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lo spazio nell`arte
LO SPAZIO NELL’ARTE
Conoscenze
• la resa della
profondità spaziale
nelle opere d’arte
• l’arte come
strumento per
cogliere la verità
delle cose
Tra realtà e illusione
Lo studio di sistemi di rappresentazione dello spazio è stato uno dei temi di
ricerca più importanti delle arti figurative e un problema molto sentito dagli artisti, a causa della difficoltà da essi incontrata nel trasferire sul piano
bidimensionale del foglio e della tela l’immagine della realtà tridimensionale percepita dall’occhio.
Lucio Fontana, che negli anni Quaranta del Novecento aveva fondato il movimento artistico denominato «Spazialismo», abbandonò la rappresentazione illusoria della profondità per sfruttare unicamente lo spazio concreto della tela. L’artista, infatti, nelle serie dei «tagli», dei «concetti spaziali» e
dei «teatrini», lacera con buchi slabbrati o con tagli decisi la superficie del
quadro, che si apre e si piega divenendo spazio reale e tridimensionale
(fig. 1). In questo modo la ricerca di Fontana fonde pittura e scultura e riesce a superare la lunga tradizione artistica occidentale legata alla rappresentazione illusoria dello spazio.
2
2 Enrico Castellani,
Superficie chiara, 1961,
tela verniciata a spruzzo
(Milano, Coll. privata).
Come Fontana, anche
Castellani non rappresenta
1 Lucio Fontana, Concetto spaziale, 1962, acquarello su tela (Coll. privata).
1
E. Tornaghi, La forza dell’immagine e Il linguaggio dell’arte. Seconda edizione – © Loescher editore, 2010.
1
alcunché sulla tela,
ma usa quest’ultima come
spazio reale sollevandola
e animandola con sporgenze
plastiche disposte in modo
rigoroso.
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I sistemi di rappresentazione dello spazio
nella storia dell’arte
Nel corso dei secoli gli artisti hanno adottato modalità diverse per rappresentare la realtà, a seconda delle esigenze della società in cui vivevano e della loro concezione del mondo. Anche il modo di raffigurare lo spazio nelle
opere d’arte è quindi più volte mutato, seguendo un percorso in cui i progressi si sono alternati a ritorni a sistemi precedenti. La scelta da parte di un
artista o di una civiltà di un determinato metodo di rappresentazione dello
spazio è determinante sia per gli aspetti simbolici dell’opera d’arte, sia per
quelli espressivi.
Presso le civiltà più antiche e nelle fasi più arcaiche dell’arte sono generalmente prevalse la rappresentazione frontale e la rappresentazione topologica dello spazio.
Lo rappresentazione frontale prevede la proiezione dei soggetti su un
piano verticale, senza il minimo scorcio (fig. 3). Le figure, riprodotte generalmente in posizione frontale, sono quasi del tutto prive di profondità e
appaiono quindi non realistiche, astratte. Spesso, per accentuare ulteriormente la solennità o il distacco di queste figure dal mondo terreno, gli artisti hanno associato alla visione frontale la simmetria.
La rappresentazione topologica prevede invece la raffigurazione di un
oggetto da diversi punti di vista, comprendendo ad esempio la visione
frontale, quella laterale e quella dall’alto all’interno di un’unica immagine
(fig. 4).
3
3 Battesimo di Cristo,
VI secolo, mosaico (Ravenna,
battistero degli Ariani).
4 Pitture parietali della
tomba di Minnakht
a Tebe, 1479-25 a.C. circa.
La figura a mostra uno
specchio d’acqua visto
dall’alto e un’imbarcazione
vista di fronte; la figura
b mostra una villa vista
dall’alto: gli alberi e
la piccola porta di ingresso
all’estremità della scala sono
rappresentati frontalmente.
Nel Medioevo la profondità dello spazio era rappresentata mediante vari sistemi, tra cui quello basato sul principio della obliquità dei piani (fig. 5).
Grazie a tali sistemi, nei primi anni del Quattrocento, l’architetto Filippo
Brunelleschi giunse all’elaborazione della prospettiva lineare: un metodo
molto naturalistico di rappresentazione dello spazio, che fornisce un’immagine somigliante alla realtà percepita dai nostri occhi.
4a
5
5 Pietro Cavallini, Annunciazione, 1291, mosaico (Roma, Santa Maria in Trastevere).
4b
2
E. Tornaghi, La forza dell’immagine e Il linguaggio dell’arte. Seconda edizione – © Loescher editore, 2010.
LO SPAZIO NELL’ARTE
Secondo il critico d’arte tedesco Erwin Panofski, la prospettiva ha assunto
nel tempo due ben distinti e contraddittori significati. I pittori italiani del
Quattrocento ritenevano questo sistema essenziale per fornire una rappresentazione oggettiva della realtà, che, grazie al punto di fuga centrale, si distaccava dalla visione casuale del singolo spettatore e acquisiva al contempo una funzione simbolica. Al contrario, artisti di altri paesi o vissuti nei secoli successivi, hanno utilizzato la prospettiva per dare un’interpretazione
soggettiva della realtà: spostando il punto di fuga, essi hanno ottenuto composizioni più dinamiche e coinvolgenti per lo spettatore (fig. 6).
Dal Rinascimento all’Ottocento, gli artisti hanno sfruttato ampiamente gli
effetti di illusionismo ottenuti grazie alla rappresentazione prospettica,
dando vita a composizioni sorprendenti e monumentali.
Allo stesso modo, nel corso del Novecento, la prospettiva, oltre ad essere
utilizzata come un metodo per ordinare la composizione secondo criteri
matematici o per dare la perfetta illusione della profondità, è stata sfruttata anche per creare spazi fantastici e irreali (fig. 7).
Sempre nel secolo scorso, gli artisti hanno cercato soluzioni alternative
alla prospettiva, studiando le possibilità di rappresentazione dello spazio
fornite da colori, indicatori di profondità e nuove teorie scientifiche, evitando il ricorso ai sistemi proiettivi tradizionali, come dimostrano, tra le altre, le ricerche dei cubisti (fig. 8), di Josef Albers (fig. 9) e di Lucio Fontana.
6 Tiziano, Martirio di san Lorenzo, 1546-59,
olio su tela, 493x277 cm (Venezia, chiesa
dei Gesuiti).
6
9
9 Josef Albers, Omaggio
al quadrato, 1959, olio su
masonite, 121,9x121,9 cm,
(Washington, Smithsonian
American Art Museum).
7
8
7 Maurits C. Escher, Casa di scale I, 1951,
8 Georges Braques, Ragazza con chitarra,
litografia, 47x24 cm. L’artista ha costruito
uno spazio fantastico e impossibile utilizzando
allo stesso tempo più punti di vista.
1913-14, olio su tela (Parigi, Centre Georges
Pompidou). Le opere cubiste stravolgono
le tradizionali regole prospettiche.
E. Tornaghi, La forza dell’immagine e Il linguaggio dell’arte. Seconda edizione – © Loescher editore, 2010.
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La tendenza alla bidimensionalità nell’arte bizantina
Nell’arte bizantina il modo di rappresentare lo spazio, e quindi la terza dimensione, è frutto di una scelta linguistica volta a esprimere precisi contenuti simbolici, come l’immutabilità delle cose e la natura ultraterrena dell’uomo.
10 L’imperatore
Giustiniano
e il suo seguito,
546-48, mosaico
(Ravenna, San Vitale).
10
11 L’imperatrice
Teodora e il suo seguito,
546-48, mosaico
(Ravenna, San Vitale).
Il mosaico si trova
nell’abside,
esattamente di fronte
a quello di Giustiniano.
11
4
E. Tornaghi, La forza dell’immagine e Il linguaggio dell’arte. Seconda edizione – © Loescher editore, 2010.
LO SPAZIO NELL’ARTE
Il corteo di Giustiniano e Teodora
I due mosaici si trovano a Ravenna nella chiesa di San Vitale: la
scena raffigurante l’imperatore Giustiniano con la sua corte
(fig. 10) si trova sulla parete sinistra dell’abside e di fronte ad
essa, sulla parete destra, si trova il mosaico con l’imperatrice
Teodora accompagnata dal suo seguito (fig. 11). I due sovrani
sono rappresentati mentre portano offerte nel giorno della
consacrazione dell’edificio. Nel catino absidale è invece raffigurato Cristo assiso sul globo del mondo tra angeli e santi. I
mosaici furono eseguiti tra il 546 e il 548, poco dopo l’edificazione della chiesa. I nomi dei loro autori, come frequentemente avveniva nel Medioevo, sono ignoti.
1. In quale ambiente si svolgono le due scene?
La scena del mosaico di Giustiniano si svolge in uno spazio
astratto. Lo sfondo infatti non è caratterizzato dalla presenza
di elementi architettonici o naturali: la superficie è d’oro nella parte superiore e verde nella parte inferiore. Anche nel mosaico di Teodora lo spazio risulta irreale, nonostante la scena
si svolga all’interno o nell’atrio di ingresso di una chiesa. Nella parte superiore sono poste delle tende e, sopra l’imperatrice,
la valva rovesciata di una conchiglia (simbolo di regalità); all’estremità sinistra si trovano una porta e una fontanella, ciascuna rappresentata da due punti di vista differenti. Le tessere
dorate dei due mosaici riflettono la luce creando un alone luminoso attorno alle figure che smaterializza ulteriormente lo
spazio.
