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Il confine di un attimo
Camryn Bennett, vent’anni, non è certo il tipo da restare ingabbiata in una vita ripetitiva sempre uguale a se stessa. Ma da quando il suo ragazzo è morto in un terribile incidente, niente sembra più importarle davvero… Dopo che anche la sua migliore amica le volta le spalle, Camryn salta su un autobus, con solo un telefono cellulare e una piccola borsa, decisa a fuggire da tutti coloro che la vogliono incasellare in una vita che non le appartiene. Nel viaggio incontra un ragazzo di nome Andrew Parrish, un tipo non molto diverso da lei, da cui si sente irresistibilmente attratta. Andrew vive la vita come se non ci fosse domani: la provoca, la diverte, la protegge, la seduce, le insegna ad assaporare ogni singolo momento e ad ascoltare le sue emozioni più profonde, i suoi desideri più veri e inconfessati. Ben presto diventa il centro della sua vita. Ma Camryn ha giurato di non lasciarsi andare mai più, di non innamorarsi mai più… E il segreto che Andrew 3/915 nasconde li spingerà irrimediabilmente insieme o li distruggerà per sempre? Il confine di un attimo è un fenomeno mondiale: autopubblicato online, ha scatenato la reazione entusiasta di migliaia di fan che hanno realizzato video su YouTube ispirati alla storia, album fotografici, playlist e che ne hanno fatto un successo da oltre 200.000 copie. Dopo aver scalato le classifiche americane, è in corso di pubblicazione in 20 Paesi. J.A. Redmerski, autrice bestseller, vive a North Little Rock, Arkansas, con i suoi tre figli e un cane maltese. Attualmente, a grande richiesta dei fan, sta scrivendo il seguito di è Il confine di un attimo. Jessica Ann Redmerski Il confine di un attimo Traduzione di Eleonora Cadelli, Ilaria Katerinov, Anita Taroni Proprietà letteraria riservata © 2012 Jessica Ann Redmerski This edition published by arrangements with Little, Brown and Company, New York, NY, USA. All rights reserved. © 2013 RCS Libri S.p.A., Milano ISBN 978-88-65-97118-5 Titolo originale dell’opera: the edge of never Prima edizione digitale 2013 da edizione Fabbri Editori: luglio 2013 In copertina: fotografia: © Karan Kapoor / Getty Images © Dmitry Golobokov / 123RF Art Director: Francesca Leoneschi /theWorldofDOT 8/915 www.fabbrieditori.eu Quest’opera è protetta dalla Legge sul diritto d’autore. È vietata ogni duplicazione, anche parziale, non autorizzata. Il confine di un attimo A chi ama e a chi sogna, e a tutti coloro che non hanno mai amato né sognato davvero 1 Sono dieci minuti che Natalie giocherella con la stessa ciocca di capelli, e la cosa mi sta mandando fuori di testa. Scrollo il capo e prendo il bicchiere di caffellatte freddo, poi porto la cannuccia alle labbra. Natalie è seduta di fronte a me, i gomiti appoggiati sul tavolino rotondo, il mento su una mano. «È fantastico» dice, fissando un ragazzo che si è appena messo in fila. «Davvero, Cam. Vuoi almeno guardarlo, per favore?» 12/915 Alzo gli occhi al cielo e bevo un altro sorso. «Nat» rispondo, rimettendo il bicchiere sul tavolo, «hai un ragazzo. Te lo devo ricordare di continuo?» Mi fa una smorfia. «Chi sei, mia madre?» Ma non riesce a darmi retta, non finché quello straordinario esemplare di maschio è al bancone a ordinare caffè e frittelle. «E poi a Damon non importa se qualche volta mi guardo in giro. Fino a quando gliela do, gli sta bene.» Per non ridere rischio di sputare il caffellatte. E arrossisco. «Senti, senti» continua Natalie con un gran sorriso. «Sono riuscita a strapparti una risata.» Rovista nella sua borsetta viola. «Devo segnarmelo.» Tira fuori il telefono e apre l’agenda. «Sabato 15 giugno.» Il suo dito si muove rapido sullo schermo. «Ore 13.55. Camryn Bennett 13/915 ha riso a una mia battuta a sfondo sessuale.» Rimette via il cellulare e mi guarda con quell’espressione assorta che ha sempre quando sta per entrare in modalità terapia. «Guardalo, almeno una volta» ripete, più seria. Decido di accontentarla e mi volto appena, quanto basta per dare un’occhiata veloce al ragazzo. Lui si allontana dalla cassa e si sposta in fondo al bancone per recuperare il caffè. Alto. Zigomi scolpiti e perfetti. Ipnotici occhi verdi da modello e capelli lisci e castani. «Sì» ammetto, girandomi di nuovo verso Natalie. «È carino, e allora?» Natalie lo segue con lo sguardo mentre esce dalla caffetteria e passa accanto alla vetrina. Solo quando è sparito, mi risponde. «Oh. Mio. Dio» esclama incredula, con gli occhi sbarrati. 14/915 «Nat, è solo un ragazzo.» Rimetto in bocca la cannuccia. «Potresti girare con un cartello in fronte con scritto: “Ninfomane”. Sei fissata. Sbavi dietro a chiunque.» «Scherzi?» esclama, sconcertata. «Camryn, tu hai un problema serio, lo sai, vero?» Si appoggia allo schienale della sedia. «Devi aumentare il dosaggio delle pastiglie. Dico davvero.» «Ho smesso di prenderle ad aprile.» «Cosa? Perché?» «Perché non ha senso» rispondo in tono neutro. «Non ho tendenze suicide, quindi non c’è nessuna ragione per continuare a prenderle.» Natalie scuote la testa e incrocia le braccia al petto. «Pensi che quella roba la prescrivano solo ai potenziali suicidi? No.» Mi punta il dito contro e subito lo nasconde di nuovo sotto il braccio. «Il 15/915 tuo è una specie di squilibrio chimico, o qualche stronzata del genere.» Replico con un sorrisetto. «Ah, davvero? E da quando sei così esperta di malattie mentali, medicine e terapie?» Alzo appena un sopracciglio, quanto basta per rimarcare che non ha idea di quel che dice. Invece di rispondere Natalie arriccia il naso, così continuo. «Ci riuscirò da sola, prendendomi tutto il tempo che mi serve: non ho bisogno delle pillole per guarire.» Ho iniziato gentile, ma prima ancora di finire la frase la mia voce si è fatta inaspettatamente aspra. Mi succede spesso. Lei sospira e dal suo volto sparisce qualsiasi traccia di divertimento. «Scusa.» Mi sento in colpa per aver reagito in modo così brusco. «Senti, lo so che hai ragione. Non nego di essere 16/915 un po’ incasinata emotivamente e che a volte sono una stronza…» «A volte?» mormora Natalie, ma ora sorride di nuovo. Mi ha già perdonato. Anche questo succede spesso. Ricambio con un mezzo sorriso. «È solo che voglio trovare le risposte da sola, capisci?» «Quali risposte?» È un po’ seccata adesso. «Cam…» inizia, piegando la testa di lato con fare premuroso. «Mi spiace dirlo, ma le sfighe capitano e basta. Devi solo passarci sopra, distrarti con qualcosa che ti renda felice.» Okay, in fondo non è poi tanto male come terapeuta. «Lo so, hai ragione, ma…» Lei inarca le sopracciglia, in attesa. «Cosa? Coraggio, dài, sfogati!» 17/915 Fisso il muro per un istante, cercando le parole. Mi capita molto spesso di pensare alla vita e a tutte le sue sfaccettature. Mi chiedo che cavolo ci faccio qui. Persino in questa caffetteria, con la mia più cara amica. Ieri mi sono domandata perché devo svegliarmi sempre alla stessa ora, perché devo fare sempre le stesse cose ogni giorno. Per quale motivo? Cos’è che ci fa andare avanti, se una parte di noi vorrebbe solo mandare tutto al diavolo? Distolgo lo sguardo dal muro e osservo la mia migliore amica. So che non capirà ciò che sto per dire, ma lo dico ugualmente, perché ho bisogno di tirarlo fuori. «Hai mai pensato a come sarebbe girare il mondo solo con uno zaino?» 18/915 A Natalie cade la mascella. «Uh, no, mai» risponde. «Credo che… sarebbe uno schifo.» «Be’, pensaci un momento.» Mi sporgo sul tavolo e concentro tutta l’attenzione su di lei. «Solo tu, uno zaino e lo stretto necessario. Niente bollette da pagare. Nessun bisogno di alzarsi alla stessa ora per andare al lavoro, un lavoro che odi, tra l’altro. Solo tu e il mondo che ti aspetta. Non sai cosa ti porterà il domani, chi incontrerai, cosa mangerai a pranzo o dove dormirai.» Mi rendo conto di essere talmente persa nelle mie fantasticherie che forse, per un attimo, sembro io quella fissata. «Cominci a farmi paura» dice Natalie, guardandomi incerta dall’altra parte del tavolino. «E inoltre bisogna camminare un sacco, rischi di essere violentata, uccisa e buttata sul ciglio di un’autostrada 19/915 chissà dove. Ah, e poi bisogna camminare un sacco…» Ora è chiaro: mi crede sull’orlo della pazzia. «Come ti è venuto in mente?» chiede bevendo un sorso rapido. «Sembri in preda a una specie di crisi di mezza età. Peccato che hai vent’anni.» Mi punta di nuovo il dito contro, come per sottolineare le sue parole. «E finora non hai dovuto pagare molte bollette.» Beve un altro sorso e fa un risucchio fastidioso con la cannuccia. «Forse no» ribatto, riflettendoci su. «Ma mi toccherà iniziare appena mi trasferisco da te.» «Esatto.» Natalie tamburella le dita sul bicchiere. «Divideremo tutte le spese a metà… Un momento, non ti stai tirando indietro, vero?» Si blocca, guardandomi con circospezione. 20/915 «Assolutamente no. La prossima settimana lascerò la casa di mia madre per andare a vivere con una ninfomane.» «Che stronza!» scoppia a ridere Natalie. Sorrido anch’io e torno a rimuginare su quei pensieri che lei non è riuscita a capire. Ma me l’aspettavo. Anche prima della morte di Ian, ho sempre avuto idee un po’ fuori dagli schemi. Invece di immaginare nuove posizioni a letto, come fa spesso Natalie con Damon, il suo ragazzo da cinque anni, io fantastico sulle cose davvero importanti. O almeno importanti nel mio mondo. L’aria di altri Paesi sulla pelle, l’odore dell’oceano, il rumore della pioggia che mi lascia senza fiato. «Sei una tipa profonda» così mi ha detto Damon in più di un’occasione. 21/915 «Caspita» esclama Natalie, «lo sai che sei davvero deprimente?» Scuote il capo con la cannuccia stretta tra le labbra. «Andiamo» dice, alzandosi all’improvviso. «Non la reggo più questa robaccia filosofica. E poi questi localini tranquilli hanno un effetto ancora peggiore su di te. Stasera andiamo all’Underground.» «Cosa? No, io non ci vengo in quel posto.» «Invece sì.» Lancia il bicchiere vuoto in un cestino e mi afferra per il polso. «Questa volta vieni con me, perché in teoria sei la mia migliore amica e non accetterò un altro no come risposta.» L’accenno di sorriso si schiude a illuminarle il viso leggermente abbronzato. Sta facendo sul serio. Fa sempre sul serio quando ha quello sguardo, un’espressione entusiasta e determinata 22/915 insieme. Forse stavolta è meglio cedere, altrimenti mi tormenterà. Un male necessario, quando la tua migliore amica è così assillante. Mi alzo e metto la borsa a tracolla. «Sono solo le due» dico. Bevo l’ultima goccia di caffellatte e getto il mio bicchiere nello stesso cestino. «Sì, ma prima dobbiamo trovarti qualcosa da mettere.» «Oh, no» rispondo, risoluta, mentre Natalie mi spinge fuori dalla porta a vetri, nell’aria estiva. «Venire all’Underground con te è già una buona azione, e mi rifiuto di andare a fare shopping. Sono piena di vestiti.» Natalie mi prende sottobraccio; camminiamo sul marciapiede e superiamo una lunga serie di parchimetri. Ride e mi scocca un’occhiata. «Va bene. Ma 23/915 lascia almeno che ti presti qualcosa di mio.» «Cosa c’è che non va nel mio guardaroba?» Lei arriccia le labbra e china il capo: forse si domanda come ho potuto farle una domanda così stupida. «È l’Underground» ripete, come se la risposta fosse ovvia. Okay, forse ha ragione. Natalie e io siamo migliori amiche, ma con noi funziona la regola degli opposti che si attraggono. Lei è una un po’ alternativa e ha una cotta per Jared Leto da quando ha visto Fight Club. Io sono più tranquilla e di rado indosso colori scuri, a meno che non debba andare a un funerale. Non che Natalie si vesta sempre di nero o abbia una di quelle acconciature in stile emo, ma di sicuro non impazzisce per le cose che trova nel mio 24/915 armadio; dice che sono insignificanti. Io non sono d’accordo. So come vestirmi, e i ragazzi – quando ancora stavo attenta al modo in cui mi guardavano il sedere se mettevo i miei jeans preferiti – non hanno mai avuto niente da ridire sul mio abbigliamento. Ma l’Underground è per quelli come Natalie, e quindi per una volta credo che dovrò vestirmi come lei. Solo per sentirmi a mio agio. Non sono una pecora, io. Non lo sono mai stata. Però per qualche ora posso trasformarmi in una persona diversa, se serve a mescolarmi tra la folla e a non attirare l’attenzione. Entrando in camera di Natalie si capisce subito che non soffre di un disturbo ossessivo-compulsivo. E questa è un’altra differenza tra noi. Io appendo gli abiti in base al colore; lei li lascia per settimane in una cesta ai piedi del 25/915 letto, poi li butta di nuovo in lavatrice perché sono tutti sgualciti. Io spolvero la mia stanza tutti i giorni, mentre per lei le pulizie di primavera consistono nel togliere due dita di polvere dalla tastiera del portatile. «Questo ti starà benissimo» dice mostrandomi una maglietta bianca aderente degli Scars on Broadway. «È stretta e con le tue tette è perfetta.» Mi appoggia la T-shirt addosso e valuta l’effetto. Io grugnisco, per nulla soddisfatta. Lei alza gli occhi al cielo. «E va bene» dice, lanciando la maglietta sul letto. Dall’armadio ne tira fuori un’altra e me la porge con un gran sorriso. Una delle sue tattiche manipolatorie: quando fa quel sorriso a trentadue denti non riesco a contraddirla. 26/915 «Che ne dici di qualcosa senza il nome di una band a caso sopra?» propongo. «Ma questa è di Brandon Boyd» replica lei, incredula. «Come fa a non piacerti Brandon Boyd?» «Sì, è carino, ma non mi va di portare il suo nome stampato addosso.» «Io vorrei avere lui in persona addosso» ribatte Natalie, ammirando la Tshirt stretta con lo scollo a V, praticamente identica alla prima. «Allora mettila tu.» Mi guarda annuendo, come se stesse valutando la cosa. «Ottima idea.» Si sfila il top e lo butta nella cesta della biancheria, poi si fa scivolare sul seno prosperoso il faccione di Brandon Boyd. 27/915 «Ti sta bene» commento. La osservo mentre si sistema e si guarda allo specchio da angolazioni diverse. «Eccome se Brandon mi sta bene.» «E Jared Leto come la prenderà?» scherzo. Natalie scoppia a ridere e si ravvia i lunghi capelli neri, poi prende la spazzola. «Lui sarà sempre al primo posto.» «E Damon? Sai, il tuo ragazzo, quello non immaginario…» «Piantala» esclama Natalie. «Se continui a stuzzicarmi su di lui…» Smette di spazzolarsi e gira la testa per guardarmi. «Non è che ti piace Damon, vero?» Scrollo subito il capo. «No, Nat! Ma che cavolo…?» 28/915 Lei ride e riprende a spazzolarsi i capelli. «Stasera ti troveremo un ragazzo. Ecco di cosa hai bisogno. Risolverà tutto.» Dal mio silenzio capisce immediatamente di aver esagerato. Non la sopporto quando fa così. Perché bisogna stare per forza con qualcuno? È una fissazione stupida e un modo molto patetico di vedere le cose. Natalie appoggia la spazzola sul comò e si volta verso di me. Ora non sta più scherzando. Tira un profondo sospiro. «Lo so, non dovevo dirlo. Senti, giuro che non mi metterò a fare l’agente matrimoniale o roba simile, d’accordo?» Alza le mani in segno di resa. «Ti credo» rispondo, cedendo alla sua sincerità. Certo, so benissimo che nemmeno una promessa può fermarla: se 29/915 anche non sarà lei in persona a cercarmi un ragazzo, non deve far altro che battere quelle sue ciglia scure e indicare a Damon un tizio qualunque nel locale, e lui saprà esattamente cosa fare. Ma io non ho bisogno del loro aiuto. Non voglio frequentare nessuno. «Oh!» esclama Natalie con la testa dentro l’armadio. «Questo è perfetto!» Si gira facendo dondolare la gruccia con un top nero drappeggiato e senza spalline. Sul davanti c’è scritto: PECCATRICE. «L’ho preso da Hot Topic» mi spiega, togliendolo dall’appendiabiti. Non voglio tirarla troppo per le lunghe, così mi svesto e prendo il top. «Reggiseno nero» commenta lei. «Ottima scelta.» 30/915 Infilo il top e mi guardo allo specchio. «Allora, ammettilo! Ti piace, eh?» esclama lei, piazzandosi dietro di me con aria soddisfatta. Accenno un sorriso e mi volto dando le spalle allo specchio: mi accorgo che il top mi copre a malapena i fianchi. E solo ora noto la scritta sulla schiena: SANTA. «Okay» rispondo. «Mi piace. Ma non abbastanza da mettermi a saccheggiare il tuo armadio, quindi non ci sperare troppo. Sono assolutamente soddisfatta delle mie camicette accollate, grazie.» «Non ho mai detto che i tuoi vestiti sono brutti, Cam.» Natalie ride e mi tira da dietro l’elastico del reggiseno. «Tu sei sempre strafiga, qualunque cosa ti metti. Ci proverei con te se non stessi con Damon.» 31/915 Spalanco la bocca, sconcertata. «Tu non sei normale, Nat!» «Lo so» risponde, mentre mi giro di nuovo verso lo specchio. Avverto un tono malizioso nella sua voce. «Però è la verità. Te l’ho già detto una volta e non stavo scherzando.» Scuoto il capo e sorrido, poi prendo la sua spazzola. Una volta, dopo aver rotto con Damon per un breve periodo, Natalie è stata con una ragazza. Ma dice di essere “troppo malata di uomini” (parole sue, non mie) per sprecare la sua vita con una donna. Non è che sia davvero una puttanella – potrebbe prenderti a sberle se ti azzardi a chiamarla così –, ma è la ninfomane che ogni uomo sogna. «Adesso passiamo al trucco» annuncia prima di trascinarmi su una sedia. «No!» 32/915 Natalie si posa le mani sui fianchi torniti e mi fissa con gli occhi sgranati, come se fosse mia madre e io l’avessi appena insultata. «Vuoi che ti faccia del male?» mi chiede. Cedo e mi accascio sulla sedia. «Fa’ come ti pare» ribatto. Raddrizzo la testa per darle completo accesso al mio viso, che ora è diventato la sua tela. «Niente occhi da panda però, intesi?» Mi prende per il mento. «Zitta, adesso» ordina, cercando di restare seria. «Un’artista» dice con fare drammatico e agitando la mano libera «ha bisogno di silenzio per lavorare. Dove pensi di essere, da un’estetista di periferia?» Al termine della “seduta”, sono identica a lei. A parte le tette enormi e i capelli castani lucidi. I miei sono di un 33/915 biondo per cui molte ragazze sarebbero disposte a pagare un sacco di soldi e mi arrivano esattamente a metà della schiena. Ammetto di essere stata fortunata al momento della distribuzione dei capelli. Natalie mi ha detto che mi stanno meglio sciolti, e io le ho dato retta. Non avevo scelta: il suo tono era piuttosto intimidatorio. Non sembro un panda, ma non si può dire che Natalie ci sia andata leggera con l’ombretto. «Occhi scuri e capelli biondi» ha detto mentre mi metteva il mascara nero e denso. «Molto sexy.» E a quanto pare i miei sandali non andavano bene, perché mi ha imposto di rimpiazzarli con un paio di stivaletti a punta con il tacco, in cui riesco appena a infilare i jeans skinny. 34/915 «Adesso sei davvero una gran figa» conclude, squadrandomi da capo a piedi. «E tu sei in forte debito con me» rispondo. «Eh? Io sarei in debito con te?» Piega la testa di lato. «No, tesoro, non credo proprio. Semmai il contrario, perché ti divertirai un sacco e mi implorerai di portarti più spesso all’Underground.» Incrocio le braccia sul petto. «Ne dubito. Ma ti concedo il beneficio del dubbio e spero comunque di divertirmi.» «Bene» conclude Natalie, infilandosi gli stivali. «Adesso andiamo. Damon ci sta aspettando.» 2 Partiamo per l’Underground al tramonto, con il furgone personalizzato di Damon, e lungo la strada facciamo diverse tappe. Damon parcheggia nel vialetto di una casa, entra e si ferma non più di tre o quattro minuti. Al ritorno non dice una parola, non racconta cos’ha fatto, né con chi ha parlato: le classiche cose che chiunque farebbe al posto suo. Peccato che lui sia tutt’altro che normale. Gli voglio un bene dell’anima, lo conosco più o meno da quando conosco Natalie, ma non sono mai riuscita ad accettare il suo 36/915 rapporto con la droga. Coltiva erba in cantina, ma non la fuma. Nessuno, tranne me e i pochi amici più stretti, sospetterebbe mai che un tipo in gamba come Damon Winters coltivi marijuana: di solito chi lo fa è un fricchettone, spesso con una pettinatura ferma tra gli anni Settanta e i Novanta. Damon non lo è neanche lontanamente, anzi, potrebbe essere il fratello minore di Alex Pettyfer. E poi dice che le canne proprio non fanno per lui. No, lui preferisce la cocaina, e quindi coltiva e vende l’erba per comprarsela. Natalie sostiene che si tratti di un’attività assolutamente innocua. Sa che Damon non fuma, e secondo lei l’erba non è poi così male: se altri vogliono farsi una canna per rilassarsi, lui gli dà solo una mano. 37/915 Però Natalie si rifiuta di credere che la cocaina lo ecciti più di quanto riesca a fare lei con qualunque parte del suo corpo. «Okay, ricorda che stai andando a divertirti, va bene?» Scendo dal furgone e Natalie chiude la mia portiera con un colpo secco, poi mi guarda come se avesse già perso ogni speranza. «Insomma, non remare contro o almeno provaci.» Alzo gli occhi al cielo. «Nat, non è che lo faccio apposta. Voglio davvero divertirmi.» Damon ci raggiunge e fa scivolare le braccia attorno alla vita di entrambe. «Voglio entrare abbracciato a due belle ragazze.» Natalie gli dà una gomitata fingendosi offesa. «Zitto, tesoro. Potrei 38/915 ingelosirmi.» E un istante dopo gli sorride maliziosa. Damon le tocca il sedere con una mano. Lei risponde con un gemito e si alza in punta di piedi per baciarlo. Vorrei dire loro di prendersi una stanza, ma sprecherei solo il fiato. L’Underground è il posto più fico del North Carolina, ma sull’elenco del telefono non c’è. In pochi sanno della sua esistenza. Due anni fa un tizio di nome Rob ha preso in affitto un magazzino abbandonato e ha investito un milione di dollari del suo paparino per trasformarlo in un locale clandestino. Va ancora alla grande: è diventato un luogo di riferimento per le star locali che vogliono vivere il sogno del rock ’n’ roll, con tanto di fan urlanti e groupie. Ma non è un postaccio; da fuori può sembrare un edificio abbandonato in 39/915 una città quasi fantasma, ma dentro ha tutto ciò che ogni locale di livello in cui si fa musica dal vivo dovrebbe avere: luci stroboscopiche che fendono la pista, cameriere sexy e un palco abbastanza grande per ospitare due band contemporaneamente. Perché l’Underground resti segreto, bisogna parcheggiare lontano dall’ingresso e poi andarci a piedi: un assembramento di auto in sosta davanti a un magazzino “abbandonato” sarebbe ben più che un indizio. Lasciamo il furgone sul retro di un McDonald’s e camminiamo per circa dieci minuti nella città spettrale. Natalie si mette tra me e Damon, solo per torturarmi meglio prima di entrare. «Allora» dice, come se fosse il primo punto di un elenco di cose da fare e da non fare, «se qualcuno te lo chiede, tu 40/915 sei single, capito?» Mi punta un dito in faccia. «Non voglio più sentire quella storia che hai tirato fuori con quel tizio che ti stava rimorchiando da Office Depot.» «E cosa ci faceva Cam in un negozio di articoli per ufficio?» interviene Damon ridendo. «Damon, quel ragazzo era cotto» continua Natalie, come se io non fossi lì con loro. «Le bastava battere le ciglia e quello le avrebbe comprato una macchina. E invece sai cosa gli ha detto?» Sospiro e mi sottraggo al suo abbraccio. «Quanto sei stupida, Nat. Non è andata così.» «Ha ragione, tesoro» dice Damon. «Se quel tizio lavora da Office Depot, non può comprare una macchina a nessuno.» 41/915 Natalie gli sferra un pugno sulla spalla. «Non ho detto che lavorava lì… Comunque sembrava il figlio illegittimo di… Adam Levine e…» Muove le dita sopra la testa come per far materializzare il nome di un altro personaggio famoso. «… Jensen Ackles. E quando le ha chiesto il numero di telefono, Miss Bacchettona gli ha detto di essere lesbica.» «Sta’ zitta, Nat» la interrompo, irritata da questa sua abitudine a esagerare. «Non somigliava a nessuno dei due. Era un ragazzo normale, non troppo orrendo.» Natalie liquida il mio commento con un gesto e torna a rivolgersi a Damon. «Come vuoi. Ma il punto è che pur di tenere lontani i ragazzi è disposta a mentire. Secondo me, arriverebbe 42/915 persino a dire che ha la candida o le piattole.» Damon scoppia a ridere. Mi fermo sul marciapiede buio e incrocio le braccia, mordendomi il labbro per l’agitazione. Natalie si accorge che non sono più accanto a lei e torna indietro. «Okay! Okay! Senti, è che non voglio che ti rovini con le tue mani. Punto. Ti chiedo solo, se uno non è proprio uno storpio e ci prova con te, di non scacciarlo subito. Non c’è niente di male a scambiare due parole, conoscersi… Non ti sto dicendo di andare a casa con lui.» Già la odio, e la serata è appena cominciata. Aveva giurato! Damon le stringe la vita da dietro e le solletica il collo con le labbra. «Perché non le lasci fare quello che vuole, tesoro? Smettila di essere così insistente.» 43/915 «Grazie, Damon» replico con un veloce cenno del capo. Lui mi fa l’occhiolino. «Hai ragione» cede Natalie alzando le mani. «Non dirò più niente, giuro.» Questa l’ho già sentita… «Bene» rispondo, e ci rimettiamo in marcia. Gli stivaletti col tacco mi stanno massacrando i piedi. L’orco che staziona all’ingresso del locale con le grosse braccia incrociate ci squadra e allunga la mano aperta. Il viso di Natalie si contorce in un’espressione offesa. «Come sarebbe? Adesso Rob ci fa pagare?» Damon sfila il portafoglio dalla tasca posteriore e conta le banconote. «Venti a testa» grugnisce l’orco. «Venti? Mi prendi per il culo?» strilla Natalie. 44/915 Damon la spinge via piano e mette in mano all’orco tre biglietti da venti. Lui li intasca e si sposta per lasciarci passare. Entro per prima; Damon appoggia una mano sulla schiena di Natalie perché lo preceda. Mentre passa accanto all’orco lei sibila: «Secondo me se li tiene. Ne parlerò con Rob». «Va’ avanti» dice Damon. Percorriamo un corridoio lungo e tetro con una luce al neon che sfarfalla e raggiungiamo un montacarichi in fondo. Le porte si chiudono con un forte rumore metallico e scendiamo di diversi metri. Il locale è al piano di sotto, e l’ascensore sferraglia così tanto che ho paura che si rompa e ci faccia sfracellare tutti quanti. Man mano che ci addentriamo nelle viscere 45/915 dell’Underground, aumenta il volume della musica e delle grida ubriache degli studenti (e probabilmente di un mucchio di sfaccendati che l’università non l’hanno mai finita). Il montacarichi si ferma con uno scossone e un altro orco apre le porte per farci uscire. Natalie mi finisce addosso. «Sbrigati!» esclama, e mi spinge. «Credo che stiano suonando i Four Collision!» grida sopra la musica, mentre entriamo nella sala principale. Prende Damon per mano, poi cerca anche la mia. So che cos’ha in mente, ma non ho nessuna intenzione di farmi schiacciare da una massa di corpi sudaticci con quegli stupidi stivaletti ai piedi. «Oh, forza!» insiste Natalie, quasi implorando. Mi afferra la mano e mi avvicina a lei. «Smettila di fare la bambina! 46/915 Se qualcuno ti mette le mani addosso lo prendo a calci in culo, d’accordo?» Damon mi sorride. «Va bene!» dico, e li seguo. Natalie mi tira per le dita e quasi me le sloga. Una volta in pista, balla un po’ con me per non farmi sentire esclusa, come farebbe ogni migliore amica, ma poco dopo si dedica anima e corpo a Damon. Potrebbe anche fare sesso con lui di fronte a tutti e nessuno ci farebbe caso. Forse lo noto solo io perché sono l’unica lì dentro a non fare la stessa cosa. Ne approfitto per sgattaiolare via e puntare verso il bar. «Cosa ti preparo?» mi chiede il barista, un tipo alto e biondo. Mi alzo in punta di piedi e prendo uno sgabello libero. «Rum e Cola.» 47/915 Il tizio mi prepara il cocktail. «Roba forte, eh?» dice, riempiendo il bicchiere di ghiaccio. «Mi fai vedere un documento?» E ride. Lo guardo. «Certo, quando tu mi fai vedere la licenza per gli alcolici.» Gli sorrido di rimando. Mescola il drink e me lo porge. «Comunque non bevo molto» aggiungo, prendendo un sorsetto dalla cannuccia. «Ah, no?» «Sì, be’, forse stasera ho bisogno di una sbronza.» Poso il bicchiere e giocherello con la fettina di lime sul bordo. «Come mai?» mi chiede, asciugando il bancone con un pezzo di carta da cucina. 48/915 «Un momento.» Alzo un dito. «Prima che tu ti faccia un’idea sbagliata, non sono qui per sviscerare i miei problemi con te… Sai, la terapia barista-cliente…» Natalie è l’unica psicologa che posso sopportare. Lui ride e getta la carta da qualche parte dietro il bancone. «Be’, buono a sapersi, perché non sono bravo a dare consigli.» Bevo un altro piccolo sorso, stavolta chinandomi sulla cannuccia invece di sollevare il bicchiere. I capelli mi ricadono sul viso. Mi raddrizzo e li ravvio dietro le orecchie. Odio portare i capelli sciolti: mi danno fastidio e non ne vale proprio la pena. «Se ci tieni a saperlo» riprendo guardandolo in faccia «mi ha trascinato qui la mia migliore amica. Se non fossi venuta, probabilmente mi avrebbe fatto 49/915 qualcosa di imbarazzante mentre dormivo e mi avrebbe ricattato con una foto.» «Ho presente il tipo» risponde lui, allungando le braccia sul bancone. «Avevo anch’io un amico così. Sei mesi dopo che la mia fidanzata mi ha mollato, mi ha portato in un locale fuori Baltimora. Io avrei preferito stare a casa a crogiolarmi nel dolore, e invece quella serata era esattamente ciò di cui avevo bisogno.» Fantastico: questo qui pensa già di conoscermi, o almeno di conoscere la mia “situazione”. E invece non sa un bel niente. Magari è in piena crisi da ex – prima o poi capita a tutti –, ma il resto della mia vita, il divorzio dei miei genitori, mio fratello maggiore Cole in prigione, la morte del mio grande amore… Non ho nessuna intenzione di 50/915 parlarne con lui. Perché quando parli di queste cose, diventi automaticamente una frignona con tanto di violini in sottofondo. Tutti abbiamo dei problemi; tutti abbiamo momenti di difficoltà, soffriamo, e il mio dolore non è niente in confronto a quello di un sacco di altra gente. Perciò non ho nessun diritto di lamentarmi. «Avevo capito che non eri bravo a dare consigli» gli faccio con un sorriso. Lui si scosta dal bancone e dice: «Infatti è così, ma se la mia esperienza può insegnarti qualcosa, mi fa piacere». Sorrido di nuovo, e questa volta faccio solo finta di bere. Non voglio davvero prendermi una sbornia, anche perché ho la netta sensazione che al ritorno dovrò guidare io. Nel tentativo di allontanare da me i riflettori, appoggio un gomito sul 51/915 tavolo e il mento sulle nocche. «Allora, cos’è successo quella sera?» Increspa l’angolo della bocca e scuote i capelli biondi. «Ho scopato per la prima volta da quando la mia ex mi aveva lasciato e mi sono ricordato di quanto si sta bene a non avere legami.» Non mi aspettavo una risposta simile. Di solito i ragazzi tengono ben nascosta la fobia per le relazioni serie, soprattutto se ci stanno provando con me. Mi piace questo tipo. Nel senso che mi sta simpatico, ovviamente: non è che sono pronta, come direbbe Natalie, “a inginocchiarmi davanti a lui”. «Capisco.» Cerco di trattenere un sorriso. «Be’, almeno sei sincero.» «Bisogna esserlo» dice lui prendendo un bicchiere per prepararsi un rum e cola. «Ho scoperto che molte ragazze sono spaventate quanto i ragazzi 52/915 all’idea di impegnarsi. Se sei onesto fin dall’inizio, è più probabile uscire indenni da una storia di una notte.» Annuisco e prendo la cannuccia tra le dita. Non glielo dirò mai e poi mai, ma sono completamente d’accordo con lui, anzi trovo che le sue parole siano liberatorie. Non ci avevo mai pensato: avere una relazione è l’ultima cosa che mi passa per la testa, ma sono pur sempre umana e non mi dispiacerebbe un’avventura di una notte. Però non con lui. Né con nessun altro in questo locale. Okay, forse sono troppo fifona per il sesso senza impegno, e il cocktail mi ha già dato alla testa. La verità è che non ho mai fatto niente di simile e anche se il pensiero un po’ mi eccita, allo stesso tempo mi spaventa a morte. Sono stata solo con due ragazzi: Ian Walsh, il mio primo 53/915 amore e quello con cui ho perso la verginità, che poi è morto in un incidente d’auto tre mesi dopo, e Christian Deering, lo scaccia-chiodo, nonché il bastardo che mi ha tradito con una troietta dai capelli rossi. Sono solo felice di non avergli mai detto quelle due parole che cominciano per “T” e finiscono per “Amo”. Quando me l’ha detto lui, ho avuto la sensazione che non avesse idea del vero significato di quelle parole. Be’, poi forse è andato con un’altra dopo cinque mesi che ci frequentavamo proprio perché io non gli ho mai risposto. Alzo lo sguardo sul barista e vedo che mi sta sorridendo, in attesa che dica qualcosa. Non è niente male. O forse sta solo cercando di essere gentile. Lo ammetto, è carino. Non avrà più di venticinque anni e il sorriso gli arriva 54/915 prima agli occhi Noto i bicipiti scolpito sotto la bronzato, come dell’oceano. castani che alle labbra. muscolosi e il torace T-shirt aderente. È abse vivesse sulle rive Distolgo lo sguardo solo quando mi accorgo che me lo sto immaginando in costume e senza maglietta. «Mi chiamo Blake» dice. «Sono il fratello di Rob.» Rob? Ah, già, il proprietario dell’Underground. Gli porgo la mano e lui me la stringe. «Camryn.» Sento la voce di Natalie sopra la musica prima ancora di vederla. Si fa largo in mezzo a un gruppetto di persone a bordo pista e mi raggiunge. Nota subito Blake; le brillano gli occhi e un sorriso le illumina il volto. Damon la segue, 55/915 tenendola per mano; si accorge anche lui del barista e cerca il mio sguardo. Mi dà una strana sensazione, ma presto non ci penso più. Natalie preme la spalla contro la mia. «Cosa ci fai qui?» mi chiede in tono accusatorio. Ha un sorriso da un orecchio all’altro; saetta lo sguardo varie volte tra me e Blake e poi lo fissa su di me. «Bevo» rispondo. «Sei venuta per bere anche tu o per controllarmi?» «Tutte e due» replica lei, lasciando la mano di Damon e iniziando a tamburellare le dita sul bancone. Poi si rivolge a Blake. «Qualsiasi cosa con la vodka.» Blake annuisce e guarda Damon. «Per me Rum e Cola» risponde lui. Natalie mi avvicina le labbra all’orecchio e sento il suo respiro caldo. 56/915 «Cazzo, Cam! Lo sai chi è quello?» sussurra. Mi accorgo che Blake sorride: l’ha sentita. Arrossisco per l’imbarazzo e mormoro a Natalie: «Sì, si chiama Blake». «È il fratello di Rob!» sibila lei, tornando a guardarlo. Mi volto verso Damon sperando che capisca e la porti via, ma questa volta lui fa finta di niente. Dov’è il Damon che conosco, quello che sta sempre dalla mia parte quando devo difendermi da Natalie? Oh oh, mi sa che è di nuovo arrabbiato con lei. Si comporta così solo quando Natalie apre quella sua boccaccia o fa qualcosa su cui Damon proprio non riesce a passar sopra. Siamo qui soltanto da mezz’ora: cosa può aver combinato Natalie in così poco tempo? 57/915 Certo, se c’è una che può far arrabbiare il suo ragazzo in meno di un’ora senza nemmeno rendersene conto, quella è lei. Scendo dallo sgabello e la prendo sottobraccio, allontanandola dal bar. Damon, che forse ha capito le mie intenzioni, resta al bancone con Blake. Il gruppo che si sta esibendo finisce un pezzo e inizia il successivo. La musica sembra ancora più alta. «Cos’hai combinato?» le chiedo, facendola voltare per guardarla in faccia. «In che senso?» Non mi sta neanche ascoltando, il suo corpo ondeggia piano al ritmo della musica. «Nat, sono seria.» Alla fine si ferma e mi fissa, come se cercasse la risposta sul mio viso. 58/915 «Per far arrabbiare Damon» le spiego. «Era tranquillo quando siamo arrivati.» Natalie scocca un’occhiata al suo ragazzo, che sorseggia un cocktail; poi torna a guardare me, un’espressione confusa sul volto. «Non ho fatto niente… Almeno, non credo.» Guarda in alto, come per sforzarsi di ricordare. Appoggia le mani sui fianchi. «Perché pensi che sia arrabbiato?» «Ha quella faccia…» rispondo, osservando Damon e Blake. «Non sopporto quando litigate, soprattutto se sono costretta a passare tutta la serata con voi e ad ascoltarvi mentre rivangate stronzate del passato.» Natalie sembra confusa, poi mi fa un sorriso infido. «Sei paranoica. Stai solo cercando di distrarmi per impedirmi di fare un commentino su te e Blake.» Di 59/915 nuovo quello sguardo divertito che detesto. Alzo gli occhi al cielo. «Non c’è nessun “io e Blake”. Stavamo solo parlando.» «Parlare è il primo passo. Sorridergli» – e qui i suoi occhi si illuminano – «come ti ho visto fare quando sono arrivata, è il secondo.» Incrocia le braccia. «Scommetto che non ti ha dovuto cavare le parole di bocca per convincerti a chiacchierare un po’ con lui. Insomma, sai già come si chiama!» «Vuoi che mi diverta e che conosca un ragazzo e poi non mi lasci in pace quando le cose vanno come vuoi tu?» Natalie si lascia di nuovo distrarre dalla musica e alza le braccia sopra la testa, dimenando i fianchi in modo sensuale. Io resto immobile accanto a lei. 60/915 «Non succederà nulla» dico con fermezza. «Hai ottenuto quello che volevi: sto parlando con un tizio e non ho intenzione di dirgli che ho la candida, quindi, per favore, non fare scenate.» Le sfugge un lungo e profondo sospiro e smette di ballare per un momento, quanto basta per dirmi: «Forse hai ragione. Ti lascio a lui. Ma se ti porta nell’ufficio di Rob, voglio i dettagli». Mi punta il dito contro, lo sguardo truce e le labbra arricciate. «Va bene» rispondo, solo per togliermela di torno, «ma non sperarci troppo, perché non succederà.» 3 Un’ora e due cocktail dopo, sono “nell’ufficio di Rob” con Blake. Sono solo un po’ brilla: cammino dritta e ci vedo benissimo, quindi so con certezza di non essere ubriaca. Però sono un tantino troppo allegra, e la cosa mi infastidisce. Quando Blake propone di “allontanarci dal rumore per un attimo”, l’allarme dentro la mia testa inizia a suonare a tutto volume: non andartene da sola con uno sconosciuto dopo due drink. Non farlo, Cam. Non sei una stupida, quindi non lasciare che l’alcol ti renda tale. 62/915 Per un po’ ho dato retta a quella voce, ma poi il sorriso contagioso di Blake e il modo in cui riusciva a farmi sentire a mio agio l’hanno completamente zittita. «E questo sarebbe il famoso “ufficio di Rob”?» chiedo, guardando il profilo della città dal tetto del magazzino. I palazzi brillano di luci blu, bianche e verdi; le strade sono immerse nel bagliore arancione dei lampioni. «Cosa ti aspettavi?» replica Blake, prendendomi la mano. Sussulto, ma non mi sottraggo. «Una dark room con gli specchi sul soffitto?» Un momento… Sì, me la immaginavo proprio così – ecco, più o meno –, ma allora perché sono venuta qui con lui? Okay, adesso il panico comincia a farsi sentire. 63/915 Forse, dopotutto, ubriaca lo sono, altrimenti non avrei perso per strada il buonsenso. Il solo pensiero che sarei stata pronta, anche se sbronza, per una dark room mi fa rabbrividire e mi riporta di colpo alla lucidità. L’alcol mi rende stupida, oppure tira fuori qualcosa che è già dentro di me e che io mi ostino a non voler vedere? Guardo di sfuggita la porta di metallo sul muro di mattoni e noto che filtra la luce. L’ha lasciata aperta. Buon segno. Blake mi guida a un tavolino da picnic di legno e io, un po’ nervosa, mi siedo accanto a lui. Il vento soffia tra i capelli e qualche ciocca mi finisce in bocca, così la scosto con la mano. «Per fortuna che sono io» dice, guardando la città. Tiene le mani sulle ginocchia e i piedi appoggiati alla panca sotto al tavolino. 64/915 Mi siedo a gambe incrociate e nascondo le mani in grembo. Lo guardo perplessa. «Per fortuna che ti ho portato io quassù» spiega con un sorriso. «Una bella ragazza come te, nel locale, con tutti quei brutti ceffi…» Si gira per guardarmi; i suoi occhi castani sembrano quasi luminescenti al buio. «Se c’era un altro al posto mio, rischiavi di fare la fine di tutte quelle che vengono stuprate nei film per la tv.» Adesso sono completamente sobria. Nel giro di due secondi, è come se non avessi bevuto nemmeno un goccio. Raddrizzo la schiena e trattengo il respiro, nervosa. Che cazzo mi è passato per la testa? «Tranquilla» fa lui con un tono dolce mentre alza le mani. «Non toccherei mai una ragazza senza il suo consenso, 65/915 nemmeno una che ha bevuto e pensa di sapere cosa vuole.» Mi sa che l’ho scampata proprio bella. In qualche modo mi rilasso e sento di poter respirare di nuovo. Certo, Blake potrebbe sempre cercare di riempirmi la testa di stronzate perché inizi a fidarmi di lui, ma l’istinto mi dice che è totalmente inoffensivo. Finché sono qui da sola con lui terrò alta la guardia e starò attenta, ma almeno mi sento tranquilla. Credo che se avesse voluto approfittarsi di me, non me l’avrebbe annunciato in quel modo. Ridacchio sottovoce, ripensando alle sue parole. «Ho detto qualcosa di buffo?» Blake mi guarda, in attesa. «Quella cosa sui film per la tv» rispondo, e sento le labbra aprirsi in un 66/915 sorriso impacciato. «Guardi quella roba?» Blake distoglie lo sguardo, anche lui in imbarazzo. «No, pensavo solo che fosse un paragone comune.» «Davvero?» lo prendo in giro. «Non so, sei il primo ragazzo che sento usare “film per la tv” in una frase.» Adesso è lui ad arrossire, e mi prenderei a calci per quanto mi piace vederlo così. «Non dirlo a nessuno, d’accordo?» E mette su un adorabile broncio. Rispondo con un sorriso, poi osservo le luci della città, sperando di smorzare qualunque aspettativa si sia fatto dopo il nostro breve scambio. Non mi importa quanto sia gentile, affascinante o sexy: non cederò. Non sono pronta per niente di più di questo, un’innocente e amichevole conversazione senza alcun 67/915 fine sessuale o sentimentale. È così difficile parlare con i ragazzi: pensano sempre che un sorriso significhi più di quello che è. «Allora, dài, dimmi» riprende Blake «come mai sei qui da sola?» «Oh, no…» Scuoto la testa e scrollo la mano. «… non parliamone.» «Dài, dammi un indizio. Stiamo solo chiacchierando.» Si gira del tutto verso di me e appoggia una gamba sul tavolo. «Voglio davvero saperlo. Non è una tattica.» «Una tattica?» «Sì, tipo scavare nei tuoi problemi e trovare qualcosa che poi fingo mi interessi per potermi infilare nelle tue mutandine… Se volessi una cosa del genere, te lo direi chiaro e tondo.» 68/915 «Ah, quindi non vuoi?» Lo guardo di sottecchi alzando un sopracciglio. Piegato ma non sconfitto, con un’espressione più dolce replica: «Certo, sì. Sarei un malato di mente se non volessi venire a letto con te. Ma se ti avessi portata qui solo per quel motivo, te l’avrei detto subito». Apprezzo la sua onestà e lo rispetto ancora di più, ma mi si congela il sorriso in faccia quando dice “solo per quel motivo”. Cos’altro vuole da me? Un appuntamento e poi magari una relazione? Mmm, no. «Senti, per tua informazione» dico, scostandomi un po’ e facendo in modo che lui se ne accorga «non sto cercando “altro”.» «Altro?» Poi capisce a cosa mi riferisco. Scuote la testa. «Va bene. Su questo siamo sulla stessa lunghezza 69/915 d’onda. Comunque ti ho portata qui solo per chiacchierare un po’, anche se può sembrarti assurdo.» Qualcosa mi dice che se avessi voluto fare sesso o desiderato che mi chiedesse di uscire insieme, oppure entrambe le cose, Blake sarebbe stato disponibile, ma ora sta facendo lentamente marcia indietro perché non sembri sia stata io a rifiutarlo. «E per rispondere alla tua domanda» continuo, solo per amore della conversazione «sono single perché ho avuto delle brutte esperienze e al momento non ho nessuna voglia di ricominciare da capo.» Blake annuisce. «Capisco.» Distoglie lo sguardo e la brezza gli scompiglia il ciuffo. «Ricominciare è terribile, almeno all’inizio. Tutta la fase in cui ci si conosce è un incubo.» Mi guarda di 70/915 nuovo, cercando le parole. «Dopo un po’ che stai con qualcuno ti ci abitui. Diventa comodo, mi capisci? E quando ci abituiamo alla comodità, provare a tirarcene fuori, anche se tutto il resto è un inferno e fa male, è come convincere un ciccione col culo appiccicato al divano a mettersi a dieta e a fare un giro.» Forse si è reso conto di essersi esposto troppo, e troppo presto, quindi cerca di sdrammatizzare. «Mi ci sono voluti tre mesi con Jen prima di riuscire ad andare in bagno con lei in casa.» Scoppio a ridere forte, e quando trovo il coraggio per guardarlo vedo che sta ridendo anche lui. Ho la sensazione che non abbia ancora superato la rottura con la sua ex, come invece vorrebbe farmi credere. Perciò decido di fargli un favore riportando il discorso su di me prima che gli venga 71/915 chissà quale illuminazione e il mondo gli rovini addosso un’altra volta. «Il mio ragazzo è morto» dico d’impulso, più per lui che per me. «Incidente d’auto.» Blake si fa serio e mi guarda, gli occhi pieni di rimorso. «Mi dispiace, non volevo…» Alzo una mano. «Tutto a posto, tu non c’entri.» Lui annuisce piano aspettando che io continui. «È successo una settimana prima del diploma.» Mi posa una mano sul ginocchio, ma so che è solo per confortarmi. Sto per raccontargli com’è successo, quando sento un bam! fortissimo e Blake cade giù dal tavolino, finendo steso sul pavimento. Succede tutto così in fretta che non mi accorgo subito che è Damon ad averlo sbattuto a terra. 72/915 «Damon!» urlo. Immobilizza Blake prima che riesca ad alzarsi e lo colpisce in faccia. «Damon, basta! Oddio!» Blake si prende un’altra pioggia di pugni, poi riesco a riprendermi e faccio di tutto per allontanare Damon da lui. Gli afferro i polsi da dietro, ma è così concentrato a massacrare di botte Blake che mi sembra di cavalcare un toro meccanico. Non riesco a fermarlo e finisco scaraventata sul cemento, sbattendo le mani e il sedere. Alla fine Blake colpisce Damon al viso e si rimette in piedi. «Che cazzo ti è preso?!» esclama Blake, vacillando. Continua a strofinarsi la mascella, come se cercasse di rimetterla a posto. Gli sanguina il naso e ha il labbro superiore spaccato e gonfio. Nella penombra, il sangue sembra nero. 73/915 «Lo sai benissimo, stronzo» ruggisce Damon e si lancia di nuovo sul barista. Io scatto in avanti e faccio il possibile per frenarlo. Mi metto davanti a lui e spingo i palmi contro il suo torace massiccio. «Piantala, Damon! Stavamo solo parlando! Cosa c’è?» Sto urlando così forte che la voce mi esce stridula, acuta. Mi giro, tenendo sempre le mani salde sul petto di Damon, e guardo Blake. «Mi dispiace tantissimo, Blake. Io…» «Non preoccuparti» risponde, con un’espressione dura. «Me ne vado.» Si volta ed esce dalla porta di metallo sbattendosela alle spalle. Guardo di nuovo Damon, con la rabbia negli occhi, e lo spintono all’indietro con tutta la forza che ho. «Che coglione! Non posso crederci!» Sto 74/915 letteralmente gridando a pochi centimetri dalla sua faccia. Damon stringe le labbra; sta ancora ansimando dopo la lotta. I suoi occhi scuri sono sgranati, furenti, feroci. Ho un sospetto, ma una parte di me, quella che lo conosce da dodici anni, lo scarta immediatamente. «Cosa ti è saltato in testa di andartene con un tizio che hai appena conosciuto? Pensavo che fossi più intelligente, Cam, anche da ubriaca!» Mi allontano da lui e incrocio le braccia al petto, furiosa. «Mi stai dicendo che sono una stupida? Stavamo solo parlando!» strillo, e mi finiscono i capelli sugli occhi. «So distinguere gli stronzi dai bravi ragazzi. Adesso, per esempio, davanti a me vedo un grandissimo stronzo!» 75/915 Damon digrigna i denti. «Chiamami come ti pare, ti stavo solo proteggendo.» Il suo tono è sorprendentemente calmo. «Da cosa?» grido. «Da una conversazione noiosa? Da un ragazzo che voleva solo chiacchierare?» Damon mi fa una smorfia. «I ragazzi non vogliono mai “solo chiacchierare”» ribatte, come se fosse un esperto in materia. «Soprattutto non con una come te, e non sul tetto di un cazzo di magazzino. Ancora dieci minuti e ti avrebbe sbattuta sul tavolo. Nessuno ti avrebbe sentito urlare, Cam.» Mando giù il nodo che sento in gola, ma subito ne arriva un altro. Forse Damon ha ragione. Forse ero così accecata dalla sincerità di Blake, da quella sua aria ferita, che ho ceduto a una tattica che non avevo minimamente 76/915 considerato. Certo, ho visto in televisione cose del genere, ma magari il piano di Blake era un po’ diverso… No, non ci credo. Il cuore mi dice che mi avrebbe sbattuta sul tavolino da picnic solo se gliel’avessi chiesto, altrimenti non si sarebbe permesso. Volto le spalle a Damon: non voglio che legga sul mio viso che per un secondo gli ho quasi creduto. Sono incazzatissima per come si è comportato, ma non posso restare arrabbiata con lui all’infinito, perché lo so che stava solo cercando di proteggermi. È un maschio alfa sovraccarico di testosterone, senza dubbio, però voleva davvero difendermi. «Cam, guardami, per favore.» Aspetto qualche secondo, in segno di sfida, poi mi volto con le braccia ancora incrociate. 77/915 Lui mi scruta con un’espressione più dolce. «Scusami, è che…» Sospira e distoglie lo sguardo, come se non potesse dire quello che sta per dire guardandomi in faccia. «Camryn, non riesco a sopportare l’idea di te con un altro.» Mi sento come se mi avessero dato un pugno nello stomaco. Mi sfugge uno strano gemito e sgrano gli occhi. Nervosa, osservo la porta e poi lui. «Dov’è Natalie?» Devo cambiare argomento. Che cavolo ha detto? No, non può essere. Ho sentito male. Sì, sono di nuovo sbronza e non riesco a pensare. Damon si avvicina e mi prende per le braccia. Sento il bisogno di arretrare all’istante, ma sono paralizzata; riesco a muovere soltanto gli occhi. «Parlavo sul serio» aggiunge, abbassando la voce in un sussurro disperato. 78/915 «Ti desidero dal primo anno delle superiori.» Un altro pugno nello stomaco. Alla fine riesco ad allontanarmi da lui. «No. No.» Scuoto la testa, cercando di capirci qualcosa. «Sei ubriaco, Damon? Sei fatto? Tu non stai bene.» Alzo le mani. «Dobbiamo andare a cercare Natalie. Non le dirò niente, tanto domattina non ricorderai nulla. Però dobbiamo andare. Subito.» Mi incammino verso la porta, poi sento la mano di Damon sul braccio; mi fa voltare. Mi si mozza il respiro e quel sospetto di prima ritorna prepotente, ribaltando completamente l’idea che ho sempre avuto di Damon, la fiducia che ripongo in lui. Mi fissa con uno sguardo ancora più feroce di prima, misto però a una dolcezza inquietante. 79/915 «Non sono ubriaco ed è una settimana che non sniffo.» Il fatto stesso che consumi cocaina è un motivo più che sufficiente per non essere mai stata attratta da lui, ma è uno dei miei più cari amici e quindi ci sono sempre passata sopra. Adesso però mi sta dicendo la verità, e lo so proprio perché abbiamo un rapporto così stretto. Per la prima volta vorrei che fosse fatto, perché allora potremmo fingere che questo non sia mai accaduto. Abbasso lo sguardo sulle sue dita strette attorno al mio braccio e mi accorgo di quanto sia forte la sua presa. La cosa mi spaventa. «Lasciami, Damon, per favore.» Invece di allentare, mi stringe ancora di più. Provo a divincolarmi, ma lui mi tira a sé e, prima che io possa reagire, 80/915 preme la bocca sulla mia e con la mano libera mi afferra il collo per bloccarmi la testa. Prova a infilarmi la lingua in bocca, ma riesco a dargli una testata sulla fronte. Lui rimane intontito – e anch’io – e d’istinto mi lascia andare. «Cam! Aspetta!» lo sento gridare dietro di me mentre corro via. Avverto i suoi passi pesanti alle mie spalle, ma raggiungo il montacarichi e riesco a seminarlo. Chiudo le porte e premo il pulsante. All’uscita del locale trovo lo stesso orco che ci aveva fatto entrare; per passare devo spingerlo via. «Piano, ragazzina!» urla. Continuo a correre sul marciapiede, allontanandomi dal magazzino. Raggiungo un distributore e chiamo un taxi per tornare a casa. 4 Il mattino dopo mi sveglia il cellulare. Lo sento vibrare sul comodino vicino alla testa. Sul display leggo NATALIE e vedo il suo sorrisone, i suoi occhioni che mi guardano. Quando inizio a immaginare la sua faccia mi sveglio del tutto; mi sollevo e mi metto seduta. Lascio squillare il telefono per qualche altro secondo prima di trovare il coraggio di rispondere. «Dove ti sei cacciata?» mi strilla Natalie nell’orecchio. «Oh mio Dio, Cam, sei sparita, io ero fuori di testa… 82/915 poi è sparito anche Damon e dopo un po’ è ricomparso. Ho visto Blake andarsene a un certo punto e aveva tutta la faccia insanguinata e ho capito perché dicevi che Damon era arrabbiato…» Si ferma per prendere fiato. «Ho continuato a chiedergli se avevo fatto o detto qualcosa di male, se era per la settimana scorsa al ristorante, ma lui mi ha ignorato e ha detto che era ora di andare e io…» «Natalie» la interrompo. Mi gira la testa da quanto parla in fretta. «Calmati per un secondo, okay?» Scosto la coperta e scendo dal letto, il cellulare sempre incollato all’orecchio. So che devo farlo, so che devo raccontarle di Damon. Non soltanto perché se poi lo scoprisse da sola non mi perdonerebbe mai, ma anche perché io 83/915 stessa non mi perdonerei mai. Al suo posto, vorrei che me lo dicesse. Ma non al telefono. È una questione da discutere di persona. «Ci possiamo vedere tra un’ora per un caffè?» Silenzio. «Uh, d’accordo, certo. Sicura di stare bene? Ero così preoccupata. Pensavo che ti avessero rapita…» «Natalie, sì, io…» No, decisamente non sto bene. «Sì, sto bene. Ci vediamo fra un’ora e, per favore, vieni da sola.» «Damon è svenuto a casa sua» dice lei, e dal tono sono sicura che sta sorridendo. «Amica mia, ieri notte mi ha fatto cose di cui non lo credevo nemmeno capace.» Le sue parole mi fanno rabbrividire. Sono come creature urlanti che 84/915 inveiscono contro di me all’altro capo del telefono, ma devo fingere che siano soltanto parole. «Cioè, finché non ho saputo che stavi bene non riuscivo neanche a pensare al sesso. Non rispondevi al telefono, così ho chiamato tua madre tipo alle tre e lei mi ha detto che dormivi nel tuo letto. Ero così preoccupata, sei sparita e…» «Tra un’ora» la interrompo prima che parta per la tangente. Riattacco e, come prima cosa, controllo le chiamate perse. Sei sono di Natalie, ma le altre nove sono di Damon. Solo Natalie mi ha lasciato dei messaggi, però. Immagino che Damon non volesse lasciare nessuna prova. Non che mi serva una prova. Natalie e io siamo migliori amiche da quando quella stronza mi ha rubato la mia 85/915 Barbie Magie di Velluto a un pigiama party. Non riesco a stare ferma e ho già bevuto più di metà del mio latte quando finalmente Natalie si presenta e prende posto sulla sedia vuota davanti a me. Vorrei che non sorridesse così tanto: rende tutto più difficile. «Hai un aspetto orribile, Cam.» «Lo so.» Lei batte le palpebre, sorpresa. «Cosa? Nessun “grazie” sarcastico? Niente occhi al cielo?» Per favore, smetti di sorridere, Nat. Ti prego, per una volta accorgiti che non sto scherzando e resta seria anche tu. Ovviamente non lo fa. «Senti, vado dritta al punto, okay?» 86/915 Ecco, finalmente il sorriso comincia a svanire. Deglutisco e faccio un bel respiro. Dio, non ci credo che sta succedendo davvero. Se si trattasse di uno di quei tizi con cui Natalie è uscita durante una delle pause con Damon non sarebbe così difficile. Ma qui si tratta di Damon, il ragazzo con cui sta da cinque anni, quello da cui torna sempre dopo ogni litigata. L’unico di cui si sia mai innamorata sul serio. «Cam, cosa c’è?» Inizia a percepire la gravità della situazione e vedo nei suoi occhi che si sta chiedendo se lo vuole sapere oppure no. Credo abbia intuito che c’entra Damon. Vedo il nodo che ha in gola andare giù. «Ieri sera ero con Blake sul tetto…» 87/915 D’un tratto il suo volto, prima preoccupato, si distende. È come se cercasse un pretesto per cambiare discorso, per evitare quello che le sto per dire. Ma io la interrompo prima che possa parlare. «Ascoltami per un minuto, va bene?» Alla fine ce l’ho fatta. Adesso mi fissa con attenzione. Riprendo. «Damon pensava che Blake mi avesse portato lì per approfittarsi di me. È arrivato come una furia e l’ha picchiato. Di brutto. Poi ovviamente Blake se n’è andato incazzato e siamo rimasti io e Damon. Soli.» Gli occhi di Natalie tradiscono le sue paure. Sembra sapere il resto e già mi odia. «Damon ci ha provato con me, Nat.» Lei abbassa lo sguardo. 88/915 «Mi ha baciata e mi ha detto che è dal primo anno delle superiori che prova qualcosa per me.» Da come respira – brevi ansimi pesanti – scommetto che le batte forte il cuore. «Volevo dirtelo…» «Sei una stronza bugiarda.» Un altro pugno allo stomaco, solo che stavolta mi mozza il fiato. Natalie si alza in piedi, mette la borsa in spalla e mi guarda con gli occhi scuri pieni di rabbia. Non riesco ancora a muovermi, stordita dalle sue parole. «Ti vuoi fare Damon da quando ho iniziato a uscire con lui» sibila. «Credi che in tutti questi anni non mi sia accorta di come lo guardi? Cazzo, Camryn, stai sempre dalla sua parte e mi rompi le palle ogni volta che 89/915 scherzo sugli altri ragazzi.» Comincia ad agitare le mani imitandomi con una voce esageratamente nasale: «“Hai un ragazzo, Nat. Non dimenticarti di Damon, Nat. Dovresti pensare a Damon, Nat”.» Sbatte il palmo sul tavolo, che oscilla pericolosamente. Non provo nemmeno ad afferrare il mio bicchiere. «Sta’ lontana da me e da Damon.» Mi punta il dito in faccia. «O giuro su Dio che ti gonfio di botte.» Si alza ed esce dalle porte di vetro della caffetteria; il tintinnio della campanella rimbomba nel locale. Quando finalmente mi riprendo, mi accorgo che tre clienti mi stanno fissando. Persino la barista dietro il bancone abbassa gli occhi quando incrocio il suo sguardo. Ho la vista annebbiata, le venature del legno del tavolo sembrano muoversi. Mi prendo la 90/915 testa tra le mani e resto immobile, non so per quanto. Per due volte sono lì lì per chiamarla, poi però mi impongo di non farlo e riappoggio il telefono. Com’è possibile? Siamo state inseparabili per anni – sono stata io a pulire il suo vomito quando si è presa un virus allo stomaco, santo cielo – e adesso mi butta via così, come un avanzo di cibo andato a male. Sta solo soffrendo, provo a dirmi. È in una fase di negazione; devo solo lasciarle il tempo di assimilare la verità. Poi tornerà, scaricherà quello stronzo, mi chiederà scusa e mi porterà di nuovo all’Underground a cercare un nuovo ragazzo per entrambe. Ma non ci credo davvero, o, piuttosto, la parte meno razionale di me, quella ferita, non vuole farmi vedere al di là della rabbia. 91/915 Un cliente – un uomo anziano, alto e con un completo sgualcito – mi passa accanto e mi lancia un’occhiata prima di uscire. Sono mortificata. Mi guardo intorno di nuovo e sorprendo gli stessi occhi di prima che mi fissano. Mi sento compatita. E non mi piace. Afferro la borsa da terra, mi alzo ed esco a lunghi passi con lo stesso fare indignato di Natalie. È passata una settimana e ancora non si è fatta sentire. Alla fine ho ceduto e l’ho chiamata – diverse volte –, ma scatta sempre la segreteria. L’ultima volta che ho provato, aveva cambiato la frase registrata. Diceva: Ciao, sono Nat. Se sei un amico, un vero amico, allora lasciami un messaggio e ti richiamerò. Altrimenti non insistere. Avrei voluto infilarmi nel telefono e darle un pugno in faccia, ma mi sono 92/915 dovuta accontentare di scagliarlo lontano. Per fortuna ho comprato la custodia protettiva insieme al cellulare, altrimenti a quest’ora sarei in un Apple Store a sganciare altri duecento dollari per comprarne uno nuovo. Ho persino provato a chiamare Damon. È l’ultima persona al mondo che avrei voglia di sentire, ma è lui ad avere in mano la mia amicizia con Natalie. Triste ma vero. Non so cosa pensavo. Che lui si sarebbe immolato e avrebbe detto a Natalie la verità? Già, molto improbabile. Alla fine mi sono arresa. Ho evitato di proposito la nostra caffetteria preferita e ho dovuto adattarmi alla brodaglia del minimarket più vicino; poi, solo per non passare davanti a casa di Natalie, ho allungato di tre chilometri la strada 93/915 per andare al colloquio di lavoro da Dillard. Ho avuto il posto. Vicedirettrice (mia madre ha messo una buona parola per me: è molto amica della signora Phillips, la persona che mi ha assunto), ma sono entusiasta di lavorare in un grande magazzino quanto di bere quello schifosissimo caffè ogni mattina. E mentre sono al tavolo della cucina e guardo mia madre con i suoi capelli biondi tinti che apre il frigorifero, mi colpisce un pensiero: non andrò più a vivere con la mia migliore amica. O mi trovo un appartamento per conto mio, oppure sarò bloccata qui con mia madre per un bel po’, almeno finché Natalie non sarà rinsavita. Cosa che potrebbe anche non succedere mai. Oppure ci vorrà talmente tanto tempo che io diventerò spietata e, quando ci 94/915 ripenserà, le dirò di andare a farsi fottere. Mi gira la testa. «Stasera esco con Roger» dice mia madre da dietro la porta del frigo. Si volta e mi guarda. Si è messa troppo ombretto. «Hai conosciuto Roger, vero?» «Sì, l’ho conosciuto.» Veramente no… o forse sì. È che lo confondo con gli ultimi cinque uomini con cui mamma è uscita nell’ultimo mese. Si è iscritta alle serate di speed-date. E nel suo caso è letterale, perché passa da un uomo all’altro alla velocità della luce. «È carino. Siamo al terzo appuntamento.» Mi sforzo di sorridere. Voglio davvero che lei sia felice, anche se questo significa un altro matrimonio, una prospettiva che mi spaventa a morte. Adoro 95/915 mio padre, ma quello che ha fatto alla mamma è imperdonabile. Dopo il divorzio, quattro mesi fa, mia madre è diventata questa donna strana che ormai stento a riconoscere. È come se da un armadio rimasto chiuso per trent’anni avesse tirato fuori la personalità che indossava prima di conoscere mio padre e avere me e mio fratello Cole. Solo che ora questa personalità non le si addice più, e, nonostante tutto, lei la vuole indossare comunque. «Mi ha già proposto una crociera.» Le si illumina il viso al solo pensiero. Chiudo il portatile. «Non credi che tre appuntamenti siano un po’ pochi?» Lei stringe le labbra e liquida la mia obiezione con un gesto. «No, tesoro. Roger è pieno di soldi, per lui è normale quanto portarmi a cena fuori.» 96/915 Distolgo lo sguardo e sbocconcello il sandwich che mi sono preparata, anche se non ho per niente fame. Mamma sfreccia da una parte all’altra della cucina fingendo di riordinare. Di solito viene una signora il mercoledì, ma, quando è in programma la visita di un uomo, passa uno strofinaccio sul bancone e spruzza un deodorante per ambienti in tutta la casa. Lei lo chiama “pulire”. «Non dimenticarti di sabato» mi dice, iniziando a caricare la lavastoviglie. Una novità. «Sì, lo so, mamma.» Sospiro e scuoto la testa. «Ma forse non riesco, magari facciamo un’altra volta.» Lei raddrizza la schiena e mi guarda dritto in faccia. «Tesoro, avevi promesso che saresti venuta» replica esasperata, 97/915 tamburellando le unghie sul bancone. «Lo sai che non mi piace andare da sola in prigione.» «È una prigione.» Raccolgo delle briciole di pane e le metto nel piatto. «Non possono farti niente. Sono chiusi in cella, come Cole. E sono lì per gli errori che hanno commesso.» Mia madre abbassa lo sguardo e immediatamente il senso di colpa mi serra lo stomaco. Sospiro. «Scusami, non volevo.» Volevo eccome, solo non volevo dirlo a voce alta e soprattutto non a lei. So di ferirla ogni volta che parlo di mio fratello maggiore e della sua condanna a cinque anni per avere ucciso un uomo mentre guidava ubriaco. È successo solo sei mesi dopo la morte di Ian. Mi sembra di perdere tutti, uno alla volta… 98/915 Mi alzo da tavola e mia madre ricomincia a caricare la lavastoviglie. «Vengo con te, okay?» Lei abbozza un sorriso, in parte ancora nascosto da una sottile patina di risentimento, e annuisce. «Grazie, tesoro.» Mi dispiace per lei. Mi spezza il cuore sapere che mio padre l’ha tradita dopo ventidue anni di matrimonio. Ma l’avevamo previsto tutti. Ora che ci penso, i miei hanno cercato di allontanarmi da Ian, quando, a sedici anni, ho confessato a mia madre che ci eravamo innamorati. I genitori hanno questa idea distorta che, sotto i venti, non si può sapere cosa sia davvero l’amore. Come se si potesse stabilire l’età giusta per legge, come con gli alcolici. I genitori pensano 99/915 che lo “sviluppo emotivo” degli adolescenti non sia ancora completo e che dunque non capiscano se ciò che provano è “reale” o no. È una gran stupidaggine. La verità è che gli adulti amano in modi diversi, non nell’unico modo possibile. Io amavo Ian nel presente, per il modo in cui mi guardava, perché mi faceva sentire le farfalle nello stomaco, perché mi aveva tenuto indietro i capelli una volta che avevo vomitato l’anima per colpa di una enchilada avariata. Questo è amore. Voglio bene ai miei genitori, ma anche molto prima del divorzio, se mia madre stava male, al massimo mio padre le portava del Plasil e mentre usciva dalla stanza le chiedeva dove fosse il telecomando. 100/915 Vabbè. Forse a un certo punto i miei devono aver sbagliato qualcosa con me perché, per quanto li consideri delle brave persone, per quanto hanno fatto per me e gli sia affezionata, sono cresciuta nel terrore di finire come loro: infelice e costretta a fingere di avere una vita meravigliosa, con due figli, un cane e uno steccato bianco. Ma io sapevo che in realtà dormivano dandosi le spalle. Sapevo che spesso mia madre si chiedeva come sarebbe stata la sua vita se fosse stata con quel ragazzo delle superiori di cui era segretamente “innamorata” (ho letto il suo diario e so tutto di lui). E so anche che mio padre – prima di tradire la mamma con lei – pensava molto a Rosanne Hartman, la ragazza con cui era andato al ballo della scuola (e il suo primo amore), che vive ancora nella stessa casa sulla Wiltshire. 101/915 Se c’è qualcuno che ha una visione distorta di come funziona l’amore, di cosa sia il vero amore, sono proprio gli adulti. Ian e io non abbiamo fatto sesso la notte in cui ho perso la verginità, abbiamo fatto l’amore. Pensavo che non avrei mai pronunciato queste due parole insieme, “fare l’amore”: mi sono sempre sembrate melense, un’espressione da grandi. Sbuffavo quando le sentivo in bocca a qualcuno, oppure quando dall’autoradio di mio padre, sempre sintonizzata su una stazione di rock classico, sentivo Feel Like Makin’ Love. Però ora quelle due parole posso pronunciarle, perché è esattamente ciò che è successo. 102/915 Ed è stato magico, meraviglioso, fantastico e niente reggerà mai il confronto. Mai. Alla fine sabato ho accompagnato mia madre a trovare Cole in prigione. Non gli ho parlato molto, come al solito. E come al solito Cole mi ha ignorato. Non lo fa apposta; è come se avesse paura di rivolgermi la parola perché sa che sono ancora arrabbiata, ferita, delusa da quello che ha fatto. Non è uno di quei casi archiviabili come “tragico incidente”: Cole era un alcolista ancora prima di compiere diciotto anni, la pecora nera della famiglia. Era un piccolo bastardo viziato, cresciuto in riformatorio, capace solo di sparire per settimane per fare quel cavolo che gli pareva, facendo preoccupare a morte i nostri genitori. Ha sempre pensato soltanto a se stesso. 103/915 Il lunedì successivo è stato il mio primo giorno da vicedirettrice. Sono contenta di avere un lavoro – non voglio dipendere da mio padre per il resto della vita –, eppure, mentre sono lì con un tailleur pantaloni nero, una camicia bianca e i tacchi, mi sento del tutto fuori posto. Non è solo per i vestiti, è che… non dovrei essere lì. Non posso metterci la mano sul fuoco, ma quando mi sveglio, mi vesto ed entro in quel grande magazzino, un tarlo scava in un angolo remoto della mia coscienza. Sento una voce, non riesco a capire bene le parole, ma mi pare dica: Questa è la tua vita, Camryn Bennett. Questa è la tua vita. Poi guardo i clienti che entrano e non vedo altro che volti sprezzanti con borse costose che comprano cose inutili. 104/915 E allora mi accorgo che qualunque cosa faccia il risultato è sempre lo stesso: Questa è la tua vita, Camryn Bennett. Questa è la tua vita. 5 Poi ieri è cambiato tutto. Quel tarlo nella mente mi ha costretta ad alzarmi e l’ho fatto. Mi ha ordinato di mettermi le scarpe, preparare un piccolo bagaglio e prendere la borsa. E l’ho fatto. Non c’era nessuna logica né uno scopo preciso. Sapevo solo che dovevo fare qualcosa di diverso, o non sarei stata capace di superare quel momento. Oppure sarei finita come i miei genitori. 106/915 Ho sempre pensato che la depressione sia sopravvalutata e che la gente abusi di questa parola (un po’ come “lesbica”, che non userò mai più con un ragazzo finché avrò vita). Alle superiori, le ragazze parlavano spesso di quanto fossero “depresse” e raccontavano che le loro madri le avevano portate da uno strizzacervelli per farsi prescrivere delle medicine; poi si raccoglievano tutte in gruppo per decidere quali pillole provare. Per me depressione ha sempre significato solo tre parole: tristezza, tristezza e tristezza. Quando vedo quelle stupide pubblicità con degli omini tipo cartone animato che se ne vanno in giro tutti avviliti con una nuvoletta nera carica di pioggia sopra la testa, penso che si stia davvero esagerando. Io provo compassione per il prossimo. Da sempre. Non mi piace veder soffrire le persone, ma ammetto 107/915 che quando sento qualcuno giocarsi la carta della depressione, alzo gli occhi al cielo e tiro dritto per la mia strada. Non sapevo che fosse una malattia seria. Quelle ragazze a scuola non avevano idea di cosa significa davvero essere depressi. Non c’entra solo la tristezza. Anzi, la tristezza c’entra poco. La depressione è il dolore nella sua forma più pura. Io per esempio farei di tutto per essere capace di provare di nuovo un’emozione. Una qualsiasi. Il dolore fa male, ma quando è talmente potente da annullare qualsiasi altra sensazione, ecco, in quel momento inizi a credere che stai per impazzire. Mi dà immensamente fastidio pensare che l’ultima volta che ho pianto è stata a scuola, quando ho scoperto che Ian era morto. Ho pianto 108/915 tra le braccia di Damon. Proprio di Damon, tra tutti. Comunque, quella è stata l’ultima volta in cui ho versato una lacrima, ed è successo più di un anno fa. Dopo non ci sono più riuscita. Non ho pianto per il divorzio dei miei, per la condanna di Cole, per la confessione di Damon o quando Natalie mi ha pugnalato alle spalle. Continuo a pensare che prima o poi crollerò a singhiozzare con il viso affondato nel cuscino. Potrei persino vomitare, da quanto piangerò. Ma quel pianto non arriva mai, e ancora non provo alcuna emozione. A parte questo desiderio di scrollarmi di dosso tutto quanto. Quel tarlo, per quanto piccolo e lontano, mi costringe a obbedire. Non so perché, non so spiegarlo, ma è lì e non posso fare a meno di ascoltarlo. 109/915 Ho passato quasi tutta la notte alla stazione degli autobus, ad aspettare che mi dicesse cosa fare. Poi sono andata alla biglietteria. «Desidera?» mi ha detto la donna con tono indifferente. Ci ho pensato su un momento e ho risposto: «Vado a trovare mia sorella in Idaho. Ha appena avuto un bambino». Non ho una sorella e non sono mai stata in Idaho, ma è la prima bugia che mi è venuta in mente. E poi quella donna stava mangiando una patata, che è il simbolo dell’Idaho. Se ne stava lì dietro il vetro con la sua patata e un cartoccio di alluminio pieno di burro e panna acida. Insomma, è naturale che abbia pensato all’Idaho. Comunque, non importa dove andrò, non mi interessa. 110/915 Ho pensato: “Appena arrivo in Idaho compro un altro biglietto per andare più lontano”. Magari in California. O nello stato di Washington. O forse andrò verso sud a vedere com’è il Texas. Me lo sono sempre immaginato come un’immensa distesa di polvere, bar lungo le strade e cappelli da cowboy. E poi i texani dovrebbero essere dei tipi cazzuti. Magari mi prenderanno a calci con i loro stivaloni di cuoio e mi faranno sputare fuori questo schifo che ho dentro. Tanto non sentirò niente. Io non sento più niente, ricordate? Questo è successo ieri, quando ho deciso di alzarmi e partire, di liberarmi di tutto. Ho sempre desiderato farlo, ma non pensavo che sarebbe andata così. Prima che morisse, Ian e io avevamo fatto un sacco di progetti. Volevamo 111/915 una vita fuori dagli schemi, lontana dalla routine di chi si sveglia tutte le mattine alla stessa ora e fa sempre le stesse cose. Volevamo girare il mondo con lo zaino in spalla. Ecco perché tempo fa in caffetteria ne avevo parlato con Natalie: forse una parte di me sperava che si sarebbe entusiasmata all’idea e sarebbe partita con me, ma poi, come sempre, non è andata a finire come mi aspettavo. «Ti dispiace se mi siedo qui?» mi chiede una signora anziana sull’autobus. Ha una borsa verde acido che stringe contro il petto. «No, prego» rispondo con un mezzo sorriso. Non ho nessuna voglia di sorridere, ma ci manca solo che mi prenda per una giovane inquieta e bisognosa di consigli. 112/915 Sistema il bagaglio sul ripiano sopra il sedile e si mette accanto a me. È bella robusta, ma si muove con agilità. E poi ha un buon profumo. «Mi sembri molto giovane» dice. «Dove stai andando?» «Idaho.» «Davvero?» La signora mi sorride, rivelando delle rughe profonde attorno alla bocca. «Hai qualche parente lì? Credo che nessuno andrebbe in Idaho in vacanza.» «Sì, vado a trovare mia sorella.» Lei annuisce come per registrare la mia risposta e passare ad altro, dopodiché inizia a rovistare nella borsa. Guardo oltre il grande finestrino di plexiglas e vedo i passeggeri salire e scendere dagli altri autobus. È mezzogiorno e sono a Memphis. Ho 113/915 dormito per quasi tutto il viaggio. Be’, dormito… Ho sonnecchiato finché non mi svegliavano una buca sulla strada, il collo indolenzito o il mal di schiena. Non sono mai stata a Memphis, ma devo ammettere che quella stazione mi rende un po’ nervosa. Ho visto aggirarsi alcune facce poco raccomandabili. «Io invece sto andando nel Montana» continua la donna, mettendosi una pillolina bianca sulla lingua. «Di solito prendo il treno, ma questa volta ho deciso di fare una strada diversa. Per cambiare paesaggio.» «Viaggia molto?» chiedo, guardandola di sottecchi. «Non così tanto. Solo una volta all’anno, quando vado a trovare mia madre. Ha novantotto anni.» «Wow.» 114/915 «Già, ed è forte come un toro. Ha avuto il cancro cinque volte eppure è ancora qui. Lo sconfigge sempre.» Le sorrido con calore. «Se non ti offendi…» Sistema meglio la schiena contro il sedile e appoggia la testa. «Ho bisogno di fare un riposino. Non ho dormito per niente sull’ultimo autobus, l’autista continuava a sterzare all’improvviso.» Agita l’indice. «Tu sta’ attenta, però. Si fanno brutti incontri in viaggio, e spesso gli autisti sono in debito di sonno. Tienili d’occhio, parla con loro e aiutali a restare svegli, o ti ritroverai contro un guardrail tra le lamiere accartocciate.» Doveva proprio dirlo? Cerco di ricacciare indietro il ricordo dell’incidente di Ian, la cui dinamica somigliava fin troppo alla descrizione fatta dalla signora. Mi limito ad annuire. 115/915 Lei chiude gli occhi, poi però li riapre subito e mi guarda. «Ma è agli estranei che devi stare più attenta. Non sai mai chi potresti incontrare, o cosa il destino abbia in serbo per te.» «Lo terrò a mente» rispondo. «Grazie.» In un attimo il Tennessee sfila via oltre il finestrino. Scende la notte e alla fine mi addormento anch’io. Non sogno. È dalla morte di Ian che non mi capita più, ma forse è meglio così. Se sognassi potrei provare delle emozioni, e non ne voglio più sapere. Sto cominciando ad abituarmi al fatto che non mi frega più di niente. Fatta eccezione per i loschi figuri che popolano le stazioni degli autobus, ormai non ho paura di nulla. Immagino che quando non te ne frega un cazzo di niente e di nessuno, 116/915 diventi così stronza che neppure la paura ti ferma. Non ho nemmeno mai detto così tante parolacce. La mia strada e quella della signora si dividono a St. Louis, e io proseguo per il Kansas con due sedili tutti per me; riesco persino a sistemarmi in una posizione quasi orizzontale, invece di stare seduta con la schiena dritta e la faccia schiacciata contro il finestrino. Fuori, tutto sembra uguale. Tra casa mia e il Missouri cambiano solo le targhe e i cartelli che danno il benvenuto nei diversi Stati; per il resto, ci sono solo alberi e autostrada. Ovunque c’è una macchina in panne sul bordo della carreggiata. Vedo sempre un autostoppista e un ragazzo con una canottiera bianca e una tanica di gasolio, diretto all’uscita più vicina dove si concentrano 117/915 tutte le stazioni di servizio e i fast food. E sul ciglio della strada c’è sempre – sempre – una scarpa. Proprio non me lo spiego. Mai visto un paio di pantaloni o una camicia, molto raramente un cappello e di tanto in tanto degli occhiali da sole. Ma la scarpa spaiata c’è sempre. Perché? Viaggiare in autobus è come essere catapultati in un altro mondo. Tutti sanno che, una volta saliti, dovranno stare lì per un po’. Per un bel po’. È pienissimo. Di solito i passeggeri sono così stipati che si riesce a sentire ogni odore o deodorante possibili, il profumo del detersivo e dell’ammorbidente che la gente usa. E sfortunatamente si sente anche il puzzo di chi non usa né profumo né deodorante, e che di sicuro indossa vestiti non lavati da giorni. 