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Le impronte digitali ed il sistema AFIS: Analisi

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Le impronte digitali ed il sistema AFIS: Analisi
www.criminiseriali.it
Le impronte digitali ed il sistema A.F.I.S:
Analisi giuridica generali
*Di Marascio Silvestro - Dattiloscopista
L’evoluzione tecnologica riscontrata negli ultimi anni ha interessato vari settori lavorativi
approdando anche nel campo delle indagini di polizia giudiziaria, qui l’operatore ha visto in rapida
successione l’introduzione di nuove tecniche investigative e la gestione combinata di una mole di
dati di vario tipo (anagrafici, fotografie e biometrici) utili alla creazione di complessi database di
ricerca dall’alimentazione interforze. Uno dei database più conosciuti nel settore è l’A.F.I.S.
(acronimo inglese di “Automatic Fingerprints Identification System”), il cui utilizzo è fondamentale
ed anche piuttosto recente, poiché frutto della progressione avuta nel campo telematico ed in
particolare nello sviluppo dei protocolli trasmissivi (nella fattispecie FTP). L’impiego dell’A.F.I.S.
è sostanzialmente duplice: ricerca decadattilare preventiva, e ricerca di frammento papillare in
ambito giudiziario.
Nel primo caso si fa riferimento ai cartellini segnaletici prodotti dalle forze di polizia a carico di un
soggetto arresto/fermato per motivi di P.S. o P.G. La normativa in materia spazia dal codice penale
al testo unico delle leggi di pubblica sicurezza (T.U.L.P.S.) comprendendo anche la c.d. “legge
Bossi/Fini”. Il cartellino segnaletico viene scansionato ed inviato telematicamente al Gabinetto
Scientifico di Polizia Scientifica ovvero al Reparto Dattiloscopia Preventiva dei Carabinieri, qui il
dattiloscopista espleterà il controllo di qualità sulle impronte lanciandole successivamente in ricerca
nel database il quale, in pochi minuti, proporrà una serie di candidati compatibili concludendo così
l’accertamento tecnico con un responso che può essere negativo oppure positivo. L’esito negativo
dell’accertamento implica che il soggetto sottoposto ai rilievi non è stato fotosegnalato in
precedenza, l’esito positivo invece evidenzia come lo stesso sia stato fotosegnalato altre volte
indicando contestualmente i dati d’interesse: data rilievi, reparto segnalante, motivo del
fotosegnalamento. L’accertamento esperito in ambito giudiziario si avvicina molto al mondo
investigativo fatto conoscere al grande pubblico da alcuni serial televisivi, poiché il protagonista
dell’accertamento è un frammento papillare (quindi digitale ovvero palmare) rinvenuto e repertato
sul luogo di un reato ed asportato mediante supporto adesivo. Procedendo alla scansione
dell’adesivo potrebbe essere possibile risalire all’autore del fatto criminis, purché il reo in passato
sia entrato in contatto con le forze dell’ordine e le sue impronte digitali siano così censite in banca
dati.
Normativa di riferimento sull’assunzione delle impronte digitali:
Identificazione preventiva (motivi di P.S. o P.G.)
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Ar. 4 T.U.L.P.S. “L'autorità di pubblica sicurezza ha facoltà di ordinare che le persone
pericolose o sospette e coloro che non sono in grado o si rifiutano di provare la loro
identità siano sottoposti a rilievi segnaletici. Ha facoltà inoltre di ordinare alle persone
pericolose o sospette di munirsi, entro un dato termine, della carta di identità e di esibirla
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ad ogni richiesta degli ufficiali o degli agenti di pubblica sicurezza”;
Legge 27.12.1956 n.ro 1423: “Misure di prevenzione nei confronti delle persone pericolose
per la sicurezza e per la pubblica moralità”. Trattasi di soggetti che mantengono un tenore
di vita ed una condotta riconducibile ad attività delittuosa ed i rilievi dattiloscopici vengono
effettuati contestualmente alla notifica del provvedimento all’interessato.
La definizione di “persona sospetta” viene tratta dall’art. 4 della legge 22.05.1975 n.ro 152
“Disposizioni a tutela dell’ordine pubblico” in relazione a “… .omissis… . il cui
atteggiamento o la cui presenza,in relazione a specifiche e concrete circostanze di luogo e
di tempo non appaiono giustificabili..omissis..”
La legge 189/2002 (“Bossi/Fini”) prevede all’art 4 e 5 l’assunzione delle impronte digitali e
palmari all’extracomunitario che richiede il rilascio/rinnovo del permesso di soggiorno sul
territorio nazionale.
Art. 349 del c.p.p. “identificazione di persona nei cui confronti vengono svolte le indagini”.
Identificazione Giudiziaria
?
