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BIBLIOGRAFIA di PIER ANGELO GRAMAGLIA

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BIBLIOGRAFIA di PIER ANGELO GRAMAGLIA
BIBLIOGRAFIA
di
PIER ANGELO GRAMAGLIA
1.
Supplica per i cristiani
Athnagoras
Edizioni paoline, 1965
monografia | testo a stampa
2.
Tre libri ad Autolico
Theophilus : Antiochenus
Edizioni paoline, 1965
monografia | testo a stampa
3.
Il battesimo dei bambini nei primi quattro secoli
Gramaglia, Pier Angelo
Morcelliana, 1973
monografia | testo a stampa
4.
Il concordato
Gramaglia, Pier Angelo
1976
monografia | testo a stampa
5.
Il papato di Pio 11.
Gramaglia, Pier Angelo
s.n.!, 1976
monografia | testo a stampa
6.
Il regno di Pio 9., Il regno di Benedetto 15.
Gramaglia, Pier Angelo
s.n.!, 1976
monografia | testo a stampa
7.
Il regno di Pio 9., Il regno di Benedetto 15.
Gramaglia, Pier Angelo
s.n.!, 1976
monografia | testo a stampa
8.
La interpretazione del periodo repubblicano
Gramaglia, Pier Angelo
s.n.!, 1976
monografia | testo a stampa
9.
La interpretazione fascista e papale, La interpretazione clerico-fascista
Gramaglia, Pier Angelo
s.n.!, 1976
monografia | testo a stampa
10. Perchè i patti lateranensi?
Gramaglia, Pier Angelo
s.n.!, 1976
monografia | testo a stampa
11. Esame di alcune teologie protestanti sul battesimo
Gramaglia, Pier Angelo
[s.n.!, 1977
monografia | testo a stampa
12. Problematiche cattoliche sul battesimo
Gramaglia, Pier Angelo
[s. n.!, 1977
monografia | testo a stampa
13. L' uomo della Sindone non è Gesù Cristo : un'ipotesi storica fondata su documenti finora trascurati
Gramaglia, Pier Angelo
Claudiana, 1978
monografia | testo a stampa
14. Il battesimo
Tertullianus, Quintus Septimius Florens
Edizioni paoline, 1979
monografia | testo a stampa
15. A Scapula
Tertullianus, Quintus Septimius Florens
Edizioni paoline, 1980
monografia | testo a stampa
16. La corona
Tertullianus, Quintus Septimius Florens
Edizioni paoline, 1980
monografia | testo a stampa
17. Ai martiri
Tertullianus, Quintus Septimius Florens
Edizioni paoline, 1981
monografia | testo a stampa
18. Le ultime scoperte sulla Sindone di Torino : rassegna critica e bilancio dell'operazione
Gramaglia, Pier Angelo
Claudiana, 1981
monografia | testo a stampa
19. La testimonianza dell'anima
Tertullianus, Quintus Septimius Florens
Edizioni paoline, 1982
monografia | testo a stampa
20. Le semantiche del sangue in Tertulliano
Gramaglia, Pier Angelo
Centro Studi Sanguis Christi, 1982
monografia | testo a stampa
21. Il linguaggio eucaristico in Tertulliano
Gramaglia, Pier Angelo
s. n.!, 1983
monografia | testo a stampa
22. De virginibus velandis : la condizione femminile nelle prime comunità cristiane
Tertullianus, Quintus Septimius Florens
Borla, 1984
monografia | testo a stampa
23. La preghiera
Tertullianus, Quintus Septimius Florens
Edizioni paoline, 1984
monografia | testo a stampa
24. Non uccidere e non violenza nel sec. 4.
Gramaglia, Pier Angelo
[S. l.!, 1984
monografia | testo a stampa
25. Perché non sono d'accordo con i testimoni di Geova
Gramaglia, Pier Angelo
Piemme, 1984
monografia | testo a stampa
26. Confronto con i Mormoni
Gramaglia, Pier Angelo
Piemme, 1985
monografia | testo a stampa
27. Il linguaggio eresiologico in Tertulliano : l'approccio cattolico all'eresia
Gramaglia, Pier Angelo
Institutum Patristicum Augustinianum, 1985
monografia | testo a stampa
28. Maria Valtorta : una moderna manipolazione dei Vangeli
Gramaglia, Pier Angelo
Piemme, 1985
29. Verso un "rilancio" mariano? : voci d'oltreterra : il movimento sacerdotale mariano, il mistico nazionale
(G. Baget Bozzo), le apparizioni di Medjugorje (Jugoslavia)
Gramaglia, Pier Angelo
Claudiana, 1985
monografia | testo a stampa
30. Lo spiritismo
Gramaglia, Pier Angelo
Piemme, 1986
monografia | testo a stampa
31. L' equivoco di Medjugorje : apparizioni mariane o fenomeni di medianità?
Gramaglia, Pier Angelo
Claudiana, 1987
monografia | testo a stampa
32. Il matrimonio nel cristianesimo preniceno
Tertullianus, Quintus Septimius Florens
Borla, 1988
monografia | testo a stampa
33. La Sindone di Torino: alcuni problemi storici
Gramaglia, Pier Angelo
Leo S. Olschki, 1988
monografia | testo a stampa
34. Le apparizioni a San Damiano : la Madonna di mons. Lefebvre
Gramaglia, Pier Angelo
Tipografia saviglianese, 1988
monografia | testo a stampa
Mentre Mamma Rosa, la veggente di San Damiamo Piacentino, non è stata sottoposta ad esame scientifico, diversa è
stata la situazione dei veggenti di Medjugorje, sui quali sono state compiute analisi scientifiche rigorose. Gli studi sugli eventi di
Medjugorje hanno offerto un nuovo modello metodologico di accostamento agli stati alterati di coscienza tramite una serie di
esami, che possono essere così sintetizzati: elettroencefalografia, potenziali evocati visivi, potenziali evocati uditivi,
elettrooculografia, impedenziometria acustica, reflessologia pupillare, reflessologia corneale, resistenza elettrica cutanea, studio
del riflesso dell’ammiccamento spontaneo, studio del riflesso dell’ammiccamemto evocato, test della schermatura, frequenza
cardiaca, ritmo cardiaco, pressione arteriosa, studio dei sincronismi, sensibilità dolorifica, tono degli sfinteri arteriolari precapillari
(pletismografia), frequenza, forma e ampiezza degli atti respiratori.
Nell’estasi dei veggenti di Medjugorje il sistema nervoso ortosimpatico si manifesta in uno stato di iperattivazione, che,
sul piano clinico, è paragonabile solo ad uno stato di shock , cioè di allerta ergotrofica (accompagnata dalla diminuzione delle
variazioni nello elettroencefalogramma) o di forte allerta emozionale. Inoltre la scomparsa dei riflessi psicogalvanici, cioè delle
rapide e vistose variazioni della resistenza elettrica della pelle, dovuta alla allerta emozionale, documenta che gli estatic i e i vari
visionari, che non simulano, sono spesso completamente isolati dall’ambiente circostante; l’aumento tonico della resistenza
della pelle dimostra che cessa la sudorazione emozionale (che interessa le mani, i piedi e le ascelle, ma non il tronco e la testa)
e che subentra la sudorazione omeostatica (che interessa la testa e il tronco e non gli arti), segnalando pertanto lo stato di
massima allerta ergotrofica, analogo a quello dello stress estremo. L’estasi si caratterizza ancora per le variazioni del tono degli
sfinteri precapillari del polpastrello di un dito (pletismografia); nelle mani dei veggenti si verifica una diminuzione dell’ irrorazione
capillare del 70 per cento dei valori di controllo, indice di uno spasmo arteriolare periferico dovuto ad ipertono ortosimpatico; alla
fine dell’estasi si ha un “rimbalzo parasimpatico” e cioè un aumento di ampiezza delle pulsazioni capillari che va oltre i va lori di
controllo. Infine, mentre nell’attività quotidiana la muscolatura fonatoria della laringe produce a livello dell’orecchio medio
variazioni registrabili di impedenza (rapporto tra pressione acustica e flusso sonoro), durante la cosiddetta estasi i muscoli
fonatori cessano di funzionare, dissociandosi dalla muscolatura della bocca, che rimane però in attività.
Si può ritenere che l’estasi di Medjugorje sia diversa dal samadhi (estasi yoga) e dal satori (estasi zen) a predominanza
iperattiva parasimpatica ma non si può escludere l’ipotesi che un’estasi iniziata in stato di allerta ortosimpatica, si evolva poi
passando in ipertonia parasimpatica. E non è neppure il caso di forzare all’estremo la preoccupazione di dimostrare che dal
punto di vista psicologico l’estasi religiosa, essendo uno stato di coscienza differenziato, stabile e prevedibile (se ne può
costruire il modello) sarebbe diversa dall’ipnosi, che è invece uno stato di coscienza indifferenziato e fluttuante, determinato
dalla suggestionabilità dell’ipnotizzato, che può allucinare tutto quello che gli viene suggerito. In questo caso infatti si ha il
fenomeno dell’ipnosi eteroindotta, in genere meno selvaggia e intensa di quella autoindotta; infatti le analogie globali dei
fenomeni di Medjugorje e di altre visioni con gli stati medianici di ipnosi o di trance autoindotta rimangono più che rilevanti,
anche per i possibili paralleli costituiti dai fenomeni di xenoglossia.
La definizione dell’estasi come estrema attivazione ortosimpatica, verificata anche in altre apparizioni mariane, dal punto
di vista dell’ipertonia ortosimpatica, dovuta alla allerta emotiva, della drastica riduzione della attività elettrotermica e della
riduzione di ampiezza delle onde dicrote del tracciato pletismografico nonché della tachicardia, da una parte documenta il
degrado culturale del cattolicesimo italiano, portato dalle gerarchie ecclesiastiche e dai carismatici di grido ad identificare con
tale sconquasso fisio-neuro-fisiologico l’espressione più alta del misticismo religioso o, peggio ancora, dell’ideale evangelico
dell’imitazione di Cristo, ma dall’altra smaschera anche la demagogia con cui il misticismo soprattutto spagnolo a partire dal
sec. XVI ha presentato e propagandato l’estasi come stato di totale riposo in Dio, mentre con grande probabilità si trattava di
stati alterati di coscienza, ove c’era di tutto meno che la distensione interiore e il rilassamento psichico e dove il cosiddetto “Dio
della pace del cuore” probabilmente era assai più lontano di quanto le allucinazioni estatiche dei cosiddetti mistici volessero far
credere.
Tali ricerche inoltre offrono ancora una base scientifica per rivedere radicalmente la teoria cattolica più diffusa sul
discernimento spirituale. Troppo spesso è solo frutto di fanatismo e di ingenuità ridurre l’ambiguità dello psichismo religio so ad
una dialettica demonistica tra Spirito di Dio e Satana, che si spartirebbero il cuore dell’uomo nelle varie manifestazioni e
sensazioni interiori: in tal caso si fa del discernimento un pericoloso e ossessivo metodo di introspezione, finalizzato ad u na
morbosa analisi e contabilità degli impulsi e delle emozioni, che di volta in volta, secondo la fenomenologia neuropsichica con
cui sono recepiti, verrebbero attribuiti ora a Dio ora al Diavolo. Tale metodo crea in molte anime credenti stati terribili di
angoscia e le porta a ritenersi in possesso di Satana ogni volta che si instaura uno stato di depressione psichica o si innescano
processi di automatismi incontrollabili. I cosiddetti “direttori spirituali” di tipo carismatico si sentono poi autorizzati alla
manipolazione delle coscienze altrui con la loro arrogante pretesa di discernere gli impulsi e gli stati affettivi provenienti ora da
affinità con Dio ora da identificazione con Satana: ovviamente i direttori spirituali più intelligenti, come erano alcuni a
Medjugorje, sanno organizzare a meraviglia la loro orchestrazione, attribuendo a Satana qualsiasi mozione interiore critica
verso il Papa o il magistero della Chiesa, in attesa di evidenti contropartite, a meno che non venisse coinvolta la loro Madonna,
nel qual caso erano anche disposti a forme di dissenso ecclesiastico vuoi occulto vuoi pubblico. In tutti questi fenomeni
carismatici troppe cose “non sono di Dio”, non già perché siano “di Satana”, bensì perché appaiono come il risultato di stati
alterati di coscienza, identificabili vuoi nella loro base neurofisiologica come l’opposto della “pace sensoriale”, anche se i
veggenti hanno tale illusione, vuoi nella loro struttura psichica come canali montanti del subconscio, che crea personalità nuove,
capaci di attingere al patrimonio eidetico sedimentato nella memoria sotto lo stimolo irresistibile del bisogno religioso e della
ostentazione di presunti privilegi carismatici.
