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Tabella 9.1 Elementi per l`istruttoria di fido
128 Economia e gestione della banca Tabella 9.1 Elementi per l’istruttoria di fido Fasi e loro sviluppo 1. Accertamento dei dati e raccolta delle informazioni 1.1. Accertamento dei dati costitutivi e delle dichiarazioni rilasciate 1.2. Raccolta di informazioni desumibili dal lavoro bancario 1.3. Raccolta di informazioni da fonti esterne 2. Analisi qualitative 2.1. Struttura e andamento del settore di attività economica 2.2. Caratteristiche generali e politiche di gestione dell’impresa 3. Analisi quantitative 3.1. Analisi consuntive: analisi di bilancio Natura, oggetto e strumenti delle analisi Iscrizione alla C.C.I.A.A. Proprietà immobiliari dichiarate (accertamenti ipotecari-catastali) – Posizione legale delle persone giuridiche, responsabilità dei soci e poteri di firma degli amministratori – Stato civile e regime patrimoniale delle persone fisiche – Movimento del conto corrente – Beneficiari degli assegni emessi – Traenti degli assegni accreditati – Firme, natura e regolarità del portafoglio cambiario – Scadenze originarie, rinnovi e richiami del portafoglio cambiario – Bollettino ufficiale dei protesti cambiari – Posizione globale di rischio come da segnalazioni alla Centrale dei rischi – “Banche dati” esterne – Informazioni presso terzi – Visite aziendali e sopralluoghi diretti – Situazione generale del settore in rapporto allo stato della congiuntura economica nazionale e locale – Struttura del settore: a) tipologia dei prodotti, tecnologia e sistemi di produzione, capacità produttiva installata e utilizzata, volumi di produzione, costi di produzione; b) numero e dimensione delle imprese, grado di concentrazione; c) fatturato e quote di mercato, prezzi di vendita, canali di distribuzione, politiche di marketing – Previsioni sull’andamento del settore – Struttura organizzativa e capacità dei dirigenti – Politiche di produzione: tipologia dei prodotti, tecnologia e sistemi di produzione, capacità produttiva – Politiche di approvvigionamento e gestione delle scorte – Politiche di vendita – Posizione dell’impresa nel settore e nei confronti della concorrenza – Valutazione della fondatezza dei futuri programmi aziendali anche in funzione delle previsioni sull’andamento del settore – Previsioni sull’andamento delle principali quantità economiche aziendali Quozienti di bilancio a. Quozienti di liquidità – Rapporto corrente: attività correnti / passività correnti – Prova acida: attività correnti-scorte / passività correnti 9 La valutazione dei fidi Fasi e loro sviluppo 3.2. Analisi previsionali: previsione finanziaria 4. Relazione di fido 9.5 129 Natura, oggetto e strumenti delle analisi b. Quozienti di impiego delle attività – Tasso di rotazione del capitale investito: vendite / capitale investito – Tasso di rotazione del capitale di esercizio: vendite / attività correnti – Tasso di rotazione delle scorte: vendite / scorte – Durata media dei crediti verso clienti: clienti / vendite giornaliere a credito c. Quozienti di indebitamento – Rapporto di indebitamento: capitale investito / capitale netto d. Quozienti di redditività – Redditività del capitale investito: risultato operativo / capitale investito – Tasso di incidenza degli oneri e proventi extra gestione corrente: reddito netto / risultato operativo – Tasso di incidenza degli oneri finanziari: oneri finanziari / vendite – Redditività e capitale netto: reddito netto / capitale netto – Flussi finanziari: a. Flussi finanziari globali b. Flussi di capitale circolante netto c. Flussi di cassa – Bilanci preventivi: conto economico e stato patrimoniale – Bilancio preventivo di cassa – Valutazione e sintesi complessive delle fasi di cui sopra ai fini della decisione di affidamento La scelta della struttura tecnica del prestito accordato Ciò premesso è ora necessario ricordare che, dopo aver accertato la capacità di credito delle imprese richiedenti fido, sorge il problema della scelta delle strutture tecniche da dare al prestito accordato. Le variabili che devono essere prese in considerazione sono di almeno due tipi: da un lato, occorre considerare le particolari esigenze di gestione dell’impresa affidata; dall’altro, i riflessi che tale scelta determina sulla gestione della banca. Per ciò che riguarda quest’ultimo aspetto è sufficiente accennare alle implicazioni economiche e finanziarie derivanti dalle principali caratteristiche del prestito quali la scadenza, il grado di trasferibilità, le procedure di recupero coattivo, la variabilità dei tassi d’interesse e delle altre condizioni di prezzo. Questa particolare fase dell’attività di affidamento viene gestita in via prevalente dalle unità operative periferiche, dato che una fondamentale importanza riveste il rapporto di diretta e personale conoscenza che de- 252 Economia e gestione della banca Tabella 18.1 Esempio di bilancio bancario: stato patrimoniale Attivo 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100 110 120 130 140 Cassa e disponibilità Titoli del Tesoro Crediti verso banche Crediti verso clientela Obbligazioni Azioni Partecipazioni Partecipazioni in imprese del gruppo Immobilizzazioni immateriali Immobilizzazioni materiali Capitale sottoscritto non versato Azioni proprie Altre attività Ratei e risconti attivi TOTALE DELL’ATTIVO Passivo 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100 110 120 130 140 150 160 170 Debiti verso banche Debiti verso clientela Debiti rappresentati da titoli Fondi di terzi in amministrazione Altre passività Ratei e risconti passivi Trattamento di fine rapporto di lavoro Fondi rischi e oneri (per imposte, altri) Fondi rischi su crediti Fondo per rischi bancari generali Passività subordinate Capitale Sovraprezzi di emissione Riserve (legale, statutarie, altre) Riserve di rivalutazione Utili (perdite) portati a nuovo Utile (perdita) dell’esercizio TOTALE DEL PASSIVO Milioni di euro % sul totale 700 16.500 46.600 129.700 19.000 200 1.000 1.800 500 3.000 – – 12.000 11.500 0,3 6,8 19,2 53,5 7,9 0,1 0,4 0,7 0,2 1,2 – – 5,0 4,7 242.500 100,0 Milioni di euro % sul totale 56.500 71.000 75.000 – 13.000 12.000 1.000 700 100 – 3.500 8.000 –– 1.000 –– –– 700 23,3 29,3 30,9 – 5,4 4,9 0,4 0,3 0,1 – 1,4 3,3 242.500 100,0 0,4 0,3 no presentate a sezioni contrapposte, separando cioè i conti dell’attivo dai conti del passivo e del patrimonio. Un aspetto importante, che come si vedrà riguarda anche il conto economico, è quello dell’articolazione molto rigida che la normativa impone ai documenti contabili. Lo schema di stato patrimoniale è infatti obbligatorio: esso