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“Portami con te lontano”. Istruzione e
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TORINO DIPARTIMENTO DI CULTURE, POLITICA E SOCIETÀ DOTTORATO DI RICERCA IN SOCIOLOGIA E SCIENZA POLITICA INDIRIZZO IN SOCIOLOGIA CICLO: XXIV “Portami con te lontano”. Istruzione e inserimento sociale dei giovani migranti al termine della scuola secondaria di II grado TESI PRESENTATA DA: Arianna Santero TUTOR: Prof. Rocco Sciarrone COORDINATORE DEL DOTTORATO: Prof.ssa Maria Carmen Belloni ANNI ACCADEMICI: 2009 – 2011 SETTORE SCIENTIFICO-DISCIPLINARE DI AFFERENZA: SPS/07 2 Indice Introduzione 1. Prospettive teoriche e ricerche empiriche sull’inserimento scolastico dei bambini e dei giovani migranti p. 6 p. 10 1.1. Aspetti istituzionali e analisi del curriculum p. 12 1.2. Risultati scolastici e rischio di dispersione p. 17 1.3. Scelte scolastiche p. 25 1.4. Scuola, extra-scuola e condizione giovanile p. 31 1.4.1. Assimilazione e integrazione p. 31 1.4.2. Socialità giovanile dei migranti in Italia p. 39 2. Approccio teorico, domande e ipotesi, disegno della ricerca p. 45 2.1. La definizione del problema p. 45 2.1.1. Oggetto della ricerca e campi teorici p. 45 2.1.2. Il contesto istituzionale: interazione tra livelli p. 51 2.1.3. Le traiettorie scolastiche: investimento e progettualità p. 53 2.1.4. Le traiettorie di migrazione e inserimento sociale: la famiglia come unità d’analisi 2.1.5. Quattro ipotesi sulla specificità dei migranti p. 54 p. 57 2.2. Il disegno della ricerca p. 61 2.2.1. Dati di contesto p. 62 2.2.2. Analisi della normativa e interviste ai testimoni qualificati p. 62 2.2.3. Interviste con studenti e genitori migranti p. 63 3. Gli studenti migranti nel sistema scolastico italiano e in Piemonte p. 64 3.1. Gli alunni con cittadinanza non italiana p. 64 3.1.1. Un rapido cambiamento p.64 3.1.2. Eterogeneità di provenienze, distribuzione territoriale e scolastica p. 67 3.1.3. Scuole statali e non statali p. 69 3.1.4. Esiti scolastici diseguali p. 70 3.2. Il caso del Piemonte p. 71 3.2.1. L’aumento delle presenze p. 71 3.2.2. Promossi, respinti e ripetenti p. 74 3.2.3. Gli iscritti alla secondaria di II grado e all’università p. 75 3 3.3. Orientamento e distribuzione degli stranieri nelle secondarie di II grado della città di Torino 3.4. Chi arriva al termine delle secondarie di II grado? 3.5. Una survey con gli studenti dell’ultimo anno di scuola secondaria di II grado in Piemonte p.79 p. 83 p. 84 3.5.1. La scelta della scuola secondaria di II grado p. 84 3.5.2. La rappresentazione del percorso scolastico pregresso p. 89 3.5.3. La formazione extrascolastica p. 91 3.5.4. Le aspettative di istruzione terziaria e/o inserimento nel mercato del lavoro p. 93 3.5.5. I legami amicali p. 98 3.5.6. Aspirazioni di un futuro ceto medio immigrato? p. 98 4. In cerca di un modello italiano. Analisi interlivello di legislazione e pratiche di inserimento 4.1. Le indicazioni del centro: intercultura, individualizzazione, incertezza nell’implementazione 4.1.1. Ammissione a scuola: alcuni passi da gambero? 4.1.2. Gestire la concentrazione: assegnazione alla classe e fondi per scuole in aree ad alto flusso immigratorio p. 101 p. 102 p. 104 p.106 4.1.3. Integrazione linguistica: una faccenda prioritaria ma inizialmente locale p. 110 4.1.4. Formazione degli insegnanti e dei dirigenti: il rischio “fai-da-te” p. 110 4.1.5. Valutazione differenziata: normativa chiara, applicazione carente p. 111 4.1.6. Tutela dell’identità culturale e intercultura: nucleo centrale del “modello italiano” p. 112 4.1.7. Interferenze, convergenze e accoppiamenti laschi tra ambiti di policies p. 114 4.1.8. Fuor di retorica: tra alti e bassi di coerenza e continuità p. 122 4.2. Attività degli enti locali (Piemonte/Torino): personalismo, partnership, pragmatismo p. 122 4.2.1. Iniziative, agenzie e funzioni p. 123 4.2.2. Le specificità del contesto p. 125 4.3. Buone prassi e “disprassie” degli istituti scolastici: varietà, volontarismo, vaga valutazione p. 129 4.3.1. Inserimento in classe e prima accoglienza p. 130 4.3.2. Modifiche del Pof in chiave interculturale p. 135 4.3.3. Governance, relazioni con la famiglia e l’extrascuola p. 136 4.3.4. Innovare più di quanto richieda il centro o attuare strategie di evitamento? 4.4. Cambiamenti e eterogeneità. L’importanza di guardare ai diversi livelli di attuazione p. 139 p. 146 4 5. Il percorso migratorio familiare p. 152 5.1. La partenza dei genitori p. 155 5.2. Gli anni della separazione p. 169 5.3. Il processo di riunione familiare p. 175 5.4. Le convivenze familiari in seguito alla stabilizzazione in Italia p. 195 5.5. Effetti della traiettoria migratoria familiare sul percorso di inserimento lavorativo dei genitori 5.6. Rappresentazioni della mobilità geografica e sociale nel passaggio da una generazione all’altra 6. Il percorso di istruzione-formazione p. 202 p. 210 p. 212 6.1. L’inserimento in classe e il primo ciclo di istruzione p. 213 6.2. La “scelta” della scuola secondaria di II grado p. 237 6.3. L’esperienza scolastica nel secondo ciclo di istruzione p.264 7. p. 274 Le aspirazioni e i progetti post-diploma 7.1. L’istruzione terziaria 7.2. Le aspettative occupazionali e di inserimento sociale tra obbligazioni e desiderio di adultità 7.3. Genitori e figli a confronto. I progetti di mobilità sociale familiare durante la transizione alla vita adulta p. 274 p.302 p.313 Conclusioni p. 318 Appendice metodologica p. 336 Bibliografia p. 362 5 Introduzione A mio figlio Attilio Mauro che ha il nome di mio padre Portami con te lontano / ...lontano... / nel tuo futuro. Diventa mio padre, portami / per la mano / dov'è diretto sicuro / il tuo passo d'Irlanda / l'arpa del tuo profilo / biondo. Alto / già più di me che inclino / già verso l'erba. Serba / di me questo ricordo vano / che scrivo mentre la mano / mi trema. Rema / con me negli occhi al largo / del tuo futuro, mentre odo / (non odio) abbrunato il sordo / battito del tamburo che rulla - come il mio cuore: in nome / di nulla - la Dedizione. (G. Caproni, Il muro della terra) Int.: Per trovare un buon lavoro che carte servono in mano? Verim: Perché uno può cercarlo ma non trovarlo, eh? Int.: Per trovarlo. Verim: (0.03) Come potrei rispondere. Uno deve aver studiato, con lo studio. Uno però può anche avere i soldi, e fregarsene dello studio, pagare, e ottenerlo lo stesso, un buon lavoro (0.02). Int.: Quindi studio o corruzione? Verim: Sì. Io parlo di cose reali, non è che… però credo che lo studio, sia disponibile a tutti (sorride). (stud. 15: Verim, Liceo α scientifico, 21 M, Albania) Non chiedo il mondo ma neanche… una via di mezzo, no? (stud. 43: Eduard, IP β sala bar, 20 M, Romania) La ricerca qui presentata riguarda i percorsi in istruzione e le aspettative di inserimento occupazionale dei giovani migranti al termine delle scuole secondarie, in Italia e in particolare in Piemonte, intesi come parte del progetto di mobilità geografica e sociale familiare. Lo scopo principale è stato indagare come le traiettorie migratorie, occupazionali e familiari, in un dato contesto istituzionale, abbiano plasmato l’individuazione della scuola superiore frequentata e le prospettive post-diploma degli studenti e delle studentesse. La presenza di studenti migranti nella scuola secondaria superiore italiana è in aumento, soprattutto nel nord del paese. La transizione dall’istruzione secondaria a quella terziaria (o al mercato del lavoro) dei giovani immigrati è ancora un tema poco indagato, nonostante la sua rilevanza non solo per l’emergere di nuovi bisogni educativi ma anche per le sue implicazioni sul piano dell’acquisizione dei diritti politici e sociali da parte delle nuove generazioni di migranti. Dal punto di vista teorico inoltre, guardare alla strutturazione delle disuguaglianze educative come “sistema aperto all’esterno” permette di inserire gli studi sulle migrazioni all’interno di cornici teoriche relative a cambiamenti 6 più generali dei sistemi scolastici nazionali e del ruolo dell’istruzione nei processi di riproduzione delle asimmetrie di classe, genere e provenienza nazionale. L’indagine empirica si è svolta combinando con un approccio multimetodo: (1) l’esame descrittivo dei dati del Ministero dell’Istruzione sulle presenze e gli esiti degli studenti con cittadinanza non italiana in Italia e dei risultati di una survey rivolta ai frequentanti nativi e migranti - l’ultimo anno delle scuole medie superiori in quattro province del Piemonte, regione italiana scelta perché il fenomeno migratorio a scuola è quantitativamente e qualitativamente significativo, realizzata all’interno del progetto Erica-WP31; (2) l’analisi della normativa e delle policies per l’inserimento degli alunni migranti a livello nazionale e locale; la realizzazione e l’analisi tematica di interviste semistrutturate rivolte a (3) 18 testimoni qualificati, insegnanti referenti o funzione strumentale per l’inserimento degli allievi stranieri, operatori/trici dei servizi educativi e scolastici locali e del privato sociale; (4) 56 studenti migranti campionati da sei scuole secondarie di II grado scelte in base ai curricola e all’incidenza di allievi con cittadinanza non italiana, nella città di Torino, capoluogo di regione che ha attivato innovative pratiche di sostegno all’istruzione secondaria dei migranti; (5) 17 genitori degli studenti intervistati, provenienti da diverse aree geografiche e con differenti posizioni sociali nel paese di origine e destinazione. Il lavoro è articolato come segue. Nel primo capitolo si è cercato di dar conto del nesso tra istruzione e immigrazione, identificando quattro principali filoni di studio che si sono sviluppati tra i campi teorici della sociologia dell’educazione, delle migrazioni e delle disuguaglianze sociali: lo studio delle risposte didattiche e politiche alla presenza dei migranti nelle organizzazioni scolastiche; le ricerche sulle disuguaglianze “etniche” di riuscita scolastica; quelle sulle disuguaglianze nelle scelte scolastiche, data la riuscita; le riflessioni sui processi di “integrazione”, “assimilazione” e “incorporazione” dei figli dell’immigrazione nei sistemi sociali di destinazione. Nonostante la varietà di metodi e presupposti analitici, spesso incompatibili e non comunicanti tra loro, questo ricco insieme di contributi sembra volto a coniugare la duplice attenzione da un lato all’impatto degli immigrati sulle scuole che li ricevono, dall’altro agli esiti dei processi di scolarità sui destini sociali dei giovani immigrati. 1 ERICA - Enriching Regional Innovation Capabilities in the Service Economy. The institutional and Cultural Roots of Development in a knowledge-based society - WP3 Improving the supply of knowledge, educational and professional choices, Regione Piemonte - Bando Scienze Umane e Sociali, Dipartimento di Scienze Sociali dell’Università di Torino e Ires Piemonte. 7 Il secondo capitolo presenta l’approccio teorico seguito e il disegno della ricerca. L’impostazione adottata mira a evitare sia le visioni più strutturaliste, secondo le quali i vincoli presenti nelle società di destinazione omologherebbero inesorabilmente verso il basso le possibilità di inclusione dei migranti, sia quelle più assimilazioniste, fiduciose nella graduale affermazione di eguali opportunità nel passaggio da una generazione migratoria a quella successiva. Piuttosto è necessario indagare empiricamente le specificità dei percorsi educativi dei migranti non solo come effetto delle risorse familiari e individuali in un dato momento, ma anche della graduale definizione di una strategia di posizionamento sociale familiare, nelle sue fasi e conseguenze, diverse per i componenti delle convivenze familiari in base a genere, generazione, ruolo e collocazione sociale. L’esame dei dati quantitativi di contesto è ricostruito nel terzo capitolo, dal quale emerge come gli studenti immigrati che sono riusciti a completare il secondo ciclo di istruzione abbiano superato severi processi di selezione scolastica e tendano a concentrarsi nell’istruzione tecnica e professionale più spesso che i nativi. Il quarto capitolo confronta tre livelli di reazione istituzionale alla presenza degli studenti migranti: quello nazionale, caratterizzato dallo sviluppo coerente di un modello inclusivo e interculturale, ma ancora né pienamente prescrittivo né supportato da finanziamenti strutturali e diffusi capillarmente sul territorio; quello locale, nel quale l’implementazione delle politiche ministeriali ha seguito un andamento pragmatico e colto stimoli dal basso, rischiando però di frammentarsi in interventi molto legati all’impegno del singolo decisore e alle sperimentazioni; e infine il livello scolastico, segnato da una straordinaria varietà di procedure, dipendenti in larga parte dall’interpretazione volontaristica degli operatori e docenti. Negli interstizi tra i livelli di intervento e gli scarti tra norme e prassi si annidano incertezza e disinformazione, di fronte alle quali le famiglie migranti si differenziano per capacità di reperire risorse aggiuntive e usufruire delle opportunità a disposizione per evitare o meno l’accumulo di ritardo scolastico prodotto istituzionalmente. Le traiettorie educative degli studenti e quelle occupazionali e familiari dei genitori sono restituite nella quinta parte. Vedremo come la preferenza per i percorsi tecnicoprofessionali derivi da specifiche rappresentazioni del ruolo di questo tipo di insegnamento per le famiglie migranti e come l’istruzione terziaria possa essere un canale di accesso per raggiungere posizioni che si collocano “nel mezzo” della stratificazione sociale in Italia. Analizzeremo il ruolo della famiglia di origine come attore decisionale internamente differenziato, la storia della sua ristrutturazione e la combinazione di risorse 8 materiali, relazionali e cognitive nella definizione delle diverse traiettorie di inclusione nel paese di destinazione degli studenti. Individueremo infine alcuni criteri per definire una tipologia delle famiglie coinvolte nella ricerca, in base alla carriera occupazionale dei genitori e alla carriera scolastica dello studente/studentessa intervistata. Gli studenti del liceo si distinguono per percorsi “ambiziosi” verso l’alto, mentre quelli di istituto tecnico e professionale propendono più spesso per percorsi prudenti o di inclusione verso il basso. Dal punto di vista dei genitori migranti, tuttavia, il fatto di avere stabilizzato la propria riunione familiare in Italia e avere permesso ai figli di concludere l’istruzione secondaria è già un successo. I giovani migranti li hanno già “portati lontano”. La sfida dei prossimi anni del sistema di istruzione terziario e del mercato del lavoro italiano sarà trattenerli, o attrarne altri ugualmente qualificati, se non vorrà perdere l’occasione di valorizzarne il capitale umano. Ringrazio Rocco Sciarrone per la sua supervisione, i gruppi di ricerca ERICA-WP3 e SECONDGEN, in particolare Michael Eve¸ Nicola Negri, Manuela Olagnero, Maria Perino, Franco Ramella e Roberta Ricucci per il confronto teorico e metodologico. Chiara Saraceno per le riflessioni su stratificazione sociale e mobilità familiare. Tiziana Nazio, Nicola Pannofino, Giovanni Semi e Luca Storti per avere discusso alcune parti di questo lavoro. Eduardo Barberis, Francesca Biondi dal Monte e Concetta Mascali per il confronto sul contesto istituzionale. Gli operatori del Cosp e della Rilevazione Scolastica della Regione Piemonte, Laura Bevione, Maria Angela Donna e Grazia Scala per i materiali e la disponibilità. Ouail El Azhari per i consigli sulla traccia di intervista. Davide Donatiello, Manuela Negro e Marco Romito per il dialogo e i suggerimenti di lettura. Le insegnanti e le operatrici scolastiche contattate per l’indispensabile collaborazione nel momento della discesa sul campo. Casa Ancarola e le “ragazze” per il supporto e l’ironia. Andrea per tutte le volte che mi ha aiutata a guardare i fatti da un’altra prospettiva. 9 1. Prospettive teoriche e ricerche empiriche sull’inserimento scolastico dei bambini e dei giovani migranti La ricerca sui giovani immigrati2 in Europa è un fenomeno relativamente recente, sviluppatosi soprattutto a partire dagli anni Novanta (Crul, 2005), periodo che nella storia della “sociologia dell’istruzione” (Schizzerotto e Barone, 2006) è stato caratterizzato da una fase di consolidamento dello statuto epistemologico e metodologico della disciplina e da un interesse prevalente verso le problematiche del nesso tra diversità - differenze disuguaglianze, e dell’istruzione come opportunità di mobilità sociale (Besozzi, 2007). In effetti gran parte degli studi condotti nell’Europa occidentale e negli Stati Uniti per spiegare gli effetti dello “svantaggio etnico”3 sui più generali meccanismi di riproduzione 2 La dizione “immigrati” connota la prospettiva del paese ricevente i flussi migratori (Busoni, 2003) e stigmatizza, secondo alcuni dei soggetti coinvolti in questa ricerca, alla stregua di termini come “extracomunitari” o “stranieri”. Come spiega un intervistato “Quando tu accendi il televisore, sentirai centomila volte «Immigrati, immigrati, clandestini», questa roba alla fine dà fastidio! Ti dà… è un sentimento che tu non puoi… capire, è quello che io ho, di essere fuori posto” (stud. 35: Koffi, IT α elettrotecnico, 20 M, Costa d'Avorio). Verrà impiegata per indicare la direzione della mobilità geografica, come il termine “emigrati”, e sostituita dove possibile dal concetto di “migrante”. Tale concetto, ampliando la definizione delle Nazioni Unite (“una persona che si è spostata in un paese diverso da quello di residenza abituale e che vive in quel paese da più di un anno”) può includere anche spostamenti più brevi o interni ai confini nazionali, come ricorda Ambrosini (2005) e sottolinea la natura transitoria e bidirezionale della mobilità spaziale, enfatizzata dal campo teorico del transnazionalismo (Portes, Guarnizo e Halle, 2002; Wimmer e Glick Schiller, 2003; Cingolani, 2005). 3 Il termine “etnia” nella letteratura anglosassone indica la provenienza nazionale o l’origine culturale e geografica. Studiosi e studiose italiani hanno messo in luce il processo di costruzione sociale dell’etnicità dei migranti da parte della società ricevente (Dal Lago, 2004; Queirolo Palmas, 2007), altri ritengono che la dizione possa essere impiegata, proprio per intendere il processo di etichettamento da cui deriva, per sostituire il concetto di “razza”, il quale è basato su una selezione di tratti fisici definiti culturalmente come salienti (ad es. Zanfrini, 2004), e va inteso anche alla luce dei fenomeni di biologizzazione del sociale (v. Campani, 2003, sul contributo del Black feminism) e “gerarchizzazione razziale” (Ambrosini, 2005, pp. 135-136). Un maturo filone di studi dell’antropologia culturale mostra che, sebbene il concetto di “etnia” sia “finzione” (Fabietti, 1999, p. 60), esso possiede “una qualche realtà”, pur non “coestensiva della nozione” (Id., p. 133), e ha effetti sulla strutturazione delle relazioni di potere tra gruppi sociali con interessi diversi in interazione tra loro (Remotti, 1996; Aime, 2004 e 2006). Riflessioni utili emergono dalle teorie del triplice svantaggio sulle migrazioni femminili (per una breve rassegna cfr. Santero, 2008). Dal punto di vista dell’analisi sociologica, mi sembrano necessarie tre cautele, di natura metodologica, teorica e di divulgazione dei risultati, nell’impiego del concetto di “etnia”. Innanzitutto, come sottolinea FitzGerald (2008), per aggregare provenienze diverse occorre tenere conto dei fattori socio-economici alla base della caratterizzazione dei gruppi nazionali e delle minoranze native, nonché del mutamento nel tempo della loro collocazione sociale relativa nel paese di riferimento, per non impiegare categorie troppo eterogenee al loro interno e quindi distorcenti. Dal punto di vista teorico, inoltre, pur indagando le specificità legate all’origine nazionale o geografica, va evitato il ricorso al concetto di etnia come “variabile rifugio”, a cui imputare tutta la varianza non spiegata da altri fattori, con la consapevolezza di maneggiare una “tipica categoria sociologica” (cfr. Ambrosini, 2011). Infine, ultimo ma non meno importante, data la responsabilità delle 10 e mobilità sociale iniziano con l’analisi dei processi attraverso cui l’origine sociale e nazionale influenza esiti e transizioni nel sistema scolastico, visti come fattori che condizionano la futura collocazione occupazionale (cfr. ad es. Thompson e Crul, 2007; Heat, Rothon e Kilpi, 2008; Lindemann e Sarr, 2011). Le disuguaglianze educative non consentono direttamente di preconizzare le future disuguaglianze sociali. In paesi nei quali gli esiti scolastici dei migranti nei livelli di studio superiori appaiono relativamente buoni, ad esempio, possono risultare più problematici i processi di inserimento nel mercato del lavoro, e viceversa in altri paesi dove la selezione precoce dell’indirizzo di studi tendenzialmente orienta gli immigrati verso indirizzi professionali, i tassi di occupazione possono essere elevati4. Studiare le asimmetrie tra i percorsi in istruzione di migranti e nativi comunque permette di verificare come all’interno di un’istituzione per mandato meritocratica e rivolta a tutti si configurino processi di selezione e riproduzione sociale più o meno severi in base a caratteristiche sociologicamente rilevanti. Le indagini sull’inserimento scolastico degli alunni di origine immigrata si sono sviluppate quindi da subito, nei paesi a più lunga tradizione immigratoria, all’intersezione fra i “campi teorici” (Bagnasco, 2007) relativi a educazione-istruzione, migrazioni e disuguaglianze sociali. Mentre la produzione di ricerche empiriche, talvolta anche applicate, è stata notevole, la riflessione teorica è maturata soprattutto nell’ambito dello studio delle disuguaglianze in istruzione, per quanto riguarda la sociologia dell’educazione, e nell’analisi delle traiettorie di inclusione sociale delle “seconde generazioni”5, nell’ambito della sociologia delle migrazioni. I primi studi sulle migrazioni in Italia, come è accaduto anche per altri campi teorici accumunati dall’interesse verso forme di irregolarità, invisibilità e “devianza” sociale, hanno seguito per la maggior parte un approccio guidato dai problemi sostantivi. Questo approccio ha portato alla luce processi sociali nascosti e poco indagati, nonostante dati scienze sociali nella costruzione e legittimazione del discorso pubblico sulle relazioni “inter-etniche” e sulle migrazioni, nella divulgazione dei risultati di ricerca occorre tentare di prevenire l’errato utilizzo dei dati evitando eccessivo schematismo, specie in paesi, come l’Italia, in cui il rischio di semplificazioni, se non di vere e proprie strumentalizzazioni politiche (cfr. Sciarrone, 2006) è elevato. 4 Come emerge dal confronto tra il caso francese e quello tedesco sviluppato dai progetti di ricerca TIES e EFFNATIS. 5 Sull’appropriatezza del termine “seconde generazioni” come categoria sociologica si è molto discusso, con resistenze anche da parte dei giovani migranti (cfr. Ambrosini e Molina, 2004; Ambrosini, 2005; Ricucci, 2005; Comune di Bologna, Osservatorio sulle Differenze, 2006; Chaloff e Queirolo Palmas, 2006; Santero, 2006; Ambrosini, 2011). Qui è volto ad indicare i figli di almeno un genitore nato all’estero, nati nel paese di destinazione, secondo l’approccio decimale proposto da Rumbaut (1997). Per generazione 1.5 intenderò i migranti arrivati dai 12 anni di età (come ad es. in Kasinitz et al., 2008). La locuzione “giovani con background di immigrazione” includerà sia le G2 che le G1.5. 11 istituzionali lacunosi. D’altro canto, ricerche preziose per informazioni raccolte e intuizioni sui processi in corso sono state realizzate talvolta senza tener conto degli studi precedenti, oppure senza chiarire con rigore le fonti e i metodi di costruzione della documentazione empirica. Il filone di studi su mobilità sociale e disuguagliane educative, viceversa, è un approccio guidato più dal tipo di teoria, se non dal tipo di metodo o di dati, per cui ha caratteri quasi paradigmatici (si basa, ad esempio, su algoritmi condivisi e spesso anche su banche dati rese disponibili alla comunità scientifica). Lo sviluppo delle conoscenze appare quindi di andamento più cumulativo, ma talvolta rischia di incorrere nel feticismo del metodo, rinunciando a includere, almeno a livello teorico, ciò che i dati quantitativi, in quanto sempre costruiti, non possono dirci. L’integrazione dei tre campi teorici sopra menzionati può quindi essere utile per coniugare l’attenzione al problema sostantivo con la cura degli aspetti più teorici e metodologici. Con questo scopo è possibile individuare, seppure soltanto a livello analitico e per definire la strumentazione teorica a cui si è fatto riferimento per questa ricerca6, quattro aree tematiche tra loro interconnesse sull’inserimento scolastico dei migranti nei diversi contesti: i) aspetti istituzionali e analisi del curriculum; ii) risultati scolastici e rischio di dispersione; iii) scelte scolastiche; iv) relazioni tra scuola, extrascuola e condizione giovanile come processi di inclusione/esclusione sociale dei giovani migranti. 1.1. Aspetti istituzionali e analisi del curriculum Un primo insieme di ricerche è volto a classificare le norme e le procedure organizzative di inclusione degli allievi migranti adottate a livello nazionale. In questa prospettiva il rapporto Eurydice (2004) ha identificato quattro modelli di integrazione scolastica in Europa7: i) modello integrato, in cui i minori immigrati sono inseriti nelle classi 6 Uno stato dell’arte sulle ricerche italiane su educazione, migrazioni e generazioni si trova ad esempio in Giovannini e Queirolo Palmas (2010). Le teorie sulla presenza e la riuscita degli immigrati nella scuola e in generale nella società di destinazione hanno considerato, nella letteratura dei paesi a più lunga tradizione immigratoria, in particolare statunitense, i cambiamenti dei flussi migratori, del sistema economico internazionale e delle politiche sociali, del lavoro e di gestione dell’immigrazione. Lo scopo di questo capitolo non è restituire l’estensione di questo dibattito nella sua interezza, ma organizzare per tratti essenziali i contributi che maggiormente hanno influenzato le ricerche sulle “seconde generazioni” in Europa, con particolare riferimento all’inserimento scolastico in Italia, per definire il quadro teorico di riferimento della ricerca di tesi. 7 La politica europea sull’educazione-istruzione dei minori stranieri può essere letta all’interno di un graduale processo di sviluppo di una linea di azione comune sull’immigrazione e sull’asilo a partire dal Trattato di Amsterdam del 1999. La direttiva del Consiglio del 25 luglio 1977 prevedeva, per i soli figli di 12 scolastiche ordinarie con i loro coetanei e le misure di supporto, in prevalenza linguistiche, sono fornite individualmente durante l’orario curriculare, o, talvolta, ii) extracurriculare; iii) modello separato transitorio che prevede la costituzione di classi separate per gli alunni immigrati per un periodo di inserimento iniziale, e in parallelo la possibilità di assistere alle lezioni ordinarie con gli altri coetanei; iii) modello separato a lungo termine per cui sono istituite classi speciali per uno o più anni scolastici in base alle competenze linguistiche in L2 degli alunni. All’interno di questi modelli, talvolta misti, il rapporto ricostruisce le diverse misure sviluppate dai paesi europei, riconducendole a tre gruppi di interventi: 1. sostegno linguistico; 2. adattamento dei contenuti disciplinari, specialmente in relazione alle difficoltà linguistiche iniziali8; 3. riduzione delle dimensioni delle classi scolastiche (Eurydice, 2004). Malgrado sia utile per inquadrare i diversi contesti normativi nelle loro linee generali, questa tipologia non verifica applicazione o finanziamento delle misure dichiarate dai contributi nazionali, né legge tali misure in relazione alle caratteristiche dei sistemi educativi e alle presenze dei migranti. Per cogliere meglio l’adattamento del sistema scolastico alla diversità culturale occorre quindi guardare non solo agli aspetti organizzativi ma anche a quelli “curricolari” in senso stretto, didattici e pedagogici9. Questo filone di indagine si sviluppa grazie ai contributi degli studi storici e organizzativi sulla scuola e a quelli che si concentrano sul ruolo e gli atteggiamenti degli attori sociali nella trasmissione dei saperi e dei curricula (Besozzi, 2006 e 2007; Fischer, 2003 e 2007; lavoratori immigrati cittadini di paesi membri, accoglimento dei loro bisogni specifici e insegnamento di lingua e cultura dei paesi d’origine. I Consigli europei da Lisbona a Bruxelles sembrano esprimere progressivamente la volontà di garantire ai bambini immigrati gli stessi diritti all’istruzione dei bambini cittadini degli Stati membri, quanto meno nel caso di regolari residenti di lungo periodo, tuttavia rimangono disposizioni diverse in base allo status giuridico dei bambini: il diritto all’istruzione per gli irregolari e le misure di sostegno per i bambini immigrati non sono sempre previsti, anche se mirano in quasi tutti gli stati ad assicurare conoscenze linguistiche in L2 indipendentemente dalla posizione giuridica. Le normative in materia dei singoli stati si sviluppano per la maggior parte tra la fine degli anni Novanta e gli inizi degli anni Duemila (Eurydice, 2004). 8 Le misure per la valorizzazione e l’insegnamento della lingua e della cultura d’origine dei migranti si realizzano decisamente in subordine rispetto alle prime tre misure menzionate. Nonostante da tempo si riconosca il ruolo positivo del plurilinguismo per l’apprendimento e lo sviluppo cognitivo dei bambini, in alcuni paesi le iniziative sono addirittura diminuite (Eurydice, 2004; Fieri, 2007). In gran parte dei paesi Europei, si tratta di occasioni formative di solito extracurricolari e raramente svolte al livello dell’istruzione superiore (Eurydice, 2009a). Questo ha due conseguenze: non garantire pari opportunità di partecipazione; non modificare il curriculum scolastico, specie negli ordini scolastici a più marcata vocazione disciplinare, in chiave plurilingue. 9 La teoria del curriculum riguarda sia i contenuti dell’insegnamento, sia la visione pedagogica dei processi educativi organizzati dalla scuola in modo esplicito e implicito (curriculum nascosto). Secondo questa prospettiva, il curriculum scolastico è l’esito di un processo di istituzionalizzazione della trasmissione culturale volutamente selettivo, determinato da giochi culturali, politici e sociali. Esso esprime non solo le pratiche istituzionali di organizzazione scolastica e insegnamento, ma anche i principi che le ispirano o che dovrebbero ispirarli, in ottica prescrittiva-ideale (cfr. ad es. Forquin, 1989; Schizzerotto e Barone, 2006). 13 Schizzerotto e Barone, 2006). La differenza culturale sfida la legittimità dei criteri di selezione dei contenuti e dei modi dell’istruzione formale, e a questa sfida sistemi scolastici diversi hanno storicamente risposto in maniera differente. Gli studiosi sono pervenuti all’individuazione di alcune tipologie, finalizzate a identificare le peculiarità nazionali (ad esempio assimilazione in Francia, segregazione in Germania, melting pot negli U.S.A.), oppure le concezioni della società (v. Besozzi, 1999) o della filosofia politica (ad es. Fischer e Fischer, 2002) alla base dei diversi curricula. Nonostante manchi un accordo generale, con riferimento alla letteratura italiana è possibile individuare tre approcci idealtipici, definiti nel corso degli anni Novanta: assimilazionismo, multiculturalismo e intercultura (cfr. ad es. Martiniello, 1997; Besozzi, 1999; Giovannini, 1998; Fischer e Fischer 2002; Fischer 2003 e 2007; Della Zuanna et. al., 2009; Santagati, 2009)10. I curricula assimilazionisti sono uniformanti e etnocentrici, finalizzati all’assorbimento delle differenze, o alla loro negazione (Besozzi, 1998). I docenti che seguono questa impostazione richiedono dunque agli alunni un adattamento unilaterale alla cultura maggioritaria, vivono la diversità come un deficit, da rimuovere nell’interesse del bambino (Cuturi, 2003; Spagna, 2003) tramite diverse forme di “educazione compensativa”, di solito poco efficaci (Fischer e Fischer, 2002). Tra i rischi di questa impostazione sono stati evidenziati: omologazione culturale (Besozzi, 1998), sradicamento identitario dei ragazzi (Gobbo, 2002 e 2003), abbandono e insuccesso per la mancata condivisione degli obiettivi scolastici. A questo modello in passato è stato accostato il caso francese, in cui la scuola pubblica, strumento di socializzazione allo Stato laico e all’identità nazionale, ha scelto di escludere anche fisicamente, in nome di principi universalistici, elementi simbolo della diversità culturale, rifiutandosi persino di rilevare la provenienza degli alunni, e in questo modo rendendo difficile monitorare e “nominare” le diseguaglianze “etniche”. Le politiche in questo contesto sembrerebbero formulate principalmente a livello nazionale e concentrate su specifiche cause di disagio più che indirizzate ai migranti (Fieri, 2007). L’impatto delle “Zep”, zones d’éducation prioritaires, è stato messo in relazione alla concentrazione scolastica degli allievi meno avvantaggiati e alla loro stigmatizzazione, anche in relazione alla politica che limitava la scelta scolastica al quartiere di residenza (con conseguenti trasferimenti delle famiglie per 10 Il quadro sarà mosso in futuro dalle politiche di inserimento scolastico degli allievi immigrati nei paesi dell’Est Europa, che, come per il Sud Europa, saranno caratterizzati da flussi non più prevalentemente in uscita, ma anche in entrata. Al momento, con qualche eccezione (cfr. Fieri, 2007), si tratta di modelli poco studiati. 14 consentire l’iscrizione scolastica dei figli in istituti meno segnati dal fenomeno dell’immigrazione). Le contraddizioni di questo modello sono venute alla ribalta nell’opinione pubblica dopo le rivolte delle banlieue parigine (Lagrange e Oberti, 2006). Il tipo ideale del curriculum multiculturalista prevede invece tolleranza e compresenza di diverse culture, e mantenimento da parte degli alunni di specificità valoriali e comportamentali, ma solo nella sfera privata, in modo da non entrare in contraddizione con i riferimenti normativi stabiliti dalla maggioranza (o dalla società di arrivo), ritenuti base comune e inviolabile della convivenza a cui tutti devono aderire. Questa impostazione può portare a stereotipia o reificazione delle differenze, occultando le disuguaglianze socio-economiche con spiegazioni culturaliste. Oltre che inclusivo, il modello interculturale è invece basato sullo scambio e sulla conoscenza di tutte le forme culturali presenti a scuola, valorizza la diversità degli alunni e li coinvolge in un processo di modificazione e adattamento delle proposte didattiche (v. Santerini, 2012). La relazione educativa non è concepita come trasmissione di conoscenze, ma come negoziazione e co-costruzione. Questa impostazione è stata adottata come riferimento pedagogico dal sistema scolastico italiano, anche se, come vedremo, le risorse per l’applicazione di questi principi sono frammentarie e le pratiche educative si avvicinano spesso ai primi due tipi ideali illustrati. I tentativi di individuare modelli di inserimento dei migranti, non solo a scuola ma più in generale nella società, hanno mostrato numerosi limiti, innanzitutto quello di non riuscire a cogliere la complessità dei mutamenti in atto. Come è noto, con la nozione di “tipo ideale” in sociologia si intende una costruzione concettuale ottenuta mediante l’accentuazione unilaterale di una quantità di fenomeni (Weber, 1999 [1922]), per cui si tratta di uno strumento euristico, e l’operazione di astrazione che lo genera, con Löwith, “non forza la realtà ma la costituisce”. Tuttavia tipizzazioni troppo generali rischiano di perdere di efficacia, e non aiutano a individuare variazioni nazionali e sub nazionali11 per cui nel corso degli anni Duemila si è cercato di problematizzarle e di specificarle. Con queste cautele, attualmente si evidenziano quindi elementi di convergenza tra i tipi ideali sopra menzionati: in Europa l’attenzione politica si sposta dall’accesso al successo 11 Nel caso tedesco, ad esempio, prima delle riforme della legge sulla cittadinanza del 2002 e sull’immigrazione del 2004, il modello del lavoratore ospite si è accompagnato a poche indicazioni didattiche, classi differenziali e tendenza all’etnicizzazione dei problemi scolastici, malgrado la grande differenza di approcci istituzionali sub nazionali (cfr. Fieri, 2007). Altri modelli riconducibili a forme di pluralismo multiculturale, come quelli inglese e olandese, prevedevano invece l’inserimento degli alunni stranieri nelle classi ordinarie, con eventuali corsi aggiuntivi. 15 scolastico e la maggior parte dei paesi europei tiene conto dell’approccio interculturale12. Inoltre si lega sempre di più la concessione della cittadinanza all’acquisizione di competenze linguistiche e culturali (Zincone, 2009). Alcuni osservatori hanno notato che i corsi di lingua e cultura del paese di destinazione, nell’ottica dei paesi riceventi, non sono finalizzati a favorire un buon inserimento sociale e occupazionale, ma piuttosto per testare la lealtà degli immigrati. Gli stati riceventi tendono a chiedere di più ai nuovi arrivati, in termini di requisiti e prove di integrazione, ricodificando la cittadinanza come una relazione contrattuale. Rispetto alla posizione liberale, che vede la cittadinanza come un veicolo di integrazione, si torna almeno parzialmente verso una concezione più conservatrice e restrittiva, della cittadinanza come premio all’integrazione (Ambrosini, 2011, p. 23)13. D’altra parte si stanno attuando più diffusamente politiche di riconoscimento linguistico e si sviluppano riflessioni sul contributo della scuola nel rapporto tra cittadinanza e educazione civica: mentre per i nativi la scuola svolge un ruolo complementare alla famiglia, per i migranti l’educazione scolastica alla convivenza civile assumerebbe una funzione di integrazione eminentemente importante. Le ricerche francesi mettono in luce il tentativo di recupero delle tradizioni per tutti, autoctoni o meno, attraverso la scuola statale, invece in Gran Bretagna il focus è sul ruolo della comunità locale come comunità educante sia per la maggioranza sia per le minoranze. Comparare la reazione istituzionale alla presenza dei migranti fermandosi al livello nazionale presenta notevoli difficoltà, non solo pragmatiche, dovute alla mancanza di informazioni standardizzate sulle politiche, sulle pratiche e sui loro esiti. Per quanto riguarda l’Italia, ad esempio, è ancora in via di costruzione un sistema centrale di valutazione dell’impatto delle politiche pubbliche e delle pratiche educative, sia in generale sia nello specifico per l’inserimento degli alunni immigrati14. Inoltre le ricerche dovrebbero considerare diverse tradizioni migratorie nazionali, modalità di incorporazione dei migranti nelle società, caratteristiche dei sistemi educativi, 12 Diversi piani strategici nazionali per l’istruzione nel periodo 2007-2013 in Europa si fondano sulla diversità linguistica e culturale, anche in paesi che in letteratura non sono inseriti nei “modelli interculturali” (ad esempio: Germania, Estonia, Spagna, Portogallo, Finlandia, Irlanda, Grecia, Lussemburgo, Slovenia) (Eurydice, 2009a). Inoltre la Commissione europea promuove iniziative per la diffusione dell’approccio interculturale dal 1992, ad esempio cercando di stimolare il cooordinamento internazionale nella progettazione e realizzazione degli interventi educativi (cfr. Comenius, 2000). 13 Il D.M. del 4 giugno 2010 sul permesso di soggiorno a punti, criticato da docenti, Università e alcune Regioni, tende a ribaltare quest’ottica anche per le migrazioni temporanee (cfr. Zincone, 2010). 14 Anche se esistono eccezioni (cfr. Battistin, Covizzi e Schizzerotto, 2010), si veda ad esempio il dibattito sull’allargamento dell’applicazione dei test INVALSI. Nello specifico per le politiche scolastiche per gli immigrati, si stanno moltiplicando le esperienze di ricerca-azione interculturale a livello locale, con il sostegno di Osservatori e centri di ricerca (cfr. ad es. sull’Italia Colombo e Santagati, 2011; Colussi, 2010; Besozzi, Colombo e Santagati, 2010; Orim, 2009), tuttavia, anche a livello europeo c’è poca attenzione per disegni di valutazione centralizzati (Eurydice, 2004). 16 valorizzazione dei titoli educativi sul mercato del lavoro (Queirolo Palmas, 2005). Occorrerebbe riconoscere le specificità per ogni gruppo nazionale di migranti tenendo conto delle disomogenee classificazioni adottate dai paesi di destinazione. Da un lato i sistemi educativi si differenziano molto per grado di standardizzazione e stratificazione (Allmendinger, 1989, in Erikson, 2009), dall’altro lato i flussi migratori hanno caratteristiche e storie molto eterogenee: mentre in Italia la scelta della scuola secondaria di secondo grado interessa prevalentemente migranti di prima generazione e mezzo, ad esempio, o in minor misura quelli di seconda generazione, in paesi a più lunga storia migratoria le scuole e le famiglie stanno gestendo la transizione alla scuola secondaria di migranti di terza o quarta generazione, ed assume rilevanza il passaggio all’università. Per comprendere i processi sociali attraverso cui il contesto istituzionale influenza le traiettorie scolastiche dei migranti e non migranti sembra più efficace concentrarsi su come le policies educative nazionali e locali plasmino l’ambiente istituzionale in un contesto di confronto internazionale sempre più esplicito (Chaloff e Queirolo Palmas, 2006; Queirolo Palmas, 2006; Cobalti, 2007; Luciano, Demartini e Ricucci, 2009). Nel corso dell’analisi, quindi, verificheremo come i diversi livelli di intervento nazionale, locale e di istituto scolastico configurino un insieme di vincoli e opportunità definito in base non solo al piano normativo, modellizzabile secondo il contributo dell’approccio per tipi ideali, ma anche allo scarto tra norme e prassi e all’uso strategico delle fonti normative da parte degli attori sociali. Proseguiamo quindi la disanima della letteratura sulla riuscita a scuola degli allievi migranti collocandoci in prospettiva più micro fondata. 1.2. Risultati scolastici e rischio di dispersione Le ricerche propriamente dedicate a risultati e dispersione scolastica15 costituiscono forse il corpus di studi più consistente e anche quello più connesso con il campo teorico relativo allo studio delle disuguaglianze educative. Temi cruciali sono le condizioni della 15 Il termine “dispersione scolastica” indica diverse forme di insuccesso scolastico tra cui ripetenze, abbandoni, interruzioni degli studi, trasferimenti da una scuola all’altra e debiti formativi. Nella parte empirica della ricerca useremo il più specifico e ristretto concetto di abbandono scolastico (drop-out), in modo da tenerlo separato dagli altri fenomeni. Un uso più ampio del termine si trova tra gli altri in Argentin (2007): secondo i risultati dell’indagine Iard, che non tiene conto dell’origine nazionale, il rischio di dispersione tra gli studenti italiani risulta più elevato tra i maschi, iscritti a istituti professionali o tecnici, con origini sociali medio-basse. 17 riuscita nei diversi paesi e tra “etnie” e il ruolo delle scuole tra innovazione e processi di segregazione (Queirolo Palmas, 2005a). Negli Stati Uniti la tematica è stata particolarmente studiata, in riferimento al succedersi nel tempo delle generazioni migratorie (Kasinitz et al., 2008) e al dibattito sull’importanza relativa da attribuire alle dimensioni della classe sociale e della “razza” (cfr. ad es. Roediger, 2011). Questo sforzo di concettualizzazione, a causa delle sue profonde implicazioni per le politiche, è stato oggetto di critiche e revisioni radicali, anche da parte dei movimenti per i diritti civili16. I principali approcci nel loro sviluppo storico risentono dunque chiaramente del clima politico e sociale in cui le disuguaglianze “etniche” in istruzione si strutturavano. Sono sintetizzati ad esempio da Gobbo (2002) e Ravecca (2009). Le teorie genetiche degli anni ’20 del Novecento imputavano le disuguaglianze di riuscita sostanzialmente a carenze cognitive, con affermazioni del tipo: “l’Army Mental Test ha provato oltre ogni scientifico dubbio che, come i negri americani, gli italiani e gli ebrei sono geneticamente ineducabili. Significherebbe sprecare denaro cercare di dare una buona educazione anglosassone a questi ritardati mentali ed imbecilli” (Brigham, 1923, A study of American intelligence, in Id., p. 17). Anche se quest’impostazione è stata abbandonata, portano a conseguenze simili le teorie dell’inferiorità culturale, impiegate ancora per tutti gli anni Sessanta, le quali spiegano le disuguaglianze strutturali riducendole unicamente a fattori ascritti individuali o culturali. Più sofisticate, le teorie dell’autoselezione hanno messo in evidenza il fatto che gli emigranti possiedano caratteristiche diverse dalla popolazione left behind, in quanto la mobilità geografica selezionerebbe gli individui più dotati a livello motivazionale e intellettivo. Questa visione, per quanto sobria e fondata sull’osservazione delle migrazioni qualificate, non riesce a spiegare l’entità degli insuccessi scolastici delle seconde generazioni. Acquisirono maggiore credibilità quindi le teorie della discontinuità culturale, oggi ancora diffuse in maniera latente, come accennato in precedenza, in alcune impostazioni didattiche e curricolari di tipo assimilazionista. La diminuzione nel tempo della discrepanza tra valori familiari e scolastici spiegherebbe il miglioramento della riuscita in istruzione nel passaggio da una generazione migratoria all’altra e in relazione all’età di arrivo nel paese di destinazione. Adottano questa prospettiva anche le ricerche 16 Il film “Shame” (1962), ad esempio, mostra che le tensioni in seguito al processo di de-segregazione scolastica, non fossero legate tanto ai processi di immigrazione dall’estero ma piuttosto alle relazioni “interrazziali” tra nativi americani. Va ricordato che la teorizzazione statunitense sull’inserimento a scuola dei migranti è il frutto di una rielaborazione che non ha potuto non tenere conto delle riflessioni in merito al multiculturalismo e alle relazioni tra “etnie” già presenti sul territorio. 18 che si concentrano sulla scuola e sul ruolo degli insegnanti per “sanare” le differenze culturali. Il problema di queste teorie è dar conto degli esiti positivi di alcune minoranze, come quelle asiatiche, che pur essendo culturalmente più dissimili al sistema valoriale statunitense rispetto ad altre provenienze, come quella messicana, manifestano performance scolastiche migliori anche dei nativi. L’ipotesi del “dual frame” motiverebbe questo dato con il fatto che le generazioni 1.5, a differenza che i giovani con origini migranti nate nel paese di destinazione, manterrebbero un doppio riferimento: al paese dei genitori e a quello di arrivo. Comparando le condizioni di vita preferirebbero quindi investire nel paese di destinazione, con maggiore motivazione rispetto ai coetanei nati negli Stati Uniti, i quali dispongono di un unico riferimento: quello alla cultura dominante, all’interno della quale si ritrovano emarginati. Per quanto utile per comprendere alcune differenze nelle disposizioni cognitive, questa ipotesi, se applicata rigidamente sulla sola base della generazione di appartenenza, rischia di rivelarsi etnocentrica. Il contributo delle teorie folk del successo, sviluppate tra gli altri da Ogbu, è stato quello di superare questa debolezza, confrontando l’atteggiamento verso la cultura dominante delle minoranze involontarie coercitivamente incorporate e delle minoranze volontarie: in questo modo è emerso che le prime hanno performance negative perché rifiutano la cultura della maggioranza, mentre le seconde, pur mantenendo legami più stretti con la cultura d’origine, riconoscono come condivisibili alcuni aspetti della cultura della società di destinazione e di conseguenza investono nell’istruzione come mezzo di ascesa sociale. Questa interpretazione, se applicata schematicamente, nasconde tuttavia il fatto che il rifiuto culturale possa essere una reazione al “razzismo istituzionale” (Wieviorka, 2000), non prevede che gli stereotipi possano influenzare la percezione di sé auto e etero attribuita e quindi anche le performance (cfr. Ravecca), inoltre, pur adottando concezioni della “cultura” tutt’altro che ingenue, finisce per sottolineare la dimensione simbolica e valoriale, a discapito di quella socio-economica. L’ipotesi che pare più promettente anche per lo sviluppo delle teorizzazioni contemporanee europee, è quella dell’immigrant optimism. I primomigranti, a causa del loro inserimento in settori occupazionali e sociali svantaggiati, tenterebbero di riscattarsi attraverso la proiezione di aspettative elevate sui figli che condurrebbero a buoni risultati scolastici, anche se questi non necessariamente si traducono in ritorni occupazionali equivalenti, generando tensioni e frustrazioni (cfr. Boyd e Grieco, 1998; Kao e Tienda, 1998; Boyd, 2002). Questa ipotesi è molto interessante per la sua portata analitica, rispetto ai nostri scopi di integrare le teorizzazioni sulla performance dei giovani migranti 19 con quelle relative alle disuguaglianze sociali e in particolare educative, dal momento che consente di guardare contemporaneamente al posizionamento sociale delle famiglie migranti nella stratificazione sociale del paese di destinazione e alla riuscita scolastica dei componenti più giovani delle famiglie. Come nota Ravecca (2009) essa ha il limite di non considerare il fatto che, a differenza della prima generazione di immigrati, le seconde generazioni sarebbero consapevoli della non spendibilità del titolo di studio nel mercato occupazionale, per cui potrebbero disattendere le speranze dei genitori. Per applicare questa ipotesi sembra quindi necessario tenere conto delle variabili strutturali che condizionano l’ingresso nel mondo del lavoro e di come esse compaiono nelle rappresentazioni dei giovani migranti. Inoltre appare utile, come vedremo nel corso dell’analisi, confrontare empiricamente le rappresentazioni di figli e genitori, almeno in paesi, come l’Italia, in cui l’inserimento scolastico di livello superiore, e la transizione scuola-lavoro o scuola-università, riguarda ancora prevalentemente la G1.5. Inoltre vanno inclusi nell’analisi diversi fattori, che agiscono non solo a livello di individuo, ma anche di scuola e di contesto locale e nazionale. Ordinando quindi per livelli di analisi le variabili esplicative delle performance scolastiche degli studenti migranti impiegate in letteratura, troviamo, a livello micro, le risorse socio economico familiari (di solito operativizzate con reddito, eventuale presenza di sussidi, collocazione occupazionale dei genitori); le risorse culturali (livello di istruzione dei genitori; risorse linguistiche; dati sui consumi culturali, ad esempio frequentazione di biblioteche); la struttura familiare (presenza o meno di entrambi i genitori, in particolare è controllato l’effetto delle madri sole, numero di componenti della convivenza familiare17); l’effetto delle aspettative elevate dei genitori nei confronti dell’istruzione18. A livello meso sono stati inclusi nelle analisi aspetti esclusivamente scolastici, come la composizione socio-economica o “etnica” degli utenti della scuola, o l’atteggiamento 17 Si rende il termine household con la dizione “convivenza familiare” (Saraceno e Naldini, 2007, p. 17) per sottolineare l’elemento della co-residenzialità. Nel corso del testo verrà indicato di volta in volta cosa si intende per “famiglia”, e si terrà conto del significato e dei confini attribuiti al concetto dai migranti coinvolti nella ricerca (cfr. Balsamo, 2003; Busoni, 2003). 18 In merito alle variabili a livello individuale, raramente gli studi sociologici più recenti sulla riuscita scolastica includono aspetti psicologici o capacità cognitive dei soggetti tra le variabili esplicative, sia per la difficoltà di produrre misure attendibili e valide (si vedano le critiche all’impiego dei test del Q.I.), sia perché gli interessi disciplinari della sociologia si rivolgono verso altri aspetti. Inoltre, come gli studi di genere hanno ampiamente dimostrato (cfr. ad es. i saggi in Piccone Stella e Saraceno, 1996), la distinzione tra naturale e sociale è una distinzione culturalmente determinata, peraltro non neutrale rispetto alle disuguaglianze di potere tra gruppi. 20 degli insegnanti, ma anche, più recentemente, il capitale sociale19 degli studenti e l’effetto del vicinato. In questa ottica, ci si interroga sugli effetti della “densità etnica”, ad esempio analizzando se la concentrazione dei migranti nel quartiere bacino d’utenza della scuola sia un fattore di rischio, oppure di vantaggio, per le diverse provenienze nazionali. Secondo le ricerche disponibili non è chiaro l’effetto rilevato, ma soprattutto in USA per alcune minoranze sarebbe positivo, per altre negativo20. Un’interessante indagine sul caso olandese (Fleischmann et al., 2009)21 intende verificare i meccanismi attraverso i quali il vicinato ha un effetto sulla riuscita scolastica: capitale sociale, socializzazione collettiva, competizione per risorse scarse e deprivazione relativa. Lo “svantaggio etnico” risulta significativo soprattutto per le seconde generazioni di turchi, meno per i marocchini e ancora meno per gli italiani. Esistono effetti di composizione per lo status socioeconomico ed effetti positivi dell’etnicità in interazione con la densità etnica, inoltre si rileva un effetto positivo forte e significativo della stabilità residenziale sulla continuazione della scuola. La variabile comunità di origine, poi, è stata interpretata come resistenza giovanile da parte di alcuni gruppi alla cultura dominante, oppure come atteggiamento nei confronti dell’istruzione in base all’etnia, o anche facendo genericamente riferimento alla dimensione valoriale-religiosa, e quindi al controllo morale esercitato dal gruppo d’origine sugli studenti. Tra i contributi di etnografia e etnometodologia significativo è quello di Ogbu (1987) che mette in luce il ruolo di cultura, storia e tradizione in relazione con il gruppo dominante e le conseguenze in termini di emarginazione e rifiuto. Infine, a livello macro – comparativo, gli studiosi che si sono concentrati sugli esiti hanno guardato ai sistemi scolastici nel loro complesso, più che alle politiche educative per i migranti e al modo in cui queste politiche vengono realizzate, individuando elementi istituzionali diversi per paesi di destinazione e ipotizzando, in mancanza di altre ipotesi 19 Anche se a livello di teorizzazione il concetto di capitale sociale è generalmente inteso in senso lato, come le risorse che circolano all’interno della rete di riferimento dei migranti, rilevandolo poi in modo qualitativo, si stanno sviluppando, piuttosto che indagini che utilizzino piccoli campioni per misurare le caratteristiche dei legami con gli strumenti di calcolo propri della network analysis, soprattutto ricerche che, come quelle citate, utilizzano i dati sulle caratteristiche dell’area di residenza come proxy per misurare la “mixité” dei legami sociali dei residenti. 20 Heat, Rothon e Kilpi (2008) concludono, dopo una rassegna critica degli studi sugli effetti della concentrazione “etnica” sui risultati scolastici, che per affermare che questi effetti scompaiano controllando per classe sociale occorrerebbero ulteriori indagini che coinvolgano più gruppi di minoranze. 21 L’indagine cross-sectional si concentra sugli esiti scolastici nella scuola secondaria di secondo grado, e utilizza come variabili di controllo per la regressione logistica multilevel le seguenti: percentuale etnica, mobilità residenziale, urbanizzazione, il fatto di possedere la casa, la percentuale di “single household” (N=145.000). 21 esplicative, che tali caratteristiche potrebbero influenzare in particolare la riuscita dei migranti. Tra le moltissime ricerche empiriche che tengono conto di più livelli analitici condotte nel Nord America e in paesi europei a più lunga tradizione migratoria, ne cito alcune significative per accuratezza dei dati e impianto teorico. Portes e Hao (2004) indagano gli effetti dei contesti scolastici (composizione etnica e socio-economica dell’utenza) sulla performance (voto di diploma e rischio di drop-out) per 5266 studenti nati negli Stati Uniti con genitori nati in Cina, Corea, Vietnam e Messico su un campione rappresentativo di 42 scuole della Florida attraverso una survey e uno studio follow-up tre anni dopo. Risulta importante l’effetto scuola22, diverso a seconda delle provenienze: per i messicani, al contrario che per le altre minoranze considerate, frequentare un istituto con iscritti di status alto aumenta la probabilità di abbandono23. Il fatto che l’ambiente competitivo abbia effetti deteriori per ragazzi con background svantaggiati mette in discussione il culturalismo e spinge a considerare gli effetti delle risorse materiali, anche se le aspettative dei genitori migranti verso l’istruzione dei figli sarebbero sempre elevate. Nell’Europa occidentale, altrettanto importante è il primo tentativo di comparazione trans-nazionale sulle disuguaglianze “etniche” sulla riuscita scolastica, coordinato da Heath e Brinbaum (2007)24 con l’obiettivo di verificare se esistono processi comuni in paesi diversi e in particolare se lo status socio-economico ha ovunque lo stesso peso. I risultati dipendono dall’impiego di dati e metodi diversi, come precisano i coordinatori, ma mostrano piuttosto univocamente che il background socio-economico tradizionalmente impiegato come variabile indipendente spiega bene gli insuccessi sia delle maggioranze che delle minoranze, specie se provenienti dall’Europa. Tuttavia per dare conto delle variazioni tra nazioni di arrivo e di provenienza, segnatamente in Belgio e Gran Bretagna, occorrono spiegazioni aggiuntive, legate alle competenze linguistiche, 22 L’effetto dello status familiare interagisce con quello degli utenti della scuola. Un elevato status socioeconomico medio degli utenti della scuola ha effetto positivo e rinforzato da status familiare alto, mentre l’effetto dello status familiare è neutralizzato nelle scuole con utenza mediamente di status molto basso; a parità di altre condizioni, le femmine mostrano risultati significativamente migliori, specie in scuole con molti asiatici. 23 Esistono inoltre peculiarità della seconda generazione: l’effetto della lunghezza della residenza negli USA è negativo, l’effetto dell’origine nazionale (positivo per asiatici e negativo per messicani) diminuisce nelle scuole in cui è alta la proporzione di ragazzi della stessa etnia. I ragazzi di origine messicana mostrano significativi svantaggi che sono aumentati dalla scuola che frequentano. 24 L’indagine in Belgio coinvolge migranti da Turchia, Marocco e Italia; in Gran Bretagna da India, Caraibi, Pakistan; in Francia da Nord Africa e Portogallo; in Germania da Turchia, Italia, Jugoslavia, Grecia; in Olanda da Marocco, Turchia, Caraibi; in Norvegia da Turchia, Pakistan, India; negli USA ispanici, in particolare da Messico e Cuba. 22 alle aspirazioni genitoriali, ma anche al sistema scolastico e agli effetti della concentrazione dei migranti25. Questi studi sono metodologicamente solidi, inoltre hanno il merito di fornire letture ricche e empiricamente fondate della conformazione delle disuguaglianze educative in base alla provenienza nazionale. Tuttavia, oltre alle difficoltà di ogni ricerca comparativa menzionati nel primo paragrafo, proprio per l’ammirevole sforzo di collocare le indagini sulle performance dei migranti all’interno delle riflessioni più generali sulla riuscita scolastica, appurano l’importanza relativa dei fattori normalmente impiegati per spiegare le disuguaglianze di riuscita, ma si confrontano meno con le riflessioni sui processi di inclusione dei migranti nella società, per cui non sembrano pervenire a una inclusione dei risultati di ricerca all’interno di riflessioni analitiche sulla esistenza o meno di specifici meccanismi sociali che influenzano l’inserimento scolastico e sociale dei giovani con background di immigrazione. In Italia i lavori su questo tema si sono sviluppate molto più recentemente. Diversi studi condotti nelle principali città del centro nord sul primo ciclo di istruzione considerano la riuscita scolastica come processo multidimensionale, secondo un approccio sviluppato da Elena Besozzi (2007) e altri (Fischer e Fischer, 2002; Giovannini e Queirolo Palmas, 2002) che include come fattori che influenzano la riuscita scolastica: status sociale e culturale, origine etnico-culturale, motivazioni e aspettative; doti individuali e impegno nello studio; clima di classe, aiuto da insegnanti e genitori; aspettative verso il futuro; ambiente come contesto di vita e il mercato del lavoro di riferimento. Altre ricerche locali sul successo scolastico degli alunni immigrati sono state sviluppate dalla Fondazione Ismu, poi in collaborazione con l’Osservatorio Regionale per l’integrazione e la multietnicità: a partire dagli anni Novanta è stato costruito un sistema di rilevazione di presenze e esiti scolastici dei migranti in Lombardia, che ha mostrato come il successo scolastico non sia favorito tanto dalla “vicinanza culturale” tra cultura di origine e cultura italiana (espressa dalla scuola), e neppure dalle competenze in lingua seconda o dalla nazionalità prese singolarmente, ma dai modi e dai tempi entro cui si realizza il processo 25 Gli autori propongono alcune ipotesi: (1) la selezione precoce sfavorirebbe i migranti, ma i risultati non supportano questa ipotesi, per cui occorrerebbe conoscere meglio il meccanismo di selezione, inoltre i sistemi selettivi stanno diventando più flessibili; (2) la questione della concentrazione scolastica in quartieri poveri, con turnover di docenti e insegnanti non qualificati potrebbe fornire opportunità diseguali; (3) la natura e la possibilità di istruzione terziaria (es. il sistema statunitense aperto e internamente differenziato è diverso che quelli belga e tedesco chiusi ma più paritari al loro interno) sono altri fattori istituzionali di cui tenere conto. 23 di acculturazione alla società ricevente, inteso in senso complessivo, sia per gli alunni italiani che per i migranti26. La prima ricerca quantitativa nazionale con un campione rappresentativo di studenti è quella realizzata dai demografi Dalla Zuanna, Farina e Strozza (2009) nelle scuole secondarie di primo grado di diverse province italiane. I risultati mostrano alti tassi di insuccesso scolastico tra i migranti, ritardi per la collocazione in classi inferiori rispetto all’età e conseguenti problemi di socializzazione e sottostima delle capacità, nonché la mancanza di aiuto familiare adeguato. Anche i dati PISA (Programme for International Student Assessment) forniscono informazioni sulla famiglia di origine e sulle performance dei quindicenni, con il vantaggio di monitorare direttamente le competenze senza la eventuale distorsione della valutazione da parte degli insegnanti. La numerosità campionaria, tuttavia, non consente di disaggregare per nazionalità di origine: è utilizzabile solo la variabile dicotomica italiano - straniero distinguendo tra studenti nati in Italia da genitori nati all’estero oppure studenti nati all’estero, inoltre mancano informazioni sulla struttura familiare. Gli stranieri frequentano più spesso gli istituti tecnici e professionali rispetto agli italiani, indipendentemente dal titolo di studio del padre, e le competenze degli studenti nati fuori dall’Italia sono sistematicamente inferiori rispetto agli altri, pur controllando la lingua parlata in famiglia, anche se i loro esiti riproducono al ribasso quelli degli italiani, mediamente più bassi nel sud della penisola (Mantovani, 2008). Controllando le altre variabili socio-demografiche e motivazionali individuali, il contesto scolastico e le risorse educative e umane, il fatto di essere nati nel paese di somministrazione del test risulta uno dei fattori più influenti sul punteggio medio, in misura diversa a seconda delle regioni (Borrione e Donato, 2008). Secondo i dati PISA 2009, gli studenti con background di immigrazione in Italia ottengono punteggi medi inferiori sia rispetto ai nativi italiani sia rispetto al punteggio medio Ocse degli studenti immigrati. Le differenze tra nativi e migranti in Italia rimangono tra le più elevate nell’area Ocse dopo aver controllato per status socio-economico, anche se in Italia il 30% circa degli studenti più svantaggiati socio-economicamente ottiene buone performance (dato corrispondente alla media Ocse) (OECD, 2011). 26 Cfr. Santagati (2010) per una sintesi delle attività svolte negli ultimi anni dal Gruppo di ricerca sulla Scuola per l’Osservatorio Regionale per l’Integrazione e la Multietnicità, diretto da Elena Besozzi e coordinato da Maddalena Colombo. Un elenco dei rapporti di ricerca e alcune pubblicazioni sono disponibili su www.orimregionelombardia.it. 24 L’impostazione teorica di questi studi, debitrice nei confronti dei lavori statunitensi sull’integrazione scolastica delle minoranze, tende a sottolineare la dimensione delle discriminazioni e delle disuguaglianze subìte dagli alunni con background di immigrazione (cfr. Allasino e Eve, 2008). Diverse ricerche rilevano tuttavia che il benessere a scuola a livello di secondaria di I grado è espresso più dai migranti che dai nativi (Fischer e Fischer, 2002)27. Alcuni studi condotti in Francia e Italia, inoltre, evidenziano che a parità di status sociale gli studenti migranti ottengono risultati migliori a scuola, e inoltre, come emerso anche negli USA, che l’impatto dell’“etnia” sulle performance scolastiche è variabile a seconda delle provenienze nazionali (Vallet e Caille, 1996; Fischer e Fischer, 2002). Un aspetto chiave per comprendere il successo scolastico dei migranti sarebbe quindi l’effetto delle elevate aspirazioni verso l’istruzione dei genitori immigrati. Per uscire da schemi troppo rigidi basati sull’individuazione dei fattori prevalenti e includere i percorsi di istruzione all’interno dei più ampi progetti migratori familiari, a rischio di micro riduzionismo, sembra quindi utile non limitarsi a sottolineare gli esiti delle disuguaglianze scolastiche, normalmente sfavorevoli per i migranti, ma vedere come la riuscita o l’insuccesso a scuola si inseriscano nel percorso scolastico degli studenti e vengano affrontati dalle famiglie migranti. Passiamo quindi dall’insieme di ricerche sugli “effetti primari”, che, secondo Boudon (1973), includono tutte le condizioni che influenzano la minore o maggiore soddisfazione dei requisiti di apprendimento scolastici, ad altre ricerche che si concentrano invece sugli “effetti secondari”, cioè si riferiscono al fatto che, date le prestazioni scolastiche, i percorsi in istruzione dipendono da una serie di decisioni di investimento educativo compiute nelle famiglie. 1.3. Scelte scolastiche Diversi ricercatori hanno adottato la distinzione di Boudon tra effetti primari e secondari per testare empiricamente la teoria della scelta razionale dei percorsi scolastici. Secondo 27 Anche tra gli studenti italiani, ad esempio di scuola secondaria, il benessere a scuola risulta comunque molto diffuso (Argentin, 2007). Da un recente studio sulla socialità giovanile risulta che la scuola è il contesto di maggiore esclusione percepita (Ponti, 2011, p. 89), ma forse questo risultato, peraltro ricavato da un campione non probabilistico, può essere anche legato al fatto che le relazioni amicali sono più elettive, e quindi potenzialmente meno conflittuali, e le interazioni non strettamente amicali nello spazio pubblico extrascolastico sono più di “traffico” e meno continuative che a scuola, e quindi sentite come meno problematiche perché meno intense e frequenti. 25 il principio della scelta tra differenti alternative in istruzione (compreso l’abbandono), la famiglia, intesa come unica funzione di utilità, opterebbe per l’alternativa con la maggiore utilità percepita, in base ai benefici attesi dall’alternativa scelta (B), alla probabilità di successo nell’ottenimento del traguardo educativo e dei benefici attesi (P) e ai costi soggettivi previsti per la realizzazione di questa alternativa (C), come formalizzato dall’equazione U = B * P – C. Questi tre elementi concorrerebbero, in modo variabile a seconda del contesto istituzionale, a orientare i giovani appartenenti alle classi sociali alte verso percorsi di istruzione di livello più elevato rispetto alle classi meno avvantaggiate, data la loro maggiore capacità di sostenere i costi dell’istruzione, prevedere più elevati ritorni occupazionali e benefici sociali dai percorsi formativi lunghi e calcolare maggiori probabilità di successo. Le famiglie quindi svilupperebbero diverse strategie di investimento educativo, “dall’alto” (forte motivazione a evitare la mobilità discendente) oppure “dal basso” (date le risorse economiche limitate, scegliere l’alternativa con più bassi costi e rischi e tuttavia sufficiente per proteggere dalla “caduta”, per esempio le scuole professionali). Per Boudon le risorse culturali, intese come titolo di studio dei genitori, non rientrerebbero tra le cause degli effetti secondari, per Erikson (2009) invece sono importanti per calcolare costi, benefici e probabilità di successo e sostenere gli studenti nella riuscita scolastica. Il punto di riferimento dell’attuale ripresa di questo filone di studi è il modello formale realizzato di Breen e Goldthorpe (1997), il quale per semplificazione riguarda la scelta di continuare oppure no a studiare e si basa sull’assunzione che le famiglie vorrebbero che i figli raggiungessero una posizione sociale almeno pari alla loro. Il modello permette di “spiegare” statisticamente che più persone continuano a studiare a causa della riduzione dei costi per lo studio, ma che le differenze di status tendono a persistere nelle scelte scolastiche, perché i costi dell’educazione hanno un impatto ancora differente sulle diverse classi sociali. Laddove le differenze nei costi dell’istruzione tra le classi sociali diminuiscono, si attenua anche la disuguaglianza degli esiti, come ad esempio in Svezia (Breen e Goldthorpe, 1997). Altri lavori successivi mostrano l’esistenza di differenze nelle scelte a vari nodi di transizione scolastica tra studenti di diverse origini sociali, dato lo stesso livello di performance (v. ad es. Jackson et al. 2007 sulla cumulazione di effetti primari e secondari in Gran Bretagna; Becker e Hecken, 2009; Erikson e Rudolphi, 2010). Nonostante i riscontri empirici, questo modello ha sollevo numerose critiche (cfr. Barone, 2005). Innanzitutto le scelte umane sono in parte razionali e in parte relazionali. Inoltre non è facile distinguere tra effetti primari e secondari: si accumulano e sono 26 interdipendenti lungo la carriera educativa; la distinzione non va interpretata in modo rigido perché la riuscita passata esercita una importante influenza sulle scelte, e la ricerca non ha ancora chiarito le ragioni delle disuguaglianze di riuscita e il peso dei diversi fattori – in parte menzionati nel paragrafo precedente - scolastici (ad es. discriminazioni dei docenti) o dell’origine sociale (ad es. predisposizione culturale delle famiglie); in più ciò che si identifica come effetto primario può includere meccanismi secondari. Isolare le transizioni come se fossero eventi separati, poi, sarebbe semplificatorio, perché in alcuni sistemi educativi sono molto connesse tra loro. Infine, mancano ancora, malgrado i risultati empirici si stiano rapidamente arricchendo, esplicite misure dell’importanza relativa dei diversi elementi del modello in diversi contesti istituzionali e transizioni tra ordini di scuola. Malgrado le cautele necessarie, le comparazioni transnazionali potrebbero gettare luce sui meccanismi sottesi alle disuguaglianze nelle scelte (cfr. Erikson, 2009; Erikson e Rudolphi, 2010). A questi aspetti, va aggiunto secondo chi scrive che non solo la scelta se continuare o meno oppure la scelta dell’indirizzo scolastico o universitario sono importanti, ma lo sono anche tutta una serie di micro scelte quotidiane, tra cui il numero di ore da dedicare allo studio, il seguire o meno corsi di approfondimento o sostegno all’apprendimento extracurricolari, di cui non possiamo tenere traccia con dati quantitativi e che spesso non appaiono come eventi su cui investire cognitivamente nei termini di “scelta cruciale” (Cavalli e Facchini, 2001) neppure agli occhi di chi le compie28. Per quanto riguarda nello specifico il nostro tema, negli Stati Uniti molte ricerche hanno tentato di spiegare la segregazione scolastica, con tecniche di analisi diverse. Tedin e Weiher (2004) per esempio realizzano un esperimento per verificare se la scelta avviene sulla base della qualità della scuola oppure in base alla concentrazione etnica e mostrano che i genitori con un livello di istruzione più basso selezionano in base alla “etnia” degli iscritti dando meno peso alla qualità dell’insegnamento, perché non riescono a traslare la qualità in successo dopo la scuola, mentre tra i più istruiti prevale l’attenzione alla qualità, vista come importante per il successo dei figli al termine della scuola. In Gran Bretagna esistono ricerche sulla scelta dell’università. I fattori che influenzano la scelta di iscrizione identificati da Shiner e Modood (2002) sono: popolarità del corso, corsi di laurea consolidati o di recente istituzione, vicinanza dell’università all’abitazione. Per gli immigrati l’accesso è più facile presso le c.d. “nuove università”, meno prestigiose 28 Ringrazio Michael Eve e Franco Ramella per aver discusso questa considerazione. 27 e meno finanziate, dal momento che alle selezioni cinesi, bengalesi e indiani sembrano favoriti rispetto agli inglesi. Lo studio mostra inoltre che l’istruzione superiore incide fortemente sulla possibilità di accesso all’università, per cui comprendere le disuguagliane educative a livello secondario è fondamentale anche per capire quelle che si manifestano ai livelli superiori del sistema educativo. Nello studio comparativo coordinato da Heath e Brinbaum (2007), citato in precedenza, si applica la distinzione tra effetti di stratificazione primari (sui risultati nella scuola dell’obbligo) e effetti secondari (sul tasso di continuazione nell’istruzione secondaria e terziaria). Questa distinzione secondo gli autori sarebbe particolarmente utile per studiare le transizioni scolastiche dei figli degli immigrati perché la “dissonanza culturale” avrebbe effetto maggiore rispetto allo status nell’aumentare il rischio di insuccesso scolastico nella scuola obbligatoria. Viceversa le scelte di continuare gli studi per gli immigrati potrebbero essere più ambiziose che quelle della maggioranza, a parità di status, anche per la selettività del processo di immigrazione che premierebbe i migranti più qualificati, e per le aspettative di discriminazione nel mercato del lavoro che questi possono avere in quanto immigrati, per superare le quali occorrerebbe qualificarsi di più. Dal momento che si riscontrano risultati diversi nei diversi paesi29, gli autori propongono alcune ipotesi che andrebbero testate con dataset comparabili longitudinali: (a) non tutti gli immigrati sono “selezionati positivamente”, come emerge dal dibattito in economia: alcuni “lavoratori ospiti” sono stati selezionati proprio perché non qualificati, ad esempio i turchi in Belgio o Germania; (b) affinché la selezione positiva funzioni, le aspirazioni dei genitori dovrebbero trasmettersi ai figli, questo avverrebbe maggiormente in presenza di una struttura familiare forte, come mostra il dibattito sull’assimilazione segmentata negli Stati Uniti; (c) i tassi di prosecuzione dipendono dalla riuscita scolastica precedente, quindi l’ipotesi della selezione positiva potrebbe essere testata più propriamente comparando minoranze e maggioranze con risultati scolastici uguali. 29 La dissonanza culturale e linguistica spiegherebbe gli esiti scolastici di pakistani e bangladesi perché in particolare le madri conoscono poco l’inglese, ma non si può applicare ai nordafricani in Francia, ad esempio, per cui rischia di essere una spiegazione ad hoc. La resistenza nera caribeana al razzismo del sistema scolastico inglese può essere interpretata come una forma di dissonanza culturale, non dovuta alle differenze tra paese di arrivo e destinazione ma alle esperienze dei giovani nella scolarizzazione occidentale, tuttavia, avvertono gli autori, è difficile dimostrare perché questo meccanismo agisce significativamente solo in Gran Bretagna e non tra i maghrebini in Francia e Olanda, per esempio. Tra gli effetti secondari in Francia le alte aspirazioni della famiglia possono portare a scelte di scuola secondaria più ambiziose, ma lo stesso risultato non è purtroppo verificabile in altri paesi a causa di banche dati più povere. Comunque il meccanismo della selezione positiva potrebbe essere applicato anche ad altri gruppi (indiani in Gran Bretagna e Norvegia, greci in Norvegia). Ma anche qui occorre evitare spiegazioni ad hoc: i coordinatori del progetto si chiedono perché il meccanismo della selezione positiva e delle aspirazioni genitoriali più elevate non funzioni per spiegare i tassi di continuazione in Belgio e Norvegia. 28 Anche questo filone di ricerca, ripreso ciclicamente nella letteratura internazionale a partire dagli anni sessanta, è di nuovo sviluppo in Italia. Nella penisola la transizione a cui si guarda per indagare gli effetti secondari sulle disuguaglianze “etniche” al momento è quella relativa al passaggio tra scuola secondaria di primo e di secondo grado (Queirolo Palmas, 2006). I dati ministeriali indicano che i migranti si iscrivono più spesso che i nativi in agenzie di formazione professionale e istituti tecnici, cioè intraprendono percorsi scolastici più brevi, orientati al rapido inserimento nel mercato del lavoro. Le fonti del Ministero dell’Istruzione attualmente disponibili purtroppo non permettono di controllare se i percorsi professionalizzanti sono correlati con lo status socioeconomico o la riuscita scolastica. Sul processo di definizione della decisione familiare esistono alcuni studi qualitativi, tra cui quello di Galloni (2008b) che ricostruisce con metodo etnografico aspettative di docenti, famiglie, figli adolescenti a partire dall’osservazione di una “giornata di orientamento”. In Lombardia e in particolare a Milano alcuni ricercatori coordinati da Graziella Favaro stanno considerando le scelte scolastiche delle famiglie come strategie di mobilità sociale in relazione alla concentrazione urbana e scolastica dei migranti sul territorio, secondo l’impostazione adottata da Oberti in Francia (2007). Inoltre una inchiesta basata sull’analisi di 1000 questionari somministrati nella primavera del 1999 nelle terze medie di dieci città italiane a studenti italiani e migranti mostra l’importanza della riuscita scolastica, del luogo di nascita e del tempo di permanenza in Italia, della condizione professionale dei genitori e del loro capitale culturale, quest’ultimo più importante per gli stranieri che per gli italiani, nonostante la dequalificazione subìta dai genitori migranti nel mercato del lavoro una volta in Italia (Queirolo Palmas, 2006). Tali fattori si confermano importanti anche nella città di Torino (Luciano et al., 2009). Ricucci (2010) suggerisce che sono influenti gli orientamenti verso il basso compiuti dai docenti, e/o da considerazioni pragmatiche basate sulla vicinanza della scuola all’abitazione, sulla presenza di connazionali o sulla reputazione dei diversi istituti scolastici. Riprendendo la letteratura, l’autrice nota che nei discorsi dei giovani migranti compare una sorta di “ossessione” dei genitori per lo studio, ma anche la propensione a scegliere percorsi professionalizzanti in modo da svolgere lavori “da stranieri”. Questi studi sono rilevanti per gettare luce su alcuni fattori considerati del processo decisionale sull’istruzione, ma non sono volti a stimare quantitativamente l’impatto della riuscita scolastica sulle scelte educative delle famiglie migranti e non migranti, tenuto 29 conto della classe sociale di appartenenza. Inoltre, non essendo longitudinali, non permettono di distinguere tra effetti primari e secondari. Sulla situazione italiana nel suo complesso, è possibile leggere i risultati dello studio ITAGEN2 (Dalla Zuanna et al., 2009), dato che nella seconda wave un terzo dei rispondenti è passato alla scuola media superiore. Gli stranieri che scelgono percorsi professionali sono “il doppio rispetto ai ragazzi figli di italiani, mentre per i licei la situazione è opposta. La differenza tra i due gruppi aumenta con il tempo di arrivo in Italia: più del 60% dei ragazzi stranieri che nel 2006 erano in Italia da meno di tre anni si è iscritto a un istituto o a una scuola professionale. Il divario permane forte anche tra i ragazzi stranieri nati in Italia, per cui la proporzione di iscritti a un istituto o scuola professionale è superiore di oltre 10 punti percentuali rispetto agli italiani. Inoltre, a parità di risultato conseguito all’esame di terza media, gli stranieri tendono lo stesso a iscriversi a scuole più professionalizzanti” (Id., pp. 134-135). Anche lo studio di Ravecca (2009, p. 137), condotto a Genova, giunge alla conclusione che “le prestazioni degli studenti italiani sono solo di poco superiori: la principale forma di penalizzazione degli studenti ecuadoriani […] è piuttosto l’eccesso di concentrazione nell’istruzione professionale”. Il primo tentativo di integrare le banche dati disponibili noto a chi scrive è stato svolto con accuratezza da Azzolini (2012), il quale considerando sia la riuscita sia la preferenza per i diversi tipi di scuola secondaria di II grado (INVALSI, PISA, ITAGEN2, ISFOL, Indagine Istat sulle Forze di Lavoro) ha mostrato che l’effetto dello status socioeconomico sui percorsi di istruzione dei migranti è diverso in base ai gruppi nazionali, più forte per i gruppi meno svantaggiati. Questi dati, per il modo in cui sono strutturati, non mirano a ricostruire i processi decisionali delle famiglie. Per comprendere come le condizioni di partenza e le aspettative familiari influenzino le scelte in istruzione dei figli, individuando le specificità connesse all’origine migratoria dal punto di vista dei protagonisti dei percorsi di inclusione/esclusione, sembra opportuno collocare le traiettorie in istruzione dei giovani migranti all’interno dei progetti familiari di inserimento nella società di destinazione. Inoltre per verificare come il percorso pregresso influenza le scelte successive e considerare anche i casi di riuscita scolastica, si può spostare l’attenzione dalla prima transizione (dalla scuola media alla superiore) alla seconda transizione (dalle scuole superiori all’università oppure al mercato del lavoro). Perché le famiglie degli allievi migranti, a parità di riuscita scolastica, tendono a preferire traiettorie formative più brevi di quelle dei coetanei italiani? Quali elementi sono considerati importanti nella scelta? 30 Esistono strategie di mobilità sociale alla base delle decisioni scolastiche? Le famiglie migranti intendono il percorso in istruzione dei figli come modalità di accesso alle posizioni sociali “intermedie” nella società di arrivo? I componenti della famiglia hanno aspettative e desideri diversi in base al genere o alla generazione? Come avviene la negoziazione della scelta? Per cogliere i meccanismi di riproduzione delle disuguaglianze sociali, non solo scolastiche, a partire dalle strategie degli attori in merito ai percorsi educativi, è utile guardare alla discussione sull’inserimento delle “seconde generazioni”. 1.4. Scuola, extrascuola e condizione giovanile 1.4.1. Assimilazione e integrazione Questo insieme di ricerche guarda non solo alla scuola, ma anche al mercato del lavoro, alla socialità e ai più estesi processi di identificazione - differenziazione culturale e politica. Si tratta di temi divenuti cruciali per lo sviluppo delle teorizzazioni sull’integrazione degli immigrati, a partire dal dibattito sui figli dell’immigrazione degli anni Sessanta negli Stati Uniti (Crul, 2005). Nelle rassegne della letteratura c’è accordo sull’individuazione di tre approcci: il paradigma assimilazionista, quello neoassimilazionista e l’approccio dell’assimilazione segmentata. Il paradigma assimilazionista nella sua versione classica è stato abbandonato dalla ricerca scientifica ma è ancora molto presente nei discorsi pubblici (Ambrosini, 2011). Gli immigrati, visti come fonte di sconvolgimento dell’ordine sociale, verrebbero assorbiti nella società di destinazione, conformandosi ad essa con una traiettoria di omologazione lineare nel tempo. Il modello “straight line” (Warner e Srole, 1945, in Kasinitz et al., 2008) prevedeva la successione dei gruppi di immigrati ultimi arrivati ai livelli più bassi della stratificazione sociale, per il fatto che più lunga era la loro permanenza, maggiore doveva essere anche la loro integrazione. Gli studi che mostrarono mobilità sociale ascendente nel passaggio da una generazione all’altra e perdita di competenze nella lingua madre nelle seconde e terze generazioni furono essenziali per la formulazione di questo paradigma (Crul, 2005). Le debolezze di questo approccio oggi sono evidenti: esso ignora le differenze tra i nativi e il fatto che i migranti, anche di prima generazione, possano inserirsi a diversi livelli nella stratificazione sociale del paese di destinazione. Inoltre, essendo un modello unidimensionale, non tiene conto del fatto che gli immigrati possano inserirsi economicamente e mantenere il legame con la cultura d’origine, nonché il fatto 31 che riescano a modificare la cultura maggioritaria, la quale, nel modello classico, detiene uno status più elevato rispetto a quella delle minoranze. Questa impostazione inoltre, come quelle corrispettive presentate nel paragrafo sulla riuscita scolastica, è stata molto criticata dai movimenti per i diritti delle minoranze e per la tutela delle differenze che a partire dagli anni Sessanta hanno messo in luce le contraddizioni delle metafore dell’orchestra, della tenda, del melting pot30. Dagli anni Settanta negli Stati Uniti si moltiplicano le politiche di matrice multiculturalista. Tuttavia l’assimilazione nella società americana, così come era stata prevista dalle teorie classiche (assorbimento nella scuola e nel mercato del lavoro, scomparsa della lingua madre e adesione al sistema simbolico della società di arrivo, parziale nella seconda generazione e completo nella terza) non si manifesta. Dagli anni Ottanta e Novanta scompare la fiducia nell’esistenza di un processo necessario e spontaneo di progressiva inclusione socioculturale degli immigrati. Lo slittamento concettuale compiuto è stato quindi quello di comparare le immigrazioni del passato, in particolare dall’Europa, con quelle di oggi, da un più ampio spettro di paesi, verificando se le seconde generazioni sono meglio o peggio inserite (nel sistema educativo, nel mercato del lavoro, nella struttura sociale), e in più breve o lungo tempo. Questo tipo di domande di ricerca, alle quali ovviamente non è possibile rispondere globalmente a causa delle differenze macro-storiche e delle diverse fasi dei processi migratori (per cui sulle migrazioni di oggi sappiamo ancora poco degli effetti di lungo periodo sulle carriere delle seconde generazioni), si innestano su due interrogativi che sembrano guidare nel profondo la letteratura statunitense sulle conseguenze di lungo termine dell’immigrazione: che cosa significa essere americani? È davvero possibile la mobilità sociale negli Stati Uniti, e fino a che punto? Basandosi principalmente su dati relativi ai figli di messicani, Gans (1992, in Kasinitz et al., 2008), ha introdotto il concetto di “second generation decline” invertendo il modello di Warner e Srole: l’autore ha verificato che la mobilità sociale per le attuali seconde generazioni non sarebbe più possibile, come invece accadeva in passato, senza aver raggiunto qualifiche educative elevate, perché nell’economia contemporanea l’istruzione è diventata un prerequisito indispensabile per l’ascesa sociale. Gans ha sottolineato il rischio di permanenza in povertà, elevato specialmente per alcune “etnie”, ad esempio quelle ispaniche, le quali nelle seconde generazioni maturerebbero atteggiamenti negativi verso 30 Il panorama dei movimenti neri, femministi, giovanili di sinistra, così come quello della loro produzione intellettuale, è ovviamente ampissimo. Alcune riflessioni sulle molteplici forme di marginalità prima taciute e poi assunte dai militanti come grimaldello critico nei confronti dell’ideologia egualitarista americana sono contenute ad esempio in hooks (1998). 32 la scuola, mentre altri gruppi etnici, più legati alle tradizioni familiari, condividerebbero la motivazione ad assimilarsi economicamente della famiglia. Nonostante l’aumento nella disparità di reddito e la permanenza dei “conflitti razziali”, alcuni studiosi rimangono convinti che il concetto di assimilazione sia ancora utilizzabile, se depurato dalla matrice normativa e etnocentrica che l’aveva generato. Per questi ricercatori, indipendentemente dalla volontà dei singoli attori sociali coinvolti, i gruppi di immigrati tenderebbero ad imparare la lingua del paese di destinazione, ad inserirsi nel mercato del lavoro al di fuori dell’ethnic business, a rompere con il tempo l’endogamia matrimoniale. Ad esempio Alba e Nee (1997) sostengono, usando prevalentemente dati sulle seconde generazioni, che sebbene esistano diversi percorsi di integrazione, l’orientamento sul lungo periodo per la maggior parte dei gruppi rimane l’assimilazione. In questa corrente di pensiero, Brubacker (2001) considera due accezioni distinte di assimilazione: 1) il processo generale e astratto di rendersi, o rendere, simili alla maggioranza; 2) l’esito finale e concreto di incorporazione come completo assorbimento nella società ricevente. Il secondo significato, specie dal punto di vista dell’assimilazione culturale, oggi non si ritiene più una via praticabile, invece la prima accezione, se si pone l’accento non tanto sull’elemento coercitivo del “rendere” simili, ma piuttosto sul “rendersi” simili, per Brubaker si può utilizzare. Secondo l’autore l’assimilazione è un processo multidimensionale che riguarda diversi aspetti, non necessariamente coinvolti in egual misura, per cui gli approcci olistici, sia scientifici che politici, sono errati: in particolare l’assimilazione della sfera culturale non deve essere normativamente rinforzata, ma piuttosto le politiche devono riguardare l’inclusione paritaria nella sfera economica e sociale. L’assimilazione va dunque intesa come un processo collettivo e graduale emergente dall’aggregazione di micro-azioni di individui, in gran parte non intenzionale e intergenerazionale, cioè evidente soprattutto nel passaggio da una generazione all’altra (Ambrosini, 2011). La prospettiva dell’assimilazione segmentata (Zhou, 1997) si focalizza proprio sull’inserimento sociale delle G2, e vede come sfaccettata non solo la traiettoria di assimilazione, ma anche la struttura della società ricevente all’interno della quale i migranti si collocheranno: i segmenti in cui gli immigrati possono collocarsi sono la classe media, l’“underclass”, oppure la loro stessa comunità etnica, mantenendo cioè anche nella società di arrivo forti legami culturali con il paese di origine e inserendosi in specifiche nicchie economiche. Questo approccio è stato molto utilizzato per studiare le carriere di inserimento di giovani con origini messicane e asiatiche negli Stati Uniti. Per 33 Ravecca (2009) esso può essere meglio compreso se inserito nel contesto delle teorie dei modelli di incorporazione. Esse identificano diverse forme di adattamento, che si realizzano secondo geometrie variabili in base alle politiche, ai fenomeni di discriminazione razziale attuati dalla società ricevente, alla concentrazione spaziale degli immigrati (con conseguente “zonizzazione” di fenomeni di marginalità sociale e devianza come alternative all’inclusione) e alla segmentazione del mercato del lavoro della società destinazione. Portes e Zhou (1993) evidenziano tre modelli di incorporazione. Il primo, denominato “assimilazione ortodossa” o classica, permetterebbe l’integrazione socioeconomica degli individui solo in seguito all’adesione totale ai modelli culturali Wasp (White Anglo-Saxon Protestant), secondo quanto avevano ipotizzato i primi teorici assimilazionisti. Il secondo modello, espresso con la nota dizione “downward assimilation”, si manifesta con stili di vita oppositivi ed esclusione sociale dei giovani con background di immigrazione. Il terzo modello, detto di “assimilazione selettiva”, consiste nell’affiancare al veloce avanzamento economico il mantenimento dei valori e dei legami di solidarietà su base “etnica”. Il concetto di “assimilazione segmentata” è dunque impiegato nel contesto dei modelli di incorporazione per indicare il fatto che, in uno stesso contesto di arrivo, alcuni gruppi “etnici” possono sviluppare percorsi di isolamento, altri di mobilità ascendente, altri ancora di mobilità sociale discendente. Nonostante sia stato molto impiegato, il frame teorico dei modelli di incorporazione è segnato da alcuni paradossi. Innanzitutto l’impiego di indicatori macro, ad esempio basati sulle rappresentazioni dell’immigrazione da parte dei mass-media, sul clima di ricezione societale, non sono generalizzabili in tutti i contesti: l’ostilità espressa dalla maggioranza (o percepita come tale) nei confronti di alcuni gruppi di immigrati del secolo scorso può avere esiti diversi di quella che sperimentano i giovani di origine messicana oggi. Senza arricchire l’analisi con dati a livello micro e meso, si rischiano spiegazioni tautologiche dei processi di assimilazione verso il basso come esito delle minori aspettative di effettiva collocazione occupazionale per via della ricezione societale percepita (concetto problematico dal punto di vista dell’operativizzazione), che trasmetterebbe l’idea di subire discriminazioni all’ingresso sul mercato del lavoro. Alcuni elementi meso sociologici sono stati introdotti dai teorici dell’assimilazione segmentata che hanno indagato in particolare gli effetti positivi e negativi del capitale sociale. Strette reti sociali di controllo comunitario per Zhou (1997) preserverebbero i giovani dai rischio di devianza. Il capitale sociale “etnico” delle famiglie, inoltre, risulterebbe ancora più importante di quello economico (occupazione dei genitori) e 34 culturale (titolo di studio dei genitori) per favorire la riuscita scolastica dei figli in aree povere e in scuole con alto tasso di drop-out, fornendo incentivi di tipo normativo e valoriale in grado di rinforzare nei giovani la concezione dell’istruzione come canale di accesso alla classe media, come mostra lo studio sulle famiglie vietnamite di New Orleans (per una sintesi Bonizzoni e Caneva, 2011). Processi di trasmissione generazionale altrettanto importanti riguardano specifici aspetti culturali, ad esempio religiosi, come fonte di controllo sociale ma anche di supporto all’investimento nella mobilità sociale, anche tramite l’istruzione (Id.). I legami con i pari, inoltre, per i migranti come per i nativi, favorirebbero l’acquisizione di autonomia nei riti di passaggio all’età adulta. Per i giovani migranti le relazioni amicali possono favorire lo scambio e il confronto interculturale, ma anche, come accennato nel paragrafo sulla riuscita scolastica, offrire una fonte alternativa di identificazione, oppositiva rispetto a quella istituzionale della società di maggioranza, ostacolando l’acquisizione di competenze e certificati spendibili nel mercato del lavoro e talvolta l’inglobamento in circuiti di devianza (cfr. Bonizzoni e Caneva, 2011). Esistono quindi anche meno studiati effetti negativi del capitale sociale per l’integrazione economica e culturale dei figli dell’immigrazione. Se da un lato le risorse relazionali facilitano l’accesso nel mercato del lavoro, dall’altro possono condurre all’assimilazione verso il basso, o imprigionare all’interno di nicchie etniche (Ambrosini, 2005). Guardano a questi diversi aspetti Kasinitz e colleghi (2008). Il loro studio ha coinvolto giovani adulti con genitori immigrati provenienti da cinque diverse aree di origine (in comparazione con tre gruppi di nativi di controllo) nella metropoli di New York, e ha riguardato il loro inserimento socio-economico, politico e culturale. Le aspettative e l'investimento familiare in istruzione risultano diversi per ciascun gruppo, così come gli atteggiamenti riscontrati da parte del sistema scolastico. Malgrado il serio utilizzo delle classiche variabili socio-economiche, e anche alcune utili riflessioni ad esempio sul concetto di discriminazione e sulle differenze di genere, un limite di questo studio è rimanere a un livello piuttosto descrittivo dei fattori influenti, senza approfondire quali siano i processi sociali alla base delle differenze tra gruppi “etnici”, innescati dall’evento migratorio e dai suoi effetti sulla collocazione sociale della prima e della seconda generazione nel paese di destinazione. Questo lavoro di teorizzazione negli Stati Uniti ha permesso lo sviluppo di analisi quantitative dell’integrazione socio-economica delle “seconde generazioni” (e successive) anche nel contesto nord europeo. Una rassegna delle principali ricerche descrittive sulle 35 performance delle seconde generazioni nell’Europa occidentale (Austria, Belgio, Gran Bretagna, Danimarca, Francia, Germania, Paesi Bassi, Norvegia, Svezia, Svizzera) mostra che gli ambiti di integrazione considerati sono i seguenti: performance scolastiche nell’istruzione obbligatoria, livello di qualifiche raggiunte, tassi di disoccupazione e inserimento occupazionale (Heat, Rothon e Kilpi, 2008). Data la frequente collocazione dei genitori immigrati di prima generazione nelle posizioni più basse della stratificazione sociale del paese ricevente, centrale per questo insieme di studi è verificare quanto le origini sociali possano spiegare, attraverso l’identificazione di specifici o generali meccanismi di riproduzione sociale, le associazioni, tra background di immigrazione e esiti in istruzione (ME), e tra origine “etnica” e destinazione sociale (MD), normalmente operativizzata con la classe occupazionale (Id., v. figura 1.1)31. Fig. 1.1 – Schema esplicativo delle disuguaglianze etniche. Educazione (E) Status di minoranza (M) Classe di origine (O) Destinazione (D) Fonte: Heat, Rothon e Kilpi, 2008 (adattamento da Kalter et al., 2007). Dagli studi censiti, emerge che tra i giovani immigrati con origini sud europee lo svantaggio educativo è spiegato principalmente dall’origine socio-economica, mentre tra quelli che provengono da paesi extraeuropei anche controllando per classe sociale permangono disuguaglianze in istruzione, favorevoli per indiani e cinesi in Inghilterra e per i provenienti dall’Asia sud orientale in Francia. Oltre ai fattori esplicativi che accomunano migranti e nativi, dalla rassegna di Heat e colleghi per i migranti risulta significativa la non conoscenza della seconda lingua, sia degli allievi che dei loro genitori (anche se per chiarire meglio questo punto occorrerebbe indagare l’effetto del bilinguismo, che può anche essere positivo). Uno studio mostra anche la minore conoscenza del sistema scolastico da parte dei genitori immigrati in Germania e Norvegia come fattore di svantaggio (Kristen, 2005 e Colding et al., 2005, in Heat, Rothon e Kilpi, 2008). La tendenza a scegliere discipline più applicative tra le seconde generazioni che 31 Mancano ricerche che verifichino se M altera la relazioni OD, sono pochi gli studi che controllano se MD è spiegata da O mentre esistono più lavori sulla relazione ED mediata da M (Id.). 36 giungono all’istruzione secondaria superiore e terziaria, poi, potrebbe essere spiegata con il timore di ricevere discriminazioni sul mercato del lavoro che le condurrebbe verso prospettive più sicure. Sulle aspettative di inserimento occupazionale, Heat e Li (2008, in Heat, Rothon e Kilpi, 2008) ipotizzano, adottando l’ipotesi del “dual frame”, che la prima generazione abbia basse aspirazioni perché guidata da un frame cognitivo rivolto al mercato occupazionale del paese di origine, mentre le seconde generazioni, adottando i riferimenti cognitivi dei coetanei, abbiano aspettative più simili a quelle dei nativi, principio che spiegherebbe perché, una volta ottenuto un posto di lavoro, la mansione sia simile a quella degli autoctoni ad esempio in Inghilterra e Svezia. Sull’effetto della concentrazione etnica abbiamo in parte già detto. Malgrado non siano molti gli studi quantativi, teoricamente e in base ai risultati qualitativi potremmo aspettarci un effetto negativo sulle performance nel mercato del lavoro per la carenza di capitale sociale bridging, e un effetto positivo sul trovare un’occupazione all’interno dell’ethnic business dovuto alla prevalenza di capitale sociale bonding (Heat, Rothon e Kilpi, 2008). Gli esiti lavorativi possono anche dipendere da discriminazione e razzismo da parte dei datori di lavoro: su questo tema sono disponibili principalmente ricerche qualitative e esperimenti. Esistono ricerche soprattutto in Inghilterra, meno in altri paesi, e più qualitative, che mostrano minori aspettative degli insegnanti e anche atteggiamenti di razzismo espressi dai compagni nativi. Tuttavia in proposito occorre applicare la cautela segnalata da Modood (2004), secondo cui non basta provare l’esistenza di atteggiamenti o comportamenti discriminatori perché questi siano esplicativi, ma va indagato anche come essi vengono percepiti dai giovani migranti e soprattutto quali reazioni provochino. Spiegare la varianza tra nazioni è la prossima frontiera di questo insieme di studi in Europa. Sono ancora poche le ricerche comparative internazionali. Crul (2005) cita tre grandi progetti di ricerca che hanno costituito il primo passo in questa direzione: ESF32, ISCEY33, EFFNATIS34. Il più recente, EFFNATIS, si è concentrato sulla relazione tra politiche di integrazione nazionale e esiti per le seconde generazioni. In alcuni paesi fu realizzata una survey con un questionario comune (Germania, Francia e Gran Bretagna), mentre in altri si impiegarono fonti secondarie (Svezia, Olanda, Svizzera, Finlandia e 32 “International Migration and the Cultural Sense of Belongingness of the Second Generation”, studio pionieristico sviluppato negli anni Ottanta. 33 “International Comparative Study on Ethnocultural Youth”, coinvolse dodici paesi, tra cui otto europei, a metà degli anni Novanta, raccogliendo informazioni sia psicologiche sia su abitudini linguistiche, discriminazioni e scolarizzazione, procedendo tuttavia per analisi paese per paese, o per gruppi di paesi, e non comprensive di tutti e 12 i casi. 34 EFFNATIS, “Effectiveness of National Integration Strategies towards Second Generation Migrant Youth in Comparative European Perspective”, sviluppato alla fine degli anni Novanta in otto paesi europei. 37 Spagna), per cui il materiale empirico fu difficile da confrontare, anche per il fatto che i gruppi nazionali di immigrati nei diversi Stati erano diversi (Crul, 2005). Dopo queste prime esperienze di ricerca, nel 2000 fu lanciato un programma comparativo sull’inserimento delle seconde generazioni di turchi e marocchini in sei paesi europei (Crul e Vermeulen, 2003). Le banche dati utilizzate furono quella di EFFNATIS, integrate da ulteriori studi nazionali e fonti secondarie, laddove esistenti. Le opportunità di carriera scolastica dei giovani turchi si mostrarono diverse a seconda del contesto di arrivo: in particolare la percentuale di iscritti nella formazione e istruzione professionale, in Francia, Belgio e Paesi Bassi le percentuali variavano da un terzo e un quarto del totale, mentre in Austria e Germania tra i due terzi e i tre quarti. I giovani Turchi quindi godevano di maggiori probabilità di accesso all’istruzione terziaria nei primi tre paesi. I ricercatori verificarono anche le performance scolastiche e notarono che in Francia, per esempio, il più alto tasso di ingresso dell’istruzione superiore si accompagnava anche al più alto tasso di drop-out: circa metà non otteneva il diploma secondario di secondo grado (un terzo nei Paesi Bassi e ancora meno in Germania e Austria). Negli ultimi due paesi il collegamento tra corsi professionali e mercato del lavoro assicurava alla maggioranza dei turchi di seconda generazione l’acquisizione di esperienze e qualifiche lavorative tramite il sistema di apprendistato, per cui in questi paesi la disoccupazione risultava tre o quattro volte più bassa che in Francia, Belgio e Paesi Bassi. In questi tre paesi, e soprattutto in Francia, la collocazione sociale delle seconde generazioni di turchi risultò più polarizzata tra un consistente gruppo di persone inserite con qualifiche professionali medio-alte da un lato, e un gruppo di persone in condizioni di disoccupazione o difficoltà di primo ingresso nel mercato del lavoro dall’altro. Per comparare l’impatto del contesto nazionale sulle traiettorie di integrazione delle seconde generazioni, naturalmente, non basta guardare alle differenze di inclusione nel sistema scolastico, ma anche nella transizione scuolalavoro. Secondo l’approccio istituzionale di Crul e Vermeulen (2003) le differenze nazionali possono dipendere sia dal sistema educativo nazionale (età dell’obbligo scolastico, orario della scuola primaria, caratteristiche del sistema scolastico, selezione del tipo di istruzione più o meno precoce) sia dal grado di formalizzazione della transizione scuola-lavoro (ad esempio attraverso il sistema dell’apprendistato). Il programma TIES35, ha sviluppato ulteriormente questa prospettiva, focalizzandosi sui contesti urbani di otto paesi europei. 35 “The Integration of the European Second generation”, programma coordinato da Maurice Crul e Jens Schneider. 38 Dal momento che l’attenzione al contesto nazionale o locale è maggiore in Europa che negli Stati Uniti (Crul e Vermeulen, 2003), dove si tende piuttosto a comparare i percorsi di integrazione di “etnie” residenti in uno stesso paese o città (cfr. ad es. Kasinitz et al., 2008), mettere in luce i meccanismi attraverso cui l’ambiente istituzionale plasma i percorsi di integrazione può essere il contributo teorico delle ricerche europee sull’immigrazione (cfr. Crul, 2005). Questo insieme di ricerche, inoltre, mostra che l’effetto delle aspettative educative è evidente solo in alcuni contesti di ricezione, e invita a testata empiricamente la selettività del processo migratorio da un lato, e la capacità dei genitori di trasmettere le proprie aspettative ai figli dall’altro lato (Heat, Rothon e Kilpi, 2008). Il Sud Europa, nel quale solo recentemente sta crescendo la presenza delle “seconde generazioni”, appare un contesto particolarmente interessante per cogliere i processi di inserimento sociale dei giovani migranti. Purtroppo, anche perché come detto l’integrazione delle seconde generazioni in Italia è un fenomeno recente, mancano studi comparativi di questo tipo che includano la penisola. Tuttavia sono state realizzate ricerche qualitative molto informative rispetto ai nuovi processi di inclusione/esclusione in corso. Vediamo quindi la letteratura sviluppata a proposito del caso italiano. 1.4.2. Socialità giovanile dei migranti in Italia Il concetto impiegato per descrivere un positivo inserimento nella società ricevente nella letteratura italiana non è tanto assimilazione, ma piuttosto integrazione, intesa come processo multidimensionale, articolato e non lineare, locale e dipendente dal contesto istituzionale (Ambrosini, 2011; Bonizzoni e Caneva, 2011). Data la novità del fenomeno, non è al momento possibile studiare le carriere di inserimento delle diverse generazioni di immigrati attraverso studi longitudinali o confronti tra periodi diversi. Le ricerche italiane che si collocano nel filone di studi sull’integrazione delle “seconde generazioni”, cercano quindi di collegare scuola e extrascuola in ottica cross sectional, e di cogliere le prospettive di inserimento solo a livello di aspettative sul futuro dei soggetti coinvolti nelle ricerche. Per Costa (2008) si possono individuare tre filoni di letteratura italiana sulle relazioni tra scuola e extrascuola per i minori migranti: i) quello che sottolinea la componente “etnica” delle reti di aggregazione; ii) quello che considera altri elementi differenzianti, come genere, età anagrafica e di arrivo in Italia, interessi e passioni, stratificazione sociale, abitazione, occupazione e scolarizzazione; iii) lo studio di particolari forme di socializzazione dei giovani, come la formazione di “bande”. 39 Recentemente le ricerche sulle reti sociali informali dei giovani migranti tendono a unire i primi due filoni di studio (cfr. Ambrosini, Bonizzoni e Caneva, 2011). Uno dei risultati più confermati è il seguente: più l’arrivo in Italia è recente più le reti amicali tendono a stringersi tra coetanei connazionali o di origine immigrata (Comune di Bologna, Osservatorio sulle Differenze, 2006; Cologna, Granata e Novak, 2007). Da una survey condotta con adolescenti immigrati in Lombardia emerge che i legami amicali degli intervistati si strutturano per effetto dell’età di arrivo in Italia, più co-etniche per i neoarrivati e tendenzialmente più costituite da italiani per i nati in Italia, e non in base al tipo di istruzione secondaria frequentata, anche se tra gli iscritti ai corsi di istruzione e formazione professionale prevalgono le amicizie con altri stranieri, specialmente nati all’estero. L’età di arrivo influenza positivamente anche la frequenza di centri religiosi, piuttosto diffusa soprattutto nella generazione 1.5 non solo perché permette di praticare la fede ma anche perché facilita la creazione dei primi legami sociali nel nuovo paese: è correlata positivamente con le ore di tempo libero trascorse con amici e genitori insieme. Le figlie svolgono più spesso lavori domestici rispetto ai maschi, e hanno minori libertà di movimento, trascorrono il tempo libero in luoghi più strutturati, chiusi e controllati rispetto ai coetanei (Ponti, 2011). La socializzazione con il gruppo dei pari all’interno delle organizzazioni di strada è studiata come una forma particolare di capitale sociale, con l’obiettivo di uscire dalla visione patologica delle “bande”, invenzione mediatica e costruzione sociale della società ricevente. I giovani migranti raccontano la loro esperienza all’interno delle organizzazioni come “ferita sociale e personale non cicatrizzata”, resistenza simbolica e forma di identificazione critica e creativa. Il contributo di queste ricerche che impiegheremo nel lavoro sul campo consiste nel suggerimento a non “etnicizzare” dall’alto, ma a guardare all’agency e alla definizione di sé dei protagonisti (v. ad es. Queirolo Palmas, 2005b e 2006; Fexia et al., 2007; Bonizzoni e Caneva, 2011)36. Aggiungiamo un altro filone di studi, sviluppato tra antropologia, scienze dell’educazione e sociologia, che sottolinea il ruolo dei centri aggregativi, probabilmente destinato ad assumere grande rilevanza per l’inserimento scolastico dei migranti nel passaggio dal policentrismo formativo a un sistema formativo integrato, in una fase di contrazione della 36 Collegato solo in parte a questo filone di studi, in Italia si sta sviluppando una riflessione sui percorsi dei minori non accompagnati, e anche alcune ricerche sulla devianza, e il controllo della devianza, dei minori migranti (cfr. Prina, 2008). Questa letteratura non mira ad indagare gli effetti di questi processi sui percorsi scolastici e formativi, e per questo non è stata inclusa in questa rassegna, ma sembra molto istruttiva per arricchire il dibattito su criminalità e criminalizzazione degli immigrati (Martino e Santero, 2010). 40 spesa pubblica in istruzione e limitato sviluppo delle politiche giovanili. Esistono ricerche etnografiche basate sulla tecnica dell’osservazione partecipante ad esempio su: associazionismo etnico-giovanile e amicizie interculturali a Torino (Costa, 2008); mantenimento dell’identità e separazione dei tunisini a Mazara del Vallo (Dallavalle, 2008); ragioni della partecipazione dei sikh a Cremona (Galloni, 2008a). Le domande da cui muovono questi studi sono: in quale misura la presenza o la creazione di luoghi di incontro contribuiscono, da un lato, all’educazione e alla formazione dei singoli soggetti e, dall’altro, alla costruzione di un possibile “clima” interculturale”? I risultati di ricerca dimostrano l’importanza dei contesti che organizzano il tempo libero per la centralità del gruppo dei pari nell’adolescenza, nel processo di acquisizione non solo di migliori abilità scolastiche (funzione di doposcuola) ma anche di modalità culturali di individuazione e identificazione da condividere o inventare con i coetanei. Un altro insieme di studi di caso condotti in Lombardia ha coinvolto centri aggregativi diversi per tipo di utenza, mista o co-etnica, grado di chiusura all’accesso, standardizzazione e finalizzazione delle attività, di tipo ricreativo, religioso o di sostegno all’apprendimento. Emerge un quadro composito, in parte a sostegno delle teorie dell’acculturazione selettiva. Alcune forme di partecipazione favoriscono lo scambio di conoscenze, informazioni e sostegno affettivo tra pari migranti e educatori italiani, ma contemporaneamente sembrano inibire l’apertura verso l’esterno. Esistono poi occasioni di socialità più informali e aperte, talvolta a forte base territoriale, talvolta meno, come nel caso dei centri commerciali. Questi luoghi di incontro informali, pur essendo ricchi di potenzialità di incontri “misti”, non necessariamente conducono alla conoscenza reciproca e all’allargamento della propria rete sociale, ma possono viceversa essere segnati da pratiche di distinzione e marcatura dei confini interne ed esterne. Le associazioni co-etniche, si rivelano invece non solo importanti luoghi di costruzione identitaria, anche attraverso la pratica religiosa, ma anche luoghi dove negoziare collettivamente il controllo sociale esercitato dalle famiglie sugli adolescenti, in particolare sulle femmine, e vere e proprie risorse politiche (Bonizzoni, 2011; Pozzi, 2011; Mauri, 2011; Marsigli, 2011; Caneva, 2011; Cominelli, 2011). Le ricerche sull’associazionismo degli immigrati forniscono altri spunti di analisi che sarebbero da sviluppare con ricerche mirate sulle “seconde generazioni”. Molte associazioni tra le attività a sostegno dell’inclusione sociale prevedono l’erogazione di corsi formativi o linguistici nella prima o nella seconda lingua, ponendosi come vere e proprie agenzie formative extrascolastiche: si potrebbe indagare l’impatto di questa 41 frequenza sulla riuscita a scuola. Inoltre la rete associativa, oltre a essere uno dei pochi spazi sociali in cui sono riconosciuti il titolo di studio e le competenze degli adulti, può essere un luogo di investimento per la mobilità sociale individuale e familiare, attraverso i contatti delle famiglie con le istituzioni, il privato sociale e le organizzazioni di rappresentanza in Italia e all’estero. L’ampliamento delle risorse relazionali e informative, ovviamente, dipende dai finanziamenti alle associazioni, piuttosto discontinui, e dalla possibilità concreta dei singoli di partecipazione alle attività, di solito subordinata al raggiungimento di condizioni di lavoro e di vita relativamente stabili. Inoltre l’eccessivo personalismo rilevato in alcune realtà associative di immigrati può creare difficoltà nell’ascolto dei bisogni di tutti gli associati, e, forse, in particolare dei membri meno avvantaggiati o autorevoli, tra cui probabilmente i più giovani (cfr. ad es. Caselli e Grandi, 2011). Oltre che per gli aspetti sostantivi prima citati, da tener presenti per definire gli effetti del percorso migratorio su quello scolastico, gli studi sulla socialità delle “seconde generazioni” hanno il merito di far emergere l’agency dei giovani migranti nella costruzione di capitale sociale, spesso visto nelle ricerche non focalizzate sui figli dell’immigrazione come risorsa passivamente ricevuta dalla famiglia o dalla “comunità” (Ambrosini, 2011). Un limite di questo filone di studi è invece lo scarso riferimento alla dimensione spaziale e temporale37. Lo spazio influisce sulla configurazione delle reti sociali delle seconde generazioni in almeno tre modi. Innanzitutto i legami si (de)costruiscono in maniera diversa a seconda dell’età di emigrazione, per effetto della mobilità geografica (Eve, 2010 in Ambrosini, 2011). Inoltre in ragione del “carattere situato e pragmatico dell’identità e della differenza” (Bonizzoni e Caneva, 2011, p. 54; cfr. Colombo e Semi, 2007). Infine per l’influenza della dimensione locale delle politiche per l’immigrazione (Caponio, 2006). Nonostante con le nuove tecnologie della comunicazione e dell’informazione e con la diminuzione dei costi dei trasporti i giovani di oggi abbiano acquisito maggiori possibilità di movimento e di scambio in un contesto transnazionale, i vincoli fisici rimangono importanti per strutturare la vita quotidiana, così come le caratteristiche del quartiere di residenza, studio e tempo libero e le definizioni dei confini, e della percezione di “normalità” della frequentazione di determinati luoghi, specialmente nel territorio urbano (cfr. Ambrosini, Bonizzoni e Caneva, 2011). 37 Come è noto, lo spazio era tenuto in grande considerazione nei primi studi sulle migrazioni di inizio Novecento, quando i fondatori della scuola di Chicago notarono il susseguirsi di gruppi di immigrati nei diversi quartieri della città, e identificarono un primo livello “ecologico” della vita urbana (cfr. Hannerz, 2001). 42 Non sono molte le ricerche italiane che indagano direttamente gli effetti della relazione tra genitori e figli per l’integrazione scolastica e sociale, anche se viene ampiamente citata la presunta elevata aspettativa in istruzione dei genitori come possibile fattore di sostegno alla riuscita. Uno studio condotto a Torino (Cologna, Granata e Novak, 2007) fa emergere possibili incomprensioni e conflitti tra generazioni a causa del diverso vissuto dell’emigrazione da parte di giovani, spesso ricongiunti e talvolta nati in Italia, e gli adulti primomigranti. Gli uni più vicini allo stile di vita dei pari autoctoni, mentre gli altri spesso orientati a preservare nei figli, e soprattutto nelle figlie, conformità rispetto alle aspettative di ruolo e ai valori di riferimento della rete migratoria più che l’acquisizione di risorse e capacità che favoriscano integrazione socio-economica in Italia. Per quanto riguarda le aspettative sul futuro inserimento nella società italiana, dalle ricerche condotte in Italia emergono alcuni elementi che sarebbe interessante approfondire con analisi mirate. Innanzitutto l’importanza della dimensione di genere, e in particolare la tendenza delle ragazze a immaginare minori asimmetrie tra donne e uomini nell’inserimento socio-economico e politico rispetto ai coetanei maschi, nonché a esprimere il desiderio di un maggiore investimento in istruzione ai fini del successo occupazionale (Cologna, Granata e Novak, 2007; per una ricerca su giovani musulmani cfr. Negri e Scaranari Introvigne, 2005). Si rileva anche un desiderio di riscatto, nonostante le strategie progettuali risultino spesso confuse e poco concrete (Cologna, Granata e Novak, 2007). Questi studi offrono risultati complementari a quelli svolti all’interno degli istituti scolastici, ma faticano a chiarire il nesso tra esperienze educative extrascolastiche e riuscita a scuola38. Lo studio coordinato da Eve (2009) attraverso una inchiesta campionaria rivolta a giovani italiani e stranieri in Piemonte, indaga diverse dimensioni dell’integrazione, tra cui gli atteggiamenti e i comportamenti relativi all’esperienza scolastica, le concezioni del tempo libero, la rete amicale e familiare. Dai risultati della survey emerge che i percorsi di integrazione sembrano influenzati più dalle esperienze di socializzazione negli ambienti sociali locali in Italia – la scuola, il quartiere, il gruppo dei pari - che dalla cittadinanza dei genitori. Dalla ricerca coordinata da Ambrosini, Bonizzoni e Caneva (2011), inoltre, risulta che il tipo di scuola frequentato condiziona la composizione della rete amicale: più mista tra i liceali che tra gli iscritti all’istruzione 38 Un interessante tentativo in questa direzione è quello di verificare gli effetti del capitale sociale e della concentrazione etnica nel quartiere di residenza sugli esiti scolastici. I risultati empirici di questi studi per motivi espositivi vengono inclusi nell’area tematica relativa alla riuscita scolastica. 43 tecnica e professionale. Per la ricerca presentata controlleremo quindi se la scuola frequentata ha un impatto nel definire e caratterizzare le relazioni con i pari di riferimento, e se in che modo i legami amicali possono influenzare i percorsi scolastici successivi. Per inserire lo studio dei percorsi di inserimento scolastico dei migranti all’interno dei progetti migratori familiari appare dunque utile integrare questi quattro filoni di studio, guardando: (a) alla cornice istituzionale, non colta con quadro concettuali troppo astratti ma piuttosto nelle sue definizioni di vincoli e opportunità concrete per gli attori sociali; (b) alla riuscita scolastica come processo multidimensionale che costituisce non solo un esito in un determinato momento, ma anche uno dei fattori influenti per le traiettorie in istruzione successive; (c) al processo di individuazione della scuola da frequentare come il frutto di scelte non strettamente razionali, ma costruite nell’interazione; (d) alle aspirazioni di inserimento sociale dopo al primo ciclo di istruzione, sia dei giovani migranti che dei loro genitori. Presentiamo quindi nel prossimo capitolo l’approccio teorico impiegato per la ricerca. 44 2. Approccio teorico, domande e ipotesi, disegno della ricerca 2.1. La definizione del problema 2.1.1. Oggetto della ricerca e campi teorici La ricerca riguarda il percorso di istruzione e le aspettative di inserimento sociale degli studenti migranti (con entrambi i genitori nati all’estero) al termine delle scuole secondarie di II grado. Lo scopo è duplice: i) indagare retrospettivamente i meccanismi sociali alla base delle scelte scolastiche dei migranti al termine della scuola media inferiore; ii) esplorare le prospettive post-diploma espresse da adolescenti e genitori migranti, dopo averne ricostruito le traiettorie scolastico-formative, migratorie e familiari e le loro interconnessioni. Lo studio è focalizzato sul ruolo dell’istruzione come investimento per la collocazione sociale dei figli degli immigrati. In particolare si intende verificare se il percorso scolastico è assunto dagli studenti migranti e dai loro genitori come fattore di mediazione della mobilità sociale nel passaggio da un sistema di stratificazione all’altro, e se esistono asimmetrie scolastiche orizzontali o verticali legate a specifici percorsi di mobilità o a effetti di riproduzione – sociale o migratoria - familiari. Sono tuttora assenti studi sistematici sul posizionamento sociale dei primomigranti in Italia, non limitati alla dimensione economica della stratificazione. Alcune indicazioni possono emergere guardando al loro inserimento nel mercato del lavoro (cfr. Bagnasco, 2008). Anche se generalmente non emigrano le persone che costituiscono gli strati più svantaggiati della popolazione, ma viceversa chi detiene una posizione di classe media nel paese di origine (Ambrosini, 2005), le indagini condotte in Italia hanno evidenziato processi di omologazione verso il basso delle qualifiche occupazionali dei migranti. Innanzitutto mancano quelli che la letteratura considera i principali fattori di attrazione delle skilled migrations: una politica migratoria specifica, il prestigio dell’Ente di destinazione, la remunerazione, la sicurezza di una continuità di carriera e un clima culturale tollerante verso la diversità e aperto alle innovazioni, in relazione all’area di origine, ma anche alle altre possibili destinazioni (cfr. ad es. Brandi, 2001 e 2006; 45 Avvenuto et al., 2004; Beltrame, 2008). Le procedure di riconoscimento delle qualifiche ottenute all’estero sono complesse, frammentate e costose, su di esse gravano disinformazione e arbitrarietà39. Ma soprattutto, non sempre le competenze acquisite dai migranti sono richieste nel territorio di destinazione (Ambrosini, 2001a). L’elevata richiesta di manodopera in settori a bassa produttività, e di contro il sistema della ricerca, soprattutto tecnologica, sottodimensionato rispetto ad altre aree a economia avanzata; il ruolo delle reti migratorie nel favorire l’inserimento in settori “etnicizzati”; la discriminazione statistica, che secondo gli studi disponibili tende a colpire specialmente alcune provenienze; l’opposizione dei colleghi italiani ad avere un - o una – responsabile “straniera” sono tutti elementi che contribuiscono alla collocazione dei migranti in ambiti lavorativi meno pagati e prestigiosi (Ambrosini, 2001b; Ambrosini e Molina, 2004; Avveduto et al., 2004). Numerose indagini locali (Kofman, 1999; Perrañas, 2000; Cambi et al., 2003) e nazionali (cfr. Caritas, 2011) testimoniano che per le immigrate l’inserimento occupazionale “verso il basso”, o in determinati settori ad esempio della cura40, è particolarmente diffuso, anche per effetto di un mercato del lavoro sfavorevole alle donne, specie se prive di titoli di studio riconosciuti e se madri di bambini piccoli (Saraceno, 2003; Luciano, 2008; Dal Boca e Mencarini, 2011). Insieme alla sottoccupazione femminile, esistono anche meno visibili fuoriuscite dal mercato delle laureate ricongiunte proprio per evitare la sotto-occupazione (Santero, 2011). Secondo il rapporto Istat sulla situazione del paese nel 2010, insieme ai fenomeni di sovraistruzione e sottoutilizzo delle competenze degli immigrati, a causa della crisi economica tra i migranti è aumentata anche la disoccupazione (Istat, 2011). L’impatto della crisi è stato più forte per alcune provenienze, laddove la componente di maschi impiegati nell’industria era maggiore (marocchini, albanesi), in particolari aree territoriali, nel centro-nord del paese, dove la presenza dei cittadini stranieri rimane più consistente, e per specifiche categorie di lavoratori, quelli con titolo di studio elevato per i quali è aumentata la sottoutilizzazione (Caritas, 2011). Tuttavia anche nel 2010 permane una percentuale consistente di lavoratori e lavoratrici con cittadinanza non italiana che svolgono professioni qualificate come dirigenti, imprenditori, tecnici (7,1%) oppure impiegati e addetti alle attività commerciali (16,4% 39 Ad eccezione di alcune categorie professionali (infermieri, tecnici sanitari di radiologia medica e operatori socio-sanitari) per le quali il Ministero della Salute e alcune Province e Regioni hanno predisposto percorsi ad hoc. 40 Sulle caratteristiche degli impieghi nel settore domestico e di cura delle migranti cfr. ad es. Anderson (2000), Scrinzi (2004) e Abbatecola (2005). 46 del totale) (Rilevazione sulle forze di lavoro Istat, in Caritas, 2011). Nonostante i migranti tendano a situarsi nelle posizioni meno avvantaggiate della struttura occupazionale ricevente, anche in Italia esistono diversi canali di accesso a posizioni intermedie. Alcune vie sembrano meno praticabili dai primomigranti per ragioni normative, come quella del pubblico impiego e della libera professione, mentre altre, come l’attività autonoma o il lavoro dipendente nel settore privato, risultano più accessibili (Allasino e Eve, 2008)41. Per i figli dei migranti almeno parzialmente scolarizzati in Italia, le opportunità di accesso alle posizioni “nel mezzo” della scala sociale potrebbero essere diverse rispetto a quelle dei genitori per almeno due ordini di fattori di carattere istituzionale: il loro percorso formativo è riconosciuto in Italia; hanno possibilità di naturalizzazione relativamente maggiori rispetto ai loro genitori (nonostante, come si vedrà, ancora minori rispetto a quelle dei giovani G1.5 o G2 in altri paesi di destinazione). Inoltre la frequenza della scuola e di altre agenzie di socializzazione in Italia potrebbe comportare un avvicinamento dei giovani migranti agli stili di vita dei coetanei nativi. Tra gli esiti dei lunghi percorsi in istruzione, poi, compaiono non solo vantaggi economici e materiali, come più bassi rischi di disoccupazione, più opportunità di svolgere lavori interessanti e meglio pagati, migliore salute e vita più lunga (Erikson, 2009), ma anche vantaggi di tipo simbolico e culturale, come la possibilità di ottenere posizioni sociali prestigiose, accumulare risorse relazionali per far valere i propri diritti e partecipare attivamente alla vita politica del luogo in cui si abita. Guardare come propone Savage (1992, in Bagnasco, 2008) agli “assets”, in particolare alla proprietà (dimensione più strettamente economica e occupazionale), alla burocrazia (dimensione dell’autorità e del potere, in senso relazionale), alla cultura (dimensione normativa e valoriale) consente di definire in ottica multidimensionale le condizioni strutturali in cui i migranti e i non migranti agiscono, anche se, per cogliere concretamente le definizioni della situazione da parte degli attori, occorre specificarle empiricamente in relazione al contesto normativo e economico locale. 