2. La disposizione delle figure crea un senso di profondità?
La disposizione delle figure non crea un senso di profondità,
poiché queste sono rappresentate in una posizione rigidamente frontale che pone ciascuna di esse in relazione con l’osservatore, isolandola però rispetto alle altre. Le figure, inoltre,
occupano quasi completamente le due scene e sono allineate
tutte sullo stesso piano, al punto che i loro piedi, posti in tralice, talvolta si incrociano e si sovrappongono in modo completamente irreale.
3. I personaggi appaiono tridimensionali?
Le figure sono caratterizzate dall’assenza di chiaroscuro: le
pieghe delle loro vesti sono infatti disegnate da linee verticali
o fortemente stilizzate, gli orli hanno un andamento rigido e
rettilineo, le forme sono delimitate da un contorno nero che le
rende schematiche. La linea prevale nettamente sui volumi e
le figure appaiono piatte, prive di spessore, come se non avessero corpo. Le paste vitree e le pietre utilizzate per la realizzazione delle tessere hanno colori intensi e vivaci che si riflettono tutto intorno, creando un ambiente sfolgorante di colori.
Tale fulgore rende incorporee le decorazioni e lo stesso edificio, rimandando il visitatore al mondo ultraterreno.
4. Che cosa esprimono le linee di forza della composizione?
Le linee di forza della composizione, che hanno un andamento rigidamente verticale e corrispondono agli assi di simmetria delle figure, determinano all’interno della composizione
un ritmo lento e solenne. I personaggi del mosaico dedicato
all’imperatore mostrano tutti il proprio braccio destro e paiono avanzare verso la propria sinistra in direzione dell’altare
(fig. 12); quelli rappresentati con Teodora sembrano incedere
verso la destra, anch’essi dunque verso l’altare (fig. 13).
L’imperatore e l’imperatrice proiettati
in uno spazio irreale
I due mosaici risalgono agli anni immediatamente seguenti la
conquista di Ravenna da parte di Giustiniano e, secondo alcuni storici, sono così vicini allo stile di Bisanzio – caratterizzato da una spiccata tendenza all’astrazione, alla bidimensionalità e al decorativismo – da essere frutto del lavoro di artisti provenienti proprio dalla capitale dell’impero d’Oriente. Le
due scene riproducono un avvenimento che non però si verificò nella storia, in quanto Giustiniano e Teodora non si recarono mai a Ravenna.
L’imperatore e l’imperatrice rappresentati nelle due scene sono
tuttavia assai somiglianti al vero. È quindi ipotizzabile che i
mosaicisti, anche se ravennati, abbiano lavorato su modelli
12
12 L’imperatore Giustiniano pare
avanzare in processione con il suo
seguito verso l’altare e l’abside, dove
è raffigurato Cristo.
13
13 Teodora procede nella direzione
Essendo di fronte a lui, anch’ella pare
dirigersi verso l’altare.
opposta a quella di Giustiniano.
E. Tornaghi, La forza dell’immagine e Il linguaggio dell’arte. Seconda edizione – © Loescher editore, 2010.
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Risorse online Attraverso le opere d’arte
provenienti da Bisanzio. La rappresentazione naturalistica
dei volti intendeva probabilmente sostituire l’effettiva presenza dei sovrani nella città, sottolineando anche a distanza il loro
potere assoluto, la gerarchia terrena posta a fianco di quella divina. Anche i volti di altri personaggi sono trattati in modo naturalistico e, in particolare, quello del vescovo Massimiano. Infatti egli, in posizione avanzata rispetto all’imperatore e individuabile dall’iscrizione posta sul suo capo, doveva essere chiaramente riconoscibile dalla popolazione.
Le figure dei sovrani sono evidenziate dalla ricchezza degli abiti,
dalla corona, dai gioielli, che ne individuano l’alto rango sociale,
oltre che dall’aureola, ossia dall’area circolare luminosa che ne
circonda il capo ed esprime il legame dei due personaggi con il
divino. L’imperatore era infatti considerato, secondo la concezione orientale, come un essere non del tutto terreno e andava quindi rappresentato in modo diverso dai comuni mortali.
Il fondo d’oro, utilizzato per secoli nell’arte bizantina, elimina l’ambientazione, ponendo i personaggi in uno spazio e in
un tempo estranei al mondo reale, al fine di conferire alle figure rappresentate l’aspetto di apparizioni divine.
La fitta simbologia presente nei due mosaici è anch’essa un segnale dell’interesse degli artisti per una visione mistica e trascendente del mondo, che si oppone a una sua rappresentazione puramente naturalistica.
Obiettivo di queste opere, che costituivano un efficace strumento di comunicazione con i fedeli, era quindi di mostrare
un’apparizione al fine di celebrare il potere assoluto del sovrano e della Chiesa.
L’evoluzione della rappresentazione
dello spazio nell’arte ravennate
A Ravenna, all’inizio del v secolo, gli artisti della tradizione
tardoromana rappresentavano ancora la figura con luci e ombre che ne evidenziavano i volumi: nei dipinti e nei mosaici,
essa gettava un’ombra sui piani circostanti, definendo uno
spazio riconoscibile (fig. 14). Gli oggetti più lontani erano
collocati più in alto nell’immagine e la spazialità era suggerita anche dall’andamento obliquo delle linee che delimitavano
i piani orientati in profondità. I personaggi inseriti in un ambiente di questo tipo si qualificavano come esseri materiali,
fatti di carne e ossa, viventi in un mondo anch’esso fisico e tridimensionale.
L’arte bizantina invece, avendo ereditato tratti dal Vicino
Oriente, come il divieto di rappresentare la divinità, aveva sviluppato una forte tendenza all’astrazione.
Pertanto, quando Ravenna fu conquistata dall’impero romano
d’Oriente, si produsse nella sua arte un decisivo cambiamento:
essa cominciò infatti a esprimere l’immutabilità delle cose. La
figura fu privata dei suoi attributi materiali (il volume, sottolineato dalle ombre) e fu resa bidimensionale, per sottolinearne la spiritualità e la natura divina (fig. 15).
Anche la rappresentazione dello spazio subì un processo di
astrazione, che risulta evidente nel mosaico raffigurante il
porto di Classe: la superficie del mare appare come un piano
verticale costellato di navi poste una sopra l’altra piuttosto
che una dietro l’altra (fig. 16).
14 Il Buon Pastore,
secolo, mosaico
(Ravenna, mausoleo
di Galla Placidia).
L’opera costituisce
uno dei primi
esempi dell’abilità
dei mosaicisti
ravennati.
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E. Tornaghi, La forza dell’immagine e Il linguaggio dell’arte. Seconda edizione – © Loescher editore, 2010.
LO SPAZIO NELL’ARTE
Il ruolo della città di Ravenna
tra il V e l’VIII secolo
Ravenna fu, tra il V e il VI secolo, un centro politico e religioso
di grande importanza. All’inizio del V secolo divenne capitale
dell’impero romano d’Occidente. In questo periodo furono continui i contatti commerciali e artistici con Costantinopoli. Nel
476 Ravenna fu conquistata dal re ostrogoto Teodorico, che fece della città la sede della sua corte. Sotto Teodorico Ravenna si
arricchì di monumenti ed edifici per il culto, finché nel VI secolo Giustiniano, imperatore d’Oriente, la conquistò insieme ad
altri vasti territori del dominio ostrogoto. La città tornò così ad
avere fitti contatti con Bisanzio (l’antica Costantinopoli) e sotto il vescovo Massimiano raggiunse il suo massimo splendore,
divenendo il centro culturalmente e artisticamente più rilevante della penisola italiana. A questo periodo risalgono importanti opere, come la chiesa di San Vitale, edificata a pianta centrale sul modello degli edifici di Costantinopoli, da dove furono
portati capitelli e transenne già lavorati dagli artisti bizantini.
A governare Ravenna in nome di Bisanzio fu posto un esarca
(comandante) fino all’VIII secolo, quando la gran parte dei territori bizantini fu conquistata dai Franchi.
15 Mosaico dell’arco
trionfale di San
Lorenzo fuori le Mura
a Roma, VI secolo.
La profondità,
determinata dalla
presenza del prato
verde su cui poggiano
i personaggi, è
annullata dal fondo
d’oro della parte
superiore.
15
17
16
16 Il porto di Classe, VI secolo, mosaico (Ravenna, Sant’Apollinare Nuovo).
17 Mosaici nel mausoleo di Galla Placidia, V secolo (Ravenna). La decorazione
Il mare appare come una superficie verticale su cui sono disposte le navi.
smussa gli angoli dell’interno dell’edificio e ne annulla visivamente il peso.
E. Tornaghi, La forza dell’immagine e Il linguaggio dell’arte. Seconda edizione – © Loescher editore, 2010.
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La ricerca di un nuovo sistema di rappresentazione
dello spazio nell’arte medievale
Nel corso dei secoli XIII e XIV i pittori si interessarono al problema della rappresentazione dello spazio tridimensionale sulla superficie a due
dimensioni del dipinto: per risolverlo utilizzarono sistemi diversi e spesso anche più sistemi insieme.
