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Diario di viaggio nel Borneo Malese Tra tagliatori di teste, oranghi e

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Diario di viaggio nel Borneo Malese Tra tagliatori di teste, oranghi e
Diario di viaggio nel Borneo Malese
Tra tagliatori di teste, oranghi e antichi corsari
Chi da giovane non si è lasciato affascinare dalle letture avventurose di
Salgari? Chi non si è lasciato trasportare dalla fantasia desiderando di
poter visitare quel mondo di corsari che stavano in agguato, pronti ad
assalire la città di James Brook, il Rajah bianco? Salgari ci ha
raccontato di Monpracen senza esserci mai stato, eppure Monpracen
esiste.. solo che ormai è un’isola che non c’è, sbriciolata dai tifoni
tropicali ed anche la capitale Kuching (Sarawak per Salgari), che era il
regno del Raja bianco, esiste, ma è solo una città moderna e priva
dell’antica magia…
Tuffarsi in questo mondo anche se oggi non è più gestito dai Corsari di
Sandokan, è però sempre affascinante perché questa parte del Borneo
Malese che comprende le regioni del Sabah e del Sarawak è abitato da
antichi tagliatori di teste, da altre popolazioni indigene come gli Ibam e
poi ci sono le riserve degli Oranghi.. e poi, e poi, chissà, se anche noi nel
nostro percorso avremo la possibilità di vedere “i colossali alberi della
Canfora, i Mangostani e le Palme dalle foglie gigantesche” tanto
decantate da Salgari…
Diario di viaggio nel Borneo Malese
Tra tagliatori di teste, oranghi e antichi corsari
Il primo impatto con il Borneo Malese è legato ad una totale immersione nel verde.
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Dopo poche ore di volo dalla Malesia, con la mia inseparabile amica Silvana, e un
piccolo gruppo di avventurosi viaggiatori, siamo arrivate nel Sabah, quella che gli
antichi naviganti avevano battezzato “la terra sottovento”, perché dava loro rifugio
sicuro dai terribili monsoni..
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Tra tagliatori di teste, oranghi e antichi corsari
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Tra tagliatori di teste, oranghi e antichi corsari
...precisamente ci siamo subito catapultati nel Parco Nazionale di Kota Kinabalu, il regno
incontaminato di una natura selvaggia, ma coinvolgente. Completamente isolate dal resto
del mondo, abbiamo esplorato, come novelle Tarzan, la fitta foresta, attraversando ponti
oscillanti, sospesi sulla vegetazione...
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...sulle caldi sorgenti di Poring, sulle cascatelle invitanti.. il caldo umido dell’ambiente
tropicale ci ha spinto anche ad approfittare di un bagno ristoratore nei freschi
minuscoli laghetti che ogni tanto incontravamo durante il percorso.
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Romano Battaglia dice che: ”nell’intreccio dei rami di un albero
si può immaginare la nostra vita che nonostante i grovigli, tende
a salire sempre in alto, verso la luce…!”
Come è vero, e come era bello dal folto degli arbusti guardare
proprio in alto il cielo e immaginare paesaggi fantastici.. che
avevamo letto nelle descrizioni dei libri, immedesimarsi in
quell’atmosfera di silenzio e sognare.. lontane da tutto e da
tutti, sole con quel mondo.. che stava davanti a noi, l’unico che
desideravamo vedere!
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Ogni tanto, quando la fitta vegetazione ce lo consentiva, avevamo la possibilità di
squarci sul mitico monte Kinabalu (4000 m.) che ci appariva sempre suggestivo ed
imponente anche se circondato dalle nuvole in continuo movimento, che sembravano
quasi proteggerlo alla nostra vista.
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Tra tagliatori di teste, oranghi e antichi corsari
Devo dire che la vegetazione
del Parco se pur intricata,
disordinata.. mi è apparsa
ricca di colore e di poesia..
quando poi incontravamo
delle orchidee bellissime e
selvagge che crescevano
indisturbate senza bisogno
delle cure dell’uomo,
era un esplodere di “oh!”
entusiastici di piacere e di
meraviglia..