41 Diverso è il caso dei cittadini stranieri di paesi a sviluppo avanzato, per i quali l’accesso a classi medie o medio alte è favorito dai vantaggi derivati dal contesto economico di partenza e dallo status giuridico di cui godono e i modi per loro di regolazione dei flussi immigratori. Essi rappresentano una minoranza dei migranti in Italia (nel 2010 i residenti cittadini di paesi dell’Ue15 e dell’America settentrionale erano rispettivamente il 3,7% e lo 0,4% degli stranieri; cfr. Caritas, 2011) per cui la prospettiva analitica di seguito presentata è piuttosto pensata per cogliere i meccanismi di riproduzione e mobilità sociale legati alle immigrazioni da paesi a forme pressione migratoria. 47 Il nesso tra cittadinanza e ceto medio immigrato42 è ancora sotto indagato in Italia. Il dibattito pubblico ha affrontato da tempo - all’interno di un altro ambiente teorico, quello delle politiche migratorie - una specifica dimensione di questo nesso: il peso relativo degli immigrati in qualità di fruitori del welfare. I ragionamenti sugli indicatori di integrazione (cfr. Zincone, 2009) includono variabili relative all’impatto dei cittadini stranieri sulle politiche, in termini sia di spesa pubblica sia di maggiore o minore conflittualità legata alla percezione da parte dei nativi dell’utilizzo dei servizi da parte degli “stranieri”. Le richieste di riconoscimento culturale finora sono rimaste piuttosto in secondo piano, anche se non mancano episodi di negoziazione che hanno conquistato almeno temporaneamente la ribalta mediatica, tra cui alcuni sforzi dell’associazionismo di matrice religiosa per ottenere luoghi di culto o le rivendicazioni contro la perdita di status dovuta alle discriminazioni nel mercato del lavoro. Una serie di nuove professioni del mercato culturale, tra cui giornalisti specializzati in tematiche multiculturali, scrittori di letteratura migrante, interpreti, mediatori interculturali, stanno consolidando la costruzione di relazioni culturali volte a connotare positivamente lo status migratorio. Ma la partecipazione politica degli stranieri in senso stretto, anche a causa dei citati processi di naturalizzazione particolarmente difficoltosi in Italia, è ancora limitata, persino a livello locale. La formazione di rappresentanze di interessi in effetti è fondamentale per favorire processi di inserimento sociale dall’estero meno asimmetrici. In particolare per i giovani di origini migranti, i processi di chiusura e mobilità sociale possono essere studiati, oltre che dal punto di vista della classe occupazionale, anche dal punto di vista delle dinamiche “di ceto”, inteso come posizionamento nella stratificazione sociale secondo la distribuzione di prestigio, il rispetto di criteri culturali, l’adozione di stili di vita rilevanti, con importanti implicazioni per il raggiungimento di una “piena cittadinanza sociale” (Bagnasco, 2008). È in questo senso infatti che una middle class accessibile a tutti è auspicabile dal punto di vista della coesione “multiculturale” in società nelle quali ai primo migranti si susseguono successive generazioni migratorie. Nonostante il passaggio dall’istruzione secondaria alla terziaria (o al mercato del lavoro) dei giovani con background di immigrazione sia ancora poco tematizzato in Italia, esso può dunque essere un punto di accesso privilegiato per studiare i processi di stratificazione sociale alimentati dall’estero. Questa prospettiva permette di inserire gli studi sulle migrazioni all’interno di cornici teoriche relative alla società nel suo 42 Proprio per cogliere i diversi canali di accesso al ceto medio aperti ai migranti, si preferisce pensare alle posizioni intermedie che essi stanno costituendo o occupando come a un universo plurale. 48 complesso e integrare le ricerche sul ruolo della scuola per l’acquisizione delle competenze necessarie a esercitare i diritti-doveri di cittadinanza, con quelle sulle “seconde generazioni”. Inoltre, come nota Queirolo Palmas è una “frontiera attraverso cui guardare l’età matura della presenza scolastica dei giovani di origine immigrata, così come i nuovi processi di discriminazione e selezione in atto” (2006, p. 19). In questo senso l’accesso dei migranti a posizioni di ceto medio potrebbe essere un prerequisito fondamentale per la loro partecipazione alla ridefinizione dei patti sociali oggi in discussione. Per semplificare, iniziamo a focalizzare l’attenzione sul passaggio tra due paesi, quello di origine e quello di destinazione. In forma schematica possiamo pensare ad essi come a due contesti nei quali si realizzano fenomeni di mobilità sociale intergenerazionale. Nella figura 2.1 rappresentiamo due tavole di mobilità sociale, una per il paese di origine e una per il paese di destinazione, raffiguranti il passaggio dalle classi sociali dei genitori a quelle dei figli (classi alte, medie e operaie). Fig. 2.1 – La mobilità intergenerazionale come processo aperto all’esterno e le tre dimensioni dell’analisi: il contesto normativo, le traiettorie individuali e familiari, le strategie e le aspettative di inserimento sociale. 49 Ovviamente i processi di mobilità spaziale e sociale sono più fluidi rispetto ai confini degli stati e possono essere diretti verso più paesi o configurarsi in circolazioni, come bene hanno documentato i teorici del transnazionalismo (v. capitolo 1, nota 1). Consapevoli delle cautele da adottare per mantenere uno sguardo più ampio, assumiamo tuttavia il riferimento al paese di destinazione in termini analitici, come contesto strutturale in cui si realizzano almeno in parte, in un dato periodo, i progetti di inserimento e le eventuali strategie di mobilità sociale, e in termini empirici, come punto di partenza per il lavoro sul campo. Assumiamo inoltre che le specifiche strategie di inserimento sociale degli attori in una data situazione, secondo la definizione di essa data dagli attori, generino effetti di composizione determinanti per la strutturazione e la modifica dei processi di stratificazione sociale, e che queste strategie possano essere comprese all’interno di più ampie traiettorie di mobilità sociale e spaziale, influenzate, a livello macro e meso, dal contesto socioeconomico di ricezione dei flussi migratori e dal sistema scolastico. Le dimensioni di analisi considerate sono dunque tre, come mostra lo schema nella figura 2.1: i) il contesto; ii) le traiettorie di mobilità internazionale, insieme alla collocazione sociale familiare e alla riuscita scolastica individuale; iii) i processi decisionali, le strategie e rappresentazioni. Le famiglie nel più ampio quadro situazionale costruiscono attivamente i loro percorsi migratori e occupano una posizione nella stratificazione sociale; i componenti più giovani si inseriscono a scuola con esiti diversi; ognuno dei componenti della convivenza familiare può maturare le proprie aspettative e rappresentazioni in merito alla collocazione sociale che ha avuto e che vorrebbe ottenere in futuro, in relazione alle altre due dimensioni. La ricerca si propone di indagare i processi attraverso cui il contesto influenza le traiettorie, e le traiettorie influenzano decisioni e aspettative, da intendersi non pre-determinate dai vincoli e dalle opportunità contestuali, ma progettate attivamente dagli attori sociali, individui e famiglie. L’approccio impiegato si sviluppa così all’intersezione tra i quattro campi teorici individuati nel capitolo precedente (figura 2.2) e mira a evitare sia la concezione delle traiettorie degli immigrati come completamente plasmate dalle discriminazioni “etniche” (Allasino e Eve, 2008) sia spiegazioni ad hoc. Vediamo per ognuno dei campi teorici quali strumenti concettuali ci hanno aiutato a costruire la nostra “cassetta degli attrezzi”. 50 Fig. 2.2 – Campi teorici di riferimento e prospettiva adottata. 2.1.2. Il contesto istituzionale: interazione tra livelli Gli studi sulla dimensione istituzionale della ricezione degli alunni migranti in Italia hanno rilevato lo scarto tra indicazioni pedagogicamente accurate e assenza di risorse, e l’attivazione “a macchia di leopardo” di proposte inclusive dal basso. È stata poi dedicata maggiore attenzione ai contenuti delle norme che al processo di policy-making, e pochi studi hanno riguardato il livello locale. Esistono lavori che ricostruiscono alcuni aspetti dei contesti urbani, ad esempio su Torino (Demartini et al., 2008), Bologna, Ancona e Catania (Barberis, Demozzi e Taddia, 2011) oppure specifici interventi a livello regionale (Lagomarsino e Torre, 2009). Il censimento delle “buone pratiche interculturali” nelle scuole della Lombardia (Orim, 2010) ha il merito, oltre che di essere l’unico in Italia, di non porsi l’obiettivo di conteggiare tutte le pratiche43, ma di individuare quelle “buone” secondo criteri di qualità e innovazione. Le politiche sull’immigrazione in Italia sono caratterizzate da elevata differenziazione territoriale, sia socio-economica e “identitaria”, sia nell’efficienza delle amministrazioni locali; e da legislazioni nazionali sull’immigrazione recenti (cfr. ad es. Caponio, 2010). Per il nostro tema è utile ricordare anche che il sistema scolastico italiano è tradizionalmente centralizzato, ma negli ultimi anni si è attuato un significativo processo di decentramento che ha coinvolto sempre di più gli enti locali, e dal 1997-1999 le spinte in questo senso sono ulteriormente aumentate (cfr. CNI Unesco, 2000)44. Nel frattempo, 43 Limite delle raccolte di buone prassi segnalato dal rapporto Fieri (2007). Sull’importanza del livello urbano per le politiche educative cfr. ad es. i materiali della European Conference of Educational Research 2011 Urban education (www.eera.de/ecer2011). Un elenco delle funzioni di Miur, Ufficio scolastico regionale (Usr), Assessorato all’Istruzione e Formazione delle regioni, Ufficio scolastico provinciale (Usp), Amministrazione comunale, istituti scolastici e organi collegiali si 44 51 dagli anni Duemila, da parte dell’Unione Europea emerge maggiore attenzione al livello locale e urbano delle politiche per l’integrazione. L’analisi riguarda dunque l’interazione fra tre livelli di intervento: nazionale, locale e di singolo istituto scolastico, per comprendere qualitativamente se il processo di mediazione e attuazione delle indicazioni centrali da parte degli enti locali (regione, comune) e le strategie di (non) adeguamento alla normativa da parte di scuole e singoli operatori plasmino le traiettorie formative degli studenti migranti. Cercheremo anche di verificare se esistono margini di negoziazione in ottica botton-up, e le eventuali contraddizioni e differenze di approccio tra livelli, con lo scopo di definire il contesto normativo all’interno del quale si strutturano i percorsi scolastici dei giovani intervistati. La letteratura sulla governance multilivello delle migrazioni tende a evidenziare divergenza e politicizzazione negli orientamenti al livello nazionale, implementazione e attivazione degli attori del territorio a livello locale, pragmatismo e convergenza nelle azioni al livello della street level bureaucracy dato che incontra faccia a faccia i migranti (Caponio e Borkert, 2010). Per verificare se questo schema è applicabile alle politiche educative per i migranti in Italia, si procederà comparando “in verticale” i tre diversi livelli di intervento nel territorio specifico dove si svolgono le vicende dei giovani coinvolti nella ricerca45. trova in Eurydice (2009b). Fino alla c.d. “Legge sull’autonomia” (la L. 59/97, in particolare l’art. 21 attribuisce autonomia didattica e organizzativa e personalità giuridica alle istituzioni scolastiche che abbiano i requisiti dimensionali previsti; il DPR n. 275/99 norma l’autonomia didattica e organizzativa, di ricerca, di sperimentazione e di sviluppo, la definizione del Piano dell’offerta formativa, art. 3, e dei curricula, art. 8), le Sovrintendenze scolastiche regionali e i Provveditorati agli studi avevano in sostanza il compito di rappresentare localmente il ministero e le scuole non godevano di grande indipendenza nelle proprie scelte finanziarie, didattiche e organizzative. 45 Non prendiamo in esame il sistema della formazione professionale (FP), malgrado molto frequentato dai minori di origine immigrata, con maggiore partecipazione e soddisfazione, nonché migliori esiti scolastici pregressi rispetto agli italiani (Cavaletto, Dagnes e Molino, 2010) e anche se, come afferma Besozzi (2011), gli studenti migranti di FP non sono propriamente una “fascia debole” ma viceversa suggeriscono rappresentazioni diverse, non di basso profilo, dell’offerta formativa dei CFP, perché la FP meriterebbe riflessioni a parte e perché questa ricerca empirica, per l’interesse a cogliere strategie di ceto medio, si concentra sui percorsi degli iscritti all’ultimo anno della scuola secondaria statale di II grado. Per una sintesi efficace dei mutamenti normativi nella FP italiana con riferimento ai migranti si vedano Lodigiani e Pais (2006). Lo studio di Santagati (2011), inoltre, contestualizza il caso della Provincia di Torino nell’ambito italiano con una indagine teoricamente fondata sulla FP come opportunità di integrazione dei giovani migranti. Anche l’inserimento degli alunni Rom e Sinti meriterebbe una trattazione dedicata, per cui non è oggetto di questa rassegna. Nella sua audizione alla Commissione Cultura in occasione dell’indagine sull’accoglienza degli alunni stranieri, Nazzareno Guarnieri, presidente della Federazione Romanì, fa notare le seguenti questioni: il 70% della popolazione Rom e Sinti in Italia ha la cittadinanza italiana (per cui non risulta dalle statistiche sugli alunni stranieri); i progetti educativi per favorirne la scolarità spesso sono influenzati da stereotipi e pregiudizi e dunque non sono efficaci, come mostra l’elevatissima dispersione scolastica, in alcune situazioni pari al 100% già al termine della primaria, quasi totale nella secondaria di II grado, per cui occorrerebbe più partecipazione dell’associazionismo Rom e Sinti, materiale didattico specifico e maggiore formazione per i docenti. Per l’istruzione universitaria è formalmente garantita parità di trattamento per i cittadini italiani e stranieri, inoltre intese tra atenei di Stati 52 2.1.3. Le traiettorie scolastiche: investimento e progettualità L’istruzione è qui intesa non tanto, o non solo, come insieme di conoscenze, abilità e competenze, ma come investimento per la successiva collocazione occupazionale e sociale nel corso della vita (cfr. Erikson, 2009). Il focus dell’attenzione è rivolto dunque non tanto alla riuscita scolastica, ma piuttosto alle rappresentazioni dell’utilità sociale dell’istruzione formale e alle decisioni in merito a scuola, università e altra formazione, dati i risultati scolastici. Adottiamo un approccio che parte dalla formulazione classica della scelta razionale (Breen e Goldthorpe 1997; Jackson et.al. 2007; Erikson e Rudolphi 2009; cfr. Schizzerotto e Barone, 2006; sul contesto torinese Olagnero e Bonica, 2009; Cavaletto, 2010; Olagnero e Cavaletto, 2011), considerando gli attori capaci di valutare costi, benefici e probabilità di successo, nell’ottica della microfondazione teorica. Assumiamo tuttavia il processo di individuazione dell’appropriatezza del percorso scolastico da seguire come una successione dinamica di micro scelte, spesso quotidiane e implicite. Oltre alla spendibilità percepita dei titoli di studio nel mercato del lavoro, si indagheranno eventuali concezioni dell’acquisizione di credenziali educative come strumenti di contrasto nei confronti dei processi di omologazione verso il basso e negazione di rispettabilità e riconoscimento sociale connessi allo status migratorio. Questi elementi potrebbero contribuire a superare una impostazione ortodossa della scelta razionale, ed evitare che scelte scolastiche “di successo” di particolari gruppi rimangano “invisibili” a causa di modelli teorici eccessivamente deterministici (Moore, 2007, in Fischer, 2009). Nel sistema scolastico italiano la scelta dell’indirizzo di studio secondario di II grado è prevista relativamente tardi, all’età di 14 anni, ed è reversibile, dal momento che è possibile cambiare tipo di insegnamento o indirizzo durante gli studi superiori. Tuttavia la filiera scolastica frequentata (istituti professionali, istituti tecnici o licei) condiziona la propensione a continuare gli studi all’università e anche i ritorni occupazionali. I processi di orientamento e ri-orientamento degli studenti con background di immigrazione, inoltre, diversi, borse di studio e sussidi dovrebbero favorire la mobilità internazionale studentesca. Per l’istruzione terziaria dunque il problema prioritario non sembra tanto il regolamento sulle iscrizioni degli stranieri, malgrado esistano rigidità e rischi discriminatori connessi alle procedure di concessione dei permessi di soggiorno per motivi di studio, severe e intricate, all’iter di riconoscimento delle qualifiche educative conseguite all’estero, finora macchinoso e ampiamente discrezionale, alla scelta di alcune Università di aumentare le tasse universitarie per gli stranieri (su quest’ultimo punto ha scritto Biondi dal Monte, 2011). Il problema piuttosto sembra la bassa attrattività degli atenei italiani per chi viene dall’estero. Dal momento che i protagonisti di questa ricerca hanno frequentato la secondaria superiore in Italia, tuttavia, le loro traiettorie non sembrano particolarmente influenzate da questo insieme di questioni, per cui il capitolo si concentra sul sistema scolastico. 53 vanno letti nell’ambito dei cambiamenti più generali dei sistemi scolastici nazionali (universalizzazione della scolarizzazione secondaria46, politiche di “quasi mercato” dell’istruzione, privatizzazione e decentramento, riforma della scuola secondaria di secondo grado) che determinerebbero una maggiore importanza delle scelte dei genitori rispetto a abilità e sforzi degli studenti (Brown, 1997, in Cobalti, 2007). 2.1.4. Le traiettorie di migrazione e inserimento sociale: la famiglia come unità d’analisi In un recente lavoro condotto in Spagna da Portes e colleghi è emerso che gli obiettivi dei genitori, insieme alle competenze linguistiche in L2, il genere e il ritardo scolastico, sono le principali determinanti delle aspirazioni educative dei giovani migranti (Portes et al., 2011). Per comprendere questo tipo di influenze intergenerazionali, nella nostra ricerca la famiglia sarà intesa come attore sociale complesso e differenziato al suo interno. In particolare si guarderà alle differenze in base al genere, alla generazione, alle aspettative e al coinvolgimento nel progetto migratorio e di inserimento sociale e lavorativo nel contesto di arrivo. Nella migrazione genitori e figli possono avere esperienze e competenze diverse rispetto all’inserimento nel paese di destinazione. Si analizzerà se esistono per questa ragione differenze di aspettative rispetto alle ambizioni scolastiche dei figli e come avviene la mediazione tra familiari nell’individuare il percorso scolastico da seguire. In particolare si controllerà se le traiettorie migratorie, educative e famigliari sono percepite dagli studenti come coerenti e condivise, e la presenza di eventuali scarti o contraddizioni. Si indagherà inoltre il ruolo dei genitori nel sostegno scolastico, la struttura delle convivenze familiari come fattore condizionante le scelte scolastiche (ad esempio per effetto di famiglie “spezzate” o iter di ricomposizione familiare complessi), l’eventuale importanza di relazioni parentali extra convivenza familiare. Nella migrazione la famiglia può diventare nucleare e isolata: si cercherà di cogliere se i processi di creazione di nuovi legami con vicini o conoscenti possono essere rilevanti nella costruzione di preferenze e progetti di inserimento scolastico e occupazionale dei figli. La parentela potrebbe da un lato contribuire alla riproduzione delle disuguaglianze, veicolando determinate aspettative e risorse culturali e informative, oppure contribuendo alla rielaborazione cognitiva e emotiva della “normalità” di alcuni percorsi piuttosto che altri, per esempio per 46 Per Esteve (2003) la “terza rivoluzione educativa” comprende i seguenti ulteriori elementi di mutamento: scuola secondaria obbligatoria; espansione dell’istruzione terziaria; importanza dell’educazione prescolare; superamento della pedagogia dell’esclusione; educazione come diritto e non privilegio; società della conoscenza. 54 l’accettazione di iscrivere un figlio con rendimento scolastico alto nell’istruzione o formazione professionale. Dall’altro lato potrebbe esistere un uso strategico della parentela (o dei legami amicali degli studenti e dei loro genitori) per favorire l’inserimento nel sistema scolastico e lavorativo dei componenti più giovani della convivenza familiare. L’investimento scolastico (e nella formazione extrascolastica) indica inoltre gli atteggiamenti e le aspettative nei confronti della dipendenza economica dei figli e degli obblighi dei genitori, è un “banco di prova della stessa efficacia sociale dei genitori, delle loro capacità e disponibilità a investire effettivamente nei figli, e a offrire loro le chances migliori” (Saraceno e Naldini, 2007, p. 153). Le transizioni scolastiche, la prima, dal primo al secondo ciclo di istruzione, ma soprattutto la seconda, dalla scuola all’università o al mercato del lavoro, possono dunque essere influenzate dalla definizione di “adultità” e dei suoi confini. Per questa ragione si indagheranno i tempi sociali per il passaggio all’età adulta significativi per i migranti al termine della secondaria. Le ricerche sulla condizione giovanile in Italia mostrano la diminuzione dei conflitti tra generazioni e l’allungamento dei tempi di coabitazione con i genitori, anche se quest’ultimo aspetto recentemente sembra essere più contenuto (Buzzi et al., 2007). Rispetto alle aspettative di futuro, secondo Cavalli (2007, p. 20) gli orizzonti temporali dei giovani italiani sarebbero schiacciati tra i timori della perdita di “opulenza” dei genitori, la scarsa attenzione delle politiche per scuola e università, la carenza di opportunità occupazionali e abitative, l’accumulazione del debito pubblico. Ciononostante si rileva una diffusa soddisfazione per la propria vita e fiducia nella meritocrazia, pur nella consapevolezza dell’importanza dei legami personali per trovare lavoro (Buzzi et al., 2007). In Europa, e non soltanto in Italia, i giovani si trovano a entrare in mercati del lavoro da un lato sempre più globalizzati e interconnessi, dall’altro lato segnati sempre più pesantemente da precarietà e incertezza (Blossfeld, Hofäcker e Bertolini, 2011). Guardare a “cosa accade nel mezzo” offre interessanti caveat in proposito. Siamo di fronte a un processo di de-standardizzazione dei tempi e della sequenza degli eventi di transizione alla vita adulta “da ceto medio” nel capitalismo organizzato. Posticipare l’uscita (e gli altri eventi di transizione all’adultità) risulta in questo contesto una efficace strategia di tenuta della posizione di classe, gestendo l’incertezza attraverso l’impiego delle risorse precedentemente accumulate dalla famiglia di origine (Negri e Filandri, 2010). Le dotazioni familiari appaiono quindi importanti per cogliere le opportunità che emergono da un mercato del lavoro più flessibile, 55 caratterizzato non solo dall’impiego opportunistico dei “contratti atipici” da parte dei datori di lavoro, ma anche dall’espansione, pur contenuta rispetto ad altri paesi, della “tecnostruttura”, intesa come insieme dei lavoratori qualificati cruciali per lo sviluppo dell’economica della conoscenza. In questo paese soprattutto la classe operaia appare svantaggiata e “vulnerabile”, in seguito alle ristrutturazioni dell’inizio degli anni Duemila e ulteriormente dopo il 2008. In particolare i giovani di origine operaia sembrano faticare, maggiormente che in passato rispetto alle altre classi, nell’ottenimento delle risorse necessarie per formare nuove coppie in casa di proprietà (e non nello sconveniente mercato degli affitti) e per fronteggiare periodi di discontinuità lavorativa, in altre parole per aspettare e cogliere l’occasione professionale più coerente con le proprie qualifiche. Abbiamo visto che gli immigrati si inseriscono prevalentemente nel basso della stratificazione sociale in Italia, anche se non mancano collocazioni “nel mezzo” (Eve e Allasino, 2008). Si può ipotizzare dunque che i migranti dispongano di minori risorse relazionali e economiche a sostegno di transizioni verso tenori di vita adulta da ceto medio (legami sociali per la ricerca di un primo lavoro con possibilità di carriera, sostegno finanziario da parte dei genitori non solo per il proseguimento degli studi superiori ma anche per l’acquisto della casa, aiuto di cura per l’accudimento dei figli). Per i migranti dunque potrebbe occorrere “più tempo” (rispetto ai nativi ceteris paribus) per individuare offerte di lavoro promettenti. Viceversa proprio la collocazione in basso nella stratificazione dei primo migranti, e la conseguente ridotta capacità della famiglia di origine di accumulare ricchezza, o l’investimento di essa in paesi diversi da quello di residenza, insieme all’adozione di norme sulle transizioni all’età adulta dei paesi di origine, potrebbe orientarli a ridurre i tempi di attesa e reperire immediatamente risorse attraverso il mercato del lavoro. Svolgere la ricerca nel pieno della crisi economica potrebbe rendere più evidenti questi aspetti, dato che l’attuale congiuntura sembra avere acuito le difficoltà dei migranti e avere ampliato il divario tra questi e i nativi, a causa delle diseguali risorse dei due gruppi. Significativo in questo senso è il dato sulla flessione delle rimesse verso i paesi di origine, e quello sulla caduta dell’incidenza delle case acquistate in Italia dagli stranieri47. Oltre alle traiettorie scolastiche, si porrà attenzione all’esistenza di altri progetti o comportamenti volti a migliorare la collocazione sociale della famiglia nel paese di 47 Dopo alcuni anni di aumento, con incidenze molto elevate (13,7% nel 2004, 13,9% nel 2005, 15,5% nel 2006 e 16,7% nel 2007), la percentuale scende notevolmente a partire dal 2008 (15,1) fino ad arrivare al 12,8% nel 2009 e all’8,7% nel 2010 (Scenari immobiliari, elaborazione Caritas, 2011). 56 destinazione, in particolare la mobilità occupazionale dei genitori o (dei fratelli e sorelle adulti), i progetti di trasferirsi in altri paesi o regioni dove le opportunità di ascesa o mantenimento di status sono ritenute migliori. 2.1.5. Quattro ipotesi sulla specificità dei migranti Il processo di formazione dei percorsi e delle aspettative in istruzione e occupazione può dipendere, nel caso di giovani con genitori immigrati, dalla loro specifica posizione sociale, economica e culturale48 nella società di ricezione. Non si guarderà tanto a fattori di tipo identitario, a differenti attitudini e predisposizioni nazionali richiamati vagamente dagli approcci del “nazionalismo metodologico” (Eve, 2011; Eve e Perino, 2011). Ma piuttosto alle strategie di adeguamento al contesto e agli eventuali tentativi di modificare la situazione da parte degli attori sociali, individui e famiglie. Livelli occupazionali e retributivi medi più bassi49, eventuali pregiudizi percepiti dovuti all’origine nazionale50, processi di riunificazione familiare, status giuridico sono alcuni degli elementi che concorrono a definire la situazione in cui agiscono in modo peculiare i migranti rispetto ai nativi. In particolare la nostra ricerca cercherà di indagare come sono intesi gli investimenti in istruzione da parte dei migranti, in uno specifico contesto locale. Secondo una prima lettura, pessimistica, le famiglie migranti, come i soggetti scelti da Newman per rappresentare esempi di ceto medio in crisi (in Semi, 2006), potrebbero correre questo rischio: perseguire il raggiungimento di standard legati a principi di meritocrazia (acquisizione di titoli di studio) e scoprire che si tratta di canali di accesso al ceto medio basati su patti sociali ormai superati. Inseguire stili di vita di ceto medio basati necessariamente su stabilità occupazionale, buona salute e presenza di entrambi i coniugi nel mercato occupazionale (acquisto della casa, consumi distintivi, ad esempio vacanze e automobile, percorsi scolastici lunghi per i figli), potrebbe risultare per loro particolarmente poco prudente, in mancanza di risorse accumulate, di una rete parentale di sostegno, di un welfare generoso e protettivo. Inoltre spesso il permesso di soggiorno 48 Non consideriamo qui la cultura nel suo più ampio senso antropologico, ma il capitale culturale inteso come: 1) titolo di studio e credenziali educative, competenze, capacità e conoscenze, nonché nozioni relative al sistema di istruzione del paese di destinazione; 2) riconoscimento di status connesso a particolari comportamenti distintivi nella stratificazione sociale, ad esempio di consumo culturale, stili di vita, frequentazione di aree territoriali e abitative. 49 Ad eccezione che per i dipendenti inquadrati come quadri e dirigenti, per i quali lo scostamento di retribuzione media mensile rispetto ai cittadini Ue15 è positivo (Di Sciullo, 2011). 50 I concetti di “razza” o “etnia”, intesi come definizioni sociali e ovviamente non come attributi ontologici, sono stati impiegati come variabili ulteriori di stratificazione sociale, specie nella letteratura angloamericana, insieme al genere e alla classe (note bibliografiche si trovano in Semi, 2006; v. cap. 1). 57 del “capofamiglia” o di altri componenti della convivenza domestica è legato al mantenimento del lavoro. In questi casi quindi il venir meno di uno degli aspetti sopra citati potrebbe ri-orientare repentinamente le scelte formative verso il basso. Oppure, proprio per l’incertezza legata al permanere di tutti questi elementi, le traiettorie formative dei figli potrebbero essere già dall’inizio immaginate come brevi, per poi allungarsi al termine della scuola secondaria di II grado, in caso di buona riuscita scolastica precedente e di raggiungimento di una posizione occupazionale e sociale (anche in termini di status giuridico) “sicura” da parte dei genitori. Ma è possibile immaginare anche una seconda interpretazione, più ottimistica. Le famiglie migranti che aspirano alle posizioni di mezzo, proprio in funzione della loro specifica collocazione, potrebbero individuare strategie più flessibili di adattamento ai cambiamenti in corso, rispetto alle famiglie native. Innanzitutto, anche in ragione dell’esperienza di dequalificazione subita dalla generazione dei primo migranti, le G1.5 e G2 potrebbero porre più attenzione rispetto ai nativi nello scegliere percorsi di studio richiesti nel mercato del lavoro del paese di destinazione/residenza, mantenendo un riferimento cognitivo costante alle opportunità di inclusione socio-economica non solo locale, ma anche internazionale. Inoltre, pur avendo presumibilmente meno risorse per posizionarsi nello spazio urbano secondo criteri di distinzione rispetto ai nativi, potrebbero godere di maggiori risorse da attivare (ad esempio tramite la parentela transnazionale) per movimenti più ampi, verso altri paesi nei quali la situazione si percepisce come più favorevole per transizioni alla vita adulta che permettano ai componenti giovani della famiglia di conquistare posizioni “nel mezzo” della stratificazione sociale. Torniamo quindi al nesso tra acquisizione di piena cittadinanza sociale, speranze di mobilità sociale e “lealtà”. Rimanere in Italia, e dunque rispettare (contribuire a ridefinire) i patti sociali, per i giovani migranti che aspirano al ceto medio potrebbe essere un progetto attraente solo con la promessa di trovarvi opportunità eque di ingresso nell’adultità. Per verificare empiricamente quanto queste due letture siano plausibili, la ricerca si basa su quattro ipotesi relative alla specificità dei migranti. 1. Ipotesi degli squilibri di status. Tra i genitori migranti, più spesso che tra i nativi, può manifestarsi la non corrispondenza tra qualificazione e titoli di studio, in particolare titolo di studio e qualifica ottenuta nel paese d’origine, e collocazione sociooccupazionale in Italia, per processi di omologazione verso il basso di redditi, stili di vita, prestigio. Lo squilibrio di status potrebbe causare, a parità di collocazione sociale 58 nel paese di destinazione, un maggiore investimento in istruzione da parte dei genitori migranti, sia per il loro più elevato capitale culturale, sia per il desiderio di investire nell’istruzione dei figli per migliorarne la collocazione sociale individuale e familiare. Appartenere a famiglie transnazionali, inoltre, potrebbe favorire l’elaborazione di progetti bi-nazionali di istruzione o inserimento occupazionale (anche se nel caso delle G1.5 o G2 il trasferimento nel paese di origine dei genitori spesso non costituisce un “ritorno” ma piuttosto un’emigrazione), in funzione della percezione della minore o maggiore accessibilità relativa di posizioni “nel mezzo” della stratificazione sociale nei diversi contesti nazionali di riferimento. 2. Ipotesi dei trasferimenti verso l’alto. Le risorse economiche da investire per l’istruzione dei componenti più giovani della famiglia possono dipendere da trasferimenti finanziari intergenerazionali che seguono modelli diversi da quelli delle convivenze familiari non migranti: in particolare la natura transnazionale delle reti parentali e le esigenze dei parenti rimasti in paesi d’origine con sistemi di welfare meno ricchi che quelli di destinazione possono ridurre la disponibilità al sostegno delle seconde generazioni in favore dei componenti più anziani left-behind, anche se con la distanza le obbligazioni potrebbero ridursi, come è stato rilevato in Francia e Germania (Attias-Donfut e Wolff, 2008; Baykara-Krumme, 2008). Inoltre, mentre tra i giovani italiani è minoritaria la contribuzione al bilancio familiare (Buzzi et al., 2007), tra i migranti obbligazioni di trasferimenti verso l’alto, dai figli ai genitori, non solo legate a specifiche esigenze economiche, ma anche a definizioni dei tempi di transizione all’età adulta e delle responsabilità ad essa connesse, differenti rispetto a quelle del paese di destinazione, potrebbero orientare a un precoce inserimento professionale, o a carriere formative brevi e dunque “più sicure”, ovvero meno rischiose in termini di opportunità di riuscita. Anche se ovviamente i tempi sociali sono definiti dall’universo simbolico di riferimento, in prima istanza ipotizziamo che essi siano considerati legittimi per ragioni strutturali, piuttosto che culturali in senso ampio (Baykara-Krumme, 2008). 3. Ipotesi della non conoscenza del sistema di istruzione. Secondo questa ipotesi la conoscenza del sistema scolastico e universitario del paese di residenza da parte dei genitori migranti può essere parziale (o relativamente inferiore a quella dei non migranti a parità di altre condizioni) per difficoltà di comunicazione scuola-famiglia, informazioni incomplete nella rete migratoria o applicazioni di frame cognitivi basati su altri sistemi scolastici, ad esempio del paese di origine (naturalmente in relazione al 59 tempo di arrivo e alla generazione migratoria). Da uno studio condotto in Piemonte ad esempio emerge che la formazione professionale in alcuni paesi di provenienza dei ragazzi migranti, tra cui il Marocco, è ritenuta un’opzione di alta qualità e prestigio, concezione che non si riscontra affatto tra gli iscritti italiani (Donato et al., 2009; cfr. Cavaletto, Dagnes e Molino, 2010). Il ruolo degli insegnanti, di agenzie educative extrascolastiche o di altri adulti ritenuti “esperti”, ma anche dei figli minori, potrebbe quindi risultare più importante nelle decisioni delle famiglie migranti che in quelle dei nativi. Tuttavia nel corso della permanenza in Italia è possibile che, attraverso le interazioni con gli italiani, anche i migranti vengano socializzati a strategie distintive di classe media nella scelta scolastica. In questo senso l’acquisizione non solo di un titolo di studio, ma di un percorso scolastico in determinate scuole socialmente “distintive” può essere inteso, alla stregua di altri consumi culturali, come strumento di costruzione del sé, risorsa di status da spendere non solo per il mercato del lavoro ma anche ad esempio in quello matrimoniale (cfr. Semi, 2006). Possiamo ipotizzare che il fatto di trasferirsi in un altro contesto renda molto più difficile per i genitori migranti acquisire queste competenze relative ai tratti distintivi di classe nell’orientamento scolastico, in quando eminentemente contesto-specifiche. Ma supponiamo che, nei casi in cui i migranti siano riusciti ad acquisire tali competenze, esse risultino esplicitamente come tali. 4. Ipotesi della percezione della ricezione societale. Ipotizziamo che le rappresentazioni della posizione dei migranti nella società di destinazione possano influenzare il processo di definizione delle mete sociali realisticamente raggiungibili e di conseguenza plasmare le strategie di inserimento adottate. In particolare ipotizziamo che siano prese in considerazione la normativa sull’immigrazione e quella sul sistema scolastico, piuttosto che generici atteggiamenti di chiusura o “razzismo” espressi dai nativi nei confronti dei migranti. Cercheremo inoltre di ricostruire alcune immagini dei meccanismi di ingresso e mobilità occupazionale in Italia, in comparazione con altri paesi di riferimento per i giovani migranti (il paese di origine e altri eventuali paesi di destinazione prefigurati). La ricezione societale in questi termini è intesa sia come reazione istituzionale alla presenza dei cittadini stranieri (legislativa formale), sia come contesto socio-economico di inserimento dei giovani, sia nativi sia migranti, nel mercato del lavoro locale e internazionale (reclutamento e opportunità di carriera) e nelle interazioni quotidiane (status immigratorio). Se e come le rappresentazioni 60 della ricezione societale influiscano sui progetti e sulle aspirazioni professionali e di mobilità dei migranti sono ritenute due questioni da indagare empiricamente. 2.2. Disegno della ricerca In Italia la presenza dei migranti al termine della secondaria di II grado è recente e ancora contenuta, per questa ragione è stato scelto come caso di studio la regione Piemonte, dove l’incidenza degli studenti migranti sul totale è superiore a quella della media nazionale e relativamente consistente anche al termine della secondaria. La città di Torino risulta interessante non solo per la più diffusa presenza di studenti migranti rispetto al resto della regione, ma anche perché enti locali e associazioni hanno attivato pratiche di sostegno all’istruzione secondaria superiore specifiche per i migranti. D’altro canto la distribuzione degli studenti con cittadinanza italiana e non italiana per tipo di insegnamento in Piemonte è analoga a quella del resto della penisola per cui si può ipotizzare che i processi di scelta della scuola superiore siano simili a quelli che avvengono nel resto d’Italia (v. capitolo 3). L’indagine empirica si è svolta con un approccio multi metodo (sul tema delle “seconde generazioni” cfr. ad es. Kasinitz et al., 2008), combinando: 1) analisi della normativa e delle policies per l’inserimento degli alunni migranti a livello nazionale e locale; 2) interviste a 18 testimoni qualificati (insegnanti referenti o funzione strumentale per l’inserimento degli allievi stranieri, operatori/trici dei servizi educativi e scolastici locali, e del privato sociale); 3) consultazione descrittiva dei dati Miur e Rilevazione Scolastica della Regione Piemonte sulle presenze e gli esiti degli alunni con cittadinanza non italiana e dei risultati di una survey rivolta all’universo dei frequentanti (nativi e migranti) l’ultimo anno delle scuole medie superiori in quattro province del Piemonte realizzata all’interno del progetto Erica-WP351; 4) interviste qualitative semistrutturate rivolte a 56 studenti migranti campionati da sei scuole secondarie di II grado nella città di Torino, caratterizzate da diversi curricola e incidenza di allievi con cittadinanza non italiana; 5) interviste a 17 genitori degli studenti intervistati, provenienti da diverse aree geografiche, campionati a partire dalla scuola secondaria di secondo grado frequentata dai figli in base 51 ERICA - Enriching Regional Innovation Capabilities in the Service Economy. The institutional and Cultural Roots of Development in a knowledge-based society - WP3 Improving the supply of knowledge, educational and professional choices, Regione Piemonte - Bando Scienze Umane e Sociali, Dipartimento di Scienze Sociali dell’Università di Torino e Ires Piemonte. 61 all’eloquenza delle informazioni emerse durante il colloquio con gli studenti per gli scopi di questa ricerca (v. appendice metodologica). 2.2.1. Dati di contesto Dopo una ricognizione quantitativa della presenza e degli esiti scolastici degli allievi con cittadinanza non italiana negli istituti secondari di secondo grado in Italia, sono stati analizzati in prospettiva descrittiva i percorsi scolastici e le aspettative degli studenti nativi e migranti al termine delle secondarie in Piemonte, in modo da controllare se, a parità di collocazione occupazionale e titolo di studio dei genitori, tra le risposte al questionario dei due gruppi di studenti permangono differenze statisticamente significative. Il disegno cross-sectional ha avuto il vantaggio di fotografare le rappresentazioni degli studenti nel momento della conclusione del loro percorso scolastico; in questi casi i dati possono essere affetti dal c.d. “razionalization bias” quando i rispondenti riportano contemporaneamente aspettative e scelte, o da altri problemi che riguardano gli indecisi, per i quali il processo decisionale è ancora aperto, e i non rispondenti. In ricerche volte a verificare la portata di tale limite metodologico, tuttavia, la decisione misurata tre mesi prima la reale transizione è risultata altamente credibile (Heine e Willich, 2006 in Becker e Hecken, 2009). Per i nostri scopi la survey ha permesso di contestualizzare la ricerca qualitativa e di leggere le interviste ai migranti alla luce di quanto emerso dell’inchiesta campionaria con gli studenti italiani. 2.2.2. Analisi della normativa e interviste ai testimoni qualificati Gli aspetti inclusi in questa fase di analisi sono stati: le norme e le indicazioni ministeriali per l’inserimento degli alunni con cittadinanza non italiana nella scuola statale con riferimento alla normativa per l’ingresso e il soggiorno dei minori migranti dagli anni Ottanta ad oggi; le iniziative di formazione interculturale degli insegnanti; il sostegno all’apprendimento e l’orientamento alla scelta della scuola secondaria di II grado rivolte alle famiglie migranti in Piemonte e nel capoluogo di Regione; i recenti mutamenti del sistema scolastico secondario di secondo grado particolarmente rilevanti per i migranti. Le fonti impiegate sono state i documenti ufficiali (norme, indicazioni procedurali, rapporti istituzionali), integrate con interviste semistrutturate rivolte a testimoni qualificati. Le interviste hanno permesso di cogliere la dimensione applicativa delle norme e alcune differenze di implementazione a livello locale e di istituto scolastico. Inoltre hanno contribuito a caratterizzare i migranti che giungono al termine della scuola 62 secondaria di II grado rispetto a quelli che abbandonano e ai non migranti con elementi qualitativi che attualmente sfuggono alle statistiche istituzionali. Questa prima parte del lavoro, approfondita nel corso della ricerca, ha contribuito a specificare la traccia di intervista per gli studenti e i genitori. 2.2.3. Interviste con studenti e genitori migranti L’analisi qualitativa dei processi decisionali è indispensabile per indagare i meccanismi di formazione delle preferenze e delle aspettative di genitori e figli, gli elementi considerati e i soggetti coinvolti nella definizione delle strategie educative e di mobilità sociale, l’integrazione di processi di scelta orientati al futuro e quelli pragmatici rivolti al passato, l’eventuale calcolo costi-benefici e la dimensione simbolico-normativa. In sintesi: per ricostruire il processo di costruzione delle “buone ragioni” delle scelte secondo la rappresentazione degli attori. Per fare emergere questi aspetti l’intervista semistrutturata si rivela uno strumento di costruzione della documentazione empirica molto appropriato. Il campionamento è stato effettuato a partire da sei istituti di secondo grado nella città di Torino, individuati in base ai dati istituzionali e alle informazioni emerse dalle interviste ai testimoni qualificati per il tipo di insegnamento (due licei, due istituti tecnici, due istituti professionali); l’incidenza degli iscritti stranieri (per ogni tipo di insegnamento, la scuola con la maggiore incidenza di alunni stranieri sul totale e, per costituire un piccolo gruppo di controllo, quella con l’incidenza minore con almeno cinque alunni migranti nelle classi quinte); l’offerta formativa specifica per i migranti (secondo le indicazioni dei testimoni qualificati, le tre scuole per tipo di insegnamento con offerta formativa specifica). Il campione è stato ridefinito in base al genere, non sono stati necessari aggiustamenti per paese di provenienza. Riflessioni sulla dinamica di successione e sovrapposizione nel tempo di due diverse “seconde generazioni” di immigrati in Piemonte, quella degli anni ’60 dal meridione italiano e quella attuale dall’estero, e sull’inserimento sociale dei giovani migranti una volta usciti della istruzione-formazione, sono emerse dal progetto Secondgen52, al quale ho avuto l’opportunità di prendere parte, favorendo l’inquadramento delle specificità dei migranti dall’estero oggi in merito ai percorsi in istruzione in relazione ai successivi eventi di transizioni alla vita adulta. 52 SECONDGEN – Second generation: migration processes and mechanisms of integration among foreigners and italians (1950-2010), Regione Piemonte - Bando Scienze Umane e Sociali, Università del Piemonte Orientale – Dipartimento di Scienze Sociali e Dipartimento di Storia e Scienze Politiche dell’Università di Torino, Fieri e Gruppo Abele. 63 3. Gli studenti migranti nel sistema scolastico italiano e in Piemonte 3.1.Gli Gli alunni con cittadinanza non italiana 3.1.1. Un rapido cambiamento Secondo i dati Miur gli alunni con cittadinanza non italiana (cni)53 erano 711.046 nel 2010/11. Si tratta di una cifra piccola, se paragonata alla situazione nordeuropea54. Ma in questi paesi gli studenti migranti sono aumentati gradualmente nel secolo scorso, mentre nella penisola in un decennio sono passati dallo 0,8% del 1997/98 al 7,9% del totale nel 2010/11 (v. figura 3.1). Fig. 3.1 – Alunni con cittadinanza non italiana, 1983-2011 1983 2011 (v.a. e %). 800.000 700.000 600.000 500.000 400.000 300.000 200.000 100.000 1983/84 1984/85 1985/86 1986/87 1987/88 1988/89 1989/90 1990/91 1991/92 1992/93 1993/94 1994/95 1995/96 1996/97 1997/98 1998/99 1999/00 2000/01 2001/02 2002/03 2003/04 2004/05 2005/06 2006/07 2007/08 2008/09 2009/10 2010/11 0 Fonte:: elaborazione da Dutto (2000) e www.istruzione.it. Negli anni il tasso di crescita ha subito un rallentamento: si è scesi da un incremento medio pari al +16% nel 2007/8 al +10% nel 2008/09 fino al +7% nel 2009/10. Per il Miur (2009b) la diminuzione della crescita è legata all’impatto della crisi economica sui flussi migratori: all’aumento consistente del numero dei nati in Italia corrisponde una 53 I dati non comprendono quelli relativi ai CTP, includono invece gli iscritti ai corsi serali di scuola secondaria di II grado. Per “stranieri” si intendono tutti gli alunni con la cittadinanza non italiana. 54 Paesi diversi hannoo diverse norme di naturalizzazione e procedure di rilevazione del dato sull’origine straniera degli alunni. Un’informazione raccolta in modo standardizzato sul luogo di nascita dei genitori e degli studenti iscritti alle secondarie di II grado è quella relativa relativa al campione dei quindicenni coinvolti nell’indagine Pisa (2009). Da questo dato emerge che l’incidenza degli studenti con background di immigrazione di prima e soprattutto di seconda generazione in Italia è ancora contenuta rispetto alla media OECD (www.oecd.org). 64 contrazione dei nuovi ingressi. Il processo di stabilizzazione delle presenze in corso in effetti è evidente guardando al crescente numero degli studenti con cittadinanza non italiana (cni) nati in Italia. Nel 2010/11 raggiungono il 9% degli alunni con cni alle secondarie di II grado, salgono al 23,8% secondarie di II grado, superano la metà del totale (52,9%) nelle primarie e arrivano al 78,3% nelle scuole del’infanzia. Lo stesso anno solo il 3,8% dei cittadini stranieri iscritti alle superiori era arrivato nell’anno scolastico in corso (contro il 6,9% dell’anno precedente), il 5,5% alla scuola secondaria di I grado e il 5,4% alla primaria (contro rispettivamente l’11,3 e il 15,5% del 2008/09) (Miur e Ismu, 2011). Le percentuali di stranieri sul totale sono diverse per ordine di scuola, con una presenza minore nelle scuole superiori, e da anni più consistente alla primaria, seguita da secondaria di primo grado e scuola dell’infanzia; anche se assistiamo a un aumento del numero assoluto di iscritti con cittadinanza non italiana anche alle secondarie di II grado, nel 2009/10 essi rappresentano il 5,8% della popolazione scolastica totale, contro il 9% alla primaria e quasi il 9% nei restanti tipi di scuola (figura 3.2). Fig. 3.2 – Numero degli alunni stranieri e incidenza sul totale degli alunni per ordine e grado di istruzione, 2001-2011 (v.a. e %). 3.000 3% 2.500 2,5% 9% 2.000 1.500 2,5% 8,8% 1,1% 1.000 8,6% 500 5,8% 0 01/02 02/03 03/04 04/05 05/06 06/07 07/08 08/09 09/10 10/11 dell'infanzia primaria secondaria di I grado secondaria di II grado Fonte: elaborazione da www.istruzione.it. Alle secondarie di II grado l’incidenza dei cittadini stranieri sul totale degli studenti è cresciuta più lentamente che negli altri ordini di scuola, anche se nel 2010/11 il 21,6% degli alunni con cni in Italia era iscritto in quell’ordine di scuola (contro il 10,4% nel 1998/99). L’inserimento a scuola degli studenti migranti in Italia, dunque, solo recentemente sta interessando il secondo ciclo di istruzione. 65 Per i nostri scopi è importante considerare il grosso divario che si è manifestato da subito per numero di iscritti con cni tra tipi di scuole superiori, in particolare tra gli istituti professionali, nei quali l’incidenza media degli studenti cittadini stranieri sul totale supera l’11%, e i licei, dove essa si attesta intorno al 2,5% (v. tabella 3.1). Tab. 3.1 – Distribuzione degli alunni con cittadinanza non italiana e degli alunni totali per scuola statale e non statale, incidenza alunni stranieri, a.s. 2010/11 (% di colonna). Alunni con cni Tipo di insegnamento Alunni italiani v.a. incidenza alunni con cni sul totale alunni Istruzione artistica 4.418 4,6 % sul totale con cni 2,9 Istituti professionali 62.089 11,4 40,4 19,2 Istituti tecnici 58.340 6,5 38 33,2 Licei 28.675 2,5 18,7 43,9 Totale 153.522 5,8 Fonte: Miur e Ismu (2011). 100 100 % sul totale italiani 3,6 Mentre per gli allievi nativi è evidente la propensione ad iscriversi ai licei, i migranti si concentrano maggiormente negli istituti tecnico-professionali, dove, in corrispondenza con il processo di liceizzazione che caratterizza la popolazione scolastica italiana, i tassi di bocciatura e dispersione scolastica sono mediamente più elevati. Questa distribuzione tuttavia va letta secondo una prospettiva di genere. Sono soprattutto le femmine, migranti e non migranti, a scegliere il liceo55. In questo tipo di insegnamento, inoltre, i nati in Italia sono circa il 12%, mentre nell’istruzione tecnica il 9,6% e in quella professionale il 6,8% (Miur e Ismu, 2011). Malgrado l’incidenza degli studenti con cni sulla popolazione scolastica dell’istruzione secondaria superiore è ancora contenuta nelle classi quinte, i diplomati con background di immigrazione sono sempre di più. Nel 2009/10 hanno ottenuto il diploma 14.318 giovani cittadini stranieri, il 3,2% di tutti i diplomati. Per il 40% sono riusciti a conseguire il titolo di studio presso istituti tecnici, molti di più che ai professionali (30,1%) e ai licei (26,3%). Considerando il genere emerge tuttavia un altro dato interessante: tra le femmine, prevalgono le diplomate al liceo rispetto a quelle dei professionali (32,3% vs 28,3%). Le ragazze sono la spia più evidente di un processo di liceizzazione che forse inizierà a 55 In totale i ragazzi alla secondaria di II grado con cni nel 2010/11 sono 75.711 (49,7%) e le ragazze 76.659 (50,3%). La percentuale delle femmine sul totale degli studenti cittadini stranieri sale al 70,3% nei licei e al 66,7% nell’istruzione artistica. 66 coinvolgere anche i migranti. Nel 2005/06 infatti i diplomati con cni al liceo erano solo un quinto del corrispondente totale (Miur e Ismu, 2011). 3.1.2. Eterogeneità di provenienze, distribuzione territoriale e scolastica Un altro dato di contesto utile per studiare i processi di inserimento nel caso italiano riguarda la varietà delle cittadinanze presenti: gli alunni stranieri in Italia provengono da più di 180 paesi diversi (Commissione Cultura, 2011), anche se negli ultimi anni la loro distribuzione si sta concentrando maggiormente intorno alle prime provenienze. La nazionalità più rappresentata, considerando insieme le scuole di ogni ordine e grado, da cinque anni è romena, a cui segue quella albanese, che era stata prevalente dal 2000 al 2006, e marocchina, la prima cittadinanza per numero di iscritti dall’inizio dagli anni Novanta al 2000. Moldavia e India sono le provenienze recentemente più aumentate, anche in ragione dei flussi migratori da quei paesi all’Italia. Anche se le presenze dei migranti a scuola sono legate all’andamento dei flussi di mobilità degli adulti, come abbiamo detto a proposito degli effetti della crisi economica, esse tuttavia seguono anche dinamiche diverse, soprattutto per quanto riguarda la scuola secondaria. La Moldavia, insieme all’Ucraina, sono i paesi di origine più frequenti alla secondaria di II grado (v. tabella 3.2). Tab. 3.2 - Alunni con cittadinanza non italiana per principali cittadinanze e ordine di scuola, a.s. 2010/11 (v.a. e % di riga). Infanzia Primaria v.a. Sec. I grado Sec. II grado Totale % v.a. % v.a. % v.a. % v.a. % Romania 26.411 20,9 47.084 37,2 28.128 22,2 24.829 19,6 126.452 100 Albania 21.964 22,1 34.779 35,1 20.149 20,3 22.313 22,5 99.205 100 Marocco 22.419 24,2 36.472 39,4 20.038 21,7 13.613 14,7 92.542 100 Cina 5.873 18 11.905 36,4 8.784 26,9 6.129 18,7 32.691 100 Moldavia 2.678 13 5.408 26,3 5.095 24,8 7.399 36 20.580 100 India 4.494 21,9 7.447 36,3 4.731 23 3.864 18,8 20.536 100 Filippine 3.569 18,1 7.506 38 4.498 22,8 4.193 21,2 19.766 100 Ecuador 3.180 16,3 5.470 28 4.816 24,7 6.071 31,1 19.537 100 Tunisia 4.681 25,5 7.426 40,5 3.757 20,5 2.469 13,5 18.333 100 Ucraina 2.044 11,7 3.923 22,5 4.553 26,2 6.888 39,6 17.408 100 Totale 144.628 20,3 254.644 35,8 158.261 22,3 153.513 Fonte: Miur e Ismu (2011). 21,6 711.046 100 La distribuzione delle provenienze varia non solo tra ordini di scuole, ma anche tra tipi di insegnamento all’interno dello stesso grado scolastico. Negli istituti professionali si 67 concentrano prevalentemente i marocchini (li frequenta il 55,6% del totale), gli indiani (49,9%) e ecuadoregni (49%), nei tecnici invece gli studenti cittadini di Moldova (46,3%), Perù (43%), Romania (43,2%), Ucraina (41%) e Cina (40,6%). Ai licei anche se mediamente è ridotta la presenza relativa degli studenti con cni, sono iscritti il 22,7% dei rumeni, il 22,5% degli ucraini e il 21,1% degli albanesi. All’interno di alcune provenienze le femmine sono sovra rappresentate rispetto ai maschi: alla superiori, guardando ai gruppi più presenti, tra i moldavi, gli ucraini, i romeni, i brasiliani, i polacchi, i filippini e gli ecuadoregni (Miur e Ismu, 2011). Tab. 3.3 –Alunni con cittadinanza non italiana sulla popolazione scolastica per regione e ordine di scuola, a.s. 2010/11 (v.a. e % sul totale degli alunni). Infanzia Primaria Sec. II grado Totale v.a. % v.a. % 12,5 14.156 8,7 68.070 11,6 309 8,6 5,2 1.459 8,1 38.261 14.882 13,1 24.244 12,8 14.788 Valle d'Aosta 363 10 9 Lombardia 37.835 523 % Sec.I grado % Piemonte v.a. v.a. v.a. % 264 13,7 64.037 14 13,7 32.918 9 173.051 12,5 Trentino A.A. 3.790 11,7 5.524 10,1 3.459 10 6,7 15.591 9,5 Veneto 18.485 13,3 31.416 13,6 19.022 13,3 15.991 8,1 84.914 11,9 Friuli V.G. 3.753 11,9 5.746 11,2 3.721 11,9 4.053 8,7 17.273 10,8 Liguria 3.951 10,6 6.800 11 12,2 5.520 9,4 21.069 10,7 Emilia R. 15.638 13,7 29.165 15,2 18.013 15,7 19.818 11,7 82.634 14 Toscana 10.935 11,5 19.820 12,6 12.516 13 13.162 9 56.433 11,4 Umbria 3.389 14 5.616 14,8 3.562 15 3.715 10,2 16.282 13,3 Marche 5.347 12,7 8.810 12,9 5.588 12,9 6.282 9 26.027 11,7 Lazio 12.031 8 23.722 9,1 15.471 9,5 16.252 6,5 67.476 8,2 Abruzzo 2.479 6,8 4.226 7,4 2.780 7,5 2.665 4,4 12.150 6,3 Molise 218 2,8 479 3,6 314 3,4 332 2,1 1.343 2,9 4.798 2.818 Campania 2.733 1,4 6.010 1,8 3.983 1,9 4.459 1,3 17.185 1,6 Puglia 2.410 2 5.142 2,5 3.035 2,2 3.230 1,5 13.817 2 Basilicata 327 2,1 702 2,6 426 2,4 420 1,3 1.875 2 Calabria 1.884 3,1 3.590 3,7 2.463 3,9 2.432 2,3 10.369 3,2 Sicilia 3.448 2,3 7.573 2,9 4.717 2,7 4.029 1,5 19.767 2,3 Sardegna 730 1,7 1.499 2,2 1.035 2,3 997 1,3 4.261 1,8 Italia 144.628 8,6 711.046 7,9 254.644 9 158.261 8,8 Fonte: Miur e Ismu, 2011 153.513 5,8 Soprattutto per quanto riguarda la scuola secondaria di II grado, inoltre l’incidenza degli allievi con cni sulla popolazione scolastica è ancora molto più consistente nel Settentrione, minore nell’Italia centrale e più contenuto nel Mezzogiorno. Mentre in Piemonte l’inserimento degli allievi migranti alle superiori è numericamente consistente, nelle isole si tratta ancora di un fenomeno residuale (tabella 3.3), specialmente per quanto 68 riguarda gli ultimi anni dei percorsi di studi liceali (Miur, 2009a). Per questa ragione il Piemonte può essere considerato un caso interessante per studiare i primi effetti dell’aumento dei migranti alle secondarie di II grado. 3.1.3. Scuole statali e non statali Un ultimo dato sulla presenza degli alunni con cni in Italia da considerare per questa ricerca riguarda la loro incidenza nelle scuole private. Dai dati Miur emerge che gli studenti stranieri tendono a frequentare le scuole non statali meno spesso che i cittadini italiani, in tutti gli ordini di scuola (tabella 3.4). Tab. 3.4 – Distribuzione degli alunni con cittadinanza non italiana e degli alunni totali per scuola statale e non statale (% di riga) e incidenza degli alunni stranieri sul totale, a.s. 2007/08. Alunni stranieri Infanzia Primaria Sec. I grado Sec. II grado Sc. statale 61,9 95,7 97,9 96 Alunni totali Sc. non Sc. Sc. non statale Statale statale 38,1 58,1 41,9 4,3 91 9 2,1 94,9 5,1 4 93 7 Fonte: elaborazione da Miur (2009a). Incidenza alunni stranieri sul totale Sc. Sc. non statale statale 7,2 6,1 8,1 3,7 7,6 3 4,5 2,5 I dati sulla concentrazione dei cittadini stranieri in alcune scuole o classi scolastiche andrebbero letti anche in relazione alla variabile sulla gestione pubblica o privata dell’istituzione scolastica, ma non sono disponibili in questa forma. Inoltre non si può verificare solo attraverso il numero degli iscritti se le differenze di composizione dell’utenza sono dovute a strategie di selezione informale dei nuovi iscritti da parte delle scuole private per prevenire fenomeni di white flight o conservare determinate immagini dell’istituzione scolastica, all’effetto delle rette scolastiche delle scuole private nello scoraggiare i meno abbienti, sovra rappresentati tra i migranti, oppure ad altre ragioni ad esempio legate ad aspettative in merito all’offerta formativa. Rispetto alla differenza di performance tra scuola pubblica e privata, va ricordato che in Italia, a differenza che nella media OECD, gli studenti delle scuole private ottengono performance peggiori rispetto a quelli della scuola pubblica secondo Pisa 2009 (OECD, 2011), per cui la minore concentrazione dei migranti nella scuola non statale non può essere considerata, in Italia, una delle forme in cui le disuguaglianze nelle risorse economiche familiari agiscono sui risultati conseguibili in istruzione. Anche se alla scuola dell’infanzia quasi quattro studenti con cittadinanza non italiana su dieci optano per il privato, forse anche per la 69 necessità dei genitori di trovare un centro di custodia a pagamento per i figli, non trovando posto nelle strutture pubbliche, per quanto riguarda le secondarie di II grado la loro iscrizione alle scuole non statali è molto contenuta. Per questa ragione nella ricerca empirica ci concentreremo sulla scuola pubblica. 3.1.4. Esiti scolastici diseguali Come accennato nel primo capitolo, i tassi di promozione degli alunni di origine immigrata risultano significativamente inferiori rispetto a quelli dei nati da genitori italiani. L’asimmetria è particolarmente evidente nella secondaria di II grado: l’andamento delle promozioni segue quello per gli italiani, con tassi più elevati per tutti ai licei e più bassi agli istituti professionali, dove il divario per provenienza è minore ma sono promossi solo 6,6 stranieri su 10 (tabella 3.5). Tab. 3.5 – Tassi di promozione (promossi su 100 scrutinati) per cittadinanza, ordine di scuola e tipo di insegnamento, a.s. 2009/10; differenza alunni con cni e italiani, a.s. 2002/03. Alunni con Alunni Differenza Differenza cni (a) italiani (b) (a-b) 2002/03 96,5 99,8 -3,3 -4,4 Primaria 87,8 96 -8,2 -8,6 Secondaria di I grado 70,6 85,9 -15,3 -13,3 Secondaria di II grado di cui: Licei 80,1 92,2 -12,1 Istituti tecnici 70,1 82,4 -12,3 Istituti professionali 65,8 75,4 -9,6 Istruzione artistica 71,5 83,4 -11,9 Nota: la tabella non include il dato sugli alunni del quinto anno di scuola secondaria di II grado scrutinati e ammessi all’esame di Stato. Hanno ottenuto il diploma sul totale degli esaminati il 95,4% degli studenti con cni e il 98,2% degli italiani. Fonte: elaborazione da Miur e Ismu (2011). Anche se gli stranieri nati in Italia conseguono votazioni ed esiti migliori rispetto alle G1.5 (Miur, 2009), nelle secondarie di II grado le asimmetrie tra italiani e non italiani rimangono evidenti, e i tassi di ripetenza degli iscritti stranieri sono particolarmente elevanti nel primo biennio delle scuole superiori: ripetono l’anno il 13,5% degli iscritti stranieri in prima (italiani 10%); l’11,6% in seconda (8,6%); il 10,2% in terza (italiani 8,2%); l’8,2% in quarta (6,5%); il 5,5% in quinta (italiani 3,5%) (Miur e Ismu, 2011). L’asimmetria in base alla cittadinanza tra i tassi di promozione/bocciatura tuttavia non è così forte come quella tra i tassi di ritardo, nonostante la loro recente lieve diminuzione (tabella 3.6). 70 Tab. 3.6 – Alunni in ritardo su 100 per cittadinanza e livello scolastico, a.s. 2010/11 e differenza tra alunni con cni e italiani a.s. 2007/08. Primaria Sec. I grado Sec. II grado Alunni con cni Alunni italiani Differenza (a) (b) (a-b) 18,2 2 +16 47,9 8,5 +39,4 70,6 25,14 +45,46 Fonte: elaborazione da www.istruzione.it. Differenza (2007/08) +19,3 +44,9 +47,4 Il fatto che questa asimmetria sia così elevata suggerisce che il ritardo degli studenti con cittadinanza non italiana, elevatissimo alle superiori, sia dovuto a processi non strettamente connessi con le difficoltà di riuscita. Nel prossimo capitolo analizzeremo il contesto normativo e l’implementazione delle politiche nel caso piemontese per cogliere questi processi. Proseguiamo quindi la lettura dei dati istituzionali sulle presenze degli allievi con cittadinanza non italiana in Piemonte. 3.2.Il caso del Piemonte 3.2.1. L’aumento delle presenze La percentuale degli stranieri sul totale allievi in Piemonte è sopra la media nazionale, anche se con differenze provinciali (figura 3.3). Fig. 3.3 – Percentuale di alunni con cittadinanza non italiana sul totale, Piemonte e resto d’Italia per area geografica, a.s. 2009/10. Fonte: Rilevazione Scolastica della Regione Piemonte, elaborazione Ires. Le presenze sono aumentate numericamente soprattutto alla primaria, ma anche negli altri ordini e gradi di istruzione, come mostra la figura 3.4. 71 Fig. 3.4 – Numero di stranieri iscritti nelle scuole piemontesi per tipo di scuola dall’a.s. 1998/99 al 2009/10. Fonte:: elaborazione da Rilevazione Scolastica della Regione Piemonte e Ires. Nel 2009/10 gli stranieri nati in Italia raggiungono il 77% nelle scuole dell’infanzia del Piemonte e il 52% nelle primarie, mentre rimangono ancora il 19,6% alle secondarie di I grado e solo il 7,2% alle secondarie di II grado (Rilevazione Scolastica della dell Regione Piemonte e Ires). Ciò vuol dire che l’aumento degli iscritti con cni nel primo ciclo di istruzione è sempre più dovuto ai nati in Italia, mentre i processi istituzionali che plasmano le traiettorie scolastiche degli allievi stranieri in parte scolarizzati scolarizzati all’estero riguardano soprattutto gli studenti del secondo ciclo di istruzione. Tab. 3.7 - Studenti stranieri in Piemonte per livello di scuola (v.a., % e % di variazione dall’anno scolastico precedente), a.s. 2005/6, 2008/9 e 2009/10, e incidenza incidenza dei cittadini stranieri sul totale dei residenti per le fasce di età corrispondenti ai livelli scolastici (3-5, (3 6-10, 11-13 13 e 14-18 14 anni) al 01/01/2010. Allievi stranieri % str/tot. 2005/06 2008/09 2009/10 % sul var. a.s. Allievi % sul var. a.s. Allievi % sul var. a.s. residenti 01.01.10 tot. 04/05 stranieri tot. 07/08 stranieri tot. 08/09 Infanzia 8.848 8,1 +20,1 12.720 11,4 +13,8 Primaria 16.586 9,1 +14,7 22.518 12 Sec. I grado 9.581 8,6 +21,8 13.503 11,7 Sec. II grado 7.900 4,9 +28,7 11.980 7,3 Totale 13.954 12,3 +9,7 14,5 +5,3 23.364 12,4 +3,8 11,4 +11,9 14.281 12,2 +5,8 10,4 +9,8 13.129 8 +9,6 10,1 42.915 7,6 +19,8 60.721 10,5 +9,3 64.728 11,1 +6,6 Fonte:: elaborazione da Rilevazione Scolastica della Regione Piemonte, Ires e Istat. Anche in Piemonte, come nel resto d’Italia, l’incidenza degli studenti stranieri sul totale è più consistente nel primo ciclo di istruzione, il quale, come vedremo, è il più attivo nella progettazione interculturale. Tuttavia in Piemonte raggiunge valori elevati anche nella secondaria di II grado (tabella 3.7). Come si vede dall’ultima colonna della tabella t 3.7, il 72 rapporto tra stranieri e residenti sul territorio è inferiore rispetto a quello tra studenti con cni e totale degli studenti nelle fasce di età corrispondenti alle secondarie di II grado. Il tasso di scolarizzazione per gli stranieri al livello secondario di II grado, infatti, nell’anno che possiamo considerare per semplificare quello di inizio della crisi economica, è notevolmente inferiore a quello degli italiani, mentre è altissimo alla secondaria di I grado, forse a causa dei ritardi scolastici degli stranieri o dei ri-orientamenti ai CTP (figura 3.5). Fig. 3.5 - Tasso lordo di scolarizzazione per livello di scuola e cittadinanza italiana e straniera, a.s. 2008/09. 130 120 110 100 90 80 70 60 50 127,5 109,8 99,8 97,9 105,9 99,2 100,4 103,5 90,4 88,3 84,9 67,9 Infanzia Allievi con cittadinanza straniera Primaria I grado Allievi con cittadinanza italiana II grado Tutti gli allievi Nota: il tasso di scolarizzazione è il rapporto percentuale tra gli iscritti e i residenti in età per frequentare; può assumere valori superiori a 100 per la presenza di ripetenze, anticipi di frequenza o studenti residenti in altre regioni, inoltre alcuni iscritti stranieri potrebbero essere in condizioni di irregolarità rispetto al soggiorno e quindi non risultare tra i residenti. Fonte: Rilevazione Scolastica della Regione Piemonte - Ires. Per effetto della congiuntura e del conseguente cambiamento dei flussi immigratori in Piemonte, inoltre, nel passaggio dal 2007/08 al 2008/09 il tasso di scolarizzazione nella scuola secondaria di II grado era diminuito sia per gli italiani che per gli stranieri, e soprattutto per le straniere. Nel 2009/10 comunque, pur mantenendo questa differenza di genere, il tasso di scolarizzazione degli stranieri è salito di circa due punti percentuali rispetto all’anno precedente, mentre quello degli italiani è rimasto sostanzialmente invariato (Rilevazione scolastica regionale e Istat). Questa differenza tuttavia potrebbe essere imputata non tanto a un aumento della scolarità dei giovani migranti, ma piuttosto, come emerso dalle interviste ai testimoni qualificati, alla loro diminuzione sul territorio di riferimento per il rientro nei paesi di destinazione. 73 3.2.2. Promossi, respinti e ripetenti Considerare il maggiore rischio di abbandono scolastico degli studenti migranti rispetto ai nativi è essenziale per leggere il seguente dato: il divario tra alunni con o senza cittadinanza italiana nelle proporzioni di ripetenti sul totale sembra restringersi alla secondaria di II grado (tabella 3.8). Forse perché più rigida anche verso gli alunni italiani, ma più probabilmente perché frequentata da studenti stranieri precedentemente “selezionati” dal sistema scolastico (o da altri processi sociali). Come mostra la tabella 3.8, i dati sul Piemonte seguono l’andamento dei divari di riuscita tra studenti italiani e non italiani registrati in Italia. Tab. 3.8 – Alunni ripetenti per provenienza, ordine e grado di istruzione, Piemonte e Italia, a.s. 2007/08. Alunni ripetenti Alunni ripetenti italiani stranieri per 100 alunni per 100 alunni frequentanti stranieri frequentanti italiani Primaria 155 0,7 0,2 Sec. di I grado 782 6,5 3,1 Sec. di II grado 838 7,7 6,4 Totale Piemonte 1.775 4 3,2 TOTALE ITALIA 21.021 4,5a 3,4b Note: (a) media italiana ripetenti con cni: primaria 0,9; secondaria di I grado 6,3; secondaria di II grado 9,3; (b) media italiana ripetenti italiani: primaria 0,2; secondaria di I grado 2,7; secondaria di II grado 6,9. Fonte: Miur (2009a). Numero alunni ripetenti stranieri Tab. 3.9 - Studenti stranieri: risultati di scrutini ed esami, scuola secondaria di II grado, a.s. 2007/08. M I II III IV V Totale F I II III IV V Totale Tot. I II III IV V Totale Scrutinati / Esaminati 1.666 1.060 947 599 379 4.651 1.754 1.350 1.071 771 617 5.563 3.420 2.410 2.018 1.370 996 10.214 Promossi 631 470 548 267 366 2.282 809 730 686 483 587 3.295 1.440 1.200 1.234 750 953 5.577 Giudizio sospeso 450 349 173 226 0 1.198 483 398 206 213 0 1.300 933 747 379 439 0 2.498 Respinti % promossi % respinti 585 241 226 106 13 1.171 462 222 179 75 30 968 1.047 463 405 181 43 2.139 37,9 44,3 57,9 44,6 96,6 49,1 46,1 54,1 64,1 62,6 95,1 59,2 42,1 49,8 61,1 54,7 95,7 54,6 35,1 22,7 23,9 17,7 3,4 25,2 26,3 16,4 16,7 9,7 4,9 17,4 30,6 19,2 20,1 13,2 4,3 20,9 % Giudizio sospeso 27,0 32,9 18,3 37,7 0,0 25,8 27,5 29,5 19,2 27,6 0,0 23,4 27,3 31,0 18,8 32,0 0,0 24,5 Fonte: Rilevazione Scolastica della Regione Piemonte - Ires. La selezione per gli allievi con cittadinanza non italiana è dunque molto dura nei primi anni di scuola superiore (è promosso solo il 37,9% degli studenti stranieri maschi e il 74 46,1% delle femmine nelle classi I, contro il 95,7% degli iscritti all'ultimo anno), come mostra la tabella 3.9. La percentuale di respinti sul totale degli allievi cittadini stranieri, e il divario con il dato relativo agli italiani, sono elevati soprattutto all’inizio della scuola secondaria di II grado (figura 3.6). Fig. 3.6 – Percentuale di allievi respinti sul totale in Piemonte per cittadinanza e classe scolastica,secondo ciclo di istruzione, a.s. 2009/10. 40 30 20 28,8 16,7 17,6 17,5 10,2 10,8 10 19,7 16,5 10,1 8,6 3,2 1,6 0 I II III Allievi con cittadinanza straniera IV V Totale Allievi con cittadinanza italiana Fonte: Rilevazione Scolastica della Regione Piemonte - Ires. Anche se la percentuale di respinti scende a picco passando dal primo anno delle superiori al secondo, ancora nel momento di conseguire la qualifica (al terzo anno degli istituti professionali pre-riforma) o il diploma rimangono differenze tra italiani e stranieri: sono bocciati rispettivamente l’1,4 e il 3% degli ammessi all’esame, con differenze di genere a favore delle femmine in entrambi i gruppi, e differenze di provenienza più marcate tra i maschi alla maturità (bocciati italiani 1,8% vs stranieri 4,3%). Vediamo quindi come si distribuiscono le presenze dei cittadini stranieri tra istruzione secondaria e terziaria in Piemonte. 3.2.3. Gli iscritti alla secondaria di II grado e all’università Come nel resto d’Italia tra i cittadini non italiani prevale la scelta dei percorsi di istruzione tecnica o professionale, in Piemonte con una leggera preferenza del primo tipo di scuola rispetto al secondo (figura 3.7). Nel 2009/10 il 77,5% degli studenti stranieri di scuola secondaria di II grado frequenta un istituto professionale o tecnico, contro il 53% degli italiani (media nazionale a.s. 2007/08 78.4 vs 54.3, Miur, 2009). 75 Fig. 3.7 – Distribuzione percentuale degli studenti per cittadinanza e tipo di insegnamento, scuola secondaria di II grado, Piemonte, a.s. 2009/10. Stranieri 37,7 Italiani 19,7 0% 39,8 6,5 13,7 2,2 9,6 33,7 3,7 80% 100% 33,4 20% Istituto professionale 40% Istituto tecnico 60% Ex magistrali Licei Indirizzi artistici Fonte: elaborazioni da Rilevazione Scolastica della Regione Piemonte - Ires. Senza considerare due specifici indirizzi tecnico-professionali (agricoltura e ambiente e agrario), l’incidenza degli stranieri sul totale degli studenti varia dal 2,2% dei licei classici, al 22% degli istituti professionali ad indirizzo sanitario, frequentati più da femmine che da maschi. Una quota elevata di cittadini non italiani si trova anche presso istituti professionali ad indirizzo industria e artigianato (20%) e commerciale-turistico (18,5%) (v. tabella 3.10). Tab. 3.10 – Numero di studenti stranieri per genere e indirizzo di scuola secondaria di II grado, Piemonte, a.s. 2009/10. Ip agricoltura e ambiente Ip industria e artigianato Ip serv. comm. turis. Ip servizi alberghieri Ip servizi sociali Ip atipico Ip sanitario e ausiliario It agrario It industriale It commerciale It per geometri It per il turismo It periti aziendali It attività sociali It aeronautico Ex istituto/scuola magistrale Liceo scientifico Liceo classico Liceo linguistico Ist. d'arte Liceo artistico Altri Totale F 4 195 1.488 402 354 45 128 4 410 1.054 170 107 300 142 2 776 890 224 103 87 112 22 7.019 M 8 1.333 460 335 36 49 115 15 1.787 557 562 20 54 32 13 81 494 43 11 31 61 13 6.110 T 12 1.528 1.948 737 390 94 243 19 2.197 1.611 732 127 354 174 15 857 1.384 267 114 118 173 35 13.129 % sul tot. 0,7 19,7 18,5 8 14 7 21,9 0,7 9,2 11,6 8,9 9,9 9,4 14,3 5,9 5,6 3,6 2,2 5,6 6,9 4,3 33 8 Fonte: Rilevazione Scolastica della Regione Piemonte. Elaborazioni da dati Ires. 76 In media l’incidenza degli allievi con cittadinanza non italiana sul totale è del 14,4% negli IP, 9,4% negli IT, 5,6% nelle ex magistrali, 5% negli indirizzi artistici, scende al 3,4% nei licei (Rilevazione Scolastica della Regione Piemonte e Ires, a.s. 2009/10). Rispetto alle provenienze, nelle secondarie di II grado sono più rappresentati gli studenti di origine europea, e in subordine latinoamericana, rispetto agli altri livelli di scuola. Le prime cinque nazionalità nel 2009/10 in ordine di presenze alle superiori sono Romania, con 3.992 studenti, il 30% del totale, seguita a distanza da Albania con 1.928 allievi, Marocco con 1.824 e poi Perù (885) e Moldova (556) (Rilevazione Scolastica della Regione Piemonte; cfr. figura 3.8). Fig. 3.8 – Piemonte, percentuale di studenti stranieri per area di provenienza e livello scolastico, a.s. 2009/10. secondaria II grado 33,2 25,5 secondaria I grado 32,4 24,3 primaria 29,5 dell'infanzia 27,9 0% 20% Europa Ue Europa 10,4 7,6 22,6 21,9 15,1 6,5 19,5 7,5 6,8 5,86,2 40% America 60% Asia 25,2 33,5 38,2 80% 100% Africa Note: sono esclusi dal grafico i provenienti dall'Oceania (0,1% alla scuola secondaria di II grado, assenti dagli altri ordini di scuola) e gli apolidi (0,1% alla primaria e assenti altrove). Gli studenti stranieri considerati in Piemonte nel 2009/10 sono 13.954 alla materna, 23.364 alle elementari, 14.281 alle medie e 13.129 alle superiori. Fonte: elaborazioni da Rilevazione Scolastica della Regione Piemonte - Ires. La storia immigratoria italiana è troppo recente per poter verificare se la composizione per provenienze degli studenti con cni alle secondarie rifletta la struttura demografica, l’andamento dei flussi immigratori e il grado di stanzialità delle diverse provenienze nazionali, oppure processi di selezione scolastica che colpiscono maggiormente alcune provenienze piuttosto che altre. Gli iscritti all’ultimo anno delle secondarie nel 2008/09 con cni sono 1.265, in media il 4,6% del totale (tabella 3.11). 77 Tab. 3.11 - Iscritti totali e stranieri al V anno, scuole secondarie di II grado statali e non statali, province del Piemonte, a.s. 2008/09. Provincia AL AT BI CN NO TO VCO VC Totale M 1.152 548 530 1.805 989 7.135 561 628 13.348 Iscritti totali F 1.173 504 606 2.103 1.019 7.645 549 602 14.201 Tot 2.325 1.052 1.136 3.908 2.008 14.780 1.110 1.230 M 44 30 24 69 19 316 10 32 544 27.549 Iscritti stranieri F 63 23 28 97 48 422 8 32 721 str/totale Tot 107 53 52 166 67 738 18 64 1.265 4,6 5 4,6 4,2 3,3 5 1,6 5,2 4,6 Fonte: elaborazione da Rilevazione Scolastica Regione Piemonte, Settore DB 1508 - Edilizia Scolastica e Osservatorio sull'Edilizia Scolastica. Tab. 3.12 – Politecnico, Università di Torino e Università del Piemonte Orientale, percentuale di stranieri sugli iscritti a.a. 2008/09 e dati Almalaurea sull’inserimento occupazionale a tre anni dalla laurea per gruppi disciplinari, anno 2010. ingegneria medico economicostatistico linguistico politicosociale architettura giuridico scientifico (SMFN) letterario chimicofarmaceutico insegnamento psicologico educazione fisica geo-biologico (veterinario) agrario Totale studenti studenti % stranieri str./str. stranieri (v.a.) in totale sul totale 1.696 30,8 9,3 1.589 1.446 78,1 1,8 85,8 78,3 tempo dalla laurea al 1° lavorod 3,2 643 11,7 7,7 1.905 1.709 54,6 0,4 56,8 40,1 4,6 627 11,4 5,3 1.555 1.366 69,3 1,5 92,7 89,1 4,8 563 10,2 10,2 1.126 1.197 42,1 6,2 50 90 4,4 455 7,9 5,3 1.455 1.248 52,5 6,1 77,7 88,3 6,3 350 6,3 5,3 1.314 1.009 63,7 4,1 88,9 87,2 3,8 298 5,3 3,8 1.270 1.122 56,3 9,4 63,5 55 11,4 227 4,1 4,9 1.498 1.069 57,3 2,8 68,6 60,7 5,9 198 3,6 2,1 1.211 1.014 33,1 7,3 66,7 80,7 6,3 128 2,3 5,5 1.463 1.334 76,5 3 83,3 79,5 3,1 123 2,2 2 1.188 1.064 60,6 4,3 88,9 95,1 5,7 76 1,4 2 1.188 976 42,6 7 81,3 77,9 9 55 1,2 1,9 1.209 1.126 34,2 4,9 91,3 73,9 4,5 50 0,9 3,7 1.226 998 35,2 4,6 47,5 43 6,1 24 0,4 1,4 1.115 993 73,9 3,5 78,8 77,3 5,5 5.505 100 5,4 - - - - - - - guadagnoa M F % lavoro stabileb tasso di disoc.c % che lavora M F Note: (a) mensile netto, media in euro. I dati Almalaurea in tabella non sono disaggregati per cittadinanza; (b) autonomo o alle dipendenze con contratto a tempo indeterminato; (c) def. Istat - Forze di lavoro; (d) medie in mesi. Fonte: elaborazione da Miur - Indagine sull'Istruzione Universitaria 2009, Ires e indagine Almalaurea 2011. Rispetto alle iscrizioni all’università, vediamo che l’incidenza degli studenti stranieri è più elevata presso corsi di studi in ingegneria (in particolare dell’informazione56), lingue, 56 Fanno parte dell'ingegneria dell'informazione i corsi di studi più legati alle tecnologie della comunicazione: ingegneria informatica, elettronica, telecomunicazioni, automazione e biomedica. 78 medicina e farmacia, e più bassa negli indirizzi umanistici (scienze della formazione, psicologia, lettere) e ad agraria. I settori discilinari in cui si concentrano maggiormente gli stranieri, ad esclusione di lingue e scienze politiche, secondo i dati Almalaurea (non disaggregati per cittadinanza), a tre anni dalla laurea portano maggiori ritorni di reddito (tabella 3.12). 3.3.Orientamento e distribuzione degli stranieri nelle secondarie di II grado della città di Torino In questa città essere nati da un’altra parte non è tanto… non ti fa sentire tanto diverso… perché qua ormai è un misto, è difficile trovare qualcuno che è nato sempre… a Torino per esempio, qua ormai trovi rumeni, cinesi, marocchini, francesi, spagnoli, di tutto! (studente IP, documentario “Tutto è possibile”, Torino, 2010) Le scuole superiori di Torino raccolgono gran parte degli studenti della provincia, raggiungendo quasi la metà del totale regionale. Gli studenti con cittadinanza non italiana nel 2009/10 sono 5165 e provengono da 95 paesi diversi, anche se le prime dieci nazionalità raccolgono circa l’87% del totale degli stranieri (tabella 3.13). Tab. 3.13 – Città di Torino. Studenti con cittadinanza non italiana nelle scuole secondarie di I grado per nazionalità,prime dieci cittadinanze, v.a. e %, a.s. 2009/10. Cittadinanza Romania Numero allievi 1.996 % sul totale stranieri 38,64 Perù 653 12,64 Marocco 610 11,81 Moldova 310 6 Albania 303 5,87 Brasile 154 2,98 Cina 144 2,79 Ecuador 129 2,5 Filippine 121 2,34 Egitto 62 1,2 Altri paesi 683 13,22 TOTALE 5165 100 Fonte: elaborazione da Rilevazione Scolastica Regione Piemonte, Settore DB 1508 - Edilizia Scolastica e Osservatorio sull'Edilizia Scolastica. L’incidenza percentuale degli stranieri in classe è più elevata nella città considerata rispetto alla media sia provinciale che nazionale, superando nel biennio degli istituti professionali i 20 punti percentuali (tabella 3.14). 79 Tab. 3.14 - Studenti stranieri in provincia di Torino (a.s. 2009/10) e in Italia (a.s. 2008/09) per tipo di scuola e classe scolastica, v.a. e incidenza % sul totale degli studenti. Totale provincia di Torino v.a. % I IP IT Liceo Totale Resto della provincia v.a. % Città di Torino v.a. % Italia (2008/09) v.a. % 846 17,9 677 22,6 169 9,8 19.594 13,0 II 614 15,9 497 20,1 117 8,5 12.420 10,7 III 693 17,2 574 21,7 119 8,5 9.868 8,9 IV 397 12,2 328 15,8 69 5,8 6.521 6,9 V 279 9,7 234 12,1 45 4,7 4.349 5,5 I 854 12,8 544 18,2 310 8,4 16.883 7,8 II 624 11,3 412 16,9 212 6,9 10.553 5,9 III 616 11,1 410 16,7 206 6,7 9.765 5,3 IV 430 8,9 291 13,3 139 5,3 6.738 4,1 V 318 6,7 238 10,7 80 3,2 5.426 3,1 I 509 5,6 331 6,8 178 4,2 9.389 3,3 II 319 4,0 217 5,2 102 2,7 6.385 2,4 III 279 3,5 181 4,3 98 2,6 5.160 2,1 IV 268 3,5 170 4,3 98 2,7 4.015 1,7 V 205 2,9 155 4,0 50 1,5 2.946 1,3 7.251 8,5 5.259 11,6 1.992 5,0 130.012 4,8 Fonte: Elaborazione da Miur (2009b) e dati Usr Piemonte. Fig. 3.9 - Distribuzione percentuale degli studenti per cittadinanza e tipo di insegnamento, scuola secondaria di II grado, città di Torino, Piemonte e Italia, a.s. 2009/10 e 2010/11. 100% 20 36 25,9 38 33,4 43,9 19,7 0% italiani 47,5 39,8 50% 24,4 21,6 22,5 46,9 49,7 stranieri italiani città di Torino 33,2 37,7 stranieri italiani Piemonte IP IT 40,4 19,2 stranieri Italia Liceo Note: per la città di Torino gli istituti d'arte sono stati aggregati agli IT, i licei artistici ai licei; per l'Italia e il Piemonte invece l'istruzione artistica è stata aggregata interamente ai licei (rispettivamente scelta dal 3,6% degli italiani e dal 2,9% degli stranieri in Italia, al 3,7 degli italiani e al 2,2% degli stranieri in Piemonte). Il dato sull'Italia è l'ultimo disponibile: a.s. 2010/11, quello sul Piemonte e Torino a.s. 2009/10. Fonte: Elaborazione da Usr e Miur – Ismu (2011). Anche a Torino, come in Piemonte e in Italia, i migranti propendono per l’istruzione tecnico-professionale piuttosto che per i licei (figura 3.9). Come vedremo nel prossimo capitolo, esiste un servizio di orientamento gestito dal Comune che somministra un test attitudinale multidimensionale a tutti gli iscritti alla 80 scuola secondaria di I grado, i cui risultati sono utilizzati da docenti e operatori comunali nel processo di orientamento alla scelta al termine della terza media. Malgrado siano a disposizione traduzioni del test in più lingue, e i responsabili dell’attività di orientamento raccomandino alle scuole di proporre il test solo agli alunni senza difficoltà linguistiche (vale anche per i dislessici), gli operatori osservano che le traduzioni non sono consultate spesso dai ragazzi migranti e, anche per ragioni organizzative, partecipano al test un numero non quantificabile di allievi che stanno ancora acquisendo dimestichezza con l’italiano come seconda lingua. Da una prima esplorazione della banca dati sembra che i punteggi conseguiti dagli stranieri siano inferiori rispetto a quelli conseguiti dagli italiani, non solo nelle prove strettamente linguistiche (figura 3.10). Fig. 3.10 – Punteggi medi per prova del “test Arianna” ottenuti degli studenti di scuola secondaria di I grado. Stranieri e italiani, serie storica 2005-2011. 4,0 4,0 stranieri LG1 3,5 italiani LG1 3,5 LG2 3,0 AS1 2,5 AS2 LG2 3,0 AS1 2,5 AS2 2,0 CRT 2,0 CRT 1,5 SPZ 1,5 SPZ 1,0 LN1 1,0 LN1 LN2 ,5 LN2 ,5 ST1 ST2 ST1 ,0 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 ,0 ST2 Note: Dimensioni: LG logica, LN linguistica, SPZ spaziale, CRT concreta, AS astratta, ST strategica. Casi validi in totale: 23.305 italiani; 3.413 stranieri. Anno 2011: la rilevazione è avvenuta a periodo di somministrazione non ancora concluso per cui tiene conto di circa un terzo delle scuole normalmente coinvolte. Attribuzione della cittadinanza in base a nome e cognome dello studente. Fonte: elaborazione da Cosp, Città di Torino. Al momento non è possibile approfondire la questione controllando se esiste un effetto delle variabili socio-demografiche (titolo di studio e occupazione dei genitori) e un “effetto scuola”, e neppure il percorso di istruzione successivo alla somministrazione del test; inoltre andrebbero acquisiti dati più puntuali sulla cittadinanza. Nella provincia di Torino, capoluogo escluso, la differenza nelle proporzioni di ripetenti tra italiani e non italiani è -2,1 punti percentuali, dato simile alla media italiana (Miur e 81 Ismu, 2011). Nel capoluogo invece il divario tra percentuali di ripetenti italiani e stranieri è più ridotto, soprattutto negli istituti professionali, dove l’incidenza dei ripetenti sul totale è più elevata tra gli italiani, tranne che all’ultimo anno (tabella 3.15). Tab. 3.15 - Studenti ripetenti sul totale in provincia di Torino per cittadinanza, tipo di insegnamento e classe scolastica, a.s. 2009/10 (v.a. e %). I IP IT Totale provincia di Torino % italiani % stranieri ripetenti ripetenti (a-b) sul totale sul totale italiani (a) stranieri (b) 15,2 12,8 2,4 Città di Torino % italiani % stranieri ripetenti ripetenti (a-b) sul totale sul totale italiani (a) stranieri (b) 15,5 11,8 3,7 Resto della provincia % italiani % stranieri ripetenti ripetenti sul (a-b) sul totale totale italiani (a) stranieri (b) 14,7 16,6 -1,9 II 12,5 12,4 0,1 13,9 12,1 1,8 10,2 13,7 -3,5 III 10,3 8,1 2,2 10,7 8,5 2,2 9,5 5,9 3,6 IV 9,5 7,3 2,2 11,9 7,9 4,0 5,7 4,3 1,3 V 4,9 6,1 -1,2 5,2 5,6 -0,4 4,5 8,9 -4,4 I 11,6 10,9 0,7 11,8 9,6 2,2 11,5 13,2 -1,7 II 8,9 8,8 0,0 8,9 8,0 0,9 8,8 10,4 -1,5 III 10,7 8,3 2,4 13,0 9,0 4,0 9,0 6,8 2,2 IV 10,1 6,7 3,3 10,9 7,6 3,4 9,4 5,0 4,4 V 5,1 6,0 -0,8 5,6 7,6 -2,0 4,8 1,3 3,5 I 5,7 6,3 -0,5 5,7 5,4 0,3 5,8 7,9 -2,1 II 4,0 4,1 -0,1 4,9 4,1 0,8 2,9 3,9 -1,0 III 4,1 3,9 0,2 3,9 2,2 1,7 4,3 7,1 -2,8 IV 2,8 2,6 0,2 3,0 2,4 0,6 2,7 3,1 -0,4 V 1,9 2,0 0,0 2,1 2,6 -0,5 1,7 0,0 1,7 Totale 7,0 8,3 -1,3 7,5 8,2 -0,7 6,5 8,6 -2,1 L Fonte: elaborazione dati Usr Piemonte. A Torino, inoltre, rispetto alla media nazionale, alle superiori prevalgono le G1.5, soprattutto nelle classi V: studenti nati nel paese di origine e parzialmente scolarizzati in Italia (tabella 3.16); in Italia compare una proporzione simile, ma sono mediamente di più sia gli arrivati in corso d’anno che le seconde generazioni, nel 2009/10 rispettivamente il 6,9% e l’8,7% dei cittadini non italiani alle superiori (Miur e Ismu, 2011). 82 Tab. 3.16 - Studenti cittadini non italiani nati in Italia (G2) e arrivati nel corso dell'anno scolastico (N.A.I.) sul totale degli studenti stranieri alle secondarie di II grado in provincia di Torino per tipo di insegnamento e classe scolastica, a.s. 2009/10 (%). Totale provincia Città di Torino Resto della provincia % G2 % N.A.I. % G2 % N.A.I. % G2 % N.A.I. I 7,2 12,8 8,6 13 1,8 11,8 II 5,5 4,9 6 4,4 3,4 6,8 III 6,5 5,9 7,1 5,9 3,4 5,9 IP IV 3,5 1 3,7 0 2,9 5,8 V 4,3 1,4 5,1 0,9 0 4,4 I 9,4 4,3 9,7 3,3 8,7 6,1 II 7,5 1,4 8,7 1,9 5,2 0,5 IT III 6 4,4 6,3 5,1 5,3 2,9 IV 4,9 1,9 4,8 2,7 5 0 V 6,3 0,9 6,3 1,3 6,3 0 I 8,3 6,1 10,9 6,9 3,4 4,5 II 9,1 3,1 11,1 3,7 4,9 2 Liceo III 7,2 3,6 8,8 3,3 4,1 4,1 IV 6,3 3 6,5 4,1 6,1 1 V 4,9 0,5 5,8 0,6 2 0 6,7 4,6 7,5 4,7 4,8 4,1 Totale Fonte: elaborazione dati Usr Piemonte. 3.4.Chi arriva al termine delle secondarie di II grado? Gli studenti stranieri che oggi frequentano l’ultimo anno nelle secondarie di II grado in Italia e in Piemonte sono ancora relativamente pochi. La quota di G1.5 è superiore a quella degli altri ordini di scuola, inoltre l’istruzione media superiore si colloca tra obbligo e post-obbligo scolastico, per cui il tasso di scolarizzazione dei migranti in questa fascia di età sembra subire le oscillazioni maggiori dovute all’andamento dei flussi immigratori. A Torino comunque l’incidenza dei cittadini non italiani sulla popolazione scolastica nel trienno degli istituti tecnici e professionali supera il 15%, e in media nelle secondarie di II grado è superiore a quella che in Italia si trova nel primo ciclo di istruzione. Come si vede dalla percentuale di studenti stranieri che hanno subìto ripetenze, elevata in particolare all’inizio della secondaria di II grado, dal ritardo scolastico e delle bocciature che li colpiscono significativamente di più rispetto ai coetanei e dai bassi tassi di scolarizzazione nella fascia di età corrispondente a questo ordine di scuola, i cittadini 83 stranieri iscritti nelle classi V superiore sono una popolazione ancora più selezionata rispetto a quella degli italiani: si tratta di studenti che sono riusciti a superare diversi processi di selezione e dispersione scolastica. Dal momento che il divario per cittadinanza tra i tassi di ritardo è superiore a quello tra i tassi di ripetenze, verifichereno nel capitolo 4 se alcuni di questi processi selettivi attengono all’interazione tra norme di livelli territoriali e ambiti di policies diversi, a pratiche informali di interpretazione strategica della normativa oppure alla mancata conoscenza della stessa da parte dei soggetti attuatori. Dalle interviste ai testimoni qualificati condotte nella città di Torino per questa ricerca57 emergono le seguenti caratteristiche, di tipo qualitativo e non ricavabili dai dati istituzionali finora resi disponibili dal Miur, distintive dei migranti che giungono al termine della secondaria superiore rispetto ai drop-out: maggiore stabilità familiare, sia dal punto di vista della struttura familiare (presenza dei genitori), sia dal punto di vista del sostegno allo studio anche attraverso legami transnazionali (genitori non presenti fisicamente ma attenti, figure di riferimento anche se “a distanza”), maggiore investimento familiare nell’istruzione come canale di mobilità sociale ascendente, percorsi scolastici meno frammentati, più impegno e tempo dedicato allo studio da parte dello studente, migliore riuscita scolastica pregressa. I testimoni privilegiati inoltre sottolineano la maggiore difficoltà delle famiglie migranti rispetto a quelle native nel gestire la ri-motivazione all’apprendimento del figlio/figlia in caso di insuccesso scolastico, in particolare in seguito a bocciature. Vedremo dalle interviste agli studenti se e come questi aspetti sono stati vissuti dai ragazzi coinvolti nella ricerca. La popolazione oggetto di questo lavoro, come da ipotesi, si configura quindi come punto di accesso privilegiato per studiare traiettorie di inserimento “forti”, relativamente alla popolazione migrante, nella società di arrivo. 3.5.Una survey con gli studenti dell’ultimo anno di scuola secondaria di II grado in Piemonte Per contestualizzare le interviste qualitative, prendiamo adesso in esame alcuni aspetti del percorso scolastico e delle aspettative di inserimento nell’istruzione terziaria e nel 57 V. appendice metodologica sulla procedura di campionamento dei testimoni qualificati. 84 mercato del lavoro attraverso la lettura descrittiva58 dei risultati di a una survey sulle carriere formative e le aspettative di impiego degli studenti alla fine della scuola superiore in Piemonte realizzata nell’ambito del progetto Erica-WP3 (v. appendice metodologica). 3.5.1. La scelta della scuola secondaria di II grado Nel campione, come nell’universo di riferimento, i migranti59 propendono per l’istruzione tecnico-professionale più spesso che i nativi, inoltre mediamente ottengono voti peggiori rispetto ai nativi. Tuttavia a parità di voto conseguito per la licenza media, i migranti intervistati hanno scelto più frequentemente i tecnico-professionali. Inoltre da allora hanno cambiato scuola superiore più spesso: il 22,8% contro il 13,8% dei non migranti. Tra i migranti i cambi scuola hanno ridotto ulteriormente la percentuale dei liceali, in misura maggiore che tra i nativi. Dunque la loro concentrazione nel tipo di insegnamento tecnico o professionale non dipende solo dal fatto che questo percorso è preferito a quello liceale al termine delle secondarie di I grado, a parità di voto all’esame di terza media, ma anche dai successivi riorientamenti verso il basso che sono avvenuti durante le secondarie di II grado (tabella 3.5.1). Tab. 3.5.1 – Distribuzione per provenienza, voto di licenza media e tipo di insegnamento scelto al termine della secondaria di I grado e attualmente frequentato (% di riga). Tipo di insegnamento Voto conseguito all’esame per la licenza media Altro IT liceo ottimo 78,9 7,2 11,6 distinto 53,2 13,8 26,9 buono 22,8 17,4 42,1 Nativi sufficiente 9,6 11 45 totale scuola scelta alla III media 41,9 13,1 31,4 totale scuola frequentata nel 2011 36,8 13,5 32,9 ottimo 64,5 1,3 21,1 distinto 45,2 11,9 29,6 12,2 7,7 45,4 Migranti buono sufficiente 15,4 6,7 39,4 totale scuola scelta alla III media 29,4 7,6 36,4 totale scuola frequentata nel 2011 21,2 8,4 38,4 Fonte: elaborazione da dati Erica–WP3. Liceo IP/Cfp N 2,3 6,1 17,6 34,5 13,7 16,7 13,2 13,3 34,7 38,5 26,6 31,9 1285 1743 1865 981 5874 5927 76 135 196 104 511 523 58 La banca dati è stata consultata in modo descrittivo al solo fine di collocare quanto emerso dalle interviste qualitative svolte con i migranti nella città Torino rispetto ai percorsi degli studenti migranti e nativi in Piemonte. 59 V. appendice metodologica per la definizione operativa delle categorie impiegate. 85 I migranti hanno cambiato scuola per motivi meno legati alla riuscita scolastica effettiva rispetto agli italiani, riconducibili più ad "altre" motivazioni, familiari e individuali (tabella 3.5.2). Tab. 3.5.2 – Distribuzione per provenienza e risposte alla domanda “Quale è stato il motivo per cui hai lasciato la scuola dopo le medie?” (% di riga). 4,9 motivi legati motivi legati a problemi di al clima della rendimento scuola scolastico 15,4 25,9 mi sono accorto/a che altro N mi piacevano altre materie 30,9 11,3 754 1,9 15,7 33,3 motivi individuali e familiari motivi legati al clima in classe 11,6 Migranti 17,6 Nativi 13,9 17,6 108 p < 0.05 Fonte: elaborazione da dati Erica-WP3. Tab. 3.5.3 - Risposte alla domanda “Nella scelta della scuola dopo le medie, quanto sono importanti le seguenti persone?” (% di riga). non si per applica nulla poco abbastanza molto N Nativi 4,8 14,4 28 35,1 17,8 5927 Migranti 10,9 22,5 22,8 26,1 17,7 521 Nativi 2,0 8,7 23,1 41,5 24,8 5926 Migranti 3,3 13,2 23,4 31,7 28,4 521 Nativi 3,8 24,1 35 30,2 6,9 5927 Migranti 6,5 20,3 30,7 31,4 11,1 522 Nativi 24 33,1 21,1 14,6 7,1 5926 Migranti 26,4 30,8 22 12,3 8,4 522 Altri parenti (cugini, Nativi ecc.)** Migranti 19,1 44,6 24,4 9,5 2,4 5928 Padre** Madre** Insegnanti** Fratelli/sorelle 30,7 42 16,9 6,9 3,5 521 Nativi 16,8 45,2 26,3 10 1,7 5926 Migranti 25,1 40,5 21,5 10 2,9 521 Tuoi amici di scuola o fuori scuola** Nativi 7,8 26 33,0 27,3 6 5926 Migranti 15,4 26,1 26,9 23,6 8,1 521 Referenti dell'orientamento** Nativi 9,6 27,2 29,5 27,8 5,9 5926 14,4 28,6 ** p < 0.001 23,4 24,8 8,8 521 Amici di famiglia** Migranti Fonte: elaborazione da dati Erica–WP3. Rispetto all’ipotesi della non conoscenza del sistema di istruzione, sembra che per i migranti al momento della scelta della scuola secondaria di II grado siano stati meno importanti, o non presenti, i genitori, mentre hanno rivestito un ruolo più centrale orientatori (quando presenti) e docenti. La convivenza familiare dei migranti inoltre 86 appare meno accompagnata nella definizione del percorso scolastico dei figli dalle risorse relazionali sia dei genitori (rete parentale e “amici di famiglia”) sia degli studenti stessi (amici o compagni di scuola) (tabella 3.5.3). La struttura delle motivazioni per cui è stata scelta la scuola frequentata espresse dai migranti ripercorre quella dei nativi: prevale il desiderio di trovare lavoro (per il 24,1% dei migranti), rispetto a motivazioni di carattere espressivo, legate all’attrazione per le discipline trattate a scuola (17,6%), ma si tratta di piccole differenze percentuali (il 19,6% dei nativi hanno scelto tra le motivazioni “la possibilità di trovare lavoro” e il 22,9% ha preferito “l’interesse per le materie insegnate”). Per i migranti, come per i nativi, è significativa la relazione tra scelta scolastica e titolo di studio dei genitori, anche se gli studenti con almeno un genitore laureato che frequentano il liceo sono quasi il 70% dei nativi e meno di un terzo dei migranti. La distribuzione per tipo di insegnamento frequentato dai migranti con capitale culturale alto è dunque simile a quella degli italiani con capitale culturale medio(tabella 3.5.4). Ma bisogna tenere presente che si tratta di una popolazione più omogenea e più schiacciata verso il basso dal punto di vista della collocazione occupazionale. Inoltre i dati sul titolo di studio dei genitori migranti sono più lacunosi. Tab. 3.5.4 – Distribuzione percentuale per provenienza e tipo di insegnamento frequentato, secondo il capitale culturale e classe occupazionale familiare (% di riga). Nativi (n) Migranti (m) cap. cultur. (cc) alto medio basso alto medio basso Liceo Altro liceo IT IP N 66,9 35 17,4 30,6 21 14,4 10,2 14,7 14 13 6,4 9,3 16,9 34,8 41,7 33,3 45,6 28,9 6 15,5 26,9 23,1 27 47,4 1148 3284 1403 108 281 97 classe occ. (co) Liceo Altro liceo IT IP N media+alta 45,4 12,2 30 12,4 3508 operaia 24,4 15,6 37,5 22,5 2349 media+alta 27,8 6,6 30,5 35,1 151 operaia 19 8,9 41,7 30,4 336 pncc < 0.001 pmcc < 0.001 pnco < 0.001 pmco < 0.05 Fonte: elaborazione da Erica–WP3. A differenza che per i nativi, tuttavia, tra i migranti la concentrazione dell’insegnamento tecnico o professionale non si manifesta più spesso tra chi ha genitori di classe occupazionale meno avvantaggiata. Come si vede dalla tabella 3.5.4, i migranti di classe medio-alta, diversamente dai coetanei nativi con i genitori nella stessa condizione occupazionale, non disdegnano la formazione professionale: emergono differenze percentuali tra classe operaia e classe medio-alta molto più contenute che tra i nativi. A 87 sostegno dell’ipotesi sullo squilibrio di status, quindi, nel caso dei migranti per l’iscrizione dei figli al liceo sembra contare il fatto che i genitori siano diplomati o laureati più che la loro situazione lavorativa. Anche se bisogna leggere il dato con cautela, non solo perché si tratta di analisi descrittive meramente trivariate, ma soprattutto per la possibile diversa composizione interna della classe medio-alta dei migranti rispetto a quella dei nativi. In condizioni di squilibrio di status verso il basso, cioè di capitale culturale familiare superiore alla classe occupazionale, per i migranti a differenza che per i nativi la scuola scelta più spesso è l’istituto tecnico (tabella 3.5.5). Tab. 3.5.5 - Squilibrio/corrispondenza di classe occupazionale e titolo di studio per scuola frequentata e provenienza (% di riga). Liceo Nativi Altro liceo IT IP N cma_tma 49,5 12,4 27,9 10,2 100 2997 co_tma 30,3 15,9 35,1 18,6 100 1405 co_tb 15,4 15,2 41 28,4 100 913 cma_tma 30,1 8,1 29,3 32,5 100 123 20,5 7,9 48,4 23,2 100 254 16,9 12,3 23,1 p < 0.001 47,7 100 65 Migranti co_tma co_tb Note: cma = classe occupazionale familiare medio-alta; co = classe occupazionale familiare operaia; tma = capitale culturale familiare medio-alto; tb = capitale culturale familiare basso; co_tma = squilibrio di status verso il basso. In tabella non sono riportati i valori corrispondenti alla situazione di squilibrio di status verso l’alto perché la numerosità dei migranti nel campione in quella condizione non permette di commentare il dato. Fonte: elaborazione da Erica-WP3. Per i figli di migranti di classi medio alte e con titolo di studio medio-alto, la secondaria di II grado adatta sembra non solo il liceo, come accade per i nativi, ma anche l’istituto tecnico o professionale. Lo squilibrio di status potrebbe quindi agire da un lato riducendo l’impatto della classe occupazionale dei genitori sulle scelte scolastiche dei figli (perché spesso i migranti di classe operaia sono laureati o diplomati), dall’altro lato indirizzando verso l’istruzione tecnica o, molto in subordine, professionale, forse anche per l’auspicata riconoscibilità nel mercato del lavoro del diploma conseguito (a differenza della laurea dei genitori, non riconosciuta nel mercato del lavoro e dunque priva di ritorni occupazionali dell’investimento in istruzione terziaria). La non conoscenza del sistema di istruzione italiano sembrerebbe manifestarsi in parte nella maggiore fiducia nei confronti dei consigli orientativi dei docenti, in parte nell’applicazione, per definire le opzioni scolastiche disponibili in Italia, di una cornice cognitiva derivata dall’esperienza 88 scolastica nel paese d’origine, dove prevale una formazione secondaria generalista (ad esempio in diversi paesi dell’America Latina) oppure dove l’istruzione tecnica è un canale formativo privilegiato per l’inserimento occupazionale in settori tecnico-scientifici (ad esempio in Marocco). Verificheremo attraverso le interviste qualitative l’attivazione di processi di questo tipo. 3.5.2. La rappresentazione del percorso scolastico pregresso È in ritardo scolastico il 65% dei migranti intervistati (contro il 24% dei nativi). A parità di collocazione occupazionale o titolo di studio dei genitori, i migranti sono più in ritardo rispetto ai nativi, anche se gli studenti con genitori che svolgono lavori di qualificazione medio-alta sembrano più protetti dalla non corrispondenza tra età e classe frequentata. In base al capitale culturale emergono differenze significative solo tra gli italiani, non tra i migranti. Tab. 3.5.6 – Distribuzione per provenienza, capitale culturale e classe occupazionale familiare degli studenti con età superiore a quella prevista per la classe V superiore (% di riga). Nativi (n) Migranti (m) cap. cultur. classe occ. % in ritardo N % in ritardo (cc) (co) 16,3 1148 alto media+alta 21,2 22,8 3285 medio 32,4 1403 28,3 basso operaia 61,1 108 alto media+alta 57 65,8 281 medio 62,2 98 70,3 basso operaia pncc < 0.001 pmcc > 0.05 pnco < 0.001 pmco < 0.05 N 3507 2349 151 337 Fonte: elaborazione da Erica–WP3. In effetti i ritardi dovuti alle bocciature sono solo una minima parte del totale: solo il 4% degli intervistati migranti è stato bocciato alle elementari (nativi 0,6%), il 5% alle medie (nativi 1,57%), il 26,3% alle superiori (nativi 22,6%). Sappiamo dai dati Miur che le ripetenze colpiscono in media alle secondarie di II grado i migranti in misura molto maggiore rispetto ai nativi, mentre la differenza tra percentuali di ripetenze rilevata dal questionario nelle classi quinte non è statisticamente significativa. Questo dato confermerebbe quanto emerso dalle interviste ai testimoni privilegiati: i migranti in V sono stati meno bocciati che quelli che lasciano le secondarie di II grado. 89 Tab. 3.5.7 – Riposte alla domanda: “Tenendo conto dei voti ottenuti nelle diverse materie dall’inizio dell'anno, come valuteresti oggi la tua prestazione scolastica?” per genere e provenienza (% di riga). F M sopra la media nella media sotto la media Nativi 11,4 79,2 9,4 100 2971 Migranti 12,2 75,2 12,6 100 262 Totale 11,5 78,9 9,6 100 3233 Nativi 15,9 66,9 17,4 100 2631 Migranti 7,5 70,2 22,3 100 215 Totale 15,2 67,2 pf > 0.05 pm< 0.003 17,6 100 2846 N Fonte: elaborazione da Erica–WP3. Tab. 3.5.8 – Autovalutazione della riuscita scolastica all’inizio e al termine delle secondarie di II grado per tipo di insegnamento e provenienza (% di riga). “Se ripensi al primo anno di scuola superiore, come ti definisci?” Liceo IT IP Nativi uno studente con parecchie uno studente difficoltà a nella media scuola 7,6 57,3 Migranti 13,2 Nativi uno studente che riesce bene a scuola N 35,1 100 2735 47,8 39 100 136 10,1 59,3 30,6 100 1720 Migranti 9,4 53,5 37,1 100 170 Nativi 10,1 59 30,9 100 832 Migranti 17,9 51 31 100 145 pliceo < 0.05 pit > 0.05 pip < 0.05 “Come ti definisci oggi che sei all'ultimo anno?” Liceo IT IP Nativi 6,7 60,8 32,6 100 2729 Migranti 14,8 54,8 30,4 100 135 Nativi 8,9 65,8 25,3 100 1785 Migranti 5,1 67,8 27,1 100 177 Nativi 12,5 58,1 29,4 100 864 Migranti 14,7 51,5 33,8 100 136 pliceo < 0.003 pit > 0.05 pip > 0.05 Fonte: elaborazione da Erica–WP3. Lo stesso processo di selezione scolastica emerge dalle autovalutazioni sul rendimento scolastico. All’inizio della scuola secondaria le differenze tra nativi e migranti sono significativamente a sfavore dei migranti, soprattutto tra le femmine (che dichiarano comunque di riuscire meglio rispetto ai maschi in entrambi i gruppi)60, sia nei licei che 60 A conferma del processo di affermazione di disuguaglianze in istruzione per genere a favore delle femmine, cfr. ad es. Schizzerotto e Barone (2006). 90 negli istituti professionali (tabella 3.5.7 e 8). Alla fine delle superiori rimangono solo nei licei e spariscono in IP e IT. E in effetti i migranti dichiarano di studiare più ore al giorno dei nativi in tutti i tipi di insegnamento. Le valutazioni dell’esperienza scolastica nel secondo ciclo di istruzione espresse dai migranti sono meno severe di quelle espresse dai compagni nativi. Come era emerso a proposito della scuola secondaria di I grado (Giovannini e Queirolo Palmas, 2002; Fischer e Fischer, 2002), i migranti in quinta superiore apprezzano le competenze didattiche e relazionali dei docenti e l’organizzazione scolastica più dei nativi. Interessante per i nostri interrogativi di ricerca è la maggiore fiducia degli studenti migranti di istruzione professionale dei ritorni occupazionali della qualifica che stanno per conseguire rispetto a nativi nello stesso tipo di insegnamento (tabella 3.5.9). Tab. 3.5.9 - Accordo all’affermazione “Dalla tua scuola si esce con buone competenze da spendere nel mercato del lavoro” per paese d’origine e tipo di istruzione (% di riga). per nulla poco abbastanza molto 19 45,8 29,9 5,4 100 2183 Altro liceo 17,4 46 32,1 4,5 100 803 IT 5 22,6 54,9 17,5 100 1951 IP 8,1 28,7 48,3 14,9 100 990 Liceo 19,8 46,8 27 6,3 100 111 Altro liceo 18,2 40,9 34,1 6,8 100 44 IT 6,5 22 50,5 21 100 200 IP 7,3 20 50,3 22,4 100 165 Liceo Nativi Migranti N p < 0.001 Fonte: elaborazione da Erica–WP3. Per i migranti anche di classe e capitale culturale medio-alto i percorsi tecnici e professionali sembrano rappresentare occasioni per facilitare l’ingresso nel mercato del lavoro più efficaci di quanto immaginano i nativi. 3.5.3. La formazione extrascolastica La formazione extrascolastica può essere intesa come un investimento economico della famiglia per la riuscita scolastica del figlio e la sua preparazione in vista del mercato del lavoro, ma anche come una scelta di consumo delle famiglie. Può quindi essere un modo attraverso il quale le disuguaglianze di risorse familiari influenzano il processo di acquisizione di competenze da parte degli adolescenti. 91 Vediamo innanzitutto se esistono differenze tra nativi e migranti nell’usufruire di lezioni private a pagamento come sostegno alla riuscita scolastica. I migranti che dichiarano di non aver mai preso ripetizioni sono l’80,6% del totale, contro il 61,6% dei nativi. Sia il titolo di studio che il tipo di attività lavorativa dei genitori italiani influenzano la propensione a utilizzare questo servizio di aiuto per l’apprendimento, invece nel caso dei migranti le risorse culturali e economiche familiari non sembrano rilevanti. Secondo le risposte ai questionari, i nativi meno avvantaggiati ricorrono alle lezioni private più spesso che i migranti con classe e capitale culturale elevati (v. tabella 3.5.10). Tab. 3.5.10 – Risposta alla domanda “Nel corso dell’ultimo triennio ti è capitato di andare a ripetizioni a pagamento di una o più materie? Sono esclusi i corsi di recupero” per paese d’origine, capitale culturale e classe occupazionale familiare (% di riga). cap. cultur. (cc) alto Nativi medio (n) basso alto Migranti medio (m) basso classe >una solo volta a prima di occ. settimana verifiche (co) 19,5 25,4 55,1 1147 media+ 18,4 23,3 17,6 21,9 60,5 3285 alta 14,9 16,2 68,9 1403 operaia 15,5 18 11,1 13,9 75 108 media+ 9,2 12,5 8,5 9,6 81,9 281 alta 6,1 7,1 86,7 98 8,3 operaia 7,7 pncc < 0.001 pmcc > 0.05 df = 2 pnco < 0.001 pmco > 0.05 >una solo volta a prima di settimana verifiche no, mai N no, mai N 58,2 3508 66,5 2349 78,3 152 84 337 Fonte: elaborazione da Erica–WP3. Rispetto ai corsi di lingue straniere, anch’essi a pagamento, i migranti di classe medioalta investono invece quanto i nativi (li hanno frequentati rispettivamente il 35% e il 33%), quelli di classe operaia investono di più (25% vs 20%). Viceversa, l’unico gruppo di nativi che investe più dei migranti in competenze linguistiche, a parità di altre condizioni, è quello dei figli di almeno un genitore laureato: ben il 45% di loro ha frequentato corsi di lingua, contro il 35% dei migranti. In totale possiedono certificati linguistici il 66% dei migranti contro il 45,3% dei nativi. Viceversa hanno ottenuto almeno alcuni moduli ECDL il 21% dei maschi nativi contro il 15% dei maschi migranti (contro il 16% delle femmine, sia native sia migranti). La differenza di genere nella formazione extrascolastica appare sociologicamente interessante guardando alle motivazioni per le quali non si investe. I maschi nativi sono quelli che investono di più, e se non lo fanno è principalmente perché hanno altre preferenze sull’impiego del tempo libero. Le femmine, e in misura molto minore anche i 92 maschi migranti, dichiarano invece di non investire soprattutto per vincoli di tempo (tabella 3.5.11). Tab. 3.5.11 – Risposta alla domanda “A parte le lingue, stai cercando di procurarti altre competenze oltre a quelle che ti fornisce la scuola, per esempio musica, cinema, teatro, web, fotografia…?” per genere e paese d’origine (% di riga). F M sì vorrei, ma non ho tempo no, perché fuori della scuola preferisco fare altro no, perché credo che se si studia, quello che si N impara a scuola sia sufficiente Nativi 29,4 45,9 21,7 3,1 3131 Migranti 23,7 49,8 19,8 6,7 283 Nativi 36,4 26,7 32,3 4,5 2796 Migranti 29,5 35,4 29,1 p < 0.05 5,9 237 Fonte: elaborazione da Erica–WP3. Purtroppo qui non abbiamo il dato sulle ragioni di tipo economico. Possiamo però controllare se lo svolgimento di “lavoretti” impegna maggiormente i maschi o le femmine (tabella 3.5.12). Tab. 3.5.12 - Numero di risposte affermative su 100 per ogni item alla domanda "Ti è capitato in questi ultimi due anni di svolgere qualche lavoro o lavoretto retribuito?" per provenienza e genere. Nativi Migranti ho lavorato durante tutto l’anno dopo la scuola ho lavorato occasionalmente durante l’anno scolastico ho fatto lavoretti estivi non ho mai lavorato N F M 7,3 11 24,7 22,4 44,1 52,2 34,6 26 3125 2786 F 13,7 34,2 42,6 22,5 284 M 14,8 14 236 35,2 61,4 Fonte: elaborazione da Erica–WP3. I migranti sono più impegnati in attività lavorative durante il periodo delle scuole superiori, in egual misura tra maschi e femmine, mentre tra i nativi la proporzione di ragazze che ha lavorato è minore rispetto a quella dei ragazzi. 3.5.4. Le aspettative di istruzione terziaria e/o inserimento nel mercato del lavoro Sono numerosi gli studenti che dichiarano di volersi iscrivere all’università. Il 59,1% dei migranti e il 62,3% dei nativi pensano di continuare a studiare. All’interno dello stesso tipo di insegnamento, gli studenti migranti che provengono da IT e IP sono più propensi a continuare con lo studio rispetto agli italiani, mostrando di intendere la frequenza di quel 93 tipo di scuola anche come canale di accesso all’istruzione terziaria, viceversa nei licei le proporzioni di chi intende frequentare l’università sono molto simili, ma tra i migranti è più elevata la percentuale di chi vorrebbero unire allo studio altre attività (figura 3.5.1). Fig. 3.5.1 - Risposte alla domanda "Dopo la maturità cosa pensi di fare?" per tipo di insegnamento e provenienza (%). 7,2 35,3 41,3 16,2 IP Migranti Nativi 7 22,9 15,6 36,7 15,4 31,2 16,6 IT Migranti 54,8 Liceo Nativi 12,6 28,1 41,5 27,4 Migranti 58 40 Nativi 0% 20% 17,8 continuare con l'università anche facendo altro fermarmi al diploma e trovarmi un lavoro 6,4 8,3 47 40% continuare con l'università come studente a tempo pieno 60% 5,3 7,7 80% non so ancora 100% p < 0.05 Fonte: elaborazione da Erica–WP3. Mentre per i nativi la distribuzione delle preferenze sull’andare o meno all’università è diversa a seconda delle risorse culturali e della condizione occupazionale dei genitori (p < 0.001), per i migranti non emergono differenze tra figli di classe medio-alta e classe operaia: prevale per entrambi i gruppi il desiderio di unire allo studio universitario altre attività. I migranti figli di almeno un genitore laureato vorrebbero iscriversi all’università nel 71% dei casi (nativi 82,8%), quelli con genitori almeno diplomati nel 60,1% dei casi (63,6%), quelli con al massimo la licenza media che hanno espresso il medesimo desiderio sono il 48% (44,2% dei nativi). Le ragazze propendono maggiormente per continuare a studiare, anche part-time, sia tra i migranti (66,9% vs il 50% dei maschi) che tra i nativi (69,7% vs il 53,9% dei maschi) (figura 3.5.2). Tra le motivazioni per interrompere gli studi, i migranti indicano in ordine di preferenza “non ho più tanta voglia di studiare” (34,6% vs il 50% dei nativi); “vorrei continuare, ma dovrò andare a lavorare” (opzione scelta dal 28,7% dei migranti e solo dal 10% dei nativi); “ho in mente un lavoro per cui mi basta un diploma” (20,6 vs 22,6); “non penso che avere una laurea serva più di tanto a trovare lavoro” (11,8 vs 12,7) (Nm = 136 e Nn = 94 1500, p < 0.001). Dichiara dunque di rinunciare all’istruzione terziaria per ragioni economiche un terzo dei migranti e uno su dieci dei nativi. Migranti Fig. 3.5.2. - Risposte alla domanda "Dopo la maturità cosa pensi di fare?" per provenienza e genere (%). M 16,5 F 16,5 M 33,5 33,9 50,4 16,1 21,1 30,0 32,8 12,0 13,3 fermarmi al diploma e trovarmi un lavoro 11,5 non so ancora Nativi 23,9 continuare con l'università come studente a tempo pieno continuare con l'università anche facendo altro F 26,9 0% 42,8 20% 18,9 40% 60% 80% 100% p < 0.001 Fonte: elaborazione da Erica–WP3. Tab. 3.5.13 - Risposte alla domanda "Se pensi di continuare all’università, a cosa prevedi di iscriverti?" per provenienza (% di colonna). Migranti Nativi Non so ancora 22,2 19,4 Medicina (professioni paramediche) 16,3 14,8 Ingegneria 14,6 12,3 Economia 14,1 12,9 Lingue e letterature straniere 12,2 6,2 9,4 5,1 Medicina (per la professione medica) 8,0 8,9 Giurisprudenza 7,8 8,5 Psicologia 7,5 9,4 Architettura 6,8 6,8 Scienze della comunicazione 5,2 4,3 Scienze politiche 3,8 4,8 Scienze motorie 3,4 5,4 Lettere e filosofia 2,7 4,9 Scienze chimiche 2,5 5,5 Scienze della formazione 2,3 6,4 Farmacia 1,8 2,8 Agraria 1,7 3,1 Biotecnologie 1,5 2,2 Veterinaria 0,3 2,8 521 Fonte: elaborazione da Erica–WP3. 5926 Informatica N 95 Le facoltà preferite dai migranti sono simili a quelle più scelte dai nativi (tabella 3.5.13): laurea per professioni paramediche, oppure ingegneria e economia, seguite da lingue e informatica (invece i nativi scelgono in misura maggiore psicologia e medicina per la professione medica). Rispetto alle aspirazioni occupazionali, le professioni sanitarie sono le più ambite sia dai migranti che dai nativi (figura 3.5.3). Fig. 3.5.3 - Risposte alla domanda "Ti proponiamo un elenco di professioni. Quale tra queste vorresti fare?" per provenienza (%). 100% 90% 80% 70% 60% 50% 40% 4,0 4,8 5,0 5,4 7,6 9,2 5,6 7,2 7,1 4,6 5,3 9,7 9,9 11,7 10,5 12,8 10% professioni artistiche e creative insegnamento professioni giuridiche professioni legate alle nuove tecnologie altro 6,7 non so ancora 13,3 turismo 30% 20% comunicazione, pubblicità 14,3 10,3 16,4 18,6 0% Migranti professioni tecniche e scientifiche professioni nel campo dell’economia professioni sanitarie Nativi Fonte: elaborazione da Erica–WP3. Una delle vie di accesso al ceto medio migrante è il lavoro in proprio. Dal questionario tuttavia non emergono differenze significative tra italiani e migranti a questo proposito: aspirano al lavoro alle dipendenze circa il 20% degli intervistati nativi e il 23% dei migranti, e a quello come imprenditori il 16% di entrambi i gruppi, mentre mirano alle libere professioni circa il 30% di entrambi i gruppi. Con un importante effetto genere: vorrebbero lavorare come imprenditori il 22,8% dei maschi nativi e il 24,5% dei migranti, e solo il 9,5% delle femmine sia native che migranti. Mentre per i nativi con genitori con titolo di studio alto o classe occupazionale medio-alta la percentuale di chi desidera la libera professione sale rispettivamente al 38 e 32%, per i migranti non ci sono differenze significative in base al capitale culturale o alla situazione lavorativa dei familiari adulti. Fermandosi un passo prima dell’ingresso nel mercato del lavoro, il questionario non può dirci molto sulle chances che questi ragazzi avranno rispetto alla ricerca del primo lavoro. 96 Tuttavia informazioni utili possono venirci in merito al capitale sociale: da questo punto di vista i migranti sembrano svantaggiati rispetto ai nativi (tabella 3.5.14). Tab. 3.5.14 - Risposte alla domanda "Nella tua famiglia o tra coloro che frequenti c’è qualcuno che svolge il lavoro che vorresti fare?" per provenienza (% di sì per ogni item). Migranti Nativi nessuno 62,3 55,4 amici di famiglia cugini, zii, altri parenti altri uno o entrambi i miei genitori nonni 12,7 12 9,3 13,1 15 8,3 7,5 14 2,2 1,7 1,9 3,2 fratelli o sorelle N 521 5926 Fonte: elaborazione da Erica–WP3. I migranti si dichiarano più disponibili a spostarsi per trovare lavoro soprattutto all’estero, anche tra i liceali, i più propensi alla mobilità nel campione. Tab. 3.5.15 - Risposte alla domanda "Per lavorare saresti disposto a trasferirti anche per qualche anno?" per provenienza e tipo di insegnamento (% di riga). Nativi Migranti sì, in un'altra sì, in un'altra sì, anche regione all'estero città d'Italia no N Liceo 13,5 10,5 68,9 7,1 2515 IT 16,5 13,6 56,7 13,2 1629 IP 14,2 12,9 55,4 17,4 765 Totale 14,6 11,9 62,7 10,7 4909 Liceo 9,0 5,5 80,7 4,8 145 IT 11,7 6,7 76,7 5 180 IP 13 5,5 72,6 8,9 146 Totale 11,3 5,9 pn < 0.001 pm > 0.05 76,6 6,2 471 Fonte: elaborazione da Erica–WP3. Titolo di studio e collocazione occupazionale medio-alti spingono gli italiani a muoversi, mentre non hanno impatto significativo sui migranti. Le femmine italiane sono quelle che si dichiarano meno propense a trasferirsi, mentre il gruppo dei migranti non presenta differenze di genere significative. 97 3.5.5. I legami amicali La percezione di normalità di determinati percorsi di inserimento nella società italiana, dal punto di vista della stratificazione sociale e occupazionale, può costruirsi nell’interazione con il gruppo dei pari. La scuola risulta un importante luogo di socializzazione. Hanno incontrato l’amico/a più caro/a a scuola il 67,6% delle femmine e il 57,9% dei maschi nativi, il 68,6% delle femmine e il 48% dei maschi migranti. I pari di riferimento tendono ad essere in maggioranza esterni alla scuola per gli studenti di istituti professionali o tecnici, più interni per chi frequenta il liceo: un dato che risulta più accentuato tra i migranti rispetto ai nativi. I migranti inoltre tendono ad avere amici più grandi di età rispetto ai nativi, soprattutto nei professionali, e più amici italiani se frequentano il liceo. Frequentare il liceo quindi può implicare anche avere una rete di riferimento costituita maggiormente da italiani con istruzione secondaria, e più alta probabilità di prosecuzione degli studi nell’istruzione terziaria rispetto a chi frequenta altri tipi di scuola (tabella 3.5.16). Tab. 3.5.16 - Risposte alla domanda "Chi sono i tuoi amici?" per provenienza e tipo di insegnamento (% di riga). Nativi Migranti tutti compagn i di scuola in maggioranza compagni/e di scuola Liceo 2,1 22 in egual misura compagni di scuola e amici esterni alla scuola 44,1 IT 2,7 14,4 IP 3,1 15,5 Liceo 5,3 IT IP in maggioranza amici esterni alla scuola N 31,8 2956 39,6 43,3 1934 39,3 42,1 976 20,5 45 29,1 151 5,1 12,7 30,5 51,8 197 2,5 14,7 29,4 p < 0.001 53,4 163 Fonte: elaborazione da Erica–WP3. 3.5.6. Aspirazioni di un futuro ceto medio immigrato? Dal questionario emergono differenze tra migranti e nativi al termine delle secondarie di secondo grado sia rispetto al percorso scolastico sia rispetto ai desideri e ai progetti di studio e inserimento occupazionale post-diploma. Anche se, per controllare effetti causali, occorrono naturalmente modelli multivariati. Guardando all’istruzione non solo come acquisizione di competenze, ma anche come investimento per la futura collocazione occupazionale, si possono evidenziare alcune specificità connesse ai processi migratori da 98 approfondire nello studio qualitativo. Innanzitutto la scelta dei percorsi tecnicoprofessionali è preferita dai migranti anche quando conseguono un buon voto all’esame per la licenza media, hanno genitori laureati o di classe occupazionale medio-alta. La concentrazione dei migranti nell’istruzione tecnico-professionale è anche dovuta a riorientamenti successivi, che avvengono nel corso della secondaria di II grado. L’influenza esercitata da docenti e orientatori in questo processo sembra più elevata per i migranti che per i nativi, anche perché i genitori dei migranti talvolta non sono presenti. Le famiglie migranti inoltre paiono meno supportate nella scelta scolastica dalla rete parentale e amicale di riferimento. Lo squilibrio di status vissuto dai genitori dei migranti sembra tradursi in un minor effetto della collocazione occupazionale sulle traiettorie di istruzione dei migranti, mentre il titolo di studio elevato si accompagna a segnali di maggiore investimento in istruzione, anche se generalmente più contenuti rispetto a quelli dichiarati dai nativi. Secondo i dati istituzionali i migranti sono più colpiti dalla dispersione scolastica, e dunque gli studenti al termine della secondaria sono più selezionati rispetto ai nativi. E in effetti, come ipotizzato all’inizio di questo lavoro, proprio nei tipi di insegnamento in cui la percentuale di bocciature e drop-out è più elevata, IT e IP, la percentuale di chi intende continuare all’università è più elevata tra i migranti che tra i nativi. Al liceo viceversa i migranti non hanno aspettative più elevate di prosecuzione degli studi all’università. Anche se la gran parte di loro dichiara che vorrebbe continuare con l’istruzione terziaria, ben un terzo afferma di non poterlo fare perché “dovrà andare a lavorare”. Altre informazioni utili ci vengono dai dati sulla rete amicale: i migranti, già mediamente più vecchi dei compagni di classe nativi (non per effetto di bocciature), tendono a frequentare amici esterni alla scuola, non italiani e più grandi di età, specie se iscritti agli istituti professionali o tecnici e se maschi. Per gli studenti del liceo, che tra l’altro sono più spesso femmine, il riferimento relazionale è invece principalmente la scuola. Inoltre i migranti in media conoscono meno familiari, amici o conoscenti che svolgono il lavoro a cui essi aspirano. Rispetto alle aspirazioni di collocazione professionale, la percentuale di chi mira a lavorare in proprio è simile a quella registrata tra i nativi. Piuttosto è il genere che in questo caso fa la differenza. È probabile che i migranti scolarizzati in Italia possano sfruttare (o si aspettino di poter sfruttare) canali di accesso al ceto medio più simili a quelli aperti per gli italiani, dato che il titolo di studio che stanno per conseguire, e quello che in alcuni casi vogliono ottenere in futuro, sono riconosciuti in Italia. Inoltre è possibile che godano di uno status immigratorio giuridicamente più 99 protetto, o di più elevate probabilità di ottenere la cittadinanza italiana, necessaria per alcuni lavori nel settore pubblico. Ma questo lo verificheremo con le interviste qualitative. I migranti sembrano comunque molto più attrezzati che i nativi a entrare in un mercato del lavoro qualificato sempre più internazionale: conoscono più lingue e sono più disposti a trasferirsi all’estero per lavoro, sia i ragazzi che le ragazze. Tuttavia, e le diseguaglianze tra famiglie sembrano passare anche da qui, hanno frequentato meno corsi formativi extrascolastici a pagamento (ad esclusione dei corsi di lingue). I lavoretti, svolti in misura maggiore che dai compagni italiani, e la “mancanza di tempo”, segnalata soprattutto dalle ragazze, suggeriscono un maggiore impegno dei migranti nel lavoro familiare, o nel trovare piccole fonti di reddito alternative per le proprie spese. Questo fatto, unito al più lungo tempo dedicato allo studio e alle minori risorse economiche familiari, possono concorrere al minor ricorso ad agenzie educative extrascolastiche. Per i migranti, ancor più che per i nativi nella stessa condizione socio-economica, la scuola sembra quindi rappresentare un’istituzione importante per accedere a posizioni meno svantaggiate nella stratificazione sociale. Proseguiamo quindi con l’analisi della reazione istituzionale alla presenza degli studenti migranti. 100 4. In cerca di un modello italiano. Analisi interlivello di legislazione e pratiche di inserimento Tutto al più si grida un po’ e si geme sotto la sferza di qualche fatto, che in quei nostri fratelli offende il nostro amor proprio nazionale, si grida e si compassiona e si reclama anche, se si vuole, qualche misura dal Governo, e poi? Tutto tace, tutto si copre di oblio, tutto rientra nella calma; la calma infida dell’onda che nasconde la vittima e se ne preparano di nuove! (G. B. Scalabrini, Prima conferenza sulla emigrazione, istituto Cristoforo Colombo, 1891) La legge è chiara e va rispettata. (M. Gelmini, 11 marzo 2011, www.istruzione.it) La pace perpetua è certo un'idea impraticabile. Ma i principi politici che tendono a questo scopo […] non sono affatto irrealizzabili […]. Dunque non si tratta più di sapere se la pace perpetua sia una cosa reale o un non senso, e se noi non ci inganniamo nel nostro giudizio teorico, quando accettiamo il primo caso; ma noi dobbiamo agire sul fondamento di essa, come se la cosa fosse possibile, il che forse non è... (I. Kant, Metafisica dei costumi, 1797) Da tempo gli osservatori hanno segnalato il rischio di una politica interculturale solo simbolica, per mancanza di mezzi e coordinamento centrale. Gli interventi su due modelli, nel Sud, interamente scolastico - ministeriale; nel Centro – Nord, promosso da enti locali e associazionismo, individuati nei primi anni Duemila (Fischer e Fischer, 2002, p. 32)61, sembrano negli ultimi tempi lasciare il posto a un sistema misto di coordinamento tra pubblico, privato sociale e terzo settore. Come prospettato nel secondo capitolo, di seguito si tenterà quindi di ricostruire il quadro istituzionale relativo all’inserimento dei migranti a scuola in Italia dagli anni Ottanta al 2011 attraverso l’analisi di tre livelli di intervento: nazionale, locale e di singolo istituto scolastico, e il confronto tra norme e pratiche, con lo scopo di definire il contesto nel quale prendono forma i percorsi scolastici degli studenti. Particolare attenzione verrà posta alle scuole secondarie di II grado e, nel paragrafo sulla dimensione locale, alla regione Piemonte e alla città di Torino. 61 Emerso anche per i progetti sulle lingue di minoranza (Miur, 2010b). 101 4.1.Le indicazioni del centro: intercultura, individualizzazione, incertezza nell’implementazione La scuola statale italiana ha storicamente dovuto gestire la diversità culturale (cfr. ad esempio Gobbo, 2002; Dutto, 2000; Giovannini, 1998; Bonifazi, 1998), sia per effetto delle migrazioni interne, sia per l'eterogeneità di dialetti e culture che ha caratterizzato la penisola prima e dopo l'Unità nazionale. Fino al termine degli anni Settanta, tuttavia, il tema della differenza tra culture a scuola è assente dalle politiche educative. Proprio per il suo compito costitutivo della giovane identità nazionale62, quella italiana rimane ufficialmente una scuola monolingue, poco incline a tenere conto dell’eterogeneità culturale nei curricola63. La propensione per il modello integrato (v. cap. 1) si afferma con lo sviluppo della riflessione pedagogica sulla disabilità e l’enfasi alla centralità della persona, da accogliere nella sua unicità. Io credo che, nella scuola italiana, la nostra idea di integrazione venga da molto lontano. Dalla legge 517 del ‘77, una signora legge che ha fatto dell’integrazione un concetto pedagogico chiave. Le scuole degli anni Settanta erano scuole di passione, scuole innovative, ora ° se dovessi dire, direi che sono scuole di stanchezza °, ma negli anni Settanta molte avevano voglia di sperimentarsi, sono state fatte grosse esperienze scolastiche e umane, e questo ha costituito un terreno fertile per parlare di integrazione. Con la legge 72 si abolivano le classi differenziali. Per cui l’integrazione è nata per una scuola inclusiva con i disabili, si è parlato per la prima volta di Piani individualizzati personalizzati e questa è stata una rivoluzione pedagogica (test. qual. 14: Lucia). Nel corso degli anni Ottanta il concetto di educazione multiculturale viene impiegato per fare riferimento alle minoranze storiche e alle loro esigenze linguistiche (Dutto, 2000). Bisognerà attendere il 1989 per vedere riformulata la legislazione degli anni Venti (Regio decreto n. 653 del 4 maggio 1925 sull’inserimento nella scuola italiana dei giovani provenienti dall’estero). Proprio in quell’anno viene istituito il primo gruppo di lavoro per l’inserimento degli alunni stranieri, presso la Direzione generale della scuola elementare, formato non solo da funzionari ma anche da universitari e esperti64. Un anno prima della “legge Martelli”. 