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Processo alla Rete

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Processo alla Rete

Processo
alla
Rete.
Blog
Anthology
Guido
Scorza
A
mia
madre
che
non
c’è
più
e
che
avrebbe
voluto
sfogliare
queste
pagine.
3
Indice
Premessa
Pag.
5
1.
La
responsabilità
degli
intermediari.
Di
Google,
Pirate
bay,
Rapidshare
e
di
altri
demoni.
Pag.
9
2.
Copyright
in
the
Net.
Un
popolo
di
pirati?
Pag.
38
3.
Copyright
vs.
Privacy
Niente
privacy,
siete
pirati!
Pag.
101
4.
La
libertà
di
manifestazione
del
pensiero
in
Rete.
Internet,
free
speech
e
web­censura
Pag.
122
5.
L’anonimato
in
Internet.
Mr.
Nobody
non
ha
diritti!
Pag.
150
6.
Web
privacy.
Contrappunti
digitali.
Pag.
166
4
Premessa
La
storia
antica
e
moderna
è
ricca
di
grandi
processi
attraverso
i
quali
gli
accusatori,
in
modo
consapevole
o
inconsapevole,
cosciente
o
incosciente,
pur
portando
formalmente
alla
sbarra
una
persona
o
una
categoria
di
persone
e
dichiarando
di
voler
procedere
per
una
specifica
condotta
hanno,
in
realtà,
processato
un’ideologia,
una
filosofia,
un
approccio
alla
vita,
alla
politica,
alla
religione
o
al
mercato.
Il
processo
a
Socrate,
quello
di
Norimberga,
quelli
a
Freud,
Giulia
Beccaria,
Yasser
Arafat
e
tanti
altri
processi
giusti
ed
ingiusti,
condivisibili
o
non
condivisibili,
hanno
inesorabilmente
segnato
il
corso
della
storia
e
l’evoluzione
sociale,
religiosa,
politica
ed
economica
di
Città,
Paesi
e
Continenti.
La
storia
dell’umanità
non
sarebbe
stata
la
stessa
senza
quei
processi
e,
ex
post,
è
naturalmente
difficile
se
non
impossibile
giudicare
se
sarebbe
stata
migliore
o
piuttosto
peggiore.
Nelle
ultime
settimane,
scorrendo
a
colpi
di
mouse
il
mio
blog,
navigando
in
Rete
attraverso
scritti
recenti
e
meno
recenti
a
proposito
di
norme,
sentenze,
cause
promosse
o
solo
minacciate
nell’universo
del
diritto
dell’Internet
mi
son
reso
conto
–
o,
almeno,
ho
creduto
di
rendermi
conto
–
che
molti
dei
fatti
di
cui
ho
scritto,
parlato,
discusso
con
amici
e
colleghi
in
Rete
e
fuori
della
Rete,
costituiscono,
forse,
tessere
di
un
mosaico
che
ha
per
soggetto
proprio
un
nuovo
grande
processo
della
storia
moderna:
il
Processo
alla
Rete
cui
è
dedicato
il
titolo
di
questa
Blog
anthology.
Non
so
se
si
tratti
di
un
processo
che
stiamo
consapevolmente
celebrando
o,
piuttosto,
del
quale
siamo
involontari
ed
incoscienti
accusatori
ma,
a
voler
leggere
tra
le
righe
degli
eventi
della
storia
moderna
della
Rete,
non
è
difficile
individuare
nitidamente
il
profilo
di
accusato
ed
accusatori.
L’accusato,
o
meglio,
la
grande
accusata,
è
la
Rete
non
solo
e
non
solo
e
non
tanto
in
quanto
infrastruttura
globale
di
comunicazione
ma,
piuttosto,
in
quanto
sintesi
di
una
nuova
filosofia
di
vita
che
investe
trasversalmente
la
cultura,
la
politica,
il
mercato
e
la
società.
Gli
accusatori
sono
–
per
dirla
con
le
parole
del
Macchiavelli
–
“tutti
quelli
che
delli
ordini
vecchi
fanno
bene”
(Il
Principe,
N.
Macchiavelli,
Capitolo
VI)
e,
quindi,
temono
che
il
“nuovo”
possa
costituire
un
fattore
dirompente
per
quell’assetto
di
mercato
o
per
quel
contesto
socio­politico,
nel
quale
hanno
costruito
ed
affermato
la
loro
posizione
di
forza
e
controllo.
Si
tratta
di
una
contrapposizione
evidente
tra
il
“vecchio”
ed
il
“nuovo”
che
investe
trasversalmente
la
materia
della
proprietà
5
intellettuale,
quella
del
diritto
dell’informazione
ed
all’informazione,
quella
della
privacy
e
della
trasparenza
nonché,
più
in
generale,
il
tema
dei
meccanismi
e
delle
dinamiche
di
imputazione
delle
condotte
nello
spazio
globale.
La
responsabilità
degli
intermediari
della
comunicazione,
l’enforcement
dei
diritti
di
proprietà
intellettuale,
il
difficile
e
conflittuale
rapporto
tra
privacy
e
copyright
nella
società
dell’informazione,
le
nuove
frontiere
ed
i
crescenti
limiti
della
libertà
di
manifestazione
del
pensiero
nel
cyberspazio,
il
tema
complesso
ma
ormai
da
affrontare
senza
ulteriori
rinvii
dell’anonimato
in
Rete
e
quello
del
difficile
equilibrio
tra
la
trasparenza
ed
il
diritto
alla
privacy
ed
alla
riservatezza
sono
alcuni
dei
profili
sui
quali,
nella
pagine
che
seguono,
attraverso
il
racconto
di
fatti
ed
episodi
della
storia
recente
della
Rete,
si
confrontano
tesi
accusatorie
e
teorie
difensive.
Non
aspettatevi
da
questo
libro
risposte
o
soluzioni
perché
rimarreste
delusi
e,
egualmente,
non
aspettatevi
di
leggere
le
pagine
di
un
saggio
o
piuttosto
di
un
trattato
perché
si
tratta
solo
di
una
blog
anthology
che
raccoglie
frammenti
di
pensieri
e
considerazioni
sul
diritto
della
Rete
che
possono,
nella
migliore
delle
ipotesi,
offrire
e
proporre
suggestioni
o,
piuttosto,
inviti
a
guardare
a
talune
delle
questioni
affrontate
in
una
prospettiva
nuova
e
diversa
rispetto
a
quella
dalla
quale
le
avete
guardate
sin
qui.
Gli
spunti
di
riflessione
e
lo
stimolo
ad
affrontare
taluni
dei
problemi
del
diritto
della
Rete
trattati
nei
post
del
mio
blog
e,
quindi,
in
questa
raccolta
disordinata
di
scritti
vengono
dal
lavoro
e
dal
confronto
costante
con
gli
amici
ed
i
colleghi
dell’Istituto
per
le
politiche
dell’Innovazione
ma
anche
dai
commenti
e
dalle
discussioni
che
hanno
seguito
la
pubblicazione
dei
post
e
degli
articoli
con
quanti
hanno,
evidentemente,
a
cuore
il
futuro
della
Rete.
Un
ringraziamento
al
quale
non
posso
sottrarmi
va
a
Punto
Informatico
ed
al
suo
Direttore
che
mi
ha
frequentemente
ospitato
sulle
colonne
del
suo
giornale
ed
invitato
a
partecipare
a
discussioni
e
dibattiti
dei
quali
trovate
frammenti
nelle
pagine
che
seguono
e,
analogo
ringraziamento,
per
le
stesse
ragioni,
non
posso
non
indirizzare
a
gli
amici
di
Internet
Magazine
che
sulle
loro
pagine
hanno
spesso
voluto
raccogliere
il
mio
pensiero
e
la
mia
opinione
su
fatti
e
processi
della
Rete
e
nella
Rete,
dandomi
così
occasione
di
approfondire
ed
incuriosirmi
a
circostanze
che,
in
caso
contrario,
non
avrei,
forse,
notato.
Molti
altri
amici
e
colleghi,
negli
ultimi
anni,
hanno
accettato
di
confrontarsi
con
me
sulle
tematiche
trattate
in
questa
raccolta
di
scritti,
invitandomi
a
guardare
alle
cose
della
Rete
in
una
prospettiva
diversa
o,
semplicemente,
da
un
diverso
angolo
di
visuale:
quello
deI
giganti
della
Rete
–
penso,
tra
i
tanti
che
vorrei
6
non
si
offendessero
per
la
mancata
citazione,
a
Pier
Luigi
Dal
Pino
di
Microsoft,
a
Marco
Pancini
di
Google
o
a
Cristian
Perrella
di
My
Space
–
quello
dei
consumatori
ed
utenti
nel
quale
Marco
Pierani
di
Altroconsumo
mi
ha
accompagnato
con
ineguagliabile
disponibilità,
quello
delle
Istituzioni
cui
lo
Stato
ha
attribuito
il
dovere
di
tutelare
il
diritto
alla
privacy
dei
“cittadini
elettronici”
–
penso
a
a
Luigi
Montuori
dell’Ufficio
del
Garante
per
la
privacy
che
si
è
sempre
mostrato
disponibile
al
confronto
ed
al
dialogo
anche
laddove
il
mio
approccio
originario
ai
problemi
della
Rete
si
presentava
pià
ù
lontano
e
meno
compatibile
con
il
punto
di
vista
del
suo
Ufficio
­.
Non
avrei
mai
pensato
di
confrontarmi
con
certe
questioni
se
non
avessi
conosciuto
la
passionale
genialità
di
Leonardo
Chiariglione,
non
avessi
avuto
l’occasione
di
un
confronto
serrato
e
costante
con
un
innovatore
cose
come
Stefano
Quintarelli
o,
piuttosto,
mi
fosse
mancata
la
possibilità
di
vedere
da
vicino
quanto
la
Rete
oltre
a
strumento
di
informazione
possa
anche
divenire
oggetto
di
informazione
confrontandomi
con
Marco
Montemagno.
Le
riflessioni
giuridiche
contenute
nelle
pagine
che
seguono,
il
metodo
e
l’approccio
ai
problemi
è,
ovviamente,
merito
esclusivo
dei
Maestri
di
diritto
che
ho
incontrato
sul
mio
cammino
e,
quindi,
dei
tanti
studiosi,
amici
e
colleghi
del
Cirsfid
dell’Università
di
Bologna,
del
Prof.
Enrico
Pattaro
e
di
Giovanni
Sartor
ma
anche
di
Giuseppe
Corasaniti
che
mi
ha
voluto
vicino
in
un
ormai
lungo
cammino
di
divulgazione
della
cultura
informatica
giuridica
elaborata
da
altri
Maestri
di
stagioni
più
lontane
nel
tempo
quali
Vittorio
Frosini
e
Renato
Borruso.
L’Università,
tuttavia,
talvolta
guarda
la
Rete
da
lontano
e
non
la
usa
in
tutte
le
sue
potenzialità
e,
quindi,
non
posso
dimenticare
la
preziosa
occasione
di
continuo
aggiornamento
ed
approfondimento
che
mi
è
stata
offerta
dalle
discussioni
di
lista
con
gli
amici
del
Circolo
dei
giuristi
telematici
e
con
quelli
del
Csig.
Sono
convinto,
d’altra
parte,
che
avrei
guardato
ad
alcuni
problemi
e
proposto
soluzioni
diverse
se,
lungo
il
mio
cammino,
anche
se
solo
di
recente,
non
avessi
incontrato
Juan
Carlos
De
Martin
e
non
fossi
stato
stimolato
all’approfondimento
di
talune
questioni
dalla
ricerca
del
suo
Centro
Studi
Nexa
del
Politecnico
di
Torino.
