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Il confine di un attimo

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Il confine di un attimo
Camryn Bennett, vent’anni, non è certo il tipo
da restare ingabbiata in una vita ripetitiva
sempre uguale a se stessa. Ma da quando il suo
ragazzo è morto in un terribile incidente, niente
sembra più importarle davvero…
Dopo che anche la sua migliore amica le volta
le spalle, Camryn salta su un autobus, con solo
un telefono cellulare e una piccola borsa, decisa
a fuggire da tutti coloro che la vogliono incasellare in una vita che non le appartiene. Nel
viaggio incontra un ragazzo di nome Andrew
Parrish, un tipo non molto diverso da lei, da cui
si sente irresistibilmente attratta. Andrew vive
la vita come se non ci fosse domani: la provoca,
la diverte, la protegge, la seduce, le insegna ad
assaporare ogni singolo momento e ad ascoltare
le sue emozioni più profonde, i suoi desideri
più veri e inconfessati. Ben presto diventa il
centro della sua vita. Ma Camryn ha giurato di
non lasciarsi andare mai più, di non innamorarsi mai più… E il segreto che Andrew
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nasconde li spingerà irrimediabilmente insieme
o li distruggerà per sempre? Il confine di un attimo è un fenomeno mondiale: autopubblicato
online, ha scatenato la reazione entusiasta di
migliaia di fan che hanno realizzato video su
YouTube ispirati alla storia, album fotografici,
playlist e che ne hanno fatto un successo da
oltre 200.000 copie. Dopo aver scalato le classifiche americane, è in corso di pubblicazione in
20 Paesi.
J.A. Redmerski, autrice bestseller, vive a
North Little Rock, Arkansas, con i suoi tre figli
e un cane maltese. Attualmente, a grande richiesta dei fan, sta scrivendo il seguito di è Il confine di un attimo.
Jessica Ann Redmerski
Il confine di un attimo
Traduzione di Eleonora Cadelli, Ilaria Katerinov,
Anita Taroni
Proprietà letteraria riservata
© 2012 Jessica Ann Redmerski
This edition published by arrangements with
Little, Brown and Company, New York, NY,
USA.
All rights reserved.
© 2013 RCS Libri S.p.A., Milano
ISBN 978-88-65-97118-5
Titolo originale dell’opera:
the edge of never
Prima edizione digitale 2013 da edizione Fabbri Editori: luglio 2013
In copertina:
fotografia: © Karan Kapoor / Getty Images
© Dmitry Golobokov / 123RF
Art Director: Francesca Leoneschi
/theWorldofDOT
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www.fabbrieditori.eu
Quest’opera è protetta dalla Legge sul diritto
d’autore.
È vietata ogni duplicazione, anche parziale, non
autorizzata.
Il confine di un attimo
A chi ama e a chi sogna,
e a tutti coloro che non hanno mai amato
né sognato davvero
1
Sono dieci minuti che Natalie giocherella con la stessa ciocca di capelli, e la
cosa mi sta mandando fuori di testa.
Scrollo il capo e prendo il bicchiere di
caffellatte freddo, poi porto la cannuccia alle labbra. Natalie è seduta di
fronte a me, i gomiti appoggiati sul tavolino rotondo, il mento su una mano.
«È fantastico» dice, fissando un
ragazzo che si è appena messo in fila.
«Davvero, Cam. Vuoi almeno guardarlo,
per favore?»
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Alzo gli occhi al cielo e bevo un altro
sorso. «Nat» rispondo, rimettendo il bicchiere sul tavolo, «hai un ragazzo. Te lo
devo ricordare di continuo?»
Mi fa una smorfia. «Chi sei, mia
madre?» Ma non riesce a darmi retta,
non finché quello straordinario esemplare di maschio è al bancone a ordinare caffè e frittelle. «E poi a Damon non
importa se qualche volta mi guardo in
giro. Fino a quando gliela do, gli sta
bene.»
Per non ridere rischio di sputare il
caffellatte. E arrossisco.
«Senti, senti» continua Natalie con un
gran sorriso. «Sono riuscita a strapparti
una risata.» Rovista nella sua borsetta
viola. «Devo segnarmelo.» Tira fuori il
telefono e apre l’agenda. «Sabato 15 giugno.» Il suo dito si muove rapido sullo
schermo. «Ore 13.55. Camryn Bennett
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ha riso a una mia battuta a sfondo sessuale.» Rimette via il cellulare e mi
guarda con quell’espressione assorta
che ha sempre quando sta per entrare
in modalità terapia. «Guardalo, almeno
una volta» ripete, più seria.
Decido di accontentarla e mi volto
appena, quanto basta per dare un’occhiata veloce al ragazzo. Lui si allontana
dalla cassa e si sposta in fondo al
bancone per recuperare il caffè. Alto.
Zigomi scolpiti e perfetti. Ipnotici occhi
verdi da modello e capelli lisci e
castani.
«Sì» ammetto, girandomi di nuovo
verso Natalie. «È carino, e allora?»
Natalie lo segue con lo sguardo
mentre esce dalla caffetteria e passa accanto alla vetrina. Solo quando è
sparito, mi risponde. «Oh. Mio. Dio» esclama incredula, con gli occhi sbarrati.
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«Nat, è solo un ragazzo.» Rimetto in
bocca la cannuccia. «Potresti girare con
un cartello in fronte con scritto: “Ninfomane”. Sei fissata. Sbavi dietro a
chiunque.»
«Scherzi?»
esclama,
sconcertata.
«Camryn, tu hai un problema serio, lo
sai, vero?» Si appoggia allo schienale
della sedia. «Devi aumentare il dosaggio delle pastiglie. Dico davvero.»
«Ho smesso di prenderle ad aprile.»
«Cosa? Perché?»
«Perché non ha senso» rispondo in
tono neutro. «Non ho tendenze suicide,
quindi non c’è nessuna ragione per continuare a prenderle.»
Natalie scuote la testa e incrocia le
braccia al petto. «Pensi che quella roba
la prescrivano solo ai potenziali suicidi?
No.» Mi punta il dito contro e subito lo
nasconde di nuovo sotto il braccio. «Il
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tuo è una specie di squilibrio chimico, o
qualche stronzata del genere.»
Replico con un sorrisetto. «Ah, davvero? E da quando sei così esperta di
malattie mentali, medicine e terapie?»
Alzo appena un sopracciglio, quanto
basta per rimarcare che non ha idea di
quel che dice.
Invece di rispondere Natalie arriccia
il naso, così continuo. «Ci riuscirò da
sola, prendendomi tutto il tempo che
mi serve: non ho bisogno delle pillole
per guarire.» Ho iniziato gentile, ma
prima ancora di finire la frase la mia
voce si è fatta inaspettatamente aspra.
Mi succede spesso.
Lei sospira e dal suo volto sparisce
qualsiasi traccia di divertimento.
«Scusa.» Mi sento in colpa per aver
reagito in modo così brusco. «Senti, lo
so che hai ragione. Non nego di essere
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un po’ incasinata emotivamente e che a
volte sono una stronza…»
«A volte?» mormora Natalie, ma ora
sorride di nuovo. Mi ha già perdonato.
Anche questo succede spesso.
Ricambio con un mezzo sorriso. «È
solo che voglio trovare le risposte da
sola, capisci?»
«Quali risposte?» È un po’ seccata adesso. «Cam…» inizia, piegando la testa
di lato con fare premuroso. «Mi spiace
dirlo, ma le sfighe capitano e basta.
Devi solo passarci sopra, distrarti con
qualcosa che ti renda felice.»
Okay, in fondo non è poi tanto male
come terapeuta.
«Lo so, hai ragione, ma…»
Lei inarca le sopracciglia, in attesa.
«Cosa? Coraggio, dài, sfogati!»
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Fisso il muro per un istante, cercando
le parole. Mi capita molto spesso di
pensare alla vita e a tutte le sue sfaccettature. Mi chiedo che cavolo ci faccio qui. Persino in questa caffetteria,
con la mia più cara amica. Ieri mi sono
domandata perché devo svegliarmi
sempre alla stessa ora, perché devo fare
sempre le stesse cose ogni giorno. Per
quale motivo? Cos’è che ci fa andare
avanti, se una parte di noi vorrebbe
solo mandare tutto al diavolo?
Distolgo lo sguardo dal muro e
osservo la mia migliore amica. So che
non capirà ciò che sto per dire, ma lo
dico ugualmente, perché ho bisogno di
tirarlo fuori.
«Hai mai pensato a come sarebbe girare il mondo solo con uno zaino?»
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A Natalie cade la mascella. «Uh, no,
mai» risponde. «Credo che… sarebbe
uno schifo.»
«Be’, pensaci un momento.» Mi
sporgo sul tavolo e concentro tutta l’attenzione su di lei. «Solo tu, uno zaino e
lo stretto necessario. Niente bollette da
pagare. Nessun bisogno di alzarsi alla
stessa ora per andare al lavoro, un lavoro che odi, tra l’altro. Solo tu e il
mondo che ti aspetta. Non sai cosa ti
porterà il domani, chi incontrerai, cosa
mangerai a pranzo o dove dormirai.»
Mi rendo conto di essere talmente persa
nelle mie fantasticherie che forse, per
un attimo, sembro io quella fissata.
«Cominci a farmi paura» dice Natalie,
guardandomi incerta dall’altra parte del
tavolino. «E inoltre bisogna camminare
un sacco, rischi di essere violentata, uccisa e buttata sul ciglio di un’autostrada
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chissà dove. Ah, e poi bisogna camminare un sacco…»
Ora è chiaro: mi crede sull’orlo della
pazzia.
«Come ti è venuto in mente?» chiede
bevendo un sorso rapido. «Sembri in
preda a una specie di crisi di mezza età.
Peccato che hai vent’anni.» Mi punta di
nuovo il dito contro, come per sottolineare le sue parole. «E finora non hai
dovuto pagare molte bollette.»
Beve un altro sorso e fa un risucchio
fastidioso con la cannuccia.
«Forse no» ribatto, riflettendoci su.
«Ma mi toccherà iniziare appena mi
trasferisco da te.»
«Esatto.» Natalie tamburella le dita
sul bicchiere. «Divideremo tutte le
spese a metà… Un momento, non ti stai
tirando indietro, vero?» Si blocca,
guardandomi con circospezione.
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«Assolutamente no. La prossima settimana lascerò la casa di mia madre per
andare a vivere con una ninfomane.»
«Che stronza!» scoppia a ridere
Natalie.
Sorrido anch’io e torno a rimuginare
su quei pensieri che lei non è riuscita a
capire. Ma me l’aspettavo. Anche prima
della morte di Ian, ho sempre avuto
idee un po’ fuori dagli schemi. Invece
di immaginare nuove posizioni a letto,
come fa spesso Natalie con Damon, il
suo ragazzo da cinque anni, io fantastico sulle cose davvero importanti. O almeno importanti nel mio mondo. L’aria
di altri Paesi sulla pelle, l’odore
dell’oceano, il rumore della pioggia che
mi lascia senza fiato. «Sei una tipa profonda» così mi ha detto Damon in più
di un’occasione.
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«Caspita» esclama Natalie, «lo sai che
sei davvero deprimente?» Scuote il
capo con la cannuccia stretta tra le labbra. «Andiamo» dice, alzandosi all’improvviso. «Non la reggo più questa
robaccia filosofica. E poi questi localini
tranquilli hanno un effetto ancora peggiore su di te. Stasera andiamo
all’Underground.»
«Cosa? No, io non ci vengo in quel
posto.»
«Invece sì.» Lancia il bicchiere vuoto
in un cestino e mi afferra per il polso.
«Questa volta vieni con me, perché in
teoria sei la mia migliore amica e non
accetterò un altro no come risposta.»
L’accenno di sorriso si schiude a illuminarle il viso leggermente abbronzato.
Sta facendo sul serio. Fa sempre sul
serio quando ha quello sguardo, un’espressione entusiasta e determinata
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insieme. Forse stavolta è meglio cedere,
altrimenti mi tormenterà. Un male necessario, quando la tua migliore amica
è così assillante.
Mi alzo e metto la borsa a tracolla.
«Sono solo le due» dico.
Bevo l’ultima goccia di caffellatte e
getto il mio bicchiere nello stesso
cestino.
«Sì, ma prima dobbiamo trovarti
qualcosa da mettere.»
«Oh, no» rispondo, risoluta, mentre
Natalie mi spinge fuori dalla porta a
vetri, nell’aria estiva. «Venire all’Underground con te è già una buona azione, e
mi rifiuto di andare a fare shopping.
Sono piena di vestiti.»
Natalie mi prende sottobraccio; camminiamo sul marciapiede e superiamo
una lunga serie di parchimetri. Ride e
mi scocca un’occhiata. «Va bene. Ma
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lascia almeno che ti presti qualcosa di
mio.»
«Cosa c’è che non va nel mio
guardaroba?»
Lei arriccia le labbra e china il capo:
forse si domanda come ho potuto farle
una domanda così stupida. «È l’Underground» ripete, come se la risposta
fosse ovvia.
Okay, forse ha ragione. Natalie e io
siamo migliori amiche, ma con noi funziona la regola degli opposti che si attraggono. Lei è una un po’ alternativa e
ha una cotta per Jared Leto da quando
ha visto Fight Club. Io sono più tranquilla e di rado indosso colori scuri, a
meno che non debba andare a un funerale. Non che Natalie si vesta sempre
di nero o abbia una di quelle acconciature in stile emo, ma di sicuro non impazzisce per le cose che trova nel mio
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armadio; dice che sono insignificanti. Io
non sono d’accordo. So come vestirmi,
e i ragazzi – quando ancora stavo attenta al modo in cui mi guardavano il
sedere se mettevo i miei jeans preferiti
– non hanno mai avuto niente da ridire
sul mio abbigliamento.
Ma l’Underground è per quelli come
Natalie, e quindi per una volta credo
che dovrò vestirmi come lei. Solo per
sentirmi a mio agio. Non sono una pecora, io. Non lo sono mai stata. Però per
qualche ora posso trasformarmi in una
persona diversa, se serve a mescolarmi
tra la folla e a non attirare l’attenzione.
Entrando in camera di Natalie si
capisce subito che non soffre di un
disturbo ossessivo-compulsivo. E questa
è un’altra differenza tra noi. Io appendo
gli abiti in base al colore; lei li lascia
per settimane in una cesta ai piedi del
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letto, poi li butta di nuovo in lavatrice
perché sono tutti sgualciti. Io spolvero
la mia stanza tutti i giorni, mentre per
lei le pulizie di primavera consistono
nel togliere due dita di polvere dalla
tastiera del portatile.
«Questo ti starà benissimo» dice
mostrandomi una maglietta bianca
aderente degli Scars on Broadway. «È
stretta e con le tue tette è perfetta.» Mi
appoggia la T-shirt addosso e valuta
l’effetto.
Io grugnisco, per nulla soddisfatta.
Lei alza gli occhi al cielo. «E va bene»
dice, lanciando la maglietta sul letto.
Dall’armadio ne tira fuori un’altra e me
la porge con un gran sorriso. Una delle
sue tattiche manipolatorie: quando fa
quel sorriso a trentadue denti non riesco a contraddirla.
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«Che ne dici di qualcosa senza il
nome di una band a caso sopra?»
propongo.
«Ma questa è di Brandon Boyd» replica lei, incredula. «Come fa a non piacerti Brandon Boyd?»
«Sì, è carino, ma non mi va di portare
il suo nome stampato addosso.»
«Io vorrei avere lui in persona addosso» ribatte Natalie, ammirando la Tshirt stretta con lo scollo a V, praticamente identica alla prima.
«Allora mettila tu.»
Mi guarda annuendo, come se stesse
valutando la cosa. «Ottima idea.» Si
sfila il top e lo butta nella cesta della
biancheria, poi si fa scivolare sul seno
prosperoso il faccione di Brandon Boyd.
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«Ti sta bene» commento. La osservo
mentre si sistema e si guarda allo specchio da angolazioni diverse.
«Eccome se Brandon mi sta bene.»
«E Jared Leto come la prenderà?»
scherzo.
Natalie scoppia a ridere e si ravvia i
lunghi capelli neri, poi prende la
spazzola. «Lui sarà sempre al primo
posto.»
«E Damon? Sai, il tuo ragazzo, quello
non immaginario…»
«Piantala» esclama Natalie. «Se continui a stuzzicarmi su di lui…» Smette
di spazzolarsi e gira la testa per guardarmi. «Non è che ti piace Damon,
vero?»
Scrollo subito il capo. «No, Nat! Ma
che cavolo…?»
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Lei ride e riprende a spazzolarsi i
capelli. «Stasera ti troveremo un
ragazzo. Ecco di cosa hai bisogno. Risolverà tutto.»
Dal mio silenzio capisce immediatamente di aver esagerato. Non la sopporto quando fa così. Perché bisogna
stare per forza con qualcuno? È una fissazione stupida e un modo molto patetico di vedere le cose.
Natalie appoggia la spazzola sul
comò e si volta verso di me. Ora non
sta più scherzando. Tira un profondo
sospiro. «Lo so, non dovevo dirlo. Senti,
giuro che non mi metterò a fare
l’agente matrimoniale o roba simile,
d’accordo?» Alza le mani in segno di
resa.
«Ti credo» rispondo, cedendo alla sua
sincerità. Certo, so benissimo che nemmeno una promessa può fermarla: se
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anche non sarà lei in persona a cercarmi un ragazzo, non deve far altro che
battere quelle sue ciglia scure e indicare a Damon un tizio qualunque nel
locale, e lui saprà esattamente cosa
fare.
Ma io non ho bisogno del loro aiuto.
Non voglio frequentare nessuno.
«Oh!» esclama Natalie con la testa
dentro l’armadio. «Questo è perfetto!»
Si gira facendo dondolare la gruccia
con un top nero drappeggiato e senza
spalline. Sul davanti c’è scritto:
PECCATRICE.
«L’ho preso da Hot Topic» mi spiega,
togliendolo dall’appendiabiti.
Non voglio tirarla troppo per le
lunghe, così mi svesto e prendo il top.
«Reggiseno nero» commenta lei. «Ottima scelta.»
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Infilo il top e mi guardo allo
specchio.
«Allora, ammettilo! Ti piace, eh?» esclama lei, piazzandosi dietro di me con
aria soddisfatta.
Accenno un sorriso e mi volto dando
le spalle allo specchio: mi accorgo che
il top mi copre a malapena i fianchi.
E solo ora noto la scritta sulla schiena: SANTA.
«Okay» rispondo. «Mi piace. Ma non
abbastanza da mettermi a saccheggiare
il tuo armadio, quindi non ci sperare
troppo. Sono assolutamente soddisfatta
delle mie camicette accollate, grazie.»
«Non ho mai detto che i tuoi vestiti
sono brutti, Cam.» Natalie ride e mi tira
da dietro l’elastico del reggiseno. «Tu
sei sempre strafiga, qualunque cosa ti
metti. Ci proverei con te se non stessi
con Damon.»
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Spalanco la bocca, sconcertata. «Tu
non sei normale, Nat!»
«Lo so» risponde, mentre mi giro di
nuovo verso lo specchio. Avverto un
tono malizioso nella sua voce. «Però è
la verità. Te l’ho già detto una volta e
non stavo scherzando.»
Scuoto il capo e sorrido, poi prendo
la sua spazzola. Una volta, dopo aver
rotto con Damon per un breve periodo,
Natalie è stata con una ragazza. Ma
dice di essere “troppo malata di
uomini” (parole sue, non mie) per sprecare la sua vita con una donna. Non è
che sia davvero una puttanella – potrebbe prenderti a sberle se ti azzardi a
chiamarla così –, ma è la ninfomane
che ogni uomo sogna.
«Adesso passiamo al trucco» annuncia prima di trascinarmi su una sedia.
«No!»
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Natalie si posa le mani sui fianchi
torniti e mi fissa con gli occhi sgranati,
come se fosse mia madre e io l’avessi
appena insultata.
«Vuoi che ti faccia del male?» mi
chiede.
Cedo e mi accascio sulla sedia.
«Fa’ come ti pare» ribatto. Raddrizzo
la testa per darle completo accesso al
mio viso, che ora è diventato la sua
tela. «Niente occhi da panda però,
intesi?»
Mi prende per il mento. «Zitta, adesso» ordina, cercando di restare seria.
«Un’artista» dice con fare drammatico e
agitando la mano libera «ha bisogno di
silenzio per lavorare. Dove pensi di essere, da un’estetista di periferia?»
Al termine della “seduta”, sono
identica a lei. A parte le tette enormi e i
capelli castani lucidi. I miei sono di un
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biondo per cui molte ragazze sarebbero
disposte a pagare un sacco di soldi e mi
arrivano esattamente a metà della schiena. Ammetto di essere stata fortunata
al momento della distribuzione dei
capelli. Natalie mi ha detto che mi stanno meglio sciolti, e io le ho dato retta.
Non avevo scelta: il suo tono era piuttosto intimidatorio.
Non sembro un panda, ma non si può
dire che Natalie ci sia andata leggera
con l’ombretto. «Occhi scuri e capelli
biondi» ha detto mentre mi metteva il
mascara nero e denso. «Molto sexy.» E
a quanto pare i miei sandali non andavano bene, perché mi ha imposto di
rimpiazzarli con un paio di stivaletti a
punta con il tacco, in cui riesco appena
a infilare i jeans skinny.
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«Adesso sei davvero una gran figa»
conclude, squadrandomi da capo a
piedi.
«E tu sei in forte debito con me»
rispondo.
«Eh? Io sarei in debito con te?» Piega
la testa di lato. «No, tesoro, non credo
proprio. Semmai il contrario, perché ti
divertirai un sacco e mi implorerai di
portarti più spesso all’Underground.»
Incrocio le braccia sul petto. «Ne dubito. Ma ti concedo il beneficio del dubbio e spero comunque di divertirmi.»
«Bene» conclude Natalie, infilandosi
gli stivali. «Adesso andiamo. Damon ci
sta aspettando.»
2
Partiamo per l’Underground al tramonto, con il furgone personalizzato di
Damon, e lungo la strada facciamo diverse tappe. Damon parcheggia nel
vialetto di una casa, entra e si ferma
non più di tre o quattro minuti. Al
ritorno non dice una parola, non racconta cos’ha fatto, né con chi ha parlato: le classiche cose che chiunque
farebbe al posto suo. Peccato che lui sia
tutt’altro che normale. Gli voglio un
bene dell’anima, lo conosco più o meno
da quando conosco Natalie, ma non
sono mai riuscita ad accettare il suo
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rapporto con la droga. Coltiva erba in
cantina, ma non la fuma. Nessuno,
tranne me e i pochi amici più stretti,
sospetterebbe mai che un tipo in gamba
come Damon Winters coltivi marijuana:
di solito chi lo fa è un fricchettone,
spesso con una pettinatura ferma tra gli
anni Settanta e i Novanta. Damon non
lo è neanche lontanamente, anzi, potrebbe essere il fratello minore di Alex
Pettyfer. E poi dice che le canne
proprio non fanno per lui. No, lui
preferisce la cocaina, e quindi coltiva e
vende l’erba per comprarsela.
Natalie sostiene che si tratti di un’attività assolutamente innocua. Sa che
Damon non fuma, e secondo lei l’erba
non è poi così male: se altri vogliono
farsi una canna per rilassarsi, lui gli dà
solo una mano.
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Però Natalie si rifiuta di credere che
la cocaina lo ecciti più di quanto riesca
a fare lei con qualunque parte del suo
corpo.
«Okay, ricorda che stai andando a divertirti, va bene?» Scendo dal furgone e
Natalie chiude la mia portiera con un
colpo secco, poi mi guarda come se
avesse già perso ogni speranza. «Insomma, non remare contro o almeno
provaci.»
Alzo gli occhi al cielo. «Nat, non è
che lo faccio apposta. Voglio davvero
divertirmi.»
Damon ci raggiunge e fa scivolare le
braccia attorno alla vita di entrambe.
«Voglio entrare abbracciato a due belle
ragazze.»
Natalie gli dà una gomitata fingendosi offesa. «Zitto, tesoro. Potrei
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ingelosirmi.» E un istante dopo gli sorride maliziosa.
Damon le tocca il sedere con una
mano. Lei risponde con un gemito e si
alza in punta di piedi per baciarlo. Vorrei dire loro di prendersi una stanza,
ma sprecherei solo il fiato.
L’Underground è il posto più fico del
North Carolina, ma sull’elenco del telefono non c’è. In pochi sanno della sua
esistenza. Due anni fa un tizio di nome
Rob ha preso in affitto un magazzino
abbandonato e ha investito un milione
di dollari del suo paparino per trasformarlo in un locale clandestino. Va
ancora alla grande: è diventato un
luogo di riferimento per le star locali
che vogliono vivere il sogno del rock ’n’
roll, con tanto di fan urlanti e groupie.
Ma non è un postaccio; da fuori può
sembrare un edificio abbandonato in
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una città quasi fantasma, ma dentro ha
tutto ciò che ogni locale di livello in cui
si fa musica dal vivo dovrebbe avere:
luci stroboscopiche che fendono la
pista, cameriere sexy e un palco abbastanza grande per ospitare due band
contemporaneamente.
Perché l’Underground resti segreto,
bisogna parcheggiare lontano dall’ingresso e poi andarci a piedi: un assembramento di auto in sosta davanti a un
magazzino “abbandonato” sarebbe ben
più che un indizio.
Lasciamo il furgone sul retro di un
McDonald’s e camminiamo per circa
dieci minuti nella città spettrale.
Natalie si mette tra me e Damon, solo
per torturarmi meglio prima di entrare.
«Allora» dice, come se fosse il primo
punto di un elenco di cose da fare e da
non fare, «se qualcuno te lo chiede, tu
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sei single, capito?» Mi punta un dito in
faccia. «Non voglio più sentire quella
storia che hai tirato fuori con quel tizio
che ti stava rimorchiando da Office
Depot.»
«E cosa ci faceva Cam in un negozio
di articoli per ufficio?» interviene Damon ridendo.
«Damon, quel ragazzo era cotto» continua Natalie, come se io non fossi lì
con loro. «Le bastava battere le ciglia e
quello le avrebbe comprato una macchina. E invece sai cosa gli ha detto?»
Sospiro e mi sottraggo al suo abbraccio. «Quanto sei stupida, Nat. Non è andata così.»
«Ha ragione, tesoro» dice Damon. «Se
quel tizio lavora da Office Depot, non
può comprare una macchina a
nessuno.»
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Natalie gli sferra un pugno sulla
spalla. «Non ho detto che lavorava lì…
Comunque sembrava il figlio illegittimo
di… Adam Levine e…» Muove le dita
sopra la testa come per far materializzare il nome di un altro personaggio
famoso. «… Jensen Ackles. E quando le
ha chiesto il numero di telefono, Miss
Bacchettona gli ha detto di essere
lesbica.»
«Sta’ zitta, Nat» la interrompo, irritata da questa sua abitudine a esagerare.
«Non somigliava a nessuno dei due. Era
un ragazzo normale, non troppo
orrendo.»
Natalie liquida il mio commento con
un gesto e torna a rivolgersi a Damon.
«Come vuoi. Ma il punto è che pur di
tenere lontani i ragazzi è disposta a
mentire. Secondo me, arriverebbe
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persino a dire che ha la candida o le
piattole.»
Damon scoppia a ridere.
Mi fermo sul marciapiede buio e incrocio le braccia, mordendomi il labbro
per l’agitazione.
Natalie si accorge che non sono più
accanto a lei e torna indietro. «Okay!
Okay! Senti, è che non voglio che ti
rovini con le tue mani. Punto. Ti chiedo
solo, se uno non è proprio uno storpio e
ci prova con te, di non scacciarlo
subito. Non c’è niente di male a scambiare due parole, conoscersi… Non ti sto
dicendo di andare a casa con lui.»
Già la odio, e la serata è appena
cominciata. Aveva giurato!
Damon le stringe la vita da dietro e le
solletica il collo con le labbra. «Perché
non le lasci fare quello che vuole, tesoro? Smettila di essere così insistente.»
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«Grazie, Damon» replico con un veloce cenno del capo.
Lui mi fa l’occhiolino.
«Hai ragione» cede Natalie alzando le
mani. «Non dirò più niente, giuro.»
Questa l’ho già sentita…
«Bene» rispondo, e ci rimettiamo in
marcia. Gli stivaletti col tacco mi stanno massacrando i piedi.
L’orco che staziona all’ingresso del
locale con le grosse braccia incrociate
ci squadra e allunga la mano aperta.
Il viso di Natalie si contorce in un’espressione offesa. «Come sarebbe?
Adesso Rob ci fa pagare?»
Damon sfila il portafoglio dalla tasca
posteriore e conta le banconote.
«Venti a testa» grugnisce l’orco.
«Venti? Mi prendi per il culo?» strilla
Natalie.
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Damon la spinge via piano e mette in
mano all’orco tre biglietti da venti. Lui
li intasca e si sposta per lasciarci passare. Entro per prima; Damon appoggia
una mano sulla schiena di Natalie perché lo preceda.
Mentre passa accanto all’orco lei sibila: «Secondo me se li tiene. Ne parlerò
con Rob».
«Va’ avanti» dice Damon.
Percorriamo un corridoio lungo e
tetro con una luce al neon che sfarfalla
e raggiungiamo un montacarichi in
fondo.
Le porte si chiudono con un forte
rumore metallico e scendiamo di diversi metri. Il locale è al piano di sotto, e
l’ascensore sferraglia così tanto che ho
paura che si rompa e ci faccia sfracellare tutti quanti. Man mano che ci addentriamo
nelle
viscere
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dell’Underground, aumenta il volume
della musica e delle grida ubriache degli studenti (e probabilmente di un
mucchio di sfaccendati che l’università
non l’hanno mai finita). Il montacarichi
si ferma con uno scossone e un altro
orco apre le porte per farci uscire.
Natalie
mi
finisce
addosso.
«Sbrigati!» esclama, e mi spinge. «Credo
che stiano suonando i Four Collision!»
grida sopra la musica, mentre entriamo
nella sala principale.
Prende Damon per mano, poi cerca
anche la mia. So che cos’ha in mente,
ma non ho nessuna intenzione di farmi
schiacciare da una massa di corpi sudaticci con quegli stupidi stivaletti ai
piedi.
«Oh, forza!» insiste Natalie, quasi implorando. Mi afferra la mano e mi avvicina a lei. «Smettila di fare la bambina!
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Se qualcuno ti mette le mani addosso lo
prendo a calci in culo, d’accordo?»
Damon mi sorride.
«Va bene!» dico, e li seguo. Natalie
mi tira per le dita e quasi me le sloga.
Una volta in pista, balla un po’ con
me per non farmi sentire esclusa, come
farebbe ogni migliore amica, ma poco
dopo si dedica anima e corpo a Damon.
Potrebbe anche fare sesso con lui di
fronte a tutti e nessuno ci farebbe caso.
Forse lo noto solo io perché sono l’unica lì dentro a non fare la stessa cosa. Ne
approfitto per sgattaiolare via e puntare
verso il bar.
«Cosa ti preparo?» mi chiede il
barista, un tipo alto e biondo. Mi alzo
in punta di piedi e prendo uno sgabello
libero.
«Rum e Cola.»
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Il tizio mi prepara il cocktail. «Roba
forte, eh?» dice, riempiendo il bicchiere
di ghiaccio. «Mi fai vedere un documento?» E ride.
Lo guardo. «Certo, quando tu mi fai
vedere la licenza per gli alcolici.» Gli
sorrido di rimando.
Mescola il drink e me lo porge.
«Comunque non bevo molto» aggiungo, prendendo un sorsetto dalla
cannuccia.
«Ah, no?»
«Sì, be’, forse stasera ho bisogno di
una sbronza.» Poso il bicchiere e
giocherello con la fettina di lime sul
bordo.
«Come mai?» mi chiede, asciugando
il bancone con un pezzo di carta da
cucina.
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«Un momento.» Alzo un dito. «Prima
che tu ti faccia un’idea sbagliata, non
sono qui per sviscerare i miei problemi
con te… Sai, la terapia barista-cliente…» Natalie è l’unica psicologa che
posso sopportare.
Lui ride e getta la carta da qualche
parte dietro il bancone.
«Be’, buono a sapersi, perché non
sono bravo a dare consigli.»
Bevo un altro piccolo sorso, stavolta
chinandomi sulla cannuccia invece di
sollevare il bicchiere. I capelli mi ricadono sul viso. Mi raddrizzo e li ravvio
dietro le orecchie. Odio portare i capelli
sciolti: mi danno fastidio e non ne vale
proprio la pena.
«Se ci tieni a saperlo» riprendo
guardandolo in faccia «mi ha trascinato
qui la mia migliore amica. Se non fossi
venuta, probabilmente mi avrebbe fatto
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qualcosa di imbarazzante mentre dormivo e mi avrebbe ricattato con una
foto.»
«Ho presente il tipo» risponde lui, allungando le braccia sul bancone.
«Avevo anch’io un amico così. Sei mesi
dopo che la mia fidanzata mi ha mollato, mi ha portato in un locale fuori
Baltimora. Io avrei preferito stare a
casa a crogiolarmi nel dolore, e invece
quella serata era esattamente ciò di cui
avevo bisogno.»
Fantastico: questo qui pensa già di
conoscermi, o almeno di conoscere la
mia “situazione”. E invece non sa un
bel niente. Magari è in piena crisi da ex
– prima o poi capita a tutti –, ma il
resto della mia vita, il divorzio dei miei
genitori, mio fratello maggiore Cole in
prigione, la morte del mio grande
amore… Non ho nessuna intenzione di
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parlarne con lui. Perché quando parli di
queste cose, diventi automaticamente
una frignona con tanto di violini in sottofondo. Tutti abbiamo dei problemi;
tutti abbiamo momenti di difficoltà,
soffriamo, e il mio dolore non è niente
in confronto a quello di un sacco di altra gente. Perciò non ho nessun diritto
di lamentarmi.
«Avevo capito che non eri bravo a
dare consigli» gli faccio con un sorriso.
Lui si scosta dal bancone e dice: «Infatti è così, ma se la mia esperienza può
insegnarti qualcosa, mi fa piacere».
Sorrido di nuovo, e questa volta faccio solo finta di bere. Non voglio davvero prendermi una sbornia, anche perché ho la netta sensazione che al
ritorno dovrò guidare io.
Nel tentativo di allontanare da me i
riflettori, appoggio un gomito sul
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tavolo e il mento sulle nocche. «Allora,
cos’è successo quella sera?»
Increspa l’angolo della bocca e scuote
i capelli biondi. «Ho scopato per la
prima volta da quando la mia ex mi
aveva lasciato e mi sono ricordato di
quanto si sta bene a non avere legami.»
Non mi aspettavo una risposta simile.
Di solito i ragazzi tengono ben nascosta
la fobia per le relazioni serie, soprattutto se ci stanno provando con me. Mi
piace questo tipo. Nel senso che mi sta
simpatico, ovviamente: non è che sono
pronta, come direbbe Natalie, “a
inginocchiarmi davanti a lui”.
«Capisco.» Cerco di trattenere un sorriso. «Be’, almeno sei sincero.»
«Bisogna esserlo» dice lui prendendo
un bicchiere per prepararsi un rum e
cola. «Ho scoperto che molte ragazze
sono spaventate quanto i ragazzi
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all’idea di impegnarsi. Se sei onesto fin
dall’inizio, è più probabile uscire indenni da una storia di una notte.»
Annuisco e prendo la cannuccia tra le
dita. Non glielo dirò mai e poi mai, ma
sono completamente d’accordo con lui,
anzi trovo che le sue parole siano liberatorie. Non ci avevo mai pensato: avere
una relazione è l’ultima cosa che mi
passa per la testa, ma sono pur sempre
umana e non mi dispiacerebbe
un’avventura di una notte.
Però non con lui. Né con nessun altro
in questo locale. Okay, forse sono
troppo fifona per il sesso senza impegno, e il cocktail mi ha già dato alla
testa. La verità è che non ho mai fatto
niente di simile e anche se il pensiero
un po’ mi eccita, allo stesso tempo mi
spaventa a morte. Sono stata solo con
due ragazzi: Ian Walsh, il mio primo
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amore e quello con cui ho perso la verginità, che poi è morto in un incidente
d’auto tre mesi dopo, e Christian Deering, lo scaccia-chiodo, nonché il bastardo che mi ha tradito con una troietta
dai capelli rossi.
Sono solo felice di non avergli mai
detto quelle due parole che cominciano
per “T” e finiscono per “Amo”. Quando
me l’ha detto lui, ho avuto la
sensazione che non avesse idea del vero
significato di quelle parole. Be’, poi
forse è andato con un’altra dopo cinque
mesi che ci frequentavamo proprio perché io non gli ho mai risposto.
Alzo lo sguardo sul barista e vedo che
mi sta sorridendo, in attesa che dica
qualcosa. Non è niente male. O forse
sta solo cercando di essere gentile. Lo
ammetto, è carino. Non avrà più di venticinque anni e il sorriso gli arriva
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prima agli occhi
Noto i bicipiti
scolpito sotto la
bronzato, come
dell’oceano.
castani che alle labbra.
muscolosi e il torace
T-shirt aderente. È abse vivesse sulle rive
Distolgo lo sguardo solo quando mi
accorgo che me lo sto immaginando in
costume e senza maglietta.
«Mi chiamo Blake» dice. «Sono il fratello di Rob.»
Rob? Ah, già, il proprietario
dell’Underground.
Gli porgo la mano e lui me la stringe.
«Camryn.»
Sento la voce di Natalie sopra la musica prima ancora di vederla. Si fa largo
in mezzo a un gruppetto di persone a
bordo pista e mi raggiunge. Nota subito
Blake; le brillano gli occhi e un sorriso
le illumina il volto. Damon la segue,
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tenendola per mano; si accorge anche
lui del barista e cerca il mio sguardo.
Mi dà una strana sensazione, ma presto
non ci penso più.
Natalie preme la spalla contro la mia.
«Cosa ci fai qui?» mi chiede in tono accusatorio. Ha un sorriso da un orecchio
all’altro; saetta lo sguardo varie volte
tra me e Blake e poi lo fissa su di me.
«Bevo» rispondo. «Sei venuta per
bere anche tu o per controllarmi?»
«Tutte e due» replica lei, lasciando la
mano di Damon e iniziando a tamburellare le dita sul bancone. Poi si rivolge a
Blake. «Qualsiasi cosa con la vodka.»
Blake annuisce e guarda Damon.
«Per me Rum e Cola» risponde lui.
Natalie mi avvicina le labbra all’orecchio e sento il suo respiro caldo.
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«Cazzo, Cam! Lo sai chi è quello?»
sussurra.
Mi accorgo che Blake sorride: l’ha
sentita.
Arrossisco per l’imbarazzo e mormoro a Natalie: «Sì, si chiama Blake».
«È il fratello di Rob!» sibila lei, tornando a guardarlo.
Mi volto verso Damon sperando che
capisca e la porti via, ma questa volta
lui fa finta di niente. Dov’è il Damon
che conosco, quello che sta sempre
dalla mia parte quando devo difendermi da Natalie?
Oh oh, mi sa che è di nuovo arrabbiato con lei. Si comporta così solo
quando Natalie apre quella sua boccaccia o fa qualcosa su cui Damon proprio
non riesce a passar sopra. Siamo qui
soltanto da mezz’ora: cosa può aver
combinato Natalie in così poco tempo?
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Certo, se c’è una che può far arrabbiare
il suo ragazzo in meno di un’ora senza
nemmeno rendersene conto, quella è
lei.
Scendo dallo sgabello e la prendo sottobraccio, allontanandola dal bar. Damon, che forse ha capito le mie intenzioni, resta al bancone con Blake.
Il gruppo che si sta esibendo finisce
un pezzo e inizia il successivo. La musica sembra ancora più alta.
«Cos’hai combinato?» le chiedo, facendola voltare per guardarla in faccia.
«In che senso?» Non mi sta neanche
ascoltando, il suo corpo ondeggia piano
al ritmo della musica.
«Nat, sono seria.»
Alla fine si ferma e mi fissa, come se
cercasse la risposta sul mio viso.
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«Per far arrabbiare Damon» le spiego.
«Era tranquillo quando siamo arrivati.»
Natalie scocca un’occhiata al suo
ragazzo, che sorseggia un cocktail; poi
torna a guardare me, un’espressione
confusa sul volto. «Non ho fatto niente… Almeno, non credo.» Guarda in
alto, come per sforzarsi di ricordare.
Appoggia le mani sui fianchi. «Perché
pensi che sia arrabbiato?»
«Ha quella faccia…» rispondo, osservando Damon e Blake. «Non sopporto
quando litigate, soprattutto se sono
costretta a passare tutta la serata con
voi e ad ascoltarvi mentre rivangate
stronzate del passato.»
Natalie sembra confusa, poi mi fa un
sorriso infido. «Sei paranoica. Stai solo
cercando di distrarmi per impedirmi di
fare un commentino su te e Blake.» Di
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nuovo quello sguardo divertito che
detesto.
Alzo gli occhi al cielo. «Non c’è nessun “io e Blake”. Stavamo solo
parlando.»
«Parlare è il primo passo. Sorridergli»
– e qui i suoi occhi si illuminano –
«come ti ho visto fare quando sono arrivata, è il secondo.» Incrocia le braccia. «Scommetto che non ti ha dovuto
cavare le parole di bocca per convincerti a chiacchierare un po’ con lui. Insomma, sai già come si chiama!»
«Vuoi che mi diverta e che conosca
un ragazzo e poi non mi lasci in pace
quando le cose vanno come vuoi tu?»
Natalie si lascia di nuovo distrarre
dalla musica e alza le braccia sopra la
testa, dimenando i fianchi in modo sensuale. Io resto immobile accanto a lei.
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«Non succederà nulla» dico con fermezza. «Hai ottenuto quello che volevi:
sto parlando con un tizio e non ho intenzione di dirgli che ho la candida,
quindi, per favore, non fare scenate.»
Le sfugge un lungo e profondo
sospiro e smette di ballare per un momento, quanto basta per dirmi: «Forse
hai ragione. Ti lascio a lui. Ma se ti
porta nell’ufficio di Rob, voglio i
dettagli». Mi punta il dito contro, lo
sguardo truce e le labbra arricciate.
«Va bene» rispondo, solo per togliermela di torno, «ma non sperarci troppo,
perché non succederà.»
3
Un’ora e due cocktail dopo, sono
“nell’ufficio di Rob” con Blake. Sono
solo un po’ brilla: cammino dritta e ci
vedo benissimo, quindi so con certezza
di non essere ubriaca. Però sono un
tantino troppo allegra, e la cosa mi infastidisce. Quando Blake propone di
“allontanarci dal rumore per un attimo”, l’allarme dentro la mia testa
inizia a suonare a tutto volume: non andartene da sola con uno sconosciuto
dopo due drink. Non farlo, Cam. Non
sei una stupida, quindi non lasciare che
l’alcol ti renda tale.
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Per un po’ ho dato retta a quella
voce, ma poi il sorriso contagioso di
Blake e il modo in cui riusciva a farmi
sentire a mio agio l’hanno completamente zittita.
«E questo sarebbe il famoso “ufficio
di Rob”?» chiedo, guardando il profilo
della città dal tetto del magazzino. I
palazzi brillano di luci blu, bianche e
verdi; le strade sono immerse nel
bagliore arancione dei lampioni.
«Cosa ti aspettavi?» replica Blake,
prendendomi la mano. Sussulto, ma
non mi sottraggo. «Una dark room con
gli specchi sul soffitto?»
Un momento… Sì, me la immaginavo
proprio così – ecco, più o meno –, ma
allora perché sono venuta qui con lui?
Okay, adesso il panico comincia a
farsi sentire.
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Forse, dopotutto, ubriaca lo sono, altrimenti non avrei perso per strada il
buonsenso. Il solo pensiero che sarei
stata pronta, anche se sbronza, per una
dark room mi fa rabbrividire e mi riporta di colpo alla lucidità. L’alcol mi
rende stupida, oppure tira fuori qualcosa che è già dentro di me e che io mi
ostino a non voler vedere?
Guardo di sfuggita la porta di metallo
sul muro di mattoni e noto che filtra la
luce. L’ha lasciata aperta. Buon segno.
Blake mi guida a un tavolino da picnic di legno e io, un po’ nervosa, mi
siedo accanto a lui. Il vento soffia tra i
capelli e qualche ciocca mi finisce in
bocca, così la scosto con la mano.
«Per fortuna che sono io» dice, guardando la città. Tiene le mani sulle ginocchia e i piedi appoggiati alla panca
sotto al tavolino.
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Mi siedo a gambe incrociate e nascondo le mani in grembo. Lo guardo
perplessa.
«Per fortuna che ti ho portato io
quassù» spiega con un sorriso. «Una
bella ragazza come te, nel locale, con
tutti quei brutti ceffi…» Si gira per
guardarmi; i suoi occhi castani sembrano quasi luminescenti al buio. «Se
c’era un altro al posto mio, rischiavi di
fare la fine di tutte quelle che vengono
stuprate nei film per la tv.»
Adesso sono completamente sobria.
Nel giro di due secondi, è come se non
avessi bevuto nemmeno un goccio. Raddrizzo la schiena e trattengo il respiro,
nervosa.
Che cazzo mi è passato per la testa?
«Tranquilla» fa lui con un tono dolce
mentre alza le mani. «Non toccherei
mai una ragazza senza il suo consenso,
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nemmeno una che ha bevuto e pensa di
sapere cosa vuole.»
Mi sa che l’ho scampata proprio
bella.
In qualche modo mi rilasso e sento di
poter respirare di nuovo. Certo, Blake
potrebbe sempre cercare di riempirmi
la testa di stronzate perché inizi a fidarmi di lui, ma l’istinto mi dice che è
totalmente inoffensivo. Finché sono qui
da sola con lui terrò alta la guardia e
starò attenta, ma almeno mi sento tranquilla. Credo che se avesse voluto approfittarsi di me, non me l’avrebbe annunciato in quel modo.
Ridacchio sottovoce, ripensando alle
sue parole.
«Ho detto qualcosa di buffo?» Blake
mi guarda, in attesa.
«Quella cosa sui film per la tv»
rispondo, e sento le labbra aprirsi in un
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sorriso impacciato. «Guardi quella
roba?»
Blake distoglie lo sguardo, anche lui
in imbarazzo. «No, pensavo solo che
fosse un paragone comune.»
«Davvero?» lo prendo in giro. «Non
so, sei il primo ragazzo che sento usare
“film per la tv” in una frase.»
Adesso è lui ad arrossire, e mi prenderei a calci per quanto mi piace
vederlo così.
«Non dirlo a nessuno, d’accordo?» E
mette su un adorabile broncio.
Rispondo con un sorriso, poi osservo
le luci della città, sperando di smorzare
qualunque aspettativa si sia fatto dopo
il nostro breve scambio. Non mi importa quanto sia gentile, affascinante o
sexy: non cederò. Non sono pronta per
niente di più di questo, un’innocente e
amichevole conversazione senza alcun
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fine sessuale o sentimentale. È così difficile parlare con i ragazzi: pensano
sempre che un sorriso significhi più di
quello che è.
«Allora, dài, dimmi» riprende Blake
«come mai sei qui da sola?»
«Oh, no…» Scuoto la testa e scrollo la
mano. «… non parliamone.»
«Dài, dammi un indizio. Stiamo solo
chiacchierando.» Si gira del tutto verso
di me e appoggia una gamba sul tavolo.
«Voglio davvero saperlo. Non è una
tattica.»
«Una tattica?»
«Sì, tipo scavare nei tuoi problemi e
trovare qualcosa che poi fingo mi interessi per potermi infilare nelle tue
mutandine… Se volessi una cosa del
genere, te lo direi chiaro e tondo.»
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«Ah, quindi non vuoi?» Lo guardo di
sottecchi alzando un sopracciglio.
Piegato ma non sconfitto, con un’espressione più dolce replica: «Certo, sì.
Sarei un malato di mente se non volessi
venire a letto con te. Ma se ti avessi
portata qui solo per quel motivo, te
l’avrei detto subito».
Apprezzo la sua onestà e lo rispetto
ancora di più, ma mi si congela il sorriso in faccia quando dice “solo per
quel motivo”. Cos’altro vuole da me?
Un appuntamento e poi magari una
relazione? Mmm, no.
«Senti, per tua informazione» dico,
scostandomi un po’ e facendo in modo
che lui se ne accorga «non sto cercando
“altro”.»
«Altro?» Poi capisce a cosa mi
riferisco. Scuote la testa. «Va bene. Su
questo siamo sulla stessa lunghezza
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d’onda. Comunque ti ho portata qui
solo per chiacchierare un po’, anche se
può sembrarti assurdo.»
Qualcosa mi dice che se avessi voluto
fare sesso o desiderato che mi chiedesse
di uscire insieme, oppure entrambe le
cose, Blake sarebbe stato disponibile,
ma ora sta facendo lentamente marcia
indietro perché non sembri sia stata io
a rifiutarlo.
«E per rispondere alla tua domanda»
continuo, solo per amore della conversazione «sono single perché ho avuto
delle brutte esperienze e al momento
non ho nessuna voglia di ricominciare
da capo.»
Blake annuisce. «Capisco.» Distoglie
lo sguardo e la brezza gli scompiglia il
ciuffo. «Ricominciare è terribile, almeno all’inizio. Tutta la fase in cui ci si
conosce è un incubo.» Mi guarda di
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nuovo, cercando le parole. «Dopo un
po’ che stai con qualcuno ti ci abitui.
Diventa comodo, mi capisci? E quando
ci abituiamo alla comodità, provare a
tirarcene fuori, anche se tutto il resto è
un inferno e fa male, è come convincere
un ciccione col culo appiccicato al divano a mettersi a dieta e a fare un
giro.» Forse si è reso conto di essersi esposto troppo, e troppo presto, quindi
cerca di sdrammatizzare. «Mi ci sono
voluti tre mesi con Jen prima di riuscire ad andare in bagno con lei in
casa.»
Scoppio a ridere forte, e quando
trovo il coraggio per guardarlo vedo
che sta ridendo anche lui. Ho la
sensazione che non abbia ancora superato la rottura con la sua ex, come invece vorrebbe farmi credere. Perciò decido di fargli un favore riportando il
discorso su di me prima che gli venga
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chissà quale illuminazione e il mondo
gli rovini addosso un’altra volta.
«Il mio ragazzo è morto» dico d’impulso, più per lui che per me. «Incidente d’auto.»
Blake si fa serio e mi guarda, gli occhi pieni di rimorso. «Mi dispiace, non
volevo…»
Alzo una mano. «Tutto a posto, tu
non c’entri.» Lui annuisce piano aspettando che io continui. «È successo una
settimana prima del diploma.»
Mi posa una mano sul ginocchio, ma
so che è solo per confortarmi.
Sto per raccontargli com’è successo,
quando sento un bam! fortissimo e
Blake cade giù dal tavolino, finendo
steso sul pavimento. Succede tutto così
in fretta che non mi accorgo subito che
è Damon ad averlo sbattuto a terra.
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«Damon!» urlo. Immobilizza Blake
prima che riesca ad alzarsi e lo colpisce
in faccia. «Damon, basta! Oddio!»
Blake si prende un’altra pioggia di
pugni, poi riesco a riprendermi e faccio
di tutto per allontanare Damon da lui.
Gli afferro i polsi da dietro, ma è così
concentrato a massacrare di botte Blake
che mi sembra di cavalcare un toro
meccanico. Non riesco a fermarlo e finisco scaraventata sul cemento, sbattendo le mani e il sedere.
Alla fine Blake colpisce Damon al viso e si rimette in piedi.
«Che cazzo ti è preso?!» esclama
Blake, vacillando. Continua a strofinarsi
la mascella, come se cercasse di rimetterla a posto. Gli sanguina il naso e ha
il labbro superiore spaccato e gonfio.
Nella penombra, il sangue sembra nero.
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«Lo sai benissimo, stronzo» ruggisce
Damon e si lancia di nuovo sul barista.
Io scatto in avanti e faccio il possibile
per frenarlo. Mi metto davanti a lui e
spingo i palmi contro il suo torace
massiccio.
«Piantala, Damon! Stavamo solo parlando! Cosa c’è?» Sto urlando così forte
che la voce mi esce stridula, acuta.
Mi giro, tenendo sempre le mani
salde sul petto di Damon, e guardo
Blake. «Mi dispiace tantissimo, Blake.
Io…»
«Non preoccuparti» risponde, con
un’espressione dura. «Me ne vado.»
Si volta ed esce dalla porta di metallo
sbattendosela alle spalle.
Guardo di nuovo Damon, con la rabbia negli occhi, e lo spintono all’indietro con tutta la forza che ho. «Che
coglione! Non posso crederci!» Sto
74/915
letteralmente gridando a pochi centimetri dalla sua faccia.
Damon stringe le labbra; sta ancora
ansimando dopo la lotta. I suoi occhi
scuri sono sgranati, furenti, feroci. Ho
un sospetto, ma una parte di me, quella
che lo conosce da dodici anni, lo scarta
immediatamente.
«Cosa ti è saltato in testa di andartene con un tizio che hai appena
conosciuto? Pensavo che fossi più intelligente, Cam, anche da ubriaca!»
Mi allontano da lui e incrocio le braccia al petto, furiosa. «Mi stai dicendo
che sono una stupida? Stavamo solo
parlando!» strillo, e mi finiscono i
capelli sugli occhi. «So distinguere gli
stronzi dai bravi ragazzi. Adesso, per
esempio, davanti a me vedo un grandissimo stronzo!»
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Damon digrigna i denti. «Chiamami
come ti pare, ti stavo solo proteggendo.» Il suo tono è sorprendentemente calmo.
«Da cosa?» grido. «Da una conversazione noiosa? Da un ragazzo che voleva solo chiacchierare?»
Damon mi fa una smorfia. «I ragazzi
non vogliono mai “solo chiacchierare”»
ribatte, come se fosse un esperto in materia. «Soprattutto non con una come
te, e non sul tetto di un cazzo di
magazzino. Ancora dieci minuti e ti
avrebbe sbattuta sul tavolo. Nessuno ti
avrebbe sentito urlare, Cam.»
Mando giù il nodo che sento in gola,
ma subito ne arriva un altro. Forse Damon ha ragione. Forse ero così accecata
dalla sincerità di Blake, da quella sua
aria ferita, che ho ceduto a una tattica
che
non
avevo
minimamente
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considerato. Certo, ho visto in televisione cose del genere, ma magari il piano di Blake era un po’ diverso… No,
non ci credo. Il cuore mi dice che mi
avrebbe sbattuta sul tavolino da picnic
solo se gliel’avessi chiesto, altrimenti
non si sarebbe permesso.
Volto le spalle a Damon: non voglio
che legga sul mio viso che per un
secondo gli ho quasi creduto. Sono incazzatissima per come si è comportato,
ma non posso restare arrabbiata con lui
all’infinito, perché lo so che stava solo
cercando di proteggermi. È un maschio
alfa sovraccarico di testosterone, senza
dubbio,
però
voleva
davvero
difendermi.
«Cam, guardami, per favore.»
Aspetto qualche secondo, in segno di
sfida, poi mi volto con le braccia
ancora incrociate.
77/915
Lui mi scruta con un’espressione più
dolce. «Scusami, è che…» Sospira e distoglie lo sguardo, come se non potesse
dire quello che sta per dire guardandomi in faccia. «Camryn, non riesco
a sopportare l’idea di te con un altro.»
Mi sento come se mi avessero dato
un pugno nello stomaco. Mi sfugge uno
strano gemito e sgrano gli occhi. Nervosa, osservo la porta e poi lui. «Dov’è
Natalie?» Devo cambiare argomento.
Che cavolo ha detto? No, non può essere. Ho sentito male. Sì, sono di nuovo
sbronza e non riesco a pensare.
Damon si avvicina e mi prende per le
braccia. Sento il bisogno di arretrare
all’istante, ma sono paralizzata; riesco a
muovere soltanto gli occhi.
«Parlavo sul serio» aggiunge, abbassando la voce in un sussurro disperato.
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«Ti desidero dal primo anno delle
superiori.»
Un altro pugno nello stomaco.
Alla fine riesco ad allontanarmi da
lui. «No. No.» Scuoto la testa, cercando
di capirci qualcosa. «Sei ubriaco, Damon? Sei fatto? Tu non stai bene.» Alzo
le mani. «Dobbiamo andare a cercare
Natalie. Non le dirò niente, tanto domattina non ricorderai nulla. Però dobbiamo andare. Subito.»
Mi incammino verso la porta, poi
sento la mano di Damon sul braccio; mi
fa voltare. Mi si mozza il respiro e quel
sospetto di prima ritorna prepotente,
ribaltando completamente l’idea che ho
sempre avuto di Damon, la fiducia che
ripongo in lui. Mi fissa con uno sguardo
ancora più feroce di prima, misto però
a una dolcezza inquietante.
79/915
«Non sono ubriaco ed è una settimana che non sniffo.»
Il fatto stesso che consumi cocaina è
un motivo più che sufficiente per non
essere mai stata attratta da lui, ma è
uno dei miei più cari amici e quindi ci
sono sempre passata sopra. Adesso però
mi sta dicendo la verità, e lo so proprio
perché abbiamo un rapporto così
stretto.
Per la prima volta vorrei che fosse
fatto, perché allora potremmo fingere
che questo non sia mai accaduto.
Abbasso lo sguardo sulle sue dita
strette attorno al mio braccio e mi accorgo di quanto sia forte la sua presa.
La cosa mi spaventa.
«Lasciami, Damon, per favore.»
Invece di allentare, mi stringe ancora
di più. Provo a divincolarmi, ma lui mi
tira a sé e, prima che io possa reagire,
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preme la bocca sulla mia e con la mano
libera mi afferra il collo per bloccarmi
la testa. Prova a infilarmi la lingua in
bocca, ma riesco a dargli una testata
sulla fronte. Lui rimane intontito – e
anch’io – e d’istinto mi lascia andare.
«Cam! Aspetta!» lo sento gridare dietro di me mentre corro via.
Avverto i suoi passi pesanti alle mie
spalle, ma raggiungo il montacarichi e
riesco a seminarlo. Chiudo le porte e
premo il pulsante. All’uscita del locale
trovo lo stesso orco che ci aveva fatto
entrare; per passare devo spingerlo via.
«Piano, ragazzina!» urla.
Continuo a correre sul marciapiede,
allontanandomi dal magazzino. Raggiungo un distributore e chiamo un taxi
per tornare a casa.
4
Il mattino dopo mi sveglia il cellulare.
Lo sento vibrare sul comodino vicino
alla testa. Sul display leggo NATALIE e
vedo il suo sorrisone, i suoi occhioni
che mi guardano. Quando inizio a immaginare la sua faccia mi sveglio del
tutto; mi sollevo e mi metto seduta.
Lascio squillare il telefono per qualche
altro secondo prima di trovare il coraggio di rispondere.
«Dove ti sei cacciata?» mi strilla
Natalie nell’orecchio. «Oh mio Dio,
Cam, sei sparita, io ero fuori di testa…
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poi è sparito anche Damon e dopo un
po’ è ricomparso. Ho visto Blake andarsene a un certo punto e aveva tutta
la faccia insanguinata e ho capito perché dicevi che Damon era arrabbiato…»
Si ferma per prendere fiato. «Ho continuato a chiedergli se avevo fatto o
detto qualcosa di male, se era per la
settimana scorsa al ristorante, ma lui
mi ha ignorato e ha detto che era ora di
andare e io…»
«Natalie» la interrompo. Mi gira la
testa da quanto parla in fretta. «Calmati
per un secondo, okay?»
Scosto la coperta e scendo dal letto, il
cellulare sempre incollato all’orecchio.
So che devo farlo, so che devo raccontarle di Damon. Non soltanto perché se
poi lo scoprisse da sola non mi perdonerebbe mai, ma anche perché io
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stessa non mi perdonerei mai. Al suo
posto, vorrei che me lo dicesse.
Ma non al telefono. È una questione
da discutere di persona.
«Ci possiamo vedere tra un’ora per
un caffè?»
Silenzio.
«Uh, d’accordo, certo. Sicura di stare
bene? Ero così preoccupata. Pensavo
che ti avessero rapita…»
«Natalie, sì, io…» No, decisamente
non sto bene. «Sì, sto bene. Ci vediamo
fra un’ora e, per favore, vieni da sola.»
«Damon è svenuto a casa sua» dice
lei, e dal tono sono sicura che sta sorridendo. «Amica mia, ieri notte mi ha
fatto cose di cui non lo credevo nemmeno capace.»
Le sue parole mi fanno rabbrividire.
Sono come creature urlanti che
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inveiscono contro di me all’altro capo
del telefono, ma devo fingere che siano
soltanto parole.
«Cioè, finché non ho saputo che stavi
bene non riuscivo neanche a pensare al
sesso. Non rispondevi al telefono, così
ho chiamato tua madre tipo alle tre e
lei mi ha detto che dormivi nel tuo
letto. Ero così preoccupata, sei sparita
e…»
«Tra un’ora» la interrompo prima che
parta per la tangente.
Riattacco e, come prima cosa, controllo le chiamate perse. Sei sono di
Natalie, ma le altre nove sono di Damon. Solo Natalie mi ha lasciato dei
messaggi, però. Immagino che Damon
non volesse lasciare nessuna prova.
Non che mi serva una prova. Natalie e
io siamo migliori amiche da quando
quella stronza mi ha rubato la mia
85/915
Barbie Magie di Velluto a un pigiama
party.
Non riesco a stare ferma e ho già
bevuto più di metà del mio latte
quando finalmente Natalie si presenta e
prende posto sulla sedia vuota davanti
a me. Vorrei che non sorridesse così
tanto: rende tutto più difficile.
«Hai un aspetto orribile, Cam.»
«Lo so.»
Lei batte le palpebre, sorpresa.
«Cosa? Nessun “grazie” sarcastico?
Niente occhi al cielo?»
Per favore, smetti di sorridere, Nat.
Ti prego, per una volta accorgiti che
non sto scherzando e resta seria anche
tu.
Ovviamente non lo fa.
«Senti, vado dritta al punto, okay?»
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Ecco, finalmente il sorriso comincia a
svanire.
Deglutisco e faccio un bel respiro.
Dio, non ci credo che sta succedendo
davvero. Se si trattasse di uno di quei
tizi con cui Natalie è uscita durante una
delle pause con Damon non sarebbe
così difficile. Ma qui si tratta di Damon,
il ragazzo con cui sta da cinque anni,
quello da cui torna sempre dopo ogni
litigata. L’unico di cui si sia mai innamorata sul serio.
«Cam, cosa c’è?»
Inizia a percepire la gravità della
situazione e vedo nei suoi occhi che si
sta chiedendo se lo vuole sapere oppure
no. Credo abbia intuito che c’entra
Damon.
Vedo il nodo che ha in gola andare
giù.
«Ieri sera ero con Blake sul tetto…»
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D’un tratto il suo volto, prima preoccupato, si distende. È come se cercasse
un pretesto per cambiare discorso, per
evitare quello che le sto per dire.
Ma io la interrompo prima che possa
parlare.
«Ascoltami per un minuto, va bene?»
Alla fine ce l’ho fatta. Adesso mi fissa
con attenzione.
Riprendo. «Damon pensava che Blake
mi avesse portato lì per approfittarsi di
me. È arrivato come una furia e l’ha
picchiato. Di brutto. Poi ovviamente
Blake se n’è andato incazzato e siamo
rimasti io e Damon. Soli.»
Gli occhi di Natalie tradiscono le sue
paure. Sembra sapere il resto e già mi
odia.
«Damon ci ha provato con me, Nat.»
Lei abbassa lo sguardo.
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«Mi ha baciata e mi ha detto che è
dal primo anno delle superiori che
prova qualcosa per me.»
Da come respira – brevi ansimi pesanti – scommetto che le batte forte il
cuore.
«Volevo dirtelo…»
«Sei una stronza bugiarda.»
Un altro pugno allo stomaco, solo che
stavolta mi mozza il fiato.
Natalie si alza in piedi, mette la borsa
in spalla e mi guarda con gli occhi scuri
pieni di rabbia. Non riesco ancora a
muovermi, stordita dalle sue parole.
«Ti vuoi fare Damon da quando ho
iniziato a uscire con lui» sibila. «Credi
che in tutti questi anni non mi sia accorta di come lo guardi? Cazzo,
Camryn, stai sempre dalla sua parte e
mi rompi le palle ogni volta che
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scherzo sugli altri ragazzi.» Comincia
ad agitare le mani imitandomi con una
voce esageratamente nasale: «“Hai un
ragazzo, Nat. Non dimenticarti di Damon, Nat. Dovresti pensare a Damon,
Nat”.» Sbatte il palmo sul tavolo, che
oscilla pericolosamente. Non provo
nemmeno ad afferrare il mio bicchiere.
«Sta’ lontana da me e da Damon.» Mi
punta il dito in faccia. «O giuro su Dio
che ti gonfio di botte.»
Si alza ed esce dalle porte di vetro
della caffetteria; il tintinnio della campanella rimbomba nel locale.
Quando finalmente mi riprendo, mi
accorgo che tre clienti mi stanno fissando. Persino la barista dietro il
bancone abbassa gli occhi quando incrocio il suo sguardo. Ho la vista annebbiata, le venature del legno del tavolo sembrano muoversi. Mi prendo la
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testa tra le mani e resto immobile, non
so per quanto.
Per due volte sono lì lì per chiamarla,
poi però mi impongo di non farlo e riappoggio il telefono.
Com’è possibile? Siamo state inseparabili per anni – sono stata io a pulire il
suo vomito quando si è presa un virus
allo stomaco, santo cielo – e adesso mi
butta via così, come un avanzo di cibo
andato a male. Sta solo soffrendo,
provo a dirmi. È in una fase di negazione; devo solo lasciarle il tempo di
assimilare la verità. Poi tornerà, scaricherà quello stronzo, mi chiederà scusa
e mi porterà di nuovo all’Underground
a cercare un nuovo ragazzo per entrambe. Ma non ci credo davvero, o, piuttosto, la parte meno razionale di me,
quella ferita, non vuole farmi vedere al
di là della rabbia.
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Un cliente – un uomo anziano, alto e
con un completo sgualcito – mi passa
accanto e mi lancia un’occhiata prima
di uscire. Sono mortificata. Mi guardo
intorno di nuovo e sorprendo gli stessi
occhi di prima che mi fissano. Mi sento
compatita. E non mi piace.
Afferro la borsa da terra, mi alzo ed
esco a lunghi passi con lo stesso fare indignato di Natalie.
È passata una settimana e ancora non si
è fatta sentire. Alla fine ho ceduto e
l’ho chiamata – diverse volte –, ma
scatta sempre la segreteria. L’ultima
volta che ho provato, aveva cambiato la
frase registrata. Diceva: Ciao, sono Nat.
Se sei un amico, un vero amico, allora lasciami un messaggio e ti richiamerò. Altrimenti non insistere.
Avrei voluto infilarmi nel telefono e
darle un pugno in faccia, ma mi sono
92/915
dovuta accontentare di scagliarlo
lontano. Per fortuna ho comprato la
custodia protettiva insieme al cellulare,
altrimenti a quest’ora sarei in un Apple
Store a sganciare altri duecento dollari
per comprarne uno nuovo.
Ho persino provato a chiamare Damon. È l’ultima persona al mondo che
avrei voglia di sentire, ma è lui ad
avere in mano la mia amicizia con
Natalie. Triste ma vero. Non so cosa
pensavo. Che lui si sarebbe immolato e
avrebbe detto a Natalie la verità? Già,
molto improbabile.
Alla fine mi sono arresa. Ho evitato di
proposito la nostra caffetteria preferita
e ho dovuto adattarmi alla brodaglia
del minimarket più vicino; poi, solo per
non passare davanti a casa di Natalie,
ho allungato di tre chilometri la strada
93/915
per andare al colloquio di lavoro da
Dillard.
Ho avuto il posto. Vicedirettrice (mia
madre ha messo una buona parola per
me: è molto amica della signora Phillips, la persona che mi ha assunto), ma
sono entusiasta di lavorare in un
grande magazzino quanto di bere
quello schifosissimo caffè ogni mattina.
E mentre sono al tavolo della cucina
e guardo mia madre con i suoi capelli
biondi tinti che apre il frigorifero, mi
colpisce un pensiero: non andrò più a
vivere con la mia migliore amica. O mi
trovo un appartamento per conto mio,
oppure sarò bloccata qui con mia
madre per un bel po’, almeno finché
Natalie non sarà rinsavita. Cosa che potrebbe anche non succedere mai. Oppure ci vorrà talmente tanto tempo che
io diventerò spietata e, quando ci
94/915
ripenserà, le dirò di andare a farsi
fottere.
Mi gira la testa.
«Stasera esco con Roger» dice mia
madre da dietro la porta del frigo. Si
volta e mi guarda. Si è messa troppo
ombretto. «Hai conosciuto Roger,
vero?»
«Sì, l’ho conosciuto.» Veramente no…
o forse sì. È che lo confondo con gli ultimi cinque uomini con cui mamma è
uscita nell’ultimo mese. Si è iscritta alle
serate di speed-date. E nel suo caso è
letterale, perché passa da un uomo
all’altro alla velocità della luce.
«È
carino.
Siamo
al
terzo
appuntamento.»
Mi sforzo di sorridere. Voglio davvero che lei sia felice, anche se questo
significa un altro matrimonio, una prospettiva che mi spaventa a morte. Adoro
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mio padre, ma quello che ha fatto alla
mamma è imperdonabile. Dopo il
divorzio, quattro mesi fa, mia madre è
diventata questa donna strana che
ormai stento a riconoscere. È come se
da un armadio rimasto chiuso per
trent’anni avesse tirato fuori la personalità che indossava prima di conoscere
mio padre e avere me e mio fratello
Cole. Solo che ora questa personalità
non le si addice più, e, nonostante
tutto, lei la vuole indossare comunque.
«Mi ha già proposto una crociera.» Le
si illumina il viso al solo pensiero.
Chiudo il portatile. «Non credi che
tre appuntamenti siano un po’ pochi?»
Lei stringe le labbra e liquida la mia
obiezione con un gesto. «No, tesoro.
Roger è pieno di soldi, per lui è normale quanto portarmi a cena fuori.»
96/915
Distolgo lo sguardo e sbocconcello il
sandwich che mi sono preparata, anche
se non ho per niente fame.
Mamma sfreccia da una parte all’altra della cucina fingendo di riordinare.
Di solito viene una signora il mercoledì,
ma, quando è in programma la visita di
un uomo, passa uno strofinaccio sul
bancone e spruzza un deodorante per
ambienti in tutta la casa. Lei lo chiama
“pulire”.
«Non dimenticarti di sabato» mi dice,
iniziando a caricare la lavastoviglie.
Una novità.
«Sì, lo so, mamma.» Sospiro e scuoto
la testa. «Ma forse non riesco, magari
facciamo un’altra volta.»
Lei raddrizza la schiena e mi guarda
dritto in faccia.
«Tesoro, avevi promesso che saresti
venuta»
replica
esasperata,
97/915
tamburellando le unghie sul bancone.
«Lo sai che non mi piace andare da sola
in prigione.»
«È una prigione.» Raccolgo delle briciole di pane e le metto nel piatto. «Non
possono farti niente. Sono chiusi in
cella, come Cole. E sono lì per gli errori
che hanno commesso.» Mia madre abbassa lo sguardo e immediatamente il
senso di colpa mi serra lo stomaco. Sospiro. «Scusami, non volevo.»
Volevo eccome, solo non volevo dirlo
a voce alta e soprattutto non a lei. So di
ferirla ogni volta che parlo di mio fratello maggiore e della sua condanna a
cinque anni per avere ucciso un uomo
mentre guidava ubriaco. È successo
solo sei mesi dopo la morte di Ian.
Mi sembra di perdere tutti, uno alla
volta…
98/915
Mi alzo da tavola e mia madre
ricomincia a caricare la lavastoviglie.
«Vengo con te, okay?»
Lei abbozza un sorriso, in parte
ancora nascosto da una sottile patina di
risentimento, e annuisce. «Grazie,
tesoro.»
Mi dispiace per lei. Mi spezza il cuore
sapere che mio padre l’ha tradita dopo
ventidue anni di matrimonio.
Ma l’avevamo previsto tutti.
Ora che ci penso, i miei hanno cercato di allontanarmi da Ian, quando, a
sedici anni, ho confessato a mia madre
che ci eravamo innamorati.
I genitori hanno questa idea distorta
che, sotto i venti, non si può sapere
cosa sia davvero l’amore. Come se si
potesse stabilire l’età giusta per legge,
come con gli alcolici. I genitori pensano
99/915
che lo “sviluppo emotivo” degli adolescenti non sia ancora completo e che
dunque non capiscano se ciò che
provano è “reale” o no.
È una gran stupidaggine.
La verità è che gli adulti amano in
modi diversi, non nell’unico modo possibile. Io amavo Ian nel presente, per il
modo in cui mi guardava, perché mi
faceva sentire le farfalle nello stomaco,
perché mi aveva tenuto indietro i
capelli una volta che avevo vomitato
l’anima per colpa di una enchilada
avariata.
Questo è amore.
Voglio bene ai miei genitori, ma
anche molto prima del divorzio, se mia
madre stava male, al massimo mio
padre le portava del Plasil e mentre usciva dalla stanza le chiedeva dove fosse
il telecomando.
100/915
Vabbè.
Forse a un certo punto i miei devono
aver sbagliato qualcosa con me perché,
per quanto li consideri delle brave persone, per quanto hanno fatto per me e
gli sia affezionata, sono cresciuta nel
terrore di finire come loro: infelice e
costretta a fingere di avere una vita
meravigliosa, con due figli, un cane e
uno steccato bianco. Ma io sapevo che
in realtà dormivano dandosi le spalle.
Sapevo che spesso mia madre si chiedeva come sarebbe stata la sua vita se
fosse stata con quel ragazzo delle superiori di cui era segretamente “innamorata” (ho letto il suo diario e so tutto di
lui). E so anche che mio padre – prima
di tradire la mamma con lei – pensava
molto a Rosanne Hartman, la ragazza
con cui era andato al ballo della scuola
(e il suo primo amore), che vive ancora
nella stessa casa sulla Wiltshire.
101/915
Se c’è qualcuno che ha una visione
distorta di come funziona l’amore, di
cosa sia il vero amore, sono proprio gli
adulti.
Ian e io non abbiamo fatto sesso la
notte in cui ho perso la verginità, abbiamo fatto l’amore. Pensavo che non
avrei mai pronunciato queste due parole insieme, “fare l’amore”: mi sono
sempre sembrate melense, un’espressione da grandi. Sbuffavo quando le
sentivo in bocca a qualcuno, oppure
quando dall’autoradio di mio padre,
sempre sintonizzata su una stazione di
rock classico, sentivo Feel Like Makin’
Love.
Però ora quelle due parole posso pronunciarle, perché è esattamente ciò che
è successo.
102/915
Ed è stato magico, meraviglioso, fantastico e niente reggerà mai il confronto.
Mai.
Alla fine sabato ho accompagnato mia
madre a trovare Cole in prigione. Non
gli ho parlato molto, come al solito. E
come al solito Cole mi ha ignorato. Non
lo fa apposta; è come se avesse paura di
rivolgermi la parola perché sa che sono
ancora arrabbiata, ferita, delusa da
quello che ha fatto. Non è uno di quei
casi archiviabili come “tragico incidente”: Cole era un alcolista ancora
prima di compiere diciotto anni, la pecora nera della famiglia. Era un piccolo
bastardo viziato, cresciuto in riformatorio, capace solo di sparire per settimane per fare quel cavolo che gli pareva, facendo preoccupare a morte i nostri genitori. Ha sempre pensato soltanto
a se stesso.
103/915
Il lunedì successivo è stato il mio primo
giorno da vicedirettrice. Sono contenta
di avere un lavoro – non voglio dipendere da mio padre per il resto della vita
–, eppure, mentre sono lì con un tailleur pantaloni nero, una camicia bianca
e i tacchi, mi sento del tutto fuori
posto. Non è solo per i vestiti, è che…
non dovrei essere lì. Non posso metterci
la mano sul fuoco, ma quando mi sveglio, mi vesto ed entro in quel grande
magazzino, un tarlo scava in un angolo
remoto della mia coscienza. Sento una
voce, non riesco a capire bene le parole, ma mi pare dica: Questa è la tua
vita, Camryn Bennett. Questa è la tua
vita.
Poi guardo i clienti che entrano e non
vedo altro che volti sprezzanti con
borse costose che comprano cose
inutili.
104/915
E allora mi accorgo che qualunque
cosa faccia il risultato è sempre lo
stesso: Questa è la tua vita, Camryn Bennett. Questa è la tua vita.
5
Poi ieri è cambiato tutto.
Quel tarlo nella mente mi ha
costretta ad alzarmi e l’ho fatto. Mi ha
ordinato di mettermi le scarpe, preparare un piccolo bagaglio e prendere
la borsa. E l’ho fatto.
Non c’era nessuna logica né uno
scopo preciso. Sapevo solo che dovevo
fare qualcosa di diverso, o non sarei
stata capace di superare quel momento.
Oppure sarei finita come i miei
genitori.
106/915
Ho sempre pensato che la depressione sia sopravvalutata e che la gente
abusi di questa parola (un po’ come
“lesbica”, che non userò mai più con un
ragazzo finché avrò vita). Alle superiori, le ragazze parlavano spesso di
quanto fossero “depresse” e raccontavano che le loro madri le avevano
portate da uno strizzacervelli per farsi
prescrivere delle medicine; poi si raccoglievano tutte in gruppo per decidere
quali pillole provare. Per me depressione ha sempre significato solo tre parole: tristezza, tristezza e tristezza.
Quando vedo quelle stupide pubblicità
con degli omini tipo cartone animato
che se ne vanno in giro tutti avviliti con
una nuvoletta nera carica di pioggia
sopra la testa, penso che si stia davvero
esagerando. Io provo compassione per
il prossimo. Da sempre. Non mi piace
veder soffrire le persone, ma ammetto
107/915
che quando sento qualcuno giocarsi la
carta della depressione, alzo gli occhi al
cielo e tiro dritto per la mia strada.
Non sapevo che fosse una malattia
seria.
Quelle ragazze a scuola non avevano
idea di cosa significa davvero essere depressi. Non c’entra solo la tristezza. Anzi, la tristezza c’entra poco. La depressione è il dolore nella sua forma più
pura. Io per esempio farei di tutto per
essere capace di provare di nuovo
un’emozione. Una qualsiasi. Il dolore fa
male, ma quando è talmente potente da
annullare qualsiasi altra sensazione,
ecco, in quel momento inizi a credere
che stai per impazzire.
Mi
dà
immensamente
fastidio
pensare che l’ultima volta che ho pianto è stata a scuola, quando ho
scoperto che Ian era morto. Ho pianto
108/915
tra le braccia di Damon. Proprio di Damon, tra tutti. Comunque, quella è stata
l’ultima volta in cui ho versato una lacrima, ed è successo più di un anno fa.
Dopo non ci sono più riuscita. Non
ho pianto per il divorzio dei miei, per
la condanna di Cole, per la confessione
di Damon o quando Natalie mi ha pugnalato alle spalle. Continuo a pensare
che prima o poi crollerò a singhiozzare
con il viso affondato nel cuscino. Potrei
persino vomitare, da quanto piangerò.
Ma quel pianto non arriva mai, e
ancora non provo alcuna emozione. A
parte questo desiderio di scrollarmi di
dosso tutto quanto. Quel tarlo, per
quanto piccolo e lontano, mi costringe
a obbedire. Non so perché, non so spiegarlo, ma è lì e non posso fare a meno
di ascoltarlo.
109/915
Ho passato quasi tutta la notte alla
stazione degli autobus, ad aspettare che
mi dicesse cosa fare.
Poi sono andata alla biglietteria.
«Desidera?» mi ha detto la donna con
tono indifferente.
Ci ho pensato su un momento e ho
risposto: «Vado a trovare mia sorella in
Idaho. Ha appena avuto un bambino».
Non ho una sorella e non sono mai
stata in Idaho, ma è la prima bugia che
mi è venuta in mente. E poi quella
donna stava mangiando una patata, che
è il simbolo dell’Idaho. Se ne stava lì dietro il vetro con la sua patata e un
cartoccio di alluminio pieno di burro e
panna acida. Insomma, è naturale che
abbia pensato all’Idaho. Comunque,
non importa dove andrò, non mi
interessa.
110/915
Ho pensato: “Appena arrivo in Idaho
compro un altro biglietto per andare
più lontano”. Magari in California. O
nello stato di Washington. O forse andrò verso sud a vedere com’è il Texas.
Me lo sono sempre immaginato come
un’immensa distesa di polvere, bar
lungo le strade e cappelli da cowboy. E
poi i texani dovrebbero essere dei tipi
cazzuti. Magari mi prenderanno a calci
con i loro stivaloni di cuoio e mi faranno sputare fuori questo schifo che ho
dentro.
Tanto non sentirò niente. Io non sento più niente, ricordate?
Questo è successo ieri, quando ho deciso di alzarmi e partire, di liberarmi di
tutto. Ho sempre desiderato farlo, ma
non pensavo che sarebbe andata così.
Prima che morisse, Ian e io avevamo
fatto un sacco di progetti. Volevamo
111/915
una vita fuori dagli schemi, lontana
dalla routine di chi si sveglia tutte le
mattine alla stessa ora e fa sempre le
stesse cose. Volevamo girare il mondo
con lo zaino in spalla. Ecco perché
tempo fa in caffetteria ne avevo parlato
con Natalie: forse una parte di me
sperava che si sarebbe entusiasmata
all’idea e sarebbe partita con me, ma
poi, come sempre, non è andata a finire
come mi aspettavo.
«Ti dispiace se mi siedo qui?» mi
chiede
una
signora
anziana
sull’autobus. Ha una borsa verde acido
che stringe contro il petto.
«No, prego» rispondo con un mezzo
sorriso. Non ho nessuna voglia di sorridere, ma ci manca solo che mi prenda
per una giovane inquieta e bisognosa di
consigli.
112/915
Sistema il bagaglio sul ripiano sopra
il sedile e si mette accanto a me. È bella
robusta, ma si muove con agilità. E poi
ha un buon profumo.
«Mi sembri molto giovane» dice.
«Dove stai andando?»
«Idaho.»
«Davvero?» La signora mi sorride,
rivelando delle rughe profonde attorno
alla bocca. «Hai qualche parente lì?
Credo che nessuno andrebbe in Idaho
in vacanza.»
«Sì, vado a trovare mia sorella.»
Lei annuisce come per registrare la
mia risposta e passare ad altro, dopodiché inizia a rovistare nella borsa.
Guardo oltre il grande finestrino di
plexiglas e vedo i passeggeri salire e
scendere dagli altri autobus. È
mezzogiorno e sono a Memphis. Ho
113/915
dormito per quasi tutto il viaggio. Be’,
dormito… Ho sonnecchiato finché non
mi svegliavano una buca sulla strada, il
collo indolenzito o il mal di schiena.
Non sono mai stata a Memphis, ma
devo ammettere che quella stazione mi
rende un po’ nervosa. Ho visto aggirarsi
alcune facce poco raccomandabili.
«Io invece sto andando nel Montana»
continua la donna, mettendosi una pillolina bianca sulla lingua. «Di solito
prendo il treno, ma questa volta ho deciso di fare una strada diversa. Per cambiare paesaggio.»
«Viaggia molto?» chiedo, guardandola di sottecchi.
«Non così tanto. Solo una volta
all’anno, quando vado a trovare mia
madre. Ha novantotto anni.»
«Wow.»
114/915
«Già, ed è forte come un toro. Ha
avuto il cancro cinque volte eppure è
ancora qui. Lo sconfigge sempre.»
Le sorrido con calore.
«Se non ti offendi…» Sistema meglio
la schiena contro il sedile e appoggia la
testa. «Ho bisogno di fare un riposino.
Non ho dormito per niente sull’ultimo
autobus, l’autista continuava a sterzare
all’improvviso.» Agita l’indice. «Tu sta’
attenta, però. Si fanno brutti incontri in
viaggio, e spesso gli autisti sono in debito di sonno. Tienili d’occhio, parla con
loro e aiutali a restare svegli, o ti ritroverai contro un guardrail tra le lamiere
accartocciate.»
Doveva proprio dirlo? Cerco di ricacciare indietro il ricordo dell’incidente di
Ian, la cui dinamica somigliava fin
troppo alla descrizione fatta dalla signora. Mi limito ad annuire.
115/915
Lei chiude gli occhi, poi però li riapre
subito e mi guarda. «Ma è agli estranei
che devi stare più attenta. Non sai mai
chi potresti incontrare, o cosa il destino
abbia in serbo per te.»
«Lo terrò a mente» rispondo.
«Grazie.»
In un attimo il Tennessee sfila via
oltre il finestrino. Scende la notte e alla
fine mi addormento anch’io. Non
sogno. È dalla morte di Ian che non mi
capita più, ma forse è meglio così. Se
sognassi potrei provare delle emozioni,
e non ne voglio più sapere. Sto cominciando ad abituarmi al fatto che non mi
frega più di niente. Fatta eccezione per
i loschi figuri che popolano le stazioni
degli autobus, ormai non ho paura di
nulla. Immagino che quando non te ne
frega un cazzo di niente e di nessuno,
116/915
diventi così stronza che neppure la
paura ti ferma.
Non ho nemmeno mai detto così
tante parolacce.
La mia strada e quella della signora si
dividono a St. Louis, e io proseguo per
il Kansas con due sedili tutti per me; riesco persino a sistemarmi in una posizione quasi orizzontale, invece di stare
seduta con la schiena dritta e la faccia
schiacciata contro il finestrino.
Fuori, tutto sembra uguale. Tra casa
mia e il Missouri cambiano solo le targhe e i cartelli che danno il benvenuto
nei diversi Stati; per il resto, ci sono
solo alberi e autostrada. Ovunque c’è
una macchina in panne sul bordo della
carreggiata. Vedo sempre un autostoppista e un ragazzo con una canottiera
bianca e una tanica di gasolio, diretto
all’uscita più vicina dove si concentrano
117/915
tutte le stazioni di servizio e i fast food.
E sul ciglio della strada c’è sempre –
sempre – una scarpa. Proprio non me lo
spiego. Mai visto un paio di pantaloni o
una camicia, molto raramente un cappello e di tanto in tanto degli occhiali
da sole. Ma la scarpa spaiata c’è
sempre. Perché?
Viaggiare in autobus è come essere
catapultati in un altro mondo. Tutti
sanno che, una volta saliti, dovranno
stare lì per un po’. Per un bel po’. È
pienissimo. Di solito i passeggeri sono
così stipati che si riesce a sentire ogni
odore o deodorante possibili, il profumo del detersivo e dell’ammorbidente
che la gente usa. E sfortunatamente si
sente anche il puzzo di chi non usa né
profumo né deodorante, e che di sicuro
indossa vestiti non lavati da giorni.
