva vergogna. Non paura.
Valeriu: Ma no, con me non deve avere vergogna.
Nicoleta: Sì, vergogna, per quello. [...]
Int.: E quindi l’idea iniziale del liceo scientifico era perché pensavate che fosse una scuola
più… formativa? Cioè che…
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Nicoleta: Che si basava sulla matematica e sull’informatica. Invece abbiamo sbagliato perché
là c’era latino, che non serve a niente. Da noi era una materia opzionale (gen. 1: Nicoleta e
Valeriu, genitori di Dimitri [19], IT α, Romania).
Lo scientifico avrebbe permesso percorsi di studio lunghi e dunque maggiori opportunità
lavorative dopo la laurea anche nei casi, come quello di Hind, dove la scelta è avvenuta
“per esclusione” posticipando il riconoscimento del proprio settore di maggiore interesse.
Int.: E com’è che hai scelto questa scuola?
Hind: L’ho scelta per esclusione (sorride). Cioè io non riesco mai a scegliere nella mia vita,
quindi cioè che si fa? Si fa un professionale? No, perché poi è molto limitativo, cioè se io in
quinta, cioè arrivata in quinta, voglio andare all’università, non… no, cioè non mi conviene
un professionale, e poi è molto settoriale, per cui scegli una strada e ti perdi le altre. Così
come il tecnico, un… un po’ più, un po’ più… offre un po’ più conoscenze, più di tutto, però
comunque è sempre limitativo anche il tecnico. Rimane il liceo. Tra il liceo scientifico e
classico, ovvio, con tre, cioè con soli tre anni di italiano, non mi potevo permettere un
classico. Poi era pesante il greco, a me il greco fa paura. Anche il latino non mi piace, devo
dire. Allora cosa si fa, cosa non si fa? Rimane il liceo scientifico. Per esclusione! (sorride)
(stud. 16: Hind, Liceo α scientifico, 22 F, Marocco).
Altre ragioni più spicciole impiegate da studenti e genitori da tempo in Italia sono state la
raggiungibilità degli istituti scolastici con il trasporto pubblico, l’esperienza scolastica dei
fratelli e delle sorelle (Costela, Fadia). Aicha è stata aiutata dall’assistente sociale a
individuare la scuola più accogliente per i disabili.
b. Studenti e studentesse arrivati in Italia al termine delle secondarie di I grado
Per gli arrivati in terza media risulta primariamente importante il suggerimento dei
docenti di riferimento (v. Eduard).
Eduard: Lui (sott.: l’insegnante di sostegno che mi ha aiutato alle medie) mi ha trovato il
volantino per questa scuola… cioè mi ha consigliato di venire qua, all’IP Beta, perché mi
diceva “Vai a questa scuola, perché non è difficilissima” cioè è impegnativa, però non è il
massimo della durezza come scuola. E quindi ° io gli sono grato, perché è grazie a lui che
sono qua ° […].
Int.: E poi avevi scelto questa scuola per…
Eduard: Non tanto per il mestiere o per la facilità, non facilità, diciamo… non so perché l’ho
scelto, si per il lavoro va bene, perché io sto facendo sala, cameriere, come lavoro è pulito, sei
pulito, non fai magari cantiere o traslochi, questi lavori qua che fanno magari tanti miei
compaesani dove proprio si spaccano (0.02). E poi perché… il mio motivo principale è che
qua non ti devi impegnare tanto, dato che io avevo solo un anno da quando ero arrivato qua in
Italia, ho detto “Magari non è tanto impegnativo, e non devo stare sempre sui libri”. E sono
questi i motivi principalmente.
Int.: Quindi come persone di riferimento in questa scelta?
Eduard: Quel professore, la professoressa di italiano che ho avuto alle medie, e anche mia
madre. Che mi ha detto “Guarda che è un bel lavoro, sei pulito” anche a mia madre ha fatto
piacere. Anche mio padre perché ha lavorato in cantiere e mi ha detto “Evita”. E lo vedo che
è sempre stanco. Giustamente (stud. 43: Eduard, IP β sala bar, 20 M, Romania).
Nel caso di Ouail i genitori affidatari italiani l’hanno aiutato recuperare gli anni di
scolarità di base perduti a causa dell’emigrazione dall’Afghanistan, passando dal CTP a
un Centro di formazione professionale e quindi all’IP Alfa, con un indirizzo di studio che
favorisse la conclusione del percorso in istruzione e poi l’inclusione lavorativa.
251
Int.: Sullo studio (sott.: i tuoi genitori affidatari) ti hanno dato dei consigli?
Ouail: Sì. Io volevo fare il liceo linguistico. Loro mi hanno detto di no, perché dicevano che il
latino è molto difficile, e “Non puoi fare questo”. Poi io ho voluto fare… servizio turistico, i
primi due anni erano insieme, no? Dopo ho deciso di fare Operatore e Gestore delle Aziende.
Int.: E avevi chiesto informazioni… anche tramite i tuoi?
Ouail: Sì, tramite i miei insegnanti, mi hanno detto “Se tu facessi economia aziendale, avresti
la possibilità di lavorare sia nel settore turistico che aziendale. Hai doppia scelta, diciamo”.
Doppia possibilità (stud. 11: Ouail, IP α aziendale, 20 M, Afghanistan).
Gli istituti professionali sono indicati come il tipo di scuola in cui il successo è più
probabile, e rappresentati dai genitori migranti come un miglioramento rispetto alle
qualifiche che avevano conquistato in quanto primo migranti, in particolare l’alberghiero
risulta per il padre di Marina, come per i genitori di Bai, un possibile accesso a attività
autonome.
Int.: E cosa consigliavano quei test (sott.: di orientamento)?
Marina: Consigliavano una scuola professionale o tecnica, qualcosa… niente di liceo perché
non ce l’avrei fatta. Ci vanno anni e anni di scuola. Poi mio papà ha pensato bene di… io
volevo andare a psicologia, studiare psicologia in pratica. Però ha detto che non era possibile
mio padre.
Int.: Perché?
Marina: Eh, perché voleva che io prendessi una panetteria, venire in questa scuola. Sono
venuta qua… […]
Int.: Come ti era sembrato?
Marina: Mi era sembrato un mondo sai protetto, dove potevi esprimerti… e poi trovare un
lavoro perché… (0.03) ° per noi stranieri è sempre difficile trovare un lavoro… soprattutto…
oggigiorno ° (stud. 47: Marina, IP β arte bianca, 20 F, Macedonia).
Per i genitori di questo gruppo di migranti, tuttavia, le conoscenze del sistema scolastico
italiano sono molto ridotte e generalmente (a parte il caso di Marina) anche la loro
interferenza della scelta dello specifico indirizzo di studio (v. Sabina e Trisha).
Sabina: E allora poi dopo la terza media ho scelto questa scuola perché ho chiesto ai
professori e gli ho chiesto “Cosa potrei fare?” E loro mi hanno detto “Guarda, sei all’inizio, è
meglio se vai a fare l’alberghiero” e allora sono venuta qua. […] Non potevo andare in un
liceo scientifico, ero appena arrivata, da un anno, alcune cose non le sapevo. Allora sono
venuta qua. Però mi piace.
Int.: E tua mamma cosa diceva sulla scuola da scegliere?
Sabina: Ah, mia mamma quello che volevo, mi ha detto “Scegli quella che vuoi”. Mia madre
fa sempre così, non dice “Fai quello” o “Fai l’altro”, no. Fa scegliere. Perché alla fine deve
piacere a me, no?
Int.: Ma secondo te lei sapeva la differenza tra licei, istituti tecnici, istituti professionali?
Sabina: No, non penso. Non penso. Non penso (stud. 44: Sabina, IP β sala bar, 20 M,
Romania).
Io volevo fare un corso tipo… infermieristico o qualcosa del genere, e la mia insegnante mi
ha indirizzato qua, dicendomi che facendo la sociale, cioè il corso sociale ti porta poi a fare il
corso di… infermieristico perché ti dà le basi, queste cose. Allora ho scelto questo corso
tramite questa insegnante (stud. 30: Trisha, IP α sociale, 22 F, Filippine).
Int.: L’aveva aiutata lei a scegliere questo percorso di studio?
Maricel: Ah… no, non lo so, però proprio lei vuole studiare. E’ proprio… c’ha la forza, di
studiare e di fare tutto (gen. 6: Maricel, madre di Trisha [30], IP α, Filippine).
252
Per Karina, a differenza che per gli altri studenti arrivati in terza media, ha avuto grande
importanza lo squilibrio di status scolastico percepito in seguito all’emigrazione e il
desiderio di compiere una scelta scolastica basata sulle sue capacità, con
l’incoraggiamento dei docenti e delle compagne (in una scuola ad alta incidenza di
studenti migranti). I genitori, diplomati al paese e lavoratori manuali, nelle parole
dell’intervistata “non hanno interferito molto”, hanno appoggiato la sua scelta, che però è
stata prima di tutto personale.
Il liceo l’ho scelto io. Non sapevo se ce l’avrei fatta, sapevo che era una scuola abbastanza
difficile, a quanto ci raccontavano. Però… non, non volevo accettare l’idea di andare in una
scuola… facile solo perché ero straniera, solo perché avevo paura di non farcela. E io mi ero
proposta di farcela, era questo l’obiettivo, e sapevo che sarebbe stato difficile però… dovevo
farcela, e sono arrivata qua (sorride). […] Sì (sorride), è stata più che altro un… una… una
specie di lotta psicologia al mio interno che… era difficile accettare… non volevo sentirmi
inferiore. E… anche se… lo ero, nel senso che ero più svantaggiata di altri, ma… non ° ho
mai voluto accettare che una scuola meno difficile fosse per me ° (stud. 8: Karina, Liceo α
scientifico, 20 F, Romania).
c. Studenti e studentesse arrivate in Italia durante le secondarie di II grado
Le intenzioni delle famiglie di questo gruppo con più risorse culturali e una buona
posizione sociale sono state innanzitutto evitare ulteriore ritardo scolastico scegliendo la
scuola che consentisse un inserimento nella classe scolastica il più possibile
corrispondente all’età e poi permettere ai figli di continuare il percorso disciplinare
avevano iniziato al paese. Nel caso di Lorena il marito della madre, laureato italiano, ha
partecipato attivamente alla scelta scolastica. Tuttavia nella scelta dell’indirizzo ha
contato anche il legame affettivo con un compagno di classe.
Mi hanno sempre detto “Hai già difficoltà con le lingue, se ti metti a fare un classico, uno
scientifico, un areonautico che comunque sono già materie più difficili, sono altri
linguaggi…” io… siamo andati in parecchie scuole. A Rivoli ci sono diverse scuole, lì vicino
al castello. E lì subito mi prendevano in prima. E mia madre, il marito di mia madre ha detto
“No, proviamo in altre scuole”. Siamo andati in un professionale a Rivoli, abbiamo detto
“Boh proviamo”. C’era un’altra scuola adesso non mi ricordo, un po’ lontano, han detto che
mi prendevano in prima. E qua… questa scuola è molto accogliente, per questo. Mi piace il
Liceo Alfa perché appena sono arrivata, la professoressa [nome], la vicepreside, subito
disponibile… ha capito, cioè a 18 anni, in prima, è difficile. Perché… i primini comunque
sono… giocano, scherzano… [...] Allora io sono arrivata in seconda. E subito dopo la
seconda scattava la terza, cioè dovevamo dividerci: cioè chi voleva fare il sociale, chi voleva
fare il turistico, chi l’aziendale. Io ero fidanzata, io mi sono fidanzata in seconda. Con un
ragazzo che sta ancora insieme nella mia classe. Però ci siamo subito lasciati, cioè siamo stati
insieme sei mesi. Ci siamo influenzati tutti e due. […] Poi siccome avevo già fatto due anni di
Economia e Commercio, era un peccato perderli, allora ho continuato e va beh ne ho fatti sei
(stud. 10: Lorena, IP α aziendale, 22 F, Cuba).
I genitori di Fernando applicano al contesto italiano la visione degli istituti tecnici
sviluppata nella regione di origine; nella consapevolezza che la cornice normativa può
modificare il contenuto curricolare trattato a scuola, hanno accompagnato il figlio nella
253
scelta scolastica, anche se, come mostra la sua narrazione della ricerca dell’istituto da
frequentare, dati gli obiettivi di qualità scolastica prefissati con la famiglia, Fernando ha
saputo documentarsi approfonditamente da solo, sfruttando le opportunità orientative
fornite istituzionalmente dal contesto locale.
Angel: En (in) Argentina c’era una legge d’educazione del 1884, ma te dico che la verità è
che ha dato la scuola tecnica che era l’orgoglio nazionale. Ben fatto.
Consuelo: No, no, il livello educativo era buono.
Angel: La stessa legge che ha permesso la grande emigrazione soprattutto dall’Italia e
Spagna, no?
Int.: E quindi formava persone che avevano spazio sul mercato del lavoro?
Consuelo: Col lavoro ma col livello de cultura media importante.
Angel: Quando noi parliamo di scuola tecnica non parliamo solo di un gruppo di formazione
professionale, ma come un liceo scientifico, con una formazione di lavorare importantissima,
ma quella scuola alla fine l’hanno distrutta con una legge che ha fatto meno, nel 2001, che si
chiama legge federale dell’educazione, che andava a rimpiazzare quella del 1884, ma in tutte
les ventidue province dell’Argentina (sott.: la legge del 2001) è andata avanti eccetto la
provincia de noi che abbiamo opposto e avevamo ancora (sott.: quella scuola tecnica) (gen.
11: Angel e Consuelo, genitori di Fernando [33], IT α, Argentina).
Int.: E quindi sei venuto subito in questa scuola qua, in Italia?
Fernando: Sì, sì, sì. Perché… beh sinceramente in Argentina non potevo scegliere,
praticamente avevo solo o umanistico o contabile. Poi sono venuto qua e ho visto che c’era
pure un libro! Con 250 opzioni! (ride) Non sapevo nemmeno cosa… scegliere. Alla fine boh,
mi piacevano i computer e ho deciso di venire qua e… è andata bene.
Int.: Quindi avevi scelto per le materie? Avevi visto le materie che c’erano matematica,
informatica, queste cose qua?
Fernando: Sì, sì, sì, mi era piaciuta l’idea e poi… ero andato in altri due o tre istituti qui a
Torino che facevano informatica, quello che mi aveva convinto di più era questo, boh, come
organizzazione e anche come struttura. [...] Ero andato con i miei in Comune, o in un ufficio
del genere, e mi avevano dato da scegliere… […] Abbiamo fatto un po’ da soli. Ma come ti
dicevo all’inizio, ci sono tutte le opportunità, è solo questione di cercare un po’, di informarsi,
poi il resto si fa da solo. […] Una volta che ho visto sul libro le scuole di informatica, ho
iniziato a cercare anche un po’ su internet, per vedere le foto, avere informazioni, orari…
Int.: Quindi avevi cercato tu? O tua mamma…
Fernando: Eh… soprattutto avevo tantissimo tempo libero, mentre i miei lavoravano tutto il
giorno, io potevo girare un po’ Torino (sorride). Così. Poi una volta che ho scelto alcune
scuole mi ha accompagnato anche mio padre per andarle a vedere, andare un po’ a vedere
cosa succedeva (stud. 33: Fernando, IT α informatico, 19 M, Argentina).
Zuna riporta le sue strategie di reperire informazioni sulla scuola prima dell’arrivo del
figlio come tentativi di coniugare gli interessi disciplinari di Koffi con le esigenze del
mercato del lavoro di riferimento, nel suo caso quello del paese di origine. La datrice di
lavoro fornisce le indicazioni iniziali, che poi Zuna amplia rivolgendosi direttamente a
scuola.
Prima di portarlo qua io gli ho chiesto e lui mi ha detto che prima deve fare le iscrizioni no? E
lui mi ha detto che lui può fare elettronico e poi ho chiesto alla signora dove lavoro e lei mi
ha detto “Ah, l’IT Alfa è una buona scuola e allora vai a chiedere lì” e poi sono andato un
giorno per chiedere lì e mi hanno detto che loro fanno proprio elettronica, elettrotecnica e
allora ho parlato con lui (sott.: Koffi) e mi ha detto che va bene lo stesso e ho fatto
l’iscrizioni. […] Io non sapevo niente delle scuole qua, è la signora che mi ha detto di andare
all’IT Alfa e lei ha anche un figlio che ha fatto l’istituto tecnico e ha in Veneto una grande
fabbrica e gira tutto il mondo, il figlio della signora. Lei mi ha detto l’istituto tecnico Alfa è
una buona scuola, e la figlia ha una amica che ha insegnato l’italiano, io non lo sapevo eh,
254
prima di andare. […] Anche da noi ci sono tanti tanti diplomati, del liceo diciamo, ci sono
quelli che studiano non lo so economia, lingua, ci sono tanti! Sai all’università di Abjian ci
sono tanti diplomati così, allora sul mercato di lavoro lì non è che è facile trovare un lavoro.
Invece uno con lo studio che ha fatto mio figlio sì, può, ha più probabilità di trovare subito un
lavoro che uno che ha fatto economia, o non lo so, lingue, capito? (gen. 7: Zuna, madre di
Koffi [35], IT α, Costa d'Avorio).
Le traiettorie familiari segnate da instabilità con genitori non laureati al paese rendono i
percorsi di individuazione della scuola più confusi soprattutto per gli studenti arrivati in
corso d’anno durante le superiori. Le ragioni della scelta della scuola professionale sono
innanzitutto linguistiche, unite alla consapevolezza che questa filiera vocazionale in Italia
non preclude l’istruzione terziaria. Quando i genitori hanno maturato maggiore anzianità
migratoria, tuttavia, si appoggiano ai legami sociali in Italia per trovare il percorso
scolastico più adeguato. Come spiega Adia, la scuola è stata trovata dalla madre prima del
suo arrivo in Italia, con i consigli di una amica italiana e le rassicurazioni del personale
scolastico sulle possibilità di iscriversi all’università.
Lei (sott.: mia madre) mi ha detto “Visto che non sai parlare bene, per adesso incominciamo
con un istituto professionale, magari dopo ti trasferisci da qualche parte”… e poi io ho detto
“Resto qua”… perché in Romania da un istituto professionale non si può andare
all’università, e qua invece si può. Era… di più per la lingua, perché non sapevo proprio
parlare, mi ha detto che avrei avuto delle difficoltà… visto che al liceo si studia di più, dico
io, no? C’è una differenza, lei mi ha detto “Per il primo anno vieni qua così impari, e poi ti
trasferisci”. Ma poi io ho detto “Rimango qua” perché tanto… [...] Ma parlavamo sempre al
telefono (sott.: con mia madre), quindi io non capivo neanche… perché lei mi diceva: “Sai ho
visto questo, dopo puoi fare anche infermieristica, se ti piace tanto”, ma io mica capivo tanto
perché sempre a metà mi parlava, quindi anche per il telefono non avevamo tanto… anche
perché non capiva tanto nemmeno lei, anche tramite un’amica ci aveva spiegato un po’ come
funzionano, e lei aveva detto “Magari all’inizio può essere meglio andare in un istituto
professionale”. […] E poi la vicepreside le aveva detto che da questa scuola tu puoi andare a
qualsiasi università, cioè ci sono delle materie che… io ad esempio, ci sono delle materie
che… io l’ho letto un po’ così, almeno, ci sono varie scelte dalle materie che faccio io ad
andare al… all’università (stud. 1: Adia, Ipα sociale, 19 F, Romania).
Anche per Jessica e Adelka la scuola è stata trovata dalla madre prima del
ricongiungimento, con lo scopo di proseguire l’indirizzo socio-psico-pedagogico seguito
al paese. Gli intervistati neo arrivati e i loro genitori hanno consultato la rete di
connazionali di riferimento, piuttosto che le istituzioni
Mentre Yin Mei e Bai, da più tempo in Italia e senza più difficoltà con la seconda lingua,
aveva trovato la scuola secondaria in autonomia, Xixi, arrivata nel corso delle superiori,
ha invece seguito i consigli di una mediatrice culturale incontrata al CTP.
Specie quando l’iscrizione avviene dopo l’arrivo in Italia, nel caso di genitori non laureati
e percorsi discendenti di inserimento sociale in Italia, il tempo dedicato alla selezione è
stato breve e la scuola non propriamente “scelta”, ma piuttosto individuata in base alla
vicinanza rispetto all’abitazione, anche se non in maniera del tutto casuale, come racconta
255
Zëdlir, il quale ad esempio si confronta con la sorella e scarta le scuole serali. Anche
Bogdan, che voleva seguire un percorso di studi informatico come i compagni rimasti in
Romania, non sapeva nulla sull’offerta formativa dell’IT Alfa, scelto dai genitori per lui
perché vicino a casa.
Zëdlir: Sono arrivato qui a metà della seconda superiore. E quindi cioè mi hanno chiesto, però
non è che avevo alcune… cioè pensavo di continuare al liceo, come tutti, no? Cioè normale.
Quindi, niente, mia sorella si è… cioè ha, abbiamo avuto dei contatti, e c’era una scuola
vicino a casa, solo che ° mi sa che quella era solo serale ° (voce imbarazzata). [...] Quindi l’IT
Alfa è stato ° scelto perché era vicino a casa, cioè non sapevano °…
Int.: Cioè non sapevano che era una scuola con una buona reputazione?
Zëdlir: No, non sapevano. ° Solo perché era vicino a casa ° (voce imbarazzata) […] Io
quando sono venuto ero più attratto dal fare l’architetto, pensavo di fare l’università. Però
poi… con il tempo ho cambiato idea, e ho detto “Provo con informatica” che lo trovavo
interessante, e i miei hanno detto “Se ti piace fallo” e mi sono iscritto a informatica.
Int.: Anche perché è una scuola che poi non ti obbliga a fare l’università? Per quello non al
liceo?
Zëdlir: Eh, perché poi devi andarci per forza. [...]
Int.: Quindi non sapevi che questa scuola ha una reputazione buona?
Zëdlir: Cioè all’inizio no, però poi, cioè conoscendo italiani, oppure anche persone dell’età di
mio padre, no? Gli chiedono dove vado, dice “All’IT Alfa” e fanno “Ah, è una buona scuola”
cioè si sono anche un po’ stupiti, “Ah! Vai all’IT Alfa, bravo! Anche io l’avevo fatto” perché
ci sono persone che l’hanno già fatto. Cioè quando ho detto che vado all’IT Alfa ° mi fanno
sempre i complimenti °. Allora ho capito che… poi non so le altre scuole. Un mio amico che
l’hanno bocciato in terza e l’anno scorso l’ha passato per un pelo, poi adesso è andato al
[nome di un altro IT] e lì dice che va bene, cioè prende sempre sette, otto. Diciamo che è un
po’… ° dura, l’IT Alfa °.
In questi casi una scelta più consapevole, guardando all’utilità delle materie trattate in
funzione delle aspirazioni post diploma, avviene dopo, tra gli indirizzi scolastici
disponibili all’interno dell’istituto scelto. Nel frattempo le informazioni sulla scuola
frequentata si arricchiscono. L’IT Alfa è rappresentato come una scuola difficile e valida,
forse, secondo i racconti sullo stupore dei conoscenti del padre, una scuola “per italiani”,
che però non “obbliga” all’istruzione terziaria per trovare lavoro. In questa
configurazione i genitori appaiono defilati e generalmente concordi, e non ci sono
riorientamenti stati posteriori.
d. Riorientamenti tra carenze informative, difficoltà di riuscita scolastica e
interazione con i pari e i docenti
Ha cambiato scuola secondaria di II grado un numero consistente di studenti intervistati
(11 su 56, due ai licei, quattro agli IT e cinque agli IP). I riorientamenti indicano quasi
sempre perdita di anni scolastici, anche perché di solito, come per i ragazzi nativi, sono
conseguenti a ripetenze.
Sono stato bocciato in seconda, e mia mamma aveva sentito, diceva la scuola qua era molto…
famosa, era molto selettiva anche, e quindi voleva che mi impegnassi di più, e quindi in
seconda mi hanno trasferito qua (stud. 38: Diego, IT α elettrotecnico, 21 M, Perù).
256
In tutti gli altri casi, tranne che per Diego, il tentativo è stato trovare una scuola meno
esigente. Come abbiamo visto con i dati sugli studenti nativi e migranti nelle scuole
superiori del Piemonte (capitolo 3), in effetti, i cambi di scuola tendono a dirigere
soprattutto gli studenti di origine “straniera” verso l’istruzione tecnica e professionale.
Anche il riorientamento, come il ritardo scolastico, è dipendente in parte dall’arrivo
dall’estero, laddove le carenti informazioni sul sistema scolastico delle famiglie hanno
portato a scelte scolastiche poco ponderate, come nel caso di Gaby.
Gaby: Diciamo che io non sapevo niente di come funzionasse la scuola qua in Italia,
neanche… ma manco i miei. Loro sapevano solo che per andare all’università bisognava fare
il liceo, che era l’unica possibilità, cioè per avere le basi, per andare all’università. Ho fatto la
terza media, poi sono andato al liceo scientifico.
Int.: E comunque in questi passaggi hai avuto consigli dai professori, o dai tuoi, o dai tuoi
amici? […]
Gaby: No, attraverso alcuni consigli dei professori, che mi dicevano: “Guarda questa scuola
ha una struttura… bella e poi è accogliente”. Solo da quello. Perché i miei non sapevano
niente di ‘ste cose no? Di come funzionasse la scuola. E quindi anche in terza media non è
che sapessi parlare bene italiano. E quindi non è che avessi fatto tante amicizie con i
compagni. E quindi… (stud. 32: Gaby, IT α liceo tecnologico, 22 M, Perù).
I genitori maggiormente coinvolti nella scelta dopo la terza media, ad esempio quelli di
Dimitri, di cui abbiamo riportato il racconto in precedenza, sono spiazzati dai
riorientamenti, specie se avvengono dopo bocciature, e li vivono come se fossero una
prova della loro incompetenza nell’orientare i figli verso i percorsi più soddisfacenti. In
questi casi la reazione sembra essere quella di lasciare più autonomia al figlio, fatto che si
traduce in un aumento dell’influenza sui suoi percorsi in istruzione da parte del personale
scolastico.
Diverso è il vissuto degli studenti migranti arrivati da bambini e poi orientati soprattutto
dai legami amicali, come Gloria: per loro, una minoranza nel campione, il cambio di
scuola non sembra stato segnato dalla traiettoria migratoria familiare, anche se il
desiderio di “seguire gli amici” di questi studenti è stato motivato anche dal timore di
provare di nuovo il senso di solitudine dovuto alla recisione delle relazioni con i
compagni di classe in seguito all’emigrazione.
Carolina ha preferito un istituto professionale invece del liceo per i suggerimenti degli
insegnanti, i quali avevano sottolineato la necessità di dedicarsi maggiormente allo studio
per rimanere in un percorso liceale. Per Saloua e Verim, invece, oltre alle difficoltà di
performance scolastica, è risultato difficile gestire la “diversità” percepita nel gruppo dei
pari e dai docenti nei licei del centro città scelti dopo la terza media, a causa della
composizione sociale degli utenti mediamente elevata e di origine strettamente locale.
257
Int.: Perché avete pensato di cambiare scuola?
Skordian: Lui ha voluto. Lui ha voluto cambiare, lui ha voluto. “Non mi sento più qua, non
mi piace più”. Ha bocciato in modo non giusto, hanno fatto un po’ la vigliaccheria. Io
conoscevo la nostra responsabilità, non avere una esperienza… ma c’erano troppe famiglie
piemontesi, eliminiamo qualcosa che è un po’ diverso, e il diverso era mio figlio e questo suo
amico (sott.: di origine calabrese). Ma tu non devi lasciare occasioni a un professore di
bocciarti. Se sei bravo non possono bocciarti. Basta cambiare ambiente, è lo stesso liceo
scientifico, uguale, ha trovato posto e subject… simili a questa qua (gen. 5: Skordian, padre
di Verim [15], Liceo α, Albania).
Saloua: Era un ambiente un po’ così, molto freddo, anche tra i miei compagni. Non… anche
perché portato il velo, anche questo… io ho messo il velo quando avevo 11 anni. Con i miei
compagni delle medie non ho avuto nessun tipo di problema. Anzi, erano… se vedevano che
mi usciva non so la ciocca di capelli mi dicevano “Copriti, Saloua!” erano proprio
tenerissimi! (sorride) E… è stato un ambiente molto aperto. Qui invece è stato molto diverso,
poi erano tutti ragazzi di collina, quindi hanno… un loro… hanno un loro modo di vivere, che
io non frequentavo. Non avevo… lo stesso stile di vita. Ad esempio uscire già la sera, mentre
io ero… si può dire sono una ragazzina. […] Fino alla terza superiore sono sempre stata in
casa, in famiglia, molto… cioè abbastanza norm… cioè protetta nel mio guscio familiare, e
sono cresciuta così. Sono arrivata al liceo scientifico, e avevo legato solo con la mia
compagna di banco, che anche lei era abbastanza… aveva il mio stesso stile di… papà,
mamma, fratelli, parenti, questo genere… poi gli amici… quelli dell’infanzia, che son
cresciuti con te e poi magari ogni tanto si esce e ci si vede. E poi per il resto… così, e non era
una classe che ti aiutava molto, era molto fredda, c’erano molti contrasti. [...] I miei compagni
di classe…cioè erano proprio… “Affari tuoi”. Cioè non è che… non lo dicevano, ma alla fine
il messaggio era quello: “Non è un problema mio”. Cioè se hai contro quella di matematica, ti
prendi ripetizioni, ti prendi il resto… forse perché era una prima, il primo anno è sempre
qualcosa di nuovo, di difficile e tutto il resto.
Int.: C’era qualcuno che veniva dalla scuola media da dove venivi tu?
Saloua: No.
Int.: Dove andavi?
Saloua: [Nome della scuola] nella mia zona, tra corso Salerno e via Ciriè (zone periferiche e
popolari, ndr). È sempre stata molto familiare, vicino a casa, queste cose qui, e invece lì mi
sono vista… qui, che avevo cambiato casa, tutto il resto, ho iniziato a frequentare questa
nuova scuola. E i miei compagni sì, mi calcolavano ma da una parte anche un po’ mi
evitavano. Tutto così, era strano…
Int.: Ti facevano anche battute per il velo?
Saloua: Mah, un po’ mi hanno temuto, poi era uno stile abbastanza normale il mio, e invece
loro erano già con i loro pantaloni firmati, la loro borsetta firmata, il loro giro del sabato sera,
queste cose qui… io che poi ero molto semplice, e loro invece avevano già queste cose qui,
questo e quello, i trucchi… io non è che non accettassi, ma non ero entrata in questo mondo.
Poi non mi hanno mai proposto… non mi hanno mai detto qualcosa del genere. Erano molto
contenti della loro situazione social… cioè della loro situazione. Poi il fatto della
professoressa di matematica, che poi alla fine eravamo una classe… cioè quelli che andavano
bene, e quelli che andavano male, però non c’è mai stata una cosa del tipo “Dai, ti do una
mano”. [Invece al liceo Alfa] sono andata in una classe fantastica! Anche con i professori…
molti mi dicono “Eh, sei andata via dallo scientifico e adesso ti trovi bene perché è molto più
semplice”. Non è molto più semplice! È molto… più umano. Cioè i professori… ci sono i
professori… quello va a fortuna, ma è molto più umano, ad esempio con i miei compagni di
classe c’è molto il fatto che se tu non riesci in una cosa, se tu vai male in matematica, se tu
non hai capito una cosa, ci si aiuta subito! (stud. 37: Saloua, Liceo α socio-psico-pedagogico,
20 F, Tunisia).
La delusione di Saloua per la sua prima esperienza scolastica al liceo è anche dovuta
all’ostilità mostrata nei suoi confronti dall’insegnante di matematica, la quale, per le sue
esternazioni esplicite sul velo islamico portato dall’allieva, era stata ripresa ufficialmente
dalla dirigenza scolastica. Per il padre Karim e la moglie, il ruolo degli insegnanti
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dovrebbe essere fondamentale per garantire scelte meritocratiche in istruzione, e in Italia
andrebbe rinforzato.
Karim: Allora, io dico personalmente. Le scelte sono sempre basate sulla scuola. Alle medie
si riconosce l’intelligenza e da quel momento lì parte la distinzione, si convocano i genitori,
“Questo qua, è bene inserirlo in questo mondo per questo e questo, per determinati motivi”.
Poi ci sono questi ballottaggi per questi ragazzi che possono essere in una scuola o in
un’altra. E lì drasticamente la scuola, parlo io di gente che è responsabile del nostro paese!
Perché questo lo portano determinate politiche! Perché io devo dire la verità. Abbiamo
professori, maestri, che non sono qualificati. Perché alcuni sono per gli studenti e altri sono
pagliacci! INAMMISSIBILE! I maestri devono badare a venti alunni, a tutti ugualmente! Poi
dipende dalla struttura scolastica, perché non dico che deve essere come nel nostro mondo
dove si doveva bacchettare sulle mani… ora c’è il telefono azzurro e non si può. Ma il
mercato della droga, chi è in quel mercato lì? Che distrugge la vita? I giovani… perché la
scuola si è allontanata da certi criteri. Deve [educare di] più gli studenti. L’alunno è il futuro
uomo dello stato, deve essere un benessere per il paese. [Poi negli scambi e nei confronti
internazionali tra studenti] dà prestigio all’Italia. La scuola deve cambiare rotta. Dal primo
giorno di scuola si deve guardare al mercato del lavoro. E è una strada raggiungibile in tutti i
momenti, basta che noi adulti lo vogliamo, noi adulti e noi insegnanti. La Gelmini è criticata
ma a volte dice cose giuste, devono esserci anche i meriti tra i docenti. Perché io dico sempre,
se la classe è così, cinque riusciti e bocciati dieci, allora è il professore, è lui che ha fallito,
non dico tutto ma un bel 50% è suo, i professori e i maestri hanno una grande responsabilità
per quel bambino di diventare un buon lavoratore per quel paese… prima ce l’ha il genitore, e
poi l’insegnante.
Asmaa: Anche serve più rispetto per l’insegnante.
Karim: Adesso l’Italia è diventata come l’America, no? Vedi tutte le provenienze. Allora devi
anche essere un paese verso l’integrazione di queste civiltà, anche noi siamo in questo paese,
quindi accogliere perché se sono qua, sono italiano! (gen. 8: Karim e Asmaa, genitori di
Saloua [37], Liceo α, Tunisia).
In particolare risultano molto influenti i consigli orientativi dei docenti della prima scuola
frequentata, e la presenza di amici tra gli studenti, nell’incoraggiare o scoraggiare la
prosecuzione di percorsi scolastici lunghi in istituti scolastici in cui i migranti sono ancora
una minoranza. Mirko, che nonostante le difficoltà iniziali al liceo Beta non cambia
scuola, racconta in modo eloquente che il padre, per aiutarlo a integrarsi nel liceo
frequentato in prevalenza da studenti di status benestante, gli avrebbe regalato un
motorino, in modo da non arrivare a scuola usando i mezzi pubblici.
Int.: Tu perché hai fatto il liceo scientifico?
Mirko: Allora, vicino a dove abitavo prima c’era il liceo Alfa. Perché abitavo a un paio di
isolati da lì quindi volevo andare lì perché era vicino a casa, poi sapevo già da qualcuno con
cui avevo stretto amicizia perché avevamo fatto le olimpiadi di matematica, […] nei campetti
a giocare a basket e conoscevo dei ragazzi di quarta e di quinta del liceo Alfa e avevo detto
“Vado lì così conosco almeno qualcuno”. Mentre qui non conoscevo proprio nessuno. Ho
detto davo a fare un liceo perché non volevo fare un istituto. Perché cioè i prof mi avevano
detto “Hai dei buoni risultati, anche se non sono veri, sappilo, perché avrai alcuni problemi in
certe materie, però comunque ti consigliamo un liceo perché comunque le capacità le hai”. E
scientifico perché è già tanto che sapevo l’italiano quindi non buttiamoci anche nel latino e
nel greco, cose che non hai mai toccato, perché di solito iniziano già dalla seconda a fare
preparazione di latino o di greco, cose che io non ho mai fatto alle medie. E mi hanno detto
“Per forza scientifico”. E quindi ero indeciso tra liceo Alfa, o liceo Beta, perché non ce n’è
altri vicino a qui […]. Avevo scelto il liceo Beta, perché mio padre aveva parlato con il suo
datore di lavoro della concessionaria, e il datore di lavoro aveva detto “Guarda, parla con mio
figlio che aveva 25 anni forse e lui non aveva fatto il liceo Beta ma molti suoi amici hanno
fatto il liceo beta” e quindi mio padre si era già un po’ convinto che era un ambiente un po’
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più… perché è la verità, perché ° rispetto ad altre scuole qua è a un altro livello, nel senso che
ci sono tanti ragazzi della collina (zona abitata da benestanti, ndr) e tutto quanto °. E
all’inizio ho detto a mio padre “Guarda che non voglio andare con i figli di papà” io
abituato… lì in… cioè tra marocchini e cose che… cioè mi chiedevano “Vuoi delle scarpe
taroccate?” questo qui era proprio un altro ambiente. E avevo paura di non ambientarmi bene.