Un
grazie
lo
devo,
certamente,
a
molti
altri
che,
in
questo
momento,
probabilmente
non
ricordo
o
perché
ho
condiviso
con
loro
momenti
di
confronto
intenso
ma
non
costante
o,
al
contrario,
perché
sono
tanto
entrati
a
far
parte
del
mio
quotidiano
da
non
consentirmi
di
scinderne
idealmente
nomi
ed
identità.
Riflettere,
ragionare,
tentate
di
capire,
scrivere
e
comunicare
convinzioni
ed
opinioni,
richiede
prima
ancora
che
conoscenza,
tempo,
serenità
e
passione:
amicizie,
affetti
e
famiglia,
7
quindi,
costituiscono,
a
mio
avviso,
irrinunciabili
ingredienti
di
qualsiasi
esercizio
culturale.
I
meriti
dell’opera
sono,
dunque,
diffusi
mentre,
come
di
consueto,
ogni
errore
concettuale
ed
ogni
refuso
è
da
imputare
esclusivamente
all’autore.
8
Guido
Scorza
1.
La
responsabilità
degli
intermediari.
Di
Google,
Pirate
bay,
Rapidshare
ed
altri
demoni.
Non
chiamiamolo
il
“Caso
Google”.
27
luglio
2008
http://www.guidoscorza.it/?p=324
Il
fatto1
è
ormai
noto:
la
Procura
della
Repubblica
di
Milano
sembra
intenzionata
‐
le
notizie
sono
ancora
poche
e
frammentarie
‐
a
contestare
a
4
dirigenti
di
Big
G
la
violazione
della
disciplina
sulla
privacy
e
quella
in
materia
di
diffamazione
per
non
aver
impedito
a
4
ragazzini
torinesi
di
postare
su
Google
video
la
"cronaca"
girata
con
un
videofonino
di
una
loro
bravata
in
danno
di
un
compagno
di
scuola
meno
fortunato
perché
down.
Come
già
accaduto
nel
novembre
del
2006
quando
la
storia
venne,
per
la
prima
volta,
alla
ribalta
in
Rete
e
‐
per
una
volta
‐
fuori
dalla
Rete
non
si
parla
d'altro
e
il
"Caso
Google"
tiene
banco
in
TV
come
sui
giornali.
E'
comprensibile
perché,
questa
volta,
nell'occhio
del
ciclone
ci
è
finito
il
colosso
di
Mountain
View
ma,
la
vicenda,
non
è
molto
diversa
da
tante
altre
che
si
sono
già
consumate
in
danno
di
soggetti
meno
noti
rei
soltanto
di
aver
messo
a
disposizione
di
un
utente
uno
strumento
capace
di
consentirgli
di
dire
la
sua
al
mondo
intero.
E'
per
questo
‐
e
da
qui
il
titolo
di
questo
post
‐
che
io
non
parlerei
di
un
"Caso
Google".
L'iniziativa
dei
giudici
milanesi
trascende
le
sorti
dei
4
quattro
dirigenti
di
Google
e
riguarda,
piuttosto,
due
principi
che
mi
stanno
particolarmente
a
cuore:
la
rete
come
strumento
di
esercizio
della
libertà
di
manifestazione
del
pensiero
e
la
Net‐
neutrality.
Due
parole
sotto
entrambi
i
profili:
1
Il
18
ottobre
2008,
David
Carl
Drummond,
presidente
e
poi
Ad
di
Google
Italy;
George
De
Los
Reyes,
membro
del
Cda
di
Google
Italy
e
poi
Ad;
Peter
Fleitcher,
responsabile
delle
strategie
per
la
privacy
per
l'Europa;
Arvind
Desikan,
responsabile
del
progetto
Google
Video
per
l'Europa,
sono,
successivamente,
stati
citati
in
giudizio
ed
accusati
di
concorso
in
diffamazione
e
violazione
della
privacy.
Il
testo
del
decreto
di
citazione,
pubblicato
da
Il
sole
24
ore.com
è
reperibile
all’URL
http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/Norme%20e%20Tributi/2008/11/
google‐diffamazione‐citazione‐giudizio‐minorenne.shtml?uuid=304240e2‐acde‐
11dd‐b5f0‐553f252854bf&DocRulesView=Libero#.
9
1.
In
tutti
i
Paesi
del
mondo
si
lotta
da
centinaia
di
anni
per
garantire
a
tutti
i
cittadini
l'esercizio
della
libertà
di
manifestazione
del
pensiero.
Si
è,
tuttavia,
sin
qui
trattato
di
una
battaglia
persa
perché
la
limitatezza
delle
possibilità
di
accesso
ai
media
mainstream
hanno
sempre
fatto
sì
che
pochi
potessero
parlare
e
gli
altri
fossero
costretti
ad
ascoltare.
Oggi
è
diverso:
grazie
a
Internet
il
problema
della
limitatezza
delle
possibilità
di
accesso
ai
media
è
superato
e
chiunque
può,
in
pochi
click,
far
sentire
la
sua
voce
lontano
ed
a
milioni
di
persone.
Il
presupposto
perché
ciò
sia
possibile
e
che
esista
‐oltre
alla
connettività
diffusa
in
ogni
area
del
Paese
‐
un'adeguata
infrastruttura
di
comunicazione
liberamente
accessibile
da
chiunque
senza
costi
ed
in
modo
immediato.
Tale
infrastruttura
è
quella
che
gli
UGC,
ormai
da
anni,
pongono
a
disposizione
dei
propri
utenti.
Milioni
di
gigabyte,
migliaia
e
migliaia
di
video,
centinaia
e
centinaia
di
informazioni,
idee
ed
opinioni
che
ogni
ora
prendono
così
la
strada
del
web
senza
che
nessuno
possa
arrestarne
la
corsa.
Un
solo
principio
dovrebbe
guidare
questo
nuovo
universo
dell'informazione:
chi
sbaglia
o,
comunque,
viola
gli
altrui
diritti
deve
pagare.
Pensarla
diversamente
e
rintracciare
in
capo
a
chi
gestisce
‐
sebbene
non
per
pura
filantropia
‐
quella
straordinaria
infrastruttura
di
comunicazione
un
dovere
non
scritto
e
tecnicamente
inattuabile
di
controllo
sui
contenuti
immessi
in
Rete
dagli
utenti,
semplicemente,
vuol
dire,
non
comprendere
il
senso
della
rivoluzione
in
atto
e,
soprattutto
‐
come
ha
già
fatto
notare
Stefano
Rodotà
dalle
colonne
di
Repubblica
‐
pretendere
di
applicare
regole
vecchie
ad
un
contesto
nuovo.
2.
Una
tecnologia
come
già
ricordava
Layla
Pavone
nel
2006
è
neutra
rispetto
alla
liceità
o
illiceità
delle
condotte
attraverso
essa
poste
in
essere2.
2
Il
post
pubblicato
da
Layla
Pavone
il
26
novembre
2006
sul
suo
blog:
http://laylapavone.blogspot.com/
Google
e
Internet
caccia
alle
streghe
Siamo
nell'arco
di
48
ore
ripiombati
nel
Medio
Evo.
Si
Signori,
siamo
di
nuovo
nel
Medio
Evo
dell'informazione
ed
e'
partita
la
caccia
alle
streghe.
La
classe
politica,
il
quinto
potere,
il
sistema
giudiziario
italiano
stanno
dimostrando
la
loro
totale
inadeguatezza
nell'occuparsi
di
una
problema
come
quello
dell'informazione
via
internet.
E
la
dimostrazione
di
questa
incapacità
totale
di
gestire
la
situazione
si
e'
palesata
proprio
con
la
vicenda
del
video
della
violenza
sul
ragazzo
handicappato,
dove
anziché
analizzare
il
problema
nella
sua
evidenza
dal
punto
di
vista
sociologico
e
psicologico‐ovvero
perché
quattro
adolescenti
decidono
di
picchiare
un
loro
10
Colpevolizzare
i
gestori
dell'infrastruttura
di
comunicazione
è
un
pò
come
contestare
ad
un
tassista
(anzi
no,
date
le
dimensioni
del
fenomeno,
almeno
al
macchinista
di
un
treno
da
migliaia
di
persone)
di
aver
portato
sul
luogo
dell'omicidio
il
killer
o,
piuttosto
ad
un
postino
di
aver
consegnato
una
lettera
minatoria…
Net‐neutrality,
direi
una
parola
da
non
dimenticare
ed
un
principio
cui
ispirare
lo
sviluppo
della
disciplina
della
materia.
Chi
vuol
imbavagliare
la
Grande
Rete?
Ottobre
2008
Internet
Magazine
compagno
più
debole
e
indifeso
riprendendo
la
scena
con
cellulare
e
poi
renderla
pubblica?
‐
ci
si
sta
focalizzando
su
un
altro
versante
che
e'
di
tutt'altra
natura.
Insomma,
non
so
se
mi
spiego
ma
siamo
davvero
la
paradosso:
si
e'
perso
di
vista
l'obiettivo,
si
da'
la
colpa
a
Google,
ad
Internet
che
hanno
fatto
la
stessa
funzione
che
avrebbe
potuto
avere
un
qualunque
altro
veicolo
‐che
so
una
chiavetta
USB
recapitata
alla
sede
dell'Ansa
attraverso
un
corriere‐
anziché
andare
una
volta
per
tutte
a
fondo
del
problema
della
generazione
dei
teen‐agers
sempre
più
in
balia
di
una
società
che
di
tutto
si
occupa
fuorché
di
loro.
L'establishment
si
e'
rivelato
in
tutta
la
sua
incapacità
di
rapportarsi
con
la
vita
reale.
E
per
dare
l'impressione
di
sapersene
occupare
ha
deciso
di
emettere
una
condanna
nei
confronti
di
Internet
senza
nemmeno
conoscerne
le
funzionalità.
Come
dire,
si
sta
colpevolizzando
il
vettore
(il
corriere,
se
si
fosse
trattato
della
chiavetta
Ubs
inviata
alle
sede
dell'Ansa)
anziché
domandarsi
ed
andare
a
fondo
del
perché
si
sia
verificato
un
atto
come
quello
della
scuola
di
Torino.
Aiuto!
Ma
in
che
Paese
viviamo???
Ma
come
non
preoccuparsi
del
fatto
che
sia
partita
l'ennesima
campagna
TV
anti‐
internet,
nata
e
strumentalizzata
con
lo
"scandalo"
Google?
...Telegiornali
che
parlano
tangenzialmente
delle
nefandezze
di
quattro
giovani
disgraziati,
puntando
il
dito
su
Google
piuttosto
che
approfondire
le
cause
della
"degenerazione"
di
questi
ragazzi.
Ma
come
si
fa
a
questo
punto
a
non
assumere
un
atteggiamento
di
difesa
della
libertà
dell'informazione
che
nessun
altro
media
al
di
fuori
di
internet
e'
in
grado
di
garantire?
Ma
come
non
dire
allora
che
la
causa
di
questo
ed
altri
raccapriccianti
episodi
di
violenza
siano
in
gran
parte
dovuti
ai
modelli
comportamentali
che
oggi
offre
la
TV
ai
minori?
Come
non
denunciare
questa
TV
che
e'
allo
sbando
e
che
ne
se
frega
altamente
di
rispettare
le
fasce
protette,
mandando
on
air
programmi
allucinanti,
che
contengono
sesso,
violenze
verbali
e
fisiche,
proposti
qualunque
ora
della
giornata?
Vorrei
lanciare
un
appello
a
tutti
i
miei
colleghi
ed
e'
quello
di
creare
immediatamente
un
Comitato
permanente
per
l'informazione
su
Internet
che
possa
essere
il
punto
di
riferimento
per
far
conoscere
alle
istituzioni
giudiziarie,
politiche
e
agli
organi
di
informazione
il
valore
e
le
peculiarità
della
rete.