62 In effetti il sistema scolastico dalla legge Casati (R.D. 13/11/1859) era pensato per formare la classe dirigente, e non certamente per ridurre le disuguaglianze sociali nello spirito dell’unità nazionale, tuttavia esso aveva permesso di superare “le tendenze centrifughe degli stati annessi al Regno d’Italia” (Milinterno, 2004). Ringrazio Concetta Mascali per avere discusso con me questo punto e Maria Angela Donna per l’invio dei materiali. 63 Anche se, di fatto, specialmente nelle aree rurali, gli insegnanti di scuola elementare fino ad anni recenti utilizzavano talvolta il dialetto. 64 In Portogallo fu creato nel 1991 all’interno del ministero dell’Educazione il Secretariado Coordenador dos Programas de Educação Intercultural. In Spagna nella Ley Organica 1/1990 di Ordenamiento General del Sistema Educativo (Logse) si menziona il rispetto per il pluralismo linguistico e culturale, ma i principi dell’educazione interculturale comparvero la prima volta nel Real Decreto 299/1996. In Svezia invece la 102 Il modello di integrazione previsto dal centro nel corso degli anni Novanta è piuttosto avanzato: non prevede un assimilazionistico e unilaterale adeguamento dell’alunno alla scuola ricevente, ma si fonda sull’ideale pedagogico dell’intercultura (adattamento reciproco, non solo dei migranti verso l’istituzione scolastica, ma anche viceversa). L’articolo 36 della legge 40 del 1998, recependo molti contenuti delle precedenti circolari ministeriali su iscrizione e vita scolastica degli alunni stranieri, prevede: obbligo scolastico e pari opportunità di istruzione per tutti i minori stranieri; educazione interculturale come fondamento pedagogico dell’organizzazione e della didattica; mediazione interculturale; territorialità e coordinamento tra enti per favorire il diritto allo studio degli studenti stranieri65. L’emanazione di questi orientamenti legislativi subisce una battuta d’arresto a fine anni Novanta per riprendere dal 2006. I testi di riferimento più recenti sono la C.M. 24/2006, Linee guida per l’accoglienza e l’integrazione degli alunni stranieri (Miur, 2006) e il documento dell’Osservatorio nazionale per l’integrazione degli alunni stranieri e per l’educazione interculturale: La via italiana per la scuola interculturale e l’integrazione degli alunni stranieri (Miur, 2007). Questi ribadiscono l’adesione all’approccio pedagogico interculturale, il diritto all’istruzione per tutti, l’importanza della programmazione di corsi di italiano come L2 e dell’orientamento alle famiglie, l’impiego di mediatori e interpreti, la formazione del personale a scuola (ad es. D.M. 45/2005), la valutazione formativa. Per cogliere le implicazioni dei riferimenti normativi sui percorsi scolastici, vediamo come procedono dalla fine degli anni Ottanta le indicazioni nazionali rispetto alle seguenti questioni: ammissione a scuola; assegnazione alla classe e fondi per scuole in aree a forte processo immigratorio; integrazione linguistica; formazione di insegnanti e dirigenti; valutazione differenziata; tutela dell’identità culturale del minore e educazione interculturale; politiche per l'integrazione e risorse istituzionali. dizione fu utilizzata la prima volta nei documenti ufficiali dieci anni prima, quando nel 1986 il Parlamento stabilì che dovesse trattarsi di un approccio da adottare in tutti i tipi di scuola, su proposta della Commissione governativa per il Linguaggio e l’eredità culturale (Comenius, 2000). 65 Il D.Lgs. n.286/98, Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norma sulla condizione dello straniero, art. 38 Istruzione degli stranieri - Educazione interculturale (legge 40/98, art. 36 L.943/86, art. 9, commi 4 e 5) stabilisce che "1. I minori stranieri presenti sul territorio sono soggetti all’obbligo scolastico: ad essi si applicano tutte le disposizioni vigenti in materia di diritto all’istruzione, di accesso ai servizi educativi, di partecipazione alla vita della comunità scolastica. 2. L’effettività del diritto allo studio è garantita dallo Stato, dalle regioni e dagli enti locali anche mediante l’attivazione di appositi corsi ed iniziative per l’apprendimento della lingua italiana. 3. La comunità scolastica accoglie le differenze linguistiche e culturali come valore da porre a fondamento del rispetto reciproco, dello scambio tra le culture e della tolleranza; a tale fine promuove e favorisce iniziative volte all’accoglienza, alla tutela della cultura e della lingua d’origine e alla realizzazione di attività interculturali comuni". 103 4.1.1. Ammissione a scuola: alcuni passi da gambero? L’istruzione in Italia è un obbligo per tutti, non solo un diritto, indipendentemente dalla regolarità del soggiorno dei genitori. Il decreto presidenziale 394/1999 sviluppa in ottica inclusiva la normativa precedente66 e stabilisce anche per i minori irregolari il diritto all’istruzione e al conseguimento dei titoli di studio “nelle forme e nei modi previsti dai cittadini italiani” (art. 45, co. 1). In quest’ambito la dottrina italiana appare dunque precocemente protettiva nei confronti dei minori migranti rispetto a quella di molti paesi dell’Unione europea, dove il processo di equiparazione degli irregolari ai nativi è stato graduale, recente e talvolta ancora di là da venire (Eurydice, 2004). Diversi studiosi hanno dunque segnalato la frattura tra politiche educative inclusive e legislazione sugli ingressi escludente (ad es. Dutto, 2000). Negli ultimi anni, tuttavia, alcune misure e proposte sono state lette come passi indietro. O, potremmo dire, come riavvicinamento tra politiche migratorie e politiche educative per i migranti: riportano il dibattito dal successo scolastico per tutti, all’accesso all’istruzione solo per alcuni. Tra le mosse all’indietro, è normalmente inserita la mozione Cota sulle “classi ponte”, molto criticata, modificata e infine non adottata67. Un altro segnale in questa direzione sarebbe stato introdotto dalla legge 94/2009 che, modificando il T.U. sull’immigrazione stabilisce, l’obbligo68 per lo straniero di esibire il permesso di soggiorno per richiedere alla Pubblica amministrazione “licenze, autorizzazioni, iscrizioni ed altri provvedimenti di interesse dello straniero comunque denominati”, fatto salvo, tra l’altro, le prestazioni scolastiche obbligatorie. A questa modifica si accompagnano l’introduzione del reato di ingresso e soggiorno illegale (art. 10-bis T.U. 286/98) e dell’obbligo per il pubblico ufficiale e per l’incaricato di pubblico servizio di denunciare le notizie di reato (art. 331 c.p.p.). Tuttavia per l’Asgi (2009) l’accezione di prestazioni scolastiche obbligatorie può includere, nella logica del diritto all’istruzione garantito da norme nazionali e 66 La C.M. 400/91 "Iscrizione degli alunni alle scuole materne, elementari e secondarie di primo e secondo grado" prevedeva di iscrivere i minori stranieri soggiornanti regolari. Dalla C.M. n. 32/93 "Minori privi di permesso di soggiorno", fino alla C.M. n. 119/95 "Iscrizione degli alunni alle scuole o istituti statali di ogni ordine e grado" secondo cui l’iscrizione con riserva prevista dalla C.M. 5/94 si scioglie al conseguimento del diploma di scuola media inferiore e superiore, il diritto all’istruzione è previsto anche per i minori irregolari. Il T.U. del 1998 sancisce il fondamentale passaggio dal diritto all’obbligo scolastico anche per gli stranieri irregolari (cfr. Cacciavillani e Di Bella, 2002). 67 Le classi ponte in alcuni paesi europei che optano per il modello separato, citate da Biondi dal Monte (2011) come esempio di discriminazione attuata proprio dalle istituzioni incaricate di integrare, sono state giudicate discriminanti dalla Corte europea, ad esempio con la sentenza D.H. e altri c. Repubblica Ceca, del 13 dicembre 2007. La Corte EDU ha affermato che iscrivere alunni rom in scuole speciali per deficit intellettuale, anche dopo test cognitivi, è discriminante e viola il diritto all’istruzione (art. 14 CEDU e art. 2 Prot. n. 1). Altre sentenze sul tema sono state Sampanis e altri c. Grecia, sentenza del 5 giugno 2008, Oršuš e altri c. Croazia, Folgerø e altri c. Norvegia, sentenza del 29 giugno 2007. 68 Obbligo poi parzialmente attenuato da successive circolari interpretative. 104 internazionali69, la scuola dell’infanzia e la scuola secondaria di II grado fino alla maggiore età. Inoltre il personale scolastico non sarebbe tenuto a richiedere documenti comprovanti la regolarità del soggiorno, e l’obbligo di denuncia sarebbe concreto solo in caso di certezza del reato di soggiorno illegale, difficilmente valutabile da parte di P.U. e potenzialmente lesivo del diritto di istruzione del minore. Anche la nota ministeriale dell’8 maggio 2009 sull’esibizione del codice fiscale all’esame di maturità è stata letta dall’opposizione di governo e dalle confederazioni sindacali come possibile fonte di discriminazione nell’accesso all’istruzione (al conseguimento del titolo) per gli studenti irregolari. Il ministero ha rassicurato sulla funzione meramente conoscitiva della disposizione, legata all’Anagrafica degli studenti e alla lotta alla dispersione scolastica, e sulle possibilità di essere ammessi all’esame anche senza codice fiscale. Il presunto esito discriminatorio della misura è stato definito dal Ministro “la solita montatura della sinistra”. Tuttavia, nelle scuole secondarie di II grado, l’applicazione corretta della legislazione ha la conseguenza di vietare l’iscrizione all’esame per gli irregolari, come spiegano le testimoni qualificate. In teoria per gli irregolari non sarebbe possibile frequentare l’ultimo anno, noi permettiamo di frequentare ugualmente, ma poi non puoi iscriverli all’esame, là ti chiedono il codice fiscale e non si scappa. Li iscriviamo sub conditione, anche a scuola hanno tre anni per regolarizzarsi, ma poi se non lo fanno non possono più frequentare, e anche l’iscrizione sub conditione all’esame di quinta non è legale. E’ tutta un’area di semi-illegalità nella quale questi vivono quando arrivano alla maggiore età (ins. ref. IT Alfa 2: Vittoria). La messa in discussione del diritto all’istruzione per gli irregolari sembra quindi retorica, per quanto riguarda i minori. Diventa effettiva, a seconda della solerzia nell’applicazione della normativa, per i maggiorenni. Quando sono irregolari essi si collocano, nell’espressione efficace di Vittoria, in un’area di semi-illegalità, più o meno emersa, con più o meno conseguenze, a seconda dell’istituto scolastico in cui si trovano e della decisione degli operatori di agire contra legem. Ma questo riguarda appunto i maggiorenni, che sono solo una piccola parte degli studenti migranti in Italia. Di fatto per tutti gli altri l’iscrizione rimane obbligatoria in qualunque momento dell’anno. Rispetto ai servizi educativi prescolastici a gestione locale che hanno tentato di vietare l’iscrizione ai minori irregolari, motivando tale scelta con la cronica carenza di posti e con il presunto tentativo di incarnare la volontà delle famiglie italiane, la reazione del centro finora è sempre stata sanzionatoria. Inoltre lo stesso Ministro dell’istruzione Gelmini aveva esplicitato il mantenimento dello iato tra minori e maggiorenni, semmai acuito 69 Costituzione italiana, Dichiarazione universale dei diritti umani, Convenzione internazionale di New York sui diritti del fanciullo (1989), legge delega 53/2003 e D.M. 139/2007. 105 dall’inasprimento delle norme sugli ingressi, commentando la sentenza della Corte di Cassazione del marzo 2010 secondo cui non è possibile chiedere di rimanere in Italia per i soggiornanti irregolari con figli minori iscritti a scuola. Ritengo giusta la sentenza dei giudici. La scuola italiana è pronta ad accogliere i bambini in difficoltà e a supportarli in un percorso educativo che li prepari e li formi. Il nostro sistema d’istruzione ha sempre incluso e mai escluso e le colpe dei genitori non possono ricadere sui figli. Allo stesso modo però non si può giustificare chi utilizza i bambini e li strumentalizza per sanare situazioni di illegalità. La legge è chiara e va rispettata. Per questo i giudici hanno ragione quando affermano che si finirebbe col legittimare l’inserimento di famiglie di clandestini strumentalizzando l’infanzia (11 marzo 2010, www.istruzione.it). Le indicazioni del centro appaiono quindi più politicizzate nella retorica, ma sostanzialmente invariate nei contenuti, per la scuola primaria, secondaria di I grado e secondaria di II grado fino all’assolvimento dell’obbligo. Più discrezionalità, e effetti non solo retorici dell’approccio securitario all’immigrazione, appaiono a livello di scuola dell’infanzia (o pre-scuola) e anni finali di scuola secondaria di II grado. 4.1.2. Gestire la concentrazione: assegnazione alla classe e fondi per scuole in aree ad alto flusso immigratorio L’assegnazione alla classe dovrebbe basarsi sull’età anagrafica, a meno che il Collegio docenti non deliberi diversamente in base alle competenze, ai titoli conseguiti dallo studente prima dell’iscrizione e al sistema scolastico del paese d’origine. La C.M. 205/1990 consigliava di riunire gli alunni per gruppo linguistico, e procedere per raggruppamenti transitori in base alle esigenze, ma sempre all’interno delle scuole e delle classi con tutti gli altri allievi nativi. Su questo punto, un’innovazione è rappresentata dalla circolare sull’istituzione del limite del 30% di allievi stranieri per classe (C.M. 2/2010). Anche se il centro dagli anni Ottanta raccomanda di evitare la concentrazione scolastica degli alunni immigrati70, è la prima volta che emana una misura di intervento specifica. La circolare sembra avere colto esigenze espresse anche dal mondo della scuola e dal livello locale (Anci, 2009). Inoltre sembra voler rispondere ai timori sulla concentrazione spaziale dei migranti nelle città. Vogliamo evitare che nelle nostre scuole si riproducano gli stessi “ghetti” che già esistono in molti quartieri delle città italiane. Sono questi i veri ostacoli all’inclusione. Per affrontare il problema dell’immigrazione quindi sono necessarie proposte che, a differenza delle politiche permissive del passato, puntino concretamente all’inclusione degli stranieri. Nella scuola, 70 D.P.R. 10 settembre 1982, n. 722, Art. 1 “L'assegnazione alle classi degli alunni iscritti ai sensi del presente articolo è effettuata, ove possibile, raggruppando alunni dello stesso gruppo linguistico che, comunque, non devono superare il numero di cinque per ogni classe”. Anche se nell’‘82 i migranti erano così pochi che la richiesta di iscrizione poteva rivolgersi direttamente al Provveditorato agli studi. 106 come nei quartieri delle nostre città, è necessario combattere l’esclusione (15 febbraio 2010, www.istruzione.it). “Dispiace constatare” continua il Ministro “che, anche in questa occasione, la sinistra ha saputo solo strumentalizzare senza avanzare alcuna proposta convincente per governare questi fenomeni” (Id.). In realtà la circolare è stata apprezzata da membri di diversi schieramenti politici in quanto utile per la programmazione. Oltre a istanze organizzative, essa riporta però una visione degli immigrati in classe come fonte di “disagio”, “difficoltà”, “aspetti problematici e criticità di non facile gestione e soluzione, che incidono negativamente sull’efficacia dei servizi scolastici e sugli esiti formativi” (C.M. 2/2010). Anche se la circolare ribadisce in nota l’adesione al progetto interculturale, si può leggere nel testo un rovesciamento di quell’approccio: non sono l’istituzione scolastica e la sua organizzazione a determinare gli insuccessi scolastici dei migranti, ma sono gli alunni stranieri portatori di insuccesso nell’organizzazione scolastica. Appare comunque di nuovo un rovesciamento più retorico che operativo, anzi in questo senso la circolare sembra, relativamente alle altre, dare concretezza agli ideali della mixité. La gradualità dell’entrata in vigore del provvedimento, le possibilità di modificare il limite secondo valutazioni dell’Ufficio scolastico regionale, la richiesta di evitare “ogni rigidità burocratica” nell’applicazione, in relazione a paese di nascita e competenze linguistiche dei bambini stranieri da inserire nel computo, alle strutture professionali e alle “consolidate esperienze attivate da singole istituzioni scolastiche”, a cui si aggiungono “ragioni di continuità didattica” e “stati di necessità provocati dall’oggettiva assenza di soluzioni alternative”, rendono al momento difficilmente interpretabili i primi esiti dell’intervento, ma fanno presumere un ampio margine di negoziazione a livello locale, deroghe e applicazioni parziali. Molto dipenderà da come si organizzeranno le strutture di coordinamento previste (scuole polo, task force regionale, gruppo nazionale di lavoro). Secondo i primi dati ufficiali, la circolare “è stata rigidamente rispettata consentendo solo in realtà specifiche la concessione di deroghe”, sei in Lazio, due in Toscana (Prato) e Friuli, 20 in Piemonte. L’84% delle scuole in Lombardia applicheranno l’indicazione (www.istruzione.it). Tuttavia la circolare continua a suscitare perplessità, in particolare sulla eventuale coercizione degli spostamenti e il coinvolgimento del territorio, e sulla valutazione delle competenze linguistiche. Ma anche sulle modalità di 107 monitoraggio dell’applicazione stessa. Inoltre, dalla fine del 2011 compaiono le prime cause per discriminazione per la chiusura di scuole ad alta concentrazione di migranti71. In ogni caso in Italia è la prima volta che si propone una misura per diminuire o prevenire la segregazione spaziale a scuola. Come è noto infatti, in altri paesi, ad esempio Stati Uniti o Francia, si è molto dibattuto sul contrasto tra ideali di uguaglianza di opportunità e mixité da un lato e diritto di libera scelta delle famiglie dall’altro. Ma in Italia finora le politiche avevano riguardato esclusivamente la riduzione degli effetti negativi della concentrazione scolastica dei migranti e la gestione positiva di tale concentrazione. Con questi scopi dal 1999 al 2002 il ministero dell’istruzione (Miur) aveva stanziato 10 miliardi di lire all’anno per “l'incremento del fondo d'istituto delle scuole situate in zone a forte processo immigratorio” (C.M. 294/99, C.M. 221/2000, C.M. 155/01). D’intesa con le organizzazioni sindacali, i criteri di assegnazione dei fondi tenevano conto per ciascuna provincia della presenza di alunni stranieri o nomadi per scuola, pari o superiore al 10%. Dal 2002/03 si continua ad assegnare il 70% dei fondi con questo criterio e il restante 30% sulla base del numero di alunni stranieri e/o nomadi presenti sul territorio regionale (C.M. 106/02). I fondi dal 2003/04 si uniscono a quelli per la prevenzione del disagio scolastico per un totale di 53.195.060 euro, cifra invariata fino ad oggi. Si tratta di un finanziamento diretto centralizzato, erogato dal Miur alle istituzioni scolastiche che abbiano presentato progetti ritenuti idonei. I criteri di ripartizione tra gli Usr sono gli stessi dal 2005. Le variabili considerate (socio-economiche, sanitarie, culturali, incidenza della criminalità, dispersione scolastica e percentuale di alunni stranieri) fanno sì che più della metà delle risorse sia attribuito alle scuole del Mezzogiorno, dove si registra relativamente maggiore disagio e minore presenza di allievi migranti. Come si vede dalla tabella 4.1, nell’ultimo periodo, in concomitanza con l’aumento degli alunni immigrati in Italia soprattutto al Nord, la proporzione dei fondi destinata al Settentrione è aumentata. Questo fatto, unitamente alla possibilità dei singoli Usr di destinare porzioni di fondi diverse a disagio scolastico o integrazione degli allievi immigrati72 fanno pensare a un aumento dei finanziamenti rivolti all’inclusione dei migranti, a discapito di quelli contro disagio e dispersione. Anche se, va detto, negli ultimi anni una proporzione sempre maggiore di alunni drop-out ha origini migranti. Gli ultimi ritardi o omissioni nell’erogazione degli 71 Sezione prima di scuola primaria, via Paravia, Milano. Ad esempio in Lombardia nel 2009 si è stabilito di attribuire alle aree a forte flusso immigratorio il 90% dei fondi, e dedicarne solo il 10% al disagio scolastico, Prot. n. MIUR AOODRLO R.U. 34981, Milano, 18 dicembre 2008. 72 108 stanziamenti73 e il loro carattere progettuale rendono difficile impiegarli per garantire interventi strutturali. Tab. 4.1 – Finanziamenti a progetti per scuole in aree a forte processo immigratorio e contro l’emarginazione scolastica, percentuali per area dall’a.s. 2003/04 al 2011/12. Usr Piemonte Lombardia Veneto Friuli Venezia Giulia Liguria Emilia Romagna Totale nord Toscana Umbria Marche Lazio Abruzzo Molise Totale centro Campania Puglia Basilicata Calabria Sicilia Sardegna Totale sud e isole Totale (€ 53.195.060 per a.s.) Periodo 2003-07 3,8 7,4 4,6 0,9 1,0 2,4 20,2 2,9 1,2 2,2 4,8 2,6 0,8 14,7 21,5 13,5 1,9 7,3 17,3 3,5 65,1 100,0 Fonte: Miur74. Periodo 2007-2012 5,0 11,9 6,1 1,4 1,8 5,7 32,0 4,1 1,4 2,4 6,1 2,3 0,6 16,9 16,5 10,0 1,9 5,8 13,5 3,5 51,1 100,0 Le politiche sulla prevenzione della segregazione spaziale sono state criticate perché la vicinanza fisica non implica necessariamente interazione positiva; inoltre, non è chiaro come definire le soglie più opportune di eterogeneità; infine mancano valutazioni dell’impatto delle politiche de-segreganti (e in Italia anche dati sugli effetti della concentrazione “etnica” a scuola e sul cosiddetto neighbourhood effect). Ma forse il limite più sostanziale di questo tipo di politiche è che esse si rivolgono alla rimozione delle disuguaglianze sociali tramite un mero tentativo di ri-distribuzione della popolazione dello spazio. Per essere efficaci dovrebbero essere invece integrate, se non in una “macropolitica d’inclusione socio-economica” (Alietti, 2011, p. 50), quanto meno in 73 Confermato dalla nota MIUR 28.07.2011, prot. n. 5981, “Progetti finanziati ai sensi dell'art. 9 CCNL 2006-2009. Misure incentivanti per progetti relativi alle aree a rischio, a forte processo immigratorio e contro l'emarginazione scolastica. EE.FF. 2009, a.s. 2009/2010 e 2010, a.s. 2010/2011. Ricognizione risorse erogate”. 74 Contratto Collettivo Integrativo Nazionale sui criteri di attribuzione delle risorse per le scuole collocate in aree a rischio, con forte processo immigratorio e contro la dispersione scolastica, Art. 9 del C.C.N.L. Comparto Scuola – Misure incentivanti per progetti relativi alle aree a rischio, a forte processo immigratorio e contro l’emarginazione scolastica. Anni Scolastici 2003/04-2011/12 (C.M. 40/04; C.M. 41/05; C.M. 91/06; Prot. n. 4300/A6 del 2006; Prot. N. AOODGSC/779 del 2008; Prot. 3152 del 3 maggio 2010; Prot. 4315 del 23 giugno 2010; C.M. 67/11). 109 attività di valorizzazione dell’eterogeneità. Vedremo a livello di istituto scolastico alcuni processi di concentrazione. 4.1.3. Integrazione linguistica: una faccenda prioritaria ma inizialmente locale Il centro invita da tempo a porre come prioritaria l’educazione linguistica coordinandosi con associazioni e enti locali (Miur, 2007). Dagli anni Ottanta spetta alle regioni organizzare “appositi corsi di lingua e cultura italiana al fine di favorire l’integrazione nella comunità italiana dei lavoratori extracomunitari e delle loro famiglie” (L. 943/1986). La C.M. 2/2010 invita alla formazione di reti tra scuole di ordini e gradi diversi e alla collaborazione con il territorio. La predisposizione di corsi L2 dunque è compito del livello locale. Il DPR 89/2009 prevede che le due ore settimanali per l’insegnamento della seconda lingua comunitaria nella scuola secondaria di I grado possano essere impiegate a determinate condizioni per insegnare italiano come seconda lingua. Tuttavia l’ammontare di queste ore nella secondaria può ridursi per effetto dell’introduzione dell’insegnamento dell’inglese potenziato, “anche utilizzando le due ore di insegnamento della seconda lingua comunitaria” (Regolamento per il primo ciclo d’istruzione, art. 5, c. 10). Negli ultimi anni sono inoltre diminuite le risorse finanziarie disponibili. La scarsità dell’erogazione finanziaria dal centro in tema di L2 acuisce la diseguaglianza tra i comuni, come Firenze o Torino, in cui l’amministrazione cittadina si prende carico di attivare i corsi con risorse economiche, organizzative e umane, e i comuni che invece sono meno presenti (Commissione Cultura, 2011, p. 21). I tagli ai bilanci degli enti locali non miglioreranno la situazione. 4.1.4. Formazione degli insegnanti e dei dirigenti: il rischio “fai-da-te” Proprio per via del modello integrato italiano, l’unico personale responsabile dell’inserimento di solito è l’insegnante di classe, a differenza che in gran parte degli altri paesi europei dove prevale il ruolo di docenti di sostegno, assistenti di classe o mentori specializzati (Eurydice, 2004)75. Secondo la C.M. 205/1990, gli organismi decentrati del ministero dell’istruzione dovrebbero sostenere la formazione in servizio dei docenti, concetto ribadito dalla C.M. 73/1994, secondo cui tra i contenuti della formazione vanno incluse competenze metodologiche nella gestione di classi multietniche e di insegnamento 75 Anche perché in paesi a più lunga tradizione migratoria dove la normativa sulla cittadinanza è più concessiva, l’attenzione tende a concentrarsi sui nuovi arrivati (vedi progetto ENAF - Elèves nouveaux arrivants en France in Francia; NAEP – New arrivals excellence programme in Gran Bretagna). 110 dell’italiano come L2, e elementi normativi per favorire l’interazione con famiglie e con enti territoriali. Dal centro sono stati organizzati alcuni seminari nazionali per dirigenti e insegnanti di scuole multiculturali, a partecipazione non obbligatoria. Tra le funzioni strumentali dei docenti, inoltre, è possibile istituire un referente per l’intercultura e l’inserimento scolastico degli allievi stranieri. Ma anche questo strumento, per ovvie ragioni legate alla numerosità variabile degli alunni migranti per scuola, non è obbligatorio. Non emerge al momento alcuna intenzione di istituire qualifiche riconosciute e certificate a livello nazionale su intercultura e insegnamento dell’italiano come L2 per docenti di scuola dell’infanzia, primo e secondo ciclo di istruzione. Malgrado il centro colga sempre l’occasione di sottolineare l’indispensabilità di questo aspetto (cfr. Miur, 2007), tanto che si tratta di una delle poche misure accompagnate da risorse, in Italia non è prevista alcuna formazione iniziale specifica di tipo obbligatorio. Neanche la formazione in servizio è obbligatoria, né per i docenti né per dirigenti. Ma questo vale per tutta la questione “aggiornamento”, non solo per quello relativo all’accoglienza degli alunni “stranieri”. Anzi, nonostante le riforme ordinamentali in atto, dal gennaio 2011 la spesa annua in formazione della P.A. è stata dimezzata rispetto all’anno precedente (D.L. 78/10). La Commissione Cultura ha dunque rilevato i rischi di questa formazione “fai da te”, spesso realizzata appoggiandosi al privato sociale e al volontarismo dei singoli docenti. 4.1.5. Valutazione differenziata: normativa chiara, applicazione carente L’adattamento dei programmi per i migranti (DPR 394/99 art. 45, comma 4, DPR122/09) è riferibile anche alla valutazione (C.M. 24/06), in relazione alle Indicazioni nazionali per i piani di studio personalizzati e al più generale passaggio, già dalla legge 517/77, a una valutazione non più certificativa ma regolativa. La C.M. 2/10 conferma l’adozione di una valutazione differenziata, soprattutto per la secondaria di II grado, basata su obiettivi di apprendimento individuali e piani educativi personalizzati definiti dai Consigli di classe. L’applicazione ricade quindi a livello scolastico, vedremo nel paragrafo successivo alcune testimonianze sul come è implementata. Qui ci basta notare che le indicazioni normative sono rimaste coerenti nel tempo, volte a personalizzare i percorsi stabilendo collegialmente i criteri da adottare. 111 4.1.6. Tutela dell’identità culturale e intercultura: nucleo centrale del “modello italiano” Il rispetto della diversità nell’alimentazione è introdotto dalla C.M. 205/90. Le Linee di indirizzo nazionale per la ristorazione scolastica esortano a diminuire i rischi di malnutrizione sia in eccesso sia in difetto, dovuti anche alle difficoltà delle famiglie migranti di conciliare le abitudini alimentari italiane con quelle del paese di origine, e ridurre le disuguaglianze tra i bambini, e, tramite loro, le famiglie, assumendo “la varietà come paradigma”. I termini rimangono comunque molto generali, senza chiarirne l’obbligatorietà. Sul diritto degli alunni di esporre nella scuola pubblica simboli religiosi, a differenza che in Francia, la questione è stata risolta, quando si è manifestata, a livello di istituto scolastico. Il dibattito infatti, in Italia non ha riguardato la laicità delle pratiche o della rappresentazione del sé degli studenti (e delle loro famiglie), ma piuttosto la neutralità confessionale dello Stato. Stranamente non per l’insegnamento della religione cattolica in orario curriculare (non obbligatorio, e talvolta scelto da non cattolici), quanto piuttosto per la presenza in aula del crocifisso. La Corte europea nel 2009 aveva giudicato che l’esposizione violasse la Convenzione europea dei diritti dell’uomo (art. 2 prot. 1, diritto all’istruzione e art. 9, libertà di pensiero, coscienza e religione). Il governo italiano ha quindi presentato ricorso alla Grande Camera (Lautsi c. Italia – ricorso n. 30814/06), sostenendo tra l’altro che la laicità non consisterebbe nel mantenimento di una posizione agnostica o atea ma nello sforzo di armonizzare la pluralità religiosa. Nel marzo 2011 la Corte ha assolto l’Italia per mancanza di elementi provanti l’eventuale influenza del simbolo. Tuttavia ha affermato che non spetta alla Corte sciogliere un dibattito non risolto neppure dalle principali istituzioni italiane: Consiglio di Stato e Corte di Cassazione. La tutela della lingua di origine è prevista dal centro, secondo le direttive europee, a partire dal 198176 (anche se non mancano esponenti politici che ancora oggi, malgrado il generale accordo nella ricerca internazionale sul tema, vedono il mantenimento della L1 come deficit). Già la legge 943/86 stabiliva: “analogamente a quanto disposto per i figli dei lavoratori comunitari e per i figli degli emigrati italiani che tornano in Italia, sono attuati specifici insegnamenti integrativi, nella lingua e cultura di origine” (art. 9, c. 5). La norma però non prevedeva fondi dedicati e demandava al livello locale o scolastico 76 L'art.3 della Direttiva comunitaria n 77/486 del 25 luglio 1977 “pone la necessità di promuovere, coordinandolo con l'insegnamento normale, un insegnamento della madrelingua e della cultura del paese d'origine” (C.M. 214/81). 112 l’attuazione. Dall’inizio degli anni Novanta il centro suggerisce attenzione interculturale per comporre biblioteche e materiali didattici (C.M. 44/93). Più recentemente si raccomanda un ripensamento dell’offerta formativa relativa alle lingue non italiane77 nell’ottica di conferire maggiore attenzione nel curriculum ordinario alle lingue madri dei residenti in Italia (Miur, 2007). Tuttavia su questa dimensione sembrano più attivi gli operatori locali che, come accennato nel primo capitolo, uniscono una logica mista di finanziamento attraverso accordi bilaterali e nazionali78. In sintesi, dalla normativa si evince un passaggio di enfasi dall’assimilazione linguistica e, in subordine, dal valorizzare la lingua e la cultura d’origine (C.M. 301/89), all’obiettivo di coinvolgere alunni italiani e migranti in un approccio pedagogico volto all’interazione tra le differenze. Dalla fine degli anni Ottanta emerge la peculiarità dell’educazione interculturale in Italia: attenzione all’individualità di ogni alunno e valorizzazione delle sue risorse e dei suoi bisogni unici, differenti e dunque arricchenti79. Si esplicita inoltre il nesso intercultura-democrazia e educazione alla cittadinanza80. Le circolari e le indicazioni ministeriali su questo punto naturalmente vanno intese alla luce dei più generali programmi scolastici per la scuola primaria e secondaria e degli orientamenti per le scuole dell’infanzia. Dal 1994 si inizia infatti a rivolgere la riflessione interculturale alle discipline scolastiche, con l’importante C.M. 73/94, la quale ricorda come elementi di approccio interculturale si leggano già nei programmi della scuola media dal 1979, per la scuola elementare dal 1985, negli orientamenti didattici della scuola materna dal 1991; meno alle superiori anche se i programmi sperimentali del 1992 suggerivano 77 Sulle lingue di minoranza storiche cfr. Miur (2010b). L’attivazione di corsi di lingua madre dei genitori per le G2 nel paese di destinazione, oltre che un impatto sull’allargamento delle loro possibilità di rientrare al paese sfruttando le competenze acquisite in Italia e quindi avendo più chances di collocarsi bene nella stratificazione sociale dell’area di origine, favorisce anche il mantenimento di tali lingue, specie quando nel contesto dove sono parlate, come del caso del bamiléké in Camerun, le possibilità di apprendimento formale sono limitate (Siebetcheu Youmbi, 2012). 79 La C.M. 301/89 invita a create "una serie di interventi intesi a garantire alla generalità degli immigrati l’esercizio del diritto allo studio, e a valorizzare le risorse provenienti dall’apporto di culture diverse nella prospettiva della cooperazione tra i popoli, nel pieno rispetto delle etnie di provenienza" e "di sollecitare gli alunni ad accettare e capire quelle peculiarità, perché ciò contribuisce a promuovere una conoscenza culturale aperta". La C.M. 205/90 esprime il tentativo di individualizzare i percorsi come segue: "gli alunni stranieri sono prima di tutto alunni: bambini e bambine, ragazzi e ragazze con le loro individualità e differenze, fra le quali l’appartenenza ad una diversa etnia si colloca come una delle variabili da prendere in considerazione, senza tuttavia escludere gli opportuni accertamenti sul piano motorio, cognitivo e socioaffettivo che sono alla base di una corretta azione programmatoria per tutti gli alunni”. Confermano e sviluppano questa impostazione la pronuncia del Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione (CNPI) su “L’educazione interculturale nella scuola” del 23 aprile 1992 e su “Educazione civica, democrazia e diritti umani” del 23 febbraio 1995; la C.M. 73/94 e la D.M. 58/96. 80 La C.M. 205/90 definisce l’educazione interculturale "condizione strutturale della società multiculturale [che] avvalora il significato di democrazia, considerato che la diversità culturale va pensata quale risorsa positiva per i complessi processi di crescita della società e delle persone”, temi ripresi negli anni Duemila (Miur, 2007). 78 113 “significativi spunti” e chiavi “di rilettura degli stessi programmi vigenti”. L’approccio pedagogico assunto a livello centrale in quegli anni aveva dunque anticipato problematiche venute alla ribalta negli anni successivi. In particolare il rapporto tra pluralità, cittadinanza e democrazia viene tematizzato presto dalle direttive sulla scuola. Ultimamente anche le politiche educative più ampie, in particolare il “Terzo Piano biennale nazionale di azioni e di interventi per la tutela dei diritti e lo sviluppo dei soggetti in età evolutiva” (G.U. 09.05.2011, n. 106) prevedono di promuovere l’interculturalità attraverso tutela della salute, accesso a servizi materno-infantili, accompagnamento delle riunificazioni familiari, prevenzione dell’abbandono scolastico, contrasto dei fenomeni di matrimonio e maternità precoce, sostegno agli affidamenti familiari omoculturali. L’adesione al modello interculturale è rinforzata dal centro attraverso l’organizzazione di concorsi, seminari, convegni, con la collaborazione di studiosi e operatori scolastici esperti. I testi elaborati in queste occasioni danno l’idea della maturità della riflessione interculturale in Italia e della sua portata innovativa per il core curriculum. Emerge pure lo sforzo di rinnovamento non solo pedagogico ma anche logistico, date alcune rigidità organizzative della scuola. La partecipazione a queste iniziative è volontaria e non c’è valutazione quantitativa della loro ricaduta, tuttavia esse contribuiscono alla socializzazione dei materiali e soprattutto al confronto tra i diversi livelli di intervento. A livello centrale, sono state fondate diverse agenzie di coordinamento. Dopo la Commissione nazionale per l’educazione interculturale, nel 2004 viene istituito l’Ufficio per l’integrazione degli alunni stranieri presso il Miur, Direzione generale dello studente, e nel 2006 l’Osservatorio nazionale per l’integrazione degli alunni stranieri e l’educazione interculturale. Tuttavia questo processo non è stato lineare. Anche in questo ambito la discussione assume tratti di politicizzazione e disomogeneità (Ongini, 2010). Ma di nuovo, fuori dal dibattito, le linee guida rimangono interculturali. Per l’attuazione è quindi opportuno concentrare l’attenzione a livello di contesto e di scuola. 4.1.7. Interferenze, convergenze e accoppiamenti laschi tra ambiti di policies Il Miur (2007) raccomanda di puntare alla sistematizzazione delle esperienze in corso, nella consapevolezza che l’integrazione scolastica è solo parte di processi più generali di inclusione. Oltre che dalle politiche per l’integrazione sociale sviluppate per altri ambiti come lavoro, casa e salute (Besozzi, 2004), l’attuazione e l’efficacia delle indicazioni per l’inserimento scolastico degli allievi stranieri a livello nazionale dipendono da almeno 114 altri tre insiemi di riferimenti normativi e pratiche attuative: 1. gestione dell’immigrazione; 2. naturalizzazione; 3. riforme del sistema scolastico. 1. Gestione dell’immigrazione. Rientrare in categorie più o meno protette, più o meno “desiderabili” sul territorio italiano secondo la normativa in vigore81 incide sui percorsi biografici e familiari dei bambini e dei giovani migranti. In particolare, dato che la nostra analisi si concentra sul termine delle scuole secondarie e dunque coinvolge principalmente migranti di generazione 1.5, è di fondamentale importanza la regolazione dei ricongiungimenti familiari, la quale definisce le condizioni per le quali è possibile o meno riunire le convivenze domestiche82. Altrettanto importanti sono i tempi di attuazione, i ritardi burocratici, l’incertezza o la parzialità delle informazioni, i mutamenti legislativi. Tutti elementi che complicano la pianificazione dei ricongiungimenti, ne dilatano i tempi e, ovviamente in interazione con i percorsi di (ri)composizione familiare e con le traiettorie di inserimento sociale e lavorativo dei membri adulti della famiglia, contribuiscono a influenzare il momento di arrivo nel paese di destinazione dei minori. Se per gli adulti arrivare in un mese piuttosto che in un altro, salvo che per i lavori stagionali, può essere di secondaria importanza, per gli studenti arrivare ad anno scolastico inoltrato 81 I minori stranieri regolari (nati in Italia da genitori regolari, regolarizzati o entrati secondo la legge), fino ai 14 anni sono inseriti sul permesso o la carta di soggiorno dei genitori o degli affidatari, seguendo la condizione più favorevole dei genitori con i quali convivono. Dopo i 14 anni hanno un permesso o carta di soggiorno autonoma per motivi familiari. I minori irregolari (entrati clandestinamente o con permesso di soggiorno scaduto e non rinnovabile) per il T.U. sull’immigrazione (art. 19) fino ai 18 anni godono del divieto di espulsione, e dunque hanno diritto di ottenere il permesso di soggiorno, salvo il diritto di seguire il genitore o l’affidatario espulso. A 18 anni per chi non può ottenere la carta di soggiorno, il permesso di soggiorno deve essere convertito in permesso per lavoro o studio. L’iscrizione anagrafica è fondamentale per dimostrare la continuità della residenza, che deve essere regolare per richiedere, non oltre il compimento del 19esimo anno, la cittadinanza. I minori non accompagnati sono protetti da una normativa che prevede il collocamento in luogo sicuro, la tutela in mancanza di genitori o tutori, l’affidamento a una famiglia o comunità. Possono essere regolarizzati e affidati a parenti regolari entro il 4° grado, in alternativa hanno diritto al rimpatrio assistito per riunirsi alla famiglia di origine secondo quanto stabilito da Comitato Minori Stranieri, Autorità Giudiziaria Minorile, Giudice Tutelare. Se hanno subito persecuzioni possono richiedere asilo. In caso di gravi problemi nello sviluppo psico-fisico, hanno diritto a essere raggiunti da un familiare residente all’estero per un tempo determinato tramite autorizzazione del Tribunale per i Minori. Al compimento di 18 anni, i titolari di permesso per affidamento possono convertirlo in uno per studio, accesso al lavoro, lavoro, solo a queste tre condizioni: essere in Italia da almeno 3 anni, aver partecipato per almeno 2 anni a un progetto di integrazione sociale, avere documentazione che certifichi l’assunzione o la frequenza a corsi di studio. Il visto ed il permesso di soggiorno per motivi di studio sono rinnovati, salvo documentate ragioni di salute, solo a chi ha superato un esame il primo anno di corso e due esami gli anni successivi, fino a un massimo di tre anni oltre la durata legale del corso di laurea. La conversione dei permessi di studio in permessi di lavoro normalmente è subordinata al rispetto delle quote stabilite annualmente, ma per i minori che diventano maggiorenni in Italia e per chi si laurea in Italia non è necessario rientrare nelle quote. I minori che hanno subito violenze o sfruttamento grave (prostituzione, lavoro coatto) e quelli che hanno scontato la pena della reclusione e hanno partecipato a un programma di integrazione al termine della pena, possono ottenere un permesso di soggiorno per protezione sociale, rinnovabile, che permette di lavorare. 82 Il “Pacchetto sicurezza” ha aumentato i costi dei ricongiungimenti e reso più severi i requisiti abitativi, in modo irrealistico rispetto alla situazione sociale del paese secondo l’ultimo report MIPEX (Huddleston et al., 2011). 115 può causare ritardi scolastici successivi, per bocciature dovute alle difficoltà linguistiche e all’impossibilità di “mettersi al passo” con i compagni, rifiuto dell’iscrizione o riorientamento verso istituti scolastici più “accoglienti” (o in cui banalmente “c’è posto”, in base alle norme che stabiliscono un numero massimo di alunni per classe), talvolta maggiori difficoltà di inserimento relazionale o di apprendimento. La normativa sui ricongiungimenti influenza l’inserimento scolastico anche in modo indiretto, plasmando le condizioni in cui può avvenire il processo di riunificazione familiare. Tale processo può avere esiti diversi sulla ri-collocazione e ri-significazione delle relazioni tra i componenti della famiglia, lungo gli assi del genere e della generazione, e dunque sul possibile ruolo della scuola nell’enfatizzare o minimizzare i conflitti tra genitori e figli, o il loro riavvicinamento e la riappropriazione di ruoli. Vedremo meglio questi aspetti analizzando le interviste agli studenti. Per gli scopi del capitolo riporto di seguito alcuni brani dei colloqui con i testimoni qualificati, dai quali emerge che la “durezza” adottata nei confronti degli adulti influenza indirettamente i percorsi scolastici dei minori, specie nella prima e seconda transizione. Pina, Carmen e Claudia segnalano come con-causa specifica di drop-out per alcuni migranti l’interazione tra diversi ordini di problemi legati alla migrazione e all’effetto della normativa sugli ingressi, diversa per minorenni e maggiorenni: disagio economico familiare, difficoltà legate al rinnovo del permesso di soggiorno, irregolarità e rimpatri di parenti adulti, conseguenti spese giudiziarie, ripercussioni economiche con ulteriore riduzione delle risorse monetarie disponibili, necessità degli adolescenti di contribuire al bilancio familiare o di non proseguire oltre l’istruzione secondaria, rinuncia a frequentare il liceo, in quanto scuola non conciliabile con un lavoro a tempo pieno non solo per il curriculum, ma anche perché prevalentemente diurna. Alcuni di loro fanno la scelta di lavorare e di andare… anche perché il problema del permesso di soggiorno non è un problema da poco. E quindi… se hanno già cominciato da alcuni anni la scuola qui, non c’è problema, cioè hanno il permesso di soggiorno fino a quando non concludono il ciclo di studi. In alcuni casi non è così (test. qual. 7: Pina). Alcuni hanno condizioni familiari di insicurezza, ad esempio legate al permesso di soggiorno che minaccia queste persone, la possibilità di restare o no, il rischio dei genitori che se perdono il lavoro sono mandate via, perdono tutto quello che hanno costruito qui, è molto sentito anche dai ragazzi e poi quando compiono 18 anni riguarda anche loro. Il numero degli stranieri è diminuito con la crisi, forse perché sono entrati meno, forse perché le aspettative dei genitori si sono abbassate, oppure anche per la paura di essere rintracciati, attraverso la scuola, perché i bambini sono tutelati, ma i genitori no. Il preside segnala alla questura le persone senza permesso di soggiorno. Noi viviamo quindi un enorme paradosso a scuola. Se sono maggiorenni svolgono molte pratiche per loro, anche prima dei 18 anni lo fanno perché conoscono meglio la seconda lingua dei genitori (ins. ref. IT Alfa 1: Carmen). 116 Fino a pochissimo tempo fa era molto comune il caso di famiglia qui clandestinamente. Quindi io arrivo ad avere i 15-16 anni oltre ai quali la scuola non mi dà poi tutte quelle garanzie di stabilità sociale, e allora in qualche modo… devo procurarmele. Procurarmele magari vuol dire trovarsi un lavoro, trovarsi un permesso di soggiorno legato al lavoro… diciamo che l’intervento dei ragazzi e delle ragazze in famiglia come supporti economici è ancora abbastanza diffuso. Apparentemente per lo studente o la studentessa italiani no, anche se qualche caso c’è. C’è anche da dire questo. Nel caso (dello studente, ndr) italiano spesso la situazione era più sommersa. E non si scontrava in ogni caso con il problema della clandestinità. Questo è un problema grosso, molto grosso. Clandestinità voleva dire per esempio avere il padre e la madre qui che lavoravano, dopodiché il padre veniva magari scoperto, arrestato, rimandato nel paese d’origine, anche non per motivi penali ma proprio perché fuorilegge in quanto clandestino. Morale: resta magari un solo familiare e le esigenze diventano… grosse. E a queste magari si aggiunge l’esigenza di pagare un avvocato. Che è sempre stato un dramma nel contesto delle famiglie migranti. Spesso e volentieri mi veniva presentato il caso dell’avvocato da pagare per madre o padre piuttosto che zio e zia, e… e lì occorrevano ovviamente dei soldi ed è chiaro che il percorso scolastico scendeva in secondo piano. Non sempre si perdeva. Perché per esempio in casi come questi io ho sempre fatto molto ricorso ai corsi serali. Soprattutto per allievi molto motivati ecco. E qualcuno ce l’ha fatta, che io sappia. Però è chiaro che diventava un onere molto maggiore. Ecco, questo diciamo che determinava assolutamente la scelta della tipologia di studio superiore. Non si poteva più andare al liceo. Laddove intervenivano delle necessità familiari il liceo veniva escluso in automatico, subito. Perché troppo oneroso come studio, troppo gravoso, richiedeva troppo tempo… e quindi poi ci si dirottava magari sul serale, ma magari anche il tecnico o professionale, non esistendo poi di fatto salvo l’artistico un liceo serale (test. qual. 5: Claudia). Uno stesso evento, come la perdita del lavoro da parte di un genitore, nelle famiglie migranti può comportare il mancato rinnovo del permesso di soggiorno del capofamiglia, con effetti a cascata diversi per età (e genere) sugli altri componenti della convivenza domestica. Essere per un periodo meno avvantaggiati economicamente, o irregolari, da bambini piccoli ha effetti diversi sulla scolarità rispetto a esserlo al termine dell’adolescenza. Il percorso liceale, in quanto lungo, impegnativo e soprattutto diurno (non permette di lavorare), in questi casi è da scartare. Si tratta inoltre di un curriculum che prevede una grossa formazione umanistica, in cultura e lingua italiana e latina (con in più il greco antico al classico), poco utile per tornare al paese, o per spostarsi verso una terza destinazione. Quindi è una scelta molto poco prudente, per chi ha la possibilità di rimanere solo a determinate condizioni, che non è certo di poter soddisfare a lungo termine. Essere inseriti in classi non corrispondenti all’età anagrafica entra in interazione con problemi economici e legati al permesso di soggiorno, spingendo a interrompere gli studi secondari o a continuarli al serale. Le leggi sull’immigrazione, inoltre, possono influenzare anche l’investimento psicologico in istruzione e lavoro. L’esperienza di David è spostata verso le traiettorie di maggiore fatica (come anche quella di altri operatori extrascolastici intervistati), ma può aiutare a completare il quadro che emergerà dal lavoro empirico, che si concentra invece sugli allievi che sono riusciti ad arrivare al termine della secondaria. Oltre agli effetti negativi di essere collocati in classi non 117 corrispondenti all’età, David sottolinea le possibili conseguenze di legare il permesso di soggiorno alla riuscita economica e la contraddizione di essere “non cittadini” a scuola. La normativa lega la permanenza in Italia a ragioni economiche. Questo ha importanti conseguenze sul piano psichico. Come diceva Sayad l’immigrato è un corpo che lavora. L’immigrato è lo strumento del suo corpo e non viceversa! Per cui a volte riduce la percezione di sé alla riuscita economica. La riuscita economica, o scolastica, diventano una compensazione narcisistica. Detto questo, esistono diverse contraddizioni sull’inserimento a scuola. Soprattutto per questo: i migranti sono non cittadini. La scuola invece è un’istituzione creata per formare cittadini. Senza contare che i ricongiunti, in più, subiscono tutta una serie di svalutazioni simboliche per il fatto di essere inseriti in classi non corrispondenti all’età… (test. qual. 11: David). Questi aspetti riguardano principalmente le generazioni di migranti arrivati a scuola nel corso dell’infanzia o dell’adolescenza, che in Italia sono ancora la maggior parte degli studenti di origine straniera negli ordini di scuola superiori. Con lo stabilizzarsi dei flussi immigratori, tuttavia, sta crescendo la porzione degli studenti G2. Questi sembrano godere non tanto di status giuridico più protetto, come vedremo tra poco, ma piuttosto di maggiori risorse della rete migratoria familiare per agevolare l’inserimento scolastico. Io ho avuto allievi e allieve che si sono iscritti, no, sono stati iscritti a scuola per il semplice fatto che così almeno avevano il permesso di soggiorno per studio. Poi hanno continuato… mhm… anche magari combattendo con i familiari che invece avrebbero voluto distaccarli. [Questo oggi] nella scuola secondaria è sicuramente cambiato, molto. Perché iniziamo ad avere seconde o terze generazioni, iniziamo ad avere dei ricongiungimenti parentali di nucleo familiare. E non sembra ma si preoccupano già nella madrepatria di avvicinare la persona nella madrepatria alla lingua che dovrà imparare. Per esempio io quest’anno nel corso di italiano come L2 ho un ragazzino moldavo che è arrivato in Italia a settembre, quindi è nuovo, ma con già alle spalle un anno e mezzo di italiano (test. qual. 5: Claudia). 2. Acquisizione della cittadinanza italiana. La naturalizzazione sembra pensata per un’Italia più paese di emigrazione che di immigrazione (cfr. Zincone, 2006). Per la legge 91/92 i nati in Italia possono richiedere la cittadinanza alla maggiore età, mentre in altri paesi è possibile molto prima. Per Ambrosini (2011) la ritrosia a concedere la cittadinanza ai giovani migranti indica il loro essere visti come “posterità inopportuna” (Sayad, 2002) dell’immigrazione, la proiezione dell’ancestrale paura dei componenti adulti della società che i giovani non la riproducano uguale a se stessa. La L. 94/09 ha reso ancora più severe e costose (da 80 a 200 euro) le procedure di naturalizzazione83. L’indagine della 83 Il testo unificato in vigore “subordina il diritto all'acquisto della cittadinanza dello straniero nato in Italia, che vi abbia risieduto senza interruzioni fino alla maggiore età, alla frequenza con profitto di scuole riconosciute sino all'assolvimento del diritto-dovere all'istruzione e alla formazione; per l'acquisto della cittadinanza da parte dello straniero residente da 10 anni, prevede la stabilità della residenza e introduce uno specifico percorso di cittadinanza, richiedendo i seguenti requisiti: possesso del permesso CE per soggiornanti di lungo periodo e mantenimento dei requisiti di reddito, alloggio e assenza di carichi pendenti per esso necessari; frequenza di un corso di un anno sulla storia e la cultura italiana e la Costituzione; effettiva integrazione sociale e rispetto delle leggi e della Costituzione; rispetto degli obblighi fiscali; norme di carattere amministrativo sono volte a garantire la conclusione in tempi certi del procedimento; modifica la disciplina del giuramento, che viene esteso a tutti i casi di acquisto della cittadinanza” (www.camera.it). 118 Commissione Cultura mette in evidenza le difficoltà di naturalizzazione “per molti giovani che ormai si sentono italiani, ma non sono riconosciuti come tali, scoraggiando la prosecuzione di un percorso scolastico e d’istruzione dopo la scuola dell’obbligo” (2011, p. 19). Questo tema andrebbe approfondito84. Le insegnanti intervistate notano l’esistenza di differenze non solo inter-familiari, determinate dal percorso migratorio, dal paese di provenienza e dalle risorse economiche e culturali che agevolano la comprensione delle procedure e la forzatura dell’arbitrarietà delle pratiche a proprio favore, ma anche di differenze intra-familiari, tra componenti della stessa convivenza familiare. Con limitazioni importanti specie per chi progetta di lavorare nel settore pubblico. Ti racconto una situazione di una ragazza marocchina che è arrivata a tre anni, e che ha fatto tutte le scuole, la famiglia […] ha chiesto anni fa la cittadinanza e l’ha ottenuta, però proprio quando lei ha compiuto 18 anni, cioè è scaduta proprio quando lei è diventata maggiorenne. Lei vuole fare il carabiniere. Quindi accedere a una professione interna allo Stato, questo… infatti lei ha fatto autonomamente la domanda (sott.: di naturalizzazione), dovrebbero accoglierla… poi c’è anche il discorso che la famiglia iraniana o cinese con la collocazione occupazionale del padre molto forte ottiene molto più facilmente la cittadinanza che il padre marocchino muratore… poi adesso la Romania è in Europa quindi è diverso però c’è un altro Stato, un’altra diversità, però ci sono famiglie che ottengono molto più facilmente. In questa famiglia la sorellina che era minorenne ha avuto automaticamente la cittadinanza, invece per la sorella [grande] hanno dovuto rifare… era maggiorenne quindi ha rifatto la domanda, adesso non so se lei ha ancora questo suo sogno (test. qual. 7: Pina). 3. “Riforme” (più o meno mancate) del sistema scolastico e pre-scolastico. I servizi educativi pre-scolastici risultano preziosi per ridurre l’ampliamento del gap dovuto alle disuguaglianze sociali e “etniche” lungo il percorso scolastico (cfr., sulla Germania, Becker, 2009). L’Anci (2009) ha segnalato l’importanza di finanziare i nidi d’infanzia e le scuole dell’infanzia italiane con interventi del centro anche per favorire l’integrazione precoce dei migranti. Tuttavia al momento l’investimento in questo ambito appare contenuto rispetto ad altri paesi europei (e agli obiettivi non solo di socializzazione e riduzione delle disuguaglianze verso i bambini piccoli ma anche di sostegno alla conciliazione e all’occupazione femminile). Gli elementi di maggiore ricaduta sui percorsi scolastici dei migranti nel primo ciclo di istruzione sembrano la riduzione degli organici e l’intenzione di ridurre il più possibile le compresenze. Lo Stato ha ridotto i finanziamenti sulla scuola, ogni legge riduce il budget per l’istruzione e le istanze di federalismo non riescono a riequilibrare. Sulla riforma Gelmini della scuola primaria, posso dire che ° ha causato molti danni °. Ad esempio l’istituto comprensivo XXX 84 Il programma ACIT, Access to citizenship and its impact on immigrant integration (European University Institute e EUDO Citizenship, University College Dublin, University of Edinburgh e Maastricht University) cofinanziato dal Fondo europeo per l’integrazione, studierà l’impatto della legislazione sulla cittadinanza sull’integrazione degli immigrati. L’Italia, insieme ad altri nove Stati membri, è stata selezionata come caso studio. 119 aveva una delle ultime insegnanti sperimentali, specifiche per l’inserimento degli stranieri che faceva un laboratorio linguistico per tutti gli allievi stranieri, per potenziare la conoscenza linguistica, per affrontare meglio la situazione. E nonostante tutti i tentativi fatti, dall’anno scorso è rientrata sulla classe, per contrazioni di organico (sospiro)… io non riesco a dire in altro modo che non per miopia, perché questo ha fatto sì che la qualità di intervento per tutti, ma soprattutto per stranieri è diventata più bassa. Se il laboratorio non c’è più e aumentano i bambini che non sanno leggere e scrivere in italiano, l’insegnante che si vorrebbe unica troverà sempre più difficoltà a insegnare e i livelli statistici medi si abbassano, per questo dico miopia. L’istruzione non si può delegare al ministro dell’economia. Il taglio è stato su tutto. Se si taglia chi ha dieci e lo si porta a otto è un conto, se si passa da quattro a due la sofferenza è maggiore, era già un settore che andava avanti a progetti, Gelmini non ha inventato nulla, ha proseguito quello fatto da altri. La destra è al governo da anni, ma la presunta sinistra precedente aveva già una tecnocrazia che si muoveva in direzione non molto dissimile (test. qual. 13: Nicola). Avevamo l’attività di teatro e ora non più perché i fondi sono passati da cinque mila euro l’anno a mille euro l’anno […]. Ora queste iniziative sono interrotte (ins. ref. IT Alfa 2: Vittoria). A livello di scuola secondaria di secondo grado, elementi che secondo gli intervistati ridurranno le attività per l’inserimento degli allievi migranti sono: la riduzione dei quadri orari (in media del 10-15%, Miur 2010a), l’aumento del divario tra licei e istituti professionali (esplicitato anche nell’art. 2 dei progetti di revisione relativo all’identità del tipo di istruzione), l’accorpamento degli indirizzi con conseguente aumento dell’incertezza delle informazioni sui tipi di insegnamento, la differenziazione dei curriculi che renderà più difficili i passaggi nel caso di ri-orientamenti in itinere. Gli orari scolastici lunghi, con ore di “pratica”, in effetti erano un punto di forza per le aspettative di efficacia inclusiva dei curricula degli istituti professionali, in quanto spesso si traducevano in un prolungato sostegno all’apprendimento, di tutte le materie e della lingua italiana, che in ambiente domestico i migranti, ma non solo, spesso non possono ricevere. Insegnante di matematica: Prevale più un’attività in istituto... che è comunque un’attività, no? Non è che sei qui a far leva, no? Anzi è un’attività che diventa poi più rinforzata per tutti, no? E prevale meno la componente autonoma. Pina: Sì questo può essere anche un motivo per cui vengono orientati più presso i professionali. Proprio perché buona parte delle attività vengono fatte in questo orario scolastico e quindi anche l’apporto del sostegno famigliare è meno richiesto. Però in realtà… Insegnante di matematica: Soprattutto per chi ha difficoltà di tipo linguistico, avere 40 ore di lezione qui vuol dire avere a disposizione sempre delle persone con cui confrontarsi sulla materia, alle quali puoi chiedere e ricevere risposta. A casa se chiedi notizie sui Promessi Sposi è più complicato avere delle risposte (test. qual. 7: Pina). Int.: Volevo chiederti se sulle modalità di inserimento ha un impatto la riforma, i cambiamenti che ci sono nell’ordinamento della scuola? Cinzia: Sì, perché crea ancora più confusione nelle famiglie. Le famiglie straniere ti dicevo hanno già più difficoltà a comprendere l’ordinamento scolastico italiano, adesso con questi ulteriori cambiamenti le difficoltà sono… aumentate. E poi il fatto che nella nostra scuola siano diminuite così drasticamente le ore di pratica… crea un po’ di problemi, perché aumentano molto le difficoltà degli stranieri. Soprattutto dei neo-arrivati, perché i neo-arrivati almeno avevano la possibilità nelle materie pratiche di… insomma, di fare qualcosa, di diminuire il loro senso di frustrazione. 120 Int.: Questo anche per gli italiani che hanno difficoltà? Cinzia: Sì, sì, anche per loro, sì (test. qual. 9: Cinzia). Nell’insegnamento professionale, inoltre, non è più previsto il rilascio di una qualifica statale il terzo anno, per cui ora è possibile assolvere l’obbligo formativo, o abbandonare, senza titolo che attesti il percorso svolto. Alcune regioni si stanno attivando, ma non possono che rilasciare qualifiche a valenza territoriale. Gli operatori segnalano anche un aumento del lavoro di orientamento con le famiglie per l’incertezza sui cambiamenti in corso, e l’effetto del capitale culturale e sociale parentale nell’ottenere informazioni corrette e aggiornate. Dotazioni che i migranti hanno spesso meno che i nativi (ad esempio i migranti possono contare meno sui nonni). Con il risultato che le famiglie meno avvantaggiate usano meno gli strumenti a disposizione. Dal nuovo ordinamento non è più riconosciuta (la qualifica al terzo anno, ndr), anche se le regioni stanno meditando di fare dei progetti di qualifica regionale. Non so cosa ne verrà fuori perché… però praticamente non sarebbe più un titolo di Stato tra virgolette riconosciuto su tutto il territorio nazionale, ma come le qualifiche professionali che si acquisiscono che ne so da sciampista, meccanico, elettricista, elettrauto, non sempre hanno una valenza al di fuori della regione in cui sono state date (test. qual. 7: Pina). Negli ultimi due anni c’è stata questa storia della riforma, il problema della riforma che ha mandato in tilt tutti, compresi gli insegnanti, c’è stato l’anno scorso una fibrillazione, ma anche noi stessi insomma abbiamo dovuto inseguire tutti i vari momenti della riforma e anche oggi non è così… per esempio il liceo musicale e coreutico di cui si sono lavati la bocca per un anno non si sa dov’è, se esiste, e altre robe… scuole ancora oggi superiori che non accettano di essere trasformate in questo modo, dove hanno accorpato i profili, non… e quindi cerchiamo di dare informazioni robuste ai genitori anche se le informazioni robuste non sono. Per esempio ora agli istituti professionali ci si potrebbe iscrivere chiedendo la qualifica triennale. Allora questa a quanto pare è una bufala, perché noi non dico che lo sappiamo ma l’abbiamo intuito che gli IP pare a oggi dopo due anni dalla riforma, non abbiano molta intenzione di prepararli per la qualifica, perché vuol dire programmi diversi, vuol dire concordare con la regione poi una prova di esame diversa. Quest’anno hanno detto che lo faranno, allora quelli che si sono iscritti quest’anno noi li abbiamo invitati a dire “Vogliamo anche la qualifica” ma non so se sia vero (che in questo modo la otterranno, ndr). Allora in mezzo a tutto questo guazzabuglio sia le insegnanti che non se la sentono di parlare loro alle famiglie chiedono a noi di farlo, sia le famiglie stesse chiedono una illustrazione. […] I più bravi sono quelli che chiedono più informazioni. Chi è più debole e svantaggiato a volte neanche si presenta, come per esempio le famiglie degli stranieri. Per motivi che lei indagherà. Perché… beh intanto uno non capiscono, due… non lo so. […] A volte convochiamo una classe di 25 persone e vengono in 10. Invece magari nelle zone più ricche vengono tutti. Per esempio con una collega con allievi bravi eccetera, per un ragazzo stupendo non sono venuti i genitori, ma sono venuti i nonni! Per avere la conferma che è bravo eccetera. “Sì è bravo, è bravo, faccia il liceo classico, non ci faccia perdere tempo!”. Eh è così, chi più ha più sa, più vuol sapere eccetera, estremizzando i due poli, chi più sa più si aggiorna più raggiunge i più alti gradi dell’insegnamento (test. qual. 2: Gianni). In generale il rischio è che nello sforzo di attuazione delle riforme e delle razionalizzazioni, le attività di inserimento per gli stranieri possano passare in secondo piano, non solo per la riduzione dei finanziamenti o l’incertezza della normativa (Milione, 2011), ma in quanto non obbligatorie di fatto. 121 4.1.8. Fuor di retorica: tra alti e bassi, coerenza e continuità In sintesi, guardando alla reazione istituzionale dal punto di vista della normativa statale, emerge che mentre l’attenzione internazionale si sposta dall’accesso al successo scolastico, in Italia le ultime indicazioni nazionali presentano elementi retorici in senso opposto. Ciononostante, malgrado le differenti posizioni politiche dei governi che si sono succeduti in questi anni in merito alla gestione dei flussi immigratori, è possibile rintracciare un approccio abbastanza coerente in merito all’inserimento scolastico dei minori migranti, basato su intercultura e inclusione individualizzata, malgrado la poca chiarezza su finanziamento e (sanzioni in caso di mancata) implementazione (tabella 4.2). Tab. 4.2 – Principali indicazioni normative e Legislature (1989-2011). X 07.87/02.92 Goria De Mita Andreotti DC PSI PSDI RI, PLI diritto allo studio, L2, valorizzazion e cultura d’origine (C.M. 301/89) educazione interculturale per tutti (C.M. 205/90) XI 04.92/01.94 Amato Ciampi DC PSI PSDI PLI Indip. coinvolgime nto delle famiglie (C.M. 122/92) intercultura nelle discipline, convivenza democratica (C.M. 73/94) XII 04.94/02.96 Berlusconi Dini FI AN LN CCD UDC; Gov. tecnico XIII 05.96/03.01 Prodi D’Alema Amato Ulivo PdCI UDR Indip. XIV 05.01-04.06 Berlusconi FI LN AN CCD-UDC XV 04.06-02.08 Prodi DLM DS Udeur IdV Verdi Prc RnP XVI 04.08-12.11 Berlusconi PdL Fli LN Mpa intercultura (T.u.98,art.3 6) intercultura come “normalità dell’educazio ne” (Mpi, Educazione intercultural e nella scuola dell’autonom ia, 2000) obbligo di istruzione, adattamento individualizz ato dei programmi (Dpr 394/99) sostegno a scuole in aree a forte processo immigratorio (C.M. 155/01 confermato negli anni) sintesi normativa precedente, indicazioni da buone prassi delle scuole (C.M. 24/06) intercultura, integrazione, L2, formazione dirigenti (Miur, 2007) Piano nazionale L2 (C.M. 807/08) sintesi normativa precedente, prevenire concentrazio ne soglia 30% (C.M 2/10) Il tentativo centrale di individuare un modello italiano interculturale, integrato e individualizzato, si scontra con una situazione ancora molto dinamica, non solo dal punto di vista delle politiche dell’istruzione, ma anche di gestione dell’immigrazione. Pare dunque acuirsi la differenza di trattamento dei minori, protetti in tema di istruzione dal diritto internazionale sull’infanzia e dalla Costituzione italiana, e degli adulti, soggetti al processo di chiusura, o tentativo formale di chiusura, delle frontiere, e di politicizzazione 122 del dibattito. Emergono così contraddizioni tra scuola e extrascuola e disuguaglianze di status giuridico intra e inter familiari che sembrano pesare soprattutto su chi non rientra nell’età dell’obbligo scolastico: i bambini molto piccoli e gli adolescenti che diventano maggiorenni al termine della secondaria di II grado. Specie se non godono di una storia migratoria e occupazionale familiare “forte”. Tuttavia l’attuale contesto sembra molto propizio a “togliere” non a livello normativo ripeto, ma sostanziale e pratico anche ai minori in età dell’obbligo. Intanto la scarsità di risorse spinge a essere più occhiuti nella definizione delle categorie dei “meritevoli” di sostegno. Negli anni a venire ci aspettano scelte dolorose, e in questi casi è possibile che paghi di più chi viene da fuori, soprattutto se non vota. E soprattutto se è rappresentato come una fonte di pericolo, un rischio per la collettività (e infatti alcuni progetti per l’integrazione dei migranti si fanno ora rientrare nelle attività pro-sicurezza). Viene in definitiva confermato che il “modello italiano” è ancora, nonostante l’aumento delle presente migranti, un modello molto inclusivo a livello normativo ma debole, volontaristico e discrezionale, a livello sostanziale. Vedere cosa succede in ambito meso-locale appare dunque interessante. 4.2. Attività degli enti locali (Piemonte/Torino): personalismo, partnership, pragmatismo 4.2.1. Agenzie e attività rilevanti In Piemonte l’attività istituzionale di inserimento scolastico dei migranti è storicamente mediata dall’Ufficio scolastico regionale, dall’Unità territoriale dei servizi per gli alunni stranieri (U.T.S.) e dal Comune di Torino. Nella prospettiva analitica adottata, riteniamo che la rilevanza di queste agenzie non risieda soltanto nelle iniziative che esse direttamente promuovono o gestiscono, ma soprattutto nella loro effettiva capacità di strutturare da un lato le reti di collaborazione che si originano informalmente tra gli operatori (cfr. ad es. Dutto, 2000), dall’altro soprattutto, di far dialogare i tre livelli di intervento. Un primo terreno di dialogo istituzionale tra livelli riguarda le attività di finanziamento. La definizione degli accordi di finanziamento sono momenti di confronto e definizione delle linee di intervento su cui investire maggiormente. La ricchezza e la solidità delle iniziative realizzate localmente dipende infatti da quali risorse normative nazionali e internazionali gli operatori a questo livello intermedio riescano ad attivare. Una seconda area di rilevanza concerne poi il monitoraggio dei bisogni degli utenti e la 123 valutazione degli interventi sovvenzionati, elementi indispensabili sia per rendere effettive le misure previste sia per introdurre processi di innovazione bottom-up. Infine, il terzo ambito di azione rilevante riguarda la circolazione di informazioni, la consulenza, il sostegno al personale scolastico, anche attraverso il supporto alla creazione di legami tra gli operatori. Il livello locale infatti può mediare la normativa nazionale intervenendo in materia di predisposizione di misure di accoglienza, mediazione interculturale e comunicazione, oltre che formazione dei docenti e sperimentazione educativa e didattica. L’U.T.S., originariamente C.I.D.S.S. (Centro Informazione Documentazione Inserimento Scolastico Stranieri) 85, è preposto alla formazione dei docenti e alla documentazione e diffusione di materiali didattici e informativi, in collaborazione con il Gruppo regionale intercultura del Piemonte86. Dal 2002 al 2011 le attività dell’Uts sono state finanziate da diversi soggetti: non solo il Miur, a livello centrale, ma anche l’Usr Piemonte, il Csa di Torino (Centro Servizi Amministrativi), la regione Piemonte (Assessorato alle Politiche Sociali), la provincia di Torino e il comune di Torino. L’Uts si è occupato di analisi delle presenze degli allievi e dei bisogni formativi dei docenti della scuola dell’obbligo; coordinamento dei referenti provinciali presso l’Usr per la realizzazione dei progetti didattici e formativi; costruzione e diffusione di materiale didattico e informativo per famiglie, insegnanti, personale amministrativo; progettualità interculturale con le famiglie. Ha dunque costituito un interfaccia sia tra utenti (alunni e famiglie) e istituzioni scolastiche, sia tra operatori degli istituti scolastici e norme nazionali. L’Usr, oltre a fornire risorse economiche e coordinamento, ha svolto consulenza normativa, didattica e metodologica al personale scolastico in merito a iscrizione, aspetti organizzativi e pedagogici dell’inserimento, piani di studio individualizzati, eventuali problemi linguistici e culturali, progetti di inserimento e alfabetizzazione di italiano L2, materiali didattici. Ha inoltre attivato, con accordo ministeriale, un progetto di insegnamento di lingua e cultura di alcuni paesi di provenienza dei migranti con insegnanti di Romania e Marocco, tramite ministero dell’istruzione rumeno e Consolato marocchino, in scuole ad alta presenza di alunni “stranieri”, ma proposte a tutti gli alunni. A livello del comune di Torino diverse attività di sostegno scolastico specifiche per i migranti sono svolte dal Settore Integrazione Educativa della Divisione Servizi Educativi. 85 La scelta di parlare dell’Uts Piemonte rispetto ad altri centri polivalenti del territorio che concorrono a definire il contesto di inserimento dei migranti, è dovuta alla sua lunga tradizione di attività, tra le prime in Italia (Dutto, 2000) e al suo stretto collegamento all’Usr, livello istituzionale che ci interessa per riflettere sul nesso tra politiche centrali e locali. 86 Attività documentate in Osservatorio Interistituzionale sugli Stranieri della provincia di Torino, 2003 e anni seguenti. 124 A queste attività si affiancano altri progetti, o progetti svolti in partnership, della Divisione Servizi Educativi, come il progetto “Provaci ancora Sam” di prevenzione della dispersione scolastica nella scuola secondaria. Il Settore Integrazione ha gestito direttamente l’erogazione della quota di fondi destinati dalla regione al diritto allo studio (ex L.R. 49/85), e assegnati dalla città di Torino per progetti in favore dei minori stranieri iscritti nelle scuole primarie e secondarie. 4.2.2. Le specificità del contesto Da studi precedenti (cfr. ad es. Demartini et al., 2008) emergono alcuni tratti tipici delle politiche educative per i migranti della città di Torino: associazionismo, esperienza maturata dalle insegnanti con le migrazioni interne, anche se non sempre implementata, imprenditività e interattività, anche se con difficoltà di coordinamenti strutturali e diffusi. A questi elementi per i nostri scopi va aggiunta l’importanza dell’impegno personale di alcuni operatori delle agenzie sopracitate per agevolare la costruzione di una governance effettivamente multilivello, e la strutturazione nel tempo di partnership con orientamento pragmatico, anche attraverso il co-finanziamento privato. Vediamo come questi aspetti contribuiscono a plasmare il contesto. Abbiamo anticipato che le attività di insegnamento dell’italiano come lingua seconda, dedicate principalmente ai N.A.I., sono realizzate soprattutto dal livello locale. Negli anni Ottanta si svolge a Torino la prima ricerca sui bisogni linguistici, il plurilinguismo l’uso dei dialetti nelle famiglie, e dalla metà degli anni Ottanta si strutturano i primi corsi di italiano come L2, con la collaborazione di Università e realtà locali a più lunga tradizione migratoria. Già all’epoca una delle caratteristiche è stata il tentativo di impiegare volontariato e terzo settore per riempire alcune lacune della struttura di accoglienza formale, ma accompagnandola, tramite finanziamenti e risorse gestionali della Città, da iniziative formative più strutturate. Sono stati organizzati corsi in comune per formare figure tra i docenti in pensione disponibili a entrare nelle scuole come supporto ai docenti impegnati su territori di facilitazione all’inserimento scolastico… Quello che non è più riuscita a fare la scuola statale, Torino ha cercato di farlo fare al volontariato, puntando sulla formazione, sempre perché Torino è una realtà poliedrica, ha molti punti di interesse e disponibilità (test. qual. 13: Nicola). Sullo scolastico naturalmente la nostra politica è stata quella di investire soprattutto sulla formazione perché ci siamo resi conto che questo atteggiamento un po’ emergenziale sta andando un po’ oltre il dovuto, perché non è più una novità da un po’ di tempo l’inserimento degli stranieri, per cui cerchiamo di trasferire un po’ delle competenze affinché certe cose sull’inserimento, sul multilinguismo inizino ad essere proprio più un patrimonio della scuola, piuttosto che qualcosa che appartiene a esperti esterni (test. qual. 10: Tea). 125 Rispetto ad altre città, a Torino nella scuola primaria e secondaria di I grado la progettazione sulla L2 si è legata al tema della cittadinanza ed è stata realizzata, anche se entro quadri istituzionali diversi da un anno scolastico all’altro, da Uts e Comune, tramite Accordi di programma siglati dalla regione Piemonte con il ministero della Solidarietà Sociale in collaborazione con Usr Piemonte e Miur, ma anche con agenzie del privato sociale con competenze di mediazione interculturale. Questo ha permesso di sviluppare esperienze in modo cumulativo, nonché di formare un buon numero di operatori scolastici, ma non ha consentito, proprio per mancanza di obblighi e risorse dal centro (dal Miur) di rinnovare automaticamente di anno in anno le prassi consolidate. Le iniziative di valorizzazione e insegnamento della L1 si sono sperimentate individuando “dal basso” canali istituzionali prima non esistenti, e non previsti dal centro, come nel caso degli accordi con consolati e ministeri dell’istruzione stranieri. Ma si è trattato per forza di cose di iniziative coinvolgenti un piccolo numero di scuole. E in questo senso frequentare una scuola in una grande città, e non in un piccolo comune, anche all’interno della stessa regione o provincia, fa la differenza. Un’altra linea di azione che si è sviluppata per l’impegno di alcune figure istituzionali è stata l’allargamento della quota di fondi per il diritto allo studio destinata all’integrazione degli alunni “stranieri”. Nel 2001/02 nella città di Torino essa corrispondeva al 10% del totale, dal 2003/04 è salita al 15% (118mila euro) e dal 2005/06 al 20%, su proposta della dirigente incaricata del settore integrazione. Intanto però è diminuito il fondo totale regionale per il diritto allo studio. Le richieste di finanziamento hanno sempre superato di molto la quota disponibile. Sia le attività finanziate dai fondi per il diritto allo studio, sia quelle dei singoli istituti scolastici si sono svolte principalmente nell’area dell’alfabetizzazione di italiano come L2, coordinandosi con agenzie educative o operatori extrascolastici, tuttavia poco si sa (non solo a Torino) della modificazione didattica secondo l’approccio interculturale e degli effetti sulla riuscita scolastica dei corsi attivati. Altri finanziamenti hanno fornito contributi per libri di testo nella scuola secondaria di I grado ad allievi stranieri regolari e irregolari, e contributi per borse di studio ad allievi stranieri nella scuola primaria e secondaria di I grado87. 87 Nel 2005 la responsabile del Settore integrazione calcolava che circa il 60% degli studenti stranieri richiedevano un aiuto di questo tipo per la frequenza scolastica. Sarebbe interessante aggiornare il dato controllando se c’è una differenza di proporzione con gli studenti italiani e se esistono relazioni tra la richiesta di contributi per l’istruzione dei minori e i trasferimenti intergenerazionali verso l’alto delle 126 L’entità delle borse e i criteri di eleggibilità sono altri elementi stabiliti da questo livello di intervento. Accanto alle misure direttamente rivolte agli studenti migranti, infatti, come per le politiche nazionali hanno effetto interventi più generali. La scelta della regione Piemonte di stanziare oltre 10 milioni di euro per il 2007-2009 per il programma di orientamento scolastico, ad esempio, ha fornito supporto nel passaggio dalla scuola secondaria di I grado a quella di secondo grado, nei primi due anni della secondaria superiore, nel conseguimento di diploma e qualifica e nel passaggio tra scuola e mercato del lavoro, con una sezione del progetto dedicata a stranieri e disabili88. Il test attitudinale per i frequentati gli ultimi anni di scuola secondaria di I grado è somministrato con la traduzione in arabo e inglese, è in via di preparazione la traduzione cinese. Dato il contenuto testuale, il centro di orientamento della città di Torino richiede che la somministrazione venga rivolta solo ad alunni con buone competenze linguistiche. Il livello locale ha quindi tentato di adeguare gli strumenti orientativi alla consistente presenza dei migranti. Tuttavia le segnalazioni di alunni con difficoltà linguistiche, siano esse dovute alla diversa lingua madre, o a problemi di dislessia, non sempre sono effettuate. Gli operatori più attivi a livello locale si formano, cercano di apprendere quanto maturato in altri contesti, talvolta attivano sperimentazioni in collaborazione con Miur e Università. Condividono una concezione di studenti stranieri come risorsa, di scuola come istituzione meritocratica, di pedagogia interculturale come approccio per tutti, e tentano di diffondere questa visione. La rete tra operatori e le competenze acquisite favoriscono la creazione di progetti di governance multilivello. Emblematico è il modo in cui il contesto locale analizzato ha recepito la circolare 2/10 sulla soglia del 30% di alunni stranieri per classe: attraverso la stesura di un protocollo realizzato da Usp e Città di Torino per la formazione di reti di scuole e patti territoriali, l’educazione linguistica, il contrasto alla “fuga dei nativi” attraverso arricchimento dell’offerta formativa e sensibilizzazione delle famiglie italiane. Anche in questo caso, tuttavia, la capacità di coinvolgimento di tutti gli operatori scolastici, e non solo di quelli direttamente incaricati e partecipi, e la ricaduta sulle performance degli alunni non è monitorata quantitativamente. Un elemento di continuità, malgrado i vincoli di bilancio mutevoli, appare comunque la partnership tra enti e agenzie diverse. Malgrado il variegato configurarsi di tavoli con famiglie migranti verso parenti adulti left-behid in paesi con welfare meno generosi (cfr. Attias-Donfut e Wolff, 2008). 88 www.regione.piemonte.it/orientamento. 127 attori diversi su progetti di durata media, breve o brevissima, la collaborazione tra le stesse agenzie, e spesso tra gli operatori di riferimento delle singole agenzie, ha consolidato alcune pratiche e procedure di inserimento innovative e ha favorito il diffondersi di buone competenze nel territorio regionale. Inoltre gli accordi istituzionali hanno portato a strutturare processi inizialmente residuali, come la mediazione interculturale, nei servizi educativi ma anche sanitari o socio-assistenziali. Normalmente lavoriamo su committenza o stimolo di enti pubblici, in alcuni casi sono servizi consolidati negli anni e dati in appalto, alcuni proprio nati per azione della cooperativa e poi adottati dagli enti pubblici come educativa territoriale per minori non accompagnati e minori stranieri, entrati a regime sono dati in appalto e può esserci avvicendamento delle cooperative, idem per mediazione in aziende sanitarie: ormai l’hanno assunto stabilmente e lo mettono in gara, poi sviluppiamo nostra progettualità su (nuovi, ndr) bandi (test. qual. 10: Tea). Di fatto i progetti educativi e didattici dedicati ai migranti richiedono ancora parecchio impegno extracurricurale, di solito non pagato per mancanza di fondi. I finanziamenti privati, hanno riguardato e riguardano specialmente progetti pilota, spingendo alla creazione di sperimentazioni didattiche e organizzative, ma anche alla frammentazione delle iniziative. Inoltre attualmente sono in diminuzione per effetto della crisi economica. Le differenze tra agende politiche e la generale diminuzione delle risorse sono sentiti dagli operatori locali come minacce che rischiano di non garantire il mantenimento degli stessi servizi offerti in passato. Se nel capoluogo di regione è prevalso il pragmatismo, anche se legato all’impegno personale di alcune operatrici, a livello regionale sembra possibile cogliere la politicizzazione delle decisioni di spesa, ma sarebbe da verificare quanto pesi effettivamente il dibattito sull’immigrazione rispetto alle necessità di risparmiare risorse pubbliche. È emersa, anche in questo contesto di grande impegno, la precarietà delle iniziative, dovuta sia all’erogazione di fondi su progetti, sia talvolta alle difficoltà di coordinamento e di attivazione delle risorse dell’autonomia scolastica tra cui organico funzionale, curriculum flessibile, piani educativi personalizzati. Scendiamo quindi a livello di istituto scolastico. 128 4.3. Buone prassi e “disprassie” degli istituti scolastici: varietà, volontarismo, vaga valutazione Se negli anni Novanta, per Dutto (2000, p. 245) “le istituzioni reagiscono ma non agiscono, mentre le risposte autentiche arrivano dalla società civile”, oggi l’attivazione sembra più consistente. Protocolli di accoglienza, progetti specifici, risorse materiali e umane utilizzate per garantire l’accesso e sostenere la riuscita scolastica degli allievi stranieri vengono sempre più spesso indicate nei Piani dell’offerta formativa degli istituti scolastici della penisola. Esiste in molte aree una buona collaborazione tra ricerca empirica e pratiche interculturali nell’ambito della formazione per i docenti organizzata dalle singole scuole, finanziata con fondi di istituto oppure bandi di concorso di enti locali o Fondazioni. Sono ancora pochissime tuttavia le esperienze regionali di valutazione della qualità e dell’innovazione educativa a livello di istituto scolastico. Besozzi e colleghe (Besozzi, Colombo e Rinaldi, 2011) adottano l’approccio del “multiculturalismo quotidiano” (Colombo e Semi, 2007) per studiare l’aspetto processuale del trattamento di differenze e diversità nelle interazioni tra insegnanti, genitori, operatori e adolescenti italiani e stranieri nel sistema di istruzione e formazione della Lombardia. Lo scopo delle loro ricerche è sviluppare un indice di integrazione scolastico, partendo dall’ipotesi che “un clima favorevole allo scambio nelle relazioni iter-etniche sia positivamente correlato a un più alto grado di integrazione dei giovani stranieri e a una maggiore soddisfazione complessiva degli utenti, sia autoctoni che immigrati” (Besozzi, Colombo e Rinaldi, 2011, p. 122). Tra i fattori che ostacolano l’adeguamento dei curricula in chiave interculturale, oppure che aumentano stress, senso di ansia e inadeguatezza, stanchezza degli operatori del settore nelle realtà scolastiche più impegnate, le studiose individuano: - temporanea mancanza di leadership, dovuta a trasferimento di personale con elevato know how in materia; - mancanza di un indirizzo programmatico condiviso dalla maggioranza (almeno) dei docenti; - conflittualità interne, anche di tipo ideologico, che trovano nell’accoglienza dei migranti un terreno “sensibile” di esplicitazione e di scontro, rafforzando l’idea che è meglio non agire, piuttosto che “prendere posizione”, o “dare fastidio”; - difficoltà a commisurare gli impegni – a volte straordinari – ai risultati, soprattutto per i docenti e il personale a contatto con l’utenza; - scarso riconoscimento economico degli sforzi, non solo di quelli diretti agli allievi stranieri, ma anche (e soprattutto) quelli di coordinamento, progettazione, valutazione, ecc.; - debolezza ed eccessiva informalità delle intese con gli enti del territorio, con aggravio di responsabilità sulle spalle del personale scolastico, ecc. (Besozzi, Colombo e Rinaldi, 2011, p. 134). 129 In Piemonte gli operatori e i funzionari del Miur rilevano differenze tra gli ordini di scuola, con maggiore attivazione alla scuola dell’infanzia e primaria, e meno alla secondaria, specie di II grado. Anche i testimoni qualificati confermato questo quadro. Partecipano meno (sott.: i docenti di scuola secondaria di II grado) perché sono meno gli studenti stranieri. Poi alle elementari e medie il personale è più attrezzato in territorio di intercultura e multilinguismo perché storicamente c’è stata una maggiore sensibilità da parte degli insegnanti elementari, poi l’istruzione media e superiore privilegia l’istruzione disciplinare però è poco attrezzata culturalmente e professionalmente di suo per accogliere un’utenza straniera. Comincia a essere presente, comunque (test. qual. 13: Nicola). Nella seconda metà degli anni Duemila tuttavia anche a livello di secondaria di II grado si diffonde la progettualità interculturale. Questo dunque appare l’ordine di scuola più interessante per cogliere i mutamenti in corso. I nodi applicativi più problematici (ma anche quelli su cui si è più sperimentato e innovato) a livello scolastico in Italia sembrano i seguenti: 1. inserimento in classe e prima accoglienza; 2. modifiche del Pof (piano dell’offerta formativa) in chiave interculturale; 3. governance, relazioni scuola-famiglia e scuola-extrascuola. La formazione insegnanti è trasversale a tutte le questioni. Si configura un ampio spettro di azioni, che vanno dall’innovare più di quanto richieda il centro all’attuare vere e proprie strategie di evitamento, largamente basate sul volontarismo e valutate solitamente a livello qualitativo, da parte degli stessi operatori coinvolti. Vediamo criticità e potenzialità nei diversi ambiti di intervento confrontando quanto emerso dagli atti dei seminari nazionali per dirigenti e docenti sull’intercultura (in particolare molto ricchi i materiali del Seminario nazionale per dirigenti scolastici “Dirigere le scuole in contesti multiculturali” - Riccione 4 - 6 ottobre 2010) con quanto accade nelle scuole secondarie II grado di Torino secondo le interviste ai testimoni qualificati. 4.3.1. Inserimento in classe e prima accoglienza Tra le problematiche segnalate dagli istituti scolastici al centro, emergono le seguenti: mancanza di una fase di accoglienza (riconoscere l’importanza della fase di accoglienza talvolta è un obiettivo, e non un presupposto), con conseguenti tempi compressi, senso di spaesamento dell'alunno, difficoltà per i docenti nel conoscerlo e nel programmare gli interventi e dunque difficoltà per l'alunno di dimostrare le proprie competenze. Come anticipato a Torino (come nel resto d’Italia) risulta prevalente l’inserimento in classi inferiori rispetto all’età, per non corrispondenza tra sistema educativo di partenza e di arrivo (e prevalenza del criterio del percorso scolastico certificato svolto rispetto al criterio dell’età anagrafica dello studente) e al desiderio di “dare tempo” allo studente 130 affinché acquisisca la lingua seconda, eventualmente anche attraverso la non ammissione alla classe successiva. I ragazzi che arrivano in Italia quindi che non sono… sono di prima generazione, prima generazione e mezzo, in genere almeno un anno lo perdono nel passaggio. Anche se sono arrivati… ad esempio in alcuni casi nei paesi dell’Est la scuola spesso inizia a sette anni quindi automaticamente perdono un anno, anche se magari poi continuano senza… poi magari ci sono altre cose come ad esempio… ehm… la scuola nostra di accesso alle superiori è di otto anni. Però l’equipollenza con… non so, il titolo di studio in Marocco è di nove anni, perché loro fanno sei più tre. […] E quindi automaticamente hanno un anno più degli altri, anche se… Quindi il fatto che uno arriva, non sa l’italiano, dici ci vuole un po’ di tempo e poi magari viene messo in una classe più bassa per… perché ci sono queste cose, per aiutarlo a imparare l’italiano, oppure il fatto che fa fatica a inserirsi e quindi… ripete l’anno (test. qual. 7: Pina). Inoltre emerge poca chiarezza sulla necessità della licenza media italiana. Alcune scuole secondarie di II grado indirizzano preventivamente gli adolescenti alla secondaria di I grado o al CTP ritenendo la licenza indispensabile all’iscrizione (e causando ulteriore ritardo). Ma i minori di 16 anni con l’allungamento dell’obbligo scolastico non possono iscriversi ai CTP. Inoltre i CTP sono nati e pensati come agenzie di educazione degli adulti, per cui l’offerta formativa può non essere del tutto coincidente con le competenze di base richieste dai licei. La sensibilità c’è sempre stata da parte di qualcuno. Ora si sono stufati e li inseriscono nel CTP dove la lingua non si impara. Cioè gli insegnanti sono bravi e impegnati, ma non puoi mandare un ragazzo iscritto al liceo, in una buona struttura educativa, a perdere tempo là. La lingua che uno deve perseguire nella scuola è la lingua per studiare, non per andare al supermarket. È un’altra cosa, non si può ridurre, come fai a scrivere, se noi li incapsuliamo in una struttura efficace, loro imparano perché sono sottoposti alla lingua corretta, a un popolo che parla italiano. Nei CTP ci sono adulti analfabeti anche nella loro prima lingua! Hanno tempi sfasati, fanno i corsi di pomeriggio, alla sera, poi cosa fanno i ragazzi tutto il giorno? Vanno bene per prendere la terza media velocemente. E con questo scopo ci si può iscrivere a tutti e due, liceo e CTP! Non è vero che se non hai fatto la terza media non puoi iscriverti al liceo!!! Ci sono anche delle scuole, delle segreterie che danno questa informazione ma è scorretta! Alcune segreterie rifiutano di prendere le iscrizioni! Allora io vorrei sapere cosa c’è dietro a tutto ciò. La terza media ti serve per la maturità, ma anche questo è ancora da discutere. Poi, per metterti al riparo da tutta una serie di ignoranti che poi si infilano in una legge poco chiara e la manovrano come vogliono, anche i miei allievi hanno preso la terza media ai CTP (test. qual. 18: Lara). Altre scuole consigliano di iscriversi al CTP per rinforzare l’acquisizione della seconda lingua, e contemporaneamente secondo quanto stabilito dalla normativa inseriscono i minori direttamente in classe, ma come “studenti visitatori”, o “stagista del CTP”, cioè non inseriti sul registro scolastico e privi di assicurazione, con accordi informali con i referenti stranieri sulla frequenza. Anche su questo punto le intervistate notano lo scollamento tra norme sugli ingressi restrittive e norme educative da un lato inclusive, dall’altro influenzate dai processi di associazione tra cittadinanza e competenze, con esiti contradditori e incertezze sulle procedure da adottare. 131 Qui c’è poi il problema che i ragazzi dai 14 ai 16 anni non possono fare i CTP e i corsi di lingua che avrebbero potuto... in più con tutta la vicenda del permesso di soggiorno a punti i CTP straripano. Questo è un momento molto difficile da questo punto di vista. Noi abbiamo sempre considerato che chi aveva frequentato nel suo paese d’origine 8 anni, davamo per scontato che avesse assolto fino alla terza media senza necessariamente rifarglielo fare questo esame di terza media. Otto anni li aveva fatti e quindi poteva entrare nella scuola superiore. Se adesso come pare viene fuori che comunque questa certificazione la debbano avere e debbano accedere a un esame di idoneità… […] Peccato che appunto se provassimo a fare delle domande sulla Costituzione agli studenti anche nativi… […] Sono tutte cose che a mio parare tendono a dire: bisogna porre degli argini, è come se l’Italia ancora non avesse capito che questo è. Questa è la condizione nel nostro paese, la demografia scolastica mostra che se non ci fossero i figli degli immigrati avremmo chiuso metà delle scuole e… non so che cosa si aspettino di ottenere con queste misure... la scuola deve solo fare il suo mestiere… (test. qual. 1: Daniela). Il risultato è che ogni scuola cerca di interpretare la normativa secondo le strategie di accoglienza elaborate dalla sua cultura organizzativa situata. Con esiti diversi a seconda dell’obiettivo (inserire, respingere o selezionare per competenze e attitudini) e delle competenze degli operatori (non standardizzate dal centro). Mentre la transizione da medie a superiori è piuttosto presidiata da orientatori esterni alla scuola, i riorientamenti e gli arrivi dopo i 14 anni di età sono meno seguiti da professionisti dell’orientamento. Cerchiamo il modo di inserimento che avvilisca di meno, non si può mettere un ragazzo di 17 anni in prima, ma non è più facile come curriculum, perché dipende dai paesi di provenienza, e poi le prime normalmente hanno più problemi disciplinari e per i ragazzi più grandi è degradante, specie se sono molto disorientati è pericoloso, è brutto per loro, è vissuto molto come “Visto che sono straniero, loro mi retrocedono”, poi in prima molte materie sono orali per cui è ancora più difficile. […] Non ci sono indicazioni chiare, è tutto lasciato all’organizzazione individuale, e questo non funziona. Idem per il diploma di terza media: serve o no? Alcune scuole superiori lo richiedono per iscriversi, altre suggeriscono di frequentare i CTP, ma i ragazzi non possono essere iscritti contemporaneamente in due scuole diverse. Le indicazioni direbbero di basarsi sull’età e sulle competenze, ma poi non sono molto precise. Alla primaria si può seguire di più l’età ma da noi le competenze sono fondamentali. Non esiste una struttura che faccia da filtro, che accompagni queste persone e le orienti. […] Su undici che erano venuti a conoscere la scuola, ne abbiamo presi cinque. Li prendiamo in base alla valutazione della scuola precedente e a che cosa vuole fare il ragazzo. Qui matematica, fisica e scienze bisogna saperle bene. Può sembrare una grande selettività, ma non ha senso che tu faccia la scuola meno indicata, non si tratta di scaricabarile o cattiveria, anzi poi ne curiamo l’inserimento in altre scuole se sono da riorientare, occorrerebbe un filtro neutro, persone che accompagnino, spieghino dove sono le diverse agenzie formative sul territorio, se no si perseguono solo fallimenti (ins. ref. IT Alfa 1: Carmen; ins. ref. IT Alfa 2: Vittoria, trascrizione a posteriori). Queste scelte secondo le intervistate concorrono a determinare l’abbandono scolastico o l’interruzione dell’istruzione secondaria. Giunti alla qualifica, che per ora è ancora un titolo di studio, molti ragazzi stranieri, proprio per la situazione della famiglia, le cose… o il fatto di avere perso degli anni nel passaggio da… dalla scuola del paese di origine a questa scuola… spesso perdono un anno o due, che serve per inserirsi o… quindi arrivano alla qualifica che invece di avere 17 anni ne hanno… tutti 17 anni li hanno, se non 18 o 19. [Il percorso più breve] è proprio legato a quei due motivi, una è la situazione economica della famiglia, l’altra è il fatto di aver perso o meno un anno (test. qual. 7: Pina). 132 Verificheremo questa affermazione con le interviste ai ragazzi. Interessante sociologicamente è stato il dibattito sollevato dalla circolare sulle cause della concentrazione, in Italia rilevata a partire dalla seconda metà degli anni Duemila89. Alcuni studiosi avevano legato il fenomeno all’autonomia scolastica. È vero che con essa è aumentata la discrezionalità degli istituti in termini di innovazione e pratiche didattiche. Tuttavia con le ultime razionalizzazioni le risorse delle scuole sono sempre più contenute e questo ne limita i margini di azione. Tra gli esperti intervistati per la tesi, in effetti, in merito al sostegno agli studenti “stranieri” emerge la sensazione di una “autonomia dalle ruote quadrate”90, che non gira a causa della mancanza delle risorse necessarie. In ogni caso le strategie di assegnazione degli stranieri a determinate sezioni o sedi (come quelle di – non - iscrizione), basandosi su pratiche informali, potevano differenziarsi notevolmente anche in passato. Per cui non è tanto la maggiore autonomia degli istituti, ma piuttosto il numero crescente degli studenti migranti ad avere evidenziato fenomeni di concentrazione degli allievi stranieri in alcune scuole o aree, non direttamente imputabili alla segregazione spaziale delle famiglie migranti. Esistono implicite strategie di chiusura, selezione delle categorie di stranieri “accettabili” o delega ad altre scuole (Luciano et al., 2009). Per Santerini (2011, in Commissione Cultura, p. 18) “tra le possibili spiegazioni, non va sottovalutato […] un processo che ha visto alcune scuole «specializzarsi» nell’accoglimento di bambini stranieri ed altre che hanno delegato e rinviato ad altri istituti l’onere del loro inserimento, ammettendo un’impreparazione al raggiungimento dell’obiettivo da realizzare”. Tali fenomeni possono essere legati non solo alle competenze di base richieste dal tipo di insegnamento per la riuscita scolastica, come emerso dal brano di intervista precedente, ma anche alla composizione sociale degli utenti che storicamente frequentano la scuola, solo in parte dovuta all’area cittadina dove la scuola è situata (e alla sua raggiungibilità con il trasporto pubblico). Anche le autorappresentazioni della scuola verso i futuri utenti e la disponibilità a inserire allievi ad anno inoltrato per i testimoni qualificati sembrano contare. Gli orientatori considerano la reputazione delle scuole in termini di esperienza in attività di inclusione “per stranieri”: indirizzando gli utenti migranti verso gli istituti da loro definiti “più attrezzati”, sembrano rinforzare la concentrazione di allievi migranti (e di competenze didattiche per includerli da parte dei docenti). 89 In particolare a Bologna (comune di Bologna, Osservatorio sulle Differenze, 2006), Milano (www.orimregionelombardia.it) e Torino (Comitato Oltre il Razzismo, 2006; Luciano et al., 2009). 90 Come è stato detto in tema di federalismo fiscale (cfr. Cammelli, 2011). 133 Ci sono licei che hanno maggiore apertura all’iscrizione degli stranieri, perché l’insieme culturale degli studenti è più basso, ad esempio il Liceo XXX1, in questa zona, e altri come il Liceo XXX2 che hanno un indirizzo più efficiente, cercano di dare più spazio all’informazione culturale, altri invece si presentano come più difficili, all’open day la scuola si presenta in un modo, l’offerta formativa è più ricca, il Liceo XXX1 è più orientato a lottare contro la dispersione, perché è diversa l’utenza e la composizione. Per esempio nel liceo che frequenta mia figlia una sola studentessa ha la madre non diplomata, tutti gli altri hanno genitori laureati o diplomati, mentre in altri licei la situazione non è questa, ci sono estrazioni operaie o impiegatizie, invece al Liceo XXX2 c’è estrazione di professionisti, perché la zona è residenziale. Il liceo classico è la scuola meno attrezzata strutturalmente per accogliere utenza straniera, diciamo di pensarci due o tre volte se qualcuno lo vuole fare perché la struttura glottodidattica è già difficile per i madre lingua italiani, è già molto complesso (test. qual. 13: Nicola). Noi qui come scuola abbiamo il 30% di alunni… ehm non cittadini italiani, quindi come scuola nel complesso. Però… ehm ci sono delle divisioni, a seconda delle sedi e tra diurno e serale. Nel serale la percentuale è intorno al 40-50% e… nel diurno abbiamo una percentuale che va minimo in alcune [sedi] mi pare il 15% invece nell’altra sede il 22%. Qui siamo sopra il 30%, nel diurno di questa sede. [La] percentuale comunque maggiore rispetto ad altre scuole dello stesso tipo direi che dipende anche dal fatto di essere promotrice abbastanza di dinamiche di accoglienza. Questo sicuramente fa sì che… sì perché ricevo spesso e volentieri telefonate da scuole vicine, o da centri [di sostegno ai migranti] o… e dicono: “Abbiamo un ragazzo straniero, non sappiamo dove metterlo”. […] Se una scuola ha il 30% di stranieri e l’altra lo 0% è chiaro che… Non è sempre solo un discorso di zonizzazione, eh? […] Voglio dire noi qui abbiamo degli stranieri, alla scuola XXX3… ° li fanno tutti fuori °, siamo a due passi e siamo lo stesso tipo di scuola… (ride) allora voglio dire, quindi la scuola è la stessa, il tipo di professionale è lo stesso e il problema quindi è un altro. Ne hanno anche di stranieri, ma ne fanno fuori anche abbastanza (ride), c’è una… (0.02). […] Così quelli lì... o li fa il CTP o non li fa proprio nessuno ecco. Cioè la scuola non ha cercato di darsi una sua struttura di accoglienza (test. qual. 7: Pina). Riorientare ormai è il termine che si usa per dire “Vai e cercati un’altra scuola”. Io non so i patimenti che ho avuto con questi uffici comunali che spacciano questo per orientamento, le assistenti sociali, mi avessero pagato le ore che ho perso al telefono per acciuffare una assistente sociale. Prova a telefonare a metà anno a qualsiasi liceo, ma persino istituto tecnico, e ti chiudono tutte le porte. Ma non ne faccio una cosa morale, è perché nessuno ce la fa più! Perché nessuno ha più voglia, perché sono tutti sfiniti! Specialmente quelli che lavorano tanto! (test. qual. 18: Lara). I processi di concentrazione dovuti a specifiche scelte del dirigente o della cultura organizzativa della scuola, in effetti, avvengono anche a livello sub-scolastico, per sezione o plesso. In particolare sarebbe interessante studiare la relazione tra gli atteggiamenti di chiusura che si manifestano nel momento della richiesta di iscrizione da parte di alunni immigrati e la percezione (reale o meno) da parte degli operatori scolastici del rischio di processi di concentrazione “etnica” con conseguente caduta della reputazione della scuola e perdita di alunni, e degli effetti di questi processi sulla riuscita scolastica, o, come è emerso in uno studio etnografico, sulla propensione a promuovere o bocciare (Santero, 2006). Esistono quindi strategie di ri-orientamento, o rifiuto dell’iscrizione, attuate dalle singole scuole, che concorrono ad aumentare i ritardi. I fenomeni di concentrazione in Italia, va ricordato, sono comunque per il momento contenuti, e attenuati dall’eterogeneità delle provenienze degli alunni (a parte il caso dei 134 cinesi a Prato), inoltre la porzione di N.A.I. sta diminuendo, almeno nella scuola dell’infanzia e primaria. La misura sulla soglia del 30% appare dunque uno strumento importante di controllo centrale delle strategie di inserimento attuate a livello di istituto scolastico. Tuttavia nonostante le rassicurazioni del Ministero esistono ancora fenomeni di concentrazione degli stranieri in alcune sezioni, non per bisogni di apprendimento degli utenti o del territorio, ma per strategie di “chiusura di ceto” di famiglie e dirigenti scolastici. Durante il lavoro di ricerca sono stata contattata da un genitore italiano che mi ha sottoposto questa problematica. Sei mesi fa è iniziata la lotta per essere inseriti nelle classi migliori. Noi non abbiamo partecipato perché non ci sembrava corretto. E così siamo finiti in questa sezione qui, la F. Abbiamo scoperto che tutti quelli che non hanno partecipato alla lotta per l’inserimento nelle classi migliori sono finiti qui. Nelle altre sezioni ci sono due o tre stranieri, nella nostra 9 su 19. Sono tutti figli dei portieri, delle colf, che lavorano qui in questo quartiere e abitano nelle case dove lavorano. È anche una questione di classe sociale, perché io e mia moglie siamo entrambi laureati, non abbiamo niente a che spartire con il portiere, dopo avergli parlato un po’ non abbiamo più niente da dire. Non ho niente contro di loro, ma come faccio a invitare a cena queste persone qui? La preside ha detto che ormai le classi sono formate, e se non ci va bene, ci dà il nullaosta e possiamo anche andare a iscriverci in un’altra scuola (genitore con figlia iscritta in scuola secondaria di I grado, Roma, quartiere Parioli, 12.09.2011, trascrizione a posteriori). La circolare potrebbe essere uno strumento delle famiglie per segnalare irregolarità compiute a livello di istituto scolastico, anche se si presta a strumentalizzazioni guidate da finalità opposte: non volte a garantire un’equa distribuzione dei migranti ma a limitare procedure di iscrizione informali che seguono le logiche della distinzione per classe sociale. 4.3.2. Modifiche del Pof in chiave interculturale Il Piano dell’offerta formativa (Pof) è lo strumento degli istituti scolastici per definire le specificità del curriculum91. Le criticità emerse in Italia riguardano la mancanza di formazione specifica dei docenti, la mancanza di materiali didattici specifici, la difficoltà di gestione del coinvolgimento emotivo, le difficoltà nella valutazione in classi molto eterogenee, specie quando gli studenti migranti non raggiungono le competenze di base. Anche nella costruzione del Pof le relazioni con le famiglie sono da mediare, specie nel periodo adolescenziale, o in condizioni di svantaggio sociale e rischio di devianza. Le proposte di inclusione dell’intercultura nei currucula sono frammentate e eterogenee. I curriculum sono particolarmente rigidi alle superiori, molto basati sulle discipline, con difficoltà ad adeguarsi a contesto e punti di partenza degli alunni. Pur attuando 91 Contiene finalità generali e macro-aree di intervento, progetti portanti e specifici, aspetti organizzativi e progettazione didattica e educativa, comprese le competenze da acquisire e i criteri di valutazione. 135 valutazioni individualizzate, l’Esame di Stato del primo ciclo e quello delle Superiori non consentirebbero di tener conto della personalizzazione dei percorsi. Inoltre nel passaggio da un ordine di scuola all’altro si rivelano discontinuità sull’idea di valutazione, in generale, non solo per gli stranieri. A Torino in diverse scuole secondarie di II grado la principale modifica del Pof è l’introduzione dei corsi di italiano L2. Anche se, di nuovo, il problema è la stabilità delle iniziative. Negli ultimi tre anni noi abbiamo sempre più ragazzi alfabetizzati, ma che vengono per imparare meglio l’italiano. Infatti non lo chiamiamo corso di italiano L2, ma lo chiamiamo “corso di italiano L2 e approfondimento della lingua italiana”. Infatti sono molti anche gli italiani che l’italiano non lo sanno. E vengono… (test. qual. 5: Claudia). Nelle scuole più attive si organizzano anche corsi di scrittura di livello avanzato, aperti anche ai nativi, e si attua una personalizzazione del percorso di apprendimento e della valutazione, con adeguamento dei libri di testo, tutti aspetti particolarmente importanti alle secondarie di II grado. Alle superiori ci sono difficoltà in più perché i manuali sono scritti in un italiano difficile anche per gli italiani, con immagini, titoli e indici, a cui soprattutto gli studenti stranieri si affidano come indizi di comprensione, mal fatti, poche illustrazioni e non coerenti con i testi, frasi non dirette ma contorte e molto articolate, didascalie non corrispondenti con le immagini… (test. qual. 6: Maria). Il tema della valutazione è un tema difficilissimo per gli insegnanti perché quando si lavora su percorsi individualizzati… quando un ragazzo arriva non gli puoi chiedere la stessa mole di lavoro che hanno fatto gli altri, quindi la sua valutazione deve essere una valutazione ad hoc, basata [sul suo percorso] poi man mano ci sarà sempre meno divario, però lì gli insegnanti si dividono proprio in due categorie, i rigidi che non vogliono sentir parlare di questo lento avvicinamento e gli altri, e i buonisti, che invece gratificano fortemente e trovano a volte più facile non essere esigenti con i ragazzi migranti. E di nuovo sono quelli che poi li rovinano (test. qual. 1: Daniela). Dal momento che tali attività non sono obbligatorie o monitorate quantitativamente dal Miur o dagli Enti locali, non è possibile per ora testare l’effetto dell’inserimento nell’offerta formativa di tali iniziative. 4.3.3. Governance, relazioni con la famiglia e l’extrascuola Le risorse economiche disponibili, i tempi in cui queste risorse sono erogate, l’insieme di esperti e figure che possono collaborare con il personale scolastico di ruolo sono elementi fondamentali per la realizzazione dei progetti di inclusione. L’insieme di queste risorse dipende non solo dai finanziamenti diretti del Miur, ma anche dalle intese che i singoli istituti scolastici stabiliscono autonomamente con altre agenzie e organi di governo del 136 territorio. In Italia i “patti territoriali”92 condivisi risultano ancora pochi. Innanzitutto il sistema scolastico italiano è stato storicamente piuttosto centralizzato, come detto nel secondo capitolo. Inoltre non sempre le esigenze della scuola corrispondono a quelle delle politiche locali, le une strettamente didattiche, le altre più volte alla gestione di dinamiche sociali di lungo respiro e al confronto con gli elettori. Il turn-over del personale e la mancanza di risorse, insieme alla sempre citata mancanza di formazione per docenti e personale assistente tecnico e amministrativo, e l’assenza di continuità dei progetti e degli accordi i rendono difficile l’azione. La riflessione interculturale tuttavia pone in primo la questione del ruolo e dell’identità della scuola nel policentrismo formativo come principale agenzia di istruzione e socializzazione. Nelle realtà più segnate dal fenomeno migratorio si stanno creando reti di coordinamento tra scuole e agenzie formative del territorio, soprattutto intorno a temi di valenza e ricaduta territoriale, come la comunicazione scuola-famiglia, il sostegno alla genitorialità (che nel caso dei migranti talvolta è alfabetizzazione in L2 delle madri), la creazione di eventi di incontro. A Torino le iniziative di sostegno allo studio extrascolastico per gli studenti di origine straniera delle superiori sono meno che quelle per gli altri ordini di scuola, per cui sale in primo piano l’investimento economico delle famiglie in occasioni formative aggiuntive: data la scarsità di servizi gratuiti, o a basso prezzo, gli studenti che necessitano di supporto all’apprendimento devono ricorrere a lezioni private. Oppure orientarsi verso istituti scolastici più impegnati a reperire, tramite progetti e accordi ad hoc e finanziamenti privati, risorse per il sostegno alla riuscita. Le associazioni che offrono un aiuto per lo studio alle scuole secondarie di II grado sono solo due, largamente basate su lavoro volontario. [I ragazzi che non frequentano queste due associazioni] se la devono cavare da soli, questo è un bel problema. [Devono ricorrere a] ripetizioni private, poi magari la scuola fa qualcosa, corsi di recupero, però sempre molto poco... poi magari in IV o V danno un po’ di strumenti in più per cavarsela, ma nei primi anni… […] Con i ragazzi delle elementari e medie abbiamo proprio delle ore in classe, progettiamo insieme, alle superiori no. Il problema è che la scuola superiore viene considerata la scuola per chi ha già scelto che vuole studiare. Il che è paradossale perché poi c’è l’obbligo fino ai 16 anni, però le attività educative... chi le vuole va in quelle scuole come l’IP Alfa, è un istituto professionale e deve avere un quintale di casi umani sia italiani che stranieri pazzesco, pazzesco… […] da quest’anno c’è un’attività, una specie di Provaci ancora Sam [per la prevenzione della dispersione scolastica] con l’IP Alfa, ma sono tutte cose molto recenti e piccoli numeri (test. qual. 4: Nina). Un caso significativo di creazione di rete informale tra operatori scolastici ed extrascolastici di scuola secondaria di II grado della città di Torino è stato, come 92 Accordi e protocolli di azione stipulati tra scuole, Miur, Urs, Enti locali, e talvolta anche Autorità consolari (o ministeri dell’istruzione dei paesi di provenienza dei migranti), agenzie educative extrascolastiche, esperti, imprese e fondazioni. 137 accennato prima, il Progetto Orientamento e Successo Formativo dell’associazione il Nostro pianeta. Questa rete si è costituita per iniziativa di insegnanti e esperti del settore educativo attraverso un finanziamento privato e il sostegno degli Enti locali, con l’obiettivo di diffondere pratiche inclusive interculturali. Quello che per noi era qualificante di questo progetto era la cultura del progetto. Quindi ad ogni azione e ogni questione c’era da fermarsi e riflettere: “Allora va bene, ci siamo imparati che in questa situazione qui si può fare così, si può fare cosà”. E a quel punto la diffondi. Però bisogna avere in testa che un progetto vale nella misura in cui fa cultura. Cioè non è una massa di azioni, è un progetto (test. qual. 1: Daniela). L’associazione ha svolto molteplici funzioni, tra cui mediare le istanze normative nazionali e il loro adeguamento territoriale, sostenere i docenti referenti e il personale di segreteria facendo circolare informazioni e procedure attraverso uno sportello e la consulenza di esperti (pedagogisti, psicologi, avvocati), creare momenti di sostegno allo studio, alfabetizzazione nei periodi estivi, orientamento familiare, peer-tutoring93, confronto tra adolescenti e genitori, raccogliere e diffondere il percorso sperimentato tramite il web (Aa.Vv., 2010). La rete tra istituzioni è stata soprattutto una rete tra singoli operatori, e questo ha permesso di sveltire le procedure burocratiche. Un altro effetto molto positivo è stato anche che, proprio perché al nome di una scuola corrispondeva il volto di un insegnante che conosceva quell’altro insegnante di quell’altra scuola, noi siamo riusciti a riorientare i ragazzi, quando uno era stato inserito in una scuola che non era adatta per lui, l’abbiamo riorientato senza mai fargli perdere l’anno. Questo che un tempo nella scuola si poteva fare, si chiamavano progetti passerella poi sono decaduti non si sa perché [...] ma questo è stato possibile proprio perché uno piglia su il telefono, chiama l’insegnante che c’è dall’altra parte, dice “Guarda, ascolta, allora facciamo così, questo qui viene da te, prepariamo, facciamo…!” […] Abbiamo avuto 0% di dispersione scolastica, eh? […] Nessuno ha perso del tempo, tutti sono stati sistemati in modo che facessero quel percorso che, magari non nell’immediato, ma su un tempo più lungo, poteva garantire successo (test. qual. 1: Daniela). Nel vuoto normativo con il lavoro di equipe si sono sviluppate procedure di inserimento non ancora previste dal Miur (ad esempio l’uso delle lingue veicolari), una serie di pratiche consolidate e legittimate, a livello locale, applicabili anche in altri contesti (cfr. Aa.Vv., 2010). Io ho inserito in una quarta liceo scientifico un congolese, il venerdì è arrivato e il lunedì era a scuola. E’ uscito dalla maturità con voti migliori di molti suoi compagni italiani. […] Ha studiato sempre più di 10 ore al giorno. Per due anni. […] Sono soddisfazioni. Adesso fa l’università, intanto lavora, gli abbiamo fatto fare l’animatori dei piccoli… […] Allora abbiamo utilizzato anche tanto le lingue veicolari. Lui parlava francese, alcune materie gliele abbiamo fatte studiare in francese in modo tale che facesse più in fretta. Perché se avessimo dovuto aspettare che la sua competenza in italiano fosse tale da doversi studiare un libro in letteratura… Scienze se l’è fatta tutta in francese […], abbiamo fatto questo tentativo alla maturità. […] Si possono fare queste cose nel senso che la nostra normativa non esiste. Allora nel vuoto della normativa è possibile fare diverse sperimentazioni. Se una cosa non c’è 93 Particolarmente efficace, pur con le sue criticità, nel caso di minori non accompagnati (v. Ragionieri, 2011). 138 proprio scritto che non lo puoi fare, io ci provo. Se funziona allora diventa una buona pratica che può essere ripetuta. E può essere estesa (test. qual. 1: Daniela). La preoccupazione degli attori coinvolti è dare continuità all’iniziativa, la quale, come altre, per mancanza di finanziamenti (o decisioni di destinare altrove i finanziamenti) rischia di essere interrotta. È quello che mi sconvolge, perché una realtà come Nostro pianeta, come i centri di educazione, oggi muoiano così… poi me è capitato di lavorare con la rete dei centri permanenti, ora è tutto morto. Per motivi politici. Anche economici, ma politici. Ed è uno spreco di risorse, perché quelle persone lì si sono formate per quindici anni - hanno - lavorato, hanno - delle - competenze – utilizzabili - travasabili… (gesto con le mani) le buttiamo (test. qual. 5: Claudia). Nel caso dei progetti sperimentali con impatto positivo non solo sulle performances scolastiche, ma anche sulla definizione di procedure inclusive nuove, la mancata prosecuzione implica la perdita delle risorse investite nella formazione del personale. Inoltre, al termine della secondaria di II grado, le attività di orientamento in uscita, verso il mercato del lavoro o l’università, sono lacunose, e sembrano offrire poco sostegno all’investimento delle competenze apprese durante gli studi secondari. Mi piacerebbe che si smettesse di sprecare le risorse che continuamente formiamo. Noi formiamo delle splendide risorse, e continuamente le buttiamo via. Io mi chiedo perché. Da una parte e dall’altra eh? Risorse in andata e risorse in ritorno, eh! Perché un ragazzino mi deve dire “Io questa estate torno in Equador”? E allora a me piacerebbe dirgli “Ma no dai, hai un bel patrimonio, spendilo qua” e lui allora mi dice “Eh, ma io non so come spenderlo”. Ma non come equadoreno, come essere umano (voce commossa). E questo mi spiace. E’ una perdita. E purtroppo perché questo avvenga dovrebbe diventare prassi. E noi abbiamo soltanto occasioni, non prassi. E questo è un po’ un peccato, un difetto italiano credo, non solo nella scuola (test. qual. 5: Claudia). 4.3.4. Innovare più di quanto richieda il centro o attuare strategie di evitamento? Per la diffusione di una progettualità interculturale, risulta cruciale il ruolo dei docenti referenti. Sicuramente noi abbiamo per la scuola torinese degli ottimi insegnanti referenti per gli alunni stranieri che sono quelli con cui abbiamo lavorato, che però a volte si trovano a doversi occupare anche di 200 studenti, perché quando… ed è il caso di molti istituti tecnici o professionali perché dove la presenza degli alunni immigrati è superiore al 30% è evidente che il referente ha un grossissimo lavoro, soprattutto di mediazione nei confronti dei sui colleghi di classe che tendono un po’ a scaricare… ehm il ragazzo immigrato nel senso che quasi quasi il ragazzo immigrato appartiene all’insegnante referente, no? E non al consiglio di classe che deve farsene carico (test. qual. 1: Daniela). Il liceo Alfa mi pare, ma comunque un liceo, ha un insegnante in servizio che fa 10 ore con gli stranieri, ma è l’unico caso… poi non ne hanno così tanti là. Noi abbiamo chiesto distacchi per anni. Però l’unico distacco che conosco è quello. Poi la funzione strumentale è un lavoro organizzativo. [E le ore di lavoro in più previste extra insegnamento] non sono molte. Cioè in realtà non bastano. Sono le stesse ore per una scuoletta di 300 – 400 studenti, 139 noi qui che ne abbiamo 1600 e che arriviamo a fine anno a 1800 perché arrivano… (test. qual. 7: Pina). Si tratta di solito nel contesto delle secondarie di II grado di Torino, di personale molto motivato. Gli insegnanti, soprattutto quelli di frontiera… davvero i referenti hanno ben presente la situazione dei ragazzi immigrati. E sono persone che hanno proprio scelto di farlo perché gli interessa, una forma di mission sociale, perché poi di per sé è un lavoro gramo, nel senso che poi a scuola ti scaricano addosso, no? I casi dei ragazzi eccetera. Per cui è sempre gente molto motivata. E poi è anche gente che aveva voglia a questo punto di fare un salto di qualità nel senso non solo di offrire un servizio ma anche di avere una cultura di progetto intorno al successo scolastico (test. qual. 1: Daniela). La cultura organizzativa degli istituti scolastici dunque influenza il modo in cui si progetta, vengono raccolte informazioni sugli studenti, si pianificano le azioni in base a risorse e risultati attesi. Non in tutte le scuole le funzioni strumentali riescono a coinvolgere i colleghi in un progetto interculturale comune. Fino all’anno scorso avevo l’incarico di funzione strumentale, poi mi sono dimessa per l’impossibilità di svolgere il mio ruolo all’interno della scuola. Posso essere un po’ polemica? Sì? Perché mi sono resa conto che il mio ruolo era assolutamente… formale ma non sostanziale, nel senso che io facevo delle cose, proponevo delle attività, ad esempio ho scritto il protocollo di accoglienza che è anche sul nostro sito, ma nella realtà dei fatti tutto questo non era applicato, non era portato avanti, a partire dalla dirigente. E allora visto questo, dato che mi ero stufata di fare il manichino per la dirigente ho preferito smettere. Anche se poi in realtà informalmente io continuo a seguire i ragazzi che conosco, da anni, e continuo a mantenere i rapporti con le associazioni, con chi… ho sempre lavorato […]. Vorrei… che ci fosse molta più preparazione degli insegnanti, quindi davvero che tutti gli insegnanti, specialmente quelli di Lettere, fossero costretti a seguire dei corsi di aggiornamento per capire… insomma la realtà che devono affrontare perché la maggior parte dei miei colleghi non ha idea della realtà che devono affrontare. Vorrei che ci fosse un insegnante che si occupasse solo di quello, magari un insegnante che avesse il distacco (test. qual. 9: Cinzia). A parte i corsi di italiano come lingua seconda, normalmente attivati a Torino, sembra risicata l’attenzione applicativa alle indicazioni ministeriali. Per cui da un lato c’è spazio per l’innovazione, come abbiamo visto, ma dall’altra parte non è obbligatorio attivarsi. Salvo dei buoni propositi e delle belle frasi, no io direi che il ministero se ne è sempre piuttosto lavato le mani. Per l’amor del cielo… mhm però questa è una mia illazione, io sono ben felice che non dia nessun orientamento perché così almeno ci possiamo muovere. Mhm devo dire che io lo trovavo già pregevole quando ho iniziato a lavorare con allievi non madrelingua e clandestini, io credo di non aver avuto allievi in regola fino al 2000, io per dieci anni avevo allievi regolarmente… sì. Il fatto che non ci fossero regolamenti salvo l’obbligo scolastico, salvo la possibilità di ottenere un permesso di soggiorno a me è sempre andata benissimo. Trovo che meno regole dà meglio si sta. Temo le regole del... le temo. [...] I corsi istituzionali si fermano alla primaria. Perché costano meno. E direi c’è poca cultura istituzionale dell’apprendimento della lingua italiana come lingua straniera, cioè dell’accoglienza istituzionale, c’è ben poco. D’altra parte la sfera adolescenziale è un po’ quella sempre nel mezzo e anche quella un po’… che ha meno iniziative. Il che da un lato dà ampio spazio, dall’altro purtroppo secondo me impedisce che subentri una prassi. Cioè mentre comunque anni e anni di attenzione all’estraneo tra noi tra virgolette in qualche modo ha fatto affermare prassi nella scuola primaria, nella scuola secondaria non è mai prassi, è sempre un’eccezione, bisogna ricominciare sempre da zero, proprio perché non è istituzionalizzato. Non è obbligatorio tenere un corso di italiano per stranieri. Non è 140 obbligatorio avere una certa accoglienza per, non è obbligatorio usare i libri facilitanti, anzi non ce ne sono. Non è obbligatorio frequentare i siti che… so che… per quanto riguarda mi va bene così si fanno delle cose carine, però non diventa prassi (test. qual. 5: Claudia). Il risultato è che esistono delle buone progettualità, legate soprattutto agli insegnanti referenti e alle fasi di accoglienza: anche se non mancano iniziative più ampie, esse sono sporadiche e non strutturali, quasi esclusivamente nell’extrascolastico, soprattutto nella scuola secondaria di II grado. Int.: Perché c’è più attenzione nei primi anni di scuola che dopo? Tea: Probabilmente è una questione innanzitutto numerica, e forse però è anche proprio un bisogno diverso. Nel senso che il sostegno allo studio alla secondaria di II grado si ritrova in ambienti come doposcuola, non come mediazione o sostegno specifico… perlomeno non viene così recepito dalle scuole. Solitamente la scuola si attiva a chiedere un sostegno, o quando viene percepito un immediato problema linguistico, e quindi si attiva, anche un po’ un disorientamento, oppure laddove ci sono delle prassi o delle collaborazioni attive da molti anni e delle modalità proprio di gestire l’accoglienza, quindi magari con l’inserimento in laboratori di italiano, o un accompagnamento con un servizio di mediazione interculturale, e questo però si è consolidato nelle scuole primarie e nelle scuole medie. […] Sulla secondaria di II grado abbiamo fatto comunque degli interventi di sostegno allo studio individualizzato, questo ci viene spesso richiesto da istituti tecnici di Torino, laboratori di conoscenza sui vari paesi, molto più interattivi di solito che per medie o elementari, su come vivono i giovani nei vari paesi anche affinché i ragazzi riescano a capire meglio proprio le difficoltà dei loro compagni eccetera. E… poi abbiamo fatto dei progetti più nello specifico sull’orientamento […]. I discorsi sul bilinguismo, la lingua per lo studio… è una cosa che viene molto dopo, su cui noi stiamo lavorando ma che per l’insegnante… non genera quell’urgenza… di trovare una soluzione ecco (test. qual. 10: Tea). Alcune insegnanti non solo non si adoperano per la valorizzazione del plurilinguismo in classe, ma raccomandano di non adoperare la lingua madre nemmeno in casa, ampliando il rischio che Favaro (2011) chiama di “bilinguismo sottrattivo” o “semilinguismo”. In generale nonostante l’impegno profuso specie da alcuni docenti, l’atteggiamento di valorizzazione interculturale è, a detta degli esperti del settore, ancora da costruire. Sicuramente il vissuto a scuola dei ragazzi è determinante rispetto poi alla loro capacità di proiettarsi come essere cittadini attivi e inseriti positivamente in questa società. Ci sono proprio a volte anche dei vissuti e degli episodi simbolici dei ragazzi a scuola che poi determinano la loro capacità di auto proiettarsi in questo ambiente. Sicuramente a scuola vivono situazioni di discriminazioni o percezioni di razzismo che poi rischiano di proiettare come autorappresentazione. Diciamo che se la scuola poi e il percorso di istruzione secondaria riesce a valorizzare il loro apporto specifico, quindi anche la loro ricchezza linguistica e culturale, per loro sarà più facile poi immaginarsi di poterlo fare nel mondo fuori dalla scuola. Questo spesso non avviene. Io lo vedo soprattutto dal punto di vista, e già è un bel segno, linguistico. A scuola oggi è ancora difficile far passare l’idea dello sviluppo di più lingue. Innanzitutto dal punto di vista dello sviluppo psicologico emotivo e cognitivo dei ragazzi, e poi anche come appunto ricchezza potenziale per il loro inserimento lavorativo, per il loro inserimento sociale, per quello che possono proprio portare come loro contributo, no? Alla società. E già da lì insomma se ci fosse una valorizzazione anche solo della pluralità linguistica, poi tutto il resto viene anche dopo. E poi tutta la valorizzazione che si fa della pluralità culturale molto spesso non… non è fatta in maniera del tutto positiva, c’è ancora l’idea di lavorare sull’intercultura e multicultura… […] Sarebbe utile che la scuola desse se non altro l’idea a questi ragazzi che la loro ricchezza appunto a partire da quella linguistica può essere un valore nel senso che può essere un aiuto (test. qual. 10: Tea). 