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Tempi di lavoro e qualità della vita nel settore della
Tempi di lavoro e qualità della vita
nel settore della Grande Distribuzione
i lavoratori tra gli ingranaggi della GDO
Un’indagine della FILCAMS di Bergamo a cura di Ada Franchi
con la collaborazione di Fernando Andrès Ceravolo e Cristina Franch
INDICE
•
PREMESSA
3
•
L’INDAGINE
4
•
PARTE 1: LE INTERVISTE
5
•
1. Identikit degli intervistati
5
2. Condizioni orarie e tipologie contrattuali esistenti
8
3. Promiscuità delle mansioni
13
4. Disagio emergente
14
5. Malattie professionali
16
6. Difficoltà al di là degli orari
17
PARTE 2: IL FOCUS GROUP
18
1. Persone coinvolte
18
2. Modalità di conduzione
19
3. Risultati emersi
19
Primo nucleo tematico: il tempo libero
19
Secondo nucleo tematico: solidarietà e individualismo
20
Terzo nucleo tematico: la cura della famiglia e la situazione femminile
20
•
CONCLUSIONI
21
•
BIBLIOGRAFIA
22
Si ringrazia Franca Longoni per il prezioso aiuto nella ricerca bibliografica.
In copertina: immagine tratta dal film “Tempi moderni” di Charlie Chaplin del 1936. Come tra gli ingranaggi della grande fabbrica l’operaio
viene schiacciato, così il lavoratore della GDO incastra faticosamente la sua vita.
PREMESSA
Questa ricerca, promossa dalla Cgil Filcams di Bergamo dal dicembre 2009 al febbraio
2010, nasce con l’obiettivo di puntare l’attenzione sull’orario di lavoro nella grande
distribuzione organizzata (GDO). Questo settore è composto da grandi strutture o grandi gruppi
(in alcuni casi multinazionali) con molte strutture distribuite su tutto il territorio nazionale e
internazionale.
Il settore del commercio non vanta una tradizione sindacale affermata, sia per ragioni storiche
sia per la tipologia di lavoro che vede le persone inserite nella grande macchina aziendale che
perlopiù lavorano da sole (si pensi alle cassiere).
Si tratta poi di un settore che richiede ai propri lavoratori la massima disponibilità per quanto
riguarda l'orario; flessibilità e irregolarità sono delle costanti che causano disagi ricorrenti, e
questi a loro volta si riflettono nella vita privata. Sempre più spesso i lavoratori riescono solo
con fatica e precari adattamenti ad organizzare un menàge quotidiano che sacrifica molto delle
relazioni umane e famigliari. Ciò risulta in modo ancor più evidente nel panorama femminile,
che vede donne oggi più che mai caricate costantemente di impegni che si dividono tra lavoro
retribuito e lavoro famigliare
Mentre nell’attività sindacale sono di norma più dibattuti i temi della salvaguardia del posto di
lavoro e del rispetto delle garanzie salariali, questa ricerca mira a fornire uno sguardo sociale,
che prenda in analisi il contesto di vita dei lavoratori, per rilevarne le maggiori difficoltà e
mettere così in atto strategie più complesse, che tutelino la conciliazione tra tempi di lavoro e
tempi di vita.
La provincia di Bergamo è una delle province lombarde che presenta un numero elevatissimo di
strutture per la GDO, anche a ragione dell’alto livello di sviluppo economico ed imprenditoriale.
La Filcams stessa ha individuato le aziende da coinvolgere, ovvero quelle più significative nel
panorama della Grande Distribuzione in Bergamo e provincia: Auchan (sedi di Bergamo e
Curno), Bennet, Brico Center di Brembate, Castorama di Curno, Esselunga (sedi di Bergamo e
Curno), GS (sedi di Bergamo, Caravaggio, Mozzo e Osio Sotto), Il Gigante di Bottanuco, Iper
(sedi di Brembate, Orio al Serio e Seriate), Leroy Merlin di Seriate, SMA di Verdello, Legler
coop di Ponte San Pietro.
L’ultimo CCNL è stato firmato nel luglio 2008 solo da CISL e UIL, mentre nel giugno 2009 è
stato firmato l’accordo anche con la CGIL Filcams grazie a delle modifiche soprattutto per
quanto riguarda il lavoro domenicale.
L’INDAGINE
Come modalità di conduzione della ricerca, sia per il tema trattato che per il tempo a
disposizione è stato privilegiato un metodo qualitativo. La ricerca qualitativa si differenzia da
quella quantitativa perché permette di lavorare su molte variabili attraverso l'analisi di pochi
casi. Gli strumenti di questo tipo di ricerca possono essere vari, tra questi sono stati privilegiati
l'intervista e il focus group.
Per l'intervista sono stati scelti 20 delegati sindacali presso i più importanti supermercati ed
ipermercati della provincia di Bergamo. Ognuno è stato intervistato singolarmente faccia a
faccia o, dove non possibile, telefonicamente. E' stato realizzato per ognuno un identikit, che più
che altro ha avuto lo scopo di mettere a fuoco le caratteristiche personali (età, sesso, stato civile,
numero ed età dei figli, titolo di studio) e l'inquadramento professionale (mansione svolta, tipo
di contratto, numero di ore, anzianità di servizio). Successivamente ognuno è stato sottoposto a
16 domande che vertevano sui seguenti aspetti:
•
Condizioni orarie e tipologie contrattuali esistenti
•
Promiscuità delle mansioni
•
Disagio emergente
•
Malattie professionali
•
Difficoltà al di là degli orari
Va considerato che i dati emergenti della ricerca risentono della peculiarità del campione
considerato, costituito nella sua totalità (20 persone) da delegati cgil; persone che sono più
informate sui loro diritti ed esigenti in fatto di correttezza rispetto alla media. Persone che, oltre
alla propria situazione, hanno sott’occhio anche quella di molti colleghi, e dunque uno sguardo
più ampio. Tuttavia un’indagine qualitativa non ha pretese di universalità, ma vuole soltanto
essere uno strumento utile per la lettura e l’interpretazione del contesto considerato, oltre che
favorire il dibattito e l’apertura di nuovi punti di vista.
Il focus group è un’altra forma di ricerca qualitativa, in cui un gruppo ristretto di persone (nel
nostro caso 7) si interroga e discute, con l’aiuto di un moderatore, su un tema particolare. In
questo caso il tema di fondo è stato, ovviamente, l’orario di lavoro e i disagi che esso implica
nella
vita
privata.