118/915 Finora il viaggio non è stato troppo stancante. Mi infastidisce solo dover dividere lo spazio con qualcuno. La mia coincidenza è in ritardo di due ore, così, in una non troppo affollata stazione degli autobus del Kansas, mi metto a cercare una sedia. Quei posti hanno tutti lo stesso odore, per lo più una puzza opprimente di carburante che comincia a darmi un po’ la nausea. Cambio posizione sulla durissima poltroncina di plastica nel tentativo di stare più comoda, ma è inutile. Vedo due cabine telefoniche e per un momento penso a quanto siano ormai obsolete. D’istinto tasto la borsa per assicurarmi che il cellulare ci sia ancora. Le due ore di ritardo si trascinano all’infinito, e, quando finalmente il mio autobus arriva, sono tra i primi ad 119/915 alzarmi e a mettermi in fila. Almeno i sedili sono imbottiti… L’autista, vestito di blu e grigio scuro dalla testa ai piedi, prende il mio biglietto e lo strappa a metà restituendomi la ricevuta. La metto al sicuro nella borsa e salgo sull’autobus, guardando entrambe le file per trovare il posto perfetto. Ne scelgo uno accanto al finestrino, verso il fondo, e appena mi lascio cadere sul sedile mi sento meglio. Sospiro e stringo la borsa contro la pancia, incrociandovi le braccia sopra. Ci vogliono più di dieci minuti perché il conducente sia soddisfatto del numero di passeggeri. Questa volta siamo in pochi e, per fortuna, non ci sono né bambini urlanti né coppiette odiose che non si fanno problemi a pomiciare davanti a tutti. Non ho niente contro i baci in pubblico – con Ian lo facevamo sempre –, ma quando la cosa sfiora 120/915 pericolosamente il porno, allora è un po’ troppo. L’autista chiude le porte, poi tira di nuovo la leva e le riapre. Sale un ragazzo con una sacca nera a tracolla. Alto, capelli castani corti, maglietta blu aderente e un sorriso sghembo che potrebbe essere di sincera cortesia, oppure tradire una certa strafottenza. «Grazie» dice al conducente con la stessa nonchalance. Anche se l’autobus è pieno di posti liberi, metto comunque la borsa sul sedile accanto al mio, nel caso il tizio decida che è quello perfetto per lui. È improbabile, lo so, ma sono convinta che sia sempre meglio prevenire. Le porte si chiudono e il ragazzo avanza verso di me. Abbasso lo sguardo su un giornale che ho trovato in stazione e 121/915 inizio a leggere gli ultimi pettegolezzi sulle nozze di Brad e Angelina. Tiro un sospiro di sollievo quando lui passa oltre e si siede dietro di me. Finalmente un autobus mezzo vuoto su cui forse riuscirò a dormire. Ne ho davvero bisogno. Più sto sveglia, più penso a tutte le cose a cui non vorrei pensare. Non so cosa sto facendo né dove sto andando, ma di sicuro so che voglio fare qualcosa e arrivare presto, dovunque sia diretta. Mi appisolo dopo aver guardato fuori dal finestrino per un’ora. A un certo punto, quando fuori è già buio, mi sveglio sentendo una musica forte che esce da un auricolare alle mie spalle. In un primo momento sto ferma, sperando che si accorga di avermi disturbata e decida di abbassare il volume. 122/915 Ma non lo fa. Mi massaggio un muscolo indolenzito del collo e mi volto verso il ragazzo. Sta dormendo? Come si fa a dormire con un frastuono del genere nelle orecchie? L’autobus è buio, eccetto qualche luce fioca che illumina un libro o un giornale e i led blu del cruscotto. Il ragazzo dietro di me è quasi completamente avvolto nell’oscurità, solo una parte del viso è rischiarata dalla luna. Lo osservo per un istante, poi mi inginocchio sul sedile, mi sporgo e gli scuoto una gamba. Non si muove. Scuoto più forte. Lui si sgranchisce e apre piano gli occhi; mi vede appoggiata allo schienale. Si toglie le cuffie dalle orecchie e la musica prorompe dai piccoli auricolari. «Ti dispiace abbassare un po’?» «Riesci a sentire?» mi chiede. 123/915 Alzo un sopracciglio e dico: «Mmm, sì. È un po’ alto». Lui scrolla le spalle e preme il tasto del volume dell’mp3. La musica sfuma. «Grazie» rispondo, e scivolo di nuovo giù al mio posto. Questa volta non mi stendo in posizione fetale tra i due sedili, ma decido di appoggiare la testa al finestrino; incrocio le braccia e abbasso le palpebre. «Ehi.» Apro gli occhi di scatto, ma non muovo la testa. «Ti sei già riaddormentata?» Scosto la testa dal finestrino e vedo il ragazzo che incombe su di me da sopra lo schienale. «Ho appena chiuso gli occhi» ribatto. «Come facevo a essermi già addormentata?» 124/915 «Be’, non lo so» sussurra lui. «Mio nonno riesce a dormire due secondi dopo aver abbassato le palpebre.» «Soffre di narcolessia?» Una pausa. «Non che io sappia.» Wow, imbarazzante. «Cosa vuoi?» chiedo, sussurrando come ha fatto lui. «Niente. Volevo solo sapere se stavi già dormendo.» «Perché?» «Così posso alzare il volume.» Ci penso su un secondo, e mi giro in modo da poterlo vedere meglio. «Vuoi aspettare che mi riaddormenti per alzare il volume, così poi mi svegli di nuovo?» Questa proprio non riesco a capirla. Mi fa un sorriso sghembo. 125/915 «Hai dormito per tre ore senza mai svegliarti» dice. «Quindi non credo sia stata colpa della musica.» Aggrotto le sopracciglia. «Mmm, sono abbastanza sicura di sì, invece.» «Okay» fa lui, e sparisce sul suo sedile. Aspetto ancora qualche secondo prima di chiudere di nuovo gli occhi, nel caso la storia si faccia più strana. Ma non succede niente e scivolo nel mio Mondo Senza Sogni. 6 Il mattino dopo mi sveglia la luce del sole che filtra dai finestrini. Mi sollevo un po’ per vedere se il paesaggio è cambiato, ma niente. Poi mi accorgo della musica che esplode dagli auricolari dietro di me. Mi alzo furtivamente sullo schienale aspettandomi di trovare il ragazzo addormentato e invece lui mi guarda con un sorriso del tipo “te l’avevo detto”. Sprofondo di nuovo giù, perplessa; prendo la borsa e comincio a rovistarci dentro. Vorrei essermi portata qualcosa per tenere la mente occupata. Un libro. 127/915 Un cruciverba. Qualcosa. Sospiro e inizio letteralmente a girarmi i pollici. Mi chiedo in che parte degli Stati Uniti siamo adesso; se questo è ancora il Kansas. Evidentemente sì, a giudicare dalle targhe delle auto che ci passano accanto. Siccome non trovo niente di interessante da fare, presto più attenzione alla musica alle mie spalle. Ma è…? È uno scherzo, vero? Dalle cuffie mi arrivano le note di Feel Like Makin’ Love. La riconosco subito dall’assolo di chitarra, inconfondibile anche per chi non è un fan dei Bad Company. Non è che il rock classico non mi piaccia, solo preferisco cose più nuove. Datemi i Muse, Pink, The Civil Wars e io sono felice. Con la coda dell’occhio vedo dondolare qualcosa sopra la mia spalla e mi 128/915 spavento a morte. Raddrizzo la schiena e agito una mano per scacciare quello che in un primo momento penso sia un insetto. Invece è un auricolare. «Ma che cavolo fai?» esclamo, alzando lo sguardo sul ragazzo, che ora è di nuovo in piedi. «Sembravi annoiata» risponde. «Te lo presto se vuoi. Forse non è il tuo genere di musica, ma col tempo ti piacerà, te lo assicuro.» Lo fisso con una smorfia di disgusto. Dice sul serio? «No, grazie» e faccio per voltarmi di nuovo. «Perché no?» «Be’, per prima cosa, hai tenuto quegli affari nelle orecchie per ore. Che schifo.» «E poi?» 129/915 «In che senso “e poi”?» Credo che i miei lineamenti siano ancora più contratti. «Non è abbastanza?» Mi rivolge di nuovo quel suo sorriso storto e, alla luce del giorno, mi accorgo di due piccole fossette che gli segnano gli angoli della bocca. Lui si rimette gli auricolari. «Hai detto “per prima cosa”, pensavo ce ne fosse un’altra.» «Wow» esclamo, esterrefatta. «Sei incredibile.» Il mio non è decisamente un complimento, ma qualcosa mi dice che lo sa anche lui. Torno a rovistare nella borsa, anche se so che non troverò altro che vestiti, ma è sempre meglio che avere a che fare con questo tipo strambo. 130/915 Si siede nel posto accanto al mio poco prima che un altro passeggero vada verso la toilette. Io resto immobile, una mano ancora dentro la borsa. Forse lo sto guardando. È che devo farmi passare lo shock prima di dargli una lezione. Dal suo bagaglio tira fuori una confezione di salviette disinfettanti, la apre e ne tira fuori una. La strofina per bene sugli auricolari e me li porge. «Come nuovi» dice, aspettando che li prenda. Capisco che vuole solo essere gentile, così abbasso appena la guardia. «Davvero, sono a posto. Grazie comunque.» Mi stupisce di essere riuscita a passare sopra così velocemente al fatto che si sia seduto accanto a me. «Sì, meglio» osserva, rimettendo il lettore mp3 nella borsa. «Io non ascolto 131/915 Justin Bieber, né quella tizia con i vestiti di carne cruda…» Okay, difese di nuovo al massimo. Continua pure. Incrocio le braccia e sbraito: «Primo, io non ascolto Justin Bieber. Secondo, Lady Gaga non è così male. Ammetto che ha un po’ stufato con questa storia di scioccare il pubblico, ma qualche sua canzone mi piace». «È musica di merda e lo sai benissimo» replica lui scuotendo la testa. Batto le palpebre due volte: non ho idea di come rispondere. Il ragazzo appoggia la sacca a terra e mette un piede sullo schienale del sedile davanti, solo che ha le gambe così lunghe che non mi sembra una posizione molto comoda. Indossa quegli anfibi alla moda: Dr. Martens, credo. Li portava anche Ian. Distolgo lo sguardo: 132/915 non sono dell’umore adatto per proseguire una conversazione così assurda con un tizio così strano. La signora che ho incontrato in Tennessee aveva decisamente ragione. Lui mi guarda, tiene la testa premuta contro la stoffa ruvida. «Il rock classico: quello sì che è vera musica» dice, come se fosse ovvio. Poi punta lo sguardo davanti a sé. «Led Zeppelin, Stones, Journey, Foreigner.» Gira la testa e mi guarda. «Conosci?» Rido e alzo di nuovo gli occhi al cielo. «Non sono stupida» replico, poi però cambio tono quando mi rendo conto che, così su due piedi, non mi vengono in mente molti gruppi rock. Non vorrei sembrare davvero stupida dopo aver affermato con tanta sicurezza che non lo sono. «A me piacciono… i Bad Company.» 133/915 Lui increspa le labbra in un piccolo sorriso. «Dimmi il titolo di un pezzo dei Bad Company e ti lascio in pace.» Adesso sono nervosissima. Mi sforzo di pensare a un’altra canzone che non sia quella che stava ascoltando lui. Non dirò Feel Like Makin’ Love fissandolo negli occhi. Lui aspetta paziente, il sorriso sempre lì. «Ready for Love» rispondo. È l’unico titolo che mi è venuto in mente. «Sicura di essere pronta?» «Eh?» «Niente» dice, e guarda altrove. Arrossisco, ma non so perché e non voglio saperlo. «Scusa…» riprendo «ti dispiace? Stavo usando entrambi i posti.» 134/915 Lui sorride, questa volta senza quel ghigno che si nasconde nei suoi occhi. «Certo» risponde alzandosi. «Se vuoi l’mp3, sai dove trovarlo.» Sorrido appena, sollevata che lui se ne torni al suo posto senza protestare. «Grazie.» Sono addirittura riconoscente. Prima però si ferma e mi chiede: «Dove stai andando?». «Idaho.» I suoi occhi verdi sembrano illuminarsi. «Be’, io vado in Wyoming, quindi mi sa che condivideremo qualche autobus.» E poi la sua faccia sorniona scompare dietro di me. Non nego che sia carino. Capelli corti e arruffati, braccia muscolose e zigomi pronunciati… E poi le fossette e quel cazzo di sorriso che mi fa venire voglia 135/915 di fissarlo anche se non vorrei. Ma non è che mi piace, assolutamente no. È solo uno sconosciuto su un autobus nel nulla. Non prenderei in considerazione l’idea per niente al mondo. E anche se non fosse un estraneo, anche se lo conoscessi da sei mesi, non lo farei. Mai. Il Kansas sembra non finire mai. Non avevo mai pensato a quanto sono grandi gli Stati nella realtà. Guardi una mappa e vedi solo un pezzo di carta con strani confini frastagliati e linee microscopiche che sembrano vene. Persino il Texas dà l’impressione di essere piccolo, e poi usare sempre l’aereo alimenta l’illusione che tra un posto e l’altro ci sia al massimo un’ora di viaggio. Un’altra ora e mezzo e la schiena e il sedere sono due pezzi di carne rigida e dura. Cambio continuamente posizione 136/915 sperando di alleviare il fastidio, ma finisco solo per indolenzirmi altre parti del corpo. Viaggiare in autobus fa davvero schifo. Inizio quasi a pentirmi della scelta. Il microfono interno gracchia, poi sento la voce dell’autista. «Ci fermeremo per una sosta tra cinque minuti. Avrete un quarto d’ora per prendere qualcosa da mangiare prima di rimetterci in marcia. Un quarto d’ora. Non aspetterò un minuto di più, quindi se non tornerete in tempo, partirò senza di voi.» All’annuncio i passeggeri si alzano e raccolgono i bagagli. Dopo ore su un autobus, non c’è nulla come la prospettiva di sgranchirsi le gambe per svegliare tutti quanti. 137/915 Entriamo in un ampio piazzale in cui sono parcheggiati diversi rimorchi; ci sono un minimarket, un autolavaggio e un fast food. I passeggeri si mettono in fila nel corridoio centrale prima ancora che l’autobus si fermi. E io li seguo. La schiena mi fa malissimo. Scendiamo uno dopo l’altro; al secondo passo sento già il cemento sotto i piedi e una brezza leggera sul viso. Non mi importa di essere chissà dove, né che le pompe di benzina del minimarket siano vecchie e che, se tanto mi dà tanto, i bagni siano spaventosi: sono felice di essere ovunque tranne che chiusa in quell’autobus. Quasi saltello (in modo sgraziato, tipo gazzella ferita) sull’asfalto verso il fast food. Per prima cosa approfitto della toilette, così quando esco trovo diverse persone già in fila davanti a me. Studio il menu, indecisa 138/915 tra una porzione grande di patatine e un milk shake alla vaniglia. Non sono mai stata una grande amante dei fast food. Esco con il frullato e vedo il ragazzo dell’autobus seduto a gambe incrociate sull’aiuola che divide i parcheggi. Sta mangiando un hamburger. Non lo guardo quando gli passo accanto, ma a quanto pare non basta a evitare che mi importuni. «Abbiamo ancora otto minuti prima di tornare nella scatoletta e tu vuoi sprecare questo tempo prezioso là dentro?» Mi fermo accanto a un alberello tenuto dritto da un bastone piantato nel terreno. «Sono solo otto minuti» ribatto. «Non fa molta differenza.» 139/915 Lui dà un grosso morso all’hamburger, mastica e deglutisce. «Pensa se dovessero seppellirti viva» dice, bevendo. «Non ci metteresti molto a morire soffocata. Se però ti concedessero altri otto minuti, o anche solo uno, adesso saresti ancora viva.» «Okay, capito.» «Non sono contagioso» aggiunge, e dà un altro morso. Mi sa che sono stata un po’ stronza. Insomma, un po’ se l’è meritato, ma non è un tipo odioso, quindi non c’è motivo di tenere tutta questa distanza. Preferirei non farmi nemici in questo viaggio, se possibile. «Va bene» rispondo, e mi siedo sull’erba davanti a lui. «Allora, perché l’Idaho?» mi chiede, anche se non guarda me, ma il panino. 140/915 «Vado a trovare mia sorella. Ha appena avuto un bambino.» Lui annuisce e manda giù. «Perché il Wyoming?» domando, sperando di deviare la conversazione da me. «Vado a trovare mio padre. Sta morendo. Tumore al cervello inoperabile.» Dà un altro morso all’hamburger. Non sembra che la cosa lo turbi molto. «Oh…» «Tranquilla» dice, questa volta guardandomi per un breve istante. «A un certo punto tutti ce ne dobbiamo andare. Mio padre non è preoccupato, e ha detto che non dobbiamo esserlo nemmeno noi.» Sorride e mi guarda di nuovo. «Veramente ha detto che se versiamo anche solo una lacrima, ci depenna dal testamento.» 141/915 Bevo un sorso di milk shake dalla cannuccia solo per tenere la bocca occupata e non dover dire per forza qualcosa. In realtà non so se dovrei rispondere. Anche lui beve. «Come ti chiami?» mi chiede, riappoggiando il bicchiere sull’erba. Devo dirgli il mio vero nome? «Cam» rispondo, optando per il diminutivo. «Diminutivo di?» Questa non me l’aspettavo. Esito, e guardo altrove. «Camryn.» Con tutte le bugie di cui dovrò ricordarmi, è meglio che sia sincera almeno riguardo al nome. Dopotutto è un’informazione insignificante. «Io mi chiamo Andrew. Andrew Parrish.» 142/915 Annuisco e sorrido appena, ma non gli dico che il mio cognome è Bennett. Dovrà accontentarsi del nome. Lui finisce l’hamburger e spazzola le patatine. Noto due tatuaggi che spuntano dalle maniche della maglietta. Osservandolo bene, decido che non può avere più di venticinque anni. «Quanti anni hai?» Mi rendo conto che forse è una domanda troppo personale. Spero che non la interpreti nel modo sbagliato. «Venticinque. E tu?» «Venti.» Mi guarda pensieroso, resta in silenzio e stringe appena le labbra. «Be’, è un piacere conoscerti, Camryn detta Cam, vent’anni, diretta in Idaho a trovare tua sorella che ha appena avuto un bambino.» 143/915 Le mie labbra sorridono, la faccia no. Mi ci vorrà un po’ per sorridere in modo sincero. I sorrisi veri danno spesso l’impressione sbagliata. Almeno così posso essere cortese, ma non al punto da ritrovarmi, dopo una serie di grandi sorrisi, sgozzata in un bagagliaio. «Sei del Wyoming?» chiedo ancora, e bevo un altro sorso di milk shake. «Sì, sono nato là, poi quando avevo sei anni i miei hanno divorziato e mi sono trasferito in Texas.» Texas. Davvero buffo. Forse mi stanno tornando indietro tutte le cazzate che ho detto sugli stivali da cowboy e la reputazione dei texani. Comunque Andrew non sembra texano, o almeno non corrisponde allo stereotipo che molti hanno dei suoi abitanti. 144/915 «E ora ci sto tornando per andare a trovare mio padre. E tu di dove sei?» Okay, mentire o non mentire? Oh, fanculo. Non è un investigatore privato assoldato da mio padre. Finché evito di accennare a: 1) il mio cognome; 2) indirizzo o numero di telefono che potrebbero condurlo a casa mia nel caso io decida di tornare, non finirò sgozzata in un bagagliaio. Penso che dirgli quasi tutta la verità sia molto più semplice che improvvisare una bugia plausibile per ogni domanda e poi dovermele ricordare tutte. In fin dei conti sarà un lungo viaggio e, come ha detto anche lui, abbiamo ancora diversi autobus da condividere prima che le nostre strade si dividano. «North Carolina» rispondo. Mi scruta. «Non sembri del North Carolina.» 145/915 Eh? Okay, questo tipo è davvero molto strano. «E come dovrebbe sembrare una ragazza del North Carolina?» «Prendi tutto alla lettera tu, vero?» ribatte con una smorfia. «Sei tu a essere poco chiaro.» «No» replica con una risata disarmante, «sono solo diretto, e a volte le persone non sanno come gestire la cosa. Tipo, se chiedi a quel ragazzo là se quei jeans ti fanno il sedere grosso, lui ti risponderà di no. Se lo chiedi a me, ti dirò la verità. Le persone vanno fuori di testa quando le cose non corrispondono alle loro aspettative.» «Davvero?» Non ho ancora capito niente di questo ragazzo. Continuo a studiarlo come se fosse pazzo e in un certo senso mi incuriosisce. 146/915 «Davvero» risponde lui con decisione. Aspetto che prosegua, ma non lo fa. «Sei molto strano» dico. «Allora, non me lo chiedi?» «Cosa?» Ride. «Se penso che quei jeans ti facciano il sedere grosso.» «Veramente io… mmm.» Fanculo due volte. Se vuole giocare, non ho nessuna intenzione di starmene seduta e dargliele tutte vinte. Gli faccio una smorfia e dico: «So che questi jeans non mi fanno il sedere grosso, quindi la tua opinione non mi interessa». Andrew increspa gli angoli della bocca in un sorriso diabolico e affascinante. Beve e si rimette in piedi, porgendomi la mano. «Gli otto minuti sono finiti.» 147/915 Forse è perché sono ancora molto confusa dal nostro scambio, fatto sta che gli prendo la mano e lui mi aiuta ad alzarmi. «Hai visto quante cose abbiamo imparato l’uno dell’altra in otto minuti, Camryn?» mi dice, guardandomi e lasciando andare la mano. Cammino accanto a lui, ma a distanza. Non ho ancora capito se le sue risposte taglienti e la sua aria sicura mi infastidiscono o se invece le trovo più stimolanti di quanto il mio cervello sia disposto ad ammettere. Tutti riprendono posto sull’autobus. Ho lasciato sul sedile la rivista che ho trovato in stazione, sperando che nessuno me l’avrebbe rubata. Andrew si siede di nuovo dietro di me. Sono contenta che non abbia preso la mia disponibilità a fare conversazione come 148/915 un segnale di via libera per spostarsi accanto a me. Le ore passano e restiamo in silenzio. Penso un sacco a Natalie e a Ian. «Buonanotte, Camryn» mi dice Andrew. «Magari domani mi racconti chi è Nat.» Balzo in piedi e mi sporgo dal sedile. «Che cosa?» «Tranquilla» risponde, alzando la testa dalla sacca che ha appoggiato contro il finestrino per usarla come cuscino. «Parli nel sonno.» Ride piano. «La notte scorsa ho sentito che ti lamentavi di una certa Nat… di qualcosa che c’entrava con il Biosilk o roba simile.» Scrolla le spalle nonostante sia steso con le gambe sul sedile accanto e abbia le braccia incrociate al petto. 149/915 Fantastico, parlo nel sonno. Ottimo. Perché mia madre non me l’ha mai detto? Cosa posso aver sognato? Ma certo, è un sogno, è normale che non mi ricordi. «Buonanotte, Andrew» rispondo, e scivolo in quella che spero sia una posizione confortevole. Rifletto un momento su come si è sistemato lui. Sembrava abbastanza comodo, e decido di imitarlo. Ci avevo già pensato a mettermi così, ma credevo fosse maleducato far sporgere i piedi sul corridoio. Comunque, forse non importa a nessuno, così prendo la borsa di vestiti e la appoggio sotto la testa stendendomi tra i due sedili. Sto benissimo. Perché non l’ho fatto prima? Mi sveglio all’annuncio dell’autista: tra dieci minuti saremo a Garden City. 150/915 «Assicuratevi di aver preso con voi i vostri bagagli e gli effetti personali» continua al microfono. «E non lasciate rifiuti sui sedili. Grazie per aver viaggiato con noi nel grande Stato del Kansas. Spero di riavervi presto a bordo.» Ha un tono neutro, come se stesse leggendo un copione già scritto, poi penso che probabilmente anch’io suonerei monotona se dovessi ripetere la stessa cosa tutti i giorni. Mi alzo e cerco il biglietto dentro la borsa. Lo trovo tutto stropicciato tra un paio di jeans e una maglietta oversize dei Puffi, lo liscio e controllo la mia prossima fermata. A quanto pare, Denver è a circa sei ore e mezzo di viaggio, con due soste nel mezzo. Cavoli, perché mi è venuto in mente proprio l’Idaho? Di tutti i posti, ho scelto in base a una 151/915 patata. Sto facendo tutta questa strada e non ho nemmeno niente ad aspettarmi alla meta. A parte un altro viaggio. Potrei proseguire ancora un po’ e poi comprare un biglietto aereo per casa. No, non sono ancora pronta. Non so perché, ma non posso tornare. Non posso e basta. Sorpresa che Andrew sia così silenzioso, mi metto a sbirciare nel piccolo spazio tra i sedili. Non vedo niente, però. «Sei sveglio?» chiedo, sollevando la testa in modo che riesca a sentirmi. Non mi risponde, così mi alzo meglio per guardare. Ovviamente ha l’mp3 acceso. Sono un po’ stupita di non sentire la musica uscire dagli auricolari. Andrew si accorge di me e sorride; agita una mano per darmi il buongiorno. Indico l’autista per fargli capire 152/915 che ha fatto un annuncio. Lui si toglie le cuffie e mi guarda, aspettando che gli dica qualcosa. 7 Andrew Qualche giorno prima… Oggi mi ha chiamato mio fratello dal Wyoming. Mi ha detto che al nostro vecchio non resta molto. Negli ultimi sei mesi non ha fatto altro che entrare e uscire dall’ospedale. «Se vuoi vederlo» mi ha spiegato Aidan all’altro capo della linea, «è meglio che vieni subito.» L’ho ascoltato, davvero, ma ho capito solo che mio padre sta morendo. Cazzo. 154/915 «Non azzardatevi a piangere per me» ha ripetuto a me e ai miei fratelli l’anno scorso, dopo che gli hanno diagnosticato una rara forma di tumore al cervello. «O vi cancello dal testamento.» Mi ha detto in tutti i modi che se avessi pianto per lui, l’unica persona al mondo per cui avrei dato la vita, mi sarei comportato come una femminuccia. E io l’ho odiato per questo. E non me ne frega niente del testamento. Qualsiasi cosa mi lascerà, non la prenderò. O forse la darò alla mamma. Come padre è stato un tipo tosto. Era sempre lì a rompere le palle a me e ai miei fratelli, ma penso che alla fine siamo venuti su bene (cosa che, probabilmente, era l’obiettivo dietro al suo martellamento continuo). Aidan, mio fratello maggiore, gestisce un bar 155/915 ristorante di successo a Chicago e ha sposato una pediatra. Asher, il minore, studia al college e forse lo aspetta un lavoro per Google. Con un certo imbarazzo io devo ammettere che ho fatto qualche lavoretto come modello per alcune agenzie importanti, ma solo perché l’anno scorso è stato difficile. È successo subito dopo aver saputo di mio padre. Non potevo piangere, così mi sono sfogato sulla mia Chevy Camaro del 1969. L’ho distrutta con una mazza da baseball. Io e mio padre l’avevamo costruita insieme da zero. Era il nostro progetto “padrefiglio”, come regalo per il diploma. Ho pensato che se lui non ci sarebbe più stato, non doveva esserci più nemmeno l’auto. Quindi sì, ho fatto il modello. 156/915 Cioè no, non è che sono andato a cercarmi un lavoro come modello. Non me ne frega niente di quella robaccia. È solo che, mentre ero nel locale di Aidan ubriaco fradicio, mi hanno notato due scout. Immagino che non gli importasse che fossi… ubriaco fradicio, visto che mi hanno dato il biglietto da visita e mi hanno fatto un’offerta generosa solo per presentarmi nel loro ufficio a New York. Così, dopo aver passato tre settimane a fissare la Camaro, pentito di quello che avevo fatto, mi sono detto, perché no? Solo con quel primo assegno avrei coperto parte dei costi per la carrozzeria. E sono andato. I soldi che ho guadagnato dalle foto pubblicitarie sono stati sufficienti per riparare l’auto, ma alla fine ho rifiutato un contratto da cinquantamila dollari con la LL Elite perché, come ho detto, guadagnarmi da vivere camminando a petto in 157/915 fuori in mutande non è proprio quello che fa per me. Insomma, mi sentivo sporco già solo per quei lavoretti che avevo accettato. E così, come avrebbe fatto qualunque maschio carnivoro e bevitore di birra, mi sono sforzato di essere meno checca e più uomo: ho fatto qualche tatuaggio e mi sono trovato un lavoro come meccanico. Certo, non è il futuro che mio padre voleva per me. Ma, diversamente dai miei fratelli, ho imparato tanto tempo fa che si tratta del mio futuro, della mia vita, e non posso conformarmi a ciò che qualcun altro vuole per me. Così, ho lasciato il college appena mi sono reso conto che stavo studiando una cosa di cui non mi importava nulla. Perché la gente è sempre pronta a obbedire? 158/915 Io non sono così. Io voglio una cosa sola nella vita. E non sono né i soldi, né la fama, né il pacco photoshoppato su un cartellone pubblicitario a Times Square, né un’istruzione universitaria che forse – ma forse anche no – potrebbe essermi utile in futuro. Non so bene cos’è che voglio, ma lo sento in fondo alla pancia. Per ora se ne sta lì, dormiente. Lo capirò quando lo vedrò. «Vieni in autobus?» mi dice Aidan, incredulo. «Sì, prendo l’autobus. Ho bisogno di pensare.» «Andrew, papà potrebbe non farcela» ribatte, e mi accorgo che sta controllando il tono di voce. «Davvero.» «Arrivo quando arrivo.» E riattacco. 159/915 Credo che una parte di me speri che mio padre se ne vada prima del mio arrivo. Perché so che crollerò se muore mentre sono lì con lui. Cazzo, è mio padre, l’uomo che mi ha cresciuto e che ammiro. E mi ha detto di non piangere. Ho sempre fatto quello che mi diceva, da bravo figlio quale ho cercato di essere, e so che se vuole che io non pianga, non lo farò. Ma so anche che in questo modo lascerò crescere dentro di me qualcosa di distruttivo. Non voglio finire come la mia auto. Preparo la sacca con un cambio di vestiti, lo spazzolino, il cellulare e il lettore mp3 con le mie canzoni rock preferite, un’altra eredità di mio padre. «La roba che sentono i giovani oggi è una merda, ragazzo» mi diceva almeno una volta all’anno. «Ascoltati gli Zeppelin!» Ma non è che mi rifiuto di ascoltare musica nuova solo perché me lo 160/915 dice lui. So pensare con la mia testa. Però sono cresciuto con i classici e ne vado molto orgoglioso. «Mamma, queste non mi servono.» Mia madre sta stipando tipo dodici confezioni di salviettine disinfettanti in un sacchetto di plastica. Ha sempre avuto la fobia dei germi. Vivo tra il Texas e il Wyoming da quando avevo sei anni. Ultimamente ho capito che sto meglio in Texas per via del clima. Abito da solo a Galveston ormai da quattro anni, ma la notte scorsa mia madre ha insistito perché dormissi da lei. Sa come mi sento e sa anche che, quando sto male o sono arrabbiato, tendo a dare in escandescenze. L’anno scorso ho passato una notte in cella per aver riempito di botte Darren Ebbs perché aveva picchiato la sua ragazza davanti a me. E quando 161/915 hanno dovuto sopprimere il mio cane Maximus, il mio migliore amico, per insufficienza cardiaca, mi sono sfasciato le mani sfogandomi contro l’albero dietro casa mia. Non sono un violento; solo con le teste di cazzo e, a volte, contro me stesso. «Gli autobus sono sporchissimi» mi avverte mia madre mettendo le salviette nella borsa. «Ci ho viaggiato una volta, prima di conoscere tuo padre, e dopo sono stata male per una settimana.» Evito di contraddirla, sarebbe inutile. «Ancora non capisco perché non prendi l’aereo. Ci metteresti la metà del tempo.» «Mamma» la zittisco, baciandola sulla guancia, «ho bisogno di fare questa cosa. Sento che deve essere così.» Non 162/915 ci credo nemmeno io alle mie parole, ma voglio assecondarla dicendo qualcosa che suoni profondo, anche se lei sa benissimo che sono stronzate. Apro un armadietto della cucina e prendo due merendine alla cannella. «Metti che l’aereo cade.» «Non è divertente, Andrew.» E mi guarda severa. Sorrido e l’abbraccio. «Andrà tutto bene, e arriverò in tempo per vedere papà prima che…» Mi si spezza la voce. Mia madre mi stringe forte. Durante il viaggio verso il Kansas inizio a chiedermi se la mamma non avesse ragione. Pensavo di poter approfittare di tutto questo tempo per pensare, per schiarirmi le idee e magari capire cosa sto facendo e cosa farò dopo la morte di mio padre. Perché le cose cambieranno. Le cose cambiano 163/915 sempre quando qualcuno a cui vuoi bene muore. E non importa cosa fai per prepararti al cambiamento: non sarai mai pronto. L’unica cosa che puoi fare con certezza è chiederti chi sarà il prossimo. So che non riuscirò mai più a guardare mia madre allo stesso modo… Ora credo che il viaggio in autobus sia più una presa in giro che un momento di riflessione. Avrei dovuto immaginare che tutto questo tempo da solo con i miei pensieri non mi avrebbe fatto bene. Ho già stabilito di aver buttato via gran parte della mia vita e ora sono arrivato alle domande fondamentali, quelle che ti fanno sgranare gli occhi. Perché sono qui? Qual è il senso della vita? Che cavolo sto facendo? Giuro che non ho avuto nessuna epifania, né ho guardato fuori dal finestrino, 164/915 perso in uno di quei momenti drammatici da film, colto da un’illuminazione improvvisa. L’unico sottofondo del mio film è Would? degli Alice in Chains, e non è esattamente un pezzo da epifania. L’autista sta per chiudere le porte dell’autobus quando si accorge di me. Grazie a Dio, un autobus in cui posso dormire: è pieno di posti vuoti. Punto due sedili in fondo, dietro a una bionda carina che è senz’altro minorenne. Ho sempre il radar minorenni acceso, soprattutto dopo averne quasi frequentata una. Al Dairy Queen, dove ci siamo conosciuti, mi aveva detto di avere diciannove anni, poi ho scoperto che ne aveva sedici e che suo padre stava venendo in piscina per gonfiarmi. Una volta papà mi ha detto: «Oggi le ragazze di vent’anni non si distinguono 165/915 dalle bambine di dodici. Il governo deve aver messo qualcosa nell’acqua. Sta’ molto attento quando hai intenzione di fartene una». Mentre mi avvicino alla ragazza, mi accorgo che sposta la borsa sul sedile di fianco per non farmici sedere. Buffo. Cioè, sì, è carina, ma ci saranno almeno dieci posti liberi sull’autobus, quindi è normale che ne prenda due anch’io, così posso stendermi e godermi un po’ di meritato riposo. Ma le cose non vanno come previsto. Diverse ore dopo, quando fuori è già buio, sono ancora completamente sveglio e guardo fuori dal finestrino con la musica a tutto volume nelle orecchie. La ragazza davanti a me si è addormentata più o meno un’ora fa e mi sono stancato di sentirla parlare nel 166/915 sonno; non ho capito cosa stesse dicendo e non voglio nemmeno saperlo. Sarebbe un po’ come spiare. Così preferisco ascoltare la mia playlist. Finalmente prendo sonno, poi all’improvviso sento qualcosa che mi batte sulla gamba e apro gli occhi. Wow, è piuttosto bella, anche con i capelli tutti schiacciati da una parte. Minorenne, Andrew. Non me lo ripeto per impedirmi di fare qualcosa che non dovrei, ma perché non voglio restarci male quando scoprirò che avevo ragione. Dopo un breve botta e risposta – lei sostiene che sia stata la musica a svegliarla –, abbasso il volume e lei torna a rannicchiarsi sul sedile. Mi alzo in piedi per guardarla, e mi chiedo cosa mi è preso. Mi sono sempre piaciute le sfide e il suo atteggiamento 167/915 da dura in una conversazione durata meno di quarantacinque secondi mi è bastato per accettare questa tacita scommessa tra noi. Ho sempre avuto un debole per le ragazze con le palle. E non mi sono mai tirato indietro davanti a una sfida. La mattina dopo le offro il mio mp3, ma, a quanto pare, ha la fobia dei germi come mia madre. Dall’altra parte del corridoio, tre sedili avanti rispetto alla ragazza, c’è un uomo sulla quarantina. Mi sono accorto di come la guardava appena sono salito sull’autobus. Lei invece non l’ha notato. Chissà da quant’è che la fissa, anche prima che io arrivassi, o cos’abbia fatto là seduto da solo al buio. Inquietante. L’ho tenuto d’occhio. Sembra così perso per lei che dubito mi abbia visto. 168/915 Continua a far saettare lo sguardo da lei, alla toilette, al centro del corridoio. Riesco quasi a sentire gli ingranaggi del suo cervello. Mi chiedo quando si deciderà a tentare la prima mossa. E proprio in quel momento si alza. Scivolo fuori dal mio posto e mi siedo accanto a lei. Faccio finta di niente, anche se sento i suoi occhi su di me mentre si domanda che cazzo mi è saltato in testa. L’uomo ci passa accanto, ma evito di guardarlo perché non si accorga che gli sto addosso. Probabilmente ora sta pensando che ci sto provando io e per il momento lascia stare. Ritenterà più tardi, forse. Ma più tardi gli spaccherò il naso. Recupero la sacca e tiro fuori le salviette disinfettanti che mi ha dato mia 169/915 madre. Ne prendo una, pulisco gli auricolari e li porgo alla ragazza. «Come nuovi» dico, aspettando che li prenda, anche se so che non lo farà. «Davvero, sono a posto. Grazie comunque.» «Sì, meglio così.» Rimetto l’mp3 nella borsa. «Io non ascolto Justin Bieber, né quella tizia con i vestiti di carne cruda, quindi immagino dovrai farne a meno.» Dalla sua espressione irritata deduco che l’ho fatta innervosire. Sghignazzo tra me e me, girandomi in modo che non mi veda. «Primo, io non ascolto Justin Bieber.» Grazie a Dio. «Secondo, Lady Gaga non è così male. Ammetto che ha un po’ stufato con questa storia di scioccare il 170/915 pubblico, ma qualche sua canzone mi piace.» «È musica di merda e lo sai benissimo.» Cito mio padre e scuoto la testa. Rimetto la sacca per terra e appoggio un piede sul sedile davanti. Chissà come mai non mi ha ancora cacciato via. La cosa un po’ mi preoccupa. Sarebbe stata “così cortese” da dire a quell’uomo di andarsene, se si fosse seduto qui prima di me? Non è possibile che a una come lei possa piacere uno come lui, ma è anche vero che a volte le ragazze si lasciano trasportare dal loro gene iperprotettivo. E pochi secondi sono più che sufficienti. La osservo ancora, appoggiando la testa di lato sul sedile. «Il rock classico: quella sì che è vera musica» aggiungo. «Led Zeppelin, Stones, Journey, Foreigner… Conosci?» 171/915 Alza gli occhi al cielo. «Non sono stupida» ribatte, e io mi lascio sfuggire un sorriso: ecco di nuovo quell’atteggiamento da dura. «Dimmi il titolo di un pezzo dei Bad Company e ti lascio in pace» la sfido. Lo vedo che è nervosa. Si mordicchia il labbro, forse non se ne rende nemmeno conto, così come non si accorge di parlare nel sonno o dei malintenzionati che la tengono d’occhio. Aspetto paziente, incapace di togliermi questo sorriso dalla faccia. È molto divertente vederla così agitata mentre cerca di passare in rassegna tutte le volte che era in macchina con i suoi e ha sentito la loro musica; si sforza di ricordare qualcosa che possa aiutarla in questo momento di difficoltà. «Ready for Love» risponde alla fine. 172/915 Sono impressionato. «Sicura di essere pronta?» le chiedo, e proprio in quell’istante è come se qualcosa mi colpisse. Non so cosa sia, ma è lì che mi saluta da dietro un muro, come quando ti senti osservato però non vedi nessuno. «Eh?» dice lei, presa alla sprovvista quanto me dalla mia domanda. Un sorriso si fa strada sul mio volto. «Niente» mormoro, guardando altrove. Il pervertito esce in silenzio dal bagno e si siede, senza dubbio seccato dal fatto che io sia accanto alla bionda. Per fortuna lei ha aspettato che passasse prima di chiedermi di spostarmi per usare entrambi i sedili. Dopo essere tornato al mio posto mi sporgo verso di lei e domando: «Dove stai andando?». 173/915 Mi risponde che è diretta in Idaho, ma credo ci sia qualcosa sotto. Non ci metterei la mano sul fuoco, ma ho la sensazione che o sta mentendo – e fa bene, visto che sono un perfetto sconosciuto –, oppure nasconde qualcosa. Per il momento lascio perdere e le dico dove sto andando io. L’uomo tre sedili più in là le lancia un’altra occhiata. Se ci riprova mi alzo e gli spacco quella faccia di cazzo, giuro. Ore dopo l’autobus entra in un’area di servizio e l’autista ci concede quindici minuti per sgranchirci e mangiare un boccone. La ragazza si dirige subito verso i bagni, mentre io mi metto in fila per ordinare. Torno fuori con il cibo e mi siedo sull’aiuola accanto ai parcheggi. Il pervertito mi passa accanto e sale sull’autobus da solo. 174/915 Provo a convincerla a sedersi fuori con me. Sulle prime esita, ma evidentemente ho un certo fascino e lei cede. Mia madre me l’ha sempre detto che sono il suo figlio di mezzo più carino. Forse ha ragione. Parliamo per qualche minuto del perché io vado in Wyoming e lei in Idaho. Sto ancora cercando di farmi un’idea, di capire cosa c’è in lei che non riesco del tutto a inquadrare, evitando allo stesso tempo di esserne troppo attratto: lo so che è minorenne o che comunque mi mentirà. Certo, sembra che abbia più o meno la mia età, qualche anno in meno, forse, ma non tanti. Oh, cazzo! Perché sto anche solo pensando all’eventualità di poter essere attratto da lei? Mio padre sta morendo, e io me ne sto qui seduto sull’erba con questa ragazza. Non dovrei pensare ad 175/915 altro che a lui e a cosa gli dirò se mai riuscirò ad arrivare prima che se ne vada. «Come ti chiami?» chiedo, appoggiando il bicchiere sul prato, cercando di ricacciare i pensieri sulla morte di mio padre in un angolo della mente. Lei ci pensa su per qualche secondo, forse valutando se dirmi la verità oppure no. «Cam» risponde alla fine. «Diminutivo di?» «Camryn.» «Io mi chiamo Andrew. Andrew Parrish.» Mi sembra un po’ timida. «Quanti anni hai?» mi domanda lei, e la cosa mi sorprende. Forse non è minorenne: quando le ragazzine hanno intenzione di mentire sulla loro età, di 176/915 solito evitano l’argomento in ogni modo. Comincio a sperare che sia maggiorenne. Già, mi piacerebbe proprio… «Venticinque» rispondo. «E tu?» D’un tratto non riesco a respirare. «Venti.» Penso alla sua risposta. Non sono ancora sicuro che sia sincera ma forse, dopo aver passato un po’ più tempo con lei in questo viaggio che ci ha fatto incontrare, alla fine scoprirò la verità. «Be’, è un piacere conoscerti, Camryn detta Cam, vent’anni, diretta in Idaho a trovare tua sorella che ha appena avuto un bambino.» Sorrido. Chiacchieriamo per qualche altro minuto – otto, per la precisione – e io la prendo un po’ in giro perché, 177/915 con quel suo fare da dura, se lo merita proprio. In verità credo che le piaccia il modo in cui la tratto. Oserei dire che c’è attrazione tra noi. Piccola, ma c’è. E di sicuro non può essere per il mio aspetto – cavolo, l’alito mi puzzerà come una discarica e oggi non ho fatto la doccia –, perché se fosse per quello, come mi succede con le altre ragazze, avrei già perso interesse. Camryn non vuole che mi sieda accanto a lei sull’autobus. E non è stata timida, mi ha detto di abbassare la musica con quel suo atteggiamento brusco. Si è arrabbiata quando l’ho accusata di essere una bieberina (mi fa incazzare solo il fatto di conoscerla, questa parola, ma è colpa della società in cui viviamo) e ho capito che non avrebbe nessun problema a darmi un calcio nelle palle se mi avvicinassi a lei in maniera poco appropriata. Non 178/915 che lo farei mai. Cavoli, no. Ma mi fa piacere sapere che ne sarebbe capace. Sì, questa ragazza mi intriga. Risaliamo sull’autobus e mi stendo sul sedile. Poco dopo vedo le sue scarpe da ginnastica bianche spuntare nel corridoio e sorrido al pensiero che mi ha trovato così interessante da rubarmi un’idea. La controllo una ventina di minuti dopo e, come avevo previsto, è crollata. Alzo di nuovo il volume della musica e ascolto qualche canzone finché non mi addormento anch’io. Il mattino successivo mi sveglio molto dopo di lei. Fa capolino da sopra lo schienale e io le sorrido, salutandola con la mano. Alla luce del giorno è ancora più carina. 8 Camryn «Dieci minuti» dico «e siamo fuori dalla scatoletta.» Andrew sorride e mette via il lettore mp3. Non so perché ho sentito il bisogno di dirglielo. «Hai dormito meglio?» mi chiede, chiudendo la cerniera della borsa. «Sì, direi di sì» rispondo, massaggiandomi il collo. Questa volta non ho 180/915 nessun muscolo indolenzito. «Grazie per l’involontario suggerimento.» «Figurati» dice lui con un gran sorriso. «Denver?» Suppongo che voglia sapere se è la mia prossima fermata. «Sì, quasi sette ore di viaggio.» Andrew scuote la testa: una prospettiva poco allettante anche per lui. Dieci minuti dopo l’autobus entra nella stazione di Garden City. C’è il triplo della gente rispetto all’ultima fermata. Mi faccio strada nel terminal e mi siedo nel primo posto libero, perché vedo che la sala d’attesa si sta riempiendo in fretta. Andrew svolta l’angolo seguendo la freccia che indica i distributori automatici e torna con una Mountain Dew e un sacchetto di patatine. 181/915 Si siede accanto a me e apre la lattina. «Cosa c’è?» mi chiede. Non mi ero accorta di averlo guardato con un’espressione disgustata mentre tracannava la sua bibita. «Niente» mormoro distogliendo lo sguardo. «Fai schifo.» Lo sento ridere piano e poi scarta le patatine. «A te fanno schifo un sacco di cose.» Mi volto di nuovo verso di lui, mettendomi la borsa in grembo. «Quand’è l’ultima volta che hai mangiato qualcosa con cui non rischi un infarto fulminante?» Andrew sgranocchia un’altra patatina. «Mangio tutto quello che mi va di mangiare. Cosa sei, una di quelle arroganti ragazzine vegetariane che si lamentano di come i fast food ingrassano l’America?» 182/915 «No» ribatto, «ma penso che quelle arroganti ragazzine vegetariane un po’ di ragione ce l’abbiano.» Andrew mastica qualche altra patatina e beve. «Non sono i fast food a far ingrassare la gente» osserva con tono fermo. «Le persone fanno le loro scelte. I fast food si limitano a guadagnare sulla stupidità degli americani che scelgono di mangiare da loro.» «Ti stai autodefinendo un americano stupido?» Rido a mia volta. Andrew scrolla le spalle. «Certo, se la scelta si limita a distributori automatici e catene di fast food.» Alzo gli occhi al cielo. «Oh, quindi, potendo scegliere, mangeresti più sano? Non ci credo.» Sto migliorando in questi botta e risposta. 183/915 Lui scoppia a ridere forte. «Eccome. Preferirei una bistecca da cinquanta dollari a un hamburger vecchio di un giorno, e una birra invece di una Mountain Dew.» Scuoto la testa, ma non riesco a togliermi il sorriso dalla faccia. «Tu cosa mangi di solito?» mi chiede. «Insalata e tofu?» «Bleah» dico, disgustata. «Non mangerei tofu per niente al mondo e le insalate servono solo per dimagrire.» Faccio una pausa e sorrido. «Vuoi la verità?» «Certo. Spara.» Mi scruta come se fossi una cosa divertente e carina da studiare. «Mi piacciono gli spaghetti pronti in scatola e il sushi.» 184/915 «Insieme?» Adesso è lui a essere disgustato. Ci metto qualche secondo a capire. «Oh no» rispondo, scuotendo la testa. «Anche questo farebbe schifo, comunque.» Lui sorride, sollevato. «Non vado matta per le bistecche» continuo, «ma se me ne offrissero una, la mangerei.» «Mi stai chiedendo di invitarti a cena?» Il suo sorriso si allarga ancora di più. Sgrano gli occhi e apro la bocca. «No!» esclamo, arrossendo. «Dicevo solo che…» Andrew ride e beve un altro sorso. «Lo so, lo so. Non ho nemmeno mai preso in considerazione l’idea.» 185/915 Spalanco gli occhi ancora di più e la faccia mi va a fuoco. Andrew ride fortissimo. «Cavolo, ragazza» dice «non ci arrivi tanto in fretta, eh?» Aggrotto la fronte e lo fa anche lui, ma in qualche modo continua a sorridere. «Sai cosa facciamo?» riprende, guardandomi con un’espressione più seria. «Se alla prossima sosta siamo fortunati, troviamo un posto dove fanno le bistecche, e se riescono a cuocerne una nei quindici minuti che abbiamo a disposizione prima che ci lascino a piedi, allora te la offro. Poi, mentre la mangiamo sull’autobus, puoi decidere se è un appuntamento o no.» «Posso già anticiparti che non lo sarà.» 186/915 Di nuovo quel suo sorriso sghembo. «D’accordo. Credo di poter sopravvivere.» Penso che abbia esaurito l’argomento, e invece all’improvviso aggiunge: «Ma se non è un appuntamento, cos’è?». «In che senso? Sarebbe una cena tra amici. Insomma, due che si sono trovati a condividere un pasto.» «Oh» mormora lui con una scintilla negli occhi. «Quindi siamo amici?» Mi ha preso alla sprovvista. È bravo. Ci penso su un momento. «Certo. Almeno fino in Wyoming.» Mi porge la mano e io, riluttante, gliela stringo. Ha una stretta gentile ma ferma e il suo sorriso è sincero. «Amici fino in Wyoming.» E mi lascia andare la mano. 187/915 Non ho capito bene cosa sia successo, ma non mi sento come se avessi fatto una cosa di cui poi potrei pentirmi. Non credo ci sia niente di male ad avere un “amico” per il viaggio. Poteva andarmi molto peggio. Andrew sembra inoffensivo e ammetto che mi piace parlare con lui. Non è una di quelle vecchie signore che ti raccontano di quando erano giovani, o un anziano convinto di essere fico come quando aveva diciassette anni e sicuro che io lo veda ancora com’era un tempo. No, Andrew è proprio perfetto. Be’, per un sacco di motivi sarebbe meglio che fosse una ragazza, ma almeno ha quasi la mia età e non è affatto brutto. Anzi, Andrew Parrish è tutt’altro che uno scherzo della natura. A essere sincera, è una meraviglia della natura e credo che sia questa l’unica cosa a darmi davvero fastidio. 188/915 Non importa cosa sta succedendo nella tua vita, chi hai appena perso, quanto odi il mondo o quanto sia poco appropriato essere attratti da qualcuno prima di essere usciti dal periodo di convalescenza: sei pur sempre un essere umano e nel momento in cui incontri un ragazzo affascinante, non puoi non notarlo. Siamo fatti così. Ma agire è tutta un’altra storia ed è qui che ho tracciato il confine. Non succederà. Mai. Però sì, il fatto che sia carino mi infastidisce, perché significa che dovrò sforzarmi ancora di più per non dargli un’idea sbagliata di me. I ragazzi carini sanno di esserlo, persino quelli che fanno di tutto per non mettersi in mostra. E nell’indole dei ragazzi carini c’è anche dare per scontato che un sorriso innocente o una conversazione 189/915 superiore ai tre minuti senza silenzi imbarazzanti siano chiari segni di interesse. Quindi questa “amicizia” mi costerà un bello sforzo. Voglio essere gentile, ma non troppo. Voglio sorridere al momento giusto, ma devo stare attenta a misurare l’ampiezza del sorriso. Voglio ridere se dice qualcosa di divertente, ma non voglio che pensi che rido perché mi piace. Già, sarà una bella faticaccia. Una vecchia signora non sarebbe stata poi così male. Io e Andrew aspettiamo l’autobus quasi un’ora. Come immaginavo, questa volta non avremo a disposizione due sedili vuoti a testa. Dalla fila sembra addirittura che non ci sia posto per tutti. Dilemma… Andrew e io siamo amici a tempo determinato, ma non 190/915 posso spingermi così in là da chiedergli di sedersi accanto a me. Rientra nell’elenco delle cose per cui potrebbe farsi un’idea sbagliata. Così, mentre la fila avanza e lui è proprio alle mie spalle, spero che decida da solo di mettersi vicino a me. Meglio lui che un perfetto estraneo. Percorro il corridoio verso il centro dell’autobus e mi infilo in due posti vuoti, scegliendo quello accanto al finestrino. Andrew si siede vicino a me e mi sento segretamente sollevata. «Ti concedo il posto vicino al finestrino solo perché sei una ragazza» dice, appoggiando la borsa tra i piedi. L’autobus si riempie e sento già che l’aria si surriscalda con tutte queste persone stipate; poi le porte si chiudono e il motore si accende. 191/915 Il viaggio non sembra così lungo e straziante ora che ho qualcuno con cui chiacchierare. Passiamo un’ora a parlare delle cose più disparate, dalle sue rock band preferite al perché mi piace Pink e quanto sia meglio dei Boston e dei Foreigner, che io non riesco neanche a distinguere. Questa discussione dura almeno una ventina di minuti: Andrew è davvero testardo, ma lui dice la stessa cosa di me, quindi forse siamo colpevoli entrambi. E gli spiego chi è “Nat”, anche se evito di scendere nei particolari. Quando fa buio mi rendo conto che da quando siamo saliti e lui si è seduto vicino a me, non c’è stato un solo momento di silenzio o imbarazzo. «Quanto ti fermi in Idaho?» «Qualche giorno.» 192/915 «E poi torni a casa in autobus?» Stranamente, dal volto di Andrew è scomparsa quell’espressione divertita. «Sì.» Non voglio addentrarmi troppo in questo argomento, perché non so ancora come rispondere. Lo sento sospirare. «Non sono affari miei.» Sento la distanza tra noi ridursi ancora di più. «Però non dovresti viaggiare da sola.» Non lo guardo. «Be’, non posso fare altrimenti.» «Perché? Non ci sto provando, sia chiaro, ma per una ragazza giovane e fantastica come te non è sicuro viaggiare da sola per le stazioni degli autobus più malfamate d’America.» Sento il volto aprirsi in un sorriso, e tento inutilmente di nasconderlo. «Hai detto che non ci stai provando con me e poi dici che sono “fantastica” e ti giochi 193/915 la carta del “cosa ci fa una ragazza come te in un posto simile”?» Sembra un po’ offeso. «Sono serio, Camryn» e il mio sorriso di botto si spegne. «Potrebbe davvero capitarti qualcosa di brutto.» Nel tentativo di aggirare questo momento imbarazzante ribatto: «Non preoccuparti per me. Se qualcuno mi aggredisce, sono sicura di saper gridare molto forte». Lui scuote la testa e respira a fondo, cedendo lentamente al mio tentativo di sdrammatizzare. «Allora, parlami di tuo padre» dico. Quel mezzo sorriso scompare dal volto di Andrew. Non ho tirato fuori l’argomento per sbaglio. Non lo so, ma ho avuto la strana sensazione che stesse nascondendo qualcosa. Quando 194/915 eravamo in Kansas e ha accennato al fatto che suo padre stesse morendo, non sembrava turbato. Ma se sta facendo tutta questa strada, e in autobus per giunta, per andarlo a trovare, allora deve volergli molto bene. Mi dispiace, ma è impossibile non essere sconvolti se qualcuno a cui vuoi bene muore, o sta morendo. Suona strano detto da me, che non so più piangere. «È un brav’uomo» mormora Andrew, ancora con gli occhi fissi davanti a sé. Credo che in questo momento si stia concentrando su suo padre e non veda altro che i ricordi che ha di lui. Mi guarda; sorride ora, non per nascondere il suo dolore, ma perché gli è tornato in mente qualcosa. «Non mi portava alle partite di baseball, ma agli incontri di boxe.» 195/915 «Oh.» Sento che il mio sorriso si riaccende. «Ti va di raccontare?» Andrew guarda di nuovo davanti a sé, ma quel calore che ho visto sul suo volto non scompare. «Papà voleva che fossimo dei combattenti… Non che desiderasse che facessimo i pugili, anche se forse non gli sarebbe dispiaciuto. Intendo combattenti nella vita. In senso metaforico.» Annuisco. «Mi sedevo a bordo ring… avevo otto anni… e restavo ipnotizzato da quei due uomini che si picchiavano. Per tutto il tempo mio padre mi parlava sopra le urla del pubblico. “Non hanno paura di nulla, ragazzo” mi diceva. “Calcolano ogni mossa. Può funzionare oppure no, ma da ogni decisione che prendono imparano qualcosa”.» Mi guarda di sfuggita e il suo sorriso si 196/915 spegne: ora è impassibile. «Mi diceva che i veri combattenti non piangono mai, che nulla li può abbattere. A parte il colpo finale, inevitabile, ma anche in quel caso ne escono da veri uomini.» Anch’io non sorrido più. Non so esattamente cosa stia passando per la testa di Andrew, ma siamo entrambi seri. Vorrei chiedergli come si sente – è ovvio che non sta bene per niente –, però non mi sembra il momento giusto. Non lo conosco ancora abbastanza da scavare a fondo nelle sue emozioni. Così non dico nulla. «Penserai che sono un coglione.» Batto le palpebre, sorpresa. «No. Perché?» Fa immediatamente marcia indietro e smorza la serietà delle sue parole facendo riaffiorare quel suo sorriso affascinante. 197/915 «Voglio vederlo prima che tiri le cuoia» aggiunge. Le parole che ha scelto un po’ mi turbano. «Perché bisogna fare così, no? È una cosa normale, come dire “salute” quando uno starnutisce o chiedere a qualcuno com’è andato il weekend anche se non te ne frega un cazzo.» Dio, da dove viene tutto questo? «Bisogna vivere nel presente» continua, lasciandomi stupita. «Non ti pare?» Piega la testa e mi guarda di nuovo. «Vivere nel presente…» ripeto, pensando allo stesso tempo al mio principio di amare nel presente. «Immagino tu abbia ragione.» Ma non smetto di chiedermi quale sia il senso esatto delle sue parole. 198/915 Mi risistemo dritta sul sedile e alzo un po’ la testa per vederlo più da vicino. È come se tutt’a un tratto mi fosse venuta una gran voglia di sapere tutto su questa storia. Di sapere tutto di lui. «Cos’è per te vivere nel presente?» domando. Mi accorgo che cambia espressione, sorpreso dal mio interesse. Anche lui drizza la schiena e solleva la testa. «Rimuginare, pianificare… tutte cazzate» dice. «Rimugini sul passato e non riesci ad andare avanti. Passi troppo tempo a pianificare il futuro e ti muovi all’indietro, oppure resti immobile nello stesso posto per tutta la vita.» Aggancia il mio sguardo. «Vivi nel presente» afferma con un tono serio «dove tutto accade al momento giusto. Prenditi il tempo che ti serve, poni un limite ai brutti ricordi e arriverai 199/915 ovunque tu voglia molto più velocemente e con molte meno difficoltà lungo la strada.» Nel silenzio che segue riflettiamo sulle sue parole. Mi chiedo se sta pensando a ciò che penso io. E mi chiedo anche, più di quanto sia disposta ad ammettere, perché mi sento come se mi stessi guardando allo specchio. L’autobus procede pesante lungo l’autostrada. Dopo tutto questo tempo è facile dimenticare quanto sia sgradevole viaggiare in autobus rispetto al lusso di un’auto. Ma se pensi agli aspetti positivi puoi anche concludere che, in fin dei conti, non è poi così male. Accanto a me c’è un ragazzo con due bellissimi occhi verdi, un bellissimo viso e un bellissimo cervello. E quando sei in compagnia di qualcosa di 200/915 bellissimo, un viaggio in autobus non può mai essere brutto. Non dovrei trovarmi qui… 9 Andrew Non posso crederci che mi abbia chiesto di mio padre. Non sono arrabbiato, sono solo sorpreso che le interessi davvero. Che si ricordi persino che gliene ho parlato. Non mi fa domande sul mio lavoro per calcolare quanto guadagno; non ride, non arrossisce, non fa la stupida e non mi tocca i tatuaggi, usandoli come scusa per sfiorarmi le braccia. Di solito queste cose mi smontano. Cioè, non quando punti a portarti a letto una ragazza – perché, anzi, rendono tutto 202/915 più semplice –, ma per qualche ragione sono felice che Camryn si sia comportata in modo diverso. Chi cavolo è questa ragazza? E perché sto pensando a queste cose? Si addormenta prima di me con la testa appoggiata al finestrino e io resisto alla tentazione di guardarla: sembra così dolce e innocente che mi viene voglia di proteggerla. Pare che il pervertito abbia smesso di fissarla quando ci ha visti insieme l’ultima volta che ci siamo fermati. Secondo la logica maschile, è probabile che la consideri “territorio” mio, una mia proprietà. Meglio, perché così la lascerà in pace almeno finché ci sono io nei paraggi. Peccato che in Wyoming ci separeremo, e la cosa mi preoccupa parecchio. Spero che quel tizio cambi autobus. Faremo altre due soste prima 203/915 di Denver, e mi auguro con tutto il cuore che scenda. Altrimenti lo terrò d’occhio fino alla fine. Quel figlio di puttana non arriverà in Idaho. Lo ucciderò prima. Mi guardo attorno nell’autobus buio. L’uomo dorme, la testa sul sedile dal lato del corridoio. Accanto a lui c’è una donna, ma è troppo avanti con gli anni per attirare la sua attenzione. A lui piacciono giovani, molto giovani probabilmente. Mi viene da vomitare al solo pensiero di cosa potrebbe avere fatto ad altre ragazze. Nonostante il vento che sferza la carrozzeria, il rumore degli pneumatici sull’asfalto e il brontolio di quell’enorme motore, è tutto tranquillo. C’è pace, quasi. Per quanta ce ne possa essere in un autobus. 204/915 Mi metto le cuffie e accendo il lettore mp3 in modalità shuffle. Cosa sarà… cosa sarà? Lascio sempre che sia la prima canzone a determinare il mio umore. Su questo aggeggio ho più di trecento brani. Trecento umori diversi. Credo però che il mio mp3 sia difettoso, perché attacca quasi sempre con Dust in the Wind dei Kansas, Going to California degli Zeppelin o qualcosa degli Eagles. Aspetto senza guardare il display, come se fosse un indovinello e non volessi barare. Ah, ottima scelta: Dream On degli Aerosmith. Appoggio la testa al sedile e chiudo gli occhi; solo dopo averlo fatto mi rendo conto che ho abbassato il volume. Non voglio svegliare Camryn. Riapro gli occhi e la guardo. Stringe forte la borsa a sé, come se ne fosse 205/915 completamente responsabile anche nel sonno profondo. Mi chiedo cosa ci sia lì dentro, se c’è qualcosa che potrebbe aiutarmi a conoscerla. Se c’è qualcosa che potrebbe dirmi la verità su di lei. Poco importa. Una volta in Wyoming perderò le sue tracce e probabilmente lei non ricorderà nemmeno più come mi chiamo. È meglio così, lo so. Posso essere un bagaglio pesante da portare, anche come amico, e non credo che sia ciò di cui lei ha bisogno. Non lo augurerei a nessuno. Il ronzio della voce di Steven Tyler mi culla nel dormiveglia. Poi prorompe in un acuto: lo ascolto fino in fondo, e poi mi addormento. «Ehi, spostati» dice una voce. Qualcosa mi preme contro la spalla. Mi sveglio e c’è Camryn che cerca di spingermi via. Fa abbastanza ridere 206/915 quella sua faccia di traverso di primo mattino. Per quanto si sforzi, sono troppo pesante e non riesce a smuovermi di un millimetro. «Scusa» rispondo, cercando di svegliarmi. Mi tiro su disorientato; ho il collo rigido come un tronco. Non volevo finire con la testa sul suo braccio, ma non mi dispiace poi così tanto. Non quanto a lei. In verità, sono abbastanza sicuro che stia fingendo. Sta cercando in tutti i modi di non sorridere. Vediamo se posso aiutarla… Sorrido per primo. «Ti sembra divertente?» mi dice, la bocca un po’ aperta e le sopracciglia aggrottate in quel suo modo delizioso. «Sì, sinceramente sì.» Continuo a sorriderle e alla fine si lascia andare. «Però ti chiedo scusa, davvero.» 207/915 Mi lancia un’occhiata di traverso, come per sondare la mia sincerità. Anche questo è molto carino. Distolgo lo sguardo e alzo le braccia per stiracchiarmi, e mi viene da sbadigliare. «Che schifo!» esclama lei. La scelta del termine non mi stupisce affatto. «Hai l’alito che puzza di culo.» «Come fai a sapere che odore ha il culo?» ribatto con una risata. Con questo la metto a tacere. Continuando a ridere infilo l’mp3 nella borsa. Svito il tappo del dentifricio e ne spremo un po’ sulla punta della lingua, lo spalmo nella bocca e poi mando giù. Ovviamente Camryn mi guarda disgustata. Esattamente la reazione che speravo di ottenere. Anche gli altri passeggeri si sono svegliati prima di me. Sono sorpreso di 208/915 aver dormito così tanto e senza interruzioni, nemmeno per trovare una posizione comoda, cosa che non mi riesce mai. L’orologio dice che sono le 9.02. «Dove siamo?» chiedo, guardando fuori dal finestrino in cerca di un cartello. «A circa quattro ore da Denver. L’autista ha annunciato un’altra sosta tra dieci minuti.» «Perfetto» rispondo, allungando una gamba nel corridoio tra i sedili. «Ho bisogno di muovermi. Sono rigido come un bastone.» Vedo che Camryn sorride, poi però si gira subito verso il finestrino. Rigido come un bastone. Okay, quindi capisce anche i doppi sensi. La sosta successiva non è molto diversa dalle altre: una serie di stazioni di servizio sui due lati dell’autostrada e 209/915 due fast food. Non ci credo che questa ragazza sia riuscita davvero a insinuarmi il dubbio se entrare o no nel fast food. Non capisco se voglio dimostrarle che scelgo di mangiare meglio se ne ho la possibilità, o se è perché poi mi urlerà contro. Un momento, chi è che ha il controllo della situazione? Ovviamente lei. Cacchio. Ci mettiamo in fila per scendere, Camryn è davanti a me; si ferma e si gira a guardarmi con le braccia incrociate. «Bene, visto che sei così intelligente» dico, con un tono da terzo grado «vediamo se riesci a trovare qualcosa di sano da mangiare – e che non sappia di gomma inzuppata nella merda – in un posto come questo.» 210/915 Increspa l’angolo della bocca in un mezzo sorriso. «Ci sto» risponde, accettando la sfida. La seguo nel gigantesco supermercato. Per prima cosa si dirige ai frigoriferi con le bevande. Come la valletta bionda di un quiz televisivo (non so chi di preciso perché non guardo i quiz, ma c’è sempre una valletta bionda), con un gesto teatrale mi presenta il mondo dei succhi di frutta e dell’acqua minerale come se li vedessi per la prima volta. «Possiamo cominciare con una selezione di succhi, come puoi vedere» spiega, con un perfetto tono da presentatrice. «Uno qualsiasi di questi è meglio di una bibita gassata. A te la scelta.» «Odio i succhi di frutta.» 211/915 «Non fare il bambino. Ce ne sono un sacco, sono sicura che uno che riesci a mandare giù lo trovi.» Si sposta al frigorifero accanto e mi illustra i vari tipi di acqua minerale aromatizzata. «E qui c’è l’acqua» spiega, «ma non mi sembri il tipo.» «No, infatti è da sfigati.» Non ho nessun problema con l’acqua minerale, ma mi piace questo gioco. Camryn sorride, ma si sforza di non darlo a vedere. Io arriccio il naso, stringo le labbra e guardo prima lei, poi il frigo con i succhi di frutta. Respiro sonoramente e mi avvicino; esamino le marche, i gusti e le combinazioni e mi chiedo perché le fragole 212/915 o il kiwi – o le fragole e il kiwi insieme – siano dappertutto. Io li odio. Alla fine apro lo sportello e prendo un classico succo d’arancia. Lei geme. «Cosa c’è?» chiedo, ancora con lo sportello aperto. «Il succo d’arancia non va bene per accompagnare il cibo.» Mi esce una risata e la guardo, immobile. «Per una volta che scelgo, mi dici che non va bene.» Vorrei ridere, ma sto cercando di farla sentire in colpa. E credo che stia funzionando. Camryn aggrotta la fronte. «Be’, ecco… il succo d’arancia va bene se hai bisogno di vitamina C. Ti fa solo venire più sete.» 213/915 Sembra che sia preoccupata di avermi offeso, e la cosa mi colpisce in un modo strano. Sorrido solo per vederla sorridere. E il suo è il sorriso di un diavolo tentatore. Oh, è fantastica… 10 Camryn Finalmente superiamo Denver; ci stiamo avvicinando sempre di più al Wyoming, dove Andrew dovrà scendere. Non mentirò: mi dispiace. Andrew aveva ragione a dire che è pericoloso viaggiare da sola. Sto soltanto cercando di capire perché la cosa non mi turbava prima di conoscere lui. Forse mi sento più sicura in sua compagnia: mi dà l’idea che potrebbe spaccare qualche naso senza il minimo sforzo. Cavolo, non avrei mai dovuto parlare con lui e 215/915 di certo non avrei dovuto farlo sedere accanto a me, perché ora mi sono abituata alla sua presenza. Appena ci separeremo, io tornerò a osservare il mondo dal finestrino senza sapere quale sarà la mia prossima tappa. «Hai la ragazza?» chiedo, solo per ravvivare la conversazione e non pensare che tra poche ore sarò di nuovo sola. Le sue fossette ricompaiono. «Perché ti interessa?» Alzo gli occhi al cielo. «Non montarti la testa. Era solo una domanda. Se no…» «No, sono felicemente single.» Mi guarda sorridendo, in attesa, e mi ci vuole un secondo per capire cosa sta aspettando. 216/915 Punto il dito verso di me, nervosa. Certo, se avessi scelto un argomento meno personale… «Io? No, io mai più.» Sentendomi più sicura aggiungo: «Anch’io sono felicemente single e così voglio restare. Almeno per… sempre». Mi sarei dovuta interrompere a “felicemente single” invece di sproloquiare con queste banalità. Ovviamente Andrew si accorge del mio imbarazzo. Mi sa che è quel tipo di persona che non si lascia mai sfuggire i momenti d’imbarazzo altrui. Anzi, ci gode. «Me ne ricorderò» replica con un sorriso. Per fortuna evita di scavare a fondo sull’argomento. Appoggia la testa al sedile e, sovrappensiero, batte i pollici e i mignoli contro i jeans. Sperando che non se ne 217/915 accorga, osservo le sue braccia muscolose e abbronzate per vedere i tatuaggi, ma sono coperti dalle maniche della maglietta. Poi Andrew si piega per allacciarsi una scarpa e riesco a intravedere quello che ha sul braccio sinistro. Non capisco cosa rappresenti… qualcosa con delle piume. Finora mi è capitato di vedere solo tatuaggi non colorati. «Curiosa?» mi chiede e io trasalgo. Non pensavo che se ne fosse reso conto. «Un po’.» Sì, sono molto curiosa, in verità. Andrew solleva la manica rivelando una fenice con una lunga e bellissima coda di piume, che finisce a pochi centimetri dall’orlo della maglietta, e un corpo scheletrico. Ha un aspetto quasi “umano”. «Bello.» 218/915 «Grazie. L’ho fatto più o meno un anno fa» mi spiega rimettendo giù la manica. «E questo» continua, girandosi e tirando su la manica destra (ma la prima cosa che noto è il profilo degli addominali attraverso la T-shirt) «è il mio albero di Sleepy Hollow, con i rami tutti contorti… ho una passione per gli alberi stregati. Se guardi bene…» Mi avvicino e osservo un punto sul tronco che Andrew mi sta indicando. «… Vedi la mia Chevy Camaro del 1969. Veramente è l’auto di mio padre, ma visto che sta morendo, credo che la terrò io.» Guarda dritto davanti a sé. Ed eccola quella piccola scintilla di dolore che prima, quando parlava di suo padre, ha tenuto nascosta. Soffre più di quanto non si conceda, e la cosa mi spezza il cuore. Non riesco neanche a immaginare mia madre o mio padre sul letto di morte mentre io sono su un 219/915 autobus, in viaggio per vederli per l’ultima volta. Scruto il viso di Andrew e vorrei davvero dire qualcosa per confortarlo, ma non credo di averne il diritto. Per qualche ragione non penso sia compito mio; almeno, non è il caso che tiri fuori l’argomento. «Ne ho anche altri» continua Andrew. «Uno piccolo qui.» E gira il polso destro per mostrarmi una semplice stella nera, proprio sotto il palmo. Sono sorpresa di non averla notata prima. «E uno più grande sotto le costole, a sinistra.» «Che cos’è? Quant’è grande?» Mi sorride dolcemente e i suoi occhi verdi brillano. «Decisamente grande.» Vedo che fa per tirare su la maglietta, poi cambia idea. «È una donna. Niente per cui valga la pena spogliarsi su un autobus.» 220/915 Adesso voglio vederlo assolutamente, solo perché lui non vuole. «Una donna che conosci?» chiedo. Continuo a fissare il punto in cui dovrebbe esserci il tatuaggio, sperando che lui cambi idea e alzi la maglietta, ma non lo fa. Andrew scuote la testa. «No, macché. È Euridice» e agita la mano davanti a sé come per liquidare qualsiasi ulteriore spiegazione. Il nome mi fa venire in mente qualcosa di antico, greco forse, e mi è vagamente familiare, anche se non ricordo di preciso. Annuisco. «Ti ha fatto male?» «Un po’. Cioè, fa male soprattutto sulle costole. Quindi sì, fa male.» «Hai pianto?» 221/915 Sorride. «No, non ho pianto. Ma l’avrei fatto, se fosse stato anche solo un po’ più grande. Ci sono volute sedici ore per finirlo.» Batto le palpebre, stupita. «Wow, sei rimasto seduto per sedici ore?» Visto che continuiamo a parlarne, mi domando perché non me lo faccia vedere. Forse non è venuto bene o il tatuatore ha fatto un pasticcio. «Non consecutive. Ti chiederei se anche tu hai dei tatuaggi, ma qualcosa mi dice di no.» «Infatti no» rispondo, arrossendo un po’. «Non è che non ci abbia mai pensato.» Stringo il polso sinistro tra il pollice e il medio. «Avrei voluto qualcosa qui… magari una scritta, “Libertà” per esempio o qualcosa in latino… Alla fine non ci ho pensato più di tanto.» Sorrido e mi lascio sfuggire un sospiro 222/915 imbarazzato. Parlare di tatuaggi con un ragazzo che ne sa molto più di me mi intimorisce un po’. Sto per abbassare il braccio, ma Andrew mi afferra per il polso. Per un secondo resto come disorientata; sento persino uno strano brivido in tutto il corpo, che però svanisce non appena lui comincia a parlare. «Un tatuaggio sul polso è molto grazioso e femminile.» Con il polpastrello mi indica il punto in cui potrei farlo. Rabbrividisco ancora. «Qualcosa in latino, molto piccolo, sarebbe davvero carino.» Mi lascia andare e io mi appoggio al bracciolo. «Mi aspettavo che dicessi “neanche per sogno”.» Ride e accavalla le gambe. Fuori, si sta facendo buio in fretta. Il sole fa appena capolino all’orizzonte 223/915 tingendo ogni cosa di una sfumatura arancione, rosa e viola. «Evidentemente non sono un tipo prevedibile» ribatto con un sorriso. «No, direi di no» risponde lui, e poi guarda pensieroso davanti a sé. Il giorno dopo Andrew mi sveglia alle due del pomeriggio alla stazione di Cheyenne, Wyoming. Sento che mi picchietta le dita sul fianco. «Siamo arrivati» mi annuncia. Apro gli occhi e scosto la testa dal finestrino. Sono sicura di avere un alito terribile, sento la bocca asciutta e impastata, così guardo altrove mentre sbadiglio. L’autobus entra in stazione con uno stridore di freni. Come sempre, i passeggeri si alzano stiracchiandosi e recuperano le borse dal vano sopra i 224/915 sedili. Io resto seduta, un po’ nel panico, e lancio un’occhiata a Andrew. Ho la netta sensazione che avrò un attacco d’ansia. Insomma, sapevo che questo momento sarebbe arrivato, che Andrew sarebbe andato per la sua strada e io sarei rimasta sola, ma non mi aspettavo di sentirmi una ragazzina spaventata e indifesa, senza più nessuno che si occupi di lei. Merda, merda, merda! E non riesco a credere di aver ceduto al punto che mi sento così a mio agio con lui: non posso più fare della mia paura un’arma. Ho paura di stare da sola. «Vieni?» mi chiede lui guardandomi dal corridoio e porgendomi la mano. Mi sorride dolcemente ed evita di fare un commento strafottente o di prendermi in giro: dopotutto è l’ultima volta che ci 225/915 vediamo. Non è come se fossimo innamorati, ma succede qualcosa di strano quando passi vari giorni su un autobus in compagnia di un estraneo, impari a conoscerlo e stai bene con lui. E quando questa persona è simile a te e stabilisci un legame, anche se non vi siete raccontati il perché delle vostre sofferenze, separarsi è ancora più difficile. Ma non posso dirglielo. Che stupidaggine. Mi sono messa in questa situazione e ora devo andare fino in fondo. Indipendentemente da dove arriverò. Gli sorrido anch’io e gli prendo la mano. E anche mentre cammina davanti a me lungo il corridoio tiene le mie dita tra le sue. Sento una sensazione di calore nel suo tocco, e mi ci aggrappo il più possibile, così, forse, quando sarò di nuovo sola mi sentirò più sicura. 226/915 «Bene, Camryn…» Andrew mi guarda, in attesa che gli dica il mio cognome. «Bennett.» Sorrido, infrangendo la mia stessa regola. «Bene, Camryn Bennett, è stato un piacere conoscerti nel nostro viaggio verso il nulla.» Si sistema la borsa a tracolla, poi mette le mani in tasca. I muscoli delle braccia si tendono. «Ti auguro di trovare quello che stai cercando.» Provo a sorridere, ma so che mi viene fuori qualcosa più simile a un broncio. Metto la borsa in spalla e prendo il bagaglio con l’altra mano. «Anche per me è stato un piacere, Andrew Parrish» rispondo, anche se non vorrei dirlo. Vorrei che il nostro viaggio insieme proseguisse ancora un po’. «Fammi un favore, se ti va.» 227/915 Ho stuzzicato la sua curiosità. Piega appena la testa da una parte. «D’accordo. Che favore? Sessuale?» Le fossette si fanno più profonde e incurva le sue bellissime labbra. Sorrido e abbasso lo sguardo; la faccia mi va a fuoco. Poi però cerco di riprendermi, perché non è una richiesta che posso fare a cuor leggero. Gli punto addosso uno sguardo più serio e partecipe. «Se tuo padre non dovesse farcela» inizio, e lo vedo rabbuiarsi «concediti di piangere, okay? Una delle sensazioni più brutte al mondo è non essere capaci di piangere. Rende solo… tutto più tetro.» Andrew mi fissa in silenzio per un istante e annuisce. Nella profondità dei suoi occhi vedo un sorriso di gratitudine. Gli porgo la mano per salutarlo e 228/915 lui me la stringe, ma la tiene un momento di più e mi tira a sé in un abbraccio. Lo stringo forte; vorrei tanto potergli dire che sono terrorizzata all’idea che mi lasci sola. Ma so che non posso. Tieni duro, Camryn! Lui si scosta da me, annuisce un’ultima volta con quel sorriso che ho imparato in fretta ad apprezzare e poi si allontana verso l’uscita del terminal. Resto lì per quella che sembra un’eternità, le gambe come paralizzate. Lo osservo mentre sale su un taxi e continuo a seguirlo con lo sguardo finché non scompare. Sola, di nuovo. A migliaia di chilometri da casa. Nessuna direzione, nessuno scopo, nessun obiettivo a parte trovare me stessa in questo viaggio che mai avrei immaginato di intraprendere. 