141 Le differenze tra una scuola e l’altra nella capacità di attivarsi possono dipendere sempre di più anche dalle abilità di fund raising sviluppate da insegnanti, dirigenti o personale tecnico-amministrativo. Le scuole più intraprendenti fanno più progetti, hanno più esperienza, hanno più risorse, e così via, fanno più progetti, ottengono ancora più risorse, in un circolo vizioso. Non va bene distribuire a pioggia, ma questo circolo vizioso va contro l’obiettivo che ci poniamo, cioè che le scuole garantiscano una posizione uniforme a tutti (test. qual. 14: Lucia). L’inclusione scolastica degli alunni stranieri, in quanto tematizzata da bandi specifici, subisce andamenti diversi rispetto alle risorse ordinarie, con il rischio di generare tensioni tra le famiglie di utenti nell’attuale diminuzione dei fondi per l’istruzione. Sulla didattica ci siamo, finanziamenti ci sono. Per gli alunni stranieri. Perché il paradosso è che noi adesso facciamo gli scrutini, attiviamo dei corsi. Ma non abbiamo i soldi per attivarli sugli alunni non stranieri. Perché il ministero non ha dato, se non delle quote ridicole rispetto a quello che è il nostro fabbisogno per i corsi di recupero. Quindi il recupero è un obbligo, far fare il recupero è un obbligo, giustamente, eh? Però non abbiamo tanti fondi per. E allora poi andiamo alla discriminazione opposta, capisci cosa arriviamo a… ? Allora prima dicevo con la mia vicepreside “Senti ma” lei fa “Quest’anno non possiamo fare i corsi, recupero in itinere”. Quindi sospendiamo le lezioni per 15 giorni, l’avanzamento del programma per 15 giorni, in quei 15 giorni ogni disciplina fa l’avanzamento del programma di quel quadrimestre, per chi ha l’insufficienza, oppure fa l’approfondimento per chi non ha la sufficienza. Invece per gli alunni stranieri al pomeriggio possiamo fare i corsi. […] Sono fondi dedicati… questa disponibilità di fondi io l’ho… cioè esiste negli ultimi tre anni, noi abbiamo tre fonti differenti per attività che puntino al successo… […] Ci sono questi bandi e sono tutti pubblici, cioè tipo quello del [Fondazione bancaria] è stata un’eccezione e lì va beh era un finanziamento privato, ma … Miur, provincia, regione… l’ultimo è arrivato proprio lunedì mattina e io ho parlato adesso e parteciperò anche a questo (test. qual. 8: Edda). Sui fondi la percezione a livello di scuola e privato sociale emersa nelle interviste ai testimoni qualificati è la seguente: • difficoltà di avere chiaro il quadro dei finanziamenti; • sospetto verso enti erogatori al contempo destinatari dei fondi e valutatori dell’efficacia e dell’efficienza della spesa; • sfasamenti tra tempi di progettazione, comunicazione della vincita di bandi, erogazione dei fondi da un lato, tempi scolastici e necessità di avviare le attività didattiche e educative dall’altro; • preferenza a finanziare progetti sperimentali e con elevato ritorno di immagine, con conseguente stimolo a innovare e comunicare i risultati, ma anche freno a costruire strutture continuative e procedure certe, penalizzazione dei progetti dall’avvio più lento (ad esempio con bambini rom), meno appariscenti, o con carattere routinario e procedurale (es. protocolli di accoglienza, L2, adeguamento dei materiali didattici e per la valutazione); 142 • talvolta mancata condivisione di obiettivi tra ordini di scuola diversi e livelli di governance; • importanza delle competenze e del coinvolgimento dei singoli decisori locali, specie se con ruolo di broker nelle cabine di regia e nei tavoli di coordinamento; e dei singoli docenti e dirigenti, anche per le difficoltà attuative delle norme sull’autonomia. Possibili effetti perversi di legare i finanziamenti esclusivamente ai progetti sono il rischio di relegare le attività a terzi (i responsabili del progetto), introdurre innovazioni parziali o formali per rientrare sotto l’ombrello delle “sperimentazioni”, generalmente più finanziate, perdendo di vista gli obiettivi sostanziali a lungo termine; adottare forme di valutazione sommarie e poco utili per la continuazione dei percorsi imparando dagli errori; innescare circoli viziosi che amplificano la localizzazione dei diritti (scuole più attive innovano di più, ottengono più fondi, dunque attuano più progetti, acquisiscono più competenze, innovano ancora di più, attirano ancora più risorse, e così via). Silvia: I progetti annuali danno eterna insicurezza, non c’è reale validazione dei progetti, tutti gli anni si produce, si fa finta di valutare e poi questo non ti permette di trovare delle strade per proseguire. Giada: C’è sempre l’ottica dell’emergenza, e poi i tempi delle norme non corrispondono con quelli delle attività e tra loro, sono diversi per norma, per livello, poi ci sono i tempi di rendicontazione interminabili, i tempi di scrivere i progetti… […] Silvia: È difficile dare continuità, i criteri cambiano sempre, fai un progetto e poi devi cambiare sempre qualcosina per riproporlo l’anno dopo, è difficile tenere la barra dritta e pensare cosa vuoi fare con quei ragazzini lì. […] Giada: Ci vuole molta più struttura e molto più pragmatismo perché il decisore non ha il polso della situazione. [Elenco di alcuni progetti nella Città di Torino] ma in queste iniziative si spendono soldi e poi non resta niente. Il comune ha investito tanti soldi in iniziative come [altro elenco], sempre con l’idea che possano farcela poi da sole queste iniziative. Ma piuttosto dai meno all’inizio e portale avanti, non buttare diecimila progetti e poi ti arrangi… Ad esempio la formazione sulla L2, non è obbligatoria per tutti gli insegnanti, ma se vuoi puntare su quello, devi far confluire tutte le risorse su quello, non disperdere. […] Silvia: Ma avere tanti progetti equivale a scaricare le responsabilità educative su terzi. E far finta che non esistano, ma questa aggressività prima o poi viene fuori, perché mettere tutto sotto il tappeto coloratissimo non fa sparire i problemi. […] Giada: Dagli anni ‘90 a livello nazionale abbiamo niente struttura e tutto progetto. È chiaro che la struttura costa di più. E poi anche l’autonomia, è stata un’ottima idea ma non si è pienamente realizzata, esistono differenze. […] Ester: Manca la memoria storica di quello che è stato fatto, si condividono poco le buone prassi. Giada: Le motivazioni delle istituzioni sono di facciata, di ritorno di immagine, ad esempio anche le fondazioni, e loro pesano molto sulle scelte locali. […] Giada: Ad esempio se il decentramento non avviene, hai dispersione dei fondi. Nel privato sociale alcune cose sono state fatte, ma non riesce a coordinarsi, è difficile avere uno sguardo complessivo per integrare. Silvia: Sì, si vede ad esempio per i corsi di italiano per adulti. Sono stati fatti mille corsi e tutti identici, invece occorre differenziare, se no tutte le aspettative, le emozioni, le energie, i pensieri, i progetti dei volontari vanno sprecati, e non hai alfabetizzato nessuno. […] Le cose che hanno funzionato è perché le persone coinvolte si sono costruite delle competenze. Una volta che togli la persona, capisci che non era una cosa magica che se c’era quella persona lì, a quel tavolo le cose funzionavano (test. qual. 15: Giada; test. qual. 16: Ester; test. qual. 17: Silvia). 143 Gli educatori e gli insegnanti più attivi sentono l’esigenza di una “struttura” che renda l’approccio inclusivo vincolante e le attività di programmazione certe e rendicontabili, in modo che l’accesso ai servizi sia davvero un diritto degli alunni e studenti, e non una “concessione”, legata al buon cuore del singolo operatore o alle risorse di attivazione degli utenti più avvantaggiati. Con l’effetto di escludere, o spingere all’isolamento, chi non gode di queste due dotazioni. La scuola... aiutarla sarebbe quello di poter veramente fare... cioè non appiccicare, perché quello che facciamo sono tutte cose appiccicate, non esiste una struttura di accoglienza. Tanto per dire in Francia ci sono i centri di accoglienza, in Belgio ci sono le strutture di accoglienza, quindi… poi che funzionino bene, funzionino male, questo è un altro discorso, però noi… è il fatto di non poter contare, se non su cose a costo zero. Cioè certo che io posso mettere un giudizio sospeso, il ministero mi autorizza a fare quello, però devo comunque essere io a fare in modo che il ragazzo segua un corso, preparare le lezioni separate e cose di questo genere, e poi grazie se riusciamo dalla regione ad avere qualche soldo per ricompensare chi fa questo lavoro in più. Questo sicuramente è una di quelle cose che a livello strutturale come scuola, visto che comunque ormai siamo in parecchie scuole ad avere a livello strutturale più del 30% di alunni stranieri, un terzo della classe non può essere trattato come gli altri, quindi devi avere la possibilità di dare quelle cose che… noi tante volte facciamo dei corsi misti perché manca la possibilità di avere dei percorsi differenziati e con gli stranieri che hanno bisogno più di altri, manca questa possibilità di fare questo. E l’altra cosa è che comunque quello che i ragazzi, la percezione che hanno, io me ne rendo conto, è “Meno male che sono venuto al XXX (istituto in cui lavora l’intervistata, ndr), meno male che ho incontrato il professore talaltro”, cioè che questo, tutto questo è come dire, una concessione… ma in effetti la cittadinanza viene concessa, non viene… non è che tu hai diritto ad avere la cittadinanza perché maturi dei diritti ad avere la cittadinanza o meno. […] Però quello che noi vediamo è che le persone con la stessa situazione eccetera eccetera, uno la ottiene subito, l’altro non la ottiene mai, e non c’è una regola (test. qual. 7: Pina). Per supplire alle carenze finanziarie di ministero e enti locali, per le secondarie la creazione di reti di scuole può fare la differenza, come mostra l’attivazione di corsi di italiano L2. Gli intervistati sottolineano che occorre differenziare ulteriormente l’offerta formativa, e inserire gli interventi nella didattica ordinaria, specialmente sulla lingua seconda, nonostante sia difficile coinvolgere tutti i docenti in questo processo di adeguamento del curriculum. Nella storia di attivazione di un corso di italiano come seconda lingua all’interno di un liceo, sotto riportato come caso emblematico, si evincono i seguenti elementi processuali: il ruolo della docente referente motivata e disponibile a orari di lavoro lunghi e non pagati, l’attenzione del dirigente scolastico e il suo impegno per cercare (inventare) le procedure amministrative più adeguate per “strutturare” l’intervento, le strategie di evitamento attuate dai docenti non coinvolti nell’intervento, le modalità di negoziazione per far inserire l’intervento a pieno titolo nell’offerta formativa della scuola, la continua necessità di trovare risorse economiche, non sempre con successo e dunque con andamento ondivago e “buchi”, il malessere e le questioni 144 deontologiche che questo tipo di processo fa emergere e che, in mancanza di reti tra scuole, le insegnanti referenti devono gestire da sole. Da 6 anni lo organizzo (sott.: il corso di glottodidattica L2) internamente alla scuola. Ci sono questi approcci alla lingua a pioggia, trenta ore di qua, 25 ore di là, qualcuno nell’intervallo, in modo che poi nessuno sa la lingua. Questa formula in uno stato civile dovrebbe essere legge: se un ragazzo arriva per riunificazione familiare, e non sa l’italiano, è inutile che stia lì a bivaccare tutta la mattina. Allora sono riuscita a spuntarla per tutta una serie di elementi casuali per i quali ogni tanto la scuola funziona. Ho iniziato a far per conto mio e a dimostrare che funzionava, poi c’è stato veramente un colpo di genio del preside, che poi è andato (è stato trasferito, ndr), perché a scuola è così (voce triste), ha chiesto per me un semi congedo, un distacco sulla L2. Così ogni anno c’erano almeno 260 ore di italiano fatte, cioè studiato, fatto esercizi, eccetera, per ogni ragazzo. Per questo anno “ponte”, in cui il ragazzo usciva dalla classe per frequentare al mattino alcune ore di italiano come lingua seconda, richiedevo didattica semplificata. Io per questo ci ho perso le notti. Dopo un mese di italiano i colleghi mi dicevano “Eh ma non sa leggere I Promessi Sposi”, magari ragazzi cinesi appena arrivati! Allora io “Non puoi aspettare? E non bocciarlo tutti gli anni? Non puoi pensare che sono analfabeti, anche loro hanno studiato nel loro paese, in un’altra lingua”. Nelle ore al mattino li portavo fuori dalla classe. E i colleghi protestavano moltissimo, perché togliergli gli studenti è > come togliergli il sangue, preferiscono che stiano là in classe infilati come degli spiedi, induriti con l’amido < infilati là che non capiscono niente! “Ah poi restano indietro di matematica, ah poi restano indietro di inglese!”. […] Non mi piace inventare le didattiche, bisogna essere molto seri, questi corsi di italiano piovono così come se fossero… e per questo il livello rimane quello di chi suona la chitarra prendendo le dispense all’edicola, è diverso da chi va direttamente alla fonte della lingua con un insegnante che a sua volta ha sperimentato, ha imparato… Però fare le ore di lezione al mattino e poi al pomeriggio significa farsi un mazzo, MAZZO PAZZESCO, e totalmente GRATIS!!! Perché ho dovuto iniziare senza essere pagata? Perché questi corsi che sto facendo ora non so se verrò pagata, perché io devo fare dei corsi che sono in pensione, gratis? È tutto nel volontarismo più schifoso. MI FA SCHIFO QUESTO VOLONTARIATO! E io mi chiedo ma perché lo devo fare, è giusto che io lo faccia? Vorrei dire di no, vorrei non farlo! > Però penso a L., R., C. (nomi di studenti, ndr), che sono arrivati il 15 settembre e ora scrivono, che cosa ne sarebbe stato di loro se non l’avessi fatto? < […] Visto che ci vivi tutti i giorni con i ragazzi, allora è proprio una attività, non deve essere un progetto (con i gesti: “separato e circoscritto”), ma deve essere un’attività continua, con una valenza, con dei tempi, invece si fa così, un progetto, così fai quelle ore lì, le paghi, insomma è tutto un problema burocratico, ma problema didattico niente! (test. qual. 18: Lara). L’intervistata motiva il suo lavoro extra con l’empatia nelle vicende formative e biografiche degli studenti, ma sottolinea la percezione di grande distanza con i processi di razionalizzazione in corso, sentiti come movimenti che seguono logiche parallele, se non incompatibili, rispetto a quelle della didattica e della relazione educativa con studenti e famiglie. Nelle scuole professionali di Torino sembra essere maturata più consapevolezza della necessità di attivarsi rispetto ai licei, ma anche in questo tipo di insegnamento molto dipende dall’impegno del singolo docente nell’appoggiarsi anche a organizzazioni extrascolastiche. Scuole professionali come livello… però anche lì, ci sono delle persone che fanno delle cose, magari anche come funzione o referente per gli stranieri, ma come anche qui. Qui adesso una parte degli insegnanti si è adeguato, una grossa parte… (sorride e fa segno con le mani di “piatto totale”) e non è che sia un’isola felice. Quindi per i professionali potrei dire che più o meno tutti fanno qualcosa (test. qual. 7: Pina). 145 4.4. Cambiamenti e eterogeneità. L’importanza di guardare ai diversi livelli di attuazione Avevamo visto nel primo capitolo che la cornice normativa del centro plasma le opportunità di inserimento in modi peculiari e differenti da un paese all’altro, tuttavia essa non si costituisce in “modelli” identificabili univocamente come più performanti su tutti gli aspetti dell’integrazione94. Non è detto che, tramite l’approccio dei tipi ideali, sia possibile individuare insiemi coerenti di linee politiche sull’inserimento scolastico e extrascolastico dei migranti: è più facile trovare sistemi misti ed elementi contradditori. Le tipologie basate sull’analisi del curriculum o dei dispositivi di organizzazione scolastica stabiliti a livello nazionale possono essere comunque utili sia per cogliere i mutamenti nel tempo nelle retoriche e nelle policies centrali, sia per verificare come una stessa politica, una volta legittimata ed entrata a regime nella burocrazia scolastica, possa nel tempo mutare nei suoi obiettivi impliciti a livello locale o scolastico. Così lo stesso progetto può essere inteso, ad esempio, in senso strumentale secondo un approccio assimilazionista, rivendicativo in ottica pluralista, o di scambio reciproco nell’ottica interculturale (cfr. Lagomarsino e Torre, 2009), ma soprattutto a una adesione formale alle indicazioni normative di una scuola può corrispondere l’attivazione di pochi o pochissimi operatori all’interno di essa. La caratteristica peculiare del modello italiano, cioè l’inserimento individualizzato di ogni allievo, in ogni momento dell’anno, con approccio interculturale e reciproco adattamento tra istituzione scolastica e studente, proprio per la sua flessibilità, dà ampi margini di discrezionalità, fatto che, anche per le specificità ordinamentali e organizzative del sistema scolastico in Italia, si traduce in diseguale distribuzione dei diritti sul territorio. Come è stato teorizzato sulle politiche migratorie, anche per quanto riguarda le politiche educative per i migranti a livello centrale (Miur) si stabiliscono i principi guida e le priorità dell’agenda, in relazione all’approccio ideologico dei decisori politici, e alle manifestazioni di chiusura verso l’immigrazione del bacino elettorale di riferimento. Ultimamente anche nel settore delle politiche educative, fino agli anni 2000 relativamente al riparo dalla politicizzazione rispetto agli altri ambiti delle politiche migratorie e per l’integrazione dei migranti, emergono infatti discussioni sulla legittimità e l’efficacia dell’approccio interculturale rispetto a quello assimilazionista. Tuttavia, fuori dalla 94 EFFNATIS, 2001, Final report, pp. 17-18, www.efms.uni-bamberg.de/pdf/finalreportk.pdf. 146 retorica non sembrano dominare a questo livello tendenze alla divergenza. I cambiamenti dei sistemi educativi nazionali, anche con la spinta della globalizzazione e delle idee economiche neoliberiste che ne sono alla base (Cobalti, 2007), influenzano notevolmente le decisioni dei singoli stati in merito alle politiche educative, verso tutti. Date le minori risorse economiche e culturali degli studenti con background di immigrazione (intese come conformità alle richieste scolastiche, conformi a loro volta per mandato alla cultura di maggioranza), la contrazione della spesa in istruzione e alcuni cambiamenti (tra cui aumento del divario tra istituti e licei, incertezza per le riforme in corso) rischiano tuttavia di colpirli maggiormente. Dalle interviste condotte con i testimoni qualificati emerge anche che la contrazione degli orari scolastici, in particolare quelli dedicati ad attività più pratiche in istituti tecnici e professionali (cfr. Miur, 2010a), sembra penalizzare maggiormente gli allievi con difficoltà di apprendimento, tra cui i migranti di generazione 1.5 in fase di acquisizione della L2. L’affanno e il ritardo con cui sono emanati i regolamenti centrali e locali, inoltre, rendono più complesso il lavoro di organizzazione scolastica e orientamento delle famiglie. Alcuni segnali di mutamento a livello locale e di variabilità regionale e sub-regionale che emergono dall’interazione tra i diversi livelli di attuazione delle politiche nelle secondarie di II grado di Torino riguardano: - la differenziazione e specializzazione dei servizi tra dinamiche di istituzionalizzazione e rischi di frammentazione; - la diffusione delle competenze sul territorio, non solo nel capoluogo ma anche nei piccoli e medi centri di tutte le provincie e nei diversi ordini scolastici; - l’effetto della contrazione delle risorse pubbliche per l’istruzione nell’ampliare il divario tra istituti scolastici più o meno abili ad attrarre finanziamenti. Il sistema scolastico italiano non ha finora premiato con avanzamenti di carriera gli insegnanti più attivi, se non con carichi di lavoro aggiuntivo, spesso non pagato e non riconosciuto da parte di colleghi per i quali molte indicazioni del centro non solo non vengono applicate, ma non sono neppure note. Nella scuola come “organizzazione burocratica lascamente connessa” a livello di istituto scolastico vengono attuati processi di delega e negoziazione della normativa, processi che il centro non sembra al momento riuscire a re-indirizzare. Se le priorità a livello nazionale e europeo risultano l’insegnamento della lingua seconda e l’approccio interculturale con le famiglie, per gli insegnanti le questioni urgenti oltre a quella linguistica sono la gestione della classe, il 147 reperimento di risorse aggiuntive, i criteri di valutazione e inserimento da adottare caso per caso. Non è detto che al livello degli operatori, l’interfacciarsi direttamente con l’utenza immigrata porti a soluzioni pragmatiche convergenti verso un approccio interculturale. Il fatto che alcune scuole adottino pratiche più inclusive può essere dovuto a ordini di ragioni interessanti da un punto di vista sociologico, ad esempio composizione dell’utenza e processi di concentrazione “etnica”, turn-over degli insegnanti, sovraccarico di funzioni, ma anche diverse idee di successo scolastico, diverse idee di come si diventa “buoni studenti” nell’interazione, diversa presenza propulsiva del sistema associativo territoriale, diversa (o diseguale) formazione e capacità di acquisire competenze di dirigenti e insegnanti. Se le indicazioni centrali sono negli ultimi anni coerentemente interculturali, a livello locale e scolastico, proprio per la necessità di governare i processi con risorse scarse, in sostanza è ancora ampiamente diffuso un approccio assimilazionistico o multiculturale. Come ha notato Aybek (2010) a proposito degli operatori del sistema di formazione professionale in Germania, gli operatori scolastici sembrano distanti dalle implicazioni delle politiche migratorie più generali. Anche per il mandato disciplinare (in senso epistemico) della secondaria di II grado non adottano modificazioni globali della didattica per la valorizzazione della differenza, salvo i referenti più formati, comunque numerosi e influenti, in contesti come quello di Torino. Il “contagio” interculturale sembra più efficace tra colleghi e esperienze situate territorialmente, piuttosto che tramite orientamenti emanati del centro a cui si può tanto facilmente aderire nella forma, quanto facilmente disobbedire nella sostanza. Mentre nell’ambito della formazione professionale i formatori esperti dei bisogni specifici degli allievi migranti in provincia di Torino sono ormai un gruppo ampio e diffuso e stanno istituzionalizzando procedure standard di inserimento, almeno sull’italiano come L2 (Santagati, 2011), nell’istruzione secondaria di II grado, specie di tipo liceale, rimangono una minoranza. Come sintetizza una delle operatrici intervistate: Nel caso dell'integrazione stranieri che è certamente un cambiamento fortissimo, la capacità della scuola di far muro di gomma diventa particolarmente evidente, tanto più se alle affermazioni di principio non seguono regole precise e risorse. Lo stesso vale per il discorso del ruolo degli enti locali; anche in questo caso un decentramento ed una sussidarietà che non hanno vincoli e risorse, e sono importanti tutti e due, rischiano di essere fonti di iniziative frammentarie e di fatto inefficienti. Il rispetto della L1, un sapere effettivamente interculturale cioè non trasmesso ma costruito insieme non sono cose semplici da realizzare. Non si può pensare di incidere effettivamente sulla realtà complessiva della scuola con raccomandazioni e non con piani d'azione ben definiti a livello nazionale ma [...] le politiche sull'immigrazione in realtà vanno in tutt'altra direzione rispetto alle raccomandazioni che si fanno a livello scolastico (test. qual. 15: Giada). 148 Per capire come il contesto istituzionale plasma le traiettorie formative dei migranti occorre dunque guardare alla complessità nell’interazione tra i diversi livelli di policies educative. La letteratura italiana, pur citando l’importanza del livello meso (enti locali), spesso anche coinvolto direttamente nel supporto e nella promozione della ricerca sociale, sembra piuttosto concentrata a cogliere lo iato esistente tra indicazioni centrali e pratiche nelle singole realtà scolastiche, forse anche per la marginalità delle politiche scolastiche nel dibattito pubblico sull’immigrazione, lasciato all’attenzione (al buonismo, come è stato detto) degli addetti ai lavori oppure agli episodi di violenza o scandalo (Chaloff e Queirolo Palmas, 2006). Viceversa, proprio in epoca di razionalizzazioni, può essere utile approfondire le linee di azione degli enti locali, tra cui: sedi del Miur regionali e provinciali; centri istituzionali a livello urbano o inter-comunale; reti associative tra scuole o organizzazioni del privato sociale, tra operatori scolastici e intese interistituzionali. Proprio perché soggetti attuatori delle politiche, gli enti locali sono cruciali per capire come si realizzano le policies educative per l’inserimento scolastico dei migranti, come si strutturano e gestiscono le risorse in relazione al privato sociale, come si costruiscono partnership e interventi, in sintesi come si determina la localizzazione dei diritti sul territorio nazionale. In questo contesto, di grande interesse è il ruolo dell’Unione, e in particolare della Commissione europea. Senza dubbio le rilevazioni, le raccomandazioni, la mediazione con la ricerca universitaria e l’autorevolezza degli organismi europei, nonché l’erogazione di fondi per specifici progetti, possono essere strumenti per favorire la convergenza tra gli orientamenti centrali degli stati membri (e degli aspiranti tali). La spinta interculturale registrata dai rapporti Eurydice può essere un segnale in questo senso. Tuttavia occorrono studi ulteriori per verificare come nel concreto il livello sovranazionale possa influenzare le decisioni dei singoli paesi, e le traiettorie dei migranti e non migranti. Forse il rapporto diretto tra livello europeo e livello meso-locale potrebbe essere la chiave di volta per comprendere meglio la situazione. A questi elementi aggiungerei come elemento condizionante per il futuro l’opposizione talvolta espressa da parte degli utenti italiani verso progetti “per stranieri” (cfr. Santero, 2008), problematica che sarebbe interessante studiare più approfonditamente in relazione ai processi di policy making locale e alla contrazione della spesa pubblica in istruzione. Mentre al livello di intese locali e reti scolastiche i processi di innovazione sembrano più frequenti, non emerge se e come le istituzioni più innovative riescano a influenzare il modello del centro, sembrano piuttosto svilupparsi diversi rivoli di attività poco 149 comunicanti: un sapere non cumulativo, sparso, che dialoga solo dopo tempo e lunghi giri. Tuttavia i seminari formativi nazionali, le udienze parlamentari, gli Usr sono tutti tramiti importanti e il Miur nelle sue indicazioni sembra fare sintesi, oltre che della normativa internazionale, anche delle sperimentazioni attuate a livello locale e scolastico. Inoltre esistono a livello locale processi di introduzione di innovazioni dal basso, come nel caso della mediazione interculturale a Torino. Esperienze come le “scuole delle mamme”, la rete tra istituti secondari di II grado Nostro pianeta, l’uso delle lingue veicolari nei primi periodi di inserimento, difficilmente verranno adottate dal centro come interventi strutturali, e forse non possono esserlo. Ma del resto, come è emerso dalle interviste, le indicazioni nazionali in Italia sono molto orientate a fornire mete progettuali e poco a dare “struttura”. Forse è anche per questo che finora il progetto interculturale del centro non è stato messo radicalmente in discussione. In conclusione, il modello italiano sembra quindi caratterizzato a livello centrale da intercultura, approccio individualizzato e indicazioni vaghe sull’implementazione; a livello locale (Piemonte/Torino) da pragmatismo e creazioni di partnership per fronteggiare le razionalizzazioni, ma anche da innovazioni introdotte dall’impegno personale di singoli operatori, e poi interrotte per mancanza di struttura. Gli istituti scolastici di livello secondario di II grado sono attori compositi al loro interno, talvolta riescono a maturare buone prassi collettive, ma più spesso la frammentazione si manifesta non solo da una scuola all’altra, ma anche all’interno dello stesso istituto, per effetto della concentrazione degli iscritti migranti in alcune sedi o sezioni, o del maggiore o minore investimento in formazione e progettazione dei docenti e dei dirigenti scolastici. Tutto ciò, unito alla presenza di un sistema di valutazione nazionale che si sta solo recentemente costituendo, e al fatto che il livello decisivo per stabilire come e quanto attivarsi secondo le indicazioni centrali sia posto molto in basso (rete di scuole, docenti, dirigenti), rende i tentativi di generalizzare l’approccio interculturale poco autorevoli (in modo simile a quando segnalato sui progetti per le lingue minoritarie Miur, 2010b). Inoltre occorre osservare non solo le politiche specifiche per l’inserimento scolastico dei migranti, isolatamente, ma anche i cambiamenti più generali dei sistemi di istruzione in cui esse prendono forma e le norme su immigrazione e cittadinanza. Il grande ritardo scolastico dei migranti e, in parte, anche il loro inserimento nell’istruzione tecnicoprofessionale (ma questo andremo a verificarlo con le interviste ai ragazzi nei prossimi capitoli) risultano connesse a questo accoppiamento lasco tra norme e risorse, mancanza 150 di definizione e monitoraggio di standard nazionali minimi e variegate consuetudini informali. 151 5. Il percorso migratorio familiare L’attenzione alla famiglia migrante è cresciuta per motivi da un lato legati ai cambiamenti dei flussi migratori internazionali e dall’altro interni alla ricerca sociologica95. È aumentata, in concomitanza con la femminilizzazione dei movimenti migratori, l’incidenza delle riunioni familiari sui motivi di ingresso dall’estero96, in parte per effetto della stabilizzazione di molti gruppi nazionali nel paese di destinazione, in parte come esito perverso dei tentativi di chiudere le frontiere attuati dai paesi che ricevono immigrazione. D’altro canto a livello analitico i Gender studies hanno evidenziato il ruolo delle donne nei processi migratori97 e gli studi sui minori migranti e le G2, rilevanti anche per le loro implicazioni politiche, hanno spinto ad approfondire le dinamiche familiari. La riflessione teorica si è dunque sviluppata criticamente a partire dalla nuova economia delle migrazione, approccio che considera la famiglia, e non l’individuo, il principale attore delle decisioni migratorie. Tali decisioni sono intendese però, come alcuni hanno contestato, in senso squisitamente economicista, un calcolo di probabilità di successo degli investimenti in base a considerazioni in merito alla deprivazione relativa percepita dalle famiglie. Il contributo della network analysis ha allargato i riferimenti oltre il nucleo familiare (cfr. Zanfrini, 2012), studiando come le vicende di questo si inseriscano creativamente all’interno della più ampia rete migratoria, dando vita a processi multidimensionali (relazionali, affettivi, politici, culturali) di inclusione/esclusione nelle società di destinazione e partenza non sempre ottimali dal punto di vista economico. Gli studi di genere, inoltre, hanno invitato ad aprire la “scatola nera” (Hondagneu-Sotelo, 1995, in Phizackea, 2003, p. 31) della famiglia, “arena” internamente differenziata per 95 Questa tematica recentemente è stata oggetto di un importante sforzo interdisciplinare, coinvolgendo anche antropologi, giuristi, scienziati politici e economisti. Una recente rassegna sull’approccio della psicologia sociale si legge in Regalia (2012), interessante anche il contributo delle scienze dell’educazione e della psicologia dello sviluppo, in particolare sul parenting nella migrazione (in italiano cfr. Chinosi, 2002; Valtolina, 2012). 96 Secondo l’ultimo report disponibile, le riunioni famigliari sono la prima ragione di ingresso regolare degli immigrati in area Ocse, con differenze tra paesi: nel 2010negli Stati Uniti raggiungono il 74,1% degli ingressi regolari e in Canada il 60,4%; in Italia rimane prevalente l’ingresso per lavoro (40,5%) mentre i ricongiungimenti costituiscono il 28,6% del totale (Oecd, 2012). 97 Una rassegna della letteratura si trova in Santero (2008). Malgrado il genere sia evidentemente un concetto relazionale, almeno binario (cfr. Piccone Stella e Saraceno, 1996), questo filone di studi ha riguardato principalmente le donne. 152 genere e generazione, in relazione anche ai diversi contesti istituzionali e alle definizioni culturalmente diverse di “famiglia” (Foner, 1997). L’importanza del “mandato familiare” alla base della partenza, come avverte Zanfrini (2012, p. 11), mette quindi in discussione la “volontarietà della migrazione”: non si può assumere a priori che l’emigrazione sia frutto di una scelta ponderata, ma bisogna tener conto di vincoli e obbligazioni. Guardare alla famiglia come unità di analisi consente quindi, oltre che di superare l’impostazione individualistica del singolo come attore decisionale, anche di evidenziare il contrasto tra retorica del controllo e realtà migratoria (e il modo di gestire tale contrasto dai governi nazionali e dall’Ue, cfr. Boswell e Geddes, 2011). Innanzitutto è necessario definire il campione degli intervistati, procedura come è noto non neutrale. Le famiglie migranti si possono classificare in base ai tempi di arrivo dei componenti (ricongiungimento al maschile, al femminile, arrivo simultaneo, nucleo neocostitutivo), oppure alla struttura familiare nella migrazione (famiglie diasporiche in caso di reti transazionali, famiglie mancanti in caso di minori non accompagnati o nuclei monoparentali) (cfr. Balsamo, 2003; Demetrio, 2003; Tognetti Bordogna, 2004; Ambrosini, 2005). I ricongiungimenti possono avvenire in coppia, in formula selettiva quando i figli arrivano in periodi diversi, oppure per scelta o imposizione, o ancora svilupparsi “a pendolo” quando non sono definitivi (Valtolina e Colombo, 2012). Altri percorsi di riunione familiare avvengono in seguito a instabilità coniugale e nuova unione nel paese di destinazione (cfr. Ambrosini, 2005). Infine, i coniugi che si conoscono e sposano esclusivamente tramite la rete parentale dopo la partenza di uno dei due, dalle statistiche risultano ricongiungimenti, ma sono in realtà nuclei “neocostitutivi di fatto” (Santero, 2008). Queste definizioni vanno impiegate tenendo presente che anche quando formate dagli stessi componenti, e non sempre è così, le famiglie prima della partenza sono sempre diverse da quelle che diventano in seguito alla mobilità geografica (Menjìvar e Abrego, 2009), tanto che in letteratura si parla di “tre famiglie” (Esparragoza, 2003 in Ambrosini, 2010): quella del paese di origine, quella immaginata durante la separazione e quella che si ricostruisce nel paese di destinazione. Da un lato i genitori si rifanno a un’immagine dei figli left behind pre-partenza (Leonini, 2010), che non può ovviamente tener conto dei cambiamenti che i figli hanno attraversato crescendo nel paese di origine. Dall’altro lato i figli spesso instaurano legami significativi con gli adulti che si prendono cura di loro, e il legame con i genitori si affievolisce, anche se non sempre la riunione comporta senso di estraneità (Bonizzoni, 2010). Le relazioni tra adulti e bambini inoltre mutano per i nuovi ruoli e le nuove competenze acquisite, che possono rovesciare le 153 gerarchie precedenti ad esempio nel caso i minori conoscano meglio la lingua seconda dei genitori o le mogli acquisiscano migliori condizioni lavorative del marito (Lagomarsino, 2006). Con scopo meramente analitico, iniziamo a considerare la convivenza familiare e la famiglia nucleare come riferimenti di partenza, specificando dove necessario strutture diverse in base ai rilievi empirici. Guardando ai modi di ingresso degli studenti intervistati, il campione è costituito in prevalenza da ricongiunti (47 casi su 56), di cui in un solo caso alla sorella maggiore (Aicha) e negli altri ai genitori, cinque casi di emigrazione simultanea di genitori e figli (Marisa, Lorena, Andrés, Zëdlir, Fernando), tre nate in Italia (Safia, Fadia e Saloua), un minore non accompagnato (Ouail). L’età media all’arrivo in Italia dei ricongiunti è 11,7 anni: più elevata agli istituti professionali (12,5 anni), si abbassa a 11,3 anni tra gli studenti di IT e 9,1 anni ai licei. Il numero medio di componenti delle convivenze familiari al momento dell’intervista è 3,7, più elevato ai licei perché sono meno frequenti in questo tipo di scuola gli studenti con nuclei monoparentali. Gli studenti che abitano con entrambi i genitori, o un genitore con il compagno/a, infatti, nel campione sono 39 su 56, solo la metà nel caso di intervistati iscritti agli IP, 15 su 20 agli IT e quasi tutti (14 su 16) ai licei. Quattro studentesse di istituto professionale su venti abitano in un nucleo diverso da quello della famiglia di origine, in due casi con il loro compagno e negli altri due casi da sole. Gli studenti del liceo sono dunque arrivati prima in Italia dei compagni nell’istruzione tecnicoprofessionale e fanno parte più spesso di nuclei con entrambi i genitori, nessuno di loro, ma neanche gli iscritti ai tecnici, ha già compiuto la prima transizione verso l’età adulta: la fuoriuscita dal nucleo familiare di origine, fatto invece registrato tra gli studenti di istituto professionale. Consideriamo quindi sia la storia della ricomposizione della convivenza familiare sia la struttura del nucleo al momento dell’intervista, per verificare se e come le modalità e i tempi di riunione abbiano influenzato i percorsi di inserimento sociale dei bambini e quelli occupazionali degli adulti98. 98 Una sintesi tematica delle interviste agli studenti e ai genitori si trova al termine dell’appendice metodologica. 154 5.1. La partenza dei genitori Una delle domande fondative degli studi sulle emigrazioni: è perché si emigra? Le ragioni compongono un quadro complesso, costituito nella sintesi di Ambrosini (2010) da fattori di spinta, (differenze di reddito sostanzialmente, e di benessere economico più in generale), fattori di attrazione (soprattutto domanda di lavoro), fattori legati ai modelli di consumo e alle rappresentazioni dei paesi di destinazione ottimistiche, per non dire mendaci, veicolate dai mass media, fattori normativi (regolazione politica dell’immigrazione che favorisce o scoraggia determinate modalità e direzioni migratorie), fattori politici e storici concernenti le relazioni tra paesi, in particolare forti per le excolonie, fattori relazionali (reti migratorie), oltre che risorse e aspirazioni prettamente individuali e familiari. Senza pretesa di esaustività, evidenziamo in ottica multicausale l’interazione tra ruolo familiare e definizione della scelta emigratoria. La decisione di partire dei genitori è definita in base alla rappresentazione dell’area di origine rispetto all’Italia e a eventuali paesi terzi rispetto alle opportunità individuali e familiari nella collocazione nella struttura occupazionale e sociale, anche in relazione alle proprie competenze e qualifiche, e nell’ottenimento di una buona qualità della vita, intesa in senso multidimensionale, dal punto di vista della sicurezza fisica, della partecipazione politica, della generosità del welfare, propria e per gli altri membri della convivenza familiare, se presenti. Questi elementi accomunano i diversi percorsi emigratori in misura diversa a seconda del ruolo del primo migrante nella struttura familiare di riferimento (uomini soli, uomini sposati, donne sposate, donne divorziate, con o senza figli) e della carriera lavorativa compiuta nel paese di origine o in altri paesi prima di arrivare in Italia. Le partenze dei padri provenienti dal nord Africa prima dell’unione coniugale e della nascita dei figli sono narrate come percorsi primariamente individuali, rappresentati innanzitutto come un modo per migliorare la propria posizione lavorativa, dopo migrazioni interne o in altri paesi, oppure precedenti collaborazioni con aziende italiane. Sono venuto qua perché come ho detto a lei non avevo più niente da fare in Marocco, no? Rimanevo disoccupato, non avevo lavoro. Sai una persona all’età di 22, 23, 24 (sott.: anni) è molto forte, deve cercare il lavoro, io ero una di quelle persone, le energie non trovavo dove sprecarle se mi accetta il termine. Le mie energie per fare la mia vita, per fare il mio futuro (gen. 3: Amer, padre di Safia [7], Liceo α, Marocco). Mio padre ha iniziato a lavorare lì in Tunisia per una ditta italiana […], poi sapendo che in Italia, qui a Torino c’era la stessa ditta, siccome il suo sogno è stato sempre andare oltre la Tunisia, e voleva… cioè non gli bastava. E è voluto… voleva venire in Europa. E siccome c’è stata l’occasione di questo lavoro, dato che lui parlava già italiano in Tunisia… Perché in quella ditta, le persone con cui lavorava spesso erano italiani. Quindi lui aveva già iniziato a 155 parlare italiano prima che venisse qui in Italia, naturalmente le parole più… molto… però già era qualcosa (stud. 37: Saloua, Liceo α socio-psico-pedagogico, 20 F, Tunisia). Il progetto migratorio dei giovani uomini in questo stadio iniziale – e in questa situazione familiare – appare del tutto reversibile, nel caso non si riveli aderente alle aspettative di autorealizzazione che l’avevano definito, come spiegano Karim e Hind. Int.: Perché era venuto? Karim: Per provare, vedere… lì stanno esaurendo i cantieri, il lavoro, li abbiamo messi in attivo tutti, e così una volta finito, non c’era più niente, e così, battere il ferro quando è caldo, usare le conoscenze perché [...] in quel periodo che sono partito io il nostro paese passava una crisi profonda, economica. Allora ho pensato: “Mi mangio il fegato io, prima che me lo mangiano loro! Se c’è la possibilità, parto”. [...] Diciamo che… era… non mi vedevo in Tunisia. Io ho lavorato solo con italiani, eravamo quattro italiani e quattro tunisini, per le strade della Tunisia. E poi ho pensato: “Se le cose vanno a buon fine continui, se no strappi e vai”. Quello ci ha portati qua è pensare a una alternativa nel mondo del lavoro (gen. 8: Karim, padre di Saloua [37], Liceo α, Tunisia). E poi proprio l’anno in cui sono nata io, no, anche prima, no, è prima, prima, ha fatto il… è venuto qua in Italia. Prima non c’erano i problemi di… problemi di entrare che ci sono ora, permesso di… penso che comunque ci volesse il visto, perché è una cosa… però non era così complesso. Tant’è che è venuto in aereo, tranquillissimo, erano atterrati a Roma e quindi... E era venuto con dei suoi amici, semplicemente per avventura, per vedere come si stava giù qua, e… hanno visto che si poteva stare qua e non sono più tornati indietro (stud. 16: Hind, Liceo α scientifico, 22 F, Marocco). L’emigrazione è narrata come un evento innanzitutto biografico che riguarda il singolo. Dall’analisi emerge che partire aveva costituito in questi casi una strategia per ottimizzare contemporaneamente due transizione all’età adulta: l’ingresso nel mercato del lavoro e il trasferimento in una abitazione diversa da quella del nucleo familiare di origine. Scegliendo, talvolta insieme a coetanei compaesani, un luogo dove le opportunità di riuscita lavorativa, se colte, avrebbero offerto maggiori ritorni. Emigrare dagli strati sociali meno avvantaggiati di paesi come il Marocco o la Tunisia, specie nei casi in cui l’ingresso è stato clandestino, è descritto innanzitutto come una sfida individuale. Tuttavia la selezione degli emigranti appartenenti alla classe media è una questione di investimento familiare, secondo la “gerarchizzazione sociale” attuata nelle aree di partenza (sul Marocco v. El Miri, 2011). Da una analisi più approfondita delle interviste, infatti, è emerso che anche per gli uomini non sposati la partenza è dipesa dalla situazione familiare, malgrado così non venga sempre immediatamente restituita dai padri maghrebini intervistati. La loro scelta di emigrare si era basata sulle risorse e sui vincoli della famiglia di origine, in particolare derivanti da un lato dalle obbligazioni di trasferimenti finanziari verso i fratelli, dall’altro lato dalle chances di ottenere supporto parentale per necessità economiche nel paese di origine e eventualmente di destinazione. 156 Mio papà ha avuto una vita abbastanza difficile, perché i suoi si sono, cioè sono divorziati. E quindi poi un po’ con la mamma, un po’ con il nonno, non si trovava bene con fratellastri, sorellastre, frat… perché non non non… cioè non erano sorelle sue. E poi anche lui essendo il più grande doveva badare a tutti, ma era il più distante, sia da una parte che dall’altra, e quindi ha scelto di… come dire, di fare l’adulto, e se n’è andato a vent’anni, così, non ° so bene l’età ma non ci ha impiegato tanto a partire ° (stud. 16: Hind, Liceo α scientifico, 22 F, Marocco). Il ruolo della famiglia di origine nella decisione di partire degli uomini soli sono emersi soprattutto dalle interviste con le studentesse99, piuttosto che da quelle con i padri. Nel discorso sull’emigrazione condiviso da alcuni gruppi nazionali a flussi emigratori ancora prevalentemente maschili, come quelli dal Maghreb verso l’Italia, le partenze di giovani maschi tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta è rappresentata come un’avventura individuale, un tentativo, quasi un azzardo, anche per le condizioni effettivamente precarie di primo inserimento che l’avevano caratterizzata, a partire dalle norme di riferimento per quanto riguarda l’ingresso regolare, ma anche l’abitazione e il lavoro. Amer: Io quando sono entrato, sono entrato dalla Sicilia. E ho attraversato tutta l’Italia. Int.: Ha vissuto in altre città? Amer: Sì, ma non volevo stare. Quando arrivo in una città, guardo un giorno o due… [Pensavo] “No. Non è il mio posto”. Allora ho cambiato da città a città. Da Trapani, Catania, Palermo, Napoli, Roma. Allora alla fine ho detto “Torino”. Int.: Ah, perché era arrivato in Sicilia, conosceva già qualcuno per avere dei riferimenti? Amer: No, non conoscevo nessuno […], avevo solo un sacco a pelo, lo zaino, dove c’è un po’ di vestiti, le cose, e sono andato. […] Int.: Aveva deciso da solo, non aveva chiesto a qualcuno della sua famiglia? Fratelli? Amer: No, no. È anche grazie all’esperienza militare che ho fatto. Perché quello mi ha aiutato troppo per iniziare la mia vita da solo qua in Italia. […] Nel senso anche se dormo fuori non avrò paura, cerco di mettermi sempre nel posto più sicuro, dormo in stazione o quando vedo una questura mi metto vicino alla questura, comunque vado in posti così. Allora… Int.: Non aveva paura? Amer: No. Ero più coraggioso. [...] Int: Quando è venuto la prima volta pensava già che si sarebbe fermato, avrebbe avuto una famiglia qua? Amer: La verità: no, non avevo le idee chiare. Perché il futuro non lo sa nessuno. Ho detto “Boh, vado, vedo le cose come vanno” e lì (sott.: l’Italia) mi ha dato. Così ho fatto... Quando vedo una cosa che va, mi adatto… e sono rimasto (gen. 3: Amer, padre di Safia [7], Liceo α, Marocco). I genitori partiti invece dopo l’unione coniugale nel campione provengono per la maggior parte dall’Europa orientale, ma anche in parte dall’America meridionale e dall’Asia. Essi collocano esplicitamente la scelta di emigrare nell’ambito di ristrutturazioni delle economie dei paesi di origine, motivandola non con la mera necessità di garantire la sussistenza propria e del nucleo, ma piuttosto come “paura di cadere”, condivisa da molti connazionali, in seguito a modificazioni macro della struttura occupazionale (e delle 99 Nel campione degli intervistati e nella popolazione scolastica al termine della scuola secondaria in Italia e a Torino, gli studenti provenienti dal Maghreb sono prevalentemente femmine. Per questa ragione non è stato possibile analizzare narrazioni dell’emigrazione paterna da parte di figli maschi. 157 posizioni relative delle classi occupazionali), anche nei casi in cui la posizione di partenza è quella operaia, specie per gli operai qualificati. Come emerge dai brani seguenti, le reti migratorie non solo hanno favorito la partenza, ma sono citate per auto situare la propria storia emigratoria nell’ambito di trasformazioni più generali dell’economia, all’interno delle quali avevano preso forma le decisioni di partire di altri connazionali. Peraltro nel contesto locale, l’opinione pubblica (giornali, mass media) rappresenta positivamente, anche in toni semplificatori, il sacrifico di partire per i propri cari del “buon padre di famiglia”, mentre esecra la figura del “bongiornista”, “giovane senza famiglia, donnaiolo e nullafacente che, mentre in Italia vive di espedienti, in Romania ostenta i segni fasulli del proprio successo” (Cingolani, 2009, p. 99). Int.: Lei prima di partire lavorava là, vicino a Bacau? Costantin: Sì, lavoravo, però… l’ho sentito, che non dura molto questa azienda… Così è stato, perché… quelli che giravano i soldi, i giganti, hanno iniziato a prendere tutti i piccoli. Poi cassa integrazione come si dice qua… e poi via. Ognuno doveva scegliere la sua strada, quindi… ma sono migliaia di ex-operai che non fanno più il loro lavoro di prima. Fanno quello che hanno trovato dopo. Per andare avanti con la famiglia. Eh… (gen. 9: Costantin, padre di Elisabeta [2], IP α, Romania). Int.: Tuo papà era venuto prima di voi? Yin Mei: Sì, sì, da 20 anni, quando io ero nata. Int.: Non sai perché? Yin Mei: Voleva cambiare Stato, poi in quegli anni c’erano grandi flussi di emigrazione, e lui si è aggregato, qua a Torino incontra pure persone che conosce, da quando era in Cina, quindi non è l’unico. Int.: Lui è venuto per motivo di lavoro, queste cose qua? Yin Mei: Sì, sì. (stud. 13: Yin Mei, Liceo α scientifico, 19 F, Cina). Int.: Tu sai perché era venuto tuo papà? Ivona.: Sì, perché in Romania non aveva più lavoro, e se trovava lavoro era molto basso rispetto a quello che mio papà aveva fatto, venendo qui si è trovato subito lavoro (stud. 42: Ivona, IP α sociale, 20 F, Romania). Talvolta la “paura di cadere” è dovuta a eventi improvvisi ad esempio legati alla chiusura di attività economiche, rispetto ai quali, data anche la situazione macro economica del paese, la strategia di fronteggiamento più efficace risulta la partenza. Nicoleta: Purtroppo hanno ammazzato quello (sott.: il direttore della catena di ristoranti dove entrambi i coniugi lavoravamo), hanno venduto tutto, e siamo rimasti… (sott.: senza lavoro). Valeriu: Per questo sono venuto nel 1998 qua. Per questo, perché a noi andava bene nel nostro paese. Guadagnavo bene, avevo la casa. […] Per questo siamo venuti qui. Potevamo partire da anni Novanta. Nicoleta: Se venivamo allora… Valeriu: Ma non siamo venuti, perché stavamo bene lì. Quando è iniziata la situazione finanziaria a andare giù, abbiamo pensato di andare (gen. 1: Nicoleta e Valeriu, genitori di Dimitri [19], IT α, Romania). Int.: Non sai perché era partita? Rustam: Sicuramente era partita per il lavoro. Int.: Non aveva più la sua attività commerciale? Rustam: È andata male… quindi ci siamo trasferiti qua (stud. 45: Rustam, IP β cucina, 20 M, Moldavia). 158 I genitori con status medio-alto del paese di origine pongono enfasi sul desiderio di migliorare le proprie condizioni lavorative, o il proprio potere di acquisto, spostandosi in un contesto ritenuto, prima della partenza, più meritocratico e meglio governato rispetto al paese di origine (anche alle zone più ricche di questo, nel caso di precedenti migrazioni interne), e a eventuali paesi terzi, più vicini ma meno accoglienti. È venuta qua, praticamente per… sistemarsi anche economicamente. Là certo non stava male in quel senso, però lei… voleva un futuro migliore, qualcosa di meglio (stud. 39: Pilar, IP α sociale, 20 F, Perù). Perché in Albania non c’avevo niente. Proprio niente. Lo stipendio (sott.: di docente universitario) era troppo basso, non c’avevo la casa, niente. Ma se c’avevo la casa, non venivo qui. Non venivo qui, non venivo qui. [...] A me non è piaciuto emigrare. Grecia era vicino, andavo a piedi, ma non li ha voluti gli albanesi, li odiava, sono andato per insegnare, ma non conoscevo la lingua greca. Sono arrivato (sott.: tornato in Albania) col pensiero che arrivando la democrazia, cambiava il nostro paese. Ho aspettato, ho aspettato, ho aspettato… ma non è cambiato, sempre per male. È arrivato il ’97 e sempre per male. Sempre non avevo niente, cosa dovevo fare? Per questo sono partito, per l’economia (gen. 5: Skordian, padre di Verim [15], Liceo α, Albania). Lui in realtà era… lavorava in Libia. […] Dalla Libia non hanno mai chiesto dimissioni dal lavoro e niente, perché… perché comunque in Libia stavano bene e andavano al lavoro e tutto, e hanno voluto cambiare (stud. 16: Hind, Liceo α scientifico, 22 F, Marocco). In realtà noi, abbiamo fatto una scelta... come dire... idealistica... come dire, non so, un sogno... non è stata una scelta di motivazione economica, di necessità di venire, di uscire dal nostro paese per trovare nuove opportunità. Probabilmente nuove opportunità sì, ma nel senso che volevamo più giustizia e più riconoscimento alle proprie capacità. Più riconoscimento e molto probabilmente eravamo troppo fiduciosi delle nostre competenze, acquisite del nostro percorso, nella nostra vita lavorativa come vita diciamo... del nostro percorso di istruzione. [Mio marito e io] avevamo lavorato sempre in Regione e, sì, nel posto avevamo una situazione economica serena, non posso dire che no, il contrario, sicuramente non abbiamo passato la fame, non abbiamo sentito la crisi economica, anche nell'anno più difficile, che è stato il '92, quando da un giorno all'altro il costo della benzina si è alzato di trentadue volte100. E il nostro stipendio […] non girava per quattro o cinque giorni […], poi tutto si è stabilizzato e le cose sono andate a noi come famiglia, tranquillamente. Direi abbastanza bene. Solo che ci rimaneva… c'è stato un periodo direi politico, anche la nostra aspirazione è stata sempre di sforzarci, studiare, continuare, migliorare ed essere riconosciuti. […] Penso io così, una insoddisfazione personale che noi… sì abbiamo pensato, parlato con alcuni amici sicuramente, abitavano qua. E avevano detto: “No, di là è diverso, tu vieni, sei più riconosciuto, guadagni molto di più e non ti sforzi tanto”, perché lì ad esempio non c'è orario (sott.: di lavoro). […] Poi un giorno mio marito dice “Ma è meglio, noi qua non abbiamo un futuro, io sono arrivato a questo livello, non potrò arrivare di più...”. E io ero arrivata al livello f5, poi f6, f7 sono i livelli che... quelli che vengono... diciamo nominati dal Ministero, non è che… sono incarichi di ° confianza (trad. it: fiducia), anche reciproca, di confianza °. E ho detto va beh, allora perché non pensiamo di andarcene in altro posto? Un posto che tu puoi essere più riconosciuto, dove sicuramente hanno… ti chiedono cosa hai studiato (gen. 4: Adolfina, madre di Flor [6], Liceo α, Perù). Come si legge Adolfina sottolinea la “tenuta” delle risorse familiari anche nei periodi di maggiore crisi dell’economia nazionale. L’intervista è usata in questi casi anche come modo per contrastare l’omologazione verso il basso che i genitori altamente qualificati nel paese di origine sentono di aver subito nelle rappresentazioni della società ricevente, 100 Anno dell’autogolpe dell’allora presidente Alberto Fujimori. 159 sottolineando l’eccezionalità della loro carriera lavorativa rispetto agli “altri migranti”, come emerge di seguito. Int.: Pensavate all’Italia come a un paese (sott.: più stabile politicamente rispetto all’Argentina)? Consuelo: L’abbiamo pensato in quel senso, non solo il miglior mercato di lavoro, perché il lavoro non ci mancava a nessuno dei due, lavoravamo bene e guadagnavamo bene tutti e due, probabilmente la nostra situazione è diversa dagli altri migranti. Abbiamo preso la decisione perché volevamo fare un cambio in quanto che non sopportavamo più questo fatto di cercare di lottare e non riuscire a fare niente, e era continuamente remare incontro alla corrente e ogni cosa che tu facevi eri incontro de tutto ciò che ti capitava e diventavi alla fine uno stupido che… che cosa fa questo, continua a lottare? (gen. 11: Consuelo, madre di Fernando [33], IT α, Argentina). La stabilità politica è ritenuta uno degli elementi importanti nella decisione di partire dai genitori con buone collocazioni professionali nel paese di origine. Essa è intesa come insieme di risorse istituzionali, incluse quelle di welfare e la cornice normativa, ritenute più amichevoli per far fruttare il proprio capitale umano. In soli tre casi l’emigrazione è dovuta anche all’evitamento di guerre e violenze politiche (o rischio di arruolamento per gli uomini). Ma persino in questi casi, accanto ovviamente alla ricerca della sicurezza personale, emergono intenzioni di mantenere, o migliorare, la propria posizione nella stratificazione sociale, come si legge ad esempio nel brano seguente, nel quale la studentessa ricostruisce le ragioni della partenza del padre. Int.: Sai perché era venuto? Marina: Aveva preso il credito dal padrone e l’aveva finito per la casa, ha visto che non ce la faceva a finire tutto, allora è venuto su. E poi lui ha sempre girato, anche da giovane, appena finita la scuola è andato in Slovenia, di qua e di là. E poi in quel periodo c’era anche la guerra da noi, e con l’Albania c’erano scontri (voce rotta). Eh… e tutti gli uomini che erano disponibili andavano… in tante persone sono emigrate qua anche per quel motivo. Int.: Anche per non dover essere arruolate. Marina: Sì, poi lui che ha prestato servizio nel ’90 e nel ’91, gli anni che io ero appena nata. Int.: L’avrebbero richiamato? Marina: Sì, no, avendo indossato la divisa… allora è dovuto spostarsi (stud. 47: Marina, IP β arte bianca, 20 F, Macedonia). Per Zuna, primomigrante partita dopo il matrimonio e la nascita dei figli al paese, l’intenzione di sfuggire alla guerra è stata impiegata per legittimare la sua decisione di sfruttare una sanatoria per fermarsi da sola in Italia, dove si recava periodicamente da anni per lavoro. L’opzione di stabilirsi in Italia, inizialmente avversa dal marito e osteggiata da tutto il resto della famiglia, è divenuta accettabile una volta ridefinito il proprio personale progetto migratorio in senso familiare, a causa della necessità di assicurare una fonte di reddito al sicuro dagli effetti della guerra e riunire, in seguito, i figli. Zuna: Io era venuta qua per fare un lavoro per me. […] Io veniva qua per comprare la roba (sott.: i gioielli che vendeva al paese) e quando sono arrivata hanno fatto la sanatoria per il 160 permesso e poi io ho chiesto il permesso di soggiorno, ho fatto la domanda e mi sono fermata e tanto lì c’era la guerra anche in Costa d’Avorio. Int.: Comunque anche il mercato dei gioielli (sott.: del quale facevi parte) era un mercato di lusso, forse con la guerra era difficile trovare…? Zuna: Sì sì. Int.: E quindi si era fermata perché aveva trovato un modo per avere un contratto regolare? Zuna: Sì sì. Int.: E questa era una decisione che aveva preso anche con la sua famiglia, erano d’accordo? Zuna: Nessuno voleva che io sto qua, perché mio figlio anche era giù e è venuto quando ho avuto il permesso, dopo. Int.: E suo marito era d’accordo? Zuna: No no. Int.: Come ha fatto a convincerlo? Zuna: Ho parlato e anche lui ha visto che qua stavo lavorando e che lì le cose non andavano troppo bene a quella epoca e poi… ° non ha detto più niente, ha accettato ° […]. Non è che facciamo la fame lì (sorride), siamo venuti qua perché le cose non vanno bene con questi politici che hanno rovinato tutto (gen. 7: Zuna, madre di Koffi [35], IT α, Costa d'Avorio). Nel caso di coppie sposate, o conviventi, entrambi emigranti, la negoziazione della partenza tra coniugi è il primo passo per una graduale definizione di un progetto stabilizzazione. Int.: Come è andata la decisione di partire? Stefan: Sono undici fratelli loro (sott.: nella famiglia di mia moglie), nove femmine e due maschi, e venendo qua le sue sorelle e i suoi fratelli, i suoi cognati, le è venuta l’idea di venire anche lei. Per due o tre mesi. Ha trovato un lavoro, era il 1995, si è data… è stato prima della sanatoria. E la signora dove lavorava aveva paura di tenerla in casa senza documenti. Le ha fatto i documenti, ma le ha detto “Stai almeno un anno” (sorride). E poi… dopo un anno… è venuta in Romania per un mese e mi ha chiesto di poter ritornare. Era una cosa difficile, però ho accettato per altri sei mesi, fino a quando poi ho deciso di venire anche io. Int.: Perché? Stefan: Perché alla Telecom era una cosa che non mi piaceva tanto. Era una persona di paese che mi telefonava sempre, anche di notte, di domenica, anche… per guasti. […] Ho bisticciato con il principale e poi… in un momento di euforia ho detto: “Lascio anche io tutto e vado in Italia”. Tanto pensavo anche io per un anno, poi quando ho visto che tutti gli altri hanno portato i figli, abbiamo portato anche noi, 1999, alla fine di agosto, li abbiamo portati qua. Abbiamo trovato insieme un lavoro a [Comune confinante con Torino], io facevo il giardiniere e mia moglie i lavori in casa. I miei figli hanno iniziato la scuola qua. […] Int.: Però lei quando era venuta all’inizio immaginava già che sarebbe rimasta? Miranda: No, no! Int.: Se le avessero detto: vedrà che i suoi figli vorranno rimanere… Miranda: No, no! Perché sono arrivata prima io, e mio marito è venuto qua dopo, però io neanche il passaporto lo volevo vedere. Dicevo: “Sto un anno, due, faccio una montagna di soldi” (sorride), sai che pensavamo che lì si fanno i soldi così, sai! (sorride). Int.: Perché lei aveva già fratelli qui e così lo vedeva come un investimento economico (sott.: partire). Miranda: Sì, ma neanche loro sai non lavoravano tanto. Però ° io pensavo: “Sono una donna, vado da persone anziane, perché ci sono tanti anziani ° ” (gen. 2: Miranda e Stefan, genitori di Gratian [28], IT α, Romania). La scelta di partire per prime per le donne coinvolte nella ricerca è motivata con l’aspettativa di avere maggiori opportunità di trovare lavoro rispetto al marito, data la richiesta di operatrici nel settore della cura in Italia e anche potendo contare su una rete migratoria femminile di connazionali. Int.: Perché aveva pensato di venire lei qua, e non suo marito? 161 Maricel: No, perché… io non lo so come spiegare. Mia cugina… è mia cugina proprio e allora… io… come si dice. Perché lei mi ha detto di venire, io, non mio marito, perché lo sai, qua per uomo… ° è un po’ difficile °. Per donna si può fare tutto, ma per uomo… e adesso trova perché siamo come coppia, se è da solo non credo che trova (sott.: lavoro) (gen. 6: Maricel, madre di Trisha [30], IP α, Filippine). Mia madre ha lavorato sempre in quella fattoria, poi sempre per motivi di lavoro e cose così dovevano mandare via altra gente, e quindi anche lei (sott.: come era successo prima a mio padre) è dovuta andare via da lì. In Romania ha detto “Non posso fare niente, cioè altre possibilità non ho” e quindi ha deciso di venire per prima mamma qui. Perché ° per una donna è più facile trovare lavoro ° cioè sapeva già che avrebbe fatto la badante o cose così (stud. 49: Mirko, Liceo β scientifico, 19 M, Romania). Un altro motivo dell’emigrazione che differenzia le madri dai padri del campione è l’unione coniugale con cittadini italiani. In quattro casi infatti la partenza della primo migrante (madre o sorella maggiore dell’intervistata) è dovuta al matrimonio (Marisa, Lorena, Rocio e Aicha). Int.: Sai perché tua mamma era venuta? Rocio: Allora perché il marito di mia madre era venuto da noi in Ecuador e si sono conosciuti lì, era lì per lavoro, di lì è nato tutto (stud. 55: Rocio, IT β grafico, 21 F, Ecuador). Lei (sott.: mia sorella) era sposata con un italiano, lei era un capo di una fabbrica di un’azienda di camice a Casablanca, poi è voluta venire qua anche per aiutarmi, ha conosciuto un italiano, si sono sposati, e ci ha fatto venire tutti qua, poi non sono andati d’accordo e si sono separati, poi ha trovato questo compagno e ha fatto due figli (stud. 21: Aicha, IP α aziendale, 20 F, Marocco). A volte è il desiderio di emigrare a motivare il matrimonio, e non viceversa, specie da paesi a flussi di emigrazione ancora prevalentemente maschili. La ricerca qui presentata non aveva lo scopo di indagare questi aspetti, ma è interessante notare che nel caso delle intervistate, lo spostamento ha riguardato la moglie, dal paese a forte pressione migratoria di cui era originaria verso l’Italia, paese del marito, anche se in un caso al momento dell’intervista il nucleo familiare è rientrato al paese di origine della moglie perché i genitori, entrambi di classe operaia in Italia, prospettano di avviare una attività imprenditoriale più facilmente là. Di nuovo siamo di fronte a progettazioni familiari in base alle chances di mobilità nei sistemi di stratificazione sociale di riferimento, intese in senso relativo, per l’unità familiare e per ognuno dei membri. Vedremo come la costituzione di coppie miste influenzi il tipo di risorse, innanzitutto cognitive, che gli adulti di riferimento possono impiegare nella definizione del percorso di istruzione dei giovani migranti. Le coppie neocostitutive di fatto, invece, sono formate da coniugi sposati nel paese di origine, nel campione nel Maghreb, ma conviventi effettivamente solo nel paese di destinazione, una volta ultimata la procedura di ricongiungimento familiare. La partenza della moglie in questi casi era finalizzata a sposarsi con il futuro marito, già emigrante 162 durante il fidanzamento, malgrado le notizie sul primo periodo di inserimento arrivassero rarefatte, quando i mezzi di comunicazione non erano efficienti e economici come oggi. Int.: Sapeva quindi che sareste venuti? Asmaa: Sì, sì. Conosciuti ’86, sposati ’89, mi scrive lettere perché se telefoni una botta… adesso non si fanno più… “Sai sto passando questo periodo, che questo problema…” adesso sul computer vedi, un altro mondo. Karim: Comunque io sono stato fedele, eh? (ride) Ho tenuto la parola: ritorno e ti sposo. Anche se sono stati due anni molto lunghi, non siamo più in città, non siamo insieme. Qua non è stato facile. Sono stati due anni… di tutto! Di sofferenza, di lontananza dai tuoi familiari, soldi proprio giusti. Fino alla Legge Martelli, che ha poi reclutato tutti. ° Mia moglie era anche ansiosa… cosa fa questo qua… io sono stato innamorato di lei dal primo giorno e l’amo fino a che dio non ci separi. […] Int.: Voi vi conoscevate già in Tunisia quindi? Asmaa: Ma non è la città tanto grande allora si conosce tutti… Karim: Sono le grandi famiglie della città, come in Sicilia, le famiglie fanno il fidanzamento prima della partenza, un anno là, poi due anni qua, sai io mi sono sistemato, trovare casa e lavoro, sai Torino com’è, e adesso noi all’inizio gli stranieri eri… era molto difficile, ti parlo di 25 anni fa, era difficile perché non hai referenze, non hai riferimenti, non hai quello che dici: “Quello là lo conosco e ti puoi fidare”. Sono andato giù, ci siamo sposati, una settimana ed è venuta subito. Ho preso un permesso di tre mesi dal lavoro, perché quest’attesa di sposarsi stava diventando molto lunga… [...] Int.: Lei sapeva di questo progetto (sott.: di vivere in Italia)? Asmaa: Prima, no. Poi sì. Karim: Quando ci siamo conosciuti non c’era questo traguardo per niente. Ma dove trova un bravo ragazzo come me? (ride). Asmaa: L’idea dell’Italia non mi ha fatto cambiare… Karim: Parliamo di quei tempi lì. O sei ricco e allora ti metti nella vetrina e scegli (sott.: il coniuge) “Questo è il mio tipo, quello no!”. Però, sul livello comune, di gente comune, se trovi una donna di famiglia buona, per bene, educata, e tutto il resto, nel futuro… perché l’origine di quella famiglia com’è? Sfrutta la famiglia dopo, questa è la prospettiva della nostra famiglia. Quindi se lui trova una donna così, è benedetto dal signore. Viceversa lui beneducato, famiglia conosciuta, lavoratore, me lo sposo eccome! È quello, nel nostro mondo di quei tempi. Oggigiorno manca questo. Oggi si cerca il divertimento più che altro, il materialismo… oggi la donna guarda: “Com’è il lavoro, la casa, la macchina? Ci sono interessi? Allora no. Io devo sposare un poveraccio, un morto di fame? Allora rimango single!”. Int.: Quindi notate questa differenza. Asmaa: Sì. Karim: Sì, drasticamente […]. Int.: E lei era d’accordo? Sapeva che sareste venuti a vivere in Italia? Asmaa: Sì, sì, sì. Si sta male in Tunisia. Karim: [...] Di là quando uno è fidanzato decade tutto, sono patti proprio radicali, quei patti che prendono per la vita. Io ho vissuto due anni in Europa, ho visto tante cose… ma se non l’avessi più voluta sarebbe caduto il rispetto della famiglia, avrebbero detto “Quello è un bastardo” e la tua famiglia dopo una cosa così non è più una famiglia per bene. Tutto questo è il senso, ha molto peso… anche se qualcuno lo fa. Asmaa: Sì! (gen. 8: Karim e Asmaa, genitori di Saloua [37], Liceo α, Tunisia). La storia di Karim e Asmaa fa emergere diverse dimensioni dell’intreccio tra traiettoria familiare e migratoria: il ruolo della parentela per garantire la rispettabilità dei fidanzati, l’importanza di tenere fede agli impegni presi malgrado l’incertezza dovuta alla lontananza, il ruolo della posizione sociale nella definizione di un “buon matrimonio”. La partenza di Karim si è definita dopo il fidanzamento, e la scelta di Asmaa di raggiungerlo 163 è motivata dall’intervistata non solo in ragione del rispetto del patto familiare che precede il contratto matrimoniale, ma anche di un suo desiderio personale di partire. In altri casi, invece, il matrimonio con un emigrante, e la conseguente partenza delle giovani spose, per le famiglie di origine agiate risulta già di per sé una delle possibili strategie per evitare perdita di status sociale (El Miri, 2011). Anche senza programmare pre- partenza un inserimento occupazionale della moglie nel paese di destinazione. Diverso è il caso delle madri single, provenienti dall’Est Europa e dal Sud America. Per loro la scelta di spostarsi è maturata in basa al calcolo delle opportunità di inserimento economico nell’area di arrivo, necessario soprattutto quando, in seguito alla separazione dal marito o compagno, gli oneri di mantenimento dei figli e quelli del lavoro di cura di fatto spettano esclusivamente alla madre. Loro si sono separati, mia mamma e mio papà, lei è venuta qua apposta, dopo la separazione (stud. 56: Miguel, IT β grafico, 20 M, Brasile). I miei sono separati, lui, mio padre, quando avevo sei mesi è andato in Germania, allora lei è rimasta sola con due bambini. [...] E… lei si occupa di questo ambito qua, ristorazione, ha avuto qualche ristorante, di qua e di là, ma alla fine i soldi che investiva… cioè li investiva di là e in casa non c’erano mai soldi. Allora ha detto di venire qua perché lo stipendio è molto più alto che di là. Eh! (stud. 1: Adia, Ipα sociale, 19 F, Romania). La partenza è vista dalle protagoniste, e dai loro figli, come una delle conseguenze del divorzio/separazione. Non solo dal punto di vista simbolico, relazionale e affettivo, dimensioni tutte importanti e influenti, come aveva bene illustrato Decimo (2005). Ma anche dal punto di vista economico, come modo di stabilizzare le entrate del nucleo, quando l’unica percettrice di reddito è una donna. Int.: Sapevi perché era partita? Sabina: Sì, per il denaro, perché poi non ci poteva offrire più niente, andare a scuola e tutto il resto. […] Poi io per fare il liceo mi dovevo spostare 50 km e… fino ad andare in una città, quella più grossa. […] Mia madre ha detto “Prima guadagniamo un po’ di soldi e poi vediamo come va”. Ma visto che da noi… non vanno le cose così bene, il lavoro si trova difficilmente, poi anche se si trova lo stipendio è poco. Poi per due figlie… non basta. E poi ci ha portato qua (stud. 44: Sabina, IP β sala bar, 20 M, Romania). Lorian: Mia madre era in cerca… come dire? Di lavoro e comunque di un altro futuro per me, perché in quel momento voleva dare un futuro a me, per portarmelo avanti per conto mio. Int.: Renderti autonomo? Lorian: Anche quello, aiutarmi a crescere e tutto (stud. 48: Lorian, IP β sala bar, 20 M, Romania). Per Luana, la madre di Lorian, partire avrebbe implicato dequalificazione occupazionale nel paese di destinazione per il probabile inserimento nel settore domestico o del lavoro di cura, ma avrebbe anche procurato il miglioramento della posizione sociale del figlio rimasto nella società di origine, per effetto delle rimesse. 164 Anche in casi di genitori sposati compaiono narrazioni dell’emigrazione nelle quali la partenza dei primo migranti è finalizzata a garantire più opportunità di formazione e lavoro ai figli. Dal punto di vista economico, stiamo abbastanza bene rispetto ad altri, magari… Però mio padre si aspettava… un futuro migliore vivendo all’estero, in Italia… sicuramente prospettive migliori per lui, magari lui non tanto, però per i suoi figli, quindi per noi, il discorso è per me e mia sorella. E… e anche, dal punto di visita politico, era abbastanza contrario al regime che c’era prima in Romania, quindi appena ha potuto quello è stato (stud. 50: Iulian, Liceo β scientifico, 19 M, Romania). Abbiamo detto “Dobbiamo offrire ai nostri figli una migliore possibilità” (gen. 11: Consuelo, madre di Fernando [33], IT α, Argentina). E comunque mia madre è ° migrata qua… ° mmh… nel ‘92. Io ero piccola, appena nata, mmh, e ha deciso di farlo perché… non è che si guadagna tanto facendo questi lavori. E allora i miei erano già grandi, e mia madre se ne è accorta che… non bastano, non bastano i salari per… ° per mandarci avanti °, allora ha deciso di emigrare qua (stud. 30: Trisha, IP α sociale, 22 F, Filippine). Non penso che uno come me o come un altro sono venuti in Italia per diventare ricchi. No. Però per fare un futuro ai nostri figli e… di… vivere un po’ meglio (gen. 2: Stefan, padre di Gratian [28], IT α, Romania). Int.: Voi quando siete venuti pensavate anche a lui e al suo futuro? Nicoleta: Sì. Per quello siamo scappati via. Valeriu: ° 70-80% per lui °. Nicoleta: Per lui. Int.: Perché per lui? Nicoleta: Era piccolo, era piccolo. Valeriu: Perché non avevamo forza così. Nicoleta: Economica. […] Valeriu: Per lui, per il suo futuro. Perché là non ti aiuta nessuno, eh? Nessuno, nessuno lì ti aiuta. Invece qua abbiamo trovato, ° non ti guardano neanche in faccia là, perché sono poveri anche loro, no? Non ti può aiutare un parente o un amico ° […]. Int.: Pensavate a vostro figlio (sott.: quando avete deciso di venire in Italia) come più opportunità di studio, di lavoro? Valeriu: Di studio. Di studio. Sì. Int.: Ah, per farlo studiare? Valeriu: Sì. Sì perché si vedeva da quando era piccolino che era bravo (gen. 1: Nicoleta e Valeriu, genitori di Dimitri [19], IT α, Romania). La partenza dei genitori è rappresentata in funzione dell’inserimento dei figli nella società di destinazione, sia dal punto di vista della sicurezza economica assicurata dal migliore ritorno lavorativo dei genitori (o della rete sociale di riferimento), sia dal punto di vista della protezione dello stato sociale, incluso il sistema educativo. Int.: Sai perché è venuto? Georgeta: Per poterci offrire una vita migliore a me e mia sorella. […] Per poter studiare, per… magari per opportunità di lavoro meglio di quelle che avevano avuto loro. Int.: Mmh... Loro comunque avevano un’attività. Georgeta: Sì, ma non è che si stava male. Però i soldi, i salari erano bassissimi. E andando avanti è sempre peggio la vita lì, non migliora niente, e quindi voleva offrirci una vita migliore a noi (stud. 17: Georgeta, IT α meccanico, 20 F, Romania). 165 Per quasi tutti i giovani intervistati ricongiunti (a parte una, che attraversava al momento dell’intervista una fase di difficoltà economica e scolastica) le ragioni della partenza dei genitori, e la loro inclusione in queste, sono state discusse e comprese, anche se talvolta anni dopo la separazione. Il progetto migratorio ha tra i suoi significati principali “dare un futuro migliore” proprio a loro, ai figli. Questo elemento fa parte di tutti i racconti collettivi della migrazione familiare ricostruiti attraverso le interviste. Anche nel caso in cui il primo migrante fosse partito prima del matrimonio e della nascita dei figli, la sua permanenza in Italia, e la stabilizzazione del nucleo familiare nella penisola, è continuamente rimotivato dalla narrazione della migrazione familiare come processo definito, gradualmente o dai suoi esordi, per garantire a tutti i componenti, in particolare quelli più giovani, più opportunità di inserimento sociale. Le modalità di arrivo del primo migrante, invece, non sempre fanno parte della narrazione dell’emigrazione condivisa tra i familiari, specie quando l’ingresso è avvenuto in condizioni irregolari o illegali. Come abbiamo visto attraverso le interviste ai testimoni qualificati, la regolarità del soggiorno dei genitori facilita l’ingresso dei figli e la loro permanenza nei circuiti formativi più lunghi e formali. Uno dei modi di ingresso regolare per gli intervistati è stato l’acquisizione della cittadinanza italiana dall’estero, nel caso di sudamericani discendenti da italiani, oppure di matrimoni misti con italiani. L’ingresso con la cittadinanza ha anche agevolato l’arrivo simultaneo del genitore e dei figli. Avrei un fratellastro che ha avuto discendenze italiane e diciamo che ha aiutato lui mio padre, ci ha aiutati per venire in Italia. È molto più grande. È venuto molto tempo prima perché la sua madre ha discendenza italiana e è riuscito a prendere la cittadinanza italiana (stud. 6: Flor, Liceo α scientifico, 18 F, Perù). Accanto a questa modalità di ingresso regolare compare, in un solo caso, il contratto di lavoro per chiamata dall’Italia. Int.: E sai perché erano venuti? Malika: No, mio padre, cioè… una… ° una sua parente da lontano era sposata con un italiano. E poi sono venuti da noi in Marocco, era venuto da lei e sono venuti da qua, poi ha visto le cose che fa mio padre, e gli ha detto “Ti faccio un contratto e vieni a lavorare con me” e adesso è da undici anni che lui lavora per lui. Int.: Ah, perché ha avuto questa possibilità di lavoro? Malika: Sì. Quindi dopo tre anni ha fatto ricongiungimento per famiglia con mio fratello, poi per me e… (stud. 29: Malika, IP α sociale, 22 F, Marocco). Gran parte dei genitori primo migranti, tuttavia, hanno trascorso un periodo di irregolarità, spesso di più anni, di solito prolungando la permanenza oltre la regolarità, ma in alcuni casi anche a partire dall’ingresso, avvenuto appoggiandosi ad organizzazioni 166 criminali, ottenendo a caro prezzo i documenti per l’espatrio, anche in caso di insuccesso dell’operazione. Skordian: Il 10 aprile del 2001 sono venuto qua, con un visto falso eh? Come un uomo dei sindacati, come si dice. Ho pagato quattro milioni di lire per il visto. […] I migranti tu devi sapere che se fanno qualcosa qua, sono sempre in collegamento con gli italiani. Quando ero là in quella casa, c’era un uomo italiano, alto due metri, uno che faceva paura, un giorno mi hanno portato due ragazze moldave e mi hanno detto “Scegli una e lavori”, come merce. Hai capito? Mio fratello in Albania è un poliziotto, e loro mi hanno detto “Per te professore, prendi questa”. Io facevo il muratore e là mi tenevano con 100mila lire a settimana, e loro mi dicevano “Ma perché professore? Prendi questa e non hai problemi”. Poi dal ’97 hanno iniziato a controllarli quelli con la maschera, quelli che escono rari. Ma mio fratello, erano suoi amici, nel 2000 erano una organizzazione troppo forte qua, erano troppo forti. Nel 2000 hanno aperto anche una ditta per coprire questo. Così, abbiamo fatto anche un lavoro, a piastrellare, e andavo a pubblicizzare casa per casa che avevano fatto almeno un lavoro. Ma nel 2001 la polizia li ha fatti pezzi a pezzi, tutti. Ma erano tremendi. Ma è un mondo… che non è il mio mondo. Non solo la polizia, ma si fanno male tra di loro, perché i protettori hanno i loro posti, se qualcuno esce, c’è la guerra. Int.: E ora sa che ne è stato di loro? Skordian: Sono tornati tutti in Albania, espulsioni. Una volta eravamo svegli alle cinque di mattina, esce un fratello e prende la ragazza per portarla a casa. Alle 5.10 entrano due poliziotti, io stavo dormendo, non ero abituato a quegli orari. L’avevano fermato quello che era uscito, con le sue chiavi sono entrati. Li arrestano tutti, mi toccano, mi svegliano, dormivo con la tuta del lavoro. Mi hanno detto “Dormi tu”. I poliziotti, adesso penso che loro li conoscevano tutti per nome, cognome, e ragazze. Penso che loro sapevano che non facevo quel lavoro. ° Una ragazza, la moldava, ha fatto tutti i nomi °, perché erano duri con lei, anche la picchiavano. Loro stavano a meno dieci fuori, venivano a casa ghiacciate, loro pensavano “Se una è scema, che accetta questo, devi trattarla così”. Una ventina per cento ce l’hanno anche ragione (gen. 5: Skordian, padre di Verim [15], Liceo α, Albania). Nel 2000 sono arrivato qua ai primi di gennaio… da solo. Avevo qualche parente che abitava qui che mi ha ospitato perché il momento era difficile… Anzi, per arrivare qua ho pagato mille dollari. […] Sempre con… C’erano delle abitudini, delle regole che dovevo rispettare : non uscire, non potevo… non sapevo la lingua. C’era la polizia, facevano delle pattuglie. Poi i posti erano… […] non potevo andare nei luoghi affollati dove c’erano sì, c’erano riunioni degli stranieri… Però loro erano in regola quindi io non potevo, anche se li conoscevo, lì non potevo andare perché ° se mi fermavano non potevo dire niente °. Poi … ho trovato qualcosa da lavorare, > ho lavorato in nero < dal 2000 fino a quando è arrivata la legge Bossi-Fini, nel 2002, no? Mi sembra. Da settembre 2002 io sono in regola. Anzi, ottobre (gen. 9: Costantin, padre di Elisabeta [2], IP α, Romania). L’Italia come meta è stata scelta, in aggiunta agli altri elementi sopra citati relativi alle opportunità di inserimento lavorativo e di situazione politica stabile, proprio in ragione delle maglie normative ritenute meno “rigide” rispetto alla regolarità del soggiorno101. E allora (sott.: quando ho deciso di partire) ho cercato… era mia intenzione la Francia. […] Perché la Francia è molto conosciuta in Marocco. Perché la Francia non so se lo conosce, la Francia ° ha colonizzato il Marocco per un periodo °, allora è molto conosciuta in Marocco. L’Italia sì, non è… sì, sapevamo che era un paese europeo perché l’avevamo studiato, ma non sapevamo niente di… però sapevamo che c’era altra gente che sono venuti prima di noi, e hanno parlato di… che l’Italia è anche un bel paese da vivere, molto sociale, e infatti ci ho pensato di venire qua. Era anche ° una strada più facile per entrare ° (gen. 3: Amer, padre di Safia [7], Liceo α, Marocco). 101 In realtà il fenomeno dell’immigrazione irregolare non riguarda affatto soltanto l’Italia o l’Europa meridionale. Esso costituisce da tempo un elemento strutturale, molto importante per i regimi di welfare e per molti settori economici anche dei paesi di destinazione a più lunga tradizione migratoria (cfr. Sciortino, 2011). 167 È importante ricordate che i genitori degli intervistati sono entrati in Italia prevalentemente nel corso degli anni Novanta, quando il divario tra regolari e irregolari, dal punto di vista dei diritti sociali, dell’accesso al lavoro e della tutela giuridica, era meno aspro di oggi. Inoltre, allora come attualmente, l’irregolarità non costituisce di per sé né un indicatore di marginalità né una identità totalizzante che assorbe tutti i ruoli rivestiti dagli attori sociali (Sciortino, 2011), ma piuttosto rappresenta una sorta di “fase” del percorso di stabilizzazione in Italia, attraversata così diffusamente anche a causa di procedure di acquisizione del permesso di soggiorno che “obbligano” all’illegalità (Ferraris, 2008)102. In effetti dalle interviste l’irregolarità non sembra dipendere tanto dalla collocazione degli emigranti nel paese di origine in posizioni svantaggiate (Skordian ad esempio era docente universitario, Valeriu direttore di una catena di ristoranti), ma piuttosto dalla gestione politica dei flussi migratori e dalle norme nelle aree di partenza e destinazione. Noi avevamo fatto la richiesta per il visto, ma non ce l’avevano data. No, no, no, no. L’abbiamo fatta per anni. Un anno e mezzo che mia madre andava all’ambasciata albanese là per… no niente non ce l’hanno mai data (stud. 15: Verim, Liceo α scientifico, 21 M, Albania). L’irregolarità del primo periodo tuttavia è ricordata da tutti gli intervistati con angoscia e, come vedremo, ha avuto l’effetto di una “ferita” nella traiettoria occupazionale di inserimento nel mercato del lavoro per gli altamente qualificati al paese. Le vicissitudini dell’inserimento dei genitori in Italia sono state rese note ai giovani migranti di solito molto più tardi, dopo il loro arrivo in Italia. Nel primo periodo dopo la partenza, i genitori avevano preferito trasmettere ai figli, ancora bambini, immagini positive Lorian: Quando è arrivata nel ’99 l’ha raccontata come il paese delle meraviglie, no? Perché c’era tutto rispetto alla Romania, no? Quindi la gente che si saluta così per strada anche se non si conosce, persone al mercato, tutto più bello. Int.: Te lo raccontava anche al telefono Lorian: Solo per telefono. Io non ho più visto mia madre per circa tre anni. E… le prime volte al telefono erano tragiche. Int.: Eri piccolino. Lorian: Sì, mi chiamava “Come stai?” e subito a piangere. Int.: Ti mancava. Lorian: Eh, sì, mi mancava tantissimo (stud. 48: Lorian, IP β sala bar, 20 M, Romania). In letteratura si sottolinea che la discrepanza tra visioni edulcorate del paese di destinazione pre-partenza e dura realtà dell’arrivo acuisca la fatica iniziale dei bambini 102 Tanto che le regolarizzazioni sono paradossalmente ritenute uno dei – principali – strumenti di politica migratoria in Italia (Barbagli, Colombo e Sciortino, 2004; Ambrosini, 2012). 168 riuniti, tuttavia i racconti positivi dei genitori, stando ai brani di intervista analizzati, non sembrano tanto volti a riflettere una immagine del sé adulto vincente sul piano della mobilità sociale, ma piuttosto a mitigare le sofferenze dei figli dovute alla separazione. 5.2. Gli anni della separazione Un tempo non sapevo / che cosa volesse dire / la parola malinconia. / Adesso l’ho imparato. Se lo guardo, / non è più così blu il cielo / che si offre ai miei occhi, se li guardo, / non mi appaiono più così verdi / ora i prati. Perciò, è triste persino / la mia bicicletta. Insieme percorriamo le sponde / di un lungo fiume. E penso… / Laggiù i raggi del sole / ed il fiume si è fatto azzurro. Forse anche questa vita / può essere bella. (Yin Chai e Jian Sang, C.I.D.I.S.S., 1997). Nel caso dei ricongiunti, la partenza dei genitori, nel momento in cui era avvenuta, è ricordata innanzitutto come il vissuto di un distacco. La separazione dai genitori emigranti stagionali dall’Europa dell’Est in effetti, era cominciata gradualmente, prima della partenza definitiva di uno o entrambi i genitori. Concentrare il tempo di lavoro in un altro paese è visto inizialmente da queste madri (e in parte anche dai padri intervistati) come un modo di conciliare responsabilità di cura e lavoro pagato, specie in concomitanza di investimenti economici come l’acquisto della casa, traslando nello spazio e in momenti diversi dell’anno i due compiti: cura nel periodo di rientro al paese, di solito estivo, lavoro nel resto dell’anno trascorso fuori. La relazione educativa tra genitori e figli, però, secondo gli intervistati, si crea quando la coabitazione è prolungata e continuativa. Nel caso di Ionel, come nelle famiglie neocostitutive di fatto, il riconoscimento del padre come figura autorevole (e dunque influente per i progetti del figlio) si costruisce solo dopo la riunione familiare in Italia. Int.: Non hai ricordi di questa cosa (sott.: di quanto tuo padre emigrava periodicamente per lavoro)? Ionel: Eh… no… So solo che veniva raramente a casa… Soprattutto la prima volta, fino al ‘92-’93…° veniva una volta l’anno °… d’estate, e per noi ° era uno sconosciuto… ° Int.: Ci credo… Ionel: Ci portava i dolci, erano tutti felici… (sorride) ° ma poi chiedevamo a mia mamma: “Quando se ne va il signore?” (sorride) cioè “Si sta soffermando troppo…” […] E fino al ‘93 è rimasto così, perché abbiamo comprato una casa nel ‘94 e dovevamo mettere un po’ di soldi da parte. Però poi, dal ‘94 in poi veniva più spesso, veniva… sia d’inverno per le vacanze natalizie, che d’estate, poi a volte anche a Pasqua si faceva le settimane… Int.: Era in Italia o anche in altri paesi? Ionel: E’ stato, prima del ‘91 in Germania, Belgio, Austria e Ungheria, si è fatto un po’… quella zona. [...] Non so quanto si sia fermato °. In Germania… un po’ di più… […] io ero ancora piccolo… Sì, poi è rimasto un po’ in Italia, poi è tornato per cercare lavoro > non so dirle l’anno < in Romania… ma non ha trovato molto allora è tornato qua. Ed è rimasto qua. 169 [...] (sott.: Inizialmente mi facevo giustizia da me con i compagni di scuola). Poi, piano piano, mi sono calmano (ride). Ma perché ° perché soprattutto senza mio padre, mia mamma… non è che poteva seguirmi in tutto e per tutto, per quanto lei… ° sono stato un po’ birichino (sorride) nell’infanzia. Poi venendo qua, la pressione di mio padre, ogni giorno addosso, mi ha fatto molto calmare. Per forza (sorride) (stud. 52: Ionel, IT β grafico, 20 M, Romania). Per le famiglie originarie da aree molto distanti dall’Italia, ad esempio dall’Asia o dall’America del Sud, gli spostamenti sono molto più costosi. Genitori partiti quando i figli erano piccolissimi risultano dai racconti degli studenti intervistati figure quasi evanescenti: la relazione genitoriale, e insieme ad essa, anche la narrazione della migrazione familiare come progetto di mobilità sociale collettivo, si è costruita dopo la riunione nel paese di destinazione, con i figli ormai grandi. Dal racconto di Bai non solo la situazione socio-economica familiare prima della partenza dei genitori, ma tutta la sua prima infanzia sembrano svanire. Bai: E ha deciso di venire qua, e io piccolo non ho neanche un ricordo di mio padre, perché mio padre è andato via quando… prima che io nascessi, e mia madre è andata via subito dopo, quando sono nato, avevo un anno o forse meno, e è andata via. Infatti vivevo con i miei nonni. E quando ero piccolo non avevo neanche un ricordo dei miei, non sapevo neanche chi fossero, e ero… non lo so, non avevo i genitori, non saprei descriverlo… non so, non sapevo neanche cosa fossero mamma e papà, perché vivevo con i nonni, non sapevo chi fossero, mi dicevano “Poi li incontrerai” eccetera, infatti dopo qualche anno, mia mamma è tornata per portarmi in Italia e li ho conosciuti, però non sapevo chi fossero e cosa fossero. [Mia sorella] forse qualcosa in più, ma non penso tanto neanche lei. Forse qualche vicenda in più, forse si ricordava quando mia madre è partita, però io niente, proprio zero, i primi cinque anni della mia vita non so neanche cosa è successo, non ho neanche ricordi. Int.: In generale? Bai: In generale, in generale. Ricordo vagamente qualcosa di quando avevo sei anni, vivevo con i miei nonni e facevamo la classica vita di campagna, e basta, nient’altro (stud. 46: Bai, IP β cucina, 21 M, Cina). Per Bai l’autocollocazione in un progetto migratorio familiare, e la sua relazione con il paese di origine dei genitori, avviene nel corso dell’adolescenza, anche attraverso un viaggio di un anno in Cina per imparare la lingua dei genitori, compiuto al termine del triennio di scuola secondaria superiore. Nelle aree di partenza in cui i flussi emigratori, sono più forti, in questo caso, verso Torino, la regione intorno a Bacau della Romania ad esempio, o quella intorno a Khouribga in Marocco, i figli di emigranti sono sempre di più, contribuendo a diffondere tra i bambini con genitori all’estero per lavoro la percezione di normalità dei nuclei familiari separati o transnazionali. Int.: C’erano tanti tuoi amici con genitori fuori? Adia: Che avevano un genitore in un altro paese? Sì, sì. Adesso soprattutto sono in tanti, c’è una famiglia di sicuro che ha almeno un membro della famiglia che è venuto in un altro paese. Perché c’è una situazione… (stud. 1: Adia, Ipα sociale, 19 F, Romania). Int.: E tu sapevi che saresti venuto? Cioè ti avevano detto che… Mirko: Eh, quando già mamma parte capisci che… di solito in classe o tra gli amici c’era comunque qualcuno che… ha i parenti o la mamma, il papà, il fratello, magari più grande, 170 che è partito. Di solito tornano, ma quando la mamma, cioè la mamma è andata via… e poi anche quando… non è che… cioè ero piccolo, quindi non è che dovessero spiegare a me le cose, e quando papà è partito avevo capito che mi sarei riunito anche io (stud. 49: Mirko, Liceo β scientifico, 19 M, Romania). Il mantenimento dei legami tra genitori e figli durante la separazione della convivenza familiare alimenti frequenti e complessi scambi tra paesi (Bonizzoni, 2010; Boccagni e Lagomarsino, 2011). Sono soprattutto le madri, rispetto ai padri, a curare le relazioni a distanza, come emerge da studi sulle emigrazioni dal Centro e Sud America (cfr. Mejìvar e Abrego, 2009; Abbatecola, 2010 in Boccagni e Lagomarsino, 2011). Le primo-migranti da questi paesi svolgono due ruoli nei confronti dei figli lasciati al paese: procacciatrici di reddito con l’invio di rimesse e “buone madri” prestatrici di cure a distanza (Bonizzoni, 2010; Boccagni e Lagomarsino, 2011). Nonostante la profusione di sforzi, tuttavia, la documentazione empirica sull’argomento evidenzia marcata insoddisfazione per la superficialità e l’inadeguatezza delle relazioni a distanza (Boccagni, 2009; Bonizzoni, 2010). Per le famiglie intervistate, i doni acquistati in Italia e inviati al paese per i figli sono stati un modo non solo per mantenere le relazioni genitoriali, come ricorda Adia, ma anche un segno di status tra bambini, come racconta Veronica. Adia: Certamente mi mancava mia mamma. Int.: Vi sentivate? Adia: Sì, sì, ci sentivamo sempre, tutti i giorni mi chiamava. Magari mi mandava dei pacchi, con dei vestiti, dolci, queste cose (stud. 1: Adia, Ipα sociale, 19 F, Romania). Mia nonna mi raccontava che il primo giorno di scuola ero proprio fuori (tono ironico). Mi sveglio all’una di mattino, vado a svegliare mia nonna: “Nonna, nonna, ma che ora è? Non andiamo a scuola?” mia nonna che mi fa “Veronica! Vai a dormire che è ancora presto”. “Uffa, quando arriva questa scuola?”. Sono andata a dormire, alle cinque sono alzata, mia nonna mi ha mandato di nuovo a letto, e finalmente alle sette sono alzata, ero contentissima! Perché avevo tutto nuovo, le mutande, le scarpe luminose, il… zainetto di Titty… perché queste cose ° me l’ha comprate mio padre, e in Ghana pensano che chi è in Europa è ricco ° allora mi aveva comprato mio padre, ero… cioè ero contentissima! L’uniforme ben stirata, truccata, mia nonna mi aveva truccata, pettinata, avevo i capelli così (gesto codini), uno qui e uno là, camminavo così (gesto con fierezza), con le scarpe luminose! E sono… cioè sono andata a scuola e ero contentissima, ho visto la maestra e … (ride) quando l’ho vista… subito mi sono alzata la gonna per fare vedere le mie mutande nuove! (ride) (Veronica, 18 anni, F, Ghana, studentessa IP Alberghiero di Torino, documentario“Tutto è possibile”). Le esatte motivazioni dell’emigrazione dei genitori, come prima spiegato, non sono chiare ai bambini più piccoli left behind e naturalmente tutti gli eventi familiari della prima infanzia sono esperiti da loro innanzitutto emotivamente, secondo la fase del loro sviluppo cognitivo e psicologico nel momento in cui erano avvenuti. Tuttavia i ricordi dell’impatto dell’emigrazione nella percezione di sé dei bambini figli di emigranti all’interno dello spazio sociale che all’epoca era il loro riferimento si configurano con più 171 chiarezza in seguito, nelle narrazioni degli adolescenti migranti, una volta risignificati alla luce delle consapevolezze che i giovani hanno maturato, più sistematiche e globali, sul funzionamento della stratificazione sociale. Dal racconto di Veronica emerge come questi ricordi assumano il significato, anche imbarazzante, dell’uso delle risorse familiari inviate dai genitori, costate a entrambe le parti, genitori e figli, tutta la sofferenza del distacco, nell’ottica del posizionamento sociale. L’invio di denaro e di regali e le telefonate sono gli unici contatti dei figli con i genitori, in particolare con la madre, la cui mancanza è più sentita dagli intervistati. Quando ciò che si riceve è inferiore alle aspettative possono dunque manifestarsi incomprensioni, vissuti abbandonici, talvolta risentimento, specie quando si percepisce come adulto prestatore di cure la nonna, piuttosto che la madre lontana. Questi aspetti sono chiariti dopo la riunione familiare e la verifica da parte dei figli delle reali condizioni di vita e lavoro dei genitori in Italia, come spiega Tania. Int.: E tu là eri con qualche parente mentre tua madre era qua? Tania: Sì ero con mia nonna, la madre di mio padre. E sono stata lì con lei, mia madre ogni mese mi mandava dei soldi, vestiti, cibo… Sì, sì, ero là con mia nonna… che si prendeva cura di me! (sorride). Int.: Vi sentivate con tua madre? Tania: Sì, sì, ogni giorno. Poi chiedeva a mia nonna come andavo a scuola, se tutto a posto… [...] E poi a volte mia madre mi mandava pochi soldi, cioè 200 euro, e io pensavo “Eh sì, lei lavora, lei c’ha tanti soldi, lei mi manda solo pochi euro”… ma quando sono venuta qua ho capito che qua i soldi si fanno veramente… pesante! E quindi devi lavorare tanto per avere uno stipendio, queste cose qua, poi in realtà ho capito che se mi mandava pochi soldi c’era un motivo, comunque doveva pagare un affitto e queste cose qua. E poi ho capito che non è che non me li voleva mandare più, ma che lo stipendio era basso e comunque doveva vivere anche lei (stud. 4: Tania, IP α sociale, 20 F, Romania). La scelta dei parenti a cui affidare i figli si basa su considerazioni di natura economica, ma anche relazionale. Il materiale empirico conferma quanto emerso dagli studi sulla “catena globale della cura” (cfr. ad es. Anderson, 2000; Parrañas, 2000; Balsamo, 2003; Colombo, 2003; Andall, 2003; Ehrenreich e Hochschild, 2004) e sulle migrazioni familiari (cfr. Mejìvar e Abrego, 2009) in merito alla prevalenza dell’affidamento a parenti donne. Adia: Prima sono stata da una zia, poi da un’altra. Dalla prima sono stata poco, era giovane, quindi mia madre ha pensato di farmi stare dall’altra, che aveva anche lei due figli quindi… Int.: Della tua età o… Adia: Una di due anni più piccola e l’altra ancora di due anni più piccola. Riusciva a gestirci tutte e tre (ride). Sì, si prendeva cura, non sono stata mai… (stud. 1: Adia, Ipα sociale, 19 F, Romania). Int.: Non stavi con tuo papà? Là stavi coi nonni? Emil: No…° stavo con mia madrina °. Perché, cioè, non avevo i nonni e… ° non c’era un buon rapporto con mio padre e… ° (stud. 54: Emil, IT β professionale grafico, 20 M, Romania). Jessica: All’inizio era brutto perché non mi ha lasciato subito con mio padre. Mi ha lasciato in campagna con dei miei nonni. E all’inizio era brutto, perché già in campagna non mi piaceva. Int.: Eh, immagino, sarà stato diverso dalla città. 172 Jessica: Sì, molto. Poi mi ricordo che mi mancava, e piangevo tutte le sere (0.02). Poi un giorno sono andata in vacanza da mio padre e sono rimasta lì (nella capitale, ndr). Int.: E tua madre era d’accordo? Jessica: Ma non mi ha detto niente. Tanto sapeva che non mi piaceva stare là. Int.: E il fratello che adesso ha 13 anni? Jessica: E’ rimasto con mia zia. E mio fratello più grande era rimasto con mio padre, però loro non hanno un bel rapporto, quindi è venuto in campagna. Ci siamo scambiati (sorride) (stud. 18: Jessica, Liceo α socio-psico-pedagogico, 21 F, Ecuador). Gli adolescenti, a differenza dei bambini, raccontano di avere potuto in qualche misura partecipare alla scelta dei parenti presso cui vivere durante la separazione dai genitori. Abitavo con i miei nonni, miei zii, mio zio il fratello di mia sorella… eh non di mia sorella, di mia mamma, mia zia e i miei cugini. E basta. […] Sono cresciuta con loro, quindi… (stud. 39: Pilar, IP α sociale, 20 F, Perù). Dal punto di vista affettivo, “il paradosso della cura transnazionale è che proprio quando è gestita con successo può complicare i progetti di ricongiungimento dei figli” (Bonizzoni, 2010, p. 111). Le relazioni con i parenti presso cui gli intervistati sono cresciuti sono ricordate con affetto e nostalgia, anche se non mancano casi in cui i bambini affidati vengono considerati a tutti gli effetti risorse da impiegare nelle attività produttive del nucleo che li ospita. Prima abitavo con i miei a Bacau, lì vicino in campagna, quando sono partiti io e mia sorella siamo stati ancora due anni con i nostri cugini, era una casa grande, con gli animali, il grano, le barbabietole da zucchero, mungevo le mucche… zucchero, grano e queste cose non le compra mio zio, le produceva lui aiutato dai figli, anche io davo una mano, era un lavoro molto faticoso (stud. 12: Alexandru, Liceo α scientifico, 21 M, Romania). La rete parentale transnazionale ha svolto diverse funzioni nel delicato periodo della separazione del nucleo, oltre a quella di garantire la cura e la tutela dei minori. La prima è aiutare a preconizzare le difficoltà della separazione dai figli, prima della partenza di uno dei genitori. Mia madre la chiamava (sott.: una zia già in Italia) dal Perù, le diceva che non sapeva cosa fare, e mia zia le ha detto “Senti, se vuoi possiamo aiutarti a venire qua, però sappi che è dura, so che hai un figlio quindi sappi che non è facile, perché non è vicino”. Mia madre ha deciso di partire, di lasciare il Perù. Per trovarsi un futuro (stud. 38: Diego, IT α elettrotecnico, 21 M, Perù). La seconda è mediare la relazione tra genitori emigrati e figli left behind gestendo innanzitutto le comunicazioni, e poi le risorse inviate. Parlavamo al telefono due volte a settimana, c’era il telefono fisso. E io cioè… per ogni cosa che avevamo bisogno, se i miei nonni dovevano comprare qualcosa… per ogni cosa dovevano sempre andare a parlare dal fisso, perché loro ancora quella volta là non avevano il telefono fisso. Tramite un giardino a cinque minuti vicino a casa mia… verso le nove e mezza – dieci, andavo sempre giù, a telefonare. E parlavo con loro, mi mandavano… anche le collette, dei soldi… ma più che altro per i miei nonni, loro dicevano “Ma lasciate perdere, che io ce l’ho da mantenerla…” (stud. 2: Elisabeta, IP α sociale, 20 F, Romania). 173 Oltre a occuparsi dell’acquisto dei beni di consumo per il mantenimento dei figli, alla rete parentale è affidato talvolta il compito di investire le rimesse nell’area di origine. Gli studenti intervistati tuttavia non hanno coscienza di questi aspetti, anche per la loro giovane età durante gli anni della separazione, per cui pochi brani di intervista hanno potuto riguardare l’impiego delle rimesse da parte dei parenti ai quali erano stati affidati: l’esperienza riportata dai ragazzi pone soprattutto enfasi alla dimensione affettiva e alla sostituzione dei nonni (zie, sorelle maggiori) ai genitori. Emerge tuttavia da due interviste alle madri come l’atteggiamento della parentela nei confronti degli investimenti economici al paese abbia influenzato la successiva definizione del loro progetto migratorio individuale e familiare. Luana: Sono venuta perché volevo lavorare, mettere i soldini da parte, e comprarmi una casa e magari tornare con qualche soldino e aprire magari una mia attività (sorride) […] E poi invece sono cambiate le cose e (sorride) non… non sono più… cioè anche la situazione che si è creata a casa mia, diciamo che io gli mandavo i soldi però non sono mai riuscita a metterli da parte. Int.: Lei li mandava anche con la prospettiva di aprire una attività lì (sott.: in Romania)? Luana: Sì, sì, infatti. Int.: Però non riuscivano loro a tenerli? Luana: Non riuscivano, li hanno spesi tutti quanti, e ce n’erano parecchi soldi, perché io, tutto quello che guadagnavo, mi tenevo solo 200mila lire, perché allora c’erano ancora le lire. E tutto il resto lo mandavo a casa. Dovevano essere dei bei soldini, in pratica con tutto quello che avevo mandato dovevano già comprarmi la casa. E… invece… li hanno spesi tutti. Mi sono trovata senza soldi e senza nulla (sorride). (gen. 10: Luana, madre di Lorian [48], IP β, Romania). Nel caso di Luana, le rimesse da lei accumulate in Italia non sono state investite dai genitori in Romania, ma spese in modi diversi da quelli che lei aveva progettato. Anche per questa ragione l’intervistata ha modificato la sua idea iniziale di fermarsi solo temporaneamente in Italia, trasferendosi in modo definitivo con il figlio. L’emigrazione diventa definitiva non solo per fattori macro contestuali, ma anche per l’esigenza di affrancarsi dalle obbligazioni verso i suoi genitori, nonni di Lorian, e dalla loro ingerenza della pianificazione finanziaria del nucleo. Nel caso di Zuna, invece, l’attività commerciale da lei avviata in Costa d’Avorio è gestita dal marito e dalla figlia maggiore, per cui il suo progetto diventa quello tornare, quando la situazione politica si sarà stabilizzata abbastanza da consentire ai figli di frequentare regolarmente la scuola. Int.: Pensa di tornare? Zuna: Certo. Se le cose vanno bene preferisco tornare. Perché già io aveva già messo un negozio giù. Int.: Sempre nell’ambito della gioielleria? Zuna: No ho cambiato, vestiti capi di abbigliamento, così. Int.: E quindi ha già trovato un posto dove aprire? Zuna: Sì, ho già aperto. 174 Int.: C’è qualcuno che lavora per lei giù? Zuna: Sì. Int.: E quindi riesce a seguire di qua la contabilità Zuna: Sì, con l’aiuto di mio marito, mia figlia grande che ha 22 anni e tutti lavoriamo. Int.: Ok e quindi sa già che quando torna ha la sua attività avviata, pensa di lavorare sempre in proprio, come imprenditrice. Zuna: Sì (gen. 7: Zuna, madre di Koffi [35], IT α, Costa d'Avorio). La rete parentale, in particolare i nonni degli studenti intervistati, sembra dunque avere un peso nella scelta del luogo principale in cui investire per la propria collocazione nella stratificazione sociale, a partire dall’efficacia e lungimiranza con cui investe le rimesse inviate dai primo migranti durante la loro assenza. Tuttavia normalmente il peso della rete parentale nel paese di origine nelle decisioni migratorie viene meno, o diminuisce notevolmente, quando i bambini si riuniscono ai genitori in Italia. 5.3. Il processo di riunione familiare Raramente l’emigrazione dell’intero nucleo, e quindi anche dei figli, era già prevista alla partenza del primo migrante, salvo quando l’acquisizione della cittadinanza italiana era avvenuta prima di partire. L’inclusione dello spostamento dei figli nel paese di destinazione nella strategia migratoria dipende dalla valutazione delle opportunità e bisogni (Gasparetti e Hannaford, 2009), ma anche dai costi che la riunione comporta dal punto di vista relazionale, affettivo e economico, nonché dal percorso di istruzione e in generale accesso al welfare che si prevede i figli possano avere nel paese di destinazione, in comparazione con quello di origine. Il percorso più diffuso, descritto in questi termini anche dai protagonisti, è di graduale stabilizzazione. Mio padre è venuto come appunto clandestino, perché prima si faceva così. Poi pian piano ha iniziato a lavorare, si è messo in regola e ha avuto il permesso di soggiorno, e così poteva portare mia madre. Poi comunque (sott.: ha portato noi figli) (stud. 36: Dalila, Liceo α sociopsico-pedagogico, 20 anni, Tunisia). I miei genitori, come tutti, come tutti i rumeni che sono venuti qua, nessun rumeno è arrivato qua e ha detto “Adesso prendo la famiglia e la porto qua”. Tutti. Perché… anche mia madre quando è venuta qua, ma tutti, non solo mia… arrivano tutti per un periodo limitato di tempo, un anno o due, si fanno un po’ di soldi (stud. 28: Gratian, IT α meccanico, 19 M, Romania). Sono arrivata qua quattro anni fa. I miei genitori abitavano già qua da molto tempo. Hanno trovato lavoro e poi hanno deciso di portare me e mio fratello (stud. 25: Adelka, Liceo α sociopsico- pedagogico, 20 F, Romania). Int.: Sapeva che sareste rimasti in Italia a vivere con tutta la famiglia? 175 Maricel: No, io non sapevo, però piano piano, quando ho preso soggiorno, ho cominciato a prendere uno o due (sott.: figli) (gen. 6: Maricel, madre di Trisha [30], IP α, Filippine). Int.: E poi tua mamma, anche se eravate piccole sai se c’era già un’idea di venire tutti qua? Yuliana: L’idea era che andavano loro (sott.: genitori) e poi tornavano. Poi all’improvviso dovevamo partire anche noi (sott.: figli) (stud. 41: Yuliana, IP α sociale, 19 F, Moldavia). L’arrivo dei figli, anche per le norme sulle riunioni familiari, è avvenuto dunque in condizioni di regolarità per quasi tutti i minori intervistati. No, io da questo punto di vista sono stata fortunata perché mio papà aveva tutti i documenti a posto quindi mi ha messo anche a me subito a posto. Mia mamma era quella senza documenti però adesso siamo entrati nella Comunità europea… era un po’ un peso questa sfilza di documenti che avevano a casa, tra il permesso di soggiorno, tra tutti i documenti che dovevo fare per andare in Romania, per tornare… era un po’ un peso, perché ero sempre divisa tra scuola, questura e casa. Però no, no, tutto a posto (stud. 3: Carolina, IP α sociale, 19 F, Romania). In due casi gli studenti intervistati sono entrati clandestinamente in Italia: Ouail e Verim. Ouail è emigrato come minore non accompagnato e ha chiesto asilo politico, provenendo da un’area segnata dal conflitto armato, dopo avere attraversato diversi paesi è stato affidato a una coppia di italiani. Int.: Quindi hai vissuto in Afghanistan, in Pakistan…? Ouail: Sì, in Afghanistan, in Pakistan, in Indonesia, Malesia, Turchia, Grecia, Italia. […] All’inizio sono uscito perché… ero piccolo, poi anche in Afghanistan non avevo possibilità di studiare, poi anche rischiavo di essere preso dai talebani per fare servizio militare […]. Int.: Beh, sarà una soddisfazione avere superato tutto questo. Ouail: Sì, sì. Soddisfazione è che tu, tu adesso, tu vedi un poliziotto, ° non ti nascondi °. Quando… tu sai dove andare sta sera, dove dormire, almeno hai una famiglia, una casa dove tu… ° ti senti sicuro °. Questa… poi anche questa è una soddisfazione: quando uno ti vede su una strada, e ti dice: “Ciao, come stai?” (sorride). Questa è una grande soddisfazione, perché avere amici è difficile. Non è difficile, poi qua, in un paese che tu… non è tuo quindi… (voce commossa). Quindi ti fa piacere che uno si preoccupi per te, una famiglia che si prende cura di te, degli amici che quando non vieni a scuola ti chiamano “Ciao, come stai?”, che… si preoccupano diciamo. Questa è una soddisfazione (stud. 11: Ouail, IP α aziendale, 20 M, Afghanistan 103. Per Ouail l’acquisizione di uno status giuridico regolare e di una rete familiare di riferimento è stata una dura conquista, come per alcuni dei genitori intervistati. Per Verim invece la clandestinità è durata un periodo molto più breve, e nei sui ricordi è consistita soprattutto nel rischioso viaggio verso l’Italia. Verim: Prima è venuto mio padre, mi sembra nel ‘98. Poi siamo venuti noi, attraverso… con i documenti falsi. Siamo partiti… dall’Albania, da Tirana, prima abbiamo fatto una volta, ci abbiamo provato, è andata male. Siamo partiti dall’Albania con i documenti falsi, abbiamo fatto fare i documenti. Siamo partiti da Tirana e siamo andati a Vienna. E da lì dovevamo andare a Malpensa. Fare due giri […] però a Vienna ci hanno fermato […] perché i passaporti 103 Solo dal 1996 la comunità internazionale si è concentrata sulla prevenzione del reclutamento dei bambini soldato e nel 2000 è stato adottato un protocollo addizionale facoltativo alla Convenzione dei diritti del fanciullo; il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite dovrebbe ricevere notizie precise da diverse aree a rischio, tra cui l’Afghanistan (Azar, 2012), ma la storia di Ouail mostra che all’epoca della sua partenza queste informazioni non sono state impiegate per concedergli asilo dai diversi paesi dove aveva tentato di richiederlo prima di arrivare in Italia. 176 erano falsi, e ci hanno rimandato indietro. E abbiamo vissuto una notte all’aeroporto di Vienna, io, mia madre e mia sorella, eravamo in tre. Poi ci abbiamo ritentato e questa volta è finita bene. Siamo… sempre dall’Albania, abbiamo fatto un percorso andando in Macedonia, anche a piedi, di notte, a piedi. Anche un po’ pericoloso perché se uno si fermava gli altri non aspettavano, naturalmente andavano avanti, e allora rimaneva perso. […] Noi avevamo un mucchio di valigie, di cose, e il percorso era lungo, e allora se uno si stancava… però gli altri, tranne i propri familiari si potevano fermare, però ovviamente perdevi tutto, non sapevi dove andare, era notte. È durato… tipo tre giorni. […] Noi siamo andati in Macedonia, con una macchina. Poi lì, siamo stati in un hotel. Pagato sempre naturalmente dalle persone che avevano organizzato tutto. Siamo stati due giorni lì, perché dovevamo aspettare la risposta. Se si poteva fare il viaggio o meno. Allora siamo stati dentro l’hotel, due giorni. Poi il secondo giorno, verso la fine della giornata, ci hanno detto che si poteva fare. Allora siamo andati con la macchina in un posto, ci siamo raccolti come gruppo. Poi da qua è arrivata una persona che doveva guidarci, e ci ha guidato dentro una… un bosco… tutta la notte, abbiamo viaggiato. E poi siamo arrivati in una strada della Grecia. E ci hanno messi… era una colonna. […] Faceva freddissimo. E ognuno doveva aspettare la macchina propria, che lo portava in un posto. Quando arrivava, se lo portava, e gli altri aspettavano. È arrivata la nostra macchina, ci ha portato ad Atene. E da Atene, da alcune persone, poi abbiamo preso l’aereo e siamo arrivati a Malpensa. E a Malpensa ci aspettava mio padre. […] Mi ricordo che (sott.: quella che avevamo attraversato verso la Macedonia) era una vasta pianura, era un campo da arare, quello. Noi camminavamo, no? E in lontananza c’era un fascio di luce, che la polizia proiettava no? Per vedere le persone, no? Ci abbassavamo ogni volta che vedevamo una luce, così, così. Tutti (stud. 15: Verim, Liceo α scientifico, 21 M, Albania). Alcuni minori intervistati hanno conosciuto periodi di irregolarità di tutti i componenti della famiglia in Italia. Il progetto migratorio familiare in queste fasi era alquanto fragile, come le condizioni lavorative dei genitori e abitative di tutto il nucleo. Il racconto del padre di Dimitri fa capire in modo eloquente come la precarietà dello status giuridico renda arduo qualsiasi progetto a lungo termine nel paese di destinazione. La traiettoria di inserimento di questo nucleo familiare, e di altri nelle medesime condizioni, è dipeso anche da svolte arbitrariamente permissive da parte delle Forze dell’ordine, per la quale Valeriu non è stato rimpatriato. Valeriu: All’inizio è stato un po’ difficile ° perché eravamo senza il permesso di soggiorno °. […] E non sono riuscito… mi credi che in quattro anni, io non ho sognato. Andavo a dormire, nessun sogno. Come ho preso quel pezzo di carta, il permesso di soggiorno effettivamente è un pezzo di carta, ho iniziato anche io a sognare di notte (sorride). Nicoleta: Perché ti entravano in casa, ti portavano via. Valeriu: Avevi paura. Nicoleta: Avevi paura, tanta paura […]. Valeriu: Ringrazio a dio e alla polizia di Torino, perché una mattina, eravamo tutti e quattro, in stanza, in quella che avevamo, io avevo costruito in un angolo il bagno, in un angolo… erano cinque per cinque (sott.: metri). Un angolo ho fatto il bagno, uno cucina, il letto a castello, matrimoniale, no? A castello. In un angolo dormiva mio figlio, in un altro angolo mia suocera. E io con mia moglie di sopra. Int.: Quando eravate qua a Torino? Valeriu: Sì. ° Alle cinque di mattina, cinque e mezza, bussano alla porta: “Polizia”. Hanno preso, da tutti i palazzi intorno, in giro, 87 persone. Ci hanno portati via. Però hanno portato solo me. E quando siamo arrivati lì il questore di Torino mi ha controllato, mi ha preso delle impronte “Ma tu non eri sulla punto?” Io gli ho detto “Io non ho fatto niente, voglio solo lavorare”. E si è preso di me, no? E ha detto “Voi mi portate persone di questo genere? Voi dovete portarmi i ladri, non gente di questo tipo”. È venuta la televisione, i giornalisti. Sono stato l’unico di 87 persone, che è stato rilasciato. Ci hanno consigliato di andare a protestare. Però sono stato l’unico di 87 persone, che mi hanno rilasciato. Invece gli altri sono stati portati al paese. Ma tra di loro c’erano anche persone bravissime, che conoscevamo noi, 177 erano i nostri vicini. Però hanno capito loro la nostra situazione. Vedi che, anche se sono poliziotti… capiscono. Anche se ero fuorilegge, non avevo il permesso di soggiorno, ero una persona clandestina. Potevano farmi rimpatriare, anche io. Però c’è stata una poliziotta che si è ricordata di me, quando mi hanno preso. “Ah, ma lei è… con la mamma, moglie e figlio… Tu stai qui”. E a questo io ringrazio. Perché poteva cambiare… tutto. Tutto poteva cambiare. Perché tornare non potevo tornare perché avevo paura che ti prendono e ti mettono in galera. (0.02) Ne abbiamo passate. Però sono passate. Sono passate. Adesso stiamo un po’… bene. Però stiamo sempre lavorando. Se non lavori non fai niente, niente, niente. Non puoi stare qua. Come degli intrusi. Con aiuti… a chi?(gen. 1: Nicoleta e Valeriu, genitori di Dimitri [19], IT α, Romania). Le strategie di mobilità sociale familiare – o mantenimento di status – attraverso l’emigrazione dipendono quindi anche dal caso, dai modi in cui la normativa viene applicata dal singolo operatore e dalla sua personale ideologia in merito all’accettabilità di alcuni migranti rispetto ad altri. Per le famiglie con figli al termine della secondaria di secondo grado la permanenza in Italia, e la conclusione degli studi secondari dei figli, è stato dunque anche l’esito dello scarto tra norme e applicazioni di esse non solo attuato dai migranti, ma anche dalle figure di controllo. Nell’intervista i genitori di Dimitri si rappresentano come soggetti in grado di “meritarsi” l’accoglienza della società italiana contribuendo allo sviluppo economico del paese, lavorando e non appoggiandosi al welfare. Diversi studi sulle famiglie migranti sottolineano la discrasia tra emigrazione scelta dei genitori e emigrazione imposta dei figli ricongiunti. Al momento dell’intervista, tuttavia, gli studenti intervistati hanno rielaborato il processo di riunione familiare accogliendone le ragioni, anche se alcuni di essi inizialmente non le approvavano, o non le potevano comprendere, dato che erano arrivati in Italia senza sapere che si sarebbero fermati. Georgeta: (sott.: Mio papà mi mancava) ma io non volevo venire in Italia. Hanno detto ° “Vieni tre mesi, e poi ritorni qua” invece mi hanno mentito e poi mi hanno tenuta qua °. Int.: E neanche tua sorella lo sapeva? Georgeta: No, che saremmo rimaste qua, no. Int.: E quindi questo discorso che eravate venuti per voi te l’hanno fatto dopo. Georgeta: Sì (stud. 17: Georgeta, IT α meccanico, 20 F, Romania). Non necessariamente la mancata comunicazione ha implicato opposizione al percorso migratorio, ma occorre ricordare che stiamo parlando di famiglie stabilizzate e di giovani migranti che hanno superato diversi processi di selezione scolastica (e migratoria). I modi di comunicazione della partenza non risultano avere influito l’esito della riunione familiare. Anche questo fatto può essere dovuto al concentrarsi della ricerca sugli studenti e le studentesse con percorsi scolastici di successo: quanto emerso dalle interviste ai testimoni qualificati suggerisce che il disagio intrafamiliare in seguito a riunioni conflittuali possa aumentare il rischio di drop-out da scuola prima del termine delle superiori (o di rientro al paese). 178 Int.: Lo sapevi (sott.: che saresti partito), cioè, non è stata una cosa improvvisa… Ionel: No, no, solo il fatto che °°… speravo il più tardi possibile…(sorride) Per gli amici soprattutto…quella scuola, mi piaceva… ero molto affezionato a loro. Poi … > sapevo che avrei incontrato un mondo nuovo tra virgolette <… Quindi, a dieci anni… non me la sentivo (sorride) tanto di cominciare così… da zero. Però… poi, piano piano, mi sono… Int.: Tu sai perché? Sono venuti? Cioè perché… Ionel: Mio padre… ° è stato il primo a non poter tornare presto in Romania e quindi… anche per stare di più con noi. Perché, come ti dicevo, ci conoscevamo solo per telefono, ma… i rapporti… in un altro paese… boh, fai una vacanza più intensa possibile però… il rapporto affettivo…non è… non era un rapporto da genitore. E quindi anche per averci con sé (stud. 52: Ionel, IT β grafico, 20 M, Romania). Non vivere più separati dai figli e seguirli meglio nello studio e nell’educazione sono motivi ricorrenti della riunione per i genitori. Int.: Perché li avevate portati? Stefan: Perché li abbiamo portati tutti, tutti li portavano qua. Perché non puoi vivere qua, e lasciare i figli a vivere là con sorelle, nonne, con fratelli, no, no. Va bene, li puoi lasciare, mezz’anno, un anno, dai. E poi ti devi decidere. Come genitore, devi stare con loro. […] Per tutto. Devi dare una educazione, che un altro non sei sicuro che lo dà come un genitore. Uno quando impara da una sorella, da mia sorella, come si fanno le cose, quale comportamento non si accetta, allora uno quando gli dico “Io sono… è mio figlio”. Non… […] Una cosa giusta. Vuoi che decidi di portarli qua, oggi? Se no te ne ritorni in Romania, e fai la vita come puoi fare lì (gen. 2: Stefan, padre di Gratian [28], IT α, Romania). Koffi: [Mia madre] era già qua. Mmh… sì, per motivi che non so ancora spiegare però… lei è venuta qua, però… non so per quale altra ragione sono dovuto… cioè mi sono spostato anche io (sorride). Int.: Come non lo sai? Cioè che cosa ti hanno detto per farti venire? Koffi: Forse perché un anno sono andato più o meno, così così a scuola, e si sono messi in testa che “Qui non vuole studiare, mettiamolo di là e vediamo se…” Int.: Se riesci a studiare? Koffi: Sì (stud. 35: Koffi, IT α elettrotecnico, 20 M, Costa d'Avorio). Zuna: E anche adesso con la guerra perché anche le scuole lì ci vuole un po’ di tempo per stabilizzare le cose, allora adesso sta facendo raggiungimento per portare i due piccoli, 15 e 11 anni, e poi quando vanno bene le cose torniamo tutti insieme. Per studiare. [...] Anche l’università! Allora devi salvare… l’anno scorso 2010 che non era ancora finito lì, allora non parliamo del 2011, che deve essere un anno bianco all’università. E allora oggi a scuola, domani no, oggi a scuola, domani no, anche con tutti i proiettili che sparavano lì, a casa mia sono entrati due proiettili con i bambini piccoli. Int.: Lei era lì? Zuna: No io ero qua, un mese fa o due, un mese fa! Quando facevano i bombardamenti, un mese fa e la guerra. Per quello ho detto basta, li porto qua. Solo quella grande non so cosa devo fare perché lei è quasi alla fine e ha 22 anni e non può venire qua non può fare raggiungimento altrimenti la portava anche qua. E quando le cose vanno bene, poi torniamo tutti (gen. 7: Zuna, madre di Koffi [35], IT α, Costa d'Avorio). Non è facile indagare il punto di vista dei figli nel momento in cui si erano trasferiti in Italia, per l’età molto giovane di gran parte di loro all’emigrazione, per l’intrecciarsi nelle loro narrazioni di diversi piani, quello delle aspettative create durante la separazione e quello dell’esperienza dell’ingresso in Italia vissuta successivamente, infine per i sentimenti contradditori che nutrivano nei confronti della partenza. Io prima l’ho voluto, quando stavamo aspettando il visto piangevo perché volevo andare ma era un’emozione: paese nuova, gente nuova, lingua nuova, sai, così piangevo. Poi ci è arrivata una telefonata dicendo che era impossibile, poi dopo due ore ci hanno chiamato dicendo che 179 il visto era uscito e lì piangevo perché non volevo andare (stud. 21: Aicha, IP α aziendale, 20 F, Marocco). Da una parte volevo partire per riunirmi ai miei genitori, ma dall’altra parte no, perché scuola nuova, compagni nuovi, lingua nuova… sai (stud. 12: Alexandru, Liceo α scientifico, 21 M, Romania). Int.: Tu ti ricordi com’è stata la partenza? Forse eri piccolino… Iulian: Ero piccolo, no, non capivo niente… cioè nel senso… Int.: Non hai il ricordo dell’evento? Iulian: Ho un ricordo che siamo andati… Siamo arrivati in un posto, ma non riuscivo a concepire: > ero in Italia, ero in Romania, erano Stati differenti, c’erano 2000 chilometri di distanza < Int.: Non avevi idea? Iulian: Per me era tutto lo stesso mondo… (stud. 50: Iulian, Liceo β scientifico, 19 M, Romania). Per me era totalmente indifferente se venire, cioè per me l’Italia è un paese che sentivo vagamente, nucleo del calcio italiano, ma niente altro. E poi ero anche piccola, non avevo minimamente pensato alle difficoltà che si potessero creare, se ci sono, se non ci sono, se ci sono dei lati negativi o positivi, era qualcosa di quasi fatale, cioè dato fatalmente, non mi sono mai posta la domanda se era un bene o un male, se volevo o non volevo. Era un’esperienza nuova, che tuttavia… cioè non avevo degli elementi per poter dire: “No, non lo faccio”, ma neanche degli elementi per dire “Ah, che bello, la faccio”, era un qualcosa… cioè era quasi un cammino normale per me. Non mi sono mai posta il problema di “Oddio, devo lasciare tutto!” (stud. 16: Hind, Liceo α scientifico, 22 F, Marocco). Si può comunque affermare che per i figli ricongiunti da bambini partire è stato nella gran parte dei casi sostanzialmente un modo per riavvicinarsi ai genitori, tanto desiderato quanto sconosciuto nelle conseguenze che avrebbe avuto sulla loro quotidianità, amicale e scolastica. Ma io non è che ero molto convinto, però ero piccolo. L’unica cosa…° cioè stare insieme alla mamma…° beh quindi sono venuto per forza (stud. 54: Emil, IT β professionale grafico, 20 M, Romania). Int.: Quindi tu volevi venire? Lorian: Sì, sì, perché io sono molto legato a mia madre, dove è lei devo esserci assolutamente anch’io. […] È stata più o meno una sorpresa quando è arrivata perché mi aveva detto due o tre mesi al massimo. Subito dopo tre o quattro settimane all’incirca, è tornata: “Dai, prepara la roba, che ce ne andiamo”. Eh! Int.: Eri contento? Lorian: Sì, sì, proprio stracontento (stud. 48: Lorian, IP β sala bar, 20 M, Romania). Ho fatto la prima elementare. E poi mio papà mi ha detto che saremmo andati a trovare la mamma e io quindi ero contentissimo! Solo che… solo per questo fatto qua, non pensavo alle conseguenze, alla scuola, che sarebbe stato tutto diverso, a queste cose qua. Solo a mia madre. E quindi… ho vissuto il viaggio pensando solamente che ero contento, e basta (stud. 38: Diego, IT α elettrotecnico, 21 M, Perù). Dalila: Ero da sola, con i miei nonni, in Tunisia, e non vedevo l’ora di venire qua. Int.: Perché? Dalila: Non so, forse perché i miei erano qua e mi sentivo sola [...] ogni volta che mi chiamavano io piangevo, dicevo “Voglio venire là” (stud. 36: Dalila, Liceo α socio-psicopedagogico, 20 anni, Tunisia). Int.: Quando eri venuta qui lo sapevi? Volevi venire? 