PARTE 1: L’INTERVISTA
Come già detto, ogni intervistato è stato sottoposto ad un questionario preliminare volto a
delineare l’identikit del soggetto; in seconda analisi gli sono stati rivolti 15 quesiti aperti che
hanno spaziato su varie tematiche. Per la realizzazione delle domande è stato fatto uno studio
preventivo attraverso colloqui con lavoratori e sindacalisti, per cercare di mettere in luce i
principali nuclei tematici, nonché gli aspetti più critici. Vediamo in dettaglio l’analisi dei
risultati.
1. Identikit degli intervistati
1) Età
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
15-20
21-25
26-30
31-35
36-40
41-45
46-50
51-55
56-60
61-65
2
5
4
2
4
2
1
La composizione per età del nostro campione è stata abbastanza varia, con una concentrazione nelle
fasce d’età centrali (30-50 anni).
2) Genere
•
•
femmina
maschio
12
8
Come effettivamente è tra i lavoratori della GDO in generale, vi è una leggera prevalenza di donne.
3) Stato civile
•
•
•
•
•
•
celibe/nubile
convivente
coniugato/a
separato/a
divorziato/a
vedovo/a
2
3
14
1
Il modello famigliare che prevale è quello classico, della coppia sposata o convivente.
4) Figli
•
•
Si
No
14
6
Quasi tutti gli intervistati che vivono in coppia hanno figli.
5) Quanti
•
•
•
•
1
2
3
4
7
7
Il numero di figli per la totalità degli intervistati è di 1 o al massimo 2.
6) Titolo di studio
•
•
•
•
•
licenza elementare
licenza media inferiore
7
diploma di qualifica professionale 6
diploma scuola media superiore
7
laurea
Tutti gli intervistati hanno come minimo la licenza media inferiore; tra le persone più giovani
prevalgono il diploma di qualifica professionale o il diploma di scuola media superiore.
7) Tempo di percorrenza casa-lavoro
•
•
•
•
•
15 min. o meno
15-30 min.
30-45 min.
45-69 min.
più di 60 min.
15
2
3
La maggior parte vive vicino al luogo di lavoro; una percentuale non trascurabile però (3 su 20)
impiega invece un tempo piuttosto lungo per raggiungerlo.
8) Mansioni svolte
•
•
cassiere/a
4
rifornitore di banco 4
•
•
•
magazziniere
specialista
altro
2
7
1
Le mansioni svolte sul lavoro dagli intervistati sono diverse; va detto però che molti hanno
dichiarato di svolgerne più di una.
14) Tipo di contratto
•
•
•
•
•
•
•
Tempo indeterminato
20
Tempo determinato
Lavoro interinale
Lavoro a progetto (co.co.co.)
Lavoro occasionale
stagionale \ apprendistato \ accessorio
altro
Tutti i nostri intervistati hanno un contratto a tempo indeterminato; probabilmente peraltro la loro
militanza sindacale è possibile proprio grazie alla stabilità contrattuale.
15) Full time o part time?
•
•
full-time
part-time
12
8
Tra gli uomini prevale nettamente il full-time, tra le donne il part-time.
16) Da quanto tempo lavora qui?
•
•
0-6 mesi
6-12 mesi
1
•
•
•
•
•
1-3 anni
3-5 anni
5-7 anni
7-10 anni
più di 10 anni
2
2
5
10
La maggior parte degli intervistati non è alle prime armi ma vanta una pluriennale esperienza nel
proprio luogo di lavoro.
2. Condizioni orarie e tipologie contrattuali esistenti
1. Come definirebbe in generale l’orario di lavoro presso il supermercato dove lavora?
Le risposte si dividono più o meno al 50% tra chi non rileva grosse criticità e chi si presenta,
diversamente, molto critico. Al primo gruppo appartengono soprattutto coloro che da contratto
hanno ottenuto un orario modulare, che si conosce già per tutto l’anno. Gli orari spesso
cambiano di giorno in giorno, bisogna sempre controllarli (“devo sempre andare in giro con il
foglietto”) ma comunque si conoscono e permettono ai lavoratori di pianificare il proprio tempo
libero.
Le maggiori criticità si rilevano invece per coloro che, spesso mancando una contrattazione di
secondo livello, conoscono il proprio orario lavorativo di settimana in settimana. Ciò accade in
supermercati di apertura recente, ma non solo. In questo modo non è possibile pianificare nulla
al di fuori del lavoro, con il risultato che bisogna nei fatti essere quasi sempre a disposizione, ed
il tempo libero non è veramente tale. L’orario inoltre non è praticamente mai negoziabile
(“decidono tutto loro e non si può dire niente”) né programmabile (“quasi sempre le
comunicazioni avvengono all’ultimo momento”). Una lavoratrice ci riferisce di aver dovuto
litigare con la caporeparto per conoscere l’orario della settimana successiva con un anticipo di
tre giorni, perché doveva accordarsi con la badante per l’assistenza di suo nonno.
Una lamentela ricorrente è che ci si deve alzare ad orari praticamente notturni per alcuni primi
turni, che iniziano alle 4 o alle 5 di mattina.
Si lamenta inoltre un’eccessiva frammentarietà degli orari, con un’ampia diffusione dello
“spezzato”, cioè l’orario che contiene da 2 a 3 o anche più ore di pausa al suo interno, che
obbliga il lavoratore ad essere sempre a disposizione senza mai davvero staccare. Se poi il
tempo di percorrenza casa-lavoro non è brevissimo, non si fa in tempo a tornare per pranzo e
bisogna rimanere in un bar, dunque la pausa prolungata si traduce in un tempo morto. In alcuni
supermercati questa tipologia di orario è spesso la norma per i full-time.
2. Secondo lei quindi in generale i lavoratori del suo supermercato- grande magazzino
sono soddisfatti degli orari? Perché?
La maggioranza degli intervistati (il 70% circa) sostiene che vi è una insoddisfazione diffusa
tra colleghi per vari motivi: per alcuni tipi di contratto non c’è orario modulare, oppure c’è ma
per motivi spesso poco chiari non viene applicato. La mattina si inizia prestissimo e la sera si
finisce tardi, fatto che incide non poco sugli equilibri famigliari, soprattutto quando ci sono figli.
