Comments
Description
Transcript
storia della sicilia
STORIA DELLA SICILIA INTRODUZIONE LA SICILIA COME NAZIONE • Per chi si accinge a raccontare la storia della Sicilia, una domanda si impone: se la Sicilia sia mai stata una nazione, nel senso che si dà a questa parola, così da giustificarne una storia a sé stante. • La risposta è che una nazione siciliana è storicamente esistita nel passato, con la sua politica, la sua economia, la sua cultura, distinte e autonome da quelle di tutte le altre nazioni che sono nate nel Mediterraneo. • Nonostante tante dominazioni di stirpi e popoli diversi, possiamo affermare che in Sicilia è rimasta ininterrotta la successione e l’eredità della vita civile; e questo, che è in un LA SICILIA COME NAZIONE • certo senso il rovescio positivo della celebre visione gattopardesca dei mutamenti che in Sicilia nascondono, invece, immutevoli permanenze, ha fatto sì che in questa terra sia rimasta costante quella tradizione e quelle esperienze che danno alla Sicilia i tratti inconfondibili della nazione. • E la storia della Sicilia è soprattutto la storia del fare e del patire millenario di tutto il popolo siciliano. E quanto sudore e sangue è sempre costato essere siciliani. Dopo un secolo, due secoli, tre secoli incominciavano a parlare la stessa lingua, ad adorare gli stessi dei o lo stesso Dio, a darsi leggi e costumi, insomma a costruirsi un patrimonio culturale, una tradizione ,ed ecco che arrivava un nuovo popolo straniero che scombinava tutto. E si ricominciava a riscrivere la propria storia. PERCHE’ UN CORSO DI STORIA DELLA SICILIA • In una società come la nostra nella quale tutto si misura col metro dell’utilità, qualcuno potrebbe chiedermi perché un corso di Storia della Sicilia, a che serve? Potrei rispondere come quell’animalista che, a una signora impellicciata che gli chiedeva a cosa servisse un lupo vivo, rispose: “non serve a niente, come Mozart”. • Al di là della provocazione, io penso che a qualcosa serva. Conoscere il nostro passato aiuta a comprendere il presente e la nostra identità di siciliani. Noi siamo il prodotto di tante culture che si sono succedute le une dalle altre come in una staffetta. E Benedetto Croce ci insegna che il carattere di un popolo è dato dalla sua storia, tutta la sua storia, nient’altro che la sua storia. LA SICILIA AL CENTRO DEL MEDITERRANEO • E la storia della Sicilia è così ricca e complessa che da essa è nato “un popolo di popoli”(così ha definito il popolo siciliano uno storico francese, Jules Michelet). • Cosa ha di speciale questa terra ad aver attratto tanti popoli diversi? La risposta ce la dà la geografia che ci ricorda la collocazione dell’isola al centro del Mediterraneo, un mare in cui nacquero le grandi civiltà dell’antichità e da dove sono passati i flussi della grande storia; fra due continenti, l’Europa e l’Africa: la porta dell’Europa per gli africani, l’Europa che finisce per gli scandinavi, i britannici, i tedeschi. Quindi, una terra di frontiera e, come avviene in tutti i luoghi di frontiera, dalla sua porta sono entrati tanti popoli. LA SICILIA AL CENTRO DEL MEDITERRANEO LE DUE CHIAVI DI LETTURA DELLA STORIA DELLA SICILIA • C’è da chiedersi se tutte queste invasioni siano state per i siciliani solo dominazione e violenze. In proposito c’è da dire che la storia della Sicilia si presta a due diverse chiavi di lettura. L’una risalente a Tommaso Fazello, un monaco domenicano siciliano, che nel ‘500 scrisse una storia della Sicilia in cui si sosteneva che le continue invasioni erano state per i siciliani solo dominazione e violenze. Questa interpretazione della nostra storia è stata avvalorata dai nostri maggiori scrittori. Tomasi di Lampedusa, nel Gattopardo, esprime perfettamente questa chiave di lettura, per cui i siciliani hanno subito passivamente le tante dominazioni. LA STORIA DELLA SICILIA Tommaso Fazello TOMASI DI LAMPEDUSA Il Gattopardo LE DUE CHIAVI DI LETTURA DELLA STORIA DELLA SICILIA • Ricordate , nel Gattopardo, il famoso colloquio fra il principe di Salina e l’emissario piemontese Chevalley? • Dice il principe….. IL GATTOPARDO “Sono venticinque secoli che portiamo sulle spalle il peso di magnifiche civiltà eterogenee, tutte venute da fuori già complete e perfezionate, nessuna germogliata da noi stessi, nessuna a cui abbiamo dato il là…..” IL GATTOPARDO “…questi monumenti anche magnifici ma incomprensibili perché non edificati da noi e che ci stanno intorno come bellissimi fantasmi muti, tutti questi governi, sbarcati in armi da chi sa dove, subito serviti, presto detestati e sempre incompresi, che si sono espressi soltanto con opere d’arte per noi enigmatiche….” LE DUE CHIAVI DI LETTURA DELLA STORIA DELLA SICILIA • C’è poi una seconda chiave di lettura sostenuta da alcuni storici moderni secondo i quali le tante invasioni non sono state per i siciliani solo dominazione e violenze, ma ne hanno permeato la vita, la cultura, il costume,l’arte, in maniera profonda e duratura. Per questi storici, i siciliani non hanno subito passivamente le varie dominazioni, ma ne hanno recepito le culture, fino a diventare parte costitutiva di quelle civiltà. • E così la Sicilia è stata Fenicia e Greca, Romana, Bizantina, Araba, Normanna e Sveva, Angioina e Aragonese, Spagnola, Borbonica e, infine, Italiana. PRESENTAZIONE DEL CORSO • Il corso, articolato in 16 “incontri”, si intitola “La Sicilia Greca”, in quanto la parte più estesa si riferisce al periodo della colonizzazione greca (VIII-III sec. a.C.). • Ma prima, per completezza, faremo una rapida escursione nella Sicilia preistorica, per conoscere alcuni siti archeologici più significativi, senza trascurare la Sicilia fenicia. SICILIA PREISTORICA FAMOSI PALETNOLOGI • La Sicilia preistorica, per la quantità e qualità dei reperti che ci ha lasciato, meriterebbe un intero corso. E questo grazie anche all’opera di grandi paletnologi, come Paolo Orsi e Luigi Bernabo’ Brea. Io mi limiterò a una rapida visita ai più significativi siti archeologici. PALETNOLOGI PAOLO ORSI (1859-1935) L. BERNABO’ BREA (1910-1999) L’ARRIVO DELL’UOMO • L’uomo arrivò in Sicilia in epoca relativamente tarda, circa 100.000 anni fa e pare che provenisse dall’Africa a cui la Sicilia allora era unita. L’ARRIVO DELL’UOMO IN SICILIA L’UOMO DELLE CAVERNE • Il siciliano del paleolitico visse fino al dodicesimo millennio nelle grotte. • Nella cartina che segue sono riportate le più importanti grotte che ci attestano la presenza del siciliano del paleolitico. L’UOMO DELLE CAVERNE LE GROTTE DEL MESSINESE • Le grotte del messinese dove sono stati reperti preistorici sono: IL RIPARO DI ROCCA S. MARCO A UCRIA IL RIPARO DELLA SPERLINGA A NOVARA DI SICILIA LA GROTTA SAN TEODORO AD ACQUEDOLCI • La grotta più interessante del messinese è la grotta San Teodoro ad Acquedolci. • In questa grotta, oltre a molti reperti litici relativi al paleolitico superiore, sono stati ritrovati i resti ossei di cinque individui, di cui due donne, vissuti 14.000 anni fa. Si tratta dei primi resti umani trovati in Sicilia e in tutta Italia dopo quelli trovati in alcune grotte della Liguria. LA GROTTA SAN TEODORO AD ACQUEDOLCI I RESTI UMANI DI SAN TEODORO IL VOLTO DI THEA • Uno degli scheletri, il più completo, apparteneva a una donna di 30 anni, alta 1m. e 65 cm., alla quale dai paletnologi fu dato il nome di Thea, per collegarlo a quello della grotta. • Al museo naturalistico Gemmellaro dell’Università di Palermo,dove sono conservati i resti di San Teodoro, con la stessa tecnica usata per ricostruire i volti dei faraoni, è stato ricostruito il volto di Thea. THEA 200.OOO ANNI FA IN SICILIA C’ERANO GLI IPPOPOTAMI • Nell’area circostante la grotta San Teodoro sono stati trovati reperti fossili di ippopotamo, segno che in questo posto 200.000 anni fa c’era un bacino lacustre dove vivevano gli ippopotami, che insieme agli elefanti nani e all’orso, costituivano la grande fauna del paleolitico siciliano RESTI FOSSILI DI IPPOPOTAMO LE PITTURE E I GRAFFITI DI LEVANZO • In due grotte, una a Levanzo e l’altra sul monte Pellegrino a Palermo, sono state trovate le più antiche manifestazioni artistiche siciliane. • A Levanzo, nella grotta di Cala del Genovese, ci sono pitture neolitiche e graffiti riferibili al paleolitico superiore. ARTE RUPESTRE Isola di Levanzo GROTTA CALA DEL GENOVESE GROTTA CALA DEL GENOVESE Pitture Neolitiche GROTTA CALA DEL GENOVESE Pitture neolitiche GROTTA CALA DEL GENOVESE Graffiti Paleolitico Superiore GROTTA CALA DEL GENOVESE Graffiti - Bue GROTTA CALA DEL GENOVESE Graffiti – Giovane cervo GROTTA CALA DEL GENOVESE Giovane cervo graffito Animale dipinto I GRAFFITI DELL’ADDAURA • • • • • Nel 1952, nella grotta dell’Addaura sul monte Pellegrino a Palermo, furono individuati un gruppo di graffiti risalenti al paleolitico superiore, che costituiscono gli esempi più belli e più suggestivi finora noti al mondo. I graffiti riproducono 17 figure umane e 15 di animali. Nove figure umane sono in piedi, rivolte in cerchio verso lo stesso punto. Alcune agitano le braccia in un atto che può significare incitamento, o gioia, o meraviglia o anche costernazione. Al centro della scena vi sono due uomini sdraiati, colti in una curiosa posizione, con il corpo inarcato e le gambe piegate all’indietro. Sul significato di questa scena si è discusso e scritto molto. Le interpretazioni più ricorrenti sono due. Una vede nelle due