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INDICE - Regione Veneto
INDICE 1. INTRODUZIONE 2. OROGRAFIA 3. CATATTERISTICHE DEL TERRITORIO 4. VIABILITA’ 5. QUADRO STORICO 6. IPOTESI DI VALORIZZAZIONE FUTURA 1 1. INTRODUZIONE La Comunità Montana "Alto Astico e Posina" raggruppa nove comuni: Arsiero, dove ha sede l'Ente, Cogollo del Cengio, Laghi, Lastebasse, Pedemonte, Posina, Tonezza del Cimone, Valdastico e Velo d'Astico, la cui popolazione residente, censita alla fine del 1992, assomma in totale a 12.884 persone. Il territorio della Comunità Montana ha un'estensione complessiva di 234,64 chilometri quadrati, dei quali 175,68 sono a bosco; la sua altitudine sul livello del mare varia dai 240 metri circa della pianura meridionale di Cogollo del Cengio ai 2084 metri del monte Zenevri (Corno del Pasubio). Confina a sud con la Comunità Montana "Leogra - Timonchio" di Schio, ad ovest e a nord con la Provincia Autonoma di Trento, a est con la Comunità Montana "Altipiano Sette Comuni" di Asiago e con quella "Dall'Astico al Brenta" di Breganze. 2. OROGRAFIA Il territorio della Comunità Montana "Alto Astico e Posina" è formato, per oltre il 75% della sua estensione, da un complesso montuoso costituito dalla propaggine orientale dell'altopiano di Folgaria, ed è delimitato a nord e ad est dalla Valle dell'Astico, che scende da Busatti, inizialmente stretta ed incassata fra versanti ripidi ed impervi, spesso interrotti da dirupi e da lunghe pareti strapiombanti di roccia, ed intagliati da canaloni laterali e profonde forre. S'allarga a Casotto, dove s'innesta da sinistra la Val Torra, e si rifà stretta e con fianchi quasi verticali sotto Valdastico e fino allo sbocco nella conca di Arsiero, con un breve slargo dopo Pedescala, alla confluenza da est dell'ampia e incassata Val d'Assa. Il fianco destro dell'alta Val d'Astico si erge ripido e malagevole fino a circa 1400 metri di quota, delimitando a nord i pascoli e i boschi di conifere dell'altopiano di Fiorentini, che si eleva gradualmente con leggera pendenza in direzione sud, verso la dorsale montuosa principale che unisce Costa d'Agra, il monte Campomolon e lo Spitz di Tonezza, costituendo l'ossatura principale che attraversa il centro dell'area da ovest ad est, dalla quale digradano in direzione nord contrafforti allungati e di quota inferiore, disposti l'uno parallelo all'altro. La parte sud-occidentale del territorio include un enorme incavo di forma grossolanamente circolare, nel quale convergono numerosi canaloni che divallano ripidi dal displuvio della dorsale principale e dagli altri pendii che circoscrivono la conca, delimitata a 2 nord dal ciglio dirupato della piana dei Campiluzzi, ad ovest dal massiccio del Pasubio, a sud dal crinale che congiunge Bocchetta Campiglia a Monte Alba, Monte Cogolo, Cima Alta e Monte Priaforà, il cui contrafforte nord-est la chiude a levante, collegandosi alla cresta che dal Colle di San Rocco sale al Monte Cavioio e continua fino al Cimone, vertice meridionale dell'altopiano di Tonezza, che domina il conoide detritico di Arsiero, digradante a sud-est verso la piana di Cogollo del Cengio. Principale elemento del sistema idrografico di questo bacino sud-occidentale è la Val Posina, che ha origine al Passo della Borcola, al limite nord-ovest del territorio della Comunità Montana, e si dirige a est nel tratto inferiore, raccogliendo nel suo invaso le acque delle valli tributarie di Laghi, di Tovo e di Riofreddo che vi confluiscono da sinistra, aumentando la portata del torrente Posina, che erompe dalla stretta degli Stancari e si getta nell'Astico a Seghe di Velo, a sud di Arsiero. 3. CARATTERISTICHE DEL TERRITORIO Un tempo, i fianchi meno impervi delle vallate principali erano coltivati fino a quote elevate, come dimostrano i numerosi terrazzamenti ricavati con muri a secco esistenti tuttora, ma ormai quest'attività non remunerativa è stata abbandonata da decenni, e i boschi di latifoglie si sono estesi ovunque, occupando tutti i pendii dei monti e scendendo fino ai margini dei fondovalle. Mantengono le loro caratteristiche originarie i pascoli dell'altopiano di Fiorentini e delle Zolle, e dell'ampia valle di Campoluzzo, tuttora usati dagli allevatori della pianura per l'alpeggio estivo del loro bestiame; come pure i pendii dei monti più elevati, la cui parte superiore si trova oltre il limite della vegetazione d'alto fusto, e sui versanti