Questa
caccia
alle
streghe
non
ha
nessun
fondamento
e
il
Medio
Evo
e'
cosa
di
500
anni
fa.
Indietro
non
si
può
tornare,
si
può
solo
avanzare.
11
L'Italia
dichiara
guerra
ai
pirati
anzi,
ai
porti
nei
quali
attraccano
anche
Galeoni
pirata.
Cose
d'altri
tempi
si
potrebbe
pensare
ma
si
sbaglierebbe.
E',
infatti,
proprio
questo
il
senso
del
provvedimento
con
il
quale
lo
scorso
primo
agosto
il
GIP
presso
il
Tribunale
di
Bergamo
ha
ordinato
“cautelativamente”
a
tutti
gli
ISP
italiani
di
interdire
l'accesso
“
‐
all’indirizzo
www.thepiratebay.org;
‐
ai
relativi
alias
e
nomi
di
dominio
presenti
e
futuri,
rinvianti
al
sito
medesimo;
‐
all’indirizzo
IP
statico
83.140.176.146,
che
al
momento
risulta
associato
ai
predetti
nomi
di
dominio.
e
ad
ogni
ulteriore
indirizzo
IP
statico
associato
ai
nomi
stessi
nell’attualità
e
in
futuro.”.
Ma
cominciamo
dal
principio
ovvero
dalla
Baia.
The
Pirate
Bay
è
un
sito
internet
attraverso
il
quale
gli
utenti
di
tutto
il
mondo
possono
ricercare
files
torrent
relativi
a
musica,
video,
software,
videogame
ed
ogni
altro
contenuto
digitale.
Si
tratta
di
un
progetto
internazionale
che,
ormai
da
anni,
è
divenuto
il
punto
di
riferimento
di
un
certo
modo
di
intendere
la
Rete
ed
ha,
proprio
per
questo,
già
in
passato,
formato
oggetto
di
attenzione
–
per
usare
un
eufemismo
–
dei
rappresentanti
delle
major
dell'audiovisivo
e
delle
Auitorità
giudiziarie
di
diversi
Paesi.
Definire
la
Baia
come
un'isola
di
Pirati
nel
senso
deteriore
del
termine
come
sembra
fare
il
Giudice
nell'Ordinanza
con
la
quale
ha
ordinato
ai
provider
italiani
–
quasi
che
fossero
la
Guardia
Costiera
della
Rete
–
di
interdire
ai
naviganti
battenti
bandiera
tricolore
di
attraccare
sulle
spiagge
dell'isola
è,
francamente,
riduttivo.
I
motori
della
Baia
indicizzano
ogni
giorno
milioni
di
files
torrent
relativi
a
brani
musicali
di
artisti
emergenti
che
reietti
dalle
major
dell'audiovisivo
o,
piuttosto,
non
avendo
occasione
di
entrare
in
contatto
con
il
mondo
della
musica
che
conta
scelgono
la
Rete
come
modo
per
farsi
conoscere
o,
piuttosto,
documentari
e
reportage
che
riportano,
senza
censure
e
reticenze,
ciò
che
accade
negli
angoli
più
remoti
del
Pianeta
e
che
i
media
mainstream
scelgono
di
non
raccontare
o,
infine,
contenuti
di
elevato
valore
culturale
ma
basso
appeal
di
mercato
e,
dunque,
praticamente
introvabili
sugni
scaffali
dei
mediastore
delle
nostre
città.
Difficile
negare
–
ed
è
bene
sottolinearlo
per
evitare
fraintendimenti
–
che
il
motore
di
ricerca
della
Baia
indicizzi
anche
contenuti
digitali
protetti
da
diritti
d'autore
e
che,
pertanto,
in
questo
senso,
agevoli
il
download
non
autorizzato
di
tali
contenuti
ma,
da
qui
a
definire
“fuori
legge”
l'intera
Baia
il
passo
non
è
affatto
breve.
Miglia
e
miglia
marine
–
per
rimanere
nella
metafora
–
infatti,
separano
chi
viola
gli
altrui
diritti
d'autore
da
chi
gestisce
12
uno
dei
tanti
servizi
di
intermediazione
della
comunicazione
caratteristici
dell'architettura
di
Rete.
Una
cosa
è
svaligiare
un
appartamento
dopo
essersi
fatti
una
copia
delle
chiavi
e
cosa
diversa
è
aver
riprodotto
–
tra
decine
e
decine
di
altri
esemplari
di
chiavi
–
anche
quelle
poi
utilizzate
per
il
furto.
E'
per
questo
che,
proprio
la
configurabilità
in
astratto
–
ed
a
prescindere,
dunque,
dalla
vicenda
di
Pirate
Bay
–
di
una
responsabilità,
in
capo
al
gestore
di
un
motore
di
ricerca
di
files
torrent,
per
i
contenuti
diffusi
o
scaricati
dai
suoi
utenti
costituisce,
probabilmente,
l'aspetto
di
maggior
interesse
del
Caso
The
Pirate
Bay.
Il
provvedimento
con
il
quale
il
magistrato
di
Bergamo
ha
“vietato”
thepiratebay
ai
naviganti
italiani
è
un
provvedimento
preventivo
con
la
conseguenza
che
esso
è
assunto
sulla
base
di
una
semplice
ipotesi
di
reato
che
potrà
o
meno
risultare
confermata
all'esito
di
un
procedimento
che,
nel
nostro
caso,
è
appena
iniziato.
Il
reato
contestato
ai
gestori
di
thepiratebay
è
quello
previsto
e
punito
dagli
articoli
110
c.p.
e
171
‐
ter,
comma
2,
lettera
a
bis),
della
Legge
22
aprile
1941
n.
633
per
aver
“in
concorso
tra
loro
e
con
altri
attualmente
ignoti,
in
violazione
dell’articolo
16
della
suddetta
legge
(n.d.r.
La
Legge
sul
Diritto
d'autore)
ed
a
fini
di
lucro”
comunicato
“al
pubblico
opere
dell’ingegno
protette
dal
diritto
di
autore,
in
particolare
file
musicali;
documenti
di
testo,
riproduzioni
digitali
di
pubblicazioni
a
stampa,
audiolibri,
immagini,
opere
cinematografiche
e
televisive,
programmi
informatici
(secondo
il
dettagliato
elenco
dinamico,
in
costante
aggiornamento,
pubblicato
sul
sito
medesimo,
distinto
per
tipologie
di
file,
reperibile
a
partire
dall’indirizzo
web
http://thepiratebay.org/browse),
immettendo
le
opere
stesse
sulla
rete
Internet
attraverso
il
sito
identificato
dai
seguenti
nomi
di
dominio
(tutti
alias
del
medesimo
sito):
‐
www.thepiratebay.org:
‐
www.angloamericanletting.corn;
‐
www.piratebay.net
‐
www.piratebay.org
‐
www.thepiratebay.com
‐
wwvw.thepiratebay.net;
‐
www.thepiratebay.org
fatto
commesso
adibendo
il
suddetto
sito
a
torrent
tracker
e
quindi
rendendo
disponibili,
sulle
corrisponderti
“pagine
web”
codici
alfanumerici
complessi
del
tipo
“torrent”,
in
grado
di
identificare
univocamente
i
singoli
file
e
di
consentire,
agi
utenti
registrati
sul
sito,
di
scambiare
tra
loro
copie
integrali
o
parziali
dei
file
stessi;
ravvisandosi
il
lucro
negli
introiti
delle
inserzioni
pubblicitarie
a
pagamento
inserite
sul
sito
stesso,
come
pure
nella
tariffa
‐
non
inferiore
ad
Euro
cinquemila
‐
applicata
agli
utenti
che
accedono
al
sito
in
deroga
alle
politiche
di
utilizzo
prescritte
dagli
amministratori.”.
13
Tale
reato,
peraltro
–
stando
a
quanto
ipotizzato
dall'accusa
–
sarebbe
stato
commesso
“con
l’aggravante
di
cui
all’arr.
61
n.
7
c.p..,
per
aver
cagionato
ai
detentori
del
diritto
patrimoniale
di
autore
sulle
suddette
opere
un
danno
patrimoniale
di
rilevante
gravità
(essendo
indici
sintomatici
della
ritenuta
gravità
sia
l’elevatissimo
numero
di
opere
dell’ingegno
abusivamerne
circolanti
tramite
il
sito
che
il
considerevole
prezzo
di
mercato
del
software
reso
disponibile,
comprensivo
sia
di
sistemi
operativi
che
di
programmi
informatici
applicativi
per
uso
professionale)”.
Il
Giudice
per
le
indagini
preliminari,
nel
pronunciare
il
provvedimento
del
primo
agosto
pur
prendendo
atto
del
fatto
che
i
server
della
baia
non
ospitano
direttamente
contenuti
protetti
da
diritto
d'autore
ha,
comunque,
ritenuto
che
la
funzione
di
indicizzazione
svolta
dal
sito
sia
“
strettamente
strumentale
alla
consumazione
dello
scambio
di
file
al
di
fuori
delle
fonti
messe
a
disposizione
dai
detentori
dei
diritti
di
autore
e
comunque
al
di
fuori
degli
ordinari
e
leciti
circuiti
commerciali
dei
beni
oggetto
di
proprietà
intellettuale”.
Si
tratta
di
una
conclusione
che
non
convince
in
quanto
essa
rischia
di
condurre
ad
un
profondo
ripensamento
di
uno
dei
principi
fondamentali
attorno
ai
quali
è
cresciuta
e
si
è
sviluppata
la
Rete:
quello
della
non
resposansabilità
degli
intermediari
della
comunicazione.
Una
volta
affermato
il
principio
per
il
quale
i
gestori
di
un
motore
di
ricerca
di
files
torrent
sono
responsabili
per
l'eventuale
download
illegale
posto
in
essere
dai
propri
utenti
è
piuttosto
difficile
resistere
alla
tentazione
di
imputare
analoga
responsabilità
ai
titolari
di
un
motore
di
ricerca
per
eventuali
contenuti
illeciti
–
anche
sotto
profili
diversi
dalla
proprietà
intellettuale
(pedopornografia,
notizie
diffamatorie,
diffusione
di
dati
personali,
insider
trading,
aggiotaggio)
–
indicizzati.
Difficile,
d'altra
parte,
trovare
convincenti
le
motivazioni
sulla
cui
base
il
magistrato
è
giunto
alla
conclusione
di
ritenere
attendibile
l'ipotesi
di
reato
formulata
dall'accusa.
Scrive,
infatti,
il
Giudice
nell'Ordinanza
che
l’ipotesi
apparirebbe
“vieppiù
fondata
‐
anzi
del
tutto
pacifica
‐
avendo
riguardo
agli
assetti
ed
ai
contenuti
del
sito
in
esame,
che
programmaticamente
non
prevede
alcune
attenzione
al
rispetto
dei
diritti
di
autore”.
Ciò,
secondo
lo
stesso
giudice,
potrebbe
evincersi
“dalla
denominazione,
innanzitutto
‐
sintomatica
di
un
chiaro
e
convinto
riferimento
alta
“pirateria
informatica”
(
The
Pirate
Bay
La
baia
dei
pirati)
‐
come
pure
dalle
indicazioni
riportare
sulle
pagine
stesse
del
sito,
dove
si
evidenzia,
tra
l’altro
che
gli
unici
contenuti
14
destinati
ad
essere
filtrati
e
bloccati
dagli
amministratori
di
sistema
sono
quelli
concretamente
fastidiosi
ovvero
dannosi
per
gli
utenti,
vale
e
dire
virus
informatici,
messaggi
in
qualche
modo
molesti
(cd.
“spam”),
file
contraffatti
(cd.
