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1627: rembrandt il ricco stolto - Unità Pastorale Zevio-Perzacco

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1627: rembrandt il ricco stolto - Unità Pastorale Zevio-Perzacco
1627:
REMBRANDT
IL RICCO
STOLTO
UNITA’ PASTORALE ZEVIO PERZACCO VOLON
TRACCIA PER GRUPPI SPOSI ED EMMAUS
4
Gesù parla alle famiglie in parabole. Il ricco stolto
COMMENTO ARTISTICO ALLA PITTURA REMBRANDT: “IL RICCO STOLTO”
(don Antonio Scattolini)
Fa sempre una certa impressione entrare di notte dentro una stanza buia. In questo caso, il nostro
occhio ci permette di aver accesso ad una scena notturna in cui sta un uomo anziano, che sembra
perfettamente a proprio agio al tenue lume di una candela, circondato da libri e documenti. La sua
attenzione è tutta rapita da un oggetto che stringe con la destra e che egli sta osservando da vicino.
Se guardiamo bene si tratta di una moneta: il vecchio la sta contemplando con grande interesse come
se si trattasse di una medaglia col ritratto di una persona cara! Gli occhiali abbassati sul na
so rafforzano questo senso di concentrazione o meglio di adorazione idolatrica! Sembra quasi
che l’unica luce della sua vita, l’unica cosa che illumina il suo volto, provenga da quella moneta. Il
suo mondo infatti è tutto lì, riassunto in quelle carte e in quel denaro che gli sta davanti. C’è qualcosa
di segreto, qualcosa che ha il tono di una macchinazione o di un intrigo che si ordisce nell’ombra.
Tra questi codici, tra registri contabili, sacchetti di monete, un bilancino … nel buio di questa
notte, l’uomo deciderà del suo futuro … e forse il suo destino definitivo … per sempre!
Rembrandt, col suo tocco di classe, mostra già in questa piccola opera giovanile (cm. 32 x 42),
quel talento straordinario che esprimerà al meglio nei tanti capolavori della sua maturità (es. La
Ronda di notte - 1642) e della sua vecchiaia (es. Il Figliol Prodigo - 1669). L’ambiente olandese del
XVII secolo, caratterizzato dai floridi commerci internazionali incentrati su Amsterdam, favorisce i
contatti e la circolazione di stampe ed opere d’arte; è qui che Rembrandt cresce, lavora e “scrive”
con la sua pittura una delle pagine più significative della storia dell’arte. Anche la sua vita
avventurosa, sempre in equilibrio precario tra alterne fortune affettive ed economiche, tra
ammirazione e solitudine, tra gloria e tragedia, fa di lui un personaggio straordinario. Pur di
modeste origini (il padre era mugnaio) l’artista conosce la pittura scuola italiana nel laboratorio di
Pieter Lastman, e dopo qualche anno, con il collega Jan Lievens, apre bottega diventando in poco
tempo un artista affermato, consapevole del suo talento. Avvicinandoci alle sue tele noi ci rendiamo
conto di trovarci di fronte ad grande maestro. La percezione fisica del colore, sempre steso con
passione, ha la capacità di attirare la nostra attenzione e di predisporci ad apprezzare la
drammaticità, la dignità e l’amore per la vita che caratterizzano le sue opere, rilevando anche quel
senso di disincanto che in molti casi rasenta anche l’umorismo (anche nei suoi numerosi
autoritratti). La sua abilità nella tecnica pittorica è pari alla sua capacità di rappresentare scene di
soggetto biblico, sia interpretando magistralmente i significati più profondi delle pagine delle
Scritture, sia scegliendo un tipo di linguaggio artistico che diventa esso stesso evangelico,
suscitando una presa di posizione netta, o di favore o di rifiuto netto della sua pittura.
Lo possiamo costatare anche in quest’opera, in cui il gioco del chiaroscuro, di impronta
caravaggesca, stacca nettamente le zone di luce, isolandole dal buio del fondale: il dettaglio della
mano che nasconde la candela ricorda i dipinti di Georges La Tour o di Gherardo delle Notti. I
colori sono essenziali, ridotti a poche sfumature di giallo, di marrone, di grigio. Non sappiamo dove
sia ambientata la scena; forse una cantina (simile al caveau di una banca). A proposito di
quest’opera, Stefano Zuffi annota: “Secondo l’attendibile biografo, Van Houbraken, il motto di
Rembrandt era “se voglio procurare benefici alla mia mente non cercherò gli onori, ma la
libertà”: e il ventunenne pittore dichiara con forza la sua indipendenza rispetto alle convenzioni”.
Infatti, l’abile regìa dell’artista, sempre alla ricerca di soluzioni innovative rispetto ai canoni
tradizionali, imposta l’azione su un piano ravvicinato, di fronte ad una figura seduta, ritratta a
mezzobusto; questa scelta, che si caratterizza per l’intensità emotiva, ci pone nel ruolo di
osservatori ravvicinati e vuole coinvolgerci direttamente nella scena, portandoci dentro la vicenda
rappresentata, nella convinzione che qui c’è qualcosa che dovrebbe farci meditare. Il soggetto di
questo quadro non tratta infatti di una qualsiasi scena di genere, ma interpreta con i colori il testo di
una importante parabola evangelica; si tratta del brano di Luca 12, 13-21, la cosiddetta parabola del
Ricco Stolto. Rembrandt quindi rivolge agli spettatori un ammonimento contro l’avarizia, di cui
questo personaggio diviene una allegoria. Forse la presenza di testi scritti in ebraico esprime anche
una polemica antigiudaica. Va riconosciuta la forza di questo dipinto la cui originalità ci affascina
ancor oggi, a distanza di secoli, poiché la capacità di Rembrandt di guardarsi allo specchio con
estremo realismo (cfr. i suoi autoritratti), ci invita a riconoscerci con verità nel protagonista della
tela e della pagine evangelica. Secondo il grande critico Ernst Gombrich “Rembrandt pareva
possedere una conoscenza quasi soprannaturale di ciò che i greci chiamavano “lavorìo
dell’anima”. Come Shakespeare, sembra essere penetrato nella più segreta intimità di ogni tipo
umano, arrivando ad intuire il comportamento di ognuno nelle più diverse situazioni. È questo
dono che rende le sue illustrazioni bibliche così diverse da tutto quanto era stato fatto prima di lui.
Protestante devoto, Rembrandt dovette leggere e rileggere la Bibbia. Penetrò nello spirito degli
episodi e tentò di immaginarseli esattamente come dovevano essere apparsi, e come i personaggi
dovevano essersi mossi ed atteggiati”. Così, anche noi oggi, in quest’uomo di cui percepiamo la
solitudine e l’attaccamento alle sue cose pari solo al suo bisogno di affetto, ritroviamo la nostra
umanità sempre tentata di assolutizzare i beni terreni, dimenticando ciò che vale sul serio alla prova
della vita. L’illusione, anzi l’assurdità di poter mettere una ipoteca sul futuro è ciò che viene
rimproverato a colui che, qui rappresentato dal personaggio di Rembrandt, è preoccupato solo di sé
e non vede più nessuno, né il Signore, né i suoi fratelli.
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