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Catelani, Scuola pubblica e scuola privata

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Catelani, Scuola pubblica e scuola privata
Scuola pubblica e scuola privata nella Costituzione italiana
di Alessandro Catelani
Ordinario di Diritto pubblico, Un. Siena
La Costituzione prevede un Servizio nazionale di istruzione basato sulla scuola pubblica (art. 33, 2°
comma), ma garantisce contemporaneamente la presenza di una scuola privata (art. 33, 30 comma), la quale
può anche entrare a far parte, attraverso la parità scolastica (art. 33, 4° comma), del Servizio educativo.
Scuola pubblica e scuola privata dunque coesistono, ed entrambe devono essere funzionalizzate al
raggiungimento di finalità educative e della formazione.
La situazione che attualmente ricorre è però caratterizzata dall’assoluta prevalenza di una scuola pubblica,
rispetto alla quale la scuola non statale ha carattere del tutto marginale e secondario. In Italia, fin dai tempi
dell’Unifìcazione, la scuola ha costituito un servizio pubblico essenziale, affidato allo Stato. La scuola non
statale, che negli Stati preunitari aveva un’importanza assolutamente preponderante, ed era di natura
confessionale, è stata sostituita da una scuola statale assicurata a tutti, anche ai non abbienti, e incentrata,
nella sua laicità, ai valori dello Stato unitario. Queste remote origini hanno condizionato anche la situazione
attuale, caratterizzata da una preponderanza pressoché assoluta della scuola pubblica su quella privata, la
quale ha tuttora carattere quasi esclusivamente confessionale.
Per una scuola pubblica più funzionale & efficiente
Come per ogni altro settore della pubblica amministrazione, così anche nella scuola pubblica il legislatore
ha cercato di introdurre quei criteri di efficienza e di funzionalità che sono propri dell’impresa privata,
rendendo più flessibili le rigide strutture burocratiche delle quali consta. La privatizzazione del pubblico
impiego, che ha avuto la pretesa di privatizzare il rapporto lavorativo dei dipendenti pubblici, ha avuto a
oggetto anche le istituzioni scolastiche. E le leggi Bassanini, e successivamente la legge costituzionale 18
ottobre 2001 n. 3, hanno introdotto un autonomia scolastica, allo scopo di equiparare, nei limiti del
possibile, la scuola pubblica a quella privata.
Tali riforme hanno avuto aspetti altamente positivi, che devono essere giustamente apprezzati; ma hanno
avuto anche i loro limiti, perché un equiparazione della scuola pubblica alla scuola privata è assolutamente
impossibile. Non si può cambiare l’essenza della scuola pubblica solo cambiandone la denominazione: la
realtà della pubblica amministrazione è profondamente diversa da quella propria di una struttura privata
organizzata in forma di impresa, per cui quella che viene chiamata una gestione manageriale e
imprenditoriale si configura in realtà come una gestione funzionale ed efficiente di carattere pubblicistico, la
cui struttura esteriore è mutuata dal diritto privato, ma che è pur sempre funzionalizzata allo svolgimento di
un pubblico servizio. Se la sua struttura esteriore è privatistica, la sua intrinseca natura è pubblicistica nella
sua integrità. In tale sua configurazione, il richiamo al diritto privato ha carattere necessariamente residuale,
in quanto tali istituzioni sono assoggettate a un regime rigorosamente pubblicistico, che ne funzionalizza
l’attività verso fini di interesse collettivo.
I soggetti privati non sono obbligati a perseguire alcuna specifica finalità, perché agiscono per un proprio
interesse individuale, e non già per un interesse collettivo, così che l’ordinamento non impone loro di
raggiungerlo, ma ne lascia il perseguimento a una loro libera scelta; mentre i fini pubblici sono
predeterminati dalla legge, dall’ordinamento, e agli enti pubblici è lasciata solo la determinazione dei mezzi
per raggiungerli. La scuola, in quanto funzionalizzata ai fini di pubblica utilità predeterminati dal
legislatore, è rimasta dunque pubblica.
E la situazione non è cambiata con il conferimento dell’autonomia scolastica. Anche tale autonomia, presso
la scuola, assume connotazioni pubblicistiche. Essa è autonomia funzionale, che in tanto è accordata agli
istituti scolastici, in quanto quelli se ne servano per raggiungere scopi di pubblico interesse, mentre
dev’essere escluso il perseguimento di ogni altra finalità, estranea a quelle che sono state loro conferite dalla
legge dello Stato.