Infatti ho detto “Non voglio andare lì perché ci sono solo figli di papà”. Poi infatti sono
venuto a presentare la domanda… perché lui mi aveva detto, cioè… ° con una scusa mi aveva
detto “Guarda se vai al liceo Beta ti compro lo scooter, perché è lontano e ci vada in scooter”
e io già… sentendo questo mi ha convinto un po’ di più. E adesso penso che ha fatto bene a
dirmi così, perché poi al liceo Alfa ci vanno… poi non so, però […] conosco una ragazza che
veniva qua e poi è andata al liceo Alfa perché qui l’hanno bocciata, e ha detto che là il livello
è molto più facile. Poi dipende dalla classe, però anche a prescindere dalle altre scuole qua
sono contento, perché sono entrato in contatto con gente… di cui mi fido, ho amici veri e
cose così, quindi sono molto contento di essere venuto qua. E la prima volta che sono venuto
a presentare la domanda, sono venuto con mio padre, mi ha accompagnato, e ho visto tutti i
ragazzi con le macchine fuori, con lo stereo acceso, che facevano vedere l’impianto audio
nuovo, e gli ho detto “Cavolo, qui mi fanno paura”… però già avendo lo scooter… che poi è
una stupidaggine, perché non è che sono tutti così. Però magari ci sono quei tre o quattro
ragazzi in classe che sono proprio… li vedi anche da come si vestono… però non è neanche
colpa loro che i genitori hanno fatto certe scelte di lavoro e hanno i soldi per poterselo
permettere. Però poi ci sono anche ragazzi che vengono in pullman, non è che… prima
pensavo che fossero tutti così, tutti abitano in collina, tutti vengono in moto, però era solo…
la mia paura di venire in un ambiente tutto nuovo e cose così. Però mi sono trovato bene
(stud. 49: Mirko, Liceo β scientifico, 19 M, Romania).
Le differenze di status tra gli studenti migranti e gli utenti non sempre sono colte e
percepite anche dai genitori come una possibile difficoltà dei figli a integrarsi a scuola,
come ammette Elionor, alla quale queste difficoltà risultano chiare solo dopo che la figlia
ha cambiato scuola. Dalle sue parole, come da quelle di Marina citate nel corso di questo
capitolo, traspare la definizione delle “seconde generazioni” come giovani ancora
“stranieri” nel mercato del lavoro italiano, e dunque particolarmente esposti alle difficoltà
occupazionali, rispetto alle quali il diploma di scuola secondaria, specie se
professionalizzante verso settori con ampia domanda di lavoro anche non altamente
qualificato, appare una forma di tutela.
Int.: Perché dice che sua figlia ha patito di più?
Elionor: Allora, lei ha scelto la scuola perché nel sociale c’è più lavoro. Lei voleva fare il
turistico, ma cosa vai nel turismo? Sei anche straniera, puoi fare infermiera, che hanno
bisogno tanto, o l’assistente sociale, l’educatore professionale, nel settore sociale cercano
tanto, hanno bisogno tanto. E allora ha studiato a Savigliano (cittadina in provincia di Cuneo,
ndr), e allora li vedevo, andavano anche ben vestiti, anche le mamme fuori da scuola, e così
poi non si è trovata bene, ed è andata a Torino, e poi più stranieri, e vestiti anche normale,
anche come genitore ho notato quello, anche io, io eh? Prima a Savigliano non lo notavo,
invece a Torino anche all’uscita da scuola, con gli altri genitori, le altre mamme… ho visto
che ero più trattata… alla pari. Mi sono resa conto. Invece a Savigliano no, i genitori
andavano più per le sue, io non ci facevo caso, andavo e venivo solo per quello che dovevo
fare e non guardavo, non lo notavo… ma poi andando a Torino, ho capito. Perché (sott.: a
Savigliano) erano piemontesi, sai… Invece a Torino c’è tutta una mischia, no? Erano più
abituati ad avere stranieri, e mi sono trovata a mio agio, e ho detto “Adesso ho capito mia
figlia”. Anche se all’inizio andare a Torino, è una città grande… avevo paura, ma poi ho detto
> io sono crescita a Lima… < ° non mi sono drogata °… perché sai che in città c’è anche
questo mondo, ci sono più cose, ma è anche giusto conoscere che ci sono queste cose. E così
si è trovata bene, ha finito le superiori… (gen. 12: Elionor, madre di Pilar [39], IP α, Perù).
260
e. Cautele di lettura degli effetti delle ristrutturazione familiari
La maggiore presenza di famiglie monogenitoriali tra gli iscritti all’istruzione
professionale, anche in caso di buona riuscita scolastica pregressa dei figli, può indicare
scelte scolastiche segnate dalla prudenza, ma non necessariamente al ribasso e non
necessariamente dovute a minore sostegno scolastico ricevuto dalle madri sole. Piuttosto
l’incertezza sulla continuità delle risorse economiche e relazionali familiari, e la
consapevolezza che lo stesso progetto migratorio possa essere messo in discussione,
hanno portato questi studenti a individuare percorsi formativi di breve o medio raggio, in
modo da conseguire rapidamente titoli di studio da sfruttare nel mercato del lavoro in
caso di necessità, ma anche da poter prolungare fino all’istruzione terziaria al verificarsi
di condizioni favorevoli, imprevedibili al momento della scelta scolastica.
Suzana: Guarda a me sinceramente hanno consigliato liceo scientifico o linguistico. Dalle
medie sono uscita con ottimo quindi… (sorride). Solo che ho avuto una informazione di
orientamento molto… scarsa. E… siamo state un po’ allo sbaraglio così, poi mia mamma e io
non conoscevamo come funzionano le cose tanto, perché è un po’ diverso al mio paese e
allora per esempio certe materie come chimica e fisica che qua non si fanno, noi non lo
sapevamo, e abbiamo scelto un po’ così alla cieca, da quello che si sentiva dire in giro dalla
gente, dal poco di orientamento che è stato fatto, poi un po’ per le amicizie, perché magari
c’era il fratello di qualcuno che aveva detto “Ma sì, vai lì…” e poi comunque non è una
scuola scarsa, voglio dire, ti offre comunque una preparazione abbastanza solida, > ° certo
non si compara con un liceo ° <, però è di… ti inizia anche un po’ al mondo del lavoro, sai
con il tirocinio e queste cose qua, quello è il bello, poi ha alcune materie come diritto, come
igiene, come psicologia, che non ci sono in altre scuole e magari ti sono utili anche nella vita,
quindi…
Int.: Ti ricordi se avevi fatto quel test di orientamento al computer? Suzana: Sì, mi aveva
indirizzato sempre verso materie scientifiche, non mi ricordo esattamente perché adesso sono
passati tanti anni, però era qualcosa del genere. Ecco io lo trovo una cosa utile quel test, per
chi non ha le idee tanto chiare ad esempio, così può scegliere.
Int.: E poi avevi sentito altre persone, ne avevi parlato con tua mamma o familiari?
Suzana: Sì, sai cos’è? È che quando tu senti tecnico dei servizi sociali pensi che sarà mai!
Sarà una cosa che comunque si cerca, poi con tutte le problematiche che ci sono oggi, poi, i
servizi sociali hanno anche un ruolo piuttosto importante, e ho detto va beh sarà un settore
che si cerca. Poi quando io ho scelto questa scuola mi sono posta il problema: ok, con un
liceo tra cinque anni ho un diploma ma non ho delle certezze, con questa scuola ho delle
certezze, e magari vado anche all’università, dopo che penso comunque di andare
all’università, però era come se avessi già una garanzia facendo ‘sta scuola. E invece anche
questo diploma oggi… non vale quasi più niente. Perché ormai è così. Cioè ormai ti chiedono
quasi da tutte le parti una laurea per un lavoro un po’ più diciamo solido e anche più sicuro, e
boh… ormai è così.
Int.: Quindi tu sapevi che avresti comunque potuto fare l’università?
Suzana: Sì, certo, ma io sono sempre stata indirizzata a fare l’università, questa motivazione
ce l’ho sempre avuta. Int.: E poi avevi scelto questo indirizzo sociale anche pensando a una
possibile professione dopo?
Suzana: Sì, e poi io ho una passione per l’ambito della sanità. E sapendo che si fa sai igiene,
psicologia, tutte quelle materie che sapevo mi sarebbero state utili in seguito ho deciso per
questo indirizzo. È così che l’ho scelto.
Int.: Ho capito. E tua madre era d’accordo o ti aveva dato degli altri consigli?
Suzana: Ma lei avrebbe preferito un liceo, solo che le ho spiegato le mie paure, nel senso
della sicurezza, che non si sa mai come vanno le cose, nel senso chissà dove saremo tra
cinque anni? Insomma facciamo le cose con calma, tanto poi si può andare lo stesso
all’università e al massimo… boh ce la farò in qualche modo. Solo che lei non sapeva che
261
non si faceva fisica e chimica. Cioè da noi si fa sempre, in ogni scuola che tu vada c’è
sempre, già a partire dalla prima media, allora lei era rimasta molto scioccata quando ha
scoperto sta cosa, è venuta a scuola e ha chiesto “Ma come mai? Ma si farà nei laboratori?”
qua e là… e avevano detto un tempo che l’avrebbero organizzati ma non hanno mai… forse
adesso in prima hanno iniziato a fare qualcosa, con le nuove riforme e queste robe qua. […]
Int.: E non hai mai pensato di passare allo scientifico?
Suzana: L’ho pensato, ma non sapevo che fosse possibile! E l’ho saputo quando ero già in
terza. E allora sai che non si fanno più (sott.: i passaggi), si fanno solo fino alla seconda. E
ero alla fine della terza, e ho detto: quarta e quinta, no, ma sì, facciamo così, poi al massimo
mi aggiusto da sola, in qualche modo, con dei corsi che magari ci sono (stud. 40: Suzana, IP
α sociale, 19 F, Romania).
Anche se l’istituto professionale formalmente permette l’accesso all’università, spiega
Suzana, l’offerta formativa risulta meno ricca rispetto alle attese (attese costruite sulla
base dei curricula di scuola secondaria nel paese di origine e delle poche informazioni
ricevute in Italia), e svantaggiosa per il superamento dei test di ingresso delle Facoltà a
numero chiuso, inoltre negli ultimi anni la studentessa percepisce una svalutazione delle
credenziali educative di livello secondario superiore nel mercato del lavoro. Le scelte di
Suzana si fanno sempre più irreversibili, e lei rimane “intrappolata” nel circuito formativo
scelto al termine della scuola media.
Viceversa le nuove unioni con italiani hanno allargato le informazioni disponibili sugli
indirizzi e i tipi di insegnamento secondario e veicolato rappresentazioni più ricche dei
diversi istituti scolastici della zona di riferimento, compresi anche i pregiudizi e gli
stereotipi sulla reputazione dei diversi istituti diffusi tra gli italiani, inoltre hanno
conferito sicurezza sulla continuità delle risorse familiari nel lungo periodo in caso di
eventuali ritardi scolastici e riorientamenti. In genere queste condizioni hanno “spinto
verso l’alto”, malgrado non in tutti i casi le risorse “aggiuntive” rispetto alle altre famiglie
migranti siano state accolte dagli studenti.
Int.: La famiglia del ragazzo di tua mamma ti aveva detto “Fai questo, fai quest’altro”?
Lorian: No, no, neanche loro, è quasi stata un qualcosa di segreto no, la scuola scelta. Gli
ultimi giorni in terza che avevo finito l’esame e tutto, sono andato da loro e mi hanno chiesto
“Allora, che scuola hai scelto?”. “L’alberghiero”. Lei (sott.: la madre del fidanzato) ha
spalancato gli occhi della serie “Che stai dicendo?” invece il nonno, il signore, si era messo a
ridere, però io capivo, era comunque quella risata della serie “Son contento”, no?
Int.: Perché avevano fatto quelle facce?
Lorian: No, lei aveva fatto quella faccia, non so ancora dirti il motivo però mi è sembrata
alquanto schifata, della serie è una scuola… lei che voleva che facessi una scuola tipo… un
istituto tecnico oppure qualcosa di veramente eccezionale, no? Elettronica o qualcosa del
genere. Sì, mi vedeva come se fossi suo figlio, perché suo figlio aveva fatto elettrotecnica o
sempre una cosa del genere. Voleva che magari volessi fare un’altra cosa. Però le scelte le
prendo io, mica gli altri (stud. 48: Lorian, IP β sala bar, 20 M, Romania).
Int.: Perché tua mamma non era d’accordo (sott.: con la tua intenzione di iscriverti a un IT)?
Rocio: Perché diceva che non era una scuola molto bella, lei non vedeva, non vede tuttora,
dopo la scuola qualcosa di diverso dall’università. Io non ci voglio andare, le ho fatto pure un
bigliettone grosso con scritto “Io non ci vado all’università!”. […]
262
Int.: E il marito di tua mamma, avevate chiesto anche a lui per sapere come funzionava la
scuola
italiana?
Rocio: Sì, sì, sì. Lui all’inizio non era tanto d’accordo. Poi io gli ho spiegato che: uno volevo
approfondire la mia passione per le foto; due non c’erano tante materie che non mi piacevano
alle medie, tipo latino, geografia… poi lui ha capito il mio motivo e ha detto “Forse hai
ragione te, vediamo, se ti trovi bene, se no cambiamo e ne troviamo una adatta a te”, e mi son
trovata bene […] Poi mi era piaciuto molto quello che facevano: cinema, fotografia editoriale,
laboratori tre ore al giorno… Peccato che non facciamo le cose che ci hanno fatto vedere…
perché questa scuola ha due indirizzi, il [indiritto IT] e il [indiritto IP], noi siamo andati a
vedere il [indirizzo IP] che è più professionale, non sapevo le differenze.
Int.: Ma neanche il marito di tua madre?
Rocio: Il marito di mia madre mi ha spiegato la differenza tra istituto professionale e tecnico
in generale, ma in questo caso specifico neanche lui lo sapeva, e io ho detto “Va bene
facciamo l’IT” (stud. 55: Rocio, IT β grafico, 21 F, Ecuador).
Le famiglie migranti in cui sono presenti entrambi i genitori, o un genitore e il
compagno/a, migrante, partecipano in misura diversa all’individuazione della scuola
superiore, a seconda innanzitutto dalla scolarità dei genitori nel paese di origine,
indipendentemente dalla posizione occupazionale in Italia. Per i genitori laureati, la
riuscita a scuola dei figli risulta una cartina al tornasole per valutare la riuscita del
progetto migratorio.
Int.: Beh, adesso sarà anche una soddisfazione perché iniziate a vedere i primi frutti (sott.:
della decisione di partire).
Consuelo: Sì, sì, sì.
Angel: Guardate come sono messi i ragazzi a scuola: si sono adattati perfettamente.
Consuelo: Sì, sì, sì (gen. 11: Angel e Consuelo, genitori di Fernando [33], IT α, Argentina).
Noi siamo qua per la scuola. Se i nostri figli non vanno all’università, noi siamo uomini
falliti. Siamo proprio falliti. E infatti ci siamo più studenti albanesi che italiani… (gen. 5:
Skordian, padre di Verim [15], Liceo α, Albania).
Per gli altri, invece, l’istruzione non è un indicatore di successo in sé, ma piuttosto uno
dei modi di favorire l’inclusione occupazionale futura. In questo senso conseguire il
diploma, anche tecnico o professionale, è già un buon traguardo. Malgrado non sempre i
genitori migranti non laureati sappiano consigliare con precisione l’indirizzo o istituto da
favorire, essi propendono per sottolineare l’importanza dell’istruzione per trovare un
lavoro migliore di quello che stanno svolgendo loro. Tuttavia, proprio per il loro
collocarsi “in basso” nella stratificazione occupazionale e sociale italiana, dal loro punto
di vista anche un percorso professionalizzante che conduca a incarichi non altamente
qualificati può significare mobilità occupazionale.
263
6.3. L’esperienza scolastica nel secondo ciclo di istruzione
Nell’esame dei racconti sul percorso degli studenti intervistati nelle scuole superiori in
Italia bisogna tener conto di quanto emerso dai capitoli 3 e 4 sui processi di selezione
scolastica precedenti al termine delle secondarie: l’eterogeneità delle esperienze dei
ragazzi e delle ragazze migranti che arrivano in quinta è ridotta dai diversi fenomeni della
dispersione scolastica (o della mancata iscrizione) particolarmente incisivi per i giovani
con background di immigrazione. Gli intervistati sono consapevoli dell’elevato tasso di
abbandono scolastico che ha caratterizzato le traiettorie dei coetanei migranti, soprattutto
agli istituti professionali, e anche del fatto che i compagni che hanno affrontato maggiori
difficoltà dovute al processo migratorio e alla carenza di risorse familiari sono quelli che
più spesso sono caduti fuori dal circuito dell’istruzione formale.
È tuttavia interessante segnalare alcuni aspetti per i quali la traiettoria migratoria familiare
ha continuato a influenzare riuscita e benessere a scuola anche degli studenti giunti al
termine del percorso secondario, non necessariamente come ostacolo all’ottenimento di
buone performance: (a) il sostegno della famiglia allo studio; (b) l’impegno
extrascolastico nei “lavoretti”; (c) l’interazione in classe tra pari e con gli insegnanti e i
legami amicali degli studenti.
a. Il sostegno allo studio
Il supporto dei genitori allo studio comprende un insieme di attività che includono, oltre
all’accompagnamento alle scelte scolastiche, di cui abbiamo parlato nel precedente
paragrafo, l’aiuto nello studio individuale a casa, l’apporto di formazione extrascolastica,
di recupero oppure in aggiunta rispetto a quella offerta a scuola, ma anche una attenzione
e enfasi più generale all’istruzione come dimensione importante in cui investire.
Il sostegno specifico allo studio disciplinare per i figli di genitori con alto capitale
culturale è stato ridotto dallo spostamento all’estero per effetto della mancata trasferibilità
delle competenze dei genitori.
Int.: Qui eri più autonomo anche sullo studio, per organizzarti, informarti sulle cose da fare,
mentre là potevi confrontarsi anche con tuo padre?
Koffi: Eh, sì!
Int.: Perché conosceva anche la scuola, mentre qua… di meno?
Koffi: Eh… son da solo! (stud. 35: Koffi, IT α elettrotecnico, 20 M, Costa d'Avorio).
Lì praticamente si inizia già con informatica, qui invece ci sono i primi due anni, il biennio,
che diciamo mi sono serviti per imparare la lingua, perché in tre anni in questo istituto non
avevo mai messo… mano a studiare su un libro, soprattutto di matematica, sì, diciamo di
264
scienze, di italiano, sì, ci voleva, però materie come matematica, fisica, chimica soprattutto, le
avevo già studiate (stud. 26: Costela, IT α informatico, 20 F, Romania).
Malgrado tra gli arrivati durante le secondarie c’è stato anche qualcuno, come Costela o
Lorena, facilitato dal percorso scolastico pregresso, laddove i contenuti trattati in Italia
erano già stati affrontati con anticipo al paese di origine, la maggior parte degli studenti
denuncia la necessità di studiare più ore al giorno rispetto a quanto faceva usando la
propria lingua madre120. Sarebbe interessante approfondire questo aspetto, emerso dalle
interviste come una sorta di “onda lunga” degli effetti del processo dell’acquisizione della
lingua seconda sulla riuscita scolastica negli anni successivi.
Tuttavia solo dieci intervistati su 56 (tre ai licei, quattro agli IT e tre agli IP) hanno
usufruito nel corso delle secondarie di lezioni di recupero private. La risorsa delle
“ripetizioni” non è stata utilizzata dalle famiglie migranti soprattutto per ragioni
economiche e perché i fallimenti scolastici dipenderebbero secondo gli studenti
intervistati da “mancanza di studio” (questo anche nei casi di evidenti difficoltà
linguistiche in L2, ad esempio per le studentesse cinesi). Due studenti ricevono sostegno
allo studio presso una associazione educativa, a prezzi popolari (una tessera di iscrizione
per tutto l’anno scolastico). Tutti gli altri studenti che hanno conseguito insufficienze in
alcune materie usufruiscono esclusivamente dei corsi di recupero organizzati dalla scuola.
Anche per questa ragione la riduzione dei finanziamenti al sistema educativo pubblico
italiano è guardato con grande preoccupazione dagli studenti migranti e dai loro genitori.
Int.: E per esempio sull’istruzione?
Marina: Dei cambiamenti? Che hanno fatto °° di merda °°. Cambiamenti che ha fatto la
Gelmini. Allora è giusto che ha tolto delle cose che non servivano a niente, quello sì. Però
togliere delle ore, aggiungere delle ore, dove… diciamo nei professionali io dico che non si
studia abbastanza, è una scuola dove non si studia abbastanza. Però non dipende dalla
Gelmini, o dalla legge, ma dipende sempre dai professori, dalla volontà, perché se io voglio
spiegarti tutto il libro, in un anno ce la farò a spiegarti tutto il libro. Se ci sono dei professori
che arrivano un’ora dopo, poi mezz’ora vanno a fumare questo e quest’altro, dici è giusto che
la Gelmini in un certo senso li punisce. Però certe cose sono state sbagliate. Sono togliere
delle scuole come la nostra, l’Arte bianca, che c’erano degli iscritti… cioè il mercato del
lavoro chiedeva delle persone il più delle volte… pasticceri. E se tu me li togli. Hanno tolto
proprio la scuola, non ci sono più le prime da noi. Non ci sono più! L’Arte bianca. E poi non
dare più soldi alle scuole, vedendo che le strutture sono vecchie e cose varie, è anche lì c’è
sempre stata una strutturazione da parte dei dirigenti della scuola. ° Certe cose… vedi che è
stato fatto e non fatto… io l’anno scorso ero lì121… °.
Int.: Vedevi?
Marina: Vedevo un po’ di schifezze.
Int.: Però i tagli sono stati programmati a livello ministeriale.
Marina: Sì, sì, in certi posti va bene che li taglino, eh? Erano inutili. Usati male… cioè ti dico
° certe cose che mi sono vista l’anno scorso presentare, che dici mah! Questa cosa sarebbe da
denunciare. E dici è giusto. Però ci sono delle scuole che hanno bisogno e è giusto che siano
120
Aspetto che sembra confermato dai dati Erica-WP3 sui percorsi degli studenti nativi e migranti in
Piemonte, nonostante i limiti metodologici che naturalmente caratterizzano le autodichiarazioni.
121
In qualità di rappresentante degli studenti e di istituto.
265
aiutate. È stata troppo dispersiva. […] Ad esempio è tanto limitato i giorni di assenza. Se uno
ne aveva bisogno sono troppo pochi. Per i professori tanti tagli di posti di lavoro. L’hanno
fatta brutta brutta. Cioè non è stata fatta bene.
Int.: Poteva essere una occasione per…
Marina: …per migliorare alcuni aspetti. Ma non tutto. Cioè non puoi rivoluzionare una scuola
subito e togliere tutti i posti di lavoro che sono stati tolti in questi anni. Perché avendo una
crisi, togliere posti di lavoro da una scuola dove il personale, cioè un professore forse
manteneva una famiglia, metti ancora più in crisi tutta la società, non solo quelle persone,
tutta la società (stud. 47: Marina, IP β arte bianca, 20 F, Macedonia).
Int.: E invece il sistema scolastico come lo vedete?
Miranda: Ma io lì dove è mio figlio, lo vedo bene. Però sai con tutti questi scioperi, come…
[…] mi sono informata anche io, questi sono dei tagli che non vanno bene, non sono tanto
giusti… però… non possiamo fare niente. Basta che si studia! Perché ci sono tanti che hanno
il cervello ma non studiano, non si impegnano (gen. 2: Miranda, madre di Gratian [28], IT
α, Romania).
Int.: Come ti è sembrata la prima impressione, anche rispetto a come era organizzata la scuola
che frequentavi prima, era come te l’aspettavi?
Costela: No, perché… va beh adesso la scuola, un po’ la vedo male dappertutto perché… […]
anche lì hanno fatto delle riforme e allora… sta andando sempre più giù la scuola.
Int.: Mmh. E anche qua la vedi andare peggio per le riforme?
Costela: Sì, anche qua. Perché sempre più gente si iscrive alla scuole private, e lasciano
stare… per esempio io conosco delle persone dove ho fatto la babysitter qualche anno fa, che
hanno iscritto il figlio maggiore a una scuola privata, ° che sarebbe qua in centro da qualche
parte non me lo ricordo °, l’altro figlio lo iscriveranno sempre a una scuola privata. Perché
non si fidano, secondo me rimarranno solo le persone che non hanno proprio… le possibilità
finanziarie. È molto… tagliano i finanziamenti alla scuola pubblica quindi… andrà sempre
peggio, non si preoccuperanno… diciamo, delle scuole pubbliche.
Int.: La vedi come una cosa negativa questa?
Costela: Sì, perché non tutti avranno la possibilità di avere un’istruzione buona, questo
privilegio della scuola… la scuola non sarà uguale dappertutto. Diciamo che stiamo facendo
dei passi un po’ indietro secondo me (stud. 26: Costela, IT α informatico, 20 F, Romania).
I corsi extrascolastici presso strutture formative private coinvolgono più studenti migranti
che le ripetizioni: 23 sul totale degli intervistati (quattro al liceo, nove agli IT, dieci agli
IP), in due casi si tratta di allenamenti sportivi di livello agonistico e negli altri corsi di
lingue seconde, soprattutto certificati di inglese, e corsi di informatica, in particolare per
conseguire il certificato ECDL. L’investimento educativo in lingue terze, diverse da
quella italiana e da quella di origine, può essere visto come un aspetto di ulteriore
accrescimento delle competenze linguistiche da impiegare nel mercato del lavoro
internazionale di cui godono i giovani migranti.
Infine la storia migratoria familiare influenza più in generale le attitudini nei confronti
dell’impegno nello studio, in una interazione reciproca tra effetti della riuscita scolastica
sulle dinamiche psico-sociali intergenerazionali e viceversa, come spiega Nina.
Nina: La storia della famiglia conta moltissimo, le generalizzazioni sono difficili. Mi viene da
dire dove la famiglia riesce a mantenere legami positivi, un lavoro che non deve essere un
lavoro buono, ma anche un po’ più semplice, che non richiede molti titoli, ad esempio ci sono
molte mamme che fanno le badanti. Ma dove la famiglia ha delle relazioni positive, allora
anche i figli riescono a… […] Per esempio famiglie con il papà che non c’è, la mamma che è
arrivata tanti anni dopo, i figli ricongiunti che sono arrivati dopo sette anni, il papà che nel
266
frattempo ha cambiato lavoro, cioè… Tutte queste situazioni di disgregazione familiare
sicuramente sono difficili da assorbire e quindi i figli tante volte arrivano in una situazione
molto fragile, molto precaria, e quindi poi hanno anche delle difficoltà a scuola, perché la
scuola secondo me amplifica il benessere o il malessere dei ragazzi, è così per gli italiani, è
così per gli stranieri. Se ci sono delle situazioni di malessere la scuola le amplifica. Io penso
ad esempio al ragazzo marocchino che ti dicevo prima che qua a scuola da solo, è un ragazzo
che ha una famiglia molto unita, che sente spesso, è un ragazzo che si intuisce che ha avuto
un rapporto buonissimo con i genitori, ne parla, fa vedere le foto, parla spesso di sua mamma,
è una famiglia che ha una piccola attività in Marocco, quindi classe media che è molto
difficile da trovare, e lui ne parla molto bene, e lui ha dentro di sé le basi, delle basi anche di
sicurezza, per essere qui da solo. Ci sono altri ragazzi che sono arrivati dopo la madre, la
madre è arrivata qui da sola, poi dopo con il papà si sono separati, poi dopo cinque anni è
arrivato il figlio, allora quando è arrivato il figlio. In questi casi qui la scuola riflette tutta la
disorganizzazione della famiglia. […] Io penso che riunirsi qui dopo molti anni di
separazione significhi qualcosa nella loro capacità di adattamento. Perché dove c’è una
famiglia, anche se dopo magari fa un lavoro utile però è riuscita a conservare dei legami
positivi allora i ragazzi hanno anche un tipo di tranquillità domestica che magari consente
anche un tipo di tranquillità (sott.: personale) che permette di investire anche di più nella
scuola (test. qual. 4: Nina, psicologa presso associazione educativa).
Oltre agli aspetti più strettamente psicologici relativi al senso di sicurezza di sé e al senso
di autoefficacia, coinvolti nei processi di ricomposizione familiare nello spazio
transnazionale, la motivazione allo studio è collegata anche a elementi più sociologici
relativi alla rappresentazione del ruolo dell’istruzione nei progetti di mobilità sociale
familiare. Abbiamo visto che l’istruzione secondaria, anche tecnica o professionale, è
considerata un modo per garantire condizioni occupazionali più sicure rispetto a quelle
svolte dai genitori. Per le famiglie migranti inoltre la buona riuscita nella scuola
secondaria dei figli è ritenuta un banco di prova per verificare se il percorso di
inserimento collettivo in Italia ha avuto successo122. Nel campione come abbiamo detto le
ricomposizioni familiari hanno dato esito alla definizione di relazioni generalmente
distese tra genitori e figli, ma si coglie traccia delle discussioni avvenute sull’impegno a
scuola, dati gli sforzi dei genitori per garantire alla famiglia un tenore di vita
soddisfacente in Italia. Gli esiti di questi conflitti, quando nel corso delle secondarie le
aspettative dei genitori si sono dimensionate alle opportunità dei figli, sono divenuti uno
stimolo all’apprendimento efficace. Questi aspetti, uniti alla tensione verso l’evitamento
di ulteriore ritardo scolastico (e alla rarefazione della rete amicale in seguito
all’emigrazione), hanno motivato al successo scolastico, come racconta Bogdan.
122
Come abbiamo detto per i figli di laureati questa attenzione si estende anche all’istruzione terziaria,
mentre per gli altri l’orizzonte di riferimento si colloca a livelli di istruzione inferiori. Il titolo di studio
sembra comunque per tutti un modo per accedere a occupazioni più qualificate, a differenza che da quanto
emerge all’esame, compiuto nell’ambito del progetto SECONDGEN, dei percorsi di inserimento dei
giovani dell’immigrazione interna a Torino negli anni Sessanta e Settanta, per i quali non era l’istruzione,
ma piuttosto direttamente il lavoro (e la costituzione di nuovi nuclei familiari, specie per le donne) il canale
primario di inclusione sociale. In quel periodo storico, tuttavia, il sistema produttivo era ancora
marcatamente industriale, con caratteri di prevedibilità e sequenzialità delle carriere occupazionali (e
biografiche) oggi non più presenti.
267
Int.: Non hai mai perso anni o…
Bogdan: Beh, veramente ho iniziato a studiare qua in Italia. Perché lì… anche perché mi
stavo trovando abbastanza bene, anche con la mia lingua… qua… visto che non avevo tanti
amici, tante… mi interessava solo studiare. Anche perché questa scuola non ti dà altre scelte,
cioè o studi o studi.
Int.: È impegnativa?
Bogdan: Sì, se tu vuoi fare un bel percorso sì, è impegnativa. Se tu vuoi fare l’ultimo della
classe, puoi anche studiare di meno. Però… questo non è stata la mia scelta, essere l’ultimo
della classe, diciamo.
Int.: Adesso sei soddisfatto?
Bogdan: Soddisfatto al 100% no, però diciamo che l’80% di quello che volevo fare lo sono
riuscito a raggiungere. […]
Int.: Però non perdere nemmeno un anno…
Bogdan: No! Se perdevo un anno mi sparavo! […] Perché… vedo questa cosa di perdere gli
anni come una cosa regressiva, per una persona. Cioè tu perdi praticamente un anno, non è
cosa da poco, perdi un anno della tua vita. Va beh che impari, non è che perdi proprio un
anno, però… logicamente…
Int.: Non volevi.
Bogdan: No, no. Mio padre mi diceva “Guarda, adesso che sei arrivato qua, se perdi un anno,
non fa niente”. E io “O… no, no, no, stai tranquillo” (gesto che non voleva).
b. L’impegno extrascolastico nei “lavoretti”
Se la formazione extrascolastica può essere considerata “tempo aggiunto” dalle dotazioni
familiari, per acquisire competenze riconosciute e spendibili nel percorso di istruzione
successivo e nel mercato del lavoro locale e internazionale, i “lavoretti” possono essere
considerati “tempo sottratto” allo studio e all’istruzione formale.
Per le studentesse, e in misura minore per gli studenti con fratelli minori e genitori con
orari di lavoro lunghi, il tempo libero è caratterizzato dall’impegno in lavori di cura e
domestici non pagati all’interno delle famiglie migranti. Questo aspetto, tuttavia, nei casi
considerati sembra avere compromesso la riuscita scolastica.
Nel caso di lavoretti pagati, invece, si è trattato quasi esclusivamente di mansioni in
settori dequalificati e informali (traslocatori, muratori, tuttofare dei servizi alla persona o
della ristorazione). I “lavoretti” si sono svolti quasi sempre nei fine settimana, la sera o
durante le vacanze estive. Tuttavia in due casi (Lorian e Ionel) gli studenti hanno lavorato
a tempo pieno durante il periodo scolastico, per necessità economiche familiari,
interrompendo anche la frequenza alle lezioni per lunghi periodi.
Int.: Cosa fai nel tuo tempo libero?
Ionel: Beh, nel tempo libero (sorride) ne ho poco. (sorride) Ne ho poco. Cioè, lo dedico alla
grafica, principalmente…
Int.: Hai fatto qualche stages? Tirocinio?
Ionel: No, cioè, no, perché io… Allora le spiego. La mia situazione economica… familiare…
fino a poco tempo fa, ° non era delle migliori, e quindi io… in prima superiore ho cominciato
a lavorare °. […] Ho fatto… ° il manovale ° il primo anno. (0.02) E il secondo anno ho fatto
il fruttivendolo […]. E poi, sempre lo stesso anno ho iniziato a fare il traslochista (voce rotta).
Quindi ero proprio > un ragazzino < … in mezzo agli uomini.
Int.: Altro che fare sport…
Ionel: Sì… Eh… sì, ho tirato per tre anni, anche durante la scuola.
268
Int.: E quando lo facevi, nel pomeriggio?
Ionel: No, no.
Int.: Sabato e domenica?
Ionel: No, no. Eh, il traslochista non è che…
Int.: Saltavi la scuola?
Ionel: Eh, sì, saltavo molto spesso…però…
Int.: Come facevi ad avere questi voti alti, se saltavi?
Ionel: Eh, sì, diciamo che… il mio metodo di studio comunque è un po’ particolare perché…
mi piace studiare la sera. E mi viene, cioè sono più rilassato, tranquillo e ° al pomeriggio non
so ° sono influenzato un po’ dall’ambiente familiare: tutti che parlano…° una cosa e l’altra e
mi distraggo molto facilmente ° Il mattino invece…
Int.: Preferisci svegliarti presto?
Ionel: Sì, sì, mi alzo alle quattro o alle cinque e ° leggo una volta ° ma, boh… e vado a
scuola.
Int.: Ti alzavi prima?
Ionel: Sì…e … quindi…boh, cioè io ero sul punto di rinunciare, di ritirarmi da scuola (voce
rotta). […] Cioè, ho presentato anche alla mia insegnante la mia situazione. Le ho detto: “ Le
cose stan così: io devo lavorare, non ce la facciamo a tirare avanti”. E quindi loro hanno
capito. E poi ho avuto anche i miei compagni che sono stati molto disponibili a passarmi gli
appunti in classe e tutto quanto… e… alle verifiche cercavo di venire, regolarmente, di
presentarmi. ° Anche se… tre volte alla settimana, più o meno, non c’ero a scuola. E quindi…
°. ° Le assenze accumulate erano molte °. Però per fortuna non c’era la legge Gelmini che
faceva bocciare per le assenze (ride) perché altrimenti sarei rimasto senza niente, sarei
rimasto bocciato senz’altro (ride). E quindi… boh, mi sono venuti tutti incontro da questo
punto di vista. Ho fatto tre anni… Sì, ho fatto tre anni il traslochista.
Int.: Poi pensando… sei andato a Grenoble (sott.: per una borsa di studio vinta in base al
merito) anche quell’anno?
Ionel: Sì, e…lì ° ho sospeso il lavoro °, cioè… > non potevo fare altrimenti < (sorride), anche
se io ho lavorato con due ditte [e] ° poi quando sono tornato aveva trovato un sostituto ° e
quindi… ° son rimasto al lavoro con una sola ditta ° (con voce triste)… però aveva un sacco
di lavoro… ° Lavoravo dalle… dalle dieci… son riuscito a fare anche sedici ore di lavoro al
giorno. A diciassette anni. Quindi tornavo a casa che ero… Cioè, dormivo… (ride) (stud. 52:
Ionel, IT β grafico, 20 M, Romania).