Oltre alla diffusa pratica dell’orario spezzato, si lamenta anche che il numero di ore di
straordinario è elevatissimo, in particolare per i part-time, che arrivano spesso a lavorare di fatto
lo stesso numero di ore di chi ha un contratto full-time. Va detto che la scelta di lavorare ore in
più non è sempre spontanea, ma viene più o meno esplicitamente imposta dai capi reparto. Non
è mai possibile discutere in merito all’orario e quando è necessario supplire dei colleghi assenti
aumenta notevolmente il carico di lavoro per chi rimane, che deve fare di più nello stesso arco
di tempo. Un discorso a parte va fatto sui precari, che tranne rare eccezioni sono utilizzati come
“carne da macello” per coprire tutti i buchi orari, anche per svolgere mansioni molto diverse in
reparti diversi. Bisogna essere sempre a completa disposizione poiché si è ricattabili più degli
altri.
.
3. E’ più diffuso il part-time o il full-time? Quante sono mediamente le ore settimanali
per queste due tipologie? Come sono distribuite le ore?
Mediamente è più diffuso il full-time; da CCNL questo rapporto prevede 40 ore
settimanali. La formula più diffusa in assoluto è la turnazione, soprattutto tra cassieri,
commessi, addetti alla macelleria e banconisti. Lo schema di turni più diffuso è quello
complesso, che varia da azienda ad azienda a seconda dei giorni settimanali e dei mesi,
soprattutto per cassieri, addetti alla macelleria, commessi e banconisti, segue poi lo schema a
due turni, principalmente diffuso tra gli addetti alla macelleria e i magazzinieri. I turni sono
principalmente distribuiti su 6 o addirittura 7 giorni lavorativi, a causa delle frequenti aperture
domenicali nel settore.
Tra le cassiere invece prevale il part-time; che può essere verticale (orario pieno su tre/quattro
giorni) o orizzontale (distribuito su tutta la settimana). Questa formula è comunque
particolarmente diffusa in generale tra le donne lavoratrici. Le forme previste dal CCNL
prevedono un orario settimanale variabile; il più diffuso è di 24 ore circa. I rapporti di lavoro
part-time sono praticamente concentrati tra i cassieri e i commessi, nelle altre qualifiche hanno
una diffusione nettamente inferiore. Il part-time, nato con lo scopo di permettere l’accesso al
lavoro di persone che non hanno una disponibilità a tempo pieno, a partire dalla legge 53/2000 e
con la successiva legge 30/2003 ha trovato ampia diffusione nel settore del commercio. Non
sempre però l’obiettivo di favorire la conciliazione tra lavoro e tempo di cura è stato raggiunto;
anzi dalle nostre interviste emerge che i part-time in vari supermercati abbiano turni peggiori e
orari più flessibili rispetto agli altri.
Esiste peraltro il “part-time involontario”, cioè quello di coloro che, pur desiderando lavorare a
tempo pieno, non riescono ad ottenere un contratto full-time.
Per quanto riguarda la distribuzione oraria la situazione è diversificata a seconda dei
supermercati. In generale comunque i lavoratori full-time sono a disposizione quasi sempre per
l’intera giornata, per via della presenza frequente dell’orario spezzato, che prevede una lunga
pausa. Per quanto riguarda i part-time oltre alla differenziazione tra contratto verticale e
orizzontale c’è la consuetudine diffusa ad un numero di ore di straordinario elevato, che talvolta
porta i lavoratori a lavorare quanto e più dei full-time.
4. Quanto tempo prima viene comunicato l’orario del turno settimanale?Vale per tutti?
(se la comunicazione avviene all’ultimo momento, quali sono i motivi?)
In generale chi ha l’orario modulare conosce già l’orario di tutto l’anno quindi non rileva
problemi di nessun genere nel programmare la sua vita privata. In vari supermercati però, come
già detto, gli orari variano bisettimanalmente o settimanalmente e si viene a conoscenza
dell’orario della settimana successiva il sabato pomeriggio (o al massimo poco prima) per il
lunedì. Ciò dipende dal tipo di contratto del lavoratore, dalla mansione ricoperta (solitamente le
cassiere hanno orari più variabili) ma anche dalla consuetudine di ciascun supermercato. Va
detto che, a seconda dei rapporti interpersonali, del potere del sindacato nell’azienda e della
capacità personale di far sentire le proprie ragioni è possibile ottenere trattamento migliore.
Inoltre quotidianamente, quando vi è la necessità di coprire dei buchi, si può essere chiamati per
ore di straordinario anche all’ultimo momento (la giornata stessa, magari prolungando un turno,
oppure arrivando da casa) talvolta anche durante il giorno di riposo. Questo vale per tutti, ma in
particolare per i precari che non possono mai permettersi di dire di no.
5. Chi sono i più penalizzati nei turni e nella scelta delle ferie? Chi invece usufruisce di
maggiori benefici?
Quasi tutti gli intervistati dichiarano che i neoassunti, con contratti precari, sono i più
penalizzati nell’orario in quanto ricattabili e perciò devono tenersi costantemente a disposizione.
Il ricatto rispetto al rinnovo contrattuale sembra essere una costante che influisce parecchio sulla
condotta di queste persone, che pare non abbiano pressocché alcun diritto. Questa
penalizzazione riguarda spesso anche le ferie (“te le prendi quando te le danno!”) ma in
particolar modo l’orario. In taluni casi esiste la figura del jolly, che a seconda delle necessità
viene chiamato a svolgere mansioni varie in reparti diversi (non raramente anche di livello
superiore al proprio) in orari continuamente variabili. In generale comunque si può dire che,
anche tra coloro che hanno un contratto a tempo indeterminato, chi è stato assunto negli ultimi
anni (4-5 circa) ha un trattamento peggiore rispetto a chi è presente da più tempo.
Inoltre quasi ovunque viene discriminato chi è “visto male” dai capireparto per alcuni suoi
comportamenti, che non di rado non consistono nella mancanza di professionalità ma nella
rivendicazione dei propri diritti, nell’adesione al sindacato, nella mancata accettazione di
straordinari o nella richiesta di permessi, notoriamente non gradita all’azienda. Nessuna
categoria sembra di godere di particolari benefici; solamente ci viene riferito che qualche
agevolazione viene data a chi “piace” ai capi reparto, anche se sembra che le simpatie siano
direttamente proporzionali all’estraneità al sindacato e soprattutto alla disponibilità
incondizionata, fattore che non contribuisce di certo a migliorare le condizioni lavorative di
questi soggetti.
