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storia della sicilia
STORIA DELLA SICILIA
INTRODUZIONE
LA SICILIA COME NAZIONE
• Per chi si accinge a raccontare la storia della Sicilia, una
domanda si impone: se la Sicilia sia mai stata una nazione,
nel senso che si dà a questa parola, così da giustificarne una
storia a sé stante.
• La risposta è che una nazione siciliana è storicamente
esistita nel passato, con la sua politica, la sua economia, la
sua cultura, distinte e autonome da quelle di tutte le altre
nazioni che sono nate nel Mediterraneo.
• Nonostante tante dominazioni di stirpi e popoli diversi,
possiamo affermare che in Sicilia è rimasta ininterrotta la
successione e l’eredità della vita civile; e questo, che è in un
LA SICILIA COME NAZIONE
• certo senso il rovescio positivo della celebre visione gattopardesca
dei mutamenti che in Sicilia nascondono, invece, immutevoli
permanenze, ha fatto sì che in questa terra sia rimasta costante
quella tradizione e quelle esperienze che danno alla Sicilia i tratti
inconfondibili della nazione.
• E la storia della Sicilia è soprattutto la storia del fare e del patire
millenario di tutto il popolo siciliano. E quanto sudore e sangue è
sempre costato essere siciliani. Dopo un secolo, due secoli, tre
secoli incominciavano a parlare la stessa lingua, ad adorare gli stessi
dei o lo stesso Dio, a darsi leggi e costumi, insomma a costruirsi un
patrimonio culturale, una tradizione ,ed ecco che arrivava un nuovo
popolo straniero che scombinava tutto. E si ricominciava a riscrivere
la propria storia.
PERCHE’ UN CORSO DI STORIA DELLA
SICILIA
• In una società come la nostra nella quale tutto si misura col
metro dell’utilità, qualcuno potrebbe chiedermi perché un
corso di Storia della Sicilia, a che serve? Potrei rispondere
come quell’animalista che, a una signora impellicciata che
gli chiedeva a cosa servisse un lupo vivo, rispose: “non
serve a niente, come Mozart”.
• Al di là della provocazione, io penso che a qualcosa serva.
Conoscere il nostro passato aiuta a comprendere il
presente e la nostra identità di siciliani. Noi siamo il
prodotto di tante culture che si sono succedute le une dalle
altre come in una staffetta. E Benedetto Croce ci insegna
che il carattere di un popolo è dato dalla sua storia, tutta la
sua storia, nient’altro che la sua storia.
LA SICILIA AL CENTRO DEL
MEDITERRANEO
• E la storia della Sicilia è così ricca e complessa che da
essa è nato “un popolo di popoli”(così ha definito il
popolo siciliano uno storico francese, Jules Michelet).
• Cosa ha di speciale questa terra ad aver attratto tanti
popoli diversi? La risposta ce la dà la geografia che ci
ricorda la collocazione dell’isola al centro del
Mediterraneo, un mare in cui nacquero le grandi civiltà
dell’antichità e da dove sono passati i flussi della
grande storia; fra due continenti, l’Europa e l’Africa: la
porta dell’Europa per gli africani, l’Europa che finisce
per gli scandinavi, i britannici, i tedeschi. Quindi, una
terra di frontiera e, come avviene in tutti i luoghi di
frontiera, dalla sua porta sono entrati tanti popoli.
LA SICILIA AL CENTRO DEL
MEDITERRANEO
LE DUE CHIAVI DI LETTURA DELLA
STORIA DELLA SICILIA
• C’è da chiedersi se tutte queste invasioni siano state
per i siciliani solo dominazione e violenze. In proposito
c’è da dire che la storia della Sicilia si presta a due
diverse chiavi di lettura. L’una risalente a Tommaso
Fazello, un monaco domenicano siciliano, che nel ‘500
scrisse una storia della Sicilia in cui si sosteneva che le
continue invasioni erano state per i siciliani solo
dominazione e violenze. Questa interpretazione della
nostra storia è stata avvalorata dai nostri maggiori
scrittori. Tomasi di Lampedusa, nel Gattopardo,
esprime perfettamente questa chiave di lettura, per cui
i siciliani hanno subito passivamente le tante
dominazioni.
LA STORIA DELLA SICILIA
Tommaso Fazello
TOMASI DI LAMPEDUSA
Il Gattopardo
LE DUE CHIAVI DI LETTURA DELLA
STORIA DELLA SICILIA
• Ricordate , nel Gattopardo, il famoso colloquio
fra il principe di Salina e l’emissario
piemontese Chevalley?
• Dice il principe…..
IL GATTOPARDO
“Sono venticinque
secoli che portiamo
sulle spalle il peso di
magnifiche civiltà
eterogenee, tutte
venute da fuori già
complete e
perfezionate, nessuna
germogliata da noi
stessi, nessuna a cui
abbiamo dato il là…..”
IL GATTOPARDO
“…questi monumenti
anche magnifici ma
incomprensibili perché
non edificati da noi e
che ci stanno intorno
come bellissimi fantasmi
muti, tutti questi
governi, sbarcati in armi
da chi sa dove, subito
serviti, presto detestati e
sempre incompresi, che
si sono espressi soltanto
con opere d’arte per noi
enigmatiche….”
LE DUE CHIAVI DI LETTURA DELLA
STORIA DELLA SICILIA
• C’è poi una seconda chiave di lettura sostenuta da
alcuni storici moderni secondo i quali le tante invasioni
non sono state per i siciliani solo dominazione e
violenze, ma ne hanno permeato la vita, la cultura, il
costume,l’arte, in maniera profonda e duratura. Per
questi storici, i siciliani non hanno subito passivamente
le varie dominazioni, ma ne hanno recepito le culture,
fino a diventare parte costitutiva di quelle civiltà.
• E così la Sicilia è stata Fenicia e Greca, Romana,
Bizantina, Araba, Normanna e Sveva, Angioina e
Aragonese, Spagnola, Borbonica e, infine, Italiana.
PRESENTAZIONE DEL CORSO
• Il corso, articolato in 16 “incontri”, si intitola
“La Sicilia Greca”, in quanto la parte più estesa
si riferisce al periodo della colonizzazione
greca (VIII-III sec. a.C.).
• Ma prima, per completezza, faremo una
rapida escursione nella Sicilia preistorica, per
conoscere alcuni siti archeologici più
significativi, senza trascurare la Sicilia fenicia.
SICILIA PREISTORICA
FAMOSI PALETNOLOGI
• La Sicilia preistorica, per la quantità e qualità
dei reperti che ci ha lasciato, meriterebbe un
intero corso. E questo grazie anche all’opera di
grandi paletnologi, come Paolo Orsi e Luigi
Bernabo’ Brea. Io mi limiterò a una rapida
visita ai più significativi siti archeologici.
PALETNOLOGI
PAOLO ORSI (1859-1935)
L. BERNABO’ BREA (1910-1999)
L’ARRIVO DELL’UOMO
• L’uomo arrivò in Sicilia in epoca relativamente
tarda, circa 100.000 anni fa e pare che
provenisse dall’Africa a cui la Sicilia allora era
unita.
L’ARRIVO DELL’UOMO IN SICILIA
L’UOMO DELLE CAVERNE
• Il siciliano del paleolitico visse fino al
dodicesimo millennio nelle grotte.
• Nella cartina che segue sono riportate le più
importanti grotte che ci attestano la presenza
del siciliano del paleolitico.
L’UOMO DELLE CAVERNE
LE GROTTE DEL MESSINESE
• Le grotte del messinese dove sono stati reperti
preistorici sono:
IL RIPARO DI ROCCA S. MARCO A
UCRIA
IL RIPARO DELLA SPERLINGA A
NOVARA DI SICILIA
LA GROTTA SAN TEODORO AD
ACQUEDOLCI
• La grotta più interessante del messinese è la
grotta San Teodoro ad Acquedolci.
• In questa grotta, oltre a molti reperti litici
relativi al paleolitico superiore, sono stati
ritrovati i resti ossei di cinque individui, di cui
due donne, vissuti 14.000 anni fa. Si tratta dei
primi resti umani trovati in Sicilia e in tutta
Italia dopo quelli trovati in alcune grotte della
Liguria.
LA GROTTA SAN TEODORO AD
ACQUEDOLCI
I RESTI UMANI DI SAN TEODORO
IL VOLTO DI THEA
• Uno degli scheletri, il più completo, apparteneva
a una donna di 30 anni, alta 1m. e 65 cm., alla
quale dai paletnologi fu dato il nome di Thea, per
collegarlo a quello della grotta.
• Al museo naturalistico Gemmellaro
dell’Università di Palermo,dove sono conservati i
resti di San Teodoro, con la stessa tecnica usata
per ricostruire i volti dei faraoni, è stato
ricostruito il volto di Thea.
THEA
200.OOO ANNI FA IN SICILIA C’ERANO
GLI IPPOPOTAMI
• Nell’area circostante la grotta San Teodoro
sono stati trovati reperti fossili di ippopotamo,
segno che in questo posto 200.000 anni fa
c’era un bacino lacustre dove vivevano gli
ippopotami, che insieme agli elefanti nani e
all’orso, costituivano la grande fauna del
paleolitico siciliano
RESTI FOSSILI DI IPPOPOTAMO
LE PITTURE E I GRAFFITI DI LEVANZO
• In due grotte, una a Levanzo e l’altra sul monte
Pellegrino a Palermo, sono state trovate le più
antiche manifestazioni artistiche siciliane.
• A Levanzo, nella grotta di Cala del Genovese, ci
sono pitture neolitiche e graffiti riferibili al
paleolitico superiore.
ARTE RUPESTRE
Isola di Levanzo
GROTTA CALA DEL GENOVESE
GROTTA CALA DEL GENOVESE
Pitture Neolitiche
GROTTA CALA DEL GENOVESE
Pitture neolitiche
GROTTA CALA DEL GENOVESE
Graffiti Paleolitico Superiore
GROTTA CALA DEL GENOVESE
Graffiti - Bue
GROTTA CALA DEL GENOVESE
Graffiti – Giovane cervo
GROTTA CALA DEL GENOVESE
Giovane cervo graffito
Animale dipinto
I GRAFFITI DELL’ADDAURA
•
•
•
•
•
Nel 1952, nella grotta dell’Addaura sul monte Pellegrino a Palermo, furono
individuati un gruppo di graffiti risalenti al paleolitico superiore, che costituiscono
gli esempi più belli e più suggestivi finora noti al mondo.
I graffiti riproducono 17 figure umane e 15 di animali. Nove figure umane sono in
piedi, rivolte in cerchio verso lo stesso punto. Alcune agitano le braccia in un atto
che può significare incitamento, o gioia, o meraviglia o anche costernazione.
Al centro della scena vi sono due uomini sdraiati, colti in una curiosa posizione,
con il corpo inarcato e le gambe piegate all’indietro.
Sul significato di questa scena si è discusso e scritto molto. Le interpretazioni più
ricorrenti sono due. Una vede nelle due figure centrali due acrobati che stanno
eseguendo spericolati esercizi ginnici, provocando lo stupore degli spettatori.