180 Costela: Eh, sì perché mi mancavano i miei genitori. E… volevo… ero anche curiosa su come sarebbe stato vivere in un altro paese. Poi non mi trovavo nemmeno a vivere con mio zio, non è come vivere con la propria famiglia, con i propri genitori, quindi volevo vivere con i miei genitori (stud. 26: Costela, IT α informatico, 20 F, Romania). Int.: E quindi siete stati due anni in cui tu eri la capofamiglia? Marina: Da soli io e mio fratello. Int.: E tu lì volevi… non volevi venire in Italia? Marina: No… cioè sì, da un punto di vista si conteneva molto di più mio fratello perché mio fratello è una peste. Poi uno che non ha… Int.: Ha due anni in meno di te? Marina: Sì. Però… io non è che posso fare sia la mamma che il papà, io sono la sorella! E mancando le figure importanti nell’età in cui è dovuto crescere… ° è stato tragico, allora per forza siamo dovuti venire su… però °. Int.: Per quello quindi eri d’accordo? Marina: Sì, all’inizio sì (stud. 47: Marina, IP β arte bianca, 20 F, Macedonia). In alcuni casi l’emigrazione è stata vista anche dai figli come spostamento verso un paese che avrebbe offerto maggiori possibilità per il proprio futuro (anche se è difficile capire se si tratta di rielaborazioni successive alla partenza). Visione poi giudicata ottimistica e ridimensionata, ad eccezione della valutazione del sistema sanitario e di istruzione, rimasta generalmente positiva. Sono venuta qua per studiare, anche per la salute. Perché qua ci sono più possibilità, per gli ospedali, non è a pagamento, invece in Marocco è tutto a pagamento, devi pagare 100 euro per visita. Poi ci si trova bene come paese (stud. 21: Aicha, IP α aziendale, 20 F, Marocco). Consuelo: Lì è tutto il corso (sott.: delle cose), che se tu sei bravo hai l’obbligo di “aiutarci” (tono ironico) a tutti per esempio, no? E allo stesso tempo, questo veramente stupido, chi studia, ce ne approfittiamo di lui. Una cosa che non erano i principi che noi volevamo insegnare ai nostri figli. Che infatti tanto lo studio che ho avuto io è con me. Lui (sott.: mio marito) lo vedrà anche, quando possa lavorare: impone (quel)lo che ha fatto lui. (Sott.: queste cose) ci hanno portato a potere fare una scelta della nostra vita e decidere cosa fare. Uno deve impegnarsi per se stesso e non perché sei stato capace di ingannare, derubare o de offrire soldi a un altro per fare una cosa (sott.: illegale). Noi non volevamo quello, quello è stato il principio che ci ha spinto a fare questa mossa grossa (sott.: e partire). [...] Int.: e anche ai ragazzi l’avevate detto così come idea, loro condividevano? Consuelo: Beh lì è stato due cose diverse, mentre Fernando era d’accordo di venire perché anche lui pativa dalla situazione come noi, Rosa era più piccola, non era tanto decisa e aveva più paura del cambiamento, ma adesso lei si è adattato perfettamente (gen. 11: Consuelo, madre di Fernando [33], IT α, Argentina). Int.: Quindi tu volevi venire? Mirko: Sì, sì, perché c’erano i miei. Poi comunque è Italia e… cioè c’è quella idea sai, che si ha, è l’America dell’Europa. Int.: Ah sì? Mirko: Eh, l’idea è quella, poi vieni qua, è ovvio che certi miglioramenti ci sono, però ° diciamo che ci sono degli aspetti anche molto negativi, perché dappertutto è così ° (stud. 49: Mirko, Liceo β scientifico, 19 M, Romania). Int.: Volevi venire? Dimitri: Sì, sì, tanto. Con la situazione che c’era lì, tutti parlavano dell’Italia “Ah, l’Italia è un paese così e così”… poi alla fine… è un paesino (stud. 19: Dimitri, IT α informatico, 21 M, Romania). 181 Per i figli di divorziati partiti da adolescenti più che scelta del paese dove vivere emigrare è stata la scelta del genitore da cui abitare. Jessica: Ogni tanto mi viene ancora (sott.: nostalgia dell’Ecuador). Però ho detto “Ma mia madre è qua da sola”, poi… si era sposata, ha divorziato… poi… (stud. 18: Jessica, Liceo α socio-psico-pedagogico, 21 F, Ecuador). Non è che sono venuta in Italia perché stavo male a Cuba, cioè io ho seguito mia mamma. Perché i miei si sono lasciati, mia mamma ha detto: “Tu sei ormai grande, se vuoi finire la scuola finiscila, poi ti porto, o vieni in vacanza” io ho detto “No! Mio padre ti ha lasciato, quando mio fratello era piccolo, allora io seguo te. Perché dovrei stare qua, quando lui non mi ha mai guardato?”. Ho seguito mamma, anche se non volevo. Cioè io avevo là tutta una vita già costruita. Qua ho iniziato da capo (stud. 10: Lorena, IP α aziendale, 22 F, Cuba). L’avversione più secca a lasciare il proprio paese di origine era stata provata dagli adolescenti che conoscevano appena, o non conoscevano ancora, o non conoscevano più, i genitori, e stavano per entrare nell’età adulta nel paese di origine. Il ricongiungimento in adolescenza è difficile. E proprio i ragazzi non hanno nessuna voglia di essere sradicati dal paese dove loro ormai sono cresciuti. Non hanno voglia di venire qui e fare questa fatica enorme di dover recuperare un padre e una madre di cui ormai non sanno più niente, che spesso trovano in nuovi matrimoni o nuove forme di convivenza, e quindi devono ricominciare da capo anche da questo punto di vista affettivo. Questo in modo particolare è vero per i ragazzi latino americani. Perché intorno ai 15-16 anni vivono con grande autonomia e sono alla fine della scuola superiore, che là è molto breve. Quando arrivano qui si trovano con dei bamboccetti infilati in delle classi di prima o seconda superiore, gli tocca rifare il percorso della scuola superiore, hanno anche una scuola che spesso è anche abbastanza debole dal punto di vista del sistema e della richiesta di conoscenze e competenze e di conseguenza si ritrovano molto male nel senso che stanno qui a soffrire, a soffrire una relazione con la madre. Questa madre che poi non sa più come cavarsela perché aveva lasciato un bambino e si ritrova a questo punto un uomo (test. qual. 1: Daniela, responsabile associativa progetto studenti stranieri nelle scuole secondarie superiori). I peruviani sono tutti con le madri, non esiste una figura paterna, oppure è in Perù lontana e estranea. Sono quasi tutti ricongiunti alle madri, dopo sei o sette anni che non le vedono, e soprattutto le ragazze la prima cosa che fanno è azzuffarsi, si picchiano con le madri (test. qual. 18: Lara, insegnante presso Liceo Alfa). Int.: E per te come è stato vedere tua madre dopo tanto tempo? Jessica: Eh, all’inizio è stato difficile. Perché non ero abituata ad avere una madre. Perché mio padre comunque mi lasciava così, cioè non è che si preoccupava come una madre, che mi chiama ogni cinque secondi “Cosa fai?” . Int.: Ah. Quindi eri molto autonoma, tu? Jessica: Sì, sì! Int.: Ti organizzavi, avevi i tuoi tempi… Jessica: Poi mio padre non mi chiamava mai… quindi… Ma non che se ne fotteva, però essendo maschio… (stud. 18: Jessica, Liceo α socio-psico-pedagogico, 21 F, Ecuador). I bambini più piccoli che non avevano sviluppato un legame affettivo con i genitori hanno affrontato le difficoltà connesse a ogni trasferimento insieme a quelle di creare un nuovo nucleo familiare con adulti fino a quel momento estranei. Int.: Ti ricordi se volevi venire? Pilar: No! È stato bruttissimo, io mi ricordo che non volevo nemmeno imbarcarmi sull’aereo, ma piangevo tanto! Ma perché era un altro mondo per me, nel senso io ero abituata a stare 182 con mia nonna, per me mia nonna era mia madre, quindi… per me era lasciare una persona cara lì… (voce rotta), poi un altro paese, tutto diverso, poi con mia mamma, che la conoscevo poco anche (voce rotta). Non è stata una cosa molto bella (stud. 39: Pilar, IP α sociale, 20 F, Perù). Int.: E ti ricordi quando era venuta tua mamma la prima volta, quando l’hai vista? Bai: Sì, era… stavo dormendo. Perché avevano detto che sarebbe arrivata in giornata, l’ho aspettata tutta la giornata e non è arrivata. Dicevano “Arriva tra poche ore” e poi mi ero pure addormentato perché intanto era diventata sera, erano le dieci e qualcosa, e è arrivata a tarda notte, se non sbaglio era mezzanotte, tra le undici e mezzanotte, mi sono svegliato e ho pianto. Non… non so perché, perché non ero neanche emozionato. Va beh un po’ sì perché mi son commosso, ma… ero un po’ sorpreso. E… sorpreso e… scioccato forse, anche perché comunque mi è apparsa davanti così, e non sapevo né cosa dire né cosa fare… non saprei descriverlo. Int.: Forse era l’emozione? Bai: Può essere ma non mi ricordo se ero emozionato, più la sorpresa che mi ha… Int.: Siete rimasti un po’ in Cina e poi siete venuti qua? Bai: Sì, siamo dovuti partire quasi subito, siamo rimasti qualche giorno giusto per conoscerci (sorride) un po’ meglio e salutare i nonni e poi siamo partiti. Abbiamo preso l’aereo e siamo venuti qua. Int.: Sapevi che saresti venuto? Bai: Non pensavo. […] Non pensavo di venire qua a vivere, infatti quando sono arrivato non mi sono trovato e volevo tornare dai nonni, anche perché mi mancavano. Io volevo tornare a casa, però non potevo. La prima settimana, il primo periodo, non mi trovavo proprio (stud. 46: Bai, IP β cucina, 21 M, Cina). Anche quando i genitori erano persone molto care, la partenza è ricordata come un passaggio faticoso. Se prima dicevo “Ma sì, vediamo” dopo ho detto “Ma forse potevo anche non vedere!” (sorridiamo) Ma perché cambiare tutto era veramente… brutto, brutto ma brutto, adesso lo dico con franchezza. Non avere né parenti, amici, né la lingua… […] E era duro da sopportare non capire niente, non capire cosa diceva la gente, se ti stava insultando, se ti stava dicendo cortesie, non sai… cioè anche andare a comprarti un biglietto, non sai, ti devi preparare le frasi ben fatte a casa, però basta che qualcosa cambia e già vai in tilt. Mi ricordo che quando (sorride) dovevo fare una commissione, qualcosa, sempre mi preparavo il mio discorso per strada, in modo da farlo… sperando che le cose vadano bene, cioè che non ci siano varianti che mi facciano… andare in tilt (stud. 16: Hind, Liceo α scientifico, 22 F, Marocco). Io chiedevo “Ma quand’è che passano ‘sti tre mesi e ritorniamo?” Perché noi avevamo i nostri amici là e tutto. Cioè eravamo piccole, là potevamo uscire, giocare, senza avere paura di uscire per strada… Qua invece quando siamo arrivate per un bel po’ di anni… cioè non ci facevano uscire a giocare, perché avevano paura. Perché qua è anche una città più grande, con tutta la gente che c’è qua (stud. 17: Georgeta, IT α meccanico, 20 F, Romania). Il nucleo familiare ha avuto un ruolo cruciale per “ammortizzare” l’impatto del trasferimento, anche perché gran parte degli intervistati ha raggiunto l’Italia prima della stabilizzazione di flussi migratori familiari dai paesi a forte pressione migratoria, avvenuta tra la fine degli anni Novanta e l’inizio degli anni Duemila, per cui i connazionali presenti nell’area di destinazione erano ancora soprattutto adulti, e le reti parentali ancora rarefatte. Hind: …né parenti, amici, né la lingua… Int.: Ah, non ne avevi? Hind: No, > son venuti dopo qua < (stud. 16: Hind, Liceo α scientifico, 22 F, Marocco). 183 Int.: E quindi quando tu eri venuto non c’erano altri bambini? Tuoi cugini o tuoi coetanei? Diego: No, ero l’unico. Mi ricordo anche che da noi… ogni domenica si andava a messa, no? E c’era una specie di chiesa che era frequentata da peruviani, cioè quelli che c’erano, pochi, però erano quelli. E io ero l’unico bambino in quel periodo, si conoscevano tutti e io ero l’unico bambino che c’era. […] Poi con il tempo sono arrivati anche altri, miei amici, ho conosciuto altri amici… col tempo. Perché noi siamo arrivati che era il ’95, ’96 (stud. 38: Diego, IT α elettrotecnico, 21 M, Perù). Quasi tutto il tempo siamo stati uniti, quando c’è stata quella fase all’inizio dove ognuno non conosce nessuno… io praticamente non parlavo italiano, niente… boh, quando sono arrivato… questa è stata una cosa… rassicurante (stud. 33: Fernando, IT α informatico, 19 M, Argentina). Non sempre tuttavia i genitori hanno potuto accompagnare i figli in queste fasi di inserimento iniziale, a causa dell’orario di lavoro lungo, difficile da ridurre proprio dopo l’arrivo dei figli, quando aumenta il bisogno di risorse familiari e il rischio di perdere il lavoro – e il permesso di soggiorno, va evitato per non compromettere l’inserimento della famiglia nel paese di destinazione. Alcuni figli di madri emigrate sole hanno dovuto contare nelle prime fasi di inserimento sul sostegno del compagno della madre, sostegno non richiesto e talvolta sentito come intrusione e fonte di ulteriore spiazzamento e senso di inadeguatezza. Era febbraio, un sabato, quando sono arrivata. E di domenica il giorno dopo c’era il Carnevale. E mia mamma doveva andare a lavorare, perché aveva il turno. Lì lavorava già per la cooperativa in un altro posto. Allora c’era il suo compagno, e mi ha portato lui. E anche lì è stato un po’… perché non lo conoscevo io il suo compagno! E allora anche lì è stato un po’… non è stata una bella cosa (stud. 39: Pilar, IP α sociale, 20 F, Perù). Lorian: Poi arrivare qua… sono rimasto proprio senza fiato. Int.: Perché? Lorian: Eh, perché… tutto diverso rispetto alla Romania. Ma anche per la gente, tipo mi ricordo il primo giorno che sono arrivato, sono arrivato in una famiglia, perché mia madre lavorava, faceva la badante per una signora, e era riuscita comunque anche a integrarsi con questa nuova famiglia. Solo che non c’era tutta sta cosa, a lei non piaceva più di tanto, aveva la testa solo sul lavoro, solo sulla povera vecchietta che doveva seguire. Fatto sta che conosce poi il figlio di questa famiglia, e da lì… da lì… (0.03) è partito tutto. Quindi… sono successe… da quel momento, che mia mamma mi ha detto pure… me l’aveva detto prima per telefono “Guarda, adesso sto con un ragazzo, magari quando arrivi lo chiami pure papà” e io ci sono rimasto un po’… come dire, un po’ male, perché vedere una figura paterna, non l’avevo mai vista e non ci ero abituato. Poi una persona che non conoscevo nemmeno. Quando sono arrivato mi ricordo il primo giorno, tutti che mi chiedevano in italiano: “Cosa vuoi? Vuoi questo, vuoi una pizza, vuoi un gelato?” e io non capendo niente… guardavo mia mamma “Dimmi qualcosa” e alla fine cosa ho detto? “Voglio il the” perché mi sembrava la parola più facile da dire (stud. 48: Lorian, IP β sala bar, 20 M, Romania). Per alcuni studenti il tentativo di inserirsi in Italia è avvenuto in due fasi, a causa del grave malessere provato nel primo periodo in Italia, con un rientro al paese (e conseguente ulteriore ritardo scolastico). Gloria: In prima elementare sono arrivata, non riuscivo ad adattarmi, piangevo perché era difficile, così mia madre ha deciso che non voleva più vedermi così, così siamo tornate indietro. E poi in terza quando sono arrivata, siamo arrivate e ci siamo fermate del tutto. 184 Int.: Eri già cresciuta e quindi… Gloria: No, in realtà è stato comunque difficile, è stato un periodo orribile, che poi… però con il tempo è passato (stud. 31: Gloria, IT α liceo tecnologico, 20 F, Romania). Rustam: Io ho fatto la seconda media ma non mi era piaciuto quindi l’anno dopo sono tornato là. Invece mio fratello è rimasto. Poi quando sono tornato ho fatto la terza. (0.02) Int.: Ma sei stato qualche mese o tutto un anno? Rustam: No, ° sono stato tutto un anno °. Int.: ° Ah, quindi di qua hai perso un anno °. Rustam: ° Sì. Infatti poi ci ho pensato, adesso avrei già finito se non fossi andato ° […]. Int.: E poi perché sei tornato? Rustam: Eh perché ci ho ripensato (ride), ho detto “Eh, se rimango là, non è che avrò un grande futuro” (ride). Int.: Pensavi anche al lavoro? Rustam: Sì. […] Gli sbagli si pagano (stud. 45: Rustam, IP β cucina, 20 M, Moldavia). Nonostante l’opposizione iniziale, tuttavia, gli studenti intervistati hanno risignificato la partenza come una fase cruciale della loro crescita e apprendimento. In un caso, inoltre, riavvicinarsi ai genitori è raccontato come un modo salvifico di evitare carriere devianti. Eduard: ° Stavo prendendo delle strade sbagliate lì senza i genitori °. Int.: Perché? Eduard: Eh, perché con i ragazzi più grandi, ti influenzano… da piccolo… stavo prendendo quelle strade lì. ° Non riuscivano a controllarmi bene °. Quindi è stato giusto che io sia venuto qui. Sono cambiato moltissimo. […] Nel senso che in Romania stavo facendo delle cose brutte come (0.02) nel senso magari… ° rubare ° o… poi non ne avevo bisogno, eh? Lo facevo solo con i ragazzi più grandi, per fare vedere che ero qualcuno, per non farmi escludere dal gruppo. […] Andavamo in giro di notte… veramente ero un ragazzino, non è che era tanto normale. E poi… Int.: E a scuola come andavi? Eduard: Eh a scuola non andavo… cioè finche c’erano i miei genitori molto bene. La sufficienza anche piena ce l’avevo. Poi dopo che sono venuti qui… non è che avevo voti brutti, è che non avevo proprio i voti, non andando. […] I miei amici che mi venivano a prendere… nessuno che mi controllava, sì, i nonni, ma non avevano quel… cioè non avevano quel potere di tenermi a bada… è facile raccontare cavolate e poi fare altre cavolate. E poi sono venuto qua e ho fatto tutto, ho messo la testa a posto, sono cambiato da così a così, cioè… anche grazie ai miei genitori che mi sono stati dietro e… ° mi hanno diciamo salvato, portandomi via ° […]. Appena arrivato io ero molto scontento, perché la vita qua, per i giovani intendo… a parte che là mi sentivo tra i grandi, perché mi sentivo protetto, mi sentivo qualcuno. Perché nessuno mi poteva dire niente, cioè altri gruppi, perché avevo il mio gruppo. Qua invece è tutta un’altra… un altro… cioè lì ° si sta per strada, fino a tardi, vedi i ragazzi per strada ° […] E ero molto triste, pensavo che era un male essere venuto. Però poi pensandoci, con la testa che ho adesso, posso dire che… ° è stata forse la migliore cosa che mi sia mai capitata °. Io dico sempre che in Romania, o mia mamma mi trovava in carcere da qualche parte o non mi trovava proprio. Int.: Era una vita proprio pericolosa quella che facevi… Eduard: Sì, sì, sì. Con persone malfamate… Int.: Anche con ° droga ° e queste cose…? Eduard: Sì, sì, anche quello. ° Trovavi gente in carcere, gente che si droga e… ° Cioè quando penso a queste cose io sono fiero di come sono adesso. Quindi sono… cioè ripensandoci adesso è proprio una buona cosa essere venuto qua. Però prima no, non capivo niente (stud. 43: Eduard, IP β sala bar, 20 M, Romania). Quando possibile il periodo di arrivo è stato pensato per favorire l’inserimento scolastico dei figli, dato che come abbiamo visto garantire loro la migliore istruzione possibile è una delle ragioni della loro riunione. 185 Sono venuta a luglio, così avrei avuto anche del tempo per imparare la lingua (stud. 26: Costela, IT α informatico, 20 F, Romania). Capivo che dovevo finire le elementari lì, perché non aveva senso cambiare da una scuola all’altra senza finire, e infatti sono venuto qua e sono partito con le medie quindi un altro ciclo, perché comunque anche lì avrei dovuto cambiare scuola (stud. 49: Mirko, Liceo β scientifico, 19 M, Romania). Posticipare il ricongiungimento talvolta è dovuto alla decisione dei genitori di far socializzare i figli alla lingua e alla cultura dell’area di origine, in base alle idee sulla genitorialità, culturalmente oltre che socialmente forgiate, e sull’appropriatezza degli stimoli (dis)educativi dell’area di residenza dei figli minori104. Int.: Ti ricordi se te l’avevano già detto che saresti venuta? Malika: Mmh un anno prima! Sì, sì. [...] Perché quando mio padre aveva… aveva già la casa e tutto quanto... ° cioè lui voleva farlo anche prima perché aveva tutto… a posto, è solo che mia madre gli fa “No, aspetti un po’, non li portiamo così piccoli che dimenticano anche le cose di qua, meglio che li portiamo un pochettino grandi”. E infatti hanno fatto bene! (sorride) (stud. 29: Malika, IP α sociale, 22 F, Marocco). I tempi di riunione desiderati dai genitori possono subire tuttavia variazioni impreviste, per ragioni normative (diritto di famiglia, politiche migratorie)105, amministrative (tempi di attesa per l’emanazione di visti, quote, certificati) o economiche (mancato possesso dei requisiti per le riunioni familiari, o preferenza in fasi di incertezza occupazionale per il risparmio e l’invio più copioso di rimesse ai figli lasciati con i parenti al paese). Int.: Sta pensando di venire sua figlia, è d’accordo? Zuna: Sì, sì, sì, ha già il passaporto all’ambasciata, non è stato quello un problema, ma di guerra, perché avevano bloccata, non la lasciavano partire, ma adesso la gente lavora. Hanno sbloccato. Vediamo, fino al mese prossimo penso che loro possono arrivare (gen. 7: Zuna, madre di Koffi [35], IT α, Costa d'Avorio). Prima non riusciva (sott.: a farci riunire) perché ci volevano dei documenti, mio padre doveva firmare, lui non voleva. Ma alla fine è entrata una legge che se mia mamma, noi eravamo nella custodia di mia mamma, allora ci ha potute prendere, e siamo venute qua. Però prima non ci poteva prendere perché ci serviva la casa. Qua. Per motivi di denaro e tutto, non l’aveva (stud. 44: Sabina, IP β sala bar, 20 M, Romania). Abbiamo iniziato a preparare i documenti ° nel ‘98 solo che ° la burocrazia… è tutto un processo lunghissimo… tipo vado a Bucarest… girano, ti mancano delle cose, vai fino a Paschai che sono 500 chilometri… Quindi un tragitto lunghissimo per un solo documento, eccetera… e nel 2001 siamo riusciti a arrivare. Però va bene (stud. 52: Ionel, IT β grafico, 20 M, Romania). In effetti, non esiste un diritto della famiglia a emigrare, e anche dopo la direttiva europea del 2003 sulle riunioni familiari, l’immigrazione familiare in Europa è ritenuta 104 Nel caso dei genitori senegalesi, ad esempio, il contesto del paese di origine appare più educativo che quello italiano, oltre che garantire la teranga, una solidarietà innanzitutto familiare, ma non solo, che si può attivare anche nel caso di migrazioni di ritorno, o verso altri paesi (Gasparetti e Hannaford, 2009). 105 I ritardi delle riunioni non avvengono solo in Italia. Alcuni risultati di ricerca sull’impatto della legislazione migratoria statunitense nel prolungare la separazione delle famiglie guatemalteche e salvadoregne si legge in Menjìvar e Abrego (2009). 186 “indesiderata”106 per cui gran parte degli Stati membri hanno reso più severi i criteri di ammissibilità (cfr. Oecd, 2012), trasformando quelle che nella proposta più liberale della direttiva erano misure di integrazione in requisiti per l’integrazione107 (Boswell e Geddes, 2011). I requisiti per la riunione di cittadini stranieri, insieme alla collocazione non favorevole nel mercato del lavoro italiano dei migranti, normalmente rendono difficile l’arrivo simultaneo di tutti i familiari lasciati al paese. L’ordine di ricongiungimento del coniuge, se presente, e dei figli, dunque, è un altro aspetto che condiziona il ritardo delle riunificazioni e conseguentemente anche degli inserimenti scolastici, dato che raramente le riunioni sono simultanee108. Ha portato mio fratello da subito, cioè fin da piccolo, ma poi comunque si basava anche sul reddito mi pare, non poteva portare troppi figli, e quindi ha portato mia madre, mio fratello, perché era anche maschio, più piccolo, quindi ha portato lui qua. Poi è cambiata anche la situazione al lavoro quindi poi non poteva più… diciamo che venivo comunque durante l’estate, cioè mi trascurav… cioè passavo molto tempo con loro. Però poi… mi ha portato qua definitivamente. Avevo poi la residenza qua (stud. 36: Dalila, Liceo α socio-psicopedagogico, 20 anni, Tunisia). Nel caso di più figli, il loro avvicinamento non segue tanto ragioni scolastiche, ma affettive (riunire i bambini più piccoli per primi, dato che avrebbero sofferto maggiormente il distacco dai genitori, o quelli meno avversi alla partenza) e normative (riunire i figli più grandi in modo da portarli tutti prima del compimento del diciottesimo anno). 106 Gli studiosi hanno evidenziato “pro” e “contro” dell’emigrazione familiare, e del mantenimento dei legami transnazionali, per i paesi di origine e destinazione, dal punto di vista economico (ad esempio ingresso di persone non collocabili per età o non richieste nel mercato del lavoro ricevente e aumento della disoccupazione o della concentrazione in nicchie occupazionali, soprattutto nel settore della cura), politico (difficoltà di legittimarne il controllo per l’inapplicabilità di criteri di gestione economici, aumento delle richieste ai sistemi di welfare, in particolare educativo, sanitario, dell’housing sociale, in competizione con i nativi meno avvantaggiati), demografico (ringiovanimento della popolazione nel paese di destinazione e diminuzione della pressione demografica che i giovani esercitano sul mercato occupazionale dei paesi a forte emigrazione), culturale (favorire il multiculturalismo nel paese di destinazione da un lato, ma anche il peggioramento dei sistemi di istruzione e sanità pubblici in favore di quelli privati nel paese di origine), della stratificazione sociale (ingrandimento delle fasce deboli della popolazione nel caso di flussi da paesi a forte pressione migratoria, enfasi dell’emigrazione come metodo di mobilità sociale a discapito dell’investimento e l’impegno nel paese di origine) (cfr. Boswell e Geddes, 2011; Baggio, 2012; Zanfrini, 2012). 107 La politicizzazione del dibattito ha riguardato concetti di famiglia diversi da quelli europei – o eurocentrici, sia per quanto riguarda l’estensione della famiglia sia per quanto riguarda le relazioni tra i componenti, in particolare di genere, ma anche escamotage per violare la normativa sugli ingressi per lavoro attraverso finti matrimoni, ad esempio. In questo modo, nonostante la convergenza su alcuni aspetti, la discrezionalità dei singoli stati è mantenuta per definire l’unità familiare, imporre restrizioni in base all’età, periodi di attesa prima della riuione, specificazioni delle misure di integrazione (Boswell e Geddes, 2011). 108 Ad eccezione degli estremi più avvantaggiati – migranti benestanti – o svantaggiati – richiedenti asilo – della stratificazione migratoria, come ricorda Ambrosini (2010). A questi casi vanno aggiunti quelli in cui l’acquisizione della cittadinanza italiana avviene prima della partenza dall’estero, nel caso di migranti con antenati italiani in Sud America. 187 Prima sono venuti i miei fratelli, e poi io e mio padre insieme. […] Perché poi il ricongiungimento ha l’età limite credo fino ai 18 puoi e poi non puoi più, e quindi hanno preso prima loro, e poi io, visto che sono più piccola (stud. 30: Trisha, IP α sociale, 22 F, Filippine). Si determinano in questo modo differenze tra familiari per l’età di arrivo in Italia, con conseguenze sugli atteggiamenti e le risorse, innanzitutto linguistiche, nei confronti del progetto migratorio familiare, di cui il percorso di istruzione dei più giovani fa parte. I nati in Italia, poi, non hanno esperienza migratoria diretta e non hanno mai vissuto nel paese di origine dei genitori (e dei fratelli maggiori, se presenti). Le famiglie migranti sono quindi per la maggior parte non solo mixed dal punto di vista dello status giuridico, ma anche dal punto di vista della storia migratoria dei singoli membri, anche all’interno della stessa generazione, genitori o figli. Int.: Siete venuti tutti insieme? Andrés: No, sono venuto prima io, > mio fratello e mia mamma <, poi mio papà è venuto successivamente. Int.: Ah sì? E invece l’altro fratello no… Andrés: L’altro fratello no, ha quattro anni. È nato nel 2006 (stud. 23: Andrés, IT α liceo tecnologico, 18 M, Colombia). Int.: Tuo fratello è nato dopo? Hind: Sì, è nato qua. E… mentre tutte le sorelle, cioè io e le mie sorelle siamo nate in Marocco. È mio padre ad essere venuto qua per primo, essendo stato 18 qua, e poi abbiamo fatto il ricongiungimento e siamo venute tutte qua, mamma e tre figlie (stud. 16: Hind, Liceo α scientifico, 22 F, Marocco). Elisabeta: Mio fratello era alle elementari. È arrivato nel 2003, un anno prima. […] E quindi andava alla scuola elementare, poi andava ai giardini, giocava con gli altri bambini i quali erano sia rumeni sia italiani […], quando vieni da un livello un po’ in basso, impari più in fretta le cose. Int.: Cioè dici se arrivi da più piccolo? Elisabeta: Sì. Apprendi delle cose nuove. Int.: Ah. Quindi lui ha avuto meno difficoltà di te perché è venuto da più piccolo? Elisabeta: Sì, sì! (stud. 2: Elisabeta, IP α sociale, 20 F, Romania). Nel caso di coppie miste formate dopo l’emigrazione, i nati in Italia da padre italiano e madre migrante, fratelli minori delle intervistate, hanno anche uno status giuridico diverso dalle sorelle maggiori. Allora (sott.: mia madre) è venuta con mia sorellina. Io ero con mia nonna e non sapevo niente di quello che succedeva qua, poi si son sposati, poi cinque anni fa è nato il mio fratellino, il bastardino è nato (sorridendo) (stud. 55: Rocio, IT β grafico, 21 F, Ecuador). Anche se, a differenza che nel contesto statunitense (Fix e Zimmermann, 1999), tutti i componenti delle famiglie migranti in Italia godono di alcuni diritti sociali, ad esempio quello alle cure mediche di emergenza, per i giovani migranti avere o meno attraversato periodi di irregolarità ha determinato minori o maggiori precarietà nelle condizioni di vita 188 rispetto ai fratelli o sorelle sempre regolari. E avere o no la cittadinanza italiana potrà fare la differenza nella scelta dei percorsi post-diploma, come vedremo nel capitolo 7. L’arrivo non simultaneo dei componenti del nucleo determina dunque asimmetrie intrafamiliari. Queste talvolta sono giocate in positivo, come risorsa aggiuntiva, per quanto riguarda la trasmissione della lingua madre dei genitori anche ai fratelli minori nati in Italia. Diego: Son nati qua (sott.: i miei fratelli) e ogni volta che parliamo, io penso che sia meglio che loro sappiano due lingue, l’italiano e lo spagnolo. E quindi anche se mia sorella dice sempre che è italiana e è nata qua, le parlo sempre in spagnolo… le dico che è meglio che lei parli anche spagnolo, perché è bello avere due culture, non solo una. Ma… io le dico “Quieres hablar en español?” e lei mi risponde in italiano. E quindi… è così, solo che lei lo capisce, è che non lo parla, è così. Int.: Con i tuoi riuscite a parlare un po’ di spagnolo? Diego: Con i miei parliamo sempre in spagnolo. Però con i bambini… un po’ in italiano e un po’ in spagnolo. Così, per non dimenticarlo (stud. 38: Diego, IT α elettrotecnico, 21 M, Perù). Altre asimmetrie all’interno del nucleo familiare si creano nel caso di nuove unioni tra il genitore e la compagna/o conosciuta in Italia. Int.: Non parli con il fidanzato di tua mamma delle tue decisioni? Carolina: Ma non è che ci vediamo tanto perché mia mamma l’ha capito che a me non va molto a genio, poi lui lavora anche fuori Torino, magari ci vediamo una volta al mese, o per fare una grigliata d’estate, ma non è che… lo vedo pochissimo. Int.: Non è un punto di riferimento per te. Carolina: No, no! (stud. 3: Carolina, IP α sociale, 19 F, Romania). Jessica: In realtà… (sorride) secondo lui sono stata io la causa del divorzio. Int.: Ma dai. Jessica: Sì. “Da quando sei arrivata, tua madre ha cambiato”… di qua e di là. Poi si lamentava sempre. Int.: Perché c’eri tu? Jessica: Sì, sì, sì. Si vede che non mi sopportava. Int.: Ma loro avevano altri figli? Jessica: No, no, no, solo loro due. Perché dava molta importanza ai soldi. Poi io metto questo, tu metti quello, questo è per tua figlia. [...] Int.: E come era cambiata, non lo sai? Jessica: Non è che era cambiata, ma lui era molto chiuso in lui. Tipo gli dicevamo “Usciamo a fare un giro?” lui diceva “Voi prendete il pullman e andate pure, io vado a vedermi la partita”. Allora a mia madre non le andava di stare sempre lì a chiedere e allora usciva con me, facevamo le cose noi due. Int.: Mmh. Jessica: E secondo lui questo era il cambiamento. Poi alla fine il problema erano anche i soldi. Perché lui pagava solo per lui, e mia madre pagava per lei e per me. Però all’inizio non era così. Perché lui era d’accordo che io venissi in Italia… Int.: Ah, infatti ti volevo chiedere questo. Non era una cosa… se ci avete pensato un anno non era una cosa improvvisata. Jessica: No, loro ci avevano pensato tanto anche prima. Per cui lui era d’accordo che io venissi. Poi da quando sono arrivata mi diceva: “Tu quando fai 18 anni te ne vai via, vero?” (sorride). Eh va beh. Int.: E’ stato un po’ così. Jessica: Lascia stare… (stud. 18: Jessica, Liceo α socio-psico-pedagogico, 21 F, Ecuador). 189 Segnali di non accettazione e conflitto traspaiono dalle scelte discorsive degli intervistati, volte a occultare queste figure, malgrado la coabitazione. Int.: Adesso siete solo tu e tua mamma oppure… Suzana: Sì, sì, sì. Int.: Vive con qualcuno, un compagno? Suzana: C’è il suo marito, perché comunque lei è sposata. Int.: E lui cosa fa? Suzana: Lui è in pensione adesso. Int.: Non sai cosa aveva fatto prima? Suzana: Ha lavorato nei telefoni credo. Int.: L’aveva conosciuto già in Romania? Suzana: No, l’ha conosciuto qua mia madre, e io l’ho conosciuto dopo, quando sono arrivata. ° Comunque va bene °. Int.: Ma non è una persona… per esempio adesso volevo chiederti con chi ti sei confrontata per decidere cosa fare dopo (stud. 40: Suzana, IP α sociale, 19 F, Romania). In altri casi gli intervistati esplicitano il senso di estraneità che provano e che li mette a disagio. Lorian: E poi ha comunque (sott.: mia madre) trovato un altro compagno… boh, un po’ mi sta sul culo perché comunque non è quello… non gli ho mai chiesto niente della serie sii più gentile con me, per carità è una brava persona, però ci sono delle volte che guardi delle persone che magari ° il padre ce l’hanno, e vedi magari… i compagni, ad esempio io ho fatto calcio, ho fatto basket, no? E… vedere i padri che magari il figlio ha segnato e il padre “Eh! Mio figlio!” e tutto. Io quando tipo giocavo a calcio o basket, segnavo quel goal o quel canestro, mi giravo: soltanto i compagni di squadra. Sì, sì, caricone “Hai vinto! Abbiamo vinto noi la scommessa” e tutto. Int.: Quindi non chiedi a quest’uomo di farti da padre. Lorian: Cioè… sto bene così, se lui non mi caga, io non lo cago. Perché al momento è una situazione del genere. Quando lui arriva a casa io… cioè quando io arrivo a casa mia “Ciao” “Ciao” “Come va?” “Bene”. Vado nella mia stanza per i fatti miei. Se lui… non mi chiede neanche come sto, devo essere sempre io quello scemo che gli chiede come sta. Però almeno io l’educazione ce l’ho. Alcune persone hanno il buon senso di chiedere come sta anche l’altra persona. Come è andata a scuola… io faccio… Se… gliel’avrei detto a voce alta, urlato “OH, SE DEVI VIVERE CON NOI, METTICI ANCHE TU IL TUO BUON SENSO di fare qualcuno, non essere solo come dire uno sconosciuto in casa. Fatti riconoscere” (stud. 48: Lorian, IP β sala bar, 20 M, Romania). Le ristrutturazioni familiari e le nuove unioni dopo la separazione dei genitori naturalmente non riguardano solo i migranti: alcuni elementi di conflittualità familiare, negazione e non accettazione accomunano gli adolescenti con background di immigrazione ai coetanei nativi109. L’interconnessione fra le traiettorie migratoria e familiare tuttavia comporta alcune specificità. Innanzitutto gli squilibri emotivi e 109 Va sottolineato che mentre gli effetti delle separazioni (e delle nuove unioni) sullo sviluppo cognitivo e le performance dei figli nel corso del tempo sono controversi anche senza considerare la variabile provenienza geografica (una breve rassegna attenta a dati e metodi si trova ad esempio in Kim, 2011), c’è più accordo tra le studiose di migrazioni familiari e femminili nel segnalare che l’imputazione della propensione alla devianza dei giovani migranti alla struttura della convivenza familiare, monogenitoriale, specie con madri sole, e in generale il discredito di forme familiari semplicemente diverse da quella culturalmente definite “normali” dal paese ricevente flussi migratori (Ho, 1999; Kofman, 1999) possono indicare il rifugio in spiegazioni semplificatorie e etnocentriche, in mancanza di documentazione empirica esaustiva e attendibile e in presenza di evidenti difficoltà metodologiche a causa dell’interferenza di molteplici fattori che andrebbero isolati in ottica longitudinale e comparativa. 190 relazionali dovuti al trasferimento, e lo sforzo conseguente di riprogettare la propria quotidianità nel nuovo contesto di residenza, si aggiungono a quelli di comprensione e creazione dei nuovi legami familiari, per cui la convivenza familiare in ri-definizione fatica a fornire il supporto, anche in termini di auto collocazione in una sfera intima protetta e rassicurante, su cui invece hanno potuto contare i minori intervistati emigrati in simultanea, oppure riuniti a persone conosciute e care dopo brevi separazioni. D’altra parte dopo il periodo di conoscenza iniziale, le nuove unioni più durature risultano una fonte di sostegno e per alcuni anche di sostituzione della famiglia “mancante” a causa dell’emigrazione con nonni, cugini, zii acquisiti in Italia. Lorian: Il padre di lui (sott.: del compagno di mia madre), quindi come dire tra virgolette mio nonno, mi ha aiutato tantissimo! Cioè tempo tre mesi riuscivo comunque a dialogare con una persona italiana, anche sconosciuta. E mi ha aiutato moltissimo, sì, dai numeri, alle lettere, alle frasi. Int.: Era un maestro? Lorian: No, no, era pure in pensione, una persona che anche non avendo niente da fare, comunque ha dedicato quasi tutto il tempo… a me. Quindi… ha avuto un buon approccio (stud. 48: Lorian, IP β sala bar, 20 M, Romania). Dietro l’angolo c’è la nonna e suo fratello (sott.: del marito di mia madre), invece la bisnonna è dall’altra parte di Torino e ci sentiamo tutte le sere, e la andiamo a trovare il fine settimana, loro (sott.: mia madre e il marito) vanno perché io devo studiare, viene a trovarmi la bisnonna, oppure vado io a trovarla, e poi […] la bisnonna è sempre in giro, le telefono prima di andare oppure a volte vado e non la trovo, perché tutti i giorni è fuori, quasi come gli agenti segreti sai? (ride) Va, esce, il lunedì esce con le sue amiche, prende il pullman, fa i suoi giretti sai, e la sera è l’unico momento della giornata che riusciamo a trovarla [racconto delle attività della bisnonna e con la bisnonna, con molto affetto e dovizia di dettagli] invece la sua figlia, nostra nonna, lei non va a trovarla (stud. 55: Rocio, IT β grafico, 21 F, Ecuador). In questi casi per i migranti la parentela acquisita italiana ha favorito il primo inserimento in Italia e migliorato il benessere e la coesione familiare. Quando le nuove unioni si rompono, invece, gli squilibri di reddito, e in generale le oscillazioni relative alla situazione economica del nucleo familiare che seguono ogni separazione, possono avere esiti più profondi per i genitori migranti divenuti single e i loro figli, dal momento che si tratta di nuclei che rispetto a quelli nativi da un lato dispongono mediamente di minori entrate finanziarie e risparmi, dall’altro possono contare meno sul sostegno economico (e affettivo) della rete parentale o amicale di supporto, perché rarefatta dall’immigrazione, costituita da emigranti, vicini ma generalmente collocati in basso nella stratificazione sociale del paese di destinazione, oppure da persone geograficamente lontane, rimaste nei paesi d’origine. L’instabilità delle nuove unioni può quindi provocare effetti spiazzanti, specie nei casi in cui il progetto di stabilizzarsi nel paese di destinazione del genitore aveva anche ragioni 191 affettive, come nel caso delle madri nel campione trasferite definitivamente in Italia per avvicinarsi al marito o compagno. L’assenza di una rete familiare di riferimento, forse perché a prevalenza femminile, sembra particolarmente evidente nel caso dei padri migranti single, anche se più rari nel campione come nella popolazione. Oltre che le dinamiche intra-familiari, per capire come il percorso di riunione familiare influenza la progettualità nel paese di destinazione occorre analizzare le conseguenze dello spostamento sulla percezione della propria posizione sociale da parte dei membri della convivenza familiare. L’impatto con il nuovo contesto è stato sentito come omologazione verso il basso dagli studenti provenienti da origini sociali medio-alte nella stratificazione del paese di origine. Flor: Ricordo che mio padre è partito il giorno del mio compleanno, però in quel momento ero contenta, perché dicevo “Italia… wow! Europa!”, in Perù è sempre così. E… poi quando sono venuta ero sempre contenta, però appena sono arrivata non mi è piaciuto molto, perché la casa dove eravamo era molto… non so, era molto brutta. Non mi è piaciuta per niente. Perché noi comunque in Perù stavamo bene, non è che siamo venuti perché avevamo problemi economici (voce rotta). È stata come un’avventura diciamo. Mio padre è partito senza sapere tanto quali sarebbero state le conseguenze, e… però non è che… cioè abbiamo pensato che sarebbe stato magari troppo facile venire qua e trovare tutte le cose pronte, invece non è così. E quindi è stato un po’ difficile all’inizio, sì. Ad esempio mia mamma voleva tornare. Perché comunque noi abbiamo preso un biglietto di andata e ritorno se non ricordo male. Però il ritorno non sarebbe contato e… perché noi dovevamo stare per sempre (voce rotta). Solo che mia mamma aveva ancora questi dubbi, perché non le piaceva. Int.: Non avete mai usato il biglietto per il ritorno. Flor: No, no (ride). Però qualche volta lo pensavamo. Int.: Avevate sempre il biglietto lì… Flor: Sì, sì (ride). (stud. 6: Flor, Liceo α scientifico, 18 F, Perù). Int.: Era come te l’aspettavi (sott.: l’Italia)? Koffi: Effettivamente non avevi grandi pretese. Sapevo che sarebbe stata una novità, nel senso di dire… la lingua, la scuola… ogni mattina c’era mio padre che ci accompagnava e poi andava al lavoro. Qui che cosa succede? Che tu ti devi alzare, prendere il pullman, per andare a scuola. Quindi già qui c’è una grande differenza. Quindi… sapevo che… comunque è una esperienza che ti fa crescere. Qualcosa di diverso. Int.: Ti senti cresciuto? Koffi: Mah! Abbastanza! (sorride) (stud. 35: Koffi, IT α elettrotecnico, 20 M, Costa d'Avorio). I brani sopra citati mostrano che alcuni elementi dello stile di vita dati per scontati al paese, dipendente dalla diversa situazione socio-economica familiare, come il tipo di abitazione e l’uso dell’auto privata invece del trasporto pubblico, vengono improvvisamente meno con l’inserimento in Italia. Questo processo di “caduta” è accompagnato dalla latente stereotipia che associa i migranti all’immagine di “poveri”, e porta al desiderio di rientrare al paese, dove essi detenevano una posizione più avvantaggiata nella stratificazione sociale. Anche se gli intervistati descrivono questi momenti delicati come fasi di crescita, emerge la propria auto definizione dello squilibrio di status subito a causa del trasferimento. La dequalificazione professionale dei genitori è 192 restituita con imbarazzo (cfr. Kasinitz et al., 2008) e tensione dai figli: nelle interviste mettono in risalto più i tentativi di mantenimento della posizione occupazionale, le relative difficoltà incontrate e i lavori che i genitori avrebbero potuto svolgere in base alle credenziali conseguite al paese, piuttosto che le caratteristiche del lavoro effettivamente svolto dai genitori in Italia. Fernando: Mia madre faceva la fisioterapista, e continua a farlo qua. Int.: Ah, è riuscita… Fernando: Sì, sì, siamo venuti muovendoci perché lei aveva già fatto un contratto dall’Argentina, se no… i miei non avrebbero mai rischiato di venire qua senza lavoro, senza contratto eccetera. Invece… per mio papà è stato un po’ più difficile, doveva rifare il titolo, non c’era corrispondenza, e quindi… boh, prima faceva il professore di matematica, chimica e fisica… e adesso… Int.: In una scuola media? Fernando: Sì, sì, in una scuola media, che qua sarebbe un liceo, e adesso lavora °° all’[incomprensibile] °°. Int.: Dove? Fernando: All’Arcobaleno, per la raccolta differenziata. Almeno (voce che trema) ha trovato una sistemazione lì, per un po’ di tempo. Int.: Sì, sì, sì. Fernando: Poi… vedrà, comunque lui vuole fare la validazione del titolo… Int.: Quindi si sta informando per la traduzione? Fernando: Sì, va beh dovrà imparare l’italiano a fondo per insegnare, però (voce che trema) nel frattempo aveva già indagato a fondo su delle scuole o anche… lui aveva anche insegnato nel carcere, dato che qua ci sono le carceri piene di peruviani o… poteva… insegnare lì (stud. 33: Fernando, IT α informatico, 19 M, Argentina). Anche per gli studenti che partivano da origini sociali più modeste, spostarsi ha implicato il passaggio dallo status di “figlio di emigrante” a quello di “figlio di immigrato”. Mentre le rimesse permettevano loro il mantenimento di uno stile di vita elevato al paese, con istruzione e cure mediche a pagamento e beni di lusso, la necessità di contenere le spese delle famiglie migranti in Italia impedisce di adottare i modelli di consumo dei coetanei nativi (cfr. Leonini, 2010). Inoltre la definizione sociale dell’emigrante come genitore di successo conferiva rispettabilità e generava ammirazione, se non invidia, ai suoi figli rimasti nel paese di origine, mentre in Italia l’immagine sociale dello straniero è percepita come svilente, e i ragazzi avvertono ostilità, rifiuto e declassamento, da cui, non conoscendo la lingua della maggioranza, sentono di non potersi difendere. Le narrazioni del primo inserimento in Italia degli studenti riflettono tutte le difficoltà linguistiche, logistiche, socio-economiche e relazionali affrontate dai giovani migranti. Eh… i ragazzi… intanto sono degli adolescenti come gli altri e quindi passano… periodi… più o meno lunghi di difficoltà legati all’adolescenza, all’adolescenza in una terra straniera.Un’adolescenza… con la presenza dei genitori che hanno vissuto la loro adolescenza in un altro paese e che quindi difficilmente condividono, capiscono, colgono, accolgono di buon favore il modo di comportarsi degli adolescenti italiani a cui i loro figli rischiamo di assomigliare sempre di più. […] Soprattutto le madri sole [hanno] difficoltà con questi figli adolescenti che arrivano essendo stati veramente autonomi e adulti spesso, no? In Latino America prima di arrivare qua. E ritornare ad avere il ruolo di bambino piccolo, dotato di una 193 mamma e inserito in una classe di ragazzini che quindi avendo fatto una vita molto soft spesso sono veramente piccoli nei loro confronti (test. qual. 1: Daniela). La fase più conflittuale dell’adolescenza e dell’arrivo, segnalata da Daniela come critica in particolare durante la scuola secondaria superiore, è tuttavia ritenuta in parte superata. Elisabeta: All’inizio piangevo, perché ho detto […] “No, io per ottobre me ne vado al mio paese, non voglio rimanere qua” […] , perché come faccio a andare avanti se non capisco la lingua? Preferisco avere qualcuno che mi parla, cioè vado a un colloquio, vado a un negozio, vado al mercato, cioè non capisco… le persone. […] Ma non mi è mai dispiaciuto. Perché non è una cosa da pentirsi. Int.: Sei comunque soddisfatta? Elisabeta: Sì, sì. Perché ho conosciuto delle persone nuove, che mi hanno consigliato delle scuole… come andare avanti (stud. 2: Elisabeta, IP α sociale, 20 F, Romania). Tania: Eh… e poi… sono venuta qua in Italia… e è cambiato tutto. Int.: Che cosa? Tania: Cioè nel senso proprio… in Romania ero magrissima. Eppure mangiavo. E poi sono venuta qua e ho cominciato a ingrassare. […] Perché uscivi davanti al palazzo e giocavi con i vicini. Qua era caldo poi non conoscevo nessuno, poi piano piano ho conosciuto delle ragazze rumene che venivano a scuola con me, e cominciavamo a uscire giorno per giorno… ah sì, era un po’ bruttino, perché in Romania ero abituata a uscire, davanti al palazzo con dei vicini, così. Invece qua anche se volevo uscire non sapevo dove andare. Perché dove abitavo prima non c’era il cortile. E quindi… dovevamo stare in casa a giocare. Int.: Per quello e poi anche per altre cose? Tania: Sì, all’inizio mi dava tanto fastidio perché gli altri parlavano in italiano, e – io – non – riuscivo – a – capire! Mamma mia, mi dava - fastidio - da morire! Ho detto come cavolo! E allora mi sono messa a studiare, ho detto “Mo io voglio capire tutto!”. E… ero nervosissima, perché non riuscivo a capire cosa mi dicevano! (sorride) E stavo lì a volte con il dizionario a cercare parola per parola per capire! E poi mi sono messa lì a studiare i verbi, ° tutte le cose °. No, per il resto no, piano piano mi sono abituata (stud. 4: Tania, IP α sociale, 20 F, Romania). Quando ho saputo la decisione dei miei di venire qua… e… non l’ho presa tanto bene, nel senso che ho detto esclusivamente ai miei all’inizio che io non voglio venire, non voglio partire… in quel momento avevo un gruppo di amici molto sudato, molto… stavamo molto bene insieme. Era un periodo molto bello per me, l’adolescenza, gli amici, il primo amore anche… […] solo che ° la scelta era già stata fatta quindi non potevo più fare niente ° […] E… (sorride) adesso ricordo che sì, nel senso che ho cambiato un po’ le mie opinioni, nel senso che sono cresciuta, sono maturata, penso di… di essere cresciuta molto, e questo mi ha aiutato ancora di più. Non so, se fossi rimasta in Romania, adesso, ° non sarei maturata così tanto ° (voce commossa). Però non la vedo come una cosa negativa, anzi. È una cosa positiva. E quindi adesso mi rendo conto che è stato un bene. Ho patito, è vero, ho patito tante cose, però è stato un bene, sì, essenzialmente. Sì. (stud. 8: Karina, Liceo α scientifico, 20 F, Romania). Portare a termine il corso di studi superiori, dunque, è un segnale di integrazione positiva e riuscita del percorso di inserimento degli adolescenti, almeno parziale. Ma anche, e soprattutto, indica la comprensione e la condivisione della strategia di mobilità geografica e sociale a livello familiare. 194 5.4. Le convivenze familiari in seguito alla stabilizzazione in Italia Al momento dell’intervista, quindi, i nuclei familiari sembrano avere trovato un loro equilibrio, anche se continuamente soppesato, ridiscusso e ridefinito, in merito al percorso migratorio familiare. Gli studenti e le studentesse sono chiaramente consapevoli di farne parte, e di avere assunto un ruolo pro-attivo nell’orientarne il proseguimento. Il rapporto dei figli con i genitori è stato segnato da questo processo, a tratti per i ragazzi confuso, contradditorio e contrastato, di negoziazione della strategia migratoria e di inserimento sociale familiare. Le relazioni tra le generazioni nelle famiglie migranti sono state ridefinite non solo per la fase del corso di vita attraversata dai figli, ma anche per gli esiti della reciproca conoscenza tra i membri della convivenza approfondita dopo il ricongiungimento, nel caso di minori riuniti, e per lo sviluppo nel tempo di atteggiamenti diversi in merito agli stili genitoriali italiani da parte dei genitori, anche di figli nati in Italia. Le persone più influenti a cui gli studenti si rivolgono per prendere decisioni al momento dell’intervista risultano i genitori, sia che essi si trovino in Italia, come nella maggior parte dei casi, sia al paese di origine110. Padre e madre sono rappresentati dai ragazzi come adulti significativi da consultare, senza ruolo propriamente prescrittivo. Salvo rare eccezioni la relazione descritta sia dai genitori sia dai figli è basata sul dialogo e il confronto aperto, anche se con differenze nell’intensità del controllo, per alcuni assente, per altri, in particolare padri, più presente, e nella percezione della lealtà al progetto migratorio genitoriale. Int.: E tua mamma cosa ha detto (sott.: del tuo desiderio di diventare hostess)? Lorena: Mia mamma è contenta, perché sa che… non mi ha mai detto “non farlo”. Ha solamente detto “Ci sono i pro e i contro come in tutto. Sei te che devi valutare, oramai sei grande. Cioè se ci vai a sbattere contro, contro la porta, ma ci sbatti perché… perché sei tu, cioè hai voluto sbatterci tu, io ti avevo detto che c’erano i sassolini per poter schivarli, però se te non riesci e ti fanno imparare questi sbattimenti contro la porta”… (stud. 10: Lorena, IP α aziendale, 22 F, Cuba). Consuelo: Questo credo che è l’importante che deve pensare soprattutto un genitore: uno non fa un figlio per mettere le sue idee a questo figlio, per imporre sue idee, uno deve cercare di aiutarlo. Angel: Si (trad. it.: se) sono cresciuto così (sott.: come genitore, saprò far crescere così anche mio figlio). Consuelo: Tu sì, ma anche io. Angel: I miei genitori erano vecchi… […] Consuelo: Adesso tu lo (trad. it.: quello) che devi pensare è questo: che devi formare una persona che poi fa parte del mondo. Si (trad. it.: se) tu lo vai incontro (trad. it.: contraddici) solo perché non è lo che ti piace a te, non sai si è lo sbagliato. Devi cercare sì di aiutarlo, si 110 Ad eccezione dei padri divorziati usciti dalla convivenza familiare quando i figli erano piccoli, con cui gli intervistati non hanno contatti significativi dalla prima infanzia. 195 infatti tuo figlio prende il percorso sbagliato credo che qualsiasi genitore cerca di aiutarlo, ma non per cumplir con (trad. it. ottemperare) tuo capriccio o… uno deve cercare di informarsi e vedere come è la situazione attuale e come le può aiutare, che poi il resto è la sua vita, e quello che sta facendo il suo futuro (gen. 11: Angel e Consuelo, genitori di Fernando [33], IT α, Argentina). Specie quando la separazione è iniziata prima dell’emigrazione e le difficoltà di comunicazione perdurano dopo l’arrivo, il confine tra assenza di controllo e assenza di confronto è più labile, e gli studenti sembrano meno supportati da visioni adulte nelle loro scelte, che sono descritte, anche con orgoglio, come questioni gestite abbastanza in solitudine. Int.: Quali sono i punti di riferimento quando devi prendere una decisione? Carolina: (0.2) Stavo pensando a mia mamma, perché è la persona più importante, ma lei mi dice “Ma… fai cosa ti senti… fai tu, vedi la cosa più adatta a te”… non è che… quindi diciamo anche se non mi dà una mano, né mia mamma né il mio fidanzato, loro sono un po’ il mio punto di riferimento (stud. 3: Carolina, IP α sociale, 19 F, Romania). Quando ero piccola io abitavo con mia nonna perché visto che mio padre se ° n’era °… era andato, doveva lavorare sempre mia madre. E allora io sono stata quando era in campagna da mia nonna. E allora sono venuta a fare le elementari, poi quando ho finito le elementari lei era già venuta qua, quindi ancora quattro anni di distanza quindi… andiamo d’accordo e tutto però non c’è quella comunicazione… […]. All’inizio litigavo molto con lei, perché sono arrivata proprio nell’età in cui ero… anche adesso sono adolescente, però a 16 anni ero proprio… (ride) allora lei non sapeva proprio come comportarsi allora… litigavamo spesso. Adesso no, andiamo d’accordo, però non comunico tanto (stud. 1: Adia, Ipα sociale, 19 F, Romania). Costantin menziona due concetti di (limitazione della) libertà nei confronti dei suoi figli: libertà intesa in senso sbagliato, come tentazione di devianza giovanile, e libertà come capacità di spesa per scegliere attività ludiche e ricreative. L’intervistato racconta di essere riuscito a instaurare un rapporto di fiducia con i figli aiutandoli a acquisire senso critico, mentre ritiene di avere potuto contribuire meno di quanto avrebbe voluto sul versante dei consumi, ma pensa che il legame instaurato sia comunque positivo, e anche la figlia intervistata condivide la stessa visione. Costantin: Invece no, poi qua sono dei posti senza libertà, e… (sott.: la libertà) è stata percepita male dai giovani che dopo i diciotto anni devono fare qualsiasi cosa anche essendo sbagliata. Quindi non ti danno ragione, sto parlando dei miei figli. Però piano piano si sono avvicinati a me perché spiegandogli una volta, due volte, tre volte, poi loro… quello che gli ho spiegato io, quello che vedono all’esterno, all’esterno vuol dire fuori casa. A scuola, i ragazzi, fanno riunioni che… qualche pasticca, qualche ecstasi, non lo so… hanno detto: “Guarda forse avevi ragione”. No, io non dico che ho ragione… io ti posso spiegare. Io come te ci sono stato… tu come me devi ancora… se tu prendi di buono quello che ti dico io. Tipo: aiutami, fai la differenza. Io non dico di non dare ai buoni amici, di fare qualche sbandata, però… ha un limite, non deve andare in discesa, fermati. Perché è bene che sia così, basta una volta. Poi ti richiama, non so. […] Int.: Sono legati? Costantin: Sì, sì, siamo legati. Ci capiamo subito al volo e quando c’è dei problemi, per forza sì, come no. Non esiste no. Int.: Secondo voi con il fatto di esservi trasferiti in Italia, i rapporti genitori e figli li vedete diversi? Vedendo anche famiglie italiane, vostri amici o colleghi… Costantin: Sì. Sì, sì. Certo. E… 196 Int.: Li vedete meno legati? Costantin: Sì, ° esatto °. Solo che loro… avevano bisogno di un po’ di più libertà. In che senso. Non mi sono… ° non ho potuto aiutarli tanto io dal punto di vista economico ° . Andare per viaggi, andare in gita. E… un po’ di volte sì, però quello che potevo permettermi, 100 euro, 150 diciamo per ciascuno. Dovevo anche avere i soldi in borsa, no? Non è facile, quando prendi 1500 euro. Comunque sono andato qua a Milano, a Genova, Venezia, a Rimini. C’è un… una… non penso trattoria, come si chiamano? Un agriturismo ad Asti, Elisabeta proprio serviva per quel settore (gen. 9: Costantin, padre di Elisabeta [2], IP α, Romania). Per Skordian invece la fiducia e l’ammirazione ricevuta dai figli maggiori è diminuita in modo dirompente con l’emigrazione e l’adolescenza, e di conseguenza anche la sua capacità di controllarli, a causa del ruolo defilato della famiglia nel definire gli orientamenti dei giovani in Italia, più influenzati dalla “società” che in Albania. Int.: È lo stesso in Albania? Skordian: No, ma i figli… qua cambia tutto, non è come in Albania che dicevamo noi, qua cambia tutto! Io non controllo più niente! Dove vuoi andare? Di là. Ti piace di là? Vai. Int.: Secondo lei i suoi figli hanno compreso questo (sott.: il fatto che vi considerereste falliti come genitori se loro non studiano all’università e non trovano un buon lavoro)? Skordian: Questa domanda è un po’ difficile adesso. Perché quando hanno fatto l’adolescenza, qualcosa tra noi è cambiato. Non è che sono proprio i nostri figli. (0.04). Non è una società che gira come la pensiamo noi. Non rimane più la famiglia legata. Qua è una cosa che mi sta scappando dalle mani a me, con i figli grandi. E voglio essere forte con la piccola a tenerla ancora legata. Noi per la scuola discutiamo tanto eh, a casa. Non è che lo lasciamo perdere. Int.: Perché discutete? Skordian: Per andare a scuola. Io lo ho detto ai miei figli. Io sono partito per pagare ogni cosa per voi, solo andate a scuola. Io ho rinunciato a tante cose per loro. Quando mio figlio era alle medie, ha fatto me come suo ideale, l’ha letto anche a scuola, in un tema. Allora non sono più io il suo ideale. Ci sono cantanti, altre cose… (0.02) perché se uno ha un ideale lo tiene sempre. Io in questi anni non so dove ho sbagliato. È stato bocciato. Io l’ho lasciato libero pensando che ce l’avrebbe fatta, e invece no. Int.: Secondo lei perché? Skordian: Qua è la società che ti prende di più della famiglia. Ma sono contento. Perché hanno passato l’adolescenza, che è difficile. Senza fumare, senza bere, mio figlio non va mai in discoteca. I vizi non li conoscono, almeno quello… Qua ce n’è troppi. Hanno passato questa età senza avere un rischio, senza pericolo, mia moglie urla e corre dietro la piccola, io dico che sono contento. Adesso sono ventenni. Invece con la piccola siamo quattro adulti che la controllano, e non abbiamo paura, è la prima in classe (gen. 5: Skordian, padre di Verim [15], Liceo α, Albania). Malgrado Skordian tema che i figli non siano leali nei confronti della strategia migratoria familiare, di cui la riuscita in istruzione fa parte, conclude ammettendo che il periodo adolescenziale, caratterizzato da maggiore fragilità e rischio, è stato superato. Anche il tentativo di selezionare le relazioni amicali dei figli con il gruppo dei pari, più forte nella prima adolescenza soprattutto per le figlie femmine, sembra non solo una delle dimensioni della cura dei figli, ma anche parte di un più generale progetto di inclusione nella società di destinazione, volto dal punto di vista dei genitori a conservare elementi valoriali ritenuti “tradizionali”. Come spiega Saloua la dimensione della pratica religiosa è intesa dalla sua famiglia in questo senso, e il confronto con i genitori pare essersi 197 incanalato in modalità di gestione abbastanza soddisfacenti per entrambe le parti: non emergono radicali rotture, ma piuttosto discontinuità, accettate dai genitori come espressione della maggiore età della figlia, ormai giovane adulta. A volte mia mamma, i miei genitori mi dicono “Vorrei che frequentassi più persone vicine alla tua cultura”. Me lo dicono. Ma non per il fatto che… perché io ad esempio alcune cose, il fatto di uscire il sabato sera per ubriacarsi, bere e tutto il resto, non lo faccio, per una certa mia idea di religione. E magari… cioè infatti ci sono alcune cose… il fatto magari di avere il fidanzato o queste cose qui… io il fidanzato se dovessi trovarlo… lo troverei se poi alla fine lo scopo fosse andare al matrimonio. Non è che lo troverei così, perché mi piace, perché mi piace e tutto il resto, ma poi c’è la finalità più… c’è un fine, non per passare il tempo o robe varie. E quindi poi mi vedono che queste problematiche un po’ non sono tanto risolte, un po’ così. Però io glielo dico, io sono così, mi trovo bene con queste ragazze, con la mia amica, le persone che frequento alla fine non sono appartenenti alla mia cultura ma tutt’altro, però io mi trovo bene, cioè sto bene con loro (stud. 37: Saloua, Liceo α socio-psico-pedagogico, 20 F, Tunisia). Karim: Saloua c’ha vent’anni, noi non siamo genitori, siamo amici. Genitori quando si deve dire “Perché allora rosso invece di nero? Rischi di farti male”. Però tutto il resto… lasciamo a lei decidere, 20 anni, ormai è grande. Io ad esempio ho bisogno di avere qualcuno che se vede qualcosa che non va dica “Guarda, stai sbagliando questo” perché c’è sempre da imparare, tutti i giorni, nel corso della vita. A volte Saloua mi suggerisce delle cose, anche il piccolino… sono cose che noi purtroppo non avevamo visto. Int.: E lei è d’accordo? Asmaa: Certo, Saloua non è una bambina! (gen. 8: Karim e Asmaa, genitori di Saloua [37], Liceo α, Tunisia). Mentre negli anni della separazione le vicende economiche familiari erano sovente occultate ai figli lasciati al paese, in Italia questi vengono coinvolti, talvolta per necessità, quando si chiede loro di collaborare alle entrate del nucleo, ma più spesso nell’intenzione di stimolare l’impegno alla riuscita in Italia, e contenere le richieste legate ai consumi. Valeriu: Non nascondo (sott.: la nostra situazione finanziaria) perché i giovani di oggi chiedono sempre, vanno a scuola, vede il suo amico di scuola vestito firmato, e viene a casa “Mi puoi comprare questo?” “Guarda Dimitri, queste sono le nostre possibilità finanziarie. Abbiamo questi soldi, per adesso ti devi vestire in questo modo”. Nicoleta: Lui è stato comprensivo sempre. E quando abbiamo avuto, infatti tutto quello che ha è di qualità, sceglie lui. Valeriu: Sa il modo in cui arrivano le bollette, quelle che sono da pagare, le guarda anche lui, dice “Guarda, riuscite a pagare?”. A volte no. Nicoleta: Ma lui vuole lo stesso (ride). È così (gen. 1: Nicoleta e Valeriu, genitori di Dimitri [19], IT α, Romania). La volontà di rendersi autonomi, o collaborare all’economia domestica con il proprio lavoro pagato, è presente nei discorsi degli studenti in nuclei monoparentali (ma anche nei casi in cui i genitori, entrambi presenti, avevano difficoltà lavorative al momento dell’intervista). In quattro casi le studentesse (tutte di istituto professionale) avevano completato la prima transizione alla vita adulta: il trasferimento in una abitazione diversa da quella della famiglia di origine. Per Marina l’andare a vivere da sola è seguito a un periodo di 198 affidamento a una comunità per minori con l’aiuto dei servizi sociali, i quali avevano giudicato la coabitazione con il padre e la compagna inadeguata per lei e al fratello minore. Sono successi dei casini qui in Italia con mio padre (sorride) e siamo stati prelevati dai servizi sociali io e mio fratello e abitiamo… per adesso io da sola e lui è ancora in una struttura protetta (stud. 47: Marina, IP β arte bianca, 20 F, Macedonia). Altre due intervistate, Carolina e Tania, invece, avevano iniziato a coabitare con il compagno, in entrambi i casi connazionale. Int.: E adesso da quanto è che vivete insieme (sott.: con il tuo compagno)? Carolina: Da quando avevo 17 anni. Int.: Ah! Da presto! Carolina: Sì! Perché prima con mia mamma stavamo in affitto, la casa che avevamo era troppo grossa per poter pagare l’affitto solo mia mamma, e quindi lui è venuto ad abitare presso di noi, lui ci dava una mano a pagare l’affitto. ° Poi ci siamo innamorati… ° […] Prima (sott.: mia mamma) non era contenta, ma adesso gli sta simpatico, vede che noi andiamo d’accordo, è una persona a posto quindi… ormai non può farci niente. I miei genitori sono separati e quindi mio padre è in Romania, e non ha più rapporti con noi (stud. 3: Carolina, IP α sociale, 19 F, Romania). Infine abitare senza genitori può essere una necessità temporanea per terminare gli studi in Italia mentre il resto della convivenza familiare è tornato nel paese di origine. Abito adesso da sola, da sette mesi, perché i miei sono andati a Santo Domingo, perché mio papà voleva andare via. Io sono rimasta perché è appunto l’ultimo anno di scuola… e niente abito con una amica di mia mamma (stud. 5: Marisa, IP α turistico, 19 F, Santo Domingo). L’opzione del rimpatrio, secondo le interviste considerata una delle possibili vie per fronteggiare la perdita di lavoro in seguito alla crisi, è da considerarsi un altro scalino di selezione superato dai migranti che raggiungono il termine delle secondarie di II grado nel paese di destinazione. Daniela: La crisi economica ha già determinato il rimpatrio di alcuni ragazzi, ° soprattutto femmine °. Int.: Perché secondo lei? Daniela: Eh perché costa troppo tenerli qua. Soprattutto ragazze cinesi sono ° state rimandate indietro °. Perché là costa meno e tutto sommato il progetto poi di tenerle qua facendole faticare a venire a scuola eccetera aveva senso poi fino a un certo punto, se potevano tenerle dentro un’attività tipo ristorante eccetera. Allora questo progetto di ricongiungimento in questi anni è stato... probabilmente tutti loro avevano immaginato il ricongiungimento potesse svolgersi nelle condizioni in cui loro avevano maturato le condizioni di poterlo chiedere perché erano a posto con la casa, con il lavoro eccetera. E poi con la crisi economica, la perdita del lavoro e poi tutti i problemi sul permesso di soggiorno eccetera molti hanno rimesso in discussione il ricongiungimento… (test. qual. 1: Daniela). La struttura familiare al momento dell’intervista è destinata a cambiare non solo per la perdita di alcuni componenti per trasferimenti, al paese di origine, in nuovi nuclei familiari in Italia oppure in paesi terzi, ma anche per la riunione di altri familiari dal paese di origine. La presenza dei minori, specie se piccoli o in condizioni di disabilità, ad 199 esempio, può costringere a riorganizzare la dislocazione delle parenti donne, in modo da garantirne la cura. Quando sono venuta la prima volta è venuta anche l’altra mia sorella per prendersi cura di me, più grande, ha vissuto con me. Io andavo a scuola e anche lei, il corso che ha fatto lei l’ho fatto anche io (stud. 21: Aicha, IP α aziendale, 20 F, Marocco). La stabilizzazione di una parte del nucleo, poi, può favorire l’emigrazione di figli grandi, che avevano lasciato la convivenza familiare al paese. In questo tipo di decisioni sono ancora i genitori i protagonisti, anche se gli intervistati sono più coinvolti di quanto erano minori. Int.: E adesso (sott.: tuo fratello) sta ancora in Ecuador. Jessica: Sì, stanno ancora in Ecuador. Forse viene quello più grande. Int.: Ah, quello di 22? Ci state pensando? Jessica: E’ mia madre che pensa, io non penso (sorride). Cioè non vorrei neanche, perché lascia i suoi figli… e li fa crescere già come noi, tutti divisi… (stud. 18: Jessica, Liceo α socio-psico-pedagogico, 21 F, Ecuador). Dai paesi a più lunga tradizione immigratoria verso l’Italia, l’emigrazione della convivenza familiare degli intervistati fa parte dello spostamento più ampio della rete parentale. Praticamente quasi tutta la mia famiglia, non tutta, ma gran parte della mia famiglia, famiglia nel senso allargato è qua. E quindi… siamo… a Torino e anche ° nelle vicinanze di Torino °. Sì. In Romania ho ancora alcuni cugini e poi praticamente la famiglia di mio padre perché la famiglia di mia madre è tutta qui. E i nonni che sono rimasti in Romania. [Vivono qua] i miei genitori, i miei zii, i cugini. Una mia cugina è ritornata dopo il liceo in Romania, e sta facendo l’università lì, però adesso, adesso vuole ritornare. Un altro mio cugino è all’Inghilterra, all’università, io sono qua. E i miei zii sono qua (stud. 9: Julieta, Liceo α scientifico, 20 F, Romania). Int.: E alcuni (sott.: parenti) sono anche a Torino? Gaby: Sì, sì, diciamo che dalla famiglia di mio padre, sono quasi tutti qua gli zii. E sono sette persone. Per quanto riguarda mia mamma, loro sono cinque o sei. Int.: Hai parenti anche in altri paesi? Gaby: Sì! Ho parenti in Spagna, Stati Uniti, Venezuela… alcuni anche in Germania (stud. 32: Gaby, IT α liceo tecnologico, 22 M, Perù). Mia mamma ha una sorella e due fratelli qua…e mio padre ha un altro fratello più… ° abbiamo cinque cugini, più… siamo un po’ tanti (sorride), sì. […] Mio padre ha cominciato a portarli uno alla volta… a lavorare e quindi… (sorride) ° sì, si sono integrati anche loro ° (sorride) (stud. 52: Ionel, IT β grafico, 20 M, Romania). Flor: Mia madre e mio padre hanno fatto venire i loro fratelli. Mio padre ha fatto venire suo fratello nel 2008 e questa è una cosa molto buona perché qua può avere più opportunità di lavoro perché in Perù era molto precario, e poi avendo anche dei figli, qua possono trovare delle opportunità di studio, di lavoro, così. Ha portato qua suo fratello, mia madre ha portato mia zia, sua sorella, due anni fa nel 2009, e proprio adesso è arrivato mio cugino (ride), sì, sì, sì, adesso ci siamo allargati come famiglia. Poi lo stesso anno che siamo venuti noi, è venuta una cugina di mia mamma a cui lei è molto legata, però è venuta a Milano, tutte le cugine di mia mamma stanno tutte insieme a Milano. Dopo di noi è venuta una cugina di mio padre, che abbiamo sempre aiutato, abbiamo contribuito come famiglia così, e lei ha portato suo figlio l’anno scorso, e quest’anno, due settimane fa, ha portato suo figlio. Ci stiamo proprio allargando velocemente sì! (ride) (stud. 6: Flor, Liceo α scientifico, 18 F, Perù). Int.: C’è qualcuno che abita in altri paesi, all’estero? 200 Zuna: Siamo tanti, io sono qua, ho un fratello a Parigi. Ho un fratello a Parigi, una sorella in Spagna, un’altra in America, in Virginia e basta, altri sono in Costa d’Avorio (gen. 7: Zuna, madre di Koffi [35], IT α, Costa d'Avorio). Anche senza viaggi o visite frequenti, infatti, il legame con i parenti nello spazio transnazionale rimane a livello simbolico. Esso non riguarda soltanto, come si sottolinea nell’ambiente teorico del transnazionalismo, il mantenimento nello spazio dell’unità familiare dal punto di vista economico e “identitario”, ma anche la permanenza di un riferimento cognitivo per la propria collocazione individuale e familiare all’interno di un sistema di stratificazione sociale internazionale. Il posizionamento nella scala sociale dei parenti rimasti nel paese di origine o residenti in altri paesi è considerato importante per definire le opportunità di mobilità sociale, e dunque la strategia migratoria delle famiglie migranti. In questo senso la rete parentale costituirà un riferimento per progettare spostamenti futuri all’estero da parte degli studenti una volta conseguito il diploma. Questo riferimento cognitivo permane anche quando il mantenimento del contatto con i parenti left behind da parte dei genitori e il trasferimento di denaro verso di loro subisce un arresto o diminuzione dopo la riunione dei figli. Poche famiglie continuano a versare una somma regolarmente, ma come anticipato, le informazioni sono lacunose perché si tratta di mansioni genitoriali. Rispetto all’ipotesi dell’impatto dei trasferimenti intergenerazionali dai membri giù giovani a quelli più anziani, dalle interviste non emerge che l’invio di rimesse da parte dei genitori verso i nonni nel paese di origine diminuisca le risorse economiche familiari a disposizione dei figli. Piuttosto tale pratica, insieme ad altri tipi di scambi come la prestazione di cure recandosi personalmente al paese di origine in caso di necessità o l’invio di doni, sembra esercitare un effetto più generale sulla rappresentazione dei rapporti intrafamiliari degli studenti migranti, all’interno della quale ogni componente è responsabilizzato nei confronti degli altri. In altre parole, non sembra tanto influente l’entità monetaria delle rimesse nel diminuire i risparmi che la famiglia potrebbe investire nell’istruzione terziaria dei figli, quanto piuttosto il frame concettuale di riferimento che vede come oggetto di valore da rispettare le obbligazioni “verso l’alto”, dai componenti più giovani della famiglia nei confronti delle generazioni precedenti. In questo senso, come vedremo, i legami mantenuti dai genitori con i nonni contribuiscono a definire l’adultità degli studenti come più imminente, e carica di responsabilità di “restituzione” nei confronti dei genitori. 201 5.5. Effetti della traiettoria migratoria familiare sul percorso di inserimento lavorativo dei genitori Il processo di ricostruzione della famiglia nella migrazione, oltre a plasmare le opportunità e le rappresentazioni di inserimento sociale e scolastico dei figli, rimodella i percorsi dei genitori, non solo, come abbiamo visto, per quanto riguarda la sfera privata e affettiva, ma anche agendo sul processo di collocazione nel mercato del lavoro locale. Nel paese di origine la classe occupazionale familiare (in caso di discordanza tra i coniugi si considera la più elevata) degli intervistati era medio alta per 36 famiglie su 50, mentre in Italia 44 famiglie su 56 si concentrano nella classe operaia (v. tabella 5.1. e sintesi tematica delle interviste in Appendice). La maggior parte dei genitori degli intervistati possedeva collocazioni occupazionale medio-alte nel paese di origine. In Italia invece per le madri prevalgono le occupazioni nel settore della cura e collaborazione familiare, spesso informale. Per i padri lo spettro di professioni è un po’ più ampio, ma in gran parte circoscritto ai settori dell’edilizia e dell’industria metalmeccanica con bassa qualificazione. Tab. 5.1 – Classe occupazionale familiare nel paese d’origine e in Italia per tipo di insegnamento frequentato dai figli in Italia. Nel paese d’origine Liceo alta media operaia missing* totale 2 10 3 1 16 IT 2 13 4 1 20 IP 1 8 7 4 20 Totale 5 31 14 6 56 In Italia alta media operaia totale Liceo 0 4 12 16 IT 0 4 16 20 IP 1 3 16 20 Totale 1 11 44 56 Nota: (*) i dati mancanti sono dovuti alle difficoltà dei figli di ricostruire la condizione occupazionale dei genitori nel paese di origine e in un caso dalla partenza dei genitori in età molto giovane, con conseguente primo ingresso nel mercato del lavoro nel paese di destinazione. Secondo Santagati (2011, p. 173) la dequalificazione dei genitori in Italia, con conseguente deprezzamento delle risorse culturali familiari, è un “fattore specifico di svantaggio” per i migranti. Il tema delle forze lavoro necessarie per i mercati occupazionali dei paesi riceventi e delle politiche più adatte ad attrarle è molto dibattuto 202 nei paesi riceventi flussi migratori111. Vediamo come il processo di dequalificazione, ma anche quelli di (non) formazione, ricollocazione e mobilità lavorativa, sono dipesi, oltre che dalle variabili macro contestuali e individuali e dai più studiati meccanismi relativi al passaggio tra mercati del lavoro112, da processi legati all’interconnessione tra traiettoria migratoria e familiare. Come abbiamo visto nel primo paragrafo, la partenza delle donne primo migranti è spesso nata dall’idea di potersi inserire facilmente nel mercato della cura, malgrado questo avrebbe comportato perdita di status, in modo da garantire le rimesse ai familiari lasciati al paese. In questi casi il processo di declassamento lavorativo è in parte accettato già prima di partire, anche se in presenza di informazione imperfetta, attraverso la mediazione della rete femminile delle connazionali, e conforme alle aspettative di ruolo relative alla “buona madre”. Quando il primo migrante è un uomo, viceversa, può accadere che la moglie esca dal mercato del lavoro locale per occuparsi dei figli piccoli e curare l’investimento delle rimesse del marito nel paese di origine: anche in questo modo la dequalificazione professionale della donna inizia prima di partire. L’ingresso o la permanenza irregolare è invece una causa di perdita di status professionale inattesa che ha effetto in seguito all’immigrazione. Essa è dovuta innanzitutto ai costi dell’ingresso illegale, in particolare dei documenti falsi e dei trasporti illegali, costi che le famiglie devono sostenere prima della partenza, e al finanziamento di queste spese con tassi di restituzione elevatissimi. Valeriu: Così abbiamo dovuto vendere la casa, che l’avevamo lì, abbiamo pagato… Nicoleta: Tutto! Non abbiamo niente, solo la tomba di papà. Valeriu: Perché in quegli anni si pagava 2000 dollari a testa, di persona, per arrivare qua. In quegli anni. Nicoleta: Non sapevi se arrivavi qua, perché io ho perso. Due volte ho provato di venire qua. [...] Ho perso, abbiamo pagato un affitto anche di là. In mio paese, perché siamo rimasti fuori casa. Int.: Avevate venduto la casa per pagare il viaggio? Valeriu: Sì, per pagare il viaggio. Aveva provato lei, per tre volte. Nicoleta: Però i soldi li ho persi. 111 Non è ancora possibile vedere gli effetti dell’iniziativa della carta blu europea nel processo di armonizzazione dei tentativi di “attrarre cervelli” nell’Unione, e nemmeno degli accordi bilaterali “di nuova generazione” firmati a partire dal 2011 per migliorare il matching tra domanda e offerta di lavoro attraverso la creazione di liste di candidati all’emigrazione e il rafforzamento della formazione professionale nei paesi partner (Oecd, 2012). Sulle migrazioni qualificate dall’est Europa cfr. Brandi (2010). 112 Ad esempio l’impossibilità di trasferire le proprie competenze nel contesto ricettivo perché troppo legate al sistema produttivo del paese di origine, il ruolo delle reti, delle organizzazioni sindacali e delle associazioni nell’indirizzare in determinati settori, i pregiudizi dei datori di lavoro. Ambrosini (2010) propone una rassegna delle modalità di inserimento occupazionale in Italia e degli attori coinvolti, definendo anche diversi modelli territoriali. Il Piemonte e in particolare di Torino non sono da intendersi come aree rappresentative di tutti i processi di inclusione lavorativa dei migranti nella penisola, ma come casi significativi, data la fase matura dell’immigrazione familiare in Italia, per cogliere l’interazione tra percorso migratorio familiare e carriera lavorativa nella migrazione. 203 Int.: E non li restituivano. Nicoleta: Già con i documenti come si deve. Dovevo avere un lavoro, dovevo… (gen. 1: Nicoleta e Valeriu, genitori di Dimitri [19], IT α, Romania). La “restituzione del debito” per la partenza è una voce di spesa del bilancio familiare che impatta moltissimo sulla ricerca del primo impiego dei genitori una volta giunti in Italia. Anche quando esso è contratto con familiari, il prestito può essere inteso come vero e proprio investimento, per cui le richieste di restituzione possono essere molto amare e stringenti (specie perché non rispettarle potrebbe significare l’esclusione dal circuito dello scambio di aiuti in futuro). Int.: Avevate scelto Torino perché conoscevate qualcuno qua? Valeriu: Sì, era mio fratello qua. Lui aveva già i documenti a posto. ° Però anche lui si è comportato male °. Int.: Ah, non vi ha aiutato un po’ all’inizio? Valeriu: All’inizio sì, però in seguito a questo, ° se ti ha dato uno lui voleva due °. Però è stato un aiuto, non posso negarlo, perché mi ha dato una spinta, no? Mi sono indebitato con lui, però mi ha dato una spinta. E così sono riuscito a portare anche lei poi. Però ti dico… […] in quegli anni riuscivo a mandare a casa ogni settimana quasi 200mila lire. Int.: Come faceva? Nicoleta: Con 50mila lire noi facevano la spesa per una settimana. Valeriu: Lavoravo, lavoravo alla grande (gen. 1: Nicoleta e Valeriu, genitori di Dimitri [19], IT α, Romania). Sono rimasto da mia cugina cinque mesi. Ho lavorato là, non so se lo sai, questo lavoro… portavo i cartoni, c’era una fabbrica piccola con giocattoli a via Sostegno, io mettevo la carta colorata in 2000 buche, c’erano 2000 buche (fa segno di infilare) e mettevo la carta così, tutto il giorno. Prendevo 15mila lire. Eh va beh. Dopo due mesi ho dormito con i protettori delle prostitute, miei ex alunni in Albania, sì. Non sapevo dove dormire. Perché mia cugina era andata a Genova. Di là solo dormivo, ma con le ragazze niente, non facevo niente. Anche se mi dicevano “Professore, prendi una, lavori sei mesi, e vai via. Perché in edilizia non ce la fai” mi dicevano (si tocca le braccia in segno di magrezza). […] Lei (sott.: mia cugina) ha venduto due case che aveva là e non servivano, e ha dato i soldi a me [per partire]. Io dopo tre anni le ho ridato. ° Perché noi per i debiti non dormiamo di notte ° (gen. 5: Skordian, padre di Verim [15], Liceo α, Albania). La ricerca del primo lavoro dunque è segnata dall’urgenza di percepire un reddito, non solo per restituire ai creditori ma anche per inviare i guadagni al paese, dalla necessità di svolgere lavori in nero non potendo essere titolari di contratti di lavoro e dovendo tutelare l’invisibilità propria e della famiglia, se presente, nei confronti delle istituzioni italiane. Ragioni di tempo (poco), risorse (poche) e status giuridico (irregolare) rendono così arduo far valere le proprie qualifiche educative e professionali. L’arrivo dei figli, poi, condiziona in diversi modi l’inserimento occupazionale dei genitori. Prima della riunione, è importante per i genitori maturare i requisiti necessari per attivare la procedura di ricongiungimento. Questa meta spinge alla richiesta di contratti di lavoro regolari, con livelli di retribuzione adeguati, e di una casa conforme alle 204 caratteristiche stabilite per legge. Tuttavia la fretta di conseguire tali requisiti inibisce le ricerche di lavoro più rischiose e lunghe, anche se più promettenti. Dopo l’arrivo dei figli le esigenze economiche del nucleo crescono, per cui abbandonare un lavoro sicuro per la ricerca di altri incarichi, sebbene più prestigiosi e corrispondenti alle professionalità acquisite al paese, non risponde alle esigenze familiari, e l’orientamento maggioritario, anche in presenza di due redditi, propendono per conservare la posizione lavorativa acquisita. Le difficoltà di conciliazione, pesanti anche per le madri italiane (Naldini e Saraceno, 2011) in un contesto di ancora marcata asimmetria di genere nella divisione intrafamiliare lavoro di cura, ostacolano particolarmente le migranti donne, che godono meno dell’aiuto di nonne o sorelle, specie se fanno parte di flussi migratori al maschile. Oppure se i bisogni di cura dei minori sono particolarmente elevati, ad esempio in caso di disabilità. Mia sorella a Torino (sott.: prima di avere figli) faceva le pulizie degli uffici in nero però non ha trovato in altri modi, poi aveva bisogno di un lavoro part time anche per me (stud. 21: Aicha, IP α aziendale, 20 F, Marocco). Soprattutto per le donne migranti, dunque, l’accessibilità dei servizi pubblici per la prima infanzia (e, nei casi di riunione dei nonni, anche per i grandi anziani fragili) è preziosa per poter continuare a svolgere il proprio lavoro pagato. Io per esempio la piccolina al nido l’ho messa da nove mesi e tre anni e mi sono trovata benissimo, non avevo parenti, chi me la guardava? Così da quando ha nove mesi è andata al nido, poi è passata subito alla materna, poi alle elementari… guarda la piccola poverina dai nove mesi studia (ride), quando si ammalava… madonna ho fatto una fatica! Da sola qua… come facevo? E allora qualche volta la grande rimaneva a casa a guardarmi la piccolina, stava a casa da scuola quando io facevo il turno di mattina, invece quando io facevo la notte me la guardavo di giorno, che fatica… era una fatica. Però non ho mai fatto due minuti di ritardo, sai? Mai fatto, in tanti anni. E se ti comporti bene sei vista bene, e ho trovato sempre la porta aperta (gen. 12: Elionor, madre di Pilar [39], IP α, Perù). Altri processi attengono alla relazione di genere tra i genitori. La stima delle probabilità di collocarsi “bene” nel paese di destinazione, oltre che per la definizione del desiderio di partire di uno o entrambi i coniugi, è impiegata infatti non solo per favorire la strategia collettiva di mobilità familiare, ma anche per riequilibrare le posizioni lavorative individuali tra marito e moglie con l’emigrazione, processo che avviene verso l’alto o verso il basso a seconda dei punti di partenza e delle opportunità di impiegare le proprie qualifiche nel mercato lavorativo italiano, in modi diversi a seconda del genere. La partenza è così negoziata dai coniugi in relazione alle posizioni relative nel mercato del lavoro e alle conseguenze dell’emigrazione su di esse. Per Adolfina e il marito, rispettivamente alto funzionario pubblico e tecnico informatico al paese, spostarsi ha 205 comportato un riequilibrio della coppia dal punto di vista del prestigio occupazionale e del reddito percepito, a favore del marito. Adolfina: Lui è stato il primo ad uscire e poi “Va bene, vai a vedere com'è, e poi ce ne andiamo noi”, solo che lui... Int.: Quindi lui sapeva, cioè, voi avevate già pensato di partire tutti e due? Adolfina: Era lui che pensava più di me. Io non ero molto convinta. Non sapevo nulla di qua e non sapevo nulla e... ed è che lui è stato una persona molto intraprendente, gli piaceva tantissimo viaggiare, e allora “Va bene, va beh vai, vai a conoscere, vai a vedere, poi mi dici come va”. Invece lui si era fissato questo obiettivo di portarci via a tutte, noi tre, io e le mie figlie, perché diceva che, ovviamente sì, certamente qua la qualità di vita... anche se scendi fino in fondo rimane sempre migliore di una qualità di vita di uno che rimane lì fino in fondo. E quella è la verità. […] Lui (sott.: mio marito) non ha mai detto in realtà le difficoltà che potevano esserci. Sicuramente lui ha lavorato tanto, si è dedicato a lavorare i primi due anni, prima di portarci i documenti per poter venire, con la speranza che poi dopo, una volta arrivati qua, con i figli a scuola, io sicuramente, due tre anni per […] imparare l'italiano, fare qualche aggiornamento e poi dopo cercare una soluzione lavorativa più equa fra virgolette, che in realtà i risultati sono altri. Dopo otto anni io mi rendo conto che è stato un sogno nostro, un eccesso di fiducia nell'uguaglianza nelle pari opportunità, e sicuramente un'immagine molto... sì, eccessiva. Nel senso che sì, in Europa sono più riconosciute le persone, gli studi, eccetera, ma non sempre è così. Sicuramente se non ti conosce nessuno, nessuno ti dà la fiducia per poter avere un'opportunità, si deve conoscere qualcuno. Perché se tu sei nuova, sola, non ti conosce nessuno e nessuno ti dà la fiducia, e quella è la realtà. E sicuramente per me è stato duro, perché io l'ho sentito subito. Il giorno stesso che sono arrivata ho saputo che sarei stata io la sacrificata. La più sacrificata perché sicuramente lui (sott.: il marito) più che altro ha un'altra mentalità. Lui dice “Belle figlie, facciamo qualsiasi cosa”. Però io dico no, perché io avevo già una carriera, una carriera diciamo come dirigente, come funzionario (sott.: di livello) cinque dal '93 fino al 2003! Erano diciamo circa dieci anni, era una bella esperienza, in Regione sempre progetti di sviluppo, sempre in pianificazione, credo che era una cosa bella. Abbiamo anche fatto un seminario di sviluppo plurale in Giappone, è stato uno scambio in quel periodo, sono cose molto belle, che sicuramente non sono importanti, però per me lo erano, e io volevo sicuramente continuare. Qua è stato... sì... tre anni che… il primo anno italiano, dal mattino al pomeriggio, le figlie a scuola, sono diventata casalinga che non ero mai stata al mio paese. Certo ho dovuto anche imparare a cucinare (ride)… molte cose, però è stato... penso che sia stato anche un periodo, grazie a dio, positivo, nel senso che mi sono avvicinata di più alle mie figlie, perché io di là non ero tanto vicina a loro, le vedevo, arrivavo a casa e loro stavano dormendo, le vedevo il fine settimana e qua ho dovuto stare molto più vicina a loro e seguirle. Seguirle io. E sicuramente è stato un bene. Perché se non fosse stato così sarebbe stato diverso il risultato che loro hanno avuto, no? Fino adesso. (gen. 4: Adolfina, madre di Flor [6], Liceo α, Perù). La storia di Adolfina è emblematica per ricostruire alcuni meccanismi alla base della dequalificazione. Innanzitutto il peso dei legami personali per trovare lavori altamente qualificati in Italia sfavorisce chi arriva da fuori. Inoltre il contesto di inserimento lavorativo italiano non è favorevole alle donne, specie per quanto riguarda il raggiungimento di posizioni apicali, sia nel settore pubblico che in quello privato. Questi due elementi erano del tutto imprevisti per Adolfina, partita proprio alla ricerca di un contesto lavorativo “più meritocratico” che quello di partenza, e poi non informata dal marito, arrivato prima di lei, delle reali condizioni di ingresso nel mercato del lavoro italiano. Tra le righe emerge l’asimmetria tra i coniugi nel paese di origine nella divisione del lavoro pagato e non pagato. Adolfina racconta di avere dedicato più tempo e energie 206 al ruolo di madre una volta in Italia, proprio a causa della dequalificazione, anzi del suo rifiuto di accettare la dequalificazione. È proprio tale rifiuto a spingerla fuori dal mercato del lavoro “primario”, verso impieghi precari e part-time, pur di evitare le mansioni “da straniera” che le consigliano le connazionali, e che il marito accetta. Nel tempo le competenze di Adolfina si deteriorano, per cui l’intervistata cerca di riqualificarsi e aggiornarle, tuttavia anche questo compito non è facile, a causa della carenza di corsi di livello post terziario, relativi alla branca di ingegneria gestionale in cui Adolfina si era specializzata,che garantiscano inserimento occupazionale, a costi sostenibili per un nucleo monoreddito di classe operaia. L’intervistata segue diverse piste formative inserendosi finalmente nel mercato del lavoro, ma non allo stesso livello del paese di origine. Come riconosce amaramente la migrante, il reclutamento per incarichi importanti avviene sulla base di relazioni di fiducia e “reputazione”, molto difficili da costruire solo sulla base dei titoli di studio e del curriculum, specie se maturati in un paese a forte pressione migratoria. Il disagio provato da Adolfina non sembra così marcato per il marito, per il quale le migliori condizioni di vita per il nucleo familiare in Italia sembrano sufficienti per accettare la dequalificazione subita. Le carriere dequalificate dei lavoratori migranti sono dunque esito di una successione di eventi non solo relativi alla sfera occupazionale, ma anche a quella familiare del genitore e degli altri componenti della famiglia transnazionale. Alcuni segnali di stabilizzazione dei nuclei familiari hanno tuttavia riguardato l’acquisto della casa nel paese di destinazione (per gran parte del campione la casa era già di proprietà nel paese di origine), l’acquisto dell’auto e la possibilità di svolgere le vacanze con la famiglia. Queste mete sono viste dagli intervistati come passi di mobilità sociale ascendente, anche nei casi in cui, dopo l’iniziale caduta verso occupazioni manuali e informali, uno dei genitori è riuscito a conquistare una condizione lavorativa più tutelata, con un contratto di lavoro, anche se ancora manuale e poco qualificata. Peraltro va sottolineato che l’inserimento lavorativo in fabbrica come operai qualificati, ad esempio tornitori o saldatori, o in piccole e medie imprese edili, oppure nel settore dei servizi alle imprese o alle persone o della ristorazione con incarichi di responsabilità, per i migranti che partivano dalla classe operaia nel paese di origine costituisce a tutti gli effetti un movimento verso l’alto113. Pur non raggiungendo il “mezzo” della stratificazione sociale 113 La percezione soggettiva del proprio status socio-economico può variare anche in seguito a eventi come pensionamento e vedovanza, o al cambiamento di ruoli sociali e stati di salute, e non solo in base al 207 in Italia, per l’aumento del potere d’acquisto rispetto al paese di origine e le migliori condizioni di vita e lavoro questi percorsi permettono di investire nell’immobiliare sia nell’area di provenienza che di destinazione, progettare la gestione delle risorse economiche familiari senza troppe ansie e garantire il sostegno ai figli fino all’istruzione terziaria. Riuscire ad agire da “bravi genitori” e da “emigranti rispettabili”, lavoratori non dipendenti dallo stato sociale e non coinvolti in carriere devianti, conferisce al progetto migratorio le caratteristiche del successo, anche laddove le condizioni lavorative sono diverse da quelle inizialmente sognate. Le vie utilizzate invece dai primo migranti che sono riusciti a raggiungere posizioni intermedie non sono state tanto l’assunzione come dipendenti, ma piuttosto il “mettersi in proprio”, aprendo negozi (soprattutto nel caso dei cinesi) o avviando attività imprenditoriali in collaborazione con italiani. In due casi l’ascesa della classe occupazionale familiare è dovuta al matrimonio della madre migrante con un italiano altamente qualificato. L’avvio di attività imprenditoriali sembra la via più efficace per mantenere o riacquistare posizioni sociali, dopo la caduta iniziale per l’ingresso in Italia. Per Ambrosini (2010) questo meccanismo di mobilità sociale accomunerebbe i migranti alle classi operaie italiane. Tuttavia i migranti si differenziano dalle classi operaie native, quando provengono da posizioni intermedie nel paese di origine, per le esperienze professionali compiute all’estero e il riferimento cognitivo alla rete parentale nel paese di origine, spesso collocata nelle posizioni medio-alte della stratificazione sociale. Per i lavoratori autonomi, in prevalenza padri, la famiglia ha costituito un serbatoio di forza lavoro da impiegare per contenere le spese in Italia, e l’estensione transnazionale delle relazioni ha fornito aiuto nella scelta della localizzazione delle attività e della sua gestione in caso di sedi all’estero. Per quanto riguarda l’assunzione come lavoratori dipendenti, la strada sembra più complessa, perché passa per la certificazione delle competenze acquisite. Diversi elementi concorrono a rendere difficile l’equipollenza e la traduzione del titolo di studio in Italia, tra cui i costi e la complicatezza della procedura, le informazioni mancanti o sbagliate fornite dagli uffici responsabili a riguardo e dalla rete dei connazionali, la mancata percezione dell’utilità della traduzione nel contesto lavorativo italiano. Soprattutto su quest’ultimo punto si concentrano gli intervistati, anche per le esigenze di guadagno benessere economico (cfr. ad esempio Cornman et al., 2012). Nell’analisi tuttavia abbiamo considerato indicatori più stabili nel tempo, per ricostruire la traiettoria di inserimento sociale familiare. 208 immediato sopra evidenziate. Il settore della cura nel suo versante formale sanitario è una delle poche vie attraverso cui i genitori intervistati hanno potuto far riconoscere la loro precedente qualifica professionale già prima della partenza. Anche la mediazione culturale e la cooperazione internazionale sono stati ambiti di inserimento delle madri che hanno tentato di preservare le competenze lavorative maturate al paese. Si tratta di settori occupazionali presi in considerazione una volta arrivate in Italia, proprio grazie alla condizione migratoria, tuttavia in questi casi per chi si collocava “nel mezzo” non si è trattato di reale mantenimento della posizione non solo perché il livello retributivo, di prestigio e di responsabilità e qualità delle mansioni svolte è più basso in Italia rispetto a quello che le intervistate avevano acquisito nel paese di origine, ma anche per la grande precarietà che caratterizza questo tipi lavori, specialmente nei periodi di diminuzione di risorse pubbliche e private destinate al no-profit. La natura saltuaria e informale di gran parte delle occupazioni svolte delle madri migranti, soprattutto come abbiamo detto impiegate come colf o assistenti familiari, e l’esposizione alla congiuntura degli uomini che lavorano come operai, in particolare nel settore auto e nell’edilizia, rendono frequenti gli episodi di disoccupazione anche laddove l’economia domestica sembrava stabilizzata. I corsi di formazione seguiti dai genitori migranti nei periodi di assenza di lavoro potrebbero essere opportunità di riqualificazione, e così vengono restituiti dalle interviste, ma i percorsi analizzati non presentano casi di successo di questo tipo114. I tentativi di cetizzazione, in particolare l’accensione di un mutuo per la casa, diventano così molto pesanti da sostenere, specie quando non si può contare su forti risparmi accumulati e neppure sull’appoggio di trasferimenti finanziari da parte di parenti o amici. La mancanza di un doppio reddito in Italia, periodico o continuativo, ha conseguenze sull'intero nucleo e può spingere i figli a lavorare full time per rimpiazzare le entrate mancanti di uno dei genitori, con gravi esiti sulla frequenza scolastica, come vedremo nel caso di Ionel. Quando il periodo di mancato reddito coincide con transizioni scolastiche importanti, ad esempio la scelta della scuola secondaria o dell’università, nonostante l’enfasi dei primo migranti sulle potenzialità della riuscita scolastica come canale di mobilità sociale, i figli devono fare i conti con 114 Non sono note a chi scrive ricerche quantitative italiane sugli effetti della disoccupazione degli immigrati sulla qualità, oggettiva e soggettiva, del loro lavoro successivo, ma a livello europeo uno studio comparativo su dati ECHP – European Community Household Panel (Austria, Danimarca, Spagna e Gran Bretagna) mostra che la disoccupazione lascia ferite nella storia occupazionale, diverse a seconda del contesto istituzionale, non solo per effetto delle specifiche politiche di protezione dei disoccupati e sostegno all’occupazione, ma anche per elementi macro strutturali, tra cui, nei paesi sud europei, un sistema di contrattazione collettiva che pone barriere piuttosto rigide agli outsiders che non godono di contratti standard e un alto tasso di disoccupazione nel paese (cfr. Dieckhoff, 2011). 209 risorse familiari molto limitate e soprattutto incerte, nonché con il loro senso del dovere nei confronti degli obblighi di restituzione verso i genitori. 5.6. Rappresentazioni della mobilità geografica e sociale nel passaggio da una generazione all’altra La migrazione non è solo uno spostamento individuale ma è, o diventa, nel caso di emigrati adulti che diventano genitori dopo il trasferimento all’estero, una strategia di collocarsi, singolarmente e in quanto membri di una famiglia, in un sistema di stratificazione sociale internazionale, che si configura nei diversi Paesi e regioni secondo regole e meccanismi di ingresso o mantenimento posizionale ritenute più o meno convenienti per mantenere o acquisire status. Si tratta in gran parte di mantenimento di status, dal momento che l’investimento migratorio riguarda principalmente chi si colloca “in mezzo” nel paese di origine. Naturalmente queste strategie possono combinarsi ad altre, come il matrimonio o l’avvio di attività imprenditoriali al paese, e riguardare solo una parte dei membri della convivenza familiare. Sono strategie costruite sulla base di informazioni imperfette, distorte secondo ragioni non sociologicamente neutrali o casuali, definite sulla base di negoziazioni intra e inter familiari, tra componenti della famiglia e della famiglia con altri sistemi sociali di riferimento, in primis con la rete parentale. Tali negoziazioni avvengono in asimmetria di potere e risorse e anch’esse non sono neutrali rispetto alla posizione sociale, al genere, ma anche al periodo, alla coorte, all’età dei protagonisti di queste vicende. Si tratta di strategie che si modificano in progress anche per il manifestarsi di vincoli e opportunità impreviste di natura macro istituzionale (socio economico o normativo), meso (familiare o a livello di attività economiche o scolastiche di impiego dei componenti della famiglia) o micro individuali. La selezione dei componenti della famiglia da coinvolgere nella mobilità geografica, i tempi, l’ordine e le modalità di coinvolgimento, fanno parte di queste strategie di posizionamento sociale familiare, ma seguono anche altre logiche, di natura normativa, affettiva e relazionale, e dipendono da fattori non strettamente economici o di funzionamento della stratificazione sociale, in particolare attinenti al welfare, al cambiamento delle politiche e alla loro applicazione, che possono agire in direzione opposta rispetto al fine di collocarsi “bene” nella struttura occupazionale e sociale del principale paese di destinazione dei membri. Osservando come i diversi componenti della convivenza familiare diventano partecipi, in 210 modi e tempi diversi e con ruoli sociali più o meno centrali, di queste strategie di mobilità geografica e sociale, emergono tutti gli aspetti sopra citati. La partenza dei genitori e poi del nucleo è stata dall’inizio, o è diventata, un modo per trasferirsi in un contesto in cui fossero migliori le condizioni contestuali di autorealizzazione. Questa rappresentazione dell’emigrazione è il nucleo del racconto emigratorio familiare di tutte le interviste raccolte. Tra i genitori e i figli intervistati, anche per effetto di autoselezione del campione dei genitori (v. nota metodologica) il dialogo è impiegato per persuadere i figli dell’importanza del loro percorso di inclusione verso l’alto nella società italiana. La strategia di mobilità sociale familiare, nei casi di non raggiungimento delle mete sociali che la famiglia si era prefissata, viene posticipata e attribuita alla generazione successiva a quella primo migrante. Questo processo viene discusso esplicitamente in alcune famiglie, in altre rimane un leitmotiv latente, di cui i figli sono comunque coscienti. Proseguiamo quindi nell’analisi delle interviste verificando come il percorso in istruzione dei figli entra a far parte della strategia migratoria familiare e si realizza in Italia. 211 6. Il percorso di istruzione-formazione Come abbiamo visto nel primo e nel secondo capitolo, gli studi sulla riuscita e le scelte scolastiche dei giovani migranti hanno indagato, soprattutto in paesi a lunga tradizione migratoria che dispongono di ricche banche dati quantitative, fattori classicamente utilizzati in sociologia dell’educazione per “spiegare” le disuguaglianze scolastiche, di natura individuale (risorse socio-economiche familiari, titolo di studio dei genitori, ad esempio), attribuiti all’istituzione scolastica (concentrazione di studenti con status basso o background immigratorio nelle scuole o classi, ecc.), o legata all’origine “etnica” (operativizzati in modo meno chiaro, normalmente con la nazionalità di origine dei genitori ma senza spiegare bene i meccanismi causali, di solito attribuiti a una generica attitudine della “comunità” migrante, all’impegno in istruzione come responsabilità morale dei giovani di origine asiatica, oppure alle controculture giovanili come reazione all’integrazione subalterna dei giovani di origine latina). Le ricerche qualitative, sviluppate da subito anche nelle letterature dei paesi con più breve esperienza immigratoria, hanno messo invece in luce aspetti relativi al nesso tra scuola e extrascuola, occupandosi anche del ruolo delle realtà associative, del privato sociale e delle diverse forme di aggregazione tra pari. In questo capitolo cercheremo di integrare questi due approcci evidenziando come non solo le risorse e i vincoli dati in un preciso momento, ma la più ampia storia del percorso di immigrazione familiare, nel modo in cui viene rappresentata dai suoi protagonisti, conferisca alla traiettoria scolastica dei migranti alcune specificità, che emergono in relazione alla cornice istituzionale data dalle normative e pratiche scolastiche e dagli attori che le realizzano nell’ambito locale. Tali specificità sono più evidenti durante alcune transizioni e fasi del percorso in istruzione che seguiremo nei paragrafi seguenti per ragioni espositive (primo inserimento a scuola in Italia, scelta del tipo di insegnamento secondario e dell’istituto da frequentare, integrazione tra impegni scolastici e extrascolastici nel corso delle secondarie di II grado, progettualità e rappresentazioni in merito all’istruzione terziaria), ma, come vedremo, si costituiscono in un processo 212 cumulativo formato da dinamiche più micro, quotidiane, le quali, sebbene non interpretate dagli attori come momenti cruciali, orientano verso alcune direzioni piuttosto che altre. 6.1. L’inserimento in classe e il primo ciclo di istruzione Come nella popolazione, il ritardo scolastico dei migranti nel campione è elevato: 39 su 56 intervistati frequentano una classe inferiore rispetto all’età. Tuttavia esso è dovuto esclusivamente a bocciature solo in cinque casi su 39 (v. tabella 6.1): per gli altri si è creato durante il processo di inserimento scolastico in Italia. Va anche notato che per sette ripetenti su 12, il ritardo dovuto allo spostamento dall’estero si è sommato a quello dovuto all’insuccesso scolastico in Italia. Sono colpiti soprattutto gli studenti e le studentesse migranti di istituto professionale e tecnico (15 su 20 in entrambi i tipi di scuola) e, in misura minore, quelli ai licei (9 su 16). Tab. 6.1 – Studenti e studentesse intervistate per tipo di scuola e ritardo scolastico: differenza tra età dell’intervistato/a e l’età attesa dal sistema scolastico (in anni di età); allievi in ritardo, allievi ripetenti e motivi del ritardo (v.a.). Differenza tra età e età Motivi del ritardo attesa dal sistema scol. Totale in Totale ritardo ripetenti esclusivamente ripetenze + esclusivamente -1 0 1 2 3 ripetenze altre ragioni altre ragioni Liceo 1 6 5 3 1 9 4 3 1 5 IT 0 5 10 2 3 15 Totale 16 6 1 5 9 20 IP 0 5 9 4 2 15 2 1 1 13 20 Totale 1 16 24 9 6 39 12 5 7 27 56 Tab. 6.2 – Studenti intervistati per tipo di scuola frequentata e livello scolastico del primo inserimento in Italia (v.a.). Infanzia* Primaria Media Superiore Liceo 4 5 5 2 Totale secondaria 7 IT 1 8 5 6 11 20 IP 0 5 12 3 15 20 Totale 16 Totale 5 18 22 11 33 56 Nota: (*) incluse le tre studentesse nate in Italia, due iscritte al liceo e una all’istituto tecnico. Poco più di metà del campione ha iniziato a frequentare le scuole italiane durante l’istruzione secondaria, anche se non mancano gli arrivi durante le elementari o prima (v. tabella 6.2). I ricongiunti nel corso delle scuole secondarie di primo e secondo grado si 213 concentrano nell’istruzione professionale (15 su 20), mentre sono di meno nell’istruzione tecnica (11 su 20) e liceale (7 su 16). Il processo di prima inclusione in classe è influenzato dalla traiettoria migratoria familiare e dalla reazione istituzionale all’arrivo degli studenti migranti per: (a) i tempi dell’arrivo; (b) il processo di individuazione del livello e grado scolastico più idoneo per l’inserimento dei giovani migranti; (c) le attività a sostegno dell’inserimento svolte prima di iniziare a frequentare le lezioni formali per iniziativa delle famiglie e (d) dopo l’inizio delle lezioni per iniziativa delle scuole e dei docenti; (e) le relazioni con i compagni di scuola; (f) gli atteggiamenti dello studente o studentessa migrante nei confronti del trasferimento e del successivo squilibrio di status scolastico. a. I tempi dell’arrivo Come abbiamo visto nel paragrafo precedente l’arrivo dei ricongiunti (cioè la maggioranza degli studenti migranti nel campione e attualmente nelle secondarie di II grado in Italia) non sempre avviene nei tempi desiderati da genitori e figli: il tentativo di arrivare durante l’estate per favorire l’iscrizione degli studenti a scuola a settembre riesce più spesso ai cittadini di area Schengen. Inoltre gli sfasamenti possono dipendere da differenze tra paesi nella distribuzione dell’anno scolastico rispetto all’anno solare, ad esempio in Argentina l’anno scolastico termina d’inverno, in Italia d’estate. L’arrivo in corso d’anno ha effetti deteriori sia sulla fruizione dell’offerta formativa disciplinare generale, pensata per svilupparsi in ordine cumulativo e sequenziale, sia sull’accesso ai percorsi di integrazione specifici per i migranti, dipendenti da risorse stanziate tempo prima e in parte non più accessibili in corso d’anno. Dal punto di vista della creazione dei primi legami con i compagni di classe, i racconti sugli inserimenti ad anno inoltrato sono caratterizzati da ansia per il fatto di dover interagire con un gruppo di pari già formato, con le proprie dinamiche interne e equilibri noti a tutto il resto della classe ma non all’ultimo arrivato. Infine arrivare in corso d’anno preclude l’iscrizione presso gli istituti scolastici che rifiutano le domande di inserimento presentate oltre l’inizio dell’anno scolastico, per ragioni didattiche e/o legate a pratiche informali di selezione degli allievi ritenuti “desiderabili” per non compromettere la reputazione della scuola. Tali rifiuti non caratterizzano tanto il primo ciclo di istruzione, in quanto scuola dell’obbligo, o le scuole dell’infanzia, dove le domande di iscrizione sovranumero rispetto alle soglie ministeriali 214 finiscono presto in lista d’attesa anche quando sono rispettati i tempi di iscrizione, ma piuttosto le scuole superiori115. Per le famiglie migranti coinvolte nella ricerca non è sempre chiara la ragione alla base del rifiuto dell’iscrizione, dato che la principale, o più autorevole, fonte di informazione è il personale amministrativo delle scuole alle quali si rivolgono. La procedura di inserimento in classe è normata da circolari ministeriali e regolamenti interni di istituto che creano un quadro composito e variegato, come abbiamo visto nel capitolo 4, oscuro nella sua completezza persino agli addetti ai lavori, per cui malgrado tali regolamenti siano documenti ufficiali, e dunque accessibili, di fatto non sono fruibili da genitori che non abbiano molto tempo e competenze, non solo linguistiche ma anche giuridiche, e motivazioni di rivalsa elevate. Mediatori culturali o sindacati potrebbero costituire riferimenti per le famiglie migranti, ma normalmente, proprio per la loro funzione di sostegno alla coesione sociale e perché anch’essi in possesso di informazioni parziali, non contraddicono il processo decisionale delle scuole e consigliano semplicemente di orientarsi verso gli istituti noti per essere “più accoglienti”. I passi successivi all’inclusione del figlio a scuola dipendono dalle indicazioni fornite dalla prima segreteria scolastica contattata, a cui si aggiungono talvolta altre notizie sommarie ricevute dalla rete migratoria, fatto che reitera la circolazione di istruzioni “per stranieri”, oppure dai datori di lavoro italiani, i quali non sempre detengono informazioni corrette, o aggiornate. Se per i ricongiunti durante il primo ciclo di istruzione l’arrivo in Italia è coinciso con l’inserimento a scuola, per alcuni degli adolescenti che avevano superato l’età dell’obbligo scolastico l’arrivo in corso d’anno spesso ha portato a preferire un corso di lingua italiana informale propedeutico all’inserimento alle scuole superiori, piuttosto che l’immissione diretta nel circuito dell’istruzione formale. Questo passaggio, mediato dalla rete di connazionali e incoraggiato dalle istituzioni scolastiche che avevano rifiutato l’iscrizione, causa ulteriore ritardo scolastico per la posticipazione della frequenza delle lezioni formali. Infine l’arrivo in corso d’anno può portare alla ripetenza non solo laddove l’allievo non riesca a raggiungere performance ritenute adeguate per il passaggio all’anno successivo, ma anche nel caso in cui il Regolamento d’istituto preveda un numero massimo di ore di assenza per anno scolastico e naturalmente tale regolamento sia applicato. Anche in 115 Sarà interessante verificare se i rifiuti alle iscrizioni in corso d’anno alle secondarie di II grado diminuiranno per effetto della spinta a mantenere alto il numero degli alunni in modo da evitare le chiusure delle scuole “sottodimensionate” secondo criteri divenuti via via più stringenti per il processo di razionalizzazione della rete scolastica italiana. 215 questo caso infatti si rilevano eccezioni. La pre-iscrizione a scuola nei tempi previsti e le comunicazioni trasparenti dei genitori con le insegnanti referenti sulle ragioni della posticipazione dell’arrivo del figlio, talvolta oggettivamente imprevedibili, permettono l’inserimento anche in anche in corso d’anno, come testimonia Koffi. Koffi: Anche prima di venire in Italia sapevo già che mi sarei iscritto in questa scuola. Int.: Ma come? Si era già informata tua mamma? Koffi: Sì, perché io le ho detto: “Voglio fare questo indirizzo” quindi lei ha scelto la scuola. Int.: Ah, si era informata nella città di Torino, perché stava già a Torino? Koffi: Sì, sì. Quindi prima di venire in Italia, sapevo già in quale scuola sarei andato. Int.: E quindi avete fatto l’iscrizione. Koffi: Sì. Int.: Anche se era dicembre ti hanno inserito? Koffi: Sì (stud. 35: Koffi, IT α elettrotecnico, 20 M, Costa d'Avorio). b. L’individuazione del livello e grado scolastico più idoneo per l’inserimento Un vincolo all’individuazione del livello scolastico di prima iscrizione dato dal trasferimento da altri paesi è la non corrispondenza tra sistemi educativi: laddove nel paese di provenienza l’obbligo scolastico inizia a sette anni di età, invece che a sei, l’inserimento in Italia comporta quasi automaticamente un anno di ritardo scolastico. Anche qui tuttavia, dato che la normativa prevede l’iscrizione in base all’età salvo diversa decisione del collegio docenti, la capacità delle famiglie migrante di influire sulla componente arbitraria della procedura è importante. Talvolta il ritardo scolastico è stato evitato forzando opportunisticamente le discrepanze tra sistemi scolastici (cfr. brano di intervista a Andrés), talaltra per la mancata conoscenza di tali differenze (v. genitori di Dimitri). In Colombia per l’età che avevo io dovevo fare la quarta elementare. Quindi arrivato qua ho detto che facevo già la quarta elementare, allora mi hanno messo in quarta per evitare di mettermi con i più piccoli (stud. 23: Andrés, IT α liceo tecnologico, 18 M, Colombia). Nicoleta: L’abbiamo portato qui urgente, d’emergenza. Aveva 11 anni, in paese doveva finire, dare l’esame per passare, da noi si chiama… le medie inferiori mi sembra. Purtroppo… poi le dico, dall’inizio della scuola ha avuto dieci, dieci più. Mai un altro voto. L’abbiamo portato qui ma in quinta elementare che l’ha iscritto mio marito, nel mese di marzo. Valeriu: Io ho sbagliato. Mi sono sbagliato. Nicoleta: Ma noi non abbiamo saputo. Valeriu: Al posto di portarlo in quarta, l’ho portato in quinta. Nicoleta: In quinta. Perché noi abbiamo pensato che doveva dare l’esame. Valeriu: E lui ha perso un anno di… gioventù, no? Questo è stato (gen. 1: Nicoleta e Valeriu, genitori di Dimitri [19], IT α, Romania). Le scuole particolarmente severe nell’individuare la classe scolastica di inserimento sono state scartate proprio per questa ragione delle famiglie migranti, anche se inizialmente le avevano inserite nello spettro degli istituti ritenuti interessanti per le materie trattate (e tale severità dal punto di vista dell’istituzione scolastica può essere impiegata non solo 216 per ragioni didattiche ma anche come “deterrente” per evitare nuove iscrizioni non gradite). La buona riuscita scolastica nel paese di origine, quando è stato possibile documentarla e tradurla, è stata impiegata dai genitori per favorire l’inserimento in una classe corrispondente all’età (nel campione è successo a Alexandru, Mirko, Sabina, Flor e Fernando). Sono qua dal 2003, dall’estate, ho finito la scuola in Romania, ho fatto la seconda media, volevano mettermi nella prima media però non lo so, mio padre li ha convinti. Avevo abbastanza buoni voti per cui non è stato troppo difficile (stud. 12: Alexandru, Liceo α scientifico, 21 M, Romania). Int.: Ma tu non hai un anno in più? Int.: Ti hanno messo in una classe corrispondente all’età? Sabina: Sì, perché hanno guardato i voti, hanno visto tutti i voti belli, allora mi hanno messo in terza, perché loro dicevano di mettermi nella seconda un anno indietro, allora abbiamo guardato i voti e mi hanno messo subito in terza. Int.: Perché tu andavi bene (sott.: a scuola) in Romania? Sabina: Sì (stud. 44: Sabina, IP β sala bar, 20 M, Romania). Fernando: All’inizio sì, è stato un po’ duro, perché non mi volevano lasciare entrare. Dicevano così, che a marzo è un po’ difficile ma che boh, poi hanno visto un po’ i risultati, hanno visto che andavo bene, e allora mi hanno lasciato stare. Int.: Cioè la pagella che avevi in Argentina? Fernando: Sì, sì, hanno visto quella. Poi all’inizio non ci credevano neanche tanto, non mi volevano lasciare entrare in aula perché dicevano che potevo disturbare gli altri. O… far regredire il programma (sorride), poi ho fatto qualche compito e così hanno visto che potevo andare avanti, e non mi hanno più detto niente (stud. 33: Fernando, IT α informatico, 19 M, Argentina). Le scuole secondarie con un’offerta formativa più strutturata per gli studenti migranti, come l’IT Alfa nel campione, organizzano test di ingresso sulle abilità possedute dagli studenti, in modo da individuare la classe di inserimento più appropriata in base alle competenze, come è successo a Fernando e Zëdlir, facilitati anche per il fatto di non aver avuto grosse difficoltà linguistiche. Zëdlir: Abbiamo parlato con loro, “Vai, fai un esame per entrare, un test”. Ho fatto un esame in matematica, uno in fisica… Int.: Ma in che lingua? Zëdlir: Italiano, no perché io lo sapevo già l’italiano. [...] Ho fatto il test e mi hanno detto “Guarda se vuoi puoi andare in seconda, cioè continuare e non perdere nessun anno, però sappi che è difficile. Oppure vai in prima e non avrai problemi”. Io sono andato in seconda, e mi sono trovato bene, non ho mai avuto problemi (stud. 27: Zëdlir, IT α informatico, 20 M, Albania). Infine oltre agli aspetti più organizzativi e didattici anche gli attributi fisici degli studenti e i loro effetti relazionali sul gruppo dei pari sono stati valutati dai docenti (v. brano di Lorian). Int.: Sei arrivato in prima media? Lorian: Subito in prima media, hanno detto che avevo l’età giusta, ho saltato la quinta, non so perché, perché noi iniziamo a sette anni, non come qui a sei penso. 217 Int.: E quindi hanno guardato più l’età che la fine delle elementari? Lorian: Ma mia madre gli diceva: “Deve imparare tutto dalle basi, mettetelo in quinta” ma “Eh, suo figlio, suo figlio non ha l’età di stare in quinta”. Mia madre che gli diceva “Ma mettetelo, anche se è bocciato e un po’ più grande degli altri…”. Perché io ero alto quasi come adesso, ero… un metro e ottanta ci arrivavo, cioè ero un gigante tra i bambini! Già a scuola mi prendevano in giro “Ah, alto, alto!” e poi mi prendevano in giro per altro “Sporchi rumeni, schifosi, andatevene via” (stud. 48: Lorian, IP β sala bar, 20 M, Romania). A parte questi casi, tuttavia, gli altri inserimenti sono avvenuti verso il basso, tanto che per gli intervistati risulta una eccezione essere inseriti in corrispondenza all’età. Io da questo punto di vista mi ritengo fortunata perché sento altri ragazzi che arrivano e li mettono un anno prima, perché non sanno l’italiano… invece noi siamo state fortunate, perché ci hanno messo nell’anno giusto con l’età (stud. 6: Flor, Liceo α scientifico, 18 F, Perù). Le argomentazioni usate dagli insegnanti per legittimare con le famiglie migranti la perdita di anni scolastici riguardano di solito la non conoscenza della lingua italiana e la mancanza di competenze di base per la non corrispondenza tra sistemi scolastici, elementi particolarmente rischiosi prima dell’esame per la licenza media. Lì ho fatto fino a prima media, fino all’aprile della prima media. Venendo qua ho dovuto rifare sia la prima media… sia non lo so per quali calcoli alla fine sono uscita con tre anni in più dei miei compagni che adesso fanno le superiori. […] Non lo so, perché il sistema marocchino è uguale a quello francese, per cui non c’è una reale corrispondenza, e quindi hanno fatto i conti un po’ così, su per giù, mettiamola in prima media. Perché in V elementare gli sembrava un po’ eccessivo. Io… non è che si poteva dire “No”, ho detto “Va bene”. Quello è e quello rimane (stud. 16: Hind, Liceo α scientifico, 22 F, Marocco). Ho fatto sia l’asilo che le elementari, sono venuta qui in Italia che dovevo fare la seconda media solo che la preside ha detto che dovevo imparare bene le cose di base […] e ho rifatto la prima media (stud. 55: Rocio, IT β grafico, 21 F, Ecuador). Sono andata alle medie, ho rifatto la prima media mi sa, perché comunque non sapevo parlare l’italiano. […] Mi ricordo che siamo andate là, abbiamo detto che ero appena arrivata, non sapevo parlare… In Romania in effetti avevo fatto già la prima… la prima media, sai? E comunque avevo detto che avevo fatto la prima media in Romania, ma mi hanno detto che “Siccome non sai l’italiano, devi partire da zero” (stud. 4: Tania, IP α sociale, 20 F, Romania). Int.: Quindi sei arrivata qua… Marina: A 14 anni. Int.: E ti hanno messa giusta con l’età? Marina: No, soltanto un anno in meno dei miei compagni, per la lingua mi hanno fatto tornare indietro, io per gli anni dovevo essere giusta subito in prima superiore (stud. 47: Marina, IP β arte bianca, 20 F, Macedonia). Diciamo che ho perso un anno. Perché io avevo già frequentato la prima media là. Sono arrivata a dicembre, poi non sapendo parlare bene la lingua… sono arrivata che c’erano le vacanze di Natale quindi ho iniziato a gennaio! Quindi non sapendo parlare la lingua e tutto, essendo che erano già passati mesi da quando era iniziata la scuola, quando è finita la scuola hanno i chiamato i miei e gli hanno detto “Lei potrebbe iniziare la seconda, però se ricominci la prima… sarebbe meglio così impara di più”. I miei hanno detto: “Sì, sì per noi va bene” e niente. Alla fine penso anche io che sia stato meglio così, anche se ho perso un anno, perché alla fine perso non è stato perché non mi hanno bocciato, niente, è stato meglio così. Appunto per la lingua e… adattarmi comunque, perché è diverso (stud. 5: Marisa, IP α turistico, 19 F, Santo Domingo). 218 Mentre per alcuni studenti l’inserimento in una classe scolastica inferiore rispetto all’età risulta essere stata sostanzialmente arbitrario e nocivo, altri collocano il ritardo scolastico dovuto al trasferimento e alla decisione del primo istituto scolastico frequentato in Italia nell’ambito di una traiettoria educativa più lunga, che valutano complessivamente soddisfacente: gli anni “persi” all’ingresso seguendo le indicazioni dei docenti hanno evitato loro bocciature successive. Io ho fatto due in Romania delle medie, e poi ho fatto qua prima media e seconda media. Per non ammettermi subito all’esame, perché io avevo una paura! Allora (sott.: mi hanno detto) “Prima fai la seconda, e – poi – andando avanti… con… quest’anno qua, tu riesci a… a trovarmi meglio con i compagni, a masticare un po’ il linguaggio”. [...] Perché alla fine di agosto, quando era andato mio padre a iscrivermi, gli hanno detto “Noi gli consigliamo di andare in seconda”. Perché qua arrivavo… cioè ho fatto la seconda, andavo subito in terza a fare l’esame… […] però ° io non sapevo la lingua °… Ma è stata una cosa per me, una cosa che volevo io. Non è che mi hanno fatto una cosa contro. Mi hanno aiutato e quindi quell’anno là ho potuto capire la lingua meglio e poi l’anno dopo fare l’esame (stud. 2: Elisabeta, IP α sociale, 20 F, Romania). Int.: Ti avevano messo nell’anno corrispondente all’età? Daniel: Sì. Mi avevano chiesto se volevo fare: in base all’età, dovevo fare già la terza media. Però… sicuramente mi bocciavano. Non sapevo l’italiano, non sapevo niente. Allora mio padre ha detto: “No, no”. Avevo fatto la prima media in Romania, allora mio padre ha detto: “È meglio aspettare un anno, e poi li fa tutti e tre”, ho fatto la seconda e la terza, è meglio. E così… a posto (stud. 34: Daniel, IT α elettrotecnico, 19 M, Romania). Alle secondarie di II grado, dove il mandato disciplinare è più spiccato, il ritardo all’ingresso per ragioni didattiche, logistiche e organizzative è più elevato che nel primo ciclo di istruzione, e lo scarto tra età attesa e età dello studente può arrivare fino a due o tre anni scolastici. Ad esso si sommano talvolta ripetenze successive, per ragioni linguistiche e/o accademiche. Inoltre le possibilità lasciate alle famiglie per contrastare l’inserimento verso il basso sono minori che negli altri gradi di istruzione, anche se rimane l’opzione di rivolgersi a un altro istituto scolastico. Come spiega Adolfina, per chi arriva alle secondarie la documentazione del percorso pregresso è essenziale, ma non tutte le famiglie sono consapevoli che servirà e non tutte quelle che la ritengono preziosa possono ricostruirla prima di partire, per ragioni di costi e tempi burocratici, lunghi nel paese di origine e in Italia. Inoltre di solito alla riunione dei figli i genitori si trovano già in Italia. Alla scuola superiore è ancora un'incognita dove vengono inseriti i ragazzi. Da quanto ho saputo, alcuni professori chiedono nella scuola il programma di studio, mi sembra una cosa giusta, così vedono tutte le cose che hanno fatto, > tutti i capitoli, tutti i contenuti di matematica scienze eccetera <. E altri invece si guidano per l'età, altri vogliono far iniziare da prima superiore, quindi sembra anche… anche se anno già finito di fare… (ride) per cui non lo so, è la parte veramente più critica. Dal mio punto di vista la parte più critica, perché nelle elementari, nella scuola media, più bello, vengono inseriti dalla loro età, soprattutto è così. Anche persone se non hanno portato i documenti, molte persone vengono senza portare i documenti, quello è un grande svantaggio. […] Invece se loro portassero almeno i documenti, 219 e poi il programma di studio, soprattutto per quelli più grandi, già sarebbe molto diverso. Io sì, li ho portati, perché io sapevo che per travasarsi da una scuola ad un'altra, bisogna avere il documento, senza documenti non c'è nulla, non sapevo che qua si poteva a seconda dell'età, non l'ho mai saputo, e mai mi immaginavo. Lì ho portati, ma non servivano a nulla, però comunque me li hanno ricevuto (ride). Però io comunque li ho portati. Il percorso è difficile perché soltanto il visto o sa... il visto che si fa nei documenti di studio, la legalizzazione, quel riconoscimento del consolato italiano, passa attraverso l’Istituto italiano di cultura e... diciamo soltanto a Lima, parlo del Perù, esiste. Non c’è. Ogni persona che abita a Lima deve portarsi i documenti, è molto difficile. Poi l'italiano di cultura non ti da informazione, sono assolutamente chiusi. Sono assolutamente chiusi, e ricevono i documenti alle sei del mattino, soltanto per le prime 20 persone che arrivano. Per una persona che non abita a Lima veramente diventa molto difficile. Sicuramente hay (trad.: ci sono) dei motivi per cui uno non li porta. […] Io non abitavo a Lima, io abitavo in Perù ma in una città della foresta amazzonica vicino al Brasile. E sì, direi nel mio caso, per fortuna lavoravo […] in Regione, e avevo accesso in Regione a molte, molte opportunità (gen. 4: Adolfina, madre di Flor [6], Liceo α, Perù). Uno dei modi per ovviare alle evidenti difficoltà linguistiche iniziali, e anche alla mancanza della licenza media italiana (titolo di studio richiesto, di nuovo arbitrariamente, solo da alcune scuole superiori per completare l’iscrizione), è stato frequentare contemporaneamente la scuola superiore e i corsi serali o pomeridiani per adulti dei CTP. Portare a termine con successo entrambi i percorsi ha richiesto grande sforzo, non è stato compatibile con lavoretti o altri impegni extrascolastici. Ouail: Non avevo possibilità (sott.: di frequentare una scuola secondaria di II grado statale) perché non avevo fatto la scuola media. Quindi facevo contemporaneamente, facevo la scuola media e questo corso. Int.: Ah, e quando studiavi? Di notte? Ouail: Sì. Int.: E quando andavi alla scuola media? Ouail: Scuola media facevo di pomeriggio, due o tre volte la settimana. Int.: Ah. Facevi al CTP? Ouail: CTP, giusto (stud. 11: Ouail, IP α aziendale, 20 M, Afghanistan). Int.: Quando sei arrivato in Italia? Koffi: Dicembre. Mi ricordo che sono arrivato in Italia un venerdì. Il lunedì sono venuto subito a iscrivermi. Eh, era piuttosto difficile, per il fatto che già non sapevo la lingua. Il mio primo anno ho fatto un’altra scuola per imparare l’italiano. Int.: Il CTP, per prendere la terza media? Koffi: Sì, sì, sì, sì. […] A mia madre più che altro, amici, l’hanno consigliato lei e mi ha detto lei di iscrivermi. Quindi il primo anno ho fatto due scuole contemporaneamente. È stato piuttosto pesante (sorride). […] Int.: In che classe ti hanno inserito? Koffi: In seconda. Int.: Hanno riconosciuto il percorso che avevi fatto? Koffi: Sì. Poi ho dovuto, chiaramente, visto che era in francese, la traduzione del diploma. Int.: Sai se ti hanno inserito nell’anno corrispondente alla tua età? Koffi: Probabilmente no. Visto che… se fossi rimasto lì sarei già diplomato sicuramente (stud. 35: Koffi, IT α elettrotecnico, 20 M, Costa d'Avorio). Mi sono iscritta alla scuola qua, l’IP Alfa, e poi nello stesso tempo mi sono iscritta il CTP, quindi facevo tutto il mattino la scuola normale, poi di pomeriggio facevo il CTP. E cioè… nell’arco di tre mesi, sono… ° sono riuscita a capire un po’ ° (stud. 29: Malika, IP α sociale, 22 F, Marocco). 