118/915
Finora il viaggio non è stato troppo
stancante. Mi infastidisce solo dover dividere lo spazio con qualcuno.
La mia coincidenza è in ritardo di
due ore, così, in una non troppo affollata stazione degli autobus del Kansas,
mi metto a cercare una sedia. Quei
posti hanno tutti lo stesso odore, per lo
più una puzza opprimente di carburante che comincia a darmi un po’ la
nausea. Cambio posizione sulla durissima poltroncina di plastica nel tentativo di stare più comoda, ma è inutile.
Vedo due cabine telefoniche e per un
momento penso a quanto siano ormai
obsolete. D’istinto tasto la borsa per assicurarmi che il cellulare ci sia ancora.
Le due ore di ritardo si trascinano
all’infinito, e, quando finalmente il mio
autobus arriva, sono tra i primi ad
119/915
alzarmi e a mettermi in fila. Almeno i
sedili sono imbottiti…
L’autista, vestito di blu e grigio scuro
dalla testa ai piedi, prende il mio biglietto e lo strappa a metà restituendomi
la ricevuta. La metto al sicuro nella
borsa e salgo sull’autobus, guardando
entrambe le file per trovare il posto
perfetto. Ne scelgo uno accanto al finestrino, verso il fondo, e appena mi lascio
cadere sul sedile mi sento meglio. Sospiro e stringo la borsa contro la pancia,
incrociandovi le braccia sopra. Ci vogliono più di dieci minuti perché il conducente sia soddisfatto del numero di
passeggeri. Questa volta siamo in pochi
e, per fortuna, non ci sono né bambini
urlanti né coppiette odiose che non si
fanno problemi a pomiciare davanti a
tutti. Non ho niente contro i baci in
pubblico – con Ian lo facevamo sempre
–, ma quando la cosa sfiora
120/915
pericolosamente il porno, allora è un
po’ troppo.
L’autista chiude le porte, poi tira di
nuovo la leva e le riapre. Sale un
ragazzo con una sacca nera a tracolla.
Alto, capelli castani corti, maglietta blu
aderente e un sorriso sghembo che potrebbe essere di sincera cortesia, oppure
tradire una certa strafottenza. «Grazie»
dice al conducente con la stessa
nonchalance.
Anche se l’autobus è pieno di posti
liberi, metto comunque la borsa sul
sedile accanto al mio, nel caso il tizio
decida che è quello perfetto per lui. È
improbabile, lo so, ma sono convinta
che sia sempre meglio prevenire. Le
porte si chiudono e il ragazzo avanza
verso di me. Abbasso lo sguardo su un
giornale che ho trovato in stazione e
121/915
inizio a leggere gli ultimi pettegolezzi
sulle nozze di Brad e Angelina.
Tiro un sospiro di sollievo quando lui
passa oltre e si siede dietro di me.
Finalmente un autobus mezzo vuoto
su cui forse riuscirò a dormire. Ne ho
davvero bisogno. Più sto sveglia, più
penso a tutte le cose a cui non vorrei
pensare. Non so cosa sto facendo né
dove sto andando, ma di sicuro so che
voglio fare qualcosa e arrivare presto,
dovunque sia diretta.
Mi appisolo dopo aver guardato fuori
dal finestrino per un’ora.
A un certo punto, quando fuori è già
buio, mi sveglio sentendo una musica
forte che esce da un auricolare alle mie
spalle. In un primo momento sto ferma,
sperando che si accorga di avermi disturbata e decida di abbassare il volume.
122/915
Ma non lo fa. Mi massaggio un muscolo indolenzito del collo e mi volto
verso il ragazzo. Sta dormendo? Come
si fa a dormire con un frastuono del
genere nelle orecchie? L’autobus è buio,
eccetto qualche luce fioca che illumina
un libro o un giornale e i led blu del
cruscotto. Il ragazzo dietro di me è
quasi completamente avvolto nell’oscurità, solo una parte del viso è rischiarata dalla luna.
Lo osservo per un istante, poi mi
inginocchio sul sedile, mi sporgo e gli
scuoto una gamba.
Non si muove. Scuoto più forte. Lui si
sgranchisce e apre piano gli occhi; mi
vede appoggiata allo schienale.
Si toglie le cuffie dalle orecchie e la
musica prorompe dai piccoli auricolari.
«Ti dispiace abbassare un po’?»
«Riesci a sentire?» mi chiede.
123/915
Alzo un sopracciglio e dico: «Mmm,
sì. È un po’ alto».
Lui scrolla le spalle e preme il tasto
del volume dell’mp3. La musica sfuma.
«Grazie» rispondo, e scivolo di nuovo
giù al mio posto.
Questa volta non mi stendo in posizione fetale tra i due sedili, ma decido di
appoggiare la testa al finestrino; incrocio le braccia e abbasso le palpebre.
«Ehi.»
Apro gli occhi di scatto, ma non
muovo la testa.
«Ti sei già riaddormentata?»
Scosto la testa dal finestrino e vedo il
ragazzo che incombe su di me da sopra
lo schienale.
«Ho appena chiuso gli occhi» ribatto.
«Come
facevo
a
essermi
già
addormentata?»
124/915
«Be’, non lo so» sussurra lui. «Mio
nonno riesce a dormire due secondi
dopo aver abbassato le palpebre.»
«Soffre di narcolessia?»
Una pausa. «Non che io sappia.»
Wow, imbarazzante.
«Cosa vuoi?» chiedo, sussurrando
come ha fatto lui.
«Niente. Volevo solo sapere se stavi
già dormendo.»
«Perché?»
«Così posso alzare il volume.»
Ci penso su un secondo, e mi giro in
modo da poterlo vedere meglio. «Vuoi
aspettare che mi riaddormenti per
alzare il volume, così poi mi svegli di
nuovo?» Questa proprio non riesco a
capirla.
Mi fa un sorriso sghembo.
125/915
«Hai dormito per tre ore senza mai
svegliarti» dice. «Quindi non credo sia
stata colpa della musica.»
Aggrotto le sopracciglia. «Mmm, sono
abbastanza sicura di sì, invece.»
«Okay» fa lui, e sparisce sul suo
sedile.
Aspetto ancora qualche secondo
prima di chiudere di nuovo gli occhi,
nel caso la storia si faccia più strana.
Ma non succede niente e scivolo nel
mio Mondo Senza Sogni.
6
Il mattino dopo mi sveglia la luce del
sole che filtra dai finestrini. Mi sollevo
un po’ per vedere se il paesaggio è cambiato, ma niente. Poi mi accorgo della
musica che esplode dagli auricolari dietro di me. Mi alzo furtivamente sullo
schienale aspettandomi di trovare il
ragazzo addormentato e invece lui mi
guarda con un sorriso del tipo “te
l’avevo detto”.
Sprofondo di nuovo giù, perplessa;
prendo la borsa e comincio a rovistarci
dentro. Vorrei essermi portata qualcosa
per tenere la mente occupata. Un libro.
127/915
Un cruciverba. Qualcosa. Sospiro e inizio letteralmente a girarmi i pollici. Mi
chiedo in che parte degli Stati Uniti
siamo adesso; se questo è ancora il Kansas. Evidentemente sì, a giudicare dalle
targhe delle auto che ci passano
accanto.
Siccome non trovo niente di interessante da fare, presto più attenzione alla
musica alle mie spalle.
Ma è…? È uno scherzo, vero?
Dalle cuffie mi arrivano le note di
Feel Like Makin’ Love. La riconosco
subito dall’assolo di chitarra, inconfondibile anche per chi non è un fan dei
Bad Company. Non è che il rock classico non mi piaccia, solo preferisco cose
più nuove. Datemi i Muse, Pink, The
Civil Wars e io sono felice.
Con la coda dell’occhio vedo dondolare qualcosa sopra la mia spalla e mi
128/915
spavento a morte. Raddrizzo la schiena
e agito una mano per scacciare quello
che in un primo momento penso sia un
insetto. Invece è un auricolare.
«Ma che cavolo fai?» esclamo,
alzando lo sguardo sul ragazzo, che ora
è di nuovo in piedi.
«Sembravi annoiata» risponde. «Te lo
presto se vuoi. Forse non è il tuo genere
di musica, ma col tempo ti piacerà, te
lo assicuro.»
Lo fisso con una smorfia di disgusto.
Dice sul serio?
«No, grazie» e faccio per voltarmi di
nuovo.
«Perché no?»
«Be’, per prima cosa, hai tenuto
quegli affari nelle orecchie per ore. Che
schifo.»
«E poi?»
129/915
«In che senso “e poi”?» Credo che i
miei lineamenti siano ancora più contratti. «Non è abbastanza?»
Mi rivolge di nuovo quel suo sorriso
storto e, alla luce del giorno, mi accorgo di due piccole fossette che gli
segnano gli angoli della bocca.
Lui si rimette gli auricolari. «Hai
detto “per prima cosa”, pensavo ce ne
fosse un’altra.»
«Wow» esclamo, esterrefatta. «Sei
incredibile.»
Il mio non è decisamente un complimento, ma qualcosa mi dice che lo sa
anche lui.
Torno a rovistare nella borsa, anche
se so che non troverò altro che vestiti,
ma è sempre meglio che avere a che
fare con questo tipo strambo.
130/915
Si siede nel posto accanto al mio
poco prima che un altro passeggero
vada verso la toilette.
Io resto immobile, una mano ancora
dentro la borsa. Forse lo sto guardando.
È che devo farmi passare lo shock
prima di dargli una lezione.
Dal suo bagaglio tira fuori una confezione di salviette disinfettanti, la apre
e ne tira fuori una. La strofina per bene
sugli auricolari e me li porge. «Come
nuovi» dice, aspettando che li prenda.
Capisco che vuole solo essere gentile,
così abbasso appena la guardia. «Davvero, sono a posto. Grazie comunque.»
Mi stupisce di essere riuscita a passare
sopra così velocemente al fatto che si
sia seduto accanto a me.
«Sì, meglio» osserva, rimettendo il
lettore mp3 nella borsa. «Io non ascolto
131/915
Justin Bieber, né quella tizia con i
vestiti di carne cruda…»
Okay, difese di nuovo al massimo.
Continua pure.
Incrocio le braccia e sbraito: «Primo,
io non ascolto Justin Bieber. Secondo,
Lady Gaga non è così male. Ammetto
che ha un po’ stufato con questa storia
di scioccare il pubblico, ma qualche sua
canzone mi piace».
«È musica di merda e lo sai benissimo» replica lui scuotendo la testa.
Batto le palpebre due volte: non ho
idea di come rispondere.
Il ragazzo appoggia la sacca a terra e
mette un piede sullo schienale del
sedile davanti, solo che ha le gambe
così lunghe che non mi sembra una
posizione molto comoda. Indossa quegli
anfibi alla moda: Dr. Martens, credo. Li
portava anche Ian. Distolgo lo sguardo:
132/915
non sono dell’umore adatto per proseguire una conversazione così assurda
con un tizio così strano.
La signora che ho incontrato in Tennessee aveva decisamente ragione.
Lui mi guarda, tiene la testa premuta
contro la stoffa ruvida.
«Il rock classico: quello sì che è vera
musica» dice, come se fosse ovvio. Poi
punta lo sguardo davanti a sé. «Led
Zeppelin, Stones, Journey, Foreigner.»
Gira la testa e mi guarda. «Conosci?»
Rido e alzo di nuovo gli occhi al
cielo. «Non sono stupida» replico, poi
però cambio tono quando mi rendo
conto che, così su due piedi, non mi
vengono in mente molti gruppi rock.
Non vorrei sembrare davvero stupida
dopo aver affermato con tanta sicurezza
che non lo sono. «A me piacciono… i
Bad Company.»
133/915
Lui increspa le labbra in un piccolo
sorriso. «Dimmi il titolo di un pezzo dei
Bad Company e ti lascio in pace.»
Adesso sono nervosissima. Mi sforzo
di pensare a un’altra canzone che non
sia quella che stava ascoltando lui. Non
dirò Feel Like Makin’ Love fissandolo
negli occhi.
Lui aspetta paziente, il sorriso sempre
lì.
«Ready for Love» rispondo. È l’unico
titolo che mi è venuto in mente.
«Sicura di essere pronta?»
«Eh?»
«Niente» dice, e guarda altrove.
Arrossisco, ma non so perché e non
voglio saperlo.
«Scusa…» riprendo «ti dispiace?
Stavo usando entrambi i posti.»
134/915
Lui sorride, questa volta senza quel
ghigno che si nasconde nei suoi occhi.
«Certo» risponde alzandosi. «Se vuoi
l’mp3, sai dove trovarlo.»
Sorrido appena, sollevata che lui se
ne torni al suo posto senza protestare.
«Grazie.»
Sono
addirittura
riconoscente.
Prima però si ferma e mi chiede:
«Dove stai andando?».
«Idaho.»
I suoi occhi verdi sembrano illuminarsi. «Be’, io vado in Wyoming,
quindi mi sa che condivideremo qualche autobus.» E poi la sua faccia
sorniona scompare dietro di me.
Non nego che sia carino. Capelli corti
e arruffati, braccia muscolose e zigomi
pronunciati… E poi le fossette e quel
cazzo di sorriso che mi fa venire voglia
135/915
di fissarlo anche se non vorrei. Ma non
è che mi piace, assolutamente no. È
solo uno sconosciuto su un autobus nel
nulla. Non prenderei in considerazione
l’idea per niente al mondo. E anche se
non fosse un estraneo, anche se lo conoscessi da sei mesi, non lo farei. Mai.
Il Kansas sembra non finire mai. Non
avevo mai pensato a quanto sono
grandi gli Stati nella realtà. Guardi una
mappa e vedi solo un pezzo di carta
con strani confini frastagliati e linee microscopiche che sembrano vene.
Persino il Texas dà l’impressione di essere piccolo, e poi usare sempre l’aereo
alimenta l’illusione che tra un posto e
l’altro ci sia al massimo un’ora di
viaggio.
Un’altra ora e mezzo e la schiena e il
sedere sono due pezzi di carne rigida e
dura. Cambio continuamente posizione
136/915
sperando di alleviare il fastidio, ma finisco solo per indolenzirmi altre parti
del corpo.
Viaggiare in autobus fa davvero
schifo. Inizio quasi a pentirmi della
scelta.
Il microfono interno gracchia, poi
sento la voce dell’autista.
«Ci fermeremo per una sosta tra
cinque minuti. Avrete un quarto d’ora
per prendere qualcosa da mangiare
prima di rimetterci in marcia. Un
quarto d’ora. Non aspetterò un minuto
di più, quindi se non tornerete in
tempo, partirò senza di voi.»
All’annuncio i passeggeri si alzano e
raccolgono i bagagli. Dopo ore su un
autobus, non c’è nulla come la prospettiva di sgranchirsi le gambe per svegliare tutti quanti.
137/915
Entriamo in un ampio piazzale in cui
sono parcheggiati diversi rimorchi; ci
sono un minimarket, un autolavaggio e
un fast food. I passeggeri si mettono in
fila nel corridoio centrale prima ancora
che l’autobus si fermi. E io li seguo. La
schiena mi fa malissimo.
Scendiamo uno dopo l’altro; al
secondo passo sento già il cemento
sotto i piedi e una brezza leggera sul viso. Non mi importa di essere chissà
dove, né che le pompe di benzina del
minimarket siano vecchie e che, se
tanto mi dà tanto, i bagni siano
spaventosi: sono felice di essere
ovunque tranne che chiusa in
quell’autobus. Quasi saltello (in modo
sgraziato, tipo gazzella ferita) sull’asfalto verso il fast food. Per prima cosa
approfitto della toilette, così quando
esco trovo diverse persone già in fila
davanti a me. Studio il menu, indecisa
138/915
tra una porzione grande di patatine e
un milk shake alla vaniglia. Non sono
mai stata una grande amante dei fast
food.
Esco con il frullato e vedo il ragazzo
dell’autobus seduto a gambe incrociate
sull’aiuola che divide i parcheggi. Sta
mangiando un hamburger. Non lo
guardo quando gli passo accanto, ma a
quanto pare non basta a evitare che mi
importuni.
«Abbiamo ancora otto minuti prima
di tornare nella scatoletta e tu vuoi
sprecare questo tempo prezioso là
dentro?»
Mi fermo accanto a un alberello tenuto dritto da un bastone piantato nel
terreno.
«Sono solo otto minuti» ribatto. «Non
fa molta differenza.»
139/915
Lui dà un grosso morso all’hamburger, mastica e deglutisce.
«Pensa se dovessero seppellirti viva»
dice, bevendo. «Non ci metteresti molto
a morire soffocata. Se però ti concedessero altri otto minuti, o anche solo
uno, adesso saresti ancora viva.»
«Okay, capito.»
«Non sono contagioso» aggiunge, e
dà un altro morso.
Mi sa che sono stata un po’ stronza.
Insomma, un po’ se l’è meritato, ma
non è un tipo odioso, quindi non c’è
motivo di tenere tutta questa distanza.
Preferirei non farmi nemici in questo
viaggio, se possibile.
«Va bene» rispondo, e mi siedo
sull’erba davanti a lui.
«Allora, perché l’Idaho?» mi chiede,
anche se non guarda me, ma il panino.
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«Vado a trovare mia sorella. Ha appena avuto un bambino.»
Lui annuisce e manda giù.
«Perché il Wyoming?» domando,
sperando di deviare la conversazione da
me.
«Vado a trovare mio padre. Sta
morendo. Tumore al cervello inoperabile.»
Dà
un
altro
morso
all’hamburger. Non sembra che la cosa
lo turbi molto.
«Oh…»
«Tranquilla» dice, questa volta guardandomi per un breve istante. «A un
certo punto tutti ce ne dobbiamo andare. Mio padre non è preoccupato, e
ha detto che non dobbiamo esserlo
nemmeno noi.» Sorride e mi guarda di
nuovo. «Veramente ha detto che se versiamo anche solo una lacrima, ci depenna dal testamento.»
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Bevo un sorso di milk shake dalla
cannuccia solo per tenere la bocca occupata e non dover dire per forza qualcosa. In realtà non so se dovrei
rispondere.
Anche lui beve.
«Come ti chiami?» mi chiede, riappoggiando il bicchiere sull’erba.
Devo dirgli il mio vero nome? «Cam»
rispondo, optando per il diminutivo.
«Diminutivo di?»
Questa non me l’aspettavo.
Esito, e guardo altrove. «Camryn.»
Con tutte le bugie di cui dovrò ricordarmi, è meglio che sia sincera almeno
riguardo al nome. Dopotutto è un’informazione insignificante.
«Io mi chiamo Andrew. Andrew
Parrish.»
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Annuisco e sorrido appena, ma non
gli dico che il mio cognome è Bennett.
Dovrà accontentarsi del nome.
Lui finisce l’hamburger e spazzola le
patatine. Noto due tatuaggi che
spuntano dalle maniche della maglietta.
Osservandolo bene, decido che non può
avere più di venticinque anni.
«Quanti anni hai?» Mi rendo conto
che forse è una domanda troppo personale. Spero che non la interpreti nel
modo sbagliato.
«Venticinque. E tu?»
«Venti.»
Mi guarda pensieroso, resta in silenzio e stringe appena le labbra.
«Be’, è un piacere conoscerti, Camryn
detta Cam, vent’anni, diretta in Idaho a
trovare tua sorella che ha appena avuto
un bambino.»
143/915
Le mie labbra sorridono, la faccia no.
Mi ci vorrà un po’ per sorridere in
modo sincero. I sorrisi veri danno
spesso l’impressione sbagliata. Almeno
così posso essere cortese, ma non al
punto da ritrovarmi, dopo una serie di
grandi
sorrisi,
sgozzata
in
un
bagagliaio.
«Sei del Wyoming?» chiedo ancora, e
bevo un altro sorso di milk shake.
«Sì, sono nato là, poi quando avevo
sei anni i miei hanno divorziato e mi
sono trasferito in Texas.»
Texas. Davvero buffo. Forse mi stanno tornando indietro tutte le cazzate
che ho detto sugli stivali da cowboy e
la reputazione dei texani. Comunque
Andrew non sembra texano, o almeno
non corrisponde allo stereotipo che
molti hanno dei suoi abitanti.
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«E ora ci sto tornando per andare a
trovare mio padre. E tu di dove sei?»
Okay, mentire o non mentire? Oh,
fanculo. Non è un investigatore privato
assoldato da mio padre. Finché evito di
accennare a: 1) il mio cognome; 2) indirizzo o numero di telefono che potrebbero condurlo a casa mia nel caso
io decida di tornare, non finirò sgozzata
in un bagagliaio. Penso che dirgli quasi
tutta la verità sia molto più semplice
che improvvisare una bugia plausibile
per ogni domanda e poi dovermele ricordare tutte. In fin dei conti sarà un
lungo viaggio e, come ha detto anche
lui, abbiamo ancora diversi autobus da
condividere prima che le nostre strade
si dividano.
«North Carolina» rispondo.
Mi scruta. «Non sembri del North
Carolina.»
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Eh? Okay, questo tipo è davvero
molto strano.
«E come dovrebbe sembrare una
ragazza del North Carolina?»
«Prendi tutto alla lettera tu, vero?»
ribatte con una smorfia.
«Sei tu a essere poco chiaro.»
«No» replica con una risata disarmante, «sono solo diretto, e a volte le
persone non sanno come gestire la cosa.
Tipo, se chiedi a quel ragazzo là se quei
jeans ti fanno il sedere grosso, lui ti
risponderà di no. Se lo chiedi a me, ti
dirò la verità. Le persone vanno fuori di
testa quando le cose non corrispondono
alle loro aspettative.»
«Davvero?» Non ho ancora capito niente di questo ragazzo. Continuo a studiarlo come se fosse pazzo e in un certo
senso mi incuriosisce.
146/915
«Davvero» risponde lui con decisione.
Aspetto che prosegua, ma non lo fa.
«Sei molto strano» dico.
«Allora, non me lo chiedi?»
«Cosa?»
Ride. «Se penso che quei jeans ti facciano il sedere grosso.»
«Veramente io… mmm.» Fanculo due
volte. Se vuole giocare, non ho nessuna
intenzione di starmene seduta e dargliele tutte vinte. Gli faccio una smorfia
e dico: «So che questi jeans non mi fanno il sedere grosso, quindi la tua opinione non mi interessa».
Andrew increspa gli angoli della
bocca in un sorriso diabolico e affascinante. Beve e si rimette in piedi, porgendomi la mano. «Gli otto minuti sono
finiti.»
147/915
Forse è perché sono ancora molto
confusa dal nostro scambio, fatto sta
che gli prendo la mano e lui mi aiuta
ad alzarmi.
«Hai visto quante cose abbiamo imparato l’uno dell’altra in otto minuti,
Camryn?» mi dice, guardandomi e lasciando andare la mano.
Cammino accanto a lui, ma a distanza. Non ho ancora capito se le sue
risposte taglienti e la sua aria sicura mi
infastidiscono o se invece le trovo più
stimolanti di quanto il mio cervello sia
disposto ad ammettere.
Tutti riprendono posto sull’autobus.
Ho lasciato sul sedile la rivista che ho
trovato in stazione, sperando che nessuno me l’avrebbe rubata. Andrew si
siede di nuovo dietro di me. Sono contenta che non abbia preso la mia
disponibilità a fare conversazione come
148/915
un segnale di via libera per spostarsi
accanto a me.
Le ore passano e restiamo in silenzio.
Penso un sacco a Natalie e a Ian.
«Buonanotte, Camryn» mi dice
Andrew. «Magari domani mi racconti
chi è Nat.»
Balzo in piedi e mi sporgo dal sedile.
«Che cosa?»
«Tranquilla» risponde, alzando la
testa dalla sacca che ha appoggiato contro il finestrino per usarla come cuscino. «Parli nel sonno.» Ride piano. «La
notte scorsa ho sentito che ti lamentavi
di una certa Nat… di qualcosa che c’entrava con il Biosilk o roba simile.»
Scrolla le spalle nonostante sia steso
con le gambe sul sedile accanto e abbia
le braccia incrociate al petto.
149/915
Fantastico, parlo nel sonno. Ottimo.
Perché mia madre non me l’ha mai
detto?
Cosa posso aver sognato? Ma certo, è
un sogno, è normale che non mi ricordi.
«Buonanotte, Andrew» rispondo, e
scivolo in quella che spero sia una posizione confortevole. Rifletto un momento su come si è sistemato lui. Sembrava abbastanza comodo, e decido di
imitarlo. Ci avevo già pensato a mettermi così, ma credevo fosse maleducato far sporgere i piedi sul corridoio.
Comunque, forse non importa a nessuno, così prendo la borsa di vestiti e la
appoggio sotto la testa stendendomi tra
i due sedili. Sto benissimo. Perché non
l’ho fatto prima?
Mi sveglio all’annuncio dell’autista: tra
dieci minuti saremo a Garden City.
150/915
«Assicuratevi di aver preso con voi i
vostri bagagli e gli effetti personali»
continua al microfono. «E non lasciate
rifiuti sui sedili. Grazie per aver
viaggiato con noi nel grande Stato del
Kansas. Spero di riavervi presto a
bordo.»
Ha un tono neutro, come se stesse
leggendo un copione già scritto, poi
penso che probabilmente anch’io
suonerei monotona se dovessi ripetere
la stessa cosa tutti i giorni.
Mi alzo e cerco il biglietto dentro la
borsa. Lo trovo tutto stropicciato tra un
paio di jeans e una maglietta oversize
dei Puffi, lo liscio e controllo la mia
prossima fermata. A quanto pare, Denver è a circa sei ore e mezzo di viaggio,
con due soste nel mezzo. Cavoli, perché
mi è venuto in mente proprio l’Idaho?
Di tutti i posti, ho scelto in base a una
151/915
patata. Sto facendo tutta questa strada
e non ho nemmeno niente ad aspettarmi alla meta. A parte un altro
viaggio. Potrei proseguire ancora un po’
e poi comprare un biglietto aereo per
casa. No, non sono ancora pronta. Non
so perché, ma non posso tornare.
Non posso e basta.
Sorpresa che Andrew sia così silenzioso, mi metto a sbirciare nel piccolo
spazio tra i sedili. Non vedo niente,
però.
«Sei sveglio?» chiedo, sollevando la
testa in modo che riesca a sentirmi.
Non mi risponde, così mi alzo meglio
per guardare. Ovviamente ha l’mp3 acceso. Sono un po’ stupita di non sentire
la musica uscire dagli auricolari.
Andrew si accorge di me e sorride;
agita una mano per darmi il buongiorno. Indico l’autista per fargli capire
152/915
che ha fatto un annuncio. Lui si toglie
le cuffie e mi guarda, aspettando che gli
dica qualcosa.
7
Andrew
Qualche giorno prima…
Oggi mi ha chiamato mio fratello dal
Wyoming. Mi ha detto che al nostro
vecchio non resta molto. Negli ultimi
sei mesi non ha fatto altro che entrare e
uscire dall’ospedale.
«Se vuoi vederlo» mi ha spiegato Aidan all’altro capo della linea, «è meglio
che vieni subito.»
L’ho ascoltato, davvero, ma ho capito
solo che mio padre sta morendo. Cazzo.
154/915
«Non azzardatevi a piangere per me» ha
ripetuto a me e ai miei fratelli l’anno
scorso, dopo che gli hanno diagnosticato una rara forma di tumore al
cervello.
«O
vi
cancello
dal
testamento.»
Mi ha detto in tutti i modi che se
avessi pianto per lui, l’unica persona al
mondo per cui avrei dato la vita, mi
sarei comportato come una femminuccia. E io l’ho odiato per questo. E non
me ne frega niente del testamento. Qualsiasi cosa mi lascerà, non la prenderò.
O forse la darò alla mamma.
Come padre è stato un tipo tosto. Era
sempre lì a rompere le palle a me e ai
miei fratelli, ma penso che alla fine
siamo venuti su bene (cosa che, probabilmente, era l’obiettivo dietro al suo
martellamento continuo). Aidan, mio
fratello maggiore, gestisce un bar
155/915
ristorante di successo a Chicago e ha
sposato una pediatra. Asher, il minore,
studia al college e forse lo aspetta un
lavoro per Google.
Con un certo imbarazzo io devo ammettere che ho fatto qualche lavoretto
come modello per alcune agenzie importanti, ma solo perché l’anno scorso è
stato difficile. È successo subito dopo
aver saputo di mio padre. Non potevo
piangere, così mi sono sfogato sulla mia
Chevy Camaro del 1969. L’ho distrutta
con una mazza da baseball. Io e mio
padre l’avevamo costruita insieme da
zero. Era il nostro progetto “padrefiglio”, come regalo per il diploma. Ho
pensato che se lui non ci sarebbe più
stato, non doveva esserci più nemmeno
l’auto.
Quindi sì, ho fatto il modello.
156/915
Cioè no, non è che sono andato a cercarmi un lavoro come modello. Non me
ne frega niente di quella robaccia. È
solo che, mentre ero nel locale di Aidan
ubriaco fradicio, mi hanno notato due
scout. Immagino che non gli importasse
che fossi… ubriaco fradicio, visto che
mi hanno dato il biglietto da visita e mi
hanno fatto un’offerta generosa solo per
presentarmi nel loro ufficio a New
York. Così, dopo aver passato tre settimane a fissare la Camaro, pentito di
quello che avevo fatto, mi sono detto,
perché no? Solo con quel primo assegno avrei coperto parte dei costi per
la carrozzeria. E sono andato. I soldi
che ho guadagnato dalle foto pubblicitarie sono stati sufficienti per riparare
l’auto, ma alla fine ho rifiutato un contratto da cinquantamila dollari con la
LL Elite perché, come ho detto, guadagnarmi da vivere camminando a petto in
157/915
fuori in mutande non è proprio quello
che fa per me. Insomma, mi sentivo
sporco già solo per quei lavoretti che
avevo accettato. E così, come avrebbe
fatto qualunque maschio carnivoro e
bevitore di birra, mi sono sforzato di essere meno checca e più uomo: ho fatto
qualche tatuaggio e mi sono trovato un
lavoro come meccanico.
Certo, non è il futuro che mio padre
voleva per me. Ma, diversamente dai
miei fratelli, ho imparato tanto tempo
fa che si tratta del mio futuro, della mia
vita, e non posso conformarmi a ciò che
qualcun altro vuole per me. Così, ho
lasciato il college appena mi sono reso
conto che stavo studiando una cosa di
cui non mi importava nulla.
Perché la gente è sempre pronta a
obbedire?
158/915
Io non sono così. Io voglio una cosa
sola nella vita. E non sono né i soldi, né
la fama, né il pacco photoshoppato su
un cartellone pubblicitario a Times
Square, né un’istruzione universitaria
che forse – ma forse anche no – potrebbe essermi utile in futuro. Non so
bene cos’è che voglio, ma lo sento in
fondo alla pancia. Per ora se ne sta lì,
dormiente. Lo capirò quando lo vedrò.
«Vieni in autobus?» mi dice Aidan,
incredulo.
«Sì, prendo l’autobus. Ho bisogno di
pensare.»
«Andrew, papà potrebbe non farcela»
ribatte, e mi accorgo che sta controllando il tono di voce. «Davvero.»
«Arrivo quando arrivo.»
E riattacco.
159/915
Credo che una parte di me speri che
mio padre se ne vada prima del mio arrivo. Perché so che crollerò se muore
mentre sono lì con lui. Cazzo, è mio
padre, l’uomo che mi ha cresciuto e che
ammiro. E mi ha detto di non piangere.
Ho sempre fatto quello che mi diceva,
da bravo figlio quale ho cercato di essere, e so che se vuole che io non pianga, non lo farò. Ma so anche che in
questo modo lascerò crescere dentro di
me qualcosa di distruttivo. Non voglio
finire come la mia auto.
Preparo la sacca con un cambio di
vestiti, lo spazzolino, il cellulare e il lettore mp3 con le mie canzoni rock
preferite, un’altra eredità di mio padre.
«La roba che sentono i giovani oggi è
una merda, ragazzo» mi diceva almeno
una volta all’anno. «Ascoltati gli Zeppelin!» Ma non è che mi rifiuto di ascoltare musica nuova solo perché me lo
160/915
dice lui. So pensare con la mia testa.
Però sono cresciuto con i classici e ne
vado molto orgoglioso.
«Mamma, queste non mi servono.»
Mia madre sta stipando tipo dodici confezioni di salviettine disinfettanti in un
sacchetto di plastica. Ha sempre avuto
la fobia dei germi.
Vivo tra il Texas e il Wyoming da
quando avevo sei anni. Ultimamente ho
capito che sto meglio in Texas per via
del clima. Abito da solo a Galveston
ormai da quattro anni, ma la notte
scorsa mia madre ha insistito perché
dormissi da lei. Sa come mi sento e sa
anche che, quando sto male o sono arrabbiato, tendo a dare in escandescenze. L’anno scorso ho passato una
notte in cella per aver riempito di botte
Darren Ebbs perché aveva picchiato la
sua ragazza davanti a me. E quando
161/915
hanno dovuto sopprimere il mio cane
Maximus, il mio migliore amico, per insufficienza cardiaca, mi sono sfasciato
le mani sfogandomi contro l’albero dietro casa mia.
Non sono un violento; solo con le
teste di cazzo e, a volte, contro me
stesso.
«Gli autobus sono sporchissimi» mi
avverte mia madre mettendo le salviette nella borsa. «Ci ho viaggiato una
volta, prima di conoscere tuo padre, e
dopo sono stata male per una
settimana.»
Evito di contraddirla, sarebbe inutile.
«Ancora non capisco perché non
prendi l’aereo. Ci metteresti la metà del
tempo.»
«Mamma» la zittisco, baciandola sulla
guancia, «ho bisogno di fare questa
cosa. Sento che deve essere così.» Non
162/915
ci credo nemmeno io alle mie parole,
ma voglio assecondarla dicendo qualcosa che suoni profondo, anche se lei sa
benissimo che sono stronzate. Apro un
armadietto della cucina e prendo due
merendine alla cannella. «Metti che
l’aereo cade.»
«Non è divertente, Andrew.» E mi
guarda severa.
Sorrido e l’abbraccio. «Andrà tutto
bene, e arriverò in tempo per vedere
papà prima che…» Mi si spezza la voce.
Mia madre mi stringe forte.
Durante il viaggio verso il Kansas
inizio a chiedermi se la mamma non
avesse ragione. Pensavo di poter approfittare di tutto questo tempo per
pensare, per schiarirmi le idee e magari
capire cosa sto facendo e cosa farò
dopo la morte di mio padre. Perché le
cose cambieranno. Le cose cambiano
163/915
sempre quando qualcuno a cui vuoi
bene muore. E non importa cosa fai per
prepararti al cambiamento: non sarai
mai pronto.
L’unica cosa che puoi fare con certezza è chiederti chi sarà il prossimo.
So che non riuscirò mai più a guardare
mia madre allo stesso modo…
Ora credo che il viaggio in autobus
sia più una presa in giro che un momento di riflessione. Avrei dovuto immaginare che tutto questo tempo da
solo con i miei pensieri non mi avrebbe
fatto bene. Ho già stabilito di aver buttato via gran parte della mia vita e ora
sono arrivato alle domande fondamentali, quelle che ti fanno sgranare gli occhi. Perché sono qui? Qual è il senso
della vita? Che cavolo sto facendo? Giuro che non ho avuto nessuna epifania,
né ho guardato fuori dal finestrino,
164/915
perso in uno di quei momenti drammatici da film, colto da un’illuminazione improvvisa. L’unico sottofondo del mio film è Would? degli Alice
in Chains, e non è esattamente un
pezzo da epifania.
L’autista sta per chiudere le porte
dell’autobus quando si accorge di me.
Grazie a Dio, un autobus in cui posso
dormire: è pieno di posti vuoti. Punto
due sedili in fondo, dietro a una bionda
carina che è senz’altro minorenne. Ho
sempre il radar minorenni acceso,
soprattutto dopo averne quasi frequentata una. Al Dairy Queen, dove ci
siamo conosciuti, mi aveva detto di
avere diciannove anni, poi ho scoperto
che ne aveva sedici e che suo padre
stava venendo in piscina per gonfiarmi.
Una volta papà mi ha detto: «Oggi le
ragazze di vent’anni non si distinguono
165/915
dalle bambine di dodici. Il governo deve aver messo qualcosa nell’acqua. Sta’
molto attento quando hai intenzione di
fartene una».
Mentre mi avvicino alla ragazza, mi
accorgo che sposta la borsa sul sedile di
fianco per non farmici sedere.
Buffo. Cioè, sì, è carina, ma ci saranno
almeno
dieci
posti
liberi
sull’autobus, quindi è normale che ne
prenda due anch’io, così posso stendermi e godermi un po’ di meritato
riposo.
Ma le cose non vanno come previsto.
Diverse ore dopo, quando fuori è già
buio, sono ancora completamente sveglio e guardo fuori dal finestrino con la
musica a tutto volume nelle orecchie.
La ragazza davanti a me si è addormentata più o meno un’ora fa e mi
sono stancato di sentirla parlare nel
166/915
sonno; non ho capito cosa stesse
dicendo e non voglio nemmeno saperlo.
Sarebbe un po’ come spiare. Così
preferisco ascoltare la mia playlist.
Finalmente prendo sonno, poi all’improvviso sento qualcosa che mi batte
sulla gamba e apro gli occhi. Wow, è
piuttosto bella, anche con i capelli tutti
schiacciati da una parte. Minorenne,
Andrew. Non me lo ripeto per impedirmi di fare qualcosa che non
dovrei, ma perché non voglio restarci
male quando scoprirò che avevo
ragione.
Dopo un breve botta e risposta – lei
sostiene che sia stata la musica a svegliarla –, abbasso il volume e lei torna a
rannicchiarsi sul sedile.
Mi alzo in piedi per guardarla, e mi
chiedo cosa mi è preso. Mi sono sempre
piaciute le sfide e il suo atteggiamento
167/915
da dura in una conversazione durata
meno di quarantacinque secondi mi è
bastato per accettare questa tacita
scommessa tra noi.
Ho sempre avuto un debole per le
ragazze con le palle. E non mi sono mai
tirato indietro davanti a una sfida.
La mattina dopo le offro il mio mp3,
ma, a quanto pare, ha la fobia dei
germi come mia madre.
Dall’altra parte del corridoio, tre
sedili avanti rispetto alla ragazza, c’è
un uomo sulla quarantina. Mi sono accorto di come la guardava appena sono
salito sull’autobus. Lei invece non l’ha
notato. Chissà da quant’è che la fissa,
anche prima che io arrivassi, o cos’abbia fatto là seduto da solo al buio.
Inquietante.
L’ho tenuto d’occhio. Sembra così
perso per lei che dubito mi abbia visto.
168/915
Continua a far saettare lo sguardo da
lei, alla toilette, al centro del corridoio.
Riesco quasi a sentire gli ingranaggi del
suo cervello.
Mi chiedo quando si deciderà a
tentare la prima mossa. E proprio in
quel momento si alza.
Scivolo fuori dal mio posto e mi siedo
accanto a lei. Faccio finta di niente,
anche se sento i suoi occhi su di me
mentre si domanda che cazzo mi è
saltato in testa.
L’uomo ci passa accanto, ma evito di
guardarlo perché non si accorga che gli
sto addosso. Probabilmente ora sta
pensando che ci sto provando io e per il
momento lascia stare. Ritenterà più
tardi, forse. Ma più tardi gli spaccherò
il naso.
Recupero la sacca e tiro fuori le salviette disinfettanti che mi ha dato mia
169/915
madre. Ne prendo una, pulisco gli auricolari e li porgo alla ragazza. «Come
nuovi» dico, aspettando che li prenda,
anche se so che non lo farà.
«Davvero, sono a posto. Grazie
comunque.»
«Sì, meglio così.» Rimetto l’mp3 nella
borsa. «Io non ascolto Justin Bieber, né
quella tizia con i vestiti di carne cruda,
quindi immagino dovrai farne a meno.»
Dalla sua espressione irritata deduco
che l’ho fatta innervosire. Sghignazzo
tra me e me, girandomi in modo che
non mi veda.
«Primo, io non ascolto Justin Bieber.»
Grazie a Dio.
«Secondo, Lady Gaga non è così
male. Ammetto che ha un po’ stufato
con questa storia di scioccare il
170/915
pubblico, ma qualche sua canzone mi
piace.»
«È musica di merda e lo sai benissimo.» Cito mio padre e scuoto la testa.
Rimetto la sacca per terra e appoggio
un piede sul sedile davanti. Chissà
come mai non mi ha ancora cacciato
via. La cosa un po’ mi preoccupa.
Sarebbe stata “così cortese” da dire a
quell’uomo di andarsene, se si fosse seduto qui prima di me? Non è possibile
che a una come lei possa piacere uno
come lui, ma è anche vero che a volte
le ragazze si lasciano trasportare dal
loro gene iperprotettivo. E pochi
secondi sono più che sufficienti.
La osservo ancora, appoggiando la
testa di lato sul sedile. «Il rock classico:
quella sì che è vera musica» aggiungo.
«Led Zeppelin, Stones, Journey, Foreigner… Conosci?»
171/915
Alza gli occhi al cielo. «Non sono stupida» ribatte, e io mi lascio sfuggire un
sorriso: ecco di nuovo quell’atteggiamento da dura.
«Dimmi il titolo di un pezzo dei Bad
Company e ti lascio in pace» la sfido.
Lo vedo che è nervosa. Si mordicchia
il labbro, forse non se ne rende nemmeno conto, così come non si accorge
di parlare nel sonno o dei malintenzionati che la tengono d’occhio.
Aspetto paziente, incapace di togliermi questo sorriso dalla faccia. È
molto divertente vederla così agitata
mentre cerca di passare in rassegna
tutte le volte che era in macchina con i
suoi e ha sentito la loro musica; si
sforza di ricordare qualcosa che possa
aiutarla in questo momento di
difficoltà.
«Ready for Love» risponde alla fine.
172/915
Sono impressionato.
«Sicura di essere pronta?» le chiedo,
e proprio in quell’istante è come se
qualcosa mi colpisse. Non so cosa sia,
ma è lì che mi saluta da dietro un
muro, come quando ti senti osservato
però non vedi nessuno.
«Eh?» dice lei, presa alla sprovvista
quanto me dalla mia domanda.
Un sorriso si fa strada sul mio volto.
«Niente» mormoro, guardando altrove.
Il pervertito esce in silenzio dal
bagno e si siede, senza dubbio seccato
dal fatto che io sia accanto alla bionda.
Per fortuna lei ha aspettato che passasse prima di chiedermi di spostarmi per
usare entrambi i sedili.
Dopo essere tornato al mio posto mi
sporgo verso di lei e domando: «Dove
stai andando?».
173/915
Mi risponde che è diretta in Idaho,
ma credo ci sia qualcosa sotto. Non ci
metterei la mano sul fuoco, ma ho la
sensazione che o sta mentendo – e fa
bene, visto che sono un perfetto sconosciuto –, oppure nasconde qualcosa. Per
il momento lascio perdere e le dico
dove sto andando io.
L’uomo tre sedili più in là le lancia
un’altra occhiata. Se ci riprova mi alzo
e gli spacco quella faccia di cazzo,
giuro.
Ore dopo l’autobus entra in un’area
di servizio e l’autista ci concede quindici minuti per sgranchirci e mangiare
un boccone. La ragazza si dirige subito
verso i bagni, mentre io mi metto in fila
per ordinare. Torno fuori con il cibo e
mi siedo sull’aiuola accanto ai
parcheggi. Il pervertito mi passa accanto e sale sull’autobus da solo.
174/915
Provo a convincerla a sedersi fuori
con me. Sulle prime esita, ma evidentemente ho un certo fascino e lei cede.
Mia madre me l’ha sempre detto che
sono il suo figlio di mezzo più carino.
Forse ha ragione.
Parliamo per qualche minuto del perché io vado in Wyoming e lei in Idaho.
Sto ancora cercando di farmi un’idea, di
capire cosa c’è in lei che non riesco del
tutto a inquadrare, evitando allo stesso
tempo di esserne troppo attratto: lo so
che è minorenne o che comunque mi
mentirà. Certo, sembra che abbia più o
meno la mia età, qualche anno in
meno, forse, ma non tanti.
Oh, cazzo! Perché sto anche solo
pensando all’eventualità di poter essere
attratto da lei? Mio padre sta morendo,
e io me ne sto qui seduto sull’erba con
questa ragazza. Non dovrei pensare ad
175/915
altro che a lui e a cosa gli dirò se mai
riuscirò ad arrivare prima che se ne
vada.
«Come ti chiami?» chiedo, appoggiando il bicchiere sul prato, cercando di
ricacciare i pensieri sulla morte di mio
padre in un angolo della mente.
Lei ci pensa su per qualche secondo,
forse valutando se dirmi la verità oppure no. «Cam» risponde alla fine.
«Diminutivo di?»
«Camryn.»
«Io mi chiamo Andrew. Andrew
Parrish.»
Mi sembra un po’ timida.
«Quanti anni hai?» mi domanda lei, e
la cosa mi sorprende. Forse non è
minorenne: quando le ragazzine hanno
intenzione di mentire sulla loro età, di
176/915
solito evitano l’argomento in ogni
modo.
Comincio a sperare che sia maggiorenne. Già, mi piacerebbe proprio…
«Venticinque» rispondo. «E tu?» D’un
tratto non riesco a respirare.
«Venti.»
Penso alla sua risposta. Non sono
ancora sicuro che sia sincera ma forse,
dopo aver passato un po’ più tempo con
lei in questo viaggio che ci ha fatto incontrare, alla fine scoprirò la verità.
«Be’, è un piacere conoscerti, Camryn
detta Cam, vent’anni, diretta in Idaho a
trovare tua sorella che ha appena avuto
un bambino.»
Sorrido. Chiacchieriamo per qualche
altro minuto – otto, per la precisione –
e io la prendo un po’ in giro perché,
177/915
con quel suo fare da dura, se lo merita
proprio.
In verità credo che le piaccia il modo
in cui la tratto. Oserei dire che c’è attrazione tra noi. Piccola, ma c’è. E di
sicuro non può essere per il mio aspetto
– cavolo, l’alito mi puzzerà come una
discarica e oggi non ho fatto la doccia
–, perché se fosse per quello, come mi
succede con le altre ragazze, avrei già
perso interesse. Camryn non vuole che
mi sieda accanto a lei sull’autobus. E
non è stata timida, mi ha detto di abbassare la musica con quel suo atteggiamento brusco. Si è arrabbiata quando
l’ho accusata di essere una bieberina
(mi fa incazzare solo il fatto di conoscerla, questa parola, ma è colpa della
società in cui viviamo) e ho capito che
non avrebbe nessun problema a darmi
un calcio nelle palle se mi avvicinassi a
lei in maniera poco appropriata. Non
178/915
che lo farei mai. Cavoli, no. Ma mi fa
piacere sapere che ne sarebbe capace.
Sì, questa ragazza mi intriga.
Risaliamo sull’autobus e mi stendo
sul sedile. Poco dopo vedo le sue scarpe
da ginnastica bianche spuntare nel corridoio e sorrido al pensiero che mi ha
trovato così interessante da rubarmi
un’idea. La controllo una ventina di
minuti dopo e, come avevo previsto, è
crollata.
Alzo di nuovo il volume della musica
e ascolto qualche canzone finché non
mi addormento anch’io.
Il mattino successivo mi sveglio
molto dopo di lei. Fa capolino da sopra
lo schienale e io le sorrido, salutandola
con la mano.
Alla luce del giorno è ancora più
carina.
8
Camryn
«Dieci minuti» dico «e siamo fuori dalla
scatoletta.»
Andrew sorride e mette via il lettore
mp3.
Non so perché ho sentito il bisogno
di dirglielo.
«Hai dormito meglio?» mi chiede,
chiudendo la cerniera della borsa.
«Sì, direi di sì» rispondo, massaggiandomi il collo. Questa volta non ho
180/915
nessun muscolo indolenzito. «Grazie
per l’involontario suggerimento.»
«Figurati» dice lui con un gran sorriso. «Denver?»
Suppongo che voglia sapere se è la
mia prossima fermata. «Sì, quasi sette
ore di viaggio.»
Andrew scuote la testa: una prospettiva poco allettante anche per lui.
Dieci minuti dopo l’autobus entra
nella stazione di Garden City. C’è il
triplo della gente rispetto all’ultima fermata. Mi faccio strada nel terminal e mi
siedo nel primo posto libero, perché
vedo che la sala d’attesa si sta
riempiendo in fretta. Andrew svolta
l’angolo seguendo la freccia che indica i
distributori automatici e torna con una
Mountain Dew e un sacchetto di
patatine.
181/915
Si siede accanto a me e apre la lattina. «Cosa c’è?» mi chiede.
Non mi ero accorta di averlo guardato con un’espressione disgustata
mentre tracannava la sua bibita.
«Niente» mormoro distogliendo lo
sguardo. «Fai schifo.»
Lo sento ridere piano e poi scarta le
patatine. «A te fanno schifo un sacco di
cose.»
Mi volto di nuovo verso di lui,
mettendomi la borsa in grembo.
«Quand’è l’ultima volta che hai
mangiato qualcosa con cui non rischi
un infarto fulminante?»
Andrew sgranocchia un’altra patatina. «Mangio tutto quello che mi va di
mangiare. Cosa sei, una di quelle arroganti ragazzine vegetariane che si lamentano di come i fast food ingrassano
l’America?»
182/915
«No» ribatto, «ma penso che quelle
arroganti ragazzine vegetariane un po’
di ragione ce l’abbiano.»
Andrew mastica qualche altra patatina e beve.
«Non sono i fast food a far ingrassare
la gente» osserva con tono fermo. «Le
persone fanno le loro scelte. I fast food
si limitano a guadagnare sulla stupidità
degli americani che scelgono di mangiare da loro.»
«Ti stai autodefinendo un americano
stupido?» Rido a mia volta.
Andrew scrolla le spalle. «Certo, se la
scelta si limita a distributori automatici
e catene di fast food.»
Alzo gli occhi al cielo. «Oh, quindi,
potendo scegliere, mangeresti più sano?
Non ci credo.» Sto migliorando in
questi botta e risposta.
183/915
Lui scoppia a ridere forte. «Eccome.
Preferirei una bistecca da cinquanta
dollari a un hamburger vecchio di un
giorno, e una birra invece di una Mountain Dew.»
Scuoto la testa, ma non riesco a togliermi il sorriso dalla faccia.
«Tu cosa mangi di solito?» mi chiede.
«Insalata e tofu?»
«Bleah» dico, disgustata. «Non
mangerei tofu per niente al mondo e le
insalate servono solo per dimagrire.»
Faccio una pausa e sorrido. «Vuoi la
verità?»
«Certo. Spara.» Mi scruta come se
fossi una cosa divertente e carina da
studiare.
«Mi piacciono gli spaghetti pronti in
scatola e il sushi.»
184/915
«Insieme?» Adesso è lui a essere
disgustato.
Ci metto qualche secondo a capire.
«Oh no» rispondo, scuotendo la testa.
«Anche
questo
farebbe
schifo,
comunque.»
Lui sorride, sollevato.
«Non vado matta per le bistecche»
continuo, «ma se me ne offrissero una,
la mangerei.»
«Mi stai chiedendo di invitarti a
cena?» Il suo sorriso si allarga ancora di
più.
Sgrano gli occhi e apro la bocca.
«No!» esclamo, arrossendo. «Dicevo
solo che…»
Andrew ride e beve un altro sorso.
«Lo so, lo so. Non ho nemmeno mai
preso in considerazione l’idea.»
185/915
Spalanco gli occhi ancora di più e la
faccia mi va a fuoco.
Andrew ride fortissimo.
«Cavolo, ragazza» dice «non ci arrivi
tanto in fretta, eh?»
Aggrotto la fronte e lo fa anche lui,
ma in qualche modo continua a
sorridere.
«Sai cosa facciamo?» riprende, guardandomi con un’espressione più seria.
«Se alla prossima sosta siamo fortunati,
troviamo un posto dove fanno le bistecche, e se riescono a cuocerne una nei
quindici minuti che abbiamo a disposizione prima che ci lascino a piedi, allora
te la offro. Poi, mentre la mangiamo
sull’autobus, puoi decidere se è un appuntamento o no.»
«Posso già anticiparti che non lo
sarà.»
186/915
Di nuovo quel suo sorriso sghembo.
«D’accordo.
Credo
di
poter
sopravvivere.»
Penso
che
abbia
esaurito
l’argomento, e invece all’improvviso aggiunge: «Ma se non è un appuntamento,
cos’è?».
«In che senso? Sarebbe una cena tra
amici. Insomma, due che si sono trovati
a condividere un pasto.»
«Oh» mormora lui con una scintilla
negli occhi. «Quindi siamo amici?»
Mi ha preso alla sprovvista. È bravo.
Ci penso su un momento. «Certo. Almeno fino in Wyoming.»
Mi porge la mano e io, riluttante,
gliela stringo. Ha una stretta gentile ma
ferma e il suo sorriso è sincero.
«Amici fino in Wyoming.» E mi lascia
andare la mano.
187/915
Non ho capito bene cosa sia successo,
ma non mi sento come se avessi fatto
una cosa di cui poi potrei pentirmi. Non
credo ci sia niente di male ad avere un
“amico” per il viaggio. Poteva andarmi
molto peggio. Andrew sembra inoffensivo e ammetto che mi piace parlare con
lui. Non è una di quelle vecchie signore
che ti raccontano di quando erano
giovani, o un anziano convinto di essere fico come quando aveva diciassette
anni e sicuro che io lo veda ancora
com’era un tempo. No, Andrew è
proprio perfetto. Be’, per un sacco di
motivi sarebbe meglio che fosse una
ragazza, ma almeno ha quasi la mia età
e non è affatto brutto. Anzi, Andrew
Parrish è tutt’altro che uno scherzo
della natura.
A essere sincera, è una meraviglia
della natura e credo che sia questa
l’unica cosa a darmi davvero fastidio.
188/915
Non importa cosa sta succedendo nella
tua vita, chi hai appena perso, quanto
odi il mondo o quanto sia poco appropriato essere attratti da qualcuno prima
di essere usciti dal periodo di convalescenza: sei pur sempre un essere umano
e nel momento in cui incontri un
ragazzo affascinante, non puoi non notarlo. Siamo fatti così.
Ma agire è tutta un’altra storia ed è
qui che ho tracciato il confine. Non succederà. Mai.
Però sì, il fatto che sia carino mi infastidisce, perché significa che dovrò
sforzarmi ancora di più per non dargli
un’idea sbagliata di me. I ragazzi carini
sanno di esserlo, persino quelli che fanno di tutto per non mettersi in mostra.
E nell’indole dei ragazzi carini c’è
anche dare per scontato che un sorriso
innocente
o
una
conversazione
189/915
superiore ai tre minuti senza silenzi imbarazzanti siano chiari segni di
interesse.
Quindi questa “amicizia” mi costerà
un bello sforzo. Voglio essere gentile,
ma non troppo. Voglio sorridere al momento giusto, ma devo stare attenta a
misurare l’ampiezza del sorriso. Voglio
ridere se dice qualcosa di divertente,
ma non voglio che pensi che rido perché mi piace.
Già, sarà una bella faticaccia. Una
vecchia signora non sarebbe stata poi
così male.
Io e Andrew aspettiamo l’autobus
quasi un’ora. Come immaginavo, questa
volta non avremo a disposizione due
sedili vuoti a testa. Dalla fila sembra
addirittura che non ci sia posto per
tutti. Dilemma… Andrew e io siamo
amici a tempo determinato, ma non
190/915
posso spingermi così in là da chiedergli
di sedersi accanto a me. Rientra
nell’elenco delle cose per cui potrebbe
farsi un’idea sbagliata. Così, mentre la
fila avanza e lui è proprio alle mie
spalle, spero che decida da solo di mettersi vicino a me. Meglio lui che un perfetto estraneo.
Percorro il corridoio verso il centro
dell’autobus e mi infilo in due posti
vuoti, scegliendo quello accanto al
finestrino.
Andrew si siede vicino a me e mi sento segretamente sollevata.
«Ti concedo il posto vicino al finestrino solo perché sei una ragazza» dice,
appoggiando la borsa tra i piedi.
L’autobus si riempie e sento già che
l’aria si surriscalda con tutte queste persone stipate; poi le porte si chiudono e
il motore si accende.
191/915
Il viaggio non sembra così lungo e
straziante ora che ho qualcuno con cui
chiacchierare. Passiamo un’ora a parlare delle cose più disparate, dalle sue
rock band preferite al perché mi piace
Pink e quanto sia meglio dei Boston e
dei Foreigner, che io non riesco
neanche a distinguere. Questa discussione dura almeno una ventina di
minuti: Andrew è davvero testardo, ma
lui dice la stessa cosa di me, quindi
forse siamo colpevoli entrambi. E gli
spiego chi è “Nat”, anche se evito di
scendere nei particolari.
Quando fa buio mi rendo conto che
da quando siamo saliti e lui si è seduto
vicino a me, non c’è stato un solo momento di silenzio o imbarazzo.
«Quanto ti fermi in Idaho?»
«Qualche giorno.»
192/915
«E poi torni a casa in autobus?» Stranamente, dal volto di Andrew è scomparsa quell’espressione divertita.
«Sì.» Non voglio addentrarmi troppo
in questo argomento, perché non so
ancora come rispondere.
Lo sento sospirare. «Non sono affari
miei.» Sento la distanza tra noi ridursi
ancora di più. «Però non dovresti
viaggiare da sola.»
Non lo guardo. «Be’, non posso fare
altrimenti.»
«Perché? Non ci sto provando, sia
chiaro, ma per una ragazza giovane e
fantastica come te non è sicuro viaggiare da sola per le stazioni degli autobus
più malfamate d’America.»
Sento il volto aprirsi in un sorriso, e
tento inutilmente di nasconderlo. «Hai
detto che non ci stai provando con me e
poi dici che sono “fantastica” e ti giochi
193/915
la carta del “cosa ci fa una ragazza
come te in un posto simile”?»
Sembra un po’ offeso.
«Sono serio, Camryn» e il mio sorriso
di botto si spegne. «Potrebbe davvero
capitarti qualcosa di brutto.»
Nel tentativo di aggirare questo momento imbarazzante ribatto: «Non preoccuparti per me. Se qualcuno mi aggredisce, sono sicura di saper gridare
molto forte».
Lui scuote la testa e respira a fondo,
cedendo lentamente al mio tentativo di
sdrammatizzare.
«Allora, parlami di tuo padre» dico.
Quel mezzo sorriso scompare dal
volto di Andrew. Non ho tirato fuori
l’argomento per sbaglio. Non lo so, ma
ho avuto la strana sensazione che stesse
nascondendo
qualcosa.
Quando
194/915
eravamo in Kansas e ha accennato al
fatto che suo padre stesse morendo,
non sembrava turbato. Ma se sta facendo tutta questa strada, e in autobus
per giunta, per andarlo a trovare, allora
deve volergli molto bene. Mi dispiace,
ma è impossibile non essere sconvolti
se qualcuno a cui vuoi bene muore, o
sta morendo. Suona strano detto da me,
che non so più piangere.
«È un brav’uomo» mormora Andrew,
ancora con gli occhi fissi davanti a sé.
Credo che in questo momento si stia
concentrando su suo padre e non veda
altro che i ricordi che ha di lui. Mi
guarda; sorride ora, non per nascondere
il suo dolore, ma perché gli è tornato in
mente qualcosa.
«Non mi portava alle partite di baseball, ma agli incontri di boxe.»
195/915
«Oh.» Sento che il mio sorriso si riaccende. «Ti va di raccontare?»
Andrew guarda di nuovo davanti a
sé, ma quel calore che ho visto sul suo
volto non scompare. «Papà voleva che
fossimo dei combattenti… Non che desiderasse che facessimo i pugili, anche
se forse non gli sarebbe dispiaciuto. Intendo combattenti nella vita. In senso
metaforico.»
Annuisco.
«Mi sedevo a bordo ring… avevo otto
anni… e restavo ipnotizzato da quei
due uomini che si picchiavano. Per
tutto il tempo mio padre mi parlava
sopra le urla del pubblico. “Non hanno
paura di nulla, ragazzo” mi diceva.
“Calcolano ogni mossa. Può funzionare
oppure no, ma da ogni decisione che
prendono imparano qualcosa”.» Mi
guarda di sfuggita e il suo sorriso si
196/915
spegne: ora è impassibile. «Mi diceva
che i veri combattenti non piangono
mai, che nulla li può abbattere. A parte
il colpo finale, inevitabile, ma anche in
quel caso ne escono da veri uomini.»
Anch’io non sorrido più. Non so esattamente cosa stia passando per la testa
di Andrew, ma siamo entrambi seri.
Vorrei chiedergli come si sente – è ovvio che non sta bene per niente –, però
non mi sembra il momento giusto. Non
lo conosco ancora abbastanza da scavare a fondo nelle sue emozioni. Così
non dico nulla.
«Penserai che sono un coglione.»
Batto le palpebre, sorpresa. «No.
Perché?»
Fa immediatamente marcia indietro e
smorza la serietà delle sue parole facendo riaffiorare quel suo sorriso
affascinante.
197/915
«Voglio vederlo prima che tiri le
cuoia» aggiunge.
Le parole che ha scelto un po’ mi
turbano.
«Perché bisogna fare così, no? È una
cosa normale, come dire “salute”
quando uno starnutisce o chiedere a
qualcuno com’è andato il weekend
anche se non te ne frega un cazzo.»
Dio, da dove viene tutto questo?
«Bisogna vivere nel presente» continua, lasciandomi stupita. «Non ti
pare?» Piega la testa e mi guarda di
nuovo.
«Vivere nel presente…» ripeto,
pensando allo stesso tempo al mio principio di amare nel presente. «Immagino
tu abbia ragione.» Ma non smetto di
chiedermi quale sia il senso esatto delle
sue parole.
198/915
Mi risistemo dritta sul sedile e alzo
un po’ la testa per vederlo più da vicino. È come se tutt’a un tratto mi fosse
venuta una gran voglia di sapere tutto
su questa storia. Di sapere tutto di lui.
«Cos’è per te vivere nel presente?»
domando.
Mi accorgo che cambia espressione,
sorpreso dal mio interesse. Anche lui
drizza la schiena e solleva la testa.
«Rimuginare,
pianificare…
tutte
cazzate» dice. «Rimugini sul passato e
non riesci ad andare avanti. Passi
troppo tempo a pianificare il futuro e ti
muovi all’indietro, oppure resti immobile nello stesso posto per tutta la vita.»
Aggancia il mio sguardo. «Vivi nel
presente» afferma con un tono serio
«dove tutto accade al momento giusto.
Prenditi il tempo che ti serve, poni un
limite ai brutti ricordi e arriverai
199/915
ovunque tu voglia molto più velocemente e con molte meno difficoltà
lungo la strada.»
Nel silenzio che segue riflettiamo
sulle sue parole. Mi chiedo se sta
pensando a ciò che penso io. E mi
chiedo anche, più di quanto sia disposta
ad ammettere, perché mi sento come se
mi stessi guardando allo specchio.
L’autobus procede pesante lungo
l’autostrada. Dopo tutto questo tempo è
facile dimenticare quanto sia sgradevole viaggiare in autobus rispetto al
lusso di un’auto. Ma se pensi agli aspetti positivi puoi anche concludere
che, in fin dei conti, non è poi così
male. Accanto a me c’è un ragazzo con
due bellissimi occhi verdi, un bellissimo
viso e un bellissimo cervello. E quando
sei in compagnia di qualcosa di
200/915
bellissimo, un viaggio in autobus non
può mai essere brutto.
Non dovrei trovarmi qui…
9
Andrew
Non posso crederci che mi abbia chiesto di mio padre. Non sono arrabbiato,
sono solo sorpreso che le interessi davvero. Che si ricordi persino che gliene
ho parlato. Non mi fa domande sul mio
lavoro per calcolare quanto guadagno;
non ride, non arrossisce, non fa la stupida e non mi tocca i tatuaggi, usandoli
come scusa per sfiorarmi le braccia. Di
solito queste cose mi smontano. Cioè,
non quando punti a portarti a letto una
ragazza – perché, anzi, rendono tutto
202/915
più semplice –, ma per qualche ragione
sono felice che Camryn si sia comportata in modo diverso.
Chi cavolo è questa ragazza? E perché sto pensando a queste cose?
Si addormenta prima di me con la
testa appoggiata al finestrino e io resisto alla tentazione di guardarla: sembra così dolce e innocente che mi viene
voglia di proteggerla.
Pare che il pervertito abbia smesso di
fissarla quando ci ha visti insieme l’ultima volta che ci siamo fermati. Secondo la logica maschile, è probabile
che la consideri “territorio” mio, una
mia proprietà. Meglio, perché così la
lascerà in pace almeno finché ci sono io
nei paraggi. Peccato che in Wyoming ci
separeremo, e la cosa mi preoccupa
parecchio. Spero che quel tizio cambi
autobus. Faremo altre due soste prima
203/915
di Denver, e mi auguro con tutto il
cuore che scenda. Altrimenti lo terrò
d’occhio fino alla fine.
Quel figlio di puttana non arriverà in
Idaho. Lo ucciderò prima. Mi guardo attorno nell’autobus buio. L’uomo dorme,
la testa sul sedile dal lato del corridoio.
Accanto a lui c’è una donna, ma è
troppo avanti con gli anni per attirare
la sua attenzione. A lui piacciono
giovani, molto giovani probabilmente.
Mi viene da vomitare al solo pensiero
di cosa potrebbe avere fatto ad altre
ragazze.
Nonostante il vento che sferza la carrozzeria, il rumore degli pneumatici
sull’asfalto
e
il
brontolio
di
quell’enorme motore, è tutto tranquillo.
C’è pace, quasi. Per quanta ce ne possa
essere in un autobus.
204/915
Mi metto le cuffie e accendo il lettore
mp3 in modalità shuffle. Cosa sarà…
cosa sarà? Lascio sempre che sia la
prima canzone a determinare il mio
umore. Su questo aggeggio ho più di
trecento brani. Trecento umori diversi.
Credo però che il mio mp3 sia difettoso, perché attacca quasi sempre con
Dust in the Wind dei Kansas, Going to
California degli Zeppelin o qualcosa degli Eagles.
Aspetto senza guardare il display,
come se fosse un indovinello e non volessi barare. Ah, ottima scelta: Dream
On degli Aerosmith. Appoggio la testa
al sedile e chiudo gli occhi; solo dopo
averlo fatto mi rendo conto che ho abbassato il volume. Non voglio svegliare
Camryn.
Riapro gli occhi e la guardo. Stringe
forte la borsa a sé, come se ne fosse
205/915
completamente responsabile anche nel
sonno profondo. Mi chiedo cosa ci sia lì
dentro, se c’è qualcosa che potrebbe
aiutarmi a conoscerla. Se c’è qualcosa
che potrebbe dirmi la verità su di lei.
Poco importa. Una volta in Wyoming
perderò le sue tracce e probabilmente
lei non ricorderà nemmeno più come
mi chiamo. È meglio così, lo so. Posso
essere un bagaglio pesante da portare,
anche come amico, e non credo che sia
ciò di cui lei ha bisogno. Non lo augurerei a nessuno.
Il ronzio della voce di Steven Tyler
mi culla nel dormiveglia. Poi prorompe
in un acuto: lo ascolto fino in fondo, e
poi mi addormento.
«Ehi, spostati» dice una voce.
Qualcosa mi preme contro la spalla.
Mi sveglio e c’è Camryn che cerca di
spingermi via. Fa abbastanza ridere
206/915
quella sua faccia di traverso di primo
mattino. Per quanto si sforzi, sono
troppo pesante e non riesce a
smuovermi di un millimetro.
«Scusa» rispondo, cercando di svegliarmi. Mi tiro su disorientato; ho il collo
rigido come un tronco. Non volevo
finire con la testa sul suo braccio, ma
non mi dispiace poi così tanto. Non
quanto a lei. In verità, sono abbastanza
sicuro che stia fingendo. Sta cercando
in tutti i modi di non sorridere.
Vediamo se posso aiutarla… Sorrido
per primo.
«Ti sembra divertente?» mi dice, la
bocca un po’ aperta e le sopracciglia
aggrottate in quel suo modo delizioso.
«Sì, sinceramente sì.» Continuo a sorriderle e alla fine si lascia andare. «Però
ti chiedo scusa, davvero.»
207/915
Mi lancia un’occhiata di traverso,
come per sondare la mia sincerità.
Anche questo è molto carino.
Distolgo lo sguardo e alzo le braccia
per stiracchiarmi, e mi viene da
sbadigliare.
«Che schifo!» esclama lei. La scelta
del termine non mi stupisce affatto.
«Hai l’alito che puzza di culo.»
«Come fai a sapere che odore ha il
culo?» ribatto con una risata.
Con questo la metto a tacere.
Continuando a ridere infilo l’mp3 nella
borsa. Svito il tappo del dentifricio e ne
spremo un po’ sulla punta della lingua,
lo spalmo nella bocca e poi mando giù.
Ovviamente Camryn mi guarda disgustata. Esattamente la reazione che
speravo di ottenere.
Anche gli altri passeggeri si sono svegliati prima di me. Sono sorpreso di
208/915
aver dormito così tanto e senza interruzioni, nemmeno per trovare una posizione comoda, cosa che non mi riesce
mai. L’orologio dice che sono le 9.02.
«Dove siamo?» chiedo, guardando
fuori dal finestrino in cerca di un
cartello.
«A circa quattro ore da Denver.
L’autista ha annunciato un’altra sosta
tra dieci minuti.»
«Perfetto» rispondo, allungando una
gamba nel corridoio tra i sedili. «Ho
bisogno di muovermi. Sono rigido come
un bastone.»
Vedo che Camryn sorride, poi però si
gira subito verso il finestrino. Rigido
come un bastone. Okay, quindi capisce
anche i doppi sensi.
La sosta successiva non è molto diversa dalle altre: una serie di stazioni di
servizio sui due lati dell’autostrada e
209/915
due fast food. Non ci credo che questa
ragazza sia riuscita davvero a insinuarmi il dubbio se entrare o no nel fast
food. Non capisco se voglio dimostrarle
che scelgo di mangiare meglio se ne ho
la possibilità, o se è perché poi mi urlerà contro.
Un momento, chi è che ha il controllo della situazione?
Ovviamente lei. Cacchio.
Ci mettiamo in fila per scendere,
Camryn è davanti a me; si ferma e si
gira a guardarmi con le braccia
incrociate.
«Bene, visto che sei così intelligente»
dico, con un tono da terzo grado
«vediamo se riesci a trovare qualcosa di
sano da mangiare – e che non sappia di
gomma inzuppata nella merda – in un
posto come questo.»
210/915
Increspa l’angolo della bocca in un
mezzo sorriso.
«Ci sto» risponde, accettando la sfida.
La seguo nel gigantesco supermercato. Per prima cosa si dirige ai frigoriferi con le bevande. Come la valletta
bionda di un quiz televisivo (non so chi
di preciso perché non guardo i quiz, ma
c’è sempre una valletta bionda), con un
gesto teatrale mi presenta il mondo dei
succhi di frutta e dell’acqua minerale
come se li vedessi per la prima volta.
«Possiamo cominciare con una
selezione di succhi, come puoi vedere»
spiega, con un perfetto tono da
presentatrice. «Uno qualsiasi di questi è
meglio di una bibita gassata. A te la
scelta.»
«Odio i succhi di frutta.»
211/915
«Non fare il bambino. Ce ne sono un
sacco, sono sicura che uno che riesci a
mandare giù lo trovi.»
Si sposta al frigorifero accanto e mi
illustra i vari tipi di acqua minerale
aromatizzata.
«E qui c’è l’acqua» spiega, «ma non
mi sembri il tipo.»
«No, infatti è da sfigati.» Non ho nessun problema con l’acqua minerale, ma
mi piace questo gioco.
Camryn sorride, ma si sforza di non
darlo a vedere.
Io arriccio il naso, stringo le labbra e
guardo prima lei, poi il frigo con i succhi di frutta.
Respiro sonoramente e mi avvicino;
esamino le marche, i gusti e le combinazioni e mi chiedo perché le fragole
212/915
o il kiwi – o le fragole e il kiwi insieme
– siano dappertutto. Io li odio.
Alla fine apro lo sportello e prendo
un classico succo d’arancia.
Lei geme.
«Cosa c’è?» chiedo, ancora con lo
sportello aperto.
«Il succo d’arancia non va bene per
accompagnare il cibo.»
Mi esce una risata e la guardo,
immobile.
«Per una volta che scelgo, mi dici che
non va bene.» Vorrei ridere, ma sto cercando di farla sentire in colpa. E credo
che stia funzionando.
Camryn aggrotta la fronte. «Be’,
ecco… il succo d’arancia va bene se hai
bisogno di vitamina C. Ti fa solo venire
più sete.»
213/915
Sembra che sia preoccupata di
avermi offeso, e la cosa mi colpisce in
un modo strano. Sorrido solo per
vederla sorridere. E il suo è il sorriso di
un diavolo tentatore.
Oh, è fantastica…
10
Camryn
Finalmente superiamo Denver; ci stiamo avvicinando sempre di più al
Wyoming, dove Andrew dovrà scendere. Non mentirò: mi dispiace. Andrew
aveva ragione a dire che è pericoloso
viaggiare da sola. Sto soltanto cercando
di capire perché la cosa non mi turbava
prima di conoscere lui. Forse mi sento
più sicura in sua compagnia: mi dà
l’idea che potrebbe spaccare qualche
naso senza il minimo sforzo. Cavolo,
non avrei mai dovuto parlare con lui e
215/915
di certo non avrei dovuto farlo sedere
accanto a me, perché ora mi sono
abituata alla sua presenza. Appena ci
separeremo, io tornerò a osservare il
mondo dal finestrino senza sapere
quale sarà la mia prossima tappa.
«Hai la ragazza?» chiedo, solo per
ravvivare la conversazione e non
pensare che tra poche ore sarò di nuovo
sola.
Le sue fossette ricompaiono. «Perché
ti interessa?»
Alzo gli occhi al cielo. «Non montarti
la testa. Era solo una domanda. Se
no…»
«No, sono felicemente single.»
Mi guarda sorridendo, in attesa, e mi
ci vuole un secondo per capire cosa sta
aspettando.
216/915
Punto il dito verso di me, nervosa.
Certo, se avessi scelto un argomento
meno personale… «Io? No, io mai più.»
Sentendomi più sicura aggiungo:
«Anch’io sono felicemente single e così
voglio restare. Almeno per… sempre».
Mi sarei dovuta interrompere a “felicemente single” invece di sproloquiare
con queste banalità.
Ovviamente Andrew si accorge del
mio imbarazzo. Mi sa che è quel tipo di
persona che non si lascia mai sfuggire i
momenti d’imbarazzo altrui. Anzi, ci
gode.
«Me ne ricorderò» replica con un
sorriso.
Per fortuna evita di scavare a fondo
sull’argomento.
Appoggia la testa al sedile e, sovrappensiero, batte i pollici e i mignoli contro i jeans. Sperando che non se ne
217/915
accorga, osservo le sue braccia muscolose e abbronzate per vedere i tatuaggi,
ma sono coperti dalle maniche della
maglietta. Poi Andrew si piega per allacciarsi una scarpa e riesco a intravedere quello che ha sul braccio sinistro. Non capisco cosa rappresenti…
qualcosa con delle piume. Finora mi è
capitato di vedere solo tatuaggi non
colorati.
«Curiosa?» mi chiede e io trasalgo.
Non pensavo che se ne fosse reso conto.
«Un po’.»
Sì, sono molto curiosa, in verità.
Andrew solleva la manica rivelando
una fenice con una lunga e bellissima
coda di piume, che finisce a pochi centimetri dall’orlo della maglietta, e un
corpo scheletrico. Ha un aspetto quasi
“umano”.
«Bello.»
218/915
«Grazie. L’ho fatto più o meno un anno fa» mi spiega rimettendo giù la
manica. «E questo» continua, girandosi
e tirando su la manica destra (ma la
prima cosa che noto è il profilo degli
addominali attraverso la T-shirt) «è il
mio albero di Sleepy Hollow, con i rami
tutti contorti… ho una passione per gli
alberi stregati. Se guardi bene…» Mi
avvicino e osservo un punto sul tronco
che Andrew mi sta indicando. «… Vedi
la mia Chevy Camaro del 1969. Veramente è l’auto di mio padre, ma visto
che sta morendo, credo che la terrò io.»
Guarda dritto davanti a sé.
Ed eccola quella piccola scintilla di
dolore che prima, quando parlava di
suo padre, ha tenuto nascosta. Soffre
più di quanto non si conceda, e la cosa
mi spezza il cuore. Non riesco neanche
a immaginare mia madre o mio padre
sul letto di morte mentre io sono su un
219/915
autobus, in viaggio per vederli per l’ultima volta. Scruto il viso di Andrew e
vorrei davvero dire qualcosa per confortarlo, ma non credo di averne il diritto. Per qualche ragione non penso sia
compito mio; almeno, non è il caso che
tiri fuori l’argomento.
«Ne ho anche altri» continua Andrew.
«Uno piccolo qui.» E gira il polso destro
per mostrarmi una semplice stella nera,
proprio sotto il palmo. Sono sorpresa di
non averla notata prima. «E uno più
grande sotto le costole, a sinistra.»
«Che cos’è? Quant’è grande?»
Mi sorride dolcemente e i suoi occhi
verdi brillano. «Decisamente grande.»
Vedo che fa per tirare su la maglietta,
poi cambia idea. «È una donna. Niente
per cui valga la pena spogliarsi su un
autobus.»
220/915
Adesso voglio vederlo assolutamente,
solo perché lui non vuole.
«Una donna che conosci?» chiedo.
Continuo a fissare il punto in cui
dovrebbe esserci il tatuaggio, sperando
che lui cambi idea e alzi la maglietta,
ma non lo fa.
Andrew scuote la testa. «No, macché.
È Euridice» e agita la mano davanti a sé
come per liquidare qualsiasi ulteriore
spiegazione.
Il nome mi fa venire in mente qualcosa di antico, greco forse, e mi è vagamente familiare, anche se non ricordo
di preciso.
Annuisco. «Ti ha fatto male?»
«Un po’. Cioè, fa male soprattutto
sulle costole. Quindi sì, fa male.»
«Hai pianto?»
221/915
Sorride. «No, non ho pianto. Ma
l’avrei fatto, se fosse stato anche solo
un po’ più grande. Ci sono volute sedici
ore per finirlo.»
Batto le palpebre, stupita. «Wow, sei
rimasto seduto per sedici ore?»
Visto che continuiamo a parlarne, mi
domando perché non me lo faccia
vedere. Forse non è venuto bene o il
tatuatore ha fatto un pasticcio.
«Non consecutive. Ti chiederei se
anche tu hai dei tatuaggi, ma qualcosa
mi dice di no.»
«Infatti no» rispondo, arrossendo un
po’. «Non è che non ci abbia mai
pensato.» Stringo il polso sinistro tra il
pollice e il medio. «Avrei voluto qualcosa qui… magari una scritta, “Libertà”
per esempio o qualcosa in latino… Alla
fine non ci ho pensato più di tanto.»
Sorrido e mi lascio sfuggire un sospiro
222/915
imbarazzato. Parlare di tatuaggi con un
ragazzo che ne sa molto più di me mi
intimorisce un po’.
Sto per abbassare il braccio, ma
Andrew mi afferra per il polso. Per un
secondo resto come disorientata; sento
persino uno strano brivido in tutto il
corpo, che però svanisce non appena lui
comincia a parlare.
«Un tatuaggio sul polso è molto
grazioso e femminile.» Con il polpastrello mi indica il punto in cui potrei
farlo. Rabbrividisco ancora. «Qualcosa
in latino, molto piccolo, sarebbe davvero carino.» Mi lascia andare e io mi
appoggio al bracciolo. «Mi aspettavo
che dicessi “neanche per sogno”.» Ride
e accavalla le gambe.
Fuori, si sta facendo buio in fretta. Il
sole fa appena capolino all’orizzonte
223/915
tingendo ogni cosa di una sfumatura
arancione, rosa e viola.
«Evidentemente non sono un tipo
prevedibile» ribatto con un sorriso.
«No, direi di no» risponde lui, e poi
guarda pensieroso davanti a sé.
Il giorno dopo Andrew mi sveglia alle
due del pomeriggio alla stazione di
Cheyenne, Wyoming. Sento che mi picchietta le dita sul fianco. «Siamo arrivati» mi annuncia.
Apro gli occhi e scosto la testa dal
finestrino. Sono sicura di avere un alito
terribile, sento la bocca asciutta e impastata, così guardo altrove mentre
sbadiglio.
L’autobus entra in stazione con uno
stridore di freni. Come sempre, i
passeggeri si alzano stiracchiandosi e
recuperano le borse dal vano sopra i
224/915
sedili. Io resto seduta, un po’ nel panico, e lancio un’occhiata a Andrew. Ho
la netta sensazione che avrò un attacco
d’ansia. Insomma, sapevo che questo
momento sarebbe arrivato, che Andrew
sarebbe andato per la sua strada e io
sarei rimasta sola, ma non mi aspettavo
di sentirmi una ragazzina spaventata e
indifesa, senza più nessuno che si occupi di lei.
Merda, merda, merda!
E non riesco a credere di aver ceduto
al punto che mi sento così a mio agio
con lui: non posso più fare della mia
paura un’arma. Ho paura di stare da
sola.
«Vieni?» mi chiede lui guardandomi
dal corridoio e porgendomi la mano. Mi
sorride dolcemente ed evita di fare un
commento strafottente o di prendermi
in giro: dopotutto è l’ultima volta che ci
225/915
vediamo. Non è come se fossimo innamorati, ma succede qualcosa di
strano quando passi vari giorni su un
autobus in compagnia di un estraneo,
impari a conoscerlo e stai bene con lui.
E quando questa persona è simile a te e
stabilisci un legame, anche se non vi siete raccontati il perché delle vostre sofferenze, separarsi è ancora più difficile.
Ma non posso dirglielo. Che stupidaggine. Mi sono messa in questa
situazione e ora devo andare fino in
fondo. Indipendentemente da dove
arriverò.
Gli sorrido anch’io e gli prendo la
mano. E anche mentre cammina davanti a me lungo il corridoio tiene le mie
dita tra le sue. Sento una sensazione di
calore nel suo tocco, e mi ci aggrappo il
più possibile, così, forse, quando sarò di
nuovo sola mi sentirò più sicura.
226/915
«Bene, Camryn…» Andrew mi
guarda, in attesa che gli dica il mio
cognome.
«Bennett.» Sorrido, infrangendo la
mia stessa regola.
«Bene, Camryn Bennett, è stato un piacere conoscerti nel nostro viaggio
verso il nulla.» Si sistema la borsa a
tracolla, poi mette le mani in tasca. I
muscoli delle braccia si tendono. «Ti
auguro di trovare quello che stai
cercando.»
Provo a sorridere, ma so che mi viene
fuori qualcosa più simile a un broncio.
Metto la borsa in spalla e prendo il bagaglio con l’altra mano.
«Anche per me è stato un piacere,
Andrew Parrish» rispondo, anche se
non vorrei dirlo. Vorrei che il nostro
viaggio insieme proseguisse ancora un
po’. «Fammi un favore, se ti va.»
227/915
Ho stuzzicato la sua curiosità. Piega
appena la testa da una parte. «D’accordo. Che favore? Sessuale?» Le fossette si fanno più profonde e incurva le
sue bellissime labbra.
Sorrido e abbasso lo sguardo; la faccia mi va a fuoco. Poi però cerco di riprendermi, perché non è una richiesta
che posso fare a cuor leggero. Gli punto
addosso uno sguardo più serio e
partecipe.
«Se tuo padre non dovesse farcela»
inizio, e lo vedo rabbuiarsi «concediti
di piangere, okay? Una delle sensazioni
più brutte al mondo è non essere capaci
di piangere. Rende solo… tutto più
tetro.»
Andrew mi fissa in silenzio per un
istante e annuisce. Nella profondità dei
suoi occhi vedo un sorriso di gratitudine. Gli porgo la mano per salutarlo e
228/915
lui me la stringe, ma la tiene un momento di più e mi tira a sé in un abbraccio. Lo stringo forte; vorrei tanto
potergli dire che sono terrorizzata
all’idea che mi lasci sola. Ma so che non
posso.
Tieni duro, Camryn!
Lui si scosta da me, annuisce un’ultima volta con quel sorriso che ho imparato in fretta ad apprezzare e poi si
allontana verso l’uscita del terminal.
Resto lì per quella che sembra un’eternità, le gambe come paralizzate. Lo
osservo mentre sale su un taxi e continuo a seguirlo con lo sguardo finché
non scompare.
Sola, di nuovo. A migliaia di chilometri da casa. Nessuna direzione, nessuno scopo, nessun obiettivo a parte
trovare me stessa in questo viaggio che
mai avrei immaginato di intraprendere.
229/915
Sono spaventata, però devo andare avanti. Devo farlo perché ho bisogno di
stare da sola, di allontanarmi da tutto
ciò che mi ha portato qui.
Alla fine recupero il controllo e trovo
un posto dove sedermi. Il prossimo
autobus per l’Idaho partirà fra quattro
ore, quindi dovrò cercare qualcosa per
passare il tempo. Per prima cosa vado
ai distributori automatici.
Infilo le monete e faccio per schiacciare E4 per prendere una barretta di
cereali – la cosa più vicina a un cibo
salutare che c’è –, poi però le mie dita
fanno un’inversione a U e spingo D4:
una grassa, zuccherosa e disgustosa
barretta di cioccolato cade giù. Recupero felice la schifezza e vado al distributore delle bibite superando quello
dell’acqua e dei succhi di frutta. Alla
230/915
fine scelgo una roba gassata, spaccadenti e torcibudella.
Andrew sarebbe orgoglioso di me.
Cazzo, basta pensare a Andrew!
Mi siedo e aspetto.
L’attesa di quattro ore diventa di sei.
Il ritardo viene annunciato al microfono: a quanto pare il mio autobus ha
avuto un guasto. Nel terminal si leva un
coro di sospiri.
Fantastico, davvero fantastico. Sono
bloccata in questa stazione in mezzo al
nulla, ed è molto probabile che debba
passarci la notte e dormire in posizione
fetale su questa sedia di plastica dura,
che è scomoda persino da seduti.
Oppure potrei comprare un biglietto
per qualche altro posto.
Ma certo! Problema risolto! Perché
non ci ho pensato prima? Mi sarei
231/915
risparmiata le sei ore che ho già sprecato qui. È come se mi fossi autoconvinta di dover andare per forza in quel
cazzo di Idaho, solo perché ho già
pagato il biglietto.
Prendo le borse dal sedile accanto al
mio e mi dirigo verso la biglietteria,
passando davanti a una serie di viaggiatori contrariati, che evidentemente non
hanno un’alternativa.