229/915 Sono spaventata, però devo andare avanti. Devo farlo perché ho bisogno di stare da sola, di allontanarmi da tutto ciò che mi ha portato qui. Alla fine recupero il controllo e trovo un posto dove sedermi. Il prossimo autobus per l’Idaho partirà fra quattro ore, quindi dovrò cercare qualcosa per passare il tempo. Per prima cosa vado ai distributori automatici. Infilo le monete e faccio per schiacciare E4 per prendere una barretta di cereali – la cosa più vicina a un cibo salutare che c’è –, poi però le mie dita fanno un’inversione a U e spingo D4: una grassa, zuccherosa e disgustosa barretta di cioccolato cade giù. Recupero felice la schifezza e vado al distributore delle bibite superando quello dell’acqua e dei succhi di frutta. Alla 230/915 fine scelgo una roba gassata, spaccadenti e torcibudella. Andrew sarebbe orgoglioso di me. Cazzo, basta pensare a Andrew! Mi siedo e aspetto. L’attesa di quattro ore diventa di sei. Il ritardo viene annunciato al microfono: a quanto pare il mio autobus ha avuto un guasto. Nel terminal si leva un coro di sospiri. Fantastico, davvero fantastico. Sono bloccata in questa stazione in mezzo al nulla, ed è molto probabile che debba passarci la notte e dormire in posizione fetale su questa sedia di plastica dura, che è scomoda persino da seduti. Oppure potrei comprare un biglietto per qualche altro posto. Ma certo! Problema risolto! Perché non ci ho pensato prima? Mi sarei 231/915 risparmiata le sei ore che ho già sprecato qui. È come se mi fossi autoconvinta di dover andare per forza in quel cazzo di Idaho, solo perché ho già pagato il biglietto. Prendo le borse dal sedile accanto al mio e mi dirigo verso la biglietteria, passando davanti a una serie di viaggiatori contrariati, che evidentemente non hanno un’alternativa. «Stiamo chiudendo, signorina» mi dice l’impiegata. «Un momento, per favore» replico, allungando le mani sul banco, disperata. «Devo solo comprare un biglietto. La prego, mi farebbe un grossissimo favore.» La signora, anziana e con i capelli ispidi, si mordicchia per un momento la guancia, poi sospira e alla fine digita qualcosa sulla tastiera. 232/915 «Oh, grazie!» esclamo. «Lei è davvero gentile! Grazie!» La donna alza gli occhi al cielo. Appoggio la borsa sul bancone e rovisto in cerca del portafoglio. «Per dove?» mi chiede. Perfetto, di nuovo la domanda da un milione di dollari. Mi guardo intorno in cerca di un altro “segno” come la patata in North Carolina, ma non trovo niente. La signora è sempre più irritata e non vede l’ora di andarsene. «Allora?» dice, sospirando rumorosamente. Guarda l’orologio appeso al muro. «Ho finito il turno un quarto d’ora fa e vorrei davvero tornare a casa e cenare.» «Sì, certo, scusi.» Tiro fuori la carta di credito e gliela porgo. «Texas» rispondo. E quando lo dico mi rendo 233/915 conto che ce l’avevo già sulla punta della lingua. «Sì, da qualsiasi parte in Texas, grazie.» La donna solleva un sopracciglio rossiccio e incolto. «Non sa dove sta andando?» Annuisco convinta. «No, no, certo, che lo so. Volevo dire che prendo il primo autobus per il Texas.» Le sorrido sperando che si beva queste cazzate e, insospettita, non le salti in mente di chiedermi la patente. «Aspetto da sei ore… Spero che capisca.» Mi guarda per un lungo, irritante, momento, poi prende la carta e ricomincia a battere sulla tastiera. «Il prossimo autobus per il Texas parte tra un’ora.» «Perfetto! Prendo quello» esclamo, prima che lei possa dirmi dove è diretto di preciso. 234/915 Non importa. E la signora ha talmente fretta di tornare a casa che non sembra pensarci. A me non interessa, e di sicuro nemmeno a lei. Prendo il mio nuovo biglietto e lo infilo nella borsa accanto all’altro. La biglietteria chiude alle mie spalle alle 21.05. Che sollievo. Torno al mio posto di prima, cerco il cellulare nella borsa e guardo se mi ha chiamato qualcuno. Mia madre ha telefonato due volte e ha lasciato un messaggio in segreteria. Ancora niente da Natalie. «Tesoro, dove sei?» mi chiede mia madre quando la richiamo. «Ho provato a cercare Natalie per sapere se eri con lei, ma non sono riuscita a trovarla. Stai bene?» «Sì, mamma, sto bene.» Cammino davanti al sedile con il telefono 235/915 all’orecchio destro. «Ho deciso di andare a trovare la mia amica Anna in Virginia. Resterò da lei per un po’, però sto bene.» «Ma Camryn… e il nuovo lavoro?» Sembra amareggiata, soprattutto perché è una sua amica ad avermi assunto. «Maggie mi ha detto che dopo la prima settimana non ti sei più fatta vedere. Nemmeno una telefonata.» «Lo so, mamma, e mi dispiace molto, ma non faceva proprio per me.» «Almeno potevi essere cortese e… darle un preavviso di quindici giorni, Camryn, avvertirla.» Mi sento uno schifo per come ho gestito la cosa e in condizioni normali non avrei mai fatto niente di così sconsiderato, ma purtroppo sono state le circostanze a spingermi ad agire in quel modo. 236/915 «Hai ragione» rispondo. «Appena torno chiamo la signora Phillips per scusarmi di persona.» «Ma non è da te» insiste mia madre. Temo che possa intuire qualcosa del vero motivo per cui me ne sono andata. «E non è da te partire per la Virginia senza telefonarmi o lasciarmi un biglietto. Sicura che è tutto a posto?» «Sicura. Non preoccuparti, per favore. Ti richiamo presto, adesso devo andare.» Da come sospira capisco che non vorrebbe riattaccare, ma alla fine cede. «Okay, sta’ attenta. Ti voglio bene.» «Ti voglio bene anch’io, mamma.» Controllo ancora il telefono, sperando che Natalie mi abbia scritto e che io non me ne sia accorta. Scorro i messaggi, anche se so benissimo che se ci 237/915 fossero degli sms non letti ci sarebbe un pallino rosso sopra l’icona. Senza rendermene conto, torno talmente indietro nella lista dei messaggi ricevuti. A un certo punto sul display compare il nome di Ian, e il cuore mi si gela nel petto. Mi fermo e sto per leggere il nostro ultimo scambio, poco prima che morisse. Ma non ci riesco. Nascondo con rabbia il telefono nella borsa. 11 Ecco un altro motivo per cui odio le bibite gassate: mi fanno scappare la pipì. Il pensiero di trovarmi intrappolata sull’autobus con un bagno grande quanto un pacchetto di fiammiferi mi costringe ad andare alle toilette della stazione. Lungo la strada, butto nel cestino la bottiglietta mezza piena. Evito i primi tre gabinetti – sono disgustosi – e mi chiudo dentro il quarto. Appendo le borse a un gancio montato sulla porta blu, fodero ben bene la ciambella con la carta igienica per non 239/915 rischiare di prendermi qualche infezione e faccio in fretta quello che devo. E qui arriva la parte strategica. Con un piede fermo accanto al water per evitare che il sensore faccia scattare lo scarico automatico dell’acqua, mi abbottono i jeans, recupero le borse dal gancio e apro la porta. E poi spicco un salto in avanti prima che lo sciacquone parta. Tutta colpa di MythBusters - Miti da sfatare: mi ha sconvolto la puntata in cui i due conduttori dimostrano quanti germi ti arrivano addosso quando si tira lo scarico del wc. Le luci al neon della toilette sono più basse di quelle della sala d’attesa, una sfarfalla proprio sopra di me. Vado davanti allo specchio e cerco un angolo asciutto per appoggiare le borse, poi mi lavo le mani. Fantastico, niente carta. 240/915 Per asciugarsi c’è solo uno di quei fastidiosi aggeggi che sparano aria, e che servono solo a spargere l’acqua dappertutto. Inizio a strofinarmi le mani sui jeans, ma per sbaglio colpisco il bottone di avvio dell’asciugatore, che si accende con un ruggito. Detesto quel frastuono. Mentre fingo di asciugarmi le mani (perché so che alla fine ripiegherò comunque sui jeans), dallo specchio scorgo un’ombra che si muove dietro di me. Mi giro e contemporaneamente l’asciugatore si spegne. Cala il silenzio. Sulla porta c’è un uomo; mi guarda. Inizia a battermi forte il cuore e mi si secca la gola. «È il bagno delle donne.» Lancio un’occhiata alle borse. Ho un’arma? Sì, almeno mi è venuto in mente di prendere un coltello, anche se mi servirà a poco visto che è dentro un sacchetto e stipato sotto ai vestiti. 241/915 «Scusami, pensavo fosse quello degli uomini.» Bene, scuse accettate, adesso per favore togliti dai piedi. L’uomo, che indossa un paio di scarpe da corsa vecchie e sporche e un paio di jeans scoloriti con macchie di vernice sulle gambe, rimane fermo dov’è. Non va bene per niente. Se davvero si è sbagliato, dovrebbe sembrare un po’ più imbarazzato e avrebbe già battuto in ritirata. Faccio per prendere le borse e con la coda dell’occhio mi accorgo che si avvicina di qualche passo. «Io… non volevo spaventarti» dice. Apro la borsa e rovisto all’interno in cerca del coltello, senza mai perdere di vista lo sconosciuto. 242/915 «Ti ho vista sull’autobus» continua, facendosi sempre più vicino. «Mi chiamo Robert.» Giro la testa per guardarlo in faccia. «Senti, non dovresti stare qui. Non è il posto più adatto per fare conversazione, quindi ti suggerisco di andartene. Subito.» Finalmente sento i contorni del coltello e lo stringo, tenendo la mano nascosta nella borsa. Con un dito premo la levetta per far uscire la lama. Sento il clic e metto la sicura. L’uomo si ferma a poco meno di due metri da me e sorride. Ha i capelli neri e unti pettinati all’indietro. Sì, ora mi ricordo di lui; è salito sull’autobus nel Tennessee. Oh mio Dio, mi ha osservata per tutto questo tempo? 243/915 Tiro fuori il coltello dalla borsa e lo sollevo, pronta a usarlo. Voglio fargli capire che non esiterò a farlo. Lui sorride. E anche questo mi spaventa. Il cuore mi batte forte. «Vattene» dico, digrignando i denti. «Giuro su Dio che ti squarto come un maiale.» «Non voglio farti del male» risponde lui, con un sorriso inquietante. «Ti pagherò, e tanto, basta solo che mi succhi l’uccello. Solo quello. Tu uscirai da qui con cinquecento dollari e io conserverò l’immagine per ricordo. Ci guadagneremo entrambi.» Inizio a urlare con tutto il fiato che ho in corpo, quando d’improvviso noto un’altra ombra. Andrew si lancia sull’uomo e lo sbatte contro i lavandini e poi contro lo specchio, che va in mille pezzi. Salto indietro per schivare i 244/915 frammenti e finisco contro l’asciugatore, riattivandolo per sbaglio. Il coltello mi cade di mano. Lo vedo per terra, ma sono troppo spaventata per raccoglierlo. Andrew prende di peso l’uomo per la maglietta e lo solleva – quel che resta dello specchio è sporco di sangue – poi con l’altra mano lo colpisce. Sento uno schiocco che mi dà il voltastomaco e vedo che sanguina dal naso. Andrew continua a colpirlo in testa, ancora e ancora, finché l’uomo non riesce più a sollevarla e comincia a barcollare come se fosse ubriaco. Ma Andrew non si ferma. Afferra di nuovo l’uomo per le spalle, lo solleva e lo sbatte contro il muro di piastrelle finché non sviene. Lascia andare il corpo, che si accascia sul pavimento. Sento che batte la testa. Andrew resta 245/915 lì, forse per vedere se si alzerà di nuovo. Però c’è qualcosa di selvaggio, di inquietante nella sua postura e nella sua espressione furiosa, mentre fissa l’uomo privo di sensi. Non riesco quasi a respirare, ma mi sforzo di dire: «Andrew? Stai bene?». Si riprende da quella specie di trance e si gira per guardarmi. «Cosa?» Scuote la testa e socchiude gli occhi, incredulo. «Se io sto bene? Che domanda è?» Mi stringe le spalle e mi guarda dritto negli occhi. «Tu stai bene piuttosto?» Provo ad abbassare gli occhi perché il suo sguardo è troppo intenso, ma lui mi scuote per obbligarmi a guardarlo. «Sì… sto bene» dico alla fine. «Grazie a te.» Andrew mi attira contro il suo torace massiccio e mi stringe; quasi mi stritola. 246/915 «Dovremmo chiamare la polizia» dice, scostandosi. Annuisco. Lui mi prende per mano e mi porta fuori dal bagno verso l’atrio di un grigio tetro. Quando i poliziotti arrivano, l’uomo è sparito. Probabilmente è sgattaiolato via poco dopo di noi, forse mentre Andrew era al telefono. Diamo agli agenti una sua descrizione e le nostre generalità. I poliziotti elogiano Andrew per essere intervenuto, ma lui ha l’aria assente e vuole solo chiudere in fretta questa storia. Il mio autobus per il Texas è partito dieci minuti fa. Sono di nuovo bloccata nel Wyoming. «Pensavo che dovessi andare in Idaho» mi dice Andrew. Mi è scappato che il mio “autobus per il Texas” è partito senza di me. 247/915 Mi mordo il labbro e incrocio le gambe. Siamo seduti vicino alle porte di entrata della stazione e guardiamo il via vai di passeggeri. «Adesso vado in Texas.» Non aggiungo altro, anche se so di essere stata smascherata e che presto mi lascerò sfuggire una parte della verità. «Pensavo che fossi andato via in taxi» ribatto, provando a cambiare argomento. «Sì, ma non stiamo parlando di me, Camryn. Perché non vai più in Idaho?» Sospiro. So benissimo che insisterà fino a quando non mi avrà tirato fuori una risposta, così getto la spugna. «Non ho nessuna sorella in Idaho» ammetto. «Sono in viaggio. Non c’è nient’altro sotto, davvero.» Lo sento sospirare, irritato. 248/915 «C’è sempre dell’altro sotto… Stai scappando di casa?» Alla fine lo guardo. «No, non sto scappando di casa. Non nel senso di una minorenne che scappa di casa.» «E allora in che senso?» Scrollo le spalle. «Avevo solo bisogno di allontanarmi per un po’.» «Quindi sei scappata.» Respiro a fondo e lo guardo nei suoi intensi occhi verdi. «Non sono scappata, me ne sono andata.» «E hai deciso di salire su un autobus da sola?» «Sì.» Comincio a essere irritata da questo martellamento continuo. «Dovrai darmi qualche altra spiegazione.» «Senti, ti sono riconoscente più di quanto immagini per quello che hai 249/915 fatto. Davvero. Ma non credo che avermi tirato fuori dai guai ti dia il diritto di farti gli affari miei.» Dalla sua espressione sembra un po’ offeso. Mi sento in colpa ma è la verità: non sono obbligata a raccontargli nulla. Alla fine Andrew cede e guarda davanti a sé accavallando le gambe. «Mi sono accorto che quel pezzo di merda ti fissava da quando sono salito sull’autobus in Kansas.» Non mi ha ancora guardato in faccia, ma io lo osservo mentre parla. «Quando siamo arrivati, l’ho visto salire su un taxi in stazione prima di me e solo allora ho sentito che potevo lasciarti qui da sola. Ma mentre andavo in ospedale, ho avuto un brutto presentimento. Ho detto al tassista di lasciarmi davanti a un ristorante e ho 250/915 mangiato qualcosa. Ma non riuscivo a liberarmi di quel pensiero.» «Un momento» lo interrompo «non sei andato in ospedale?» Andrew mi guarda. «No, sapevo che se ci fossi andato…» Distoglie di nuovo lo sguardo. «… quella brutta sensazione non mi avrebbe permesso di concentrarmi su mio padre.» Capisco e non dico altro. «Così sono andato a casa di mio padre e ho preso la sua auto, ho girato per un po’ e, quando non ce l’ho più fatta, sono tornato qui. Ho parcheggiato dall’altra parte della strada e ho aspettato. Poi è arrivato un taxi e ho visto scendere quel tizio.» «Perché non sei entrato invece di restare in macchina?» Abbassa gli occhi, come per riflettere. 251/915 «Non volevo spaventarti.» «Come avresti potuto?» Mi rendo conto che sto sorridendo. Andrew mi guarda e quel sorriso sghembo e un po’ strafottente torna a farsi strada sul suo viso. Alza le mani. «Mmm, un tipo strano che hai conosciuto sull’autobus torna ore dopo averti salutato e si siede accanto a te…» Aggrotta la fronte. «Inquietante quanto chiederti cinquecento dollari per farsi succhiare l’uccello, non trovi?» Scoppio a ridere. «No, non credo proprio.» Andrew prova a nascondere un sorriso, poi cede. «Cos’hai intenzione di fare, Camryn?» È tornato di nuovo serio e anche il mio sorriso svanisce. 252/915 «Non lo so. Credo che aspetterò qui il prossimo autobus per il Texas, poi andrò in Texas.» «Perché proprio lì?» «Perché no?» «Sono serio.» Batto le mani sulle cosce. «Perché non ho nessuna intenzione di tornare a casa!» Non sembra affatto turbato dalla mia reazione. «E perché non vuoi tornare?» mi chiede con voce calma. «Ti conviene parlare, perché non ti lascerò da sola in questa stazione, soprattutto non dopo quello che è successo.» Incrocio le braccia al petto e guardo dritto davanti a me. «Allora dovrai restare seduto qui finché non salgo sull’autobus.» 253/915 «No. Intendevo dire che non ti farò nemmeno salire da sola su un altro autobus. Per il Texas, per l’Idaho, per dove cazzo vuoi andare. È pericoloso, e so che sei una ragazza intelligente. Quindi, ecco cosa faremo…» Sono colpita dal suo improvviso atteggiamento autoritario. «Resterò qui ad aspettare con te fino a domattina, così avrai tempo a sufficienza per decidere se accettare che ti paghi un biglietto aereo per tornare a casa o se vuoi chiamare qualcuno che venga a prenderti. A te la scelta.» Lo guardo come se fosse impazzito, ma i suoi occhi mi rispondono “Sono serissimo”. «Non tornerò nel North Carolina.» Andrew balza in piedi e si mette di fronte a me. «Okay, allora vengo con te.» 254/915 Batto di nuovo le palpebre e lo guardo negli occhi: da questa prospettiva i suoi zigomi sembrano più pronunciati e rendono il suo sguardo ancora più fiero. Ho una specie di nodo allo stomaco. «Sei fuori.» Rido, ma so che non scherza. Allora aggiungo: «E tuo padre?». Stringe i denti e il suo sguardo si fa ancora più disperato. Fa per abbassare gli occhi, poi gli viene in mente qualcosa. «Allora vieni tu con me.» Cosa? No, mai… Ora mi sembra più speranzoso che determinato. Si risiede di nuovo sulla sedia di plastica blu accanto a me. «Staremo qui fino a domattina» riprende «perché di sicuro non vorrai andartene da una stazione degli autobus con uno sconosciuto di notte? Vero?» 255/915 «Vero» rispondo, anche se sento davvero di potermi fidare di lui: mi ha salvato da un tentativo di stupro, santo cielo! E niente in lui suscita in me le stesse paure che avevo quando Damon ha fatto quasi la stessa cosa. No, negli occhi di Damon, quando mi ha guardato quella notte sul tetto, c’era qualcosa di oscuro. Negli occhi di Andrew, invece, vedo solo preoccupazione. Eppure non me ne andrò di qui con lui come niente fosse. «Ottima risposta» commenta, evidentemente contento che io sia “intelligente” come sperava. «Aspetteremo l’alba e, per farti stare più tranquilla, prenderemo un taxi per l’ospedale invece di andare con la mia auto.» Annuisco, contenta che abbia pensato anche a questo. Cioè, mi fido già di lui, ma è come se volesse assicurarsi che 256/915 non me ne andrei mai con uno sconosciuto; come se, indirettamente, mi stesse insegnando in che modo comportarmi in una situazione simile. Mi vergogno di ammettere che avevo proprio bisogno di questa “lezione”. «E poi dall’ospedale torneremo qui in taxi e io verrò con te, ovunque tu voglia andare.» Mi porge la mano. «Affare fatto?» Ci penso su un momento, confusa e allo stesso tempo completamente affascinata da lui. Annuisco, prima riluttante e poi con più sicurezza. «Affare fatto» ripeto, stringendogli la mano. Onestamente non credo di essere proprio d’accordo su tutto. Perché dovrebbe farlo? Non ha una vita sua? Di sicuro non è infelice quanto la mia a casa. 257/915 Ma è una pazzia! Chi è questo ragazzo? Restiamo seduti uno accanto all’altra per diverse ore e chiacchieriamo di cose senza importanza. Eppure amo ogni secondo della nostra conversazione. Gli racconto che ho ceduto e ho bevuto una bibita gassata, ed è stato proprio per colpa della bibita se sono finita in bagno con quel tizio. Lui ride e mi dice che sono debole di vescica. Sparliamo dei passeggeri che vanno e vengono, di quelli strani e di quelli che sembrano cadaveri ambulanti, come se avessero viaggiato in autobus per una settimana senza riuscire a chiudere occhio. E parliamo ancora di rock, ma la discussione si arena più o meno sempre nello stesso punto. Quasi ci rimane secco quando dico che preferisco Pink ai Rolling Stones. 258/915 Credo davvero di averlo ferito. Si mette le mani sul cuore e butta indietro la testa, sconvolto. Molto teatrale. E divertente. Io provo a non ridere, ma non è facile resistere. E quando stiamo per andarcene, poco dopo che è sorto il sole, mi fermo per guardarlo un momento. Una lieve brezza gli spettina i capelli castani. Lui piega la testa di lato, mi sorride e mi fa cenno di salire sul taxi. «Hai ancora intenzione di venire, vero?» Gli sorrido dolcemente e annuisco. «Certo.» Prendo la sua mano e scivolo sul sedile posteriore accanto a lui. Guardandolo mi viene in mente che non ridevo così tanto da prima che morisse Ian. Nemmeno Natalie è riuscita a strapparmi un’emozione vera, e ci ha provato in tutti i modi. Ma niente aveva mai alleviato la mia depressione 259/915 come ci è riuscito Andrew, in così poco tempo e senza neppure volerlo. 12 Andrew Quando entriamo in ospedale mi sento serrare la gola, come se dal nulla fosse spuntato un muro di oscurità e mi avesse inghiottito. Resto immobile sulla soglia per un istante, con le braccia rigide lungo i fianchi. Poi sento la mano di Camryn toccarmi il polso. La guardo. Il suo sorriso è così caldo che un po’ mi scioglie. I capelli biondi sono raccolti in una treccia morbida che le ricade sulla spalla destra; qualche ciocca sfuggita all’elastico le 261/915 incornicia il viso. D’istinto gliele scosterei con dolcezza, ma mi trattengo. Non posso permettermi cazzate simili. Devo sbarazzarmi dell’attrazione che ho per lei. È solo che Camryn è così diversa dalle altre ragazze… Credo sia per questo che faccio tutta questa fatica. Ma non è ciò di cui ho bisogno adesso. «Andrà tutto bene» mi dice. Mi lascia andare il polso quando si accorge di avere la mia attenzione. Io accenno un sorriso. Attraversiamo l’atrio, raggiungiamo l’ascensore e saliamo al terzo piano. A ogni passo sento che dovrei fare marcia indietro e andarmene. Mio padre non vuole che io mi lasci sopraffare dalle emozioni, ma ora sono sul punto di esplodere. 262/915 Forse dovrei uscire e prendere a pugni un albero per scaricare la tensione prima di entrare. Ci fermiamo nella sala d’attesa. Ci sono altre persone, e stanno tutte leggendo un giornale. «Ti aspetto qui» mormora Camryn. La guardo. «Non vieni con me?» Voglio che mi accompagni. Anche se non so il perché. Camryn inizia a scuotere la testa. «Non… posso» risponde, ora a disagio. «Davvero, non credo che sia il caso.» Prendo la borsa dalla sua spalla e la metto sulla mia. È leggera, ma mi sembrava che le desse fastidio. «Voglio che tu venga con me.» Perché l’ho detto? Abbassa gli occhi azzurri sul pavimento e poi si guarda intorno prima di 263/915 posarli di nuovo su di me. «Okay» risponde con un lieve cenno del capo. Sento il mio volto aprirsi in un piccolo sorriso e d’istinto la prendo per mano. Lei non si ritrae. La sua presenza mi conforta, e ho la sensazione che sia felice di accontentarmi. Sono sicuro che capisce quanto è difficile per me questo momento. Camminiamo verso la stanza di mio padre mano nella mano. Camryn me la stringe, e mi guarda come per infondermi un po’ di coraggio. E poi apro la porta. Un’infermiera ci squadra. «Sono il figlio del signor Parrish.» La donna annuisce seria e riprende a sistemare i macchinari e i tubi a cui mio padre è attaccato. La stanza è 264/915 sterile e asettica, con i muri bianchi e il pavimento di piastrelle così brillante che riflette le luci del soffitto. Il monitor cardiaco accanto al letto emette un bip costante. Non ho ancora guardato mio padre. Mi rendo conto che sto guardando qualsiasi cosa nella stanza tranne lui. Camryn stringe le sue dita alle mie. «Come sta?» chiedo. Lo so che è una domanda stupida: sta morendo, ecco come sta. Ma non mi è venuto in mente niente di meglio. L’infermiera mi fissa inespressiva. «È cosciente solo a momenti, come forse saprà.» No, non lo sapevo. «E non c’è stato nessun cambiamento, né positivo né negativo.» L’infermiera 265/915 sistema una flebo che esce dalla mano vigorosa di mio padre. «È già venuto qualcun altro?» L’infermiera annuisce. «Sì, i familiari nei giorni scorsi. Alcuni sono andati via più o meno un’ora fa, ma credo che stiano per tornare.» Forse Aidan, mio fratello maggiore, e sua moglie Michelle. E mio fratello minore, Asher. L’infermiera esce dalla stanza. Camryn mi guarda e mi sorride con cautela. «Vado a sedermi lì, così ti lascio parlare con tuo padre, okay?» Annuisco, anche se mi sembra che le sue parole mi scivolino via dalla testa come un ricordo lontano. Cam mi lascia andare lentamente e si sistema su una sedia di plastica appoggiata al muro. 266/915 Prendo un bel respiro e mi passo la lingua sulle labbra secche. Papà ha la faccia gonfia e dalle narici escono i tubi dell’ossigeno. Sono sorpreso che non sia ancora attaccato a un respiratore e la cosa mi dà una piccola speranza. Molto piccola. So che non si riprenderà, ormai è chiaro. Gli hanno rasato i pochi capelli rimasti. I medici gli avevano proposto un intervento, ma quando ha scoperto che non gli avrebbe salvato la vita ovviamente ha detto: «Non mi farò trapanare il cervello. Dovrei sganciare migliaia di dollari perché un branco di dottorini del cazzo mi sfondi il cranio? Fanculo, ragazzo!». Stava parlando con Aidan nello specifico. «Tu non hai le palle!» I miei fratelli e io eravamo pronti a fare qualsiasi cosa per salvarlo, ma mio padre aveva firmato alle nostre spalle 267/915 una specie di “accordo” in base al quale, se le cose si fossero messe male, nessuno avrebbe potuto prendere questo genere di decisioni per lui. È stata mia madre ad avvertire l’ospedale delle sue volontà qualche giorno prima dell’operazione, fornendo tutte le carte necessarie. Io e i miei fratelli ci siamo rimasti molto male, ma la mamma è una donna intelligente e premurosa e non siamo riusciti ad arrabbiarci davvero con lei. Mi avvicino un po’ di più a mio padre e lo osservo meglio. Come di sua volontà e senza che io me ne renda conto, la mia mano scivola accanto alla sua e la stringe. Anche questo mi sembra strano, quasi sbagliato. Con chiunque altro non avrei problemi, ma lui è mio padre e ho la sensazione di stare facendo qualcosa che non dovrei. Sento 268/915 persino la sua voce nella mia testa: “Ma che ti prende? Non ci si tiene per mano tra uomini!”. D’improvviso papà apre gli occhi e di colpo ritraggo la mano. «Sei tu, Andrew?» Annuisco. «Dov’è Linda?» «Chi?» «Linda» risponde, ed è come se i suoi occhi non sapessero se restare aperti. «Mia moglie, Linda. Dov’è?» Deglutisco e lancio un’occhiata a Camryn che ci osserva in silenzio. Torno a guardare mio padre. «Papà, tu e Linda avete divorziato l’anno scorso, ricordi?» I suoi occhi verdi sono come appannati da una patina liquida. Non sono lacrime. Solo una patina liquida. Per un 269/915 momento sembra confuso, stringe le labbra e ci passa sopra la lingua. «Vuoi un po’ d’acqua?» chiedo, e mi volto verso il comodino con le rotelle che è stato sistemato lontano dal letto. Sopra c’è una brocca rosa e un bicchiere di plastica e una cannuccia. Mio padre scuote la testa. «Miss Nina è a posto?» domanda. Annuisco di nuovo. «Sì, è fantastica. Verniciatura fresca e cerchioni nuovi.» «Bene, bene» mormora, con un lento cenno del capo. Sono a disagio e si vede benissimo sia dalla mia faccia sia dalla postura. Non so cosa dire; non so se devo obbligarlo a bere o se devo sedermi e aspettare che tornino Aidan e Asher. Preferirei che lo facessero loro. Io non sono bravo in queste cose. 270/915 «Chi è quella bella ragazza?» chiede, guardando verso la parete in fondo. Mi domando come faccia a vedere Camryn da così lontano, poi mi accorgo che sta fissando un grande specchio di fronte a lui che riflette proprio quell’angolo della stanza. Camryn si irrigidisce per un istante, poi il suo bel sorriso le illumina il volto. Alza la mano e lo saluta attraverso lo specchio. Riesco a vedere un debole sorriso sulle labbra di mio padre, nonostante la pelle gonfia. «È la tua Euridice?» Sgrano gli occhi. Spero che Camryn non abbia sentito, ma è impossibile. Mio padre solleva la mano e risponde al saluto. Lei si alza e mi raggiunge. Gli sorride con un calore che mi sorprende. Le viene spontaneo. È nervosa e 271/915 probabilmente si sente molto a disagio al capezzale di un uomo che nemmeno conosce, eppure non vacilla. «Salve, signor Parrish. Sono Camryn Bennett, un’amica di Andrew.» Mio padre sposta gli occhi su di me. Conosco quello sguardo: sta cercando di decifrare il significato di “amica”. E poi d’improvviso fa una cosa che non gli ho mai visto fare: mi porge la mano. Quel gesto mi lascia di sasso. Mi accorgo che Camryn mi fissa per indurmi a reagire: mi scuoto dal torpore e gli prendo la mano. La stringo per un lungo, imbarazzante momento, poi mio padre chiude gli occhi e scivola di nuovo nel sonno. Sfilo la mano dalla sua quando sento che la stretta si allenta del tutto. 272/915 La porta si apre ed entrano i miei fratelli insieme a Michelle. Arretro all’istante dal letto. Mi accorgo che ho preso di nuovo la mano di Camryn solo quando noto Aidan guardare le nostre dita intrecciate. «Sono felice che tu ce l’abbia fatta» dice, anche se intuisco una sfumatura di rimprovero nella sua voce. È ancora arrabbiato perché non ho preso l’aereo per arrivare prima. Farà meglio a mettersi l’anima in pace; ognuno vive il dolore a modo suo. Mi stringe comunque in un abbraccio e mi batte la mano sulla schiena. «Lei è Camryn» dico. Lei sorride ai miei fratelli e torna a sedersi. 273/915 «Questo è mio fratello maggiore Aidan e lei è sua moglie Michelle.» Li indico. «E quello è il nanetto, Asher.» «Testa di cazzo» mi risponde lui. «Lo so» ribatto. Aidan e Michelle si siedono attorno a un tavolo e cominciano a distribuire gli hamburger e le patatine che hanno comprato. «Papà non ha mai ripreso conoscenza» dice Aidan, riempiendosi la bocca di patatine. «Mi dispiace dirlo, ma mi sa che non si sveglierà.» Camryn mi guarda: abbiamo parlato entrambi con lui solo poco fa e so che si sta chiedendo perché non lo dico ai miei fratelli. «Credo anch’io» rispondo. Camryn è confusa. «Quanto ti fermi?» mi chiede Aidan. 274/915 «Non molto.» «Come mai questa notizia non mi sorprende?» Dà un morso all’hamburger. «Non cominciare, Aidan. Non sono dell’umore. E non è né il momento né il posto giusto, cazzo.» «Come vuoi» mormora lui, scuotendo la testa e continuando a masticare. Intinge qualche patatina nel ketchup che Michelle ha appena versato su un fazzoletto. «Fa’ quello che vuoi, ma cerca di esserci per il funerale.» Sul suo viso non c’è alcuna emozione. Continua a mangiare come niente fosse. Sento il corpo irrigidirsi. «Cazzo, Aidan» interviene Asher da dietro di me. «La vuoi smettere? Andrew ha ragione.» Asher ha sempre fatto da mediatore tra me e Aidan. Dei tre è sempre stato 275/915 quello più riflessivo, mentre io e Aidan tendiamo a ragionare meglio con i pugni. Da bambini vinceva sempre lui; peccato non sappia che, a forza di picchiarmi, mi ha allenato molto bene. Adesso siamo più o meno allo stesso livello. Evitiamo in ogni modo di venire alle mani, ma sono il primo ad ammettere che non sono capace di controllarmi quanto lui. E Aidan lo sa. Ecco perché ora ha fatto un passo indietro e usa Michelle per distrarsi. Le pulisce un po’ di ketchup dalla bocca e lei ridacchia. Camryn cattura il mio sguardo. Probabilmente è un po’ che ci prova. Per un momento mi sembra che voglia dirmi che è pronta per andare; invece scuote la testa per dirmi di calmarmi. Lo faccio, all’istante. 276/915 «Allora» trilla Asher per allentare la tensione «da quant’è che uscite insieme voi due?» È in piedi contro il muro accanto alla televisione e incrocia le braccia al petto. Ci somigliamo molto: stessi capelli castani e stesse fossette. Dei tre è Aidan quello strano, ha i capelli molto più scuri e una piccola voglia sulla guancia sinistra. «Oh, no, siamo solo amici» ribatto. Credo che Camryn sia arrossita, ma non ne sono sicuro. «Una buona amica, se si è fatta tutto il viaggio insieme a te» interviene Aidan. Per fortuna evita di fare lo stronzo. Se avesse deciso di sfogare su di lei la rabbia che prova per me, sarei stato costretto a spaccargli la faccia. 277/915 «Già» interviene Camryn con una dolcezza nella voce che mi stupisce. «Abito vicino a Galveston. Ho pensato di accompagnarlo, visto che viaggiava in autobus.» Si ricorda anche la città in cui vivo. Aidan annuisce per ringraziarla e continua a masticare. «Molto carina, fratello» sento che mi sussurra Asher. Mi giro e lo fulmino con lo sguardo. Lui mi sorride, ma non dice altro. Mio padre si muove quasi impercettibilmente e Asher gli si avvicina all’istante e gli sfiora il naso con un dito. «Svegliati, abbiamo portato gli hamburger.» Aidan solleva il suo, così che papà possa vederlo. «E sono anche buoni. 278/915 Meglio che ti svegli in fretta o non ce ne saranno più.» Papà non si muove. Ci aveva preparati. Non abbiamo mai pensato di essere tristi al suo capezzale. E quando morirà, Aidan e Asher probabilmente ordineranno una pizza e un cartone di birre e cazzeggeranno fino all’alba. Ma io non ci sarò. Più resto qui, più possibilità ci sono che lui muoia prima della mia partenza. Parlo con i miei fratelli e con Michelle per qualche minuto e poi raggiungo Camryn. «Pronta?» Mi prende la mano e si alza in piedi. «Te ne vai di già?» chiede Aidan. 279/915 Camryn risponde prima che io ne abbia il tempo. «Andiamo solo a prendere qualcosa da mangiare.» Sta cercando di evitare un litigio. Mi guarda e io sto al gioco. «Chiamami se succede qualcosa» dico ad Asher. Annuisce e non aggiunge altro. «Ciao Andrew» dice Michelle. «È stato un piacere rivederti.» «Anche per me.» Asher esce con noi in corridoio. «Non tornerai, vero?» Camryn si allontana per lasciarci un po’ da soli. «Mi dispiace, Ash. Non ce la faccio. Non ci riesco.» «Lo capisco, fratello.» Scuote la testa. «A papà non importerebbe niente. Preferirebbe che ti facessi una scopata, 280/915 che ti ubriacassi, piuttosto che stargli appiccicato al culo.» Ha ragione. Asher guarda Camryn. «Sicuro che siete solo amici?» mi sussurra con un sorriso malizioso. «Sì, siamo solo amici, quindi chiudi quella boccaccia.» Asher scoppia a ridere e mi dà una pacca sul braccio. «Ti chiamo se c’è bisogno, d’accordo?» Annuisco. “Se c’è bisogno” significa quando papà muore. Asher saluta Camryn con un cenno della mano. «Piacere di averti conosciuta.» Lei sorride e mio fratello rientra nella stanza. «Penso che dovresti restare, Andrew. Davvero.» 281/915 Comincio a camminare più veloce e lei cerca di tenere il passo. Metto le mani in tasca, come sempre quando sono nervoso. «Penserai che sono un bastardo egoista, ma non capisci.» «Allora spiegamelo» dice lei, afferrandomi per il gomito. «Non penso che tu sia egoista, solo che non sai come gestire questo dolore.» Cerca di trovare i miei occhi, ma non riesco a guardarla. Voglio solo fuggire da questa condanna a morte scritta a caratteri cubitali. In ascensore Camryn resta in silenzio – ci sono altre due persone –, ma appena arriviamo al pianterreno e le porte di metallo si aprono, ricomincia. «Andrew, fermati. Per favore!» 282/915 Al suono della sua voce mi blocco. Mi scruta con un’espressione così tormentata che quasi mi colpisce al cuore. La lunga treccia bionda è ancora poggiata sulla spalla destra. «Parla con me» mormora, più dolcemente ora che ha la mia attenzione. «Non fa male parlare.» «E raccontarmi perché vuoi andare in Texas fa male?» Colpita. 13 Camryn Le sue parole mi lasciano ammutolita per cinque lunghi secondi. E la mia mano scivola dal suo gomito. «Credo che la tua situazione sia un po’ più grave della mia in questo momento» gli dico. «Davvero?» ribatte lui. «E il fatto che tu voglia viaggiare da sola in autobus, senza sapere dove diavolo stai andando ed esponendoti a chissà quali pericoli 284/915 non ti pare ugualmente grave e urgente?» Sembra furioso. È comprensibile che lo sia, ma credo che il motivo principale, se non l’unico, è che al piano di sopra suo padre sta morendo e Andrew non sa come separarsi da lui. Mi dispiace molto che sia stato cresciuto nella convinzione di non dover mostrare certe emozioni che sorgono naturali in situazioni come queste; gli hanno messo in testa che lasciarsi andare è poco virile. Nemmeno io riesco a mostrare agli altri ciò che provo. Ma non è questione di educazione: è stata la vita a farmi diventare così. «Ti capita mai di piangere?» gli chiedo a bruciapelo. «Per altre cose, intendo… Hai mai pianto in vita tua?» 285/915 Andrew fa un gesto di sufficienza. «Ma certo. Tutti piangono, anche i tizi grandi e grossi come me.» «D’accordo, allora raccontami di una volta in cui hai pianto.» Ci mette un attimo a rispondere. «Un… un film mi ha fatto piangere, una volta.» All’improvviso sembra imbarazzato e credo che si stia pentendo di avermelo confessato. «Quale film?» Non riesce a guardarmi negli occhi. L’atmosfera tra noi si stempera, nonostante l’argomento che stiamo affrontando. «Che importanza ha?» risponde lui. Gli sorrido anch’io e mi avvicino. «Su, forza, dimmelo e basta. Cos’è, pensi che ti prenderei in giro dicendoti che sei una femminuccia?» 286/915 Lui si lascia sfuggire un sorrisetto che addolcisce la sua espressione tesa e impacciata. «Le pagine della nostra vita» dice, a voce così bassa che non sono sicura di aver capito bene. «Hai detto Le pagine della nostra vita?» «Ebbene sì, lo ammetto: ho pianto guardando Le pagine della nostra vita, okay?» Mi volta la schiena e devo dare fondo a tutto il mio autocontrollo per non scoppiare a ridere. Non trovo affatto buffo che abbia pianto guardando quel film; la cosa buffa è la sua aria umiliata nell’ammetterlo. E poi rido. Non posso farci niente, la risata mi sfugge e non riesco a trattenerla. 287/915 Andrew strabuzza gli occhi e mi guarda di traverso. Poi mi coglie alla sprovvista: mi afferra, mi carica su una spalla e mi porta fuori dall’ospedale. Rido così forte che mi vengono le lacrime agli occhi. Lacrime di puro divertimento, completamente diverse da quelle che ho smesso di versare dopo la morte di Ian. «Mettimi giù!» grido battendogli i pugni sulla schiena. «Avevi detto che non avresti riso!» Le sue parole mi fanno sbellicare ancora di più. Rido a crepapelle e mi lascio scappare strani suoni che non avrei mai creduto di poter emettere. «Per favore Andrew! Mettimi giù!» Gli conficco le unghie nella schiena. Infine i miei piedi toccano l’asfalto. Lo guardo e smetto di ridere, perché 288/915 voglio parlargli seriamente. Non posso permettergli di abbandonare suo padre. Me è lui ad aprire bocca per primo: «Non posso piangere per lui, non ce la faccio. Te l’ho già detto». Gli sfioro un braccio con la punta delle dita. «Be’, allora non piangere. Ma almeno resta qui.» «Non ho nessuna intenzione di rimanere, Camryn.» Mi fissa dritto negli occhi e capisco che non riuscirò mai a fargli cambiare idea. «Apprezzo il fatto che tu mi voglia aiutare. Ma non posso, non ci riesco proprio.» Annuisco, anche se a malincuore. «Forse a un certo punto, durante il nostro viaggio, ci diremo delle cose che non vogliamo rivelare a nessuno» mi sussurra. A quelle parole il mio cuore, per qualche motivo che non conosco, comincia a battere forte. 289/915 C’è un gran trambusto nel mio petto, proprio sotto il seno, dentro la gabbia toracica. Andrew mi rivolge un sorriso smagliante. I suoi occhi verdi e dalla forma perfetta sono il tratto più bello del suo viso scolpito. È davvero favoloso… «Allora, cos’hai deciso?» mi chiede incrociando le braccia con aria interrogativa. «Vuoi che ti compri un biglietto aereo per tornare a casa o ci tieni davvero ad andare in un posto a caso del Texas?» «Sei sicuro di voler venire con me?» Non riesco nemmeno a immaginarlo, ma allo stesso tempo la cosa che più desidero al mondo è che dica di sì. Trattengo il respiro in attesa della sua risposta. 290/915 Andrew sorride. «Sì. Certo che voglio.» Il trambusto nel mio petto si trasforma in una sorta di poltiglia calda e le mie labbra si aprono in un sorriso così raggiante che per un bel po’ non riesco a tornare seria. «Ti accompagno, ma c’è una cosa che non mi convince in questo viaggio» mi avverte alzando un dito. «Cioè?» «Salire di nuovo su quell’autobus» mi spiega. «Cazzo, fa proprio schifo.» Mi sfugge una risata sommessa. Non posso che essere d’accordo con lui su questo punto. «E allora con che altro mezzo dovremmo viaggiare?» Solleva un angolo della bocca, disegnando un ghigno astuto. «Possiamo 291/915 prendere la macchina» risponde. «Guido io.» Non ho la minima esitazione. «Ci sto.» «Ci stai?» ripete, poi esita. «Dici sul serio? Stai per saltare in macchina con un tizio che conosci a malapena e sei certa che non ti violenterà su una strada deserta in mezzo al nulla… Mi pare che ne abbiamo già parlato, no?» Piego la testa di lato e incrocio le braccia. «C’è qualche differenza rispetto alla possibilità di conoscerti in biblioteca e uscire con te un paio di sere più tardi, sola nella tua macchina?» Ora inclino la testa dall’altra parte. «Tutti all’inizio sono degli estranei, Andrew, ma non capita ogni giorno di incontrare un estraneo che ti salva da un aggressore e che poche ore dopo ti porta a conoscere suo padre sul letto di morte. 292/915 Oserei dire che hai superato a pieni voti il mio test di fiducia già da un bel pezzo.» L’angolo sinistro della sua bocca si solleva in un sorriso rilassato, attenuando la serietà del mio discorsetto. «Allora in sostanza questo viaggio è una sorta di appuntamento?» «Cosa?» rido io. «Certo che no! Era solo una similitudine!» È evidente che se n’è già accorto, ma devo assolutamente trovare un modo per distrarlo dal rossore delle mie guance. «Hai capito cosa intendevo.» Lui sorride. «Sì, lo so. Allora mi devi una cena “da amici” in compagnia di una bella bistecca.» Fa il gesto delle virgolette con le dita quando dice “da amici”. Non smette di sorridere neanche per un attimo. «È vero, lo ammetto.» 293/915 «Allora è deciso» conclude lui, e mi prende a braccetto per accompagnarmi verso il taxi nel parcheggio. «Andiamo a prendere la macchina di mio padre alla stazione degli autobus, ci fermiamo a casa sua e prendiamo un paio di cose. Dopodiché si parte.» Apre la portiera posteriore del taxi e mi fa entrare per prima. Poi si siede accanto a me e la chiude con un colpo secco. Il taxi esce dal parcheggio. «Ascolta, penso proprio che dovrei stabilire alcune regole del gioco prima di cominciare.» «Cosa?» Mi volto verso di lui e lo guardo incuriosita. «Che genere di regole del gioco?» Sorride. 294/915 «Be’, la numero uno: la macchina è mia e dentro c’è il mio stereo. Sono sicuro che non serve aggiungere altro.» Alzo gli occhi al cielo. «Cioè in pratica mi stai dicendo che sono bloccata insieme a te dentro una macchina in mezzo a una strada e posso ascoltare solo rock classico?» «Vedrai, ti piacerà.» «Non mi è mai piaciuto e dovevo pure sopportare i miei che ne andavano pazzi.» «Regola numero due» prosegue lui alzando due dita e liquidando la mia protesta senza scomporsi. «Dovrai fare tutto quello che ti chiedo.» Di scatto appoggio la testa all’indietro e corrugo la fronte. «Cosa? E questo che diavolo significa?» 295/915 Sfodera un sorriso impertinente. «Hai detto che ti fidi di me, quindi fidati anche di questo.» «Be’, pretendo una risposta un po’ più articolata. Niente scherzi, dico sul serio.» Andrew si appoggia al sedile e si infila le mani tra le lunghe gambe distese. «Ti prometto che non ti chiederò di fare niente di doloroso, umiliante, pericoloso o inaccettabile.» «In sostanza non mi stai chiedendo di succhiarti l’uccello in cambio di cinquecento dollari o roba del genere?» Andrew getta la testa all’indietro e scoppia a ridere. Il tassista si agita un po’ sul sedile. Noto che distoglie lo sguardo dallo specchietto retrovisore non appena alzo gli occhi. 296/915 «No, decisamente niente del genere, te lo giuro.» Sta ancora ridacchiando. «Okay, ma allora cosa mi chiederai di fare?» Questa regola non mi convince per niente. Mi fido ancora di lui, lo ammetto, ma sono piuttosto terrorizzata all’idea di risvegliarmi con un paio di baffi indelebili o cose simili. Mi batte qualche colpetto sulla coscia con la mano. «Se serve a farti stare meglio, puoi sempre dirmi di andare a farmi fottere quando vuoi rifiutare qualcosa. Ma spero che tu non lo faccia, perché voglio insegnarti come si vive.» Adesso sì che mi ha colta alla sprovvista. Sta parlando sul serio; non c’è nulla di scherzoso nel suo tono e ancora una volta sono affascinata da lui. «Come si vive?» 297/915 «Fai troppe domande, cacchio.» Mi dà un altro colpetto sulla coscia e si rimette la mano in grembo. «Be’, se fossi da questa parte della macchina anche tu faresti molte domande.» «Forse sì.» Schiudo le labbra. «Sei un ragazzo davvero strano, Andrew Parrish. Ma va bene, mi fido di te.» Appoggia la testa sul sedile e mi guarda sorridendo. «Ci sono altre regole?» gli chiedo. Mi osserva pensieroso e si morde una guancia per un attimo. «No, tutto qui.» Lascia ricadere la nuca sul poggiatesta. Ora tocca a me. «Anch’io ho un paio di regole per te.» 298/915 Lui solleva la testa incuriosito, ma continua a tenere le mani grandi appoggiate sul ventre con le dita intrecciate. «Sono qui, spara» ribatte sorridendo, pronto ad ascoltare qualsiasi cosa stia per dirgli. «Numero uno: non ti permetterò di sfilarmi le mutandine in nessuna circostanza. Solo perché mi sto comportando in modo amichevole e ho accettato di fare… be’, la cosa più pazza che abbia mai fatto in vita mia, voglio mettere in chiaro che non sarò la tua prossima conquista, che non mi innamorerò di te (adesso sta sorridendo da un orecchio all’altro e fatico a mantenere la concentrazione) o niente del genere. Hai capito bene?» Sto cercando di ficcargli in testa che sono molto decisa su questo punto. Perché lo 299/915 sono davvero. E penso sul serio tutto ciò che ho detto. Ma quello stupido sorriso sulla sua faccia mi sta costringendo a sorridere a mia volta e lo odio per questo. Andrew arriccia le labbra, assorto. «Perfetto» risponde, anche se sospetto che ci sia un significato nascosto. Annuisco. «Ottimo.» Mi sento meglio ora che ho chiarito le cose. «C’è altro?» mi chiede. Per un attimo avevo dimenticato la seconda regola fondamentale. «Be’, la regola numero due è: niente Bad Company.» Lui sembra piuttosto deluso. «E che diavolo di regola sarebbe?» «È la mia regola, punto e basta» rispondo con un sorrisetto. «Hai qualche problema in proposito? Tu hai 300/915 tonnellate di rock classico da ascoltare mentre io non posso mettere niente che mi piaccia, perciò la mia piccola condizione mi sembra un sacrificio più che accettabile.» Gli mostro il pollice e l’indice leggermente separati per fargli vedere quanto sia irrisorio quello che gli sto chiedendo. «Be’, questa regola non mi piace» mugugna lui. «I Bad Company sono un gruppo fantastico. Perché li odi così tanto?» Sembra davvero ferito e io lo trovo così carino. Arriccio le labbra. «Sinceramente?» So già che mi pentirò di quello che sto per dire. «Sì, sinceramente» risponde lui, e incrocia le braccia. «Dimmelo.» «I loro testi parlando sempre d’amore. È fastidioso.» 301/915 Andrew scoppia a ridere di nuovo e comincio a pensare che il tassista non ne possa più di noi due. «Ho come la sensazione che qualcuno qui sia rimasto parecchio scottato» commenta Andrew, e un ampio sorriso accende le sue labbra. Ecco, sono già pentita. Distolgo lo sguardo perché non voglio fargli capire che il suo commento ha colpito nel segno. Almeno per quanto riguarda l’infedeltà del mio ex, Christian. Se penso a lui provo amarezza. Se penso a Ian provo dolore. Feroce e profondo. «Va bene, risolveremo anche questo» prosegue lui con aria distratta. Gli restituisco lo sguardo. «Uhm… be’, grazie per l’offerta, caro psicologo, ma non ho nessun bisogno di aiuto. Sono fatti miei.» 302/915 Aspetta un attimo, accidenti! Chi ha mai detto che ho bisogno di “risolvere” qualcosa? «Davvero?» Andrew alza il mento incuriosito. «Proprio così» rispondo io. «E poi, questo in un certo senso infrangerebbe la mia regola numero uno.» Andrew strizza gli occhi. «Perché, pensi che avessi intenzione di offrirmi come cavia?» Alza le spalle e si lascia andare a una risata sommessa. Accidenti. Cerco di non sembrare offesa. Non sono sicura che funzioni, perciò uso una tattica diversa: «Be’, spero di no» ribatto sbattendo gli occhi. «Non sei il mio tipo.» Ecco che metto a segno un altro punto: questa non se l’aspettava! 303/915 «Perché, cos’ho che non va?» mi chiede, e io non sono più così sicura che il mio commento l’abbia disturbato poi più tanto. In genere la gente non sorride quando è offesa. Mi volto verso di lui, appoggio la schiena contro la portiera del taxi e lo scruto dalla testa ai piedi. Mentirei spudoratamente se dicessi che non mi piace quello che vedo. Finora non ho trovato niente che mi faccia dire “non è il mio tipo”. Anzi, in realtà, se non avessi deciso di rinunciare al sesso e ai flirt e all’amore in generale, Andrew Parrish sarebbe proprio il ragazzo che cercherei e per cui Natalie sbaverebbe senza ritegno. Lo rivolterebbe come un calzino. «Non c’è niente che non vada in te» gli rispondo. «È che in genere finisco sempre con dei ragazzi un po’… piatti.» 304/915 Per la terza volta Andrew butta la testa all’indietro e scoppia in una risata. «Piatti?» chiede senza smettere di ridere. Annuisce e aggiunge: «Già, immagino che tu abbia ragione a dire che non sono esattamente un tipo piatto.» Alza un dito come per sottolineare le parole. «Ma la cosa che mi incuriosisce di più è quando hai detto che “finisci” con loro. Cosa significa?» Perché adesso il punto l’ha segnato di nuovo lui? Non mi ero nemmeno accorta che mi aveva rubato la palla! Lo guardo come se mi aspettassi una risposta, anche se è stato lui a porre la domanda. Sta ancora sorridendo, ma questa volta c’è una sfumatura molto più dolce e perspicace nel suo sorriso invece della solita ironia. Ma rimane in silenzio. 305/915 «Non… non lo so» rispondo infine, spaesata. Poi lo guardo dritto negli occhi. «E perché dovrebbe voler dire qualcosa?» Andrew scuote leggermente la testa e si limita a guardare davanti a sé mentre il taxi entra nel parcheggio vicino alla stazione degli autobus. La Chevy Chevelle del 1969 di suo padre è l’unica auto rimasta nel piazzale. Devono essere davvero appassionati di macchine vintage in famiglia. Andrew paga il tassista e scendiamo. Mentre ci dirigiamo verso la casa del padre di Andrew ripenso alle sue parole, immersa in una sorta di pacifica contemplazione, ma tutto svanisce quando entriamo nel vialetto di una villa fantastica. «Wow» mi lascio sfuggire mentre scendo dalla macchina. Sono rimasta 306/915 letteralmente a bocca aperta. «Questa casa è davvero enorme.» Andrew chiude la portiera. «Già. Mio padre è proprietario di uno studio di progettazione e design molto famoso» commenta con sufficienza. «Dài, non mi va di fermarmi a lungo. Non vorrei che arrivasse Aidan.» Lo seguo lungo il sentiero ben disegnato che conduce alla porta d’ingresso della villa a tre piani. È un posto così elegante e lussuoso che non riesco a immaginare suo padre qui dentro. Quell’uomo ha un’aria molto più semplice, non sembra un tipo materialista come mia madre. Lei sverrebbe all’istante se vedesse una cosa del genere. Andrew armeggia con le chiavi e infila quella giusta nella serratura. La porta si apre con uno scatto. 307/915 «Non vorrei sembrarti indiscreta, ma perché tuo padre vive in una casa così grande?» L’ingresso profuma di pot-pourri alla cannella. «Infatti è stata un’idea della sua ex moglie, non sua.» Lo seguo lungo la scalinata ricoperta di moquette bianca. «Era simpatica. Linda, la donna di cui ha parlato all’ospedale. Ma non riusciva a sopportarlo, e io non posso biasimarla.» «Ero sicura che mi avresti detto che l’aveva sposato solo per i suoi soldi.» Andrew scuote la testa e mi fa strada al piano di sopra. «No, assolutamente. È solo che è molto difficile convivere con mio padre.» Si mette le chiavi nella tasca anteriore dei pantaloni. Lancio una rapida occhiata al suo fondoschiena fasciato dai jeans mentre 308/915 sale i gradini davanti a me. Mi mordo il labbro e mi rimprovero mentalmente. «Questa è la mia stanza.» Entriamo nella prima camera da letto sulla sinistra. È piuttosto spoglia: sembra più un ampio ripostiglio, con qualche scatolone impilato in ordine contro una parete grigia, alcuni attrezzi da palestra e la statua di un nativo americano dall’aspetto curioso spinta in un angolo e parzialmente coperta da un telo di plastica. Andrew attraversa la stanza per raggiungere l’armadio a muro e preme l’interruttore. Io resto al centro della stanza con le braccia incrociate, guardandomi intorno e cercando di non dare l’impressione di voler ficcare il naso. «Hai detto che “è” la tua stanza?» 309/915 «Già» risponde lui da dentro l’armadio. «Per quando vengo in visita, o se mai volessi fermarmi a viverci.» Mi avvicino all’armadio e lo vedo frugare tra i vestiti appesi in perfetto ordine, proprio come io appendo i miei. «Anche tu hai una sindrome ossessivo-compulsiva con il guardaroba, a quanto pare!» Andrew mi fissa con aria interrogativa. Indico i capi divisi per colore appesi su grucce di plastica nera. «Oh no, non direi proprio» chiarisce lui. «La donna delle pulizie di mio padre viene qui e si perde in queste stronzate. Non me ne frega niente se i miei vestiti sono appesi, figurati cosa me ne importa se sono divisi per colore. È una cosa troppo… ehi, un momento.» Fa un passo indietro e mi scocca 310/915 un’occhiata di sbieco. «Tu fai questa cosa con i tuoi vestiti?» Indica perplesso le magliette appese. «Esatto» rispondo, ma adesso mi sento un po’ pazza ad ammetterlo. «Mi piace che le mie cose siano in ordine e che ogni accessorio abbia il suo posto.» Andrew ride e ricomincia a frugare tra i vestiti. Quasi senza guardare afferra qualche maglietta e un paio di jeans e se li butta sulla spalla. «Non è stressante?» mi chiede. «Cosa? Appendere i miei abiti in modo ordinato?» Andrew sorride e mi butta tra le braccia il mucchietto di vestiti. Io li guardo con imbarazzo e poi guardo lui. 311/915 «Non importa» esclama. «Potresti infilarli in quella sacca di tela appesa alla panca per gli addominali?» «Certo» rispondo, e torno verso il centro della stanza. Prima appoggio gli abiti sulla panca ricoperta di vinile nero e poi prendo la sacca appesa a un bilanciere. «Allora, dove si va di bello?» chiedo ripiegando la prima maglietta del mucchio. Andrew sta ancora rovistando nell’armadio. «No, no» replica lui. La sua voce mi arriva un po’ attutita. «Niente programmi, Camryn. Saliamo in macchina e partiamo. Niente cartine o mappe e…» Tira fuori la testa dall’armadio e la sua voce diventa più nitida. «Cosa stai facendo?» 312/915 Alzo lo sguardo dalla seconda maglietta che ho quasi finito di piegare. «Sto piegando i tuoi vestiti.» Sento un rumore sordo quando lancia un paio di scarpe da corsa nere sul pavimento; poi sbuca fuori dall’armadio e viene verso di me. Mi raggiunge, mi guarda come se avessi commesso un reato e mi strappa dalle mani la maglietta piegata a metà. «Non fare la perfettina, piccola. Cacciali nella sacca e basta.» Lo fa lui, come se volesse dimostrarmi quanto sia facile. Non so cosa mi abbia fatto più effetto: la sua lezione di disordine o la stretta allo stomaco quando mi ha chiamata “piccola”. Alzo le spalle e lascio che faccia a modo suo con i vestiti. 313/915 «Non importa cosa ti metti, ma dove ci vai» esclama, tornando verso l’armadio. Mi lancia le scarpe da ginnastica nere, una alla volta, e io le prendo al volo. «Butta dentro anche queste, se non ti dispiace.» Eseguo i suoi ordini: le infilo dentro la sacca così come sono e rabbrividisco. Per fortuna le suole delle scarpe sono così pulite da farmi supporre che siano nuove, altrimenti non avrei potuto evitare di protestare. «Sai quali sono secondo me le ragazze più sexy?» È in piedi con un braccio muscoloso teso sopra la testa, intento a cercare qualcosa nelle scatole sulla mensola superiore dell’armadio. Riesco a intravedere la parte finale del tatuaggio 314/915 sul suo fianco sinistro che sbuca fuori dalla maglietta. «Uhm, non ne sono sicura» rispondo. «Quelle che indossano vestiti stropicciati?» Arriccio il naso. «Quelle che si alzano dal letto e si infilano la prima cosa che trovano» risponde mentre prende una scatola da scarpe. Torna verso di me con la scatola in equilibrio su una mano. «Quell’aria da “mi sono appena alzata e non me ne frega niente” è molto sexy, secondo me.» «Ho capito» taglio corto. «Sei uno di quei tizi che detestano il trucco e il profumo e tutte quelle stupidaggini che usano le ragazze vere.» Mi allunga la scatola e la fisso piuttosto perplessa. 315/915 Andrew sorride. «No, non li detesto. Penso solo che la semplicità sia più sexy, tutto qui.» «Cosa vuoi che faccia con questa?» Picchietto un dito sul coperchio della scatola. «Aprila.» Le lancio una rapida occhiata, incerta, e poi guardo di nuovo Andrew. Lui annuisce per incoraggiarmi. Sollevo il coperchio rosso della scatola e fisso il mucchio di cd nelle loro custodie originali. «Mio padre era troppo pigro per far mettere un lettore mp3 in macchina» mi spiega. «E quando viaggi non puoi sperare in una buona ricezione del segnale radio. A volte non si trova nemmeno una stazione decente.» Mi prende la scatola dalle mani. 316/915 «Questi saranno la nostra playlist ufficiale.» Sfodera un gran sorriso mettendo in mostra i denti perfetti e bianchissimi. Io invece non sorrido. Faccio una smorfia e mi mordo forte un angolo della bocca. Sono piuttosto sicura che i miei genitori abbiano almeno il novanta per cento di questi album, quindi anch’io devo averli ascoltati una volta o l’altra. Ma se mi chiedesse il titolo di qualche canzone, o il nome del gruppo che la canta, probabilmente non saprei rispondere. «Grandioso» commento con sarcasmo, rivolgendogli un mezzo sorriso e arricciando il naso. Il suo sorriso, invece, si allarga ancora. Credo che adori torturarmi. 14 Andrew È così carina quando la torturo. Perché le piace. Non so come ho fatto a cacciarmi in questa situazione. So solo che per quanto la mia dannata coscienza continui a urlarmi nelle orecchie di lasciarla in pace, proprio non ci riesco, è più forte di me. Perché non voglio. Siamo già andati troppo oltre. So che avrei dovuto chiudere la faccenda alla stazione degli autobus. 318/915 Avrei dovuto comprarle un biglietto aereo in prima classe in modo che si sentisse obbligata a usarlo per tornare a casa, dato che costa una fortuna; poi avrei dovuto chiamarle un taxi e farla accompagnare all’aeroporto. Non avrei mai dovuto invitarla a venire via con me, perché ora so che non sarò più capace di lasciarla andare. Ma non ho altra scelta, ormai: devo mostrarle ogni cosa. Potrebbe rimanerci molto male quando sarà finita, ma almeno potrà tornare a casa, nel North Carolina, e aspettarsi qualcosa di meglio dalla vita. Prendo la scatola da scarpe dalle sue mani, ci rimetto sopra il coperchio e la appoggio sulla sacca. Camryn mi guarda mentre apro il cassetto superiore del comò e pesco qualche paio di boxer e calzini puliti e poi li caccio 319/915 dentro lo zaino. Tutto quello che mi serve per l’igiene personale è in macchina, nella borsa che avevo con me sull’autobus. Mi carico la sacca in spalla e la guardo. «Sei pronta?» «Credo di sì» risponde lei. «Un momento. Credi di sì?» le chiedo avvicinandomi. «Sei pronta o non sei pronta?» Camryn mi sorride con quei bellissimi occhi azzurri che sembrano di cristallo. «Sì, sono pronta. Nessun dubbio.» «Bene. E allora perché hai esitato?» Scuote la testa leggermente per dirmi che mi sbaglio. «Non esito nemmeno un po’» risponde. «È solo che tutto questo è 320/915 piuttosto… strano, non trovi? Ma in senso buono.» Sembra che stia cercando di districare qualche nodo nella sua testa. Deve avere parecchie cose che le frullano lì dentro, è naturale. «Hai ragione» ribatto io. «In effetti è piuttosto strano… Okay, è molto strano, perché non è per niente normale buttarsi in un’avventura simile.» Cerco il suo sguardo, costringendola a fissarmi negli occhi. «Ma è proprio questo il bello.» Il suo sorriso si illumina come se le mie parole le avessero fatto suonare un campanello nella testa. Annuisce. «Be’, allora cosa stiamo aspettando?» mi chiede in tono divertito ed entusiasta. Torniamo in corridoio, ma mi fermo di scatto in cima alle scale. 321/915 «Aspetta un secondo.» Camryn rimane lì, mentre io mi volto e vado in quella di Aidan, triste quanto la mia. Vedo la sua chitarra acustica appoggiata alla parete, la raggiungo, la afferro per il manico e la porto fuori. «Suoni la chitarra?» mi chiede Camryn. «Già, diciamo che strimpello.» 15 Camryn Andrew lancia la sua sacca sul sedile posteriore accanto alla borsa più piccola, al mio zaino e alla mia borsetta. Con la chitarra ha un po’ più di riguardo e la appoggia sul sedile con delicatezza. Saltiamo sull’auto d’epoca nera con due strisce bianche al centro del cofano, e chiudiamo le portiere all’unisono. Lui mi guarda. Io lo guardo. 323/915 Infila la chiave nel quadro e la Chevelle si anima con un ruggito. Non riesco a crederci: lo sto facendo davvero! Non sono spaventata e nemmeno preoccupata, e il pensiero che dovrei scendere da quella macchina e andarmene dritta a casa non mi sfiora neanche per un secondo. Sento che va tutto bene; per la prima volta dopo tanto tempo che la mia vita sta tornando sulla strada giusta… Solo che è un tipo di strada molto diverso. Non ho idea di dove mi porterà. Non riesco a spiegarlo, se non dicendo che… be’, che è tutto okay, tutto. Andrew spinge sull’acceleratore appena ci immettiamo sulla rampa e prendiamo l’interstatale 87 diretti a sud. Mi piace osservarlo mentre guida, è sempre disinvolto anche quando sorpassa alcuni automobilisti troppo lenti. 324/915 Non sembra che voglia mettersi in mostra, ha proprio l’aria di essere nel suo elemento. Mi rendo conto che ogni tanto lancio qualche occhiata al suo braccio destro, forte e muscoloso, teso e con la mano stretta intorno al volante. E mentre i miei occhi lo scrutano con attenzione, non posso fare a meno di pensare a quel tatuaggio nascosto sotto la maglietta blu scuro che gli sta così bene. Parliamo del più e del meno per un po’: della chitarra di Aidan e del fatto che probabilmente si infurierà quando scoprirà che Andrew gliel’ha presa. A lui non importa. «Aidan una volta mi ha rubato i calzini» si giustifica. «I calzini?» gli domando con un’aria piuttosto perplessa. Lui mi restituisce lo sguardo con un’espressione che dice 325/915 Ehi: calzini, chitarra, deodorante… quel che è mio è mio, punto e basta. Io rido, la trovo un po’ ridicola come giustificazione, ma non ho nulla da obiettare. Ci perdiamo in una conversazione molto profonda riguardo il mistero delle scarpe spaiate che giacciono ai lati delle autostrade in tutti gli Stati Uniti. «Quando le ragazze si infuriano gettano la roba dei loro ragazzi fuori dal finestrino» è la spiegazione di Andrew. «Sì, è una possibilità» rispondo io, «ma credo che la maggior parte appartenga agli autostoppisti, perché sono quasi tutte abbastanza malconce.» Andrew mi lancia uno sguardo strano in attesa che mi spieghi meglio. «Autostoppisti?» 326/915 Annuisco. «Be’, camminano moltissimo, perciò immagino che le loro scarpe si consumino in fretta. Stanno camminando, sentono un gran male ai piedi e all’improvviso vedono una scarpa, probabilmente gettata fuori da qualche fidanzata arrabbiata» aggiungo, tanto per includere anche la sua teoria, «e visto che sembra migliore di quelle che hanno ai piedi, si tolgono una delle vecchie scarpe e si mettono quella nuova.» «Che cosa stupida» ribatte Andrew. Faccio il broncio, offesa. «Ma potrebbe succedere!» Rido, mi piego verso di lui e gli do un pugno sul braccio. Lui si limita a sorridermi. Andiamo avanti con questa storia per secoli, continuiamo a snocciolare teorie una più stupida dell’altra. Non riesco a 327/915 ricordare l’ultima volta che ho riso così tanto. Infine, quasi due ore dopo, raggiungiamo Denver. È una città meravigliosa, con quelle grandi montagne sullo sfondo che si estendono lungo l’orizzonte blu, le cime coperte di nuvole bianche. È ancora pieno giorno e il sole splende in tutta la sua bellezza. Quando arriviamo in centro Andrew rallenta di colpo fino a sessantacinque chilometri all’ora. «Devi dirmi da che parte andare» mi ricorda mentre ci avviciniamo all’ennesima rampa di accesso. Guarda in tre direzioni e poi verso di me. Presa alla sprovvista scruto le strade come una forsennata e più si avvicina il momento di prendere una decisione più lui rallenta la marcia. 328/915 Cinquantacinque all’ora. «Be’, dove si va?» mi chiede. I suoi occhi verdi brillano con un’aria vagamente divertita. Sono così nervosa! Mi sento come se mi avesse chiesto quale filo tagliare per disinnescare una bomba! «Non ne ho idea!» strillo, con un sorriso isterico. Quaranta chilometri all’ora. La gente suona il clacson e un tizio con una macchina rossa ci affianca e ci supera sgommando. Trenta chilometri all’ora. Ahh! Non riesco a reggere la tensione! Sento che sto per scoppiare a ridere, ma il respiro mi si blocca in gola. 329/915 Un clacson suona furiosamente e qualcuno grida: «Ehi, imbecille! Togliti dalle palle, pezzo di merda!». Ma a Andrew gli insulti scivolano addosso e non smette mai di sorridere. «Da quella parte!» grido infine alzando una mano e indicando la rampa a est. Scoppio a ridere e scivolo con la schiena contro il sedile in modo che nessuno possa vedermi. Sono così imbarazzata! Andrew mette la freccia e scivola con scioltezza sulla corsia di sinistra tra altre due macchine. Superiamo il semaforo giallo un attimo prima che scatti il rosso; pochi secondi dopo ci immettiamo in un’altra autostrada e Andrew preme l’acceleratore. Non ho idea di quale sia la direzione che abbiamo preso. So che ci stiamo dirigendo verso 330/915 est, ma dove ci porti esattamente questa strada resta un mistero. «Non è stato così difficile tutto sommato, non credi?» domanda Andrew guardandomi con un sorriso. «Uno spasso» rispondo io, e poi mi lascio sfuggire una risata stridula. «Li hai fatti davvero uscire di testa, quelli.» Fa spallucce. «Hanno tutti troppa fretta. Se ti azzardi a rispettare il limite di velocità rischi il linciaggio.» «Già, è proprio vero» rispondo, e guardo avanti oltre il parabrezza. «Anche se devo ammettere che anch’io in genere faccio come loro» aggiungo facendogli l’occhiolino. «Be’, lo faccio anch’io a volte.» All’improvviso restiamo in silenzio e per la prima volta da quando siamo partiti sprofondiamo in uno stato di 331/915 quiete. Ce ne accorgiamo entrambi. Mi chiedo se lui stia pensando la stessa cosa, se si stia chiedendo cosa mi passi per la testa e se voglia domandarmelo, proprio come vorrei fare io con lui. È uno di quei passaggi inevitabili che quasi sempre conducono il rapporto a un livello più profondo, quello in cui due persone cominciano a conoscersi davvero. È tutto molto diverso da quando eravamo sull’autobus. In quel momento pensavamo che il tempo a nostra disposizione fosse limitato e che non ci saremmo rivisti mai più, per cui non c’era motivo di andare troppo sul personale. Ma ora le cose sono cambiate e l’aspetto personale è l’unico rimasto. «Parlami un po’ della tua migliore amica, Natalie.» 332/915 Tengo gli occhi fissi sulla strada per diversi, lunghi secondi e ci metto un po’ a rispondere, perché non sono sicura di cosa dovrei raccontare. «Se è ancora la tua migliore amica» aggiunge Andrew, percependo in qualche modo il mio risentimento. Lo guardo. «Non lo è più. È un po’ succube del suo ragazzo, in mancanza di una spiegazione migliore.» «Sono sicuro che puoi trovare una spiegazione migliore» ribatte lui fissando la strada. «Forse è solo che non vuoi spiegarlo e basta.» Prendo una decisione. «No, a dire il vero ho proprio voglia di spiegarlo.» Andrew sembra piacevolmente sorpreso, ma mantiene un atteggiamento discreto. 333/915 «La conosco dalla seconda elementare» comincio. «Ero certa che niente avrebbe potuto rompere la nostra amicizia, ma a quanto pare mi sbagliavo di grosso.» Scuoto la testa, disgustata al solo ricordo. «Allora, cos’è successo?» «Ha preferito il suo ragazzo a me.» Credo che si aspettasse una spiegazione più approfondita e infatti avevo intenzione di dargliela, ma le parole mi sono venute fuori così. «Le hai chiesto tu di scegliere?» mi domanda con un sopracciglio appena sollevato. Mi volto per guardarlo. «No, niente affatto. Non è andata così.» Emetto un sospiro lungo e profondo. «Damon, il suo ragazzo, ci ha provato con me: una sera, mentre eravamo da soli, ha cercato di baciarmi e mi ha confessato che 334/915 voleva stare con me. Dopodiché Natalie mi ha chiamata puttana bugiarda e mi ha detto che non voleva rivedermi mai più.» Andrew annuisce lentamente, come a dire che ora capisce tutto quanto. «Dev’essere una tipa insicura» commenta. «Probabilmente sta con lui da un sacco di tempo, giusto?» «Esatto. Da cinque anni.» «E insomma, la tua migliore amica si deve fidare di te, no?» Lo guardo, piuttosto confusa. Annuisce. «Certo che sì. Pensaci: ti conosce più o meno da tutta la vita. Credi davvero che avrebbe gettato al vento un’amicizia del genere solo perché non ti ha creduto?» Sono ancora più confusa. 335/915 «Eppure l’ha fatto» rispondo io, incredula. «È proprio quello che ha fatto.» «Naa» ribatte lui. «È stata solo una reazione istintiva, Camryn. Lei non vuole crederci, ma in fondo, anzi non così in fondo dopotutto, sa che è vero. Ha solo bisogno di tempo per rifletterci e accettare le cose come stanno. Se ne farà una ragione, vedrai.» «Be’, se mai succederà, potrei essere io a non volere più la sua amicizia.» «Forse» replica Andrew mentre mette la freccia a destra e svolta. «Ma non mi sembri il tipo.» «Il tipo che non perdona?» gli chiedo. Annuisce di nuovo. Passiamo accanto a un camion che procede troppo lento e lo superiamo senza problemi. 336/915 «Non lo so» sbuffo. Mi sento così fragile adesso. «Non sono più quella di una volta.» «Perché, com’eri una volta?» Non sono sicura nemmeno di questo. Mi ci vuole un po’ per trovare le parole giuste. «Ero divertente e socievole e…» Scoppio a ridere all’improvviso: un ricordo mi solletica la mente. «E ogni inverno mi tuffavo nuda in un lago gelido.» Il bellissimo viso di Andrew assume un’espressione curiosa, piena di energia. «Wow» esclama. «Sto provando a immaginarlo.» Gli do un altro pugno sul braccio, ma senza smettere di sorridere. Lui finge che gli abbia fatto male, anche se so benissimo che non è vero. 337/915 «Era per beneficenza, una raccolta fondi per l’ospedale della mia città» gli spiego. «La organizzavano ogni anno.» «Nudi?» Mi guarda, ora sinceramente confuso, nonostante stia ancora sorridendo al pensiero. «Be’, non nuda del tutto, è ovvio» gli spiego. «Ma se indossi solo un top striminzito e dei pantaloncini e ti tuffi in un lago quasi sottozero, in pratica è come essere nudi, no?» «Merda, quando torno a casa devo assolutamente partecipare alla raccolta fondi dell’ospedale» esclama, battendo una mano sul volante. «Non avevo idea di cosa mi stessi perdendo.» Modera un po’ il sorriso e si volta a guardarmi. «Allora, perché una volta facevi queste cose e adesso non le fai più?» 338/915 Perché è stato Ian a coinvolgermi in quel progetto e l’ho fatto insieme a lui per due anni. «Circa un anno fa ho smesso, tutto qui. È una di quelle cose che smetti di fare senza motivo.» Ho la sensazione che non se la beva. Ha capito che c’è sotto dell’altro. Perciò cambio subito argomento per distrarlo. «E di te cosa mi dici?» gli chiedo, girandomi verso di lui per prestargli la massima attenzione. «Hai mai fatto qualcosa di completamente folle?» Andrew storce un po’ la bocca, pensandoci su, e fissa la strada. Superiamo un altro camion e torniamo sulla corsia di destra. Mano a mano che ci allontaniamo dalla città il traffico è sempre meno intenso. 339/915 «Ho fatto surf sul cofano di una macchina. Non è una cosa proprio folle… ma in compenso è molto stupida.» «Già, è piuttosto stupida» confermo. Andrew alza la mano sinistra e mi fa vedere il polso. «Sono caduto da quella dannata macchina e mi sono squarciato il polso su qualcosa di appuntito.» Sbircio la cicatrice di circa cinque centimetri che gli solca la pelle dalla base del pollice fino al braccio. «Sono rotolato sull’asfalto. E mi sono spaccato la testa.» Mi indica il lato destro della nuca. «Qui mi hanno dato nove punti, oltre ai sedici del braccio. Non lo rifarò mai più.» «Be’, spero proprio di no» commento con tono severo cercando ancora di scorgere la cicatrice tra i suoi capelli castani. 340/915 Andrew stacca le mani dal volante e mi afferra il polso, facendo scivolare il dito indice sopra il mio per guidarmi. Io mi avvicino e lascio che la sua mano accompagni la mia. «Ecco, più o meno… qui» esclama quando la trova. «La senti?» La sua mano si stacca dalla mia, ma rimango a fissarla per qualche istante. Tornando alla sua testa, alzo gli occhi e faccio scorrere la punta del dito lungo la striscia di pelle irregolare e innaturalmente liscia sul suo cuoio capelluto. Poi gli sposto i capelli corti con le dita. La cicatrice è lunga quasi tre centimetri. La sfioro un’ultima volta e ritiro la mano a malincuore. «Immagino che tu abbia molte cicatrici» commento. Andrew sorride. «Non moltissime. Ne ho una sulla schiena che risale a 341/915 quando Aidan mi ha colpito con una catena di bicicletta, mentre la faceva roteare come una frusta.» Rabbrividisco e stringo i denti al pensiero. «Un giorno, quando avevo dodici anni, stavo portando Asher sul manubrio della mia bicicletta. Ho urtato una pietra. La bici si è rovesciata in avanti e ci ha fatti cadere entrambi sul cemento.» Si indica il naso. «Mi sono rotto il naso, ma Asher si è fratturato un braccio e hanno dovuto dargli quattordici punti sul gomito. Mia madre pensava che avessimo avuto un incidente con una macchina e che stessimo mentendo per coprirci il culo a vicenda.» Continuo a fissargli il naso, il suo profilo perfetto: sembra impossibile che l’abbia rotto. 342/915 «E poi ho una strana cicatrice a forma di L sull’interno coscia» continua, indicando la zona. «Ma questa non te la posso mostrare.» Sorride e stringe il volante con entrambe le mani. Io arrossisco all’istante, perché ci ho messo un secondo a immaginarlo mentre si abbassa i pantaloni per farmela vedere. «Meglio così, mi sento sollevata» rido, poi mi piego in avanti sul cruscotto per sollevare la mia maglietta di Puffetta sul fianco. Mi accorgo che lui mi sta guardando e sento una stretta allo stomaco, ma cerco di non farci caso. «Una volta sono andata in campeggio» gli spiego. «Mi sono tuffata in acqua da uno scoglio e ho colpito una roccia. Sono quasi annegata.» Andrew si acciglia e si piega verso di me, sfiorando i bordi della piccola 343/915 cicatrice sul mio fianco. Sento un brivido corrermi lungo la schiena fino alla nuca, come se mi avessero iniettato un liquido gelato nel sangue. Cerco di ignorare anche questo, per quanto posso. Lascio ricadere la maglietta e mi appoggio di nuovo al sedile. «Be’, sono contento che tu non sia annegata.» I suoi occhi si illuminano dando luce a tutto il suo viso. Gli restituisco il sorriso. «Già, sarebbe stata una gran seccatura.» «Lo penso anch’io.» 16 Mi sveglio dopo il tramonto mentre Andrew rallenta per pagare il pedaggio. Non so quanto tempo ho dormito, ma ho la sensazione di aver riposato per una notte intera, nonostante sia rimasta accucciata sul sedile del passeggero con la testa schiacciata contro la portiera. Ho solo bisogno di sgranchirmi un po’ le gambe intorpidite, come quando viaggiavo sull’autobus, ma per il resto mi sento benissimo. «Dove siamo?» gli chiedo mettendomi una mano davanti alla bocca per nascondere uno sbadiglio. 345/915 «In mezzo al nulla a Wellington, nel Kansas» mi risponde. «Hai dormito un bel po’.» Mi raddrizzo sul sedile e aspetto che i miei occhi e il corpo si riprendano. Andrew si immette su un’altra strada. «Già, mi sembra proprio di sì. Ho dormito molto meglio che sull’autobus.» Guardo le lettere blu fosforescenti sullo stereo della macchina: sono le 22.14. Una canzone esce sottovoce dalle casse. Mi torna in mente il ricordo di quando l’ho incontrato sull’autobus. Sorrido tra me e me immaginando che abbia tenuto il volume basso per non svegliarmi. «E tu?» gli chiedo voltandomi a guardarlo. L’oscurità proietta un’ombra su gran parte del suo volto. «Mi sembra strano proportelo, visto che è la 346/915 macchina di tuo padre… ma sono brava a guidare, se vuoi riposare un po’.» «Naa, non deve sembrarti strano» mi risponde lui. «È solo una macchina. È preziosa e molto vecchia e mio padre ti appenderebbe al ventilatore del soffitto se sapesse che ti ci sei messa al volante, ma per me se vuoi guidare non c’è nessun problema.» Anche se è buio, posso vedere l’angolo destro della sua bocca sollevarsi in un sorrisetto ironico. «Be’, adesso non sono più così sicura di sentirmela.» «Sta morendo, ricordi? Cosa vuoi che ti faccia?» «Non è divertente, Andrew.» Lo sa benissimo anche lui. Ho capito a che gioco sta giocando con se stesso: cerca in continuazione qualcosa che lo aiuti a sopportare questa situazione, ma 347/915 non ci riesce. Alla fine resterà a corto di battutacce e non saprà più che fare. «Ci fermiamo al prossimo motel» annuncia, svoltando in un’altra strada. «Ci facciamo una bella dormita.» Poi mi lancia un’occhiata. «Stanze separate, naturalmente.» Sono felice che abbia deciso tutto così in fretta. Posso accettare di attraversare gli Stati Uniti in sua compagnia, anche se è un po’ strano, ma non credo che riuscirei a condividere una stanza con lui. «Perfetto» rispondo, e stendo le braccia davanti a me con le dita intrecciate. «Ho bisogno di farmi una doccia e di lavarmi i denti per almeno un’ora.» «Su questo non c’è dubbio» scherza. «Ehi, nemmeno tu hai l’alito che profuma di violetta!» 