220 c. Le attività di sostegno familiari pre-inserimento Alcuni intervistati hanno seguito il primo anno in Italia i corsi di italiano, e l’anno successivo si sono iscritti alle scuole superiori. Il tipo di corso di italiano frequentato è dipeso dalle risorse familiari: Lorena, la cui madre ha sposato un veterinario italiano, ha seguito costose lezioni private individualizzate, recuperando un anno scolastico. Int.: Ah, quindi stavi proprio finendo (sott.: le superiori a Cuba)? Lorena: Sì, stavo proprio finendo (voce triste). L’ultimo, il secondo anno. Qua ho iniziato dalla seconda. Cioè il primo anno nel 2006, quei quattro mesi che ero qua, ho iniziato un po’ a imparare la lingua. Perché là (sott.: a Cuba) avevo fatto un corso, però non ho proprio imparato niente. Dopo a dicembre mi sono informata, e poi sono venuta in questa scuola, mi hanno detto “Sì, hai la possibilità di farti il salto in seconda”. Perché mi volevano in prima, ho detto “In prima a 18 anni… mi sento un po’ a disagio”. Io non avevo mai fatto inglese e francese. Non conoscendo l’italiano, conoscendo solo lo spagnolo, dovevo tradurre in tutte le lingue. Però così ce l’ho fatta. Cioè sono andata in una scuola privata, mi sono preparata per gli esami che ho dato a settembre, ce l’ho fatta e sono andata in seconda. Cioè dalla seconda fino alla quinta non ho mai avuto problemi. […] L’ho frequentata a Rivoli (città dell’intorno torinese, ndr), la scuola privata di lingue. Allora io sono arrivata ad agosto, settembre, ottobre e novembre ho frequentato questa scuola che c’è a Rivoli, e è molto conosciuta. […] Proprio per l’italiano. E poi sono andata non so se lei conosce a Rivoli il [nome di un noto istituto secondario di II grado privato], lì io ho studiato tutte le materie, italiano, scienze, matematica… con dei professori privatamente. C’eravamo poi io e il professore, mi facevo cinque ore al giorno (sorride). […] Int.: E questa (sott.: scuola) come l’avevi trovata? Lorena: Sì, l’hanno… l’hanno… penso che l’ha trovata il marito di mia mamma (stud. 10: Lorena, IP α aziendale, 22 F, Cuba). Gli altri studenti invece hanno seguito le prime lezioni di italiano, normalmente gratuite, presso associazioni di riferimento, di quartiere o religiose, facilmente contattabili tramite la rete migratoria. Queste realtà associative hanno orientato in seguito al CTP, allungando i tempi prima dell’iscrizione nelle secondarie di II grado. Trisha: Allora quando sono arrivata qua, non sono subito andata a scuola a frequentarla così, sono andata nella nostra chiesa, non è proprio una chiesa, è una comunità filippina dove c’è una suora che insegna.. non è filippina, è italiana, che ci insegna la lingua italiana, e da lì ho imparato un po’ le basi cioè come ti chiami, dove abiti e così. Poi dopo di quello, cioè dopo due mesi di corso di italiano, poi sono andata a frequentare il CTP […] perché abitavo là vicino, e lì ho imparato tante cose. […] È che avevamo chiesto io e mia madre, avevamo chiesto alle tante scuole qua, se posso, ma ero venuta di febbraio quindi non potevano più ammettermi. Quindi là ho perso un anno diciamo. Int.: Perché non potevano più ammetterti? Trisha: Sì, quindi là avevo già perso un anno, e poi… a settembre abbiamo… loro ci hanno detto che non posso entrare perché devo prendere prima la licenza media italiana, non vale quella filippina, non me la contano! E quindi per forza devo andare al CTP perché lì rilasciano questa licenza media. Int.: Quindi te l’avevano detto le scuole superiori a cui avevi chiesto. Trisha: Mmh (segno affermativo). E quindi ho frequentato il CTP, e… (stud. 30: Trisha, IP α sociale, 22 F, Filippine). Altre attività di alfabetizzazione di italiano come lingua seconda extrascolastiche prima, nel paese di origine, o contemporaneamente al primo ingresso a scuola in Italia si sono svolte con l’aiuto di amici o conoscenti dei genitori. La qualità di questo tipo di aiuti è 221 dunque dipeso dalle risorse relazionali e finanziarie familiari. O dall’intraprendenza degli studenti nel cercare tra i corsi gratuiti quelli di qualità più elevata e più stimolanti per l’offerta educativa e le informazioni sui servizi cittadini erogate oltre all’alfabetizzazione linguistica. Int.: Ti ricordi se avevi fatto dei corsi di italiano? Pilar: Allora, all’inizio, appena sono arrivata, c’era una amica di mia mamma che comunque faceva… lavorava in un asilo nido, no, in una scuola materna. E allora io andavo da lei, perché a volte lei non lavorava, stava a casa, e lei mi insegnava. Int.: Era bilingue? Pilar: Sì, sì, sapeva lo spagnolo, se no non capivamo. Era italiana, ma sapeva giusto l’essenziale quindi riuscivamo a comunicare. Lei mi insegnava a scrivere e leggere. Poi ho iniziato la scuola e facevo più fatica perché sai ci sono le doppie, le parole con l’apostrofo, quelle cose lì facevo più difficoltà. Però poi mi avevamo messo quando avevo iniziato vicino a una signora che credo era un’insegnante di sostegno, che mi aiutava a capire meglio cosa facevamo o cosa… e quindi a volte mi ritrovavo anche nel pomeriggio con questa signora per fare… ma era tipo una cosa di volontariato, perché era credo già in pensione. Int.: Magari era una maestra in pensione? Pilar: Sì, credo di sì. E quindi mi ha aiutato molto (stud. 39: Pilar, IP α sociale, 20 F, Perù). Tutto con mia madre e con questo signore qua (sott.: il padre del compagno della madre). Ma ho ancora a casa tutti i fogli con tutti gli appunti. Ci mettevamo fuori in giardino. The al limone, carta e penna. Un libro a casa, e dovevo magari copiare la parte del libro, o mi faceva il dettato, e io dovevo scrivere. Eh, è stato… ha funzionato parecchio (stud. 48: Lorian, IP β sala bar, 20 M, Romania). Un’amica di mia mamma mi ha prestato dei libri. Con il lessico, i verbi… e io li trascrivevo. Sì, sapevo già parlare un pochettino, ma non più di tanto. E allora abbiamo deciso di fare l’iscrizione (stud. 25: Adelka, Liceo α socio-psico- pedagogico, 20 F, Romania). Int.: Avevi fatto anche dei corsi di italiano? Suzana: Ma guarda io veramente avevo già preso delle lezioni quando ero nel mio paese (stud. 40: Suzana, IP α sociale, 19 F, Romania). Fernando: Prima di venire avevano fatto dei corsi, non erano neanche dei corsi, veniva una persona da noi, tutti i sabati, e ci spiegava le cose di base, la grammatica… in quel momento non mi sembravano neanche cose importanti, e il sabato mattina io non volevo fare niente (sorride), e arrivava… perché di là non c’è la scuola sabato mattina, e veniva da noi e io non avevo neanche la voglia… però un po’ l’ascoltavo. Int.: Per la vostra famiglia o a scuola? Fernando: No, veniva a casa nostra, veniva pagato, era nostro amico anche. Quindi niente, abbiamo imparato un po’ ‘ste cose… e poi in realtà quando son venuto diciamo che non sapevo parlare molto, non sapevo neanche fare una frase coerente. Ma… sì grazie a queste basi, poi ascoltando tutto il giorno, venendo pure a scuola eccetera eccetera, alla fine ho imparato abbastanza in fretta (stud. 33: Fernando, IT α informatico, 19 M, Argentina). Int.: Avevi fatto anche qualche corso di italiano all’inizio? Ivona.: Sì, mi ricordo prima di iniziare la scuola ho fatto due o tre mesetti durante l’estate, all’Asai (sott.: associazione educativa). Ho fatto il corso di italiano, e poi latino, poi ho fatto altre attività come piscina… […] Int.: Ti ricordi come avevi conosciuto l’Asai appena arrivata? Ivona.: Mi sembra che degli amici di mio padre la conoscevano già perché avevano dei figli grandi e quindi l’avevano consigliato di mandarmi. Int.: C’era anche tuo fratello? Ivona.: Sì, perché io ero piccola, avevo 11 anni… (stud. 42: Ivona, IP α sociale, 20 F, Romania). 222 Io avevo fatto proprio una lista di tutti i posti con corsi di italiano, anche ai CTP, avevo guardato anche su internet, e tutti i giorni andavo, in posti diversi, no? Poi alla fine sono rimasto soltanto nell’Asai perché era il posto che mi piaceva di più, mi trovavo di più, cioè mi trattavano meglio rispetto agli altri posti, e alla fine ho deciso di andare solo lì. Cioè sono andato all’Associazione per l’America Latina, al Cpt Parini e non mi piaceva tanto, comunque sono quelli della zona mia, no? Sono andato fino a Porta Palazzo (sott.: quartiere distante da quello dove abito) perché mi piaceva di più l’Asai (stud. 56: Miguel, IT β grafico, 20 M, Brasile). Lo studio dell’italiano da soli invece non si è dimostrato molto efficace. Mio papà ovviamente mi aveva detto “Studia durante l’estate, studia l’italiano, se no non capisci niente” tutta l’estate con il libro in mano, lo guardavo così… (fa segno di poco interesse, ride) Non sapevo niente! Tranne una parola, “altalena”, la prima parola del libro (ride). Non sapevo niente tranne che cosa vuol dire altalena! (stud. 3: Carolina, IP α sociale, 19 F, Romania). Ad agosto mi mettevo lì a imparare i verbi, ma comunque non son riuscita a studiare d’estate (sorride) più di tanto, e quindi ho ricominciato a fare la prima media e con il tempo ho iniziato… (stud. 4: Tania, IP α sociale, 20 F, Romania). I docenti più disponibili, quando il dialogo scuola-famiglia instaurato è stato buono, hanno supportato le famiglie nel localizzare i corsi di italiano più efficaci. Questo passaggio è avvenuto dopo l’inserimento del primo figlio a scuola, per cui è stato utile solo per i fratelli e le sorelle arrivati in un secondo momento. Int.: Quindi da settembre (sott.: arriveranno gli altri i suoi figli?) Zuna: Sì, sì, anche mi hanno dato un indirizzo per fare iscrizione per l’estate in una scuola vicino Porta Nuova (sott.: stazione ferroviaria di Torino), per l’estate, per fare i compiti e imparare l’italiano. Perché parlano francese e non parlano niente l’italiano. Per imparare un po’ l’italiano prima di settembre. Int.: Quindi proprio corsi di italiano, è un’associazione? Zuna: Qua, me l’ha detto l’indirizzo un’insegnante dell’IT Alfa. E siccome loro non sono ancora arrivati io non sono ancora andata a fare iscrizione e aspetto qua, per fare l’iscrizione. Prima di settembre (gen. 7: Zuna, madre di Koffi [35], IT α, Costa d'Avorio). d. Le attività di sostegno scolastico post-inserimento La disponibilità personale dei singoli insegnanti per gli studenti è stata la prima forma di sostegno scolastico percepita. Anche per le nate in Italia, come Safia, per le quali ovviamente non compaiono gli stessi problemi di inserimento dei ricongiunti. Safia: Mi ricordo addirittura il primissimo giorno. Ero stata presentata a tutta la classe, ricordo questo momento in cui io ero in piedi davanti a tutta la classe e la maestra mi aveva presentata alla classe e bon questo è il primo impatto con la scuola. Int.: La scuola materna, dell’infanzia? Forse hai iniziato dopo? Safia: Eh mi sembra che ho iniziato dopo, non ho mai chiesto a mia madre…. perché, questa presentazione in piedi… magari eravamo rimasti di più in Marocco, devo chiedere a mamma. E poi sono stata seguita da una maestra ° per la lingua penso…° per imparare meglio l’italiano, invece dopo non ho più problemi, alle medie e alle superiori (stud. 7: Safia, Liceo α scientifico, 19 F, Marocco). Piano piano ho visto che non era come in Romania, e che gli insegnanti erano lì disposti ad aiutarti, a spiegarti, quindi… E poi avevo fatto anche dei corsi di italiano. Cioè c’era un professore che si fermava dopo le lezioni, e ci spiegava le cose, c’erano tanti ragazzi stranieri, 223 marocchini, tanti ragazzi stranieri… Sì all’inizio era un po’ così, poi piano piano ci siamo abituati (stud. 4: Tania, IP α sociale, 20 F, Romania). Ionel: Con gli insegnanti mi sono trovato benissimo, in tutte le scuole… E’ proprio… zero, cioè come se fossi italiano, cioè dal punto di vista… culturale e quant’altro, nessuna differenza… Neanche… né nei miei rapporti scolastici, né oltre, perché comunque, con tutti gli insegnanti, anche in questa scuola > anche grazie ai progetti soprattutto extrascolastici < si sono creati dei rapporti, non solo professore-insegnante ma anche ° dei legami affettivi °. Quindi nessuna differenza. Anzi ° a me è sembrato addirittura che a me guardassero con… boh non so, con degli occhi un po’ diversi ° cioè nel senso anche… Quando sbagliavo, magari facevano anche meno caso di quando sbagliavano i miei compagni. Quindi da questo punto di vista niente da dire, mi sono trovato bene. Int.: Perché? Perché secondo te avevano questi atteggiamenti positivi? Ionel: (sorride) Non lo so sinceramente. Un po’ per il mio andamento scolastico, penso. E un po’ perché, comunque… cioè, comunque nei loro confronti… ° Mi è sempre piaciuto portare rispetto per i professori ° perché quando mi scocciava, o mi sembrava che non avessero un comportamento non troppo corretto, gli ho sempre portato rispetto. E quindi forse hanno ricambiato questo mio comportamento (stud. 52: Ionel, IT β grafico, 20 M, Romania). Mentre per altri diritti sociali la società civile ha anticipato l’intervento pubblico istituzionale (Ambrosini, 2010), per l’istruzione come abbiamo visto nel quarto capitolo gli interventi di inclusione interculturale si sono sviluppata a partire dagli anni Ottanta. Altri accorgimenti didattici per favorire l’inserimento percepiti dagli studenti sono stati in effetti la riduzione del programma scolastico e la sospensione della valutazione per il primo periodo di acquisizione della lingua italiana. A conferma di quanto emerso dalle interviste ai testimoni qualificati, tuttavia, si tratta di procedure che gli studenti hanno associato allo sforzo di alcuni docenti particolarmente motivati. La mia professoressa di italiano […] era bravissima! Mi sono trovata benissimo comunque, ci dava sempre una mano, mi spiegava ancora e ancora le cose, poi mi sottolineava giusto sul libro, perché siccome per me era difficile da capire, andare a studiare una cosa e non capirci niente, per me era molto difficile. Allora lei mi dava poco poco da studiare, però quel poco io lo dovevo sapere. No perché studiavo ° a memoria perché comunque non capivo tanto ° (stud. 3: Carolina, IP α sociale, 19 F, Romania). Quando ero appena arrivato non sapevo niente di italiano, in terza media diciamo che… avevo un po’ il programma… un po’ ridotto di storia e italiano. Perché poi nelle altre materie riuscivo a cavarmela, soprattutto in matematica, e inglese un po’ (stud. 32: Gaby, IT α liceo tecnologico, 22 M, Perù). Qua in questa scuola, se tu studi, io sono arrivato non sapevo leggere, non sapevo parlare, se tu studi, ti aiutano i professori, vedono che tu ti stai davvero impegnando, che tu stai imparando (stud. 24: Bogdan, IT α elettrotecnico, 19 M, Romania). Solo che qua nei primi sei mesi non mi hanno valutato. […] Non sapevo l’italiano e non potevo fare le versioni dal latino all’italiano. E poi mi hanno valutato. Mi ricordo ancora il mio primo voto per una versione di latino: ho preso sette! (sorride) (stud. 25: Adelka, Liceo α socio-psico- pedagogico, 20 F, Romania). L’assenza di valutazioni per il primo periodo facilita la gestione dell’inserimento a scuola e nella società in generale, inoltre in alcuni casi è una necessità, quando per le ragioni 224 sopra esposte gli arrivati in corso d’anno non vengono iscritti ufficialmente a scuola, ma iniziano a frequentarla come uditori. Lì c’erano persino… ho fatto quei mesi e mezzo di alfabetizzazione in quella scuola, perché arrivando a scuola a metà aprile… non ho neanche fatto l’iscrizione. O mi iscrivevano, e mi bocciavano, o andavo l’anno dopo. Però pur non essendo iscritta regolarmente, andavo a scuola, facevo le lezioni normali, e poi l’anno seguente ho fatto proprio, mi sono iscritta normalmente, e seguivo con loro (sott.: gli altri compagni, delle materie scientifiche, le materie come dire umanistiche per lo più storia, oppure geografia, alcune volte anche italiano, le facevo separate, con corsi di alfabetizzazione (stud. 16: Hind, Liceo α scientifico, 22 F, Marocco). Praticamente appena sono arrivata sono andata alle medie. E… perché sono arrivata a marzo, quindi ho fatto due o tre mesi alle medie, però come alunna libera, non facevo interrogazioni o compiti, non ero proprio iscritta a scuola, era solo per ambientarmi, un po’… alla società (ride) (stud. 6: Flor, Liceo α scientifico, 18 F, Perù). Gli studenti riconoscono l’impegno extra dei docenti più disponibili, soprattutto di lingua e letteratura italiana e latina, i quali, grazie ai compiti e alle spiegazioni aggiuntive, hanno favorito l’apprendimento dell’italiano per studiare durante le lezioni ordinarie. Gaby: A volte, facendo anche latino, a volte… Int.: Ti venivano dei dubbi? Gaby: Sì, sì. Però allo stesso tempo imparavi tantissimo dal latino. Perché dovevi andarti a costruire, a trovarti le parole, ste cose no? Quindi è stato molto… diciamo una materia molto importante, per imparare la lingua. Anche se all’inizio è stato un po’ difficile, perché già non sapendo l’italiano, e poi dover cercare altre parole… però poi alla fine grazie ai professori, soprattutto quelli di italiano, mi sono trovato bene. Perché diciamo che lei sapeva che non parlavo tanto bene in italiano e quindi mi faceva, riusciva a far sempre dei temi in più rispetto agli altri, quindi sempre me li correggeva, e poi me li portava. Mi diceva: “Questo è così, questo è cosà”, e poi boh. Int.: E quindi ti è servito molto per la lingua? Gaby: Sì nel biennio soprattutto la professoressa che ho avuto è stata molto brava. In terza sai che i professori un po’ si cambiano, no? Quindi… danno per scontato che tu sappia già la lingua e quindi… (sorride) evitano di farti certe cose (stud. 32: Gaby, IT α liceo tecnologico, 22 M, Perù). È stato difficile il primo anno, non sapevo niente. Capivo malapena, non parlavo. Mi ha aiutato tantissimo un prof […]. Me lo sono ritrovato qua, […], insegnava italiano sì, poi è venuto qua. Sapete le ore di compresenza? All’inizio [non] eravamo tanti, c’ero solo io, poi sono arrivati ancora due, poi al terzo anno ancora uno quindi eravamo in totale quattro. Ci prendeva in queste ore di compresenza, eravamo solo romeni in classe, e… ci faceva le declinazioni, coniugazioni, grammatica insomma (stud. 12: Alexandru, Liceo α scientifico, 21 M, Romania). Un altro strumento organizzativo impiegato da questi docenti è stato l’utilizzo delle ore di compresenza, durante le quali la classe è gestita da due insegnanti contemporaneamente, oppure il supporto degli insegnanti di sostegno. Questa seconda misura è raccontata con riferimento all’effetto stigmatizzante, e infatti in parte tabuizzato, che ha avuto sulle relazioni tra pari soprattutto alle scuole medie (Lorian) a differenza che alle elementari (Yin Mei). Della serie che alle lezioni quando c’ero anche io veniva un’altra ragazza, tipo sostegno, no? Cioè mi prendevano già per scemo quando sapevo parlare già abbastanza bene, no? Tipo “Q- 225 u-e-s-t-a-è-l-a-c-a-s-a” e io “Sì, lo so che q-u-e-s-t-a-è-l-a-c-a-s-a!”(stud. 48: Lorian, IP β sala bar, 20 M, Romania). Int.: Facevi qualche corso di italiano? Yin Mei: Eh, sì… praticamente… ero… seguivo un po’ in disparate, insieme a un altro bambino italiano, che non so, non era tanto abile, non lo so. E io stavo… stavo qualche volta con lui a studiare italiano. Ma comunque in prima elementare, in seconda elementare era facile. Anche gli altri bambini stavano imparando a leggere e scrivere in italiano, quindi eravamo allo stesso livello (stud. 13: Yin Mei, Liceo α scientifico, 19 F, Cina). Di seguito si legge l’impegno profuso dal personale scolastico di sostegno per seguire, anche individualmente, le prime fasi di inserimento in Italia e contemporaneamente quelle terminali della scuola secondaria di I grado, in preparazione dell’esame di licenza media. Io ad esempio in terza media avevo anche il sostegno, la prof. di sostegno. Perché sono arrivata io e dopo è arrivato un altro ragazzo bulgaro, e ci siamo trovati, parlavamo sempre la stessa lingua, non è che… cambiava. E questa professoressa di sostegno per un ragazzo diversamente abile ci faceva italiano perché la prof. di italiano le aveva chiesto se ci prendeva e ci… ci riusciva a spiegare qualcosa. E noi andavamo con questa professoressa e lei ci spiegava tutto. Letteratura, ci insegnava le poesie a memoria. Se anche io non capivo niente (sorride), il Cinque maggio, non ho capito niente, ancora oggi. Int.: Anche alcuni italiani non capiscono niente del Cinque maggio (sorrido). Marina: (sorride) Anche nelle parafrasi ho avuto delle difficoltà, però… (sorride). Erano da studiare a memoria e me le sono dovute studiare… però quando erano da studiare a memoria ho studiato tutte le parole a memoria. Anche la pronuncia ho dovuto studiarla a memoria. Ad esempio… ho dovuto affrontare l’esame… Int.: Come era andato? Marina: L’esame per me è stato facile (sorride), però… dietro c’è stato tanto lavoro. Perché al pomeriggio avevamo le ore con una professoressa, facevamo delle relazioni, più o meno una tesina, sceglievamo un argomento, poi andavi con lei al computer, poi cercavi il materiale, poi te lo studiavi con lei, lo ripetevi 150 volte. Int.: Quindi hai lavorato proprio tanto. Perché hai imparato lingua e contenuto nello stesso momento. Marina: Eh… perché facevo terza media e dovevo superare l’esame (stud. 47: Marina, IP β arte bianca, 20 F, Macedonia). Int.: Che anno sei entrato alle medie mi hai detto? Eduard: Il terzo. Il primo anno qua e dovevo preparare l’esame di terza. Però mi hanno aiutato i professori. Mi sono stati dietro e mi hanno detto: “lo facciamo per benino” ero con i professori che mi hanno spiegato tutto. Int.: Hai avuto dei corsi con un insegnante solo per te? Eduard: Sì, con la professoressa di italiano e a volte con quello di sostegno. Soprattutto all’inizio, loro facevano lezione per bene, di italiano, storia… e io non capendo, avevo questo supporto, un professore che era stato bravissimo. Adesso non mi ricordo il nome però mi spiegava tutto, mi faceva capire, mi ripeteva tutto per bene (stud. 43: Eduard, IP β sala bar, 20 M, Romania). Come abbiamo visto nel capitolo quattro, queste risorse sono state duramente ridotte in seguito alle razionalizzazioni, mentre il numero degli studenti migranti, non solo nati in Italia ma anche nuovi arrivati dall’estero, è aumentato. Altre iniziative percepite come molto inclusive dai migranti, anche se non propriamente dedicate a loro, sono state le attività espressive scolastiche, ad esempio teatro o danza, frequenti durante il primo ciclo di istruzione, durante le quali gli studenti hanno potuto sentirsi parte attiva della comunità scolastica anche prima di sviluppare raffinate competenze comunicative in L2. 226 Int.: Come ti eri trovata all’inizio? Ivona.: Ma diciamo bene perché avevo incontrato delle ragazze simpatiche rumene, e poi mi ero iscritta subito a un corso di danza, così mi sono impegnata subito nella scuola, così mi sono trovata bene, per fortuna ho avuto qualcuno con cui parlare, poi l’italiano anche se avevo fatto il corso non è che sapevo parlare chissà che (stud. 42: Ivona, IP α sociale, 20 F, Romania). E poi con quella attività teatrale, ho potuto partecipare, facevamo degli spettacoli (stud. 2: Elisabeta, IP α sociale, 20 F, Romania). La principale misura di integrazione scolastica dal punto di vista degli studenti comunque rimane il corso di italiano come seconda lingua. Le rappresentazioni di tale intervento sono generalmente positive (cfr. brano di Ionel), anche se gli intervistati sottolineano alcuni limiti: la scarsa differenziazione dei livelli, che rende inutile, se non stigmatizzante, frequentarli per chi ha già raggiunto un livello avanzato (v. intervista a Gloria); l’avvio dei corsi in ritardo rispetto alle esigenze comunicative dei N.A.I.; il numero contenuto di posti disponibili per frequentarli nelle scuole a più alta incidenza di alunni migranti, per cui vengono penalizzati gli studenti che hanno già acquisito le capacità comunicative di base (come nel caso di Mirko, a cui i docenti chiedono di smettere di seguirli); l’importanza di unire a questi percorsi la frequenza delle lezioni ordinarie insieme al resto della classe per moltiplicare le ore di esposizione alla lingua seconda per studiare e non “rimanere indietro” con il programma scolastico (Miguel); l’utilità dei riferimenti grammaticali e sintattici “in più” durante le lezioni ordinarie, integrati e legati ai contenuti disciplinari trattati, in particolare relativi ad altre lingue, ad esempio latino. Int.: Ahh… E una cosa che ° visto che ti sento anche un po’ come esperto ° questi corsi sono una cosa che consiglieresti? Ionel: Beh, senz’altro… Cioè, sono proprio le basi… Perché comunque a scuola è difficile, cioè un professore sì, può essere disponibile quanto vuole, ma ha una lezione da seguire e tutto quanto, quindi stare dietro solo a te… se invece vai in corso proprio specifico dove ci sono dieci ragazzi come te… Io ero proprio da solo, quindi (ride) sono stato anche più fortunato (ride). Cioè, è molto diverso, anche perché durante le ore di lezione più che altro impari il linguaggio scolastico, impari la lezione, impari la vita di un autore piuttosto che la matematica, i numeri o quant’altro. Mentre invece, se vai a un corso impari anche delle cose che ci sono in casa, il tavolo, la sedia, e quant’altro, le padelle, e cosivvia, quindi nomi che senz’altro non avrei incontrato durante l’orario scolastico. Sì, molto produttivo per me… (stud. 52: Ionel, IT β grafico, 20 M, Romania). C’erano dei corsi che secondo me erano totalmente inutili! E così perdevo le ore di lezione… E questo poi anche alle medie tra l’altro! Che alle medie lo trovato una cosa veramente assurda! […] Perché un conto è se lo scegli tu, perché devi farlo. Un conto alle medie perché ormai sapevo abbastanza bene l’italiano, o comunque come gli altri, il fatto che dovessi farlo per forza solo perché ero straniera l’ho trovato ingiusto, cioè non avere la possibilità di scegliere se farlo o no. […] Perché immagino che gli insegnanti vedessero che lo capivo l’italiano, non avevo bisogno di un corso preparatorio […] tra l’altro nell’orario scolastico, se vogliono farlo potevano farlo nell’orario extrascolastico e uno ci va se deve andarci, ma non nelle ore di matematica che… (stud. 31: Gloria, IT α liceo tecnologico, 20 F, Romania). 227 A scuola diciamo che i corsi sono partiti tardi, dopo circa quattro o cinque mesi, e a me non me li hanno fatti fare, perché sapevo già… cioè ce n’erano così tanti (sott.: studenti stranieri), quindi hanno detto: “Quelli che sanno già un po’ parlarlo non li fanno”. E quindi soprattutto li facevano i cinesi e i marocchini, perché cioè: è più difficile. E quindi noi rumeni eravamo in sette nella mia classe, nessuno l’ha fatto in quella scuola. Poi magari nelle altre lo facevano, però da noi che eravamo su 300 ragazzi, 250 stranieri quindi hanno detto quelli che più o meno son capaci non li fanno, quindi io non li ho fatti i corsi (stud. 49: Mirko, Liceo β scientifico, 19 M, Romania). Int.: E qua c’era qualche corso di italiano nella scuola? Miguel: Sì, hanno aperto la possibilità di fare corsi di italiano. Però ho scelto io di non fare. Perché mi poteva impegnare altri tre pomeriggi di nuovo a scuola e non potevo usarli, no? Poi anche perché non avevo voglia di venire a scuola al pomeriggio, diciamole chiare le cose (ride). Int.: Quindi questo lo consiglieresti a chi è appena arrivato, ma per chi arriva dopo non è… Miguel: Sì. Non è tanto necessario. Perché poi impari vivendole ogni giorno le cose, con i tuoi amici, gli insegnanti, i compagni di classe, lì impari davvero (stud. 56: Miguel, IT β grafico, 20 M, Brasile). Seguendo la storia dell’inserimento scolastico degli studenti intervistati, arrivati a partire dagli anni Novanta, si coglie la strutturazione sempre più formale di questi interventi, inizialmente sperimentali e individuali o quasi (v. Elisabeta), poi sempre più inclusi nel piano dell’offerta formativa delle scuole, ma anche il loro rimanere, specie a livello di secondaria di II grado, fondati sull’esigenza di fornire competenze linguistiche di base. Solo negli istituti scolastici superiori con gli insegnanti più attivi, nel nostro campione le scuole Alfa (come spiega Adelka), sono stati organizzati corsi di italiano di livello avanzato (utili anche per gli studenti madrelingua italiani). Negli altri il sostegno all’acquisizione dell’italiano per studiare dipende in sostanza dal volontariato “miracolare”, come lo definisce Marina, dei docenti di Lettere. Int.: C’era qualcuno che ti aiutava? Elisabeta: A scuola una professoressa. Che mi prendeva un’ora ogni giorno, per… imparare meglio la lingua. Eravamo solo io e un’altra ragazza, solo due, tutti gli altri erano italiani. Perché quella volta non c’erano ancora tanti stranieri come adesso (stud. 2: Elisabeta, IP α sociale, 20 F, Romania). Adelka: Il primo anno che sono arrivata qua sì, seguivo un corso di italiano, dove nella nostra scuola, allo scientifico, sempre al Liceo Alfa, c’era una professoressa che aveva raccolto tutti gli stranieri e aveva cercato di insegnarci, dalle cose più semplici ai verbi, le frasi più, fino a arrivare ai concetti più difficili. Int.: Ti era servito? Adelka: Sì, moltissimo! Anche perché l’anno dopo, mi ero iscritta sempre in questo corso, ma mi hanno detto che non c’era più bisogno, bastava una volta alla settimana, per fare esercitazioni scritte su articoli di giornale, saggi brevi… Int.: Come approfondimento? Adelka: Sì, sì. Int.: E quindi è una cosa che tu consiglieresti? È da fare in altre scuole? Adelka: Sì, sì, perché a me è servito tantissimo. Questo genere di cose è molto utile (stud. 25: Adelka, Liceo α socio-psico- pedagogico, 20 F, Romania). Int.: Secondo te questi corsi di italiano sono utili, li consiglieresti? Marina: Allora io delle medie sono contenta, alle superiori dipende chi li fa. Io ad esempio con la professoressa […] che l’ha fatto, lei aveva un modo di fare… noi arrivavamo al pomeriggio, dopo la scuola, se io non avevo capito qualcosa di alcune materie, ad esempio 228 merceologia, che avevamo fatto, si metteva lì, con io che non capivo niente, cercava di spiegarci, e aiutava. Perché i primi anni in una scuola, così specifica, su certe materie, con certi linguaggi… se non… cioè devi proprio entrarci, perché se no all’inizio non capivi niente! Sono utili? Tanto! Però ci devono essere persone dietro (sorride) che hanno voglia di farlo e… veramente brave, perché se no… Questi ultimi anni non sono stati più fatti per motivi più… amministrativi, non si sa. Li hanno fatti solo per le prime e le seconde, per certi ragazzi e basta. Io ho sempre chiesto di avere un corso di italiano perché anche in quinta ne avrei bisogno per Letteratura italiana, ho ancora delle difficoltà. Soprattutto scrivere è difficile, parlare è un’altra roba. E quando ho bisogno, se anche non è più la prof. degli stranieri, la prof. […], mi aiuta sempre. Anche con la tesina, la stessa cosa. Int.: Quindi avete questo supporto così? Marina: Sì, è un po’… miracolare (sorride) (stud. 47: Marina, IP β arte bianca, 20 F, Macedonia). Oltre a predisporre i corsi di italiano come seconda lingua per più tempo durante l’anno scolastico e per più livelli di competenza, le scuole Alfa agevolano gli studenti con buona riuscita scolastica a recuperare gli anni perduti per l’ingresso in Italia organizzando le prove d’esame necessarie, e progettano esperienze educative di stage in collaborazione con i paesi di origine dei migranti. Prima ho studiato in Romania, i primi cique anni. E poi sono venuta qua, e ho cominciato dalle medie, fino ad arrivare qua. Diciamo solo che sono un anno in anticipo, perché prima e seconda le ho fatte insieme. Qua, alle superiori. E boh, abbiamo fatto delle prove, sai per il passaggio, e è così (stud. 40: Suzana, IP α sociale, 19 F, Romania). Poi… la scuola da qua mi ha dato un’altra possibilità, cioè quel progetto che facciamo verso il Maghreb, vado a marzo, partiamo, perché faccio la mediatrice. Perché portiamo un gruppo di ragazzi italiani a fare uno stage in una scuola materna che c’è lì, a Marrakesh. Stiamo lì una settimana. Perché hanno detto: “Invece di farlo in una scuola di Torino, magari li portiamo oltre, così conoscono altre culture” (stud. 29: Malika, IP α sociale, 22 F, Marocco). Tutte le scuole, anche le meno “attrezzate”, si appoggiano inoltre a privato sociale e al volontariato, indirizzandovi gli studenti, e generalmente tentano di integrare più misure di inserimento, orientando le famiglie verso i servizi educativi territoriali. Int.: Avevi fatto corsi di italiano? Sabina: No, c’era una professoressa, se avevo bisogno andavo di pomeriggio e facevo qualche lezione. Era della scuola, non pagavo niente, e andavo. Int.: E c’erano anche altri tuoi compagni? Sabina: Sì, sì, c’erano ragazzi stranieri delle altre classi. Facevamo italiano (stud. 44: Sabina, IP β sala bar, 20 M, Romania). Georgeta: Poi dopo mi è piaciuta la scuola, perché ho avuto una maestra che si è presa molta cura di me, tipo mi ha mandato all’estate ragazzi… Int.: Ti ha fatto fare anche cose al pomeriggio? Georgeta: Sì, per imparare anche l’italiano, l’ho fatto durante le vacanze, mi ha fatto fare estate ragazzi (stud. 17: Georgeta, IT α meccanico, 20 F, Romania). Agli studenti sembra chiaro che è soprattutto l’approccio dei singoli docenti a fare la differenza, unito alla cultura organizzativa delle scuole. L’accoglienza iniziale a scuola da parte degli insegnanti è vissuta come una rassicurante facilitazione all’ingresso in aula degli studenti, da tutti ricordato come spiazzante per l’immersione in un ambiente nuovo con lingua e regole dell’interazione sconosciute. L’impatto positivo nella fase 229 dell’ingresso, emotivamente delicata, esercitato dalla disponibilità dimostrata dai docenti permane nonostante la prima impressione della scuola italiana si conferma essere stata, anche secondo questa analisi, quella di una scuola più lassista, meno severa, con un’impostazione didattica meno nozionistica e studenti incapaci di tenere un comportamento decoroso nei confronti del personale docente. In questo senso il passaggio al liceo, a differenza che all’istituto tecnico o professionale, rappresenta per gli studenti migranti una sorta di “ritorno all’ordine” che caratterizzava le scuole del paese di origine (v. Karina). Int.: Venendo al liceo qualcosa è cambiato (sott.: nel comportamento degli studenti rispetto alle medie)? Karina: Sì, è cambiato perché era più vicina questa scuola e questa realtà, a quella a cui ero abituata in Romania. Cioè la scuola si rispettava di più, anche i rapporti tra insegnanti e allievi erano diversi, non potevamo più… > io non lo facevo neanche alle medie < però non ci si poteva più permettere di comportarci in un certo modo, era… abbiamo cominciato comunque a fare interrogazioni, compiti, a fare cose normali, invece lì non si faceva, non so perché, non si faceva quasi niente. Si faceva lezione, sì, il professore spiegava, però non si faceva mai verifica, non c’era mai un modo per verificare le nostre conoscenze quindi… ° non so quanto studiassero °, sì, magari sì, però… Invece qua (ride) si studia, sì, si studia. E… boh, è stato difficile, perché dovevo imparare l’italiano, non l’avevo ancora imparato bene, neanche adesso. Lo devo ancora imparare molto, ma ° anche gli italiani lo dicono, non lo dico solo io, dobbiamo imparare tante cose ancora °. È stato più difficile, ma mi sono trovata persino meglio che alle medie. Sì. (stud. 8: Karina, Liceo α scientifico, 20 F, Romania). e. Le relazioni con i compagni di scuola Secondo quanto emerso dalla documentazione empirica il ruolo di compagni di scuola nel costituire un clima di classe più o meno accogliente e di sostegno all’apprendimento linguistico e disciplinare cambia non solo in base alle predisposizioni individuali, ma anche del livello e grado scolastico, e nonché della composizione dell’utenza scolastica. Innanzitutto occorre precisare che i racconti del primo inserimento, anche dal punto di vista relazionale, restituiscono l’immagine di una fase del processo immigratorio verso l’Italia precedente a quella attuale, per cui alcuni degli intervistati sono stati inseriti in classi a totale composizione nativa, oggi in Piemonte più rare rispetto al momento del loro arrivo. Diego: Mi ricordo che sono entrato in questa classe piena di bambini che mi guardavano e io non sapevo proprio parlare né cosa dire. Int.: Ti ricordi proprio il momento che… Diego: Sì, sì. Appunto perché… cioè penso che… non so come spiegare… che trovarsi in mezzo… un bambino, in mezzo a tantissimi bambini che non conosce, che non parlano come te, la tua lingua, sia stato… non traumatico, però impattante, nel senso che ti trovi lì, non sai cosa dire, cosa fare, non sai neanche perché sei là, perché ogni volta che io pensavo di venire pensavo di venire a trovare mia madre. Perché all’inizio io sono venuto con mio padre, in aereo, perché mia madre era già qua, e quindi io ho dovuto fermarmi qua con lei. E essere messo così a scuola, con un foglio in mano e una penna, non avevo neanche un quaderno… è stato… non lo so, molto significativo per me. E quindi boh, nella scuola sono stato messo così. E poi con il tempo ho imparato anche a parlare e a conoscere i miei compagni. Però da 230 quel punto (di vista, ndr) si sa che i bambini appena vedono qualcosa che non va oppure di nuovo, cominciano a chiedere, ° cominciano anche a prendere in giro °. Mi ricordo che tutto il primo anno non parlavo con nessuno e non riuscivo a comunicare. Io ero molto timido, molto chiuso, e quindi anche se alcuni miei compagni mi invogliavano a parlare o volevano chiedermi “Come ti chiami? Perché sei qua? Cosa fai?” io capivo un po’, solo che il problema di rispondere era parlare, che non sapevo parlare. E quindi è stata così diciamo la integrazione che ho avuto io con la lingua italiana, con i compagni italiani (stud. 38: Diego, IT α elettrotecnico, 21 M, Perù). Pilar: A Torino a quei tempi lì ce n’erano già, a Racconigi (sott.: cittadina dell’intorno torinese) no, pochissimi. Io mi ricordo che ero l’unica straniera, in tutta la mia classe. Poi però c’erano rumeni, albanesi, però peruviani come me… ero l’unica. Int.: E quello ti dava disagio o…? Pilar: Sì, un po’ disagio. Perché già mi chiedevano “Ma sei cinese, o cosa?” e io “No, non sono cinese” e poi “Ma sei scura” e io “Eh, sì, sì, sono scura” e così. Però poi pian piano ci siamo fatti amici tutti quanti e non è poi stato più tanto… brutto, nel senso… è stato bello comunque (stud. 39: Pilar, IP α sociale, 20 F, Perù). Ionel: Sicuramente all’inizio ero una sorpresa per tutti i compagni, soprattutto perché… Sì, all’inizio… un po’ ero la mascotte della classe, posso dire, ero il primo straniero della classe (sorride). Int.: Ah, sì? Ionel: Sì, mi posso definire così, tutti erano stupiti. E poi l’anno successivo è arrivato un altro ragazzo africano. E > quindi boh, tutti intorno a me, a chiedermi, a fare (ride) e io ero un po’ spaesato (ride) < però poi, piano piano, cioè a furia di stare otto ore a scuola… perché stavo otto ore lì a scuola… con loro, mangiavo con loro e tutto quanto, il nome di un piatto e altre cose, piano piano, facendo anche il percorso di cui le ho parlato… Sono riuscito ad imparare anche l’italiano (stud. 52: Ionel, IT β grafico, 20 M, Romania). Le relazioni con i compagni agevolano il primo inserimento soprattutto alla scuola primaria (v. interviste a Yim Mei, Aicha, Yuliana e Verim), mentre alla secondaria di I grado si rilevano atteggiamenti stereotipati, derisioni o dispetti, come racconta Lorian. Questi sono evidenti soprattutto nei confronti di migranti con buona riuscita scolastica (v. Ionel). Int.: Quando sei arrivata sei andata alle elementari, ti ricordi? Yin Mei: Bè diciamo che le prime settimane sono state difficili perché non capivo una mazza. Dopo un po’ ho iniziato a capire la lingua e comunque i bambini erano… diciamo che erano stati molti gentili con me, capivano le mie difficoltà e quindi se sbagliavo non mi dicevano niente, o scherzavano un po’ su, mi correggevano. E sì, mi sono trovata abbastanza bene (stud. 13: Yin Mei, Liceo α scientifico, 19 F, Cina). Sono arrivata in quinta elementare, gli altri mi tagliavano la gomma, me la incollavano sul quaderno, mi scrivevano “Gomma”, e ci ho messo un anno ad imparare, poi avevo degli amici che venivano a parlare con me, quindi ero obbligata a parlare, e non ci ho messo tanto a imparare. Ero timida, anche adesso, ma questa timidezza sta piano piano andando via (stud. 21: Aicha, IP α aziendale, 20 F, Marocco). Int.: E quella scuola come ti è sembrata all’inizio? Yuliana: Mi sono trovata subito bene. C’erano delle ragazze rumene e una mi ha subito aiutato, una mia compagna di classe, e abbiamo avuto un percorso sempre insieme, dalle elementari, alle medie e poi di nuovo alle superiori. E lei mi ha aiutato molto quindi non ho avuto tanto… sì all’inizio la difficoltà della lingua, poi comunque… (stud. 41: Yuliana, IP α sociale, 19 F, Moldavia). Verim: E… mi aiutava una ragazza, mi aiutava nello scrivere, nel parlare. Int.: Ma traduceva in albanese? 231 Verim: No, no, no. No, solamente così, in italiano. Int.: Ah sì? Una tua compagna? Verim: Sì. Mi ricordo una cosa, io non sapevo cosa volesse dire ridere, no? E stavamo giocando, e lei mi fa “Ridi”. Loro stavano ridendo tutti, io non stavo ridendo. Fa “Ridi” e io non sapevo neanche cosa ci fosse da ridere. Fa “Ridi, ridi”. Me l’ha spiegato diverse volte, no? Io ho fatto il sorriso e lei “Ridi!”. E io “Ah, ridi?”. Ho capito cosa voleva dire “Ridi”. Comunque è andata bene. Niente forme di… non mi hanno mai discriminato dal gruppo, no, no. Sono stato accettato diciamo (stud. 15: Verim, Liceo α scientifico, 21 M, Albania). Int.: Ma eri l’unico? Lorian: In classe sì. In quella classe, poi ce n’erano due o tre marocchini alla classe a fianco e un’altro rumeno dall’altra parte, e bon. Int.: Ma i compagni o anche gli insegnanti? Lorian: Ma gli insegnanti… non ci cagavano fondamentalmente. Non ci dicevano niente. Più che altro a casa gli altri, come dire, con mia madre dicevo “Non me posso più, come faccio a studiare sentendo sempre loro?” e tutto. Poi alla fine un bel giorno è andata dalla preside. Gli ha fatto il culo a quei due ragazzi, quelli che proprio pesantemente ci andavano a insulti (stud. 48: Lorian, IP β sala bar, 20 M, Romania). Ionel: A volte li scocciava che noi prendessimo dei voti… migliori di loro… nell’analisi grammaticale o quant’altro, nelle equivalenze… soprattutto nelle analisi grammaticali, lì (sorride) si incavolavano un po’ di più i miei compagni. Int.: E quindi cosa dicevano? Ionel: Eh? No, ma anche “Eh, guarda questo rumeno che prende sempre ottimo e distinto! Eh, guarda quell’altro che… viene qua e vuole insegnarci a noi l’italiano!” cioè le solite cose da bambini (sorride) (stud. 52: Ionel, IT β grafico, 20 M, Romania). Gli intervistati restituiscono un duplice effetto della concentrazione di studenti migranti nelle scuole medie: da un lato sembra diminuire l’attenzione dei docenti al singolo migrante e la ricchezza dell’offerta formativa (cfr. Flor), anche per effetto della peer education, meno stimolante che nelle scuole a grande maggioranza di nativi, dall’altro lato l’interazione con i compagni è caratterizzata dalla percezione di normalità dell’essere tutti “nuovi” (v. intervista a Mirko). E poi le medie guardando questo punto di vista non mi è piaciuta, sento che non ho fatto niente, mi rendo conto adesso al liceo che ci sono un sacco di cose che non ho fatto, vedo anche i miei compagni loro hanno imparato qualcosa dalle medie, e io proprio niente, e non lo so, non l’ho trovata utile. […] Alcuni miei compagni avevano fatto latino alle medie, mentre le mie compagne che vengono dalla stessa scuola che ho fatto io no, e siamo le uniche che non l’abbiamo fatto. E poi ad esempio di arte, io sento i miei compagni che si ricordano qualcosa dalle medie, e invece io no, ho tutto da iniziare, così (stud. 6: Flor, Liceo α scientifico, 18 F, Perù). Mirko: Diciamo che all’inizio imparavo tre parole in italiano, quattro in arabo, due in albanese… era un po’… (sorride) però dopo un po’, dopo ovvio che impari l’italiano per forza, perché se no non ti capisci con gli altri. Però se ci fossero stati… se ci fossero stati più italiani magari sarei stato messo un po’ più da parte. Essendo che tutti eravamo diciamo alle prime armi, ci aiutavamo a vicenda, non parlavamo italiano tra di noi ma imparavamo andando avanti piano piano tutti insieme. […] È ovvio che un italiano usa parole più alte, più accurate, poi parla più corretto in italiano, per cui le cose che ti dà sono quelle giuste. Però all’inizio devi imparare a cavartela, nel senso che non è importante se riesci a dire bene il verbo, cioè dire quello che devi dire, poi cioè farti capire, poi se l’hai detto giusto o meno quello passa in secondo piano, viene dopo. Int.: Ok, quindi più accogliente? Mirko: Sì, perché io vedo anche certa gente di altre scuole che era meno diciamo… integrata da questo punto di vista. […] Adesso penso che (sott.: nella scuola media che avevo 232 frequentato) siano ancora peggiorati, penso che di italiani non ce ne sia neanche uno. Perché è anche la zona, […] nel senso… anche lì sono tre scuole messe insieme. C’è la [nome di una sede], c’è la [nome di un’altra sede] e poi c’è la [nome della sede centrale], però alla [sede centrale] tengono gli elementi più… gli italiani, qualche ragazzo rumeno, ci sono anche tanti stranieri là, però molto di meno, invece nelle altre scuole buttano proprio tutti gli altri. Infatti mi ricordo quando facevamo i tornei di calcio, perché si facevano tutte e tre le scuole insieme […], nelle squadre di calcio si vedeva, noi eravamo proprio… tutti insieme (sorride) mentre nelle altre si vedevano, erano tutti italiani e magari uno straniero. Quelli della [sede centrale], invece gli altri erano proprio tutt’altro. Int.: Quindi lì sono scelte della dirigenza scolastica? Mirko: Sì. Penso che abbia fatto la scelta di salvarne una e buttare tutti nelle altre. Però… non lo so, penso che una scelta più adeguata sarebbe molto più utile a tutti quanti (stud. 49: Mirko, Liceo β scientifico, 19 M, Romania). Mirko riporta gli effetti dell’elevata incidenza di alunni con background di immigrazione, esito non solo della distribuzione delle famiglie migranti sul territorio cittadino ma anche della strategia della scuola di concentrare in un’unica sede gli iscritti migranti, nel facilitare la creazione di legami tra studenti, in particolare della stessa provenienza, e contemporaneamente il confronto con gli studenti nativi, in gran parte ripetenti e di umili origini sociali, basato su stereotipi e segnato dal confronto sulla riuscita scolastica. Al liceo invece i riferimenti all’origine nazionale nel gruppo dei pari vengono meno. Penso che alle medie è proprio il periodo peggiore perché è proprio l’adolescenza in cui non è che fai tanto il cattivo però… l’ambiente è un po’ così. Perché alle elementari penso che siamo tutti felici, tutti bambini e giochiamo e bla bla bla. Quindi se uno viene alle elementari, non importa, cioè siamo tutti uguali. Alle medie si vedono le differenze, cioè inizi a crescere e a pensare cose stupide, cose così. E quindi penso che se fossi stato in una scuola normale, dove c’erano più italiani, penso che sarei stato molto più emarginato, cioè non avrei fatto questo anche progresso nella lingua, perché comunque sia non sarei stato seguito così. E poi venendo qui, perché comunque cambia da diciamo dieci stranieri forse in tutta la scuola, però siamo più maturi, anche se siamo comunque ancora ragazzini, però lo capisci che lo straniero non è… cioè nessuno (sott.: si comporta diversamente con gli stranieri)! Poi magari adesso che andiamo anche a votare magari uno per ragioni politiche qualcuno pensa certe cose sugli stranieri, però quando viene a contatto con la persona umana cioè te ne freghi, non te ne rendi nemmeno conto se è rumeno o italiano, cioè siamo tutti uguali. Però perché siamo cresciuti, perché siamo un po’ più maturi. Alle medie non è così. Alle medie sei rumeno. Oppure sei albanese, tutte cose così (stud. 49: Mirko, Liceo β scientifico, 19 M, Romania). Il grado di scuola in cui avviene il primo inserimento in Italia, dunque, insieme alla composizione dell’utenza, risultano avere influenzato il benessere e il clima di classe percepito, elementi importanti per accompagnare, o ostacolare, l’inclusione linguistica e relazionale degli alunni migranti. f. Atteggiamenti nei confronti del trasferimento e squilibrio di status scolastico Le riflessioni sul proprio posizionamento sociale dei giovani migranti in seguito all’emigrazione riguardano innanzitutto la loro posizione scolastica, definita sulla base della riuscita accademica e relazionale. Oltre allo “squilibrio di status” occupazionale esperito dai genitori di cui abbiamo parlato nel capitolo 5, infatti, per i minori risulta 233 significativa la “caduta” di riuscita scolastica personale dovuta al trasferimento nella scuola del paese di destinazione. Questa è determinata (i) dalle difficoltà linguistiche che rendono impossibile nell’immediato tradurre le competenze intellettuali acquisite nel paese di origine, e nel lungo termine valorizzare i contenuti appresi durante le prove di valutazione; (ii) dalle norme che regolano l’interazione tra studenti, e tra studenti e docenti diverse rispetto al paese di origine; (iii) dalla separazione dai compagni di classe e dai legami amicali che popolavano la vita scolastica nel paese di origine; (iv) dalla collocazione in classi scolastiche inferiori rispetto all’età, fatto che allontana dalle transizioni alla vita adulta che si prospettavano all’orizzonte degli adolescenti nell’area di partenza. Karina: E là ero un po’… quando sono partita diciamo che ero… mi è sempre piaciuto, sono sempre stata la più brava della classe, quindi solo il fatto di accettare, che non lo ero più, è stato difficile per me. E… comunque era difficile, è stato un po’ difficile integrarmi, perché comunque ° la scuola dove sono andata… ° ho patito un po’ di cose e… […] Int.: Ma trovavi dei momenti in cui ti dicevano: “Ah, tu non sai questo, tu non sai quello”? Karina: No, ma… vedevo io. Una cosa che mi ha fatto tanto soffrire è stata alle medie di italiano ci facevano fare testi creativi. Comporre testi… si apprezzavano molto le metafore, belle immagini, bisognava avere una conoscenza linguistica molto buona per poter accostare termini… un po’… Mi piaceva, capivo, perché capivo quasi tutto, però non sapevo ancora parlare bene, e mi piacevano tanto i testi dei miei compagni, e poi vedevo che l’insegnante, la professoressa di italiano, apprezzava molto, e mi… volevo, volevo fare anche io così, anche se non mi riusciva molto. Infatti piangevo, piangevo e stavo lì col dizionario, a cercare solo parole belle! (stud. 8: Karina, Liceo α scientifico, 20 F, Romania). Non lo so, lì (sott.: in Romania) non è che studiavo tanto. Però ero tra i più bravi della classe. Qui non è che ho avuto problemi, anche alle medie, con matematica… sì un po’ di italiano, però boh qua, già alle superiori, ci devi stare di più a studiare, non so come siano là le superiori perché non le ho fatte. Però alle medie, io là arrivato a casa da scuola, e uscivo fuori. Non… cioè non aprivo un libro, però prendevo sempre nove o dieci… (stud. 34: Daniel, IT α elettrotecnico, 19 M, Romania). Int.: A te sembra di andare meglio qua a scuola, come risultati scolastici? Malika: Anche di là… di là andavo anche bene, però qua… ° qualche difficoltà sempre c’è ° […] quando inizi a studiare italiano trovi qualche… trovi paroloni (ride) ti prende un po’ di tempo, devi cercarla sul dizionario, devi capirla… Int.: Sono tutti tempi in più, che là non avevi? Malika: Sì, sì, là non l’avevo (stud. 29: Malika, IP α sociale, 22 F, Marocco). Le difficoltà linguistiche e le diverse basi scolastiche costringono i migranti a dedicare più tempo allo studio rispetto al paese di origine, conseguendo minori risultati116. Inoltre le stesse difficoltà emergono nel momento delle prove di valutazione a scuola, enfatizzate dalla componente emotiva legata alla prestazione, come spiega Hind ironicamente, per la quale, anche dopo anni in Italia, questo rimane uno svantaggio rispetto ai nativi. 116 Come abbiamo visto nel capitolo 3, dai dati Erica–WP3 sugli studenti delle secondarie di II grado in Piemonte risulta anche che i migranti dedichino allo studio individuale a casa più ore rispetto ai compagni nativi. 234 Perchè poi io quando mi emoziono, il mio italiano va a farsi friggere (ride). Quindi parlo tutta un’altra lingua (ride). No, te lo dico davvero. E… metto verbi che non c’entrano, soggetti, transitivi che diventano intransitivi, delle robe assurde. Perché poi… nuoce, mi nuoce tanto, tanto (stud. 16: Hind, Liceo α scientifico, 22 F, Marocco). La percezione della perdita di status scolastico iniziale dipende anche dai differenti parametri di valutazione adottati in Italia rispetto ai paesi di origine, dove la scala docimologica prevedeva di impiegare anche i voti estremi, mentre in Italia difficilmente alle secondarie si utilizzano il massimo (e il minimo) dei voti. In questo senso la sospensione della valutazione nel periodo di inserimento iniziale sembra favorire un avvicinamento graduale al sistema italiano. Int.: A scuola, ti piaceva, riuscivi bene? Adelka: Sì. Abbastanza. Mentre qui non riuscivo tanto con i voti. I professori qui non danno il massimo come voto. Secondo me questo non dipende dal merito. Qui è il sistema che è così. Ma in Romania davano anche i voti alti. Allora io pensavo: via via prenderò voti alti. E invece poi ho capito che non era così (stud. 25: Adelka, Liceo α socio-psico- pedagogico, 20 F, Romania). La perdita di status è accettata nell’ambito di una più generale comparazione tra sistema scolastico nel paese di origine e di destinazione. Secondo le immagini dei migranti, nelle scuole pubbliche italiane117 non c’è corruzione, a differenza che nei luoghi di partenza; le risorse sono maggiori perché lo stato sociale è più ricco, per cui l’offerta formativa è accessibile anche agli strati di popolazione meno abbienti, e più ampia e individualizzata, con più laboratori e meno allievi per classe. Int.: La scuola è diversa? Zëdlir: La scuola sì, qui è più difficile, almeno l’IT Alfa, poi non so le altre scuole. (0.04). Int.: Quindi la vedi più… ha un’offerta formativa più vantaggiosa? Zëdlir: Sì. Da quel punto di vista diciamo che è stato meglio che io sono venuto qui. (0.03) ° Sì, la scuola è molto migliore ° (voce rotta) (stud. 27: Zëdlir, IT α informatico, 20 M, Albania). Int.: Avevi visto qualche laboratorio? Fernando: Sì, sì, sì, avevo visto anche delle foto… ma sì, diciamo che in quel momento qualunque cosa mi poteva sorprendere in confronto con l’Argentina. Perché la situazione là è un po’… ° particolare °, diciamo che è completamente diverso. Int.: Cioè la scuola è diversa? Fernando: Ma sì, ci sono… tante, ma tantissime opportunità che di là non si vedono. Diciamo che poi… a me a volte fa pena perché… con tante opportunità si potrebbe far molto meglio, magari a volte invece… Int.: Perché? Fernando: Non so, tutti i laboratori, l’opportunità di fare esperienze tutto il tempo, di non dover praticare solo guardando un po’ i libri, come si faceva là, qua ci sono parecchie opportunità, e poi… (sospiro), non so neanche come… poi anche il resto, sull’educazione bene, i professori spiegano tutti abbastanza bene, però qua l’unica cosa che si fa è criticare, e dare sempre la colpa all’altro. Int.: Da parte degli studenti o del mondo esterno alla scuola? 117 Per i migranti intervistati in Italia le scuole private sono meno prestigiose e di minore qualità formativa rispetto alle pubbliche, viceversa che nei loro paesi di origine dei migranti, tuttavia le recenti riforme scolastiche sono viste come tentativi di rovesciare questa situazione anche in Italia, con conseguenze negative per le famiglie meno abbienti in termini di equità. 235 Fernando: No, io sto dicendo da parte degli studenti soprattutto. Int.: Ah, che non sfruttano appieno queste opportunità dici? Fernando: Sì, questo, e poi boh, non c’è neanche tanto la voglia… (stud. 33: Fernando, IT α informatico, 19 M, Argentina). È una domanda che mi pongo anche io, come è il clima del Marocco dal punto di vista scolastico… […] Qua bene o male riusciamo tutti a studiare. Cioè… se uno non ne ha voglia… ma poi per il resto non è assolutamente giustificato, perché comunque poi il governo o lo stato ti viene incontro. Mentre invece là la situazione è assolutamente differente. Perché… cioè anche… appunto la situazione economica non è assolutamente migliore… cioè buona per le persone… e non riescono appunto a portare avanti gli studi (stud. 7: Safia, Liceo α scientifico, 19 F, Marocco). Anche le intervistate nate in Italia, come Safia, sono molto informate118, tramite il gruppo dei pari rimasto al paese, sul sistema di istruzione nell’area di provenienza dei genitori, e concordano su una rappresentazione dell’offerta formativa italiana vantaggiosa rispetto al paese di origine. Mentre il primo ciclo di istruzione nel paese di origine descritto dagli studenti dell’est Europa è molto impegnativo, tutti ritengono che le opportunità di istruzione secondaria superiore in Italia siano maggiori, anche se gli studenti guardano con preoccupazione alla riduzione di investimenti in istruzione, specialmente nelle attività laboratoriali, ritenute dagli studenti il punto di forza degli istituti tecnici e professionali per il successivo inserimento nel mercato del lavoro. Gli intervistati raccontano di essersi inseriti in scuole in cui le competenze e le procedure di inserimento degli allievi “stranieri” erano in via di costruzione, tuttavia le dotazioni di organico (corpo docenti) e strumentali (macchinari, ore di lezione erogate) erano maggiori rispetto a quelle attuali. Per gli studenti migranti arrivati al termine della secondaria dunque l’impressione è stata quella di una scuola accogliente. Ma naturalmente in questo disegno della ricerca non stiamo tenendo conto dei migranti dropout. Per i nostri scopi dobbiamo sottolineare che il modello integrato di inserimento degli allievi stranieri, non in classi separate, presuppone competenze interculturali diffuse e margini di flessibilità elevati nell’impiego del personale docente. Tali presupposti dipendono dalle normative e dalle politiche scolastiche italiani generali, e non dalle misure direttamente pensate per i migranti. Sull’ingresso di questi ultimi a scuola mancano controlli sul rispetto delle normative, le quali lasciano comunque aperta ogni contrattazione, nell’ottica di predisporre percorsi di inclusione il più possibile individualizzati. In questo modo, tuttavia, si creano differenti traiettorie: i genitori migranti con più risorse culturali (titolo di studio) e relazionali (conoscenze di persone bene informate sul funzionamento del sistema scolastico italiano), in paesi nei quali il 118 Più informate dei coetanei partiti da piccoli dal sud America e con pochi rapporti con il paese di origine. 236 recupero e la traduzione del percorso scolastico pregresso dei figli è relativamente poco costoso, hanno più chances di contrastare la prassi generale di inserire in classi inferiori rispetto all’età. Il processo di selezione della scuola e classe scolastica di prima iscrizione influenza la traiettoria educativa successiva, non solo dal punto di vista della riuscita scolastica in senso strettamente accademico, ad esempio allungando il ritardo scolastico tramite passaggi nell’istruzione informale per apprendere la lingua italiana, ma anche dal punto di vista delle relazioni con il gruppo dei pari, in maniera diversa a seconda della composizione dell’utenza scolastica. Gli intervistati sono riusciti a superare lo “squilibrio di status scolastico” iniziale, e hanno individuato, anche in base ad esso, il tipo di scuola frequentato al momento dell’intervista. 6.2. La “scelta” della scuola secondaria di II grado Ricostruiamo nelle pagine che seguono il quadro cognitivo e le strategie attivate dalle famiglie migranti per individuare la scuola frequentata dai figli119. Il processo che porta all’iscrizione è per tutti costruito socialmente, in relazione alle reti di riferimento, agli orientamenti e i ri-orientamenti ricevuti, alle prospettive di mobilità sociale familiare. Non vengono considerati solo la riuscita scolastica precedente dello studente, i rischi e le aspettative di successo in base alle risorse culturali dei genitori, ma anche gli esiti delle attività di orientamento alla secondaria di I grado, gli affetti, la collocazione dell’abitazione rispetto alle scuole e, non ultimo, le rappresentazioni del sistema scolastico italiano, parziali ma arricchite in progress in modo selettivo rispetto a variabili di interesse sociologico. Per questa ragione la “scelta” scolastica non è considerabile un evento pienamente razionale e ottimale, ma piuttosto una successione di passi, via via sempre meno reversibili, che portano a individuare l’opzione in quel momento ritenuta dallo studente e dagli attori di riferimento, di solito i genitori, la più praticabile, non solo in funzione dei desiderata futuri e delle risorse a disposizione, strutturate socialmente nella loro distribuzione, ma anche, come vedremo, in base a elementi molto più effimeri e apparentemente casuali. 119 In alcuni casi anche la scuola primaria e secondaria di I grado sono state individuate attraverso un processo di selezione complesso, ma di solito data la giovane età dei bambini sono state preferite le scuole più vicine a casa, in modo da ridurre gli spostamenti e diminuire il loro peso sulla gestione familiare (dato che in Italia, a differenza dei paesi di origine, è obbligatorio accompagnare e andare a prendere i figli da scuola). 237 Per analizzare le specificità che in questo processo conducono le famiglie migranti verso l’istruzione tecnica e professionale più spesso che i nativi, e dall’altro lato i meccanismi che consentono ad alcuni studenti con background di immigrazione di seguire traiettorie scolastiche a lungo termine, si possono individuare alcuni percorsi idealtipici, tenendo conto dell’interazione tra la fase della traiettoria migratoria familiare e la fase del percorso di inserimento nel paese di destinazione, nel nostro caso l’Italia: (a) studenti arrivati in Italia non oltre primo ciclo di istruzione (o nati in Italia) con traiettoria migratoria familiare stabilizzata o ascendente vs instabile o discendente; (b) arrivati in Italia al termine delle secondarie di I grado con traiettoria migratoria familiare stabilizzata o ascendente vs instabile o discendente; (c) arrivati in Italia durante le secondarie di II grado con traiettoria migratoria familiare stabilizzata o ascendente vs instabile o discendente. In base all’appartenenza a questa tipologia, i fattori che sono considerati da tutti i ragazzi e dalle loro famiglie nel processo di individuazione della scuola hanno pesi e effetti differenti. Tali fattori, a scopo meramente analitico, possono distinguersi in: 1. fattori scolastici inerenti il processo di orientamento (relativi alle procedure istituzionali e informali di orientamento attivate dalle scuole): esiti di test orientativi, diffusione di depliant, incontri e materiale informativo online, contenuti informativi e emotivi delle attività di orientamento, consigli dei docenti di scuola media, dei mediatori culturali e di altre figure educative, presentazione delle scuole superiori durante le visite pre-iscrizione, accoglienza o rifiuto dell’iscrizione da parte delle scuole superiori; 2. fattori scolastici inerenti le caratteristiche delle scuole superiori (relativi alle scuole incluse nello spettro di possibili istituti scolastici da frequentare): offerta formativa, orari delle lezioni, sede scolastica, composizione sociale dell’utenza, reputazione; 3. fattori relazionali: consigli dei datori di lavoro e dei conoscenti dei genitori, scelte scolastiche di amici e compagni di scuola degli studenti, esperienze dei fratelli e delle sorelle maggiori (o di altri giovani di riferimento nella rete parentale); 4. fattori economici: risorse economiche familiari al momento della scelta, stima della sicurezza di tali risorse a dieci anni dalla scelta; 5. fattori culturali: titolo di studio dei genitori e percorso in istruzione degli altri familiari di riferimento, in Italia o in altri paesi, idee sull’importanza dell’istruzione per la mobilità sociale e la crescita personale; 238 6. fattori individuali relativi agli atteggiamenti dello studente e studentessa nei confronti dell’istruzione e alle sue precedenti esperienze e esiti nell’istruzione formale; 7. fattori inerenti il progetto migratorio familiare: prospettive di ritorno al paese di origine o spostamenti in paesi terzi, rappresentazione della spendibilità dei titolo di studio nel mercato del lavoro internazionale, aspettative di mobilità sociale familiare e rappresentazioni dell’efficacia dell’offerta formativa e del titolo di studio rilasciato dai diversi tipi di scuola per la futura collocazione professionale e sociale nei sistemi di stratificazione sociale di riferimento. Vediamo come questi si configurano a seconda della traiettoria migratoria familiare, come ne viene modificata l’importanza relativa nell’eventualità di riorientamenti e cambi scuola successivi alla prima scelta e infine proviamo a leggere con cautela gli effetti delle ristrutturazioni familiari. a. Studenti e studentesse arrivati in Italia durante il primo ciclo di istruzione o nati in Italia Questo gruppo di studenti è quello per il quale viene maggiormente valutata la riuscita scolastica pregressa, normalmente sussunta dai consigli orientativi dei docenti delle medie e/o delle attività di orientamento extrascolastiche, i quali dovrebbero tener conto anche delle attitudini allo studio e alle predisposizioni verso alcune discipline (come abbiamo visto nel capitolo 3 a proposito delle attività orientative a Torino). Nel caso di difficoltà di riuscita e genitori non laureati, la propensione è sempre per l’istituto professionale, motivata dall’attenzione dei genitori agli sbocchi occupazionali dopo il diploma e alla sfiducia nelle possibilità di concludere con successo studi più impegnativi, anche quando la traiettoria di inserimento socio-economico familiare è di stabilizzazione. Costantin: È stata raccomandata dagli insegnanti della scuola primaria (media, ndr). [...] Poi ha scelto bene anche, perché è una scuola come dicevo io, è una scuola adatta al suo potenziale di persona. Insegnare per esempio in una comunità di anziani o in un asilo di bambini, non è difficile, ci vuole un po’ di serietà, quello sì, come il tirocinio. Con gli anziani bisogna saper gestire anche qualcosa di medicina, nel senso amministrare i farmaci, di fare qualche iniezione. Poi ci sono delle persone che hanno un po’ di… non so, emozioni quando… per le iniezioni, ma le ho detto “Tu, di questo non ti devi preoccupare, perché a un certo punto ti devi abituare a questo lavoro, e non ci saranno problemi, perché non è difficile. Bisogna stare attenti e bisogna lasciare la testa al lavoro, ma poi ti prendi una pausa. Ad esempio quando vedi un po’ di sangue, sai quando fanno esperimenti o… gira un po’ la testa, ma devi andare avanti. A studiare, regolare. Se vuoi, se ti piace, lo puoi fare. Quello che posso fare per te, io lo faccio. Però, ti devi informare. Come si fa l’iscrizione, com’è la tassa, e… le altre spese che hai durante l’anno, è meglio che lo sai prima, invece che dopo ti trovi a 239 metà semestre e ti trovi tutto sballato, poi non ce la faccio, poi arriva questo momento che ti gira la testa, che ti spinge di lasciare, ma il tuo progetto che avevi prima, fallisce poi”. Octavia: Ma se dici che vuoi studiare, sei capace, devi andare, non che inizi un semestre e dopo lasciare. Int.: Se si inizia di deve portare a termine con successo? Costantin: Sì. […] Anche se… per esempio io adesso non mi ricordo, ma ci sono anche sezioni che puoi studiare solo tre anni, e ti danno qualcosa, una qualifica, però bassa un po’, non è che puoi andare a… come fa Elisabetta, anche lì si può arrivare ai tre anni, ma lei ha detto “Voglio finire, sono capace”. Poi ha preso un po’… come si dice, comprensione da parte degli insegnanti, l’hanno aiutata, la vedo più coraggiosa, più serena, poi sì, è cresciuta anche. Int.: Quindi eravate d’accordo che facesse gli altri due, perché pensavate che poteva farcela? Costantin: Sì, esatto, sì. Una ragazzina, lo trova un lavoro, o fisso, o come aiuto a una famiglia, a un anziano, però se c’è questa possibilità di studiare e di andare un po’ più avanti, che ne so, la speranza c’è sempre. Vai, poi un lavoro si trova, come donna. Per un uomo è più difficile. Lo trovi, però non quello che vuoi veramente. Io quando sono venuto volevo fare proprio il tornitore. Non si poteva (gen. 9: Costantin e Octavia, genitori di Elisabeta [2], IP α, Romania). Costantin spiega come ha persuaso la figlia, timorosa di non riuscire a svolgere professioni sanitarie, delle sue possibilità di riuscita. È convinto che il fatto di essere una ragazza la aiuterà comunque a trovare lavoro nel settore della cura. Interessante che questo tipo di collocazione occupazionale sia rappresentata come sbocco lavorativo femminile “normale” e sicuro anche senza titolo di studio, a differenza che le professioni non qualificate svolte comunemente dagli uomini migranti, ritenute non adeguate per il fratello di Elisabeta, il quale ha intrapreso studi tecnici anche per evitare di svolgere mansioni come quelle accettate dal padre. Anche se la scelta dell’istituto professionale avrebbe consentito di interrompere gli studi al terzo anno, la buona riuscita successiva di Elisabeta ha convinto il padre a lasciarla proseguire fino al diploma nel settore dei servizi sociali, nella speranza di vedere la figlia laureata in Scienze infermieristiche. Anche per Tania il principale suggerimento è venuto dalla madre, già assistente agli anziani, per gli sbocchi professionali offerti dalla scuola e per la possibilità di continuare a studiare presso la Facoltà di Scienze infermieristiche. Praticamente è partito tutto da mia madre. Perché lei già… qualche tempo fa lavorava nell’ospedale, comunque la chiamavano qualche sera ad andare a fare qualche assistenza, e già lì ero partita “Ma, mi piace, mia madre va all’ospedale” ero partita nel senso che vedevo lei che andava all’ospedale, che era un lavoro abbastanza facile, che comunque non era a contatto con il sangue cioè… era lì solo per fare assistenza agli anziani e bon. Così già da lì mi è partita la cosa che volevo fare l’infermiera. […] E comunque era l’unico liceo che si occupava… nel senso ho detto servizi sociali boh magari riesco poi a fare infermeria. E quindi anche lei mi aveva detto “Sì scegli questa scuola qua così poi dopo magari riesci a fare scienze infermieristiche” e io l’ho scelta subitissimo (stud. 4: Tania, IP α sociale, 20 F, Romania). Marisa e Pilar erano state consigliate molto chiaramente dagli insegnanti delle medie sul seguire la filiera “corta”, e poi aveva scelto l’indirizzo sociale, invece di quello turistico 240 che avrebbero apprezzato per le materie linguistiche, per avere maggiori chances di successo scolastiche e occupazionali, su consiglio delle madri già assistenti familiari. Per gli studenti con riuscita alle medie buona o ottima, invece, e percorsi familiari non ascendendenti, l’orientamento scolastico, accettato di buon grado dai genitori, è stato verso i licei. In questi casi gli studenti intervistati, iscritti in scuole secondarie di II grado a maggioranza di utenti italiani, hanno scelto l’istituto più frequentato dai compagni di scuola. Un po’ condizionato dal fatto che andavano alcuni amici, anche se non tanti e, non lo so… Perché ne avevo sentito parlare, io non ne sapevo molto… comunque che era abbastanza conosciuto, un liceo serio, comunque mi era stato indicato ai miei genitori dai professori, alle medie dicevano che era un buon istituto, un buon liceo… (stud. 50: Iulian, Liceo β scientifico, 19 M, Romania). Poi invece per quanto riguarda il liceo più che altro ho scelto io. Lo ammetto, un po’ anche per gli amici e per le conoscenze. E poi… ° e poi quello ° (stud. 51: Lauro, Liceo β scientifico, 19 M, Filippine). Carolina sceglie un liceo scientifico per l’orientamento dei docenti e della datrice di lavoro della madre, ma, come vedremo, verrà riorientata verso l’IP Alfa. Carolina: Prima avevo scelto il [liceo scientifico], perché comunque mi avevano consigliato di fare un liceo, così. [...] Int.: Ho capito. Te l’hanno consigliato anche le tue professoresse delle medie il liceo? Carolina: Sì, sì, sì. C’è anche mia cugina lì. […] Quando avevo detto a mia mamma “Faccio il liceo [scientifico]” lei lo aveva detto alla sua capa. E anche i figli suoi hanno frequentato il liceo scientifico, e quindi le aveva parlato bene “Ah, sono bravissimi, danno una preparazione buonissima” e quindi mia mamma era contentissima, per carità! (stud. 3: Carolina, IP α sociale, 19 F, Romania). Per Lorian, in nucleo familiare monoreddito, la preferenza per le materie artistiche è stata messa in secondo piano rispetto all’esigenza di acquisire competenze più spendibili nel mercato del lavoro, nonostante la madre avrebbe favorito anche studi tecnici o liceali. Dal suo brano di intervista si evince, oltre che l’influenza delle prime esperienze lavorative di Lorian, la componente ludica della individuazione della scuola da seguire, contenuta anche nel consiglio di un amico. Lorian: Prima di scegliere ‘sta scuola, sai che hai degli incontri nelle scuole in cui ti spiegano un po’ il mondo delle superiori, no? E… fatto sta che mi son trovato… ero proprio a un bivio, c’avevo due strade da prendere. Una era l’artistico perché mi piace un bordello disegnare e fare come dire i fumetti, i fumetti mi piacciono un casino, poi nature morte, tutto faccio. Però avevo questa idea che non porta il pane, l’artistico non porta il pane in casa. E poi avevo questo amico che faceva l’alberghiero, no? A quel tempo mi faceva fare il cameriere, no? Ho lavorato in qualche osteria, trattoria, sai […]. E sono andato da questo mio amico che mi ha spiegato un po’ le cose. Poi come me l’ha detto... “Lì, mangi sempre!” sono rimasto così e ho detto “Ah, questa è veramente la scuola che fa per me!” [...] Int.: Non hai mai pensato di fare un liceo, ad esempio scientifico? Lorian: No, no. A quel tempo pensavo che fosse una scuola per secchioni, a me non piace studiare. Troppo difficile, sì. Latino, latino, latino a cosa serve? Latino è una lingua morta, a cosa serve? Latino non lo studiano neanche più i preti, stai scherzando? A me non piace, è 241 come dire… poi fisica e altre… magari mi sarebbero piaciute, no? Cioè non lo so, ma così a occhio nudo non mi rende la cosa (stud. 48: Lorian, IP β sala bar, 20 M, Romania). Diverso è il caso degli studenti che ottengono buoni risultati scolastici alle medie, ma risiedono in convivenze familiari che stanno attraversando fasi di mobilità discendente. Ionel, nonostante gli ottimi risultati a scuola e il fermo orientamento dei docenti verso percorsi liceali, ha considerato la situazione economica familiare, incerta nelle risorse a disposizione nei dieci anni successivi alla scelta, la necessità di lavorare durante gli anni delle secondarie e la spendibilità del diploma nel mercato del lavoro. Le sue motivazioni tuttavia fanno anche riferimento all’ambiente scolastico, percepito come più “noioso” al liceo frequentato dalla sorella. Va però sottolineato che gli istituti tecnici o professionali, per i genitori migranti inseriti in settori lavorativi a bassa produttività con incarichi manuali, costituiscono comunque occasioni di trovare sbocchi occupazionali più gratificanti dei loro per i figli, come spiega Ionel al termine del brano di intervista di seguito. Ionel: Licei, licei, licei, poi il classico, poi… liceo scientifico… vai al Liceo Alfa, vai al [nome di un altro liceo scientifico], vai di qua e di là. Solo che, sapendo anche… le possibilità economiche, ho detto “Con un liceo devi poi anche fare l’Università ° successiva °” quindi ho detto “Mi oriento verso un ITIS, poi se ci sarà la possibilità, la faccio volentieri l’università, sennò… cercherò di trovarmi qualche lavoretto, qualcosa per… (sospiro). E quindi… ‘sta scuola… mi han detto di sceglierla… Due settimane prima di sceglierla non la conoscevo proprio, non ne avevo mai sentito parlare. E ci han dato un elenco a scuola, con tutte le scuole, guardavo tutti i profili. Eh… Informatica non è mai stata la mia passione (ride). Mi hanno detto… vai aeronautica, o quant’altro… neanche… E quindi, bon… avevo visto qua grafica e fotografia. La fotografia da piccolo, cioè è stata una mia passione nascosta che… ° sbocciata qua ° però avevo scelto inizialmente di fare il corso di fotografia e quindi ho scelto sta scuola così, tanto per… Non sapevo assolutamente a cosa sarei andato incontro… […] Int.: Ho capito… E dicevi anche lavori che avessero degli sbocchi professionali? Ionel: Sì, sì, ho pensato… Sì, sì, anche perché sono stato influenzato da questo punto di vista anche dai genitori, perché mi ha detto… Cioè, più che altro ho ragionato anche da solo. […] Ho pensato anche a questo, sì, senz’altro… perché ho detto: con la grafica, con la pubblicità… c’è sempre bisogno e… [Poi] Mi sembrava abbastanza triste > la gente dei licei < (sorride). Perché sono andato a vedere > anche il [liceo scientifico frequentato dalla sorella], anche… sembravano tutti con quelle facce da morti (sorride) annoiati… e troppo scolastici. E io sono sempre stato un tipo più vivace… più, cioè… più pieno di vita… se possiamo dire così, sì (sorride) non… anche quello… cioè l’ho detto subito: “No, licei no, escludiamo i licei e vediamo altro. [A mia sorella] ho detto: “Come fai a stare in ‘sta scuola?” Io più di una settimana non durerei qua dentro (sorride). […] Uno stile di vita che non mi apparteneva… > trovavo un mondo talmente < all’opposto dei miei ideali, dei miei hobbies e al mio… > e vedevo anche che da una parte cioè ti condizionava la vita in un modo diverso il liceo piuttosto che un ITIS, perché… sono solo materie scientifiche… laboratori comunque niente… Eh poi, tempo libero poco e niente perché devi studiare molto di più da quanto ho capito… […] Int.: E in tutto questo i tuoi cosa dicevano? Ionel: Diciamo che loro, più che altro ci han sempre detto: “Fate attenzione a ciò che scegliete, noi cerchiamo di non condizionarvi più di tanto perché… comunque cioè, farvi fare il medico… farvi fare un lavoro che non vi piace… piuttosto preferisco farvi fare qualcosa che piace a voi, anche se guadagnerete di meno”. Nel senso che loro hanno detto, soprattutto a me, mio padre mia detto: “Saldare è un lavoro che, dopo dieci anni che saldi, che fai lo stesso lavoro… tutti i giorni otto ore al giorno, cioè diventa un po’ pesante” (sorride). ° Però lui mi ha detto che comunque per lui… ormai si è abituato, cioè ci ha fatto l’abitudine, però, 242 lui dice per me di scegliere qualcosa di diverso, qualcosa che mi appassioni, che mi piaccia e che… lo farei anche senza denaro. Quindi la grafica è proprio… la scelta più giusta che abbia potuto fare ° (stud. 52: Ionel, IT β grafico, 20 M, Romania). Come Ionel, Simona, uscita con distinto dalle medie, non segue le indicazioni di iscriversi al liceo ricevute dai docenti di scuola secondaria i I grado, preferendo un istituto tecnico per unire elementi teorici e pratici nel curriculum grazie all’offerta formativa laboratoriale e lasciare aperta sia la strada dell’inclusione professionale dopo il diploma sia quella dell’iscrizione all’università. Dalla sua ricostruzione emergono altri due aspetti: la dimensione di genere che caratterizza alcuni istituti tecnici a prevalenza maschile, elemento interessante da considerare per comprendere la tendenza delle ragazze migranti a optare per i licei più spesso dei ragazzi, e la scelta della scuola in base alla popolazione di origine migrante che la frequenta, più varia a Torino rispetto a Settimo, città dell’intorno torinese. Simona: Non ho fatto lo scientifico perché… sinceramente c’era troppa teoria. Non era un problema di poter studiare o non poter studiare, ma proprio perché lì mi sarei annoiata sicuramente. E quindi ho pensato a questa scuola va beh, per gli interessi, e poi per il fatto di essere un tecnico implicava il fatto di usare i laboratori e tutto quanto infatti poi si è rivelata la scelta migliore. Perché anche se avendo fatto lo scientifico o il classico mi avrebbe preparato di più per l’università, o anche il linguistico, però alla fine… cioè era solo come preparazione. Invece in questo caso, in questo settore, posso fare sia l’università che approfondire in altri settori, che continuare a lavorare in questo campo. Int.: […] Quindi tu avevi scartato Settimo perché l’istituto professionale non era… Simona: Ma anche per le persone che ci sono a Settimo. Int.: Perché? Simona: Perché… c’è un po’… il tamarro diciamo. […] Ho visto una mia amica che ha fatto le medie a Brandizzo, poi è andata alle superiori lì a Settimo e ho visto i cambiamenti. Int.: Come? Simona: Del tipo che è un po’… improntata a questo ambiente. […] Non saprei descrivertelo, di persone un po’ superficiali, poi non è detto che siano tutte così, però è la maggioranza, è la maggioranza. E poi son quei ragazzini che si sentono in pullman che magari urlano e gridano e altre cose. Insomma era un po’ chiuso come... e boh quindi c’è più varietà a Torino. Anche solo tra italiani, sono un po’ più diversi, non c’è solo un tipo e basta. [...] Mentre poi i tecnici… c’erano molti tecnici per maschi tipo meccanica o elettronica che non mi interessavano e boh, ho trovato fotografia e ho scelto questa. […] Int.: Perché dici per maschi? Simona: Perché… sono cose che non farei, il meccanico, l’elettricista… o comunque quelli che sono a maggioranza maschile, con più studenti maschi, anche informatica ce ne sono… cioè non è proprio per maschi, però comunque son studenti maschi lì. Non mi piace. Non è perché è per maschi, più che altro non riuscirei a farlo, non mi piacerebbe. Int.: Come lavoro futuro? Simona: Sì, non perché pensavo troppi maschi, solo perché non mi piaceva l’indirizzo, il lavoro che ti faceva fare dopo. […] Cioè non è neanche bello, ma se mi piaceva ad esempio informatica sarei andata (stud. 53: Simona, IT β fotografia, 19 F, Romania). Per gli altri studenti che hanno conseguito ottimo o distinto come valutazione all’esame di terza media il proseguire con l’istruzione tecnica o professionale invece che liceale è stato motivato con la mancanza di attitudine allo studio, anche se controllando il titolo di studio 243 e la collocazione lavorativa dei genitori in Italia si riscontrano situazioni di difficoltà economica e qualifiche conseguite al paese di origine al massimo di livello secondario. Non sempre l’istituto tecnico è stata una scelta di immediato inserimento lavorativo. In particolare l’IT Alfa, è descritto come “un ottimo sbocco per i miei progetti futuri” date le basi scientifiche che offre per continuare gli studi universitari (Fadia), del quale “ne avevano parlato molto bene le persone dove lavorava mia mamma, le avevano detto che era una scuola molto riconosciuta, molto famosa” (Costela), con indirizzi più liceali per i quali “dovevo per forza andare all’università con questa scuola qui. […] Invece con l’istituto… vai subito a lavorare dopo (0.02). Non mi sembra che mi possa interessare questa… tipologia di vita diciamo” (Andrés). Mentre Fadia non era stata incoraggiata dagli insegnanti, a causa della sua riuscita scolastica non ottima alle medie, Costela, Gratian e Daniel hanno definito insieme alla scuola e alla famiglia un percorso condiviso. Int.: Pensavi già a un lavoro che potevi fare dopo oppure quando sceglievi non…? Daniel: No, no, ci avevo già pensato. Cioè ho pensato io, mi hanno dato dei consigli, mia madre e mio padre. Come succede adesso per mio fratello, che li devo dare io (sorride). Int.: Ah sì? Daniel: Certo. […] Ma non solo loro, anche gli insegnanti delle medie. Boh la giudicano come una scuola buona, e quindi, sì, magari anche l’indirizzo, lavoro lo trovi. […] Ho scelto l’istituto tecnico proprio per quello, perché ti dà la preparazione sia per andare all’istituto tecnico sia all’università. Ci sono licei che non arrivano neanche al programma di matematica che stiamo facendo noi, per dire. Int.: Avevi scelto questo istituto perché volevi avere queste due strade? Ci avevi già pensato? Daniel: Sì, sì. Volevo lasciarmi queste due scelte qua, se non va una, faccio l’altra (stud. 34: Daniel, IT α elettrotecnico, 19 M, Romania). Per Gratian la scelta si è radicata nelle sue aspirazioni professionali, malgrado i genitori avrebbero preferito un liceo scientifico. Gratian: Io per le auto non… non sono maniaco, però mi piace. Cioè capire come funziona una macchina mi piace, vedere cosa c’è dentro mi piace. Poi… mi piace anche la manualità. […] Poi per quanto riguarda questo corso di meccanica, mi son trovato bene. Perché anche se magari certe cose magari non mi interessavano, però si tratta di una bella fetta di argomenti che mi piace, mi piace. Quindi un giorno mi piacerebbe arrivare a essere in ingegnere, dipendente o no, questo ora non lo posso decidere. [...] Io volevo fare l’ingegnere meccanico da quando ho fatto la seconda media. Int.: Quindi l’hai scelto per il dopo? Gratian: Sì, sì! Ecco, una cosa che mi dà fastidio: quelli che scelgono una scuola e dicono “Mah, poi vediamo”. Per me è stata una cosa “Vado lì per fare quello, perché mi piace fare quello”. E quindi prendo la scuola anche in un’altra ottica. Potendola prendere così, a me tutto quello che faccio mi piace. C’è certa gente che dice: “A me questa scuola non mi serve a niente. Non voglio farci niente, basta che esco con 60 e esco” (stud. 28: Gratian, IT α meccanico, 19 M, Romania). Int.: Parliamo della scuola, perché l’avevate scelta? Miranda: Avevamo in mente questa meccanica. Stefan: Questo mestiere. Miranda: Questo mestiere. E lui ha voluto lì all’IT Alfa. Perché lì, quando finisci la terza media, ti scrivono dove puoi andare. E gli hanno scritto scientifico. Io ° volevo scientifico °. Ha detto: “Mamma, no! Perché lì (sott.: all’IT Alfa), io imparo tante cose. Invece allo scientifico blablabla, blablabla”. Anche lì è un blablabla, però alla fine mi ha detto “Guarda, io se finisco i cinque anni…” 244 Stefan: Senti a tuo padre gli ho detto. Miranda: “Io posso anche lavorare” mi ha detto. Sai io ho pensato chissà dopo cinque anni se lui vuole ancora fare l’università? Perché allo scientifico guai se non vai all’università. Allora poi ho detto “Guarda, fai quello che vuoi”. E poi lui… è contento che ha scelto questa scuola. Perché è tosta, eh? E tutti quelli che dicono “Ma, l’IT Alfa, vedremo se sarà in grado”. E tutti quelli che parlano con lui, dicono “Guarda che tuo figlio ha tante cose in testa”, parliamo di scuola, della sua meccanica, che è proprio… Int.: Gli piace quell’argomento lì? Miranda: Sì, sì, sì. Anche quando studia, mi dice “Guarda, se facessi il tecnico, se facessi meccanica, se facessi solo questo, starei fino alle due o alle tre di notte, non è che mi addormenterei”. È proprio portato (gen. 2: Miranda e Stefan, genitori di Gratian [28], IT α, Romania). Un altro caso di negoziazione tra genitori e figli sulla scuola secondaria più adatta è quello di Gloria, per la quale i genitori avrebbero preferito un percorso tecnico o professionale. Gloria: Ero uscita con ° buono ° [alle medie]. Gli insegnanti non mi avevano consigliato niente! (sorride) però avevo fatto quel test [di orientamento] e mi hanno detto “Va bene scientifico”, io volevo lo scientifico e così sono andata a fare lo scientifico (sorride). […] Ma… i miei avrebbero preferito se io fossi andata in un istituto perché avrei avuto sicuramente un lavoro, invece così no. E… però io avevo la mania dello scientifico perché ci andavano tutti, e allora ci volevo andare anche io, e così ci sono andata anche io. Int.: Tu sapevi già che avresti voluto fare l’università? Gloria: Sì, sì. […] Forse più per le possibilità di scegliere un altro lavoro, invece con l’istituto… uno si fa già un’idea di cosa vorrebbe fare, io non avevo ancora l’idea di cosa volessi fare. Quindi… volevo aspirare a qualcosa di più, a qualcosa di più alto, non solo… (stud. 31: Gloria, IT α liceo tecnologico, 20 F, Romania). Per gli iscritti all’istruzione professionale la negoziazione con i genitori ha riguardato soprattutto il continuare gli studi dopo la qualifica, transizione affatto scontata tra gli studenti dell’IP Beta: racconta di essere stato spinto Emil dal datore di lavoro presso cui aveva svolto lo stage, Rustam, come si legge di seguito, da un insegnante. In questi casi i genitori, con titoli di studio al massimo secondari, sembrano avere un ruolo marginale, a parte quelli di Bai, i quali prima consigliano l’indirizzo alberghiero per le opportunità imprenditoriali nel settore della ristorazione e poi non insistono perché il figlio consegua il diploma. Int.: Perché hai deciso di continuare dopo la qualifica? Rustam: Ma io in realtà volevo finire dopo la qualifica, però il professore che avevo io di cucina mi ha detto “Vieni, se no ti spezzo le gambe” (sorride) e così lui mi ha convinto di continuare, poi diceva che con la qualifica non avrei trovato lavoro invece con il diploma l’avrei trovato facilmente. […] Neanche i miei mi hanno mai obbligato a queste cose “Studia, studia!”. No, “Se vuoi studiare studia, è per te che studi, non è che studi per noi”. Ho deciso da solo. […] Int.: Perché avevi optato per questa scuola qua? Rustam: Le materie non le sapevo, però sentendo amici più grandi, e io ho soprattutto amici più grandi, mi dicevano che se… questo lavoro (sott.: di cuoco) è pagato molto bene, trovi facilmente lavoro perché ci sono moltissimi ristoranti che chiedono quindi è più facile trovare lavoro (stud. 45: Rustam, IP β cucina, 20 M, Moldavia). Bai: L’avevo scelto in base alla difficoltà della scuola, perché ero… come ti ho detto ero proprio svogliato per quanto riguarda la scuola, e allora ho scelto proprio la scuola più 245 semplice, meno impegnativa, e ho scelto questa scuola qui. […] Il professionale mi sembrava più adeguato, questo qui è un alberghiero… Int.: Per cosa? Bai: Ma, perché anche i miei volevano che imparassi qualcosa che diciamo centrasse con la ristorazione, per diciamo una futura idea se potessi aprire un ristorante o trovare un lavoro (stud. 46: Bai, IP β cucina, 21 M, Cina). I genitori laureati nel paese di origine e stabilizzati in Italia, invece, hanno tutti orientato esplicitamente i figli nel nostro campione verso i licei. Anche se inizialmente non conoscevano il sistema scolastico italiano si sono attivati per chiarire le differenze tra tipi di insegnamento e hanno appurato con gli insegnanti delle medie che la riuscita scolastica del figlio o figlia indicasse una buona possibilità di farcela. Una volta identificata la filiera più prestigiosa, ad esclusione del liceo classico per evitare il greco, ulteriore lingua morta da aggiungere al latino già ritenuto impegnativo per i non madrelingua italiana, non affrontato alle medie con alta incidenza di allievi migranti e non spendibile nel mercato del lavoro, in questo caso le famiglie hanno proceduto scegliendo il liceo più vicino e con la reputazione di essere una buona scuola. Int.: Ti ricordi invece i tuoi cosa dicevano? Flor: Eh mia madre voleva che andassi al posto migliore, cioè nella scuola migliore, che insegnasse sempre di più, no? Poi oltretutto a lei sono sempre piaciute le matematiche, le scienze, quindi mi suggeriva anche allora ho scelto questa scuola e quindi era d’accordo. […] In Perù non c’è la differenza tra liceo e istituto, c’è solo una scuola unica uguale per tutti. Materie come diritto e economia non si fanno, come si trovano ad esempio negli istituti, e a parte latino le materie sono simili. [...] Int.: Quindi tua mamma si è informata sul sistema scolastico italiano? O la informavi tu? Flor: Eh… non ricordo forse… magari sentivo a scuola, ma probabilmente mia madre anche si informava, perché lei vuole sempre informarsi, e poi non poteva fidarsi di me che ero una bambina, lei andava a cercare, penso proprio di sì. [...] Int.: Tu sapevi già quando hai scelto il liceo che avresti fatto l’università? Flor: Sì sì. Forse perchè appena arrivata non sapevo molto come fosse l’istruzione, e mi avevano detto istituto, vai lì e poi trovi lavoro. Poi ho capito che non era così, ma inizialmente avevo capito che dovevo fare il liceo per poi andare all’università. Sì, sì (stud. 6: Flor, Liceo α scientifico, 18 F, Perù). Il ruolo dei genitori è stato importante per sostenere la scelta dei percorsi scolastici più impegnativi, come raccontano Safia e il padre. L’opzione del liceo per tutti implica anche la continuazione dello studio all’università, motivata dalle maggiori opportunità di inserimento lavorativo futuro previste ottenendo la laurea. Safia: Io avevo sempre avuto questo fascino per le materie scientifiche. Solo che io ho avuto questa amica che è andata al liceo Alfa e è stata bocciata due volte, e allora là mi sono terrorizzata, e sono tornata indietro e ho detto “Mai e poi mai io andrò al liceo Alfa. Però io ho la grande fortuna di avere un padre che… non ti dico. Mi ha fatto ragionare e mi ha detto “Guarda che tu sei diversa, comunque io so che tu ce la potrai fare, non è che perché tu hai sentito una persona che ha fatto così anche tu ora rinunci alla scuola che vuoi fare” […]. E… poi io gli ho detto “Ma c’è il latino, non ce la potrò mai fare” e lui mi ha detto “Ma latino è una materia come tutte le altre, guarda che se la studi ce la potrai fare. Allora fai così: se ti va tu ti iscrivi, inizi, poi se non ti piace o non ce la fai ti trasferisci”. Allora ho fatto così, ho trovato proprio un clima che… ce l’avrei fatta. [...] Int.: E quando avevi scelto il liceo sapevi già che avresti fatto l’università? 246 Safia: Sì, un’altra cosa che mi è stata messa di fronte è questa, perché se scegli il liceo devi assolutamente fare l’università, e con un diploma liceale non è puoi fare ° più di tanto ° (con voce triste). Int.: Qundi lo sapevi ma hai scelto lo stesso il liceo? Safia: Sì. Int.: E anche i tuoi si erano informati un po’ sulle scuole, lo sapevano? Safia: Sì, anche perché io ho sempre avuto questa idea. Più vai avanti negli studi, più ottieni. Non dal punto di vista economico, però magari un lavoro dove non devi fare mmh… non devi ° affaticarti più di tanto… poi non fare le pulizie, questo intendo ° (stud. 7: Safia, Liceo α scientifico, 19 F, Marocco). Anche in presenza di maggiore capitale culturale familiare e lunga stabilizzazione in Italia, tuttavia la rappresentazione del sistema scolastico italiano da parte di genitori e figli è andata raffinandosi nel corso del tempo. All’inizio si è basata soprattutto sulle indicazioni dei docenti di riferimento e sulle esperienze in istruzione pregresse dei genitori nel paese di origine. Dal brano di intervista con Amer è evidente quanto la richiesta di chiarimenti e il dialogo tra genitori e insegnanti e genitori e figli faciliti la composizione di un frame cognitivo più ricco e consapevole. Amer: Io le controllo ogni volta (sott.: le mie figlie), cioè le controllo, vedo cosa fanno (sott: a scuola). E vedevo che portava sempre otto, nove, sette e mezzo. E un giorno mi porta un foglio scritto di scegliere cosa vuole fare. E le ho detto “Allora cosa dobbiamo fare qua? Facciamo lo scientifico, eh?” così, scherzando. Lei aveva… era piccolina ancora. Ha detto “Io non lo so”. “Io ero scientifico. Vedi tu cosa vuoi fare”. “Ah, non lo so, di cosa si tratta, non capisco” di qua e di là. “Allora mi porti il diario”, ho scritto sul diario per avere un appuntamento con la buonanima della sua maestra. […] Vado da lei, rimaniamo a parlare così, mi fa “Può fare il liceo tranquillamente”. Passo dall’altra maestra, mi fa “Sì, ce la fa”. Ma ho detto “Se mia figlia è contenta può fare il liceo”. Le ho detto “Adesso la parola liceo è facile. Ma devi vedere cosa viene dopo”. “Ma cosa c’è?” Le ho raccontato un po’ di chimica, fisica, di qua e di là, dei programmi, devi studiare un po’ di più, dice “Ma sì, studio, faccio”. Anche lei è stata brava, ha fatto tutto. […] Int.: Ah, così. Ma lei sapeva che lo scientifico era una buona scuola, perché aveva già conoscenze del sistema scolastico italiano? Amer: La verità: no. Int.: Per sapere la differenza per esempio tra liceo, istituto professionale, istituto tecnico. Amer: Sì, ma non è come adesso. Adesso sono molti di più (sott.: gli indirizzi), prima no. Ma ho chiesto così “Per me basta che mia figlia va a studiare” io non sapevo neanche quanti anni, saranno cinque o saranno dieci. Per me basta che vanno avanti negli studi. Grazie alla maestra, buonanima della maestra che mi ha spiegato. Mi ha detto al liceo ha più probabilità di andare avanti, con l’altro è un po’ più… ci vanno quelli che studiano di meno, mi ha detto così. Int.: Ho capito. Lei pensava già all’università? Amer: Mia figlia sì. Anche io spero vanno oltre l’università (gen. 3: Amer, padre di Safia [7], Liceo α, Marocco). Nel caso di forte squilibrio di status occupazionale dei genitori, laureati o laureandi al paese e in presenza di entrambi i genitori e almeno una fonte di reddito relativamente stabile, prevale l’idea dell’importanza dell’istruzione per recuperare posizioni sociali e occupazionali, anche in caso di scarsità di risorse economiche familiari al momento della scelta scolastica o orientamento verso il basso da parte della scuola media (v. brano di intervista con Verim). 247 Int.: E poi ti ricordi che scuola ti avevano consigliato? Verim: Sì. Mi avevano detto… meccanico, qualcosa del genere, mi avevano consigliato. Però io non l’ho seguito. Int.: Un corso di formazione? Verim: Sì. Non volevo andare al meccanico, già di mio. Volevo proseguire con la cultura, non volevo inserirmi subito nella pratica, mi dava fastidio. Int.: Perché? Verim: Non lo so, è un mio fatto personale. (0.02) Perché già mio padre, voleva che io diventassi qualcosa di grande. O medico, o… l’aspirazione del padre e io, almeno meccanico… non me la sentivo proprio. Così ho scelto scientifico (stud. 15: Verim, Liceo α scientifico, 21 M, Albania). I genitori intervistati, tuttavia, hanno tentato di considerare, oltre alle loro aspirazioni, anche le attitudini allo studio dei figli, diverse ad esempio nel confronto tra fratelli. Int.: Perché avevate scelto proprio quella scuola (sott.: professionale per sua figlia)? Skordian: Perché per mia figlia era più leggera, era adatta per mia figlia. Perché c’aveva… era più, più adatta. Non è che mi ha raccomandato qualcuno. Anche mio figlio gli piace la scienza, anche se non è il primo a scuola, ce l’ha… la testa. Mio figlio è più profondo, mia figlia guarda di più il Grande Fratello. Da cosa guarda alla TV si vede la testa. Ci siamo informati dove poteva andare bene, qua. Perché liceo scientifico non ce la faceva mia figlia (gen. 5: Skordian, padre di Verim [15], Liceo α, Albania). In seguito le idee sulle differenze tra tipi di scuola si completano con l’esperienza diretta dei migranti e la scelta effettuata assume contorni più chiari, come racconta Adolfina. Int.: Un professionale è diverso come ambiente da un liceo? Adolfina: Sì, io ho visto un giorno, senza… sì, non immaginavo che fosse così diverso. Però un giorno per caso mi sono trovata vicino lì, ad un istituto professionale e uscivano tutti da scuola […] io aspettavo il (sott.: pullman numero) 49 e a quell'ora erano le 11 e mezza, e in quel momento uscivano presto alle 12 probabilmente, e non arrivava mai. Io stavo lì, e poi ho visto che vengono i ragazzi e andavano in modo così, il loro quaderno lo mettevano qua nelle tasche, non portavano neanche... per loro non era importante, a loro non interessava, mamma mia ci sono rimasta, e ho pensato meno male (ride) (sott.: che le mie figlie frequentano il liceo)! No no, perché sicuramente per loro era normale, però un ragazzo straniero anche se è stato del suo paese, un ragazzo tranquillo, sereno, che studia, eccetera, con questi compagni per forza, per forza cambia. Definitivamente cambia, è così (gen. 4: Adolfina, madre di Flor [6], Liceo α, Perù). L’atteggiamento più critico nei confronti dell’orientamento verso il basso degli insegnanti è espresso dai genitori di classe medio-alta al paese, i quali comunque non lo leggono come una forma di discriminazione dovuta all’origine nazionale. Piuttosto per Adolfina un effetto negativo sarebbe esercitato dai pregiudizi dei datori di lavoro italiani, ai quali i suoi connazionali spesso si rivolgono per chiedere consigli sulla scuola dei figli. Io non so ma però direi una cosa: tutti i ragazzi devono avere l'opportunità di fare una buona scuola superiore, perché io ricordo che alla scuola media c'erano delle insegnanti […] che li indirizzavano, alle mamme dicevano “Signora, suo figlio non può pensare neanche di metterlo in un istituto tecnico, deve andare in una scuola professionale. Perché in un istituto tecnico non ce la farà. Un liceo non si parla neanche”. E le mamme accettavano questo. Mamme italiane. Io non ho avuto di questi problemi, perché le mie figlie andavano molto bene a scuola. […] E la grande maggioranza [degli studenti stranieri] perché vanno lì (sott.: agli IP)? I datori di lavoro, sia di quelli che sia di quelle che fanno il lavoro domestico, sia di quelli che vanno a lavorare in fabbrica, chiedono al proprio datore di lavoro un consiglio. Chiedono al datore di lavoro che conoscono, pensano che gli darà il miglior consiglio, dicono “No! Porta tuo figlio al professionale”. Non so per quale motivo gli danno questo consiglio, 248 perché pensano che sono avidi di trovare un lavoro al più presto e il figlio deve lavorare al più presto, o non lo so, gli danno questo motivo, però alla fine non è un buon consiglio. Perché poi non che poi alla fine vanno a lavorare, molti si perdono, molti non so, per me distruggono il proprio futuro. E poi io parlando con gli insegnanti che dicevano “Tu non devi andare qua, devi andare di là”, sono loro che stanno decidendo il futuro del proprio... del ragazzo lì, dell'allievo. Non è possibile. Anche un alunno peggiore che ha i voti più bassi ha diritto a aspirare a… diciamo a fare la scuola più difficile, perché nel percorso della loro adolescenza posso cambiare. Adesso non gli piace studiare, ma dopo gli può piacere e le capacità le ha, ogni persona, ogni essere umano li ha. Per cui io non riuscivo a capire per quale motivo indirizzavano in questo modo, perché facevano moltissimo danni, tanto danni (gen. 4: Adolfina, madre di Flor [6], Liceo α, Perù). Dal commento di Adolfina emerge tutta l’importanza che la madre conferisce all’istruzione, e anche la sua convinzione che la riuscita scolastica sia alla portata di tutti. La mia professoressa di matematica mi aveva detto di andare al [nome di un liceo scientifico], perché lì c’erano tanti rumeni. E ho detto: “Ma perché devo andare lì solo perché ci sono tanti rumeni?” E allora io mi sono incavolata e ho scelto un altro liceo scientifico. Sempre comunque in zona, perché venivano anche le altre compagne, forse così. […] Sì, sì, ha detto “Ci sono tanti rumeni e sarà più facile”. E io mi sono incavolata e non ci sono andata apposta (sorride). […] Non so perché mi abbia detto questo, forse non aveva cattive intenzioni, cioè non penso, però… non mi piaceva l’idea. E quindi… (stud. 9: Julieta, Liceo α scientifico, 20 F, Romania). Anche se ci sono casi in cui, come per Julieta, si rilevano riferimenti espliciti all’origine nazionale da parte degli insegnanti durante l’orientamento, e il ri-orientamentio, degli studenti migranti, questi risultano solo una componente dei meccanismi per i quali lo stesso processo, apparentemente neutrale, condiziona diversamente le famiglie migranti rispetto a quelle native. Innanzitutto va sottolineata la differenza tra singoli istituti scolastici: in quelli a alta incidenza di studenti migranti l’attenzione verso questo tipo di utenza appare elevata. Int.: Ti ricordi se i professori alle medie ti avevano dato qualche consiglio? Flor: Non mi ricordo… però forse sì, mi avevano suggerito lo scientifico, solo che non ricordo molto, mi ricordo che si concentravano di più sui ragazzi problematici e così. […] Int.: Secondo te in questi processi di orientamento ci sono differenze tra ragazzi nati in Italia o no, i professori ci pensano? Flor: In questo senso dato che nella scuola dove sono andata io c’erano molti stranieri non penso che facessero queste differenze, anzi li guardavano molto, facevamo tanti progetti diciamo con gli stranieri, quindi non penso che ci siano state delle differenze (stud. 6: Flor, Liceo α scientifico, 18 F, Perù). Inoltre la conoscenza pregressa del sistema di istruzione da parte dei genitori è, come da ipotesi, basata su poche informazioni. Mentre i genitori laureati nel paese di origine hanno raccolto pareri e consigli da diversi attori istituzionali e informali, i figli dei genitori non laureati da tempo in Italia hanno individuato la scuola con maggiore autonomia, come raccontano Georgeta, Alexandru e Yin Mei. Per Arzan e Dimitri invece le aspettative dei genitori hanno chiuso le opzioni ai licei, malgrado la riluttanza dei figli. Arzan: Andavo abbastanza bene. Infatti mi avevano consigliato il liceo scientifico. Cioè io all’inizio, cioè non avevo tanta voglia. Infatti anche adesso non ne ho tanta voglia, però. 249 Int.: Ma chi è che te l’aveva consigliato? Arzan: Eh, i professori. Perché eravamo andati in un posto dove facevi un test, e loro ti dicevano più o meno dove potevi andare. E a me avevano detto di andare al liceo scientifico. Però cioè anche a me all’inizio piaceva. Cioè tra liceo classico e… cioè già i miei volevano che facessi un liceo, cioè non gli piaceva che facessi una scuola professionale, così. Int.: Ma perché? Arzan: Ma perché, non lo so. Cioè mia mamma già da piccolo cioè mi… ogni volta, non so, gli altri facevano fino a pagina 20, io sapevo fino a pagina 50 già gli argomenti che… Int.: Ti faceva studiare più del richiesto? Arzan: Sì! Int.: Perché? Arzan: Non lo so, boh. Int.: Ci teneva tanto alla scuola? Arzan: Eh, sì, sì. Infatti anche oggi sempre “Studia, studia!” (sorride). Int.: Ma perché? Arzan: Penso per un futuro migliore anche per me. Perché senza scuola, senza studio, non puoi fare più niente qua in Italia. Quindi… […] Int.: Tu sapevi già che avresti fatto l’università dopo la scuola? Arzan: Sinceramente volevo anche trovarmi un lavoro, che guadagnassi tanto, però boh, non ero ancora, non sapevo… Int.: Non sapevi quale? Arzan: No, e tuttora non lo so. Cioè penso prima a finire, e poi vediamo. Int.: E quindi anche quando pensavi al liceo sapevi già che era una scuola che ti permetteva poi di trovare un lavoro migliore dopo? Arzan: Sì, sì, io per quello ho scelto quella scuola […] ero già partito con l’idea che dopo il liceo avrei fatto per forza l’università (stud. 14: Arzan, Liceo α scientifico, 20 M, Albania). Per la famiglia di Dimitri le rappresentazioni basate sul sistema scolastico del paese di origine hanno causato uno sfasamento tra gli orientamenti dello studente e della scuola da un lato e le intenzioni dei genitori dall’altro. In questo caso dopo i fallimenti scolastici iniziali, il nucleo familiare è riuscito a recuperare la relazione genitoriale e la fiducia nelle possibilità di riuscita del figlio, lasciando a lui il compito di scegliere la nuova scuola da frequentare, come da sue intenzioni iniziali. Dimitri: Io volevo inizialmente l’IT Alfa. Poi i miei volevano che facessi latino. Ho detto “Va bene faccio latino”. Int.: Perché? Dimitri: Perché non lo so… ° volevo un po’ accontentarli, però alla fine si sono sbagliati ° (stud. 19: Dimitri, IT α informatico, 21 M, Romania). Nicoleta: No, noi abbiamo sbagliato quando ha finito le medie. Perché loro ci hanno detto dove poteva andare e… dall’inizio hanno detto all’IT Alfa. Int.: Loro dalla scuola? Nicoleta: Sì. E in nostro paese un liceo tecnico, o tecnologico, è l’ultimo liceo. Non lo so se mi ha capito. Finche abbiamo capito noi cos’è qua, ci è voluto, però poveretto ha sofferto lui. Tre anni. Valeriu: L’abbiamo portato al liceo Alfa. Nicoleta: Tre licei abbiamo cambiati! Finche si è ripreso […] Valeriu: Non devi raccontare mai delle bugie, perché non ti posso aiutare quando… se mi racconti delle bugie, è tardi a aiutarti. Nicoleta: Infatti lui ha capito. Ma non aveva paura, aveva vergogna. Non paura. Valeriu: Ma no, con me non deve avere vergogna. Nicoleta: Sì, vergogna, per quello. [...] Int.: E quindi l’idea iniziale del liceo scientifico era perché pensavate che fosse una scuola più… formativa? Cioè che… 250 Nicoleta: Che si basava sulla matematica e sull’informatica. Invece abbiamo sbagliato perché là c’era latino, che non serve a niente. Da noi era una materia opzionale (gen. 1: Nicoleta e Valeriu, genitori di Dimitri [19], IT α, Romania). Lo scientifico avrebbe permesso percorsi di studio lunghi e dunque maggiori opportunità lavorative dopo la laurea anche nei casi, come quello di Hind, dove la scelta è avvenuta “per esclusione” posticipando il riconoscimento del proprio settore di maggiore interesse. Int.: E com’è che hai scelto questa scuola? Hind: L’ho scelta per esclusione (sorride). Cioè io non riesco mai a scegliere nella mia vita, quindi cioè che si fa? Si fa un professionale? No, perché poi è molto limitativo, cioè se io in quinta, cioè arrivata in quinta, voglio andare all’università, non… no, cioè non mi conviene un professionale, e poi è molto settoriale, per cui scegli una strada e ti perdi le altre. Così come il tecnico, un… un po’ più, un po’ più… offre un po’ più conoscenze, più di tutto, però comunque è sempre limitativo anche il tecnico. Rimane il liceo. Tra il liceo scientifico e classico, ovvio, con tre, cioè con soli tre anni di italiano, non mi potevo permettere un classico. Poi era pesante il greco, a me il greco fa paura. Anche il latino non mi piace, devo dire. Allora cosa si fa, cosa non si fa? Rimane il liceo scientifico. Per esclusione! (sorride) (stud. 16: Hind, Liceo α scientifico, 22 F, Marocco). Altre ragioni più spicciole impiegate da studenti e genitori da tempo in Italia sono state la raggiungibilità degli istituti scolastici con il trasporto pubblico, l’esperienza scolastica dei fratelli e delle sorelle (Costela, Fadia). Aicha è stata aiutata dall’assistente sociale a individuare la scuola più accogliente per i disabili. b. Studenti e studentesse arrivati in Italia al termine delle secondarie di I grado Per gli arrivati in terza media risulta primariamente importante il suggerimento dei docenti di riferimento (v. Eduard). Eduard: Lui (sott.: l’insegnante di sostegno che mi ha aiutato alle medie) mi ha trovato il volantino per questa scuola… cioè mi ha consigliato di venire qua, all’IP Beta, perché mi diceva “Vai a questa scuola, perché non è difficilissima” cioè è impegnativa, però non è il massimo della durezza come scuola. E quindi ° io gli sono grato, perché è grazie a lui che sono qua ° […]. Int.: E poi avevi scelto questa scuola per… Eduard: Non tanto per il mestiere o per la facilità, non facilità, diciamo… non so perché l’ho scelto, si per il lavoro va bene, perché io sto facendo sala, cameriere, come lavoro è pulito, sei pulito, non fai magari cantiere o traslochi, questi lavori qua che fanno magari tanti miei compaesani dove proprio si spaccano (0.02). E poi perché… il mio motivo principale è che qua non ti devi impegnare tanto, dato che io avevo solo un anno da quando ero arrivato qua in Italia, ho detto “Magari non è tanto impegnativo, e non devo stare sempre sui libri”. E sono questi i motivi principalmente. Int.: Quindi come persone di riferimento in questa scelta? Eduard: Quel professore, la professoressa di italiano che ho avuto alle medie, e anche mia madre. Che mi ha detto “Guarda che è un bel lavoro, sei pulito” anche a mia madre ha fatto piacere. Anche mio padre perché ha lavorato in cantiere e mi ha detto “Evita”. E lo vedo che è sempre stanco. Giustamente (stud. 43: Eduard, IP β sala bar, 20 M, Romania). Nel caso di Ouail i genitori affidatari italiani l’hanno aiutato recuperare gli anni di scolarità di base perduti a causa dell’emigrazione dall’Afghanistan, passando dal CTP a un Centro di formazione professionale e quindi all’IP Alfa, con un indirizzo di studio che favorisse la conclusione del percorso in istruzione e poi l’inclusione lavorativa. 251 Int.: Sullo studio (sott.: i tuoi genitori affidatari) ti hanno dato dei consigli? Ouail: Sì. Io volevo fare il liceo linguistico. Loro mi hanno detto di no, perché dicevano che il latino è molto difficile, e “Non puoi fare questo”. Poi io ho voluto fare… servizio turistico, i primi due anni erano insieme, no? Dopo ho deciso di fare Operatore e Gestore delle Aziende. Int.: E avevi chiesto informazioni… anche tramite i tuoi? Ouail: Sì, tramite i miei insegnanti, mi hanno detto “Se tu facessi economia aziendale, avresti la possibilità di lavorare sia nel settore turistico che aziendale. Hai doppia scelta, diciamo”. Doppia possibilità (stud. 11: Ouail, IP α aziendale, 20 M, Afghanistan). Gli istituti professionali sono indicati come il tipo di scuola in cui il successo è più probabile, e rappresentati dai genitori migranti come un miglioramento rispetto alle qualifiche che avevano conquistato in quanto primo migranti, in particolare l’alberghiero risulta per il padre di Marina, come per i genitori di Bai, un possibile accesso a attività autonome. Int.: E cosa consigliavano quei test (sott.: di orientamento)? Marina: Consigliavano una scuola professionale o tecnica, qualcosa… niente di liceo perché non ce l’avrei fatta. Ci vanno anni e anni di scuola. Poi mio papà ha pensato bene di… io volevo andare a psicologia, studiare psicologia in pratica. Però ha detto che non era possibile mio padre. Int.: Perché? Marina: Eh, perché voleva che io prendessi una panetteria, venire in questa scuola. Sono venuta qua… […] Int.: Come ti era sembrato? Marina: Mi era sembrato un mondo sai protetto, dove potevi esprimerti… e poi trovare un lavoro perché… (0.03) ° per noi stranieri è sempre difficile trovare un lavoro… soprattutto… oggigiorno ° (stud. 47: Marina, IP β arte bianca, 20 F, Macedonia). Per i genitori di questo gruppo di migranti, tuttavia, le conoscenze del sistema scolastico italiano sono molto ridotte e generalmente (a parte il caso di Marina) anche la loro interferenza della scelta dello specifico indirizzo di studio (v. Sabina e Trisha). Sabina: E allora poi dopo la terza media ho scelto questa scuola perché ho chiesto ai professori e gli ho chiesto “Cosa potrei fare?” E loro mi hanno detto “Guarda, sei all’inizio, è meglio se vai a fare l’alberghiero” e allora sono venuta qua. […] Non potevo andare in un liceo scientifico, ero appena arrivata, da un anno, alcune cose non le sapevo. Allora sono venuta qua. Però mi piace. Int.: E tua mamma cosa diceva sulla scuola da scegliere? Sabina: Ah, mia mamma quello che volevo, mi ha detto “Scegli quella che vuoi”. Mia madre fa sempre così, non dice “Fai quello” o “Fai l’altro”, no. Fa scegliere. Perché alla fine deve piacere a me, no? Int.: Ma secondo te lei sapeva la differenza tra licei, istituti tecnici, istituti professionali? Sabina: No, non penso. Non penso. Non penso (stud. 44: Sabina, IP β sala bar, 20 M, Romania). Io volevo fare un corso tipo… infermieristico o qualcosa del genere, e la mia insegnante mi ha indirizzato qua, dicendomi che facendo la sociale, cioè il corso sociale ti porta poi a fare il corso di… infermieristico perché ti dà le basi, queste cose. Allora ho scelto questo corso tramite questa insegnante (stud. 30: Trisha, IP α sociale, 22 F, Filippine). Int.: L’aveva aiutata lei a scegliere questo percorso di studio? Maricel: Ah… no, non lo so, però proprio lei vuole studiare. E’ proprio… c’ha la forza, di studiare e di fare tutto (gen. 6: Maricel, madre di Trisha [30], IP α, Filippine). 252 Per Karina, a differenza che per gli altri studenti arrivati in terza media, ha avuto grande importanza lo squilibrio di status scolastico percepito in seguito all’emigrazione e il desiderio di compiere una scelta scolastica basata sulle sue capacità, con l’incoraggiamento dei docenti e delle compagne (in una scuola ad alta incidenza di studenti migranti). I genitori, diplomati al paese e lavoratori manuali, nelle parole dell’intervistata “non hanno interferito molto”, hanno appoggiato la sua scelta, che però è stata prima di tutto personale. Il liceo l’ho scelto io. Non sapevo se ce l’avrei fatta, sapevo che era una scuola abbastanza difficile, a quanto ci raccontavano. Però… non, non volevo accettare l’idea di andare in una scuola… facile solo perché ero straniera, solo perché avevo paura di non farcela. E io mi ero proposta di farcela, era questo l’obiettivo, e sapevo che sarebbe stato difficile però… dovevo farcela, e sono arrivata qua (sorride). […] Sì (sorride), è stata più che altro un… una… una specie di lotta psicologia al mio interno che… era difficile accettare… non volevo sentirmi inferiore. E… anche se… lo ero, nel senso che ero più svantaggiata di altri, ma… non ° ho mai voluto accettare che una scuola meno difficile fosse per me ° (stud. 8: Karina, Liceo α scientifico, 20 F, Romania). c. Studenti e studentesse arrivate in Italia durante le secondarie di II grado Le intenzioni delle famiglie di questo gruppo con più risorse culturali e una buona posizione sociale sono state innanzitutto evitare ulteriore ritardo scolastico scegliendo la scuola che consentisse un inserimento nella classe scolastica il più possibile corrispondente all’età e poi permettere ai figli di continuare il percorso disciplinare avevano iniziato al paese. Nel caso di Lorena il marito della madre, laureato italiano, ha partecipato attivamente alla scelta scolastica. Tuttavia nella scelta dell’indirizzo ha contato anche il legame affettivo con un compagno di classe. Mi hanno sempre detto “Hai già difficoltà con le lingue, se ti metti a fare un classico, uno scientifico, un areonautico che comunque sono già materie più difficili, sono altri linguaggi…” io… siamo andati in parecchie scuole. A Rivoli ci sono diverse scuole, lì vicino al castello. E lì subito mi prendevano in prima. E mia madre, il marito di mia madre ha detto “No, proviamo in altre scuole”. Siamo andati in un professionale a Rivoli, abbiamo detto “Boh proviamo”. C’era un’altra scuola adesso non mi ricordo, un po’ lontano, han detto che mi prendevano in prima. E qua… questa scuola è molto accogliente, per questo. Mi piace il Liceo Alfa perché appena sono arrivata, la professoressa [nome], la vicepreside, subito disponibile… ha capito, cioè a 18 anni, in prima, è difficile. Perché… i primini comunque sono… giocano, scherzano… [...] Allora io sono arrivata in seconda. E subito dopo la seconda scattava la terza, cioè dovevamo dividerci: cioè chi voleva fare il sociale, chi voleva fare il turistico, chi l’aziendale. Io ero fidanzata, io mi sono fidanzata in seconda. Con un ragazzo che sta ancora insieme nella mia classe. Però ci siamo subito lasciati, cioè siamo stati insieme sei mesi. Ci siamo influenzati tutti e due. […] Poi siccome avevo già fatto due anni di Economia e Commercio, era un peccato perderli, allora ho continuato e va beh ne ho fatti sei (stud. 10: Lorena, IP α aziendale, 22 F, Cuba). I genitori di Fernando applicano al contesto italiano la visione degli istituti tecnici sviluppata nella regione di origine; nella consapevolezza che la cornice normativa può modificare il contenuto curricolare trattato a scuola, hanno accompagnato il figlio nella 253 scelta scolastica, anche se, come mostra la sua narrazione della ricerca dell’istituto da frequentare, dati gli obiettivi di qualità scolastica prefissati con la famiglia, Fernando ha saputo documentarsi approfonditamente da solo, sfruttando le opportunità orientative fornite istituzionalmente dal contesto locale. Angel: En (in) Argentina c’era una legge d’educazione del 1884, ma te dico che la verità è che ha dato la scuola tecnica che era l’orgoglio nazionale. Ben fatto. Consuelo: No, no, il livello educativo era buono. Angel: La stessa legge che ha permesso la grande emigrazione soprattutto dall’Italia e Spagna, no? Int.: E quindi formava persone che avevano spazio sul mercato del lavoro? Consuelo: Col lavoro ma col livello de cultura media importante. Angel: Quando noi parliamo di scuola tecnica non parliamo solo di un gruppo di formazione professionale, ma come un liceo scientifico, con una formazione di lavorare importantissima, ma quella scuola alla fine l’hanno distrutta con una legge che ha fatto meno, nel 2001, che si chiama legge federale dell’educazione, che andava a rimpiazzare quella del 1884, ma in tutte les ventidue province dell’Argentina (sott.: la legge del 2001) è andata avanti eccetto la provincia de noi che abbiamo opposto e avevamo ancora (sott.: quella scuola tecnica) (gen. 11: Angel e Consuelo, genitori di Fernando [33], IT α, Argentina). Int.: E quindi sei venuto subito in questa scuola qua, in Italia? Fernando: Sì, sì, sì. Perché… beh sinceramente in Argentina non potevo scegliere, praticamente avevo solo o umanistico o contabile. Poi sono venuto qua e ho visto che c’era pure un libro! Con 250 opzioni! (ride) Non sapevo nemmeno cosa… scegliere. Alla fine boh, mi piacevano i computer e ho deciso di venire qua e… è andata bene. Int.: Quindi avevi scelto per le materie? Avevi visto le materie che c’erano matematica, informatica, queste cose qua? Fernando: Sì, sì, sì, mi era piaciuta l’idea e poi… ero andato in altri due o tre istituti qui a Torino che facevano informatica, quello che mi aveva convinto di più era questo, boh, come organizzazione e anche come struttura. [...] Ero andato con i miei in Comune, o in un ufficio del genere, e mi avevano dato da scegliere… […] Abbiamo fatto un po’ da soli. Ma come ti dicevo all’inizio, ci sono tutte le opportunità, è solo questione di cercare un po’, di informarsi, poi il resto si fa da solo. […] Una volta che ho visto sul libro le scuole di informatica, ho iniziato a cercare anche un po’ su internet, per vedere le foto, avere informazioni, orari… Int.: Quindi avevi cercato tu? O tua mamma… Fernando: Eh… soprattutto avevo tantissimo tempo libero, mentre i miei lavoravano tutto il giorno, io potevo girare un po’ Torino (sorride). Così. Poi una volta che ho scelto alcune scuole mi ha accompagnato anche mio padre per andarle a vedere, andare un po’ a vedere cosa succedeva (stud. 33: Fernando, IT α informatico, 19 M, Argentina). Zuna riporta le sue strategie di reperire informazioni sulla scuola prima dell’arrivo del figlio come tentativi di coniugare gli interessi disciplinari di Koffi con le esigenze del mercato del lavoro di riferimento, nel suo caso quello del paese di origine. La datrice di lavoro fornisce le indicazioni iniziali, che poi Zuna amplia rivolgendosi direttamente a scuola. Prima di portarlo qua io gli ho chiesto e lui mi ha detto che prima deve fare le iscrizioni no? E lui mi ha detto che lui può fare elettronico e poi ho chiesto alla signora dove lavoro e lei mi ha detto “Ah, l’IT Alfa è una buona scuola e allora vai a chiedere lì” e poi sono andato un giorno per chiedere lì e mi hanno detto che loro fanno proprio elettronica, elettrotecnica e allora ho parlato con lui (sott.: Koffi) e mi ha detto che va bene lo stesso e ho fatto l’iscrizioni. […] Io non sapevo niente delle scuole qua, è la signora che mi ha detto di andare all’IT Alfa e lei ha anche un figlio che ha fatto l’istituto tecnico e ha in Veneto una grande fabbrica e gira tutto il mondo, il figlio della signora. Lei mi ha detto l’istituto tecnico Alfa è una buona scuola, e la figlia ha una amica che ha insegnato l’italiano, io non lo sapevo eh, 254 prima di andare. […] Anche da noi ci sono tanti tanti diplomati, del liceo diciamo, ci sono quelli che studiano non lo so economia, lingua, ci sono tanti! Sai all’università di Abjian ci sono tanti diplomati così, allora sul mercato di lavoro lì non è che è facile trovare un lavoro. Invece uno con lo studio che ha fatto mio figlio sì, può, ha più probabilità di trovare subito un lavoro che uno che ha fatto economia, o non lo so, lingue, capito? (gen. 7: Zuna, madre di Koffi [35], IT α, Costa d'Avorio). Le traiettorie familiari segnate da instabilità con genitori non laureati al paese rendono i percorsi di individuazione della scuola più confusi soprattutto per gli studenti arrivati in corso d’anno durante le superiori. Le ragioni della scelta della scuola professionale sono innanzitutto linguistiche, unite alla consapevolezza che questa filiera vocazionale in Italia non preclude l’istruzione terziaria. Quando i genitori hanno maturato maggiore anzianità migratoria, tuttavia, si appoggiano ai legami sociali in Italia per trovare il percorso scolastico più adeguato. Come spiega Adia, la scuola è stata trovata dalla madre prima del suo arrivo in Italia, con i consigli di una amica italiana e le rassicurazioni del personale scolastico sulle possibilità di iscriversi all’università. Lei (sott.: mia madre) mi ha detto “Visto che non sai parlare bene, per adesso incominciamo con un istituto professionale, magari dopo ti trasferisci da qualche parte”… e poi io ho detto “Resto qua”… perché in Romania da un istituto professionale non si può andare all’università, e qua invece si può. Era… di più per la lingua, perché non sapevo proprio parlare, mi ha detto che avrei avuto delle difficoltà… visto che al liceo si studia di più, dico io, no? C’è una differenza, lei mi ha detto “Per il primo anno vieni qua così impari, e poi ti trasferisci”. Ma poi io ho detto “Rimango qua” perché tanto… [...] Ma parlavamo sempre al telefono (sott.: con mia madre), quindi io non capivo neanche… perché lei mi diceva: “Sai ho visto questo, dopo puoi fare anche infermieristica, se ti piace tanto”, ma io mica capivo tanto perché sempre a metà mi parlava, quindi anche per il telefono non avevamo tanto… anche perché non capiva tanto nemmeno lei, anche tramite un’amica ci aveva spiegato un po’ come funzionano, e lei aveva detto “Magari all’inizio può essere meglio andare in un istituto professionale”. […] E poi la vicepreside le aveva detto che da questa scuola tu puoi andare a qualsiasi università, cioè ci sono delle materie che… io ad esempio, ci sono delle materie che… io l’ho letto un po’ così, almeno, ci sono varie scelte dalle materie che faccio io ad andare al… all’università (stud. 1: Adia, Ipα sociale, 19 F, Romania). Anche per Jessica e Adelka la scuola è stata trovata dalla madre prima del ricongiungimento, con lo scopo di proseguire l’indirizzo socio-psico-pedagogico seguito al paese. Gli intervistati neo arrivati e i loro genitori hanno consultato la rete di connazionali di riferimento, piuttosto che le istituzioni Mentre Yin Mei e Bai, da più tempo in Italia e senza più difficoltà con la seconda lingua, aveva trovato la scuola secondaria in autonomia, Xixi, arrivata nel corso delle superiori, ha invece seguito i consigli di una mediatrice culturale incontrata al CTP. Specie quando l’iscrizione avviene dopo l’arrivo in Italia, nel caso di genitori non laureati e percorsi discendenti di inserimento sociale in Italia, il tempo dedicato alla selezione è stato breve e la scuola non propriamente “scelta”, ma piuttosto individuata in base alla vicinanza rispetto all’abitazione, anche se non in maniera del tutto casuale, come racconta 255 Zëdlir, il quale ad esempio si confronta con la sorella e scarta le scuole serali. Anche Bogdan, che voleva seguire un percorso di studi informatico come i compagni rimasti in Romania, non sapeva nulla sull’offerta formativa dell’IT Alfa, scelto dai genitori per lui perché vicino a casa. Zëdlir: Sono arrivato qui a metà della seconda superiore. E quindi cioè mi hanno chiesto, però non è che avevo alcune… cioè pensavo di continuare al liceo, come tutti, no? Cioè normale. Quindi, niente, mia sorella si è… cioè ha, abbiamo avuto dei contatti, e c’era una scuola vicino a casa, solo che ° mi sa che quella era solo serale ° (voce imbarazzata). [...] Quindi l’IT Alfa è stato ° scelto perché era vicino a casa, cioè non sapevano °… Int.: Cioè non sapevano che era una scuola con una buona reputazione? Zëdlir: No, non sapevano. ° Solo perché era vicino a casa ° (voce imbarazzata) […] Io quando sono venuto ero più attratto dal fare l’architetto, pensavo di fare l’università. Però poi… con il tempo ho cambiato idea, e ho detto “Provo con informatica” che lo trovavo interessante, e i miei hanno detto “Se ti piace fallo” e mi sono iscritto a informatica. Int.: Anche perché è una scuola che poi non ti obbliga a fare l’università? Per quello non al liceo? Zëdlir: Eh, perché poi devi andarci per forza. [...] Int.: Quindi non sapevi che questa scuola ha una reputazione buona? Zëdlir: Cioè all’inizio no, però poi, cioè conoscendo italiani, oppure anche persone dell’età di mio padre, no? Gli chiedono dove vado, dice “All’IT Alfa” e fanno “Ah, è una buona scuola” cioè si sono anche un po’ stupiti, “Ah! Vai all’IT Alfa, bravo! Anche io l’avevo fatto” perché ci sono persone che l’hanno già fatto. Cioè quando ho detto che vado all’IT Alfa ° mi fanno sempre i complimenti °. Allora ho capito che… poi non so le altre scuole. Un mio amico che l’hanno bocciato in terza e l’anno scorso l’ha passato per un pelo, poi adesso è andato al [nome di un altro IT] e lì dice che va bene, cioè prende sempre sette, otto. Diciamo che è un po’… ° dura, l’IT Alfa °. In questi casi una scelta più consapevole, guardando all’utilità delle materie trattate in funzione delle aspirazioni post diploma, avviene dopo, tra gli indirizzi scolastici disponibili all’interno dell’istituto scelto. Nel frattempo le informazioni sulla scuola frequentata si arricchiscono. L’IT Alfa è rappresentato come una scuola difficile e valida, forse, secondo i racconti sullo stupore dei conoscenti del padre, una scuola “per italiani”, che però non “obbliga” all’istruzione terziaria per trovare lavoro. In questa configurazione i genitori appaiono defilati e generalmente concordi, e non ci sono riorientamenti stati posteriori. d. Riorientamenti tra carenze informative, difficoltà di riuscita scolastica e interazione con i pari e i docenti Ha cambiato scuola secondaria di II grado un numero consistente di studenti intervistati (11 su 56, due ai licei, quattro agli IT e cinque agli IP). I riorientamenti indicano quasi sempre perdita di anni scolastici, anche perché di solito, come per i ragazzi nativi, sono conseguenti a ripetenze. Sono stato bocciato in seconda, e mia mamma aveva sentito, diceva la scuola qua era molto… famosa, era molto selettiva anche, e quindi voleva che mi impegnassi di più, e quindi in seconda mi hanno trasferito qua (stud. 38: Diego, IT α elettrotecnico, 21 M, Perù). 