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DOPPIA ATTIVITA` INFERMIERE Avv. FANTIGROSSI

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DOPPIA ATTIVITA` INFERMIERE Avv. FANTIGROSSI
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9-09-2008
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stano al 90%.
Rispetto all’ipotetico coinvolgimento di infermieri in questa vicenda, riteniamo utile e
doveroso sottolineare che lo specifico professionale dell’infermiere è l’assistenza generale infermieristica rivolta all’utente, sia essa
di natura preventiva, curativa, palliativa e
riabilitativa (DM 739/94); in alcun modo l’infermiere ha titolo per interferire con la decisione del medico, rispetto all’indicazione e
alla modalità dell’atto chirurgico, così come
riguardo la scelta e l’impiego del materiale
protesico.
È di pertinenza infermieristica, invece,
garantire e sorvegliare circa la sterilità di presidi utilizzati durante la pratica chirurgica: a
garantire questo esiste per ogni intervento la
tracciabilità dello strumentario chirurgico e
del materiale protesico (documenti allegati
alla cartella clinica).
Inoltre, in riferimento all’accusa di truffa ai
danni del SSN, l’infermiere non è in nessun
modo responsabile della codifica presente
sulla scheda di dimissione ospedaliera
(SDO) che determina l’entità del rimborso
del ricovero, cosa totalmente di competenza
del
medico
responsabile
dell’Unità
Operativa.
Aggiungiamo che il nostro impegno
professionale è manifesto soprattutto in questo momento, a garanzia dell’assistenza dei
degenti
tuttora
presenti
anche
in
considerazione della mancanza di un
responsabile del Servizio Infermieristico,
vacante dal febbraio u.s. e di cui auspichiamo una sollecita nomina.
attualità
Sentenza Corte di Cassazione sul
licenziamento per giusta causa
dell’infermiera che svolge doppia attività
– Vs. del 19.02.2008
Avv. Umberto Fantigrossi, Avv. Maria Teresa Brocchetto, Avv. Giovanna Brunetti, Avv. Jeanette Dal
Verme, Dott. Tiziana Giacalone, Dott. Roberto Rossit, Studio Legale Fantigrossi
Milano, 28 febbraio 2008
M
i è stato chiesto di redigere un parere in
relazione alla recente Sentenza della Corte di
Cassazione (Cass. civ., sez. lavoro, n. 3090 del
08.02.2008) la quale ha confermato la legittimità del licenziamento di un’infermiera che,
assunta in un pubblico ospedale, svolga la
sua attività anche presso altra struttura privata.
Dalle risultanze istruttorie è emerso che tale
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(ulteriore) attività si era inserita nell’ambito di
un progetto imprenditoriale - che l’infermiera
stessa aveva intrapreso con il proprio marito
- volto ad offrire l’organizzazione di personale paramedico (quale l’assistenza infermieristica) ad altre strutture sanitarie.
I NAS, a seguito di controlli effettuati, avevano accertato e verbalizzato la presenza dell’infermiera nella summenzionata struttura
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privata.
A fronte della descritta situazione il Giudice
di appello irrogava a carico dell’infermiere la
sanzione disciplinare del licenziamento per
giusta causa.
Di seguito, su ricorso dell’infermiera, la Corte
di Cassazione è stata chiamata a pronunciarsi
sulla legittimità della sentenza impugnata.
Va preliminarmente osservato che la Corte di
Cassazione non può operare un apprezzamento dei fatti e delle prove differente rispetto a quello del Giudice del gravame. E dunque il suo sindacato si concentra nel controllo della correttezza e della congruità della
motivazione della sentenza di grado inferiore.
La Suprema Corte ha così ribadito la giustezza della pronuncia del Giudice d’Appello in
quanto basata su un ragionamento congruo e
rispettoso dei principi giuridici applicabili in
materia.