348/915 «Lo so» risponde, mettendosi una mano davanti alla bocca e respirando velocemente. «Puzza come se mi fossi mangiato quello stufato di merda che mia zia fa tutti gli anni per il giorno del Ringraziamento.» Scoppio a ridere. «Forse non ti sei spiegato bene. Uno stufato di merda? Davvero?» Continuo a ridacchiare sotto i baffi. Ride anche lui. «Accidenti, potrebbe anche essere. Adoro mia zia Deana, ma purtroppo non ha il dono della buona cucina.» «Mi ricorda mia madre.» «Dev’essere terribile» commenta guardandomi. «Crescere a forza di spaghetti in lattina e panini al formaggio.» «No, io ho imparato a cucinare da sola. Non mangio cibo spazzatura, ricordi?» 349/915 Il viso sorridente di Andrew viene illuminato dalla luce soffusa dei lampioni ai lati della strada. «Già, è vero» risponde. «Niente hamburger pieni di grassi o patatine unte, per la piccola Miss Torta di Riso.» Faccio un’espressione schifata per smontare la sua teoria della torta di riso. Pochi minuti dopo entriamo nel parcheggio di un piccolo motel a due piani, di quelli con le stanze che si aprono su un ballatoio esterno invece che su un corridoio interno. Scendiamo e ci sgranchiamo le gambe… Be’, Andrew si sgranchisce le gambe, le braccia, il collo, praticamente tutto! Poi prendiamo le nostre sacche dal bagagliaio, ma non la chitarra appoggiata sul sedile. 350/915 «Chiudi la portiera» mi dice facendomi un cenno. Entriamo nel motel e subito ci investe un odore di polvere e caffè. «Due singole vicine, se le avete» chiede Andrew mentre si sfila il portafoglio dalla tasca posteriore. Io frugo nella borsa e cerco il portamonete con la zip. «Pago la mia stanza.» «Lascia, faccio io.» «No, davvero, voglio pagare io.» «Ho già detto di no, perciò metti via i soldi.» Faccio come dice, anche se piuttosto controvoglia. La donna di mezza età alla reception, i capelli biondi striati di grigio e raccolti in una crocchia disordinata in cima alla testa, ci guarda inespressiva. 351/915 «Fumatori o non fumatori?» chiede. Noto che fissa le braccia muscolose di Andrew mentre è intento a estrarre la carta di credito. «Non fumatori.» «Le uniche singole che ho vicine sono una fumatori e l’altra non fumatori.» «Vanno bene» dice lui passandole la carta di credito. La donna gliela prende sfiorandogli le dita e continua a osservare ogni piccolo movimento della mano di Andrew finché non sparisce dalla sua vista dietro il bancone. Puttana. Dopo aver pagato e ritirato le chiavi della stanza torniamo nel parcheggio e andiamo alla macchina. Andrew prende la chitarra dal sedile posteriore. 352/915 «Avrei dovuto chiedertelo prima di arrivare» mi dice mentre lo seguo. «Ma se hai fame posso andare a prenderti qualcosa da mangiare.» «No, sto bene così. Grazie.» «Sei sicura?» Mi guarda, in attesa. «Sì, adesso non ho per niente fame, ma se mi dovesse venire posso sempre andare a prendermi qualcosa alla macchinetta automatica.» Andrew infila la tessera nella serratura della prima stanza e aspetta la luce verde. Poi apre la porta. «Ma in quella roba ci sono solo zuccheri e grassi» esclama, riprendendo la nostra conversazione sul cibo spazzatura. Entriamo in una stanza dall’aria piuttosto sciatta con un letto singolo appoggiato contro una testiera di legno 353/915 appesa al muro. Il copriletto è marrone, orribile, e mi spaventa a morte. La stanza in sé profuma di pulito e sembra decente, ma non ho mai dormito in una camera di motel senza prima aver tolto il copriletto. Non si può mai sapere cosa ci sia sopra o quando è stata l’ultima volta che l’hanno lavato. Andrew annusa la stanza inspirando a fondo. «Questa è la stanza non fumatori» commenta, guardandosi intorno come se la stesse ispezionando. «Quindi prendila tu.» Appoggia la chitarra contro il muro e si dirige verso il piccolo bagno, accende la luce e prova l’aspiratore; poi raggiunge la finestra dall’altra parte del letto e controlla il condizionatore. Siamo a metà luglio, dopotutto. Infine si avvicina al letto, sposta di lato la 354/915 trapunta ed esamina le lenzuola e i cuscini. «Cosa stai cercando?» Mi risponde senza guardarmi: «Mi assicuro che sia pulito: non voglio che tu dorma in un letto sporco e puzzolente». Arrossisco di colpo, ma mi volto prima che lui possa accorgersene. «È un po’ presto per andare a dormire» prosegue, allontanandosi dal letto e riprendendo in mano la chitarra. «Ma guidare mi ha stancato moltissimo.» «Be’, in sostanza non dormi da quando siamo scesi dall’autobus a Cheyenne.» Lascio cadere la sacca e la borsa ai piedi del letto. «Già, è vero» risponde lui. «Questo significa che sono in piedi da circa 355/915 diciotto ore. Maledizione, non me n’ero accorto.» «La stanchezza gioca brutti scherzi.» Va verso l’uscita e appoggia la mano sulla maniglia argentata. Io resto immobile ai piedi del letto. È una situazione assurda, ma non dura a lungo. «Be’, allora ci vediamo domattina» dice dalla soglia. «Sono proprio qui accanto a te, alla 110. Chiamami o bussa o da’ un calcio al muro se hai bisogno.» Il suo viso non esprime altro che gentilezza e sincerità. Io annuisco e sorrido in risposta. «Allora buonanotte» conclude. «Buonanotte.» E scivola fuori, chiudendosi la porta alle spalle senza farla sbattere. 356/915 Dopo aver pensato a lui con aria assente per un po’, torno in me e comincio a frugare nella mia sacca. Finalmente farò una doccia! Sono eccitata solo al pensiero. Tiro fuori un paio di mutandine pulite, i miei shorts di cotone bianchi preferiti e la maglietta universitaria con le strisce rosa e blu sulle maniche a tre quarti. Poi prendo lo spazzolino, il dentifricio e il collutorio e mi dirigo verso il bagno portando tutto con me. Mi spoglio, felice di potermi togliere i vestiti sporchi che indosso da giorni, e li lancio sul pavimento. Mi osservo allo specchio. Oh mio Dio, sono orribile! Il trucco è completamente scomparso (ho a malapena un velo di mascara) e diverse ciocche di capelli biondi mi sfuggono dalla treccia e mi stanno appiccicati a un lato della testa in una specie di nodo. 357/915 Non posso credere di aver viaggiato accanto a Andrew in queste condizioni! Mi tolgo l’elastico dalla treccia per liberare il resto dei capelli e poi separo le ciocche con le dita. Prima mi lavo i denti e mi riempio la bocca di collutorio alla menta finché la sensazione di bruciore non passa. Fare la doccia è come essere in paradiso. Ci resto dentro per secoli, finché non sopporto più l’acqua bollente. Il calore mi culla facendomi quasi dormire in piedi. Mi strofino minuziosamente. Due volte. Solo perché ne ho la possibilità e perché è stata una giornata davvero lunga. Prima di uscire mi depilo, contenta di liberarmi di quella specie di ispida pelliccia che mi stava crescendo sulle gambe. Infine chiudo i rubinetti cigolanti e afferro l’asciugamano bianco del motel 358/915 ripiegato con cura sul porta-asciugamani appeso sopra il water. Sento l’acqua scorrere nella stanza di Andrew dall’altra parte del muro e mi ritrovo ad ascoltare. Me lo immagino semplicemente lì, sotto la doccia; niente di erotico o di perverso, anche se non mi riuscirebbe affatto difficile visualizzare qualcosa di simile. Penso a lui in generale, a quello che sta facendo e perché. Ripenso a suo padre e mi sento di nuovo il cuore a pezzi perché immagino quanto stia soffrendo. Mi dispiace non poterlo aiutare. Alla fine mi scuoto e cerco di tornare in me, alla mia vita e ai miei problemi, che non hanno niente a che vedere con i suoi. Spero di non dovergli mai raccontare tutte le vicissitudini che mi hanno portata a fare quel viaggio senza meta in autobus, perché mi sentirei una stupida 359/915 e un’egoista. I miei problemi non sono nulla in confronto ai suoi. Mi infilo nel letto con i capelli ancora bagnati e li districo un po’ con le dita. Non sono per niente stanca, dato che ho dormito per quasi tutto il viaggio da Denver, perciò accendo la tv e faccio zapping. Alla fine lascio su un film a caso con Jet Li, ma è più per avere un rumore di fondo che per interesse. Mia madre mi ha chiamata quattro volte e mi ha lasciato quattro messaggi. Ancora nessuna notizia da Natalie. «Come va in Virginia?» mi grida mia madre all’orecchio. «Ti starai divertendo un mondo, o almeno spero.» «Già, è favoloso. E tu come stai?» Mia madre ridacchia dall’altra parte del telefono e il suo tono mi irrita all’istante. C’è un uomo con lei. Oh, merda, spero che non stia parlando con 360/915 me a letto, nuda, mentre un tizio le lecca il collo! «Me la cavo bene, tesoro» risponde. «Mi vedo ancora con Roger. Andiamo a fare una crociera insieme il prossimo fine settimana.» «Grandioso, mamma.» Di nuovo quel risolino. Arriccio il naso. «Bene, amore mio, ora devo andare – smettila, Roger!» Ridacchia ancora. Sento che sto per vomitare. «Volevo solo sapere come stavi. Per favore, chiamami domani per dirmi come va, d’accordo?» «Okay mamma, lo farò. Ti voglio bene.» Chiudo la conversazione e lascio cadere il telefono sopra il letto. Poi appoggio la schiena ai cuscini e 361/915 all’improvviso penso a Andrew che si trova nella stanza accanto. Forse tiene la testa appoggiata allo stesso muro. Faccio ancora un po’ di zapping finché non giro tutti i canali almeno cinque volte. Alla fine rinuncio. Sprofondo nel letto e osservo la stanza. Le note della chitarra di Andrew mi scuotono dal mio torpore e sollevo un po’ la schiena per ascoltare meglio. È una canzone lenta, una specie di ballata romantica e intimista. Quando arriva il ritornello, il ritmo aumenta di intensità per poi rallentare di nuovo alla strofa successiva. È assolutamente stupenda. Lo ascolto per circa un quarto d’ora; poi cala il silenzio. Avevo spento la televisione appena avevo capito che stava suonando e adesso non riesco a sentire altro che il gocciolare del lavandino del bagno e, di tanto in 362/915 tanto, una macchina che entra nel parcheggio del motel. Scivolo nel sonno e l’incubo ritorna… Quel mattino non avevo ricevuto la solita serie di messaggi da Ian, che mi arrivava ancor prima che mi alzassi dal letto. Provai a chiamarlo al telefono, ma suonava a vuoto e la segreteria telefonica non partiva mai. E quando entrai a scuola lui non c’era. Nei corridoi mi fissavano tutti. Qualcuno non riusciva nemmeno a guardarmi negli occhi. Jennifer Parsons scoppiò a piangere davanti al suo armadietto quando le passai accanto, e alcune cheerleader si voltarono verso di me e mi fissarono come se avessi una malattia contagiosa. Non capivo cosa stesse succedendo, ma avevo la sensazione di essere piombata in una sorta di realtà parallela e assurda. Nessuno mi rivolgeva la parola, ma era chiaro 363/915 che tutti a scuola sapevano qualcosa di cui io ero all’oscuro. E non era un bene. Non ho mai avuto nemici, in realtà; solo qualche volta alcune ragazze si sono mostrate gelose di me perché Ian mi amava e non le degnava di uno sguardo. Cosa potevo farci? Ian Walsh era più sexy di tutta la squadra di football messa insieme e non importava a nessuno, nemmeno a Emily Derting, la ragazza più ricca della Millbrook High School, che non avesse un soldo e che i suoi genitori lo accompagnassero ancora a scuola. Lei voleva portarselo a letto comunque. Come tutte le altre. Andai al mio armadietto sperando che Natalie arrivasse presto, così forse avrebbe potuto dirmi cosa stava succedendo. Rimasi lì davanti più tempo del necessario, in attesa di vederla comparire. Ma fu Damon a raggiungermi e a dirmi cos’era 364/915 accaduto. Mi portò nella nicchia in cui si trovava la fontanella dell’acqua. Il cuore mi martellava nel petto. Avevo capito che qualcosa non andava appena mi ero alzata, prima ancora di rendermi conto che non c’erano messaggi di Ian. Mi sentivo… a pezzi. Era come se sapessi… «Camryn» cominciò Damon, e capii subito quanto fosse serio ciò che stava per dirmi, perché lui e Natalie mi chiamano sempre “Cam”. «Ian ha avuto un incidente d’auto ieri sera…» Mi sentii mancare il respiro e mi portai entrambe le mani alla bocca. Le lacrime mi bruciavano la gola e mi riempivano gli occhi. «È morto questa mattina presto in ospedale.» Damon stava cercando di dirmelo nel modo più sereno possibile, ma il dolore sul suo viso era inequivocabile. 365/915 Fissai Damon per quella che mi sembrò un’eternità, fino a che non riuscii più a reggermi sulle gambe e crollai tra le sue braccia. Piansi tanto da sentirmi male, ma alla fine arrivò Natalie ed entrambi mi accompagnarono in infermeria. Mi sveglio sudata e con il cuore che batte all’impazzata. Scalcio via le lenzuola e mi siedo al centro del letto con le gambe incrociate. Mi passo le mani tra i capelli e libero un lungo sospiro. Era tanto tempo che non facevo più quel sogno. In realtà era l’ultimo incubo che ricordo di aver fatto. Perché si è ripresentato proprio adesso? Mi riscuoto di colpo: qualcuno bussa alla porta. «IL MATTINO HA L’ORO IN BOCCA, BELLA ADDORMENTATA!» canticchia allegro Andrew dall’altra parte. 366/915 Non ricordo nemmeno di essermi riaddormentata dopo il sogno. Il sole filtra da una fessura tra le tende e illumina la moquette scura proprio sotto la finestra. Mi alzo dal letto e scosto i capelli dal viso; poi corro alla porta prima che Andrew svegli tutto il motel. Quando gli apro mi fissa con gli occhi sbarrati. «Porca miseria, hai deciso di farmi venire un infarto?» esclama squadrandomi dalla testa ai piedi. Abbasso lo sguardo mentre cerco di svegliarmi completamente e mi rendo conto che indosso solo gli shorts di cotone bianchi e la maglietta senza reggiseno. Santo cielo, i capezzoli minacciano di bucare la T-shirt! Incrocio le braccia sul petto e cerco di non guardarlo negli occhi mentre entra senza chiedere permesso. 367/915 «Volevo dirti di vestirti» continua sorridendo e intanto attraversa la stanza con la sua sacca e la chitarra. «Ma a pensarci bene puoi uscire così, se vuoi.» Scuoto la testa cercando di nascondere il sorriso che mi increspa le labbra. Andrew si lascia cadere sulla poltrona vicino alla finestra e appoggia le sue cose sul pavimento. Indossa un paio di pantaloni scuri con le tasche laterali che gli arrivano appena sotto le ginocchia, una maglietta grigio piombo e le scarpe da corsa basse e nere senza calzini visibili, o forse proprio senza calzini. Lancio un’occhiata al tatuaggio sulla sua caviglia. Sembra una sorta di motivo celtico di forma circolare, inciso proprio sopra l’osso. E ha decisamente gambe da corridore; i polpacci sono tonici e muscolosi. 368/915 «Aspetta qui, mi preparo in un attimo» prometto, e mi avvicino alla sacca che ho appoggiato sul lungo cassettone su cui si trova anche la tv. «Quanto ti ci vorrà?» mi chiede, e colgo una punta di impazienza nella sua voce. Ricordando quello che aveva detto a casa di suo padre, penso alla risposta e valuto le mie opzioni: decido di concedermi la mia solita mezz’ora oppure scelgo di mettermi addosso la prima cosa che trovo e via? Andrew mi dà una mano a risolvere il dilemma: «Hai due minuti». «Due minuti?» protesto. Annuisce sorridendo. «Mi hai sentito. Due minuti.» Solleva due dita e le agita davanti a me. «Hai accettato di fare tutto quello che ti dico, ricordi?» 369/915 «Già, ma pensavo che mi avresti chiesto di fare cose folli tipo mostrare le chiappe da una macchina in corsa o mangiare scarafaggi!» Inarca un sopracciglio come se gli avessi appena dato un paio di idee geniali. «Quando si tratterà di mostrare le chiappe dalla macchina in corsa o di mangiare scarafaggi ne riparleremo.» E adesso cosa diavolo faccio? Chino la testa, sconfitta e mortificata, e le braccia mi crollano lungo i fianchi. «Oh, non posso farcela…» Mi accorgo che il suo sorriso si è trasformato in un’espressione da bambino furbo e abbasso gli occhi. Le braccia non mi coprono più i capezzoli, che sbucano orgogliosi attraverso il tessuto sottile della maglietta. Sbuffo forte e spalanco la bocca, arrabbiata: «Andrew!». 370/915 Lui abbassa la testa con finta vergogna, ma il modo in cui mi guarda dal basso verso l’alto con gli occhi socchiusi lo fa sembrare ancora più malizioso. Cazzo, è così sexy… «Ehi, ci tieni tanto alle tue regole, ma poi non ti preoccupi di mettere le tue bambine al riparo dai miei occhi. Ti avviso che hanno una volontà tutta loro.» Gli lancio un sorrisetto e afferro la mia sacca; poi corro a piedi nudi verso il bagno e chiudo la porta. Quando mi guardo allo specchio mi accorgo che sto sorridendo come in uno di quei ritratti fotografici scadenti degli anni Ottanta. Okay, due minuti. Mi infilo nel reggiseno e nei jeans attillati e saltello un po’ per farli aderire bene al sedere. Cerniera. Bottone. Mi spazzolo i denti con cura. Un veloce risciacquo con il collutorio. Sorso, gargarismo, sputo. Mi 371/915 passo le dita tra i capelli spettinati e li sistemo frettolosa in una treccia che mi ricade sulla spalla destra. Un velo di fondotinta e una pennellata di fard. Mascara nero, perché il mascara è il pezzo più importante del mio arsenale. Rossetto e… BAM! BAM! BAM! «I tuoi due minuti sono scaduti!» Stendo comunque il rossetto e lo asciugo con un francobollo di carta igienica. Intuisco che sta sorridendo dall’altra parte della porta del bagno e quando la apro vedo che avevo ragione. È in piedi, con le mani sopra la testa, appoggiato allo stipite. Gli addominali duri e ben definiti si intravedono sotto la maglietta leggermente sollevata. Un sottile sentiero di peli scende 372/915 dall’ombelico e si infila sotto la cintura dei pantaloni. «Visto? Ecco fatto.» Fischietta mentre mi tiene aperta la porta, ma io ho occhi soltanto per lui. «Semplice è sexy.» Lo spingo via per uscire e colgo l’occasione per appoggiargli le mani sul petto. Lui mi lascia passare. «Non sapevo di dovermi rendere sexy per te» gli dico voltandogli le spalle mentre getto nella sacca i vestiti con cui ho dormito. «Wow, guarda guarda!» continua lui. «Semplice, sexy e disordinata. Sono fiero di te!» Non me n’ero nemmeno accorta. Ho buttato i vestiti nella sacca alla rinfusa, senza nemmeno farmi sfiorare dall’idea di ripiegarli. Quindi non sono “clinicamente” ossessiva-compulsiva; sono solo una di quelle persone che 373/915 rientrano nella definizione per un paio di innocenti abitudini metodiche! Eppure ripiegare i miei vestiti e cercare di tenerli sempre in ordine è una delle mie fissazioni da quando avevo circa undici anni… 17 Andrew Parliamo della frustrazione sessuale del primo mattino. D’accordo, devo smetterla di scherzare con lei o comincerà a pensare che è davvero quello che ho in mente. In un’altra situazione, con un’altra ragazza, a quest’ora mi sarei alzato dal letto per buttare il preservativo usato nel gabinetto. Con Camryn però è diverso. È duro (e non è un gioco di parole), ma devo assolutamente evitare di flirtare con lei. Questo è un viaggio importante per entrambi. Ho solo una 375/915 possibilità di fare le cose nel modo giusto e non mi perdonerei mai se facessi una cazzata. «Allora, qual è la prossima tappa del nostro viaggio senza meta?» mi chiede. «Per prima cosa facciamo colazione» le rispondo sollevando la mia sacca dal pavimento. «E poi immagino che se sapessimo dove andare non sarebbe un viaggio senza meta.» Camryn prende il cellulare dal comodino accanto al letto, controlla se ci sono nuovi messaggi o chiamate e lo infila nella borsa. Usciamo. «Andrew, ti prego. Non posso mangiare in uno di quei posti che piacciono a te» piagnucola ostinata dal sedile del passeggero. 376/915 La cittadina è piccola e la maggior parte dei locali in cui si può mangiare sono fast food. «Sono seria» ripete con un’espressione imbronciata così carina che vorrei soltanto prenderle il viso tra le mani e leccarla. Lei si metterebbe a strillare e griderebbe che non le era mai capitata una cosa così “schifosissima”. «A meno che tu non voglia una compagna di viaggio fastidiosa, che si stringe lo stomaco dolorante e geme per la prossima ora, non mi farai mangiare quella roba. Soprattutto a quest’ora del mattino.» Appoggio la testa all’indietro e stringo le labbra mentre la guardo. «Su, forza, adesso stai esagerando.» Però mi viene il dubbio che parli sul serio. 377/915 Camryn scuote la testa, poi si mordicchia il pollice con gli incisivi. «No, dico davvero. Ogni volta che mangio il cibo dei fast food mi sento male. Non sto cercando di fare la difficile, credimi: questo è un vero problema quando vado da qualche parte con mia madre o con Natalie. Diventano matte a trovare un posto in cui mangiare che non mi riduca a uno straccio.» Okay, allora sta parlando sul serio. «Be’, io non ho nessuna intenzione di farti stare male» rispondo ridendo sotto i baffi. «Quindi andiamo un po’ più avanti e cerchiamo qualcos’altro lungo la strada.» «Grazie» mi risponde sorridendo dolcemente. Non c’è di che… 378/915 Due ore e mezzo dopo arriviamo a Owasso, nell’Oklahoma. Camryn guarda l’enorme logo giallo e nero del ristorante e deduco che sta decidendo se entrare lì dentro o meno. «In realtà c’è un solo posto in cui mangiare» le spiego entrando nel parcheggio. «Soprattutto qui al Sud. Di Waffle House ce n’è uno a ogni angolo.» Camryn annuisce. «Penso di potercela fare. Hanno anche insalate?» «Ascoltami. Mi sta bene non farti mangiare in quei posti dove servono solo roba grassa e unta.» Piego la testa di lato e mi volto verso di lei. «Ma le insalate sono davvero troppo per me, capito?» Lei arriccia le labbra e si mordicchia la guancia per un po’. Poi annuisce. «E va bene, non prenderò l’insalata, anche se nelle insalate ci mettono anche del 379/915 pollo o molte altre cose buone che uno come te probabilmente non ha mai nemmeno preso in considerazione» borbotta. «Appunto, no. Quindi arrenditi» ribatto con tono deciso, e le faccio cenno con la testa di scendere. «Forza, ho aspettato fin troppo. Sto letteralmente morendo di fame. E quando ho fame divento piuttosto irritabile.» «Sei già irritabile» replica lei. Le afferro un braccio e la tiro verso di me. Lei arrossisce di colpo e cerca di non darlo a vedere. Adoro l’odore dei Waffle House: sa di libertà, perché i locali si trovano sempre sulla strada e anche il novanta per cento delle persone che li frequentano è in viaggio. Camionisti, viaggiatori, gente che rientra da qualche festa; tutte persone che non vivono 380/915 una vita monotona da schiavi della società. Il ristorante è quasi pieno. Io e Camryn troviamo un tavolo vicino alla cucina, piuttosto lontano dalle alte finestre. L’immancabile jukebox, un simbolo della cultura del Waffle House, è appoggiato a una vetrata. La cameriera ci accoglie con un sorriso e ci guarda con un bloc notes e una penna in mano, pronta a prendere l’ordinazione. «Vi porto un po’ di caffè?» Guardo Camryn, che sta già studiando il menù aperto sul tavolo davanti a lei. «Per me un bicchiere di tè zuccherato» ordina. La cameriera prende l’appunto e poi guarda me. «Caffè.» 381/915 La ragazza annuisce e va a preparare quello che le abbiamo chiesto. «Alcune di queste cose sembrano niente male» commenta Camryn sbirciando il menù con una guancia appoggiata a una mano. Il suo indice scorre sulla plastica e si ferma sulla breve lista di insalate. «Guarda qua» dice alzando gli occhi verso di me. «Hanno un’insalata con pollo grigliato e una con pollo, mele e noci pecan.» Non riesco a resistere a quella luce così fiduciosa nei suoi grandi occhi azzurri. Mi arrendo. Calo completamente le braghe, accidenti. «Ordina quello che vuoi» replico in tono conciliante. «Davvero, non userò questa cosa contro di te.» Camryn sbatte le palpebre due volte, sinceramente sorpresa del fatto che io abbia ceduto senza protestare. I suoi 382/915 occhi sembrano sorridermi. Chiude il menù e lo rimette sul supporto mentre la cameriera torna con il tè e il caffè. «Siete pronti per ordinare?» chiede la ragazza dopo aver messo le tazze davanti a noi. La punta della sua penna è ancora premuta contro il bloc notes come se non si fosse mai mossa, pronta a mettersi al lavoro. «Io prendo la Fiesta Omelet» comincia Camryn, e colgo un sorrisino sul suo viso mentre i suoi occhi incrociano i miei. «Toast o panino?» chiede la cameriera. «Panino.» «Semola di mais, frittelle di patate o pomodoro?» «Frittelle di patate.» 383/915 La cameriera finisce di scrivere l’ordine di Camryn e poi si volta verso di me. Io resto in silenzio per un paio di secondi; poi decido: «Prendo l’insalata con pollo, mele e noci pecan». Il sorriso di Camryn si spegne tutto d’un tratto e il suo viso rimane come pietrificato. Io le strizzo l’occhio e faccio scivolare il menù accanto al suo. «Ci diamo dentro, eh?» scherza la cameriera. Poi strappa la parte superiore del foglio. «Solo per oggi» le rispondo. La ragazza scuote la testa e si allontana. «Che diavolo fai?» mi chiede Camryn allargando le braccia. Non riesce a decidere se sorridere o sentirsi a disagio, 384/915 perciò alla fine fa un po’ di tutte e due le cose. «Ho pensato che se puoi convincermi a mangiare qualcosa per il mio bene, allora io potrò fare lo stesso con te.» «Già, ma è solo che non ti ci vedo a mangiare quell’insalata.» «Forse hai ragione» le rispondo, «ma quel che è giusto è giusto.» Sbuffa divertita e si appoggia allo schienale della panca. «Ma non sarò molto contenta quando ci rimetteremo in viaggio se dovrò sopportarti mentre ti lamenti perché hai un buco allo stomaco. L’hai detto tu stesso che diventi irritabile quando hai fame, no?» Non potrei mai essere davvero irritabile con lei, però ha ragione: quell’insalata non fa per me. E poi la lattuga mi provoca dei gas tremendi… decisamente, non sarà piacevole per lei 385/915 viaggiare accanto a me se mangio quella roba. Ma posso farcela. Spero solo di riuscire a mangiarla tutta senza farmi sfuggire neanche una delle almeno cento lamentele che ho già sulla punta della lingua, accidenti. Sarà un’esperienza interessante. Alcuni minuti dopo la cameriera porta a Camryn il suo panino e mi mette davanti il mio piatto di bestemmie. Ci riempie di nuovo i bicchieri, si informa se ci serve qualcos’altro e poi torna dai suoi clienti. Camryn mi sta già studiando. Guarda la composizione, sposta il pane dalla parte opposta rispetto alle frittelle di patate e poi gira il piatto prendendolo per i bordi in modo da avere l’omelette a portata di mano. Io prendo la forchetta e rimesto nell’insalata un paio 386/915 di volte fingendo, come Camryn, di prepararla. Ci guardiamo a vicenda e facciamo una pausa come se stessimo aspettando che l’altro dica qualcosa. Lei arriccia le labbra. Io arriccio le mie. «Vuoi fare cambio?» mi chiede. «Sì» le rispondo senza esitazioni, e ci passiamo i piatti sul tavolo. Il sollievo distende il viso di entrambi. Non è quello che avrei ordinato io, ma è sempre meglio della lattuga. A metà del pranzo (o meglio, a metà per lei, perché io ho già divorato il mio piatto) ordino una fetta di torta al cioccolato e prendo un altro caffè. E continuiamo a parlare della sua ex migliore amica, Natalie, e del fatto che sia una specie di bisessuale super eccitante con 387/915 due tette enormi. O almeno è questo che ho dedotto dalla descrizione che ne ha fatto Camryn. «Allora, cos’è successo dopo l’episodio del bagno?» chiedo addentando la fetta di torta. «Non sono mai più andata in un bagno pubblico con lei da quel giorno» mi risponde. «Quella ragazza non ha proprio ritegno.» «A me sembra una tipa molto divertente» ribatto. Camryn diventa pensierosa. «Lo era.» La studio in silenzio. È persa nei suoi ricordi e sta punzecchiando l’ultimo pezzo di pollo con la forchetta. Io invece tamburello leggermente le posate sul piatto mentre prendo una decisione. Mi pulisco la bocca con il tovagliolo e scivolo fuori dalla panca. 388/915 «Dove stai andando?» mi chiede Camryn alzando gli occhi verso di me. Io sorrido e mi dirigo verso il jukebox vicino alla vetrata. Infilo una moneta e passo in rassegna i titoli; alla fine scelgo una canzone e premo il pulsante. Mentre torno al mio posto comincia a suonare Raisins in My Toast. Le tre cameriere e il cuoco mi squadrano con occhi fiammeggianti, implacabili. Io mi limito a sorridere. Camryn è rimasta paralizzata al suo posto. Ha la schiena rigida e mi fissa sbalordita; poi quando comincio a mormorare le parole di quella canzone in stile anni Cinquanta lei scivola verso il basso, con il viso più paonazzo che abbia mai visto. Torno al mio posto dondolando i fianchi e mi infilo sulla panca. 389/915 «Oh mio Dio, Andrew! Ti prego, non cantarla!» Sto facendo del mio meglio per non ridere, ma non posso evitare di canticchiare le parole del testo con un enorme sorriso spalmato in faccia. Camryn si seppellisce il viso tra le mani e le sue spalle esili coperte da una maglietta bianca e sottile sobbalzano come se stesse reprimendo una risata. Io schiocco le dita a tempo con la canzone fingendo di avere i capelli pettinati con la brillantina; poi quando arriva la parte in falsetto la mimo, facendo un’espressione esagerata. Ma canto anche le note basse, piegando il mento verso il petto con aria seria e convinta. Non smetto mai di schioccare le dita. Mano a mano che la canzone va avanti la mia espressività aumenta. E verso metà Camryn non riesce più a 390/915 trattenersi. Scoppia a ridere così forte che le si riempiono gli occhi di lacrime. È scivolata quasi del tutto sulla panca e ha il mento praticamente al livello del tavolo. Quando la canzone finisce, con grande sollievo del personale, la vecchia signora seduta dietro Camryn mi regala un applauso. Nessun altro sembra essersi accorto di nulla, ma a giudicare dalla faccia di Camryn sembrerebbe che tutti nel ristorante non abbiano fatto che guardarci e ridere di noi. Esilarante. E poi è così carina quando è imbarazzata! Appoggio i gomiti sul tavolo, incrocio le braccia e intreccio le dita. «Be’, non era poi così male, no?» esclamo con un sorrisetto. Lei si passa un dito con cautela sotto gli occhi per cancellare la leggera 391/915 sbavatura nera del mascara. Qualche altra risatina le scuote ancora il petto che si sta calmando poco a poco. «Comunque sei senza vergogna!» esclama. «Già, è stato imbarazzante, ma devo ammettere che ne avevo proprio bisogno.» Camryn si toglie le scarpe e appoggia i piedi nudi sul sedile. Ci siamo rimessi in viaggio e scegliamo la strada in base all’ispirazione di Camryn. Siamo diretti verso est lungo l’interstatale 44; a quanto pare stiamo per attraversare la metà inferiore del Missouri. «Sono contento di averti fatto un favore.» Mi allungo e accendo il lettore cd. 392/915 «Oh, no» scherza lei. «Mi chiedo che pezzo degli anni Settanta mi farai ascoltare questa volta.» Volto la testa e le sorrido. «Questa è una bella canzone» le spiego, allungandomi di nuovo per alzare un po’ il volume; poi comincio a battere i pollici sul volante. «Sì, devo averla già sentita» replica lei, e appoggia la testa allo schienale. «Wayward Son.» «Quasi» rispondo io. «Carry On Wayward Son.» «Okay, però ci sono andata così vicina che non c’era bisogno di correggermi!» Finge di essersi offesa, ma non le riesce molto bene. «E di quale gruppo sarebbe?» le chiedo per metterla alla prova. Lei mi fa una smorfia. «Che ne so!» 393/915 «Dei Kansas» rispondo sollevando un sopracciglio con aria da intellettuale. «È una delle mie band preferite.» «Lo dici di tutte» ribatte, esasperata. «Forse hai ragione» ammetto. «Ma è vero, le canzoni dei Kansas sono troppo emozionanti. Dust in the Wind, ad esempio; non mi viene in mente una canzone più adatta per riflettere sulla morte. È come se ti strappasse via la paura.» «Quella canzone ti strappa via la paura della morte?» ripete lei, per nulla convinta. «Be’, sì. Secondo me, almeno. Immagino Steve Walsh che arriva con la falce in mano e mi dice che non ho nulla da temere. Merda, se potessi scegliere una canzone con cui morire, quella sarebbe in cima alla mia playlist.» 394/915 Camryn sembra scoraggiata. «A me sembra piuttosto morboso.» «Be’, se la prendi così, immagino di sì.» È voltata verso di me con i piedi sul sedile, le ginocchia sollevate e la testa e le spalle appoggiati allo schienale. La lunga treccia bionda le scende morbida sulla spalla destra e le dà un’aria dolcissima. «Hotel California» esclama all’improvviso. «Degli Eagles.» La guardo. Sono impressionato. «Quella sì è una canzone classica che mi piace.» «Davvero? È grandiosa, fa venire i brividi. Mi fa sentire come se mi trovassi dentro uno di quei vecchi film horror in bianco e nero. Ottima scelta.» Sono molto, molto colpito. 395/915 Batto i pollici ancora un po’ sul volante mentre finisce Carry On Wayward Son; poi sento uno schiocco sonoro seguito da un lungo fischio, perciò mi sposto lentamente verso il bordo della strada e mi fermo del tutto sul ciglio. Camryn ha già appoggiato i piedi nudi sul pianale e si sta guardando intorno cercando di capire l’origine del rumore. «Abbiamo bucato?» mi chiede, anche se il suo tono è più un “Oh, fantastico, abbiamo bucato!”. «Già» rispondo io spegnendo il motore. «Per fortuna ho la ruota di scorta nel bagagliaio.» «Ti riferisci a uno di quegli orribili mini pneumatici?» Scoppio a ridere. 396/915 «No, ho una gomma a grandezza normale là dentro, con il cerchione e tutto il resto, e ti giuro che è uguale alle altre tre.» Lei sembra leggermente sollevata fino a che non si rende conto che la sto prendendo in giro; allora caccia fuori la lingua e alza di nuovo gli occhi al cielo. Non so perché questo gesto mi fa venire voglia di sbatterla sul sedile posteriore e saltarle addosso… ognuno ha le sue debolezze, immagino. Appoggio la mano sulla maniglia della portiera e lei posa di nuovo le gambe sul sedile. «Perché ti stai rimettendo comoda?» Sbatte gli occhi. «Cosa intendi?» «Dài, mettiti le scarpe» rispondo indicandole con un cenno della testa. «Alza il culo dal sedile e vieni ad aiutarmi.» 397/915 Camryn spalanca gli occhi e rimane immobile, come se si aspettasse che da un momento all’altro scoppiassi a ridere e le dicessi che sto solo scherzando. «Io… non ho idea di come si cambi una gomma» mormora alla fine, quando si rende conto che non la sto affatto prendendo in giro. «Certo che sai come si cambia una gomma» la correggo, e lei rimane ancora più sbalordita. «L’hai visto fare migliaia di volte nella realtà e nei film. Fidati di me: sai come si fa. Tutti lo sanno.» «Ma non ho mai cambiato una gomma in vita mia» si lamenta mordendosi il labbro inferiore. «Vorrà dire che comincerai oggi» le rispondo sorridendo. Poi apro la portiera solo a metà per evitare che il 398/915 camion che ci sta superando me la strappi via. Qualche altro secondo di incredulità, poi Camryn infila i piedi nelle scarpe da ginnastica e chiude la portiera sbattendola alle sue spalle. «Vieni qui» le ordino, e lei mi segue sul retro della macchina. Le indico la gomma bucata, la posteriore destra. «Se fosse stata a sinistra, dal lato della strada, forse l’avresti scampata.» «Vuoi sul serio che mi metta a cambiare una gomma?» Pensavo che ne avessimo già discusso. «Sì, piccola, voglio sul serio che sia tu a cambiare questa gomma.» «Ma in macchina avevi detto che ti avrei aiutato, non che avrei fatto tutto da sola.» 399/915 Annuisco. «Be’, tecnicamente mi aiuterai, ma… Insomma, vieni qui.» Fa il giro intorno al bagagliaio, io sollevo la ruota di scorta e la appoggio sull’asfalto. «Adesso prendi il cric e la chiave inglese e portali qui.» Camryn esegue i miei ordini mormorando tra i denti qualcosa riguardo al fatto di sporcarsi le mani di grasso. Io resisto al desiderio impellente di scoppiare a ridere mentre faccio rotolare la gomma vicino a quella bucata e la appoggio di lato. Ci sfreccia accanto un altro camion; lo spostamento d’aria fa oscillare lievemente la macchina. «È molto pericoloso» dice lei lasciando cadere il cric e la chiave inglese a terra. «E se una macchina sbanda un po’ e ci investe in pieno? Non guardi mai Real TV?» 400/915 Oh merda, anche lei guarda quel programma? «In effetti sì» ammetto. «Adesso vieni qui e vediamo di fare in fretta. Se ti accucci e non ti fai vedere dalle macchine è meno probabile che gli automobilisti si distraggano e ci vengano addosso, capito?» «Cosa vuol dire che “è meno probabile”?» chiede aggrottando la fronte. «Be’, se te ne stai lì in bella vista, con quell’aria sexy eccetera, anch’io probabilmente mi distrarrei e perderei il controllo della macchina.» Camryn alza gli occhi al cielo con un gesto plateale e si accovaccia per prendere la chiave inglese. «Ugh!» grugnisce, cercando di allentare i bulloni. «Sono troppo stretti, maledizione!» 401/915 Li allento io al posto suo, ma poi lascio che sia lei a finire di svitarli del tutto. Nel frattempo continuo a fissare il traffico, che si fa sempre più intenso, senza farle capire che sono preoccupato di stare lì in quel modo. Se guardo attentamente ho più possibilità di afferrarla e di spostarci in tempo di quante ne avrei se facessi io il lavoro. Poi arriva il momento del cric: le mostro come fare per sganciarlo in modo che si apra per bene e le indico la posizione migliore in cui sistemarlo, anche se sembra che lo sappia già senza bisogno del mio aiuto. All’inizio non riesce nemmeno ad afferrare il manico del cric, ma capisce in fretta come fare e riesce a sollevare un po’ la macchina. Tutto d’un tratto, senza nemmeno avvisare con un tuono o un fulmine, la pioggia comincia a rovesciarsi a 402/915 secchiate su di noi. Camryn urla qualcosa sul fatto di inzupparsi e lascia perdere la gomma. Si alza di scatto da terra e si lancia sulla portiera della macchina, ma poi si ferma appena si rende conto che dev’essere meglio non entrare finché la macchina è sollevata sopra un cric. «Andrew!» È completamente fradicia e si stringe le mani sopra la testa come se servissero davvero a proteggerla dalla pioggia. Non posso fare a meno di sbellicarmi dalle risate. «Andrew!» È furiosa e buffissima allo stesso tempo. La afferro per le spalle mentre la pioggia mi inonda il viso. «Finisco io con la gomma» grido. È dura rimanere serio… infatti non ci riesco. 403/915 Nel giro di pochi minuti la gomma è sistemata e butto nel bagagliaio quella bucata insieme al cric e alla chiave inglese. «Aspetta!» grido mentre Camryn sta per salire in auto, adesso che è tutto a posto. Si ferma. È scossa dai brividi ed è fradicia dalla testa ai piedi. Chiudo vigorosamente il bagagliaio e la raggiungo. Sento l’acqua dentro le scarpe, dato che non indosso i calzini, e le sorrido sperando di farle fare lo stesso. «È solo qualche goccia di pioggia.» Lei si calma un po’ e capisco che sta cercando qualcosa di sagace da ribattere. «Vieni qui.» Le tendo la mano e lei la stringe. «Che c’è?» mi chiede timida. 404/915 La sua treccia è zuppa di pioggia; le poche ciocche libere che di solito le incorniciano il viso le stanno appicciate alla fronte e alla base del collo. La guido verso il bagagliaio e ci salto sopra. Camryn si limita a guardarmi mentre la pioggia continua ad abbattersi su di lei. Le tendo di nuovo la mano e lei la afferra esitante; poi la aiuto a salire sopra il bagagliaio. Si arrampica sul tettuccio insieme a me senza smettere di fissarmi come se fossi una specie di pazzo che preferisce non contraddire. «Stenditi» le dico alzando la voce per farmi sentire nella pioggia battente. Appoggio la schiena sul tettuccio e faccio dondolare un piede fuori dal bordo sopra il parabrezza. Senza fare domande né porre obiezioni (anche se è evidente che ne 405/915 ha parecchie, perché gliele vedo tutte scritte in viso) si distende accanto a me. «Che cosa folle» grida. «Tu sei pazzo.» Non deve sembrarle poi così male questa follia, perché ho la netta sensazione che le piaccia parecchio stare quassù accanto a me. Mandando al diavolo la mia decisione iniziale, quella secondo cui dovrei controllarmi quando lei è nei paraggi, stendo il braccio sinistro verso l’esterno e Camryn istintivamente ci appoggia sopra la testa. Deglutisco a fatica. Devo ammettere che questo non me l’aspettavo da lei. Ma sono felice che l’abbia fatto. «Adesso apri gli occhi e guarda in alto» dico. Io lo sto già facendo. 406/915 Un furgone ci sfreccia accanto seguito da qualche auto, ma nessuno si accorge di noi. Un altro camion arriva veloce e lo spostamento d’aria fa ondeggiare ancora la macchina, ma non ce ne importa niente. All’inizio Camryn sbatte le palpebre quando la pioggia le cade negli occhi, ma poi cerca di tenerli aperti e ogni tanto li strizza o gira il viso contro il mio fianco per ripararlo dalle gocce, ridendo tra sé per tutto il tempo. Le guardo le labbra e osservo la pioggia che le percorre in piccoli rivoli; la osservo sorridere e trasalire quando una goccia le scivola in bocca, le sue spalle che si sollevano quando cerca di proteggersi il viso, sorridendo e ridendo, fradicia dalla testa ai piedi. Mi perdo a guardarla, e mi dimentico completamente che sta diluviando. 18 Camryn Quando finalmente riesco a tenere gli occhi aperti abbastanza a lungo fisso la pioggia che scende su di me. Non l’avevo mai osservata da questa prospettiva, con lo sguardo dritto verso il cielo. All’inizio mi dava un gran fastidio, ma una volta abituata alla sensazione mi sono resa conto che è una cosa incredibilmente bella. È come se ciascuna goccia cadesse su di me a velocità pazzesca, separata dalle migliaia di altre gocce: per un attimo 408/915 infinitesimale riesco a metterla a fuoco e a scorgere le sue delicate sfaccettature. Vedo le nuvole grigie scontrarsi sopra di me e sento la macchina ondeggiare quando lo spostamento d’aria del traffico la investe. Ho i brividi, anche se fa abbastanza caldo da poter stare bagnati senza risentirne troppo. È bellissimo… ma niente di quello che vedo o sento o percepisco è emozionante quanto la vicinanza di Andrew. Pochi minuti dopo, quando corriamo per rientrare in macchina, urlo e rido. Chiudo la mia portiera con un colpo secco e un secondo dopo lui fa lo stesso con la sua. «Mi sto congelando!» Scoppio a ridere forte e stringo le braccia davanti al seno, intreccio le dita e ci appoggio sopra il mento. 409/915 Andrew sorride così tanto che gli si tira tutta la faccia. Mi accorgo che ha un brivido mentre accende il riscaldamento. D’istinto cerco di dimenticare di essermi appoggiata al suo braccio o che lui l’abbia steso per invitarmi a farlo. Credo che anche lui stia cercando di non pensarci troppo. Si stropiccia le mani nel tentativo di ritrovare un po’ di calore mentre l’aria calda esce a tutta forza dai bocchettoni. Sto battendo i denti. «Odio avere addosso i vestiti bagnati» esclamo con il mento tremante. «Già, su questo sono d’accordo con te» replica. Poi afferra la cintura di sicurezza e se la aggancia. Io faccio la stessa cosa anche se, come sempre, tra qualche ora finirò per 410/915 slacciarla in cerca di una posizione più comoda. «Ho i piedi fradici» esclama Andrew guardandoseli. Faccio una smorfia disgustata. Lui scoppia a ridere, poi si abbassa per togliersi le scarpe e le lancia dietro il sedile. Io decido di seguire il suo esempio perché, anche se non lo ammetterei mai, i miei piedi sono fradici esattamente quanto i suoi. «Dobbiamo trovare un posto per cambiarci» mormoro. Andrew mette in moto la macchina e mi fissa. «C’è un sedile posteriore» risponde con un sorrisetto. «Non guarderò, te lo giuro.» Alza le mani in segno di resa; poi afferra di nuovo il volante e si immette sulla strada appena il traffico glielo consente. 411/915 Scrollo le spalle. «Uhm, meglio di no. Penso che aspetterò finché non troveremo un posto adatto.» «Come vuoi.» So benissimo che guarderebbe. A dir la verità non mi dispiacerebbe poi così tanto… I tergicristalli scorrono avanti e indietro a tutta velocità, ma piove così forte che è praticamente impossibile vedere la strada. Andrew lascia il riscaldamento acceso finché la macchina non sembra una specie di bagno turco, poi lo spegne, non prima di avermi chiesto se sono d’accordo. «Allora, Hotel California, eh?» mi annuncia, sorridendo verso di me. Vedo che gli sono spuntate due profonde fossette sulle guance. Si allunga e tocca il pulsante per scegliere un altro cd, poi 412/915 lo tiene premuto finché non arriva alla canzone. «Vediamo se sai le parole.» La sua mano torna sul volante. La canzone comincia proprio come me la ricordavo, con quell’inquietante giro di chitarra, lento e ipnotico. Ci guardiamo a più riprese, lasciando che la musica scorra tra noi, in attesa che attacchi la voce. Poi, contemporaneamente, alziamo le mani come dovessimo bussare in aria, uno, due, tre a tempo, e cominciamo a cantare insieme a Don Henley. Ci immergiamo nella canzone con tutta l’anima, verso dopo verso; lui mi lascia cantare una parte e viceversa. Quando arriva il primo ritornello lo intoniamo in coro a pieni polmoni, praticamente urlando le parole contro il parabrezza. Strizziamo gli occhi e muoviamo la testa e io fingo di non 413/915 vergognarmi di essere stonata. Ecco che arriva la seconda strofa; il nostro alternarci comincia a essere leggermente ingarbugliato, ma ci divertiamo come pazzi e incespichiamo solo un paio di volte. Urliamo forte, all’unisono, 1969! Poi ci passa un po’ la voglia di cantare e lasciamo che la musica riempia la macchina. Ma quando arriva il mitico secondo ritornello e la canzone rallenta e diventa più intensa torniamo seri e cantiamo ogni parola insieme, guardandoci dritto negli occhi. Andrew grida alibis! in modo così perfetto che mi viene la pelle d’oca. E all’ultima strofa “pugnaliamo la bestia” sferrando pugni in aria. Il viaggio prosegue senza meta per un tempo indefinibile. Canto così a lungo insieme a lui che alla fine mi fa male la gola. 414/915 Naturalmente il repertorio comprende solo rock classico e di tanto in tanto qualcosa dei primi anni Novanta, soprattutto Aerosmith e Alice in Chains, ma nessun disco mi ha dato fastidio, nemmeno un po’. Anzi, devo ammettere che mi sono piaciuti tutti e che mi hanno lasciato nella mente un ricordo piacevole. Quello di Andrew. Troviamo una stazione di servizio lungo l’autostrada a Jackson, nel Tennessee, e ne approfittiamo. Ci infiliamo nei bagni per toglierci i vestiti bagnati che, ce ne rendiamo conto solo adesso, ci siamo tenuti addosso per più tempo del previsto. Ci siamo divertiti così tanto, con la mia voce tutt’altro che aggraziata e lui che fingeva di apprezzarla, che ci siamo distratti da tutto il resto. 415/915 Andrew finisce di cambiarsi prima di me e mi sta già aspettando in macchina quando corro fuori indossando gli unici vestiti puliti rimasti nella mia sacca: i pantaloncini di cotone bianco e la maglietta con cui dormo. Ho portato solo un reggiseno e lo indossavo quando ha cominciato a piovere, perciò è ancora completamente bagnato. Ma lo metto comunque, perché non ho nessuna intenzione di infilarmi in auto con lui senza biancheria intima. «Non ho messo questi shorts per farti contento» lo avviso puntandogli severamente un dito contro mentre salgo in macchina. «Che sia chiaro.» Andrew alza l’angolo della bocca. «Prendo nota» ribatte fingendo di scrivere su un bloc notes. Sollevo il fondoschiena dal sedile e cerco di tirare l’orlo dei pantaloncini in 416/915 modo che non mi stringano troppo sul cavallo e mi coprano una porzione di coscia un po’ più ampia. Faccio per togliermi le infradito nere, ma mi accorgo che il tappetino è fradicio e decido di tenerle. Per fortuna i sedili sono di pelle. «Devo procurarmi dei vestiti» gli annuncio. Andrew si è rimesso i jeans, i Doc Martens neri e una maglietta tinta unita pulita, di un grigio leggermente più chiaro di quella di prima. Sta benissimo, come sempre, ma avverto la mancanza dei suoi polpacci muscolosi e abbronzati e del tatuaggio celtico sulla caviglia. «Perché, non ti sei portata nient’altro?» mi chiede tenendo gli occhi fissi sulla strada. «Non che mi stia lamentando, naturalmente.» 417/915 Gli rivolgo un sorrisetto. «Be’, dal momento che non sapevo dove sarei andata, non mi andava di trascinarmi dietro un sacco di roba inutile.» «Non fa una piega.» Adesso il sole splende sul Tennessee e noi siamo diretti a sud. L’altra carreggiata dell’autostrada è bloccata per lavori e noi ci rallegriamo di procedere in quel senso di marcia anziché nell’altro. Infine la luce si affievolisce all’orizzonte e il crepuscolo scende sui campi di riso e cotone lasciando il posto a una foschia violetta. Su entrambi i lati della strada, a perdita d’occhio, ci sono enormi distese di terra coltivata. Arriviamo a Birmingham, in Alabama, poco dopo le sette di sera. «Dove vuoi andare a comprare i vestiti?» mi chiede avanzando lentamente lungo una strada della città 418/915 punteggiata di semafori e distributori di benzina. Io mi raddrizzo sul sedile e mi guardo intorno cercando di individuare qualche negozio che faccia al caso mio. Andrew indica davanti a sé. «C’è un Walmart.» «Per me va bene un posto qualsiasi» rispondo. Al semaforo gira a sinistra ed entriamo nel parcheggio. Scendiamo e la prima cosa che faccio è sistemarmi le mutande che mi si sono infilate nel sedere. «Ti serve una mano?» «No!» replico ridendo. Camminiamo vicini nel mare di macchine che occupano il parcheggio. Le infradito mi sbattono contro i talloni. All’improvviso mi vedo dall’esterno e mi rendo conto che devo avere un 419/915 aspetto disastroso, con la treccia sporca e disfatta sulla spalla e con quegli shorts striminziti che continuano a infilarsi tra le chiappe. Non ho più un filo di trucco, dato che la pioggia me l’ha lavato via tutto. Tengo gli occhi fissi sul pavimento bianco e lucido mentre percorriamo il negozio ed evito di incrociare lo sguardo degli altri clienti. Per prima cosa ci dirigiamo al reparto donna e prendo un paio di cose semplici: altre due paia di pantaloncini di cotone, corti, sì, ma non tanto da scomparire come quelli che indosso, e un paio di magliette molto carine con scollo a V e disegni stilizzati e allegri. Resisto al desiderio di dare un’occhiata al reparto biancheria intima. Credo che per il momento me la caverò con quello che ho. 420/915 Poi seguo Andrew verso la parafarmacia in cui si trovano le vitamine, i medicinali contro il raffreddore, il dentifricio eccetera. Andiamo direttamente all’espositore con i rasoi e la schiuma da barba. «Non mi rado da una settimana» constata lui strofinandosi la barba corta e ispida che gli è cresciuta sul viso negli ultimi giorni. Io la trovo molto sexy, ma con o senza barba Andrew è sexy comunque, quindi non dico nulla. E comunque, perché dovrei? Afferro anch’io un pacco di rasoi e un barattolo dorato di schiuma Olay. Nell’espositore a fianco prendo un piccolo flacone di collutorio, perché non ne ho mai abbastanza. Mi sistemo la borsa sull’altra spalla mentre comincio a caricarmi un braccio con i vari 421/915 prodotti. Proseguiamo e prendo shampoo e balsamo dallo scaffale, cercando di tenere tutto tra le braccia, ma Andrew viene in mio soccorso e mi aiuta a portare qualcosa. Prende anche lui un flacone di collutorio. Raggiungiamo il reparto medicine e vediamo una coppia di mezz’età intenta a leggere le etichette degli sciroppi per la tosse. Andrew mi si avvicina. «Piccola, hai trovato quella pomata per la candida?» mi chiede con nonchalance, senza abbassare la voce. Spalanco gli occhi e rimango raggelata davanti agli antidolorifici. Lui prende una scatoletta di antinfiammatorio dallo scaffale. La coppia finge di non aver sentito quello che ha detto, ma Andrew sa benissimo che non è così. 422/915 «Voglio dire, hai capito cos’è che ti provoca tutto quel prurito?» continua, e io letteralmente mi sciolgo, la faccia paonazza. La coppia questa volta ci lancia un’occhiata di soppiatto. Andrew sta sghignazzando come un idiota guardandomi con la coda dell’occhio mentre finge di leggere le etichette. Vorrei dargli uno schiaffo, ma invece decido di stare al gioco. «Sì, piccolo, l’ho capito» dico con il suo stesso tono. «E tu? Hai visto se hanno profilattici taglia extra-small?» La donna gira la testa e lo squadra dalla testa ai piedi; poi mi lancia un’occhiata prima di ricominciare a leggere le etichette. Andrew non è affatto stupito, e in un certo senso ero sicura che avrebbe 423/915 reagito così. Si limita a sorridermi, godendosi ogni secondo di quella messa in scena. «Sono taglia unica» ribatte. «Te l’ho detto che poi aderiscono meglio, quando riesci a farmelo diventare duro.» Prorompo in una specie di sputo seguito da una risata. La coppia si allontana dallo scaffale. «Sei davvero uno stronzo» sibilo, senza smettere di ridere. Il barattolo di schiuma mi scivola di mano e cade a terra con un rumore metallico. Mi chino per raccoglierlo. «Nemmeno tu sei proprio una santarellina.» Andrew afferra un barattolo di pomata antibiotica e lo stringe insieme all’antinfiammatorio. Ci dirigiamo verso le casse. Lui lancia sul nastro scorrevole due confezioni di carne di 424/915 manzo essiccata e un pacchetto di mentine. Io aggiungo una bottiglia formato famiglia di disinfettante per le mani, un tubetto di burro cacao e una confezione di carne essiccata per me. «Stai prendendo coraggio, eh?» scherza lui commentando la mia scelta. Gli sorrido e appoggio il separatore di plastica grigia tra la sua roba e la mia. «Niente affatto» ribatto. «Adoro la carne essiccata. La mangerei anche se contenesse sostanze radioattive.» Andrew si limita a sorridere, ma poi cerca di dire alla cassiera che la mia roba e la sua sono “insieme” mentre prende la carta di credito dal portafoglio. «No, questa volta no» protesto e metto il braccio sul nastro accanto al separatore. Guardo dritto negli occhi la cassiera e scuoto la testa, intimandole 425/915 di non mischiare le mie cose con le sue. «Io pago per me.» Lo sguardo della cassiera saetta da me a Andrew per un attimo, come se aspettasse una sua replica. Quando lui fa per ribattere alzo il mento ed esclamo: «Io pago la mia roba, punto e basta. Fattene una ragione». Andrew alza gli occhi e cede, passando la carta di credito alla cassiera. Quando torniamo alla macchina apre una delle confezioni di carne essiccata e si infila una lunga striscia in bocca. «Sei sicuro di non volere che guidi un po’ io?» gli chiedo. Scuote la testa mentre mastica vigorosamente il coriaceo pezzo di carne. «Ora cerchiamo un altro motel per la notte.» 426/915 Deglutisce e si infila in bocca l’ultima striscia di carne, poi mette in moto e partiamo. Dopo qualche chilometro avvistiamo un motel, prendiamo le nostre cose e le portiamo nelle due stanze matrimoniali affiancate. La mia stanza ha la moquette a scacchi verdi, tende pesanti di un verde più scuro e un copriletto verde a fiori, tutto coordinato. Accendo immediatamente la televisione, solo per dare un po’ di luce e di vita a quell’atmosfera tetra. Andrew ha di nuovo pagato le stanze, usando come scusa il fatto che io avevo “avuto la meglio” al Walmart. Proprio come l’altra volta ispeziona la stanza; dopodiché si lascia cadere sulla poltrona reclinabile accanto alla finestra. 427/915 Io appoggio le mie cose a terra, tolgo il copriletto e lo scaglio in un angolo accanto al muro. «C’era qualcosa sopra?» mi chiede, appoggiandosi sullo schienale della poltrona con le gambe tese davanti a sé. Sembra esausto. «No, è solo che i copriletti mi spaventano.» Mi appoggio al bordo del letto e lancio via le infradito; poi mi siedo sul materasso a gambe incrociate. Metto le mani in grembo perché ho ancora addosso gli shorts bianchi e mi sento un po’ troppo esposta davanti a lui con le ginocchia divaricate in quel modo. «L’hai detto tu: dal momento che non sai dove stai andando…» mormora Andrew. Alzo lo sguardo e mi ci vuole un po’ per capire a cosa si riferisce: a quando 428/915 in macchina gli avevo spiegato il motivo per cui non avevo portato altri vestiti. Lui intreccia le dita sullo stomaco. Ci impiego un attimo a ribattere, anche se la mia risposta è piuttosto vaga: «Già, non ne avevo idea». Andrew solleva la schiena dalla poltrona e si piega in avanti con le braccia appoggiate sulle cosce e le mani a penzoloni tra le ginocchia. Inclina la testa da un lato e mi fissa. So che sta per iniziare una di quelle conversazioni in cui non posso prevedere se svicolerò le sue domande. Dipende da quanto sarà bravo a strapparmi una risposta. «Non sono esperto in queste cose» comincia, «ma non ti ci vedo a prendere un autobus da sola, praticamente senza bagagli e senza avere la minima idea di dove andare, solo perché la tua 429/915 migliore amica ti ha pugnalata alle spalle.» Ha ragione. Non me ne sono andata per Natalie e Damon; loro erano solo uno dei tanti motivi. «No, infatti non sono partita a causa sua.» «E allora perché?» Non mi va di parlarne; almeno, non credo che mi vada. Una parte di me ha la sensazione che potrei dirgli tutto, e in un certo senso lo vorrei, ma un’altra parte mi sta dicendo di andarci piano. Non ho dimenticato che i suoi problemi sono molto più gravi dei miei e mi sentirei stupida, immatura ed egoista se gliene parlassi. Guardo la televisione anziché lui, fingendo interesse. 430/915 Andrew si alza. «Dev’essere stato qualcosa di piuttosto grave» prosegue avvicinandosi. «Per questo vorrei che me lo raccontassi.» Piuttosto grave? Oh, fantastico, ha solo peggiorato le cose. Se gliel’avessi detto prima, almeno non si sarebbe immaginato chissà cosa. Adesso che so cosa si aspetta, ho come la sensazione di dovermi inventare qualcosa. E non lo faccio, naturalmente. Sento sobbalzare il letto quando si siede accanto a me. Non riesco ancora a guardarlo; tengo gli occhi fissi sulla televisione. Ho lo stomaco attanagliato dal senso di colpa e provo uno strano formicolio all’idea che mi sia così vicino. Ma è il senso di colpa ad avere la meglio. «Ti ho lasciata in pace e non ho insistito per tutto questo tempo» continua 431/915 lui. Appoggia di nuovo i gomiti sulle cosce e si siede com’era seduto sulla poltrona, con le mani giunte tra le gambe. «Dovrai dirmelo prima o poi.» Lo guardo. «Non è niente in confronto a quello che stai passando tu» rispondo. Poi rimango in silenzio e mi volto di nuovo verso la tv. Per favore, smettila di insistere, Andrew. Non sai quanto vorrei dirtelo, perché sono certa che tu sapresti dare un senso a ogni cosa, che potresti risolvere tutto… Oh, cosa sto dicendo? Ti prego, smettila di insistere… «Fai confronti?» chiede, solleticando la mia curiosità. «Cioè pensi che siccome mio padre sta morendo, allora tutto quello che ti ha spinta a partire all’improvviso passa in secondo piano?» Lo dice come se anche solo il pensiero fosse assurdo. 432/915 «Già» rispondo. «È proprio così.» Andrew aggrotta le sopracciglia e lancia un’occhiata alla televisione prima di voltarsi di nuovo verso di me. «Be’, è un’enorme stronzata» constata senza mezzi termini. Io scatto all’indietro. Poi prosegue: «Sai una cosa? Ho sempre odiato l’espressione “Pensa a chi sta peggio di te”. Certo, lo so che è giusto vedere le cose anche dal punto di vista degli altri: non sono mica stupido, no? Però non è una gara, cazzo. Hai capito?». Me lo sta chiedendo perché vuole sapere come la penso, o era il suo modo di dirmi come stanno le cose sperando che io lo capisca? Mi limito ad annuire. 433/915 «Il dolore è dolore, piccola.» Ogni volta che mi chiama “piccola” sento un tuffo al cuore. «Solo perché i problemi di una persona sembrano meno gravi di quelli di un’altra non significa che facciano meno male.» In effetti è una buona argomentazione, ma continuo a sentirmi un’egoista. Mi tocca il polso e abbasso lo sguardo. Osservo le sue dita forti che sfiorano il dorso della mia mano. Voglio baciarlo: l’urgenza che sentivo dentro è risalita dal profondo fino alla superficie… Però deglutisco e la ricaccio nella buca del mio stomaco, che negli ultimi minuti non smette di agitarsi. Allontano la mano dalla sua e mi alzo dal letto. 434/915 «Camryn, ascoltami, non volevo dire niente con questo. Stavo solo cercando di…» «Lo so» sussurro, poi incrocio le braccia e gli volto la schiena. È decisamente uno di quei momenti “non sei tu, sono io”, ma morirei piuttosto che dirgli una cosa del genere. Sento che si è alzato, perciò mi volto con cautela e lo vedo afferrare la sua sacca e la chitarra appoggiata al muro. Si dirige verso la porta. Vorrei fermarlo, ma non ci riesco. «Ti lascio riposare un po’» mi dice con dolcezza. Annuisco ma non rispondo, perché temo che se apro bocca i miei sentimenti prenderanno il sopravvento e non farò altro che cacciarmi in guai ancora peggiori. Tutta questa situazione con Andrew si sta facendo più 435/915 pericolosa e assurda ogni giorno che passiamo insieme. 19 Mi odio per avergli permesso di uscire da quella porta, ma non avevo altra scelta. Non posso fare una cosa del genere. Non posso permettermi di infilarmi nel mondo di Andrew Parrish, anche se il cuore e la mente mi stanno chiedendo di farlo. Non è solo la paura di essere ferita di nuovo; tutti passano per quella fase e forse io non ne sono ancora uscita del tutto, ma sto per riuscirci. Non conosco me stessa. Non so cosa voglio o come mi sento o come dovrei sentirmi e penso di non averlo mai 437/915 saputo. Sarei una stronza egoista se permettessi a Andrew di entrare nella mia vita. Che succede se si innamora o se mi chiede qualcosa che non posso dargli? Che succede se aggiungo il dolore di un cuore infranto a quello per la morte di suo padre? Non voglio fargli del male e sentirmi in colpa per il resto dei miei giorni. Mi volto di scatto e guardo di nuovo la porta, ricordando la sua espressione un attimo prima che uscisse. Forse questo non è nemmeno un problema. Come sono presuntuosa a pensare che lui possa innamorarsi di me! Forse vuole solo essere un amico di letto, o magari cerca un’avventura. La mia mente sta naufragando in un caotico nugolo di pensieri, nessuno dei quali mi sembra buono… anche se tutti sono plausibili, in realtà. Vado davanti 438/915 allo specchio e fisso la mia immagine riflessa. Guardo negli occhi una ragazza che ho la sensazione di avere già visto, ma che non ho mai conosciuto davvero. Mi sento staccata da me stessa, da tutto. Vaffanculo! Digrigno i denti e colpisco con le mani aperte il supporto della televisione. Poi prendo un paio di shorts di cotone neri, nuovi, la mia nuova maglietta bianca con la scritta je t’aime in corsivo avvolta intorno alla Tour Eiffel e vado a fare la doccia. Resto sotto il getto per secoli, non perché mi senta sporca, ma perché mi sento una merda. Non posso fare a meno di pensare a Andrew. E a Ian. E al motivo per cui all’improvviso mi sento così strana, attanagliata dal bisogno di pensare a tutti e due contemporaneamente. 439/915 Quando l’acqua bollente minaccia di cuocermi esco dalla doccia e mi asciugo, strizzando i capelli con l’asciugamano. Accendo il phon nuda davanti allo specchio e poi torno nella stanza per vestirmi, perché ho dimenticato di prendere un paio di mutandine pulite. Infine mi pettino alla meglio i capelli ancora umidi e lascio che finiscano di asciugarsi all’aria, ravviandoli dietro le orecchie in modo che non mi ricadano sul viso. Sento di nuovo Andrew suonare la chitarra nell’altra stanza. Dalla televisione esce un chiacchiericcio che mi dà sui nervi, perciò corro a spegnerla in modo da poter ascoltare meglio Andrew. Rimango immobile per qualche secondo, assorbendo le note che filtrano attraverso il muro e che mi 440/915 colpiscono le orecchie facendomi male. Non è una canzone triste, ma per qualche motivo mi provoca una sensazione di dolore. Infine afferro la chiave della stanza, infilo i piedi nelle infradito ed esco. Mi inumidisco nervosamente le labbra secche e prendo un respiro profondo, deglutisco e alzo la mano per bussare alla sua porta. Il suono della chitarra si interrompe di colpo e pochi istanti dopo la porta si apre. Anche lui si è fatto la doccia. I suoi capelli castani sono ancora bagnati e qualche ciocca spettinata gli ricade sulla fronte. Mi guarda stupito. È a petto nudo e indossa solo un paio di pantaloni neri con le tasche. Cerco di non fissare i suoi addominali tesi e abbronzati né le vene che gli risalgono le 441/915 braccia e che appaiono più pronunciate ora che il resto della sua pelle è così ben in vista. Oh mio Dio… Forse dovrei tornare nella mia stanza e… No: sono venuta qui per parlargli e lo farò. Per la prima volta vedo il tatuaggio sul suo fianco sinistro e vorrei chiedergli cosa rappresenta, ma me lo tengo come argomento di riserva. Lui mi sorride dolcemente. «È cominciato tutto un anno e mezzo fa» inizio senza preamboli. «Una settimana prima del diploma. Il mio ragazzo è rimasto ucciso in un incidente d’auto.» Smette di sorridere e socchiude gli occhi in un’espressione partecipe e solidale. Mi fa capire che sta male per me, ma senza sembrare falso o esagerato. 442/915 Apre del tutto la porta e io entro. Prima ancora che mi sieda sul bordo del letto si affretta a mettersi una maglietta. Forse non vuole darmi la sensazione di volermi distrarre o di flirtare, soprattutto dal momento che sono venuta qui per dirgli una cosa molto, molto dolorosa. Lo rispetto ancora di più per questo. Quel piccolo gesto all’apparenza insignificante la dice lunga su di lui, e anche se è un peccato nascondere quel corpo, per me va bene. Non è per questo che sono venuta qui. Almeno credo… C’è una genuina tristezza nei suoi occhi verdi, mista a un atteggiamento riflessivo. Spegne la televisione e si siede accanto a me nella stessa posizione in cui si è seduto poco fa sul mio letto e mi fissa, aspettando paziente che vada avanti. 443/915 «Ci siamo innamorati quando avevamo sedici anni» comincio, guardando fisso davanti a me. «Ma mi ha aspettata per due anni. Due anni!» e lo guardo per sottolineare il concetto. «Ha aspettato due anni prima che facessi l’amore con lui. Non conosco nessun teenager che resisterebbe così tanto pur di avere accesso alle mutandine di una ragazza.» Andrew fa un cenno col capo per dirmi che ho ragione. «Ho avuto un paio di storie senza importanza prima di Ian, ma loro erano così…» alzo lo sguardo alla ricerca del termine giusto. «… banali. Per dirti la verità, ho cominciato a conoscere parecchia gente banale da quando avevo dodici anni.» Andrew sembra pensieroso. 444/915 «Ma Ian era diverso. La prima cosa che mi ha detto dopo che ci siamo conosciuti e abbiamo fatto la nostra prima vera conversazione è stata: “Mi chiedo se l’oceano abbia un profumo diverso dall’altra parte del mondo”. All’inizio io ho riso perché mi sembrava una cosa molto bizzarra da dire a una ragazza, ma poi ho capito che quella semplice frase lo rendeva diverso da chiunque avessi conosciuto prima di lui. Ian era un ragazzo che stava dall’altra parte del vetro a guardare tutti noi che ci trascinavamo avanti e indietro, facendo le stesse cose ogni giorno, percorrendo le stesse strade, come formiche in un formicaio. Insomma, ho sempre saputo di volere di più dalla vita, di volere qualcosa di diverso, ma solo quando ho incontrato Ian queste idee hanno cominciato a prendere davvero forma.» 445/915 Andrew sorride dolcemente. «Solida e matura prima dei vent’anni. È piuttosto insolito» commenta. «Già. Immagino di sì» rispondo sorridendogli a mia volta. Poi mi sfugge una piccola risata. «Non hai idea di quante volte Damon e Natalie o persino mia madre e mio fratello Cole mi abbiano presa in giro dicendo che sono una persona “profonda”.» Faccio il gesto delle virgolette quando dico “profonda”, alzando gli occhi al cielo. «Essere profondi è una bella cosa» ribatte lui, e io abbasso lo sguardo perché percepisco l’attrazione tra noi, anche se lui la sta tenendo a bada molto bene per non rovinare questo momento. Ma poi il suo sorriso svanisce e la sua voce si abbassa leggermente. «Perciò quando hai perso Ian hai perso il tuo complice.» 446/915 Anche il mio sorriso si spegne. Appoggio le mani sul bordo del letto e mi stringo nelle spalle. «Esatto. Dopo il diploma volevamo fare il giro del mondo zaino in spalla, o magari anche solo andare in Europa. Eravamo determinati. Ci tenevamo così tanto.» Adesso guardo Andrew dritto negli occhi. «Sapevamo di non voler frequentare il college e finire a fare lo stesso lavoro per tutta la vita. Volevamo lavorare dovunque, provare qualsiasi cosa durante il nostro viaggio!» Andrew scoppia a ridere. «È un’idea davvero fantastica» esclama. «Una settimana lavori come cameriera in un bar e metti da parte le mance e la settimana dopo, in un’altra città o chissà dove, fai la danzatrice del ventre all’angolo di una strada e i turisti ti lanciano le monetine in un barattolo!» 447/915 Le mie spalle curve sobbalzano un paio di volte per le risate e arrossisco. Lo guardo. «La cameriera va bene, ma la danzatrice del ventre?» Scuoto la testa. «Non fa per me.» Andrew sorride e replica: «Ah, invece credo che te la caveresti alla grande». Guardo davanti a me in attesa che il rossore sul mio viso svanisca. «Sei mesi dopo la morte di Ian» proseguo, «mio fratello Cole ha ucciso un uomo guidando ubriaco e adesso è in prigione. E come se non bastasse, dopo tutto questo mio padre ha tradito mia madre e hanno divorziato. Il mio nuovo ragazzo, Christian, ha tradito me. E poi, ovviamente, sai già quello che è successo con Natalie.» Ecco fatto. Gli ho raccontato tuti gli avvenimenti che, incatenati l’uno all’altro, mi hanno spinta ad andarmene. Ma 448/915 non riesco a guardarlo perché ho la sensazione che non dovrei aver già finito, come se lui stesse pensando tra sé: «Okay, ora continua». «È parecchia merda da sopportare per una sola persona» commenta. Si sistema sul letto accanto a me e lo osservo. Sento il profumo alla menta del suo respiro adesso che si è voltato completamente verso di me. «Hai tutto il diritto di essere ferita, Camryn.» Non dico niente, ma lo ringrazio con uno sguardo. «Adesso posso capire perché non è stato difficile convincerti a partire insieme a me» aggiunge. La sua espressione è indecifrabile. Spero che non pensi che lo sto usando per sperimentare con lui quella parte della mia vita che avevo progettato insieme a Ian. La situazione sembra 449/915 simile anche a me adesso che ci penso, ma non potrebbe essere più lontana dal motivo per cui ho deciso di partire con Andrew. Adesso sono qui con lui perché voglio farlo. D’un tratto comprendo che ho pensato molto a Ian e Andrew perché sto cercando di ritrovare Ian in Andrew… E credo che sia sbagliato… Forse sto cercando di rimpiazzarlo del tutto? Mi alzo dal letto e scaccio quei pensieri dalla mente. «Allora, cos’hai intenzione di fare dopo?» mi chiede Andrew. «Quando questo viaggio sarà finito, cosa vorrai fare della tua vita?» Il cuore mi si indurisce nel petto. Nemmeno una volta durante questo viaggio con Andrew, e neanche prima di conoscerlo dopo essere partita dal North Carolina, ho pensato più in là del 450/915 presente. Non mi sono dovuta sforzare per non pensare a cosa mi aspetta; semplicemente, non ci ho pensato affatto. La sua domanda è come una doccia fredda e ora sento il panico scatenarsi dentro di me. Non ho mai voluto affrontare quella parte di realtà; ero contenta nella mia illusione. Mi volto, le braccia incrociate sul petto. I bellissimi occhi di Andrew mi stanno guardando con straordinaria intensità. «Io… non lo so, davvero.» Mi fissa piuttosto sorpreso, poi il suo sguardo diventa più assorto e sembra smarrirsi. «Puoi sempre andare al college» mormora. Immagino che voglia propormi delle alternative per aiutarmi a sentirmi meglio. «E non significa che dopo devi per forza trovarti un lavoro e tenertelo 451/915 finché non muori. Accidenti, puoi sempre andare a zonzo per l’Europa, se vuoi.» Si alza anche lui. Intuisco che nella sua testa si stanno agitando mille pensieri mentre cammina avanti e indietro sulla moquette verde. «Sei fantastica» esordisce, e il cuore mi balza in petto. «Sei molto intelligente ed è chiaro che sei più determinata della maggior parte delle ragazze. Sono certo che potresti fare praticamente quello che vuoi. Oh, merda, so che sembra un luogo comune, ma nel tuo caso non potrei essere più sincero.» Alzo le spalle. «Forse è vero» rispondo. «Ma non ho la minima idea di quello che voglio fare. So solo che non voglio tornare a casa e pensarci. Credo di avere paura che se torno rimarrò sommersa dalla stessa merda da cui 452/915 sono scappata quando sono salita sull’autobus quel giorno.» «Dimmi una cosa» sbotta Andrew d’un tratto. Lo fisso. «Perché l’idea di essere come tutti gli altri ti irrita così tanto?» Mi irrita? Ci penso su per un attimo, gli occhi fissi sulla lampada di ottone appesa al muro dietro il letto. «Non… non ne sono sicura.» Andrew torna verso di me e mi appoggia due dita sull’incavo del gomito per spingermi a sedermi di nuovo sul letto accanto a lui. Io mi lascio cadere. «Pensaci e basta» continua. «Sulla base di quello che mi hai detto, qual è la differenza tra te e loro?» Odio che mi ci voglia così tanto per decidere una cosa sulla quale lui 453/915 sembra avere già un’idea precisa. Fisso le mani che tengo abbandonate in grembo e rifletto a lungo, concentrata, finché non trovo l’unica risposta che potrebbe essere giusta… anche se non ne sono del tutto sicura. «Aspettative?» «È una domanda o è la tua risposta?» Mi arrendo. «Non lo so, davvero… Voglio dire, mi sento… limitata accanto agli altri, a eccezione di Ian, ovviamente.» Andrew annuisce e ascolta, lasciandomi riflettere senza interruzioni mentre la risposta prende forma nel mio cervello. E poi la frase esce fuori dal nulla: «Nessuno vuole fare le cose che voglio fare io» esclamo. La mia spiegazione comincia a chiarirsi meglio adesso che mi sento più convinta della risposta. «E cioè vivere in libertà e non prendere 454/915 per forza la strada più battuta, capisci? Nessuno vuole lasciare il suo mondo per imboccare una strada nuova, solo perché non è quello che fa la maggior parte della gente. Avevo paura di dire ai miei genitori che non volevo andare al college, perché era quello che loro si aspettavano da me. Ho accettato un lavoro in un grande magazzino perché mia madre si aspettava che facessi una cosa del genere. Ogni sabato la accompagnavo a far visita a mio fratello in prigione perché lei si aspettava che ci andassi, dato che lui è mio fratello e dovrei volerlo vedere, anche se non era affatto così. Natalie cercava continuamente di farmi uscire con dei ragazzi perché ritiene anormale essere single. Credo di aver avuto paura di essere me stessa per gran parte della mia vita.» 455/915 Giro la testa per guardarlo. «In un certo senso, è andata così anche con Ian.» Distolgo subito lo sguardo, perché non mi aspettavo di dire ad alta voce queste ultime parole. Mi sono uscite fuori da sole tutto d’un tratto mentre il pensiero si concretizzava nella mia mente. Andrew ha l’aria incuriosita, ma allo stesso tempo sembra indeciso se continuare a insistere o meno. E io non so se devo proseguire oppure no. Annuisce. A quanto pare decide che non sta a lui approfondire questo punto in particolare. Si mordicchia l’interno della guancia. Io lo osservo per qualche secondo, sto tentando con tutte le mie forze di reprimere l’evidente attrazione 456/915 che sento per lui, ma è sempre più difficile. Lancio un’occhiata alle sue labbra e mi chiedo che sapore abbiano. Ma mi costringo a distogliere lo sguardo… Lo sto facendo di nuovo. Proprio adesso. Ho paura di dirgli quello che voglio. O almeno quello che penso di volere. «Andrew» comincio, e lui trasale leggermente nel sentirmi pronunciare il suo nome. Pensaci bene, Cam, mi dico. Sei sicura che sia questo che vuoi? «Che c’è?» mi chiede. «Hai mai avuto un’avventura di una notte?» Ho la sensazione di essermi lasciata sfuggire davanti a un microfono in una sala piena di gente il segreto più grande che abbia mai custodito. Ma ormai l’ho detto. Non sono ancora del tutto certa che sia proprio quello che voglio, ma è un pensiero che mi frulla 457/915 in testa da un bel po’. Ricordo di averci vagamente pensato già quando ero sopra quel tetto con Blake. Il viso di Andrew diventa di pietra e sembra che non riesca a formulare una risposta. Il mio cuore si ghiaccia all’istante e vengo sopraffatta dalla nausea. Sapevo che non avrei dovuto dirlo! Ora penserà che sono una troietta o roba simile. Balzo su dal letto. «Mi dispiace! Oh, Dio, penserai che sono una…» Andrew si allunga verso di me e mi afferra il polso. «Siediti.» Lo faccio controvoglia, ma non riesco a guardarlo. Sono mortificata, vorrei sotterrarmi in questo istante. «Qual è il problema?» mi chiede. «Cosa?» Lo guardo. 