L’accertamento tecnico in questo caso interessa un frammento papillare repertato sulla
scena del crimine, questo implica una comunicazione di notizia di reato ai sensi del 347 del
c.p.p. e l’intervento della polizia giudiziaria sul luogo che provvede ad operare ai sensi ex
art 354 c.p.p. “Se vi è pericolo che le cose, le tracce e i luoghi si disperdano o comunque si
modifichino e il pubblico ministero non può intervenire tempestivamente, gli ufficiali di
polizia giudiziaria compiono i necessari accertamenti e rilievi sullo stato dei luoghi e delle
cose...". Successivamente si ha la redazione di una relazione tecnica, ad accertamento
dattiloscopico ultimato, che confluirà nel fascicolo del dibattimento.
L’indagine dattiloscopica viene incentrata su tre pilastri:
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Utilizzo di applicativi di ricerca biometrica. L’utilità offerta dal sistema A.F.I.S. è massima,
in poco tempo si ottiene la lista “alias” del soggetto fermato/arrestato. Sino alla metà degli
anni ’90 ciò non era possibile specie nel campo giudiziario: gli agenti operanti
provvedevano a repertare un frammento papillare sul luogo del reato ma il collega in
laboratorio poteva solo esprimere un giudizio di validità giuridica sullo stesso all’atto della
restituzione del reperto. Mancava la possibilità di una comparazione veloce con i milioni di
cartellini segnaletici presenti negli schedari nazionali e l’unica soluzione era data da
eventuali sospetti che potevano essere avanzati dalle FF.PP. che chiedevano la
comparazione diretta delle impronte dell’eventuale indagato con il frammento in questione.
Le caratteristiche proprie delle impronte digitali analizzate e commentate ampliamente da
vari studiosi nel corso degli anni:
Marcello MALPIGHI (1628-1694); Johannes
Evangelista PURKINJE (1787-1869); William HERSCHEL (1833-1918); Henry FAULDS
(1843-1930); Francis GALTON (1822-1911); Juan VUCETICH (1858-1925); Edward R.
HENRY (1850-1931); Giovanni GASTI (1869-1939).
Le norme che regolamentano la materia che possono spaziare dal codice penale alle leggi
ordinarie, comprendendo le sentenze pronunciate dalla Corte di Cassazione.
Le caratteristiche delle impronte digitali sono ormai note alla comunità
scientifica internazionale e la giurisprudenza le ha recepite. L’analisi delle
impronte interessa in
un primo momento la figura
generale
che
può
essere
adelta
(fig.
1),
monodelta (fig. 2)
bidelta (fig. 3) e composta
(fig.4), in relazione
all’andamento delle creste
papillari
che
costituiscono
il
nucleo
centrale, marginale e
basale. Dalla convergenza di
queste si possono originare uno o più delta (una sorta di triangolino che viene meglio evidenziata
con un artifizio grafico nella figura a fianco unitamente all’individuazioni delle linee del sistema
basale – colore azzurro- marginale – colore rosso - centrale), successivamente si analizza la
presenza delle “minutiae”, i punti caratteristici identificativi, presenti allorquando il decorso
naturale della linea papillare subisce delle variazioni (queste sono le più frequenti: termini di linea e
biforcazioni).
Fig.1
Fig.2
Fig.3
Fig.4
esempio di comparazione dattiloscopica
La fase originaria della impronte ha inizio verso il 3° mese di vita intrauterina e prosegue durante la
gestazione. Gli arti presentano dei rigonfiamenti detti “volar pads” che regredendo contribuiscono
alla formazione della figura generale e dei relativi punti identificativi, rappresentando de facto una
proiezione dello strato basale del derma. Questo è il motivo nel quale risiede l’immutabilità delle
impronte, l’eventuale presenza di accidentalità quali ad esempio cicatrici profonde, contribuisce ad
un’analisi qualitativa non di poco conto sull’impronta stessa: viene infatti fornita un’informazione
supplementare a carico di eventuali giudizi d’identità espressi, specie su frammenti. Particolarmente
interessante risulta essere la sentenza della Cassazione che fa riferimento alla presenza “di un
identico segno di cicatrice” (sentenza n.ro 01155 del 03.02.71).
La sentenza n.ro 2559 del 14.11.1959 della Corte di Cassazione indica in 16/17 le minuzie utili per
un giudizio d’identità dattiloscopica. Tale risultanza numerica è dovuta agli studi pregressi
compiuti e dalle attività statistiche derivate che stabiliscono come non vi possono essere due
soggetti presentanti 16 corrispondenze di minuzie uguali per forma, posizione ed orientamento
(teoria del matematico Balthasar), ma varie sono le sentenze espresse dalla suprema corte
sull’argomento tra queste interessanti sono quelle che fanno riferimento ad una “quantità” differente
di punti identificativi.
-
sez. 2° sent. 01155 del 03.02.1971, sez. 2° sent 09051 del 13.10.1982: “omissis… rivelata
una corrispondenza di almeno quattordici, quindici punti d’identità”;
-
sez 2° sent. 10567 del 13.11.1985, sez. 2° sent. 00234 del 14.01.1986, sez. 4° sent. 04254
del 22.03.1989: “omissis… . sussistono almeno sedici punti caratteristici uguali per forma e
posizione”.
