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storiae 3-2006 life.p65
Fa r e
memoria
Il poeta Yitzhak Katzenelson
di Milena Cossetto
IL CANTO DEL POPOLO EBRAICO MASSACRATO
21
C’è un tema che attraversa la Bibbia dall’inizio alla fine,
ed è il tema del «ricordare». Il nome di Dio dev’essere ricordato (Genesi 48,16), come pure il giorno dell’uscita dall’Egitto (Esodo 13,3). Israele deve ricordare “che è stato
schiavo” (Deuteronomio 5,15) e dall’esilio, appese le cetre
ai salici, non può dimenticare Gerusalemme (Salmi 137,5).
Fare memoria è il compito che ha ogni parola, che dal passato viene affidata al presente verso il futuro, data in dono
alle nuove generazioni affinché sappiano ricordare, vedere, ascoltare, raccontare e costruire nuove storie.
Il “dovere della memoria” è compito fondamentale dei poeti, dei “cantori”, dei “salmisti”, che affidano ai simboli il
compito di “mettere insieme” i molti aspetti della vita.
Il Canto del popolo ebraico massacrato di Yitzhak
Katzenelson è un’opera poetica che si inserisce nella più
antica tradizione ebraica che la storia letteraria chiama “letteratura della distruzione”: attraversa tutta la tradizione
ebraica dall’Esilio di Babilonia con i lamenti per la caduta
di Gerusalemme e il salmo 137, il Canto dell’esiliato:
«Come canteremo i canti del Signore? ... ai salici di quella
terra appendemmo le nostre cetre», ai canti di Maimonide e Ibn Verga sulla cacciata degli ebrei dalla
Spagna, alle poesie di Bialik sui pogrom della Russia zarista. L’opera di Katzenelson, scritta in
lingua yiddish, è strutturata in quindici canti, ognuno dei quali ha quindici strofe giambiche, con
quattro lunghe righe a rima tronca incrociata. E’ l’urlo del poeta che cerca di spezzare il silenzio del
vuoto, della deportazione, delle città bruciate, dell’assenza. I fatti emergono dalla memoria e si
spargono sulla carta con l’inchiostro diventato sangue, si succedono senza ordine cronologico, si
accavallano, si avvicinano per associazione con ritmo frenetico o lento, come il fluire della memoria
in un delirio di febbre. Come scrive Sigrid Sohn nella prefazione all’opera in lingua tedesca: In
principio c’è l’invito al poeta a prendere l’arpa e cantare “L’ultimo canto degli ultimi ebrei in terra
d’Europa”, ma, come i suoi avi sulle rive dei fiumi di Babilonia, anche Katzenelson non vuole dare
ascolto alle voci insistenti e solo alla fine decide di sedersi in terra, com’è consueto nel lutto ebraico, “prendere l’arpa” e cantare a Dio, se mai dovesse esistere. Allora chiama attorno a sé il suo
popolo, i sei milioni di ebrei massacrati, e, come in una danza macabra, li fa rivivere, ripetendo le
loro ultime ore. La prima parte intreccia fatti biblici e storia personale del poeta, della sua famiglia:
i morti diventano protagonisti e i vivi sembrano morti; viene meno la linea di demarcazione tra vita
e morte. Tutti i sei milioni di ebrei si radunano attorno a lui, lo guardano attarverso gli occhi pietrificati dei suoi cari: i figli, la moglie, il fratello Berl. Poi la descrizione del terrore, la devastazione
nelle città di Lodz e di Varsavia, l’incalzare della violenza, i tradimenti, la deportazione, il dramma
delle donne e dei bambini. Infine un quaddish, un discorso funebre per il suo popolo e anche per se
stesso; il mondo evocato in questo canto è scomparso davvero, per sempre: non esiste più un solo
shtetl, non esiste più il mondo descritto dai grandi scrittori yiddish. Nessuno è accorso in aiuto. Una
parte del popolo ebraico che aveva iniziato il suo cammino nel deserto con colonne di nubi e fuoco,
era stato estirpato con le colonne di nubi e fuoco che sovrastarono il ghetto di Varsavia, conclude
Sigrid Sohn.
Davanti al «cantare» di Yitzhak Katzenelson - scrive nella prefazione italiana Primo Levi – ogni
lettore può arrestarsi turbato e reverente. Non è paragonabile ad alcuna altra opera nella storia di
tutte le letterature: è la voce di un morituro, uno fra centinaia di migliaia di morituri, atrocemente
consapevole del suo destino singolo e del destino del suo popolo. Non del destino lontano, ma di
quello imminente [...] Al disopra dell’orrore che ogni volta ci coglie davanti a queste testimonianze
pur note, non possiamo reprimere un moto di stupore ammirato per la purezza e la forza di questa
voce. E’ voce di un universo culturale ignoto in Italia da sempre e oggi scomparso: la voce di un
popolo che piange se stesso.
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IL POETA YITZHAK KATZENELSON
24
Yitzhak Katzenelson fu uno dei principali
esponenti della letteratura ebraica ed yiddish
europea del Novecento, conosciuto anche per
la sua vasta produzione di testi per l’infanzia.