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Ma il Sabah è anche legato alla
bellezza delle sue isole, meglio
dire degli isolotti suggestivi,
dove Salgari aveva fatto trovare
rifugio ai suoi corsari.. e allora
via a godere di quelle bellezze di
sole, sabbia bianca, mare blu
cobalto.. dalla fitta foresta ci
siamo trasferiti nell’immenso
spazio di cielo e mare,
altrettanto coinvolgente, perché,
ripetendo un’espressione di
Hermann Hesse: “Selvaggia ed
insaziabile è la voglia autentica
di conoscere e di raccogliere
nuove esperienze…”
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Siamo andati a visitare l’isola di Gaya, la più grande dell’arcipelago, e ci hanno detto la
più bella… qui Sandokan e Marianna si godevano, nei rari momenti di tranquillità, “la
fresca brezza impregnata dai mille profumi!” .
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Questi luoghi non sono ancora battuti dal turismo, non sono attrezzati, si può solo
godere di un ambiente incontaminato.. ed ascoltare la voce del mare che giunge a noi
attraverso il fruscio delle onde..
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...e poi, dopo una fugace sosta, senza fresca brezza, ci siamo spostati all’isola vicina di
Sapi, forse la più naturale e pittoresca, avvolta nella vegetazione che arriva fino alla
bianca spiaggia deserta, dove il mare calmo ci invitava ad entrare e.. solo a pochi metri
dalla riva vedevamo incresparsi le acque per la ricca barriera corallina!
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Ma, ritornati sulla terra ferma
ci aspettava a Sukau
l’avventurosa escursione in
motobarca lungo il fiume per
andare a vedere le scimmie con
la proboscide. Nell’attesa
abbiamo anche visitato il
villaggio che si trova lungo il
limaccioso fiume.. qui lontano
dalla civiltà il mondo pareva
proprio essersi fermato..
dominava l’umido silenzio
intervallato dal canto degli
uccelli e da qualche stridio di
cicale e cuculi..
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Tra tagliatori di teste, oranghi e antichi corsari
...le capanne di legno a palafitta
erano assolutamente essenziali
e non riuscivamo ad immaginare
come potesse essere la vita in
quel luogo.. per questo siamo
entrati in una di queste
abitazioni e con stupore.. forse
anche con un pizzico di
delusione, abbiamo visto che
non mancavano le semplici
comodità di un divano e..
addirittura di una televisione!!!
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Nel frattempo, era arrivata la motobarca per cui nel caldo umido tropicale, tra le
zanzare e i vari insetti che non ci davano tregua, abbiamo iniziato la navigazione lungo
il fiume Kinabatangan per vedere queste caratteristiche scimmiette con la proboscide..
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...che saltando da un albero
all’altro, mimetizzandosi con le
foglie, ci scrutavano curiose,
ma non si avvicinavano,
lasciandoci così un po’ delusi...
noi strizzavamo gli occhi per
adocchiarle tra i folti rami,
a spesso senza risultati
soddisfacenti..
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Dopo una nottata trascorsa in un luogo confortevole, lontane dallo stridio e dalle
punzecchiature dei fastidiosi insetti, ci siamo sentite rinfrancate e pronte a nuove
avventure… e il giorno dopo, un breve volo ci ha portato a Sandakan, una vecchia città il
cui nome ispirò Salgari, costruita lungo una striscia di terra, in una bella baia riparata, a
nord est del Borneo.
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La zona ci è apparsa subito
pittoresca, ma abbiamo
rimandato la visita in quanto ci
aspettava l’escursione alla
Riserva degli Oranghi Tango.
Entrati nella fitta foresta
tropicale, la “Sepilok Forest
Reserve” avvolti dal solito
caldo umido che spossava le
membra, abbiamo cominciato
la ricerca degli oranghi.
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Subito dopo abbiamo adocchiato
gruppi familiari di questa specie
di scimmie, le uniche, ci hanno
detto, che si trovano al di fuori
dell’Africa.
