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Capita spesso che passiamo per una strada, anche tutti i giorni, e

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Capita spesso che passiamo per una strada, anche tutti i giorni, e
Capita spesso che passiamo per una strada, anche tutti i giorni, e non riflettiamo che le bellezze che sono sul nostro cammino
rivelano una storia, un vissuto che appartiene a tutti e che non può essere ignorato.
E’ importante che i ragazzi imparino ad osservare la propria città, il proprio paese o il quartiere imprimendo nei propri occhi, ancor più nel proprio cuore gli sguardi, i gesti che raccontano la vita di chi vi abita e non ha mai pensato di abbandonare
quel luogo perché lo ha ritenuto il più bel posto del mondo.
E la piccola cittadina di Boscotrecase, alle falde del Vesuvio, ha avuto tra i suoi più illustri abitanti il cav. Ernesto Santini,
uomo per certi aspetti misterioso, grande appassionato di viaggi e di archeologia, il quale con tenace interesse ha riportato alla
luce, affiancato dall’archeologo Matteo Della Corte, la villa imperiale di Agrippa Postumo, ubicata nella sua proprietà e successivamente risepolta dall’eruzione vesuviana dell’aprile 1906.
Il Progetto in “Rete Vesuvio” - “Uomini e territorio” con il suo percorso storico, artistico e letterario ha impegnato gli alunni
della Scuola Media “Card. Prisco”, per gli anni scolastici 2008/09 e 2009/10, alla conoscenza della personalità del cav.
Ernesto Santini mediante incontri con gli eredi dello stesso, nonché l’approfondimento delle tematiche storiche-archeologiche inerenti la villa imperiale medesima, evidenziando particolarmente gli aspetti artistici, testimonianza della cultura del tempo.
Conoscere per amare, imparare ad amare, ricostruire la memoria storica, conoscere e valorizzare il passato per progettare il
futuro: questi sono stati i principali obiettivi che i ragazzi hanno raggiunto al termine del percorso progettuale.
Boscotrecase, pianta della villa imperiale detta di Agrippa Postumo
1
Il cav. Ernesto Santini ed i suoi discendenti
Ben poco conosciamo del cav. Ernesto Santini (18381920).
Sappiamo che viveva a Napoli, che apparteneva ad una
famiglia benestante e che due suoi fratelli erano giuristi.
Di preciso non si conosce la sua professione ma, avendo le
risorse economiche ed una grande passione per l’arte antica e l’archeologia, effettuò scavi a spese proprie.
Ricordiamo che tra la fine dell’Ottocento ed i primi del
Novecento non
esisteva alcuna regolamentazione in
materia di ritrovamenti archeologici,
pertanto coloro
che rinvenivano
reperti antichi nel
proprio terreno ne
diventavano proprietari automaticamente.
Succe ss ivamente
nel 1905 lo Stato se
ne interessa, nasce
una prima regolamentazione e solo
nel 1939 lo Stato Italiano diventa proprietario assoluto di
tutto quanto ritrovato nel sottosuolo.
Ernesto Santini fu proprietario a Boscotrecase dapprima
della masseria in località Rota, dove avvenne lo scavo della
villa imperiale cosiddetta di Agrippa Postumo, e successivamente della proprietà in via Cardinal Prisco, n. 30
(attuale n. 34).
Quest’ultima originariamente era una scuderia che il Santini usava come deposito, in seguito la trasformò in villa
(appunto villa Santini ancora oggi esistente), utilizzata in
un primo momento come luogo di villeggiatura nel periodo estivo e poi come residenza di famiglia.
Il 16 agosto 1886 nasce a Napoli Sofia Santini, figlia di
Ernesto e di Margherita Montefusco, coniugata con l’avv.
Giovanni Miele e deceduta in Boscotrecase il 26 settembre
1973.
Sofia da bambina viveva a Napoli contesa dai fratelli del
padre Ernesto e più precisamente da Federico Santini celibe, a cui Sofia era legatissima e che provvedeva al suo acculturamento, e da Ciro Santini che non aveva avuto figli
dal suo matrimonio. Dall’unione di Sofia con l’avv. Giovanni Miele nascono sette figli: Ernesto, Enrico, Lidia,
Ugo, Mario, Elda, Aldo.