35. Le fonti del linguaggio paolino
Gramaglia, Pier Angelo
Institutum Patristicum Augustinianum, 1988
monografia | testo a stampa
36. Personificazioni e modelli del femminile nella transizione dalla cultura classica a quella cristiana
Gramaglia, Pier Angelo
Marietti, 1988
monografia | testo a stampa
37. G. I. Gurdjieff e la quarta via
Gramaglia, Pier Angelo
Tipografia Saviglianese, 1989
monografia | testo a stampa
38. La novella di Cupido e Psyche : genere letterario e interpretazione : estratto
Gramaglia, Pier Angelo
Marietti, 1989
monografia | testo a stampa
39. Il sangue in alcune epigrafi africane
Gramaglia, Pier Angelo
s.n.!, 1989
monografia | testo a stampa
40. La reincarnazione : ...altre vite dopo la morte o illusione?
Gramaglia, Pier Angelo
Piemme, 1989
monografia | testo a stampa
41. Perché non sono d'accordo con... i testimoni di Geova
Gramaglia, Pier Angelo
Piemme, 1989
monografia | testo a stampa
42. Visceratio: semantica eucaristica in Tertulliano?
Gramaglia, Pier Angelo
1989
monografia | testo a stampa
43. Agostino, Confessioni 1.-2.
Gramaglia, Pier Angelo
Marietti, 1990
monografia | testo a stampa
44. Spiritismo : dimensioni occulte della realta?
Gramaglia, Pier Angelo
Piemme, 1990
monografia | testo a stampa
45. Ancora la Sindone di Torino
Gramaglia, Pier Angelo
Leo S. Olschki Ed., 1991
monografia | testo a stampa
46. Esoterismo, magia e cristianesimo: fatti, persone e false promesse
Gramaglia, Pier Angelo
Piemme, 1991
monografia | testo a stampa
47. Linguaggio sacrificale ed Eucarestia in Gregorio Magno
Gramaglia, Pier Angelo
Institutum Patristicum Augustinianum, 1991
monografia | testo a stampa
48. Sangue di Cristo e comunione al calice nel concilio di Trento
Gramaglia, Pier Angelo
s.n., 1991
monografia | testo a stampa
49. Sangue e Eucarestia nelle dispute latino-bizantine del sec. 11.
Gramaglia, Pier Angelo
[s.n.!, 1991
monografia | testo a stampa
50. New Age : teorie e prassi
Gramaglia, Pier Angelo
[s. n.! (Tipografia Saviglianese), 1992
monografia | testo a stampa
Negli anni precedenti
pareva di vivere in una bolgia frenetica di apocalittica e di panteismo magico: cosmologia
esoterica, occultismo medianico, sbocchi ecologisti seri, influssi orientaleggianti mediati da filibustieri californiani, analogie
gnostiche di parata pseudoscientifica, il mito degli stati alterati di coscienza, l’esaltazione delle tecniche di meditazione,
paradigmi antropologici pseudo-olistici, il culto del paranormale psichico, modelli ideologici e culturali pseudo-buddisti, tutto
convergeva in un gran polentone, che si presentava come la salvezza escatologica del “New Age” americano, che in realtà
stava colonizzando la cultura europea e mondiale come un’unica lobby amalgamata.
Bisognava trovare una matassa di ricerca, che garantisse in modo sincronico un approccio scientifico e un uso
dell’ironia di fronte a tanti deliri assolutamente acritici.
Pensai bene di focalizzare l’area di ricerca innanzitutto su quella che si presentava come la nuova gnosi di Princeton
con il suo immanentismo cosmologico, l’idea di una coscienza organica primaria, il presupposto di una coscienza cosmicodivina nella materia, un rapporto primordiale tra embriologia e psicogenesi e un’etica provocatoriamente borghese. Passai poi
ad un’opera famosa di Fritjof Capra, il Tao della fisica , che proponeva i modelli di una nuova fisica sulla base del Bootstrap ,
capace di recuperare le esperienze allucinatorie, gli stati alterati di coscienza, la mania del buddhismo e del taoismo nonché il
mito delle culture alternative. Sono passato poi ad un esame delle teorie morfogenetiche, che affrontavano in modo olistico i
comportamenti formativi nei processi chimici, lo psichismo biologico immanente, l’istintualità animale, l’embriologia e la presunta
coscienza trans-personale.
Ma l’accostamento ad opere serie come il problema di Dio in Paul Davies e come l’esperienza dello sciamanismo in
Mircea Eliade mi permise di affrontare in modo del tutto diverso gli andazzi ideologici maggioritari; la ricerca scientifica vera
permetteva infatti di analizzare con nuovi strumenti e con nuove conoscenze le differenziazioni tra gli stati di coscienza e il
sonno, i rapporti tra gli indici elettroencefalografici e l’attività razionale, le differenziate funzioni degli emisferi cerebrali e una
vera e documentata fisiopsicologia degli stati alterati di coscienza in modo da poter individuare con fondamento le proiezioni
metafisiche delle tecniche yogiche e i presupposti infondati della “Meditazione Trascendentale” con le applicazioni esoteriche
dello Yoga.
A questo punto sentivo di avere una strada aperta per affrontare con ironia, a volte anche feroce, i veri grandi miti di
quel tempo, come la “Transpersonal Psychology” di Stanislav Grof, le ciarlatanerie acquariane di Marylyn Ferguson (ad
esclusione del suo ammirevole impegno ecologico), le avventure dell’io stradivino e megalomane di Shirley MacLaine nonché
dei suoi incomparabili “chakra”, presenti in quasi tutte le parti del suo corpo, ad esclusione forse degli emisferi cerebrali , e di
molte altre novità rimbuddhite della demagogia californiana di quegli anni.
51. Comprensione e perdono in Epitteto e in Erma
Gramaglia, Pier Angelo
Marietti, 1992
monografia | testo a stampa
52. Scientology e unification church
Gramaglia, Pier Angelo
[s.n.!, 1992
monografia | testo a stampa
53. Cipriano e il primato romano
Gramaglia, Pier Angelo
Olschki, 1992
monografia | testo a stampa
54. Semantiche bibliche e teologiche del sangue in Alberto Magno
Gramaglia, Pier Angelo
[S.n.!, 1993
monografia | testo a stampa
55. La sacrificalità della messa nel Concilio di Trento
Gramaglia, Pier Angelo
[s.n.!, 1993
monografia | testo a stampa
56. Fisiologia del sangue in Alberto Magno
Gramaglia, Pier Angelo
[s.n.!, 1993
monografia | testo a stampa
57. Gesù Cristo nella cultura laica
Gramaglia, Pier Angelo
1993
monografia | testo a stampa
58. I carismatici
Gramaglia, Pier Angelo
Vol. I e II, 1994
monografia | testo a stampa
Fu l’incontro con i Mormoni a stimolare il mio interesse per le esperienze visionarie e carismatiche nel pieno della
esplosione cattolica ed evangelica del pentecostalismo. Dal punto di vista metodologico occorreva prendere in considerazione
ed esaminare alcune ipotesi ermeneutiche, così catalogabili: ipotesi farmacologica, ipotesi fisiologiche, ipotesi neurologiche
(soprattutto per le esperienze allucinatorie), ipotesi socio-psicologiche di effetti psichici favoriti dall’isolamento e dalla solitudine,
ipotesi freudiane (che amavano leggere nelle apparizioni di esseri luminosi una proiezione dell’immagine del padre), ipotesi
junghiane, che scoprivano invece gli archetipi dell’inconscio collettivo, ipotesi di esperienze di escursioni extracorporee e infine
quelle molto più utili dal punto di vista euristico e fenomenologico, cioè lo studio delle forme degli stati alterati di coscienza, utili
e necessari soprattutto negli eventi di visioni-apparizioni e di tutta la fenomenologia mistica nelle sue forme più disparate. Del
pentecostalismo moderno impressionava soprattutto il rigurgito di un escatologismo apocalittico totalmente irrazionale.
Per poter valutare appieno la dimensione ecumenica dei movimenti carismatici ritenni opportuno non già un discorso
teologico bensì verificare sul campo il fenomeno di una frammentazione ecclesiale a catena, analizzando alcune figure, che
fornivano sufficienti settori di analisi esperienziale, vale a dire le esperienze di un carismatico africano (Simon Kimbangu), di un
pastore anglicano (Dennis J. Bennet), di un pastore metodista (Merlin R. Carothers) e di un pastore pentecostale (il dottor
Yonggi Cho).
L’area cattolica e riformata esigeva invece un metodo ermeneutico del tutto diverso: vale a dire una verifica ermeneutica
a partire dai testi biblici soprattutto nella dinamica progressiva del passaggio dal battesimo del Battista al cosiddetto battesimo
carismatico di spirito e al battesimo apocalittico di fuoco e poi nei fenomeni carismatici del parlare in lingue e del profetismo
quasi divinatorio nelle comunità paoline e poi nelle comunità dell’Apocalisse fino al profetismo della Ascensione di Isaia verso
l’inizio del sec. II d. C.
A questo punto occorreva smontare l’arroganza cristiana pentecostale, che non solo connetteva spesso in modo
esplicito o implicito e anche in modo paranoico ed esclusivista il messaggio della salvezza a tali esperienze carismatiche ma
riteneva di essere l’unico bacino culturale a partire dalla creazione del mondo, ove Dio manifestasse tali e tante meraviglie
prodigiose. Di grande gratificazione ermeneutica fu l’allargamento dello studio alla importanza della divinazione oracolare negli
scritti di Plutarco, poi in alcune figure emblematiche del mondo ellenistico come Alessandro di Abonuteichos e soprattutto nel
pitagorismo carismatico e in Apollonio di Tiana (ove fu possibile analizzare a fondo i fenomeni di precognizione, di
chiaroveggenza, di telepatia, di guarigioni e di esorcismi). Altrettanto era possibile annotare nei fenomeni carismatici descritti
con acribia e precisione nella letteratura spiritistica, nel mondo della parapsicologia junghiana di Aniela Jaffè e nell’app roccio
ermeneutico esoterico di Ugo Dèttore.
Fu soprattutto l’analisi sul campo della fenomenologia pentecostale del “parlare in lingue” che documentò la sistematica
demagogia di quanti asserivano durante raduni pentecostali cattolici di riuscire a parlare in aramaico: se non altro erano s tati
elaborati studi di grande valore scientifico e linguistico, che attestavano in modo lampante le strutture neurovegetative e
psichiche della glossolalia. I dati ritrovati nella ricerca diretta sui pazienti carismatici e documentati in pubblicazioni s cientifiche
di grande valore attestavano durante l’estrinsecazione dei carismatici di maggio prestigio uno stato alterato di coscienza con
esperienze allucinatorie sincroniche a precise e ripetute variazioni del sistema neurovegetativo con mutazioni paradigmatiche
dei comportamenti cinetici, sicché apparivano con evidenza gli inneschi liturgico-rituali dello stato alterato di coscienza, le
funzioni psichiche della glossolalia e la sua efficacia terapeutica nelle operazioni carismatiche di guarigioni interiori e di
guarigione dei ricordi. Il che però faceva emergere le profonde analogie con la fenomenologia spiritistica e i fenomeni
carismatici nello Spiritismo soprattutto nella struttura neurofisiologica della medianità.
Sconcertante fu inoltre la scoperta e l’analisi del successo di un vero e proprio spiritismo cattolico ad opera di Giovanni
Martinetti, patrocinato dalla casa editrice “Elle Di Ci”, di Mario Mancigotti dopo la morte della figlia Daniela (con uso spi ritistico
della scrittura automatica, dei disegni medianici e della psicofonia medianica) nonché del caso increscioso di Lino Sardos
Albertini.
L’ideologia generale dei vari movimenti pentecostali nel porre nei carismi e nella glossolalia l’estrinsecazione più
sublime del battesimo di Spirito tradisce certamente quella inconfondibile caratteristica neotestamentaria, che vede invece nella
sequela di Cristo tramite il martirio il segno storico più sublime dell’esistenza cristiana, analoga al “battesimo” di Cristo stesso
sulla croce. Da questo punto di vista l’alienazione o l’illusione religiosa contemporanea del mondo cristiano con tutta la sua
fenomenologia di apparizioni, visioni, sogni, estasi, glossolalie, locuzioni interiori, contatti con angeli e con spiriti di defunti non
può probabilmente vantarsi di essere un segno molto qualificante del regno di Dio, che irrompe nel mondo, a sentir dire.
59. La gratitudine nell'anacoretismo cristiano orientale dei secc. 4.-5.
Gramaglia, Pier Angelo
Giardini Editori e Stampatori, 1994
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60. La meraviglia in un detto apocrifo di Gesù
Gramaglia, Pier Angelo
Giardini, 1994
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61. Guarigioni e miracoli
Gramaglia, Pier Angelo
[s.n.!, Vol. I e II, 1995
monografia | testo a stampa
Si viveva in quel tempo nel pieno della reazione carismatica cattolica e pentecostale contro il metodo storico-critico
nell’esegesi biblica e nella corsa dei “rinati nello Spirito”, che si radunavano in alberghi di lusso per intontimenti di profezia e di
glossolalia.
Occorreva dunque ritornare ad una metodologia seria di analisi dei racconti evangelici sui miracoli di Gesù, tenendo ben
conto tramite sistematiche analisi lessicali e sinottiche di ciò che poteva risalire a tradizioni, collegabili in certo modo al Gesù
storico, ben distinte dagli interventi redazionali dei singoli evangelisti e dalle amplificazioni dei sommari sintetici sulla frequenza
di tali prodigi. Per questo sono stati pazientemente sottomessi ad esame lessicale di quasi trecento pagine tutti e singoli i
racconti di guarigione, di prodigi sulla natura e di espulsione degli spiriti maligni e immondi da parte di Gesù, con la disposizione
culturale ad accettare qualsiasi risultato esegetico, che avesse una plausibilità storico-critica, quand’anche si trattasse di casi di
manipolazione delle precedenti tradizioni narrative per motivi ideologici di propaganda o di amplificazione della miracolosit à
delle guarigioni operate dal Gesù storico.