Nacque a Korelitz, vicino a Minsk, nella Russia Bianca nel 1886. Ben presto si trasferì a
Lodz, in Polonia, dove si dedicò all’insegnamento (fu docente e poi direttore del Ginnasio
ebraico) e alla letteratura, scrivendo in ebraico
e in yiddish (la lingua degli ebrei della
Mitteleuropa e dell’Europa Orientale, una mescolanza di ebraico/
aramaico e tedesco medievale, i cui primi documenti risalgono al
X secolo). Katzenelson scrisse anche molti testi per l’infanzia (racconti, drammi, canti) per colmare una lacuna nella letteratura ebraica dell’epoca; ricca è comunque la sua produzione di drammi, opere
teatrali, opere in prosa, canti ma soprattutto di poesie in lingua
ebraica e oggi viene considerato nella storia letteraria un autore la
cui scrittura ricorda per temi e stile Heinrich Heine, di cui
Katzenelson pubblicò nel 1924 una traduzione delle poesie in ebraico. Dopo l’occupazione della Polonia nel 1939, Katzenelson fu
costretto a celarsi nell’anonimato, proprio perché l’obiettivo fondamentale dei nazisti era quello di annientare l’intelligentia e la
leadership ebraica. Si rifugiò quindi a Varsavia, dove fu raggiunto
dalla moglie e dai tre figli. Nel 1940 venne rinchiuso con la famiglia nel ghetto di Varsavia, dove – dopo un periodo di grande crisi
– si mise ad organizzare letture bibliche e corsi per giovani studenti, a scrivere per il giornale clandestino “Dro” (Libertà), organo del movimento sionista e anima della resistenza nel ghetto. Il
14 agosto 1942 la moglie e i due figli più giovani vennero deportati e uccisi a Treblinka. Katzenelson partecipò alla prima parte della rivolta del ghetto di Varsavia poi, insieme al figlio maggiore,
venne nascosto dalla resistenza ebraica nella “parte ariana” della
città di Varsavia, in quanto “il poeta doveva essere salvato”. Dopo
alcune settimane fornirono a padre e figlio falsi passaporti dell’Honduras. I nazisti promisero di scambiare tutti coloro che erano in possesso di passaporti
stranieri con prigionieri tedeschi: era un inganno; il
poeta e il figlio si consegnarono nelle mani della
Gestapo. Nel maggio 1943 Katzenelson e il figlio fecero parte di un gruppetto di “fortunati” che partirono
per il campo di concentramento privilegiato di Vittel,
in Francia, da dove avrebbero poi dovuto raggiungere
un paese libero. Nonostante le apparenti migliori condizioni di vita, Katzenelson visse qui una drammatica
crisi depressiva e momenti di vera e propria “follia”.
Poi riprese a scrivere e, un mese prima di essere deportato ad Auschwitz, compose Il canto del popolo
ebraico massacrato e lo concluse il 17 gennaio 1944.
Una volta compreso che per lui non ci sarebbe stato
scampo, il poeta seppellì il manoscritto con l’aiuto di
Miriam Novitch, amica e compagna di sventura, sigillato in alcuni contenitori di latta, ai margini del
campo, sotto le radici di un vecchio albero. Poi
Katzenelson fu deportato a Drancy, vicino a Parigi, e
infine ad Auschwitz dove morì nel marzo 1944. Dopo
la fine della guerra, nel 1945, Miriam Novitch, sopravvissuta alla deportazione, ritrovò e dissotterrò il
manoscritto che venne pubblicato in tutte le lingue
del mondo. In Italia fu pubblicato parzialmente nel
1946. L’edizione critica in italiano, ebraico e yiddish
è pubblicata da La Giuntina di Firenze nel 1995.
Canto primo:
Canta!
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1
«Canta! Prendi la tua arpa curva e leggera1
e sulle sue corde sottili getta le tue dita,
pesanti come cuori dolenti. Canta l’ultimo canto,
l’ultimo canto degli ultimi ebrei in terra d’Europa».
2
Ma come posso cantare? Come posso aprire la bocca,
io che sono rimasto così solo?
Mia moglie e i miei due bambini... Che orrore!
Rabbrividisco... E sento piangere, piangere dappertutto.
3
«Canta, canta! Alza la tua voce tormentata e rotta,
e cercaLo, cercaLo in alto, se ancora esiste.
E canta per Lui... CantaGli l’ultimo canto dell’ultimo ebreo,
che visse, morì insepolto, e non è più».
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4
Ma come posso cantare? Come posso alzare la testa?
Hanno preso mia moglie, e Benzìon e il piccolo Yòmele.2
Non sono più con me, eppure mai mi lasceranno.
O ombre oscure - mia sola luce - ombre fredde e cieche.
5
«Canta, canta per l’ultima volta su questa terra,
getta indietro la testa, fissa i tuoi occhi su di Lui
e cantaGli per l’ultima volta, suona per Lui la tua arpa:
non ci sono più ebrei! Li hanno sterminati tutti».
6
Ma come posso cantare? Come posso fissare gli occhi su di Lui?
Una lacrima di ghiaccio mi ha velato lo sguardo...
Vorrebbe sciogliersi, vorrebbe sciogliersi,
ma non ci riesce, mio Dio.
7
«Canta, canta! Alza lo sguardo verso il cielo
come se ci fosse un Dio lassù... e faGli un cenno,
come se lassù una grande gioia ci aspettasse.
Siedi fra le rovine del tuo popolo massacrato e canta!».
8
Ma come posso cantare in questo mondo per me così vuoto?
Come posso suonare con queste misere mani contorte?