Una scuola non statale è necessaria
La privatizzazione, pur con tutte le lodevoli innovazioni introdotte, ha dunque necessariamente lasciato
intatta la struttura pubblicistica della scuola. Per migliorare veramente il Servizio sarebbe quindi
indispensabile l’apporto di una scuola che fosse veramente privata; che fosse privata nella sostanza e non
solo nella forma, e che possedesse realmente quei pregi di efficienza e di funzionalità che un apparato
burocratico necessariamente possiede in misura minore.
Alla scuola pubblica l’apporto della scuola non statale sarebbe decisivo per raggiungere i propri scopi: ogni
servizio che viene compiuto dalla pubblica amministrazione si presta a essere coadiuvato da un attività
svolta da soggetti privati, e per alcuni pubblici servizi tale apporto appare anzi assolutamente necessario. Per
quello che riguarda la pubblica istruzione ci si trova di fronte, come per ogni altro pubblico servizio, alla
necessità di contemperare due opposte esigenze: quella di garantire un servizio pubblico indispensabile, che
dev’essere accordato a tutti, in maniera omogenea e uniforme, e senza alcuna discriminazione,
gratuitamente, così che tutti godano di una forma- zione veramente adeguata alle esigenze della persona - il
che presuppone che sia lo Stato a gestire, nella sua globalità, questo servizio - e quello di rendere meno
inefficiente e dispendioso il sistema, attraverso strutture il cui costo ricada prevalentemente sui soggetti
interessati, e che nella loro competitività possano anche essere qualitativamente superiori a quelle
pubbliche. Per raggiungere tale scopo non occorre privatizzare il settore della pubblica istruzione - il che
sarebbe anche incostituzionale, perché il servizio dev essere garantito a tutti -, ma è indispensabile gestire il
servizio con quelle modalità di collaborazione tra pubblico e privato che già si sono affermate - con varie
modalità - in altri settori dell’amministrazione pubblica.
Attraverso adeguati strumenti giuridici, la scuola privata potrebbe essere inserita nel servizio pubblico della
formazione, così da realizzare da un lato un miglioramento qualitativo delle prestazioni, dall5altro un
risparmio di spesa. Se il servizio scolastico non statale è qualificato, può benissimo sostituire quello statale;
non solo, ma ciò consentirebbe un alleggerimento della spesa pubblica, che potrebbe migliorare il livello
della stessa attività educativa e formativa che è svolta a livello statale, la quale attualmente appare, in
maniera indubbia, pregiudicata da una grave carenza di fondi.
La situazione potrebbe rapidamente cambiare qualora venissero adottate misure adeguate. Tanto la scuola
pubblica che quella privata potrebbero collaborare, per garantire il raggiungimento dei fini di pubblico
interesse propri del settore. Naturalmente non si tratterebbe di mutuare passivamente certi istituti giuridici
già esistenti, ma di adeguarli alle necessità della scuola pubblica, valorizzando ciò che di positivo è in essi
insito, e si presta a un adattamento.
Per un effettivo pluralismo scolastico
La presenza di una scuola non statale appare indispensabile anche per garantire un effettivo pluralismo
scolastico. I genitori hanno il diritto di educare liberamente i propri figli, scegliendo l’istituto scolastico che
più è di loro gradimento; e tale diritto è garantito anche a livello comunitario e internazionale (art. 26, 3°
paragrafo della Dichiarazione universale dei diritti del- l’uomo, approvata dalle Nazioni Unite il 10
dicembre 1948; art. 13, 3° paragrafo del Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali,
approvato a New York il 16 dicembre 1966; art. 14, 3° comma, della Carta dei diritti fondamentali
dell’Unione europea; art. 2 del Protocollo addizionale alla Convenzione europea per la salvaguardia dei
diritti dell’uomo). Tuttavia, per poter essere esercitato, occorre che vi sia una pluralità di istituti scolastici
fra di loro differenziati; per cui, se la scuola è esclusivamente statale, tale diritto ne risulta vanificato. La
presenza di una scuola non statale è quindi indispensabile per garantire l’esercizio di tale diritto.
Di pluralismo attualmente non si può parlare se non in riferimento a una diversità di contenuti conseguente
a una differente gestione degli istituti scolastici, e quindi interna alla scuola pubblica. Si tratta di una
diversità insufficiente a garantire una realtà effettivamente differenziata, che consenta una scelta pienamente
libera. La Costituzione ammette la scuola privata e la parità scolastica; ma di fatto la scarsità delle scuole
private, e la loro onerosità, ha fatto sì che un vero pluralismo scolastico mancasse quasi completamente. Un
servizio di pubblica istruzione monolitico, basato esclusivamente su una gestione burocratica, non
garantisce certo tale diritto in maniera adeguata.