Tutto ciò tuttavia non era sufficiente, poiché la storiografia germanica aveva creato un vero e proprio mito sulla
morfologia dei racconti di prodigio, secondo la quale gli scrittori del periodo ellenistico avrebbero elaborato tutte le loro
descrizioni del prodigioso nelle biografie di personaggi carismatici, come Pitagora, sul copione di uno schema che si sarebbe
ripetuto per tutti.
La traduzione e il commento a tutti i racconti di quasi tutte le stele dei santuari di Asclepio documentava con dovizia la
falsità di tale presupposto ermeneutico, poiché le narrazioni delle guarigioni erano estremamente personalizzate e indicavano
narrazioni assolutamente prive di paradigmi letterari.
Indubbiamente la critica di Luciano di Samosata al prodigioso
nell’ellenismo andava ripresa e rimessa in auge ma non costituiva una pregiudiziale radicale contro l’autenticità descrittiva delle
guarigioni presso i santuari di Asclepio.
Per questo mi ritenni autorizzato a riprendere sulla base di tutte le fonti più sicure dei verbali degli interrogatori alla
veggente la storia delle apparizioni a Lourdes, analizzando con criteri antropologici le apparizioni di Bernadette Soubirous e le
registrazioni molto serie delle cosiddette guarigioni prodigiose presso il noto santuario, soprattutto a partire dal 1882, allorché
venne istituito il meritevole Bureau des constatations médicales , che Karol Wojtyla avrebbe poi cercato di isolare per la sua
eccessiva serietà, affidando il controllo dei miracoli, estranei a Lourdes, ai suoi amici medici compiacenti dell’Opus Dei .
Per non fare opera di proselitismo allargai la ricerca a figure e movimenti e personaggi molto famosi, come Mary Baker
Eddy e la Christian Science , il carisma delle guarigioni nello spiritismo classico francese e nelle varie forme dello spiritismo
contemporaneo, l’attività dei guaritori nordamericani, privilegiando la figura meritevole di Kathryn Kuhlman , le nuove religioni
del New Age e le loro nuove terapie, i principi ideologici e le tecniche della pranoterapia, nonché il Reiki e la sua teoria
dell’energia vitale universale.
Notai soprattutto un paradigma generale, cioè le ideologie e la teologia revanscista e reazionaria dei guaritori, in modo
del tutto particolare di quelli cattolici, presso i quali era spesso evidente la loro strategia di sollecitare una attenzione particolare
da parte delle gerarchie cattoliche, ostentando una adesione totale al riflusso, che ormai regnava sovrano in tali gerarchie
cattoliche in alto e in basso.
62. Demonismo e satanismo
Gramaglia, Pier Angelo
[s.n.!, vol. I e II, 1996
monografia | testo a stampa
Erano gli anni del delirio del mondo cattolico ed evangelico per gli spettacoli carismatici e soprattutto per le pagliacciate
esorcistiche delle americanate, travestite da semplici
“preghiere di liberazione” per non destare le ire della centrale
ecclesiastica cattolica del monopolio sulla anagrafe di tutti gli spiriti extraumani. Era inevitabile una analisi dei testi storici della
cristianità e una verifica sia biblica sia antropologica sul problema di Satana e dei suoi spiriti maligni.
Non era solo implicato il demonismo neotestamentario piuttosto ossessivo a causa delle sue origini nel giudaismo del
Secondo Tempio e nel mondo giudaico del settarismo esseno ma si era creata una situazione culturale dialettica dopo che nel
Concilio Vaticano II il documento della Lumen gentium 16 aveva rotto il principio della letteratura neotestamentaria, che
demonizzava a priori ogni religiosità non cristiana; da allora nessun cattolico aveva più il diritto di identificare in un altro uomo
l’azione di Satana per semplice divergenza di religione. Non meno clamoroso era il rifiuto della demonizzazione del dissenso
interno alla Chiesa o nei confronti della Chiesa cattolica nella Unitatis Redintegratio 14-18, che contrastava chiaramente il
presupposto neotestamentario della demonizzazione del dissenziente. Ancor più esplicita era la radicale revisione del
demonismo neotestamentario là, ove nei confronti del dissenso intraecclesiale ci si appellava non più allo Spirito maligno bensì
allo Spirito santo, che agisce anche nei credenti non cattolici (cf Lumen gentium 15; Unitatis Redintegratio 3). Insomma il
demonismo neotestamentario, se letto e recepito in prospettiva fondamentalista, non poteva essere né fonte di cultura religiosa
né espressione di una autentica esperienza umana: del resto una analisi storica a tappeto documentava che esso aveva quasi
sempre e soltanto fomentato il fanatismo culturale e l’arroganza ecclesiastica di fronte al mondo.
Un’area poco frequentata era poi quella degli esorcismi battesimali di tutte le liturgie cristiane prima della riforma
protestante; l’analisi dei rituali della liturgia battesimale romana fino alla macabra liturgia battesimale del Rituale Romanum del
1614 (viene data la traduzione italiana del testo integrale, comprese le istruzioni previe) documenta infatti non solo evidenti
prassi di magia ma soprattutto il sadismo di una proclamazione continua e ripetuta a iosa durante ogni battesimo dei bambini
che essi erano proprietà di Satana e che sarebbero stati condannati per tutta l’eternità all’inferno, se fossero morti senza
battesimo.
Alcuni appunti sul demonismo nelle opere di Tommaso d’Aquino rendevano esplicito il fatto che questo teologo di
regime aveva aperto le porte ideologiche di giustificazione dei processi alle streghe, la cui anima culturale era stato appunto il
demonismo. Il che appare in tutta la sua drammaticità criminale nella prassi processuale prima del Malleus Maleficarum , di cui
vengono citati e studiati moltissimi testi, e poi delle Disquisitiones magicae di Martin del Rio, analizzate pure esse a fondo in
tutti i loro risvolti (prassi inquisitoria con l’uso disumano della tortura, ideologia religiosa demonistica e prassi penale) , compresa
la tardiva opposizione all’Inquisizione da parte della Cautio criminalis di Friedrich von Spee. Insomma il Papato ha commesso
per trecento anni crimini contro l’umanità.
Ovviamente non poteva mancare un tentativo di comprendere anche il fenomeno del satanismo nell’epoca moderna, a
partire dalle “messe nere” dell’era illuminista e massonica fino alla “Church of Satan” californiana di Anton Szandor LaVey.
Avevo concluso la mia ricerca con uno studio sull’esorcista teatrante di allora Emmanuel Milingo, che mi costò parecchi
insulti dal mondo cattolico e carismatico; in quegli anni infatti mons. Milingo, accusato di magia e ciarlataneria dall’episcopato
dello Zambia presso Paolo VI nel 1974, venne subito dopo la morte di tale Papa ripescato e protetto da Karol Wojtyla, che nel
1983 lo nominò delegato speciale presso il Pontificio Consiglio della pastorale per i migranti e gli itineranti e lo incaricò
personalmente di una grande missione: girare per l’Europa a distribuire cresime ai militari cattolici della Nato e a predicare
contro l’azione di Satana nelle democrazie, che non vivevano sotto la dittatura comunista (i teologi polacchi infatti sapevano
molto bene dove si manifestava il Diavolo, anche se andavano beatamente in canoa o a sciare, mentre alcuni atei laici
cecoslovacchi vivevano in carcere duro per essersi opposti con chiarezza a quei “regimi satanici”), perché i teologi europei, così
gli avrebbe detto Karol Wojtyla, non credevano più al diavolo. Chi legge ora quanto descrivevo nel 1996 e che già da anni
ripetevo nelle mie conversazioni, sempre sotto osservazione dall’alto, potrà notare che il demagogo mons. Milingo, esattamente
come il suo grande protettore di quegli anni, si anticipava già da solo profeticamente in quasi tutte le idiozie e le pagliac ciate
religiose esibite negli anni successivi.
63. Altre vite dopo la morte? : la reincarnazione
Gramaglia, Pier Angelo
Piemme, 1996
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64. Fisiologia del sangue in Tommaso d'Aquino
Gramaglia, Pier Angelo
[s.n.!, 1996
monografia | testo a stampa
65. Sangue redentivo e sangue eucaristico di Cristo in Tommaso d'Aquino
Gramaglia, Pier Angelo
[s.n.!, 1996
monografia | testo a stampa
66. La parrhesia neotestamentaria
Gramaglia, Pier Angelo
Giardini, 1996
monografia | testo a stampa
67. Padre Pio da Pietrelcina: analisi di un mito
Gramaglia, Pier Angelo
[s.n.!, 1997
monografia | testo a stampa
68. Il Testimonium Flavianum. Analisi linguistica
Gramaglia, Pier Angelo
Silvio Zamorani, 1998
monografia | testo a stampa
69. L' iniziazione cristiana in Origene
Gramaglia, Pier Angelo
[s.n.!, 1999
monografia | testo a stampa
70. 1: Il battesimo
Gramaglia, Pier Angelo
[s.n.!, 1999
monografia | testo a stampa
71. 2: L' eucaristia
Gramaglia, Pier Angelo
[s.n.!, 1999
monografia | testo a stampa
72. Osservazioni linguistiche su Lc 16,16
Gramaglia, Pier Angelo
[s.n.!, 1999
monografia | testo a stampa
73. La clandestinità di Pietro (At 12,17)
Gramaglia, Pier Angelo
[s.n.!, 2000
monografia | testo a stampa
74. Missioni al popolo : meditazioni
Giuseppe : Cafasso <santo>
Effatà, 2002
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75. L' origine della religione in René Girard e Sigmund Freud
Gramaglia, Pier Angelo
[s.n.!, 2002
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Mi stupii non poco nel notare come la cultura laica di livello universitario si fosse lasciata ammaliare dagli scritti di Ren é
Girard per riflettere sulla funzione antisacrificale della morte di Cristo e sui presunti paradigmi strutturali del senso religioso nella
coscienza umana; l’ipostatizzazione del desiderio mimetico e il paradigma del linciaggio collettivo originario e della presunta
origine del sacro da tale evento non sollecitavano molto i miei interessi culturali, se non quando venne coinvolta in tale
ermeneutica la sacrificalità nell’ebraismo arcaico.
Mi pareva un tradimento ermeneutico della struttura pluralistica della sacrificalità nel mondo ebraico, tradimento che era
tra l’altro fondato su una ignoranza abissale dei dinamismi più arcaici di tale prassi religiosa. Lo studio delle fasce redazionali
dei testi biblici attestava infatti che il sacrificio originario dell’ebraismo non era costituito dall’idea della vittima espiatoria o del
capro espiatorio, poiché implicava come elementi essenziali, e non disgiungibili, l’offerta a Dio del sangue e del grasso degli
animali immolati quale suo privilegio alimentare, che nessun altro avrebbe potuto mangiare nei banchetti sacri. Il separare e
isolare il sangue da siffatta struttura falsifica l’intera prospettiva sacrificale ebraica delle origini. Ovviamente in epoca ellenistica
anche il giudaismo ha avuto interessi di propaganda a obliterare tale connubio sacrificale. L’esegesi cristiana poi, ossess ionata
dai suoi miti di sacrificalità espiatoria, ha sistematicamente falsificato, come documenta a esempio la Lettera agli Ebrei , la vera
sacrificalità delle origini bibliche; isolando il tabù ebraico del sangue dal suo insieme e soprattutto dal grasso, ha addiri ttura
modificato l’immagine di Dio, che stava dietro al Dio antico, prima che egli diventasse Yahweh degli Ebrei.
La struttura fondamentale del privilegio alimentare di Dio , quale emerge con chiarezza nelle funzioni arcaiche della
sacrificalità ebraica, trova molte analogie paleostoriche e non solo nel mondo umano. Infatti è noto a tutti che già nel mondo
animale, là ove si sono formate le prime strutture di socializzazione e di gerarchizzazione con la figura di un maschio
dominante, le funzioni associative si fondano soprattutto sul privilegio alimentare e sul privilegio sessuale di tale maschio
dominante; in modo specifico dopo la caccia e la predazione esso esige da parte di tutti gli altri membri del gruppo il rispetto del
suo privilegio alimentare; mangia per primo le parti migliori, soprattutto il sangue e le carni più nutrienti, mentre gli altri
attendono con paura e sottomissione il loro turno. La stessa cosa è ben documentabile nelle società umane primitive; la
spartizione delle prede di caccia e del bottino di guerra rispetta in genere il privilegio alimentare e sessuale del capo del gruppo
o del guerriero più forte.
Nella coscienza ebraica più arcaica Yahweh era un Guerriero terribile, che proteggeva il suo gruppo con stermini e
drastici interventi vendicativi; la sacrificalità ebraica è nata in una tradizione sacrale, che rimandava ad una contestualità di
piccoli clan di cacciatori e di predatori prima ancora del nomadismo della pastorizia; il suo culto esigeva quale principio r eligioso
fondamentale il rispetto sacrale del privilegio alimentare del capo-branco. Possiamo descriverlo come un processo religioso,
che sacralizza, proprio tramite la sacrificalità, la “trascendenza” sociale dell’autorevolezza del maschio dominante o del capoclan. In altri termini l’arcaica tradizione, che sta alla base della religiosità ebraica, fonda nel culto sacrificale una delle primarie
forme di strutturazione sociale dei branchi animali e di gruppi umani; per questo motivo le successive forme ed evoluzioni del
culto ebraico non hanno mai perso le loro radici fortemente discriminanti all’interno delle funzioni sociali e il sacro è sempre
rimasto monopolio di una classe maschile.