458/915 «Lo stai facendo proprio adesso.» Agita una mano per sottolineare il “proprio adesso”. Ha le sopracciglia aggrottate. «Sto facendo cosa?» Andrew si passa la lingua sulle labbra, sospira come se fosse irritato e alla fine esclama: «Camryn, hai cominciato a dirmi qualcosa che forse hai preso in considerazione un paio di volte in vita tua, e proprio quando hai avuto il coraggio di parlare chiaro, hai fatto subito marcia indietro e te ne sei pentita». Mi guarda intensamente negli occhi; i suoi sono profondi e pieni di consapevolezza e di qualcos’altro che non riesco a definire. «Ripetimi la domanda e questa volta aspetta che ti risponda.» Resto in silenzio, cercando di interpretare l’espressione tesa del suo viso, ma senza riuscirci fino in fondo. O forse 459/915 sono io che sono troppo insicura di me stessa. Deglutisco a fatica. Poi prendo coraggio: «Hai mai avuto un’avventura di una notte?». Rimane impassibile e non abbassa lo sguardo. «Sì, mi è capitato diverse volte.» Adesso aspetta che sia io a rispondere, ma temo che non sarò in grado di affrontare con sufficiente disinvoltura la strana piega che sta prendendo questa conversazione. È come se lui sapesse che dentro di me c’è una specie di tempesta, ma per darmi una lezione vuole che sia io a parlare invece di farmi da strizzacervelli (come peraltro ha fatto da quando ho messo piede nella sua stanza). Inarca leggermente le sopracciglia, come per dire: “Allora?”. 460/915 «Be’, ero solo curiosa… perché io non ho mai fatto una cosa del genere.» «E perché no?» mi domanda con tutta la naturalezza del mondo. Abbasso lo sguardo e poi lo alzo di nuovo verso di lui prima che mi rimproveri. «Be’, perché lo trovo un po’ da puttanelle, ecco.» Andrew scoppia a ridere e la cosa mi sorprende. Alla fine, mi libera in qualche modo da quella tortura. «Se una ragazza lo facesse molto spesso» e sottolinea la parola con una smorfia disgustata, «allora sarebbe una puttanella, ti do ragione. Ma farlo una volta ogni tanto, non so…» fa una piccola pausa come ci stesse pensando su, indeciso. «Be’, credo che non ci sia niente di male, no?» E allora perché non sta approfittando di questa situazione? Inizio a irritarmi e 461/915 mi chiedo perché continui ad atteggiarsi a strizzacervelli invece di cominciare a flirtare. «Va bene, quindi…» Non riesco a dirlo. Non sono abituata a parlare liberamente della mia vita sessuale. Riesco a farlo solo con Natalie, e nemmeno con lei sono del tutto sincera. Andrew sospira e incurva le spalle. «Vuoi venire a letto con me? Vuoi fare una botta e via con me?» Sa benissimo che io non avrei mai avuto il coraggio di chiederlo, perciò cede e lo fa al posto mio. La domanda, anche se è ovvia per entrambi, mi toglie il fiato. Il fatto che sia lui a porla mi imbarazza e mi umilia quanto o forse più che se gliel’avessi chiesto io. «Forse sì…» 462/915 Andrew si alza in piedi e mi guarda. «Mi dispiace, ma non mi va di fare una cosa simile con te» risponde. È come se mi avesse dato un pugno violentissimo nello stomaco. Le mie mani si irrigidiscono, stringo forte il bordo del materasso e sento che le braccia mi si paralizzano fino alle spalle. In questo momento desidero solo correre fuori dalla porta, chiudermi a chiave nella mia stanza e non rivedere Andrew mai più. Non perché non voglia vederlo, ma perché non voglio che lui veda me. Non sono mai stata così imbarazzata in vita mia. Ecco a cosa mi è servito essere sincera! Non so se accettare tutto questo come una lezione o se odiarlo per avermi messa in questa situazione. 20 Un istante dopo salto giù dal letto e mi lancio verso la porta. «Camryn, fermati.» Continuo a camminare, persino più veloce quando mi accorgo che Andrew mi sta seguendo. Afferro la maniglia, spalanco il battente e fuggo in corridoio. «Ehi, aspetta un secondo, per favore!» grida mentre mi segue. Sento che il suo tono si fa sempre più irritato. Lo ignoro e affondo la mano nella piccola tasca posteriore dei miei shorts, 464/915 prendo la chiave e la infilo nella toppa. Scivolo dentro e faccio per chiudere la porta, ma Andrew mi ha già raggiunta. La porta si chiude di colpo alle sue spalle. «Perché non mi ascolti, una volta tanto?» ripete ancora, esasperato. Non voglio guardarlo, ma lo faccio comunque. Quando finalmente mi volto vedo i suoi occhi spalancati, fieri e sinceri. Si avvicina e mi afferra per le spalle senza stringere troppo. Poi si china e appoggia dolcemente le labbra sulle mie. Io mi sento svenire, ma sono ancora troppo confusa per reagire come vorrei. Sono agitata e sbalordita e il cuore mi sta battendo a mille. Lui si stacca e mi guarda negli occhi. Sembra davvero sincero e piega la testa di lato… sorridendo. 465/915 «Che c’è di così divertente?» gli chiedo in tono brusco mentre tento di divincolarmi. Lui mi tiene per le braccia e cerca il mio sguardo umiliato, in cui sta cominciando ad affiorare anche del risentimento. «Ho detto che non farei mai una cosa del genere con te, Camryn, perché…» Smette di parlare e cerca il mio viso, mi guarda le labbra a lungo come se stesse decidendo se baciarle di nuovo oppure no. «… perché non sei il tipo di ragazza con cui potrei andare a letto una sola volta.» Le sue parole dissipano all’istante tutti i miei dubbi e sento il cuore battermi all’impazzata tra le costole. Non sono sicura di aver capito bene, ma invece di sforzarmi per comprenderne esattamente il significato cerco di 466/915 riprendermi il più possibile, di riguadagnare la compostezza che ho perso quando sono uscita di corsa dalla sua stanza. «Ascolta» prosegue mettendosi al mio fianco e facendomi scivolare una mano intorno alla vita. La semplice sensazione delle sue dita che mi sfiorano la pelle mi provoca brividi in tutto il corpo. Cosa diavolo mi sta succedendo? Lo voglio davvero… Accidenti, in questo momento sento che non posso più tornare indietro, che sarei disposta a comportarmi da puttanella anche solo per questa notte pur di farlo restare qui nella mia stanza. Eppure non capisco perché da lui non voglio soltanto sesso, ma qualcosa di più. «Camryn?» La sua voce mi riporta a quello che stava cercando di dirmi un 467/915 attimo fa. Mi fa sedere sul letto e si accovaccia davanti a me sul pavimento. Mi guarda dritto negli occhi. «Non sarà una botta e via. Voglio farti godere, se me lo permetti.» Una scarica di elettricità si scatena nella mia pancia e mi scoppia tra la gambe. «C-cosa…?» Non riesco a dire nient’altro. Lui fa un leggero sorriso e le sue fossette compaiono appena. Appoggia il braccio sulla mia coscia nuda, le mani strette sui miei fianchi. «Senza legami» continua. «Ti farò avere un orgasmo e domattina, quando ti sveglierai, io sarò nella stanza accanto, pronto a partire con te per la prossima tappa del nostro viaggio. Non cambierà niente tra noi: ti prometto che non parlerò più di questa notte 468/915 scherzandoci su o cose del genere. Sarà come se non fosse mai successo.» Non riesco nemmeno a respirare. Il punto più sensibile tra le mie gambe si sta gonfiando solo a sentire quelle parole così esplicite. «Ma… e tu?» riesco a mormorare. «In che senso?» Mi stringe i fianchi un po’ più forte. Io faccio finta di non accorgermene. «Non mi sembra… giusto.» Non so nemmeno cosa sto dicendo. Sono ancora sotto shock, non posso credere che stia succedendo davvero. Andrew si limita a sorridermi, per nulla colpito dalla mia osservazione. Poi all’improvviso si rialza e si infila tra le mie gambe. Io mi sposto leggermente all’indietro sul letto. Lui si siede davanti a me e mi trascina sul suo grembo 469/915 con le gambe divaricate. Ho gli occhi spalancati e mi sto tormentando il labbro inferiore. È talmente disinvolto che basta questo gesto inaspettato a farmi bagnare. Mi appoggia le mani dietro la schiena e si china su di me, sfiorandomi il mento con le labbra. Ho i brividi dalle radici dei capelli alle punte dei piedi. Mi stringe ancora più forte al suo corpo e mi sussurra vicino alla bocca: «È giusto così. Voglio farti godere. E fidati: sono certo che avrò anch’io la mia parte». Percepisco dal suo tono che sta sorridendo. Lo guardo negli occhi e non riesco a resistere. Se adesso mi chiedesse di voltarmi e di mettermi a quattro zampe per lui lo farei senza pensarci un secondo. «E allora perché non ti fermi a dormire con me?» gli chiedo sottovoce, 470/915 ma poi riformulo la domanda: «Voglio dire, se tu volessi… farmi qualcos’altro». Andrew allontana il viso dal mio e mi mette tre dita sulle labbra per farmi tacere. «Te lo dico una volta sola» comincia. Io lo guardo in quegli occhi infiniti, intensi come non mai. «Ma non voglio che tu faccia nessun commento, siamo intesi?» Annuisco nervosamente. Fa una pausa e si passa la lingua sulle labbra. «Se tu mi permettessi di scoparti, sarebbe come permettermi di possederti» dice. Un’ondata incontenibile di piacere mi percorre tutto il corpo come una scossa. Le sue parole mi sbalordiscono e mi spingono a obbedirgli. Il cuore e la mente mi suggeriscono due cose 471/915 diverse, ma non riesco ad ascoltare né l’uno né l’altra perché la sensazione tra le mie gambe sta diventando ormai impossibile da ignorare. Deglutisco rumorosamente, alla ricerca disperata di un po’ di saliva. È come se tutti i liquidi del mio corpo si siano concentrati in un unico punto al centro. Non riesco a respirare. Oh mio Dio, non mi ha nemmeno toccata e mi sento già in paradiso? Sto sognando, per caso? «Che ne dici se almeno ti faccio una sega o qualcosa del genere?» Lo ammetto: quest’idea mi sta facendo sentire in colpa. Andrew piega la testa di lato, sorridendo, e io sento crescere il desiderio irresistibile di baciarlo. «Ti ho detto di non fare commenti.» 472/915 «B-be’, ma io non ho proprio commentato quello che hai detto, ho solo…» Lui infila le dita sotto il tessuto sottile delle mie mutandine e mi tocca. Io resto senza fiato e dimentico quello che stavo dicendo. «Ora non parlare» mi ordina dolcemente, anche se si capisce che vuole che gli obbedisca. Stringo le labbra e mi sfugge un gemito quando fa scivolare due dita dentro di me e le tiene lì, mentre il pollice preme all’esterno contro il mio osso pelvico. «Vuoi stare zitta una buona volta, Camryn?» Io mormoro «sì» tra i brividi e mi mordo il labbro inferiore. Poi lui sfila le dita. Vorrei pregarlo di non farlo, ma mi ha detto di stare zitta in un modo che mi fa sentire incredibilmente pazza di lui e allo stesso tempo sottomessa, perciò non dico niente. 473/915 Apro gli occhi con cautela quando lui mi passa le dita bagnate sulle labbra e le lecco d’istinto, ma solo un po’, finché lui non se le porta sulle sue e le sfiora con la lingua. Mi piego verso di lui, tocco la sua bocca con la mia e socchiudo gli occhi per sentire il suo sapore e il mio su di lui. Sento la sua lingua sfiorare la mia, ma poi mi spinge con delicatezza sul letto invece di darmi quel bacio furioso che desidero così disperatamente. Fa scivolare entrambe le mani sui miei fianchi e mi sfila gli shorts e le mutandine lungo le gambe per poi lanciarli da qualche parte sul pavimento. Si sposta in avanti e si stende accanto a me, posa un braccio sul mio corpo e la sua mano mi scende sul petto. Non indosso il reggiseno. Mi stringe delicatamente un capezzolo, poi l’altro, e mi bacia ancora sulla linea della 474/915 mandibola. Quando la sua lingua comincia a percorrere la curva del mio orecchio sento una scarica di brividi. «Vuoi che ti tocchi?» Il suo respiro è caldo sul mio viso. «Sì» mormoro. Mi stringe il lobo dell’orecchio tra i denti e inizia a scivolare lungo il mio ventre, ma si ferma accanto all’ombelico. «Dimmi che vuoi che ti tocchi» mi sussurra all’orecchio. Io riesco a malapena ad aprire gli occhi. «Voglio che mi tocchi…» La sua mano continua a scendere e il cuore comincia a battermi all’impazzata nel petto, ma quando penso che stia per toccarmi sposta la mano sull’interno coscia. «Apri le gambe.» 475/915 Io le divarico un po’, ma lui le spinge di più premendo sulla mia carne finché non sono spalancate. Si alza e si china sul mio corpo, mi solleva la maglietta scoprendomi il seno e mi morde i capezzoli, uno dopo l’altro. Li tocca con la punta della lingua e poi li prende in bocca, succhiandoli avidamente. Io gli passo le dita tra i capelli; vorrei afferrarli e tirarli, ma non lo faccio. La testa di Andrew scivola sul mio seno e sulle mie costole, seguendone il profilo con la lingua fino all’ombelico. Mi guarda con occhi intensi, socchiusi e sussurra con le labbra leggermente premute contro la mia pancia: «Devi dirmi quello che vuoi, Camryn». Mi lecca lo stomaco così lentamente che la mia pelle è percorsa dai brividi. «Non lo farò finché non me lo chiederai in modo convincente.» 476/915 Cerco di inspirare, ma il mio petto non smette di tremare. «Ti prego, ti prego, toccami…» «Non sei convincente» ribatte sarcastico, e mi lecca il clitoride una volta sola. Solo una. Si ferma e mi guarda attraverso le curve del mio corpo, in attesa. Mi vergogno a dire certe cose, perciò mormoro: «Ti prego… voglio che mi… lecchi». Ma lo dico così piano che lui finge di non sentirmi. «Cos’hai detto?» mi chiede, e mi lecca di nuovo il clitoride. Questa volta però indugia un po’ di più e un’ondata di piacere mi attraversa dalla testa ai piedi. «Non ti ho nemmeno sentita.» Ripeto la frase alzando appena la voce, ancora troppo imbarazzata. Andrew mi infila la mano tra le gambe e mi allarga le labbra con due 477/915 dita. Mi lecca una volta. Solo una. Le mie cosce cominciano a tremare più forte. Non so quanto a lungo potrò resistere. «Una donna che sa quello che vuole dal sesso…» comincia, e mi lecca di nuovo. I suoi occhi socchiusi non smettono di guardarmi. «… e non ha paura di dirlo, è davvero eccitante, Camryn… Dimmelo. Dimmi cosa vuoi. Altrimenti non te lo darò.» Mi lecca di nuovo e io non resisto più. Abbasso le mani e gli afferro i capelli, spingendo la sua faccia più a fondo tra le mie gambe, per quanto lui mi permette di fare, e lo guardo dritto negli occhi. «Leccami, Andrew. Leccami!» grido. Scorgo il sorriso più soddisfatto che abbia mai visto sul suo volto e un 478/915 istante dopo chiudo le palpebre e inarco la testa all’indietro perché ha cominciato a leccarmi. E questa volta non si ferma. Mi succhia forte il clitoride e infila le dita dentro e fuori. Sento che sto per svenire. Non riesco ad aprire gli occhi; sono gonfi di piacere. Spingo i fianchi contro di lui e quasi gli strappo i capelli, ma lui non si ferma. Mi lecca più intensamente e veloce e di tanto in tanto rallenta per succhiarmi il clitoride che pulsa e passarci sopra il pollice prima di infilarlo in profondità dentro di me. E quando comincio a sentire che non ce la faccio più e cerco di allontanarmi dalla sua bocca, lui mi afferra le cosce e mi impedisce di muovermi finché non esplodo in un orgasmo così intenso che le gambe mi tremano incontrollate e gli tiro i capelli con tutte le mie forze. Un gemito mi sfugge di bocca e alzo entrambe le 479/915 mani dietro la nuca, afferro la testata del letto e cerco di usarla come leva per staccarmi dalla lingua di Andrew che non smette di leccarmi. Ma lui mi stringe ancora di più, le mani sotto le mie cosce e i fianchi; mi stringe così tanto da farmi male, mi preme le dita nella pelle… ma mi piace. E quando il mio corpo tremante comincia a calmarsi e il mio respiro affannoso rallenta, pur rimanendo molto irregolare, in quel momento Andrew inizia a leccarmi più dolcemente. Non appena il mio corpo non si muove più mi bacia l’interno delle cosce e appena sotto l’ombelico; poi risale verso la mia bocca sostenendosi sopra di me con le braccia forti e muscolose tese sul materasso. Le sue labbra morbide e bagnate scivolano prima sul mio collo e sulla linea della mandibola e poi sulla mia fronte. Infine mi guarda negli occhi a 480/915 lungo, poi si china e mi bacia dolcemente le labbra. Infine si alza dal letto. Non riesco a muovermi. Vorrei corrergli dietro e trascinarlo di nuovo sopra di me, ma davvero sono paralizzata. Non solo mi gira ancora la testa per l’orgasmo che mi ha appena regalato, ma sono totalmente confusa per tutta questa situazione. Mi limito a guardarlo, alzando a malapena la testa dal cuscino, mentre si dirige verso la porta. Si volta solo dopo aver appoggiato la mano sulla maniglia. Ma sono io a parlare per prima: «Dove stai andando?». So benissimo dove sta andando, ma è l’unica domanda che mi è venuta in mente per trattenerlo ancora un po’. Andrew sorride dolcemente. «Nella mia stanza.» 481/915 La porta si apre e la luce del corridoio invade lo spazio intorno a lui, illuminando il suo viso nell’ombra. Vorrei dire qualcosa, ma non so cosa. Alzo la schiena dal letto e mi siedo; le mie dita non smettono di tormentare il lenzuolo. «Allora ci vediamo domani» dice, e mi lancia un ultimo sorriso carico di significati prima di chiudersi la porta alle spalle. La luce del corridoio svanisce all’improvviso. Ma la mia stanza non è buia, perché ho lasciato accesa la lampada accanto al letto. La guardo e ci rifletto su. È rimasta accesa per tutto il tempo. Sono sempre stata piuttosto timida a letto e anche con Ian l’unico chiarore che potevo tollerare quando facevamo sesso era quello della televisione, ma mai una luce intensa. Questa volta invece non ci ho nemmeno pensato. 482/915 E le parole che mi sono uscite di bocca… Non avevo mai detto niente del genere prima d’ora. Cosa mi sta facendo Andrew Parrish? Qualunque cosa sia… non voglio che smetta. Mi alzo dal letto, mi infilo di nuovo le mutandine e gli shorts e vado alla porta, decisa a tornare da lui e… E poi non so che mi prende. Mi fermo davanti alla porta un attimo prima di aprirla e mi guardo i piedi nudi sulla moquette verde. Non saprei cosa dire se andassi da lui, perché non so nemmeno cosa voglio o cosa non voglio. Abbandono le braccia lungo i fianchi e un profondo sospiro mi sfugge dalle labbra. «Come se non fosse mai successo.» Ripeto le sue parole con una punta 483/915 d’ironia. «Già, scommetto che non ce la farai mai.» 21 Andrew Sono sveglio dalle otto del mattino. Ho ricevuto una telefonata da Asher, ma avevo paura di rispondere perché temevo che fossero “notizie” di mio padre. Invece mi stava chiamando solo per dirmi che Aidan si è incazzato a morte quando ha scoperto che gli ho preso la chitarra. Non me ne può fregare di meno: cosa vuol fare, venire fin qui a Birmingham e prendermi a pugni? In realtà so che il punto non è la chitarra; Aidan è 485/915 incazzato con me perché me ne sono andato dal Wyoming mentre nostro padre è ancora vivo. E poi Asher voleva controllare come sto. «Va tutto bene, fratello?» mi ha chiesto. «Sì, alla grande, davvero.» «Sei sarcastico?» «No» gli ho risposto io. «Ti ho detto la verità, Ash, non sono mai stato meglio in vita mia.» «È per quella ragazza, vero? Camryn, giusto?» «Sì, è per lei.» Ho riso tra me e me, perso per un attimo nel ricordo ancora vivido di quello che è successo ieri sera. Poi ho continuato a sorridere pensando a Camryn in generale. 486/915 «Be’, sai dove trovarmi se hai bisogno di me» ha detto Asher. Ho letto tra le righe il suo messaggio: sa di non poterlo esprimere apertamente. Gli ho già proibito di tornare sull’argomento, altrimenti alla prima occasione l’avrei preso a pugni. «Già, lo so. Grazie, fratello. Ehi, come sta papà?» «Come quando te ne sei andato.» «Be’, immagino che sia una buona notizia, date le circostanze.» «Già.» Dopo aver riattaccato ho chiamato mia madre per dirle che sto bene. Se avessi aspettato ancora un giorno avrebbe chiesto alla polizia di venire a cercarmi. Mi alzo e infilo la mia roba nella sacca. Passando davanti alla televisione batto sul muro con il palmo della mano nel punto in cui 487/915 probabilmente è appoggiata la testa di Camryn. Se non è ancora in piedi, questo basterà a svegliarla. Be’, okay, forse no, dal momento che dorme così profondamente… eccetto quando sente la musica, a quanto pare. Mi faccio una doccia veloce e mi lavo i denti, sento ancora il suo sapore in bocca e mi dico che è un vero peccato doverlo cancellare. Certo, posso sempre rifarglielo più tardi. Se lei è d’accordo, ovviamente. Merda, non ho nessun problema a fare le cose in questo modo. Purtroppo dopo devo arrangiarmi da solo, ma va bene comunque. Preferisco farlo io. La desidero da impazzire, ma voglio fare sesso con lei solo se il desiderio è ricambiato. E ho capito che in questo momento non sa quello che vuole. Mi vesto e mi metto le scarpe da ginnastica nere, felice che adesso siano asciutte e non più zuppe di pioggia. Mi 488/915 carico in spalla la sacca e prendo la chitarra di Aidan per il manico; poi esco in corridoio e mi dirigo verso la porta di Camryn. Sento la televisione accesa, perciò deve essere sveglia. Mi chiedo quanto ci vorrà per farla crollare. 22 Camryn Sento Andrew bussare alla mia porta. Inspiro a fondo, trattengo il fiato per qualche lungo, nervoso secondo e poi libero di colpo i polmoni soffiando via una ciocca di capelli che mi sfugge dalla treccia. Sto cercando di non crollare. Non mi era mai successo prima d’ora, cazzo. Infine mi decido ad aprire la porta e quando lo vedo lì in piedi con quella sua aria disinvolta (e così sexy), crollo. Be’, è più di un’improvvisa e violenta 490/915 vampata di calore: sono così bollente che sento la faccia praticamente in fiamme. Abbasso lo sguardo a terra, perché se incrocio i suoi occhi sorridenti per un secondo di più la mia mente potrebbe sciogliersi del tutto. Qualche istante dopo riesco a guardarlo. Ora il suo sorriso a labbra strette è più ampio e molto più espressivo. Ehi! Credo che un’espressione simile equivalga a parlarne, no? Andrew mi squadra dalla testa ai piedi. Vede che sono già vestita e pronta a partire, perciò mi fa un cenno ed esclama sorridente: «Andiamo». Afferro la mia borsa e la sacca ed esco insieme a lui. Saltiamo in macchina e io mi sforzo di non pensare al miglior sesso orale che abbia mai sperimentato in vita mia; 491/915 cerco un argomento qualsiasi per fare conversazione. Oggi ha un profumo buonissimo: l’odore naturale della sua pelle con una punta di sapone e di un qualche shampoo. «Allora, abbiamo intenzione di dormire solo in motel a caso e di mangiare esclusivamente nei Waffle House?» Non che mi dispiaccia, niente affatto; faccio il possibile per trovare un tema di cui parlare. Andrew si aggancia la cintura di sicurezza e accende il motore. «No, in realtà ho in mente una cosa.» Mi lancia un’occhiata. «Davvero?» gli chiedo, incuriosita. «Stai facendo uno strappo alla regola e hai architettato un piano?» 492/915 «Ehi, a dire il vero non è mai stata una regola» ribatte, calcando le parole. La Chevelle d’epoca esce in retromarcia dal parcheggio con un ronzio basso. Andrew indossa gli stessi pantaloni neri al ginocchio che portava ieri, così lancio una rapida occhiata ai suoi polpacci sodi mentre col piede schiaccia leggermente l’acceleratore. La maglietta blu scuro gli rimane aderente al punto giusto sul petto e sulle braccia, il tessuto più teso sui bicipiti. «Be’, allora qual è il piano?» «New Orleans» risponde con un sorriso. «Si trova solo a cinque ore e mezzo da qui.» Il mio viso si illumina. «Sai che non sono mai stata a New Orleans in vita mia?» 493/915 Andrew sorride tra sé, come se fosse contento di essere proprio lui a portarmici per la prima volta. E io comunque sono contenta che sia lui a farlo. Ma a dire la verità non mi importa dove andiamo: mi vanno benissimo anche i nugoli di zanzare del Mississippi, basta che Andrew sia con me. Due ore dopo siamo stanchi di parlare di sciocchezze, sono solo un alibi per non tornare su quello che è successo ieri sera. Decido di prendere l’iniziativa. Mi allungo ad abbassare il volume dello stereo. Lui mi guarda, interdetto. «Quelle parole non erano mai uscite dalla mia bocca in vita mia. Ecco, adesso lo sai» sputo fuori senza pensarci. Andrew sorride e sposta la mano sul volante, sfiorandolo con la punta delle dita. Sembra più rilassato: il braccio 494/915 sinistro è sulla portiera, il ginocchio sinistro riposa piegato verso l’alto e il piede destro è fisso sull’acceleratore. «Ma ti è piaciuto» commenta. «Dirlo, intendo.» Mmm… Non c’è stato proprio niente di ieri sera che non mi sia piaciuto. Arrossisco leggermente. «Sì, in effetti, sì» ammetto. «Non posso credere che non ti fosse mai passato per la testa di dire qualcosa del genere durante il sesso prima d’ora» prosegue lui. Esito. «In realtà sì.» Gli lancio una rapida occhiata. «Non che mi sia mai messa a sognarlo a occhi aperti; ci ho solo pensato qualche volta.» «E allora perché non l’hai mai fatto prima, se ne avevi voglia?» Mi sta facendo queste domande, ma sono 495/915 piuttosto sicura che conosca già la risposta. Alzo le spalle. «Immagino che fossero solo paranoie da ragazzina.» Andrew si lascia sfuggire una lieve risata e rimette la mano sul volante, che ora stringe in modo più deciso mentre percorriamo un tratto di autostrada con parecchie curve. «L’ho sempre considerato un qualcosa che dicono le pornostar in film del tipo Tutti su mia madre o Biancaneve sotto i nani.» «Hai visto quei film?» domanda sbalordito. Trasalgo e sbuffo. «No! Io… non sapevo che esistessero davvero, stavo solo scherzando!» Il sorriso di Andrew diventa giocoso. 496/915 «Nemmeno io so se esistono davvero» ribatte, scoprendo le carte prima di farmi morire di umiliazione. «Ma non mi stupirebbe, te l’assicuro. E ho capito cosa intendi dire.» Il mio viso si rilassa. «Comunque è eccitante» continua. «Così, per la cronaca.» Arrossisco di nuovo. Forse sarebbe meglio se restassi paonazza in continuazione, perché mi accorgo che mi capita sempre più spesso ogni giorno che passa. «Perciò pensi che le pornostar siano eccitanti?» Rabbrividisco leggermente, sperando che risponda di no. Andrew arriccia appena le labbra. «Non molto. O meglio, come lo fanno loro è eccitante, ma in modo diverso.» 497/915 Aggrotto le sopracciglia. «In che senso “diverso”?» «Be’, allora… Quando lo fa Dominique Starla» comincia, scegliendo un nome a caso, «ha davanti un tizio qualsiasi che non vede l’ora di scoparsela dove capita.» I suoi occhi verdi si posano su di me. «Quel tizio non vuole altro da lei che la sua faccia appiccicata alle parti basse.» Poi rivolge lo sguardo verso la strada. «Ma quando lo fa qualcuno… che ne so, una ragazza dolce, sexy, l’esatto contrario di una pornostar, il tizio in questione ha in mente molto di più che la sua faccia sulle parti intime. Con ogni probabilità non ci sta nemmeno pensando, almeno non a un livello più profondo.» Colgo chiaramente il significato che si nasconde dietro le sue parole e credo che lui se ne accorga. 498/915 «Mi hai fatto impazzire» ammette infine, guardandomi abbastanza a lungo da incrociare il mio sguardo. «Così adesso lo sai.» Poi si volta del tutto e finge di essere più concentrato sulla strada. Forse non vuole che lo accusi di “parlarne”, anche se in realtà sono stata io a tirare fuori l’argomento. Me ne assumo tutta la colpa e non me ne pento per niente. «E tu invece?» gli chiedo, rompendo il breve silenzio. «Hai mai avuto paura di fare qualche esperienza sessuale che avevi voglia di provare?» Andrew ci pensa su un momento prima di rispondere. «Sì, qualche anno fa, verso i diciassette anni. Ma avevo paura di sperimentare certe cose con le ragazze solo perché sapevo che erano…» «Che erano cosa?» 499/915 Sorride dolcemente stringendo le labbra e io ho come la sensazione che stia per fare una specie di paragone. «Le ragazze più giovani, almeno quelle che frequentavo io, erano “disgustate” da qualunque cosa uscisse un po’ fuori dagli schemi. Forse erano come te, in un certo senso: segretamente eccitate all’idea di fare qualcosa di diverso dalla posizione del missionario, ma troppo timide per ammetterlo. E a quell’età era rischioso dire: “Vorrei mettertelo nel culo” perché c’erano grosse probabilità che scappassero via terrorizzate gridando che ero una specie di pervertito con disturbi della sessualità.» Mi sfugge una risata. «Già, penso che tu abbia ragione» ammetto. «Quando ero una ragazzina rimanevo disgustata quando Natalie mi descriveva le cose 500/915 che le faceva Damon. In realtà non ho cominciato a considerarle eccitanti finché non ho perso la verginità a diciotto anni, ma…» La voce mi si strozza in gola al ricordo di Ian. «… ma anche allora ero troppo nervosa. Io volevo…» Anche adesso l’idea di ammetterlo mi innervosisce. «Forza, dillo e basta» ribatte lui, ma il suo tono è tutt’altro che scherzoso. «Ormai dovresti aver capito che non ti giudicherò.» Le sue parole mi colgono alla sprovvista e mi fanno battere forte il cuore. Ce l’ho scritto in faccia che ho paura di fargli cattiva impressione? Andrew mi sorride come per rassicurarmi: niente di quello che posso dire riuscirà a dargli una cattiva impressione di me. «Okay, ma se te lo dico mi prometti che non lo prenderai come un invito?» 501/915 Forse lo è, anche se non ne sono ancora molto sicura… ma comunque non voglio che lo pensi. Non in questo momento, e forse mai. Non lo so… «Te lo giuro» risponde, con sguardo serio e per nulla offeso. «Non ci penserò nemmeno.» Faccio un respiro profondo. Povera me, non posso credere di stare per dirgli una cosa del genere. Non l’ho mai detta a nessuno; be’, forse a Natalie, ma con parecchi giri di parole. «Violenza.» Mi fermo, troppo imbarazzata per andare avanti. «La maggior parte delle volte in cui ho sognato ad occhi aperti riguardo il sesso, io…» I suoi occhi stanno ridendo! Quando ho pronunciato la parola “violenza” qualcosa è scattato sul suo viso. Sembra quasi che… no, di certo non può essere vero! 502/915 Andrew cambia subito espressione appena se ne accorge. «Va’ avanti» mi invita sorridendo di nuovo con dolcezza. E lo faccio, perché per qualche motivo ho meno paura di concludere di quanta non ne avessi un attimo fa. «Di solito mi piace immaginare di essere… maltrattata.» «Il sesso violento ti eccita» conclude lui senza scomporsi. Annuisco. «Pensarci mi eccita, ma in realtà non l’ho mai fatto, e comunque non nel modo in cui vorrei.» Andrew sembra leggermente sorpreso. O forse quell’espressione è di gioia? «Credo sia proprio quello che intendevo quando ti ho detto che finisci sempre con ragazzi piatti.» 503/915 Mi si accende una lampadina: Andrew sapeva ancora prima di me cosa intendevo dire davvero quando eravamo in Wyoming e gli ho detto che “finisco sempre” con ragazzi piatti. Senza rendermene conto, in realtà ho detto che “finire” con loro è stato spiacevole, un qualcosa che non volevo davvero. Forse lui non conosceva la mia definizione di “piatto” fino a questo momento, ma sapeva che non era quello che volevo. Però io amavo Ian, e adesso mi sento uno straccio a ripensare a lui in questi termini. Ian era piatto dal punto di vista sessuale, ma la sola idea di avere brutti pensieri su di lui basta a farmi sentire in colpa. «E insomma ti piace che ti tirino i capelli e…» comincia lui incuriosito, 504/915 ma la sua voce si spezza quando nota la mia aria assorta. «Più o meno. Qualcosa di più aggressivo» rispondo io con tono insinuante, per spingere lui a dirlo in modo da non doverlo fare io. Mi sto innervosendo di nuovo. Andrew piega la testa di lato e solleva un po’ le sopracciglia. «Qualcosa del tipo… Un momento, in che senso “aggressivo”?» Deglutisco e distolgo lo sguardo dal suo. «Una dimostrazione di forza, immagino. Non uno stupro vero e proprio, niente di così estremo. Ma credo di avere una personalità decisamente sottomessa dal punto di vista sessuale.» Nemmeno Andrew riesce a guardarmi adesso. Gli scocco un’occhiata rapidissima, quanto basta per vedere che ha gli 505/915 occhi un po’ sgranati e pieni di una velata intensità. Il suo pomo d’Adamo si muove su e giù quando deglutisce. Ora tiene entrambe le mani strette sul volante. Cambio argomento: «Tu però non mi hai detto di preciso cos’avevi paura di chiedere alle ragazze». Sorrido, sperando di riuscire a ricreare l’atmosfera giocosa di prima. Andrew si rilassa e mi guarda sorridendo. «E invece sì» ribatte. Poi, dopo una strana pausa, aggiunge: «Sesso anale». Qualcosa mi dice che non è del tutto sincero. Non ne sono sicura al cento per cento, ma scommetto che il suo accenno al sesso anale sia solo una copertura. Ma perché Andrew dovrebbe vergognarsi più di me ad ammettere la 506/915 verità? È lui che sta cercando di farmi sentire a mio agio con me stessa dal punto di vista sessuale. Pensavo fosse uno che non ha paura di confessare niente, ma adesso non ne sono più così sicura. Vorrei tanto potergli leggere nella mente. «Be’, che tu ci creda o no» rispondo, lanciandogli un’occhiata, «io e Ian ci abbiamo provato una volta, ma mi faceva male da morire e non serve aggiungere che la cosa è finita lì.» Andrew si lascia sfuggire una risatina. Osserva i segnali stradali e sembra prendere una rapida decisione sulla strada da imboccare. Usciamo dall’autostrada e ci immettiamo in un’altra. A entrambi i lati della carreggiata c’è una sconfinata campagna. Cotone, riso, granturco e chissà cos’altro; in realtà 507/915 non so distinguere le piante se non per le caratteristiche più ovvie: il cotone è bianco e il granturco è alto. Proseguiamo per diverse ore finché il sole comincia a tramontare e Andrew rallenta verso il ciglio della strada. Le ruote frenano rumorosamente sulla ghiaia. «Ci siamo persi?» gli chiedo. Lui si allunga sul sedile verso di me per raggiungere il portaoggetti. Il suo gomito e l’avambraccio mi sfiorano la gamba mentre apre lo sportello ed estrae una carta stradale piuttosto logora. È tutta stropicciata, come se un giorno fosse stata aperta e mai più ripiegata nel modo giusto. Lui la distende e la posiziona sul volante, studiandola da vicino e facendoci scorrere il dito sopra. Fa una smorfia mordicchiandosi 508/915 l’angolo destro della bocca e schiocca ripetutamente le labbra. «Ci siamo persi, vero?» Mi viene da ridere. Non per lui, ma per tutta questa assurda situazione. «È colpa tua» ribatte. Cerca di essere serio, ma lo tradisce il lampo di allegria negli occhi. Sbuffo. «E perché sarebbe colpa mia?» protesto. «Eri tu che stavi guidando!» «Be’, se non mi avessi distratto parlando di sesso e fantasie proibite e film porno e di quella pornodiva, Dominique Starla, mi sarei accorto di aver preso la statale 20 invece di rimanere sulla 59 come avrei dovuto!» Colpisce il centro della mappa con la punta dell’indice e scuote la testa. «Siamo andati nella direzione sbagliata per due ore.» 509/915 «Due ore?» Questa volta scoppio a ridere e batto la mano sul cruscotto. «E te ne sei accorto solo adesso?» Spero di non ferire il suo orgoglio. E comunque, non è che sia arrabbiata o scocciata; potremmo andare nella direzione sbagliata anche per dieci ore e non me ne importerebbe niente. Andrew sembra ferito. Sono piuttosto sicura che stia fingendo, ma colgo al volo l’occasione e approfitto per fare una cosa che desidero da quando siamo stati sotto la pioggia insieme nel Tennessee. Abbasso la mano, mi sgancio la cintura di sicurezza e scivolo sul sedile per avvicinarmi a lui. Andrew sembra piuttosto sorpreso, ma in modo piacevole, perché solleva il braccio per permettermi di accoccolarmici sotto. «Ti sto solo prendendo in giro perché ci siamo persi» sussurro appoggiando la 510/915 testa sulla sua spalla. Sento che esita un momento prima di posare il braccio su di me. Sto così bene abbracciata a lui in questo modo. Troppo bene… Fingo di non accorgermi di quanto entrambi siamo a nostro agio in questo momento e cerco di essere disinvolta come prima. Osservo la mappa insieme a lui e faccio scorrere il dito lungo una nuova strada. «Possiamo andare da questa parte» propongo indicando una strada che porta a sud. «Poi prendiamo la 55 dritti verso New Orleans. Che ne dici?» Piego la testa per guardarlo negli occhi e sento un tuffo al cuore quando mi rendo conto di come il suo viso sia vicino al mio. Ma mi limito a sorridere, in attesa della sua risposta. 511/915 Andrew mi restituisce il sorriso, ma ho come la sensazione che non abbia ascoltato molto di quello che gli ho detto. «Già, prendiamo la 55.» I suoi occhi mi osservano a lungo e si fermano per un attimo sulle mie labbra. Io prendo la mappa e comincio a ripiegarla, poi alzo il volume dello stereo. Andrew sposta il braccio con cui mi stringeva per rimettere in moto la macchina. Quando partiamo appoggia la mano sulla mia coscia stretta contro la sua e viaggiamo così per un bel po’. Stacca la mano solo per affrontare meglio una curva brusca o per cambiare la musica, ma poi la rimette sempre dov’era. E io voglio che continui a farlo. 23 «Sei sicuro che siamo ancora sulla 55?» gli domando parecchio tempo dopo. Si è fatto buio e credo di non aver più visto altri fari da secoli. Scorgo solo campagna e alberi, e di tanto in tanto qualche mucca. «Sì, piccola, siamo ancora sulla 55. Ne sono sicuro.» Appena lo dice superiamo un cartello su cui posso leggere effettivamente il numero 55. Mi stacco dal suo braccio, su cui ho tenuto appoggiata la testa per un’ora, e 513/915 comincio a stiracchiarmi le braccia e le gambe. Dopodiché mi piego e mi massaggio i polpacci; ho la sensazione che ogni muscolo del mio corpo si sia rappreso come cemento intorno alle mie ossa. «Vuoi scendere e sgranchirti un po’ le gambe?» mi domanda Andrew. Guardo il suo viso parzialmente in ombra: la pelle ha acquisito una tonalità azzurrina e la mandibola scolpita sembra più pronunciata nell’oscurità. «Perché no» rispondo, e mi piego sul cruscotto per osservare meglio il paesaggio attraverso il parabrezza. Ci sono solo campi e alberi, ed ecco un’altra mucca. Niente di nuovo. Ma poi alzo lo sguardo. Mi spingo più avanti e studio le stelle che punteggiano l’oscurità infinita, e mi rendo conto che è facilissimo vederle in questo cielo libero 514/915 dall’inquinamento luminoso. Ce ne sono un’infinità, è incredibile. «Vuoi scendere e fare un giro?» ripete, ancora in attesa che finisca di dargli la mia risposta. Mi viene un’idea. Gli sorrido e annuisco. «Sì, mi sembra un’ottima idea. Hai una coperta nel bagagliaio?» Andrew mi guarda incuriosito per qualche secondo. «A dire il vero sì, ne tengo una in quella scatola là dietro insieme agli attrezzi di emergenza. Perché?» «So che può sembrare un luogo comune» comincio io, «ma è una cosa che ho sempre voluto fare. Hai mai dormito sotto le stelle?» Mi sento un po’ stupida a fargli questa domanda, perché so che è banale e finora niente che riguardi Andrew è stato neanche lontanamente banale. 515/915 Il suo viso si illumina con un sorriso caldo. «In effetti no, non ho mai dormito sotto le stelle. Stai facendo la romantica con me, Camryn Bennett?» Mi lancia un’occhiata di sbieco. «Certo che no!» rido. «Forza, sono seria. Penso che sia l’occasione perfetta.» Faccio un gesto con la mano verso il parabrezza. «Guarda quanta campagna c’è là fuori.» «Già. Ma non è sufficiente stendere una coperta in un campo di cotone o di granturco» ribatte. «Di solito quei campi sono immersi in dieci centimetri d’acqua.» «Ma non quelli ricoperti d’erba e cacche di mucca» replico io. «E tu vorresti dormire in un campo in cui cagano le mucche?» risponde con nonchalance, ma ugualmente allegro. 516/915 Ridacchio. «No, solo sull’erba. Forza…» Poi lo guardo con aria dispettosa. «Che c’è, hai paura di un po’ di cacca di mucca?» «Ahah!» Andrew scuote la testa. «Camryn, ti consiglio di non sottovalutare mai un bel cumulo di merda.» Mi chino su di lui e gli appoggio la testa proprio in grembo, poi lo guardo con aria imbronciata. «Ti prego…» mugolo sbattendo gli occhi. E cerco, senza riuscirci, di ignorare dove si trova la mia nuca. 24 Andrew Cazzo, mi sciolgo fino al midollo quando mi guarda in quel modo. Come faccio a dirle di no? Non ce la farei neanche se mi chiedesse di dormire con una merda di mucca come cuscino o sotto un cavalcavia a fianco di un barbone ubriaco… Dormirei ovunque insieme a lei. Ma è proprio questo il problema. Penso che lo sia diventato nell’attimo in cui ha deciso di accoccolarsi su di me in macchina. Perché in quel momento è 518/915 cambiata: credo che abbia cominciato a capire di volere di più da me, più del semplice sesso orale. L’ho fatto per lei, a Birmingham, ma non voglio permetterle di desiderare più di questo. Non posso permetterle di toccarmi e non posso dormire con lei. La desidero davvero, la desidero in ogni modo possibile e immaginabile, ma non potrei sopportare di spezzarle il cuore… Quel suo piccolo corpo è un’altra storia; potrei sopportare benissimo di devastarglielo. Ma se lei accetta di fare sesso, so che alla fine il suo cuore si spezzerà… e anche il mio. È ancora più dura da quando mi ha parlato del suo ex… «Ti prego» ripete ancora una volta. Nonostante tutti i pensieri che mi si affollano in testa mi chino, le sfioro le 519/915 guance con le dita e le sussurro dolcemente: «Va bene». In vita mia non ho mai dato molto ascolto alla ragione quando si trattava di ottenere qualcosa che desideravo, ma con Camryn cerco molto più spesso del solito un alibi per mandare tutto a fanculo. Dopo altri dieci minuti in macchina trovo un campo che sembra un mare d’erba piatto e infinito. Parcheggio sul ciglio della strada. Siamo letteralmente in mezzo al nulla. Scendiamo dalla macchina e chiudiamo le portiere, lasciando tutte le nostre cose dentro. Apro il bagagliaio e frugo nella scatola alla ricerca della coperta arrotolata, che puzza di auto vecchia e un po’ anche di benzina. «Puzza» esclamo annusandola. 520/915 Camryn si avvicina e la annusa anche lei arricciando il naso. «Pazienza, non importa.» Non importa nemmeno a me. Sono sicuro che basterà lei a profumarla. Senza nemmeno rendermene conto le prendo la mano. Scendiamo dentro un piccolo fossato e risaliamo dall’altra parte, dove troviamo una bassa staccionata che ci separa dal campo. Comincio a pensare al modo più semplice per scavalcarla. Un istante dopo lei stacca le dita dalle mie e comincia ad arrampicarsi. «Sbrigati!» urla, e atterra carponi dall’altra parte. Non riesco a levarmi il sorriso stampato dalla faccia. Salto oltre la staccionata e arrivo accanto a lei; poi inizio a correre nello spazio aperto. Lei sembra un’aggraziata gazzella, io il leone 521/915 che la insegue. Sento le infradito sbatterle contro i talloni mentre corre e vedo sottili ciocche di capelli biondi che luccicano intorno alla sua testa, sollevate dalla brezza. Stringo la coperta in una mano e la seguo a qualche passo di distanza, così se dovesse cadere potrò aiutarla a rialzarsi (dopo essermi fatto una bella risata, naturalmente). È molto buio; c’è solo il chiaro di luna a rischiarare il paesaggio. Ma la luce è sufficiente e farci vedere dove mettiamo i piedi in modo da non finire in una buca o non andare a sbattere contro un albero. Non vedo nessuna mucca, il che significa che non dovrebbero esserci sorprese tra l’erba. Tanto meglio. Ci allontaniamo così tanto dalla macchina che l’unico segno della sua 522/915 presenza è il luccichio del riflesso sui cerchioni di metallo. «Penso che qui vada bene» sussurra Camryn fermandosi ansimante. Gli alberi più vicini sono a qualche decina di metri in ogni direzione. Alza le braccia sopra la testa e solleva il mento, godendosi la brezza che la investe. Sorride, con gli occhi chiusi, e sembra così felice che ho paura di dire qualcosa e interrompere questo suo momento di comunione con la natura. Srotolo la coperta e la stendo a terra. «Dimmi la verità» comincia, stringendomi il polso tra le dita per farmi sedere sulla coperta accanto a lei. «Non hai mai passato la notte sotto le stelle con una ragazza prima d’ora?» Scuoto la testa. «No, sul serio.» 523/915 Sembra contenta. La guardo sorridermi mentre il vento leggero si agita tra noi e le soffia sottili ciocche di capelli sulla fronte. Lei alza una mano e si toglie qualcosa dalle labbra sfiorandole delicatamente con le dita. «Non sono esattamente il genere di ragazzo che mette i petali di rosa sul letto.» «No?» mi domanda, piuttosto sorpresa. «In realtà pensavo che fossi un tipo molto romantico.» Alzo le spalle. Mi sta prendendo in giro? Sì, credo proprio di sì. «Immagino che dipenda dalla tua definizione di “romantico”» rispondo. «Se una ragazza si aspetta una cena a lume di candela e Michael Bolton che canta in sottofondo, ha scelto decisamente il ragazzo sbagliato.» 524/915 Camryn ride. «Be’, questo in effetti è un po’ troppo» replica. «Ma anche tu sei capace di qualche gesto romantico, non negarlo.» «Immagino di sì» anche se onestamente non me ne viene in mente nessuno al momento. Camryn mi guarda con la testa piegata di lato. «Tu sei uno di quelli» sussurra. «Uno di quelli… quali?» «Di quei ragazzi che non vogliono parlare delle loro ex.» «Vuoi che ti parli delle mie ex?» «Certo che sì.» Si stende sulla schiena con le ginocchia nude piegate verso l’alto e dà un colpetto sulla coperta. Mi stendo accanto a lei nella stessa posizione. 525/915 «Parlami del tuo primo amore» mi invita, e penso subito che non dovremmo fare questa conversazione. Ma se è di questo che vuole parlare, farò del mio meglio per raccontarle quello che vuole sapere. In fondo è giusto, dal momento che lei mi ha parlato delle sue storie passate. «Be’» comincio, osservando il cielo tempestato di stelle. «Si chiamava Danielle.» «E tu la amavi?» Camryn si volta per guardarmi e i capelli le ricadono di lato. Io continuo a fissare le stelle. «Sì, la amavo, ma non poteva funzionare.» «Quanto tempo siete stati insieme?» Mi chiedo perché voglia saperlo. Ogni volta che accenno alle mie ex la maggior parte delle ragazze che 526/915 conosco scatta in quella modalità “gelosia latente” che mi fa cadere le palle. «Due anni» le rispondo. «Ci siamo lasciati di comune accordo. Avevamo iniziato a interessarci ad altre persone e credo che abbiamo capito di non amarci poi così tanto.» «In pratica, non eri più innamorato di lei.» «No: tanto per cominciare non siamo mai stati innamorati.» Sono io a guardarla questa volta. «E come fai a capire la differenza?» mi chiede. Ci penso su un momento mentre fisso i suoi occhi a pochi centimetri dai miei. Quando respira sento l’eco lontana del profumo di dentifricio alla cannella con cui si è lavata i denti stamattina. 527/915 «Non credo sia possibile smettere di essere innamorati di qualcuno» rispondo, e capisco dall’espressione dei suoi occhi che un pensiero le sta attraversando la mente. «Sono convinto che quando ti innamori, quando è amore vero, sia per tutta la vita. Il resto sono solo esperienze e delusioni.» «Non sapevo che avessi uno spirito così filosofico» ride. «Devo avvertirti: questo è sufficiente a dire che sei romantico.» In genere è lei ad arrossire, ma questa volta tocca a me. Cerco di non guardarla, ma non è facile staccarle gli occhi di dosso. «Allora, di chi ti sei innamorato?» mi chiede. Stendo le gambe davanti a me, le incrocio all’altezza delle caviglie e mi appoggio le mani intrecciate sul ventre. 528/915 Guardo il cielo e con la coda dell’occhio vedo che Camryn sta facendo lo stesso. «Sinceramente?» «Be’, certo» risponde lei. «Sono solo curiosa.» Fisso il nugolo di stelle luminose. «Be’, di nessuna» rispondo. Dalle sue labbra sfugge un piccolo sbuffo. «Oh, ti prego, Andrew. Avevi detto che saresti stato sincero.» «E infatti lo sono» ribatto, voltandomi per guardarla. «Mi è capitato un paio di volte di pensare di essermi innamorato, però… Ehi, ma perché ne stiamo parlando?» Camryn piega di nuovo la testa di lato, ma questa volta non sta sorridendo. Sembra quasi triste. 529/915 «Probabilmente ti sto usando per l’ennesima volta come strizzacervelli personale.» Spalanco gli occhi. «Cosa intendi dire?» Distoglie lo sguardo; la bella treccia bionda le scivola dalla spalla e si posa sulla coperta. «Perché sto cominciando a pensare che forse non ero… No, è meglio se non lo dico.» Non è più la Camryn felice e sorridente con cui sono venuto qui. Sollevo la schiena dalla coperta e mi appoggio sui gomiti. La guardo incuriosito. «Dovresti dire tutto quello che senti in qualunque momento. Forse dirlo è esattamente quello che ti serve.» Lei non mi guarda. «Ma mi sento in colpa anche solo a pensarlo.» 530/915 «Be’, il senso di colpa è una vera stronzata. Non credi che se ci stai pensando è proprio perché potrebbe essere vero?» Camryn abbandona la testa di lato. «Dillo e basta. Se dopo averlo detto non ti senti meglio, allora dovrai chiederti perché. Ma se ti tieni dentro i cattivi pensieri, l’incertezza sarà ancora peggio della colpa.» Lei fissa di nuovo le stelle. Lo faccio anch’io, solo per lasciarle un po’ di tempo per pensare. «Forse nemmeno io sono mai stata innamorata di Ian» sussurra. «Lo amavo, e molto, ma credo che se fossi stata innamorata di lui… dovrei esserlo ancora.» «Questa è un’ottima osservazione» commento e sorrido appena, sperando 531/915 che lo stia facendo anche lei. Odio vederla pensierosa, davvero. Il suo viso è impassibile, assorto. «Be’, cosa ti fa credere di non essere mai stata innamorata di lui?» Camryn guarda dritto verso di me e osserva a lungo il mio viso. «Perché quando sto insieme a te non penso mai a lui» risponde. Mi lascio andare all’indietro di colpo e fisso il cielo buio. Probabilmente riuscirei a contare tutte le stelle se ci provassi, tanto per distrarmi… Ma distesa accanto a me c’è una distrazione molto più forte di tutte le stelle dell’universo. Devo mettere fine a questa storia, e al più presto. «Be’, sono un tipo di ottima compagnia» comincio con tono allegro. «E ieri sera il tuo culetto si dimenava sulle lenzuola, perciò posso capire come mai 532/915 tu sia più propensa a pensare alla mia testa tra le tue gambe che a qualcos’altro.» Sto solo cercando di farla tornare serena e scherzosa, anche se questo significa che mi darà uno schiaffo e mi accuserà di non rispettare la mia promessa del “come se non fosse mai successo”. E in effetti mi dà uno schiaffo, subito dopo essersi alzata sui gomiti come me poco fa. Scoppia a ridere. «Stronzo!» Io rido più forte: getterei la testa all’indietro se non fosse già premuta a terra. Poi si avvicina ancora un po’, sempre appoggiata a un gomito, e mi guarda. Sento i suoi capelli morbidi che mi sfiorano il braccio. «Perché non mi baci?» mi chiede, e la cosa mi sorprende. «Quando me l’hai 533/915 leccata ieri sera non mi hai mai baciata. Perché?» «E invece ti ho baciata.» «Non mi hai proprio baciata-baciata» ribatte lei, ed è così vicina alle mie labbra che vorrei baciarla subito, ma non lo faccio. «Non so cosa pensare riguardo questa cosa. Non mi piace l’effetto che mi fa, ma non so nemmeno come dovrei sentirmi, in realtà.» «Be’, non dovresti stare male. Ti dico solo questo» rispondo cercando di essere il più vago possibile. «Ma perché?» insiste lei. La sua espressione comincia a indurirsi. Io cedo. «Perché baciarsi è molto intimo» rispondo. Lei piega la testa. «Quindi non vuoi baciarmi per lo stesso motivo per cui non vuoi scoparmi?» 534/915 Mi diventa duro all’istante. Spero con tutte le mie forze che lei non se ne accorga. «Esatto» rispondo e prima di riuscire a dire altro lei è già a cavalcioni sopra di me. Merda, se prima non si era accorta che mi era diventato duro come pietra, adesso non può avere dubbi. Le sue ginocchia nude sono premute sulla coperta ai miei fianchi e si piega su di me reggendosi sulle braccia. Io praticamente muoio quando sento le sue labbra sfiorare le mie. Mi guarda dritto negli occhi. «Non cercherò di convincerti a scopare, però voglio che mi baci. Solo un bacio» mi sussurra. «Perché?» le chiedo io. Comincia a muoversi sopra di me. Oh merda… il fatto che adesso il mio uccello sia premuto tra le sue chiappe non 535/915 aiuta molto. Se si sposta indietro anche solo di due centimetri… «Perché voglio sapere cosa si prova» mi mormora sulla bocca. Le mie mani le scivolano lungo le gambe fino alla vita e la stringono forte. Profuma di buono, accidenti. È fantastico, e si è solo seduta sopra di me. Non riesco nemmeno a immaginare come dev’essere stare dentro di lei: il solo pensiero mi fa impazzire. La sento strusciarsi su di me attraverso i vestiti. I suoi piccoli fianchi si muovono piano e una volta sola per finire di convincermi; poi si ferma e rimane dov’è. Avverto una pulsazione dolorosa. I suoi occhi scorrono sul mio viso e sulle mie labbra e io vorrei solo strapparle via i vestiti e infilarmi dentro di lei. 536/915 Si piega, appoggia le labbra sulle mie e fa scivolare la sua lingua calda dentro la mia bocca socchiusa. Muovo lentamente la lingua verso la sua per assaggiarla e subito dopo sento la sua calda umidità quando comincia ad attorcigliarsi intorno alla mia. Respiriamo intensamente uno sulla bocca dell’altro e, incapace di resistere o di negarle questo bacio, le stringo il viso tra le mani e la premo contro di me, spingendo le mie labbra alle sue con un gesto avido. Lei geme e io la bacio più forte, cingendole la schiena con un braccio e tirando il suo corpo ancora più vicino. Ma poi tutto finisce. Le nostre labbra restano unite per un lungo istante, finché lei si alza e mi guarda con un’espressione enigmatica che non le ho mai visto. Quello sguardo mi fa provare qualcosa di profondo e sconosciuto. 537/915 Poi si rabbuia all’improvviso e quell’espressione svanisce nell’oscurità sostituita da un’altra, confusa e ferita, che cerca di nascondere dietro un sorriso. «Con un bacio come questo» esclama, guardandomi allegra nel tentativo di non farmi vedere qualcosa di più intimo, «probabilmente non avrai mai bisogno di fare sesso con me.» Non posso trattenermi dal ridere; è piuttosto assurdo, ma le lascerò credere quello che vuole. Cambia posizione e mi si stende accanto di nuovo con le mani dietro la testa. «Sono bellissime, vero?» Guardo anch’io le stelle, ma non le vedo davvero. Riesco a pensare solo a lei e al nostro bacio. «Già, sono stupende.» E anche tu… 538/915 «Andrew?» «Sì?» Continuiamo a tenere gli occhi fissi al cielo. «Volevo ringraziarti.» «Per cosa?» Ci mette un po’ a rispondere. «Per tutto. Per avermi fatto infilare i tuoi vestiti a caso nella sacca invece di ripiegarli, per aver abbassato la musica in macchina in modo da non svegliarmi, per aver cantato insieme.» Piega la testa di lato, e anch’io. Mi guarda negli occhi. «E per avermi fatto sentire viva» aggiunge. Un sorriso mi illumina la faccia e distolgo lo sguardo. «Be’, tutti hanno bisogno di aiuto per sentirsi di nuovo vivi di tanto in tanto» rispondo. 539/915 «No» ribatte lei, seria. Il mio sguardo si posa ancora su di lei. «Non ho detto “di nuovo”, Andrew. Mi hai fatta sentire viva per la prima volta in vita mia.» Il mio cuore manca un battito a queste parole e non riesco a dire nulla. Ma non riesco nemmeno a distogliere lo sguardo da lei. La ragione sta di nuovo gridando dentro di me, dicendomi di fermarmi prima che sia troppo tardi, ma non ce la faccio. Sono un vero egoista. Camryn sorride dolce e io le restituisco il sorriso. Poi entrambi ricominciamo a fissare le stelle. La calda notte di luglio è perfetta, con la brezza leggera che soffia nel grande spazio aperto, senza una nuvola in cielo. La campagna è piena di grilli e rane, e qualche uccello notturno canta 540/915 nel buio. Mi è sempre piaciuto ascoltare i rumori della natura. La calma viene improvvisamente interrotta da uno strillo di Camryn, che salta in piedi più veloce di un gatto in fuga da una vasca da bagno. «Un serpente!» urla indicando l’erba con una mano e tappandosi la bocca con l’altra. «Andrew! Eccolo lì! Uccidilo!» Balzo in piedi quando vedo qualcosa di nero che striscia in fondo alla coperta. Faccio un veloce passo indietro per prendere le distanze e poi ci salto sopra. «No no no!» grida lei agitando una mano. «Non ucciderlo!» Sbatto le palpebre, confuso. «Ma mi hai appena detto di farlo!» «Be’, ma non intendevo alla lettera!» 541/915 È ancora spaventata a morte, la schiena leggermente inarcata come per proteggersi dal serpente. È una posizione buffissima. Alzo le braccia in segno di resa. «Che c’è, vuoi che finga di ucciderlo?» rido scuotendo la testa. È troppo divertente. «No, è solo che… Adesso non ce la faccio proprio a dormire qui.» Mi afferra un braccio. «Andiamocene, dài.» Trema dalla testa ai piedi e cerca di non ridere e piangere allo stesso tempo. «Va bene» rispondo io e, ora che il serpente se n’è andato, mi piego per sollevare la coperta dall’erba. La scuoto con una mano sola, dal momento che Camryn sta aggrappata all’altra come se fosse la sua unica speranza di sopravvivere. Poi torniamo verso la macchina. «Odio i serpenti, Andrew!» 542/915 «Me ne sono accorto, piccola.» Sto facendo del mio meglio per non scoppiare a ridere. Mentre attraversiamo il campo lei tiene il passo a fatica e mi strattona la mano. Strilla quando i suoi piedi quasi nudi toccano un innocuo cumulo di fango e capisco che non riusciremo a tornare alla macchina prima che svenga. «Vieni qui» esclamo facendola fermare di colpo. Mi volto e la aiuto a salire sulla mia schiena. Torniamo verso la macchina così: lei aggrappata a me e io che le sorreggo le cosce strette ai miei fianchi. 25 Camryn mi sveglia il mattino dopo muovendo la testa sul mio grembo. Siamo sul sedile anteriore dell’auto. «Dove siamo?» mi chiede alzandosi. Il sole brilla attraverso i finestrini e si riflette contro la portiera. «A circa mezz’ora da New Orleans» rispondo io, massaggiandomi i muscoli indolenziti. Ieri sera dopo essercene andati dal campo ci siamo rimessi in viaggio intenzionati ad arrivare in città, ma ero così distrutto che mi stavo quasi 544/915 addormentando al volante. Perciò ho parcheggiato sul ciglio della strada, ho appoggiato la testa sul sedile e sono praticamente svenuto. Avrei potuto dormire più comodo da solo su quello posteriore, ma preferisco svegliarmi con i muscoli rigidi pur di restare accanto a lei. Mi stropiccio gli occhi e mi muovo un po’ per rimettere in funzione qualche muscolo. E per assicurarmi che i miei pantaloni siano abbastanza ampi sul davanti in modo che la mia più che evidente erezione non diventi subito un argomento di conversazione. Camryn si stiracchia e sbadiglia, poi alza le gambe e appoggia i piedi nudi sul cruscotto. Gli shorts le risalgono ancora di più sulle cosce. Non è una buona idea di prima mattina. 545/915 «Dovevi essere davvero molto stanco» comincia, passandosi le dita tra i capelli per sciogliere la treccia. «Già. Se avessi provato a proseguire ancora credo che saremmo finiti contro un albero.» «Dovresti cominciare a farmi guidare ogni tanto, Andrew, altrimenti…» «Altrimenti cosa?» le chiedo ridendo. «Mi metterai la testa tra le gambe e me lo chiederai per favore mugolando?» «Ieri sera ha funzionato, no?» In effetti ha ragione. «Ascolta, non ho niente in contrario se guidi.» Le lancio un’occhiata e metto in moto. «Ti prometto che dovunque andremo dopo New Orleans ti lascerò prendere il volante per un po’. D’accordo?» 546/915 Un sorriso dolce e comprensivo le illumina il viso. Mi immetto sulla strada dopo aver lasciato passare un suv a tutta velocità e Camryn ricomincia a pettinarsi con le dita; poi sistema i capelli in una treccia più ordinata con gesti velocissimi e senza nemmeno guardare. Non riesco proprio a capire come faccia. Ma comunque i miei occhi continuano a risalire lungo le sue gambe nude. Devo smetterla, davvero. Distolgo lo sguardo e osservo il panorama fuori dal mio finestrino, senza distrarmi troppo dalla guida. «Dobbiamo trovare al più presto una lavanderia a gettoni» esclama Camryn stringendo l’elastico alla fine della treccia. «Ho finito i vestiti puliti.» Stavo aspettando un’occasione per darmi una sistemata alle parti basse, e 547/915 quando lei comincia a frugare nella sua borsa la colgo al volo. «È vero?» mi chiede alzando gli occhi verso di me con una mano ancora infilata nella borsa. Io sposto la mano con un gesto fulmineo, convinto che lei abbia solo pensato che mi stessi sistemando i pantaloni. Continua: «Che tutti i ragazzi hanno un’erezione pazzesca al mattino appena svegli?». Spalanco gli occhi, ma continuo a fissare la strada oltre il parabrezza. «Non tutte le mattine» rispondo, sempre cercando di non guardarla. «In che senso? Solo il martedì e il venerdì o cose del genere?» So che sta sorridendo, ma mi rifiuto di guardarla per averne la certezza. «E oggi è martedì o venerdì?» aggiunge per stuzzicarmi. 548/915 Alla fine la guardo. «È venerdì» rispondo senza aggiungere altro. Lei sospira profondamente. «Non sono un specie di troietta o roba simile» esclama alzando i piedi dal cruscotto. «Sei stato tu a spingermi a essere più aperta riguardo la mia sessualità e quello che voglio, per cui sono certa che non pensi…» Le si spezza la voce. Sembra che stia aspettando da me una conferma di quello che ha appena detto, come se fosse ancora preoccupata per quello che posso pensare di lei. La guardo dritto negli occhi. «No, non penserei mai che sei una troietta. A meno che non cominci a scoparti tutti i ragazzi che trovi, e allora finirei in prigione perché dovrei ammazzarli di botte. Comunque no, perché lo dici?» 549/915 Camryn arrossisce di brutto e scommetto che ha la testa incassata nelle spalle fino alle guance. «Be’, stavo solo pensando…» Non è ancora sicura di quello che vuole dire, qualunque cosa sia. «Cosa ti ho detto, piccola? Spara tutto quello che ti passa per la testa.» Camryn alza il mento e mi guarda dolcemente. «Be’, dal momento che tu mi hai fatto quella cosa, pensavo che forse io potrei fare qualcosa a te.» Appena finisce la frase cambia tono. «Voglio dire, senza legami, ovviamente. Sarà come se non fosse mai successo.» Oh, merda! Perché non ho previsto che sarebbe finita così? «No» rispondo senza mezzi termini. Lei trasale. 550/915 Addolcisco subito il tono e l’espressione del mio viso. «Non posso permetterti di farmi niente del genere, d’accordo?» «E perché no?» «Non posso e basta… Oh mio Dio, ti desidero, non sai quanto… Ma non posso, punto.» «Che cosa stupida.» Si sta incupendo seriamente. «Aspetta…» Mi osserva con sguardo inquisitorio e poi inclina la testa. «Hai qualche “problemino” là sotto, per caso?» Spalanco la bocca. «No, figurati, neanche un po’» rispondo con gli occhi sgranati. «Merda, adesso mi fermo e ti faccio vedere!» Lei getta la testa all’indietro e scoppia a ridere. Poi ritorna seria. 551/915 «Be’, non hai intenzione di fare sesso con me, non vuoi che ti faccia avere un orgasmo e ho dovuto costringerti a baciarmi. Cosa devo pensare?» «Non mi hai costretto.» «Hai ragione» esclama. «Ti ho sedotto con l’inganno.» «Ti ho baciata perché volevo farlo» rispondo. «Voglio fare tutto quanto con te, Camryn. Ti assicuro! In questi pochi giorni ho immaginato più posizioni con te di quelle che ci sono nel Kamasutra. Avrei voluto…» Mi accorgo che sto stringendo il volante così forte che le nocche delle dita sono sbiancate. Sembra ferita, ma questa volta non cedo. «Te l’ho detto» continuo con cautela. «Non posso fare niente del genere con te o…» 552/915 «O sarebbe come permettermi di possederti.» Camryn finisce la frase al posto mio, infuriata. «Già, ricordo che l’hai detto. Ma cosa significa esattamente “permetterti di possedermi”?» Credo che sappia benissimo cosa significhi, ma vuole esserne sicura. Un momento… mi sta prendendo in giro? O è così oppure ancora non sa cosa vuole dal punto di vista sessuale o da altri punti di vista, ed è solo confusa e incerta quanto me. 26 Camryn Ha superato il mio test. Sarei una bugiarda se dicessi che non volevo fare sesso con lui, o dargli piacere in altro modo come lui ha fatto con me… Desidero davvero fare tutte queste cose con lui. Ma in realtà volevo sapere se avrebbe abboccato all’amo. E non l’ha fatto. E adesso mi terrorizza. Mi terrorizza il modo in cui mi fa sentire. Non dovrei provare sentimenti simili e mi odio per questo. Avevo detto 554/915 che non l’avrei mai fatto. Avevo giurato a me stessa che non sarebbe successo… Gli sorrido dolcemente cercando di ristabilire un’atmosfera di rilassata normalità nella nostra conversazione. Vorrei tanto poter ritirare la mia offerta e tornare come eravamo prima che ne parlassi, ma con la consapevolezza che ho adesso: Andrew Parrish mi rispetta e mi vuole in un modo che non credo di potergli concedere. Mi stringo le ginocchia al petto e appoggio i piedi sul sedile. Non voglio che risponda alla mia ultima domanda: cosa significa permettergli di possedermi? Spero dimentichi che gliel’ho chiesto. So già cosa significa, o almeno penso: possedermi significa stare insieme a lui, proprio come stavo con Ian. Eccetto per il fatto che nel mio cuore sono certa che potrei innamorarmi di Andrew. 555/915 Amore vero, intendo. Niente di più facile. Già non riesco a sopportare il pensiero di allontanarmi da lui. Già tutti i visi che apparivano nei miei sogni a occhi aperti sono stati sostituiti dal suo. E già temo il giorno in cui il nostro viaggio finirà, quando lui dovrà tornare a Galveston o nel Wyoming e lasciarmi sola. Perché l’idea mi spaventa tanto? E da dove mi viene questa sensazione di nausea improvvisa nello stomaco? «Mi dispiace, piccola. Mi dispiace davvero. Non volevo ferirti. Non lo farei mai.» Alzo lo sguardo verso di lui e scuoto la testa. «Non mi hai ferita. Ti prego, non pensarlo nemmeno.» E continuo: «Andrew, la verità è che…». Faccio un respiro profondo. Adesso fatica a tenere gli occhi fissi 556/915 sulla strada. «La verità è che io… Oh, be’. Tanto per cominciare, mentirei se dicessi che non ho una voglia matta di darti piacere. Desidero farlo davvero. Ma sono felice che tu abbia rifiutato la mia proposta, dico sul serio.» Credo che abbia capito. Lo vedo sul suo viso. Sorride e allunga una mano verso di me. Io la prendo e mi precipito verso di lui. Mi cinge le spalle con un braccio. Alzo il mento per guardarlo e gli stringo la coscia con le dita. È talmente bello… «Mi spaventi» sbotto infine. La mia ammissione accende un piccolo lampo nei suoi occhi. «Ti ho detto che non avrei mai fatto una cosa del genere; devi capirlo. Ho 557/915 promesso a me stessa che non mi sarei più innamorata di nessuno.» Il suo braccio si irrigidisce intorno alle mie spalle; il battito del suo cuore accelera e lo sento rintronare sulla gola. Poi la sua bocca si schiude in un sorriso. «Ti sei innamorata di me, Camryn Bennett?» mi chiede. Io arrossisco violentemente, serro le labbra e affondo il viso contro i suoi pettorali sodi. «Non ancora» rispondo con voce allegra. «Ma ci sto arrivando.» «Sei una presuntuosa di merda» ribatte lui stringendomi più forte il braccio. Mi bacia la testa. «Già, lo so» replico io in tono ugualmente scherzoso, ma poi la voce comincia a tremarmi. «Lo so…» 558/915 Vedo New Orleans per la prima volta da lontano: il lago Pontchartrain e il paesaggio irregolare fatto di villette a schiera e bungalow. Resto senza fiato quando scorgo il Superdrome, che ora riconosco dopo averlo visto così spesso al telegiornale quando si era scatenato l’uragano Katrina. E poi le querce imponenti e antichissime che fanno accapponare la pelle, la gente che passeggia lungo le strade del quartiere francese (anche se immagino che la maggior parte siano turisti)… Mentre attraversiamo la città rimango incantata dai tanti balconi che si estendono per tutta la lunghezza degli edifici. È tutto come in televisione, a parte il fatto che non si festeggia il Mardi Gras e che nessuno sta mostrando le tette o lanciando perline di plastica colorata dai balconi. 559/915 Andrew mi sorride; ha capito quanto sono felice di essere qui. «La adoro già» esclamo accoccolandomi contro di lui dopo aver praticamente tenuto la faccia schiacciata contro il finestrino negli ultimi minuti per guardare tutto quanto. «È una città favolosa.» È raggiante e mi chiedo se conosce bene questo posto. «Cerco di venirci almeno una volta all’anno» continua. «In genere per il Mardi Gras, ma credo che ogni periodo dell’anno sia bello.» «Oh, perciò in genere ci vieni quando ci sono un sacco di tette in giro» scherzo strizzandogli un occhio. «Colpevole, vostro onore!» grida lui alzando entrambe le mani dal volante. 560/915 Prendiamo due stanze all’Holiday Inn a pochi passi dalla famosa Bourbon Street. Stavo per proporgli di prendere una sola camera con due letti questa volta, ma poi mi sono trattenuta. No, Camryn, non stai facendo altro che alimentare il desiderio. Non andare in camera con lui. Fermati finché sei in tempo. Per un attimo, mentre siamo fianco a fianco al banco della reception e l’impiegato ci chiede: «In cosa posso aiutarvi?». Andrew esita e io provo una strana sensazione. Ma alla fine prendiamo due stanze vicine, come al solito. Io mi dirigo verso la mia e lui verso la sua. In corridoio ci guardiamo con le chiavi strette in mano. «Mi infilo subito sotto la doccia» mi avvisa. Nell’altra mano regge la chitarra. «Ma quando sei pronta vieni a chiamarmi.» 561/915 Annuisco e ci sorridiamo prima di scomparire nelle nostre camere. Sono dentro da meno di cinque minuti quando sento il cellulare vibrare nella borsa. Sono quasi certa che sia mia madre, perciò prendo il telefono e mi preparo a rispondere per dirle che sono ancora viva e che mi sto divertendo, ma poi mi accorgo che non è lei. È Natalie. La mia mano rimane paralizzata, stretta al telefono mentre fisso il display illuminato. Devo rispondere o no? Be’, farò meglio a decidermi in fretta. «Pronto?» «Cam?» esordisce Natalie dall’altra parte, con tono cauto. Non riesco a dire niente. Non so se fingere di essere ancora furiosa o se ormai è passato tempo a sufficienza e dovrei essere carina. 562/915 «Ci sei?» mi chiede lei, dal momento che io non spiccico una parola. «Sì, Nat, ci sono.» Sospira e fa il suo solito verso miagolante: le scappa sempre quando è nervosa. «Sono una completa, grandissima stronza» esordisce. «So che come migliore amica sono un disastro e che dovrei strisciare ai tuoi piedi supplicandoti di perdonarmi, ma… Io… Be’, era quella l’idea, solo che tua madre mi ha detto che sei in… Virginia? Che cavolo ci fai in Virginia?» Mi lascio cadere sul letto e calcio via le infradito. «Non sono in Virginia» rispondo. «Ma non dirlo a mia madre. Anzi, a nessuno.» 563/915 «E allora dove sei? Dove potresti essere da più di una settimana?» Wow, sono via solo da una settimana? Mi sembra di essere in viaggio con Andrew da almeno un mese. «Sono a New Orleans. Ma è una storia lunga.» «Ho un sacco di tempo!» esclama, ironica. Il suo atteggiamento mi infastidisce all’istante. Sospiro prima di parlare. «Natalie, sei stata tu a chiamarmi. E se ricordo bene, sei stata tu a darmi della puttana bugiarda e a non credermi quando ti ho raccontato quello che mi aveva fatto Damon. Mi dispiace, ma non penso che tornare di colpo migliori amiche e fingere che non sia successo niente sia la scelta migliore adesso.» «Lo so, hai ragione e mi dispiace.» Natalie fa una pausa per raccogliere le 564/915 idee, in sottofondo la sento aprire la linguetta di una lattina. Beve un piccolo sorso. «Non è che non ti credessi, Cam. È solo che ero troppo ferita. Damon è un bastardo. L’ho mollato.» «Come mai? Solo perché l’hai colto in flagrante mentre ti tradiva invece di credere alla tua migliore amica dalla seconda elementare quando ti dice che è un maiale?» «Me lo merito» ammette. «Comunque no, non l’ho beccato mentre mi tradiva. Mi sono solo resa conto di quanto mi manchi la mia migliore amica e del fatto che ho commesso la peggior infrazione possibile al Codice di Condotta delle Migliori Amiche. Alla fine gliel’ho chiesto senza mezzi termini e lui naturalmente ha mentito, ma ho continuato a incalzarlo perché volevo che lo ammettesse. Non perché avessi bisogno di 565/915 una conferma da lui. Io ho solo… Cam, volevo solo che mi dicesse la verità. Volevo sentirmelo dire da lui.» Colgo un sincero dispiacere nella sua voce. So che sta parlando sul serio e ho tutta l’intenzione di perdonarla, ma non sono ancora pronta a dirle di Andrew. Non so perché, ma è come se nel mio mondo in questo momento esistesse soltanto lui. Voglio bene a Natalie con tutto il cuore, ma non sono pronta a condividere Andrew con lei. Lei ha quel modo di… svilire le cose importanti, se così si può dire. «Ascoltami Nat» ribatto. «Non ti odio e voglio perdonarti, ma mi ci vorrà del tempo. Mi hai fatto davvero molto male.» «Capisco» replica lei, ma intuisco la delusione nella sua voce. Natalie è sempre stata una ragazza impaziente, 566/915 alla ricerca di una gratificazione immediata. «Be’, a parte questo, stai bene?» mi chiede. «Non riesco a immaginare perché tu sia andata fino a New Orleans tra tutti i posti che ci sono. Per caso è la stagione degli uragani?» Sento l’acqua della doccia scorrere nella stanza di Andrew. «Sì, sto benissimo» rispondo, pensando a Andrew. «Per dirti la verità, Nat, non mi sono mai sentita così viva e felice come nell’ultima settimana.» «Oh mio Dio… Hai conosciuto un ragazzo! Sei con un ragazzo, vero? Camryn Marybeth Bennett, maledetta stronza, non devi nascondermi queste cose!» Era proprio questo che intendevo con l’espressione “svilire le cose importanti”. 567/915 «Come si chiama?» Respira affannosamente, come se la risposta a tutti i problemi del mondo fosse lì a portata di mano. «Siete andati a letto! Com’è, è sexy?» «Natalie, ti prego.» Chiudo gli occhi e fingo che sia una ventenne matura e non ancora una liceale scema. «Non ho nessuna intenzione di parlartene adesso, okay? Dammi un paio di giorni; poi ti chiamerò e ti racconterò come stanno le cose. Ma ora ti prego…» «D’accordo!» Natalie accetta l’idea, ma non coglie minimamente il cenno al fatto che deve moderare l’entusiasmo. «Mi basta sapere che stai bene e che non mi odi più, per il resto posso aspettare.» «Grazie.» 568/915 Finalmente torna seria. «Mi dispiace davvero tanto, Cam. Non so come dirtelo.» «Lo so. Ti credo. E quando ti chiamerò mi racconterai anche quello che è successo con Damon. Se vorrai.» «Va bene. Ottima idea» risponde. «Ci sentiamo presto. Ah, Nat, un’ultima cosa.» «Sì?» «Sono felicissima che tu mi abbia chiamata. Mi sei mancata tanto.» «Anche tu.» Riattacchiamo e rimango a fissare il telefono per un minuto, finché i miei pensieri su Natalie non si trasformano in pensieri su Andrew. È proprio vero: tutti i volti dei miei sogni a occhi aperti diventano il volto di Andrew. 569/915 Mi faccio una doccia e mi infilo un paio di jeans che non sono ancora stati lavati. Non puzzano, per cui credo che per il momento possano andare bene. Ma se non porto a lavare i miei vestiti al più presto credo che dovrò andare in un altro grande magazzino a comprarmi qualcosa di nuovo. Sono felice di aver infilato dodici paia di mutandine pulite nella borsa. Comincio a truccarmi, ma poi appoggio le dita sul lavandino del bagno e mi guardo allo specchio, cercando di vedere quello che vede Andrew. Mi ha vista praticamente nelle condizioni peggiori: senza trucco, con le occhiaie dopo ore di viaggio, con i capelli spettinati e sporchi… Sorrido nel ripensarci e poi lo immagino dietro di me, in questo momento, allo specchio. Vedo la sua bocca sepolta nella curva del mio collo e le sue braccia forti che mi 570/915 stringono da dietro, le dita premute contro le costole. Qualcuno bussa alla porta e mi strappa bruscamente alle mie fantasie. «Sei pronta?» fa Andrew quando gli apro. «Dove stiamo andando, a proposito?» gli chiedo mentre torno in bagno per finire di truccarmi. «Mi servono dei vestiti puliti. Davvero.» Lui mi segue e la cosa mi lascia un po’ scioccata, perché la situazione assomiglia molto alle mie fantasie di un attimo fa. Comincio a mettere il mascara, piegandomi sopra il lavandino per avvicinarmi allo specchio. Strizzo l’occhio sinistro mentre applico il mascara sulle ciglia a destra. Andrew mi fissa il sedere e non ne fa mistero. Vuole che lo veda mentre si comporta male. Sbuffo e 571/915 torno al mio mascara, passando all’altro occhio. «C’è una lavanderia al dodicesimo piano» mi avvisa. Stringe le mani sui miei fianchi e mi guarda nello specchio con un sorriso diabolico e il labbro inferiore stretto tra i denti. Mi volto di scatto. «Allora è il primo posto in cui andremo» commento. «Cosa?» Sembra irritato. «Voglio uscire, andare in giro per la città, farmi un paio di birre, ascoltare qualche gruppo che suona. Non voglio andare a fare il bucato!» «Oh, smettila di lamentarti» lo zittisco, e mi volto di nuovo verso lo specchio per prendere il rossetto. «Non sono nemmeno le due del pomeriggio… E tu non sei uno di quei tizi che bevono birra a colazione, no?» 572/915 Andrew trasale e si preme il palmo della mano sul cuore fingendo di essere ferito. «Certo che no! Aspetto almeno fino all’ora di pranzo.» Scuoto la testa e lo spingo fuori dal bagno mentre sorride mostrando le fossette; poi gli sbatto la porta in faccia. «E perché?» mi chiede lui dall’altra parte. «Devo fare pipì!» «Be’, non avrei guardato!» «Va’ in camera tua a prendere i vestiti sporchi, Andrew!» «Ma…» «Subito, Andrew! Altrimenti dopo non usciamo!» Me lo immagino che fa il broncio, ma in realtà sono convinta che stia cercando di sbirciare dal buco della serratura. 