figure centrali due acrobati che stanno eseguendo spericolati esercizi ginnici, provocando lo stupore degli spettatori. L’altra interpretazione, più suggestiva, vede nella scena la rappresentazione di un sacrificio umano provocato dalle stesse vittime per autostrangolamento, provocando negli spettatori dolore e costernazione. Peccato che la grotta dell’Addaura da vent’anni è chiusa al pubblico per motivi di sicurezza. GROTTA DELL’ADDAURA Palermo GROTTA DELL’ADDAURA Graffiti LA FIGURA UMANA TRATTATA DA Levanzo Addaura GROTTA DELL’ADDAURA Graffiti - Particolare LA GROTTA DELL’ADDAURA OGGI IL PRIMO VILLAGGIO • Fu nel neolitico (7°-3° millennio) che l’uomo, con l’invenzione dell’agricoltura, uscì dalle caverne e costruì dimore all’area aperta. Sorsero allora i primi villaggi, piccoli agglomerati di capanne. • Il più antico villaggio finora conosciuto in Sicilia è quello di Stentinello, località costiera a nord di Siracusa. Il villaggio, di forma ovale, era circondato e protetto da un fossato. • Nel 1961, in questo sito, è stata identificata una capanna a pianta rettangolare, il cui perimetro è indicato da una serie di fori circolari in cui venivano conficcati i pali di sostegno della capanna stessa. CAPANNA DELLA CULTURA DI STENTINELLO L’ETA’ DEI METALLI • ETA’ DEL RAME (III millennio – XVIII sec. A.C.) • ETA’ DEL BRONZO (XVIII – XV sec. A.C.) • ETA’ DEL FERRO (XV sec. – fino alla storia) L’ETA’ DEL BRONZO (XVIII-XV sec.a.C.) • Cultura del Castelluccio – Noto • Cultura di Thapsos - Priolo CULTURA DEL CASTELLUCCIO NOTO CULTURA DEL CASTELLUCCIO • La cultura del Castelluccio prende il nome dall’insediamento situato su uno sperone dell’altipiano acrense fra Noto e Palazzolo Acreide. • Nella piccola valle a fianco del villaggio si trova la necropoli, costituita da 176 tombe a grotticella artificiale, che è il tipo di tomba conosciuto in Sicilia nell’età dei metalli. • Le sepolture sono collettive. I defunti non sono soli, quasi si volesse includerli ancora nella collettività . CULTURA DEL CASTELLUCCIO La necropoli NECROPOLI DEL CASTELLUCCIO Tomba del principe NECROPOLI DEL CASTELLUCCIO Tomba con prospetto monumentale NECROPOLI DEL CASTELLUCCIO Tomba con cornice elaborata NECROPOLI DEL CASTELLUCCIO Tombe gemelle NECROPOLI DEL CASTELLUCCIO Interno di una tomba con letto funebre Lastre di calcare spiraliformi dalla necropoli di Castelluccio Queste lastre chiudevano l’ingresso delle tombe. Sono importanti perché sono le sole sculture finora conosciute dell’intera preistoria siciliana. CERAMICHE CULTURA CASTELLUCCIO THAPSOS LA CULTURA DI THAPSOS • Sul finire del XV secolo, verso il 1420, nella Sicilia orientale c’è stato un mutamento culturale di grande portata, costituito dalla cultura di Thapsos. • Questo sito si trova nella penisoletta rocciosa e pianeggiante, oggi chiamata Magnisi, di fronte alla costa di Priolo alla quale è congiunto da un sottile istmo sabbioso. • A differenza di quelli della cultura castellucciana, gli insediamenti della cultura di Thapsos sono situati tutti sulla costa. Ciò prova che questa era una cultura essenzialmente marittima commerciale, con frequenti rapporti con la civiltà micenea. • Con la cultura di Thapsos i siciliani preistorici hanno per la prima volta un nome. Infatti, gli uomini e le donne di Thapsos erano i Sicani. • Questi erano un popolo proveniente dalla penisola iberica, che arrivò in Sicilia verso il 1420 e che si insediò sulle coste orientali dell’isola. THAPSOS Insediamenti THAPSOS Resti di fabbricati di stile miceneo THAPSOS Necropoli THAPSOS Ceramiche THAPSOS Ceramiche THAPSOS Ceramiche Luigi Bernabò Brea divise l’età del ferro in Sicilia in quattro fasi: • • • • CIVILTA’ DI PANTALICA NORD (XIII-XI SEC. A.C.) CIVILTA’ DI CASSIBILE (1.000 – 850 a.C.) CIVILTA’ DI PANTALICA SUD (850-730 a.C.) CIVILTA’ DEL FINOCCHITO (730-600 a.C.) L’ARRIVO DEI SICULI • All’inizio dei XIII secolo, verso il 1270, nella Sicilia orientale avvennero profondi cambiamenti economici e antropologici. Tutti gli insediamenti della cultura di Thapsos della costa scomparvero quasi all’improvviso. I Sicani abbandonarono la costa per andare a vivere in impervie e disagevoli località dell’interno, scelte perché rispondenti a esigenze di difesa. Da chi dovevano difendersi i pacifici Sicani? Dall’invasione dei Siculi. • Questi erano un popolo di stirpe indoeuropea, che, insieme ad altri popoli, dai Balcani arrivò in Italia e da qui passò in Sicilia, dove si insediò sulla costa sud orientale, scacciando con la forza i Sicani. • Questi, nelle zone dell’interno, costituirono la cultura che Bernabò Brea chiamò civiltà di Pantalica nord. • Questa civiltà prese il nome dall’insediamento più significativo di Pantalica. PANTALICA PANTALICA • Pantalica è il sito più affascinante e suggestivo di tutta la preistoria siciliana. • Nel 2005 l’Unesco l’ha proclamato Patrimonio dell’Umanità, per l’alto profilo storico, archeologico e paesaggistico. Per cui tanti sono gli aspetti che rendono questo sito unico, uno dei grandi tesori della Sicilia, pressocchè sconosciuto anche ai siciliani. L’ASPETTO NATURALISTICO E PAESAGGISTICO • Pantalica è uno sperone roccioso situato nell’entroterra della provincia di Siracusa, fra i comuni di Ferla e Sortino, che sovrasta la confluenza di due fiumi, l’Anapo e il Calcinara, che, scavando profondamente i rilievi, hanno formato veri e propri canyon, da queste parti chiamati cave. • La natura selvaggia del sito ha favorito la concentrazione di una grande varietà di specie vegetali. Tra gli alberi ad alto fusto, che formano una fitta foresta fluviale, vi sono pioppi bianchi e neri, salici, tamerici, oleandri. Lungo i pendii si incontra la foresta mediterranea a querce, lecci e sugheri, che si alterna alla macchia mediterranea. • La fauna è ricca di volpi, martore, istrici, lepri, ricci e una grande varietà di uccelli. PANTALICA PANTALICA PANTALICA PANTALICA PANTALICA Sentieri LA STORIA • Pantalica cominciò a essere abitata a partire dal XIII secolo, quando i Sicani della cultura di Thapsos, come abbiamo visto prima, furono scacciati dai siculi dai loro insediamenti lungo la costa sud orientale e furono costretti a rifugiarsi in queste zone montuose. • La prima civiltà, quella chiamata dal Bernabò Brea, Pantalica Nord, durò fino all’XI secolo. Dal 1000 all’850, la vita cessò a Pantalica, che rifiorì dopo l’850 con la civiltà di Pantalica Sud, finchè non fu distrutta dalle colonie greche di Siracusa e Leontini. Ci sarà un ultimo breve sussulto di vita nel periodo bizantino, quando il sito venne di nuovo abitato da quanti cercavano scampo alle scorrerie arabe sulla costa. • Furono proprio gli arabi a disperdere per sempre tutti gli abitanti di Pantalica e su di essa cadde un lungo silenzio durato un millennio fino all’inizio del novecento, quando l’archeologo Paolo Orsi iniziò una campagna di ricerche che riportarono all’attenzione di noi moderni questo bellissimo sito. L’ABITATO E L’ANAKTORON • L’abitato di Pantalica si estendeva su un vasto pianoro ed era costituito da capanne in pietrame e legno. Di esse non è rimasto nulla. • L’unica testimonianza rimasta sono le fondamenta di una grandiosa costruzione in blocchi di pietra poligonali, lunga 37,50 m. e larga 11,50 m., nella quale si è riconosciuto l’anaktoron, cioè il palazzo del principe. • L’anaktoron è la casa del Wanax, il re di omerica memoria (anax in greco indica il signore, colui che comanda) e per la sua struttura ci ricorda i palazzi micenei, per cui è verisimile l’ipotesi dell’Orsi che la costruzione sia opera di artefici venuti dall’oriente miceneo al soldo del principe locale. • Sappiamo che l’anaktoron fu utilizzato anche in epoca bizantina come dimora di personaggi autorevoli di passaggio per Pantalica. • Nel 1903, nel vano centrale di questo palazzo, che era a due piani, fu trovato un tesoro nascosto in un vaso di bronzo del VII secolo d.C., costituito da migliaia di monete e molti gioielli andati subito dispersi. CIVILTA’ DI PANTALICA NORD L’anaktoron CIVILTA’ DI PANTALICA NORD L’anaktoron CIVILTA’ DI PANTALICA L’anaktoron LE NECROPOLI • L’abitato di Pantalica doveva essere di dimensioni allora inusitate. Questo si ricava dalla vastità del pianoro sul quale c’erano le abitazioni intorno al palazzo del principe, ma soprattutto dal numero impressionante delle tombe, che sforacchiano a grappoli i costoni rocciosi intorno all’insediamento. • Si tratta di 5.000 tombe a grotticella artificiale, scavate sulle balze rocciose a strapiombo sulle strette valli, che sembrano immensi alveari e formano una scenografia che incanta il visitatore e gli fa dimenticare che quei bellissimi alveari furono tristi tombe. • Chi guarda questi scenografici bianchi alveari, non può non chiedersi al prezzo di quali pericoli e fatiche gli antichi cavatori svolgessero il loro lavoro e soprattutto quali fossero i sentimenti di quegli uomini e di quelle donne che sulle erte pareti montuose celebravano il difficile e pietoso rito del seppellimento di un loro congiunto. A Pantalica era difficile vivere, ma era difficile anche morire. MAPPA DELLE NECROPOLI DI PANTALICA LE NECROPOLI • Le 5.000 tombe sono suddivise in cinque necropoli. • Quelle più antiche appartenenti alla civiltà di Pantalica Nord sono: la grandiosa e scenografica necropoli Nord, con 1.500 tombe; la necropoli Nord ovest con 600 tombe e parte della necropoli Sud. • Le altre due