si compone di una serie di voci, codificate con numeri arabi, a cui la banca deve fare unico riferimento per rappresentare le attività e le passività a fine esercizio. La 254 Economia e gestione della banca Tabella 18.2 Esempio di bilancio bancario: conto economico Milioni di euro 10a 10b 10c 20a 20b 20c 30 40 50 60 70 80a 80b 90 100 Interessi attivi su crediti verso clienti Interessi attivi su titoli Interessi attivi su crediti verso banche Interessi passivi su debiti verso clienti Interessi passivi su titoli emessi Interessi passivi su debiti verso banche Dividendi Commissioni attive Commissioni passive Profitti (perdite) da operazioni finanziarie Altri proventi di gestione Spese amministrative per il personale Altre spese amministrative Rettifiche di valore su immobilizzazioni Accantonamenti per rischi e oneri 13.200 3.600 4.000 (4.000) (7.000) (4.500) 100 1.000 (100) 500 300 (2.500) (1.200) (400) (300) Milioni di euro 110 120 130 140 150 160 170 180 190 200 210 220 230 Altri oneri di gestione Rettifiche di valore su crediti Riprese di valore su crediti Accantonamenti ai fondi rischi su crediti Rettifiche di valore su immobilizzazioni finanziarie Riprese di valore su immobilizzazioni finanziarie UTILE DELLE ATTIVITÀ ORDINARIE Proventi straordinari Oneri straordinari UTILE STRAORDINARIO Variazione del fondo rischi bancari generali Imposte sul reddito UTILE DELL’ESERCIZIO – (1.500) – (100) – – 1.100 400 (300) 100 – (500) 700 % sul totale 1200,0 327,3 363,6 –363,6 –636,4 –409,1 9,1 90,9 –9,1 45,5 27,3 –227,3 –109,1 –36,4 –27,3 % sul totale – –136,4 – –9,1 – – 100,0 36,4 –27,3 9,1 – –45,5 63,6 Guardando alle voci più significative per le banche, sono messi in evidenza gli interessi attivi (voce 10) e gli interessi passivi (voce 20), le commissioni attive (voce 40) e le commissioni passive (voce 50), le spese amministrative (voce 80) del personale e non del personale e via dicendo. La somma algebrica delle voci positive e negative di conto economico determina ovviamente il risultato netto, detto utile (o perdita) di esercizio, che emerge alla voce 230 come ultima riga del conto economico verticale, corrispondente alla voce 170 del passivo/netto di stato patrimoniale. Si osservi nel- 19 L’analisi delle dinamiche gestionali della banca attraverso i dati di bilancio 271 Tabella 19.1 Esempio di bilancio bancario: stato patrimoniale riclassificato Attivo AF ANF Cassa e disponibilità Titoli del Tesoro Obbligazioni Azioni Crediti verso banche Crediti verso clientela Partecipazioni Partecipazioni in imprese del gruppo ATTIVITÀ FRUTTIFERE Capitale sottoscritto non versato Altre attività Ratei e risconti attivi ATTIVITÀ NON FRUTTIFERE AR Immobilizzazioni immateriali Immobilizzazioni materiali ATTIVITÀ REALI TA TOTALE DELL’ATTIVO Passivo PO Debiti verso banche Debiti verso clientela Debiti rappresentati da titoli Passività subordinate PASSIVITÀ ONEROSE PNO Fondi di terzi, in amministrazione Altre passività Ratei e risconti passivi Trattamento di fine rapporto di lavoro Fondi rischi e oneri (per imposte, altri) PASSIVITÀ NON ONEROSE PAT TA Capitale Sovrapprezzi (meno) Azioni proprie Fondi rischi su crediti Fondo per rischi bancari generali Riserve (Iegale, statutarie, altre) Riserve di rivalutazione Utili (perdite) portati a nuovo Utile (perdita) dell’esercizio PATRIMONIO TOTALE DEL PASSIVO Milioni di euro % sul totale 700 16.500 19.000 200 46.600 129.700 1.000 1.800 215.500 0,3 6,8 7,9 0,1 19,2 53,5 0,4 0,7 88,9 – 12.000 11.500 23.500 – 5,0 4,7 9,7 500 3.000 3.500 0,2 1,2 1,4 242.500 100 Milioni di euro % sul totale 56.500 71.000 75.000 3.500 206.000 23,3 29,3 30,9 1,4 84,9 – 13.000 12.000 1.000 700 26.700 – 5,4 4,9 0,4 0,3 11,0 8.000 – – 100 – 1.000 – – 700 9.800 242.500 3,3 – – 0,1 – 0,4 – – 0,3 4,0 100,0 è quella delle “attività fruttifere”, così chiamate perché la loro presenza in portafoglio genera direttamente ricavi, rappresentati da interessi attivi, dividendi o 274 Economia e gestione della banca Tabella 19.2 Esempio di bilancio bancario: conto economico riclassificato Attivo MI RS MINT CO RETT RG RL RN Interessi attivi su crediti verso banche Interessi passivi su debiti verso banche MARGINE DI INTERESSE VERSO BANCHE Interessi attivi su crediti verso clienti Interessi passivi su debiti verso clienti Interessi attivi su titoli Dividendi Interessi passivi su titoli emessi MARGINE DI INTERESSE VERSO NON BANCHE MARGINE DI INTERESSE Commissioni attive Commissioni passive Profitti (perdite) da operazioni finanziarie RICAVI NETTI DA SERVIZI MARGINE DI INTERMEDIAZIONE Spese amministrative per il personale Altre spese amministrative Rettifiche di valore su immobilizzazioni Altri oneri di gestione Altri proventi di gestione COSTI OPERATIVI Rettifiche e riprese di valore su crediti Accantonamenti ai fondi rischi su crediti Rettifiche e riprese su immobilizzazioni finanziarie Accantonamenti per rischi e oneri RETTIFICHE E ACCANTONAMENTI RISULTATO DI GESTIONE Proventi straordinari Oneri straordinari Variazione del fondo rischi bancari generali RISULTATO LORDO Imposte sul reddito RISULTATO NETTO Milioni di euro 4.000 (4.500) (500) 13.200 (4.000) 3.600 100 (7.000) 5.900 5.400 1.000 (100) 500 1.400 6.800 (2.500) (1.200) (400) – 300 (3.800) (1.500) (100) 0 (300) (1.900) 1.100 400 (300) – 1.200 (500) 700 % sul MINT 58,8 -66,2 -7,4 194,1 -58,8 52,9 1,5 -102,9 86,8 79,4 14,7 -1,5 7,4 20,6 100,0 -36,8 -17,6 -5,9 – 4,4 -55,9 -22,1 -1,5 0,0 -4,4 -27,9 16,2 5,9 -4,4 0,0 17,6 -7,4 10,3 In primo luogo, è necessario confrontare i ricavi e i costi, naturalmente di carattere finanziario, direttamente imputabili all’attività di intermediazione creditizia (raccolta da banche e da clientela, impieghi in prestiti, titoli e crediti interbancari). Tale procedimento consente di misurare il “margine di interesse”, variabile critica per gli assetti reddituali di una banca moderna, che a prescindere dai più recenti sviluppi dell’attività bancaria, spesso orientata verso l’assunzione di partecipazioni azionarie o verso lo sviluppo dei servizi, fonda ancora per la gran parte la propria redditività sul consolidamento nel tempo dei margini di interesse. Per la banca dell’esempio il margine di interesse è pari a 5.400 milioni di euro, a sua volta formato da un margine negativo prodotto sul mercato interban- 276 Economia e gestione della banca Tabella 19.3 Conto economico semplificato Milioni di euro Margine di interesse Ricavi netti da servizi 5.400 ⫹ 1.400 ⫹ Margine di intermediazione Costi operativi Rettifiche e accantonamenti 6.800 ⫽ 3.800 ⫺ 1.900 ⫺ Risultato di gestione Saldo gestione straordinaria 1.100 ⫽ 100 ⫹ Risultato lordo Imposte sul reddito 1.200 ⫽ 500 ⫺ Risultato netto 700 ⫽ classificazione dei documenti di sintesi rappresentano gli strumenti che completano il set di informazioni a disposizione dell’analista. 