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Il Monte di Pietà a Palermo
LA STORIA Franco Nicastro 8 Il Monte di Pietà a Palermo 9 LA STORIA L’orologio batte ancora le tre e mezzo: non è chiaro se della notte o del pomeriggio. Si è fermato alcuni anni fa con grande “sollievo” per chi soffriva il fastidio dei rintocchi vibranti precisi e implacabili che dal 1684 scandivano il tempo ogni quarto d’ora. 10 LA STORIA ra la cronaca cittadina dei giornali pubblica invece petizioni accorate perché quei rintocchi tornino non solo a contare le ore ma ad annunciare che l’antico Monte di Pietà sta riprendendo la vita frenetica e il volto operoso di una volta. La grande casa della “Pannaria” diventerà il cuore pulsante dell’insediamento della Banca Carige Cassa di Risparmio di Genova e Imperia in Sicilia. In questo edificio, che dal Cinquecento simboleggia la lotta all’usura, si insedierà la direzione per i 21 sportelli rilevati dal Banco di Sicilia. Il palazzo, secondo le intenzioni della Carige, sarà ristrutturato e un’ala sarà destinata a una fruizione culturale secondo un progetto che incrocia le linee del nuovo “rinascimento” di Palermo. È una buona notizia per i palermi- O Alla pagina 8 Palermo in una incisione su rame di Petrus Van der Aa. Leida 1723. tani che hanno sempre sentito il Monte di Pietà come un’istituzione meritoria integrata nella vita e nella storia della città. Era il 12 aprile del 1541 quando il Senato palermitano decise di istituirlo raccogliendo, con il sostegno del viceré don Ferdinando Gonzaga, i voti di un fervente predicatore quaresimale, Pietro Paolo Caporella, un frate che dal pulpito della chiesa di San Francesco si batteva contro le sofferenze di una diffusa indigenza: e ce n’era tanta a quei tempi, nella Sicilia piagata da povertà e carestie. Due secoli dopo, in un breve ragguaglio sull’attività del “Venerabile Monte della Pietà di questa felice, e fedelissima città di Palermo”, Francesco Antonio Maria Romagnolo, accademico del Buon Gusto, spiegava che lo aveva voluto la carità laica e cattolica per combattere “l’avi- dità” di ricchi e di usurai che facevano “crudele ingiusto traffico della miseria” di tanta povera gente. Il Monte cominciò a svolgere la sua attività, raccontano i cronisti dell’epoca, con la dotazione di “onze 50 annuali, le quali insieme con altre considerevoli limosine da molti pietosi Cittadini ne furono il fondo, e la prima semente”. Il servizio di credito su pegno, a tasso esiguo, si svolgeva in due stanze di palazzo Pretorio che con l’andare degli anni si rivelarono insufficienti. Anche perché il Monte e i suoi governatori, come disponevano gli statuti, erano chiamati a svolgere anche attività filantropica e di beneficenza che richiedeva il reclutamento di medici, speziali e barbieri stipendiati. E questo mal si conciliava con le esigue disponibilità finanziarie: problema che, in forme LA STORIA 11 perfino più drammatiche, a parte alcune floridezze momentanee, si è continuamente riproposto nella lunga storia del Monte di Pietà. Ma proprio l’espansione dell’attività di assistenza, unitamente al servizio di credito che si era pure sviluppato, pose il problema di trovare una nuova sede poi individuata nel quartiere del Seràlcadi, nel quale si trovava una ricca sorgente che alimentava il fiume Papireto. In quegli anni la città sembrava animata da un grande fervore costruttivo. Baroni e ordini religiosi dotati di immensi patrimoni e ricchezze co- struivano palazzi, chiese, edifici monumentali, in una cornice di fastoso contrasto con la depressione sociale che regnava invece nei degradati quartieri popolari. Nel quartiere di Seràlcadi, ricorda lo storico Falzello, a metà del Cinquecento “si fabbricarono molte case, e vi si apersero molte botteghe di tessitori di lana, e particolarmente ve n’è una grande, dove si tessono assaissime