Le abbiamo viste guardarci da
piattaforme elevate tra il verde
e saltare da una liana all’altra
con l’intento di giocare e di
divertire noi che li seguivamo..
sembrava infatti che volessero
darci spettacolo della loro agilità,
e devo dire che sembravano
veramente umane!
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Gli Oranghi Tango hanno una
vita media dai 35 ai 40 anni,
ma in cattività e ben curati,
possono raggiungere anche
60 anni di età!
Hanno un pelo rossiccio,
molto lungo sulle spalle che
forma una specie di mantello
impermeabile.. trascorrono
la maggior parte della loro
vita sugli alberi, perché le
loro zampe non sono adatte
a farli camminare sul terreno.
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Ci hanno infatti poi detto che questi Oranghi si relazionano con l’uomo molto bene e
riescono ad imitarlo con azioni simili solo osservandolo.
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Qui a Sepilok c’è anche, ma noi non lo abbiamo visitato,
“l’Orang-utan Rehabilitation Centre”, che ospita cuccioli di
oranghi, piccoli orfanelli, a causa di cacce illegali o
distruzione delle foreste ad opera dei contadini che vogliono
lasciare spazio all’agricoltura.
Lasciati gli Oranghi con le loro manifestazioni da attori
consumati, siamo ritornati a Sandakan, dato che era in
programma una sosta se pur breve, in questa graziosa
cittadina.
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Siamo saliti sulla parte collinare che domina la baia, per visitare l’antico tempio cinese
con i suoi altari brucia incensi, le ricche colonne decorate...
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... con le statue delle divinità in oro splendente...
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...ci siamo rilassate sulle terrazze dalle balaustre elaborate e.. ovviamente da qui
abbiamo ammirato la bellissima baia cosparsa di imbarcazioni, dato che Sandakan è
ora anche un vivace centro commerciale.
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Ma più che il caos della cittadina ci siamo soffermati, a visitare, proprio nella baia,
i villaggi palafitticoli, veramente particolari e caratteristici, ricchi di vita vissuta e
comunicanti l'uno con l'altro tramite dei camminamenti tutti in legno.
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Abbiamo fatto conoscenza con gli abitanti di quelle umide capanne di legno poste
sull’acqua, gente semplice, ma dignitosa, donne serene attorniate dal solito gruppo
di bambini curiosi e sempre spontanei nelle loro manifestazioni.
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Ritornati a Kota Kinabalu
abbiamo iniziato a scoprire
etnie e mercati.. ad un’ora
di auto dalla capitale siamo
andati come prima tappa a
Kota Belud, famosa per il
mercato domenicale
all’aperto, il rumoroso
Tamu Sunday dove i nativi
locali, Dusun, Kadazan, ma
soprattutto Bajao, i cow
boy malesi, vendevano i
loro prodotti spaziando
dalla frutta esotica, ai
manufatti e anche ad
animali vivi..
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Il mercato ricco di colore e di intenso odore di spezie ci ha entusiasmato, abbiamo
camminato tra merce di ogni tipo abbandonata per terra alla rinfusa..
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...e mentre osservavamo la
folla eterogenea che ci
circondava ci è stato
raccontato che i Bajau, in
genere, oltre che cow boy,
erano intrepidi cavalieri e
fanatici musulmani, parenti
di pirati che avevano compiuto
scorrerie sul mare di Sulu e
che ancora oggi facevano
contrabbando di sigarette
con le Filippine. Uomini
degni di un romanzo di Salgari!
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Accanto a loro però, noi abbiamo ammirato il dolce sorriso delle fanciulle che se ne stavano
sedute sul selciato tra la mercanzia, vestite nei modi più disparati: all’europea, con il
Sarong o il Baju Kurong malese, con il sari indiano o con uno dei costumi propri del Borneo..
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Saturi di mercato ci siamo
spostati nelle terre dei
Rungus, a Kudat, tra boschi
lussureggianti e pittoresche
risaie, ai piedi del monte
Kinabalu per visitare le
caratteristiche “Rungus
Longhouse”, le lunghe case
dai tre a cinque metri dal
suolo, vere e proprie
abitazioni collettive che
possono ospitare diversi
nuclei familiari.