La Madonna in trono fra i santi
Francesco e Domenico di Cimabue
L’Ultima cena di Duccio
di Buoninsegna
L’opera, che fu dipinta nel XIII secolo da Cimabue, rappresenta
la Madonna con il bambino fra i santi Francesco (a sinistra),
Domenico (a destra) e due angeli (fig. 18).
Duccio di Buoninsegna ha dipinto l’Ultima cena tra il 1308 e il
1311 in uno scomparto della grande pala d’altare della Maestà
per il duomo di Siena (fig. 19).
1. Quali strumenti ha utilizzato il pittore per rappresentare la profondità dello spazio?
Nel dipinto sono principalmente le figure laterali, disposte una
dietro l’altra, a suggerire la profondità dello spazio. L’esperienza
ci insegna infatti che la sovrapposizione degli elementi è indicativa della loro posizione nello spazio. Anche l’inclinazione
del trono contribuisce a creare un effetto di tridimensionalità.
L’ambiente in cui è collocata la scena è invece bidimensionale
per la presenza del fondo d’oro tipico della tradizione bizantina.
1. Quali strumenti ha utilizzato il pittore per rappresentare la profondità dello spazio?
Duccio ha rappresentato la profondità dello spazio descrivendo
con cura l’ambiente chiuso in cui si svolge la scena. Riesce infatti a rendere la profondità della stanza attraverso l’inclinazione
delle assi del soffitto e delle pareti laterali: queste linee, che convergono verso l’asse verticale al centro del dipinto, cercano di riprodurre ciò che noi vediamo quando ci troviamo in uno spazio
chiuso. L’artista ha dato però ai lati del tavolo un’inclinazione
diversa rispetto a quella del soffitto, poiché, invece di far convergere i due lati brevi verso il centro, li ha mantenuti paralleli.
2. L’artista ha fatto ricorso a un sistema di rappresentazione dello
spazio unico e coerente?
Per rappresentare la profondità dello spazio l’artista ha utilizzato, oltre al sistema della sovrapposizione, un lieve chiaroscuro (soprattutto nelle pieghe delle vesti) e il principio dell’obliquità (per le figure e il trono).
2. L’artista ha fatto ricorso a un sistema di rappresentazione dello
spazio unico e coerente?
Come Cimabue, Duccio ha utilizzato, per rappresentare la profondità, il principio della sovrapposizione, il chiaroscuro e
19
18 Cimabue, Madonna in trono
19 Duccio di Buoninsegna, retro
fra i santi Francesco e Domenico,
secolo, tempera su tavola
(Firenze, Galleria degli Uffizi).
della Maestà, Ultima cena, 1308-11,
tempera su tavola, 76x57 cm (Siena,
Museo dell’Opera del Duomo).
XIII
18
8
E. Tornaghi, La forza dell’immagine e Il linguaggio dell’arte. Seconda edizione – © Loescher editore, 2010.
LO SPAZIO NELL’ARTE
l’obliquità, ma per quest’ultima ha fatto riferimento a due sistemi tra loro in contraddizione. Per tale ragione il tavolo appare come un piano inclinato e non come un piano orizzontale
rispetto alle pareti e alle travi del soffitto. In questo modo Duccio è riuscito a rappresentare sia gli apostoli in primo piano sia
quelli dall’altro lato del tavolo senza sovrapporre gli uni agli altri, così come sarebbe accaduto utilizzando solo la convergenza delle linee verso l’asse centrale. Ha quindi rinunciato a una
rappresentazione più corretta dello spazio per raccontare con
maggiore chiarezza l’episodio.
2. L’artista ha fatto ricorso a un sistema di rappresentazione dello
spazio unico e coerente?
Giotto, pur non utilizzando un sistema scientifico e coerente
per rappresentare lo spazio, riesce a produrre un efficace effetto
visivo: grazie alla convergenza verso il centro delle linee oblique
del pulpito e del ciborio ottiene infatti una profondità credibile.
La presentazione al Tempio
di Ambrogio Lorenzetti
La tavola della Presentazione al Tempio fu dipinta nel 1342 dal
pittore senese Ambrogio Lorenzetti (fig. 21).
Il presepe di Greccio di Giotto
La scena affrescata da Giotto alla fine del XIII secolo, che rappresenta il presepe di Greccio – un episodio della vita di san
Francesco –, fa parte del ciclo decorativo della Basilica Superiore di Assisi (fig. 20).
1. Quali strumenti ha utilizzato il pittore per rappresentare la profondità dello spazio?
Nell’affresco di Giotto è il chiaroscuro a definire con nuovo vigore il volume delle figure, mentre la disposizione dei personaggi che si affollano nella chiesa contribuisce a creare un forte senso dello spazio. Ciò che suggerisce maggiormente la profondità è però l’architettura dipinta: in particolare, la croce inclinata ci lascia intuire uno spazio oltre la parete.
1. Quali strumenti ha utilizzato il pittore per rappresentare la profondità dello spazio?
Lo spazio è rappresentato grazie alla convergenza delle linee
ortogonali del pavimento rispetto a un unico punto, posto in
corrispondenza dell’asse centrale del dipinto. Anche il chiaroscuro conferisce alle figure vigorosi effetti plastici.
2. L’artista ha fatto ricorso a un sistema di rappresentazione dello
spazio unico e coerente?
L’artista è riuscito ad avvicinarsi con maggiore naturalismo alla rappresentazione sia dell’ambiente sia delle figure, ottenendo un insieme abbastanza coerente anche se ancora piuttosto
distante dalla nostra percezione della profondità.
20
20 Giotto, Il presepe di Greccio,
21 Ambrogio Lorenzetti,
1290-95, affresco, 270x230 cm
(Assisi, Basilica Superiore
di San Francesco).
La presentazione al Tempio, part.,
1342, tempera su tavola, 257x168 cm
(Firenze, Galleria degli Uffizi).
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Il nuovo interesse per la realtà
nelle sperimentazioni medievali
Durante i secoli XIII e XIV gli artisti, distaccandosi progressivamente dalla tradizione bizantina, cercarono di rappresentare la
realtà così come la vedevano. Essi studiarono in particolare il
modo di riprodurre nei dipinti la profondità dello spazio reale.
Partendo dal tradizionale sistema di rappresentazione frontale
dello spazio, determinato quasi unicamente dal chiaroscuro,
dalla sovrapposizione e dalla collocazione delle figure, gli artisti si resero conto – attraverso l’analisi della realtà – che i lati degli oggetti e le pareti apparivano inclinati e cercarono di riprodurre questa impressione utilizzando sistemi sempre diversi.
A volte i solidi geometrici che costituiscono gli edifici venivano disegnati con i lati tra loro paralleli, secondo un sistema definito assonometrico.
Altre volte si ricorreva alla convergenza delle linee tra loro
parallele. Ad esempio, nelle travi del soffitto di una stanza,
queste linee venivano disegnate inclinate verso un asse verticale immaginario interno al dipinto, in genere centrale, in
corrispondenza del quale le linee inclinate si riunivano a due
a due. Si creava così un sistema prospettico intuitivo, ossia
non scientifico-matematico, definito prospettiva a lisca di
pesce (fig. 22).
Nell’Ultima cena, come abbiamo visto, Duccio di Buoninsegna
ha utilizzato contemporaneamente la prospettiva a lisca di pesce e il sistema assonometrico.
I fratelli Lorenzetti, nel Trecento, giunsero a intuire e sperimentare anche la convergenza delle linee ortogonali verso un unico punto, osservazione che costituirà il fondamento della prospettiva quattrocentesca, ma non riuscirono a elaborare un sistema utile per individuare con precisione scientifica gli intervalli in profondità delle linee trasversali, ossia le linee parallele
a quelle orizzontali del dipinto. Infatti, nella Presentazione al
Tempio, il piano del pavimento appare ancora leggermente inclinato, mentre le volte del soffitto sembrano schiacciate: l’artista, benché avesse intuito che le linee inclinate s’incontrano in
un unico punto, non era riuscito a trovare un sistema scientifico per stabilire la profondità delle piastrelle e dello spazio tra le
colonne, individuandone unicamente la larghezza.
Proprio grazie a queste osservazioni e a questi esperimenti
pittorici che convissero per lungo tempo, Filippo Brunelleschi
riuscì, all’inizio del XV secolo, a elaborare un sistema scientifico di rappresentazione dello spazio chiamato prospettiva lineare, capace di riprodurre la tridimensionalità dello spazio
reale su una superficie piana secondo criteri scientifico-matematici che si avvicinano alla nostra visione della realtà.
22
22 Lo schema mostra
che le linee oblique
della prospettiva, quando
convergono verso l’asse
centrale del dipinto,
danno origine a uno
schema «a lisca di pesce».
23 Simone Martini,
Funerale di san Martino,
1317 circa, affresco, (Assisi,
Basilica Inferiore di
San Francesco). L’interno
della chiesa in cui si svolge
la scena è rappresentato
grazie alla convergenza
delle linee ortogonali
del soffitto verso
un unico punto.