necropoli laterali, la necropoli di Filiporto con 500 tombe e la necropoli della Cavetta appartengono a un momento più tardi, fra il IX e l’VIII secolo, coincidente con la cultura di Pantalica Sud. • Nel periodo intermedio, fra il X e il IX secolo, non c’è alcuna tomba, segno che Pantalica in questo periodo è quasi scomparsa. Probabilmente lo stato di pericolo, che era stato la causa della sua nascita, col tempo era cessato, con l’integrazione fra gli indigeni Sicani e gli invasori Siculi. NECROPOLI NORD - PANTALICA NECROPOLI NORD - PANTALICA NECROPOLI NORD OVEST - PANTALICA NECROPOLI SUD - PANTALICA NECROPOLI DI FILIPORTO - PANTALICA NECROPOLI DELLA CAVETTA PANTALICA PANTALICA-INTERNO DI UNA TOMBA Ceramica dalle necropoli di Pantalica FIBULE A Pantalica per la prima volta compaiono le fibule, che servivano a sostenere la tunica e il mantello. CIVILTA’ DI CASSIBILE • Fra il 1000 e l’850 si affermò la cultura di Cassibile, località a sud di Siracusa. • Il sito è un profondo canyon (cava in siciliano), attraversato dal fiume Cassibile (l’antico Kaliparis dei Greci), che lungo il suo corso forma laghetti, cascate, grotte, oasi fluviali dominati dai platani e dalle orchidee. • Abitarono questo sito i Siculi, che vi costruirono due villaggi rupestri chiamati ddieri (dall’arabo dar, casa), due veri nidi d’aquila ancora oggi difficili da raggiungere. • Lungo il percorso del fiume, sulle ripide pareti, si incontra una necropoli formata da 2.000 tombe a grotticella artificiale scavate nella roccia. CAVA GRANDE DEL CASSIBILE CAVA GRANDE DEL CASSIBILE CASSIBILE Cava Grande LAGHETTI DI CAVA GRANDE DEL CASSIBILE CULTURA DI CASSIBILE Ddieri CULTURA DI CASSIBILE Necropoli IL POPOLAMENTO DELLE ISOLE EOLIE L’INIZIO DEL POPOLAMENTO • Le Eolie sono state sempre un arcipelago; questo per dire che non furono mai unite né alla Sicilia né alla penisola italiana. Ciò impedì che fossero popolate fin dal paleolitico come avvenne per la Sicilia. • Due grandi paletnologi come Luigi Bernabò Brea e Maddalena Cavalier, che alle Eolie hanno operato per trent’anni, sostengono che le Eolie non sono state abitate prima del 7° millennio. • Fu appunto all’inizio del neolitico che si crearono le condizioni per il popolamento delle Eolie, grazie anche alla perizia raggiunta dalle culture neolitiche nella lavorazione del legno e quindi nella costruzione di imbarcazioni capaci di affrontare una lunga navigazione. • Alle Eolie i primi abitanti trovarono una delle materie prime allora più ricercata, l’ossidiana, il tagliente vetro nero vulcanico, eruttato dal cratere del Monte Pelato a Lipari. • Questa materia prima costituì per Lipari quello che è oggi per i paesi del Golfo il petrolio. Infatti, siccome l’ossidiana si trovava in pochi punti del Mediterraneo, da Lipari essa veniva largamente esportata e ciò costituì una grande fonte di ricchezza per le Eolie. LUIGI BERNAB0’ BREA E MADELEINE CAVALIER OSSIDIANA IL MONTE PELATO - LIPARI CENTRI DI PRODUZIONE DI OSSIDIANA LE CULTURE EOLIANE • Anche alle Eolie, come in Sicilia, la cultura neolitica più antica fu quella di Stentinello. Da ciò si deduce che i primi abitanti di Lipari venivano dalla Sicilia e, in una prima fase, si insediarono sull’altopiano di Castellaro Vecchio. • La fase successiva, datata intorno al 4.500, è quella che prende il nome di cultura di Capri, durante la quale gli eoliani abbandonarono le terre dell’altopiano per andare a vivere nella Rocca del Castello e qui, per motivi di sicurezza, vissero fino alle soglie dell’età storica. • La terza fase del neolitico eoliano è definita cultura di Serro Alto, dall’omonima collina presso Matera. • La quarta fase è definita cultura di Diana dall’omonima località sotto il castello di Lipari. CULTURA DI STENTINELLO Castellaro Vecchio - Lipari CULTURA DI CAPRI - LIPARI LIPARI – LA ROCCA DEL CASTELLO CULTURA DI SERRO ALTO - LIPARI CULTURA DI DIANA - LIPARI LE CULTURE DELL’ETA’ DEL BRONZO • Nel 3° millennio avvenne la scoperta del rame. Con questa scoperta l’ossidiana perse valore, oggi si direbbe che non ebbe più mercato. E così le Eolie subirono una grave crisi economica, visibile nella diminuzione della popolazione. • Si ripresero solo nella successiva età del bronzo fra il XVIII e il XV secolo. In questa età si affermarono due grandi culture: la cultura di Capo Graziano a Filicudi e la cultura del Milazzese a Panarea CULTURA DI CAPO GRAZIANO FILICUDI CULTURA DI CAPO GRAZIANO FILICUDI CULTURA DI CAPO GRAZIANO Ceramiche micenee CULTURA DEL MILAZZESE PANAREA CULTURA DEL MILAZZESE PANAREA CULTURA DELL’AUSONIO • Intorno al 1270 avviene un radicale cambiamento. Alla cultura del Milazzese si sostituisce una nuova civiltà, diffusa in tutta l’Italia centro meridionale. Nuove genti, dunque, provenienti dall’Italia peninsulare , arrivarono alle Eolie. Queste genti erano gli Ausoni, un popolo italico che viveva in Campania e Calabria. Così la nuova cultura fu chiamata Ausonia. • Prima della fine del XII secolo l’insediamento del castello di Lipari subisce un’altra violenta distruzione, a causa dell’arrivo di nuove genti provenienti dalla penisola italiana, che segna il passaggio alla cultura dell’Ausonio II. • Questo insediamento fu distrutto intorno al 900. Da allora l’abitato non è stato più ricostruito e la rocca del castello e forse anche l’intera Lipari, è rimasta deserta per più di tre secoli. • Verso il 580 un gruppo di Greci di stirpe dorica, provenienti da Cnido, fondarono la nuova Lipari, che fu l’ultima colonia greca in ordine di tempo fondata in Sicilia. Ma di questo si parlerà meglio più avanti. CULTURA DELL’AUSONIO I°(seconda metà XIII sec.-fine XII sec.) CULTURA DELL’AUSONIO II°(XII-XI sec.) ANFORE DA UNA CAPANNA (X sec.) LE NECROPOLI DI MYLAI • • • • • • La conoscenza delle antiche necropoli di qualsiasi centro urbano non è semplice curiosità archeologica, ma, in assenza di altre testimonianze, è l’unico modo per scoprire una determinata civiltà e la sua vita materiale. Per cui non è un paradosso che per conoscere la città dei vivi, spesso dobbiamo riferirci alla città dei morti. Milazzo non sfugge alla regola, per cui le sue necropoli sono le uniche testimonianze per poter conoscere qualcosa della Milay preistorica e greca. Della Milay preistorica fino alla metà del secolo scorso si sapeva ben poco, nonostante le accurate esplorazioni di superficie fatte da grandi paletnologi come Paolo Orsi e Pietro Griffo, che avevano dato risultati deludenti. Per la verità c’erano stati due occasionali ritrovamenti di due tombe: una a Piazza Roma durante gli scavi per l’erezione del monumento ai Caduti e l’altra, nel dicembre del 1938, in via Cumbo Borgia durante gli scavi per la costruzione del nuovo Duomo. Si trattava di tombe a cremazione e questa circostanza suscitò grande interesse fra gli studiosi, perché il rito della cremazione era sconosciuto in tutta la Sicilia, dove l’inumazione entro grotticelle artificiali scavate nella roccia appariva esclusiva, come abbiamo visto nelle culture del Castelluccio, Tapsos, Pantalica e Cassibile. Questi due ritrovamenti non ebbero alcun seguito immediato e fu solo alla metà del novecento che furono scoperte due diverse necropoli, grazie anche all’opera di due grandi archeologi, Luigi Bernabò Brea e Madeleine Cavalier e alla passione di un milazzese, l’ing. Domenico Ryolo, che allora era ispettore onorario alle antichità della provincia di Messina. ING. DOMENICO RYOLO MADELEINE CAVALIER E L’ING. DOMENICO RYOLO LA NECROPOLI DI SOTTO CASTELLO • La più antica di queste due necropoli, risalente alla media età del bronzo, cioè al 1.400, fu trovata nel 1952 in contrada Sotto Castello, di fronte al campo sportivo, in un terreno di proprietà di tale Caravello Domenica, allora coltivato a uliveto e vigneto. • La necropoli si componeva di 35 tombe ad enchytrismòs, cioè col cadavere rannicchiato in posizione fetale dentro grandi vasi, che erano deposti orizzontalmente nella nuda terra, con la bocca chiusa da lastre di pietra o da altri vasi più piccoli. • Si trattava di tombe con il rito dell’inumazione. Lo confermavano le poche ossa trovate, che non presentavano segni di combustione. LA NECROPOLI DI SOTTO CASTELLO Della media età del bronzo (1400 a.C.) LA NECROPOLI DI SOTTO CASTELLO Gli scavi LA NECROPOLI DI SOTTO CASTELLO Le tombe ad enchytrismòs LA NECROPOLI DI SOTTOCASTELLO Le tombe ad enchytrismòs PITHOI E ANFORE • I vasi entro i quali erano inumati i cadaveri erano pithoi e anfore. I primi servivano per l’inumazione degli adulti, le anfore per l’inumazione dei bambini. • I pithoi sono grandi vasi di forma ovale, alti da 80 cm. a 1,35 m., senza collo e senza decorazioni. Presentano intorno alla bocca quattro piccole anse e altre due più grandi sul ventre. • Le anfore hanno una sola ansa impostata verticalmente sulla spalla. • Poche tombe avevano un corredo funebre, consistente in piccoli vasi e, in due casi, in piccole perle di calcare. LA NECROPOLI DI SOTTO CASTELLO I pithoi LA NECROPOLI DI SOTTO CASTELLO Le anfore L’AREA DELLA NECROPOLI DELL’ISTMO LA STORIA DEL RITROVAMENTO DELLA NECROPOLI DELL’ISTMO • La seconda necropoli trovata negli stessi anni fu quella dell’Istmo. • Nel 1950, a piazza Roma, si stavano eseguendo lavori di scavo per la posa in opera di tubi della rete idrica. • Dirigeva i lavori l’ing. Domenico Ryolo, il quale venne a sapere che, durante gli scavi, era stato trovato un vaso che gli