6. C’è la possibilità di contrattare i turni? In che misura? Con che modalità? (accordo
privato del lavoratore con l’azienda, tramite delegato sindacale o altro?)
La contrattazione di secondo livello, laddove applicata, sembra aver dato buoni risultati,
tanto che le persone più soddisfatte del proprio orario di lavoro, sono dipendenti dei
supermercati dove si è raggiunto questo tipo di accordo. Essa è servita in molti casi per ottenere
orari modulari; in un caso grazie ad essa è stato possibile ridurre il tempo della pausa mitigando
così il disagio dell’orario spezzato. L’orario modulare, che già è programmato a inizio anno,
permette al lavoratore di pianificare la sua vita. Ma laddove tale contrattazione è assente l’orario
è percepito come qualcosa di assolutamente non negoziabile e ciò talvolta crea disagi anche
pesanti, come il non poter fissare una visita necessaria perché non si conosce l’orario di lavoro
con sufficiente anticipo. Non sempre peraltro le condizioni previste dai contratti vengono
applicate, a causa di problemi di vario genere dell’azienda. Ciò accade soprattutto quando tra i
lavoratori manca la capacità di far notare le inadempienze e pretendere il rispetto dei diritti, e
così capita che vi siano violazioni dei contratti. Il sindacato risulta comunque fondamentale per
ottenere miglioramenti nel trattamento di lavoro, o direttamente o anche indirettamente; in un
caso infatti ci viene riferito che è stato fatto un accordo tra azienda e lavoratori solo nel
momento in cui questi hanno “minacciato” di far intervenire la CGIL.
Inoltre forme di contrattazione dell’orario diverse da quella sindacale sembrano molto deboli,
tanto che spesso le segnalazioni individuali di necessità particolari valgono poco, e comunque
ogni cambiamento è a totale discrezione dei capireparto, che spesso agiscono pretendendo
maggiore disponibilità in cambio.
Si rileva però tra molti intervistati una certa difficoltà nel coinvolgere i colleghi in azioni
sindacali. Le motivazioni sono varie (timore di ripercussioni, individualismo, disillusione): fatto
sta che l’azione sindacale non può certo essere avviata laddove manca la volontà dei lavoratori.
7. E’ a conoscenza di esperimenti di auto-gestione dell’orario da parte di alcuni
lavoratori? Se sì, quali?
L’unico “esperimento” che ci è stato riferito è l’ “isola delle casse”, attivato presso il
supermercato Auchan e presso l’Iper di Orio, nel quale le cassiere, con diverse necessità di
orario, vengono raggruppate e a seconda della curva di carico devono autogestire l’orario
assegnandolo autonomamente ai componenti del gruppo. Quest’esperienza è stata realizzata
grazie ad un finanziamento pubblico alcuni anni fa, ma all’Auchan di Bergamo si è risolta
negativamente poiché l’applicazione ha creato dissidi e difficoltà di accordo nella mediazione
tra diritti (vecchi contratti più favorevoli per alcuni) e doveri.
Permane questo tipo di procedura presso l’Iper ed in forme diverse per l’Auchan di Curno;
altrove sembra che le aziende non l’abbiano accettata né presa in considerazione.
Altri esperimenti di auto-gestione non sono segnalati da nessun intervistato; per alcuni una
soluzione del genere sarebbe molto gradita ed auspicabile; qualcuno però dubita
dell’applicabilità.
Rimane però una pratica consolidata presso molti supermercati il cambio turno tra colleghi ove
vi siano necessità particolari e i capi reparto lo consentano.
8. Il lavoro domenicale a suo parere aggrava la pesantezza dell’orario settimanale?
Tutti gli intervistati concordano nel rispondere che lavorare la domenica è pesante, ma
soprattutto non permette di passare tempo con la propria famiglia. Spesso è l’unico giorno in
settimana in cui i figli non vanno a scuola ed entrambi genitori non lavorano; ma con il lavoro
domenicale questo punto fermo non esiste più. Dunque, in particolare per chi è sposato con
figli, il lavoro domenicale sbilancia ulteriormente i ritmi di vita, riduce il tempo libero e le
possibilità di svago e ricreative. Durante le feste inoltre c’è maggiore richiesta di personale e
dunque può capitare di lavorare moltissimo anche in giorni che tradizionalmente dovrebbero
essere dedicati agli affetti e al tempo libero.
Tuttavia secondo più della metà degli intervistati, la formula del lavoro domenicale ormai si va
sempre più affermando e dunque rifiutarla a priori non ha più senso; andrebbe gestita
correttamente, introducendo maggiori incentivi economici (oggi c’è una maggiorazione del
30%-50% ma per alcuni anche meno) che favorirebbero un’adesione volontaria e, quando
questa risulta insufficiente a coprire le necessità, far ricadere quest’incombenza a rotazione un
po’ su tutti. Di frequente capita infatti che il lavoro la domenica sia tutto o quasi sulle spalle dei
precari, o delle persone “prese di mira”, che subiscono questo (come altri turni con orari
pessimi) come una forma di mobbing. L’adesione volontaria peraltro pare non sia infrequente,
anzi: le necessità economiche sempre più spesso scavalcano la qualità di vita della famiglia (“se
lavoro la domenica sto a casa un altro giorno e risparmio sulla baby sitter”).
3. Promiscuità delle mansioni
9. Le è capitato di essere chiamato a svolgere mansioni lavorative diverse da quella
abituale? È una pratica frequente?
Nella maggior parte dei casi ci viene riferito che svolgere mansioni diverse dalla propria, ma
dello stesso livello, andando ad operare dove serve è la norma. In qualche caso la “promiscuità”
del lavoro è fissata anche contrattualmente. Le cassiere ad esempio, hanno quasi sempre degli
scaffali fissi che, nei momenti in cui c’è poca affluenza alle casse, sono incaricate di rifornire.
Oppure gli addetti vendita possono spostarsi in reparti diversi dal proprio.