«Stiamo chiudendo, signorina» mi
dice l’impiegata.
«Un momento, per favore» replico, allungando le mani sul banco, disperata.
«Devo solo comprare un biglietto. La
prego, mi farebbe un grossissimo
favore.»
La signora, anziana e con i capelli
ispidi, si mordicchia per un momento la
guancia, poi sospira e alla fine digita
qualcosa sulla tastiera.
232/915
«Oh, grazie!» esclamo. «Lei è davvero
gentile! Grazie!»
La donna alza gli occhi al cielo.
Appoggio la borsa sul bancone e rovisto in cerca del portafoglio.
«Per dove?» mi chiede.
Perfetto, di nuovo la domanda da un
milione di dollari. Mi guardo intorno in
cerca di un altro “segno” come la patata in North Carolina, ma non trovo niente. La signora è sempre più irritata e
non vede l’ora di andarsene.
«Allora?»
dice,
sospirando
rumorosamente. Guarda l’orologio appeso
al muro. «Ho finito il turno un quarto
d’ora fa e vorrei davvero tornare a casa
e cenare.»
«Sì, certo, scusi.» Tiro fuori la carta
di credito e gliela porgo. «Texas»
rispondo. E quando lo dico mi rendo
233/915
conto che ce l’avevo già sulla punta
della lingua. «Sì, da qualsiasi parte in
Texas, grazie.»
La donna solleva un sopracciglio rossiccio e incolto. «Non sa dove sta
andando?»
Annuisco convinta. «No, no, certo,
che lo so. Volevo dire che prendo il
primo autobus per il Texas.» Le sorrido
sperando che si beva queste cazzate e,
insospettita, non le salti in mente di
chiedermi la patente. «Aspetto da sei
ore… Spero che capisca.»
Mi guarda per un lungo, irritante,
momento, poi prende la carta e
ricomincia a battere sulla tastiera.
«Il prossimo autobus per il Texas
parte tra un’ora.»
«Perfetto! Prendo quello» esclamo,
prima che lei possa dirmi dove è diretto
di preciso.
234/915
Non importa. E la signora ha talmente fretta di tornare a casa che non
sembra pensarci. A me non interessa, e
di sicuro nemmeno a lei.
Prendo il mio nuovo biglietto e lo infilo nella borsa accanto all’altro. La
biglietteria chiude alle mie spalle alle
21.05. Che sollievo.
Torno al mio posto di prima, cerco il
cellulare nella borsa e guardo se mi ha
chiamato qualcuno. Mia madre ha telefonato due volte e ha lasciato un messaggio in segreteria. Ancora niente da
Natalie.
«Tesoro, dove sei?» mi chiede mia
madre quando la richiamo. «Ho provato
a cercare Natalie per sapere se eri con
lei, ma non sono riuscita a trovarla. Stai
bene?»
«Sì, mamma, sto bene.» Cammino
davanti al sedile con il telefono
235/915
all’orecchio destro. «Ho deciso di andare a trovare la mia amica Anna in
Virginia. Resterò da lei per un po’, però
sto bene.»
«Ma Camryn… e il nuovo lavoro?»
Sembra amareggiata, soprattutto perché
è una sua amica ad avermi assunto.
«Maggie mi ha detto che dopo la prima
settimana non ti sei più fatta vedere.
Nemmeno una telefonata.»
«Lo so, mamma, e mi dispiace molto,
ma non faceva proprio per me.»
«Almeno potevi essere cortese e…
darle un preavviso di quindici giorni,
Camryn, avvertirla.»
Mi sento uno schifo per come ho
gestito la cosa e in condizioni normali
non avrei mai fatto niente di così sconsiderato, ma purtroppo sono state le
circostanze a spingermi ad agire in quel
modo.
236/915
«Hai ragione» rispondo. «Appena
torno chiamo la signora Phillips per
scusarmi di persona.»
«Ma non è da te» insiste mia madre.
Temo che possa intuire qualcosa del
vero motivo per cui me ne sono andata.
«E non è da te partire per la Virginia
senza telefonarmi o lasciarmi un biglietto. Sicura che è tutto a posto?»
«Sicura. Non preoccuparti, per
favore. Ti richiamo presto, adesso devo
andare.»
Da come sospira capisco che non vorrebbe riattaccare, ma alla fine cede.
«Okay, sta’ attenta. Ti voglio bene.»
«Ti voglio bene anch’io, mamma.»
Controllo ancora il telefono, sperando che Natalie mi abbia scritto e che
io non me ne sia accorta. Scorro i messaggi, anche se so benissimo che se ci
237/915
fossero degli sms non letti ci sarebbe un
pallino rosso sopra l’icona.
Senza rendermene conto, torno talmente indietro nella lista dei messaggi
ricevuti. A un certo punto sul display
compare il nome di Ian, e il cuore mi si
gela nel petto. Mi fermo e sto per
leggere il nostro ultimo scambio, poco
prima che morisse. Ma non ci riesco.
Nascondo con rabbia il telefono nella
borsa.
11
Ecco un altro motivo per cui odio le
bibite gassate: mi fanno scappare la
pipì. Il pensiero di trovarmi intrappolata sull’autobus con un bagno
grande quanto un pacchetto di fiammiferi mi costringe ad andare alle toilette della stazione. Lungo la strada,
butto nel cestino la bottiglietta mezza
piena.
Evito i primi tre gabinetti – sono disgustosi – e mi chiudo dentro il quarto.
Appendo le borse a un gancio montato
sulla porta blu, fodero ben bene la ciambella con la carta igienica per non
239/915
rischiare di prendermi qualche infezione e faccio in fretta quello che
devo. E qui arriva la parte strategica.
Con un piede fermo accanto al water
per evitare che il sensore faccia scattare
lo scarico automatico dell’acqua, mi abbottono i jeans, recupero le borse dal
gancio e apro la porta.
E poi spicco un salto in avanti prima
che lo sciacquone parta.
Tutta colpa di MythBusters - Miti da
sfatare: mi ha sconvolto la puntata in
cui i due conduttori dimostrano quanti
germi ti arrivano addosso quando si tira
lo scarico del wc.
Le luci al neon della toilette sono più
basse di quelle della sala d’attesa, una
sfarfalla proprio sopra di me. Vado davanti allo specchio e cerco un angolo asciutto per appoggiare le borse, poi mi
lavo le mani. Fantastico, niente carta.
240/915
Per asciugarsi c’è solo uno di quei fastidiosi aggeggi che sparano aria, e che
servono solo a spargere l’acqua dappertutto. Inizio a strofinarmi le mani sui
jeans, ma per sbaglio colpisco il bottone
di avvio dell’asciugatore, che si accende
con un ruggito. Detesto quel frastuono.
Mentre fingo di asciugarmi le mani
(perché so che alla fine ripiegherò
comunque sui jeans), dallo specchio
scorgo un’ombra che si muove dietro di
me. Mi giro e contemporaneamente
l’asciugatore si spegne. Cala il silenzio.
Sulla porta c’è un uomo; mi guarda.
Inizia a battermi forte il cuore e mi si
secca la gola. «È il bagno delle donne.»
Lancio un’occhiata alle borse. Ho
un’arma? Sì, almeno mi è venuto in
mente di prendere un coltello, anche se
mi servirà a poco visto che è dentro un
sacchetto e stipato sotto ai vestiti.
241/915
«Scusami, pensavo fosse quello degli
uomini.»
Bene, scuse accettate, adesso per
favore togliti dai piedi.
L’uomo, che indossa un paio di
scarpe da corsa vecchie e sporche e un
paio di jeans scoloriti con macchie di
vernice sulle gambe, rimane fermo
dov’è. Non va bene per niente. Se davvero si è sbagliato, dovrebbe sembrare
un po’ più imbarazzato e avrebbe già
battuto in ritirata.
Faccio per prendere le borse e con la
coda dell’occhio mi accorgo che si avvicina di qualche passo.
«Io… non volevo spaventarti» dice.
Apro la borsa e rovisto all’interno in
cerca del coltello, senza mai perdere di
vista lo sconosciuto.
242/915
«Ti ho vista sull’autobus» continua,
facendosi sempre più vicino. «Mi
chiamo Robert.»
Giro la testa per guardarlo in faccia.
«Senti, non dovresti stare qui. Non è il
posto più adatto per fare conversazione,
quindi ti suggerisco di andartene. Subito.» Finalmente sento i contorni del
coltello e lo stringo, tenendo la mano
nascosta nella borsa. Con un dito premo
la levetta per far uscire la lama. Sento il
clic e metto la sicura.
L’uomo si ferma a poco meno di due
metri da me e sorride. Ha i capelli neri
e unti pettinati all’indietro. Sì, ora mi
ricordo di lui; è salito sull’autobus nel
Tennessee.
Oh mio Dio, mi ha osservata per
tutto questo tempo?
243/915
Tiro fuori il coltello dalla borsa e lo
sollevo, pronta a usarlo. Voglio fargli
capire che non esiterò a farlo.
Lui sorride. E anche questo mi
spaventa. Il cuore mi batte forte.
«Vattene» dico, digrignando i denti.
«Giuro su Dio che ti squarto come un
maiale.»
«Non voglio farti del male» risponde
lui, con un sorriso inquietante. «Ti pagherò, e tanto, basta solo che mi succhi
l’uccello. Solo quello. Tu uscirai da qui
con cinquecento dollari e io conserverò
l’immagine per ricordo. Ci guadagneremo entrambi.»
Inizio a urlare con tutto il fiato che
ho in corpo, quando d’improvviso noto
un’altra ombra. Andrew si lancia
sull’uomo e lo sbatte contro i lavandini
e poi contro lo specchio, che va in mille
pezzi. Salto indietro per schivare i
244/915
frammenti
e
finisco
contro
l’asciugatore, riattivandolo per sbaglio.
Il coltello mi cade di mano. Lo vedo per
terra, ma sono troppo spaventata per
raccoglierlo.
Andrew prende di peso l’uomo per la
maglietta e lo solleva – quel che resta
dello specchio è sporco di sangue – poi
con l’altra mano lo colpisce. Sento uno
schiocco che mi dà il voltastomaco e
vedo che sanguina dal naso. Andrew
continua a colpirlo in testa, ancora e
ancora, finché l’uomo non riesce più a
sollevarla e comincia a barcollare come
se fosse ubriaco.
Ma Andrew non si ferma. Afferra di
nuovo l’uomo per le spalle, lo solleva e
lo sbatte contro il muro di piastrelle
finché non sviene. Lascia andare il
corpo, che si accascia sul pavimento.
Sento che batte la testa. Andrew resta
245/915
lì, forse per vedere se si alzerà di
nuovo. Però c’è qualcosa di selvaggio,
di inquietante nella sua postura e nella
sua espressione furiosa, mentre fissa
l’uomo privo di sensi.
Non riesco quasi a respirare, ma mi
sforzo di dire: «Andrew? Stai bene?».
Si riprende da quella specie di trance
e si gira per guardarmi. «Cosa?» Scuote
la testa e socchiude gli occhi, incredulo.
«Se io sto bene? Che domanda è?» Mi
stringe le spalle e mi guarda dritto negli
occhi. «Tu stai bene piuttosto?»
Provo ad abbassare gli occhi perché il
suo sguardo è troppo intenso, ma lui mi
scuote per obbligarmi a guardarlo.
«Sì… sto bene» dico alla fine. «Grazie
a te.»
Andrew mi attira contro il suo torace
massiccio e mi stringe; quasi mi
stritola.
246/915
«Dovremmo chiamare la polizia»
dice, scostandosi.
Annuisco. Lui mi prende per mano e
mi porta fuori dal bagno verso l’atrio di
un grigio tetro.
Quando i poliziotti arrivano, l’uomo
è sparito. Probabilmente è sgattaiolato
via poco dopo di noi, forse mentre
Andrew era al telefono. Diamo agli
agenti una sua descrizione e le nostre
generalità. I poliziotti elogiano Andrew
per essere intervenuto, ma lui ha l’aria
assente e vuole solo chiudere in fretta
questa storia.
Il mio autobus per il Texas è partito
dieci minuti fa. Sono di nuovo bloccata
nel Wyoming.
«Pensavo che dovessi andare in
Idaho» mi dice Andrew.
Mi è scappato che il mio “autobus
per il Texas” è partito senza di me.
247/915
Mi mordo il labbro e incrocio le
gambe. Siamo seduti vicino alle porte
di entrata della stazione e guardiamo il
via vai di passeggeri.
«Adesso vado in Texas.» Non aggiungo altro, anche se so di essere stata
smascherata e che presto mi lascerò
sfuggire una parte della verità.
«Pensavo che fossi andato via in taxi»
ribatto,
provando
a
cambiare
argomento.
«Sì, ma non stiamo parlando di me,
Camryn. Perché non vai più in Idaho?»
Sospiro. So benissimo che insisterà
fino a quando non mi avrà tirato fuori
una risposta, così getto la spugna.
«Non ho nessuna sorella in Idaho»
ammetto. «Sono in viaggio. Non c’è nient’altro sotto, davvero.»
Lo sento sospirare, irritato.
248/915
«C’è sempre dell’altro sotto… Stai
scappando di casa?»
Alla fine lo guardo. «No, non sto
scappando di casa. Non nel senso di
una minorenne che scappa di casa.»
«E allora in che senso?»
Scrollo le spalle. «Avevo solo bisogno
di allontanarmi per un po’.»
«Quindi sei scappata.»
Respiro a fondo e lo guardo nei suoi
intensi occhi verdi. «Non sono scappata, me ne sono andata.»
«E hai deciso di salire su un autobus
da sola?»
«Sì.» Comincio a essere irritata da
questo martellamento continuo.
«Dovrai
darmi
qualche
altra
spiegazione.»
«Senti, ti sono riconoscente più di
quanto immagini per quello che hai
249/915
fatto. Davvero. Ma non credo che
avermi tirato fuori dai guai ti dia il diritto di farti gli affari miei.»
Dalla sua espressione sembra un po’
offeso.
Mi sento in colpa ma è la verità: non
sono obbligata a raccontargli nulla.
Alla fine Andrew cede e guarda davanti a sé accavallando le gambe. «Mi
sono accorto che quel pezzo di merda ti
fissava da quando sono salito sull’autobus in Kansas.» Non mi ha ancora
guardato in faccia, ma io lo osservo
mentre parla. «Quando siamo arrivati,
l’ho visto salire su un taxi in stazione
prima di me e solo allora ho sentito che
potevo lasciarti qui da sola. Ma mentre
andavo in ospedale, ho avuto un brutto
presentimento. Ho detto al tassista di
lasciarmi davanti a un ristorante e ho
250/915
mangiato qualcosa. Ma non riuscivo a
liberarmi di quel pensiero.»
«Un momento» lo interrompo «non
sei andato in ospedale?»
Andrew mi guarda. «No, sapevo che
se ci fossi andato…» Distoglie di nuovo
lo sguardo. «… quella brutta sensazione
non mi avrebbe permesso di concentrarmi su mio padre.»
Capisco e non dico altro.
«Così sono andato a casa di mio
padre e ho preso la sua auto, ho girato
per un po’ e, quando non ce l’ho più
fatta, sono tornato qui. Ho parcheggiato
dall’altra parte della strada e ho aspettato. Poi è arrivato un taxi e ho visto
scendere quel tizio.»
«Perché non sei entrato invece di restare in macchina?»
Abbassa gli occhi, come per riflettere.
251/915
«Non volevo spaventarti.»
«Come avresti potuto?» Mi rendo
conto che sto sorridendo.
Andrew mi guarda e quel sorriso
sghembo e un po’ strafottente torna a
farsi strada sul suo viso. Alza le mani.
«Mmm, un tipo strano che hai conosciuto sull’autobus torna ore dopo averti
salutato e si siede accanto a te…»
Aggrotta la fronte. «Inquietante quanto
chiederti cinquecento dollari per farsi
succhiare l’uccello, non trovi?»
Scoppio a ridere. «No, non credo
proprio.»
Andrew prova a nascondere un sorriso, poi cede.
«Cos’hai intenzione di fare, Camryn?»
È tornato di nuovo serio e anche il mio
sorriso svanisce.
252/915
«Non lo so. Credo che aspetterò qui il
prossimo autobus per il Texas, poi andrò in Texas.»
«Perché proprio lì?»
«Perché no?»
«Sono serio.»
Batto le mani sulle cosce. «Perché
non ho nessuna intenzione di tornare a
casa!»
Non sembra affatto turbato dalla mia
reazione.
«E perché non vuoi tornare?» mi
chiede con voce calma. «Ti conviene
parlare, perché non ti lascerò da sola in
questa stazione, soprattutto non dopo
quello che è successo.»
Incrocio le braccia al petto e guardo
dritto davanti a me. «Allora dovrai restare seduto qui finché non salgo
sull’autobus.»
253/915
«No. Intendevo dire che non ti farò
nemmeno salire da sola su un altro
autobus. Per il Texas, per l’Idaho, per
dove cazzo vuoi andare. È pericoloso, e
so che sei una ragazza intelligente.
Quindi, ecco cosa faremo…»
Sono colpita dal suo improvviso atteggiamento autoritario.
«Resterò qui ad aspettare con te fino
a domattina, così avrai tempo a sufficienza per decidere se accettare che ti
paghi un biglietto aereo per tornare a
casa o se vuoi chiamare qualcuno che
venga a prenderti. A te la scelta.»
Lo guardo come se fosse impazzito,
ma i suoi occhi mi rispondono “Sono
serissimo”.
«Non tornerò nel North Carolina.»
Andrew balza in piedi e si mette di
fronte a me. «Okay, allora vengo con
te.»
254/915
Batto di nuovo le palpebre e lo
guardo negli occhi: da questa prospettiva i suoi zigomi sembrano più pronunciati e rendono il suo sguardo
ancora più fiero. Ho una specie di nodo
allo stomaco.
«Sei fuori.» Rido, ma so che non
scherza. Allora aggiungo: «E tuo
padre?».
Stringe i denti e il suo sguardo si fa
ancora più disperato. Fa per abbassare
gli occhi, poi gli viene in mente qualcosa. «Allora vieni tu con me.»
Cosa? No, mai…
Ora mi sembra più speranzoso che
determinato. Si risiede di nuovo sulla
sedia di plastica blu accanto a me.
«Staremo qui fino a domattina» riprende «perché di sicuro non vorrai andartene da una stazione degli autobus
con uno sconosciuto di notte? Vero?»
255/915
«Vero» rispondo, anche se sento davvero di potermi fidare di lui: mi ha salvato da un tentativo di stupro, santo
cielo! E niente in lui suscita in me le
stesse paure che avevo quando Damon
ha fatto quasi la stessa cosa. No, negli
occhi di Damon, quando mi ha guardato quella notte sul tetto, c’era qualcosa
di oscuro. Negli occhi di Andrew, invece, vedo solo preoccupazione. Eppure
non me ne andrò di qui con lui come
niente fosse.
«Ottima risposta» commenta, evidentemente contento che io sia “intelligente” come sperava. «Aspetteremo l’alba e, per farti stare più tranquilla, prenderemo un taxi per l’ospedale invece di
andare con la mia auto.»
Annuisco, contenta che abbia pensato
anche a questo. Cioè, mi fido già di lui,
ma è come se volesse assicurarsi che
256/915
non me ne andrei mai con uno sconosciuto; come se, indirettamente, mi
stesse insegnando in che modo comportarmi in una situazione simile. Mi vergogno di ammettere che avevo proprio
bisogno di questa “lezione”.
«E poi dall’ospedale torneremo qui in
taxi e io verrò con te, ovunque tu
voglia andare.» Mi porge la mano. «Affare fatto?»
Ci penso su un momento, confusa e
allo stesso tempo completamente affascinata da lui. Annuisco, prima riluttante e poi con più sicurezza.
«Affare fatto» ripeto, stringendogli la
mano.
Onestamente non credo di essere
proprio d’accordo su tutto. Perché
dovrebbe farlo? Non ha una vita sua?
Di sicuro non è infelice quanto la mia a
casa.
257/915
Ma è una pazzia! Chi è questo
ragazzo?
Restiamo seduti uno accanto all’altra
per diverse ore e chiacchieriamo di
cose senza importanza. Eppure amo
ogni secondo della nostra conversazione. Gli racconto che ho ceduto e
ho bevuto una bibita gassata, ed è stato
proprio per colpa della bibita se sono finita in bagno con quel tizio. Lui ride e
mi dice che sono debole di vescica.
Sparliamo dei passeggeri che vanno e
vengono, di quelli strani e di quelli che
sembrano cadaveri ambulanti, come se
avessero viaggiato in autobus per una
settimana senza riuscire a chiudere occhio. E parliamo ancora di rock, ma la
discussione si arena più o meno sempre
nello stesso punto.
Quasi ci rimane secco quando dico
che preferisco Pink ai Rolling Stones.
258/915
Credo davvero di averlo ferito. Si mette
le mani sul cuore e butta indietro la
testa, sconvolto. Molto teatrale. E divertente. Io provo a non ridere, ma non è
facile resistere.
E quando stiamo per andarcene, poco
dopo che è sorto il sole, mi fermo per
guardarlo un momento. Una lieve
brezza gli spettina i capelli castani. Lui
piega la testa di lato, mi sorride e mi fa
cenno di salire sul taxi. «Hai ancora intenzione di venire, vero?»
Gli sorrido dolcemente e annuisco.
«Certo.» Prendo la sua mano e scivolo
sul sedile posteriore accanto a lui.
Guardandolo mi viene in mente che
non ridevo così tanto da prima che
morisse Ian. Nemmeno Natalie è riuscita a strapparmi un’emozione vera, e ci
ha provato in tutti i modi. Ma niente
aveva mai alleviato la mia depressione
259/915
come ci è riuscito Andrew, in così poco
tempo e senza neppure volerlo.
12
Andrew
Quando entriamo in ospedale mi sento
serrare la gola, come se dal nulla fosse
spuntato un muro di oscurità e mi
avesse inghiottito. Resto immobile sulla
soglia per un istante, con le braccia rigide lungo i fianchi. Poi sento la mano
di Camryn toccarmi il polso.
La guardo. Il suo sorriso è così caldo
che un po’ mi scioglie. I capelli biondi
sono raccolti in una treccia morbida
che le ricade sulla spalla destra; qualche ciocca sfuggita all’elastico le
261/915
incornicia il viso. D’istinto gliele scosterei con dolcezza, ma mi trattengo. Non
posso permettermi cazzate simili. Devo
sbarazzarmi dell’attrazione che ho per
lei. È solo che Camryn è così diversa
dalle altre ragazze… Credo sia per
questo che faccio tutta questa fatica.
Ma non è ciò di cui ho bisogno adesso.
«Andrà tutto bene» mi dice.
Mi lascia andare il polso quando si
accorge di avere la mia attenzione. Io
accenno un sorriso.
Attraversiamo l’atrio, raggiungiamo
l’ascensore e saliamo al terzo piano. A
ogni passo sento che dovrei fare marcia
indietro e andarmene. Mio padre non
vuole che io mi lasci sopraffare dalle
emozioni, ma ora sono sul punto di
esplodere.
262/915
Forse dovrei uscire e prendere a
pugni un albero per scaricare la tensione prima di entrare.
Ci fermiamo nella sala d’attesa. Ci
sono altre persone, e stanno tutte leggendo un giornale.
«Ti aspetto qui» mormora Camryn.
La guardo. «Non vieni con me?»
Voglio che mi accompagni. Anche se
non so il perché.
Camryn inizia a scuotere la testa.
«Non… posso» risponde, ora a disagio.
«Davvero, non credo che sia il caso.»
Prendo la borsa dalla sua spalla e la
metto sulla mia. È leggera, ma mi sembrava che le desse fastidio.
«Voglio che tu venga con me.»
Perché l’ho detto?
Abbassa gli occhi azzurri sul pavimento e poi si guarda intorno prima di
263/915
posarli di nuovo su di me. «Okay»
risponde con un lieve cenno del capo.
Sento il mio volto aprirsi in un piccolo sorriso e d’istinto la prendo per
mano. Lei non si ritrae.
La sua presenza mi conforta, e ho la
sensazione che sia felice di accontentarmi. Sono sicuro che capisce
quanto è difficile per me questo
momento.
Camminiamo verso la stanza di mio
padre mano nella mano. Camryn me la
stringe, e mi guarda come per infondermi un po’ di coraggio. E poi apro
la porta.
Un’infermiera ci squadra.
«Sono il figlio del signor Parrish.»
La donna annuisce seria e riprende a
sistemare i macchinari e i tubi a cui
mio padre è attaccato. La stanza è
264/915
sterile e asettica, con i muri bianchi e il
pavimento di piastrelle così brillante
che riflette le luci del soffitto. Il monitor cardiaco accanto al letto emette un
bip costante.
Non ho ancora guardato mio padre.
Mi rendo conto che sto guardando
qualsiasi cosa nella stanza tranne lui.
Camryn stringe le sue dita alle mie.
«Come sta?» chiedo. Lo so che è una
domanda stupida: sta morendo, ecco
come sta. Ma non mi è venuto in mente
niente di meglio.
L’infermiera mi fissa inespressiva.
«È cosciente solo a momenti, come
forse saprà.»
No, non lo sapevo.
«E non c’è stato nessun cambiamento,
né positivo né negativo.» L’infermiera
265/915
sistema una flebo che esce dalla mano
vigorosa di mio padre.
«È già venuto qualcun altro?»
L’infermiera annuisce. «Sì, i familiari
nei giorni scorsi. Alcuni sono andati via
più o meno un’ora fa, ma credo che stiano per tornare.»
Forse Aidan, mio fratello maggiore, e
sua moglie Michelle. E mio fratello
minore, Asher.
L’infermiera esce dalla stanza.
Camryn mi guarda e mi sorride con
cautela. «Vado a sedermi lì, così ti lascio parlare con tuo padre, okay?»
Annuisco, anche se mi sembra che le
sue parole mi scivolino via dalla testa
come un ricordo lontano. Cam mi lascia
andare lentamente e si sistema su una
sedia di plastica appoggiata al muro.
266/915
Prendo un bel respiro e mi passo la lingua sulle labbra secche.
Papà ha la faccia gonfia e dalle narici
escono i tubi dell’ossigeno. Sono sorpreso che non sia ancora attaccato a un
respiratore e la cosa mi dà una piccola
speranza. Molto piccola. So che non si
riprenderà, ormai è chiaro. Gli hanno
rasato i pochi capelli rimasti. I medici
gli avevano proposto un intervento, ma
quando ha scoperto che non gli avrebbe
salvato la vita ovviamente ha detto:
«Non mi farò trapanare il cervello.
Dovrei sganciare migliaia di dollari perché un branco di dottorini del cazzo mi
sfondi il cranio? Fanculo, ragazzo!».
Stava parlando con Aidan nello specifico. «Tu non hai le palle!»
I miei fratelli e io eravamo pronti a
fare qualsiasi cosa per salvarlo, ma mio
padre aveva firmato alle nostre spalle
267/915
una specie di “accordo” in base al
quale, se le cose si fossero messe male,
nessuno avrebbe potuto prendere
questo genere di decisioni per lui.
È stata mia madre ad avvertire l’ospedale delle sue volontà qualche giorno
prima dell’operazione, fornendo tutte le
carte necessarie. Io e i miei fratelli ci
siamo rimasti molto male, ma la
mamma è una donna intelligente e
premurosa e non siamo riusciti ad arrabbiarci davvero con lei.
Mi avvicino un po’ di più a mio padre
e lo osservo meglio. Come di sua
volontà e senza che io me ne renda conto, la mia mano scivola accanto alla sua
e la stringe. Anche questo mi sembra
strano, quasi sbagliato. Con chiunque
altro non avrei problemi, ma lui è mio
padre e ho la sensazione di stare facendo qualcosa che non dovrei. Sento
268/915
persino la sua voce nella mia testa: “Ma
che ti prende? Non ci si tiene per mano
tra uomini!”.
D’improvviso papà apre gli occhi e di
colpo ritraggo la mano.
«Sei tu, Andrew?»
Annuisco.
«Dov’è Linda?»
«Chi?»
«Linda» risponde, ed è come se i suoi
occhi non sapessero se restare aperti.
«Mia moglie, Linda. Dov’è?»
Deglutisco e lancio un’occhiata a
Camryn che ci osserva in silenzio.
Torno a guardare mio padre. «Papà,
tu e Linda avete divorziato l’anno
scorso, ricordi?»
I suoi occhi verdi sono come appannati da una patina liquida. Non sono
lacrime. Solo una patina liquida. Per un
269/915
momento sembra confuso, stringe le
labbra e ci passa sopra la lingua.
«Vuoi un po’ d’acqua?» chiedo, e mi
volto verso il comodino con le rotelle
che è stato sistemato lontano dal letto.
Sopra c’è una brocca rosa e un bicchiere di plastica e una cannuccia.
Mio padre scuote la testa. «Miss Nina
è a posto?» domanda.
Annuisco di nuovo. «Sì, è fantastica.
Verniciatura fresca e cerchioni nuovi.»
«Bene, bene» mormora, con un lento
cenno del capo.
Sono a disagio e si vede benissimo sia
dalla mia faccia sia dalla postura. Non
so cosa dire; non so se devo obbligarlo
a bere o se devo sedermi e aspettare
che tornino Aidan e Asher. Preferirei
che lo facessero loro. Io non sono bravo
in queste cose.
270/915
«Chi è quella bella ragazza?» chiede,
guardando verso la parete in fondo.
Mi domando come faccia a vedere
Camryn da così lontano, poi mi accorgo
che sta fissando un grande specchio di
fronte a lui che riflette proprio quell’angolo della stanza.
Camryn si irrigidisce per un istante,
poi il suo bel sorriso le illumina il volto.
Alza la mano e lo saluta attraverso lo
specchio.
Riesco a vedere un debole sorriso
sulle labbra di mio padre, nonostante la
pelle gonfia. «È la tua Euridice?»
Sgrano gli occhi. Spero che Camryn
non abbia sentito, ma è impossibile.
Mio padre solleva la mano e risponde al
saluto.
Lei si alza e mi raggiunge. Gli sorride
con un calore che mi sorprende. Le
viene
spontaneo.
È
nervosa
e
271/915
probabilmente si sente molto a disagio
al capezzale di un uomo che nemmeno
conosce, eppure non vacilla.
«Salve, signor Parrish. Sono Camryn
Bennett, un’amica di Andrew.»
Mio padre sposta gli occhi su di me.
Conosco quello sguardo: sta cercando
di decifrare il significato di “amica”.
E poi d’improvviso fa una cosa che
non gli ho mai visto fare: mi porge la
mano.
Quel gesto mi lascia di sasso.
Mi accorgo che Camryn mi fissa per
indurmi a reagire: mi scuoto dal torpore e gli prendo la mano. La stringo
per un lungo, imbarazzante momento,
poi mio padre chiude gli occhi e scivola
di nuovo nel sonno. Sfilo la mano dalla
sua quando sento che la stretta si allenta del tutto.
272/915
La porta si apre ed entrano i miei fratelli insieme a Michelle.
Arretro all’istante dal letto. Mi accorgo che ho preso di nuovo la mano di
Camryn solo quando noto Aidan
guardare le nostre dita intrecciate.
«Sono felice che tu ce l’abbia fatta»
dice, anche se intuisco una sfumatura
di rimprovero nella sua voce.
È ancora arrabbiato perché non ho
preso l’aereo per arrivare prima. Farà
meglio a mettersi l’anima in pace;
ognuno vive il dolore a modo suo.
Mi stringe comunque in un abbraccio
e mi batte la mano sulla schiena.
«Lei è Camryn» dico.
Lei sorride ai miei fratelli e torna a
sedersi.
273/915
«Questo è mio fratello maggiore Aidan e lei è sua moglie Michelle.» Li indico. «E quello è il nanetto, Asher.»
«Testa di cazzo» mi risponde lui.
«Lo so» ribatto.
Aidan e Michelle si siedono attorno a
un tavolo e cominciano a distribuire gli
hamburger e le patatine che hanno
comprato.
«Papà non ha mai ripreso conoscenza» dice Aidan, riempiendosi la
bocca di patatine. «Mi dispiace dirlo,
ma mi sa che non si sveglierà.»
Camryn mi guarda: abbiamo parlato
entrambi con lui solo poco fa e so che si
sta chiedendo perché non lo dico ai
miei fratelli.
«Credo anch’io» rispondo. Camryn è
confusa.
«Quanto ti fermi?» mi chiede Aidan.
274/915
«Non molto.»
«Come mai questa notizia non mi sorprende?» Dà un morso all’hamburger.
«Non cominciare, Aidan. Non sono
dell’umore. E non è né il momento né il
posto giusto, cazzo.»
«Come vuoi» mormora lui, scuotendo
la testa e continuando a masticare.
Intinge qualche patatina nel ketchup
che Michelle ha appena versato su un
fazzoletto. «Fa’ quello che vuoi, ma
cerca di esserci per il funerale.» Sul suo
viso non c’è alcuna emozione. Continua
a mangiare come niente fosse.
Sento il corpo irrigidirsi.
«Cazzo, Aidan» interviene Asher da
dietro di me. «La vuoi smettere?
Andrew ha ragione.»
Asher ha sempre fatto da mediatore
tra me e Aidan. Dei tre è sempre stato
275/915
quello più riflessivo, mentre io e Aidan
tendiamo a ragionare meglio con i
pugni. Da bambini vinceva sempre lui;
peccato non sappia che, a forza di picchiarmi, mi ha allenato molto bene.
Adesso siamo più o meno allo stesso
livello. Evitiamo in ogni modo di venire
alle mani, ma sono il primo ad ammettere che non sono capace di controllarmi quanto lui. E Aidan lo sa. Ecco
perché ora ha fatto un passo indietro e
usa Michelle per distrarsi. Le pulisce un
po’ di ketchup dalla bocca e lei
ridacchia.
Camryn cattura il mio sguardo. Probabilmente è un po’ che ci prova. Per un
momento mi sembra che voglia dirmi
che è pronta per andare; invece scuote
la testa per dirmi di calmarmi.
Lo faccio, all’istante.
276/915
«Allora» trilla Asher per allentare la
tensione «da quant’è che uscite insieme
voi due?» È in piedi contro il muro accanto alla televisione e incrocia le braccia al petto.
Ci somigliamo molto: stessi capelli
castani e stesse fossette. Dei tre è Aidan
quello strano, ha i capelli molto più
scuri e una piccola voglia sulla guancia
sinistra.
«Oh, no, siamo solo amici» ribatto.
Credo che Camryn sia arrossita, ma
non ne sono sicuro.
«Una buona amica, se si è fatta tutto
il viaggio insieme a te» interviene
Aidan.
Per fortuna evita di fare lo stronzo.
Se avesse deciso di sfogare su di lei la
rabbia che prova per me, sarei stato
costretto a spaccargli la faccia.
277/915
«Già» interviene Camryn con una dolcezza nella voce che mi stupisce. «Abito
vicino a Galveston. Ho pensato di accompagnarlo, visto che viaggiava in
autobus.»
Si ricorda anche la città in cui vivo.
Aidan annuisce per ringraziarla e
continua a masticare.
«Molto carina, fratello» sento che mi
sussurra Asher.
Mi giro e lo fulmino con lo sguardo.
Lui mi sorride, ma non dice altro.
Mio padre si muove quasi impercettibilmente e Asher gli si avvicina
all’istante e gli sfiora il naso con un
dito. «Svegliati, abbiamo portato gli
hamburger.»
Aidan solleva il suo, così che papà
possa vederlo. «E sono anche buoni.
278/915
Meglio che ti svegli in fretta o non ce
ne saranno più.»
Papà non si muove.
Ci aveva preparati. Non abbiamo mai
pensato di essere tristi al suo capezzale.
E quando morirà, Aidan e Asher probabilmente ordineranno una pizza e un
cartone di birre e cazzeggeranno fino
all’alba.
Ma io non ci sarò. Più resto qui, più
possibilità ci sono che lui muoia prima
della mia partenza.
Parlo con i miei fratelli e con
Michelle per qualche minuto e poi raggiungo Camryn.
«Pronta?»
Mi prende la mano e si alza in piedi.
«Te ne vai di già?» chiede Aidan.
279/915
Camryn risponde prima che io ne abbia il tempo. «Andiamo solo a prendere
qualcosa da mangiare.»
Sta cercando di evitare un litigio. Mi
guarda e io sto al gioco. «Chiamami se
succede qualcosa» dico ad Asher.
Annuisce e non aggiunge altro.
«Ciao Andrew» dice Michelle. «È
stato un piacere rivederti.»
«Anche per me.»
Asher esce con noi in corridoio. «Non
tornerai, vero?»
Camryn si allontana per lasciarci un
po’ da soli.
«Mi dispiace, Ash. Non ce la faccio.
Non ci riesco.»
«Lo capisco, fratello.» Scuote la testa.
«A papà non importerebbe niente.
Preferirebbe che ti facessi una scopata,
280/915
che ti ubriacassi, piuttosto che stargli
appiccicato al culo.»
Ha ragione.
Asher guarda Camryn. «Sicuro che siete solo amici?» mi sussurra con un sorriso malizioso.
«Sì, siamo solo amici, quindi chiudi
quella boccaccia.»
Asher scoppia a ridere e mi dà una
pacca sul braccio. «Ti chiamo se c’è
bisogno, d’accordo?»
Annuisco. “Se c’è bisogno” significa
quando papà muore.
Asher saluta Camryn con un cenno
della mano. «Piacere di averti
conosciuta.»
Lei sorride e mio fratello rientra nella
stanza.
«Penso che dovresti restare, Andrew.
Davvero.»
281/915
Comincio a camminare più veloce e
lei cerca di tenere il passo. Metto le
mani in tasca, come sempre quando
sono nervoso.
«Penserai che sono un bastardo
egoista, ma non capisci.»
«Allora spiegamelo» dice lei, afferrandomi per il gomito. «Non penso che tu
sia egoista, solo che non sai come gestire questo dolore.»
Cerca di trovare i miei occhi, ma non
riesco a guardarla. Voglio solo fuggire
da questa condanna a morte scritta a
caratteri cubitali.
In ascensore Camryn resta in silenzio
– ci sono altre due persone –, ma appena arriviamo al pianterreno e le porte
di metallo si aprono, ricomincia.
«Andrew, fermati. Per favore!»
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Al suono della sua voce mi blocco. Mi
scruta con un’espressione così tormentata che quasi mi colpisce al cuore.
La lunga treccia bionda è ancora poggiata sulla spalla destra.
«Parla con me» mormora, più
dolcemente ora che ha la mia attenzione. «Non fa male parlare.»
«E raccontarmi perché vuoi andare in
Texas fa male?»
Colpita.
13
Camryn
Le sue parole mi lasciano ammutolita
per cinque lunghi secondi. E la mia
mano scivola dal suo gomito.
«Credo che la tua situazione sia un
po’ più grave della mia in questo momento» gli dico.
«Davvero?» ribatte lui. «E il fatto che
tu voglia viaggiare da sola in autobus,
senza sapere dove diavolo stai andando
ed esponendoti a chissà quali pericoli
284/915
non ti pare ugualmente grave e
urgente?»
Sembra furioso. È comprensibile che
lo sia, ma credo che il motivo principale, se non l’unico, è che al piano di
sopra suo padre sta morendo e Andrew
non sa come separarsi da lui. Mi dispiace molto che sia stato cresciuto nella
convinzione di non dover mostrare
certe emozioni che sorgono naturali in
situazioni come queste; gli hanno
messo in testa che lasciarsi andare è
poco virile.
Nemmeno io riesco a mostrare agli
altri ciò che provo. Ma non è questione
di educazione: è stata la vita a farmi diventare così.
«Ti capita mai di piangere?» gli
chiedo a bruciapelo. «Per altre cose, intendo… Hai mai pianto in vita tua?»
285/915
Andrew fa un gesto di sufficienza.
«Ma certo. Tutti piangono, anche i tizi
grandi e grossi come me.»
«D’accordo, allora raccontami di una
volta in cui hai pianto.»
Ci mette un attimo a rispondere.
«Un… un film mi ha fatto piangere, una
volta.» All’improvviso sembra imbarazzato e credo che si stia pentendo
di avermelo confessato.
«Quale film?»
Non riesce a guardarmi negli occhi.
L’atmosfera tra noi si stempera, nonostante
l’argomento
che
stiamo
affrontando.
«Che importanza ha?» risponde lui.
Gli sorrido anch’io e mi avvicino.
«Su, forza, dimmelo e basta. Cos’è,
pensi che ti prenderei in giro dicendoti
che sei una femminuccia?»
286/915
Lui si lascia sfuggire un sorrisetto che
addolcisce la sua espressione tesa e
impacciata.
«Le pagine della nostra vita» dice, a
voce così bassa che non sono sicura di
aver capito bene.
«Hai detto Le pagine della nostra vita?»
«Ebbene sì, lo ammetto: ho pianto
guardando Le pagine della nostra vita,
okay?»
Mi volta la schiena e devo dare fondo
a tutto il mio autocontrollo per non
scoppiare a ridere.
Non trovo affatto buffo che abbia pianto guardando quel film; la cosa buffa
è la sua aria umiliata nell’ammetterlo.
E poi rido. Non posso farci niente, la
risata mi sfugge e non riesco a
trattenerla.
287/915
Andrew strabuzza gli occhi e mi
guarda di traverso. Poi mi coglie alla
sprovvista: mi afferra, mi carica su una
spalla e mi porta fuori dall’ospedale.
Rido così forte che mi vengono le lacrime agli occhi. Lacrime di puro divertimento, completamente diverse da
quelle che ho smesso di versare dopo la
morte di Ian.
«Mettimi giù!» grido battendogli i
pugni sulla schiena.
«Avevi detto che non avresti riso!»
Le sue parole mi fanno sbellicare
ancora di più. Rido a crepapelle e mi
lascio scappare strani suoni che non
avrei mai creduto di poter emettere.
«Per favore Andrew! Mettimi giù!»
Gli conficco le unghie nella schiena.
Infine i miei piedi toccano l’asfalto.
Lo guardo e smetto di ridere, perché
288/915
voglio parlargli seriamente. Non posso
permettergli di abbandonare suo padre.
Me è lui ad aprire bocca per primo:
«Non posso piangere per lui, non ce la
faccio. Te l’ho già detto».
Gli sfioro un braccio con la punta
delle dita. «Be’, allora non piangere. Ma
almeno resta qui.»
«Non ho nessuna intenzione di rimanere, Camryn.» Mi fissa dritto negli occhi e capisco che non riuscirò mai a
fargli cambiare idea. «Apprezzo il fatto
che tu mi voglia aiutare. Ma non posso,
non ci riesco proprio.»
Annuisco, anche se a malincuore.
«Forse a un certo punto, durante il
nostro viaggio, ci diremo delle cose che
non vogliamo rivelare a nessuno» mi
sussurra. A quelle parole il mio cuore,
per qualche motivo che non conosco,
comincia a battere forte.
289/915
C’è un gran trambusto nel mio petto,
proprio sotto il seno, dentro la gabbia
toracica.
Andrew mi rivolge un sorriso
smagliante. I suoi occhi verdi e dalla
forma perfetta sono il tratto più bello
del suo viso scolpito. È davvero
favoloso…
«Allora, cos’hai deciso?» mi chiede
incrociando le braccia con aria interrogativa. «Vuoi che ti compri un biglietto aereo per tornare a casa o ci tieni
davvero ad andare in un posto a caso
del Texas?»
«Sei sicuro di voler venire con me?»
Non riesco nemmeno a immaginarlo,
ma allo stesso tempo la cosa che più desidero al mondo è che dica di sì. Trattengo il respiro in attesa della sua
risposta.
290/915
Andrew sorride. «Sì. Certo che
voglio.»
Il trambusto nel mio petto si trasforma in una sorta di poltiglia calda e
le mie labbra si aprono in un sorriso
così raggiante che per un bel po’ non riesco a tornare seria.
«Ti accompagno, ma c’è una cosa che
non mi convince in questo viaggio» mi
avverte alzando un dito.
«Cioè?»
«Salire di nuovo su quell’autobus» mi
spiega. «Cazzo, fa proprio schifo.»
Mi sfugge una risata sommessa. Non
posso che essere d’accordo con lui su
questo punto.
«E allora con che altro mezzo
dovremmo viaggiare?»
Solleva un angolo della bocca, disegnando un ghigno astuto. «Possiamo
291/915
prendere la macchina» risponde.
«Guido io.»
Non ho la minima esitazione. «Ci
sto.»
«Ci stai?» ripete, poi esita. «Dici sul
serio? Stai per saltare in macchina con
un tizio che conosci a malapena e sei
certa che non ti violenterà su una
strada deserta in mezzo al nulla… Mi
pare che ne abbiamo già parlato, no?»
Piego la testa di lato e incrocio le
braccia. «C’è qualche differenza rispetto
alla possibilità di conoscerti in biblioteca e uscire con te un paio di sere più
tardi, sola nella tua macchina?» Ora inclino la testa dall’altra parte. «Tutti
all’inizio sono degli estranei, Andrew,
ma non capita ogni giorno di incontrare
un estraneo che ti salva da un aggressore e che poche ore dopo ti porta a
conoscere suo padre sul letto di morte.
292/915
Oserei dire che hai superato a pieni voti
il mio test di fiducia già da un bel
pezzo.»
L’angolo sinistro della sua bocca si
solleva in un sorriso rilassato, attenuando la serietà del mio discorsetto. «Allora in sostanza questo viaggio è una
sorta di appuntamento?»
«Cosa?» rido io. «Certo che no! Era
solo una similitudine!»
È evidente che se n’è già accorto, ma
devo assolutamente trovare un modo
per distrarlo dal rossore delle mie
guance. «Hai capito cosa intendevo.»
Lui sorride. «Sì, lo so. Allora mi devi
una cena “da amici” in compagnia di
una bella bistecca.» Fa il gesto delle virgolette con le dita quando dice “da
amici”. Non smette di sorridere
neanche per un attimo.
«È vero, lo ammetto.»
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«Allora è deciso» conclude lui, e mi
prende a braccetto per accompagnarmi
verso il taxi nel parcheggio. «Andiamo
a prendere la macchina di mio padre
alla stazione degli autobus, ci fermiamo
a casa sua e prendiamo un paio di cose.
Dopodiché si parte.»
Apre la portiera posteriore del taxi e
mi fa entrare per prima. Poi si siede accanto a me e la chiude con un colpo
secco.
Il taxi esce dal parcheggio.
«Ascolta, penso proprio che dovrei
stabilire alcune regole del gioco prima
di cominciare.»
«Cosa?» Mi volto verso di lui e lo
guardo incuriosita. «Che genere di
regole del gioco?»
Sorride.
294/915
«Be’, la numero uno: la macchina è
mia e dentro c’è il mio stereo. Sono
sicuro che non serve aggiungere altro.»
Alzo gli occhi al cielo. «Cioè in pratica mi stai dicendo che sono bloccata
insieme a te dentro una macchina in
mezzo a una strada e posso ascoltare
solo rock classico?»
«Vedrai, ti piacerà.»
«Non mi è mai piaciuto e dovevo
pure sopportare i miei che ne andavano
pazzi.»
«Regola numero due» prosegue lui
alzando due dita e liquidando la mia
protesta senza scomporsi. «Dovrai fare
tutto quello che ti chiedo.»
Di scatto appoggio la testa all’indietro e corrugo la fronte. «Cosa? E
questo che diavolo significa?»
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Sfodera un sorriso impertinente. «Hai
detto che ti fidi di me, quindi fidati
anche di questo.»
«Be’, pretendo una risposta un po’ più
articolata. Niente scherzi, dico sul
serio.»
Andrew si appoggia al sedile e si infila le mani tra le lunghe gambe distese.
«Ti prometto che non ti chiederò di
fare niente di doloroso, umiliante, pericoloso o inaccettabile.»
«In sostanza non mi stai chiedendo di
succhiarti l’uccello in cambio di cinquecento dollari o roba del genere?»
Andrew getta la testa all’indietro e
scoppia a ridere. Il tassista si agita un
po’ sul sedile. Noto che distoglie lo
sguardo dallo specchietto retrovisore
non appena alzo gli occhi.
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«No, decisamente niente del genere,
te lo giuro.» Sta ancora ridacchiando.
«Okay, ma allora cosa mi chiederai di
fare?»
Questa regola non mi convince per
niente. Mi fido ancora di lui, lo ammetto, ma sono piuttosto terrorizzata
all’idea di risvegliarmi con un paio di
baffi indelebili o cose simili.
Mi batte qualche colpetto sulla coscia
con la mano. «Se serve a farti stare
meglio, puoi sempre dirmi di andare a
farmi fottere quando vuoi rifiutare
qualcosa. Ma spero che tu non lo faccia,
perché voglio insegnarti come si vive.»
Adesso sì che mi ha colta alla sprovvista. Sta parlando sul serio; non c’è
nulla di scherzoso nel suo tono e ancora
una volta sono affascinata da lui.
«Come si vive?»
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«Fai troppe domande, cacchio.» Mi
dà un altro colpetto sulla coscia e si rimette la mano in grembo.
«Be’, se fossi da questa parte della
macchina anche tu faresti molte
domande.»
«Forse sì.»
Schiudo le labbra. «Sei un ragazzo
davvero strano, Andrew Parrish. Ma va
bene, mi fido di te.»
Appoggia la testa sul sedile e mi
guarda sorridendo.
«Ci sono altre regole?» gli chiedo.
Mi osserva pensieroso e si morde una
guancia per un attimo.
«No, tutto qui.» Lascia ricadere la
nuca sul poggiatesta.
Ora tocca a me.
«Anch’io ho un paio di regole per te.»
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Lui solleva la testa incuriosito, ma
continua a tenere le mani grandi appoggiate sul ventre con le dita
intrecciate.
«Sono qui, spara» ribatte sorridendo,
pronto ad ascoltare qualsiasi cosa stia
per dirgli.
«Numero uno: non ti permetterò di
sfilarmi le mutandine in nessuna circostanza. Solo perché mi sto comportando in modo amichevole e ho accettato di fare… be’, la cosa più pazza
che abbia mai fatto in vita mia, voglio
mettere in chiaro che non sarò la tua
prossima conquista, che non mi innamorerò di te (adesso sta sorridendo
da un orecchio all’altro e fatico a
mantenere la concentrazione) o niente
del genere. Hai capito bene?» Sto cercando di ficcargli in testa che sono
molto decisa su questo punto. Perché lo
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sono davvero. E penso sul serio tutto
ciò che ho detto. Ma quello stupido sorriso sulla sua faccia mi sta costringendo
a sorridere a mia volta e lo odio per
questo.
Andrew arriccia le labbra, assorto.
«Perfetto» risponde, anche se sospetto
che ci sia un significato nascosto.
Annuisco. «Ottimo.» Mi sento meglio
ora che ho chiarito le cose.
«C’è altro?» mi chiede.
Per un attimo avevo dimenticato la
seconda regola fondamentale.
«Be’, la regola numero due è: niente
Bad Company.»
Lui sembra piuttosto deluso.
«E che diavolo di regola sarebbe?»
«È la mia regola, punto e basta»
rispondo con un sorrisetto. «Hai qualche problema in proposito? Tu hai
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tonnellate di rock classico da ascoltare
mentre io non posso mettere niente che
mi piaccia, perciò la mia piccola condizione mi sembra un sacrificio più che
accettabile.» Gli mostro il pollice e l’indice leggermente separati per fargli
vedere quanto sia irrisorio quello che
gli sto chiedendo.
«Be’, questa regola non mi piace»
mugugna lui. «I Bad Company sono un
gruppo fantastico. Perché li odi così
tanto?»
Sembra davvero ferito e io lo trovo
così carino.
Arriccio le labbra. «Sinceramente?»
So già che mi pentirò di quello che sto
per dire.
«Sì, sinceramente» risponde lui, e incrocia le braccia. «Dimmelo.»
«I loro testi parlando sempre
d’amore. È fastidioso.»
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Andrew scoppia a ridere di nuovo e
comincio a pensare che il tassista non
ne possa più di noi due.
«Ho come la sensazione che qualcuno
qui sia rimasto parecchio scottato»
commenta Andrew, e un ampio sorriso
accende le sue labbra.
Ecco, sono già pentita. Distolgo lo
sguardo perché non voglio fargli capire
che il suo commento ha colpito nel
segno. Almeno per quanto riguarda l’infedeltà del mio ex, Christian. Se penso a
lui provo amarezza. Se penso a Ian
provo dolore. Feroce e profondo.
«Va bene, risolveremo anche questo»
prosegue lui con aria distratta.
Gli restituisco lo sguardo.
«Uhm… be’, grazie per l’offerta, caro
psicologo, ma non ho nessun bisogno di
aiuto. Sono fatti miei.»
302/915
Aspetta un attimo, accidenti! Chi ha
mai detto che ho bisogno di “risolvere”
qualcosa?
«Davvero?» Andrew alza il mento
incuriosito.
«Proprio così» rispondo io. «E poi,
questo in un certo senso infrangerebbe
la mia regola numero uno.»
Andrew strizza gli occhi. «Perché,
pensi che avessi intenzione di offrirmi
come cavia?» Alza le spalle e si lascia
andare a una risata sommessa.
Accidenti.
Cerco di non sembrare offesa. Non
sono sicura che funzioni, perciò uso
una tattica diversa: «Be’, spero di no»
ribatto sbattendo gli occhi. «Non sei il
mio tipo.»
Ecco che metto a segno un altro
punto: questa non se l’aspettava!
303/915
«Perché, cos’ho che non va?» mi
chiede, e io non sono più così sicura
che il mio commento l’abbia disturbato
poi più tanto. In genere la gente non
sorride quando è offesa.
Mi volto verso di lui, appoggio la
schiena contro la portiera del taxi e lo
scruto dalla testa ai piedi. Mentirei spudoratamente se dicessi che non mi piace quello che vedo. Finora non ho
trovato niente che mi faccia dire “non è
il mio tipo”. Anzi, in realtà, se non
avessi deciso di rinunciare al sesso e ai
flirt e all’amore in generale, Andrew
Parrish sarebbe proprio il ragazzo che
cercherei e per cui Natalie sbaverebbe
senza ritegno. Lo rivolterebbe come un
calzino.
«Non c’è niente che non vada in te»
gli rispondo. «È che in genere finisco
sempre con dei ragazzi un po’… piatti.»
304/915
Per la terza volta Andrew butta la
testa all’indietro e scoppia in una risata.
«Piatti?» chiede senza smettere di
ridere. Annuisce e aggiunge: «Già, immagino che tu abbia ragione a dire che
non sono esattamente un tipo piatto.»
Alza un dito come per sottolineare le
parole. «Ma la cosa che mi incuriosisce
di più è quando hai detto che “finisci”
con loro. Cosa significa?»
Perché adesso il punto l’ha segnato di
nuovo lui? Non mi ero nemmeno accorta che mi aveva rubato la palla!
Lo guardo come se mi aspettassi una
risposta, anche se è stato lui a porre la
domanda. Sta ancora sorridendo, ma
questa volta c’è una sfumatura molto
più dolce e perspicace nel suo sorriso
invece della solita ironia.
Ma rimane in silenzio.
305/915
«Non… non lo so» rispondo infine,
spaesata. Poi lo guardo dritto negli occhi. «E perché dovrebbe voler dire
qualcosa?»
Andrew scuote leggermente la testa e
si limita a guardare davanti a sé mentre
il taxi entra nel parcheggio vicino alla
stazione degli autobus. La Chevy
Chevelle del 1969 di suo padre è l’unica
auto rimasta nel piazzale. Devono essere davvero appassionati di macchine
vintage in famiglia.
Andrew paga il tassista e scendiamo.
Mentre ci dirigiamo verso la casa del
padre di Andrew ripenso alle sue parole, immersa in una sorta di pacifica
contemplazione, ma tutto svanisce
quando entriamo nel vialetto di una
villa fantastica.
«Wow» mi lascio sfuggire mentre
scendo dalla macchina. Sono rimasta
306/915
letteralmente a bocca aperta. «Questa
casa è davvero enorme.»
Andrew chiude la portiera. «Già. Mio
padre è proprietario di uno studio di
progettazione e design molto famoso»
commenta con sufficienza. «Dài, non mi
va di fermarmi a lungo. Non vorrei che
arrivasse Aidan.»
Lo seguo lungo il sentiero ben disegnato che conduce alla porta d’ingresso
della villa a tre piani. È un posto così
elegante e lussuoso che non riesco a immaginare suo padre qui dentro.
Quell’uomo ha un’aria molto più semplice, non sembra un tipo materialista
come mia madre. Lei sverrebbe
all’istante se vedesse una cosa del
genere.
Andrew armeggia con le chiavi e infila quella giusta nella serratura. La
porta si apre con uno scatto.
307/915
«Non vorrei sembrarti indiscreta, ma
perché tuo padre vive in una casa così
grande?»
L’ingresso profuma di pot-pourri alla
cannella.
«Infatti è stata un’idea della sua ex
moglie, non sua.» Lo seguo lungo la
scalinata ricoperta di moquette bianca.
«Era simpatica. Linda, la donna di cui
ha parlato all’ospedale. Ma non riusciva
a sopportarlo, e io non posso
biasimarla.»
«Ero sicura che mi avresti detto che
l’aveva sposato solo per i suoi soldi.»
Andrew scuote la testa e mi fa strada
al piano di sopra. «No, assolutamente. È
solo che è molto difficile convivere con
mio padre.» Si mette le chiavi nella
tasca anteriore dei pantaloni.
Lancio una rapida occhiata al suo
fondoschiena fasciato dai jeans mentre
308/915
sale i gradini davanti a me. Mi mordo il
labbro e mi rimprovero mentalmente.
«Questa è la mia stanza.» Entriamo
nella prima camera da letto sulla sinistra. È piuttosto spoglia: sembra più un
ampio ripostiglio, con qualche scatolone impilato in ordine contro una
parete grigia, alcuni attrezzi da palestra
e la statua di un nativo americano
dall’aspetto curioso spinta in un angolo
e parzialmente coperta da un telo di
plastica. Andrew attraversa la stanza
per raggiungere l’armadio a muro e
preme l’interruttore. Io resto al centro
della stanza con le braccia incrociate,
guardandomi intorno e cercando di non
dare l’impressione di voler ficcare il
naso.
«Hai detto che “è” la tua stanza?»
309/915
«Già» risponde lui da dentro l’armadio. «Per quando vengo in visita, o se
mai volessi fermarmi a viverci.»
Mi avvicino all’armadio e lo vedo
frugare tra i vestiti appesi in perfetto
ordine, proprio come io appendo i miei.
«Anche tu hai una sindrome
ossessivo-compulsiva con il guardaroba,
a quanto pare!»
Andrew
mi
fissa
con
aria
interrogativa.
Indico i capi divisi per colore appesi
su grucce di plastica nera.
«Oh no, non direi proprio» chiarisce
lui. «La donna delle pulizie di mio
padre viene qui e si perde in queste
stronzate. Non me ne frega niente se i
miei vestiti sono appesi, figurati cosa
me ne importa se sono divisi per colore.
È una cosa troppo… ehi, un momento.»
Fa un passo indietro e mi scocca
310/915
un’occhiata di sbieco. «Tu fai questa
cosa con i tuoi vestiti?» Indica perplesso le magliette appese.
«Esatto» rispondo, ma adesso mi sento un po’ pazza ad ammetterlo. «Mi piace che le mie cose siano in ordine e
che ogni accessorio abbia il suo posto.»
Andrew ride e ricomincia a frugare
tra i vestiti. Quasi senza guardare afferra qualche maglietta e un paio di
jeans e se li butta sulla spalla.
«Non è stressante?» mi chiede.
«Cosa? Appendere i miei abiti in
modo ordinato?»
Andrew sorride e mi butta tra le
braccia il mucchietto di vestiti.
Io li guardo con imbarazzo e poi
guardo lui.
311/915
«Non importa» esclama. «Potresti infilarli in quella sacca di tela appesa alla
panca per gli addominali?»
«Certo» rispondo, e torno verso il
centro della stanza.
Prima appoggio gli abiti sulla panca
ricoperta di vinile nero e poi prendo la
sacca appesa a un bilanciere.
«Allora, dove si va di bello?» chiedo
ripiegando la prima maglietta del
mucchio.
Andrew sta ancora rovistando
nell’armadio.
«No, no» replica lui. La sua voce mi
arriva un po’ attutita. «Niente programmi, Camryn. Saliamo in macchina
e partiamo. Niente cartine o mappe
e…» Tira fuori la testa dall’armadio e la
sua voce diventa più nitida. «Cosa stai
facendo?»
312/915
Alzo lo sguardo dalla seconda
maglietta che ho quasi finito di piegare.
«Sto piegando i tuoi vestiti.»
Sento un rumore sordo quando lancia
un paio di scarpe da corsa nere sul pavimento; poi sbuca fuori dall’armadio e
viene verso di me. Mi raggiunge, mi
guarda come se avessi commesso un
reato e mi strappa dalle mani la
maglietta piegata a metà.
«Non fare la perfettina, piccola. Cacciali nella sacca e basta.»
Lo fa lui, come se volesse dimostrarmi quanto sia facile.
Non so cosa mi abbia fatto più effetto: la sua lezione di disordine o la
stretta allo stomaco quando mi ha
chiamata “piccola”.
Alzo le spalle e lascio che faccia a
modo suo con i vestiti.
313/915
«Non importa cosa ti metti, ma dove
ci vai» esclama, tornando verso
l’armadio.
Mi lancia le scarpe da ginnastica
nere, una alla volta, e io le prendo al
volo. «Butta dentro anche queste, se
non ti dispiace.»
Eseguo i suoi ordini: le infilo dentro
la sacca così come sono e rabbrividisco.
Per fortuna le suole delle scarpe sono
così pulite da farmi supporre che siano
nuove, altrimenti non avrei potuto
evitare di protestare.
«Sai quali sono secondo me le
ragazze più sexy?»
È in piedi con un braccio muscoloso
teso sopra la testa, intento a cercare
qualcosa nelle scatole sulla mensola superiore dell’armadio. Riesco a intravedere la parte finale del tatuaggio
314/915
sul suo fianco sinistro che sbuca fuori
dalla maglietta.
«Uhm, non ne sono sicura» rispondo.
«Quelle che indossano vestiti stropicciati?» Arriccio il naso.
«Quelle che si alzano dal letto e si infilano la prima cosa che trovano»
risponde mentre prende una scatola da
scarpe.
Torna verso di me con la scatola in
equilibrio su una mano.
«Quell’aria da “mi sono appena
alzata e non me ne frega niente” è
molto sexy, secondo me.»
«Ho capito» taglio corto. «Sei uno di
quei tizi che detestano il trucco e il profumo e tutte quelle stupidaggini che
usano le ragazze vere.»
Mi allunga la scatola e la fisso piuttosto perplessa.
315/915
Andrew sorride. «No, non li detesto.
Penso solo che la semplicità sia più
sexy, tutto qui.»
«Cosa vuoi che faccia con questa?»
Picchietto un dito sul coperchio della
scatola.
«Aprila.»
Le lancio una rapida occhiata, incerta, e poi guardo di nuovo Andrew.
Lui annuisce per incoraggiarmi.
Sollevo il coperchio rosso della
scatola e fisso il mucchio di cd nelle
loro custodie originali.
«Mio padre era troppo pigro per far
mettere un lettore mp3 in macchina»
mi spiega. «E quando viaggi non puoi
sperare in una buona ricezione del segnale radio. A volte non si trova nemmeno una stazione decente.»
Mi prende la scatola dalle mani.
316/915
«Questi saranno la nostra playlist ufficiale.» Sfodera un gran sorriso
mettendo in mostra i denti perfetti e
bianchissimi.
Io invece non sorrido. Faccio una
smorfia e mi mordo forte un angolo
della bocca.
Sono piuttosto sicura che i miei genitori abbiano almeno il novanta per
cento di questi album, quindi anch’io
devo averli ascoltati una volta o l’altra.
Ma se mi chiedesse il titolo di qualche
canzone, o il nome del gruppo che la
canta, probabilmente non saprei
rispondere.
«Grandioso» commento con sarcasmo, rivolgendogli un mezzo sorriso
e arricciando il naso.
Il suo sorriso, invece, si allarga
ancora. Credo che adori torturarmi.
14
Andrew
È così carina quando la torturo. Perché
le piace.
Non so come ho fatto a cacciarmi in
questa situazione. So solo che per
quanto la mia dannata coscienza continui a urlarmi nelle orecchie di lasciarla in pace, proprio non ci riesco, è
più forte di me. Perché non voglio.
Siamo già andati troppo oltre.
So che avrei dovuto chiudere la faccenda alla stazione degli autobus.
318/915
Avrei dovuto comprarle un biglietto
aereo in prima classe in modo che si
sentisse obbligata a usarlo per tornare a
casa, dato che costa una fortuna; poi
avrei dovuto chiamarle un taxi e farla
accompagnare all’aeroporto.
Non avrei mai dovuto invitarla a
venire via con me, perché ora so che
non sarò più capace di lasciarla andare.
Ma non ho altra scelta, ormai: devo
mostrarle ogni cosa. Potrebbe rimanerci
molto male quando sarà finita, ma almeno potrà tornare a casa, nel North
Carolina, e aspettarsi qualcosa di
meglio dalla vita.
Prendo la scatola da scarpe dalle sue
mani, ci rimetto sopra il coperchio e la
appoggio sulla sacca. Camryn mi
guarda mentre apro il cassetto superiore del comò e pesco qualche paio di
boxer e calzini puliti e poi li caccio
319/915
dentro lo zaino. Tutto quello che mi
serve per l’igiene personale è in macchina, nella borsa che avevo con me
sull’autobus.
Mi carico la sacca in spalla e la
guardo. «Sei pronta?»
«Credo di sì» risponde lei.
«Un momento. Credi di sì?» le chiedo
avvicinandomi. «Sei pronta o non sei
pronta?»
Camryn mi sorride con quei bellissimi occhi azzurri che sembrano di
cristallo. «Sì, sono pronta. Nessun
dubbio.»
«Bene. E allora perché hai esitato?»
Scuote la testa leggermente per dirmi
che mi sbaglio.
«Non esito nemmeno un po’»
risponde. «È solo che tutto questo è
320/915
piuttosto… strano, non trovi? Ma in
senso buono.»
Sembra che stia cercando di districare qualche nodo nella sua testa. Deve
avere parecchie cose che le frullano lì
dentro, è naturale.
«Hai ragione» ribatto io. «In effetti è
piuttosto strano… Okay, è molto
strano, perché non è per niente normale
buttarsi in un’avventura simile.» Cerco
il suo sguardo, costringendola a fissarmi negli occhi. «Ma è proprio questo
il bello.»
Il suo sorriso si illumina come se le
mie parole le avessero fatto suonare un
campanello nella testa.
Annuisce. «Be’, allora cosa stiamo aspettando?» mi chiede in tono divertito
ed entusiasta.
Torniamo in corridoio, ma mi fermo
di scatto in cima alle scale.
321/915
«Aspetta un secondo.»
Camryn rimane lì, mentre io mi volto
e vado in quella di Aidan, triste quanto
la mia. Vedo la sua chitarra acustica appoggiata alla parete, la raggiungo, la afferro per il manico e la porto fuori.
«Suoni la chitarra?» mi chiede
Camryn.
«Già, diciamo che strimpello.»
15
Camryn
Andrew lancia la sua sacca sul sedile
posteriore accanto alla borsa più piccola, al mio zaino e alla mia borsetta.
Con la chitarra ha un po’ più di riguardo e la appoggia sul sedile con delicatezza. Saltiamo sull’auto d’epoca
nera con due strisce bianche al centro
del cofano, e chiudiamo le portiere
all’unisono.
Lui mi guarda.
Io lo guardo.
323/915
Infila la chiave nel quadro e la
Chevelle si anima con un ruggito.
Non riesco a crederci: lo sto facendo
davvero! Non sono spaventata e nemmeno preoccupata, e il pensiero che
dovrei scendere da quella macchina e
andarmene dritta a casa non mi sfiora
neanche per un secondo. Sento che va
tutto bene; per la prima volta dopo
tanto tempo che la mia vita sta tornando sulla strada giusta… Solo che è
un tipo di strada molto diverso. Non ho
idea di dove mi porterà. Non riesco a
spiegarlo, se non dicendo che… be’, che
è tutto okay, tutto.
Andrew spinge sull’acceleratore appena ci immettiamo sulla rampa e prendiamo l’interstatale 87 diretti a sud.
Mi piace osservarlo mentre guida, è
sempre disinvolto anche quando sorpassa alcuni automobilisti troppo lenti.
324/915
Non sembra che voglia mettersi in
mostra, ha proprio l’aria di essere nel
suo elemento. Mi rendo conto che ogni
tanto lancio qualche occhiata al suo
braccio destro, forte e muscoloso, teso e
con la mano stretta intorno al volante.
E mentre i miei occhi lo scrutano con
attenzione, non posso fare a meno di
pensare a quel tatuaggio nascosto sotto
la maglietta blu scuro che gli sta così
bene.
Parliamo del più e del meno per un
po’: della chitarra di Aidan e del fatto
che probabilmente si infurierà quando
scoprirà che Andrew gliel’ha presa. A
lui non importa. «Aidan una volta mi
ha rubato i calzini» si giustifica.
«I calzini?» gli domando con un’aria
piuttosto perplessa. Lui mi restituisce lo
sguardo con un’espressione che dice
325/915
Ehi: calzini, chitarra, deodorante… quel
che è mio è mio, punto e basta.
Io rido, la trovo un po’ ridicola come
giustificazione, ma non ho nulla da
obiettare.
Ci perdiamo in una conversazione
molto profonda riguardo il mistero
delle scarpe spaiate che giacciono ai
lati delle autostrade in tutti gli Stati
Uniti.
«Quando le ragazze si infuriano gettano la roba dei loro ragazzi fuori dal
finestrino» è la spiegazione di Andrew.
«Sì, è una possibilità» rispondo io,
«ma credo che la maggior parte appartenga agli autostoppisti, perché sono
quasi tutte abbastanza malconce.»
Andrew mi lancia uno sguardo strano
in attesa che mi spieghi meglio.
«Autostoppisti?»
326/915
Annuisco. «Be’, camminano moltissimo, perciò immagino che le loro
scarpe si consumino in fretta. Stanno
camminando, sentono un gran male ai
piedi e all’improvviso vedono una
scarpa, probabilmente gettata fuori da
qualche fidanzata arrabbiata» aggiungo,
tanto per includere anche la sua teoria,
«e visto che sembra migliore di quelle
che hanno ai piedi, si tolgono una delle
vecchie scarpe e si mettono quella
nuova.»
«Che cosa stupida» ribatte Andrew.
Faccio il broncio, offesa. «Ma potrebbe succedere!» Rido, mi piego verso
di lui e gli do un pugno sul braccio. Lui
si limita a sorridermi.
Andiamo avanti con questa storia per
secoli, continuiamo a snocciolare teorie
una più stupida dell’altra. Non riesco a
327/915
ricordare l’ultima volta che ho riso così
tanto.
Infine, quasi due ore dopo, raggiungiamo Denver. È una città meravigliosa, con quelle grandi montagne
sullo sfondo che si estendono lungo
l’orizzonte blu, le cime coperte di nuvole bianche. È ancora pieno giorno e il
sole splende in tutta la sua bellezza.
Quando arriviamo in centro Andrew
rallenta di colpo fino a sessantacinque
chilometri all’ora.
«Devi dirmi da che parte andare» mi
ricorda mentre ci avviciniamo all’ennesima rampa di accesso.
Guarda in tre direzioni e poi verso di
me.
Presa alla sprovvista scruto le strade
come una forsennata e più si avvicina il
momento di prendere una decisione più
lui rallenta la marcia.
328/915
Cinquantacinque all’ora.
«Be’, dove si va?» mi chiede. I suoi
occhi verdi brillano con un’aria vagamente divertita.
Sono così nervosa! Mi sento come se
mi avesse chiesto quale filo tagliare per
disinnescare una bomba!
«Non ne ho idea!» strillo, con un sorriso isterico.
Quaranta chilometri all’ora. La gente
suona il clacson e un tizio con una macchina rossa ci affianca e ci supera
sgommando.
Trenta chilometri all’ora.
Ahh! Non riesco a reggere la tensione! Sento che sto per scoppiare a
ridere, ma il respiro mi si blocca in
gola.
329/915
Un clacson suona furiosamente e
qualcuno grida: «Ehi, imbecille! Togliti
dalle palle, pezzo di merda!».
Ma a Andrew gli insulti scivolano addosso e non smette mai di sorridere.
«Da quella parte!» grido infine
alzando una mano e indicando la
rampa a est. Scoppio a ridere e scivolo
con la schiena contro il sedile in modo
che nessuno possa vedermi. Sono così
imbarazzata!
Andrew mette la freccia e scivola con
scioltezza sulla corsia di sinistra tra
altre due macchine. Superiamo il semaforo giallo un attimo prima che scatti il
rosso; pochi secondi dopo ci immettiamo in un’altra autostrada e Andrew
preme l’acceleratore. Non ho idea di
quale sia la direzione che abbiamo
preso. So che ci stiamo dirigendo verso
330/915
est, ma dove ci porti esattamente
questa strada resta un mistero.
«Non è stato così difficile tutto sommato, non credi?» domanda Andrew
guardandomi con un sorriso.
«Uno spasso» rispondo io, e poi mi
lascio sfuggire una risata stridula. «Li
hai fatti davvero uscire di testa, quelli.»
Fa spallucce. «Hanno tutti troppa
fretta. Se ti azzardi a rispettare il limite
di velocità rischi il linciaggio.»
«Già, è proprio vero» rispondo, e
guardo avanti oltre il parabrezza.
«Anche se devo ammettere che anch’io
in genere faccio come loro» aggiungo
facendogli l’occhiolino.
«Be’, lo faccio anch’io a volte.»
All’improvviso restiamo in silenzio e
per la prima volta da quando siamo
partiti sprofondiamo in uno stato di
331/915
quiete. Ce ne accorgiamo entrambi. Mi
chiedo se lui stia pensando la stessa
cosa, se si stia chiedendo cosa mi passi
per la testa e se voglia domandarmelo,
proprio come vorrei fare io con lui. È
uno di quei passaggi inevitabili che
quasi sempre conducono il rapporto a
un livello più profondo, quello in cui
due persone cominciano a conoscersi
davvero.
È tutto molto diverso da quando
eravamo sull’autobus. In quel momento
pensavamo che il tempo a nostra disposizione fosse limitato e che non ci
saremmo rivisti mai più, per cui non
c’era motivo di andare troppo sul personale. Ma ora le cose sono cambiate e
l’aspetto personale è l’unico rimasto.
«Parlami un po’ della tua migliore
amica, Natalie.»
332/915
Tengo gli occhi fissi sulla strada per
diversi, lunghi secondi e ci metto un po’
a rispondere, perché non sono sicura di
cosa dovrei raccontare.
«Se è ancora la tua migliore amica»
aggiunge Andrew, percependo in qualche modo il mio risentimento.
Lo guardo. «Non lo è più. È un po’
succube del suo ragazzo, in mancanza
di una spiegazione migliore.»
«Sono sicuro che puoi trovare una
spiegazione migliore» ribatte lui fissando la strada. «Forse è solo che non
vuoi spiegarlo e basta.»
Prendo una decisione. «No, a dire il
vero ho proprio voglia di spiegarlo.»
Andrew sembra piacevolmente sorpreso, ma mantiene un atteggiamento
discreto.
333/915
«La conosco dalla seconda elementare» comincio. «Ero certa che niente
avrebbe potuto rompere la nostra
amicizia, ma a quanto pare mi
sbagliavo di grosso.» Scuoto la testa,
disgustata al solo ricordo.
«Allora, cos’è successo?»
«Ha preferito il suo ragazzo a me.»
Credo che si aspettasse una spiegazione
più approfondita e infatti avevo intenzione di dargliela, ma le parole mi sono
venute fuori così.
«Le hai chiesto tu di scegliere?» mi
domanda con un sopracciglio appena
sollevato.
Mi volto per guardarlo. «No, niente
affatto. Non è andata così.» Emetto un
sospiro lungo e profondo. «Damon, il
suo ragazzo, ci ha provato con me: una
sera, mentre eravamo da soli, ha cercato di baciarmi e mi ha confessato che
334/915
voleva stare con me. Dopodiché Natalie
mi ha chiamata puttana bugiarda e mi
ha detto che non voleva rivedermi mai
più.»
Andrew annuisce lentamente, come a
dire che ora capisce tutto quanto.
«Dev’essere una tipa insicura» commenta. «Probabilmente sta con lui da
un sacco di tempo, giusto?»
«Esatto. Da cinque anni.»
«E insomma, la tua migliore amica si
deve fidare di te, no?»
Lo guardo, piuttosto confusa.
Annuisce. «Certo che sì. Pensaci: ti
conosce più o meno da tutta la vita.
Credi davvero che avrebbe gettato al
vento un’amicizia del genere solo perché non ti ha creduto?»
Sono ancora più confusa.
335/915
«Eppure l’ha fatto» rispondo io, incredula. «È proprio quello che ha fatto.»
«Naa» ribatte lui. «È stata solo una
reazione istintiva, Camryn. Lei non
vuole crederci, ma in fondo, anzi non
così in fondo dopotutto, sa che è vero.
Ha solo bisogno di tempo per rifletterci
e accettare le cose come stanno. Se ne
farà una ragione, vedrai.»
«Be’, se mai succederà, potrei essere
io a non volere più la sua amicizia.»
«Forse» replica Andrew mentre mette
la freccia a destra e svolta. «Ma non mi
sembri il tipo.»
«Il tipo che non perdona?» gli chiedo.
Annuisce di nuovo.
Passiamo accanto a un camion che
procede troppo lento e lo superiamo
senza problemi.
336/915
«Non lo so» sbuffo. Mi sento così fragile adesso. «Non sono più quella di
una volta.»
«Perché, com’eri una volta?»
Non sono sicura nemmeno di questo.
Mi ci vuole un po’ per trovare le parole
giuste. «Ero divertente e socievole e…»
Scoppio a ridere all’improvviso: un ricordo mi solletica la mente. «E ogni inverno mi tuffavo nuda in un lago
gelido.»
Il bellissimo viso di Andrew assume
un’espressione curiosa, piena di energia. «Wow» esclama. «Sto provando a
immaginarlo.»
Gli do un altro pugno sul braccio, ma
senza smettere di sorridere. Lui finge
che gli abbia fatto male, anche se so
benissimo che non è vero.
337/915
«Era per beneficenza, una raccolta
fondi per l’ospedale della mia città» gli
spiego. «La organizzavano ogni anno.»
«Nudi?» Mi guarda, ora sinceramente
confuso, nonostante stia ancora sorridendo al pensiero.
«Be’, non nuda del tutto, è ovvio» gli
spiego. «Ma se indossi solo un top
striminzito e dei pantaloncini e ti tuffi
in un lago quasi sottozero, in pratica è
come essere nudi, no?»
«Merda, quando torno a casa devo assolutamente partecipare alla raccolta
fondi dell’ospedale» esclama, battendo
una mano sul volante. «Non avevo idea
di cosa mi stessi perdendo.»
Modera un po’ il sorriso e si volta a
guardarmi. «Allora, perché una volta
facevi queste cose e adesso non le fai
più?»
338/915
Perché è stato Ian a coinvolgermi in
quel progetto e l’ho fatto insieme a lui per
due anni.
«Circa un anno fa ho smesso, tutto
qui. È una di quelle cose che smetti di
fare senza motivo.»
Ho la sensazione che non se la beva.
Ha capito che c’è sotto dell’altro. Perciò
cambio subito argomento per distrarlo.
«E di te cosa mi dici?» gli chiedo, girandomi verso di lui per prestargli la
massima attenzione. «Hai mai fatto
qualcosa di completamente folle?»
Andrew storce un po’ la bocca,
pensandoci su, e fissa la strada. Superiamo un altro camion e torniamo sulla
corsia di destra. Mano a mano che ci allontaniamo dalla città il traffico è
sempre meno intenso.
339/915
«Ho fatto surf sul cofano di una macchina. Non è una cosa proprio folle…
ma in compenso è molto stupida.»
«Già, è piuttosto stupida» confermo.
Andrew alza la mano sinistra e mi fa
vedere il polso. «Sono caduto da quella
dannata macchina e mi sono squarciato
il polso su qualcosa di appuntito.»
Sbircio la cicatrice di circa cinque centimetri che gli solca la pelle dalla base
del pollice fino al braccio. «Sono rotolato sull’asfalto. E mi sono spaccato la
testa.» Mi indica il lato destro della
nuca. «Qui mi hanno dato nove punti,
oltre ai sedici del braccio. Non lo rifarò
mai più.»
«Be’, spero proprio di no» commento
con tono severo cercando ancora di
scorgere la cicatrice tra i suoi capelli
castani.
340/915
Andrew stacca le mani dal volante e
mi afferra il polso, facendo scivolare il
dito indice sopra il mio per guidarmi.
Io mi avvicino e lascio che la sua
mano accompagni la mia.
«Ecco, più o meno… qui» esclama
quando la trova. «La senti?» La sua
mano si stacca dalla mia, ma rimango a
fissarla per qualche istante.
Tornando alla sua testa, alzo gli occhi
e faccio scorrere la punta del dito lungo
la striscia di pelle irregolare e innaturalmente liscia sul suo cuoio capelluto.
Poi gli sposto i capelli corti con le dita.
La cicatrice è lunga quasi tre centimetri. La sfioro un’ultima volta e ritiro
la mano a malincuore.
«Immagino che tu abbia molte cicatrici» commento.
Andrew sorride. «Non moltissime. Ne
ho una sulla schiena che risale a
341/915
quando Aidan mi ha colpito con una
catena di bicicletta, mentre la faceva
roteare come una frusta.» Rabbrividisco
e stringo i denti al pensiero. «Un
giorno, quando avevo dodici anni,
stavo portando Asher sul manubrio
della mia bicicletta. Ho urtato una
pietra. La bici si è rovesciata in avanti e
ci ha fatti cadere entrambi sul cemento.» Si indica il naso. «Mi sono
rotto il naso, ma Asher si è fratturato
un braccio e hanno dovuto dargli quattordici punti sul gomito. Mia madre
pensava che avessimo avuto un incidente con una macchina e che stessimo
mentendo per coprirci il culo a
vicenda.»
Continuo a fissargli il naso, il suo
profilo perfetto: sembra impossibile che
l’abbia rotto.
342/915
«E poi ho una strana cicatrice a
forma di L sull’interno coscia» continua,
indicando la zona. «Ma questa non te la
posso mostrare.» Sorride e stringe il
volante con entrambe le mani.
Io arrossisco all’istante, perché ci ho
messo un secondo a immaginarlo
mentre si abbassa i pantaloni per
farmela vedere.
«Meglio così, mi sento sollevata»
rido, poi mi piego in avanti sul
cruscotto per sollevare la mia maglietta
di Puffetta sul fianco. Mi accorgo che
lui mi sta guardando e sento una stretta
allo stomaco, ma cerco di non farci
caso. «Una volta sono andata in
campeggio» gli spiego. «Mi sono tuffata
in acqua da uno scoglio e ho colpito
una roccia. Sono quasi annegata.»
Andrew si acciglia e si piega verso di
me, sfiorando i bordi della piccola
343/915
cicatrice sul mio fianco. Sento un
brivido corrermi lungo la schiena fino
alla nuca, come se mi avessero iniettato
un liquido gelato nel sangue. Cerco di
ignorare anche questo, per quanto
posso.
Lascio ricadere la maglietta e mi appoggio di nuovo al sedile.
«Be’, sono contento che tu non sia annegata.» I suoi occhi si illuminano
dando luce a tutto il suo viso.
Gli restituisco il sorriso. «Già, sarebbe
stata una gran seccatura.»
«Lo penso anch’io.»
16
Mi sveglio dopo il tramonto mentre
Andrew rallenta per pagare il pedaggio.
Non so quanto tempo ho dormito, ma
ho la sensazione di aver riposato per
una notte intera, nonostante sia rimasta
accucciata sul sedile del passeggero con
la testa schiacciata contro la portiera.
Ho solo bisogno di sgranchirmi un po’
le gambe intorpidite, come quando
viaggiavo sull’autobus, ma per il resto
mi sento benissimo.
«Dove siamo?» gli chiedo mettendomi una mano davanti alla bocca per
nascondere uno sbadiglio.
345/915
«In mezzo al nulla a Wellington, nel
Kansas» mi risponde. «Hai dormito un
bel po’.»
Mi raddrizzo sul sedile e aspetto che i
miei occhi e il corpo si riprendano.
Andrew si immette su un’altra strada.
«Già, mi sembra proprio di sì. Ho
dormito
molto
meglio
che
sull’autobus.»
Guardo le lettere blu fosforescenti
sullo stereo della macchina: sono le
22.14. Una canzone esce sottovoce
dalle casse. Mi torna in mente il ricordo
di quando l’ho incontrato sull’autobus.
Sorrido tra me e me immaginando che
abbia tenuto il volume basso per non
svegliarmi.
«E tu?» gli chiedo voltandomi a
guardarlo. L’oscurità proietta un’ombra
su gran parte del suo volto. «Mi sembra
strano proportelo, visto che è la
346/915
macchina di tuo padre… ma sono brava
a guidare, se vuoi riposare un po’.»
«Naa, non deve sembrarti strano» mi
risponde lui. «È solo una macchina. È
preziosa e molto vecchia e mio padre ti
appenderebbe al ventilatore del soffitto
se sapesse che ti ci sei messa al volante,
ma per me se vuoi guidare non c’è nessun problema.» Anche se è buio, posso
vedere l’angolo destro della sua bocca
sollevarsi in un sorrisetto ironico.
«Be’, adesso non sono più così sicura
di sentirmela.»
«Sta morendo, ricordi? Cosa vuoi che
ti faccia?»
«Non è divertente, Andrew.»
Lo sa benissimo anche lui. Ho capito
a che gioco sta giocando con se stesso:
cerca in continuazione qualcosa che lo
aiuti a sopportare questa situazione, ma
347/915
non ci riesce. Alla fine resterà a corto di
battutacce e non saprà più che fare.
«Ci fermiamo al prossimo motel» annuncia, svoltando in un’altra strada. «Ci
facciamo una bella dormita.» Poi mi
lancia un’occhiata. «Stanze separate,
naturalmente.»
Sono felice che abbia deciso tutto
così in fretta. Posso accettare di attraversare gli Stati Uniti in sua compagnia,
anche se è un po’ strano, ma non credo
che riuscirei a condividere una stanza
con lui.
«Perfetto» rispondo, e stendo le braccia davanti a me con le dita intrecciate.
«Ho bisogno di farmi una doccia e di
lavarmi i denti per almeno un’ora.»
«Su questo non c’è dubbio» scherza.
«Ehi, nemmeno tu hai l’alito che profuma di violetta!»