Tutto ciò rimanda anche a Sigmund Freud con una domanda semplicissima: come mai Sigmund Freud è riuscito a
fondare l’origine della religione sul paradigma del tabù e non ha fatto una sola parola sulla religione più tabuizzata, che e sista
sulla faccia della terra, cioè l’ebraismo biblico? La risposta diveniva sempre più chiara nella rilettura di “Totem e tabù”. Perché
Sigmund Freud ha rimosso tutti i tabù dell’ebraismo?
Già il mito del tabù originario dell’orrore dell’incesto funzionava mo lto
male con la Bibbia ebraica. Infatti al mito di S. Freud sul totemismo esogamico delle origini dell’umanità i testi biblici oppongono
a esempio l’arcaica tradizione di un rigido rapporto tra religione del clan e il matrimonio endogamico, esattamente all’oppos to
del sistema sociale degli aborigeni dell’Australia. Tale schema si opponeva ovviamente a ciò che Freud cercava nei popoli
primitivi a sostegno del suo sistema ideologico. Il giudaismo si presentava come sintesi di antichissime tradizioni, molto più
arcaiche dei presunti uomini primitivi di S. Freud, nelle quali il proliferare dei tabù nasceva non già in una struttura esogamica
ma rigidamente endogamica, cosa ovviamente troppo pericolosa per la “teoria scientifica psicoanalitica”, che non avrebbe più
trovato in tal caso alcuna spiegazione “storica” decente al presunto ancestrale mitico orrore dell’incesto.
La rimozione radicale di tutti i tabù dell’ebraismo, sostituiti dalle angosce ereditarie delle nobili borghesi viennesi,
avrebbe certamente messo S. Freud in grande difficoltà e non solo con gli ebrei europei; nella Bibbia infatti i tabù erano molto
più seri, radicali e sconcertanti. Freud si sarebbe trovato di fronte ad un panorama di vastità antropologica incomparabile: tabù
e delirio della pena di morte, tabù della nudità genitale, endogamia e sterminio delle donne straniere, lo sterminio di religione, il
formidabile tabù alimentare, il tabù delle menomazioni fisiche, il tabù dei morti, il tabù del sangue mestruale, il tabù del sangue
puerperale, ecc. Però, se avesse preso sul serio l’ebraismo biblico, si sarebbe certamente risparmiata la stupidità sul suo Mosè
(cioè lo stesso Sigmund Freud), egiziano di scarsa razza ebraica e molto nobile e intellettuale illuminato ma assassinato dagli
Ebrei con il loro Yahweh bellicoso e infame.
76. Magistero papale e salvezza nel concilio di Ferrara-Firenze
Gramaglia, Pier Angelo
[s.n.!, 2002
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77. Servo di Yahweh : in Isaia 52,13-53,12
Gramaglia, Pier Angelo
[s.n.!, 2003
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78. Appunti linguistici su Gv 1,35-51
Gramaglia, Pier Angelo
Università di Macerata, 2003
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79. Dio, miracoli, Fátima
Gramaglia, Pier Angelo
[s.n.), 2003
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80. La passione di Cristo in Anna Katharina Emmerich e in Mel Gibson
Gramaglia, Pier Angelo
[s.l.!, 2004
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L’esaltazione del revanscismo cattolico e papista per il film di Mel Gibson ha rivelato con chiarezza che cosa era il
wojtylismo in tutta la sua demagogia di facciata.
La veggente tedesca Anna Katharina Emmerich, osannata e beatificata da Karol Wojtyla e vantata come maestra di
stupidità storiografiche su Gesù, alle quali attinse a piene mani come regista e sceneggiatore Mel Gibson, era già nota in Italia
per la traduzione delle sue due opere principali (Vita della beata Vergine Maria, descritta da Clemente Brentano , Napoli 1855
e La dolorosa passione di N. S. Gesù Cristo , Torino 1937). Tali presunte rivelazioni estatiche sono un concentrato delle
aberrazioni teologiche più indegne dell’agostinismo con il dogma solennemente definito da papi e da concili ecumenici sulla
dannazione di tutti i neonati e di tutti gli altri uomini all’inferno in caso di morte senza il battesimo cattolico e con un ricupero ad
oltranza dell’ideologia medioevale di Anselmo di Aosta nella razionalizzazione della necessità di un massacro totale di Gesù
Cristo per dare soddisfazione ad un Dio permaloso e taccagno, che vede solo il suo amore offeso e poi dice di essere
misericordioso, perché la fa pagare in modo spietato ad un Figlio divino, venuto a riparare l’onore offeso di suo Padre, mentre
tutti i neonati continuano, anche dopo, ad essere concepiti come maledetti e come proprietà di Satana sino all’eventuale
battesimo.
Quasi tutta la scenografia del film di Mel Gibson prende a pretesto accenni dei racconti evangelici, raffazzonati di qua e
di là in un concordismo infantile, per introdurre continue manipolazioni narrative di scene, di personaggi e di dialoghi, creati
dalla fantasia alienata della Emmerich, che in centinaia e in centinaia di pagine di visioni allucinatorie ha sciorinato idiozie
storiche, stupidità edilizie su Gerusalemme, falsità continue nella manipolazione delle testimonianze antiche e invenzioni
vergognose, da religiosità tipicamente paranoica e arrogante, su tutti i personaggi evangelici, a cominciare dalla Madonna, dalla
moglie di Pilato e da tutti gli altri santi o meno santi della fiera devozionale cattolica medioevale.
A tali manipolazioni Mel Gibson ha aggiunto l’ossatura ideologica del suo film, che emerge con chiarezza lungo tutto il
susseguirsi delle sue scene. Tale ossatura è riconducibile ad alcuni teoremi assiomatici, così sintetizzabili:
1)
Nei libri biblici e soprattutto nel Libro di Isaia non possono esistere presupposti diacronici di sedimentazione
letteraria e di stratificazione storica; l’intero testo ispirato e canonico del profeta è autentico e risale al profeta
originario del sec. VIII a. C., che intendeva esplicitamente parlare di Gesù il Messia e della sua morte di espiazione
vicaria per vendetta divina.
2)
La passione e la risurrezione di Cristo, in quanto Messia, sono il contenuto esplicito di tutte le profezie della Bibbia
ebraica.
3)
Ogni singolo evento della passione di Gesù è un fatto demonistico .
4)
Non può esistere perdono dei peccati senza spargimento di sangue , tipico teorema del tutto contrario alla prassi
dell’annuncio del perdono dei peccati da parte del Gesù storico.
5)
Le redazioni evangeliche non sono “riletture” di precedenti tradizioni presinottiche e non contengono nessuna
“invenzione narrativa”, sicché la verità storica dei Vangeli consiste nella fusione sincronica e nella conflazione
concordista di tutti i racconti evangelici , comprese tutte le amplificazioni e le manipolazioni redazionali dei singoli
evangelisti.
6)
Le esperienze visionarie di presunti mistici e mistiche, nonché di carismatici cattolici, hanno lo stesso valore
storico delle narrazioni evangeliche , essendo di origine soprannaturale.
7)
Chiunque tradisce Gesù è sempre colpito da maledizioni divine già nella sua vita terrena e tali maledizioni si
concretizzano in terribili punizioni fisiche. La maledizione divina giustifica anche la pena di morte per i violatori
della legge morale.
L’occasione del film di Mel Gibson ha rimesso in luce come nel cattolicesimo ecclesiastico spesso ci si converte solo con
dei “falsi storici”, purché facciano piangere o commuovano. E l’elenco di tale condizione spirituale, incredibilmente cinica nel
valutare gli eventi religiosi quasi solo dalla convenienza e dai vantaggi di proselitismo ecclesiastico, potrebbe continuare con le
presunte e ostentate reliquie di prestigio o con le ininterrotte apparizioni dei parenti più stretti del Salvatore.
Per i lettori più esigenti il libro, più sopra indicato, contiene anche un capitolo sull’aramaico parlato da Gesù, a dispetto
di quanti invece fanno del Gesù storico un intellettuale, che usava l’ebraico classico per ostentare la sua superiorità sulle
ignoranti folle palestinesi e recitava i Salmi nella lingua originaria per trovare favori presso Dio in cambio di tutte le volte che
aveva recitato il breviario nei suoi ritiri spirituali presso un collegio dei Gesuiti all’ombra dell’orto degli ulivi. La conclusiva
analisi della “Passione” secondo il Vangelo di Marco potrebbe essere un’ottima occasione per disintossicarsi da demagoghi
arrestati anche per ubriachezza e droga dopo avere guadagnato montagne di dollari con la sola professione di intellettuali
cattolici denutriti ma con la livrea di pasciuti attori americani.
81. Il “Padre nostro”
Gramaglia, Pier Angelo
Vol. 1 – 2005
Vol. 2 – 2007
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Nel Volume primo era necessaria una previa premessa sulle metodologie per risalire alle tradizioni più autentiche
concernenti il Gesù storico, secondo i criteri storico-critici più aggiornati.
I detti del Gesù storico, riespressi sulla base
dell’analisi linguistica delle tradizioni premarciane e soprattutto della fonte Q , sono pertanto sistematicamente messi in sinossi
con il testo copto del “Vangelo di Tommaso” e con parallela analisi linguistica del testo originale. L’analisi più lunga concerne il
tema del “regno di Dio”, sistematicamente raffrontato con i detti del “Vangelo di Tommaso” e del giudaismo postesilico. Molto
risalto viene dato al problema della falsificazione ermeneutica cristiana del Sal 110, di 2Sam 7, 8-16 e di Mi 5, 1-3 per farne
testi profetici e messianici con annessa falsificazione ermeneutica della stessa auto-coscienza messianica del Gesù storico.
La coscienza del Gesù storico al battesimo nel Giordano si fonda su una esperienza estatica di un rapporto privilegiato con il
Padre celeste ma non presuppone nessuna pre-esistenza di Gesù, almeno nella fonte Q e nella redazione marciana, e la voce
percepita da Gesù in una probabile estasi non è affatto la citazione di qualche testo biblico.
Nel Volume secondo l’analisi sulla “volontà di Dio” si concentra sulla festa del sabato; per contestuare meglio lo stacco
del Gesù storico dal contesto dell’osservanza ebraica vengono analizzati molti testi qumraniani sul sabato e viene presentata la
traduzione completa dei “Canti dell’olocausto del Sabato”. Sul tema del perdono fraterno si caratterizza in modo palese lo
stacco di Gesù dalla teologia giudaica del perdono divino, incentrata sul presupposto della espiazione annuale dello Yom
Kippur , e anche dalla esperienza del perdono dei peccati nella comunità di Qumran. Infine il tema della liberazione dal
Maligno è contestuato dall’analisi degli esorcismi nel mondo ellenistico-romano, nel mondo giudaico e a Qumran.
I criteri storico-critici più importanti per poter risalire con la maggiore probabilità possibile al Gesù storico possono essere
utilmente sintetizzati, a patto che vengano applicati sempre in modo sincronico e con cautela, badando piuttosto alla loro
plurima convergenza, e così catalogati: criterio dell’imbarazzo (riguarda azioni o detti di Gesù,
che avrebbero prodotto
imbarazzo o creato difficoltà alla chiesa primitiva, sicché difficilmente tali azioni o detti possono essere stati creati da comunità
giudeo-cristiane della prima ora, e constata che alcune volte materiale imbarazzante proveniente dallo stesso Gesù è stato
soppresso o attenuato o modificato dalla tradizione posteriore), il criterio della discontinuità o della dissomiglianza (riguarda
azioni o detti di Gesù, che non possono derivare né dal giudaismo del tempo di Gesù né dalle comunità delle origini giudeo-
cristiane e privilegia il presupposto della originalità di Gesù), il criterio della molteplice attestazione (riguarda detti o fatti di Gesù
attestati da più fonti indipendenti tra loro, quali potrebbero essere la tradizione premarciana, la fonte Q , Paolo o Giovanni,
oppure in più generi letterari indipendenti , quali potrebbero essere la parabola, il racconto di disputa, il racconto di miracolo, la
profezia o l’aforisma), il criterio della coerenza (detti o fatti di Gesù, che sono congruenti con i dati fondamentali, ricavati dai
primi tre criteri più sopra sintetizzati), il criterio del rifiuto e dell’esecuzione di Gesù (riguarda azioni e detti contestatori di Gesù,
che possono spiegare il fatto e i motivi per cui egli abbia subìto un processo e una fine violenta di crocifissione per opera dei
responsabili giudaici e romani). Di carattere secondario per stabilire l’autenticità di detti o di fatti del Gesù storico possono
essere a volte il criterio degli indizi aramaici (vi è però la difficoltà di discernere detti aramaici di Gesù dalla lingua aramaica dei
primi giudeocristiani), il criterio dell’ambiente palestinese (rimando alle abitudini, alle credenze, alle procedure giudiziarie, alle
condizioni socio-politiche della Palestina del sec. I nonché alle pratiche commerciali e agricole di quella regione per scoprire
eventuali detti, che riflettano condizioni estranee al mondo palestinese, specialmente nel caso dei detti del Vangelo copto di
Tommaso ), il criterio della vivacità della narrazione (tende però a confondere l’abilità narrativa di qualche evangelista con la
storicità delle sue notizie), il criterio delle tendenze di sviluppo della tradizione sinottica (con il rischio tuttavia di creare
formalismi letterari arbitrari, con cui valutare poi anche sulla loro base l’intera tradizione presinottica) e il criterio della
presunzione storica (l’onere della prova spetterebbe sempre a chi nega l’autenticità delle notizie evangeliche su Gesù). Nel
contesto della ricerca sui detti autentici del Gesù storico un posto privilegiato spetta senza dubbio agli studi sulla fonte Q e, per
quanto riguarda anche la costruzione narrativa sull’agire di Gesù, alle monografie concernenti il Vangelo di Marco.