L’altra interpretazione, più suggestiva, vede nella scena la rappresentazione di un
sacrificio umano provocato dalle stesse vittime per autostrangolamento,
provocando negli spettatori dolore e costernazione.
Peccato che la grotta dell’Addaura da vent’anni è chiusa al pubblico per motivi di
sicurezza.
GROTTA DELL’ADDAURA
Palermo
GROTTA DELL’ADDAURA
Graffiti
LA FIGURA UMANA TRATTATA DA
Levanzo
Addaura
GROTTA DELL’ADDAURA
Graffiti - Particolare
LA GROTTA DELL’ADDAURA OGGI
IL PRIMO VILLAGGIO
• Fu nel neolitico (7°-3° millennio) che l’uomo, con
l’invenzione dell’agricoltura, uscì dalle caverne e costruì
dimore all’area aperta. Sorsero allora i primi villaggi,
piccoli agglomerati di capanne.
• Il più antico villaggio finora conosciuto in Sicilia è
quello di Stentinello, località costiera a nord di
Siracusa. Il villaggio, di forma ovale, era circondato e
protetto da un fossato.
• Nel 1961, in questo sito, è stata identificata una
capanna a pianta rettangolare, il cui perimetro è
indicato da una serie di fori circolari in cui venivano
conficcati i pali di sostegno della capanna stessa.
CAPANNA DELLA CULTURA DI
STENTINELLO
L’ETA’ DEI METALLI
• ETA’ DEL RAME (III millennio – XVIII sec. A.C.)
• ETA’ DEL BRONZO (XVIII – XV sec. A.C.)
• ETA’ DEL FERRO (XV sec. – fino alla storia)
L’ETA’ DEL BRONZO (XVIII-XV sec.a.C.)
• Cultura del Castelluccio – Noto
• Cultura di Thapsos - Priolo
CULTURA DEL CASTELLUCCIO NOTO
CULTURA DEL CASTELLUCCIO
• La cultura del Castelluccio prende il nome
dall’insediamento situato su uno sperone
dell’altipiano acrense fra Noto e Palazzolo
Acreide.
• Nella piccola valle a fianco del villaggio si trova la
necropoli, costituita da 176 tombe a grotticella
artificiale, che è il tipo di tomba conosciuto in
Sicilia nell’età dei metalli.
• Le sepolture sono collettive. I defunti non sono
soli, quasi si volesse includerli ancora nella
collettività .
CULTURA DEL CASTELLUCCIO
La necropoli
NECROPOLI DEL CASTELLUCCIO
Tomba del principe
NECROPOLI DEL CASTELLUCCIO
Tomba con prospetto monumentale
NECROPOLI DEL CASTELLUCCIO
Tomba con cornice elaborata
NECROPOLI DEL CASTELLUCCIO
Tombe gemelle
NECROPOLI DEL CASTELLUCCIO
Interno di una tomba con letto
funebre
Lastre di calcare spiraliformi dalla necropoli di
Castelluccio
Queste lastre chiudevano l’ingresso delle tombe. Sono
importanti perché sono le sole sculture finora conosciute
dell’intera preistoria siciliana.
CERAMICHE CULTURA CASTELLUCCIO
THAPSOS
LA CULTURA DI THAPSOS
• Sul finire del XV secolo, verso il 1420, nella Sicilia orientale c’è stato un
mutamento culturale di grande portata, costituito dalla cultura di Thapsos.
• Questo sito si trova nella penisoletta rocciosa e pianeggiante, oggi
chiamata Magnisi, di fronte alla costa di Priolo alla quale è congiunto da
un sottile istmo sabbioso.
• A differenza di quelli della cultura castellucciana, gli insediamenti della
cultura di Thapsos sono situati tutti sulla costa. Ciò prova che questa era
una cultura essenzialmente marittima commerciale, con frequenti
rapporti con la civiltà micenea.
• Con la cultura di Thapsos i siciliani preistorici hanno per la prima volta un
nome. Infatti, gli uomini e le donne di Thapsos erano i Sicani.
• Questi erano un popolo proveniente dalla penisola iberica, che arrivò in
Sicilia verso il 1420 e che si insediò sulle coste orientali dell’isola.
THAPSOS
Insediamenti
THAPSOS
Resti di fabbricati di stile miceneo
THAPSOS
Necropoli
THAPSOS
Ceramiche
THAPSOS
Ceramiche
THAPSOS
Ceramiche
Luigi Bernabò Brea divise l’età del ferro in Sicilia
in quattro fasi:
•
•
•
•
CIVILTA’ DI PANTALICA NORD (XIII-XI SEC. A.C.)
CIVILTA’ DI CASSIBILE (1.000 – 850 a.C.)
CIVILTA’ DI PANTALICA SUD (850-730 a.C.)
CIVILTA’ DEL FINOCCHITO (730-600 a.C.)
L’ARRIVO DEI SICULI
• All’inizio dei XIII secolo, verso il 1270, nella Sicilia orientale
avvennero profondi cambiamenti economici e antropologici. Tutti
gli insediamenti della cultura di Thapsos della costa scomparvero
quasi all’improvviso. I Sicani abbandonarono la costa per andare a
vivere in impervie e disagevoli località dell’interno, scelte perché
rispondenti a esigenze di difesa. Da chi dovevano difendersi i pacifici
Sicani? Dall’invasione dei Siculi.
• Questi erano un popolo di stirpe indoeuropea, che, insieme ad altri
popoli, dai Balcani arrivò in Italia e da qui passò in Sicilia, dove si
insediò sulla costa sud orientale, scacciando con la forza i Sicani.
• Questi, nelle zone dell’interno, costituirono la cultura che Bernabò
Brea chiamò civiltà di Pantalica nord.
• Questa civiltà prese il nome dall’insediamento più significativo di
Pantalica.
PANTALICA
PANTALICA
• Pantalica è il sito più affascinante e suggestivo
di tutta la preistoria siciliana.
• Nel 2005 l’Unesco l’ha proclamato Patrimonio
dell’Umanità, per l’alto profilo storico,
archeologico e paesaggistico. Per cui tanti
sono gli aspetti che rendono questo sito unico,
uno dei grandi tesori della Sicilia, pressocchè
sconosciuto anche ai siciliani.
L’ASPETTO NATURALISTICO E
PAESAGGISTICO
• Pantalica è uno sperone roccioso situato nell’entroterra
della provincia di Siracusa, fra i comuni di Ferla e Sortino,
che sovrasta la confluenza di due fiumi, l’Anapo e il
Calcinara, che, scavando profondamente i rilievi, hanno
formato veri e propri canyon, da queste parti chiamati cave.
• La natura selvaggia del sito ha favorito la concentrazione di
una grande varietà di specie vegetali. Tra gli alberi ad alto
fusto, che formano una fitta foresta fluviale, vi sono pioppi
bianchi e neri, salici, tamerici, oleandri. Lungo i pendii si
incontra la foresta mediterranea a querce, lecci e sugheri,
che si alterna alla macchia mediterranea.
• La fauna è ricca di volpi, martore, istrici, lepri, ricci e una
grande varietà di uccelli.
PANTALICA
PANTALICA
PANTALICA
PANTALICA
PANTALICA
Sentieri
LA STORIA
• Pantalica cominciò a essere abitata a partire dal XIII secolo, quando
i Sicani della cultura di Thapsos, come abbiamo visto prima, furono
scacciati dai siculi dai loro insediamenti lungo la costa sud orientale
e furono costretti a rifugiarsi in queste zone montuose.
• La prima civiltà, quella chiamata dal Bernabò Brea, Pantalica Nord,
durò fino all’XI secolo. Dal 1000 all’850, la vita cessò a Pantalica, che
rifiorì dopo l’850 con la civiltà di Pantalica Sud, finchè non fu
distrutta dalle colonie greche di Siracusa e Leontini. Ci sarà un
ultimo breve sussulto di vita nel periodo bizantino, quando il sito
venne di nuovo abitato da quanti cercavano scampo alle scorrerie
arabe sulla costa.
• Furono proprio gli arabi a disperdere per sempre tutti gli abitanti di
Pantalica e su di essa cadde un lungo silenzio durato un millennio
fino all’inizio del novecento, quando l’archeologo Paolo Orsi iniziò
una campagna di ricerche che riportarono all’attenzione di noi
moderni questo bellissimo sito.
L’ABITATO E L’ANAKTORON
• L’abitato di Pantalica si estendeva su un vasto pianoro ed era costituito da
capanne in pietrame e legno. Di esse non è rimasto nulla.
• L’unica testimonianza rimasta sono le fondamenta di una grandiosa
costruzione in blocchi di pietra poligonali, lunga 37,50 m. e larga 11,50 m.,
nella quale si è riconosciuto l’anaktoron, cioè il palazzo del principe.
• L’anaktoron è la casa del Wanax, il re di omerica memoria (anax in greco
indica il signore, colui che comanda) e per la sua struttura ci ricorda i
palazzi micenei, per cui è verisimile l’ipotesi dell’Orsi che la costruzione sia
opera di artefici venuti dall’oriente miceneo al soldo del principe locale.
• Sappiamo che l’anaktoron fu utilizzato anche in epoca bizantina come
dimora di personaggi autorevoli di passaggio per Pantalica.
• Nel 1903, nel vano centrale di questo palazzo, che era a due piani, fu
trovato un tesoro nascosto in un vaso di bronzo del VII secolo d.C.,
costituito da migliaia di monete e molti gioielli andati subito dispersi.
CIVILTA’ DI PANTALICA NORD
L’anaktoron
CIVILTA’ DI PANTALICA NORD
L’anaktoron
CIVILTA’ DI PANTALICA
L’anaktoron
LE NECROPOLI
• L’abitato di Pantalica doveva essere di dimensioni allora inusitate.
Questo si ricava dalla vastità del pianoro sul quale c’erano le
abitazioni intorno al palazzo del principe, ma soprattutto dal
numero impressionante delle tombe, che sforacchiano a grappoli i
costoni rocciosi intorno all’insediamento.
• Si tratta di 5.000 tombe a grotticella artificiale, scavate sulle balze
rocciose a strapiombo sulle strette valli, che sembrano immensi
alveari e formano una scenografia che incanta il visitatore e gli fa
dimenticare che quei bellissimi alveari furono tristi tombe.
• Chi guarda questi scenografici bianchi alveari, non può non
chiedersi al prezzo di quali pericoli e fatiche gli antichi cavatori
svolgessero il loro lavoro e soprattutto quali fossero i sentimenti di
quegli uomini e di quelle donne che sulle erte pareti montuose
celebravano il difficile e pietoso rito del seppellimento di un loro
congiunto. A Pantalica era difficile vivere, ma era difficile anche
morire.
MAPPA DELLE NECROPOLI DI
PANTALICA
LE NECROPOLI
• Le 5.000 tombe sono suddivise in cinque necropoli.
• Quelle più antiche appartenenti alla civiltà di Pantalica Nord sono:
la grandiosa e scenografica necropoli Nord, con 1.500 tombe; la
necropoli Nord ovest con 600 tombe e parte della necropoli Sud.