573/915 «D’accordo!» grida infine; poi sento la porta della stanza aprirsi e richiudersi alle sue spalle. Quando ho finito in bagno prendo i miei vestiti sporchi, li caccio nella borsa a tracolla e mi infilo le infradito. 27 Per prima cosa facciamo il bucato: e già che ci sono, questa volta ripiego tutti i vestiti per bene dopo averli tirati fuori dall’asciugatrice, invece di infilarli alla rinfusa nelle borse. Andrew cerca di protestare, ma ora si fa a modo mio. Dopodiché usciamo e lui mi porta in giro per tutta la città, persino al cimitero di St. Louis dove le tombe sono esterne invece che sottoterra… Non ho mai visto niente del genere in vita mia! Percorriamo tutta Canal Street verso il World Trade Center New Orleans e arriviamo in riva all’oceano, dove 575/915 troviamo lo Starbucks che desideriamo tanto. Parliamo per ore davanti ai nostri caffè e gli racconto che mi ha telefonato Natalie. Continuiamo a parlare di lei e Damon, che Andrew ha imparato a detestare molto in fretta. A un certo punto passiamo davanti a una steakhouse in cui Andrew cerca di farmi entrare rinfacciandomi il patto che abbiamo stretto sull’autobus. Lui piagnucola che vuole mangiare carne, ma io non ho nemmeno un briciolo di fame e gli spiego che devo avere un vero e proprio buco nello stomaco se vuole che mi goda una bistecca. Poco dopo troviamo un centro commerciale: lo Shops di Canal Place. Non vedo l’ora di andarci, dopo essere stata costretta a mettere gli stessi noiosissimi abiti per una settimana intera. 576/915 «Ma abbiamo appena fatto il bucato!» protesta Andrew mentre entriamo. «Perché ti servono dei vestiti nuovi?» Mi passo la tracolla della borsa sull’altra spalla e lo afferro per un gomito. «Se stasera usciamo vorrei mettermi qualcosa di minimamente dignitoso» sibilo trascinandolo dietro di me. «Ma quello che indossi ora è carino da morire» ribatte lui. «Cerco solo un paio di jeans nuovi e un top» rispondo. Poi mi fermo e lo guardo. «Puoi aiutarmi a scegliere se vuoi.» La proposta solletica la sua curiosità. «D’accordo» replica sorridendo. Ricomincio a trascinarlo. «Ma non farti illusioni. Ti ho detto che puoi aiutarmi, non scegliere!» lo avverto, 577/915 strattonandogli il braccio per sottolineare il concetto. «Ehi, stiamo facendo un po’ troppo a modo tuo» mi sgrida. «Dovresti saperlo, piccola: non ti lascerò andare avanti così ancora per molto prima di cominciare a giocare le mie carte.» «Quali carte pensi di giocarti di preciso?» Glielo chiedo senza timore, perché sono certa che sia solo un bluff. Andrew arriccia le labbra e la mia sicurezza comincia a vacillare. «Se ben ricordi» esordisce con tono serio, «siamo ancora in regime “fai tutto quello che dico io”.» Ecco, ora la mia sicurezza svanisce del tutto. Andrew sorride e questa volta è lui a strattonarmi il braccio. «E dal momento che mi hai già permesso di leccartela una volta» aggiunge, e io spalanco gli 578/915 occhi, «potrei anche dirti di sdraiarti e aprire le gambe e tu dovresti obbedire, è chiaro?» Riesco a malapena a guardarmi intorno per vedere se qualche passante l’ha sentito. Non parlava a voce bassissima, ma era ovvio. Lui rallenta il passo, si china e mi sussurra all’orecchio. «Se non mi lasci fare subito come voglio io, sarò costretto a torturarti infilandoti la lingua tra le gambe.» Il suo respiro nel mio orecchio, combinato a quelle parole che mi fanno bagnare all’istante, mi provoca una scarica di brividi lungo il collo. «Ora sta a te fare la prossima mossa, piccola.» Si allontana e vorrei dargli uno schiaffo per fargli sparire quel ghigno dalla faccia, ma probabilmente gli piacerebbe. 579/915 Dilemma: lasciarlo scegliere qualcosa di poco importante come un vestito o continuare a fare a modo mio e costringerlo a “torturarmi” più tardi? Mmm. Credo di essere più masochista di quanto pensassi. Arriva la sera e mi preparo per uscire. Indosso un nuovo paio di jeans skinny, un top nero senza spalline e molto sexy che mi stringe il seno, e le scarpe nere col tacco più carine che ho trovato al centro commerciale. Andrew mi fissa sbalordito sulla porta. «Dovrei giocarmi le mie carte adesso» esclama entrando in camera. Stasera mi sono fatta due trecce morbide che ricadono sulle spalle fin quasi al seno. Ho lasciato qualche sottile ciocca di capelli libera sul viso, perché 580/915 le ho sempre considerate carine sulle altre ragazze, quindi perché non dovrebbero esserlo anche su di me? Sembra che a Andrew piacciano. Si avvicina e le sfiora con le dita. Io sento un tuffo al cuore. «Piccola, non scherzo. Sei fantastica.» «Grazie.» Dio, perché sto ridacchiando come una cretina? Tocca a me squadrarlo dalla testa ai piedi e anche se è vestito semplicemente con i jeans, una maglietta bianca e i soliti Doc Martens, sta benissimo. Qualsiasi cosa indossi, resta sempre il ragazzo più sexy che abbia mai conosciuto. Usciamo e faccio girare la testa a qualche vecchietto in ascensore e nella hall. A Andrew fa molto piacere, e si vede. È raggiante mentre mi cammina a fianco e questo mi lusinga molto. 581/915 Come prima tappa andiamo in uno dei locali più famosi di New Orleans, il d.b.a., e ascoltiamo il concerto di una band per circa un’ora. Ma quando mi chiedono i documenti e capiamo che non mi daranno mai da bere là dentro, Andrew mi porta in un altro bar poco lontano. «È questione di fortuna» mi avvisa mentre ci avviciniamo al locale mano nella mano. «La maggior parte dei camerieri ti chiede i documenti, ma di tanto in tanto si distraggono e non si fermano a pensare se dimostri ventun anni o meno.» «Be’, compirò ventun anni tra cinque mesi» ribatto, stringendogli la mano mentre attraversiamo un incrocio trafficato. 582/915 «Temevo che ne avessi solo diciassette quando ti ho conosciuta sull’autobus.» «Diciassette?» Spero davvero di non sembrare così giovane! «Ehi» ribatte lui lanciandomi un’occhiata. «Ho conosciuto delle quindicenni che sembravano delle trentenni. Non serve che aggiunga altro.» «Perciò secondo te ne dimostro diciassette?» «No, dimostri l’età che hai» ammette. «Era tanto per dire.» È un bel sollievo. Il locale è leggermente più piccolo del precedente e la clientela va dai venti ai trent’anni. Sul retro ci sono alcuni tavoli da biliardo sistemati fianco a fianco e l’illuminazione è soffusa, concentrata solo sui tavoli e nel 583/915 corridoio alla mia destra che porta ai salottini. Il fumo di sigaretta è denso, a differenza dell’altro locale, ma non mi disturba molto. Non vado matta per le sigarette, ma credo che nei bar il fumo sia qualcosa di naturale: se non c’è, sembra che manchi qualcosa. Dalle casse appese al soffitto esce una canzone rock che mi pare di riconoscere. Sulla sinistra c’è un piccolo palco dove di solito si esibiscono le band, ma stasera non suona nessuno. Questo non diminuisce l’atmosfera di festa, però: tra la musica e le voci della gente che mi urla accanto riesco a malapena a sentire Andrew. «Sai giocare a biliardo?» mi grida nell’orecchio chinandosi verso di me. «Ci ho provato un paio di volte… ma sono un disastro!» urlo io di rimando. 584/915 Mi prende per mano e ci dirigiamo verso i tavoli, facendoci strada con cautela tra la gente che occupa praticamente tutto lo spazio disponibile. «Siediti qui» mi ordina con un tono di voce un po’ più basso ora che le casse sono più lontane. «Prendiamo questo tavolo.» Mi siedo a un piccolo tavolo rotondo dando le spalle alla parete. Alla mia sinistra c’è una scala che porta al piano superiore e che mi passa sopra la testa. Con la punta di un dito sposto il posacenere colmo di mozziconi il più lontano possibile. Una cameriera mi vede e si avvicina. Andrew sta parlando con un tizio a pochi metri da me accanto ai tavoli da biliardo; probabilmente gli sta chiedendo se può giocare. 585/915 «Scusa» mi dice la cameriera prendendo il posacenere e sostituendolo con uno pulito, che appoggia capovolto. Poi passa uno straccio umido sul piano. Le sorrido. È una bella ragazza dai capelli scuri e anche lei non deve avere più di ventun anni. Regge un vassoio in una mano. «Ti porto qualcosa?» Devo sembrare abituata a sentirmi fare quella domanda senza che mi vengano chiesti i documenti, perciò rispondo senza esitazioni: «Una Heineken». «Portane due» aggiunge Andrew avvicinandosi con una stecca da biliardo in mano. La cameriera trasale quando lo vede e io ne sono orgogliosa. La ragazza annuisce e mi guarda con quell’aria da “beata te” prima di allontanarsi. 586/915 «Quel tizio fa un ultimo giro e poi ci lascia il tavolo» mi informa Andrew prendendo l’altra sedia. La cameriera torna con due Heineken e ce le appoggia davanti. «Fate un fischio se avete bisogno di qualcosa» grida prima di allontanarsi di nuovo. «Non ti ha chiesto i documenti» constata lui avvicinandosi per non farsi sentire da nessuno. «No, ma questo non significa che non lo farà dopo. Mi è successo una volta in un locale a Charlotte; io e Natalie eravamo quasi ubriache quando ci hanno chiesto i documenti e ci hanno cacciate via.» «Be’ allora goditela finché dura.» Sorride, si porta la birra alle labbra e prende un rapido sorso. 587/915 Io faccio lo stesso. Sto cominciando a pentirmi di essermi portata la borsa, perché adesso sono costretta a tenerla d’occhio, e quando tocca a noi giocare la nascondo sotto il tavolo. Andrew mi accompagna alla rastrelliera con le stecche. «Quale preferisci?» mi chiede indicando le stecche con un gesto della mano. «Devi prendere quella che ti ispira di più.» Oh, sarà proprio divertente: crede davvero di potermi insegnare qualcosa! Recito la parte di quella che non ha idea di cosa fare e scruto le stecche come se stessi scegliendo un libro dallo scaffale della biblioteca. Le sfioro con la mano, ne prendo una e provo a soppesarla facendola ondeggiare un po’. So che sembro la classica bionda scema, ma è esattamente quello che voglio 588/915 fargli credere. «Tanto, una vale l’altra» concludo facendo spallucce. Andrew inserisce le palle nel triangolo, spostandole finché non sono nella sequenza giusta, e poi le spinge lungo il tavolo per metterle in posizione. Infine solleva con attenzione il triangolo e lo appoggia in uno scomparto sotto il tavolo. Mi fa un cenno. «Vuoi cominciare tu?» «Naa, comincia tu.» Voglio solo vederlo tutto concentrato e piegato sul tavolo con quella sua aria sexy. «D’accordo» commenta lui, e sistema la palla bianca. Dedica alcuni secondi a ruotare la punta della stecca in un cubetto di gesso, che poi appoggia sul bordo del tavolo. «Se hai già giocato altre volte, allora sono certo che conosci le regole di 589/915 base» comincia assumendo la postura corretta. Punta la stecca verso la palla. «Naturalmente si può colpire solo la bianca.» È molto buffo, ma tra poco gli mostrerò con chi ha a che fare. «Se scegli le palle a strisce, o “bande”, devi mandare in buca solo quelle. Se invece ci mandi una di quelle a tinta unita, ti scavi la fossa da sola.» «E la palla nera?» chiedo indicando la palla numero 8 al centro. «Se la mandi in buca prima delle tue palle, hai perso» risponde con un sorrisetto sarcastico. «E se mandi in buca la palla bianca perdi il turno.» «Tutto qui?» chiedo, ruotando a mia volta la punta della stecca nel cubetto di gesso. 590/915 «Per il momento sì.» Immagino che voglia risparmiarmi le altre regole meno importanti per non confondermi le idee. Fa un paio di passi indietro e poi si piega sul tavolo, inarca le dita sul panno blu e sistema la stecca con precisione nella curva dell’indice. Porta la stecca avanti e indietro un paio di volte per aggiustare la mira, poi esita un istante e sferra un colpo alla palla bianca, che va a sparpagliare le altre. “Bel colpo, piccolo” penso tra me e me. Ne vanno in buca due: una a strisce e l’altra a tinta unita. «Quali vuoi?» mi chiede. «Quali voglio in che senso?» ribatto continuando a fare la gnorri. 591/915 «Rigate o piene? Scegli pure quelle che preferisci.» «Oh» rispondo io come se ci stessi arrivando pian piano. «Per me è uguale… scelgo le rigate, allora.» Non stiamo giocando proprio a un Palla 8 da manuale, ma immagino che lo stia facendo per me. Arriva il mio turno e giro intorno al tavolo alla ricerca del colpo perfetto. «Le chiamiamo o no?» Andrew mi guarda incuriosito. Forse avrei dovuto dire qualcosa del tipo: «Posso colpire una qualsiasi delle mie palle?». Ma credo che non sospetti ancora niente. «Scegli una palla che credi di poter mandare in buca e colpiscila.» 592/915 Okay, ora sono certa che non ha mangiato la foglia. «Un momento. Non scommettiamo niente?» gli chiedo. Andrew sembra sorpreso, ma poi la sua espressione prende una piega diabolica. «Ma certo. Cosa vuoi scommettere?» «Rivoglio la mia libertà.» Andrew sulle prime solleva un sopracciglio, ma poi le sue labbra deliziose si piegano di nuovo verso l’alto quando ricorda che a quanto pare non ho idea di come si giochi a biliardo. «Be’, mi dispiace un po’ che tu la rivoglia» risponde, facendo scorrere tra le dita la stecca appoggiata al pavimento. «Ma va bene, accetto la sfida.» Quando ormai sono sicura che il patto sia concluso, lui alza un dito e 593/915 aggiunge: «Però, se vinco io, inasprirò la legge del “fai tutto quello che voglio”». Adesso sono io ad alzare un sopracciglio. «La inasprirai?» gli chiedo scoccandogli un’occhiata sospettosa. Andrew appoggia la stecca sul tavolo e le mani sul bordo, mettendosi proprio sotto la luce. Il suo sorriso diabolico mi fa correre un brivido lungo la schiena. «È una scommessa o no?» mi chiede. Sono piuttosto sicura di essere in grado di batterlo, ma adesso mi ha spaventata a morte. Che succede se è più bravo di me, se perdo la scommessa e mi costringe a mangiare scarafaggi o a mostrare il sedere dalla macchina in corsa? Sono proprio queste le cose che vorrei evitare: ricordo benissimo quando ha detto «arriveremo anche a questo». Certo, potrei sempre rifiutarmi 594/915 (me l’ha assicurato prima di partire dal Wyoming), ma preferirei di gran lunga non dover nemmeno affrontare il problema. Oppure… un momento. E se si riferisce a qualcosa che ha a che vedere col sesso? Oh, be’, in questo caso… Quasi quasi spero che vinca lui. «Affare fatto.» Andrew mi lancia un sorrisetto malizioso e si allontana dal tavolo portando con sé la sua stecca. Di fianco a noi ha appena finito di giocare un gruppetto di persone, tra cui due ragazze; alcuni cominciano a guardarci. Mi piego sul tavolo, posiziono la stecca come ha fatto Andrew. La faccio scorrere avanti e indietro tra le dita un paio di volte e colpisco la palla bianca perfettamente al centro. La palla 11 595/915 colpisce la 15 e la 15 colpisce la 10, ed entrambe finiscono nella buca d’angolo. Andrew mi fissa sbalordito. Solleva un sopracciglio. «È la fortuna del principiante o hai cercato di fregarmi?» Io sorrido e mi sposto dall’altra parte del tavolo per preparare il prossimo colpo. Non rispondo. Accenno un sorriso e tengo gli occhi fissi sul gioco. Scegliendo di proposito la palla più vicina a quelle di Andrew mi sporgo sul tavolo di fronte a lui (sbirciando verso il basso per controllare di non avere le tette in vista, dato che i ragazzi davanti a me mi stanno fissando) e calibro le forze prima di mandare in buca la 9 con un colpo secco. «Mi hai fregato» dichiara Andrew dietro di me. «E mi hai preso in giro.» Mi alzo e poso i miei occhi sorridenti sui suoi mentre mi dirigo verso 596/915 l’estremità del tavolo. Questa volta sbaglio il colpo di proposito. Le palle sono disposte alla grande e potrei vincere subito senza problemi, ma non voglio una vittoria facile. «Eh no, piccola, non voglio vedere tiri come questi. Cos’è, hai pietà di me?» sbotta mentre si avvicina. «Avresti potuto mandare in buca la 13 senza neanche guardare.» Gli lancio un finto sguardo avvilito. «Mi è scivolato il dito.» Andrew scuote la sua bellissima testa e socchiude gli occhi. Sa benissimo che sto mentendo. Alla fine giochiamo e basta: lui manda in buca tre palle senza sforzo, un turno dopo l’altro; dopodiché sbaglia con la 7. Io ne mando in buca un’altra. Poi tocca a lui. E andiamo avanti così, prendendoci del tempo prima 597/915 di ogni colpo, ma entrambi sbagliamo apposta di tanto in tanto per far continuare il gioco. Adesso arriva il bello. È il mio turno e le uniche palle rimaste sul tavolo sono la sua 4, la palla bianca e la numero 8. La 8 è un po’ troppo lontana per consentirmi di sferrare un colpo d’angolo perfetto in entrambe le direzioni, ma so che posso spedirla contro il bordo del tavolo in modo che torni indietro e finisca in buca a sinistra. Altri due ragazzi hanno cominciato a guardare, senza dubbio attratti da come sono vestita (ho sentito i loro commenti a mezza voce sulle mie tette e il mio culo, soprattutto quando mi piegavo per colpire le palle), ma non mi lascio distrarre. Però ho notato che Andrew li guardava spesso e mi eccita l’idea che 598/915 sia geloso. Punto la stecca sul tavolo e chiamo: «Buca sinistra». Mi sposto di lato e mi accovaccio al livello del tavolo per controllare che l’allineamento sia giusto. Mi rialzo e verifico la posizione della bianca e della 8 da un’altra prospettiva; dopodiché mi allungo sul tavolo. Uno. Due. Tre. Al quattro colpisco delicatamente la bianca, che a sua volta colpisce la 8 proprio all’angolo giusto e la manda verso la parte destra del tavolo, dove rimbalza di qualche centimetro e si infila senza problemi nella buca sinistra. I ragazzi che ci guardano emettono alcuni versi sommessi ed eccitati, come se non li sentissi. Andrew è dall’altra parte del tavolo e mi rivolge un sorriso smagliante. «Niente male, piccola» esclama 599/915 raccogliendo le palle. «Adesso sei libera, no?» Non posso fare a meno di notare che sembra un po’ triste. Il suo viso sorride, ma i suoi occhi non possono nascondere la delusione. «Naa» dico io. «Volevo solo evitare di essere costretta a mangiare insetti o a mostrare il culo dal finestrino. Per tutto il resto, lascio a te il controllo.» Adesso sì che Andrew sorride davvero. 28 Giochiamo un’altra partita, più rilassata stavolta, e vince lui perché se lo merita. Dopodiché decidiamo di tornare a sederci al nostro tavolo prima che le scarpe nuove mi facciano venire le vesciche ai piedi. Sono alla seconda Heineken e per ora la sento solo un po’ nelle dita intorpidite e in fondo allo stomaco. Ne prenderò un’altra per andare un po’ su di giri. «Vuoi fare una partita, amico?» chiede un tizio avvicinandosi a Andrew proprio mentre stiamo andando a sederci. 601/915 Andrew mi guarda e io gli faccio cenno di andare. «Fa’, pure, non è un problema. Controllo i messaggi e mi riposo i piedi per un po’.» «D’accordo, piccola» risponde lui. «Ma se vuoi andartene prima che abbia finito me lo dici e smetto subito.» «Sta’ tranquillo» ribatto, invitandolo ad andare. «Va’ pure a fare una partita.» Andrew mi sorride e torna al tavolo da gioco a pochi metri da me. Io prendo la borsa da sotto il tavolino e frugo dentro alla ricerca del mio telefono. Proprio come sospettavo: Natalie mi ha intasato il telefono di messaggi (sedici in tutto) ma almeno non ha provato a chiamare, e nemmeno mia madre, forse perché questo fine settimana è partita per la crociera con il suo 602/915 nuovo fidanzato. Spero che si stia divertendo il più possibile, almeno quanto me. Le casse sul soffitto diffondono un’altra canzone e noto che la gente nel locale è triplicata da quando siamo arrivati. Anche se Andrew non è molto lontano, non sento cosa dice al tizio con cui sta giocando. Ordino un’altra birra e rimango sola con la regina degli sms. Io e Natalie ci scriviamo un po’ di botta e risposta riguardo quello che ha fatto oggi e dove andrà stasera, ma so che è solo un riempitivo per arrivare a quello che muore dalla voglia di sapere: che ci faccio a New Orleans con il “ragazzo misterioso”, a chi somiglia (perché lei paragona sempre i ragazzi ai personaggi famosi) e se “ci sono andata a letto”. Io resto sul vago per torturarla un po’. Se lo merita, dopotutto. E comunque, non sono ancora pronta a 603/915 parlarle di Andrew. Non sono pronta a parlarne con nessuno, in realtà. Dentro di me temo che se parlassi di lui a qualcuno, anche solo per confermare che esiste e che sono qui insieme a lui, tutta questa storia sparirebbe in una nuvola di fumo. È una questione di scaramanzia. Oppure potrei svegliarmi e rendermi conto che Blake ha infilato qualcosa in uno dei drink che mi ha servito prima di salire sul tetto con lui e che l’intero viaggio con Andrew è solo un’allucinazione. «Sono Mitchell» dice una voce sopra di me, accompagnata da una forte zaffata di whisky e dopobarba scadente. Il ragazzo ha i capelli scuri e una corporatura media, il classico tipo “muscoloso ma non troppo”. Ha gli occhi iniettati di sangue, come il ragazzo biondo accanto a lui. 604/915 Io faccio un sorrisetto schizzinoso e guardo Andrew, che sta già venendo verso di me. «Sono con una persona» rispondo dolcemente. Il tizio muscoloso guarda l’altra sedia e poi di nuovo me, come per farmi notare che è vuota. «Camryn?» Andrew è dietro di loro. «Va tutto bene?» «Sì, tutto a posto» rispondo. Il tizio si volta per guardare Andrew. «Ha detto che è tutto a posto» abbaia con tono di sfida. Non intendevo dire “è tutto a posto, va’ pure Andrew”, e Andrew lo sa benissimo. Ma quel tizio no, a quanto pare. «Lei è con me» tuona Andrew. Cerca di mantenere la calma, anche se probabilmente lo fa solo per me, ma ha un 605/915 sguardo terribilmente aggressivo negli occhi. Il tizio biondo scoppia a ridere. Il moro mi guarda ancora con una bottiglia di Budweiser in mano. «È il tuo ragazzo o roba del genere?» «No, ma noi siamo…» Il tizio fa un ghigno sarcastico e guarda Andrew, ignorandomi per il momento. «Non sei il suo ragazzo, quindi fuori dalle palle, amico.» L’aggressività sta per trasformarsi in furia omicida. Andrew non riuscirà a resistere ancora a lungo. Mi alzo in piedi. «Forse lei vuole parlare con noi» continua il tizio muscoloso, e prende un altro sorso di birra. Non sembra ubriaco, solo un po’ su di giri. 606/915 Andrew si avvicina e piega la testa di lato, squadrandolo da capo a piedi. Poi guarda me. «Camryn, vuoi parlare con loro?» Sa benissimo che non voglio, ma questo suo modo cortese di proteggermi sta facendo saltare i nervi al tizio. «No, a dire il vero no.» Andrew gira la testa e posso vedere le sue narici dilatarsi mentre si avvicina alla faccia del ragazzo e ringhia: «Leva il tuo culo di qui o ti faccio ingoiare i denti». I ragazzi che stavano giocando a biliardo arretrano di qualche passo. Il tizio biondo, il più sveglio dei due, mette una mano sulla spalla dell’altro. «Dài, amico, andiamocene.» Fa un cenno verso il tavolo a cui erano seduti prima. Il moro si scrolla di dosso la mano 607/915 dell’amico e si avvicina ancor di più a Andrew. E tanto basta. Andrew alza la stecca da biliardo e la sbatte sul petto del tizio, sollevandolo da terra e mozzandogli il fiato. Il tizio cade all’indietro mancando di poco il mio tavolo, ma riesce ad aggrapparsi al bordo per restare in piedi. Io strillo e afferro la mia borsa prima che cada a terra con lui. La mia birra va in frantumi sul pavimento. Ancor prima che il ragazzo riesca a rimettersi in piedi Andrew è sopra di lui e gli sferra una serie di pugni in faccia. Cerco di allontanarmi il più possibile e corro verso la scala, ma i curiosi che accorrono per vedere che succede creano una barriera alle mie spalle. Il tizio biondo salta addosso a Andrew da dietro e lo afferra per il 608/915 collo tentando di staccarlo dal suo amico. Allora io gli salto addosso e comincio a sferzarlo in viso con il mio piccolo pugno debole. La borsa che ho a tracolla mi ostacola i movimenti. Andrew per fortuna si libera senza problemi dalla presa del biondo, si volta e gli dà un calcio nella schiena che lo spedisce direttamente faccia a terra. Mi prende il polso. «Levati dai piedi, piccola.» Mi rispedisce tra la folla alle mie spalle e torna subito a voltarsi verso i due tizi. Il tipo muscoloso è riuscito a rimettersi in piedi, ma non per molto, perché Andrew lo raggiunge e lo colpisce con un gancio sotto il mento che gli fa sputare sangue. Vedo un dente insanguinato atterrare sul pavimento. Rabbrividisco. Il tizio cade all’indietro su 609/915 un altro tavolino e stacca anche quello dalla sua base di metallo. E appena il biondo torna alla carica, il ragazzo con cui Andrew aveva giocato a biliardo scatta in piedi e lo placca, lasciando Andrew a occuparsi del più grosso. Quando i buttafuori si fanno strada tra la folla per sedare la rissa, Andrew ha già fatto neri entrambi gli occhi del tizio moro, a cui sanguina copiosamente il naso. Il ragazzo si rialza premendosi le mani in faccia mentre il buttafuori lo prende per le spalle per poi farlo passare tra la folla. Andrew spinge via la mano dell’altro buttafuori che cerca di afferrarlo. «Faccio da solo» tuona, alzando una mano per dirgli di non toccarlo. Con l’altra mano si asciuga un rivolo di sangue che gli scende dal naso. «Me ne vado, non serve che mi mostri dov’è la porta.» 610/915 Corro verso di lui e mi prende la mano. «Camryn, va tutto bene? Ti sei fatta male?» Mi squadra dalla testa ai piedi con occhi spiritati. «No, sto bene. Andiamocene, forza.» Mi prende per mano e mi tira accanto a sé facendosi strada tra la folla che si apre per lasciarci passare. Usciamo nel fresco della sera e la musica che proviene dal locale si interrompe all’improvviso quando le porte si chiudono alle nostre spalle. I due idioti della rissa sono già fuori e camminano per la strada, il moro ancora con le mani premute sul viso insanguinato. Sono certa che Andrew gli abbia rotto il naso. Andrew mi blocca e mi afferra per le spalle. «Non mentirmi, piccola. Ti sei fatta male da qualche parte? Giuro su 611/915 Dio che se ti hanno fatto qualcosa vado a rincorrerli.» Mi si scioglie il cuore quando mi chiama “piccola”. E quello sguardo preoccupato e fiero nei suoi occhi… Vorrei solo baciarlo. «Dico sul serio» rispondo. «Sto bene. In realtà ho persino colpito il biondo un paio di volte quando ti ha afferrato da dietro.» Mi prende il viso tra le mani e mi guarda intensamente, come se non mi credesse. «Non mi sono fatta niente» ripeto per l’ultima volta. Appoggia le labbra sulla mia fronte. Poi mi afferra la mano. «Torniamo in hotel.» 612/915 «No» protesto io. «Dovevamo divertirci e io non sono nemmeno brilla per colpa loro, accidenti!» Andrew piega la testa di lato e il suo sguardo si addolcisce. «Dove vuoi andare, allora?» «Andiamo in un altro locale» suggerisco. «Non so, forse in un posto più tranquillo?» Sospira e mi stringe forte la mano. Poi mi guarda di nuovo con attenzione: prima i piedi, dove le unghie dipinte fanno capolino dalla punta delle scarpe, e poi su, lungo tutto il corpo, fermandosi sul mio top senza spalline che avrebbe bisogno di una sistemata. Sfilo una mano dalla sua, liscio il tessuto sopra il seno e tiro un po’ l’orlo in modo che aderisca meglio. 613/915 «Sei fantastica vestita così» esclama Andrew. «Ma devi ammettere che è una tentazione per certi idioti.» «Be’, ora non mi va di tornare in hotel solo per cambiarmi.» «E infatti non c’è bisogno che tu lo faccia» risponde riprendendo la mia mano nella sua. «Ma se vuoi andare in un altro locale devi farmi un favore, d’accordo?» «Quale?» «Fingi di essere la mia ragazza» risponde, e un lieve sorriso mi distende le labbra. «Almeno per evitare che qualcuno ti porti a letto, o quantomeno per fargli passare la voglia di provarci.» Fa una pausa e mi fissa. «O forse vuoi che i ragazzi ci provino con te?» Scuoto la testa all’istante. «No, non voglio che nessuno ci provi con me. 614/915 Qualche apprezzamento innocente va bene, e in effetti mi fa sentire più sicura. Ma basta idioti che mi ronzano attorno.» «Bene, allora siamo d’accordo. Sei la mia ragazza questa sera, il che significa che dopo ti porterò in camera e ti farò godere un po’.» E mi lancia di nuovo quel sorrisetto da ragazzo cattivo che adoro. Sento subito un fremito tra le gambe. Deglutisco a fatica e cerco di non pensarci guardandolo dritto negli occhi. Sono felice di vedere di nuovo le sue fossette e non quell’espressione furiosa, anche se incredibilmente eccitante, che gli ha stravolto il viso pochi minuti fa. «Per quanto mi piaccia, anche se il verbo “piacere” è piuttosto riduttivo, non ti permetterò mai più di farlo.» 615/915 «E perché no?» Sembra ferito e anche un po’ sorpreso. «Perché, Andrew, io… be’, non te lo lascerò fare e basta. Adesso vieni qui.» Gli stringo il collo tra le mani e lo tiro verso di me. Poi lo bacio piano e gli sfioro le labbra a lungo. «Cosa stai facendo?» mi chiede, guardandomi negli occhi. Gli sorrido dolcemente. «Sto entrando nel personaggio.» Gli angoli delle sue labbra si alzano in un sorriso. Mi fa voltare e mi cinge la vita con un braccio mentre percorriamo Bourbon Street. 29 Andrew Forse posso davvero restare con Camryn. Perché devo torturarmi, negarmi ciò che desidero di più, quando ormai dovrei essermi guadagnato il diritto ad avere tutto quello che voglio? Forse si risolverà ogni cosa e lei non soffrirà. Potrei tornare da Marsters. E se la lascio andare e non la rivedo più, e poi si scopre che Marsters si era sbagliato? Tutte scuse, porca puttana. Siamo stati in altri due bar nel quartiere francese e Camryn è riuscita a farsi 617/915 passare per ventunenne in entrambi. Solo una volta le hanno chiesto un documento; e dato che compie gli anni a dicembre, immagino che la cameriera abbia deciso di chiudere un occhio. Ma adesso è ubriaca, e non so se riuscirà a tornare a piedi in albergo. «Chiamo un taxi» le dico, reggendola per un braccio sul marciapiede. Coppie e comitive vanno e vengono dal locale dietro di noi; alcuni escono in strada barcollando. La stringo e lei mi posa una mano sulla spalla. Non riesce quasi a tener dritta la testa. «Il taxi mi sembra una buona idea» biascica. Le si chiudono gli occhi. Sta per addormentarsi, o forse per vomitare. Spero che resista fino all’albergo. 618/915 Il taxi ci lascia davanti all’hotel e la aiuto a scendere, ma poi la prendo in braccio perché non si regge più in piedi. La porto all’ascensore, tenendola con un braccio sotto le ginocchia piegate e la testa poggiata sul mio petto. La gente ci fissa. «Seratona, eh?» chiede un uomo in ascensore. «Già» annuisco. «Non tutti reggiamo bene l’alcol.» Con un trillo l’ascensore si ferma al piano e le porte si aprono. L’uomo esce. Altri due piani e mi dirigo verso le nostre stanze. «Dove hai la chiave, piccola?» «In borsa» mormora lei. È lucida. È già qualcosa. Continuando a tenerla in braccio, tiro la borsa verso di me e apro la cerniera lampo. In altre 619/915 circostanze farei una battuta sulla pesantezza della borsa, le chiederei se dentro c’è qualcosa che morde, ma capisco che non è il momento: sta malissimo. Sarà una nottata lunga. Lascio richiudere la porta dietro di noi e faccio sdraiare Camryn sul letto. «Mi sento di merda» bisbiglia. «Lo so, piccola. Una bella dormita e passa tutto.» Le sfilo le scarpe e le appoggio a terra. «Sto per…» Si sporge dal bordo del letto e vomita. Raccolgo quasi tutto nel cestino della carta, ma l’indomani la cameriera non sarà contenta. Camryn butta fuori tutto quello che ha nello stomaco; sono un po’ sorpreso, dato che non ha mangiato granché da quella mattina. Alla fine 620/915 ricade all’indietro sui cuscini, con le lacrime agli occhi. Prova a guardarmi, ma so che le gira troppo la testa per mettere a fuoco. «Fa caldissimo, qui» dice. «Va bene» replico, e vado ad alzare al massimo l’aria condizionata. Poi entro in bagno, metto un asciugamano sotto l’acqua fredda e lo strizzo. Torno nella stanza, mi siedo sul letto accanto a lei e le asciugo il viso. «Mi dispiace tanto» borbotta. «Avrei dovuto smettere dopo la vodka. Ora devi pulire il mio vomito.» Le tampono le guance e la fronte, scostando le ciocche di capelli che le ricadono sul viso, e poi le passo il panno freddo sulle labbra. «Non devi scusarti. Ti sei divertita, e questo è l’importante» la rassicuro con un sorriso. «E poi, così, ora posso approfittarmi di te.» 621/915 Cerca di sorridere e di schiaffeggiarmi un braccio, ma è troppo debole anche per quello. Il suo accenno di sorriso si trasforma in una smorfia di dolore e la fronte si imperla subito di sudore. «Oh, no…» Si tira su dal letto. «Devo andare in bagno» dice, aggrappandosi a me perché la aiuti a tirarsi in piedi. La porto in bagno e lei si getta sulla tazza, afferrandola con entrambe le mani. La schiena si inarca e si flette, scossa dai conati. «Avresti dovuto mangiare quella bistecca con me, piccola.» Resto in piedi alle sue spalle tenendole indietro i capelli e continuando a premerle il panno freddo sulla nuca. Mi dispiace vederla sforzarsi in quel modo, e inutilmente, perché non esce più nulla. So 622/915 che poi le faranno male la gola, il petto e lo stomaco. Quando ha finito si sdraia sulle mattonelle fredde. Cerco di tirarla su, ma lei protesta a mezza voce: «No, per favore… voglio stare qui, il pavimento è fresco». Ha il fiato corto e, sotto la leggera abbronzatura, è pallida come se avesse la polmonite. Prendo un panno pulito, lo bagno e continuo a strofinarglielo sul viso, il collo e le spalle. Poi le sbottono i pantaloni e li tiro giù con delicatezza, liberando lo stomaco e le gambe dalla pressione del tessuto aderente. «Non preoccuparti, non ti molesterò» scherzo, ma stavolta non mi risponde. Dorme, riversa su un fianco con il viso sul pavimento. So che se la muovo probabilmente si sveglierà e le verranno altri conati, ma non voglio lasciarla 623/915 in quella posizione, sdraiata accanto alla tazza. Quindi mi stendo vicino a lei e per ore continuo a passarle il panno umido sulla fronte, le braccia e le spalle, finché non mi addormento anch’io. Non avrei mai immaginato di passare la notte sul pavimento del bagno, da sobrio; ma quando le ho detto che con lei avrei dormito ovunque, lo pensavo davvero. 30 Camryn La porta della mia stanza si apre. Il sole già alto fa capolino da una fessura tra le tende sulla parete opposta. Mi ritraggo come un vampiro, e apro gli occhi giusto il minimo indispensabile. Ci metto un istante a rendermi conto che sono sdraiata sul letto e indosso il top senza bretelline che avevo ieri sera e il pezzo di sotto del bikini viola. Sul letto c’è solo il lenzuolo su cui sono sdraiata e un altro lenzuolo che ha l’odore e la consistenza del cotone fresco di bucato. 625/915 Temo di aver vomitato sull’altro; Andrew dev’essersi fatto dare un cambio dalle cameriere. «Ti senti meglio?» mi chiede, entrando nella stanza con un secchiello del ghiaccio in una mano e nell’altra una pila di bicchieri di plastica e una bottiglia di Sprite. Si siede accanto a me, posa la roba sul comodino e apre la bottiglia. Mi fa malissimo la testa e sento che potrei vomitare da un momento all’altro. Odio i doposbronza. Preferirei cadere e rompermi il naso mentre sono ubriaca, piuttosto che risvegliarmi in quel modo. Mi era già capitato una volta: è una sensazione orribile, non molto diversa dall’intossicazione. Almeno secondo Natalie, che una volta è rimasta intossicata e ha descritto lo 626/915 stato psicofisico dell’indomani come “Satana che ti caga addosso”. «Per niente» rispondo, e dopo quelle due parole mi fa già male la testa, la nuca e tutt’intorno alle orecchie. Chiudo gli occhi perché ci vedo doppio. «Sei messa male, piccola» commenta Andrew, e subito sento un panno fresco sul lato del collo. «Puoi chiudere le tende, per favore?» gli chiedo. Si alza immediatamente. Sento il rumore dei suoi passi e poi il fruscio della stoffa. Mi tiro al petto le gambe nude, mi copro con il lenzuolo e mi accoccolo in posizione fetale posando la testa sul morbido cuscino. Andrew scarta un bicchiere di plastica e sento che ci mette dentro il ghiaccio. Versa la Sprite e poi sento tintinnare una boccetta di pillole. 627/915 «Prendi queste» mi dice, si siede sul letto e mi posa un braccio sulla gamba. Apro lentamente gli occhi. Nel bicchiere c’è già una cannuccia, quindi non dovrò sollevarmi più di tanto per bere. Mi sporgo, prendo le tre aspirine dal palmo della sua mano e me li infilo in bocca, mandandoli giù con un sorso di Sprite. «Ti prego, dimmi che ieri sera non ho detto o fatto niente di umiliante in tutti quei bar.» Riesco a guardarlo solo con gli occhi socchiusi. Mi accorgo che sorride. «Sì, in effetti sì» risponde, e mi viene un nodo in gola. «Hai detto a un tizio che eri felicemente sposata con me e che avremmo avuto quattro figli… o forse cinque, non ricordo bene… e poi una ragazza ci ha provato con me e tu sei scattata in piedi e gliene hai dette quattro, sei 628/915 stata molto scurrile… è stato buffissimo.» Ora sì che mi viene da vomitare. «Andrew, spero che tu stia scherzando… è imbarazzante!» La testa mi fa più male di prima. Non pensavo che fosse possibile. Lo sento ridacchiare e sollevo un po’ di più le palpebre per vederlo meglio. «Sì, piccola, ti prendo in giro.» Mi passa il panno umido sulla fronte. «In realtà ti sei comportata benissimo, anche mentre tornavamo qui.» Vedo che mi squadra da capo a piedi. «Scusa, ho dovuto spogliarti… Be’, personalmente l’ho trovato piacevole, ma era mio dovere. Andava fatto, capisci.» Ostenta serietà, e a me viene da sorridere. Chiudo gli occhi e dormo un altro paio d’ore, finché la cameriera non bussa alla porta. Mi chiedo se Andrew 629/915 si sia mai allontanato da me, in tutto quel tempo. «Sì, entri pure, la porto nell’altra stanza così lei può pulire.» Entra una signora di mezz’età con i capelli tinti di un rosso vistoso e con indosso l’uniforme da cameriera. Andrew mi raggiunge sul letto. «Vieni, piccola, lasciamo pulire la signora» dice, prendendomi in braccio ancora avvolta nel lenzuolo. Probabilmente sarei in grado di camminare, ma non ho intenzione di protestare. Mi piace essere presa in braccio. Quando passiamo davanti alla mia borsa, posata sul mobile tv, faccio per prenderla e Andrew si ferma, la raccoglie e la porta fuori con me. Gli appoggio la testa sul petto e gli stringo le braccia al collo. 630/915 Si ferma sulla soglia e si volta verso la donna delle pulizie. «Scusi per il disordine vicino al letto.» Accenna col capo in quella direzione e fa una smorfia. «Le lasceremo una bella mancia.» Se ne va e mi porta in braccio nella sua stanza. La prima cosa che fa, dopo avermi fatta sdraiare sul letto, è chiudere le tende. «Spero che tu ti senta meglio entro stasera» dice, aggirandosi nella stanza come se cercasse qualcosa. «Che succede stasera?» «Un altro bar.» Trova il lettore mp3 sulla poltrona sotto la finestra e lo posa sul mobile tv vicino alla sua borsa. Protesto con un mugolio. «Oh no, Andrew. Mi rifiuto di andare per locali 631/915 anche stasera. Non toccherò più un goccio d’alcol per il resto della vita.» Mi sorride. «Dicono tutti così. E non ti lascerei bere neppure se me lo chiedessi tu. Tra una sbronza e l’altra deve passare almeno un giorno e una notte, altrimenti ti faranno la tessera degli Alcolisti Anonimi.» «Be’, spero di sentirmi abbastanza bene per non starmene a letto tutto il giorno… ma al momento le prospettive non mi sembrano incoraggianti.» «Tanto per cominciare, devi mangiare un boccone. Anche se al momento il pensiero del cibo ti dà la nausea, se non mangi è sicuro che starai male anche stasera.» «Hai ragione» dico, avvertendo già il voltastomaco: «Mi viene da vomitare solo a pensarci». 632/915 «Pane tostato e uova» sentenzia lui venendo verso di me, «qualcosa di leggero: sai come funziona.» «Sì, lo so come funziona» dico, abbattuta. Vorrei schioccare le dita e sentirmi già meglio. 31 A metà pomeriggio mi sento effettivamente meglio; non proprio in formissima, ma abbastanza per fare un giro in tram con Andrew, visitando alcune zone di New Orleans in cui non eravamo stati il giorno prima. Sono riuscita a mangiare un po’ di uova e pane tostato, e poi abbiamo preso il tram che costeggia il fiume fino all’Audubon Aquarium of the Americas, dove abbiamo camminato in una galleria lunga dieci metri, circondati da acqua e pesci. Abbiamo dato da mangiare ai pappagallini e alle razze e abbiamo ammirato le 634/915 mostre sulla foresta pluviale. Ci siamo fotografati con i cellulari, quegli stupidi autoscatti con il braccio teso. Più tardi ho riguardato le foto: siamo guancia a guancia e sorridiamo come una coppietta di turisti qualsiasi. Una coppia qualsiasi… Non siamo una coppia. Ma devo sforzarmi continuamente per ricordarmelo. La verità fa male. Ma d’altronde fa male anche non sapere cosa vuoi. No, io so bene cosa voglio. Non posso più fingere, ma mi fa ancora paura. Ho paura di Andrew e del dolore che potrebbe causarmi se mai decidesse di farmi soffrire: ho l’impressione che non lo sopporterei. È intollerabile solo il pensiero. Credo proprio di essermi cacciata in un bel casino. 635/915 Quando scende la sera su New Orleans e i nottambuli escono dalle loro tane, Andrew mi fa attraversare il Mississippi in traghetto e mi porta in un locale di nome Old Point. Sono contenta di aver messo le infradito nere invece delle scarpe nuove con i tacchi alti. Andrew ha insistito, perché sapeva che avremmo dovuto camminare. «Non me ne vado mai da New Orleans senza passare da qui» dice mentre passeggiamo mano nella mano. «Davvero? Perciò sei un cliente fisso?» «Sì, potremmo dire così: ci passo un paio di volte l’anno. Ci ho suonato anche, una volta o due.» «La chitarra?» tiro a indovinare. Quattro persone ci vengono incontro dalla direzione opposta e io mi avvicino a lui per lasciar spazio sul marciapiede. 636/915 Lui mi lascia la mano e mi cinge la vita da dietro. «Suono la chitarra da quando avevo sei anni.» Mi sorride. «Non ero molto bravo, a sei anni, ma da qualche parte bisogna pur iniziare… Fino ai dieci anni non ho suonato niente che valesse la pena ascoltare.» «Direi che è un’età abbastanza precoce per dar prova di talento musicale» commento, impressionata. «Forse sì: quand’eravamo ragazzi, io ero “il musicista” e Aidan era “l’architetto”, perché gli piaceva costruire cose: una volta costruì un’enorme casa sull’albero. Asher invece era “il campione di hockey”. Mio padre adorava l’hockey, quasi più della boxe… ma solo quasi. Asher ha smesso di giocare dopo il primo anno, ne aveva solo tredici. Era papà a insistere, lui voleva 637/915 solo divertirsi con l’elettronica: dopo aver visto il film Contact si era messo in testa di comunicare con gli alieni, su un apparecchio costruito con pezzi di ferro trovati in giro per casa.» Ridiamo insieme sottovoce. «E tuo fratello?» mi chiede. «So che è in prigione, me l’hai detto, ma com’erano i rapporti tra voi, prima?» Il mio sorriso vacilla un po’. «Cole era un fantastico fratello maggiore, finché in prima superiore ha cominciato a frequentare la feccia del quartiere: Braxton Hixley, l’ho sempre odiato quello lì. Insomma, Cole e Braxton hanno preso a drogarsi e a fare bravate assurde. Mio padre ha provato a mandarlo in una specie di istituto per ragazzi difficili, ma Cole è scappato e si è cacciato ancor più nei guai. Da lì in poi la situazione è precipitata.» Torno a 638/915 guardare davanti a me, altre persone ci vengono incontro sul marciapiede. «E ora si trova dov’è giusto che stia.» «Forse quando uscirà sarà cambiato.» «Forse» dico, stringendomi nelle spalle: ne dubito. In fondo alla strada, all’angolo tra la Patterson e la Olivier, c’è l’Old Point. Da fuori somiglia più a una casa d’epoca, a due piani, con di lato un appartamento annesso in un secondo momento. Passiamo sotto la lunga e vecchia insegna; fuori c’è qualche tavolino di plastica con gente che fuma e schiamazza. Da dentro il locale arriva della musica, c’è una band che suona dal vivo. Andrew lascia uscire una coppia, tiene la porta aperta e mi prende per mano. Il locale non è molto grande, ma ha un’aria accogliente. Soffitti alti, 639/915 tante fotografie, targhe di automobili, vecchie insegne, pubblicità della birra e striscioni colorati che tappezzano tutte le pareti. Dal soffitto penzolano bassi alcuni ventilatori. E alla mia destra c’è il bar, che come tanti altri ha un televisore appeso sulla parete di fondo. Una donna dietro il bancone vede Andrew e lo saluta con la mano. Lui le sorride e risponde al saluto con due dita, come a dire: “Ti raggiungo tra poco”. Tutti i tavoli sono occupati e c’è gente che balla in pista. La band è davvero brava: suona una specie di blues rock, o qualcosa del genere. Mi piace. Un uomo nero seduto su uno sgabello pizzica una chitarra argentata, e un bianco canta e suona un’acustica che porta a tracolla. Alla batteria c’è un tizio un po’ in carne. 640/915 Abbasso gli occhi e vedo un cane nero dal pelo arruffato che mi fissa scodinzolando. Lo accarezzo dietro le orecchie; quand’è soddisfatto, se ne torna trotterellando dal proprietario seduto accanto a me e si sdraia ai suoi piedi. Dopo qualche minuto Andrew nota che tre persone si stanno alzando da un tavolo non lontano dal palco: mi prende per mano e mi tira in quella direzione. Sono ancora provata dalla sbronza della sera prima. Il mal di testa non è passato del tutto, ma stranamente non peggiora con i rumori del locale. «Lei non beve» dice Andrew indicandomi alla donna che prima era dietro il bancone, e che intanto ci ha raggiunti. Porta i capelli castani dietro le orecchie, dimostra poco più di quarant’anni e 641/915 abbraccia Andrew con un sorriso così largo che mi chiedo se non sia una cugina o una zia. «Sono passati dieci mesi, Parrish» gli dice, dandogli pacche sulla schiena con entrambe le mani. «Dove diavolo sei stato?» Poi mi sorride. «E questa chi è?» chiede guardando Andrew con aria divertita, ma nel suo sorriso leggo qualcos’altro: forse dà per scontato che… Andrew mi prende per mano e io mi alzo per farmi presentare come si deve. «Questa è Camryn. Camryn, lei è Carla: lavora qui da almeno sei dei miei atroci concerti.» Carla gli assesta uno spintone sul petto, ride e poi torna a guardare me. «Non farti fregare» dice indicandolo e inarcando le sopracciglia: «Questo ragazzo canta molto bene». Mi fa 642/915 l’occhiolino e mi stringe la mano. «Piacere di conoscerti.» Le sorrido. Cantare? Sapevo che suonasse la chitarra, non che cantasse. Ma di che mi stupisco? Ha già dimostrato di saper cantare quando ha azzeccato quella nota alta sulla parola alibis in Hotel California. E ogni tanto, quand’eravamo in macchina, si dimenticava che io fossi lì con lui – oppure non gli importava – e cantava il suo rock classico in coro con l’autoradio. Ma non pensavo certo che si fosse esibito in pubblico. Peccato che stasera non abbia portato la chitarra: mi sarebbe piaciuto vederlo suonare. «Be’, è bello rivederti» dice Carla, e poi indica l’uomo nero sul palco. «Eddie sarà felice.» 643/915 Andrew annuisce e sorride mentre la donna si fa strada tra la folla per tornare al bar. «Vuoi una bibita?» mi chiede. «No, sono a posto.» Rimane in piedi, e quando la band smette di suonare capisco perché. L’uomo nero con la chitarra argentata lo vede e gli sorride, posa la chitarra sulla sedia e viene da noi. Andrew lo abbraccia come aveva fatto con Carla, e io mi alzo di nuovo per stringere la mano al nuovo arrivato. «Parrish! Non ti si vedeva da un pezzo» esclama Eddie in un marcato accento di New Orleans. «Cos’è, un anno?» Anche Carla parla con la stessa inflessione, ma più leggera. «Quasi» risponde Andrew, raggiante. 644/915 Sembra molto felice di essere lì, come se quelle persone fossero parenti che non vede da tempo, ma con cui è sempre rimasto in buoni rapporti. Anche la sua espressione è diversa, più cordiale. Anzi, quando mi ha presentato Carla e Eddie ha sfoderato un sorriso che ha illuminato tutta la stanza. Mi è sembrato di essere la prima ragazza che Andrew avesse finalmente deciso di portare a casa a conoscere i genitori, e a giudicare dai loro sguardi la pensavano così anche loro. «Suoni stasera?» chiede Eddie. Mi siedo e alzo gli occhi su Andrew, curiosa quanto Eddie di sentire la risposta. Eddie ha lo sguardo di chi non ha intenzione di accettare un rifiuto: gli si è formato un reticolo di rughe intorno agli occhi e alla bocca. 645/915 «Be’, stavolta non ho con me la chitarra.» «Ehi, mi prendi per scemo?» ribatte Eddie, e indica il palco: «Abbiamo tutte le chitarre che vuoi». «Voglio sentirti suonare» intervengo io. Andrew si volta a guardarmi, incerto. «Dico sul serio. Te lo sto chiedendo per favore.» Inclino la testa di lato e gli sorrido. «Ahia, questa ragazza fa gli occhioni» osserva divertito Eddie. Andrew si arrende. «Va bene, ma una canzone sola.» «Una soltanto, eh?» Eddie assume un’espressione determinata e sentenzia: «Se dev’essere una e basta, la scelgo io». Si punta un dito sul petto. Dal 646/915 taschino della camicia bianca spunta un pacchetto di sigarette. Andrew annuisce. «Va bene, scegli tu.» Eddie è raggiante. Mi scocca un’occhiata furtiva. «Una canzone per sedurre le belle signore, come l’ultima volta.» «I Rolling Stones?» chiede Andrew. «Già, già. Proprio quella, figliolo.» «Quale?» chiedo io, posandomi il mento sulla mano. «Laugh, I Nearly Died» risponde Andrew. «Probabilmente non la conosci.» E ha ragione. Scrollo la testa. «No, mai sentita.» Eddie rivolge un cenno del capo a Andrew, per dirgli di seguirlo verso il palco. Andrew si china e mi sorprende 647/915 con un bacio fugace sulle labbra, poi si allontana. Rimango seduta con i gomiti sul tavolo, nervosa ma contenta. Intorno a me si svolgono così tante conversazioni che l’aria vibra di un brusio incessante. Ogni tanto sento un rumore di vetri, un brindisi o una bottiglia di birra che sbatte su un tavolo. Il locale è in penombra, illuminato soltanto dalle insegne al neon che pubblicizzano la birra e dalle alte finestre che fanno entrare il chiaro di luna e le luci dei lampioni. Ogni tanto arriva un riverbero giallo dal retro del palco, sulla destra, dove la gente va e viene da quello che immagino sia il bagno. Andrew e Eddie raggiungono il palco e si preparano: Andrew prende un altro sgabello e lo posa al centro, davanti all’asta del microfono. Eddie rivolge 648/915 qualche parola al batterista – probabilmente il titolo della canzone da suonare – e l’altro annuisce. Un uomo emerge dall’ombra dietro il palco con un’altra chitarra, o forse un basso: non ho mai capito bene la differenza. Eddie porge a Andrew una chitarra nera, già collegata a un amplificatore, e si scambiano parole che non sento. E poi Andrew si siede sullo sgabello, posando un piede sul piolo più basso. Eddie si accomoda sull’altro. Iniziano ad accordare gli strumenti, il batterista dà qualche colpetto ai piatti. Sento un botto e poi un fischio acuto: un altro amplificatore è stato acceso, e poi un tum tum tum quando Andrew tamburella col pollice per verificare che il microfono sia acceso. Ho già le farfalle nello stomaco: sono nervosa come se fossi io quella che 649/915 deve cantare davanti a un mucchio di estranei. Ma soprattutto ho i nervi a fior di pelle perché c’è Andrew sul palco. Lui mi guarda per un istante e poi il batterista dà il ritmo e Eddie inizia a suonare, una melodia lenta e orecchiabile, e tutti gli avventori del locale si voltano all’unisono: è evidentemente una canzone che conoscono tutti e di cui non si stancano mai. Andrew suona una serie di accordi per accompagnare la melodia di Eddie, e io mi accorgo di aver già iniziato a dondolarmi al ritmo della musica. Quando Andrew inizia a cantare, la testa mi scatta all’indietro come se avessi una molla nel collo. Non credo alle mie orecchie: è un blues, una melodia struggente. Andrew canta con gli occhi chiusi, accompagnando con movimenti del capo quel ritmo sensuale 650/915 e tormentato. E quando arriva il ritornello, Andrew mi mozza il fiato… Mi appoggio allo schienale con gli occhi sbarrati: la musica sale di volume e Andrew riversa tutta l’anima in ogni parola che canta. La sua espressione cambia a ogni nota e si addolcisce quando il ritmo della canzone rallenta. Tutte le conversazioni nel bar si sono interrotte. Non riesco a distogliere gli occhi da Andrew per guardarmi intorno, ma ho percepito che l’atmosfera è cambiata quando ha intonato il ritornello, con quel timbro sexy e malinconico di cui non lo credevo capace. Alla seconda strofa, quando il ritmo rallenta di nuovo, Andrew cattura l’attenzione di tutti i presenti. La gente intorno a me balla e si dondola, le coppie si sfiorano con i fianchi e le labbra perché non c’è altro modo di ballare quella 651/915 canzone. Ma io… io fisso il vuoto, col fiato corto, e lascio che la voce di Andrew percorra ogni fibra del mio corpo. È un veleno irresistibile: mi ipnotizza, so che rischia di strapparmi l’anima ma lo bevo lo stesso. Lui però tiene gli occhi chiusi, come se avesse bisogno del buio per sentire davvero la musica. E al secondo ritornello sembra immedesimarsi ancor più, quasi sul punto di alzarsi dallo sgabello… invece resta seduto, si sporge verso il microfono e continua a cantare e a suonare. Gli si dipinge in volto una successione di emozioni. Eddie, il batterista e il bassista iniziano a cantare in coro con Andrew, e il pubblico si unisce a loro a bassa voce. Alla terza strofa vorrei piangere, ma non ci riesco. È come se le lacrime fossero lì, addormentate nel mio 652/915 stomaco, ma avessero deciso di torturarmi. Laugh, I Nearly Died… Andrew continua a cantare, con tanta passione che il cuore mi martella in petto e mi sembra di morire. E poi la band ricomincia a suonare e la musica rallenta, e gli strumenti tacciono uno dopo l’altro finché resta solo la batteria: una serie di colpi di grancassa che sento riverberare sotto il pavimento. Il pubblico inizia a battere i piedi a tempo e intona il ritornello. Il ritmo del battimano diffonde una vibrazione nell’aria. E poi di nuovo. E Andrew canta: «Yeahyeah!» e poi la musica si interrompe di colpo. La platea esulta, qualcuno lancia un’imprecazione di stupore. Un brivido mi corre giù per la schiena e si diffonde in tutto il corpo. Laugh, I Nearly Died… Non dimenticherò mai quella canzone, 653/915 finché avrò vita. Com’è possibile che lui esista davvero? Andrew appoggia la chitarra allo sgabello e va a stringere la mano a Eddie e poi al batterista e al bassista. Eddie lo accompagna verso di me, ma a metà strada si ferma, mi fa l’occhiolino e torna sul palco. Mi piace, Eddie. Sembra una persona schietta, cordiale, buona. Alcuni spettatori fermano Andrew per stringergli la mano e probabilmente per fargli i complimenti. Lui li ringrazia e poi viene da me, a passo lento ma sicuro. Vedo che alcune donne lo guardano non soltanto con stima. «Ma chi sei?» gli chiedo, e scherzo solo a metà. Andrew arrossisce un po’ e si siede davanti a me. 654/915 «Sei incredibile, Andrew. Non credevo.» «Grazie, piccola.» È molto modesto. Quasi mi aspettavo che mi prendesse in giro, che mi chiamasse la sua groupie e mi invitasse a fare sesso con lui nel backstage. Ma sembra proprio che non voglia parlare del suo talento, come se i complimenti lo mettessero in imbarazzo. «Dico sul serio, vorrei saper cantare in quel modo.» «Non vedo perché non potresti» dice. Scrollo la testa. «No, no, no, no» esclamo, prima che gli vengano strane idee. «Non so cantare. Non faccio proprio schifo, però non sono abbastanza brava da cantare in pubblico, questo è certo.» 655/915 «E perché no? Paura del palcoscenico?» Carla gli serve una birra, mi sorride e torna al bancone. Andrew si porta la bottiglia alle labbra e rovescia la testa all’indietro. «Be’, non ci ho mai pensato, a parte quando canto in macchina con l’autoradio.» Mi appoggio allo schienale. «Non ci ho mai pensato abbastanza da capire se ho paura o no.» Andrew fa spallucce e beve un altro sorso prima di posare la birra sul tavolo. «Be’, per la cronaca, secondo me hai una bella voce. Ti ho sentita, in macchina.» Incrocio le braccia, scettica. «Grazie, ma è facile quando segui la voce di un altro. Fammi cantare da sola e senza musica, e probabilmente ti verranno i brividi.» Mi chino verso di lui e aggiungo: «Comunque, come siamo finiti a 656/915 parlare di me?». Lo guardo con aria impertinente. «Parliamo di te, piuttosto. Dove hai imparato?» «Dai migliori, direi. Ma nessuno la canta come Jagger.» «Oh, mi permetto di dissentire. Jagger è il tuo idolo, quindi?» ironizzo. Sorride. «È una delle mie fonti d’ispirazione, ma no, il mio idolo è un po’ più vecchio di lui.» Dietro i suoi occhi si cela qualcosa di profondo. Un segreto. «E chi sarebbe?» domando, completamente immersa nella conversazione. D’un tratto lui si sporge in avanti, mi agguanta per i fianchi e mi tira a sedere sulle sue ginocchia. Mi ha colta un po’ alla sprovvista, ma non mi oppongo. Mi guarda negli occhi. «Camryn?» 657/915 Gli sorrido, chiedendomi cosa gli sia preso. «Sì?» Piego la testa di lato e gli poso le mani sul petto. Un pensiero improvviso gli balena sul viso. Non risponde. «Che c’è?» chiedo, curiosa. Mi stringe più forte in vita e poi mi posa un bacio leggero sulle labbra. Chiudo gli occhi, mi concentro sulle sensazioni. Forse potrei baciarlo, ma non sono sicura che sia la cosa giusta. Quando le sue labbra si staccano dalle mie apro gli occhi. «Cosa c’è, Andrew?» Lui sorride, e io mi sento letteralmente sciogliere. «Niente» risponde, dandomi leggere pacche sulle cosce con il palmo della mano, e quell’espressione seria svanisce dal suo viso. «Volevo solo tenerti sulle 658/915 ginocchia.» Sfodera un sorriso malizioso. Fingo di divincolarmi e lui mi stringe con entrambe le braccia. Per il resto della serata mi lascia scendere dalle sue ginocchia solo quando devo andare in bagno, e anche in quel caso mi aspetta fuori dalla porta. Restiamo all’Old Point a sentir suonare Eddie e la sua band, che fanno blues, blues rock e anche qualche vecchio standard jazz. Poco dopo le undici torniamo in albergo. 32 Andrew si ferma in camera mia per vedere un film. Parliamo a lungo, e percepisco che entrambi avremmo qualcosa da dire ma non ci riusciamo. Ho paura che siamo troppo simili, e perciò nessuno dei due riesce a fare il primo passo. Cosa ce lo impedisce? Forse è colpa mia, forse non può accadere nulla finché lui non è certo che io lo voglia davvero. Oppure, forse, neanche lui è sicuro di niente. Ma come possono resistere così a lungo due persone che innegabilmente 660/915 sono più che attratte l’una dall’altra? Siamo in viaggio insieme da un po’. Abbiamo condiviso segreti e un certo grado di intimità. Abbiamo dormito sullo stesso letto e ci siamo toccati… eppure eccoci qui, ai lati opposti di una spessa parete di vetro. Posiamo le dita sulla superficie trasparente, ci guardiamo negli occhi e sappiamo cosa vogliamo, ma quel vetro non vuol saperne di sparire. Forse è un perfetto autocontrollo, forse è una tortura. «Non che abbia fretta di andarmene» dico, mentre Andrew si prepara a tornare in camera sua, «ma quanto pensiamo di fermarci a New Orleans?» Lui prende il cellulare dal comodino e controlla rapidamente il display. «Abbiamo pagato fino a giovedì» dice, «ma dipende da te: possiamo andarcene 661/915 domani, o fermarci più a lungo se vuoi.» Stringo le labbra e sorrido, fingo di rifletterci su, tamburello l’indice sulla guancia. «Non saprei» dico, alzandomi dal letto. «È bello qui, ma prima o poi dovremo andare in Texas.» Mi guarda incuriosito. «Ah, sei ancora dell’idea di andare in Texas, eh?» Annuisco lentamente, e stavolta ci penso davvero. «Sì» rispondo, in tono inespressivo. «Penso di sì… è iniziato tutto in Texas…» e poi mi vengono in mente le parole Forse finirà tutto in Texas e mi rabbuio all’istante. Andrew mi bacia sulla fronte e sorride. «Ci vediamo domattina.» E io lo lascio andare, perché quella parete di vetro è troppo spessa e mi fa troppa paura. 662/915 Ore dopo, a notte fonda, mentre tutti dormono, mi metto a sedere al centro del letto. Non so bene cosa mi abbia svegliata, ma mi è sembrato un rumore improvviso. Mi guardo intorno, aspettando che gli occhi si abituino al buio per scoprire se è caduto qualcosa. Mi alzo e mi aggiro per la stanza, scosto leggermente le tende per far entrare più luce. Guardo verso il bagno, poi il televisore e infine la parete. Andrew. Ecco cos’era: credo di aver sentito un rumore provenire dalla sua stanza, dietro la testiera del mio letto. Infilo gli shorts di cotone bianco, prendo la tessera magnetica che mi ha dato lui, che apre entrambe le nostre stanze, e mi incammino a piedi nudi nel corridoio ben illuminato. Busso leggermente alla sua porta. «Andrew?» 663/915 Nessuna risposta. Busso di nuovo, un po’ più forte, e lo chiamo, ma non risponde. Esito un attimo, poi infilo la tessera nella serratura e apro la porta, cercando di non far rumore nel caso dorma. È seduto sul bordo del letto con i gomiti sulle ginocchia e le mani intrecciate tra le gambe. Ha la schiena curva e la testa china: fissa la moquette. Guardo alla mia destra e vedo il cellulare a terra con il display incrinato. Capisco subito che deve averlo scagliato contro la parete. «Andrew? Che succede?» gli chiedo avvicinandomi lentamente: non ho paura di lui, ho paura per lui. Le tende sono aperte, il chiaro di luna inonda la stanza e il corpo seminudo di Andrew riluce di un chiarore grigio-azzurro. Indossa solo un paio di 664/915 boxer. Mi avvicino, gli passo le mani lungo le braccia e poi gli stringo delicatamente le dita. «Puoi dirmelo.» Ma so già di cosa si tratta. Lui non mi guarda, ma ricambia la mia stretta. Mi si spezza il cuore… Mi avvicino, mi fermo in piedi tra le sue gambe e lui mi abbraccia senza esitare. Gli sento sussultare il petto e mi sento travolgere dal suo dolore. Gli prendo la testa tra le mani e lo tiro verso di me. «Mi dispiace tanto, piccolo.» Mi trema la voce, le lacrime mi colano sul viso, ma mi sforzo di restare calma. Lui mi preme la fronte sullo stomaco. «Sono qui, Andrew» dico, cauta. E lui piange in silenzio, tremando contro il mio corpo. Suo padre è morto e lui si concede di soffrire come è giusto che sia. Restiamo abbracciati a 665/915 lungo; quando le ondate di dolore più intense lo squassano, le sue braccia mi stringono più forte e io gli affondo le dita tra i capelli. Alla fine alza gli occhi per guardarmi. Vorrei tanto strappargli via quel dolore dal viso. Al momento è l’unica cosa al mondo di cui mi importi. Voglio liberarlo dalla disperazione. Mi fa sedere sul letto accanto a lui e continua a stringermi tra le sue braccia muscolose, premendomi il petto sulla schiena. Passa un’altra ora; guardo la luna descrivere un lento arco nel cielo. Andrew non dice una parola e io non cerco di spronarlo, perché so che ha bisogno di quel silenzio. Se anche nessuno di noi dicesse mai più una parola potrei tollerarlo, purché rimanessimo in quella posizione. Due persone incapaci di piangere finalmente piangono 666/915 insieme, e se il mondo finisse quella notte ci basterebbe così. L’alba inizia a spazzar via le tenebre e, per un momento, il sole e la luna restano nascosti nella vastità del cielo e nessuno dei due ha la meglio sull’altro. La volta celeste è striata di viola e grigio con qualche tocco di rosa, finché il sole trionfa e risveglia la nostra metà del pianeta. Mi giro a guardare Andrew. È ancora sveglio. Accenno un sorriso e mi sporgo a baciarlo dolcemente sulle labbra. Lui mi accarezza la guancia e poi mi sfiora la bocca con il pollice. Mi avvicino e lui mi stringe la mano, imprigionandola tra i nostri corpi. I suoi begli occhi verdi mi sorridono. E poi mi lascia andare la mano e mi cinge la vita, stringendomi così forte che sento il calore del suo respiro. 667/915 So che non vuole parlare di suo padre, e non voglio rischiare di rovinare il momento, quindi resto in silenzio. Vorrei tanto parlarne, e sono convinta che lui ne abbia bisogno per elaborare il lutto, ma aspetterò. Gli serve tempo. Con la mano libera seguo i contorni del tatuaggio sul suo braccio destro, e poi faccio scorrere delicatamente le dita fino alle costole. «Posso vederlo?» sussurro. Sa che parlo del tatuaggio di Euridice. Mi guarda, ma la sua espressione è imperscrutabile. Lascia vagare lo sguardo per un lungo istante e poi si gira sull’altro fianco per mostrarmi il tatuaggio. Mi tiro su per vedere meglio e faccio scivolare le dita su quell’opera d’arte, così complessa e realistica. La testa di Euridice inizia circa cinque centimetri sotto l’ascella e i piedi nudi 668/915 arrivano fino a metà del fianco e per qualche centimetro verso lo stomaco. Indossa un lungo abito bianco trasparente che aderisce al corpo come sferzato dal vento. Il resto della stoffa svolazza dietro e tutt’intorno a lei. Guarda giù dall’orlo di un precipizio, con un braccio dietro la schiena. Ma da lì in poi il tatuaggio diventa strano. L’altro braccio di Euridice è allungato in avanti, ma è disegnato solo fino al gomito. Dalla parte opposta è stato aggiunto un altro braccio, ma non è il suo: sembra appartenere a qualcun altro… a un uomo. Ci sono anche dei lembi di tessuto che sembrano fuori posto nell’immagine, mossi dal vento come l’abito di lei. E poco più sotto, posato sulla stessa cornice di roccia, c’è un piede da cui si diparte un polpaccio muscoloso che si interrompe appena sotto il ginocchio. 669/915 Accarezzo ogni centimetro del tatuaggio, ipnotizzata dalla sua bellezza, ma cercando anche di capirne la complessità e di indovinare il motivo delle parti mancanti. Poi guardo Andrew, e lui mi dice: «Ieri sera mi hai chiesto chi è il mio idolo musicale, e la risposta è Orfeo: è strano, lo so, ma ho sempre adorato la storia di Orfeo ed Euridice, soprattutto nel racconto di Apollonio Rodio. Mi è rimasta impressa». Sorrido e torno a guardare il tatuaggio, senza smettere di accarezzarlo. «So chi era Orfeo, ma non so molto di Euridice.» Mi vergogno un po’ di non conoscere la loro storia, soprattutto dal momento che sembra così importante per Andrew. Me la racconta: «Le doti musicali di Orfeo erano impareggiabili, perché era 670/915 figlio di una Musa: quando suonava la lira o cantava, ogni essere vivente si fermava ad ascoltare. Non c’era al mondo musicista migliore di lui, ma il suo amore per Euridice era ancor più forte del suo talento; avrebbe fatto qualsiasi cosa per lei. Si sposarono, ma poco dopo le nozze Euridice fu morsa da una vipera e morì. Stravolto dal dolore, Orfeo discese nell’Oltretomba deciso a riprendersela». Mi figuro subito nei panni di Euridice e immagino Andrew in quelli di Orfeo. Ricordo persino quella notte nel campo, quando un serpente era salito sulla nostra coperta. Sono così egoista e stupida a pensare così, ma non riesco a trattenermi… «Nell’Oltretomba Orfeo cantò e suonò la sua lira e tutti ne rimasero incantati. E così accettarono di restituirgli 671/915 Euridice, ma a una condizione: mentre tornavano nel mondo dei vivi, Orfeo non poteva voltarsi a guardarla neppure per un istante.» Esita un momento, poi prosegue: «Ma lui non riuscì a resistere a quella tentazione, a quel bisogno di girarsi a controllare che Euridice fosse ancora alle sue spalle». «E si voltò» dico. Andrew annuisce con aria triste. «Sì, un istante prima del dovuto, e vide Euridice nella penombra all’ingresso della caverna. Cercarono di prendersi per mano, ma appena prima che le loro dita si toccassero lei svanì nell’oscurità dell’Ade e Orfeo non la rivide mai più.» Lo guardo con la gola serrata dall’emozione. Lui fissa il vuoto e sembra smarrito nei pensieri. Poi si riscuote. «Tante persone hanno tatuaggi 672/915 con un significato speciale. Questo è il mio» dice, tornando a guardarmi. Sposto di nuovo lo sguardo dal tatuaggio ai suoi occhi, e ricordo le parole di suo padre quella sera in Wyoming. «Andrew, cosa intendeva tuo padre quando ha detto quella cosa in ospedale?» La sua espressione si addolcisce e per un attimo distoglie lo sguardo da me. Poi abbassa il braccio e mi prende per mano, facendo scorrere il pollice sulle mie dita. «L’hai sentito anche tu?» mi chiede con un sorriso. «Sì, più o meno.» Mi bacia le dita e mi lascia andare la mano. «Mi ha fatto un sacco di storie per il tatuaggio» dice. «Avevo spiegato ad Aidan cosa significava e perché l’avevo lasciato incompiuto, e lui è andato a dirlo a nostro padre.» Alza gli 673/915 occhi al cielo. «Non ha più smesso di tormentarmi. Mi ha tartassato con questa storia per gli ultimi due anni, ma era fatto così: l’uomo duro che non piange mai e non crede nelle emozioni. Ma una volta, quando Aidan e Asher non c’erano, mi ha detto che sì, era un tatuaggio da effeminati, però lui mi capiva. Mi ha detto…: “Figliolo, ti auguro di trovare la tua Euridice un giorno, purché non ti trasformi in una mammoletta”.» Mi sforzo di non sorridere, ma lui se ne accorge e sorride al posto mio. «Ma perché è incompiuto?» chiedo, scostandogli il braccio per vedere meglio la parte superiore del disegno. «E cosa significa esattamente?» Andrew sospira, anche se in fondo ha sempre saputo che prima o poi gli avrei 674/915 fatto quelle domande. Forse sperava che lasciassi perdere. Impossibile. Si alza a sedere sul letto e mi tira su con sé. Tiene tra le dita l’orlo della mia canottiera e inizia a sollevarla. Senza obiettare alzo le braccia e lo lascio fare, e mi ritrovo nuda dalla vita in su. Solo una piccola parte di me è in imbarazzo, e istintivamente spingo una spalla in avanti come per coprire la mia nudità con le ombre. Andrew mi fa sdraiare e mi stringe a sé così forte che il mio seno nudo resta schiacciato tra noi. Intreccia le gambe alle mie. I nostri corpi s’incastrano l’uno nell’altro come due pezzi di un puzzle dai contorni stondati. E all’improvviso inizio a capire… «La mia Euridice è solo metà del tatuaggio» dice, e i suoi occhi si abbassano a guardare il disegno che termina 675/915 a contatto con il mio corpo. «Pensavo che un giorno, se mai mi fossi sposato, mia moglie si sarebbe fatta tatuare l’altra metà e avrebbe riunito la coppia.» Ho la gola serrata, cerco di deglutire ma non ci riesco. Il cuore mi freme in petto, gonfio e caldo. «È una pazzia, lo so» conclude lui, e sento allentare la stretta delle sue braccia. «Non è una pazzia» dico, a voce bassa ma decisa. «E non è effeminato, Andrew. È bellissimo. Tu sei bellissimo…» Gli balena in volto un’emozione che non so interpretare. Poi si alza, e controvoglia lo lascio andare. Raccoglie dal pavimento i pantaloncini marroni e se li infila. Ancora un po’ sconcertata dalla rapidità con cui si è alzato, esito un 676/915 momento prima di rimettermi la canottiera. «Sì, be’, forse aveva ragione mio padre» dice guardando New Orleans dalla finestra. «Aveva intuito una verità, e accampava tutte quelle storie sui veri-uomini-che-non-piangono-mai per nasconderla.» «Quale verità?» Mi avvicino, ma stavolta non lo tocco. Lo sento irraggiungibile, ho l’impressione che non mi voglia lì con lui. Non è disinteresse, o l’attrazione che sta sbiadendo, è qualcos’altro… Risponde senza voltarsi: «Che niente dura per sempre». Esita, guardando fuori con le braccia conserte. «Che è meglio scacciare le emozioni piuttosto che esserne vittima… e siccome niente dura per sempre, alla fine tutte le cose belle fanno male.» 677/915 Le sue parole mi trafiggono come un pugnale. Quella parte di me che era cambiata nel tempo passato con Andrew, tutte le difese che avevo abbassato per lui, sono risalite intorno a me per proteggermi come una cinta di mura. Perché ha ragione lui, porca puttana, e io lo so. È stata quella logica, per tutto questo tempo, a impedirmi di entrare davvero nel suo mondo. E in pochi secondi la verità delle sue parole mi ha schiacciata. Decido di lasciar correre. Al momento c’è in ballo una questione molto più importante, e devo accertarmi di non trattarlo diversamente. «Dovrai… andare al funerale di tuo padre, perciò…» 678/915 Si volta e mi punta addosso uno sguardo pieno di determinazione. «No, non andrò al funerale.» Si infila una camicia pulita. «Ma, Andrew… Devi andarci!» Aggrotto la fronte. «Non ti perdonerai mai se non vai al funerale di tuo padre.» Lo vedo serrare la mandibola, come se digrignasse i denti. Si siede sul fondo del letto per mettere i piedi nudi nelle scarpe da ginnastica nere, senza sciogliere i lacci. Si rialza. Resto lì al centro della stanza, sbigottita. Sento che dovrei fargli cambiare idea sul funerale, ma il cuore mi dice che non avrò la meglio in quella discussione. «C’è una cosa che devo fare» annuncia lui, prendendo le chiavi della macchina. «Torno tra poco, va bene?» 679/915 Prima che io possa rispondere mi afferra la testa tra le mani e appoggia la fronte alla mia. Lo guardo negli occhi e vedo dolore, conflitto, indecisione, insieme a una tempesta di altre emozioni cui non so dare un nome. «Te la caverai da sola?» mi chiede a voce bassa, il suo viso a pochi centimetri dal mio. Mi scosto per guardarlo meglio e annuisco. «Me la caverò.» Ma non riesco a dire altro. Sono turbata e insicura quanto lui. E soffro. Mi sembra che ci sia qualcosa fra noi, ma che fin dall’inizio del nostro viaggio quel qualcosa ci allontani l’uno dall’altra anziché avvicinarci. E mi terrorizza. Capisco perché succede: perché ho rialzato le difese. Ma nulla mi aveva mai fatto così paura. 680/915 Mi lascia lì a guardarlo uscire dalla stanza. È la prima volta che mi lascia sola, da quando è tornato a cercarmi in quella stazione degli autobus. Siamo stati insieme per tutto questo tempo, inseparabili, e ora… quando esce da quella porta ho l’impressione che non lo rivedrò mai più. 33 Andrew «Inizi presto, eh?» dice il barista porgendomi il bicchiere. «Se il bar è aperto, non è troppo presto.» Sono già le tre del pomeriggio. Ho lasciato Camryn stamattina prima delle otto. Che strano: viaggiamo insieme da tanto tempo e non abbiamo mai pensato di scambiarci i numeri di telefono. Forse perché eravamo sempre insieme. Ormai avrà smesso di 682/915 domandarsi se tornerò, o forse vorrebbe avere il mio numero per sapere se sto bene: il cellulare ha il display rotto ma funziona ancora. Però preferirei che fosse guasto, perché Asher e mia madre hanno già provato a chiamarmi decine di volte. Ho intenzione di tornare in albergo, ma solo per prendere la chitarra di Aidan e lasciare un biglietto aereo per Camryn sul mio letto. La stanza è pagata per altri due giorni, quindi non avrà problemi. Le lascerò i soldi per il taxi fino all’aeroporto. È il minimo che possa fare: sono stato io a cacciarla in questo casino e sarò io a pagarle il viaggio di ritorno, e stavolta non in autobus. Oggi finisce tutto. Non avrei mai dovuto permettere che le cose si trascinassero fino a quel punto… ma mi sono illuso, mi sono 683/915 lasciato coinvolgere da sentimenti che non dovrei provare. Ma penso che se la caverà: non siamo andati fino in fondo e nessuno ha detto quelle due paroline maledette che avrebbero complicato tutto, quindi… sì, penso che si riprenderà. Dopotutto non ha mai ceduto. In sostanza l’ho messa davanti a una scelta: Se tu mi permettessi di scoparti, sarebbe come permettermi di possederti. Se quello non era un invito palese, non so cosa lo sia. Non è molto romantico, ma così stanno le cose. Pago ed esco dal bar. Avevo solo bisogno di qualcosa di forte, ma a giudicare da come sto ci sarebbe voluta l’intera bottiglia. Infilo le mani in tasca e percorro Bourbon Street e Canal Street e poi una serie di strade di cui non ricordo il nome. Cammino e cammino, senza direzione né destinazione, 684/915 come nel mio viaggio con Camryn. Cammino e basta. Non sto ammazzando il tempo in attesa che faccia buio, per entrare e uscire dall’albergo mentre lei dorme; sto ammazzando il tempo nella speranza di cambiare idea. Non voglio lasciarla, ma so che devo. Mi ritrovo seduto lungo la riva del Mississippi al parco Woldenberg, a guardare le navi e il traghetto che fa avanti e indietro da Algiers. Cala la notte. E per molto tempo il mio unico compagno è una statua di Malcolm Woldenberg, finché mi si avvicinano due ragazze, che sembrano turiste a giudicare dalle magliette con la scritta I LOVE NEW ORLEANS. La bionda mi sorride timidamente mentre la castana parte all’attacco. 