19.4 Gli indici di bilancio La costruzione di indici di bilancio risponde all’esigenza di rielaborare i dati contabili per disporre di informazioni sintetiche e affidabili, attraverso le quali leggere i fatti di gestione e le condizioni economico-patrimoniali della banca. Gli indici di bilancio derivano dalla costruzione di rapporti (in senso matematico) tra voci del conto economico, dello stato patrimoniale o tra voci dell’uno e dell’altro documento. In funzione del tipo di informazione che sono in grado di offrire, spesso si distinguono in indici di: ■ redditività, se offrono indicazioni sugli equilibri economici (cioè tra costi e ri- cavi) della banca; ■ efficienza, se indagano il livello e la tipologia delle strutture di costo e le mo- dalità di utilizzo delle risorse da parte della banca; ■ solvibilità, se misurano le relazioni esistenti tra le diverse forme di finanzia- mento, tipicamente tra quelle a titolo di debito o di patrimonio (cosiddetto “effetto di leva finanziaria”). Di seguito sono proposti (e misurati, facendo riferimento ancora ai dati di quella grande banca di cui ormai conosciamo bene il bilancio) alcuni indici, segnalando per ognuno di essi il tipo di informazione che emerge con più evidenza ed effettuando infine una lettura coordinata degli stessi. L’indice dal quale ogni analista parte per avviare il proprio esame è il noto ROE (return on equity). Il ROE è un indice di redditività che rapporta il risultato 282 Economia e gestione della banca ad accrescere i volumi intermediati dovrebbe essere valutata, come già accennato in precedenza, facendo riferimento ai tassi marginali in luogo dei tassi medi, in quanto soltanto i primi sono in grado di incorporare la variazione complessiva dei ricavi e dei costi imputabile a una variazione dei volumi intermediati. La definizione di costo (∆IP/∆PO) e di ricavo marginale (∆IA/∆AF) assume particolare rilevanza se spostiamo l’attenzione dalla banca considerata nel suo complesso alle singole filiali che operano sul territorio e la cui azione deve essere opportunamente coordinata affinché tutte lavorino per il raggiungimento degli obiettivi aziendali. Qualora ci limitassimo a considerare le filiali come delle piccole banche e rappresentassimo il loro modello di economicità in modo analogo a quanto osservato per una banca nel suo complesso, trascureremmo una caratteristica tipica dell’impresa bancaria, che in quanto azienda divisa opera attraverso una pluralità di punti operativi distribuiti sul territorio e responsabili dei risultati conseguiti sulle aree di rispettivo insediamento. Ipotizzando per semplicità la presenza di una banca con due sole filiali, che presentano rispettivamente uno squilibrio di raccolta e uno squilibrio di impiego, emerge chiaramente che la filiale di impiego, replicando il calcolo del margine di interesse a livello di banca, sarebbe favorita dal fatto di utilizzare parte della raccolta messa a disposizione dall’altra filiale, senza subire alcun costo. Tabella 19.4 Schema di funzionamento del pool di tesoreria a flussi lordi Filiale 1 Filiale 2 Impieghi=200 Depositi =100 Impieghi=100 Depositi =200 Tasso attivo = 10% Tasso passivo = 5% Interessi attivi = 100* 10% = 10 Interessi passivi = 200* 5% = 10 Margini di interesse = 10 - 10 = 0 Tasso attivo = 10% Tasso passivo = 5% Interessi attivi = 200* 10% = 20 Interessi passivi = 100* 5% = 5 Margini di interesse = 20 - 5 = 15 Impieghi figurativi = 100 Depositi figurativi = 200 Tasso interno di trasferimento = 7,5% Impieghi figurativi = 200 Depositi figurativi = 100 Pool di tesoreria Impieghi = 300 Depositi = 300 Filiale 1 Filiale 2 Interessi attivi = 200* 10% = 20 Interessi passivi figurativi = 200* 7,5% =15 Margine di interesse sugli impieghi = 30 -15 =15 Interessi passivi = 100* 5% = 5 Interessi attivi figurativi = 100 *7,5% = 7,5 Margine di interesse sulla raccolta = 7,5 - 5 = 2,5 Interessi attivi = 100* 10% = 10 Interessi passivi figurativi = 100* 7,5% = 7,5 Margine di interesse sugli impieghi = 10 -7,5 =2,5 Interessi passivi = 200* 5% = 10 Interessi attivi figurativi = 200 *7,5% = 15 Margine di interesse sulla raccolta = 15 - 10 = 7,5 19 L’analisi delle dinamiche gestionali della banca attraverso i dati di bilancio 283 L’introduzione di un pool di tesoreria evita il sorgere di questo problema mediante un artificio contabile che comporta per ogni filiale l’impiego figurativo della raccolta nel pool e l’indebitamento presso il medesimo pool, per ottenere le disponibilità finanziarie necessarie per l’erogazione degli impieghi. I trasferimenti figurativi di risorse tra il pool e le filiali vengono rimunerati a un tasso interno di trasferimento. La tecnica appena illustrata ipotizza il funzionamento del pool di tesoreria a flussi lordi, in quanto le filiali trasferiscono al pool di tesoreria l’intera raccolta e si indebitano per un valore analogo agli impieghi erogati. In alternativa, potrebbe essere utilizzato il pool di tesoreria a flussi netti, che invece implica il trasferimento al pool soltanto dell’eccesso di raccolta rispetto agli impieghi della filiale o, viceversa, l’indebitamento per un valore pari alla differenza tra gli impieghi e la raccolta. Le considerazioni sin qui esposte hanno volutamente lasciato sullo sfondo il problema della definizione del tasso interno di trasferimento (TIT) che è invece cruciale, in quanto una sua modifica al rialzo favorisce le filiali di raccolta e una sua modifica al ribasso favorisce le filiali di impiego. Questo è uno dei motivi per cui è opportuno che il tasso interno di trasferimento sia scelto facendo ricorso a parametri di mercato, come avviene per la quasi totalità delle banche che adottano come tasso interno di trasferimento un tasso interbancario. Il tasso interno di trasferimento, inizialmente nato per individuare il diverso contributo alla redditività aziendale offerto dall’attività delle filiali, ha dunque assunto la funzione di strumento di coordinamento dei comportamenti finanziari delle filiali secondo la convenienza generale della banca. Il tasso interno di trasferimento è, dunque, la causa della presenza di filiali di raccolta e di impiego e non la conseguenza. In assenza del tasso interno di tra- Grafico 19.1 Gli effetti dell’introduzione del tasso interno di trasferimento: il caso delle filiali di impiego Ricavi marginali Costi marginali TIT Depositi E I R Impieghi Impieghi Depositi 284 Economia e gestione della banca