256 In tutti gli altri casi, tranne che per Diego, il tentativo è stato trovare una scuola meno esigente. Come abbiamo visto con i dati sugli studenti nativi e migranti nelle scuole superiori del Piemonte (capitolo 3), in effetti, i cambi di scuola tendono a dirigere soprattutto gli studenti di origine “straniera” verso l’istruzione tecnica e professionale. Anche il riorientamento, come il ritardo scolastico, è dipendente in parte dall’arrivo dall’estero, laddove le carenti informazioni sul sistema scolastico delle famiglie hanno portato a scelte scolastiche poco ponderate, come nel caso di Gaby. Gaby: Diciamo che io non sapevo niente di come funzionasse la scuola qua in Italia, neanche… ma manco i miei. Loro sapevano solo che per andare all’università bisognava fare il liceo, che era l’unica possibilità, cioè per avere le basi, per andare all’università. Ho fatto la terza media, poi sono andato al liceo scientifico. Int.: E comunque in questi passaggi hai avuto consigli dai professori, o dai tuoi, o dai tuoi amici? […] Gaby: No, attraverso alcuni consigli dei professori, che mi dicevano: “Guarda questa scuola ha una struttura… bella e poi è accogliente”. Solo da quello. Perché i miei non sapevano niente di ‘ste cose no? Di come funzionasse la scuola. E quindi anche in terza media non è che sapessi parlare bene italiano. E quindi non è che avessi fatto tante amicizie con i compagni. E quindi… (stud. 32: Gaby, IT α liceo tecnologico, 22 M, Perù). I genitori maggiormente coinvolti nella scelta dopo la terza media, ad esempio quelli di Dimitri, di cui abbiamo riportato il racconto in precedenza, sono spiazzati dai riorientamenti, specie se avvengono dopo bocciature, e li vivono come se fossero una prova della loro incompetenza nell’orientare i figli verso i percorsi più soddisfacenti. In questi casi la reazione sembra essere quella di lasciare più autonomia al figlio, fatto che si traduce in un aumento dell’influenza sui suoi percorsi in istruzione da parte del personale scolastico. Diverso è il vissuto degli studenti migranti arrivati da bambini e poi orientati soprattutto dai legami amicali, come Gloria: per loro, una minoranza nel campione, il cambio di scuola non sembra stato segnato dalla traiettoria migratoria familiare, anche se il desiderio di “seguire gli amici” di questi studenti è stato motivato anche dal timore di provare di nuovo il senso di solitudine dovuto alla recisione delle relazioni con i compagni di classe in seguito all’emigrazione. Carolina ha preferito un istituto professionale invece del liceo per i suggerimenti degli insegnanti, i quali avevano sottolineato la necessità di dedicarsi maggiormente allo studio per rimanere in un percorso liceale. Per Saloua e Verim, invece, oltre alle difficoltà di performance scolastica, è risultato difficile gestire la “diversità” percepita nel gruppo dei pari e dai docenti nei licei del centro città scelti dopo la terza media, a causa della composizione sociale degli utenti mediamente elevata e di origine strettamente locale. 257 Int.: Perché avete pensato di cambiare scuola? Skordian: Lui ha voluto. Lui ha voluto cambiare, lui ha voluto. “Non mi sento più qua, non mi piace più”. Ha bocciato in modo non giusto, hanno fatto un po’ la vigliaccheria. Io conoscevo la nostra responsabilità, non avere una esperienza… ma c’erano troppe famiglie piemontesi, eliminiamo qualcosa che è un po’ diverso, e il diverso era mio figlio e questo suo amico (sott.: di origine calabrese). Ma tu non devi lasciare occasioni a un professore di bocciarti. Se sei bravo non possono bocciarti. Basta cambiare ambiente, è lo stesso liceo scientifico, uguale, ha trovato posto e subject… simili a questa qua (gen. 5: Skordian, padre di Verim [15], Liceo α, Albania). Saloua: Era un ambiente un po’ così, molto freddo, anche tra i miei compagni. Non… anche perché portato il velo, anche questo… io ho messo il velo quando avevo 11 anni. Con i miei compagni delle medie non ho avuto nessun tipo di problema. Anzi, erano… se vedevano che mi usciva non so la ciocca di capelli mi dicevano “Copriti, Saloua!” erano proprio tenerissimi! (sorride) E… è stato un ambiente molto aperto. Qui invece è stato molto diverso, poi erano tutti ragazzi di collina, quindi hanno… un loro… hanno un loro modo di vivere, che io non frequentavo. Non avevo… lo stesso stile di vita. Ad esempio uscire già la sera, mentre io ero… si può dire sono una ragazzina. […] Fino alla terza superiore sono sempre stata in casa, in famiglia, molto… cioè abbastanza norm… cioè protetta nel mio guscio familiare, e sono cresciuta così. Sono arrivata al liceo scientifico, e avevo legato solo con la mia compagna di banco, che anche lei era abbastanza… aveva il mio stesso stile di… papà, mamma, fratelli, parenti, questo genere… poi gli amici… quelli dell’infanzia, che son cresciuti con te e poi magari ogni tanto si esce e ci si vede. E poi per il resto… così, e non era una classe che ti aiutava molto, era molto fredda, c’erano molti contrasti. [...] I miei compagni di classe…cioè erano proprio… “Affari tuoi”. Cioè non è che… non lo dicevano, ma alla fine il messaggio era quello: “Non è un problema mio”. Cioè se hai contro quella di matematica, ti prendi ripetizioni, ti prendi il resto… forse perché era una prima, il primo anno è sempre qualcosa di nuovo, di difficile e tutto il resto. Int.: C’era qualcuno che veniva dalla scuola media da dove venivi tu? Saloua: No. Int.: Dove andavi? Saloua: [Nome della scuola] nella mia zona, tra corso Salerno e via Ciriè (zone periferiche e popolari, ndr). È sempre stata molto familiare, vicino a casa, queste cose qui, e invece lì mi sono vista… qui, che avevo cambiato casa, tutto il resto, ho iniziato a frequentare questa nuova scuola. E i miei compagni sì, mi calcolavano ma da una parte anche un po’ mi evitavano. Tutto così, era strano… Int.: Ti facevano anche battute per il velo? Saloua: Mah, un po’ mi hanno temuto, poi era uno stile abbastanza normale il mio, e invece loro erano già con i loro pantaloni firmati, la loro borsetta firmata, il loro giro del sabato sera, queste cose qui… io che poi ero molto semplice, e loro invece avevano già queste cose qui, questo e quello, i trucchi… io non è che non accettassi, ma non ero entrata in questo mondo. Poi non mi hanno mai proposto… non mi hanno mai detto qualcosa del genere. Erano molto contenti della loro situazione social… cioè della loro situazione. Poi il fatto della professoressa di matematica, che poi alla fine eravamo una classe… cioè quelli che andavano bene, e quelli che andavano male, però non c’è mai stata una cosa del tipo “Dai, ti do una mano”. [Invece al liceo Alfa] sono andata in una classe fantastica! Anche con i professori… molti mi dicono “Eh, sei andata via dallo scientifico e adesso ti trovi bene perché è molto più semplice”. Non è molto più semplice! È molto… più umano. Cioè i professori… ci sono i professori… quello va a fortuna, ma è molto più umano, ad esempio con i miei compagni di classe c’è molto il fatto che se tu non riesci in una cosa, se tu vai male in matematica, se tu non hai capito una cosa, ci si aiuta subito! (stud. 37: Saloua, Liceo α socio-psico-pedagogico, 20 F, Tunisia). La delusione di Saloua per la sua prima esperienza scolastica al liceo è anche dovuta all’ostilità mostrata nei suoi confronti dall’insegnante di matematica, la quale, per le sue esternazioni esplicite sul velo islamico portato dall’allieva, era stata ripresa ufficialmente dalla dirigenza scolastica. Per il padre Karim e la moglie, il ruolo degli insegnanti 258 dovrebbe essere fondamentale per garantire scelte meritocratiche in istruzione, e in Italia andrebbe rinforzato. Karim: Allora, io dico personalmente. Le scelte sono sempre basate sulla scuola. Alle medie si riconosce l’intelligenza e da quel momento lì parte la distinzione, si convocano i genitori, “Questo qua, è bene inserirlo in questo mondo per questo e questo, per determinati motivi”. Poi ci sono questi ballottaggi per questi ragazzi che possono essere in una scuola o in un’altra. E lì drasticamente la scuola, parlo io di gente che è responsabile del nostro paese! Perché questo lo portano determinate politiche! Perché io devo dire la verità. Abbiamo professori, maestri, che non sono qualificati. Perché alcuni sono per gli studenti e altri sono pagliacci! INAMMISSIBILE! I maestri devono badare a venti alunni, a tutti ugualmente! Poi dipende dalla struttura scolastica, perché non dico che deve essere come nel nostro mondo dove si doveva bacchettare sulle mani… ora c’è il telefono azzurro e non si può. Ma il mercato della droga, chi è in quel mercato lì? Che distrugge la vita? I giovani… perché la scuola si è allontanata da certi criteri. Deve [educare di] più gli studenti. L’alunno è il futuro uomo dello stato, deve essere un benessere per il paese. [Poi negli scambi e nei confronti internazionali tra studenti] dà prestigio all’Italia. La scuola deve cambiare rotta. Dal primo giorno di scuola si deve guardare al mercato del lavoro. E è una strada raggiungibile in tutti i momenti, basta che noi adulti lo vogliamo, noi adulti e noi insegnanti. La Gelmini è criticata ma a volte dice cose giuste, devono esserci anche i meriti tra i docenti. Perché io dico sempre, se la classe è così, cinque riusciti e bocciati dieci, allora è il professore, è lui che ha fallito, non dico tutto ma un bel 50% è suo, i professori e i maestri hanno una grande responsabilità per quel bambino di diventare un buon lavoratore per quel paese… prima ce l’ha il genitore, e poi l’insegnante. Asmaa: Anche serve più rispetto per l’insegnante. Karim: Adesso l’Italia è diventata come l’America, no? Vedi tutte le provenienze. Allora devi anche essere un paese verso l’integrazione di queste civiltà, anche noi siamo in questo paese, quindi accogliere perché se sono qua, sono italiano! (gen. 8: Karim e Asmaa, genitori di Saloua [37], Liceo α, Tunisia). In particolare risultano molto influenti i consigli orientativi dei docenti della prima scuola frequentata, e la presenza di amici tra gli studenti, nell’incoraggiare o scoraggiare la prosecuzione di percorsi scolastici lunghi in istituti scolastici in cui i migranti sono ancora una minoranza. Mirko, che nonostante le difficoltà iniziali al liceo Beta non cambia scuola, racconta in modo eloquente che il padre, per aiutarlo a integrarsi nel liceo frequentato in prevalenza da studenti di status benestante, gli avrebbe regalato un motorino, in modo da non arrivare a scuola usando i mezzi pubblici. Int.: Tu perché hai fatto il liceo scientifico? Mirko: Allora, vicino a dove abitavo prima c’era il liceo Alfa. Perché abitavo a un paio di isolati da lì quindi volevo andare lì perché era vicino a casa, poi sapevo già da qualcuno con cui avevo stretto amicizia perché avevamo fatto le olimpiadi di matematica, […] nei campetti a giocare a basket e conoscevo dei ragazzi di quarta e di quinta del liceo Alfa e avevo detto “Vado lì così conosco almeno qualcuno”. Mentre qui non conoscevo proprio nessuno. Ho detto davo a fare un liceo perché non volevo fare un istituto. Perché cioè i prof mi avevano detto “Hai dei buoni risultati, anche se non sono veri, sappilo, perché avrai alcuni problemi in certe materie, però comunque ti consigliamo un liceo perché comunque le capacità le hai”. E scientifico perché è già tanto che sapevo l’italiano quindi non buttiamoci anche nel latino e nel greco, cose che non hai mai toccato, perché di solito iniziano già dalla seconda a fare preparazione di latino o di greco, cose che io non ho mai fatto alle medie. E mi hanno detto “Per forza scientifico”. E quindi ero indeciso tra liceo Alfa, o liceo Beta, perché non ce n’è altri vicino a qui […]. Avevo scelto il liceo Beta, perché mio padre aveva parlato con il suo datore di lavoro della concessionaria, e il datore di lavoro aveva detto “Guarda, parla con mio figlio che aveva 25 anni forse e lui non aveva fatto il liceo Beta ma molti suoi amici hanno fatto il liceo beta” e quindi mio padre si era già un po’ convinto che era un ambiente un po’ 259 più… perché è la verità, perché ° rispetto ad altre scuole qua è a un altro livello, nel senso che ci sono tanti ragazzi della collina (zona abitata da benestanti, ndr) e tutto quanto °. E all’inizio ho detto a mio padre “Guarda che non voglio andare con i figli di papà” io abituato… lì in… cioè tra marocchini e cose che… cioè mi chiedevano “Vuoi delle scarpe taroccate?” questo qui era proprio un altro ambiente. E avevo paura di non ambientarmi bene. Infatti ho detto “Non voglio andare lì perché ci sono solo figli di papà”. Poi infatti sono venuto a presentare la domanda… perché lui mi aveva detto, cioè… ° con una scusa mi aveva detto “Guarda se vai al liceo Beta ti compro lo scooter, perché è lontano e ci vada in scooter” e io già… sentendo questo mi ha convinto un po’ di più. E adesso penso che ha fatto bene a dirmi così, perché poi al liceo Alfa ci vanno… poi non so, però […] conosco una ragazza che veniva qua e poi è andata al liceo Alfa perché qui l’hanno bocciata, e ha detto che là il livello è molto più facile. Poi dipende dalla classe, però anche a prescindere dalle altre scuole qua sono contento, perché sono entrato in contatto con gente… di cui mi fido, ho amici veri e cose così, quindi sono molto contento di essere venuto qua. E la prima volta che sono venuto a presentare la domanda, sono venuto con mio padre, mi ha accompagnato, e ho visto tutti i ragazzi con le macchine fuori, con lo stereo acceso, che facevano vedere l’impianto audio nuovo, e gli ho detto “Cavolo, qui mi fanno paura”… però già avendo lo scooter… che poi è una stupidaggine, perché non è che sono tutti così. Però magari ci sono quei tre o quattro ragazzi in classe che sono proprio… li vedi anche da come si vestono… però non è neanche colpa loro che i genitori hanno fatto certe scelte di lavoro e hanno i soldi per poterselo permettere. Però poi ci sono anche ragazzi che vengono in pullman, non è che… prima pensavo che fossero tutti così, tutti abitano in collina, tutti vengono in moto, però era solo… la mia paura di venire in un ambiente tutto nuovo e cose così. Però mi sono trovato bene (stud. 49: Mirko, Liceo β scientifico, 19 M, Romania). Le differenze di status tra gli studenti migranti e gli utenti non sempre sono colte e percepite anche dai genitori come una possibile difficoltà dei figli a integrarsi a scuola, come ammette Elionor, alla quale queste difficoltà risultano chiare solo dopo che la figlia ha cambiato scuola. Dalle sue parole, come da quelle di Marina citate nel corso di questo capitolo, traspare la definizione delle “seconde generazioni” come giovani ancora “stranieri” nel mercato del lavoro italiano, e dunque particolarmente esposti alle difficoltà occupazionali, rispetto alle quali il diploma di scuola secondaria, specie se professionalizzante verso settori con ampia domanda di lavoro anche non altamente qualificato, appare una forma di tutela. Int.: Perché dice che sua figlia ha patito di più? Elionor: Allora, lei ha scelto la scuola perché nel sociale c’è più lavoro. Lei voleva fare il turistico, ma cosa vai nel turismo? Sei anche straniera, puoi fare infermiera, che hanno bisogno tanto, o l’assistente sociale, l’educatore professionale, nel settore sociale cercano tanto, hanno bisogno tanto. E allora ha studiato a Savigliano (cittadina in provincia di Cuneo, ndr), e allora li vedevo, andavano anche ben vestiti, anche le mamme fuori da scuola, e così poi non si è trovata bene, ed è andata a Torino, e poi più stranieri, e vestiti anche normale, anche come genitore ho notato quello, anche io, io eh? Prima a Savigliano non lo notavo, invece a Torino anche all’uscita da scuola, con gli altri genitori, le altre mamme… ho visto che ero più trattata… alla pari. Mi sono resa conto. Invece a Savigliano no, i genitori andavano più per le sue, io non ci facevo caso, andavo e venivo solo per quello che dovevo fare e non guardavo, non lo notavo… ma poi andando a Torino, ho capito. Perché (sott.: a Savigliano) erano piemontesi, sai… Invece a Torino c’è tutta una mischia, no? Erano più abituati ad avere stranieri, e mi sono trovata a mio agio, e ho detto “Adesso ho capito mia figlia”. Anche se all’inizio andare a Torino, è una città grande… avevo paura, ma poi ho detto > io sono crescita a Lima… < ° non mi sono drogata °… perché sai che in città c’è anche questo mondo, ci sono più cose, ma è anche giusto conoscere che ci sono queste cose. E così si è trovata bene, ha finito le superiori… (gen. 12: Elionor, madre di Pilar [39], IP α, Perù). 260 e. Cautele di lettura degli effetti delle ristrutturazione familiari La maggiore presenza di famiglie monogenitoriali tra gli iscritti all’istruzione professionale, anche in caso di buona riuscita scolastica pregressa dei figli, può indicare scelte scolastiche segnate dalla prudenza, ma non necessariamente al ribasso e non necessariamente dovute a minore sostegno scolastico ricevuto dalle madri sole. Piuttosto l’incertezza sulla continuità delle risorse economiche e relazionali familiari, e la consapevolezza che lo stesso progetto migratorio possa essere messo in discussione, hanno portato questi studenti a individuare percorsi formativi di breve o medio raggio, in modo da conseguire rapidamente titoli di studio da sfruttare nel mercato del lavoro in caso di necessità, ma anche da poter prolungare fino all’istruzione terziaria al verificarsi di condizioni favorevoli, imprevedibili al momento della scelta scolastica. Suzana: Guarda a me sinceramente hanno consigliato liceo scientifico o linguistico. Dalle medie sono uscita con ottimo quindi… (sorride). Solo che ho avuto una informazione di orientamento molto… scarsa. E… siamo state un po’ allo sbaraglio così, poi mia mamma e io non conoscevamo come funzionano le cose tanto, perché è un po’ diverso al mio paese e allora per esempio certe materie come chimica e fisica che qua non si fanno, noi non lo sapevamo, e abbiamo scelto un po’ così alla cieca, da quello che si sentiva dire in giro dalla gente, dal poco di orientamento che è stato fatto, poi un po’ per le amicizie, perché magari c’era il fratello di qualcuno che aveva detto “Ma sì, vai lì…” e poi comunque non è una scuola scarsa, voglio dire, ti offre comunque una preparazione abbastanza solida, > ° certo non si compara con un liceo ° <, però è di… ti inizia anche un po’ al mondo del lavoro, sai con il tirocinio e queste cose qua, quello è il bello, poi ha alcune materie come diritto, come igiene, come psicologia, che non ci sono in altre scuole e magari ti sono utili anche nella vita, quindi… Int.: Ti ricordi se avevi fatto quel test di orientamento al computer? Suzana: Sì, mi aveva indirizzato sempre verso materie scientifiche, non mi ricordo esattamente perché adesso sono passati tanti anni, però era qualcosa del genere. Ecco io lo trovo una cosa utile quel test, per chi non ha le idee tanto chiare ad esempio, così può scegliere. Int.: E poi avevi sentito altre persone, ne avevi parlato con tua mamma o familiari? Suzana: Sì, sai cos’è? È che quando tu senti tecnico dei servizi sociali pensi che sarà mai! Sarà una cosa che comunque si cerca, poi con tutte le problematiche che ci sono oggi, poi, i servizi sociali hanno anche un ruolo piuttosto importante, e ho detto va beh sarà un settore che si cerca. Poi quando io ho scelto questa scuola mi sono posta il problema: ok, con un liceo tra cinque anni ho un diploma ma non ho delle certezze, con questa scuola ho delle certezze, e magari vado anche all’università, dopo che penso comunque di andare all’università, però era come se avessi già una garanzia facendo ‘sta scuola. E invece anche questo diploma oggi… non vale quasi più niente. Perché ormai è così. Cioè ormai ti chiedono quasi da tutte le parti una laurea per un lavoro un po’ più diciamo solido e anche più sicuro, e boh… ormai è così. Int.: Quindi tu sapevi che avresti comunque potuto fare l’università? Suzana: Sì, certo, ma io sono sempre stata indirizzata a fare l’università, questa motivazione ce l’ho sempre avuta. Int.: E poi avevi scelto questo indirizzo sociale anche pensando a una possibile professione dopo? Suzana: Sì, e poi io ho una passione per l’ambito della sanità. E sapendo che si fa sai igiene, psicologia, tutte quelle materie che sapevo mi sarebbero state utili in seguito ho deciso per questo indirizzo. È così che l’ho scelto. Int.: Ho capito. E tua madre era d’accordo o ti aveva dato degli altri consigli? Suzana: Ma lei avrebbe preferito un liceo, solo che le ho spiegato le mie paure, nel senso della sicurezza, che non si sa mai come vanno le cose, nel senso chissà dove saremo tra cinque anni? Insomma facciamo le cose con calma, tanto poi si può andare lo stesso all’università e al massimo… boh ce la farò in qualche modo. Solo che lei non sapeva che 261 non si faceva fisica e chimica. Cioè da noi si fa sempre, in ogni scuola che tu vada c’è sempre, già a partire dalla prima media, allora lei era rimasta molto scioccata quando ha scoperto sta cosa, è venuta a scuola e ha chiesto “Ma come mai? Ma si farà nei laboratori?” qua e là… e avevano detto un tempo che l’avrebbero organizzati ma non hanno mai… forse adesso in prima hanno iniziato a fare qualcosa, con le nuove riforme e queste robe qua. […] Int.: E non hai mai pensato di passare allo scientifico? Suzana: L’ho pensato, ma non sapevo che fosse possibile! E l’ho saputo quando ero già in terza. E allora sai che non si fanno più (sott.: i passaggi), si fanno solo fino alla seconda. E ero alla fine della terza, e ho detto: quarta e quinta, no, ma sì, facciamo così, poi al massimo mi aggiusto da sola, in qualche modo, con dei corsi che magari ci sono (stud. 40: Suzana, IP α sociale, 19 F, Romania). Anche se l’istituto professionale formalmente permette l’accesso all’università, spiega Suzana, l’offerta formativa risulta meno ricca rispetto alle attese (attese costruite sulla base dei curricula di scuola secondaria nel paese di origine e delle poche informazioni ricevute in Italia), e svantaggiosa per il superamento dei test di ingresso delle Facoltà a numero chiuso, inoltre negli ultimi anni la studentessa percepisce una svalutazione delle credenziali educative di livello secondario superiore nel mercato del lavoro. Le scelte di Suzana si fanno sempre più irreversibili, e lei rimane “intrappolata” nel circuito formativo scelto al termine della scuola media. Viceversa le nuove unioni con italiani hanno allargato le informazioni disponibili sugli indirizzi e i tipi di insegnamento secondario e veicolato rappresentazioni più ricche dei diversi istituti scolastici della zona di riferimento, compresi anche i pregiudizi e gli stereotipi sulla reputazione dei diversi istituti diffusi tra gli italiani, inoltre hanno conferito sicurezza sulla continuità delle risorse familiari nel lungo periodo in caso di eventuali ritardi scolastici e riorientamenti. In genere queste condizioni hanno “spinto verso l’alto”, malgrado non in tutti i casi le risorse “aggiuntive” rispetto alle altre famiglie migranti siano state accolte dagli studenti. Int.: La famiglia del ragazzo di tua mamma ti aveva detto “Fai questo, fai quest’altro”? Lorian: No, no, neanche loro, è quasi stata un qualcosa di segreto no, la scuola scelta. Gli ultimi giorni in terza che avevo finito l’esame e tutto, sono andato da loro e mi hanno chiesto “Allora, che scuola hai scelto?”. “L’alberghiero”. Lei (sott.: la madre del fidanzato) ha spalancato gli occhi della serie “Che stai dicendo?” invece il nonno, il signore, si era messo a ridere, però io capivo, era comunque quella risata della serie “Son contento”, no? Int.: Perché avevano fatto quelle facce? Lorian: No, lei aveva fatto quella faccia, non so ancora dirti il motivo però mi è sembrata alquanto schifata, della serie è una scuola… lei che voleva che facessi una scuola tipo… un istituto tecnico oppure qualcosa di veramente eccezionale, no? Elettronica o qualcosa del genere. Sì, mi vedeva come se fossi suo figlio, perché suo figlio aveva fatto elettrotecnica o sempre una cosa del genere. Voleva che magari volessi fare un’altra cosa. Però le scelte le prendo io, mica gli altri (stud. 48: Lorian, IP β sala bar, 20 M, Romania). Int.: Perché tua mamma non era d’accordo (sott.: con la tua intenzione di iscriverti a un IT)? Rocio: Perché diceva che non era una scuola molto bella, lei non vedeva, non vede tuttora, dopo la scuola qualcosa di diverso dall’università. Io non ci voglio andare, le ho fatto pure un bigliettone grosso con scritto “Io non ci vado all’università!”. […] 262 Int.: E il marito di tua mamma, avevate chiesto anche a lui per sapere come funzionava la scuola italiana? Rocio: Sì, sì, sì. Lui all’inizio non era tanto d’accordo. Poi io gli ho spiegato che: uno volevo approfondire la mia passione per le foto; due non c’erano tante materie che non mi piacevano alle medie, tipo latino, geografia… poi lui ha capito il mio motivo e ha detto “Forse hai ragione te, vediamo, se ti trovi bene, se no cambiamo e ne troviamo una adatta a te”, e mi son trovata bene […] Poi mi era piaciuto molto quello che facevano: cinema, fotografia editoriale, laboratori tre ore al giorno… Peccato che non facciamo le cose che ci hanno fatto vedere… perché questa scuola ha due indirizzi, il [indiritto IT] e il [indiritto IP], noi siamo andati a vedere il [indirizzo IP] che è più professionale, non sapevo le differenze. Int.: Ma neanche il marito di tua madre? Rocio: Il marito di mia madre mi ha spiegato la differenza tra istituto professionale e tecnico in generale, ma in questo caso specifico neanche lui lo sapeva, e io ho detto “Va bene facciamo l’IT” (stud. 55: Rocio, IT β grafico, 21 F, Ecuador). Le famiglie migranti in cui sono presenti entrambi i genitori, o un genitore e il compagno/a, migrante, partecipano in misura diversa all’individuazione della scuola superiore, a seconda innanzitutto dalla scolarità dei genitori nel paese di origine, indipendentemente dalla posizione occupazionale in Italia. Per i genitori laureati, la riuscita a scuola dei figli risulta una cartina al tornasole per valutare la riuscita del progetto migratorio. Int.: Beh, adesso sarà anche una soddisfazione perché iniziate a vedere i primi frutti (sott.: della decisione di partire). Consuelo: Sì, sì, sì. Angel: Guardate come sono messi i ragazzi a scuola: si sono adattati perfettamente. Consuelo: Sì, sì, sì (gen. 11: Angel e Consuelo, genitori di Fernando [33], IT α, Argentina). Noi siamo qua per la scuola. Se i nostri figli non vanno all’università, noi siamo uomini falliti. Siamo proprio falliti. E infatti ci siamo più studenti albanesi che italiani… (gen. 5: Skordian, padre di Verim [15], Liceo α, Albania). Per gli altri, invece, l’istruzione non è un indicatore di successo in sé, ma piuttosto uno dei modi di favorire l’inclusione occupazionale futura. In questo senso conseguire il diploma, anche tecnico o professionale, è già un buon traguardo. Malgrado non sempre i genitori migranti non laureati sappiano consigliare con precisione l’indirizzo o istituto da favorire, essi propendono per sottolineare l’importanza dell’istruzione per trovare un lavoro migliore di quello che stanno svolgendo loro. Tuttavia, proprio per il loro collocarsi “in basso” nella stratificazione occupazionale e sociale italiana, dal loro punto di vista anche un percorso professionalizzante che conduca a incarichi non altamente qualificati può significare mobilità occupazionale. 263 6.3. L’esperienza scolastica nel secondo ciclo di istruzione Nell’esame dei racconti sul percorso degli studenti intervistati nelle scuole superiori in Italia bisogna tener conto di quanto emerso dai capitoli 3 e 4 sui processi di selezione scolastica precedenti al termine delle secondarie: l’eterogeneità delle esperienze dei ragazzi e delle ragazze migranti che arrivano in quinta è ridotta dai diversi fenomeni della dispersione scolastica (o della mancata iscrizione) particolarmente incisivi per i giovani con background di immigrazione. Gli intervistati sono consapevoli dell’elevato tasso di abbandono scolastico che ha caratterizzato le traiettorie dei coetanei migranti, soprattutto agli istituti professionali, e anche del fatto che i compagni che hanno affrontato maggiori difficoltà dovute al processo migratorio e alla carenza di risorse familiari sono quelli che più spesso sono caduti fuori dal circuito dell’istruzione formale. È tuttavia interessante segnalare alcuni aspetti per i quali la traiettoria migratoria familiare ha continuato a influenzare riuscita e benessere a scuola anche degli studenti giunti al termine del percorso secondario, non necessariamente come ostacolo all’ottenimento di buone performance: (a) il sostegno della famiglia allo studio; (b) l’impegno extrascolastico nei “lavoretti”; (c) l’interazione in classe tra pari e con gli insegnanti e i legami amicali degli studenti. a. Il sostegno allo studio Il supporto dei genitori allo studio comprende un insieme di attività che includono, oltre all’accompagnamento alle scelte scolastiche, di cui abbiamo parlato nel precedente paragrafo, l’aiuto nello studio individuale a casa, l’apporto di formazione extrascolastica, di recupero oppure in aggiunta rispetto a quella offerta a scuola, ma anche una attenzione e enfasi più generale all’istruzione come dimensione importante in cui investire. Il sostegno specifico allo studio disciplinare per i figli di genitori con alto capitale culturale è stato ridotto dallo spostamento all’estero per effetto della mancata trasferibilità delle competenze dei genitori. Int.: Qui eri più autonomo anche sullo studio, per organizzarti, informarti sulle cose da fare, mentre là potevi confrontarsi anche con tuo padre? Koffi: Eh, sì! Int.: Perché conosceva anche la scuola, mentre qua… di meno? Koffi: Eh… son da solo! (stud. 35: Koffi, IT α elettrotecnico, 20 M, Costa d'Avorio). Lì praticamente si inizia già con informatica, qui invece ci sono i primi due anni, il biennio, che diciamo mi sono serviti per imparare la lingua, perché in tre anni in questo istituto non avevo mai messo… mano a studiare su un libro, soprattutto di matematica, sì, diciamo di 264 scienze, di italiano, sì, ci voleva, però materie come matematica, fisica, chimica soprattutto, le avevo già studiate (stud. 26: Costela, IT α informatico, 20 F, Romania). Malgrado tra gli arrivati durante le secondarie c’è stato anche qualcuno, come Costela o Lorena, facilitato dal percorso scolastico pregresso, laddove i contenuti trattati in Italia erano già stati affrontati con anticipo al paese di origine, la maggior parte degli studenti denuncia la necessità di studiare più ore al giorno rispetto a quanto faceva usando la propria lingua madre120. Sarebbe interessante approfondire questo aspetto, emerso dalle interviste come una sorta di “onda lunga” degli effetti del processo dell’acquisizione della lingua seconda sulla riuscita scolastica negli anni successivi. Tuttavia solo dieci intervistati su 56 (tre ai licei, quattro agli IT e tre agli IP) hanno usufruito nel corso delle secondarie di lezioni di recupero private. La risorsa delle “ripetizioni” non è stata utilizzata dalle famiglie migranti soprattutto per ragioni economiche e perché i fallimenti scolastici dipenderebbero secondo gli studenti intervistati da “mancanza di studio” (questo anche nei casi di evidenti difficoltà linguistiche in L2, ad esempio per le studentesse cinesi). Due studenti ricevono sostegno allo studio presso una associazione educativa, a prezzi popolari (una tessera di iscrizione per tutto l’anno scolastico). Tutti gli altri studenti che hanno conseguito insufficienze in alcune materie usufruiscono esclusivamente dei corsi di recupero organizzati dalla scuola. Anche per questa ragione la riduzione dei finanziamenti al sistema educativo pubblico italiano è guardato con grande preoccupazione dagli studenti migranti e dai loro genitori. Int.: E per esempio sull’istruzione? Marina: Dei cambiamenti? Che hanno fatto °° di merda °°. Cambiamenti che ha fatto la Gelmini. Allora è giusto che ha tolto delle cose che non servivano a niente, quello sì. Però togliere delle ore, aggiungere delle ore, dove… diciamo nei professionali io dico che non si studia abbastanza, è una scuola dove non si studia abbastanza. Però non dipende dalla Gelmini, o dalla legge, ma dipende sempre dai professori, dalla volontà, perché se io voglio spiegarti tutto il libro, in un anno ce la farò a spiegarti tutto il libro. Se ci sono dei professori che arrivano un’ora dopo, poi mezz’ora vanno a fumare questo e quest’altro, dici è giusto che la Gelmini in un certo senso li punisce. Però certe cose sono state sbagliate. Sono togliere delle scuole come la nostra, l’Arte bianca, che c’erano degli iscritti… cioè il mercato del lavoro chiedeva delle persone il più delle volte… pasticceri. E se tu me li togli. Hanno tolto proprio la scuola, non ci sono più le prime da noi. Non ci sono più! L’Arte bianca. E poi non dare più soldi alle scuole, vedendo che le strutture sono vecchie e cose varie, è anche lì c’è sempre stata una strutturazione da parte dei dirigenti della scuola. ° Certe cose… vedi che è stato fatto e non fatto… io l’anno scorso ero lì121… °. Int.: Vedevi? Marina: Vedevo un po’ di schifezze. Int.: Però i tagli sono stati programmati a livello ministeriale. Marina: Sì, sì, in certi posti va bene che li taglino, eh? Erano inutili. Usati male… cioè ti dico ° certe cose che mi sono vista l’anno scorso presentare, che dici mah! Questa cosa sarebbe da denunciare. E dici è giusto. Però ci sono delle scuole che hanno bisogno e è giusto che siano 120 Aspetto che sembra confermato dai dati Erica-WP3 sui percorsi degli studenti nativi e migranti in Piemonte, nonostante i limiti metodologici che naturalmente caratterizzano le autodichiarazioni. 121 In qualità di rappresentante degli studenti e di istituto. 265 aiutate. È stata troppo dispersiva. […] Ad esempio è tanto limitato i giorni di assenza. Se uno ne aveva bisogno sono troppo pochi. Per i professori tanti tagli di posti di lavoro. L’hanno fatta brutta brutta. Cioè non è stata fatta bene. Int.: Poteva essere una occasione per… Marina: …per migliorare alcuni aspetti. Ma non tutto. Cioè non puoi rivoluzionare una scuola subito e togliere tutti i posti di lavoro che sono stati tolti in questi anni. Perché avendo una crisi, togliere posti di lavoro da una scuola dove il personale, cioè un professore forse manteneva una famiglia, metti ancora più in crisi tutta la società, non solo quelle persone, tutta la società (stud. 47: Marina, IP β arte bianca, 20 F, Macedonia). Int.: E invece il sistema scolastico come lo vedete? Miranda: Ma io lì dove è mio figlio, lo vedo bene. Però sai con tutti questi scioperi, come… […] mi sono informata anche io, questi sono dei tagli che non vanno bene, non sono tanto giusti… però… non possiamo fare niente. Basta che si studia! Perché ci sono tanti che hanno il cervello ma non studiano, non si impegnano (gen. 2: Miranda, madre di Gratian [28], IT α, Romania). Int.: Come ti è sembrata la prima impressione, anche rispetto a come era organizzata la scuola che frequentavi prima, era come te l’aspettavi? Costela: No, perché… va beh adesso la scuola, un po’ la vedo male dappertutto perché… […] anche lì hanno fatto delle riforme e allora… sta andando sempre più giù la scuola. Int.: Mmh. E anche qua la vedi andare peggio per le riforme? Costela: Sì, anche qua. Perché sempre più gente si iscrive alla scuole private, e lasciano stare… per esempio io conosco delle persone dove ho fatto la babysitter qualche anno fa, che hanno iscritto il figlio maggiore a una scuola privata, ° che sarebbe qua in centro da qualche parte non me lo ricordo °, l’altro figlio lo iscriveranno sempre a una scuola privata. Perché non si fidano, secondo me rimarranno solo le persone che non hanno proprio… le possibilità finanziarie. È molto… tagliano i finanziamenti alla scuola pubblica quindi… andrà sempre peggio, non si preoccuperanno… diciamo, delle scuole pubbliche. Int.: La vedi come una cosa negativa questa? Costela: Sì, perché non tutti avranno la possibilità di avere un’istruzione buona, questo privilegio della scuola… la scuola non sarà uguale dappertutto. Diciamo che stiamo facendo dei passi un po’ indietro secondo me (stud. 26: Costela, IT α informatico, 20 F, Romania). I corsi extrascolastici presso strutture formative private coinvolgono più studenti migranti che le ripetizioni: 23 sul totale degli intervistati (quattro al liceo, nove agli IT, dieci agli IP), in due casi si tratta di allenamenti sportivi di livello agonistico e negli altri corsi di lingue seconde, soprattutto certificati di inglese, e corsi di informatica, in particolare per conseguire il certificato ECDL. L’investimento educativo in lingue terze, diverse da quella italiana e da quella di origine, può essere visto come un aspetto di ulteriore accrescimento delle competenze linguistiche da impiegare nel mercato del lavoro internazionale di cui godono i giovani migranti. Infine la storia migratoria familiare influenza più in generale le attitudini nei confronti dell’impegno nello studio, in una interazione reciproca tra effetti della riuscita scolastica sulle dinamiche psico-sociali intergenerazionali e viceversa, come spiega Nina. Nina: La storia della famiglia conta moltissimo, le generalizzazioni sono difficili. Mi viene da dire dove la famiglia riesce a mantenere legami positivi, un lavoro che non deve essere un lavoro buono, ma anche un po’ più semplice, che non richiede molti titoli, ad esempio ci sono molte mamme che fanno le badanti. Ma dove la famiglia ha delle relazioni positive, allora anche i figli riescono a… […] Per esempio famiglie con il papà che non c’è, la mamma che è arrivata tanti anni dopo, i figli ricongiunti che sono arrivati dopo sette anni, il papà che nel 266 frattempo ha cambiato lavoro, cioè… Tutte queste situazioni di disgregazione familiare sicuramente sono difficili da assorbire e quindi i figli tante volte arrivano in una situazione molto fragile, molto precaria, e quindi poi hanno anche delle difficoltà a scuola, perché la scuola secondo me amplifica il benessere o il malessere dei ragazzi, è così per gli italiani, è così per gli stranieri. Se ci sono delle situazioni di malessere la scuola le amplifica. Io penso ad esempio al ragazzo marocchino che ti dicevo prima che qua a scuola da solo, è un ragazzo che ha una famiglia molto unita, che sente spesso, è un ragazzo che si intuisce che ha avuto un rapporto buonissimo con i genitori, ne parla, fa vedere le foto, parla spesso di sua mamma, è una famiglia che ha una piccola attività in Marocco, quindi classe media che è molto difficile da trovare, e lui ne parla molto bene, e lui ha dentro di sé le basi, delle basi anche di sicurezza, per essere qui da solo. Ci sono altri ragazzi che sono arrivati dopo la madre, la madre è arrivata qui da sola, poi dopo con il papà si sono separati, poi dopo cinque anni è arrivato il figlio, allora quando è arrivato il figlio. In questi casi qui la scuola riflette tutta la disorganizzazione della famiglia. […] Io penso che riunirsi qui dopo molti anni di separazione significhi qualcosa nella loro capacità di adattamento. Perché dove c’è una famiglia, anche se dopo magari fa un lavoro utile però è riuscita a conservare dei legami positivi allora i ragazzi hanno anche un tipo di tranquillità domestica che magari consente anche un tipo di tranquillità (sott.: personale) che permette di investire anche di più nella scuola (test. qual. 4: Nina, psicologa presso associazione educativa). Oltre agli aspetti più strettamente psicologici relativi al senso di sicurezza di sé e al senso di autoefficacia, coinvolti nei processi di ricomposizione familiare nello spazio transnazionale, la motivazione allo studio è collegata anche a elementi più sociologici relativi alla rappresentazione del ruolo dell’istruzione nei progetti di mobilità sociale familiare. Abbiamo visto che l’istruzione secondaria, anche tecnica o professionale, è considerata un modo per garantire condizioni occupazionali più sicure rispetto a quelle svolte dai genitori. Per le famiglie migranti inoltre la buona riuscita nella scuola secondaria dei figli è ritenuta un banco di prova per verificare se il percorso di inserimento collettivo in Italia ha avuto successo122. Nel campione come abbiamo detto le ricomposizioni familiari hanno dato esito alla definizione di relazioni generalmente distese tra genitori e figli, ma si coglie traccia delle discussioni avvenute sull’impegno a scuola, dati gli sforzi dei genitori per garantire alla famiglia un tenore di vita soddisfacente in Italia. Gli esiti di questi conflitti, quando nel corso delle secondarie le aspettative dei genitori si sono dimensionate alle opportunità dei figli, sono divenuti uno stimolo all’apprendimento efficace. Questi aspetti, uniti alla tensione verso l’evitamento di ulteriore ritardo scolastico (e alla rarefazione della rete amicale in seguito all’emigrazione), hanno motivato al successo scolastico, come racconta Bogdan. 122 Come abbiamo detto per i figli di laureati questa attenzione si estende anche all’istruzione terziaria, mentre per gli altri l’orizzonte di riferimento si colloca a livelli di istruzione inferiori. Il titolo di studio sembra comunque per tutti un modo per accedere a occupazioni più qualificate, a differenza che da quanto emerge all’esame, compiuto nell’ambito del progetto SECONDGEN, dei percorsi di inserimento dei giovani dell’immigrazione interna a Torino negli anni Sessanta e Settanta, per i quali non era l’istruzione, ma piuttosto direttamente il lavoro (e la costituzione di nuovi nuclei familiari, specie per le donne) il canale primario di inclusione sociale. In quel periodo storico, tuttavia, il sistema produttivo era ancora marcatamente industriale, con caratteri di prevedibilità e sequenzialità delle carriere occupazionali (e biografiche) oggi non più presenti. 267 Int.: Non hai mai perso anni o… Bogdan: Beh, veramente ho iniziato a studiare qua in Italia. Perché lì… anche perché mi stavo trovando abbastanza bene, anche con la mia lingua… qua… visto che non avevo tanti amici, tante… mi interessava solo studiare. Anche perché questa scuola non ti dà altre scelte, cioè o studi o studi. Int.: È impegnativa? Bogdan: Sì, se tu vuoi fare un bel percorso sì, è impegnativa. Se tu vuoi fare l’ultimo della classe, puoi anche studiare di meno. Però… questo non è stata la mia scelta, essere l’ultimo della classe, diciamo. Int.: Adesso sei soddisfatto? Bogdan: Soddisfatto al 100% no, però diciamo che l’80% di quello che volevo fare lo sono riuscito a raggiungere. […] Int.: Però non perdere nemmeno un anno… Bogdan: No! Se perdevo un anno mi sparavo! […] Perché… vedo questa cosa di perdere gli anni come una cosa regressiva, per una persona. Cioè tu perdi praticamente un anno, non è cosa da poco, perdi un anno della tua vita. Va beh che impari, non è che perdi proprio un anno, però… logicamente… Int.: Non volevi. Bogdan: No, no. Mio padre mi diceva “Guarda, adesso che sei arrivato qua, se perdi un anno, non fa niente”. E io “O… no, no, no, stai tranquillo” (gesto che non voleva). b. L’impegno extrascolastico nei “lavoretti” Se la formazione extrascolastica può essere considerata “tempo aggiunto” dalle dotazioni familiari, per acquisire competenze riconosciute e spendibili nel percorso di istruzione successivo e nel mercato del lavoro locale e internazionale, i “lavoretti” possono essere considerati “tempo sottratto” allo studio e all’istruzione formale. Per le studentesse, e in misura minore per gli studenti con fratelli minori e genitori con orari di lavoro lunghi, il tempo libero è caratterizzato dall’impegno in lavori di cura e domestici non pagati all’interno delle famiglie migranti. Questo aspetto, tuttavia, nei casi considerati sembra avere compromesso la riuscita scolastica. Nel caso di lavoretti pagati, invece, si è trattato quasi esclusivamente di mansioni in settori dequalificati e informali (traslocatori, muratori, tuttofare dei servizi alla persona o della ristorazione). I “lavoretti” si sono svolti quasi sempre nei fine settimana, la sera o durante le vacanze estive. Tuttavia in due casi (Lorian e Ionel) gli studenti hanno lavorato a tempo pieno durante il periodo scolastico, per necessità economiche familiari, interrompendo anche la frequenza alle lezioni per lunghi periodi. Int.: Cosa fai nel tuo tempo libero? Ionel: Beh, nel tempo libero (sorride) ne ho poco. (sorride) Ne ho poco. Cioè, lo dedico alla grafica, principalmente… Int.: Hai fatto qualche stages? Tirocinio? Ionel: No, cioè, no, perché io… Allora le spiego. La mia situazione economica… familiare… fino a poco tempo fa, ° non era delle migliori, e quindi io… in prima superiore ho cominciato a lavorare °. […] Ho fatto… ° il manovale ° il primo anno. (0.02) E il secondo anno ho fatto il fruttivendolo […]. E poi, sempre lo stesso anno ho iniziato a fare il traslochista (voce rotta). Quindi ero proprio > un ragazzino < … in mezzo agli uomini. Int.: Altro che fare sport… Ionel: Sì… Eh… sì, ho tirato per tre anni, anche durante la scuola. 268 Int.: E quando lo facevi, nel pomeriggio? Ionel: No, no. Int.: Sabato e domenica? Ionel: No, no. Eh, il traslochista non è che… Int.: Saltavi la scuola? Ionel: Eh, sì, saltavo molto spesso…però… Int.: Come facevi ad avere questi voti alti, se saltavi? Ionel: Eh, sì, diciamo che… il mio metodo di studio comunque è un po’ particolare perché… mi piace studiare la sera. E mi viene, cioè sono più rilassato, tranquillo e ° al pomeriggio non so ° sono influenzato un po’ dall’ambiente familiare: tutti che parlano…° una cosa e l’altra e mi distraggo molto facilmente ° Il mattino invece… Int.: Preferisci svegliarti presto? Ionel: Sì, sì, mi alzo alle quattro o alle cinque e ° leggo una volta ° ma, boh… e vado a scuola. Int.: Ti alzavi prima? Ionel: Sì…e … quindi…boh, cioè io ero sul punto di rinunciare, di ritirarmi da scuola (voce rotta). […] Cioè, ho presentato anche alla mia insegnante la mia situazione. Le ho detto: “ Le cose stan così: io devo lavorare, non ce la facciamo a tirare avanti”. E quindi loro hanno capito. E poi ho avuto anche i miei compagni che sono stati molto disponibili a passarmi gli appunti in classe e tutto quanto… e… alle verifiche cercavo di venire, regolarmente, di presentarmi. ° Anche se… tre volte alla settimana, più o meno, non c’ero a scuola. E quindi… °. ° Le assenze accumulate erano molte °. Però per fortuna non c’era la legge Gelmini che faceva bocciare per le assenze (ride) perché altrimenti sarei rimasto senza niente, sarei rimasto bocciato senz’altro (ride). E quindi… boh, mi sono venuti tutti incontro da questo punto di vista. Ho fatto tre anni… Sì, ho fatto tre anni il traslochista. Int.: Poi pensando… sei andato a Grenoble (sott.: per una borsa di studio vinta in base al merito) anche quell’anno? Ionel: Sì, e…lì ° ho sospeso il lavoro °, cioè… > non potevo fare altrimenti < (sorride), anche se io ho lavorato con due ditte [e] ° poi quando sono tornato aveva trovato un sostituto ° e quindi… ° son rimasto al lavoro con una sola ditta ° (con voce triste)… però aveva un sacco di lavoro… ° Lavoravo dalle… dalle dieci… son riuscito a fare anche sedici ore di lavoro al giorno. A diciassette anni. Quindi tornavo a casa che ero… Cioè, dormivo… (ride) (stud. 52: Ionel, IT β grafico, 20 M, Romania). La continuazione degli studi è stata possibile in questi casi grazie all’impegno degli studenti e alla discrezionalità dei docenti nell’applicare il regolamento sul numero massimo di ore di assenza consentite durante un anno scolastico. Per i migranti l’incertezza finanziaria familiare è acuita dal fatto che l’informalità caratterizza anche i lavori dei genitori, assumendo caratteri più vicini a una sorta di underclass che alla classe operaia urbana dei nativi, più protetta dai servizi previdenziali e di assistenza sociale, in Italia categoriali. Da questo punto di vista va sottolineato che le famiglie incluse nel campione, dopo l’omologazione verso il basso esperita in seguito all’ingresso in Italia, erano riuscite, nel periodo durante il quale i figli hanno frequentato le scuole superiori, a raggiungere stabilità economica e sicurezza della regolarità del proprio soggiorno123. Dal 2009 e soprattutto 2011, tuttavia, la crisi economica internazionale e la ristrutturazione economica che ha coinvolto anche i settori dell’edilizia e metalmeccanico piemontesi hanno spinto fuori dal mercato del lavoro i padri con 123 Va considerato che gran parte del campione è costituito da migranti di origine romena, entrati nell’Unione europea in seguito all’allargamento. 269 contratti di lavoro più fragili oppure impiegati in imprese più provate dalla congiuntura. Se la scelta della scuola secondaria quindi era avvenuta in condizioni di relativa stabilità, accompagnata dall’accensione di mutui per la prima casa in Italia e dall’acquisto di beni come l’automobile, gli ultimi due anni delle scuole secondarie sono stati faticosi per diverse famiglie, e l’idea di tornare al paese dei genitori si è ricondotta per molti a subito dopo il diploma dei figli. Come vedremo questi aspetti condizioneranno le aspettative di istruzione terziaria. Ad esclusione di Ionel e Lorian, tuttavia, per gli altri i lavoretti non sembrano aver compromesso l’impegno a scuola, ma piuttosto, per gli iscritti all’istruzione professionale sembrano aver contribuito a chiarire le prospettive lavorative post-diploma (e a decidere di continuare a studiare anche dopo la qualifica). Sono stati letti come occasioni di affrancarsi dalla dipendenza economica dai genitori almeno per le proprie spese private ludico-espressive, smettendo di pesare con queste spese sui bilanci familiari. L’impiego del denaro guadagnato ha consentito agli studenti più autonomia nelle scelte di acquisto, in modo da avvicinarle agli stili di vita espressi dai compagni di scuola italiani, pur nella disapprovazione dei genitori. Stefan: Ha lavorato anche con me, in una vacanza, tre anni fa, quando lavorano ancora a Bosco. E è venuto con me, ha lavorato quasi un mese. Quei lavori pesanti che li faceva Bosco. E poi ho detto “Gratian, lascia perdere, sei in vacanza, domani ti lavori un po’, non ti faccio venire a lavorare”. Si alzava prima, aveva paura che lo lasciavo a casa, si alzava prima, si vestiva prima, e aspettava. Miranda: E poi sai cosa ha fatto con i soldi? Mi ha detto “Mamma…” Stefan: Si è comprato l’I-phone. Miranda: Era il 2007, all’inizio, valevano un sacco di euro… Stefan: Cinquecento euro! (ride). Miranda: Ma sai perché? Mi ha detto: “Mamma, io so che questo cellulare, è dai miei soldi, il primo mio stipendio. Perché è così mamma, io so che prendo poco per volta, poco per volta, e così li finisco. Invece così so che ho questo cellulare”. E gli ho detto “Ma davvero tieni tanto a questo cellulare?” Ma ce l’ha ancora adesso, è buono, non è… gli ho detto malamente. Stefan: Ma è una cosa che ti cade per terra o lo schiacci, per cinquecento euro… Miranda: Eh, ma tiene tanto! (gen. 2: Miranda e Stefan, genitori di Gratian [28], IT α, Romania). c. L’interazione in classe tra pari e con gli insegnanti e i legami amicali degli studenti Le interazioni in classe con i docenti, poi, anche se sono rappresentate come amichevoli e aperte dalla maggior parte degli studenti, ma sono caratterizzate da confronti culturali e religiosi specie nel caso delle studentesse provenienti da paesi a maggioranza musulmana, per le quali i segni e le pratiche delle differenze sono più visibili, e discusse, nello spazio pubblico. Per Saloua tra le ragioni del riorientamento dal liceo scientifico del centro scelto al termine della terza media verso il liceo Alfa a indirizzo sociale compare anche lo 270 scontro con una insegnante particolarmente severa nei suoi confronti. Riferimenti percepiti come stigmatizzanti sono stati citati dalle studentesse con il velo. Simona, frequentante l’IT Beta, nota comportamenti discriminatori da parte di una delle docenti. Int.: Hai mai avuto casi di razzismo? Simona: ° Ci sono sempre stati °. Cioè non è che la maggior parte io non me ne accorgevo neanche perché erano proprio velati diciamo. Poi andando avanti… Int.: Ma anche da parte degli insegnanti? Simona: ° Sì (sorride), anche da parte degli insegnanti °. Non è che lo dico io solo per, tanto per, però c’è per esempio una professoressa che… diciamo che… le sto più culo degli altri, ce l’ha con me dalla terza, da quando l’ho conosciuta, ce l’ho dalla terza. Non è che ce l’ha proprio così, però diciamo che è più sensibile a quello che faccio io, non so, sarà il mio carattere, sarà quello, o altro, non sono l’unica persona che risponde o altro, però con me ce l’ha in particolare, e quindi non so. Certe volte fa delle allusioni che non mi piacciono tantissimo, però va beh (stud. 53: Simona, IT β fotografia, 19 F, Romania). Anche Simona stessa, tuttavia, come gli altri intervistati, sottolinea il fatto che tali atteggiamenti sono in sostanza ininfluenti per il percorso in istruzione compiuto, e prevalgono le visioni degli insegnanti come “professionisti” (Hind), alcuni dei quali anche più di quanto le loro mansioni istituzionali prevederebbero, proprio nei confronti degli allievi migranti. Malgrado gli atteggiamenti stereotipati espressi dai pari siano più evidenti nel corso delle scuole medie, anche alle superiori gli studenti hanno incontrato episodi di aggressività. Tra gli studenti del liceo l’esplicitazione di atteggiamenti razzisti o discriminatori è alquanto sanzionata da processi di definizione della desiderabilità sociale. Nei licei dove l’incidenza dei migranti è minore, è soprattutto l’appartenenza di classe sociale, visibile in tutti i rituali di presentazione del sé, ad esempio nell’abbigliamento, e negli stili di vita che caratterizzano il tempo extrascolastico, che sembra influire nella definizione dei sentimenti di disagio. Questi risultano comunque contenuti. I compagni di scuola con cui si instaurano legami amicali contribuiscono a migliorare la percezione della ricezione societale dei migranti intervistati, come racconta Gloria. Ero alla fermata del pullman con due miei amici, e c’era una vecchietta che si è avvicinata, e ci ha detto “Eh, ma voi ragazzi siete d’accordo, che gli stranieri siano qui, in Italia, a rubare, a venire nella casa della gente a rubare?”, va beh per fortuna c’erano… cioè prima è arrivata e ha chiesto “Ma voi siete stranieri?” e loro hanno detto “No”, io non ho detto niente, e lei ha cominciato “Eh, ma ragazzi, voi siete davvero sicuri di volere gli stranieri, che vengono a rubare, che vengono a fare queste cose” e io di fianco a guardare “Sì, certo!” e poi c’erano i miei amici che se l’erano presa, tipo “Eh, lei non si deve permettere di parlare male in questo modo, perché se lei fosse nella stessa situazione probabilmente agirebbe nello stesso modo!” e lei boh, se ne è andata (sorride). E quindi ho avuto il sostegno dei miei amici (stud. 31: Gloria, IT α liceo tecnologico, 20 F, Romania). Negli istituti professionali e tecnici, invece, l’interazione tra compagni di scuola del biennio sembra simile a quella nelle secondarie di I grado, caratterizzata da grande 271 animosità. Poi, dal terzo anno, la selezione scolastica colpisce duramente e modifica il clima di classe. Int.: È già successo a te o tuoi compagni di ricevere atteggiamenti discriminatori o razzisti? Dimitri: Sì. In seconda quando sono arrivato qua, c’era un compagno che me lo ricordo ancora. Che mi ha sempre insultato, con i nomi, tutto l’anno. Poi alla fine, verso maggio, fine seconda, mi ha detto ° testuali parole “Sei un rumeno di merda” questa frase qua. Allora io mi sono arrabbiato, non dovevo farlo. E gli ho tirato un pugno (stud. 19: Dimitri, IT α informatico, 21 M, Romania). Lorena: Io ho sofferto un po’ la seconda perché… se non era che avevo dei compagni un po’ latini, cioè che ci davamo una mano tutti (0.02) ° però non ce l’avrei fatta, insieme agli altri °. Cioè c’era un ragazzo cubano, come me, c’erano… la nostra seconda era piena di latini! > Colombiani, domenicani, peruviani <. Però era molto… ° casinista ° come classe. Ce l’hanno fatta a superarla… eravamo in 25, e […] sono rimasti soltanto in dieci. E dalla terza in poi, in tutto, proprio benissimo. Come scelta è stata proprio ottima. Si è visto che proprio… le qualità delle persone, boh. Int.: Ah, proprio come voti dici? Lorena: Sì, sì. Ma anche le persone, cioè se uno raggiungeva un sei o sette, ma era tranquillo, cioè le lezioni si riuscivano a seguire. Prima proprio… (sbuffa) (stud. 10: Lorena, IP α aziendale, 22 F, Cuba). Agli istituti professionali, e in misura molto minore ai tecnici, si registrano da parte degli studenti nativi atteggiamenti di chiusura nei confronti del fenomeno dell’immigrazione e accuse rivolte genericamente agli immigrati, ritenuti portatori di comportamenti devianti e competizione nel mercato del lavoro. Anche in questo caso la cultura organizzativa delle scuole Alfa ha tentato di dar conto delle tensioni tra studenti, organizzando momenti di confronto mediati dagli insegnanti. Int.: Quindi ci sono stati tanti temi di discussione? Trisha: Eh, sì, perché hanno stimolato tanto, perché ci sono alcuni pensieri un po’ razzisti... poi alcuni anche un po’… che ti toccano, come si dice, ti toccano un po’ di più, alcuni si sono anche ° sensibilizzati, altri hanno mantenuto la loro idea… ° ma sì. Le persone sono diverse! (sorride) (stud. 30: Trisha, IP α sociale, 22 F, Filippine). Si può cogliere dunque un quadro paradossale della ricezione societale percepita dagli studenti migranti nei confronti dei compagni nativi. Proprio nei tipi di scuole dove le aspirazioni post-diploma dei migranti sono più basse, come vedremo nel prossimo capitolo, si esplicitano contrasti e discussioni sul “giusto posto” che i migranti dovrebbero occupare nella società di destinazione, mentre al liceo, dove gli studenti all’ultimo anno aspirano a occupazioni più remunerate e prestigiose, ambite anche dai nativi, non si manifestano reazioni anti-immigrazione. I legami amicali degli adolescenti, inoltre, sono differenti per tipo di scuola: mentre tra gli studenti del liceo prevalgono i confronti e le frequentazioni con i compagni di classe, a maggioranza italiani, o con studenti universitari, per gli studenti dell’istruzione tecnica e soprattutto professionale le cerchie di riferimento includono soprattutto connazionali, o altri migranti, più grandi di età e già inclusi nel mercato del lavoro. Questo aspetto è 272 importante dal momento in cui, come abbiamo visto, la definizione della ragionevolezza delle proprie “scelte” in istruzione è un processo socialmente costruito anche in base alla rete sociale di riferimento. Se la gran parte degli amici dei liceali prosegue con lo studio universitario, sono molto rari i casi in cui gli studenti di IP, e in parte anche IT, frequentino studenti universitari. Per loro piuttosto è evidente il fatto di essere “indietro” rispetto agli amici nelle transizioni alla vita adulte successive al termine degli studi: l’ingresso nel mondo del lavoro e la formazione di una propria unità familiare. 273 7. Le aspirazioni e i progetti post-diploma 7.1. L’istruzione terziaria Quasi tutti gli intervistati che frequentano il liceo (15 su 16, un solo indeciso) intendono continuare a studiare all’università, confermando il progetto che avevano maturato all’iscrizione in quel tipo di scuola secondaria. Tuttavia anche tra gli studenti migranti dell’istruzione tecnica e professionale il progetto di laurearsi è molto diffuso (v. tabella 7.1), come era emerso anche dai dati quantitativi sugli allievi dell’ultimo anno delle scuole superiori piemontesi consultati nel terzo capitolo124. Tab. 7.1 – Prospettive di istruzione terziaria: intenzione di continuare o meno a studiare e prima Facoltà presso la quale gli intervistati che continuano a studiare intendono iscriversi per tipo di scuola frequentata (v.a.). Profess. Scienze non a b indecisi Ingegneria Economia Lingue continua Tot. Sanitarie socialic continua Liceo 0 1 5 2 4 2 2 15 16 IT 5 2 6 2 2 3 0 13 20 IP 11 0 0 6 1 0 2 9 20 Totale 16 3 11 10 7 5 4 37 56 Note: (a) indecisi tra continuare e non continuare gli studi nell’istruzione terziaria. In caso di indecisione tra due o più corsi di laurea, per questa tabella si è tenuto conto del corso prevalente; (b) inclusa informatica; (c) incluse Scienze della Formazione e Psicologia. L’elevata propensione a iscriversi all’università dei giovani migranti sembra l’esito dei processi di selezione e dispersione che hanno caratterizzato i loro percorsi scolastici precedenti, specie nell’istruzione professionale. Come è emerso dai dati Miur, dalle interviste agli osservatori qualificati e dalle testimonianze degli studenti sui loro compagni di scuola drop-out, infatti, sono arrivati all’ultimo anno soltanto i più motivati, in grado di trovare la stabilità necessaria per impegnarsi con continuità nello studio insieme alla convivenza familiare (o di trovarne una adeguata, come nel caso di Ouail e Marina). Inoltre la diffusione dell’idea di continuare, proprio perché attiene alla sfera 124 Anche se il campione degli intervistati non è individuato con criteri di rappresentatività statistica, ma piuttosto con criteri qualitativi volti a illuminare meccanismi sociali significativi secondo il punto di vista e le rappresentazioni degli attori sociali che li realizzano, una prima lettura descrittiva dei dati Erica-WP3 sulla popolazione scolastica piemontese conferma che la propensione a continuare nell’istruzione terziaria tra i migranti iscritti alle secondarie tecniche e professionali in Piemonte è elevata, e maggiore che tra i compagni di scuola nativi (v. capitolo 3). 274 delle rappresentazioni, conferma che la maggiore concentrazione dei “figli dell’immigrazione” nell’istruzione tecnico-professionale rispetto ai nativi indica, oltre alle minori risorse stimate di cui godono in Italia, anche una loro concezione delle filiere tecnico-professionali differente rispetto a quella dei nativi. Mentre per questi ultimi le scuole tecniche e professionali sono viste prevalentemente come “meno impegnative” rispetto all’istruzione liceale, per i migranti questa caratteristica, sempre citata, è intesa anche come un modo per ridurre l’impatto delle difficoltà linguistiche e rassicurarsi sulla professionalità riconosciuta che si dovrebbe acquisire con il diploma o la qualifica, ma non implica l’abbandono del progetto di iscriversi all’università, anzi per alcuni costituisce il modo più “sicuro” per arrivarvi senza altro ritardo scolastico e senza rischiare di rimanere spiazzati da eventuali improvvisi insuccessi o “cadute” nella storia dell’inserimento socio-economico familiare. Svolgendo le interviste durante gli ultimi mesi di scuola secondaria di II grado è stato possibile cogliere il processo di individuazione del corso di laurea da seguire, oppure della decisione di concludere gli studi con il diploma, mentre era in via di definizione. Tale processo decisionale, rispetto alla scelta della scuola secondaria, assume più chiaramente i contorni di un “calcolo” soprattutto relativo ai ritorni occupazionali e alle possibilità di successo, date le risorse economiche familiari, ma rimane, come quello precedente, sempre compiuto sulla base di informazioni limitate, per via di graduali ridefinizioni e introduzione di aspetti casuali o emotivi, descritti dagli intervistati come “sensazioni” o “intuizioni”. Malgrado si tratti di un percorso decisionale in cui, rispetto alla prima transizione, gli studenti sembrano muoversi più autonomamente e con maggiori conoscenze – o strumenti per reperirle - sul sistema educativo locale, il ruolo dei genitori per orientare verso alcuni corsi di laurea piuttosto che altri rimane molto evidente, soprattutto nel caso di genitori laureati. La selezione scolastica ha ridotto l’eterogeneità dei percorsi familiari al termine delle secondarie, tuttavia, anche a questo livello di scolarità, continuano a rimanere importanti per l’individuazione del percorso da seguire sia il processo migratorio familiare sia il contesto istituzionale in cui avviene, soprattutto per quanto riguarda: i) l’effetto del ritardo scolastico accumulato in precedenza, che orienta verso corsi brevi e dove è minore il rischio di fallire o terminare in ritardo; ii) le difficoltà di ottenere la cittadinanza italiana, che scoraggiano le carriere nel settore pubblico; iii) il bilinguismo, l’esperienza di avere appreso una seconda lingua e la conoscenza di lingue terze, che indirizzano verso corsi, Facoltà o sedi universitarie in grado di valorizzare queste competenze nel mercato 275 del lavoro; iv) il progetto di mobilità geografica futura individuale e familiare che stimola all’ottenimento di qualifiche richieste e riconosciute in più paesi; v) i legami transnazionali con parenti e conoscenti che possono fornire ospitalità e informazioni per continuare a studiare in sedi diverse da quella di residenza. Oltre alla loro riuscita scolastica durante le secondarie e ai consigli dei docenti, poi, gli studenti considerano le immagini dei corsi universitari e le rappresentazioni delle chances di impiego della laurea per l’inclusione occupazionale prospettate durante le attività di orientamento organizzate dalle scuole o seguite direttamente presso le Facoltà di interesse dei ragazzi, e condivise dai giovani amici o parenti che frequentano l’università o sono già entrati nel mercato del lavoro, in Italia e in altri paesi. Queste rappresentazioni si configurano diversamente in base ai tipi di scuole frequentati. Per questa ragione l’effetto della prima transizione sulla seconda è mediato, oltre che dai contenuti delle diverse offerte formative, fondamento delle “basi disciplinari” e dei metodi di studio acquisiti dagli studenti durante le secondarie, anche dagli elementi più informali dei processi di “orientamento in uscita”. Vediamo come questi elementi hanno agito a seconda della Facoltà individuata dai giovani intervistati e del tipo di scuola da loro frequentato. a. Ingegneria e Informatica Gli studenti di liceo e istituto tecnico che intendono iscriversi a corsi di laurea in ingegneria e informatica hanno una buona riuscita scolastica precedente e normalmente abitano in nuclei familiari con entrambi i genitori. Considerano questo tipo di studi interessante per le possibilità di trovare lavori altamente qualificati nel mercato internazionale, anche con qualifiche triennali. I genitori laureati, o iscritti all’università, nel paese di origine, non solo hanno espresso consenso, ma hanno accompagnato e incoraggiato la scelta di questo percorso, utilizzando i loro strumenti culturali. Papà, e anche mamma (sorride) quando ho detto che ero andata alle Porte aperte (iniziativa di orientamento, ndr) e avevo visto in specifico Ingegneria aereospaziale, mia madre era già al settimo cielo, come fossi già ingegnere, quindi… quindi sì, sì, le piace. […] Se ti dico da dove viene questa scelta (sorride) magari penserai un po’… sempre per l’orientamento avevo letto sul foglietto […] “aerospaziale” e ho avuto una sorta di… illuminazione, non so perché, e da lì mi sono fissata con l’aerospaziale. Non ho nemmanco tante informazioni sull’aereospaziale, magari posso il prossimo anno andare e non piacermi però (sorride) spero mi piaccia (stud. 7: Safia, Liceo α scientifico, 19 F, Marocco). Int.: Perché lei vorrebbe che continuassero? Amer: Prima cosa per loro. Che non tribolano come ho tribolato io. Seconda cosa perché come (al, ndr) giorno di oggi, senza studi, veda lei, non trova neanche per lavare le scale. E la terza: ora, perché devono smettere di andare a scuola? Tanto loro ce la fanno, perché quello che posso darlo io lo do io, se no c’è la borsa, quando arrivano all’università c’è una borsa di studio, una cosa o l’altra, e… come va va. E la grande cosa per la soddisfazione ° dei miei 276 studi che io non ho continuato °. Ma questa è come ultima cosa, eh? Come ultima. Perché non posso spingere una che non ce la fa a fare ingegneria, per cosa? Poverina, se lei non ce la fa, non ce la fa. Ma quando vedi che una persona ce la fa, una spinta ci vuole. […] C’è tutto qua vicino, e l’ha scelto lei da sola. Io sono andata con lei al Politecnico a vedere, abbiamo trovato anche un professore bravo, mi ha spiegato tutto. Mi ha detto che anche se c’è crisi adesso, già al terzo anno se vuoi lavorare ti chiamano (gen. 3: Amer, padre di Safia [7], Liceo α, Marocco). Non sempre le aspettative dei genitori trovano corrispondenza nelle reali passioni dei figli, come emerge dal confronto delle interviste con Flor e la madre Adolfina. Voglio andare al Politecnico, voglio fare ingegneria industriale ° come mia mamma ° (ride). In realtà non l’ho scelto perché mi piace proprio tantissimo. Però ho visto che in terza o in quarta si può fare un viaggio a Barcellona, dove si fanno stage o tirocini, poi, quando finisci i cinque anni di laurea ti riconoscono la laurea anche in spagnolo. E a me va bene perché non vorrei perdere la mia lingua, cioè vorrei sfruttarla in qualche modo, anche con la laurea, cioè che mi riconoscano anche lo spagnolo come lingua. [Mia madre al Politecnico] aveva già fatto un corso di perfezionamento, ha visto che l’ambiente è molto aperto, che ci sono stranieri e… che vengono da tutte le parti del mondo proprio esclusivamente per studiare al Politecnico, ha visto che è proprio un buon posto (stud. 6: Flor, Liceo α scientifico, 18 F, Perù). Loro (sott.: le mie figlie) sono già sicure di quello che vogliono, tutte e due faranno sicuramente il Politecnico, faranno ingegneria perché gli piace la matematica ed è una cosa che gli piace […]. Dopo di questo, penserei che se possono trovare un master o un dottorato fuori dall'Italia sarebbe buono perché io non le vedo qua, vedo che, sicuramente io ne ho avuto mille, mille barriere ne ho trovato, non poche opportunità ovviamente, però loro ne avranno moltissime, però in caso non ci fossero, io vedo anche fuori, il progetto è ancora per quello, che mi sono costruita, non so ancora come andranno le cose, non sono ancora molte di queste cose dipendono ovviamente dalla nostra disponibilità economica, sicuramente anche da loro, anche perché si sforzano tanto, e riescono ad avere qualche borsa di studio, non si sa, vedremo. […] Le ho detto “Intanto tu, se per caso per qualsiasi motivo perdo il lavoro e, mettendomi nelle peggiori situazioni, ti metti a fare un'altra carriera (sott.: invece di una laurea quinquennale a Barcellona), che ti metti a fare qua con i due, tre anni a seconda, visto che ci costerà un bel po' di euro […], se non possiamo pagarti la carriera adesso, non importa possiamo fare un'altra e poi fare questa. Con due laurea è ancora meglio forse, sono complementari forse”. E gli ho dato questa alternativa in caso la nostra situazione doveva cadere, insomma, lavoro, qualsiasi cosa succeda, non vorrei adesso illusionarla a fare una cosa che dopo due tre mesi succede una cosa che non si può neanche... distruggere i suoi sogni insomma, prima fai ingegneria qua a Torino, e poi fai l'altra che ti piace in Barcellona. Nel frattempo si vedrà (gen. 4: Adolfina, madre di Flor [6], Liceo α, Perù). Mentre Flor si è persuasa di frequentare il Politecnico non tanto per le materie trattate ma soprattutto per il desiderio di studiare a Barcellona, Adolfina ritiene che la figlia prediliga i contenuti trattati e, malgrado desideri di vedere ripagati i suoi sforzi di apprendimento, se non in Italia anche in altri paesi, è timorosa che Flor possa abitare sola in una grande città. Dalle argomentazioni di Adolfina emerge anche come la laurea triennale a Torino permetta al nucleo familiare di dilazionare la scelta universitaria in due fasi, controllando che le risorse economiche siano sempre sufficienti. I genitori con livelli di istruzione secondari sono meno partecipi del dettaglio delle scelte. Gli studenti valutano soprattutto le possibilità di impiego assicurate dalla laurea. 277 Alexandru: Sono nato nel ’90 quindi sono abbastanza vecchio… […] Due anni più grande rispetto agli altri. Int.: Beh non sono mille… Alexandru: Sono abbastanza. Comunque. […] Non so ancora cosa frequentare, i miei parenti e la mia ragazza vorrebbero che facessi Medicina o Giurisprudenza, ma io non mi vedo in quel settore, poi ci sono persone che hanno fatto quelle Facoltà e non trovano lavoro, penso che farò Ingegneria (stud. 12: Alexandru, Liceo α scientifico, 21 M, Romania). L’IT Alfa offre una buona offerta formativa e iniziative di orientamento in uscita accurate. Anche in questo tipo di scuola l’attenzione è agli sbocchi occupazionali in più paesi. Fernando e Koffi, entrambi figli di laureati, spiegano che in Europa avranno accesso a un’offerta formativa più ricca che al paese. Fernando: Mi si era aperta una possibilità: di andare a Barcellona, dove c’è anche mio zio, e quindi studiare lì. E… boh, dovrei decidere adesso se andare a Barcellona o continuare qui al Politecnico. […] So che è buona, è la migliore scuola di Catalunia di questo tipo. E… so che il lavoro c’è, poi si trova facilmente perché è anche una delle zone più sviluppate della Spagna, quindi si troverebbe. Poi la mia idea è andare a studiare, poi sinceramente… non so dove andrò a finire, dove andrò a lavorare, ma almeno iniziare lì. La cosa che mi è piaciuta anche dell’Europa è questa: ci si può spostare, uno può iniziare da una parte e poi può vedere come va e si può spostare, ha tante opportunità. [...] Int.: Tu sapevi già che avresti fatto l’università, quando eri in Argentina? Fernando: Sì, sì, l’università la volevo fare, il problema era che allora in Argentina, diciamo che le possibilità economiche che avevamo in quel momento… sarei andato in una università di livello… non diciamo ma basso, ma un po’ basso. Il problema anche che lì, ° gli scioperi ° non si fanno, non so, una volta ogni due mesi, come qua, ma… ° intere settimane °, e poi i professori non vengono e poi… li devono recuperare in qualche modo e poi… diventa un po’ dura. Sì comunque ci sarei andato °. Int.: E è come ad esempio negli Stati Uniti dove ci sono diverse università a pagamento? Di livello diverso? Fernando: Allora, quella a cui sarei andato (voce che trema) era statale, e quindi non avrei pagato niente, e poi ce ne sono anche private, ma non si paga molto, però… (voce che trema) avrei dovuto per forza trovarmi qualche lavoro. O che possa… sì quello sicuramente. Int.: Quindi come tipo di università vedi più opportunità qua? Fernando: Sì, rispetto all’Argentina sì, non c’è confronto (stud. 33: Fernando, IT α informatico, 19 M, Argentina). La madre di Koffi, Zuna, riporta durante l’intervista un suo alterco con la datrice di lavoro italiana, per la quale Koffi non avrebbe dovuto iscriversi all’università, e l’ennesimo suo tentativo di contrastare l’omologazione verso il basso dei migranti nella società di destinazione. Con la gente così (sott.: come la mia datrice di lavoro), l’integrazione? Che integrazione si può? Sempre lì, è seduta lì, legge, guarda la televisione e dice “Ha arrivato ancora i barconi “Ancora barconi! Quante persone sono arrivate!”, sempre sempre la stessa cosa, mi dice “Perché non stanno lì in loro paese?”, io ho detto che mio figlio dopo il diploma va al Politecnico, lei mi ha detto “Tuo figlio quando fa la maturità questo anno all’IT Alfa, non va al Politecnico, lui finisce la scuola e si deve trovare un lavoro, da lavorare” e io ho detto “Mio figlio andrà all’università, è così che ha deciso lui, mio marito e io” e lei mi dice “NO, NO, no, no, non va bene” e io le ho detto “Sì”. […] Perché mio figlio non ha voglia di stare sempre qua in Italia e un domani tornerà in mio paese e uno che studia e che fa l’università ha più… è più facile per lui di trovare lavoro che uno che ha fatto solo la maturità. […] Allora lui non si fermerà qua e non vuole andare solo in fabbrica qua, lui vuole tornare giù per andare a lavorare al suo paese e lei non è contenta (gen. 7: Zuna, madre di Koffi [35], IT α, Costa d'Avorio). 278 Per Koffi lo squilibrio di status scolastico verso il basso iniziale, e l’inserimento in un ambiente di apprendimento stimolante, hanno favorito la sua motivazione allo studio, secondo lui maggiore che al paese di origine. Int.: E i tuoi cosa dicono che vuoi continuare all’università? Koffi: Sono contenti. Cioè prima pensavano che la mia intelligenza… non lo so, che avevo poca voglia di studiare e non lo so. Per loro… non sarei nemmeno arrivato fino all’università, quindi sicuramente sono contenti. Più si studia meglio è. […] Per il futuro, forse hai più opportunità di lavoro. Sicuramente. E… (0.02) ti ritrovi bene, dal punto di vista economico anche, forse hai più disponibilità (stud. 35: Koffi, IT α elettrotecnico, 20 M, Costa d'Avorio). Le scelte in istruzione sono modificate nel tempo. Nel racconto della decisione Dimitri include i consigli ricevuti dal padre e il suo desiderio di “restituire verso l’alto”, acquistando una casa ai genitori. Emerge anche l’accuratezza con cui, a tre mesi dall’iscrizione, Dimitri con l’aiuto degli insegnanti ha confrontato i corsi di laurea e scelto il più affine ai suoi interessi di studio, partecipato al pre-test di ingresso e superato. Dimitri: Da piccolo volevo fare l’avvocato. Poi ho capito che era un po’ difficile la strada per arrivare a quel… a quel punto. Poi mi sono fatto influenzare un po’ dal computer, cose tecniche… Int.: Ti piace? Dimitri: Sì, sì. […] Int.: Perché vorresti fare il Politecnico? Dimitri: Perché adesso con il diploma non è che trovi lavoro. Magari lo trovi al supermercato, o da qualche altra parte. Io vorrei arrivare in un posto, in un ufficio, e stare tranquillo… Mio padre mi dice sempre “Studia, per non arrivare a faticare nei palazzi, in questi lavori qua. Alla fine, vedi, ti stancano, ti fanno male. Invece tu stai tranquillo, in ufficio, fai dei calcoli, lavori al computer, e dopo te ne ritorni a casa, non stanco, sei riposato, e dopo potresti fare anche altre cose”. Anche perché come ho detto prima, per dare una casa ai miei, cioè proprio una casa, farli stare tranquilli. Int.: E avevi già visto un corso dentro il Politecnico? Dimitri: Sì sì, ho già visto. E il corso si chiama Sistemi. È un po’ più basato sull’hardware, meno informatica e più hardware, perché a me non è che piace tanto programmare, mi piace di più la materia, l’elettronica, telecomunicazioni posso dire. A me piace un casino. Per esempio l’altro professore che è venuto prima (sott.: in questa stanza), di elettronica, mi piace tanto, proprio tanto! Adesso stiamo studiando proprio telecomunicazioni, è proprio interessante, proprio interessante! [Mi iscrivo al Politecnico e non a Informatica perché] se paragono per il dopo, tra Università e Politecnico, vado al Politecnico, c’ho più opportunità (stud. 19: Dimitri, IT α informatico, 21 M, Romania). Valeriu: Il mese scorso hanno scelto gli studenti di questo liceo per Politecnico. Per fare un test. E chi passava questo test, entra al Politecnico senza dare quell’esame di ingresso. E lui l’ha passato. Int.: Sarà una soddisfazione. Valeriu: Ma grande. Nicoleta: Grande, grande (gen. 1: Nicoleta e Valeriu, genitori di Dimitri [19], IT α, Romania). Dopo l’intervista Dimitri afferma che vorrebbe lavorare durante gli studi, date le difficoltà economiche della famiglia. Anche la convivenza familiare di Gratian è in una situazione di grave difficoltà, e i genitori sono preoccupati che questa possa interferire 279 con gli studi del figlio. La sua riuscita scolastica precedente tuttavia li convince delle possibilità di riuscita dell’istruzione come canale di mobilità sociale ascendente. Stefan: Dobbiamo tirare avanti per portare alla fine… nostro figlio, perché è molto intelligente, molto bravo a scuola, e è un peccato di non fare l’università. Non possiamo rinunciare. Un altro figlio lavora. Non gli è piaciuta la scuola. Non gli è piaciuta per niente. [...] Miranda: Che impressione le ha fatto mio figlio? Int.: Mi sembra in gamba, no? Miranda: Sì, però non lo so alla fine, perché i professori della scuola, quando siamo stati lì, mi hanno detto “Peccato se non fa l’università, peccato”. Lui anche mi ha detto “Mamma, io se entro all’università non mi pento”, spero che ce la farà. Perché lì non è così facile. Io sinceramente non volevo che andasse lì, lui vuole andare lì al Politecnico. E tutti mi dicono: “Guarda che lì è dura, eh! Proprio non… solo lì vuole. Stefan: Va beh lì tanto non è che puoi… ognuno sa i suoi… [...] Miranda: Anche adesso che non abbiamo tanti soldi, gli ho detto “In ginocchio mi metto, faccio, pulisco, basta che ho i soldi per pagarti questa università”. E lui “Mamma! Ma cosa dici?”. “Gratian, basta che tu vada all’università”. Perché hai questo pensiero, questo pensiero, sai: che quando finisci la scuola, tanti dicono: “Ah, non vado più all’università, basta che vado a guadagnarmi qualcosa”. E mi dispiacerebbe sai, perché… (0.03) No, no, è bravo. Come materie, come… Int.: Secondo lei perché è importante fare l’università? Miranda: Per non lavorare come me, glielo dico sempre: “Tu devi essere un ingegnere, così non è che lavori come noi”. E poi se ha la testa, perché? Perché mio marito ha avuto la testa, lui poteva essere un direttore, perché ha studiato, ° però non ha avuto la possibilità °. E allora adesso che c’è la possibilità, peccato non mandare questo figlio all’università. ° Un po’ più in là °. Non lavorare come noi. Non è che… non è che non fa piacere lavorare, però dico: se ha la testa, perché non deve essere un po’ più… perché ci sono tanti che sono su, e che non hanno la testa (gen. 2: Miranda e Stefan, genitori di Gratian [28], IT α, Romania). Altri studenti sono consapevoli dell’impegno orario richiesto dalla frequenza al Politecnico, e progettano insieme al nucleo almeno tre anni di mancato reddito. Andrés: C’è ingegneria aerospaziale che è bella. […] Però mi dicono che sia un po’ troppo difficile, un po’ troppo impegnativa, quindi non so. Mi piacerebbe ingegneria civile, mi piace anche abbastanza il programma che ho letto. Quindi sostanzialmente sono indeciso tra queste due. […] Medicina penso per prima cosa di non avere (sorride) le basi, cioè penso di non sapere abbastanza biologia, da fare Medicina. (0.02) E Giurisprudenza perché… ° cioè son tutti troppo raccomandati secondo me. È troppo difficile entrare nel giro degli avvocati °. Quindi rischierei di essere escluso […] di buttare via anni di studio per niente diciamo. […] Se lo trovassi qualche lavoretto lo farei, ma non è una priorità diciamo. Int.: Sì, anche perché ingegneria all’inizio… Andrés: Eh, infatti. Int.: È già abbastanza. Andrés: Sì (stud. 23: Andrés, IT α liceo tecnologico, 18 M, Colombia). Zëdlir: Ingegneria informatica oppure ingegneria gestionale. E quindi sono un po’ indeciso. […] Int.: Perché (sott.: vuoi iscriverti)? Zëdlir: Per continuare all’università, ° avere la laurea almeno °. Qualcosa… poi anche i miei insistono, dicono “Vai, vai”. Int.: Sì? Zëdlir: ° Sì, sì. Quindi un po’ per tutto… ho deciso di continuare °. Int.: Secondo te perché può aiutare una laurea? Zëdlir: Beh, vale più del diploma diciamo. Poi hai possibilità di… ° se dici Politecnico ha un buon nome, azienda buona, possibilità di carriera °. ° Diciamo °. [...] Int.: Mmh. E poi vorresti anche lavorare facendo l’università? O all’inizio vedere com’è? Zëdlir: Cioè io pensavo, però anche i miei mi dicono “Se vai a lavorare dopo non ce la fai più, deciditi, se vai a lavorare lavora, se vai all’università, noi cercheremo di… tenerti”, 280 quindi… perché al Politecnico dicono che delle volte esci alle sei di pomeriggio quindi non penso che ci sia molto tempo. Però vediamo. Almeno che passi un anno e poi capisco cosa posso fare (stud. 27: Zëdlir, IT α informatico, 20 M, Albania). Dal confronto tra Informatica all’Università e al Politecnico, e nella “graduatoria” tra le seconde e terze scelte, emerge il processo decisionale basato sul rapporto tra rischi di fallimento educativo e ritorni del titolo, aspettative definite anche secondo le opportunità di sostegno economico ricevibili dei genitori per ragioni di disponibilità economiche ma anche di responsabilità morali dei figli nei confronti dei genitori, secondo i tempi di inizio dell’adultità tenuti come punti di riferimento dalla convivenza familiare. Mirko: Mio padre forse mi vorrebbe far fare il Politecnico, però io mi devo informare bene adesso, forse, perché fare ancora per cinque anni scuola fino alle quattro del pomeriggio, poi andare a casa e continuare ancora a studiare so già di non poterlo fare. Nel senso che non voglio fare un anno o due e poi mollare perché non ce la faccio. Poi magari è una scommessa che potrei vincere, però non ho voglia tanto di impegnarmi. Anche perché il Politecnico non è proprio la scelta che avevo in mente. Volevo fare Scienze Strategiche, anzi prima ancora volevo entrare nell’esercito, solo che essendo rumeno non posso farlo. Perché la cittadinanza non ce l’ho. Perché potrei prenderla dopo cinque anni che sono qui, e io sono qui da sette anzi otto, però le pratiche le puoi avviare solo dopo che sei maggiorenne quindi durano circa due o tre anni, perciò è una questione di tempi e non posso farlo. Perché ho dei conoscenti, sempre amici di mia mamma, che lavorano in polizia e mi hanno detto “Guarda, se vuoi” nel senso non dico raccomandato però mi darebbero una mano. E quindi volevo fare quello, e Scienze strategiche centra qualcosa, nel senso che è una cosa militare ma per i civili. Solo che mi hanno detto che per intraprendere la carriera militare va bene, però per un civile poi non trova lavoro, ho guardato anche le statistiche di Almalaurea e dicono questo e non ne sono convinto. Sono indeciso tra Informatica, perché con il computer, non è che sono un maniaco però in classe sono stato quello che ce l’aveva già da piccolino, […] il test è a numero aperto quindi non ci sarebbe il problema di quelli che vogliono fare Medicina quindi entro o non entro. Si tratta solo di scegliere se fare al Politecnico o tipo Informatica. Economia non volevo farla perché la fanno tutti, anche se ci sono tanti indirizzi, me l’hanno proprio sconsigliata, anche ex alunni che andavano qua mi hanno detto proprio “Guarda non farla perché se proprio…” è facile nel senso che riesco bene a farla, ci sono corsi difficili e tutto, però la fanno tutti, è un po’ l’isola, l’ultima spiaggia di tutti, per cui se hai altre preferenze meglio puntare tre o quattro mesi a tentare di fare un’altra cosa che poi magari vedi che ce la fai, piuttosto che andare a fare economia” e quindi quello… Int.: Nella scelta guardi che ti piaccia il contenuto di quello che si studia e un possibile lavoro futuro? Mirko: Eh, lì per forza, perché vedo la difficoltà ° che fanno i miei ° nel senso non ho prospettive di guadagnare 50mila euro all’anno, diventare politico e godere… cioè non così. Però già non… i miei guadagnano sui 1200 a testa, e quindi non dover… non tirare la cinghia, in casa c’è sempre stato “Quando abbiamo i soldi li spendiamo”, quindi non è che andiamo in vacanza o cose così. Perciò poi già si spendono quei soldi, già pagare l’affitto, pagare le bollette e tutto quanto, cioè… che ne so, se voglio dei vestiti nuovi o se voglio l’ipod nuovo non è che… [...] Perciò già io sapendo che dovrò pagare il mutuo o l’affitto non voglio ne stare con i miei fino a 30 anni magari, ma finire un’università che non dico dopo tre anni, dopo una laurea breve, ma dopo i cinque, già entrare nel mondo del lavoro, nel mercato del lavoro, mi piacerebbe. Informatica era quella che offre più spazi. Anche il Politecnico, ma lì è più tosto da fare. Informatica ho guardato le statistiche e lì ho visto che il 50% di quelli che entrano trovano lavoro per cui uno su due ce la fa. Speriamo di essere quello fortunato (stud. 49: Mirko, Liceo β scientifico, 19 M, Romania). Nel caso di Mirko, nel processo decisionale è incluso anche l’effetto di non possedere la cittadinanza italiana, che lo dissuade dalla carriera e dagli studi militari a cui avrebbe aspirato, in base alle informazioni reperite attraverso i legami personali suoi e dei genitori 281 e la consultazione delle statistiche sui ritorni occupazionali della laurea disponibili online. b. Corsi di laurea delle professioni sanitarie Gli stessi fattori sono tenuti in considerazione dalle studentesse e dagli studenti che propendono per Scienze infermieristiche, Medicina e altri corsi di laurea di ambito sanitario: trovare un posto di lavoro sicuro, anche in altri paesi, dopo una qualifica triennale. Questa opzione è la più considerata dagli studenti e soprattutto dalle studentesse migranti, anche con genitori non laureati, e anche quando la riuscita alle superiori non è ottima. È la più consigliata dai genitori con titoli di studio al massimo di livello secondario, specie dalle madri, le quali, come abbiamo visto, sono in gran parte impiegate nel settore dell’assistenza alle persone, ma, senza qualifiche riconosciute, non godono di protezioni contrattuali. Inoltre è l’ambito di studi apparentemente più seguito da amici, parenti e conoscenti degli studenti, soprattutto donne, per cui anche coloro che al momento dell’intervista avevano investito meno nel processo di orientamento e reperimento delle informazioni sui diversi corsi di laurea, possedevano nozioni relativamente corrette sui tempi e le procedure di iscrizione. Il test di ingresso tuttavia è rappresentato come sbarramento rispetto al quale si prefigurano già alternative. Per le iscritte all’istituto professionale una delle prime alternative considerate sarebbe l’immediato ingresso nel mercato del lavoro, oppure corsi post-diploma, di solito molto segnati dalla dimensione di genere e dalle precedenti esperienze lavorative, o di stage, svolte durante le scuole secondarie. Ho scelto questa scuola per fare Scienze infermieristiche, però sto pensando anche al mediatore interculturale, però non so ancora quale delle due. [Durante lo stage come mediatrice] mi sono sentita utile […]. Poi ho accompagnato anche tante altre persone in ospedale. Le mie vicine, che erano appena arrivate in Italia e non sapevano l’italiano (stud. 29: Malika, IP α sociale, 22 F, Marocco). Vorrei che subito lo studio c’è subito il lavoro. Cioè non volevo sprecare tanti anni, dato che ho già sprecato due anni, cioè… (stud. 30: Trisha, IP α sociale, 22 F, Filippine). I corsi di ambito sanitario sono ritenuti la soluzione più sicura nel caso di mancanza della cittadinanza italiana, e più “alla portata”, nel caso di attitudini allo studio non spiccate, come spiegano Elisabeta e suo padre Constantin. Tra quest’ultimo e la moglie è in corso una discussione sulle probabilità di successso universitario di Elisabeta, dal cui esito sembra dipendere l’effettiva iscrizione della figlia al test di ingresso. Come per Mirko, anche per Elisabeta contano le “conoscenze” per entrare a lavorare nel settore pubblico. 282 Elisabeta: Non ho ancora deciso, per problemi miei. Vorrei studiare diritto. Ma dovrei prendere la cittadinanza italiana così posso andare nella Guardia di Finanza, dove vorrei lavorare. Solo che se io… si può fare anche un concorso, ma una volta finita l’università ci vuole anche una conoscenza che ti spinge a entrare. […] Ma io potrei… perchè quando andavo all’oratorio, c’era il papà di un bambino che veniva a prenderlo, e mi parlava di Giurisprudenza, Guardia di Finanza, queste cose qua […], mi ha detto “Se hai intenzione di farlo non importa, tu fai quello che ti senti, e io ti aiuterò poi a entrare”. Non sono ancora sicura, o il concorso o l’università. E se faccio il concorso… non ho la cittadinanza. […] Prima di tutto sono (sott.: andata alle giornate di orientamento per) ° odontoiatria °. Perché quando ho capito che cioè se… penso, Giurisprudenza, come faccio se non mi danno la doppia cittadinanza? Cioè faccio una volta l’università e poi ho sprecato sei anni, e con i soldi, come faccio? E allora mi sono indirizzata verso odontoiatria [come la cognata della sorella assistente alla poltrona]. Alla mia professoressa di amministrazione tecnica ho detto “Ho deciso di fare Giurisprudenza”, lei ha detto “Ma non penso che ce la farai, perché c’è un linguaggio molto difficile, per te… sarà…” (stud. 2: Elisabeta, IP α sociale, 20 F, Romania). Costantin: Adesso Elisabeta è arrivata a un punto che è un po’ indecisa dove andare… Elisabetta vuole ancora studiare un po’, dice che mi assomiglia un po’ perché anche io quando ho finito la scuola ho detto: “Voglio ancora fare ancora un po’ di università”. Due anni, poi non ho potuto andare avanti, perché…da una parte… le esigenze… eh, andando a lavorare, poi… […] Quindi un po’ ho imparato. Per quello gli spiego così e così… bisogna stare sempre nelle tue capacità, non deve andare oltre. [Non dire] “Eh, va beh, ce la faccio, gli altri come lo fanno”. Devi stare sempre nel perimetro. Io sono capace di fare quello o no? [...] Adesso nel mio paese sono uscite fuori tante università private. Non lo so qual è la qualità, degli studenti, la loro capacità. Però sono tantissime. Quindi la nuova generazione ha tutta studiato. Poi un’altra cosa, parlavo con un altro, dato che hanno fatto questa università privata, non ha un grande valore, non lo so se hai pagato qualcosa, se hai pagato i voti. Int.: C’è più corruzione nelle scuole private? Costantin: Sì. Non c’è molta forma, qualcosa di certo sul livello di istruzione. Invece se vai in una statale, giorno dopo giorno, è un’altra cosa. Int.: Dà più possibilità di lavorare dopo? Costantin: Esatto, esatto. […] Io le ho detto “Sempre su questo profilo”. Di non… non scegliere un altro. Perché a quando ho capito lei vuole fare un’altra università di cinque anni. Forse è un po’ troppo. Sei giovane, hai 20 anni, 21 anni, forse riesci a trovare una persona, un amico, un fidanzato. Se ti metti insieme, ne hai 21, più cinque, sono 26. Fai questi tre anni, che è vicino, che ti dà un titolo idoneo, che poi si riesce a trovare un lavoro, dopo i tre anni. Poi puoi fare quello che vuoi, se decidi di sposarti ti puoi sposare, se no no, sei libera. […] Il mio consiglio è sempre questo: “ tieniti le spalle coperte”. […] Int.: Lei non è tanto d’accordo? (alla moglie) Octavia: Un po’ duro… vuole giocare. Costantin: Quando una persona vuole fare una cosa, ha la voglia, lasciala, lasciala. Se non studia adesso non studia a 40 anni. Come fai? (gen. 9: Costantin e Octavia, genitori di Elisabeta [2], IP α, Romania). Constantin e la sua famiglia, come le altre nel campione, considerano anche l’opzione di iscrivere i figli nelle università del paese di origine, ma decidono di continuare nelle università pubbliche italiane, ritenute di maggiore qualità e riconoscibilità nel mercato del lavoro. Inoltre anche i tempi della transizione all’adultità (trovare il primo lavoro, trasferirsi, sposarsi, avere figli) sono considerati importanti dal padre di Elisabeta. Sempre nell’ottica di completare in fretta le transizioni all’età adulta e limitare gli anni di dipendenza economica dalla famiglia di origine, Giurisprudenza è giudicata da tutti gli intervistati una laurea che implica un percorso troppo lungo prima di iniziare a lavorare, e troppo dipendente dai legami personali nelle opportunità di carriera (oltre che più 283 difficilmente spendibile all’estero rispetto a altri corsi di studio). Carolina spiega che la madre, assistente familiare “in nero” in Italia, e il padre, in Romania con i figli avuto da un altro matrimonio tutti iscritti all’università, hanno influenzato la sua decisione di continuare a studiare più del convivente. Carolina: Sono andata a vedere l’università di giurisprudenza […], mi piace proprio tanto, è una materia che mi interessa. Poi però io non voglio andare cinque anni a scuola, poi due anni di tirocinio, poi chissà come lavori, io scelgo ° Infermieristica °, che anche lì è una materia che mi piace, facciamo anche igiene a scuola, mi piace studiare le malattie eccetera, e trovo lavoro anche più facilmente. E faccio anche meno scuola. Sono tre anni. […] Int.: E tua mamma cosa dice? Carolina: Mia mamma è contentissima. Perché anche lei… è il suo sogno da sempre lavorare comunque in questo ambito, solo che senza laurea, senza niente, non puoi fare più che tanto. E poi è anche che il lavoro è per sempre. ° Quindi è molto contenta °. [Rispetto al mio compagno] mia mamma ci tiene molto di più che io continui, che finisca la scuola, dice “Così non finirai come me” °. Int.: ° E tuo papà cosa dice? ° Carolina: Sì, sì, o sa. Però anche mio fratello sta finendo adesso la Facoltà di Medicina, mia sorella anche sta facendo la Facoltà per diventare odontoiatra > in Romania < . Quindi se l’aspettava un po’ che continuavo, poi anche lui è uno che ci tiene molto alla scuola… comunque è riuscito a infondermi questo… questo valore, questa coscienza, che continuare è meglio. [...] Int.: E chiedi un po’ ai tuoi professori? Carolina: Per l’università? Sì, beh diciamo che adesso che è l’ultimo anno ne parlano abbastanza, anche senza magari andare a chiedergli un consiglio, ne parliamo abbastanza a scuola (stud. 3: Carolina, IP α sociale, 19 F, Romania). Va sottolineato inoltre che l’istituto professionale Alfa, oltre che includere indirizzi di area sanitaria e sociale, è particolarmente attento anche alle iniziative di orientamento in uscita. Questo fatto, oltre che la composizione dell’utenza prevalentemente femminile, mediamente con riuscite scolastiche migliori che i maschi, può avere influenzato la maggiore propensione delle iscritte a questo tipo di scuola a continuare a studiare, a differenza che i compagni e le compagne frequentanti l’IP Beta. Due diplomande all’IP Alfa vorrebbero tentare il test a Medicina. Come tra chi intende frequentare il Politecnico lavorando, tuttavia, si colgono prospettive irrealistiche, come nel caso di Adia, oppure più caute, come nel caso di Suzana. Le testimoni qualificate segnalano anche maggiori difficoltà da parte degli studenti migranti arrivati in Italia durante le scuole secondarie per quanto riguarda le domande di cultura generale alle Facoltà a numero chiuso. Int.: Perché vorresti fare Medicina? Adia: Ma… uno perché mi piace anatomia. Poi penso che anche dopo che finisco l’università certamente troverò un posto stabile. Si cerca sempre in questo ambito sanitario, non lo so, io la penso così. Mi piace anche psicologia ma penso che… non lo so, magari se penso poi di tornare a casa (sott.: in Romania) come psicologa… non lo so, però penso sempre in questo ambito anche a casa mia o qua, trovo sempre, di sicuro. Perché ci penso di tornare a casa qualche volta. Infatti dopo che finisco quinta non so se rimango qua oppure vado a casa a fare l’università. [Mia mamma] me lo dice sempre (sott.: di continuare a studiare), infatti è stata… è lei che mi ha… cioè non è che mi ha… mi ha detto prova di qua e di là… mi ha detto gli 284 ambiti dove… dove è più sicuro e che mi può piacere anche, abbiamo pensato dove è più sicuro per un posto di lavoro, però è importante piacere a me perché se no poi non lo studio io con… anatomia anche se è difficile come materia la studio con piacere perché mi piace. E spero davvero di riuscire! (ride). […] Mentre farò l’università troverò sicuramente anche un posto di lavoro. […] Non è perché me lo chiede mia madre, non… non mi dice di darle un aiuto, però lo faccio per me, voglio andare anche a conoscere… perché non ho mai lavorato, voglio conoscere anche com’è, come si comporta anche la gente... capito? (stud. 1: Adia, Ipα sociale, 19 F, Romania). Suzana: Ma penso che una preparazione individuale sia prevista (sott.: dai corsi aggiuntivi erogati dall’IP Alfa in preparazione dei test di ingresso), ma io al massimo comprerò dei libri, prenderò qualche lezione e studierò da sola in qualche modo. Così, si tenta. [Discussione dettagliata dei contenuti del test di ingresso] Ma guarda noi facciamo tanta igiene dal terzo, e quelle (sott.: domande del test di ingresso) di biologia le so, proprio guardando al test, poi sai cultura generale dipende un po’… va anche un po’… secondo me va anche un po’ a fortuna […]. Int.: E poi come seconda scelta? Suzana: Ma guarda se non… pensavo a una laurea triennale sinceramente, però o sceglierò quella, o prenderò un anno per farmi una preparazione veramente buona, sai, su chimica, fisica (stud. 40: Suzana, IP α sociale, 19 F, Romania). Ecco lui (sott.: un utente del programma formativo per migranti) per esempio voleva fare Medicina. E dove ha fallito al test per Medicina? Sulle domande di cultura generale. Cioè quella cultura europea che non riesci a recuperare se arrivi in terza o quarta superiore, che noi diamo per scontato perché fa parte del nostro modo di fare, di dire e di pensare. Mi ricordo la prima settimana quando è arrivato e lui Arte, Arte europea non poteva saperne niente. Gli altri erano già al Gotico, e lui non sapeva riconoscere niente (test. qual. 1: Daniela). Nelle prospettive delle studentesse di istituto professionale, se già residenti in un nucleo diverso da quello di origine oppure in nuclei monoreddito, si legge da un lato la tensione, espressa anche dalle madri, a proseguire nell’istruzione terziaria, dall’altro il desiderio di iniziare a lavorare per completare appieno le transizione alla vita adulta. L’iscrizione a Scienze infermieristiche è dunque presentata come un’ambizione su cui il processo decisionale è ancora aperto, da seguire comunque part time svolgendo un lavoro pagato, come dice Tania. Ho voglia di andare a lavorare, perché non mi piace sempre chiedere i soldi a mia madre, no? Quindi voglio andare a lavorare. Solo che lei mi dice “No, vai all’università! Insisti ancora tre anni per le Scienze infermieristiche, poi dopo a 23 anni hai un lavoro che comunque puoi andare a lavorare in ospedale, o comunque un lavoro lo trovi, comunque c’hai i tuoi soldi, resisti ancora tre anni”. [Al mio compagno] dove lavora lui, in questa ditta italiana, gli dicono “Guarda che se la tua fidanzata vuole fare questo lavoro qua, è comunque abbastanza importante perché si guadagna, guarda che comunque fa bene, alla fine sarà contenta nel senso che andrà a lavorare e avrà uno stipendio che… farà bene a tutti e due se lei va a lavorare”. Cioè lui adesso… è un po’ più informato, […] è sempre lì “Dai non andare a lavorare, anche per dopo, sei ancora giovane”, di qua e di là. Però sono io che… voglio andare (sott.: a lavorare) (stud. 4: Tania, IP α sociale, 20 F, Romania). Per i liceali figli di laureati, invece, le lauree sanitarie brevi costituiscono una sorta di livellamento verso il basso delle aspirazioni genitoriali iniziali, anche laddove i genitori, come nel caso di Skordian, conferiscano fiducia ai figli sulle loro capacità di scegliere il corso di laurea. 285 Dopo voglio andare a fisioterapia. Però anche lì, casomai andasse male il test di ingresso, mi mancherebbe dove appoggiare i piedi. […] Perché comunque sono tre anni di fisioterapia. E poi perché comunque mi dà possibilità di lavoro e di guadagno. Semplicemente questo. Non voglio farmi Medicina cinque anni, e poi praticamente soffrire, e poi soltanto dopo diventare qualcosa di importante. È troppo lungo e io non ho le spalle per reggere questo. Non è la mia passione, ° non ci posso fare nulla °. […] Cioè io lo studio, ho fatto il liceo scientifico quindi ho aperto la mia mente in qualcosa, ora con l’università devo specializzarmi in qualcosa. […] Il mio percorso l’ho fatto, però io devo anche vivere, no? Servono anche i soldi, perché è inevitabile dire questo. [Anche gli insegnanti] mi consigliano questo. Perché è inutile andare… cioè è inutile dipende, se uno ha la passione ha la passione, però per uno come me, seguire qualcosa di sfumato… (0.02) meglio qualcosa in cui in un futuro prossimo, molto prossimo, posso trovare un lavoro. Va beh che comunque fisioterapia è bello, eh! È una bella arte! Con il corpo umano, sempre biologia, scienze… e c’è lavoro soprattutto (stud. 15: Verim, Liceo α scientifico, 21 M, Albania). Mia figlia grande fa Scienze Politiche all’università, ha scelto perché mi piacciono, è anche un po’ da me, capisci. Mi è piaciuto perché stando qua, trovando, un posto io lo trovo. Perché siamo in due Stati, in una ambasciata, qualcosa, lo trovo. [...] Mio figlio gli piacciono le scienze biologiche, magari va di là. Ma mio figlio è un po’ autonomo, decide lui (gen. 5: Skordian, padre di Verim [15], Liceo α, Albania). Tra gli studenti di IT, per Fadia il punto di riferimento è la sorella maggiore, già laureanda in Scienze infermieristiche, per Gaby i genitori. Io proverò il test per le lauree sanitarie, spero di entrare… spero di entrare ad Ostetricia, che è il mio sogno fin da bambina, se no tecnico di Radiologia o Infermieristica (stud. 22: Fadia, IT α liceo tecnologico, 19 F, Marocco). Int.: Sul continuare all’università (sott.: i tuoi ti hanno incoraggiato?) Gaby: Sì, perché diciamo che mio papà è laureato nel mio paese. [...] Quindi già loro dall’inizio mi hanno proprio “Guarda che devi studiare, cioè noi siamo perché tu studi, ti superi” eccetera. Quindi già la loro idea è che io non lavori, se nonché studi, cioè prosegua negli studi. […] Poi mia madre voleva che facessi biologia, aveva delle conoscenze di biologia e ‘ste cose quindi… [...] Fin da piccolo volevo farlo. Solo che poi ho cambiato idea, nel corso del tempo, per vari motivi, prima volevo fare il veterinario, poi ingegnere di sistemi, e mo adesso ho detto faccio scienze infermieristiche. […] Sono già andato a qualche lezione. Poi ho anche degli amici che frequentano questo corso, hanno detto che è bello, carino, anche che poi al secondo anno si cominciano a fare dei tirocini… e è più… più dinamico questo corso. […] Int.: Ti piace come discipline? Gaby: Sì, sì. Int.: Come tipo di lavoro? Gaby: Come tipo di lavoro no, non tanto. Perché se non faccio la specialistica, non so se mi ritroverei tipo in un ospedale grande, andando di qui e di là, da un paziente all’altro, non lo so… cioè come carriera è bella, ma come posto di lavoro no, non tanto. […] Per questo vorrei fare la specialistica, magari nurse o strumentista. Perché così sembra… cioè diventa qualcosa più interessante e meno stress diciamo. Perché se fai soltanto i tre anni, diventi soltanto l’infermiere in più, no? Quindi essere sempre lì, sotto la struttura dell’ospedale, sai… ° non mi va tanto Int.: Se pensi al lavoro che vorresti fare, è importante la corrispondenza tra quello che hai studiato e il lavoro. Gaby: Sì, mi sa che è un fatto molto importante, perché se studi qualcosa in modo più approfondito, è perché ti serve per il proprio lavoro. Cioè se lo studi… per avere una minima conoscenza di qualcosa… no, perché queste cose le puoi studiare anche da solo se vuoi avere un po’ di cultura, se vuoi avere un po’ di conoscenza, però comunque secondo me quello che studi lo devi praticare, lo devi portare nell’ambito del lavoro ° (stud. 32: Gaby, IT α liceo tecnologico, 22 M, Perù). 286 Il processo decisionale di Gaby ha seguito un percorso molto strutturato e pragmatico: ha consultato i genitori laureati e scelto un percorso di studi che possa attuare nel lavoro, pensa di iscriversi a Torino per contenere i costi vivendo con i suoi genitori, ha reperito informazioni accurate sui contenuti e l’organizzazione dei corsi, sta decidendo in quale sede tentare il test di ingresso per avere più opportunità di superarlo e progetta di ottenere anche la laurea specialistica per migliorare la sua carriera lavorativa, intesa sul lungo termine. c. Economia I liceali che propendono per Economia non sembrano avere ricevuto orientamenti da parte dei genitori, a parte Ouail, ma hanno ottenuto il loro appoggio per la scelta effettuata in termini generali. Ritengono che si tratti di un tipo di insegnamento che offre contenuti interessanti, specie per quanto riguarda il settore finanziario e gli indirizzi internazionali, alte probabilità di riuscita e sbocchi occupazionali sicuri in tempi meno lunghi che altre Facoltà a cui alcuni avrebbero guardato per le materie trattate, come Psicologia o Medicina (Julieta e Gloria), Ingegneria (Yin Mei, Karina e Iulian), Lingue (Julieta e Ouail) o corsi a numero chiuso per professioni sanitarie (Arzan). Int.: Hai già pensato a cosa fare dopo? Julieta: Sì e no. Sicuramente università, questo è certo. Però non so se scegliere Economia oppure Psicologia. Sto un po’ vedendo così. Diciamo che ho queste due scelte. Avevo pensato anche a Medicina. Solo che sono troppi anni, e io avendo già 20 anni, poi cinque anni, più dottorato, più… finirò poi tardissimo (stud. 9: Julieta, Liceo α scientifico, 20 F, Romania). Iulian: Mi posso iscrivere a tutte e due, nel senso, fare il test a tutte e due, perché per entrambe c’è il test da fare. Quello a Economia adesso è anche selettivo e quello del Politecnico è solo consultativo, comunque potrei fare tutti e due per vedere come vado nei due test, e vedere in quale vado meglio … (stud. 50: Iulian, Liceo β scientifico, 19 M, Romania). Int.: Tu sapevi già che dopo avresti dovuto o voluto fare l’università? Gloria: Sì, sì. Io dalle medie, cioè alle medie volevo fare Medicina. Invece adesso, cioè anche adesso però… (sorride) non… non passerei mai il test di ammissione perché è troppo difficile […]. Poi troppo studio, troppi anni, i miei comunque non riuscirebbero a pagarmi 12 anni di studio, ° soprattutto col lavoro che fa papà…° è proprio impensabile. Int.: Lui adesso ha un contratto a tempo indeterminato? Gloria: Sì, lui ha un lavoro… stabile. E anche quando ° non c’è lavoro comunque è in cassa integrazione… ° però… comunque… ha 50, tra 12 ne avrà 60 e poi tra l’altro non è un lavoro d’ufficio ma deve stare al freddo, con la pioggia, a lavorare, a fare l’operaio, che è difficile, non so ° come farà a lavorare a 60 anni, la vedo difficile ° . […] E pensavo a qualcosa tipo Economia, e quindi dopo tre anni posso già andare a lavorare, oppure cinque, cioè ° posso fare anche il master ° e poi lì vedo, perché poi lì ci sono anche molte più possibilità e molte più scelte. […] Ci sono tante scelte, e uno non sa le differenze tra dall’uno e dall’altro, hanno tutti nomi simili e nessuno te le spiega, quindi non so come farò, ogni volta che ci vado le cose si complicano e io continuo a non capire la differenza, e quindi non so, devo ancora cercare di capire che ramo di Economia voglio fare. Perché tra > Economia aziendale, Economia e commercio, Economia internazionale banca borsa e assicurazione < sembra tutto 287 uguale mentre poi in realtà non lo è (sorride). E quindi devo ancora capire… cosa fare. [A Bucarest] mia cugina si trova bene, ha studiato per un sacco di tempo, adesso è al terzo anno, viaggia spesso, essendo internazionale, lì comunque stranamente… lo trovo strano perché neanche qui fanno tante cose, e quindi viaggia un sacco e le piace, non so, forse mi troverei bene, non so […] ° che differenza potrebbe esserci, come sbocchi lavorativi ° (stud. 31: Gloria, IT α liceo tecnologico, 20 F, Romania). Gloria sottolinea, oltre al ruolo delle risorse economiche familiari e il senso di responsabilità nei confronti del padre, la sua confusione tra i diversi indirizzi e la possibilità di tornare in Romania per avere un’apertura più internazionale. Anche Ouail cita il suo desiderio di lavorare per affrancarsi dalla dipendenza economica dei genitori affidatari: l’intervistato spiega che potrà continuare a studiare grazie alla loro disponibilità a ospitarlo oltre il periodo di custodia stabilito, e che sceglierà secondo il loro consiglio le discipline più simili a quelle che aveva iniziato a studiare durante le secondarie, anche se avrebbe preferito, per ragioni espressive, studiare Lingue. Ouail: Per me, se vado bene a studiare, vado avanti, poi vediamo. Devo anche lavorare perché io sono abituato a gestirmi un po’ da solo, poi anche non voglio essere un peso per qualcuno, no? Quindi voglio trovarmi un lavoretto per le mie spese personali durante l’università. Int.: Sai già cosa studiare? Ouail: Sì, Economia e Commercio. Int.: Perché? Ouail: Per continuare sugli stessi temi (stud. 11: Ouail, IP α aziendale, 20 M, Afghanistan). d. Lingue, Scienze della formazione e altri percorsi umanistici Le studentesse che intendono iscriversi a Lingue (Xixi, Adelka, Simona), una minoranza nel campione, hanno seguito l’interesse per le materie studiate e l’intenzione di capitalizzare il bilinguismo pregresso o la loro attitudine all’apprendimento di nuove lingue. Va notato che l’argomentazione della scelta del corso di laurea basata su ragioni espressive riguarda più che femmine che i maschi. Questo aspetto, unito alla loro riuscita scolastica mediamente migliore e alla elevata incidenza di maschi tra gli studenti di istituto tecnico, può avere influito sul fatto che la scelta di percorsi liceali è più frequente per le femmine più spesso che per i maschi. Accanto alla dimensione vocazionale, l’attenzione delle studentesse al termine delle secondarie è comunque, anche in questi casi, rivolta al mercato del lavoro, per cui tutte intendono studiare una lingua non europea, meno conosciuta e più richiesta in Europa. Inoltre tutte intendono affiancare allo studio il lavoro, cercando di valorizzare le competenze acquisite durante le scuole secondarie. Int.: Quindi non pensi di andare al Politecnico? Xixi: All’inizio sì, poi ho ripensato bene, forse per me è meglio, le cose… che so già, che ho capito bene, per me è un vantaggio. Così non perdo ancora… il tempo. Sono già vecchia rispetto a loro (ride). [...] Int.: Mmh. Non faresti l’università in Cina? 288 Xixi: No! Secondo me in Cina tutti sono laureati, è così facile, forse valore della laurea in Italia è più elevato… della Cina (stud. 20: Xixi, IT α informatico, 22 F, Cina). Mentre Adelka è incoraggiata dai genitori a seguire le sue “passioni”, per Simona essi avrebbero preferito percorsi più sicuri, come Scienze infermieristiche, ma hanno finito per assecondarla. Simona: Lingue e culture dell’Asia e dell’Africa. Prima lingua è il Giapponese e seconda lingua non lo so, mi dovrò decidere questa estate in pratica. […] Piuttosto inizierei a lavorare in questo settore piuttosto che… al massimo se mi servisse farei un corso di specializzazione magari. Poi ho notato che imparando una nuova lingua sono più concentrata, più attenta… e io principalmente è questo che ho visto, cioè il fatto di non andare in una Facoltà in cui mi annoio. […] Int.: Perché hai deciso di fare l’università? Simona: Sinceramente non ho mai pensato di andare subito a lavorare. Non so perché ma è così. E… poi comunque i miei mi hanno sempre esortato a continuare, anzi volevano farmi fare il test di ingresso a Medicina […], pensano comunque sia al fatto che ad esempio Infermieristica darebbe subito lavoro, perché cercano sempre infermieri. Però comunque non mi piace… […] sanno comunque che studiando di più si… cioè una buona educazione porta anche a un lavoro con più… responsabilità, più strumenti, uno stipendio più alto e altro in questo senso. Ci hanno sempre esortato tutti quanti. Poi mio fratello più grande… diciamo che hanno perso le speranze (sorride). Quello più piccolo vedremo più avanti. […] Allora i miei, già quando avevo scelto questa scuola non sapevano perché. Poi comunque andando avanti… cioè la prima cosa è stata farmi scegliere qualcos’altro, ma poi alla fine mi hanno sostenuto. E anche in questa scelta mi hanno chiesto sempre che cosa volevo fare eccetera, ad esempio Scienze della comunicazione mi hanno chiesto cosa avrei fatto dopo e tutto. E… niente, una volta che ho scelto… cioè non si impongono loro. Mi hanno sempre esortato comunque di andare a fare Medicina, Scienze infermieristiche e tutto, però se non lo voglio fare… ° non lo faccio ° (stud. 53: Simona, IT β fotografia, 19 F, Romania). Simona e Ionel sono due dei cinque studenti che hanno vinto il concorso Master dei Talenti nella loro scuola e svolgeranno dopo il diploma un tirocinio con certificato riconosciuto dall’Unione europea in Spagna. Simona ha intenzione di sfruttare questa occasione anche per informarsi sui corsi di laurea in Lingue orientali. Per lei, come per gli altri intervistati, l’opzione di frequentare sedi universitarie italiane fuori dal luogo di residenza dei genitori, la città di Torino, è scartata per i costi elevati125. Piuttosto è considerata la possibilità studiare in altri paesi, dei quali conoscono già la lingua di maggioranza, hanno parenti o conoscenti, oppure ritengono di trovare più opportunità di istruzione e assunzione. Più orientate a rimanere in Italia sono invece le studentesse che intendono frequentare studi umanistici nell’ambito delle Scienze sociali e dell’educazione. Per loro l’obiettivo è ancora riuscire a laurearsi e impiegare il titolo di studio per trovare un posto di lavoro 125 È ipotizzabile che per gli studenti che non abitano in città sedi universitarie sia più costoso reperire informazioni sui corsi di studio e partecipare alle iniziative di orientamento organizzate dalle università. Sarebbe interessante indagare se, in mancanza di alloggi gratuiti per gli studenti (o dell’informazione puntuale su questa possibilità e sulla procedura per accedervi) il fatto di vivere in luoghi molto distanti dalle università possa dissuadere soprattutto i giovani migranti, con minori risorse economiche familiari, dal proseguire gli studi. 289 sicuro che consenta di unire l’interesse per le materie trattate – e dunque le probabilità di riuscita elevate - alla “vocazione alla cura” che hanno sviluppato anche durante la loro esperienza migratoria. Inoltre progettano anch’esse di mantenersi economicamente durante gli studi. Con l’università ho più possibilità di lavorare. Con i corsi (sott.: professionali)… sì, troverò qualcosa, però non è detto che sarà per sempre. Quindi finisco l’università, faccio tutto per bene, finisco i corsi, passo tutti gli esami, poi so che in testa mi è rimasto qualcosa, e trovo anche un lavoro. […] Non ho chiesto a nessuno. Non conosco nessuno che va a quella università, sono solo andata a quell’assemblea di orientamento. [I miei genitori] sono d’accordo, perché comunque il lavoro che vado a fare è mio, mi dicono anche di scegliere in base a quello che poi vado a studiare, non vado a studiare delle cose difficilissime che poi non ce la faccio e ci perdo pure l’anno (stud. 42: Ivona, IP α sociale, 20 F, Romania). Per le iscritte all’istruzione professionale compaiono anche in questo caso gli orientamenti delle madri verso Scienze infermieristiche, e il ruolo dello stage per definire l’ambito occupazionale di interesse. A differenza che le compagne che propendono per le professioni sanitarie sono minori le conoscenze di persone che lavorano già come educatrici, ma le informazioni reperite rassicurano sulle probabilità di successo accademico e lavorativo. Si tratta in questi casi di aspirazioni esplicite a “collocarsi nel mezzo” della stratificazione sociale, e di compiere generalmente percorsi di istruzione terziaria triennali, senza ambizioni a svolgere Master o corsi di specializzazione postlaurea per ottenere incarichi dirigenziali o imprenditoriali, che invece si riscontravano tra alcuni degli studenti desiderosi di frequentare il Politecnico o Economia, in particolare liceali o iscritti all’IT Alfa. Mentre per gli studenti e le studentesse dell’istituti tecnico, specie Alfa ma anche Beta, pensano che potranno impiegare il diploma per trovare un lavoro ad esso corrispondente da svolgere durante gli studi universitari, per le diplomande all’istituto professionale la laurea triennale è rappresentata come unica alternativa alla disoccupazione o all’inclusione nel settore non qualificato dei servizi alla persona o della ristorazione, come spiega Pilar. A meno che non si abbiano “conoscenze” o “fortuna”. Inoltre il titolo di studio terziario in Scienze della formazione garantirebbe contratti a tempo indeterminato e Int.: Perché (sott.: tua madre) vorrebbe che facessi Infermieristica? Pilar: Perché c’è tanto lavoro in quell’ambito lì. Lavoro lo trovi di sicuro. Ci sono i concorsi magari per entrare, però una volta che li hai superati, credo che un lavoro fisso tu ce l’abbia, da quello che… comunque sono richiesti, in quel senso lì. Lei mi diceva di scegliere qualcosa per cui ci siamo opportunità di lavoro. Già adesso con la crisi, in quel senso lì, già… magari se faccio Architettura o cosa, magari c’è di meno, poco lavoro, invece nell’ambito sociale secondo lei c’è più lavoro, in quel senso lì. E anche io la penso così (sospira). Io vorrei solamente trovare un lavoro che sia pagato normalmente, così riesco a farmi anche io la mia vita stessa, non è che pretendo adesso di fare il medico per guadagnarmi tanti soldi. […] C’è un mio amico, un conoscente, che fa l’educatore professionale, però ha fatto la Facoltà di Scienze della Formazione, e mi ha detto che comunque non è tanto tosto, cioè comunque rispetto ad altri indirizzi… ma comunque è bello. Poi a me piacerebbe lavorare con persone 290 con disagi psichici. Perché noi facendo questa scuola qui abbiamo studiato diversi disturbi, la disabilità, e mi affascina, perché facendo anche il tirocinio, grazie al professionale, ho avuto esperienza, ho lavorato, cioè ho fatto il tirocinio in un Gruppo appartamento, dove comunque mi sono trovata bene in quell’ambito lì. E mi piacerebbe lavorare con quell’utenza. […] Int.: Perché pensi di iscriverti all’università e non cercare subito un lavoro? Pilar: Perché ormai non trovi un lavoro senza la laurea. Perché ho visto alcune mie amiche che sono uscite l’anno scorso […] studi per poi lavorare come cameriera, in quel senso lì, non trovi un lavoro adeguato alle tue capacità. […] Oppure non trovi neanche lavoro. Perché ad esempio adesso le agenzie per il lavoro richiedono già diplomati, magari per lavorare in una fabbrica o cosa, e laureati, soprattutto di più laureati, in quel senso lì. Per quello, poi se magari riesco a trovare qualcosina io non dico di no, vediamo. Non so. Poi dipende anche dalla ° fortuna ° io credo. […] Magari avendo qualche conoscenza, più fortuna o cosa, non lo so (stud. 39: Pilar, IP α sociale, 20 F, Perù). Tra le iscritte al liceo, per Dalila il corso per diventare assistente sociale è un modo per trovare un buon lavoro in caso di mancato superamento del test di ingresso a Scienze infermieristiche. Inoltre sono di più le coetanee di questo tipo di scuola che intendono frequentare corsi umanistici. Dalila: Se non mi prendono a Infermieristica posso anche fare Scienze sociali, per fare l’assistente sociale, perché non si fa il test. E anche come argomento… e poi vediamo come va là. Sicuramente voglio fare qualche lavoretto. Per esempio se non trovo un lavoro così, penso di fare tipo la traduttrice. [Mi interessano entrambi i lavori, infermiera e assistente sociale] anche perché mi interessa anche aiutare a chi ha bisogno, anche pensando al mio stato, ci potrebbero essere altre persone che mi danno una mano se mi trovassi in una situazione del bisogno e quindi… non lo so, dare una mano se posso. […] Conosco amiche che fanno già infermieristica, alcune che sono già diventate infermiere, e poi altre tre o quattro persone ci sono con me che vogliono fare questo corso. Int.: Pensavi… Dalila: Sì, fare almeno una cosa insieme, così chi non capisce qualcosa… [...] Int.: Perché pensavi di continuare con un percorso universitario? Dalila: Perché diciamo che mi piace studiare e mi piace raggiungere diciamo un risultato, cioè un mio futuro, e quindi non “Non ho mai preso il diploma, rimango a casa e penso al matrimonio”. Cioè voglio rendermi anche io cioè… ho un mio lavoro, le mie idee, i miei pensieri e imparo ancora mille cose. Soprattutto un lavoro che… sì. Anche perché i tempi ormai sono cambiati quindi… Int.: In che senso? Dalila: Diciamo che adesso c’è la possibilità di studiare e quindi studio, poi voglio essere anche io indipendente da sola, cioè indipendente. E quindi… non voglio più per esempio… anche nella mia cultura c’è sempre “Ti sposi e hai un marito che si prende cura di te”. Io per esempio voglio sposarmi però voglio avere il mio lavoro e avere un mio stipendio e quindi essere una donna lavoratrice. Int.: E quindi il triennio dell’università ti può aiutare a trovare lavoro? Dalila: Diciamo che non mi fermo al terzo anno così. Se c’è la possibilità continuo, se riesco a trovare lavoro cioè non rifiuto. Lì dipende sempre appunto (stud. 36: Dalila, Liceo α sociopsico-pedagogico, 20 anni, Tunisia). Il ruolo dell’istruzione è inteso dall’intervistata come una via di emancipazione da concezioni dell’occupazione e dell’istruzione femminile ancora segnate da asimmetrie di genere, emerse anche da una intervista a un padre di origine nord africana (ma non estranee nemmeno alla “cultura italiana”, stando ai tassi di disoccupazione femminile), dalle quali Dalila intende prendere le distanze. Anche in questo caso la decisione di proseguire con la laurea specialistica è dilazionata nel tempo in base alle opportunità 291 lavorative che emergeranno. Per Jessica, invece, la futura strutturazione del nucleo familiare al momento non è calcolabile, ma da essa dipenderanno le risorse del nucleo, e il suo tempo personale, utilizzabili in istruzione. Jessica: Vorrei fare una cosa che mi permetta di studiare e lavorare alla volta. E… e trovare lavoro subito. Però con la psicologia non trovo lavoro subito, lingue neanche. Sociologia, mi devo informare ancora. […] Praticamente con il lavoro non è che mia mamma va tanto bene, cioè non guadagna abbastanza. E quindi sono io che dovrei ° pagarmi l’università °. Poi se viene mio fratello… Int.: Dici che ti darebbe una mano? Jessica: Mmh (segno di assenso) (stud. 18: Jessica, Liceo α socio-psico-pedagogico, 21 F, Ecuador). Jessica e Saloua sono ancora indecise sul corso da seguire. Il padre di Saloua spiega che l’istruzione terziaria, intesa anche dalla moglie come strumento di mobilità sociale e di crescita personale, non precluderà il coinvolgimento dei figli nella sua attività commerciale. Int.: [Non si iscriverebbe in Italia all]’università? Karim: Sarebbe il mio sogno, il mio sogno. Ma è irraggiungibile. Per quello voglio che Saloua va. E anche mio figlio, adesso ci sono questi corsi… tre più due li chiamano giusto? Il progetto è quello. […] Int.: Perché? Asmaa: Ma per avere una vita migliore, più studi più… hai, hai una casa, hai un’altra alternativa. Karim: Ma si lamentano di disoccupazione, però più carte hai, meglio è. Non è che l’università escluda l’imparare un mestiere, possono fare anche l’agricoltore, eh? Tanti piemontesi vanno nei campi… non è detto, Saloua va all’università e viene ad aiutare me, anche un addetto alla vendita, sa accogliere, sa vendere, è un’addetta come si deve. Non è facile fare il venditore, eh? Devi convincere, devi avere clienti fissi per sopravvivere, di tutti i giorni, non di passaggio, c’è una concorrenza spietata, io ho i miei clienti fissi. Lo stanno facendo tutti, anche i (sott.: figli) maschi. Carici e scarichi, e imparare a vendere. Magari nel futuro non sarà quello, però hanno una carta in più. Int.: E sul continuare all’università è più una volontà vostra o sua? Asmaa: Soprattutto è lei… Karim: Perché alla fine dei conti è lei che si deve dare la pelle per questo fatto qua. Io non voglio entrare in questo, noi preghiamo perché fa la scelta giusta, che saranno cose che vanno bene per lei (gen. 8: Karim e Asmaa, genitori di Saloua [37], Liceo α, Tunisia). Lauro, Hind e Diego non hanno ancora stabilito quale facoltà frequentare e hanno rimandato la scelta a dopo il diploma. Lauro ha usufruito di un’iniziativa di orientamento svolta a un pool di esperti selezionati da un’associazione benefica, e sta pensando di optare per le facoltà sanitarie, malgrado avrebbe preferito Psicologia, di nuovo per le chances occupazionali. Dall’intervista a Hind, alla quale il nucleo familiare non sta dando orientamenti specifici, emerge chiaramente il processo decisionale che sta attivando nel periodo dell’intervista, conforme all’equazione della teoria della scelta razionale, ma proprio per questo alquanto inefficiente in termini di trovare una soluzione univoca. Diego sottolinea invece che i sui dubbi nascono dagli effetti deteriori che avrebbero sul sistema educativo italiano le riduzioni di investimento pubblico in corso. Nel suo caso la 292 scelta del paese in cui studiare, più che su un calcolo costi-benefici, sembra basarsi sulla migliore conoscenza della lingua spagnola rispetto a altre lingue terze, e anche ai legami amicali con coetanei che frequentano ingegneria, invece che Lingue, la sua prima opzione al momento dell’intervista. Mi iscriverò sicuramente all’università, solo che non so dove andare. E quindi cartellone “Cercasi università per me”. […] Al Politecnico non hanno la fama di persone flessibili, ho paura di non farcela, e se non ce la faccio ci rimango male. […] Non voglio i mezzi percorsi, fai un pezzo di là e un pezzo di là, perché perdi, perdi, io già ho perso tre anni, anche… senza colpa e quindi non voglio andare oltre i cinque anni della laurea, se poi voglio continuare a fare master o cose varie, ok continuo, ma deve essere master, non devo farmi sei o sette anni di università. Sono cinque anni, e cinque devono rimanere. […] E’ quella la mia paura, non voglio fallire (sorride). E poi deve essere qualcosa di… non voglio neanche qualcosa [meno impegnativo che] poi magari obiettivamente non mi dà degli sbocchi di lavoro, non voglio. Anche se poi è inevitabile, anche se fai Medicina, il rischio non si toglie mai, però tendo a fare questi calcoli. Tra quello che voglio, quello che mi conviene, e quello in cui riuscirò (stud. 16: Hind, Liceo α scientifico, 22 F, Marocco). Int.: Hai già pensato a cosa fare dopo? Diego: Sì, ci ho pensato nel senso che ci sto pensando un po’ adesso, cioè io vorrei tanto continuare gli studi, però… (0.02) visto come vanno le cose qua in Italia, visto i tagli che si sono avuti, e tutte le leggi… vorrei non lo so, forse stare all’estero, in Spagna. Vorrei continuare a studiare, però, se non c’è la possibilità… boh al massimo… mi troverò un lavoro. […] Vedo un certo clima e… ° non so se mi conviene iscrivermi in questa università e scuola italiana °. Non lo so ancora. Ma ci penserò, ci penserò. (0.02). Int.: Nel senso che vedi che ci sono dei tagli e pensi che l’offerta formativa potrebbe essere più ricca in un altro paese, per quello? Diego: Esatto, esatto. È proprio quello. Int.: Quindi pensavi alla Spagna? Diego: Sì, perché conoscendo lo spagnolo… forse sarebbe meglio anche altro, però vedremo se ci sarà la possibilità, comunque Spagna, sì. [...] Int.: E come Facoltà come pensavi? Diego: Sì, Lingue, ma se continuo mi informo bene su come vanno le cose anche a ingegneria, elettrica o elettronica, perché io ho molti amici che la frequentano. C’è anche meccanica, cioè è combinata, potrei andare a quella, mi ispira. [...] Int.: Sul fatto di continuare o no ne hai parlato un po’ con i tuoi? Diego: Loro vorrebbero che continuassi a studiare, perché per loro avere una laurea in mano è importante per trovare lavoro. E quindi… non vorrei anche rimanere deluso, perché se io iniziassi a studiare, vorrei che andasse bene, non vorrei perdere tempo e soldi, e soldi. Io questo non lo vorrei. Quindi ci sto pensando bene a continuare o no. Int.: Quindi se tu continui lo vuoi fare proprio per finire, finire bene e in tempo. Diego: Sì, non per andare là come a un parcheggio. Int.: Da parte di altre persone hai avuto consigli? Hai già chiesto? Diego: Sì, da parte degli amici che studiano ho avuto sempre pareri come “Non è difficile, se inizi poi ce la fai” (stud. 38: Diego, IT α elettrotecnico, 21 M, Perù). Tutti gli intervistati, sia quelli per i quali il processo decisionale si è concluso, sia la minoranza per la quale le opzioni sono ancora aperte, sottolineano che il corso di laurea deve favorire il loro ingresso nel mercato del lavoro e deve essere concluso in tempi ragionevoli, anche date le risorse economiche limitate della famiglia di origine. Malgrado chi intende proseguire non ritiene di avere ricevuto inviti espliciti a collaborare all’economia domestica da parte dei genitori, tutti si sentono responsabilizzati, e i riferimenti ai genitori alle loro condizioni di lavoro, normalmente faticose e manuali, 293 insieme a idee piuttosto diffuse sulla transizione all’adultità e agli anni scolastici “persi”, li spingono verso corsi di laurea triennali, da frequentare lavorando. Mentre tra gli studenti dell’istituto professionale Alfa circolano informazioni e idee rispetto all’iscrizione all’università, in particolare al corso di laurea in Scienze infermieristiche, il più vicino come materie trattate a uno dei curricola di indirizzo (tra l’altro quello più frequentato dalle migranti), all’IP Beta sono minori questo tipo di informazioni, e non sono stati organizzati corsi preparatori per i test di ingresso all’università, probabilmente anche per la composizione dell’utenza, meno interessata a proseguire negli studi terziari. All’IT Alfa, inoltre, sono molti gli ex studenti che si iscrivono con successo al Politecnico, e diffondono presso i loro compagni ancora frequentanti le scuole superiori narrazioni di successo e idee sulla fattibilità di tale corso di studio, inoltre la scuola accompagna gli studenti ai pre-test di ingresso. Tra gli studenti di liceo è “normale” proseguire all’università e tutti conoscono ex studenti iscritti nelle diverse facoltà, in questo modo godono di informazioni molto più ricche sui corsi, la reputazione delle diverse facoltà, le prospettive occupazionali e i modi di reperire eventuali notizie mancanti, specialmente al liceo Beta, a maggioranza italiana (anche se la ricchezza informativa non implica necessariamente un processo decisionale più rapido e univoco). A questi aspetti, come abbiamo visto, va unita la dimensione di genere, che sembra avere orientato soprattutto le ragazze verso studi umanistici e professioni di cura. Inoltre le studentesse dell’istituto tecnico Beta, scuola a componente maschile maggiore e anche quella che rilascia diplomi più riconosciuti nel mercato del lavoro qualificato locale rispetto alle altre scuole incluse nel campione, all’università hanno optato quasi tutte per corsi di laurea in cui è più elevata l’incidenza di studentesse femmine. Oltre alle motivazioni della scelta del corso di laurea guidate dalla ricerca del futuro lavoro, vanno considerate anche quelle direttamente connesse alla dimensione del prestigio, soprattutto per i migranti. Int.: Cosa occorre per essere riconosciuti nella società? Gaby: Per essere riconosciuti nella società? Diciamo che… avere una laurea. Perché ormai diciamo che per noi stranieri se non hai una laurea è un po’ difficile essere riconosciuti nella società. Diciamo che è uno degli immigranti in più. Però se hai una laurea è una cosa a favore tuo. Int.: Perché secondo te? Gaby: Perché… ho visto tanti casi, poi ho anche lavorato io stesso con italiani, no? Ho visto i contatti che hanno loro anche con altri stranieri che… il tipo di trattamento è… un po’ diverso diciamo. Cioè essendo un immigrante in più, come tanti altri, e dunque visto come tutti gli altri… Int.: E dunque sei trattato in modo negativo? Gaby: Sì, a volte sì, secondo me sì. […] Tipo dove ho lavorato con mio padre come corriere, ci sono tanti immigrati di altri paesi… e sì, diciamo che ho visto queste cose. 294 Int.: E quindi una laurea ti protegge da questi atteggiamenti? Gaby: Sì, essere diverso dagli altri, e avere qualcosa in mano, secondo me sì. […] Una laurea, un titolo, una qualifica. Int.: E quindi secondo te… cioè tu conosci persone laureate che sono viste meglio? Gaby: Sì, sì, sì, io sì. Questo sì. Perché diciamo che un italiano fa un po’ differenza tra uno che è appena immigrato e lavora così, e uno che ha un titolo, e dicono “Wow, ha studiato, magari può essere un po’ più intelligente di me, se ha fatto certe cose”... Secondo me sì, perché se uno si abitua in una società nuova, comunque… gli altri non ti vedono come… anche se la gente sai, non è razzista, però dal colore, o da come sei, vedono sempre la differenza. Secondo me. […] Diciamo che se non hai niente, la gente può parlare, ma se hai qualcosa in mano che ti fa valere qualcosa, puoi avere un po’ di privilegio, non dicono niente, stanno zitti (stud. 32: Gaby, IT α liceo tecnologico, 22 M, Perù). Acquisire qualifiche educative elevate, come argomenta efficacemente Gaby, può aiutare in sé a mettere in discussione visioni stereotipiche dei migranti come gruppo omogeneo collocato in fondo alla stratificazione sociale, intesa anche nei suoi aspetti simbolici, del paese di destinazione. e. Corsi post-diploma non universitari o ingresso nel mercato del lavoro La maggior parte degli studenti migranti che dichiara di non iscriversi all’università, o di essere indeciso sull’iscriversi o meno, intende seguire corsi post diploma professionalizzanti. Questi sembrano offrire certificazioni riconosciute e competenze applicative specifiche, da utilizzare anche per mettersi in proprio oppure per ampliare i possibili lavori da svolgere oltre ai settori di cui ci si è occupati durante le scuole secondarie. Yuliana: Io voglio lavorare. L’ho sempre avuta, anche se finisco, non finisco, voglio andare a lavorare. Cioè voglio essere autonoma e pensare a me. Non chiedere sempre. Ai miei genitori. […] Avevo in mente un corso per parrucchiera. Parlandone con gli altri, conoscenze, cioè io sono brava anche a fare i capelli (sorride), quindi mi hanno consigliato loro di farlo e mi hanno già detto che possono aiutarmi a farlo. Ad aprire la mia… Int.: Ecco infatti una cosa che volevo chiederti, tu apriresti una attività tua, come titolare di impresa? Yuliana: Se riesco sì, mi piacerebbe. Int.: E quindi questo corso lo faresti anche per questa possibilità di mettersi in proprio? Yuliana: Sì, quello sì, cioè per le mie conoscenze di più, così riesco a essere più sicura quando apro qualcosa. (stud. 41: Yuliana, IP α sociale, 19 F, Moldavia). Per ragioni economiche gli intervistati spiegano che cercheranno di frequentare corsi gratuiti, oppure di ottenere borse di studio. Georgeta è indecisa tra la Facoltà di Economia e un corso per diventare agente immobiliare, Rocio non vuole affatto iscriversi all’università, contrariamente alle aspettative della madre e del marito italiano, e intende frequentare un corso per animatrice dell’infanzia, Aicha vuole seguire un corso come segretaria aziendale oppure un corso da mediatrice culturale, invece Marisa prospetta di trascorrere le vacanze dopo il diploma da parenti negli Stati Uniti in modo da seguire un buon corso di inglese e quindi di riunirsi alla famiglia, nel paese di origine della madre 295 per il progetto di avviare un’attività imprenditoriale nel settore turistico. Il suo diploma le potrà consentire di frequentare l’università al paese, oltre che di collaborare all’impresa di famiglia. Anche Lorena, malgrado avrebbe la sicurezza economica necessaria per proseguire gli studi, intende approfondire la conoscenza dell’inglese appoggiandosi a parenti negli Stati Uniti e poi frequentare un corso, nel suo caso a pagamento, per diventare assistente di volo. Nel suo caso la scelta del corso non universitario non è dovuta a ragioni economiche, ma al ritardo scolastico pregresso. Int.: All’università non ci pensi? Lorena: No, no, non ci penso proprio. E poi a 22 anni… no! Cioè… ° avessi finito prima la scuola, cioè a 18 anni, 19, sì. Non avrei fatto fino ai cinque anni, però le capacità… la triennale sì, l’avrei fatto. Perché marketing mi hanno detto che si fa veramente meglio all’università. Non lo faccio ° perché non voglio pesare ancora di più sui miei genitori tre anni ° (tossisce per schiarirsi la voce) °° Poi a 25 anni è pesante, non voglio °°. […] Quando finisco, dato che non so le lingue, questa estate appena finisco voglio farmi le vacanze. Voglio andare da mia zia a Miami. E poi dopo non so se iscrivermi a una scuola per imparare l’inglese perché è importante. Cioè senza l’inglese qua non vai proprio da nessuna parte. Io voglio imparare l’inglese. E poi ci sono tante agenzie qua a Milano private, che fanno dei corsi per diventare hostess. Cioè devi fare questo corso, superare un esame che loro ti danno, e poi inizi (stud. 10: Lorena, IP α aziendale, 22 F, Cuba). Per Costela e Daniel l’istruzione terziaria avrebbe un ruolo alternativo alla disoccupazione, alla quale comunque pensano di sfuggire utilizzando il loro diploma di istituto tecnico. Ci sono molte aziende che chiamano, che prendono il nome dalla scuola e chiamano per offrire un posto di lavoro. E se dovesse succedere, lo accetto ben volentieri! Poi magari studierò anche, o se trovo il lavoro, magari farò un corso per… non lo so, per… sempre di informatica, che è sempre una cosa in più. Oppure se non trovo niente, nessun lavoro, e se ho voglia di studiare, magari… pensavo di fare Lingue all’università, di iscrivermi [dato che conosco già il Russo. Ho fatto anche il test di ammissione al Politecnico]. Però se dovessi continuare con l’informatica non andrei al Politecnico ma all’università di informatica (stud. 26: Costela, IT α informatico, 20 F, Romania). Int.: Tu stai pensando di fare l’università? Daniel: Non lo so. Se non trovo niente, sì, penso di andare. Ma prima vorrei cercare. Perché come ci hanno detto anche alcuni professori, la laurea di tre anni, se non fai il master, è come se avessi tre anni di tirocinio. Perché alla fine, sì, va beh, hai un titolo in più, però a livello di cose che sai fare, cioè mi conviene fare un tirocinio, che magari vedo come stanno bene le cose. Poi un master come ingegnere elettronico o elettrotecnico, sì. Int.: Magari più specifico sulla tua cosa? Ma prima vorresti cercare lavoro? Daniel: Sì, se mi fanno un’offerta accettabile, andrei a fare tirocinio oppure a lavorare. Sì. Int.: E poi se ti piace l’azienda e il settore magari vedere con loro se fare corsi di formazione o… Daniel: Sì, quello sì! (stud. 34: Daniel, IT α elettrotecnico, 19 M, Romania). Negli altri casi i ritorni occupazionali della laurea sono minimizzati, e accanto al desiderio di interrompere gli studi per mancanza di motivazioni all’apprendimento, compaiono le necessità economiche familiari. Int.: volevo chiederti se vuoi fare l’università. 