operai, pensando chissà quali tesori contenesse, si affrettarono a fracassare. Allora l’ing. Ryolo ebbe la costanza di presenziare a tutti i lavori di scavo e la sua costanza fu presto premiata, perché dal terreno emersero altri vasi e, man mano che il loro numero cresceva, il Ryolo si convinceva che quello era il centro di una necropoli. Allora fece sospendere i lavori e, grazie a un finanziamento regionale, l’anno seguente fu iniziata una regolare campagna di scavi, affidata alla responsabilità dell’archeologa Madeleine Cavalier. • Fu esplorata tutta l’area di piazza Roma libera da costruzione, fino all’inizio di via XX Settembre e a via Risorgimento. • Alla fine della campagna furono portate alla luce 177 tombe. Evidentemente si trattava di una necropoli suburbana, la più vicina all’abitato del Castello. LA NECROPOLI DELL’ISTMO • La necropoli dell’istmo era costituita da due tipi distinti di tombe: le une preelleniche del XIII secolo di tipo protovillanoviano, le altre greche risalenti al VI secolo. Quindi, anziché di una necropoli, potremmo parlare di due necropoli che si sovrapponevano nella stessa area. • Le tombe pregreche, più antiche, stranamente si trovavano a un livello superiore a quelle greche, più recenti. Questo perché le tombe pregreche erano a pozzetto, per cui avevano bisogno di un terreno abbastanza compatto per mantenere la forma dello scavo a pozzetto, almeno fino a che nello stesso non fosse stato deposto il cinerario. Il che non poteva avvenire nella mobilissima e friabile ghiaia dello strato più profondo. Invece, le tombe greche, non legate a questa necessità, potevano scendere a maggiore profondità. • In entrambi i gruppi di tombe il rito funebre è quello della cremazione. LA NECROPOLI DELL’ISTMO Tombe pregreche (XIII sec.) di tipo protovillanoviano LA NECROPOLI DELL’ISTMO Tombe pregreche (XIII sec.) di tipo protovillanoviano LA NECROPOLI DELL’ISTMO Tombe pregreche (XIII sec.) di tipo protovillanoviano CINERARI PREGRECI • Nelle tombe pregreche le ceneri dei cremati erano poste dentro un’urna coperta da una ciotola. L’urna poggiava su una lastra di pietra e veniva protetta tutto intorno sempre con lastre di pietra. • Le urne pregreche sono a due o a una sola ansa. Spesso una o entrambe le anse sono spezzate per far entrare il vaso nel pozzetto e l’ansa spezzata è lasciata ai piedi dell’urna. • Pochi sono i bronzi trovati in questa necropoli: cinque fibule ad arco semplice e diversi rasoi di varie forme. LA NECROPOLI DELL’ISTMO Cinerari pregreci LA NECROPOLI DELL’ISTMO Cinerari pregreci LA NECROPOLI DELL’ISTMO Cinerari pregreci LA NECROPOLI DELL’ISTMO Cinerari pregreci LA NECROPOLI DELL’ISTMO Cinerari pregreci LA NECROPOLI DELL’ISTMO Fibule e rasoi CINERARI GRECI • Anche le tombe greche sono a cremazione con le ceneri raccolte entro un grande vaso deposto orizzontalmente nel terreno. La bocca del vaso è chiusa con una lastra di pietra o con un frammento di un altro vaso. • I bronzi trovati nelle tombe greche si riducono a pochi tipi: le fibule, alcuni anelli e alcune perle di calcare. LA NECROPOLI DELL’ISTMO Cinerari greci (VI sec.) DOVE SI TROVANO I REPERTI? • Tutti i reperti delle necropoli di contrada Sotto Castello e dell’Istmo sono conservati nel museo Bernabò Brea di Lipari, in un’apposita sezione. • Allora a Milazzo non c’era una struttura idonea per poterli ospitare. L’Antiquarium, infatti, è sorto nel 1998. IL MUSEO EOLIANO DI LIPARI LA NECROPOLI MERIDIONALE • La necropoli greca di piazza Roma è la punta nord di una necropoli diffusa in un’area che da questa piazza, attraverso le vie XX Settembre e via Risorgimento, arriva fino alla contrada San Giovanni. • Si tratta di una grande necropoli urbana della Milay greca, nota come la necropoli meridionale, utilizzata senza soluzione di continuità dalla fine dell’VIII secolo alla prima metà del III secolo, coincidente con il periodo greco. • Nella scelta di questa area da riservare al culto dei morti è possibile che abbia influito il fatto che essa è tra le meno fertili, in quanto geologicamente formata da depositi di retrospiaggia con poco interro vegetale e quindi poco idonea all’agricoltura. LA ZONA NORD DELLA NECROPOLI MERIDIONALE • Nell’area più a nord di questa metropoli sono stati fatti ritrovamenti occasionali di tombe in alcuni cantieri di lavoro per la costruzione di case per civili abitazioni. AREA NORD NECROPOLI MERIDIONALE (VIII-VI sec. a.C.) VIA XX SETTEMBRE – CANTIERE FORMICA VIA XX SETTEMBRE – CANTIERE FORMICA VIA XX SETTEMBRE-CANTIERE FERNANDEZ –PENTOLA CINERARIA L’AREA SUD DELLA NECROPOLI MERIDIONALE • Spostandoci a sud, nella contrada San Giovanni, nel 1952, durante gli scavi per la costruzione di una strada, furono trovate 22 tombe. • Fra il 1990 e il 1997, durante i lavori per la costruzione dell’asse viario, furono scoperte un tratto di una strada antica e diverse tombe. AREA SUD NECROPOLI MERIDIONALE (VI-III sec. a.C.) SAN GIOVANNI – ASSE VIARIO Strada antica SAN GIOVANNI – ASSE VIARIO Tomba a cassa SAN GIOVANNI – ASSE VIARIO TOMBA AD INCINERAZIONE SAN GIOVANNI – ASSE VIARIO Tomba in mattoni crudi SAN GIOVANNI – ASSE VIARIO Tomba in mattoni crudi LA NECROPOLI ORIENTALE • L’ultima necropoli di Milay è quella cosiddetta orientale, che ricade nelle contrade San Paolino Ciantro. • In questa zona sono state trovate un centinaio di tombe, distribuite fra la metà del III secolo a.C. e i primi decenni del I secolo d.C. NECROPOLI ORIENTALE (III sec. a.C.- I sec. d.C. ) VIA CIANTRO – COOPERATIVA NUOVA MILAZZO - CINERARIO VIA CIANTRO – COOPERATIVA SERENA CASSA DI PIETRE VIA CIANTRO – COOPERATIVA SERENA FOSSA TERRAGNA I CORREDI DELLA TOMBA N. 5 • In una di queste tombe di via Ciantro, catalogata all’Antiquario con il numero 5, è stato trovato un ricco e interessante corredo funebre. • Un gruppo di questi oggetti rimandano al viaggio nell’al di là, nel mondo dei defunti. • Ci sono tre modellini di barchette fittili, che costituiscono dei reperti unici, non riscontrabili nei corredi funebri di altre necropoli. • Una di queste barchette suggerisce la figura del gallo, animale sacro a Persefone, dea degli inferi. Nella prua c’è raffigurata la testa e nella poppa la coda di questo animale. • Ci sono poi cinque pupazzetti fittili raffiguranti dei rematori che dovevano guidare le barche nel loro viaggio nel regno dei morti. • Ci sono, infine, due monete con cui pagare Caronte, il nocchiero degli inferi. Queste monete ci permettono di datare con precisione questa tomba alla seconda metà del III secolo. TOMBA 5 – BARCHETTA FITTILE TOMBA 5 – REMATORI FITTILI TOMBA 5 – MONETA DI SIRACUSA (seconda metà del III sec.) I CORREDI DELLA TOMBA N. 5 • C’è poi un secondo gruppo di oggetti che si riferisce alla toilette e al trucco femminili. La tomba doveva contenere una donna, probabilmente giovane. • Questi oggetti sono: un askos a forma di oca, un unguentario, una pisside in osso, uno strigile in ferro usato dai Greci e dai Romani per detergersi il sudore, un cofanetto in legno con decorazioni in bronzo e, infine, una olpetta usata come contenitore di liquidi. TOMBA 5 – ASKOS A FORMA DI OCA TOMBA 5 – ASKOS A FORMA DI OCA TOMBA 5 - UNGUENTARIO TOMBA 5 – PISSIDE IN OSSO TOMBA 5 – STRIGILE IN FERRO TOMBA 5 – DECORAZIONI IN BRONZO DI COFANETTO LIGNEO TOMBA 5 - OLPETTA L’ANTIQUARIO DI MILAZZO • Tutti questi reperti, quelli provenienti dalla necropoli meridionale e quelli proveniente dalla necropoli orientale, si possono ammirare dal vivo nell’interessante Antiquarium di Milazzo. L’ANTIQUARIUM DI MILAZZO L’ANTIQUARIUM DI MILAZZO Vetrinette espositive IL POPOLAMENTO PRIMA DEI GRECI SICULI – SICANI- ELIMI LE FONTI DEL POPOLAMENTO PROTOSTORICO • La fonte storico-letteraria; • L’archeologia; • Il mito. LA FONTE STORICA-LETTERARIA riguarda ciò che su un dato argomento scrissero gli storici antichi. LA FONTE STORICA LETTERARIA STORICI SICELIOTI • • • • ANTIOCO FILISTO TIMEO DIODORO SICULO STORICI GRECI • • • • • ERODOTO TUCIDIDE ELLANICO ECATEO PLUTARCO L’ARCHEOLOGIA IL MITO IL MITO • Il mito, in senso stretto, non è oggetto della storiografia, bensì della mitologia, dell’antropologia e della storia delle religioni. • Però, in senso lato, è anche valido per la storiografia, perché rappresenta un pezzo della memoria storica che gli antichi, nel corso di molti secoli, raccolsero, conservarono e utilizzarono come fondamento della loro cultura. I racconti mitici certamente non sono racconti storici; però, quando essi narrano leggende che, invece degli dei, hanno per protagonisti uomini, costituiscono pur sempre racconti di fatti umani collocati in contesti precisi. • Per gli antichi, la narrazione di quei fatti era la loro storia. Per noi moderni l’importanza del mito sta nella speranza che al suo interno ci sia una qualche verità ed un messaggio che va interpretato e compreso. IL POPOLAMENTO DELLA SICILIA SECONDO LE FONTI STORICHE • Le popolazioni che i Greci trovarono in Sicilia all’inizio della colonizzazione sono tramandate dalle fonti storiche nel modo seguente: i Siculi abitarono la Sicilia orientale, i Sicani la parte centro occidentale, gli Elimi quella nord occidentale. • I Fenici, dopo aver abbandonato i loro scali commerciali della Sicilia orientale, conservarono i tre insediamenti di Solunto, Panormos e Mothia nella cuspide nord occidentale. • Fra le fonti storiche, il punto di partenza obbligato è un noto brano di Tucidide, che