82. Personaggi biblici nel Corano
Gramaglia, Pier Angelo
[s.n.!, 2006
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Tentare una analisi del Corano con il metodo storico-critico è spesso ritenuto una “offesa alla religione islamica”. Poiché
sono abituato ad applicare, e l’ho applicato spesso, tale metodo anche al problema del Gesù storico, sono assolutamente
incapace di adottarne un altro, soprattutto se si tratta di metodologie ermeneutiche di tipo sincronico o retorico, adottate con
l’intento pretestuoso di evitare esegesi fondamentaliste, ma presupponendo a priori che il messaggio religioso di Muhammad
non possa essere in se stesso, nelle sue funzioni narrative e nel suo messaggio, una concezione ideologica terribilmente
fondamentalista o magari anche intollerante delle religioni altrui.
Sarebbe un grave errore ermeneutico eliminare la possibilità di una analisi critica sia della interpretazione della sua
ispirazione profetica sia del problema dell’uso da lui fatto delle fonti leggendarie o storiche dei suoi racconti coranici,
concernenti i personaggi fondamentali del mondo ebraico, di cui parlava già la tradizione millenaria preislamica, soprattutto di
fronte alla costante pretesa di assoluta verità storica e rivelata, che Muhammad ha sempre esigito per le sue assolute e
indiscutibili rivelazioni di Allah su tali personaggi.
Questa prospettiva diacronica nell’analisi del Corano deve essere molto critica verso le successive esegesi islamiche,
che assumono invece come criterio ermeneutico prioritario le riletture fantasiose e spesso leggendarie della tradizione araba
post-coranica, le quali per lo più aggravano semplicemente le falsificazioni e le manipolazioni delle “fonti”, metodologicamente
assunte dallo stesso Muhammad come copertura o pretesto per le sue rivelazioni.
I principi metodologici fondamentali dell’analisi diacronica dei racconti coranici o dei testi evangelici implicano
l’attenzione prioritaria al problema del rapporto tra tradizione e redazione; questo è stato rigorosamente il metodo da me
adottato, vale a dire individuare le possibili fonti orali di Muhammad (ormai è accertato che egli in tutta la sua vita non ha mai
letto una sola riga né della Bibbia ebraica né dei Vangeli, neppure in qualche parziale versione araba) e analizzare con crit eri
linguistici e lessicali i suoi interventi redazionali sulle presunte fonti orali. Muhammad doveva fidarsi esclusivamente della sua
memoria, dopo avere ascoltato in arabo i racconti dei narratori ebrei, perché non gli era possibile accedere ai libri ebraici ; egli
aveva poi organizzato la sua tecnica mnemonica, focalizzando solo i particolari, che erano di suo interesse immediato, ed
eliminando soprattutto tutti i dati biografici, anagrafici e geografici dei suoi personaggi, difficilmente memorizzabili a lunga
scadenza, particolari che diventavano immancabilmente semplici paradigmi narrativi o semplici morfologie mnemotecniche. La
memoria ricordava solo pochi punti essenziali, neppure sempre narrativamente coerenti con la tradizione ebraica; già dal punto
di vista semplicemente testuale vi sono infatti eccezioni, variazioni, digressioni di rilievo nei confronti sia delle narrazioni bibliche
sia delle integrazioni narrative, desunte dai tardi midrashim
giudaici preislamici, le quali rappresentano sempre tipiche
interpolazioni falsificatrici, o comunque ideologiche, da parte di Muhammad.
Muhammad si crea così per lo più una nuova storia in monologhi camuffati tra Allah e lui stesso, ove non esiste più
nessun vero nome e nessuna vera indicazione contestuale, mentre anche gli altri personaggi agiscono praticamente non poche
volte da “innominati”; in questa storia senza vere individualità egli può inventarsi tutto quello che vuole e falsificare tutto quello
che gli pare e aggrada; a sua disposizione ci solo più personaggi destoricizzati e radicalmente degiudaizzati da far recitare a
piacimento con solenni e continue professioni di fede e di prassi islamica.
Non indifferente diventa in tale ambito di analisi diacronica il problema dell’ordine seriale delle varie Sure e delle
eventuali interpolazioni medinesi o addirittura ancor più tardive; le varie ipotesi sono reperibili in lingua italiana sia nella edizione
di ALESSANDRO BAUSANI, Il Corano, Milano 2001, sia quella di HAMZA ROBERTO PICCARDO, Il Corano , Roma 2002; senza
forzare né elaborare rigorose successioni per quanto concerne il periodo meccano (sul periodo medinese vi è più vasto
consenso), mi è parso un soddisfacente strumento di lavoro il risultato degli studi coranici occidentali, prendendo come
indicazione orientativa la sintesi di Alessandro Bausani sui risultati delle ricerche di Noeldeke.
Ormai si è concordi nel fatto che i tentativi di datazione non possono mai coinvolgere una intera Sura ma devono
spesso limitarsi a singoli versetti o blocchi omogenei per stile e per contenuto delle idee. Poiché tema dello studio sono
soprattutto i personaggi biblici veterotestamentari
nel Corano, le singole Sure
che contengono brani o spezzoni su tali
personaggi presentano grandi vantaggi per la loro unità e coerenza interna, senza coinvolgere ovviamente nelle indicazioni di
datazione l’intera Sura , in cui si trovano. In genere i singoli spezzoni sui vari personaggi biblici o sulle leggende concernenti le
presunte tribù arabe preistoriche non si presentano come semplici giustapposizioni di versetti eterogenei ad incastro
disorganico, il che è un grande vantaggio per l’analisi letteraria e lessicale; da tale punto di vista si fa anche di notevole
interesse cogliere l’evoluzione delle idee di Muhammad
soprattutto nel periodo medinese, allorché pure Allah rivela uno
straordinario periodo di revisionismo teocratico e di creatività ideologica a scopi politici e sociali. In questo turbinio di evoluzione
religiosa si nota un macroscopico processo di fusione e di interferenza tra l’ossessione apocalittica, sviluppatasi in un sec ondo
momento dopo la prima rivelazione nella predicazione meccana di Muhammad, e la rilettura delle storie bibliche nella luce
ideologica delle “storie di punizione”, sistematicamente incentrate sul delirio dello sterminio apocalittico da parte di Allah nel
periodo meccano e trasfigurate poi nel delirio dello sterminio storico da parte delle armate di Muhammad nel periodo medinese,
durante il quale tutte le figure bibliche diventano, compreso Gesù Cristo, che non fa tuttavia parte di questo studio, semplici
marionette a sostegno dei programmi islamici di “guerra santa”. Nell’analisi dei vari personaggi vi sono forzatamente alcune
ripetizioni, le quali tuttavia facilitano la comprensione della loro evoluzione.
Lo studio prende come oggetto di analisi Adamo e Noè, le presunte popolazioni arabe preistoriche, Abramo, Loth e
Ismaele, Giuseppe, a cui viene dedicata un’intera Sura , Mosè nel primo e nel secondo periodo meccano, Mosè nel terzo
periodo meccano, Mosè nel periodo medinese, Davide Salomone e la guerra santa , e infine Elia, Eliseo, Giobbe e Giona.
Già un anno o due prima dell’Egira emerge un svolta fondamentale: Muhammad inizia ad asserire che non è più
questione di terrore semplicemente apocalittico per spingere gli uomini alla fede musulmana bensì che gli stermini di Allah s i
realizzano già prima del giudizio finale e durante la vita terrena dei suoi contemporanei, che gli si oppongono! La loro funzione
diventa sempre più quella di consegnare al ludibrio pubblico della vergogna e all’ignominia tutti coloro che si oppongono al
Corano e alla sua rivelazione come anticipo della vergogna finale della dannazione all’inferno. A questa nuova ideologia si
adeguano nel periodo medinese tutti i personaggi biblici del Corano, nessuno escluso.
Mi pare sia anche il caso di mettere in rilievo l’assurdità e la devastante epidemia fondamentalista, che deriva
dall’assumere come criterio ermeneutico dei testi sacri quel principio dogmatico, che accomuna nella arroganza culturale sia
l’Islam sia il cattolicesimo post-wojtyliano e pseudospiritualista ancora (o di nuovo) imperante, vale a dire l’identificazione tra
ispirazione profetica o carismatica di un testo o di un racconto e veridicità storica delle sue narrazioni o delle sue falsif icazioni.
Processi di falsificazione e di manipolazione regnano indisturbati in tutti i monoteismi rivelati, quelli, tanto per intenderci, che
hanno avuto e hanno volontà aggressive di dominio della loro verità o della loro identità su tutti gli uomini, cioè dei veri nemici
della convivenza democratica a lunga scadenza.
83. Gesù nel Corano
Gramaglia, Pier Angelo
[s.n.!, 2007
monografia | testo a stampa
84. L' Eucaristia in Paolo
Gramaglia, Pier Angelo
[s.n.!, 2007
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La prima testimonianza cristiana della ripetizione della “cena del Signore” come memoriale e proclamazione della morte
di Cristo si trova in Paolo e proviene dalla prassi di una comunità in contesto ellenistico.
Inevitabile era dunque la necessità di un quadro generale e sintetico sulla prassi dei pasti religiosi nella tradizione
ellenistico-romana, anche solo per avere uno sfondo di confronto tramite le analisi di alcune feste agrarie, del simposio
ellenistico e di alcuni culti misterici (i misteri di Eleusi, il culto di Dioniso, i misteri di Atti, i misteri di Mitra). Colpisce soprattutto
l’assenza di lessemi simili e di funzioni lessicali religiose parallele tra la prima ritualità eucaristica giudeo-cristiana e la
commensalità misterica; un collateralismo tra eucaristia e pasti religiosi ellenistico-romani è documentabile invece in fase molto
embrionale in alcune riletture paoline e poi a partire dagli sviluppi liturgici all’inizio del sec. III d. C., come attesta a esempio la
Traditio Apostolica , attribuita ad Ippolito.
In tale contestualità assumeva importanza fondamentale la cena pasquale ebraica; ho preferito assumere come testo
base il rituale elaborato durante il periodo rabbinico, pur segnalando i blocchi rituali che potevano risalire fino al tempo del Gesù
storico. Di ogni “Seder” pasquale viene analizzata la struttura
liturgica assieme alle varie ideologie religiose ebraiche. Il
problema della datazione della Pasqua viene esposto nei suoi dati essenziali e viene presa in considerazione anche la ‘Aqedah
di Isacco.
La parte più impegnativa è tuttavia l’analisi lessicale del racconto di istituzione in Paolo, che implica ed esige il tentati vo
di una rielaborazione della tradizione prepaolina, probabilmente di origine antiochena. Necessaria diventava pure
l’enucleazione dei gradi temi eucaristici di Paolo nei rapporti tra eucaristia e annuncio della morte di Cristo, tra eucaristia ed
escatologia, tra eucaristia e giudizio divino nonché tra eucaristia e culto sacrificale ellenistico.
L’analisi del principio rituale del memoriale e della sua teologia giudeo-cristiana, la tradizione di eucaristie celebrate con
il solo pane nell’area siro-antiochena e soprattutto l’Anafora siriaca di Addai e Mari , riconosciuta pienamente ortodossa e
soprattutto valida dal supremo magistero cattolico, dovevano forzatamente portare qualsiasi teologo cattolico ad una revisione
radicale della teologia e della dogmatica eucaristica. Infatti l’Anafora siriaca di Addai e Mari non contiene la narrazione corsiva
dell’ultima cena e neppure le parole di Gesù sugli elementi eucaristici, ritenute dalla dogmatica cattolica e papale essenza
costitutiva della sacra mentalità eucaristica. Da ora in poi nessun cattolico può presentare come dogma di fede principi e
assiomi che escludano l’Anafora siriaca di Addai e Mari , vale a dire non si può più asserire che le parole della consacrazione
costituiscano l’essenza sacramentale dell’eucaristia, non si può più asserire come dogma che con le parole della consacrazione
Gesù ripete in modo incruento il suo atto di morte sulla croce, rinnovando ogni volta il sacrificio della croce, non si può più dire
che la presenza reale di Cristo esige l’ideologia tomista della “conversione di sostanza” dovuta alle parole della consacrazi one;
l’Anafora siriaca di Addai e Mari
può legittimare solo una teologia dogmatica che si limiti ad asserire che la presenza
eucaristica di Cristo è fondata su Gesù risorto e non già sulla ripetizione misterica della sua morte e soprattutto che la fede della
Chiesa nella presenza reale esige solo che la presenza dello Spirito, invocato nella epiclesi, e di Cristo risorto coinvolga anche
gli elementi, senza esigere nessuna delle ideologie elaborate nelle varie epoche storiche e tanto meno quella medioevale e
tridentina.
Infine in opposizione al fanatismo clericale e papista nonché riformato era opportuno sottolineare che anche la lettura
del senso soteriologico della morte di Cristo tramite l’ideologia della espiazione vicaria (con tutte le sue implicanze vendicative e
stragistiche per ridurre Dio a sospendere le sue vendette punitive) era solo uno, e non certo il più fedele alla predicazione del
Gesù storico, tra i molti paradigmi con cui la stessa letteratura neotestamentaria formula a livello lessicale e teologico tale
assioma della fede cristiana.