La continuazione degli studi è stata possibile in questi casi grazie all’impegno degli
studenti e alla discrezionalità dei docenti nell’applicare il regolamento sul numero
massimo di ore di assenza consentite durante un anno scolastico.
Per i migranti l’incertezza finanziaria familiare è acuita dal fatto che l’informalità
caratterizza anche i lavori dei genitori, assumendo caratteri più vicini a una sorta di
underclass che alla classe operaia urbana dei nativi, più protetta dai servizi previdenziali e
di assistenza sociale, in Italia categoriali. Da questo punto di vista va sottolineato che le
famiglie incluse nel campione, dopo l’omologazione verso il basso esperita in seguito
all’ingresso in Italia, erano riuscite, nel periodo durante il quale i figli hanno frequentato
le scuole superiori, a raggiungere stabilità economica e sicurezza della regolarità del
proprio soggiorno123. Dal 2009 e soprattutto 2011, tuttavia, la crisi economica
internazionale e la ristrutturazione economica che ha coinvolto anche i settori dell’edilizia
e metalmeccanico piemontesi hanno spinto fuori dal mercato del lavoro i padri con
123
Va considerato che gran parte del campione è costituito da migranti di origine romena, entrati
nell’Unione europea in seguito all’allargamento.
269
contratti di lavoro più fragili oppure impiegati in imprese più provate dalla congiuntura.
Se la scelta della scuola secondaria quindi era avvenuta in condizioni di relativa stabilità,
accompagnata dall’accensione di mutui per la prima casa in Italia e dall’acquisto di beni
come l’automobile, gli ultimi due anni delle scuole secondarie sono stati faticosi per
diverse famiglie, e l’idea di tornare al paese dei genitori si è ricondotta per molti a subito
dopo il diploma dei figli. Come vedremo questi aspetti condizioneranno le aspettative di
istruzione terziaria.
Ad esclusione di Ionel e Lorian, tuttavia, per gli altri i lavoretti non sembrano aver
compromesso l’impegno a scuola, ma piuttosto, per gli iscritti all’istruzione professionale
sembrano aver contribuito a chiarire le prospettive lavorative post-diploma (e a decidere
di continuare a studiare anche dopo la qualifica). Sono stati letti come occasioni di
affrancarsi dalla dipendenza economica dai genitori almeno per le proprie spese private
ludico-espressive, smettendo di pesare con queste spese sui bilanci familiari. L’impiego
del denaro guadagnato ha consentito agli studenti più autonomia nelle scelte di acquisto,
in modo da avvicinarle agli stili di vita espressi dai compagni di scuola italiani, pur nella
disapprovazione dei genitori.
Stefan: Ha lavorato anche con me, in una vacanza, tre anni fa, quando lavorano ancora a
Bosco. E è venuto con me, ha lavorato quasi un mese. Quei lavori pesanti che li faceva
Bosco. E poi ho detto “Gratian, lascia perdere, sei in vacanza, domani ti lavori un po’, non ti
faccio venire a lavorare”. Si alzava prima, aveva paura che lo lasciavo a casa, si alzava prima,
si vestiva prima, e aspettava.
Miranda: E poi sai cosa ha fatto con i soldi? Mi ha detto “Mamma…”
Stefan: Si è comprato l’I-phone.
Miranda: Era il 2007, all’inizio, valevano un sacco di euro…
Stefan: Cinquecento euro! (ride).
Miranda: Ma sai perché? Mi ha detto: “Mamma, io so che questo cellulare, è dai miei soldi, il
primo mio stipendio. Perché è così mamma, io so che prendo poco per volta, poco per volta, e
così li finisco. Invece così so che ho questo cellulare”. E gli ho detto “Ma davvero tieni tanto
a questo cellulare?” Ma ce l’ha ancora adesso, è buono, non è… gli ho detto malamente.
Stefan: Ma è una cosa che ti cade per terra o lo schiacci, per cinquecento euro…
Miranda: Eh, ma tiene tanto! (gen. 2: Miranda e Stefan, genitori di Gratian [28], IT α,
Romania).
c. L’interazione in classe tra pari e con gli insegnanti e i legami amicali degli
studenti
Le interazioni in classe con i docenti, poi, anche se sono rappresentate come amichevoli e
aperte dalla maggior parte degli studenti, ma sono caratterizzate da confronti culturali e
religiosi specie nel caso delle studentesse provenienti da paesi a maggioranza musulmana,
per le quali i segni e le pratiche delle differenze sono più visibili, e discusse, nello spazio
pubblico. Per Saloua tra le ragioni del riorientamento dal liceo scientifico del centro
scelto al termine della terza media verso il liceo Alfa a indirizzo sociale compare anche lo
270
scontro con una insegnante particolarmente severa nei suoi confronti. Riferimenti
percepiti come stigmatizzanti sono stati citati dalle studentesse con il velo. Simona,
frequentante l’IT Beta, nota comportamenti discriminatori da parte di una delle docenti.
Int.: Hai mai avuto casi di razzismo?
Simona: ° Ci sono sempre stati °. Cioè non è che la maggior parte io non me ne accorgevo
neanche perché erano proprio velati diciamo. Poi andando avanti…
Int.: Ma anche da parte degli insegnanti?
Simona: ° Sì (sorride), anche da parte degli insegnanti °. Non è che lo dico io solo per, tanto
per, però c’è per esempio una professoressa che… diciamo che… le sto più culo degli altri, ce
l’ha con me dalla terza, da quando l’ho conosciuta, ce l’ho dalla terza. Non è che ce l’ha
proprio così, però diciamo che è più sensibile a quello che faccio io, non so, sarà il mio
carattere, sarà quello, o altro, non sono l’unica persona che risponde o altro, però con me ce
l’ha in particolare, e quindi non so. Certe volte fa delle allusioni che non mi piacciono
tantissimo, però va beh (stud. 53: Simona, IT β fotografia, 19 F, Romania).
Anche Simona stessa, tuttavia, come gli altri intervistati, sottolinea il fatto che tali
atteggiamenti sono in sostanza ininfluenti per il percorso in istruzione compiuto, e
prevalgono le visioni degli insegnanti come “professionisti” (Hind), alcuni dei quali
anche più di quanto le loro mansioni istituzionali prevederebbero, proprio nei confronti
degli allievi migranti.
Malgrado gli atteggiamenti stereotipati espressi dai pari siano più evidenti nel corso delle
scuole medie, anche alle superiori gli studenti hanno incontrato episodi di aggressività.
Tra gli studenti del liceo l’esplicitazione di atteggiamenti razzisti o discriminatori è
alquanto sanzionata da processi di definizione della desiderabilità sociale. Nei licei dove
l’incidenza dei migranti è minore, è soprattutto l’appartenenza di classe sociale, visibile in
tutti i rituali di presentazione del sé, ad esempio nell’abbigliamento, e negli stili di vita
che caratterizzano il tempo extrascolastico, che sembra influire nella definizione dei
sentimenti di disagio. Questi risultano comunque contenuti. I compagni di scuola con cui
si instaurano legami amicali contribuiscono a migliorare la percezione della ricezione
societale dei migranti intervistati, come racconta Gloria.
Ero alla fermata del pullman con due miei amici, e c’era una vecchietta che si è avvicinata, e
ci ha detto “Eh, ma voi ragazzi siete d’accordo, che gli stranieri siano qui, in Italia, a rubare, a
venire nella casa della gente a rubare?”, va beh per fortuna c’erano… cioè prima è arrivata e
ha chiesto “Ma voi siete stranieri?” e loro hanno detto “No”, io non ho detto niente, e lei ha
cominciato “Eh, ma ragazzi, voi siete davvero sicuri di volere gli stranieri, che vengono a
rubare, che vengono a fare queste cose” e io di fianco a guardare “Sì, certo!” e poi c’erano i
miei amici che se l’erano presa, tipo “Eh, lei non si deve permettere di parlare male in questo
modo, perché se lei fosse nella stessa situazione probabilmente agirebbe nello stesso modo!”
e lei boh, se ne è andata (sorride). E quindi ho avuto il sostegno dei miei amici (stud. 31:
Gloria, IT α liceo tecnologico, 20 F, Romania).
Negli istituti professionali e tecnici, invece, l’interazione tra compagni di scuola del
biennio sembra simile a quella nelle secondarie di I grado, caratterizzata da grande
271
animosità. Poi, dal terzo anno, la selezione scolastica colpisce duramente e modifica il
clima di classe.
Int.: È già successo a te o tuoi compagni di ricevere atteggiamenti discriminatori o razzisti?
Dimitri: Sì. In seconda quando sono arrivato qua, c’era un compagno che me lo ricordo
ancora. Che mi ha sempre insultato, con i nomi, tutto l’anno. Poi alla fine, verso maggio, fine
seconda, mi ha detto ° testuali parole “Sei un rumeno di merda” questa frase qua. Allora io mi
sono arrabbiato, non dovevo farlo. E gli ho tirato un pugno (stud. 19: Dimitri, IT α
informatico, 21 M, Romania).
Lorena: Io ho sofferto un po’ la seconda perché… se non era che avevo dei compagni un po’
latini, cioè che ci davamo una mano tutti (0.02) ° però non ce l’avrei fatta, insieme agli altri °.
Cioè c’era un ragazzo cubano, come me, c’erano… la nostra seconda era piena di latini! >
Colombiani, domenicani, peruviani <. Però era molto… ° casinista ° come classe. Ce l’hanno
fatta a superarla… eravamo in 25, e […] sono rimasti soltanto in dieci. E dalla terza in poi, in
tutto, proprio benissimo. Come scelta è stata proprio ottima. Si è visto che proprio… le
qualità delle persone, boh.
Int.: Ah, proprio come voti dici?
Lorena: Sì, sì. Ma anche le persone, cioè se uno raggiungeva un sei o sette, ma era tranquillo,
cioè le lezioni si riuscivano a seguire. Prima proprio… (sbuffa) (stud. 10: Lorena, IP α
aziendale, 22 F, Cuba).
Agli istituti professionali, e in misura molto minore ai tecnici, si registrano da parte degli
studenti nativi atteggiamenti di chiusura nei confronti del fenomeno dell’immigrazione e
accuse rivolte genericamente agli immigrati, ritenuti portatori di comportamenti devianti
e competizione nel mercato del lavoro. Anche in questo caso la cultura organizzativa
delle scuole Alfa ha tentato di dar conto delle tensioni tra studenti, organizzando momenti
di confronto mediati dagli insegnanti.
Int.: Quindi ci sono stati tanti temi di discussione?
Trisha: Eh, sì, perché hanno stimolato tanto, perché ci sono alcuni pensieri un po’ razzisti...
poi alcuni anche un po’… che ti toccano, come si dice, ti toccano un po’ di più, alcuni si sono
anche ° sensibilizzati, altri hanno mantenuto la loro idea… ° ma sì. Le persone sono diverse!
(sorride) (stud. 30: Trisha, IP α sociale, 22 F, Filippine).
Si può cogliere dunque un quadro paradossale della ricezione societale percepita dagli
studenti migranti nei confronti dei compagni nativi. Proprio nei tipi di scuole dove le
aspirazioni post-diploma dei migranti sono più basse, come vedremo nel prossimo
capitolo, si esplicitano contrasti e discussioni sul “giusto posto” che i migranti dovrebbero
occupare nella società di destinazione, mentre al liceo, dove gli studenti all’ultimo anno
aspirano a occupazioni più remunerate e prestigiose, ambite anche dai nativi, non si
manifestano reazioni anti-immigrazione.
I legami amicali degli adolescenti, inoltre, sono differenti per tipo di scuola: mentre tra gli
studenti del liceo prevalgono i confronti e le frequentazioni con i compagni di classe, a
maggioranza italiani, o con studenti universitari, per gli studenti dell’istruzione tecnica e
soprattutto professionale le cerchie di riferimento includono soprattutto connazionali, o
altri migranti, più grandi di età e già inclusi nel mercato del lavoro. Questo aspetto è
272
importante dal momento in cui, come abbiamo visto, la definizione della ragionevolezza
delle proprie “scelte” in istruzione è un processo socialmente costruito anche in base alla
rete sociale di riferimento. Se la gran parte degli amici dei liceali prosegue con lo studio
universitario, sono molto rari i casi in cui gli studenti di IP, e in parte anche IT,
frequentino studenti universitari. Per loro piuttosto è evidente il fatto di essere “indietro”
rispetto agli amici nelle transizioni alla vita adulte successive al termine degli studi:
l’ingresso nel mondo del lavoro e la formazione di una propria unità familiare.
273
7. Le aspirazioni e i progetti post-diploma
7.1. L’istruzione terziaria
Quasi tutti gli intervistati che frequentano il liceo (15 su 16, un solo indeciso) intendono
continuare a studiare all’università, confermando il progetto che avevano maturato
all’iscrizione in quel tipo di scuola secondaria. Tuttavia anche tra gli studenti migranti
dell’istruzione tecnica e professionale il progetto di laurearsi è molto diffuso (v. tabella
7.1), come era emerso anche dai dati quantitativi sugli allievi dell’ultimo anno delle
scuole superiori piemontesi consultati nel terzo capitolo124.
Tab. 7.1 – Prospettive di istruzione terziaria: intenzione di continuare o meno a studiare e prima Facoltà
presso la quale gli intervistati che continuano a studiare intendono iscriversi per tipo di scuola frequentata
(v.a.).
Profess.
Scienze
non
a
b
indecisi Ingegneria
Economia
Lingue
continua Tot.
Sanitarie
socialic
continua
Liceo
0
1
5
2
4
2
2
15
16
IT
5
2
6
2
2
3
0
13
20
IP
11
0
0
6
1
0
2
9
20
Totale
16
3
11
10
7
5
4
37
56
Note: (a) indecisi tra continuare e non continuare gli studi nell’istruzione terziaria. In caso di indecisione tra
due o più corsi di laurea, per questa tabella si è tenuto conto del corso prevalente; (b) inclusa informatica;
(c) incluse Scienze della Formazione e Psicologia.
L’elevata propensione a iscriversi all’università dei giovani migranti sembra l’esito dei
processi di selezione e dispersione che hanno caratterizzato i loro percorsi scolastici
precedenti, specie nell’istruzione professionale. Come è emerso dai dati Miur, dalle
interviste agli osservatori qualificati e dalle testimonianze degli studenti sui loro
compagni di scuola drop-out, infatti, sono arrivati all’ultimo anno soltanto i più motivati,
in grado di trovare la stabilità necessaria per impegnarsi con continuità nello studio
insieme alla convivenza familiare (o di trovarne una adeguata, come nel caso di Ouail e
Marina). Inoltre la diffusione dell’idea di continuare, proprio perché attiene alla sfera
124
Anche se il campione degli intervistati non è individuato con criteri di rappresentatività statistica, ma
piuttosto con criteri qualitativi volti a illuminare meccanismi sociali significativi secondo il punto di vista e
le rappresentazioni degli attori sociali che li realizzano, una prima lettura descrittiva dei dati Erica-WP3
sulla popolazione scolastica piemontese conferma che la propensione a continuare nell’istruzione terziaria
tra i migranti iscritti alle secondarie tecniche e professionali in Piemonte è elevata, e maggiore che tra i
compagni di scuola nativi (v. capitolo 3).
274
delle
rappresentazioni,
conferma
che
la
maggiore
concentrazione
dei
“figli
dell’immigrazione” nell’istruzione tecnico-professionale rispetto ai nativi indica, oltre
alle minori risorse stimate di cui godono in Italia, anche una loro concezione delle filiere
tecnico-professionali differente rispetto a quella dei nativi. Mentre per questi ultimi le
scuole tecniche e professionali sono viste prevalentemente come “meno impegnative”
rispetto all’istruzione liceale, per i migranti questa caratteristica, sempre citata, è intesa
anche come un modo per ridurre l’impatto delle difficoltà linguistiche e rassicurarsi sulla
professionalità riconosciuta che si dovrebbe acquisire con il diploma o la qualifica, ma
non implica l’abbandono del progetto di iscriversi all’università, anzi per alcuni
costituisce il modo più “sicuro” per arrivarvi senza altro ritardo scolastico e senza
rischiare di rimanere spiazzati da eventuali improvvisi insuccessi o “cadute” nella storia
dell’inserimento socio-economico familiare.
Svolgendo le interviste durante gli ultimi mesi di scuola secondaria di II grado è stato
possibile cogliere il processo di individuazione del corso di laurea da seguire, oppure
della decisione di concludere gli studi con il diploma, mentre era in via di definizione.
Tale processo decisionale, rispetto alla scelta della scuola secondaria, assume più
chiaramente i contorni di un “calcolo” soprattutto relativo ai ritorni occupazionali e alle
possibilità di successo, date le risorse economiche familiari, ma rimane, come quello
precedente, sempre compiuto sulla base di informazioni limitate, per via di graduali
ridefinizioni e introduzione di aspetti casuali o emotivi, descritti dagli intervistati come
“sensazioni” o “intuizioni”. Malgrado si tratti di un percorso decisionale in cui, rispetto
alla prima transizione, gli studenti sembrano muoversi più autonomamente e con
maggiori conoscenze – o strumenti per reperirle - sul sistema educativo locale, il ruolo dei
genitori per orientare verso alcuni corsi di laurea piuttosto che altri rimane molto
evidente, soprattutto nel caso di genitori laureati.
La selezione scolastica ha ridotto l’eterogeneità dei percorsi familiari al termine delle
secondarie, tuttavia, anche a questo livello di scolarità, continuano a rimanere importanti
per l’individuazione del percorso da seguire sia il processo migratorio familiare sia il
contesto istituzionale in cui avviene, soprattutto per quanto riguarda: i) l’effetto del
ritardo scolastico accumulato in precedenza, che orienta verso corsi brevi e dove è minore
il rischio di fallire o terminare in ritardo; ii) le difficoltà di ottenere la cittadinanza
italiana, che scoraggiano le carriere nel settore pubblico; iii) il bilinguismo, l’esperienza
di avere appreso una seconda lingua e la conoscenza di lingue terze, che indirizzano verso
corsi, Facoltà o sedi universitarie in grado di valorizzare queste competenze nel mercato
275
del lavoro; iv) il progetto di mobilità geografica futura individuale e familiare che stimola
all’ottenimento di qualifiche richieste e riconosciute in più paesi; v) i legami
transnazionali con parenti e conoscenti che possono fornire ospitalità e informazioni per
continuare a studiare in sedi diverse da quella di residenza.
Oltre alla loro riuscita scolastica durante le secondarie e ai consigli dei docenti, poi, gli
studenti considerano le immagini dei corsi universitari e le rappresentazioni delle chances
di impiego della laurea per l’inclusione occupazionale prospettate durante le attività di
orientamento organizzate dalle scuole o seguite direttamente presso le Facoltà di interesse
dei ragazzi, e condivise dai giovani amici o parenti che frequentano l’università o sono
già entrati nel mercato del lavoro, in Italia e in altri paesi. Queste rappresentazioni si
configurano diversamente in base ai tipi di scuole frequentati. Per questa ragione l’effetto
della prima transizione sulla seconda è mediato, oltre che dai contenuti delle diverse
offerte formative, fondamento delle “basi disciplinari” e dei metodi di studio acquisiti
dagli studenti durante le secondarie, anche dagli elementi più informali dei processi di
“orientamento in uscita”. Vediamo come questi elementi hanno agito a seconda della
Facoltà individuata dai giovani intervistati e del tipo di scuola da loro frequentato.
a. Ingegneria e Informatica
Gli studenti di liceo e istituto tecnico che intendono iscriversi a corsi di laurea in
ingegneria e informatica hanno una buona riuscita scolastica precedente e normalmente
abitano in nuclei familiari con entrambi i genitori. Considerano questo tipo di studi
interessante per le possibilità di trovare lavori altamente qualificati nel mercato
internazionale, anche con qualifiche triennali. I genitori laureati, o iscritti all’università,
nel paese di origine, non solo hanno espresso consenso, ma hanno accompagnato e
incoraggiato la scelta di questo percorso, utilizzando i loro strumenti culturali.
Papà, e anche mamma (sorride) quando ho detto che ero andata alle Porte aperte (iniziativa di
orientamento, ndr) e avevo visto in specifico Ingegneria aereospaziale, mia madre era già al
settimo cielo, come fossi già ingegnere, quindi… quindi sì, sì, le piace. […] Se ti dico da
dove viene questa scelta (sorride) magari penserai un po’… sempre per l’orientamento avevo
letto sul foglietto […] “aerospaziale” e ho avuto una sorta di… illuminazione, non so perché,
e da lì mi sono fissata con l’aerospaziale. Non ho nemmanco tante informazioni
sull’aereospaziale, magari posso il prossimo anno andare e non piacermi però (sorride) spero
mi piaccia (stud. 7: Safia, Liceo α scientifico, 19 F, Marocco).
Int.: Perché lei vorrebbe che continuassero?
Amer: Prima cosa per loro. Che non tribolano come ho tribolato io. Seconda cosa perché
come (al, ndr) giorno di oggi, senza studi, veda lei, non trova neanche per lavare le scale. E la
terza: ora, perché devono smettere di andare a scuola? Tanto loro ce la fanno, perché quello
che posso darlo io lo do io, se no c’è la borsa, quando arrivano all’università c’è una borsa di
studio, una cosa o l’altra, e… come va va. E la grande cosa per la soddisfazione ° dei miei
276
studi che io non ho continuato °. Ma questa è come ultima cosa, eh? Come ultima. Perché non
posso spingere una che non ce la fa a fare ingegneria, per cosa? Poverina, se lei non ce la fa,
non ce la fa. Ma quando vedi che una persona ce la fa, una spinta ci vuole. […] C’è tutto qua
vicino, e l’ha scelto lei da sola. Io sono andata con lei al Politecnico a vedere, abbiamo
trovato anche un professore bravo, mi ha spiegato tutto. Mi ha detto che anche se c’è crisi
adesso, già al terzo anno se vuoi lavorare ti chiamano (gen. 3: Amer, padre di Safia [7],
Liceo α, Marocco).
Non sempre le aspettative dei genitori trovano corrispondenza nelle reali passioni dei
figli, come emerge dal confronto delle interviste con Flor e la madre Adolfina.
Voglio andare al Politecnico, voglio fare ingegneria industriale ° come mia mamma ° (ride).
In realtà non l’ho scelto perché mi piace proprio tantissimo. Però ho visto che in terza o in
quarta si può fare un viaggio a Barcellona, dove si fanno stage o tirocini, poi, quando finisci i
cinque anni di laurea ti riconoscono la laurea anche in spagnolo. E a me va bene perché non
vorrei perdere la mia lingua, cioè vorrei sfruttarla in qualche modo, anche con la laurea, cioè
che mi riconoscano anche lo spagnolo come lingua. [Mia madre al Politecnico] aveva già
fatto un corso di perfezionamento, ha visto che l’ambiente è molto aperto, che ci sono
stranieri e… che vengono da tutte le parti del mondo proprio esclusivamente per studiare al
Politecnico, ha visto che è proprio un buon posto (stud. 6: Flor, Liceo α scientifico, 18 F,
Perù).
Loro (sott.: le mie figlie) sono già sicure di quello che vogliono, tutte e due faranno
sicuramente il Politecnico, faranno ingegneria perché gli piace la matematica ed è una cosa
che gli piace […]. Dopo di questo, penserei che se possono trovare un master o un dottorato
fuori dall'Italia sarebbe buono perché io non le vedo qua, vedo che, sicuramente io ne ho
avuto mille, mille barriere ne ho trovato, non poche opportunità ovviamente, però loro ne
avranno moltissime, però in caso non ci fossero, io vedo anche fuori, il progetto è ancora per
quello, che mi sono costruita, non so ancora come andranno le cose, non sono ancora molte di
queste cose dipendono ovviamente dalla nostra disponibilità economica, sicuramente anche
da loro, anche perché si sforzano tanto, e riescono ad avere qualche borsa di studio, non si sa,
vedremo. […] Le ho detto “Intanto tu, se per caso per qualsiasi motivo perdo il lavoro e,
mettendomi nelle peggiori situazioni, ti metti a fare un'altra carriera (sott.: invece di una
laurea quinquennale a Barcellona), che ti metti a fare qua con i due, tre anni a seconda, visto
che ci costerà un bel po' di euro […], se non possiamo pagarti la carriera adesso, non importa
possiamo fare un'altra e poi fare questa. Con due laurea è ancora meglio forse, sono
complementari forse”. E gli ho dato questa alternativa in caso la nostra situazione doveva
cadere, insomma, lavoro, qualsiasi cosa succeda, non vorrei adesso illusionarla a fare una
cosa che dopo due tre mesi succede una cosa che non si può neanche... distruggere i suoi
sogni insomma, prima fai ingegneria qua a Torino, e poi fai l'altra che ti piace in Barcellona.
Nel frattempo si vedrà (gen. 4: Adolfina, madre di Flor [6], Liceo α, Perù).
Mentre Flor si è persuasa di frequentare il Politecnico non tanto per le materie trattate ma
soprattutto per il desiderio di studiare a Barcellona, Adolfina ritiene che la figlia prediliga
i contenuti trattati e, malgrado desideri di vedere ripagati i suoi sforzi di apprendimento,
se non in Italia anche in altri paesi, è timorosa che Flor possa abitare sola in una grande
città. Dalle argomentazioni di Adolfina emerge anche come la laurea triennale a Torino
permetta al nucleo familiare di dilazionare la scelta universitaria in due fasi, controllando
che le risorse economiche siano sempre sufficienti.
I genitori con livelli di istruzione secondari sono meno partecipi del dettaglio delle scelte.
Gli studenti valutano soprattutto le possibilità di impiego assicurate dalla laurea.
277
Alexandru: Sono nato nel ’90 quindi sono abbastanza vecchio… […] Due anni più grande
rispetto agli altri. Int.: Beh non sono mille…
Alexandru: Sono abbastanza. Comunque. […] Non so ancora cosa frequentare, i miei parenti
e la mia ragazza vorrebbero che facessi Medicina o Giurisprudenza, ma io non mi vedo in
quel settore, poi ci sono persone che hanno fatto quelle Facoltà e non trovano lavoro, penso
che farò Ingegneria (stud. 12: Alexandru, Liceo α scientifico, 21 M, Romania).
L’IT Alfa offre una buona offerta formativa e iniziative di orientamento in uscita
accurate. Anche in questo tipo di scuola l’attenzione è agli sbocchi occupazionali in più
paesi. Fernando e Koffi, entrambi figli di laureati, spiegano che in Europa avranno
accesso a un’offerta formativa più ricca che al paese.
Fernando: Mi si era aperta una possibilità: di andare a Barcellona, dove c’è anche mio zio, e
quindi studiare lì. E… boh, dovrei decidere adesso se andare a Barcellona o continuare qui al
Politecnico. […] So che è buona, è la migliore scuola di Catalunia di questo tipo. E… so che
il lavoro c’è, poi si trova facilmente perché è anche una delle zone più sviluppate della
Spagna, quindi si troverebbe. Poi la mia idea è andare a studiare, poi sinceramente… non so
dove andrò a finire, dove andrò a lavorare, ma almeno iniziare lì. La cosa che mi è piaciuta
anche dell’Europa è questa: ci si può spostare, uno può iniziare da una parte e poi può vedere
come va e si può spostare, ha tante opportunità. [...]
Int.: Tu sapevi già che avresti fatto l’università, quando eri in Argentina?
Fernando: Sì, sì, l’università la volevo fare, il problema era che allora in Argentina, diciamo
che le possibilità economiche che avevamo in quel momento… sarei andato in una università
di livello… non diciamo ma basso, ma un po’ basso. Il problema anche che lì, ° gli scioperi °
non si fanno, non so, una volta ogni due mesi, come qua, ma… ° intere settimane °, e poi i
professori non vengono e poi… li devono recuperare in qualche modo e poi… diventa un po’
dura. Sì comunque ci sarei andato °.
Int.: E è come ad esempio negli Stati Uniti dove ci sono diverse università a pagamento? Di
livello diverso?
Fernando: Allora, quella a cui sarei andato (voce che trema) era statale, e quindi non avrei
pagato niente, e poi ce ne sono anche private, ma non si paga molto, però… (voce che trema)
avrei dovuto per forza trovarmi qualche lavoro. O che possa… sì quello sicuramente.
Int.: Quindi come tipo di università vedi più opportunità qua?
Fernando: Sì, rispetto all’Argentina sì, non c’è confronto (stud. 33: Fernando, IT α
informatico, 19 M, Argentina).
La madre di Koffi, Zuna, riporta durante l’intervista un suo alterco con la datrice di
lavoro italiana, per la quale Koffi non avrebbe dovuto iscriversi all’università, e
l’ennesimo suo tentativo di contrastare l’omologazione verso il basso dei migranti nella
società di destinazione.
Con la gente così (sott.: come la mia datrice di lavoro), l’integrazione? Che integrazione si
può? Sempre lì, è seduta lì, legge, guarda la televisione e dice “Ha arrivato ancora i barconi
“Ancora barconi! Quante persone sono arrivate!”, sempre sempre la stessa cosa, mi dice
“Perché non stanno lì in loro paese?”, io ho detto che mio figlio dopo il diploma va al
Politecnico, lei mi ha detto “Tuo figlio quando fa la maturità questo anno all’IT Alfa, non va
al Politecnico, lui finisce la scuola e si deve trovare un lavoro, da lavorare” e io ho detto “Mio
figlio andrà all’università, è così che ha deciso lui, mio marito e io” e lei mi dice “NO, NO,
no, no, non va bene” e io le ho detto “Sì”. […] Perché mio figlio non ha voglia di stare
sempre qua in Italia e un domani tornerà in mio paese e uno che studia e che fa l’università ha
più… è più facile per lui di trovare lavoro che uno che ha fatto solo la maturità. […] Allora
lui non si fermerà qua e non vuole andare solo in fabbrica qua, lui vuole tornare giù per
andare a lavorare al suo paese e lei non è contenta (gen. 7: Zuna, madre di Koffi [35], IT α,
Costa d'Avorio).
278
Per Koffi lo squilibrio di status scolastico verso il basso iniziale, e l’inserimento in un
ambiente di apprendimento stimolante, hanno favorito la sua motivazione allo studio,
secondo lui maggiore che al paese di origine.
Int.: E i tuoi cosa dicono che vuoi continuare all’università?
Koffi: Sono contenti. Cioè prima pensavano che la mia intelligenza… non lo so, che avevo
poca voglia di studiare e non lo so. Per loro… non sarei nemmeno arrivato fino all’università,
quindi sicuramente sono contenti. Più si studia meglio è. […] Per il futuro, forse hai più
opportunità di lavoro. Sicuramente. E… (0.02) ti ritrovi bene, dal punto di vista economico
anche, forse hai più disponibilità (stud. 35: Koffi, IT α elettrotecnico, 20 M, Costa d'Avorio).
Le scelte in istruzione sono modificate nel tempo. Nel racconto della decisione Dimitri
include i consigli ricevuti dal padre e il suo desiderio di “restituire verso l’alto”,
acquistando una casa ai genitori. Emerge anche l’accuratezza con cui, a tre mesi
dall’iscrizione, Dimitri con l’aiuto degli insegnanti ha confrontato i corsi di laurea e scelto
il più affine ai suoi interessi di studio, partecipato al pre-test di ingresso e superato.
Dimitri: Da piccolo volevo fare l’avvocato. Poi ho capito che era un po’ difficile la strada per
arrivare a quel… a quel punto. Poi mi sono fatto influenzare un po’ dal computer, cose
tecniche…
Int.: Ti piace?
Dimitri: Sì, sì. […]
Int.: Perché vorresti fare il Politecnico?
Dimitri: Perché adesso con il diploma non è che trovi lavoro. Magari lo trovi al supermercato,
o da qualche altra parte. Io vorrei arrivare in un posto, in un ufficio, e stare tranquillo… Mio
padre mi dice sempre “Studia, per non arrivare a faticare nei palazzi, in questi lavori qua. Alla
fine, vedi, ti stancano, ti fanno male. Invece tu stai tranquillo, in ufficio, fai dei calcoli, lavori
al computer, e dopo te ne ritorni a casa, non stanco, sei riposato, e dopo potresti fare anche
altre cose”. Anche perché come ho detto prima, per dare una casa ai miei, cioè proprio una
casa, farli stare tranquilli.
Int.: E avevi già visto un corso dentro il Politecnico?
Dimitri: Sì sì, ho già visto. E il corso si chiama Sistemi. È un po’ più basato sull’hardware,
meno informatica e più hardware, perché a me non è che piace tanto programmare, mi piace
di più la materia, l’elettronica, telecomunicazioni posso dire. A me piace un casino. Per
esempio l’altro professore che è venuto prima (sott.: in questa stanza), di elettronica, mi piace
tanto, proprio tanto! Adesso stiamo studiando proprio telecomunicazioni, è proprio
interessante, proprio interessante! [Mi iscrivo al Politecnico e non a Informatica perché] se
paragono per il dopo, tra Università e Politecnico, vado al Politecnico, c’ho più opportunità
(stud. 19: Dimitri, IT α informatico, 21 M, Romania).
Valeriu: Il mese scorso hanno scelto gli studenti di questo liceo per Politecnico. Per fare un
test. E chi passava questo test, entra al Politecnico senza dare quell’esame di ingresso. E lui
l’ha passato.
Int.: Sarà una soddisfazione.
Valeriu: Ma grande.
Nicoleta: Grande, grande (gen. 1: Nicoleta e Valeriu, genitori di Dimitri [19], IT α,
Romania).
Dopo l’intervista Dimitri afferma che vorrebbe lavorare durante gli studi, date le
difficoltà economiche della famiglia. Anche la convivenza familiare di Gratian è in una
situazione di grave difficoltà, e i genitori sono preoccupati che questa possa interferire
279
con gli studi del figlio. La sua riuscita scolastica precedente tuttavia li convince delle
possibilità di riuscita dell’istruzione come canale di mobilità sociale ascendente.
Stefan: Dobbiamo tirare avanti per portare alla fine… nostro figlio, perché è molto
intelligente, molto bravo a scuola, e è un peccato di non fare l’università. Non possiamo
rinunciare. Un altro figlio lavora. Non gli è piaciuta la scuola. Non gli è piaciuta per niente.
[...]
Miranda: Che impressione le ha fatto mio figlio?
Int.: Mi sembra in gamba, no?
Miranda: Sì, però non lo so alla fine, perché i professori della scuola, quando siamo stati lì,
mi hanno detto “Peccato se non fa l’università, peccato”. Lui anche mi ha detto “Mamma, io
se entro all’università non mi pento”, spero che ce la farà. Perché lì non è così facile. Io
sinceramente non volevo che andasse lì, lui vuole andare lì al Politecnico. E tutti mi dicono:
“Guarda che lì è dura, eh! Proprio non… solo lì vuole.
Stefan: Va beh lì tanto non è che puoi… ognuno sa i suoi… [...]
Miranda: Anche adesso che non abbiamo tanti soldi, gli ho detto “In ginocchio mi metto,
faccio, pulisco, basta che ho i soldi per pagarti questa università”. E lui “Mamma! Ma cosa
dici?”. “Gratian, basta che tu vada all’università”. Perché hai questo pensiero, questo
pensiero, sai: che quando finisci la scuola, tanti dicono: “Ah, non vado più all’università,
basta che vado a guadagnarmi qualcosa”. E mi dispiacerebbe sai, perché… (0.03) No, no, è
bravo. Come materie, come…
Int.: Secondo lei perché è importante fare l’università?
Miranda: Per non lavorare come me, glielo dico sempre: “Tu devi essere un ingegnere, così
non è che lavori come noi”. E poi se ha la testa, perché? Perché mio marito ha avuto la testa,
lui poteva essere un direttore, perché ha studiato, ° però non ha avuto la possibilità °. E allora
adesso che c’è la possibilità, peccato non mandare questo figlio all’università. ° Un po’ più in
là °. Non lavorare come noi. Non è che… non è che non fa piacere lavorare, però dico: se ha
la testa, perché non deve essere un po’ più… perché ci sono tanti che sono su, e che non
hanno la testa (gen. 2: Miranda e Stefan, genitori di Gratian [28], IT α, Romania).
Altri studenti sono consapevoli dell’impegno orario richiesto dalla frequenza al
Politecnico, e progettano insieme al nucleo almeno tre anni di mancato reddito.
Andrés: C’è ingegneria aerospaziale che è bella. […] Però mi dicono che sia un po’ troppo
difficile, un po’ troppo impegnativa, quindi non so. Mi piacerebbe ingegneria civile, mi piace
anche abbastanza il programma che ho letto. Quindi sostanzialmente sono indeciso tra queste
due. […] Medicina penso per prima cosa di non avere (sorride) le basi, cioè penso di non
sapere abbastanza biologia, da fare Medicina. (0.02) E Giurisprudenza perché… ° cioè son
tutti troppo raccomandati secondo me. È troppo difficile entrare nel giro degli avvocati °.