“fake”
‐
falsi
‐
il
cui
contenuto
non
risponde
alla
denominazione),
con
esclusione
di
ogni
altro
file
e
quindi
senza
alcun
discrimine
tra
contenuti
legalmente
detenuti
e
diffusi
e
contenuti
che
al
contrario
non
lo
sono”.
Come
dire
che
invitare
al
rispetto
della
netiquette
e
prevedere
strumenti
autodisciplinari
per
eventuali
violazioni
del
codice
deontologico
della
Rete
costituisce
indice
sintomatico
della
natura
illecita
di
un'iniziativa
telematica
o,
piuttosto
–
con
riferimento
all'attenzione
mostrata
dal
giudice
verso
il
nome
della
baia
–
che
l'abito
non
fa
il
monaco
ma
fa
il
pirata.
In
tale
contesto,
prima
di
assumere
decisioni
“giustizialiste”
che
rischiano,
peraltro
–
come
emerge
dallo
stesso
tenore
letterale
dell'ordinanza
del
GIP
di
Bergamo
–
di
essere
fortemente
intrise
di
contenuti
ideologici
e,
soprattutto,
influenzate
da
considerazioni
linguistiche
o
etimologiche
piuttosto
che
giuridiche
occorre
tener
presente
il
rischio
di
pericolose
derive
che
porterebbero,
nel
breve
periodo,
ad
una
radicale
trasformazione
della
Rete
Italiana.
Il
principio
della
non
responsabilità
–
salvo
casi
eccezionali
–
degli
intermediari
della
comunicazione
è,
peraltro
oggi
fissato
a
chiare
lettere
nella
disciplina
europea
sul
commercio
elettronico
con
la
conseguenza
che
il
“divieto
di
attracco”
sulle
spiagge
della
grande
Baia
disposto
dal
giudice
italiano
rischia
anche
di
minare
delicati
equilibri
tra
gli
ordinamenti
dei
Paesi
membri
e
di
“frammentare”
l'Internet
europea.
Seguendo
questa
rotta,
per
chiudere
una
baia
“virtuale”
asseritamente
“pirata”
si
rischia
di
dar
vita
a
baie
reali
ovvero
a
isole
geograficamente
confinanti
nelle
quali
regnano
regole
giuridiche
diverse
per
cui
per
individuare
files
torrent
attraverso
thepiratebay
basta
fare
una
gita
nella
Repubblica
di
San
Marino
o,
piuttosto,
appoggiare
il
portatile
sulle
mura
della
Città
del
Vaticano
intercettando
la
banda
del
provider
pontificio.
Decisioni
di
questo
tipo
segnano
un
ritorno
al
passato
e
ricordano
quella
dimensione
“pre‐globalizzata”
della
comunicazione
che
Internet
ha
relegato
per
sempre
ai
libri
di
storia
ed
alle
carte
nautiche
di
altri
tempi.
Come
già
anticipato,
tuttavia,
quella
del
primo
agosto
è
solo
un'ordinanza
cautelare
che
benché
idonea,
per
il
momento,
a
rendere
meno
agevolmente
accessibile
–
in
Rete,
ovviamente,
già
fioccano
i
rimedi
per
accedere
alla
Baia
agirando
le
restrizioni
dei
15
provider
italiani
–
thepiratebay
non
stabilisce
nulla
di
definitivo
sull'effettiva
responsabilità
dei
suoi
gestori.
Converrà,
pertanto,
rinviare
ogni
ulteriore
commento
alle
conclusioni
di
una
battaglia
legale
che
–
anche
data
la
fiera
reazione
dei
gestori
di
thepiratebay
e
della
comunità
telematica
–
si
preannuncia
lunga
e
ricca
di
colpi
di
scena.
C'è,
tuttavia,
un
altro
aspetto
della
vicenda
che
colpisce
e
solleva
più
di
una
preoccupazione.
Il
Giudice
non
si
è
limitato
ad
ordinare
ai
provider
“operanti
in
italia”
di
rendere
inaccessibile
un
certo
sito
internet
o,
piuttosto,
un
determinato
nome
di
dominio
ma
è
andato
oltre,
spingendosi
ad
ordinare
agli
ISP
di
disabilitare
egualmente
l'accesso
ad
ogni
altro
nome
di
dominio
che,
anche
in
futuro,
dovesse
rendere
raggiungibili
le
medesime
risorse.
Per
questa
via,
tuttavia,
il
magistrato
ha
finito
con
l'imporre
agli
internet
service
provider
un
obbligo
di
sorveglianza
(quasi)
generale
in
aperto
contrasto,
ancora
una
volta,
con
i
principi
di
diritto
ormai
affermatisi
nell'Ordinamento
Europeo
che
escludono
categoricamente
la
sussistenza
di
un
simile
obbligo
in
capo
agli
intermediari
della
comunicazione.
Scrivo
veleggiando
tra
Saint
Malo,
la
città
corsara
e
Jersey,
l'isola
dei
pirati
di
Sua
Maestà
e
sarà
forse
per
questo
che
mi
sento
istintivamente
portato
ad
augurarmi
che
la
grande
baia
torni
presto
accessibile
ai
naviganti
italiani
così
come
lo
è,
in
queste
ore,
a
chiunque,
come
me,
abbia
la
fortuna
di
attraccarvi
da
terre
straniere.
Non
sono
preoccupato
perché
la
chiusura
della
Baia
precluderà
a
tanti
naviganti
italiani
di
scaricare
sui
propri
PC
musica
e
film
“a
scrocco”
ed
in
barba
agli
altrui
diritti
d'autore.
E'
giusto
così
e
non
credo
che
la
storia
di
Robin
Hood
possa
costituire
un
valido
alibi
per
infrangere
impunemente
le
leggi
così
come
non
costituisce
una
scusa
credibile
per
l'introduzione
di
nuovi
balzelli.
Rubare
è
reato
tanto
che
si
lo
si
faccia
in
danno
dei
più
ricchi
e
che
si
rubi
proprietà
intellettuale
tanto
che
lo
si
faccia
in
danno
dei
meno
ricchi
e
che
si
rubino
barattoli
di
marmellata.
Il
punto
–
nella
vicenda
di
thepiratebay
così
come
in
ogni
altra
vicenda
relativa
a
pretese
responsabilità
di
intermediari
della
comunicazione
per
le
condotte
dei
propri
utenti
–
è
un
altro
e
concerne
la
libertà
di
comunicazione
e
di
accesso
alla
cultura
digitale
nella
società
dell'informazione.
In
gioco
non
c'è
la
sopravvivenza
di
thepiratebay
–
chiusa
una
baia
se
ne
apre
un'altra!
‐
ma
il
rischio
di
veder
messo
in
discussione
un
principio
fondamentale
per
la
sopravvivenza
della
16
Rete:
quello
secondo
il
quale
solo
chi
rompe
paga
e
non
anche
chi
è
nel
mezzo
tra
la
fionda
ed
il
vetro.
Ogni
Paese
è,
ovviamente,
libero
di
stabilire
–
salvo
poi
la
difficoltà
di
farle,
in
concreto
rispettare
e
di
giustificare
certe
scelte
dinanzi
alla
comunità
internazionale
–
le
regole
che
ritiene
più
opportune
per
l'esercizio
di
ogni
attività
di
intermediazione
delle
comunicazioni
elettroniche
ma,
fino
a
quando
il
potere
legislativo
preferisce
restare
un
passo
indietro
e
lasciare
che
la
tecnologia
faccia
il
suo
corso,
l'Autorità
giudiziaria
–
che
in
ossequio
al
principio
della
separazione
dei
poteri
ha
esclusivamente
il
compito
di
far
rispettare
le
leggi
–
dovrebbe
astenersi
dal
sostituirsi
al
Parlamento
cercando
di
orientare
con
provvedimenti
cautelari
e
procedimenti
giudiziari
dall'esito
incerto
lo
sviluppo
della
politica
dell'innovazione.
E'
divenuto,
infatti,
ormai
troppo
frequente
il
ricorso
ai
Giudici
e
l'intervento
–
più
o
meno
autonomo
di
questi
ultimi
–
per
cercare
di
far
cristallizzare
regole
che
il
legislatore
non
ha
voloto
sin
qui
scrivere:
il
caso
Google
–
Vividown,
quello
Google
vs.
Mediaset,
le
decine
di
casi
che
hanno
visto
contrapposti
gli
ISP
ai
titolari
dei
diritti
d'autore
e,
ora,
il
caso
The
Pirate
Bay
sono
riconducibili
ad
un
teorema
unitario
e
preoccupante
che
vorrebbe
“spingere”
l'Autorità
giudiziaria
a
stabilire
un
principio,
sin
qui,
irrintracciabile
nel
nostro
ordinamento
secondo
il
quale
gli
intermediari
della
comunicazione
–
quale
che
sia
il
ruolo
da
essi
svolto
(ISP,
access
provider,
content
provider,
UGC
o
motori
di
ricerca)
–
devono
controllare
che
i
propri
servizi
non
vengano
utilizzati
in
violazione
di
altrui
diritti
e
possono
essere
chiamati
a
rispondere
sia
civilmente
che
penalmente
di
eventuali
condotte
illecite
poste
in
essere
per
il
loro
tramite.
Tale
teorema,
tuttavia,
non
conduce
solo
alla
riscrittura
delle
Regole
della
comunicazione
telematica
ma
impone,
nel
breve
periodo,
anche
una
radicale
riformulazione
del
codice
(in
questo
caso
nel
senso
di
bit)
sul
quale
poggia
l'infrastruttura
di
Rete.
La
proprietà
intellettuale
–
non
mi
stancherò
mai
di
ribadirlo
–
va
tutelata
e
chi
saccheggia
gli
altrui
diritti
d'autore
va
sanzionato
ma
guai
a
pensare
che
travolgere
l'architettura
di
Rete
e
criminalizzare
condotte
giuridicamente
e
tecnologicamente
neutrali
sia
il
modo
migliore
per
farlo.
Guai,
soprattutto,
a
dimenticare
che
i
diritti
di
proprietà
intellettuale
non
sono
sovra‐ordinati
rispetto
ad
altri
diritti
egualmente
fondamentali
quale,
ad
esempio,
quello
di
manifestazione
del
pensiero
e
che,
pertanto,
per
tutelare
il
portafoglio
delle
major
non
si
può
vietare
l'attracco
su
una
baia
attraverso
la
quale
vengono
diffuse
anche
informazioni
utili
a
17
raggiungere
contenuti
liberi
che
costituiscono
l'espressione
del
pensiero
o
dell'arte
di
milioni
di
naviganti.
Il
problema
non
è
di
merito
ma
di
metodo:
le
violazioni
della
proprietà
intellettuale
vanno
punite
e
sanzionate
ma
non
a
costo
di
sacrificare
irrimediabilmente
altri
diritti.
Agire
diversamente
ed
impostare
l'enforcement
dei
diritti
di
proprietà
intellettuale
secondo
lo
schema
caro
a
Monsieur
Olivennes
ed
al
Presidente
Sarkozy
così
come
alla
Procura
di
Bergamo
è
come
inibire
ad
un
giornalista
reo
di
un
illecito
diffamatorio
di
tornare
a
scrivere
o,
piuttosto,
chiudere
il
giornale
attraverso
il
quale
la
diffamazione
è
stata
perpetrata,
precludendo,
così,
a
milioni
di
cittadini
l'accesso
ad
informazioni
e
contenuti
utili
e
preziosi.
Il
problema
della
proprietà
intellettuale
in
Internet
è
una
questione
culturale
e,
come
tale,
va
affrontata
e
risolta:
meno
divieti
di
attracco,
più
informazione
e,
soprattutto,
maggiore
innovazione
nei
modelli
di
business
di
un'industria
–
quell'audiovisiva
–
che
ha,
probabilmente,
troppo
a
lungo
preteso
di
restare
eguale
a
se
stessa
vivendo
di
rendita.