rivolti a nord hanno boschi di conifere, meno invasivi. Anche l'altopiano di Tonezza conserva ancora vaste estensioni a prato, sia pur in uno stato di degrado progressivamente più accentuato perché lo sfalcio dell'erba non si fa più, essendo stato abbandonato l'allevamento del bestiame nella zona; e sempre più minacciate dall'invadenza del bosco di latifoglie, che s'allarga occupando i margini dei terreni incolti. L'altopiano di Cavallaro, che è situato a quota inferiore, dopo un paio di decenni d'abbandono è stato in gran parte coperto da vegetazione infestante di nocciolo selvatico. Le piane alluvionali formatesi sul fondo delle vallate maggiori sono ancora mantenute a prato e sfalciate dai pochi residenti che si dedicano all'allevamento di bovini da latte, facendolo come seconda occupazione, per integrare il reddito ricavato dal lavoro nelle 3 industrie locali. Poiché il fieno prodotto eccede i bisogni dei pochi allevamenti locali, che inoltre sono in graduale diminuzione per l'invecchiamento degli agricoltori ancora in attività e per gli impedimenti causati dall'eccessiva frammentazione delle proprietà, anche questi prati saranno destinati ad un progressivo abbandono. L'attività agricola e d'allevamento del bestiame sono ancora remunerative e praticate più diffusamente nelle campagne di Cogollo e di Velo d'Astico, situate nella parte sudorientale del territorio della Comunità Montana, dove il terreno più pianeggiante e la maggiore estensione delle proprietà consentono la meccanizzazione dei lavori. 4. VIABILITÀ Nel territorio in oggetto, le strade di maggior comunicazione, la S.S. 350 della Val d'Astico e quelle provinciali, sono ricavate sul fondo delle vallate principali, e collegano fra loro i centri dei paesi della Comunità Montana, quasi tutti situati nei fondovalle ad un'altitudine compresa tra i 302 metri di Cogollo del Cengio e i 588 di Lastebasse, dai quali si diramano numerose strade comunali, perlopiù asfaltate, che raggiungono tutte le frazioni. Fa eccezione il paese di Tonezza del Cimone, che si trova 987 metri di quota sull'altopiano omonimo, ed è collegato alla Val d'Astico da due strade provinciali, una che sale da Arsiero e l'altra da Pedescala. Una strada provinciale prosegue oltre l'abitato di Tonezza e sale fino a località Restele, dove si biforca in altre due, che raggiungono il confine con la Provincia di Trento seguendo percorsi diversi, una per il valico di Valbona e l'altra attraverso l'altopiano di Fiorentini. A quote più elevate, la viabilità secondaria è integrata da un'estesa rete di rotabili a fondo naturale, costruite in origine per scopi militari o per lo sfruttamento silvo-pastorale delle montagne, che permettono di arrivare abbastanza agevolmente fin sulla cima di numerosi monti, in particolare di quelli che avevano maggior interesse strategico o economico. 5. QUADRO STORICO Il territorio della Comunità Montana "Alto Astico e Posina", confinante a nord e a ovest con l'antica frontiera di Stato, che fino ai primi giorni di novembre del 1918 separava il Regno d'Italia dal Tirolo austro-ungarico, aveva assunto una grande importanza militare fin dal 1866, alla fine della terza guerra d'indipendenza, quando col trattato di pace di Praga, firmato il 23 agosto di quell'anno, l'Austria cedette il Veneto all'Italia. 4 Per rendere più sicuro il nuovo confine, qualche anno dopo fu costruita la batteria fortificata sul Colle di San Rocco, che sbarrava lo sbocco della Val Posina, per impedire eventuali invasioni di truppe nemiche attraverso il Passo della Borcola. Nel 1882 il Regno d'Italia aderì alla Triplice Alleanza, un trattato con finalità difensive che lo legava all'Impero austro-ungarico e a quello tedesco, perciò i lavori di fortificazione della linea di confine furono sospesi. Nonostante il trattato d'alleanza fosse ancora vigente, i rapporti tra i due Stati si fecero tesi nei primi anni del 1900, perché entrambi avevano mire espansionistiche nei Balcani ed aspiravano occupare quelle provincie periferiche dell'Impero ottomano, la cui potenza era ormai in declino. L'Italia riteneva perfino che quei territori le spettassero di diritto, perché il re Vittorio Emanuele III aveva sposato Elena Petrovic Niegos, principessa del Montenegro. Fu durante questa crisi che, nel 1906, gli italiani iniziarono la costruzione dei forti di Casa Ratti e di Punta Corbin, il primo edificato sul versante destro della Val