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LO SPAZIO NELL’ARTE
Le sperimentazioni pittoriche effettuate dagli artisti del Duecento e del Trecento permettono inoltre di comprendere il
nuovo rapporto dell’uomo con la storia. Dall’interesse dominante per la trascendenza dimostrato dall’arte medievale si
passò nei secoli XIII e XIV, ossia appena prima del Rinascimento, a una maggiore attenzione per la realtà dei nuovi ceti
artigiano e mercantile, che si andavano via via affermando
nella società del tempo.
L’introduzione dell’ambientazione nei dipinti
Il nuovo interesse per la realtà e quindi per lo spazio si manifestò nella pittura attraverso la rappresentazione di figure poste in rapporto all’ambiente. La scena architettonica e il paesaggio entrarono così negli sfondi delle tavole dipinte, degli
affreschi e dei rilievi, in modo che i santi e i personaggi delle
storie sacre risultassero inseriti in un’ambientazione reale, terrena, perfettamente riconoscibile.
Le prime architetture e i primi paesaggi realmente “abitabili” dall’uomo sono quelli realizzati da Giotto e dagli artisti del
Trecento. Le scene architettoniche, organizzate come scenografie teatrali, sono generalmente trattate come scatole aperte
su un lato: esse permettono di mostrare all’osservatore tutti
gli elementi narrativi che sono necessari a conferire maggiore
verosimiglianza alla vicenda rappresentata (fig. 24). Gli sfondi vuoti, piatti e immateriali della tradizione bizantina e gotica vengono pertanto superati attraverso il ricorso all’ambientazione, nel tentativo di costruire uno spazio razionale intorno alle figure.
25
24 Ambrogio Lorenzetti, Effetti
del Buon Governo in città, 1337-39,
affresco, lungh. 7 m circa (Siena,
Palazzo Pubblico). È evidente
il tentativo di dare concretezza
e tridimensionalità agli edifici, che
però non hanno ancora proporzioni
corrette rispetto alle figure.
25 Giotto, Coretto, affresco,
1303-305 (Padova, Cappella
degli Scrovegni). Il finto coro
sembra sfondare la parete.
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La prospettiva lineare: un’innovazione rivoluzionaria
I pittori del Trecento avevano cercato di riprodurre la profondità dello spazio utilizzando una prospettiva intuitiva. All’inizio del Quattrocento
Filippo Brunelleschi, scultore e architetto fiorentino, ideò la prospettiva lineare, un metodo scientifico per rappresentare la terza dimensione in
modo simile alla visione del nostro occhio. Questa innovazione segnò la linea di confine tra la pittura del Medioevo e quella del Rinascimento.
26
26 Piero della
Francesca, Flagellazione
di Cristo, 1460 circa,
tempera su tavola,
58,4x81,5 cm (Urbino,
Galleria Nazionale delle
Marche).
27
27 L’architettura
28 Lo schema grafico
classica dipinta in
prospettiva suggerisce
un forte senso
di profondità.
riporta il punto di fuga,
le linee prospettiche
e gli assi di simmetria
delle figure.
28
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La Flagellazione di Cristo
di Piero della Francesca
La tavoletta, di dimensioni piuttosto ridotte, fu dipinta da Piero della Francesca, probabilmente attorno al 1460, per la corte
di Urbino. Il dipinto è composto da due scene distinte. Quella
posta in lontananza rappresenta la flagellazione di Cristo di
fronte a Pilato, mentre quella in primo piano, nonostante molti tentativi d’interpretazione, resta misteriosa: probabilmente
si riferisce a un episodio, di cui non è rimasto alcun documento, legato a vicende della famiglia del signore di Urbino (la
congiura e l’uccisione di Oddantonio, fratello del duca Federico di Montefeltro, tradito, come Cristo, da coloro che gli erano
vicini). I personaggi appaiono immobili e inespressivi. Persino
la figura di Cristo, legato alla colonna e flagellato, sembra
completamente distante dall’avvenimento. Non a caso Piero
della Francesca fu anche definito «l’inventore dell’indifferenza come espressione dominante dei personaggi» (André Castel), per il senso di immobilità e di distacco espresso dai protagonisti dei suoi dipinti. L’atmosfera della scena raffigurata
nella Flagellazione di Cristo trasmette infatti una surreale sensazione di silenzio e sospensione.
1. Quali elementi rendono misurabile lo spazio?
Le scene rappresentate inducono a credere che il quadro sia di
notevoli dimensioni. Ciò accade perché Piero della Francesca
riesce a rendere molto ampio lo spazio dipinto grazie alla padronanza della prospettiva lineare. Il senso della profondità è
suggerito principalmente dall’architettura classica resa in prospettiva (fig. 27). Le linee della pavimentazione, degli edifici e
delle cornici corrono tutte verso il punto di fuga, che si trova
molto vicino al centro del dipinto, a un terzo circa della sua altezza (fig. 28). La pavimentazione e il soffitto a riquadri hanno
la funzione di definire la profondità dello spazio dipinto e di
renderlo perciò misurabile. Le dimensioni delle piastrelle, che
diminuiscono progressivamente, permettono ad esempio di
individuare le diverse grandezze delle figure e di calcolare le
esatte proporzioni tra architettura e personaggi (fig. 29). Grazie alla prospettiva, quindi, le figure poste in lontananza assumono dimensioni più piccole, rigorosamente corrette rispetto
sia a quelle in primo piano, sia a quelle degli edifici, delle porte e delle colonne con cui sono in stretto rapporto.
2. Quali elementi sottolineano la suddivisione della scena in due parti?
Le due scene sono nettamente separate dalla notevole differenza tra le dimensioni delle tre figure poste in primo piano e quelle delle figure poste in lontananza, oltre che dalla colonna, che
suddivide in due rettangoli aurei la superficie del dipinto
(fig. 30). Nella sezione aurea di un segmento, il segmento intero sta al segmento maggiore come quest’ultimo sta al segmento
minore: in questo caso, se AB è la lunghezza del dipinto e C è il
punto in cui passa l’asse della colonna, il rapporto aureo si
esprime nella proporzione AB:AC=AC:CB. I rettangoli con base AC
e CB sono dunque diversi, ma stanno tra loro in rapporto aureo.
Grazie a tale proporzione la composizione pittorica esprime un
perfetto equilibrio, senza ricorrere al sistema della simmetria.
Inoltre, nelle due scene, la luce proviene da direzioni differenti: da destra quella della scena della flagellazione, da sinistra
quella della scena in primo piano. Le due parti del dipinto sono però visivamente unite dal comune impianto prospettico.
29 Ricostruzione
della scena della
Flagellazione di
Cristo vista dall’alto.
L’ambiente dipinto
con il sistema
scientifico della
prospettiva permette
di ricostruire
le dimensioni del
luogo in cui si svolge
la scena e l’esatta
posizione dei
personaggi.
A
C
B
30
30 Lo schema
grafico evidenzia la
suddivisione aurea
del quadro: il lato
di base del dipinto
(AB) è suddiviso
in due segmenti
disuguali (AC e CB),
ma tra loro in
proporzione aurea.
L’equilibrio
compositivo è
dunque determinato
dalla suddivisione
della superficie
in parti armoniche.
29
E. Tornaghi, La forza dell’immagine e Il linguaggio dell’arte. Seconda edizione – © Loescher editore, 2010.
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Risorse online Attraverso le opere d’arte
Piero della Francesca
Piero della Francesca nacque a Borgo San Sepolcro (Arezzo) tra il
1415 e il 1420 e vi morì nel 1492. Fu uno dei pittori più significativi
e originali del Quattrocento e operò una sintesi coerente e razionale delle ricerche compiute dagli artisti del primo Rinascimento. Si formò sulle opere dei pittori fiorentini (in particolare Masaccio, Beato Angelico,
Paolo Uccello e Domenico Veneziano), ma lavorò fuori Firenze, prevalentemente ad Arezzo, dove realizzò il ciclo di affreschi raffigurante le
storie della croce di Cristo, e a Urbino, alla corte del duca Federico da
Montefeltro, dove ebbe modo di conoscere la pittura fiamminga.
La sua opera si caratterizza per la grande coerenza delle composizioni, matematicamente ordinate dalle strutture geometriche della prospettiva centrale e dalle rigorose architetture classiche. La luminosità
dei colori, la presenza di luce alta e diffusa, la ricerca della perfezione
formale attraverso la semplificazione dei soggetti, studiati come solidi
geometrici, ben definiti dalla luce e proporzionati rispetto allo spazio
in cui sono inseriti, trasmettono un’idea di silenzio e di immobilità.
L’armonia e la proporzione dei dipinti di Piero della Francesca riflettono l’armonia e l’ordine divino che sono originariamente presenti nel
creato e che devono essere riprodotti dall’artista.
31 Piero della Francesca, Madonna di Senigallia,
1470-85, olio su carta riportata su tavola, 61x53,5 cm
(Urbino, Galleria Nazionale delle Marche).
31
Le funzioni della prospettiva lineare
32
32 Il disegno raffigura
una pavimentazione
costruita in base alla
prospettiva lineare.
Sulla linea di orizzonte
è posto il punto di fuga
delle linee ortogonali
e, spostato a destra,
quello delle linee
inclinate di 45°.