Dove sono i miei morti? Li cerco, mio Dio, anche nel letame,
in ogni mucchio di cenere... Oh, ditemi dove siete.
9
Gridate da ogni lembo di terra, da sotto ogni pietra,
gridate dalla polvere, dalle fiamme, dal fumo è il vostro sangue, la vostra linfa, il midollo delle vostre ossa,
è la vostra carne, la vostra vita! Gridate, gridate forte!
10
Gridate dalle viscere delle bestie nella foresta, dei pesci nell’acqua vi hanno divorati. Gridate dai forni. Gridate, piccoli e grandi.
Voglio sentire le vostre grida, le vostre voci, i vostri singhiozzi.
Grida, popolo ebraico massacrato, grida, grida più forte!
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22. H. N. Werkmann, Il Sabato del semplice, 1942.
23. Alfabeto ebraico.
24. Yitzhak Katzenelson.
25.Brother Haggadah, Catalogna, 13501375.
26.Arnold Schönberg, Der rote Blick, 1910.
Note
1
2
Cfr. Salmo 137, 2.
Moglie e figli del poeta.
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11
Non invocare il cielo: non ti sente. Né ti sente la terra, questo mucchio di letame.
Non invocare il sole: non si supplica una lampada... Oh se potessi
spengerlo come una lampada in questa tana di assassini!
Popolo mio, tu del sole sei stato per me ben più radiosa luce!
12
Sorgi, popolo mio. Tendi le braccia
da quelle fosse così profonde dove strato dopo strato
fosti coperto di calce e bruciato.
Sorgi dall’ultimo, più profondo strato.
13
Venite tutti, da Treblinka, da Sobibor, da Auschwitz,
venite da Belzec, da Ponary3 e dagli altri campi,
con gli occhi spalancati e mute grida di terrore.
Venite dalle paludi, affogati nel fango, imputriditi nel muschio...
14
Venite, voi disseccati, voi stritolati, voì frantumati,
disponetevi in cerchio intorno a me fino a formare un grande anello:
nonni, nonne, padri, madri con i bambini in collo.
Venite, ossa di ebrei ridotte in polvere e cenere.
15
Alzatevi, mostratevi. Venite tutti, venite,
voglio vedervi. Voglio guardarvi, voglio
contemplare in silenzio il mio popolo massacrato.
E canterò... sì... datemi l’arpa... Ecco, io suono!
3-5 ottobre 1943
Canto secondo:
Io suono
1
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Io suono. Mi sono seduto sulla nuda terra
e ho suonato e cantato tristemente: o popolo mio!
Milioni di ebrei si assiepavano intorno a me e mi ascoltavano,
milioni di assassinati stavano ad ascoltarmi.
2
Una folla immensa, una moltitudine infinita.
La valle di Ezechiele piena d’ossa:4 nulla al confronto.
E lo stesso Ezechiele non avrebbe parlato agli assassinati
di speranza e di fede
come allora, ma disperato si sarebbe torto le mani come me.
3
Come me si sarebbe rivolto impotente e sconvolto
verso quel vasto cielo grigio e verso il vuoto
e avrebbe piegato il capo, giù, giù, sempre più giù,
come una pietra, come un povero sasso muto.
4
Ezechiele! O ebreo della valle di Babilonia, tu hai visto
le ossa disseccate del tuo popolo, e ti sei
sentito perduto, Ezechiele... e come una marionetta,
dal Signore, dal tuo Signore ti sei fatto condurre in quella valle.
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27. Rotlo della Torà, con la Jad, la manina
d’argento che serve a seguire la lettura
senza toccare il libro sacro. I primi cinque
libri della Bibbia contengono la storia più
antica degli ebrei e i precetti per la vita
quotidiana.
28. Isidor Kaufmann, Schwierige Talmudstelle,
1900 circa. Lo studio nel mondo ebraico
svolge un ruolo determinante.
29. Monumento eretto nel 1992 in ricordo
dei 92.000 ebrei boemi e moravi assassinati
dai nazisti. Il monumenti si trova nella
Sinagoga di Pinkas (1535), di fianco
all’antico cimitero ebraico di Praga.
30. Bambini ebrei con la stella di David.
Note
3
Campi di sterminio nazista.
Cfr. Ezechiele, 37.
5
In Yiddish: “Riprenderanno vita?”, Ezechiele 37, 3.
6
Fratello dell’autore.
7
Figlio maggiore del poeta.
8
In Yiddish: “grande studioso”.
4
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5
E quando ti fu chiesto: «Hasikhyeno?5
Riprenderanno vita queste ossa?», tu non sapevi cosa rispondere e allora cosa dovrei dire io?
Del mio popolo assassinato non è rimasto neanche un osso!
6
Non c’è niente su cui porre nuova carne e nuova pelle,
niente per soffiarci dentro nuovo spirito Guarda, guarda, un intero popolo massacrato
ci fissa con occhi attoniti.
7
Milioni di teste e di mani tese verso di noi: contale!
Guarda quei volti e quelle labbra - è una preghiera o un urlo?
Vai, prova a toccarli... Non c’è niente da toccare - il vuoto!
Mi sono inventato un popolo ebraico. Me lo sono immaginato.
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8
Non ci sono più! E non torneranno più su questa terra!
Me li sono inventati. Sì, sto seduto e me li invento.
Solo le loro sofferenze sono vere. Solo il loro dolore
di massacrati è vero, immane...