d'Astico a circa 370 metri d'altitudine e armato con tre cannoni da 149 G, e il secondo sulla cresta del versante opposto, armato con sei cannoni da 149 A e altri quattro da 87 B, che insieme sbarravano l'accesso da nord alla conca di Arsiero. Due anni dopo ebbe inizio anche la costruzione del forte di Campolongo, situato più a nord, sulla cresta della cima omonima, che dominava la parte superiore della valle. Sul fronte opposto, nel 1907, dopo lavori preparatori avviati due anni prima, il genio militare austro-ungarico incominciò a costruire il forte Campo Luserna, il primo ad essere realizzato dei sette che dovevano formare la linea difensiva degli altipiani di Folgaria e di Lavarone. La crisi tra i due Stati si acuì ulteriormente nell'ottobre del 1908, quando l'Impero austro-ungarico si annetté la Bosnia-Erzegovina, che aveva mantenuto per trent'anni sotto il suo protettorato; e l'Italia giustificava le sue rimostranze col fatto di non essere stata informata delle intenzioni dell'alleato prima che avvenisse l'annessione. Da quel momento i lavori per la realizzazione delle fortificazioni corazzate lungo la linea di confine furono accelerati da entrambi gli Stati. Lo sbarramento austro-ungarico sugli altipiani fu completato dal 1909 al 1914, edificando nell'ordine i forti Belvedere, Cherle, Verle, Sommo Alto e Dosso delle Somme, armati con obici da torre calibro 10 cm sotto cupole d'acciaio, collegati tra loro, e con un osservatorio corazzato eretto sulla cima dello Spitz Vezzena, mediante linee telefoniche interrate e centrali di trasmissione ottica, 5 che comunicavano in codice Morse con telegrafi a lampi di luce. La linea dei forti era integrata in alcuni punti da capisaldi intermedi, predisposti per la difesa ravvicinata. In contrapposizione alla linea fortificata austro-ungarica, nello stesso periodo gli italiani completarono il loro complesso di difese permanenti costruendo il forte Cornolò, armato con quattro cannoni da 75 A, il forte Verena, armato con quattro cannoni da 149 A e otto da 75 A, e per ultimo il forte Campomolon, che nel 1914 non era ancora ultimato. Contemporaneamente alla costruzione dei forti, in tutto il settore furono aperte anche nuove strade per scopi militari, ricavate sui versanti fuori vista del nemico e defilati al tiro, che salivano fin sulle creste dei monti e permettevano il transito di autocarri e artiglierie, per le quali furono preparate postazioni in barbetta per le batterie. Quando il 28 luglio del 1914 l'Impero austro-ungarico dichiarò guerra alla Serbia, ritenuta mandante o perlomeno ispiratrice dell'attentato avvenuto a Sarajevo il 28 del mese precedente, nel quale furono assassinati l'arciduca ereditario d'Austria, Francesco Ferdinando, e la moglie Sofia Chotek, ebbe inizio un conflitto che, per un complesso sistema d'alleanze, coinvolse un numero sempre maggiore di nazioni, assumendo proporzioni impreviste. Il 2 agosto dello stesso anno, l'Italia si dichiarò neutrale, perché non si erano verificate le condizioni stabilite nel trattato di Triplice Alleanza per il suo intervento a fianco degli Imperi Centrali, in quanto l'Austria era lo Stato aggressore. Una decina di giorni dopo la dichiarazione di neutralità dell'Italia, temendo che in futuro potesse passare in campo avversario, lavoratori militarizzati austro-ungarici iniziarono a stendere barriere di filo spinato all'interno della linea di frontiera del Trentino e a scavare trincee, tuttora visibili sul versante sinistro della Val d'Astico, sopra Pedemonte, che allora si trovava dentro i confini dell'Impero asburgico. Gli italiani affrettarono i lavori di fortificazione campale sui monti dell'alto Vicentino, ma abbandonarono la costruzione del forte Campomolon, le cui cupole corazzate, prodotte dalle Acciaierie Krupp, furono trattenute in Germania quando l'Italia si dichiarò neutrale, non sapendo contro di chi avrebbero sparato i cannoni del forte. Quando l'Italia entrò in guerra contro l'Austria, il 24 maggio 1915, l'esercito austro ungarico si trovava impegnato sul fronte russo e sui Balcani, perciò le sue linee avanzate erano difese da pochi battaglioni regolari di marcia e da reparti di Standschützen, truppe volontarie poco addestrate e male armate; ma i suoi moderni forti corazzati costruiti sugli altipiani erano tutti in piena efficienza, e formavano lo sbarramento di sostegno della linea di massima resistenza. 