Quindi rischierei di essere escluso […] di buttare via anni di studio per niente diciamo. […]
Se lo trovassi qualche lavoretto lo farei, ma non è una priorità diciamo.
Int.: Sì, anche perché ingegneria all’inizio…
Andrés: Eh, infatti.
Int.: È già abbastanza.
Andrés: Sì (stud. 23: Andrés, IT α liceo tecnologico, 18 M, Colombia).
Zëdlir: Ingegneria informatica oppure ingegneria gestionale. E quindi sono un po’ indeciso.
[…]
Int.: Perché (sott.: vuoi iscriverti)?
Zëdlir: Per continuare all’università, ° avere la laurea almeno °. Qualcosa… poi anche i miei
insistono, dicono “Vai, vai”.
Int.: Sì?
Zëdlir: ° Sì, sì. Quindi un po’ per tutto… ho deciso di continuare °.
Int.: Secondo te perché può aiutare una laurea?
Zëdlir: Beh, vale più del diploma diciamo. Poi hai possibilità di… ° se dici Politecnico ha un
buon nome, azienda buona, possibilità di carriera °. ° Diciamo °. [...]
Int.: Mmh. E poi vorresti anche lavorare facendo l’università? O all’inizio vedere com’è?
Zëdlir: Cioè io pensavo, però anche i miei mi dicono “Se vai a lavorare dopo non ce la fai
più, deciditi, se vai a lavorare lavora, se vai all’università, noi cercheremo di… tenerti”,
280
quindi… perché al Politecnico dicono che delle volte esci alle sei di pomeriggio quindi non
penso che ci sia molto tempo. Però vediamo. Almeno che passi un anno e poi capisco cosa
posso fare (stud. 27: Zëdlir, IT α informatico, 20 M, Albania).
Dal confronto tra Informatica all’Università e al Politecnico, e nella “graduatoria” tra le
seconde e terze scelte, emerge il processo decisionale basato sul rapporto tra rischi di
fallimento educativo e ritorni del titolo, aspettative definite anche secondo le opportunità
di sostegno economico ricevibili dei genitori per ragioni di disponibilità economiche ma
anche di responsabilità morali dei figli nei confronti dei genitori, secondo i tempi di inizio
dell’adultità tenuti come punti di riferimento dalla convivenza familiare.
Mirko: Mio padre forse mi vorrebbe far fare il Politecnico, però io mi devo informare bene
adesso, forse, perché fare ancora per cinque anni scuola fino alle quattro del pomeriggio, poi
andare a casa e continuare ancora a studiare so già di non poterlo fare. Nel senso che non
voglio fare un anno o due e poi mollare perché non ce la faccio. Poi magari è una scommessa
che potrei vincere, però non ho voglia tanto di impegnarmi. Anche perché il Politecnico non è
proprio la scelta che avevo in mente. Volevo fare Scienze Strategiche, anzi prima ancora
volevo entrare nell’esercito, solo che essendo rumeno non posso farlo. Perché la cittadinanza
non ce l’ho. Perché potrei prenderla dopo cinque anni che sono qui, e io sono qui da sette anzi
otto, però le pratiche le puoi avviare solo dopo che sei maggiorenne quindi durano circa due o
tre anni, perciò è una questione di tempi e non posso farlo. Perché ho dei conoscenti, sempre
amici di mia mamma, che lavorano in polizia e mi hanno detto “Guarda, se vuoi” nel senso
non dico raccomandato però mi darebbero una mano. E quindi volevo fare quello, e Scienze
strategiche centra qualcosa, nel senso che è una cosa militare ma per i civili. Solo che mi
hanno detto che per intraprendere la carriera militare va bene, però per un civile poi non trova
lavoro, ho guardato anche le statistiche di Almalaurea e dicono questo e non ne sono
convinto. Sono indeciso tra Informatica, perché con il computer, non è che sono un maniaco
però in classe sono stato quello che ce l’aveva già da piccolino, […] il test è a numero aperto
quindi non ci sarebbe il problema di quelli che vogliono fare Medicina quindi entro o non
entro. Si tratta solo di scegliere se fare al Politecnico o tipo Informatica. Economia non
volevo farla perché la fanno tutti, anche se ci sono tanti indirizzi, me l’hanno proprio
sconsigliata, anche ex alunni che andavano qua mi hanno detto proprio “Guarda non farla
perché se proprio…” è facile nel senso che riesco bene a farla, ci sono corsi difficili e tutto,
però la fanno tutti, è un po’ l’isola, l’ultima spiaggia di tutti, per cui se hai altre preferenze
meglio puntare tre o quattro mesi a tentare di fare un’altra cosa che poi magari vedi che ce la
fai, piuttosto che andare a fare economia” e quindi quello…
Int.: Nella scelta guardi che ti piaccia il contenuto di quello che si studia e un possibile lavoro
futuro?
Mirko: Eh, lì per forza, perché vedo la difficoltà ° che fanno i miei ° nel senso non ho
prospettive di guadagnare 50mila euro all’anno, diventare politico e godere… cioè non così.
Però già non… i miei guadagnano sui 1200 a testa, e quindi non dover… non tirare la
cinghia, in casa c’è sempre stato “Quando abbiamo i soldi li spendiamo”, quindi non è che
andiamo in vacanza o cose così. Perciò poi già si spendono quei soldi, già pagare l’affitto,
pagare le bollette e tutto quanto, cioè… che ne so, se voglio dei vestiti nuovi o se voglio l’ipod nuovo non è che… [...] Perciò già io sapendo che dovrò pagare il mutuo o l’affitto non
voglio ne stare con i miei fino a 30 anni magari, ma finire un’università che non dico dopo tre
anni, dopo una laurea breve, ma dopo i cinque, già entrare nel mondo del lavoro, nel mercato
del lavoro, mi piacerebbe. Informatica era quella che offre più spazi. Anche il Politecnico, ma
lì è più tosto da fare. Informatica ho guardato le statistiche e lì ho visto che il 50% di quelli
che entrano trovano lavoro per cui uno su due ce la fa. Speriamo di essere quello fortunato
(stud. 49: Mirko, Liceo β scientifico, 19 M, Romania).
Nel caso di Mirko, nel processo decisionale è incluso anche l’effetto di non possedere la
cittadinanza italiana, che lo dissuade dalla carriera e dagli studi militari a cui avrebbe
aspirato, in base alle informazioni reperite attraverso i legami personali suoi e dei genitori
281
e la consultazione delle statistiche sui ritorni occupazionali della laurea disponibili online.
b. Corsi di laurea delle professioni sanitarie
Gli stessi fattori sono tenuti in considerazione dalle studentesse e dagli studenti che
propendono per Scienze infermieristiche, Medicina e altri corsi di laurea di ambito
sanitario: trovare un posto di lavoro sicuro, anche in altri paesi, dopo una qualifica
triennale. Questa opzione è la più considerata dagli studenti e soprattutto dalle studentesse
migranti, anche con genitori non laureati, e anche quando la riuscita alle superiori non è
ottima. È la più consigliata dai genitori con titoli di studio al massimo di livello
secondario, specie dalle madri, le quali, come abbiamo visto, sono in gran parte impiegate
nel settore dell’assistenza alle persone, ma, senza qualifiche riconosciute, non godono di
protezioni contrattuali. Inoltre è l’ambito di studi apparentemente più seguito da amici,
parenti e conoscenti degli studenti, soprattutto donne, per cui anche coloro che al
momento dell’intervista avevano investito meno nel processo di orientamento e
reperimento delle informazioni sui diversi corsi di laurea, possedevano nozioni
relativamente corrette sui tempi e le procedure di iscrizione. Il test di ingresso tuttavia è
rappresentato come sbarramento rispetto al quale si prefigurano già alternative. Per le
iscritte all’istituto professionale una delle prime alternative considerate sarebbe
l’immediato ingresso nel mercato del lavoro, oppure corsi post-diploma, di solito molto
segnati dalla dimensione di genere e dalle precedenti esperienze lavorative, o di stage,
svolte durante le scuole secondarie.
Ho scelto questa scuola per fare Scienze infermieristiche, però sto pensando anche al
mediatore interculturale, però non so ancora quale delle due. [Durante lo stage come
mediatrice] mi sono sentita utile […]. Poi ho accompagnato anche tante altre persone in
ospedale. Le mie vicine, che erano appena arrivate in Italia e non sapevano l’italiano (stud.
29: Malika, IP α sociale, 22 F, Marocco).
Vorrei che subito lo studio c’è subito il lavoro. Cioè non volevo sprecare tanti anni, dato che
ho già sprecato due anni, cioè… (stud. 30: Trisha, IP α sociale, 22 F, Filippine).
I corsi di ambito sanitario sono ritenuti la soluzione più sicura nel caso di mancanza della
cittadinanza italiana, e più “alla portata”, nel caso di attitudini allo studio non spiccate,
come spiegano Elisabeta e suo padre Constantin. Tra quest’ultimo e la moglie è in corso
una discussione sulle probabilità di successso universitario di Elisabeta, dal cui esito
sembra dipendere l’effettiva iscrizione della figlia al test di ingresso. Come per Mirko,
anche per Elisabeta contano le “conoscenze” per entrare a lavorare nel settore pubblico.
282
Elisabeta: Non ho ancora deciso, per problemi miei. Vorrei studiare diritto. Ma dovrei
prendere la cittadinanza italiana così posso andare nella Guardia di Finanza, dove vorrei
lavorare. Solo che se io… si può fare anche un concorso, ma una volta finita l’università ci
vuole anche una conoscenza che ti spinge a entrare. […] Ma io potrei… perchè quando
andavo all’oratorio, c’era il papà di un bambino che veniva a prenderlo, e mi parlava di
Giurisprudenza, Guardia di Finanza, queste cose qua […], mi ha detto “Se hai intenzione di
farlo non importa, tu fai quello che ti senti, e io ti aiuterò poi a entrare”. Non sono ancora
sicura, o il concorso o l’università. E se faccio il concorso… non ho la cittadinanza. […]
Prima di tutto sono (sott.: andata alle giornate di orientamento per) ° odontoiatria °. Perché
quando ho capito che cioè se… penso, Giurisprudenza, come faccio se non mi danno la
doppia cittadinanza? Cioè faccio una volta l’università e poi ho sprecato sei anni, e con i
soldi, come faccio? E allora mi sono indirizzata verso odontoiatria [come la cognata della
sorella assistente alla poltrona]. Alla mia professoressa di amministrazione tecnica ho detto
“Ho deciso di fare Giurisprudenza”, lei ha detto “Ma non penso che ce la farai, perché c’è un
linguaggio molto difficile, per te… sarà…” (stud. 2: Elisabeta, IP α sociale, 20 F, Romania).
Costantin: Adesso Elisabeta è arrivata a un punto che è un po’ indecisa dove andare…
Elisabetta vuole ancora studiare un po’, dice che mi assomiglia un po’ perché anche io
quando ho finito la scuola ho detto: “Voglio ancora fare ancora un po’ di università”. Due
anni, poi non ho potuto andare avanti, perché…da una parte… le esigenze… eh, andando a
lavorare, poi… […] Quindi un po’ ho imparato. Per quello gli spiego così e così… bisogna
stare sempre nelle tue capacità, non deve andare oltre. [Non dire] “Eh, va beh, ce la faccio, gli
altri come lo fanno”. Devi stare sempre nel perimetro. Io sono capace di fare quello o no? [...]
Adesso nel mio paese sono uscite fuori tante università private. Non lo so qual è la qualità,
degli studenti, la loro capacità. Però sono tantissime. Quindi la nuova generazione ha tutta
studiato. Poi un’altra cosa, parlavo con un altro, dato che hanno fatto questa università
privata, non ha un grande valore, non lo so se hai pagato qualcosa, se hai pagato i voti.
Int.: C’è più corruzione nelle scuole private?
Costantin: Sì. Non c’è molta forma, qualcosa di certo sul livello di istruzione. Invece se vai in
una statale, giorno dopo giorno, è un’altra cosa.
Int.: Dà più possibilità di lavorare dopo?
Costantin: Esatto, esatto. […] Io le ho detto “Sempre su questo profilo”. Di non… non
scegliere un altro. Perché a quando ho capito lei vuole fare un’altra università di cinque anni.
Forse è un po’ troppo. Sei giovane, hai 20 anni, 21 anni, forse riesci a trovare una persona, un
amico, un fidanzato. Se ti metti insieme, ne hai 21, più cinque, sono 26. Fai questi tre anni,
che è vicino, che ti dà un titolo idoneo, che poi si riesce a trovare un lavoro, dopo i tre anni.
Poi puoi fare quello che vuoi, se decidi di sposarti ti puoi sposare, se no no, sei libera. […] Il
mio consiglio è sempre questo: “ tieniti le spalle coperte”. […]
Int.: Lei non è tanto d’accordo? (alla moglie)
Octavia: Un po’ duro… vuole giocare.
Costantin: Quando una persona vuole fare una cosa, ha la voglia, lasciala, lasciala. Se non
studia adesso non studia a 40 anni. Come fai? (gen. 9: Costantin e Octavia, genitori di
Elisabeta [2], IP α, Romania).
Constantin e la sua famiglia, come le altre nel campione, considerano anche l’opzione di
iscrivere i figli nelle università del paese di origine, ma decidono di continuare nelle
università pubbliche italiane, ritenute di maggiore qualità e riconoscibilità nel mercato del
lavoro. Inoltre anche i tempi della transizione all’adultità (trovare il primo lavoro,
trasferirsi, sposarsi, avere figli) sono considerati importanti dal padre di Elisabeta.
Sempre nell’ottica di completare in fretta le transizioni all’età adulta e limitare gli anni di
dipendenza economica dalla famiglia di origine, Giurisprudenza è giudicata da tutti gli
intervistati una laurea che implica un percorso troppo lungo prima di iniziare a lavorare, e
troppo dipendente dai legami personali nelle opportunità di carriera (oltre che più
283
difficilmente spendibile all’estero rispetto a altri corsi di studio). Carolina spiega che la
madre, assistente familiare “in nero” in Italia, e il padre, in Romania con i figli avuto da
un altro matrimonio tutti iscritti all’università, hanno influenzato la sua decisione di
continuare a studiare più del convivente.
Carolina: Sono andata a vedere l’università di giurisprudenza […], mi piace proprio tanto, è
una materia che mi interessa. Poi però io non voglio andare cinque anni a scuola, poi due anni
di tirocinio, poi chissà come lavori, io scelgo ° Infermieristica °, che anche lì è una materia
che mi piace, facciamo anche igiene a scuola, mi piace studiare le malattie eccetera, e trovo
lavoro anche più facilmente. E faccio anche meno scuola. Sono tre anni. […]
Int.: E tua mamma cosa dice?
Carolina: Mia mamma è contentissima. Perché anche lei… è il suo sogno da sempre lavorare
comunque in questo ambito, solo che senza laurea, senza niente, non puoi fare più che tanto.
E poi è anche che il lavoro è per sempre. ° Quindi è molto contenta °. [Rispetto al mio
compagno] mia mamma ci tiene molto di più che io continui, che finisca la scuola, dice “Così
non finirai come me” °.
Int.: ° E tuo papà cosa dice? °
Carolina: Sì, sì, o sa. Però anche mio fratello sta finendo adesso la Facoltà di Medicina, mia
sorella anche sta facendo la Facoltà per diventare odontoiatra > in Romania < . Quindi se
l’aspettava un po’ che continuavo, poi anche lui è uno che ci tiene molto alla scuola…
comunque è riuscito a infondermi questo… questo valore, questa coscienza, che continuare è
meglio. [...]
Int.: E chiedi un po’ ai tuoi professori?
Carolina: Per l’università? Sì, beh diciamo che adesso che è l’ultimo anno ne parlano
abbastanza, anche senza magari andare a chiedergli un consiglio, ne parliamo abbastanza a
scuola (stud. 3: Carolina, IP α sociale, 19 F, Romania).
Va sottolineato inoltre che l’istituto professionale Alfa, oltre che includere indirizzi di
area sanitaria e sociale, è particolarmente attento anche alle iniziative di orientamento in
uscita. Questo fatto, oltre che la composizione dell’utenza prevalentemente femminile,
mediamente con riuscite scolastiche migliori che i maschi, può avere influenzato la
maggiore propensione delle iscritte a questo tipo di scuola a continuare a studiare, a
differenza che i compagni e le compagne frequentanti l’IP Beta.
Due diplomande all’IP Alfa vorrebbero tentare il test a Medicina. Come tra chi intende
frequentare il Politecnico lavorando, tuttavia, si colgono prospettive irrealistiche, come
nel caso di Adia, oppure più caute, come nel caso di Suzana. Le testimoni qualificate
segnalano anche maggiori difficoltà da parte degli studenti migranti arrivati in Italia
durante le scuole secondarie per quanto riguarda le domande di cultura generale alle
Facoltà a numero chiuso.
Int.: Perché vorresti fare Medicina?
Adia: Ma… uno perché mi piace anatomia. Poi penso che anche dopo che finisco l’università
certamente troverò un posto stabile. Si cerca sempre in questo ambito sanitario, non lo so, io
la penso così. Mi piace anche psicologia ma penso che… non lo so, magari se penso poi di
tornare a casa (sott.: in Romania) come psicologa… non lo so, però penso sempre in questo
ambito anche a casa mia o qua, trovo sempre, di sicuro. Perché ci penso di tornare a casa
qualche volta. Infatti dopo che finisco quinta non so se rimango qua oppure vado a casa a fare
l’università. [Mia mamma] me lo dice sempre (sott.: di continuare a studiare), infatti è stata…
è lei che mi ha… cioè non è che mi ha… mi ha detto prova di qua e di là… mi ha detto gli
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ambiti dove… dove è più sicuro e che mi può piacere anche, abbiamo pensato dove è più
sicuro per un posto di lavoro, però è importante piacere a me perché se no poi non lo studio io
con… anatomia anche se è difficile come materia la studio con piacere perché mi piace. E
spero davvero di riuscire! (ride). […] Mentre farò l’università troverò sicuramente anche un
posto di lavoro. […] Non è perché me lo chiede mia madre, non… non mi dice di darle un
aiuto, però lo faccio per me, voglio andare anche a conoscere… perché non ho mai lavorato,
voglio conoscere anche com’è, come si comporta anche la gente... capito? (stud. 1: Adia, Ipα
sociale, 19 F, Romania).
Suzana: Ma penso che una preparazione individuale sia prevista (sott.: dai corsi aggiuntivi
erogati dall’IP Alfa in preparazione dei test di ingresso), ma io al massimo comprerò dei libri,
prenderò qualche lezione e studierò da sola in qualche modo. Così, si tenta. [Discussione
dettagliata dei contenuti del test di ingresso] Ma guarda noi facciamo tanta igiene dal terzo, e
quelle (sott.: domande del test di ingresso) di biologia le so, proprio guardando al test, poi sai
cultura generale dipende un po’… va anche un po’… secondo me va anche un po’ a fortuna
[…].
Int.: E poi come seconda scelta?
Suzana: Ma guarda se non… pensavo a una laurea triennale sinceramente, però o sceglierò
quella, o prenderò un anno per farmi una preparazione veramente buona, sai, su chimica,
fisica (stud. 40: Suzana, IP α sociale, 19 F, Romania).
Ecco lui (sott.: un utente del programma formativo per migranti) per esempio voleva fare
Medicina. E dove ha fallito al test per Medicina? Sulle domande di cultura generale. Cioè
quella cultura europea che non riesci a recuperare se arrivi in terza o quarta superiore, che noi
diamo per scontato perché fa parte del nostro modo di fare, di dire e di pensare. Mi ricordo la
prima settimana quando è arrivato e lui Arte, Arte europea non poteva saperne niente. Gli
altri erano già al Gotico, e lui non sapeva riconoscere niente (test. qual. 1: Daniela).
Nelle prospettive delle studentesse di istituto professionale, se già residenti in un nucleo
diverso da quello di origine oppure in nuclei monoreddito, si legge da un lato la tensione,
espressa anche dalle madri, a proseguire nell’istruzione terziaria, dall’altro il desiderio di
iniziare a lavorare per completare appieno le transizione alla vita adulta. L’iscrizione a
Scienze infermieristiche è dunque presentata come un’ambizione su cui il processo
decisionale è ancora aperto, da seguire comunque part time svolgendo un lavoro pagato,
come dice Tania.
Ho voglia di andare a lavorare, perché non mi piace sempre chiedere i soldi a mia madre, no?
Quindi voglio andare a lavorare. Solo che lei mi dice “No, vai all’università! Insisti ancora tre
anni per le Scienze infermieristiche, poi dopo a 23 anni hai un lavoro che comunque puoi
andare a lavorare in ospedale, o comunque un lavoro lo trovi, comunque c’hai i tuoi soldi,
resisti ancora tre anni”. [Al mio compagno] dove lavora lui, in questa ditta italiana, gli dicono
“Guarda che se la tua fidanzata vuole fare questo lavoro qua, è comunque abbastanza
importante perché si guadagna, guarda che comunque fa bene, alla fine sarà contenta nel
senso che andrà a lavorare e avrà uno stipendio che… farà bene a tutti e due se lei va a
lavorare”. Cioè lui adesso… è un po’ più informato, […] è sempre lì “Dai non andare a
lavorare, anche per dopo, sei ancora giovane”, di qua e di là. Però sono io che… voglio
andare (sott.: a lavorare) (stud. 4: Tania, IP α sociale, 20 F, Romania).
Per i liceali figli di laureati, invece, le lauree sanitarie brevi costituiscono una sorta di
livellamento verso il basso delle aspirazioni genitoriali iniziali, anche laddove i genitori,
come nel caso di Skordian, conferiscano fiducia ai figli sulle loro capacità di scegliere il
corso di laurea.
285
Dopo voglio andare a fisioterapia. Però anche lì, casomai andasse male il test di ingresso, mi
mancherebbe dove appoggiare i piedi. […] Perché comunque sono tre anni di fisioterapia. E
poi perché comunque mi dà possibilità di lavoro e di guadagno. Semplicemente questo. Non
voglio farmi Medicina cinque anni, e poi praticamente soffrire, e poi soltanto dopo diventare
qualcosa di importante. È troppo lungo e io non ho le spalle per reggere questo. Non è la mia
passione, ° non ci posso fare nulla °. […] Cioè io lo studio, ho fatto il liceo scientifico quindi
ho aperto la mia mente in qualcosa, ora con l’università devo specializzarmi in qualcosa. […]
Il mio percorso l’ho fatto, però io devo anche vivere, no? Servono anche i soldi, perché è
inevitabile dire questo. [Anche gli insegnanti] mi consigliano questo. Perché è inutile
andare… cioè è inutile dipende, se uno ha la passione ha la passione, però per uno come me,
seguire qualcosa di sfumato… (0.02) meglio qualcosa in cui in un futuro prossimo, molto
prossimo, posso trovare un lavoro. Va beh che comunque fisioterapia è bello, eh! È una bella
arte! Con il corpo umano, sempre biologia, scienze… e c’è lavoro soprattutto (stud. 15:
Verim, Liceo α scientifico, 21 M, Albania).
Mia figlia grande fa Scienze Politiche all’università, ha scelto perché mi piacciono, è anche
un po’ da me, capisci. Mi è piaciuto perché stando qua, trovando, un posto io lo trovo. Perché
siamo in due Stati, in una ambasciata, qualcosa, lo trovo. [...] Mio figlio gli piacciono le
scienze biologiche, magari va di là. Ma mio figlio è un po’ autonomo, decide lui (gen. 5:
Skordian, padre di Verim [15], Liceo α, Albania).
Tra gli studenti di IT, per Fadia il punto di riferimento è la sorella maggiore, già
laureanda in Scienze infermieristiche, per Gaby i genitori.
Io proverò il test per le lauree sanitarie, spero di entrare… spero di entrare ad Ostetricia, che è
il mio sogno fin da bambina, se no tecnico di Radiologia o Infermieristica (stud. 22: Fadia,
IT α liceo tecnologico, 19 F, Marocco).
Int.: Sul continuare all’università (sott.: i tuoi ti hanno incoraggiato?)
Gaby: Sì, perché diciamo che mio papà è laureato nel mio paese. [...] Quindi già loro
dall’inizio mi hanno proprio “Guarda che devi studiare, cioè noi siamo perché tu studi, ti
superi” eccetera. Quindi già la loro idea è che io non lavori, se nonché studi, cioè prosegua
negli studi. […] Poi mia madre voleva che facessi biologia, aveva delle conoscenze di
biologia e ‘ste cose quindi… [...] Fin da piccolo volevo farlo. Solo che poi ho cambiato idea,
nel corso del tempo, per vari motivi, prima volevo fare il veterinario, poi ingegnere di sistemi,
e mo adesso ho detto faccio scienze infermieristiche. […] Sono già andato a qualche lezione.
Poi ho anche degli amici che frequentano questo corso, hanno detto che è bello, carino, anche
che poi al secondo anno si cominciano a fare dei tirocini… e è più… più dinamico questo
corso. […]
Int.: Ti piace come discipline?
Gaby: Sì, sì.
Int.: Come tipo di lavoro?
Gaby: Come tipo di lavoro no, non tanto. Perché se non faccio la specialistica, non so se mi
ritroverei tipo in un ospedale grande, andando di qui e di là, da un paziente all’altro, non lo
so… cioè come carriera è bella, ma come posto di lavoro no, non tanto. […] Per questo vorrei
fare la specialistica, magari nurse o strumentista. Perché così sembra… cioè diventa qualcosa
più interessante e meno stress diciamo. Perché se fai soltanto i tre anni, diventi soltanto
l’infermiere in più, no? Quindi essere sempre lì, sotto la struttura dell’ospedale, sai… ° non
mi va tanto
Int.: Se pensi al lavoro che vorresti fare, è importante la corrispondenza tra quello che hai
studiato e il lavoro.
Gaby: Sì, mi sa che è un fatto molto importante, perché se studi qualcosa in modo più
approfondito, è perché ti serve per il proprio lavoro. Cioè se lo studi… per avere una minima
conoscenza di qualcosa… no, perché queste cose le puoi studiare anche da solo se vuoi avere
un po’ di cultura, se vuoi avere un po’ di conoscenza, però comunque secondo me quello che
studi lo devi praticare, lo devi portare nell’ambito del lavoro ° (stud. 32: Gaby, IT α liceo
tecnologico, 22 M, Perù).
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Il processo decisionale di Gaby ha seguito un percorso molto strutturato e pragmatico: ha
consultato i genitori laureati e scelto un percorso di studi che possa attuare nel lavoro,
pensa di iscriversi a Torino per contenere i costi vivendo con i suoi genitori, ha reperito
informazioni accurate sui contenuti e l’organizzazione dei corsi, sta decidendo in quale
sede tentare il test di ingresso per avere più opportunità di superarlo e progetta di ottenere
anche la laurea specialistica per migliorare la sua carriera lavorativa, intesa sul lungo
termine.
c. Economia
I liceali che propendono per Economia non sembrano avere ricevuto orientamenti da parte
dei genitori, a parte Ouail, ma hanno ottenuto il loro appoggio per la scelta effettuata in
termini generali. Ritengono che si tratti di un tipo di insegnamento che offre contenuti
interessanti, specie per quanto riguarda il settore finanziario e gli indirizzi internazionali,
alte probabilità di riuscita e sbocchi occupazionali sicuri in tempi meno lunghi che altre
Facoltà a cui alcuni avrebbero guardato per le materie trattate, come Psicologia o
Medicina (Julieta e Gloria), Ingegneria (Yin Mei, Karina e Iulian), Lingue (Julieta e
Ouail) o corsi a numero chiuso per professioni sanitarie (Arzan).
Int.: Hai già pensato a cosa fare dopo?
Julieta: Sì e no. Sicuramente università, questo è certo. Però non so se scegliere Economia
oppure Psicologia. Sto un po’ vedendo così. Diciamo che ho queste due scelte. Avevo
pensato anche a Medicina. Solo che sono troppi anni, e io avendo già 20 anni, poi cinque
anni, più dottorato, più… finirò poi tardissimo (stud. 9: Julieta, Liceo α scientifico, 20 F,
Romania).
Iulian: Mi posso iscrivere a tutte e due, nel senso, fare il test a tutte e due, perché per
entrambe c’è il test da fare. Quello a Economia adesso è anche selettivo e quello del
Politecnico è solo consultativo, comunque potrei fare tutti e due per vedere come vado nei
due test, e vedere in quale vado meglio … (stud. 50: Iulian, Liceo β scientifico, 19 M,
Romania).
Int.: Tu sapevi già che dopo avresti dovuto o voluto fare l’università?
Gloria: Sì, sì. Io dalle medie, cioè alle medie volevo fare Medicina. Invece adesso, cioè anche
adesso però… (sorride) non… non passerei mai il test di ammissione perché è troppo difficile
[…]. Poi troppo studio, troppi anni, i miei comunque non riuscirebbero a pagarmi 12 anni di
studio, ° soprattutto col lavoro che fa papà…° è proprio impensabile.
Int.: Lui adesso ha un contratto a tempo indeterminato?
Gloria: Sì, lui ha un lavoro… stabile. E anche quando ° non c’è lavoro comunque è in cassa
integrazione… ° però… comunque… ha 50, tra 12 ne avrà 60 e poi tra l’altro non è un lavoro
d’ufficio ma deve stare al freddo, con la pioggia, a lavorare, a fare l’operaio, che è difficile,
non so ° come farà a lavorare a 60 anni, la vedo difficile ° . […] E pensavo a qualcosa tipo
Economia, e quindi dopo tre anni posso già andare a lavorare, oppure cinque, cioè ° posso
fare anche il master ° e poi lì vedo, perché poi lì ci sono anche molte più possibilità e molte
più scelte. […] Ci sono tante scelte, e uno non sa le differenze tra dall’uno e dall’altro, hanno
tutti nomi simili e nessuno te le spiega, quindi non so come farò, ogni volta che ci vado le
cose si complicano e io continuo a non capire la differenza, e quindi non so, devo ancora
cercare di capire che ramo di Economia voglio fare. Perché tra > Economia aziendale,
Economia e commercio, Economia internazionale banca borsa e assicurazione < sembra tutto
287
uguale mentre poi in realtà non lo è (sorride). E quindi devo ancora capire… cosa fare. [A
Bucarest] mia cugina si trova bene, ha studiato per un sacco di tempo, adesso è al terzo anno,
viaggia spesso, essendo internazionale, lì comunque stranamente… lo trovo strano perché
neanche qui fanno tante cose, e quindi viaggia un sacco e le piace, non so, forse mi troverei
bene, non so […] ° che differenza potrebbe esserci, come sbocchi lavorativi ° (stud. 31:
Gloria, IT α liceo tecnologico, 20 F, Romania).
Gloria sottolinea, oltre al ruolo delle risorse economiche familiari e il senso di
responsabilità nei confronti del padre, la sua confusione tra i diversi indirizzi e la
possibilità di tornare in Romania per avere un’apertura più internazionale. Anche Ouail
cita il suo desiderio di lavorare per affrancarsi dalla dipendenza economica dei genitori
affidatari: l’intervistato spiega che potrà continuare a studiare grazie alla loro
disponibilità a ospitarlo oltre il periodo di custodia stabilito, e che sceglierà secondo il
loro consiglio le discipline più simili a quelle che aveva iniziato a studiare durante le
secondarie, anche se avrebbe preferito, per ragioni espressive, studiare Lingue.
Ouail: Per me, se vado bene a studiare, vado avanti, poi vediamo. Devo anche lavorare perché
io sono abituato a gestirmi un po’ da solo, poi anche non voglio essere un peso per qualcuno,
no? Quindi voglio trovarmi un lavoretto per le mie spese personali durante l’università.
Int.: Sai già cosa studiare?
Ouail: Sì, Economia e Commercio.
Int.: Perché?
Ouail: Per continuare sugli stessi temi (stud. 11: Ouail, IP α aziendale, 20 M, Afghanistan).
d. Lingue, Scienze della formazione e altri percorsi umanistici
Le studentesse che intendono iscriversi a Lingue (Xixi, Adelka, Simona), una minoranza
nel campione, hanno seguito l’interesse per le materie studiate e l’intenzione di
capitalizzare il bilinguismo pregresso o la loro attitudine all’apprendimento di nuove
lingue. Va notato che l’argomentazione della scelta del corso di laurea basata su ragioni
espressive riguarda più che femmine che i maschi. Questo aspetto, unito alla loro riuscita
scolastica mediamente migliore e alla elevata incidenza di maschi tra gli studenti di
istituto tecnico, può avere influito sul fatto che la scelta di percorsi liceali è più frequente
per le femmine più spesso che per i maschi.
Accanto alla dimensione vocazionale, l’attenzione delle studentesse al termine delle
secondarie è comunque, anche in questi casi, rivolta al mercato del lavoro, per cui tutte
intendono studiare una lingua non europea, meno conosciuta e più richiesta in Europa.
Inoltre tutte intendono affiancare allo studio il lavoro, cercando di valorizzare le
competenze acquisite durante le scuole secondarie.
Int.: Quindi non pensi di andare al Politecnico?
Xixi: All’inizio sì, poi ho ripensato bene, forse per me è meglio, le cose… che so già, che ho
capito bene, per me è un vantaggio. Così non perdo ancora… il tempo. Sono già vecchia
rispetto a loro (ride). [...]
Int.: Mmh. Non faresti l’università in Cina?
288
Xixi: No! Secondo me in Cina tutti sono laureati, è così facile, forse valore della laurea in
Italia è più elevato… della Cina (stud. 20: Xixi, IT α informatico, 22 F, Cina).
Mentre Adelka è incoraggiata dai genitori a seguire le sue “passioni”, per Simona essi
avrebbero preferito percorsi più sicuri, come Scienze infermieristiche, ma hanno finito
per assecondarla.
Simona: Lingue e culture dell’Asia e dell’Africa. Prima lingua è il Giapponese e seconda
lingua non lo so, mi dovrò decidere questa estate in pratica. […] Piuttosto inizierei a lavorare
in questo settore piuttosto che… al massimo se mi servisse farei un corso di specializzazione
magari. Poi ho notato che imparando una nuova lingua sono più concentrata, più attenta… e
io principalmente è questo che ho visto, cioè il fatto di non andare in una Facoltà in cui mi
annoio. […]
Int.: Perché hai deciso di fare l’università?
Simona: Sinceramente non ho mai pensato di andare subito a lavorare. Non so perché ma è
così. E… poi comunque i miei mi hanno sempre esortato a continuare, anzi volevano farmi
fare il test di ingresso a Medicina […], pensano comunque sia al fatto che ad esempio
Infermieristica darebbe subito lavoro, perché cercano sempre infermieri. Però comunque non
mi piace… […] sanno comunque che studiando di più si… cioè una buona educazione porta
anche a un lavoro con più… responsabilità, più strumenti, uno stipendio più alto e altro in
questo senso. Ci hanno sempre esortato tutti quanti. Poi mio fratello più grande… diciamo
che hanno perso le speranze (sorride). Quello più piccolo vedremo più avanti. […] Allora i
miei, già quando avevo scelto questa scuola non sapevano perché. Poi comunque andando
avanti… cioè la prima cosa è stata farmi scegliere qualcos’altro, ma poi alla fine mi hanno
sostenuto. E anche in questa scelta mi hanno chiesto sempre che cosa volevo fare eccetera, ad
esempio Scienze della comunicazione mi hanno chiesto cosa avrei fatto dopo e tutto. E…
niente, una volta che ho scelto… cioè non si impongono loro. Mi hanno sempre esortato
comunque di andare a fare Medicina, Scienze infermieristiche e tutto, però se non lo voglio
fare… ° non lo faccio ° (stud. 53: Simona, IT β fotografia, 19 F, Romania).
Simona e Ionel sono due dei cinque studenti che hanno vinto il concorso Master dei
Talenti nella loro scuola e svolgeranno dopo il diploma un tirocinio con certificato
riconosciuto dall’Unione europea in Spagna. Simona ha intenzione di sfruttare questa
occasione anche per informarsi sui corsi di laurea in Lingue orientali. Per lei, come per gli
altri intervistati, l’opzione di frequentare sedi universitarie italiane fuori dal luogo di
residenza dei genitori, la città di Torino, è scartata per i costi elevati125. Piuttosto è
considerata la possibilità studiare in altri paesi, dei quali conoscono già la lingua di
maggioranza, hanno parenti o conoscenti, oppure ritengono di trovare più opportunità di
istruzione e assunzione.
Più orientate a rimanere in Italia sono invece le studentesse che intendono frequentare
studi umanistici nell’ambito delle Scienze sociali e dell’educazione. Per loro l’obiettivo è
ancora riuscire a laurearsi e impiegare il titolo di studio per trovare un posto di lavoro
125
È ipotizzabile che per gli studenti che non abitano in città sedi universitarie sia più costoso reperire
informazioni sui corsi di studio e partecipare alle iniziative di orientamento organizzate dalle università.