sferimento, infatti, ogni filiale dovrebbe assumere comportamenti tali da uguagliare il ricavo marginale dell’attività di impiego al costo marginale dell’attività di raccolta. L’introduzione di un tasso interno di trasferimento, invece, modifica il punto di equilibrio della filiale (E) consentendo di individuare un primo punto di equilibrio per l’attività di impiego (I) e un secondo punto di equilibrio per l’attività di raccolta (R). In particolare quando il tasso interno di trasferimento si colloca al di sopra del tasso di equilibrio originario la filiale avrà convenienza a trasformarsi in una filiale di raccolta; viceversa quando il tasso interno di trasferimento si colloca al di sotto del tasso di equilibrio originario la filiale avrà convenienza a trasformarsi in una filiale di impiego. Grafico 19.2 Gli effetti dell’introduzione del tasso interno di trasferimento: il caso delle filiali di raccolta Ricavi marginali Costi marginali TIT Depositi R I E Impieghi Impieghi Depositi Affinché si verifichi quanto rappresentato nei grafici 19.1 e 19.2 è opportuno che il TIT: ■ rifletta reali opportunità di tesoreria con cui coprire (allocare) gli sbilanci di ciascuna decisione (i costi e ricavi figurativi dovrebbero essere il più possibile effettivi e non fittizi); ■ induca comportamenti ottimali, nel senso di non spingere le unità periferiche a comportamenti non in linea con la dinamica dei mercati (non impiegare e raccogliere a tassi antieconomici per la banca nel complesso); ■ sia uno standard di riferimento obiettivo e facilmente conoscibile dai responsabili delle unità periferiche; ■ sia facilmente e frequentemente aggiornabile. La crescente incidenza dell’attività fee-based e la sempre maggiore attenzione verso il contenimento dei costi rende tuttavia opportuna una revisione delle mo- 19 L’analisi delle dinamiche gestionali della banca attraverso i dati di bilancio 285 dalità di calcolo del ricavo e del costo marginale, che nella versione sinora considerata si limitano a prendere in considerazione la sola componente finanziaria connessa a una variazione dei volumi intermediati. In realtà è verosimile che una variazione dei volumi di raccolta e di impiego generi anche una variazione dell’indotto creato dai ricavi da servizi, come anche l’assorbimento di una maggiore quantità di costi. La nozione di ricavo e di costo marginale risulta così modificata al fine di tener conto anche dell’indotto dei ricavi da servizi e dell’aggravio di costi operativi (con esclusione di quelli di impianto) generato da ogni relazione di clientela, secondo la seguente formula: CM = RM = ∆Interessi passivi –∆Ricavi da servizi + ∆Costi operativi ∆Depositi ∆Interessi attivi +∆Ricavi da servizi – ∆Costi operativi ∆Impieghi La revisione della modalità di calcolo del costo e del ricavo marginale comporta inevitabilmente uno spostamento del punto di equilibrio della filiale, sia sul mercato dei depositi, sia su quello degli impieghi, modificando il risultato economico realizzato dal canale distributivo. Grafico 19.3 Spostamento del punto di equilibrio sul mercato dei depositi in funzione della nozione di costo marginale Ricavi marginali Costi marginali TIT ∆Interessi attivi RM=——————— ∆Impieghi ∆Interessi passivi –∆Ricavi da servizi + ∆Costi operativi CM = ∆Depositi ∆Interessi passivi CM=———————— ∆Depositi ∆Interessi passivi –∆Ricavi da servizi CM = ∆Depositi Impieghi Depositi La diversa inclinazione della curva di domanda dei depositi sposta il punto di equilibrio, generando nelle diverse ipotesi un differente volume ottimale di depositi. Simulando il comportamento della clientela al variare delle condizioni economiche praticate da una filiale possiamo dimostrare come il punto di equili- 286 Economia e gestione della banca brio della stessa si modifichi in virtù della funzione obiettivo di volta in volta considerata. La tabella 19.5 consente di verificare come, al variare dell’obiettivo reddituale che la filiale è chiamata a raggiungere, si modifica il volume di attività finanziarie che consente di ottimizzare il risultato economico della filiale stessa. Se l’obiettivo è, per esempio, l’ottimizzazione del margine di contribuzione appare ragionevole accettare un minore risultato in termini di margine di interesse e di margine di intermediazione rispetto a quelli ottenibili nell’ipotesi (a), in quanto giustificati da un migliore risultato complessivo finale. Tabella 19.5 Volumi intermediati e funzione obiettivo della filiale Max Margine di interesse Interessi attivi Interessi attivi su ROE Interessi passivi Interessi figurativi Margine di interesse Ricavi da servizi Margine di intermediazione Costi operativi Margine di contribuzione Volume prestiti Volume depositi 19.7 Max Margine di intermediazione Max Margine di contribuzione 333,61 0,85 40,53 –76,29 217,64 79,34 296,98 260,88 36,09 350,89 1,38 91,52 -54,12 206,63 101,27 307,90 285,89 22,02 329,99 0,78 35,39 –77,95 217,43 76,34 293,77 257,47 36,30 2908,52 1411,05 3337,68 2301,26 2838,31 1305,23 Cenni sui problemi di controllo di gestione nelle banche Alcune variabili sinora discusse dal punto di vista dell’analista esterno (i volumi intermediati, i margini unitari, la redditività, il peso delle strutture di costo) rappresentano, in ultima istanza, aspetti critici anche per chi dall’interno della banca deve prendere decisioni in grado di consolidare e sperabilmente migliorare la posizione di mercato della stessa. In questo senso, i dati di contabilità emergenti dalle diverse operazioni svolte dalla banca, dati che insieme alle valutazioni soggettive di fine esercizio contribuiscono alla definizione del bilancio annuale, diventano utili per esprimere condizioni di equilibrio (o squilibrio) gestionale soggette a forme di controllo e di governo. D’altra parte, i sistemi tradizionali di controllo di gestione, ormai consolidati con riferimento alle imprese non finanziarie, trovano più difficile applicazione all’interno delle banche, soprattutto a causa delle specificità dell’attività tipica di queste ultime. Gli studiosi della materia hanno spesso fatto notare come rispetto a un’impresa manifatturiera una banca presenti, in particolare, un processo produttivo di più difficile definizione. 