• Le altre due necropoli laterali, la necropoli di Filiporto con 500
tombe e la necropoli della Cavetta appartengono a un momento più
tardi, fra il IX e l’VIII secolo, coincidente con la cultura di Pantalica
Sud.
• Nel periodo intermedio, fra il X e il IX secolo, non c’è alcuna tomba,
segno che Pantalica in questo periodo è quasi scomparsa.
Probabilmente lo stato di pericolo, che era stato la causa della sua
nascita, col tempo era cessato, con l’integrazione fra gli indigeni
Sicani e gli invasori Siculi.
NECROPOLI NORD - PANTALICA
NECROPOLI NORD - PANTALICA
NECROPOLI NORD OVEST - PANTALICA
NECROPOLI SUD - PANTALICA
NECROPOLI DI FILIPORTO - PANTALICA
NECROPOLI DELLA CAVETTA
PANTALICA
PANTALICA-INTERNO DI UNA TOMBA
Ceramica dalle necropoli di Pantalica
FIBULE
A Pantalica per la prima volta compaiono le fibule,
che servivano a sostenere la tunica e il mantello.
CIVILTA’ DI CASSIBILE
• Fra il 1000 e l’850 si affermò la cultura di Cassibile, località a
sud di Siracusa.
• Il sito è un profondo canyon (cava in siciliano), attraversato
dal fiume Cassibile (l’antico Kaliparis dei Greci), che lungo il
suo corso forma laghetti, cascate, grotte, oasi fluviali
dominati dai platani e dalle orchidee.
• Abitarono questo sito i Siculi, che vi costruirono due villaggi
rupestri chiamati ddieri (dall’arabo dar, casa), due veri nidi
d’aquila ancora oggi difficili da raggiungere.
• Lungo il percorso del fiume, sulle ripide pareti, si incontra
una necropoli formata da 2.000 tombe a grotticella
artificiale scavate nella roccia.
CAVA GRANDE DEL CASSIBILE
CAVA GRANDE DEL CASSIBILE
CASSIBILE
Cava Grande
LAGHETTI DI CAVA GRANDE DEL
CASSIBILE
CULTURA DI CASSIBILE
Ddieri
CULTURA DI CASSIBILE
Necropoli
IL POPOLAMENTO DELLE ISOLE EOLIE
L’INIZIO DEL POPOLAMENTO
• Le Eolie sono state sempre un arcipelago; questo per dire che non furono
mai unite né alla Sicilia né alla penisola italiana. Ciò impedì che fossero
popolate fin dal paleolitico come avvenne per la Sicilia.
• Due grandi paletnologi come Luigi Bernabò Brea e Maddalena Cavalier,
che alle Eolie hanno operato per trent’anni, sostengono che le Eolie non
sono state abitate prima del 7° millennio.
• Fu appunto all’inizio del neolitico che si crearono le condizioni per il
popolamento delle Eolie, grazie anche alla perizia raggiunta dalle culture
neolitiche nella lavorazione del legno e quindi nella costruzione di
imbarcazioni capaci di affrontare una lunga navigazione.
• Alle Eolie i primi abitanti trovarono una delle materie prime allora più
ricercata, l’ossidiana, il tagliente vetro nero vulcanico, eruttato dal cratere
del Monte Pelato a Lipari.
• Questa materia prima costituì per Lipari quello che è oggi per i paesi del
Golfo il petrolio. Infatti, siccome l’ossidiana si trovava in pochi punti del
Mediterraneo, da Lipari essa veniva largamente esportata e ciò costituì
una grande fonte di ricchezza per le Eolie.
LUIGI BERNAB0’ BREA E MADELEINE
CAVALIER
OSSIDIANA
IL MONTE PELATO - LIPARI
CENTRI DI PRODUZIONE DI OSSIDIANA
LE CULTURE EOLIANE
• Anche alle Eolie, come in Sicilia, la cultura neolitica più
antica fu quella di Stentinello. Da ciò si deduce che i primi
abitanti di Lipari venivano dalla Sicilia e, in una prima fase,
si insediarono sull’altopiano di Castellaro Vecchio.
• La fase successiva, datata intorno al 4.500, è quella che
prende il nome di cultura di Capri, durante la quale gli
eoliani abbandonarono le terre dell’altopiano per andare a
vivere nella Rocca del Castello e qui, per motivi di sicurezza,
vissero fino alle soglie dell’età storica.
• La terza fase del neolitico eoliano è definita cultura di Serro
Alto, dall’omonima collina presso Matera.
• La quarta fase è definita cultura di Diana dall’omonima
località sotto il castello di Lipari.
CULTURA DI STENTINELLO
Castellaro Vecchio - Lipari
CULTURA DI CAPRI - LIPARI
LIPARI – LA ROCCA DEL CASTELLO
CULTURA DI SERRO ALTO - LIPARI
CULTURA DI DIANA - LIPARI
LE CULTURE DELL’ETA’ DEL BRONZO
• Nel 3° millennio avvenne la scoperta del rame.
Con questa scoperta l’ossidiana perse valore, oggi
si direbbe che non ebbe più mercato. E così le
Eolie subirono una grave crisi economica, visibile
nella diminuzione della popolazione.
• Si ripresero solo nella successiva età del bronzo
fra il XVIII e il XV secolo. In questa età si
affermarono due grandi culture: la cultura di
Capo Graziano a Filicudi e la cultura del Milazzese
a Panarea
CULTURA DI CAPO GRAZIANO FILICUDI
CULTURA DI CAPO GRAZIANO
FILICUDI
CULTURA DI CAPO GRAZIANO
Ceramiche micenee
CULTURA DEL MILAZZESE PANAREA
CULTURA DEL MILAZZESE PANAREA
CULTURA DELL’AUSONIO
• Intorno al 1270 avviene un radicale cambiamento. Alla cultura del
Milazzese si sostituisce una nuova civiltà, diffusa in tutta l’Italia centro
meridionale. Nuove genti, dunque, provenienti dall’Italia peninsulare ,
arrivarono alle Eolie. Queste genti erano gli Ausoni, un popolo italico che
viveva in Campania e Calabria. Così la nuova cultura fu chiamata Ausonia.
• Prima della fine del XII secolo l’insediamento del castello di Lipari subisce
un’altra violenta distruzione, a causa dell’arrivo di nuove genti provenienti
dalla penisola italiana, che segna il passaggio alla cultura dell’Ausonio II.
• Questo insediamento fu distrutto intorno al 900. Da allora l’abitato non è
stato più ricostruito e la rocca del castello e forse anche l’intera Lipari, è
rimasta deserta per più di tre secoli.
• Verso il 580 un gruppo di Greci di stirpe dorica, provenienti da Cnido,
fondarono la nuova Lipari, che fu l’ultima colonia greca in ordine di tempo
fondata in Sicilia. Ma di questo si parlerà meglio più avanti.
CULTURA DELL’AUSONIO I°(seconda
metà XIII sec.-fine XII sec.)
CULTURA DELL’AUSONIO II°(XII-XI sec.)
ANFORE DA UNA CAPANNA (X sec.)
LE NECROPOLI DI MYLAI
•
•
•
•
•
•
La conoscenza delle antiche necropoli di qualsiasi centro urbano non è semplice curiosità
archeologica, ma, in assenza di altre testimonianze, è l’unico modo per scoprire una determinata
civiltà e la sua vita materiale. Per cui non è un paradosso che per conoscere la città dei vivi, spesso
dobbiamo riferirci alla città dei morti.
Milazzo non sfugge alla regola, per cui le sue necropoli sono le uniche testimonianze per poter
conoscere qualcosa della Milay preistorica e greca.
Della Milay preistorica fino alla metà del secolo scorso si sapeva ben poco, nonostante le accurate
esplorazioni di superficie fatte da grandi paletnologi come Paolo Orsi e Pietro Griffo, che avevano
dato risultati deludenti.
Per la verità c’erano stati due occasionali ritrovamenti di due tombe: una a Piazza Roma durante gli
scavi per l’erezione del monumento ai Caduti e l’altra, nel dicembre del 1938, in via Cumbo Borgia
durante gli scavi per la costruzione del nuovo Duomo.
Si trattava di tombe a cremazione e questa circostanza suscitò grande interesse fra gli studiosi,
perché il rito della cremazione era sconosciuto in tutta la Sicilia, dove l’inumazione entro grotticelle
artificiali scavate nella roccia appariva esclusiva, come abbiamo visto nelle culture del Castelluccio,
Tapsos, Pantalica e Cassibile.
Questi due ritrovamenti non ebbero alcun seguito immediato e fu solo alla metà del novecento che
furono scoperte due diverse necropoli, grazie anche all’opera di due grandi archeologi, Luigi
Bernabò Brea e Madeleine Cavalier e alla passione di un milazzese, l’ing. Domenico Ryolo, che
allora era ispettore onorario alle antichità della provincia di Messina.
ING. DOMENICO RYOLO
MADELEINE CAVALIER E L’ING.
DOMENICO RYOLO
LA NECROPOLI DI SOTTO CASTELLO
• La più antica di queste due necropoli, risalente alla media
età del bronzo, cioè al 1.400, fu trovata nel 1952 in
contrada Sotto Castello, di fronte al campo sportivo, in un
terreno di proprietà di tale Caravello Domenica, allora
coltivato a uliveto e vigneto.
• La necropoli si componeva di 35 tombe ad enchytrismòs,
cioè col cadavere rannicchiato in posizione fetale dentro
grandi vasi, che erano deposti orizzontalmente nella nuda
terra, con la bocca chiusa da lastre di pietra o da altri vasi
più piccoli.
• Si trattava di tombe con il rito dell’inumazione. Lo
confermavano le poche ossa trovate, che non presentavano
segni di combustione.
LA NECROPOLI DI SOTTO CASTELLO
Della media età del bronzo (1400 a.C.)
LA NECROPOLI DI SOTTO CASTELLO
Gli scavi
LA NECROPOLI DI SOTTO CASTELLO
Le tombe ad enchytrismòs
LA NECROPOLI DI SOTTOCASTELLO
Le tombe ad enchytrismòs
PITHOI E ANFORE
• I vasi entro i quali erano inumati i cadaveri erano pithoi
e anfore. I primi servivano per l’inumazione degli
adulti, le anfore per l’inumazione dei bambini.
• I pithoi sono grandi vasi di forma ovale, alti da 80 cm. a
1,35 m., senza collo e senza decorazioni. Presentano
intorno alla bocca quattro piccole anse e altre due più
grandi sul ventre.
• Le anfore hanno una sola ansa impostata verticalmente
sulla spalla.
• Poche tombe avevano un corredo funebre, consistente
in piccoli vasi e, in due casi, in piccole perle di calcare.
LA NECROPOLI DI SOTTO CASTELLO
I pithoi
LA NECROPOLI DI SOTTO CASTELLO
Le anfore
L’AREA DELLA NECROPOLI DELL’ISTMO
LA STORIA DEL RITROVAMENTO DELLA
NECROPOLI DELL’ISTMO
• La seconda necropoli trovata negli stessi anni fu quella dell’Istmo.
• Nel 1950, a piazza Roma, si stavano eseguendo lavori di scavo per la posa
in opera di tubi della rete idrica.