È proprio questa linea
obliqua a permetterci
di individuare con
precisione la profondità
delle piastrelle.
33 Domenico
Veneziano, Pala
di santa Lucia dei
Magnoli, part., 1445
circa, tempera su
tavola. L’attenzione
posta nella
rappresentazione
prospettica della
pavimentazione
indica la volontà di
rendere misurabile
lo spazio dipinto.
La prima fase del Rinascimento fu caratterizzata dalla necessità da parte degli artisti di teorizzare le loro ricerche individuando alcune norme che sono descritte nei numerosi trattati
tecnici del tempo. Piero della Francesca fu uno dei primi, insieme a Leon Battista Alberti e Brunelleschi, a elaborare la prospettiva con un metodo matematico-scientifico. Nel suo importante trattato De prospectiva pingendi (La prospettiva nella
pittura), scritto tra il 1480 e il 1490 e dedicato al duca di Urbino, intese dimostrare «quanto questa scientia [la prospettiva]
sia necessaria alla pictura». Egli spiega che la prospettiva non
è unicamente finalizzata alla rappresentazione dello spazio e
alla resa realistica della scena dipinta, ma anche a disegnare figure in scorcio prospettico, a definire con precisione le esatte
proporzioni dei vari elementi presenti nella scena (architetture, arredi o figure umane), mettendo in esatto rapporto gli elementi collocati in primo piano con quelli in lontananza.
Il punto di fuga era posto generalmente al centro del dipinto:
il pittore immaginava cioè di trovarsi di fronte alla parete di
fondo della stanza o alla facciata dell’edificio che doveva rappresentare. In questo modo la prospettiva contribuiva anche a
creare un ordine nella composizione, semplificandola, e a
conferire armonia e solennità all’insieme. La realtà rappresentata dall’artista permetteva così di manifestare anche l’esperienza del divino e la perfezione del mondo creato da Dio.
33
14
E. Tornaghi, La forza dell’immagine e Il linguaggio dell’arte. Seconda edizione – © Loescher editore, 2010.
LO SPAZIO NELL’ARTE
La prospettiva lineare organizza quindi l’immagine della realtà in un insieme ordinato e razionale, ponendo gli eventi rappresentati nello spazio naturale, fuori dal mondo astratto e
ieratico delle opere medievali. Il pittore del Quattrocento non
copia fedelmente la realtà, ma la ricostruisce razionalmente
tramite l’architettura dipinta in prospettiva, riportando ogni
elemento della composizione (figure e oggetti) a volumi geometrici regolari, anch’essi costruiti in relazione allo spazio
prospettico.
Il valore espressivo e simbolico della prospettiva
Nel Quattrocento la pittura ebbe grande sviluppo anche nelle
Fiandre, dove gli artisti volsero l’attenzione alla rappresentazione realistica dei loro soggetti. I fiamminghi riproducevano
con un’abilità tecnica straordinaria tutto ciò che vedevano senza tralasciare i dettagli più piccoli. Gli artisti italiani, al contrario, erano generalmente più portati per la descrizione sintetica
dei loro soggetti, e pertanto non si soffermavano sui particolari considerati poco importanti ai fini del racconto pittorico.
L’uso della prospettiva lineare si diffuse in tutta Europa nella
prima metà del Quattrocento, ma, mentre gli artisti italiani privilegiarono la prospettiva con il punto di fuga centrale, i fiamminghi e i tedeschi preferirono sperimentare soluzioni diver-
se, spostando lateralmente o in alto il punto di fuga (fig. 34).
Inoltre, la visione dello spazio e la sua rappresentazione non
erano considerati dagli artisti italiani come elementi soggettivi, ma oggettivi, poiché erano una conseguenza dell’applicazione di rigide regole matematiche (fig. 35). Come scrive lo
storico dell’arte Erwin Panofski, in Italia «fu sentito come essenziale il significato oggettivo [della prospettiva], qui [fuori
dall’Italia] quello soggettivo. Così un maestro profondamente
influenzato dalla pittura fiamminga come Antonello da Messina costruisce lo studio di san Girolamo con una notevole distanza, tanto che questo studio, come quasi tutti gli interni italiani, è in fondo piuttosto una costruzione vista dall’esterno
con la parete anteriore scoperta; inoltre egli fa cominciare lo
spazio con la superficie del quadro, anzi dietro di essa, e colloca il punto di fuga pressappoco nel centro. Dürer invece […] ci
mostra un vero “interno”, in cui noi ci sentiamo inclusi perché
il pavimento sembra continuare fin sotto i nostri piedi. […] La
posizione [laterale] del punto di vista [il punto di vista dell’artista coincide con il punto di fuga delle linee oblique] rafforza
l’impressione di una rappresentazione soggettiva». La prospettiva lineare fu quindi considerata dagli artisti italiani come
uno strumento utile per sistematizzare e razionalizzare il
mondo esterno.
34
34 Albrecht Dürer, San Girolamo
nello studio, 1514, incisione. Il punto
di fuga è laterale. L’ambiente sembra
continuare oltre i limiti dell’opera.
35
35 Antonello da Messina,
San Girolamo nello studio,
E. Tornaghi, La forza dell’immagine e Il linguaggio dell’arte. Seconda edizione – © Loescher editore, 2010.
1474 circa, olio su tavola, 46x36,5 cm
(Londra, National Gallery).
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La prospettiva, in conclusione, a seconda degli intenti espressivi e dei contenuti culturali che l’opera d’arte assumeva nell’ambito delle diverse culture, fu utilizzata dagli artisti per
creare una visione distaccata, ordinata e oggettiva della realtà
oppure una visione soggettiva dello spazio, apparentemente
casuale, che comprende l’osservatore.
ciano alcune figure che sembrano spiare all’interno della stanza. L’affresco riesce a ingannare chi si trova nell’ambiente, poiché il soffitto appare realmente sfondato, cioè aperto verso il
cielo (fig. 36). Grazie a questo effetto illusionistico, l’opera divenne un punto di riferimento per numerosi artisti del XV e XVI
secolo.
La prospettiva come inganno
dell’occhio
Benché questo fenomeno si sarebbe diffuso maggiormente
nei secoli successivi, già nel corso del Quattrocento furono
realizzate molte altre sperimentazioni sulla prospettiva, tese a
suggerire in modo illusionistico la profondità. Nel campo delle tarsie lignee, ad esempio, si ottennero effetti ottici molto audaci (fig. 37). Le tarsie venivano realizzate accostando l’una
all’altra varietà di legno dal diverso colore, dopo averle ridotte
in lamine e opportunamente sagomate.
La prospettiva si avvicina alla nostra visione della realtà, al
punto che un’immagine dipinta può ingannare l’occhio dell’osservatore e indurlo a credere che sia un oggetto reale.
Andrea Mantegna, pittore attivo soprattutto tra Padova e Mantova, verso la metà del Quattrocento utilizzò la prospettiva in
modo illusionistico. Nella Camera degli Sposi del Palazzo Ducale di Mantova – un ambiente di rappresentanza completamente affrescato dall’artista per Ludovico Gonzaga – il soffitto presenta un’apertura circolare dipinta, dalla quale si affac-
Anche gli architetti ricorsero alla prospettiva per illudere l’osservatore, come dimostra il coro realizzato da Bramante a Santa Maria presso San Satiro, a Milano (fig. 38). La chiesa, ricostruita nel 1480, ha una pianta a «T» perché l’area disponibile
36
36 Andrea Mantegna, oculo del
(Mantova, Palazzo Ducale).
È tra gli esempi più belli del gioco
tra spazio reale e spazio dipinto.
soffitto della Camera degli Sposi,
1465-74, affresco, diametro 2,70 m
16
37
37 Baccio Pontelli, tarsie lignee
nello studiolo del duca Federico da
Montefeltro, 1476 (Urbino, Palazzo
Ducale). Oggetti, mensole e ante
aperte sono riprodotte in modo
illusionistico.
E. Tornaghi, La forza dell’immagine e Il linguaggio dell’arte. Seconda edizione – © Loescher editore, 2010.
LO SPAZIO NELL’ARTE
per l’edificazione non permetteva la realizzazione del braccio
del coro alle spalle dell’altare. Bramante elaborò una soluzione originale, creando un finto coro con gli strumenti dell’illusionismo prospettico. In una profondità assai ridotta (inferiore al metro) l’artista ha creato una finta volta a botte del tutto
simile a quella degli altri bracci della chiesa. Con questo accorgimento Bramante è riuscito a dare equilibrio agli spazi dell’edificio.
La prospettiva aerea elaborata
da Leonardo da Vinci
La prospettiva lineare si basa, come abbiamo visto, sulla diminuzione delle grandezze in relazione alla distanza e sulla convergenza delle linee ortogonali verso il punto di fuga. Ma, intorno alla fine del Quattrocento, allo scopo di ottenere una resa
più efficace della profondità dello spazio e dunque di integrare
la prospettiva lineare, Leonardo da Vinci elaborò la cosiddetta
prospettiva aerea.