In molti altri casi però, anche senza una regolazione contrattuale, si viene chiamati a svolgere
mansioni molto diverse dalla propria, a volte anche di livello superiore. Ad esempio una
rifornitrice di banco viene chiamata spesso a fare le fatture; un magazziniere deve fare gli ordini
dei prodotti. Ci è stato riferito di una signora che lavora come operatrice delle pulizie che viene
quasi quotidianamente chiamata in diversi reparti a sostituire chi manca anche in mansioni di IV
o III livello; oppure i già citati Jolly, che devono andare ogni giorno in reparti diversi, dove
serve, al di là delle loro capacità e possibilità. Capita inoltre di essere ripresi anche
pesantemente per errori fatti ricoprendo mansioni per le quali non si ha nessun tipo di
formazione. Ovviamente una pratica del genere non favorisce la professionalità e la qualità del
servizio, oltre ad essere estremamente stressante e demotivante per chi la subisce (ed in effetti
anche questa viene non di rado utilizzata come forma di mobbing).
Chi si trova spesso a cambiare reparto e lavoro, più degli altri lamenta di trovarsi continuamente
in contesti diversi, di non “appartenenere a niente”, di sentirsi poco gratificato perché trattato
come un “tappabuchi” più che come una persona e un professionista. Questa pratica è
comunque osteggiata da alcuni supermercati, in particolare Auchan, che vedono nella
promiscuità il rischio della carenza di professionalità. Si cerca quindi di evitarla e di investire
anzi sulla formazione specialistica dei lavoratori.
4. Disagio emergente
10. Gli orari di lavoro flessibili le creano problemi nella vita privata? Di che tipo?
Emerge chiaramente molto spesso, soprattutto quando sul lavoro insorgono problemi, che le
preoccupazioni e le ansie lavorative influenzano l’equilibrio individuale e famigliare. Quando il
confine tra privato e pubblico diventa sottile, si finisce per essere sottoposti ad una continua
tensione. Il problemi principali che si rilevano sono l’impossibilità di organizzare qualsiasi cosa
nel proprio tempo libero e la sottrazione di troppo tempo alle cure famigliari. Diffusamente
emergono anche stati di malessere generalizzato, sia fisico che mentale, quando non patologie
vere e proprie.
L’orario di lavoro, con tutte le problematicità che abbiamo descritto, condiziona profondamente
la vita privata, delineandone rigidamente i tempi e per riflesso anche i modi e la qualità.
11. È una situazione comune anche ai suoi colleghi? Chi è maggiormente in difficoltà a suo
parere?
I disagi più gravi li lamenta chi ha figli, in particolare le donne, che quasi sempre si fanno
carico della gran parte del lavoro domestico: le cure famigliari devono “incastrarsi” nei
momenti liberi delle lavoratrici, e il continuo cambio di orario crea enormi squilibri e difficoltà.
Ad esempio non è possibile (per esempio per chi non ha un orario modulare) pianificare una
visita medica, pena il doverla annullare all’ultimo momento. E’ necessario caricare sulle spalle
di parenti (quando ci sono) o baby sitter buona parte della cura dei figli: molte volte non si
riesce neanche a portarli o andare a prenderli a scuola, ancora meno passare del tempo con loro.
D’altra parte anche i precari, che hanno mediamente i peggiori turni lavorativi, sacrificano di
fatto moltissimo della loro vita personale (una ragazza ci riferisce che da quando lavora nella
GD esce pochissimo e la sua vita sociale si è drasticamente ridotta). Unico “vantaggio” è che
spesso sono giovani e ancora senza una famiglia propria, dunque non patiscono i disagi vissuti
invece da chi non riesce a conciliare i tempi di lavoro con le necessità primarie di una famiglia.
12. Se un lavoratore ha dei problemi nella sua vita privata (malattia, maternità…) ne tiene
conto l’azienda? (permessi, turni, aspettative?)
Le risposte date a questa domanda sono state molto diversificate; in alcuni supermercati,
quando c’è una necessità certificata, pare che non ci siano grossi problemi a concedere
permessi, a dare ferie o a cambiare un turno. Molto spesso però le cose stanno diversamente:
qualsiasi richiesta, anche quella davvero motivata e necessaria viene “fatta pesare”, nel senso
che magari si concede ma non come se fosse un diritto bensì quasi un privilegio da non ripetere.
Ciò inoltre diventa un deterrente per altri che vorrebbero chiedere ma non osano per timore di
ripercussioni di vario genere. In altri casi ancora, non infrequenti, le richieste spesso vengono
ignorate o disattese con delle scuse; tanto che è necessario rivolgersi al sindacato per far valere i
propri diritti. Una donna magazziniere è stata operata per un’ernia al disco causata dallo sforzo
eccessivo sul lavoro; una volta tornata le è stato vietato dal medico di fare sforzi, ma l’azienda
non ha tenuto conto minimamente conto della sua richiesta di cambiare mansione ed ha
continuato a chiederle di sollevare pesi tali da compromettere la sua salute. Tuttora
quotidianamente si rifiuta di fare quello che non può, ma pare che i suoi superiori non siano
affatto sensibili al problema. Un'altra signora, con problemi alla schiena e addetta alle vendite
ha chiesto per mesi un posto per sedersi durante i tempi morti; l’azienda ha ignorato la richiesta
finché non è intervenuto il sindacato.
13. Gli orari di lavoro flessibili creano problemi anche ai suoi famigliari o alle persone che
le sono vicine? (baby sitter, badanti..)
Gli intervistati hanno risposto affermativamente praticamente all’unanimità. Gli unici a non
rilevare problemi di questo tipo sono persone single, o comunque senza figli nè genitori anziani;
tutti gli altri lamentano che il proprio orario di lavoro si riflette negativamente sui tempi di
famigliari, parenti, baby sitter, badanti obbligandoli spesso a prolungare tempi di assistenza al
loro posto. Anche a livello di equilibrio famigliare la situazione è spesso turbata da continue
deleghe dei compiti di cura a mariti, mogli, figli più grandi, nonni etc.. con tutti i disagi e i sensi
di colpa che possono comportare. Il disagio dunque non è solo del lavoratore, ma a catena si
riflette su tutte le persone a lui vicine.
5. Malattie professionali
14. Gli orari di lavoro flessibili le procurano disturbi del sonno e/o digestivi? La fanno
sentire stanco/stressato/irritabile?
La maggior parte degli intervistati di sesso maschile dichiara di non avere mai avuto (se non
magari all’inizio) problemi di questo tipo causati dal lavoro (“quando finisco il turno mi lascio
tutto alle spalle”).
La situazione però cambia molto per le donne, ed alcuni uomini, che lamentano quasi sempre
problemi di insonnia, nella digestione, nell’umore causati dallo stress lavorativo. Alcune
lavoratrici riferiscono che mangiare in modo disordinato fa ingrassare; una signora ci ha riferito
che l’orario dei pasti continuamente variabile ha causato una forma di gastrite, altre ancora
accusano quasi sempre difficoltà nell’addormentarsi.