Sarebbe interessante indagare se, in mancanza di alloggi gratuiti per gli studenti (o dell’informazione
puntuale su questa possibilità e sulla procedura per accedervi) il fatto di vivere in luoghi molto distanti dalle
università possa dissuadere soprattutto i giovani migranti, con minori risorse economiche familiari, dal
proseguire gli studi.
289
sicuro che consenta di unire l’interesse per le materie trattate – e dunque le probabilità di
riuscita elevate - alla “vocazione alla cura” che hanno sviluppato anche durante la loro
esperienza migratoria. Inoltre progettano anch’esse di mantenersi economicamente
durante gli studi.
Con l’università ho più possibilità di lavorare. Con i corsi (sott.: professionali)… sì, troverò
qualcosa, però non è detto che sarà per sempre. Quindi finisco l’università, faccio tutto per
bene, finisco i corsi, passo tutti gli esami, poi so che in testa mi è rimasto qualcosa, e trovo
anche un lavoro. […] Non ho chiesto a nessuno. Non conosco nessuno che va a quella
università, sono solo andata a quell’assemblea di orientamento. [I miei genitori] sono
d’accordo, perché comunque il lavoro che vado a fare è mio, mi dicono anche di scegliere in
base a quello che poi vado a studiare, non vado a studiare delle cose difficilissime che poi non
ce la faccio e ci perdo pure l’anno (stud. 42: Ivona, IP α sociale, 20 F, Romania).
Per le iscritte all’istruzione professionale compaiono anche in questo caso gli
orientamenti delle madri verso Scienze infermieristiche, e il ruolo dello stage per definire
l’ambito occupazionale di interesse. A differenza che le compagne che propendono per le
professioni sanitarie sono minori le conoscenze di persone che lavorano già come
educatrici, ma le informazioni reperite rassicurano sulle probabilità di successo
accademico e lavorativo. Si tratta in questi casi di aspirazioni esplicite a “collocarsi nel
mezzo” della stratificazione sociale, e di compiere generalmente percorsi di istruzione
terziaria triennali, senza ambizioni a svolgere Master o corsi di specializzazione postlaurea per ottenere incarichi dirigenziali o imprenditoriali, che invece si riscontravano tra
alcuni degli studenti desiderosi di frequentare il Politecnico o Economia, in particolare
liceali o iscritti all’IT Alfa. Mentre per gli studenti e le studentesse dell’istituti tecnico,
specie Alfa ma anche Beta, pensano che potranno impiegare il diploma per trovare un
lavoro ad esso corrispondente da svolgere durante gli studi universitari, per le diplomande
all’istituto professionale la laurea triennale è rappresentata come unica alternativa alla
disoccupazione o all’inclusione nel settore non qualificato dei servizi alla persona o della
ristorazione, come spiega Pilar. A meno che non si abbiano “conoscenze” o “fortuna”.
Inoltre il titolo di studio terziario in Scienze della formazione garantirebbe contratti a
tempo indeterminato e
Int.: Perché (sott.: tua madre) vorrebbe che facessi Infermieristica?
Pilar: Perché c’è tanto lavoro in quell’ambito lì. Lavoro lo trovi di sicuro. Ci sono i concorsi
magari per entrare, però una volta che li hai superati, credo che un lavoro fisso tu ce l’abbia,
da quello che… comunque sono richiesti, in quel senso lì. Lei mi diceva di scegliere qualcosa
per cui ci siamo opportunità di lavoro. Già adesso con la crisi, in quel senso lì, già… magari
se faccio Architettura o cosa, magari c’è di meno, poco lavoro, invece nell’ambito sociale
secondo lei c’è più lavoro, in quel senso lì. E anche io la penso così (sospira). Io vorrei
solamente trovare un lavoro che sia pagato normalmente, così riesco a farmi anche io la mia
vita stessa, non è che pretendo adesso di fare il medico per guadagnarmi tanti soldi. […] C’è
un mio amico, un conoscente, che fa l’educatore professionale, però ha fatto la Facoltà di
Scienze della Formazione, e mi ha detto che comunque non è tanto tosto, cioè comunque
rispetto ad altri indirizzi… ma comunque è bello. Poi a me piacerebbe lavorare con persone
290
con disagi psichici. Perché noi facendo questa scuola qui abbiamo studiato diversi disturbi, la
disabilità, e mi affascina, perché facendo anche il tirocinio, grazie al professionale, ho avuto
esperienza, ho lavorato, cioè ho fatto il tirocinio in un Gruppo appartamento, dove comunque
mi sono trovata bene in quell’ambito lì. E mi piacerebbe lavorare con quell’utenza. […]
Int.: Perché pensi di iscriverti all’università e non cercare subito un lavoro?
Pilar: Perché ormai non trovi un lavoro senza la laurea. Perché ho visto alcune mie amiche
che sono uscite l’anno scorso […] studi per poi lavorare come cameriera, in quel senso lì, non
trovi un lavoro adeguato alle tue capacità. […] Oppure non trovi neanche lavoro. Perché ad
esempio adesso le agenzie per il lavoro richiedono già diplomati, magari per lavorare in una
fabbrica o cosa, e laureati, soprattutto di più laureati, in quel senso lì. Per quello, poi se
magari riesco a trovare qualcosina io non dico di no, vediamo. Non so. Poi dipende anche
dalla ° fortuna ° io credo. […] Magari avendo qualche conoscenza, più fortuna o cosa, non lo
so (stud. 39: Pilar, IP α sociale, 20 F, Perù).
Tra le iscritte al liceo, per Dalila il corso per diventare assistente sociale è un modo per
trovare un buon lavoro in caso di mancato superamento del test di ingresso a Scienze
infermieristiche. Inoltre sono di più le coetanee di questo tipo di scuola che intendono
frequentare corsi umanistici.
Dalila: Se non mi prendono a Infermieristica posso anche fare Scienze sociali, per fare
l’assistente sociale, perché non si fa il test. E anche come argomento… e poi vediamo come
va là. Sicuramente voglio fare qualche lavoretto. Per esempio se non trovo un lavoro così,
penso di fare tipo la traduttrice. [Mi interessano entrambi i lavori, infermiera e assistente
sociale] anche perché mi interessa anche aiutare a chi ha bisogno, anche pensando al mio
stato, ci potrebbero essere altre persone che mi danno una mano se mi trovassi in una
situazione del bisogno e quindi… non lo so, dare una mano se posso. […] Conosco amiche
che fanno già infermieristica, alcune che sono già diventate infermiere, e poi altre tre o
quattro persone ci sono con me che vogliono fare questo corso.
Int.: Pensavi…
Dalila: Sì, fare almeno una cosa insieme, così chi non capisce qualcosa… [...]
Int.: Perché pensavi di continuare con un percorso universitario?
Dalila: Perché diciamo che mi piace studiare e mi piace raggiungere diciamo un risultato,
cioè un mio futuro, e quindi non “Non ho mai preso il diploma, rimango a casa e penso al
matrimonio”. Cioè voglio rendermi anche io cioè… ho un mio lavoro, le mie idee, i miei
pensieri e imparo ancora mille cose. Soprattutto un lavoro che… sì. Anche perché i tempi
ormai sono cambiati quindi…
Int.: In che senso?
Dalila: Diciamo che adesso c’è la possibilità di studiare e quindi studio, poi voglio essere
anche io indipendente da sola, cioè indipendente. E quindi… non voglio più per esempio…
anche nella mia cultura c’è sempre “Ti sposi e hai un marito che si prende cura di te”. Io per
esempio voglio sposarmi però voglio avere il mio lavoro e avere un mio stipendio e quindi
essere una donna lavoratrice.
Int.: E quindi il triennio dell’università ti può aiutare a trovare lavoro?
Dalila: Diciamo che non mi fermo al terzo anno così. Se c’è la possibilità continuo, se riesco
a trovare lavoro cioè non rifiuto. Lì dipende sempre appunto (stud. 36: Dalila, Liceo α sociopsico-pedagogico, 20 anni, Tunisia).
Il ruolo dell’istruzione è inteso dall’intervistata come una via di emancipazione da
concezioni dell’occupazione e dell’istruzione femminile ancora segnate da asimmetrie di
genere, emerse anche da una intervista a un padre di origine nord africana (ma non
estranee nemmeno alla “cultura italiana”, stando ai tassi di disoccupazione femminile),
dalle quali Dalila intende prendere le distanze. Anche in questo caso la decisione di
proseguire con la laurea specialistica è dilazionata nel tempo in base alle opportunità
291
lavorative che emergeranno. Per Jessica, invece, la futura strutturazione del nucleo
familiare al momento non è calcolabile, ma da essa dipenderanno le risorse del nucleo, e
il suo tempo personale, utilizzabili in istruzione.
Jessica: Vorrei fare una cosa che mi permetta di studiare e lavorare alla volta. E… e trovare
lavoro subito. Però con la psicologia non trovo lavoro subito, lingue neanche. Sociologia, mi
devo informare ancora. […] Praticamente con il lavoro non è che mia mamma va tanto bene,
cioè non guadagna abbastanza. E quindi sono io che dovrei ° pagarmi l’università °. Poi se
viene mio fratello…
Int.: Dici che ti darebbe una mano?
Jessica: Mmh (segno di assenso) (stud. 18: Jessica, Liceo α socio-psico-pedagogico, 21 F,
Ecuador).
Jessica e Saloua sono ancora indecise sul corso da seguire. Il padre di Saloua spiega che
l’istruzione terziaria, intesa anche dalla moglie come strumento di mobilità sociale e di
crescita personale, non precluderà il coinvolgimento dei figli nella sua attività
commerciale.
Int.: [Non si iscriverebbe in Italia all]’università?
Karim: Sarebbe il mio sogno, il mio sogno. Ma è irraggiungibile. Per quello voglio che
Saloua va. E anche mio figlio, adesso ci sono questi corsi… tre più due li chiamano giusto? Il
progetto è quello. […]
Int.: Perché?
Asmaa: Ma per avere una vita migliore, più studi più… hai, hai una casa, hai un’altra
alternativa.
Karim: Ma si lamentano di disoccupazione, però più carte hai, meglio è. Non è che
l’università escluda l’imparare un mestiere, possono fare anche l’agricoltore, eh? Tanti
piemontesi vanno nei campi… non è detto, Saloua va all’università e viene ad aiutare me,
anche un addetto alla vendita, sa accogliere, sa vendere, è un’addetta come si deve. Non è
facile fare il venditore, eh? Devi convincere, devi avere clienti fissi per sopravvivere, di tutti i
giorni, non di passaggio, c’è una concorrenza spietata, io ho i miei clienti fissi. Lo stanno
facendo tutti, anche i (sott.: figli) maschi. Carici e scarichi, e imparare a vendere. Magari nel
futuro non sarà quello, però hanno una carta in più.
Int.: E sul continuare all’università è più una volontà vostra o sua?
Asmaa: Soprattutto è lei…
Karim: Perché alla fine dei conti è lei che si deve dare la pelle per questo fatto qua. Io non
voglio entrare in questo, noi preghiamo perché fa la scelta giusta, che saranno cose che vanno
bene per lei (gen. 8: Karim e Asmaa, genitori di Saloua [37], Liceo α, Tunisia).
Lauro, Hind e Diego non hanno ancora stabilito quale facoltà frequentare e hanno
rimandato la scelta a dopo il diploma. Lauro ha usufruito di un’iniziativa di orientamento
svolta a un pool di esperti selezionati da un’associazione benefica, e sta pensando di
optare per le facoltà sanitarie, malgrado avrebbe preferito Psicologia, di nuovo per le
chances occupazionali. Dall’intervista a Hind, alla quale il nucleo familiare non sta dando
orientamenti specifici, emerge chiaramente il processo decisionale che sta attivando nel
periodo dell’intervista, conforme all’equazione della teoria della scelta razionale, ma
proprio per questo alquanto inefficiente in termini di trovare una soluzione univoca.
Diego sottolinea invece che i sui dubbi nascono dagli effetti deteriori che avrebbero sul
sistema educativo italiano le riduzioni di investimento pubblico in corso. Nel suo caso la
292
scelta del paese in cui studiare, più che su un calcolo costi-benefici, sembra basarsi sulla
migliore conoscenza della lingua spagnola rispetto a altre lingue terze, e anche ai legami
amicali con coetanei che frequentano ingegneria, invece che Lingue, la sua prima opzione
al momento dell’intervista.
Mi iscriverò sicuramente all’università, solo che non so dove andare. E quindi cartellone
“Cercasi università per me”. […] Al Politecnico non hanno la fama di persone flessibili, ho
paura di non farcela, e se non ce la faccio ci rimango male. […] Non voglio i mezzi percorsi,
fai un pezzo di là e un pezzo di là, perché perdi, perdi, io già ho perso tre anni, anche… senza
colpa e quindi non voglio andare oltre i cinque anni della laurea, se poi voglio continuare a
fare master o cose varie, ok continuo, ma deve essere master, non devo farmi sei o sette anni
di università. Sono cinque anni, e cinque devono rimanere. […] E’ quella la mia paura, non
voglio fallire (sorride). E poi deve essere qualcosa di… non voglio neanche qualcosa [meno
impegnativo che] poi magari obiettivamente non mi dà degli sbocchi di lavoro, non voglio.
Anche se poi è inevitabile, anche se fai Medicina, il rischio non si toglie mai, però tendo a
fare questi calcoli. Tra quello che voglio, quello che mi conviene, e quello in cui riuscirò
(stud. 16: Hind, Liceo α scientifico, 22 F, Marocco).
Int.: Hai già pensato a cosa fare dopo?
Diego: Sì, ci ho pensato nel senso che ci sto pensando un po’ adesso, cioè io vorrei tanto
continuare gli studi, però… (0.02) visto come vanno le cose qua in Italia, visto i tagli che si
sono avuti, e tutte le leggi… vorrei non lo so, forse stare all’estero, in Spagna. Vorrei
continuare a studiare, però, se non c’è la possibilità… boh al massimo… mi troverò un
lavoro. […] Vedo un certo clima e… ° non so se mi conviene iscrivermi in questa università e
scuola italiana °. Non lo so ancora. Ma ci penserò, ci penserò. (0.02).
Int.: Nel senso che vedi che ci sono dei tagli e pensi che l’offerta formativa potrebbe essere
più ricca in un altro paese, per quello?
Diego: Esatto, esatto. È proprio quello.
Int.: Quindi pensavi alla Spagna?
Diego: Sì, perché conoscendo lo spagnolo… forse sarebbe meglio anche altro, però vedremo
se ci sarà la possibilità, comunque Spagna, sì. [...]
Int.: E come Facoltà come pensavi?
Diego: Sì, Lingue, ma se continuo mi informo bene su come vanno le cose anche a
ingegneria, elettrica o elettronica, perché io ho molti amici che la frequentano. C’è anche
meccanica, cioè è combinata, potrei andare a quella, mi ispira. [...]
Int.: Sul fatto di continuare o no ne hai parlato un po’ con i tuoi?
Diego: Loro vorrebbero che continuassi a studiare, perché per loro avere una laurea in mano è
importante per trovare lavoro. E quindi… non vorrei anche rimanere deluso, perché se io
iniziassi a studiare, vorrei che andasse bene, non vorrei perdere tempo e soldi, e soldi. Io
questo non lo vorrei. Quindi ci sto pensando bene a continuare o no.
Int.: Quindi se tu continui lo vuoi fare proprio per finire, finire bene e in tempo.
Diego: Sì, non per andare là come a un parcheggio.
Int.: Da parte di altre persone hai avuto consigli? Hai già chiesto?
Diego: Sì, da parte degli amici che studiano ho avuto sempre pareri come “Non è difficile, se
inizi poi ce la fai” (stud. 38: Diego, IT α elettrotecnico, 21 M, Perù).
Tutti gli intervistati, sia quelli per i quali il processo decisionale si è concluso, sia la
minoranza per la quale le opzioni sono ancora aperte, sottolineano che il corso di laurea
deve favorire il loro ingresso nel mercato del lavoro e deve essere concluso in tempi
ragionevoli, anche date le risorse economiche limitate della famiglia di origine. Malgrado
chi intende proseguire non ritiene di avere ricevuto inviti espliciti a collaborare
all’economia domestica da parte dei genitori, tutti si sentono responsabilizzati, e i
riferimenti ai genitori alle loro condizioni di lavoro, normalmente faticose e manuali,
293
insieme a idee piuttosto diffuse sulla transizione all’adultità e agli anni scolastici “persi”,
li spingono verso corsi di laurea triennali, da frequentare lavorando. Mentre tra gli
studenti dell’istituto professionale Alfa circolano informazioni e idee rispetto
all’iscrizione all’università, in particolare al corso di laurea in Scienze infermieristiche, il
più vicino come materie trattate a uno dei curricola di indirizzo (tra l’altro quello più
frequentato dalle migranti), all’IP Beta sono minori questo tipo di informazioni, e non
sono stati organizzati corsi preparatori per i test di ingresso all’università, probabilmente
anche per la composizione dell’utenza, meno interessata a proseguire negli studi terziari.
All’IT Alfa, inoltre, sono molti gli ex studenti che si iscrivono con successo al
Politecnico, e diffondono presso i loro compagni ancora frequentanti le scuole superiori
narrazioni di successo e idee sulla fattibilità di tale corso di studio, inoltre la scuola
accompagna gli studenti ai pre-test di ingresso. Tra gli studenti di liceo è “normale”
proseguire all’università e tutti conoscono ex studenti iscritti nelle diverse facoltà, in
questo modo godono di informazioni molto più ricche sui corsi, la reputazione delle
diverse facoltà, le prospettive occupazionali e i modi di reperire eventuali notizie
mancanti, specialmente al liceo Beta, a maggioranza italiana (anche se la ricchezza
informativa non implica necessariamente un processo decisionale più rapido e univoco).
A questi aspetti, come abbiamo visto, va unita la dimensione di genere, che sembra avere
orientato soprattutto le ragazze verso studi umanistici e professioni di cura. Inoltre le
studentesse dell’istituto tecnico Beta, scuola a componente maschile maggiore e anche
quella che rilascia diplomi più riconosciuti nel mercato del lavoro qualificato locale
rispetto alle altre scuole incluse nel campione, all’università hanno optato quasi tutte per
corsi di laurea in cui è più elevata l’incidenza di studentesse femmine.
Oltre alle motivazioni della scelta del corso di laurea guidate dalla ricerca del futuro
lavoro, vanno considerate anche quelle direttamente connesse alla dimensione del
prestigio, soprattutto per i migranti.
Int.: Cosa occorre per essere riconosciuti nella società?
Gaby: Per essere riconosciuti nella società? Diciamo che… avere una laurea. Perché ormai
diciamo che per noi stranieri se non hai una laurea è un po’ difficile essere riconosciuti nella
società. Diciamo che è uno degli immigranti in più. Però se hai una laurea è una cosa a favore
tuo.
Int.: Perché secondo te?
Gaby: Perché… ho visto tanti casi, poi ho anche lavorato io stesso con italiani, no? Ho visto i
contatti che hanno loro anche con altri stranieri che… il tipo di trattamento è… un po’ diverso
diciamo. Cioè essendo un immigrante in più, come tanti altri, e dunque visto come tutti gli
altri…
Int.: E dunque sei trattato in modo negativo?
Gaby: Sì, a volte sì, secondo me sì. […] Tipo dove ho lavorato con mio padre come corriere,
ci sono tanti immigrati di altri paesi… e sì, diciamo che ho visto queste cose.
294
Int.: E quindi una laurea ti protegge da questi atteggiamenti?
Gaby: Sì, essere diverso dagli altri, e avere qualcosa in mano, secondo me sì. […] Una laurea,
un titolo, una qualifica.
Int.: E quindi secondo te… cioè tu conosci persone laureate che sono viste meglio?
Gaby: Sì, sì, sì, io sì. Questo sì. Perché diciamo che un italiano fa un po’ differenza tra uno
che è appena immigrato e lavora così, e uno che ha un titolo, e dicono “Wow, ha studiato,
magari può essere un po’ più intelligente di me, se ha fatto certe cose”... Secondo me sì,
perché se uno si abitua in una società nuova, comunque… gli altri non ti vedono come…
anche se la gente sai, non è razzista, però dal colore, o da come sei, vedono sempre la
differenza. Secondo me. […] Diciamo che se non hai niente, la gente può parlare, ma se hai
qualcosa in mano che ti fa valere qualcosa, puoi avere un po’ di privilegio, non dicono niente,
stanno zitti (stud. 32: Gaby, IT α liceo tecnologico, 22 M, Perù).
Acquisire qualifiche educative elevate, come argomenta efficacemente Gaby, può aiutare
in sé a mettere in discussione visioni stereotipiche dei migranti come gruppo omogeneo
collocato in fondo alla stratificazione sociale, intesa anche nei suoi aspetti simbolici, del
paese di destinazione.
e. Corsi post-diploma non universitari o ingresso nel mercato del lavoro
La maggior parte degli studenti migranti che dichiara di non iscriversi all’università, o di
essere
indeciso
sull’iscriversi
o
meno,
intende
seguire
corsi
post
diploma
professionalizzanti. Questi sembrano offrire certificazioni riconosciute e competenze
applicative specifiche, da utilizzare anche per mettersi in proprio oppure per ampliare i
possibili lavori da svolgere oltre ai settori di cui ci si è occupati durante le scuole
secondarie.
Yuliana: Io voglio lavorare. L’ho sempre avuta, anche se finisco, non finisco, voglio andare a
lavorare. Cioè voglio essere autonoma e pensare a me. Non chiedere sempre. Ai miei genitori.
[…] Avevo in mente un corso per parrucchiera. Parlandone con gli altri, conoscenze, cioè io
sono brava anche a fare i capelli (sorride), quindi mi hanno consigliato loro di farlo e mi
hanno già detto che possono aiutarmi a farlo. Ad aprire la mia…
Int.: Ecco infatti una cosa che volevo chiederti, tu apriresti una attività tua, come titolare di
impresa? Yuliana: Se riesco sì, mi piacerebbe.
Int.: E quindi questo corso lo faresti anche per questa possibilità di mettersi in proprio?
Yuliana: Sì, quello sì, cioè per le mie conoscenze di più, così riesco a essere più sicura
quando apro qualcosa.
(stud. 41: Yuliana, IP α sociale, 19 F, Moldavia).
Per ragioni economiche gli intervistati spiegano che cercheranno di frequentare corsi
gratuiti, oppure di ottenere borse di studio. Georgeta è indecisa tra la Facoltà di Economia
e un corso per diventare agente immobiliare, Rocio non vuole affatto iscriversi
all’università, contrariamente alle aspettative della madre e del marito italiano, e intende
frequentare un corso per animatrice dell’infanzia, Aicha vuole seguire un corso come
segretaria aziendale oppure un corso da mediatrice culturale, invece Marisa prospetta di
trascorrere le vacanze dopo il diploma da parenti negli Stati Uniti in modo da seguire un
buon corso di inglese e quindi di riunirsi alla famiglia, nel paese di origine della madre
295
per il progetto di avviare un’attività imprenditoriale nel settore turistico. Il suo diploma le
potrà consentire di frequentare l’università al paese, oltre che di collaborare all’impresa di
famiglia. Anche Lorena, malgrado avrebbe la sicurezza economica necessaria per
proseguire gli studi, intende approfondire la conoscenza dell’inglese appoggiandosi a
parenti negli Stati Uniti e poi frequentare un corso, nel suo caso a pagamento, per
diventare assistente di volo. Nel suo caso la scelta del corso non universitario non è
dovuta a ragioni economiche, ma al ritardo scolastico pregresso.
Int.: All’università non ci pensi?
Lorena: No, no, non ci penso proprio. E poi a 22 anni… no! Cioè… ° avessi finito prima la
scuola, cioè a 18 anni, 19, sì. Non avrei fatto fino ai cinque anni, però le capacità… la
triennale sì, l’avrei fatto. Perché marketing mi hanno detto che si fa veramente meglio
all’università. Non lo faccio ° perché non voglio pesare ancora di più sui miei genitori tre
anni ° (tossisce per schiarirsi la voce) °° Poi a 25 anni è pesante, non voglio °°. […] Quando
finisco, dato che non so le lingue, questa estate appena finisco voglio farmi le vacanze.
Voglio andare da mia zia a Miami. E poi dopo non so se iscrivermi a una scuola per imparare
l’inglese perché è importante. Cioè senza l’inglese qua non vai proprio da nessuna parte. Io
voglio imparare l’inglese. E poi ci sono tante agenzie qua a Milano private, che fanno dei
corsi per diventare hostess. Cioè devi fare questo corso, superare un esame che loro ti danno,
e poi inizi (stud. 10: Lorena, IP α aziendale, 22 F, Cuba).
Per Costela e Daniel l’istruzione terziaria avrebbe un ruolo alternativo alla
disoccupazione, alla quale comunque pensano di sfuggire utilizzando il loro diploma di
istituto tecnico.
Ci sono molte aziende che chiamano, che prendono il nome dalla scuola e chiamano per
offrire un posto di lavoro. E se dovesse succedere, lo accetto ben volentieri! Poi magari
studierò anche, o se trovo il lavoro, magari farò un corso per… non lo so, per… sempre di
informatica, che è sempre una cosa in più. Oppure se non trovo niente, nessun lavoro, e se ho
voglia di studiare, magari… pensavo di fare Lingue all’università, di iscrivermi [dato che
conosco già il Russo. Ho fatto anche il test di ammissione al Politecnico]. Però se dovessi
continuare con l’informatica non andrei al Politecnico ma all’università di informatica (stud.
26: Costela, IT α informatico, 20 F, Romania).
Int.: Tu stai pensando di fare l’università?
Daniel: Non lo so. Se non trovo niente, sì, penso di andare. Ma prima vorrei cercare. Perché
come ci hanno detto anche alcuni professori, la laurea di tre anni, se non fai il master, è come
se avessi tre anni di tirocinio. Perché alla fine, sì, va beh, hai un titolo in più, però a livello di
cose che sai fare, cioè mi conviene fare un tirocinio, che magari vedo come stanno bene le
cose. Poi un master come ingegnere elettronico o elettrotecnico, sì.
Int.: Magari più specifico sulla tua cosa? Ma prima vorresti cercare lavoro?
Daniel: Sì, se mi fanno un’offerta accettabile, andrei a fare tirocinio oppure a lavorare. Sì.
Int.: E poi se ti piace l’azienda e il settore magari vedere con loro se fare corsi di formazione
o…
Daniel: Sì, quello sì! (stud. 34: Daniel, IT α elettrotecnico, 19 M, Romania).
Negli altri casi i ritorni occupazionali della laurea sono minimizzati, e accanto al
desiderio di interrompere gli studi per mancanza di motivazioni all’apprendimento,
compaiono le necessità economiche familiari.
Int.: volevo chiederti se vuoi fare l’università.
296
Sabina: No. Voglio andare a lavorare. Perché la scuola serve però non penso che mi renda
troppo. Poi… ° non voglio più fare la mantenuta di mia mamma, perché è una situazione
difficile allora… non voglio stare così, senza lavoro °. [...]
Int.: Ti ha detto di fare l’università?
Sabina: Sì. Questo me l’ha detto. Però… me lo dice quasi sempre. Però io le dico che voglio
andare a lavorare perché ci sono tanti ragazzi che hanno fatto l’università però non hanno
lavoro. Allora io, quello che stavo dicendo, preferisco andare ovunque a lavorare, invece di
andare a prendere un diploma e stare a casa. [Penso che il diploma aiuti a trovare lavoro],
anche se quando finisco la scuola se non trovo lavoro in questo settore non è che sto a casa,
vado a fare un’altra cosa. Vado a fare due corsi che ho visto. [...] Un corso di estetista e
parrucchiera, poi un corso di assistente alla poltrona per odontoiatra, mi ha detto mia zia che
si guadagna, vorrei fare questi due corsi, solo che ho sentito che costano tanto allora voglio
vedere se si trovano gratis (stud. 44: Sabina, IP β sala bar, 20 M, Romania).
Bogdan e Ionel, nonostante l’ottima riuscita alle secondarie e l’orientamento dei docenti,
sono più orientati a uscire dal circuito dell’istruzione formale dopo il diploma.
Non ci provo solo a vedere com’è. Io se ci vado vorrei finire. Quindi se ci vai solo per
provare, tanto vale stare a casa. Adesso vediamo. Tutti i professori: “Sì, tu ci vai perché devi
andare, lì… fa per te!”. [...] Adesso vedo anche come stiamo con i soldi. Perché non puoi
pretendere dai tuoi genitori che ti sostengano fino a 25-30 anni. Non è… nelle mie opinioni.
Altri forse la pensano diversamente, io… non vorrei essere un impiccio per i miei genitori.
[...] Scegliendo tra lavoro e studio non ho ancora assolutamente deciso. Perché per tutta la
vita sei sempre al lavoro. Quindi… se fai ancora cinque anni di Politecnico, forse… non per
me, ma per la mia famiglia, sarebbe meglio. Per trovare lavoro più facile e comunque molto
più ben retribuito (stud. 24: Bogdan, IT α elettrotecnico, 19 M, Romania).
Nonostante Bogdan ritenga utile la laurea per collocarsi meglio nel mercato del lavoro,
dopo l’intervista afferma che cercherà lavoro, e contemporaneamente proverà a iscriversi
a un corso per diventare elettricista, malgrado anche questo corso sia impegnativo e
lungo, e difficilmente compatibile con lavori full time. Ionel invece sarebbe molto
interessato a un istituto post secondario privato, tuttavia le rette sono troppo costose per
cui se non vincerà la borsa di studio, seguirà un corso breve professionalizzante, dato che
le lezioni al Politecnico, secondo le informazioni che ha ottenuto da suoi conoscenti, non
sarebbero abbastanza applicative.
Ionel: Io ho presentato una borsa di studio allo IED, che è l’Istituto Europeo di Design. Solo
che è privato, e quindi… a meno che non vinca la borsa di studio al 100%, che significa 9.600
euro… senza borsa di studio… le possibilità di entrare, e studiare lì, sono molto poche, eh…
(sorride). [È] una cosa molto più specifica, è diversa, non saprei che nome attribuirgli…
comunque senz’altro un’università che… ° mi darebbe una grossa mano per il mio futuro °.
[…] Perché, sia da quello che ho sentito da altri, sia da quello che ho visto in giro, sia… Cioè,
la gente che esce da lì… esce… quasi, quasi tutti hanno un posto di lavoro, quasi certo. E
sicuramente, ° andare a lavorare come grafico, con un diploma dell’IT Beta, renderebbe
molto meno che andare dopo aver frequentato °… e anche la preparazione senz’altro è molto
diversa °. […] Se no ci sarebbe un altro progetto virtuale, […] al Politecnico. Solo che lì, la
gente che ho sentito, ° non è tanto soddisfatta ° perché è… ° Essendo una scuola pubblica,
manca tanto di personale e quindi ho sentito che fan fatica ad avere gli insegnanti presenti al
corso e tutto quanto °. Quindi… ° non vorrei neanche fare un’università che poi mi facesse
perdere tre anni di vita così °… E poi avevo sentito anche di un altro corso che è a Torino,
organizzato dalla Regione Piemonte, un corso biennale. ° Devo vedere oggi pomeriggio, c’è
la presentazione di questo corso. E… che… è sempre specializzato per la grafica, ° quindi a
meno che non venga preso dallo IED, sono più propenso a ° tentare questo corso che il
Politecnico °. […]
297
Int.: Ah, ma ti ha scoraggiato perché è troppo difficile o per…?
Ionel: No, no… mi han detto quelli del progetto grafico, che nei primi mesi di questo anno
scolastico > hanno avuto solo 10-12 ore alla settimana del corso al posto delle 17 o quante
che ne devono fare. Quindi, cioè, andare lì e stare… o appunto perdere tempo… non, non fa
per me. ° E in più non me lo posso neanche permettere °. […] Più che altro io ho guardato il
mercato… ho guardato un po’ cosa c’era in giro…nella grafica. E la grafica va bene la laurea,
però va bene di più la conoscenza.
Int.: Saper fare?
Ionel: Sì. Perché… il cliente guarda più il prodotto, e non guarda la tua preparazione
scolastica e quindi… avere cinque lauree da grafico, e poi viene uno che fa il professionale,
che ha fatto il professionale e ti presenta un prodotto migliore, ovviamente vai… > scegli
quello < (sorride) (stud. 52: Ionel, IT β grafico, 20 M, Romania).
Per Miguel le difficoltà economiche si sommano agli esiti scolastici non soddisfacenti,
per cui il suo desiderio è lavorare innanzitutto impiegando il diploma e l’esperienza di
tirocinio, in Italia o nel paese di origine, in caso di insuccesso cercherà lavoro in altri
settori, anche nel caso in cui dovesse ripetere l’anno scolastico in corso.
Int.: Sai già cosa fare dopo, ci stai già pensando?
Miguel: Allora probabilmente lavorerò, in qualsiasi cosa che studio qua. Solo che spero mi
chiamano dove ho fatto lo stage, spero proprio, loro hanno detto che vorrebbero fare una
filiale in Brasile, due anni fa… e speriamo. Però se non va bene questo, dovrò subito cercare
altro, non è che mi faccio l’università, perché i soldi non ci sono. Quindi probabilmente non
lavorerò con le stesse cose che facciamo qua a scuola. Fabbrica, non lo so, qualsiasi cosa
trovi, mi metto a lavorare subito.
Int.: Non continueresti per ragioni economiche, quindi, non perché non ti piace molto lo
studio.
Miguel: No, no, mi piacerebbe fare l’università. Però, se io voglio una borsa di studio devo
mantenere una media alta, non penso che ce la faccio. Visto che va beh, non so quanto tempo
impegni fare l’università, se impegna diciamo tutti i giorni, non avrò tempo di lavorare perché
magari anche se faccio l’università, la necessità a casa è la stessa, ° detto proprio da mia
mamma che mancano i soldi eccetera °, quindi non è che mi posso permettere di fare
l’università, non ancora. Magari prossimamente, più avanti. […] In linea di massima ci sono
dei corsi che la Regione offre come meccanica eccetera, anche se non è un’università aiuta
comunque ad imparare altre cose. E ad esempio se una macchina si rompe, io la posso
sistemare, quindi come dire lì potrei fare delle cose. Ci sono tanti corsi, ho un libro così
grosso a casa che ci sono tutti i corsi e i siti da visitare per vedere.
Int.: Ok quindi al limite faresti un corso più professionalizzante per avvicinarti di più al
mercato del lavoro piuttosto che l’università che non è detto…
Miguel: Sì, sì.
Int.: E su questo hai chiesto anche consiglio a qualcuno? Per decidere come fare dopo?
Miguel: Sì, a mia madre, anche a mio padre a cui chiedo tanti consigli, poi lì in Asai ci sono i
miei amici della banda, così, lo chiedo sempre cosa fare, qual è la cosa migliore da fare, e mi
dicono così.
Int.:Quindi questo è un’orientamento che hai avuto un po’…
Miguel: In generale da tutti (stud. 56: Miguel, IT β grafico, 20 M, Brasile).
Oltre alle propensioni individuali all’apprendimento, per le convivenze familiari
monoreddito in cui la madre è impiegata in settori poco pagati a elevata informalità, il
processo di inclusione occupazionale verso il basso vissuto dai genitori in Italia (o, per
Marina, la disgregazione della convivenza familiare per sua stessa richiesta e decisione
dei servizi sociali prima del termine della scuola dell’obbligo) porta i giovani migranti a
collaborare all’economia domestica subito dopo il diploma, rischiando di non valorizzarlo
298
nella ricerca del primo impiego per la necessità di contribuire immediatamente alle
entrate.
Lorian, Rustan e Emil, come Eduard, spiegano che avrebbero interrotto gli studi al terzo
anno di superiori, dopo la qualifica, per cui non intendono proseguire ulteriormente.
Mentre per Lorian e Emil le madri sono citate come principali responsabili della
continuazione degli studi fino al diploma, per Rustam le scelte in istruzione sono
presentate come un fatto privato, di cui ha parlato piuttosto con docenti e amici che con i
familiari.
Int.: E tu perché non faresti l’università?
Rustam: Non ho più voglia di studiare! Già volevo finire in terza, poi sono riuscito ad arrivare
fino a qua, ma voglio lavorare e guadagnare, mettermi i miei soldi da parte, aiutare anche i
miei genitori, non sempre farmi dare i soldi, ma voglio aiutarli. Io non voglio essere più un
bambino, questa è la mia idea, voglio finire la scuola e iniziare a lavorare.
Int.: E i tuoi cosa hanno detto dell’università?
Rustam: (scuote la testa).
Int.: Non ti hanno detto più di tanto, ti lasciano fare…?
Rustam: Sì, lasciano decidere a me (stud. 45: Rustam, IP β cucina, 20 M, Moldavia).