• Dirigeva i lavori l’ing. Domenico Ryolo, il quale venne a sapere che,
durante gli scavi, era stato trovato un vaso che gli operai, pensando chissà
quali tesori contenesse, si affrettarono a fracassare. Allora l’ing. Ryolo
ebbe la costanza di presenziare a tutti i lavori di scavo e la sua costanza fu
presto premiata, perché dal terreno emersero altri vasi e, man mano che il
loro numero cresceva, il Ryolo si convinceva che quello era il centro di una
necropoli. Allora fece sospendere i lavori e, grazie a un finanziamento
regionale, l’anno seguente fu iniziata una regolare campagna di scavi,
affidata alla responsabilità dell’archeologa Madeleine Cavalier.
• Fu esplorata tutta l’area di piazza Roma libera da costruzione, fino all’inizio
di via XX Settembre e a via Risorgimento.
• Alla fine della campagna furono portate alla luce 177 tombe.
Evidentemente si trattava di una necropoli suburbana, la più vicina
all’abitato del Castello.
LA NECROPOLI DELL’ISTMO
• La necropoli dell’istmo era costituita da due tipi distinti di tombe: le
une preelleniche del XIII secolo di tipo protovillanoviano, le altre
greche risalenti al VI secolo. Quindi, anziché di una necropoli,
potremmo parlare di due necropoli che si sovrapponevano nella
stessa area.
• Le tombe pregreche, più antiche, stranamente si trovavano a un
livello superiore a quelle greche, più recenti. Questo perché le
tombe pregreche erano a pozzetto, per cui avevano bisogno di un
terreno abbastanza compatto per mantenere la forma dello scavo a
pozzetto, almeno fino a che nello stesso non fosse stato deposto il
cinerario. Il che non poteva avvenire nella mobilissima e friabile
ghiaia dello strato più profondo. Invece, le tombe greche, non
legate a questa necessità, potevano scendere a maggiore
profondità.
• In entrambi i gruppi di tombe il rito funebre è quello della
cremazione.
LA NECROPOLI DELL’ISTMO
Tombe pregreche (XIII sec.) di tipo
protovillanoviano
LA NECROPOLI DELL’ISTMO
Tombe pregreche (XIII sec.) di tipo
protovillanoviano
LA NECROPOLI DELL’ISTMO
Tombe pregreche (XIII sec.) di tipo
protovillanoviano
CINERARI PREGRECI
• Nelle tombe pregreche le ceneri dei cremati erano
poste dentro un’urna coperta da una ciotola. L’urna
poggiava su una lastra di pietra e veniva protetta tutto
intorno sempre con lastre di pietra.
• Le urne pregreche sono a due o a una sola ansa. Spesso
una o entrambe le anse sono spezzate per far entrare il
vaso nel pozzetto e l’ansa spezzata è lasciata ai piedi
dell’urna.
• Pochi sono i bronzi trovati in questa necropoli: cinque
fibule ad arco semplice e diversi rasoi di varie forme.
LA NECROPOLI DELL’ISTMO
Cinerari pregreci
LA NECROPOLI DELL’ISTMO
Cinerari pregreci
LA NECROPOLI DELL’ISTMO
Cinerari pregreci
LA NECROPOLI DELL’ISTMO
Cinerari pregreci
LA NECROPOLI DELL’ISTMO
Cinerari pregreci
LA NECROPOLI DELL’ISTMO
Fibule e rasoi
CINERARI GRECI
• Anche le tombe greche sono a cremazione con
le ceneri raccolte entro un grande vaso
deposto orizzontalmente nel terreno. La bocca
del vaso è chiusa con una lastra di pietra o con
un frammento di un altro vaso.
• I bronzi trovati nelle tombe greche si riducono
a pochi tipi: le fibule, alcuni anelli e alcune
perle di calcare.
LA NECROPOLI DELL’ISTMO
Cinerari greci (VI sec.)
DOVE SI TROVANO I REPERTI?
• Tutti i reperti delle necropoli di contrada Sotto
Castello e dell’Istmo sono conservati nel
museo Bernabò Brea di Lipari, in un’apposita
sezione.
• Allora a Milazzo non c’era una struttura idonea
per poterli ospitare. L’Antiquarium, infatti, è
sorto nel 1998.
IL MUSEO EOLIANO DI LIPARI
LA NECROPOLI MERIDIONALE
• La necropoli greca di piazza Roma è la punta nord di una
necropoli diffusa in un’area che da questa piazza, attraverso
le vie XX Settembre e via Risorgimento, arriva fino alla
contrada San Giovanni.
• Si tratta di una grande necropoli urbana della Milay greca,
nota come la necropoli meridionale, utilizzata senza
soluzione di continuità dalla fine dell’VIII secolo alla prima
metà del III secolo, coincidente con il periodo greco.
• Nella scelta di questa area da riservare al culto dei morti è
possibile che abbia influito il fatto che essa è tra le meno
fertili, in quanto geologicamente formata da depositi di
retrospiaggia con poco interro vegetale e quindi poco
idonea all’agricoltura.
LA ZONA NORD DELLA NECROPOLI
MERIDIONALE
• Nell’area più a nord di questa metropoli sono
stati fatti ritrovamenti occasionali di tombe in
alcuni cantieri di lavoro per la costruzione di
case per civili abitazioni.
AREA NORD NECROPOLI MERIDIONALE
(VIII-VI sec. a.C.)
VIA XX SETTEMBRE – CANTIERE
FORMICA
VIA XX SETTEMBRE – CANTIERE
FORMICA
VIA XX SETTEMBRE-CANTIERE
FERNANDEZ –PENTOLA CINERARIA
L’AREA SUD DELLA NECROPOLI
MERIDIONALE
• Spostandoci a sud, nella contrada San
Giovanni, nel 1952, durante gli scavi per la
costruzione di una strada, furono trovate 22
tombe.
• Fra il 1990 e il 1997, durante i lavori per la
costruzione dell’asse viario, furono scoperte
un tratto di una strada antica e diverse tombe.
AREA SUD NECROPOLI MERIDIONALE
(VI-III sec. a.C.)
SAN GIOVANNI – ASSE VIARIO
Strada antica
SAN GIOVANNI – ASSE VIARIO
Tomba a cassa
SAN GIOVANNI – ASSE VIARIO
TOMBA AD INCINERAZIONE
SAN GIOVANNI – ASSE VIARIO
Tomba in mattoni crudi
SAN GIOVANNI – ASSE VIARIO
Tomba in mattoni crudi
LA NECROPOLI ORIENTALE
• L’ultima necropoli di Milay è quella cosiddetta
orientale, che ricade nelle contrade San
Paolino Ciantro.
• In questa zona sono state trovate un centinaio
di tombe, distribuite fra la metà del III secolo
a.C. e i primi decenni del I secolo d.C.
NECROPOLI ORIENTALE
(III sec. a.C.- I sec. d.C. )
VIA CIANTRO – COOPERATIVA NUOVA
MILAZZO - CINERARIO
VIA CIANTRO – COOPERATIVA SERENA
CASSA DI PIETRE
VIA CIANTRO – COOPERATIVA SERENA
FOSSA TERRAGNA
I CORREDI DELLA TOMBA N. 5
• In una di queste tombe di via Ciantro, catalogata all’Antiquario con il
numero 5, è stato trovato un ricco e interessante corredo funebre.
• Un gruppo di questi oggetti rimandano al viaggio nell’al di là, nel
mondo dei defunti.
• Ci sono tre modellini di barchette fittili, che costituiscono dei reperti
unici, non riscontrabili nei corredi funebri di altre necropoli.
• Una di queste barchette suggerisce la figura del gallo, animale sacro
a Persefone, dea degli inferi. Nella prua c’è raffigurata la testa e
nella poppa la coda di questo animale.
• Ci sono poi cinque pupazzetti fittili raffiguranti dei rematori che
dovevano guidare le barche nel loro viaggio nel regno dei morti.
• Ci sono, infine, due monete con cui pagare Caronte, il nocchiero
degli inferi. Queste monete ci permettono di datare con precisione
questa tomba alla seconda metà del III secolo.
TOMBA 5 – BARCHETTA FITTILE
TOMBA 5 – REMATORI FITTILI
TOMBA 5 – MONETA DI SIRACUSA
(seconda metà del III sec.)
I CORREDI DELLA TOMBA N. 5
• C’è poi un secondo gruppo di oggetti che si
riferisce alla toilette e al trucco femminili. La
tomba doveva contenere una donna,
probabilmente giovane.
• Questi oggetti sono: un askos a forma di oca, un
unguentario, una pisside in osso, uno strigile in
ferro usato dai Greci e dai Romani per detergersi
il sudore, un cofanetto in legno con decorazioni in
bronzo e, infine, una olpetta usata come
contenitore di liquidi.
TOMBA 5 – ASKOS A FORMA DI OCA
TOMBA 5 – ASKOS A FORMA DI OCA
TOMBA 5 - UNGUENTARIO
TOMBA 5 – PISSIDE IN OSSO
TOMBA 5 – STRIGILE IN FERRO
TOMBA 5 – DECORAZIONI IN BRONZO
DI COFANETTO LIGNEO
TOMBA 5 - OLPETTA
L’ANTIQUARIO DI MILAZZO
• Tutti questi reperti, quelli provenienti dalla
necropoli meridionale e quelli proveniente
dalla necropoli orientale, si possono ammirare
dal vivo nell’interessante Antiquarium di
Milazzo.
L’ANTIQUARIUM DI MILAZZO
L’ANTIQUARIUM DI MILAZZO
Vetrinette espositive
IL POPOLAMENTO PRIMA DEI GRECI
SICULI – SICANI- ELIMI
LE FONTI DEL POPOLAMENTO
PROTOSTORICO
• La fonte storico-letteraria;
• L’archeologia;
• Il mito.
LA FONTE STORICA-LETTERARIA
riguarda ciò che su un dato argomento
scrissero gli storici antichi.
LA FONTE STORICA LETTERARIA
STORICI SICELIOTI
•
•
•
•
ANTIOCO
FILISTO
TIMEO
DIODORO SICULO
STORICI GRECI
•
•
•
•
•
ERODOTO
TUCIDIDE
ELLANICO
ECATEO
PLUTARCO
L’ARCHEOLOGIA
IL MITO
IL MITO
• Il mito, in senso stretto, non è oggetto della storiografia, bensì della
mitologia, dell’antropologia e della storia delle religioni.
• Però, in senso lato, è anche valido per la storiografia, perché
rappresenta un pezzo della memoria storica che gli antichi, nel
corso di molti secoli, raccolsero, conservarono e utilizzarono come
fondamento della loro cultura. I racconti mitici certamente non
sono racconti storici; però, quando essi narrano leggende che,
invece degli dei, hanno per protagonisti uomini, costituiscono pur
sempre racconti di fatti umani collocati in contesti precisi.
• Per gli antichi, la narrazione di quei fatti era la loro storia. Per noi
moderni l’importanza del mito sta nella speranza che al suo interno
ci sia una qualche verità ed un messaggio che va interpretato e
compreso.