Perché
non
creare
centinaia
di
baie
legali
con
tariffe
di
attracco
accessibili
ai
naviganti
e,
soprattutto,
adeguata
libertà
di
utilizzo
delle
risorse
legalmente
acquistate?
Io
intermedio,
tu
intermedi,
egli
ruba!
6
ottobre
2008
http://www.guidoscorza.it/?p=356
Gli
amici
del
Circolo
dei
Giuristi
telematici
hanno
appena
pubblicato
le
motivazioni
con
le
quali
il
Tribunale
del
riesame
di
Bergamo
ha
annullato
il
decreto
di
sequestro
di
Thepiratebay3.
3
Provvedimento
pubblicato
il
6
ottobre
2008
sul
sito
del
Circolo
dei
Giuristi
telematici
all’indirizzo:
http://www.giuristitelematici.it
Repubblica
Italiana
Tribunale
di
Bergamo
Sezione
penale
del
dibattimento
in
funzione
di
giudice
del
riesame
ordinanza
di
accoglimento
di
riesame
avverso
sequestro
preventivo
‐
art.
324
c.p.p.
‐
********
Il
Tribunale
di
Bergamo,
composto
dai
Magistrati:
dott.
Vittorio
Masia
Presidente
dott.
Stefano
Storto
Giudice
Rel.
dott.
Marialuisa
Mazzola
Giudice
letti
18
gli
atti
del
procedimento
in
epigrafe
nei
confronti
di
S.K.P.
Ed
altri
per
il
reato
di
cui
agli
artt.
110
c.p.
e
171
ter
co.
2
lett
a
bis)
L.
633/41
ed
esaminata
la
documentazione;
udite
le
parti
all'udienza
in
data
24.9.2008;
premesso
che,
su
richiesta
del
Pubblico
Ministero,
in
data
1.8.2008
il
GIP
di
Bergamo
disponeva
il
sequestro
preventivo
del
sito
web
www.thepiratebay.org,
disponendo
che
i
fornitori
di
servizi
internet
(Internet
Service
Provider)
e
segnatamente
i
provider
operanti
sul
territorio
dello
Stato
italiano
inibiscano
ai
rispettivi
utenti
–
anche
a
mente
degli
artt.
14
e
15
del
Decreto
Legislativo
n.
70
del
9.4.2003
–
l'accesso:
all'indirizzo
www.thepiratebay.org;
ai
relativi
alias
e
nomi
di
dominio
presenti
e
futuri,
rinvianti
al
sito
medesimo;
all'indirizzo
IP
statico
83.140.176.146,
che
al
momento
risulta
associato
ai
predetti
nomi
di
dominio,
e
ad
ogni
ulteriore
indirizzo
IP
statico
associato
ai
nomi
stessi
nell'attualità
ed
in
futuro;
rilevato
che
con
ricorso
ex
art.
324
c.p.p.
e
successiva
memoria
depositata
il
giorno
dell'udienza,
i
difensori
di
S.K.
chiedevano
la
revoca
del
sequestro,
eccependo
nullità
di
ordine
processuale;
difetto
di
giurisdizione;
insussistenza
del
fumus
delicti;
nonché
falsa
applicazione
dell'art.
321
c.p.p.,
degli
artt.
14/17
D.L.vo
70/03
e
della
direttiva
2000/31/CE;
ritenuto
che
non
può
allo
stato
revocarsi
in
dubbio
la
sussistenza
del
fumus
delicti
(quantomeno
secondo
la
tipicità
dell'art.
171
co.
1
lett.
a
bis)
L.
633/41),
alla
luce
di
quanto
evidenziato
dalla
Guardia
di
Finanza,
che
riferisce
di
un
elevatissimo
numero
di
contatti
al
sito
in
questione
registrati
sul
territorio
nazionale
(in
termini
di
alcune
centinaia
di
migliaia);
che
tali
contatti,
per
specificità,
l'evidenza
e
l'ampiezza
dell'offerta
contenuta
nel
sito
oggetto
di
cautela,
devono
essere
ragionevolmente
ricondotti,
almeno
in
una
significativa
parte,
all'acquisizione
in
rete
di
beni
protetti
dal
diritto
di
autore,
in
violazione
delle
norme
a
presidio
dello
stesso;
che
in
proposito
a
nulla
rileva
il
fatto
che
tali
beni
non
siano
nella
diretta
disponibilità
degli
indagati,
ma
collocati
in
archivi
contenuti
in
apparecchi
elettronici
di
altri
soggetti,
dal
momento
che
solo
le
informazioni
contenute
nel
sito
in
questione
(nel
quale
si
trovano
le
chiavi
per
accedere
agli
archivi
di
cui
sopra
e
attingerne
direttamente
documenti)
consentono
la
realizzazione
di
quei
contatti
in
numero
esorbitante
cui
fa
riferimento
la
Guardia
di
Finanza;
che
in
tale
contesto
risulta
del
tutto
evidente
come
gli
indagati,
attraverso
il
sito
www.thepiratebay.org,
quantomeno
mettano
a
disposizione
del
pubblico
della
rete
opere
dell'ingegno
protette,
condotta
astrattamente
rispondente
alla
tipicità
dell'art.
171
citato;
che,
riconosciuto
il
fumus
per
come
esposto,
deve
altresì
affermarsi
la
sussistenza
del
periculum,
dovendosi
in
proposito
osservare
che
l'elevatissimo
numero
di
connessioni
rilevate
induce
a
ritenere
in
via
probabilistica
(valutazione
del
tutto
compatibile
con
il
carattere
della
delibazione
cautelare)
l'attualità
della
commissione
del
delitto
ipotizzato;
che,
atteso
il
concreto
atteggiarsi
del
fatto
come
sopra
tratteggiato,
all'affermazione
della
sussistenza
di
fumus
e
periculum,
deve
conseguentemente
affermarsi
anche
la
sussistenza
della
giurisdizione
italiana;
considerato
19
Il
contenuto
del
provvedimento
è
questione
da
penalisti
e
la
lascio
a
Daniele4
ed
agli
altri
colleghi.
Io
mi
limito
ad
un
paio
di
considerazioni.
(1)
I
Giudici
del
riesame
hanno,
in
sostanza
stabilito
che
il
provvedimento
di
questa
estate
andava
annullato
perché
il
diritto
processuale
penale
non
contempla
provvedimenti
cautelari
atipici
e
un
ordine
di
inibitoria
è
cosa
diversa
da
un
ordine
di
sequestro.
A
che
occorra
ora
esaminare
il
profilo
inerente
alla
falsa
applicazione
dell'art.
321
c.p.p.,
che,
in
quanto
attinente
al
merito,
ha
natura
assorbente
degli
ulteriori
profili
eccepiti;
ritenuto
che
le
misure
cautelari
–
e
segnatamente
i
sequestri,
secondo
l'ordinamento
processuale
penale
–
hanno
carattere
di
numerus
clausus,
non
conoscendo
il
codice
di
rito
un
istituto
atipico
quale
quello
di
cui
all'art.
700
c.p.c.;
che
di
conseguenza
non
è
giuridicamente
possibile
emettere
sequestro
preventivo
al
di
fuori
delle
ipotesi
nominate
per
le
quali
l'istituto
fu
concepito;
che
il
sequestro
preventivo
ha
una
evidente
natura
reale
(come
peraltro
fatto
palese
dallo
stesso
nomen
iuris
del
genere
al
quale
esso
appartiene),
in
quanto
si
realizza
nell'apposizione
di
un
vincolo
di
indisponibilità
sulla
res,
che
sottrae
il
bene
alla
libera
disponibilità
di
chiunque;
che
dunque
l'ambito
di
incidenza
del
sequestro
preventivo
deve
essere
ristretto
alla
effettiva
apprensione
della
cosa
oggetto
del
provvedimento;
considerato
che
il
decreto
censurato
ha
il
contenuto
di
un
ordine
imposto
dall'Autorità
Giudiziaria
a
soggetti
(allo
stato)
estranei
al
reato,
volto
ad
inibire,
mediante
la
collaborazione
degli
stessi,
ogni
collegamento
al
sito
in
questione
da
parte
di
terze
persone;
che
tale
decreto
(pur
astrattamente
in
linea
con
la
previsione
degli
artt.
14
e
ss.
D.L.vo
70/03),
lungi
dal
costituire
materiale
apprensione
di
un
bene,
si
risolve
in
verità
in
una
inibitoria
atipica,
che
sposta
l'ambito
di
incidenza
del
provvedimento
da
quello
reale
–
come
detto
ambito
proprio
del
sequestro
preventivo
–
a
quello
obbligatorio,
in
quanto
indirizzato
a
soggetti
indeterminati
(i
cd.
provider),
cui
è
ordinato
di
conformare
la
propria
condotta
(cioé
di
non
fornire
la
propria
prestazione),
al
fine
di
ottenere
l'ulteriore
e
indiretto
risultato
di
impedire
connessioni
al
sito
in
questione;
ritenuto
che
l'uso
del
tipo
di
cui
all'art.
321
c.p.p.,
quale
inibitoria
di
attività,
non
può
però
essere
condiviso,
in
quanto
produce
l'effetto
di
sovvertirne
natura
e
funzione,
di
talché
il
sequestro
deve
essere
annullato;
PQM
visti
gli
artt.
321,
322
e
324
c.p.p.
annulla
il
decreto
di
sequestro
preventivo
emesso
in
data
1.8.2008
dal
GIP
di
questo
Tribunale.
Manda
alla
cancelleria
per
quanto
di
competenza.
Così
deciso
in
Bergamo,
il
24
settembre
2008
F.to
I
Giudici
Al
Pubblico
Ministero
Giancarlo
Mancusi
All'avv.
Giovanni
Battista
Gallus
del
Foro
di
Cagliari
anche
per
S.P.K.
All'avv.
Francesco
Paolo
Micozzi
del
Foro
di
Cagliari
Al
GIP
dott.ssa
Mascarino
4
Il
riferimento
è
al
collega
Daniele
Minotti,
blogger
su
www.minotti.net
20
me
‐
povero
civilista
‐
sembra
cosa
ovvia
ma…evidentemente
in
diritto
penale
non
lo
è
se
il
GIP
del
Tribunale
di
Bergamo
ha,
a
suo
tempo,
ritenuto
di
poter
ordinare
a
tutti
gli
ISP
italiani
di
rendere
inaccessibile
un
intero
sito…
A
prescindere
dai
tecnicismi
processual
penalistici,
sono,
comunque,
contento
del
provvedimento
perché
chiarisce
un
principio
a
me
assai
caro:
non
si
può
rendere
inaccessibile
un'intera
fonte
di
informazione
solo
perché
attraverso
essa
vengono
diffuse
ANCHE
informazioni
utili
a
commettere
un
reato
(ammesso
che
sia
così).
(2)
I
Giudici
del
riesame
indugiano
a
lungo
sulla
sussistenza,
nel
caso
di
specie,
del
requisito
del
fumus
boni
iuris,
espressione
cara
ai
giuristi
per
dire,
in
buona
sostanza,
che
l'azione
della
quale
il
provvedimento
cautelare
mira
a
salvaguardare
l'efficacia,
SEMMBRA
fondata.
Nel
nostro
caso
i
Giudici
del
riesame
stanno,
quindi,
dicendo
che
l'attività
contestata
a
The
Pirate
Bay,
sembra,
effettivamente,
illecita.
Ho
già
scritto
che
non
è
mia
intenzione
difendere
Thepiratebay,
non
essendo,
io
per
primo
‐
sotto
un
profilo
sostanziale,
ma
forse
sarebbe
meglio
dire
"politico‐sociale"
‐
convinto
della
bontà
dell'iniziativa.