Poi allora quando è arrivato è andato a scuola qua. Adesso dovrebbe finirla (sorride). L’anno
scorso mi aveva detto che voleva andare avanti, voleva andare all’università. Adesso finendo
la scuola non si sente pronto per andare avanti (sorride). Speriamo che almeno ottiene il
diploma. A parte che questi due anni con la crisi ci ha proprio rovinato perché… (sospira)
(gen. 10: Luana, madre di Lorian [48], IP β, Romania).
Per Eduard le ragioni di non iscriversi all’università, inoltre, sono legate direttamente al
suo percorso migratorio, all’idea del “ritorno” e del “giusto posto” che i migranti possono
occupare nella società di destinazione.
Int.: Non hai mai pensato di fare l’università?
Eduard: No. Perché secondo me l’università è… una cosa non dico da ricchi, però non è una
cosa per me. Io sono venuto qua per farmi un futuro e per tornarmene a casa. Perché io dico
sempre che qua sono un ospite, ° cioè non sarà mai casa mia, perché è giusto così °. Io qua
sarò sempre un ospite, perché casa mia secondo me è dove sono nato e dove sono cresciuto.
Quindi essendo un ospite, io me ne voglio andare, nel mio futuro io voglio tornare a casa mia,
perché è giusto così. E quindi stare a fare l’università o queste cose qua, cioè… a me, non è
che sembra di perdere tempo, però non penso che sia cosa fatta per me. Non mi interessa
perché a me interessa lavorare, farmi un po’ di soldi e tornare. [Forse in Romania avrei
studiato all’università per i minori costi e l’uso della mia lingua madre, ma in Italia no]… mia
madre invece ci tiene tanto. Ma io gliel’ho detto.
Int.: Secondo te perché ci tiene?
Eduard: Eh, perché dice che può garantire un futuro migliore. Sì, anch’io sono convinto di
questa cosa, però… fra cinque anni. E sono cinque anni che… ° fra cinque anni magari posso
lavorare per conto mio °. […] Io già volevo smettere in terza, perché questa scuola dava una
qualifica. ° Ma mia madre ha voluto farmi continuare, io le ho detto “Va bene, ti faccio un
piacere, ma all’università non ci voglio andare” °. Sì, comunque sono venuto qua perché
volevo andare a lavorare. Sì, la scuola serve, ma per carità. Ho fatto questi due anni, ma io
volevo comunque smettere in terza. Però ormai sono qua, e finisco fino all’esame (stud. 43:
Eduard, IP β sala bar, 20 M, Romania).
Questo tipo di discorso sul funzionamento della stratificazione sociale per chi “viene da
fuori” è stato riscontrato in prevalenza tra i genitori primo migranti, e solo nell’intervista
299
a Eduard tra gli studenti. Per Bai, per il quale conta soprattutto il ritardo scolastico
accumulato, e per Marina, che abita sola e da settembre non godrà più della protezione
del welfare, lo studio universitario è posticipato e visto in maniera espressiva. Piuttosto il
lavoro autonomo per loro può essere uno strumento di mobilità sociale ascendente.
Bai: E poi in questa scuola (sott.: in Cina) c’erano anche molti stranieri che studiavano, e mi
era anche presa l’idea di fare l’università poi. E forse anche per questo motivo ho voluto fare
la quarta e quinta e prendere il diploma, così poi se mi veniva voglia di fare l’università
c’avevo questa opportunità. Ma penso che non ci andrò, dato che altri cinque anni di studio…
non mi va più di farli altri cinque. Penso di iniziare a lavorare e iniziare a mantenermi. [...]
Non vedo l’ora di finire così inizio a lavorare veramente. Sono un po’ stufo di studiare e
diciamo di passare metà giornata a scuola, quindi vorrei proprio iniziare a lavorare. […] Mi
dispiace perché mi piacerebbe farlo, cioè laurearmi in Economia, però… troppo tempo, penso
di no.
Int.: E non hai pensato di iscriverti ad esempio part-time per una laurea triennale?
Bai: Sì, ho pensato, ma mi hanno detto che avere una laurea breve non… non è utile, è come
se non l’avessi, quindi non avrebbe senso di prenderla, anzi sarebbe utile solo per cultura
generale, perché ciò che insegnano è sempre utile, infatti io volevo andare all’università per
quello, non per prendere una laurea, per avere proprio una laurea, ma per sapere di più io
(stud. 46: Bai, IP β cucina, 21 M, Cina).
Marina: A me piace studiare, infatti io lo dico sempre, se avessi i soldi andrei all’università,
ma non ho i soldi, non vado all’università. Poi, sapendo che devo lavorare per mantenermi la
casa e tutto… almeno quest’anno non ce la faccio, poi il prossimo anno se riesco a mettermi a
posto e tutto potrei andare al serale. Non si sa. Però il mio desiderio è quello. Continuare ad
andare all’università. Perché la cultura ogni giorno te la devi fare. [...]
Int.: Pensavi di iscriverti all’università anche più avanti per un altro possibile tipo di lavoro?
Marina: Potrei. Perché io avrei scelto Scienze dell’educazione. Perché io volendo fare
psicologia volevo fare… cose varie, se poi c’è l’occasione… è sempre quanto costa, cioè
quanto ti danno. Siam sempre lì. Però io l’università non la vedo… cioè non la vorrei fare per
lo stipendio, per avere un lavoro. Per una cosa mia.
Int.: Per te?
Marina: Sì, così.[...] Vediamo, adesso per quest’anno niente. Poi dopo, sperando con il
lavoro, tutte le cose, devo se posso fare anche quello.
Int.: Sai che ti puoi iscrivere part time e paghi metà tasse.
Marina: Sì, diciamo che con il mio reddito base già pago meno, però… bisogna avere anche il
tempo per studiare. Ho visto che già la scuola superiore porta via del tempo, anche
l’università porta via del tempo. Però arrivare a 30 anni e non avere ancora fatto neanche
l’università non ha molto senso. Spero di iniziarla (stud. 47: Marina, IP β arte bianca, 20 F,
Macedonia).
Accanto alla riuscita scolastica precedente e le attitudini allo studio, le risorse
economiche familiari provate dalla crisi, i desideri di adultità e anche, in subordine, la
mancanza di tempo per reperire informazioni puntuali sui corsi post diploma gratuiti o
sulle borse di studio disponibili tra gli studenti che lavorano e che devono studiare per la
maturità in una lingua diversa dalla lingua madre, orientano verso l’ingresso nel mercato
del lavoro immediato. Se tra i diplomandi di istituto tecnico è più diffusa l’aspettativa di
trovare impiego valorizzando il titolo di studio, riconosciuto nel mercato del lavoro locale
soprattutto nel caso dell’IT Alfa, per i frequentanti l’istituto professionale, specie Beta,
c’è disponibilità a accettare sostanzialmente qualsiasi lavoro. Sia per gli studenti di IT che
300
di IP che non intendono laurearsi, mettersi in proprio sembra la via più praticabile per
accedere a posizioni “nel mezzo” della stratificazione sociale, accanto ai corsi post
diploma più costosi e impegnativi, come quelli privati di grafica, di mediazione
interculturale o di elettrotecnica.
Malgrado l’effetto delle aspettative elevate dei genitori migranti sia molto citato tra i
fattori che spiegherebbero le migliori performance di alcune provenienze nazionali,
inoltre, va notato che non sempre queste aspettative riescono a concretizzarsi in
suggerimenti precisi e sostegno all’orientamento in uscita dalle scuole superiori. Le
indicazioni dei genitori sembrano più specifiche, e diverse dalla narrazione più diffusa per
le figlie femmine a favore dei corsi per le professioni sanitarie, solo nel caso di genitori
laureati nel paese di origine. Però va notato che in questi casi rischiano di spingere verso
percorsi desiderati più dai genitori che dai figli, con esiti da indagare. Le affermazioni
sulle aspettative dei genitori migranti, e in particolare sul fatto che le aspettative dei
genitori migranti sarebbero molto maggiori rispetto a quelle dei nativi, andrebbero quindi
controllate empiricamente nelle loro implicazioni e nei loro effetti nel tempo. Da questo
studio emerge che oltre agli aspetti emotivi, senz’altro importanti, vanno considerati
anche gli effetti dei fenomeni di riproduzione sociale, e inserimento verso il basso dei
primo migranti nella stratificazione occupazionale, dal momento che il posizionamento
relativo dei migranti e della praticabilità dei loro progetti in istruzione avviene in base a
questi processi, e alle risorse che ne derivano. In altri termini, essere “schiacciati verso il
basso” rende faticoso risalire attraverso lunghi e costosi percorsi in istruzione, tra l’altro
dagli esiti incerti. Dal momento che il campione, come da ipotesi, include studenti con
buona o almeno sufficiente riuscita scolastica precedente, tuttavia, è possibile cogliere
progettualità di inclusione verso l’alto da gran parte delle interviste realizzate. Se i
genitori laureati fanno sentire chiaramente il peso della “paura di cadere”, e delle loro
competenze sui sistemi di istruzione terziaria, anche in condizioni economiche incerte,
per gli altri è difficile dissuadere i figli dall’iniziare a lavorare dopo il diploma,
specialmente quando, nel caso di famiglie monoreddito o non percettrici di alcun reddito
al momento della transizione a causa della congiuntura, il contributo economico dei figli è
una necessità.
Naturalmente queste riflessioni si basano su “intenzioni” di transizione educative rilevate
da tre a cinque mesi prima dell’effettiva transizione. Come abbiamo visto nel secondo
capitolo, tuttavia, si tratta di un tempo ragionevole per cogliere progettualità concrete. A
parte le iscrizioni che dipenderanno dal superamento dei test di ingresso delle Facoltà
301
sanitarie, a detta delle stesse intervistate ardui per chi possiede una formazione di base di
istituto professionale, è molto probabile, almeno secondo gli studi disponibili sullo scarto
tra intenzioni e iscrizioni, che gli intervistati procederanno come hanno riportato durante
l’intervista126. Piuttosto per i nostri interrogativi di ricerca va segnalato che l’iscrizione
all’università non implica immediatamente successo e ottenimento della laurea. Sono
ancora rari risultati empirici sul successo o l’abbandono dei migranti in istruzione
terziaria in Italia. I primi risultati del progetto SECONDGEN suggeriscono che tra gli
studenti universitari di origine immigrata, nati in Italia da genitori nati all’estero o riuniti
dopo la prima fase di scolarizzazione nel paese di origine e poi diplomati in Italia, siano
molto diffuse condizioni di marginalità e difficoltà di riuscita. La presenza crescente di
studenti migranti all’università sarà una sfida per quell’ordine di insegnamento, oltre che
per i progetti dei migranti di inserirsi negli strati “medio-alti” della società italiana (o di
altri paesi). Accorgimenti didattici e organizzativi per facilitarne la riuscita nell’istruzione
terziaria, come informazioni chiare su procedure, orari, servizi e opportunità (in primis su
borse di studio, su mense, studentati, aule studio e biblioteche), corsi in altre lingue
comunitarie, se non proprio certificati intermedi sui contenuti più applicativi spendibili
nel mercato del lavoro internazionale, sarebbero auspicabili anche per attrarre studenti
universitari dall’estero, obiettivo ritenuto importante delle economie più sviluppate
(Oecd, 2012).
7.2. Le aspettative occupazionali e di inserimento sociale tra obbligazioni e
desiderio di adultità
Chiedendo agli intervistati di esprimere i loro progetti post-diploma, sostanzialmente
questi restituiscono aspirazioni di transizioni alla vita adulta che li collochino in posizioni
“intermedie” della stratificazione sociale.
Vorrei… essere felice. Avere un lavoro, una famiglia, una casa. Non dico essere ricco, ma
vivere bene, non starmi a preoccupare ogni giorno di come arrivare alla fine della giornata,
essere tranquillo, sai? Poter fare una vacanza qualche volta, fare un lavoro dignitoso, non
come mia mamma che non sa quando lavora, quando non lavora, fa un lavoro faticoso, pagato
126
Anche se naturalmente sarebbe interessante appurarlo coinvolgendo gli intervistati in uno studio
successivo, dal momento che le ricerche consultate nel capitolo 2 a tal proposito non tengono conto
dell’eventuale impatto dell’origine nazionale sullo scarto tra intenzioni e comportamenti in istruzione,
mentre invece potrebbe essere un terreno dove si manifestano le disuguaglianze legate alla maggiore
precarietà, residenziale e economica, delle famiglie migranti, unite alle differenze tra nativi e migranti da
paesi a forte pressione migratoria sulle definizioni dei confini dell’adultità, e delle responsabilità e
obbligazioni intergenerazionali.
302
male e considerato male. Anche per quello ho voluto studiare (stud. 12: Alexandru, Liceo α
scientifico, 21 M, Romania).
Poter vivere una vita dignitosa, senza eccessi ma neanche senza privazioni. Vivere normali,
non… potersi permettere… vacanze, non dico alle Hawaii, però vacanze di un mese, 20
giorni, poter togliersi gli sfizi, why not? Delle cose normali, neanche… da casa Agnelli, cioè
delle cose normali (stud. 16: Hind, Liceo α scientifico, 22 F, Marocco).
Int.: Un tuo progetto, qualcosa che vorresti realizzare?
Arzan: Boh, mi basta avere una vita tranquilla, felice, bon, basta.
Int.: Secondo te come si fa, di cosa è fatta una vita tranquilla?
Arzan: Trovare un lavoro stabile, una famiglia, cioè non è che ho un sogno vero e proprio
(voce che trema). Una vita tranquilla come tutti, cioè come la maggior parte delle persone,
medio alta. Bon, basta. Cioè mi accontento di poco (sorride) (stud. 14: Arzan, Liceo α
scientifico, 20 M, Albania).
Il mio sogno è trovare un lavoro ben retribuito e poter comprarmi una casa. E quello proprio
per come ho vissuto, nel senso è quello che vorrei avere e vorrei offrire alla mia famiglia e ai
miei figli (stud. 49: Mirko, Liceo β scientifico, 19 M, Romania).
Sono pochi quelli che guardano all’interno del circuito formativo: Trisha, Elisabeta e
Gratian.
Prima di tutto finisco la quinta e prendo il diploma. Poi laurearmi, e poi sarò in punta di piedi!
(ride) (stud. 2: Elisabeta, IP α sociale, 20 F, Romania).
Innanzitutto voglio arrivare alla laurea, poi si vedrà (stud. 28: Gratian, IT α meccanico, 19 M,
Romania).
La maggior parte, anche tra chi intende proseguire gli studi all’università, si proietta
innanzitutto nel mercato del lavoro.
Int.: Se tu potessi esprimere un progetto, un obiettivo per il tuo futuro, che cosa vorresti
realizzare?
Marisa: Avere un buon lavoro, saper parlare bene le lingue, sapermela cavare nel mondo
(stud. 5: Marisa, IP α turistico, 19 F, Santo Domingo).
Adesso ho le idee un po’ confuse. Cioè quando ero piccola potevo sognare qualsiasi cosa, ma
adesso… e… (0.02). Diciamo che non saprei adesso, poi, poi vedrò, però non so darti una
risposta concreta. Ma in generale, non so, comunque (0.02) lavorare, cioè non fare un lavoro
monotono, tutti i giorni la stessa cosa, non so, un po’ più creativo. Poi cioè so che questo è
abbastanza difficile, perché comunque l’innovazione, la creatività, è abbastanza difficile. Un
lavoro che mi faccia sentire bene, apprezzata, tutto qui (stud. 13: Yin Mei, Liceo α scientifico,
19 F, Cina).
Vorrei avere un lavoro non solo come gli altri disabili che dopo il diploma si infilano dietro la
cattedra e caricano dei programmi e poi se ne vanno a casa […]. Per sentirmi importante, che
valgo qualcosa, per dire al mondo: anche se sono qui su questa sedia ci sono comunque,
posso fare delle cose che anche gli altri possono fare! Mi piacerebbe anche lavorare in più
paesi, pensa un po’ […]. Essere riconosciuta da tutti, non perché sono prepotente, ma per
dimostrare a me stessa e agli altri che io ci sono, parlo, rido, scherzo, ci sono. In questo
mondo di oggi non importa se cammini o no, conta se hai il cervello, pensi, ridi, e hai il cuore
per sentire e amare le altre persone (stud. 21: Aicha, IP α aziendale, 20 F, Marocco).
Per Aicha un buon lavoro è anche un modo per “essere riconosciuta”, realizzarsi
pienamente e dimostrare le sue competenze nonostante i suoi handicap fisici. Per tutti gli
303
altri la rappresentazione si sposta dalla conclusione degli studi e al lavoro che vorrebbero
svolgere al nuovo nucleo familiare che vorrebbero costituire.
Ma il mio primo sogno è prima di tutti finire gli studi, poi avere una famiglia e vivere
tranquilla, non stando a cercare per tutta la mia vita lavoro, perché adesso vedo mia mamma
che ha quasi 50 anni e cerca ancora lavoro. E non vorrei arrivare anche io a 50 anni a cercare
lavoro, perché comunque non c’è. Anche se penso che la situazione peggiorerà (stud. 42:
Ivona, IP α sociale, 20 F, Romania).
Int.: Se pensi al tuo futuro, tu hai un sogno?
Georgeta: (0.02) Non lo so in realtà. Va beh avere un buon lavoro. Avere una famiglia,
figli… quello vorrei. Come la maggior parte delle donne pensi a sposarti, avere una casa tua
(sorride) (stud. 17: Georgeta, IT α meccanico, 20 F, Romania).
Trovare un lavoro e comprare una casa in Italia. […] Stare bene con il mio fidanzato e con
mia mamma, avere un lavoro e andare tutti i giorni, non andare con la paura che domani
magari non vai, magari… se fai un figlio magari non hai niente da offrirgli o… penso di stare
bene, con il mio fidanzato e mia madre, e di lavorare per poi offrire (stud. 4: Tania, IP α
sociale, 20 F, Romania).
Vedermi laureata, con un lavoro, a posto. Non so. Iniziare diciamo la mia vita, non essere più
dipendente magari dai genitori. Poi va beh, il mio sogno è un nostro sogno, cioè lui (sott.: il
mio fidanzato) vuole venire qua, e anche io (stud. 8: Karina, Liceo α scientifico, 20 F,
Romania).
Fare l’ostetrica, sposarmi, avere dei figli (stud. 22: Fadia, IT α liceo tecnologico, 19 F,
Marocco).
Beh, avere… cioè sposarsi, avere una famiglia, avere un lavoro per sostenere la tua famiglia.
Non ho… cioè non voglio fare il presidente o… così, se riesco a avere una vita modesta, e
comunque giusta. Senza rubare, senza fare ‘ste cavolate, ‘ste cagate, così. Tranquillo (stud.
24: Bogdan, IT α elettrotecnico, 19 M, Romania).
Dalle aspirazioni post-diploma emergono differenze di genere tra studenti e studentesse.
Come gli studenti, anche le studentesse considerano l’ottenimento di un “buon lavoro” un
requisito per formare una nuova famiglia e avere figli, ma a differenza che i compagni
maschi, che non citano questo aspetto, le femmine sottolineano l’importanza di un orario
che permetta anche di gestire gli impegni familiari. Tuttavia, anche nei casi in cui
“incontrare il principe azzurro” (Safia) è uno dei progetti per il futuro, rimane ferma
l’intenzione di capitalizzare il percorso formativo intrapreso con l’emigrazione familiare.
Safia: [Vorrei sposarmi con una persona] con un’etica uguale alla mia.
Int.: Tu vorresti anche un ragazzo che fosse musulmano?
Safia: Sì.
Int.: E poi lo vorresti magari di qua, che ti permetta?
Safia: Nel senso qua in Italia?
Int.: Sì. O ti sposteresti…?
Safia: Ma dipende sempre da chi incontri, nel senso se ne vale la pena per… sempre… ne ho
incontrati anche altri in Marocco che magari possono essere anche accettabili, però questi qua
guardano anche al futuro, e allora io dovrei ritornare e rinunciare anche agli studi e io ho
detto (sorride) “Eh no, eh? Quello proprio no!”. Se no cosa siamo venuti qua per? (stud. 7:
Safia, Liceo α scientifico, 19 F, Marocco).
304
Come tra i giovani nativi, emerge disaffezione verso la dimensione partitica della vita
politica italiana, a cui si aggiungono anche tensioni nei confronti della procedura di
naturalizzazione, ritenuta da molti troppo lunga, costosa e, per chi risiede in Unione
europea come i romeni, anche di dubbia utilità. Ciononostante, in particolare gli studenti
di liceo, restituiscono progetti nei quali la propria realizzazione attiva nella società
comprende la partecipazione alla vita politica; nel paese di origine, come per Koffi, ma
soprattutto per favorire le relazioni interculturali e intergenerazionali in Italia (Saloua,
Hind, Iulian) o nell’ambito della cooperazione internazionale (Karina, Flor).
Vorrei riuscire a fare qualcosa di buono anche nel sociale. Magari ho pensato ° > anche di
partecipare un po’ alla politica < °, tra un po’ di anni magari, anche cose piccole, non so,
anche… non so mi piacerebbe anche ad esempio fare un ristorante sia rumeno che italiano,
qualcosa… che serva per… unire la gente (stud. 50: Iulian, Liceo β scientifico, 19 M,
Romania).
I genitori che svolgevano incarichi qualificati nel paese di origine e hanno intrapreso
percorsi di mobilità occupazionale e sociale ascendente nella società di destinazione
incoraggiano i figli all’impegno politico come via di piena inclusione in Italia e frutto
maturo di tutto il percorso di mobilità geografica e sociale familiare.
Io mi ricordo il primo giorno che sono andata a votare: ero contentissima!!! Che poi
comunque ero la prima che votava effettivamente in famiglia, perché mio padre adesso l’ha
presa la cittadinanza, però l’ho presa prima io perché da 18enne nata qui, ho fatto la domanda
e me l’hanno subito data, per territorio. E… mia mamma era contentissima: “Mi raccomando,
vestiti bene!” (stud. 37: Saloua, Liceo α socio-psico-pedagogico, 20 F, Tunisia).
Lo studio è visto dagli intervistati, anche negli altri tipi di scuola, come la prima
caratteristica per ottenere la posizione sociale desiderata, attraverso il successo lavorativo,
insieme all’impegno e alla determinazione individuale.
Solo in due casi è citata la reazione societale nei confronti dei migranti come possibile
ostacolo, ad esempio per lavorare in settori in cui è importante il contatto con il pubblico
(Gloria) oppure più in generale (come spiega Dimitri).
L’ostacolo potrebbe essere molto… cioè i soldi forse, che sono un po’… però se si lavora
magari si trovano i soldi. E poi magari l’odio di qualche persona che non ti vuole tra i piedi,
che non ti vuole in quel posto. Esiste (stud. 19: Dimitri, IT α informatico, 21 M, Romania).
Piuttosto intimoriscono variabili macro strutturali di cambiamento del mercato del lavoro,
e le conseguenze di tali cambiamenti nel primo ingresso dei giovani.
Int.: Secondo te quale potrà essere un aiuto e un ostacolo che incontrerai nel raggiungere
questo tuo obiettivo?
Bogdan: A parte la scuola, che comunque se studi, hai un lavoro, e quindi adesso penso solo a
studiare, perché dopo se non hai qualcosa sottomano non puoi trovare un lavoro. E dopo io
sono credente, e quindi… […]
Int.: E invece come ostacoli?
Bogdan: Ostacoli? Beh, ostacoli… l’economia di tutti i paesi sta andando a… ° a monte,
cioè… ci stiamo disgregando e… ° ma io ho ancora fiducia su come potrebbe andare, cioè
305
potrebbero migliorare le cose. Si vedrà. Cioè sono questi gli ostacoli: ° che non si trova
lavoro… ° Altri ostacoli non ce ne sono. Se sei una persona giusta, che vuole lavorare, non
vuole rubare, non vuole ubriacarsi, non vuole drogarsi… non ci dovrebbero essere altri
ostacoli (stud. 24: Bogdan, IT α elettrotecnico, 19 M, Romania).
Bogdan fa cenno alle difficoltà di entrare in un mercato occupazionale percepito in
trasformazione e per certi versi declino, emerse anche dalle interviste alle insegnanti
testimoni qualificati, le quali restituiscono l’angoscia degli adulti nei confronti
dell’”effetto periodo” sull’inclusione occupazionale dei giovani, nativi e migranti, in
Italia.
Tuttavia anche per gli studenti che esplicitano più chiaramente la percezione della
precarietà occupazionale vissuta dai coetanei oppure dai genitori, i percorsi di inclusione
sociale sono visti come l’esito delle strategie e degli sforzi individuali per acquisire meriti
e competenze riconoscibili e riconosciuti. Per questa ragione proprio il “lavoro fisso” è
ancora visto come il requisito essenziale per muoversi verso l’adultità nelle condizioni
ambite, e lo studio è visto come una modalità (l’unica accessibile a tutti e dipendente
dall’impegno individuale) per ottenere una buona posizione occupazionale.
Beh la cosa che potrebbe aiutarmi è proprio studiare tanto, proprio l’impegno. Perché così
riesco ad andare avanti (stud. 3: Carolina, IP α sociale, 19 F, Romania).
Int.: Secondo te cosa ti aiuterà a raggiungere il tuo obiettivo? Oppure un ostacolo che potresti
avere?
Arzan: L’ostacolo è nella scuola, la voglia. Cioè se riesco a finire penso di riuscire alla fine, a
trovare, a trovare un lavoro (stud. 14: Arzan, Liceo α scientifico, 20 M, Albania).
Int.: E secondo te cosa può aiutarti a raggiungere questi tuoi obiettivi? E cosa può ostacolarti?
Tania: Una cosa che mi può aiutare è finire l’università, tranquillamente, e poi trovarmi un
lavoro. Poi magari… una cosa che mi può impedire di fare questa cosa qua… no
sinceramente non lo so, perché se tutto va bene, non penso cosa ci può essere che ti può
impedire di fare una cosa, cioè nel senso se… c’hai i soldi, o comunque c’hai la salute, c’hai
qualcuno che ti sta accanto, non penso che ci sia qualcosa che ti possa impedire di…
sinceramente non lo so, boh. Cioè ad esempio per prenderti una casa sicuramente non basto
solo io, sicuramente ci deve essere il mio ragazzo, magari dovrà esserci un garante o
qualcosa, magari se c’è un contratto magari ti danno anche un finanziamento per prenderti
una casa. Ma poi sinceramente non so cosa ti può… (stud. 4: Tania, IP α sociale, 20 F,
Romania).
Le caratteristiche per ottenere un buon lavoro sono dunque in primo luogo il titolo di
studio e le competenze acquisite, e poi doti personali come la capacità di cooperare e la
perseveranza. Anche se c’è consapevolezza del fatto che la qualifica non implichi affatto
assunzione in quel settore, ma che servano competenze settoriali.
Ci sono molti laureati che finiscono a fare tutt’altro. E quindi è un po’… un po’ un casino
(sorride). Quindi a volte basta, ma a volte non basta. Quindi… non so, forse o siamo noi
sbagliati, o è la società sbagliata in quel senso lì, però… avere qualcosa in più, una qualifica
serve comunque, almeno… per un qualcosina, magari ti guardano più a te che hai la qualifica
che all’altro che non ha niente, in quel senso lì (stud. 39: Pilar, IP α sociale, 20 F, Perù).
306
Anche le mie scelte sono state basate appunto perché… cioè ho fatto le superiori perché senza
non avrei trovato lavoro. O comunque lavoro soddisfacente. E… non finisco con le superiori
perché preferisco avere una sicurezza in più. Perché comunque è stato anche un po’ un
ritardare l’entrata nel mondo del lavoro. Perché comunque vista ° la paura magari di rimanere
disoccupata e tutto. Per quello non ho mai pensato di iniziare subito a lavorare °. Poi sapendo
che comunque in questo settore, mi ci metto io in un campo, ho conoscenze o altro, se no
lavoro non si trova (stud. 53: Simona, IT β fotografia, 19 F, Romania).
Gli intervistati fanno riferimento al ruolo dei legami personali per trovare lavoro, oltre
che alla “fortuna”, ma si tratta di elementi che considerano in secondo piano127: sanno che
non potranno usufruirne (ad esclusione di due casi che tuttavia non potranno utilizzarli
per la mancanza della cittadinanza italiana)128 e confidano che le qualifiche e le
competenze che stanno ottenendo verranno riconosciute.
Vediamo quindi come gli intervistati immaginano il lavoro desiderato. Naturalmente ci
collochiamo prima del termine delle secondarie, per cui alcune delle rappresentazioni
emerse durante le interviste rimangono piuttosto generali.
Penso soprattutto in modo semplice, giorno per giorno. ° Non mi sono mai fermato a pensare
a cosa mi potrebbe succedere, soprattutto perché tutto il mio universo è stato sconvolto
diciamo, tre anni fa. Quindi mi si sono aperte tantissime nuove opportunità, quindi adesso
non potrei pensare a niente di speciale, di specifico, si va avanti giorno per giorno e vediamo
cosa succede dopo (stud. 33: Fernando, IT α informatico, 19 M, Argentina).
Tuttavia anche in questo caso sono utili per cogliere i processi e le strategie di mobilità
geografica e sociale prefigurati, così come vengono ordinate per fasi successive dagli
intervistati. Si possono individuare due tipi di aspirazioni occupazionali: quelle
caratterizzate da una spinta alla mobilità sociale ascendente, più diffuse tra gli studenti e
le studentesse del liceo, ma anche di istituto tecnico, soprattutto Alfa, che vogliono
proseguire gli studi all’università e al politecnico, e quelle più propense a cercare e
accettare immediatamente un impiego dopo il diploma, anche se non corrispondente al
titolo di studio secondario che si sta per conseguire, più presenti tra gli intervistati iscritti
agli istituti professionali.
Le professioni più ambite tra gli studenti che intendono provare a “muoversi verso l’alto”
attraverso la laurea sono caratterizzate da alta qualificazione, elevata corrispondenza tra il
titolo di studio che si intende conseguire e l’occupazione svolta, medio-alti livelli di
127
Si tratta di rappresentazioni del funzionamento del mercato del lavoro simili a quelle rilevate tra i
giovani italiani: secondo gli intervistati dall’indagine IARD sulla condizione giovanile in Italia per trovare
lavoro occorrono competenze, e poi relazioni, ma i giovani dichiarano di contare soprattutto sulle
competenze, con differenze di classe sociale: per gli operai contano ugualmente relazioni e competenze,
mentre per i figli di classi elevate contano maggiormente le competenze e lo stesso accade per effetto del
capitale culturale della famiglia elevato (Argentin, 2007). Per i migranti, viceversa, malgrado la classe
occupazionale familiare sia bassa così come il capitale culturale riconosciuto dei genitori, la fiducia
espressa nel fatto che i procedimenti di selezione saranno “meritocratici” è elevata.
128
Ricordiamo che anche dalla prima lettura dei dati Erica–WP3 emerge una minor incidenza di studenti
che conoscono persone che svolgono il lavoro desiderato tra i migranti rispetto ai nativi (capitolo 3).
307
prestigio, retribuzione, responsabilità. I settori occupazionali in cui questo gruppo di
studenti desidera inserirsi sono legati allo sviluppo di nuove tecnologie e servizi per
l’industria e la finanza, oppure al terziario qualificato nel settore pubblico.
Il mio sogno sarebbe trovare un lavoro, cioè lavorare per la Commissione Europea (sorride).
Perché ho visto su internet che la Commissione Europea offre dei lavori sulla base di un
concorso e mi piacerebbe molto. So che la richiesta è sapere almeno due lingue dell’Unione
Europea. Io due le so già, poi l’inglese che è quello internazionale da sapere dappertutto, e sì,
mi piacerebbe, dopo finita l’università, mi piacerebbe trovare un lavoro così (stud. 8: Karina,
Liceo α scientifico, 20 F, Romania).
Ho visto che l’Unione europea fa dei progetti con i paesi in via di sviluppo o non sviluppati,
ho sempre pensato a questo (stud. 6: Flor, Liceo α scientifico, 18 F, Perù).
Io ci tengo al lavoro anche per avere delle soddisfazioni. Perché vedo comunque anche mia
mamma, e quelli che comunque mi stanno intorno, che lavorano tanto… per poter andare
avanti, non hanno delle soddisfazioni. Mentre io che ho fatto la scuola, che son comunque
cresciuta qua, ci tengo ad avere delle soddisfazioni, non avere solo un lavoro per arrivare a
fine mese (stud. 3: Carolina, IP α sociale, 19 F, Romania).
Adottando il punto di vista degli intervistati, consideriamo percorsi di mobilità verso
l’alto, rispetto alla posizione familiare di origine, anche quelli che non prevedono il
raggiungimento di incarichi dirigenziali, ma prospettano un inserimento occupazionale di
qualificazione medio-alta nel settore pubblico o privato. Anche se i genitori nel paese
natale occupavano posizioni più prestigiose, come Verim e Gaby, inseriamo queste
prospettive di carriera tra le aspirazioni di mobilità ascendente per effetto della
dequalificazione subita dai genitori in Italia, malgrado dai brani di intervista emerga un
“segno” dell’oscillazione della posizione familiare vissuta in seguito all’emigrazione e ai
percorsi educativi e occupazionali successivi dei membri della convivenza.
Veramente non voglio, il primario o… però comunque un lavoro che… come ti posso dire.
No, non prestigioso, un lavoro che comunque tu te lo senti proprio, tuo. In cui ti senti a tuo
agio. Cioè il fisioterapista io non lo considero un lavoro prestigioso, un lavoro in cui io posso
esprimere quello che so. Magari è considerato un lavoro in cui posso fare del bene a delle
persone (stud. 15: Verim, Liceo α scientifico, 21 M, Albania).
Io da sempre ho voluto lavorare con una camicia, un pantalone grigio, e magari un ufficio, e
fare un incarico importante. Poi ho scelto Scienze infermieristiche, mi piace il corso e tutto.
Però ho sentito dire da tanti che è una materia un po’ superficiale, non è tanto… non è che
dici: “Oh, wow, guarda, un grande infermiere!” cioè è come, è uno come tanti altri. Non
come per dire: “Sei un ingegnere…” cioè ha più prestigio essere. Però se mi piace… magari
vedo anche che in questi tempi bisogna anche trovare… un lavoro stabile, e penso che le
Scienze infermieristiche te lo può offrire. E… va bene (stud. 32: Gaby, IT α liceo
tecnologico, 22 M, Perù).
Tra i percorsi di inserimento “verso il basso” rientrano soprattutto i casi in cui le esigenze
economiche familiari e il desiderio di emanciparsi finanziariamente dai genitori sono in
primo piano, insieme alla mancanza della motivazione a proseguire gli studi.
Basta che riesco a guadagnare qualcosa, e che mi trovo bene (stud. 44: Sabina, IP β sala bar,
20 M, Romania).
308
Punto prima a questo (sott.: il settore per cui ho studiato). Se non si trova niente, mi rifaccio a
qualcos’altro, però nel frattempo continuerò a cercare in questo. Cioè, anche se andrò a fare il
cameriere, però nel frattempo continuerò a cercare come grafico, cioè nella grafica (stud. 54:
Emil, IT β professionale grafico, 20 M, Romania).
Alla fine quello che viene viene, ai tempi d’oggi non è che posso dire “No, questo lavoro non
lo faccio perché…” alla fine quello che viene lo devi prendere, secondo me (stud. 5: Marisa,
IP α turistico, 19 F, Santo Domingo).
Mi piacerebbe fare quello che ho studiato, per non buttare cinque anni, poi mi piace te l’ho
detto. [...] Ma fino a un certo punto, se aspetto aspetto, ma se vedo che quello che ho studiato
non corrisponde a quello che chiedono, cioè ovvio che vai (stud. 34: Daniel, IT α
elettrotecnico, 19 M, Romania).
Diego: Ho studiato come elettricista, e se trovassi un lavoro stabile in questo campo ci
penserei, sì.
Int.: E se trovassi un lavoro stabile in un altro campo?
Diego: Eh, dipende da com’è e… in pratica poi dipende dalla situazione, cioè ° se la mia
famiglia ha bisogno del mio aiuto economico ° accetterei eccome, quindi dipende anche dalle
esigenze economiche della mia famiglia l’incertezza (stud. 38: Diego, IT α elettrotecnico, 21
M, Perù).
Sarebbe bellissimo (sott.: avere un lavoro sicuro). Perché per gli stranieri è un po’ più
difficile riuscire. Non basta avere soltanto il permesso di soggiorno, loro cercano… […] Però
secondo me uno che riesce a finire la scuola e avere almeno un diploma, se cerca bene riesce
a trovare. A meno che è… scarso scarso. Basta avere voglia di lavorare. Magari altro, uno che
il lavoro non lo vuole fare, non vuole sporcarsi le mani… ma mettiti a lavorare e basta!