pezze di pannilini”. E di qui il nome di “Pannaria” con il quale la “grande casa” era conosciuta. In questo opificio, che utilizzava per la sua attività il corso d’acqua del Papireto ormai scomparso, fu trasferito nel 1591 il Monte di Pietà. E mai come in questo caso il contesto urbano e sociale appariva corrispondente alle finalità del Monte. Il vecchio edificio venne ristrutturato secondo un progetto architettonico essenziale rimasto inalterato anche nei numerosi interventi successivi, segnalati nelle tante lapidi disseminate in ambienti sempre chiusi e rimaste a dare una preziosa testimonianza a futura memoria. Ben presto le attività subirono un forte incremento al punto che il Monte fu chiamato a gestire In questa e alle pagine precedenti Particolari del prospetto dell’ex Monte di Pietà di Palermo, ora sede della filiale della Banca Carige Cassa di Risparmio di Genova e Imperia. LA STORIA In questa e alle pagine seguenti Pregevoli decorazioni murali e soffitti lignei, testimonianze d’arte ancora esistenti all’interno del palazzo. 12 anche un Conservatorio per le “verginelle” indigenti e una Casa dei poveri. E così anche la nuova sede cominciò a diventare tanto inadeguata da richiedere ampliamenti e sopraelevazioni. La sobrietà architettonica del nucleo originario fu sempre rispettata e l’unica concessione alla pomposità barocca, segno distintivo dell’epoca, fu quella che rinnovò la facciata con l’inserimento di motivi plastici più pesanti. Nel 1634, di fianco all’ingresso della farmacia del Monte, era stata intanto collocata una fontana alimentata con l’acqua di un giardino della contrada Colonna Rotta: l’aveva voluta il Senato “per pubblica commodità di quei poveri che vi accorrevano”. Dopo oltre tre secoli e mezzo la fontana è ancora al suo posto e sembra un miracolo che non sia scomparsa assieme ad alcuni fregi decorativi che la sormontavano: ne rimangono tracce solo nelle stampe antiche. Nel 1684 sul prospetto fu collocato un orologio a campana sormontato dalla figura dell’Ecce Homo, stemma del Monte. Malgrado qualche innovazione tecnologica, la struttura meccanica è rimasta sostanzialmente inalterata. La comparsa dell’orologio coincise con l’inizio di una fase della vita del Monte contrassegnata da un lato da uno sfarzo ostentato e dall’altro da una crescita del prestigio dei governatori ormai inseriti con un carico di onori nel manierato cerimoniale dell’epoca. Tanto dispendio era indotto dalla solidità finanziaria del Monte che lucrava sulle rendite, riceveva lasciti e legati e poteva quindi tenere il tasso di interesse intorno all’uno per cento. Ma, come ricorda la storia dell’aristocrazia siciliana, agli scialacquamenti insensati seguivano poi tempi difficili. E questo valeva non solo per il popolo (che certo ne soffriva di più) ma per gli stessi principi e baroni costretti anch’essi, quando le casse erano vuote, a bussare al Monte per chiedere mutui così cospicui da 13 richiedere speciali concessioni. E così dalle case patrizie prendevano la strada dei depositi del Monte di Pietà gioielli unici, corredi preziosi, tele, arazzi e insomma tutto quel luccicante arredo che rendeva confortevoli le residenze dei nobili. Tra i numerosi interventi sull’edificio, che tra il Seicento e il Settecento doveva sembrare un cantiere sempre aperto, quello che ha lasciato un segno pesante fu realizzato nel 1786 quando alla facciata principale fu aggiunto quello che lo storico dell’arte Rosario La Duca definisce un “anacronistico portico in stile dorico con due ambienti laterali”, nei quali per lungo tempo e fino a qualche anno fa è stato ospitato il servizio di cassa cambiali dell’agenzia dell’ex Cassa di Risparmio. Un’aquila marmorea del Gagini in cima all’ingresso completava il volto nuovo dell’edificio che muterà ancora quando sarà chiusa la loggia superiore dell’antica “Pannaria”. Tante trasformazioni e integrazioni architettoniche diedero sin dall’inizio alla sede del Monte un’imponenza suggestiva. Ne tennero conto anche gli urbanisti che, dopo il taglio della via Maqueda e la trasformazione dei cinque antichi quartieri in quattro mandamenti, diedero a quello di nord-ovest il nome appunto di “Monte di Pietà”. Fino all’inizio dell’Ottocento la situazione finanziaria rimase, se non florida, almeno consolidata e stabile. Ma a partire dal 1812 la gestione risentì pesantemente delle convulse vicende storiche dell’isola come la rivolta del 1820-21, il colera del 1837 e i rivolgimenti politici del 1848 che anticiparono e in qualche modo innescarono, proprio da Palermo con la formazione di un governo anti-borbonico, i movimenti rivoluzionari europei. Il Monte accusò perdite ingenti a causa di prestiti non onorati, furti e sottrazione di pegni preziosi a cui si aggiunsero anche danni provocati nella filiale di Santa Rosalia da una granata LA STORIA LA STORIA 14 esplosa dal presidio militare del Castello a mare. L’amministrazione si fece più severa e furono, ancora una volta, i ceti meno abbienti a pagarne le conseguenze. Nel 1866, dopo il riordinamento seguito all’unificazione del Paese, il tasso di interesse era salito ormai al 7,50 per cento, le risorse destinate al servizio di credito si erano ridotte, le spese di gestione erano diventate esorbitanti. Anche gli organici erano cresciuti in modo incontrollato se è vero che trent’anni dopo risultavano in servizio 93 impiegati e 16 tra uscieri e inservienti. Le difficoltà proseguirono anche negli esercizi successivi, malgrado la legislazione avesse ampliato la gamma di attività degli istituti di pegno. Nel 1928 il Monte fu incorporato, con la filiale di Santa Rosalia, nella Cassa di Risparmio “Vittorio Emanuele”. In una nota che annunciava la decisione il presidente Rocco 15 Camerata Scovazzo giudicava l’operazione un “atto di saggia amministrazione perché permetterà al Monte di assolvere meglio i fini di beneficenza a favore delle classi disagiate”. L’anno dopo arrivò la fusione con la Cassa: ormai banca e istituto erano una sola realtà. L’attività di credito su pegno si è svolta nel palazzo della “Pannaria” fino al 1982 quando il caveau fu svuotato e tutto il suo prezioso contenuto trasferito in un moderno edificio di via Pasquale Calvi. Nell’antico Monte di Pietà rimase per qualche anno ancora il “centro effetti” e poi solo un’agenzia prima assorbita dal Banco di Sicilia e ora rilevata dalla Carige Cassa di Risparmio di Genova e Imperia. Dal trasferimento del credito su pegno il Monte ha cambiato profondamente il suo volto, allentando i legami con il quartiere e astraendosi sempre più dal contesto sociale in cui era sempre stato integrato. Non è più la meta del penoso calvario della povera gente. Da quasi vent’anni i suoi uffici aprono le porte a una clientela bancaria tradizionale. I magazzini sprangati e gli spazi enormi abbandonati nei piani superiori cominciano però a rivelare una memoria che si stava perdendo o che non si era mai avuta. E così si scopre ora, proprio a ridosso dell’inaccessibile caveau, un bassorilievo di Santa Rosalia, patrona di una città che si considerava “felicissima”, e un prezioso soffitto a cassettoni finora nascosto da tramezzamenti e coperture. E chissà cos’altro può rivelare il restauro del tetto in legno, degli abbaini o dello stesso caveau dove sono rimaste le scaffalature di deposito di un tempo. Ci sono insomma tutte le premesse e tutte le ragioni perché sia salvata e recuperata una struttura legata profondamente alla storia della città. Ecco perché al futuro del Monte e alla destinazione del suo magnifico edificio guarda con rinnovato interesse soprattutto il mondo della cultura palermitano. LA STORIA Due delle lapidi ancora murate all’interno dell’edificio.