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Le abbiamo visitate con interesse, entrando nelle varie stanze dove vivono in comune..
ricordo che il sole fuori splendeva abbacinante e nell’interno si respirava un caldo
umido intenso..
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...la luminosità dorata del mezzogiorno filtrava attraverso le assi di legno creando
strani giochi di ombre sui visi degli stessi Rungus, donne, giovani mamme cresciute
troppo in fretta e bambini. Le camere semplici, spesso adibite ai vari lavori di
tessitura, erano abbastanza spaziose, proprio per accogliere più persone.
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All’esterno poi i Rungus, abbigliati nei loro ricchi ed elaborati costumi tradizionali,
avevano allestito un semplice spettacolo di canti e danze locali.
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Lasciate le longhause, e l’umida giungla sempre pronta ad invadere ogni spazio
precedentemente e faticosamente strappatole, abbiamo passeggiato lungo la
deserta lunga spiaggia di Kudat, lasciandoci ammaliare dalla bellezza della natura
che ci circondava
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...e poi via all’isola di Sulug, la
più lontana del piccolo
arcipelago al largo di Kota
Kinabalu, la più selvaggia e
deserta dove ci aspettava in
una insenatura di spiaggia con
una bianca sabbia fine, un
bagno ristoratore, necessario
in quel clima di caldo umido
tropicale. Non c’era nessuno
intorno a noi solo la voce del
vecchio mare e la natura
dipinta nei suoi colori più
brillanti…
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...colori che abbiamo assaporato più intensi quando la sera, tornati a Kota Kinabalu,
abbiamo assistito ad un tramonto sulla baia veramente eccezionale, una sequenza di
immagini mozzafiato, da paradiso!
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Questo è stato il saluto romantico che ci ha lasciato nel cuore il Sabah.. il giorno dopo
siamo partiti in aereo alla volta del Sarawak e siamo sbarcati a Miri, base importante
per la visita delle grotte preistoriche di Niah.
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Qui, in un vero paesaggio da jungla tropicale, siamo saliti su una barca che di barca
aveva solo il nome e ci siamo addentrati, via fiume, il Sungai Niah nella foresta…
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...poi a piedi in quella jungla
intricata che, è in fondo un
piccolo parco naturale di 32
Kmq, abbiamo percorso il
lungo tratto che ci avrebbe
portato alle grotte.
Devo dire che il percorso era
un sentiero tracciato con assi
di legno e ponticelli suggestivi
su pittoreschi acquitrini
limacciosi.. il che non
dispiaceva affatto, anche se
ci faceva capire come la
civiltà fosse arrivata a
contaminare la verginità di
quel luogo!
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Un fiumiciattolo, lento e
paludoso ci accompagnava sulla
destra e ogni tanto portatori
di guano, gli escrementi di
uccelli, venduti come concime,
arrivavano correndo, per cui
dovevamo spostarci
immediatamente per lasciarli
passare, se non volevamo
essere travolti. Con le loro
gerle sulle spalle, a piedi nudi,
arrivavano da lontano, simili a
bestie da soma, non
guardavano nessuno e non
desideravano alcuna
attenzione da parte nostra.
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Finalmente siamo arrivati a Batu Niah nel piccolo “National Park Niah Caves”, dove
siamo rimasti letteralmente stupiti nell’ammirazione di alcune grandiose grotte che
risalgono a 40.000 anni fa e sono state dimora addirittura dell’Homo Sapiens..
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...adesso erano frequentate dai cacciatori
di uova di uccelli che poi avrebbero
venduto a cinesi e giapponesi!
La visita di queste grotte mi ha
interessato molto.. il buio intorno creava
ombre suggestive anche se l’odore acre
del guano dei rondoni disturbava
alquanto… ma se si riusciva a superare
quel tanfo si restava incantati a guardare
l’enorme quantità di rondini, il loro
frastuono assordante mentre
volteggiavano..tutto intorno a noi
era buio e il terreno scivoloso poteva far
cadere, e qualche torcia era di buon
aiuto.. comunque non siamo rimasti a
lungo.. forse l’homo sapiens vi aveva
trovato piacevole rifugio.. noi
preferivamo l’esterno ed il profumo
del verde…
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...e devo dire che provavamo una strana impressione a camminare
in quelle grotte. Percepivamo il mistero di momenti trascorsi
milioni di anni prima da uomini e donne che vivevano lì, esseri
primitivi eppure con sentimenti, paure, amore.. simile in parte alle
nostre.