9
Guarda, guarda, sono tutti intorno a me, una folla immensa,
e tutti - un brivido mi percorre guardano con gli occhi tristi di Benzìon e di Yòmele,
guardano con gli occhi desolati di mia moglie.
10
Con i grandi occhi azzurri di mio fratello Berl6 - sì!
Ma com’è che hanno il suo sguardo? Eccolo! È lui!
Sta cercando i suoi figli, non sa che sono lì
fra tutti quei milioni... e non sarò io a dirglielo, no...
11
La mia Hanna è stata presa con due dei nostri figli!
La mia Hanna sa: erano tutti e tre insieme.
Ma non sa dov’è Zvi,7 non sa dove sono io,
non sa nulla della mia tragedia, non sa che sono vivo...
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12
Alza i suoi occhi verso di me,
e come tutto il mio popolo non mi vede.
Vieni, Hanna, così silenziosa e così eloquente, vieni,
guardami, ascolta la mia voce e riconoscimi!
13
Ascolta, Benzìon, mio piccolo gaòn.8 Tu puoi comprendere
l’ultimo lamento dell’ultimo ebreo e tu Yòmele, mia luce, mia consolazione,
dov’è il tuo sorriso, Yom? Oh, non sorridere, non sorridere...
14
Ho paura del tuo sorriso, Yòmele, come altri
hanno paura del mio... Ascolta il mio canto ho gettato la mia mano sull’arpa come se vi gettassi il mio cuore,
e che il dolore ci strazi pure - io canto.
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15
Non evocare Ezechiele, non evocare Geremia... non ho bisogno di loro!
Eppure li ho chiamati: aiutatemi, venite in mio soccorso!
Ma non li attenderò col mio ultimo canto essi rimarranno con le loro profezie, io con la mia grande pena.
31
15 ottobre 1943
Canto quarto:
I vagoni sono tornati!
1
Orrore e paura mi assalgono, mi soffocano i vagoni sono già di ritorno! Sono partiti solo ieri sera e oggi sono qui di nuovo, già pronti all’Umschlag9.
Li vedi, là con le fauci aperte, spalancate nell’orrore?
2
Hanno ancora fame! Niente li sazia.
Aspettano gli ebrei! Quando glieli porteranno?
Sono affamati - come se non avessero già divorato i loro ebrei...
Ne hanno avuti tanti! Ma ne vogliono di più, ancora di più!
3
Ne vogliono ancora di più. Sono là in attesa che sia servito loro il pasto,
che arrivino gli ebrei in grandi quantità!
Avanti, vecchio popolo dai giovanissimi germogli,
uva fresca di una vecchia vite, vecchi ebrei forti come vino.
32
4
Ne vogliamo di più, molti di più... gridano i vagoni
come freddi e spietati criminali: di più! Non ne hanno mai abbastanza!
Stanno aspettando all’Umschlag. Aspettano noi
i vagoni, aspetta noi il treno.
5
Altri ebrei hanno già riempito quei vagoni fino a soffocare,
ebrei morti incastrati fra i vivi stupefatti,
morti che stanno in piedi, non potendo cadere in quella calca,
morti che nessuno potrebbe distinguere dai vivi.
6
Il capo di un morto dondola come se fosse vivo,
e dai vivi cola il sudore della morte.
Un bambino supplica la madre morta: «Acqua! Dammi un goccio d’acqua!».
E con i piccoli pugni le colpisce la testa: «Ho sete, mamma!».
7
E un altro bimbo è in braccio al padre morto sì, i bambini, anche se deboli e prostrati, i bambini resistono!
Il padre, invece, anche se adulto, non ce l’ha fatta ma il bimbo non lo sa e continua a implorarlo: «Su, babbo, vieni!
Andiamocene da qui!».
8
E là sul treno, da quella parte, in un angolo,
è successo qualcosa. Nessuno ne sa niente?
Tutti però sorridono, tutti fanno supposizioni.
Qualcuno è saltato dal vagone... Ascoltate, ascoltate: uno sparo!
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Note
9
Umschlagplatz, luogo dove venivano condotti gli ebrei del ghetto prima di essere caricati sui treni merci diretti verso i campi di
sterminio.
10
Volontari ucraini erano stati addestrati
dalla Gestapo per tenere a bada gli ebrei. In
genere erano ancora più spietati e violenti
degli stessi nazisti.
11
Confessione dei peccati prima della morte.
12
Le prime notizie sulla vera destinazione
dei treni carichi di ebrei che partivano dall’Umschlagplatz giunsero nel ghetto nei primi giorni dell’agosto del 1942.
13
In Yiddish: “Aiuto!”
14
In Yiddish: “Luogo di studio”, o “La Sinagoga”.
Fa r e
9
Qualcuno si è buttato... e tutti sorridono, ridono in silenzio.
0 cari ebrei, o miei santi ebrei,
perché siete felici? Ascoltate: l’ucraino10 sta sparando dal tetto.
E allora? Qualcuno ce l’ha fatta! Qualcuno è libero.
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10
Si è buscato una pallottola? La vorrebbero tutti nessuno sarà risparmiato! Meglio morire da liberi fra gli alberi
che... Dove? Dove ci portano? Chi recita il Viddui11 a voce alta?
Ripetetelo, ripetetelo tutti! Vi farà rabbrividire.
11
Vagoni vuoti! Eravate pieni, ed eccovi di nuovo vuoti.
Cosa ne avete fatto degli ebrei? Dove sono finiti?