348/915
«Lo so» risponde, mettendosi una
mano davanti alla bocca e respirando
velocemente. «Puzza come se mi fossi
mangiato quello stufato di merda che
mia zia fa tutti gli anni per il giorno del
Ringraziamento.»
Scoppio a ridere. «Forse non ti sei
spiegato bene. Uno stufato di merda?
Davvero?» Continuo a ridacchiare sotto
i baffi.
Ride anche lui. «Accidenti, potrebbe
anche essere. Adoro mia zia Deana, ma
purtroppo non ha il dono della buona
cucina.»
«Mi ricorda mia madre.»
«Dev’essere
terribile»
commenta
guardandomi. «Crescere a forza di spaghetti in lattina e panini al formaggio.»
«No, io ho imparato a cucinare da
sola. Non mangio cibo spazzatura,
ricordi?»
349/915
Il viso sorridente di Andrew viene illuminato dalla luce soffusa dei lampioni ai lati della strada.
«Già, è vero» risponde. «Niente hamburger pieni di grassi o patatine unte,
per la piccola Miss Torta di Riso.»
Faccio un’espressione schifata per
smontare la sua teoria della torta di
riso.
Pochi minuti dopo entriamo nel
parcheggio di un piccolo motel a due
piani, di quelli con le stanze che si aprono su un ballatoio esterno invece che
su un corridoio interno. Scendiamo e ci
sgranchiamo le gambe… Be’, Andrew si
sgranchisce le gambe, le braccia, il
collo, praticamente tutto! Poi prendiamo le nostre sacche dal bagagliaio,
ma non la chitarra appoggiata sul
sedile.
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«Chiudi la portiera» mi dice facendomi un cenno.
Entriamo nel motel e subito ci investe un odore di polvere e caffè.
«Due singole vicine, se le avete»
chiede Andrew mentre si sfila il portafoglio dalla tasca posteriore.
Io frugo nella borsa e cerco il portamonete con la zip. «Pago la mia
stanza.»
«Lascia, faccio io.»
«No, davvero, voglio pagare io.»
«Ho già detto di no, perciò metti via i
soldi.»
Faccio come dice, anche se piuttosto
controvoglia.
La donna di mezza età alla reception,
i capelli biondi striati di grigio e raccolti in una crocchia disordinata in
cima alla testa, ci guarda inespressiva.
351/915
«Fumatori o non fumatori?» chiede.
Noto che fissa le braccia muscolose di
Andrew mentre è intento a estrarre la
carta di credito.
«Non fumatori.»
«Le uniche singole che ho vicine sono
una fumatori e l’altra non fumatori.»
«Vanno bene» dice lui passandole la
carta di credito.
La donna gliela prende sfiorandogli
le dita e continua a osservare ogni piccolo movimento della mano di Andrew
finché non sparisce dalla sua vista dietro il bancone.
Puttana.
Dopo aver pagato e ritirato le chiavi
della stanza torniamo nel parcheggio e
andiamo alla macchina. Andrew prende
la chitarra dal sedile posteriore.
352/915
«Avrei dovuto chiedertelo prima di
arrivare» mi dice mentre lo seguo. «Ma
se hai fame posso andare a prenderti
qualcosa da mangiare.»
«No, sto bene così. Grazie.»
«Sei sicura?» Mi guarda, in attesa.
«Sì, adesso non ho per niente fame,
ma se mi dovesse venire posso sempre
andare a prendermi qualcosa alla macchinetta automatica.»
Andrew infila la tessera nella serratura della prima stanza e aspetta la
luce verde. Poi apre la porta.
«Ma in quella roba ci sono solo zuccheri e grassi» esclama, riprendendo la
nostra
conversazione
sul
cibo
spazzatura.
Entriamo in una stanza dall’aria piuttosto sciatta con un letto singolo appoggiato contro una testiera di legno
353/915
appesa al muro. Il copriletto è marrone,
orribile, e mi spaventa a morte. La
stanza in sé profuma di pulito e sembra
decente, ma non ho mai dormito in una
camera di motel senza prima aver tolto
il copriletto. Non si può mai sapere
cosa ci sia sopra o quando è stata l’ultima volta che l’hanno lavato.
Andrew annusa la stanza inspirando
a fondo.
«Questa è la stanza non fumatori»
commenta, guardandosi intorno come
se la stesse ispezionando. «Quindi prendila tu.» Appoggia la chitarra contro il
muro e si dirige verso il piccolo bagno,
accende la luce e prova l’aspiratore; poi
raggiunge la finestra dall’altra parte del
letto e controlla il condizionatore.
Siamo a metà luglio, dopotutto. Infine
si avvicina al letto, sposta di lato la
354/915
trapunta ed esamina le lenzuola e i
cuscini.
«Cosa stai cercando?»
Mi risponde senza guardarmi: «Mi assicuro che sia pulito: non voglio che tu
dorma in un letto sporco e puzzolente».
Arrossisco di colpo, ma mi volto
prima che lui possa accorgersene.
«È un po’ presto per andare a
dormire» prosegue, allontanandosi dal
letto e riprendendo in mano la chitarra.
«Ma
guidare
mi
ha
stancato
moltissimo.»
«Be’, in sostanza non dormi da
quando siamo scesi dall’autobus a
Cheyenne.»
Lascio cadere la sacca e la borsa ai
piedi del letto.
«Già, è vero» risponde lui. «Questo
significa che sono in piedi da circa
355/915
diciotto ore. Maledizione, non me n’ero
accorto.»
«La stanchezza gioca brutti scherzi.»
Va verso l’uscita e appoggia la mano
sulla maniglia argentata. Io resto immobile ai piedi del letto. È una
situazione assurda, ma non dura a
lungo.
«Be’, allora ci vediamo domattina»
dice dalla soglia. «Sono proprio qui accanto a te, alla 110. Chiamami o bussa
o da’ un calcio al muro se hai bisogno.»
Il suo viso non esprime altro che gentilezza e sincerità.
Io annuisco e sorrido in risposta.
«Allora buonanotte» conclude.
«Buonanotte.»
E scivola fuori, chiudendosi la porta
alle spalle senza farla sbattere.
356/915
Dopo aver pensato a lui con aria assente per un po’, torno in me e comincio a frugare nella mia sacca. Finalmente farò una doccia! Sono eccitata
solo al pensiero. Tiro fuori un paio di
mutandine pulite, i miei shorts di cotone bianchi preferiti e la maglietta
universitaria con le strisce rosa e blu
sulle maniche a tre quarti. Poi prendo
lo spazzolino, il dentifricio e il collutorio e mi dirigo verso il bagno portando tutto con me. Mi spoglio, felice di
potermi togliere i vestiti sporchi che indosso da giorni, e li lancio sul pavimento. Mi osservo allo specchio. Oh
mio Dio, sono orribile! Il trucco è completamente scomparso (ho a malapena
un velo di mascara) e diverse ciocche di
capelli biondi mi sfuggono dalla treccia
e mi stanno appiccicati a un lato della
testa in una specie di nodo.
357/915
Non posso credere di aver viaggiato
accanto a Andrew in queste condizioni!
Mi tolgo l’elastico dalla treccia per
liberare il resto dei capelli e poi separo
le ciocche con le dita. Prima mi lavo i
denti e mi riempio la bocca di collutorio alla menta finché la sensazione
di bruciore non passa.
Fare la doccia è come essere in paradiso. Ci resto dentro per secoli, finché
non sopporto più l’acqua bollente. Il
calore mi culla facendomi quasi
dormire
in
piedi.
Mi
strofino
minuziosamente. Due volte. Solo perché ne ho la possibilità e perché è stata
una giornata davvero lunga. Prima di
uscire mi depilo, contenta di liberarmi
di quella specie di ispida pelliccia che
mi stava crescendo sulle gambe. Infine
chiudo i rubinetti cigolanti e afferro
l’asciugamano
bianco
del
motel
358/915
ripiegato con cura sul porta-asciugamani appeso sopra il water.
Sento l’acqua scorrere nella stanza di
Andrew dall’altra parte del muro e mi
ritrovo ad ascoltare. Me lo immagino
semplicemente lì, sotto la doccia; niente di erotico o di perverso, anche se
non mi riuscirebbe affatto difficile visualizzare qualcosa di simile. Penso a lui
in generale, a quello che sta facendo e
perché. Ripenso a suo padre e mi sento
di nuovo il cuore a pezzi perché immagino quanto stia soffrendo. Mi dispiace
non poterlo aiutare. Alla fine mi scuoto
e cerco di tornare in me, alla mia vita e
ai miei problemi, che non hanno niente
a che vedere con i suoi.
Spero di non dovergli mai raccontare
tutte le vicissitudini che mi hanno portata a fare quel viaggio senza meta in
autobus, perché mi sentirei una stupida
359/915
e un’egoista. I miei problemi non sono
nulla in confronto ai suoi.
Mi infilo nel letto con i capelli ancora
bagnati e li districo un po’ con le dita.
Non sono per niente stanca, dato che
ho dormito per quasi tutto il viaggio da
Denver, perciò accendo la tv e faccio
zapping. Alla fine lascio su un film a
caso con Jet Li, ma è più per avere un
rumore di fondo che per interesse.
Mia madre mi ha chiamata quattro
volte e mi ha lasciato quattro messaggi.
Ancora nessuna notizia da Natalie.
«Come va in Virginia?» mi grida mia
madre all’orecchio. «Ti starai divertendo un mondo, o almeno spero.»
«Già, è favoloso. E tu come stai?»
Mia madre ridacchia dall’altra parte
del telefono e il suo tono mi irrita
all’istante. C’è un uomo con lei. Oh,
merda, spero che non stia parlando con
360/915
me a letto, nuda, mentre un tizio le
lecca il collo!
«Me la cavo bene, tesoro» risponde.
«Mi vedo ancora con Roger. Andiamo a
fare una crociera insieme il prossimo
fine settimana.»
«Grandioso, mamma.»
Di nuovo quel risolino.
Arriccio il naso.
«Bene, amore mio, ora devo andare –
smettila, Roger!» Ridacchia ancora.
Sento che sto per vomitare. «Volevo
solo sapere come stavi. Per favore,
chiamami domani per dirmi come va,
d’accordo?»
«Okay mamma, lo farò. Ti voglio
bene.»
Chiudo la conversazione e lascio cadere il telefono sopra il letto. Poi appoggio la schiena ai cuscini e
361/915
all’improvviso penso a Andrew che si
trova nella stanza accanto. Forse tiene
la testa appoggiata allo stesso muro.
Faccio ancora un po’ di zapping finché
non giro tutti i canali almeno cinque
volte. Alla fine rinuncio. Sprofondo nel
letto e osservo la stanza.
Le note della chitarra di Andrew mi
scuotono dal mio torpore e sollevo un
po’ la schiena per ascoltare meglio. È
una canzone lenta, una specie di ballata
romantica e intimista. Quando arriva il
ritornello, il ritmo aumenta di intensità
per poi rallentare di nuovo alla strofa
successiva. È assolutamente stupenda.
Lo ascolto per circa un quarto d’ora;
poi cala il silenzio. Avevo spento la
televisione appena avevo capito che
stava suonando e adesso non riesco a
sentire altro che il gocciolare del
lavandino del bagno e, di tanto in
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tanto, una macchina che entra nel
parcheggio del motel. Scivolo nel sonno
e l’incubo ritorna…
Quel mattino non avevo ricevuto la solita
serie di messaggi da Ian, che mi arrivava
ancor prima che mi alzassi dal letto.
Provai a chiamarlo al telefono, ma
suonava a vuoto e la segreteria telefonica
non partiva mai. E quando entrai a scuola
lui non c’era.
Nei corridoi mi fissavano tutti. Qualcuno non riusciva nemmeno a guardarmi
negli occhi. Jennifer Parsons scoppiò a piangere davanti al suo armadietto quando
le passai accanto, e alcune cheerleader si
voltarono verso di me e mi fissarono come
se avessi una malattia contagiosa. Non
capivo cosa stesse succedendo, ma avevo
la sensazione di essere piombata in una
sorta di realtà parallela e assurda. Nessuno mi rivolgeva la parola, ma era chiaro
363/915
che tutti a scuola sapevano qualcosa di
cui io ero all’oscuro. E non era un bene.
Non ho mai avuto nemici, in realtà; solo
qualche volta alcune ragazze si sono
mostrate gelose di me perché Ian mi
amava e non le degnava di uno sguardo.
Cosa potevo farci? Ian Walsh era più sexy
di tutta la squadra di football messa insieme e non importava a nessuno, nemmeno a Emily Derting, la ragazza più
ricca della Millbrook High School, che
non avesse un soldo e che i suoi genitori lo
accompagnassero ancora a scuola.
Lei voleva portarselo a letto comunque.
Come tutte le altre.
Andai al mio armadietto sperando che
Natalie arrivasse presto, così forse avrebbe
potuto dirmi cosa stava succedendo. Rimasi lì davanti più tempo del necessario,
in attesa di vederla comparire. Ma fu Damon a raggiungermi e a dirmi cos’era
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accaduto. Mi portò nella nicchia in cui si
trovava la fontanella dell’acqua. Il cuore
mi martellava nel petto. Avevo capito che
qualcosa non andava appena mi ero
alzata, prima ancora di rendermi conto
che non c’erano messaggi di Ian. Mi sentivo… a pezzi. Era come se sapessi…
«Camryn» cominciò Damon, e capii
subito quanto fosse serio ciò che stava per
dirmi, perché lui e Natalie mi chiamano
sempre “Cam”. «Ian ha avuto un incidente
d’auto ieri sera…»
Mi sentii mancare il respiro e mi portai
entrambe le mani alla bocca. Le lacrime
mi bruciavano la gola e mi riempivano gli
occhi.
«È morto questa mattina presto in ospedale.» Damon stava cercando di dirmelo
nel modo più sereno possibile, ma il dolore
sul suo viso era inequivocabile.
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Fissai Damon per quella che mi sembrò
un’eternità, fino a che non riuscii più a
reggermi sulle gambe e crollai tra le sue
braccia. Piansi tanto da sentirmi male, ma
alla fine arrivò Natalie ed entrambi mi accompagnarono in infermeria.
Mi sveglio sudata e con il cuore che
batte all’impazzata. Scalcio via le lenzuola e mi siedo al centro del letto con
le gambe incrociate. Mi passo le mani
tra i capelli e libero un lungo sospiro.
Era tanto tempo che non facevo più
quel sogno. In realtà era l’ultimo incubo che ricordo di aver fatto. Perché si
è ripresentato proprio adesso?
Mi riscuoto di colpo: qualcuno bussa
alla porta.
«IL MATTINO HA L’ORO IN BOCCA, BELLA
ADDORMENTATA!»
canticchia
allegro
Andrew dall’altra parte.
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Non ricordo nemmeno di essermi riaddormentata dopo il sogno. Il sole filtra da una fessura tra le tende e illumina la moquette scura proprio sotto la
finestra. Mi alzo dal letto e scosto i
capelli dal viso; poi corro alla porta
prima che Andrew svegli tutto il motel.
Quando gli apro mi fissa con gli occhi sbarrati.
«Porca miseria, hai deciso di farmi
venire un infarto?» esclama squadrandomi dalla testa ai piedi.
Abbasso lo sguardo mentre cerco di
svegliarmi completamente e mi rendo
conto che indosso solo gli shorts di cotone bianchi e la maglietta senza reggiseno. Santo cielo, i capezzoli minacciano di bucare la T-shirt! Incrocio le
braccia sul petto e cerco di non
guardarlo negli occhi mentre entra
senza chiedere permesso.
367/915
«Volevo dirti di vestirti» continua
sorridendo e intanto attraversa la
stanza con la sua sacca e la chitarra.
«Ma a pensarci bene puoi uscire così, se
vuoi.»
Scuoto la testa cercando di nascondere il sorriso che mi increspa le labbra.
Andrew si lascia cadere sulla poltrona vicino alla finestra e appoggia le
sue cose sul pavimento. Indossa un paio
di pantaloni scuri con le tasche laterali
che gli arrivano appena sotto le ginocchia, una maglietta grigio piombo e le
scarpe da corsa basse e nere senza
calzini visibili, o forse proprio senza
calzini. Lancio un’occhiata al tatuaggio
sulla sua caviglia. Sembra una sorta di
motivo celtico di forma circolare, inciso
proprio sopra l’osso. E ha decisamente
gambe da corridore; i polpacci sono
tonici e muscolosi.
368/915
«Aspetta qui, mi preparo in un attimo» prometto, e mi avvicino alla
sacca che ho appoggiato sul lungo cassettone su cui si trova anche la tv.
«Quanto ti ci vorrà?» mi chiede, e
colgo una punta di impazienza nella
sua voce.
Ricordando quello che aveva detto a
casa di suo padre, penso alla risposta e
valuto le mie opzioni: decido di concedermi la mia solita mezz’ora oppure
scelgo di mettermi addosso la prima
cosa che trovo e via?
Andrew mi dà una mano a risolvere
il dilemma: «Hai due minuti».
«Due minuti?» protesto.
Annuisce sorridendo. «Mi hai sentito.
Due minuti.» Solleva due dita e le agita
davanti a me. «Hai accettato di fare
tutto quello che ti dico, ricordi?»
369/915
«Già, ma pensavo che mi avresti chiesto di fare cose folli tipo mostrare le
chiappe da una macchina in corsa o
mangiare scarafaggi!»
Inarca un sopracciglio come se gli
avessi appena dato un paio di idee geniali. «Quando si tratterà di mostrare le
chiappe dalla macchina in corsa o di
mangiare scarafaggi ne riparleremo.»
E adesso cosa diavolo faccio?
Chino la testa, sconfitta e mortificata,
e le braccia mi crollano lungo i fianchi.
«Oh, non posso farcela…» Mi accorgo
che il suo sorriso si è trasformato in
un’espressione da bambino furbo e abbasso gli occhi. Le braccia non mi coprono più i capezzoli, che sbucano orgogliosi attraverso il tessuto sottile
della maglietta. Sbuffo forte e spalanco
la bocca, arrabbiata: «Andrew!».
370/915
Lui abbassa la testa con finta vergogna, ma il modo in cui mi guarda dal
basso verso l’alto con gli occhi socchiusi lo fa sembrare ancora più malizioso.
Cazzo, è così sexy…
«Ehi, ci tieni tanto alle tue regole, ma
poi non ti preoccupi di mettere le tue
bambine al riparo dai miei occhi. Ti avviso che hanno una volontà tutta loro.»
Gli lancio un sorrisetto e afferro la
mia sacca; poi corro a piedi nudi verso
il bagno e chiudo la porta. Quando mi
guardo allo specchio mi accorgo che sto
sorridendo come in uno di quei ritratti
fotografici scadenti degli anni Ottanta.
Okay, due minuti. Mi infilo nel reggiseno e nei jeans attillati e saltello un
po’ per farli aderire bene al sedere.
Cerniera. Bottone. Mi spazzolo i denti
con cura. Un veloce risciacquo con il
collutorio. Sorso, gargarismo, sputo. Mi
371/915
passo le dita tra i capelli spettinati e li
sistemo frettolosa in una treccia che mi
ricade sulla spalla destra. Un velo di
fondotinta e una pennellata di fard.
Mascara nero, perché il mascara è il
pezzo più importante del mio arsenale.
Rossetto e…
BAM! BAM! BAM!
«I tuoi due minuti sono scaduti!»
Stendo comunque il rossetto e lo asciugo con un francobollo di carta
igienica.
Intuisco che sta sorridendo dall’altra
parte della porta del bagno e quando la
apro vedo che avevo ragione. È in
piedi, con le mani sopra la testa, appoggiato allo stipite. Gli addominali duri e
ben definiti si intravedono sotto la
maglietta leggermente sollevata. Un
sottile
sentiero
di
peli
scende
372/915
dall’ombelico e si infila sotto la cintura
dei pantaloni.
«Visto? Ecco fatto.» Fischietta mentre
mi tiene aperta la porta, ma io ho occhi
soltanto per lui. «Semplice è sexy.»
Lo spingo via per uscire e colgo l’occasione per appoggiargli le mani sul
petto. Lui mi lascia passare.
«Non sapevo di dovermi rendere sexy
per te» gli dico voltandogli le spalle
mentre getto nella sacca i vestiti con
cui ho dormito.
«Wow, guarda guarda!» continua lui.
«Semplice, sexy e disordinata. Sono
fiero di te!»
Non me n’ero nemmeno accorta. Ho
buttato i vestiti nella sacca alla rinfusa,
senza nemmeno farmi sfiorare dall’idea
di ripiegarli. Quindi non sono
“clinicamente”
ossessiva-compulsiva;
sono solo una di quelle persone che
373/915
rientrano nella definizione per un paio
di innocenti abitudini metodiche! Eppure ripiegare i miei vestiti e cercare di
tenerli sempre in ordine è una delle mie
fissazioni da quando avevo circa undici
anni…
17
Andrew
Parliamo della frustrazione sessuale del
primo mattino. D’accordo, devo smetterla di scherzare con lei o comincerà a
pensare che è davvero quello che ho in
mente. In un’altra situazione, con un’altra ragazza, a quest’ora mi sarei alzato
dal letto per buttare il preservativo usato nel gabinetto. Con Camryn però è
diverso. È duro (e non è un gioco di parole), ma devo assolutamente evitare di
flirtare con lei. Questo è un viaggio importante per entrambi. Ho solo una
375/915
possibilità di fare le cose nel modo
giusto e non mi perdonerei mai se facessi una cazzata.
«Allora, qual è la prossima tappa del
nostro viaggio senza meta?» mi chiede.
«Per prima cosa facciamo colazione»
le rispondo sollevando la mia sacca dal
pavimento. «E poi immagino che se
sapessimo dove andare non sarebbe un
viaggio senza meta.»
Camryn prende il cellulare dal comodino accanto al letto, controlla se ci
sono nuovi messaggi o chiamate e lo infila nella borsa.
Usciamo.
«Andrew, ti prego. Non posso mangiare in uno di quei posti che piacciono a
te» piagnucola ostinata dal sedile del
passeggero.
376/915
La cittadina è piccola e la maggior
parte dei locali in cui si può mangiare
sono fast food.
«Sono seria» ripete con un’espressione imbronciata così carina che vorrei
soltanto prenderle il viso tra le mani e
leccarla. Lei si metterebbe a strillare e
griderebbe che non le era mai capitata
una cosa così “schifosissima”. «A meno
che tu non voglia una compagna di
viaggio fastidiosa, che si stringe lo
stomaco dolorante e geme per la
prossima ora, non mi farai mangiare
quella roba. Soprattutto a quest’ora del
mattino.»
Appoggio la testa all’indietro e
stringo le labbra mentre la guardo. «Su,
forza, adesso stai esagerando.»
Però mi viene il dubbio che parli sul
serio.
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Camryn scuote la testa, poi si mordicchia il pollice con gli incisivi.
«No, dico davvero. Ogni volta che
mangio il cibo dei fast food mi sento
male. Non sto cercando di fare la difficile, credimi: questo è un vero problema quando vado da qualche parte con
mia madre o con Natalie. Diventano
matte a trovare un posto in cui mangiare che non mi riduca a uno straccio.»
Okay, allora sta parlando sul serio.
«Be’, io non ho nessuna intenzione di
farti stare male» rispondo ridendo sotto
i baffi. «Quindi andiamo un po’ più avanti e cerchiamo qualcos’altro lungo la
strada.»
«Grazie» mi risponde sorridendo
dolcemente.
Non c’è di che…
378/915
Due ore e mezzo dopo arriviamo a
Owasso, nell’Oklahoma.
Camryn guarda l’enorme logo giallo e
nero del ristorante e deduco che sta decidendo se entrare lì dentro o meno.
«In realtà c’è un solo posto in cui
mangiare» le spiego entrando nel
parcheggio. «Soprattutto qui al Sud. Di
Waffle House ce n’è uno a ogni angolo.»
Camryn annuisce. «Penso di potercela
fare. Hanno anche insalate?»
«Ascoltami. Mi sta bene non farti
mangiare in quei posti dove servono
solo roba grassa e unta.» Piego la testa
di lato e mi volto verso di lei. «Ma le insalate sono davvero troppo per me,
capito?»
Lei arriccia le labbra e si mordicchia
la guancia per un po’. Poi annuisce. «E
va bene, non prenderò l’insalata, anche
se nelle insalate ci mettono anche del
379/915
pollo o molte altre cose buone che uno
come te probabilmente non ha mai
nemmeno preso in considerazione»
borbotta.
«Appunto, no. Quindi arrenditi» ribatto con tono deciso, e le faccio cenno
con la testa di scendere. «Forza, ho aspettato fin troppo. Sto letteralmente
morendo di fame. E quando ho fame divento piuttosto irritabile.»
«Sei già irritabile» replica lei.
Le afferro un braccio e la tiro verso
di me. Lei arrossisce di colpo e cerca di
non darlo a vedere.
Adoro l’odore dei Waffle House: sa di
libertà, perché i locali si trovano
sempre sulla strada e anche il novanta
per cento delle persone che li frequentano è in viaggio. Camionisti,
viaggiatori, gente che rientra da qualche festa; tutte persone che non vivono
380/915
una vita monotona da schiavi della
società.
Il ristorante è quasi pieno. Io e
Camryn troviamo un tavolo vicino alla
cucina, piuttosto lontano dalle alte
finestre. L’immancabile jukebox, un
simbolo della cultura del Waffle House,
è appoggiato a una vetrata.
La cameriera ci accoglie con un sorriso e ci guarda con un bloc notes e una
penna in mano, pronta a prendere l’ordinazione. «Vi porto un po’ di caffè?»
Guardo Camryn, che sta già studiando il menù aperto sul tavolo davanti
a lei.
«Per me un bicchiere di tè zuccherato» ordina.
La cameriera prende l’appunto e poi
guarda me.
«Caffè.»
381/915
La ragazza annuisce e va a preparare
quello che le abbiamo chiesto.
«Alcune di queste cose sembrano niente
male»
commenta
Camryn
sbirciando il menù con una guancia appoggiata a una mano. Il suo indice
scorre sulla plastica e si ferma sulla
breve lista di insalate. «Guarda qua»
dice alzando gli occhi verso di me.
«Hanno un’insalata con pollo grigliato e
una con pollo, mele e noci pecan.»
Non riesco a resistere a quella luce
così fiduciosa nei suoi grandi occhi
azzurri. Mi arrendo. Calo completamente le braghe, accidenti.
«Ordina quello che vuoi» replico in
tono conciliante. «Davvero, non userò
questa cosa contro di te.»
Camryn sbatte le palpebre due volte,
sinceramente sorpresa del fatto che io
abbia ceduto senza protestare. I suoi
382/915
occhi sembrano sorridermi. Chiude il
menù e lo rimette sul supporto mentre
la cameriera torna con il tè e il caffè.
«Siete pronti per ordinare?» chiede la
ragazza dopo aver messo le tazze davanti a noi. La punta della sua penna è
ancora premuta contro il bloc notes
come se non si fosse mai mossa, pronta
a mettersi al lavoro.
«Io prendo la Fiesta Omelet» comincia Camryn, e colgo un sorrisino sul suo
viso mentre i suoi occhi incrociano i
miei.
«Toast o panino?» chiede la
cameriera.
«Panino.»
«Semola di mais, frittelle di patate o
pomodoro?»
«Frittelle di patate.»
383/915
La cameriera finisce di scrivere l’ordine di Camryn e poi si volta verso di
me.
Io resto in silenzio per un paio di
secondi; poi decido: «Prendo l’insalata
con pollo, mele e noci pecan».
Il sorriso di Camryn si spegne tutto
d’un tratto e il suo viso rimane come
pietrificato. Io le strizzo l’occhio e faccio scivolare il menù accanto al suo.
«Ci diamo dentro, eh?» scherza la
cameriera.
Poi strappa la parte superiore del
foglio.
«Solo per oggi» le rispondo. La
ragazza scuote la testa e si allontana.
«Che diavolo fai?» mi chiede Camryn
allargando le braccia. Non riesce a decidere se sorridere o sentirsi a disagio,
384/915
perciò alla fine fa un po’ di tutte e due
le cose.
«Ho pensato che se puoi convincermi
a mangiare qualcosa per il mio bene,
allora io potrò fare lo stesso con te.»
«Già, ma è solo che non ti ci vedo a
mangiare quell’insalata.»
«Forse hai ragione» le rispondo, «ma
quel che è giusto è giusto.»
Sbuffa divertita e si appoggia allo
schienale della panca. «Ma non sarò
molto contenta quando ci rimetteremo
in viaggio se dovrò sopportarti mentre
ti lamenti perché hai un buco allo
stomaco. L’hai detto tu stesso che diventi irritabile quando hai fame, no?»
Non potrei mai essere davvero irritabile con lei, però ha ragione: quell’insalata non fa per me. E poi la lattuga
mi provoca dei gas tremendi… decisamente, non sarà piacevole per lei
385/915
viaggiare accanto a me se mangio
quella roba. Ma posso farcela. Spero
solo di riuscire a mangiarla tutta senza
farmi sfuggire neanche una delle almeno cento lamentele che ho già sulla
punta della lingua, accidenti. Sarà
un’esperienza interessante.
Alcuni minuti dopo la cameriera
porta a Camryn il suo panino e mi
mette davanti il mio piatto di bestemmie. Ci riempie di nuovo i bicchieri, si
informa se ci serve qualcos’altro e poi
torna dai suoi clienti.
Camryn mi sta già studiando. Guarda
la composizione, sposta il pane dalla
parte opposta rispetto alle frittelle di
patate e poi gira il piatto prendendolo
per i bordi in modo da avere l’omelette
a portata di mano. Io prendo la
forchetta e rimesto nell’insalata un paio
386/915
di volte fingendo, come Camryn, di
prepararla.
Ci guardiamo a vicenda e facciamo
una pausa come se stessimo aspettando
che l’altro dica qualcosa. Lei arriccia le
labbra. Io arriccio le mie.
«Vuoi fare cambio?» mi chiede.
«Sì» le rispondo senza esitazioni, e ci
passiamo i piatti sul tavolo.
Il sollievo distende il viso di
entrambi.
Non è quello che avrei ordinato io,
ma è sempre meglio della lattuga.
A metà del pranzo (o meglio, a metà
per lei, perché io ho già divorato il mio
piatto) ordino una fetta di torta al cioccolato e prendo un altro caffè. E continuiamo a parlare della sua ex migliore
amica, Natalie, e del fatto che sia una
specie di bisessuale super eccitante con
387/915
due tette enormi. O almeno è questo
che ho dedotto dalla descrizione che ne
ha fatto Camryn.
«Allora, cos’è successo dopo l’episodio del bagno?» chiedo addentando la
fetta di torta.
«Non sono mai più andata in un
bagno pubblico con lei da quel giorno»
mi risponde. «Quella ragazza non ha
proprio ritegno.»
«A me sembra una tipa molto divertente» ribatto.
Camryn diventa pensierosa. «Lo era.»
La studio in silenzio. È persa nei suoi
ricordi e sta punzecchiando l’ultimo
pezzo di pollo con la forchetta. Io invece tamburello leggermente le posate
sul piatto mentre prendo una decisione.
Mi pulisco la bocca con il tovagliolo e
scivolo fuori dalla panca.
388/915
«Dove stai andando?» mi chiede
Camryn alzando gli occhi verso di me.
Io sorrido e mi dirigo verso il jukebox
vicino alla vetrata. Infilo una moneta e
passo in rassegna i titoli; alla fine
scelgo una canzone e premo il pulsante.
Mentre torno al mio posto comincia a
suonare Raisins in My Toast.
Le tre cameriere e il cuoco mi squadrano con occhi fiammeggianti, implacabili. Io mi limito a sorridere.
Camryn è rimasta paralizzata al suo
posto. Ha la schiena rigida e mi fissa
sbalordita; poi quando comincio a mormorare le parole di quella canzone in
stile anni Cinquanta lei scivola verso il
basso, con il viso più paonazzo che abbia mai visto.
Torno al mio posto dondolando i
fianchi e mi infilo sulla panca.
389/915
«Oh mio Dio, Andrew! Ti prego, non
cantarla!»
Sto facendo del mio meglio per non
ridere, ma non posso evitare di canticchiare le parole del testo con un
enorme sorriso spalmato in faccia.
Camryn si seppellisce il viso tra le
mani e le sue spalle esili coperte da una
maglietta bianca e sottile sobbalzano
come se stesse reprimendo una risata.
Io schiocco le dita a tempo con la canzone fingendo di avere i capelli pettinati con la brillantina; poi quando arriva la parte in falsetto la mimo, facendo un’espressione esagerata. Ma
canto anche le note basse, piegando il
mento verso il petto con aria seria e
convinta. Non smetto mai di schioccare
le dita. Mano a mano che la canzone va
avanti la mia espressività aumenta. E
verso metà Camryn non riesce più a
390/915
trattenersi. Scoppia a ridere così forte
che le si riempiono gli occhi di lacrime.
È scivolata quasi del tutto sulla panca
e ha il mento praticamente al livello del
tavolo.
Quando la canzone finisce, con
grande sollievo del personale, la vecchia signora seduta dietro Camryn mi
regala un applauso. Nessun altro sembra essersi accorto di nulla, ma a giudicare dalla faccia di Camryn sembrerebbe che tutti nel ristorante non abbiano fatto che guardarci e ridere di
noi. Esilarante. E poi è così carina
quando è imbarazzata!
Appoggio i gomiti sul tavolo, incrocio
le braccia e intreccio le dita.
«Be’, non era poi così male, no?» esclamo con un sorrisetto.
Lei si passa un dito con cautela sotto
gli occhi per cancellare la leggera
391/915
sbavatura nera del mascara. Qualche altra risatina le scuote ancora il petto che
si sta calmando poco a poco.
«Comunque sei senza vergogna!»
esclama.
«Già, è stato imbarazzante, ma devo
ammettere che ne avevo proprio
bisogno.» Camryn si toglie le scarpe e
appoggia i piedi nudi sul sedile.
Ci siamo rimessi in viaggio e scegliamo la strada in base all’ispirazione
di Camryn. Siamo diretti verso est
lungo l’interstatale 44; a quanto pare
stiamo per attraversare la metà inferiore del Missouri.
«Sono contento di averti fatto un
favore.» Mi allungo e accendo il lettore
cd.
392/915
«Oh, no» scherza lei. «Mi chiedo che
pezzo degli anni Settanta mi farai ascoltare questa volta.»
Volto la testa e le sorrido.
«Questa è una bella canzone» le
spiego, allungandomi di nuovo per
alzare un po’ il volume; poi comincio a
battere i pollici sul volante.
«Sì, devo averla già sentita» replica
lei, e appoggia la testa allo schienale.
«Wayward Son.»
«Quasi» rispondo io. «Carry On Wayward Son.»
«Okay, però ci sono andata così vicina che non c’era bisogno di correggermi!» Finge di essersi offesa, ma non
le riesce molto bene.
«E di quale gruppo sarebbe?» le
chiedo per metterla alla prova.
Lei mi fa una smorfia. «Che ne so!»
393/915
«Dei Kansas» rispondo sollevando un
sopracciglio con aria da intellettuale. «È
una delle mie band preferite.»
«Lo dici di tutte» ribatte, esasperata.
«Forse hai ragione» ammetto. «Ma è
vero, le canzoni dei Kansas sono troppo
emozionanti. Dust in the Wind, ad esempio; non mi viene in mente una canzone più adatta per riflettere sulla
morte. È come se ti strappasse via la
paura.»
«Quella canzone ti strappa via la
paura della morte?» ripete lei, per nulla
convinta.
«Be’, sì. Secondo me, almeno. Immagino Steve Walsh che arriva con la falce
in mano e mi dice che non ho nulla da
temere. Merda, se potessi scegliere una
canzone con cui morire, quella sarebbe
in cima alla mia playlist.»
394/915
Camryn sembra scoraggiata. «A me
sembra piuttosto morboso.»
«Be’, se la prendi così, immagino di
sì.»
È voltata verso di me con i piedi sul
sedile, le ginocchia sollevate e la testa e
le spalle appoggiati allo schienale. La
lunga treccia bionda le scende morbida
sulla spalla destra e le dà un’aria
dolcissima.
«Hotel California» esclama all’improvviso. «Degli Eagles.»
La guardo. Sono impressionato.
«Quella sì è una canzone classica che
mi piace.»
«Davvero? È grandiosa, fa venire i
brividi. Mi fa sentire come se mi
trovassi dentro uno di quei vecchi film
horror in bianco e nero. Ottima scelta.»
Sono molto, molto colpito.
395/915
Batto i pollici ancora un po’ sul
volante mentre finisce Carry On Wayward Son; poi sento uno schiocco sonoro seguito da un lungo fischio, perciò
mi sposto lentamente verso il bordo
della strada e mi fermo del tutto sul
ciglio.
Camryn ha già appoggiato i piedi
nudi sul pianale e si sta guardando intorno cercando di capire l’origine del
rumore.
«Abbiamo bucato?» mi chiede, anche
se il suo tono è più un “Oh, fantastico,
abbiamo bucato!”.
«Già» rispondo io spegnendo il
motore. «Per fortuna ho la ruota di
scorta nel bagagliaio.»
«Ti riferisci a uno di quegli orribili
mini pneumatici?»
Scoppio a ridere.
396/915
«No, ho una gomma a grandezza normale là dentro, con il cerchione e tutto
il resto, e ti giuro che è uguale alle altre
tre.»
Lei sembra leggermente sollevata
fino a che non si rende conto che la sto
prendendo in giro; allora caccia fuori la
lingua e alza di nuovo gli occhi al cielo.
Non so perché questo gesto mi fa venire
voglia di sbatterla sul sedile posteriore
e saltarle addosso… ognuno ha le sue
debolezze, immagino.
Appoggio la mano sulla maniglia
della portiera e lei posa di nuovo le
gambe sul sedile.
«Perché ti stai rimettendo comoda?»
Sbatte gli occhi. «Cosa intendi?»
«Dài, mettiti le scarpe» rispondo indicandole con un cenno della testa.
«Alza il culo dal sedile e vieni ad
aiutarmi.»
397/915
Camryn spalanca gli occhi e rimane
immobile, come se si aspettasse che da
un momento all’altro scoppiassi a
ridere e le dicessi che sto solo
scherzando.
«Io… non ho idea di come si cambi
una gomma» mormora alla fine, quando
si rende conto che non la sto affatto
prendendo in giro.
«Certo che sai come si cambia una
gomma» la correggo, e lei rimane
ancora più sbalordita. «L’hai visto fare
migliaia di volte nella realtà e nei film.
Fidati di me: sai come si fa. Tutti lo
sanno.»
«Ma non ho mai cambiato una
gomma in vita mia» si lamenta
mordendosi il labbro inferiore.
«Vorrà dire che comincerai oggi» le
rispondo sorridendo. Poi apro la portiera solo a metà per evitare che il
398/915
camion che ci sta superando me la
strappi via.
Qualche altro secondo di incredulità,
poi Camryn infila i piedi nelle scarpe da
ginnastica e chiude la portiera sbattendola alle sue spalle.
«Vieni qui» le ordino, e lei mi segue
sul retro della macchina. Le indico la
gomma bucata, la posteriore destra. «Se
fosse stata a sinistra, dal lato della
strada, forse l’avresti scampata.»
«Vuoi sul serio che mi metta a cambiare una gomma?»
Pensavo che ne avessimo già
discusso.
«Sì, piccola, voglio sul serio che sia
tu a cambiare questa gomma.»
«Ma in macchina avevi detto che ti
avrei aiutato, non che avrei fatto tutto
da sola.»
399/915
Annuisco. «Be’, tecnicamente mi
aiuterai, ma… Insomma, vieni qui.»
Fa il giro intorno al bagagliaio, io
sollevo la ruota di scorta e la appoggio
sull’asfalto. «Adesso prendi il cric e la
chiave inglese e portali qui.»
Camryn esegue i miei ordini mormorando tra i denti qualcosa riguardo al
fatto di sporcarsi le mani di grasso. Io
resisto al desiderio impellente di scoppiare a ridere mentre faccio rotolare la
gomma vicino a quella bucata e la appoggio di lato. Ci sfreccia accanto un
altro camion; lo spostamento d’aria fa
oscillare lievemente la macchina.
«È molto pericoloso» dice lei lasciando cadere il cric e la chiave inglese
a terra. «E se una macchina sbanda un
po’ e ci investe in pieno? Non guardi
mai Real TV?»
400/915
Oh merda, anche lei guarda quel
programma?
«In effetti sì» ammetto. «Adesso vieni
qui e vediamo di fare in fretta. Se ti accucci e non ti fai vedere dalle macchine
è meno probabile che gli automobilisti
si distraggano e ci vengano addosso,
capito?»
«Cosa vuol dire che “è meno probabile”?» chiede aggrottando la fronte.
«Be’, se te ne stai lì in bella vista, con
quell’aria sexy eccetera, anch’io probabilmente mi distrarrei e perderei il
controllo della macchina.»
Camryn alza gli occhi al cielo con un
gesto plateale e si accovaccia per prendere la chiave inglese.
«Ugh!» grugnisce, cercando di allentare i bulloni. «Sono troppo stretti,
maledizione!»
401/915
Li allento io al posto suo, ma poi lascio che sia lei a finire di svitarli del
tutto. Nel frattempo continuo a fissare
il traffico, che si fa sempre più intenso,
senza farle capire che sono preoccupato
di stare lì in quel modo. Se guardo attentamente ho più possibilità di afferrarla e di spostarci in tempo di quante
ne avrei se facessi io il lavoro.
Poi arriva il momento del cric: le
mostro come fare per sganciarlo in
modo che si apra per bene e le indico la
posizione migliore in cui sistemarlo,
anche se sembra che lo sappia già senza
bisogno del mio aiuto. All’inizio non riesce nemmeno ad afferrare il manico
del cric, ma capisce in fretta come fare
e riesce a sollevare un po’ la macchina.
Tutto d’un tratto, senza nemmeno avvisare con un tuono o un fulmine, la
pioggia comincia a rovesciarsi a
402/915
secchiate su di noi. Camryn urla qualcosa sul fatto di inzupparsi e lascia perdere la gomma. Si alza di scatto da
terra e si lancia sulla portiera della
macchina, ma poi si ferma appena si
rende conto che dev’essere meglio non
entrare finché la macchina è sollevata
sopra un cric.
«Andrew!» È completamente fradicia
e si stringe le mani sopra la testa come
se servissero davvero a proteggerla
dalla pioggia. Non posso fare a meno di
sbellicarmi dalle risate.
«Andrew!»
È furiosa e buffissima allo stesso
tempo.
La afferro per le spalle mentre la
pioggia mi inonda il viso. «Finisco io
con la gomma» grido. È dura rimanere
serio… infatti non ci riesco.
403/915
Nel giro di pochi minuti la gomma è
sistemata e butto nel bagagliaio quella
bucata insieme al cric e alla chiave
inglese.
«Aspetta!» grido mentre Camryn sta
per salire in auto, adesso che è tutto a
posto.
Si ferma. È scossa dai brividi ed è
fradicia dalla testa ai piedi. Chiudo vigorosamente il bagagliaio e la raggiungo. Sento l’acqua dentro le scarpe,
dato che non indosso i calzini, e le sorrido sperando di farle fare lo stesso.
«È solo qualche goccia di pioggia.»
Lei si calma un po’ e capisco che sta
cercando qualcosa di sagace da
ribattere.
«Vieni qui.» Le tendo la mano e lei la
stringe.
«Che c’è?» mi chiede timida.
404/915
La sua treccia è zuppa di pioggia; le
poche ciocche libere che di solito le incorniciano il viso le stanno appicciate
alla fronte e alla base del collo. La
guido verso il bagagliaio e ci salto
sopra. Camryn si limita a guardarmi
mentre la pioggia continua ad abbattersi su di lei. Le tendo di nuovo la mano e
lei la afferra esitante; poi la aiuto a salire sopra il bagagliaio. Si arrampica sul
tettuccio insieme a me senza smettere
di fissarmi come se fossi una specie di
pazzo che preferisce non contraddire.
«Stenditi» le dico alzando la voce per
farmi sentire nella pioggia battente. Appoggio la schiena sul tettuccio e faccio
dondolare un piede fuori dal bordo
sopra il parabrezza.
Senza fare domande né porre
obiezioni (anche se è evidente che ne
405/915
ha parecchie, perché gliele vedo tutte
scritte in viso) si distende accanto a me.
«Che cosa folle» grida. «Tu sei
pazzo.»
Non deve sembrarle poi così male
questa follia, perché ho la netta
sensazione che le piaccia parecchio
stare quassù accanto a me.
Mandando al diavolo la mia decisione iniziale, quella secondo cui
dovrei controllarmi quando lei è nei
paraggi, stendo il braccio sinistro verso
l’esterno e Camryn istintivamente ci appoggia sopra la testa.
Deglutisco a fatica. Devo ammettere
che questo non me l’aspettavo da lei.
Ma sono felice che l’abbia fatto.
«Adesso apri gli occhi e guarda in
alto» dico. Io lo sto già facendo.
406/915
Un furgone ci sfreccia accanto seguito da qualche auto, ma nessuno si
accorge di noi. Un altro camion arriva
veloce e lo spostamento d’aria fa ondeggiare ancora la macchina, ma non ce
ne importa niente.
All’inizio Camryn sbatte le palpebre
quando la pioggia le cade negli occhi,
ma poi cerca di tenerli aperti e ogni
tanto li strizza o gira il viso contro il
mio fianco per ripararlo dalle gocce,
ridendo tra sé per tutto il tempo. Le
guardo le labbra e osservo la pioggia
che le percorre in piccoli rivoli; la
osservo sorridere e trasalire quando una
goccia le scivola in bocca, le sue spalle
che si sollevano quando cerca di proteggersi il viso, sorridendo e ridendo,
fradicia dalla testa ai piedi.
Mi perdo a guardarla, e mi dimentico
completamente che sta diluviando.
18
Camryn
Quando finalmente riesco a tenere gli
occhi aperti abbastanza a lungo fisso la
pioggia che scende su di me. Non
l’avevo mai osservata da questa prospettiva, con lo sguardo dritto verso il
cielo. All’inizio mi dava un gran fastidio, ma una volta abituata alla
sensazione mi sono resa conto che è
una cosa incredibilmente bella. È come
se ciascuna goccia cadesse su di me a
velocità pazzesca, separata dalle migliaia di altre gocce: per un attimo
408/915
infinitesimale riesco a metterla a fuoco
e a scorgere le sue delicate sfaccettature. Vedo le nuvole grigie scontrarsi sopra di me e sento la macchina
ondeggiare quando lo spostamento
d’aria del traffico la investe. Ho i
brividi, anche se fa abbastanza caldo da
poter stare bagnati senza risentirne
troppo. È bellissimo… ma niente di
quello che vedo o sento o percepisco è
emozionante quanto la vicinanza di
Andrew.
Pochi minuti dopo, quando corriamo
per rientrare in macchina, urlo e rido.
Chiudo la mia portiera con un colpo
secco e un secondo dopo lui fa lo stesso
con la sua.
«Mi sto congelando!» Scoppio a
ridere forte e stringo le braccia davanti
al seno, intreccio le dita e ci appoggio
sopra il mento.
409/915
Andrew sorride così tanto che gli si
tira tutta la faccia. Mi accorgo che ha
un
brivido
mentre
accende
il
riscaldamento.
D’istinto cerco di dimenticare di essermi appoggiata al suo braccio o che
lui l’abbia steso per invitarmi a farlo.
Credo che anche lui stia cercando di
non pensarci troppo.
Si stropiccia le mani nel tentativo di
ritrovare un po’ di calore mentre l’aria
calda esce a tutta forza dai bocchettoni.
Sto battendo i denti.
«Odio avere addosso i vestiti bagnati»
esclamo con il mento tremante.
«Già, su questo sono d’accordo con
te» replica. Poi afferra la cintura di
sicurezza e se la aggancia.
Io faccio la stessa cosa anche se,
come sempre, tra qualche ora finirò per
410/915
slacciarla in cerca di una posizione più
comoda.
«Ho i piedi fradici» esclama Andrew
guardandoseli.
Faccio una smorfia disgustata. Lui
scoppia a ridere, poi si abbassa per
togliersi le scarpe e le lancia dietro il
sedile.
Io decido di seguire il suo esempio
perché, anche se non lo ammetterei
mai, i miei piedi sono fradici esattamente quanto i suoi.
«Dobbiamo trovare un posto per cambiarci» mormoro.
Andrew mette in moto la macchina e
mi fissa. «C’è un sedile posteriore»
risponde con un sorrisetto. «Non
guarderò, te lo giuro.» Alza le mani in
segno di resa; poi afferra di nuovo il
volante e si immette sulla strada appena il traffico glielo consente.
411/915
Scrollo le spalle. «Uhm, meglio di no.
Penso che aspetterò finché non
troveremo un posto adatto.»
«Come vuoi.»
So benissimo che guarderebbe. A dir
la verità non mi dispiacerebbe poi così
tanto…
I tergicristalli scorrono avanti e indietro a tutta velocità, ma piove così forte
che è praticamente impossibile vedere
la strada. Andrew lascia il riscaldamento acceso finché la macchina non
sembra una specie di bagno turco, poi
lo spegne, non prima di avermi chiesto
se sono d’accordo.
«Allora, Hotel California, eh?» mi annuncia, sorridendo verso di me. Vedo
che gli sono spuntate due profonde fossette sulle guance. Si allunga e tocca il
pulsante per scegliere un altro cd, poi
412/915
lo tiene premuto finché non arriva alla
canzone. «Vediamo se sai le parole.»
La sua mano torna sul volante.
La canzone comincia proprio come
me la ricordavo, con quell’inquietante
giro di chitarra, lento e ipnotico. Ci
guardiamo a più riprese, lasciando che
la musica scorra tra noi, in attesa che
attacchi la voce. Poi, contemporaneamente, alziamo le mani come
dovessimo bussare in aria, uno, due, tre
a tempo, e cominciamo a cantare insieme a Don Henley.
Ci immergiamo nella canzone con
tutta l’anima, verso dopo verso; lui mi
lascia cantare una parte e viceversa.
Quando arriva il primo ritornello lo intoniamo in coro a pieni polmoni, praticamente urlando le parole contro il
parabrezza. Strizziamo gli occhi e
muoviamo la testa e io fingo di non
413/915
vergognarmi di essere stonata. Ecco che
arriva la seconda strofa; il nostro alternarci comincia a essere leggermente
ingarbugliato, ma ci divertiamo come
pazzi e incespichiamo solo un paio di
volte. Urliamo forte, all’unisono, 1969!
Poi ci passa un po’ la voglia di cantare
e lasciamo che la musica riempia la
macchina. Ma quando arriva il mitico
secondo ritornello e la canzone rallenta
e diventa più intensa torniamo seri e
cantiamo ogni parola insieme, guardandoci dritto negli occhi. Andrew grida
alibis! in modo così perfetto che mi
viene la pelle d’oca. E all’ultima strofa
“pugnaliamo la bestia” sferrando pugni
in aria. Il viaggio prosegue senza meta
per un tempo indefinibile.
Canto così a lungo insieme a lui che
alla fine mi fa male la gola.
414/915
Naturalmente il repertorio comprende solo rock classico e di tanto in tanto
qualcosa dei primi anni Novanta,
soprattutto Aerosmith e Alice in Chains,
ma nessun disco mi ha dato fastidio,
nemmeno un po’. Anzi, devo ammettere
che mi sono piaciuti tutti e che mi hanno lasciato nella mente un ricordo piacevole. Quello di Andrew.
Troviamo una stazione di servizio
lungo l’autostrada a Jackson, nel Tennessee, e ne approfittiamo. Ci infiliamo
nei bagni per toglierci i vestiti bagnati
che, ce ne rendiamo conto solo adesso,
ci siamo tenuti addosso per più tempo
del previsto. Ci siamo divertiti così
tanto, con la mia voce tutt’altro che aggraziata e lui che fingeva di apprezzarla, che ci siamo distratti da tutto il
resto.
415/915
Andrew finisce di cambiarsi prima di
me e mi sta già aspettando in macchina
quando corro fuori indossando gli unici
vestiti puliti rimasti nella mia sacca: i
pantaloncini di cotone bianco e la
maglietta con cui dormo. Ho portato
solo un reggiseno e lo indossavo
quando ha cominciato a piovere, perciò
è ancora completamente bagnato. Ma lo
metto comunque, perché non ho nessuna intenzione di infilarmi in auto con
lui senza biancheria intima.
«Non ho messo questi shorts per farti
contento» lo avviso puntandogli severamente un dito contro mentre salgo in
macchina. «Che sia chiaro.»
Andrew alza l’angolo della bocca.
«Prendo nota» ribatte fingendo di
scrivere su un bloc notes.
Sollevo il fondoschiena dal sedile e
cerco di tirare l’orlo dei pantaloncini in
416/915
modo che non mi stringano troppo sul
cavallo e mi coprano una porzione di
coscia un po’ più ampia. Faccio per
togliermi le infradito nere, ma mi accorgo che il tappetino è fradicio e decido di tenerle. Per fortuna i sedili sono
di pelle.
«Devo procurarmi dei vestiti» gli
annuncio.
Andrew si è rimesso i jeans, i Doc
Martens neri e una maglietta tinta unita
pulita, di un grigio leggermente più
chiaro di quella di prima. Sta benissimo, come sempre, ma avverto la mancanza dei suoi polpacci muscolosi e abbronzati e del tatuaggio celtico sulla
caviglia.
«Perché, non ti sei portata nient’altro?» mi chiede tenendo gli occhi
fissi sulla strada. «Non che mi stia lamentando, naturalmente.»
417/915
Gli rivolgo un sorrisetto. «Be’, dal
momento che non sapevo dove sarei
andata, non mi andava di trascinarmi
dietro un sacco di roba inutile.»
«Non fa una piega.»
Adesso il sole splende sul Tennessee e
noi siamo diretti a sud. L’altra carreggiata dell’autostrada è bloccata per lavori e noi ci rallegriamo di procedere in
quel senso di marcia anziché nell’altro.
Infine la luce si affievolisce all’orizzonte e il crepuscolo scende sui campi di
riso e cotone lasciando il posto a una
foschia violetta. Su entrambi i lati della
strada, a perdita d’occhio, ci sono
enormi distese di terra coltivata.
Arriviamo
a
Birmingham,
in
Alabama, poco dopo le sette di sera.
«Dove vuoi andare a comprare i
vestiti?» mi chiede avanzando lentamente lungo una strada della città
418/915
punteggiata di semafori e distributori di
benzina.
Io mi raddrizzo sul sedile e mi
guardo intorno cercando di individuare
qualche negozio che faccia al caso mio.
Andrew indica davanti a sé. «C’è un
Walmart.»
«Per me va bene un posto qualsiasi»
rispondo. Al semaforo gira a sinistra ed
entriamo nel parcheggio.
Scendiamo e la prima cosa che faccio
è sistemarmi le mutande che mi si sono
infilate nel sedere.
«Ti serve una mano?»
«No!» replico ridendo.
Camminiamo vicini nel mare di macchine che occupano il parcheggio. Le
infradito mi sbattono contro i talloni.
All’improvviso mi vedo dall’esterno e
mi rendo conto che devo avere un
419/915
aspetto disastroso, con la treccia sporca
e disfatta sulla spalla e con quegli
shorts striminziti che continuano a infilarsi tra le chiappe. Non ho più un filo
di trucco, dato che la pioggia me l’ha
lavato via tutto. Tengo gli occhi fissi sul
pavimento bianco e lucido mentre percorriamo il negozio ed evito di incrociare lo sguardo degli altri clienti.
Per prima cosa ci dirigiamo al reparto donna e prendo un paio di cose
semplici: altre due paia di pantaloncini
di cotone, corti, sì, ma non tanto da
scomparire come quelli che indosso, e
un paio di magliette molto carine con
scollo a V e disegni stilizzati e allegri.
Resisto al desiderio di dare un’occhiata
al reparto biancheria intima. Credo che
per il momento me la caverò con quello
che ho.
420/915
Poi seguo Andrew verso la parafarmacia in cui si trovano le vitamine, i
medicinali contro il raffreddore, il dentifricio eccetera.
Andiamo direttamente all’espositore
con i rasoi e la schiuma da barba.
«Non mi rado da una settimana» constata lui strofinandosi la barba corta e
ispida che gli è cresciuta sul viso negli
ultimi giorni.
Io la trovo molto sexy, ma con o
senza barba Andrew è sexy comunque,
quindi non dico nulla. E comunque,
perché dovrei?
Afferro anch’io un pacco di rasoi e un
barattolo dorato di schiuma Olay.
Nell’espositore a fianco prendo un piccolo flacone di collutorio, perché non
ne ho mai abbastanza. Mi sistemo la
borsa sull’altra spalla mentre comincio
a caricarmi un braccio con i vari
421/915
prodotti. Proseguiamo e prendo shampoo e balsamo dallo scaffale, cercando
di tenere tutto tra le braccia, ma
Andrew viene in mio soccorso e mi
aiuta a portare qualcosa. Prende anche
lui un flacone di collutorio.
Raggiungiamo il reparto medicine e
vediamo una coppia di mezz’età intenta
a leggere le etichette degli sciroppi per
la tosse.
Andrew mi si avvicina. «Piccola, hai
trovato quella pomata per la candida?»
mi chiede con nonchalance, senza abbassare la voce.
Spalanco gli occhi e rimango
raggelata davanti agli antidolorifici. Lui
prende una scatoletta di antinfiammatorio dallo scaffale.
La coppia finge di non aver sentito
quello che ha detto, ma Andrew sa benissimo che non è così.
422/915
«Voglio dire, hai capito cos’è che ti
provoca tutto quel prurito?» continua, e
io letteralmente mi sciolgo, la faccia
paonazza.
La coppia questa volta ci lancia
un’occhiata di soppiatto.
Andrew sta sghignazzando come un
idiota guardandomi con la coda dell’occhio mentre finge di leggere le
etichette.
Vorrei dargli uno schiaffo, ma invece
decido di stare al gioco. «Sì, piccolo,
l’ho capito» dico con il suo stesso tono.
«E tu? Hai visto se hanno profilattici
taglia extra-small?»
La donna gira la testa e lo squadra
dalla testa ai piedi; poi mi lancia un’occhiata prima di ricominciare a leggere
le etichette.
Andrew non è affatto stupito, e in un
certo senso ero sicura che avrebbe
423/915
reagito così. Si limita a sorridermi, godendosi ogni secondo di quella messa
in scena. «Sono taglia unica» ribatte.
«Te l’ho detto che poi aderiscono
meglio, quando riesci a farmelo diventare duro.»
Prorompo in una specie di sputo seguito da una risata.
La coppia si allontana dallo scaffale.
«Sei davvero uno stronzo» sibilo,
senza smettere di ridere. Il barattolo di
schiuma mi scivola di mano e cade a
terra con un rumore metallico. Mi
chino per raccoglierlo.
«Nemmeno tu sei proprio una
santarellina.»
Andrew afferra un barattolo di pomata antibiotica e lo stringe insieme
all’antinfiammatorio.
Ci
dirigiamo
verso le casse. Lui lancia sul nastro
scorrevole due confezioni di carne di
424/915
manzo essiccata e un pacchetto di
mentine. Io aggiungo una bottiglia
formato famiglia di disinfettante per le
mani, un tubetto di burro cacao e una
confezione di carne essiccata per me.
«Stai prendendo coraggio, eh?»
scherza lui commentando la mia scelta.
Gli sorrido e appoggio il separatore
di plastica grigia tra la sua roba e la
mia. «Niente affatto» ribatto. «Adoro la
carne essiccata. La mangerei anche se
contenesse sostanze radioattive.»
Andrew si limita a sorridere, ma poi
cerca di dire alla cassiera che la mia
roba e la sua sono “insieme” mentre
prende la carta di credito dal
portafoglio.
«No, questa volta no» protesto e
metto il braccio sul nastro accanto al
separatore. Guardo dritto negli occhi la
cassiera e scuoto la testa, intimandole
425/915
di non mischiare le mie cose con le sue.
«Io pago per me.» Lo sguardo della cassiera saetta da me a Andrew per un attimo, come se aspettasse una sua
replica.
Quando lui fa per ribattere alzo il
mento ed esclamo: «Io pago la mia
roba, punto e basta. Fattene una
ragione».
Andrew alza gli occhi e cede, passando la carta di credito alla cassiera.
Quando torniamo alla macchina apre
una delle confezioni di carne essiccata e
si infila una lunga striscia in bocca.
«Sei sicuro di non volere che guidi un
po’ io?» gli chiedo.
Scuote la testa mentre mastica vigorosamente il coriaceo pezzo di carne.
«Ora cerchiamo un altro motel per la
notte.»
426/915
Deglutisce e si infila in bocca l’ultima
striscia di carne, poi mette in moto e
partiamo.
Dopo qualche chilometro avvistiamo
un motel, prendiamo le nostre cose e le
portiamo nelle due stanze matrimoniali
affiancate. La mia stanza ha la moquette a scacchi verdi, tende pesanti di
un verde più scuro e un copriletto
verde a fiori, tutto coordinato. Accendo
immediatamente la televisione, solo per
dare un po’ di luce e di vita a quell’atmosfera tetra.
Andrew ha di nuovo pagato le stanze,
usando come scusa il fatto che io avevo
“avuto la meglio” al Walmart.
Proprio come l’altra volta ispeziona
la stanza; dopodiché si lascia cadere
sulla poltrona reclinabile accanto alla
finestra.
427/915
Io appoggio le mie cose a terra, tolgo
il copriletto e lo scaglio in un angolo
accanto al muro.
«C’era qualcosa sopra?» mi chiede,
appoggiandosi sullo schienale della poltrona con le gambe tese davanti a sé.
Sembra esausto.
«No, è solo che i copriletti mi
spaventano.» Mi appoggio al bordo del
letto e lancio via le infradito; poi mi
siedo sul materasso a gambe incrociate.
Metto le mani in grembo perché ho
ancora addosso gli shorts bianchi e mi
sento un po’ troppo esposta davanti a
lui con le ginocchia divaricate in quel
modo.
«L’hai detto tu: dal momento che non
sai dove stai andando…» mormora
Andrew.
Alzo lo sguardo e mi ci vuole un po’
per capire a cosa si riferisce: a quando
428/915
in macchina gli avevo spiegato il
motivo per cui non avevo portato altri
vestiti. Lui intreccia le dita sullo
stomaco.
Ci impiego un attimo a ribattere,
anche se la mia risposta è piuttosto
vaga: «Già, non ne avevo idea».
Andrew solleva la schiena dalla poltrona e si piega in avanti con le braccia
appoggiate sulle cosce e le mani a penzoloni tra le ginocchia. Inclina la testa
da un lato e mi fissa. So che sta per
iniziare una di quelle conversazioni in
cui non posso prevedere se svicolerò le
sue domande. Dipende da quanto sarà
bravo a strapparmi una risposta.
«Non sono esperto in queste cose»
comincia, «ma non ti ci vedo a prendere un autobus da sola, praticamente
senza bagagli e senza avere la minima
idea di dove andare, solo perché la tua
429/915
migliore amica ti ha pugnalata alle
spalle.»
Ha ragione. Non me ne sono andata
per Natalie e Damon; loro erano solo
uno dei tanti motivi.
«No, infatti non sono partita a causa
sua.»
«E allora perché?»
Non mi va di parlarne; almeno, non
credo che mi vada. Una parte di me ha
la sensazione che potrei dirgli tutto, e
in un certo senso lo vorrei, ma un’altra
parte mi sta dicendo di andarci piano.
Non ho dimenticato che i suoi problemi
sono molto più gravi dei miei e mi sentirei stupida, immatura ed egoista se
gliene parlassi.
Guardo la televisione anziché lui, fingendo interesse.
430/915
Andrew si alza. «Dev’essere stato
qualcosa di piuttosto grave» prosegue
avvicinandosi. «Per questo vorrei che
me lo raccontassi.»
Piuttosto grave? Oh, fantastico, ha
solo peggiorato le cose. Se gliel’avessi
detto prima, almeno non si sarebbe immaginato chissà cosa. Adesso che so
cosa si aspetta, ho come la sensazione
di dovermi inventare qualcosa. E non lo
faccio, naturalmente.
Sento sobbalzare il letto quando si
siede accanto a me. Non riesco ancora a
guardarlo; tengo gli occhi fissi sulla
televisione. Ho lo stomaco attanagliato
dal senso di colpa e provo uno strano
formicolio all’idea che mi sia così vicino. Ma è il senso di colpa ad avere la
meglio.
«Ti ho lasciata in pace e non ho insistito per tutto questo tempo» continua
431/915
lui. Appoggia di nuovo i gomiti sulle
cosce e si siede com’era seduto sulla
poltrona, con le mani giunte tra le
gambe. «Dovrai dirmelo prima o poi.»
Lo guardo. «Non è niente in confronto a quello che stai passando tu»
rispondo. Poi rimango in silenzio e mi
volto di nuovo verso la tv.
Per favore, smettila di insistere,
Andrew. Non sai quanto vorrei dirtelo,
perché sono certa che tu sapresti dare un
senso a ogni cosa, che potresti risolvere
tutto… Oh, cosa sto dicendo? Ti prego,
smettila di insistere…
«Fai confronti?» chiede, solleticando
la mia curiosità. «Cioè pensi che siccome mio padre sta morendo, allora
tutto quello che ti ha spinta a partire
all’improvviso passa in secondo piano?»
Lo dice come se anche solo il pensiero
fosse assurdo.
432/915
«Già» rispondo. «È proprio così.»
Andrew aggrotta le sopracciglia e
lancia un’occhiata alla televisione
prima di voltarsi di nuovo verso di me.
«Be’, è un’enorme stronzata» constata
senza mezzi termini.
Io scatto all’indietro.
Poi prosegue: «Sai una cosa? Ho
sempre odiato l’espressione “Pensa a
chi sta peggio di te”. Certo, lo so che è
giusto vedere le cose anche dal punto
di vista degli altri: non sono mica stupido, no? Però non è una gara, cazzo.
Hai capito?».
Me lo sta chiedendo perché vuole
sapere come la penso, o era il suo modo
di dirmi come stanno le cose sperando
che io lo capisca?
Mi limito ad annuire.
433/915
«Il dolore è dolore, piccola.» Ogni
volta che mi chiama “piccola” sento un
tuffo al cuore. «Solo perché i problemi
di una persona sembrano meno gravi di
quelli di un’altra non significa che facciano meno male.»
In effetti è una buona argomentazione, ma continuo a sentirmi
un’egoista.
Mi tocca il polso e abbasso lo
sguardo. Osservo le sue dita forti che
sfiorano il dorso della mia mano.
Voglio baciarlo: l’urgenza che sentivo
dentro è risalita dal profondo fino alla
superficie… Però deglutisco e la ricaccio nella buca del mio stomaco, che
negli ultimi minuti non smette di agitarsi. Allontano la mano dalla sua e mi
alzo dal letto.
434/915
«Camryn, ascoltami, non volevo dire
niente con questo. Stavo solo cercando
di…»
«Lo so» sussurro, poi incrocio le braccia e gli volto la schiena. È decisamente
uno di quei momenti “non sei tu, sono
io”, ma morirei piuttosto che dirgli una
cosa del genere.
Sento che si è alzato, perciò mi volto
con cautela e lo vedo afferrare la sua
sacca e la chitarra appoggiata al muro.
Si dirige verso la porta. Vorrei fermarlo, ma non ci riesco.
«Ti lascio riposare un po’» mi dice
con dolcezza.
Annuisco ma non rispondo, perché
temo che se apro bocca i miei sentimenti prenderanno il sopravvento e
non farò altro che cacciarmi in guai
ancora peggiori. Tutta questa situazione
con Andrew si sta facendo più
435/915
pericolosa e assurda ogni giorno che
passiamo insieme.
19
Mi odio per avergli permesso di uscire
da quella porta, ma non avevo altra
scelta. Non posso fare una cosa del
genere. Non posso permettermi di infilarmi nel mondo di Andrew Parrish,
anche se il cuore e la mente mi stanno
chiedendo di farlo. Non è solo la paura
di essere ferita di nuovo; tutti passano
per quella fase e forse io non ne sono
ancora uscita del tutto, ma sto per
riuscirci.
Non conosco me stessa. Non so cosa
voglio o come mi sento o come dovrei
sentirmi e penso di non averlo mai
437/915
saputo. Sarei una stronza egoista se permettessi a Andrew di entrare nella mia
vita. Che succede se si innamora o se
mi chiede qualcosa che non posso dargli? Che succede se aggiungo il dolore di
un cuore infranto a quello per la morte
di suo padre? Non voglio fargli del
male e sentirmi in colpa per il resto dei
miei giorni.
Mi volto di scatto e guardo di nuovo
la porta, ricordando la sua espressione
un attimo prima che uscisse. Forse
questo non è nemmeno un problema.
Come sono presuntuosa a pensare che
lui possa innamorarsi di me! Forse
vuole solo essere un amico di letto, o
magari cerca un’avventura.
La mia mente sta naufragando in un
caotico nugolo di pensieri, nessuno dei
quali mi sembra buono… anche se tutti
sono plausibili, in realtà. Vado davanti
438/915
allo specchio e fisso la mia immagine
riflessa. Guardo negli occhi una ragazza
che ho la sensazione di avere già visto,
ma che non ho mai conosciuto davvero.
Mi sento staccata da me stessa, da
tutto.
Vaffanculo!
Digrigno i denti e colpisco con le
mani aperte il supporto della televisione. Poi prendo un paio di shorts di
cotone neri, nuovi, la mia nuova
maglietta bianca con la scritta je t’aime
in corsivo avvolta intorno alla Tour Eiffel e vado a fare la doccia. Resto sotto il
getto per secoli, non perché mi senta
sporca, ma perché mi sento una merda.
Non posso fare a meno di pensare a
Andrew. E a Ian. E al motivo per cui
all’improvviso mi sento così strana, attanagliata dal bisogno di pensare a tutti
e due contemporaneamente.
439/915
Quando l’acqua bollente minaccia di
cuocermi esco dalla doccia e mi asciugo, strizzando i capelli con l’asciugamano. Accendo il phon nuda davanti allo specchio e poi torno nella
stanza per vestirmi, perché ho dimenticato di prendere un paio di
mutandine pulite. Infine mi pettino alla
meglio i capelli ancora umidi e lascio
che finiscano di asciugarsi all’aria, ravviandoli dietro le orecchie in modo che
non mi ricadano sul viso.
Sento di nuovo Andrew suonare la
chitarra nell’altra stanza. Dalla televisione esce un chiacchiericcio che mi dà
sui nervi, perciò corro a spegnerla in
modo da poter ascoltare meglio
Andrew.
Rimango immobile per qualche
secondo, assorbendo le note che filtrano attraverso il muro e che mi
440/915
colpiscono le orecchie facendomi male.
Non è una canzone triste, ma per qualche motivo mi provoca una sensazione
di dolore.
Infine afferro la chiave della stanza,
infilo i piedi nelle infradito ed esco.
Mi inumidisco nervosamente le labbra secche e prendo un respiro profondo, deglutisco e alzo la mano per
bussare alla sua porta.
Il suono della chitarra si interrompe
di colpo e pochi istanti dopo la porta si
apre.
Anche lui si è fatto la doccia. I suoi
capelli castani sono ancora bagnati e
qualche ciocca spettinata gli ricade
sulla fronte. Mi guarda stupito. È a
petto nudo e indossa solo un paio di
pantaloni neri con le tasche. Cerco di
non fissare i suoi addominali tesi e abbronzati né le vene che gli risalgono le
441/915
braccia e che appaiono più pronunciate
ora che il resto della sua pelle è così
ben in vista.
Oh mio Dio… Forse dovrei tornare
nella mia stanza e…
No: sono venuta qui per parlargli e lo
farò.
Per la prima volta vedo il tatuaggio
sul suo fianco sinistro e vorrei chiedergli cosa rappresenta, ma me lo tengo
come argomento di riserva.
Lui mi sorride dolcemente.
«È cominciato tutto un anno e mezzo
fa» inizio senza preamboli. «Una settimana prima del diploma. Il mio ragazzo è
rimasto ucciso in un incidente d’auto.»
Smette di sorridere e socchiude gli
occhi in un’espressione partecipe e solidale. Mi fa capire che sta male per me,
ma senza sembrare falso o esagerato.
442/915
Apre del tutto la porta e io entro.
Prima ancora che mi sieda sul bordo
del letto si affretta a mettersi una
maglietta. Forse non vuole darmi la
sensazione di volermi distrarre o di flirtare, soprattutto dal momento che sono
venuta qui per dirgli una cosa molto,
molto dolorosa. Lo rispetto ancora di
più per questo. Quel piccolo gesto
all’apparenza insignificante la dice
lunga su di lui, e anche se è un peccato
nascondere quel corpo, per me va bene.
Non è per questo che sono venuta qui.
Almeno credo…
C’è una genuina tristezza nei suoi occhi verdi, mista a un atteggiamento riflessivo. Spegne la televisione e si siede
accanto a me nella stessa posizione in
cui si è seduto poco fa sul mio letto e
mi fissa, aspettando paziente che vada
avanti.
443/915
«Ci siamo innamorati quando avevamo sedici anni» comincio, guardando
fisso davanti a me. «Ma mi ha aspettata
per due anni. Due anni!» e lo guardo
per sottolineare il concetto. «Ha aspettato due anni prima che facessi
l’amore con lui. Non conosco nessun
teenager che resisterebbe così tanto pur
di avere accesso alle mutandine di una
ragazza.»
Andrew fa un cenno col capo per
dirmi che ho ragione.
«Ho avuto un paio di storie senza importanza prima di Ian, ma loro erano
così…» alzo lo sguardo alla ricerca del
termine giusto. «… banali. Per dirti la
verità, ho cominciato a conoscere
parecchia gente banale da quando
avevo dodici anni.»
Andrew sembra pensieroso.
444/915
«Ma Ian era diverso. La prima cosa
che mi ha detto dopo che ci siamo conosciuti e abbiamo fatto la nostra prima
vera conversazione è stata: “Mi chiedo
se l’oceano abbia un profumo diverso
dall’altra parte del mondo”. All’inizio io
ho riso perché mi sembrava una cosa
molto bizzarra da dire a una ragazza,
ma poi ho capito che quella semplice
frase lo rendeva diverso da chiunque
avessi conosciuto prima di lui. Ian era
un ragazzo che stava dall’altra parte del
vetro a guardare tutti noi che ci trascinavamo avanti e indietro, facendo le
stesse cose ogni giorno, percorrendo le
stesse strade, come formiche in un
formicaio. Insomma, ho sempre saputo
di volere di più dalla vita, di volere
qualcosa di diverso, ma solo quando ho
incontrato Ian queste idee hanno
cominciato a prendere davvero forma.»
445/915
Andrew sorride dolcemente. «Solida e
matura prima dei vent’anni. È piuttosto
insolito» commenta.
«Già. Immagino di sì» rispondo sorridendogli a mia volta. Poi mi sfugge
una piccola risata. «Non hai idea di
quante volte Damon e Natalie o persino
mia madre e mio fratello Cole mi abbiano presa in giro dicendo che sono una
persona “profonda”.» Faccio il gesto
delle
virgolette
quando
dico
“profonda”, alzando gli occhi al cielo.
«Essere profondi è una bella cosa»
ribatte lui, e io abbasso lo sguardo perché percepisco l’attrazione tra noi,
anche se lui la sta tenendo a bada
molto bene per non rovinare questo
momento. Ma poi il suo sorriso svanisce
e la sua voce si abbassa leggermente.
«Perciò quando hai perso Ian hai perso
il tuo complice.»
446/915
Anche il mio sorriso si spegne. Appoggio le mani sul bordo del letto e mi
stringo nelle spalle. «Esatto. Dopo il
diploma volevamo fare il giro del
mondo zaino in spalla, o magari anche
solo andare in Europa. Eravamo determinati. Ci tenevamo così tanto.»
Adesso guardo Andrew dritto negli occhi. «Sapevamo di non voler frequentare il college e finire a fare lo stesso lavoro per tutta la vita. Volevamo lavorare dovunque, provare qualsiasi cosa
durante il nostro viaggio!»
Andrew scoppia a ridere. «È un’idea
davvero fantastica» esclama. «Una settimana lavori come cameriera in un bar e
metti da parte le mance e la settimana
dopo, in un’altra città o chissà dove, fai
la danzatrice del ventre all’angolo di
una strada e i turisti ti lanciano le monetine in un barattolo!»
447/915
Le mie spalle curve sobbalzano un
paio di volte per le risate e arrossisco.
Lo guardo. «La cameriera va bene, ma
la danzatrice del ventre?» Scuoto la
testa. «Non fa per me.»
Andrew sorride e replica: «Ah, invece
credo che te la caveresti alla grande».
Guardo davanti a me in attesa che il
rossore sul mio viso svanisca. «Sei mesi
dopo la morte di Ian» proseguo, «mio
fratello Cole ha ucciso un uomo guidando ubriaco e adesso è in prigione. E
come se non bastasse, dopo tutto questo
mio padre ha tradito mia madre e hanno divorziato. Il mio nuovo ragazzo,
Christian, ha tradito me. E poi, ovviamente, sai già quello che è successo con
Natalie.»
Ecco fatto. Gli ho raccontato tuti gli
avvenimenti che, incatenati l’uno all’altro, mi hanno spinta ad andarmene. Ma
448/915
non riesco a guardarlo perché ho la
sensazione che non dovrei aver già finito, come se lui stesse pensando tra sé:
«Okay, ora continua».
«È parecchia merda da sopportare
per una sola persona» commenta. Si sistema sul letto accanto a me e lo
osservo. Sento il profumo alla menta
del suo respiro adesso che si è voltato
completamente verso di me. «Hai tutto
il diritto di essere ferita, Camryn.»
Non dico niente, ma lo ringrazio con
uno sguardo.
«Adesso posso capire perché non è
stato difficile convincerti a partire insieme a me» aggiunge.
La sua espressione è indecifrabile.
Spero che non pensi che lo sto usando
per sperimentare con lui quella parte
della mia vita che avevo progettato insieme a Ian. La situazione sembra
449/915
simile anche a me adesso che ci penso,
ma non potrebbe essere più lontana dal
motivo per cui ho deciso di partire con
Andrew. Adesso sono qui con lui perché
voglio farlo.
D’un tratto comprendo che ho
pensato molto a Ian e Andrew perché
sto cercando di ritrovare Ian in
Andrew… E credo che sia sbagliato…
Forse sto cercando di rimpiazzarlo del
tutto? Mi alzo dal letto e scaccio quei
pensieri dalla mente.
«Allora, cos’hai intenzione di fare
dopo?» mi chiede Andrew. «Quando
questo viaggio sarà finito, cosa vorrai
fare della tua vita?»
Il cuore mi si indurisce nel petto.
Nemmeno una volta durante questo
viaggio con Andrew, e neanche prima
di conoscerlo dopo essere partita dal
North Carolina, ho pensato più in là del
450/915
presente. Non mi sono dovuta sforzare
per non pensare a cosa mi aspetta; semplicemente, non ci ho pensato affatto.
La sua domanda è come una doccia
fredda e ora sento il panico scatenarsi
dentro di me. Non ho mai voluto affrontare quella parte di realtà; ero contenta nella mia illusione.
Mi volto, le braccia incrociate sul
petto. I bellissimi occhi di Andrew mi
stanno guardando con straordinaria
intensità.
«Io… non lo so, davvero.»
Mi fissa piuttosto sorpreso, poi il suo
sguardo diventa più assorto e sembra
smarrirsi.
«Puoi sempre andare al college» mormora. Immagino che voglia propormi
delle alternative per aiutarmi a sentirmi
meglio. «E non significa che dopo devi
per forza trovarti un lavoro e tenertelo
451/915
finché non muori. Accidenti, puoi
sempre andare a zonzo per l’Europa, se
vuoi.»
Si alza anche lui. Intuisco che nella
sua testa si stanno agitando mille pensieri mentre cammina avanti e indietro
sulla moquette verde.
«Sei fantastica» esordisce, e il cuore
mi balza in petto. «Sei molto intelligente ed è chiaro che sei più determinata della maggior parte delle ragazze.
Sono certo che potresti fare praticamente quello che vuoi. Oh, merda, so
che sembra un luogo comune, ma nel
tuo caso non potrei essere più sincero.»
Alzo le spalle. «Forse è vero»
rispondo. «Ma non ho la minima idea di
quello che voglio fare. So solo che non
voglio tornare a casa e pensarci. Credo
di avere paura che se torno rimarrò
sommersa dalla stessa merda da cui
452/915
sono scappata quando sono salita
sull’autobus quel giorno.»
«Dimmi una cosa» sbotta Andrew
d’un tratto. Lo fisso. «Perché l’idea di
essere come tutti gli altri ti irrita così
tanto?»
Mi irrita?
Ci penso su per un attimo, gli occhi
fissi sulla lampada di ottone appesa al
muro dietro il letto. «Non… non ne
sono sicura.»
Andrew torna verso di me e mi appoggia due dita sull’incavo del gomito
per spingermi a sedermi di nuovo sul
letto accanto a lui. Io mi lascio cadere.
«Pensaci e basta» continua. «Sulla
base di quello che mi hai detto, qual è
la differenza tra te e loro?»
Odio che mi ci voglia così tanto per
decidere una cosa sulla quale lui
453/915
sembra avere già un’idea precisa. Fisso
le mani che tengo abbandonate in
grembo e rifletto a lungo, concentrata,
finché non trovo l’unica risposta che
potrebbe essere giusta… anche se non
ne sono del tutto sicura. «Aspettative?»
«È una domanda o è la tua risposta?»
Mi arrendo. «Non lo so, davvero…
Voglio dire, mi sento… limitata accanto
agli altri, a eccezione di Ian,
ovviamente.»
Andrew annuisce e ascolta, lasciandomi riflettere senza interruzioni
mentre la risposta prende forma nel
mio cervello.
E poi la frase esce fuori dal nulla:
«Nessuno vuole fare le cose che voglio
fare io» esclamo. La mia spiegazione
comincia a chiarirsi meglio adesso che
mi sento più convinta della risposta. «E
cioè vivere in libertà e non prendere
454/915
per forza la strada più battuta, capisci?
Nessuno vuole lasciare il suo mondo
per imboccare una strada nuova, solo
perché non è quello che fa la maggior
parte della gente. Avevo paura di dire
ai miei genitori che non volevo andare
al college, perché era quello che loro si
aspettavano da me. Ho accettato un lavoro in un grande magazzino perché
mia madre si aspettava che facessi una
cosa del genere. Ogni sabato la accompagnavo a far visita a mio fratello in
prigione perché lei si aspettava che ci
andassi, dato che lui è mio fratello e
dovrei volerlo vedere, anche se non era
affatto così. Natalie cercava continuamente di farmi uscire con dei ragazzi
perché ritiene anormale essere single.
Credo di aver avuto paura di essere me
stessa per gran parte della mia vita.»
455/915
Giro la testa per guardarlo. «In un
certo senso, è andata così anche con
Ian.»
Distolgo subito lo sguardo, perché
non mi aspettavo di dire ad alta voce
queste ultime parole. Mi sono uscite
fuori da sole tutto d’un tratto mentre il
pensiero si concretizzava nella mia
mente.
Andrew ha l’aria incuriosita, ma allo
stesso tempo sembra indeciso se continuare a insistere o meno.
E io non so se devo proseguire oppure no.
Annuisce.
A quanto pare decide che non sta a
lui approfondire questo punto in particolare. Si mordicchia l’interno della
guancia. Io lo osservo per qualche
secondo, sto tentando con tutte le mie
forze di reprimere l’evidente attrazione
456/915
che sento per lui, ma è sempre più difficile. Lancio un’occhiata alle sue labbra
e mi chiedo che sapore abbiano. Ma mi
costringo a distogliere lo sguardo… Lo
sto facendo di nuovo. Proprio adesso.
Ho paura di dirgli quello che voglio. O
almeno quello che penso di volere.
«Andrew» comincio, e lui trasale leggermente nel sentirmi pronunciare il
suo nome.
Pensaci bene, Cam, mi dico. Sei sicura
che sia questo che vuoi?
«Che c’è?» mi chiede.
«Hai mai avuto un’avventura di una
notte?» Ho la sensazione di essermi lasciata sfuggire davanti a un microfono in
una sala piena di gente il segreto più
grande che abbia mai custodito. Ma
ormai l’ho detto. Non sono ancora del
tutto certa che sia proprio quello che
voglio, ma è un pensiero che mi frulla
457/915
in testa da un bel po’. Ricordo di averci
vagamente pensato già quando ero
sopra quel tetto con Blake.
Il viso di Andrew diventa di pietra e
sembra che non riesca a formulare una
risposta. Il mio cuore si ghiaccia
all’istante e vengo sopraffatta dalla
nausea. Sapevo che non avrei dovuto
dirlo! Ora penserà che sono una troietta
o roba simile.
Balzo su dal letto. «Mi dispiace! Oh,
Dio, penserai che sono una…»
Andrew si allunga verso di me e mi
afferra il polso. «Siediti.»
Lo faccio controvoglia, ma non riesco
a guardarlo. Sono mortificata, vorrei
sotterrarmi in questo istante.
«Qual è il problema?» mi chiede.
«Cosa?» Lo guardo.
458/915
«Lo stai facendo proprio adesso.»
Agita una mano per sottolineare il
“proprio adesso”. Ha le sopracciglia
aggrottate.
«Sto facendo cosa?»
Andrew si passa la lingua sulle labbra, sospira come se fosse irritato e alla
fine esclama: «Camryn, hai cominciato
a dirmi qualcosa che forse hai preso in
considerazione un paio di volte in vita
tua, e proprio quando hai avuto il coraggio di parlare chiaro, hai fatto subito
marcia indietro e te ne sei pentita». Mi
guarda intensamente negli occhi; i suoi
sono profondi e pieni di consapevolezza
e di qualcos’altro che non riesco a
definire. «Ripetimi la domanda e questa
volta aspetta che ti risponda.»
Resto in silenzio, cercando di interpretare l’espressione tesa del suo viso,
ma senza riuscirci fino in fondo. O forse
459/915
sono io che sono troppo insicura di me
stessa.
Deglutisco a fatica. Poi prendo coraggio: «Hai mai avuto un’avventura di
una notte?».
Rimane impassibile e non abbassa lo
sguardo. «Sì, mi è capitato diverse
volte.»
Adesso aspetta che sia io a rispondere, ma temo che non sarò in grado di
affrontare con sufficiente disinvoltura
la strana piega che sta prendendo
questa conversazione. È come se lui
sapesse che dentro di me c’è una specie
di tempesta, ma per darmi una lezione
vuole che sia io a parlare invece di
farmi da strizzacervelli (come peraltro
ha fatto da quando ho messo piede
nella sua stanza).
Inarca leggermente le sopracciglia,
come per dire: “Allora?”.
460/915
«Be’, ero solo curiosa… perché io non
ho mai fatto una cosa del genere.»