Una signora sta cercando da diverso tempo di avere figli da anni ma pare che lo stress, sia fisico
che mentale, dovuto al lavoro, le impedisca di averne nonostante sia evidente dalle analisi che
sia lei che il suo compagno sono fertili.
Tutto ciò è in linea con la cosiddetta “sindrome dei turnisti”1, che poco nota ai più è però oggi è
riconosciuta a livello medico. Colpisce particolarmente coloro che hanno turno variabile durante
la settimana, che presentano disturbi della veglia (sonnolenza, irritabilità, calo delle prestazioni),
insonnia e disturbi viscero-vegetativi (gastrointestinali, disturbi cardiaci); in genere queste
persone lamentano difficoltà di addormentamento e/o di mantenimento del sonno e riferiscono
uno stato di affaticamento cronico associato a sonnolenza che può determinare la comparsa di
episodi di sonno durante l'attività lavorativa, con conseguente aumento del rischio di infortuni;
presentano inoltre un'incidenza maggiore, rispetto alla popolazione generale, di stati depressivi
cronici con ripercussioni sui rapporti familiari e tendenza all'abuso di farmaci e alcolici.
Disturbo analogo che colpisce questa tipologia di lavoratori è la fibromialgia2, che ha una
sintomatologia diffusa presentando stress, stanchezza, dolori articolari, rigidità e disturbi del
sonno: non appena viene raggiunto il sonno "profondo”si ha un brusco ritorno verso il sonno
superficiale. La mancanza di sonno profondo, nel quale i muscoli si rilassano e recuperano la
stanchezza accumulata durante il giorno, spiega la stanchezza persistente, i risvegli notturni, il
sonno non ristoratore che molte lavoratrici lamentano. Diffuso anche il mal di testa, che spesso i
lavoratori non collegano direttamente al lavoro, ma che come altri disturbi molto probabilmente
è dovuto a ritmi di lavoro pesanti ed ad orari irregolari. Alcune intervistate ci riferiscono anche
l’uso frequente di farmaci da parte di colleghe.
15. A casa parla spesso di quanto accade sul lavoro?
Anche in questo caso le risposte si dividono nettamente in base al sesso degli intervistati: gli
uomini cercano di lasciare quanto accade sul lavoro fuori casa, salvo rare eccezioni; le donne
invece riferiscono che il lavoro è argomento ricorrente delle discussioni in famiglia, e non di
rado anche di litigio. In questo modo però è chiaro che la serenità e l’equilibrio individuale e
famigliare vengono minati e l’orario di lavoro in un certo senso “si prolunga”, occupando
psicologicamente anche le ore di libertà da dedicare ad altre cose. Non si riesce mai a staccare e
ci si portano dietro stati di ansia causati dal lavoro: ad esempio una mamma ci riferisce che
1
2
http://www.fibromialgici.org/
http://www.fibromyalgia.it
spesso non riesce a dormire e discute con suo marito perché non conoscendo gli orari non sa se
potrà andare a prendere i figli a scuola e non può delegare con sufficiente anticipo questo
compito ad altri.
16.Difficoltà al di là degli orari
16. Secondo lei il disagio del lavoro su turni è il problema più sentito dai lavoratori delle
GD? O altrimenti quale è?
In generale la risposta è positiva per quasi tutti. Quando non è un problema vissuto in prima
persona risulta comunque evidente che lo è per molti colleghi e colleghe.
Altro problema molto sentito sono è quello dell’eccessiva richiesta di produttività. Se un collega
è assente, spesso non lo si sostituisce con un nuovo assunto, ma il suo carico di lavoro si
spalma su chi rimane, che è costretto a ritmi molto più serrati. A volte non si riesce neanche a
fare pausa per riuscire a portare a termine il normale lavoro. Altre volte alcune mansioni
vengono caricate su lavoratori che prima non dovevano svolgerle (per esempio i magazzinieri
vengono incaricati degli ordini delle merci) allo scopo di risparmiare; ciò porta ad un carico di
lavoro pesantissimo, oltre che a notevoli difficoltà in più quando non si ha un’adeguata
formazione. I tagli del personale portano a “dover lavorare per due”; se poi non si riesce a tenere
il ritmo e ad esempio mancano i prodotti sui banconi, si riceve una lettera di richiamo. A parere
di molti questa pratica andrebbe maggiormente controllata poiché determina notevoli variazioni
nella qualità del lavoro.
Anche il lavoro domenicale è sentito come un problema, soprattutto da parte di chi non ha il
riconoscimento di un buon incentivo economico ed è costretto a lavorare più domeniche al mese
senza possibilità di scelta.
PARTE 2: IL FOCUS GROUP
Il 5 febbraio 2010 presso la sala Milani della CGIL di Bergamo si è riunito un gruppo di ricerca
ristretto, con lo scopo di mettere a fuoco in modo più approfondito il tema degli orari di lavoro.
COMPOSIZIONE DEL CAMPIONE
Al gruppo hanno partecipato 7 delegati sindacali lavoratori nella GDO (6 uomini e una donna),
due ricercatrici e il segretario della Filcams Roberto Rossi (che non ha partecipato direttamente
ma ha fatto una breve introduzione).
Il gruppo è stato creato tenendo conto delle possibilità dei singoli, e va detto che c’è stata
grande difficoltà nell’individuare delle donne che fossero disponibili a partecipare, in quanto era
evidente che tra lavoro e cure domestiche non molte ne avevano materialmente il tempo. La
constatazione di un dato del genere fa già di per sé riflettere sulla maggiore difficoltà che
incontrano le donne nel gestire il proprio tempo e la propria vita.
CONDUZIONE DELLA RICERCA
La modalità di lavoro ha previsto la proposta, da parte di una ricercatrice, di alcuni nuclei
tematici, sui quali i convenuti sono stati chiamati ad esprimersi liberamente senza uno schema
prefissato. Il ruolo della moderatrice è stato quello di riportare la discussione nei binari della
ricerca quando si stava andando fuori tema.
RISULTATI EMERSI
Primo nucleo tematico: il tempo libero
Pare che non tutti abbiano la stessa idea di tempo libero, in quanto mentre per alcuni
coincide con il tempo di non-lavoro e dunque spesso con il tempo di cura famigliare, per altri il
tempo libero è quello per sé stessi, per coltivare le proprie passioni o il proprio benessere.