La creazione di un monopolio statale della pubblica istruzione, che esclude di fatto ogni pluralismo,
contrasta in pieno con i caratteri essenziali di uno Stato libero e democratico, che si basa proprio sul
pluralismo e la libertà di opinione. Il pluralismo presuppone una presenza scolastica veramente libera, tale
da consentire una reale diversificazione, quale può aversi soltanto in presenza di un Servizio educativo che
valorizzi adeguatamente anche la scuola privata, in quanto la scuola pubblica si identifica con l’omogeneità
di un apparato burocratico necessariamente unitario.
La garanzia costituzionale della parità scolastica
Nel nostro ordinamento vi è tuttavia una fortissima ostilità nei confronti della scuola privata. Il Servizio
scolastico viene prospettato come necessariamente basato su un’assoluta priorità della scuola pubblica su
quella privata. Di quest’ultima si è addirittura prospettata l’illegittimità costituzionale, nonostante che la
Costituzione espressamente la preveda e la tuteli.
Si è parlato di sistema chiuso per la scuola privata, e di sistema aperto per quella pubblica, considerando
con ciò stesso la scuola privata come istituzionalmente non idonea a tutelare l’interesse pubblico della
collettività; e quella pubblica come l’unica in grado di soddisfare adeguatamente i precetti costituzionali.
Ma una tale impostazione appare del tutto inaccettabile, perché contrasta apertamente con gli espliciti
precetti costituzionali che garantiscono la parità scolastica, consentendo alle scuole private - non si distingue
tra quelle che hanno un fine confessionale e le altre - di entrare a far parte del Servizio nazionale di
istruzione, qualora possiedano i requisiti prescritti (art. 33, 40 comma). Il legislatore Costituente ha statuito
inoltre che a tali scuole deve essere assicurata «piena libertà, e ai loro alunni un trattamento scolastico
equipollente a quello degli alunni di scuole statali» (art. 33, 4° comma cit.). Viene quindi vietata al riguardo
ogni discriminazione. Le scuole private, per garanzia costituzionale, a pieno titolo possono entrare a far
parte del sistema educativo nazionale.
Tali espliciti precetti non sono che la specificazione di princìpi che, con grande chiarezza, si deducono dal
complesso delle norme costituzionali. Nella nostra Costituzione, i rapporti tra sfera pubblica e privata sono
caratterizzati da una collaborazione tra l’una e l’altra, che esclude una priorità assoluta dell’intervento
pubblico su quello privato. Varie norme della Costituzione prevedono espressamente una collaborazione tra
pubblico e privato. Le disposizioni dell’alt. 41 e dell’art. 42 escludono espressamente ogni monopolio
pubblicistico dell’attività economica, e considerano tanto l’attività pubblica che quella privata come
indirizzate verso fini di pubblica utilità; da un lato evidenziando l’utilità pubblica dell’attività mossa da
finalità di interesse collettivo, dall’altra sottolineando però come anche l’attività privata concorra
ugualmente, pur essendo in via immediata e diretta funzionalizzata a interessi privati, al raggiungimento di
scopi di pubblico interesse. Significativo è anche il 20 comma dell’art. 4 della Costituzione, sulla libertà
lavorativa, che impone a ognuno «il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta,
un’attività e una funzione che concorra al progresso materiale e spirituale della società». È dunque principio
di carattere generale, che la Costituzione espressamente riconosce, che l’attività privata sia assolutamente
determinante «per il progresso materiale e spirituale della società». Anche una gestione imprenditoriale
privata del servizio di istruzione, rimessa all’iniziativa economica dei singoli, deve dunque considerarsi non
solo pienamente lecita, ma anche in grado di raggiungere fini di pubblica utilità, quando concretamente a ciò
appaia idonea.
La pretesa di far gravare sulla pubblica amministrazione il carico esclusivo di un servizio appare
anacronistica e antiquata. A un miglioramento decisivo dell’esercizio della funzione educativa un apporto
potrebbe venire dal potenziamento della scuola privata, che nei Paesi più avanzati viene comunemente
riconosciuta come superiore a quella pubblica.
L’ ammissibilità di finanziamenti statali alla scuola privata
Per potenziare la scuola privata occorrerebbero tuttavia adeguati finanziamenti statali.