«E perché no?» mi domanda con tutta
la naturalezza del mondo.
Abbasso lo sguardo e poi lo alzo di
nuovo verso di lui prima che mi rimproveri. «Be’, perché lo trovo un po’ da
puttanelle, ecco.»
Andrew scoppia a ridere e la cosa mi
sorprende. Alla fine, mi libera in qualche modo da quella tortura. «Se una
ragazza lo facesse molto spesso» e sottolinea la parola con una smorfia disgustata, «allora sarebbe una puttanella,
ti do ragione. Ma farlo una volta ogni
tanto, non so…» fa una piccola pausa
come ci stesse pensando su, indeciso.
«Be’, credo che non ci sia niente di
male, no?»
E allora perché non sta approfittando
di questa situazione? Inizio a irritarmi e
461/915
mi chiedo perché continui ad atteggiarsi a strizzacervelli invece di cominciare a flirtare.
«Va bene, quindi…»
Non riesco a dirlo. Non sono abituata
a parlare liberamente della mia vita
sessuale. Riesco a farlo solo con
Natalie, e nemmeno con lei sono del
tutto sincera.
Andrew sospira e incurva le spalle.
«Vuoi venire a letto con me? Vuoi fare
una botta e via con me?» Sa benissimo
che io non avrei mai avuto il coraggio
di chiederlo, perciò cede e lo fa al posto
mio.
La domanda, anche se è ovvia per entrambi, mi toglie il fiato. Il fatto che sia
lui a porla mi imbarazza e mi umilia
quanto o forse più che se gliel’avessi
chiesto io.
«Forse sì…»
462/915
Andrew si alza in piedi e mi guarda.
«Mi dispiace, ma non mi va di fare una
cosa simile con te» risponde.
È come se mi avesse dato un pugno
violentissimo nello stomaco. Le mie
mani si irrigidiscono, stringo forte il
bordo del materasso e sento che le
braccia mi si paralizzano fino alle
spalle. In questo momento desidero
solo correre fuori dalla porta, chiudermi a chiave nella mia stanza e non
rivedere Andrew mai più. Non perché
non voglia vederlo, ma perché non
voglio che lui veda me.
Non sono mai stata così imbarazzata
in vita mia. Ecco a cosa mi è servito essere sincera!
Non so se accettare tutto questo
come una lezione o se odiarlo per
avermi messa in questa situazione.
20
Un istante dopo salto giù dal letto e mi
lancio verso la porta.
«Camryn, fermati.»
Continuo a camminare, persino più
veloce quando mi accorgo che Andrew
mi sta seguendo. Afferro la maniglia,
spalanco il battente e fuggo in
corridoio.
«Ehi, aspetta un secondo, per
favore!» grida mentre mi segue. Sento
che il suo tono si fa sempre più irritato.
Lo ignoro e affondo la mano nella
piccola tasca posteriore dei miei shorts,
464/915
prendo la chiave e la infilo nella toppa.
Scivolo dentro e faccio per chiudere la
porta, ma Andrew mi ha già raggiunta.
La porta si chiude di colpo alle sue
spalle.
«Perché non mi ascolti, una volta
tanto?» ripete ancora, esasperato.
Non voglio guardarlo, ma lo faccio
comunque. Quando finalmente mi volto
vedo i suoi occhi spalancati, fieri e
sinceri.
Si avvicina e mi afferra per le spalle
senza stringere troppo. Poi si china e
appoggia dolcemente le labbra sulle
mie. Io mi sento svenire, ma sono
ancora troppo confusa per reagire come
vorrei. Sono agitata e sbalordita e il
cuore mi sta battendo a mille.
Lui si stacca e mi guarda negli occhi.
Sembra davvero sincero e piega la testa
di lato… sorridendo.
465/915
«Che c’è di così divertente?» gli
chiedo in tono brusco mentre tento di
divincolarmi.
Lui mi tiene per le braccia e cerca il
mio sguardo umiliato, in cui sta cominciando
ad
affiorare
anche
del
risentimento.
«Ho detto che non farei mai una cosa
del genere con te, Camryn, perché…»
Smette di parlare e cerca il mio viso, mi
guarda le labbra a lungo come se stesse
decidendo se baciarle di nuovo oppure
no. «… perché non sei il tipo di ragazza
con cui potrei andare a letto una sola
volta.»
Le sue parole dissipano all’istante
tutti i miei dubbi e sento il cuore battermi all’impazzata tra le costole. Non
sono sicura di aver capito bene, ma invece di sforzarmi per comprenderne
esattamente il significato cerco di
466/915
riprendermi il più possibile, di
riguadagnare la compostezza che ho
perso quando sono uscita di corsa dalla
sua stanza.
«Ascolta» prosegue mettendosi al mio
fianco e facendomi scivolare una mano
intorno
alla
vita.
La
semplice
sensazione delle sue dita che mi sfiorano la pelle mi provoca brividi in tutto
il corpo. Cosa diavolo mi sta succedendo? Lo voglio davvero… Accidenti, in questo momento sento che
non posso più tornare indietro, che
sarei disposta a comportarmi da puttanella anche solo per questa notte pur di
farlo restare qui nella mia stanza. Eppure non capisco perché da lui non
voglio soltanto sesso, ma qualcosa di
più.
«Camryn?» La sua voce mi riporta a
quello che stava cercando di dirmi un
467/915
attimo fa. Mi fa sedere sul letto e si accovaccia davanti a me sul pavimento.
Mi guarda dritto negli occhi. «Non sarà
una botta e via. Voglio farti godere, se
me lo permetti.»
Una scarica di elettricità si scatena
nella mia pancia e mi scoppia tra la
gambe.
«C-cosa…?» Non riesco a dire nient’altro.
Lui fa un leggero sorriso e le sue fossette compaiono appena. Appoggia il
braccio sulla mia coscia nuda, le mani
strette sui miei fianchi.
«Senza legami» continua. «Ti farò
avere un orgasmo e domattina, quando
ti sveglierai, io sarò nella stanza accanto, pronto a partire con te per la
prossima tappa del nostro viaggio. Non
cambierà niente tra noi: ti prometto che
non parlerò più di questa notte
468/915
scherzandoci su o cose del genere. Sarà
come se non fosse mai successo.»
Non riesco nemmeno a respirare. Il
punto più sensibile tra le mie gambe si
sta gonfiando solo a sentire quelle parole così esplicite.
«Ma… e tu?» riesco a mormorare.
«In che senso?» Mi stringe i fianchi
un po’ più forte. Io faccio finta di non
accorgermene.
«Non mi sembra… giusto.»
Non so nemmeno cosa sto dicendo.
Sono ancora sotto shock, non posso credere che stia succedendo davvero.
Andrew si limita a sorridermi, per
nulla colpito dalla mia osservazione.
Poi all’improvviso si rialza e si infila tra
le mie gambe. Io mi sposto leggermente
all’indietro sul letto. Lui si siede davanti a me e mi trascina sul suo grembo
469/915
con le gambe divaricate. Ho gli occhi
spalancati e mi sto tormentando il labbro inferiore. È talmente disinvolto che
basta questo gesto inaspettato a farmi
bagnare.
Mi appoggia le mani dietro la schiena
e si china su di me, sfiorandomi il
mento con le labbra. Ho i brividi dalle
radici dei capelli alle punte dei piedi.
Mi stringe ancora più forte al suo corpo
e mi sussurra vicino alla bocca: «È
giusto così. Voglio farti godere. E fidati:
sono certo che avrò anch’io la mia
parte». Percepisco dal suo tono che sta
sorridendo. Lo guardo negli occhi e non
riesco a resistere. Se adesso mi
chiedesse di voltarmi e di mettermi a
quattro zampe per lui lo farei senza
pensarci un secondo.
«E allora perché non ti fermi a
dormire con me?» gli chiedo sottovoce,
470/915
ma poi riformulo la domanda: «Voglio
dire, se tu volessi… farmi qualcos’altro».
Andrew allontana il viso dal mio e mi
mette tre dita sulle labbra per farmi
tacere.
«Te lo dico una volta sola» comincia.
Io lo guardo in quegli occhi infiniti, intensi come non mai. «Ma non voglio
che tu faccia nessun commento, siamo
intesi?»
Annuisco nervosamente.
Fa una pausa e si passa la lingua sulle
labbra. «Se tu mi permettessi di
scoparti, sarebbe come permettermi di
possederti» dice.
Un’ondata incontenibile di piacere mi
percorre tutto il corpo come una scossa.
Le sue parole mi sbalordiscono e mi
spingono a obbedirgli. Il cuore e la
mente mi suggeriscono due cose
471/915
diverse, ma non riesco ad ascoltare né
l’uno né l’altra perché la sensazione tra
le mie gambe sta diventando ormai impossibile da ignorare.
Deglutisco
rumorosamente,
alla
ricerca disperata di un po’ di saliva. È
come se tutti i liquidi del mio corpo si
siano concentrati in un unico punto al
centro.
Non riesco a respirare. Oh mio Dio,
non mi ha nemmeno toccata e mi sento
già in paradiso? Sto sognando, per
caso?
«Che ne dici se almeno ti faccio una
sega o qualcosa del genere?» Lo ammetto: quest’idea mi sta facendo sentire
in colpa.
Andrew piega la testa di lato, sorridendo, e io sento crescere il desiderio
irresistibile di baciarlo. «Ti ho detto di
non fare commenti.»
472/915
«B-be’, ma io non ho proprio commentato quello che hai detto, ho
solo…» Lui infila le dita sotto il tessuto
sottile delle mie mutandine e mi tocca.
Io resto senza fiato e dimentico quello
che stavo dicendo.
«Ora non parlare» mi ordina
dolcemente, anche se si capisce che
vuole che gli obbedisca. Stringo le labbra e mi sfugge un gemito quando fa
scivolare due dita dentro di me e le
tiene lì, mentre il pollice preme all’esterno contro il mio osso pelvico. «Vuoi
stare zitta una buona volta, Camryn?»
Io mormoro «sì» tra i brividi e mi
mordo il labbro inferiore.
Poi lui sfila le dita. Vorrei pregarlo di
non farlo, ma mi ha detto di stare zitta
in un modo che mi fa sentire incredibilmente pazza di lui e allo stesso tempo
sottomessa, perciò non dico niente.
473/915
Apro gli occhi con cautela quando lui
mi passa le dita bagnate sulle labbra e
le lecco d’istinto, ma solo un po’, finché
lui non se le porta sulle sue e le sfiora
con la lingua. Mi piego verso di lui,
tocco la sua bocca con la mia e socchiudo gli occhi per sentire il suo sapore e
il mio su di lui. Sento la sua lingua
sfiorare la mia, ma poi mi spinge con
delicatezza sul letto invece di darmi
quel bacio furioso che desidero così
disperatamente.
Fa scivolare entrambe le mani sui
miei fianchi e mi sfila gli shorts e le
mutandine lungo le gambe per poi lanciarli da qualche parte sul pavimento.
Si sposta in avanti e si stende accanto a
me, posa un braccio sul mio corpo e la
sua mano mi scende sul petto. Non indosso il reggiseno. Mi stringe delicatamente un capezzolo, poi l’altro, e mi
bacia
ancora
sulla
linea
della
474/915
mandibola. Quando la sua lingua
comincia a percorrere la curva del mio
orecchio sento una scarica di brividi.
«Vuoi che ti tocchi?» Il suo respiro è
caldo sul mio viso.
«Sì» mormoro.
Mi stringe il lobo dell’orecchio tra i
denti e inizia a scivolare lungo il mio
ventre,
ma
si
ferma
accanto
all’ombelico.
«Dimmi che vuoi che ti tocchi» mi
sussurra all’orecchio.
Io riesco a malapena ad aprire gli occhi. «Voglio che mi tocchi…»
La sua mano continua a scendere e il
cuore comincia a battermi all’impazzata
nel petto, ma quando penso che stia per
toccarmi sposta la mano sull’interno
coscia. «Apri le gambe.»
475/915
Io le divarico un po’, ma lui le spinge
di più premendo sulla mia carne finché
non sono spalancate. Si alza e si china
sul mio corpo, mi solleva la maglietta
scoprendomi il seno e mi morde i
capezzoli, uno dopo l’altro. Li tocca con
la punta della lingua e poi li prende in
bocca, succhiandoli avidamente. Io gli
passo le dita tra i capelli; vorrei afferrarli e tirarli, ma non lo faccio. La testa
di Andrew scivola sul mio seno e sulle
mie costole, seguendone il profilo con
la lingua fino all’ombelico.
Mi guarda con occhi intensi, socchiusi e sussurra con le labbra leggermente
premute contro la mia pancia: «Devi
dirmi quello che vuoi, Camryn». Mi
lecca lo stomaco così lentamente che la
mia pelle è percorsa dai brividi. «Non
lo farò finché non me lo chiederai in
modo convincente.»
476/915
Cerco di inspirare, ma il mio petto
non smette di tremare. «Ti prego, ti
prego, toccami…»
«Non sei convincente» ribatte sarcastico, e mi lecca il clitoride una volta
sola. Solo una. Si ferma e mi guarda attraverso le curve del mio corpo, in
attesa.
Mi vergogno a dire certe cose, perciò
mormoro: «Ti prego… voglio che mi…
lecchi». Ma lo dico così piano che lui
finge di non sentirmi.
«Cos’hai detto?» mi chiede, e mi
lecca di nuovo il clitoride. Questa volta
però indugia un po’ di più e un’ondata
di piacere mi attraversa dalla testa ai
piedi. «Non ti ho nemmeno sentita.»
Ripeto la frase alzando appena la
voce, ancora troppo imbarazzata.
Andrew mi infila la mano tra le
gambe e mi allarga le labbra con due
477/915
dita. Mi lecca una volta. Solo una. Le
mie cosce cominciano a tremare più
forte.
Non so quanto a lungo potrò
resistere.
«Una donna che sa quello che vuole
dal sesso…» comincia, e mi lecca di
nuovo. I suoi occhi socchiusi non
smettono di guardarmi. «… e non ha
paura di dirlo, è davvero eccitante,
Camryn… Dimmelo. Dimmi cosa vuoi.
Altrimenti non te lo darò.» Mi lecca di
nuovo e io non resisto più.
Abbasso le mani e gli afferro i
capelli, spingendo la sua faccia più a
fondo tra le mie gambe, per quanto lui
mi permette di fare, e lo guardo dritto
negli occhi. «Leccami, Andrew. Leccami!» grido.
Scorgo il sorriso più soddisfatto che
abbia mai visto sul suo volto e un
478/915
istante dopo chiudo le palpebre e inarco la testa all’indietro perché ha
cominciato a leccarmi. E questa volta
non si ferma. Mi succhia forte il clitoride e infila le dita dentro e fuori. Sento
che sto per svenire. Non riesco ad aprire gli occhi; sono gonfi di piacere.
Spingo i fianchi contro di lui e quasi gli
strappo i capelli, ma lui non si ferma.
Mi lecca più intensamente e veloce e di
tanto in tanto rallenta per succhiarmi il
clitoride che pulsa e passarci sopra il
pollice prima di infilarlo in profondità
dentro di me. E quando comincio a sentire che non ce la faccio più e cerco di
allontanarmi dalla sua bocca, lui mi afferra le cosce e mi impedisce di
muovermi finché non esplodo in un orgasmo così intenso che le gambe mi tremano incontrollate e gli tiro i capelli
con tutte le mie forze. Un gemito mi
sfugge di bocca e alzo entrambe le
479/915
mani dietro la nuca, afferro la testata
del letto e cerco di usarla come leva per
staccarmi dalla lingua di Andrew che
non smette di leccarmi. Ma lui mi
stringe ancora di più, le mani sotto le
mie cosce e i fianchi; mi stringe così
tanto da farmi male, mi preme le dita
nella pelle… ma mi piace.
E quando il mio corpo tremante
comincia a calmarsi e il mio respiro affannoso rallenta, pur rimanendo molto
irregolare, in quel momento Andrew
inizia a leccarmi più dolcemente. Non
appena il mio corpo non si muove più
mi bacia l’interno delle cosce e appena
sotto l’ombelico; poi risale verso la mia
bocca sostenendosi sopra di me con le
braccia forti e muscolose tese sul materasso. Le sue labbra morbide e bagnate
scivolano prima sul mio collo e sulla
linea della mandibola e poi sulla mia
fronte. Infine mi guarda negli occhi a
480/915
lungo, poi si china e mi bacia
dolcemente le labbra.
Infine si alza dal letto.
Non riesco a muovermi. Vorrei corrergli dietro e trascinarlo di nuovo
sopra di me, ma davvero sono
paralizzata. Non solo mi gira ancora la
testa per l’orgasmo che mi ha appena
regalato, ma sono totalmente confusa
per tutta questa situazione. Mi limito a
guardarlo, alzando a malapena la testa
dal cuscino, mentre si dirige verso la
porta. Si volta solo dopo aver appoggiato la mano sulla maniglia.
Ma sono io a parlare per prima:
«Dove stai andando?».
So benissimo dove sta andando, ma è
l’unica domanda che mi è venuta in
mente per trattenerlo ancora un po’.
Andrew sorride dolcemente. «Nella
mia stanza.»
481/915
La porta si apre e la luce del corridoio invade lo spazio intorno a lui, illuminando il suo viso nell’ombra. Vorrei dire qualcosa, ma non so cosa. Alzo
la schiena dal letto e mi siedo; le mie
dita non smettono di tormentare il
lenzuolo.
«Allora ci vediamo domani» dice, e
mi lancia un ultimo sorriso carico di
significati prima di chiudersi la porta
alle spalle. La luce del corridoio svanisce all’improvviso. Ma la mia stanza
non è buia, perché ho lasciato accesa la
lampada accanto al letto. La guardo e ci
rifletto su. È rimasta accesa per tutto il
tempo. Sono sempre stata piuttosto timida a letto e anche con Ian l’unico
chiarore che potevo tollerare quando
facevamo sesso era quello della televisione, ma mai una luce intensa. Questa
volta invece non ci ho nemmeno
pensato.
482/915
E le parole che mi sono uscite di
bocca… Non avevo mai detto niente del
genere prima d’ora.
Cosa mi sta facendo Andrew Parrish?
Qualunque cosa sia… non voglio che
smetta.
Mi alzo dal letto, mi infilo di nuovo
le mutandine e gli shorts e vado alla
porta, decisa a tornare da lui e… E poi
non so che mi prende.
Mi fermo davanti alla porta un attimo prima di aprirla e mi guardo i
piedi nudi sulla moquette verde. Non
saprei cosa dire se andassi da lui, perché non so nemmeno cosa voglio o cosa
non voglio. Abbandono le braccia lungo
i fianchi e un profondo sospiro mi
sfugge dalle labbra.
«Come se non fosse mai successo.»
Ripeto le sue parole con una punta
483/915
d’ironia. «Già, scommetto che non ce la
farai mai.»
21
Andrew
Sono sveglio dalle otto del mattino. Ho
ricevuto una telefonata da Asher, ma
avevo paura di rispondere perché
temevo che fossero “notizie” di mio
padre. Invece mi stava chiamando solo
per dirmi che Aidan si è incazzato a
morte quando ha scoperto che gli ho
preso la chitarra.
Non me ne può fregare di meno: cosa
vuol fare, venire fin qui a Birmingham
e prendermi a pugni? In realtà so che il
punto non è la chitarra; Aidan è
485/915
incazzato con me perché me ne sono
andato dal Wyoming mentre nostro
padre è ancora vivo. E poi Asher voleva
controllare come sto.
«Va tutto bene, fratello?» mi ha
chiesto.
«Sì, alla grande, davvero.»
«Sei sarcastico?»
«No» gli ho risposto io. «Ti ho detto
la verità, Ash, non sono mai stato
meglio in vita mia.»
«È per quella ragazza, vero? Camryn,
giusto?»
«Sì, è per lei.»
Ho riso tra me e me, perso per un attimo nel ricordo ancora vivido di quello
che è successo ieri sera. Poi ho continuato a sorridere pensando a Camryn in
generale.
486/915
«Be’, sai dove trovarmi se hai bisogno
di me» ha detto Asher. Ho letto tra le
righe il suo messaggio: sa di non poterlo esprimere apertamente. Gli ho già
proibito di tornare sull’argomento, altrimenti alla prima occasione l’avrei
preso a pugni.
«Già, lo so. Grazie, fratello. Ehi, come
sta papà?»
«Come quando te ne sei andato.»
«Be’, immagino che sia una buona
notizia, date le circostanze.»
«Già.»
Dopo aver riattaccato ho chiamato
mia madre per dirle che sto bene. Se
avessi aspettato ancora un giorno
avrebbe chiesto alla polizia di venire a
cercarmi. Mi alzo e infilo la mia roba
nella sacca. Passando davanti alla televisione batto sul muro con il palmo
della mano nel punto in cui
487/915
probabilmente è appoggiata la testa di
Camryn. Se non è ancora in piedi,
questo basterà a svegliarla. Be’, okay,
forse no, dal momento che dorme così
profondamente… eccetto quando sente
la musica, a quanto pare. Mi faccio una
doccia veloce e mi lavo i denti, sento
ancora il suo sapore in bocca e mi dico
che è un vero peccato doverlo cancellare. Certo, posso sempre rifarglielo più
tardi. Se lei è d’accordo, ovviamente.
Merda, non ho nessun problema a fare
le cose in questo modo. Purtroppo dopo
devo arrangiarmi da solo, ma va bene
comunque. Preferisco farlo io. La desidero da impazzire, ma voglio fare
sesso con lei solo se il desiderio è
ricambiato. E ho capito che in questo
momento non sa quello che vuole.
Mi vesto e mi metto le scarpe da ginnastica nere, felice che adesso siano asciutte e non più zuppe di pioggia. Mi
488/915
carico in spalla la sacca e prendo la chitarra di Aidan per il manico; poi esco in
corridoio e mi dirigo verso la porta di
Camryn.
Sento la televisione accesa, perciò deve essere sveglia.
Mi chiedo quanto ci vorrà per farla
crollare.
22
Camryn
Sento Andrew bussare alla mia porta.
Inspiro a fondo, trattengo il fiato per
qualche lungo, nervoso secondo e poi
libero di colpo i polmoni soffiando via
una ciocca di capelli che mi sfugge
dalla treccia. Sto cercando di non crollare. Non mi era mai successo prima
d’ora, cazzo.
Infine mi decido ad aprire la porta e
quando lo vedo lì in piedi con quella
sua aria disinvolta (e così sexy), crollo.
Be’, è più di un’improvvisa e violenta
490/915
vampata di calore: sono così bollente
che sento la faccia praticamente in
fiamme. Abbasso lo sguardo a terra,
perché se incrocio i suoi occhi sorridenti per un secondo di più la mia
mente potrebbe sciogliersi del tutto.
Qualche istante dopo riesco a
guardarlo. Ora il suo sorriso a labbra
strette è più ampio e molto più
espressivo.
Ehi! Credo che un’espressione simile
equivalga a parlarne, no?
Andrew mi squadra dalla testa ai
piedi. Vede che sono già vestita e
pronta a partire, perciò mi fa un cenno
ed esclama sorridente: «Andiamo».
Afferro la mia borsa e la sacca ed
esco insieme a lui.
Saltiamo in macchina e io mi sforzo
di non pensare al miglior sesso orale
che abbia mai sperimentato in vita mia;
491/915
cerco un argomento qualsiasi per fare
conversazione. Oggi ha un profumo
buonissimo: l’odore naturale della sua
pelle con una punta di sapone e di un
qualche shampoo.
«Allora, abbiamo intenzione di
dormire solo in motel a caso e di
mangiare esclusivamente nei Waffle
House?»
Non che mi dispiaccia, niente affatto;
faccio il possibile per trovare un tema
di cui parlare.
Andrew si aggancia la cintura di
sicurezza e accende il motore.
«No, in realtà ho in mente una cosa.»
Mi lancia un’occhiata.
«Davvero?» gli chiedo, incuriosita.
«Stai facendo uno strappo alla regola e
hai architettato un piano?»
492/915
«Ehi, a dire il vero non è mai stata
una regola» ribatte, calcando le parole.
La Chevelle d’epoca esce in retromarcia dal parcheggio con un ronzio basso.
Andrew indossa gli stessi pantaloni
neri al ginocchio che portava ieri, così
lancio una rapida occhiata ai suoi
polpacci sodi mentre col piede schiaccia leggermente l’acceleratore. La
maglietta blu scuro gli rimane aderente
al punto giusto sul petto e sulle braccia,
il tessuto più teso sui bicipiti.
«Be’, allora qual è il piano?»
«New Orleans» risponde con un sorriso. «Si trova solo a cinque ore e
mezzo da qui.»
Il mio viso si illumina. «Sai che non
sono mai stata a New Orleans in vita
mia?»
493/915
Andrew sorride tra sé, come se fosse
contento di essere proprio lui a portarmici per la prima volta. E io
comunque sono contenta che sia lui a
farlo. Ma a dire la verità non mi importa dove andiamo: mi vanno benissimo anche i nugoli di zanzare del Mississippi, basta che Andrew sia con me.
Due ore dopo siamo stanchi di parlare di sciocchezze, sono solo un alibi
per non tornare su quello che è successo ieri sera. Decido di prendere
l’iniziativa. Mi allungo ad abbassare il
volume dello stereo. Lui mi guarda,
interdetto.
«Quelle parole non erano mai uscite
dalla mia bocca in vita mia. Ecco, adesso lo sai» sputo fuori senza pensarci.
Andrew sorride e sposta la mano sul
volante, sfiorandolo con la punta delle
dita. Sembra più rilassato: il braccio
494/915
sinistro è sulla portiera, il ginocchio
sinistro riposa piegato verso l’alto e il
piede destro è fisso sull’acceleratore.
«Ma ti è piaciuto» commenta. «Dirlo,
intendo.»
Mmm… Non c’è stato proprio niente di
ieri sera che non mi sia piaciuto.
Arrossisco leggermente.
«Sì, in effetti, sì» ammetto.
«Non posso credere che non ti fosse
mai passato per la testa di dire qualcosa
del genere durante il sesso prima d’ora»
prosegue lui.
Esito. «In realtà sì.» Gli lancio una
rapida occhiata. «Non che mi sia mai
messa a sognarlo a occhi aperti; ci ho
solo pensato qualche volta.»
«E allora perché non l’hai mai fatto
prima, se ne avevi voglia?» Mi sta facendo queste domande, ma sono
495/915
piuttosto sicura che conosca già la
risposta.
Alzo le spalle. «Immagino che fossero
solo paranoie da ragazzina.»
Andrew si lascia sfuggire una lieve
risata e rimette la mano sul volante,
che ora stringe in modo più deciso
mentre percorriamo un tratto di autostrada con parecchie curve.
«L’ho sempre considerato un qualcosa
che dicono le pornostar in film del tipo
Tutti su mia madre o Biancaneve sotto i
nani.»
«Hai visto quei film?» domanda
sbalordito.
Trasalgo e sbuffo. «No! Io… non
sapevo che esistessero davvero, stavo
solo scherzando!»
Il sorriso di Andrew diventa giocoso.
496/915
«Nemmeno io so se esistono davvero»
ribatte, scoprendo le carte prima di
farmi morire di umiliazione. «Ma non
mi stupirebbe, te l’assicuro. E ho capito
cosa intendi dire.»
Il mio viso si rilassa.
«Comunque è eccitante» continua.
«Così, per la cronaca.»
Arrossisco di nuovo. Forse sarebbe
meglio se restassi paonazza in continuazione, perché mi accorgo che mi
capita sempre più spesso ogni giorno
che passa.
«Perciò pensi che le pornostar siano
eccitanti?» Rabbrividisco leggermente,
sperando che risponda di no.
Andrew arriccia appena le labbra.
«Non molto. O meglio, come lo fanno
loro è eccitante, ma in modo diverso.»
497/915
Aggrotto le sopracciglia. «In che
senso “diverso”?»
«Be’, allora… Quando lo fa Dominique Starla» comincia, scegliendo un
nome a caso, «ha davanti un tizio
qualsiasi che non vede l’ora di scoparsela dove capita.» I suoi occhi verdi si
posano su di me. «Quel tizio non vuole
altro da lei che la sua faccia appiccicata
alle parti basse.» Poi rivolge lo sguardo
verso la strada. «Ma quando lo fa qualcuno… che ne so, una ragazza dolce,
sexy, l’esatto contrario di una
pornostar, il tizio in questione ha in
mente molto di più che la sua faccia
sulle parti intime. Con ogni probabilità
non ci sta nemmeno pensando, almeno
non a un livello più profondo.»
Colgo chiaramente il significato che
si nasconde dietro le sue parole e credo
che lui se ne accorga.
498/915
«Mi hai fatto impazzire» ammette infine, guardandomi abbastanza a lungo
da incrociare il mio sguardo. «Così adesso lo sai.» Poi si volta del tutto e finge
di essere più concentrato sulla strada.
Forse non vuole che lo accusi di “parlarne”, anche se in realtà sono stata io a
tirare fuori l’argomento. Me ne assumo
tutta la colpa e non me ne pento per
niente.
«E tu invece?» gli chiedo, rompendo
il breve silenzio. «Hai mai avuto paura
di fare qualche esperienza sessuale che
avevi voglia di provare?»
Andrew ci pensa su un momento
prima di rispondere. «Sì, qualche anno
fa, verso i diciassette anni. Ma avevo
paura di sperimentare certe cose con le
ragazze solo perché sapevo che
erano…»
«Che erano cosa?»
499/915
Sorride dolcemente stringendo le labbra e io ho come la sensazione che stia
per fare una specie di paragone.
«Le ragazze più giovani, almeno
quelle che frequentavo io, erano “disgustate” da qualunque cosa uscisse un
po’ fuori dagli schemi. Forse erano
come te, in un certo senso: segretamente eccitate all’idea di fare qualcosa
di diverso dalla posizione del missionario, ma troppo timide per ammetterlo.
E a quell’età era rischioso dire: “Vorrei
mettertelo nel culo” perché c’erano
grosse probabilità che scappassero via
terrorizzate gridando che ero una
specie di pervertito con disturbi della
sessualità.»
Mi sfugge una risata. «Già, penso che
tu abbia ragione» ammetto. «Quando
ero una ragazzina rimanevo disgustata
quando Natalie mi descriveva le cose
500/915
che le faceva Damon. In realtà non ho
cominciato a considerarle eccitanti
finché non ho perso la verginità a diciotto anni, ma…» La voce mi si strozza
in gola al ricordo di Ian. «… ma anche
allora ero troppo nervosa. Io volevo…»
Anche adesso l’idea di ammetterlo mi
innervosisce.
«Forza, dillo e basta» ribatte lui, ma
il suo tono è tutt’altro che scherzoso.
«Ormai dovresti aver capito che non ti
giudicherò.»
Le sue parole mi colgono alla sprovvista e mi fanno battere forte il cuore. Ce
l’ho scritto in faccia che ho paura di
fargli cattiva impressione? Andrew mi
sorride come per rassicurarmi: niente di
quello che posso dire riuscirà a dargli
una cattiva impressione di me.
«Okay, ma se te lo dico mi prometti
che non lo prenderai come un invito?»
501/915
Forse lo è, anche se non ne sono ancora
molto sicura… ma comunque non
voglio che lo pensi. Non in questo momento, e forse mai. Non lo so…
«Te lo giuro» risponde, con sguardo
serio e per nulla offeso. «Non ci penserò
nemmeno.»
Faccio un respiro profondo. Povera
me, non posso credere di stare per dirgli una cosa del genere. Non l’ho mai
detta a nessuno; be’, forse a Natalie, ma
con parecchi giri di parole.
«Violenza.» Mi fermo, troppo imbarazzata per andare avanti. «La maggior parte delle volte in cui ho sognato
ad occhi aperti riguardo il sesso, io…»
I suoi occhi stanno ridendo! Quando
ho pronunciato la parola “violenza”
qualcosa è scattato sul suo viso. Sembra
quasi che… no, di certo non può essere
vero!
502/915
Andrew cambia subito espressione
appena se ne accorge.
«Va’ avanti» mi invita sorridendo di
nuovo con dolcezza.
E lo faccio, perché per qualche
motivo ho meno paura di concludere di
quanta non ne avessi un attimo fa.
«Di solito mi piace immaginare di essere… maltrattata.»
«Il sesso violento ti eccita» conclude
lui senza scomporsi.
Annuisco. «Pensarci mi eccita, ma in
realtà non l’ho mai fatto, e comunque
non nel modo in cui vorrei.»
Andrew sembra leggermente sorpreso. O forse quell’espressione è di
gioia?
«Credo sia proprio quello che intendevo quando ti ho detto che finisci
sempre con ragazzi piatti.»
503/915
Mi si accende una lampadina:
Andrew sapeva ancora prima di me
cosa intendevo dire davvero quando
eravamo in Wyoming e gli ho detto che
“finisco sempre” con ragazzi piatti.
Senza rendermene conto, in realtà ho
detto che “finire” con loro è stato spiacevole, un qualcosa che non volevo
davvero. Forse lui non conosceva la mia
definizione di “piatto” fino a questo
momento, ma sapeva che non era
quello che volevo.
Però io amavo Ian, e adesso mi sento
uno straccio a ripensare a lui in questi
termini. Ian era piatto dal punto di
vista sessuale, ma la sola idea di avere
brutti pensieri su di lui basta a farmi
sentire in colpa.
«E insomma ti piace che ti tirino i
capelli e…» comincia lui incuriosito,
504/915
ma la sua voce si spezza quando nota la
mia aria assorta.
«Più o meno. Qualcosa di più aggressivo» rispondo io con tono insinuante, per spingere lui a dirlo in modo
da non doverlo fare io. Mi sto innervosendo di nuovo.
Andrew piega la testa di lato e solleva un po’ le sopracciglia. «Qualcosa
del tipo… Un momento, in che senso
“aggressivo”?»
Deglutisco e distolgo lo sguardo dal
suo. «Una dimostrazione di forza, immagino. Non uno stupro vero e proprio,
niente di così estremo. Ma credo di
avere una personalità decisamente sottomessa dal punto di vista sessuale.»
Nemmeno Andrew riesce a guardarmi adesso.
Gli scocco un’occhiata rapidissima,
quanto basta per vedere che ha gli
505/915
occhi un po’ sgranati e pieni di una velata intensità. Il suo pomo d’Adamo si
muove su e giù quando deglutisce. Ora
tiene entrambe le mani strette sul
volante.
Cambio argomento: «Tu però non mi
hai detto di preciso cos’avevi paura di
chiedere alle ragazze». Sorrido, sperando di riuscire a ricreare l’atmosfera
giocosa di prima.
Andrew si rilassa e mi guarda sorridendo. «E invece sì» ribatte. Poi, dopo
una strana pausa, aggiunge: «Sesso
anale».
Qualcosa mi dice che non è del tutto
sincero. Non ne sono sicura al cento per
cento, ma scommetto che il suo
accenno al sesso anale sia solo una
copertura.
Ma perché Andrew dovrebbe vergognarsi più di me ad ammettere la
506/915
verità? È lui che sta cercando di farmi
sentire a mio agio con me stessa dal
punto di vista sessuale. Pensavo fosse
uno che non ha paura di confessare niente, ma adesso non ne sono più così
sicura.
Vorrei tanto potergli leggere nella
mente.
«Be’, che tu ci creda o no» rispondo,
lanciandogli un’occhiata, «io e Ian ci
abbiamo provato una volta, ma mi
faceva male da morire e non serve aggiungere che la cosa è finita lì.»
Andrew si lascia sfuggire una risatina. Osserva i segnali stradali e sembra
prendere una rapida decisione sulla
strada da imboccare. Usciamo dall’autostrada e ci immettiamo in un’altra. A
entrambi i lati della carreggiata c’è una
sconfinata campagna. Cotone, riso,
granturco e chissà cos’altro; in realtà
507/915
non so distinguere le piante se non per
le caratteristiche più ovvie: il cotone è
bianco e il granturco è alto. Proseguiamo per diverse ore finché il sole
comincia a tramontare e Andrew rallenta verso il ciglio della strada. Le
ruote frenano rumorosamente sulla
ghiaia.
«Ci siamo persi?» gli chiedo.
Lui si allunga sul sedile verso di me
per raggiungere il portaoggetti. Il suo
gomito e l’avambraccio mi sfiorano la
gamba mentre apre lo sportello ed estrae una carta stradale piuttosto logora.
È tutta stropicciata, come se un giorno
fosse stata aperta e mai più ripiegata
nel modo giusto. Lui la distende e la
posiziona sul volante, studiandola da
vicino e facendoci scorrere il dito sopra.
Fa una smorfia mordicchiandosi
508/915
l’angolo destro della bocca e schiocca
ripetutamente le labbra.
«Ci siamo persi, vero?» Mi viene da
ridere. Non per lui, ma per tutta questa
assurda situazione.
«È colpa tua» ribatte. Cerca di essere
serio, ma lo tradisce il lampo di allegria
negli occhi.
Sbuffo. «E perché sarebbe colpa
mia?» protesto. «Eri tu che stavi
guidando!»
«Be’, se non mi avessi distratto parlando di sesso e fantasie proibite e film
porno e di quella pornodiva, Dominique Starla, mi sarei accorto di aver
preso la statale 20 invece di rimanere
sulla 59 come avrei dovuto!» Colpisce il
centro della mappa con la punta dell’indice e scuote la testa. «Siamo andati
nella direzione sbagliata per due ore.»
509/915
«Due ore?» Questa volta scoppio a
ridere e batto la mano sul cruscotto. «E
te ne sei accorto solo adesso?»
Spero di non ferire il suo orgoglio. E
comunque, non è che sia arrabbiata o
scocciata; potremmo andare nella
direzione sbagliata anche per dieci ore
e non me ne importerebbe niente.
Andrew sembra ferito. Sono piuttosto
sicura che stia fingendo, ma colgo al
volo l’occasione e approfitto per fare
una cosa che desidero da quando siamo
stati sotto la pioggia insieme nel Tennessee. Abbasso la mano, mi sgancio la
cintura di sicurezza e scivolo sul sedile
per avvicinarmi a lui. Andrew sembra
piuttosto sorpreso, ma in modo piacevole, perché solleva il braccio per permettermi di accoccolarmici sotto. «Ti
sto solo prendendo in giro perché ci
siamo persi» sussurro appoggiando la
510/915
testa sulla sua spalla. Sento che esita un
momento prima di posare il braccio su
di me.
Sto così bene abbracciata a lui in
questo modo. Troppo bene…
Fingo di non accorgermi di quanto
entrambi siamo a nostro agio in questo
momento e cerco di essere disinvolta
come prima. Osservo la mappa insieme
a lui e faccio scorrere il dito lungo una
nuova strada.
«Possiamo andare da questa parte»
propongo indicando una strada che
porta a sud. «Poi prendiamo la 55 dritti
verso New Orleans. Che ne dici?» Piego
la testa per guardarlo negli occhi e sento un tuffo al cuore quando mi rendo
conto di come il suo viso sia vicino al
mio. Ma mi limito a sorridere, in attesa
della sua risposta.
511/915
Andrew mi restituisce il sorriso, ma
ho come la sensazione che non abbia
ascoltato molto di quello che gli ho
detto. «Già, prendiamo la 55.» I suoi occhi mi osservano a lungo e si fermano
per un attimo sulle mie labbra.
Io prendo la mappa e comincio a ripiegarla, poi alzo il volume dello stereo. Andrew sposta il braccio con cui
mi stringeva per rimettere in moto la
macchina.
Quando partiamo appoggia la mano
sulla mia coscia stretta contro la sua e
viaggiamo così per un bel po’. Stacca la
mano solo per affrontare meglio una
curva brusca o per cambiare la musica,
ma poi la rimette sempre dov’era.
E io voglio che continui a farlo.
23
«Sei sicuro che siamo ancora sulla 55?»
gli domando parecchio tempo dopo. Si
è fatto buio e credo di non aver più
visto altri fari da secoli.
Scorgo solo campagna e alberi, e di
tanto in tanto qualche mucca.
«Sì, piccola, siamo ancora sulla 55.
Ne sono sicuro.»
Appena lo dice superiamo un cartello
su cui posso leggere effettivamente il
numero 55.
Mi stacco dal suo braccio, su cui ho
tenuto appoggiata la testa per un’ora, e
513/915
comincio a stiracchiarmi le braccia e le
gambe. Dopodiché mi piego e mi massaggio i polpacci; ho la sensazione che
ogni muscolo del mio corpo si sia rappreso come cemento intorno alle mie
ossa.
«Vuoi scendere e sgranchirti un po’ le
gambe?» mi domanda Andrew.
Guardo il suo viso parzialmente in
ombra: la pelle ha acquisito una tonalità azzurrina e la mandibola scolpita
sembra più pronunciata nell’oscurità.
«Perché no» rispondo, e mi piego sul
cruscotto per osservare meglio il
paesaggio attraverso il parabrezza. Ci
sono solo campi e alberi, ed ecco un’altra mucca. Niente di nuovo. Ma poi
alzo lo sguardo. Mi spingo più avanti e
studio le stelle che punteggiano l’oscurità infinita, e mi rendo conto che è facilissimo vederle in questo cielo libero
514/915
dall’inquinamento luminoso. Ce ne
sono un’infinità, è incredibile.
«Vuoi scendere e fare un giro?» ripete, ancora in attesa che finisca di
dargli la mia risposta.
Mi viene un’idea. Gli sorrido e annuisco. «Sì, mi sembra un’ottima idea.
Hai una coperta nel bagagliaio?»
Andrew mi guarda incuriosito per
qualche secondo. «A dire il vero sì, ne
tengo una in quella scatola là dietro insieme agli attrezzi di emergenza.
Perché?»
«So che può sembrare un luogo
comune» comincio io, «ma è una cosa
che ho sempre voluto fare. Hai mai
dormito sotto le stelle?» Mi sento un po’
stupida a fargli questa domanda, perché
so che è banale e finora niente che riguardi Andrew è stato neanche lontanamente banale.
515/915
Il suo viso si illumina con un sorriso
caldo. «In effetti no, non ho mai
dormito sotto le stelle. Stai facendo la
romantica con me, Camryn Bennett?»
Mi lancia un’occhiata di sbieco.
«Certo che no!» rido. «Forza, sono
seria. Penso che sia l’occasione perfetta.» Faccio un gesto con la mano
verso il parabrezza. «Guarda quanta
campagna c’è là fuori.»
«Già. Ma non è sufficiente stendere
una coperta in un campo di cotone o di
granturco» ribatte. «Di solito quei
campi sono immersi in dieci centimetri
d’acqua.»
«Ma non quelli ricoperti d’erba e cacche di mucca» replico io.
«E tu vorresti dormire in un campo in
cui cagano le mucche?» risponde con
nonchalance, ma ugualmente allegro.
516/915
Ridacchio. «No, solo sull’erba.
Forza…» Poi lo guardo con aria dispettosa. «Che c’è, hai paura di un po’ di
cacca di mucca?»
«Ahah!» Andrew scuote la testa.
«Camryn, ti consiglio di non sottovalutare mai un bel cumulo di merda.»
Mi chino su di lui e gli appoggio la
testa proprio in grembo, poi lo guardo
con aria imbronciata. «Ti prego…»
mugolo sbattendo gli occhi.
E cerco, senza riuscirci, di ignorare
dove si trova la mia nuca.
24
Andrew
Cazzo, mi sciolgo fino al midollo
quando mi guarda in quel modo. Come
faccio a dirle di no? Non ce la farei
neanche se mi chiedesse di dormire con
una merda di mucca come cuscino o
sotto un cavalcavia a fianco di un barbone ubriaco… Dormirei ovunque insieme a lei.
Ma è proprio questo il problema.
Penso che lo sia diventato nell’attimo in
cui ha deciso di accoccolarsi su di me
in macchina. Perché in quel momento è
518/915
cambiata: credo che abbia cominciato a
capire di volere di più da me, più del
semplice sesso orale. L’ho fatto per lei,
a Birmingham, ma non voglio permetterle di desiderare più di questo. Non
posso permetterle di toccarmi e non
posso dormire con lei.
La desidero davvero, la desidero in
ogni modo possibile e immaginabile,
ma non potrei sopportare di spezzarle il
cuore… Quel suo piccolo corpo è un’altra storia; potrei sopportare benissimo
di devastarglielo. Ma se lei accetta di
fare sesso, so che alla fine il suo cuore
si spezzerà… e anche il mio.
È ancora più dura da quando mi ha
parlato del suo ex…
«Ti prego» ripete ancora una volta.
Nonostante tutti i pensieri che mi si
affollano in testa mi chino, le sfioro le
519/915
guance con le dita e le sussurro
dolcemente: «Va bene».
In vita mia non ho mai dato molto
ascolto alla ragione quando si trattava
di ottenere qualcosa che desideravo, ma
con Camryn cerco molto più spesso del
solito un alibi per mandare tutto a
fanculo.
Dopo altri dieci minuti in macchina
trovo un campo che sembra un mare
d’erba piatto e infinito. Parcheggio sul
ciglio della strada. Siamo letteralmente
in mezzo al nulla. Scendiamo dalla
macchina e chiudiamo le portiere, lasciando tutte le nostre cose dentro. Apro
il bagagliaio e frugo nella scatola alla
ricerca della coperta arrotolata, che
puzza di auto vecchia e un po’ anche di
benzina.
«Puzza» esclamo annusandola.
520/915
Camryn si avvicina e la annusa anche
lei arricciando il naso. «Pazienza, non
importa.»
Non importa nemmeno a me. Sono
sicuro che basterà lei a profumarla.
Senza nemmeno rendermene conto le
prendo la mano. Scendiamo dentro un
piccolo fossato e risaliamo dall’altra
parte, dove troviamo una bassa staccionata che ci separa dal campo.
Comincio a pensare al modo più semplice per scavalcarla. Un istante dopo
lei stacca le dita dalle mie e comincia
ad arrampicarsi.
«Sbrigati!» urla, e atterra carponi
dall’altra parte.
Non riesco a levarmi il sorriso stampato dalla faccia. Salto oltre la staccionata e arrivo accanto a lei; poi inizio
a correre nello spazio aperto. Lei sembra un’aggraziata gazzella, io il leone
521/915
che la insegue. Sento le infradito sbatterle contro i talloni mentre corre e
vedo sottili ciocche di capelli biondi
che luccicano intorno alla sua testa, sollevate dalla brezza. Stringo la coperta
in una mano e la seguo a qualche passo
di distanza, così se dovesse cadere potrò aiutarla a rialzarsi (dopo essermi
fatto una bella risata, naturalmente). È
molto buio; c’è solo il chiaro di luna a
rischiarare il paesaggio. Ma la luce è
sufficiente e farci vedere dove mettiamo i piedi in modo da non finire in
una buca o non andare a sbattere contro un albero.
Non vedo nessuna mucca, il che significa che non dovrebbero esserci sorprese tra l’erba. Tanto meglio.
Ci allontaniamo così tanto dalla macchina che l’unico segno della sua
522/915
presenza è il luccichio del riflesso sui
cerchioni di metallo.
«Penso che qui vada bene» sussurra
Camryn fermandosi ansimante.
Gli alberi più vicini sono a qualche
decina di metri in ogni direzione. Alza
le braccia sopra la testa e solleva il
mento, godendosi la brezza che la investe. Sorride, con gli occhi chiusi, e
sembra così felice che ho paura di dire
qualcosa e interrompere questo suo momento di comunione con la natura.
Srotolo la coperta e la stendo a terra.
«Dimmi la verità» comincia, stringendomi il polso tra le dita per farmi
sedere sulla coperta accanto a lei. «Non
hai mai passato la notte sotto le stelle
con una ragazza prima d’ora?»
Scuoto la testa. «No, sul serio.»
523/915
Sembra contenta. La guardo sorridermi mentre il vento leggero si agita
tra noi e le soffia sottili ciocche di
capelli sulla fronte. Lei alza una mano e
si toglie qualcosa dalle labbra sfiorandole delicatamente con le dita.
«Non sono esattamente il genere di
ragazzo che mette i petali di rosa sul
letto.»
«No?» mi domanda, piuttosto sorpresa. «In realtà pensavo che fossi un
tipo molto romantico.»
Alzo le spalle. Mi sta prendendo in
giro? Sì, credo proprio di sì.
«Immagino che dipenda dalla tua
definizione di “romantico”» rispondo.
«Se una ragazza si aspetta una cena a
lume di candela e Michael Bolton che
canta in sottofondo, ha scelto decisamente il ragazzo sbagliato.»
524/915
Camryn ride. «Be’, questo in effetti è
un po’ troppo» replica. «Ma anche tu sei
capace di qualche gesto romantico, non
negarlo.»
«Immagino di sì» anche se onestamente non me ne viene in mente nessuno al momento.
Camryn mi guarda con la testa piegata di lato. «Tu sei uno di quelli»
sussurra.
«Uno di quelli… quali?»
«Di quei ragazzi che non vogliono
parlare delle loro ex.»
«Vuoi che ti parli delle mie ex?»
«Certo che sì.»
Si stende sulla schiena con le ginocchia nude piegate verso l’alto e dà un
colpetto sulla coperta.
Mi stendo accanto a lei nella stessa
posizione.
525/915
«Parlami del tuo primo amore» mi invita, e penso subito che non dovremmo
fare questa conversazione. Ma se è di
questo che vuole parlare, farò del mio
meglio per raccontarle quello che vuole
sapere. In fondo è giusto, dal momento
che lei mi ha parlato delle sue storie
passate.
«Be’» comincio, osservando il cielo
tempestato di stelle. «Si chiamava
Danielle.»
«E tu la amavi?» Camryn si volta per
guardarmi e i capelli le ricadono di
lato.
Io continuo a fissare le stelle. «Sì, la
amavo, ma non poteva funzionare.»
«Quanto tempo siete stati insieme?»
Mi chiedo perché voglia saperlo.
Ogni volta che accenno alle mie ex la
maggior parte delle ragazze che
526/915
conosco scatta in quella modalità “gelosia latente” che mi fa cadere le palle.
«Due anni» le rispondo. «Ci siamo lasciati di comune accordo. Avevamo iniziato a interessarci ad altre persone e
credo che abbiamo capito di non amarci poi così tanto.»
«In pratica, non eri più innamorato di
lei.»
«No: tanto per cominciare non siamo
mai stati innamorati.»
Sono io a guardarla questa volta.
«E come fai a capire la differenza?»
mi chiede.
Ci penso su un momento mentre fisso
i suoi occhi a pochi centimetri dai miei.
Quando respira sento l’eco lontana del
profumo di dentifricio alla cannella con
cui si è lavata i denti stamattina.
527/915
«Non credo sia possibile smettere di
essere
innamorati
di
qualcuno»
rispondo, e capisco dall’espressione dei
suoi occhi che un pensiero le sta attraversando la mente. «Sono convinto che
quando ti innamori, quando è amore
vero, sia per tutta la vita. Il resto sono
solo esperienze e delusioni.»
«Non sapevo che avessi uno spirito
così filosofico» ride. «Devo avvertirti:
questo è sufficiente a dire che sei
romantico.»
In genere è lei ad arrossire, ma
questa volta tocca a me. Cerco di non
guardarla, ma non è facile staccarle gli
occhi di dosso.
«Allora, di chi ti sei innamorato?» mi
chiede.
Stendo le gambe davanti a me, le incrocio all’altezza delle caviglie e mi appoggio le mani intrecciate sul ventre.
528/915
Guardo il cielo e con la coda dell’occhio
vedo che Camryn sta facendo lo stesso.
«Sinceramente?»
«Be’, certo» risponde lei. «Sono solo
curiosa.»
Fisso il nugolo di stelle luminose.
«Be’, di nessuna» rispondo.
Dalle sue labbra sfugge un piccolo
sbuffo. «Oh, ti prego, Andrew. Avevi
detto che saresti stato sincero.»
«E infatti lo sono» ribatto, voltandomi per guardarla. «Mi è capitato un
paio di volte di pensare di essermi innamorato, però… Ehi, ma perché ne stiamo parlando?»
Camryn piega di nuovo la testa di
lato, ma questa volta non sta sorridendo. Sembra quasi triste.
529/915
«Probabilmente ti sto usando per
l’ennesima volta come strizzacervelli
personale.»
Spalanco gli occhi. «Cosa intendi
dire?»
Distoglie lo sguardo; la bella treccia
bionda le scivola dalla spalla e si posa
sulla coperta. «Perché sto cominciando
a pensare che forse non ero… No, è
meglio se non lo dico.» Non è più la
Camryn felice e sorridente con cui sono
venuto qui.
Sollevo la schiena dalla coperta e mi
appoggio sui gomiti. La guardo incuriosito. «Dovresti dire tutto quello che
senti in qualunque momento. Forse
dirlo è esattamente quello che ti serve.»
Lei non mi guarda.
«Ma mi sento in colpa anche solo a
pensarlo.»
530/915
«Be’, il senso di colpa è una vera
stronzata. Non credi che se ci stai
pensando è proprio perché potrebbe essere vero?»
Camryn abbandona la testa di lato.
«Dillo e basta. Se dopo averlo detto
non ti senti meglio, allora dovrai
chiederti perché. Ma se ti tieni dentro i
cattivi pensieri, l’incertezza sarà ancora
peggio della colpa.»
Lei fissa di nuovo le stelle. Lo faccio
anch’io, solo per lasciarle un po’ di
tempo per pensare.
«Forse nemmeno io sono mai stata innamorata di Ian» sussurra. «Lo amavo,
e molto, ma credo che se fossi stata innamorata di lui… dovrei esserlo
ancora.»
«Questa è un’ottima osservazione»
commento e sorrido appena, sperando
531/915
che lo stia facendo anche lei. Odio
vederla pensierosa, davvero.
Il suo viso è impassibile, assorto.
«Be’, cosa ti fa credere di non essere
mai stata innamorata di lui?»
Camryn guarda dritto verso di me e
osserva a lungo il mio viso. «Perché
quando sto insieme a te non penso mai
a lui» risponde.
Mi lascio andare all’indietro di colpo
e fisso il cielo buio. Probabilmente riuscirei a contare tutte le stelle se ci
provassi, tanto per distrarmi… Ma
distesa accanto a me c’è una distrazione
molto più forte di tutte le stelle
dell’universo. Devo mettere fine a
questa storia, e al più presto.
«Be’, sono un tipo di ottima compagnia» comincio con tono allegro. «E
ieri sera il tuo culetto si dimenava sulle
lenzuola, perciò posso capire come mai
532/915
tu sia più propensa a pensare alla mia
testa tra le tue gambe che a qualcos’altro.» Sto solo cercando di farla tornare
serena e scherzosa, anche se questo significa che mi darà uno schiaffo e mi accuserà di non rispettare la mia
promessa del “come se non fosse mai
successo”.
E in effetti mi dà uno schiaffo, subito
dopo essersi alzata sui gomiti come me
poco fa.
Scoppia a ridere. «Stronzo!»
Io rido più forte: getterei la testa
all’indietro se non fosse già premuta a
terra.
Poi si avvicina ancora un po’, sempre
appoggiata a un gomito, e mi guarda.
Sento i suoi capelli morbidi che mi
sfiorano il braccio.
«Perché non mi baci?» mi chiede, e la
cosa mi sorprende. «Quando me l’hai
533/915
leccata ieri sera non mi hai mai baciata.
Perché?»
«E invece ti ho baciata.»
«Non mi hai proprio baciata-baciata»
ribatte lei, ed è così vicina alle mie labbra che vorrei baciarla subito, ma non
lo faccio. «Non so cosa pensare riguardo questa cosa. Non mi piace l’effetto che mi fa, ma non so nemmeno
come dovrei sentirmi, in realtà.»
«Be’, non dovresti stare male. Ti dico
solo questo» rispondo cercando di essere il più vago possibile.
«Ma perché?» insiste lei. La sua espressione comincia a indurirsi.
Io cedo. «Perché baciarsi è molto intimo» rispondo.
Lei piega la testa. «Quindi non vuoi
baciarmi per lo stesso motivo per cui
non vuoi scoparmi?»
534/915
Mi diventa duro all’istante. Spero con
tutte le mie forze che lei non se ne
accorga.
«Esatto» rispondo e prima di riuscire
a dire altro lei è già a cavalcioni sopra
di me. Merda, se prima non si era accorta che mi era diventato duro come
pietra, adesso non può avere dubbi. Le
sue ginocchia nude sono premute sulla
coperta ai miei fianchi e si piega su di
me reggendosi sulle braccia. Io praticamente muoio quando sento le sue labbra sfiorare le mie.
Mi guarda dritto negli occhi. «Non
cercherò di convincerti a scopare, però
voglio che mi baci. Solo un bacio» mi
sussurra.
«Perché?» le chiedo io.
Comincia a muoversi sopra di me. Oh
merda… il fatto che adesso il mio uccello sia premuto tra le sue chiappe non
535/915
aiuta molto. Se si sposta indietro anche
solo di due centimetri…
«Perché voglio sapere cosa si prova»
mi mormora sulla bocca.
Le mie mani le scivolano lungo le
gambe fino alla vita e la stringono
forte. Profuma di buono, accidenti. È
fantastico, e si è solo seduta sopra di
me. Non riesco nemmeno a immaginare
come dev’essere stare dentro di lei: il
solo pensiero mi fa impazzire.
La sento strusciarsi su di me attraverso i vestiti. I suoi piccoli fianchi si
muovono piano e una volta sola per
finire di convincermi; poi si ferma e
rimane dov’è. Avverto una pulsazione
dolorosa. I suoi occhi scorrono sul mio
viso e sulle mie labbra e io vorrei solo
strapparle via i vestiti e infilarmi dentro
di lei.
536/915
Si piega, appoggia le labbra sulle mie
e fa scivolare la sua lingua calda dentro
la mia bocca socchiusa. Muovo lentamente la lingua verso la sua per assaggiarla e subito dopo sento la sua calda
umidità quando comincia ad attorcigliarsi intorno alla mia. Respiriamo intensamente uno sulla bocca dell’altro e,
incapace di resistere o di negarle questo
bacio, le stringo il viso tra le mani e la
premo contro di me, spingendo le mie
labbra alle sue con un gesto avido. Lei
geme e io la bacio più forte, cingendole
la schiena con un braccio e tirando il
suo corpo ancora più vicino.
Ma poi tutto finisce. Le nostre labbra
restano unite per un lungo istante,
finché lei si alza e mi guarda con un’espressione enigmatica che non le ho mai
visto. Quello sguardo mi fa provare
qualcosa di profondo e sconosciuto.
537/915
Poi si rabbuia all’improvviso e
quell’espressione svanisce nell’oscurità
sostituita da un’altra, confusa e ferita,
che cerca di nascondere dietro un
sorriso.
«Con un bacio come questo» esclama,
guardandomi allegra nel tentativo di
non farmi vedere qualcosa di più intimo, «probabilmente non avrai mai
bisogno di fare sesso con me.»
Non posso trattenermi dal ridere; è
piuttosto assurdo, ma le lascerò credere
quello che vuole.
Cambia posizione e mi si stende accanto di nuovo con le mani dietro la
testa. «Sono bellissime, vero?»
Guardo anch’io le stelle, ma non le
vedo davvero. Riesco a pensare solo a
lei e al nostro bacio.
«Già, sono stupende.» E anche tu…
538/915
«Andrew?»
«Sì?»
Continuiamo a tenere gli occhi fissi al
cielo.
«Volevo ringraziarti.»
«Per cosa?»
Ci mette un po’ a rispondere. «Per
tutto. Per avermi fatto infilare i tuoi
vestiti a caso nella sacca invece di ripiegarli, per aver abbassato la musica in
macchina in modo da non svegliarmi,
per aver cantato insieme.» Piega la
testa di lato, e anch’io. Mi guarda negli
occhi. «E per avermi fatto sentire viva»
aggiunge.
Un sorriso mi illumina la faccia e distolgo lo sguardo. «Be’, tutti hanno
bisogno di aiuto per sentirsi di nuovo
vivi di tanto in tanto» rispondo.
539/915
«No» ribatte lei, seria. Il mio sguardo
si posa ancora su di lei. «Non ho detto
“di nuovo”, Andrew. Mi hai fatta sentire viva per la prima volta in vita mia.»
Il mio cuore manca un battito a
queste parole e non riesco a dire nulla.
Ma non riesco nemmeno a distogliere lo
sguardo da lei. La ragione sta di nuovo
gridando dentro di me, dicendomi di
fermarmi prima che sia troppo tardi,
ma non ce la faccio. Sono un vero
egoista.
Camryn sorride dolce e io le
restituisco il sorriso. Poi entrambi
ricominciamo a fissare le stelle. La
calda notte di luglio è perfetta, con la
brezza leggera che soffia nel grande
spazio aperto, senza una nuvola in
cielo. La campagna è piena di grilli e
rane, e qualche uccello notturno canta
540/915
nel buio. Mi è sempre piaciuto ascoltare
i rumori della natura.
La calma viene improvvisamente interrotta da uno strillo di Camryn, che
salta in piedi più veloce di un gatto in
fuga da una vasca da bagno.
«Un serpente!» urla indicando l’erba
con una mano e tappandosi la bocca
con l’altra. «Andrew! Eccolo lì!
Uccidilo!»
Balzo in piedi quando vedo qualcosa
di nero che striscia in fondo alla
coperta. Faccio un veloce passo indietro
per prendere le distanze e poi ci salto
sopra.
«No no no!» grida lei agitando una
mano. «Non ucciderlo!»
Sbatto le palpebre, confuso. «Ma mi
hai appena detto di farlo!»
«Be’, ma non intendevo alla lettera!»
541/915
È ancora spaventata a morte, la schiena leggermente inarcata come per proteggersi dal serpente. È una posizione
buffissima.
Alzo le braccia in segno di resa. «Che
c’è, vuoi che finga di ucciderlo?» rido
scuotendo la testa. È troppo divertente.
«No, è solo che… Adesso non ce la
faccio proprio a dormire qui.» Mi afferra un braccio. «Andiamocene, dài.»
Trema dalla testa ai piedi e cerca di
non ridere e piangere allo stesso tempo.
«Va bene» rispondo io e, ora che il
serpente se n’è andato, mi piego per
sollevare la coperta dall’erba. La scuoto
con una mano sola, dal momento che
Camryn sta aggrappata all’altra come se
fosse la sua unica speranza di sopravvivere. Poi torniamo verso la macchina.
«Odio i serpenti, Andrew!»
542/915
«Me ne sono accorto, piccola.» Sto facendo del mio meglio per non scoppiare
a ridere.
Mentre attraversiamo il campo lei
tiene il passo a fatica e mi strattona la
mano. Strilla quando i suoi piedi quasi
nudi toccano un innocuo cumulo di
fango e capisco che non riusciremo a
tornare alla macchina prima che
svenga.
«Vieni qui» esclamo facendola fermare di colpo. Mi volto e la aiuto a salire sulla mia schiena. Torniamo verso
la macchina così: lei aggrappata a me e
io che le sorreggo le cosce strette ai
miei fianchi.
25
Camryn mi sveglia il mattino dopo
muovendo la testa sul mio grembo.
Siamo sul sedile anteriore dell’auto.
«Dove siamo?» mi chiede alzandosi.
Il sole brilla attraverso i finestrini e si
riflette contro la portiera.
«A circa mezz’ora da New Orleans»
rispondo io, massaggiandomi i muscoli
indolenziti.
Ieri sera dopo essercene andati dal
campo ci siamo rimessi in viaggio intenzionati ad arrivare in città, ma ero
così distrutto che mi stavo quasi
544/915
addormentando al volante. Perciò ho
parcheggiato sul ciglio della strada, ho
appoggiato la testa sul sedile e sono
praticamente svenuto. Avrei potuto
dormire più comodo da solo su quello
posteriore, ma preferisco svegliarmi
con i muscoli rigidi pur di restare accanto a lei.
Mi stropiccio gli occhi e mi muovo
un po’ per rimettere in funzione qualche muscolo. E per assicurarmi che i
miei pantaloni siano abbastanza ampi
sul davanti in modo che la mia più che
evidente erezione non diventi subito un
argomento di conversazione.
Camryn si stiracchia e sbadiglia, poi
alza le gambe e appoggia i piedi nudi
sul cruscotto. Gli shorts le risalgono
ancora di più sulle cosce.
Non è una buona idea di prima
mattina.
545/915
«Dovevi essere davvero molto stanco»
comincia, passandosi le dita tra i capelli
per sciogliere la treccia.
«Già. Se avessi provato a proseguire
ancora credo che saremmo finiti contro
un albero.»
«Dovresti cominciare a farmi guidare
ogni tanto, Andrew, altrimenti…»
«Altrimenti cosa?» le chiedo ridendo.
«Mi metterai la testa tra le gambe e me
lo chiederai per favore mugolando?»
«Ieri sera ha funzionato, no?»
In effetti ha ragione.
«Ascolta, non ho niente in contrario
se guidi.» Le lancio un’occhiata e metto
in moto. «Ti prometto che dovunque
andremo dopo New Orleans ti lascerò
prendere il volante per un po’.
D’accordo?»
546/915
Un sorriso dolce e comprensivo le illumina il viso.
Mi immetto sulla strada dopo aver
lasciato passare un suv a tutta velocità
e Camryn ricomincia a pettinarsi con le
dita; poi sistema i capelli in una treccia
più ordinata con gesti velocissimi e
senza nemmeno guardare. Non riesco
proprio a capire come faccia. Ma
comunque i miei occhi continuano a
risalire lungo le sue gambe nude. Devo
smetterla, davvero.
Distolgo lo sguardo e osservo il panorama fuori dal mio finestrino, senza
distrarmi troppo dalla guida.
«Dobbiamo trovare al più presto una
lavanderia a gettoni» esclama Camryn
stringendo l’elastico alla fine della treccia. «Ho finito i vestiti puliti.»
Stavo aspettando un’occasione per
darmi una sistemata alle parti basse, e
547/915
quando lei comincia a frugare nella sua
borsa la colgo al volo.
«È vero?» mi chiede alzando gli occhi
verso di me con una mano ancora infilata nella borsa. Io sposto la mano con
un gesto fulmineo, convinto che lei abbia solo pensato che mi stessi sistemando i pantaloni. Continua: «Che tutti i
ragazzi hanno un’erezione pazzesca al
mattino appena svegli?».
Spalanco gli occhi, ma continuo a fissare la strada oltre il parabrezza. «Non
tutte le mattine» rispondo, sempre cercando di non guardarla.
«In che senso? Solo il martedì e il
venerdì o cose del genere?»
So che sta sorridendo, ma mi rifiuto
di guardarla per averne la certezza.
«E oggi è martedì o venerdì?» aggiunge per stuzzicarmi.
548/915
Alla fine la guardo. «È venerdì»
rispondo senza aggiungere altro.
Lei sospira profondamente. «Non
sono un specie di troietta o roba simile»
esclama alzando i piedi dal cruscotto.
«Sei stato tu a spingermi a essere più
aperta riguardo la mia sessualità e
quello che voglio, per cui sono certa
che non pensi…» Le si spezza la voce.
Sembra che stia aspettando da me una
conferma di quello che ha appena
detto, come se fosse ancora preoccupata per quello che posso pensare di lei.
La guardo dritto negli occhi. «No,
non penserei mai che sei una troietta. A
meno che non cominci a scoparti tutti i
ragazzi che trovi, e allora finirei in prigione perché dovrei ammazzarli di
botte. Comunque no, perché lo dici?»
549/915
Camryn arrossisce di brutto e scommetto che ha la testa incassata nelle
spalle fino alle guance.
«Be’, stavo solo pensando…» Non è
ancora sicura di quello che vuole dire,
qualunque cosa sia.
«Cosa ti ho detto, piccola? Spara
tutto quello che ti passa per la testa.»
Camryn alza il mento e mi guarda
dolcemente. «Be’, dal momento che tu
mi hai fatto quella cosa, pensavo che
forse io potrei fare qualcosa a te.» Appena finisce la frase cambia tono.
«Voglio dire, senza legami, ovviamente.
Sarà come se non fosse mai successo.»
Oh, merda! Perché non ho previsto
che sarebbe finita così?
«No» rispondo senza mezzi termini.
Lei trasale.
550/915
Addolcisco subito il tono e l’espressione del mio viso. «Non posso permetterti di farmi niente del genere,
d’accordo?»
«E perché no?»
«Non posso e basta… Oh mio Dio, ti
desidero, non sai quanto… Ma non
posso, punto.»
«Che cosa stupida.»
Si
sta
incupendo
seriamente.
«Aspetta…» Mi osserva con sguardo inquisitorio e poi inclina la testa. «Hai
qualche “problemino” là sotto, per
caso?»
Spalanco la bocca. «No, figurati,
neanche un po’» rispondo con gli occhi
sgranati. «Merda, adesso mi fermo e ti
faccio vedere!»
Lei getta la testa all’indietro e scoppia a ridere. Poi ritorna seria.
551/915
«Be’, non hai intenzione di fare sesso
con me, non vuoi che ti faccia avere un
orgasmo e ho dovuto costringerti a baciarmi. Cosa devo pensare?»
«Non mi hai costretto.»
«Hai ragione» esclama. «Ti ho sedotto
con l’inganno.»
«Ti ho baciata perché volevo farlo»
rispondo. «Voglio fare tutto quanto con
te, Camryn. Ti assicuro! In questi pochi
giorni ho immaginato più posizioni con
te di quelle che ci sono nel Kamasutra.
Avrei voluto…» Mi accorgo che sto
stringendo il volante così forte che le
nocche delle dita sono sbiancate.
Sembra ferita, ma questa volta non
cedo.
«Te l’ho detto» continuo con cautela.
«Non posso fare niente del genere con
te o…»
552/915
«O sarebbe come permettermi di
possederti.» Camryn finisce la frase al
posto mio, infuriata. «Già, ricordo che
l’hai detto. Ma cosa significa esattamente “permetterti di possedermi”?»
Credo che sappia benissimo cosa significhi, ma vuole esserne sicura. Un
momento… mi sta prendendo in giro?
O è così oppure ancora non sa cosa
vuole dal punto di vista sessuale o da
altri punti di vista, ed è solo confusa e
incerta quanto me.
26
Camryn
Ha superato il mio test. Sarei una bugiarda se dicessi che non volevo fare
sesso con lui, o dargli piacere in altro
modo come lui ha fatto con me…
Desidero davvero fare tutte queste cose
con lui. Ma in realtà volevo sapere se
avrebbe abboccato all’amo. E non l’ha
fatto. E adesso mi terrorizza.
Mi terrorizza il modo in cui mi fa
sentire. Non dovrei provare sentimenti
simili e mi odio per questo. Avevo detto
554/915
che non l’avrei mai fatto. Avevo giurato
a me stessa che non sarebbe successo…
Gli sorrido dolcemente cercando di
ristabilire un’atmosfera di rilassata normalità nella nostra conversazione. Vorrei tanto poter ritirare la mia offerta e
tornare come eravamo prima che ne
parlassi, ma con la consapevolezza che
ho adesso: Andrew Parrish mi rispetta e
mi vuole in un modo che non credo di
potergli concedere.
Mi stringo le ginocchia al petto e appoggio i piedi sul sedile. Non voglio che
risponda alla mia ultima domanda: cosa
significa permettergli di possedermi?
Spero dimentichi che gliel’ho chiesto.
So già cosa significa, o almeno penso:
possedermi significa stare insieme a lui,
proprio come stavo con Ian. Eccetto per
il fatto che nel mio cuore sono certa
che potrei innamorarmi di Andrew.
555/915
Amore vero, intendo. Niente di più facile. Già non riesco a sopportare il pensiero di allontanarmi da lui. Già tutti i
visi che apparivano nei miei sogni a occhi aperti sono stati sostituiti dal suo. E
già temo il giorno in cui il nostro
viaggio finirà, quando lui dovrà tornare
a Galveston o nel Wyoming e lasciarmi
sola.
Perché l’idea mi spaventa tanto? E da
dove mi viene questa sensazione di
nausea improvvisa nello stomaco?
«Mi dispiace, piccola. Mi dispiace
davvero. Non volevo ferirti. Non lo
farei mai.»
Alzo lo sguardo verso di lui e scuoto
la testa. «Non mi hai ferita. Ti prego,
non pensarlo nemmeno.»
E continuo: «Andrew, la verità è
che…». Faccio un respiro profondo.
Adesso fatica a tenere gli occhi fissi
556/915
sulla strada. «La verità è che io… Oh,
be’. Tanto per cominciare, mentirei se
dicessi che non ho una voglia matta di
darti piacere. Desidero farlo davvero.
Ma sono felice che tu abbia rifiutato la
mia proposta, dico sul serio.»
Credo che abbia capito. Lo vedo sul
suo viso.
Sorride e allunga una mano verso di
me. Io la prendo e mi precipito verso di
lui. Mi cinge le spalle con un braccio.
Alzo il mento per guardarlo e gli
stringo la coscia con le dita.
È talmente bello…
«Mi spaventi» sbotto infine.
La mia ammissione accende un piccolo lampo nei suoi occhi.
«Ti ho detto che non avrei mai fatto
una cosa del genere; devi capirlo. Ho
557/915
promesso a me stessa che non mi sarei
più innamorata di nessuno.»
Il suo braccio si irrigidisce intorno
alle mie spalle; il battito del suo cuore
accelera e lo sento rintronare sulla gola.
Poi la sua bocca si schiude in un sorriso. «Ti sei innamorata di me, Camryn
Bennett?» mi chiede.
Io arrossisco violentemente, serro le
labbra e affondo il viso contro i suoi
pettorali sodi.
«Non ancora» rispondo con voce allegra. «Ma ci sto arrivando.»
«Sei una presuntuosa di merda» ribatte lui stringendomi più forte il braccio. Mi bacia la testa.
«Già, lo so» replico io in tono ugualmente scherzoso, ma poi la voce comincia a tremarmi. «Lo so…»
558/915
Vedo New Orleans per la prima volta
da lontano: il lago Pontchartrain e il
paesaggio irregolare fatto di villette a
schiera e bungalow. Resto senza fiato
quando scorgo il Superdrome, che ora
riconosco dopo averlo visto così spesso
al telegiornale quando si era scatenato
l’uragano Katrina. E poi le querce imponenti e antichissime che fanno accapponare la pelle, la gente che passeggia
lungo le strade del quartiere francese
(anche se immagino che la maggior
parte siano turisti)…
Mentre attraversiamo la città rimango incantata dai tanti balconi che si
estendono per tutta la lunghezza degli
edifici. È tutto come in televisione, a
parte il fatto che non si festeggia il
Mardi Gras e che nessuno sta
mostrando le tette o lanciando perline
di plastica colorata dai balconi.
559/915
Andrew mi sorride; ha capito quanto
sono felice di essere qui.
«La adoro già» esclamo accoccolandomi contro di lui dopo aver praticamente tenuto la faccia schiacciata contro il finestrino negli ultimi minuti per
guardare tutto quanto.
«È una città favolosa.» È raggiante e
mi chiedo se conosce bene questo
posto.
«Cerco di venirci almeno una volta
all’anno» continua. «In genere per il
Mardi Gras, ma credo che ogni periodo
dell’anno sia bello.»
«Oh, perciò in genere ci vieni quando
ci sono un sacco di tette in giro»
scherzo strizzandogli un occhio.
«Colpevole, vostro onore!» grida lui
alzando entrambe le mani dal volante.
560/915
Prendiamo due stanze all’Holiday Inn
a pochi passi dalla famosa Bourbon
Street. Stavo per proporgli di prendere
una sola camera con due letti questa
volta, ma poi mi sono trattenuta. No,
Camryn, non stai facendo altro che alimentare il desiderio. Non andare in camera con lui. Fermati finché sei in tempo.
Per un attimo, mentre siamo fianco a
fianco al banco della reception e l’impiegato ci chiede: «In cosa posso
aiutarvi?». Andrew esita e io provo una
strana sensazione. Ma alla fine prendiamo due stanze vicine, come al solito.
Io mi dirigo verso la mia e lui verso
la sua. In corridoio ci guardiamo con le
chiavi strette in mano.
«Mi infilo subito sotto la doccia» mi
avvisa. Nell’altra mano regge la chitarra. «Ma quando sei pronta vieni a
chiamarmi.»
561/915
Annuisco e ci sorridiamo prima di
scomparire nelle nostre camere.
Sono dentro da meno di cinque
minuti quando sento il cellulare vibrare
nella borsa. Sono quasi certa che sia
mia madre, perciò prendo il telefono e
mi preparo a rispondere per dirle che
sono ancora viva e che mi sto divertendo, ma poi mi accorgo che non è lei.
È Natalie.
La mia mano rimane paralizzata,
stretta al telefono mentre fisso il display illuminato. Devo rispondere o no?
Be’, farò meglio a decidermi in fretta.
«Pronto?»
«Cam?» esordisce Natalie dall’altra
parte, con tono cauto.
Non riesco a dire niente. Non so se
fingere di essere ancora furiosa o se
ormai è passato tempo a sufficienza e
dovrei essere carina.
562/915
«Ci sei?» mi chiede lei, dal momento
che io non spiccico una parola.
«Sì, Nat, ci sono.»
Sospira e fa il suo solito verso miagolante: le scappa sempre quando è
nervosa.
«Sono una completa, grandissima
stronza» esordisce. «So che come
migliore amica sono un disastro e che
dovrei strisciare ai tuoi piedi supplicandoti di perdonarmi, ma… Io… Be’, era
quella l’idea, solo che tua madre mi ha
detto che sei in… Virginia? Che cavolo
ci fai in Virginia?»
Mi lascio cadere sul letto e calcio via
le infradito.
«Non sono in Virginia» rispondo. «Ma
non dirlo a mia madre. Anzi, a
nessuno.»
563/915
«E allora dove sei? Dove potresti essere da più di una settimana?»
Wow, sono via solo da una settimana? Mi sembra di essere in viaggio con
Andrew da almeno un mese.
«Sono a New Orleans. Ma è una storia lunga.»
«Ho un sacco di tempo!» esclama,
ironica.
Il suo atteggiamento mi infastidisce
all’istante. Sospiro prima di parlare.
«Natalie, sei stata tu a chiamarmi. E se
ricordo bene, sei stata tu a darmi della
puttana bugiarda e a non credermi
quando ti ho raccontato quello che mi
aveva fatto Damon. Mi dispiace, ma
non penso che tornare di colpo migliori
amiche e fingere che non sia successo
niente sia la scelta migliore adesso.»
«Lo so, hai ragione e mi dispiace.»
Natalie fa una pausa per raccogliere le
564/915
idee, in sottofondo la sento aprire la
linguetta di una lattina. Beve un piccolo
sorso. «Non è che non ti credessi, Cam.
È solo che ero troppo ferita. Damon è
un bastardo. L’ho mollato.»
«Come mai? Solo perché l’hai colto in
flagrante mentre ti tradiva invece di
credere alla tua migliore amica dalla
seconda elementare quando ti dice che
è un maiale?»
«Me lo merito» ammette. «Comunque
no, non l’ho beccato mentre mi tradiva.
Mi sono solo resa conto di quanto mi
manchi la mia migliore amica e del
fatto che ho commesso la peggior infrazione possibile al Codice di Condotta
delle Migliori Amiche. Alla fine gliel’ho
chiesto senza mezzi termini e lui naturalmente ha mentito, ma ho continuato
a incalzarlo perché volevo che lo ammettesse. Non perché avessi bisogno di
565/915
una conferma da lui. Io ho solo… Cam,
volevo solo che mi dicesse la verità.
Volevo sentirmelo dire da lui.»
Colgo un sincero dispiacere nella sua
voce. So che sta parlando sul serio e ho
tutta l’intenzione di perdonarla, ma non
sono ancora pronta a dirle di Andrew.
Non so perché, ma è come se nel mio
mondo in questo momento esistesse
soltanto lui. Voglio bene a Natalie con
tutto il cuore, ma non sono pronta a
condividere Andrew con lei. Lei ha quel
modo di… svilire le cose importanti, se
così si può dire.
«Ascoltami Nat» ribatto. «Non ti odio
e voglio perdonarti, ma mi ci vorrà del
tempo. Mi hai fatto davvero molto
male.»
«Capisco» replica lei, ma intuisco la
delusione nella sua voce. Natalie è
sempre stata una ragazza impaziente,
566/915
alla ricerca di una gratificazione
immediata.
«Be’, a parte questo, stai bene?» mi
chiede. «Non riesco a immaginare perché tu sia andata fino a New Orleans
tra tutti i posti che ci sono. Per caso è
la stagione degli uragani?»
Sento l’acqua della doccia scorrere
nella stanza di Andrew.
«Sì,
sto
benissimo»
rispondo,
pensando a Andrew. «Per dirti la verità,
Nat, non mi sono mai sentita così viva e
felice come nell’ultima settimana.»
«Oh mio Dio… Hai conosciuto un
ragazzo! Sei con un ragazzo, vero?
Camryn Marybeth Bennett, maledetta
stronza, non devi nascondermi queste
cose!»
Era proprio questo che intendevo con
l’espressione
“svilire
le
cose
importanti”.
567/915
«Come si chiama?» Respira affannosamente, come se la risposta a tutti i
problemi del mondo fosse lì a portata di
mano. «Siete andati a letto! Com’è, è
sexy?»
«Natalie, ti prego.» Chiudo gli occhi e
fingo che sia una ventenne matura e
non ancora una liceale scema. «Non ho
nessuna intenzione di parlartene adesso, okay? Dammi un paio di giorni;
poi ti chiamerò e ti racconterò come
stanno le cose. Ma ora ti prego…»
«D’accordo!» Natalie accetta l’idea,
ma non coglie minimamente il cenno al
fatto che deve moderare l’entusiasmo.
«Mi basta sapere che stai bene e che
non mi odi più, per il resto posso
aspettare.»
«Grazie.»
568/915
Finalmente torna seria. «Mi dispiace
davvero tanto, Cam. Non so come
dirtelo.»
«Lo so. Ti credo. E quando ti chiamerò mi racconterai anche quello che è
successo con Damon. Se vorrai.»
«Va bene. Ottima idea» risponde.
«Ci sentiamo presto. Ah, Nat, un’ultima cosa.»
«Sì?»
«Sono felicissima che tu mi abbia
chiamata. Mi sei mancata tanto.»
«Anche tu.»
Riattacchiamo e rimango a fissare il
telefono per un minuto, finché i miei
pensieri su Natalie non si trasformano
in pensieri su Andrew. È proprio vero:
tutti i volti dei miei sogni a occhi aperti
diventano il volto di Andrew.
569/915
Mi faccio una doccia e mi infilo un
paio di jeans che non sono ancora stati
lavati. Non puzzano, per cui credo che
per il momento possano andare bene.
Ma se non porto a lavare i miei vestiti
al più presto credo che dovrò andare in
un altro grande magazzino a comprarmi qualcosa di nuovo. Sono felice
di aver infilato dodici paia di
mutandine pulite nella borsa.
Comincio a truccarmi, ma poi appoggio le dita sul lavandino del bagno e mi
guardo allo specchio, cercando di
vedere quello che vede Andrew. Mi ha
vista praticamente nelle condizioni peggiori: senza trucco, con le occhiaie
dopo ore di viaggio, con i capelli spettinati e sporchi… Sorrido nel ripensarci
e poi lo immagino dietro di me, in
questo momento, allo specchio. Vedo la
sua bocca sepolta nella curva del mio
collo e le sue braccia forti che mi
570/915
stringono da dietro, le dita premute
contro le costole.
Qualcuno bussa alla porta e mi
strappa bruscamente alle mie fantasie.
«Sei pronta?» fa Andrew quando gli
apro.
«Dove stiamo andando, a proposito?»
gli chiedo mentre torno in bagno per
finire di truccarmi. «Mi servono dei
vestiti puliti. Davvero.»
Lui mi segue e la cosa mi lascia un
po’ scioccata, perché la situazione assomiglia molto alle mie fantasie di un
attimo fa. Comincio a mettere il mascara, piegandomi sopra il lavandino per
avvicinarmi allo specchio. Strizzo l’occhio sinistro mentre applico il mascara
sulle ciglia a destra. Andrew mi fissa il
sedere e non ne fa mistero. Vuole che lo
veda mentre si comporta male. Sbuffo e
571/915
torno al mio mascara, passando all’altro
occhio.
«C’è una lavanderia al dodicesimo piano» mi avvisa.
Stringe le mani sui miei fianchi e mi
guarda nello specchio con un sorriso
diabolico e il labbro inferiore stretto tra
i denti.
Mi volto di scatto. «Allora è il primo
posto in cui andremo» commento.
«Cosa?» Sembra irritato. «Voglio uscire, andare in giro per la città, farmi
un paio di birre, ascoltare qualche
gruppo che suona. Non voglio andare a
fare il bucato!»
«Oh, smettila di lamentarti» lo zittisco, e mi volto di nuovo verso lo specchio per prendere il rossetto. «Non sono
nemmeno le due del pomeriggio… E tu
non sei uno di quei tizi che bevono
birra a colazione, no?»
572/915
Andrew trasale e si preme il palmo
della mano sul cuore fingendo di essere
ferito. «Certo che no! Aspetto almeno
fino all’ora di pranzo.»
Scuoto la testa e lo spingo fuori dal
bagno mentre sorride mostrando le fossette; poi gli sbatto la porta in faccia.
«E perché?» mi chiede lui dall’altra
parte.
«Devo fare pipì!»
«Be’, non avrei guardato!»
«Va’ in camera tua a prendere i
vestiti sporchi, Andrew!»
«Ma…»
«Subito, Andrew! Altrimenti dopo
non usciamo!»
Me lo immagino che fa il broncio, ma
in realtà sono convinta che stia cercando di sbirciare dal buco della
serratura.
573/915
«D’accordo!» grida infine; poi sento
la porta della stanza aprirsi e richiudersi alle sue spalle.
Quando ho finito in bagno prendo i
miei vestiti sporchi, li caccio nella
borsa a tracolla e mi infilo le infradito.
27
Per prima cosa facciamo il bucato: e già
che ci sono, questa volta ripiego tutti i
vestiti per bene dopo averli tirati fuori
dall’asciugatrice, invece di infilarli alla
rinfusa nelle borse. Andrew cerca di
protestare, ma ora si fa a modo mio.
Dopodiché usciamo e lui mi porta in
giro per tutta la città, persino al cimitero di St. Louis dove le tombe sono esterne invece che sottoterra… Non ho
mai visto niente del genere in vita mia!
Percorriamo tutta Canal Street verso il
World Trade Center New Orleans e arriviamo in riva all’oceano, dove
575/915
troviamo lo Starbucks che desideriamo
tanto. Parliamo per ore davanti ai nostri caffè e gli racconto che mi ha telefonato Natalie. Continuiamo a parlare
di lei e Damon, che Andrew ha imparato a detestare molto in fretta.
A un certo punto passiamo davanti a
una steakhouse in cui Andrew cerca di
farmi entrare rinfacciandomi il patto
che abbiamo stretto sull’autobus. Lui
piagnucola che vuole mangiare carne,
ma io non ho nemmeno un briciolo di
fame e gli spiego che devo avere un
vero e proprio buco nello stomaco se
vuole che mi goda una bistecca.