21 Il rischio di interesse e le politiche di asset-liability management 21.5 307 Il concetto di gap e gli effetti sul margine di interesse Il punto fondamentale nella lettura delle condizioni di rischio di tasso di interesse assunte da una banca in un dato istante risiede nella dimensione relativa delle attività e delle passività sensibili, nel senso precedentemente indicato, allo stesso istante. La differenza tra i due aggregati in esame è detta gap. In simboli, a una certa data: G = As – Ps dove G è il gap, As è il totale delle attività sensibili, Ps è il totale delle passività sensibili. In un’ipotesi di scuola, se il valore delle attività e delle passività sensibili (con t1-t0 = 3 mesi) è identico (come rappresentato nella figura che segue), il margine di interesse di competenza del trimestre in esame, che si forma per differenza tra i ricavi e i costi per interessi rispettivamente attivi e passivi, è immune alle variazioni dei tassi di mercato, se tali variazioni sono uniformi per le attività e le passività. Si osservi che potrà senz’altro variare il livello dei tassi di mercato (attivi o passivi) e con essi il livello assoluto degli interessi (attivi o passivi) incassati nel corso del trimestre, ma non varierà il margine di interesse. In simboli: se G = 0, ∆MI = 0 dove ∆MI esprime la possibile variazione in valore assoluto del margine di interesse. Tabella 21.1 Un esempio di gap nullo Attività sensibili Passività sensibili Attività non sensibili Passività non sensibili Nelle descritte condizioni, dette di matching per scadenza delle attività e delle passività, la banca non assume rischi di tasso di interesse, perché il suo conto economico (nella componente margine di interesse) non è influenzato dalle variazioni dei rendimenti di mercato. Un semplice esempio può sostenere il concetto. Si ipotizzi al tempo t0 non sensibili: 1. 2. 3. 4. As = 1000 milioni Ps = 1000 milioni rendimento annuo delle As = 6% costo annuo delle Ps = 4%. Per semplicità, si può immaginare che all’ipotizzato costo/rendimento annuo corrisponda un costo/rendimento su base trimestrale rispettivamente dell’1% e 308 Economia e gestione della banca dell’1,5%. Si osservi che i costi e i rendimenti delle attività e delle passività non sensibili semplicemente non rilevano ai fini del modello in esame, dal momento che per definizione i flussi di interessi alimentati da tali poste di bilancio nell’intervallo di tempo considerato non subiscono alcuna variazione. Sulla base dei dati dell’esempio, il margine di interesse di competenza del trimestre t1-t0 è pertanto pari a: (1000 milioni * 1,5%) – (1000 milioni * 1%) = 5 milioni. Se al tempo t0 i rendimenti di mercato subissero un rialzo pari ad un punto percentuale su base annua, il costo/rendimento trimestrale delle attività/passività si incrementerebbe analogamente dello 0,25%, comportando un margine di interesse di competenza dello stesso trimestre pari a: (1000 milioni * 1,75%) – (1000 milioni * 1,25%) = 5 milioni e dunque identico alla situazione di partenza. Allo stesso risultato si perviene ovviamente se la variazione dei tassi fosse stata maggiore o minore, e/o di segno contrario (cioè al ribasso e non al rialzo). Come già detto, l’indifferenza del margine di interesse alle variazioni dei tassi, se queste colpiscono in misura analoga il costo delle passività e il rendimento delle attività, è infatti garantito da una struttura di bilancio perfettamente matched e dal gap corrispondentemente nullo. Diverso dal caso appena visto è invece quello in cui il valore delle attività sensibili a un certo tempo t0 differisce dal valore delle passività sensibili alla stessa data. Si parla allora di una condizione di mismatch nelle strutture di bilancio, e nel caso di shock sui tassi la situazione può essere sintetizzata così: poiché G ≠ 0, ∆MI ≠0 Tabella 21.2 Un esempio di gap positivo Attività sensibili Attività non sensibili Passività sensibili Passività non sensibili Tabella 21.3 Un esempio di gap negativo Attività sensibili Attività non sensibili Passività sensibili Passività non sensibili 21 Il rischio di interesse e le politiche di asset-liability management 311 tivo sul margine di interesse ottenibile dalle variazioni previste dei tassi di mercato (assunzione deliberata di un rischio di tasso di interesse). La scelta gestionale soggettiva e alternativa tra immunizzazione e massimizzazione si fonda oltremodo sull’elevata capacità della banca di prevedere, in particolare con sufficiente anticipo rispetto alla generalità degli operatori del mercato, l’andamento dei tassi di interesse. Più precisamente, occorre essere in grado di prevedere la futura struttura dei tassi di interesse sulle diverse scadenze, relativamente cioè ai diversi orizzonti temporali considerati. Infine, la gestione attivo-passivo presuppone da parte della banca una conoscenza analitica e approfondita, da un lato, della propria struttura degli attivi/passivi per scadenze e, dall’altro lato, delle concrete opportunità offerte dal mercato di modificare tali strutture. Ciò significa avvalersi di sistemi informativi progrediti e articolati, che consentano sofisticate misurazioni e simulazioni: tali sistemi possono di fatto essere considerati un prerequisito sine qua non per garantire un’adeguata operatività dei modelli gestionali in esame. Sulla base delle considerazioni appena svolte, è possibile rilevare come l’obiettivo perseguito dalla gestione attivo-passivo dipenda in primo luogo dalla scelta di posizionamento del soggetto economico sulla curva rischio-rendimento, ma anche dal grado di prevedibilità dei tassi di interesse di mercato. Se infatti le condizioni di funzionalità dei mercati finanziari e le scelte operate dagli organi di politica economica e monetaria non consentissero previsioni attendibili, la banca tenderebbe fisiologicamente a privilegiare una gestione prudente e passiva del rischio di tasso, ricercando l’immunizzazione del margine di interesse attraverso l’annullamento del gap. Viceversa, in condizioni di scenario diverse e/o in presenza di un soggetto economico propenso a sfruttare le opportunità di maggiore rendimento possibile, in presenza di rischi più elevati ma calcolati, la manovra del gap può diventare attiva. Tale manovra, impostata in funzione delle aspettative sui rendimenti di mercato, è sintetizzata nella tabella che segue. Tabella 21.4 Aspettative sui tassi e manovra del gap Andamento atteso dei tassi Manovra del gap Aumento Aumento del gap positivo Riduzione del gap negativo Diminuzione Riduzione del gap positivo Aumento del gap negativo Nella fase effettivamente applicativa della manovra dei gap, si consideri peraltro che essa anticipa la variazioni attese dei tassi di mercato, così da predisporre adeguatamente per tempi e dimensioni la struttura ottimale per scadenze dell’attivo e del passivo in funzione dei tempi e della dimensione delle stesse variazioni. 