Ma in quel momento, a rompere le nostre meditazioni si è
scatenato un furibondo, pazzesco acquazzone tropicale e noi,
ancora nella grotta, ne abbiamo sentito il rumore e dalle aperture
nella roccia ne abbiamo visto, spaventati, l’intensità… eravamo in
piena jungla lontano da qualsiasi abitazione o rifugio… in quel
momento ho immaginato il terrore degli uomini primitivi che
avevano guardato quella stessa forza della natura incontrollabile
e proprio per questo l’avevano definita divina.. decine di migliaia di
anni erano passati, noi ci eravamo evoluti, ma la natura era
rimasta la stessa, potente ed incontrollabile!
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Dato che l’acquazzone non accennava
a diminuire e si stava facendo buio ,
con coraggio abbiamo affrontato il
diluvio, per 30 minuti ci siamo
avventurati sulle passatoie di legno
ormai divenute scivolose,
completamente indifferenti alla
bellezza di quel paesaggio verde che
all’andata ci aveva tanto affascinato..
Oltre allo scrosciare intenso della
pioggia non sentivamo altri rumori,
la foresta sembrava essersi
ammutolita di fronte alla violenza
della natura, mentre rivoli d’acqua
penetravano ovunque dato che
avevamo incautamente lasciato tele
cerate ed impermeabili in hotel.
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Gelando dal freddo e con le scarpe divenute comode barche finalmente siamo arrivati
al piccolo paesino di Batu Niah dove abbiamo in tutta fretta comprato qualcosa di
abbigliamento locale asciutto, ci siamo cambiati nelle jeep e via, l’aeroporto e il volo
per Kuching ci aspettava..
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Il mattino dopo, asciutte e ben riposate, abbiamo visitato
questa città che nella memoria evocava l’immagine dei cacciatori
di teste e le lotte con i rajà bianchi.. oggi di tutto questo non
rimaneva traccia..
...la città che è poi la capitale del Sarawak, era situata alla foce
del fiume omonimo e ci è apparsa un insieme caotico di vari stili:
l’architettura imponente asettica, fredda che dominava con i
suoi grattacieli o i grandi alberghi, poi c’era quella coloniale,
meno visibile, più da scoprire, ma pittoresca ed evidente in ogni
angolo tale da dare quel tono di “oriente raffinato” che non
guastava di sicuro.
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Il nome della città che significa “Gatto” era stato dato da un avventuriero inglese, il
famoso James Brooke di salgariana memoria, che nel 1841, per i servigi forniti, fu
insignito dal sultano del Brunei, del titolo di Rajà.. la dinastia dei Brooke continuerà
poi indisturbata fino al 1951.
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Questa città-gatto è stata piacevole da visitare soprattutto, come ho detto prima,
nelle tracce del suo passato coloniale visibile dalla collina che guardava il fiume Sarawak,
inoltre abbiamo passeggiato per i bei giardini, ammirato le fontane lungo il fiume,
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...la bianca Moschea con l’antistante cimitero e i templi cinesi, colorati e profumati
d’incenso e spezie..
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...soprattutto il Tua Pek Kong,
bellissimo ed antico.. abbiamo anche
camminato in un clima di caldo umido,
lungo la Jalan India, un’isola pedonale
piena di botteghe e negozietti.. ma il
desiderio di altre avventure premeva
per cui attendevamo con ansia la
partenza verso la foresta per andare
a trovare il popolo degli Iban,
i famosi Dayak del litorale, gli antichi
tagliatori di teste.
Quando si viaggia si ricercano spesso
esperienze uniche, avventure da
ricordare, ebbene la nostra
escursione presso gli Iban e il
nostro pernottamento nelle loro
longhause è stata una di queste,
un’avventura che resterà
piacevolmente impressa nella nostra
memoria.. ma andiamo per gradi.