85. L' Eucaristia nei sinottici
Gramaglia, Pier Angelo
[s.n.!, 2007
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L’area lucana, oltre a presentare una concezione del tutto particolare sul gesto di Gesù durante l’ultima cena, tramanda anche
problemi non indifferenti di critica testuale. Vengono pertanto diligentemente analizzate tutte le varianti testuali di Lc 22, 17-20,
comprese le versioni latine dell’Itala e tutte le versioni siriache, e si allarga pure la verifica su un’area geografica in cui era
presente la prassi di una eucaristia senza la coppa del vino. Dopo la presentazione dell’eucaristia in Marco e Matteo viene
sviluppata una voluminosa sintesi sulla preghiera giudaica a Qumran con la traduzione e l’analisi filologica di un grande numero
di testi qumraniani sulle preghiere quotidiane e settimanali, sulla ideologia sacerdotale e sul calendario solare, sul rapporto tra
preghiera e purità rituale e infine sulla funzione della preghiera nella guerra santa di sterminio.
86. Temi eucaristici
Gramaglia, Pier Angelo
[s.n.!, 2008
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I temi eucaristici sono talmente vasti già nella letteratura cristiana dei primi secoli che era necessario stralciarne alcuni
per una analisi specifica e approfondita. Basti indicarli: i racconti evangelici sulla moltiplicazione dei pani, il tema giovanneo del
“pane di vita” (Gv 6, 26 - 58) e l’esegesi del Sal 22 vennero implicati a ragione o a torto con la passione di Gesù e con
l’eucaristia cristiana; occorreva verificare la legittimità ermeneutica di tali applicazioni. Sullo sfondo come materiale di contrasto
era bene porre i pasti esseni descritti da Filone di Alessandria e da Giuseppe Flavio, i pasti esseni e la “purificazione” a
Qumran e la commensalità religiosa presso i Terapeuti.
Per l’epoca contemporanea ritenni che meritassero di essere segnalati, presentati e commentati gli studi di Cesare
Giraudo, di Enrico Mazza e di Bruce Chilton.
Per sbloccare il fanatismo ideologico tomista, la dittatura della teologia tridentina e la mummificazione delle ideologie
papiste ho provato ad analizzare il senso e le dinamiche di alcune gestualità del profetismo ebraico classico e confrontarli con il
gesto di Cristo durante l’ultima cena, riconducendole ad una alternativa più semplice: azione profetica di Gesù o dono autooblativo? In tal modo mi parve più corretta l’analisi critica di alcuni modelli formatisi nel pensiero cristiano a partire dal sec. IV
d. C. e trasposti poi alla ideologia eucaristica della presenza reale, vale a dire il modello creazionista, il modello dei miracoli
nonché il modello tomista e scolastico.
87. Codici antichi su Gesù
Gramaglia, Pier Angelo
[s.n.!, 2008
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Lo studio cerca di mettere a fuoco alcuni testi del “Vangelo copto di Tommaso” con le tradizioni presinottiche sul Gesù storico
e con riferimenti alle letture ermeneutiche di Elaine Pagels e di Bart D. Ehrman, analizzando soprattutto l’antigiudaismo
viscerale degli gnostici. Accanto ad evidenti omertà della esegesi americana non confessionale di fronte al problema del Gesù
storico vengono analizzati, tradotti dai testi originali e commentati, il “Vangelo di Pietro”, il “Vangelo di Giuda” con uno studio
analitico sul “Giuda storico”, il “Vangelo di Maria Maddalena”, il “Vangelo segreto” di Morton Smith, il “Protovangelo di Giacomo”
e il “Vangelo del Salvatore”.
88. Ermeneutica e falsificazioni
Gramaglia, Pier Angelo
Tipografia saviglianese, 2008
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Si tratta di uno dei problemi più sconcertanti della esegesi confessionale, che giustifica purtroppo frequenti manipolazioni dei
testi biblici sulla base di una radicale mistificazione della ghezera shawah giudaica. Accanto a questa frontiera ermeneutica vi
è anche il passaggio indebito dalla risurrezione di Cristo alla sua pre-esistenza, almeno per quanto riguarda la tradizione
premarciana e la fonte Q . Viene esemplificato tale processo con le falsificazioni ermeneutiche dei Sal 8; 69; 68 e dei cosiddetti
“Salmi regali”. Ampio spazio viene dato alle manipolazioni cristiane di Isaia (soprattutto nel caso del “Libro dell’Emmauele” di Is
6, 1 – 9, 6) per propaganda cristologica, priva per di più di qualsiasi rimando alle reali formulazioni del Gesù storico sulla propria
messianità (cf a esempio il detto della fonte Q , ripreso e rielaborato in Lc 10, 15 e Mt 11, 23). Viene anche esaminato il modo
con cui gli scritti neotestamentari e i commenti cristiani successivi manipolano e falsificano con ermeneutiche di messianismo
cristologico le figure di Giuseppe, di Mosè e di Davide. Come esemplificazioni di tali manipolazioni di propaganda cristiana sono
analizzate alcune citazioni lucane di Gioele 3, 1-5, di Abacuc 1, 5-11 e di Isaia 49, 1-6.
89. Sacerdozio e sacrificio
Gramaglia, Pier Angelo
[s.n.!, 2009
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Ecco un altro tema scottante per l’ideologia cattolica del sacrificio e del sacerdozio. Partire dalla sacrificalità e dalla
struttura del sacerdozio ebraico nel Tempio di Gerusalemme è ovviamente inevitabile per poi passare con frutto al rapporto
dialettico del Gesù storico con il culto sacrificale e con il Tempio di Gerusalemme; altrettanto necessaria è la verifica sulla
concezione del Tempio e del sacerdozio nei testi di Qumran. Certo risalta in modo macroscopico l’assenza di categorie
sacrificali di tipo espiatorio nel Gesù storico con la falsificazione ermeneutica del testo di Is 53 negli scritti cristiani già nel
periodo apostolico.
La parte più lunga e più densa è dedicata al sacerdozio biblico e al sacerdozio di Gesù nella Lettera agli Ebrei .
Incredibile è l’arroganza di tale testo cristiano nella falsificazione ermeneutica dei testi biblici come Sal 40, Sal 2, Deut 32, 1-44
e Sal 104 nonché Sal 110. Ovviamente vi è una pregiudiziale generale, dovuta al fatto che tale autore falsifica l’intero sistema
della sacrificalità rituale ebraica, riducendo tutti i paradigmi sacrificali, ben differenziati nella prassi cultuale del Tempio
postesilico, all’unica e universale forma del sacrificio espiatorio, per rovesciare poi il tutto sulla morte di Cristo, anzi già sulle
meditazioni celesti del Gesù pre-esistente.
90. Le diaconesse
Gramaglia, Pier Angelo
[s.n.!, 2009
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Sono trascorsi più di cinquant’anni da quando i due vescovi cattolici Giuseppe Ruotolo e Léon de Uriarte Bengoa nel
1959 presentarono alla Commissione ante-preparatoria del Concilio Vaticano II la proposta di istituire il diaconato femminile.
L’attuale reazione clericale ratzingeriana tenta in tutti i modi di sabotare tale problematica, soprattutto in nome di un principio
dogmatico papista inossidabile: nell’unica economia esistente dell’Incarnazione il Verbo di Dio si è fatto uomo e pertanto solo il
maschio è abilitato a rappresentare sacramentalmente Cristo sacerdote; essendo appunto il sacerdote segno sacramentale di
Cristo, per essere tale, deve essere maschio.
Ora la cosa più strabiliante è il fatto che nei testi liturgici delle chiese antiche del periodo patristico di tutto ciò non vi è
nulla; i formulari liturgici infatti impongono le mani su coloro che sono stati eletti in modo comunitario a svolgere ministeri
ecclesiali con una preghiera epicletica affinché tali candidati possano svolgere con fedeltà ed efficacia la funzione l oro
assegnata. La sacramentalità di tale ritualità ha come focalizzazione il dono dello Spirito santo in vista di precisi compiti e
funzioni ecclesiali per continuare parte del ministero degli apostoli. Questo è l’essenziale, soprattutto nelle chiese orientali
antiche, e non la questione antropologica della differenziazione sessuale.
Per di più il suddetto principio papista dell’agere in persona Christi da parte del ministro dell’eucaristia nel momento in
cui ripete le parole di Cristo per la consacrazione contrasta chiaramente contro la recente dichiarazione pontificia della validità
sacramentale dell’Anafora di Addai e Mari
e di molte altre antiche anafore siriache, che non hanno nessuna formula di
consacrazione né alcun racconto di istituzione. Dunque l’ideologia tomista e papista dei ministeri ordinati non ha più alcun diritto
di presentarsi come formulazione dogmatica di fede e deve pure essa rientrare nell’ambito delle opinioni teologiche.
L’analisi storica doveva pertanto iniziare dalla prassi del discepolato da parte del Gesù storico per notare almeno la più
radicale assenza di criteri sacrali e sacrificali nonché di purità rituale nel discernimento dei discepoli; il contrasto emerse in
modo ancor più irriducibile nell’analisi della ideologia sulla “consacrazione sacerdotale” a partire da Ezechiele fino ai testi di
Qumran del tempo di Gesù. Nelle prime comunità cristiane apparvero poi alcuni ministeri femminili del tutto mirati a bisogni
concreti dell’organizzazione ecclesiale.
Occorreva però passare ad un esame capillare delle testimonianze storiche nelle varie regioni ecclesiastiche, che si
rivelarono estremamente pluraliste nella strutturazione dei loro ministeri con punte di radicale antifemminismo e di sincroni ca
valutazione di necessari ministeri femminili, istituiti anche con una preghiera epicletica accompagnata da una imposizione delle
mani. Il panorama di ricerca sui testi originali nelle varie lingue orientali comprende i ministeri femminili nel mondo antiocheno e
bizantino (la Didascalia Apostolorum siriaca e le Constitutiones Apostolorum del mondo antiocheno, i ministeri nelle province
dell’Asia Minore, le diaconesse nel mondo bizantino, la presenza di profetesse e di vedove in non poche chiese e infine gli “Atti
di Paolo e Tecla” ), i ministeri femminili nel mondo siriaco ed egiziano (il “Testamentum Domini nostri Iesu Christi” e la struttura
ecclesiastica dei “Canones s. Hippolyti” nella loro recensione araba), la ordinazione delle diaconesse nella tradizione bizantina
con l’analisi completa dei rituali bizantini fino all’epoca medioevale in una sinossi comparata dell’ordinazione del vescovo e del
presbitero, della liturgia dell’eucaristia, del dono sacramentale del perdono dei peccati, della concezione sacrificale
dell’eucaristia e della funzione dell’epiclesi nonché delle ordinazioni dei diaconi e delle diaconesse (l’analogia dei rituali di
ordinazione delle diaconesse con le altre ordinazioni rivela una chiarissima struttura sacramentale in una evidente funzione
specifica della epiclesi consacratoria). Desolanti apparivano nei confronti delle tradizioni orientali le ideologie papiste di ignobile
e progressivo antifemminismo sotto il controllo papale fino alle porte del Medioevo.
L’ opposizione al diaconato femminile, che ha sempre avuto in Joseph Ratzinger il suo patrocinatore più qualificato, non
dovrebbe tuttavia essere troppo allarmata. Infatti la tradizione costante e universale della Chiesa, tramandata infallibilmente
dall’ordinario ed universale magistero ha sempre professato in modo solenne ed esplicito a partire dal sec. V d. C. fino al sec.
XX l’esclusione della salvezza per i bambini morti senza il battesimo cattolico e il papato ha solennemente proclamato ex
cathedra e con la massima garanzia conciliare di infallibilità prima nel Concilio di Lione e poi nel Concilio di Firenze nel 1439
come assoluta verità di fede che le anime dei bambini, morti con il solo peccato originale, scendono nell’inferno per esservi
eternamente dannate e tutto questo in sincronismo incondizionato e gemellare con il dogma sul papa che detiene il primato del
potere di magistero e di governo su tutte le altre chiese. In perfetta continuità della fede cattolica inossidabile il papa J oseph
Ratzinger ha fatto pubblicare il 5 maggio 2007 la dichiarazione ufficiale che i bambini morti senza battesimo vengono salvati da
Dio in paradiso.
Inoltre la tradizione costante e universale della Chiesa papale, tramandata infallibilmente dall’ordinario ed universale
magistero, ha sempre professato che l’eucaristia cristiana deve seguire l’istituzione e le parole di Gesù durante l’ultima cena e il
papato ha solennemente proclamato ex cathedra e con la massima garanzia conciliare di infallibilità sempre a Firenze nel
1442, pena l’esclusione dalla appartenenza alla Chiesa cattolica, essere dogma di fede che la validità dell’eucaristia esige la
pronuncia delle parole della consacrazione, recitate in modo narrativo dal celebrante in persona Christi . Per mantenere tale
costante e universale tradizione Karol Wojtyla il 20 luglio 2001 ha approvato tramite la firma del cardinale Walter Kasper la
risoluzione del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, che dichiara valida l’antichissima Anafora di Addai
e Mari , la quale non contiene né il racconto di istituzione né le parole di consacrazione sul pane e sul calice e il cui celebrante
non compie assolutamente nulla in persona Christi .