21 Il rischio di interesse e le politiche di asset-liability management 313 Tabella 21.5 Un esempio di gap analysis incrementale (dati in milioni di euro) Attivo Cassa Riserva obbligatoria Impieghi in conto corrente Impieghi a tasso variabile Impieghi a tasso fisso Titoli a tasso variabile Titoli a tasso fisso Altre attività TOTALE DELL’ATTIVO 0-1 mesi 1-3 mesi 3-6 mesi 6-12 mesi Non sensibili 1.000 2.000 10.000 1.000 8.000 5.000 11.000 5.000 1.000 2.000 16.000 8.000 3.000 8.000 14.000 8.000 9.000 4.000 24.000 Totale 1.000 2.000 10.000 25.000 9.000 8.000 11.000 4.000 70.000 Passivo e Patrimonio Depositi Interbancario Certificati di deposito a tasso fisso Certificati di deposito a tasso variabile Obbligazioni a tasso fisso Obbligazioni a tasso variabile Patrimonio TOTALE DEL PASSIVO E PATRIMONIO Gap periodico Gap cumulato 25.000 4.000 2.000 3.500 1.500 3.000 2.000 1.000 1.000 2.000 1.000 32.000 10.000 2.500 1.5000 6.500 3.500 4.000 9.000 10.000 15.000 –16.000 –2.000 +10.000 –16.000 –18.000 –8.000 –1.000 –9.000 +9.000 0 25.000 7.500 7.500 6.000 10.000 4.000 10.000 70.000 Come si nota, il periodo di valutazione di un anno è stato ulteriormente “scomposto” in quattro intervalli temporali: da zero a 1 mese (nel quale ricadono anche le attività e le passività a vista), da 1 a 3 mesi, da 3 a 6 mesi e, infine, da sei a dodici mesi. Tutte le poste dello stato patrimoniale che non subiscono variazioni delle loro condizioni economiche all’interno del gapping period vengono assimilate alle poste insensibili e, quindi, collocate in una fascia a sé stante. Per ognuno dei sottoperiodi individuati, poi, si è effettuato il calcolo del gap periodico (o incrementale) che consente di monitorare con maggior dettaglio l’esposizione della banca al rischio di variazione delle condizioni di mercato. Una posizione negativa per 16.000 milioni di euro relativa al primo intervallo temporale ci indica che la banca è esposta al rischio di una riduzione del margine di interesse in caso di variazione al rialzo dei tassi di interesse nel brevissimo termine; la stessa valutazione vale, poi, per gli altri sottoperiodici caratterizzati da segni alterni e da entità del gap variabile. La rappresentazione dei gap sottoperiodali non ha solo l’obiettivo di consentire una valutazione più puntuale rispetto a quella in precedenza offerta dal modello del gap base ma permette anche, e soprattutto, alla banca di individuare le azioni correttive da intraprendere al fine di ridurre la propria esposizione al rischio. Qualora, infatti, la banca desiderasse azzerare la propria esposizione alla variabilità dei tassi di mercato dovrebbe assumere diver- 21 Il rischio di interesse e le politiche di asset-liability management 317 vo e del passivo, diventava via via più evidente il fatto che le banche erano chiamate ad affrontare in misura sempre crescente anche rischi diversi dalla variabilità dei soli tassi di interesse; altre grandezze di mercato, quali i corsi azionari, i tassi di cambio, i prezzi dei diversi strumenti derivati, infatti, iniziavano a influenzare sempre più pesantemente i risultati economici degli intermediari creditizi. La considerazione congiunta del fatto che, da un lato, si fosse ampliata la gamma dei fattori di mercato da tenere sotto controllo per la misurazione dell’esposizione al rischio complessivo di una banca e, dall’altro, che il capitale fosse diventato il perno intorno al quale era destinata a ruotare la nuova filosofia di vigilanza prudenziale ha spinto le funzioni di risk management bancario a ricercare nuove misure di sintesi in grado di fornire un denominatore comune alle diverse tipologie di rischio. Il ricorso agli strumenti di vigilanza prudenziale ha, infatti, legato la possibilità delle banche di assumere rischi alla disponibilità patrimoniale. Il diritto del “banchiere di esprimere con i necessari margini di autonomia la propria vocazione imprenditoriale e nel contempo di preservare la stabilità della banca”, assegna alla dotazione patrimoniale un’importanza cruciale, in quanto a essa è parametrata la capacità della banca di concedere finanziamenti, di investire in valori mobiliari, di crescere territorialmente, di emettere obbligazioni e, più in generale, di trasformare le scadenze (tabella 21.6). La capacità di assunzione del rischio non è dunque illimitata, ma deve tener conto sia delle regole imposte dalle autorità di vigilanza, sia delle esigenze gestionali connesse alla salvaguardia del valore economico dell’azienda. Tabella 21.6 Alcuni vincoli gestionali connessi alla dotazione di patrimonio di vigilanza Rischio di credito Il patrimonio di vigilanza deve essere almeno pari all’8% delle attività in bilancio e fuori bilancio ponderate in relazione ai rischi di inadempimento dei debitori Rischi di mercato: * rischio di posizione * rischio di regolamento * rischio di controparte * rischio di concentrazione * rischio di cambio Il patrimonio di vigilanza deve essere almeno pari alla somma dei requisiti patrimoniali derivanti dall’applicazione dei coefficienti minimi connessi alle diverse tipologie di rischio Regole per la partecipazione al capitale delle imprese industriali Il rispetto dei coefficienti patrimoniali minimi obbligatori e la disponibilità di un patrimonio di vigilanza consistente, ovvero almeno pari a 1 miliardo di euro, sono condizioni necessarie per accedere allo status di banca abilitata o specializzata Regole per la trasformazione delle scadenze Le immobilizzazioni e le partecipazioni devono essere interamente coperte dal patrimonio di vigilanza; ulteriori vincoli sono definiti relativamente all’equilibrio della struttura per scadenza dell’attivo e del passivo. 318 Economia e gestione della banca Il banchiere deve, pertanto, risolvere un duplice problema gestionale. Il primo consiste nell’allocare il capitale disponibile tra le diverse aree di operatività al fine di massimizzarne il rendimento; il secondo consiste nel minimizzare il costo del capitale necessario alla copertura dei rischi assunti in eccesso rispetto alla dotazione patrimoniale disponibile. L’ampiezza della nozione di patrimonio di vigilanza, comprendente oltre al patrimonio netto anche i fondi rischi, le passività subordinate e gli strumenti ibridi di patrimonializzazione (tabella 21.7) consente, infatti, di affiancare alla raccolta di capitale di rischio l’utilizzo di capitale di debito e di ridurre in questo modo l’onerosità dei requisiti imposti dai ratios patrimoniali. Tabella 21.7 Nozioni di patrimonio di vigilanza Definizione Elementi componenti Patrimonio di base → Capitale versato, riserve, il fondo per i rischi bancari generali e gli strumenti innovativi di capitale al netto delle azioni proprie, dell’avviamento, delle immobilizzazioni