6 In questa zona, la linea del confine italiano era compresa nel settore Agno-Astico, la cui difesa era affidata alla 9ª divisione, che schierava due battaglioni del 79º fanteria al Passo della Borcola, il 72º fanteria e un battaglione del 7iº dal Passo della Borcola, escluso, all'Astico compreso. Per l'esercito austro-ungarico, questa parte meridionale del settore trentino dipendeva dal Rayon Süd-Tirol, che comprendeva il tratto di fronte da Cima Presena al Monte Croce, sui Lagorai, ed era difeso dalla 91ª divisione di fanteria, che nel settore Folgaria-Lavarone schierava la 180ª brigata di fanteria, composta del X battaglione di marcia del I reggimento Landesschützen, di un battaglione Landsturm e di altri sette di Standschützen volontari. Il Comando Supremo italiano, con l'ordine del 27 maggio 1915, aveva disposto di accelerare il movimento delle truppe verso la linea di partenza, in modo da poter procedere con l'avanzata fino al contatto con la linea difensiva nemica. In questo settore, però, era stabilito che prima si fiaccasse con l'azione delle artiglierie l'efficienza dello sbarramento fortificato avversario. A tale scopo furono trasportati in zona quattro batterie pesanti da difesa costiera, ognuna armata di due obici calibro 280 mm, che furono poste su piazzole ancor oggi visibili sul Soio del Lovo in alta Val Posina, sul Cimoncello di Toraro, a Forcella Molon e sul Monte Campomolon, in prossimità dell'omonimo forte incompiuto. Il tiro di questi pezzi produsse sulle coperture dei forti austro-ungarici danni rilevanti, ma non tali da renderli inefficienti o da impedirne la riparazione. La linea occupata in questo settore dalle truppe italiane alla prima decade di giugno, le cui trincee si conservano in buona parte tuttora, saliva dal Passo della Borcola verso il Coston dei Laghi, il Monte Maggio, la Cima di Campoluzzo, il Coston d'Arsiero, lo Spitz di Tonezza, e da qui scendeva nella Val d'Astico seguendo la Valle di Menore, si manteneva a mezza costa aggirando la base dello Scoglio dell'Aquila e proseguiva in direzione sud-est fino all'abitato di Valpegara, dove attraversava l'Astico e risaliva il versante destro della valle verso il forte di Campolongo, per poi girare a nord e continuare lungo la cresta del versante destro della Val Torra. L'occupazione fu fortemente contrastata dal nemico, che con energici contrattacchi riuscì a respingere le truppe italiane dal Monte Maggio e dal Monte Coston. Le truppe italiane continuarono ad avanzare progressivamente verso nord, avvicinandosi alla cintura dei forti austro-ungarici ma senza intaccarla, e all'inizio dell'inverno del 1915, quando l'innevamento del terreno impedì ogni operazione offensiva, 7 si trovavano schierate su una linea che dall'alta Val di Terragnolo saliva verso Monte Maronia, Costa d'Agra, Bocca di Vall'Orsara e Soglio d'Aspio, per poi costeggiare il versante destro della Val d'Astico, che attraversava a monte di Casotto, dove risaliva verso Cima Norre, Oberleiten, e si raccordava con le linee dell'altipiano di Vezzena seguendo il versante destro della Val Torra. Verso la fine dell'inverno, dopo la sconfitta dell'esercito serbo, che aveva reso disponibili le truppe prima impegnate nei Balcani, il Comando Supremo austro-ungarico concentrò nel Trentino meridionale un intero gruppo d'esercito, comandato dall'arciduca Eugenio d'Asburgo e composto di due armate, l'11ª e la 3ª, in preparazione di un'offensiva contro il fronte italiano nel settore degli altipiani. Base di partenza di questa offensiva di primavera del 1916, conosciuta comunemente come "Strafexpedition", era l'altopiano di Folgaria, dove le truppe potevano essere ammassate senza rischi nelle immediate retrovie del fronte, protetto dai forti corazzati che non avevano perso la loro efficienza. Il piano originario di questa offensiva prevedeva che l'11ª armata, composta di otto divisioni, fosse impiegata per l'attacco lungo la direttrice della Val d'Astico, e che la 3ª, con quattro divisioni e tre brigate autonome, restasse di rincalzo; ma durante la fase preparatoria il piano fu modificato, allargando il fronte d'attacco anche sull'altopiano di Asiago e impiegando per questo la 3ª armata. Il compito di sfondare il fronte italiano era stato affidato al XX corpo d'armata, composto di reggimenti sceltissimi e comandato dall'arciduca ereditario Carlo d'Asburgo, che, secondo i piani del Comando Supremo austro-ungarico, il 