Nel 1935 Sofia si trasferisce da Napoli a Boscotrecase, a
villa Santini in via Cardinal Prisco, probabilmente separata,
con tre figli: Lidia, Elda e Aldo.
Sofia Santini era una donna di grande intelligenza, vivace,
spirito libero, che amava viaggiare, un’anticonformista per
quei tempi, di carattere forte e autoritario, che ha saputo
affrontare le vicissitudini della vita, non per ultimo il vedersi distruggere la propria casa, ricca di ricordi, per mano
di tre giovanissimi soldati tedeschi e ricostruirla.
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La villa di Agrippa Postumo: storia del ritrovamento
Il versante sud-orientale del Vesuvio, degradante verso il
mare, su cui si trovano Boscotrecase e Boscoreale, già in
età romana era lussureggiante di ricchi vigneti, oliveti ed
alberi fruttiferi. A differenza di oggi la coltivazione della
vite era molto più estesa, infatti ricopriva le pendici del
vulcano.
Questo ci è attestato da varie testimonianze di autori classici, come Plinio il Vecchio, che decantavano le bellezze
del paesaggio vesuviano e addirittura da un dipinto pompeiano rinvenuto nella cosiddetta Casa del Centenario, nel
quale era raffigurato il dio Bacco ricoperto di pampini ed
accanto il monte Vesuvio ricoperto di vigneti.
In questo paesaggio così ameno è comprensibile che i ricchi si costruissero le loro ville, possedessero vaste aziende
agricole e che anche la piccola proprietà si affiancasse alle
grandi tenute. Fin dall’antichità per questa felice situazione
sia climatica che agricola, quando Pompei era Sannitica, si
installarono nel territorio di Boscotrecase e Boscoreale
aziende per la produzione del vino, dell’olio e dei cereali, le
cosiddette ville rustiche.
Con la conquista romana di Pompei ad opera di Silla (80
a.C.) e l’insediamento nel territonio della Colonia Cornelia
Veneria Pompeianorum, i patrizi locali subirono pesanti espropri, i loro terreni vennero confiscati per essere divisi in
tenute, assegnate ai veterani di Silla. Questi veterani si sistemarono anche nel territorio di Boscoreale e Boscotrecase detto probabilmente poi Pagus Augustus Felix Suburbanus.
La vita trascorreva tranquilla nel territorio vesuviano,
quando nel 63 d.C. un forte terremoto provocò danni e
distruzioni in tutta la zona: Pompei, Ercolano, Nocera,
Stabia e il Pagus subirono danni ingenti e molti tetti e porti-
cati di edifici pubblici e privati crollarono, per cui, in molti
casi, furono necessari interventi di restauro. Non si erano
ancora riparati tutti i danni provocati dal terremoto, quando il 24 agosto del 79 d.C. una delle più tremende e distruttive eruzioni del Vesuvio spazzò via e seppellì di cenere e lapilli la città di Pompei e insieme ad essa il suo Pagus e
gli altri luoghi vicini.
Tra la fine dell’Ottocento ed i primi decenni del Novecento furono effettuati scavi archeologici che consentirono il
ritrovamento di circa trenta ville rustiche del Pagus. Gli
scavi di questo periodo furono eseguiti dai proprietari dei
fondi e furono finalizzati soprattutto alla scoperta ed al
recupero di decorazioni parietali e pavimentali e di oggetti
di valore, che furono venduti ed entrarono a far parte delle
collezioni di vari Musei (il Museo Archeologico Nazionale
di Napoli, il Louvre di Parigi, il Metropolitan Museum di
New York, il British Museum di Londra, il Museo Reale di
Mariemont in Belgio), o di privati.
Le ville rustiche erano aziende agricole di piccole e medie
dimensioni a conduzione familiare o affidate a schiavi, ma
anche complessi più ampi, con settori residenziali sontuosamente decorati destinati alla saltuaria presenza del ricco
proprietario e settori destinati alle lavorazioni e alla manodopera servile (pars rustica).
Queste aziende agricole sono state classificate nel 1926
dallo storico M. Rostovzev in tre categorie.
La prima categoria comprende una grande villa costituita
da un quartiere signorile ove alloggiavano i padroni, e un
ampio quartiere rustico comprendente i locali per i torchi,
le cantine, le stalle, i depositi e gli alloggi della familia rustica,
composta di schiavi addetti alla coltura dei campi.