IL POPOLAMENTO DELLA SICILIA
SECONDO LE FONTI STORICHE
• Le popolazioni che i Greci trovarono in Sicilia all’inizio
della colonizzazione sono tramandate dalle fonti
storiche nel modo seguente: i Siculi abitarono la Sicilia
orientale, i Sicani la parte centro occidentale, gli Elimi
quella nord occidentale.
• I Fenici, dopo aver abbandonato i loro scali
commerciali della Sicilia orientale, conservarono i tre
insediamenti di Solunto, Panormos e Mothia nella
cuspide nord occidentale.
• Fra le fonti storiche, il punto di partenza obbligato è un
noto brano di Tucidide, che così recita:
TUCIDIDE
• “Ecco come fu un tempo abitata e quanti furono nel
complesso i popoli che l’occuparono. Si dice che i più
antichi siano stati i Ciclopi e i Lestrigoni che abitarono una
parte dell’isola; io non potrei dire di che razza fossero,
donde venuti e donde siano andati a finire; ci si deve
accontentare di quello che hanno cantato i poeti. Dopo di
essi, pare che per primi si siano stanziati i Sicani; anzi, a
quanto essi affermano, avrebbero addirittura preceduto i
Ciclopi e i Lestrigoni, poiché si dicevano nati sul luogo;
invece la verità assodata è che i Sicani erano degli Iberi,
scacciati a opera dei liguri dalle rive del fiume Sicano, che si
trova appunto in Iberia. Dal loro nome l’isola fu chiamata
Sikanìa, mentre prima era Trinakrìa; e anche ora essi vi
abitano nella parte occidentale.
TUCIDIDE
• Dall’Italia, dove abitavano, i Siculi, che fuggivano gli Opici,
passarono in Sicilia su delle zattere, attraversando lo stretto
dopo aver aspettato quando il vento era propizio; o forse
impiegarono qualche altro mezzo di navigazione. Dei Siculi
ce n’è ancora in Italia, anzi la regione fu appunto chiamata
Italia da Italo, un re dei Siculi che aveva questo nome.
Passati dunque in Sicilia in gran numero, vinsero in battaglia
i Sicani che confinarono nelle regioni meridionali e
occidentali e fecero sì che l’isola, da Sikanìa, si chiamasse
Sikelìa. Compiuto il passaggio, occuparono e abitarono le
zone più fertili del paese, circa trecento anni prima che vi
ponessero piede i Greci; e ancora adesso essi si trovano al
centro e al nord dell’isola”.
•
ANALISI DEL BRANO DI TUCIDIDE
• Tucidide relega nel mondo della fantasia
poetica, il ricordo di leggendari popoli come i
Ciclopi e i Lestrigoni.
• A un’età non documentabile, Tucidide
attribuisce alla Sicilia il nome di Trinakrìa e a
un’età, per lui già storicamente circoscrivibile,
quello di Sikanìa.
I SICANI
• Riguardo ai Sicani, da cui l’isola avrebbe tratto il suo
secondo nome di Sikanìa, Tucidide conosce due
tradizioni:
• L’una che li vuole autoctoni;
• L’altra che li vuole originari dell’Iberia.
• Tucidide si schiera per la seconda e su questo punto è
seguito da Filisto e da larga parte della tradizione
storica antica.
• Secondo Timeo, invece, i Sicani erano autoctoni.
• Pausania ci dà una terza tradizione, per la quale i Sicani
sarebbero originari dell’Italia.
I SICANI
• Quanto alla data in cui i Sicani sarebbero arrivati in Sicilia,
questa doveva essere compresa nella seconda metà del XV
secolo.
• Da Diodoro sappiamo che i Sicani non costituivano una sola
entità politica, ma che ogni comunità, spesso in lotta con le
altre, aveva il proprio capo.
• Su di un punto le fonti antiche sono d’accordo:
• Che i Sicani all’inizio occuparono l’intero territorio dell
Sicilia;
• E che in seguito si ritirarono nella parte centro meridionale
e occidentale, perché spaventati dalle eruzioni dell’Etna
(secondo Timeo e Diodoro) o perché scacciati dai Siculi
(secondo Tucidide).
I SICULI
• Le fonti storiche antiche questa volta sono concordi nell’assegnare
ai Siculi una origine italica;
• In Sicilia occuparono la parte orientale sovrapponendosi ai Sicani,
donde la terza mutazione del nome dell’isola da Sikanìa a Sikelìa;
• Non c’è concordanza fra gli storici antichi sulla data della venuta dei
Siculi in Sicilia:
• Secondo Tucidide, trecento anni prima che vi arrivassero i Greci e
quindi verso il 1050;
• Secondo Ellanico, ottant’anni prima della guerra di Troia, cioè
intorno al 1270.
• Ai Siculi sono da ricondurre, quali sottorami della stessa gente, gli
Ausoni colonizzatori di Lipari e i Morgeti fondatori di Morgantina.
ELIMI
• Per Tucidide sarebbero stati troiani scampati alla
distruzione di Troia;
• Per Ellanico sarebbero stati italici cacciati dagli Enotri.
• Fino a qualche decennio fa la versione di Tucidide è stata
ritenuta inattendibile da tutti gli storici moderni. Fra i tanti,
il grecista Lorenzo Braccesi ritiene che Tucidide, con la sua
versione, abbia voluto dare una legittimazione
all’intervento militare di Atene in Sicilia in aiuto ai Segestani
che, in quanto troiani, sarebbero stati parenti degli ateniesi.
• Sennonché, negli ultimi decenni alcune scoperte
archeologiche fatte soprattutto a Segesta, hanno rivalutato
la tesi di Tucidide.
LE FONTI MITOLOGICHE
• Come si è potuto notare, sugli antichi popoli
della Sicilia le fonti storiche sono alquanto
discordi fra di loro.
• Vediamo se qualche luce in più ci può venire
dalle fonti mitologiche.
• Fra i miti greci che parlano della Sicilia c’è
quello fin troppo noto di Minosse e Dedalo.
IL MITO DI MINOSSE E DEDALO
IL MITO DI MINOSSE E DEDALO
RACCONTATO DA DIODORO
•
•
•
•
Il mito di Minosse e Dedalo, nella versione siciliana, ci viene raccontato da Diodoro
ed Erodoto. Diodoro lo racconta così.
Dedalo era un famoso architetto e scultore ateniese. Le statue da lui realizzate,
dice Diodoro, assomigliavano agli esseri viventi, in quanto vedevano e
camminavano. Le sue statue avevano gli occhi e le mani tese, mentre gli artisti
prima di lui realizzavano le statue con gli occhi chiusi e con le mani attaccate ai
fianchi.
Dedalo aveva un nipote che lo superò per ingegno; accecato dalla gelosia Dedalo
uccise quel nipote e per questo fu costretto a lasciare Atene. Si rifugiò a Creta,
dove divenne amico del re Minosse, per il quale costruì grandi opere.
Minosse ogni anno sacrificava al dio Poseidone il più bello dei tori nati a Creta.
Quando un anno nacque un toro di eccezionale bellezza, Minosse sacrificò al dio
un altro toro. Poseidone, che come tutti gli dei era permaloso e vendicativo, si
adirò con Minosse e fece invaghire del toro la moglie Pasifae. Per ordine di questa
Dedalo costruì una macchina somigliante a una vacca, dentro la quale fece entrare
Pasifae, che così potè soddisfare le sue voglie col toro.
DEDALO, PASIFAE E LA VACCA
IL MITO DI MINOSSE E DEDALO
RACCONTATO DA DIODORO
• Da questo rapporto nacque il Minotauro, metà toro e metà
uomo. Per questo mostro Dedalo costruì il labirinto, dal
quale, una volta entrati, era impossibile uscire.
• Minosse naturalmente non prese bene questa storia, per
cui Dedalo fu costretto a fuggire da Creta insieme al figlio
Icaro, su una nave datagli da Pasifae. Giunsero su un’isola e
nello sbarco Icaro cadde in mare e affogò. L’isola da lui
ebbe il nome di Icaria.
• A questo punto Diodoro racconta una variante del mito,
quella meglio conosciuta, ma che non convince il nostro
narratore, che la ritiene “strana”. Secondo questa variante,
Dedalo per fuggire da Creta costruì per sé e per il figlio
delle ali di cera. Icaro volò così alto che il sole sciolse la cera
delle ali, per cui precipitò in mare.
IL VOLO DI ICARO
IL MITO DI MINOSSE E DEDALO
RACCONTATO DA DIODORO
•
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•
•
•
Ad ogni modo Dedalo proseguì il suo viaggio e arrivò in Sicilia a Inico, il cui re
Cocalo lo accolse come amico.
Dedalo costruì per Cocalo grandi opere, fra cui una nuova città, Camico, su una
rupe inespugnabile, in cui il re trasferì la sua reggia.
Intanto Minosse, saputo che Dedalo si nascondeva in Sicilia, con una flotta
approdò a Macara nell’agrigentino e da qui inviò messi a Cocalo, chiedendo la
consegna di Dedalo. Cocalo invitò Minosse nella sua reggia, dicendosi disposto a
consegnargli Dedalo. Sennonchè il re cretese venne affogato in un bagno di acqua
bollente dalle figlie di Cocalo.
Fingendo una disgrazia, Cocalo consegnò la salma del loro re ai cretesi, che gli
eressero un grande monumento funebre a Macara.
Alcuni cretesi, perduto il loro re, si fermarono a Macara ribattezzata Macara Minoa
.
Altri cretesi vagarono per l’entroterra sicano e alla fine occuparono con la forza
un luogo fortificato, ne espulsero gli abitanti e vi fondarono una colonia cretese
che chiamarono Engio (località sconosciuta, anche se qualcuno la identifica con
l’attuale Gangi sulle Madonie).
GANGI
L’antica Engio?
IL MITO E LA VERSIONE DI TUCIDIDE
SULL’ORIGINE DEGLI ELIMI
• Diodoro continua il suo racconto riferendo che,
dopo la distruzione di Troia, ad Engio vennero
accolti altri cretesi che, nel viaggio di ritorno da
Troia, erano stati sbattuti da una tempesta in
Sicilia.
• Sembra un racconto parallelo a quello degli Elimi
approdati a Erice e Segesta, che, secondo
Tucidide, erano sopravvissuti all’incendio di Troia.
• Il mito quindi avvalorerebbe la versione di
Tucidide, per cui gli Elimi sarebbero stati troiani
sfuggiti alla distruzione della loro città.
LE VERITA’ STORICHE DEL MITO DI
MINOSSE
• Vediamo ora se dal mito di Minosse possiamo trarre qualche verità
storica.
• Il mito di Minosse e la versione troiana di Tucidide attestano l’arrivo
e la sistemazione in un’area della Sicilia occidentale di genti
provenienti dal mondo egeo. Ciò significa storicamente un primato
miceneo, contrapposto al peloponnesiaco. Che cioè la
colonizzazione greca della Sicilia non è cominciata con lo sbarco dei
calcidesi a Naxos nel 734, ma almeno 400 anni prima, con la
fondazione cretese di Minoa sul mare e di Engio nell’entroterra.