10 giugno avrebbe dovuto ricevere il bastone di Feldmarschall nella basilica di Monte Berico, per commemorare in tal modo l'anniversario della vittoria ottenuta nel 1848 su quell'altura dalle truppe del feldmaresciallo Radetzky, che aveva potuto così riconquistare Vicenza difesa dagli insorti. I preparativi nemici non erano passati inosservati al Servizio Informazioni italiano; ma il generale Cadorna, Capo di Stato Maggiore, era convinto che questa fosse solo un'operazione diversiva, avente lo scopo di richiamare truppe italiane dal fronte dell'Isonzo, dove il 13 marzo era iniziata la 5ª battaglia. Nei primi giorni di maggio, quando la minaccia si rivelò in tutta la sua gravità, furono scavate trincee anche nella piana tra Arsiero e Velo d'Astico, per contenere un eventuale sfondamento del fronte montano. L'attacco delle fanterie nemiche partì dal caposaldo del Durer alle ore undici del 15 maggio 1916, preceduto da un intenso fuoco d'artiglieria iniziato nel pomeriggio precedente e intensificato alle sei del mattino. Il primo reparto impiegato fu il 1º 8 reggimento Kaiserjager, che si diresse verso Malga Pioverna e Costa d'Agra, difese dalla brigata Ancona. Nel settore occidentale, il giorno seguente (16 maggio) le truppe austro-ungariche occuparono il Passo della Borcola, abbandonato dagli italiani dopo aver fatto saltare i due obici da 280 mm piazzati sul Soio del Lovo. Il 17 conquistarono il Monte Maggio e il giorno dopo anche il Coston d'Arsiero. Alle due del pomeriggio dello stesso giorno (18 maggio), la popolazione civile delle vallate e dell'altopiano di Tonezza ricevette l'ordine di abbandonare entro due ore le proprie case e di trasferirsi nella pianura. Il 19 maggio le truppe nemiche occuparono il forte Campomolon e catturarono i quattro obici da 280 mm piazzati nelle vicinanze, che gli italiani avevano abbandonato dopo aver smontato gli otturatori. Prima di ritirarsi dal forte, i nostri genieri avevano fatto saltare le installazioni con cariche esplosive, e per lo scoppio ritardato di una mina morì il sottotenente Paolo Ferrario, decorato di medaglia d'oro. Il giorno seguente reparti austro-ungarici raggiunsero il ciglio nord dell'altopiano di Tonezza, perciò, durante la notte, la 9ª divisione italiana, comandata dal generale Maurizio Gonzaga, si ritirò scendendo ad Arsiero. Il 21 maggio le truppe nemiche penetrarono nell'abitato di Tonezza, che trovarono deserto, e il giorno dopo avanzarono verso sud, occupando l'estrema propaggine sud-est dell'altopiano, conosciuta come Cimoncello. Nella stessa giornata, reparti della 28ª divisione di fanteria austro-ungarica conquistarono il forte Verena e quello di Campolongo, gravemente danneggiati fin dall'anno prima. Dopo una sospensione di due giorni, necessaria per spostare in avanti le artiglierie, che si trovavano ormai al limite della loro gittata, i combattimenti ripresero il 25 maggio sul monte Cimone, espugnato nella tarda serata da reparti austro-ungarici del 14º e del 50º reggimento fanteria, che il giorno dopo, scendendo dall'altipiano di Tonezza, catturarono intatto il forte di Casa Ratti, facendo prigionieri i soldati italiani trovati nel suo interno. Il 28 maggio, truppe nemiche occuparono il paese di Arsiero e tentarono di attraversare il torrente Posina per dirigersi su Sant'Ubaldo, riuscendovi solo a notte inoltrata e a costo di gravi perdite, a causa del fuoco dell'artiglieria italiana e della mancanza dei ponti, distrutti dai nostri genieri prima di ritirarsi. 9 Sul versante sinistro della Val d'Astico, il 29 maggio un plotone del 47º reggimento fanteria austro-ungarico conquistò il forte di Punta Corbin, i cui cannoni erano stati smontati l'anno precedente per usarli altrove. Nello stesso giorno, il 2º battaglione del 1º reggimento Kaiserjäger attraversarono il torrente Posina e occuparono il Monte Aralta, catturando oltre 500 prigionieri, fra i quali nove ufficiali. Risalendo la dorsale, il giorno dopo raggiunsero la vetta del Priaforà, che trovarono priva di difensori. Era accaduto, infatti, che una compagnia del 209º reggimento fanteria mandata a presidiarla, disorientata dalla nebbia e inesperta dei luoghi, si era fermata su un cucuzzolo 300 metri più a sud, convinta di aver raggiunto la posizione assegnatale. Il 2 giugno, le truppe nemiche del 3º corpo d'armata attaccarono il Monte Cengio, difeso dalla brigata Granatieri di Sardegna, e riuscirono ad