La seconda categoria comprende una
villa di media grandezza con ambienti
padronali dove il proprietario risiedeva stabilmente dirigendo e traendo i
suoi utili dalla conduzione della fattoria.
La terza categoria comprende una
villa senza ambienti padronali, costituita unicamente dalla parte rustica
con cantine, frantoi, pigiatori, depositi
e locali abitati da schiavi.
Fuori da questa classificazione, ormai
superata, si colloca la villa signorile, di
otium che non presenta quartiere rustico ma solo ambienti nobilmente decorati, residenza di campagna del ceto
patrizio o del ricco ceto commerciale.
Grazie alle condizioni ottimali di conservazione di strutture e suppellettili, i
dati di scavo delle ville rustiche hanno
consentito di ricostruire le diverse fasi
di trasformazione dei principali prodotti agricoli dell’area vesuviana: il
vino, destinato anche all’esportazione,
L’agro pompeiano prima dell’eruzione del 79 d.C.
3
tore Augusto. E’ ipotizzabile, quindi, che in
questa splendida casa
estiva Giulia abbia anche
ricevuto la visita di suo
padre, che l’amava molto
ed era buon amico di
Agrippa. Più tardi la villa
entrò a far parte del patrimonio imperiale.
Si pensa che la villa fosse
abitata dai proprietari
solo saltuariamente,
mentre il fondo era amministrato tutto l’anno
da un procuratore, nell’ultima fase da Titus
Claudius Eutychus, un liberto dell’imperatore,
come ci è testimoniato
dai sigilli di bronzo ritrovati.
Dato che la sezione
Pianta della villa imperiale di Boscotrecase, detta di Agrippa Postumo
nord-occidentale della
e l’olio, destinato per lo più al fabbisogno del mercato lo- villa non era stata scavata, non è stato possibile determinacale. Gli edifici, dopo ogni esplorazione, erano in genere re l’organizzazione, il tipo, o l’entità della produzione agrireinterrati.
cola: non si sono trovate tracce di torcularium o cella vinaria.
Il 23 marzo 1903, nella proprietà del cav. Ernesto Santini, Per quanto i diciotto cubicula (le celle degli schiavi) sistenella contrada Rota di Boscotrecase (attuale via L. Rossi), mati su due piani lungo il muro orientale della villa potrebdurante i lavori di scavo per la messa in posa dei binari bero indicare un’azienda agricola di notevoli dimensioni, in
della ferrovia Circumvesuviana, furono ritrovati alcuni mancanza di qualsiasi elemento che indichi un’attività ruraresti che testimoniavano la presenza di un’antica villa ro- le, si può considerare la possibilità che essi abbiano ospitamana.
to i domestici, anziché schiavi agricoltori. Le camere della
Il cav. Santini avviò lo scavo sotto la diretta sorveglianza villa si aprivano su un lungo corridoio che in fondo affacdell’archeologo Matteo Della Corte e, fra il 1903 e il 1905, ciava sul golfo di Napoli. Per lo più le pareti erano ornate
fu portata alla luce parte di una magnifica villa del I secolo da paesaggi e vignette delicate, scene mitologiche e scene
a.C.
di vita quotidiana stagliate su fondi a colori vivaci: presi nel
Il lavoro di scavo per disseppellire interamente l’edificio loro insieme questi affreschi offrono un esempio del gusto
non fu realizzabile poiché una parte di esso si trovava sot- decorativo dei Romani benestanti alla fine del I secolo a.C.
to la via che collegava Torre Annunziata a Boscotrecase, Dalla villa sono stati recuperati alcuni settori di quattro
strada di grande traffico che non fu possibile chiudere.
camere da letto.
Nell’aprile 1906, quando la villa era stata solo parzialmente Buona parte delle pareti affrescate di tre di esse, inclusa la
riportata alla luce dagli scavi, la nuova eruzione del Vesu- Camera Nera, si trova al Metropolitan Museum, mentre gli
vio la riseppellì.
affreschi della quarta camera e il resto della Camera Nera,
La villa era situata sul pendio del Vesuvio, con a sud una sono al Museo Archeologico Nazionale di Napoli.
stupenda vista sul golfo di Napoli.