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Arrivati a Simanggang, un villaggio di quattro case diroccate semi deserte ci siamo
imbarcati tra grida ed eccitazione generale su canoe giganti, abbastanza instabili,
dato che dovevamo percorrere un lungo tratto del fiume Skrang le cui acque color
caffè, dopo la terribile tempesta tropicale, non erano certo invitanti..
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La navigazione, se così potevamo chiamarla, è stata avventurosa.. il fiume scorreva
lentamente.. a tratti i motori sospingevano le canoe, ma spesso si incontravano secche
ed allora si procedeva con i remi e i guidatori scendevano addirittura in acqua per
disincagliarle..
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...intorno a noi regnava un profondo silenzio, solo in lontananza, si sentiva lo stridulo
lamento, forse delle cicale o di altri uccelli strani, che si levava dalla foresta..
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...non un filo di vento muoveva le foglie sugli alberi attorno a noi, il caldo era
opprimente e migliaia di piccolissimi insetti saltellavano sul pelo dell’acqua..
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...ma nonostante i disagi, le aspettative erano immense e il nostro desiderio di
arrivare alle longhause si mescolava ad una sorta di velata apprensione per
l’alloggio che ci aspettava.
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Dopo il lungo tragitto finalmente tra il folto verde abbiamo intravisto la prima
longhause degli Iban e poi quella che ci avrebbe ospitato nel nostro breve
soggiorno… da lontano sembrava piacevole:
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...era proprio come l’avevamo immaginata, per cui il timore per la notte era
unito all’eccitazione collettiva della particolare ed insolita sistemazione.
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I dormitori erano lunghi
stanzoni separati da tendoni
trasparenti, simili quasi a
zanzariere.. dopo aver
depositato la sacca spartana
che ci eravamo portate, è
quindi iniziata la nostra vita
presso quelle case –palafitte
degli antichi tagliatori di
teste
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Oltre ad un ben fornito sacco di antichi teschi non certo rassicurante, appeso
all’ingresso, come trofeo...
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...l’elemento più caratteristico era costituito dai maiali.. tanti, grandi e piccoli,
allegri e tranquilli che vivevano sotto la casa, tra i pali di legno delle palafitte.
Il loro grugnito ci ha tenuto sempre compagnia sia di giorno che di notte!
Ci hanno infatti detto che, al contrario dei malesi, cui la religione musulmana
vieta di mangiare maiale, i Dayak, che non sono musulmani, ne allevano a iosa
intorno alle loro case collettive…
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Comunque, al di là della loro antica fama di tagliatori di teste, gli Iban o Dayak
della costa ci sono apparsi molto socievoli e assolutamente indifferenti ai nostri
“scalpi”.. ci hanno persino deliziato con uno spettacolo di canti e danze come
festa di benvenuto,
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...poi ci hanno offerto
bevande e cibo che
abbiamo gustato seduti
per terra tra la polvere e
i maiali, rispettando però
determinate regole che
ci aveva raccomandato la
guida.
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Infine, abbiamo vagato curiose in quell’habitat singolare dove tutti erano allegri,
dediti ai loro lavori e sempre disponibili nei nostri riguardi.
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Dopo l’abbondante vera e propria cena consumata all’aperto su
una lunga tavolata di legno, ci siamo ritirati nel dormitorio
comune, e qui ci siamo cambiate e come scolarette in gita
scolastica abbiamo iniziato a ridacchiare in quel camerone dove
ogni soffio pareva rumore .. poi la stanchezza ha vinto
sull’emozione e tutti quanti ci siamo addormentati serenamente.
Il mattino dopo ci siamo svegliati all’alba in questi cameroni e
devo dire che abbiamo impiegato qualche minuto per renderci
conto di dove eravamo effettivamente: nell’agglomerato di lunghe
capanne su palafitte in piena foresta tropicale! L’umidità era alta
e il timore di un altro temporale, di cui avevamo visto l’intensità,
era pressante.. ciononostante desideravamo muoverci, apprendere
di più sul luogo e sulle usanze di questa popolazione che ci stava
ospitando con piena disponibilità.