espugnarlo nella tarda serata del giorno 4. Conquistato il pilastro del Cengio, che dominava ad est lo sbocco della Val d'Astico nella piana di Arsiero, le truppe austro-ungariche avevano bisogno di estendere ulteriormente la loro occupazione delle creste che la delimitavano ad ovest, onde proteggersi i fianchi prima di continuare l'avanzata in pianura. A tal scopo, l'11 giugno attaccarono sul Monte Novegno in direzione del Monte Giove, ma non riuscirono ad infrangere la tenace resistenza delle truppe italiane e perciò la sera del 13 furono costrette a desistere. L'insuccesso segnò la fine dell'offensiva nemica. Per altre due settimane, le truppe austro-ungariche mantennero le posizioni conquistate, che dal ciglio settentrionale del gruppo del Novegno attraversavano il versante sud del Priaforà, scendevano a Sant'Ubaldo, La Montanina, Campigoli e Schiri, per poi risalire sul Monte Cengio e costeggiarne il ciglio superiore, proseguendo in direzione nord lungo il versante destro della Val Canaglia. Nella notte tra il 24 e il 25 giugno abbandonarono indisturbate le proprie linee, nelle quali avevano lasciato solo poche sentinelle, che ogni tanto sparavano qualche colpo per far credere che le trincee fossero ancora presidiate, e che si ritirarono all'alba senza essere viste. In tal modo, rinunciarono ad una larga fascia di territorio conquistato pur di schierarsi su una linea difensiva resa inespugnabile dalla conformazione del terreno, che poteva essere tenuta da poche truppe e con perdite limitate. Prima di ritirarsi fecero saltare il forte Cornolò e quello di Casa Ratti, che erano stati catturati intatti e ancora armati. La nuova linea austro-ungarica, detta "Winterstellung" (linea invernale), era già stata preparata in precedenza e scendeva dalle difese del Pasubio lungo la Costa della Borcola, 10 attraversava l'alta Val Posina per risalire alla Cima del Coston e seguire tutta la dorsale fino al Monte Maio, per poi scendere ad ovest dell'abitato di Laghi, tornava a risalire sul Cimone dei Laghi, proseguiva per Stalle Campiello fino al Monte Seluggio, attraversava l'alta Val di Riofreddo, raggiungeva il ciglio occidentale dell'altopiano di Tonezza, che costeggiava in direzione sud fino alla sua estremità meridionale, formata dal Monte Cimone, per poi continuare per un lungo tratto in direzione nord lungo il ciglio opposto fino a Coste del Vento, dove scendeva in Val d'Astico lungo il caposaldo "Tiger", attraversava il torrente a sud di Forni e risaliva il versante opposto, dove si trovava il caposaldo "Gibraltar" che dominava dall'alto la vallata, costeggiando poi il ciglio settentrionale della Val d'Assa. Il 25 giugno le truppe italiane avanzarono senza incontrare resistenza e rioccuparono il paese di Arsiero, per poi salire sul Monte Cavioio e giungere il giorno dopo fino alla base delle pareti del Cimone. Ripetuti tentativi d'attacco compiuti nei giorni successivi da direzioni diverse non ebbero successo. Un'ulteriore azione, preparata nella notte del 21 luglio da alpini scalatori, che s'arrampicarono sulle pareti di roccia e piantarono dei chiodi per appendervi scalette di corda, e preceduta da un intenso fuoco d'artiglieria durato tutto il pomeriggio e la notte precedente, fu iniziata alle ore 5 del giorno 23 e terminò, dopo dieci ore e mezza di combattimento, con la conquista del monte. Constatata l'impossibilità di riprendere la cima perduta con un normale assalto della fanteria, il comando austro-ungarico decise di far saltare in aria la posizione italiana con una mina. I lavori di scavo del cunicolo furono iniziati il 30 agosto e le camere di mina terminate tre settimane dopo, nonostante la contromina fatta esplodere dagli italiani nella notte tra il 17 e il 18 settembre. Anzi, dopo lo scoppio della loro contromina gli italiani si erano illusi di aver distrutto i cunicoli del nemico, perché non avevano più sentito rumori di scavo; ma in realtà i minatori nemici stavano allargando silenziosamente le camere di mina, e usavano leve per staccare le pietre dalle pareti. Dal 20 al 22 settembre gli austriaci caricarono la mina con 14221 kg di esplosivo, dei quali 4500 erano di Dinamite, 8700 di Dinamon, 1000 tra polvere nera e gelatina esplosiva, usate come carica di rinforzo, e 21 di candelotti speciali per l'innesco, e poi intasarono il cunicolo. Lo scoppio della mina fu provocato alle ore 5,45 del 23 settembre, e dove prima si