I diciassette affreEssa appartiene alla prima categoria in quanto è divisa in
schi oggi esposti al
due quartieri: uno grande e lussuoso, con stupendi affreMetropolitan Muschi del III stile, che era la residenza dei proprietari apparseum di New York
tenenti al più alto strato della società romana; l’altro, molfurono acquistati
to più modesto, costituito da diciotto cubicula, era destinato
dal museo nel 1920,
agli alloggi degli schiavi o della servitù.
ma dal 1949 in poi
La villa nel suo complesso doveva aveva dimensioni notesono rimasti in mavoli, la sola area scavata copriva un perimetro di 45 metri.
gazzino. Dal setIn base ad alcuni nomi rilevati su anfore, su una colonna
tembre 1987, grazie
del peristilio e su una tegola, il Rostovzev dedusse che la
a Giovanni Agnelli
villa era appartenuta ad Agrippa Postumo.
che ne ha finanziato
La sua costruzione è stata collocata tra il 21 e il 16 a.C. e il restauro e l’esposizione, gli affreschi sono nuovamente
oggi si pensa generalmente che sia stata costruita da M. visibili al pubblico.
Vipsanio Agrippa, sposato con Giulia, la figlia dell’impera4
L’eruzione del 79 d.C.
La villa imperiale di Boscotrecase, detta di Agrippa Postumo, fu distrutta dall’eruzione del Vesuvio del 79 d.C., descritta da Plinio il Giovane nelle sue lettere a Tacito.
L’eruzione durò 3 giorni e Pompei fu ricoperta da 7 metri
ca. di ceneri e lapilli, mentre Ercolano da uno spessore di
fango (lahar) alto dai 15 ai 25 metri e vi furono più di 2000
vittime.
Durante il lungo periodo di quiescenza del vulcano, nella
camera magmatica, situata a 2-5 km di profondità, il magma aumentava sia di viscosità che di contenuto gassoso.
Quando la pressione dei gas superò il carico delle rocce
sovrastanti, ecco che iniziò l’eruzione con produzioni di
violentissime esplosioni e con la formazione così del pino
vulcanico contenente ceneri, pomici, blocchi solidi e scorie
frammisti a gas.
Sembrava che tutto fosse finito, ma alle ore 6,00 del 25
agosto il vulcano si gonfiò, si innalzò e una nuova nube
violentissima si sprigionò da esso.
Esplosioni di vapore surriscaldato produssero i catastrofici
surges piroclastici, cioè esplosioni superficiali di vapore surriscaldato ad alta energia che scendendo lungo il pendio del
vulcano, investirono e distrussero in pochi minuti tutto ciò
che esisteva lungo il loro percorso.
L'eruzione aveva completamente distrutto la città di Pompei e sconvolto interamente una campagna fertilissima,
ricca di ville rustiche e di otium.
L’eruzione del 1906
Lo scavo della villa di Agrippa Postumo, come ci ricorda
Matteo Della Corte, fu sfortunatamente riseppellito dall’eruzione vesuviana del 1906.
Già nel maggio del 1905 cominciarono le prime manifestazioni eruttive del Vesuvio con emissione di vapore. Ma fu
nell’aprile del 1906 che l'eruzione si intensificò, dividendosi poi in tre fasi.
La I fase durò dal 4 all’8 aprile con l’apertura di una fessura sul fianco sud del vulcano da cui fuoriuscirono due correnti laviche che distrussero un centinaio di case della frazione Oratorio di Boscotrecase, penetrando nell’interno
della chiesa di Sant’Anna e fermandosi a 10 metri dal cimitero di Torre Annunziata.
La II fase si ebbe l’8 aprile e fu un’attività essenzialmente
gassosa.
Dopo mezzogiorno le ceneri salirono a 13.000 metri d’altezza. La forza e la velocità del gas erosero le pareti del
cratere che sprofondarono.
La III fase si ebbe dal 9 al 22 aprile e il cono del Vesuvio si
ricoprì di ceneri bianche di solfati.
Gli abitanti dei paesi alle falde del vulcano credettero che
fosse nevicato.
L'eruzione del 1906 decapitò la cima del Gran Cono la cui
altezza si abbassò di parecchie centinaia di metri, raggiungendo gli 800 metri di diametro.