In base a molte osservazioni e alle sue ricerche pittoriche, Leonardo sosteneva che si può cogliere la distanza tra le cose grazie
alla massa d’aria che si frappone tra esse e il nostro occhio, e portava come esempio le montagne in lontananza, che alla vista appaiono azzurre, quasi avessero il colore dell’aria che sta loro davanti. Se sopra di noi e nelle vicinanze il cielo appare limpido,
per i pochi strati di aria che il nostro sguardo deve attraversare,
nelle zone più remote del paesaggio il cielo sembra invece bianco a causa del maggiore spessore dei vapori atmosferici.
Pertanto, secondo Leonardo, occorreva integrare la prospettiva
lineare con quella aerea schiarendo i colori e sfumando i
contorni degli oggetti più lontani, in modo da riprodurre l’effetto della foschia che satura lo spazio fra le cose. A tale fine egli utilizzava la tecnica pittorica dello sfumato, che attraverso a una serie di velature rende indefiniti i contorni e sbiadisce i colori.
L’interesse di Leonardo per la prospettiva aerea aveva anche un
significato filosofico, in quanto, attraverso il ciclo delle acque
che evaporano per scendere nuovamente sulla terra, l’artista intendeva rappresentare l’eterno divenire della natura (fig. 39).
38
38 Donato Bramante, coro
di Santa Maria presso San Satiro,
1482-86 (Milano). L’architetto
ha realizzato dietro l’altare
un finto coro prospettico in stucco
dipinto. Chi entra nella chiesa
si rende conto dell’inganno solo
avvicinandosi lateralmente all’altare.
Ponendosi di fronte ad esso
l’illusione è invece perfetta.
39
39 Leonardo da Vinci,
Annunciazione, part., 1472-75,
olio su tela, 98x217 cm (Firenze,
Galleria degli Uffizi). I paesaggi
di Leonardo erano vere e proprie
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riflessioni filosofico-scientifiche
sul ciclo delle acque e sulla
trasformazione degli elementi:
si trattava di costruzioni
intellettuali.
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La ricerca di uno spazio infinito e illusorio nell’arte barocca
Nel periodo barocco si sviluppò la pittura illusionistica, un genere che cercava di rappresentare sui soffitti di chiese e palazzi uno spazio illusorio, infinito. Nelle volte affrescate delle chiese venivano generalmente raffigurati santi nell’atto di salire miracolosamente in cielo.
40 Andrea Pozzo, Apoteosi
di sant’Ignazio, 1691-94, affresco
(Roma, chiesa di Sant’Ignazio).
Sul pavimento della chiesa, un disco
indica il punto esatto in cui l’illusione
ottica creata dalla prospettiva è perfetta.
40
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LO SPAZIO NELL’ARTE
L’Apoteosi di sant’Ignazio
di Andrea Pozzo
L’Apoteosi di sant’Ignazio è un dipinto realizzato tra il 1691 e il
1694 da Andrea Pozzo (1642-1709). L’affresco ricopre l’intera
volta della chiesa edificata dai Gesuiti a Roma.
ne. Le dimensioni dei vari elementi si riducono a mano a mano che ci si avvicina al centro dell’affresco, per sottolinearne la
lontananza sempre maggiore. Chi osserva il soffitto si sente attirato nello spazio divino in cui si manifesta il miracolo.
1. È possibile distinguere il confine tra architettura reale e architettura dipinta?
Nella realizzazione dell’Apoteosi di sant’Ignazio Pozzo è riuscito
a nascondere il confine tra l’architettura reale e quella dipinta
(fig. 41a), rendendo così credibile la grandiosa visione raffigurata nell’affresco. L’artista ha inoltre creato una continuità tra
l’architettura dipinta e lo spazio aperto del cielo.
3. Vi è un rapporto tra la profondità dello spazio e l’uso della luce e
dell’ombra?
La luce diventa più intensa nella parte centrale della composizione, quella che raffigura la zona più lontana, con lo scopo
di conferire alla scena un carattere eccezionale, miracoloso
(fig. 41b). Le aree dell’affresco più vicine all’osservatore sono
caratterizzate da un chiaroscuro deciso, mentre quelle più distanti sono dominate da un’intensa luminosità, che annulla le
ombre e rappresenta simbolicamente il mondo ultraterreno.
2. Quale funzione ha la prospettiva lineare in quest’opera?
La prospettiva è qui utilizzata per rappresentare non lo spazio
reale, ma uno spazio immaginario. Gli elementi architettonici
(colonne, archi e cornici), le figure umane, le nuvole sono dipinti in scorcio prospettico al fine di sfondare in modo illusorio il limite dell’architettura reale, creando uno spazio senza fi-
4. Che cosa conferisce dinamismo alla composizione?
Il dipinto suggerisce un forte senso di dinamismo, perché lo
sguardo di chi l’osserva è guidato verso il centro dalle linee
oblique della prospettiva e dalla grande spirale determinata dai
gruppi di figure all’interno della composizione (fig. 42). L’osservatore ha così l’impressione lasciare lo spazio terreno.
41a
41 Due particolari
dell'Apoteosi di
sant’Ignazio. Nella
figura a è riprodotta
la base della volta,
dove finisce
l’architettura reale
e comincia quella
dipinta; la figura b
mostra il centro
dell’opera, dove
Ignazio, a braccia
aperte, riceve la luce
da Cristo.
42
42 Lo schema mostra
la spirale secondo
cui sono state disposte
le figure nella scena
e individua il punto di
fuga della prospettiva,
che coincide
simbolicamente
con la figura di Cristo.
41b
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Il significato iconografico dell’opera
Nel centro geometrico della composizione, che coincide con il
punto di fuga verso cui convergono le linee verticali della
struttura architettonica dipinta, è collocata la figura di Cristo,
facilmente individuabile grazie alla presenza della croce.
Andrea Pozzo ci ha lasciato una descrizione della sua opera:
«Nel mezzo della volta dipinsi un’immagine di Gesù, il qual
communica un raggio di luce al cuor di Ignazio, che poi vien
da esso trasmesso alli seni più riposti delle quattro parti del
Mondo». Dalla figura di Cristo parte quindi un raggio di luce,
simbolo della fede, che va a colpire il petto di sant’Ignazio; il
suo cuore riflette il raggio di luce in quattro direzioni diverse,
fino a incontrare la personificazione dei quattro continenti,
individuabili grazie a iscrizioni poste entro scudi. Il dipinto,
realizzato per ordine dei Gesuiti, intende in questo modo celebrare la Chiesa cattolica trionfante, ma soprattutto la figura
del fondatore del loro ordine.
Numerosissime sono le altre figurazioni simboliche presenti
nel grande affresco che, per la loro complessità, solo il pubblico più colto e teologicamente preparato era in grado di comprendere. La maggior parte dei fedeli riusciva a cogliere unicamente il messaggio fondamentale dell’opera (la celebrazione
della Chiesa cattolica e del santo), che attraverso la sua spazialità coinvolgente poneva il pubblico emotivamente vicino alla vicenda rappresentata.
Spazio immaginario e celebrazione
della gloria
Nel Rinascimento la prospettiva aveva la funzione di ordinare
la composizione e rappresentare uno spazio semplice e misurabile. Nell’età barocca la prospettiva venne invece utilizzata
per suggerire uno spazio immaginario senza confini, in cui i
limiti del reale erano annullati attraverso il dinamismo e la
teatralità dell’insieme.
Quando le scoperte scientifiche non permisero più all’uomo di
avere certezze relative all’ordine in cui fino ad allora erano stati gerarchicamente ricondotti tutti i fenomeni della realtà, lo
spettacolo della natura cominciò ad essere considerato in perenne mutamento e venne rappresentato dagli artisti con composizioni di grande dinamismo. Anche l’interesse per uno
spazio infinito derivava in buona parte dalle scoperte astronomiche del tempo che, come sosteneva Galileo Galilei, avevano
ampliato i confini dell’universo fino ad allora conosciuto.
43 Pietro da Cortona,
Il trionfo della Divina
Provvidenza, 1633-39,
affresco (Roma,
Palazzo Barberini).
In epoca barocca
erano diffusi nelle
chiese, nei palazzi
e nelle regge, i soffitti
dipinti con sfondati
prospettici che
raffigurano uno spazio
dilatato all’infinito.
43
20
E. Tornaghi, La forza dell’immagine e Il linguaggio dell’arte. Seconda edizione – © Loescher editore, 2010.
LO SPAZIO NELL’ARTE
La nuova spazialità delle opere barocche era anche il sintomo
di un diverso modo di vedere la religione e il rapporto con Dio,
inteso come un’esperienza mistica ed emotivamente coinvolgente, in cui il sacro si rivela attraverso le apparizioni e i miracoli rappresentati nelle opere d’arte. In questo modo l’edificio di
culto e le sue grandi decorazioni diventarono vere e proprie
proiezioni del “cielo” in terra. La pittura illusionistica, che intendeva trasportare il fedele nello spazio dell’apparizione miracolosa avvicinandolo a Dio, divenne per la Chiesa uno strumento di propaganda religiosa, poiché rappresentava in modo spettacolare la gloria di Dio, dei santi e della Chiesa stessa (fig. 43).
Nella pittura la spazialità illusionistica e teatrale venne utilizzata fino alla metà del Settecento anche per celebrare la gloria
e il potere dei monarchi europei.