Nel nostro ordinamento, per ciò che concerne il Servizio di istruzione, non è mai esistita una mentalità
imprenditoriale che consentisse di valorizzare al massimo la scuola privata, come avviene ad esempio nei
Paesi anglosassoni, nei quali la scuola privata è a fondamento della pubblica istruzione, al punto che la
scuola pubblica ha, nei confronti di quella privata, carattere solo complementare. A ciò si aggiunga che,
correlativamente, il servizio di istruzione nel nostro ordinamento è sempre stato generalizzato e gratuito, e
non condizionato, nei suoi livelli qualitativi, dalle condizioni economiche di chi ne usufruisce; il che rende
assai difficoltoso per la nostra mentalità accettare un sistema scolastico sostitutivo di quello pubblico,
basato, nei suoi livelli qualitativi, sull’entità delle rette richieste alle famiglie degli allievi che vi si
iscrivono. Una scuola privata veramente qualificata e competitiva può dunque esistere soltanto se sostenuta
da finanziamenti pubblici. La possibilità di tali finanziamenti è stata tuttavia sempre contestata. La
disposizione alla quale ci si appiglia è quella del 3° comma dell’art. 33 della Costituzione, secondo cui «Enti
e privati hanno diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato». L’espressione
«senza oneri per lo Stato» verrebbe a vietare qualunque finanziamento alla scuola non statale.
Se la liceità della scuola non statale anche la dottrina, se pure obtorto collo, è costretta ad ammetterla,
pressoché unanime è il rifiuto della liceità dei finanziamenti statali alla scuola privata, che sarebbero
assolutamente e rigorosamente incostituzionali. A tale assunto si contrappone la dottrina che è chiamata
«cattolica», la quale però viene prevalentemente, con questa etichetta, considerata come faziosa e di parte.
L’interpretazione del precetto costituzionale, che vieterebbe ogni finanziamento alla scuola non statale, è
tuttavia non solo errata, ma anche gravemente pregiudizievole per il corretto funzionamento del servizio
scolastico. Un divieto assoluto non si deduce espressa- mente dalla Costituzione, nella sua formulazione
letterale; ma anzi risulta espressamente dai lavori preparatori che venne adottata quella espressione proprio
per escludere quella conseguenza. In sede di Assemblea Costituente, l’on. Epicarmo Corbino dichiarò che
questa espressione veniva adottata per mediare tra opposte opinioni, precisando che non doveva essere
intesa quale divieto assoluto di finanziamenti alla scuola non statale, ma soltanto come assenza di una
pretesa di finanziamento. Analoga fu l’opinione espressa da un laico, quale fu l’on Tristano Codignola. La
dottrina, nella sua stragrande maggioranza, è invece propensa a interpretarla in maniera estensiva, come
divieto di qualsiasi finanziamento alla scuola non statale; pregiudicando così in maniera irreparabile lo
sviluppo di un settore scolastico contrapponentesi alla scuola pubblica, che potrebbe coadiuvare e snellire rendendolo meno dispendioso e più efficiente — l’ordinamento scolastico nel suo complesso.
Si tratta dunque di un interpretazione estensiva, che per essere giustificata esige che sia conforme ai
principi. Ma è proprio questo che manca: dai principi risulta espressamente il contrario. Interpretare questa
espressione nel senso voluto dalla dottrina prevalente si traduce in una forzatura. Un interpretazione
estensiva del precetto costituzionale del 3° comma dell’art. 33 urta contro altri principi costituzionalmente
garantiti, con i quali appare incompatibile.