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La villa di Agrippa Postumo: gli ambienti, gli affreschi, le suppellettili
La Camera Nera (15)
La Camera Nera (o Camera n. 15) è esposta al Metropolitan Museum di New York. Sulle pareti, di un bel colore
nero lucido con un basamento rosso scuro ornato da disegni geometrici, si elevano magnifiche e sottili colonne ioniche posate su un bordo verde.
Il pavimento era tutto in mosaico bianco, a parte un fregio
centrale formato da nove esagoni e un fregio più piccolo
accanto all’entrata. Queste due decorazioni erano costituite
da tasselli neri. Due frammenti della decorazione parietale
si trovano al Museo Archeologico di Napoli. Diversi sono
gli oggetti trovati nella camera.
Questi due affreschi sono
molto simili tra loro. Entrambi
presentano sul
fondo nero un candelabro
d’argento con al centro
dei cigni e all’estremità
superiore dei piccoli quadri raffiguranti due scene
egiziane. I due cigni bianchi, a metà dei candelabri,
hanno delle collane sospese nel becco. I cigni, sacri
ad Apollo, simboleggiano
la potenza di Augusto.
Le due scene egizie a fondo giallo rappresentano
una l’adorazione del dio
Apis: a destra Anubis in
trono, in mezzo un altare
con sopra un toro e sotto
il serpente Ureus, a sinistra un sacerdote con un
tripode. L’altra rappresenta l’adorazione di Anubis sotto
forma di cane: a destra Isis o una sacerdotessa con un cali-
ce, in mezzo un altare con sopra un cane, a sinistra un sacerdote che prega.
Questa edicola architettonica
rappresenta l’affresco centrale. Il
timpano è in perfetta armonia
con la delicata struttura delle colonne, decorate in tutta la loro
superficie di deliziosi fregi metallici, foglie e fiori. Al centro è raffigurato un grazioso paesaggio in
cui si può osservare una torre
circolare e, fra la torre e i folti
alberi, una tenda che dona la sua
ombra alle persone che sotto si
godono la frescura.
In alto, il medaglione di sinistra
probabilmente raffigura Giulia, la
figlia di Augusto. Dopo la morte
di Agrippa, il suo primo marito,
Giulia nell’11 a.C. sposò Tiberio, in seconde nozze. La
probabile datazione degli affreschi si pensa corrisponda a
questa occasione. Il medaglione di destra forse raffigura
Livia, moglie di Augusto. Livia era matrigna di Giulia e
quando quest’ultima sposò Tiberio, divenne anche sua
suocera.
Particolare del quadro
di stile egizio a fondo
giallo, rappresentante
l’adorazione di Anubis
Nella Camera Nera furono rivenuti diversi oggetti, tra cui
una lanterna di bronzo, i resti di una lunga iscrizione tracciata con il carbone su un pezzo di muratura, menzionante
la ricezione di foraggio e trifoglio (CIL, IV, 6897), un candelabro di bronzo alto 1,18 m. di forma semplice.
6
M eda gli oni raffi gura nti Gi ulia , fi glia di Augusto, e Li via , mogli e di Augusto, proveni enti da ll’affresco ce ntra le della Ca mera Nera
Particolare del pannello sinistro e di quello destro dell’affresco centrale della Camera Nera, con cigni bianchi
La Camera Mitologica (19)
Particolare del quadro di stile egizio a fondo giallo rappresentante l’adorazione del dio Apis, dal pannello di sinistra
La Camera Mitologica (o Camera n. 19) contiene splendidi
affreschi con scene mitologiche e riquadri in stile egittizzante, esposti al Metropolitan Museum di New York.
Su ciascuna delle pareti lunghe della camera si trova un
affresco centrale di carattere mitologico circondato da pannelli rossi che raffigurano sirene in atto di sostenere sottili
ghirlande.
Sulla parete ovest, il quadro centrale mostra il mito di Polifemo e Galatea. Sulla parete est è rappresentato il mito di
Perseo e Andromeda.
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Parete ovest: il mito di Polifemo e Galatea
Il pannello centrale della parete ovest mostra il ciclope
Polifemo seduto su uno scoglio con il suo gregge di capre.
Polifemo ha smesso di suonare la siringa che tiene nella
mano destra, forse
perché ha notato la
ninfa Galatea seduta su un delfino,
nell’angolo a sinistra in basso.