Erano diecimila, contati e stivati - e voi siete qui di nuovo!
O vagoni, vagoni vuoti, ditemi dove siete stati!
12
Voi tornate dall’altro mondo, lo so. Non dev’essere lontano.12
Solo ieri siete partiti carichi, e oggi siete gìà di ritorno!
Perché questa fretta? Avete così poco tempo?
34
Presto sarete vecchi come me, logori e grigi.
13
Solo a guardare, a vedere, a sentire tutto ciò - gevàld!13
come fate, anche se siete di ferro e di legno?
O ferro, giacevi nel profondo della terra.
O legno, un giorno fosti un albero alto e fiero.
14
E ora? Ora siete vagoni, e state a guardare,
testimoni muti di un tale carico, di una tale pena.
in silenzio tutto avete osservato. Oh, ditemi, vagoni,
dove andate, dove avete portato a morire il popolo ebraico?
15
Non è colpa vostra - vi caricano e poi vi dicono: andate!
Vi fanno partire pieni e tornare vuoti.
Voi che tornate dall’altro mondo, ditemi una parola.
Vi prego, ruote, parlate, e io, io piangerò...
26 ottobre 1943
Canto sesto:
I primi
1
E così continuò. Diecimila al giorno, diecimila ebrei al giorno.
Ma non è durato a lungo: ben presto quindicimila ne hanno voluti.
Varsavia! La città degli ebrei! La città recintata, la città murata
è scomparsa sotto i miei occhi, si è sciolta come fosse neve.
35
2
Varsavia! Piena di ebrei come una shul14 nel giorno di Kippur, come un grande mercato.
Ebrei di Varsavia, che commerciavano, che pregavano, così tristi e così allegri ebrei che cercavano il pane e cercavano Dio!
Varsavia! Città murata piena solo di ebrei.
31. Bambini ebrei ad Auschwitz.
3
Ora sei deserta! Sei diventata vuota!
Ora sei un cimitero, più desolata di una necropoli.
Le strade sono vuote, vuote perfino di cadaveri.
Le tue case sono aperte, ma nessuno entra, nessuno esce.
32. Donne ebree ad Auschwitz.
33. Recinzione di filo spinato che delimitava il campo di concentramento di
Buchenwald, in Germania.
34.Varsavia prima del 1939.
35. Man Ray, Rue Férou, 1952.
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4
I primi a essere ammazzati sono stati i bambini, gli orfanelli,
quanto di meglio ci sia al mondo, quanto di più bello possieda l’oscura terra!
Quegli orfanelli sarebbero stati la nostra consolazione,
da quei visini tristi e muti sarebbe arrivata la luce del giorno!
5
Alla fine dell’inverno del ’42 io sono stato in un orfanotrofio
dove arrivavano tanti bambini. Mi sono nascosto in un angolo e in grembo a una maestra ho visto una bimbetta di due anni appena magra, pallida, con grandi occhi tristi - e l’ho guardata a lungo.
6
L’ho guardata quella bimbetta di due anni che pareva una nonna cento anni sembrava che avesse, così seria nella sua grande pena.
36
Ciò che sua nonna non avrebbe potuto neanche immaginare lei lo aveva visto.
E allora ho pianto, e poi mi sono detto: non piangere, il dolore scompare, la tristezza15 rimane.
7
La tristezza rimane, penetra nel mondo, nella vita, e lascia una traccia profonda.
La tristezza ebraica fa riflettere, sveglia, apre gli occhi.
È come una Torà16 per il mondo, come un profezia, uno scritto sacro Non piangere Ottanta milioni di assassini per la tristezza di una bambina ebrea.
8
Non piangere... In quel punkt17 ho visto una bambina di cinque anni
che dava da mangiare al fratellino in lacrime...
Intingeva un pezzetto di pan secco in una marmellata acquosa
e lo infilava abilmente in quella piccola bocca... Ho avuto la fortuna
37
9
di vedere quella mammina che nutriva il suo bimbo
e di sentire le sue parole. Mia madre, per quanto straordinaria, non era così brava.
Ridendo gli ha asciugato una lacrimaparlando lo ha riempito di gioia.
Neanche Sholem Aleichem18 avrebbe potuto far di meglio!
10
Ho visto l’immensa desolazione di quell’orfanotrofio.
Sono entrato in un’altra stanza - e anche lì il freddo era tremendo.
Da lontano una stufa di latta mandava un po’ di luce su un gruppo di bambini,
bambini mezzi nudi stretti intorno al carbone ardente.
11
Cercavano di scaldarsi. Chi un piedino, chi una manina gelata,
chi una spalla nuda. E un ragazzino pallido dagli occhi neri
raccontava una storia. No, non una storia: una gran fiammata di collera.
Isaia! Neanche tu sei sei mai stato così infocato, così eloquente.
12
Parlava yiddish frammisto a lingua sacra19. Il No, era solo lingua sacra.
Ascolta! Ascolta! Osserva quei suoi occhi ebrei, e la fronte, e come alza
la testa... Isaia! Tu non eri così piccolo, né così grande,
non eri così buono, così vero, così fedele.
13
E non soltanto c’era in quell’asilo quel ragazzino che parlava,
ma anche le sorelline e i fratellini che lo ascoltavano a bocca aperta.
0 nazioni, o vecchie e nuove città d’Europa,
il mondo non ha mai visto niente di uguale... la terra niente di simile.