685/915 «Vai da qualche parte stasera?» mi chiede piegando la testa di lato e scrutandomi. «Io sono Leah, e lei è Amy.» Il sorriso della bionda, Amy, lascia intendere che se glielo chiedo si farà scopare volentieri. Annuisco per pura cortesia, ma non dico il mio nome. «Allora, si fa festa stasera o no?» chiede la castana, sedendosi accanto a me sul cemento. «No, a dire il vero no» dico, e non aggiungo altro. La bionda si siede dall’altra parte e tira le ginocchia al petto: i pantaloncini le lasciano scoperte tutte le cosce. Quel tipo di pantaloncini sta meglio indosso a Camryn. 686/915 Scrollo la testa e torno a guardare il Mississippi. «Perché non vieni con noi?» dice la mora. «Hai l’aria di annoiarti a morte, e stasera al d.b.a. ci sarà da divertirsi.» La guardo. È molto carina, e anche la bionda, ma più parla e meno mi piace. Riesco a pensare solo a Camryn. Quella ragazza mi ha marchiato a fuoco l’anima. Non sarò più lo stesso. Guardo le gambe della ragazza castana e poi vedo muovere le sue labbra. Sta dicendo: «Dài, vieni con noi: non te ne pentirai». Potrei… Se ho intenzione di andarmene e non rivedere più Camryn, forse dovrei andarmene con quelle due, prendere una camera in un altro albergo e scoparmele entrambe. Di questo passo, farebbero sesso tra loro davanti a me. Non sarebbe la prima volta, ed è 687/915 un’esperienza di cui non ci si stanca mai. «Non lo so, stavo aspettando qualcuno» dico. Non ho idea di cosa sto dicendo e perché. La ragazza castana mi posa una mano sulla coscia. «Noi ti terremmo più compagnia» ribatte in un sussurro carico di sottintesi, con il tono di chi è abituato al sesso senza impegno. Me la scrollo di dosso, mi alzo in piedi e me ne vado con le mani in tasca senza dire una parola. In qualsiasi altro momento le avrei detto di sì, ma non oggi. Sì, probabilmente la mia anima è ferita a morte. Devo andarmene da New Orleans. Le due ragazze mi gridano qualcosa alle spalle. Non me ne frega niente se si sentono rifiutate: tra un’ora saranno a 688/915 letto con un altro e non si ricorderanno più di me. È passata la mezzanotte. Mi sono già fermato in un internet point per comprare online il biglietto aereo di Camryn e poi ho ritirato dal bancomat i contanti per il taxi che la porterà all’aeroporto, e dall’aeroporto a casa sua in North Carolina. Quando arrivo in albergo chiedo al concierge una busta, un pezzo di carta e una penna. Mi siedo su un divano della hall e scrivo: Camryn, mi dispiace di essermene andato così, ma sapevo di non poterti dire addio guardandoti in faccia. Spero che ti ricorderai di me; ma se dimenticarmi è più facile, posso convivere anche con questo. Non trattenerti mai, Camryn Bennett: fai sempre quello che vuoi, di’ quel che pensi e non 689/915 aver mai paura di essere te stessa. Fregatene di cosa pensano tutti gli altri. Vivi per te stessa, non per loro. Il codice scritto qui sotto è quello che dovrai comunicare all’aeroporto per salire sull’aereo che ti riporterà a casa. Ti serve solo un documento d’identità. L’aereo parte domattina. I contanti sono per il taxi. Ti ringrazio per le due settimane più belle della mia vita e per essere rimasta al mio fianco quando ne avevo più bisogno. Andrew Parrish KYYBPR Rileggo il biglietto cinque volte prima di infilarlo nella busta insieme ai soldi. Raggiungo l’ascensore. L’ultimo ostacolo da superare è andarmene di lì senza che Camryn se ne accorga. Spero che dorma ancora. Ti prego, fa’ che dorma. Ci posso riuscire se non devo 690/915 vederla, ma se lei mi vede… No, devo riuscirci in ogni caso. E ci riuscirò. Esco dall’ascensore al nostro piano e passo davanti a varie stanze nel corridoio ben illuminato. Quando vedo le porte delle nostre camere mi si stringe lo stomaco. Le oltrepasso senza far rumore, temendo che il suono dei miei passi basti a svegliarla. Dalla maniglia della sua porta penzola il cartello NON DISTURBARE e non so perché, ma a vederlo mi si gela il sangue nelle vene. Forse perché usavo quei cartelli solo quando mi chiudevo nella stanza a fare sesso. Il pensiero di Camryn con un altro… Digrigno i denti e passo oltre. Ma quanto sono patetico? Lei non è neanche mia, eppure mi lascio travolgere dalla gelosia. Prima me ne vado da New Orleans e meglio sarà. 691/915 Infilo la tessera magnetica nella porta ed entro. È tutto come l’ho lasciato: i vestiti sparsi intorno alle sacche e la chitarra di Aidan appoggiata alla parete sotto la lampada. Faccio rapidamente i bagagli e per un pelo non dimentico di tirar via i caricatori dalle prese. Li infilo in borsa insieme ai vestiti. Infine corro in bagno per prendere lo spazzolino. Quando esco dal bagno, Camryn mi guarda, in piedi sulla soglia. 34 Camryn «Andrew? Stai bene?» Incrocio le braccia mentre la porta si richiude piano dietro di me. Ero così preoccupata per lui… perché temevo che se ne fosse andato senza salutarmi, ma soprattutto per il suo stato mentale, dopo aver saputo che il padre era morto. Riprendo fiato e resto in silenzio mentre lui mi passa davanti per prendere le borse sul letto. 693/915 Perché non mi guarda? Vedo le sacche e capisco cosa vuol fare. Lascio ricadere le braccia lungo i fianchi e mi avvicino a lui. «Ti prego, parlami. Andrew, mi hai spaventata da morire…» Lui infila lo spazzolino nel borsone e continua a voltarmi le spalle. «… Se devi andare al funerale, va bene. Posso tornare a casa. Magari possiamo parlare…» Si gira di scatto. «Non si tratta del funerale o di mio padre, Camryn» dice, e le sue parole mi feriscono anche se non so cosa significano. «Allora che c’è?» Mi dà le spalle di nuovo, fingendo di cercare qualcosa nella borsa. Vedo spuntare una busta dalla tasca posteriore dei suoi pantaloni. C’è scritto RYN; la prima metà di quello che immagino 694/915 sia il mio nome è coperta dal tessuto della tasca. Allungo una mano e la tiro fuori. «Camryn…» Sospira avvilito, gli occhi incollati a terra. «Cos’è questa?» chiedo, guardando il mio nome scritto sulla busta. La sto già aprendo. Andrew non risponde; resta lì ad aspettare che legga il biglietto perché tanto sa che lo farò comunque. Vuole che io lo legga. Vedo i soldi, li lascio dentro senza toccarli e poso la busta sul letto. Mi interessa solo il biglietto che non ho ancora letto e che già mi sta spezzando il cuore. Sposto lo sguardo più volte da lui al foglio prima di dispiegarlo. Mi tremano le mani. Perché mi tremano le mani? 695/915 E mentre leggo mi viene un groppo in gola. Gli occhi mi bruciano di rabbia e dolore. «Piccola, sapevi che prima o poi questo viaggio sarebbe finito.» «Non chiamarmi piccola» sbotto, stringendo il biglietto in mano. «Se te ne vai, non ne hai più il diritto.» «Hai ragione.» Gli scocco un’altra occhiata, piena di domande, di confusione. Perché sono così arrabbiata? Ha ragione lui, doveva finire prima o poi, e allora perché mi lascio ferire così? Le lacrime iniziano a riempirmi gli occhi e non riesco a fermarle. Accidenti, non posso mettermi a frignare come una bambina. Lo guardo con il volto stravolto dall’angoscia e dall’ira. Stringo le mani lungo i fianchi, il foglio appallottolato in pugno. «Se te ne 696/915 andassi in questo modo per via di tuo padre, perché hai bisogno di passare un po’ di tempo da solo, e il numero in fondo al biglietto fosse il tuo numero di telefono anziché il codice di conferma di un biglietto aereo, allora potrei capire. Ma che tu mi lasci per causa mia, e fingendo che tra noi non sia mai successo niente… Andrew, questo fa male. Fa male, cazzo!» Vedo fremergli la mandibola. «Chi ha mai finto che non fosse successo niente?» esclama, palesemente colpito dalle mie parole. Lascia cadere il borsone e viene verso di me. «Non potrò mai dimenticare quello che è successo, Camryn! Per questo non riuscivo a dirtelo in faccia!» Arretro di un passo. Non ce la faccio più, mi fa troppo male il cuore. E sono infuriata con me stessa perché non 697/915 riesco a smettere di piangere. Guardo il biglietto, e poi guardo di nuovo lui e infine gli passo davanti, raggiungo il letto e lascio cadere il foglio insieme alla busta e ai soldi. «Benissimo, vattene pure. Ma mi pago il viaggio da sola.» Mi asciugo gli occhi e vado alla porta. «Hai ancora paura» mi grida dietro. Mi volto di scatto. «Tu non sai un cazzo!» Apro la porta, butto per terra la mia chiave e torno in camera mia. Cammino. Avanti e indietro, avanti e indietro. Vorrei tirare un pugno al muro o spaccare qualcosa, ma mi accontento di frignare come una bambina. Andrew entra di corsa facendo sbattere la porta contro il muro. Mi afferra per le braccia. 698/915 «Perché hai ancora paura?!» Ha le lacrime agli occhi: lacrime di rabbia, di dolore. Mi scuote con forza. «DI’ QUEL CHE PROVI!» Resto spiazzata per un momento da quello scatto d’ira, ma poi mi scrollo di dosso le sue mani. Sono così confusa. So cosa voglio dire, voglio chiedergli di restare, ma… «Camryn!» È furioso, disperato. «Di’ quel che provi, qualsiasi cosa sia! Non mi importa se è pericolosa, o stupida, o ridicola, o se fa male… DIMMI COSA PROVI!» La sua voce mi trafigge. E continua: «Sii sincera con me. Sii sincera con te stessa!» Gesticola, mi addita. «CAMR…». «Voglio te, cazzo!» grido. «Il pensiero che tu te ne vada e che non ti vedrò mai più mi spezza il cuore!» Ho la gola in fiamme. «Non respiro senza di te!» 699/915 «DILLO! Porca puttana, dillo e basta!» urla, esasperato. «Voglio che tu mi possieda!» Non mi reggo quasi più in piedi. I singhiozzi mi squassano tutto il corpo e mi bruciano gli occhi. Il cuore non mi aveva mai fatto così male. Andrew mi stringe i polsi dietro la schiena con una mano e mi tira contro il suo petto. «Dillo di nuovo, Camryn» ordina. Il calore del suo respiro mi accarezza il collo e mi fa rabbrividire. Sento le sue labbra sfiorarmi la pelle appena sotto l’orecchio. «Dillo, piccola. Dillo, cazzo.» Mi stringe ancora i polsi fino a farmi male. «Appartengo a te, Andrew Parrish… Voglio che tu mi possieda…» Mi affonda nei capelli le dita dell’altra mano e mi tira indietro la testa per esporre la gola. Mi mordicchia sul 700/915 mento e poi lungo il collo. Sento la sua erezione premere da dietro attraverso i vestiti. «Ti prego…» sussurro, «non lasciarmi andare…» Tenendomi ancora per i polsi, mi infila le dita negli shorts e nelle mutandine e li strappa via. Mi fa accostare al letto, finché le mie ginocchia toccano il materasso, e mi solleva le braccia sopra la testa per sfilarmi la canottiera. Quando lo sento togliersi le scarpe e i vestiti non mi volto. Mi muoverò solo quando lui mi darà il permesso. I suoi addominali duri come la pietra mi premono con forza sulla schiena. Le sue braccia calde mi cingono la vita ormai nuda; una mano mi afferra un seno, l’altra scende tra le mie gambe. Gli appoggio la testa sul petto quando 701/915 infila un dito tra le grandi labbra e mi stuzzica. Ansimo, inarco il collo per raggiungere la sua bocca. La sua lingua esce a toccare la mia; quel calore umido mi fa impazzire. Mi bacia con passione, a entrambi si mozza il fiato. E poi mi spinge in avanti sul letto. Le mie mani affondano tra le lenzuola, le dita stringono il tessuto finché lui mi si appoggia sulla schiena con tutto il suo peso e io non mi reggo più sulle braccia. Mi prende di nuovo i polsi e li tira dietro la schiena, immobilizzandomi. «Oh cazzo, Andrew, ti prego, scopami… ti prego» lo supplico con voce tremante. Stavolta ho detto ciò che pensavo senza che lui me lo chiedesse. Ed è così bello. Si sdraia sopra di me e la sua erezione preme sul mio corpo. Lo voglio dentro di me a tutti i costi, ma 702/915 lui continua a stuzzicarmi, mi lascia credere che stia per spingersi dentro di me e poi si ritrae. Sento la punta della sua lingua sul collo e un nuovo brivido mi squassa. Premo la guancia sul materasso. Il peso del suo corpo mi impedisce ogni movimento. Mi mordo il labbro quando i suoi denti affondano nella schiena, fino a farmi male. E dopo il morso mi bacia e mi lecca per lenire il dolore. Mi fa voltare sulla schiena con una mano, come se non pesassi niente, e mi fa scivolare al centro del letto. Si sposta tra le mie gambe divaricandole con le ginocchia finché sono completamente esposta al suo sguardo. Mi posa le mani sul retro delle cosce per tenerle divaricate. I suoi occhi verdi mi fissano per un istante e poi si abbassano a guardarmi 703/915 lì in mezzo. Mi sfiora tra le grandi labbra e intorno al clitoride. Ansimo e tremo, a ogni carezza mi sento sciogliere dentro. Mi guarda di nuovo in viso, uno sguardo intenso e infila le dita dentro di me. Porto la mia mano sopra la sua e lui lascia che mi tocchi per un momento prima di impedirmelo di nuovo. Ora le sue dita si muovono furiose, toccando tutti i punti sensibili, e io inizio a sussultare. E quando si accorge che sto per venire, smette. Scorre sopra di me, baciando, leccando e mordendo dalle cosce su fino alla gola, e mi immobilizza le braccia per non farsi abbracciare. I suoi occhi ferini mi scrutano la bocca. Poi incontra il mio sguardo e dice: «Ti scoperò così forte… Dio mio, non ne hai idea». Le sue parole tracciano un sentiero di piacere dal mio orecchio fino all’umidità pulsante tra le gambe. Mi morde la 704/915 lingua e poi mi bacia con forza e i nostri respiri si incontrano, adesso ansimiamo uno sulle labbra dell’altra. Senza interrompere il bacio, la sua mano destra scende ad afferrare il pene, che entra di pochissimo, solo per farmi impazzire ancor di più. Sollevo il bacino per andargli incontro, lo bacio con più forza, e finalmente riesco a posargli una mano sulla nuca. Gli tiro i capelli con tanta foga che temo di strapparglieli. Non gli importa, e neppure a me. Il dolore gli piace, come piace a me. E poi, molto lentamente, per lasciarmi sentire ogni centimetro e ogni brivido, scivola dentro di me. Il mio collo si inarca sul cuscino, le mie labbra si schiudono. Ansimo, gemo, piagnucolo. Mi pizzicano così tanto gli occhi che quasi non riesco ad aprirli. La sua erezione sembra espandersi dentro di 705/915 me e le mie cosce tremano contro il suo corpo. All’inizio mi scopa lentamente, costringendomi a guardarlo negli occhi. Mi morde il labbro inferiore e poi lo accarezza con la punta della lingua. Premo le labbra sulle sue e spingo i fianchi contro i suoi per farlo entrare più a fondo. Mi tremano le gambe, non riesco a farle smettere. Ed è allora che lui inizia a scoparmi più in fretta e non riesco più a baciarlo: il collo mi si flette di nuovo fino a sollevare la testa dal cuscino, inarco la schiena e lui mi lecca i capezzoli con avidità. Cingo il suo corpo con braccia e gambe, gli affondo le unghie nella schiena, sento il suo sudore sotto le dita. Lo graffio. Per tutta risposta lui mi scopa più forte. 706/915 «Vieni con me» mi sussurra all’orecchio e mi bacia ancora. Pochi istanti dopo, vengo. Tremo in tutto il corpo e mi aggrappo a lui. «Non uscire» mormoro mentre veniamo insieme. E lui non esce: un lungo gemito gli squassa il petto e il suo calore esplode dentro di me. Gli stringo le gambe intorno ai fianchi, più che posso, e poi allento la stretta. Lui non smette di spingere finché i suoi muscoli non iniziano a rilassarsi. Si sdraia accanto a me; il suo viso sul mio cuore, la mia gamba intorno ai fianchi. Restiamo in quella posizione per un po’, avvinghiati, ad aspettare che il respiro si plachi e i nostri corpi si calmino. Ma venti minuti dopo ricominciamo. Alla fine ci addormentiamo abbracciati, dopo avermi posseduta in 707/915 modi che non avevo mai sperimentato con nessuno. La mattina dopo, mentre il sole fa capolino tra le tende, mi dimostra che non è sempre rude e aggressivo: mi sveglia con una serie di baci sulle costole e un massaggio alla schiena e alle cosce, e poi facciamo l’amore con dolcezza. Potrei morire in quel letto con lui, stretta tra le sue braccia, e non me ne accorgerei neppure. Mi stringe forte tra le braccia e mi bacia sul mento. «Ora non puoi più andartene» gli sussurro. «Non l’ho mai voluto.» Mi giro per guardarlo in faccia e intreccio le gambe alle sue. Lui appoggia la fronte sulla mia. «Ma stavi per farlo» bisbiglio. 708/915 Annuisce. «Sì, perché…» Non finisce la frase. «Perché?» insisto. «Perché avevo troppa paura dell’ovvio?» Dev’essere per quello, lo so. Penso. Spero… Distoglie lo sguardo. Gli accarezzo un sopracciglio e poi il naso. Mi sporgo leggermente per posargli un bacio leggero sulle labbra. «Andrew? Era per quello?» Il cuore mi dice che la risposta è no. Sorride con gli occhi e mi tira a sé baciandomi con forza. «Sei sicura di volerlo?» mi chiede, incredulo. Non riesco a capire cosa pensa. «Perché non dovrei?» ribatto. «Andrew, dicevo sul serio: non riesco a respirare senza di te. Ieri sera, dopo che eri sparito per tutto il giorno, mi sono 709/915 seduta sul bordo di questo letto ed ero letteralmente senza fiato. Credevo che te ne fossi già andato e mi è venuto in mente che non avevo neppure il tuo numero di telefono e non sarei più riuscita a ritrovarti…» Mi posa un dito sulle labbra per farmi tacere. «Ora sono qui e non vado più da nessuna parte.» Con un sorriso malinconico gli appoggio la testa sul petto, e lui mi posa il mento sulla testa. Sento il battito del suo cuore e il ritmo regolare del suo respiro. Restiamo sdraiati lì per ore, senza quasi dire una parola. Mi rendo conto che avevo sempre desiderato quel momento, fin dalla prima volta che gli avevo rivolto la parola, su quell’autobus. Ho trasgredito tutte le regole… Tutte quante. 35 Andrew Il cuore vince sempre sulla mente. Il cuore, anche se incauto, suicida o masochista, ha sempre l’ultima parola. La mente sa cos’è giusto e cosa no, ma io non la ascolto più. Per adesso voglio vivere nel presente. «Alzati, piccola» le dico, dandole una pacca sul sedere. Si è riaddormentata tra le mie braccia dopo che ci siamo svegliati insieme stamattina. A un certo punto penso di 711/915 essermi addormentato anch’io, ma non importa; da ieri sera non penso a nient’altro che a lei. Protesta con un mugolio e si gira verso di me, il corpo avvolto nel lenzuolo bianco, i capelli biondi spettinati e terribilmente sexy. «Oh, andiamo, piccolo» mormora, e sentirmi chiamare così mi fa venire il batticuore, «dormiamo tutto il giorno.» Mi infilo la maglietta e i calzoncini e mi siedo sul letto accanto a lei, posando le mani sui suoi fianchi. Mi chino a baciarle la fronte. «Voglio fare tutto quanto con te» le dico, sorridendo come un idiota. «Possiamo andare dove vuoi, fare tutte le cose che ci vengono in mente.» Non ero mai stato così felice in vita mia. Non sapevo che una felicità del genere fosse possibile. 712/915 Camryn mi sorride con dolcezza: gli occhi azzurri portano ancora le tracce innocenti del sonno. Mi osserva attenta, come se cercasse di leggermi nel pensiero e lo trovasse divertente. Allunga le braccia verso di me. «Temo che dovrai portarmi in braccio.» La tiro a sedere sul letto. «Be’, per me non è un problema. Figurati, ti porto dove ti pare. La gente ci guarderà storto, ma pazienza. Pero dimmi perché.» Mi bacia sul naso. «Perché non credo di riuscire a camminare.» Quando capisco cosa intende, sorrido come uno scemo. Posa le gambe a terra per alzarsi dal letto e fa una smorfia. «Oh cazzo, piccola, mi dispiace tanto.» Mi dispiace davvero, ma non 713/915 riesco a smettere di sorridere. E neppure lei, a dire il vero. «Non lo dico per gonfiarti l’ego, ma non ero mai stata scopata così.» Scoppio a ridere gettando la testa all’indietro. «Sporcacciona, che dici!» «Ehi, è tutta colpa tua» ribatte additandomi. «Mi hai trasformata in una ninfomane pervertita e scurrile che per un paio di giorni non riuscirà a camminare con le gambe strette.» Sottolinea le parole con un cenno secco del capo. La prendo in braccio con cautela, passandole un braccio dietro le ginocchia per non costringerla ad allargare le gambe nella sua “condizione”. «Scusami, piccola, ma eri già piuttosto scurrile quando ti ho conosciuta» le dico, sorridendo al suo broncio. «Pervertita? Forse, ma la perversione era già in te, io ti ho solo aiutata a tirarla fuori. Ma 714/915 ninfomane? Significherebbe che vuoi farlo in continuazione, anche quando cammini storta per un paio di giorni.» Sgrana gli occhi. «No, sono decisamente fuori uso almeno fino a domattina.» La bacio sulla fronte e la porto in bagno. «Per me va bene» dico, sostituendo al sorriso un’espressione più dolce. «Non te lo permetterei in ogni caso. Oggi, Camryn Bennett, verrai coccolata. E la prima tappa è un lungo bagno caldo.» «Con le bollicine?» chiede lei, gli occhioni da Bambi. Le sorrido. «Sì, con le bollicine.» Faccio scorrere l’acqua mentre lei resta seduta sul bordo della vasca dove l’ho fatta sedere. Nuda, per giunta. 715/915 «Le bollicine potrebbero essere un problema, piccola» le dico, svuotando la minuscola bottiglietta di shampoo dell’albergo. «Sai una cosa?» fa lei dondolando i piedi. «Ho finito quasi tutto, il dentifricio e anche il bagnoschiuma. Ho praticamente le squame» dice passandosi una mano sulle gambe e facendo una smorfia. Mi mordo l’interno della guancia e rispondo: «Andrò a fare la spesa». Lascio riempire la vasca e mi volto per controllare i prodotti. Poi torno nella stanza e rientro in bagno con un bloc notes e la piccola matita con il logo dell’hotel. «Cosa ti serve?» Mentre lei ci pensa scrivo le cose che ha già detto. «Dentifricio, bagnoschiuma…» La guardo. «Sapone liquido?» 716/915 «Be’, non proprio» ribatte, mentre mi sforzo di non guardarle il seno. «Non è come il sapone liquido per le mani… Be’, lo riconoscerai quando lo vedi.» Scrivo: non sapone per le mani. Torno a guardarla. «Bene, cos’altro ti viene in mente?» Arriccia le labbra, pensierosa. «Shampoo e balsamo… preferisco quelli della L’Oréal: è una bottiglia rosa, ma non importa, basta che non sia quella roba “tutto in uno”… Ho lasciato nell’ultimo motel i flaconi che avevo comprato. Ah! Prendi anche una confezione piccola di olio per bambini.» Inarco un sopracciglio. «Olio per bambini? Avevi in mente qualcosa?» «No!» Mi schiaffeggia un braccio, ma io ho occhi solo per il suo seno che dondola. «Certo che no! Mi piace usarlo sotto la doccia.» 717/915 Scrivo: bottiglia grande di olio per bambini (non si sa mai). «E magari qualcosa da mangiare, e una confezione da sei di bottigliette d’acqua o di tè freddo, non al limone… qualcosa di non gassato e… oh!» Alza un dito. «Fettine di carne essiccata!» Sorrido e scrivo. «Tutto qui?» «Sì, al momento non mi viene in mente altro.» «Be’, nel caso chiamami» dico tirando fuori il cellulare dalla tasca dei pantaloncini. «Dammi il tuo numero.» Sorride e mi detta il numero. La chiamo: risponde la segreteria e io lascio un messaggio: Ehi, piccola, sono io. Torno tra poco, al momento ho un po’ da fare, sto fissando una bellissima bionda nuda seduta sul bordo di una vasca. 718/915 Camryn sorride e arrossisce, mi tira a sé fra le sue gambe e mi bacia con forza. «Oh, cazzo, l’acqua!» esclama. La vasca sta per traboccare. Chiudo subito il rubinetto. Poso il telefono e la lista della spesa e la prendo in braccio. «Andrew, non sono disabile.» Ma non si ribella. La immergo nella vasca e lei si abbandona al tepore, lasciando ricadere i capelli sulle spalle e in acqua. «Torno presto» dico mentre esco. «Me lo prometti, stavolta?» Mi fermo di colpo. Mi volto a guardarla e mi accorgo che stavolta non scherza. Mi fa soffrire che debba chiedermelo, non perché mi offenda ma perché le ho dato motivo di pensarlo. 719/915 Ora sono serissimo. «Sì, piccola, te lo prometto. Ormai non ti libererai più di me, lo sai, vero?» Fa un sorriso a metà tra il dolce e l’impertinente. «Accidenti a me! I guai in cui mi caccio.» Le faccio l’occhiolino e me ne vado. 36 Camryn Il sesso cambia sempre ogni cosa. Ti sembra di vivere in una bolla, in cui tutto è sicuro, spensierato e prevedibile. Un’attrazione per la persona giusta può durare in eterno, quando il mistero dell’intimità è lasciato intatto; ma appena si fa sesso la spensieratezza e la prevedibilità si trasformano spesso nel loro opposto. L’attrazione è destinata a svanire? Ci desidereremo ancora come prima? L’uno o l’altra pensa segretamente di aver commesso un grave 721/915 errore, e che era meglio lasciare le cose com’erano? No. Sì. E no. Lo so perché lo sento. Non è un eccesso di fiducia, non sono le illusioni di una ragazza ingenua e piena di insicurezze. È un fatto evidente: io e Andrew Parrish eravamo destinati a incontrarci su quell’autobus. Coincidenza è solo la parola che i conformisti usano al posto di destino. Resto immersa nella vasca per un po’, ma decido di uscire prima che mi vengano le rughe sui polpastrelli. Ho ancora dolore tra le gambe, ma cammino benissimo; però mi piace che lui senta il bisogno di prendersi cura di me. Infilo una canottiera nera e gli shorts di cotone grigio che ho comprato durante il viaggio. Riordino un po’ la stanza, poi prendo il telefono per controllare i messaggi: le solite cose da Natalie, ancora niente da mia madre. 722/915 Lascio sempre il telefono con la vibrazione, perché non sopporto lo squillo. Potrei scegliere qualsiasi melodia, ma per me un telefono che squilla è fastidioso quanto le unghie sulla lavagna. Spalanco le tende per lasciar entrare il sole già alto e mi appoggio al davanzale per guardare New Orleans. Non dimenticherò mai questo posto. Penso per un attimo a Andrew e a suo padre, ma poi scaccio il pensiero. Ho deciso di concedergli qualche altro giorno prima di rientrare in argomento. Soffrirà un po’, ma non voglio che mi usi involontariamente come barriera. Dovrà affrontare la questione, prima o poi. Poso il telefono sul davanzale e sfoglio la libreria musicale. È un po’ che non ascolto la mia musica, e 723/915 stranamente non mi è mancata molto. Il rock classico di Andrew ha iniziato a piacermi davvero. Barton Hollow dei Civil Wars, la mia preferita degli ultimi due mesi. Attivo l’altoparlante e lascio che la musica si diffonda nella stanza con quello stile country-folk che è il mio piacere proibito. Non sono proprio un’appassionata di country, ma quella band è l’eccezione che conferma la regola. Mi metto a cantare in coro con John e Joy, a squarciagola, al sicuro nella privacy della mia stanza. Accenno persino qualche passo di danza davanti alla finestra. E quando inizia l’assolo di Joy canto con lei, come sempre, cercando di imitare la sua voce di velluto. Non ci riuscirò mai, ma è divertente lo stesso. Mi fermo di scatto quando vedo Andrew che mi guarda, appoggiato alla 724/915 parete accanto alla porta. E sorride, ovviamente. Divento paonazza. Entra nella stanza e appoggia due sacchetti di plastica sul mobile tv. «Per essere così indolenzita, ancheggiavi bene» ironizza, e gli vengono le fossette. Ancora rossa come un peperone, cerco di distrarlo prendendo i sacchetti. «Be’, non dovresti entrare così, a tradimento.» «Macché, è stato divertente: hai davvero una bella voce.» Arrossisco ancor di più, gli volto le spalle e mi metto ad analizzare il contenuto di uno dei sacchetti. «Grazie, piccolo, ma ho paura che il tuo giudizio non sia imparziale.» Gli rivolgo una smorfia sarcastica. 725/915 «No, dico davvero» fa lui, tornando serio. «Non sei terribile come credi.» «Non terribile?» Mi giro tenendo in mano una grande bottiglia di olio per bambini. «Che vuol dire di preciso, che faccio schifo ma non troppo?» Sbuffo e gli mostro la bottiglia: «Avevo detto piccola». «Be’, le avevano finite.» «Ah, capisco» replico con un’altra smorfia. «Be’, no, non fai affatto schifo» dice lui, e sento il rumore delle molle quando si siede sul letto. Lo guardo nello specchio. «Te la sei cavata bene con lo shampoo e il balsamo» commento, tirando fuori i flaconi e posandoli accanto all’altro. «Ma un po’ meno bene con il bagnoschiuma.» 726/915 «Cosa?» Sembra davvero deluso. «Hai detto che non era sapone liquido per le mani. Su quella bottiglia c’è scritto chiaramente “bagnoschiuma”.» La indica, come per giustificarsi. «Stavo scherzando» esclamo sorridendo. «È proprio quello che volevo.» Sembra sollevato. Lascia cadere la mano sul letto. «Dovresti esibirti in pubblico. Almeno una volta, per vedere che effetto fa.» Non mi piace quest’idea. Non mi piace nemmeno un po’. «Be’, sì… no.» Scrollo la testa davanti allo specchio. «Un po’ come mangiare insetti o diventare astronauta per un giorno: non succederà.» Infilo la mano nel sacchetto e tiro fuori… oh no, non è possibile… «Perché no?» chiede lui. «Sarà un’esperienza nuova, una cosa che non 727/915 avresti mai pensato di fare, ma poi la fai e ti senti euforica.» «Che diavolo è questo?» chiedo voltandomi con una confezione di Vagisil in mano. È imbarazzatissimo. «È… be’, sai… per le tue… parti intime.» Accenna vagamente col capo alle mie “parti intime”. Resto a bocca aperta. «Secondo te puzzo? Mi hai visto grattarmi, per caso?» Sto cercando di non ridere. Sgrana gli occhi. «Cosa… No! Pensavo solo che potesse aiutarti con l’infiammazione.» Non l’avevo mai visto così sbigottito. «Ehi, guarda che sono un uomo: non è stato piacevole soffermarmi a leggere le etichette in quella corsia del negozio.» Inizia a gesticolare. «Ho visto che serviva per… quella parte del corpo, e così l’ho messo nel cestino con il resto.» 728/915 Poso il Vagisil e vado da lui. «Be’, non aiuta per l’infiammazione da… sfregamento, ma è il pensiero che conta.» Mi siedo sulle sue ginocchia, a gambe divaricate, e mi chino a baciarlo. Lui mi abbraccia. «Quindi non abbiamo più bisogno di camere separate» mi dice con un sorriso. Gli getto le braccia al collo e lo bacio di nuovo. «Mentre eri via volevo andare a prendere la tua roba nell’altra stanza, ma poi mi sono ricordata che ieri sera avevo buttato per terra la mia chiave.» Mi afferra il sedere con le grandi mani, mi tira a sé, mi bacia nell’incavo del collo e si alza in piedi continuando a reggermi. «Vado a prenderla io» dice, lasciandomi scivolare a terra con cautela. «Penso che mi ci vorranno un paio di 729/915 giorni per imparare a suonare quella canzone e per memorizzare il testo… Tu invece la sai già, a quanto pare.» Oh-oh… Lo guardo di sottecchi. «Perché dovresti impararla?» Gli si accentuano le fossette. «Se ben ricordo, tu hai rinunciato alla libertà dopo averla vinta a quella partita di biliardo.» Il suo viso è diabolico. Scuoto la testa, dapprima lentamente e poi sempre più forte man mano che mi rendo conto della situazione. «Hai detto qualcosa del tipo: Non la voglio, la libertà, a meno che non si tratti di mangiare insetti o di mostrare le chiappe dal finestrino della macchina. Scusa, piccola, ma dovresti capire quando è meglio tenere la bocca chiusa.» 730/915 «No… Andrew!» Indietreggio e incrocio le braccia sul petto. «Non puoi costringermi a cantare in pubblico. È una crudeltà.» «Per te o per il pubblico?» Sorride. Gli pesto un piede. «Scherzavo! Scherzavo!» Ora ride forte. «Be’, non puoi obbligarmi.» Piega la testa di lato, nei suoi occhi verdi si accende una scintilla irresistibile. «No, non ti obbligherò a fare nulla, ma…» Oh, fantastico, ora fa il broncio. E quel che è peggio, sta funzionando! «Mi piacerebbe tanto, tanto, tanto che tu lo facessi.» Mi prende per i gomiti e mi tira a sé. Ringhio a bocca chiusa. Faccio lunghi respiri e conto fino a dieci. «Va bene.» 731/915 Gli si illumina il viso. «Ma una volta sola!» Gli punto un dito addosso. «E se qualcuno ride di me, vedi di non lasciarmi marcire in galera!» Mi prende il viso tra le mani e mi schiocca un bacio. 37 Pochi minuti dopo, Andrew rientra nella stanza con i bagagli e la chitarra acustica di suo fratello. È davvero felice. Io invece sono terrorizzata, e mi sono già pentita di aver accettato. Però devo ammettere che sono un po’ curiosa. Non mi fa paura stare di fronte a un pubblico: al liceo non ho avuto problemi a tenere un discorso sugli animali in via di estinzione, né a interpretare il ruolo dell’infermiera Ratched in Qualcuno volò sul nido del cuculo nello 733/915 spettacolo dell’ultimo anno. Ma cantare è diverso. A recitare non sono malaccio, ma cantare è un’altra storia: soprattutto se si tratta di un duetto con uno come Andrew, un dio del blues-rock la cui voce sembra fatta apposta per sfilare le mutandine alle ragazze. «Avevo capito che i tuoi gusti musicali fossero diversi dai miei.» Andrew posa le borse a terra e si siede sul letto con la chitarra. «Be’, qualsiasi canzone fosse, cantavi e ballavi così bene che posso tollerarla.» «Erano i Civil Wars, la mia band preferita di questo periodo» dico, mentre esco dal bagno asciugando i capelli con un telo di spugna (ho deciso di lavarli di nuovo dopo che Andrew mi ha portato lo shampoo). «La canzone si intitola Barton Hollow.» 734/915 «Molto moderno, molto folk» dice lui, accennando qualche accordo sulla chitarra. «Mi piace.» Poi mi guarda e aggiunge: «Dov’è il tuo telefono?». Vado a prenderlo dal davanzale, riporto la canzone all’inizio e glielo porgo. Lui lo mette sul letto e preme play. Torno ad asciugarmi i capelli mentre lui ascolta e riascolta la canzone per impararla a orecchio, muovendo le dita sui tasti della chitarra finché non trova gli accordi giusti. In pochi minuti, dopo qualche nota dissonante, riesce già a suonare il primo riff. E al tramonto ha già imparato tutta la canzone, tranne un breve passaggio che continua a confondere con un altro. Per fare prima ha cercato lo spartito online, e una volta trovato il lavoro si è velocizzato molto. Il testo invece gli ha dato meno problemi. 735/915 «Credo che ci siamo» dice sedendosi sul davanzale, sullo sfondo di un cielo plumbeo. Ha iniziato a piovere verso le otto e non ha più smesso. Ogni tanto intervengo per cantare qualche parola, ma sono troppo nervosa. Non so proprio come farò a esibirmi se mi agito da sola con lui. Evidentemente mi sbagliavo: dopotutto ho davvero il terrore del palcoscenico. «Coraggio, piccola» fa lui con un cenno del capo e senza togliere le dita dalle corde, «solo perché sai già le parole non vuol dire che non devi esercitarti con me.» Mi lascio cadere sul letto. «Prometti che non mi farai smorfie, non sorriderai, e…» «Non respirerò neppure» dice lui, e ride. «Te lo giuro! Coraggio.» 736/915 Sospiro e mi alzo dal letto, appoggiando sul comodino la striscia di carne essiccata che stavo mangiucchiando. Andrew si appoggia la chitarra sulla coscia e beve un sorso di tè freddo per prepararsi a cantare. «Non preoccuparti» mi rassicura mentre mi avvicino lentamente, «la voce maschile ha molte più parti rispetto a quella femminile: lei ha soltanto quell’assolo, per il resto del tempo canti in coro con me.» Faccio spallucce, nervosa. «È vero» ammetto. «Se non altro, per gran parte della canzone la tua voce coprirà la mia.» Si infila il plettro tra le labbra e mi porge la mano. «Piccola, vieni qui.» Gli prendo la mano e lui mi tira a sé, lasciando la chitarra tra noi. Si toglie il plettro di bocca. «Mi piace davvero la 737/915 tua voce, capito? Ma anche se tu non sapessi cantare vorrei comunque che lo facessi. Non importa quel che pensano gli altri.» Accenno un sorriso imbarazzato. «Va bene, lo faccio per te, ma soltanto per te: vedi di non dimenticarlo.» Gli punto un dito contro, con aria severa. «Mi sarai debitore.» Scrolla la testa. «Non voglio che tu lo faccia solo per me. Dopo che ti sarai esibita mi dirai se ti ha dato soddisfazione o se lo hai fatto solo per me.» «Mi sembra equo.» Annuisce, sistema la chitarra e posa il plettro sulle corde. «A… aspetta… Magari se ti alzi in piedi anche tu non mi sentirò così al centro dell’attenzione.» 738/915 Ride e si alza. «Oh, che diavolo… e va bene, tutto quel che vuoi. Se decidi di cantare con un sacco di iuta sopra la testa, ne hai il permesso.» Lo guardo come se valutassi davvero quell’idea assurda. «Non pensarci nemmeno, Camryn: niente sacchi. Ora mettiamoci al lavoro.» Ci esercitiamo per tutta la serata, finché siamo costretti a smettere perché disturbiamo gli ospiti delle stanze accanto. Proprio quando iniziavo a rilassarmi un po’, a non preoccuparmi del giudizio di Andrew sulla mia voce. Mi sembrava di cavarmela abbastanza bene. Andiamo a letto prima del solito, e restiamo sdraiati vicini a parlare. «Sono contenta che tu non ti sia stufato delle mie stronzate» gli dico, accoccolata nell’incavo del suo gomito. 739/915 «Altrimenti a quest’ora potrei essere di nuovo in North Carolina.» Mi bacia sulla tempia. «Devo confessarti una cosa.» Drizzo le antenne. «Ah sì?» «Sì.» Guarda il soffitto dove le luci della città disegnano strane figure. «A Wellington, in Kansas, in quel primo motel in cui siamo stati… La mattina dopo, mentre tu eri in bagno e ti ho lasciato due minuti per prepararti…» Si interrompe e sento che gira leggermente la testa verso di me. Tiro indietro la testa per guardarlo. «Sì, mi ricordo. Cos’hai fatto?» Sorride, nervoso. «Diciamo che ho scattato una foto alla tua patente con il telefonino.» Batto le palpebre, perplessa. «E perché?» Mi scosto per vederlo meglio. 740/915 «Sei arrabbiata?» Sbuffo. «Penso dipenda da cosa avevi intenzione di fare con informazioni così personali.» Distoglie lo sguardo, ma lo vedo arrossire anche al buio. «Be’, di sicuro non era per rintracciarti in un secondo momento e farti a pezzi.» Resto a bocca aperta. «Be’, questa sì che è una consolazione!» rido. «Sul serio però, perché l’hai fotografata?» Lui torna a guardare il soffitto e sembra smarrirsi nei pensieri. «Volevo solo accertarmi di poterti ritrovare» confessa. «Sai… nell’eventualità che decidessimo di andare ognuno per la propria strada.» I miei occhi gli sorridono, ma la mia bocca no. Non sono arrabbiata perché 741/915 ha scattato la foto per quel motivo – anzi vorrei baciarlo – ma non sono sicura che mi piaccia la parte sull’“eventualità”. Mi fa pensare, più di quanto non faccia già, che Andrew avesse in mente di andarsene comunque. «Andrew?» «Che c’è, piccola?» «C’è altro che non mi hai detto?» Esita. «No, perché me lo chiedi?» Guardo anch’io il soffitto. «Non lo so, è solo che ho sempre percepito in te una strana… riluttanza.» «Riluttanza?» ripete lui, sorpreso. «Ero riluttante quando ti ho convinta a fare questo viaggio con me? Ero forse restio a baciarti tra le gambe?» «No, direi di no.» 742/915 «Camryn, ho esitato solo quando mi sono chiesto se fosse giusto stare insieme.» Mi tiro a sedere sul letto e mi volto per guardarlo. L’ombra sul suo viso fa risaltare il fuoco nei suoi occhi. È a torso nudo, sdraiato con un braccio piegato dietro la testa. «Pensi che non stiamo bene insieme?» Quella conversazione inizia a farmi annodare lo stomaco. Lui mi prende delicatamente per un polso. «No, piccola, penso che stiamo benissimo, ed è per questo che credo… credevo fosse meglio non restare insieme.» «Ma non ha senso!» Mi tira a sé e io gli appoggio le mani sul petto. 743/915 «È solo che non ero sicuro che fosse giusto continuare» dice, ravviandomi i capelli dietro le orecchie. «Ma neanche tu eri sicura di niente, piccola.» Mi sdraio accanto a lui. Ha ragione. L’unica cosa che non capisco ancora è quali fossero le sue ragioni per andarci tanto cauto. Sa perché me ne sono andata di casa e tutto sulla morte di Ian. Ho un lungo elenco di motivi validi attaccato al frigorifero con una calamita a forma di banana. Le motivazioni di Andrew invece sono ancora nascoste da qualche parte, in una scatola da scarpe con l’etichetta “biglietti d’auguri per Natale”. E ho l’impressione che non c’entri soltanto suo padre. Mi sfila il braccio da sotto la testa e scivola sopra di me, stringendomi tra le gambe e reggendosi sulle braccia muscolose. 744/915 «Sono contento che tu non riesca a dormire con la musica accesa» dice, ricordando la prima cosa che gli ho detto quando ci siamo conosciuti, e poi si china a baciarmi. Accarezzo il suo viso bellissimo e lo tiro a me per baciarlo ancora. «E io sono contenta che l’Idaho sia famoso per le patate.» Aggrotta la fronte. Sorrido e ci baciamo di nuovo. Poi le sue labbra scendono sul mio stomaco, la punta della lingua traccia un cerchio intorno all’ombelico e le dita si infilano sotto l’elastico dei miei slip. «Non penso di poter…» sussurro, guardandolo. Mi lecca lo stomaco e poi mi bacia le dita mentre le mie mani gli accarezzano il viso e poi gli affondano tra i capelli. 745/915 «Niente sesso» dice «e prometto che ti leccherò con cautela.» Mi sfila le mutandine e io sollevo i fianchi per farle scorrere. Mi bacia l’interno di una coscia. E poi dell’altra, avvicinandosi al centro del mio piacere. Ansimo leggermente quando le sue dita mi sfiorano e separano le grandi labbra. «Accidenti, piccola, sei davvero arrossata» dice con dispiacere, non per prendermi in giro. In effetti dà un po’ fastidio, ma Dio mio, lo voglio così tanto… Sento il suo fiato caldo tra le gambe. «Sarò molto delicato» e mi si mozza il fiato quando inizia a leccarmi lentamente, mentre con le dita mi tiene aperta ma senza esercitare pressione. 746/915 Affondo tra le lenzuola mentre lui mi lecca a lungo, senza farmi male, ma con la giusta intensità per mandarmi in estasi. Proviamo Barton Hollow da due giorni: quasi sempre nella nostra camera all’Holiday Inn, ma una volta siamo andati a suonare in riva al Mississippi, in fondo a Canal Street. Penso che Andrew stia cercando di farmi abituare gradualmente a cantare in un luogo pubblico. Non c’erano in giro molte persone, ma ero comunque un fascio di nervi. Quasi nessuno si è fermato a guardare (non ci stavamo esibendo: ci interrompevamo spesso per ripetere una strofa o l’altra, quindi non c’era molto da ascoltare), ma un paio di persone hanno rallentato e una donna mi ha sorriso. Non so se fosse un sorriso di compassione perché cantavo male, o se davvero le piacesse 747/915 la mia voce. Poteva essere l’una o l’altra cosa. Il terzo giorno Andrew si dichiara soddisfatto e annuncia che ci esibiremo all’Old Point al più presto. Io sono meno convinta. Mi serve un’altra settimana, o un mese, magari un anno o due. «Te la caverai bene» dice lui allacciandosi le scarpe. «Anzi, benissimo. Alla fine della canzone dovrò strapparti gli uomini di dosso.» «Oh, sta’ zitto» sbotto, infilandomi una canottiera nera con catenelle al posto delle bretelline. Per una serata del genere non indosserò certo il top senza spalline. «Ho visto come ti guardavano le ragazze quella sera: la mia unica consolazione è che tu sarai lassù con me, così tutti guarderanno te e non faranno caso ai miei errori.» 748/915 «Piccola, conosci la canzone meglio di me. Non essere così pessimista.» Si sistema la T-shirt nera sugli addominali. Jeans scuri, i capelli un po’ spettinati sulla fronte… Cosa stava dicendo? «L’unica cosa che devi sforzarti di ricordare» dice mettendosi il deodorante «è di non cantare tutto il testo della canzone. Hai un’occasione per stare zitta, e invece canti anche le mie parti.» Inarca un sopracciglio e mi guarda. «Non che mi dispiaccia, solo pensavo che preferissi cantare di meno.» «Lo so, è solo che sono così abituata a cantare tutta la canzone… è difficile ricordarmi di saltare certe parti.» Annuisce. Infilo le nuove scarpe col tacco e vado a guardarmi nel grande specchio sopra il mobile tv. 749/915 «Sei così sexy, accidenti» dice Andrew avvicinandosi dietro di me. Mi cinge la vita e mi bacia sul collo, poi mi dà una pacca sul sedere sopra i jeans quasi skinny e io caccio un urletto perché mi ha fatto male. «E come sempre, piccola, adoro le tue trecce.» Fa scorrere i pollici sulle due trecce che mi ricadono sulle spalle e poi mi dà un bacio leggero su una guancia. Mi ritraggo e lo spingo via. «Mi rovini il trucco.» Si allontana sorridendo, prende il portafogli dal comodino e lo infila in tasca. «Be’, credo che siamo pronti» dice. Si sposta al centro della stanza e allunga una mano verso di me, mette l’altro braccio dietro la schiena e fa un inchino, sorridendo. Le punte delle sue 750/915 dita sfiorano le mie, poi mi prende per mano e mi tira verso la porta. «E la chitarra?» Stava già aprendo la porta, e mi sorride grato. «Sì, potrebbe tornarci utile» scherza, prendendo la chitarra per il manico. «Se Eddie stasera non c’è, rischiavamo di non avere una chitarra.» «Oh, be’, non mi sarei lamentata.» Scrolla la testa e mi trascina fuori dalla porta. 38 Stavolta prendiamo la Chevelle. Andrew ha scoccato un’occhiata alle mie scarpe e ha capito che non sarei arrivata a piedi fino ad Algiers, e non aveva intenzione di portarmi in braccio insieme alla chitarra. Imbocchiamo la superstrada invece di prendere il traghetto, superiamo il ponte sul Mississippi e arriviamo a destinazione quando il sole sta tramontando. Avrei preferito fare a piedi il resto della strada, come la prima volta: so che in macchina arriveremo troppo presto. Mi sta venendo il mal di pancia. 752/915 Parcheggiamo in Olivier Street e scendiamo. Non riesco a muovere i piedi: sono incollati all’asfalto. Andrew gira intorno alla macchina e mi stringe tra le braccia. «Non ti obbligherò» dice. Ha cambiato idea. Devo avere l’aria di una che sta per vomitare il pranzo. Mi prende il viso tra le mani e mi fissa negli occhi. «Dico la verità, piccola, basta con gli scherzi: non voglio che tu lo faccia se non sei assolutamente convinta, neppure se lo fai per me.» Annuisco nervosa e tiro un lungo respiro; il mio viso è ancora stretto fra le sue mani. «No, posso farcela» annuisco, cercando di prendere il coraggio a due mani. «Lo voglio fare.» Lui mi accarezza le guance con i pollici. «Sei sicura?» «Sì.» 753/915 Mi sorride con quegli occhi verdi che inizio a credere mi stiano stregando, e poi mi prende per mano, recupera la chitarra dal sedile posteriore ed entriamo insieme all’Old Point. «Parrish!» esclama Carla da dietro il bancone. Ci saluta con la mano e fa cenno di avvicinarci. Senza lasciarmi la mano Andrew si fa strada tra la gente fino al bar. Il televisore dietro la testa di Carla trasmette pubblicità creando un alone bianco tutt’intorno a lei. «Ehi, Carla» dice Andrew, sporgendosi sopra il bancone per abbracciarla. «C’è Eddie, stasera?» Lei si mette le mani sui fianchi e mi sorride. «Certo che c’è, è qui da qualche parte. Ciao Camryn, è bello rivederti.» «Anche per me.» Ricambio il sorriso. 754/915 Andrew si siede su uno sgabello e mi indica quello accanto. Mi ci arrampico e mi siedo, nervosa. Riesco a pensare solo a quant’è affollato il locale. Mi guardo intorno, sopra le teste e tra le persone che si sono alzate dai tavoli ora che la band ha ricominciato a suonare. La musica aumenta di volume e Andrew e Carla devono quasi gridare per parlarsi. «C’è posto per noi stasera?» chiede Andrew. Carla si sporge verso di lui. «Noi?» chiede, scoccandomi un’occhiata. «Ma dài, cantate tutti e due?» Sembra entusiasta. Il cuore mi sprofonda fino all’altezza delle ginocchia. Sposto lo sguardo dall’uno all’altra, ma non riesco a deglutire il nodo che mi serra la gola. 755/915 Carla piega la testa di lato e sorride. «Oh, mia cara, te la caverai alla grande! Non essere nervosa, piacerai a tutti.» Tira fuori un bicchierino da shot. Un uomo è seduto al bancone al mio fianco, ed evidentemente è un cliente fisso perché Carla gli sta già versando il solito. Ma la sua attenzione è concentrata su Andrew e me. «Ho cercato di farglielo capire» dice Andrew, «ma è la sua prima volta, quindi devo essere paziente.» «La prima e l’ultima» lo correggo. Carla scambia un sorriso con Andrew e poi mi dice: «Be’, non sono un tipo violento… ma se qualcuno qui dentro ti dà problemi, vieni da me e lo butto fuori dalla porta sul retro come si vede fare nei film». Mi fa l’occhiolino e poi si rivolge a Andrew: «Ecco Eddie» fa con un cenno del capo. 756/915 Eddie si sta facendo largo tra la folla. È vestito come la prima volta che l’ho visto: camicia bianca, pantaloni neri, scarpe nere lucide e un sorriso incorniciato dalle rughe. «Ma guarda un po’, Parrish» dice, agguantando la mano di Andrew e stringendolo in un abbraccio. Poi si rivolge a me. «Cazzo, sembri una modella uscita da una rivista, sono serio!» e abbraccia anche me. Odora di fumo e whisky da quattro soldi, ma il suo abbraccio mi conforta, non so perché. Andrew è raggiante. «Camryn canta con me, stasera» spiega orgoglioso. Eddie strabuzza gli occhi per l’entusiasmo: due enormi sfere bianche che si stagliano sullo sfondo scuro della pelle. Dovrei sentirmi ancor più nervosa, come quando l’ha saputo Carla, e invece la presenza di quest’uomo mi 757/915 rasserena un po’. Forse dovrei ammanettarmelo al polso mentre canto. Mi sorride: «Bimba, scommetto che la tua voce è bella quanto la faccia». Avvampo. «Be’, il palco è tutto vostro! Appena finisce questa canzone!» Andrew mi prende per mano e mi tira verso di sé. Ho l’impressione che Eddie sia per lui una figura paterna, e che sia contento che io gli stia simpatica. Eddie si avvicina al palco e ci mostra tre dita: «Tre minuti!». «Oddio, sono nervosissima!» Sì, avrei preferito che Eddie mi restasse accanto. Andrew mi stringe forte la mano e si china a dirmi all’orecchio: «Ricordati che tutte queste persone sono qui per 758/915 divertirsi, nessuno ti giudicherà. Non siamo a una gara di canto». Traggo un lungo respiro e tento di rilassarmi. Ascoltiamo la fine della canzone e poi la musica si interrompe, seguita dal solito brusio degli strumenti che vengono accordati o che sbattono l’uno contro l’altro. Il chiacchiericcio aumenta di volume ora che non è coperto dalla musica. Una densa cappa di fumo di sigaretta rende l’aria opprimente. Quando Andrew mi tira verso il palco mi tremano le mani e mi accorgo che sto affondando le unghie nel palmo. Mi sorride dolcemente e io mi incammino con lui. «Sono presentabile?» gli sussurro. Sarà un miracolo se arrivo alla fine 759/915 della serata senza avere un attacco di panico. «Piccola, sei perfetta.» Mi bacia la fronte e poi posa la chitarra accanto alla batteria per sistemare il microfono. «Divideremo il microfono» mi dice. «Non darmi una testata.» Lo guardo di traverso. «Non fa ridere.» «Non sto cercando di farti ridere. Sono serissimo» dice con un ghigno. Alcuni spettatori ci guardano già, ma gli altri si fanno gli affari propri. Non ho altro da fare che restare lì impalata, e già questo mi innervosisce. Almeno Andrew ha la chitarra da accordare, io invece posso solo agitarmi. «Sei pronta?» mi chiede. «No, ma togliamoci il pensiero.» 760/915 Ci guardiamo e lui mima con le labbra: «Un, due, tre…». Cantiamo insieme: «Ooooh…oooh…oooh…oooh!» Un secondo di pausa. «Ooooh…oooh…oooh…oooh!». Chitarra. Decine di teste si voltano all’unisono e il brusio delle voci cessa di colpo, come un rubinetto che si chiude. Mentre Andrew suona il riff e si prepara a cantare la prima strofa, io provo un tale terrore che mi sembra di non riuscire a muovere nient’altro che gli occhi. Ma più lui suona e più il mio corpo è spinto a muoversi a tempo di musica. Anche gli spettatori iniziano a dondolare la testa al ritmo della canzone. 761/915 Andrew canta la prima strofa. E poi, per un momento, di nuovo insieme: «Ooooh…». Poi arriva il ritornello, e lo cantiamo a due voci, e so che di lì a poco dovrò toccare una nota alta… Ce l’ho fatta! Andrew sfodera un gran sorriso e passa alla strofa successiva, senza smettere di suonare e senza sbagliare un accordo, come se conoscesse quella canzone da sempre. Il pubblico si sta appassionando. Si scambiano cenni del capo, come a dire sono davvero bravi, e quando canto di nuovo la mia parte con Andrew sorrido, perché mi sento più sicura. Ora sono più sciolta e credo di essermi quasi completamente liberata dalla paura, ma il mio assolo… Oddio, adesso arriva il mio assolo… 762/915 Andrew mi guarda negli occhi come per infondermi calma e concentrazione, e continua a suonare. Appena prima che arrivi il mio turno, smette di suonare e dà un colpetto secco alla cassa della chitarra, per darmi il ritmo. Poi suona un accordo e si ferma di nuovo, e poi un altro colpetto dopo il mio secondo verso… e così via fino all’ultima nota, dopodiché ricominciamo in coro. Mi sorride, e io ricambio. Restiamo guancia a guancia mentre il ritmo della canzone accelera. «Woooh…oooh…oooh!» Poi la chitarra scema e cantiamo insieme a bassa voce il ritornello finale, e dopo l’ultima parola lui mi bacia sulla bocca. E la canzone finisce. Il pubblico scoppia in un applauso fragoroso. Sento persino un tizio dal fondo che grida «Bis!» 763/915 Andrew mi bacia di nuovo, davanti a tutti. «Porca miseria, piccola, sei stata fantastica!» Ha una luce negli occhi che gli illumina tutto il viso. «Non ci posso credere!» Devo praticamente gridare, perché intorno a noi strillano tutti. Ho la pelle d’oca ovunque. «Lo vuoi rifare?» mi chiede. Deglutisco. «No, non sono pronta! Ma sono contenta di averlo fatto!» «Sono molto orgoglioso di te!» Ci si avvicinano alcuni uomini di una certa età con in mano boccali di birra. Quello con la barba esclama: «Devi ballare con me!». Alza le braccia e accenna un passo di danza, una mossetta imbarazzante. Arrossisco e vedo che Andrew ride sotto i baffi. 764/915 «Ma non c’è musica!» faccio notare all’uomo. «Col cavolo che non c’è!» Fa un cenno a qualcuno dall’altra parte del locale, e pochi secondi dopo parte una canzone sul jukebox. Sono così travolta dall’entusiasmo per essere riuscita a cantare in pubblico che mi metto a ballare con quell’uomo, anche perché mi sentirei molto in colpa se gli dicessi di no. Mi volto di nuovo a guardare Andrew e lui mi fa l’occhiolino. L’uomo barbuto mi prende la mano, la solleva sopra la testa e istintivamente io faccio una piroetta. Ballo con lui per due canzoni, e poi Andrew viene a “salvarmi”: si insinua tra noi e mi si lancia addosso, mi stringe in vita e si mette ad ancheggiare. Balliamo, chiacchieriamo con la gente e giochiamo persino a 765/915 freccette con Carla. Quando usciamo è mezzanotte passata. In macchina, al ritorno, Andrew mi guarda con un sorriso complice e mi chiede: «Allora, come ti senti?». «Avevi ragione. Mi sento… non lo so, diversa, ma in senso buono: non avrei mai pensato di poter fare una cosa simile.» «Be’, sono contento che tu l’abbia fatto.» Sembra davvero soddisfatto. Slaccio la cintura di sicurezza e scivolo sul sedile verso di lui, che mi posa un braccio sulle spalle. «Allora, per domani sera?» «Eh?» «Vuoi cantare anche domani sera?» «No, non penso che ci riuscirei…» «Va bene, non importa» mi rassicura lui, massaggiandomi il braccio. «Già 766/915 così è più di quanto mi aspettassi, quindi non ti stresserò.» «No» esclamo, scostandomi e voltandomi per guardarlo. «La sai una cosa? Sì. Voglio rifarlo.» Lo vedo sorpreso. «Davvero?» «Sì, davvero.» Gli sorrido. Mi sorride. «Va bene, allora!» esclama dando una pacca sul volante. «Domani sera si suona di nuovo.» Ritorniamo in albergo e facciamo sesso nella doccia prima di andare a letto. Restiamo a New Orleans per altre due settimane, suonando all’Old Point e poi in vari altri locali della città. Se un mese prima mi avessero detto che avrei cantato dal vivo in un locale, probabilmente mi sarebbe sembrato ridicolo; e 767/915 invece eccomi qui a gorgheggiare Barton Hollow a pieni polmoni, e anche qualche altra canzone in cui faccio la corista e non sono al centro dell’attenzione. Ma siamo piaciuti a tutti. Ogni sera varie persone ci fermavano per stringerci la mano e ci chiedevano di cantare questa o quell’altra canzone, ma Andrew rifiutava sempre. Sono ancora troppo nervosa per riuscire a cantare su richiesta. E con mia grande sorpresa, un paio di volte mi hanno persino chiesto l’autografo! Dovevano essere davvero ubriachi. Alla fine di quelle due settimane, Andrew ha una nuova band da aggiungere all’elenco delle preferite: adora i Civil Wars quanto me. E ieri sera, la nostra ultima sera a New Orleans, abbiamo cantato Poison & Wine ascoltandola sul telefono, sdraiati a letto insieme… e… mi sembra che attraverso il 768/915 testo di quella canzone ci siamo detti cose che volevamo dirci da tempo… O almeno credo… Mi sono addormentata tra le sue braccia, piangendo sommessamente. Devo essere morta, e questo è il paradiso. 39 Andrew «Devi farlo, per sicurezza» disse Marsters seduto sulla sedia da ufficio nera, così terribilmente prevedibile, nel suo prevedibile ambulatorio con indosso un camice prevedibile. «Non ce n’è bisogno» ribattei io, seduto dall’altra parte. «Che altro c’è da dire? Che altro c’è da scoprire?» «Ma tu…» «No, ascolti, la sa una cosa? Vaffanculo.» Mi alzai scaraventando all’indietro 770/915 la sedia, che andò a sbattere contro una pianta alle mie spalle. «Non ho intenzione di sopportare quella merda.» Me ne andai, sbattendo così forte la porta che il vetro tremò nel telaio. «Andrew! Piccolo, svegliati!» dice Camryn. Apro gli occhi di scatto. Sono ancora sul sedile del passeggero. Quanto avrò dormito? Mi tiro su, scrocchio il collo da ambo i lati e mi stropiccio il viso. «Stai bene?» È notte. Vedo lo sguardo preoccupato di Camryn che mi fissa finché non è costretta a guardare la strada. «Sì» rispondo, annuendo. «Sto bene. Probabilmente ho solo avuto un incubo, ma non lo ricordo neppure» mento di nuovo. «Hai preso a pugni il cruscotto. Un pugno, così, senza preavviso: mi hai spaventata da morire.» 771/915 «Scusami, piccola.» Le sorrido e la bacio sulla guancia. «Da quanto guidi tu?» Controlla l’orologio. «Non lo so, forse un paio d’ore.» Guardo i cartelli stradali per scoprire se mi ha dato retta ed è rimasta sulla 90. «Accosta laggiù» le dico accennando a una piazzola di sosta. Esce dalla carreggiata e si ferma sull’asfalto accidentato, disinnestando la marcia. Faccio per scendere, ma lei mi ferma prendendomi per un braccio. «Andrew, aspetta…» La guardo. Spegne il motore e si slaccia la cintura di sicurezza. «Voglio guidare un po’, così puoi dormire» le dico. 772/915 «Lo so» risponde, guardandomi con aria grave. «Che succede?» Stringe il volante con entrambe le mani e si appoggia allo schienale. «Non sono più tanto sicura del Texas.» «Perché no?» Scorro sul sedile accanto a lei. Finalmente mi guarda. «Perché poi cosa succede? Sembra proprio l’ultima fermata. C’è casa tua, lì. Cosa resta da fare?» So cosa intende, e da un po’ condivido in segreto i suoi timori. «Qualsiasi cosa ci vada di fare» rispondo. Mi giro e allungo una mano per prenderle il mento. «Guardami.» Nei suoi occhi vedo balenare il desiderio, la paura, la sofferenza. Lo so perché provo anch’io le stesse emozioni. 773/915 Con la gola serrata, mi sporgo a baciarla delicatamente. «Lo capiremo quando arriviamo lì, okay?» Annuisce, per nulla convinta. Cerco di sorriderle, ma è difficile quando so di non poterle dare le risposte che cerca. Le risposte che voglio darle. Si sposta dal lato del passeggero mentre io scendo e giro intorno alla macchina. Due veicoli vengono dalla direzione opposta e ci accecano con i fari. Richiudo la portiera e resto seduto immobile per un momento. Camryn guarda fuori dal finestrino, e senza dubbio i suoi pensieri sono simili ai miei: si sente sperduta, incerta. Non ho mai sentito con nessuno il legame che provo per lei, e mi uccide pian piano. Stringo la chiave di accensione e faccio un lungo sospiro. «Prendiamo la strada lunga» dico a voce bassa, senza 774/915 guardarla, e poi avvio il motore. Mi sento osservato. Le scocco un’occhiata. «Se vuoi.» Un accenno di sorriso le illumina il viso. Annuisce. Premo un pulsante e il lettore cd cambia canzone: i Bad Company. Ricordo il nostro patto e faccio per cambiare ancora, ma Camryn dice: «No, lasciala» e il suo sorriso si allarga. Chissà se ricorda quando ci siamo conosciuti sull’autobus, quella prima sera, quando le ho chiesto di dirmi il titolo di una canzone dei Bad Company. Ha risposto Ready for Love. E allora io le ho chiesto: «Sicura di essere pronta?» Non so perché l’ho fatto, ma ora mi rendo conto che non era poi così sbagliato. Strano che ora stiamo ascoltando proprio quella canzone. 775/915 Attraversiamo la Louisiana meridionale e poi restiamo sulla 82 fino al Texas. Camryn non fa che sorridere, quella mattina – pur essendo in Texas – e guardarla fa sorridere anche me. Viaggiamo con i finestrini abbassati e lei tiene i piedi nudi fuori dal finestrino. Quando cerco di tenere d’occhio il traffico dal retrovisore vedo solo le sue belle unghie smaltate. «Non è un vero viaggio, se non tiri fuori i piedi dal finestrino!» grida lei sopra la musica e il vento. Porta i capelli stretti in un’unica treccia, ma il vento le sferza le ciocche sul viso. «Hai ragione» dico, premendo l’acceleratore, «e perché sia un vero viaggio devi molestare sessualmente un camionista.» Volta la testa di scatto e i capelli le finiscono in bocca. «Eh?» 776/915 Sorrido. «Sì, è obbligatorio.» Tamburello le dita sul volante al ritmo della musica. «Non lo sapevi? Devi fare una delle seguenti tre cose. Uno… mostrare le tette a un camionista.» Sgrana gli occhioni blu. «Due: ci affianchiamo a un camion e tu fingi di toccarti.» Strabuzza gli occhi e resta a bocca aperta. «Oppure, tre: devi fare questo gesto…» alzo e abbasso il braccio con il pugno rivolto verso l’alto, «finché lui non si attacca al clacson.» La vedo sollevata. «Va bene» dice, e un sorriso misterioso le curva gli angoli delle labbra, «al prossimo tir che vediamo coronerò quest’avventura molestando 777/915 sessualmente un camionista.» Lo dice con assoluta convinzione. Dieci minuti dopo individuiamo la nostra vittima (vittima per modo di dire; dopotutto è di Camryn che stiamo parlando, quindi beato lui). Ci troviamo su un lungo tratto di strada dritta che attraversa una campagna pianeggiante e senza alberi. Ci accodiamo al tir e teniamo un’andatura di centocinque chilometri all’ora. Camryn, che indossa quei pantaloncini bianchi cortissimi che mi piacciono tanto, posa i piedi sul pavimento della macchina. Il suo sorriso complice mi eccita. «Sei pronta?» le chiedo, abbassando leggermente il volume della musica. Lei annuisce e io guardo gli specchietti e la strada davanti a noi, per accertarmi che non provengano veicoli da nessuna delle due direzioni. Mentre 778/915 esco dalla scia del camion e mi sposto sulla corsia opposta per superarlo, Camryn infila la mano destra nella cintura dei pantaloncini. Ho un’erezione istantanea. Pensavo che avrebbe scelto il gesto del braccio, molto meno compromettente! I pensieri più sporchi del mondo mi affollano la testa, e lei ricambia il mio sorriso. Schiaccio l’acceleratore e la macchina prende gradualmente velocità finché ci accostiamo all’abitacolo del camion. Oh Cristo… La mano di Camryn si muove sotto il tessuto sottile degli shorts, con gesti lenti ma inequivocabili, mentre l’indice e il pollice della sinistra tirano giù l’elastico. Appoggia la testa al sedile e si lascia scivolare un po’ più giù. Non riesco quasi a tenere gli occhi sulla strada. Si morde il labbro inferiore e 779/915 accelera il movimento delle dita. Inizio a pensare che non finga affatto. La mia erezione potrebbe tagliare un diamante. Il tir ci tiene testa. Distratto da Camryn, non mi ero accorto che stavo alzando il piede dall’acceleratore, e quando il tachimetro inizia a calare di qualche tacca vedo che rallenta anche il camion. Una voce rauca ulula dal finestrino: «Porco cazzo! Mi farai venire un infarto, bella! U-huu!». Si attacca al clacson. Preso da un attacco di gelosia, rallento da centocinque a settanta e torno dietro il camion. Appena in tempo, perché dal lato opposto sta arrivando un furgone. Guardo Camryn sapendo di avere gli occhi spiritati. Lei toglie la mano dai pantaloncini e mi sorride. «Non me l’aspettavo!» 780/915 «Per questo l’ho fatto» risponde lei, riappoggiando i piedi fuori dal finestrino. «Ti stavi… ti stavi toccando davvero?» Rallento ancora, fino a cinquantacinque all’ora. Il cuore mi rintrona fra le costole. «Sì, ma non per il camionista.» Sorride e si scosta una ciocca di capelli dalle labbra. Osservo le sue labbra, le fisso, vorrei morderle e baciarle. «Be’, non mi lamento» dico, cercando di concentrarmi sulla strada per non farci ammazzare, «solo che ora ho un… problemino.» Lei mi guarda in grembo e poi in faccia con la testa piegata di lato, con un’aria da pericolosa seduttrice. Poi scivola sul sedile vicino a me e mi affonda una mano tra le gambe. Ho paura 781/915 che il cuore mi esploda. Stringo il volante così forte che mi si sbiancano le nocche. Lei mi bacia il collo, e il mento, e poi l’orecchio. Ho la pelle d’oca in tutto il corpo. Inizia a slacciarmi i pantaloni. «Tu hai aiutato me con i miei “problemi”» mi sussurra all’orecchio, mordicchiandomi sul collo. «Mi sembra giusto ricambiare il favore.» Mi guarda. Annuisco come un idiota perché non riesco a formulare un pensiero coerente. Premo la schiena contro il sedile mentre lei prende in mano la mia erezione e china la testa tra il mio stomaco e il volante. Vengo scosso da un sussulto quando inizia a leccarmi. Oh cazzo, oh merda… non so più come si fa a guidare… Quando mi prende in bocca sobbalzo, la testa mi ricade leggermente 782/915 all’indietro, mi sforzo di tenere gli occhi sulla strada e resto a bocca aperta. Tengo il volante solo con la sinistra; mentre lei succhia più forte e più veloce, la mia mano destra le affonda tra i capelli biondi. I sessantacinque all’ora diventano ottanta. A novantacinque, mi tremano le gambe e ho la vista annebbiata. Riprendo il volante con entrambe le mani, cercando di mantenere il controllo su qualcosa, in particolare sulla macchina, e con un singulto e un gemito… vengo. Non ci sfracelliamo. Arriviamo a Galveston di mattina, e lei è ancora addormentata con le gambe che penzolano dal sedile. Non la sveglio, non ce n’è ancora bisogno. Passo lentamente davanti a casa di mia madre e vedo che la sua auto non è nel vialetto, 783/915 il che significa che quel giorno lavora in banca. Per ammazzare il tempo prendo la strada lunga per casa mia, passando per la Cinquantatreesima. Camryn non ha dormito molto la notte prima, ma evidentemente l’andatura più lenta basta a svegliarla. Inizia a stiracchiarsi prima che io entri nella zona residenziale di Park at Cedar Lawn. Solleva dal poggiatesta i bei capelli biondi e spettinati, e quando la guardo in faccia comincio a ridacchiare. «Che c’è da ridere?» borbotta. «Oh, piccola, ci ho provato a non farti addormentare in quel modo.» Si tira su, si guarda nello specchietto e sbuffa quando vede i tre lunghi solchi che le attraversano la guancia fino all’orecchio. Li sfiora con le dita. «Ahia, fa male.» 784/915 «Sei sempre bellissima, anche a strisce.» Rido e lei non trattiene un sorriso. «Be’, siamo arrivati» dico infine. Parcheggio, spengo il motore e lascio cadere le mani in grembo. C’è uno strano silenzio in macchina. Nessuno dei due ha mai detto esplicitamente che il viaggio sarebbe finito in Texas, o che le cose tra di noi sarebbero cambiate, ma è come se entrambi lo percepissimo. L’unica differenza è che… Io so il perché. Camryn resta seduta immobile, le mani posate una sull’altra. «Entriamo» dico per rompere il silenzio. Lei fa un sorriso forzato e poi apre la portiera. 785/915 «Wow, questo posto sembra più un dormitorio universitario che un quartiere residenziale.» Si mette in spalla la borsetta e il borsone e resta a guardare il palazzo antico e le gigantesche querce in giardino. «Negli anni Trenta era un ospedale militare dei Marine» le spiego, tirando fuori i bagagli dal baule. Camryn recupera la chitarra di Aidan dal sedile posteriore. Percorriamo un marciapiede bianco come il gesso e arriviamo al mio bilocale a piano terra. Infilo la chiave nella toppa e ci ritroviamo nell’ampia zona giorno. L’odore di casa disabitata mi assale appena entriamo; niente di fastidioso, è solo che sa di vuoto. Poso i bagagli sul pavimento. Camryn resta lì per un po’, a guardarsi intorno. 786/915 «Metti pure la tua roba dove vuoi, piccola.» Vado al divano, da cui sposto un paio di jeans buttati sullo schienale, e poi recupero un paio di boxer dalla poltrona e una maglietta dal poggiapiedi. «È un appartamento molto carino» commenta lei. «Non è proprio il classico appartamento da scapolo» dico entrando in sala da pranzo, «ma mi piace, e volevo essere più vicino alla spiaggia.» «Niente coinquilini?» chiede lei seguendomi. Scuoto la testa e vado in cucina ad aprire il frigo. «Non più. Il mio amico Heath ha abitato con me per circa tre mesi quando mi sono trasferito qui, ma poi è andato a vivere a Dallas con la fidanzata.» 787/915 Tiro fuori una bottiglia di ginger ale da due litri e richiudo lo sportello. «Vuoi qualcosa da bere? Vedi? Ho anche altro in frigo, a parte le bibite zuccherate e la birra, e come puoi notare non sono passato qui per metterle in frigo di nascosto, visto che ero con te.» Lei fa un sorriso dolce: «Grazie, ma al momento non ho sete. Perché hai comprato il ginger ale? Doposbronza, mal di pancia?» Le faccio un sorriso sarcastico e bevo un sorso. Non fa la smorfia che mi aspettavo. «Già, mi hai scoperto» ammetto, richiudendo il tappo. «Se vuoi farti una doccia il bagno è laggiù» aggiungo poi, uscendo dalla cucina e indicando il corridoio. «Io intanto chiamo mia madre perché non si preoccupi, e 788/915 faccio un po’ d’ordine prima di farmi una doccia anch’io.» Mentre lei si fa la doccia ispeziono l’appartamento in cerca di materiale incriminatorio: calzini sporchi (ne ho trovato uno ai piedi del letto), preservativi ancora confezionati (ne ho una scatola piena sul comodino, li infilo in fondo al secchio della spazzatura), confezioni aperte di preservativi (due nel cestino della mia stanza), altri vestiti sporchi e una rivista pornografica (merda! Quella è appoggiata sulla cassetta del water, l’avrà vista di sicuro!). Poi lavo i pochi piatti sporchi che avevo lasciato nel lavello e mi siedo in salotto per telefonare a mia madre. 40 Camryn Quando vedo la rivista porno, appoggiata distrattamente sullo sciacquone del water come fosse una rivista per motociclisti, mi viene da ridere. Mi chiedo se esistano uomini che non leggono porno, e poi mi dico che è una domanda stupida: anch’io ho guardato un sacco di porno su Internet, non ho il diritto di lamentarmi. Faccio una lunga doccia calda, mi asciugo con il telo da mare che mi ha dato Andrew e mi vesto. 790/915 Non mi piace il suo appartamento. Perché è in Texas. In circostanze diverse forse mi piacerebbe, ma penso ancora quel che gli ho detto quando abbiamo accostato sul ciglio della strada. Questo posto, ogni dettaglio di questo posto dice che siamo alla fine. La magia del tempo passato insieme è letteralmente evaporata, lavata via dalla pioggia della scorsa settimana, o quasi. Non i nostri sentimenti… no, quelli sono così forti che pensare alla fine diventa doloroso. Quello che proviamo l’uno per l’altra è… be’, è tutto quel che ci resta. La strada vuota davanti a noi non c’è più. Non ci sono più le soste improvvise, quando non sapevamo dove fossimo ma non ci importava. I motel e le piccole cose, come le strisce di carne essiccata, l’olio per bambini, il bagnoschiuma: tutto svanito. La colonna sonora della nostra vita 791/915 insieme, la nostra breve vita insieme, è svanita con le ultime note dell’ultima canzone dell’album. Ormai dagli altoparlanti esce solo il silenzio. Vorrei ricominciare da capo, ma la mia mano non vuole saperne di premere il pulsante. E non capisco perché. Mi asciugo una lacrima, ricaccio le emozioni giù nei polmoni e le imprigiono lì, poi faccio un lungo respiro prima di aprire la porta del bagno. Entrando in sala da pranzo sento Andrew che parla al telefono: «Non rompermi i coglioni, Aidan. Non ne ho proprio bisogno. Sì, e allora? Chi sei tu per dirmi cosa fare della mia vita? Cosa? Ma piantala. I funerali non sono un obbligo di legge. Per quanto mi riguarda, non voglio più andare a un funerale, a parte il mio. E comunque non so a cosa servano, i funerali: andare a 792/915 vedere una persona a cui volevi bene, sdraiata senza vita in una cazzo di scatola. L’ultima volta che vedo una persona vorrei che fosse ancora viva. Ma sta’ zitto, Aidan! Lo sai che è una stronzata!». Non voglio origliare, ma non mi sembra neppure il caso di farmi avanti. Alla fine entro lo stesso. Si sta arrabbiando davvero troppo, e voglio calmarlo. Appena mi vede abbassa la voce e si drizza a sedere sul divano. «Senti, devo andare» conclude. «Sì, ho già chiamato la mamma. Sì. Sì, va bene, ho capito. A dopo.» Chiude il telefono e lo appoggia sul tavolino di quercia accanto al piede nudo. Mi siedo accanto a lui sul cuscino trapuntato. 793/915 «Mi dispiace» dice lui, accarezzandomi la coscia. «Non la smetterà mai di torturarmi.» Gli siedo in grembo e lui mi stringe al petto, come se ne avesse bisogno per calmarsi. Gli getto le braccia al collo e intreccio le dita intorno alla sua spalla. Mi chino a baciarlo sull’angolo della bocca. «Camryn.» Mi guarda. «Senti, non voglio neanch’io che questa sia la fine» dice, come se mi avesse letto nel pensiero. D’un tratto mi tira su e mi fa sedere sopra di lui, le gambe ai due lati del suo corpo e le ginocchia piegate sul divano. Mi prende le mani e mi fissa serio. «E se…» Distoglie lo sguardo, riflette a fondo sulle parole che vuol dire. Non so se è perché vuole dirle nel modo 794/915 giusto, o magari perché non vorrebbe dirle affatto. «E se… cosa?» lo sprono. Non voglio che si tiri indietro. Qualsiasi cosa stia per dire, voglio che la dica. Sento risvegliarsi in me la speranza e non posso lasciarla svanire. «Andrew?» I suoi occhi di un verde intenso scrutano i miei e la mia voce lo riscuote dai pensieri. «E se ce ne andassimo insieme?» chiede, e mi viene il batticuore. «Non voglio stare qui. E non per via di mio padre o di mio fratello. Loro non c’entrano niente con quel che sento. In questo momento, qui con te. Come mi sono sentito in tutto questo tempo, fin dal giorno in cui ti ho vista seduta da sola su quell’autobus in Kansas.» Mi stringe le mani. «So che hai perso il tuo compagno di viaggio, ma… voglio che tu 795/915 sia la mia. Forse dovremmo girare noi il mondo insieme, Camryn… so di non poter prendere il posto del tuo ex…» Le lacrime mi stillano dagli occhi. Lui le fraintende. Mi lascia le mani e all’improvviso non riesce più a guardarmi. Mi faccio avanti e lo costringo ad alzare la testa. «Andrew…» Scuoto il capo, mentre le lacrime mi scorrono sulle guance. «Sei sempre stato tu» sussurro con voce roca. «Anche quando stavo con Ian, sentivo che mancava qualcosa. Te l’ho detto, quella notte nel campo; ti ho detto che…» Lascio la frase in sospeso. Sorrido e dico: «Sei tu il mio compagno di viaggio. Lo so da molto tempo». Lo bacio sulle labbra. «Vedere il mondo insieme a te è la cosa che voglio di più. Siamo fatti per stare sulla strada, io e te. È lì che voglio essere.» 796/915 Ha gli occhi lucidi, ma ricaccia indietro le lacrime e sorride. E poi la sua bocca si avventa sulla mia. Mi mozza il fiato, eppure lo bacio con più forza, gli prendo il viso tra le mani, mi abbevero del suo respiro. E poi lui, senza smettere di baciarmi, mi tira in piedi con sé. «Oggi ti porto a conoscere mia madre» annuncia, fissandomi negli occhi. Cerco di smettere di piangere e annuisco. «Mi piacerebbe molto.» «Ottimo» dice lui, posandomi a terra. «Mi faccio una doccia e poi sbrighiamo alcune commissioni in città, e quando mia madre finisce di lavorare andiamo a trovarla.» «Va bene» acconsento, senza mai smettere di sorridere. Non riuscirei a smettere neanche se lo volessi. 797/915 Lui si sofferma a guardarmi, come se non volesse allontanarsi da me neppure per fare una doccia. I suoi occhi sorridono, come sorridevano la sera in cui ci siamo esibiti all’Old Point. Gli passano in viso mille sfumature di felicità, ma non dice niente. Non ce n’è bisogno. Alla fine va a farsi la doccia e io controllo i messaggi sul telefono. Mia madre ha finalmente chiamato. Ha lasciato un messaggio in segreteria, raccontandomi della sua crociera alle Bahamas che alla fine è durata otto giorni. Sembra che quell’uomo, Roger, le piaccia davvero. Potrei addirittura passare da casa per conoscerlo, per sottoporlo alla mia doverosa ispezione anti-idioti. Ha chiamato anche mio padre. Dice che tra un mese andrà in Grecia per lavoro e mi ha chiesto se voglio partire 798/915 con lui. Mi piacerebbe, ma scusami tanto, papà: se vado in Grecia nei prossimi dodici mesi ci andrò con Andrew. Ho sempre adorato mio padre, ma a un certo punto bisogna pur crescere, e ora… ora adoro Andrew. Mi riscuoto dalle fantasticherie e torno a controllare i messaggi. Natalie mi ha telefonato, invece di mordersi la lingua e scrivere un sms. Ormai so che non sta più nella pelle, vuol sapere cosa faccio e con chi sono. Forse l’ho fatta soffrire abbastanza. Mmm… potrei darle un piccolo assaggio. Mi si disegna in faccia un sorriso crudele. Un assaggio potrebbe essere una tortura ancor peggiore, ma è sempre meglio di niente. Quando Andrew esce dalla doccia e torna in salotto con un asciugamano umido intorno al collo lo chiamo in sala 799/915 da pranzo. Me lo ritrovo lì a torso nudo: l’uomo più sexy che abbia mai visto in vita mia, con l’acqua che gocciola sugli addominali abbronzati. Vorrei leccargliela via, ma mi trattengo per il bene di Natalie. «Piccolo, vieni qui» dico con un cenno del dito, «voglio mandare a Natalie una foto di noi due. Mi stressa fin da quando eravamo a New Orleans perché vuol sapere di te, ma non le ho ancora detto niente, neppure il tuo nome. Mi ha lasciato un messaggio in segreteria.» Inizio a digitare sulla tastiera del telefono. Lui ride, mentre si asciuga i capelli con un telo. «Cos’ha detto?» «Che sta per esplodere, in pratica. E io voglio farla soffrire.» 