Il mito narra che la
ninfa marina Galatea fosse innamorata di Aci, un giovane bellissimo, e che
il ciclope Polifemo,
invidioso del giovane e a sua volta innamorato della ninfa, un giorno avesse
cercato di attirarla
con il suono del suo
flauto. Non essendo riuscito nel suo
intento e sorpresa la coppia di amanti, Polifemo scagliò
infuriato un enorme masso che raggiunse Aci, uccidendolo.
Nell’affresco, in alto a destra, c’è un riferimento alla storia
di Ulisse: Polifemo, accecato da Ulisse e dai suoi compagni, scaglia contro di loro un macigno. E’ probabile che
questa scena si riferisca proprio al mito di Ulisse e non alla
tragica fine della storia di Aci e Galatea. E’ possibile comunque che l’artista che ha eseguito l’affresco intendesse
stabilire un collegamento tra le due scene.
del mostro. Nell’affresco vediamo al centro Andromeda
legata per le braccia a una roccia. In basso a destra, seduta
sulla roccia, è raffigurata Cassiopea, addolorata per il destino della figlia. A sinistra arriva Perseo, volando, al salvataggio di Andromeda, mentre il mostro marino le si avvicina dall’angolo a sinistra in basso. Sullo sfondo a destra è
visibile un’altra scena, quella in cui Perseo, prima di combattere contro il mostro, chiede la mano di Andromeda al
padre Cefeo, in cambio della sua liberazione.
La Camera Rossa (16)
La Camera Rossa (o Camera n. 16) presenta una decorazione murale a sfondo rosso sopra uno zoccolo nero. La
decorazione fu rinvenuta in perfetto stato di conservazione
e ora è esposta al Museo Archeologico di Napoli. Al centro di ogni parete è raffigurato un magnifico paesaggio, su
sfondo bianco, di m. 1 x 1,30 delimitato da colonnine. I tre
paesaggi risultano di una plasticità straordinaria grazie a
effetti di prospettiva, distacchi di luci e di ombre, magistrale scelta e impiego dei colori.
Paesaggio della parete ovest
Il quadro presenta un paesaggio architettonico con
statue, fontane e viandanti
davanti ad un tempietto dominato da un albero frondoso.
Parete est: il mito di Perseo e Andromeda
Il pannello centrale della parete est mostra contemporaneamente due episodi successivi del mito di Perseo e Andromeda. Secondo il mito
la madre di Andromeda, Cassiopea, si era
vantata della propria
bellezza. Le Nereidi se
ne lamentarono con
Poseidone, che per
vendicarle inondò l’Etiopia, regno di Cassiopea, e vi mandò un
mostro marino. Il padre di Andromeda,
Cefeo, consultò l’oracolo di Ammone e
apprese che l’unico
modo di salvare la sua
terra era di sacrificare
la figlia, incatenandola
a uno scoglio e abbandonandola alla mercè
Parete nord
La parete presenta nello zoccolo
nero una natura
morta con fichi.
Al centro un
quadro raffigurante un paesaggio sacrale con
pastori e capre
presso un tempietto circolare e
una colonna votiva; quadretti
con maschere, sottili candelabri e ramoscelli con fiori completano la decorazione nella parte alta.
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Paesaggio della parete est
Il quadro presenta
un insieme di edifici, ombreggiati da
alberi, tra i quali si
muovono viandanti,
all’interno di un
recinto cui si accede
attraverso scalette.
In primo piano è
raffigurato un maestoso albero sacro.
A pochi centimetri
dal lembo inferiore
di questo paesaggio,
sull’intonaco bianco, era graffito il
nome SABINVS,
forse l’autore dei
quadri.
Pannelli del lato est e del lato ovest della Camera Bianca
Apotheca
La Camera 18
La Camera n. 18 aveva un pavimento di opus signinum e
pareti uniformemente bianche. Sulla parete occidentale si
scoprì, ad altezza d’uomo, graffito, il bellissimo distico:
L’apotheca (g) era un ripostiglio situato nell’atrio rustico A.
In questo ambiente furono ritrovati diversi oggetti custoditi in armadi di legno, o sospesi alle pareti. In un armadio
furono raccolti i suggelli di bronzo del liberto imperiale Ti
(tus) Claudius Eutychus, l’ultimo amministratore del fondo,
nonché un vaso di bronzo a tronco di cono e fondo rigonfio, alto 0,42 m., quattro strigili di ferro infilati in un unico
anello, un oleare di bronzo alto 0,23 m., la cui ansa termina
in giù in una foglia cuoriforme.