Poco dopo troviamo un centro commerciale: lo Shops di Canal Place. Non
vedo l’ora di andarci, dopo essere stata
costretta a mettere gli stessi noiosissimi
abiti per una settimana intera.
576/915
«Ma abbiamo appena fatto il bucato!»
protesta Andrew mentre entriamo.
«Perché ti servono dei vestiti nuovi?»
Mi passo la tracolla della borsa
sull’altra spalla e lo afferro per un
gomito.
«Se stasera usciamo vorrei mettermi
qualcosa di minimamente dignitoso»
sibilo trascinandolo dietro di me.
«Ma quello che indossi ora è carino
da morire» ribatte lui.
«Cerco solo un paio di jeans nuovi e
un top» rispondo. Poi mi fermo e lo
guardo. «Puoi aiutarmi a scegliere se
vuoi.»
La proposta solletica la sua curiosità.
«D’accordo» replica sorridendo.
Ricomincio a trascinarlo. «Ma non
farti illusioni. Ti ho detto che puoi
aiutarmi, non scegliere!» lo avverto,
577/915
strattonandogli il braccio per sottolineare il concetto.
«Ehi, stiamo facendo un po’ troppo a
modo tuo» mi sgrida. «Dovresti saperlo,
piccola: non ti lascerò andare avanti
così ancora per molto prima di cominciare a giocare le mie carte.»
«Quali carte pensi di giocarti di preciso?» Glielo chiedo senza timore, perché sono certa che sia solo un bluff.
Andrew arriccia le labbra e la mia
sicurezza comincia a vacillare. «Se ben
ricordi» esordisce con tono serio,
«siamo ancora in regime “fai tutto
quello che dico io”.»
Ecco, ora la mia sicurezza svanisce
del tutto.
Andrew sorride e questa volta è lui a
strattonarmi il braccio. «E dal momento
che mi hai già permesso di leccartela
una volta» aggiunge, e io spalanco gli
578/915
occhi, «potrei anche dirti di sdraiarti e
aprire le gambe e tu dovresti obbedire,
è chiaro?»
Riesco a malapena a guardarmi intorno per vedere se qualche passante
l’ha sentito. Non parlava a voce
bassissima, ma era ovvio.
Lui rallenta il passo, si china e mi
sussurra all’orecchio. «Se non mi lasci
fare subito come voglio io, sarò
costretto a torturarti infilandoti la lingua tra le gambe.» Il suo respiro nel
mio orecchio, combinato a quelle parole che mi fanno bagnare all’istante,
mi provoca una scarica di brividi lungo
il collo. «Ora sta a te fare la prossima
mossa, piccola.»
Si allontana e vorrei dargli uno schiaffo per fargli sparire quel ghigno dalla
faccia,
ma
probabilmente
gli
piacerebbe.
579/915
Dilemma: lasciarlo scegliere qualcosa
di poco importante come un vestito o
continuare a fare a modo mio e
costringerlo a “torturarmi” più tardi?
Mmm. Credo di essere più masochista
di quanto pensassi.
Arriva la sera e mi preparo per uscire.
Indosso un nuovo paio di jeans skinny,
un top nero senza spalline e molto sexy
che mi stringe il seno, e le scarpe nere
col tacco più carine che ho trovato al
centro commerciale.
Andrew mi fissa sbalordito sulla
porta.
«Dovrei giocarmi le mie carte adesso»
esclama entrando in camera.
Stasera mi sono fatta due trecce morbide che ricadono sulle spalle fin quasi
al seno. Ho lasciato qualche sottile
ciocca di capelli libera sul viso, perché
580/915
le ho sempre considerate carine sulle
altre ragazze, quindi perché non
dovrebbero esserlo anche su di me?
Sembra che a Andrew piacciano. Si avvicina e le sfiora con le dita.
Io sento un tuffo al cuore.
«Piccola, non scherzo. Sei fantastica.»
«Grazie.» Dio, perché sto ridacchiando
come una cretina?
Tocca a me squadrarlo dalla testa ai
piedi e anche se è vestito semplicemente con i jeans, una maglietta bianca
e i soliti Doc Martens, sta benissimo.
Qualsiasi cosa indossi, resta sempre il
ragazzo più sexy che abbia mai
conosciuto.
Usciamo e faccio girare la testa a
qualche vecchietto in ascensore e nella
hall. A Andrew fa molto piacere, e si
vede. È raggiante mentre mi cammina a
fianco e questo mi lusinga molto.
581/915
Come prima tappa andiamo in uno
dei locali più famosi di New Orleans, il
d.b.a., e ascoltiamo il concerto di una
band per circa un’ora. Ma quando mi
chiedono i documenti e capiamo che
non mi daranno mai da bere là dentro,
Andrew mi porta in un altro bar poco
lontano.
«È questione di fortuna» mi avvisa
mentre ci avviciniamo al locale mano
nella mano. «La maggior parte dei
camerieri ti chiede i documenti, ma di
tanto in tanto si distraggono e non si
fermano a pensare se dimostri ventun
anni o meno.»
«Be’, compirò ventun anni tra cinque
mesi» ribatto, stringendogli la mano
mentre attraversiamo un incrocio
trafficato.
582/915
«Temevo che ne avessi solo diciassette quando ti ho conosciuta
sull’autobus.»
«Diciassette?» Spero davvero di non
sembrare così giovane!
«Ehi» ribatte lui lanciandomi un’occhiata. «Ho conosciuto delle quindicenni che sembravano delle trentenni.
Non serve che aggiunga altro.»
«Perciò secondo te ne dimostro
diciassette?»
«No, dimostri l’età che hai» ammette.
«Era tanto per dire.»
È un bel sollievo.
Il locale è leggermente più piccolo
del precedente e la clientela va dai
venti ai trent’anni. Sul retro ci sono alcuni tavoli da biliardo sistemati fianco
a fianco e l’illuminazione è soffusa,
concentrata solo sui tavoli e nel
583/915
corridoio alla mia destra che porta ai
salottini. Il fumo di sigaretta è denso, a
differenza dell’altro locale, ma non mi
disturba molto. Non vado matta per le
sigarette, ma credo che nei bar il fumo
sia qualcosa di naturale: se non c’è,
sembra che manchi qualcosa.
Dalle casse appese al soffitto esce una
canzone rock che mi pare di riconoscere. Sulla sinistra c’è un piccolo palco
dove di solito si esibiscono le band, ma
stasera non suona nessuno. Questo non
diminuisce l’atmosfera di festa, però:
tra la musica e le voci della gente che
mi urla accanto riesco a malapena a
sentire Andrew.
«Sai giocare a biliardo?» mi grida
nell’orecchio chinandosi verso di me.
«Ci ho provato un paio di volte… ma
sono un disastro!» urlo io di rimando.
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Mi prende per mano e ci dirigiamo
verso i tavoli, facendoci strada con
cautela tra la gente che occupa praticamente tutto lo spazio disponibile.
«Siediti qui» mi ordina con un tono di
voce un po’ più basso ora che le casse
sono più lontane. «Prendiamo questo
tavolo.»
Mi siedo a un piccolo tavolo rotondo
dando le spalle alla parete. Alla mia
sinistra c’è una scala che porta al piano
superiore e che mi passa sopra la testa.
Con la punta di un dito sposto il posacenere colmo di mozziconi il più
lontano possibile. Una cameriera mi
vede e si avvicina.
Andrew sta parlando con un tizio a
pochi metri da me accanto ai tavoli da
biliardo;
probabilmente
gli
sta
chiedendo se può giocare.
585/915
«Scusa» mi dice la cameriera prendendo il posacenere e sostituendolo con
uno pulito, che appoggia capovolto. Poi
passa uno straccio umido sul piano.
Le sorrido. È una bella ragazza dai
capelli scuri e anche lei non deve avere
più di ventun anni. Regge un vassoio in
una mano.
«Ti porto qualcosa?»
Devo sembrare abituata a sentirmi
fare quella domanda senza che mi
vengano chiesti i documenti, perciò
rispondo
senza
esitazioni:
«Una
Heineken».
«Portane due» aggiunge Andrew avvicinandosi con una stecca da biliardo in
mano.
La cameriera trasale quando lo vede
e io ne sono orgogliosa. La ragazza annuisce e mi guarda con quell’aria da
“beata te” prima di allontanarsi.
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«Quel tizio fa un ultimo giro e poi ci
lascia il tavolo» mi informa Andrew
prendendo l’altra sedia.
La cameriera torna con due Heineken
e ce le appoggia davanti.
«Fate un fischio se avete bisogno di
qualcosa» grida prima di allontanarsi di
nuovo.
«Non ti ha chiesto i documenti» constata lui avvicinandosi per non farsi
sentire da nessuno.
«No, ma questo non significa che non
lo farà dopo. Mi è successo una volta in
un locale a Charlotte; io e Natalie
eravamo quasi ubriache quando ci hanno chiesto i documenti e ci hanno cacciate via.»
«Be’ allora goditela finché dura.» Sorride, si porta la birra alle labbra e prende un rapido sorso.
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Io faccio lo stesso. Sto cominciando a
pentirmi di essermi portata la borsa,
perché adesso sono costretta a tenerla
d’occhio, e quando tocca a noi giocare
la nascondo sotto il tavolo.
Andrew mi accompagna alla rastrelliera con le stecche.
«Quale preferisci?» mi chiede indicando le stecche con un gesto della
mano. «Devi prendere quella che ti ispira di più.»
Oh, sarà proprio divertente: crede
davvero di potermi insegnare qualcosa!
Recito la parte di quella che non ha
idea di cosa fare e scruto le stecche
come se stessi scegliendo un libro dallo
scaffale della biblioteca. Le sfioro con la
mano, ne prendo una e provo a
soppesarla facendola ondeggiare un po’.
So che sembro la classica bionda scema,
ma è esattamente quello che voglio
588/915
fargli credere. «Tanto, una vale l’altra»
concludo facendo spallucce.
Andrew inserisce le palle nel triangolo, spostandole finché non sono nella
sequenza giusta, e poi le spinge lungo il
tavolo per metterle in posizione. Infine
solleva con attenzione il triangolo e lo
appoggia in uno scomparto sotto il
tavolo.
Mi fa un cenno. «Vuoi cominciare
tu?»
«Naa, comincia tu.» Voglio solo
vederlo tutto concentrato e piegato sul
tavolo con quella sua aria sexy.
«D’accordo» commenta lui, e sistema
la palla bianca. Dedica alcuni secondi a
ruotare la punta della stecca in un
cubetto di gesso, che poi appoggia sul
bordo del tavolo.
«Se hai già giocato altre volte, allora
sono certo che conosci le regole di
589/915
base» comincia assumendo la postura
corretta. Punta la stecca verso la palla.
«Naturalmente si può colpire solo la
bianca.»
È molto buffo, ma tra poco gli
mostrerò con chi ha a che fare.
«Se scegli le palle a strisce, o
“bande”, devi mandare in buca solo
quelle. Se invece ci mandi una di quelle
a tinta unita, ti scavi la fossa da sola.»
«E la palla nera?» chiedo indicando la
palla numero 8 al centro.
«Se la mandi in buca prima delle tue
palle, hai perso» risponde con un sorrisetto sarcastico. «E se mandi in buca la
palla bianca perdi il turno.»
«Tutto qui?» chiedo, ruotando a mia
volta la punta della stecca nel cubetto
di gesso.
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«Per il momento sì.» Immagino che
voglia risparmiarmi le altre regole
meno importanti per non confondermi
le idee.
Fa un paio di passi indietro e poi si
piega sul tavolo, inarca le dita sul panno blu e sistema la stecca con precisione nella curva dell’indice. Porta la
stecca avanti e indietro un paio di volte
per aggiustare la mira, poi esita un
istante e sferra un colpo alla palla bianca, che va a sparpagliare le altre.
“Bel colpo, piccolo” penso tra me e
me.
Ne vanno in buca due: una a strisce e
l’altra a tinta unita.
«Quali vuoi?» mi chiede.
«Quali voglio in che senso?» ribatto
continuando a fare la gnorri.
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«Rigate o piene? Scegli pure quelle
che preferisci.»
«Oh» rispondo io come se ci stessi arrivando pian piano. «Per me è uguale…
scelgo le rigate, allora.»
Non stiamo giocando proprio a un
Palla 8 da manuale, ma immagino che
lo stia facendo per me.
Arriva il mio turno e giro intorno al
tavolo alla ricerca del colpo perfetto.
«Le chiamiamo o no?»
Andrew mi guarda incuriosito. Forse
avrei dovuto dire qualcosa del tipo:
«Posso colpire una qualsiasi delle mie
palle?». Ma credo che non sospetti
ancora niente.
«Scegli una palla che credi di poter
mandare in buca e colpiscila.»
592/915
Okay, ora sono certa che non ha
mangiato la foglia. «Un momento. Non
scommettiamo niente?» gli chiedo.
Andrew sembra sorpreso, ma poi la
sua espressione prende una piega
diabolica.
«Ma certo. Cosa vuoi scommettere?»
«Rivoglio la mia libertà.»
Andrew sulle prime solleva un
sopracciglio, ma poi le sue labbra deliziose si piegano di nuovo verso l’alto
quando ricorda che a quanto pare non
ho idea di come si giochi a biliardo.
«Be’, mi dispiace un po’ che tu la
rivoglia» risponde, facendo scorrere tra
le dita la stecca appoggiata al pavimento. «Ma va bene, accetto la sfida.»
Quando ormai sono sicura che il
patto sia concluso, lui alza un dito e
593/915
aggiunge: «Però, se vinco io, inasprirò
la legge del “fai tutto quello che
voglio”».
Adesso sono io ad alzare un
sopracciglio. «La inasprirai?» gli chiedo
scoccandogli un’occhiata sospettosa.
Andrew appoggia la stecca sul tavolo
e le mani sul bordo, mettendosi proprio
sotto la luce. Il suo sorriso diabolico mi
fa correre un brivido lungo la schiena.
«È una scommessa o no?» mi chiede.
Sono piuttosto sicura di essere in
grado di batterlo, ma adesso mi ha
spaventata a morte. Che succede se è
più bravo di me, se perdo la scommessa
e mi costringe a mangiare scarafaggi o
a mostrare il sedere dalla macchina in
corsa? Sono proprio queste le cose che
vorrei evitare: ricordo benissimo
quando ha detto «arriveremo anche a
questo». Certo, potrei sempre rifiutarmi
594/915
(me l’ha assicurato prima di partire dal
Wyoming), ma preferirei di gran lunga
non dover nemmeno affrontare il
problema.
Oppure… un momento. E se si
riferisce a qualcosa che ha a che vedere
col sesso? Oh, be’, in questo caso…
Quasi quasi spero che vinca lui.
«Affare fatto.»
Andrew mi lancia un sorrisetto malizioso e si allontana dal tavolo portando
con sé la sua stecca.
Di fianco a noi ha appena finito di
giocare un gruppetto di persone, tra cui
due ragazze; alcuni cominciano a
guardarci.
Mi piego sul tavolo, posiziono la
stecca come ha fatto Andrew. La faccio
scorrere avanti e indietro tra le dita un
paio di volte e colpisco la palla bianca
perfettamente al centro. La palla 11
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colpisce la 15 e la 15 colpisce la 10, ed
entrambe finiscono nella buca d’angolo.
Andrew mi fissa sbalordito. Solleva
un sopracciglio. «È la fortuna del principiante o hai cercato di fregarmi?»
Io sorrido e mi sposto dall’altra parte
del tavolo per preparare il prossimo
colpo. Non rispondo. Accenno un sorriso e tengo gli occhi fissi sul gioco.
Scegliendo di proposito la palla più vicina a quelle di Andrew mi sporgo sul
tavolo di fronte a lui (sbirciando verso
il basso per controllare di non avere le
tette in vista, dato che i ragazzi davanti
a me mi stanno fissando) e calibro le
forze prima di mandare in buca la 9
con un colpo secco.
«Mi hai fregato» dichiara Andrew dietro di me. «E mi hai preso in giro.»
Mi alzo e poso i miei occhi sorridenti
sui suoi mentre mi dirigo verso
596/915
l’estremità del tavolo. Questa volta
sbaglio il colpo di proposito. Le palle
sono disposte alla grande e potrei vincere subito senza problemi, ma non
voglio una vittoria facile.
«Eh no, piccola, non voglio vedere
tiri come questi. Cos’è, hai pietà di
me?» sbotta mentre si avvicina.
«Avresti potuto mandare in buca la 13
senza neanche guardare.»
Gli lancio un finto sguardo avvilito.
«Mi è scivolato il dito.»
Andrew scuote la sua bellissima testa
e socchiude gli occhi. Sa benissimo che
sto mentendo.
Alla fine giochiamo e basta: lui
manda in buca tre palle senza sforzo,
un turno dopo l’altro; dopodiché
sbaglia con la 7. Io ne mando in buca
un’altra. Poi tocca a lui. E andiamo avanti così, prendendoci del tempo prima
597/915
di ogni colpo, ma entrambi sbagliamo
apposta di tanto in tanto per far continuare il gioco.
Adesso arriva il bello. È il mio turno
e le uniche palle rimaste sul tavolo
sono la sua 4, la palla bianca e la numero 8. La 8 è un po’ troppo lontana
per consentirmi di sferrare un colpo
d’angolo perfetto in entrambe le
direzioni, ma so che posso spedirla contro il bordo del tavolo in modo che
torni indietro e finisca in buca a
sinistra.
Altri due ragazzi hanno cominciato a
guardare, senza dubbio attratti da come
sono vestita (ho sentito i loro commenti
a mezza voce sulle mie tette e il mio
culo, soprattutto quando mi piegavo
per colpire le palle), ma non mi lascio
distrarre. Però ho notato che Andrew li
guardava spesso e mi eccita l’idea che
598/915
sia geloso. Punto la stecca sul tavolo e
chiamo: «Buca sinistra».
Mi sposto di lato e mi accovaccio al
livello del tavolo per controllare che
l’allineamento sia giusto. Mi rialzo e
verifico la posizione della bianca e
della 8 da un’altra prospettiva; dopodiché mi allungo sul tavolo. Uno. Due.
Tre. Al quattro colpisco delicatamente
la bianca, che a sua volta colpisce la 8
proprio all’angolo giusto e la manda
verso la parte destra del tavolo, dove
rimbalza di qualche centimetro e si infila senza problemi nella buca sinistra.
I ragazzi che ci guardano emettono
alcuni versi sommessi ed eccitati, come
se non li sentissi.
Andrew è dall’altra parte del tavolo e
mi rivolge un sorriso smagliante. «Niente
male,
piccola»
esclama
599/915
raccogliendo le palle. «Adesso sei libera, no?»
Non posso fare a meno di notare che
sembra un po’ triste. Il suo viso sorride,
ma i suoi occhi non possono nascondere la delusione.
«Naa» dico io. «Volevo solo evitare di
essere costretta a mangiare insetti o a
mostrare il culo dal finestrino. Per tutto
il resto, lascio a te il controllo.»
Adesso sì che Andrew sorride
davvero.
28
Giochiamo un’altra partita, più rilassata
stavolta, e vince lui perché se lo merita.
Dopodiché decidiamo di tornare a
sederci al nostro tavolo prima che le
scarpe nuove mi facciano venire le vesciche ai piedi. Sono alla seconda
Heineken e per ora la sento solo un po’
nelle dita intorpidite e in fondo allo
stomaco. Ne prenderò un’altra per andare un po’ su di giri.
«Vuoi fare una partita, amico?»
chiede un tizio avvicinandosi a Andrew
proprio mentre stiamo andando a
sederci.
601/915
Andrew mi guarda e io gli faccio
cenno di andare.
«Fa’, pure, non è un problema. Controllo i messaggi e mi riposo i piedi per
un po’.»
«D’accordo, piccola» risponde lui.
«Ma se vuoi andartene prima che abbia
finito me lo dici e smetto subito.»
«Sta’ tranquillo» ribatto, invitandolo
ad andare. «Va’ pure a fare una
partita.»
Andrew mi sorride e torna al tavolo
da gioco a pochi metri da me. Io
prendo la borsa da sotto il tavolino e
frugo dentro alla ricerca del mio telefono. Proprio come sospettavo: Natalie
mi ha intasato il telefono di messaggi
(sedici in tutto) ma almeno non ha
provato a chiamare, e nemmeno mia
madre, forse perché questo fine settimana è partita per la crociera con il suo
602/915
nuovo fidanzato. Spero che si stia divertendo il più possibile, almeno
quanto me.
Le casse sul soffitto diffondono un’altra canzone e noto che la gente nel locale è triplicata da quando siamo arrivati. Anche se Andrew non è molto
lontano, non sento cosa dice al tizio
con cui sta giocando. Ordino un’altra
birra e rimango sola con la regina degli
sms. Io e Natalie ci scriviamo un po’ di
botta e risposta riguardo quello che ha
fatto oggi e dove andrà stasera, ma so
che è solo un riempitivo per arrivare a
quello che muore dalla voglia di sapere:
che ci faccio a New Orleans con il
“ragazzo misterioso”, a chi somiglia
(perché lei paragona sempre i ragazzi ai
personaggi famosi) e se “ci sono andata
a letto”. Io resto sul vago per torturarla
un po’. Se lo merita, dopotutto. E
comunque, non sono ancora pronta a
603/915
parlarle di Andrew. Non sono pronta a
parlarne con nessuno, in realtà. Dentro
di me temo che se parlassi di lui a qualcuno, anche solo per confermare che esiste e che sono qui insieme a lui, tutta
questa storia sparirebbe in una nuvola
di fumo. È una questione di scaramanzia. Oppure potrei svegliarmi e rendermi conto che Blake ha infilato qualcosa in uno dei drink che mi ha servito
prima di salire sul tetto con lui e che
l’intero viaggio con Andrew è solo
un’allucinazione.
«Sono Mitchell» dice una voce sopra
di me, accompagnata da una forte zaffata di whisky e dopobarba scadente.
Il ragazzo ha i capelli scuri e una corporatura media, il classico tipo “muscoloso ma non troppo”. Ha gli occhi iniettati di sangue, come il ragazzo biondo
accanto a lui.
604/915
Io faccio un sorrisetto schizzinoso e
guardo Andrew, che sta già venendo
verso di me.
«Sono con una persona» rispondo
dolcemente.
Il tizio muscoloso guarda l’altra sedia
e poi di nuovo me, come per farmi notare che è vuota.
«Camryn?» Andrew è dietro di loro.
«Va tutto bene?»
«Sì, tutto a posto» rispondo.
Il tizio si volta per guardare Andrew.
«Ha detto che è tutto a posto» abbaia
con tono di sfida.
Non intendevo dire “è tutto a posto,
va’ pure Andrew”, e Andrew lo sa benissimo. Ma quel tizio no, a quanto pare.
«Lei è con me» tuona Andrew. Cerca
di mantenere la calma, anche se probabilmente lo fa solo per me, ma ha un
605/915
sguardo terribilmente aggressivo negli
occhi.
Il tizio biondo scoppia a ridere.
Il moro mi guarda ancora con una
bottiglia di Budweiser in mano. «È il
tuo ragazzo o roba del genere?»
«No, ma noi siamo…»
Il tizio fa un ghigno sarcastico e
guarda Andrew, ignorandomi per il momento. «Non sei il suo ragazzo, quindi
fuori dalle palle, amico.»
L’aggressività sta per trasformarsi in
furia omicida. Andrew non riuscirà a
resistere ancora a lungo.
Mi alzo in piedi.
«Forse lei vuole parlare con noi» continua il tizio muscoloso, e prende un altro sorso di birra. Non sembra ubriaco,
solo un po’ su di giri.
606/915
Andrew si avvicina e piega la testa di
lato, squadrandolo da capo a piedi. Poi
guarda me. «Camryn, vuoi parlare con
loro?»
Sa benissimo che non voglio, ma
questo suo modo cortese di proteggermi
sta facendo saltare i nervi al tizio.
«No, a dire il vero no.»
Andrew gira la testa e posso vedere
le sue narici dilatarsi mentre si avvicina
alla faccia del ragazzo e ringhia: «Leva
il tuo culo di qui o ti faccio ingoiare i
denti».
I ragazzi che stavano giocando a biliardo arretrano di qualche passo. Il tizio
biondo, il più sveglio dei due, mette
una mano sulla spalla dell’altro. «Dài,
amico, andiamocene.» Fa un cenno
verso il tavolo a cui erano seduti prima.
Il moro si scrolla di dosso la mano
607/915
dell’amico e si avvicina ancor di più a
Andrew.
E tanto basta.
Andrew alza la stecca da biliardo e la
sbatte sul petto del tizio, sollevandolo
da terra e mozzandogli il fiato. Il tizio
cade all’indietro mancando di poco il
mio tavolo, ma riesce ad aggrapparsi al
bordo per restare in piedi. Io strillo e
afferro la mia borsa prima che cada a
terra con lui. La mia birra va in frantumi sul pavimento. Ancor prima che il
ragazzo riesca a rimettersi in piedi
Andrew è sopra di lui e gli sferra una
serie di pugni in faccia.
Cerco di allontanarmi il più possibile
e corro verso la scala, ma i curiosi che
accorrono per vedere che succede
creano una barriera alle mie spalle.
Il tizio biondo salta addosso a
Andrew da dietro e lo afferra per il
608/915
collo tentando di staccarlo dal suo
amico. Allora io gli salto addosso e
comincio a sferzarlo in viso con il mio
piccolo pugno debole. La borsa che ho
a tracolla mi ostacola i movimenti.
Andrew per fortuna si libera senza
problemi dalla presa del biondo, si
volta e gli dà un calcio nella schiena
che lo spedisce direttamente faccia a
terra.
Mi prende il polso.
«Levati dai piedi, piccola.» Mi
rispedisce tra la folla alle mie spalle e
torna subito a voltarsi verso i due tizi.
Il tipo muscoloso è riuscito a rimettersi in piedi, ma non per molto, perché
Andrew lo raggiunge e lo colpisce con
un gancio sotto il mento che gli fa
sputare sangue. Vedo un dente insanguinato atterrare sul pavimento. Rabbrividisco. Il tizio cade all’indietro su
609/915
un altro tavolino e stacca anche quello
dalla sua base di metallo. E appena il
biondo torna alla carica, il ragazzo con
cui Andrew aveva giocato a biliardo
scatta in piedi e lo placca, lasciando
Andrew a occuparsi del più grosso.
Quando i buttafuori si fanno strada
tra la folla per sedare la rissa, Andrew
ha già fatto neri entrambi gli occhi del
tizio moro, a cui sanguina copiosamente il naso. Il ragazzo si rialza
premendosi le mani in faccia mentre il
buttafuori lo prende per le spalle per
poi farlo passare tra la folla.
Andrew spinge via la mano dell’altro
buttafuori che cerca di afferrarlo. «Faccio da solo» tuona, alzando una mano
per dirgli di non toccarlo. Con l’altra
mano si asciuga un rivolo di sangue che
gli scende dal naso. «Me ne vado, non
serve che mi mostri dov’è la porta.»
610/915
Corro verso di lui e mi prende la
mano. «Camryn, va tutto bene? Ti sei
fatta male?» Mi squadra dalla testa ai
piedi con occhi spiritati.
«No, sto bene. Andiamocene, forza.»
Mi prende per mano e mi tira accanto
a sé facendosi strada tra la folla che si
apre per lasciarci passare.
Usciamo nel fresco della sera e la musica che proviene dal locale si interrompe all’improvviso quando le porte si
chiudono alle nostre spalle. I due idioti
della rissa sono già fuori e camminano
per la strada, il moro ancora con le
mani premute sul viso insanguinato.
Sono certa che Andrew gli abbia rotto il
naso.
Andrew mi blocca e mi afferra per le
spalle. «Non mentirmi, piccola. Ti sei
fatta male da qualche parte? Giuro su
611/915
Dio che se ti hanno fatto qualcosa vado
a rincorrerli.»
Mi si scioglie il cuore quando mi
chiama “piccola”. E quello sguardo preoccupato e fiero nei suoi occhi… Vorrei
solo baciarlo.
«Dico sul serio» rispondo. «Sto bene.
In realtà ho persino colpito il biondo un
paio di volte quando ti ha afferrato da
dietro.»
Mi prende il viso tra le mani e mi
guarda intensamente, come se non mi
credesse.
«Non mi sono fatta niente» ripeto per
l’ultima volta.
Appoggia le labbra sulla mia fronte.
Poi mi afferra la mano. «Torniamo in
hotel.»
612/915
«No» protesto io. «Dovevamo divertirci e io non sono nemmeno brilla per
colpa loro, accidenti!»
Andrew piega la testa di lato e il suo
sguardo si addolcisce. «Dove vuoi andare, allora?»
«Andiamo in un altro locale» suggerisco. «Non so, forse in un posto più
tranquillo?»
Sospira e mi stringe forte la mano.
Poi mi guarda di nuovo con attenzione:
prima i piedi, dove le unghie dipinte
fanno capolino dalla punta delle scarpe,
e poi su, lungo tutto il corpo, fermandosi sul mio top senza spalline che
avrebbe bisogno di una sistemata.
Sfilo una mano dalla sua, liscio il tessuto sopra il seno e tiro un po’ l’orlo in
modo che aderisca meglio.
613/915
«Sei fantastica vestita così» esclama
Andrew. «Ma devi ammettere che è una
tentazione per certi idioti.»
«Be’, ora non mi va di tornare in
hotel solo per cambiarmi.»
«E infatti non c’è bisogno che tu lo
faccia» risponde riprendendo la mia
mano nella sua. «Ma se vuoi andare in
un altro locale devi farmi un favore,
d’accordo?»
«Quale?»
«Fingi di essere la mia ragazza»
risponde, e un lieve sorriso mi distende
le labbra. «Almeno per evitare che qualcuno ti porti a letto, o quantomeno per
fargli passare la voglia di provarci.»
Fa una pausa e mi fissa. «O forse vuoi
che i ragazzi ci provino con te?»
Scuoto la testa all’istante. «No, non
voglio che nessuno ci provi con me.
614/915
Qualche apprezzamento innocente va
bene, e in effetti mi fa sentire più
sicura. Ma basta idioti che mi ronzano
attorno.»
«Bene, allora siamo d’accordo. Sei la
mia ragazza questa sera, il che significa
che dopo ti porterò in camera e ti farò
godere un po’.» E mi lancia di nuovo
quel sorrisetto da ragazzo cattivo che
adoro.
Sento subito un fremito tra le gambe.
Deglutisco a fatica e cerco di non
pensarci guardandolo dritto negli occhi.
Sono felice di vedere di nuovo le sue
fossette e non quell’espressione furiosa,
anche se incredibilmente eccitante, che
gli ha stravolto il viso pochi minuti fa.
«Per quanto mi piaccia, anche se il
verbo “piacere” è piuttosto riduttivo,
non ti permetterò mai più di farlo.»
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«E perché no?» Sembra ferito e anche
un po’ sorpreso.
«Perché, Andrew, io… be’, non te lo
lascerò fare e basta. Adesso vieni qui.»
Gli stringo il collo tra le mani e lo tiro
verso di me. Poi lo bacio piano e gli
sfioro le labbra a lungo.
«Cosa stai facendo?» mi chiede,
guardandomi negli occhi.
Gli sorrido dolcemente. «Sto entrando nel personaggio.»
Gli angoli delle sue labbra si alzano
in un sorriso. Mi fa voltare e mi cinge
la vita con un braccio mentre percorriamo Bourbon Street.
29
Andrew
Forse posso davvero restare con
Camryn. Perché devo torturarmi, negarmi ciò che desidero di più, quando
ormai dovrei essermi guadagnato il diritto ad avere tutto quello che voglio?
Forse si risolverà ogni cosa e lei non
soffrirà. Potrei tornare da Marsters. E se
la lascio andare e non la rivedo più, e
poi si scopre che Marsters si era
sbagliato? Tutte scuse, porca puttana.
Siamo stati in altri due bar nel quartiere francese e Camryn è riuscita a farsi
617/915
passare per ventunenne in entrambi.
Solo una volta le hanno chiesto un documento; e dato che compie gli anni a
dicembre, immagino che la cameriera
abbia deciso di chiudere un occhio.
Ma adesso è ubriaca, e non so se riuscirà a tornare a piedi in albergo.
«Chiamo un taxi» le dico, reggendola
per un braccio sul marciapiede.
Coppie e comitive vanno e vengono
dal locale dietro di noi; alcuni escono
in strada barcollando.
La stringo e lei mi posa una mano
sulla spalla. Non riesce quasi a tener
dritta la testa.
«Il taxi mi sembra una buona idea»
biascica. Le si chiudono gli occhi.
Sta per addormentarsi, o forse per
vomitare. Spero che resista fino
all’albergo.
618/915
Il taxi ci lascia davanti all’hotel e la
aiuto a scendere, ma poi la prendo in
braccio perché non si regge più in
piedi. La porto all’ascensore, tenendola
con un braccio sotto le ginocchia piegate e la testa poggiata sul mio petto.
La gente ci fissa.
«Seratona, eh?» chiede un uomo in
ascensore.
«Già» annuisco. «Non tutti reggiamo
bene l’alcol.»
Con un trillo l’ascensore si ferma al
piano e le porte si aprono. L’uomo esce.
Altri due piani e mi dirigo verso le
nostre stanze.
«Dove hai la chiave, piccola?»
«In borsa» mormora lei.
È lucida. È già qualcosa. Continuando
a tenerla in braccio, tiro la borsa verso
di me e apro la cerniera lampo. In altre
619/915
circostanze farei una battuta sulla pesantezza della borsa, le chiederei se dentro c’è qualcosa che morde, ma capisco
che non è il momento: sta malissimo.
Sarà una nottata lunga.
Lascio richiudere la porta dietro di
noi e faccio sdraiare Camryn sul letto.
«Mi sento di merda» bisbiglia.
«Lo so, piccola. Una bella dormita e
passa tutto.»
Le sfilo le scarpe e le appoggio a
terra.
«Sto per…» Si sporge dal bordo del
letto e vomita.
Raccolgo quasi tutto nel cestino della
carta, ma l’indomani la cameriera non
sarà contenta. Camryn butta fuori tutto
quello che ha nello stomaco; sono un
po’ sorpreso, dato che non ha mangiato
granché da quella mattina. Alla fine
620/915
ricade all’indietro sui cuscini, con le
lacrime agli occhi. Prova a guardarmi,
ma so che le gira troppo la testa per
mettere a fuoco.
«Fa caldissimo, qui» dice.
«Va bene» replico, e vado ad alzare al
massimo l’aria condizionata.
Poi entro in bagno, metto un asciugamano sotto l’acqua fredda e lo
strizzo. Torno nella stanza, mi siedo sul
letto accanto a lei e le asciugo il viso.
«Mi dispiace tanto» borbotta. «Avrei
dovuto smettere dopo la vodka. Ora
devi pulire il mio vomito.»
Le tampono le guance e la fronte,
scostando le ciocche di capelli che le
ricadono sul viso, e poi le passo il panno freddo sulle labbra. «Non devi scusarti. Ti sei divertita, e questo è l’importante» la rassicuro con un sorriso. «E
poi, così, ora posso approfittarmi di te.»
621/915
Cerca di sorridere e di schiaffeggiarmi un braccio, ma è troppo debole
anche per quello. Il suo accenno di sorriso si trasforma in una smorfia di
dolore e la fronte si imperla subito di
sudore.
«Oh, no…» Si tira su dal letto. «Devo
andare in bagno» dice, aggrappandosi a
me perché la aiuti a tirarsi in piedi.
La porto in bagno e lei si getta sulla
tazza, afferrandola con entrambe le
mani. La schiena si inarca e si flette,
scossa dai conati.
«Avresti dovuto mangiare quella
bistecca con me, piccola.» Resto in
piedi alle sue spalle tenendole indietro i
capelli e continuando a premerle il panno freddo sulla nuca. Mi dispiace
vederla sforzarsi in quel modo, e inutilmente, perché non esce più nulla. So
622/915
che poi le faranno male la gola, il petto
e lo stomaco.
Quando ha finito si sdraia sulle mattonelle fredde. Cerco di tirarla su, ma
lei protesta a mezza voce: «No, per
favore… voglio stare qui, il pavimento
è fresco».
Ha il fiato corto e, sotto la leggera
abbronzatura, è pallida come se avesse
la polmonite. Prendo un panno pulito,
lo bagno e continuo a strofinarglielo sul
viso, il collo e le spalle. Poi le sbottono
i pantaloni e li tiro giù con delicatezza,
liberando lo stomaco e le gambe dalla
pressione del tessuto aderente.
«Non preoccuparti, non ti molesterò»
scherzo, ma stavolta non mi risponde.
Dorme, riversa su un fianco con il viso sul pavimento. So che se la muovo
probabilmente si sveglierà e le verranno altri conati, ma non voglio lasciarla
623/915
in quella posizione, sdraiata accanto
alla tazza. Quindi mi stendo vicino a lei
e per ore continuo a passarle il panno
umido sulla fronte, le braccia e le
spalle, finché non mi addormento
anch’io. Non avrei mai immaginato di
passare la notte sul pavimento del
bagno, da sobrio; ma quando le ho
detto che con lei avrei dormito
ovunque, lo pensavo davvero.
30
Camryn
La porta della mia stanza si apre. Il sole
già alto fa capolino da una fessura tra
le tende sulla parete opposta. Mi ritraggo come un vampiro, e apro gli occhi giusto il minimo indispensabile. Ci
metto un istante a rendermi conto che
sono sdraiata sul letto e indosso il top
senza bretelline che avevo ieri sera e il
pezzo di sotto del bikini viola. Sul letto
c’è solo il lenzuolo su cui sono sdraiata
e un altro lenzuolo che ha l’odore e la
consistenza del cotone fresco di bucato.
625/915
Temo di aver vomitato sull’altro;
Andrew dev’essersi fatto dare un cambio dalle cameriere.
«Ti senti meglio?» mi chiede, entrando nella stanza con un secchiello
del ghiaccio in una mano e nell’altra
una pila di bicchieri di plastica e una
bottiglia di Sprite. Si siede accanto a
me, posa la roba sul comodino e apre la
bottiglia.
Mi fa malissimo la testa e sento che
potrei vomitare da un momento all’altro. Odio i doposbronza. Preferirei cadere e rompermi il naso mentre sono
ubriaca, piuttosto che risvegliarmi in
quel modo. Mi era già capitato una
volta: è una sensazione orribile, non
molto diversa dall’intossicazione. Almeno secondo Natalie, che una volta è
rimasta intossicata e ha descritto lo
626/915
stato psicofisico dell’indomani come
“Satana che ti caga addosso”.
«Per niente» rispondo, e dopo quelle
due parole mi fa già male la testa, la
nuca e tutt’intorno alle orecchie. Chiudo gli occhi perché ci vedo doppio.
«Sei messa male, piccola» commenta
Andrew, e subito sento un panno fresco
sul lato del collo.
«Puoi chiudere le tende, per favore?»
gli chiedo.
Si alza immediatamente. Sento il
rumore dei suoi passi e poi il fruscio
della stoffa. Mi tiro al petto le gambe
nude, mi copro con il lenzuolo e mi accoccolo in posizione fetale posando la
testa sul morbido cuscino.
Andrew scarta un bicchiere di
plastica e sento che ci mette dentro il
ghiaccio. Versa la Sprite e poi sento tintinnare una boccetta di pillole.
627/915
«Prendi queste» mi dice, si siede sul
letto e mi posa un braccio sulla gamba.
Apro lentamente gli occhi. Nel bicchiere c’è già una cannuccia, quindi non
dovrò sollevarmi più di tanto per bere.
Mi sporgo, prendo le tre aspirine dal
palmo della sua mano e me li infilo in
bocca, mandandoli giù con un sorso di
Sprite.
«Ti prego, dimmi che ieri sera non ho
detto o fatto niente di umiliante in tutti
quei bar.» Riesco a guardarlo solo con
gli occhi socchiusi.
Mi accorgo che sorride. «Sì, in effetti
sì» risponde, e mi viene un nodo in
gola. «Hai detto a un tizio che eri felicemente sposata con me e che avremmo
avuto quattro figli… o forse cinque,
non ricordo bene… e poi una ragazza ci
ha provato con me e tu sei scattata in
piedi e gliene hai dette quattro, sei
628/915
stata
molto
scurrile…
è
stato
buffissimo.»
Ora sì che mi viene da vomitare.
«Andrew, spero che tu stia scherzando… è imbarazzante!»
La testa mi fa più male di prima. Non
pensavo che fosse possibile.
Lo sento ridacchiare e sollevo un po’
di più le palpebre per vederlo meglio.
«Sì, piccola, ti prendo in giro.» Mi
passa il panno umido sulla fronte. «In
realtà ti sei comportata benissimo,
anche mentre tornavamo qui.» Vedo
che mi squadra da capo a piedi. «Scusa,
ho dovuto spogliarti… Be’, personalmente l’ho trovato piacevole, ma era
mio dovere. Andava fatto, capisci.»
Ostenta serietà, e a me viene da sorridere. Chiudo gli occhi e dormo un altro paio d’ore, finché la cameriera non
bussa alla porta. Mi chiedo se Andrew
629/915
si sia mai allontanato da me, in tutto
quel tempo.
«Sì, entri pure, la porto nell’altra
stanza così lei può pulire.»
Entra una signora di mezz’età con i
capelli tinti di un rosso vistoso e con indosso l’uniforme da cameriera. Andrew
mi raggiunge sul letto. «Vieni, piccola,
lasciamo pulire la signora» dice, prendendomi in braccio ancora avvolta nel
lenzuolo.
Probabilmente sarei in grado di camminare, ma non ho intenzione di protestare. Mi piace essere presa in braccio.
Quando passiamo davanti alla mia
borsa, posata sul mobile tv, faccio per
prenderla e Andrew si ferma, la raccoglie e la porta fuori con me. Gli appoggio la testa sul petto e gli stringo le
braccia al collo.
630/915
Si ferma sulla soglia e si volta verso
la donna delle pulizie. «Scusi per il disordine vicino al letto.» Accenna col
capo in quella direzione e fa una smorfia. «Le lasceremo una bella mancia.»
Se ne va e mi porta in braccio nella
sua stanza. La prima cosa che fa, dopo
avermi fatta sdraiare sul letto, è chiudere le tende.
«Spero che tu ti senta meglio entro
stasera» dice, aggirandosi nella stanza
come se cercasse qualcosa.
«Che succede stasera?»
«Un altro bar.»
Trova il lettore mp3 sulla poltrona
sotto la finestra e lo posa sul mobile tv
vicino alla sua borsa.
Protesto con un mugolio. «Oh no,
Andrew. Mi rifiuto di andare per locali
631/915
anche stasera. Non toccherò più un goccio d’alcol per il resto della vita.»
Mi sorride. «Dicono tutti così. E non
ti lascerei bere neppure se me lo
chiedessi tu. Tra una sbronza e l’altra
deve passare almeno un giorno e una
notte, altrimenti ti faranno la tessera
degli Alcolisti Anonimi.»
«Be’, spero di sentirmi abbastanza
bene per non starmene a letto tutto il
giorno… ma al momento le prospettive
non mi sembrano incoraggianti.»
«Tanto per cominciare, devi mangiare un boccone. Anche se al momento il
pensiero del cibo ti dà la nausea, se non
mangi è sicuro che starai male anche
stasera.»
«Hai ragione» dico, avvertendo già il
voltastomaco: «Mi viene da vomitare
solo a pensarci».
632/915
«Pane tostato e uova» sentenzia lui
venendo verso di me, «qualcosa di leggero: sai come funziona.»
«Sì, lo so come funziona» dico, abbattuta. Vorrei schioccare le dita e sentirmi già meglio.
31
A metà pomeriggio mi sento effettivamente meglio; non proprio in formissima, ma abbastanza per fare un giro in
tram con Andrew, visitando alcune
zone di New Orleans in cui non eravamo stati il giorno prima. Sono riuscita a
mangiare un po’ di uova e pane tostato,
e poi abbiamo preso il tram che costeggia il fiume fino all’Audubon Aquarium
of the Americas, dove abbiamo camminato in una galleria lunga dieci
metri, circondati da acqua e pesci. Abbiamo dato da mangiare ai pappagallini
e alle razze e abbiamo ammirato le
634/915
mostre sulla foresta pluviale. Ci siamo
fotografati con i cellulari, quegli stupidi
autoscatti con il braccio teso. Più tardi
ho riguardato le foto: siamo guancia a
guancia e sorridiamo come una coppietta di turisti qualsiasi.
Una coppia qualsiasi… Non siamo
una coppia. Ma devo sforzarmi continuamente per ricordarmelo. La verità
fa male.
Ma d’altronde fa male anche non
sapere cosa vuoi. No, io so bene cosa
voglio. Non posso più fingere, ma mi fa
ancora paura. Ho paura di Andrew e
del dolore che potrebbe causarmi se
mai decidesse di farmi soffrire: ho l’impressione che non lo sopporterei. È intollerabile solo il pensiero.
Credo proprio di essermi cacciata in
un bel casino.
635/915
Quando scende la sera su New Orleans e i nottambuli escono dalle loro
tane, Andrew mi fa attraversare il Mississippi in traghetto e mi porta in un
locale di nome Old Point. Sono contenta di aver messo le infradito nere invece delle scarpe nuove con i tacchi
alti. Andrew ha insistito, perché sapeva
che avremmo dovuto camminare.
«Non me ne vado mai da New Orleans senza passare da qui» dice mentre
passeggiamo mano nella mano.
«Davvero? Perciò sei un cliente
fisso?»
«Sì, potremmo dire così: ci passo un
paio di volte l’anno. Ci ho suonato
anche, una volta o due.»
«La chitarra?» tiro a indovinare.
Quattro persone ci vengono incontro
dalla direzione opposta e io mi avvicino
a lui per lasciar spazio sul marciapiede.
636/915
Lui mi lascia la mano e mi cinge la
vita da dietro.
«Suono la chitarra da quando avevo
sei anni.» Mi sorride. «Non ero molto
bravo, a sei anni, ma da qualche parte
bisogna pur iniziare… Fino ai dieci
anni non ho suonato niente che valesse
la pena ascoltare.»
«Direi che è un’età abbastanza precoce per dar prova di talento musicale»
commento, impressionata.
«Forse sì: quand’eravamo ragazzi, io
ero “il musicista” e Aidan era “l’architetto”, perché gli piaceva costruire
cose: una volta costruì un’enorme casa
sull’albero. Asher invece era “il campione di hockey”. Mio padre adorava
l’hockey, quasi più della boxe… ma
solo quasi. Asher ha smesso di giocare
dopo il primo anno, ne aveva solo
tredici. Era papà a insistere, lui voleva
637/915
solo divertirsi con l’elettronica: dopo
aver visto il film Contact si era messo in
testa di comunicare con gli alieni, su un
apparecchio costruito con pezzi di ferro
trovati in giro per casa.»
Ridiamo insieme sottovoce.
«E tuo fratello?» mi chiede. «So che è
in prigione, me l’hai detto, ma
com’erano i rapporti tra voi, prima?»
Il mio sorriso vacilla un po’. «Cole
era un fantastico fratello maggiore,
finché in prima superiore ha cominciato
a frequentare la feccia del quartiere:
Braxton Hixley, l’ho sempre odiato
quello lì. Insomma, Cole e Braxton hanno preso a drogarsi e a fare bravate assurde. Mio padre ha provato a mandarlo in una specie di istituto per
ragazzi difficili, ma Cole è scappato e si
è cacciato ancor più nei guai. Da lì in
poi la situazione è precipitata.» Torno a
638/915
guardare davanti a me, altre persone ci
vengono incontro sul marciapiede. «E
ora si trova dov’è giusto che stia.»
«Forse quando uscirà sarà cambiato.»
«Forse» dico, stringendomi nelle
spalle: ne dubito.
In fondo alla strada, all’angolo tra la
Patterson e la Olivier, c’è l’Old Point.
Da fuori somiglia più a una casa d’epoca, a due piani, con di lato un appartamento annesso in un secondo momento.
Passiamo sotto la lunga e vecchia insegna; fuori c’è qualche tavolino di
plastica con gente che fuma e
schiamazza.
Da dentro il locale arriva della musica, c’è una band che suona dal vivo.
Andrew lascia uscire una coppia,
tiene la porta aperta e mi prende per
mano. Il locale non è molto grande, ma
ha un’aria accogliente. Soffitti alti,
639/915
tante fotografie, targhe di automobili,
vecchie insegne, pubblicità della birra e
striscioni colorati che tappezzano tutte
le pareti. Dal soffitto penzolano bassi
alcuni ventilatori. E alla mia destra c’è
il bar, che come tanti altri ha un televisore appeso sulla parete di fondo.
Una donna dietro il bancone vede
Andrew e lo saluta con la mano. Lui le
sorride e risponde al saluto con due
dita, come a dire: “Ti raggiungo tra
poco”.
Tutti i tavoli sono occupati e c’è
gente che balla in pista. La band è davvero brava: suona una specie di blues
rock, o qualcosa del genere. Mi piace.
Un uomo nero seduto su uno sgabello
pizzica una chitarra argentata, e un bianco canta e suona un’acustica che
porta a tracolla. Alla batteria c’è un tizio un po’ in carne.
640/915
Abbasso gli occhi e vedo un cane
nero dal pelo arruffato che mi fissa
scodinzolando. Lo accarezzo dietro le
orecchie; quand’è soddisfatto, se ne torna trotterellando dal proprietario seduto accanto a me e si sdraia ai suoi
piedi.
Dopo qualche minuto Andrew nota
che tre persone si stanno alzando da un
tavolo non lontano dal palco: mi prende per mano e mi tira in quella
direzione.
Sono ancora provata dalla sbronza
della sera prima. Il mal di testa non è
passato del tutto, ma stranamente non
peggiora con i rumori del locale.
«Lei non beve» dice Andrew indicandomi alla donna che prima era dietro il
bancone, e che intanto ci ha raggiunti.
Porta i capelli castani dietro le orecchie, dimostra poco più di quarant’anni e
641/915
abbraccia Andrew con un sorriso così
largo che mi chiedo se non sia una cugina o una zia.
«Sono passati dieci mesi, Parrish» gli
dice, dandogli pacche sulla schiena con
entrambe le mani. «Dove diavolo sei
stato?»
Poi mi sorride. «E questa chi è?»
chiede guardando Andrew con aria divertita, ma nel suo sorriso leggo qualcos’altro: forse dà per scontato che…
Andrew mi prende per mano e io mi
alzo per farmi presentare come si deve.
«Questa è Camryn. Camryn, lei è Carla:
lavora qui da almeno sei dei miei atroci
concerti.»
Carla gli assesta uno spintone sul
petto, ride e poi torna a guardare me.
«Non farti fregare» dice indicandolo e
inarcando le sopracciglia: «Questo
ragazzo canta molto bene». Mi fa
642/915
l’occhiolino e mi stringe la mano. «Piacere di conoscerti.»
Le sorrido.
Cantare? Sapevo che suonasse la chitarra, non che cantasse. Ma di che mi
stupisco? Ha già dimostrato di saper
cantare quando ha azzeccato quella
nota alta sulla parola alibis in Hotel
California. E ogni tanto, quand’eravamo
in macchina, si dimenticava che io fossi
lì con lui – oppure non gli importava –
e cantava il suo rock classico in coro
con l’autoradio. Ma non pensavo certo
che si fosse esibito in pubblico. Peccato
che stasera non abbia portato la chitarra: mi sarebbe piaciuto vederlo
suonare.
«Be’, è bello rivederti» dice Carla, e
poi indica l’uomo nero sul palco. «Eddie
sarà felice.»
643/915
Andrew annuisce e sorride mentre la
donna si fa strada tra la folla per tornare al bar.
«Vuoi una bibita?» mi chiede.
«No, sono a posto.»
Rimane in piedi, e quando la band
smette di suonare capisco perché.
L’uomo nero con la chitarra argentata
lo vede e gli sorride, posa la chitarra
sulla sedia e viene da noi. Andrew lo
abbraccia come aveva fatto con Carla, e
io mi alzo di nuovo per stringere la
mano al nuovo arrivato.
«Parrish! Non ti si vedeva da un
pezzo» esclama Eddie in un marcato accento di New Orleans. «Cos’è, un anno?» Anche Carla parla con la stessa inflessione, ma più leggera.
«Quasi» risponde Andrew, raggiante.
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Sembra molto felice di essere lì, come
se quelle persone fossero parenti che
non vede da tempo, ma con cui è
sempre rimasto in buoni rapporti.
Anche la sua espressione è diversa, più
cordiale. Anzi, quando mi ha presentato
Carla e Eddie ha sfoderato un sorriso
che ha illuminato tutta la stanza. Mi è
sembrato di essere la prima ragazza che
Andrew avesse finalmente deciso di
portare a casa a conoscere i genitori, e
a giudicare dai loro sguardi la
pensavano così anche loro.
«Suoni stasera?» chiede Eddie.
Mi siedo e alzo gli occhi su Andrew,
curiosa quanto Eddie di sentire la risposta. Eddie ha lo sguardo di chi non
ha intenzione di accettare un rifiuto: gli
si è formato un reticolo di rughe intorno agli occhi e alla bocca.
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«Be’, stavolta non ho con me la
chitarra.»
«Ehi, mi prendi per scemo?» ribatte
Eddie, e indica il palco: «Abbiamo tutte
le chitarre che vuoi».
«Voglio sentirti suonare» intervengo
io.
Andrew si volta a guardarmi, incerto.
«Dico sul serio. Te lo sto chiedendo
per favore.» Inclino la testa di lato e gli
sorrido.
«Ahia, questa ragazza fa gli occhioni»
osserva divertito Eddie.
Andrew si arrende. «Va bene, ma una
canzone sola.»
«Una soltanto, eh?» Eddie assume
un’espressione determinata e sentenzia:
«Se dev’essere una e basta, la scelgo
io». Si punta un dito sul petto. Dal
646/915
taschino della camicia bianca spunta un
pacchetto di sigarette.
Andrew annuisce. «Va bene, scegli
tu.»
Eddie è raggiante. Mi scocca un’occhiata furtiva. «Una canzone per sedurre le belle signore, come l’ultima
volta.»
«I Rolling Stones?» chiede Andrew.
«Già, già. Proprio quella, figliolo.»
«Quale?» chiedo io, posandomi il
mento sulla mano.
«Laugh, I Nearly Died» risponde
Andrew.
«Probabilmente
non
la
conosci.»
E ha ragione. Scrollo la testa. «No,
mai sentita.»
Eddie rivolge un cenno del capo a
Andrew, per dirgli di seguirlo verso il
palco. Andrew si china e mi sorprende
647/915
con un bacio fugace sulle labbra, poi si
allontana.
Rimango seduta con i gomiti sul tavolo, nervosa ma contenta. Intorno a
me si svolgono così tante conversazioni
che l’aria vibra di un brusio incessante.
Ogni tanto sento un rumore di vetri, un
brindisi o una bottiglia di birra che
sbatte su un tavolo. Il locale è in
penombra, illuminato soltanto dalle insegne al neon che pubblicizzano la
birra e dalle alte finestre che fanno entrare il chiaro di luna e le luci dei lampioni. Ogni tanto arriva un riverbero
giallo dal retro del palco, sulla destra,
dove la gente va e viene da quello che
immagino sia il bagno.
Andrew e Eddie raggiungono il palco
e si preparano: Andrew prende un altro
sgabello e lo posa al centro, davanti
all’asta del microfono. Eddie rivolge
648/915
qualche parola al batterista – probabilmente il titolo della canzone da suonare
– e l’altro annuisce. Un uomo emerge
dall’ombra dietro il palco con un’altra
chitarra, o forse un basso: non ho mai
capito bene la differenza. Eddie porge a
Andrew una chitarra nera, già collegata
a un amplificatore, e si scambiano parole che non sento. E poi Andrew si
siede sullo sgabello, posando un piede
sul piolo più basso. Eddie si accomoda
sull’altro.
Iniziano ad accordare gli strumenti, il
batterista dà qualche colpetto ai piatti.
Sento un botto e poi un fischio acuto:
un altro amplificatore è stato acceso, e
poi un tum tum tum quando Andrew
tamburella col pollice per verificare che
il microfono sia acceso.
Ho già le farfalle nello stomaco: sono
nervosa come se fossi io quella che
649/915
deve cantare davanti a un mucchio di
estranei. Ma soprattutto ho i nervi a
fior di pelle perché c’è Andrew sul
palco. Lui mi guarda per un istante e
poi il batterista dà il ritmo e Eddie inizia a suonare, una melodia lenta e orecchiabile, e tutti gli avventori del locale
si voltano all’unisono: è evidentemente
una canzone che conoscono tutti e di
cui non si stancano mai. Andrew suona
una serie di accordi per accompagnare
la melodia di Eddie, e io mi accorgo di
aver già iniziato a dondolarmi al ritmo
della musica.
Quando Andrew inizia a cantare, la
testa mi scatta all’indietro come se
avessi una molla nel collo. Non credo
alle mie orecchie: è un blues, una
melodia struggente. Andrew canta con
gli occhi chiusi, accompagnando con
movimenti del capo quel ritmo sensuale
650/915
e tormentato. E quando arriva il ritornello, Andrew mi mozza il fiato…
Mi appoggio allo schienale con gli occhi sbarrati: la musica sale di volume e
Andrew riversa tutta l’anima in ogni
parola che canta. La sua espressione
cambia a ogni nota e si addolcisce
quando il ritmo della canzone rallenta.
Tutte le conversazioni nel bar si sono
interrotte. Non riesco a distogliere gli
occhi da Andrew per guardarmi intorno, ma ho percepito che l’atmosfera
è cambiata quando ha intonato il ritornello, con quel timbro sexy e malinconico di cui non lo credevo capace.
Alla seconda strofa, quando il ritmo
rallenta di nuovo, Andrew cattura l’attenzione di tutti i presenti. La gente intorno a me balla e si dondola, le coppie
si sfiorano con i fianchi e le labbra perché non c’è altro modo di ballare quella
651/915
canzone. Ma io… io fisso il vuoto, col
fiato corto, e lascio che la voce di
Andrew percorra ogni fibra del mio
corpo. È un veleno irresistibile: mi
ipnotizza, so che rischia di strapparmi
l’anima ma lo bevo lo stesso.
Lui però tiene gli occhi chiusi, come
se avesse bisogno del buio per sentire
davvero la musica. E al secondo ritornello sembra immedesimarsi ancor più,
quasi sul punto di alzarsi dallo sgabello… invece resta seduto, si sporge
verso il microfono e continua a cantare
e a suonare. Gli si dipinge in volto una
successione di emozioni.
Eddie, il batterista e il bassista iniziano a cantare in coro con Andrew, e il
pubblico si unisce a loro a bassa voce.
Alla terza strofa vorrei piangere, ma
non ci riesco. È come se le lacrime
fossero lì, addormentate nel mio
652/915
stomaco, ma avessero deciso di torturarmi. Laugh, I Nearly Died…
Andrew continua a cantare, con tanta
passione che il cuore mi martella in
petto e mi sembra di morire. E poi la
band ricomincia a suonare e la musica
rallenta, e gli strumenti tacciono uno
dopo l’altro finché resta solo la batteria:
una serie di colpi di grancassa che sento riverberare sotto il pavimento. Il
pubblico inizia a battere i piedi a tempo
e intona il ritornello. Il ritmo del battimano diffonde una vibrazione nell’aria.
E poi di nuovo. E Andrew canta: «Yeahyeah!» e poi la musica si interrompe di
colpo.
La platea esulta, qualcuno lancia
un’imprecazione di stupore. Un brivido
mi corre giù per la schiena e si diffonde
in tutto il corpo. Laugh, I Nearly Died…
Non dimenticherò mai quella canzone,
653/915
finché avrò vita. Com’è possibile che lui
esista davvero?
Andrew appoggia la chitarra allo sgabello e va a stringere la mano a Eddie e
poi al batterista e al bassista. Eddie lo
accompagna verso di me, ma a metà
strada si ferma, mi fa l’occhiolino e torna sul palco. Mi piace, Eddie. Sembra
una persona schietta, cordiale, buona.
Alcuni spettatori fermano Andrew
per stringergli la mano e probabilmente
per fargli i complimenti. Lui li ringrazia
e poi viene da me, a passo lento ma
sicuro.
Vedo che alcune donne lo guardano
non soltanto con stima.
«Ma chi sei?» gli chiedo, e scherzo
solo a metà.
Andrew arrossisce un po’ e si siede
davanti a me.
654/915
«Sei
incredibile,
Andrew.
Non
credevo.»
«Grazie, piccola.»
È molto modesto. Quasi mi aspettavo
che mi prendesse in giro, che mi
chiamasse la sua groupie e mi invitasse
a fare sesso con lui nel backstage. Ma
sembra proprio che non voglia parlare
del suo talento, come se i complimenti
lo mettessero in imbarazzo.
«Dico sul serio, vorrei saper cantare
in quel modo.»
«Non vedo perché non potresti» dice.
Scrollo la testa. «No, no, no, no» esclamo, prima che gli vengano strane
idee. «Non so cantare. Non faccio
proprio schifo, però non sono abbastanza brava da cantare in pubblico,
questo è certo.»
655/915
«E perché no? Paura del palcoscenico?» Carla gli serve una birra, mi sorride e torna al bancone.
Andrew si porta la bottiglia alle labbra e rovescia la testa all’indietro.
«Be’, non ci ho mai pensato, a parte
quando canto in macchina con l’autoradio.» Mi appoggio allo schienale. «Non
ci ho mai pensato abbastanza da capire
se ho paura o no.»
Andrew fa spallucce e beve un altro
sorso prima di posare la birra sul tavolo. «Be’, per la cronaca, secondo me
hai una bella voce. Ti ho sentita, in
macchina.»
Incrocio le braccia, scettica. «Grazie,
ma è facile quando segui la voce di un
altro. Fammi cantare da sola e senza
musica, e probabilmente ti verranno i
brividi.» Mi chino verso di lui e aggiungo: «Comunque, come siamo finiti a
656/915
parlare di me?». Lo guardo con aria impertinente. «Parliamo di te, piuttosto.
Dove hai imparato?»
«Dai migliori, direi. Ma nessuno la
canta come Jagger.»
«Oh, mi permetto di dissentire. Jagger è il tuo idolo, quindi?» ironizzo.
Sorride. «È una delle mie fonti d’ispirazione, ma no, il mio idolo è un po’
più vecchio di lui.»
Dietro i suoi occhi si cela qualcosa di
profondo. Un segreto.
«E chi sarebbe?» domando, completamente immersa nella conversazione.
D’un tratto lui si sporge in avanti, mi
agguanta per i fianchi e mi tira a sedere
sulle sue ginocchia. Mi ha colta un po’
alla sprovvista, ma non mi oppongo. Mi
guarda negli occhi. «Camryn?»
657/915
Gli sorrido, chiedendomi cosa gli sia
preso. «Sì?» Piego la testa di lato e gli
poso le mani sul petto.
Un pensiero improvviso gli balena sul
viso. Non risponde.
«Che c’è?» chiedo, curiosa.
Mi stringe più forte in vita e poi mi
posa un bacio leggero sulle labbra. Chiudo gli occhi, mi concentro sulle
sensazioni. Forse potrei baciarlo, ma
non sono sicura che sia la cosa giusta.
Quando le sue labbra si staccano
dalle mie apro gli occhi. «Cosa c’è,
Andrew?»
Lui sorride, e io mi sento letteralmente sciogliere.
«Niente» risponde, dandomi leggere
pacche sulle cosce con il palmo della
mano, e quell’espressione seria svanisce
dal suo viso. «Volevo solo tenerti sulle
658/915
ginocchia.»
Sfodera
un
sorriso
malizioso.
Fingo di divincolarmi e lui mi stringe
con entrambe le braccia. Per il resto
della serata mi lascia scendere dalle sue
ginocchia solo quando devo andare in
bagno, e anche in quel caso mi aspetta
fuori dalla porta. Restiamo all’Old Point
a sentir suonare Eddie e la sua band,
che fanno blues, blues rock e anche
qualche vecchio standard jazz. Poco
dopo le undici torniamo in albergo.
32
Andrew si ferma in camera mia per
vedere un film. Parliamo a lungo, e percepisco che entrambi avremmo qualcosa da dire ma non ci riusciamo.
Ho paura che siamo troppo simili, e
perciò nessuno dei due riesce a fare il
primo passo. Cosa ce lo impedisce?
Forse è colpa mia, forse non può accadere nulla finché lui non è certo che
io lo voglia davvero. Oppure, forse,
neanche lui è sicuro di niente.
Ma come possono resistere così a
lungo due persone che innegabilmente
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sono più che attratte l’una dall’altra?
Siamo in viaggio insieme da un po’. Abbiamo condiviso segreti e un certo
grado di intimità. Abbiamo dormito
sullo stesso letto e ci siamo toccati…
eppure eccoci qui, ai lati opposti di una
spessa parete di vetro. Posiamo le dita
sulla
superficie
trasparente,
ci
guardiamo negli occhi e sappiamo cosa
vogliamo, ma quel vetro non vuol saperne di sparire. Forse è un perfetto autocontrollo, forse è una tortura.
«Non che abbia fretta di andarmene»
dico, mentre Andrew si prepara a tornare in camera sua, «ma quanto
pensiamo di fermarci a New Orleans?»
Lui prende il cellulare dal comodino
e controlla rapidamente il display. «Abbiamo pagato fino a giovedì» dice, «ma
dipende da te: possiamo andarcene
661/915
domani, o fermarci più a lungo se
vuoi.»
Stringo le labbra e sorrido, fingo di
rifletterci su, tamburello l’indice sulla
guancia. «Non saprei» dico, alzandomi
dal letto. «È bello qui, ma prima o poi
dovremo andare in Texas.»
Mi guarda incuriosito. «Ah, sei
ancora dell’idea di andare in Texas,
eh?»
Annuisco lentamente, e stavolta ci
penso davvero. «Sì» rispondo, in tono
inespressivo. «Penso di sì… è iniziato
tutto in Texas…» e poi mi vengono in
mente le parole Forse finirà tutto in
Texas e mi rabbuio all’istante.
Andrew mi bacia sulla fronte e sorride. «Ci vediamo domattina.»
E io lo lascio andare, perché quella
parete di vetro è troppo spessa e mi fa
troppa paura.
662/915
Ore dopo, a notte fonda, mentre tutti
dormono, mi metto a sedere al centro
del letto. Non so bene cosa mi abbia
svegliata, ma mi è sembrato un rumore
improvviso. Mi guardo intorno, aspettando che gli occhi si abituino al buio
per scoprire se è caduto qualcosa. Mi
alzo e mi aggiro per la stanza, scosto
leggermente le tende per far entrare più
luce. Guardo verso il bagno, poi il televisore e infine la parete. Andrew. Ecco
cos’era: credo di aver sentito un rumore
provenire dalla sua stanza, dietro la
testiera del mio letto.
Infilo gli shorts di cotone bianco,
prendo la tessera magnetica che mi ha
dato lui, che apre entrambe le nostre
stanze, e mi incammino a piedi nudi nel
corridoio ben illuminato.
Busso leggermente alla sua porta.
«Andrew?»
663/915
Nessuna risposta.
Busso di nuovo, un po’ più forte, e lo
chiamo, ma non risponde. Esito un attimo, poi infilo la tessera nella serratura e apro la porta, cercando di non
far rumore nel caso dorma.
È seduto sul bordo del letto con i
gomiti sulle ginocchia e le mani intrecciate tra le gambe. Ha la schiena curva
e la testa china: fissa la moquette.
Guardo alla mia destra e vedo il cellulare a terra con il display incrinato.
Capisco subito che deve averlo
scagliato contro la parete.
«Andrew? Che succede?» gli chiedo
avvicinandomi lentamente: non ho
paura di lui, ho paura per lui.
Le tende sono aperte, il chiaro di
luna inonda la stanza e il corpo seminudo di Andrew riluce di un chiarore
grigio-azzurro. Indossa solo un paio di
664/915
boxer. Mi avvicino, gli passo le mani
lungo le braccia e poi gli stringo delicatamente le dita. «Puoi dirmelo.» Ma
so già di cosa si tratta.
Lui non mi guarda, ma ricambia la
mia stretta.
Mi si spezza il cuore… Mi avvicino,
mi fermo in piedi tra le sue gambe e lui
mi abbraccia senza esitare. Gli sento
sussultare il petto e mi sento travolgere
dal suo dolore. Gli prendo la testa tra le
mani e lo tiro verso di me.
«Mi dispiace tanto, piccolo.» Mi
trema la voce, le lacrime mi colano sul
viso, ma mi sforzo di restare calma. Lui
mi preme la fronte sullo stomaco.
«Sono qui, Andrew» dico, cauta.
E lui piange in silenzio, tremando
contro il mio corpo. Suo padre è morto
e lui si concede di soffrire come è
giusto che sia. Restiamo abbracciati a
665/915
lungo; quando le ondate di dolore più
intense lo squassano, le sue braccia mi
stringono più forte e io gli affondo le
dita tra i capelli.
Alla fine alza gli occhi per guardarmi. Vorrei tanto strappargli via quel
dolore dal viso. Al momento è l’unica
cosa al mondo di cui mi importi. Voglio
liberarlo dalla disperazione.
Mi fa sedere sul letto accanto a lui e
continua a stringermi tra le sue braccia
muscolose, premendomi il petto sulla
schiena. Passa un’altra ora; guardo la
luna descrivere un lento arco nel cielo.
Andrew non dice una parola e io non
cerco di spronarlo, perché so che ha
bisogno di quel silenzio. Se anche nessuno di noi dicesse mai più una parola
potrei tollerarlo, purché rimanessimo in
quella posizione. Due persone incapaci
di piangere finalmente piangono
666/915
insieme, e se il mondo finisse quella
notte ci basterebbe così.
L’alba inizia a spazzar via le tenebre
e, per un momento, il sole e la luna
restano nascosti nella vastità del cielo e
nessuno dei due ha la meglio sull’altro.
La volta celeste è striata di viola e grigio con qualche tocco di rosa, finché il
sole trionfa e risveglia la nostra metà
del pianeta.
Mi giro a guardare Andrew. È ancora
sveglio. Accenno un sorriso e mi sporgo
a baciarlo dolcemente sulle labbra. Lui
mi accarezza la guancia e poi mi sfiora
la bocca con il pollice. Mi avvicino e lui
mi stringe la mano, imprigionandola tra
i nostri corpi. I suoi begli occhi verdi
mi sorridono. E poi mi lascia andare la
mano e mi cinge la vita, stringendomi
così forte che sento il calore del suo
respiro.
667/915
So che non vuole parlare di suo
padre, e non voglio rischiare di rovinare il momento, quindi resto in silenzio.
Vorrei tanto parlarne, e sono convinta
che lui ne abbia bisogno per elaborare
il lutto, ma aspetterò. Gli serve tempo.
Con la mano libera seguo i contorni
del tatuaggio sul suo braccio destro, e
poi faccio scorrere delicatamente le dita
fino alle costole. «Posso vederlo?»
sussurro.
Sa che parlo del tatuaggio di Euridice. Mi guarda, ma la sua espressione
è imperscrutabile. Lascia vagare lo
sguardo per un lungo istante e poi si
gira sull’altro fianco per mostrarmi il
tatuaggio. Mi tiro su per vedere meglio
e faccio scivolare le dita su quell’opera
d’arte, così complessa e realistica. La
testa di Euridice inizia circa cinque centimetri sotto l’ascella e i piedi nudi
668/915
arrivano fino a metà del fianco e per
qualche centimetro verso lo stomaco.
Indossa un lungo abito bianco trasparente che aderisce al corpo come sferzato dal vento. Il resto della stoffa
svolazza dietro e tutt’intorno a lei.
Guarda giù dall’orlo di un precipizio,
con un braccio dietro la schiena. Ma da
lì in poi il tatuaggio diventa strano.
L’altro braccio di Euridice è allungato
in avanti, ma è disegnato solo fino al
gomito. Dalla parte opposta è stato aggiunto un altro braccio, ma non è il
suo: sembra appartenere a qualcun altro… a un uomo. Ci sono anche dei
lembi di tessuto che sembrano fuori
posto nell’immagine, mossi dal vento
come l’abito di lei. E poco più sotto,
posato sulla stessa cornice di roccia, c’è
un piede da cui si diparte un polpaccio
muscoloso che si interrompe appena
sotto il ginocchio.
669/915
Accarezzo ogni centimetro del
tatuaggio,
ipnotizzata
dalla
sua
bellezza, ma cercando anche di capirne
la complessità e di indovinare il motivo
delle parti mancanti.
Poi guardo Andrew, e lui mi dice:
«Ieri sera mi hai chiesto chi è il mio idolo musicale, e la risposta è Orfeo: è
strano, lo so, ma ho sempre adorato la
storia di Orfeo ed Euridice, soprattutto
nel racconto di Apollonio Rodio. Mi è
rimasta impressa».
Sorrido e torno a guardare il tatuaggio, senza smettere di accarezzarlo. «So
chi era Orfeo, ma non so molto di Euridice.» Mi vergogno un po’ di non conoscere la loro storia, soprattutto dal momento che sembra così importante per
Andrew.
Me la racconta: «Le doti musicali di
Orfeo erano impareggiabili, perché era
670/915
figlio di una Musa: quando suonava la
lira o cantava, ogni essere vivente si
fermava ad ascoltare. Non c’era al
mondo musicista migliore di lui, ma il
suo amore per Euridice era ancor più
forte del suo talento; avrebbe fatto
qualsiasi cosa per lei. Si sposarono, ma
poco dopo le nozze Euridice fu morsa
da una vipera e morì. Stravolto dal
dolore, Orfeo discese nell’Oltretomba
deciso a riprendersela».
Mi figuro subito nei panni di Euridice
e immagino Andrew in quelli di Orfeo.
Ricordo persino quella notte nel campo,
quando un serpente era salito sulla nostra coperta. Sono così egoista e stupida
a pensare così, ma non riesco a
trattenermi…
«Nell’Oltretomba Orfeo cantò e suonò
la sua lira e tutti ne rimasero incantati.
E così accettarono di restituirgli
671/915
Euridice, ma a una condizione: mentre
tornavano nel mondo dei vivi, Orfeo
non poteva voltarsi a guardarla neppure per un istante.» Esita un momento,
poi prosegue: «Ma lui non riuscì a resistere a quella tentazione, a quel
bisogno di girarsi a controllare che Euridice fosse ancora alle sue spalle».
«E si voltò» dico.
Andrew annuisce con aria triste. «Sì,
un istante prima del dovuto, e vide Euridice nella penombra all’ingresso della
caverna. Cercarono di prendersi per
mano, ma appena prima che le loro dita
si toccassero lei svanì nell’oscurità
dell’Ade e Orfeo non la rivide mai più.»
Lo guardo con la gola serrata
dall’emozione. Lui fissa il vuoto e sembra smarrito nei pensieri. Poi si
riscuote. «Tante persone hanno tatuaggi
672/915
con un significato speciale. Questo è il
mio» dice, tornando a guardarmi.
Sposto di nuovo lo sguardo dal
tatuaggio ai suoi occhi, e ricordo le parole di suo padre quella sera in Wyoming. «Andrew, cosa intendeva tuo padre
quando ha detto quella cosa in
ospedale?»
La sua espressione si addolcisce e per
un attimo distoglie lo sguardo da me.
Poi abbassa il braccio e mi prende per
mano, facendo scorrere il pollice sulle
mie dita. «L’hai sentito anche tu?» mi
chiede con un sorriso.
«Sì, più o meno.»
Mi bacia le dita e mi lascia andare la
mano. «Mi ha fatto un sacco di storie
per il tatuaggio» dice. «Avevo spiegato
ad Aidan cosa significava e perché
l’avevo lasciato incompiuto, e lui è andato a dirlo a nostro padre.» Alza gli
673/915
occhi al cielo. «Non ha più smesso di
tormentarmi. Mi ha tartassato con
questa storia per gli ultimi due anni,
ma era fatto così: l’uomo duro che non
piange mai e non crede nelle emozioni.
Ma una volta, quando Aidan e Asher
non c’erano, mi ha detto che sì, era un
tatuaggio da effeminati, però lui mi
capiva. Mi ha detto…: “Figliolo, ti auguro di trovare la tua Euridice un
giorno, purché non ti trasformi in una
mammoletta”.»
Mi sforzo di non sorridere, ma lui se
ne accorge e sorride al posto mio.
«Ma perché è incompiuto?» chiedo,
scostandogli il braccio per vedere
meglio la parte superiore del disegno.
«E cosa significa esattamente?»
Andrew sospira, anche se in fondo ha
sempre saputo che prima o poi gli avrei
674/915
fatto quelle domande. Forse sperava
che lasciassi perdere. Impossibile.
Si alza a sedere sul letto e mi tira su
con sé. Tiene tra le dita l’orlo della mia
canottiera e inizia a sollevarla. Senza
obiettare alzo le braccia e lo lascio fare,
e mi ritrovo nuda dalla vita in su. Solo
una piccola parte di me è in imbarazzo,
e istintivamente spingo una spalla in
avanti come per coprire la mia nudità
con le ombre.
Andrew mi fa sdraiare e mi stringe a
sé così forte che il mio seno nudo resta
schiacciato tra noi. Intreccia le gambe
alle mie. I nostri corpi s’incastrano
l’uno nell’altro come due pezzi di un
puzzle dai contorni stondati.
E all’improvviso inizio a capire…
«La mia Euridice è solo metà del
tatuaggio» dice, e i suoi occhi si abbassano a guardare il disegno che termina
675/915
a contatto con il mio corpo. «Pensavo
che un giorno, se mai mi fossi sposato,
mia moglie si sarebbe fatta tatuare l’altra metà e avrebbe riunito la coppia.»
Ho la gola serrata, cerco di deglutire
ma non ci riesco. Il cuore mi freme in
petto, gonfio e caldo.
«È una pazzia, lo so» conclude lui, e
sento allentare la stretta delle sue
braccia.
«Non è una pazzia» dico, a voce bassa
ma decisa. «E non è effeminato,
Andrew.
È
bellissimo.
Tu
sei
bellissimo…»
Gli balena in volto un’emozione che
non so interpretare. Poi si alza, e controvoglia lo lascio andare. Raccoglie dal
pavimento i pantaloncini marroni e se
li infila.
Ancora un po’ sconcertata dalla
rapidità con cui si è alzato, esito un
676/915
momento prima di rimettermi la
canottiera.
«Sì, be’, forse aveva ragione mio
padre» dice guardando New Orleans
dalla finestra. «Aveva intuito una verità, e accampava tutte quelle storie sui
veri-uomini-che-non-piangono-mai per
nasconderla.»
«Quale verità?»
Mi avvicino, ma stavolta non lo
tocco. Lo sento irraggiungibile, ho l’impressione che non mi voglia lì con lui.
Non è disinteresse, o l’attrazione che
sta sbiadendo, è qualcos’altro…
Risponde senza voltarsi: «Che niente
dura per sempre». Esita, guardando
fuori con le braccia conserte. «Che è
meglio scacciare le emozioni piuttosto
che esserne vittima… e siccome niente
dura per sempre, alla fine tutte le cose
belle fanno male.»
677/915
Le sue parole mi trafiggono come un
pugnale.
Quella parte di me che era cambiata
nel tempo passato con Andrew, tutte le
difese che avevo abbassato per lui, sono
risalite intorno a me per proteggermi
come una cinta di mura.
Perché ha ragione lui, porca puttana,
e io lo so. È stata quella logica, per
tutto questo tempo, a impedirmi di entrare davvero nel suo mondo. E in pochi secondi la verità delle sue parole mi
ha schiacciata.
Decido di lasciar correre. Al momento c’è in ballo una questione molto
più importante, e devo accertarmi di
non trattarlo diversamente.
«Dovrai… andare al funerale di tuo
padre, perciò…»
678/915
Si volta e mi punta addosso uno
sguardo pieno di determinazione. «No,
non andrò al funerale.»
Si infila una camicia pulita.
«Ma, Andrew… Devi andarci!»
Aggrotto la fronte. «Non ti perdonerai
mai se non vai al funerale di tuo
padre.»
Lo vedo serrare la mandibola, come
se digrignasse i denti. Si siede sul fondo
del letto per mettere i piedi nudi nelle
scarpe da ginnastica nere, senza
sciogliere i lacci. Si rialza.
Resto lì al centro della stanza, sbigottita. Sento che dovrei fargli cambiare
idea sul funerale, ma il cuore mi dice
che non avrò la meglio in quella
discussione.
«C’è una cosa che devo fare» annuncia lui, prendendo le chiavi della macchina. «Torno tra poco, va bene?»
679/915
Prima che io possa rispondere mi afferra la testa tra le mani e appoggia la
fronte alla mia. Lo guardo negli occhi e
vedo dolore, conflitto, indecisione, insieme a una tempesta di altre emozioni
cui non so dare un nome.
«Te la caverai da sola?» mi chiede a
voce bassa, il suo viso a pochi centimetri dal mio.
Mi scosto per guardarlo meglio e annuisco. «Me la caverò.»
Ma non riesco a dire altro. Sono
turbata e insicura quanto lui. E soffro.
Mi sembra che ci sia qualcosa fra noi,
ma che fin dall’inizio del nostro viaggio
quel qualcosa ci allontani l’uno dall’altra anziché avvicinarci. E mi terrorizza.
Capisco perché succede: perché ho rialzato le difese. Ma nulla mi aveva mai
fatto così paura.
680/915
Mi lascia lì a guardarlo uscire dalla
stanza.
È la prima volta che mi lascia sola,
da quando è tornato a cercarmi in
quella stazione degli autobus. Siamo
stati insieme per tutto questo tempo, inseparabili, e ora… quando esce da
quella porta ho l’impressione che non
lo rivedrò mai più.
33
Andrew
«Inizi presto, eh?» dice il barista porgendomi il bicchiere.
«Se il bar è aperto, non è troppo
presto.»
Sono già le tre del pomeriggio. Ho
lasciato Camryn stamattina prima delle
otto. Che strano: viaggiamo insieme da
tanto tempo e non abbiamo mai
pensato di scambiarci i numeri di telefono. Forse perché eravamo sempre insieme.
Ormai
avrà
smesso
di
682/915
domandarsi se tornerò, o forse vorrebbe
avere il mio numero per sapere se sto
bene: il cellulare ha il display rotto ma
funziona ancora. Però preferirei che
fosse guasto, perché Asher e mia madre
hanno già provato a chiamarmi decine
di volte.
Ho intenzione di tornare in albergo,
ma solo per prendere la chitarra di Aidan e lasciare un biglietto aereo per
Camryn sul mio letto. La stanza è
pagata per altri due giorni, quindi non
avrà problemi. Le lascerò i soldi per il
taxi fino all’aeroporto. È il minimo che
possa fare: sono stato io a cacciarla in
questo casino e sarò io a pagarle il
viaggio di ritorno, e stavolta non in
autobus. Oggi finisce tutto.
Non avrei mai dovuto permettere che
le cose si trascinassero fino a quel
punto… ma mi sono illuso, mi sono
683/915
lasciato coinvolgere da sentimenti che
non dovrei provare. Ma penso che se la
caverà: non siamo andati fino in fondo
e nessuno ha detto quelle due paroline
maledette che avrebbero complicato
tutto, quindi… sì, penso che si riprenderà. Dopotutto non ha mai ceduto. In
sostanza l’ho messa davanti a una
scelta: Se tu mi permettessi di scoparti,
sarebbe come permettermi di possederti.
Se quello non era un invito palese, non
so cosa lo sia. Non è molto romantico,
ma così stanno le cose.
Pago ed esco dal bar. Avevo solo
bisogno di qualcosa di forte, ma a giudicare da come sto ci sarebbe voluta
l’intera bottiglia. Infilo le mani in tasca
e percorro Bourbon Street e Canal
Street e poi una serie di strade di cui
non ricordo il nome. Cammino e cammino, senza direzione né destinazione,
684/915
come nel mio viaggio con Camryn.
Cammino e basta.
Non sto ammazzando il tempo in attesa che faccia buio, per entrare e uscire dall’albergo mentre lei dorme; sto
ammazzando il tempo nella speranza di
cambiare idea. Non voglio lasciarla, ma
so che devo.
Mi ritrovo seduto lungo la riva del
Mississippi al parco Woldenberg, a
guardare le navi e il traghetto che fa
avanti e indietro da Algiers. Cala la
notte. E per molto tempo il mio unico
compagno è una statua di Malcolm
Woldenberg, finché mi si avvicinano
due ragazze, che sembrano turiste a giudicare dalle magliette con la scritta I
LOVE NEW ORLEANS.
La bionda mi sorride timidamente
mentre la castana parte all’attacco.
685/915
«Vai da qualche parte stasera?» mi
chiede piegando la testa di lato e
scrutandomi. «Io sono Leah, e lei è
Amy.»
Il sorriso della bionda, Amy, lascia
intendere che se glielo chiedo si farà
scopare volentieri.
Annuisco per pura cortesia, ma non
dico il mio nome.
«Allora, si fa festa stasera o no?»
chiede la castana, sedendosi accanto a
me sul cemento.
«No, a dire il vero no» dico, e non aggiungo altro.
La bionda si siede dall’altra parte e
tira le ginocchia al petto: i pantaloncini
le lasciano scoperte tutte le cosce. Quel
tipo di pantaloncini sta meglio indosso a
Camryn.
686/915
Scrollo la testa e torno a guardare il
Mississippi.
«Perché non vieni con noi?» dice la
mora. «Hai l’aria di annoiarti a morte, e
stasera al d.b.a. ci sarà da divertirsi.»
La guardo. È molto carina, e anche la
bionda, ma più parla e meno mi piace.
Riesco a pensare solo a Camryn. Quella
ragazza mi ha marchiato a fuoco l’anima. Non sarò più lo stesso.
Guardo le gambe della ragazza
castana e poi vedo muovere le sue labbra. Sta dicendo: «Dài, vieni con noi:
non te ne pentirai».
Potrei… Se ho intenzione di andarmene e non rivedere più Camryn, forse
dovrei andarmene con quelle due, prendere una camera in un altro albergo e
scoparmele entrambe. Di questo passo,
farebbero sesso tra loro davanti a me.
Non sarebbe la prima volta, ed è
687/915
un’esperienza di cui non ci si stanca
mai.
«Non lo so, stavo aspettando qualcuno» dico. Non ho idea di cosa sto
dicendo e perché.
La ragazza castana mi posa una mano
sulla coscia. «Noi ti terremmo più compagnia» ribatte in un sussurro carico di
sottintesi, con il tono di chi è abituato
al sesso senza impegno.
Me la scrollo di dosso, mi alzo in
piedi e me ne vado con le mani in tasca
senza dire una parola. In qualsiasi altro
momento le avrei detto di sì, ma non
oggi.
Sì, probabilmente la mia anima è ferita a morte. Devo andarmene da New
Orleans.