così recita: TUCIDIDE • “Ecco come fu un tempo abitata e quanti furono nel complesso i popoli che l’occuparono. Si dice che i più antichi siano stati i Ciclopi e i Lestrigoni che abitarono una parte dell’isola; io non potrei dire di che razza fossero, donde venuti e donde siano andati a finire; ci si deve accontentare di quello che hanno cantato i poeti. Dopo di essi, pare che per primi si siano stanziati i Sicani; anzi, a quanto essi affermano, avrebbero addirittura preceduto i Ciclopi e i Lestrigoni, poiché si dicevano nati sul luogo; invece la verità assodata è che i Sicani erano degli Iberi, scacciati a opera dei liguri dalle rive del fiume Sicano, che si trova appunto in Iberia. Dal loro nome l’isola fu chiamata Sikanìa, mentre prima era Trinakrìa; e anche ora essi vi abitano nella parte occidentale. TUCIDIDE • Dall’Italia, dove abitavano, i Siculi, che fuggivano gli Opici, passarono in Sicilia su delle zattere, attraversando lo stretto dopo aver aspettato quando il vento era propizio; o forse impiegarono qualche altro mezzo di navigazione. Dei Siculi ce n’è ancora in Italia, anzi la regione fu appunto chiamata Italia da Italo, un re dei Siculi che aveva questo nome. Passati dunque in Sicilia in gran numero, vinsero in battaglia i Sicani che confinarono nelle regioni meridionali e occidentali e fecero sì che l’isola, da Sikanìa, si chiamasse Sikelìa. Compiuto il passaggio, occuparono e abitarono le zone più fertili del paese, circa trecento anni prima che vi ponessero piede i Greci; e ancora adesso essi si trovano al centro e al nord dell’isola”. • ANALISI DEL BRANO DI TUCIDIDE • Tucidide relega nel mondo della fantasia poetica, il ricordo di leggendari popoli come i Ciclopi e i Lestrigoni. • A un’età non documentabile, Tucidide attribuisce alla Sicilia il nome di Trinakrìa e a un’età, per lui già storicamente circoscrivibile, quello di Sikanìa. I SICANI • Riguardo ai Sicani, da cui l’isola avrebbe tratto il suo secondo nome di Sikanìa, Tucidide conosce due tradizioni: • L’una che li vuole autoctoni; • L’altra che li vuole originari dell’Iberia. • Tucidide si schiera per la seconda e su questo punto è seguito da Filisto e da larga parte della tradizione storica antica. • Secondo Timeo, invece, i Sicani erano autoctoni. • Pausania ci dà una terza tradizione, per la quale i Sicani sarebbero originari dell’Italia. I SICANI • Quanto alla data in cui i Sicani sarebbero arrivati in Sicilia, questa doveva essere compresa nella seconda metà del XV secolo. • Da Diodoro sappiamo che i Sicani non costituivano una sola entità politica, ma che ogni comunità, spesso in lotta con le altre, aveva il proprio capo. • Su di un punto le fonti antiche sono d’accordo: • Che i Sicani all’inizio occuparono l’intero territorio dell Sicilia; • E che in seguito si ritirarono nella parte centro meridionale e occidentale, perché spaventati dalle eruzioni dell’Etna (secondo Timeo e Diodoro) o perché scacciati dai Siculi (secondo Tucidide). I SICULI • Le fonti storiche antiche questa volta sono concordi nell’assegnare ai Siculi una origine italica; • In Sicilia occuparono la parte orientale sovrapponendosi ai Sicani, donde la terza mutazione del nome dell’isola da Sikanìa a Sikelìa; • Non c’è concordanza fra gli storici antichi sulla data della venuta dei Siculi in Sicilia: • Secondo Tucidide, trecento anni prima che vi arrivassero i Greci e quindi verso il 1050; • Secondo Ellanico, ottant’anni prima della guerra di Troia, cioè intorno al 1270. • Ai Siculi sono da ricondurre, quali sottorami della stessa gente, gli Ausoni colonizzatori di Lipari e i Morgeti fondatori di Morgantina. ELIMI • Per Tucidide sarebbero stati troiani scampati alla distruzione di Troia; • Per Ellanico sarebbero stati italici cacciati dagli Enotri. • Fino a qualche decennio fa la versione di Tucidide è stata ritenuta inattendibile da tutti gli storici moderni. Fra i tanti, il grecista Lorenzo Braccesi ritiene che Tucidide, con la sua versione, abbia voluto dare una legittimazione all’intervento militare di Atene in Sicilia in aiuto ai Segestani che, in quanto troiani, sarebbero stati parenti degli ateniesi. • Sennonché, negli ultimi decenni alcune scoperte archeologiche fatte soprattutto a Segesta, hanno rivalutato la tesi di Tucidide. LE FONTI MITOLOGICHE • Come si è potuto notare, sugli antichi popoli della Sicilia le fonti storiche sono alquanto discordi fra di loro. • Vediamo se qualche luce in più ci può venire dalle fonti mitologiche. • Fra i miti greci che parlano della Sicilia c’è quello fin troppo noto di Minosse e Dedalo. IL MITO DI MINOSSE E DEDALO IL MITO DI MINOSSE E DEDALO RACCONTATO DA DIODORO • • • • Il mito di Minosse e Dedalo, nella versione siciliana, ci viene raccontato da Diodoro ed Erodoto. Diodoro lo racconta così. Dedalo era un famoso architetto e scultore ateniese. Le statue da lui realizzate, dice Diodoro, assomigliavano agli esseri viventi, in quanto vedevano e camminavano. Le sue statue avevano gli occhi e le mani tese, mentre gli artisti prima di lui realizzavano le statue con gli occhi chiusi e con le mani attaccate ai fianchi. Dedalo aveva un nipote che lo superò per ingegno; accecato dalla gelosia Dedalo uccise quel nipote e per questo fu costretto a lasciare Atene. Si rifugiò a Creta, dove divenne amico del re Minosse, per il quale costruì grandi opere. Minosse ogni anno sacrificava al dio Poseidone il più bello dei tori nati a Creta. Quando un anno nacque un toro di eccezionale bellezza, Minosse sacrificò al dio un altro toro. Poseidone, che come tutti gli dei era permaloso e vendicativo, si adirò con Minosse e fece invaghire del toro la moglie Pasifae. Per ordine di questa Dedalo costruì una macchina somigliante a una vacca, dentro la quale fece entrare Pasifae, che così potè soddisfare le sue voglie col toro. DEDALO, PASIFAE E LA VACCA IL MITO DI MINOSSE E DEDALO RACCONTATO DA DIODORO • Da questo rapporto nacque il Minotauro, metà toro e metà uomo. Per questo mostro Dedalo costruì il labirinto, dal quale, una volta entrati, era impossibile uscire. • Minosse naturalmente non prese bene questa storia, per cui Dedalo fu costretto a fuggire da Creta insieme al figlio Icaro, su una nave datagli da Pasifae. Giunsero su un’isola e nello sbarco Icaro cadde in mare e affogò. L’isola da lui ebbe il nome di Icaria. • A questo punto Diodoro racconta una variante del mito, quella meglio conosciuta, ma che non convince il nostro narratore, che la ritiene “strana”. Secondo questa variante, Dedalo per fuggire da Creta costruì per sé e per il figlio delle ali di cera. Icaro volò così alto che il sole sciolse la cera delle ali, per cui precipitò in mare. IL VOLO DI ICARO IL MITO DI MINOSSE E DEDALO RACCONTATO DA DIODORO • • • • • • Ad ogni modo Dedalo proseguì il suo viaggio e arrivò in Sicilia a Inico, il cui re Cocalo lo accolse come amico. Dedalo costruì per Cocalo grandi opere, fra cui una nuova città, Camico, su una rupe inespugnabile, in cui il re trasferì la sua reggia. Intanto Minosse, saputo che Dedalo si nascondeva in Sicilia, con una flotta approdò a Macara nell’agrigentino e da qui inviò messi a Cocalo, chiedendo la consegna di Dedalo. Cocalo invitò Minosse nella sua reggia, dicendosi disposto a consegnargli Dedalo. Sennonchè il re cretese venne affogato in un bagno di acqua bollente dalle figlie di Cocalo. Fingendo una disgrazia, Cocalo consegnò la salma del loro re ai cretesi, che gli eressero un grande monumento funebre a Macara. Alcuni cretesi, perduto il loro re, si fermarono a Macara ribattezzata Macara Minoa . Altri cretesi vagarono per l’entroterra sicano e alla fine occuparono con la forza un luogo fortificato, ne espulsero gli abitanti e vi fondarono una colonia cretese che chiamarono Engio (località sconosciuta, anche se qualcuno la identifica con l’attuale Gangi sulle Madonie). GANGI L’antica Engio? IL MITO E LA VERSIONE DI TUCIDIDE SULL’ORIGINE DEGLI ELIMI • Diodoro continua il suo racconto riferendo che, dopo la distruzione di Troia, ad Engio vennero accolti altri cretesi che, nel viaggio di ritorno da Troia, erano stati sbattuti da una tempesta in Sicilia. • Sembra un racconto parallelo a quello degli Elimi approdati a Erice e Segesta, che, secondo Tucidide, erano sopravvissuti all’incendio di Troia. • Il mito quindi avvalorerebbe la versione di Tucidide, per cui gli Elimi sarebbero stati troiani sfuggiti alla distruzione della loro città. LE VERITA’ STORICHE DEL MITO DI MINOSSE • Vediamo ora se dal mito di Minosse possiamo trarre qualche verità storica. • Il mito di Minosse e la versione troiana di Tucidide attestano l’arrivo e la sistemazione in un’area della Sicilia occidentale di genti provenienti dal mondo egeo. Ciò significa storicamente un primato miceneo, contrapposto al peloponnesiaco. Che cioè la colonizzazione greca della Sicilia non è cominciata con lo sbarco dei calcidesi a Naxos nel 734, ma almeno 400 anni prima, con la fondazione cretese di Minoa sul mare e di Engio nell’entroterra. Conclusione confermata anche dall’archeologia, che attesta di presenze cretesi micenee nelle varie culture preistoriche. • Ancora, il mito di Minosse non è solo mito ellenico, ma anche siciliano e ciò ha un significato storico. Cioè, il mito greco non poteva diventare anche siciliano se fra Sicilia e Grecia non ci fosse stato un legame insieme materiale e spirituale. LE VERITA’ STORICHE DEL MITO DI MINOSSE • Il mito di Minosse è un documento storico della presenza siciliana nella storia della civilizzazione ellenica e della presenza ellenica nella storia della civilizzazione siciliana, quando ancora non aveva avuto inizio la colonizzazione dell’VIII secolo. Quindi, al tempo in cui fu elaborato questo mito, la Sicilia era abbastanza nota ed aveva rapporti non occasionali con Creta e il mondo egeo. • Che il re di Creta vada a morire in un luogo della Sicilia anticipa quello che poi storicamente accadrà alla colonizzazione greca dell’VIII secolo, che si infranse sui monti dell’interno dell’isola, ad opera dei tanti Cocali siculi e sicani. • Un ultimo dato storico che si ricava dal mito è l’impiego che di Dedalo viene fatto in Sicilia. Se i Sicani di Cocalo fossero stati dei primitivi al livello di sviluppo degli aborigeni australiani o dei pellerossa nord americani, in Sicilia Dedalo non avrebbe avuto nulla da fare; tutt’al più sarebbe stato un cacciatore o un guerriero. Invece, egli viene impiegato come architetto e ingegnere di valore. Tutto ciò dimostra che i Sicani avevano una civiltà abbastanza sviluppata. FINE DELLA SICILIA PREISTORICA LA SICILIA FENICIA LE DOMANDE SULLA SICILIA FENICIA • Chi erano i Fenici? • Quando e perché arrivarono in Sicilia? • Quale fu la natura della loro presenza in Sicilia?: conquista?, colonizzazione? o altro? • Perché i centri fenici si concentrarono esclusivamente nella cuspide nord occidentale della Sicilia? • Quale fu la loro storia politica, economica e artistica nell’isola? • Quali testimonianze ci hanno lasciato? CHI ERANO I FENICI? • Erano un popolo di stirpe semitica, che la Bibbia chiamava Cananei. • Il nome Fenici fu dato loro dai Greci, derivante da phoinix, il nome greco del rosso porpora, che i Fenici estraevano dal murice e con cui tingevano i loro tessuti. • La loro civiltà si sviluppò a partire dalla fine del 3° millennio in un territorio compreso fra la Siria a nord e la Palestina a sud, corrispondente grosso modo all’attuale Libano. • Non costituirono mai uno Stato unitario, come i Greci, ma fondarono grandi città costiere, come Ugarit, Biblo, Tiro e Sidone. I FENICI I FENICI • Idearono l’alfabeto fonetico, formato da 22 segni consonantici; • Esportarono ovunque il legno delle loro foreste; • Fabbricarono per primi il vetro; • Dal murice estrassero la porpora; • Inventarono l’ancora e i remi fungenti da timone; • Furono i più grandi mercanti dell’antichità. I FENICI L’invenzione dello Alfabeto. I FENICI Esportazione del legno delle loro foreste I FENICI Furono i primi a fabbricare il vetro. I FENICI Estrassero dal murice la porpora. Il murice è una conchiglia marina che da una ghiandola secerne una sostanza densa e puzzolente, che alla luce diventa rosso porpora. Con questa sostanza i Fenici tingevano i loro tessuti, che vendevano dappertutto. LA DESCRIZIONE DI ERODOTO DEI BARATTI DEI FENICI • Quando i Fenici arrivavano e scaricavano le merci, dopo averle disposte in ordine lungo la spiaggia, si imbarcano e alzano una colonna di fumo. Allora gli indigeni, vedendo il fumo, vanno al mare e poi in luogo delle merci depongono oro e si ritirano lontano dalle mercanzie. I Fenici sbarcati osservano, e se l’oro sembra ad essi degno delle merci, lo raccolgono e s’allontanano; se invece non sembra degno, reimbarcati di nuovo attendono; e quelli, fattisi innanzi, depongono altro oro, finché li soddisfino. E non si fanno torto a vicenda, perché né i Fenici toccano l’oro prima che gli indigeni l’abbiano reso eguale al valore delle merci, né gli indigeni toccano la mercanzia prima che i Fenici abbiano preso l’oro. I FENICI GRANDI NAVIGATORI • I Fenici furono grandi navigatori. Solcavano i mari con due tipi di navi: quelle commerciali, leggere e veloci e quelle da guerra, con gli scudi dei soldati appesi sulle fiancate, munite di sperone di prua per sventrare le navi nemiche. • Seguendo il corso del sole e quello della stella polare, che da essi i Greci chiamavano stella fenicia, solcarono tutto il mediterraneo alla ricerca di metalli e di mercati dove vendere i loro prodotti, spingendosi fino alla penisola iberica e ai mari del Nord e, stando a quanto narra Erodoto, circumnavigarono l’Africa. LA NAVIGAZIONE FENICIA NAVE COMMERCIALE NAVE DA GUERRA LA STELLA FENICIA PERCHE’ I FENICI VENNERO IN SICILIA? • Per sostenere i loro commerci, i Fenici impiantarono empori, punti di approdo e uffici di corrispondenza per acquisto e collocamento di merci lungo le coste e le isole del Mediterraneo. TUCIDIDE “Anche i Fenici abitavano tutt’attorno la Sicilia, avendo preso possesso dei promontori e delle isolette antistanti le coste per i loro commerci con i Siculi” QUANDO ARRIVARONO I FENICI IN SICILIA? • Le fonti storico letterarie datano l’inizio di questo processo di espansione fenicia in tutto il Mediterraneo occidentale e quindi anche in Sicilia al XII-XI secolo. • L’archeologia, invece, non permette di oltrepassare il limite del IX secolo, visto che prima non risultano tracce archeologiche della presenza fenicia in Sicilia e in tutto il Mediterraneo occidentale. QUANDO ARRIVARONO I FENICI IN SICILIA? • Sennonché questa circostanza può avere una spiegazione. I primi insediamenti fenici d’occidente erano degli scali marittimi lungo le rotte commerciali, agenzie e uffici di corrispondenza per acquisto e collocamento di merci. E’ facile comprendere come di questi insediamenti si siano perdute le tracce. D’altra parte, quelle piccole fattorie, installate in seno ai villaggi indigeni, pronte a sloggiare quando fosse esaurita la merce o sfruttata la piazza, non si vede quali testimonianze potrebbero aver lasciato. Ecco perché l’archeologia non ha rilevato nessuna presenza fenicia prima del IX secolo. • Pertanto possiamo ritenere attendibili le fonti storico letterarie che datano l’inizio della presenza fenicia in tutto il Mediterraneo occidentale al XII-XI secolo. QUALE FU LA NATURA DELLA PRESENZA FENICIA IN SICILIA? • Alla luce di quanto si è detto prima, non c’è stata conquista armata. • Non c’è stata neanche colonizzazione, perché mancò un vasto insediamento territoriale. • La Sicilia, almeno nella prima fase antecedente l’VIII secolo, per i Fenici fu un mercato per la vendita e l’acquisto di merci. LA NASCITA DEI CENTRI URBANI FENICI • Verso il IX secolo è successo che in alcuni scali, con gli anni, la popolazione fenicia cominciò a crescere e a radicarsi, forse anche a mescolarsi con gli indigeni e a svolgere attività economiche, diverse dal commercio, come la tessitura e l’estrazione della porpora, che richiedevano un insediamento più stabile. • E così, col tempo, gli antichi scali diventarono in alcuni casi delle vere e proprie città. I CENTRI FENICI IN SARDEGNA CAGLIARI I CENTRI FENICI IN SARDEGNA NORA I CENTRI FENICI IN SARDEGNA SULCI I CENTRI FENICI IN SARDEGNA THARROS CENTRI FENICI IN SARDEGNA OLBIA CENTRI FENICI IN SPAGNA CADICE CENTRI FENICI IN SPAGNA IBIZA CARTAGINE OGGI ALLORA I CENTRI FENICI IN SICILIA MOTHIA I CENTRI FENICI IN SICILIA PANORMOS CENTRI FENICI IN SICILIA SOLUNTO PERCHE’ I CENTRI FENICI IN SICILIA SI CONCENTRARONO ESCLUSIVAMENTE NELLA CUSPIDE NORD OCCIDENTALE? TUCIDIDE …. quando però i Greci arrivarono per mare in gran numero, essi lasciarono le loro posizioni e si ritirarono a Mothia, Panormos e Solunto, abitando vicino agli Elimi, fiduciosi nella loro alleanza e per il fatto che di lì Cartagine dista dalla Sicilia una brevissima traversata”. (Tucidide VI, 2) ANALISI DEL TESTO DI TUCIDIDE • I Greci cominciarono ad arrivare in Sicilia nella seconda metà dell’VIII secolo, proprio quando gli antichi scali fenici cominciavano a radicarsi nel territorio; però le città non fecero in tempo a formarsi, almeno nella parte orientale, che fu quella occupata dai Greci. • Non vi fu un’azione di forza da parte dei Greci per cacciare i Fenici, che si ritirarono volontariamente perché non avevano più alcun interesse a rimanere. • E così i Fenici dalla Sicilia orientale si ritirarono nella Sicilia occidentale, dove si stavano formando i centri urbani fenici di Mothia, Panormos e Solunto e dove c’erano gli Elimi loro alleati e da dove Cartagine dista dalla Sicilia una brevissima traversata. “CARTAGINE DISTA DALLA SICILIA UNA BREVISSIMA TRAVERSATA” (Tucidide) QUALE FU LA STORIA POLITICA DEI FENICI DI SICILIA? I RAPPORTI CON LE POPOLAZIONI INDIGENE • Vediamo quali furono i rapporti dei centri fenici con i popoli indigeni. Questi erano costituiti soprattutto dagli Elimi, ma dovevano esserci anche i Sicani. • L’indagine archeologica non ha trovato per le prime fasi dell’insediamento di Mothia alcuna traccia di fortificazioni. Ciò è un importante indizio del fatto che i Fenici consideravano irrilevante la minaccia delle popolazioni indigene. Si può anzi ritenere che i diversi gruppi etnici coabitassero pacificamente. Inoltre, il ritrovamento a Mothia di grandi quantità di ceramica di tipo locale, riferibile alla cultura del Milazzese che era una cultura della preistoria siciliana, dimostra che la presenza dei Fenici non provocò brusche rotture nella cultura che essi trovarono sul posto. CERAMICA DELLA CULTURA DEL MILAZZESE LA SITUAZIONE DEI CENTRI FENICI NEI SECOLI VIII E VII • Pacifica convivenza con gli indigeni Elimi e Sicani • Stabilità dei rapporti politici con i Greci di Sicilia, con i quali non si hanno notizie di scontri • Completa autonomia politica CONTRASTI