Quisquis amat nigram nigris carbonibus ardet,
nigram cum video, moram libenter (a)ed(e)o.
“Chiunque ama una nera arde sui neri carboni; quando
vedo una nera, volentieri, divoro more” (CIL, IV, 6892).
La Camera Bianca (20)
La Camera Bianca (o Camera n. 20) aveva le pareti dipinte
in un bianco grigiastro, con uno zoccolo inferiore rosso e
una predella nera, sormontata da candelabri con motivi
floreali. A destra e a sinistra della porta d’ingresso vi erano
disposti elaborati bruciatori d’incenso.
La Camera Bianca è la meno conservata: ne restano soltanto due pannelli, in condizioni molto frammentarie, esposti
al Metropolitan Museum di New York.
Il primo pannello proviene probabilmente del lato est dell’ambiente. Dalle misure dei pannelli si è potuto stabilire
che l’altezza minima della stanza era all’incirca di 12 piedi.
Il secondo pannello proviene probabilmente del lato ovest.
Nella predella nera è raffigurato un piccolo uccello nell’atto di beccare dei frutti; un fregio sopra la predella mostra
una vite frondosa: il fregio può essere visto anche come
una serie di teste di uccelli.
Cella ostiaria ed Ergastulum
La cella n. 1, con annessa la cella rustica n. 2, serviva contemporaneamente come camera del portinaio e come luogo di punizione degli schiavi. Dal primo ambiente proviene, in soddisfacente stato di conservazione, un ceppo di
ferro per la punizione degli schiavi. Fu trovato con la chiave nella toppa, segno che al momento della catastrofe era
inoperoso. E’ conservato nei depositi degli Scavi di Pompei.
Cella 5
Nella cella n. 5 furono ritrovati molti oggetti fra i quali
primeggiano pietre dure e cammei, conservati al Museo
Archeologico di Napoli: una gemma di corniola ellittica
dove è incisa una Vittoria alata, la quale, reggendosi con un
piede sul globo, reca nelle mani una corona ed una palma e
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sul margine è
incisa HERACLIA; una gemma di corniola,
nella quale è incisa una Minerva
armata di elmo,
scudo ed asta;
una gemma di
cammeo, a forma
di scudetto ovale, di colore marrone (diam. 0,04 m.) sul
quale, in pasta vitrea bianca, è un busto
di Minerva galeato; un cammeo di
0,023 m. di diametro, di colore azzurro, sul quale è il rilievo bianco di una
Venere nuda che si
annoda la chioma.
Sottoscala
no semplici decorazioni, in cattivo stato di conservazione, dipinte nel IV stile.
Presso il vano che introduce
all’ambiente n. 13 fu ritrovato
un modius o corbula trimodia
(misuratore per cereali), mancante del bastone di ferro centrale. Queste le misure interne:
diametro superiore 0,288 m.;
diametro inferiore 0,340 m.;
altezza 0,265 m.
Atrio rustico
Nel vasto atrio A del quartiere rustico è stato rinvenuto
l’ingresso (a), munito di una grande porta a due battenti. Si
può credere che esistesse anche un ingresso al quartiere
padronale, ma esso non è stato trovato nella parte della
villa riportata alla luce. A sostegno dei tetti del cortile A vi
erano pilastri e colonne di nudo materiale laterizio. Nell’atrio rustico furono ritrovati, tra l’altro, un grande abbeveratoio a due bracci e la cucina, un largo podio sostenente
tre fornelli rettangolari e una fornace circolare.
Nel sottoscala (h) si rinvennero molti oggetti, forse lì depositati sopra le mensole di un
armadio di legno; sono quasi tutti
vasi da cucina e da mensa: un
vaso di terracotta di pianta rettangolare, alto 0,8 m. la cui parte
superiore si va sempre restringendo, a diversi piani, verso l’orlo,
sempre rettangolare; una pignatta
di bronzo sferica alta 0,24 m.; un
vaso di bronzo a cesta di forma
ellittica; una pignatta di bronzo a
tronco di cono larga 0,38 m. con ansa ad arco.