Conclusione confermata anche dall’archeologia, che attesta di
presenze cretesi micenee nelle varie culture preistoriche.
• Ancora, il mito di Minosse non è solo mito ellenico, ma anche
siciliano e ciò ha un significato storico. Cioè, il mito greco non
poteva diventare anche siciliano se fra Sicilia e Grecia non ci fosse
stato un legame insieme materiale e spirituale.
LE VERITA’ STORICHE DEL MITO DI
MINOSSE
• Il mito di Minosse è un documento storico della presenza siciliana nella
storia della civilizzazione ellenica e della presenza ellenica nella storia della
civilizzazione siciliana, quando ancora non aveva avuto inizio la
colonizzazione dell’VIII secolo. Quindi, al tempo in cui fu elaborato questo
mito, la Sicilia era abbastanza nota ed aveva rapporti non occasionali con
Creta e il mondo egeo.
• Che il re di Creta vada a morire in un luogo della Sicilia anticipa quello che
poi storicamente accadrà alla colonizzazione greca dell’VIII secolo, che si
infranse sui monti dell’interno dell’isola, ad opera dei tanti Cocali siculi e
sicani.
• Un ultimo dato storico che si ricava dal mito è l’impiego che di Dedalo
viene fatto in Sicilia. Se i Sicani di Cocalo fossero stati dei primitivi al livello
di sviluppo degli aborigeni australiani o dei pellerossa nord americani, in
Sicilia Dedalo non avrebbe avuto nulla da fare; tutt’al più sarebbe stato un
cacciatore o un guerriero. Invece, egli viene impiegato come architetto e
ingegnere di valore. Tutto ciò dimostra che i Sicani avevano una civiltà
abbastanza sviluppata.
FINE DELLA SICILIA PREISTORICA
LA SICILIA FENICIA
LE DOMANDE SULLA SICILIA FENICIA
• Chi erano i Fenici?
• Quando e perché arrivarono in Sicilia?
• Quale fu la natura della loro presenza in Sicilia?:
conquista?, colonizzazione? o altro?
• Perché i centri fenici si concentrarono
esclusivamente nella cuspide nord occidentale
della Sicilia?
• Quale fu la loro storia politica, economica e
artistica nell’isola?
• Quali testimonianze ci hanno lasciato?
CHI ERANO I FENICI?
• Erano un popolo di stirpe semitica, che la Bibbia chiamava
Cananei.
• Il nome Fenici fu dato loro dai Greci, derivante da phoinix, il
nome greco del rosso porpora, che i Fenici estraevano dal
murice e con cui tingevano i loro tessuti.
• La loro civiltà si sviluppò a partire dalla fine del 3° millennio
in un territorio compreso fra la Siria a nord e la Palestina a
sud, corrispondente grosso modo all’attuale Libano.
• Non costituirono mai uno Stato unitario, come i Greci, ma
fondarono grandi città costiere, come Ugarit, Biblo, Tiro e
Sidone.
I FENICI
I FENICI
• Idearono l’alfabeto fonetico, formato da 22 segni
consonantici;
• Esportarono ovunque il legno delle loro foreste;
• Fabbricarono per primi il vetro;
• Dal murice estrassero la porpora;
• Inventarono l’ancora e i remi fungenti da timone;
• Furono i più grandi mercanti dell’antichità.
I FENICI
L’invenzione dello
Alfabeto.
I FENICI
Esportazione del legno delle loro
foreste
I FENICI
Furono i primi a
fabbricare il
vetro.
I FENICI
Estrassero dal murice
la porpora. Il murice è
una conchiglia marina
che da una ghiandola
secerne una sostanza
densa e puzzolente, che
alla luce diventa rosso
porpora. Con questa
sostanza i Fenici
tingevano i loro tessuti,
che vendevano
dappertutto.
LA DESCRIZIONE DI ERODOTO DEI
BARATTI DEI FENICI
• Quando i Fenici arrivavano e scaricavano le merci, dopo
averle disposte in ordine lungo la spiaggia, si imbarcano e
alzano una colonna di fumo. Allora gli indigeni, vedendo il
fumo, vanno al mare e poi in luogo delle merci depongono
oro e si ritirano lontano dalle mercanzie. I Fenici sbarcati
osservano, e se l’oro sembra ad essi degno delle merci, lo
raccolgono e s’allontanano; se invece non sembra degno,
reimbarcati di nuovo attendono; e quelli, fattisi innanzi,
depongono altro oro, finché li soddisfino. E non si fanno
torto a vicenda, perché né i Fenici toccano l’oro prima che
gli indigeni l’abbiano reso eguale al valore delle merci, né gli
indigeni toccano la mercanzia prima che i Fenici abbiano
preso l’oro.
I FENICI GRANDI NAVIGATORI
• I Fenici furono grandi navigatori. Solcavano i mari con
due tipi di navi: quelle commerciali, leggere e veloci e
quelle da guerra, con gli scudi dei soldati appesi sulle
fiancate, munite di sperone di prua per sventrare le
navi nemiche.
• Seguendo il corso del sole e quello della stella polare,
che da essi i Greci chiamavano stella fenicia, solcarono
tutto il mediterraneo alla ricerca di metalli e di mercati
dove vendere i loro prodotti, spingendosi fino alla
penisola iberica e ai mari del Nord e, stando a quanto
narra Erodoto, circumnavigarono l’Africa.
LA NAVIGAZIONE FENICIA
NAVE COMMERCIALE
NAVE DA GUERRA
LA STELLA FENICIA
PERCHE’ I FENICI VENNERO IN SICILIA?
• Per sostenere i loro commerci, i Fenici
impiantarono empori, punti di approdo e
uffici di corrispondenza per acquisto e
collocamento di merci lungo le coste e le
isole del Mediterraneo.
TUCIDIDE
“Anche i Fenici
abitavano tutt’attorno
la Sicilia, avendo preso
possesso dei
promontori e delle
isolette antistanti le
coste per i loro
commerci con i Siculi”
QUANDO ARRIVARONO I FENICI IN
SICILIA?
• Le fonti storico letterarie datano l’inizio di
questo processo di espansione fenicia in tutto
il Mediterraneo occidentale e quindi anche in
Sicilia al XII-XI secolo.
• L’archeologia, invece, non permette di
oltrepassare il limite del IX secolo, visto che
prima non risultano tracce archeologiche della
presenza fenicia in Sicilia e in tutto il
Mediterraneo occidentale.
QUANDO ARRIVARONO I FENICI IN
SICILIA?
• Sennonché questa circostanza può avere una spiegazione. I
primi insediamenti fenici d’occidente erano degli scali
marittimi lungo le rotte commerciali, agenzie e uffici di
corrispondenza per acquisto e collocamento di merci. E’
facile comprendere come di questi insediamenti si siano
perdute le tracce. D’altra parte, quelle piccole fattorie,
installate in seno ai villaggi indigeni, pronte a sloggiare
quando fosse esaurita la merce o sfruttata la piazza, non si
vede quali testimonianze potrebbero aver lasciato. Ecco
perché l’archeologia non ha rilevato nessuna presenza
fenicia prima del IX secolo.
• Pertanto possiamo ritenere attendibili le fonti storico
letterarie che datano l’inizio della presenza fenicia in tutto il
Mediterraneo occidentale al XII-XI secolo.
QUALE FU LA NATURA DELLA
PRESENZA FENICIA IN SICILIA?
• Alla luce di quanto si è detto prima, non c’è
stata conquista armata.
• Non c’è stata neanche colonizzazione, perché
mancò un vasto insediamento territoriale.
• La Sicilia, almeno nella prima fase
antecedente l’VIII secolo, per i Fenici fu un
mercato per la vendita e l’acquisto di merci.
LA NASCITA DEI CENTRI URBANI FENICI
• Verso il IX secolo è successo che in alcuni scali,
con gli anni, la popolazione fenicia cominciò a
crescere e a radicarsi, forse anche a mescolarsi
con gli indigeni e a svolgere attività
economiche, diverse dal commercio, come la
tessitura e l’estrazione della porpora, che
richiedevano un insediamento più stabile.
• E così, col tempo, gli antichi scali diventarono
in alcuni casi delle vere e proprie città.
I CENTRI FENICI IN SARDEGNA
CAGLIARI
I CENTRI FENICI IN SARDEGNA
NORA
I CENTRI FENICI IN SARDEGNA
SULCI
I CENTRI FENICI IN SARDEGNA
THARROS
CENTRI FENICI IN SARDEGNA
OLBIA
CENTRI FENICI IN SPAGNA
CADICE
CENTRI FENICI IN SPAGNA
IBIZA
CARTAGINE
OGGI
ALLORA
I CENTRI FENICI IN SICILIA
MOTHIA
I CENTRI FENICI IN SICILIA
PANORMOS
CENTRI FENICI IN SICILIA
SOLUNTO
PERCHE’ I CENTRI FENICI IN SICILIA
SI CONCENTRARONO
ESCLUSIVAMENTE NELLA CUSPIDE
NORD OCCIDENTALE?
TUCIDIDE
…. quando però i Greci
arrivarono per mare in
gran numero, essi
lasciarono le loro
posizioni e si ritirarono a
Mothia, Panormos e
Solunto, abitando vicino
agli Elimi, fiduciosi nella
loro alleanza e per il
fatto che di lì Cartagine
dista dalla Sicilia una
brevissima traversata”.
(Tucidide VI, 2)
ANALISI DEL TESTO DI TUCIDIDE
• I Greci cominciarono ad arrivare in Sicilia nella seconda
metà dell’VIII secolo, proprio quando gli antichi scali fenici
cominciavano a radicarsi nel territorio; però le città non
fecero in tempo a formarsi, almeno nella parte orientale,
che fu quella occupata dai Greci.
• Non vi fu un’azione di forza da parte dei Greci per cacciare i
Fenici, che si ritirarono volontariamente perché non
avevano più alcun interesse a rimanere.
• E così i Fenici dalla Sicilia orientale si ritirarono nella Sicilia
occidentale, dove si stavano formando i centri urbani fenici
di Mothia, Panormos e Solunto e dove c’erano gli Elimi loro
alleati e da dove Cartagine dista dalla Sicilia una brevissima
traversata.
“CARTAGINE DISTA DALLA SICILIA UNA
BREVISSIMA TRAVERSATA” (Tucidide)
QUALE FU LA STORIA POLITICA
DEI FENICI DI SICILIA?
I RAPPORTI CON LE POPOLAZIONI
INDIGENE
• Vediamo quali furono i rapporti dei centri fenici con i popoli
indigeni. Questi erano costituiti soprattutto dagli Elimi, ma
dovevano esserci anche i Sicani.
• L’indagine archeologica non ha trovato per le prime fasi
dell’insediamento di Mothia alcuna traccia di fortificazioni.
Ciò è un importante indizio del fatto che i Fenici
consideravano irrilevante la minaccia delle popolazioni
indigene. Si può anzi ritenere che i diversi gruppi etnici
coabitassero pacificamente. Inoltre, il ritrovamento a
Mothia di grandi quantità di ceramica di tipo locale,
riferibile alla cultura del Milazzese che era una cultura della
preistoria siciliana, dimostra che la presenza dei Fenici non
provocò brusche rotture nella cultura che essi trovarono sul
posto.