trovava la vetta, attraversata dalla trincea italiana, produsse un cratere del diametro di circa 50 metri e profondo 22. Coinvolse nell'esplosione il 1º battaglione del 219º reggimento fanteria della brigata Sele e la 136ª compagnia zappatori del Genio. Un 11 tempestivo attacco per occupare ciò che restava della cima, compiuto dal 1º battaglione del 59º reggimento di fanteria "Rainer", fu prontamente respinto dai soldati italiani rimasti incolumi, schieratisi sul ciglio meridionale del cratere, che alla fine furono costretti a cedere. I combattimenti durarono fino alla sera del 28 settembre, quando il Comando Supremo italiano decise di far sospendere gli attacchi per riprendere il monte e di ritirare le truppe sul Monte Cavioio. Le perdite italiane sommarono a 19 ufficiali e 1118 soldati, dei quali 59 furono i morti, 319 i feriti e 740 i dispersi; poiché gli austriaci catturarono 482 prigionieri sulla vetta e dentro i ricoveri in caverna ostruiti dai detriti, risulta che i morti provocati dall'esplosione e quelli rimasti sulla cima occupata del nemico siano stati complessivamente 258. Dopo la riconquista austro-ungarica del Cimone, in questo settore la linea difensiva nemica si stabilizzò definitivamente sulla "Winterstellung", situata su posizioni inespugnabili; mentre la prima linea italiana dai Sogli Bianchi scendeva in Val Caprara, passava sul Monte Pruche, costeggiava per un breve tratto il versante destro della Val Posina raggiungendo poi Cavallaro, Monte Gamonda, Monte Aralta, il Sojo Rotto, e il Colle di San Rocco, per risalire infine sul Monte Cavioio e proseguire a mezza costa lungo il versante destro della Val d'Astico, in direzione nord, fino ai resti del forte di Casa Ratti, dove attraversava il torrente e risaliva il versante opposto fino a raggiungere e costeggiare il ciglio meridionale della Val d'Assa. Dall'autunno del 1916, entrambi i contendenti impiegarono le proprie truppe per rafforzare ulteriormente le loro sistemazioni difensive, scavando numerose postazioni in caverna e ricoveri sotterranei per i soldati. In quel periodo, il Genio militare italiano realizzò una seconda linea, di massima resistenza, completata nella primavera del 1917, che scendeva dal Pasubio, seguiva le creste che delimitavano il versante destro della Val Posina e raggiungeva il Monte Summano, dal quale scendeva a valle lungo Costa La Rancina, attraversando in direzione nord-est il torrente Astico in corrispondenza del Castello di Meda, trasformato in un robusto caposaldo con numerose postazioni in caverna per artiglierie, e percorrendo le campagne di Cogollo per poi risalire sul Monte Cengio lungo una cresta fortificata che dominava lo sbocco della Val d'Astico nella conca di Arsiero. Dopo una visita compiuta in zona dal generale Cadorna il 9 aprile 1917, questa linea di massima fu modificata e fatta scendere dal Priaforà fino ai piedi del Monte Aralta, dove attraversava il torrente Posina in corrispondenza della Montagnola, per poi risalire a Cima Vangelista e collegarsi alle trincee del Monte Cavioio, protetto dal caposaldo 12 avanzato di Quota Neutra, scavato interamente all'interno del torrione roccioso, su vari piani collegati da gallerie elicoidali gradinate, e armato con numerose mitragliatrici. Nel mese di giugno, dopo oltre sei mesi di lavoro, fu terminato anche il complesso fortificato scavato nella roccia della vetta del Monte Priaforà, che fu armato con quattro cannoni campali da 105 mm piazzati in caverna con feritoia minima, e provvisto di sei mitragliatrici per la difesa ravvicinata Oltre a migliorare le postazioni difensive, furono costruite anche strade camionabili e numerose mulattiere d'arroccamento, mentre per collegare le posizioni situate alle quote più elevate furono usate le teleferiche, che permettevano di far arrivare i rifornimenti con regolarità anche d'inverno. Una di queste rotabili fu la Strada degli Scarubbi, costruita nel 1917 dalla 25ª compagnia telegrafisti e da reparti di fanteria della brigata Piceno, sul tracciato di una mulattiera preesistente fatta dagli alpini, che collegava Bocchetta Campiglia con Porte del Pasubio. Poiché questa strada era esposta in alcuni tratti al tiro dell'artiglieria nemica, e interrotta d'inverno da valanghe, dalla fine di gennaio alla fine di novembre dello stesso anno fu costruita anche la "Strada delle gallerie", un'ardita mulattiera scavata per buona parte nella roccia, che