TERRITORIALI CON LE CITTA’ GRECHE DI SICILIA • La situazione prima delineata doveva mutare sullo scorcio del VI secolo. • In quegli anni avvennero fatti tali da modificare i rapporti fra le varie etnie presenti in Sicilia e ciò favorì l’inserimento di Cartagine, la più grande e potente città fenicia dell’occidente, in un ruolo di primo attore nello scacchiere politico siciliano. • In proposito le fonti archeologiche e quelle letterarie concordano. Le fonti archeologiche ci attestano che in questo periodo sia Mothia, sia Erice, città elima sotto influenza punica, hanno rafforzato le proprie cinte murarie. La causa che indusse mozesi ed ericini a rafforzare le proprie fortificazioni fu data dal rapido deteriorarsi dei rapporti greco fenici. ERICE - LE MURA MOTHIA - LE MURA AGRIGENTO SELINUNTE CONTRASTI TERRITORIALI CON LE CITTA’ GRECHE DI SICILIA • L’equilibrio fra Fenici e Greci venne rotto per la prima volta intorno al 580 a seguito dello sfortunato tentativo di Pentatlo di fondare una colonia greca nella Sicilia fenicia. • Come narrano Pausania e Diodoro, l’impresa fallì per la reazione di Elimi e Fenici, che non potevano tollerare una colonia greca nel loro territorio. • Qualche decennio più tardi due importanti città greche, Akragas e Selinunte, cercarono di espandersi a danno dei limitrofi centri fenici. • Questa volta Cartagine intervenne direttamente e inviò in Sicilia un esercito comandato dal generale Malco, per ristabilire quell’equilibrio che le città greche avevano messo a repentaglio. In tal modo, Cartagine si inserì nel panorama politico siciliano con il ruolo di protettrice e garante delle consorelle città di Sicilia. IL RUOLO DI CARTAGINE IN SICILIA • Nel 510 Cartagine stipula con Roma un trattato che le riconosce un ruolo attivo nello scacchiere siciliano. Il risultato politico è la costituzione di una vera e propria provincia punica. • Il territorio dell’eparchia, cioè della zona d’influenza cartaginese, esteso in tutta la Sicilia occidentale fino al fiume Alikos (l’attuale Platani), rimarrà sostanzialmente inalterato fino al termine della vicenda politica cartaginese nell’isola. • Ci saranno una serie interminabile di guerre, di cui parleremo più avanti, che porteranno alternativamente Cartaginesi e Greci a occupare l’altrui territorio, ma che alla fine non cambieranno le cose. Solo l’intervento di Roma, con la prima guerra punica, spezzerà l’instabile equilibrio, sconfiggendo Greci e Cartaginesi e assorbirà l’intera Sicilia nel dominio romano IL TERRITORIO DELL’EPARCHIA CARTAGINESE IL RAPPORTO TRA CARTAGINE E LA SICILIA FENICIA • Innanzitutto Cartagine avoca a sé la conduzione della politica estera, come si può evincere dai trattati con Roma e dal fatto che i singoli centri insulari non hanno alcun ruolo autonomo in occasione delle guerre contro le città greche di Sicilia. • In secondo luogo, Cartagine esige un tributo dalle città controllate. Il sistema più diffuso di tassazione dovette essere la decima sui prodotti agricoli, elevabile al quarto in relazione a particolari esigenze dello Stato cartaginese. • Al di là del rapporto tributario, mancò in Cartagine una gestione unitaria del territori dell’eparchia, una visione dei suoi problemi, delle sue potenzialità economiche. In poche parole, mancò una vera politica siciliana da parte di Cartagine. • Questa circostanza la dice lunga sull’effettiva volontà di conquistare tutta la Sicilia. Volontà, che ,come vedremo più avanti, non ci fu. Saranno semmai i Greci quelli che avranno mire di conquista verso la parte fenicia. Ma questa è un’altra storia, che racconteremo a suo tempo. L’ECONOMIA DELLA SICILIA PUNICA • Intensi furono i rapporti economici con le città greche della Sicilia, con la Francia, la penisola iberica, con l’Egitto e con l’Italia continentale; • Le città puniche erano abbastanza ricche; • Le risorse economiche provenivano da una notevole attività di scambio, imperniata sui cosiddetti “traffici ombra”, quelli di cui non rimane traccia negli scavi, cioè stoffe, schiavi, materie prime metalliche, derrate alimentari. LA RELIGIONE DELLA SICILIA PUNICA • Il culto del dio Baal Hammon e della dea Tanit; • Il rito del sacrificio dei bambini IL RITO DEL SACRIFICIO DEI BAMBINI • Il terribile e contro natura rito del sacrificio dei bambini si praticava in onore del dio Baal Hammon nei santuari noti col nome biblico di tophet che significa “luogo di arsione”. L’unico tophet individuato in Sicilia è quello di Mothia • Esso era, come tutti i luoghi di culto di questo tipo, un’area a cielo aperto, dotata di più altari per i sacrifici. • I Fenici facevano un sacrificio alla divinità bruciando il figlio primogenito. Il corpo bruciato veniva messo in vasi che venivano conficcati nel terreno del tophet, con accanto dei segnacoli di pietra detti steli, che erano generalmente scolpite o recanti qualche iscrizione. • Lo spazio in cui avvenivano questi sacrifici e dove venivano poste le urne diventava sacro e costituiva un santuario. Quello di Mothia era dedicato a Baal Hammon, il cui nome è riportato in molte steli. • Nel tophet di Mothia sono state trovate oltre settecento steli, la maggior parte delle quali sono iconiche, cioè scolpite con dei simboli (l’idolo a bottiglia e il betilo, cioè il pilastro sacro). IL TOPHET DI MOTHIA UNA RECENTE TEORIA SUL TOPHET DI MOTHIA • Per il tophet di Mothia e il connesso rito del sacrificio dei bambini, recentemente alcuni studiosi hanno elaborato una nuova teoria, secondo la quale, i fanciulli deposti nel tophet non sarebbero morti bruciati per sacrificio, ma morti per cause naturali. Infatti a Mothia sono stati trovati resti di feti e deposizioni di più bambini di età diversa nello stesso vaso e ciò farebbe pensare a decessi per malattia e morte prenatale. Inoltre, nelle necropoli di Mothia sono state trovate poche sepolture di bambini, mentre il tasso di mortalità infantile allora doveva essere alto. Dunque è verisimile, dicono i sostenitori di questa tesi, che nel tophet siano stati bruciati in onore della divinità i resti di bambini già morti per cause naturali. LE MANIFESTAZIONI ARTISTICHE LA STATUARIA • Come in tutto il mondo fenicio, anche in Sicilia la statuaria in pietra è scarsa. Ciò non di meno, a Mothia sono state rinvenute due belle statue. • Una, in pietra calcarea, è acefala e raffigura un personaggio stante, in posizione frontale; indossa un gonnellino di tipo egizio, il braccio destro disteso lungo il fianco e il sinistro portato al petto. STATUA ACEFALA DA MOTHIA IL GIOVANE DI MOTHIA • L’altra statua è stata trovata nel 1979 sempre a Mothia sotto un cumulo di pietre. La statua, databile al V secolo, è in marmo bianco; è alta 1m. e 81cm. ed è priva delle braccia e dei piedi. Raffigura un giovane, forse un auriga, atletico e vigoroso, vestito di una lunga tunica. Quel che colpisce di questa statua è la perfezione delle parti anatomiche. Il chitone è sottilissimo e aderisce perfettamente al corpo di cui mostra tutte le parti. E’ come se l’ignoto autore avesse voluto ritrarre il giovane nudo e poi fosse stato costretto a vestirlo. IL GIOVANE DI MOTHIA IL GIOVANE DI MOTHIA - PARTICOLARE IL GIOVANE DI MOTHIA - PARTICOLARE IL GIOVANE DI MOTHIA - PARTICOLARE LE STELI • La produzione artistica in assoluto più vasta è costituita dalle steli in pietra provenienti dal tophet di Mothia. • Una serie di immagini si ripete con frequenza sulle steli: la dea Tanit che regge un disco. La stessa dea frontale che porta le mani al petto. • Vi sono poi rappresentati una serie di simboli divini: il betilo o pilastro sacro, l’idolo a bottiglia, il segno della dea Tanit, costituito da un triangolo sormontato da una linea orizzontale e da un disco. STELE DAL TOPHET La dea Tanit che regge un disco STELE DAL TOPHET La dea Tanit che porta le mani al petto STELE DAL TOPHET L’idolo a bottiglia STELE DAL TOPHET Il segno della dea Tanit STELE DOPPIA DAL TOPHET AMULETI E MONILI • Prodotti delle arti minori sono gli amuleti trovati nelle tombe, che riproducevano in piccole dimensioni dei, animali, oggetti e simboli divini. Sono fatti di talco, pietra vitrea, osso e pietra dura. • Vi sono poi dei monili in oro e argento, come collane, anelli e orecchini pendenti. MONILI DALLA NECROPOLI DI MOTHIA TERRECOTTE FIGURATE • Sempre dal tophet di Mothia provengono numerose terrecotte figurate. Di particolare interesse è un gruppo di protomi femminili, con parrucche egiziane e labbra e guance carnose. Le protomi sono elementi architettonici decorativi formati dalla testa e il collo di animali e persone. PROTOMI FEMMINILI DAL TOPHET LA MASCHERA GHIGNANTE • Sempre dal tophet di Mothia provengono delle maschere fittili. • Molto nota è la maschera ghignante. Gli studiosi concordano nell’attribuire a questa maschera, per il suo aspetto demoniaco, una funzione apotropaica (dal greco apotrepo, allontano), cioè di allontanare gli spiriti del male. MASCHERE IN TERRACOTTA DAL TOPHET LE MONETE • Una menzione a sé meritano le monete, di cui Cartagine cominciò la coniazione proprio in Sicilia. • Di impronta greca sono le monete con impressa la quadriga con la vittoria alata, mentre sono motivi fenici il cavallo, il leone, la palma e il granchio. • Recentemente nel mare di Pantelleria sono state trovate 3.500 monete fenicie di bronzo tutte eguali, risalenti al III secolo. Si dovevano trovare su una nave affondata durante le guerre