Anche ad avviso dello scrivente, non pare
dubbio che la condotta qui in discussione
legittimi, ai sensi del combinato disposto
della Legge 662/1996 (art. 1 commi 60 e 61) e
del D.lgs n. 165/2001 (art. 53 comma 7), il
licenziamento dell’infermiere, stante la sua
posizione di dipendente pubblico e considerata la gravità della violazione commessa.
In effetti, con riguardo alla contrattazione collettiva di settore, deve reputarsi particolar-
mente grave la condotta concretizzantesi
nella violazione dell’obbligo di astenersi dal
prestare attività di lavoro all’esterno
dell’Amministra-zione di appartenenza, con
l’esercizio di una attività professionale volta
ad inserirsi in una organizzazione del servizio
infermieristico a livello imprenditoriale, in
favore di una struttura privata che abbisognava di tale servizio.
Tale comportamento è certamente suscettibile di creare nel datore di lavoro della struttura pubblica una oggettiva sfiducia circa il
rispetto dell’obbligo di fedeltà cui il dipendente sarebbe tenuto.
In conclusione dall’esame della pronuncia
non si può che condividere la decisione della
Suprema Corte che ha sanzionato l’infermiera con il licenziamento per giusta causa.
Resto a disposizione e saluto cordialmente.
(Avv. Umberto Fantigrossi)
Avvertenza:
il presente parere legale costituisce opera dell’ingegno tutelata dalla Legge sul Diritto
d’Autore (L. n. 633/1941). Ogni riproduzione
e divulgazione, anche parziale, attraverso
qualsiasi mezzo, è consentita esclusivamente
previa indicazione nominativa dell’autore.
In caso di mancato rispetto di tale clausola
l’autore si riserva di richiedere il maggior
compenso dovuto ed il risarcimento di ogni
eventuale danno.
Art. 1 comma 60: “Al di fuori dei casi previsti al comma 56, al personale è fatto divieto di svolgere qualsiasi altra attività di lavoro subordinato o autonomo tranne che la legge o altra fonte normativa ne prevedano l'autorizzazione rilasciata dall'amministrazione di appartenenza e l'autorizzazione sia stata concessa. La richiesta di autorizzazione inoltrata dal dipendente si intende accolta ove entro trenta giorni dalla presentazione non venga adottato un motivato provvedimento di diniego”;
Art. 1 comma 61: “La violazione del divieto di cui al comma 60, la mancata comunicazione di cui al comma 58, nonché
le comunicazioni risultate non veritiere anche a seguito di accertamenti ispettivi dell'amministrazione costituiscono giusta
causa di recesso per i rapporti di lavoro disciplinati dai contratti collettivi nazionali di lavoro e costituiscono causa di
decadenza dall'impiego per il restante personale, sempreché le prestazioni per le attività di lavoro subordinato o autonomo svolte al di fuori del rapporto di impiego con l'amministrazione di appartenenza non siano rese a titolo gratuito,
presso associazioni di volontariato o cooperative a carattere socio-assistenziale senza scopo di lucro. Le procedure per
l'accertamento delle cause di recesso o di decadenza devono svolgersi in contraddittorio fra le parti”.
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L’art. 53 comma 7 stabilisce che “I dipendenti pubblici non possono svolgere incarichi retribuiti che non siano stati
conferiti o previamente autorizzati dall'amministrazione di appartenenza. Con riferimento ai professori universitari a
tempo pieno, gli statuti o i regolamenti degli atenei disciplinano i criteri e le procedure per il rilascio dell'autorizzazione nei
casi previsti dal presente decreto. In caso di inosservanza del divieto, salve le più gravi sanzioni e ferma restando la responsabilità disciplinare, il compenso dovuto per le prestazioni eventualmente svolte deve essere versato, a cura dell'erogante o,
in difetto, del percettore, nel conto dell'entrata del bilancio dell'amministrazione di appartenenza del dipendente per essere
destinato ad incremento del fondo di produttività o di fondi equivalenti”.
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