Il
punto
è,
tuttavia,
un
altro:
i
principi
di
diritto
sono
suscettibili
di
applicazione
ripetuta
nel
tempo
a
fattispecie
analoghe
ma
contraddistinte
da
contenuti
diversi
ergo
il
principio
elaborato
dai
giudici
nella
vicenda
Thepiratebay
potrebbe
essere
applicato
domani
in
una
vicenda
THEPARADISEBAY.
E'
per
questo
che
mi
sembra
necessario
avanzare
qualche
perplessità
su
un
principio
che
i
Giudici
del
riesame
vorrebbero
far
passare
per
pacifico:
quello
secondo
il
quale
diffondere
informazioni
utili
al
raggiungimento
di
un'opera
dell'ingegno
equivale
a
"mettere
a
disposizione
del
pubblico"
‐
nel
senso
di
cui
all'art.
171,
lett.
a‐bis)
LDA
‐
l'opera
stessa5.
Francamente
non
credo
sia
così.
Tale
attività
è,
infatti,
caratteristica
di
tutta
una
serie
di
intermediari
della
comunicazione
che
svolgono
un
ruolo
5
Legge
n.
633
del
21
aprile
1941
(Legge
sul
diritto
d’autore),
Art.
171.
Salvo
quanto
previsto
dall'art.
171‐bis
e
dall'art.
171‐ter,
è
punito
con
la
multa
da
euro
51
a
euro
2.065
(185)
chiunque,
senza
averne
diritto,
a
qualsiasi
scopo
e
in
qualsiasi
forma:
omissis
a‐bis)
mette
a
disposizione
del
pubblico,
immettendola
in
un
sistema
di
reti
telematiche,
mediante
connessioni
di
qualsiasi
genere,
un'opera
dell'ingegno
protetta,
o
parte
di
essa.
omissis
21
essenziale
nelle
dinamiche
della
circolazione
telematica
dei
contenuti:
i
motori
di
ricerca,
ad
esempio.
Se
fosse
vero
quello
che
sostengono
i
Giudici
del
riesame,
nella
vicenda
thepiratebay,
si
starebbe
rivisitando
profondamente
la
disciplina
europea
sulla
non
responsabilità
degli
intermediari
della
comunicazione.
Si
tratta
di
un
rischio
al
quale
occorre
guardare
con
grande
attenzione
senza
"lasciarsi
prender
la
mano"
dalla
circostanza
che
IN
QUESTO
CASO
si
sta
parlando
di
una
baia
di
pirati.
Sfortunatamente,
tuttavia,
la
tendenza
ad
una
rivisitazione
di
quel
principio
va
diffondendosi
come
sottolineavo
già
l'altro
giorno
a
proposito
del
provvedimento
tedesco
contro
Rapidshare6.
C’era
una
volta
il
principio
della
non
responsabilità
degli
intermediari…
3
ottobre
2008
http://www.guidoscorza.it/?p=354
La
premessa
è
che,
sfortunatamente,
non
so
leggere
il
tedesco
e,
quindi,
non
posso
che
fidarmi
di
quello
che
ho
letto
in
giro
(Gaia,
peraltro,
è
una
fonte
più
che
affidabile7)
ma
la
recente
sentenza
resa
dai
giudici
tedeschi
mi
lascia
perplesso8.
Secondo
i
giudici
tedeschi,
infatti,
rapidshare
‐
sulla
cui
qualità
di
fornitore
di
hosting
non
mi
sembra
possa
dubitarsi
‐
sarebbe
tenuto
a
vigilare
sui
contenuti
"caricati"
dai
propri
utenti,
a
rimuovere
quelli
in
violazione
del
diritto
d'autore
nonché
a
tracciare
gli
IP
degli
uploader.
Le
parole,
le
sfumature,
i
concetti
in
diritto
sono
importanti
e,
quindi,
non
amo
commentare
una
decisione
che
non
sono
riuscito
a
leggere
direttamente
ma,
francamente,
la
sentenza
mi
sembra
difficilmente
conciliabile
con
questa
vecchia
norma
della
Direttiva
31/2000/UE:
Articolo
14
"Hosting"
1.
Gli
Stati
membri
provvedono
affinché,
nella
prestazione
di
un
servizio
della
società
dell'informazione
consistente
nella
memorizzazione
di
informazioni
fornite
da
un
destinatario
del
Cfr.
il
post
che
segue:
C’era
una
volta
il
principio
della
non
responsabilità
degli
intermediari…
7
Mi
riferisco
ad
un
articolo
di
Gaia
Bottà,
pubblicato
su
Punto
Informatico
il
3
ottobre
2008
e
consultabile
a
questa
URL:
http://punto‐
informatico.it/2425179/PI/News/germania‐rapidshare‐al‐controllo‐
preventivo.aspx
8
Il
testo,
in
tedesco,
della
decisione
è
reperibile
qui:
http://webhosting‐und‐
recht.de/urteile/Oberlandesgericht‐Hamburg‐20080702.html
6
22
servizio,
il
prestatore
non
sia
responsabile
delle
informazioni
memorizzate
a
richiesta
di
un
destinatario
del
servizio,
a
condizione
che
detto
prestatore:
a)
non
sia
effettivamente
al
corrente
del
fatto
che
l'attività
o
l'informazione
è
illecita
e,
per
quanto
attiene
ad
azioni
risarcitorie,
non
sia
al
corrente
di
fatti
o
di
circostanze
che
rendono
manifesta
l'illegalità
dell'attività
o
dell'informazione;
b)
non
appena
al
corrente
di
tali
fatti,
agisca
immediatamente
per
rimuovere
le
informazioni
o
per
disabilitarne
l'accesso.
Non
mi
stancherò
mai
di
ripetere
che
il
diritto
d'autore
costituisce
uno
degli
indispensabili
pilastri
della
società
dell'informazione
ma,
ad
un
tempo,
faccio
fatica
ad
allontanare
il
sospetto
che
in
nome
del
diritto
d'autore
si
stiano
travolgendo
principi
fondamentali
del
diritto
suscettibili,
tra
l'altro,
di
produrre
effetti
ben
al
di
là
dei
confini
della
proprietà
intellettuale.
Spero
di
poter
leggere
presto
la
sentenza
e
tornare
sull'argomento9.
La
responsabilità
dei
grandi…
29
ottobre
2008
http://www.guidoscorza.it/?p=370
Leggo
su
Punto
Informatico,
in
un
bell'articolo
di
Gaia10,
della
coraggiosa
decisione
annunciata
da
Rapidshare
di
non
procedere
a
nessuna
forma
di
filtraggio
sui
contenuti
degli
utenti
e,
dunque
‐
sebbene
solo
parzialmente
‐
di
non
dar
seguito
alla
decisione
con
la
quale
nelle
scorse
settimane
i
Giudici
tedeschi
gli
avevano
rimproverato
proprio
di
non
"controllare
in
maniera
proattiva
il
contenuto
prima
di
pubblicarlo"11.
Sfortunatamente
non
ho
ancora
imparato
il
tedesco
né
trovato
una
traduzione
della
Sentenza!
10
Il
riferimento
è
ad
un
articolo
di
Gaia
Bottà
pubblicato
su
Punto
informatico
il
29
ottobre
2008
e
consultabile
a
questa
URL:
http://punto‐
informatico.it/2454553/PI/News/rapidshare‐no‐al‐monitoraggio.aspx
11
Pubblico
qui
di
seguito
il
comunicato
con
il
quale
Rapidshare
ha
reso
nota
la
propria
decisione:
“RapidShare
will
not
control
Uploads
October
26,
2008
160
million
files
have
already
been
uploaded
to
RapidShare.
A
number
that
proves,
that
the
world
depends
on
moving
important
data
from
A
to
B.
A
number
that
also
proves,
that
RapidShare
with
its
fast
and
easy
services
also
addresses
users
that
are
no
computer
nerds.
RapidShare
is
the
first
technology
worldwide
that
made
sending
big
files
so
easy,
so
fast
and
so
secure.
The
files
can
be
stored
as
long
as
needed
and
can
be
recalled
from
anywhere
in
the
world,
they
are
strictly
confidential
and
can
only
be
accessed
by
the
user
that
originally
loaded
them
up,
or
alternatively
can
be
distributed
9
23
Innegabile
che
dietro
la
decisione
dei
vertici
di
uno
dei
più
grandi
fornitori
di
hosting
del
mondo
vi
sia
anche
la
preoccupazione
di
non
perdere
i
propri
utenti
che,
qualora
Rapidshare
non
li
avesse
rassicurati,
avrebbero
potuto
rinunciare
ad
avvalersi
dei
servizi
da
questo
messi
a
disposizione
per
evitare
di
incappare
in
fastidiosi
"filtri"
ed
"intercettazioni".
Ciò,
tuttavia,
non
toglie
nulla
alla
posizione
assunta
da
Rapidshare
secondo
cui
spetta
ai
grandi
"influenzare"
gli
orientamenti
di
politica
dell'innovazione.
Quando
cose
del
genere
capitano
ai
più
piccoli
fornitori
di
hosting,
infatti,
questi
ultimi
non
hanno
alternativa:
o
si
adeguano,
o
chiudono
o
chiuderanno
alla
prima
occasione
in
cui
un
titolare
dei
diritti
chiederà
loro
un
risarcimento
con
qualche
zero
di
troppo…
Sono
i
grandi,
invece,
che
hanno
sulle
spalle
la
responsabilità
di
contribuire
‐
senza
con
ciò
candidarsi
a
guidare
rivoluzioni
o
attacchi
pirati
‐
al
diffondersi
di
orientamenti
ed
approcci
più
equilibrati
e
ponderati
ai
problemi
giuridici
della
nuova
Era.
La
vicenda
Rapidshare
sono
la
prova
del
fatto
che
tra
la
teoria
di
certe
moderne
dottrine
antipirateria
e
la
pratica
il
passo
è
lungo.
Complimenti
a
Rapidhsare!
Parola
di
un
utente
che
non
ha
per
niente
voglia
di
sentirsi
dare,
solo
per
questo,
del
pirata!

…e
se
si
fosse
chiamata
Paradise
Bay?
among
thousands
of
people
quickly
and
easily.
With
a
couple
of
billion
page
impressions
per
day
we
know,
that
we
as
a
leader
will
have
to
pave
the
way
for
this
new
technology.
We
are
aware
of
the
fact
that
we
therefore
have
big
responsibility.
If,
for
example,
it
had
been
regulated
by
law
to
control
all
copies
before
the
first
photo
copier
was
invented,
it
is
very
likely
that
these
machines
would
have
never
hit
the
market.
That's
why
we
are
doing
everything
to
enable
this
new
technology
‐
which
is
still
very
young,
but
already
inspires
millions
of
people
every
day
‐
to
be
part
of
our
future
and
make
life
more
comfortable.
The
security
of
personal
data
is
very
important
to
us,
especially
in
these
times.
That's
the
reason
why
we
will
not
spy
out
the
files
that
our
clients
faithfully
upload
onto
RapidShare,
not
now
nor
in
future.
We
are
against
upload
control
and
guarantee
you
that
your
files
are
safe
with
us
and
will
not
be
opened
by
anyone
else
than
yourself,
unless
you
distribute
the
download
link.
RapidShare,
of
course,
is
against
the
distribution
of
illegal
files
and
as
soon
as
we
are
informed
about
illegal
distribution,
we
delete
these
files
and
put
them
on
a
filter.
But
the
general
control
of
uploads
is
out
of
the
question
for
us,
because
we
think
that
especially
in
these
times
data
privacy
comes
first.”.
24
15
settembre
2008
http://www.guidoscorza.it/?p=343
Thepiratebay
indicizza
i
files
torrent
delle
foto
dell'autopsia
di
due
bambini
morti
e
torna
nell'occhio
del
ciclone
come
responsabile
della
diffusione
delle
macabre
immagini.