CERAMICA DELLA CULTURA DEL
MILAZZESE
LA SITUAZIONE DEI CENTRI FENICI NEI
SECOLI VIII E VII
• Pacifica convivenza con gli indigeni
Elimi e Sicani
• Stabilità dei rapporti politici con i
Greci di Sicilia, con i quali non si
hanno notizie di scontri
• Completa autonomia politica
CONTRASTI TERRITORIALI CON LE
CITTA’ GRECHE DI SICILIA
• La situazione prima delineata doveva mutare sullo scorcio
del VI secolo.
• In quegli anni avvennero fatti tali da modificare i rapporti
fra le varie etnie presenti in Sicilia e ciò favorì l’inserimento
di Cartagine, la più grande e potente città fenicia
dell’occidente, in un ruolo di primo attore nello scacchiere
politico siciliano.
• In proposito le fonti archeologiche e quelle letterarie
concordano. Le fonti archeologiche ci attestano che in
questo periodo sia Mothia, sia Erice, città elima sotto
influenza punica, hanno rafforzato le proprie cinte murarie.
La causa che indusse mozesi ed ericini a rafforzare le
proprie fortificazioni fu data dal rapido deteriorarsi dei
rapporti greco fenici.
ERICE - LE MURA
MOTHIA - LE MURA
AGRIGENTO
SELINUNTE
CONTRASTI TERRITORIALI CON LE
CITTA’ GRECHE DI SICILIA
• L’equilibrio fra Fenici e Greci venne rotto per la prima volta intorno
al 580 a seguito dello sfortunato tentativo di Pentatlo di fondare
una colonia greca nella Sicilia fenicia.
• Come narrano Pausania e Diodoro, l’impresa fallì per la reazione di
Elimi e Fenici, che non potevano tollerare una colonia greca nel loro
territorio.
• Qualche decennio più tardi due importanti città greche, Akragas e
Selinunte, cercarono di espandersi a danno dei limitrofi centri fenici.
• Questa volta Cartagine intervenne direttamente e inviò in Sicilia un
esercito comandato dal generale Malco, per ristabilire
quell’equilibrio che le città greche avevano messo a repentaglio. In
tal modo, Cartagine si inserì nel panorama politico siciliano con il
ruolo di protettrice e garante delle consorelle città di Sicilia.
IL RUOLO DI CARTAGINE IN SICILIA
• Nel 510 Cartagine stipula con Roma un trattato che le riconosce un
ruolo attivo nello scacchiere siciliano. Il risultato politico è la
costituzione di una vera e propria provincia punica.
• Il territorio dell’eparchia, cioè della zona d’influenza cartaginese,
esteso in tutta la Sicilia occidentale fino al fiume Alikos (l’attuale
Platani), rimarrà sostanzialmente inalterato fino al termine della
vicenda politica cartaginese nell’isola.
• Ci saranno una serie interminabile di guerre, di cui parleremo più
avanti, che porteranno alternativamente Cartaginesi e Greci a
occupare l’altrui territorio, ma che alla fine non cambieranno le
cose. Solo l’intervento di Roma, con la prima guerra punica,
spezzerà l’instabile equilibrio, sconfiggendo Greci e Cartaginesi e
assorbirà l’intera Sicilia nel dominio romano
IL TERRITORIO DELL’EPARCHIA
CARTAGINESE
IL RAPPORTO TRA CARTAGINE E LA
SICILIA FENICIA
• Innanzitutto Cartagine avoca a sé la conduzione della politica estera, come
si può evincere dai trattati con Roma e dal fatto che i singoli centri insulari
non hanno alcun ruolo autonomo in occasione delle guerre contro le città
greche di Sicilia.
• In secondo luogo, Cartagine esige un tributo dalle città controllate. Il
sistema più diffuso di tassazione dovette essere la decima sui prodotti
agricoli, elevabile al quarto in relazione a particolari esigenze dello Stato
cartaginese.
• Al di là del rapporto tributario, mancò in Cartagine una gestione unitaria
del territori dell’eparchia, una visione dei suoi problemi, delle sue
potenzialità economiche. In poche parole, mancò una vera politica
siciliana da parte di Cartagine.
• Questa circostanza la dice lunga sull’effettiva volontà di conquistare tutta
la Sicilia. Volontà, che ,come vedremo più avanti, non ci fu. Saranno
semmai i Greci quelli che avranno mire di conquista verso la parte fenicia.
Ma questa è un’altra storia, che racconteremo a suo tempo.
L’ECONOMIA DELLA SICILIA PUNICA
• Intensi furono i rapporti economici con le città
greche della Sicilia, con la Francia, la penisola
iberica, con l’Egitto e con l’Italia continentale;
• Le città puniche erano abbastanza ricche;
• Le risorse economiche provenivano da una
notevole attività di scambio, imperniata sui
cosiddetti “traffici ombra”, quelli di cui non
rimane traccia negli scavi, cioè stoffe, schiavi,
materie prime metalliche, derrate alimentari.
LA RELIGIONE DELLA SICILIA PUNICA
• Il culto del dio Baal Hammon e della dea Tanit;
• Il rito del sacrificio dei bambini
IL RITO DEL SACRIFICIO DEI BAMBINI
• Il terribile e contro natura rito del sacrificio dei bambini si praticava in
onore del dio Baal Hammon nei santuari noti col nome biblico di tophet
che significa “luogo di arsione”. L’unico tophet individuato in Sicilia è
quello di Mothia
• Esso era, come tutti i luoghi di culto di questo tipo, un’area a cielo aperto,
dotata di più altari per i sacrifici.
• I Fenici facevano un sacrificio alla divinità bruciando il figlio primogenito. Il
corpo bruciato veniva messo in vasi che venivano conficcati nel terreno del
tophet, con accanto dei segnacoli di pietra detti steli, che erano
generalmente scolpite o recanti qualche iscrizione.
• Lo spazio in cui avvenivano questi sacrifici e dove venivano poste le urne
diventava sacro e costituiva un santuario. Quello di Mothia era dedicato a
Baal Hammon, il cui nome è riportato in molte steli.
• Nel tophet di Mothia sono state trovate oltre settecento steli, la maggior
parte delle quali sono iconiche, cioè scolpite con dei simboli (l’idolo a
bottiglia e il betilo, cioè il pilastro sacro).
IL TOPHET DI MOTHIA
UNA RECENTE TEORIA SUL TOPHET DI
MOTHIA
• Per il tophet di Mothia e il connesso rito del sacrificio dei
bambini, recentemente alcuni studiosi hanno elaborato una
nuova teoria, secondo la quale, i fanciulli deposti nel tophet
non sarebbero morti bruciati per sacrificio, ma morti per
cause naturali. Infatti a Mothia sono stati trovati resti di feti
e deposizioni di più bambini di età diversa nello stesso vaso
e ciò farebbe pensare a decessi per malattia e morte
prenatale. Inoltre, nelle necropoli di Mothia sono state
trovate poche sepolture di bambini, mentre il tasso di
mortalità infantile allora doveva essere alto. Dunque è
verisimile, dicono i sostenitori di questa tesi, che nel tophet
siano stati bruciati in onore della divinità i resti di bambini
già morti per cause naturali.
LE MANIFESTAZIONI ARTISTICHE
LA STATUARIA
• Come in tutto il mondo fenicio, anche in Sicilia
la statuaria in pietra è scarsa. Ciò non di meno,
a Mothia sono state rinvenute due belle
statue.
• Una, in pietra calcarea, è acefala e raffigura un
personaggio stante, in posizione frontale;
indossa un gonnellino di tipo egizio, il braccio
destro disteso lungo il fianco e il sinistro
portato al petto.
STATUA ACEFALA DA MOTHIA
IL GIOVANE DI MOTHIA
• L’altra statua è stata trovata nel 1979 sempre a
Mothia sotto un cumulo di pietre.
La statua, databile al V secolo, è in marmo
bianco; è alta 1m. e 81cm. ed è priva delle braccia
e dei piedi. Raffigura un giovane, forse un auriga,
atletico e vigoroso, vestito di una lunga tunica.
Quel che colpisce di questa statua è la perfezione
delle parti anatomiche. Il chitone è sottilissimo e
aderisce perfettamente al corpo di cui mostra
tutte le parti. E’ come se l’ignoto autore avesse
voluto ritrarre il giovane nudo e poi fosse stato
costretto a vestirlo.
IL GIOVANE DI MOTHIA
IL GIOVANE DI MOTHIA - PARTICOLARE
IL GIOVANE DI MOTHIA - PARTICOLARE
IL GIOVANE DI MOTHIA - PARTICOLARE
LE STELI
• La produzione artistica in assoluto più vasta è
costituita dalle steli in pietra provenienti dal
tophet di Mothia.
• Una serie di immagini si ripete con frequenza
sulle steli: la dea Tanit che regge un disco. La
stessa dea frontale che porta le mani al petto.
• Vi sono poi rappresentati una serie di simboli
divini: il betilo o pilastro sacro, l’idolo a bottiglia,
il segno della dea Tanit, costituito da un triangolo
sormontato da una linea orizzontale e da un
disco.
STELE DAL TOPHET
La dea Tanit che regge un disco
STELE DAL TOPHET
La dea Tanit che porta le mani al petto
STELE DAL TOPHET
L’idolo a bottiglia
STELE DAL TOPHET
Il segno della dea Tanit
STELE DOPPIA DAL TOPHET
AMULETI E MONILI
• Prodotti delle arti minori sono gli amuleti
trovati nelle tombe, che riproducevano in
piccole dimensioni dei, animali, oggetti e
simboli divini. Sono fatti di talco, pietra vitrea,
osso e pietra dura.
• Vi sono poi dei monili in oro e argento, come
collane, anelli e orecchini pendenti.
MONILI DALLA NECROPOLI DI MOTHIA
TERRECOTTE FIGURATE
• Sempre dal tophet di Mothia provengono
numerose terrecotte figurate. Di particolare
interesse è un gruppo di protomi femminili,
con parrucche egiziane e labbra e guance
carnose. Le protomi sono elementi
architettonici decorativi formati dalla testa e il
collo di animali e persone.
PROTOMI FEMMINILI DAL TOPHET
LA MASCHERA GHIGNANTE
• Sempre dal tophet di Mothia provengono
delle maschere fittili.
• Molto nota è la maschera ghignante. Gli
studiosi concordano nell’attribuire a questa
maschera, per il suo aspetto demoniaco, una
funzione apotropaica (dal greco apotrepo,
allontano), cioè di allontanare gli spiriti del
male.
MASCHERE IN TERRACOTTA DAL
TOPHET
LE MONETE
• Una menzione a sé meritano le monete, di cui
Cartagine cominciò la coniazione proprio in Sicilia.
• Di impronta greca sono le monete con impressa la
quadriga con la vittoria alata, mentre sono motivi fenici
il cavallo, il leone, la palma e il granchio.