immateriali e delle perdite registrate negli esercizi precedenti. Patrimonio supplementare primario → Le riserve di rivalutazione, gli strumenti ibridi di patrimonializzazione, le passività subordinate, il fondo rischi sui crediti al netto delle minusvalenze su titoli, delle perdite su crediti di rilevante entità e delle perdite sui crediti connesse al rischio paese. Patrimonio supplementare secondario → Passività subordinate con durata originaria pari o superiore a due anni. 21.10 La massimizzazione del rendimento della dotazione patrimoniale Si ipotizzi, per semplicità, di considerare una banca che abbia un patrimonio di vigilanza interamente rappresentato dalle voci componenti il patrimonio di base e che si proponga di conseguire un obiettivo di massimizzazione del profitto, mantenendo inalterata la propria capacità di assunzione del rischio. La stessa definizione di ROE consente di evidenziare come questo obiettivo debba essere necessariamente raggiunto allocando i mezzi propri alle singole unità organizzative, in modo tale da uguagliare il rendimento marginale del patrimonio rispettivamente assorbito. Il problema della corretta allocazione del capitale può essere sintetizzato, dunque, nella definizione della dimensione ottimale del portafoglio prestiti e del portafoglio titoli e, a livello di singola unità organizzativa, nella scelta tra diverse modalità di erogazione dei finanziamenti (es. mutuo ipotecario vs prestito non garantito) e tra diverse forme di investimento (es. obbligazioni vs azioni). Ai fini 322 Economia e gestione della banca Grafico 21.1 Distribuzione di probabilità delle variazioni settimanali dell’azione XYZ Area del profitto Area della predita 16% Intervallo di confidenza = 68% 2,5% 16% Intervallo di confidenza = 95% –1,96 σ –1σ 0 2,5% +1σ +1,96 σ Le considerazioni sin qui esposte, a prescindere dalle metodologie utilizzate, consentono di risolvere il problema della massimizzazione del rendimento del patrimonio. A consuntivo, infatti, l’analisi della redditività prodotta e del capitale assorbito permettono di individuare quali unità organizzative hanno distrutto valore per gli azionisti, offrendo un contributo al ROE minore rispetto a quello atteso in funzione del rischio assunto, e quali invece hanno creato valore, rispettando le attese, in termini di rendimento del capitale assorbito. A preventivo, al contrario, la definizione di un obiettivo in termini di ROE conduce alla definizione di una soglia di redditività minima che le unità organizzative devono garantire, in virtù del capitale a esse assegnato, ovvero della loro capacità di assunzione del rischio. Si ipotizzi che una banca debba ripartire i propri investimenti tra mutui ipotecari, crediti non garantiti e titoli, per un importo complessivo pari a 100.000 milioni di euro, in condizioni di non modificabilità della dimensione e della composizione del passivo. In una logica ex ante è necessario chiedersi quale peso attribuire alle diverse categorie di attività, conoscendo sia i loro rendimenti attesi sia l’assorbimento di capitale a esse connesso, nell’ulteriore ipotesi che il valore del patrimonio disponibile per la copertura degli investimenti finanziari sia pari a 6500 milioni di euro. Tabella 21.8 Indicatori di rendimento/rischio per attività Attività Mutui Crediti Titoli Rendimento atteso 8% 10,5% 6% Assorbimento capitale (Vigilanza) 4% 8% 1% Assorbimento capitale (Worst case scenario) 5% 7,5% 0,75% 21 Il rischio di interesse e le politiche di asset-liability management 323 La soluzione della funzione di massimizzazione del ROE conduce a risultati differenti in funzione del criterio di allocazione del capitale utilizzato. Tabella 21.9 Alternative di investimento e allocazione del capitale (dati in milioni di euro) Mutui Crediti Titoli Utile banca Capitale assorbito (coeff. di vigilanza) Capitale assorbito (worst case scenario) Ipotesi A Ipotesi B Ipotesi C 37.500 62.500 0 4.888 6.500 0 85.185 14.815 5.158 6.963 32.895 64.474 2.631 4.884 6.500 6.562 6.500 6.500 Il ricorso al criterio imposto dalle autorità di vigilanza porta (ipotesi A) a un investimento nullo nel portafoglio titoli e a un livello di assorbimento del capitale, secondo la logica del worst case scenario, inaccettabile dal punto di vista gestionale. Questa ripartizione degli investimenti, infatti, sebbene praticabile da un punto di vista regolamentare, rischia di compromettere la solvibilità della banca al verificarsi dello scenario peggiore, mettendo a rischio una quantità di capitale superiore rispetto al patrimonio disponibile. Il ricorso al criterio del worst case scenario (ipotesi B) porta a un investimento nullo nei mutui e a un assorbimento di capitale insostenibile per far fronte alle esigenze di rispetto dei ratios patrimoniali imposti dagli organi di controllo. Questa soluzione, dunque, sebbene accettabile dal punto di vista gestionale, non è praticabile, in quanto non in linea con quanto previsto dalla disciplina di vigilanza. L’ipotesi C, infine, ottimizza la funzione di massimizzazione dell’utile soddisfacendo entrambi i criteri di assorbimento del capitale. La simulazione effettuata dimostra che la scelta del criterio di valutazione dell’assorbimento del capitale distorce le scelte di investimento e genera soluzioni non sempre accettabili sia dal punto di vista regolamentare, sia da quello gestionale, richiedendo un’opportuna integrazione al fine di conseguire l’obiettivo della massimizzazione del profitto aziendale in condizioni di solvibilità. 21.11 La minimizzazione del costo del patrimonio Sinora si è considerata l’ipotesi restrittiva secondo cui la capacità di assunzione di rischio della banca non potesse essere aumentata, essendo vincolata alla dotazione patrimoniale iniziale. La rimozione di questa ipotesi offre al banchiere l’opportunità di valutare una pluralità di investimenti alternativi che, generando un fabbisogno di capitale aggiuntivo, impongono il reperimento delle risorse patrimoniali necessarie per soddisfare i vincoli regolamentari e gestionali. 