(Fonte
Punto
Informatico)12.
Non
conosco
i
dettagli
della
vicenda
e
mi
astengo,
pertanto,
da
ogni
commento
strettamente
giuridico
sulla
stessa.
Mi
limito,
tuttavia,
a
rilevare
che
in
rete
circolano
migliaia
di
immagini
e
video
relative
ad
autopsie
di
ogni
genere
di
cadavere
(una
ricerca
su
un
qualsiasi
search
engine
o
IN
UN
UGC
varrà
a
darvene
conferma)
e
che
i
canali
televisivi
hanno
ormai
reso
le
autopsie
compagne
insostituibili
di
pranzi
e
di
cene
(basti
guardare
l'epopea
di
CSI,
post
mortem
e
le
decine
di
altre
serie
TV
di
analogo
contenuto)…segno
evidente
che
il
gusto
del
macabro
è,
sfortunatamente,
diffuso.
Si
tratta
di
immagini
la
cui
diffusione
in
alcuni
Paesi
può
risultare
contraria
alla
legge
specie
laddove
la
vittima
sia
riconoscibile
mentre,
in
altri,
"semplicemente"
contraria
alla
morale
comune…ammesso
che
ne
esista
UNA
SOLA…
Ove
la
diffusione
di
tali
immagini
è
contraria
alla
legge,
il
problema
torna
essere
quello
di
sempre:
chi
risponde
dei
contenuti
immessi
in
Rete
da
un
utente?
L'uGC,
il
gestore
di
un
motore
di
ricerca
o,
piuttosto,
l'utente
stesso?
Ove,
invece
‐
come
mi
sembra
di
capire
accade
in
Svezia
‐
la
diffusione
di
certe
immagini
è
contraria
alla
morale,
la
questione
si
complica
ed
occorre,
a
mio
avviso,
riconoscere
che
decidere
cosa
è
morale
e
cosa
non
lo
è,
non
è
sempre
semplice
e,
comunque,
non
può
essere
decisione
demandata
ad
un
UGC,
un
ISP
o
al
titolare
di
un
motore
di
ricerca…
Il
rischio,
davvero
dietro
l'angolo,
è
che
per
questa
via
si
finisca
con
il
restaurare
forme
di
censura
che
solo
Internet
ha
saputo
spazzare
lontano.
E
poi
si
dice
che
l'abito
non
fa
il
monaco,
se
ThePirateBay
si
fosse
chiamata
TheParadiseBay…sono
sicuro
la
notizia
non
avrebbe
fatto
il
giro
del
mondo.
Google,
Mediaset
e
quel
risarcimento
milionario
1°
agosto
2008
Punto
Informatico
L’articolo
di
Punto
Informatico
al
quale
mi
riferisco
è
del
15
settembre
2008
ed
è
reperibile
a
questa
URL:
http://punto‐informatico.it/2403962/PI/News/the‐
pirate‐bay‐no‐comment.aspx
12
25
Non
si
è
ancora
sopito
il
clamore
sollevato
dalla
notizia
dell’intenzione
della
Procura
della
Repubblica
di
Milano
di
trascinare
sul
banco
degli
imputati
4
top
manager
di
Google
che
Big
G
torna
nell’occhio
del
ciclone
per
effetto
della
richiesta
risarcitoria
multimilionaria
formulata
dalla
Mediaset13.
La
tentazione
è
quella
di
sintetizzare
gli
eventi
con
una
battuta:
tutti
contro
Google.
Ma
si
sbaglierebbe.
Il
problema
è
un
altro
e
concerne
l’intera
architettura
della
Rete
Internet
e,
in
particolare,
il
ruolo
degli
intermediari
della
comunicazione:
di
quelli
puntualmente
“fotografati”
dalla
vigente
disciplina
sul
commercio
elettronico
e
di
quelli
che
nel
2000
–
allorquando
si
è
posto
mano
a
tale
direttiva
–
ancora
non
esistevano
o,
almeno,
non
avevano
assunto
un
ruolo
tanto
centrale
ed
irrinunciabile
nella
diffusione
dei
contenuti
digitali
in
Rete.
La
sottile
linea
rossa
che
unisce
le
due
vicende
è
esattamente
questa:
la
qualificazione
giuridica
degli
UGC
e
le
loro
conseguenti
eventuali
responsabilità
per
contenuti
che
non
controllano
e
che
gli
utenti
immettono
in
Rete
per
effetto
della
loro
attività.
Il
principio
generale
sancito
dalla
disciplina
europea
a
proposito
della
responsabilità
degli
intermediari
è,
come
è
noto,
quello
dell’assenza
di
un
obbligo
generale
di
sorveglianza
e
della
conseguente
generale
non
responsabilità
degli
intermediari.
La
ragione
per
la
quale
si
è
pervenuti
a
tale
conclusione
è
semplice:
nessuno
sarebbe
disponibile
a
svolgere
un’attività
imprenditoriale
per
la
quale
corresse
il
rischio
di
vedersi
trascinato
sul
banco
degli
imputati
per
una
responsabilità
altrui
senza,
peraltro
–
complici
i
numeri
e
le
dinamiche
caratteristiche
della
Rete
–
aver
la
concreta
possibilità
di
intervenire
sul
corso
degli
eventi.
Il
bivio
dinanzi
al
quale
ci
si
trova,
pertanto,
è
chiaro:
o
si
riconosce
tale
responsabilità
e
si
cancella
dalla
Rete
una
delle
più
caratteristiche
e
rivoluzionarie
modalità
di
comunicazione
e
condivisione
dei
contenuti
digitali
o
la
si
esclude
e
si
lascia,
pertanto,
che
la
Rete
segue
la
sua
naturale
evoluzione.
Questo
è
il
lancio
di
agenzia
con
la
notizia:
(ANSA)
‐
MILANO,
30
LUG
‐
Mediaset
ha
citato
in
giudizio
YouTube
e
Google
''per
illecita
diffusione
e
sfruttamento
commerciale
di
file
audio‐video''.
Il
risarcimento
richiesto
‐
ha
reso
noto
Mediaset
‐
e'
di
almeno
500
milioni
di
euro
per
il
solo
danno
emergente.
''Dalla
rilevazione
a
campione
effettuata
da
Mediaset
sono
stati
individuati
sul
sito
YouTube
4.643
filmati
di
nostra
proprieta',
pari
a
oltre
325
ore
di
materiale
emesso
senza
possedere
i
diritti'',
ha
specificato
il
Gruppo.
13
26
Quest’ultima
eventualità,
peraltro,
non
comporta
come
necessaria
conseguenza
–
come
spesso
si
lascia
ritenere
–
la
legittimazione
nello
spazio
telematico
di
ogni
genere
di
violazione
in
danno
della
privacy,
dei
diritti
di
proprietà
intellettuale
o,
piuttosto,
dell’onore
e
reputazione
di
una
persona.
Escludere
la
responsabilità
degli
UGC
significa
semplicemente
scegliere
di
impegnarsi
nella
repressione
delle
condotte
vietate
concentrandosi
sull’attività
degli
utenti.
Educazione
all’utilizzo
delle
risorse
telematiche,
identificazione
dei
responsabili
delle
condotte
on‐line
e
autodisciplina
potrebbero
essere
le
parole
chiave
di
un
nuovo
e
diverso
approccio
alla
tutela
dei
diritti
in
Rete.
Ma
torniamo
al
caso
Mediaset
vs.
Google,
come
dire
il
colosso
di
ieri
dell’informazione
e
dell’intrattenimento
ed
il
colosso
di
oggi
e
forse
di
domani.
C’è
un
aspetto
della
vicenda
–
per
quel
che
poco
che
se
ne
conosce
dai
giornali
–
che
mi
lascia
perplesso,
forse,
persino
di
più
dell’azione
di
responsabilità:
si
tratta
dell’entità
della
richiesta
risarcitoria
e
delle
motivazioni
sulle
quali
essa
si
fonderebbe.
L’argomento
meriterebbe
ben
maggiore
approfondimento
ma,
mi
sembra,
sin
d’ora
possibile
delineare
un
paio
di
profili
di
particolare
rilievo:
(a)
la
messa
a
disposizione
del
pubblico
di
contenuti
sui
quali
Mediaset
deteneva
i
diritti
d’autore
costituisce,
probabilmente,
una
condotta
non
autorizzata
dal
titolare
dei
diritti
ma,
da
qui
a
sostenere
che
Mediaset
abbia
sofferto
un
danno
tanto
rilevante
il
passo
è
lungo.
Chiunque
conosca
la
realtà
telematica,
infatti,
deve
escludere
che
esista
qualsivoglia
rapporto
di
concorrenzialità
tra
la
diffusione
telematica
di
qualche
minuto
di
un
programma
televisivo
e
la
versione
integrale
dello
stesso
andata
in
onda
in
TV.
Difficile,
pertanto,
sostenere
che
Mediaset
abbia
subito
una
perdita
in
termini
di
raccolta
pubblicitaria
per
effetto
della
diffusione
su
Youtube
di
qualche
migliaio
di
spezzoni
dei
propri
programmi
dopo
che,
peraltro,
questi
ultimi
erano,
evidentemente,
già
stati
trasmessi.
(b)
Google
mette
a
disposizione
dei
titolari
del
diritto
una
procedura
semplice
–
e
credo
anche
efficace
–
per
la
rimozione
dei
contenuti
protetti
da
diritti
di
proprietà
intellettuale.
E’
un
bell’esempio
–
forse
perfettibile
–
di
deontologia
e
autodisciplina.
Non
sembra
che
Mediaset
abbia
mai
chiesto
a
Google
di
procedere
alla
rimozione
dei
filmati
di
cui
oggi
contesta
la
diffusione
non
autorizzata.
27
Nel
codice
civile
c’è
un
bel
principio
di
civiltà
giuridica
che
dice
che
non
ha
diritto
al
risarcimento
chi
pur
potendo
non
ha
evitato
un
danno
che
usando
l’ordinaria
diligenza
avrebbe
potuto
evitare.
Di
più
non
dico
ma…non
credo
sarebbe
stato
difficile
per
Mediaset
mandare
qualche
mail
a
Google
per
chiedere
la
rimozione
di
qualche
filmato.
Non
mi
piace
francamente
l’idea
di
chi
rimane
alla
finestra
ad
assistere
ad
asserite
reiterate
violazioni
dei
propri
diritti
e
poi
presenta
un
conto
così
salato…
Processo
alla
Rete.
2
marzo
2008
http://www.guidoscorza.it/?p=264
Stefano
Quintarelli
in
un
suo
BEL
post
di
ieri
segnala
un
BRUTTO
(l'aggettivo
è
mio)
articolo
di
Paolo
Panerai
apparso
su
Milano
Finanza
di
qualche
giorno
fa14.
Il
post
pubblicato
da
Stefano
Quintarelli
il
1°
marzo
2008
sul
suo
blog:
http://blog.quintarelli.it/blog/
Panerai
contro
Google
Ringrazio
Andrea
ed
Eugenio
(autore
di
Menostato)
per
gli
spunti
dietro
questo
post.
Il
dott.
Panerai,
titolare
di
Class
Editori
che
pubblica
Milano
Finanza
ha
scritto
pochi
giorni
fa
(il
9
febbraio)
un
lungo
editoriale
che
spaziava
su
tre
pagine.
Ha
fatto
un
discorso
globale
su
rete,
telecom,
google,
copyright
che,
a
me,
francamente
pare
il
frutto
di
un
ragionamento
non
sufficientemente
approfondito;
certo,
posso
sempre
sbagliarmi...