puniche e dovevano servire per pagare i soldati. Su una faccia compare il volto della dea Tanit e sull’altra la testa di un cavallo. MONETA PUNICA DEL III SEC. MONETA PUNICA DA MOTHIA MONETA PUNICA DA MOTHIA IL MUSEO WHITAKER DI MOTHIA Dove si trovano i reperti trovati nell’isola ITINERARIO FENICIO PANORMOS LA STORIA • Panormos fu uno dei centri più grandi e più prosperi della Sicilia Fenicia, arrivando a una popolazione di 30.000 abitanti. Essendo questa città a continuità di vita, nella quale la vita non si è mai interrotta, la Panormos Fenicia giace sotto il moderno abitato, il che non ci permette di conoscere la sua pianta urbana antica. Possiamo solo intuire che l’attuale centro storico era l’antica città, circondata da mura alte fino a sei metri. Resti di queste mura sono stati trovati sotto la chiesa di San Cataldo. PANORMOS – LE MURA PUNICHE LA VISITA • Se vogliamo conoscere qualcosa di più della Panormos fenicia, dobbiamo andare al Museo archeologico Antonio Salinas, situato in un bel palazzo vicino al teatro Massimo. Questo museo conserva la maggior parte del materiale rinvenuto nelle necropoli, una delle quale si trova a Piazza Indipendenza e un’altra a Corso Pisani. PANORMOS - NECROPOLI PANORMOS – CORREDI FUNEBRI COLLANE DEL VI SEC. DALLA NECROPOLI PUNICA DI CORSO PISANI VASETTO A TESTA DI NEGRO DALLA NECROPOLI DI PIAZZA INDIPENDENZA LILIBEO LA STORIA • • • • • • • Lilibeo, l’odierna Marsala, è un quadrilatero bagnato dal mare su due lati. Al tempo dei Fenici, gli altri due lati erano sbarrati da un fossato e fortificati con mura e torri. Oltre il fossato c’era la necropoli. Come scrive Diodoro, Lilibeo fu fondata dopo la distruzione di Mothia del 397 ad opera del tiranno di Siracusa Dionisio. Gli abitanti si trasferirono tutti sulla costa dove fondarono appunto Lilibeo, che divenne una fortezza quasi inespugnabile. Nel 368 Dionisio, dopo aver conquistato Selinunte, Erice ed Entella, dovette arrendersi davanti alle sue mura e la stessa sorte toccò a Pirro nel 277. I Romani la conquistarono nel 241 dopo un assedio durato nove anni. Cicerone, che ne fu questore per due anni, scrive che Verre razziò tutte le opere d’arte dei lilibetani. Gli arabi, dopo averla conquistata, la chiamarono Marsà Alì, porto di Alì. Poiché la città moderna insiste su quella antica, scarse sono le testimonianze del periodo fenicio. Sono stati messi in luce alcuni tratti della cinta muraria, larga oltre sei metri e la necropoli. LILIBEO - NECROPOLI LA NAVE SOMMERSA • Nel 1969, al largo del mare di Marsala, fu trovata la poppa di una nave, che sullo scafo aveva inciso il nome della nazionalità fenicia. LILIBEO- NAVE PUNICA ERICE LA STORIA • Erice si trova sul Monte San Giuliano che domina a 751 m. di altezza la città di Trapani. • Questa città è stata fondata dagli Elimi, insieme a Segesta e a Entella. • La comprendiamo anche tra i centri punici per alcune manifestazioni prettamente fenicie. • Alcuni saggi di scavo praticati lungo le mura hanno accertato due fasi nella loro costruzione: una prima fase elima, databile tra l’VIII e il VI secolo, ed una seconda fase punica, databile tra il VI e IV secolo. ERICE Mura puniche ERICE – LE MURA LE LETTERE INCISE SULLE MURA • Alla seconda fase appartengono le lettere puniche incise su alcuni blocchi di pietra delle mura. • Sono le lettere Beth, ain e phe dell’alfabeto fenicio. LETTERE FENICIE SULLE MURA DI ERICE IL MONITO • Uno studioso di civiltà semitiche ha fornito una suggestiva interpretazione di queste lettere scolpite nelle mura. Queste lettere, secondo questo studioso, nei linguaggi semitici assumono talvolta uno speciale significato. Ain significherebbe occhio, phe bocca e beth casa. Queste lettere pertanto rappresenterebbero un monito a un eventuale aggressore: le mura hanno occhi per vedere il nemico, la bocca per sbranarlo in caso di aggressione e sono la casa sicura per gli abitanti che vi abitano. ERICE Il castello medievale RESTI DEL TEMPIO DI ASTARTE ALL’INTERNO DEL CASTELLO MEDIEVALE IL TEMPIO DI ASTARTE • All’interno del castello medievale di Erice sono stati trovati i resti di un antico tempio, risalente all’epoca fenicia e dedicato ad Astarte la dea dell’amore, Afrodite per i Greci e Venere per i Romani. • Questo tempio era il centro religioso di maggior prestigio di tutta la Sicilia antica, rispettato da indigeni, cartaginesi, greci e romani. LA PROSTITUZIONE SACRA • Sembra che in questo santuario si praticasse la prostituzione sacra. Questa era una usanza praticata soprattutto nella Mesopotamia, come rito propiziatorio per la fertilità umana e della terra. • Cicerone racconta che nel santuario di Erice, in epoca romana, vi erano molti servi di entrambi i sessi, che si occupavano di amministrare il santuario e di coltivarne le terre. Cicerone li chiamava servi venerii, ricordando che Verre si servì di loro come esattori per costringere i contadini del posto a pagare la decima. LA PROSTITUZIONE SACRA • C’erano tra di loro anche donne disponibili a commerci di natura sessuale, le cosiddette ierodule, cioè le schiave del tempio? • L’ipotesi sembra possibile, dal momento che Diodoro, pur non parlando apertamente di prostituzione sacra, racconta che consoli e pretori romani, ogni volta che venivano in Sicilia, non mancavano di onorare il tempio di Erice con doni e sacrifici. Diodoro aggiunge che essi poi si intrattenevano con le donne in grande allegria. LA PROSTITUZIONE SACRA • Non si può affermare con sicurezza che queste donne appartenessero al santuario o che, invece, fossero delle semplici prostitute che approfittavano della fama del santuario per esercitare il loro mestiere. Ma resta il legame con il culto del santuario, giacchè Diodoro conclude che i notabili romani si comportavano così, perché in questo modo “rendevano gradita alla dea la loro presenza”. LA PROSTITUZIONE SACRA • Uno storico romano del I secolo, Valerio Massimo, confermava che a Erice le donne puniche praticavano un tipo di prostituzione sacra, svolta in un contesto prenuziale. Scrive, infatti, che le donne nubili si recavano al tempio della dea, dove si prostituivano per raccogliere denaro per la dote nuziale. • Che questo fosse un costume orientale ce lo attesta anche Erodoto. Lo storico ateniese racconta che le donne babilonesi, almeno una volta nella loro vita, dovevano andare al santuario di Afrodite a prostituirsi a uno straniero a pagamento. Il denaro era devoluto al santuario. IL GIORNO DELLE PROSTITUTE A ROMA • L’importanza del santuario di Erice era tale che nel 217, quando le sorti della seconda guerra punica sembravano volgere al peggio per i romani, gli interpreti dei Libri Sibillini consigliarono i romani di rivolgersi alla siciliana dea dell’amore. Allora il generale romano Fabio Massimo fece voto di dedicarle un tempio a Roma e, dopo la vittoria, mantenne la promessa, facendo edificare un tempio sul Campidoglio, che fu il tempio di Venere Ericina. Un secondo tempio fu innalzato poco fuori le mura e il 23 Aprile a Roma veniva festeggiato in questi due templi come giorno delle prostitute. LA FESTA ALLA DEA ASTARTE • Collegata al santuario di Erice è una festa chiamata anagogia, cioè partenza, imbarco, e catagogia, cioè il ritorno. La dea Astarte, rappresentata da una colomba rossa, durante l’anagogia, si imbarcava per il nord Africa per raggiungere il santuario gemello di Sicca Veneria, dove si fermava per nove giorni. Quindi faceva ritorno a Erice, la catagogia. In questo viaggio di andata e ritorno, la dea era accompagnata dal volo delle sue colombe. L’ANTICA FESTA DI ERICE E LE FESTE DEI NOSTRI PAESI • Qualcosa di simile avviene durante alcune feste religiose di qualche nostro paese. La statua del Santo, durante la sua festa, viene spostata da una chiesa ad un’altra (l’anagogia), seguita in processione dai fedeli (il volo delle colombe). Alla fine dei festeggiamenti, la statua viene riportata nella chiesa d’origine (la catagogia). • E’ solo una coincidenza? Ma non è forse vero che le nostre feste, le nostre tradizioni spesso affondano le loro radici in un humus culturale di un lontano e dimenticato passato? MONETA FENICIA CON L’EFFIGIE DELLA DEA ASTARTE SELINUNTE LA STORIA • Selinunte si trova sulla costa occidentale della Sicilia. Fu colonia greca, fondata verso il 630 dai greci di Megara Iblea della costa orientale. • Nel 409 fu distrutta dai cartaginesi per cui passò sotto il dominio punico nell’ultimo secolo e mezzo della sua esistenza e per questo interessa il nostro itinerario fenicio. LA STORIA • Le testimonianze puniche si riferiscono alla sistemazione viaria dell’acropoli, dove passò ad abitare la popolazione scampata alla distruzione del 409. • L’area prima abitata fu destinata a necropoli. LA STRADA SULL’ACROPOLI DI SELINUNTE SIMBOLI PUNICI • Nel tempio A sono stati trovati sul pavimento i simboli della dea Tanit e del caduceo. • Il simbolo di Tanit è un triangolo sormontato da una linea orizzontale e da un disco. • Il caduceo è una verga di ulivo o di alloro con due serpenti attorcigliati. PAVIMENTO DEL TEMPIO A SIMBOLI DELLA DEA TANIT SIMBOLO DEL SOLE A FORMA DI TESTA TAURINA SIMBOLI DI TANIT E DEL CADUCEO SUL PAVIMENTO DI UNA CASA SULL’ACROPOLI STELI PUNICHE (IV sec.) CONCLUSIONE • La grandezza e la magnificenza di Selinunte sta tutta nella sua storia di città greca. Di essa parleremo diffusamente più avanti, quando ci occuperemo della Sicilia greca.