23 Le crisi bancarie 349 Tabella 23.1 Prompt corrective action del FDICIA Classe di rating Soglie di capitalizzazione Azioni correttive Ben capitalizzate Coeff. di solvibilità >= 10% Leva finanziaria >= 5% Nessuna Adeguatamente capitalizzate Coeff. di solvibilità >= 8% Leva finanziaria>= 4% Sottocapitalizzate Coeff. di solvibilità < 8% Leva finanziaria< 4% 1. Piano di ricapitalizzazione 2. Sospensione del pagamento dei dividendi 3. Limitazione alla crescita dell’attivo 4. Autorizzazione preventiva dell’espansione territoriale Significativamente sottocapitalizzate Coeff. di solvibilità < 6% Leva finanziaria < 3% 1. Piano di ricapitalizzazione 2. Restrizione delle transazioni con le controllate 3. Riduzione dei tassi di interesse pagati 4. Ulteriore limitazione alla crescita dell’attivo 5. Proibizione di emissione di depositi nei confronti di corrispondenti 6. Licenziamento dei senior manager Seriamente sottocapitalizzate Capitale primario / Totale attivo <= 2% Amministrazione straordinaria entro 90 giorni se non disposto diversamente dalle autorità di vigilanza Nessuna Per leva finanziaria si intende il rapporto tra TIER 1 e l’attivo ponderato per il rischio. predisposizione del loro rapporto, evidentemente non disponibili mediante il controllo cartolare. Con riferimento all’Italia, anche la Banca d’Italia si è dotata di un early warning system, denominato PAT.R.O.L., finalizzato a ottenere una serie di informazioni – sul livello di patrimonializzazione, sulla redditività, sull’organizzazione e sulla liquidità delle banche – aggiuntive rispetto a quelle desumibili dalle segnalazioni di vigilanza. L’obiettivo è evidentemente quello di individuare con tempestività le banche in difficoltà, allo scopo di minimizzare gli effetti della manifestazione della crisi. Un altro tentativo di costruzione di un indicatore sintetico di solidità delle banche è stato realizzato dal Fondo interbancario di tutela dei depositi – di cui si dirà in seguito – che attribuisce alle istituzioni consorziate un rating sulla base di una serie di profili gestionali concernenti la rischiosità, la solvibilità, la trasformazione delle scadenze, l’efficienza e la redditività. Tuttavia questo sistema di screening, oltre a risentire degli stessi difetti del controllo cartolare della Banca d’Italia, essendo costruito sulla base delle segnalazioni inviate periodicamente dalle banche al Fondo, si limita ad avviare procedure sanzionatorie interne, che spaziano dalla maggiore frequenza dell’invio delle segnalazioni alla esclusione dal Fondo stesso. 350 Economia e gestione della banca Un discorso a parte merita il problema dei controlli interni, ovvero degli early warning system sviluppati dalle banche per finalità gestionali. La reciproca consapevolezza delle autorità di vigilanza di non essere in grado di percepire tutti i profili di rischio delle banche e delle banche di non poter riposare sui coefficienti di vigilanza imposti dagli organi di controllo per salvaguardare il valore economico dell’azienda ha sollecitato le stesse autorità di vigilanza a imporre alle banche di dotarsi di un efficace sistema di controlli interni. Obiettivo di tale regolamento è quello di conciliare la redditività dell’impresa bancaria con l’assunzione di rischi gestionali che sia al tempo stesso consapevole e compatibile con le caratteristiche economico-patrimoniali della banca. Ciò ha indotto la nascita di apposite unità organizzative incaricate della valutazione dell’esposizione al rischio della banca nel suo complesso. Il compito assegnato a queste unità, che nelle diverse esperienze nazionali sono alternativamente denominate Risk management unit, Comité d’audit, Comitato di gestione del rischio, le colloca necessariamente in posizione di staff rispetto all’Alta direzione, dovendo essere preservata la loro più ampia autonomia dalle unità organizzative direttamente coinvolte nella gestione delle diverse aree d’affari. La logica sottostante alla costituzione di questa funzione aziendale è quella di giungere a una gestione globale e unitaria dei rischi della banca che passi attraverso le seguenti fasi: ■ ■ ■ ■ individuazione dei rischi; mappatura dei rischi per unità organizzative; verifica del patrimonio assorbito dalle singole unità organizzative; allocazione del capitale disponibile. Tabella 23.2 Un esempio di mappatura dei rischi economici e finanziari per unità organizzative Unità organizzative Rischi Controparte Tasso di interesse Tasso di cambio Posizione Illiquidità Errore Frode Informatico Giuridico e fiscale Direzione Finanza Direzione Crediti Filiali X X X X X X X X X X X X X X EDP Ufficio legale X X X X Lo sviluppo di simili sistemi di controllo interni, ancor prima che gli organi di controllo li imponessero, ha determinato anche effetti retroattivi sulle modalità di 358 Economia e gestione della banca quente, come dimostrato da una indagine condotta a livello internazionale su 104 casi di fallimenti bancari. La citata ricerca evidenzia alcune chiare linee di tendenza. In primo luogo, la teoria del too big to fail non sembra, alla luce delle esperienze internazionali considerate, confermata, dovendo piuttosto assumersi come elemento determinante nella decisione di intervento delle banche centrali il principio del too important to systemic stability to fail. Questa circostanza rafforza quanto sostenuto in precedenza con riferimento ai canali di trasmissione delle crisi bancarie e alla crescente preoccupazione relativa ai rischi di contagio attraverso il sistema dei pagamenti piuttosto che attraverso la corsa agli sportelli dei risparmiatori. Il timore che fenomeni di panico finanziario possano verificarsi rimane comunque attuale soprattutto nei paesi dell’Est europeo, dove l’assenza di sistemi di garanzia dei depositi e l’elevata frequenza dei fallimenti bancari inducono i depositanti a essere “i primi della fila”. Con riferimento ai criteri di intervento seguiti nella gestione delle situazioni di difficoltà è possibile individuare una griglia di analisi che distingua tra modalità di soluzione della crisi e fonti di risorse cui attingere in caso di necessità. Tra le modalità di soluzione delle crisi rientrano: la conservazione in vita della banca in crisi mediante il rifinanziamento e la ricapitalizzazione, l’acquisizione della banca in crisi da parte di una o più banche; l’amministrazione straordinaria sotto il controllo del fondo di garanzia dei depositi o di un’agenzia governativa; la liquidazione coatta amministrativa. Tra le fonti di finanziamento rientrano: la banca centrale, il sistema bancario, il fondo di garanzia dei depositi, il governo. Incrociando le due dimensioni di analisi è possibile rappresentare graficamente le linee di tendenza emerse a livello internazionale, disegnando delle aree di dimensione variabile in funzione della frequenza con cui le modalità di intervento e le modalità di finanziamento si riscontrano nelle esperienze concrete. Grafico 23.1 Modalità di soluzione delle crisi bancarie a livello internazionale MODALITÀ DI INTERVENTO Liquidazione Amministrazione straordinaria Acquisizione Salvataggio Nessuno Banca centrale Sistema bancario Fondo di garanzia MODALITÀ DI FINANZIAMENTO Governo