Mentre per tutti esiste il primo tipo, per molti non esiste il secondo, in particolare per le donne.
La flessibilità, soprattutto quando portata all’estremo, crea disagi notevolissimi ed obbliga ad
utilizzare il poco tempo di non lavoro che rimane per le attività di cura domestica. In questo
modo ben poco tempo rimane per sé, soprattutto quando ci sono figli piccoli, e soprattutto se si
è donne (“le mie colleghe con figli hanno tutte le occhiaie e non sanno cos’è il tempo libero”) o
lavoratori neoassunti (“per loro il tempo libero semplicemente non esiste”). Ci viene raccontato
di un ragazzo “molto motivato” che per alcuni anni ha lavorato con il massimo impegno
accettando anche orari e ritmi pesantissimi, logorando la sua salute a tal punto che è “morto di
stress”. Alcuni turni, ad esempio quelli di prima mattina part-time, permettono di avere buona
parte della giornata libera: bisogna però riflettere sulla qualità del tempo libero di chi, dovendosi
alzare alle 3 di notte, va a dormire ogni sera intorno alle 21, o anche prima. Ci vengono riferite a
tal proposito situazioni difficili, in cui gli orari ad esempio non collimano mai con quelli del
partner, e quindi non ci si vede quasi mai, oppure la sera si è troppo stanchi per vivere
serenamente del tempo insieme.
Chi lavora la domenica inoltre, ha diritto al settimo giorno di riposo; le ore (che salta facendolo)
vanno però recuperate nei giorni successivi, che quindi diventano ancora più pesanti e
corrodono ulteriormente il già scarso tempo libero.
Mediamente, almeno sembra, gli uomini vivono il loro tempo libero più serenamente, anche in
famiglia, sostenendo però che quasi sempre il carico di lavoro domestico ricade
prevalentemente sulle spalle delle mogli.
Inquietante la situazione che ci viene raccontata poi a proposito di due ragazzi ventenni che
accettano di lavorare anche la domenica “perché tanto non sanno cosa fare”: evidentemente non
sempre il tempo libero è sentito come occasione per vivere qualitativamente il proprio tempo.
Un discorso a parte andrebbe fatto sugli orari lavorativi dei capi reparto, che scelgono di fare
carriera ed hanno un buono stipendio, ma devono quasi sempre rinunciare del tutto alla vita
privata e famigliare, sottoponendosi ad orari disumani (dalle 6 alle 21) non avendo quasi mai
ferie.
Secondo nucleo tematico: solidarietà e individualismo
Molto sentita dai delegati sindacali è la scarsa propensione dei colleghi ad interessarsi di
problemi che non li riguardino in prima persona. A causa di fattori epocali, non direttamente
collegabili al settore del commercio, regna oggi una logica individualistica, soprattutto tra le
giovani generazioni. Si antepone il beneficio personale alla solidarietà tra colleghi: ciò è
evidente in diverse situazioni, ad esempio molto raramente si è disposti a cedere su benefici
ottenuti per venire incontro alle esigenze di colleghi in difficoltà (ad esempio lavorare la
domenica per non scaricare tutto sulle spalle dei precari). Oppure l’esperimento dell’isola delle
casse presso l’Auchan di Bergamo è fallito perché in troppi chiedevano per sé turni migliori e
non accettavano di ruotare. Inoltre pare che il sindacato non sia più sentito da molti come mezzo
di aggregazione, come accadeva anni fa, ma sempre più spesso sia usato solo strumentalmente,
per risolvere i problemi personali. Spesso il sindacato è sentito come qualcosa di lontano e poco
presente sul luogo di lavoro. C’è difficoltà a raccogliere persone che vengano alle assemblee, e
che soprattutto siano disposte ad agire e a mobilitarsi in qualche modo. E’ evidente come questa
logica non paghi: laddove non si cerca la contrattazione di II livello e non si mettono in
discussione palesi ingiustizie dell’azienda le condizioni lavorative peggiorano nettamente.
Quando invece il dialogo tra colleghi e l’azione sindacale funzionano le aziende concedono più
diritti e la qualità del lavoro si alza.
Terzo nucleo tematico: la cura della famiglia e la situazione femminile
Anche nel focus group emerge unanime l’idea che le donne che lavorano nella GDO vivano
in modo più stressante rispetto ai loro colleghi maschi. Sicuramente negli ultimi anni gli uomini
hanno in media maggiore attenzione alla cura della famiglia e dei figli, tuttavia dallo spaccato
che emerge nella discussione è chiaro che il maggior carico di lavoro domestico ce l’hanno
senza ombra di dubbio ancora le donne, che quindi devono ogni giorno destreggiarsi tra turni e
incombenze casalinghe.
Va detto che il part-time, che nasce con lo scopo di permettere l’accesso al lavoro di donne le
cui esigenze di cura famigliare non permettono una professione a tempo pieno, negli ultimi
tempi, a seguito delle recenti riforme del mercato del lavoro, è entrato in forte concorrenza con
altre figure contrattuali del lavoro atipico, e non garantisce abbastanza il carattere di orario
conciliativo nell’interesse di chi lavora. La mancanza di programmazione dell’orario e l’elevato
numero di ore di straordinario richieste fanno sì che il tempo del lavoro si dilati enormemente a
spese del tempo da dedicare alla famiglia. D’altro lato, la natura di orario modulare e ridotto,
rende il part-time particolarmente adatto a molte attività nella GDO, a patto di chiedere
flessibilità onerose per le dipendenti. Ci viene riferito in diversi casi che le cassiere si occupano
della chiusura, quindi finiscono tardi, intorno alle 22.00. E’ chiaro come un orario del genere
mini profondamente il menage famigliare, poiché generalmente a quell’ora i bambini dormono
già; dunque la cura di questi aspetti deve necessariamente essere delegata ad altri, con tutti i
disagi che questo comporta. Dalla discussione emerge la necessità di strutture assistenziali ed
educative che supportino le lavoratrici con figli piccoli; una possibilità sarebbero gli asili nido
aziendali, o convenzionati, che permetterebbero a molte donne di lavorare di più e con maggiore
serenità.
Oltre a questi aspetti, pare che le donne molto raramente ricoprano ruoli direttivi o comunque di
rilievo; si rileva dunque un’ulteriore forma di discriminazione nei confronti del sesso femminile.