Nei confronti del diaconato femminile il papato non dovrebbe neppure compiere così grandi sforzi dogmatici per essere
fedele alla sua perenne infallibilità; gli basterebbe ricordare che la Chiesa bizantina ha praticato per un millennio il diaconato
femminile con la piena dignità sacramentale della imposizione delle mani di tipo epicletico.
91. La penitenza in Origene
Gramaglia, Pier Angelo
[s.n.!, 2010
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La prassi della penitenza per i peccati commessi dopo il battesimo costituisce uno dei problemi più intricati del
cristianesimo delle origini. Ho scelto Origene come ambito di verifica, perché le sue opere più importanti si pongono nella prima
metà del sec. III d. C., cioè nel periodo in cui avviene una grande svolta nella prassi penitenziale delle chiese e i vescovi
iniziano ad aprire la possibilità di una penitenza pubblica pure per i crimini più gravi, almeno per l’apostasia e l’adulteri o, a costo
anche di fratture, come attestano la svolta montanista di Tertulliano all’inizio del sec. III e la protesta scissionista dei Novaziani
poco dopo.
Origene agisce e riflette in questo momento storico di una prima crisi del cristianesimo di massa. Da un periodo iniziale
con strascichi di nostalgia per un maggior rigore morale e religioso nelle comunità cristiane, che praticavano anche espulsioni
definitive per colpe particolarmente gravi e notorie , egli passa ad un fervore carismatico per trovare strade di conversione e
pentimento al di dentro della normale vita ecclesiale, senza patrocinare il ricorso ad una scomunica previa, che era possibile
una sola volta nella vita .
Egli riuscì a elaborare in questo ambito un quadro sistematico non già delle sue ideologie personali bensì della prassi
penitenziale e dell’esperienza del perdono dei peccati nelle varie chiese dell’Oriente. Queste vedevano la concretizzazione
sacramentale del perdono diretto dei peccati, senza alcun’altra mediazione ecclesiastica, in vari eventi così elencabili: il
battesimo, il martirio, l’elemosina, il perdono fraterno dei torti ricevuti e commessi, la preghiera sincera del “Padre nostro” nella
richiesta del perdono divino, il far convertire un fratello peccatore dallo sviamento della sua strada nonché l’esperienza di una
sovrabbondanza di amore. Del tutto particolare era il settimo evento del perdono: trascorrere il tempo nelle lacrime del
pentimento, confidando ad un sacerdote del Signore senza vergogna la propria colpa per chiederne il rimedio medicinale,
specialmente durante la malattia. Il sacerdote, a cui si riferisce Origene, è per lo più un personaggio carismatico della comunità,
che poteva anche essere il vescovo, ma non necessariamente. Poiché in questo caso si faceva riferimento ad una certa
vergogna, si può presupporre che si trattasse di peccati non pubblici; in ogni caso si trattava di una modalità penitenziale del
tutto diversa dalla penitenza pubblica imposta con una espulsione temporanea dalla Chiesa dopo un processo formale da parte
del vescovo in caso di colpe gravi e notorie. Ora nel caso della poenitentia del settimo tipo di perdono non si parla di nessun
intervento di espulsione o di scomunica temporanea; l’unica finalità del sacerdoti Domini indicare peccatum non è affatto
quella di ottenere tramite la penitenza la riammissione dopo una espulsione penitenziale bensì quella del quaerere medicinam ,
il che non indica certamente una sentenza giudiziaria. In questo caso Origene non dice mai che il peccatore in lacrime sia un
penitente al di fuori della Chiesa né parla di un processo penitenziale fatto di contrizione-confessione-assoluzione. Il perdono
dei peccati in tutte queste sette modalità è sempre un dono diretto di Dio al peccatore pentito e penitente e da questo punto di
vista non emerge alcun’altra mediazione ecclesiastica al di fuori della penitenza stessa del peccatore pentito. Probabilmente
occorre porre il settimo modo del perdono dei peccati come una penitenza personale del peccatore al di dentro della Chiesa, il
quale per peccati non pubblici consulta personalità prestigiose della Chiesa stessa per un suo tragitto personale di guarigione.
Giovava infine sottolineare che la distinzione dogmatica tridentina tra peccati mortali e peccati veniali non corrisponde in
alcun modo alla struttura della prassi penitenziale antica, presso la quale molti peccati, ritenuti incompatibili con la presenza
dello Spirito santo nel cuore dei fedeli (il che nella ideologia tridentina corrisponderebbe ai peccati mortali), trovavano nella
conversione e nel pentimento personali con una sincera confessione dei peccati a Dio la garanzia del perdono senza alcun altro
ricorso normativo ad interventi giurisdizionali delle gerarchie ecclesiastiche, il cui ministero specifico, secondo Origene, al di
fuori dei casi di scomunica con espulsione dalla partecipazione liturgica, consisteva appunto nella predicazione carismatica per
far nascere nel cuore dei fedeli la compunzione per i loro peccati.
92. La penitenza
Gramaglia, Pier Angelo
[s.n.], 2010
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L’intento era quello di mettere a confronto la dottrina penitenziale del Concilio di Trento con la predicazione del Gesù
storico sul perdono dei peccati e con la prassi penitenziale nelle prime comunità giudeocristiane. Il contesto di sottofondo
giudaico venne limitato ad una analisi del “Giubileo” ebraico e dello Yom Kippur . La prassi di Gesù era invece sufficientemente
esplicita in Lc 17, 3-4, nella preghiera del “Padre nostro” e nel racconto della guarigione del paralitico (Mc 2, 1-12); redazionale
è invece la trasposizione di Mt 26, 27-28 al contesto eucaristico. Un esempio di perdono ecclesiale era descritto sia in 2Cor 2,
1-11 sia nella procedura di Mt 18,15-17; venne adottata dalle comunità giudeocristiane anche la prassi della maledizione nel
caso di colpe gravi.
Il Gesù storico aveva affrontato l’esperienza del perdono dei peccati con due semplici prospettive teologiche e religiose:
il perdono dei peccati si realizza nel perdono fraterno incondizionato e nel contesto della preghiera comunitaria, ove il perdono
reciproco è l’ambito ineludibile della preghiera per ottenere dal Padre celeste il perdono dei propri peccati. Il Gesù storic o si era
decisamente distaccato dalla prassi ebraica di riservare il perdono dei peccati alla funzione sacrificale dei sacrifici espiatori e
alla mediazione dello Yom Kippur per il perdono collettivo di Dio alla nazione ebraica.
Ma nelle comunità apostoliche si erano anche verificati i primi casi di colpe ritenute molto gravi, o anche solo di dissidio
pertinace, e pubbliche, che spinsero ad accettare la necessità di espulsioni forzate dopo previa verifica comunitaria dei singoli
casi. Tutto il procedimento testimoniale nel processo penitenziale matteano e paolino aveva come scopo esclusivo non già
l’attestazione comprovata di un fatto bensì l’aiuto fraterno per una conversione sincera; lo scopo ultimo era esclusivamente il
pentimento di un fratello e non appena questo avveniva cessava ogni altro intervento correttivo o penale dei singoli e della
comunità stessa. Al di fuori della espulsione con scomunica ogni credente poteva trovare molte espressioni di pentimento
personale e liturgico, alle quali le chiese credevano fosse garantito da Dio il perdono dei peccati.
La soluzione latina e papale della confessione auricolare come condizione unica e assoluta per ottenere la
giustificazione dopo il battesimo , così come venne imposta dalla teologia cattolica a partire dal sec. XII e poi ratificata dal
Concilio di Trento, non trova nessuna attestazione universale e obbligatoria nelle chiese del primo millennio (a parte la prassi
della penitenza tariffata dei monaci irlandesi e nordici del periodo carolingio in occidente).
Tutto il resto del volume è dedicato all’analisi degli Atti del Concilio di Trento, alle discussioni dei teologi e dei padri
conciliari nonché alle costituzioni dogmatiche definitive.
93. Battesimo e eucaristia a Trento
Gramaglia, Pier Angelo
[s.n.], 2010
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Ho sempre amato verificarmi con le proclamazioni più solenni e ufficiali della fede cattolica sotto l’alto magistero papale,
se non altro per trasparenza culturale e per non adeguarmi al formidabile sistema della reticenza, che a mio modesto parere
caratterizza non pochi teologi cattolici.
L’analisi degli Atti originali del Concilio di Trento necessitava tuttavia di una ambientazione storica, che non potevo
dilungare all’infinito per tutto il Medioevo. Nel caso della iniziazione cristiana ritenni sufficiente un breve quadro sulla prassi del
battesimo a partire dalla Riforma protestante, privilegiando l’analisi integrale dei testi liturgici pretridentini e della concezione
ideologica della sacramentalità nella prassi pretridentina, verificando specialmente l’ideologia radicalmente e quasi
esclusivamente tomista del precedente Concilio di Firenze e il rigore fanatico dell’esclusivismo soteriologico del sempre
presente Anselmo di Aosta.
Dopo l’analisi di tutte le discussioni conciliari, della ideologia dei canoni definitivi sulla presenza reale e soprattutto delle
ideologie clericali e teocratiche sulle processioni eucaristiche e sulla sacrificalità della Messa nel Concilio di Trento, ho inserito
un lungo capitolo su un confronto sinottico delle varie confessioni religiose cristiane, selezionando e analizzando con tradu zione
dai testi originali siriaci e copti e congruo commento l’ Anafora di Addai e Mari per il mondo siriaco, l’Anafora egiziana di San
Basilio per il mondo di lingua copta e infine uno spoglio completo di tutte le preghiere eucaristiche riformate e protestanti nel
periodo successivo al Concilio di Trento e più vicino ai nostri giorni. Certo il mondo protestante si è fissato in modo paranoico
sulla recitazione della lettura del testo di Paolo sulla istituzione della “cena del Signore” e quasi nessuna preghiera eucar istica
ha conservato quella che era invece la vera anima della sacramentalità nella tradizione liturgica di tutte le chiese cristiane
premedioevali: vale a dire la preghiera epicletica sugli elementi eucaristici, che neppure il Canone romano, truccato e
manipolato dai papi, era riuscito a conservare.
94. Il Battesimo nel Nuovo Testamento
Gramaglia, Pier Angelo
[s.n.] ; [stampa tip. Saviglianese], 2010
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Trattandosi di un uso manualistico del testo, occorreva percorrere pazientemente l’intero blocco degli scritti
neotestamentari secondo lo schema abituale della concezione cattolica della sacramentalità liturgica. Nel caso della figura e
della azione del Battista emergevano però questioni di enorme rilievo culturale da un punto di vista storico-critico: applicazione
di un rigoroso metodo di analisi linguistica per delineare le probabili tradizioni presinottiche e le redazionalità dei singo li
evangelisti, ricupero di tutte le fonti extracanoniche su tale personaggio significativo della vita palestinese del sec. I d. C.,
soprattutto la testimonianza di Giuseppe Flavio e quella dei giudeocristiani delle successive generazioni, verificare l’ipotesi
storica più amata dalla propaganda giornalistica attuale, soprattutto nel mondo anglo-sassone e in quello ebraico, quella cioè di
un Giovanni Battista esseno, sulla base di un confronto diretto con non pochi scritti di Qumram, tradotti dai testi originali e
commentati dal punto di vista filologico.
La scena del battesimo di Gesù al Giordano rivelava fatti redazionali e problemi di morfologia letteraria, come a esempio
la sistematica falsificazione dei testi biblici in funzione della propaganda per la messianità di Gesù, la paranoica tendenza degli
esegeti confessionali e inventare in alcune parole di Gesù continue allusioni intertestuali a Salmi e a profeti delle “ Scritture
ebraiche” per rimpinzarlo di un presunto messianismo biblico, quasi che egli fosse un fedele di Qumran, che trascorreva le
giornate a copiare testi e a memorizzare valanghe di associazioni lessicali di Scritture ebraiche; rimaneva tuttavia aperto il
problema della morfologia letteraria della scena del battesimo al Giordano: pura teofania letteraria oppure possibile rimando ad
una reale esperienza carismatica del Gesù storico?
Anche il linguaggio battesimale di Gesù poneva il problema della fonte Q
in Lc 12, 49-53. Superato lo scoglio delle
vere tradizioni sul Gesù storico (a cui certo non risalivano i vari discorsi del Risorto sul battesimo delle prime comunità giudeocristiane), si apriva un campo esegetico vastissimo, vale a dire il battesimo cristiano prima negli scritti paolini, poi nell e
successive comunità paoline (“Lettera agli Efesini” e “Lettera ai Colossesi”), quindi nelle comunità cristiane segnalate negli “Atti
degli Apostoli” lucani e nei testi giovannei e infine nelle comunità non paoline (1Pt 3, 18-22 e “Lettera agli Ebrei”). In questo
ambito a lunghe analisi puramente esegetiche era sempre annessa una domanda di verifica: esistono testi neotestamentari, nei
quali si possa parlare di una dimensione “sacramentale” della esperienza battesimale, vale a dire l’esperienza liturgica di un
lavacro di immersione nelle acque si riduceva ad un simbolismo rituale di una esperienza morale o religiosa sia pure di
conversione oppure si presupponeva un dono particolare di grazia da parte di Dio in quella occasione specifica di conversione e
di professione della fede in Cristo risorto?
Molto più problematica era la questione della cosiddetta “confermazione” cattolica; se si poteva provare l’esistenza di
un gesto di imposizione delle mani con una preghiera epicletica per un dono specifico e carismatico dello Spirito santo ad
integrazione del lavacro battesimale, nulla invece attestava un rito di unzione con crisma nelle comunità fondate dagli apostoli.