• Recentemente nel mare di Pantelleria sono state
trovate 3.500 monete fenicie di bronzo tutte eguali,
risalenti al III secolo. Si dovevano trovare su una nave
affondata durante le guerre puniche e dovevano
servire per pagare i soldati. Su una faccia compare il
volto della dea Tanit e sull’altra la testa di un cavallo.
MONETA PUNICA DEL III SEC.
MONETA PUNICA DA MOTHIA
MONETA PUNICA DA MOTHIA
IL MUSEO WHITAKER DI MOTHIA
Dove si trovano i reperti trovati
nell’isola
ITINERARIO FENICIO
PANORMOS
LA STORIA
• Panormos fu uno dei centri più grandi e più
prosperi della Sicilia Fenicia, arrivando a una
popolazione di 30.000 abitanti. Essendo questa
città a continuità di vita, nella quale la vita non si
è mai interrotta, la Panormos Fenicia giace sotto
il moderno abitato, il che non ci permette di
conoscere la sua pianta urbana antica. Possiamo
solo intuire che l’attuale centro storico era l’antica
città, circondata da mura alte fino a sei metri.
Resti di queste mura sono stati trovati sotto la
chiesa di San Cataldo.
PANORMOS – LE MURA PUNICHE
LA VISITA
• Se vogliamo conoscere qualcosa di più della
Panormos fenicia, dobbiamo andare al Museo
archeologico Antonio Salinas, situato in un bel
palazzo vicino al teatro Massimo. Questo
museo conserva la maggior parte del
materiale rinvenuto nelle necropoli, una delle
quale si trova a Piazza Indipendenza e un’altra
a Corso Pisani.
PANORMOS - NECROPOLI
PANORMOS – CORREDI FUNEBRI
COLLANE DEL VI SEC. DALLA
NECROPOLI PUNICA DI CORSO PISANI
VASETTO A TESTA DI NEGRO DALLA
NECROPOLI DI PIAZZA INDIPENDENZA
LILIBEO
LA STORIA
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•
•
•
Lilibeo, l’odierna Marsala, è un quadrilatero bagnato dal mare su due lati. Al tempo
dei Fenici, gli altri due lati erano sbarrati da un fossato e fortificati con mura e torri.
Oltre il fossato c’era la necropoli.
Come scrive Diodoro, Lilibeo fu fondata dopo la distruzione di Mothia del 397 ad
opera del tiranno di Siracusa Dionisio. Gli abitanti si trasferirono tutti sulla costa
dove fondarono appunto Lilibeo, che divenne una fortezza quasi inespugnabile.
Nel 368 Dionisio, dopo aver conquistato Selinunte, Erice ed Entella, dovette
arrendersi davanti alle sue mura e la stessa sorte toccò a Pirro nel 277.
I Romani la conquistarono nel 241 dopo un assedio durato nove anni. Cicerone,
che ne fu questore per due anni, scrive che Verre razziò tutte le opere d’arte dei
lilibetani.
Gli arabi, dopo averla conquistata, la chiamarono Marsà Alì, porto di Alì.
Poiché la città moderna insiste su quella antica, scarse sono le testimonianze del
periodo fenicio.
Sono stati messi in luce alcuni tratti della cinta muraria, larga oltre sei metri e la
necropoli.
LILIBEO - NECROPOLI
LA NAVE SOMMERSA
• Nel 1969, al largo del mare di Marsala, fu
trovata la poppa di una nave, che sullo scafo
aveva inciso il nome della nazionalità fenicia.
LILIBEO- NAVE PUNICA
ERICE
LA STORIA
• Erice si trova sul Monte San Giuliano che domina
a 751 m. di altezza la città di Trapani.
• Questa città è stata fondata dagli Elimi, insieme a
Segesta e a Entella.
• La comprendiamo anche tra i centri punici per
alcune manifestazioni prettamente fenicie.
• Alcuni saggi di scavo praticati lungo le mura
hanno accertato due fasi nella loro costruzione:
una prima fase elima, databile tra l’VIII e il VI
secolo, ed una seconda fase punica, databile tra il
VI e IV secolo.
ERICE
Mura puniche
ERICE – LE MURA
LE LETTERE INCISE SULLE MURA
• Alla seconda fase appartengono le lettere
puniche incise su alcuni blocchi di pietra delle
mura.
• Sono le lettere Beth, ain e phe dell’alfabeto
fenicio.
LETTERE FENICIE SULLE MURA DI
ERICE
IL MONITO
• Uno studioso di civiltà semitiche ha fornito una
suggestiva interpretazione di queste lettere
scolpite nelle mura. Queste lettere, secondo
questo studioso, nei linguaggi semitici assumono
talvolta uno speciale significato. Ain
significherebbe occhio, phe bocca e beth casa.
Queste lettere pertanto rappresenterebbero un
monito a un eventuale aggressore: le mura hanno
occhi per vedere il nemico, la bocca per sbranarlo
in caso di aggressione e sono la casa sicura per gli
abitanti che vi abitano.
ERICE
Il castello medievale
RESTI DEL TEMPIO DI ASTARTE
ALL’INTERNO DEL CASTELLO
MEDIEVALE
IL TEMPIO DI ASTARTE
• All’interno del castello medievale di Erice sono
stati trovati i resti di un antico tempio,
risalente all’epoca fenicia e dedicato ad
Astarte la dea dell’amore, Afrodite per i Greci
e Venere per i Romani.
• Questo tempio era il centro religioso di
maggior prestigio di tutta la Sicilia antica,
rispettato da indigeni, cartaginesi, greci e
romani.
LA PROSTITUZIONE SACRA
• Sembra che in questo santuario si praticasse la
prostituzione sacra. Questa era una usanza praticata
soprattutto nella Mesopotamia, come rito propiziatorio
per la fertilità umana e della terra.
• Cicerone racconta che nel santuario di Erice, in epoca
romana, vi erano molti servi di entrambi i sessi, che si
occupavano di amministrare il santuario e di coltivarne
le terre. Cicerone li chiamava servi venerii, ricordando
che Verre si servì di loro come esattori per costringere i
contadini del posto a pagare la decima.
LA PROSTITUZIONE SACRA
• C’erano tra di loro anche donne disponibili a
commerci di natura sessuale, le cosiddette
ierodule, cioè le schiave del tempio?
• L’ipotesi sembra possibile, dal momento che
Diodoro, pur non parlando apertamente di
prostituzione sacra, racconta che consoli e pretori
romani, ogni volta che venivano in Sicilia, non
mancavano di onorare il tempio di Erice con doni
e sacrifici. Diodoro aggiunge che essi poi si
intrattenevano con le donne in grande allegria.
LA PROSTITUZIONE SACRA
• Non si può affermare con sicurezza che queste
donne appartenessero al santuario o che,
invece, fossero delle semplici prostitute che
approfittavano della fama del santuario per
esercitare il loro mestiere. Ma resta il legame
con il culto del santuario, giacchè Diodoro
conclude che i notabili romani si
comportavano così, perché in questo modo
“rendevano gradita alla dea la loro presenza”.
LA PROSTITUZIONE SACRA
• Uno storico romano del I secolo, Valerio Massimo,
confermava che a Erice le donne puniche praticavano
un tipo di prostituzione sacra, svolta in un contesto
prenuziale. Scrive, infatti, che le donne nubili si
recavano al tempio della dea, dove si prostituivano per
raccogliere denaro per la dote nuziale.
• Che questo fosse un costume orientale ce lo attesta
anche Erodoto. Lo storico ateniese racconta che le
donne babilonesi, almeno una volta nella loro vita,
dovevano andare al santuario di Afrodite a prostituirsi
a uno straniero a pagamento. Il denaro era devoluto al
santuario.
IL GIORNO DELLE PROSTITUTE A
ROMA
• L’importanza del santuario di Erice era tale che nel 217,
quando le sorti della seconda guerra punica
sembravano volgere al peggio per i romani, gli
interpreti dei Libri Sibillini consigliarono i romani di
rivolgersi alla siciliana dea dell’amore. Allora il generale
romano Fabio Massimo fece voto di dedicarle un
tempio a Roma e, dopo la vittoria, mantenne la
promessa, facendo edificare un tempio sul
Campidoglio, che fu il tempio di Venere Ericina. Un
secondo tempio fu innalzato poco fuori le mura e il 23
Aprile a Roma veniva festeggiato in questi due templi
come giorno delle prostitute.
LA FESTA ALLA DEA ASTARTE
• Collegata al santuario di Erice è una festa
chiamata anagogia, cioè partenza, imbarco, e
catagogia, cioè il ritorno. La dea Astarte,
rappresentata da una colomba rossa, durante
l’anagogia, si imbarcava per il nord Africa per
raggiungere il santuario gemello di Sicca
Veneria, dove si fermava per nove giorni.
Quindi faceva ritorno a Erice, la catagogia. In
questo viaggio di andata e ritorno, la dea era
accompagnata dal volo delle sue colombe.
L’ANTICA FESTA DI ERICE E LE FESTE DEI
NOSTRI PAESI
• Qualcosa di simile avviene durante alcune feste
religiose di qualche nostro paese. La statua del
Santo, durante la sua festa, viene spostata da una
chiesa ad un’altra (l’anagogia), seguita in
processione dai fedeli (il volo delle colombe). Alla
fine dei festeggiamenti, la statua viene riportata
nella chiesa d’origine (la catagogia).
• E’ solo una coincidenza? Ma non è forse vero che
le nostre feste, le nostre tradizioni spesso
affondano le loro radici in un humus culturale di
un lontano e dimenticato passato?
MONETA FENICIA CON L’EFFIGIE DELLA
DEA ASTARTE
SELINUNTE
LA STORIA
• Selinunte si trova sulla costa occidentale della
Sicilia. Fu colonia greca, fondata verso il 630
dai greci di Megara Iblea della costa orientale.
• Nel 409 fu distrutta dai cartaginesi per cui
passò sotto il dominio punico nell’ultimo
secolo e mezzo della sua esistenza e per
questo interessa il nostro itinerario fenicio.
LA STORIA
• Le testimonianze puniche si riferiscono alla
sistemazione viaria dell’acropoli, dove passò
ad abitare la popolazione scampata alla
distruzione del 409.
• L’area prima abitata fu destinata a necropoli.
LA STRADA SULL’ACROPOLI DI
SELINUNTE
SIMBOLI PUNICI
• Nel tempio A sono stati trovati sul pavimento i
simboli della dea Tanit e del caduceo.
• Il simbolo di Tanit è un triangolo sormontato
da una linea orizzontale e da un disco.
• Il caduceo è una verga di ulivo o di alloro con
due serpenti attorcigliati.
PAVIMENTO DEL TEMPIO A
SIMBOLI DELLA DEA TANIT
SIMBOLO DEL SOLE A FORMA DI
TESTA TAURINA
SIMBOLI DI TANIT E DEL CADUCEO SUL
PAVIMENTO DI UNA CASA
SULL’ACROPOLI
STELI PUNICHE (IV sec.)
CONCLUSIONE
• La grandezza e la magnificenza di Selinunte sta
tutta nella sua storia di città greca. Di essa
parleremo diffusamente più avanti, quando ci
occuperemo della Sicilia greca.
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