22 storiae
36. Maurycy Minkowski,
Nach dem Pogrom, 1910 circa,
particolare.
37. Alef e Bet, le prime due
lettere dell’alfabeto ebraico.
38. Prigionieri del Lager
all’indomani della liberazione.
Note
15
In Yiddish: ernst significa serietà, dignità, tristezza.
16
Dottrina, insieme di leggi,
Pentateuco e Bibbia.
17
Sono gli alloggi provvisori
per gli ebrei deportati da altre
città nel ghetto di Varsavia, già
sovraffollato. Sono i luoghi più
miserabili della miseria del
ghetto.
18
Grande scrittore Yiddish.
19
È la lingua dei testi sacri,
ebraico e aramaico.
20
Cfr. Deuteronomio, 32, 1:
“Ascoltate, o cieli”.
21
Cfr. Isaia 1, 2: “Udite, cieli”.
22
Cfr. Geremia, 2, 12: “Stupitevi, o cieli”.
Fa r e
memoria
14
Sono stati i primi a morire, i bambini ebrei, tutti quanti,
poveri orfanelli rosi dal freddo, dalla fame e dai pidocchi,
tanti santi messia, santificati dalla sofferenza... Ma perché questa punizione?
Perché nei giorni del massacro sono stati loro i primi a pagare al male il prezzo più alto?
15
Sono stati i primi a essere portati a morire, i primi a entrare nei vagoni.
Li hanno gettati dentro come mucchi di letame e poi via... sterminati senza che ne restasse traccia.
Del bene più grande che avevo non è rimasto niente! Povero, povero me!
2-4 novembre 1943
38
Canto nono:
Ai cieli
1
E così avvenne... e questo fu l’inizio... Cieli, ditemi perché, perché!
Perché dobbiamo essere tanto umiliati in questo mondo?
La terra, sorda e muta, ha chiuso gli occhi... Ma voi cieli,
voi dall’alto avete visto tutto e non siete crollati dalla vergogna!
2
Non una nuvola ha coperto il vostro vile azzurro, che come sempre mostrava il suo falso splendore;
il sole, rosso come un carnefice feroce, ha continuato il suo corso;
la luna, come una vecchia puttana, come una peccatrice, è uscita di notte a passeggiare,
e le stelle ammiccavano luride come occhi di topi.
3
Basta! Non voglio più guardarvi, non voglio più vedervi...
O cieli falsi e bari, cieli infimi pur così in alto; o mio dolore!
Un tempo ho creduto in voi, vi ho confidato le mie pene e le mie gioie, le mie lacrime e i miei sorrisi voi non siete migliori della terra, di questo mucchio di letame!
4
Vi lodavo, cieli, vi esaltavo in tutti i miei canti.
Vi ho amato come si ama una donna. Ma ora se ne è andata, dissolta come schiuma.
Fin dall’infanzia il vostro sole, fiammeggiante nel tramonto,
l’ho somigliato alle mie attese: «Così svanisce la mia speranza, così sfuma il mio sogno! ».
5
Basta! Basta! Vi siete presi gioco di noi, del mio popolo e della mia stirpe!
Da sempre ci avete preso in giro - anche i nostri padri, anche i nostri profeti!
Verso di voi hanno alzato i loro occhi, nella vostra fiamma si sono accesi;
sempre fedeli, per nostalgia di voi si sono consumati.
6
Vi hanno invocato per primi: haazinu!20 Ascoltate!
E solo dopo imploravano la terra. Così Mosè, e così Isaia, il mio Isaia: shimu,21 udite!
E shomu!22 gridava Geremia: shomu! A chi, se non a voi? Perché vi siete allontanati?
O vasti cieli, luminosi cieli, alti cieli, ormai siete come la terra.
7
Non ci conoscete, non ci riconoscete più - perché? Siamo tanto
cambiati? Eppure siamo gli stessi di un tempo e anche migliori... non io! lo non voglio paragonarmi ai miei profeti, non posso,
ma tutti quegli ebrei portati a morire, quei milioni di massacrati, loro sì.
storiae
23
Fa r e
memoria
8
Sono migliori, più provati, più purificati dal goles!23 Chi è
un grande ebreo del passato di fronte a un piccolo ebreo di oggi, un semplice ebreo
di Polonia, di Lituania, di Volinia? In ogni ebreo
grida un Geremia, un Giobbe disperato, un re deluso con il suo Qohelet.24
39
9
Non ci conoscete, non riconoscete più nessuno di noi, come se ci fossimo mascherati.
Eppure siamo noi, gli ebrei di sempre, e come sempre pecchiamo contro noi stessi,
come sempre rinunciamo alla felicità e vogliamo salvare il mondo.25
Come fate a rimanere così belli, voi cieli azzurri, mentre ci stanno massacrando?
10
Come Saul, il mio re, andrò nella mia pena dalla evocatrice di spiriti,
troverò la strada disperata e oscura per En Dor,
e chiamerò fuori dalle tombe tutti i miei profeti: alzate lo sguardo
verso i vostri cieli chiari e sputate loro in faccia: «Al diavolo, maledetti!».
11
Siete rimasti a guardare quando hanno portato a morire i figli del mio popolo, per mare, sui treni, a piedi,
al chiaro del giorno e al buio della notte.
Milioni di bambini hanno teso le mani verso di voi prima di venire massacrati, milioni di nobili madri, di
padri - nulla ha fatto tremare il vostro impassibile azzurro.