Dispone l’art. 118 della Costituzione: «Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono
l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli o associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale,
sulla base del principio di sussidiarietà» (40 comma). Tale principio costituzionalizza l’obbligo delle
pubbliche autorità di aiutare le iniziative dei privati - quelle che, se così si può dire, provengono dal basso e che presentino carattere di pubblico interesse. Le iniziative di pubblico interesse, che possono essere
aiutate sulla base di quel principio di sussidiarietà, previsto dal- l’ultimo comma dell’art. 118 - che viene
chiamato di sussidiarietà orizzontale - tipicamente sono anche quelle che attengono all’attività formativa e
educativa. Pubblico e privato devono dunque cooperare in tale settore, per il raggiungimento di fini di
interesse collettivo. Questa disposizione è stata introdotta di recente: attraverso tale innovazione, apportata
dalla riforma del Titolo V, realizzata con L. cost. 18 ottobre 2001 n. 3, il principio della cooperazione tra
pubblico e privato, in ogni iniziativa che presenti carattere di pubblico interesse, è stato espressamente
garantito dalla Costituzione. La Costituzione dispone che quando un attività presenti i caratteri richiesti per
avere una valenza di pubblico interesse, essa vada sostenuta, perché allora appare in grado di raggiungere, al
pari di quella pubblica, fini di pubblica utilità. Si vuole uscire dal dato gretto, arcaico e formale, di una
asserita e scontata priorità della sfera pubblica, fatta valere come un dogma, per cui si debba ritenere che
soltanto Fattività svolta da organi pubblici sia in grado di raggiungere fini di pubblico interesse. Anche
Fattività privata può avere tale idoneità. Resta solo da accertare in concreto quando ve ne siano i
presupposti. La Costituzione non ha fatto con ciò che riconoscere un dato effettivo ed indiscusso, ma che
finora ha urtato contro un dogmatismo antiquato e fanatico, che ha voluto disconoscere che anche iniziative
private in ogni settore - e quindi anche nel settore dell’istruzione - siano in grado di raggiungere fini di
pubblica utilità, così da dovere essere sostenute; perché anche allora, in quel caso, la pubblica
amministrazione raggiunge i propri fini in maniera veramente soddisfacente, e per di più con un risparmio di
spesa.
Deve altresì essere sottolineato che l’asserito depauperamento della scuola pubblica, che conseguirebbe ai
finanziamenti accordati alla scuola privata, sul quale tanto si insiste per contrastare i finanziamenti a
quest’ultima, non ha senso per innovazioni le quali hanno lo scopo primario di realizzare un risparmio di
spesa, come è avvenuto - e si tratta ormai di un esperienza consolidata - in ogni altro settore della pubblica
amministrazione. I privati possono coadiuvare il servizio pubblico usufruendo di prestazioni le quali
ricadono prevalentemente sui oggetti che ne usufruiscono, e che ne sostengono il costo; mentre ogni
struttura pubblica è necessariamente assai più dispendiosa.
Queste sono considerazioni che devono essere accolte da chiunque, e non solo da coloro che sono
considerati cattolici.
Difficoltà di carattere politico
La vera ragione per cui non si finanzia la scuola non statale non è di carattere giuridico, ma politico. Se
finora non vi sono stati - se non in misura estremamente esigua - finanziamenti alla scuola non statale, ciò
non è avvenuto per il precetto di cui al 3° comma dell’ art. 33, che solo forma oggetto di astratti dibattiti
dottrinali, ma per una precisa volontà politica. Se questa cambia, non ci saranno problemi, nonostante
l’espressione adottata al riguardo dal legislatore Costituente.
La cultura e la formazione, l’attività educativa nel suo complesso, quale viene gestita dalla scuola pubblica,
dà una versione apertamente politicizzata, e quindi faziosa e distorta, della Carta Costituzionale; mentre
questa possibilità non ricorre nella scuola privata, al punto che alcuni genitori la scelgono esclusivamente
per questo motivo. L’esercizio della funzione educativa non si può identificare con la propaganda di una
qualche ideologia politica. La scuola pubblica deve essere neutrale nei confronti delle ideologie dei partiti.
L’indottrinamento politico è l’essenza di ogni Stato totalitario, ed è un abuso che, se si può verificare di
frequente nella scuola pubblica, dovrebbe però essere evitato.
Queste contingenti ragioni di carattere politico si sono dimostrate finora in grado di impedire ogni
cambiamento; e cioè una parte delle forze politiche è apertamente contraria al pluralismo scolastico perché
ritiene che la scuola pubblica, quale è attualmente configurata, costituisca il migliore e più potente supporto
dell’ideologia della quale è portatrice; mentre le altre forze politiche - che sono forse la maggioranza - le
quali non condividono tale impostazione, non avvertono in maniera adeguata l’importanza e il significato
del pluralismo scolastico quale è garantito dalla Costituzione; e non sono pertanto in grado di proporre,
rispetto alla situazione attuale, valide alternative.
In tal modo si viene a perpetuare una situazione antiquata e stagnante; senza comprendere che solo
attraverso adeguate riforme si potrà realizzare quella ristrutturazione della scuola pubblica che veramente ne
cambi i caratteri, e la renda efficiente e funzionale, e in quanto tale idonea a raggiungere gli scopi che gli
sono propri.
(In Fogli, gennaio 2014, n. 401, pp. 4-11)
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