La specializzazione del lavoro
nelle grandi decorazioni barocche
Nel corso del Seicento si verificò, in particolare nella realizzazione delle grandi volte affrescate, il fenomeno della specializzazione degli artisti. L’artista responsabile del progetto era in-
fatti affiancato da quadraturisti (ossia pittori esperti in architetture dipinte in prospettiva), da decoratori specializzati in cornici e ghirlande e da pittori di figure. In genere gli artisti diretti
dal responsabile del progetto collaboravano alla realizzazione
dell’affresco limitatamente all’ambito della loro specializzazione. Spesso tali professioni erano trasmesse di padre in figlio, altre volte erano praticate da un unico artista. Particolarmente
importanti erano i pittori di «quadrature», perché dalla loro
abilità dipendeva il grado di illusionismo spaziale del dipinto.
Per la chiesa di Sant’Ignazio, a Roma, Andrea Pozzo dipinse su
tela una grande cupola, che venne collocata sopra il cornicione della volta per nasconderne il vero soffitto. La cupola appare perfettamente reale se la si osserva dalla navata centrale. Avvicinandosi all’altare, invece, si percepisce l’inganno creato dal
pittore e dai suoi quadraturisti per mezzo degli elementi architettonici dipinti in prospettiva sulla superficie orizzontale della tela (fig. 44).
In questo contesto gli scenografi teatrali e i quadraturisti, insieme agli insegnanti delle accademie d’arte e ai pittori, gareggiavano nell’invenzione di soluzioni prospettiche sempre più
complesse, sorprendenti e curiose.
44
44 Andrea Pozzo, finta
45 Giambattista
cupola, XVII secolo, olio
su tela (Roma, chiesa
di Sant’Ignazio). La
tela, che nasconde la
volta della cupola, crea
un’illusione perfetta.
Negli ultimi anni
del XVII secolo Pozzo
riassunse le proprie
teorie sulla prospettiva
in un trattato che ebbe
grande diffusione.
Tiepolo, L’incontro
tra Antonio e Cleopatra,
1746-47, affresco
(Venezia, Palazzo
Labia).
45
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La frantumazione cubista dello spazio prospettico
Il Cubismo rivoluzionò il modo di rappresentare la tridimensionalità dello spazio, rompendo in modo definitivo con la prospettiva in uso dal
Rinascimento. Gli oggetti sono raffigurati mediante un processo di scomposizione teso a mostrarli da più punti di vista differenti.
46b
46 (a) Georges Braque, Violino e brocca,
1909-10, olio su tela, 117x73,5 (Basilea, Offentliche
Kunstsammlung). Nel disegno ricostruttivo della
figura b sono evidenziati con linee rosse gli oggetti
riconoscibili nel dipinto di Braque.
46a
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LO SPAZIO NELL’ARTE
Violino e brocca di Georges Braque
Lo spazio vuoto tra gli oggetti
Il pittore francese Georges Braque, nella fase cubista, dipinse a
olio su tela la natura morta intitolata Violino e brocca.
L’opera di Georges Braque (1882-1963) fu costantemente caratterizzata, anche dopo la fase cubista, dalla problematica
della rappresentazione dell’oggetto nello spazio e dello spazio vuoto tra gli oggetti. Dopo il conflitto mondiale, in cui
rimase gravemente ferito, l’artista si allontanò dal rigoroso
geometrismo tipico della fase cubista, ma mantenne vivo il
suo interesse per la rappresentazione dello spazio. È lo stesso
Braque a descriverlo nei suoi scritti: parlando degli oggetti
rappresentati in un suo dipinto, afferma di aver dedicato la
medesima attenzione alla rappresentazione dello spazio vuoto presente tra essi, che è diventato a sua volta soggetto del
dipinto.
La frantumazione dello spazio prospettico, utilizzato nella
pittura dal Rinascimento in poi, determina la sensazione che
gli oggetti non siano disposti nello spazio, ma che siano essi
stessi e i mille piani che li suddividono a creare lo spazio. La
rappresentazione cubista dello spazio è del tutto rivoluzionaria, perché lo spazio vuoto sembra non esistere, in quanto tutto è portato in primo piano e gli oggetti sembrano compenetrarsi tra loro e con gli elementi dello sfondo.
1. Che cosa rappresenta il dipinto?
Il dipinto sembra a prima vista incomprensibile, eppure, osservandolo attentamente, emergono dalla sua superficie alcuni oggetti noti che il pittore ha attentamente studiato e riprodotto frammentandoli e scomponendoli. Al centro riconosciamo una brocca; più in basso, sulla destra, è rappresentato un
violino; in alto, al centro, un chiodo che, conficcato nella parete, trattiene alcuni fogli; poco sotto, un foglio più grande
con un angolo piegato; infine, a destra, sulla parete, una cornice decorativa orizzontale.
2. Come sono disposti gli oggetti nello spazio?
I rapporti spaziali tra gli oggetti sono illogici. Il piano orizzontale su cui è appoggiata la brocca è, ad esempio, rappresentato
in posizione verticale dietro l’oggetto, mentre il violino in primo piano pare addirittura dissolversi e diventare tutt’uno con
lo sfondo.
3. Qual è il ruolo della luce e dell’ombra?
La luce sembra provenire da più direzioni: il chiaroscuro è infatti utilizzato liberamente per dare tridimensionalità ai molti piani che frantumano gli oggetti e lo spazio vuoto dello sfondo.
4. Quale gamma cromatica è stata scelta dall’artista?
I colori intensi e luminosi sono esclusi dal dipinto, che è composto unicamente da bruni e grigi per non distrarre l’attenzione
dell’osservatore dagli aspetti formali e compositivi dell’opera.
La ricerca della quarta dimensione
I cubisti affermavano che, per conoscere a fondo la realtà, era
necessario indagarla con la propria mente, andando oltre
l’apparenza delle cose. Essi sostenevano infatti che ognuno di
noi possiede una visione mentale degli oggetti, ossia la visione che si forma nella nostra mente unendo i diversi punti di
47 Nelle immagini sono riprodotti
alcuni particolari del dipinto di
Braque: nella figura a la brocca,
nella figura b il violino, in c il foglio
con un angolo piegato e il chiodo
nella parete.
47a
47b
47c
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Risorse online Attraverso le opere d’arte
vista. I cubisti cercarono quindi di riprodurre questa visione
mentale, rappresentando ogni oggetto contemporaneamente
da più punti di vista, creando quella che essi chiamarono la
visione simultanea.
I cubisti superarono la visione prospettica tradizionale, che
prevedeva un solo punto di vista all’interno del dipinto e tre dimensioni (altezza, larghezza e profondità), e introdussero quella che definirono la «quarta dimensione», che implicava oltre
alla fusione delle tre dimensioni anche il concetto di tempo.
Infatti la visione simultanea di tanti punti di vista contiene in
sé il tempo indispensabile al pittore per studiare e scomporre
l’oggetto e alla nostra mente per ricostruirlo (fig. 48).
I pittori cubisti rappresentano nelle loro opere quella che potremmo definire la nostra immagine mentale della realtà,
che riassume tutti gli aspetti del soggetto raffigurato e non lo
rappresenta solo da un particolare punto di vista. In tal modo
impongono agli osservatori di andare oltre l’apparenza delle
cose, per comprendere più a fondo la realtà e cogliere l’idea di
un complesso spazio-temporale infinito.
I cubisti tuttavia non giunsero mai fino all’astrazione e furono
sempre attenti a non allontanarsi troppo da quanto vedevano
intorno a loro, proprio per permettere agli osservatori di ricostruire il processo mentale che aveva guidato l’artista nella
creazione del dipinto.
Queste opere così concettuali crearono molte difficoltà al
pubblico del tempo, che non riuscì a capire e ad apprezzare un
simile tipo di pittura.
a
c
b
e
f
Le ricerche relative allo spazio e al tempo condotte dai cubisti
non sono il frutto di isolate teorie artistiche, ma si collegano
alle ricerche scientifiche intraprese in quegli anni da scienziati e intellettuali in vari campi del sapere. Particolarmente importante fu a questo proposito la teoria della relatività elaborata dal fisico Albert Einstein, secondo la quale lo spazio e il
tempo non possono essere considerati come entità distinte,
autonome e indipendenti l’una dall’altra. Nella complessa teoria di Einstein spazio e tempo vengono unificati in un insieme
quadridimensionale. La realtà era insomma da considerare come qualcosa di difficilmente definibile per gli infiniti aspetti
che di volta in volta possono esserne considerati, qualcosa in
continua evoluzione che si modifica in relazione al punto di
osservazione, esattamente come nella pittura cubista.
Il Cubismo
Il Cubismo è stato il movimento artistico d’avanguardia che ha
compiuto la più importante rivoluzione dell’arte del Novecento: ha modificato il modo di vedere e di rappresentare la realtà,
rompendo definitivamente con la tradizione ottocentesca.
Il Cubismo nacque a Parigi intorno al 1906-907, grazie alle ricerche di due pittori, Pablo Picasso e Georges Braque. A loro si
unirono poi altri artisti, quali Juan Gris, Le Corbusier e Fernand Léger.