12
Avete visto i piccoli Yòmele, unica gioia! Solo gioia e bontà!
E i Benzìon, quei piccoli geonìm26 così seri e studiosi... consolazione di tutto il creato!
Avete visto le Hanne, che li hanno partoriti e consacrati a Dio nella Sua casa,
e siete rimasti a guardare... No, non c’è Dio in voi, cieli! Cieli nulli e vuoti!
13
Non c’è Dio in voi! Aprite le porte, cieli, spalancatele, e lasciate entrare i figli del mio popolo massacrato, del mio popolo torturato. Aprite le porte per la grande ascensione: un intero popolo crocifisso
sta per arrivare... ognuno dei miei figli massacrati può essere un Dio!
14
O cieli, vuoti e abbandonati, cieli senza vita come un vasto deserto,
io ho perso in voi il mio unico Dio, e a loro tre non bastano il Dio degli ebrei, il Suo Spirito e l’ebreo di Galilea, che hanno ucciso, non bastano:
hanno voluto spedire tutti noi in cielo - o miserabile e malvagia idolatria!
40
15
Rallegratevi, cieli, rallegratevi! Eravate poveri, ma ora siete ricchi:
che raccolto benedetto, che fortuna vi è concessa: un popolo, tutto un popolo!
Rallegratevi, cieli, lassù con i tedeschi, e i tedeschi si rallegrino quaggiù con voi,
e un fuoco salga dalla terra fino a voi, e un fuoco scenda da voi fin sulla terra.
23-26 novembre 1943
Canto undicesimo:
Ricordi?
1
Amo chiamarti col tuo nome, amo pronunciarlo: Hànele! Mi piace
rivolgermi a te ora che ti hanno portato via insieme al mio popolo; e tu mi rispondi, mi regali
lo sguardo dei tuoi occhi radiosi, il sorriso triste e gentile delle tue labbra.
Mi piace chiamarti nella mia solitudine e domandarti nel mio dolore: ricordi?
39. e 42. Recinzione di
2
Ricordi? Mi piace domandartelo. 0 Hànele, vieni, vieni qui,
poggia la tua dolce testa, i tuoi capelli neri sulla mia spalla.
Prendimi tra le braccia, fammi sentire vivo, forte... Ti ho strappato al tuo riposo:
non riposare, Hànele - che l’eterna ferita non si rimargini, che non cada nell’oblio.
24 storiae
filo spinato che delimitava il campo di
concentramento di
Buchenwald, in Germania, particolare.
40. e 41. Lettere
dell’alfabeto ebraico.
Fa r e
memoria
3
Siediti qui con me, ti voglio così bene... Ascolta, amore, ciò che ti dico.
Mi senti? Nella mia grande tragedia tu mi rendi felice, Hànele mia!
Nella nostra immensa miseria, nella nostra rovina, io ti fecondo davanti a tutto il mondo.
Porta il frutto dell’accusa come un figlio nel grembo, spargilo in questo grigio
mondo immerso nel peccato!
4
È stata la cosa più crudele, la cosa più orribile e disumana che potesse accadere - ricordi?
So che ricordi, l’hai portata con te nell’eternità!
Tu e i miei figli ricorderete sempre il massacro del nostro popolo.
Anch’io! Eppure a volte temo - non sia mai! - di poterlo dimenticare...
5
Di te mi sono sempre fidato più di me stesso, come se
fossi un tuo medium, come se eseguissi segreti ordini tuoi per esaudire ogni tuo desiderio.
Mi hai affidato compiti gravi che ho adempiuto con gioia e tremore:
ho amato il mio popolo, sono rimasto con lui nell’esilio, l’ho cantato nella speranza e nella paura.
6
Ricordi la casa in via Twarda27 nel Piccolo Ghetto, ricordi l’orfanotrofio?
Quei cinquanta bambini? Sani come pesci! Fu per loro che scrissi quella commedia.
Ricordi come recitavano ne «La strada mi chiama!»?28 Recitando sono diventati grandi,
e con loro quella mia opera più di me vi hanno messo anima e cuore
7
Ricordi quel giorno che ci han detto: anche loro! E anche loro hanno deportato,
insieme all’amico Dombrowski e alla moglie, quei due bravi maestri.
Allora io corsi al ponte sopra via Chlodna,29 ma dove andavo non te lo dissi...
Nel Piccolo Ghetto, cani e gatti giravano ancora, ancora il sole splendeva.
41
8
Ma esseri umani non ne ho incontrati nel Piccolo Ghetto! Qua e là
un’ombra portava sulle spalle un gran sacco, e grazie al sacco ho capito che era un essere umano.
Camminava veloce; e anche il sacco faceva la sua parte incitandolo: «Vai! Vai! ... è finita! ».
Niente più Aysn-gas, né via Gzibow né via Krochmalne né via Walizow né via Twarda!30 Tutto finito!
9
Sono entrato da via Ciepla in via Twarda, e poi a sinistra, via Twarda 7. Volai come la freccia
di un arco attraverso il portone, su per le scale, fino al secondo piano - la porta era aperta!
Mi sono fermato, e volevo, volevo entrare, ma non potevo,
non potevo varcare la soglia, stavo fermo davanti alla porta e non riuscivo a muovermi.
10
Dei passi... al portone? Per le scale? Un infame sciacallo? O forse ancor peggio: un tedesco?