Era pertanto evidente che occorreva rileggere la definizione dogmatica della confermazione al Concilio di Trento; la
precisazione rituale dogmatica della confermazione non poteva più essere identificata nel rito del crisma consacrato e usato per
l’unzione bensì solo nella imposizione delle mani con la preghiera epicletica allo Spirito santo, salve restando le tradizioni
liturgiche delle varie chiese cristiane.
Occorreva poi anche rivolgere uno sguardo su alcuni fenomeni del cristianesimo delle origini; stralciai allora tra i tanti
possibili eventi l’analisi integrale con traduzione dai testi originali del Sacramentarium Gelasianum per la liturgia battesimale
romana e dell’Eucologio del Codice Barberini
per la liturgia bizantina e soprattutto assunsi l’episodio del battesimo di
Costantino per documentare fino a quale livello giunsero i processi di falsificazione della storia negli scritti di propaganda
politico-religiosa della chiesa di Roma.
Il problema del battesimo dei bambini dovette ripercorrere l’intera storia del dogma papista della dannazione eterna
nell’inferno dei bambini morti senza battesimo nelle sue formulazioni di fede definita più solenni (definizione dogmatica del
concilio di Lione nel 1274 e di Firenze nel 1439 nonché di Pio IX nel 1854, il quale definì i dogmi di un peccato originale capace
di rendere ogni bambino nato a questo mondo una proprietà di Satana nonché un essere destinato alla dannazione eterna, se
muore senza battesimo, mentre la Madonna sarebbe stata preservata da tale condizione maledetta al momento stesso del suo
concepimento) fino alle dichiarazioni del 2007 di “completa continuità” del solenne magistero della Chiesa, quae semper et
ubique et ab omnibus aveva incontaminatamente predicato sulla salvezza eterna di tutti i bambini, che fossero morti senza
battesimo e senza essere per questo sudditi del Papa, come diceva Bonifacio VIII.
95. L' apostolo Pietro
Gramaglia, Pier Angelo
[s.n.], 2011
monografia | testo a stampa
Dopo una ovvia e indispensabile analisi della presenza e della funzione dei “Dodici” nella cerchia dei discepoli di Gesù e
della chiamata di Pietro si constatava il fatto che non vi era nulla di particolare o di speciale autorevolezza sulla figura di Pietro
nella tradizione presinottica di Marco e della fonte Q . Invece negli altri tre evangelisti apparivano tre blocchi specifici sulla
funzione speciale di Pietro tra i discepoli: Mt 16, 17-19, Lc 22, 31-33 e Gv 21, 15-19. Una rigorosa analisi lessicale di questi
tre testi attestava livelli di redazionalità assolutamente elevata e del tutto identificabile, il che significava che nessuno dei tre
blocchi risaliva al Gesù storico e non solo per un semplice confronto sinottico con la tradizione premarciana e con la fonte Q .
Lo stesso si poteva dire per i racconti su Pietro e il Signore risorto in Mc 16, 1-8; Mt 28, 1-10 e Lc 24, 1-11 nonché sulla
tradizione antiochena circa le apparizioni del Risorto a Pietro. Era evidente o per lo meno molto probabile che si trattava di
invenzioni delle comunità apostoliche di una cinquantina d’anni dopo la morte di Gesù sulla base tuttavia di una autorevolezza
particolare, di cui l’apostolo Pietro aveva effettivamente goduto nelle vicende storiche della prima generazione cristiana in tutte
le aree della prima diffusione del cristianesimo. Tale fatto poteva essere verificato in altri indizi convergenti come a esempio la
discussione paolina sulla autorevolezza apostolica, fondata sulle visioni estatiche più che su una particolare missione da parte
del Gesù storico, o anche i rapporti di Paolo con la struttura istituzionale della chiesa di Gerusalemme e soprattutto il sinodo di
Gerusalemme nella costruzione lucana del dibattito e nella autorevolezza collegiale della sua decisione con tutti i problemi
connessi con la storicità o meno della narrazione lucana e delle cosiddette “clausole di Giacomo”.
Si poteva comunque asserire con tutti i carismi del metodo storico-critico che nelle comunità dell’area antiochena,
dell’area siriaca e dell’area asiatica Pietro aveva goduto di una speciale autorevolezza.
Mt 16, 19 la formulava con il lessico rabbinico della sua contestualità giudaica, rimandando ad una autorevolezza
decisionale di Pietro per quanto concerneva l’appartenenza al “regno dei cieli”, collegandola però espressamente con una
radicale collegialità nella gestione penitenziale da parte delle comunità cristiane (Mt 18, 15- 22).
Lc 22, 31-33 la formulava con il paradigma giudaico del rabbì, che cammina dinanzi ai discepoli e di tanto in tanto “si
volta” verso i discepoli che lo seguono per comunicare i suoi insegnamenti; compito specifico di Pietro, secondo Luca, non era
quello di inventare nuovi dogmi bensì quello di “rinsaldare i fratelli” nella fede ricevuta dall’incontro con il Gesù storico.
Gv 21, 15-19 la formulava con l’incarico di pastore per provvedere e guidare le pecore di Gesù.
Checché se ne dica, benché queste tre costruzioni redazionali e indipendenti non risalgano al Gesù storico, sono pur
sempre significative di una comune consapevolezza non tanto di una speciale missione da parte del Gesù storico quanto
piuttosto di una funzione sicuramente svolta da Pietro nelle varie chiese visitate e soprattutto in modo radicalmente collegiale a
Gerusalemme nei primi trent’anni di esistenza del cristianesimo. Nulla in tale funzione storica accertabile attesta l’ideologia di
una Chiesa che dovrebbe avere un solo vescovo a capo di tutti gli altri e neppure che Pietro avesse il potere di formulare dogmi
da solo al di fuori del gruppo degli altri apostoli (cf il lessico usato da Luca in At 15, 28 e l’intera e lunga analisi lessicale
comparata del blocco lucano sul sinodo di Gerusalemme in questo studio) e neppure che Pietro si arrogasse il potere
monarchico di costringere l’apostolo Paolo a seguire la linea pastorale delle comunità giudeocristiane.
96. Pietro nel secondo secolo
Gramaglia, Pier Angelo
[s.n.!, 2011
monografia | testo a stampa
Ci voleva senza dubbio una integrazione non solo sulla figura di Pietro in alcuni testi giovannei più significativi ma anche
sul nefasto malcostume cristiano della pseudo-epigrafia (scrivere testi e attribuirli per falsificazione a personaggi cristiani
importanti della prima generazione per spacciare a loro nome le proprie idee o i propri problemi), che aveva sfornato da parte di
autori del tutto diversi la prima Lettera di Pietro e la seconda Lettera di Pietro; questi testi potevano però essere posti in sinossi
con le false Lettere pseudopaoline e pseudogiovannee.
Anche la figura di Giacomo aveva goduto nel sec. II d. C. di grande successo presso i falsari gnostici; per questo sono
tradotti dal copto per intero e commentati l’ Apocrifo di Giacomo , la Prima Apocalisse di Giacomo e la Seconda Apocalisse di
Giacomo .
Tuttavia la parte più importante dello studio riguarda l’evolversi delle leggende degli Actus Silvestri in area cattolica e
degli Atti di Pietro e dei dodici Apostoli nonché della Lettera di Pietro a Filippo in area gnostica. Tutti questi testi sono analizzati
e spesso tradotti nella loro interezza, soprattutto i testi copti della gnosi.
La parte più densa è tuttavia dedicata allo studio integrale di tutti i falsi che la curia papale e la chiesa di Roma a p artire
dal sec. V-VI d. C. hanno spacciato per imporre il loro primato alle altre chiese occidentali e orientali e che apparterranno poi a
collezioni canoniche ufficializzate nel Medioevo, a partire dalla falsificazione papale dei canoni del Concilio di Nicea, falsificati e
interpolati con il rimando a Roma da parte dei canoni del sinodo di Sardica del 343 (la denuncia partì dai vescovi africani nel
concilio di Cartagine del 418 d. C. contro le pretese del papa Zosimo e contro l’appello a Roma da parte di presbiteri o diaconi
africani, che scavalcavano le competenze dirette di vescovi, di primati e di concili africani) e poi via via attraverso i cosiddetti
Apocrypha Symmachiana
a difesa del papato, inventati durante il pontificato di Simmaco (498- 514 d. C.), fino alla
falsificazione più clamorosa, confluita nelle Pseudodecretali isidoriane . Si tratta di una valanga di falsi inventati o accettati
dalla curia romana per costruire una delle più grandi truffe istituzionali e storiche del mondo latino. Questo mio studio riporta tutti
i falsi spacciati per costruire il potere e l’arroganza del papato e del suo presunto primato di giurisdizione su tutte le ch iese,
comprese quelle orientali, che riguardano il presunto cristianesimo dei primi due secoli; il papato si è inventato anche i papi del
primo secolo e non solo le loro presunte Lettere autorevoli della suprema Sede Apostolica. Ha fatto credere alle chiese in
formazione nella Gallia e in Germania l’esistenza di documenti antichi in fantomatici archivi, che nessun vescovo nordico
avrebbe potuto controllare (ovviamente anche in Gallia e in Germania qualche vescovo in difficoltà con le autorità civili diede
man forte ai falsari romani, collaborando alla grande allo spaccio autonomo di falsi locali), creando così una immagine farsesca
delle chiese cristiane e di Roma dei primi due secoli.
Ho sospeso la studio dei falsi dei due secoli successivi per non
soccombere all’abuso di oppio del popolo.
Se i testi evangelici erano così chiari e limpidi, come i papisti dicono, sul primato di giurisdizione diretta e immediata di
Pietro su tutte le altre chiese degli altri apostoli, perché allora inventarsi tale sistema di truffe colossali e continue per crearsi tale
potere così mastodontico?
97. Vetus in novo
Gramaglia, Pier Angelo
[s.n.], 2012
monografia | testo a stampa
Lo studio prolungato delle citazioni e delle allusioni degli autori neotestamentari nelle loro deliranti revisioni cristologiche
di tutta la Bibbia di Israele a me provoca grave disagio. Del resto la documentazione filologica di molti brani sinottici e paolini mi
aveva già confermato in una ipotesi piuttosto sconcertante: si trattava di una religione, quella cristiana, che tentava di fagocitare
e divorare l’ebraismo, onde togliergli ogni legittimità storica di fenomeno culturale e religioso autonomo e indipendente
dall’evento di Gesù Cristo, la cui risurrezione diventava il pretesto per abolire la stessa funzione soteriologica della religione dei
patriarchi e dei loro successori e per ridurre qualsiasi testo di Mosè e dei profeti ad un proclama divinatorio, che doveva in realtà
negare tutti i parametri fondamentali del giudaismo biblico.
La verifica sulla versione greca dei LXX nelle sue varie recensioni risolveva un problema collaterale. Tale versione infatti
non presenta nei confronti delle eventuali fonti ebraiche la stessa libertà di rimando testuale e di lettura ermeneutica dimostrata
dai primi scrittori giudeo-cristiani nei confronti dello stesso testo dei LXX; neppure la rilettura storicizzante dei LXX nella loro
versione greca del testo ebraico poteva aver aperto la strada leggittimatrice alla successiva ermeneutica cristiana dell’intera
Bibbia ebraica.
Donde una ulteriore domanda: la predicazione del Gesù storico è davvero in continuità con il giudaismo palestinese del
sec. I d. C. e con il giudaismo, che si riconosceva nella versione greca della Bibbia da parte dei LXX, che al tempo di Gesù si
era ormai completata nei suoi testi fondamentali?
La pretesa di una Bibbia giudaica, che avrebbe preannunciato Gesù Cristo in tutte le sue dimensioni religiose e
soteriologiche non ha forse avuto come risultato una radicale degiudaizzazione della Bibbia ebraica e una sincronica
giudaizzazione demagogica della figura e della coscienza religiosa e messianica del Gesù storico?
Per rispondere a tali domande ho scelto di verificare dapprima una probabile ricostruzione delle varie recensioni dei LXX
con parziali sondaggi filologici; ho privilegiato poi una sinossi del commento al testo di Daniele da parte di Porfirio di Ti ro, un
ellenista pagano, e di Gerolamo, un cristiano, per verificare i loro criteri ermeneutici e la loro fedeltà al testo biblico, cosa che
non appartiene certamente a Gerolamo, aprendo in seguito il problema del rapporto con i testi di Qumran per la figura
demonizzata di Beliyya‘al e il suo eventuale o presunto influsso nell’esegesi cristiana della figura dell’Anticristo. Sono passato
quindi a verificare la lettura dei testi dei LXX nel blocco di Rom 9 – 11 e del Deuteronomio nel corpo più vasto degli scritti
paolini, ricuperando inoltre testi biblici sparsi ed eterogenei ma rilevanti in alcune Lettere paoline e concludendo con il problema
del rapporto tra il “Gesù storico” e il Tempio di Gerusalemme e delle esplicitazioni date dai sinottici ai suoi detti al riguardo sulla
base del sussidio e del rimando a testi dei LXX. In ogni ambito sono sempre presenti verifiche su testi analoghi degli scritti di
Qumran.
Come dessert mi sono concesso uno sguardo alla falsificazione del Gesù storico in alcuni detti islamici a lui attribuiti,
per non lasciare tristi gli esegeti confessionali sulle falsificazioni cristiane delle Scritture di Israele.
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