Conseguenza di quanto su esposto sono una serie di considerazione che tengono in debito conto
l’esperienza nel campo di dattiloscopisti di FF.PP. di paesi esteri e dei pareri espressi dall’A.I.A.
(Associazione per l’identificazione Americana) che nel 1973, a seguito di un’indagine statistica
triennale, ha rilevato che non esiste alcuna base valida per richiedere un numero minimo di punti
corrispondenti tra due figure papillari. Sulla scorta di questa affermazione nei paesi Anglosassoni
manca una soglia minima di punti utili all’attribuzione di un giudizio d’identità che invece in Italia
è prevista (riferimento ai 16/17 punti della sentenza 2559/1959 della cassazione precedentemente
citata), poiché basta il solo parere dell’esperto a validare l’accertamento in tribunale (in precedenza
veniva citata la duplice funzione della polizia scientifica, da un lato rilevare le tracce ed assicurare
le fonti di prova -diverranno prova infatti solo durante il contradditorio tra le parti in tribunaledall’altra argomentare le proprie valutazioni in relazioni tecniche corredate di fascicoli fotografici
che confluiscono nel fascicolo del dibattimento, senza considerare poi eventuali consulenze a
supporto dell’operato del giudice quale C.T.U. – consulente tecnico d’ufficio).
Un’eventuale giudizio d’identità dovrebbe tenere in debita considerazione sia una base “numerica”
cioè una soglia minima di punti da raggiungere, ma
dovrebbe considerare anche un sistema qualitativo
nell’interpretazione dell’impronta. Se infatti venisse
riscontrata la presenza di una rara figura tridelta ovvero
la presenza di una cicatrice come nell’esempio
precedente o di rare minuzie (come una triforcazione
oppure un doppio lago, nella figura a fianco sono indicate
le minuzie più frequenti), è logico pensare che
l’operatore non dovrà essere costretto a raggiungere la
soglia di punti minima per l’attribuzione dell’identità ma
dovrà “solo” redigere una ben argomentata relazione
tecnica avente come riferimento dati statici, studi dermici
e quant’altro la comunità scientifica possa mettere a
disposizione, accompagnate da sue considerazione e
descrizione degli accertamenti effettuati suffragate dalle riproduzione fotografiche del caso.
Silvestro Marascio.
_______________________________________
Bibliografia d’interesse:
-
www.theiai.org;
Rivista “il carabiniere” gennaio 2007, ente ed. Arma carabinieri;
“Dieci e tutte diverse. Studio sui dermatoglifi umani.” Ed. Tirrenia Stampatori (TO), A.
Giuliano;
“Il
segnalamento ed il sopralluogo” di S. Paternò e P. Diana ed. Laurus Robuffo.
Interessanti in questo campo sono alcune sentenze della Cassazione che fanno riferimento a giudizi
d’identità dove si noti “una corrispondenza di almeno quattordici, quindici punti d’identità” (Sez.
2 sent. 01155 del 03.02.71, Sez. 2 sent. 09051 del 13.10.82), ovvero la sentenza che riporta la
presenza “di un identico segno di cicatrice” (sentenza n.ro 01155 del 03.02.71) che avvalora
maggiormente l’identità espressa. Il mondo anglosassone risulta essere molto differente dal
panorama giudiziario nazionale, perché in quel contesto basta il libero convincimento del tecnico
per l’attribuzione d’identità. In Italia invece sono fissati dei “paletti normativi” che si rifanno
proprio alla sentenza 2559/1959 della Suprema Corte, fermo restando che altre confermano questa
logica giurisprudenziale (Sez. 2° sent. 07827 del 19.06.80, Sez. 2° sent. 01155 del 03.02.71, Sez. 1°
sent.03747 del 27.04.81, Sez. 1° sent. 07434 del 28.07.82, Sez. 1° sent. 07434 del 28.07.82, Sez. 2°
sent. 08175 del 12.10.83, Sez. 2° sent. 06769 del 01.07.86). In precedenza si poneva l’accento
sull’abuso del temine “prova” durante la fase investigativa ed in effetti quanto raccolto sarebbe
corretto definirlo “fonte di prova”, e come tale confluisce nel fascicolo del dibattimento (ex art
431 c.p.p), mentre la prova vera e propria si forma durante il processo dove vige la regola del
contradditorio tra le parti. In questa fase il magistrato può essere assistito da consulenti tecnici
d’ufficio che lo supportano nel suo operato fondamentale di “peritus peritorum”: suo infatti è il
compito di verificare il rigore scientifico utilizzato per l’assunzione delle prove. Naturalmente non
si può prescindere da eventuali differenze senza citare che anche altri paesi, pur utilizzando una
produzione legislativa simile a quella italiana, si pongono alcune differenze nell’esprimere un
giudizio d’identità dattiloscopica, in alcuni casi abbassando la soglia anche ad 8 punti uguali per
forma e posizione. Tale differenze possono essere site in alcune sentenze delle corti locali (specie
se in regime di “stare decis”) ovvero in attività statistiche portate avanti ne(da)lle singole realtà.
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