Sono entrato nel corridoio, le porte erano aperte, spalancate, a destra e a sinistra, e il sole da qualche
parte gettava fasci di luce insensati.
Mi acceca, mi abbaglia, mi disorienta... Oh, che il mio turbamento lo assalga!
11
I cappottini - al loro posto nel corridoio. Ne ho riconosciuti alcuni
e li ho toccati. Questo era di Àbbale! Nella commedia faceva lo straccivendolo;
entrava nel grande cortile e gridava gesticolando:
«Avanti, gente, tutto nel sacco! Stracci e cenci nel sacco - compro tutto».
42
12
E questo era di Arek, il protagonista, quello che ingannava il maestro di musica.
«Mia madre è malata!» gli dice,
e poi corre a suonare in cortile.
Ma quando ritorna viene a sapere che la mamma è malata davvero!
storiae
25
Fa r e
memoria
13
E questo cappottino nuovo è di Pìnchasel, il figlio del poeta Hèrshele,31 quel caro bambino!
Hèrshele è morto di fame un anno fa, e suo figlio, il piccolo orfano,
recitava la parte del ragazzino affamato che ruba un panino da un cesto,
lo mangia col sangue che gli scorre da tutte le parti, e parla con i singhiozzi in gola ignaro di tutto
14
Entro nel salone e ne fuggo inorridito, corro nel refettorio e da lì
da Dovid, da Dombrowski, il loro maestro... ma anche lui non c’è! Né lui, né lei!
Anche loro, come Korczak e la Wilczynska,32 hanno accompagnato i piccoli orfani
dove i loro genitori non potevano più accompagnarli... Per terra un mucchio di fogli.
15
Ho rovistato in quel mucchio di fogli... Che le mie opere siano gettate nel fuoco,
ma in cambio salvatemi un orfanello, uno di quei cinquanta bambini a me così cari!
Hànele, ricordi? Invece di un orfanello, da via Twarda ho portato a casa un quaderno:
il secondo atto de «La strada mi chiama!», un tronco senza testa né gambe.
14-16 dicembre 1943
43
Note
23
In Yiddish: diaspora ebraica, esilio.
Nome ebraico del libro dell’Ecclesiaste.
25
Il poeta qui allude al precetto del qiddush,
hashem (santificazione del Nome). Il libro del
Levitico dice (21, 31-32): “Osserverete dunque i
miei comandi e li metterete in pratica. Io sono il
Signore. Non profanerete il mio santo nome, perchè io mi manifesti santo in mezzo agli Israeliti.
Io sono il Signore che vi santifica”. Questo passo
era destinato a essere il punto di partenza per una
delle concezioni più singolari del popolo ebraico.
Nella religione ebraica Dio e il mondo sono sì
separati ma allo stesso momento legati in modo
dinamico da una sorte reciproca che li fa dipendere l’uno dall’altro. Santificare il nome (di Dio)
significa dare prova con la propria vita che Dio
esiste. Santificare il nome significa quindi anche
condurre una vita all’insegna dell’aiuto dato agli
altri. La morte del “testimone” come martire era
quindi la prova più completa della realtà divina e
fu largamente praticata.
26
Grande studioso.
27
Una via del ghetto di Varsavia.
28
Opera teatrale per bambini di Katzenelson.
29
Era la via che divideva il Piccolo Ghetto dal
Grande Ghetto. Le due parti erano collegate da
un piccolo ponte pedonale. Il Piccolo Ghetto fu
il primo ad essere eliminato nell’agosto del 1942.
30
Strade del Piccolo Ghetto di Varsavia.
31
Noto poeta di Varsavia morto per fame nel
ghetto.
32
Medico, pedagogo e scrittore di libri per l’infanzia e la sua assistente. Nel ghetto crearono un
orfanotrofio sul modello educativo della scuola
steineriana. Ambedue accompagnarono i loro 200
bambini il 5 agosto 1942 nella deportazione verso Treblinka. Arrivati al campo furono immediatamente gassati.
33 Cfr. Esodo 17, 8-16 e Deuteronomio 25, 17.
Gli Amaleciti erano una tribù ostile a Israele, divenuta poi nemica secolare del popolo ebraico.
Gli Amaleciti vengono prima identificati con gli
antichi Romani e quindi con i nazisti.
24
26 storiae
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Dal canto quindicesimo:
Alla fine di tutto
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15
Ahimè, non c’è più nessuno... c’era un popolo, e ora non c’è più...
c’era un popolo... e ora è scomparso!
Che storia. Cominciò nella Bibbia e durò fino a oggi...
Una storia ben triste - chi dice che è bella?
Una storia che va da Amalek33 a uno peggiore di luim al tedesco,,,
O lontano cielo, o vasta terra, o immensi mari,
non complottate fra voi per annientare i malvagi della terra,
lasciate che si annientino da soli!
15-17 gennaio 1944
45
I testi sono tratti da:
Yitzhak Katzenelson, Il canto
del popolo ebraico massacrato, La Giuntina, Firenze 1998.
Il canto è pubblicato nella
versione originale in lingua
yiddish e nelle traduzioni
italiana ed ebraica.
44
43. Lesser Uri, Moses schaut auf das
gelobte Land, 1927-28.
44. Maurycy Minkowski, Nach dem
Pogrom, 1910 circa, particolare.
45. Issachae Ryback, Die alte Synagoge,
1917.
storiae
27
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