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Ormai questi antiche tagliatori
di teste non facevano più paura..
avevano dimenticato le antiche
usanze, anche se solo nel 1945
fu loro vietato l’uso che imponeva
all’uomo che volesse sposarsi, di
indossare il costume da guerra e
soprattutto di portare in una
reticella la testa dell’ultimo
nemico ucciso!
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Dopo una lauta colazione
all’aperto, sempre tra maiali e
polvere, siamo partiti per
un’escursione nella jungla
circostante, accompagnati da
un simpatico aborigeno in
costume tradizionale..bisogna
dire che la jungla è sempre
stata una specie di
supermercato per gli Iban,
infatti qui si poteva trovare
tutto ciò che serviva loro..
per questo le spiegazioni su
come costruire trappole, su
come fabbricare archi e
frecce, produrre tessuti,
raccogliere erbe medicinali..
erano dettagliate e precise.
Diario di viaggio nel Borneo Malese
Tra tagliatori di teste, oranghi e antichi corsari
Abbiamo percorso sentieri,
attraversato ponti sospesi
camminando lungo tronchi di
alberi, abbiamo sostato nei loro
cimiteri dove venivano lasciati
cibi regali, oggetti vari che
potessero servire per maggior
comodità anche nell’aldilà.
Era bello inoltrarsi in quel mondo
unico, lontano dalla civiltà,
un mondo dove imperava solo la
legge della natura.. era un mondo
difficile e invivibile per noi
occidentali, ma per qualche giorno
ne abbiamo vissuto l’avventura e
ci siamo illusi di essere dei grandi
esploratori.
Diario di viaggio nel Borneo Malese
Tra tagliatori di teste, oranghi e antichi corsari
Bellissimo è stato anche il percorso di ritorno lungo il fiume, reso più ricco d’acqua a
causa delle recenti piogge.. abbiamo navigato osservando con maggiore intensità tutto
ciò che ci circondava, preoccupati che qualcosa sfuggisse al nostro sguardo.. stavamo
ritornando e non volevamo perdere nulla.
Diario di viaggio nel Borneo Malese
Tra tagliatori di teste, oranghi e antichi corsari
Abbiamo assaporato gli ultimi raggi del sole che si riflettevano sull’acqua giallognola
rendendola quasi bella, abbiamo respirato quell’aria umida proprio per riempirci i
polmoni.. non volevamo dimenticare neppure quella! Poi abbiamo toccato terra e siamo
sbarcati.
Diario di viaggio nel Borneo Malese
Tra tagliatori di teste, oranghi e antichi corsari
L’ultimo giorno di permanenza nel Sarawak è stato trascorso interamente al mare, ci
siamo fatti trasportare in barca, in un piccolo atollo fantastico, soli in quell’immensità
azzurra, soli e padroni dell’isoletta, distesi su una sabbia bianca che sembrava
impalpabile…
Diario di viaggio nel Borneo Malese
Tra tagliatori di teste, oranghi e antichi corsari
...siamo rimasti a godere di cielo e mare fino a quando il sole si è liberamente coricato
stendendo i suoi raggi e colorando di rosso l’orizzonte e l’alta marea non ha cominciato
a sommergere il nostro piccolo paradiso, allora siamo tornati sulla costa e ci siamo
purtroppo resi conto che la nostra vacanza in Borneo era veramente finita.
Diario di viaggio nel Borneo Malese
Tra tagliatori di teste, oranghi e antichi corsari
Ora che è passato molto tempo.. la distanza conferisce a
questi ricordi il sapore di un sogno.. si dimenticano le
difficoltà, le inquietudini, i timori e resta l’emozione di
qualcosa di bello che si ha vissuto..per questo mi sembra di
condividere il pensiero di Jason Elliot quando parlando del
piacere di viaggiare dice :
“Una volta che si resta intrappolati.. non ci si libera più del
tutto.. una parte del proprio cuore sarà sempre intrecciata
con l’intimo ordito di quei luoghi!”
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Tra tagliatori di teste, oranghi e antichi corsari
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