800/915 Le fossette di Andrew si accentuano. «Certo, ci sto.» Si lascia cadere sul divano e mi tira giù con lui. Scatto qualche foto: una in cui guardiamo dritto nell’obiettivo, una in cui lui mi bacia sulla guancia, una con lui che guarda in camera con aria seducente mentre mi lecca la faccia. «Questa è perfetta» esclamo, guardando quell’ultima foto. «Impazzirà. Preparati: l’Uragano Natalie potrebbe abbattersi sul Texas, quando vedrà questa foto.» Andrew ride e si alza lasciandomi sul divano con il telefono. «Sarò pronto tra pochi minuti» dice uscendo dal salotto. Carico la foto in un messaggio e scrivo: Eccoci qui, Nat! A Galveston, in Texas :) 801/915 E poi premo invio. Sento Andrew aggirarsi per l’appartamento. Sto per alzarmi e andare a vedere cosa combina quando, meno di un minuto dopo aver inviato il messaggio, Natalie risponde: CAZZOCAZZOCAZZO! Vai a letto con Kellan Lutz?!?!!!? Scoppio a ridere. Andrew rientra nella stanza, e purtroppo si è messo una camicia, che sta infilando nei pantaloni. E ha già sostituito i pantaloncini con un paio di jeans. «Che c’è, ha già risposto?» Sembra divertito. «Sì» dico, ridendo. «Sapevo che non ci avrebbe messo molto.» Arrivano altri messaggi in rapida successione, come se dall’altra parte ci fosse una macchina: Cam, CAZZO, è un FIGO! Ma che ti è preso???? 802/915 CHIAMAMI!!!!!! CAMRYN chiamarmi!! MARYBETH BENNETT! Devi SABATO!!! STABILE!! SIBILO!!!! CORRETTORE AUTOMATICO DEL CAZZO! Odio questa merda di telefono. SUBITO, dicevo! Non riesco a smettere di sorridere. Andrew si avvicina da dietro e mi strappa di mano il telefono. Scorre i vari messaggi e ride. «Alla faccia degli errori di battitura… Chi diavolo è Kellan Lutz? È brutto?» Mi guarda con una scintilla di paura negli occhi. No… mmm, brutto proprio no. 803/915 «È solo un attore» cerco di spiegare. «E no, non è brutto. Ma non vuol dire niente: Natalie paragona tutti quelli che conosce a persone famose, e di solito esagera.» Rientro in possesso del telefono mentre lui riflette sulle mie parole, poi lo butto sul divano. «Io e lei andavamo a scuola con Shay Mitchell e Hayden Panettiere, Megan Fox era la reginetta della scuola, Chris Hemsworth era il re del ballo di fine anno.» Schiocco la lingua. «E poi c’era la nemica peggiore di Natalie, una cheerleader che ha cercato di rubarle Damon in seconda superiore; Natalie l’ha definita una versione più volgare di Nina Dobrev… ma nessuna di queste persone somigliava agli attori in questione, neanche lontanamente. È solo che Natalie è… un po’ strana.» 804/915 Andrew scrolla la testa e sorride. «Be’, è un personaggio, bisogna dargliene atto.» Il telefono continua a vibrare, ma lo ignoro e vado ad abbracciare Andrew. «Sei sicuro di voler fare questa cosa con me?» Mi fissa negli occhi, mi prende il viso tra le mani. «Non sono mai stato più sicuro di niente in vita mia, Camryn.» Poi si mette a camminare avanti e indietro. «Ho sempre sentito come un…» Il suo sguardo è intenso, concentrato. «Come un buco… insomma, non uno spazio vuoto, perché dentro c’era sempre qualcosa, ma mai la cosa giusta. Niente lo riempiva alla perfezione. Sono andato al college per un po’ di tempo, poi un giorno mi sono detto: Andrew, ma che cazzo ci fai qui? E ho capito che non 805/915 ero lì perché volevo esserci, ma perché era quello che gli altri si aspettavano da me; anche la gente che non conosco, la società. È quello che fanno le persone. Crescono, vanno all’università, trovano lavoro e fanno le stesse stronzate ogni giorno per il resto della vita, finché invecchiano e muoiono… proprio come mi hai spiegato tu quella sera in cui mi hai raccontato dei progetti che avevi con il tuo ex. La maggior parte delle persone non vede niente del mondo, non si allontana mai dal posto dov’è nata.» Accelera il passo, fermandosi solo ogni tanto per sottolineare con le mani un concetto importante. Non mi guarda in faccia; sembra che dica tutte quelle cose a se stesso, come se un fiume di risposte che cercava da tutta la vita gli si stesse finalmente riversando nella mente e lui cercasse di assorbirle. 806/915 «Non ero mai contento, qualsiasi cosa facessi…» E poi mi guarda. «E poi ho conosciuto te… ed è stato come se mi si accendesse un interruttore nella testa, o mi si risvegliasse qualcosa dentro, non lo so, ma…» Si ferma davanti a me. Vorrei piangere, ma mi trattengo. «… ma ho capito che, qualsiasi cosa fosse, era quella giusta. Tu riempivi quel buco.» Mi alzo in punta di piedi e lo bacio sulle labbra. Vorrei dirgli un sacco di cose, ma sono così tante che mi sento confusa e non so quale scegliere. «Penso di doverti fare la stessa domanda» dice lui. «Sei sicura di volerlo fare?» Gli sorrido. «Andrew, che domande fai. Sì!» 807/915 È così felice che gli brillano gli occhi. «Allora è ufficiale, ce ne andiamo domani. Ho soldi a sufficienza sul conto per tirare avanti per un po’.» Annuisco. «Non ho guadagnato io i soldi che ho in banca, motivo per cui li ho sempre usati con parsimonia, ma per questo viaggio spenderò fino all’ultimo centesimo, e quando finiranno…» «Prima che i soldi stiano per finire» mi interrompe lui, «troveremo lavoro, come hai detto tu. Possiamo suonare nei locali e nelle fiere» Ride all’idea, ma è serio. «E possiamo anche cucinare, lavare i piatti, fare i camerieri… non lo so, ci inventeremo qualcosa.» Sembra un sogno folle, ma a nessuno dei due importa. Cogliamo l’attimo. «Sì, prima che finiscano è decisamente un piano migliore» commento, 808/915 arrossendo. «Non voglio diventare una senzatetto e chiedere l’elemosina.» Andrew ride e mi stringe le spalle. «No, non arriveremo mai a quel punto. Lavoreremo sempre, ma non nello stesso posto per troppo tempo e senza mai fare a lungo la stessa cosa.» Lo guardo negli occhi per un momento e poi gli getto le braccia al collo e lo bacio con passione. Lui prende le chiavi. «Vieni» dice porgendomi la mano. «Prima le cose più importanti: devo controllare la macchina. Le sarò mancato!» Riviste porno, e ora anche una macchina venerata come una donna! Scrollo la testa ridacchiando tra me e mi lascio tirare verso la porta. Raccolgo la borsa dal pavimento e usciamo. 41 La nostra prima fermata è il garage in cui Andrew ha lasciato la sua Camaro del 1969, e in cui a quanto pare lavorava. Ed è lì che vedo il mio primo vero texano. «Te lo ricordi che ti ho licenziato, vero?» chiede un uomo alto con un cappello e stivali da cowboy neri, venendoci incontro per salutarci. Stava parlando con un altro tizio, che sembra un meccanico. Stringe la mano di Andrew e lo tira a sé in un abbraccio virile, dandogli pacche sulla schiena. 810/915 «Sì, lo so» risponde Andrew, ricambiando l’abbraccio, «ma dovevo fare una cosa.» Si volta verso di me. «Billy, questa è la mia ragazza, Camryn. Camryn, questo è il mio ex capo, Billy Frank.» Mi balza il cuore in gola quando mi presenta come la sua ragazza. Mi fa più effetto di quanto potessi immaginare. Billy mi porge una mano ruvida e sporca di grasso, e io la stringo senza esitazione. «Piacere.» Mi sorride; ha i denti storti e giallastri, forse per colpa del caffè e delle sigarette. «Be’, ti sei scelto una vera bellezza» sorride rivolto a Andrew. «Anch’io mi sarei licenziato per una ragazza così.» Gli sferra un pugno scherzoso sul braccio, poi torna a me: «Ti tratta bene? Ha una tale lingua lunga…». 811/915 Ridacchio e dico: «Sì, è vero, però mi tratta benissimo». Andrew mi sorride. «Be’, se ti dà problemi sai dove trovarmi. Da queste parti nessuno meglio di me sa fargli abbassare la cresta.» Sorride accennando a Andrew. «Grazie, me lo ricorderò.» Lasciamo Billy Frank ed entriamo nel garage, per poi uscire da una porta laterale che conduce in uno spiazzo dove sono parcheggiate le macchine. Riconosco immediatamente quella di Andrew, pur non avendola mai vista se non camuffata sulla corteccia d’albero del suo tatuaggio. È la più bella di tutte: grigio scuro con due sportivissime strisce nere dipinte al centro del cofano. Somiglia molto alla Chevelle d’epoca di suo padre. 812/915 «Se non avesse avuto bisogno di riparazioni quando ho deciso di non andare nel Wyoming in aereo, avrei guidato lei invece di prendere quell’autobus.» «Be’, non per parlar male della tua ragazza, qui» dico accarezzando affettuosamente il cofano, «ma sono felice che non fosse disponibile.» Andrew mi guarda, il volto illuminato da un sorriso che ultimamente gli vedo sempre più spesso. «Ne sono felice anch’io.» Per un istante penso a dove saremmo ora se fosse andata in quel modo, se non ci fossimo mai conosciuti. Ma un istante basta e avanza, perché pensieri del genere mi torcono lo stomaco. «Allora partiamo con questa, non con la Chevelle?» 813/915 Andrew si morde l’interno della guancia e riflette. Resta davanti alla portiera aperta, una mano sul tettuccio. Lo accarezza e poi mi guarda. «Tu che ne dici? Che vuoi fare, piccola?» Non avevo pensato di dover essere io a decidere. Mi avvicino alla macchina e guardo dentro: sedili ergonomici in pelle, e… be’, è l’unica cosa che controllo. «Davvero?» chiedo, incrociando le braccia. Annuisce. Torno a guardare la Camaro e ci penso su. «Mi piace tanto la Chevelle» dico. «Questa è proprio bella, è super sportiva, ma penso di essere più abituata all’altra.» Poi tiro fuori un’argomentazione validissima: «E come potrei posarti la testa in grembo, o dormire davanti, con i sedili separati?» 814/915 Andrew sorride e accarezza di nuovo il tettuccio, come per assicurare alla macchina che non è niente di personale. Le dà un ultimo colpetto affettuoso e richiude la portiera. «Allora prendiamo la Chevelle.» Mi porta a pranzo fuori e in alcuni posti che frequenta spesso su Galveston Island. E poi, svanito il traffico dell’ora di punta, riceve una telefonata da sua madre. «Sono nervosa» dico mentre andiamo a trovarla. Lui mi guarda un po’ accigliato. «Non ne hai motivo: mia madre ti adorerà. Non è una di quelle stronze convinte che nessuna donna sia all’altezza del loro bambino.» «Ottimo.» 815/915 «E anche in tal caso, le piaceresti lo stesso.» Stringo le mani in grembo e ricambio il suo sorriso. Può ripetere fino allo sfinimento che sua madre è una donna dolcissima, ma non basterà a calmarmi. «Pensi di dirglielo?» gli chiedo. Mi guarda. «Cosa, che ce ne andiamo?» «Sì.» Annuisce. «Glielo dirò, altrimenti finirà in manicomio per la preoccupazione.» «Come pensi che la prenderà?» Andrew ridacchia. «Ho venticinque anni, non vivo più a casa da quando ne avevo diciannove. Se ne farà una ragione.» «Be’, ma voglio dire… insomma… il motivo per cui te ne vai e quello che 816/915 abbiamo intenzione di fare. Non è come preparare i bagagli e trasferirsi in un’altra città; persino mia madre potrebbe tollerare un annuncio del genere. Ma se le dicessi di voler viaggiare senza meta, e con un ragazzo conosciuto su un autobus, probabilmente la prenderebbe male.» «Probabilmente? Cioè se glielo dici?» Lo guardo in faccia. «No, glielo dirò di sicuro. Come nel tuo caso, anch’io penso che mia madre debba saperlo… ma Andrew, sai cosa intendo.» «Sì, piccola, lo capisco» dice lui, mentre mette la freccia a sinistra e svolta allo stop. «E hai ragione, non è proprio normalissimo.» Poi mi sorride, e il suo sorriso è contagioso. «Ma non è uno dei motivi per cui lo facciamo? Perché non è quel che fa la gente normale?» 817/915 «Sì, è vero.» «Ovviamente il motivo principale sei tu.» Arrossisco. Altri due isolati di accoglienti casette di periferia e marciapiedi bianchi su cui i bambini sfrecciano in bicicletta, poi imbocchiamo il vialetto della casa di sua madre. È una villetta a un solo piano, con un bel giardino fiorito che gira intorno alla facciata e ampi cespugli verdi ai lati del marciapiede che porta all’ingresso. La Chevelle si accoda con un rombo basso a una berlina parcheggiata nel garage spalancato. Controllo rapidamente nel retrovisore di non avere caccole nel naso o lattuga tra i denti, e poi Andrew gira intorno alla macchina e mi apre la portiera. 818/915 Lo prendo in giro: «Ah, ora capisco. Mi apri la portiera solo quando tua madre potrebbe vederti». Mi porge la mano e fa un inchino teatrale. «D’ora in poi ti aprirò sempre la portiera, Milady, se ti piacciono i gesti di questo genere… tuttavia… non credevo che fossi il tipo.» «Ah, Milord, dite davvero?» ribatto in un poco credibile accento britannico. «E che tipo credevate io fossi, Mr Parrish?» Richiude la portiera e mi prende a braccetto, drizzando la schiena e la testa. «Il tipo che se ne frega purché la portiera si apra quando vuole scendere.» Ridacchio. «Be’, avevi ragione» ribatto, e mi appoggio alla sua spalla mentre raggiungiamo la porta. 819/915 Appena entriamo, veniamo investiti da un profumo di arrosto. Sto pensando: ha avuto il tempo di cucinare un arrosto? Arriviamo in salotto proprio mentre una bella donna dai capelli biondo scuro esce da un corridoio. «Che bello averti qui» lo accoglie stringendolo in un abbraccio che quasi lo stritola. Finalmente vedo da chi ha preso gli occhi verdi e le fossette. La donna mi sorride con grande cordialità e mi coglie alla sprovvista abbracciando anche me. Ricambio la stretta. «Tu devi essere Camryn» dice. «Mi sembra di conoscerti già.» Mi pare strano: non sapevo che fosse al corrente della mia esistenza prima di oggi. Scocco un’occhiata a Andrew e le sue labbra si schiudono in un sorriso 820/915 reticente. Presumo abbia avuto molte occasioni mentre eravamo in viaggio, soprattutto prima che iniziassimo a dividere la stanza, ma a sorprendermi di più è il fatto che abbia voluto parlare di me a qualcuno. «Piacere di conoscerla, signora…» Sgrano gli occhi e guardo Andrew in cerca di quell’informazione: lo picchierò per non avermelo detto in anticipo. Stringo le labbra per l’irritazione, ma lui continua a sorridere. «Puoi chiamarmi Marna» dice lei, sciogliendomi dall’abbraccio e prendendomi le mani per poi sollevarle tra le sue e squadrarmi da capo a piedi con quel suo sorriso raggiante. «Avete mangiato, voi due?» chiede, spostando lo sguardo tra Andrew e me. «Sì, mamma, abbiamo preso qualcosa prima.» 821/915 «Oh, ma dovete mangiare. Ho fatto l’arrosto e uno sformato di fagiolini. Sedetevi, vi porto i piatti.» «Mamma, Camryn non ha fame, credimi.» Mi gira un po’ la testa. Quella donna sa di me, e a quanto pare sa così tante cose che le sembra di conoscermi già. È molto gentile, tutta sorrisi, come se mi volesse bene. E per giunta ha preso me per mano, e non Andrew. C’è qualcosa che mi sfugge, o è semplicemente la persona più dolce con la personalità più affascinante del pianeta? Be’, in ogni caso il sentimento è reciproco. Mi guarda e piega la testa di lato, aspettando che dica la mia. Tentenno un po’ perché non voglio ferire i suoi sentimenti, perciò dico: «La ringrazio molto, ma non penso di riuscire a mangiare niente al momento». 822/915 «Qualcosa da bere, allora?» «Sarebbe fantastico; magari del tè?» «Certamente. Dolce, amaro, limone, pesca, lampone?» «Normale e zuccherato andrà benissimo, grazie.» Mi siedo sul cuscino centrale del divano rosso scuro. «Tesoro, tu cosa prendi?» «Lo stesso di Camryn.» Andrew si siede accanto a me, e la madre, prima di tornare in cucina, ci guarda entrambi per un momento, sorridendo a un qualche pensiero silenzioso. E poi se ne va. Mi volto subito verso Andrew e bisbiglio: «Cosa le hai detto di me?». Sorride. «Niente di che» risponde, ostentando indifferenza. «Solo che ho conosciuto una ragazza dolce e 823/915 incredibilmente sexy, che dice un sacco di parolacce e ha una piccola voglia all’interno della coscia sinistra.» Lo schiaffeggio su una gamba. Sorride di più. «No, piccola» dice, di nuovo serio. «Le ho detto solo che ti ho conosciuta sull’autobus e da allora stiamo insieme.» Mi accarezza la gamba con fare rassicurante. «Mi sembra di starle un po’ troppo simpatica, se davvero le hai detto solo questo.» Andrew fa spallucce e poi sua madre rientra nella stanza con due bicchieri di tè. Li posa davanti a noi sul tavolino: hanno un disegno di girasoli sul lato. «Grazie» dico, bevo un sorso e appoggio il bicchiere. Cerco con gli occhi un sottobicchiere ma non ne vedo. 824/915 Lei si siede sulla poltrona coordinata al divano, davanti a noi. «Andrew mi ha detto che sei del North Carolina, vero?» Ah-ha, porca miseria, allora le ha detto altro! Intuisco che sta sorridendo, come se lo potessi sentire. Sa che in quel momento non posso guardarlo in cagnesco, o schiaffeggiarlo, o fare qualsiasi altra cosa che farei se non fossimo lì. Mi limito a sorridere come se lui non fosse seduto accanto a me. «Sì» rispondo. «Sono nata a New Bern, ma ho vissuto quasi sempre a Raleigh.» Bevo un altro sorso. Marna accavalla le gambe e posa le mani in grembo. Porta gioielli semplici, due piccoli anelli su ogni mano e piccoli orecchini d’oro. 825/915 «Mia sorella maggiore ha vissuto a Raleigh per sedici anni prima di tornare in Texas. È uno Stato bellissimo.» Annuisco e sorrido: immagino che fosse un argomento per rompere il ghiaccio, perché ora aleggia nell’aria un silenzio imbarazzato. Marna guarda Andrew, che tace. Quel silenzio mi dà una strana sensazione, come se fossi l’unica dei presenti a non sapere cosa stanno pensando gli altri. «Allora, Camryn» dice Marna, spostando lo sguardo da Andrew a me. «Come mai eri in viaggio?» Oh, fantastico: questo non me l’aspettavo. Non voglio mentire, ma la verità non è un tema di cui si possa parlare bevendo il tè con una persona appena conosciuta. Andrew prende un lungo sorso e posa il bicchiere. «Eravamo sulla stessa 826/915 barca, in pratica» risponde al posto mio, lasciandomi sconcertata e senza parole. «Io stavo prendendo la strada lunga e Camryn imboccava la strada verso il nulla, e si dà il caso che le due strade portassero dalla stessa parte.» Gli occhi di Marna si accendono di curiosità. Piega la testa di lato, e ci guarda entrambi. Sul suo viso c’è cordialità ma anche molto mistero, e non lo scetticismo che mi ero aspettata. «Be’, Camryn, sappi che sono molto contenta che voi due vi siate conosciuti. Mi sembra che la tua compagnia abbia aiutato Andrew a superare un periodo difficile.» Il suo sorriso si affievolisce un po’ dopo aver detto quelle parole, e con la coda dell’occhio vedo che Andrew la scruta, cauto. Evidentemente non vuole 827/915 che lei dica altro, o teme di essere messo in imbarazzo davanti a me. Mi sento un po’ a disagio sapendo di essere l’unica dei presenti ignara di un’informazione palese, ma abbozzo un sorriso per rispetto verso sua madre. «Be’, ci siamo aiutati a vicenda, a dire il vero» spiego, e allargo il sorriso perché sto dicendo la verità. Marna si batte le mani sulle cosce, sorride allegra e si alza. «Devo fare una telefonata» dice. «Mi sono completamente dimenticata di dire una cosa ad Asher sulla motocicletta che sta cercando di comprare da Mr Sanders. Farò meglio a chiamarlo, prima che me ne scordi di nuovo; scusatemi per qualche minuto.» Prima di lasciare la stanza scocca un’occhiata rapida a Andrew. L’ho vista: temono entrambi che io sappia 828/915 qualcosa che evidentemente non dovrei. Non so di cosa si tratti: se Marna finge che io le piaccia per non mettere a disagio Andrew, o se è qualcosa di completamente diverso. Mi innervosisce moltissimo. E infatti, pochi secondi dopo, Andrew si alza in piedi. «Che succede?» chiedo in tono leggero. Lui mi guarda e credo sappia che non intendo ignorare la questione per sempre. Sa benissimo che ho notato più di quanto lui volesse. I suoi occhi mi scrutano, ma non sorride: mi fissa come se mi stesse per dire addio. Poi si china a baciarmi. «Non succede niente, piccola» risponde. Ha deciso di interpretare l’Andrew sorridente e scherzoso che conosco tanto bene, ma io non ci credo. 829/915 So che mi mente e non voglio lasciar correre. Finché restiamo lì farò finta di niente, ma poi mi sentirà. «Torno tra un momento» dice, e si incammina dietro sua madre. 42 Andrew Probabilmente non avrei dovuto portare lì Camryn, perché è una persona intelligente e sapevo che avrebbe colto la tensione. E la mamma non è stata molto attenta. Ma era importante che si conoscessero, e ho fatto il mio dovere. Attraverso il salotto e il corridoio ed entro nella camera di mia madre. Lei è lì che mi aspetta. In lacrime. 831/915 «Mamma, non fare così, per favore.» La stringo in un abbraccio e le appoggio una mano sulla nuca. Lei tira su col naso, singhiozza e cerca di frenare il pianto. «Andrew, per favore, puoi semplicemente andare all’appuntamento e…» «Mamma, no. Ascolta.» La allontano delicatamente e la guardo tenendola per le spalle. «È passato troppo tempo, ho aspettato troppo a lungo e tu lo sai. Ammetto che ci sarei dovuto andare otto mesi fa, ma non ci sono andato, e ora è tardi.» «Non puoi saperlo.» Le lacrime le rigano il viso. Tento di rilassare i muscoli del viso, ma so che per quanto mi sforzi non mi ascolterà. 832/915 «È peggiorato» dico. «Senti, voglio solo che tu la conosca. Siete entrambe molto importanti per me e penso che dovreste conoscervi…» Mi sventola la mano davanti alla faccia. «Non ne posso parlare» dice con voce strozzata, «non ce la faccio proprio. Farò tutto quello che vuoi, figlio mio, e le voglio già bene. Capisco che è una ragazza meravigliosa. Mi sono accorta che è diversa da tutte le altre. Ed è importante per me, non solo perché lo è per te, ma per tutto ciò che ti ha dato.» «Grazie» rispondo, e anch’io cerco di non piangere. Dalla tasca posteriore tiro fuori una busta che metto sulla mano di mia madre. La bacio in fronte. Si rifiuta di guardare la busta. Per lei è l’ultimo atto. Ma ai miei occhi, serve 833/915 solo a dire tutte le cose che non riuscirò a dire. Annuisce e altre lacrime le sgorgano dagli occhi. Posa la busta sul comò e prende un fazzoletto da una scatola accanto al letto. Si asciuga le lacrime e cerca di ricomporsi prima di tornare in salotto da Camryn. «Perché non glielo dici e basta, Andrew?» chiede voltandosi a guardarmi dalla soglia. «Dovrebbe saperlo, così potete fare insieme le cose che hai sempre voluto fare prima di…» «Non posso» rispondo, e le parole mi scavano una voragine nel petto. «Voglio che proceda tutto normalmente, e non che debba succedere più in fretta per via di… quell’altra cosa.» La mia risposta non le piace, ma la capisce. Rientriamo in salotto e lei si sforza di sorridere a Camryn. 834/915 Anche Camryn continua a sorridere, ma glielo leggo in viso: sa che mia madre ha pianto. La mamma le si avvicina, e istintivamente Camryn si alza. «Mi dispiace dover concludere questa visita» dice mia madre abbracciando Camryn, «ma mentre ero al telefono con Asher ho ricevuto una brutta notizia su un parente. Spero che capirai.» «Naturalmente» risponde Camryn, i lineamenti induriti dalla preoccupazione. Mi scocca un’occhiata. «Mi dispiace molto, spero che non sia nulla di grave.» Mia madre annuisce e sorride tra le lacrime. «Grazie, tesoro. Chiedi a Andrew di portarti qui quando vuoi: sei sempre la benvenuta.» «Grazie» dice piano Camryn e abbraccia di nuovo mia madre. 835/915 «Andrew, cos’è successo?» chiede, prima ancora che io abbia richiuso la portiera della macchina. Sospiro e giro la chiave. «Solo un litigio tra fratelli» dico, cercando di non guardarla. Avvio il motore e innesto la retromarcia. «La mamma si dispiace quando io e Aidan litighiamo.» «Stai mentendo.» È così, e non intendo smettere. La guardo per un momento e poi procedo in retromarcia verso la strada. «È solo che non voleva coinvolgerti» inizio, e il resto della bugia viene spontaneo. «Ma ha tutto a che fare con il funerale di mio padre. Come avrai notato, non ne ha fatto parola davanti a te. Portarmi nell’altra stanza per parlarne era il suo modo di risparmiarti il fastidio.» 836/915 Non mi crede ancora del tutto, ma sento che comincia a fidarsi. «Allora, qual era la notizia sul parente?» «Nessuna» rispondo. «Voleva solo parlarmi, e le ho detto del litigio con Aidan al telefono quand’eravamo nel mio appartamento, e c’è rimasta male.» Camryn sospira e guarda fuori dal finestrino. «Piaci davvero a mia madre» aggiungo. Mi guarda. All’inizio ho l’impressione che voglia proseguire la conversazione su Aidan, invece lascia perdere. «Be’, è una donna molto dolce» dice. «Forse tu e Aidan» (calca la voce sul nome come se non fosse ancora convinta) «dovreste cercare di andare più 837/915 d’accordo, così non fareste soffrire vostra madre.» Non è un cattivo consiglio, anche se irrilevante rispetto al vero problema. «Piccola, senti, mi dispiace; forse avrei dovuto aspettare prima di fartela conoscere.» «Non fa niente» dice lei, scivolando sul sedile per avvicinarsi a me. «Sono contento che tu l’abbia fatto. Mi sono sentita… speciale.» Forse ora mi crede, o forse sta cercando di non dare ascolto all’intuito perché capisce che non le dirò la verità molto presto. Le passo un braccio sulle spalle. «Be’, tu sei speciale.» Mi appoggia la testa sul petto. «Non le hai detto che domani te ne vai.» 838/915 «Lo so, ma glielo dirò. Potrei chiamarla stasera.» Le stringo la spalla. «Ora che ti conosce penso che non si preoccuperà tanto sapendo che faccio una cosa così anormale.» Mi infila una mano tra le gambe e mi sorride. «Già, ora devo solo dirlo alla mia, di madre.» Si tira su di scatto come se le fosse appena venuto in mente qualcosa. «Potrei aspettare a dirglielo quando passiamo in North Carolina, così puoi conoscerla.» I suoi occhi azzurri mi sorridono. Ricambio e annuisco. «Vuoi portare uno come me a conoscere tua madre? E se vede i miei tatuaggi e ti proibisce di frequentarmi?» «Impossibile, ti adorerebbe.» «Oh, farò conquiste tra le signore!» Sbarra gli occhi, e io scoppio a ridere. 839/915 «Dài, sto scherzando!» Ringhia e fa un lungo respiro, ma non è molto brava a nascondere l’espressione divertita. «Ehi, hai mai… insomma…?» Non riesce a dirlo a voce alta, e lo trovo esilarante. «Se sono mai stato con una donna più grande?» chiedo con una smorfia. L’argomento la mette a disagio, ma è stata lei a domandare e quindi ho il pieno diritto di torturarla. «Sì, è successo.» Strabuzza gli occhi. «Non è vero!» Rido. «Sì invece.» «Quanti anni aveva? O… avevano?» L’uso del plurale mi appare improvvisamente come un segnale di pericolo, ma voglio essere completamente sincero con lei. Be’, almeno su questo… 840/915 Le poso una mano sulla gamba. «Un paio di volte. Una aveva circa trentotto anni, che per me non è molto diverso da ventotto. Ma sono stato anche con una donna sui quarantatré.» Camryn è paonazza, ma non gelosa né arrabbiata. Forse è un po’… preoccupata. «Cosa ti piace di più?» chiede, in tono molto cauto. Cerco di non sorridere. «Piccola, non è questione di età» le spiego. «Insomma, non mi piacciono le vecchiette o cose del genere, ma penso che ogni donna, a qualsiasi età, che si tiene bene è assolutamente scopabile.» «Oh mio dio!» ride Camryn. «E poi sono io quella scurrile!» Scrolla la testa e poi dice: «Non hai risposto alla mia domanda». 841/915 «Tecnicamente sì. Mi hai chiesto quale mi piace di più e non c’è una risposta precisa, solo un discorso generico.» Conosco esattamente il vero significato della sua domanda, e lei lo sa. Ma non perdo mai occasione di farla rabbrividire. Mi guarda con gli occhi socchiusi. Rido e mi arrendo. «Piccola, sei la donna più eccitante con cui sia mai stato.» Lei arriccia le labbra come a dire: certo, come no, lo dici solo perché sei obbligato a farlo. «Sul serio, Camryn. Non ti dico stronzate solo perché sei seduta davanti a me e ci tengo alle palle.» Lei sorride e alza gli occhi al cielo, ma ora mi crede. La stringo a me e lei mi posa la testa sul petto, rasserenata. 842/915 «Sei la più eccitante perché mi hai dato qualcosa che nessun’altra mi aveva mai dato.» Solleva la testa per guardarmi, curiosa di sapere di cosa si tratti esattamente. Le sorrido e le dico: «Ti ho tolto l’innocenza: ti ho messa più a tuo agio con la tua sessualità. E questo mi eccita molto». Mi bacia sul mento. «Ti piaccio solo perché ti ho fatto un pompino in autostrada.» Alzo gli occhi e rido. «Be’, mi sono divertito davvero un sacco, ma no, piccola, non è per questo che mi piaci.» Penso che abbia avuto le conferme che cercava. Mi si riappoggia al petto e mi cinge la vita con il braccio. 843/915 Torniamo al mio appartamento senza parlare. Percepisco che il suo silenzio è meno angosciato del mio, ma non voglio che si preoccupi o che le si spezzi il cuore. Né adesso né mai. È inevitabile, succederà prima o poi, ma voglio rimandare quel momento il più possibile. Passiamo quattro ore a guardare film in salotto, stravaccati sul divano. La abbraccio e la bacio mentre cerca di seguire una scena importante e le infilo la lingua nell’orecchio solo per farla arrabbiare. È così carina quando fa quella smorfia disgustata, quindi è colpa sua se mi diverto tanto. Ci lanciamo i popcorn cercando di prenderli al volo con la bocca e teniamo il punteggio. Vince lei, sei a quattro, poi lasciamo perdere e li mangiamo davvero. E le presento la mia pianta, Georgia, che non è morta in mia assenza. Camryn mi racconta di un 844/915 bastardino che aveva adottato dal canile e aveva chiamato BeeBop, e io le dico che mi dispiace per quel povero cane, con un nome così idiota. Per coincidenza BeeBop era morto di insufficienza cardiaca, proprio come il mio cane e migliore amico, Maximus. Le mostro le sue foto e lei ha con sé una foto di BeeBop. È così brutto da essere quasi carino. Parliamo per ore e ore e poi lei mi scivola in grembo sul divano, e dice, così piano da farmi rabbrividire: «Andiamo a letto…». Mi alzo tenendola aggrappata a me e la porto in camera. Mi spoglio completamente e mi sdraio al centro del letto. Ce l’avevo già duro prima di portarla lì. E la guardo svestirsi lentamente, non solo degli abiti ma della consueta timidezza. Dai piedi del letto 845/915 gattona verso di me e mi si siede in grembo, e mi sento premere contro il punto più umido di lei. Non smette mai di guardarmi negli occhi mentre si china a baciarmi il petto e gira intorno ai capezzoli con la punta della lingua. Le stringo le cosce, mi lascio baciare e poi le prendo i seni tra le mani. «È così bello stare con te» le sussurro sulle labbra appena prima che mi mozzi il fiato con un altro bacio. Spingo delicatamente contro i suoi fianchi e lei risponde alla pressione, un po’ più forte, stuzzicandomi. Non vedo l’ora di affondare dentro di lei, ma al momento è lei ad avere il controllo della situazione, e io glielo lascio volentieri. Stacca le labbra dalle mie e mi bacia su un lato del collo e poi sull’altro, continuando a muovere i fianchi così 846/915 lentamente da mettere a dura prova la mia resistenza. «Lasciati bagnare, prima» le sussurro, prendendola per i fianchi. È già bagnata, ma non importa. «Vieni qui, piccola» dico, alzando la testa. Quando le sue cosce si appoggiano ai lati della mia testa non perdo tempo e la lecco furiosamente, succhiando così forte il clitoride che lei inizia ad ancheggiare contro il mio viso, stringendo il bordo della testiera. È così bagnata, cazzo. Quando inizia a gemere e mugolare, smetto. E lei sa perché. Voglio che veniamo insieme. Indietreggia e mi si siede in grembo, strofinandosi contro la mia erezione prima di prenderla in mano. Quando se la lascia scivolare dentro lentamente, entrambi veniamo scossi da un brivido. 847/915 Dopo aver fatto l’amore per tutta la notte mi si addormenta tra le braccia e io la tengo stretta: non voglio lasciarla andare mai. Piango in silenzio, affondando il viso tra i suoi capelli, e alla fine mi addormento anch’io. 43 Camryn «Andrew?» mormoro, rotolando dalla sua parte del letto. Mi sveglio del tutto, alzo lentamente la testa e vedo che lui non c’è. Sento odore di pancetta. Ripenso alla notte che abbiamo passato e non riesco a smettere di sorridere. Mi scrollo le lenzuola di dosso, scendo dal letto e infilo gli slip e la maglietta. Quando entro in cucina trovo Andrew ai fornelli. 849/915 «Piccolo, perché sei in piedi così presto?» Apro il frigo in cerca di qualcosa da bere. Devo lavarmi i denti, ma se lui sta preparando la colazione non voglio mescolare i sapori con il dentifricio. «Pensavo di portarti la colazione a letto.» Ha impiegato qualche secondo in più del dovuto per rispondere, e la sua voce suonava strana. Distolgo lo sguardo dal frigo. Sta immobile a fissare la padella. «Piccolo, stai bene?» Lascio richiudere lo sportello senza prendere niente. Lui muove di pochissimo la testa per guardarmi. «Andrew?» Il cuore mi batte sempre più forte, ma non so bene perché. 850/915 Mi accosto a lui e gli metto la mano sul braccio. Lui solleva lentamente lo sguardo dalla padella verso di me. «Andrew…» Come al rallentatore, gli cedono le gambe e si accascia sul pavimento. Il cucchiaio di legno che aveva in mano cade con lui, schizzando burro caldo in tutte le direzioni. Mi faccio avanti per sorreggerlo, ma non riesco a farlo stare in piedi. Tutto si muove ancora al rallentatore: il mio grido, le mie mani che gli afferrano le spalle, la sua testa che sbatte sul pavimento. Ma poi, quando il suo corpo inizia a tremare scosso dalle convulsioni, tutta la scena accelera all’improvviso: ed è terrificante. «ANDREW! OH MIO DIO, ANDREW!» Voglio aiutarlo a rialzarsi, ma il suo corpo non smette di tremare. Ha gli occhi rovesciati e la mandibola serrata, 851/915 una scena spaventosa. Gli arti sono rigidi. Urlo di nuovo, le lacrime mi inondano gli occhi. «Qualcuno mi aiuti!» E poi ritrovo la lucidità e cerco un telefono. Il suo cellulare è sul bancone. Digito il 911, e nei due secondi che impiegano a rispondermi spengo il fornello. «Per favore! Sta avendo un attacco epilettico! Per favore, qualcuno mi aiuti!» «Signora, la prima cosa che deve fare è calmarsi. L’attacco è ancora in corso?» «Sì!» Guardo terrorizzata il corpo di Andrew che si scuote sul pavimento. Ho così tanta paura che mi viene da vomitare. «Signora, voglio che lei allontani tutti gli oggetti che potrebbero ferirlo. Porta 852/915 gli occhiali? La testa rischia di colpire mobili o altri oggetti?» «No! Ma… ma ha battuto la testa quand’è caduto!» «Va bene, ora trovi qualcosa da mettergli sotto la testa, un cuscino, qualcosa che gli impedisca di farsi male.» Mi guardo intorno in cucina ma non trovo niente, e allora corro in salotto e prendo un cuscino dal divano. Poso il telefono per i pochi istanti necessari a sistemargli il cuscino sotto la testa. Oh no… oh mio Dio, cosa gli succede? Riporto il telefono all’orecchio. «Okay, gli ho messo il cuscino!» «Bene, signora» dice con voce calma l’operatrice del 911, «da quanto dura l’attacco? Il paziente soffre di un disturbo che può provocare attacchi epilettici?» 853/915 «Non… non so, circa… forse due minuti, tre al massimo. E no, non l’avevo mai visto succedere prima. Non mi ha mai parlato di…» Inizio a rendermene conto: non me l’ha mai detto. I pensieri mi si affollano in testa e perdo di nuovo la calma. «La prego, mandi un’ambulanza! Per favore! In fretta!» Mi sto strozzando con le lacrime. Andrew smette di tremare. Prima che l’operatrice del 911 possa rispondere, dico: «Si è fermato! C-cosa faccio?». «Va bene, signora, ora deve girarlo su un fianco, le mandiamo un’ambulanza. Qual è l’indirizzo?» Mentre lo giro su un fianco, mi raggelo a quella domanda. Non lo so… Cazzo, non lo so! «Non so…» Scatto in piedi e corro al bancone dove avevo visto una pila di lettere e trovo l’indirizzo e glielo leggo. 854/915 «L’ambulanza arriverà tra poco. Preferisce restare al telefono con me finché non arriva?» Non so bene cosa abbia detto, o magari non ha detto niente e me lo sto solo immaginando. Non rispondo. Non riesco a staccare gli occhi da Andrew, che giace privo di sensi sul pavimento della cucina. «È svenuto! Oddio, perché non si sveglia?» mi porto alle labbra la mano libera. «Non è strano» dice lei, e finalmente le do retta. «Vuole che resti al telefono con lei finché non arriva l’ambulanza?» «Sì, la prego, non riattacchi. La prego.» «Va bene, sono qui» risponde, e la sua voce è il mio unico conforto. Non riesco a respirare. Non riesco a mettere in ordine i pensieri. Non riesco a 855/915 parlare. Riesco solo a guardarlo. Ho troppa paura anche di sedermi sul pavimento accanto a lui, perché ho il terrore che abbia un altro attacco e io gli sia d’intralcio. Pochi minuti dopo una sirena squarcia l’aria. «Credo che siano qui» dico in tono inespressivo. Non riesco ancora a staccare gli occhi da Andrew. Perché sta succedendo? Qualcuno bussa alla porta e solo allora mi alzo e corro ad aprire. Non ricordo neppure di aver lasciato cadere a terra il telefono. Un istante dopo Andrew viene caricato e legato su una barella. «Come si chiama?» chiede una voce, e sono sicura che sia uno dei paramedici, ma non lo vedo in volto. Vedo 856/915 solo il viso di Andrew mentre lo spingono fuori dalla porta. «Andrew Parrish» rispondo a voce bassa. Sento vagamente il nome dell’ospedale in cui il paramedico mi dice che lo porteranno. E quando se ne vanno resto lì a fissare la porta da cui è uscito. Impiego lunghi minuti a riscuotermi da quel torpore, e la prima cosa che faccio è raccogliere il cellulare e cercare il numero di sua madre. Quando le dico cos’è successo la sento piangere e mi sembra che lasci cadere il telefono. «Signora Parrish?» Gli occhi mi si gonfiano di lacrime. «Signora Parrish?» Ma se n’è andata. Mi metto addosso i primi vestiti che trovo, prendo le chiavi della macchina di Andrew, la mia borsa ed esco di corsa. Giro a vuoto con la Chevelle per 857/915 qualche minuto prima di rendermi conto che non so dove sono né dove sto andando. Trovo un distributore di benzina, mi fermo a chiedere la strada per l’ospedale, ma fatico ad arrivarci senza perdermi. Non riesco a pensare. Sbatto la portiera e corro al pronto soccorso con la borsa che penzola dalla spalla. Se mi cadesse non me ne accorgerei. L’infermiera all’accettazione digita qualcosa sulla tastiera e poi mi indica dove andare; mi ritrovo in una sala d’aspetto. Completamente sola. Penso che sia passata un’ora, ma potrei sbagliarmi. Un’ora, cinque minuti, una settimana. Non fa alcuna differenza. Mi fa male il petto per quanto ho pianto. Cammino avanti e indietro da tanto tempo che ho iniziato a contare le macchioline sulla moquette. 858/915 Un’altra ora. La sala d’aspetto è scialba, insipida, con le pareti marroni e due file di sedili dello stesso colore allineati al centro della stanza. Un orologio alla parete sopra la porta continua a ticchettare, e la mia mente crede di sentirlo anche se il suono in realtà è troppo basso. C’è un bollitore per il caffè e un lavandino. Un uomo – almeno credo – entra da una porta, riempie un bicchierino di plastica ed esce. Passa un’altra ora. Mi fa male la testa. Ho le labbra secche, continuo a leccarle ma peggioro solo le cose. Non vedo passare infermiere da un po’, e inizio a pentirmi di non aver fermato l’ultima che ho visto prima che sparisse nel lungo corridoio illuminato dai neon. Perché ci mettono così tanto? Che succede? Appoggio la fronte sul palmo 859/915 della mano e, proprio mentre sto per tirar fuori il telefono di Andrew dalla borsa, sento una voce familiare. «Camryn?» Mi giro di scatto. Asher, il fratello minore di Andrew, sta entrando in sala d’aspetto. Dovrei sentirmi sollevata all’idea che qualcuno sia finalmente venuto a parlarmi, a togliermi di dosso questa cappa di dolore e incredulità, ma non ci riesco perché temo che mi dica qualcosa di orribile. Asher non era neppure in Texas, a quanto ne so, e se è venuto di corsa vuol dire che ha preso il primo aereo, e la gente fa queste cose solo quando è successo qualcosa di brutto. «Asher?» chiedo, con la voce rotta. Mi getto tra le sue braccia. Lui mi stringe con forza. 860/915 «Ti prego, dimmi cosa succede» lo supplico, e ricomincio a piangere. «Andrew sta bene?» Asher mi prende per mano e mi porta a sedere accanto a lui. Stringo la borsa in grembo per tenere occupate le mani. Somiglia così tanto a Andrew che mi si spezza il cuore. Mi sorride. «Ora sta bene» dice, e quella breve frase basta a darmi speranza. «Ma probabilmente non starà bene a lungo.» E con la stessa rapidità la speranza mi abbandona, portando via altre parti di me: il cuore, l’anima, quel po’ di ottimismo che avevo covato per tutto questo tempo. Cosa sta dicendo… cosa sta cercando di dirmi? Le lacrime mi squassano il petto. «Che vuoi dire?» chiedo, parlando a fatica. 861/915 Lui fa un lungo respiro. «Circa otto mesi fa» dice, scegliendo le parole con cura, «mio fratello ha scoperto di avere un tumore al cervello…» Il mio cuore non c’è più. I polmoni non funzionano più. La borsa mi cade rovesciando a terra tutto il contenuto, ma non riesco a muovermi per raccoglierla. Non riesco a muovere nessuna parte del corpo. Sento la mano di Asher stringere la mia. «A causa della malattia di nostro padre, Andrew si è rifiutato di sottoporsi a ulteriori esami. Doveva tornare dal dottor Marsters quella stessa settimana, ma non ha voluto. Nostra madre e Aidan hanno tentato in ogni modo di convincerlo. A quanto ne so, a un certo punto ha accettato, ma poi non ci è 862/915 andato perché le condizioni di nostro padre si sono aggravate.» «No…» Scuoto la testa, perché non voglio credere a quel che mi sta dicendo. «No…» Voglio solo scacciare dalla testa le sue parole. «È per questo che Andrew e Aidan litigavano» prosegue Asher. «Aidan voleva che Andrew andasse dal medico, e Andrew, testardo com’è, si opponeva.» Guardo il muro e dico: «Ecco perché non voleva mai andare a trovare suo padre in ospedale…». Quell’intuizione mi lascia ancor più sgomenta. «Già. Ed ecco perché non voleva andare al funerale.» Guardo Asher, i miei occhi fissano i suoi, mi porto le dita alle labbra. «Ha paura. Ha paura che la stessa cosa accada a lui, che il suo tumore sia incurabile.» 863/915 Scatto in piedi, schiacciando un rossetto sotto la scarpa. «Ma se non è così grave?» chiedo, in tono concitato. «Adesso è in ospedale; possono fare quel che c’è da fare.» Mi avvio verso l’uscita a passo di marcia. «Lo costringerò a farsi visitare; lo obbligherò! Mi ascolterà!» Asher mi prende per un braccio. Mi volto. «Da quel che sanno finora, Camryn, le sue possibilità sono scarse.» Mi viene da vomitare. Mi sembra di avere migliaia di spilli infilzati nelle guance. Mi tremano le mani, mi trema tutto il corpo, cazzo! Asher aggiunge piano: «Ha aspettato troppo». Mi prendo il viso tra le mani e scoppio in singhiozzi disperati. Mi sento abbracciare. 864/915 «Vuole vederti.» Lo guardo. «L’hanno già portato in una stanza: ti accompagno. Aspetta qui per qualche minuto finché mia madre esce, e poi andiamo insieme.» Non dico niente. Resto lì, ammutolita… a morire dentro. È il dolore più intenso che abbia mai provato. Asher mi guarda di nuovo per accertarsi che abbia capito e poi ripete, cauto: «Torno a prenderti tra poco. Aspetta qui». Non riesco più a vedere, le lacrime mi bruciano gli occhi, mi scorrono sulle guance. Mi sembra che qualcuno mi abbia infilato una mano nel petto e mi abbia strappato il cuore. Non so se riuscirò a guardarlo senza impazzire del tutto. Perché l’ha fatto? Perché sta succedendo?! 865/915 Prima di perdere completamente la testa e spaccare tutto, o di farmi male, mi accovaccio a terra dov’è caduta la mia borsa. Non avevo neppure notato che Asher aveva raccolto e aveva rimesso dentro il contenuto, e poi l’aveva messa sulla sedia. Trovo il telefono e chiamo Natalie. «Pronto?» «Natalie… devi farmi un favore.» «Cam… stai piangendo?» «Natalie, per favore, ascoltami.» «Va bene, sono qui. Che succede?» «Sei la mia migliore amica, e ho bisogno che tu venga a Galveston. Appena possibile. Puoi venire? Ho bisogno di te. Ti prego.» «Oddio, Camryn, che diavolo succede? Stai bene?» 866/915 «A me non è successo niente, ma ho bisogno che tu venga qui. Ho bisogno di qualcuno, e ho solo te. Mia madre non vorrà… Natalie, per favore!» «V-va bene» dice lei, preoccupata. «Prendo il primo volo. Arrivo. Tieniti il telefono vicino.» Lascio cadere il braccio lungo il fianco, il telefono stretto in pugno, e fisso il muro per un tempo che mi pare infinito finché non sento la voce di Asher. Lo guardo. Viene verso di me e mi porge la mano, sapendo che ne ho bisogno. Le gambe non mi obbediscono, come se camminassi su due protesi e non sapessi usarle bene. Asher mi stringe fortissimo le dita. Usciamo nel corridoio illuminato e ci dirigiamo verso un ascensore. «Devo calmarmi» dico a voce alta, ma più a me stessa che ad Asher. Sfilo la 867/915 mano dalla sua, mi asciugo il viso e mi passo le dita tra i capelli. «Non posso farmi vedere isterica. L’ultima cosa di cui ha bisogno è dover calmare me.» Asher non dice niente. Vedo il nostro riflesso sulla porta dell’ascensore, distorto e scolorito. L’ascensore sale di due piani e poi si ferma. La porta si apre. Resto lì, ho paura di uscire, ma poi faccio un lungo respiro e mi asciugo di nuovo gli occhi. Camminiamo al centro del corridoio fino a una stanza con una grande porta di legno socchiusa. Asher la spinge ma io tengo gli occhi a terra, guardo la linea invisibile che ci separa, e ho molta paura di attraversarla. Ho idea che dopo aver varcato quella soglia vedrò che è tutto vero e che non c’è rimedio. Strizzo gli occhi e ricaccio indietro altre 868/915 lacrime, faccio lunghi respiri stringendo forte la borsa. E quando riapro gli occhi vedo uscire la madre di Andrew. Ha i lineamenti tirati, come immagino siano anche i miei; i capelli spettinati, gli occhi gonfi. Ma riesce a sorridermi con affetto, e mi posa con delicatezza una mano sulla spalla. «Sono contenta che tu sia qui, Camryn.» E poi si allontana, mano nella mano con Asher. Resto a guardarli per un istante mentre attraversano il corridoio, ma le loro sagome mi appaiono sfocate. Guardo nella stanza, ancora sulla soglia, e vedo i piedi del letto su cui so che Andrew è sdraiato. Entro. «Piccola, vieni qui» dice quando mi vede. All’inizio resto paralizzata, ma quando lo guardo negli occhi, quegli 869/915 occhi verdi indimenticabili che sanno scrutarmi nell’anima, getto a terra la borsa e corro da lui. 44 Mi getto tra le sue braccia. Mi stringe forte, ma non quanto vorrei. Vorrei che mi stritolasse, che non mi lasciasse più andare, che mi portasse via con sé. Ma è ancora debole. So che la malattia gli sta rapidamente consumando ogni energia. Mi prende il viso tra le mani, mi scosta i capelli dagli occhi e mi bacia le lacrime che ho cercato di nascondere, perché non volevo che sprecasse per me le forze rimaste. Ma il cuore ha una mente tutta sua e ottiene sempre ciò 871/915 che vuole, soprattutto quando sta per cedere. «Mi dispiace tanto» dice, e la sua voce è addolorata, disperata. «Non potevo dirtelo, Camryn… Non volevo che il nostro tempo insieme fosse diverso da com’è stato.» Le lacrime mi sgorgano dagli occhi, gli cadono sulle dita e lungo i polsi. «Spero che tu non…» «No, Andrew…» Ricaccio indietro le lacrime. «Capisco il perché; non devi darmi spiegazioni. Sono contenta che tu non me l’abbia detto…» Sembra sorpreso, ma felice. Mi tira a sé e mi bacia sulle labbra. «Avevi ragione» dico. «Se me l’avessi detto, ci saremmo… angosciati… non lo so, ma sarebbe stato diverso, e meno bello… Però, Andrew, vorrei che tu me 872/915 l’avessi detto per un solo motivo: avrei fatto qualunque cosa, qualunque, per portarti in ospedale molto prima di oggi.» La triste verità delle mie parole mi fa male. «Avresti potuto…» Scrolla la testa. «Piccola, era già troppo tardi.» «Non dire così! Neanche adesso è troppo tardi! Sei ancora qui, c’è ancora una possibilità.» Mi sorride dolcemente e fa scivolare le mani dalle mie guance, posandole sulla coperta di lana bianca dell’ospedale. Un tubicino serpeggia dal dorso della sua mano fino a una macchina. «Sono realistico, Camryn. Mi hanno già detto che non ho molte speranze.» «Ma c’è ancora una possibilità» ribatto, ricacciando indietro altre lacrime e desiderando un interruttore per 873/915 spegnerle. «Una piccola possibilità è meglio che nessuna.» «Se permetto loro di operarmi.» Quelle parole sono uno schiaffo in pieno volto. «In che senso, se?» Distoglie lo sguardo. Mi faccio avanti e gli sollevo il mento, con forza, girandogli la testa perché mi guardi. «Non c’è nessun se, Andrew, non puoi dire sul serio.» Mi fa sdraiare e io mi accoccolo contro di lui, che è disteso su un fianco. Mi abbraccia. «Se non ti avessi mai conosciuta» dice fissandomi negli occhi, a pochi centimetri dal mio viso, «non l’avrei mai fatto. Se tu non fossi qui con me adesso, non lo farei. Penserei che è uno spreco di tempo e di soldi e che 874/915 darebbe solo false speranze alla mia famiglia, rimandando l’inevitabile.» «Ma ti farai operare» dico, anche se è più una domanda che un’affermazione. Lui mi accarezza la guancia con il pollice. «Farò qualsiasi cosa per te, Camryn Bennett. Non mi importa, qualsiasi cosa… tutto quello che mi chiedi lo farò. Senza eccezioni.» I singhiozzi mi scuotono il petto. Prima che io possa aggiungere altro, Andrew mi scosta i capelli dal viso e mi guarda dritta negli occhi. «Lo farò.» Affondo le labbra sulle sue e ci baciamo con forza. «Non posso perderti. Abbiamo tanta strada davanti. Sei il mio compagno di viaggio.» Mi sforzo di sorridere tra le lacrime. Mi bacia la fronte. 875/915 Restiamo sdraiati insieme a parlare dell’operazione e degli esami ancora da fare, e gli prometto che non mi allontanerò un secondo da lui. Resterò per tutto il tempo che sarà necessario. E continuiamo a parlare dei posti che vogliamo visitare e lui inizia a snocciolare titoli di canzoni che vuole che io impari, così potremo cantarle insieme nei nostri viaggi. Non ero mai stata tanto impaziente di cantare con lui. Canterei anche Céline Dion, o un’opera lirica, non mi importa. Il pubblico fuggirebbe a gambe levate, ma io canterei lo stesso. A un certo punto un’infermiera viene a controllarlo e Andrew ritrova un po’ della sua impertinenza: dice all’infermiera che se vuole può sdraiarsi a letto con noi. L’infermiera si limita a sorridere, alza gli occhi al cielo e torna al lavoro. 876/915 Per un po’, sdraiata su quel letto con Andrew, mi sembra di essere di nuovo in viaggio. Non pensiamo alla malattia e alla morte, e non piangiamo. Parliamo, ridiamo e ogni tanto lui cerca di toccarmi nei punti giusti. Ridacchio e me lo scrollo di dosso perché mi sembra di fare qualcosa di sbagliato. Penso che dovrei lasciarlo riposare. Alla fine mi arrendo e lo lascio fare. Perché è insistente. E ovviamente è irresistibile. Mi lascio toccare sotto la coperta e faccio lo stesso a lui. Dopo un’altra ora mi alzo dal letto. «Piccola, che succede?» «Niente» rispondo con un sorriso e poi mi sfilo i pantaloni e la maglia. Fa un sorriso abbagliante. Sapevo che le rotelle in quella sua testa di pervertito avrebbero ricominciato a girare prima di tutto il resto. 877/915 «Per quanto mi piacerebbe fare sesso con te in una stanza d’ospedale» gli dico tornando a letto, «è meglio di no: devi risparmiare le energie per l’operazione.» Lo vorrei tantissimo, ma in quel momento non è il sesso la cosa più importante. Mi guarda incuriosito mentre mi sdraio accanto a lui in reggiseno e slip e mi accoccolo contro il suo corpo. Sotto la coperta indossa solo un paio di leggeri pantaloni forniti dall’ospedale. Schiaccio il petto contro il suo e intreccio le gambe alle sue. I nostri corpi sono perfettamente allineati, le costole si toccano. «Cosa stai facendo?» mi chiede, sempre più curioso, ma anche divertito. Passo le dita sul tatuaggio di Euridice. Lui mi guarda attentamente. E quando la punta del mio dito trova il 878/915 gomito di Euridice, là dove l’inchiostro si interrompe, la faccio scorrere sulla pelle per proseguire il disegno. «Voglio essere la tua Euridice, se me lo permetti.» Gli si illumina il volto e gli si accentuano le fossette. «Voglio farmi tatuare l’altra metà» proseguo, sfiorandogli le labbra con la punta delle dita. «Voglio Orfeo sulle costole, e voglio riunirli.» Non sa cosa dire. Ha gli occhi lucidi. «Oh, piccola, non devi farlo per forza: sulle costole fa malissimo.» «Ma lo voglio, e non mi importa quanto fa male.» La sua bocca si avventa sulla mia e le nostre lingue danzano insieme per un lungo momento. 879/915 «Mi piacerebbe molto» mi sussurra sulle labbra. Gli do un altro bacio e bisbiglio: «Dopo l’operazione, quando starai meglio, ci andremo». Annuisce. «Sì, Gus avrà bisogno di me per assicurarsi che i due tatuaggi combacino. Mi ha preso in giro quando sono andato a farmelo fare.» Sorrido. «Ah, sì?» «Sì, mi ha accusato di essere un romantico senza speranza e ha minacciato di dirlo ai miei amici. Gli ho detto che parlava come mio padre, e che doveva chiudere quella boccaccia. Gus è un bravo ragazzo e un ottimo tatuatore.» «Questo lo vedo.» Mi passa le dita tra i capelli. Mentre mi fissa mi chiedo cosa stia pensando. 880/915 Il suo bellissimo sorriso è svanito e ora ha uno sguardo più tormentato. «Camryn, voglio che tu sia preparata.» «Non cominciare…» «No, piccola, devi fare questo per me» dice con lo sguardo preoccupato. «Non puoi credere al cento per cento che ne uscirò vivo. Non puoi.» «Andrew, ti prego. Smettila.» Mi zittisce posandomi le dita sulle labbra. Sto già piangendo di nuovo. Si sforza di mettermi davanti alla verità senza farmi soffrire, trattiene le lacrime e le emozioni meglio di me. È lui quello che rischia di morire, e sono io quella ridotta a uno straccio. Mi fa arrabbiare, ma posso prendermela solo con me stessa. 881/915 «Promettimi soltanto di non dimenticare che potrei morire.» «Non posso pensare ogni giorno a una cosa del genere!» Mi stringe più forte. «Promettimelo.» Stringo i denti. Mi bruciano gli occhi e il naso. Alla fine dico: «Prometto» e mi spezza il cuore. «Ma tu devi promettere a me che guarirai» aggiungo subito dopo, tornando a posargli la testa sotto il mento. «Non posso stare senza di te, Andrew.» «Lo so, piccola… lo so.» Silenzio. «Ti va di cantarmi qualcosa?» mi chiede. «Cosa vuoi che canti?» 882/915 «Dust in the Wind.» «No, quella no. Non chiedermelo mai più. Mai.» Mi stringe più forte. «Allora canta quel che vuoi, voglio solo sentire la tua voce.» E così intono Poison & Wine, il brano che avevamo cantato insieme a New Orleans, quella notte, abbracciati sul letto. Lui mi accompagna per qualche strofa, ma capisco che sta perdendo le forze perché non riesce a sostenere la voce. Ci addormentiamo abbracciati. «Ci sarebbero degli esami da fare» dice una voce. Apro gli occhi e vedo l’infermiera del ménage à trois. Si sveglia anche Andrew. 883/915 È tardo pomeriggio, e guardando oltre il vetro della finestra vedo che sta per fare buio. «Probabilmente dovrebbe vestirsi» mi dice l’infermiera con un sorriso complice. Penserà che io e Andrew abbiamo fatto sesso, considerando che sono mezza nuda. Scendo dal letto e mi rivesto mentre l’infermiera controlla i parametri vitali di Andrew e, a quanto pare, si prepara a portarlo via con sé. Ai piedi del letto c’è una sedia a rotelle. «Che genere di esami?» chiede Andrew con un filo di voce. Non ha una bella cera, sembra… disorientato. «Andrew?» Torno verso il letto. 884/915 Solleva lentamente una mano. «No, piccola, sto bene; mi gira solo un po’ la testa. Sto cercando di svegliarmi.» L’infermiera si volta verso di me. Chi fa il suo lavoro è addestrato a non mostrare in viso la preoccupazione, ma io gliela leggo negli occhi. Sa che qualcosa non va. Fa un sorriso forzato e lo aiuta ad alzarsi, spostando il tubo della flebo. «Starà via un’ora o due, forse di più: devono fargli altri esami» mi annuncia. «Vada a mangiare qualcosa, si sgranchisca le gambe e torni tra un po’.» «Ma… non voglio lasciarlo.» «Fa’ come ti dice» borbotta Andrew, e più lo sento parlare più mi preoccupo. «Voglio anch’io che tu vada a mangiare.» Stavolta riesce a voltare la testa e mi punta addosso un dito ammonitore. 885/915 «Ma niente bistecca» scherza. «Mi devi ancora una cena a base di bistecca, ricordi? Quando esco di qui è la prima cosa che facciamo.» Mi strappa il sorriso che voleva, anche se solo un accenno. «Va bene» annuisco, controvoglia. «Torno tra qualche ora e ti aspetto qui.» Mi avvicino e lo bacio dolcemente. Quando mi allontano, nei suoi occhi vedo soltanto dolore. Dolore e sfinimento. Ma si fa forza, e un piccolo sorriso gli piega un angolo della bocca. Si siede sulla sedia a rotelle e mi guarda un’ultima volta prima che l’infermiera lo conduca fuori dalla stanza. Mi si mozza il fiato. Vorrei gridargli che lo amo, ma non lo dico. Lo amo con tutto il cuore, ma sento che se pronuncio quelle parole, se finalmente lo ammetto a voce alta, crollerà tutto. Forse 886/915 se me lo tengo dentro, se non dico mai quelle parole, allora la nostra storia durerà per sempre. Quelle due parole possono rappresentare un inizio, ma per me e Andrew temo che saranno la fine. 45 Non riuscirei a ingoiare del cibo neppure se ne andasse della mia vita. Ho detto a Andrew che avrei mangiato solo per tranquillizzarlo. Invece vado a sedermi fuori dall’ospedale per un po’. Non voglio allontanarmi finché lui è lì dentro. Ci sono volute tutte le mie forze per lasciare che l’infermiera lo portasse via. Ricevo un sms da Natalie: Sono appena atterrata, prendo un taxi. Arrivo subito. Ti voglio bene. Quando vedo il taxi accostare davanti all’ospedale, impiego un istante ad 888/915 alzarmi in piedi. È un po’ che non la vedo; da quando abbiamo discusso per via di Damon. Ma non importa più, da un pezzo. Quando la tua migliore amica ti fa soffrire, stai male perché le vuoi bene. E nessuno è perfetto: si commettono degli errori perché le migliori amiche li perdonino. È a questo che servono. Natalie, come Andrew, è una persona senza cui non posso immaginare di vivere. E adesso ho bisogno di lei più che mai. Appena mi vede si mette a correre, i lunghi capelli color cioccolato scompigliati dal vento. «Oddio, Cam, come mi sei mancata!» Mi stringe fin quasi a soffocarmi. Ora che è qui sto già meglio. Scoppio in singhiozzi sul suo petto. Non riesco a trattenere le lacrime. Non avevo mai 889/915 pianto così tanto come nelle ultime ventiquattr’ore. «Oh Cam, che succede?» Mi passa le dita tra i capelli. «Andiamo a sederci.» Mi accompagna a una panchina sotto una quercia. Le racconto tutto. Perché me ne sono andata dal North Carolina, l’incontro con Andrew sull’autobus in Kansas, e poi tutto quanto fino a quel momento, a quella panchina. Lei piange, sorride e ride con me mentre le racconto del tempo passato con Andrew; raramente l’ho vista così coinvolta e attenta. Solo quando mio fratello Cole è finito in prigione, e dopo che i miei hanno divorziato. E dopo la morte di Ian. Natalie è una ragazza estroversa, allegra, che di solito non capisce quando è ora di tacere; ma sa che c’è un tempo e un luogo 890/915 per ogni cosa. E in un momento come quello mi offre tutto il suo cuore. «Non mi capacito che tu stia passando tutto questo, dopo quel che è successo con Ian. È uno scherzo crudele del destino.» Lo sembra, per certi versi; ma con Andrew è ancora peggio. «Pensaci» dice posandomi una mano sulla gamba: «Quante sono le possibilità che fossero tutte coincidenze?». Scrolla la testa. «Scusami, ma sono davvero troppe: voi due eravate destinati a stare insieme. Insomma, cazzo, è una favola romantica che sembra uscita da un film, non ti pare?» Non rispondo, ci rifletto su. Normalmente la prenderei in giro per il tono melodrammatico, ma stavolta non ci riesco. Non ne ho le forze. 891/915 Mi costringe a guardarla. «Sul serio, pensi che ti tocchi sopportare tutto questo solo per poi vederlo morire?» Fa male sentirla usare quella parola, ma non glielo dico. «Non lo so.» Guardo gli alberi sul prato ma non li vedo davvero. Vedo solo il viso di Andrew. «Se la caverà.» Natalie mi prende il viso tra le mani e mi fissa negli occhi. «Ne uscirà, devi solo dire alla morte di andarsene affanculo, che stavolta vinci tu, d’accordo?» A volte Natalie mi stupisce. Come adesso. Le sorrido e lei mi asciuga le lacrime. «Andiamo a cercare uno Starbucks.» Si alza con l’enorme borsa di pelle nera appesa a un braccio e mi porge la mano. 892/915 Non me la sento. «Io… Natalie, voglio restare qui.» «No, devi allontanarti un po’ da quest’energia negativa: gli ospedali succhiano via la speranza. Torna da lui quando è di nuovo nella sua stanza, così mi presenti questo benedetto Kellan Lutz di cui sono così gelosa.» Sfodera un gran sorriso. Riesce sempre a far sorridere anche me. La prendo per mano. «E va bene» mi arrendo. Prendiamo la Chevelle e andiamo allo Starbucks più vicino. Natalie passa tutto il viaggio a decantare le lodi della macchina. «Gesù, Cam, stavolta hai fatto tombola.» Si siede davanti a me sorseggiando il caffellatte freddo. «Gli uomini così perfetti sono rari.» 893/915 «Be’, non è perfetto» dico, giocherellando con la cannuccia. «Dice un sacco di parolacce, è testardo, mi costringe a fare cose che non voglio e l’ha sempre vinta lui.» Natalie sorride e tira su con la cannuccia. «Vedi, proprio come ti ho detto: è perfetto.» Ride e alza al cielo gli occhi castani. «E poi, come sarebbe a dire che ti fa fare cose che non vuoi? Qualcosa mi dice che adori essere comandata a bacchetta.» Batte la mano sul tavolo e strabuzza gli occhi. «Ooooh, è rude a letto, vero? Vero?» Si trattiene a stento. Le ho detto che abbiamo fatto sesso, ma non le ho rivelato i dettagli più piccanti. Guardo il tavolo. Lei dà un’altra manata al tavolo e un uomo seduto dietro di lei si volta a guardare. 894/915 «Oddio, allora è vero!» «Sì, è vero!» sibilo, cercando di non ridere. «Ora la smetti, però?!» «Coraggio, devi dirmi tutto, fin nei minimi particolari!» Avvicina pollice e indice per mimare le dimensioni del particolare e mi fa l’occhiolino. Be’, perché no? Faccio spallucce e mi sporgo in avanti sul tavolo guardandomi intorno per vedere se qualcuno ci ascolta. «La prima volta» inizio, e Natalie si blocca con gli occhi sgranati e la bocca aperta, «mi ha presa quasi con la forza… sai cosa intendo… ovviamente volevo essere presa, sai.» Annuisce convinta ma resta in silenzio perché vuole che io continui. «Capisco che ha un carattere dominante, che non lo faceva solo perché gli avevo detto che a me piace così. E 895/915 capisco che stava comunque attento a non esagerare, perché voleva il mio consenso.» «È mai andato oltre?» «No, ma so che lo farà.» Natalie sorride. «Sei una piccola pervertita» dice, e io arrossisco così tanto che non riesco a guardarla. «Sembra proprio quello che ti ci voleva, da tutti i punti di vista. Ha tirato fuori un lato di te che Ian e Christian non erano riusciti a scovare.» Alza gli occhi al cielo e aggiunge subito: «Sai che ti voglio bene, Ian» e soffia un bacio verso il paradiso. Poi torna a guardare me. «Be’, non è per questo che lo amo.» Natalie richiude la bocca di scatto. E anch’io. Mi sembra che nella stanza non 896/915 ci sia più ossigeno. L’ho detto senza pensare. Perché l’ho detto a voce alta? «Sei innamorata di lui?» chiede Natalie, ma non sembra molto sorpresa. Non rispondo, ma ricaccio indietro le altre parole che stavo per dire. «Dopo tutto quel che avete passato insieme, se tu non fossi innamorata di lui penserei che sei tu quella con il tumore al cervello.» Detesto che abbia usato quelle parole terribili, ma so che non l’ha fatto con cattiveria. Ma nonostante i suoi scherzi e la sua parlantina sciolta che mi fa dimenticare i problemi, non riesco più a darle retta. Le sono grata per avermi distratta dall’angoscia e dalla paura per Andrew, anche se per pochi minuti: mi è sembrato di tornare ai vecchi tempi. Ma ora non ci riesco più. Voglio solo tornare all’ospedale e stare con lui. 897/915 Dopo il tramonto entriamo insieme nell’atrio e prendiamo l’ascensore. «Spero che abbia già finito» dico nervosa, fissando di nuovo quel riflesso sfocato sullo specchio. Natalie mi stringe la mano. La guardo e vedo che mi sorride con dolcezza. L’ascensore si apre e ci incamminiamo in corridoio. Asher e Marna vengono verso di noi. Lo sguardo sui loro volti mi fa piombare il cuore nello stomaco. Stringo così forte la mano di Natalie che probabilmente la sto stritolando. Quando ci raggiugono, vedo le lacrime sulle guance di Marna. Mi abbraccia forte. «Andrew è entrato in coma… non pensano che ce la farà.» 898/915 Mi stacco da lei. Tutti i rumori – l’aria che filtra dalle ventole del soffitto, le persone che ci passano accanto in corridoio – svaniscono in un istante. Sento la mano di Natalie che cerca la mia, ma la spingo via senza pensarci e arretro di un passo, portandomi le mani al petto. Non riesco a respirare… vedo gli occhi di Asher lucidi di lacrime ma non ricambio il suo sguardo. Non lo ricambio perché ha gli occhi di Andrew e io non li posso guardare. Marna tira fuori dalla borsa una busta. Mi si avvicina cauta, mi prende una mano e ci mette sopra la busta. «Andrew voleva che ti dessi questa, se gli fosse successo qualcosa.» Non guardo la busta, guardo solo lei. Ho il viso rigato di lacrime. Non respiro… 899/915 «Mi dispiace» dice Marna con la voce che trema. «Devo andare.» Mi accarezza la mano con fare materno. «Sarai sempre la benvenuta in casa mia e nella mia famiglia. Ti prego di ricordarlo.» Rischia di cadere e Asher la cinge per la vita e la accompagna via. Resto lì impalata in mezzo al corridoio. Passano alcune infermiere, ma mi evitano. Sento una corrente d’aria sul viso quando mi sfiorano. Ci metto un’eternità a trovare il coraggio di guardare la busta che ho in mano. Sto tremando. Non riesco ad aprirla. «Aspetta, ti aiuto» dice Natalie, e sono troppo fuori di me per protestare. Mi sfila la busta di mano, la apre, e dispiega lentamente la lettera che c’è dentro. «Vuoi che te la legga io?» 900/915 La guardo – le labbra mi tremano incontrollate – e scuoto la testa quando finalmente capisco la domanda. «No… faccio io…» Mi porge la lettera e le lacrime cadono sulla carta mentre leggo: Mia adorata Camryn, non ho mai voluto che finisse così. Volevo dirti tutte queste cose di persona, ma avevo paura. Temevo che se ti avessi detto a voce alta che ti amavo, quel che avevamo insieme sarebbe morto con me. La verità è che già in Kansas sapevo che tu eri la donna della mia vita. Ti ho amata dal giorno in cui ti ho vista per la prima volta, mentre mi guardavi storto da sopra il sedile dell’autobus. Forse allora non sapevo di amarti, ma sapevo che in quel momento mi era successo qualcosa, e che non avrei più potuto lasciarti andare. Non ho mai vissuto davvero come nel poco tempo che ho passato con te. Per la prima volta 901/915 mi sono sentito completo, vivo, libero. Tu eri il pezzo mancante della mia anima, il respiro dei miei polmoni, il sangue nelle mie vene. Penso che se le vite passate esistono davvero, siamo stati amanti in ciascuna. Ti conosco da poco, ma mi sembra di conoscerti da sempre. Voglio che tu sappia che anche nella morte ti ricorderò sempre. Ti amerò sempre. Vorrei che le cose fossero andate diversamente. Ho pensato a te molte notti, durante il nostro viaggio. Fissavo il soffitto dei motel e immaginavo come sarebbe stata la nostra vita se io fossi sopravvissuto. Sono così sdolcinato che ti ho persino immaginata in abito da sposa e con una versione in miniatura di me nella pancia. Ho sempre sentito dire che il sesso è fantastico, quando sei incinta :-) Ma mi dispiace averti dovuta lasciare, Camryn. Mi dispiace tanto… Vorrei che la storia di Orfeo ed Euridice fosse reale, perché così potresti venire nell’Oltretomba e richiamarmi a te con il 902/915 canto. Non mi guarderei indietro. Non rovinerei tutto come fece Orfeo. Mi dispiace tanto, piccola… Devi promettermi che resterai forte e bella, dolce e affettuosa. Voglio che tu sia felice e trovi qualcuno che ti ami quanto me. Devi sposarti, avere figli e vivere la tua vita. Ricorda solo di essere sempre te stessa, e non avere paura di dire come la pensi o di sognare a voce alta. Spero che non mi dimenticherai mai. Un’altra cosa: non dispiacerti di non avermi detto che mi amavi. Non ce n’era bisogno: lo sapevo. Con amore per sempre, Andrew Parrish Cado in ginocchio in mezzo al corridoio, la lettera di Andrew stretta tra le dita. Ed è l’ultima cosa che ricordo di quel giorno. 46 Due mesi dopo… Splende il sole e in cielo non c’è una nuvola. Sento persino cinguettare gli uccelli. Mi sembra perfetto per una giornata come questa. I tacchi mi affondano sull’erba morbida. Indosso un bel vestito estivo bianco e giallo che arriva sopra il ginocchio. Ho la treccia appoggiata su una spalla, come Andrew voleva sempre che la portassi. Tengo le mani giunte davanti a me e fisso la lapide con le grandi lettere scolpite: 904/915 PARRISH. È stato difficile andare lì, ma avevo aspettato fin troppo. Tengo gli occhi bassi, fissando sovrappensiero il cumulo di terra che sembra ancora fresco dopo due mesi dalla sepoltura. Neppure la pioggia è riuscita a schiacciarlo. Guardo le altre tombe, quasi tutte già coperte d’erba, e non riesco a provare tristezza ma solo conforto, come se quelle persone, anche se lontane da tutti noi, si tenessero compagnia a vicenda. Due mani mi cingono la vita da dietro. «Grazie di essere venuta qui con me, piccola» mi dice Andrew all’orecchio e poi mi bacia la guancia. Lo prendo per mano e lo faccio spostare al mio fianco, e insieme guardiamo per l’ultima volta la tomba di suo padre. 905/915 Lasciamo il Wyoming quella sera, ma in aereo. I nostri progetti di viaggiare per il mondo sono solo rimandati. Dopo il coma e l’operazione chirurgica, Andrew ha iniziato a migliorare nel giro di tre settimane. I medici erano sorpresi quanto noi, ma ci è voluto del tempo perché si riprendesse completamente, e così sono rimasta sempre con lui a Galveston. Fa ancora fisioterapia una volta alla settimana, ma sembra già che non ne abbia più bisogno. Ha insistito lui perché partissimo come previsto: gli sembra di aver ricevuto una seconda possibilità ed è più impaziente che mai di fare nuove esperienze. Accidenti, gli piace persino lavare i piatti e fare il bucato. Ma io e Marna gli abbiamo proibito severamente di stancarsi troppo. Andrew vorrebbe opporsi, ma sa bene che non è il 906/915 caso. Contro me e Marna non ha speranze. Ma progettiamo ancora di girare il mondo e mantenere la nostra promessa: non restare incatenati alla monotonia dell’esistenza. Non è cambiato niente e so che non cambierà mai. Natalie è tornata in North Carolina e parliamo al telefono ogni giorno. Ora esce con Blake, il ragazzo che Damon aveva aggredito quella sera sul tetto. Mi fa sorridere l’idea che stiano insieme. Quando parlo con loro su Skype capisco che sono fatti l’uno per l’altra. Almeno per il momento; con Natalie non si sa mai… Damon, oltretutto, ha finito per farsi arrestare per possesso di droga. È la seconda volta, e probabilmente passerà un anno in prigione. Forse imparerà dai suoi errori, ma ne dubito. 907/915 Mio fratello Cole, invece… Credo che Andrew avesse ragione su di lui. Abbiamo preso un aereo per il North Carolina per andare a trovare mia madre, e mentre eravamo lì siamo andati con lei a far visita a Cole in prigione. L’ho visto cambiato, il suo rimorso sembra sincero. Gliel’ho letto negli occhi. Lui e Andrew si sono piaciuti subito. Forse tornerà davvero a essere il fratello maggiore che conoscevo, quando uscirà di lì. E con l’aiuto di Andrew, ho perdonato Cole per ciò che ha fatto. Soffrirò sempre per la famiglia che ha distrutto quando ha ucciso quell’uomo nell’incidente, ma ho capito che il perdono lenisce ogni dolore. Mia madre si vede ancora con Roger. Anzi, si sposeranno: alle Bahamas, a febbraio. Sono molto felice per lei. Sono riuscita a conoscere Roger e a sottoporlo alla mia ispezione anti-idioti e 908/915 sono felice di poter dire che è stato promosso a pieni voti. La mamma non sta quasi più a casa, lui la porta sempre in viaggio. E se lo merita davvero. La madre e i fratelli di Andrew mi hanno accolta nella famiglia a braccia aperte. Io e Asher siamo molto uniti. E adoro Aidan, anche se all’inizio mi sembrava scostante. Non è mai stato davvero stronzo con Andrew, e a dirla tutta Andrew se lo meritava. Aidan e sua moglie Michelle mi trattano come se fossi la moglie di Andrew; la cosa mi fa sempre arrossire. E soprattutto, Andrew e Aidan vanno più d’accordo. La scorsa settimana, prima che Aidan e Michelle tornassero a Chicago dopo una breve visita, si sono messi a fare la lotta in salotto. Hanno rischiato di far cadere il televisore, ma io e Michelle abbiamo riso del loro testosterone da maschi alfa. 909/915 E oggi… be’, oggi sarà un po’ diverso dalla vita a cui Andrew è abituato. Entro in salotto e lo trovo stravaccato sul divano a guardare Prometheus. Allunga una mano verso di me mentre gli vado incontro. «No, devi alzarti» dico scrollando la testa. «Che succede, piccola?» Si gratta la testa. I capelli hanno iniziato a ricrescere ma gli danno fastidio, soprattutto intorno alla cicatrice lasciata dall’operazione. Appoggia i piedi a terra per tirarsi a sedere e io mi infilo tra le sue gambe e gli passo le mani sulla testa. Mi bacia un polso e poi l’altro. «Vieni con me.» Lo prendo per mano e lui mi segue in camera da letto. 910/915 Quando lo porto in camera pensa sempre che voglia fare sesso, e i suoi splendidi occhi verdi si accendono come quelli di un bambino. «Voglio solo sdraiarmi con te per un po’» dico, togliendomi tutti i vestiti. Sembra un po’ confuso, e mi fa molta tenerezza. «Va bene» sorride. «Vuoi che mi spogli anch’io? Nessun problema. Anzi, che te lo chiedo a fare?» Inizia a spogliarsi. Ci sdraiamo sul fianco uno davanti all’altra, intrecciando le gambe. Lui mi stringe in un abbraccio e poi le sue dita scorrono sul mio tatuaggio di Orfeo, che ho fatto due settimane prima. È bellissimo e combacia alla perfezione con il suo. Quando siamo sdraiati vicini diventano un unico disegno. 911/915 «Tutto a posto, piccola?» Andrew mi guarda incuriosito, accarezzandomi il fianco. Sorrido e lo bacio sulla bocca. Poi mi tiro un po’ indietro, gli prendo la mano e la porto sul mio tatuaggio, sullo stomaco. «Adoro questo tatuaggio, piccolo, ma temo che tra qualche mese Orfeo potrebbe ingrassare un po’.» Andrew batte le palpebre e impiega qualche secondo a capire cosa sto dicendo. Poi capisce. Getta la testa all’indietro e dopo un momento si tira su di scatto. «Nascerà a maggio» lo informo. Resta inebetito per un istante, ma poi riesce a balbettare: «Sei incinta?». La sua mano corre immediatamente al mio stomaco. 912/915 Quella reazione mi fa sorridere ancor di più. Mi guarda, gli si accentuano le fossette, e un istante dopo la sua lingua è nella mia bocca e mi mozza il fiato. Mi abbraccia. «Sposami» dice, e stavolta sono io a restare senza parole. «Te l’avrei chiesto domani sera a cena, ma non posso più aspettare. Sposami.» Scoppio a piangere. Mi abbraccia e mi bacia di nuovo. Quando infine si tira indietro per guardarmi negli occhi, rispondo: «Sì, ti sposerò, Andrew Parrish». «Cazzo, quanto ti amo» esclama baciandomi di nuovo. Mi prende il viso. «Ora facciamo sesso da incinti.» Che posso dire? Questo è Andrew, e non lo cambierei per niente al mondo. Indice Cover Abstract Jessica Ann Redmerski Frontespizio Copyright Dedica 1 2 3 4 5 6 7 - Andrew 8 - Camryn 9 - Andrew 10 - Camryn 11 12 - Andrew 13 - Camryn 14 - Andrew 15 - Camryn 16 17 - Andrew 18 - Camryn 19 20 21 - Andrew 22 - Camryn 914/915 23 24 - Andrew 25 26 - Camryn 27 28 29 - Andrew 30 - Camryn 31 32 33 - Andrew 34 - Camryn 35 - Andrew 36 - Camryn 37 38 39 - Andrew 40 - Camryn 41 42 - Andrew 43 - Camryn 44 45 46 @Created by PDF to ePub