Il termine «cubismo», coniato dalla critica del tempo con un
significato dispregiativo, fu accettato per sfida dagli artisti del
d
g
48
48 Di un normale bicchiere noi non
49 Georges Braque, Candeliere
conosciamo solo ciò che vediamo
da un unico punto di vista, ma ne
cogliamo la forma circolare dell’orlo,
lo spessore del vetro e le molteplici
forme che assume se lo osserviamo
da punti di vista differenti (disegni
a-e). Nelle opere dei pittori cubisti
è raffigurata la nostra «immagine
mentale», che riassume tutti i punti
di vista in un’unica raffigurazione
dell’oggetto. Il disegno f mostra
una delle fasi di sovrapposizione
dei diversi punti di vista; il disegno g
presenta la composizione finita.
e carte da gioco sulla tavola, 1910,
olio su tela, 65,1x54,3 cm (New York,
Metropolitan Museum of Art).
49
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E. Tornaghi, La forza dell’immagine e Il linguaggio dell’arte. Seconda edizione – © Loescher editore, 2010.
LO SPAZIO NELL’ARTE
gruppo. Questi tendevano a rappresentare la realtà riducendo
tutto a forme essenziali simili a cubi, riprendendo sia le ricerche di Cézanne, sia le forme semplici dell’arte africana. Obiettivo primario dei cubisti non era la rappresentazione di ciò che
essi vedevano nella realtà come facevano gli impressionisti, né
la rappresentazione di ciò che essi sentivano, proiettando la loro interiorità sulla realtà secondo le teorie espressioniste, ma
era piuttosto il tentativo di rappresentare ciò che essi conoscevano della realtà secondo princìpi di carattere razionale. L’oggetto osservato veniva rappresentato dai cubisti contemporaneamente da diversi punti di vista, sovrapponendo, accostando, incastrando le varie facce dell’oggetto, in modo da giungere a una raffigurazione più precisa e completa rispetto a quella
tradizionale. Al fine di lasciare spazio alla forma e al volume vigoroso e possente, persero importanza il colore (la tavolozza si
ridusse ai grigi e ai bruni) e l’atmosfera, mentre tutti i soggetti
venivano geometrizzati.
50
Il Cubismo attraversò tre diverse fasi: il Cubismo originario
(1907-909), caratterizzato dalla rappresentazione della realtà
secondo volumi semplificati (fig. 50); il Cubismo analitico
(1909-12), caratterizzato dalla scomposizione e ricomposizione simultanea dei soggetti del dipinto (fig. 51); il Cubismo
sintetico (1912-16 circa), caratterizzato da una maggiore bidimensionalità degli oggetti e da una semplificazione delle composizioni (fig. 52). Negli anni seguenti molti altri movimenti
proseguirono in direzioni diverse le ricerche cubiste.
50 Pablo Picasso,
Fabbrica di mattoni
a Horta de Ebro, 1909,
olio su tela, 50,7x60,2
cm (San Pietroburgo,
Museo dell'Hermitage).
51 Pablo Picasso,
52 Georges Braque,
Natura morta
spagnola, 1912,
olio su tela
(Coll. privata).
Aria di Bach, 1912-13,
carboncino e collage
su carta (Parigi,
Coll. privata).
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E. Tornaghi, La forza dell’immagine e Il linguaggio dell’arte. Seconda edizione – © Loescher editore, 2010.
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Risorse online Attraverso le opere d’arte
Le teorie cubiste esposte dallo scrittore francese
Guillaume Apollinaire
Guillaume Apollinaire (1880-1918), celebre poeta, scrittore e
critico d’arte francese, sostenne diversi gruppi d’avanguardia e
fiancheggiò anche la rivoluzione compiuta dai cubisti. Nel suo
celebre testo I pittori cubisti troviamo scritto: «Il Cubismo si differenzia dall’antica pittura perché non è arte d’imitazione, ma
di pensiero, che tende a elevarsi fino alla creazione. Rappresentando la realtà-concepita e la realtà-creata, il pittore può dare
l’apparenza delle tre dimensioni, può in un certo modo cubicizzare. Egli non potrebbe farlo, rendendo semplicemente la realtà-vista, a meno di fare del trompe l’oeil [pittura capace di indurre l’osservatore a scambiare l’immagine raffigurata per la
realtà] in scorcio o in prospettiva, il che deformerebbe la qualità della forma concepita o creata». Secondo Apollinaire la prospettiva è quindi considerata dai pittori cubisti come un elemento che può solo alterare la forma concepita dalla mente
dell’artista e che pertanto deve essere superata dal nuovo sistema di rappresentazione dello spazio.
Tra il 1911 e il 1912 Apollinaire ha anche dato una definizione
della quarta dimensione: «Sinora le tre dimensioni della geometria euclidea hanno soddisfatto l’inquietudine che il sentimento dell’infinito suscita nei grandi artisti. I nuovi pittori
non si sono certo proposti, più degli antichi, di essere geometri.
Ma si può dire che la geometria è per le arti plastiche ciò che la
grammatica è per l’arte dello scrittore. Oggi gli scienziati non si
attengono più alle tre dimensioni euclidee. pittori sono stati
portati naturalmente, e per così dire intuitivamente, a preoccuparsi delle nuove possibilità di misurare lo spazio, che nel linguaggio figurativo dei moderni sono indicate con il termine
“quarta dimensione”. Considerata dal punto di vista plastico, la
quarta dimensione sarebbe generata dalle tre dimensioni conosciute: essa rappresenta l’immensità dello spazio che si eterna in tutte le direzioni in un momento determinato. È lo spazio stesso, la dimensione dell’infinito».
L’invenzione del collage
I cubisti utilizzarono tecniche pittoriche tradizionali fino al
1912, anno in cui inventarono la tecnica del collage, che consiste nell’incollare sulla superficie del dipinto frammenti di manifesti, fotografie, quotidiani, tessuti, sottili strati di legno o di
metallo (fig. 53). Questi elementi erano utilizzati come forme
e toni di colore su cui era possibile intervenire con le tecniche
pittoriche tradizionali. In questo modo alcuni oggetti reali
entrarono a far parte del dipinto, legando più strettamente l’opera alla realtà: ad esempio, la pagina di un giornale, anziché essere dipinta, veniva incollata sulla tela.
Con questa tecnica, i cubisti intesero sottolineare anche l’assoluta libertà dell’artista nell’uso dei mezzi espressivi.
L’utilizzo di materiali presi dal mondo esterno, introdotto dai
cubisti, interessò molti artisti del Novecento, come i dadaisti,
che giunsero a realizzare intere sculture solo con oggetti o a
proporre come opere d’arte banali utensili prodotti in serie.
53 Pablo Picasso, Natura morta
con sedia impagliata, 1912, olio e
tela cerata su tela, 29x37 cm (Parigi,
Musée Picasso). La rappresentazione
della sedia impagliata è sostituita
da un frammento di tela cerata
stampata, incollato al dipinto secondo
la tecnica del collage. In quest’opera
l’artista ha voluto dare una visione
simultanea (da più punti di vista
contemporaneamente) di alcuni
oggetti posti sul tavolino di un caffè
e di una sedia. Sul piano del tavolo
si trovano un giornale ripiegato, un
bicchiere, una pipa, un coltello da
cucina, mezzo limone e una conchiglia.
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E. Tornaghi, La forza dell’immagine e Il linguaggio dell’arte. Seconda edizione – © Loescher editore, 2010.
Referenze iconografiche
p.1: (bs) Fondazione Lucio Fontana, Milano; (cd) E.Castellani; p.2:
(as) © Scala, Firenze - su concessione Ministero Beni e Attività Culturali; (bs) © Werner Forman Archive / Scala, Firenze; (bd) © Scala, Firenze / S.Maria in Trastevere, Roma; p.3: (ad) © Scala, Firenze
/ Chiesa dei Gesuiti, Venezia; (bs) M.C. Escher Foundation; (bc) ©
G.Braque / by SIAE, Roma, 2010; (bd) © J.Albers / by SIAE, Roma
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Vitale, Ravenna; p.6: Mausoleo di Galla Placidia, Ravenna; p.7: (ac)
San Lorenzo fuori le mura, Roma; (bs) © Scala, Firenze su concessione Ministero Beni e Attività Culturali; (bd) Mausoleo di Galla
Placidia, Ravenna / De Agostini; p.8: (bs) © Foto Scala, Firenze su
concessione Ministero Beni e Attività Culturali / Galleria degli Uffizi , Firenze; (bd) Museo dell'Opera del Duomo, Siena / Electa,
1999; p.9: (bs) Basilica superiore di San Francesco, Assisi; (bd) © Foto Scala, Firenze su concessione Ministero Beni e Attività Culturali / Galleria degli Uffizi , Firenze; p.10: Basilica Inferiore di San
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G.Braque / by SIAE, Roma 2010;
© Loescher Editore S.r.l. – 2010
Realizzazione editoriale: Vittoria Napoletano, Coming Book Studio Editoriale, Novara
Redattore responsabile: Maria Alessandra Montagnani
Ricerca iconografica: Manuela Mazzucchetti, Giorgio Evangelisti
Fotolito: Graphic Center, Torino
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