296 Sabina: No. Voglio andare a lavorare. Perché la scuola serve però non penso che mi renda troppo. Poi… ° non voglio più fare la mantenuta di mia mamma, perché è una situazione difficile allora… non voglio stare così, senza lavoro °. [...] Int.: Ti ha detto di fare l’università? Sabina: Sì. Questo me l’ha detto. Però… me lo dice quasi sempre. Però io le dico che voglio andare a lavorare perché ci sono tanti ragazzi che hanno fatto l’università però non hanno lavoro. Allora io, quello che stavo dicendo, preferisco andare ovunque a lavorare, invece di andare a prendere un diploma e stare a casa. [Penso che il diploma aiuti a trovare lavoro], anche se quando finisco la scuola se non trovo lavoro in questo settore non è che sto a casa, vado a fare un’altra cosa. Vado a fare due corsi che ho visto. [...] Un corso di estetista e parrucchiera, poi un corso di assistente alla poltrona per odontoiatra, mi ha detto mia zia che si guadagna, vorrei fare questi due corsi, solo che ho sentito che costano tanto allora voglio vedere se si trovano gratis (stud. 44: Sabina, IP β sala bar, 20 M, Romania). Bogdan e Ionel, nonostante l’ottima riuscita alle secondarie e l’orientamento dei docenti, sono più orientati a uscire dal circuito dell’istruzione formale dopo il diploma. Non ci provo solo a vedere com’è. Io se ci vado vorrei finire. Quindi se ci vai solo per provare, tanto vale stare a casa. Adesso vediamo. Tutti i professori: “Sì, tu ci vai perché devi andare, lì… fa per te!”. [...] Adesso vedo anche come stiamo con i soldi. Perché non puoi pretendere dai tuoi genitori che ti sostengano fino a 25-30 anni. Non è… nelle mie opinioni. Altri forse la pensano diversamente, io… non vorrei essere un impiccio per i miei genitori. [...] Scegliendo tra lavoro e studio non ho ancora assolutamente deciso. Perché per tutta la vita sei sempre al lavoro. Quindi… se fai ancora cinque anni di Politecnico, forse… non per me, ma per la mia famiglia, sarebbe meglio. Per trovare lavoro più facile e comunque molto più ben retribuito (stud. 24: Bogdan, IT α elettrotecnico, 19 M, Romania). Nonostante Bogdan ritenga utile la laurea per collocarsi meglio nel mercato del lavoro, dopo l’intervista afferma che cercherà lavoro, e contemporaneamente proverà a iscriversi a un corso per diventare elettricista, malgrado anche questo corso sia impegnativo e lungo, e difficilmente compatibile con lavori full time. Ionel invece sarebbe molto interessato a un istituto post secondario privato, tuttavia le rette sono troppo costose per cui se non vincerà la borsa di studio, seguirà un corso breve professionalizzante, dato che le lezioni al Politecnico, secondo le informazioni che ha ottenuto da suoi conoscenti, non sarebbero abbastanza applicative. Ionel: Io ho presentato una borsa di studio allo IED, che è l’Istituto Europeo di Design. Solo che è privato, e quindi… a meno che non vinca la borsa di studio al 100%, che significa 9.600 euro… senza borsa di studio… le possibilità di entrare, e studiare lì, sono molto poche, eh… (sorride). [È] una cosa molto più specifica, è diversa, non saprei che nome attribuirgli… comunque senz’altro un’università che… ° mi darebbe una grossa mano per il mio futuro °. […] Perché, sia da quello che ho sentito da altri, sia da quello che ho visto in giro, sia… Cioè, la gente che esce da lì… esce… quasi, quasi tutti hanno un posto di lavoro, quasi certo. E sicuramente, ° andare a lavorare come grafico, con un diploma dell’IT Beta, renderebbe molto meno che andare dopo aver frequentato °… e anche la preparazione senz’altro è molto diversa °. […] Se no ci sarebbe un altro progetto virtuale, […] al Politecnico. Solo che lì, la gente che ho sentito, ° non è tanto soddisfatta ° perché è… ° Essendo una scuola pubblica, manca tanto di personale e quindi ho sentito che fan fatica ad avere gli insegnanti presenti al corso e tutto quanto °. Quindi… ° non vorrei neanche fare un’università che poi mi facesse perdere tre anni di vita così °… E poi avevo sentito anche di un altro corso che è a Torino, organizzato dalla Regione Piemonte, un corso biennale. ° Devo vedere oggi pomeriggio, c’è la presentazione di questo corso. E… che… è sempre specializzato per la grafica, ° quindi a meno che non venga preso dallo IED, sono più propenso a ° tentare questo corso che il Politecnico °. […] 297 Int.: Ah, ma ti ha scoraggiato perché è troppo difficile o per…? Ionel: No, no… mi han detto quelli del progetto grafico, che nei primi mesi di questo anno scolastico > hanno avuto solo 10-12 ore alla settimana del corso al posto delle 17 o quante che ne devono fare. Quindi, cioè, andare lì e stare… o appunto perdere tempo… non, non fa per me. ° E in più non me lo posso neanche permettere °. […] Più che altro io ho guardato il mercato… ho guardato un po’ cosa c’era in giro…nella grafica. E la grafica va bene la laurea, però va bene di più la conoscenza. Int.: Saper fare? Ionel: Sì. Perché… il cliente guarda più il prodotto, e non guarda la tua preparazione scolastica e quindi… avere cinque lauree da grafico, e poi viene uno che fa il professionale, che ha fatto il professionale e ti presenta un prodotto migliore, ovviamente vai… > scegli quello < (sorride) (stud. 52: Ionel, IT β grafico, 20 M, Romania). Per Miguel le difficoltà economiche si sommano agli esiti scolastici non soddisfacenti, per cui il suo desiderio è lavorare innanzitutto impiegando il diploma e l’esperienza di tirocinio, in Italia o nel paese di origine, in caso di insuccesso cercherà lavoro in altri settori, anche nel caso in cui dovesse ripetere l’anno scolastico in corso. Int.: Sai già cosa fare dopo, ci stai già pensando? Miguel: Allora probabilmente lavorerò, in qualsiasi cosa che studio qua. Solo che spero mi chiamano dove ho fatto lo stage, spero proprio, loro hanno detto che vorrebbero fare una filiale in Brasile, due anni fa… e speriamo. Però se non va bene questo, dovrò subito cercare altro, non è che mi faccio l’università, perché i soldi non ci sono. Quindi probabilmente non lavorerò con le stesse cose che facciamo qua a scuola. Fabbrica, non lo so, qualsiasi cosa trovi, mi metto a lavorare subito. Int.: Non continueresti per ragioni economiche, quindi, non perché non ti piace molto lo studio. Miguel: No, no, mi piacerebbe fare l’università. Però, se io voglio una borsa di studio devo mantenere una media alta, non penso che ce la faccio. Visto che va beh, non so quanto tempo impegni fare l’università, se impegna diciamo tutti i giorni, non avrò tempo di lavorare perché magari anche se faccio l’università, la necessità a casa è la stessa, ° detto proprio da mia mamma che mancano i soldi eccetera °, quindi non è che mi posso permettere di fare l’università, non ancora. Magari prossimamente, più avanti. […] In linea di massima ci sono dei corsi che la Regione offre come meccanica eccetera, anche se non è un’università aiuta comunque ad imparare altre cose. E ad esempio se una macchina si rompe, io la posso sistemare, quindi come dire lì potrei fare delle cose. Ci sono tanti corsi, ho un libro così grosso a casa che ci sono tutti i corsi e i siti da visitare per vedere. Int.: Ok quindi al limite faresti un corso più professionalizzante per avvicinarti di più al mercato del lavoro piuttosto che l’università che non è detto… Miguel: Sì, sì. Int.: E su questo hai chiesto anche consiglio a qualcuno? Per decidere come fare dopo? Miguel: Sì, a mia madre, anche a mio padre a cui chiedo tanti consigli, poi lì in Asai ci sono i miei amici della banda, così, lo chiedo sempre cosa fare, qual è la cosa migliore da fare, e mi dicono così. Int.:Quindi questo è un’orientamento che hai avuto un po’… Miguel: In generale da tutti (stud. 56: Miguel, IT β grafico, 20 M, Brasile). Oltre alle propensioni individuali all’apprendimento, per le convivenze familiari monoreddito in cui la madre è impiegata in settori poco pagati a elevata informalità, il processo di inclusione occupazionale verso il basso vissuto dai genitori in Italia (o, per Marina, la disgregazione della convivenza familiare per sua stessa richiesta e decisione dei servizi sociali prima del termine della scuola dell’obbligo) porta i giovani migranti a collaborare all’economia domestica subito dopo il diploma, rischiando di non valorizzarlo 298 nella ricerca del primo impiego per la necessità di contribuire immediatamente alle entrate. Lorian, Rustan e Emil, come Eduard, spiegano che avrebbero interrotto gli studi al terzo anno di superiori, dopo la qualifica, per cui non intendono proseguire ulteriormente. Mentre per Lorian e Emil le madri sono citate come principali responsabili della continuazione degli studi fino al diploma, per Rustam le scelte in istruzione sono presentate come un fatto privato, di cui ha parlato piuttosto con docenti e amici che con i familiari. Int.: E tu perché non faresti l’università? Rustam: Non ho più voglia di studiare! Già volevo finire in terza, poi sono riuscito ad arrivare fino a qua, ma voglio lavorare e guadagnare, mettermi i miei soldi da parte, aiutare anche i miei genitori, non sempre farmi dare i soldi, ma voglio aiutarli. Io non voglio essere più un bambino, questa è la mia idea, voglio finire la scuola e iniziare a lavorare. Int.: E i tuoi cosa hanno detto dell’università? Rustam: (scuote la testa). Int.: Non ti hanno detto più di tanto, ti lasciano fare…? Rustam: Sì, lasciano decidere a me (stud. 45: Rustam, IP β cucina, 20 M, Moldavia). Poi allora quando è arrivato è andato a scuola qua. Adesso dovrebbe finirla (sorride). L’anno scorso mi aveva detto che voleva andare avanti, voleva andare all’università. Adesso finendo la scuola non si sente pronto per andare avanti (sorride). Speriamo che almeno ottiene il diploma. A parte che questi due anni con la crisi ci ha proprio rovinato perché… (sospira) (gen. 10: Luana, madre di Lorian [48], IP β, Romania). Per Eduard le ragioni di non iscriversi all’università, inoltre, sono legate direttamente al suo percorso migratorio, all’idea del “ritorno” e del “giusto posto” che i migranti possono occupare nella società di destinazione. Int.: Non hai mai pensato di fare l’università? Eduard: No. Perché secondo me l’università è… una cosa non dico da ricchi, però non è una cosa per me. Io sono venuto qua per farmi un futuro e per tornarmene a casa. Perché io dico sempre che qua sono un ospite, ° cioè non sarà mai casa mia, perché è giusto così °. Io qua sarò sempre un ospite, perché casa mia secondo me è dove sono nato e dove sono cresciuto. Quindi essendo un ospite, io me ne voglio andare, nel mio futuro io voglio tornare a casa mia, perché è giusto così. E quindi stare a fare l’università o queste cose qua, cioè… a me, non è che sembra di perdere tempo, però non penso che sia cosa fatta per me. Non mi interessa perché a me interessa lavorare, farmi un po’ di soldi e tornare. [Forse in Romania avrei studiato all’università per i minori costi e l’uso della mia lingua madre, ma in Italia no]… mia madre invece ci tiene tanto. Ma io gliel’ho detto. Int.: Secondo te perché ci tiene? Eduard: Eh, perché dice che può garantire un futuro migliore. Sì, anch’io sono convinto di questa cosa, però… fra cinque anni. E sono cinque anni che… ° fra cinque anni magari posso lavorare per conto mio °. […] Io già volevo smettere in terza, perché questa scuola dava una qualifica. ° Ma mia madre ha voluto farmi continuare, io le ho detto “Va bene, ti faccio un piacere, ma all’università non ci voglio andare” °. Sì, comunque sono venuto qua perché volevo andare a lavorare. Sì, la scuola serve, ma per carità. Ho fatto questi due anni, ma io volevo comunque smettere in terza. Però ormai sono qua, e finisco fino all’esame (stud. 43: Eduard, IP β sala bar, 20 M, Romania). Questo tipo di discorso sul funzionamento della stratificazione sociale per chi “viene da fuori” è stato riscontrato in prevalenza tra i genitori primo migranti, e solo nell’intervista 299 a Eduard tra gli studenti. Per Bai, per il quale conta soprattutto il ritardo scolastico accumulato, e per Marina, che abita sola e da settembre non godrà più della protezione del welfare, lo studio universitario è posticipato e visto in maniera espressiva. Piuttosto il lavoro autonomo per loro può essere uno strumento di mobilità sociale ascendente. Bai: E poi in questa scuola (sott.: in Cina) c’erano anche molti stranieri che studiavano, e mi era anche presa l’idea di fare l’università poi. E forse anche per questo motivo ho voluto fare la quarta e quinta e prendere il diploma, così poi se mi veniva voglia di fare l’università c’avevo questa opportunità. Ma penso che non ci andrò, dato che altri cinque anni di studio… non mi va più di farli altri cinque. Penso di iniziare a lavorare e iniziare a mantenermi. [...] Non vedo l’ora di finire così inizio a lavorare veramente. Sono un po’ stufo di studiare e diciamo di passare metà giornata a scuola, quindi vorrei proprio iniziare a lavorare. […] Mi dispiace perché mi piacerebbe farlo, cioè laurearmi in Economia, però… troppo tempo, penso di no. Int.: E non hai pensato di iscriverti ad esempio part-time per una laurea triennale? Bai: Sì, ho pensato, ma mi hanno detto che avere una laurea breve non… non è utile, è come se non l’avessi, quindi non avrebbe senso di prenderla, anzi sarebbe utile solo per cultura generale, perché ciò che insegnano è sempre utile, infatti io volevo andare all’università per quello, non per prendere una laurea, per avere proprio una laurea, ma per sapere di più io (stud. 46: Bai, IP β cucina, 21 M, Cina). Marina: A me piace studiare, infatti io lo dico sempre, se avessi i soldi andrei all’università, ma non ho i soldi, non vado all’università. Poi, sapendo che devo lavorare per mantenermi la casa e tutto… almeno quest’anno non ce la faccio, poi il prossimo anno se riesco a mettermi a posto e tutto potrei andare al serale. Non si sa. Però il mio desiderio è quello. Continuare ad andare all’università. Perché la cultura ogni giorno te la devi fare. [...] Int.: Pensavi di iscriverti all’università anche più avanti per un altro possibile tipo di lavoro? Marina: Potrei. Perché io avrei scelto Scienze dell’educazione. Perché io volendo fare psicologia volevo fare… cose varie, se poi c’è l’occasione… è sempre quanto costa, cioè quanto ti danno. Siam sempre lì. Però io l’università non la vedo… cioè non la vorrei fare per lo stipendio, per avere un lavoro. Per una cosa mia. Int.: Per te? Marina: Sì, così.[...] Vediamo, adesso per quest’anno niente. Poi dopo, sperando con il lavoro, tutte le cose, devo se posso fare anche quello. Int.: Sai che ti puoi iscrivere part time e paghi metà tasse. Marina: Sì, diciamo che con il mio reddito base già pago meno, però… bisogna avere anche il tempo per studiare. Ho visto che già la scuola superiore porta via del tempo, anche l’università porta via del tempo. Però arrivare a 30 anni e non avere ancora fatto neanche l’università non ha molto senso. Spero di iniziarla (stud. 47: Marina, IP β arte bianca, 20 F, Macedonia). Accanto alla riuscita scolastica precedente e le attitudini allo studio, le risorse economiche familiari provate dalla crisi, i desideri di adultità e anche, in subordine, la mancanza di tempo per reperire informazioni puntuali sui corsi post diploma gratuiti o sulle borse di studio disponibili tra gli studenti che lavorano e che devono studiare per la maturità in una lingua diversa dalla lingua madre, orientano verso l’ingresso nel mercato del lavoro immediato. Se tra i diplomandi di istituto tecnico è più diffusa l’aspettativa di trovare impiego valorizzando il titolo di studio, riconosciuto nel mercato del lavoro locale soprattutto nel caso dell’IT Alfa, per i frequentanti l’istituto professionale, specie Beta, c’è disponibilità a accettare sostanzialmente qualsiasi lavoro. Sia per gli studenti di IT che 300 di IP che non intendono laurearsi, mettersi in proprio sembra la via più praticabile per accedere a posizioni “nel mezzo” della stratificazione sociale, accanto ai corsi post diploma più costosi e impegnativi, come quelli privati di grafica, di mediazione interculturale o di elettrotecnica. Malgrado l’effetto delle aspettative elevate dei genitori migranti sia molto citato tra i fattori che spiegherebbero le migliori performance di alcune provenienze nazionali, inoltre, va notato che non sempre queste aspettative riescono a concretizzarsi in suggerimenti precisi e sostegno all’orientamento in uscita dalle scuole superiori. Le indicazioni dei genitori sembrano più specifiche, e diverse dalla narrazione più diffusa per le figlie femmine a favore dei corsi per le professioni sanitarie, solo nel caso di genitori laureati nel paese di origine. Però va notato che in questi casi rischiano di spingere verso percorsi desiderati più dai genitori che dai figli, con esiti da indagare. Le affermazioni sulle aspettative dei genitori migranti, e in particolare sul fatto che le aspettative dei genitori migranti sarebbero molto maggiori rispetto a quelle dei nativi, andrebbero quindi controllate empiricamente nelle loro implicazioni e nei loro effetti nel tempo. Da questo studio emerge che oltre agli aspetti emotivi, senz’altro importanti, vanno considerati anche gli effetti dei fenomeni di riproduzione sociale, e inserimento verso il basso dei primo migranti nella stratificazione occupazionale, dal momento che il posizionamento relativo dei migranti e della praticabilità dei loro progetti in istruzione avviene in base a questi processi, e alle risorse che ne derivano. In altri termini, essere “schiacciati verso il basso” rende faticoso risalire attraverso lunghi e costosi percorsi in istruzione, tra l’altro dagli esiti incerti. Dal momento che il campione, come da ipotesi, include studenti con buona o almeno sufficiente riuscita scolastica precedente, tuttavia, è possibile cogliere progettualità di inclusione verso l’alto da gran parte delle interviste realizzate. Se i genitori laureati fanno sentire chiaramente il peso della “paura di cadere”, e delle loro competenze sui sistemi di istruzione terziaria, anche in condizioni economiche incerte, per gli altri è difficile dissuadere i figli dall’iniziare a lavorare dopo il diploma, specialmente quando, nel caso di famiglie monoreddito o non percettrici di alcun reddito al momento della transizione a causa della congiuntura, il contributo economico dei figli è una necessità. Naturalmente queste riflessioni si basano su “intenzioni” di transizione educative rilevate da tre a cinque mesi prima dell’effettiva transizione. Come abbiamo visto nel secondo capitolo, tuttavia, si tratta di un tempo ragionevole per cogliere progettualità concrete. A parte le iscrizioni che dipenderanno dal superamento dei test di ingresso delle Facoltà 301 sanitarie, a detta delle stesse intervistate ardui per chi possiede una formazione di base di istituto professionale, è molto probabile, almeno secondo gli studi disponibili sullo scarto tra intenzioni e iscrizioni, che gli intervistati procederanno come hanno riportato durante l’intervista126. Piuttosto per i nostri interrogativi di ricerca va segnalato che l’iscrizione all’università non implica immediatamente successo e ottenimento della laurea. Sono ancora rari risultati empirici sul successo o l’abbandono dei migranti in istruzione terziaria in Italia. I primi risultati del progetto SECONDGEN suggeriscono che tra gli studenti universitari di origine immigrata, nati in Italia da genitori nati all’estero o riuniti dopo la prima fase di scolarizzazione nel paese di origine e poi diplomati in Italia, siano molto diffuse condizioni di marginalità e difficoltà di riuscita. La presenza crescente di studenti migranti all’università sarà una sfida per quell’ordine di insegnamento, oltre che per i progetti dei migranti di inserirsi negli strati “medio-alti” della società italiana (o di altri paesi). Accorgimenti didattici e organizzativi per facilitarne la riuscita nell’istruzione terziaria, come informazioni chiare su procedure, orari, servizi e opportunità (in primis su borse di studio, su mense, studentati, aule studio e biblioteche), corsi in altre lingue comunitarie, se non proprio certificati intermedi sui contenuti più applicativi spendibili nel mercato del lavoro internazionale, sarebbero auspicabili anche per attrarre studenti universitari dall’estero, obiettivo ritenuto importante delle economie più sviluppate (Oecd, 2012). 7.2. Le aspettative occupazionali e di inserimento sociale tra obbligazioni e desiderio di adultità Chiedendo agli intervistati di esprimere i loro progetti post-diploma, sostanzialmente questi restituiscono aspirazioni di transizioni alla vita adulta che li collochino in posizioni “intermedie” della stratificazione sociale. Vorrei… essere felice. Avere un lavoro, una famiglia, una casa. Non dico essere ricco, ma vivere bene, non starmi a preoccupare ogni giorno di come arrivare alla fine della giornata, essere tranquillo, sai? Poter fare una vacanza qualche volta, fare un lavoro dignitoso, non come mia mamma che non sa quando lavora, quando non lavora, fa un lavoro faticoso, pagato 126 Anche se naturalmente sarebbe interessante appurarlo coinvolgendo gli intervistati in uno studio successivo, dal momento che le ricerche consultate nel capitolo 2 a tal proposito non tengono conto dell’eventuale impatto dell’origine nazionale sullo scarto tra intenzioni e comportamenti in istruzione, mentre invece potrebbe essere un terreno dove si manifestano le disuguaglianze legate alla maggiore precarietà, residenziale e economica, delle famiglie migranti, unite alle differenze tra nativi e migranti da paesi a forte pressione migratoria sulle definizioni dei confini dell’adultità, e delle responsabilità e obbligazioni intergenerazionali. 302 male e considerato male. Anche per quello ho voluto studiare (stud. 12: Alexandru, Liceo α scientifico, 21 M, Romania). Poter vivere una vita dignitosa, senza eccessi ma neanche senza privazioni. Vivere normali, non… potersi permettere… vacanze, non dico alle Hawaii, però vacanze di un mese, 20 giorni, poter togliersi gli sfizi, why not? Delle cose normali, neanche… da casa Agnelli, cioè delle cose normali (stud. 16: Hind, Liceo α scientifico, 22 F, Marocco). Int.: Un tuo progetto, qualcosa che vorresti realizzare? Arzan: Boh, mi basta avere una vita tranquilla, felice, bon, basta. Int.: Secondo te come si fa, di cosa è fatta una vita tranquilla? Arzan: Trovare un lavoro stabile, una famiglia, cioè non è che ho un sogno vero e proprio (voce che trema). Una vita tranquilla come tutti, cioè come la maggior parte delle persone, medio alta. Bon, basta. Cioè mi accontento di poco (sorride) (stud. 14: Arzan, Liceo α scientifico, 20 M, Albania). Il mio sogno è trovare un lavoro ben retribuito e poter comprarmi una casa. E quello proprio per come ho vissuto, nel senso è quello che vorrei avere e vorrei offrire alla mia famiglia e ai miei figli (stud. 49: Mirko, Liceo β scientifico, 19 M, Romania). Sono pochi quelli che guardano all’interno del circuito formativo: Trisha, Elisabeta e Gratian. Prima di tutto finisco la quinta e prendo il diploma. Poi laurearmi, e poi sarò in punta di piedi! (ride) (stud. 2: Elisabeta, IP α sociale, 20 F, Romania). Innanzitutto voglio arrivare alla laurea, poi si vedrà (stud. 28: Gratian, IT α meccanico, 19 M, Romania). La maggior parte, anche tra chi intende proseguire gli studi all’università, si proietta innanzitutto nel mercato del lavoro. Int.: Se tu potessi esprimere un progetto, un obiettivo per il tuo futuro, che cosa vorresti realizzare? Marisa: Avere un buon lavoro, saper parlare bene le lingue, sapermela cavare nel mondo (stud. 5: Marisa, IP α turistico, 19 F, Santo Domingo). Adesso ho le idee un po’ confuse. Cioè quando ero piccola potevo sognare qualsiasi cosa, ma adesso… e… (0.02). Diciamo che non saprei adesso, poi, poi vedrò, però non so darti una risposta concreta. Ma in generale, non so, comunque (0.02) lavorare, cioè non fare un lavoro monotono, tutti i giorni la stessa cosa, non so, un po’ più creativo. Poi cioè so che questo è abbastanza difficile, perché comunque l’innovazione, la creatività, è abbastanza difficile. Un lavoro che mi faccia sentire bene, apprezzata, tutto qui (stud. 13: Yin Mei, Liceo α scientifico, 19 F, Cina). Vorrei avere un lavoro non solo come gli altri disabili che dopo il diploma si infilano dietro la cattedra e caricano dei programmi e poi se ne vanno a casa […]. Per sentirmi importante, che valgo qualcosa, per dire al mondo: anche se sono qui su questa sedia ci sono comunque, posso fare delle cose che anche gli altri possono fare! Mi piacerebbe anche lavorare in più paesi, pensa un po’ […]. Essere riconosciuta da tutti, non perché sono prepotente, ma per dimostrare a me stessa e agli altri che io ci sono, parlo, rido, scherzo, ci sono. In questo mondo di oggi non importa se cammini o no, conta se hai il cervello, pensi, ridi, e hai il cuore per sentire e amare le altre persone (stud. 21: Aicha, IP α aziendale, 20 F, Marocco). Per Aicha un buon lavoro è anche un modo per “essere riconosciuta”, realizzarsi pienamente e dimostrare le sue competenze nonostante i suoi handicap fisici. Per tutti gli 303 altri la rappresentazione si sposta dalla conclusione degli studi e al lavoro che vorrebbero svolgere al nuovo nucleo familiare che vorrebbero costituire. Ma il mio primo sogno è prima di tutti finire gli studi, poi avere una famiglia e vivere tranquilla, non stando a cercare per tutta la mia vita lavoro, perché adesso vedo mia mamma che ha quasi 50 anni e cerca ancora lavoro. E non vorrei arrivare anche io a 50 anni a cercare lavoro, perché comunque non c’è. Anche se penso che la situazione peggiorerà (stud. 42: Ivona, IP α sociale, 20 F, Romania). Int.: Se pensi al tuo futuro, tu hai un sogno? Georgeta: (0.02) Non lo so in realtà. Va beh avere un buon lavoro. Avere una famiglia, figli… quello vorrei. Come la maggior parte delle donne pensi a sposarti, avere una casa tua (sorride) (stud. 17: Georgeta, IT α meccanico, 20 F, Romania). Trovare un lavoro e comprare una casa in Italia. […] Stare bene con il mio fidanzato e con mia mamma, avere un lavoro e andare tutti i giorni, non andare con la paura che domani magari non vai, magari… se fai un figlio magari non hai niente da offrirgli o… penso di stare bene, con il mio fidanzato e mia madre, e di lavorare per poi offrire (stud. 4: Tania, IP α sociale, 20 F, Romania). Vedermi laureata, con un lavoro, a posto. Non so. Iniziare diciamo la mia vita, non essere più dipendente magari dai genitori. Poi va beh, il mio sogno è un nostro sogno, cioè lui (sott.: il mio fidanzato) vuole venire qua, e anche io (stud. 8: Karina, Liceo α scientifico, 20 F, Romania). Fare l’ostetrica, sposarmi, avere dei figli (stud. 22: Fadia, IT α liceo tecnologico, 19 F, Marocco). Beh, avere… cioè sposarsi, avere una famiglia, avere un lavoro per sostenere la tua famiglia. Non ho… cioè non voglio fare il presidente o… così, se riesco a avere una vita modesta, e comunque giusta. Senza rubare, senza fare ‘ste cavolate, ‘ste cagate, così. Tranquillo (stud. 24: Bogdan, IT α elettrotecnico, 19 M, Romania). Dalle aspirazioni post-diploma emergono differenze di genere tra studenti e studentesse. Come gli studenti, anche le studentesse considerano l’ottenimento di un “buon lavoro” un requisito per formare una nuova famiglia e avere figli, ma a differenza che i compagni maschi, che non citano questo aspetto, le femmine sottolineano l’importanza di un orario che permetta anche di gestire gli impegni familiari. Tuttavia, anche nei casi in cui “incontrare il principe azzurro” (Safia) è uno dei progetti per il futuro, rimane ferma l’intenzione di capitalizzare il percorso formativo intrapreso con l’emigrazione familiare. Safia: [Vorrei sposarmi con una persona] con un’etica uguale alla mia. Int.: Tu vorresti anche un ragazzo che fosse musulmano? Safia: Sì. Int.: E poi lo vorresti magari di qua, che ti permetta? Safia: Nel senso qua in Italia? Int.: Sì. O ti sposteresti…? Safia: Ma dipende sempre da chi incontri, nel senso se ne vale la pena per… sempre… ne ho incontrati anche altri in Marocco che magari possono essere anche accettabili, però questi qua guardano anche al futuro, e allora io dovrei ritornare e rinunciare anche agli studi e io ho detto (sorride) “Eh no, eh? Quello proprio no!”. Se no cosa siamo venuti qua per? (stud. 7: Safia, Liceo α scientifico, 19 F, Marocco). 304 Come tra i giovani nativi, emerge disaffezione verso la dimensione partitica della vita politica italiana, a cui si aggiungono anche tensioni nei confronti della procedura di naturalizzazione, ritenuta da molti troppo lunga, costosa e, per chi risiede in Unione europea come i romeni, anche di dubbia utilità. Ciononostante, in particolare gli studenti di liceo, restituiscono progetti nei quali la propria realizzazione attiva nella società comprende la partecipazione alla vita politica; nel paese di origine, come per Koffi, ma soprattutto per favorire le relazioni interculturali e intergenerazionali in Italia (Saloua, Hind, Iulian) o nell’ambito della cooperazione internazionale (Karina, Flor). Vorrei riuscire a fare qualcosa di buono anche nel sociale. Magari ho pensato ° > anche di partecipare un po’ alla politica < °, tra un po’ di anni magari, anche cose piccole, non so, anche… non so mi piacerebbe anche ad esempio fare un ristorante sia rumeno che italiano, qualcosa… che serva per… unire la gente (stud. 50: Iulian, Liceo β scientifico, 19 M, Romania). I genitori che svolgevano incarichi qualificati nel paese di origine e hanno intrapreso percorsi di mobilità occupazionale e sociale ascendente nella società di destinazione incoraggiano i figli all’impegno politico come via di piena inclusione in Italia e frutto maturo di tutto il percorso di mobilità geografica e sociale familiare. Io mi ricordo il primo giorno che sono andata a votare: ero contentissima!!! Che poi comunque ero la prima che votava effettivamente in famiglia, perché mio padre adesso l’ha presa la cittadinanza, però l’ho presa prima io perché da 18enne nata qui, ho fatto la domanda e me l’hanno subito data, per territorio. E… mia mamma era contentissima: “Mi raccomando, vestiti bene!” (stud. 37: Saloua, Liceo α socio-psico-pedagogico, 20 F, Tunisia). Lo studio è visto dagli intervistati, anche negli altri tipi di scuola, come la prima caratteristica per ottenere la posizione sociale desiderata, attraverso il successo lavorativo, insieme all’impegno e alla determinazione individuale. Solo in due casi è citata la reazione societale nei confronti dei migranti come possibile ostacolo, ad esempio per lavorare in settori in cui è importante il contatto con il pubblico (Gloria) oppure più in generale (come spiega Dimitri). L’ostacolo potrebbe essere molto… cioè i soldi forse, che sono un po’… però se si lavora magari si trovano i soldi. E poi magari l’odio di qualche persona che non ti vuole tra i piedi, che non ti vuole in quel posto. Esiste (stud. 19: Dimitri, IT α informatico, 21 M, Romania). Piuttosto intimoriscono variabili macro strutturali di cambiamento del mercato del lavoro, e le conseguenze di tali cambiamenti nel primo ingresso dei giovani. Int.: Secondo te quale potrà essere un aiuto e un ostacolo che incontrerai nel raggiungere questo tuo obiettivo? Bogdan: A parte la scuola, che comunque se studi, hai un lavoro, e quindi adesso penso solo a studiare, perché dopo se non hai qualcosa sottomano non puoi trovare un lavoro. E dopo io sono credente, e quindi… […] Int.: E invece come ostacoli? Bogdan: Ostacoli? Beh, ostacoli… l’economia di tutti i paesi sta andando a… ° a monte, cioè… ci stiamo disgregando e… ° ma io ho ancora fiducia su come potrebbe andare, cioè 305 potrebbero migliorare le cose. Si vedrà. Cioè sono questi gli ostacoli: ° che non si trova lavoro… ° Altri ostacoli non ce ne sono. Se sei una persona giusta, che vuole lavorare, non vuole rubare, non vuole ubriacarsi, non vuole drogarsi… non ci dovrebbero essere altri ostacoli (stud. 24: Bogdan, IT α elettrotecnico, 19 M, Romania). Bogdan fa cenno alle difficoltà di entrare in un mercato occupazionale percepito in trasformazione e per certi versi declino, emerse anche dalle interviste alle insegnanti testimoni qualificati, le quali restituiscono l’angoscia degli adulti nei confronti dell’”effetto periodo” sull’inclusione occupazionale dei giovani, nativi e migranti, in Italia. Tuttavia anche per gli studenti che esplicitano più chiaramente la percezione della precarietà occupazionale vissuta dai coetanei oppure dai genitori, i percorsi di inclusione sociale sono visti come l’esito delle strategie e degli sforzi individuali per acquisire meriti e competenze riconoscibili e riconosciuti. Per questa ragione proprio il “lavoro fisso” è ancora visto come il requisito essenziale per muoversi verso l’adultità nelle condizioni ambite, e lo studio è visto come una modalità (l’unica accessibile a tutti e dipendente dall’impegno individuale) per ottenere una buona posizione occupazionale. Beh la cosa che potrebbe aiutarmi è proprio studiare tanto, proprio l’impegno. Perché così riesco ad andare avanti (stud. 3: Carolina, IP α sociale, 19 F, Romania). Int.: Secondo te cosa ti aiuterà a raggiungere il tuo obiettivo? Oppure un ostacolo che potresti avere? Arzan: L’ostacolo è nella scuola, la voglia. Cioè se riesco a finire penso di riuscire alla fine, a trovare, a trovare un lavoro (stud. 14: Arzan, Liceo α scientifico, 20 M, Albania). Int.: E secondo te cosa può aiutarti a raggiungere questi tuoi obiettivi? E cosa può ostacolarti? Tania: Una cosa che mi può aiutare è finire l’università, tranquillamente, e poi trovarmi un lavoro. Poi magari… una cosa che mi può impedire di fare questa cosa qua… no sinceramente non lo so, perché se tutto va bene, non penso cosa ci può essere che ti può impedire di fare una cosa, cioè nel senso se… c’hai i soldi, o comunque c’hai la salute, c’hai qualcuno che ti sta accanto, non penso che ci sia qualcosa che ti possa impedire di… sinceramente non lo so, boh. Cioè ad esempio per prenderti una casa sicuramente non basto solo io, sicuramente ci deve essere il mio ragazzo, magari dovrà esserci un garante o qualcosa, magari se c’è un contratto magari ti danno anche un finanziamento per prenderti una casa. Ma poi sinceramente non so cosa ti può… (stud. 4: Tania, IP α sociale, 20 F, Romania). Le caratteristiche per ottenere un buon lavoro sono dunque in primo luogo il titolo di studio e le competenze acquisite, e poi doti personali come la capacità di cooperare e la perseveranza. Anche se c’è consapevolezza del fatto che la qualifica non implichi affatto assunzione in quel settore, ma che servano competenze settoriali. Ci sono molti laureati che finiscono a fare tutt’altro. E quindi è un po’… un po’ un casino (sorride). Quindi a volte basta, ma a volte non basta. Quindi… non so, forse o siamo noi sbagliati, o è la società sbagliata in quel senso lì, però… avere qualcosa in più, una qualifica serve comunque, almeno… per un qualcosina, magari ti guardano più a te che hai la qualifica che all’altro che non ha niente, in quel senso lì (stud. 39: Pilar, IP α sociale, 20 F, Perù). 306 Anche le mie scelte sono state basate appunto perché… cioè ho fatto le superiori perché senza non avrei trovato lavoro. O comunque lavoro soddisfacente. E… non finisco con le superiori perché preferisco avere una sicurezza in più. Perché comunque è stato anche un po’ un ritardare l’entrata nel mondo del lavoro. Perché comunque vista ° la paura magari di rimanere disoccupata e tutto. Per quello non ho mai pensato di iniziare subito a lavorare °. Poi sapendo che comunque in questo settore, mi ci metto io in un campo, ho conoscenze o altro, se no lavoro non si trova (stud. 53: Simona, IT β fotografia, 19 F, Romania). Gli intervistati fanno riferimento al ruolo dei legami personali per trovare lavoro, oltre che alla “fortuna”, ma si tratta di elementi che considerano in secondo piano127: sanno che non potranno usufruirne (ad esclusione di due casi che tuttavia non potranno utilizzarli per la mancanza della cittadinanza italiana)128 e confidano che le qualifiche e le competenze che stanno ottenendo verranno riconosciute. Vediamo quindi come gli intervistati immaginano il lavoro desiderato. Naturalmente ci collochiamo prima del termine delle secondarie, per cui alcune delle rappresentazioni emerse durante le interviste rimangono piuttosto generali. Penso soprattutto in modo semplice, giorno per giorno. ° Non mi sono mai fermato a pensare a cosa mi potrebbe succedere, soprattutto perché tutto il mio universo è stato sconvolto diciamo, tre anni fa. Quindi mi si sono aperte tantissime nuove opportunità, quindi adesso non potrei pensare a niente di speciale, di specifico, si va avanti giorno per giorno e vediamo cosa succede dopo (stud. 33: Fernando, IT α informatico, 19 M, Argentina). Tuttavia anche in questo caso sono utili per cogliere i processi e le strategie di mobilità geografica e sociale prefigurati, così come vengono ordinate per fasi successive dagli intervistati. Si possono individuare due tipi di aspirazioni occupazionali: quelle caratterizzate da una spinta alla mobilità sociale ascendente, più diffuse tra gli studenti e le studentesse del liceo, ma anche di istituto tecnico, soprattutto Alfa, che vogliono proseguire gli studi all’università e al politecnico, e quelle più propense a cercare e accettare immediatamente un impiego dopo il diploma, anche se non corrispondente al titolo di studio secondario che si sta per conseguire, più presenti tra gli intervistati iscritti agli istituti professionali. Le professioni più ambite tra gli studenti che intendono provare a “muoversi verso l’alto” attraverso la laurea sono caratterizzate da alta qualificazione, elevata corrispondenza tra il titolo di studio che si intende conseguire e l’occupazione svolta, medio-alti livelli di 127 Si tratta di rappresentazioni del funzionamento del mercato del lavoro simili a quelle rilevate tra i giovani italiani: secondo gli intervistati dall’indagine IARD sulla condizione giovanile in Italia per trovare lavoro occorrono competenze, e poi relazioni, ma i giovani dichiarano di contare soprattutto sulle competenze, con differenze di classe sociale: per gli operai contano ugualmente relazioni e competenze, mentre per i figli di classi elevate contano maggiormente le competenze e lo stesso accade per effetto del capitale culturale della famiglia elevato (Argentin, 2007). Per i migranti, viceversa, malgrado la classe occupazionale familiare sia bassa così come il capitale culturale riconosciuto dei genitori, la fiducia espressa nel fatto che i procedimenti di selezione saranno “meritocratici” è elevata. 128 Ricordiamo che anche dalla prima lettura dei dati Erica–WP3 emerge una minor incidenza di studenti che conoscono persone che svolgono il lavoro desiderato tra i migranti rispetto ai nativi (capitolo 3). 307 prestigio, retribuzione, responsabilità. I settori occupazionali in cui questo gruppo di studenti desidera inserirsi sono legati allo sviluppo di nuove tecnologie e servizi per l’industria e la finanza, oppure al terziario qualificato nel settore pubblico. Il mio sogno sarebbe trovare un lavoro, cioè lavorare per la Commissione Europea (sorride). Perché ho visto su internet che la Commissione Europea offre dei lavori sulla base di un concorso e mi piacerebbe molto. So che la richiesta è sapere almeno due lingue dell’Unione Europea. Io due le so già, poi l’inglese che è quello internazionale da sapere dappertutto, e sì, mi piacerebbe, dopo finita l’università, mi piacerebbe trovare un lavoro così (stud. 8: Karina, Liceo α scientifico, 20 F, Romania). Ho visto che l’Unione europea fa dei progetti con i paesi in via di sviluppo o non sviluppati, ho sempre pensato a questo (stud. 6: Flor, Liceo α scientifico, 18 F, Perù). Io ci tengo al lavoro anche per avere delle soddisfazioni. Perché vedo comunque anche mia mamma, e quelli che comunque mi stanno intorno, che lavorano tanto… per poter andare avanti, non hanno delle soddisfazioni. Mentre io che ho fatto la scuola, che son comunque cresciuta qua, ci tengo ad avere delle soddisfazioni, non avere solo un lavoro per arrivare a fine mese (stud. 3: Carolina, IP α sociale, 19 F, Romania). Adottando il punto di vista degli intervistati, consideriamo percorsi di mobilità verso l’alto, rispetto alla posizione familiare di origine, anche quelli che non prevedono il raggiungimento di incarichi dirigenziali, ma prospettano un inserimento occupazionale di qualificazione medio-alta nel settore pubblico o privato. Anche se i genitori nel paese natale occupavano posizioni più prestigiose, come Verim e Gaby, inseriamo queste prospettive di carriera tra le aspirazioni di mobilità ascendente per effetto della dequalificazione subita dai genitori in Italia, malgrado dai brani di intervista emerga un “segno” dell’oscillazione della posizione familiare vissuta in seguito all’emigrazione e ai percorsi educativi e occupazionali successivi dei membri della convivenza. Veramente non voglio, il primario o… però comunque un lavoro che… come ti posso dire. No, non prestigioso, un lavoro che comunque tu te lo senti proprio, tuo. In cui ti senti a tuo agio. Cioè il fisioterapista io non lo considero un lavoro prestigioso, un lavoro in cui io posso esprimere quello che so. Magari è considerato un lavoro in cui posso fare del bene a delle persone (stud. 15: Verim, Liceo α scientifico, 21 M, Albania). Io da sempre ho voluto lavorare con una camicia, un pantalone grigio, e magari un ufficio, e fare un incarico importante. Poi ho scelto Scienze infermieristiche, mi piace il corso e tutto. Però ho sentito dire da tanti che è una materia un po’ superficiale, non è tanto… non è che dici: “Oh, wow, guarda, un grande infermiere!” cioè è come, è uno come tanti altri. Non come per dire: “Sei un ingegnere…” cioè ha più prestigio essere. Però se mi piace… magari vedo anche che in questi tempi bisogna anche trovare… un lavoro stabile, e penso che le Scienze infermieristiche te lo può offrire. E… va bene (stud. 32: Gaby, IT α liceo tecnologico, 22 M, Perù). Tra i percorsi di inserimento “verso il basso” rientrano soprattutto i casi in cui le esigenze economiche familiari e il desiderio di emanciparsi finanziariamente dai genitori sono in primo piano, insieme alla mancanza della motivazione a proseguire gli studi. Basta che riesco a guadagnare qualcosa, e che mi trovo bene (stud. 44: Sabina, IP β sala bar, 20 M, Romania). 308 Punto prima a questo (sott.: il settore per cui ho studiato). Se non si trova niente, mi rifaccio a qualcos’altro, però nel frattempo continuerò a cercare in questo. Cioè, anche se andrò a fare il cameriere, però nel frattempo continuerò a cercare come grafico, cioè nella grafica (stud. 54: Emil, IT β professionale grafico, 20 M, Romania). Alla fine quello che viene viene, ai tempi d’oggi non è che posso dire “No, questo lavoro non lo faccio perché…” alla fine quello che viene lo devi prendere, secondo me (stud. 5: Marisa, IP α turistico, 19 F, Santo Domingo). Mi piacerebbe fare quello che ho studiato, per non buttare cinque anni, poi mi piace te l’ho detto. [...] Ma fino a un certo punto, se aspetto aspetto, ma se vedo che quello che ho studiato non corrisponde a quello che chiedono, cioè ovvio che vai (stud. 34: Daniel, IT α elettrotecnico, 19 M, Romania). Diego: Ho studiato come elettricista, e se trovassi un lavoro stabile in questo campo ci penserei, sì. Int.: E se trovassi un lavoro stabile in un altro campo? Diego: Eh, dipende da com’è e… in pratica poi dipende dalla situazione, cioè ° se la mia famiglia ha bisogno del mio aiuto economico ° accetterei eccome, quindi dipende anche dalle esigenze economiche della mia famiglia l’incertezza (stud. 38: Diego, IT α elettrotecnico, 21 M, Perù). Sarebbe bellissimo (sott.: avere un lavoro sicuro). Perché per gli stranieri è un po’ più difficile riuscire. Non basta avere soltanto il permesso di soggiorno, loro cercano… […] Però secondo me uno che riesce a finire la scuola e avere almeno un diploma, se cerca bene riesce a trovare. A meno che è… scarso scarso. Basta avere voglia di lavorare. Magari altro, uno che il lavoro non lo vuole fare, non vuole sporcarsi le mani… ma mettiti a lavorare e basta! (sorride). Diciamo che scelgono troppo. Per esempio loro, i miei compagni di classe, si lamentano perché i suoi genitori ricevono soltanto 2000 al mese. Cioè se sanno che io a casa mia, riusciamo a vivere un mese con 500 euro, proprio 400 di affitto, soltanto per le spese basiche a casa, così, e questi che si lamentano che non possono avere 2000 euro al mese. Secondo me non c’è neanche tanto questa crisi così, loro che non vedono in modo più… umile (stud. 56: Miguel, IT β grafico, 20 M, Brasile). Per Miguel i compagni di scuola italiani posticipano troppo oltre l’età adulta l’ingresso nel mercato occupazionale e lamentano carenza di posti di lavoro perché non si impegnano ad adeguare le loro aspettative alle reali opportunità. I giovani migranti intervistati che abbiamo inserito nelle aspettative verso il basso, invece, si dicono disposti ad accettare, in mancanza di alternative subito disponibili, anche le condizioni contrattuali meno favorevoli, oppure a lavorare senza contratto. Costela: Beh è sempre meglio il contratto intederminato oppure il contratto (sorride), almeno il contratto, perché ci sono tante persone che lavorano in nero. Mio papà ha lavorato molto al nero quindi… ° anche mia mamma ° non hanno avuto subito… non so, la fiducia di farle tutti i documenti, dunque è stata un bel po’ a lavorare al nero. Dunque… Int.: Tu accetteresti? A parte I lavoretti, tu accetteresti? Costela: Beh, se proprio mi serve un lavoro sì, però… è sempre più difficile… poi anche per la pensione, anche per il dopo, è sempre più difficile… […] Bisogna solo avere un po’ di voglia di lavorare. Poi magari se lavori un pochino al nero, e vedono che sei bravo, poi magari ti assumono, però… bisogna far vedere quello che sai fare (stud. 26: Costela, IT α informatico, 20 F, Romania). Penso che i primi anni lavorerò proprio come dipendente, non stabile, lavorerei anche in nero, perché ho già lavorato in nero e mi è stato utile anche se è stato in nero, perché penso sia in un certo senso giusto che ci sia questo lavoro in nero, perché se no gli studenti non 309 riuscirebbero a immettersi nel mondo del lavoro e a fare esperienza. Anche perché non tutti ti fanno i contratti per qualsiasi cosa, è logico, anche perché costa fare un contratto quindi per certi versi penso che sia giusto. E per altri penso che un contratto a tempo indeterminato debba sostituire il lavoro in nero perché uno che è anni che non studia e deve lavorare a tempo pieno deve avere un contratto, ed è giusto che abbia un contratto (stud. 46: Bai, IP β cucina, 21 M, Cina). Anche le testimoni qualificate che lavorano con studenti migranti di istituto professionale segnalano il rischio della ricaduta nelle stesse nicchie occupazionali ad alta informalità dei genitori. Pina: Molte volte pensano di ottenere molto più facilmente lavori in nero perché si adattano a situazioni a cui gli italiani non… si adattano. Int.: Quindi loro pensano di essere favoriti da un lato? Pina: Non favoriti, ma che possono trovare più facilmente lavoro se rinunciano a una parte dei loro diritti. A parità di richiesta, cioè voglio fare un lavoro che mi sia riconosciuto in tutto quello che… un italiano diciamo che indubbiamente ha più possibilità… (test. qual. 7 Pina). Non tutti gli studenti di istituto professionale tuttavia appartengono al secondo gruppo: come abbiamo visto alcuni, soprattutto femmine, aspirano a laurearsi e a svolgere professioni qualificate. Tutti noi studenti che veniamo qua abbiamo il sogno di magari prima lavorare un po’ così, e poi mettere i soldi da parte e aprire qualcosa che puoi gestire tu da solo (stud. 45: Rustam, IP β cucina, 20 M, Moldavia). Per gli altri una via di uscita dai percorsi di marginalità è costituita dal lavoro autonomo, come afferma Rustam in corrispondenza con le altre interviste, anche se al momento dell’intervista si tratta di idee ancora molto vaghe, tranne che per Marina, la quale dopo lo stage svolto presso una pasticceria nel paese in cui risiede, ha ricevuto un’offerta di vendita e sta valutando di accendere un mutuo con il suo fidanzato italiano. Un’altra forma di passaggio dal gruppo delle aspirazioni alte a quello delle aspirazioni basse potrebbe essere di senso inverso, in seguito al mancato raggiungimento degli obiettivi prefigurati, nei tempi stabiliti. Come spiega Lorena, infatti, trovare occupazioni qualificate per i giovani laureati è molto difficile in Italia anche per i nativi. Lorena: Tutti dicono che qua ° ci sia proprio un casino un po’ adesso… che gli italiani si spostano per cercare lavoro ° ieri proprio perché i miei hanno un negozio di mangimi per i cani. Ero lì ed è entrata una signora. Un’amica di mia mamma. E aveva detto che suo figlio aveva studiato Lettere, Lettere, e si è spostato, si è spostato in Inghilterra, per poter lavorare… ° ed è proprio italiano. Cosa ci possiamo aspettare noi, che siamo ancora un gradino indietro °. E quindi… non dico mille gradini indietro, però un gradino proprio… indietro. Però. Int.: Perché dici così? Lorena: No, perché… Non è che proprio mi sento ° inferiore °, proprio no, assolutamente. Però… cioè caspita (0.02) °° se metti in paragone un italiano che se ne va in terra straniera, che se ne vada l’italiano, e lo straniero rimanga qua a rubarti il posto, a voi può anche dare fastidio, almeno °. […] Perché ci sono tanti lavori comunque che gli italiani non vogliono fare e li fanno, lo fanno gli stranieri proprio per il bisogno, per poter vivere, solo alla giornata. Però… ° se gli italiani scappano perché nel loro paese non c’è… cosa possiamo aspettare per noi? ° Se non cambia veramente… poi con la crisi, con questo e quest’altro… 310 Int.: ° Se tu pensi al lavoro che vorresti fare… tu faresti… anche questi lavori che sono più…° Lorena: Ma io non avrei mai pensato di fare la cameriera, e comunque io lavoro il sabato e la domenica in un ristorante, il fine settimana, perché faccio un po’ di cassa e un po’ di sala (stud. 10: Lorena, IP α aziendale, 22 F, Cuba). Oltre al rischio, molto chiaro agli studenti e al loro gruppo dei pari, di non trovare occupazione e aumentare le fila dei Neet, fatto che porterebbe a una sorta di “cicatrice” nella storia occupazionale delle coorti più giovani (cfr. Oecd, 2012), anche la “precarietà” lavorativa, intesa come prevalenza di “contratti atipici”, è considerata una sorta di “destino”, al momento del primo ingresso nel mercato del lavoro, dagli intervistati di entrambi i gruppi. Anche se il loro desiderio, come anticipato, rimane quello di ottenere stabilità lavorativa in modo da progettare le successive transizioni alla vita adulta (vivere da soli, sposarsi, avere figli). Nessuno vorrebbe essere precario. Quindi un lavoro… Però… ormai è inutile dire “Non voglio un lavoro precario” perché è quello che c’è, insomma. Lo sfruttamento… è quello che è. Per cui se prima la garanzia era lo studio e l’impegnarsi per poi trovarsi un lavoro, adesso neanche quello lo è. Cioè da adesso… ci sono più… più fattori che incidono, che magari non ti so neanche… su cui non puoi intervenire. Se hai il papà medico, puoi andare a Medicina, e quindi hai possibilità che ti prendono, ma se non hai possibi… se non hai il papà medico, tu devi essere l’Einstein della situazione, per poter essere, cioè per poter farti notare, farti vedere e farti scegliere, quindi devi essere un genio, e se sei un genio ce la fai prima o poi. E quindi non essendo né un genio, né un papà medico… boh, è un po’ così (stud. 16: Hind, Liceo α scientifico, 22 F, Marocco). Per gli intervistati, anche nel gruppo dalle aspirazioni occupazionali più elevate, l’instabilità lavorativa risulta foriera di vulnerabilità più per i migranti che per i nativi, in mancanza di una rete parentale di supporto (v. Arzan). La stabilità (sott.: occupazionale) è alla base di tutto alla fine perché… Cioè svegliarti da un mattino all’altro e non avere lavoro non sai più dove andare. E poi qua io in Italia che sono in un paese straniero, senza nessuno che ti dà una mano… cioè per uno qua in Italia è diverso. Io sono solo e se non trovo lavoro non posso andare a dormire dalla nonna, o a casa propria. Io sono in affitto… dopo che uno ha comprato una casa è diverso. Ma adesso se mio padre non avesse lavoro, io dovrei pagare la casa, l’affitto, tutto. Mille euro io li spendo solo in casa e nelle spese! Quindi è tantissimo. Cioè senza lavoro… se mio padre non avesse lavoro… non lo so, sarebbe difficile (voce che trema) (stud. 14: Arzan, Liceo α scientifico, 20 M, Albania). Per questa ragione, e anche per la consapevolezza delle difficili condizioni lavorative e esistenziali delle famiglie con redditi incerti, come molte delle loro famiglie di origine, la stabilità del lavoro almeno nelle fasi più avanzate della carriera, è una caratteristica ambita da tutti. Inoltre per tutti, anche quelli che non intendono più trasferirsi ulteriormente, il mercato del lavoro adottato come punto di riferimento cognitivo è quello internazionale. Esso include almeno due paesi, l’Italia e il paese di origine dei genitori, ma di solito comprende anche i paesi dove risiedono i parenti migranti e altri paesi a sviluppo 311 avanzato, ritenuti più ricchi di opportunità per l’inserimento occupazionale e sociale per i giovani, in particolare Nord Europa e Nord America. La mobilità geografica è dunque prospettata come possibile via per ampliare le opportunità di assunzione alle condizioni desiderate, soprattutto per gli appartenenti al primo gruppo degli intervistati, ma anche, in misura minore, nel secondo gruppo. Miranda: Eh… Io penso che il lavoro sarà molto meno in futuro, come adesso, ma anche meno in futuro. ° Però non bisogna pensare troppo, perché se pensi troppo ti fai… °. Stefan: Mio figlio ha due varianti adesso: di fare ingegneria all’università o fare l’operaio. Ma fare l’operaio lo può fare lo stesso. Però… però ha un pezzo di carta, quel diploma non… non glielo tocca nessuno. Miranda: Lui sai cosa dice? Se sarà qua, sarà qua. La scuola la finisce qua. Ma lui dice che può andare anche in Danimarca, può andare in… lui pensa! Uh! Stefan: Perché mio figlio è un lavoratore proprio, è un lavoratore (gen. 2: Miranda e Stefan, genitori di Gratian [28], IT α, Romania). Gloria: Credo che tutti vogliano un contratto sicuro e non precario, come ce ne sono tra… adsso moltissimi. […] Int.: Questi sono discorsi che fate anche con i tuoi amici […], ci pensate? Gloria: Sì, sì… è una cosa… ovvia, di tutti i giorni, quindi… Int.: Cioè sapete che poi il mercato del lavoro sarà… Gloria: Sì, sì, lo sappiamo. Infatti è quello il problema che mi fa anche pensare a cosa fare, se restare qui, o andare in Romania, se comunque la situazione non è migliore né da una parte, né dall’altra… non lo so! Infatti spero di fare l’internazionale per andare non so dove! (sorride). Magari dove… dove ci sia un lavoro più sicuro, una vita migliore…(stud. 31: Gloria, IT α liceo tecnologico, 20 F, Romania). I genitori migranti intervistati immaginano la partenza dei figli verso paesi terzi come una strategia per non sprecare l’investimento familiare in capitale umano in Italia, strategia che li accomuna agli emigranti, pur nella consapevolezza delle possibili letture di questi comportamenti di “exit” come “tradimenti”, per il fatto di impiegare altrove le competenze formate in Italia. Qua in occidente c’è più possibilità. Quindi non è quello, è l’altro. Si inizia a fare qualcosa, ti arriva il rimborso, vedi i risultati. Vedi come stipendio, si paga un po’ di più, rispetto nel mio paese. Per quello il ritorno, rispetto alla sua domanda per i giovani. Cosa faccio? Sono ancora giovane, se non è qua, vado in Belgio, vado non lo so, in Inghilterra. Però una volta arrivati qua, con questi documenti, siamo arrivati in Europa, non pensano di ritornare. Il loro paese è sempre… verso il meglio. […] Vedi io sono di un’altra generazione, lei (sott.: mia figlia) è di un’altra, perché è dopo. Eh… Mio periodo di gioventù si parlava spesso di patriottismo… io sono sicuro che anche in Italia una quarantina di anni fa si parlava di questo. Erano degli scienziati che facevano (sott.: lavoravano) appunto per l’Italia. Però da un certo punto, anche con la moglie hanno lasciato il paese. Uno che vuole svolgere la sua… è preparato, ha studiato per certe cose, non lo aiuta nessuno… e va altrove… (g. 9: Costantin, padre di Elisabeta [2], IP α, Romania). Le testimoni qualificate che si occupano di orientamento in uscita alle secondarie di II grado riscontrano una attitudine più diffusa dei migranti a guardare alle possibilità di studio e lavoro all’estero rispetto ai coetanei nativi129. 129 Dato confermato dai primi risultati della survey condotta sui diplomandi in Piemonte. 312 Claudia: No (sott.: non temono che verranno discriminati per l’origine nazionale nella ricerca di lavoro). Anzi io direi che sono più gli italiani che dicono “Adesso mi diplomo, poi mi laureo, poi cercherò di trovare un lavoro come commessa in un supermercato”. Int.: Magari perché pensano che fanno facoltà… Claudia: No, ma perché hanno un destino rassegnato all’italiana. Ormai il ragazzo italiano medio ha deciso che la sua fine, per ben che vada sarà in un call center. Poi non è così e andrà a finire diversamente, però io direi più gli italiani che i non italiani. Poi se non va bene… c’è anche questo. Loro hanno un po’ un punto di forza, cioè una volta era ritenuta una carenza, ora secondo me è un punto di forza, cioè questo capire che non avere radici troppo profonde può essere un vantaggio. Per cui si dice molto che i ragazzi hanno questa visione a 180 gradi… però mi piacerebbe che fosse svolta una ricerca sull’Erasmus e mi piacerebbe quanti sono gli italiani residenti che partono e lasciano e quanto invece i ragazzi che hanno studiato qui venendo dall’Argentina o dal Sud Africa, e poi vanno in Svezia o in Norvegia, tranquillamente perché tanto… quindi io vedo anche sentendo ragazzi di altre provenienze e loro sono abbastanza tranquilli, loro dicono “Va bene se non sarà qui sarà in Romania, se non sarà in Romania sarà in Albania, se non sarà in Albania sarà in Finlandia non importa, vedremo”. Invece per i ragazzi italiani è ancora un po’… [...] Vorrei poter dire: “No resta, facciamo delle cose qua”. E nello stesso tempo però, come le facciamo? Questo… trovo triste che una ragazza di 32 anni mi dica “Tesoro, io vado a fare il medico in Finlandia. Perché io sto facendo il medico in Finlandia”. E io mi chiedo l’università che ti ha formata […], non è in grado…? No. […] “Mi danno 800 euro, là me ne danno 5000. Mi mett[ono] i bastoni tra le ruote, per motivi politici tra l’altro. Io… vado in Finlandia”. […] Posso capire chi va altrove. Mi spiace perché mi piacerebbe che tutti italiani o stranieri potessero trovare qualcosa di bello, ma non solo un trampolino, una piscina nella quale nuotare (test. qual. 5: Claudia). Se da un lato, i migranti appaiono più svantaggiati nella ricerca del lavoro nell’ambito locale per la carenza di legami sociali con persone che svolgono gli incarichi desiderati, specie per il gruppo di chi intende “muoversi verso l’alto”, dall’altro lato le loro competenze linguistiche e la rete parentale e migratoria transnazionale, insieme alla percezione di normalità dei percorsi di mobiltià geografica all’interno delle famiglie migranti, potrebbe spingerli a lasciare l’Italia, nel caso le aspirazioni risultassero irraggiungibili. 7.3. Genitori e figli a confronto. I progetti di mobilità sociale familiare durante la transizione alla vita adulta Int.: Pensa che i suoi figli potranno trovare un buon lavoro? Skordian: Sì, per questo siamo qua. Se loro non fanno niente, cosa facciamo noi migranti qua? Abbiamo abbandonato la laurea per loro. È un investimento per i nostri figli. Ma non tutto va come vogliamo noi. Ci sono delle cose… che non possiamo… (0.4) (gen. 5: Skordian, padre di Verim [15], Liceo α, Albania). Per scopi analitici possiamo individuare a livello idealtipico quattro percorsi di inclusione nella società di destinazione, guardando all’incrocio tra traiettorie familiari e aspettative dei figli (tabella 7.2). 313 Tab. 7.2 – Percorsi di inclusione nei sistemi di stratificazione sociale di destinazione delle famiglie migranti. Percorso di istruzione e aspettative di inserimento lavorativo dello studente Traiettoria di inserimento sociale familiare in Italia percorso ad alta qualificazione percorso a media-bassa qualificazione ascendente (a) inclusione verso l’alto (b) percorsi prudenti non ascendente (c) percorsi ambiziosi (d) inclusione verso il basso (a) Inclusione verso l’alto. Ne fanno parte gli studenti che possono contare su risorse economiche familiari stabilizzate (presenza di doppio reddito o di almeno un reddito stabile nel nucleo, abitazione di proprietà o accensione di un mutuo in Italia), anche se spesso in seguito a processi di “caduta” avvenuti subito dopo l’ingresso in Italia, con intenzione di proseguire l’istruzione terziaria per ottenere posizioni lavorative qualificate e ben remunerate. In questo gruppo la disponibilità a trasferirsi è più elevata e anche i tempi di transizione alla vita adulta sono rappresentati come più lontani che dagli studenti i cui percorsi possono ricondursi agli altri tipi di inserimento (nel campione si possono ricondurre a questo tipo ideale i percorsi di19 studenti, quattro di IP, sei di IT e nove di liceo). (b) Percorsi prudenti In questo caso nonostante i percorsi di stabilizzazione della situazione economica e sociale della convivenza famigliare, gli studenti propendono per percorsi di immissione nel mercato del lavoro più brevi, subito dopo il diploma. Qui la storia migratoria familiare, nel caso di madri migranti sposate con italiani, e la prima transizione educativa, unita al ritardo scolastico accumulato e la riuscita scolastica preceednte, fanno propendere per la media qualificazione (nel campione dieci studenti di cui sei di IP e quattro di IT). (c) Percorsi ambiziosi Anche se il nucleo familiare versa in situazioni di grande difficoltà economica, soprattutto nell’ultimo anno, a causa della perdita di lavoro del principale procacciatore di reddito del nucleo, o di entrambi i genitori se presenti, le risorse e gli investimenti precedentemente accumulati e la buona o ottima riuscita in istruzione dei figli, unita al fatto che alcuni dei 314 fratelli e delle sorelle hanno già lasciato il nucleo e si sono resi finanziariamente autonomi, spingono gli studenti, incoraggiati dai genitori, verso l’istruzione terziaria, contando su borse di studio, alternanza di studio e lavoro durante la frequenza dell’università, corsi di laurea brevi, triennali. In questo caso va notato che la situazione è presentata come cangiante dai suoi stessi protagonisti, che prospettano ridefinizioni in itinere, tra cui la continuazione degli studi nel paese di origine, o, più spesso, il trasferimento all’estero al termine degli studi per avere maggiori ritorni occupazionali e iniziare a “restituire” ai genitori (19 studenti, sei di IP, altrettanti di IT e sette liceali). (d) Inclusione verso il basso Si tratta del gruppo al quale si possono far risalire solo una minoranza di rappresentazioni degli intervistati (otto studenti, quattro di IP e altrettanti di IT). Per questi studenti la precarità della traiettoria migratoria familiare e la necessità di contribuire immediatamente all’economica domestica insieme alle performance scolastiche non sempre soddisfacenti degli studenti orientano ad accettare collocazioni nel mercato del lavoro simili a quelle dei genitori, nel caso non fosse possibile far riconoscere subito il diploma conseguito. In questo gruppo si rilevano le immagini della transizione all’adultità più segnate dal confronto tra nativi, “in ritardo”, e migranti, più “tradizionali” e legati ai tempi sociali definiti nel paese di origine dei genitori. Il ruolo della traiettoria migratoria familiare è dunque evidente nel disegnare le aspirazioni post-diploma, anche se emerge chiaramente un effetto del tipo di scuola frequentato (anch’esso, come abbiamo visto, scelto anche in base alla storia familiare). L’ansia della società ricevente sulla lealtà dei figli dell’immigrazione, a cui abbiamo fatto riferimento nel paragrafo iniziale sulle teorizzazioni dei processi di “integrazione”, emerge da questo timore di rilevare scarti tra aspettative di asceta e realtà di inclusione verso il basso. Ma abbiamo visto che molti agenti di coesione, selezione e riproduzione sociale operano per legittimare questo scarto. I migranti avrebbero bisogno di più tempo per ottimizzare il titolo di studio secondario che stanno per conseguire rispetto agli italiani, dato che potranno impiegare meno, se non per lavorare nei settori più “etnicizzati”, i legami sociali familiari. Tuttavia le esigenze economiche pressanti, nel caso di genitori qualificati nel paese di origine a causa dell’omologazione verso il basso delle posizioni sociali di partenza, e le concezioni delle 315 transizioni all’adultità come processi ravvicinati nel tempo, specie per il gruppo (d) spingono a accelerare il primo ingresso nel mercato del lavoro130. Le obbligazioni ai trasferimenti finanziari intergenerazionali verso l’alto, dei genitori verso i nonni lasciati al paese di origine, non sembrano influenzare molto questi percorsi, anche se alcuni migranti cresciuti con i nonni al paese, come Adelka e Xixi, pensano anche a loro per “restituire” il successo della loro inclusione sociale all’interno dell’ambito famigliare. Sembrano piuttosto contare il “desiderio di restituire” ai genitori, e prima ancora l’intenzione, o la necessità, di rendersi autonomi dal loro sostegno finanziario. Int.: Ti chiederei per finire se tu hai un sogno. Sabina: Un sogno. Ma il mio sogno è di trovarmi un lavoro, trovarmi bene, guadagnare bene, e vorrei comprare la casa a mia mamma. Int.: Ah, ti piacerebbe accendere un mutuo? Sabina: Scusa (piange). Int.: Ah, questa è una cosa bella, perché? Sabina: Perché mia mamma, no? Praticamente non ha una casa, praticamente lei ha la casa di mia nonna, no? (piange) Allora lei dice sempre che vorrebbe una casa sua. Allora è per questo (stud. 44: Sabina, IP β sala bar, 20 M, Romania). Questi aspetti sono particolarmente evidente nei casi in cui i sistemi di stratificazione sociale di riferimento per genitori e figli sono diversi. Se ad esempio per Saloua i genitori si collocano come lei in Italia, e qui intendono raggiungere tenori di vita “da ceto medio”, quelli di Dimitri, Koffi e Gratian intendono tornare al paese, appena i figli si sono resi autonomi. I nostri sogni rispetto a quelli degli altri sono sogni… tradizionali. Sposarsi, fare una famiglia, una casa, una macchinetta, uno spazio per delle ferie, sono cose molto, molto piccole… (gen. 8: Karim e Asmaa, genitori di Saloua [37], Liceo α, Tunisia). Valeriu: Il mio progetto è vedere mio figlio per la sua strada. Nicoleta: Come tutti i genitori, però io voglio vedere anche io. Valeriu: Poi forse mi ritiro (gen. 1: Nicoleta e Valeriu, genitori di Dimitri [19], IT α, Romania). Otto anni di sacrificio e io me ne vado, lui finisce di studiare e io me ne vado. Io era venuta qua per fare un lavoro per me (gen. 7: Zuna, madre di Koffi [35], IT α, Costa d'Avorio). Stefan: Io torno. Però devo sistemare mio figlio Gratian, prima. Quello grande diciamo che l’ho sistemato. Ce l’ha il suo lavoro. [...] Voglio un lavoro in una fabbrica, in un posto per quattro o cinque anni, quanto durerà, mio figlio, per finire l’università. Poi ancora un anno di sistemarsi, ° vado in Romania °. Gli lascio la casa. [...] Sistemiamo i nostri figli, e poi… 130 Non sempre comunque attendere un lavoro migliore può essere la strategia più conveniente in termini di ritorni occupazionali, specie quando si tratta di non laureati. Un recente studio condotto in Gran Bretagna (mercato del lavoro molto diverso da quello dell’Italia) sulle persone in cerca di occupazione con dati BHPS – British Household Panel Survey, ad esempio, mostra che le persone altamente istruite guadagnano status occupazionale, mentre i meno qualificati lo perdono rientrando nel mercato occupazionale dopo la disoccupazione, anche perché hanno maggiori pressioni economiche che li spingono a accettare il primo lavoro disponibile. Una lunga fase di ricerca del lavoro dunque favorisce i laureati, mentre penalizza gli altri (Schmelzer, 2011). 316 Miranda: Chissà. Perché siamo venuti qua per due o tre anni e poi guarda: ° quindici anni °. Spiace per i genitori, siamo undici fratelli, e loro sono tristi là da soli, davvero, ° non lo so cosa succederà alla fine. Mi dispiace per loro °. Qualche volta penso… succederà anche a noi papà (rivolta al marito). I nostri figli sono qua… (gen. 2: Miranda e Stefan, genitori di Gratian [28], IT α, Romania). L’acquisto della casa e l’ottenimento di un lavoro stabile da parte dei genitori sono intesi come mezzi per facilitare la futura inclusione sociale dei figli in Italia, mentre i genitori torneranno al paese. In questo modo il progetto di mobilità geografica e sociale familiare si colloca in un contesto transnazionale, all’interno del quale le diverse generazioni pianificano le loro strategie di inclusione, modificandole nel corso del tempo. La scelta del paese dove collocarsi in futuro sembra radicarsi in questo tipo di percorsi, in particolare nelle opportunità di situarsi nella scala sociale in base alla rappresentazione delle possibilità di usare le proprie dotazioni, individuali e familiari, offerte dai meccanismi di funzionamento della stratificazione sociale, localmente condizionati. 317 Conclusioni Le teorizzazione del nesso tra migrazioni e riproduzione delle disuguaglianze sociali, in particolare educative, si possono raccogliere in quattro principali filoni di indagine. (i) Gli studi sulla reazione dei sistemi scolastici alla presenza degli alunni migranti, di approccio più politologico, hanno sviluppato tipologie macro-comparative basate sull’analisi di elementi istituzionali e organizzativi da un lato, e sull’esame dei processi educativi-formativi formali e informali e degli approcci pedagogici all’insegnamento dall’altro. La problematizzazione della prospettiva per “tipi ideali” a livello nazionale e i risultati delle ricerche sui processi di convergenza a livello meso-locale hanno contribuito a mettere in luce strumenti analitici non ingenui per definire il contesto istituzionale dell’inserimento dei migranti. (ii) Le ricerche finalizzate a descrivere e “spiegare”, con metodi di indagine quantitativa, le differenze di performance scolastica tra nativi e migranti hanno messo in luce le condizioni della riuscita e i fattori influenti rispetto ai paesi di destinazione e partenza. I primi studi comparativi hanno evidenziato l’importanza dello status socio-economico per dar conto dello “svantaggio etnico” in istruzione, ma anche la necessità di spiegazioni aggiuntive, specifiche per i migranti, sulla cui importanza relativa e definizione teorica in letteratura non si è ancora trovato un accordo. Il contributo di un approccio più qualitativo, sviluppato anche in Italia, invita a considerare la riuscita scolastica come un processo multidimensionale, influenzato da fattori di natura individuale, familiare e contestuale. (iii) Un altro insieme di ricerche sviluppate soprattutto nei paesi a più lunga tradizione immigratoria sposta il centro dell’attenzione dall’effetto delle disuguaglianze sulle competenze e sui risultati scolastici raggiunti alle decisioni in istruzione, date le performance. Una definizione di scelta scolastica ormai classica si basa sull’approccio della teoria della scelta razionale, secondo cui le transizioni in istruzione sarebbero determinate da un calcolo dei costi e dei benefici del percorso scolastico intrapreso, data una stima delle probabilità di successo dello studente. Malgrado questa impostazione costituisca un utile riferimento teorico, in grado di illuminare con eleganza la dimensione strategica delle decisioni scolastiche, diversi studiosi hanno evidenziato uno scollamento tra l’equazione e i reali 318 processi di passaggio da un livello di istruzione all’altro. Risultati di ricerca metodologicamente accurati hanno comunque il merito di evidenziare come per i migranti esista un effetto significativo dovuto all’origine nazionale sui processi decisionali in istruzione. In Italia si tratta di un insieme di ricerche in via di consolidamento, anche per il fatto che il fenomeno immigratorio è più recente. I primi studi disponibili sottolineano la discrasia tra aspettative elevate per l’istruzione dei figli da parte delle famiglie e tendenza a orientare verso il basso da parte degli operatori scolastici. (iv) Il corpus di lavori più ampio inserisce i percorsi in istruzione all’interno delle riflessioni sulle traiettorie di inclusione/esclusione socio-culturale delle “seconde generazioni”. I paradigmi sull’“integrazione” degli immigrati e dei loro figli e nipoti hanno elaborato diverse letture critiche dei concetti di assimilazione e incorporazione, mostrandone i paradossi e le contraddizioni, ad esempio le discordanze tra i livelli di inclusione nei diversi ambiti di vita, economici e culturali. Questo insieme di studi ha portato all’avvio di programmi di ricerca finalizzati a identificare specifici o generali meccanismi di riproduzione sociale, con attenzione crescente al ruolo del capitale sociale e della famiglia. In Italia i ricercatori hanno indagato i processi di acculturazione e identificazione plurali e multiculturali, le particolari forme di socializzazione dei giovani migranti nei contesti urbani e transnazionali, il ruolo dei centri aggregativi extrascolastici, l’associazionismo immigrato. Il nesso tra i processi di ristrutturazione familiare e la riuscita scolastica di livello secondario e terziario come canale di mobilità sociale rimane invece una tematica ancora poco indagata. Nella prospettiva adottata per questa ricerca, come si è visto, abbiamo inteso l’istruzione non solo come acquisizione di competenze ma anche come investimento familiare per la futura collocazione sociale degli studenti e delle studentesse nei sistemi di stratificazione sociale di riferimento. Guardando al contributo degli studi sulle famiglie migranti e sulle migrazioni femminili, abbiamo impiegato come unità di analisi le convivenze familiari, definendone empiricamente i confini in base ai legami parentali modificati nel corso della mobilità geografica e considerandole come attori sociali internamente differenziati, innanzitutto per genere e generazione. In questo modo è stato possibile verificare come la realizzazione dei percorsi scolastici dei figli in Italia sia influenzata, oltre che da fattori che ne accomunano le traiettorie agli studenti nativi, anche da processi connessi all’origine nazionale alle modalità e ai tempi delle riunioni familiari, plasmati dal contesto istituzionale di ricezione dei flussi migratori. Per cogliere meglio le strategie di mobilità sociale ascendente (o di mantenimento di status dopo l’emigrazione), così come 319 vengono gradualmente ridefinite del corso della stabilizzazione delle famiglie migranti in Italia, ci siamo concentrati sui percorsi degli studenti migranti giunti al termine delle scuole secondarie di II grado e delle loro famiglie in Italia e in Piemonte. Si tratta di una popolazione dall’incidenza ancora ridotta, secondo i dati Miur, costituita in prevalenza da migranti che hanno iniziato a frequentare il sistema scolastico del paese di origine e poi si sono trasferiti per riunirsi ai genitori in Italia. In Piemonte e a Torino tuttavia le presenze degli studenti migranti nell’istruzione secondaria superiore, soprattutto tecnica e professionale, sono consistenti. Si tratta di un insieme composito di allievi accomunati dall’essere riusciti a evitare l’abbandono scolastico e ad affrontare diversi processi di selezione basati sulla riuscita (ripetenze, ritardi, valutazioni ricevute), stringenti per i cittadini non italiani in misura maggiore che per i compagni italiani, specie nel primo biennio del secondo ciclo di istruzione. Da una lettura descrittiva dei dati sul Piemonte tratti dalla survey condotta nell’ambito del progetto Erica-WP3 con gli studenti di quinta superiore, emerge che i migranti si sono iscritti nelle scuole tecnicoprofessionali più spesso che i nativi anche quando avevano conseguito votazioni elevate al termine delle medie, inoltre nel caso di prima scelta liceale si sono riorientati successivamente nelle “filiere corte” più spesso degli italiani. La classe occupazionale sembra avere un minore effetto per i migranti rispetto ai nativi, aspetto da leggere in relazione al processo di dequalificazione lavorativa dei genitori migranti in Italia, per il quale i laureati al paese di origine si collocano negli strati più bassi del mercato del lavoro italiano più spesso che i genitori laureati italiani. Rispetto alle propensioni di continuare o meno a studiare nell’istruzione terziaria, i migranti iscritti negli istituti tecnici e professionali dichiarano l’intenzione di proseguire più frequentemente che i compagni di scuola italiani. Tuttavia uno studente con background di immigrazione su tre segnala come principale motivazione dell’interruzione degli studi dopo il diploma la necessità di andare a lavorare. Guardando alle ambizioni lavorative, un dato significativo per la nostra indagine riguarda il fatto che non emerge tra gli studenti migranti una maggiore attrazione nei confronti del lavoro autonomo. Per le “seconde generazioni” scolarizzate in Italia, specie se liceali, l’imprenditorialità non risulta il principale canale di accesso alle posizioni intermedie o superiori della stratificazione sociale, come invece lo è stato per i genitori primo migranti, almeno basandoci sul versante delle loro rappresentazioni. Se, rispetto ai compagni di scuola nativi, è più raro che conoscano persone che svolgono il lavoro da loro desiderato, elemento che potrà rivelarsi uno svantaggio nella ricerca del primo impiego nel contesto locale, possiedono più spesso 320 certificati linguistici e sono maggiormente propensi a cambiare paese per trovare lavoro, due caratteristiche da sfruttare per valorizzare il proprio capitale umano nel mercato internazionale. Come è emerso anche dalle interviste ai genitori e agli studenti, nella loro riuscita scolastica in Italia, comunque, i migranti hanno usufruito meno di corsi extrascolastici, sia per il costo più difficile da sostenere rispetto alle famiglie native, mediamente collocate in classi occupazionali più avvantaggiate, sia per la mancanza di tempo, dedicato più allo studio individuale, ai “lavoretti” e alle attività domestiche (nel caso soprattutto delle studentesse), rispetto ai nativi. Le opportunità di istruzione forniti delle istituzioni pubbliche risultano quindi molto importanti. Per comprendere come la normativa scolastica italiana definisca vincoli e opportunità di inserimento degli studenti migranti abbiamo guardato all’interazione fra tre livelli di intervento: nazionale, locale e scolastico. A livello centrale, nonostante la recente politicizzazione del dibattito e i mutamenti in altri ambiti di policies, le indicazioni rimangono coerenti al modello integrato italiano. L’inserimento individualizzato di ogni allievo con approccio interculturale, proprio per la sua flessibilità, dà ampi margini di discrezionalità, fatto che, anche per le specificità ordinamentali e organizzative del sistema scolastico in Italia, si traduce in diseguale distribuzione dei diritti sul territorio. Date le minori risorse economiche e culturali degli studenti con background di immigrazione, inoltre, la contrazione della spesa in istruzione e alcuni cambiamenti in atto (tra cui l’aumento del divario curriculare tra istituti e licei, l’incertezza per le riforme in corso sulla strutturazione degli indirizzi di scuole secondarie di II grado, la diminuzione delle ore di lezione erogate, e la pesante riduzione dell’organico di sostegno e dei momenti di compresenza di più insegnanti) sembrano colpirli maggiormente. A livello locale, in Piemonte e a Torino, l’implementazione delle politiche nazionali è maturato attraverso la creazione di servizi sempre più specializzati e diffusi sul territorio. I rischi che emergono riguardano la parcellizzazione delle iniziative e la loro dispersione e ridondanza, per cui rimangono alcune aree di grande frammentazione. In mancanza di monitoraggi e finanziamenti strutturali, permane una grande differenziazione a livello sub-locale nella capacità di attrarre sovvenzioni private, peraltro più rivolte alla costituzione di sperimentazioni che al mantenimento di servizi ordinari, i quali hanno esiti meno visibili nel breve periodo ma sono ugualmente necessari. Malgrado anche per le secondarie di II grado i docenti e gli operatori più attivi negli ultimi anni stiano promuovendo la condivisione di competenze progettuali volte a predisporre procedure di inserimento conformi alle indicazioni pedagogiche interculturali più mature e modelli 321 didattici più inclusivi per i migranti, il livello dell’interazione diretta con gli utenti è lontano dal giungere a soluzioni convergenti, a differenza di quanto emerge dagli studi su altre politiche di integrazione degli immigrati e di gestione dell’immigrazione. A livello di istituto scolastico vengono piuttosto attuati processi di delega e negoziazione della normativa che il Ministero e gli Enti locali al momento non riescono a reindirizzare. Specie alla secondaria di II grado. I processi di innovazione dal basso che si sono attivati nel contesto piemontese hanno potuto contare sul coinvolgimento di esperti e sulla costituzione di accordi, tavoli di coordinamento a livello locale e reti di scuole, anche grazie al supporto del lavoro “extra” dei docenti e dei decisori pubblici più motivati. Queste iniziative non sono tuttavia adeguatamente sostenute o diffusi a livello nazionale. Lo scarto tra norme ministeriali inclusive e interculturali ma prive di controlli e risorse, e pratiche scolastiche assimilazioniste, dipendenti dal volontarismo degli operatori e dai regolamenti definiti dai singoli istituti scolastici e collegi dei docenti fa sì che l’inserimento dei migranti nelle classi scolastiche dipenda largamente da pratiche informali, molto differenti a seconda del micro contesto di riferimento. La normativa è così interpretata strategicamente per sostenere processi di selezione degli utenti delle scuole, oppure in alcuni casi non è neppure nota ai soggetti attuatori. Cattive o parziali informazioni, difficoltà legate allo status giuridico dello studente o più spesso dei familiari, ri-orientamenti verso i CTP o la formazione professionale regionale per chi arriva dopo i 14-16 anni di età, inserimenti in classi inferiori rispetto all’età o bocciature per ragioni linguistiche o non corrispondenza tra sistemi educativi, rischi di abbandono perché il termine dell’obbligo scolastico per età sopraggiunge prima che si possa conseguire una qualifica almeno triennale o talvolta anche prima che siano state concluse le scuole secondarie di I grado, anche a causa delle retrocessioni in classi inferiori rispetto all’età e/o delle bocciature, sono tutti processi che concorrono a incrementare istituzionalmente il ritardo scolastico degli studenti migranti. Dalle interviste ai testimoni qualificati condotte nella città di Torino emergono inoltre le seguenti caratteristiche, di tipo qualitativo e non ricavabili dai dati istituzionali finora resi disponibili dal Miur, distintive dei migranti che giungono al termine della secondaria superiore rispetto ai migranti drop-out: maggiore stabilità familiare, sia dal punto di vista della struttura familiare (presenza dei genitori), sia dal punto di vista del sostegno familiare allo studio anche attraverso legami transnazionali (genitori non presenti fisicamente ma attenti, figure di riferimento anche se “a distanza”), maggiore investimento familiare nell’istruzione come canale di mobilità sociale ascendente, 322 percorsi scolastici meno frammentati, più impegno e tempo dedicato allo studio da parte dello studente, migliore riuscita scolastica pregressa. I testimoni privilegiati inoltre sottolineano la maggiore difficoltà delle famiglie migranti rispetto a quelle native nel gestire la ri-motivazione all’apprendimento del figlio/figlia in caso di insuccesso scolastico, in particolare in seguito a bocciature. La maggior parte degli intervistati, nel campione come nella popolazione, sono arrivati in Italia in seguito ai genitori per riunificazione famigliare, anche se non mancano nati in Italia e minori non accompagnati. La partenza dei genitori è spesso lontana nell’infanzia, le ragioni dei genitori vengono condivise solo molto più tardi. Alla base dei progetti di migrazione, che gradualmente diventano familiari, si può leggere l’autocollocazione individuale e del nucleo domestico di riferimento nell’ambito di un sistema di stratificazione sociale internazionale. Elementi considerati importanti per definire la propria collocazione non sono solo quelli economici, legati in particolare alle chances occupazionali (ritorno economico, sicurezza e qualità del lavoro, prestigio e riconoscimento lavorativo). Anche se ovviamente questo calcolo di opportunità avviene con informazioni parziali e, spesso, non del tutto corrette. La qualità della vita, la partecipazione politica, il sistema di welfare, soprattutto per quanto riguarda la sanità e l’istruzione, spesso hanno condotto i genitori a partire anche sapendo che lo spostamento avrebbe implicato perdita di status. Tale “costo” dell’emigrazione è percepito in modo differenziato dai diversi membri della convivenza domestica, a seconda del loro ruolo nella famiglia, del genere, della collocazione professionale, degli atteggiamenti nei confronti dell’emigrazione e della struttura familiare al momento della decisione di partire (uomini soli prima dell’unione coniugale e della nascita dei figli, genitori con figli, donne single con figli). Il passaggio da emigrazione temporanea di un solo componente della convivenza familiare a stabilizzazione di tutti (o della maggior parte) dei componenti nel paese di destinazione è stabilito in rari casi prima della partenza del primomigante. Normalmente, secondo le narrazioni dei migranti intervistati, essa è negoziata tra familiari (coniugi e figli e altri parenti di riferiemento), via via nel succedersi delle fasi di ricomposizione o neoformazione del nucleo in Italia. Gli scambi di risorse economiche (e affettive) tra genitori e figli durante gli anni della separazione avvengono con la mediazione della rete parentale, in particolare dei nonni, o meglio delle nonne, ospiti dei bambini. Essere “figli di emigrati” rappresenta una forma di ascesa sociale simbolica e materiale, malgrado le difficoltà affettive, ma non sempre l’investimento delle rimesse inviate ai parenti lasciati al paese segue le indicazioni dei 323 primomigranti, con conseguenti riprogettazioni del piano di stabilizzazione familiare all’estero e talvolta perdita di risorse. La gestione della separazione prima e della riunificazione poi hanno esiti diversi sull’adesione dei ragazzi al progetto migratorio familiare, di cui l’inserimento scolastico è parte. Il quadro normativo sulle riunioni familiari in Italia e le risorse dei primomigranti sono vincoli per la preparazione dell’arrivo dei figli, da cui derivano ad esempio ingressi a scuola ad anno scolastico inoltrato, o senza tutti i documenti necessari per far riconoscere il percorso scolastico pregresso. Le relazioni genitoriali assunomo significati diversi nel corso del riavvicinamento tra genitori e figli nel paese di destinazione, con tensioni in particolare nel caso di nuove unioni coniugali. Ma gli esiti sulla riuscita scolastica e sulla collocazione della famiglia nella stratificazione sociale possono essere positivi, ad esempio nel caso dell’inclusione nel nucleo familiare di componenti madrelingua italiani. Alcune famiglie riescono a mantenere uno status occupazionale simile a quello del paese di origine, talvolta con maggiori sicurezze contrattuali, ma la maggior parte di chi si collocava “nel mezzo” prima di emigrare subisce processi di dequalificazione, non solo per le caratteristiche dei processi di inserimento dei migranti nel mercato del lavoro locale, ma anche per effetto della traiettoria migratoria familiare. In particolare l’irregolarità del soggiorno nel primo periodo in Italia costringe a inserirsi nell’ambito informale e la necessità di restituire il debito contratto con i familiari spinge i genitori ad accettare lavori poco soddisfacenti e remunerati ma ottenibili nel breve tempo con il supporto dei connazionali. La rinuncia a cercare da subito occupazioni qualificate è inoltre motivata dalla struttura del mercato occupazionale italiano, che richiede mansioni a bassa produttività. Dalla ricerca è emerso che il processo di riunione familiare ha agito sui percorsi occupazionali dei genitori in altri due modi. (1) Prima dell’arrivo dei figli, la necessità di pervenire al possesso dei requisiti per il ricongiungimento nel più breve tempo possibile da un lato ha reso indispensabile la firma di un contratto di lavoro, dalle condizioni sufficienti anche per procurarsi un’abitazione secondo gli standard di legge, e dunque l’uscita dall’irregolarità/informalità che ha caratterizzato gran parte dei percorsi migratori dei genitori nelle loro fasi iniziali. Dall’altro lato ha ridotto il tempo per la ricerca di collocazioni più rischiose, anche se a lungo termine sarebbero state più promettenti. (2) Dopo l’arrivo dei figli, soddisfare le accresciute esigenze economiche della convivenza familiare allargata, anche in termini di unità abitativa, ha reso arduo interrompere la 324 carriera cominciata e lasciare posizioni professionali relativamente sicure. Inoltre ha diminuito il tempo per la formazione professionale, e in generale il tempo per sé, specie per le madri e nel caso di un solo genitore, anche per la rarefazione del supporto parentale alla gestione dei figli dovuto all’emigrazione. Nel frattempo i genitori si sono confrontati con parenti, amici e conoscenti nelle medesime condizioni, e spesso anche nelle medesime fasi di riunificazione familiare, per cui le reti sociali hanno favorito la percezione di normalità dei processi di inclusione verso il basso, non solo per le risorse veicolate ma anche per le rappresentazioni della posizione che i primo migranti possono occupare nel paese di destinazione. I percorsi occupazionali delle famiglie coinvolte nella ricerca sono comunque caratterizzati dalla progressiva stabilizzazione di almeno uno dei genitori, quando entrambi presenti: anche se i settori occupazionali prevalenti rimangono quelli più “etnicizzati” (industria pesante, ristorazione, edilizia per gli uomini, cura alla persona per le donne), la precarietà e informalità delle prime mansioni svolte dai genitori in Italia è stata sostituita da maggiori tutele contrattuali, in caso di lavoratori dipendenti, o dall’avvio di attività imprenditoriali, anche se ancora più per gli uomini che per le donne. Alcuni processi di investimento riguardano l’acquisto della casa e, più raramente, l’apertura di imprese commerciali. L’acquisto dell’auto e la possibilità di “fare le vacanze” (in aggiunta al ritorno nel paese di origine nei mesi estivi, peraltro molto costoso anche per le obbligazioni nei confronti dei parenti left behind), per gli intervistati sono segnali di percorsi di successo. Tuttavia le traiettorie occupazionali dei genitori migranti nei due anni precedenti all’intervista sono state colpite duramente dai cambiamenti delle variabili macro-economiche: molti padri che avevano ottenuto mansioni operaie qualificate sono in cerca di occupazione, e le entrate del nucleo dipendono dall’impiego part time delle madri nel settore domestico o di assistenza agli anziani. Il venir meno del doppio reddito mette a dura prova le risorse familiari e il mantenimento degli investimenti intrapresi, a cominciare dal mutuo per la casa in Italia, in assenza di risparmi consistenti e della possibilità di attivare la rete parentale per ottenere sostegno. Risultano relativamente più protetti i nuclei familiari che avevano raggiunto posizioni più sicure. L’avvio di attività imprenditoriali per i genitori sembra il canale di accesso al ceto medio più praticato. Altri canali risultano il riconoscimento delle proprie qualifiche universitarie nel settore sanitario e l’acquisizione della cittadinanza italiana, con conseguente ottenimento di un lavoro qualificato nel settore pubblico in Italia, oppure il matrimonio con un cittadino italiano. In tutti gli altri casi, l’iniziale progetto di mobilità sociale alla base della decisione di partire dei genitori viene 325 posticipato e acquisisce sensatezza per la generazione successiva: attraverso l’istruzione terziaria e la migliore occupazionale dei figli. Questi ultimi sono coinvolti nel progetto di mobilità familiare e hanno consapevolezza delle aspettative dei genitori. Come abbiamo visto, i tempi di arrivo in Italia, posticipati, ad eccezione che per le famiglie con più risorse, hanno tuttavia procurato arrivi in corso d’anno e ritardo scolastico per gran parte degli intervistati, con effetti diversi a seconda dell’ordine e grado scolastico di primo inserimento: meno marcati durante la scuola primaria, più evidenti nel corso della secondaria di II grado. Per mancanza di tempo e informazioni solo alcuni genitori si sono attivati per la scelta della scuola e dei corsi di italiano prima dell’arrivo dei figli, elementi che si sono sommati alla reazione istituzionale delle scuole causando ulteriore ritardo soprattutto nel caso dei ricongiunti durante le superiori. Le figure di riferimento per l’inserimento in classe sono state il personale di segreteria, gli insegnanti, ma anche i datori di lavoro e i conoscenti dei genitori. In questo modo l’arbitrarietà delle procedure di iscrizione (o rifiuto dell’iscrizione) non è stata contestata dai genitori. Per i figli l’ingresso nelle scuole italiane costituisce un momento molto delicato perché coincide con la loro elaborazione dell’arrivo in Italia, non sempre auspicato, con l’impatto del nuovo ambiente, non sempre positivo, e della riunione ai genitori, non sempre ritenuti figure affettivamente significative, soprattutto nel caso di lunghe separazioni – o partenze di padri e madri quando i bambini erano molto piccoli. I minori ricongiunti devono affrontare le conseguenze dello squilibrio di status occupazionale esperito dai genitori nel mercato del lavoro italiano sulla loro auto e eteropercezione di sé, caratterizzata in molti casi dal passaggio dalla posizione vantaggiosa di “figli di emigranti” (con corsi privati, doni prestigiosi, e beni di lusso) alla posizione svantaggiosa di “figli di immigrati” (con condizioni di vita peggiori, o ritenute peggiori, rispetto a quelle dei coetanei nativi). Inoltre la migrazione procura squilibrio di status scolastico per gli studenti e le studentesse che avevano buoni risultati nel paese di origine, ma una volta in Italia divengono immediatamente incompetenti, anche al confronto con i compagni di classe spesso più giovani. I programmi di inserimento scolastico percepiti dagli studenti intervistati con maggiore chiarezza sono stati i corsi di lingue, ritenuti utili se di livello differenziato e con tempi concilianti rispetto agli impegni di studio ordinario, ma in caso contrario stigmatizzanti e nocivi. Le relazioni con i docenti sono in genere considerate buone (a parte in alcune scuole superiori a maggioranza di utenza italiana), mentre con i compagni si presentano affette da pregiudizi soprattutto per gli arrivati nel corso delle secondarie di I grado, periodo 326 eminentemente critico anche per il ruolo orientativo di quell’ordine scolastico, e agli istituti professionali. L’individuazione della scuola superiore da frequentare è l’esito di un processo complesso, in parte reversibile, che coinvolge una pluralità di attori e dipendente da diversi fattori. Li abbiamo distinti analiticamente in: i. fattori scolastici relativi al processo di orientamento e alle caratteristiche delle scuole superiori considerate; ii. fattori relazionali (consigli, informazioni e scelte dei conoscenti dei genitori e dei figli); iii. fattori economici relativi alle risorse familiari al momento della scelta e stimate a dieci anni da essa; iv. fattori culturali intesi come percorsi in istruzione dei familiari di riferimento in Italia e in altri paesi, e rappresentazioni dei sistemi di istruzione e del ruolo delle qualifiche per il successivo posizionamento sociale; v. fattori individuali inerenti il percorso e gli atteggiamenti degli studenti verso l’istruzione; vi. fattori derivanti dal progetto migratorio familiare (prospettive di mobilità geografica, prefigurazioni della spendibilità dei titolo di studio nel mercato del lavoro internazionale, aspirazioni e progetti di mobilità sociale familiare nei sistemi di stratificazione sociale di riferimento). Il momento dell’arrivo dei figli in Italia e la storia della riunione familiare attribuiscono un peso diverso a tali fattori. Nella scelta scolastica i genitori partecipano indirettamente, ma raramente conoscono il sistema di istruzione italiano, anche se i laureati con figli arrivati nel primo ciclo di istruzione sono riusciti a ricostruire un’immagine più ricca e condivisa delle opzioni disponibili. Il ruolo dei consigli degli insegnanti appare cruciale soprattutto per gli arrivati al termine delle scuole medie. Per ragioni principalmente linguistiche per loro è molto difficile evitare l’iscrizione all’istruzione professionale. I consigli orientativi ricevuti dalla scuola risultano comunque basati sulla riuscita scolastica pregressa più che su visioni stereotipate della posizione sociale che dovranno occupare i migranti. Tuttavia, anche nei casi in cui l’arrivo precoce e la condivisione del percorso migratorio familiare (oltre ovviamente a predisposizioni individuali all’apprendimento) abbiano consentito agli studenti migranti di apprendere la lingua italiana in tempo per conseguire un buon risultato finale all’esame per la licenza media, il liceo è rappresentato in primis come un percorso estremamente difficile. Di fronte a questa scelta le famiglie migranti (alcuni componenti delle famiglie, in alcuni casi solo i figli, in altri genitori e figli) considerano le probabilità di successo e i costi (come previsto nella formulazione della RAT), ma anche la disponibilità economica del nucleo stimata negli anni successivi alla scelta, perché il liceo implica la prosecuzione degli studi all’università. Valutano inoltre la spendibilità del titolo di studio conseguito nel 327 mercato del lavoro internazionale; le opportunità di proseguire gli studi in altri paesi, o di doverli interrompere improvvisamente per ragioni economiche, o legate alla messa in discussione del progetto migratorio familiare. La precarietà dei percorsi di inserimento è particolarmente sentita dai nuclei monogenitoriali, nel campione costituiti da figli e madri single. Inoltre elementi più contingenti come le amicizie con i coetanei studenti, le voci sulla reputazione degli istituti scolastici, la collocazione geografica delle scuole in relazione alla rete dei trasporti pubblici, esercitano una notevole influenza. Insieme all’esperienza precedente dei fratelli maggiori, se presenti, e alle procedure di iscrizione più o meno accoglienti delle scuole nel caso dei migranti neo arrivati in Italia. L’istruzione tecnica e professionale, tuttavia, non è considerata sempre una opzione al ribasso. Innanzitutto in molti dei paesi di origine dei migranti è un tipo di insegnamento valorizzato sia nel mercato del lavoro che nella gerarchia dei tipi di scuola per prestigio sociale. Inoltre le competenze acquisite sono ritenute molto utili nel caso di ritorni al paese. Dal momento che tutte le scuole secondarie di II grado in Italia danno accesso all’istruzione universitaria, per le famiglie migranti gli istituti, rispetto ai licei, rappresentato percorsi più prudenti, senza pregiudicare l’eventuale scelta di proseguire nell’istruzione terziaria. La formazione extrascolastica durante le superiori, comprese le lezioni di recupero, coinvolge solo una piccola parte degli studenti migranti intervistati (meno che i compagni nativi, come emerge dai dati Erica–WP3) sia perché è rappresentata come una sorta di “consumo di lusso”, sia per la “mancanza di tempo” dedicato spesso a lavoretti per rispondere alle proprie esigenze di spesa autonomamente dal bilancio familiare. In due casi il lavoro dei figli durante la scuola ha costituito un ingresso economico irrinunciabile per il nucleo, e qui il ruolo dell’istituzione scolastica, oltre che l’impegno individuale per lo studio, è stato cruciale per impedire l’abbandono scolastico. Il diploma è visto dagli intervistati come utile strumento per favorire l’inserimento occupazionale e sociale in condizioni più protette dei genitori. La scelta di proseguire all’università, laddove la situazione economica familiare lo permetta e la riuscita scolastica precedente sia buona, è motivata dal medesimo desiderio di migliorare le proprie credenziali in vista dell’inserimento lavorativo, e anche la scelta del corso di laurea segue criteri di occupabilità, sempre in ottica internazionale, più che criteri espressivi. Accanto a questi aspetti di mobilità sociale intesa dal punto di vista economico, compaiono inoltre altre dimensioni, più simboliche, di valorizzazione della propria immagine nello spazio pubblico attraverso il titolo di studio, sentite come 328 particolarmente importanti per i giovani con background di immigrazione. Il tipo di scuola frequentato, tuttavia, sembra influenzare le propensioni a continuare a studiare anche laddove la scelta dell’istruzione tecnica e professionale era vista come funzionale all’istruzione terziaria. Gli studenti di questi tipi di scuole, infatti, a differenza che i liceali, hanno amici prevalentemente connazionali già inseriti nel mercato del lavoro, rispetto ai quali si sentono “indietro” nelle diverse fasi di transizione alla vita adulta. Inoltre sono consapevoli che l’offerta scolastica di cui hanno usufruito, nonostante le aspettative, è stata molto meno ricca che quella che avrebbero ricevuto dai licei, e dunque costituirà uno svantaggio per il superamento dei test di ingresso delle Facoltà a numero chiuso. I processi di scelta e riorientamento avvenuti anni prima, dunque, tornano a influenzare la seconda transizione scolastica, rischiando di intrappolare i migranti meno motivati nelle qualifiche più professionalizzanti di livello secondario. Inoltre le rappresentazioni del mercato del lavoro e delle chances e delle caratteristiche per ottenere una buona occupazione non sono rosee: gli studenti e i genitori intervistati restituiscono le difficoltà della coorte dei giovani che fa il suo primo ingresso nel sistema occupazionale italiano. Le aspirazioni rimangono comunque di ceto medio. Nonostante la precarietà sia vista da gran parte degli intervistati come destino, l’aspirazione è di ottenere, attraverso la qualificazione nell’istruzione e la formazione continua, un contratto a tempo indeterminato. Oppure, specie per gli studenti di istruzione professionale, aprire una propria attività. I pregiudizi e le discriminazioni non sono percepite dai giovani intervistati un ostacolo particolarmente preoccupante. Dalla ricerca è emerso che paradossalmente i confronti tra compagni di scuola nativi e migranti sul “giusto posto” che gli immigrati dovrebbero occupare nella società italiana risultano più animosi nelle scuole professionali, proprio laddove la competizione per le posizioni intermedie della stratificazione sociale sembra minore. Le difficoltà a far valere le proprie competenze e capacità nel mercato del lavoro, tuttavia, per i migranti intervistati non saranno tanto dovute agli atteggiamenti dei datori di lavoro nei confronti dell’immigrazione, ma piuttosto all’importanza delle “raccomandazioni” per trovare un buon lavoro, su cui i migranti sanno di non poter contare, e, nel caso di chi aspira a occupazioni pubbliche, la difficoltà di ottenere la cittadinanza italiana. La disponibilità a trasferirsi tuttavia è figurata come una possibile soluzione per non sprecare l’investimento in istruzione effettuato e continuare il progetto familiare di ottenere mobilità sociale attraverso la mobilità geografica. Non tanto nel paese di origine dei genitori, dove per alcuni sarebbe più riconosciuto il valore di un titolo di studio europeo, 329 ad esempio per avviare un’attività imprenditoriale, ma soprattutto in paesi nord europei o nord americani, visti come più meritocratici e aperti all’inclusione occupazionale dei giovani. Le idee in merito alla transizione all’adultità e alle obbligazioni intergenerazionali verso l’alto, dei figli nei confronti dei genitori, come si è visto, sono molto influenti nelle prospettive di istruzione universitaria e di ricerca del primo lavoro degli intervistati. Il desiderio di compiere le transizioni all’età adulta immediatamente dopo il diploma, ottenuto con ritardo rispetto ai compagni italiani, orienta verso corsi universitari brevi, oppure, quando le risorse finanziarie familiari sono limitate e la riuscita scolastica pregressa non pienamente soddisfacente, verso corsi post-diploma non universitari, in modo da ottenere autonomia economica, costituire una propria famiglia e “iniziare a restituire” ai genitori per ripagarli degli sforzi compiuti, e spesso, permettere loro di tornare finalmente al paese. I migranti, che avrebbero bisogno di “più tempo” rispetto ai nativi per terminare il corso di studi e trovare la prima occupazione senza godere del supporto del capitale sociale familiare, si trovano così a mediare tra desideri di adultità precoci rispetto ai nativi e risorse familiari provate dalla crisi economica. Il progetto di mobilità sociale dei genitori primo migranti tuttavia in parte ha già avuto successo, per il fatto stesso di vivere con tutto il nucleo familiare riunito regolarmente in Italia, talvolta in una casa di proprietà, e di aver consentito ai figli di conseguire un livello di istruzione secondario superiore riconosciuto nell’Unione europea. Può essere portato avanti, ed è l’intenzione di molti degli studenti intervistati, attraverso l’università, frequentata a tempo parziale nel caso della necessità di mantenersi durante gli studi, e il trasferimento successivo in paesi terzi, nel caso le opportunità in Italia non fossero all’altezza dell’investimento precedente. Considerare, in un paese sud europeo a recente immigrazione come l’Italia, le traiettorie in istruzione superiore dei migranti, offre quindi diversi contributi analitici per integrare i campi teorici volti a indagare il ruolo dell’istruzione nel rapporto tra migrazioni e disuguaglianze. Innanzitutto invita a tenere presente che il riferimento cognitivo per la mobilità sociale nella migrazione non è solo individuale, ma anche familiare. Per questa ragione una perdita di status individuale può rappresentare un successo collettivo in termini di mete sociali prefissate e raggiunte, e comportare lo slittamento del progetto di mobilità sociale attraverso la mobilità geografica da una generazione, quella dei genitori primo migranti, alla successiva, quella dei figli, con conseguenze sulla definizione della “accettabilità” di 330 alcune forme di disuguaglianze sociali dovute all’emigrazione, ad esempio l’omologazione verso il basso della posizione sociale. Il processo di inserimento nella società di destinazione di ognuno dei componenti della convivenza familiare influenza quello degli altri, in misura maggiore o minore a seconda delle asimmetrie di risorse e dei ruoli dei componenti, non solo in base agli esiti di tale processo in un determinato momento, ma anche in base ai tempi e ai modi in cui si realizzano le diverse fasi di inserimento. Non solo le risorse economiche e sociali, ma tutta la storia della ricomposizione della famiglia, nelle sue dinamiche relazionali e affettive, è importante per il percorso di formazione e mobilità sociale di genitori e figli migranti. Anche quando uno degli scopi dell’emigrazione è proprio affrancarsi dalle obbligazioni familiari, e dal peso delle origini sociali, attraverso strategie meno concordate con la rete parentale. Il processo di trasmissione delle aspirazioni dai genitori ai figli, tuttavia, non può essere assunto a priori, ma va verificato empiricamente. Questo approccio consente di evitare interpretazioni semplicistiche delle correlazioni tra strutture familiari e esiti scolastici, distinguendo gli aspetti materiali da quelli aspirazionali. Così ad esempio i percorsi in istruzione degli studenti appartenenti a nuclei familiari monogenitoriali, o meno strutturati, risultano tendenzialmente più brevi non necessariamente a causa della mancata condivisione di una strategia di mobilità sociale ascendente, dovuta alla presunta minore capacità dei genitori soli di conferire riferimenti valoriali solidi ai figli, ma piuttosto a causa della necessità dei membri più giovani di iniziare prima a contribuire all’economia domestica. E anche al fatto che i progetti migratori familiari, in questi casi, risultano più aperti a variazioni improvvise, per cui accumulare capitale umano in italiano (difficilmente trasferibile) non sembra conveniente. D’altro canto i genitori laureati, più presenti degli altri nel sostegno al percorso in istruzione dei figli e intenzionati a recuperare la “caduta” di status dopo l’emigrazione, possono spingere verso scelte scolastiche non commisurate ai reali interessi degli studenti, procurando successivi riorientamenti e bocciature che finiscono per ridimensionare il progetto di ottenere ascesa sociale attraverso la formazione conseguita. Fare parte di nuclei costituiti da madre migrante e marito italiano, poi, comporta acquisizione di status socioeconomico e giuridico, tuttavia il senso di estraneità affettiva e il timore che la stabilità del nucleo (e delle sue risorse) possano venir meno sembrano condurre verso percorsi di precoce uscita dalla famiglia di origine. Un modello “debole” di scelta razionale, inoltre, risulta utile per cogliere le strategie familiari nella loro complessità e non occultare i percorsi di riuscita. L’investimento in 331 istruzione, come abbiamo visto, non è da intendersi come una mera successione di calcoli, tra loro indipendenti, sul rapporto tra costi e benefici dell’educazione, anche se in alcune fasi assume questi contorni, ma piuttosto come un processo non lineare di negoziazione innestato, per le famiglie migranti, in più ampie strategie di mobilità sociale e geografica. La rappresentazione delle opportunità educative offerte dai diversi sistemi scolastici nazionali è una delle ragioni per le quali i figli e le figlie sono coinvolti nel progetto migratorio dalla famiglia. In questo modo il loro successo a scuola diventa uno degli indicatori del successo del progetto migratorio (o dell’adesione di tutti i componenti della convivenza familiare al progetto). Dal momento che l’interazione tra i livelli di intervento educativo può procurare grandi diversità di risorse o vincoli istituzionali anche all’interno dello stesso contesto locale, le capacità delle famiglie e degli individui di fronteggiare l’incertezza delle procedure di inserimento scolastico, o sfruttarle opportunisticamente per promuovere le proprie strategie di mobilità, varia secondo le dotazioni di partenza, ampliando i divari iniziali tra famiglie. Le attività di orientamento alla scelta della scuola secondaria di II grado si basano sull’assunto che i diversi attori coinvolti (studenti, genitori, docenti, orientatori) condividano alcune idee di fondo sulle opzioni disponibili. L’immagine sociale dei diversi tipi di scuola secondaria delle famiglie migranti tuttavia non corrisponde perfettamente a quella dei nativi, perché basata su presupposti - sui curricola, il prestigio e la spendibilità delle credenziali educative - maturati in altri paesi, e non solo per la collocazione dei migranti mediamente “in basso” nella scala sociale italiana. Al termine della scuola secondaria di II grado riaffiorano dunque le aspirazioni di istruzione terziaria che gli studenti migranti di istruzione tecnica e professionale avevano inizialmente. Ma in questa fase compaiono altre dimensioni sociali e affettive accanto alla stima del tornaconto economico e all’impatto del percorso educativo precedente, influenzate dallo status migratorio, in particolare relative ai tempi attesi per diventare adulti e alle responsabilità verso il resto della famiglia che tale ruolo comporta. Guardare ai casi di successo consente di cogliere la progettualità dei migranti in ottica multidimensionale. Dall’analisi della loro definizione della situazione emerge che l’acquisizione di titoli di studio elevati non è vista solo in funzione dell’inserimento occupazionale, anche se questo rimane il riferimento principale, ma anche del posizionamento sociale attraverso il raggiungimento di prestigio e riconoscimento. La spinta a non omologarsi a una visione pauperistica degli immigrati è particolarmente 332 evidente tra i figli di laureati. In Italia, tuttavia, a differenza che in altri contesti, la selettività dei processi migratori non sembra sempre premiante. Anche per questa ragione, non sempre le aspirazioni educative dei genitori sono elevate. Talvolta è l’orientamento dei docenti, basato sulla riuscita scolastica, a spingere verso l’alto. La riuscita scolastica, malgrado tutti i processi di selezione che abbiamo visto, rimane comunque una variabile importante per le famiglie migranti. Il percorso in istruzione è inteso dagli studenti e dai loro genitori come uno dei modi per acquisire posizioni intermedie nella stratificazione sociale. Il raggiungimento di tali posizioni è visto come il modo normale di diventare adulti “bene inseriti” nella società di residenza. In questo senso per i giovani migranti l’ottenimento di qualifiche educative, condizioni occupazionali e stili di vita da ceto medio sono a tutti gli effetti segnali di piena integrazione sociale, ancora prima della partecipazione politica in senso stretto. In altre parole, il raggiungimento di una coesione sociale di tipo interculturale, anche dal punto di vista simbolico, sembra più facile da ottenere per i migranti che raggiungono le classi medie, rispetto a quelli che rimangono negli strati più bassi. Sarà interessante verificare se le strategie vincenti saranno quelle più “ambiziose”, volte all’ottenimento di qualifiche terziarie anche in mancanza della sicurezza economica familiare, oppure quelle più “prudenti”, volte a assicurarsi un inserimento più prossimo nel mercato del lavoro. La permanenza dei giovani migranti altamente qualificati nelle università e nel mercato occupazionale italiano sarà anche indicativa della capacità del sistema socioeconomico italiano di trovare nuove risposte ai vecchi patti tra generazioni, attualmente in ridefinizione. Il numero ancora contenuto dei migranti in quinta superiore non consente riflessioni distinte per gruppi nazionali, se non per alcune eccezioni più documentate. Tuttavia è ipotizzabile che in un prossimo futuro anche in Italia, come abbiamo visto per i paesi a più lunga tradizione immigratoria, non solo il primo ciclo di istruzione e il passaggio alla secondaria, ma anche la seconda transizione, verso l’università o il mercato del lavoro, sarà influenzata da processi sociali che coinvolgono in misura diversa le diverse cittadinanze, da indagare come abbiamo detto nella prospettiva di identificare i processi specifici per i migranti e quelli che li accomunano anche ai nativi, e non impiegando la nazione di origine o la “cultura” come categorie rifugio. Si aprono quindi molteplici piste di ricerca per mettere in luce i meccanismi sociali alla base dei processi di riproduzione e innovazione sociale che caratterizzano l’inserimento 333 del fenomeno immigratorio nella stratificazione sociale e educativa, senza adagiarsi negli itinerari concettuali del nazionalismo metodologico. Per approfondire gli studi sulla posizione che occuperanno le giovani generazioni migratorie in paesi a recente immigrazione come l’Italia sarebbe interessante ampliare la documentazione empirica relativa a genitori e figli dello stesso nucleo domestico, guardando non solo a diversi canali, ma anche a diversi livelli e dimensioni di accesso alle posizioni medio-alte della stratificazione sociale (ad esempio relativi agli stili di vita e ai consumi culturali), oltre che ai meccanismi alla base del posizionamento verso il basso, delle carriere di insuccesso scolastico e marginalità sociale. In questo modo si potrebbero evidenziare eventuali sfasamenti nelle rappresentazioni e nelle aspettative sul processo di mobilità sociale tra i componenti della famiglia per quanto riguarda i livelli di inclusione socio-economica raggiunta e anche i modi di intendere l’importanza relativa delle diverse dimensioni (ad esempio quella simbolica e quella più strettamente economica). Inoltre sarebbero auspicabili studi longitudinali per rilevare l’interazione della traiettoria educativa, migratoria e occupazionale delle famiglie nel corso del tempo. Un disegno di ricerca longitudinale consentirebbe di controllare le distorsioni dovute alla ricostruzione retrospettiva o prospettiva di processi decisionali o eventi temporalmente distanti, e aiuterebbe a verificare se determinati episodi in una delle traiettorie dei componenti della convivenza familiare, ad esempio la perdita di lavoro di uno dei genitori, possano influenzare transizioni significative per altri membri della famiglia, ad esempio la scelta se continuare o meno a studiare, secondo configurazioni diverse per nativi e migranti. Inoltre per studiare i processi di orientamento scolastico dal punto di vista degli orientatori, si potrebbero approfondire i rituali, le rappresentazioni e i criteri adottati dai docenti, esperti e altre figure educative coinvolte dalle scuole per definire i percorsi in istruzione “più adatti” per i migranti e per i nativi, ma anche per gli studenti e per le studentesse, e le retoriche argomentative adoperate per persuadere genitori e figli della validità degli orientamenti ricevuti. Dal punto di vista delle famiglie migranti, invece, l’analisi delle narrazioni di emigrazione e mobilità sociale familiare, consentirebbe di confrontar