Ambienti sotterranei
Sotto il terrazzo D furono trovati due ambienti sotterranei
(S), contenenti diversi oggetti. Nel secondo dei due ambienti si rinvennero: una urna panciuta in bronzo la cui
ansa termina in giù in foglia di vite e in su in dito umano;
una casseruola di bronzo di 0,18 m. di diametro.
Ambiente 13
L’ambiente n. 13, la cella ostiaria (camera del portinaio),
faceva parte dell’atrio rustico sul quale si apriva. Esso collegava, tramite una scala a due rampe (h), il quartiere rustico con l’appartamento nobile, quest’ultimo situato a un
livello superiore di m. 4 ca. Le pareti della cella presentava-
Vasellame ed oggetti vari di bronzo provenienti dagli ambienti
della villa imperiale di Boscotrecase
Cella rustica 6
La cella rustica n. 6 fu il primo ambiente ad essere esplorato il 23 marzo 1903.
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Peristilio
Il peristilio B presentava per ogni lato cinque colonne di
mattoni ricoperti di stucco bianco. Della originaria decorazione dei muri rimaneva solo una parte nell’angolo sud-est.
Era un grandioso insieme architettonico di II stile, nel
quale ad ogni colonna reale del portico corrispondeva, sulla parete, una simile colonna dipinta, in modo da creare
l’illusione di un doppio portico.
Negli strati superiori dell’angolo sud-ovest del portico, a
contatto dello strato vegetale, furono ritrovate due lucerne
cristiane, che attestano di esplorazioni avvenute nel III –
IV secolo d.C.
Interessante è una lucerna di terracotta con impresso a
rilievo nel disco la Croce circondata da una corona di foglioline cuoriformi e di pizzi triangolari.
Bibliografia
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Archivio privato dei Sigg.ri Ciro Bruno e M. Rosaria Boccia, eredi Santini.
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Fouilles exècutèes par Mr. le Chev. Ernest Santini à Boscotrecase, endroit nommè “Rota”, Boscotrecase, Août, 1905.
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Notizie degli Scavi di Antichità, Roma, 1922, pp. 459 ss. (articolo di M. Della Corte sulla villa romana del fondo cav. Ernesto Santini, contrada Rota, Boscotrecase).
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R. Carrington, Studies in the Campanian Villae Rusticae, in Journal of Roman Studies, 21 (1931), pp. 110-130.
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Si desidera ringraziare l’Ispettore on.rio ai Beni Archeologici dr. Angelandrea Casale, profondo conoscitore della storia,
dell’archeologia e dell’arte del territorio vesuviano, per aver messo a disposizione dei ragazzi e dei docenti la sua competenza, attraverso le preziose lezioni, la ricca documentazione, i consigli e i suggerimenti per la realizzazione del progetto.
Un ringraziamento particolare va anche alla prof.ssa Maria Rosaria Boccia, pronipote del cav. Ernesto Santini, e al dott.
Pier Damiano Maistrello, che hanno creduto nel progetto e hanno offerto piena disponibilità e collaborazione nel fornire
notizie relative alla figura e alla famiglia del cav. Ernesto Santini e importanti documenti riguardanti la storia del ritrovamento della villa.
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Il lavoro è stato coordinato da
prof.ssa Angela Morelli
prof.ssa Maria Romano
prof.ssa Amalia Vangone
Hanno realizzato il progetto gli alunni
Amura Adamo
Napolitano Pierpaolo
Arcipio Candeloro Claudio
Nolano Claudia
Cannavale Alfonso
Oliva Simona
Carlino Antonio
Paduano Francesco
Carotenuto Alessandro
Carotenuto Teresa
Porzio Mario
Scardone Giuseppe
Cirillo Tommaso
Smirne Paolo
D’Andrea Anna
Sola Martina
Di Palma Giuseppe
Tammaro Massimo
Federico Paolo
Troise Francesca
Formisano Pasquale
Vangone Ida Barbara
Forte Roberta
Vangone Vincenzo
Giordano Anna
Verino Giuseppina
Ingenito Daniele
Vitelli Vincenza
Lombardo Angela
Zannetti Martina
Longi Giuseppe
Zannetti Vincenzo
Proprietà artistica e letteraria riservata - Finito di stampare nel mese di novembre 2009 c/o Linea Grafica Aurora, Boscoreale
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