Le due ragazze mi gridano qualcosa
alle spalle. Non me ne frega niente se si
sentono rifiutate: tra un’ora saranno a
688/915
letto con un altro e non si ricorderanno
più di me.
È passata la mezzanotte. Mi sono già
fermato in un internet point per comprare online il biglietto aereo di
Camryn e poi ho ritirato dal bancomat i
contanti per il taxi che la porterà
all’aeroporto, e dall’aeroporto a casa
sua in North Carolina.
Quando arrivo in albergo chiedo al
concierge una busta, un pezzo di carta
e una penna. Mi siedo su un divano
della hall e scrivo:
Camryn,
mi dispiace di essermene andato così, ma
sapevo di non poterti dire addio guardandoti in
faccia. Spero che ti ricorderai di me; ma se dimenticarmi è più facile, posso convivere anche
con questo.
Non trattenerti mai, Camryn Bennett: fai
sempre quello che vuoi, di’ quel che pensi e non
689/915
aver mai paura di essere te stessa. Fregatene di
cosa pensano tutti gli altri. Vivi per te stessa,
non per loro.
Il codice scritto qui sotto è quello che dovrai
comunicare all’aeroporto per salire sull’aereo
che ti riporterà a casa. Ti serve solo un documento d’identità. L’aereo parte domattina. I
contanti sono per il taxi.
Ti ringrazio per le due settimane più belle della
mia vita e per essere rimasta al mio fianco
quando ne avevo più bisogno.
Andrew Parrish
KYYBPR
Rileggo il biglietto cinque volte prima
di infilarlo nella busta insieme ai soldi.
Raggiungo l’ascensore. L’ultimo ostacolo da superare è andarmene di lì
senza che Camryn se ne accorga. Spero
che dorma ancora. Ti prego, fa’ che
dorma. Ci posso riuscire se non devo
690/915
vederla, ma se lei mi vede… No, devo
riuscirci in ogni caso. E ci riuscirò.
Esco dall’ascensore al nostro piano e
passo davanti a varie stanze nel corridoio ben illuminato. Quando vedo le
porte delle nostre camere mi si stringe
lo stomaco. Le oltrepasso senza far
rumore, temendo che il suono dei miei
passi basti a svegliarla. Dalla maniglia
della sua porta penzola il cartello NON
DISTURBARE e non so perché, ma a
vederlo mi si gela il sangue nelle vene.
Forse perché usavo quei cartelli solo
quando mi chiudevo nella stanza a fare
sesso. Il pensiero di Camryn con un altro… Digrigno i denti e passo oltre. Ma
quanto sono patetico? Lei non è
neanche mia, eppure mi lascio travolgere dalla gelosia. Prima me ne vado
da New Orleans e meglio sarà.
691/915
Infilo la tessera magnetica nella porta
ed entro. È tutto come l’ho lasciato: i
vestiti sparsi intorno alle sacche e la
chitarra di Aidan appoggiata alla parete
sotto la lampada. Faccio rapidamente i
bagagli e per un pelo non dimentico di
tirar via i caricatori dalle prese. Li infilo in borsa insieme ai vestiti. Infine
corro in bagno per prendere lo
spazzolino.
Quando esco dal bagno, Camryn mi
guarda, in piedi sulla soglia.
34
Camryn
«Andrew? Stai bene?» Incrocio le braccia mentre la porta si richiude piano dietro di me.
Ero così preoccupata per lui… perché
temevo che se ne fosse andato senza
salutarmi, ma soprattutto per il suo
stato mentale, dopo aver saputo che il
padre era morto.
Riprendo fiato e resto in silenzio
mentre lui mi passa davanti per prendere le borse sul letto.
693/915
Perché non mi guarda?
Vedo le sacche e capisco cosa vuol
fare. Lascio ricadere le braccia lungo i
fianchi e mi avvicino a lui.
«Ti prego, parlami. Andrew, mi hai
spaventata da morire…» Lui infila lo
spazzolino nel borsone e continua a
voltarmi le spalle. «… Se devi andare al
funerale, va bene. Posso tornare a casa.
Magari possiamo parlare…»
Si gira di scatto. «Non si tratta del funerale o di mio padre, Camryn» dice, e
le sue parole mi feriscono anche se non
so cosa significano.
«Allora che c’è?»
Mi dà le spalle di nuovo, fingendo di
cercare qualcosa nella borsa. Vedo
spuntare una busta dalla tasca posteriore dei suoi pantaloni. C’è scritto RYN;
la prima metà di quello che immagino
694/915
sia il mio nome è coperta dal tessuto
della tasca.
Allungo una mano e la tiro fuori.
«Camryn…» Sospira avvilito, gli occhi incollati a terra.
«Cos’è questa?» chiedo, guardando il
mio nome scritto sulla busta. La sto già
aprendo.
Andrew non risponde; resta lì ad aspettare che legga il biglietto perché
tanto sa che lo farò comunque. Vuole
che io lo legga.
Vedo i soldi, li lascio dentro senza
toccarli e poso la busta sul letto. Mi interessa solo il biglietto che non ho
ancora letto e che già mi sta spezzando
il cuore. Sposto lo sguardo più volte da
lui al foglio prima di dispiegarlo. Mi
tremano le mani. Perché mi tremano le
mani?
695/915
E mentre leggo mi viene un groppo
in gola. Gli occhi mi bruciano di rabbia
e dolore.
«Piccola, sapevi che prima o poi
questo viaggio sarebbe finito.»
«Non chiamarmi piccola» sbotto,
stringendo il biglietto in mano. «Se te
ne vai, non ne hai più il diritto.»
«Hai ragione.»
Gli scocco un’altra occhiata, piena di
domande, di confusione. Perché sono
così arrabbiata? Ha ragione lui, doveva
finire prima o poi, e allora perché mi
lascio ferire così?
Le lacrime iniziano a riempirmi gli
occhi e non riesco a fermarle. Accidenti, non posso mettermi a frignare
come una bambina. Lo guardo con il
volto stravolto dall’angoscia e dall’ira.
Stringo le mani lungo i fianchi, il foglio
appallottolato in pugno. «Se te ne
696/915
andassi in questo modo per via di tuo
padre, perché hai bisogno di passare un
po’ di tempo da solo, e il numero in
fondo al biglietto fosse il tuo numero di
telefono anziché il codice di conferma di
un biglietto aereo, allora potrei capire.
Ma che tu mi lasci per causa mia, e fingendo che tra noi non sia mai successo
niente… Andrew, questo fa male. Fa
male, cazzo!»
Vedo fremergli la mandibola. «Chi ha
mai finto che non fosse successo niente?» esclama, palesemente colpito
dalle mie parole. Lascia cadere il borsone e viene verso di me. «Non potrò
mai dimenticare quello che è successo,
Camryn! Per questo non riuscivo a
dirtelo in faccia!»
Arretro di un passo. Non ce la faccio
più, mi fa troppo male il cuore. E sono
infuriata con me stessa perché non
697/915
riesco a smettere di piangere. Guardo il
biglietto, e poi guardo di nuovo lui e
infine gli passo davanti, raggiungo il
letto e lascio cadere il foglio insieme
alla busta e ai soldi. «Benissimo,
vattene pure. Ma mi pago il viaggio da
sola.» Mi asciugo gli occhi e vado alla
porta.
«Hai ancora paura» mi grida dietro.
Mi volto di scatto. «Tu non sai un
cazzo!» Apro la porta, butto per terra la
mia chiave e torno in camera mia.
Cammino. Avanti e indietro, avanti e
indietro. Vorrei tirare un pugno al
muro o spaccare qualcosa, ma mi accontento di frignare come una
bambina.
Andrew entra di corsa facendo
sbattere la porta contro il muro. Mi afferra per le braccia.
698/915
«Perché hai ancora paura?!» Ha le
lacrime agli occhi: lacrime di rabbia, di
dolore. Mi scuote con forza. «DI’ QUEL
CHE PROVI!»
Resto spiazzata per un momento da
quello scatto d’ira, ma poi mi scrollo di
dosso le sue mani. Sono così confusa.
So cosa voglio dire, voglio chiedergli di
restare, ma…
«Camryn!» È furioso, disperato. «Di’
quel che provi, qualsiasi cosa sia! Non
mi importa se è pericolosa, o stupida, o
ridicola, o se fa male… DIMMI COSA
PROVI!» La sua voce mi trafigge.
E continua: «Sii sincera con me. Sii
sincera con te stessa!» Gesticola, mi addita. «CAMR…».
«Voglio te, cazzo!» grido. «Il pensiero
che tu te ne vada e che non ti vedrò
mai più mi spezza il cuore!» Ho la gola
in fiamme. «Non respiro senza di te!»
699/915
«DILLO! Porca puttana, dillo e basta!»
urla, esasperato.
«Voglio che tu mi possieda!» Non mi
reggo quasi più in piedi. I singhiozzi mi
squassano tutto il corpo e mi bruciano
gli occhi. Il cuore non mi aveva mai
fatto così male.
Andrew mi stringe i polsi dietro la
schiena con una mano e mi tira contro
il suo petto. «Dillo di nuovo, Camryn»
ordina. Il calore del suo respiro mi accarezza il collo e mi fa rabbrividire.
Sento le sue labbra sfiorarmi la pelle
appena sotto l’orecchio. «Dillo, piccola.
Dillo, cazzo.» Mi stringe ancora i polsi
fino a farmi male.
«Appartengo a te, Andrew Parrish…
Voglio che tu mi possieda…»
Mi affonda nei capelli le dita dell’altra mano e mi tira indietro la testa per
esporre la gola. Mi mordicchia sul
700/915
mento e poi lungo il collo. Sento la sua
erezione premere da dietro attraverso i
vestiti.
«Ti prego…» sussurro, «non lasciarmi
andare…»
Tenendomi ancora per i polsi, mi infila le dita negli shorts e nelle
mutandine e li strappa via. Mi fa accostare al letto, finché le mie ginocchia
toccano il materasso, e mi solleva le
braccia sopra la testa per sfilarmi la
canottiera.
Quando lo sento togliersi le scarpe e i
vestiti non mi volto. Mi muoverò solo
quando lui mi darà il permesso.
I suoi addominali duri come la pietra
mi premono con forza sulla schiena. Le
sue braccia calde mi cingono la vita
ormai nuda; una mano mi afferra un
seno, l’altra scende tra le mie gambe.
Gli appoggio la testa sul petto quando
701/915
infila un dito tra le grandi labbra e mi
stuzzica. Ansimo, inarco il collo per
raggiungere la sua bocca. La sua lingua
esce a toccare la mia; quel calore
umido mi fa impazzire. Mi bacia con
passione, a entrambi si mozza il fiato. E
poi mi spinge in avanti sul letto. Le mie
mani affondano tra le lenzuola, le dita
stringono il tessuto finché lui mi si appoggia sulla schiena con tutto il suo
peso e io non mi reggo più sulle braccia. Mi prende di nuovo i polsi e li tira
dietro la schiena, immobilizzandomi.
«Oh cazzo, Andrew, ti prego,
scopami… ti prego» lo supplico con
voce tremante. Stavolta ho detto ciò
che pensavo senza che lui me lo
chiedesse. Ed è così bello.
Si sdraia sopra di me e la sua
erezione preme sul mio corpo. Lo
voglio dentro di me a tutti i costi, ma
702/915
lui continua a stuzzicarmi, mi lascia
credere che stia per spingersi dentro di
me e poi si ritrae.
Sento la punta della sua lingua sul
collo e un nuovo brivido mi squassa.
Premo la guancia sul materasso. Il peso
del suo corpo mi impedisce ogni movimento. Mi mordo il labbro quando i
suoi denti affondano nella schiena, fino
a farmi male. E dopo il morso mi bacia
e mi lecca per lenire il dolore.
Mi fa voltare sulla schiena con una
mano, come se non pesassi niente, e mi
fa scivolare al centro del letto. Si sposta
tra le mie gambe divaricandole con le
ginocchia finché sono completamente
esposta al suo sguardo. Mi posa le mani
sul retro delle cosce per tenerle
divaricate.
I suoi occhi verdi mi fissano per un
istante e poi si abbassano a guardarmi
703/915
lì in mezzo. Mi sfiora tra le grandi labbra e intorno al clitoride. Ansimo e
tremo, a ogni carezza mi sento
sciogliere dentro. Mi guarda di nuovo
in viso, uno sguardo intenso e infila le
dita dentro di me. Porto la mia mano
sopra la sua e lui lascia che mi tocchi
per un momento prima di impedirmelo
di nuovo. Ora le sue dita si muovono
furiose, toccando tutti i punti sensibili,
e io inizio a sussultare. E quando si accorge che sto per venire, smette.
Scorre sopra di me, baciando, leccando e mordendo dalle cosce su fino
alla gola, e mi immobilizza le braccia
per non farsi abbracciare. I suoi occhi
ferini mi scrutano la bocca. Poi incontra il mio sguardo e dice: «Ti scoperò
così forte… Dio mio, non ne hai idea».
Le sue parole tracciano un sentiero di
piacere dal mio orecchio fino all’umidità pulsante tra le gambe. Mi morde la
704/915
lingua e poi mi bacia con forza e i nostri respiri si incontrano, adesso ansimiamo uno sulle labbra dell’altra.
Senza interrompere il bacio, la sua
mano destra scende ad afferrare il pene,
che entra di pochissimo, solo per farmi
impazzire ancor di più. Sollevo il bacino per andargli incontro, lo bacio con
più forza, e finalmente riesco a posargli
una mano sulla nuca. Gli tiro i capelli
con tanta foga che temo di strapparglieli. Non gli importa, e neppure a me.
Il dolore gli piace, come piace a me.
E poi, molto lentamente, per lasciarmi sentire ogni centimetro e ogni
brivido, scivola dentro di me. Il mio
collo si inarca sul cuscino, le mie labbra
si schiudono. Ansimo, gemo, piagnucolo. Mi pizzicano così tanto gli occhi
che quasi non riesco ad aprirli. La sua
erezione sembra espandersi dentro di
705/915
me e le mie cosce tremano contro il suo
corpo.
All’inizio mi scopa lentamente,
costringendomi a guardarlo negli occhi.
Mi morde il labbro inferiore e poi lo accarezza con la punta della lingua.
Premo le labbra sulle sue e spingo i
fianchi contro i suoi per farlo entrare
più a fondo.
Mi tremano le gambe, non riesco a
farle smettere. Ed è allora che lui inizia
a scoparmi più in fretta e non riesco più
a baciarlo: il collo mi si flette di nuovo
fino a sollevare la testa dal cuscino, inarco la schiena e lui mi lecca i
capezzoli con avidità. Cingo il suo
corpo con braccia e gambe, gli affondo
le unghie nella schiena, sento il suo sudore sotto le dita. Lo graffio. Per tutta
risposta lui mi scopa più forte.
706/915
«Vieni con me» mi sussurra all’orecchio e mi bacia ancora.
Pochi istanti dopo, vengo. Tremo in
tutto il corpo e mi aggrappo a lui. «Non
uscire» mormoro mentre veniamo insieme. E lui non esce: un lungo gemito
gli squassa il petto e il suo calore
esplode dentro di me. Gli stringo le
gambe intorno ai fianchi, più che posso,
e poi allento la stretta. Lui non smette
di spingere finché i suoi muscoli non
iniziano a rilassarsi.
Si sdraia accanto a me; il suo viso sul
mio cuore, la mia gamba intorno ai
fianchi. Restiamo in quella posizione
per un po’, avvinghiati, ad aspettare
che il respiro si plachi e i nostri corpi si
calmino. Ma venti minuti dopo ricominciamo. Alla fine ci addormentiamo abbracciati, dopo avermi posseduta in
707/915
modi che non avevo mai sperimentato
con nessuno.
La mattina dopo, mentre il sole fa capolino tra le tende, mi dimostra che
non è sempre rude e aggressivo: mi sveglia con una serie di baci sulle costole e
un massaggio alla schiena e alle cosce,
e poi facciamo l’amore con dolcezza.
Potrei morire in quel letto con lui,
stretta tra le sue braccia, e non me ne
accorgerei neppure.
Mi stringe forte tra le braccia e mi
bacia sul mento.
«Ora non puoi più andartene» gli
sussurro.
«Non l’ho mai voluto.»
Mi giro per guardarlo in faccia e intreccio le gambe alle sue. Lui appoggia
la fronte sulla mia.
«Ma stavi per farlo» bisbiglio.
708/915
Annuisce. «Sì, perché…» Non finisce
la frase.
«Perché?» insisto. «Perché avevo
troppa paura dell’ovvio?»
Dev’essere per quello, lo so. Penso.
Spero…
Distoglie lo sguardo. Gli accarezzo un
sopracciglio e poi il naso. Mi sporgo
leggermente per posargli un bacio leggero sulle labbra.
«Andrew? Era per quello?»
Il cuore mi dice che la risposta è no.
Sorride con gli occhi e mi tira a sé
baciandomi con forza. «Sei sicura di
volerlo?» mi chiede, incredulo.
Non riesco a capire cosa pensa.
«Perché
non
dovrei?»
ribatto.
«Andrew, dicevo sul serio: non riesco a
respirare senza di te. Ieri sera, dopo che
eri sparito per tutto il giorno, mi sono
709/915
seduta sul bordo di questo letto ed ero
letteralmente senza fiato. Credevo che
te ne fossi già andato e mi è venuto in
mente che non avevo neppure il tuo numero di telefono e non sarei più riuscita
a ritrovarti…»
Mi posa un dito sulle labbra per
farmi tacere. «Ora sono qui e non vado
più da nessuna parte.»
Con un sorriso malinconico gli appoggio la testa sul petto, e lui mi posa il
mento sulla testa. Sento il battito del
suo cuore e il ritmo regolare del suo
respiro. Restiamo sdraiati lì per ore,
senza quasi dire una parola. Mi rendo
conto che avevo sempre desiderato quel
momento, fin dalla prima volta che gli
avevo
rivolto
la
parola,
su
quell’autobus.
Ho trasgredito tutte le regole… Tutte
quante.
35
Andrew
Il cuore vince sempre sulla mente. Il
cuore, anche se incauto, suicida o masochista, ha sempre l’ultima parola. La
mente sa cos’è giusto e cosa no, ma io
non la ascolto più. Per adesso voglio
vivere nel presente.
«Alzati, piccola» le dico, dandole una
pacca sul sedere.
Si è riaddormentata tra le mie braccia dopo che ci siamo svegliati insieme
stamattina. A un certo punto penso di
711/915
essermi addormentato anch’io, ma non
importa; da ieri sera non penso a nient’altro che a lei.
Protesta con un mugolio e si gira
verso di me, il corpo avvolto nel lenzuolo bianco, i capelli biondi spettinati
e terribilmente sexy.
«Oh, andiamo, piccolo» mormora, e
sentirmi chiamare così mi fa venire il
batticuore, «dormiamo tutto il giorno.»
Mi infilo la maglietta e i calzoncini e
mi siedo sul letto accanto a lei, posando
le mani sui suoi fianchi. Mi chino a baciarle la fronte.
«Voglio fare tutto quanto con te» le
dico, sorridendo come un idiota. «Possiamo andare dove vuoi, fare tutte le
cose che ci vengono in mente.» Non ero
mai stato così felice in vita mia. Non
sapevo che una felicità del genere fosse
possibile.
712/915
Camryn mi sorride con dolcezza: gli
occhi azzurri portano ancora le tracce
innocenti del sonno. Mi osserva attenta,
come se cercasse di leggermi nel pensiero e lo trovasse divertente.
Allunga le braccia verso di me.
«Temo che dovrai portarmi in braccio.»
La tiro a sedere sul letto. «Be’, per me
non è un problema. Figurati, ti porto
dove ti pare. La gente ci guarderà
storto, ma pazienza. Pero dimmi
perché.»
Mi bacia sul naso. «Perché non credo
di riuscire a camminare.»
Quando capisco cosa intende, sorrido
come uno scemo.
Posa le gambe a terra per alzarsi dal
letto e fa una smorfia.
«Oh cazzo, piccola, mi dispiace
tanto.» Mi dispiace davvero, ma non
713/915
riesco a smettere di sorridere. E neppure lei, a dire il vero.
«Non lo dico per gonfiarti l’ego, ma
non ero mai stata scopata così.»
Scoppio a ridere gettando la testa
all’indietro. «Sporcacciona, che dici!»
«Ehi, è tutta colpa tua» ribatte additandomi. «Mi hai trasformata in una ninfomane pervertita e scurrile che per un
paio di giorni non riuscirà a camminare
con le gambe strette.» Sottolinea le parole con un cenno secco del capo.
La prendo in braccio con cautela,
passandole un braccio dietro le ginocchia per non costringerla ad allargare le
gambe nella sua “condizione”. «Scusami, piccola, ma eri già piuttosto scurrile quando ti ho conosciuta» le dico,
sorridendo al suo broncio. «Pervertita?
Forse, ma la perversione era già in te,
io ti ho solo aiutata a tirarla fuori. Ma
714/915
ninfomane? Significherebbe che vuoi
farlo in continuazione, anche quando
cammini storta per un paio di giorni.»
Sgrana gli occhi. «No, sono decisamente fuori uso almeno fino a
domattina.»
La bacio sulla fronte e la porto in
bagno.
«Per me va bene» dico, sostituendo al
sorriso un’espressione più dolce. «Non
te lo permetterei in ogni caso. Oggi,
Camryn Bennett, verrai coccolata. E la
prima tappa è un lungo bagno caldo.»
«Con le bollicine?» chiede lei, gli occhioni da Bambi.
Le sorrido. «Sì, con le bollicine.»
Faccio scorrere l’acqua mentre lei
resta seduta sul bordo della vasca dove
l’ho fatta sedere. Nuda, per giunta.
715/915
«Le bollicine potrebbero essere un
problema, piccola» le dico, svuotando
la minuscola bottiglietta di shampoo
dell’albergo.
«Sai una cosa?» fa lei dondolando i
piedi. «Ho finito quasi tutto, il dentifricio e anche il bagnoschiuma. Ho praticamente le squame» dice passandosi
una mano sulle gambe e facendo una
smorfia.
Mi mordo l’interno della guancia e
rispondo: «Andrò a fare la spesa». Lascio riempire la vasca e mi volto per
controllare i prodotti. Poi torno nella
stanza e rientro in bagno con un bloc
notes e la piccola matita con il logo
dell’hotel. «Cosa ti serve?»
Mentre lei ci pensa scrivo le cose che
ha già detto. «Dentifricio, bagnoschiuma…» La guardo. «Sapone liquido?»
716/915
«Be’, non proprio» ribatte, mentre mi
sforzo di non guardarle il seno. «Non è
come il sapone liquido per le mani…
Be’, lo riconoscerai quando lo vedi.»
Scrivo: non sapone per le mani. Torno
a guardarla. «Bene, cos’altro ti viene in
mente?»
Arriccia le labbra, pensierosa. «Shampoo e balsamo… preferisco quelli della
L’Oréal: è una bottiglia rosa, ma non
importa, basta che non sia quella roba
“tutto in uno”… Ho lasciato nell’ultimo
motel i flaconi che avevo comprato.
Ah! Prendi anche una confezione piccola di olio per bambini.»
Inarco un sopracciglio. «Olio per
bambini? Avevi in mente qualcosa?»
«No!» Mi schiaffeggia un braccio, ma
io ho occhi solo per il suo seno che
dondola. «Certo che no! Mi piace usarlo
sotto la doccia.»
717/915
Scrivo: bottiglia grande di olio per
bambini (non si sa mai).
«E magari qualcosa da mangiare, e
una confezione da sei di bottigliette
d’acqua o di tè freddo, non al limone…
qualcosa di non gassato e… oh!» Alza
un dito. «Fettine di carne essiccata!»
Sorrido e scrivo. «Tutto qui?»
«Sì, al momento non mi viene in
mente altro.»
«Be’, nel caso chiamami» dico tirando
fuori il cellulare dalla tasca dei pantaloncini. «Dammi il tuo numero.»
Sorride e mi detta il numero. La
chiamo: risponde la segreteria e io lascio un messaggio: Ehi, piccola, sono io.
Torno tra poco, al momento ho un po’ da
fare, sto fissando una bellissima bionda
nuda seduta sul bordo di una vasca.
718/915
Camryn sorride e arrossisce, mi tira a
sé fra le sue gambe e mi bacia con
forza.
«Oh, cazzo, l’acqua!» esclama. La
vasca sta per traboccare.
Chiudo subito il rubinetto. Poso il
telefono e la lista della spesa e la
prendo in braccio.
«Andrew, non sono disabile.» Ma non
si ribella.
La immergo nella vasca e lei si abbandona al tepore, lasciando ricadere i
capelli sulle spalle e in acqua.
«Torno presto» dico mentre esco.
«Me lo prometti, stavolta?»
Mi fermo di colpo. Mi volto a
guardarla e mi accorgo che stavolta non
scherza. Mi fa soffrire che debba chiedermelo, non perché mi offenda ma
perché le ho dato motivo di pensarlo.
719/915
Ora sono serissimo. «Sì, piccola, te lo
prometto. Ormai non ti libererai più di
me, lo sai, vero?»
Fa un sorriso a metà tra il dolce e
l’impertinente. «Accidenti a me! I guai
in cui mi caccio.»
Le faccio l’occhiolino e me ne vado.
36
Camryn
Il sesso cambia sempre ogni cosa. Ti
sembra di vivere in una bolla, in cui
tutto è sicuro, spensierato e prevedibile.
Un’attrazione per la persona giusta può
durare in eterno, quando il mistero
dell’intimità è lasciato intatto; ma appena si fa sesso la spensieratezza e la
prevedibilità si trasformano spesso nel
loro opposto. L’attrazione è destinata a
svanire? Ci desidereremo ancora come
prima? L’uno o l’altra pensa segretamente di aver commesso un grave
721/915
errore, e che era meglio lasciare le cose
com’erano? No. Sì. E no. Lo so perché
lo sento. Non è un eccesso di fiducia,
non sono le illusioni di una ragazza ingenua e piena di insicurezze. È un fatto
evidente: io e Andrew Parrish eravamo
destinati a incontrarci su quell’autobus.
Coincidenza è solo la parola che i conformisti usano al posto di destino.
Resto immersa nella vasca per un po’,
ma decido di uscire prima che mi
vengano le rughe sui polpastrelli. Ho
ancora dolore tra le gambe, ma cammino benissimo; però mi piace che lui
senta il bisogno di prendersi cura di
me. Infilo una canottiera nera e gli
shorts di cotone grigio che ho comprato
durante il viaggio. Riordino un po’ la
stanza, poi prendo il telefono per controllare i messaggi: le solite cose da
Natalie, ancora niente da mia madre.
722/915
Lascio sempre il telefono con la vibrazione, perché non sopporto lo
squillo. Potrei scegliere qualsiasi
melodia, ma per me un telefono che
squilla è fastidioso quanto le unghie
sulla lavagna. Spalanco le tende per lasciar entrare il sole già alto e mi appoggio al davanzale per guardare New Orleans. Non dimenticherò mai questo
posto.
Penso per un attimo a Andrew e a
suo padre, ma poi scaccio il pensiero.
Ho deciso di concedergli qualche altro
giorno prima di rientrare in argomento.
Soffrirà un po’, ma non voglio che mi
usi involontariamente come barriera.
Dovrà affrontare la questione, prima o
poi.
Poso il telefono sul davanzale e
sfoglio la libreria musicale. È un po’
che non ascolto la mia musica, e
723/915
stranamente non mi è mancata molto. Il
rock classico di Andrew ha iniziato a
piacermi davvero.
Barton Hollow dei Civil Wars, la mia
preferita degli ultimi due mesi. Attivo
l’altoparlante e lascio che la musica si
diffonda nella stanza con quello stile
country-folk che è il mio piacere
proibito. Non sono proprio un’appassionata di country, ma quella band è
l’eccezione che conferma la regola. Mi
metto a cantare in coro con John e Joy,
a squarciagola, al sicuro nella privacy
della mia stanza. Accenno persino qualche passo di danza davanti alla finestra.
E quando inizia l’assolo di Joy canto
con lei, come sempre, cercando di imitare la sua voce di velluto. Non ci riuscirò mai, ma è divertente lo stesso.
Mi fermo di scatto quando vedo
Andrew che mi guarda, appoggiato alla
724/915
parete accanto alla porta. E sorride,
ovviamente.
Divento paonazza.
Entra nella stanza e appoggia due
sacchetti di plastica sul mobile tv.
«Per essere così indolenzita, ancheggiavi bene» ironizza, e gli vengono le
fossette.
Ancora rossa come un peperone,
cerco di distrarlo prendendo i sacchetti.
«Be’, non dovresti entrare così, a
tradimento.»
«Macché, è stato divertente: hai davvero una bella voce.»
Arrossisco ancor di più, gli volto le
spalle e mi metto ad analizzare il contenuto di uno dei sacchetti.
«Grazie, piccolo, ma ho paura che il
tuo giudizio non sia imparziale.» Gli
rivolgo una smorfia sarcastica.
725/915
«No, dico davvero» fa lui, tornando
serio. «Non sei terribile come credi.»
«Non terribile?» Mi giro tenendo in
mano una grande bottiglia di olio per
bambini. «Che vuol dire di preciso, che
faccio schifo ma non troppo?» Sbuffo e
gli mostro la bottiglia: «Avevo detto
piccola».
«Be’, le avevano finite.»
«Ah, capisco» replico con un’altra
smorfia.
«Be’, no, non fai affatto schifo» dice
lui, e sento il rumore delle molle
quando si siede sul letto.
Lo guardo nello specchio. «Te la sei
cavata bene con lo shampoo e il balsamo» commento, tirando fuori i flaconi e posandoli accanto all’altro. «Ma
un
po’
meno
bene
con
il
bagnoschiuma.»
726/915
«Cosa?» Sembra davvero deluso. «Hai
detto che non era sapone liquido per le
mani. Su quella bottiglia c’è scritto
chiaramente “bagnoschiuma”.» La indica, come per giustificarsi.
«Stavo scherzando» esclamo sorridendo. «È proprio quello che volevo.»
Sembra sollevato. Lascia cadere la
mano sul letto. «Dovresti esibirti in
pubblico. Almeno una volta, per vedere
che effetto fa.»
Non mi piace quest’idea. Non mi piace nemmeno un po’. «Be’, sì… no.»
Scrollo la testa davanti allo specchio.
«Un po’ come mangiare insetti o diventare astronauta per un giorno: non succederà.» Infilo la mano nel sacchetto e
tiro fuori… oh no, non è possibile…
«Perché no?» chiede lui. «Sarà un’esperienza nuova, una cosa che non
727/915
avresti mai pensato di fare, ma poi la
fai e ti senti euforica.»
«Che diavolo è questo?» chiedo
voltandomi con una confezione di Vagisil in mano.
È imbarazzatissimo. «È… be’, sai…
per le tue… parti intime.» Accenna vagamente col capo alle mie “parti intime”.
Resto a bocca aperta. «Secondo te
puzzo? Mi hai visto grattarmi, per
caso?» Sto cercando di non ridere.
Sgrana gli occhi. «Cosa… No!
Pensavo solo che potesse aiutarti con
l’infiammazione.» Non l’avevo mai visto
così sbigottito. «Ehi, guarda che sono
un uomo: non è stato piacevole soffermarmi a leggere le etichette in quella
corsia del negozio.» Inizia a gesticolare.
«Ho visto che serviva per… quella parte
del corpo, e così l’ho messo nel cestino
con il resto.»
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Poso il Vagisil e vado da lui. «Be’,
non aiuta per l’infiammazione da…
sfregamento, ma è il pensiero che conta.» Mi siedo sulle sue ginocchia, a
gambe divaricate, e mi chino a
baciarlo.
Lui mi abbraccia. «Quindi non abbiamo più bisogno di camere separate»
mi dice con un sorriso.
Gli getto le braccia al collo e lo bacio
di nuovo. «Mentre eri via volevo andare
a prendere la tua roba nell’altra stanza,
ma poi mi sono ricordata che ieri sera
avevo buttato per terra la mia chiave.»
Mi afferra il sedere con le grandi
mani, mi tira a sé, mi bacia nell’incavo
del collo e si alza in piedi continuando
a reggermi.
«Vado a prenderla io» dice, lasciandomi scivolare a terra con cautela.
«Penso che mi ci vorranno un paio di
729/915
giorni per imparare a suonare quella
canzone e per memorizzare il testo…
Tu invece la sai già, a quanto pare.»
Oh-oh… Lo guardo di sottecchi. «Perché dovresti impararla?»
Gli si accentuano le fossette. «Se ben
ricordo, tu hai rinunciato alla libertà
dopo averla vinta a quella partita di
biliardo.»
Il suo viso è diabolico.
Scuoto la testa, dapprima lentamente
e poi sempre più forte man mano che
mi rendo conto della situazione.
«Hai detto qualcosa del tipo: Non la
voglio, la libertà, a meno che non si tratti
di mangiare insetti o di mostrare le
chiappe dal finestrino della macchina.
Scusa, piccola, ma dovresti capire
quando è meglio tenere la bocca
chiusa.»
730/915
«No… Andrew!» Indietreggio e incrocio le braccia sul petto. «Non puoi
costringermi a cantare in pubblico. È
una crudeltà.»
«Per te o per il pubblico?» Sorride.
Gli pesto un piede.
«Scherzavo! Scherzavo!» Ora ride
forte.
«Be’, non puoi obbligarmi.»
Piega la testa di lato, nei suoi occhi
verdi si accende una scintilla irresistibile. «No, non ti obbligherò a fare
nulla, ma…» Oh, fantastico, ora fa il
broncio. E quel che è peggio, sta funzionando! «Mi piacerebbe tanto, tanto,
tanto che tu lo facessi.» Mi prende per i
gomiti e mi tira a sé.
Ringhio a bocca chiusa. Faccio lunghi
respiri e conto fino a dieci.
«Va bene.»
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Gli si illumina il viso.
«Ma una volta sola!» Gli punto un
dito addosso. «E se qualcuno ride di
me, vedi di non lasciarmi marcire in
galera!»
Mi prende il viso tra le mani e mi
schiocca un bacio.
37
Pochi minuti dopo, Andrew rientra
nella stanza con i bagagli e la chitarra
acustica di suo fratello.
È davvero felice.
Io invece sono terrorizzata, e mi sono
già pentita di aver accettato. Però devo
ammettere che sono un po’ curiosa.
Non mi fa paura stare di fronte a un
pubblico: al liceo non ho avuto problemi a tenere un discorso sugli animali
in via di estinzione, né a interpretare il
ruolo dell’infermiera Ratched in Qualcuno volò sul nido del cuculo nello
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spettacolo dell’ultimo anno. Ma cantare
è diverso. A recitare non sono malaccio,
ma cantare è un’altra storia: soprattutto
se si tratta di un duetto con uno come
Andrew, un dio del blues-rock la cui
voce sembra fatta apposta per sfilare le
mutandine alle ragazze.
«Avevo capito che i tuoi gusti musicali fossero diversi dai miei.» Andrew
posa le borse a terra e si siede sul letto
con la chitarra. «Be’, qualsiasi canzone
fosse, cantavi e ballavi così bene che
posso tollerarla.»
«Erano i Civil Wars, la mia band
preferita di questo periodo» dico,
mentre esco dal bagno asciugando i
capelli con un telo di spugna (ho deciso
di lavarli di nuovo dopo che Andrew mi
ha portato lo shampoo). «La canzone si
intitola Barton Hollow.»
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«Molto moderno, molto folk» dice lui,
accennando qualche accordo sulla chitarra. «Mi piace.» Poi mi guarda e aggiunge: «Dov’è il tuo telefono?».
Vado a prenderlo dal davanzale, riporto la canzone all’inizio e glielo
porgo. Lui lo mette sul letto e preme
play. Torno ad asciugarmi i capelli
mentre lui ascolta e riascolta la canzone
per impararla a orecchio, muovendo le
dita sui tasti della chitarra finché non
trova gli accordi giusti. In pochi minuti,
dopo qualche nota dissonante, riesce
già a suonare il primo riff.
E al tramonto ha già imparato tutta
la canzone, tranne un breve passaggio
che continua a confondere con un altro.
Per fare prima ha cercato lo spartito online, e una volta trovato il lavoro si è
velocizzato molto. Il testo invece gli ha
dato meno problemi.
735/915
«Credo che ci siamo» dice sedendosi
sul davanzale, sullo sfondo di un cielo
plumbeo. Ha iniziato a piovere verso le
otto e non ha più smesso. Ogni tanto intervengo per cantare qualche parola,
ma sono troppo nervosa. Non so
proprio come farò a esibirmi se mi
agito da sola con lui. Evidentemente mi
sbagliavo: dopotutto ho davvero il
terrore del palcoscenico.
«Coraggio, piccola» fa lui con un
cenno del capo e senza togliere le dita
dalle corde, «solo perché sai già le parole non vuol dire che non devi esercitarti con me.»
Mi lascio cadere sul letto. «Prometti
che non mi farai smorfie, non sorriderai, e…»
«Non respirerò neppure» dice lui, e
ride. «Te lo giuro! Coraggio.»
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Sospiro e mi alzo dal letto, appoggiando sul comodino la striscia di carne essiccata che stavo mangiucchiando.
Andrew si appoggia la chitarra sulla
coscia e beve un sorso di tè freddo per
prepararsi a cantare.
«Non preoccuparti» mi rassicura
mentre mi avvicino lentamente, «la
voce maschile ha molte più parti
rispetto a quella femminile: lei ha soltanto quell’assolo, per il resto del tempo
canti in coro con me.»
Faccio spallucce, nervosa. «È vero»
ammetto. «Se non altro, per gran parte
della canzone la tua voce coprirà la
mia.»
Si infila il plettro tra le labbra e mi
porge la mano. «Piccola, vieni qui.»
Gli prendo la mano e lui mi tira a sé,
lasciando la chitarra tra noi. Si toglie il
plettro di bocca. «Mi piace davvero la
737/915
tua voce, capito? Ma anche se tu non
sapessi cantare vorrei comunque che lo
facessi. Non importa quel che pensano
gli altri.»
Accenno un sorriso imbarazzato. «Va
bene, lo faccio per te, ma soltanto per
te: vedi di non dimenticarlo.» Gli punto
un dito contro, con aria severa. «Mi
sarai debitore.»
Scrolla la testa. «Non voglio che tu lo
faccia solo per me. Dopo che ti sarai esibita mi dirai se ti ha dato soddisfazione o se lo hai fatto solo per me.»
«Mi sembra equo.»
Annuisce, sistema la chitarra e posa il
plettro sulle corde.
«A… aspetta… Magari se ti alzi in
piedi anche tu non mi sentirò così al
centro dell’attenzione.»
738/915
Ride e si alza. «Oh, che diavolo… e
va bene, tutto quel che vuoi. Se decidi
di cantare con un sacco di iuta sopra la
testa, ne hai il permesso.»
Lo guardo come se valutassi davvero
quell’idea assurda.
«Non pensarci nemmeno, Camryn: niente sacchi. Ora mettiamoci al lavoro.»
Ci esercitiamo per tutta la serata,
finché siamo costretti a smettere perché
disturbiamo gli ospiti delle stanze accanto. Proprio quando iniziavo a rilassarmi un po’, a non preoccuparmi del
giudizio di Andrew sulla mia voce. Mi
sembrava di cavarmela abbastanza
bene.
Andiamo a letto prima del solito, e
restiamo sdraiati vicini a parlare.
«Sono contenta che tu non ti sia stufato delle mie stronzate» gli dico, accoccolata nell’incavo del suo gomito.
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«Altrimenti a quest’ora potrei essere di
nuovo in North Carolina.»
Mi bacia sulla tempia. «Devo confessarti una cosa.»
Drizzo le antenne. «Ah sì?»
«Sì.» Guarda il soffitto dove le luci
della città disegnano strane figure. «A
Wellington, in Kansas, in quel primo
motel in cui siamo stati… La mattina
dopo, mentre tu eri in bagno e ti ho lasciato due minuti per prepararti…» Si
interrompe e sento che gira leggermente la testa verso di me.
Tiro indietro la testa per guardarlo.
«Sì, mi ricordo. Cos’hai fatto?»
Sorride, nervoso. «Diciamo che ho
scattato una foto alla tua patente con il
telefonino.»
Batto le palpebre, perplessa. «E perché?» Mi scosto per vederlo meglio.
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«Sei arrabbiata?»
Sbuffo. «Penso dipenda da cosa avevi
intenzione di fare con informazioni così
personali.»
Distoglie lo sguardo, ma lo vedo
arrossire anche al buio.
«Be’, di sicuro non era per rintracciarti in un secondo momento e farti a
pezzi.»
Resto a bocca aperta. «Be’, questa sì
che è una consolazione!» rido. «Sul
serio però, perché l’hai fotografata?»
Lui torna a guardare il soffitto e sembra smarrirsi nei pensieri.
«Volevo solo accertarmi di poterti ritrovare» confessa. «Sai… nell’eventualità
che decidessimo di andare ognuno per
la propria strada.»
I miei occhi gli sorridono, ma la mia
bocca no. Non sono arrabbiata perché
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ha scattato la foto per quel motivo – anzi vorrei baciarlo – ma non sono sicura
che
mi
piaccia
la
parte
sull’“eventualità”. Mi fa pensare, più di
quanto non faccia già, che Andrew
avesse
in
mente
di
andarsene
comunque.
«Andrew?»
«Che c’è, piccola?»
«C’è altro che non mi hai detto?»
Esita. «No, perché me lo chiedi?»
Guardo anch’io il soffitto. «Non lo so,
è solo che ho sempre percepito in te
una strana… riluttanza.»
«Riluttanza?» ripete lui, sorpreso.
«Ero riluttante quando ti ho convinta a
fare questo viaggio con me? Ero forse
restio a baciarti tra le gambe?»
«No, direi di no.»
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«Camryn, ho esitato solo quando mi
sono chiesto se fosse giusto stare
insieme.»
Mi tiro a sedere sul letto e mi volto
per guardarlo. L’ombra sul suo viso fa
risaltare il fuoco nei suoi occhi. È a
torso nudo, sdraiato con un braccio piegato dietro la testa.
«Pensi che non stiamo bene
insieme?»
Quella conversazione inizia a farmi
annodare lo stomaco.
Lui mi prende delicatamente per un
polso. «No, piccola, penso che stiamo
benissimo, ed è per questo che credo…
credevo fosse meglio non restare
insieme.»
«Ma non ha senso!»
Mi tira a sé e io gli appoggio le mani
sul petto.
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«È solo che non ero sicuro che fosse
giusto continuare» dice, ravviandomi i
capelli dietro le orecchie. «Ma neanche
tu eri sicura di niente, piccola.»
Mi sdraio accanto a lui. Ha ragione.
L’unica cosa che non capisco ancora è
quali fossero le sue ragioni per andarci
tanto cauto. Sa perché me ne sono andata di casa e tutto sulla morte di Ian.
Ho un lungo elenco di motivi validi attaccato al frigorifero con una calamita a
forma di banana. Le motivazioni di
Andrew invece sono ancora nascoste da
qualche parte, in una scatola da scarpe
con l’etichetta “biglietti d’auguri per
Natale”. E ho l’impressione che non
c’entri soltanto suo padre.
Mi sfila il braccio da sotto la testa e
scivola sopra di me, stringendomi tra le
gambe e reggendosi sulle braccia
muscolose.
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«Sono contento che tu non riesca a
dormire con la musica accesa» dice, ricordando la prima cosa che gli ho detto
quando ci siamo conosciuti, e poi si
china a baciarmi.
Accarezzo il suo viso bellissimo e lo
tiro a me per baciarlo ancora. «E io
sono contenta che l’Idaho sia famoso
per le patate.»
Aggrotta la fronte.
Sorrido e ci baciamo di nuovo. Poi le
sue labbra scendono sul mio stomaco,
la punta della lingua traccia un cerchio
intorno all’ombelico e le dita si infilano
sotto l’elastico dei miei slip.
«Non penso di poter…» sussurro,
guardandolo.
Mi lecca lo stomaco e poi mi bacia le
dita mentre le mie mani gli accarezzano
il viso e poi gli affondano tra i capelli.
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«Niente sesso» dice «e prometto che ti
leccherò con cautela.» Mi sfila le
mutandine e io sollevo i fianchi per
farle scorrere.
Mi bacia l’interno di una coscia. E poi
dell’altra, avvicinandosi al centro del
mio piacere.
Ansimo leggermente quando le sue
dita mi sfiorano e separano le grandi
labbra.
«Accidenti, piccola, sei davvero
arrossata» dice con dispiacere, non per
prendermi in giro.
In effetti dà un po’ fastidio, ma Dio
mio, lo voglio così tanto… Sento il suo
fiato caldo tra le gambe.
«Sarò molto delicato» e mi si mozza il
fiato quando inizia a leccarmi lentamente, mentre con le dita mi tiene
aperta ma senza esercitare pressione.
746/915
Affondo tra le lenzuola mentre lui mi
lecca a lungo, senza farmi male, ma con
la giusta intensità per mandarmi in
estasi.
Proviamo Barton Hollow da due giorni:
quasi sempre nella nostra camera
all’Holiday Inn, ma una volta siamo andati a suonare in riva al Mississippi, in
fondo a Canal Street. Penso che Andrew
stia cercando di farmi abituare gradualmente a cantare in un luogo pubblico.
Non c’erano in giro molte persone, ma
ero comunque un fascio di nervi. Quasi
nessuno si è fermato a guardare (non ci
stavamo esibendo: ci interrompevamo
spesso per ripetere una strofa o l’altra,
quindi non c’era molto da ascoltare),
ma un paio di persone hanno rallentato
e una donna mi ha sorriso. Non so se
fosse un sorriso di compassione perché
cantavo male, o se davvero le piacesse
747/915
la mia voce. Poteva essere l’una o l’altra cosa.
Il terzo giorno Andrew si dichiara
soddisfatto e annuncia che ci esibiremo
all’Old Point al più presto.
Io sono meno convinta. Mi serve
un’altra settimana, o un mese, magari
un anno o due.
«Te la caverai bene» dice lui allacciandosi le scarpe. «Anzi, benissimo.
Alla fine della canzone dovrò strapparti
gli uomini di dosso.»
«Oh, sta’ zitto» sbotto, infilandomi
una canottiera nera con catenelle al
posto delle bretelline. Per una serata
del genere non indosserò certo il top
senza spalline. «Ho visto come ti guardavano le ragazze quella sera: la mia
unica consolazione è che tu sarai lassù
con me, così tutti guarderanno te e non
faranno caso ai miei errori.»
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«Piccola, conosci la canzone meglio
di me. Non essere così pessimista.» Si
sistema la T-shirt nera sugli addominali. Jeans scuri, i capelli un po’ spettinati sulla fronte… Cosa stava dicendo?
«L’unica cosa che devi sforzarti di ricordare» dice mettendosi il deodorante
«è di non cantare tutto il testo della
canzone. Hai un’occasione per stare
zitta, e invece canti anche le mie parti.»
Inarca un sopracciglio e mi guarda.
«Non che mi dispiaccia, solo pensavo
che preferissi cantare di meno.»
«Lo so, è solo che sono così abituata
a cantare tutta la canzone… è difficile
ricordarmi di saltare certe parti.»
Annuisce.
Infilo le nuove scarpe col tacco e
vado a guardarmi nel grande specchio
sopra il mobile tv.
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«Sei così sexy, accidenti» dice
Andrew avvicinandosi dietro di me. Mi
cinge la vita e mi bacia sul collo, poi mi
dà una pacca sul sedere sopra i jeans
quasi skinny e io caccio un urletto perché mi ha fatto male.
«E come sempre, piccola, adoro le tue
trecce.» Fa scorrere i pollici sulle due
trecce che mi ricadono sulle spalle e poi
mi dà un bacio leggero su una guancia.
Mi ritraggo e lo spingo via. «Mi
rovini il trucco.»
Si allontana sorridendo, prende il
portafogli dal comodino e lo infila in
tasca. «Be’, credo che siamo pronti»
dice.
Si sposta al centro della stanza e allunga una mano verso di me, mette l’altro braccio dietro la schiena e fa un
inchino, sorridendo. Le punte delle sue
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dita sfiorano le mie, poi mi prende per
mano e mi tira verso la porta.
«E la chitarra?»
Stava già aprendo la porta, e mi sorride grato. «Sì, potrebbe tornarci utile»
scherza, prendendo la chitarra per il
manico. «Se Eddie stasera non c’è, rischiavamo di non avere una chitarra.»
«Oh, be’, non mi sarei lamentata.»
Scrolla la testa e mi trascina fuori
dalla porta.
38
Stavolta
prendiamo
la
Chevelle.
Andrew ha scoccato un’occhiata alle
mie scarpe e ha capito che non sarei arrivata a piedi fino ad Algiers, e non
aveva intenzione di portarmi in braccio
insieme alla chitarra. Imbocchiamo la
superstrada invece di prendere il traghetto, superiamo il ponte sul Mississippi e arriviamo a destinazione quando
il sole sta tramontando. Avrei preferito
fare a piedi il resto della strada, come
la prima volta: so che in macchina arriveremo troppo presto. Mi sta venendo
il mal di pancia.
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Parcheggiamo in Olivier Street e
scendiamo. Non riesco a muovere i
piedi: sono incollati all’asfalto.
Andrew gira intorno alla macchina e
mi stringe tra le braccia.
«Non ti obbligherò» dice. Ha cambiato idea. Devo avere l’aria di una che
sta per vomitare il pranzo. Mi prende il
viso tra le mani e mi fissa negli occhi.
«Dico la verità, piccola, basta con gli
scherzi: non voglio che tu lo faccia se
non sei assolutamente convinta, neppure se lo fai per me.»
Annuisco nervosa e tiro un lungo
respiro; il mio viso è ancora stretto fra
le sue mani. «No, posso farcela» annuisco, cercando di prendere il coraggio a due mani. «Lo voglio fare.»
Lui mi accarezza le guance con i pollici. «Sei sicura?»
«Sì.»
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Mi sorride con quegli occhi verdi che
inizio a credere mi stiano stregando, e
poi mi prende per mano, recupera la
chitarra dal sedile posteriore ed entriamo insieme all’Old Point.
«Parrish!» esclama Carla da dietro il
bancone. Ci saluta con la mano e fa
cenno di avvicinarci.
Senza lasciarmi la mano Andrew si fa
strada tra la gente fino al bar. Il televisore dietro la testa di Carla trasmette
pubblicità creando un alone bianco
tutt’intorno a lei.
«Ehi, Carla» dice Andrew, sporgendosi sopra il bancone per abbracciarla.
«C’è Eddie, stasera?»
Lei si mette le mani sui fianchi e mi
sorride. «Certo che c’è, è qui da qualche
parte. Ciao Camryn, è bello rivederti.»
«Anche per me.» Ricambio il sorriso.
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Andrew si siede su uno sgabello e mi
indica quello accanto. Mi ci arrampico
e mi siedo, nervosa. Riesco a pensare
solo a quant’è affollato il locale. Mi
guardo intorno, sopra le teste e tra le
persone che si sono alzate dai tavoli ora
che la band ha ricominciato a suonare.
La musica aumenta di volume e
Andrew e Carla devono quasi gridare
per parlarsi.
«C’è posto per noi stasera?» chiede
Andrew.
Carla si sporge verso di lui. «Noi?»
chiede, scoccandomi un’occhiata. «Ma
dài, cantate tutti e due?» Sembra
entusiasta.
Il cuore mi sprofonda fino all’altezza
delle ginocchia. Sposto lo sguardo
dall’uno all’altra, ma non riesco a deglutire il nodo che mi serra la gola.
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Carla piega la testa di lato e sorride.
«Oh, mia cara, te la caverai alla grande!
Non essere nervosa, piacerai a tutti.»
Tira fuori un bicchierino da shot. Un
uomo è seduto al bancone al mio
fianco, ed evidentemente è un cliente
fisso perché Carla gli sta già versando il
solito. Ma la sua attenzione è concentrata su Andrew e me.
«Ho cercato di farglielo capire» dice
Andrew, «ma è la sua prima volta,
quindi devo essere paziente.»
«La prima e l’ultima» lo correggo.
Carla scambia un sorriso con Andrew
e poi mi dice: «Be’, non sono un tipo violento… ma se qualcuno qui dentro ti
dà problemi, vieni da me e lo butto
fuori dalla porta sul retro come si vede
fare nei film». Mi fa l’occhiolino e poi si
rivolge a Andrew: «Ecco Eddie» fa con
un cenno del capo.
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Eddie si sta facendo largo tra la folla.
È vestito come la prima volta che l’ho
visto: camicia bianca, pantaloni neri,
scarpe nere lucide e un sorriso incorniciato dalle rughe.
«Ma guarda un po’, Parrish» dice, agguantando la mano di Andrew e stringendolo in un abbraccio. Poi si rivolge
a me. «Cazzo, sembri una modella uscita da una rivista, sono serio!» e abbraccia anche me. Odora di fumo e
whisky da quattro soldi, ma il suo abbraccio mi conforta, non so perché.
Andrew è raggiante. «Camryn canta
con me, stasera» spiega orgoglioso.
Eddie strabuzza gli occhi per l’entusiasmo: due enormi sfere bianche che si
stagliano sullo sfondo scuro della pelle.
Dovrei sentirmi ancor più nervosa,
come quando l’ha saputo Carla, e invece la presenza di quest’uomo mi
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rasserena un po’. Forse dovrei ammanettarmelo al polso mentre canto.
Mi sorride: «Bimba, scommetto che la
tua voce è bella quanto la faccia».
Avvampo.
«Be’, il palco è tutto vostro! Appena
finisce questa canzone!»
Andrew mi prende per mano e mi
tira verso di sé. Ho l’impressione che
Eddie sia per lui una figura paterna, e
che sia contento che io gli stia
simpatica.
Eddie si avvicina al palco e ci mostra
tre dita: «Tre minuti!».
«Oddio, sono nervosissima!» Sì, avrei
preferito che Eddie mi restasse accanto.
Andrew mi stringe forte la mano e si
china a dirmi all’orecchio: «Ricordati
che tutte queste persone sono qui per
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divertirsi, nessuno ti giudicherà. Non
siamo a una gara di canto».
Traggo un lungo respiro e tento di
rilassarmi.
Ascoltiamo la fine della canzone e
poi la musica si interrompe, seguita dal
solito brusio degli strumenti che vengono accordati o che sbattono l’uno
contro
l’altro.
Il
chiacchiericcio
aumenta di volume ora che non è
coperto dalla musica. Una densa cappa
di fumo di sigaretta rende l’aria
opprimente.
Quando Andrew mi tira verso il palco
mi tremano le mani e mi accorgo che
sto affondando le unghie nel palmo.
Mi sorride dolcemente e io mi incammino con lui.
«Sono presentabile?» gli sussurro.
Sarà un miracolo se arrivo alla fine
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della serata senza avere un attacco di
panico.
«Piccola, sei perfetta.»
Mi bacia la fronte e poi posa la chitarra accanto alla batteria per sistemare
il microfono.
«Divideremo il microfono» mi dice.
«Non darmi una testata.»
Lo guardo di traverso. «Non fa
ridere.»
«Non sto cercando di farti ridere.
Sono serissimo» dice con un ghigno.
Alcuni spettatori ci guardano già, ma
gli altri si fanno gli affari propri. Non
ho altro da fare che restare lì impalata,
e già questo mi innervosisce. Almeno
Andrew ha la chitarra da accordare, io
invece posso solo agitarmi.
«Sei pronta?» mi chiede.
«No, ma togliamoci il pensiero.»
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Ci guardiamo e lui mima con le labbra: «Un, due, tre…».
Cantiamo
insieme:
«Ooooh…oooh…oooh…oooh!»
Un
secondo
di
pausa.
«Ooooh…oooh…oooh…oooh!».
Chitarra.
Decine di teste si voltano all’unisono
e il brusio delle voci cessa di colpo,
come un rubinetto che si chiude.
Mentre Andrew suona il riff e si prepara a cantare la prima strofa, io provo
un tale terrore che mi sembra di non
riuscire a muovere nient’altro che gli
occhi. Ma più lui suona e più il mio
corpo è spinto a muoversi a tempo di
musica. Anche gli spettatori iniziano a
dondolare la testa al ritmo della
canzone.
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Andrew canta la prima strofa. E poi,
per un momento, di nuovo insieme:
«Ooooh…».
Poi arriva il ritornello, e lo cantiamo
a due voci, e so che di lì a poco dovrò
toccare una nota alta…
Ce l’ho fatta!
Andrew sfodera un gran sorriso e
passa alla strofa successiva, senza
smettere di suonare e senza sbagliare
un accordo, come se conoscesse quella
canzone da sempre.
Il pubblico si sta appassionando. Si
scambiano cenni del capo, come a dire
sono davvero bravi, e quando canto di
nuovo la mia parte con Andrew sorrido,
perché mi sento più sicura. Ora sono
più sciolta e credo di essermi quasi
completamente liberata dalla paura, ma
il mio assolo… Oddio, adesso arriva il
mio assolo…
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Andrew mi guarda negli occhi come
per infondermi calma e concentrazione,
e continua a suonare.
Appena prima che arrivi il mio turno,
smette di suonare e dà un colpetto
secco alla cassa della chitarra, per
darmi il ritmo. Poi suona un accordo e
si ferma di nuovo, e poi un altro colpetto dopo il mio secondo verso… e
così via fino all’ultima nota, dopodiché
ricominciamo in coro. Mi sorride, e io
ricambio. Restiamo guancia a guancia
mentre il ritmo della canzone accelera.
«Woooh…oooh…oooh!»
Poi la chitarra scema e cantiamo insieme a bassa voce il ritornello finale, e
dopo l’ultima parola lui mi bacia sulla
bocca. E la canzone finisce.
Il pubblico scoppia in un applauso
fragoroso. Sento persino un tizio dal
fondo che grida «Bis!»
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Andrew mi bacia di nuovo, davanti a
tutti.
«Porca miseria, piccola, sei stata fantastica!» Ha una luce negli occhi che gli
illumina tutto il viso.
«Non ci posso credere!» Devo praticamente gridare, perché intorno a noi
strillano tutti. Ho la pelle d’oca
ovunque.
«Lo vuoi rifare?» mi chiede.
Deglutisco. «No, non sono pronta! Ma
sono contenta di averlo fatto!»
«Sono molto orgoglioso di te!»
Ci si avvicinano alcuni uomini di una
certa età con in mano boccali di birra.
Quello con la barba esclama: «Devi ballare con me!». Alza le braccia e accenna
un passo di danza, una mossetta imbarazzante. Arrossisco e vedo che
Andrew ride sotto i baffi.
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«Ma non c’è musica!» faccio notare
all’uomo.
«Col cavolo che non c’è!» Fa un
cenno a qualcuno dall’altra parte del
locale, e pochi secondi dopo parte una
canzone sul jukebox.
Sono così travolta dall’entusiasmo
per essere riuscita a cantare in pubblico
che mi metto a ballare con quell’uomo,
anche perché mi sentirei molto in colpa
se gli dicessi di no. Mi volto di nuovo a
guardare Andrew e lui mi fa
l’occhiolino.
L’uomo barbuto mi prende la mano,
la solleva sopra la testa e istintivamente
io faccio una piroetta. Ballo con lui per
due canzoni, e poi Andrew viene a “salvarmi”: si insinua tra noi e mi si lancia
addosso, mi stringe in vita e si mette ad
ancheggiare. Balliamo, chiacchieriamo
con la gente e giochiamo persino a
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freccette con Carla. Quando usciamo è
mezzanotte passata.
In macchina, al ritorno, Andrew mi
guarda con un sorriso complice e mi
chiede: «Allora, come ti senti?».
«Avevi ragione. Mi sento… non lo so,
diversa, ma in senso buono: non avrei
mai pensato di poter fare una cosa
simile.»
«Be’, sono contento che tu l’abbia
fatto.» Sembra davvero soddisfatto.
Slaccio la cintura di sicurezza e
scivolo sul sedile verso di lui, che mi
posa un braccio sulle spalle.
«Allora, per domani sera?»
«Eh?»
«Vuoi cantare anche domani sera?»
«No, non penso che ci riuscirei…»
«Va bene, non importa» mi rassicura
lui, massaggiandomi il braccio. «Già
766/915
così è più di quanto mi aspettassi,
quindi non ti stresserò.»
«No» esclamo, scostandomi e voltandomi per guardarlo. «La sai una cosa?
Sì. Voglio rifarlo.»
Lo vedo sorpreso. «Davvero?»
«Sì, davvero.» Gli sorrido.
Mi sorride.
«Va bene, allora!» esclama dando una
pacca sul volante. «Domani sera si
suona di nuovo.»
Ritorniamo in albergo e facciamo
sesso nella doccia prima di andare a
letto.
Restiamo a New Orleans per altre
due settimane, suonando all’Old Point e
poi in vari altri locali della città. Se un
mese prima mi avessero detto che avrei
cantato dal vivo in un locale, probabilmente mi sarebbe sembrato ridicolo; e
767/915
invece eccomi qui a gorgheggiare Barton Hollow a pieni polmoni, e anche
qualche altra canzone in cui faccio la
corista e non sono al centro dell’attenzione. Ma siamo piaciuti a tutti. Ogni
sera varie persone ci fermavano per
stringerci la mano e ci chiedevano di
cantare questa o quell’altra canzone,
ma Andrew rifiutava sempre. Sono
ancora troppo nervosa per riuscire a
cantare su richiesta. E con mia grande
sorpresa, un paio di volte mi hanno
persino chiesto l’autografo! Dovevano
essere davvero ubriachi.
Alla fine di quelle due settimane,
Andrew ha una nuova band da aggiungere all’elenco delle preferite: adora i
Civil Wars quanto me. E ieri sera, la
nostra ultima sera a New Orleans, abbiamo cantato Poison & Wine ascoltandola sul telefono, sdraiati a letto insieme… e… mi sembra che attraverso il
768/915
testo di quella canzone ci siamo detti
cose che volevamo dirci da tempo… O
almeno credo…
Mi sono addormentata tra le sue
braccia, piangendo sommessamente.
Devo essere morta, e questo è il
paradiso.
39
Andrew
«Devi farlo, per sicurezza» disse Marsters
seduto sulla sedia da ufficio nera, così terribilmente prevedibile, nel suo prevedibile
ambulatorio con indosso un camice
prevedibile.
«Non ce n’è bisogno» ribattei io, seduto
dall’altra parte. «Che altro c’è da dire?
Che altro c’è da scoprire?»
«Ma tu…»
«No, ascolti, la sa una cosa? Vaffanculo.» Mi alzai scaraventando all’indietro
770/915
la sedia, che andò a sbattere contro una
pianta alle mie spalle. «Non ho intenzione
di sopportare quella merda.» Me ne andai,
sbattendo così forte la porta che il vetro
tremò nel telaio. «Andrew! Piccolo, svegliati!» dice Camryn.
Apro gli occhi di scatto. Sono ancora
sul sedile del passeggero. Quanto avrò
dormito? Mi tiro su, scrocchio il collo
da ambo i lati e mi stropiccio il viso.
«Stai bene?»
È notte. Vedo lo sguardo preoccupato
di Camryn che mi fissa finché non è
costretta a guardare la strada.
«Sì» rispondo, annuendo. «Sto bene.
Probabilmente ho solo avuto un incubo,
ma non lo ricordo neppure» mento di
nuovo.
«Hai preso a pugni il cruscotto. Un
pugno, così, senza preavviso: mi hai
spaventata da morire.»
771/915
«Scusami, piccola.» Le sorrido e la
bacio sulla guancia. «Da quanto guidi
tu?»
Controlla l’orologio. «Non lo so, forse
un paio d’ore.»
Guardo i cartelli stradali per scoprire
se mi ha dato retta ed è rimasta sulla
90.
«Accosta laggiù» le dico accennando
a una piazzola di sosta.
Esce dalla carreggiata e si ferma
sull’asfalto accidentato, disinnestando
la marcia. Faccio per scendere, ma lei
mi ferma prendendomi per un braccio.
«Andrew, aspetta…»
La guardo. Spegne il motore e si slaccia la cintura di sicurezza.
«Voglio guidare un po’, così puoi
dormire» le dico.
772/915
«Lo so» risponde, guardandomi con
aria grave.
«Che succede?»
Stringe il volante con entrambe le
mani e si appoggia allo schienale. «Non
sono più tanto sicura del Texas.»
«Perché no?» Scorro sul sedile accanto a lei.
Finalmente mi guarda. «Perché poi
cosa succede? Sembra proprio l’ultima
fermata. C’è casa tua, lì. Cosa resta da
fare?»
So cosa intende, e da un po’ condivido in segreto i suoi timori. «Qualsiasi
cosa ci vada di fare» rispondo.
Mi giro e allungo una mano per prenderle il mento. «Guardami.»
Nei suoi occhi vedo balenare il desiderio, la paura, la sofferenza. Lo so perché provo anch’io le stesse emozioni.
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Con la gola serrata, mi sporgo a baciarla delicatamente. «Lo capiremo
quando arriviamo lì, okay?»
Annuisce, per nulla convinta. Cerco
di sorriderle, ma è difficile quando so
di non poterle dare le risposte che
cerca. Le risposte che voglio darle.
Si sposta dal lato del passeggero
mentre io scendo e giro intorno alla
macchina. Due veicoli vengono dalla
direzione opposta e ci accecano con i
fari. Richiudo la portiera e resto seduto
immobile per un momento. Camryn
guarda fuori dal finestrino, e senza dubbio i suoi pensieri sono simili ai miei: si
sente sperduta, incerta. Non ho mai
sentito con nessuno il legame che provo
per lei, e mi uccide pian piano. Stringo
la chiave di accensione e faccio un
lungo sospiro. «Prendiamo la strada
lunga» dico a voce bassa, senza
774/915
guardarla, e poi avvio il motore. Mi
sento osservato. Le scocco un’occhiata.
«Se vuoi.»
Un accenno di sorriso le illumina il
viso. Annuisce.
Premo un pulsante e il lettore cd
cambia canzone: i Bad Company.
Ricordo il nostro patto e faccio per
cambiare ancora, ma Camryn dice: «No,
lasciala» e il suo sorriso si allarga.
Chissà se ricorda quando ci siamo
conosciuti sull’autobus, quella prima
sera, quando le ho chiesto di dirmi il
titolo di una canzone dei Bad Company.
Ha risposto Ready for Love. E allora io
le ho chiesto: «Sicura di essere pronta?»
Non so perché l’ho fatto, ma ora mi
rendo conto che non era poi così
sbagliato. Strano che ora stiamo
ascoltando proprio quella canzone.
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Attraversiamo la Louisiana meridionale e poi restiamo sulla 82 fino al
Texas. Camryn non fa che sorridere,
quella mattina – pur essendo in Texas –
e guardarla fa sorridere anche me.
Viaggiamo con i finestrini abbassati e
lei tiene i piedi nudi fuori dal finestrino. Quando cerco di tenere d’occhio
il traffico dal retrovisore vedo solo le
sue belle unghie smaltate.
«Non è un vero viaggio, se non tiri
fuori i piedi dal finestrino!» grida lei
sopra la musica e il vento. Porta i
capelli stretti in un’unica treccia, ma il
vento le sferza le ciocche sul viso.
«Hai ragione» dico, premendo l’acceleratore, «e perché sia un vero viaggio
devi
molestare
sessualmente
un
camionista.»
Volta la testa di scatto e i capelli le
finiscono in bocca. «Eh?»
776/915
Sorrido. «Sì, è obbligatorio.» Tamburello le dita sul volante al ritmo della
musica. «Non lo sapevi? Devi fare una
delle seguenti tre cose. Uno… mostrare
le tette a un camionista.»
Sgrana gli occhioni blu.
«Due: ci affianchiamo a un camion e
tu fingi di toccarti.»
Strabuzza gli occhi e resta a bocca
aperta.
«Oppure, tre: devi fare questo
gesto…» alzo e abbasso il braccio con il
pugno rivolto verso l’alto, «finché lui
non si attacca al clacson.»
La vedo sollevata.
«Va bene» dice, e un sorriso misterioso le curva gli angoli delle labbra,
«al prossimo tir che vediamo coronerò
quest’avventura
molestando
777/915
sessualmente un camionista.» Lo dice
con assoluta convinzione.
Dieci minuti dopo individuiamo la
nostra vittima (vittima per modo di
dire; dopotutto è di Camryn che stiamo
parlando, quindi beato lui). Ci troviamo
su un lungo tratto di strada dritta che
attraversa una campagna pianeggiante
e senza alberi. Ci accodiamo al tir e
teniamo un’andatura di centocinque
chilometri all’ora. Camryn, che indossa
quei pantaloncini bianchi cortissimi che
mi piacciono tanto, posa i piedi sul pavimento della macchina. Il suo sorriso
complice mi eccita.
«Sei pronta?» le chiedo, abbassando
leggermente il volume della musica.
Lei annuisce e io guardo gli specchietti e la strada davanti a noi, per accertarmi che non provengano veicoli da
nessuna delle due direzioni. Mentre
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esco dalla scia del camion e mi sposto
sulla corsia opposta per superarlo,
Camryn infila la mano destra nella cintura dei pantaloncini. Ho un’erezione
istantanea. Pensavo che avrebbe scelto
il gesto del braccio, molto meno
compromettente!
I pensieri più sporchi del mondo mi
affollano la testa, e lei ricambia il mio
sorriso. Schiaccio l’acceleratore e la
macchina prende gradualmente velocità
finché ci accostiamo all’abitacolo del
camion. Oh Cristo…
La mano di Camryn si muove sotto il
tessuto sottile degli shorts, con gesti
lenti ma inequivocabili, mentre l’indice
e il pollice della sinistra tirano giù
l’elastico. Appoggia la testa al sedile e
si lascia scivolare un po’ più giù. Non
riesco quasi a tenere gli occhi sulla
strada. Si morde il labbro inferiore e
779/915
accelera il movimento delle dita. Inizio
a pensare che non finga affatto. La mia
erezione potrebbe tagliare un diamante.
Il tir ci tiene testa. Distratto da
Camryn, non mi ero accorto che stavo
alzando il piede dall’acceleratore, e
quando il tachimetro inizia a calare di
qualche tacca vedo che rallenta anche il
camion. Una voce rauca ulula dal finestrino: «Porco cazzo! Mi farai venire un
infarto, bella! U-huu!». Si attacca al
clacson.
Preso da un attacco di gelosia, rallento da centocinque a settanta e torno
dietro il camion. Appena in tempo, perché dal lato opposto sta arrivando un
furgone.
Guardo Camryn sapendo di avere gli
occhi spiritati. Lei toglie la mano dai
pantaloncini e mi sorride.
«Non me l’aspettavo!»
780/915
«Per questo l’ho fatto» risponde lei,
riappoggiando i piedi fuori dal
finestrino.
«Ti stavi… ti stavi toccando davvero?» Rallento ancora, fino a cinquantacinque all’ora. Il cuore mi
rintrona fra le costole.
«Sì, ma non per il camionista.» Sorride e si scosta una ciocca di capelli
dalle labbra.
Osservo le sue labbra, le fisso, vorrei
morderle e baciarle.
«Be’, non mi lamento» dico, cercando
di concentrarmi sulla strada per non
farci ammazzare, «solo che ora ho un…
problemino.»
Lei mi guarda in grembo e poi in faccia con la testa piegata di lato, con
un’aria da pericolosa seduttrice. Poi
scivola sul sedile vicino a me e mi affonda una mano tra le gambe. Ho paura
781/915
che il cuore mi esploda. Stringo il
volante così forte che mi si sbiancano le
nocche. Lei mi bacia il collo, e il mento,
e poi l’orecchio. Ho la pelle d’oca in
tutto il corpo. Inizia a slacciarmi i
pantaloni.
«Tu hai aiutato me con i miei “problemi”» mi sussurra all’orecchio, mordicchiandomi sul collo. «Mi sembra giusto
ricambiare il favore.» Mi guarda.
Annuisco come un idiota perché non
riesco a formulare un pensiero coerente. Premo la schiena contro il sedile
mentre lei prende in mano la mia
erezione e china la testa tra il mio
stomaco e il volante. Vengo scosso da
un sussulto quando inizia a leccarmi.
Oh cazzo, oh merda… non so più come si
fa a guidare…
Quando mi prende in bocca sobbalzo,
la testa mi ricade leggermente
782/915
all’indietro, mi sforzo di tenere gli occhi sulla strada e resto a bocca aperta.
Tengo il volante solo con la sinistra;
mentre lei succhia più forte e più veloce, la mia mano destra le affonda tra i
capelli biondi. I sessantacinque all’ora
diventano ottanta.
A novantacinque, mi tremano le
gambe e ho la vista annebbiata. Riprendo il volante con entrambe le
mani, cercando di mantenere il controllo su qualcosa, in particolare sulla
macchina, e con un singulto e un
gemito… vengo.
Non ci sfracelliamo. Arriviamo a
Galveston di mattina, e lei è ancora addormentata con le gambe che penzolano dal sedile. Non la sveglio, non
ce n’è ancora bisogno. Passo lentamente davanti a casa di mia madre e
vedo che la sua auto non è nel vialetto,
783/915
il che significa che quel giorno lavora
in banca. Per ammazzare il tempo
prendo la strada lunga per casa mia,
passando per la Cinquantatreesima.
Camryn non ha dormito molto la notte
prima, ma evidentemente l’andatura
più lenta basta a svegliarla. Inizia a stiracchiarsi prima che io entri nella zona
residenziale di Park at Cedar Lawn.
Solleva dal poggiatesta i bei capelli
biondi e spettinati, e quando la guardo
in faccia comincio a ridacchiare.
«Che c’è da ridere?» borbotta.
«Oh, piccola, ci ho provato a non
farti addormentare in quel modo.»
Si tira su, si guarda nello specchietto
e sbuffa quando vede i tre lunghi solchi
che le attraversano la guancia fino
all’orecchio. Li sfiora con le dita. «Ahia,
fa male.»
784/915
«Sei sempre bellissima, anche a
strisce.» Rido e lei non trattiene un
sorriso.
«Be’, siamo arrivati» dico infine.
Parcheggio, spengo il motore e lascio
cadere le mani in grembo.
C’è uno strano silenzio in macchina.
Nessuno dei due ha mai detto esplicitamente che il viaggio sarebbe finito in
Texas, o che le cose tra di noi sarebbero
cambiate, ma è come se entrambi lo
percepissimo. L’unica differenza è
che… Io so il perché.
Camryn resta seduta immobile, le
mani posate una sull’altra.
«Entriamo» dico per rompere il
silenzio.
Lei fa un sorriso forzato e poi apre la
portiera.
785/915
«Wow, questo posto sembra più un
dormitorio universitario che un quartiere residenziale.» Si mette in spalla la
borsetta e il borsone e resta a guardare
il palazzo antico e le gigantesche
querce in giardino.
«Negli anni Trenta era un ospedale
militare dei Marine» le spiego, tirando
fuori i bagagli dal baule.
Camryn recupera la chitarra di Aidan
dal sedile posteriore. Percorriamo un
marciapiede bianco come il gesso e arriviamo al mio bilocale a piano terra.
Infilo la chiave nella toppa e ci ritroviamo nell’ampia zona giorno. L’odore
di casa disabitata mi assale appena
entriamo; niente di fastidioso, è solo
che sa di vuoto.
Poso i bagagli sul pavimento. Camryn
resta lì per un po’, a guardarsi intorno.
786/915
«Metti pure la tua roba dove vuoi,
piccola.»
Vado al divano, da cui sposto un paio
di jeans buttati sullo schienale, e poi recupero un paio di boxer dalla poltrona
e una maglietta dal poggiapiedi.
«È un appartamento molto carino»
commenta lei.
«Non è proprio il classico appartamento da scapolo» dico entrando in
sala da pranzo, «ma mi piace, e volevo
essere più vicino alla spiaggia.»
«Niente coinquilini?» chiede lei
seguendomi.
Scuoto la testa e vado in cucina ad
aprire il frigo. «Non più. Il mio amico
Heath ha abitato con me per circa tre
mesi quando mi sono trasferito qui, ma
poi è andato a vivere a Dallas con la
fidanzata.»
787/915
Tiro fuori una bottiglia di ginger ale
da due litri e richiudo lo sportello.
«Vuoi qualcosa da bere? Vedi? Ho
anche altro in frigo, a parte le bibite
zuccherate e la birra, e come puoi notare non sono passato qui per metterle
in frigo di nascosto, visto che ero con
te.»
Lei fa un sorriso dolce: «Grazie, ma al
momento non ho sete. Perché hai comprato il ginger ale? Doposbronza, mal
di pancia?»
Le faccio un sorriso sarcastico e bevo
un sorso. Non fa la smorfia che mi aspettavo. «Già, mi hai scoperto» ammetto, richiudendo il tappo. «Se vuoi
farti una doccia il bagno è laggiù» aggiungo poi, uscendo dalla cucina e indicando il corridoio. «Io intanto chiamo
mia madre perché non si preoccupi, e
788/915
faccio un po’ d’ordine prima di farmi
una doccia anch’io.»
Mentre lei si fa la doccia ispeziono
l’appartamento in cerca di materiale incriminatorio: calzini sporchi (ne ho
trovato uno ai piedi del letto), preservativi ancora confezionati (ne ho una
scatola piena sul comodino, li infilo in
fondo al secchio della spazzatura), confezioni aperte di preservativi (due nel
cestino della mia stanza), altri vestiti
sporchi e una rivista pornografica
(merda! Quella è appoggiata sulla cassetta del water, l’avrà vista di sicuro!).
Poi lavo i pochi piatti sporchi che
avevo lasciato nel lavello e mi siedo in
salotto per telefonare a mia madre.
40
Camryn
Quando vedo la rivista porno, appoggiata distrattamente sullo sciacquone
del water come fosse una rivista per
motociclisti, mi viene da ridere. Mi
chiedo se esistano uomini che non leggono porno, e poi mi dico che è una
domanda stupida: anch’io ho guardato
un sacco di porno su Internet, non ho il
diritto di lamentarmi. Faccio una lunga
doccia calda, mi asciugo con il telo da
mare che mi ha dato Andrew e mi
vesto.
790/915
Non mi piace il suo appartamento.
Perché è in Texas. In circostanze diverse forse mi piacerebbe, ma penso
ancora quel che gli ho detto quando abbiamo accostato sul ciglio della strada.
Questo posto, ogni dettaglio di questo
posto dice che siamo alla fine. La magia
del tempo passato insieme è letteralmente evaporata, lavata via dalla pioggia della scorsa settimana, o quasi. Non
i nostri sentimenti… no, quelli sono
così forti che pensare alla fine diventa
doloroso. Quello che proviamo l’uno
per l’altra è… be’, è tutto quel che ci
resta. La strada vuota davanti a noi non
c’è più. Non ci sono più le soste improvvise, quando non sapevamo dove
fossimo ma non ci importava. I motel e
le piccole cose, come le strisce di carne
essiccata, l’olio per bambini, il
bagnoschiuma:
tutto
svanito.
La
colonna sonora della nostra vita
791/915
insieme, la nostra breve vita insieme, è
svanita con le ultime note dell’ultima
canzone dell’album. Ormai dagli altoparlanti esce solo il silenzio. Vorrei
ricominciare da capo, ma la mia mano
non vuole saperne di premere il pulsante. E non capisco perché.
Mi asciugo una lacrima, ricaccio le
emozioni giù nei polmoni e le imprigiono lì, poi faccio un lungo respiro
prima di aprire la porta del bagno.
Entrando in sala da pranzo sento
Andrew che parla al telefono: «Non
rompermi i coglioni, Aidan. Non ne ho
proprio bisogno. Sì, e allora? Chi sei tu
per dirmi cosa fare della mia vita?
Cosa? Ma piantala. I funerali non sono
un obbligo di legge. Per quanto mi riguarda, non voglio più andare a un funerale, a parte il mio. E comunque non
so a cosa servano, i funerali: andare a
792/915
vedere una persona a cui volevi bene,
sdraiata senza vita in una cazzo di
scatola. L’ultima volta che vedo una
persona vorrei che fosse ancora viva.
Ma sta’ zitto, Aidan! Lo sai che è una
stronzata!».
Non voglio origliare, ma non mi sembra neppure il caso di farmi avanti.
Alla fine entro lo stesso. Si sta arrabbiando davvero troppo, e voglio
calmarlo. Appena mi vede abbassa la
voce e si drizza a sedere sul divano.
«Senti, devo andare» conclude. «Sì,
ho già chiamato la mamma. Sì. Sì, va
bene, ho capito. A dopo.»
Chiude il telefono e lo appoggia sul
tavolino di quercia accanto al piede
nudo.
Mi siedo accanto a lui sul cuscino
trapuntato.
793/915
«Mi dispiace» dice lui, accarezzandomi la coscia. «Non la smetterà mai di
torturarmi.»
Gli siedo in grembo e lui mi stringe
al petto, come se ne avesse bisogno per
calmarsi. Gli getto le braccia al collo e
intreccio le dita intorno alla sua spalla.
Mi chino a baciarlo sull’angolo della
bocca.
«Camryn.» Mi guarda. «Senti, non
voglio neanch’io che questa sia la fine»
dice, come se mi avesse letto nel
pensiero.
D’un tratto mi tira su e mi fa sedere
sopra di lui, le gambe ai due lati del
suo corpo e le ginocchia piegate sul divano. Mi prende le mani e mi fissa
serio.
«E se…» Distoglie lo sguardo, riflette
a fondo sulle parole che vuol dire. Non
so se è perché vuole dirle nel modo
794/915
giusto, o magari perché non vorrebbe
dirle affatto.
«E se… cosa?» lo sprono. Non voglio
che si tiri indietro. Qualsiasi cosa stia
per dire, voglio che la dica. Sento risvegliarsi in me la speranza e non posso
lasciarla svanire. «Andrew?»
I suoi occhi di un verde intenso
scrutano i miei e la mia voce lo riscuote
dai pensieri.
«E se ce ne andassimo insieme?»
chiede, e mi viene il batticuore. «Non
voglio stare qui. E non per via di mio
padre o di mio fratello. Loro non c’entrano niente con quel che sento. In
questo momento, qui con te. Come mi
sono sentito in tutto questo tempo, fin
dal giorno in cui ti ho vista seduta da
sola su quell’autobus in Kansas.» Mi
stringe le mani. «So che hai perso il tuo
compagno di viaggio, ma… voglio che tu
795/915
sia la mia. Forse dovremmo girare noi il
mondo insieme, Camryn… so di non
poter prendere il posto del tuo ex…»
Le lacrime mi stillano dagli occhi.
Lui le fraintende. Mi lascia le mani e
all’improvviso non riesce più a guardarmi. Mi faccio avanti e lo costringo
ad alzare la testa.
«Andrew…» Scuoto il capo, mentre le
lacrime mi scorrono sulle guance. «Sei
sempre stato tu» sussurro con voce
roca. «Anche quando stavo con Ian,
sentivo che mancava qualcosa. Te l’ho
detto, quella notte nel campo; ti ho
detto che…» Lascio la frase in sospeso.
Sorrido e dico: «Sei tu il mio compagno
di viaggio. Lo so da molto tempo». Lo
bacio sulle labbra. «Vedere il mondo insieme a te è la cosa che voglio di più.
Siamo fatti per stare sulla strada, io e
te. È lì che voglio essere.»
796/915
Ha gli occhi lucidi, ma ricaccia indietro le lacrime e sorride. E poi la sua
bocca si avventa sulla mia. Mi mozza il
fiato, eppure lo bacio con più forza, gli
prendo il viso tra le mani, mi abbevero
del suo respiro. E poi lui, senza
smettere di baciarmi, mi tira in piedi
con sé.
«Oggi ti porto a conoscere mia
madre» annuncia, fissandomi negli
occhi.
Cerco di smettere di piangere e annuisco. «Mi piacerebbe molto.»
«Ottimo» dice lui, posandomi a terra.
«Mi faccio una doccia e poi sbrighiamo
alcune commissioni in città, e quando
mia madre finisce di lavorare andiamo
a trovarla.»
«Va bene» acconsento, senza mai
smettere di sorridere. Non riuscirei a
smettere neanche se lo volessi.
797/915
Lui si sofferma a guardarmi, come se
non volesse allontanarsi da me neppure
per fare una doccia. I suoi occhi sorridono, come sorridevano la sera in cui
ci siamo esibiti all’Old Point. Gli passano in viso mille sfumature di felicità,
ma non dice niente.
Non ce n’è bisogno.
Alla fine va a farsi la doccia e io controllo i messaggi sul telefono. Mia
madre ha finalmente chiamato. Ha lasciato un messaggio in segreteria, raccontandomi della sua crociera alle Bahamas che alla fine è durata otto giorni.
Sembra che quell’uomo, Roger, le piaccia davvero. Potrei addirittura passare
da casa per conoscerlo, per sottoporlo
alla mia doverosa ispezione anti-idioti.
Ha chiamato anche mio padre. Dice
che tra un mese andrà in Grecia per lavoro e mi ha chiesto se voglio partire
798/915
con lui. Mi piacerebbe, ma scusami
tanto, papà: se vado in Grecia nei
prossimi dodici mesi ci andrò con
Andrew. Ho sempre adorato mio padre,
ma a un certo punto bisogna pur crescere, e ora… ora adoro Andrew.
Mi riscuoto dalle fantasticherie e
torno a controllare i messaggi. Natalie
mi ha telefonato, invece di mordersi la
lingua e scrivere un sms. Ormai so che
non sta più nella pelle, vuol sapere cosa
faccio e con chi sono. Forse l’ho fatta
soffrire abbastanza.
Mmm… potrei darle un piccolo assaggio. Mi si disegna in faccia un sorriso crudele. Un assaggio potrebbe essere una tortura ancor peggiore, ma è
sempre meglio di niente.
Quando Andrew esce dalla doccia e
torna in salotto con un asciugamano
umido intorno al collo lo chiamo in sala
799/915
da pranzo. Me lo ritrovo lì a torso
nudo: l’uomo più sexy che abbia mai
visto in vita mia, con l’acqua che gocciola sugli addominali abbronzati. Vorrei
leccargliela via, ma mi trattengo per il
bene di Natalie.
«Piccolo, vieni qui» dico con un
cenno del dito, «voglio mandare a
Natalie una foto di noi due. Mi stressa
fin da quando eravamo a New Orleans
perché vuol sapere di te, ma non le ho
ancora detto niente, neppure il tuo
nome. Mi ha lasciato un messaggio in
segreteria.» Inizio a digitare sulla tastiera del telefono.
Lui ride, mentre si asciuga i capelli
con un telo. «Cos’ha detto?»
«Che sta per esplodere, in pratica. E
io voglio farla soffrire.»
800/915
Le fossette di Andrew si accentuano.
«Certo, ci sto.» Si lascia cadere sul divano e mi tira giù con lui.
Scatto qualche foto: una in cui
guardiamo dritto nell’obiettivo, una in
cui lui mi bacia sulla guancia, una con
lui che guarda in camera con aria seducente mentre mi lecca la faccia.