(sorride). Diciamo che scelgono troppo. Per esempio loro, i miei compagni di classe, si
lamentano perché i suoi genitori ricevono soltanto 2000 al mese. Cioè se sanno che io a casa
mia, riusciamo a vivere un mese con 500 euro, proprio 400 di affitto, soltanto per le spese
basiche a casa, così, e questi che si lamentano che non possono avere 2000 euro al mese.
Secondo me non c’è neanche tanto questa crisi così, loro che non vedono in modo più…
umile (stud. 56: Miguel, IT β grafico, 20 M, Brasile).
Per Miguel i compagni di scuola italiani posticipano troppo oltre l’età adulta l’ingresso
nel mercato occupazionale e lamentano carenza di posti di lavoro perché non si
impegnano ad adeguare le loro aspettative alle reali opportunità. I giovani migranti
intervistati che abbiamo inserito nelle aspettative verso il basso, invece, si dicono disposti
ad accettare, in mancanza di alternative subito disponibili, anche le condizioni contrattuali
meno favorevoli, oppure a lavorare senza contratto.
Costela: Beh è sempre meglio il contratto intederminato oppure il contratto (sorride), almeno
il contratto, perché ci sono tante persone che lavorano in nero. Mio papà ha lavorato molto al
nero quindi… ° anche mia mamma ° non hanno avuto subito… non so, la fiducia di farle tutti
i documenti, dunque è stata un bel po’ a lavorare al nero. Dunque…
Int.: Tu accetteresti? A parte I lavoretti, tu accetteresti?
Costela: Beh, se proprio mi serve un lavoro sì, però… è sempre più difficile… poi anche per
la pensione, anche per il dopo, è sempre più difficile… […] Bisogna solo avere un po’ di
voglia di lavorare. Poi magari se lavori un pochino al nero, e vedono che sei bravo, poi
magari ti assumono, però… bisogna far vedere quello che sai fare (stud. 26: Costela, IT α
informatico, 20 F, Romania).
Penso che i primi anni lavorerò proprio come dipendente, non stabile, lavorerei anche in nero,
perché ho già lavorato in nero e mi è stato utile anche se è stato in nero, perché penso sia in
un certo senso giusto che ci sia questo lavoro in nero, perché se no gli studenti non
309
riuscirebbero a immettersi nel mondo del lavoro e a fare esperienza. Anche perché non tutti ti
fanno i contratti per qualsiasi cosa, è logico, anche perché costa fare un contratto quindi per
certi versi penso che sia giusto. E per altri penso che un contratto a tempo indeterminato
debba sostituire il lavoro in nero perché uno che è anni che non studia e deve lavorare a
tempo pieno deve avere un contratto, ed è giusto che abbia un contratto (stud. 46: Bai, IP β
cucina, 21 M, Cina).
Anche le testimoni qualificate che lavorano con studenti migranti di istituto professionale
segnalano il rischio della ricaduta nelle stesse nicchie occupazionali ad alta informalità
dei genitori.
Pina: Molte volte pensano di ottenere molto più facilmente lavori in nero perché si adattano a
situazioni a cui gli italiani non… si adattano.
Int.: Quindi loro pensano di essere favoriti da un lato?
Pina: Non favoriti, ma che possono trovare più facilmente lavoro se rinunciano a una parte
dei loro diritti. A parità di richiesta, cioè voglio fare un lavoro che mi sia riconosciuto in tutto
quello che… un italiano diciamo che indubbiamente ha più possibilità… (test. qual. 7 Pina).
Non tutti gli studenti di istituto professionale tuttavia appartengono al secondo gruppo:
come abbiamo visto alcuni, soprattutto femmine, aspirano a laurearsi e a svolgere
professioni qualificate.
Tutti noi studenti che veniamo qua abbiamo il sogno di magari prima lavorare un po’ così, e
poi mettere i soldi da parte e aprire qualcosa che puoi gestire tu da solo (stud. 45: Rustam, IP
β cucina, 20 M, Moldavia).
Per gli altri una via di uscita dai percorsi di marginalità è costituita dal lavoro autonomo,
come afferma Rustam in corrispondenza con le altre interviste, anche se al momento
dell’intervista si tratta di idee ancora molto vaghe, tranne che per Marina, la quale dopo lo
stage svolto presso una pasticceria nel paese in cui risiede, ha ricevuto un’offerta di
vendita e sta valutando di accendere un mutuo con il suo fidanzato italiano.
Un’altra forma di passaggio dal gruppo delle aspirazioni alte a quello delle aspirazioni
basse potrebbe essere di senso inverso, in seguito al mancato raggiungimento degli
obiettivi prefigurati, nei tempi stabiliti. Come spiega Lorena, infatti, trovare occupazioni
qualificate per i giovani laureati è molto difficile in Italia anche per i nativi.
Lorena: Tutti dicono che qua ° ci sia proprio un casino un po’ adesso… che gli italiani si
spostano per cercare lavoro ° ieri proprio perché i miei hanno un negozio di mangimi per i
cani. Ero lì ed è entrata una signora. Un’amica di mia mamma. E aveva detto che suo figlio
aveva studiato Lettere, Lettere, e si è spostato, si è spostato in Inghilterra, per poter
lavorare… ° ed è proprio italiano. Cosa ci possiamo aspettare noi, che siamo ancora un
gradino indietro °. E quindi… non dico mille gradini indietro, però un gradino proprio…
indietro. Però.
Int.: Perché dici così?
Lorena: No, perché… Non è che proprio mi sento ° inferiore °, proprio no, assolutamente.
Però… cioè caspita (0.02) °° se metti in paragone un italiano che se ne va in terra straniera,
che se ne vada l’italiano, e lo straniero rimanga qua a rubarti il posto, a voi può anche dare
fastidio, almeno °. […] Perché ci sono tanti lavori comunque che gli italiani non vogliono
fare e li fanno, lo fanno gli stranieri proprio per il bisogno, per poter vivere, solo alla giornata.
Però… ° se gli italiani scappano perché nel loro paese non c’è… cosa possiamo aspettare per
noi? ° Se non cambia veramente… poi con la crisi, con questo e quest’altro…
310
Int.: ° Se tu pensi al lavoro che vorresti fare… tu faresti… anche questi lavori che sono
più…°
Lorena: Ma io non avrei mai pensato di fare la cameriera, e comunque io lavoro il sabato e la
domenica in un ristorante, il fine settimana, perché faccio un po’ di cassa e un po’ di sala
(stud. 10: Lorena, IP α aziendale, 22 F, Cuba).
Oltre al rischio, molto chiaro agli studenti e al loro gruppo dei pari, di non trovare
occupazione e aumentare le fila dei Neet, fatto che porterebbe a una sorta di “cicatrice”
nella storia occupazionale delle coorti più giovani (cfr. Oecd, 2012), anche la “precarietà”
lavorativa, intesa come prevalenza di “contratti atipici”, è considerata una sorta di
“destino”, al momento del primo ingresso nel mercato del lavoro, dagli intervistati di
entrambi i gruppi. Anche se il loro desiderio, come anticipato, rimane quello di ottenere
stabilità lavorativa in modo da progettare le successive transizioni alla vita adulta (vivere
da soli, sposarsi, avere figli).
Nessuno vorrebbe essere precario. Quindi un lavoro… Però… ormai è inutile dire “Non
voglio un lavoro precario” perché è quello che c’è, insomma. Lo sfruttamento… è quello che
è. Per cui se prima la garanzia era lo studio e l’impegnarsi per poi trovarsi un lavoro, adesso
neanche quello lo è. Cioè da adesso… ci sono più… più fattori che incidono, che magari non
ti so neanche… su cui non puoi intervenire. Se hai il papà medico, puoi andare a Medicina, e
quindi hai possibilità che ti prendono, ma se non hai possibi… se non hai il papà medico, tu
devi essere l’Einstein della situazione, per poter essere, cioè per poter farti notare, farti vedere
e farti scegliere, quindi devi essere un genio, e se sei un genio ce la fai prima o poi. E quindi
non essendo né un genio, né un papà medico… boh, è un po’ così (stud. 16: Hind, Liceo α
scientifico, 22 F, Marocco).
Per gli intervistati, anche nel gruppo dalle aspirazioni occupazionali più elevate,
l’instabilità lavorativa risulta foriera di vulnerabilità più per i migranti che per i nativi, in
mancanza di una rete parentale di supporto (v. Arzan).
La stabilità (sott.: occupazionale) è alla base di tutto alla fine perché… Cioè svegliarti da un
mattino all’altro e non avere lavoro non sai più dove andare. E poi qua io in Italia che sono in
un paese straniero, senza nessuno che ti dà una mano… cioè per uno qua in Italia è diverso. Io
sono solo e se non trovo lavoro non posso andare a dormire dalla nonna, o a casa propria. Io
sono in affitto… dopo che uno ha comprato una casa è diverso. Ma adesso se mio padre non
avesse lavoro, io dovrei pagare la casa, l’affitto, tutto. Mille euro io li spendo solo in casa e
nelle spese! Quindi è tantissimo. Cioè senza lavoro… se mio padre non avesse lavoro… non
lo so, sarebbe difficile (voce che trema) (stud. 14: Arzan, Liceo α scientifico, 20 M, Albania).
Per questa ragione, e anche per la consapevolezza delle difficili condizioni lavorative e
esistenziali delle famiglie con redditi incerti, come molte delle loro famiglie di origine, la
stabilità del lavoro almeno nelle fasi più avanzate della carriera, è una caratteristica
ambita da tutti.
Inoltre per tutti, anche quelli che non intendono più trasferirsi ulteriormente, il mercato
del lavoro adottato come punto di riferimento cognitivo è quello internazionale. Esso
include almeno due paesi, l’Italia e il paese di origine dei genitori, ma di solito
comprende anche i paesi dove risiedono i parenti migranti e altri paesi a sviluppo
311
avanzato, ritenuti più ricchi di opportunità per l’inserimento occupazionale e sociale per i
giovani, in particolare Nord Europa e Nord America. La mobilità geografica è dunque
prospettata come possibile via per ampliare le opportunità di assunzione alle condizioni
desiderate, soprattutto per gli appartenenti al primo gruppo degli intervistati, ma anche, in
misura minore, nel secondo gruppo.
Miranda: Eh… Io penso che il lavoro sarà molto meno in futuro, come adesso, ma anche
meno in futuro. ° Però non bisogna pensare troppo, perché se pensi troppo ti fai… °.
Stefan: Mio figlio ha due varianti adesso: di fare ingegneria all’università o fare l’operaio. Ma
fare l’operaio lo può fare lo stesso. Però… però ha un pezzo di carta, quel diploma non… non
glielo tocca nessuno.
Miranda: Lui sai cosa dice? Se sarà qua, sarà qua. La scuola la finisce qua. Ma lui dice che
può andare anche in Danimarca, può andare in… lui pensa! Uh!
Stefan: Perché mio figlio è un lavoratore proprio, è un lavoratore (gen. 2: Miranda e Stefan,
genitori di Gratian [28], IT α, Romania).
Gloria: Credo che tutti vogliano un contratto sicuro e non precario, come ce ne sono tra…
adsso moltissimi. […]
Int.: Questi sono discorsi che fate anche con i tuoi amici […], ci pensate?
Gloria: Sì, sì… è una cosa… ovvia, di tutti i giorni, quindi…
Int.: Cioè sapete che poi il mercato del lavoro sarà…
Gloria: Sì, sì, lo sappiamo. Infatti è quello il problema che mi fa anche pensare a cosa fare, se
restare qui, o andare in Romania, se comunque la situazione non è migliore né da una parte,
né dall’altra… non lo so! Infatti spero di fare l’internazionale per andare non so dove!
(sorride). Magari dove… dove ci sia un lavoro più sicuro, una vita migliore…(stud. 31:
Gloria, IT α liceo tecnologico, 20 F, Romania).
I genitori migranti intervistati immaginano la partenza dei figli verso paesi terzi come una
strategia per non sprecare l’investimento familiare in capitale umano in Italia, strategia
che li accomuna agli emigranti, pur nella consapevolezza delle possibili letture di questi
comportamenti di “exit” come “tradimenti”, per il fatto di impiegare altrove le
competenze formate in Italia.
Qua in occidente c’è più possibilità. Quindi non è quello, è l’altro. Si inizia a fare qualcosa, ti
arriva il rimborso, vedi i risultati. Vedi come stipendio, si paga un po’ di più, rispetto nel mio
paese. Per quello il ritorno, rispetto alla sua domanda per i giovani. Cosa faccio? Sono ancora
giovane, se non è qua, vado in Belgio, vado non lo so, in Inghilterra. Però una volta arrivati
qua, con questi documenti, siamo arrivati in Europa, non pensano di ritornare. Il loro paese è
sempre… verso il meglio. […] Vedi io sono di un’altra generazione, lei (sott.: mia figlia) è di
un’altra, perché è dopo. Eh… Mio periodo di gioventù si parlava spesso di patriottismo… io
sono sicuro che anche in Italia una quarantina di anni fa si parlava di questo. Erano degli
scienziati che facevano (sott.: lavoravano) appunto per l’Italia. Però da un certo punto, anche
con la moglie hanno lasciato il paese. Uno che vuole svolgere la sua… è preparato, ha
studiato per certe cose, non lo aiuta nessuno… e va altrove… (g. 9: Costantin, padre di
Elisabeta [2], IP α, Romania).
Le testimoni qualificate che si occupano di orientamento in uscita alle secondarie di II grado riscontrano
una attitudine più diffusa dei migranti a guardare alle possibilità di studio e lavoro all’estero rispetto ai
coetanei nativi129.
129
Dato confermato dai primi risultati della survey condotta sui diplomandi in Piemonte.
312
Claudia: No (sott.: non temono che verranno discriminati per l’origine nazionale nella ricerca
di lavoro). Anzi io direi che sono più gli italiani che dicono “Adesso mi diplomo, poi mi
laureo, poi cercherò di trovare un lavoro come commessa in un supermercato”.
Int.: Magari perché pensano che fanno facoltà…
Claudia: No, ma perché hanno un destino rassegnato all’italiana. Ormai il ragazzo italiano
medio ha deciso che la sua fine, per ben che vada sarà in un call center. Poi non è così e andrà
a finire diversamente, però io direi più gli italiani che i non italiani. Poi se non va bene… c’è
anche questo. Loro hanno un po’ un punto di forza, cioè una volta era ritenuta una carenza,
ora secondo me è un punto di forza, cioè questo capire che non avere radici troppo profonde
può essere un vantaggio. Per cui si dice molto che i ragazzi hanno questa visione a 180
gradi… però mi piacerebbe che fosse svolta una ricerca sull’Erasmus e mi piacerebbe quanti
sono gli italiani residenti che partono e lasciano e quanto invece i ragazzi che hanno studiato
qui venendo dall’Argentina o dal Sud Africa, e poi vanno in Svezia o in Norvegia,
tranquillamente perché tanto… quindi io vedo anche sentendo ragazzi di altre provenienze e
loro sono abbastanza tranquilli, loro dicono “Va bene se non sarà qui sarà in Romania, se non
sarà in Romania sarà in Albania, se non sarà in Albania sarà in Finlandia non importa,
vedremo”. Invece per i ragazzi italiani è ancora un po’… [...] Vorrei poter dire: “No resta,
facciamo delle cose qua”. E nello stesso tempo però, come le facciamo? Questo… trovo triste
che una ragazza di 32 anni mi dica “Tesoro, io vado a fare il medico in Finlandia. Perché io
sto facendo il medico in Finlandia”. E io mi chiedo l’università che ti ha formata […], non è
in grado…? No. […] “Mi danno 800 euro, là me ne danno 5000. Mi mett[ono] i bastoni tra le
ruote, per motivi politici tra l’altro. Io… vado in Finlandia”. […] Posso capire chi va altrove.
Mi spiace perché mi piacerebbe che tutti italiani o stranieri potessero trovare qualcosa di
bello, ma non solo un trampolino, una piscina nella quale nuotare (test. qual. 5: Claudia).
Se da un lato, i migranti appaiono più svantaggiati nella ricerca del lavoro nell’ambito
locale per la carenza di legami sociali con persone che svolgono gli incarichi desiderati,
specie per il gruppo di chi intende “muoversi verso l’alto”, dall’altro lato le loro
competenze linguistiche e la rete parentale e migratoria transnazionale, insieme alla
percezione di normalità dei percorsi di mobiltià geografica all’interno delle famiglie
migranti, potrebbe spingerli a lasciare l’Italia, nel caso le aspirazioni risultassero
irraggiungibili.
7.3. Genitori e figli a confronto. I progetti di mobilità sociale familiare durante
la transizione alla vita adulta
Int.: Pensa che i suoi figli potranno trovare un buon lavoro?
Skordian: Sì, per questo siamo qua. Se loro non fanno niente, cosa facciamo noi migranti
qua? Abbiamo abbandonato la laurea per loro. È un investimento per i nostri figli. Ma non
tutto va come vogliamo noi. Ci sono delle cose… che non possiamo… (0.4) (gen. 5:
Skordian, padre di Verim [15], Liceo α, Albania).
Per scopi analitici possiamo individuare a livello idealtipico quattro percorsi di inclusione
nella società di destinazione, guardando all’incrocio tra traiettorie familiari e aspettative
dei figli (tabella 7.2).
313
Tab. 7.2 – Percorsi di inclusione nei sistemi di stratificazione sociale di destinazione delle famiglie
migranti.
Percorso di istruzione e aspettative di
inserimento lavorativo dello studente
Traiettoria di
inserimento sociale
familiare in Italia
percorso ad alta
qualificazione
percorso a media-bassa
qualificazione
ascendente
(a)
inclusione verso l’alto
(b)
percorsi prudenti
non ascendente
(c)
percorsi ambiziosi
(d)
inclusione verso il basso
(a) Inclusione verso l’alto.
Ne fanno parte gli studenti che possono contare su risorse economiche familiari
stabilizzate (presenza di doppio reddito o di almeno un reddito stabile nel nucleo,
abitazione di proprietà o accensione di un mutuo in Italia), anche se spesso in seguito a
processi di “caduta” avvenuti subito dopo l’ingresso in Italia, con intenzione di proseguire
l’istruzione terziaria per ottenere posizioni lavorative qualificate e ben remunerate. In
questo gruppo la disponibilità a trasferirsi è più elevata e anche i tempi di transizione alla
vita adulta sono rappresentati come più lontani che dagli studenti i cui percorsi possono
ricondursi agli altri tipi di inserimento (nel campione si possono ricondurre a questo tipo
ideale i percorsi di19 studenti, quattro di IP, sei di IT e nove di liceo).
(b) Percorsi prudenti
In questo caso nonostante i percorsi di stabilizzazione della situazione economica e
sociale della convivenza famigliare, gli studenti propendono per percorsi di immissione
nel mercato del lavoro più brevi, subito dopo il diploma. Qui la storia migratoria
familiare, nel caso di madri migranti sposate con italiani, e la prima transizione educativa,
unita al ritardo scolastico accumulato e la riuscita scolastica preceednte, fanno propendere
per la media qualificazione (nel campione dieci studenti di cui sei di IP e quattro di IT).
(c) Percorsi ambiziosi
Anche se il nucleo familiare versa in situazioni di grande difficoltà economica, soprattutto
nell’ultimo anno, a causa della perdita di lavoro del principale procacciatore di reddito del
nucleo, o di entrambi i genitori se presenti, le risorse e gli investimenti precedentemente
accumulati e la buona o ottima riuscita in istruzione dei figli, unita al fatto che alcuni dei
314
fratelli e delle sorelle hanno già lasciato il nucleo e si sono resi finanziariamente
autonomi, spingono gli studenti, incoraggiati dai genitori, verso l’istruzione terziaria,
contando su borse di studio, alternanza di studio e lavoro durante la frequenza
dell’università, corsi di laurea brevi, triennali. In questo caso va notato che la situazione è
presentata come cangiante dai suoi stessi protagonisti, che prospettano ridefinizioni in
itinere, tra cui la continuazione degli studi nel paese di origine, o, più spesso, il
trasferimento all’estero al termine degli studi per avere maggiori ritorni occupazionali e
iniziare a “restituire” ai genitori (19 studenti, sei di IP, altrettanti di IT e sette liceali).
(d) Inclusione verso il basso
Si tratta del gruppo al quale si possono far risalire solo una minoranza di rappresentazioni
degli intervistati (otto studenti, quattro di IP e altrettanti di IT). Per questi studenti la
precarità
della
traiettoria
migratoria
familiare
e
la
necessità
di
contribuire
immediatamente all’economica domestica insieme alle performance scolastiche non
sempre soddisfacenti degli studenti orientano ad accettare collocazioni nel mercato del
lavoro simili a quelle dei genitori, nel caso non fosse possibile far riconoscere subito il
diploma conseguito. In questo gruppo si rilevano le immagini della transizione all’adultità
più segnate dal confronto tra nativi, “in ritardo”, e migranti, più “tradizionali” e legati ai
tempi sociali definiti nel paese di origine dei genitori.
Il ruolo della traiettoria migratoria familiare è dunque evidente nel disegnare le
aspirazioni post-diploma, anche se emerge chiaramente un effetto del tipo di scuola
frequentato (anch’esso, come abbiamo visto, scelto anche in base alla storia familiare).
L’ansia della società ricevente sulla lealtà dei figli dell’immigrazione, a cui abbiamo fatto
riferimento nel paragrafo iniziale sulle teorizzazioni dei processi di “integrazione”,
emerge da questo timore di rilevare scarti tra aspettative di asceta e realtà di inclusione
verso il basso. Ma abbiamo visto che molti agenti di coesione, selezione e riproduzione
sociale operano per legittimare questo scarto.
I migranti avrebbero bisogno di più tempo per ottimizzare il titolo di studio secondario
che stanno per conseguire rispetto agli italiani, dato che potranno impiegare meno, se non
per lavorare nei settori più “etnicizzati”, i legami sociali familiari. Tuttavia le esigenze
economiche pressanti, nel caso di genitori qualificati nel paese di origine a causa
dell’omologazione verso il basso delle posizioni sociali di partenza, e le concezioni delle
315
transizioni all’adultità come processi ravvicinati nel tempo, specie per il gruppo (d)
spingono a accelerare il primo ingresso nel mercato del lavoro130.
Le obbligazioni ai trasferimenti finanziari intergenerazionali verso l’alto, dei genitori
verso i nonni lasciati al paese di origine, non sembrano influenzare molto questi percorsi,
anche se alcuni migranti cresciuti con i nonni al paese, come Adelka e Xixi, pensano
anche a loro per “restituire” il successo della loro inclusione sociale all’interno
dell’ambito famigliare. Sembrano piuttosto contare il “desiderio di restituire” ai genitori,
e prima ancora l’intenzione, o la necessità, di rendersi autonomi dal loro sostegno
finanziario.
Int.: Ti chiederei per finire se tu hai un sogno.
Sabina: Un sogno. Ma il mio sogno è di trovarmi un lavoro, trovarmi bene, guadagnare bene,
e vorrei comprare la casa a mia mamma.
Int.: Ah, ti piacerebbe accendere un mutuo?
Sabina: Scusa (piange).
Int.: Ah, questa è una cosa bella, perché?
Sabina: Perché mia mamma, no? Praticamente non ha una casa, praticamente lei ha la casa di
mia nonna, no? (piange) Allora lei dice sempre che vorrebbe una casa sua. Allora è per
questo (stud. 44: Sabina, IP β sala bar, 20 M, Romania).
Questi aspetti sono particolarmente evidente nei casi in cui i sistemi di stratificazione
sociale di riferimento per genitori e figli sono diversi. Se ad esempio per Saloua i genitori
si collocano come lei in Italia, e qui intendono raggiungere tenori di vita “da ceto medio”,
quelli di Dimitri, Koffi e Gratian intendono tornare al paese, appena i figli si sono resi
autonomi.
I nostri sogni rispetto a quelli degli altri sono sogni… tradizionali. Sposarsi, fare una
famiglia, una casa, una macchinetta, uno spazio per delle ferie, sono cose molto, molto
piccole… (gen. 8: Karim e Asmaa, genitori di Saloua [37], Liceo α, Tunisia).
Valeriu: Il mio progetto è vedere mio figlio per la sua strada.
Nicoleta: Come tutti i genitori, però io voglio vedere anche io.
Valeriu: Poi forse mi ritiro (gen. 1: Nicoleta e Valeriu, genitori di Dimitri [19], IT α,
Romania).
Otto anni di sacrificio e io me ne vado, lui finisce di studiare e io me ne vado. Io era venuta
qua per fare un lavoro per me (gen. 7: Zuna, madre di Koffi [35], IT α, Costa d'Avorio).
Stefan: Io torno. Però devo sistemare mio figlio Gratian, prima. Quello grande diciamo che
l’ho sistemato. Ce l’ha il suo lavoro. [...] Voglio un lavoro in una fabbrica, in un posto per
quattro o cinque anni, quanto durerà, mio figlio, per finire l’università. Poi ancora un anno di
sistemarsi, ° vado in Romania °. Gli lascio la casa. [...] Sistemiamo i nostri figli, e poi…
130
Non sempre comunque attendere un lavoro migliore può essere la strategia più conveniente in termini di
ritorni occupazionali, specie quando si tratta di non laureati. Un recente studio condotto in Gran Bretagna
(mercato del lavoro molto diverso da quello dell’Italia) sulle persone in cerca di occupazione con dati
BHPS – British Household Panel Survey, ad esempio, mostra che le persone altamente istruite guadagnano
status occupazionale, mentre i meno qualificati lo perdono rientrando nel mercato occupazionale dopo la
disoccupazione, anche perché hanno maggiori pressioni economiche che li spingono a accettare il primo
lavoro disponibile. Una lunga fase di ricerca del lavoro dunque favorisce i laureati, mentre penalizza gli
altri (Schmelzer, 2011).
316
Miranda: Chissà. Perché siamo venuti qua per due o tre anni e poi guarda: ° quindici anni °.
Spiace per i genitori, siamo undici fratelli, e loro sono tristi là da soli, davvero, ° non lo so
cosa succederà alla fine. Mi dispiace per loro °. Qualche volta penso… succederà anche a noi
papà (rivolta al marito). I nostri figli sono qua… (gen. 2: Miranda e Stefan, genitori di
Gratian [28], IT α, Romania).
L’acquisto della casa e l’ottenimento di un lavoro stabile da parte dei genitori sono intesi
come mezzi per facilitare la futura inclusione sociale dei figli in Italia, mentre i genitori
torneranno al paese. In questo modo il progetto di mobilità geografica e sociale familiare
si colloca in un contesto transnazionale, all’interno del quale le diverse generazioni
pianificano le loro strategie di inclusione, modificandole nel corso del tempo. La scelta
del paese dove collocarsi in futuro sembra radicarsi in questo tipo di percorsi, in
particolare nelle opportunità di situarsi nella scala sociale in base alla rappresentazione
delle possibilità di usare le proprie dotazioni, individuali e familiari, offerte dai
meccanismi di funzionamento della stratificazione sociale, localmente condizionati.
317
Conclusioni
Le teorizzazione del nesso tra migrazioni e riproduzione delle disuguaglianze sociali, in
particolare educative, si possono raccogliere in quattro principali filoni di indagine. (i)
Gli studi sulla reazione dei sistemi scolastici alla presenza degli alunni migranti, di
approccio più politologico, hanno sviluppato tipologie macro-comparative basate
sull’analisi di elementi istituzionali e organizzativi da un lato, e sull’esame dei processi
educativi-formativi formali e informali e degli approcci pedagogici all’insegnamento
dall’altro. La problematizzazione della prospettiva per “tipi ideali” a livello nazionale e i
risultati delle ricerche sui processi di convergenza a livello meso-locale hanno
contribuito a mettere in luce strumenti analitici non ingenui per definire il contesto
istituzionale dell’inserimento dei migranti. (ii) Le ricerche finalizzate a descrivere e
“spiegare”, con metodi di indagine quantitativa, le differenze di performance scolastica
tra nativi e migranti hanno messo in luce le condizioni della riuscita e i fattori influenti
rispetto ai paesi di destinazione e partenza. I primi studi comparativi hanno evidenziato
l’importanza dello status socio-economico per dar conto dello “svantaggio etnico” in
istruzione, ma anche la necessità di spiegazioni aggiuntive, specifiche per i migranti,
sulla cui importanza relativa e definizione teorica in letteratura non si è ancora trovato un
accordo. Il contributo di un approccio più qualitativo, sviluppato anche in Italia, invita a
considerare la riuscita scolastica come un processo multidimensionale, influenzato da
fattori di natura individuale, familiare e contestuale. (iii) Un altro insieme di ricerche
sviluppate soprattutto nei paesi a più lunga tradizione immigratoria sposta il centro
dell’attenzione dall’effetto delle disuguaglianze sulle competenze e sui risultati scolastici
raggiunti alle decisioni in istruzione, date le performance. Una definizione di scelta
scolastica ormai classica si basa sull’approccio della teoria della scelta razionale,
secondo cui le transizioni in istruzione sarebbero determinate da un calcolo dei costi e
dei benefici del percorso scolastico intrapreso, data una stima delle probabilità di
successo dello studente. Malgrado questa impostazione costituisca un utile riferimento
teorico, in grado di illuminare con eleganza la dimensione strategica delle decisioni
scolastiche, diversi studiosi hanno evidenziato uno scollamento tra l’equazione e i reali
318
processi di passaggio da un livello di istruzione all’altro. Risultati di ricerca
metodologicamente accurati hanno comunque il merito di evidenziare come per i
migranti esista un effetto significativo dovuto all’origine nazionale sui processi
decisionali in istruzione. In Italia si tratta di un insieme di ricerche in via di
consolidamento, anche per il fatto che il fenomeno immigratorio è più recente. I primi
studi disponibili sottolineano la discrasia tra aspettative elevate per l’istruzione dei figli
da parte delle famiglie e tendenza a orientare verso il basso da parte degli operatori
scolastici. (iv) Il corpus di lavori più ampio inserisce i percorsi in istruzione all’interno
delle riflessioni sulle traiettorie di inclusione/esclusione socio-culturale delle “seconde
generazioni”. I paradigmi sull’“integrazione” degli immigrati e dei loro figli e nipoti
hanno elaborato diverse letture critiche dei concetti di assimilazione e incorporazione,
mostrandone i paradossi e le contraddizioni, ad esempio le discordanze tra i livelli di
inclusione nei diversi ambiti di vita, economici e culturali. Questo insieme di studi ha
portato all’avvio di programmi di ricerca finalizzati a identificare specifici o generali
meccanismi di riproduzione sociale, con attenzione crescente al ruolo del capitale sociale
e della famiglia. In Italia i ricercatori hanno indagato i processi di acculturazione e
identificazione plurali e multiculturali, le particolari forme di socializzazione dei giovani
migranti nei contesti urbani e transnazionali, il ruolo dei centri aggregativi
extrascolastici, l’associazionismo immigrato. Il nesso tra i processi di ristrutturazione
familiare e la riuscita scolastica di livello secondario e terziario come canale di mobilità
sociale rimane invece una tematica ancora poco indagata.
Nella prospettiva adottata per questa ricerca, come si è visto, abbiamo inteso l’istruzione
non solo come acquisizione di competenze ma anche come investimento familiare per la
futura collocazione sociale degli studenti e delle studentesse nei sistemi di stratificazione
sociale di riferimento. Guardando al contributo degli studi sulle famiglie migranti e sulle
migrazioni femminili, abbiamo impiegato come unità di analisi le convivenze familiari,
definendone empiricamente i confini in base ai legami parentali modificati nel corso
della mobilità geografica e considerandole come attori sociali internamente differenziati,
innanzitutto per genere e generazione. In questo modo è stato possibile verificare come la
realizzazione dei percorsi scolastici dei figli in Italia sia influenzata, oltre che da fattori
che ne accomunano le traiettorie agli studenti nativi, anche da processi connessi
all’origine nazionale alle modalità e ai tempi delle riunioni familiari, plasmati dal
contesto istituzionale di ricezione dei flussi migratori. Per cogliere meglio le strategie di
mobilità sociale ascendente (o di mantenimento di status dopo l’emigrazione), così come
319
vengono gradualmente ridefinite del corso della stabilizzazione delle famiglie migranti in
Italia, ci siamo concentrati sui percorsi degli studenti migranti giunti al termine delle
scuole secondarie di II grado e delle loro famiglie in Italia e in Piemonte.
Si tratta di una popolazione dall’incidenza ancora ridotta, secondo i dati Miur, costituita
in prevalenza da migranti che hanno iniziato a frequentare il sistema scolastico del paese
di origine e poi si sono trasferiti per riunirsi ai genitori in Italia. In Piemonte e a Torino
tuttavia le presenze degli studenti migranti nell’istruzione secondaria superiore,
soprattutto tecnica e professionale, sono consistenti. Si tratta di un insieme composito di
allievi accomunati dall’essere riusciti a evitare l’abbandono scolastico e ad affrontare
diversi processi di selezione basati sulla riuscita (ripetenze, ritardi, valutazioni ricevute),
stringenti per i cittadini non italiani in misura maggiore che per i compagni italiani,
specie nel primo biennio del secondo ciclo di istruzione. Da una lettura descrittiva dei
dati sul Piemonte tratti dalla survey condotta nell’ambito del progetto Erica-WP3 con gli
studenti di quinta superiore, emerge che i migranti si sono iscritti nelle scuole tecnicoprofessionali più spesso che i nativi anche quando avevano conseguito votazioni elevate
al termine delle medie, inoltre nel caso di prima scelta liceale si sono riorientati
successivamente nelle “filiere corte” più spesso degli italiani. La classe occupazionale
sembra avere un minore effetto per i migranti rispetto ai nativi, aspetto da leggere in
relazione al processo di dequalificazione lavorativa dei genitori migranti in Italia, per il
quale i laureati al paese di origine si collocano negli strati più bassi del mercato del
lavoro italiano più spesso che i genitori laureati italiani. Rispetto alle propensioni di
continuare o meno a studiare nell’istruzione terziaria, i migranti iscritti negli istituti
tecnici e professionali dichiarano l’intenzione di proseguire più frequentemente che i
compagni di scuola italiani. Tuttavia uno studente con background di immigrazione su
tre segnala come principale motivazione dell’interruzione degli studi dopo il diploma la
necessità di andare a lavorare. Guardando alle ambizioni lavorative, un dato significativo
per la nostra indagine riguarda il fatto che non emerge tra gli studenti migranti una
maggiore attrazione nei confronti del lavoro autonomo. Per le “seconde generazioni”
scolarizzate in Italia, specie se liceali, l’imprenditorialità non risulta il principale canale
di accesso alle posizioni intermedie o superiori della stratificazione sociale, come invece
lo è stato per i genitori primo migranti, almeno basandoci sul versante delle loro
rappresentazioni. Se, rispetto ai compagni di scuola nativi, è più raro che conoscano
persone che svolgono il lavoro da loro desiderato, elemento che potrà rivelarsi uno
svantaggio nella ricerca del primo impiego nel contesto locale, possiedono più spesso
320
certificati linguistici e sono maggiormente propensi a cambiare paese per trovare lavoro,
due caratteristiche da sfruttare per valorizzare il proprio capitale umano nel mercato
internazionale. Come è emerso anche dalle interviste ai genitori e agli studenti, nella loro
riuscita scolastica in Italia, comunque, i migranti hanno usufruito meno di corsi
extrascolastici, sia per il costo più difficile da sostenere rispetto alle famiglie native,
mediamente collocate in classi occupazionali più avvantaggiate, sia per la mancanza di
tempo, dedicato più allo studio individuale, ai “lavoretti” e alle attività domestiche (nel
caso soprattutto delle studentesse), rispetto ai nativi. Le opportunità di istruzione forniti
delle istituzioni pubbliche risultano quindi molto importanti.
Per comprendere come la normativa scolastica italiana definisca vincoli e opportunità di
inserimento degli studenti migranti abbiamo guardato all’interazione fra tre livelli di
intervento: nazionale, locale e scolastico. A livello centrale, nonostante la recente
politicizzazione del dibattito e i mutamenti in altri ambiti di policies, le indicazioni
rimangono coerenti al modello integrato italiano. L’inserimento individualizzato di ogni
allievo con approccio interculturale, proprio per la sua flessibilità, dà ampi margini di
discrezionalità, fatto che, anche per le specificità ordinamentali e organizzative del
sistema scolastico in Italia, si traduce in diseguale distribuzione dei diritti sul territorio.
Date le minori risorse economiche e culturali degli studenti con background di
immigrazione, inoltre, la contrazione della spesa in istruzione e alcuni cambiamenti in
atto (tra cui l’aumento del divario curriculare tra istituti e licei, l’incertezza per le riforme
in corso sulla strutturazione degli indirizzi di scuole secondarie di II grado, la
diminuzione delle ore di lezione erogate, e la pesante riduzione dell’organico di sostegno
e dei momenti di compresenza di più insegnanti) sembrano colpirli maggiormente. A
livello locale, in Piemonte e a Torino, l’implementazione delle politiche nazionali è
maturato attraverso la creazione di servizi sempre più specializzati e diffusi sul territorio.