collegava le stesse località superando l'impervio versante sud del massiccio. Verso la fine della seconda decade d'ottobre del 1917, nei giorni che precedettero l'offensiva di Caporetto, le truppe austro-ungariche attaccarono in più punti anche le difese italiane della Val Posina a scopo diversivo, per distogliere l'attenzione dei comandi dal fronte dell'Isonzo e tenere in allarme le truppe avversarie schierate lungo il saliente trentino, affinché non fossero spostati reparti. L'azione più importante fu compiuta contro il caposaldo del Monte Sogli Bianchi, occupato il mattino del 19 ottobre da due compagnie di Kaiserjäger, che fecero 5 morti e 14 feriti, e si ritirarono subito dopo nelle loro linee del Seluggio, portando con sé 258 prigionieri, otto dei quali erano ufficiali. Nonostante la linea difensiva nemica fosse molto salda, gli italiani tentarono più volte di sfondarla in punti diversi, per occupare posizioni migliori. L'attacco di maggior rilievo fu compiuto sul Monte Maio da formazioni di arditi, bersaglieri e fanteria, ed ebbe inizio alle ore 5,45 del 30 agosto 1918. Il XXXI Reparto d'Assalto, che formava la colonna principale, partito dalle posizioni italiane del Kastele, riuscì a raggiungere rapidamente la vetta e a penetrare nella trincea nemica, catturando i pochi soldati che la difendevano, ma ebbe difficoltà a snidare il resto del presidio dal labirinto di ricoveri in caverna e camminamenti 13 scavati sul rovescio del monte. La parte esterna visibile della linea nemica, presidiata dal 2º reggimento Kaiserjäger, mostrava solo pochi elementi di trincea, ma era collegata ad un complesso ramificato di caverne intercomunicanti scavate nella roccia, che servivano da ricoveri per le truppe e da postazioni per mitragliatrici e cannoncini da fanteria. Gli attaccanti italiani non riuscirono ad annientare i centri di resistenza nemici, perciò furono costretti a ritirarsi portando con sé 25 prigionieri. Avevano avuto però circa 100 morti, 60 dispersi e 233 feriti, su 603 uomini impiegati per l'attacco. In questo settore, le truppe austro-ungariche mantennero le loro posizioni fino al 1º novembre del 1918, e le abbandonarono volontariamente nella notte seguente, quando si ritirarono dirette in Val d'Adige, per unirsi alle colonne di soldati in marcia verso il Brennero. 6. IPOTESI DI VALORIZZAZIONE FUTURA Dal punto di vista storico, il territorio della Comunità Montana "Alto Astico e Posina" è forse uno dei più interessanti di tutto l'arco del fronte dove fu combattuto il primo conflitto mondiale. Qui, nel periodo iniziale, fu combattuta la guerra dei forti; nel 1916 questo fu il teatro principale della "Strafexpedition" e fu invaso quasi interamente dalle truppe austroungariche, che si ritirarono parzialmente al termine dell'offensiva, ma continuarono ad occupare per altri due anni e mezzo le creste dei suoi monti, che furono attraversati dalla linea del fronte fino alla fine della guerra. Durante questo periodo, nel quale le linee contrapposte si mantennero più stabili, s'intensificarono i lavori di miglioramento delle fortificazioni campali, che ovunque possibile furono scavate nella roccia. Ciò ha permesso la buona conservazione di numerosi siti di estremo interesse, nei quali si trova un'elevata concentrazione di manufatti tuttora visibili nelle loro condizioni originarie, che possono essere raggiunti con mulattiere e sentieri di guerra ancora facilmente percorribili. È auspicabile quindi che si proceda ad un'opera di restauro conservativo dei manufatti più importanti, come i forti di Casa Ratti, Cornolò e Campomolon, la batteria di San Rocco, il caposaldo in caverna di Quota Neutra, i complessi fortificati scavati in roccia sulla vetta del Priaforà e sul Castello di Meda. Inoltre, nei siti più significativi, che oltre a quelli già citati potrebbero essere il complesso Cimone - Quota Neutra - Cavioio, il Monte Cengio, il Monte Maio e la dorsale fino al Monte Maggio, sarebbe opportuno porre segnali e tabelle esplicative, che permettano a chiunque di conoscere l'origine e lo scopo dei manufatti 14 militari esistenti. Ancor meglio se, per integrare la tabellazione, si pubblicheranno anche degli opuscoli divulgativi, che possano servire da guida al turista per seguire percorsi didattici, e gli diano una conoscenza storica, sia pur elementare, delle vicende belliche che hanno dato origine a queste fortificazioni campali. 15