CONCLUSIONI
L’indagine che abbiamo condotto ha messo in luce un panorama del lavoro nella GDO
complesso e costellato da una serie di nodi critici.
Innanzitutto risulta critica la possibilità di conciliare il lavoro e la famiglia: le politiche in tal
senso sembrano non aver dato i risultati attesi, anche a causa di un utilizzo del part-time da parte
delle aziende che ne tradisce l’intento conciliativo originario. Ciò influisce sugli equilibri interni
della famiglia, ma anche sulla possibilità di formazione della famiglia stessa. Un ragazzo
recentemente sposato riferisce che lui e sua moglie non hanno in progetto dei figli perché non
avrebbero il tempo di prendersene cura con gli orari che fanno.
Abbiamo in più modi sottolineato che questa situazione ricade in modo critico particolarmente
sulle lavoratrici, che avrebbero la volontà di realizzarsi sia in ambito professionale che privato,
ma che riescono a coniugare questi due aspetti con una difficoltà crescente e con uno stress
sempre più elevato.
Lo stress è stato definito da un rapporto della Commissione Europea del 19993 come: “un
modello di reazione emotiva, comportamentale e fisiologica ad aspetti avversi e nocivi del
contenuto dell’organizzazione e dell’ambiente di lavoro. Si tratta di uno stato caratterizzato da
elevati livelli di eccitazione e ansia, spesso accompagnati da senso di inadeguatezza.”
Anche se è ufficialmente riconosciuto come patologia, insieme ad altre più gravi malattie
professionali, pare che né a livello politico né tantomeno a livello aziendale lo stress sia stato
affrontato seriamente come problema per porvi un argine. Il lavoro della GDO, soprattutto in
alcune mansioni, espone ad una costante fatica relazionale che induce forme di stanchezza,
ansia ed irritabilità. Si richiedono ai lavoratori sempre maggiori investimenti, sia in merito a
risorse professionali e tecniche che in merito a motivazione e risorse psichiche. Continue
variazioni dei tempi, dei luoghi, dei contenuti, delle modalità di lavoro, unitamente ad una
densità crescente dei ritmi lavorativi rischiano di creare diffuse patologie sociali, che non vanno
sottovalutate.
3
Si vedano le pubblicazioni della Commissione Europea, Direzione Occupazione e Affari sociali, “Sale della
vita o veleno mortale?”. Guida allo stress legato all’attività lavorativa, del 1999 e il N. 5/2002 di Magazine, “Working
on stress” dell’Agenzia Europea per la Salute e la Sicurezza al lavoro, edito in occasione della settimana europea contro
lo stress sul posto di lavoro (ottobre 2002).
La ricerca ha poi rilevato diffusamente una pessima condizione lavorativa dei precari, che non
hanno nessun tipo di tutela sindacale (se sono iscritti o simpatizzano non vengono proprio
assunti) e vivono con il costante ricatto del rinnovo contrattuale; tra le tante situazioni, ci è stato
raccontato di un ragazzo molto disponibile e volenteroso, che dopo alcuni mesi di lavoro non ha
accettato di fare degli straordinari a ferragosto e proprio per questo motivo non è stato
riconfermato.
In questo panorama il sindacato ricopre un ruolo delicato, che pare in fase di cambiamento. E’
un momento difficile, in cui i lavoratori faticano a trovare il tempo e la motivazione per una
partecipazione attiva alla tutela degli interessi comuni. Certo il sindacato rimane fondamentale
come strumento di lotta per ottenere diritti e giustizia, ma non sempre riesce a parlare la stessa
lingua dei lavoratori i quali, sempre più chiusi in una logica individualistica, si sentono soli ed
impotenti di fronte all’imponente macchina della GDO e alle sue logiche produttive. In esse il
lavoratore ideale sembra essere privo di qualsiasi necessità umana: famiglia, qualità della vita,
soddisfazione professionale non sembrano essere aspetti contemplati dalle aziende per i loro
lavoratori. Ci sembra sia molto importante che il sindacato non faccia lo stesso errore, ma
consideri i lavoratori come persone che hanno necessità salariali, certo, ma anche di serenità,
sicurezza ed equilibrio psico-fisico che derivano da condizioni lavorative soddisfacenti, non
alienanti né umilianti. E’ importante che il sindacato si faccia conoscere, anche puntando su
nuove forme di comunicazione, per rilanciarsi oltre che come servizio come forza di
aggregazione capace di infondere fiducia e di non far sentire soli. La posta in gioco è alta:
bisogna allora intercettare le esigenze dei nuovi lavoratori, farle proprie, anche quelle non dette,
facendo sentire attivamente la presenza del sindacato e il suo interesse nei confronti delle
persone, lavorando su un benessere complessivo dentro e fuori dal luogo di lavoro.
BIBLIOGRAFIA
•
Gloria Volpato - Silvia Zanolini, Io che lavoro in un supermercato…indagine sulle
condizioni di lavoro nella grande distribuzione a Bergamo, CGIL FILCAMS Bergamo
2002.
•
Bruno Vedovati - Matteo Colleoni, Impresa e famiglia: dimensioni umane in
contrapposizione o in sinergia?, provincia di Bergamo- diocesi di Bergamo, 2003.
•
Progetto Tempi di lavoro, tempi di famiglia, CGIL PROTEO Bergamo 2006.
•
Gender – consulenza formazione ricerca, Il mercato del lavoro lombardo: una lettura di
genere dei dati statistici, ComEdit 2000.
•
Leonardo Pignoloni, Salute e sicurezza dei lavoratori nella Grande Distribuzione
Organizzata , Filcams Cgil Marche, 2006.
•
A.A.V.V., Tempi e orari. Riflessioni sulla flessibilità amica in La rivista delle Politiche
Sociali, ed. Ediesse, n°320
•
Speciale La conciliazione dei tempi di vita e di lavoro in Prospettive, ist. Per la Ricerca
Sociale, anno XXXV, n° 4-5 1-15 marzo 2005.
•
“Sale della vita o veleno mortale?”. Guida allo stress legato all’attività lavorativa,
Commissione Europea, Direzione Occupazione e Affari sociali, 1999.
•
“Working on stress” dell’Agenzia Europea per la Salute e la Sicurezza al lavoro, N. 5/2002
di Magazine, Commissione Europea, Direzione Occupazione e Affari sociali.
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