I rischi che emergono riguardano la parcellizzazione delle iniziative e la loro dispersione
e ridondanza, per cui rimangono alcune aree di grande frammentazione. In mancanza di
monitoraggi e finanziamenti strutturali, permane una grande differenziazione a livello
sub-locale nella capacità di attrarre sovvenzioni private, peraltro più rivolte alla
costituzione di sperimentazioni che al mantenimento di servizi ordinari, i quali hanno
esiti meno visibili nel breve periodo ma sono ugualmente necessari. Malgrado anche per
le secondarie di II grado i docenti e gli operatori più attivi negli ultimi anni stiano
promuovendo la condivisione di competenze progettuali volte a predisporre procedure di
inserimento conformi alle indicazioni pedagogiche interculturali più mature e modelli
321
didattici più inclusivi per i migranti, il livello dell’interazione diretta con gli utenti è
lontano dal giungere a soluzioni convergenti, a differenza di quanto emerge dagli studi su
altre politiche di integrazione degli immigrati e di gestione dell’immigrazione. A livello
di istituto scolastico vengono piuttosto attuati processi di delega e negoziazione della
normativa che il Ministero e gli Enti locali al momento non riescono a reindirizzare.
Specie alla secondaria di II grado. I processi di innovazione dal basso che si sono attivati
nel contesto piemontese hanno potuto contare sul coinvolgimento di esperti e sulla
costituzione di accordi, tavoli di coordinamento a livello locale e reti di scuole, anche
grazie al supporto del lavoro “extra” dei docenti e dei decisori pubblici più motivati.
Queste iniziative non sono tuttavia adeguatamente sostenute o diffusi a livello nazionale.
Lo scarto tra norme ministeriali inclusive e interculturali ma prive di controlli e risorse, e
pratiche scolastiche assimilazioniste, dipendenti dal volontarismo degli operatori e dai
regolamenti definiti dai singoli istituti scolastici e collegi dei docenti fa sì che
l’inserimento dei migranti nelle classi scolastiche dipenda largamente da pratiche
informali, molto differenti a seconda del micro contesto di riferimento. La normativa è
così interpretata strategicamente per sostenere processi di selezione degli utenti delle
scuole, oppure in alcuni casi non è neppure nota ai soggetti attuatori. Cattive o parziali
informazioni, difficoltà legate allo status giuridico dello studente o più spesso dei
familiari, ri-orientamenti verso i CTP o la formazione professionale regionale per chi
arriva dopo i 14-16 anni di età, inserimenti in classi inferiori rispetto all’età o bocciature
per ragioni linguistiche o non corrispondenza tra sistemi educativi, rischi di abbandono
perché il termine dell’obbligo scolastico per età sopraggiunge prima che si possa
conseguire una qualifica almeno triennale o talvolta anche prima che siano state concluse
le scuole secondarie di I grado, anche a causa delle retrocessioni in classi inferiori
rispetto all’età e/o delle bocciature, sono tutti processi che concorrono a incrementare
istituzionalmente il ritardo scolastico degli studenti migranti.
Dalle interviste ai testimoni qualificati condotte nella città di Torino emergono inoltre le
seguenti caratteristiche, di tipo qualitativo e non ricavabili dai dati istituzionali finora resi
disponibili dal Miur, distintive dei migranti che giungono al termine della secondaria
superiore rispetto ai migranti drop-out: maggiore stabilità familiare, sia dal punto di vista
della struttura familiare (presenza dei genitori), sia dal punto di vista del sostegno
familiare allo studio anche attraverso legami transnazionali (genitori non presenti
fisicamente ma attenti, figure di riferimento anche se “a distanza”), maggiore
investimento familiare nell’istruzione come canale di mobilità sociale ascendente,
322
percorsi scolastici meno frammentati, più impegno e tempo dedicato allo studio da parte
dello studente, migliore riuscita scolastica pregressa. I testimoni privilegiati inoltre
sottolineano la maggiore difficoltà delle famiglie migranti rispetto a quelle native nel
gestire la ri-motivazione all’apprendimento del figlio/figlia in caso di insuccesso
scolastico, in particolare in seguito a bocciature.
La maggior parte degli intervistati, nel campione come nella popolazione, sono arrivati in
Italia in seguito ai genitori per riunificazione famigliare, anche se non mancano nati in
Italia e minori non accompagnati. La partenza dei genitori è spesso lontana nell’infanzia,
le ragioni dei genitori vengono condivise solo molto più tardi. Alla base dei progetti di
migrazione, che gradualmente diventano familiari, si può leggere l’autocollocazione
individuale e del nucleo domestico di riferimento nell’ambito di un sistema di
stratificazione sociale internazionale. Elementi considerati importanti per definire la
propria collocazione non sono solo quelli economici, legati in particolare alle chances
occupazionali (ritorno economico, sicurezza e qualità del lavoro, prestigio e
riconoscimento lavorativo). Anche se ovviamente questo calcolo di opportunità avviene
con informazioni parziali e, spesso, non del tutto corrette. La qualità della vita, la
partecipazione politica, il sistema di welfare, soprattutto per quanto riguarda la sanità e
l’istruzione, spesso hanno condotto i genitori a partire anche sapendo che lo spostamento
avrebbe implicato perdita di status. Tale “costo” dell’emigrazione è percepito in modo
differenziato dai diversi membri della convivenza domestica, a seconda del loro ruolo
nella famiglia, del genere, della collocazione professionale, degli atteggiamenti nei
confronti dell’emigrazione e della struttura familiare al momento della decisione di
partire (uomini soli prima dell’unione coniugale e della nascita dei figli, genitori con
figli, donne single con figli). Il passaggio da emigrazione temporanea di un solo
componente della convivenza familiare a stabilizzazione di tutti (o della maggior parte)
dei componenti nel paese di destinazione è stabilito in rari casi prima della partenza del
primomigante. Normalmente, secondo le narrazioni dei migranti intervistati, essa è
negoziata tra familiari (coniugi e figli e altri parenti di riferiemento), via via nel
succedersi delle fasi di ricomposizione o neoformazione del nucleo in Italia. Gli scambi
di risorse economiche (e affettive) tra genitori e figli durante gli anni della separazione
avvengono con la mediazione della rete parentale, in particolare dei nonni, o meglio delle
nonne, ospiti dei bambini. Essere “figli di emigrati” rappresenta una forma di ascesa
sociale simbolica e materiale, malgrado le difficoltà affettive, ma non sempre
l’investimento delle rimesse inviate ai parenti lasciati al paese segue le indicazioni dei
323
primomigranti, con conseguenti riprogettazioni del piano di stabilizzazione familiare
all’estero e talvolta perdita di risorse.
La gestione della separazione prima e della riunificazione poi hanno esiti diversi
sull’adesione dei ragazzi al progetto migratorio familiare, di cui l’inserimento scolastico
è parte. Il quadro normativo sulle riunioni familiari in Italia e le risorse dei primomigranti
sono vincoli per la preparazione dell’arrivo dei figli, da cui derivano ad esempio ingressi
a scuola ad anno scolastico inoltrato, o senza tutti i documenti necessari per far
riconoscere il percorso scolastico pregresso. Le relazioni genitoriali assunomo significati
diversi nel corso del riavvicinamento tra genitori e figli nel paese di destinazione, con
tensioni in particolare nel caso di nuove unioni coniugali. Ma gli esiti sulla riuscita
scolastica e sulla collocazione della famiglia nella stratificazione sociale possono essere
positivi, ad esempio nel caso dell’inclusione nel nucleo familiare di componenti
madrelingua italiani.
Alcune famiglie riescono a mantenere uno status occupazionale simile a quello del paese
di origine, talvolta con maggiori sicurezze contrattuali, ma la maggior parte di chi si
collocava “nel mezzo” prima di emigrare subisce processi di dequalificazione, non solo
per le caratteristiche dei processi di inserimento dei migranti nel mercato del lavoro
locale, ma anche per effetto della traiettoria migratoria familiare. In particolare
l’irregolarità del soggiorno nel primo periodo in Italia costringe a inserirsi nell’ambito
informale e la necessità di restituire il debito contratto con i familiari spinge i genitori ad
accettare lavori poco soddisfacenti e remunerati ma ottenibili nel breve tempo con il
supporto dei connazionali. La rinuncia a cercare da subito occupazioni qualificate è
inoltre motivata dalla struttura del mercato occupazionale italiano, che richiede mansioni
a bassa produttività.
Dalla ricerca è emerso che il processo di riunione familiare ha agito sui percorsi
occupazionali dei genitori in altri due modi. (1) Prima dell’arrivo dei figli, la necessità di
pervenire al possesso dei requisiti per il ricongiungimento nel più breve tempo possibile
da un lato ha reso indispensabile la firma di un contratto di lavoro, dalle condizioni
sufficienti anche per procurarsi un’abitazione secondo gli standard di legge, e dunque
l’uscita dall’irregolarità/informalità che ha caratterizzato gran parte dei percorsi migratori
dei genitori nelle loro fasi iniziali. Dall’altro lato ha ridotto il tempo per la ricerca di
collocazioni più rischiose, anche se a lungo termine sarebbero state più promettenti. (2)
Dopo l’arrivo dei figli, soddisfare le accresciute esigenze economiche della convivenza
familiare allargata, anche in termini di unità abitativa, ha reso arduo interrompere la
324
carriera cominciata e lasciare posizioni professionali relativamente sicure. Inoltre ha
diminuito il tempo per la formazione professionale, e in generale il tempo per sé, specie
per le madri e nel caso di un solo genitore, anche per la rarefazione del supporto
parentale alla gestione dei figli dovuto all’emigrazione. Nel frattempo i genitori si sono
confrontati con parenti, amici e conoscenti nelle medesime condizioni, e spesso anche
nelle medesime fasi di riunificazione familiare, per cui le reti sociali hanno favorito la
percezione di normalità dei processi di inclusione verso il basso, non solo per le risorse
veicolate ma anche per le rappresentazioni della posizione che i primo migranti possono
occupare nel paese di destinazione. I percorsi occupazionali delle famiglie coinvolte
nella ricerca sono comunque caratterizzati dalla progressiva stabilizzazione di almeno
uno dei genitori, quando entrambi presenti: anche se i settori occupazionali prevalenti
rimangono quelli più “etnicizzati” (industria pesante, ristorazione, edilizia per gli uomini,
cura alla persona per le donne), la precarietà e informalità delle prime mansioni svolte
dai genitori in Italia è stata sostituita da maggiori tutele contrattuali, in caso di lavoratori
dipendenti, o dall’avvio di attività imprenditoriali, anche se ancora più per gli uomini che
per le donne. Alcuni processi di investimento riguardano l’acquisto della casa e, più
raramente, l’apertura di imprese commerciali. L’acquisto dell’auto e la possibilità di
“fare le vacanze” (in aggiunta al ritorno nel paese di origine nei mesi estivi, peraltro
molto costoso anche per le obbligazioni nei confronti dei parenti left behind), per gli
intervistati sono segnali di percorsi di successo. Tuttavia le traiettorie occupazionali dei
genitori migranti nei due anni precedenti all’intervista sono state colpite duramente dai
cambiamenti delle variabili macro-economiche: molti padri che avevano ottenuto
mansioni operaie qualificate sono in cerca di occupazione, e le entrate del nucleo
dipendono dall’impiego part time delle madri nel settore domestico o di assistenza agli
anziani. Il venir meno del doppio reddito mette a dura prova le risorse familiari e il
mantenimento degli investimenti intrapresi, a cominciare dal mutuo per la casa in Italia,
in assenza di risparmi consistenti e della possibilità di attivare la rete parentale per
ottenere sostegno. Risultano relativamente più protetti i nuclei familiari che avevano
raggiunto posizioni più sicure. L’avvio di attività imprenditoriali per i genitori sembra il
canale di accesso al ceto medio più praticato. Altri canali risultano il riconoscimento
delle proprie qualifiche universitarie nel settore sanitario e l’acquisizione della
cittadinanza italiana, con conseguente ottenimento di un lavoro qualificato nel settore
pubblico in Italia, oppure il matrimonio con un cittadino italiano. In tutti gli altri casi,
l’iniziale progetto di mobilità sociale alla base della decisione di partire dei genitori viene
325
posticipato e acquisisce sensatezza per la generazione successiva: attraverso l’istruzione
terziaria e la migliore occupazionale dei figli. Questi ultimi sono coinvolti nel progetto di
mobilità familiare e hanno consapevolezza delle aspettative dei genitori.
Come abbiamo visto, i tempi di arrivo in Italia, posticipati, ad eccezione che per le
famiglie con più risorse, hanno tuttavia procurato arrivi in corso d’anno e ritardo
scolastico per gran parte degli intervistati, con effetti diversi a seconda dell’ordine e
grado scolastico di primo inserimento: meno marcati durante la scuola primaria, più
evidenti nel corso della secondaria di II grado. Per mancanza di tempo e informazioni
solo alcuni genitori si sono attivati per la scelta della scuola e dei corsi di italiano prima
dell’arrivo dei figli, elementi che si sono sommati alla reazione istituzionale delle scuole
causando ulteriore ritardo soprattutto nel caso dei ricongiunti durante le superiori. Le
figure di riferimento per l’inserimento in classe sono state il personale di segreteria, gli
insegnanti, ma anche i datori di lavoro e i conoscenti dei genitori. In questo modo
l’arbitrarietà delle procedure di iscrizione (o rifiuto dell’iscrizione) non è stata contestata
dai genitori. Per i figli l’ingresso nelle scuole italiane costituisce un momento molto
delicato perché coincide con la loro elaborazione dell’arrivo in Italia, non sempre
auspicato, con l’impatto del nuovo ambiente, non sempre positivo, e della riunione ai
genitori, non sempre ritenuti figure affettivamente significative, soprattutto nel caso di
lunghe separazioni – o partenze di padri e madri quando i bambini erano molto piccoli. I
minori ricongiunti devono affrontare le conseguenze dello squilibrio di status
occupazionale esperito dai genitori nel mercato del lavoro italiano sulla loro auto e eteropercezione di sé, caratterizzata in molti casi dal passaggio dalla posizione vantaggiosa di
“figli di emigranti” (con corsi privati, doni prestigiosi, e beni di lusso) alla posizione
svantaggiosa di “figli di immigrati” (con condizioni di vita peggiori, o ritenute peggiori,
rispetto a quelle dei coetanei nativi). Inoltre la migrazione procura squilibrio di status
scolastico per gli studenti e le studentesse che avevano buoni risultati nel paese di
origine, ma una volta in Italia divengono immediatamente incompetenti, anche al
confronto con i compagni di classe spesso più giovani. I programmi di inserimento
scolastico percepiti dagli studenti intervistati con maggiore chiarezza sono stati i corsi di
lingue, ritenuti utili se di livello differenziato e con tempi concilianti rispetto agli
impegni di studio ordinario, ma in caso contrario stigmatizzanti e nocivi. Le relazioni con
i docenti sono in genere considerate buone (a parte in alcune scuole superiori a
maggioranza di utenza italiana), mentre con i compagni si presentano affette da
pregiudizi soprattutto per gli arrivati nel corso delle secondarie di I grado, periodo
326
eminentemente critico anche per il ruolo orientativo di quell’ordine scolastico, e agli
istituti professionali.
L’individuazione della scuola superiore da frequentare è l’esito di un processo
complesso, in parte reversibile, che coinvolge una pluralità di attori e dipendente da
diversi fattori. Li abbiamo distinti analiticamente in: i. fattori scolastici relativi al
processo di orientamento e alle caratteristiche delle scuole superiori considerate; ii.
fattori relazionali (consigli, informazioni e scelte dei conoscenti dei genitori e dei figli);
iii. fattori economici relativi alle risorse familiari al momento della scelta e stimate a
dieci anni da essa; iv. fattori culturali intesi come percorsi in istruzione dei familiari di
riferimento in Italia e in altri paesi, e rappresentazioni dei sistemi di istruzione e del ruolo
delle qualifiche per il successivo posizionamento sociale; v. fattori individuali inerenti il
percorso e gli atteggiamenti degli studenti verso l’istruzione; vi. fattori derivanti dal
progetto migratorio familiare (prospettive di mobilità geografica, prefigurazioni della
spendibilità dei titolo di studio nel mercato del lavoro internazionale, aspirazioni e
progetti di mobilità sociale familiare nei sistemi di stratificazione sociale di riferimento).
Il momento dell’arrivo dei figli in Italia e la storia della riunione familiare attribuiscono
un peso diverso a tali fattori. Nella scelta scolastica i genitori partecipano indirettamente,
ma raramente conoscono il sistema di istruzione italiano, anche se i laureati con figli
arrivati nel primo ciclo di istruzione sono riusciti a ricostruire un’immagine più ricca e
condivisa delle opzioni disponibili. Il ruolo dei consigli degli insegnanti appare cruciale
soprattutto per gli arrivati al termine delle scuole medie. Per ragioni principalmente
linguistiche per loro è molto difficile evitare l’iscrizione all’istruzione professionale. I
consigli orientativi ricevuti dalla scuola risultano comunque basati sulla riuscita
scolastica pregressa più che su visioni stereotipate della posizione sociale che dovranno
occupare i migranti. Tuttavia, anche nei casi in cui l’arrivo precoce e la condivisione del
percorso migratorio familiare (oltre ovviamente a predisposizioni individuali
all’apprendimento) abbiano consentito agli studenti migranti di apprendere la lingua
italiana in tempo per conseguire un buon risultato finale all’esame per la licenza media, il
liceo è rappresentato in primis come un percorso estremamente difficile. Di fronte a
questa scelta le famiglie migranti (alcuni componenti delle famiglie, in alcuni casi solo i
figli, in altri genitori e figli) considerano le probabilità di successo e i costi (come
previsto nella formulazione della RAT), ma anche la disponibilità economica del nucleo
stimata negli anni successivi alla scelta, perché il liceo implica la prosecuzione degli
studi all’università. Valutano inoltre la spendibilità del titolo di studio conseguito nel
327
mercato del lavoro internazionale; le opportunità di proseguire gli studi in altri paesi, o di
doverli interrompere improvvisamente per ragioni economiche, o legate alla messa in
discussione del progetto migratorio familiare. La precarietà dei percorsi di inserimento è
particolarmente sentita dai nuclei monogenitoriali, nel campione costituiti da figli e
madri single. Inoltre elementi più contingenti come le amicizie con i coetanei studenti, le
voci sulla reputazione degli istituti scolastici, la collocazione geografica delle scuole in
relazione alla rete dei trasporti pubblici, esercitano una notevole influenza. Insieme
all’esperienza precedente dei fratelli maggiori, se presenti, e alle procedure di iscrizione
più o meno accoglienti delle scuole nel caso dei migranti neo arrivati in Italia.
L’istruzione tecnica e professionale, tuttavia, non è considerata sempre una opzione al
ribasso. Innanzitutto in molti dei paesi di origine dei migranti è un tipo di insegnamento
valorizzato sia nel mercato del lavoro che nella gerarchia dei tipi di scuola per prestigio
sociale. Inoltre le competenze acquisite sono ritenute molto utili nel caso di ritorni al
paese. Dal momento che tutte le scuole secondarie di II grado in Italia danno accesso
all’istruzione universitaria, per le famiglie migranti gli istituti, rispetto ai licei,
rappresentato percorsi più prudenti, senza pregiudicare l’eventuale scelta di proseguire
nell’istruzione terziaria.
La formazione extrascolastica durante le superiori, comprese le lezioni di recupero,
coinvolge solo una piccola parte degli studenti migranti intervistati (meno che i
compagni nativi, come emerge dai dati Erica–WP3) sia perché è rappresentata come una
sorta di “consumo di lusso”, sia per la “mancanza di tempo” dedicato spesso a lavoretti
per rispondere alle proprie esigenze di spesa autonomamente dal bilancio familiare. In
due casi il lavoro dei figli durante la scuola ha costituito un ingresso economico
irrinunciabile per il nucleo, e qui il ruolo dell’istituzione scolastica, oltre che l’impegno
individuale per lo studio, è stato cruciale per impedire l’abbandono scolastico.
Il diploma è visto dagli intervistati come utile strumento per favorire l’inserimento
occupazionale e sociale in condizioni più protette dei genitori. La scelta di proseguire
all’università, laddove la situazione economica familiare lo permetta e la riuscita
scolastica precedente sia buona, è motivata dal medesimo desiderio di migliorare le
proprie credenziali in vista dell’inserimento lavorativo, e anche la scelta del corso di
laurea segue criteri di occupabilità, sempre in ottica internazionale, più che criteri
espressivi. Accanto a questi aspetti di mobilità sociale intesa dal punto di vista
economico, compaiono inoltre altre dimensioni, più simboliche, di valorizzazione della
propria immagine nello spazio pubblico attraverso il titolo di studio, sentite come
328
particolarmente importanti per i giovani con background di immigrazione. Il tipo di
scuola frequentato, tuttavia, sembra influenzare le propensioni a continuare a studiare
anche laddove la scelta dell’istruzione tecnica e professionale era vista come funzionale
all’istruzione terziaria. Gli studenti di questi tipi di scuole, infatti, a differenza che i
liceali, hanno amici prevalentemente connazionali già inseriti nel mercato del lavoro,
rispetto ai quali si sentono “indietro” nelle diverse fasi di transizione alla vita adulta.
Inoltre sono consapevoli che l’offerta scolastica di cui hanno usufruito, nonostante le
aspettative, è stata molto meno ricca che quella che avrebbero ricevuto dai licei, e
dunque costituirà uno svantaggio per il superamento dei test di ingresso delle Facoltà a
numero chiuso. I processi di scelta e riorientamento avvenuti anni prima, dunque,
tornano a influenzare la seconda transizione scolastica, rischiando di intrappolare i
migranti meno motivati nelle qualifiche più professionalizzanti di livello secondario.
Inoltre le rappresentazioni del mercato del lavoro e delle chances e delle caratteristiche
per ottenere una buona occupazione non sono rosee: gli studenti e i genitori intervistati
restituiscono le difficoltà della coorte dei giovani che fa il suo primo ingresso nel sistema
occupazionale italiano. Le aspirazioni rimangono comunque di ceto medio. Nonostante
la precarietà sia vista da gran parte degli intervistati come destino, l’aspirazione è di
ottenere, attraverso la qualificazione nell’istruzione e la formazione continua, un
contratto a tempo indeterminato. Oppure, specie per gli studenti di istruzione
professionale, aprire una propria attività. I pregiudizi e le discriminazioni non sono
percepite dai giovani intervistati un ostacolo particolarmente preoccupante. Dalla ricerca
è emerso che paradossalmente i confronti tra compagni di scuola nativi e migranti sul
“giusto posto” che gli immigrati dovrebbero occupare nella società italiana risultano più
animosi nelle scuole professionali, proprio laddove la competizione per le posizioni
intermedie della stratificazione sociale sembra minore. Le difficoltà a far valere le
proprie competenze e capacità nel mercato del lavoro, tuttavia, per i migranti intervistati
non saranno tanto dovute agli atteggiamenti dei datori di lavoro nei confronti
dell’immigrazione, ma piuttosto all’importanza delle “raccomandazioni” per trovare un
buon lavoro, su cui i migranti sanno di non poter contare, e, nel caso di chi aspira a
occupazioni pubbliche, la difficoltà di ottenere la cittadinanza italiana. La disponibilità a
trasferirsi tuttavia è figurata come una possibile soluzione per non sprecare
l’investimento in istruzione effettuato e continuare il progetto familiare di ottenere
mobilità sociale attraverso la mobilità geografica. Non tanto nel paese di origine dei
genitori, dove per alcuni sarebbe più riconosciuto il valore di un titolo di studio europeo,
329
ad esempio per avviare un’attività imprenditoriale, ma soprattutto in paesi nord europei o
nord americani, visti come più meritocratici e aperti all’inclusione occupazionale dei
giovani.
Le idee in merito alla transizione all’adultità e alle obbligazioni intergenerazionali verso
l’alto, dei figli nei confronti dei genitori, come si è visto, sono molto influenti nelle
prospettive di istruzione universitaria e di ricerca del primo lavoro degli intervistati. Il
desiderio di compiere le transizioni all’età adulta immediatamente dopo il diploma,
ottenuto con ritardo rispetto ai compagni italiani, orienta verso corsi universitari brevi,
oppure, quando le risorse finanziarie familiari sono limitate e la riuscita scolastica
pregressa non pienamente soddisfacente, verso corsi post-diploma non universitari, in
modo da ottenere autonomia economica, costituire una propria famiglia e “iniziare a
restituire” ai genitori per ripagarli degli sforzi compiuti, e spesso, permettere loro di
tornare finalmente al paese.
I migranti, che avrebbero bisogno di “più tempo” rispetto ai nativi per terminare il corso
di studi e trovare la prima occupazione senza godere del supporto del capitale sociale
familiare, si trovano così a mediare tra desideri di adultità precoci rispetto ai nativi e
risorse familiari provate dalla crisi economica. Il progetto di mobilità sociale dei genitori
primo migranti tuttavia in parte ha già avuto successo, per il fatto stesso di vivere con
tutto il nucleo familiare riunito regolarmente in Italia, talvolta in una casa di proprietà, e
di aver consentito ai figli di conseguire un livello di istruzione secondario superiore
riconosciuto nell’Unione europea. Può essere portato avanti, ed è l’intenzione di molti
degli studenti intervistati, attraverso l’università, frequentata a tempo parziale nel caso
della necessità di mantenersi durante gli studi, e il trasferimento successivo in paesi terzi,
nel caso le opportunità in Italia non fossero all’altezza dell’investimento precedente.
Considerare, in un paese sud europeo a recente immigrazione come l’Italia, le traiettorie
in istruzione superiore dei migranti, offre quindi diversi contributi analitici per integrare i
campi teorici volti a indagare il ruolo dell’istruzione nel rapporto tra migrazioni e
disuguaglianze.
Innanzitutto invita a tenere presente che il riferimento cognitivo per la mobilità sociale
nella migrazione non è solo individuale, ma anche familiare. Per questa ragione una
perdita di status individuale può rappresentare un successo collettivo in termini di mete
sociali prefissate e raggiunte, e comportare lo slittamento del progetto di mobilità sociale
attraverso la mobilità geografica da una generazione, quella dei genitori primo migranti,
alla successiva, quella dei figli, con conseguenze sulla definizione della “accettabilità” di
330
alcune forme di disuguaglianze sociali dovute all’emigrazione, ad
esempio
l’omologazione verso il basso della posizione sociale. Il processo di inserimento nella
società di destinazione di ognuno dei componenti della convivenza familiare influenza
quello degli altri, in misura maggiore o minore a seconda delle asimmetrie di risorse e
dei ruoli dei componenti, non solo in base agli esiti di tale processo in un determinato
momento, ma anche in base ai tempi e ai modi in cui si realizzano le diverse fasi di
inserimento. Non solo le risorse economiche e sociali, ma tutta la storia della
ricomposizione della famiglia, nelle sue dinamiche relazionali e affettive, è importante
per il percorso di formazione e mobilità sociale di genitori e figli migranti. Anche quando
uno degli scopi dell’emigrazione è proprio affrancarsi dalle obbligazioni familiari, e dal
peso delle origini sociali, attraverso strategie meno concordate con la rete parentale. Il
processo di trasmissione delle aspirazioni dai genitori ai figli, tuttavia, non può essere
assunto a priori, ma va verificato empiricamente. Questo approccio consente di evitare
interpretazioni semplicistiche delle correlazioni tra strutture familiari e esiti scolastici,
distinguendo gli aspetti materiali da quelli aspirazionali. Così ad esempio i percorsi in
istruzione degli studenti appartenenti a nuclei familiari monogenitoriali, o meno
strutturati, risultano tendenzialmente più brevi non necessariamente a causa della
mancata condivisione di una strategia di mobilità sociale ascendente, dovuta alla
presunta minore capacità dei genitori soli di conferire riferimenti valoriali solidi ai figli,
ma piuttosto a causa della necessità dei membri più giovani di iniziare prima a
contribuire all’economia domestica. E anche al fatto che i progetti migratori familiari, in
questi casi, risultano più aperti a variazioni improvvise, per cui accumulare capitale
umano in italiano (difficilmente trasferibile) non sembra conveniente. D’altro canto i
genitori laureati, più presenti degli altri nel sostegno al percorso in istruzione dei figli e
intenzionati a recuperare la “caduta” di status dopo l’emigrazione, possono spingere
verso scelte scolastiche non commisurate ai reali interessi degli studenti, procurando
successivi riorientamenti e bocciature che finiscono per ridimensionare il progetto di
ottenere ascesa sociale attraverso la formazione conseguita. Fare parte di nuclei costituiti
da madre migrante e marito italiano, poi, comporta acquisizione di status socioeconomico e giuridico, tuttavia il senso di estraneità affettiva e il timore che la stabilità
del nucleo (e delle sue risorse) possano venir meno sembrano condurre verso percorsi di
precoce uscita dalla famiglia di origine.
Un modello “debole” di scelta razionale, inoltre, risulta utile per cogliere le strategie
familiari nella loro complessità e non occultare i percorsi di riuscita. L’investimento in
331
istruzione, come abbiamo visto, non è da intendersi come una mera successione di
calcoli, tra loro indipendenti, sul rapporto tra costi e benefici dell’educazione, anche se in
alcune fasi assume questi contorni, ma piuttosto come un processo non lineare di
negoziazione innestato, per le famiglie migranti, in più ampie strategie di mobilità
sociale e geografica. La rappresentazione delle opportunità educative offerte dai diversi
sistemi scolastici nazionali è una delle ragioni per le quali i figli e le figlie sono coinvolti
nel progetto migratorio dalla famiglia. In questo modo il loro successo a scuola diventa
uno degli indicatori del successo del progetto migratorio (o dell’adesione di tutti i
componenti della convivenza familiare al progetto).
Dal momento che l’interazione tra i livelli di intervento educativo può procurare grandi
diversità di risorse o vincoli istituzionali anche all’interno dello stesso contesto locale, le
capacità delle famiglie e degli individui di fronteggiare l’incertezza delle procedure di
inserimento scolastico, o sfruttarle opportunisticamente per promuovere le proprie
strategie di mobilità, varia secondo le dotazioni di partenza, ampliando i divari iniziali tra
famiglie.
Le attività di orientamento alla scelta della scuola secondaria di II grado si basano
sull’assunto che i diversi attori coinvolti (studenti, genitori, docenti, orientatori)
condividano alcune idee di fondo sulle opzioni disponibili. L’immagine sociale dei
diversi tipi di scuola secondaria delle famiglie migranti tuttavia non corrisponde
perfettamente a quella dei nativi, perché basata su presupposti - sui curricola, il prestigio
e la spendibilità delle credenziali educative - maturati in altri paesi, e non solo per la
collocazione dei migranti mediamente “in basso” nella scala sociale italiana. Al termine
della scuola secondaria di II grado riaffiorano dunque le aspirazioni di istruzione terziaria
che gli studenti migranti di istruzione tecnica e professionale avevano inizialmente. Ma
in questa fase compaiono altre dimensioni sociali e affettive accanto alla stima del
tornaconto economico e all’impatto del percorso educativo precedente, influenzate dallo
status migratorio, in particolare relative ai tempi attesi per diventare adulti e alle
responsabilità verso il resto della famiglia che tale ruolo comporta.
Guardare ai casi di successo consente di cogliere la progettualità dei migranti in ottica
multidimensionale. Dall’analisi della loro definizione della situazione emerge che
l’acquisizione di titoli di studio elevati non è vista solo in funzione dell’inserimento
occupazionale, anche se questo rimane il riferimento principale, ma anche del
posizionamento sociale attraverso il raggiungimento di prestigio e riconoscimento. La
spinta a non omologarsi a una visione pauperistica degli immigrati è particolarmente
332
evidente tra i figli di laureati. In Italia, tuttavia, a differenza che in altri contesti, la
selettività dei processi migratori non sembra sempre premiante. Anche per questa
ragione, non sempre le aspirazioni educative dei genitori sono elevate. Talvolta è
l’orientamento dei docenti, basato sulla riuscita scolastica, a spingere verso l’alto. La
riuscita scolastica, malgrado tutti i processi di selezione che abbiamo visto, rimane
comunque una variabile importante per le famiglie migranti.
Il percorso in istruzione è inteso dagli studenti e dai loro genitori come uno dei modi per
acquisire posizioni intermedie nella stratificazione sociale. Il raggiungimento di tali
posizioni è visto come il modo normale di diventare adulti “bene inseriti” nella società di
residenza. In questo senso per i giovani migranti l’ottenimento di qualifiche educative,
condizioni occupazionali e stili di vita da ceto medio sono a tutti gli effetti segnali di
piena integrazione sociale, ancora prima della partecipazione politica in senso stretto. In
altre parole, il raggiungimento di una coesione sociale di tipo interculturale, anche dal
punto di vista simbolico, sembra più facile da ottenere per i migranti che raggiungono le
classi medie, rispetto a quelli che rimangono negli strati più bassi. Sarà interessante
verificare se le strategie vincenti saranno quelle più “ambiziose”, volte all’ottenimento di
qualifiche terziarie anche in mancanza della sicurezza economica familiare, oppure
quelle più “prudenti”, volte a assicurarsi un inserimento più prossimo nel mercato del
lavoro. La permanenza dei giovani migranti altamente qualificati nelle università e nel
mercato occupazionale italiano sarà anche indicativa della capacità del sistema socioeconomico italiano di trovare nuove risposte ai vecchi patti tra generazioni, attualmente
in ridefinizione.
Il numero ancora contenuto dei migranti in quinta superiore non consente riflessioni
distinte per gruppi nazionali, se non per alcune eccezioni più documentate. Tuttavia è
ipotizzabile che in un prossimo futuro anche in Italia, come abbiamo visto per i paesi a
più lunga tradizione immigratoria, non solo il primo ciclo di istruzione e il passaggio alla
secondaria, ma anche la seconda transizione, verso l’università o il mercato del lavoro,
sarà influenzata da processi sociali che coinvolgono in misura diversa le diverse
cittadinanze, da indagare come abbiamo detto nella prospettiva di identificare i processi
specifici per i migranti e quelli che li accomunano anche ai nativi, e non impiegando la
nazione di origine o la “cultura” come categorie rifugio.
Si aprono quindi molteplici piste di ricerca per mettere in luce i meccanismi sociali alla
base dei processi di riproduzione e innovazione sociale che caratterizzano l’inserimento
333
del fenomeno immigratorio nella stratificazione sociale e educativa, senza adagiarsi negli
itinerari concettuali del nazionalismo metodologico.
Per approfondire gli studi sulla posizione che occuperanno le giovani generazioni
migratorie in paesi a recente immigrazione come l’Italia sarebbe interessante ampliare la
documentazione empirica relativa a genitori e figli dello stesso nucleo domestico,
guardando non solo a diversi canali, ma anche a diversi livelli e dimensioni di accesso
alle posizioni medio-alte della stratificazione sociale (ad esempio relativi agli stili di vita
e ai consumi culturali), oltre che ai meccanismi alla base del posizionamento verso il
basso, delle carriere di insuccesso scolastico e marginalità sociale. In questo modo si
potrebbero evidenziare eventuali sfasamenti nelle rappresentazioni e nelle aspettative sul
processo di mobilità sociale tra i componenti della famiglia per quanto riguarda i livelli
di inclusione socio-economica raggiunta e anche i modi di intendere l’importanza
relativa delle diverse dimensioni (ad esempio quella simbolica e quella più strettamente
economica).
Inoltre sarebbero auspicabili studi longitudinali per rilevare l’interazione della traiettoria
educativa, migratoria e occupazionale delle famiglie nel corso del tempo. Un disegno di
ricerca longitudinale consentirebbe di controllare le distorsioni dovute alla ricostruzione
retrospettiva o prospettiva di processi decisionali o eventi temporalmente distanti, e
aiuterebbe a verificare se determinati episodi in una delle traiettorie dei componenti della
convivenza familiare, ad esempio la perdita di lavoro di uno dei genitori, possano
influenzare transizioni significative per altri membri della famiglia, ad esempio la scelta
se continuare o meno a studiare, secondo configurazioni diverse per nativi e migranti.
Inoltre per studiare i processi di orientamento scolastico dal punto di vista degli
orientatori, si potrebbero approfondire i rituali, le rappresentazioni e i criteri adottati dai
docenti, esperti e altre figure educative coinvolte dalle scuole per definire i percorsi in
istruzione “più adatti” per i migranti e per i nativi, ma anche per gli studenti e per le
studentesse, e le retoriche argomentative adoperate per persuadere genitori e figli della
validità degli orientamenti ricevuti. Dal punto di vista delle famiglie migranti, invece,
l’analisi delle narrazioni di emigrazione e mobilità sociale familiare, consentirebbe di
confrontar
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