«Questa è perfetta» esclamo, guardando quell’ultima foto. «Impazzirà. Preparati: l’Uragano Natalie potrebbe abbattersi sul Texas, quando vedrà questa
foto.»
Andrew ride e si alza lasciandomi sul
divano con il telefono. «Sarò pronto tra
pochi minuti» dice uscendo dal salotto.
Carico la foto in un messaggio e
scrivo:
Eccoci qui, Nat! A Galveston, in Texas :)
801/915
E poi premo invio. Sento Andrew aggirarsi per l’appartamento. Sto per alzarmi
e andare a vedere cosa combina
quando, meno di un minuto dopo aver
inviato il messaggio, Natalie risponde:
CAZZOCAZZOCAZZO! Vai a letto con Kellan
Lutz?!?!!!?
Scoppio a ridere. Andrew rientra nella
stanza, e purtroppo si è messo una camicia, che sta infilando nei pantaloni. E
ha già sostituito i pantaloncini con un
paio di jeans.
«Che c’è, ha già risposto?» Sembra
divertito.
«Sì» dico, ridendo. «Sapevo che non
ci avrebbe messo molto.»
Arrivano altri messaggi in rapida successione, come se dall’altra parte ci
fosse una macchina:
Cam, CAZZO, è un FIGO! Ma che ti è preso????
802/915
CHIAMAMI!!!!!!
CAMRYN
chiamarmi!!
MARYBETH
BENNETT!
Devi
SABATO!!!
STABILE!!
SIBILO!!!!
CORRETTORE AUTOMATICO DEL CAZZO! Odio
questa merda di telefono.
SUBITO, dicevo!
Non riesco a smettere di sorridere.
Andrew si avvicina da dietro e mi
strappa di mano il telefono.
Scorre i vari messaggi e ride.
«Alla faccia degli errori di battitura…
Chi diavolo è Kellan Lutz? È brutto?»
Mi guarda con una scintilla di paura
negli occhi.
No… mmm, brutto proprio no.
803/915
«È solo un attore» cerco di spiegare.
«E no, non è brutto. Ma non vuol dire
niente: Natalie paragona tutti quelli che
conosce a persone famose, e di solito
esagera.» Rientro in possesso del telefono mentre lui riflette sulle mie parole,
poi lo butto sul divano. «Io e lei andavamo a scuola con Shay Mitchell e
Hayden Panettiere, Megan Fox era la
reginetta della scuola, Chris Hemsworth
era il re del ballo di fine anno.»
Schiocco la lingua. «E poi c’era la nemica peggiore di Natalie, una cheerleader
che ha cercato di rubarle Damon in
seconda superiore; Natalie l’ha definita
una versione più volgare di Nina
Dobrev… ma nessuna di queste persone
somigliava agli attori in questione,
neanche lontanamente. È solo che
Natalie è… un po’ strana.»
804/915
Andrew scrolla la testa e sorride.
«Be’, è un personaggio, bisogna dargliene atto.»
Il telefono continua a vibrare, ma lo
ignoro e vado ad abbracciare Andrew.
«Sei sicuro di voler fare questa cosa con
me?»
Mi fissa negli occhi, mi prende il viso
tra le mani. «Non sono mai stato più
sicuro di niente in vita mia, Camryn.»
Poi si mette a camminare avanti e
indietro.
«Ho sempre sentito come un…» Il suo
sguardo è intenso, concentrato. «Come
un buco… insomma, non uno spazio
vuoto, perché dentro c’era sempre qualcosa, ma mai la cosa giusta. Niente lo
riempiva alla perfezione. Sono andato
al college per un po’ di tempo, poi un
giorno mi sono detto: Andrew, ma che
cazzo ci fai qui? E ho capito che non
805/915
ero lì perché volevo esserci, ma perché
era quello che gli altri si aspettavano da
me; anche la gente che non conosco, la
società. È quello che fanno le persone.
Crescono, vanno all’università, trovano
lavoro e fanno le stesse stronzate ogni
giorno per il resto della vita, finché invecchiano e muoiono… proprio come
mi hai spiegato tu quella sera in cui mi
hai raccontato dei progetti che avevi
con il tuo ex. La maggior parte delle
persone non vede niente del mondo,
non si allontana mai dal posto dov’è
nata.» Accelera il passo, fermandosi
solo ogni tanto per sottolineare con le
mani un concetto importante. Non mi
guarda in faccia; sembra che dica tutte
quelle cose a se stesso, come se un fiume di risposte che cercava da tutta la
vita gli si stesse finalmente riversando
nella mente e lui cercasse di assorbirle.
806/915
«Non ero mai contento, qualsiasi cosa
facessi…»
E poi mi guarda. «E poi ho conosciuto te… ed è stato come se mi si accendesse un interruttore nella testa, o
mi si risvegliasse qualcosa dentro, non
lo so, ma…» Si ferma davanti a me.
Vorrei piangere, ma mi trattengo. «…
ma ho capito che, qualsiasi cosa fosse,
era quella giusta. Tu riempivi quel
buco.»
Mi alzo in punta di piedi e lo bacio
sulle labbra. Vorrei dirgli un sacco di
cose, ma sono così tante che mi sento
confusa e non so quale scegliere.
«Penso di doverti fare la stessa
domanda» dice lui. «Sei sicura di volerlo
fare?»
Gli sorrido. «Andrew, che domande
fai. Sì!»
807/915
È così felice che gli brillano gli occhi.
«Allora è ufficiale, ce ne andiamo
domani. Ho soldi a sufficienza sul conto
per tirare avanti per un po’.»
Annuisco. «Non ho guadagnato io i
soldi che ho in banca, motivo per cui li
ho sempre usati con parsimonia, ma per
questo viaggio spenderò fino all’ultimo
centesimo, e quando finiranno…»
«Prima che i soldi stiano per finire»
mi interrompe lui, «troveremo lavoro,
come hai detto tu. Possiamo suonare
nei locali e nelle fiere» Ride all’idea, ma
è serio. «E possiamo anche cucinare,
lavare i piatti, fare i camerieri… non lo
so, ci inventeremo qualcosa.»
Sembra un sogno folle, ma a nessuno
dei due importa. Cogliamo l’attimo.
«Sì, prima che finiscano è decisamente un piano migliore» commento,
808/915
arrossendo. «Non voglio diventare una
senzatetto e chiedere l’elemosina.»
Andrew ride e mi stringe le spalle.
«No, non arriveremo mai a quel punto.
Lavoreremo sempre, ma non nello
stesso posto per troppo tempo e senza
mai fare a lungo la stessa cosa.»
Lo guardo negli occhi per un momento e poi gli getto le braccia al collo
e lo bacio con passione.
Lui prende le chiavi. «Vieni» dice
porgendomi la mano. «Prima le cose
più importanti: devo controllare la
macchina. Le sarò mancato!»
Riviste porno, e ora anche una macchina venerata come una donna!
Scrollo la testa ridacchiando tra me e
mi lascio tirare verso la porta. Raccolgo
la borsa dal pavimento e usciamo.
41
La nostra prima fermata è il garage in
cui Andrew ha lasciato la sua Camaro
del 1969, e in cui a quanto pare lavorava. Ed è lì che vedo il mio primo
vero texano.
«Te lo ricordi che ti ho licenziato,
vero?» chiede un uomo alto con un cappello e stivali da cowboy neri, venendoci incontro per salutarci. Stava parlando con un altro tizio, che sembra un
meccanico. Stringe la mano di Andrew
e lo tira a sé in un abbraccio virile, dandogli pacche sulla schiena.
810/915
«Sì, lo so» risponde Andrew, ricambiando l’abbraccio, «ma dovevo fare una
cosa.» Si volta verso di me. «Billy,
questa è la mia ragazza, Camryn.
Camryn, questo è il mio ex capo, Billy
Frank.»
Mi balza il cuore in gola quando mi
presenta come la sua ragazza. Mi fa più
effetto di quanto potessi immaginare.
Billy mi porge una mano ruvida e
sporca di grasso, e io la stringo senza
esitazione. «Piacere.»
Mi sorride; ha i denti storti e giallastri, forse per colpa del caffè e delle
sigarette. «Be’, ti sei scelto una vera
bellezza» sorride rivolto a Andrew.
«Anch’io mi sarei licenziato per una
ragazza così.» Gli sferra un pugno
scherzoso sul braccio, poi torna a me:
«Ti tratta bene? Ha una tale lingua
lunga…».
811/915
Ridacchio e dico: «Sì, è vero, però mi
tratta benissimo».
Andrew mi sorride.
«Be’, se ti dà problemi sai dove trovarmi. Da queste parti nessuno meglio
di me sa fargli abbassare la cresta.» Sorride accennando a Andrew.
«Grazie, me lo ricorderò.»
Lasciamo Billy Frank ed entriamo nel
garage, per poi uscire da una porta laterale che conduce in uno spiazzo dove
sono parcheggiate le macchine. Riconosco immediatamente quella di Andrew,
pur non avendola mai vista se non
camuffata sulla corteccia d’albero del
suo tatuaggio. È la più bella di tutte:
grigio scuro con due sportivissime
strisce nere dipinte al centro del
cofano. Somiglia molto alla Chevelle
d’epoca di suo padre.
812/915
«Se non avesse avuto bisogno di riparazioni quando ho deciso di non andare nel Wyoming in aereo, avrei guidato
lei
invece
di
prendere
quell’autobus.»
«Be’, non per parlar male della tua
ragazza, qui» dico accarezzando affettuosamente il cofano, «ma sono felice che
non fosse disponibile.»
Andrew mi guarda, il volto illuminato da un sorriso che ultimamente
gli vedo sempre più spesso. «Ne sono
felice anch’io.»
Per un istante penso a dove saremmo
ora se fosse andata in quel modo, se
non ci fossimo mai conosciuti. Ma un
istante basta e avanza, perché pensieri
del genere mi torcono lo stomaco.
«Allora partiamo con questa, non con
la Chevelle?»
813/915
Andrew si morde l’interno della
guancia e riflette. Resta davanti alla
portiera aperta, una mano sul tettuccio.
Lo accarezza e poi mi guarda. «Tu che
ne dici? Che vuoi fare, piccola?»
Non avevo pensato di dover essere io
a decidere. Mi avvicino alla macchina e
guardo dentro: sedili ergonomici in
pelle, e… be’, è l’unica cosa che
controllo.
«Davvero?» chiedo, incrociando le
braccia.
Annuisce.
Torno a guardare la Camaro e ci
penso su. «Mi piace tanto la Chevelle»
dico. «Questa è proprio bella, è super
sportiva, ma penso di essere più
abituata all’altra.» Poi tiro fuori un’argomentazione validissima: «E come potrei posarti la testa in grembo, o
dormire davanti, con i sedili separati?»
814/915
Andrew sorride e accarezza di nuovo
il tettuccio, come per assicurare alla
macchina che non è niente di personale. Le dà un ultimo colpetto affettuoso e richiude la portiera.
«Allora prendiamo la Chevelle.»
Mi porta a pranzo fuori e in alcuni
posti che frequenta spesso su Galveston
Island. E poi, svanito il traffico dell’ora
di punta, riceve una telefonata da sua
madre.
«Sono nervosa» dico mentre andiamo
a trovarla.
Lui mi guarda un po’ accigliato. «Non
ne hai motivo: mia madre ti adorerà.
Non è una di quelle stronze convinte
che nessuna donna sia all’altezza del
loro bambino.»
«Ottimo.»
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«E anche in tal caso, le piaceresti lo
stesso.»
Stringo le mani in grembo e ricambio
il suo sorriso. Può ripetere fino allo
sfinimento che sua madre è una donna
dolcissima, ma non basterà a calmarmi.
«Pensi di dirglielo?» gli chiedo.
Mi guarda. «Cosa, che ce ne
andiamo?»
«Sì.»
Annuisce. «Glielo dirò, altrimenti
finirà
in
manicomio
per
la
preoccupazione.»
«Come pensi che la prenderà?»
Andrew ridacchia. «Ho venticinque
anni, non vivo più a casa da quando ne
avevo diciannove. Se ne farà una
ragione.»
«Be’, ma voglio dire… insomma… il
motivo per cui te ne vai e quello che
816/915
abbiamo intenzione di fare. Non è come
preparare i bagagli e trasferirsi in un’altra città; persino mia madre potrebbe
tollerare un annuncio del genere. Ma se
le dicessi di voler viaggiare senza meta,
e con un ragazzo conosciuto su un autobus, probabilmente la prenderebbe
male.»
«Probabilmente? Cioè se glielo dici?»
Lo guardo in faccia. «No, glielo dirò
di sicuro. Come nel tuo caso, anch’io
penso che mia madre debba saperlo…
ma Andrew, sai cosa intendo.»
«Sì, piccola, lo capisco» dice lui,
mentre mette la freccia a sinistra e
svolta allo stop. «E hai ragione, non è
proprio normalissimo.» Poi mi sorride,
e il suo sorriso è contagioso. «Ma non è
uno dei motivi per cui lo facciamo?
Perché non è quel che fa la gente
normale?»
817/915
«Sì, è vero.»
«Ovviamente il motivo principale sei
tu.»
Arrossisco.
Altri due isolati di accoglienti casette
di periferia e marciapiedi bianchi su cui
i bambini sfrecciano in bicicletta, poi
imbocchiamo il vialetto della casa di
sua madre. È una villetta a un solo piano, con un bel giardino fiorito che gira
intorno alla facciata e ampi cespugli
verdi ai lati del marciapiede che porta
all’ingresso. La Chevelle si accoda con
un rombo basso a una berlina parcheggiata nel garage spalancato. Controllo
rapidamente nel retrovisore di non
avere caccole nel naso o lattuga tra i
denti, e poi Andrew gira intorno alla
macchina e mi apre la portiera.
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Lo prendo in giro: «Ah, ora capisco.
Mi apri la portiera solo quando tua
madre potrebbe vederti».
Mi porge la mano e fa un inchino
teatrale. «D’ora in poi ti aprirò sempre
la portiera, Milady, se ti piacciono i
gesti di questo genere… tuttavia… non
credevo che fossi il tipo.»
«Ah, Milord, dite davvero?» ribatto in
un poco credibile accento britannico.
«E che tipo credevate io fossi, Mr
Parrish?»
Richiude la portiera e mi prende a
braccetto, drizzando la schiena e la
testa. «Il tipo che se ne frega purché la
portiera si apra quando vuole
scendere.»
Ridacchio.
«Be’, avevi ragione» ribatto, e mi appoggio alla sua spalla mentre raggiungiamo la porta.
819/915
Appena entriamo, veniamo investiti
da un profumo di arrosto. Sto
pensando: ha avuto il tempo di cucinare un arrosto? Arriviamo in salotto
proprio mentre una bella donna dai
capelli biondo scuro esce da un
corridoio.
«Che bello averti qui» lo accoglie
stringendolo in un abbraccio che quasi
lo stritola. Finalmente vedo da chi ha
preso gli occhi verdi e le fossette.
La donna mi sorride con grande cordialità e mi coglie alla sprovvista abbracciando anche me. Ricambio la
stretta.
«Tu devi essere Camryn» dice. «Mi
sembra di conoscerti già.»
Mi pare strano: non sapevo che fosse
al corrente della mia esistenza prima di
oggi. Scocco un’occhiata a Andrew e le
sue labbra si schiudono in un sorriso
820/915
reticente. Presumo abbia avuto molte
occasioni mentre eravamo in viaggio,
soprattutto prima che iniziassimo a dividere la stanza, ma a sorprendermi di
più è il fatto che abbia voluto parlare di
me a qualcuno.
«Piacere di conoscerla, signora…»
Sgrano gli occhi e guardo Andrew in
cerca di quell’informazione: lo picchierò per non avermelo detto in anticipo.
Stringo le labbra per l’irritazione, ma
lui continua a sorridere.
«Puoi chiamarmi Marna» dice lei,
sciogliendomi dall’abbraccio e prendendomi le mani per poi sollevarle tra
le sue e squadrarmi da capo a piedi con
quel suo sorriso raggiante.
«Avete mangiato, voi due?» chiede,
spostando lo sguardo tra Andrew e me.
«Sì, mamma, abbiamo preso qualcosa
prima.»
821/915
«Oh, ma dovete mangiare. Ho fatto
l’arrosto e uno sformato di fagiolini. Sedetevi, vi porto i piatti.»
«Mamma, Camryn non ha fame,
credimi.» Mi gira un po’ la testa. Quella
donna sa di me, e a quanto pare sa così
tante cose che le sembra di conoscermi
già. È molto gentile, tutta sorrisi, come
se mi volesse bene. E per giunta ha
preso me per mano, e non Andrew. C’è
qualcosa che mi sfugge, o è semplicemente la persona più dolce con la personalità più affascinante del pianeta?
Be’, in ogni caso il sentimento è
reciproco.
Mi guarda e piega la testa di lato, aspettando che dica la mia. Tentenno un
po’ perché non voglio ferire i suoi sentimenti, perciò dico: «La ringrazio molto,
ma non penso di riuscire a mangiare niente al momento».
822/915
«Qualcosa da bere, allora?»
«Sarebbe fantastico; magari del tè?»
«Certamente. Dolce, amaro, limone,
pesca, lampone?»
«Normale e zuccherato andrà benissimo, grazie.»
Mi siedo sul cuscino centrale del divano rosso scuro.
«Tesoro, tu cosa prendi?»
«Lo stesso di Camryn.»
Andrew si siede accanto a me, e la
madre, prima di tornare in cucina, ci
guarda entrambi per un momento, sorridendo a un qualche pensiero silenzioso. E poi se ne va.
Mi volto subito verso Andrew e bisbiglio: «Cosa le hai detto di me?».
Sorride. «Niente di che» risponde, ostentando indifferenza. «Solo che ho
conosciuto una ragazza dolce e
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incredibilmente sexy, che dice un sacco
di parolacce e ha una piccola voglia
all’interno della coscia sinistra.»
Lo schiaffeggio su una gamba. Sorride di più.
«No, piccola» dice, di nuovo serio.
«Le ho detto solo che ti ho conosciuta
sull’autobus e da allora stiamo insieme.» Mi accarezza la gamba con fare
rassicurante.
«Mi sembra di starle un po’ troppo
simpatica, se davvero le hai detto solo
questo.»
Andrew fa spallucce e poi sua madre
rientra nella stanza con due bicchieri di
tè. Li posa davanti a noi sul tavolino:
hanno un disegno di girasoli sul lato.
«Grazie» dico, bevo un sorso e appoggio il bicchiere. Cerco con gli occhi un
sottobicchiere ma non ne vedo.
824/915
Lei si siede sulla poltrona coordinata
al divano, davanti a noi. «Andrew mi
ha detto che sei del North Carolina,
vero?»
Ah-ha, porca miseria, allora le ha detto
altro!
Intuisco che sta sorridendo, come se
lo potessi sentire. Sa che in quel momento non posso guardarlo in cagnesco, o schiaffeggiarlo, o fare qualsiasi
altra cosa che farei se non fossimo lì.
Mi limito a sorridere come se lui non
fosse seduto accanto a me.
«Sì» rispondo. «Sono nata a New
Bern, ma ho vissuto quasi sempre a
Raleigh.» Bevo un altro sorso.
Marna accavalla le gambe e posa le
mani in grembo. Porta gioielli semplici,
due piccoli anelli su ogni mano e piccoli orecchini d’oro.
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«Mia sorella maggiore ha vissuto a
Raleigh per sedici anni prima di tornare
in Texas. È uno Stato bellissimo.»
Annuisco e sorrido: immagino che
fosse un argomento per rompere il ghiaccio, perché ora aleggia nell’aria un silenzio imbarazzato. Marna guarda
Andrew, che tace. Quel silenzio mi dà
una strana sensazione, come se fossi
l’unica dei presenti a non sapere cosa
stanno pensando gli altri.
«Allora,
Camryn» dice Marna,
spostando lo sguardo da Andrew a me.
«Come mai eri in viaggio?»
Oh, fantastico: questo non me l’aspettavo. Non voglio mentire, ma la verità non è un tema di cui si possa parlare
bevendo il tè con una persona appena
conosciuta.
Andrew prende un lungo sorso e posa
il bicchiere. «Eravamo sulla stessa
826/915
barca, in pratica» risponde al posto
mio, lasciandomi sconcertata e senza
parole. «Io stavo prendendo la strada
lunga e Camryn imboccava la strada
verso il nulla, e si dà il caso che le due
strade portassero dalla stessa parte.»
Gli occhi di Marna si accendono di
curiosità. Piega la testa di lato, e ci
guarda entrambi. Sul suo viso c’è cordialità ma anche molto mistero, e non lo
scetticismo che mi ero aspettata.
«Be’, Camryn, sappi che sono molto
contenta che voi due vi siate conosciuti.
Mi sembra che la tua compagnia abbia
aiutato Andrew a superare un periodo
difficile.»
Il suo sorriso si affievolisce un po’
dopo aver detto quelle parole, e con la
coda dell’occhio vedo che Andrew la
scruta, cauto. Evidentemente non vuole
827/915
che lei dica altro, o teme di essere
messo in imbarazzo davanti a me.
Mi sento un po’ a disagio sapendo di
essere l’unica dei presenti ignara di
un’informazione palese, ma abbozzo un
sorriso per rispetto verso sua madre.
«Be’, ci siamo aiutati a vicenda, a
dire il vero» spiego, e allargo il sorriso
perché sto dicendo la verità.
Marna si batte le mani sulle cosce,
sorride allegra e si alza.
«Devo fare una telefonata» dice. «Mi
sono completamente dimenticata di
dire una cosa ad Asher sulla motocicletta che sta cercando di comprare
da Mr Sanders. Farò meglio a
chiamarlo, prima che me ne scordi di
nuovo; scusatemi per qualche minuto.»
Prima di lasciare la stanza scocca
un’occhiata rapida a Andrew. L’ho
vista: temono entrambi che io sappia
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qualcosa che evidentemente non
dovrei. Non so di cosa si tratti: se
Marna finge che io le piaccia per non
mettere a disagio Andrew, o se è qualcosa di completamente diverso. Mi innervosisce moltissimo. E infatti, pochi
secondi dopo, Andrew si alza in piedi.
«Che succede?» chiedo in tono
leggero.
Lui mi guarda e credo sappia che non
intendo ignorare la questione per
sempre. Sa benissimo che ho notato più
di quanto lui volesse.
I suoi occhi mi scrutano, ma non sorride: mi fissa come se mi stesse per dire
addio. Poi si china a baciarmi. «Non
succede niente, piccola» risponde. Ha
deciso di interpretare l’Andrew sorridente e scherzoso che conosco tanto
bene, ma io non ci credo.
829/915
So che mi mente e non voglio lasciar
correre. Finché restiamo lì farò finta di
niente, ma poi mi sentirà.
«Torno tra un momento» dice, e si incammina dietro sua madre.
42
Andrew
Probabilmente non avrei dovuto
portare lì Camryn, perché è una persona intelligente e sapevo che avrebbe
colto la tensione. E la mamma non è
stata molto attenta. Ma era importante
che si conoscessero, e ho fatto il mio
dovere.
Attraverso il salotto e il corridoio ed
entro nella camera di mia madre. Lei è
lì che mi aspetta. In lacrime.
831/915
«Mamma, non fare così, per favore.»
La stringo in un abbraccio e le appoggio una mano sulla nuca.
Lei tira su col naso, singhiozza e
cerca di frenare il pianto.
«Andrew, per favore, puoi semplicemente andare all’appuntamento e…»
«Mamma, no. Ascolta.» La allontano
delicatamente e la guardo tenendola
per le spalle. «È passato troppo tempo,
ho aspettato troppo a lungo e tu lo sai.
Ammetto che ci sarei dovuto andare
otto mesi fa, ma non ci sono andato, e
ora è tardi.»
«Non puoi saperlo.» Le lacrime le
rigano il viso.
Tento di rilassare i muscoli del viso,
ma so che per quanto mi sforzi non mi
ascolterà.
832/915
«È peggiorato» dico. «Senti, voglio
solo che tu la conosca. Siete entrambe
molto importanti per me e penso che
dovreste conoscervi…»
Mi sventola la mano davanti alla faccia. «Non ne posso parlare» dice con
voce strozzata, «non ce la faccio
proprio. Farò tutto quello che vuoi,
figlio mio, e le voglio già bene. Capisco
che è una ragazza meravigliosa. Mi
sono accorta che è diversa da tutte le
altre. Ed è importante per me, non solo
perché lo è per te, ma per tutto ciò che
ti ha dato.»
«Grazie» rispondo, e anch’io cerco di
non piangere.
Dalla tasca posteriore tiro fuori una
busta che metto sulla mano di mia
madre. La bacio in fronte.
Si rifiuta di guardare la busta. Per lei
è l’ultimo atto. Ma ai miei occhi, serve
833/915
solo a dire tutte le cose che non riuscirò
a dire.
Annuisce e altre lacrime le sgorgano
dagli occhi. Posa la busta sul comò e
prende un fazzoletto da una scatola accanto al letto. Si asciuga le lacrime e
cerca di ricomporsi prima di tornare in
salotto da Camryn.
«Perché non glielo dici e basta,
Andrew?» chiede voltandosi a guardarmi dalla soglia. «Dovrebbe saperlo,
così potete fare insieme le cose che hai
sempre voluto fare prima di…»
«Non posso» rispondo, e le parole mi
scavano una voragine nel petto. «Voglio
che proceda tutto normalmente, e non
che debba succedere più in fretta per
via di… quell’altra cosa.»
La mia risposta non le piace, ma la
capisce. Rientriamo in salotto e lei si
sforza di sorridere a Camryn.
834/915
Anche Camryn continua a sorridere,
ma glielo leggo in viso: sa che mia
madre ha pianto.
La mamma le si avvicina, e istintivamente Camryn si alza.
«Mi dispiace dover concludere questa
visita» dice mia madre abbracciando
Camryn, «ma mentre ero al telefono
con Asher ho ricevuto una brutta notizia su un parente. Spero che capirai.»
«Naturalmente» risponde Camryn, i
lineamenti induriti dalla preoccupazione. Mi scocca un’occhiata. «Mi dispiace molto, spero che non sia nulla di
grave.»
Mia madre annuisce e sorride tra le
lacrime. «Grazie, tesoro. Chiedi a
Andrew di portarti qui quando vuoi: sei
sempre la benvenuta.»
«Grazie» dice piano Camryn e abbraccia di nuovo mia madre.
835/915
«Andrew, cos’è successo?» chiede,
prima ancora che io abbia richiuso la
portiera della macchina.
Sospiro e giro la chiave. «Solo un litigio tra fratelli» dico, cercando di non
guardarla. Avvio il motore e innesto la
retromarcia. «La mamma si dispiace
quando io e Aidan litighiamo.»
«Stai mentendo.»
È così, e non intendo smettere. La
guardo per un momento e poi procedo
in retromarcia verso la strada.
«È solo che non voleva coinvolgerti»
inizio, e il resto della bugia viene spontaneo. «Ma ha tutto a che fare con il funerale di mio padre. Come avrai notato,
non ne ha fatto parola davanti a te.
Portarmi nell’altra stanza per parlarne
era il suo modo di risparmiarti il
fastidio.»
836/915
Non mi crede ancora del tutto, ma
sento che comincia a fidarsi.
«Allora, qual era la notizia sul
parente?»
«Nessuna» rispondo. «Voleva solo
parlarmi, e le ho detto del litigio con
Aidan al telefono quand’eravamo nel
mio appartamento, e c’è rimasta male.»
Camryn sospira e guarda fuori dal
finestrino.
«Piaci davvero a mia madre»
aggiungo.
Mi guarda. All’inizio ho l’impressione
che voglia proseguire la conversazione
su Aidan, invece lascia perdere.
«Be’, è una donna molto dolce» dice.
«Forse tu e Aidan» (calca la voce sul
nome come se non fosse ancora convinta) «dovreste cercare di andare più
837/915
d’accordo, così non fareste soffrire
vostra madre.»
Non è un cattivo consiglio, anche se
irrilevante rispetto al vero problema.
«Piccola, senti, mi dispiace; forse avrei
dovuto aspettare prima di fartela
conoscere.»
«Non fa niente» dice lei, scivolando
sul sedile per avvicinarsi a me. «Sono
contento che tu l’abbia fatto. Mi sono
sentita… speciale.»
Forse ora mi crede, o forse sta cercando di non dare ascolto all’intuito
perché capisce che non le dirò la verità
molto presto.
Le passo un braccio sulle spalle. «Be’,
tu sei speciale.»
Mi appoggia la testa sul petto. «Non
le hai detto che domani te ne vai.»
838/915
«Lo so, ma glielo dirò. Potrei
chiamarla stasera.» Le stringo la spalla.
«Ora che ti conosce penso che non si
preoccuperà tanto sapendo che faccio
una cosa così anormale.»
Mi infila una mano tra le gambe e mi
sorride. «Già, ora devo solo dirlo alla
mia, di madre.» Si tira su di scatto
come se le fosse appena venuto in
mente qualcosa. «Potrei aspettare a
dirglielo quando passiamo in North
Carolina, così puoi conoscerla.» I suoi
occhi azzurri mi sorridono.
Ricambio e annuisco. «Vuoi portare
uno come me a conoscere tua madre? E
se vede i miei tatuaggi e ti proibisce di
frequentarmi?»
«Impossibile, ti adorerebbe.»
«Oh, farò conquiste tra le signore!»
Sbarra gli occhi, e io scoppio a
ridere.
839/915
«Dài, sto scherzando!»
Ringhia e fa un lungo respiro, ma
non è molto brava a nascondere l’espressione divertita.
«Ehi, hai mai… insomma…?» Non riesce a dirlo a voce alta, e lo trovo
esilarante.
«Se sono mai stato con una donna più
grande?» chiedo con una smorfia.
L’argomento la mette a disagio, ma è
stata lei a domandare e quindi ho il
pieno diritto di torturarla. «Sì, è
successo.»
Strabuzza gli occhi. «Non è vero!»
Rido. «Sì invece.»
«Quanti anni aveva? O… avevano?»
L’uso del plurale mi appare improvvisamente come un segnale di pericolo,
ma voglio essere completamente sincero con lei. Be’, almeno su questo…
840/915
Le poso una mano sulla gamba. «Un
paio di volte. Una aveva circa trentotto
anni, che per me non è molto diverso
da ventotto. Ma sono stato anche con
una donna sui quarantatré.»
Camryn è paonazza, ma non gelosa
né arrabbiata. Forse è un po’…
preoccupata.
«Cosa ti piace di più?» chiede, in
tono molto cauto.
Cerco di non sorridere. «Piccola, non
è questione di età» le spiego.
«Insomma, non mi piacciono le vecchiette o cose del genere, ma penso che
ogni donna, a qualsiasi età, che si tiene
bene è assolutamente scopabile.»
«Oh mio dio!» ride Camryn. «E poi
sono io quella scurrile!» Scrolla la testa
e poi dice: «Non hai risposto alla mia
domanda».
841/915
«Tecnicamente sì. Mi hai chiesto
quale mi piace di più e non c’è una risposta precisa, solo un discorso
generico.»
Conosco esattamente il vero significato della sua domanda, e lei lo sa. Ma
non perdo mai occasione di farla
rabbrividire.
Mi guarda con gli occhi socchiusi.
Rido e mi arrendo. «Piccola, sei la
donna più eccitante con cui sia mai
stato.»
Lei arriccia le labbra come a dire:
certo, come no, lo dici solo perché sei obbligato a farlo. «Sul serio, Camryn. Non
ti dico stronzate solo perché sei seduta
davanti a me e ci tengo alle palle.»
Lei sorride e alza gli occhi al cielo,
ma ora mi crede. La stringo a me e lei
mi posa la testa sul petto, rasserenata.
842/915
«Sei la più eccitante perché mi hai
dato qualcosa che nessun’altra mi
aveva mai dato.»
Solleva la testa per guardarmi, curiosa di sapere di cosa si tratti
esattamente.
Le sorrido e le dico: «Ti ho tolto l’innocenza: ti ho messa più a tuo agio con
la tua sessualità. E questo mi eccita
molto».
Mi bacia sul mento. «Ti piaccio solo
perché ti ho fatto un pompino in
autostrada.»
Alzo gli occhi e rido. «Be’, mi sono
divertito davvero un sacco, ma no, piccola, non è per questo che mi piaci.»
Penso che abbia avuto le conferme
che cercava. Mi si riappoggia al petto e
mi cinge la vita con il braccio.
843/915
Torniamo al mio appartamento senza
parlare. Percepisco che il suo silenzio è
meno angosciato del mio, ma non
voglio che si preoccupi o che le si
spezzi il cuore. Né adesso né mai. È inevitabile, succederà prima o poi, ma
voglio rimandare quel momento il più
possibile.
Passiamo quattro ore a guardare film
in salotto, stravaccati sul divano. La abbraccio e la bacio mentre cerca di
seguire una scena importante e le infilo
la lingua nell’orecchio solo per farla arrabbiare. È così carina quando fa quella
smorfia disgustata, quindi è colpa sua
se mi diverto tanto. Ci lanciamo i popcorn cercando di prenderli al volo con
la bocca e teniamo il punteggio. Vince
lei, sei a quattro, poi lasciamo perdere
e li mangiamo davvero. E le presento la
mia pianta, Georgia, che non è morta in
mia assenza. Camryn mi racconta di un
844/915
bastardino che aveva adottato dal
canile e aveva chiamato BeeBop, e io le
dico che mi dispiace per quel povero
cane, con un nome così idiota. Per coincidenza BeeBop era morto di insufficienza cardiaca, proprio come il mio
cane e migliore amico, Maximus. Le
mostro le sue foto e lei ha con sé una
foto di BeeBop. È così brutto da essere
quasi carino.
Parliamo per ore e ore e poi lei mi
scivola in grembo sul divano, e dice,
così piano da farmi rabbrividire: «Andiamo a letto…».
Mi alzo tenendola aggrappata a me e
la porto in camera. Mi spoglio completamente e mi sdraio al centro del
letto. Ce l’avevo già duro prima di portarla lì. E la guardo svestirsi lentamente, non solo degli abiti ma della
consueta timidezza. Dai piedi del letto
845/915
gattona verso di me e mi si siede in
grembo, e mi sento premere contro il
punto più umido di lei. Non smette mai
di guardarmi negli occhi mentre si
china a baciarmi il petto e gira intorno
ai capezzoli con la punta della lingua.
Le stringo le cosce, mi lascio baciare e
poi le prendo i seni tra le mani.
«È così bello stare con te» le sussurro
sulle labbra appena prima che mi mozzi
il fiato con un altro bacio.
Spingo delicatamente contro i suoi
fianchi e lei risponde alla pressione, un
po’ più forte, stuzzicandomi. Non vedo
l’ora di affondare dentro di lei, ma al
momento è lei ad avere il controllo
della situazione, e io glielo lascio
volentieri.
Stacca le labbra dalle mie e mi bacia
su un lato del collo e poi sull’altro, continuando a muovere i fianchi così
846/915
lentamente da mettere a dura prova la
mia resistenza.
«Lasciati bagnare, prima» le sussurro,
prendendola per i fianchi. È già bagnata, ma non importa. «Vieni qui, piccola» dico, alzando la testa.
Quando le sue cosce si appoggiano ai
lati della mia testa non perdo tempo e
la lecco furiosamente, succhiando così
forte il clitoride che lei inizia ad
ancheggiare contro il mio viso, stringendo il bordo della testiera. È così
bagnata, cazzo. Quando inizia a gemere
e mugolare, smetto. E lei sa perché.
Voglio che veniamo insieme.
Indietreggia e mi si siede in grembo,
strofinandosi contro la mia erezione
prima di prenderla in mano. Quando se
la lascia scivolare dentro lentamente,
entrambi veniamo scossi da un brivido.
847/915
Dopo aver fatto l’amore per tutta la
notte mi si addormenta tra le braccia e
io la tengo stretta: non voglio lasciarla
andare mai. Piango in silenzio, affondando il viso tra i suoi capelli, e alla
fine mi addormento anch’io.
43
Camryn
«Andrew?» mormoro, rotolando dalla
sua parte del letto. Mi sveglio del tutto,
alzo lentamente la testa e vedo che lui
non c’è. Sento odore di pancetta.
Ripenso alla notte che abbiamo passato e non riesco a smettere di sorridere. Mi scrollo le lenzuola di dosso,
scendo dal letto e infilo gli slip e la
maglietta.
Quando entro in cucina trovo
Andrew ai fornelli.
849/915
«Piccolo, perché sei in piedi così
presto?»
Apro il frigo in cerca di qualcosa da
bere. Devo lavarmi i denti, ma se lui sta
preparando la colazione non voglio
mescolare i sapori con il dentifricio.
«Pensavo di portarti la colazione a
letto.»
Ha impiegato qualche secondo in più
del dovuto per rispondere, e la sua voce
suonava strana. Distolgo lo sguardo dal
frigo. Sta immobile a fissare la padella.
«Piccolo, stai bene?» Lascio richiudere lo sportello senza prendere
niente.
Lui muove di pochissimo la testa per
guardarmi.
«Andrew?» Il cuore mi batte sempre
più forte, ma non so bene perché.
850/915
Mi accosto a lui e gli metto la mano
sul braccio. Lui solleva lentamente lo
sguardo dalla padella verso di me.
«Andrew…»
Come al rallentatore, gli cedono le
gambe e si accascia sul pavimento. Il
cucchiaio di legno che aveva in mano
cade con lui, schizzando burro caldo in
tutte le direzioni. Mi faccio avanti per
sorreggerlo, ma non riesco a farlo stare
in piedi. Tutto si muove ancora al rallentatore: il mio grido, le mie mani che
gli afferrano le spalle, la sua testa che
sbatte sul pavimento. Ma poi, quando il
suo corpo inizia a tremare scosso dalle
convulsioni, tutta la scena accelera
all’improvviso: ed è terrificante.
«ANDREW! OH MIO DIO, ANDREW!»
Voglio aiutarlo a rialzarsi, ma il suo
corpo non smette di tremare. Ha gli occhi rovesciati e la mandibola serrata,
851/915
una scena spaventosa. Gli arti sono
rigidi.
Urlo di nuovo, le lacrime mi inondano gli occhi. «Qualcuno mi aiuti!»
E poi ritrovo la lucidità e cerco un telefono. Il suo cellulare è sul bancone. Digito il 911, e nei due secondi che impiegano a rispondermi spengo il fornello.
«Per favore! Sta avendo un attacco
epilettico! Per favore, qualcuno mi
aiuti!»
«Signora, la prima cosa che deve fare
è calmarsi. L’attacco è ancora in
corso?»
«Sì!» Guardo terrorizzata il corpo di
Andrew che si scuote sul pavimento. Ho
così tanta paura che mi viene da
vomitare.
«Signora, voglio che lei allontani tutti
gli oggetti che potrebbero ferirlo. Porta
852/915
gli occhiali? La testa rischia di colpire
mobili o altri oggetti?»
«No! Ma… ma ha battuto la testa
quand’è caduto!»
«Va bene, ora trovi qualcosa da mettergli sotto la testa, un cuscino, qualcosa che gli impedisca di farsi male.»
Mi guardo intorno in cucina ma non
trovo niente, e allora corro in salotto e
prendo un cuscino dal divano. Poso il
telefono per i pochi istanti necessari a
sistemargli il cuscino sotto la testa.
Oh no… oh mio Dio, cosa gli succede?
Riporto il telefono all’orecchio.
«Okay, gli ho messo il cuscino!»
«Bene, signora» dice con voce calma
l’operatrice del 911, «da quanto dura
l’attacco? Il paziente soffre di un disturbo che può provocare attacchi
epilettici?»
853/915
«Non… non so, circa… forse due
minuti, tre al massimo. E no, non
l’avevo mai visto succedere prima. Non
mi ha mai parlato di…» Inizio a rendermene conto: non me l’ha mai detto. I
pensieri mi si affollano in testa e perdo
di nuovo la calma. «La prego, mandi
un’ambulanza! Per favore! In fretta!»
Mi sto strozzando con le lacrime.
Andrew smette di tremare. Prima che
l’operatrice del 911 possa rispondere,
dico: «Si è fermato! C-cosa faccio?».
«Va bene, signora, ora deve girarlo su
un fianco, le mandiamo un’ambulanza.
Qual è l’indirizzo?»
Mentre lo giro su un fianco, mi
raggelo a quella domanda.
Non lo so… Cazzo, non lo so!
«Non so…» Scatto in piedi e corro al
bancone dove avevo visto una pila di
lettere e trovo l’indirizzo e glielo leggo.
854/915
«L’ambulanza arriverà tra poco.
Preferisce restare al telefono con me
finché non arriva?»
Non so bene cosa abbia detto, o
magari non ha detto niente e me lo sto
solo immaginando. Non rispondo. Non
riesco a staccare gli occhi da Andrew,
che giace privo di sensi sul pavimento
della cucina.
«È svenuto! Oddio, perché non si sveglia?» mi porto alle labbra la mano
libera.
«Non è strano» dice lei, e finalmente
le do retta. «Vuole che resti al telefono
con lei finché non arriva l’ambulanza?»
«Sì, la prego, non riattacchi. La
prego.»
«Va bene, sono qui» risponde, e la
sua voce è il mio unico conforto. Non
riesco a respirare. Non riesco a mettere
in ordine i pensieri. Non riesco a
855/915
parlare. Riesco solo a guardarlo. Ho
troppa paura anche di sedermi sul pavimento accanto a lui, perché ho il
terrore che abbia un altro attacco e io
gli sia d’intralcio.
Pochi minuti dopo una sirena squarcia l’aria. «Credo che siano qui» dico in
tono inespressivo.
Non riesco ancora a staccare gli occhi
da Andrew.
Perché sta succedendo?
Qualcuno bussa alla porta e solo allora mi alzo e corro ad aprire. Non ricordo neppure di aver lasciato cadere a
terra il telefono. Un istante dopo
Andrew viene caricato e legato su una
barella.
«Come si chiama?» chiede una voce,
e sono sicura che sia uno dei paramedici, ma non lo vedo in volto. Vedo
856/915
solo il viso di Andrew mentre lo spingono fuori dalla porta.
«Andrew Parrish» rispondo a voce
bassa.
Sento vagamente il nome dell’ospedale in cui il paramedico mi dice che
lo porteranno. E quando se ne vanno
resto lì a fissare la porta da cui è uscito.
Impiego lunghi minuti a riscuotermi da
quel torpore, e la prima cosa che faccio
è raccogliere il cellulare e cercare il numero di sua madre. Quando le dico
cos’è successo la sento piangere e mi
sembra che lasci cadere il telefono.
«Signora Parrish?» Gli occhi mi si
gonfiano di lacrime. «Signora Parrish?»
Ma se n’è andata.
Mi metto addosso i primi vestiti che
trovo, prendo le chiavi della macchina
di Andrew, la mia borsa ed esco di
corsa. Giro a vuoto con la Chevelle per
857/915
qualche minuto prima di rendermi conto che non so dove sono né dove sto andando. Trovo un distributore di benzina, mi fermo a chiedere la strada per
l’ospedale, ma fatico ad arrivarci senza
perdermi. Non riesco a pensare.
Sbatto la portiera e corro al pronto
soccorso con la borsa che penzola dalla
spalla. Se mi cadesse non me ne accorgerei. L’infermiera all’accettazione
digita qualcosa sulla tastiera e poi mi
indica dove andare; mi ritrovo in una
sala d’aspetto. Completamente sola.
Penso che sia passata un’ora, ma potrei sbagliarmi. Un’ora, cinque minuti,
una settimana. Non fa alcuna differenza. Mi fa male il petto per quanto ho
pianto. Cammino avanti e indietro da
tanto tempo che ho iniziato a contare le
macchioline sulla moquette.
858/915
Un’altra ora. La sala d’aspetto è scialba, insipida, con le pareti marroni e
due file di sedili dello stesso colore allineati al centro della stanza. Un orologio alla parete sopra la porta continua
a ticchettare, e la mia mente crede di
sentirlo anche se il suono in realtà è
troppo basso. C’è un bollitore per il
caffè e un lavandino. Un uomo – almeno credo – entra da una porta,
riempie un bicchierino di plastica ed
esce.
Passa un’altra ora. Mi fa male la
testa. Ho le labbra secche, continuo a
leccarle ma peggioro solo le cose. Non
vedo passare infermiere da un po’, e
inizio a pentirmi di non aver fermato
l’ultima che ho visto prima che sparisse
nel lungo corridoio illuminato dai neon.
Perché ci mettono così tanto? Che
succede? Appoggio la fronte sul palmo
859/915
della mano e, proprio mentre sto per
tirar fuori il telefono di Andrew dalla
borsa, sento una voce familiare.
«Camryn?»
Mi giro di scatto. Asher, il fratello
minore di Andrew, sta entrando in sala
d’aspetto.
Dovrei sentirmi sollevata all’idea che
qualcuno sia finalmente venuto a parlarmi, a togliermi di dosso questa cappa
di dolore e incredulità, ma non ci riesco
perché temo che mi dica qualcosa di orribile. Asher non era neppure in Texas,
a quanto ne so, e se è venuto di corsa
vuol dire che ha preso il primo aereo, e
la gente fa queste cose solo quando è
successo qualcosa di brutto.
«Asher?» chiedo, con la voce rotta.
Mi getto tra le sue braccia. Lui mi
stringe con forza.
860/915
«Ti prego, dimmi cosa succede» lo
supplico, e ricomincio a piangere.
«Andrew sta bene?»
Asher mi prende per mano e mi porta
a sedere accanto a lui. Stringo la borsa
in grembo per tenere occupate le mani.
Somiglia così tanto a Andrew che mi si
spezza il cuore.
Mi sorride. «Ora sta bene» dice, e
quella breve frase basta a darmi speranza. «Ma probabilmente non starà
bene a lungo.»
E con la stessa rapidità la speranza
mi abbandona, portando via altre parti
di me: il cuore, l’anima, quel po’ di ottimismo che avevo covato per tutto
questo tempo. Cosa sta dicendo… cosa
sta cercando di dirmi?
Le lacrime mi squassano il petto.
«Che vuoi dire?» chiedo, parlando a
fatica.
861/915
Lui fa un lungo respiro. «Circa otto
mesi fa» dice, scegliendo le parole con
cura, «mio fratello ha scoperto di avere
un tumore al cervello…» Il mio cuore
non c’è più. I polmoni non funzionano
più.
La borsa mi cade rovesciando a terra
tutto il contenuto, ma non riesco a
muovermi per raccoglierla. Non riesco
a muovere nessuna parte del corpo.
Sento la mano di Asher stringere la
mia.
«A causa della malattia di nostro
padre, Andrew si è rifiutato di sottoporsi a ulteriori esami. Doveva tornare dal
dottor Marsters quella stessa settimana,
ma non ha voluto. Nostra madre e Aidan hanno tentato in ogni modo di convincerlo. A quanto ne so, a un certo
punto ha accettato, ma poi non ci è
862/915
andato perché le condizioni di nostro
padre si sono aggravate.»
«No…» Scuoto la testa, perché non
voglio credere a quel che mi sta
dicendo. «No…» Voglio solo scacciare
dalla testa le sue parole.
«È per questo che Andrew e Aidan litigavano» prosegue Asher. «Aidan voleva che Andrew andasse dal medico, e
Andrew, testardo com’è, si opponeva.»
Guardo il muro e dico: «Ecco perché
non voleva mai andare a trovare suo
padre in ospedale…». Quell’intuizione
mi lascia ancor più sgomenta.
«Già. Ed ecco perché non voleva andare al funerale.»
Guardo Asher, i miei occhi fissano i
suoi, mi porto le dita alle labbra. «Ha
paura. Ha paura che la stessa cosa accada a lui, che il suo tumore sia
incurabile.»
863/915
Scatto in piedi, schiacciando un rossetto sotto la scarpa. «Ma se non è così
grave?» chiedo, in tono concitato.
«Adesso è in ospedale; possono fare
quel che c’è da fare.» Mi avvio verso
l’uscita a passo di marcia. «Lo
costringerò a farsi visitare; lo obbligherò!
Mi ascolterà!»
Asher mi prende per un braccio. Mi
volto.
«Da quel che sanno finora, Camryn,
le sue possibilità sono scarse.»
Mi viene da vomitare. Mi sembra di
avere migliaia di spilli infilzati nelle
guance. Mi tremano le mani, mi trema
tutto il corpo, cazzo!
Asher aggiunge piano: «Ha aspettato
troppo».
Mi prendo il viso tra le mani e scoppio in singhiozzi disperati. Mi sento
abbracciare.
864/915
«Vuole vederti.»
Lo guardo.
«L’hanno già portato in una stanza: ti
accompagno. Aspetta qui per qualche
minuto finché mia madre esce, e poi
andiamo insieme.»
Non dico niente. Resto lì, ammutolita… a morire dentro. È il dolore più intenso che abbia mai provato.
Asher mi guarda di nuovo per accertarsi che abbia capito e poi ripete,
cauto: «Torno a prenderti tra poco. Aspetta qui».
Non riesco più a vedere, le lacrime
mi bruciano gli occhi, mi scorrono sulle
guance. Mi sembra che qualcuno mi abbia infilato una mano nel petto e mi abbia strappato il cuore. Non so se riuscirò a guardarlo senza impazzire del
tutto. Perché l’ha fatto? Perché sta
succedendo?!
865/915
Prima di perdere completamente la
testa e spaccare tutto, o di farmi male,
mi accovaccio a terra dov’è caduta la
mia borsa. Non avevo neppure notato
che Asher aveva raccolto e aveva
rimesso dentro il contenuto, e poi
l’aveva messa sulla sedia. Trovo il telefono e chiamo Natalie.
«Pronto?»
«Natalie… devi farmi un favore.»
«Cam… stai piangendo?»
«Natalie, per favore, ascoltami.»
«Va bene, sono qui. Che succede?»
«Sei la mia migliore amica, e ho
bisogno che tu venga a Galveston. Appena possibile. Puoi venire? Ho bisogno
di te. Ti prego.»
«Oddio, Camryn, che diavolo succede? Stai bene?»
866/915
«A me non è successo niente, ma ho
bisogno che tu venga qui. Ho bisogno
di qualcuno, e ho solo te. Mia madre
non vorrà… Natalie, per favore!»
«V-va bene» dice lei, preoccupata.
«Prendo il primo volo. Arrivo. Tieniti il
telefono vicino.»
Lascio cadere il braccio lungo il
fianco, il telefono stretto in pugno, e
fisso il muro per un tempo che mi pare
infinito finché non sento la voce di Asher. Lo guardo. Viene verso di me e mi
porge la mano, sapendo che ne ho
bisogno. Le gambe non mi obbediscono,
come se camminassi su due protesi e
non sapessi usarle bene. Asher mi
stringe fortissimo le dita. Usciamo nel
corridoio illuminato e ci dirigiamo
verso un ascensore.
«Devo calmarmi» dico a voce alta, ma
più a me stessa che ad Asher. Sfilo la
867/915
mano dalla sua, mi asciugo il viso e mi
passo le dita tra i capelli. «Non posso
farmi vedere isterica. L’ultima cosa di
cui ha bisogno è dover calmare me.»
Asher non dice niente. Vedo il nostro
riflesso sulla porta dell’ascensore, distorto e scolorito. L’ascensore sale di due
piani e poi si ferma. La porta si apre.
Resto lì, ho paura di uscire, ma poi faccio un lungo respiro e mi asciugo di
nuovo gli occhi.
Camminiamo al centro del corridoio
fino a una stanza con una grande porta
di legno socchiusa. Asher la spinge ma
io tengo gli occhi a terra, guardo la linea invisibile che ci separa, e ho molta
paura di attraversarla. Ho idea che
dopo aver varcato quella soglia vedrò
che è tutto vero e che non c’è rimedio.
Strizzo gli occhi e ricaccio indietro altre
868/915
lacrime, faccio lunghi respiri stringendo
forte la borsa.
E quando riapro gli occhi vedo uscire
la madre di Andrew. Ha i lineamenti
tirati, come immagino siano anche i
miei; i capelli spettinati, gli occhi gonfi.
Ma riesce a sorridermi con affetto, e mi
posa con delicatezza una mano sulla
spalla. «Sono contenta che tu sia qui,
Camryn.»
E poi si allontana, mano nella mano
con Asher. Resto a guardarli per un
istante mentre attraversano il corridoio,
ma le loro sagome mi appaiono sfocate.
Guardo nella stanza, ancora sulla
soglia, e vedo i piedi del letto su cui so
che Andrew è sdraiato. Entro.
«Piccola, vieni qui» dice quando mi
vede.
All’inizio resto paralizzata, ma
quando lo guardo negli occhi, quegli
869/915
occhi verdi indimenticabili che sanno
scrutarmi nell’anima, getto a terra la
borsa e corro da lui.
44
Mi getto tra le sue braccia. Mi stringe
forte, ma non quanto vorrei. Vorrei che
mi stritolasse, che non mi lasciasse più
andare, che mi portasse via con sé. Ma
è ancora debole. So che la malattia gli
sta rapidamente consumando ogni
energia.
Mi prende il viso tra le mani, mi
scosta i capelli dagli occhi e mi bacia le
lacrime che ho cercato di nascondere,
perché non volevo che sprecasse per me
le forze rimaste. Ma il cuore ha una
mente tutta sua e ottiene sempre ciò
871/915
che vuole, soprattutto quando sta per
cedere.
«Mi dispiace tanto» dice, e la sua
voce è addolorata, disperata. «Non potevo dirtelo, Camryn… Non volevo che
il nostro tempo insieme fosse diverso da
com’è stato.»
Le lacrime mi sgorgano dagli occhi,
gli cadono sulle dita e lungo i polsi.
«Spero che tu non…»
«No, Andrew…» Ricaccio indietro le
lacrime. «Capisco il perché; non devi
darmi spiegazioni. Sono contenta che tu
non me l’abbia detto…»
Sembra sorpreso, ma felice. Mi tira a
sé e mi bacia sulle labbra.
«Avevi ragione» dico. «Se me l’avessi
detto, ci saremmo… angosciati… non
lo so, ma sarebbe stato diverso, e meno
bello… Però, Andrew, vorrei che tu me
872/915
l’avessi detto per un solo motivo: avrei
fatto qualunque cosa, qualunque, per
portarti in ospedale molto prima di
oggi.» La triste verità delle mie parole
mi fa male. «Avresti potuto…»
Scrolla la testa. «Piccola, era già
troppo tardi.»
«Non dire così! Neanche adesso è
troppo tardi! Sei ancora qui, c’è ancora
una possibilità.»
Mi sorride dolcemente e fa scivolare
le mani dalle mie guance, posandole
sulla coperta di lana bianca dell’ospedale. Un tubicino serpeggia dal dorso
della sua mano fino a una macchina.
«Sono realistico, Camryn. Mi hanno
già detto che non ho molte speranze.»
«Ma c’è ancora una possibilità» ribatto, ricacciando indietro altre lacrime
e desiderando un interruttore per
873/915
spegnerle. «Una piccola possibilità è
meglio che nessuna.»
«Se permetto loro di operarmi.»
Quelle parole sono uno schiaffo in
pieno volto. «In che senso, se?»
Distoglie lo sguardo.
Mi faccio avanti e gli sollevo il
mento, con forza, girandogli la testa
perché mi guardi. «Non c’è nessun se,
Andrew, non puoi dire sul serio.»
Mi fa sdraiare e io mi accoccolo contro di lui, che è disteso su un fianco. Mi
abbraccia.
«Se non ti avessi mai conosciuta»
dice fissandomi negli occhi, a pochi
centimetri dal mio viso, «non l’avrei
mai fatto. Se tu non fossi qui con me
adesso, non lo farei. Penserei che è uno
spreco di tempo e di soldi e che
874/915
darebbe solo false speranze alla mia
famiglia, rimandando l’inevitabile.»
«Ma ti farai operare» dico, anche se è
più una domanda che un’affermazione.
Lui mi accarezza la guancia con il
pollice. «Farò qualsiasi cosa per te,
Camryn Bennett. Non mi importa,
qualsiasi cosa… tutto quello che mi
chiedi lo farò. Senza eccezioni.»
I singhiozzi mi scuotono il petto.
Prima che io possa aggiungere altro,
Andrew mi scosta i capelli dal viso e mi
guarda dritta negli occhi. «Lo farò.»
Affondo le labbra sulle sue e ci baciamo con forza.
«Non posso perderti. Abbiamo tanta
strada davanti. Sei il mio compagno di
viaggio.» Mi sforzo di sorridere tra le
lacrime.
Mi bacia la fronte.
875/915
Restiamo sdraiati insieme a parlare
dell’operazione e degli esami ancora da
fare, e gli prometto che non mi allontanerò un secondo da lui. Resterò
per tutto il tempo che sarà necessario. E
continuiamo a parlare dei posti che
vogliamo visitare e lui inizia a snocciolare titoli di canzoni che vuole che io
impari, così potremo cantarle insieme
nei nostri viaggi. Non ero mai stata
tanto impaziente di cantare con lui.
Canterei anche Céline Dion, o un’opera
lirica, non mi importa. Il pubblico fuggirebbe a gambe levate, ma io canterei
lo stesso. A un certo punto un’infermiera viene a controllarlo e Andrew ritrova un po’ della sua impertinenza: dice
all’infermiera che se vuole può sdraiarsi
a letto con noi.
L’infermiera si limita a sorridere, alza
gli occhi al cielo e torna al lavoro.
876/915
Per un po’, sdraiata su quel letto con
Andrew, mi sembra di essere di nuovo
in viaggio. Non pensiamo alla malattia
e alla morte, e non piangiamo.
Parliamo, ridiamo e ogni tanto lui cerca
di toccarmi nei punti giusti. Ridacchio e
me lo scrollo di dosso perché mi sembra di fare qualcosa di sbagliato. Penso
che dovrei lasciarlo riposare. Alla fine
mi arrendo e lo lascio fare. Perché è insistente. E ovviamente è irresistibile. Mi
lascio toccare sotto la coperta e faccio
lo stesso a lui. Dopo un’altra ora mi
alzo dal letto.
«Piccola, che succede?»
«Niente» rispondo con un sorriso e
poi mi sfilo i pantaloni e la maglia.
Fa un sorriso abbagliante. Sapevo che
le rotelle in quella sua testa di pervertito avrebbero ricominciato a girare
prima di tutto il resto.
877/915
«Per quanto mi piacerebbe fare sesso
con te in una stanza d’ospedale» gli
dico tornando a letto, «è meglio di no:
devi risparmiare le energie per l’operazione.» Lo vorrei tantissimo, ma in
quel momento non è il sesso la cosa più
importante.
Mi guarda incuriosito mentre mi
sdraio accanto a lui in reggiseno e slip e
mi accoccolo contro il suo corpo. Sotto
la coperta indossa solo un paio di leggeri pantaloni forniti dall’ospedale.
Schiaccio il petto contro il suo e intreccio le gambe alle sue. I nostri corpi
sono perfettamente allineati, le costole
si toccano.
«Cosa stai facendo?» mi chiede,
sempre più curioso, ma anche divertito.
Passo le dita sul tatuaggio di Euridice. Lui mi guarda attentamente. E
quando la punta del mio dito trova il
878/915
gomito di Euridice, là dove l’inchiostro
si interrompe, la faccio scorrere sulla
pelle per proseguire il disegno.
«Voglio essere la tua Euridice, se me
lo permetti.»
Gli si illumina il volto e gli si accentuano le fossette.
«Voglio farmi tatuare l’altra metà»
proseguo, sfiorandogli le labbra con la
punta delle dita. «Voglio Orfeo sulle
costole, e voglio riunirli.»
Non sa cosa dire. Ha gli occhi lucidi.
«Oh, piccola, non devi farlo per forza:
sulle costole fa malissimo.»
«Ma lo voglio, e non mi importa
quanto fa male.»
La sua bocca si avventa sulla mia e le
nostre lingue danzano insieme per un
lungo momento.
879/915
«Mi piacerebbe molto» mi sussurra
sulle labbra.
Gli do un altro bacio e bisbiglio:
«Dopo l’operazione, quando starai
meglio, ci andremo».
Annuisce. «Sì, Gus avrà bisogno di
me per assicurarsi che i due tatuaggi
combacino. Mi ha preso in giro quando
sono andato a farmelo fare.»
Sorrido. «Ah, sì?»
«Sì, mi ha accusato di essere un romantico senza speranza e ha minacciato
di dirlo ai miei amici. Gli ho detto che
parlava come mio padre, e che doveva
chiudere quella boccaccia. Gus è un
bravo ragazzo e un ottimo tatuatore.»
«Questo lo vedo.»
Mi passa le dita tra i capelli. Mentre
mi fissa mi chiedo cosa stia pensando.
880/915
Il suo bellissimo sorriso è svanito e ora
ha uno sguardo più tormentato.
«Camryn,
voglio
che
tu
sia
preparata.»
«Non cominciare…»
«No, piccola, devi fare questo per
me» dice con lo sguardo preoccupato.
«Non puoi credere al cento per cento
che ne uscirò vivo. Non puoi.»
«Andrew, ti prego. Smettila.»
Mi zittisce posandomi le dita sulle
labbra. Sto già piangendo di nuovo. Si
sforza di mettermi davanti alla verità
senza farmi soffrire, trattiene le lacrime
e le emozioni meglio di me. È lui quello
che rischia di morire, e sono io quella
ridotta a uno straccio. Mi fa arrabbiare,
ma posso prendermela solo con me
stessa.
881/915
«Promettimi soltanto di non dimenticare che potrei morire.»
«Non posso pensare ogni giorno a
una cosa del genere!»
Mi stringe più forte.
«Promettimelo.»
Stringo i denti. Mi bruciano gli occhi
e il naso.
Alla fine dico: «Prometto» e mi
spezza il cuore. «Ma tu devi promettere
a me che guarirai» aggiungo subito
dopo, tornando a posargli la testa sotto
il mento. «Non posso stare senza di te,
Andrew.»
«Lo so, piccola… lo so.»
Silenzio.
«Ti va di cantarmi qualcosa?» mi
chiede.
«Cosa vuoi che canti?»
882/915
«Dust in the Wind.»
«No, quella no. Non chiedermelo mai
più. Mai.»
Mi stringe più forte.
«Allora canta quel che vuoi, voglio
solo sentire la tua voce.»
E così intono Poison & Wine, il brano
che avevamo cantato insieme a New
Orleans, quella notte, abbracciati sul
letto. Lui mi accompagna per qualche
strofa, ma capisco che sta perdendo le
forze perché non riesce a sostenere la
voce.
Ci addormentiamo abbracciati.
«Ci sarebbero degli esami da fare» dice
una voce.
Apro gli occhi e vedo l’infermiera del
ménage à trois.
Si sveglia anche Andrew.
883/915
È tardo pomeriggio, e guardando
oltre il vetro della finestra vedo che sta
per fare buio.
«Probabilmente dovrebbe vestirsi» mi
dice l’infermiera con un sorriso
complice.
Penserà che io e Andrew abbiamo
fatto sesso, considerando che sono
mezza nuda. Scendo dal letto e mi
rivesto mentre l’infermiera controlla i
parametri vitali di Andrew e, a quanto
pare, si prepara a portarlo via con sé.
Ai piedi del letto c’è una sedia a rotelle.
«Che genere di esami?» chiede
Andrew con un filo di voce.
Non ha una bella cera, sembra…
disorientato.
«Andrew?» Torno verso il letto.
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Solleva lentamente una mano. «No,
piccola, sto bene; mi gira solo un po’ la
testa. Sto cercando di svegliarmi.»
L’infermiera si volta verso di me. Chi
fa il suo lavoro è addestrato a non
mostrare in viso la preoccupazione, ma
io gliela leggo negli occhi. Sa che qualcosa non va. Fa un sorriso forzato e lo
aiuta ad alzarsi, spostando il tubo della
flebo.
«Starà via un’ora o due, forse di più:
devono fargli altri esami» mi annuncia.
«Vada a mangiare qualcosa, si
sgranchisca le gambe e torni tra un
po’.»
«Ma… non voglio lasciarlo.»
«Fa’ come ti dice» borbotta Andrew, e
più lo sento parlare più mi preoccupo.
«Voglio anch’io che tu vada a mangiare.» Stavolta riesce a voltare la testa e
mi punta addosso un dito ammonitore.
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«Ma niente bistecca» scherza. «Mi devi
ancora una cena a base di bistecca, ricordi? Quando esco di qui è la prima
cosa che facciamo.»
Mi strappa il sorriso che voleva,
anche se solo un accenno.
«Va bene» annuisco, controvoglia.
«Torno tra qualche ora e ti aspetto qui.»
Mi avvicino e lo bacio dolcemente.
Quando mi allontano, nei suoi occhi
vedo soltanto dolore. Dolore e sfinimento. Ma si fa forza, e un piccolo sorriso gli piega un angolo della bocca.
Si siede sulla sedia a rotelle e mi
guarda un’ultima volta prima che l’infermiera lo conduca fuori dalla stanza.
Mi si mozza il fiato. Vorrei gridargli
che lo amo, ma non lo dico. Lo amo con
tutto il cuore, ma sento che se pronuncio quelle parole, se finalmente lo ammetto a voce alta, crollerà tutto. Forse
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se me lo tengo dentro, se non dico mai
quelle parole, allora la nostra storia
durerà per sempre. Quelle due parole
possono rappresentare un inizio, ma
per me e Andrew temo che saranno la
fine.
45
Non riuscirei a ingoiare del cibo neppure se ne andasse della mia vita. Ho
detto a Andrew che avrei mangiato solo
per tranquillizzarlo. Invece vado a sedermi fuori dall’ospedale per un po’.
Non voglio allontanarmi finché lui è lì
dentro. Ci sono volute tutte le mie forze
per lasciare che l’infermiera lo portasse
via. Ricevo un sms da Natalie:
Sono appena atterrata, prendo un taxi. Arrivo
subito. Ti voglio bene.
Quando vedo il taxi accostare davanti
all’ospedale, impiego un istante ad
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alzarmi in piedi. È un po’ che non la
vedo; da quando abbiamo discusso per
via di Damon. Ma non importa più, da
un pezzo. Quando la tua migliore amica
ti fa soffrire, stai male perché le vuoi
bene. E nessuno è perfetto: si commettono degli errori perché le migliori
amiche li perdonino. È a questo che
servono. Natalie, come Andrew, è una
persona senza cui non posso immaginare di vivere. E adesso ho bisogno di lei
più che mai.
Appena mi vede si mette a correre, i
lunghi capelli color cioccolato scompigliati dal vento.
«Oddio, Cam, come mi sei mancata!»
Mi stringe fin quasi a soffocarmi.
Ora che è qui sto già meglio. Scoppio
in singhiozzi sul suo petto. Non riesco a
trattenere le lacrime. Non avevo mai
889/915
pianto così tanto come nelle ultime
ventiquattr’ore.
«Oh Cam, che succede?» Mi passa le
dita tra i capelli. «Andiamo a sederci.»
Mi accompagna a una panchina sotto
una quercia.
Le racconto tutto. Perché me ne sono
andata dal North Carolina, l’incontro
con Andrew sull’autobus in Kansas, e
poi tutto quanto fino a quel momento,
a quella panchina. Lei piange, sorride e
ride con me mentre le racconto del
tempo passato con Andrew; raramente
l’ho vista così coinvolta e attenta. Solo
quando mio fratello Cole è finito in prigione, e dopo che i miei hanno divorziato. E dopo la morte di Ian. Natalie è
una ragazza estroversa, allegra, che di
solito non capisce quando è ora di tacere; ma sa che c’è un tempo e un luogo
890/915
per ogni cosa. E in un momento come
quello mi offre tutto il suo cuore.
«Non mi capacito che tu stia passando tutto questo, dopo quel che è
successo con Ian. È uno scherzo crudele
del destino.»
Lo sembra, per certi versi; ma con
Andrew è ancora peggio.
«Pensaci» dice posandomi una mano
sulla gamba: «Quante sono le possibilità
che fossero tutte coincidenze?». Scrolla
la testa. «Scusami, ma sono davvero
troppe: voi due eravate destinati a stare
insieme. Insomma, cazzo, è una favola
romantica che sembra uscita da un
film, non ti pare?»
Non rispondo, ci rifletto su. Normalmente la prenderei in giro per il tono
melodrammatico, ma stavolta non ci riesco. Non ne ho le forze.
891/915
Mi costringe a guardarla. «Sul serio,
pensi che ti tocchi sopportare tutto
questo solo per poi vederlo morire?»
Fa male sentirla usare quella parola,
ma non glielo dico.
«Non lo so.» Guardo gli alberi sul
prato ma non li vedo davvero. Vedo
solo il viso di Andrew.
«Se la caverà.» Natalie mi prende il
viso tra le mani e mi fissa negli occhi.
«Ne uscirà, devi solo dire alla morte di
andarsene affanculo, che stavolta vinci
tu, d’accordo?»
A volte Natalie mi stupisce. Come adesso. Le sorrido e lei mi asciuga le
lacrime.
«Andiamo a cercare uno Starbucks.»
Si alza con l’enorme borsa di pelle
nera appesa a un braccio e mi porge la
mano.
892/915
Non me la sento.
«Io… Natalie, voglio restare qui.»
«No, devi allontanarti un po’ da
quest’energia negativa: gli ospedali succhiano via la speranza. Torna da lui
quando è di nuovo nella sua stanza,
così mi presenti questo benedetto Kellan Lutz di cui sono così gelosa.»
Sfodera un gran sorriso.
Riesce sempre a far sorridere anche
me. La prendo per mano.
«E va bene» mi arrendo.
Prendiamo la Chevelle e andiamo
allo Starbucks più vicino. Natalie passa
tutto il viaggio a decantare le lodi della
macchina.
«Gesù, Cam, stavolta hai fatto
tombola.» Si siede davanti a me sorseggiando il caffellatte freddo. «Gli uomini
così perfetti sono rari.»
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«Be’, non è perfetto» dico, giocherellando con la cannuccia. «Dice un sacco
di parolacce, è testardo, mi costringe a
fare cose che non voglio e l’ha sempre
vinta lui.»
Natalie sorride e tira su con la
cannuccia.
«Vedi, proprio come ti ho detto: è
perfetto.» Ride e alza al cielo gli occhi
castani. «E poi, come sarebbe a dire che
ti fa fare cose che non vuoi? Qualcosa
mi dice che adori essere comandata a
bacchetta.» Batte la mano sul tavolo e
strabuzza gli occhi. «Ooooh, è rude a
letto, vero? Vero?» Si trattiene a stento.
Le ho detto che abbiamo fatto sesso,
ma non le ho rivelato i dettagli più piccanti. Guardo il tavolo.
Lei dà un’altra manata al tavolo e un
uomo seduto dietro di lei si volta a
guardare.
894/915
«Oddio, allora è vero!»
«Sì, è vero!» sibilo, cercando di non
ridere. «Ora la smetti, però?!»
«Coraggio, devi dirmi tutto, fin nei
minimi particolari!» Avvicina pollice e
indice per mimare le dimensioni del
particolare e mi fa l’occhiolino.
Be’, perché no? Faccio spallucce e mi
sporgo in avanti sul tavolo guardandomi intorno per vedere se qualcuno
ci ascolta.
«La prima volta» inizio, e Natalie si
blocca con gli occhi sgranati e la bocca
aperta, «mi ha presa quasi con la
forza… sai cosa intendo… ovviamente
volevo essere presa, sai.»
Annuisce convinta ma resta in silenzio perché vuole che io continui.
«Capisco che ha un carattere dominante, che non lo faceva solo perché gli
avevo detto che a me piace così. E
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capisco che stava comunque attento a
non esagerare, perché voleva il mio
consenso.»
«È mai andato oltre?»
«No, ma so che lo farà.»
Natalie sorride.
«Sei una piccola pervertita» dice, e io
arrossisco così tanto che non riesco a
guardarla. «Sembra proprio quello che
ti ci voleva, da tutti i punti di vista. Ha
tirato fuori un lato di te che Ian e Christian non erano riusciti a scovare.» Alza
gli occhi al cielo e aggiunge subito: «Sai
che ti voglio bene, Ian» e soffia un bacio verso il paradiso. Poi torna a
guardare me.
«Be’, non è per questo che lo amo.»
Natalie richiude la bocca di scatto. E
anch’io. Mi sembra che nella stanza non
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ci sia più ossigeno. L’ho detto senza
pensare. Perché l’ho detto a voce alta?
«Sei innamorata di lui?» chiede
Natalie, ma non sembra molto sorpresa.
Non rispondo, ma ricaccio indietro le
altre parole che stavo per dire.
«Dopo tutto quel che avete passato
insieme, se tu non fossi innamorata di
lui penserei che sei tu quella con il tumore al cervello.»
Detesto che abbia usato quelle parole
terribili, ma so che non l’ha fatto con
cattiveria. Ma nonostante i suoi scherzi
e la sua parlantina sciolta che mi fa dimenticare i problemi, non riesco più a
darle retta. Le sono grata per avermi
distratta dall’angoscia e dalla paura per
Andrew, anche se per pochi minuti: mi
è sembrato di tornare ai vecchi tempi.
Ma ora non ci riesco più. Voglio solo
tornare all’ospedale e stare con lui.
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Dopo il tramonto entriamo insieme
nell’atrio e prendiamo l’ascensore.
«Spero che abbia già finito» dico
nervosa, fissando di nuovo quel riflesso
sfocato sullo specchio.
Natalie mi stringe la mano. La
guardo e vedo che mi sorride con
dolcezza.
L’ascensore si apre e ci incamminiamo in corridoio. Asher e Marna
vengono verso di noi.
Lo sguardo sui loro volti mi fa piombare il cuore nello stomaco. Stringo
così forte la mano di Natalie che probabilmente la sto stritolando.
Quando ci raggiugono, vedo le lacrime sulle guance di Marna. Mi abbraccia forte.
«Andrew è entrato in coma… non
pensano che ce la farà.»
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Mi stacco da lei.
Tutti i rumori – l’aria che filtra dalle
ventole del soffitto, le persone che ci
passano accanto in corridoio – svaniscono in un istante. Sento la mano di
Natalie che cerca la mia, ma la spingo
via senza pensarci e arretro di un passo,
portandomi le mani al petto. Non riesco
a respirare… vedo gli occhi di Asher lucidi di lacrime ma non ricambio il suo
sguardo. Non lo ricambio perché ha gli
occhi di Andrew e io non li posso
guardare.
Marna tira fuori dalla borsa una
busta. Mi si avvicina cauta, mi prende
una mano e ci mette sopra la busta.
«Andrew voleva che ti dessi questa,
se gli fosse successo qualcosa.» Non
guardo la busta, guardo solo lei. Ho il
viso rigato di lacrime.
Non respiro…
899/915
«Mi dispiace» dice Marna con la voce
che trema. «Devo andare.» Mi accarezza
la mano con fare materno. «Sarai
sempre la benvenuta in casa mia e nella
mia famiglia. Ti prego di ricordarlo.»
Rischia di cadere e Asher la cinge per
la vita e la accompagna via.
Resto lì impalata in mezzo al corridoio. Passano alcune infermiere, ma
mi evitano. Sento una corrente d’aria
sul viso quando mi sfiorano. Ci metto
un’eternità a trovare il coraggio di
guardare la busta che ho in mano. Sto
tremando. Non riesco ad aprirla.
«Aspetta, ti aiuto» dice Natalie, e
sono troppo fuori di me per protestare.
Mi sfila la busta di mano, la apre, e
dispiega lentamente la lettera che c’è
dentro.
«Vuoi che te la legga io?»
900/915
La guardo – le labbra mi tremano incontrollate – e scuoto la testa quando
finalmente capisco la domanda. «No…
faccio io…»
Mi porge la lettera e le lacrime
cadono sulla carta mentre leggo:
Mia adorata Camryn,
non ho mai voluto che finisse così. Volevo dirti
tutte queste cose di persona, ma avevo paura.
Temevo che se ti avessi detto a voce alta che ti
amavo, quel che avevamo insieme sarebbe
morto con me. La verità è che già in Kansas
sapevo che tu eri la donna della mia vita. Ti ho
amata dal giorno in cui ti ho vista per la prima
volta, mentre mi guardavi storto da sopra il
sedile dell’autobus. Forse allora non sapevo di
amarti, ma sapevo che in quel momento mi era
successo qualcosa, e che non avrei più potuto
lasciarti andare.
Non ho mai vissuto davvero come nel poco
tempo che ho passato con te. Per la prima volta
901/915
mi sono sentito completo, vivo, libero. Tu eri il
pezzo mancante della mia anima, il respiro dei
miei polmoni, il sangue nelle mie vene. Penso
che se le vite passate esistono davvero, siamo
stati amanti in ciascuna. Ti conosco da poco,
ma mi sembra di conoscerti da sempre.
Voglio che tu sappia che anche nella morte ti ricorderò sempre. Ti amerò sempre. Vorrei che le
cose fossero andate diversamente. Ho pensato a
te molte notti, durante il nostro viaggio. Fissavo
il soffitto dei motel e immaginavo come sarebbe
stata la nostra vita se io fossi sopravvissuto.
Sono così sdolcinato che ti ho persino immaginata in abito da sposa e con una versione in
miniatura di me nella pancia. Ho sempre sentito
dire che il sesso è fantastico, quando sei incinta
:-)
Ma mi dispiace averti dovuta lasciare, Camryn.
Mi dispiace tanto… Vorrei che la storia di Orfeo ed Euridice fosse reale, perché così potresti
venire nell’Oltretomba e richiamarmi a te con il
902/915
canto. Non mi guarderei indietro. Non rovinerei
tutto come fece Orfeo.
Mi dispiace tanto, piccola…
Devi promettermi che resterai forte e bella,
dolce e affettuosa. Voglio che tu sia felice e
trovi qualcuno che ti ami quanto me. Devi
sposarti, avere figli e vivere la tua vita. Ricorda
solo di essere sempre te stessa, e non avere
paura di dire come la pensi o di sognare a voce
alta.
Spero che non mi dimenticherai mai.
Un’altra cosa: non dispiacerti di non avermi
detto che mi amavi. Non ce n’era bisogno: lo
sapevo.
Con amore per sempre,
Andrew Parrish
Cado in ginocchio in mezzo al corridoio, la lettera di Andrew stretta tra
le dita. Ed è l’ultima cosa che ricordo di
quel giorno.
46
Due mesi dopo…
Splende il sole e in cielo non c’è una
nuvola. Sento persino cinguettare gli
uccelli. Mi sembra perfetto per una
giornata come questa. I tacchi mi affondano sull’erba morbida. Indosso un
bel vestito estivo bianco e giallo che arriva sopra il ginocchio. Ho la treccia
appoggiata su una spalla, come Andrew
voleva sempre che la portassi. Tengo le
mani giunte davanti a me e fisso la lapide con le grandi lettere scolpite:
904/915
PARRISH.
È stato difficile andare lì, ma
avevo aspettato fin troppo.
Tengo gli occhi bassi, fissando sovrappensiero il cumulo di terra che sembra ancora fresco dopo due mesi dalla
sepoltura. Neppure la pioggia è riuscita
a schiacciarlo. Guardo le altre tombe,
quasi tutte già coperte d’erba, e non riesco a provare tristezza ma solo conforto, come se quelle persone, anche se
lontane da tutti noi, si tenessero compagnia a vicenda.
Due mani mi cingono la vita da dietro. «Grazie di essere venuta qui con
me, piccola» mi dice Andrew all’orecchio e poi mi bacia la guancia.
Lo prendo per mano e lo faccio
spostare al mio fianco, e insieme
guardiamo per l’ultima volta la tomba
di suo padre.
905/915
Lasciamo il Wyoming quella sera, ma
in aereo. I nostri progetti di viaggiare
per il mondo sono solo rimandati. Dopo
il coma e l’operazione chirurgica,
Andrew ha iniziato a migliorare nel
giro di tre settimane. I medici erano
sorpresi quanto noi, ma ci è voluto del
tempo perché si riprendesse completamente, e così sono rimasta sempre con
lui a Galveston. Fa ancora fisioterapia
una volta alla settimana, ma sembra già
che non ne abbia più bisogno.
Ha insistito lui perché partissimo
come previsto: gli sembra di aver
ricevuto una seconda possibilità ed è
più impaziente che mai di fare nuove
esperienze. Accidenti, gli piace persino
lavare i piatti e fare il bucato. Ma io e
Marna gli abbiamo proibito severamente di stancarsi troppo. Andrew vorrebbe opporsi, ma sa bene che non è il
906/915
caso. Contro me e Marna non ha
speranze.
Ma progettiamo ancora di girare il
mondo e mantenere la nostra promessa:
non restare incatenati alla monotonia
dell’esistenza. Non è cambiato niente e
so che non cambierà mai.
Natalie è tornata in North Carolina e
parliamo al telefono ogni giorno. Ora
esce con Blake, il ragazzo che Damon
aveva aggredito quella sera sul tetto.
Mi fa sorridere l’idea che stiano insieme. Quando parlo con loro su Skype
capisco che sono fatti l’uno per l’altra.
Almeno per il momento; con Natalie
non si sa mai… Damon, oltretutto, ha
finito per farsi arrestare per possesso di
droga. È la seconda volta, e probabilmente passerà un anno in prigione.
Forse imparerà dai suoi errori, ma ne
dubito.
907/915
Mio fratello Cole, invece… Credo che
Andrew avesse ragione su di lui. Abbiamo preso un aereo per il North Carolina per andare a trovare mia madre, e
mentre eravamo lì siamo andati con lei
a far visita a Cole in prigione. L’ho visto
cambiato, il suo rimorso sembra sincero. Gliel’ho letto negli occhi. Lui e
Andrew si sono piaciuti subito. Forse
tornerà davvero a essere il fratello maggiore che conoscevo, quando uscirà di
lì. E con l’aiuto di Andrew, ho perdonato Cole per ciò che ha fatto. Soffrirò sempre per la famiglia che ha distrutto quando ha ucciso quell’uomo
nell’incidente, ma ho capito che il perdono lenisce ogni dolore.
Mia madre si vede ancora con Roger.
Anzi, si sposeranno: alle Bahamas, a
febbraio. Sono molto felice per lei.
Sono riuscita a conoscere Roger e a sottoporlo alla mia ispezione anti-idioti e
908/915
sono felice di poter dire che è stato promosso a pieni voti. La mamma non sta
quasi più a casa, lui la porta sempre in
viaggio. E se lo merita davvero.
La madre e i fratelli di Andrew mi
hanno accolta nella famiglia a braccia
aperte. Io e Asher siamo molto uniti. E
adoro Aidan, anche se all’inizio mi sembrava scostante. Non è mai stato davvero stronzo con Andrew, e a dirla tutta
Andrew se lo meritava. Aidan e sua
moglie Michelle mi trattano come se
fossi la moglie di Andrew; la cosa mi fa
sempre arrossire. E soprattutto, Andrew
e Aidan vanno più d’accordo. La scorsa
settimana, prima che Aidan e Michelle
tornassero a Chicago dopo una breve
visita, si sono messi a fare la lotta in
salotto. Hanno rischiato di far cadere il
televisore, ma io e Michelle abbiamo
riso del loro testosterone da maschi
alfa.
909/915
E oggi… be’, oggi sarà un po’ diverso
dalla vita a cui Andrew è abituato.
Entro in salotto e lo trovo stravaccato
sul divano a guardare Prometheus.
Allunga una mano verso di me
mentre gli vado incontro.
«No, devi alzarti» dico scrollando la
testa.
«Che succede, piccola?» Si gratta la
testa. I capelli hanno iniziato a ricrescere ma gli danno fastidio, soprattutto
intorno
alla
cicatrice
lasciata
dall’operazione.
Appoggia i piedi a terra per tirarsi a
sedere e io mi infilo tra le sue gambe e
gli passo le mani sulla testa. Mi bacia
un polso e poi l’altro.
«Vieni con me.» Lo prendo per mano
e lui mi segue in camera da letto.
910/915
Quando lo porto in camera pensa
sempre che voglia fare sesso, e i suoi
splendidi occhi verdi si accendono
come quelli di un bambino.
«Voglio solo sdraiarmi con te per un
po’» dico, togliendomi tutti i vestiti.
Sembra un po’ confuso, e mi fa molta
tenerezza. «Va bene» sorride. «Vuoi che
mi spogli anch’io? Nessun problema.
Anzi, che te lo chiedo a fare?» Inizia a
spogliarsi.
Ci sdraiamo sul fianco uno davanti
all’altra, intrecciando le gambe. Lui mi
stringe in un abbraccio e poi le sue dita
scorrono sul mio tatuaggio di Orfeo,
che ho fatto due settimane prima. È
bellissimo e combacia alla perfezione
con il suo. Quando siamo sdraiati vicini
diventano un unico disegno.
911/915
«Tutto a posto, piccola?» Andrew mi
guarda incuriosito, accarezzandomi il
fianco.
Sorrido e lo bacio sulla bocca. Poi mi
tiro un po’ indietro, gli prendo la mano
e la porto sul mio tatuaggio, sullo
stomaco.
«Adoro questo tatuaggio, piccolo, ma
temo che tra qualche mese Orfeo potrebbe ingrassare un po’.»
Andrew batte le palpebre e impiega
qualche secondo a capire cosa sto
dicendo.
Poi capisce. Getta la testa all’indietro
e dopo un momento si tira su di scatto.
«Nascerà a maggio» lo informo.
Resta inebetito per un istante, ma poi
riesce a balbettare: «Sei incinta?». La
sua mano corre immediatamente al mio
stomaco.
912/915
Quella reazione mi fa sorridere ancor
di più.
Mi guarda, gli si accentuano le fossette, e un istante dopo la sua lingua è
nella mia bocca e mi mozza il fiato. Mi
abbraccia.
«Sposami» dice, e stavolta sono io a
restare senza parole. «Te l’avrei chiesto
domani sera a cena, ma non posso più
aspettare. Sposami.»
Scoppio a piangere. Mi abbraccia e
mi bacia di nuovo.
Quando infine si tira indietro per
guardarmi negli occhi, rispondo: «Sì, ti
sposerò, Andrew Parrish».
«Cazzo, quanto ti amo» esclama baciandomi di nuovo. Mi prende il viso.
«Ora facciamo sesso da incinti.»
Che posso dire? Questo è Andrew, e
non lo cambierei per niente al mondo.
Indice
Cover
Abstract
Jessica Ann Redmerski
Frontespizio
Copyright
Dedica
1
2
3
4
5
6
7 - Andrew
8 - Camryn
9 - Andrew
10 - Camryn
11
12 - Andrew
13 - Camryn
14 - Andrew
15 - Camryn
16
17 - Andrew
18 - Camryn
19
20
21 - Andrew
22 - Camryn
914/915
23
24 - Andrew
25
26 - Camryn
27
28
29 - Andrew
30 - Camryn
31
32
33 - Andrew
34 - Camryn
35 - Andrew
36 - Camryn
37
38
39 - Andrew
40 - Camryn
41
42 - Andrew
43 - Camryn
44
45
46
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