Mi
soffermo
su
un
passaggio,
(sperando
che
altri
gli
rispondano
in
punta
di
diritto):
quando
sostiene
che
Google
dovrebbe
NON
indicizzare
i
giornali
(google
news)
in
quanto
protetti
da
copyright,
essendo
questo
un
furto.
Il
dott.
Panerai
probabilmente
non
usa
mai
Internet,
per
non
rendersi
complice
di
reato.
Qualunque
scritto
e'
infatti
protetto
da
Copyright
(anche
questo
post)
solo
per
il
fatto
di
esistere.
Se
capisco
bene,
quindi,
nulla
potrebbe
essere
quindi
indicizzato
da
un
motore
di
ricerca.
La
conseguenza
e'
che
i
motori
di
ricerca
non
possono
esistere.
Senza
entrare
in
tecnicismi
di
come
fare
a
non
essere
indicizzati
se
non
lo
si
desidera,
cosa
che
peraltro
qualcuno
potrebbe
anche
segnalare
al
Dott.
Panerai,
anche
le
conseguenze
economiche
di
questo
atteggiamento
dovrebbero
sgomentare
gli
stakeholder
della
casa
editrice,
a
mio
sommesso
parere.
Che
piaccia
o
no,
l'interfaccia
utente
del
worldwide
web
e'
Google.
Se
una
funzione
non
e'
disponibile
nell'interfaccia
utente,
questa
funzione
non
esiste.
L'elettronica
di
una
mia
auto
aveva
un
bel
display
con
possibilità
di
ingressi
video,
ma
l'interfaccia
utente
non
offriva
possibilità
di
abilitarli...
Abbiamo
un
mondo
in
cui
il
cartaceo
e'
in
calo
e
internet
e'
in
aumento.
Se
Google
eliminasse
Class
editori
dalle
sue
indicizzazioni,
questo
cesserebbe
di
esistere
nell'unico
spazio
in
crescita
e
esisterebbe
solo
in
uno
spazio
in
rapida
obsolescenza.
E'
ciò
che
gli
stakeholder
di
Class
si
aspettano
?
Certo,
si
potrebbe
sempre
proibire
per
legge
la
commutazione
di
pacchetto.
14
28
Pubblico
qui
un
estratto
dell'articolo
perché
altrimenti
il
post
sarebbe
difficilmente
intellegibile.
La
pubblicazione
mi
sembra,
pertanto,
giustificata
alla
stregua
dell'eccezione
di
cui
al
primo
comma
dell'art.
70
LDA.
Se
autore
o
editore
la
pensassero
diversamente,
tuttavia,
non
devono
che
segnalarmelo15.
Panerai
nel
Suo
articolo
scrive,
in
buona
sostanza,
che
i
grandi
motori
di
ricerca
(Google
e
Yahoo)
avrebbero
sin
qui
accumulato
enormi
ricchezze
rubando
(Panerai
parla
di
FURTO)
i
contenuti
prodotti
dagli
editori
e
che
sarebbe
arrivato
il
momento
che
il
legislatore
italiano
ponga
fine
a
questa
"pacchia".
La
giurisprudenza
belga
‐
scrive
ancora
Panerai
‐
avrebbe
già
reiteratamente
accertato
l'illegittimità
del
servizio
Google
News
e,
quella
italiana,
analogamente,
condannato
ripetutamente
la
Selpress,
società
operante
nel
settore
delle
rassegne
stampa
per
l'illegittimo
utilizzo
degli
articolo
della
stessa
Class
Editrice
e
di
altri
editori.
L'articolo
non
mi
piace
né
nella
forma
né
nei
contenuti.
Quanto
alla
forma
il
Dr.
Panerai
mentre
invoca
l'esigenza
di
un
intervento
normativo
per
far
ordine
nella
materia
‐
dando
così
atto
del
vuoto
legislativo
esistente
‐
pronuncia
il
suo
pesante
verdetto
contro
le
dinamiche
dell'informazione
in
Rete,
condannando,
senza
appello,
i
grandi
motori
di
ricerca
per
FURTO.
Delle
due
l'una:
o
non
servono
regole
nuove
perché
quelle
attuali
già
consentono
al
Dr.
Panerai
di
parlare
di
FURTO
o,
piuttosto,
servono
regole
nuove
e,
quindi,
ad
oggi
nessuno
ha
Nel
recente
passato
si
e'
visto
come,
contrariamente
alla
legge
che
non
ammette
ignoranza,
parte
importante
della
professione
giornalistica
invece
la
ostenti.
Oltre
a
quei
noti
casi,
secondo
me,
anche
questo
sfogo
del
Dott.
Panerai
e'
un
segnale
che
Internet
sta
arrivando
alla
massa
critica
anche
in
Italia.
Inizia
ad
essere
un
fenomeno
sensibilmente
percepito
e
la
reazione
e'
il
discredito
o
il
contrasto,
anziché
l'analisi
e
lo
sviluppo
di
nuove
opportunità.
Secondo
me
ha
ragione
Beppe
a
ritenere
che
e'
il
sistema
dell'informazione
ad
avere
paura,
che
e'
sotto
pressione
e
la
rete,
aperta,
lo
costringerà
a
cambiare.
E
se
e'
vero
che
non
esiste
un
grande
"editore
puro"
e
che
informazione‐industria‐
banche‐politica
sono
fittamente
interrelati
in
una
matrice
che,
in
qualche
modo,
si
autosostiene,
beh,
allora
e'
il
caso
di
essere
ottimisti.
Due
passaggi
dell'articolo
in
questione:
*
"i
due
grandi
motori
di
ricerca
rivali,
Yahoo
e
Google,
hanno
finora
potuto
produrre
forti
utili
e
raggiungere
capitalizzazioni
astronomiche
in
quanto
hanno
potuto
utilizzare
impunemente
e
a
costo
zero
l’enorme
materiale
prodotto
da
giornali,
agenzie,
televisioni,
radio,
che
trasferendo
buona
parte
dei
loro
contenuti
su
internet
hanno
consentito
ai
due
rivali
di
poter
offrire
un
servizio
a
costo
zero
almeno
per
la
realizzazione
dei
contenuti
stessi."
*
"Questo
furto
di
materiale
fondamentale
per
creare
pagine
e
pagine
di
notizie,
di
archivi
e
di
spazi
pubblicitari,
è
già
stato
sanzionato
in
più
cause
in
vari
paesi"
15
Il
testo
dell’articolo
è
pubblicato
a
questa
URL:
http://www.guidoscorza.it/wp‐
content/uploads/2008/03/milano‐finanza.pdf
29
commesso
nessun
FURTO
ed
il
Dr.
Panerai
dovrebbe
essere
più
cauto
nell'utilizzo
di
certe
espressioni
che
potrebbero
‐
in
modo,
questa
volta,
inequivoco
‐
violare
i
diritti
di
altri
ed
integrare
gravi
fattispecie
di
reato.
Sempre
parlando
di
forma,
non
posso
condividere
il
grave
e
pesante
"J'ACCUSE"
del
Dr.
Panerai
all'indirizzo
dell'intera
attività
di
due
tra
gli
indiscussi
protagonisti
della
rivoluzione
telematica
in
atto:
Google
e
Yahoo.
Non
si
tratta
di
prendere
le
difese
d'ufficio
di
questa
o
quella
società
‐
anche
perché
le
due
in
questione
non
ne
hanno
certamente
bisogno
‐
ma,
piuttosto,
di
difendere
le
nuove
dinamiche
dell'informazione
in
Rete
contro
le
quali
il
Dr.
Panerai
scaglia
un
autentico
macigno.
Ho
scritto,
ormai,
decine
di
volte
‐
ed
è,
d'altra
parte,
circostanza
sotto
gli
occhi
di
tutti
‐
che
le
dinamiche
della
Rete
impongono
un
ripensamento
della
tradizionale
posizione
di
equilibrio
tra
diritti
di
proprietà
intellettuale
ed
altri
diritti
egualmente
importanti
tra
i
quali,
in
primis,
vi
è
certamente
quello
all'accesso
all'informazione
attraverso
cui,
peraltro,
si
estrinseca
‐
lungo
una
delle
due
linee
portanti
‐
la
libertà
di
manifestazione
del
pensiero
sancita
all'art.
21
della
nostra
costituzione
e
pietra
angolare
della
democrazia
come
è
già
stata
definita
dalla
Corte
Costituzionale.
Questo,
tuttavia,
è
molto
diverso
dal
principio
che
il
Dr.
Panerai
vorrebbe
fosse
affermato.
Veniamo
ora,
brevemente,
ai
contenuti
dell'articolo
di
Milano
Finanza,
con
riserva,
come
sempre,
di
tornare
sull'argomento.
Il
Tribunale
di
Bruxelles,
in
effetti,
l'anno
scorso,
si
è
pronunciato
contro
Google,
stabilendo
che
l'attività
da
quest'ultimo
svolta
nell'ambito
dei
servizi
Google
Cache
e
Google
news
doveva
considerarsi
illecita
in
quanto
in
violazione
dei
diritti
d'autore
degli
editori
dei
giornali
belgi.
La
decisione
è,
sostanzialmente
condivisibile
‐
in
punto
di
diritto
‐
in
relazione
al
servizio
"Google
cache"
mentre
riposa
‐
a
mio
avviso
‐
su
un
grave
errore
di
prospettiva
in
relazione
al
servizio
"Google
News"
nell'ambito
del
quale
Google
viene,
sostanzialmente,
trattato
quale
fornitore
di
contenuti
eteroprodotti
anziché
come
semplice
fornitore
di
servizi
di
indicizzazione.
Sul
punto
si
potrebbero
scrivere
tonnellate
di
bit
ma,
per
il
momento,
mi
limito
a
pubblicare
il
testo
integrale
della
decisione
30
lasciando
a
tutti
(sfortunatamente
i
soli
francofoni)
la
possibilità
di
formarsi
il
proprio
convincimento16.
Quanto,
invece,
all'analogia
tratteggiata
dal
Dr.
Panerai
tra
i
servizi
resi
disponibili
dai
due
motori
di
ricerca
e
l'attività
di
rassegna
stampa
posta
in
essere
dalla
sua
personale
rivale
di
sempre
vi
è,
semplicemente,
un
abisso
e
le
due
fattispecie
non
sono
neppure
lontanamente
confrontabili
in
termini
giuridici.
La
Selpress
riproduce
integralmente
e
trasmette,
dietro
pagamento,
ai
propri
clienti
gli
articoli
che
appaiono
quotidianamente
sui
giornali
italiani
mentre
Google
News
si
limita
ad
indicizzare
contenuti
specifici
permettendo
all'utente
di
raggiungerli
in
modo
semplificato
sul
sito
dell'editore.
Leggete
la
decisione
della
Suprema
corte
di
Cassazione
cui
fa
riferimento
Panerai
per
convincervene
voi
stessi17.
Sul
punto,
pertanto,
l'articolo
di
Milano
Finanza
fa
confusione
e
crea
inutili
ambiguità.
Capisco,
perfettamente,
che
il
nuovo
faccia
paura
al
vecchio
ma…il
nuovo
è
l'unica
chance
per
traghettare
il
Paese
nella
Società
dell'informazione
e
non
fargli
perdere
il
treno
dell'ultima
rivoluzione.
Querelata
Wikipedia:
cose
d’altri
(brutti)
tempi.
1°
marzo
2008
http://www.guidoscorza.it/?p=261
Ieri
l'AGI
ha
battuto
una
notizia
‐
rapidamente
ripresa
da
tutti
i
principali
quotidiani
on‐line
‐
secondo
la
quale
"Il
sindaco
di
Firenze
Leonardo
Domenici
e
l'assessore
Graziano
Cioni"
avrebbero
"dato
mandato
di
querelare
per
diffamazione
e
calunnia
il
sito
internet
Wikipedia"
a
causa
di
alcune
asseritamente
false
informazioni
riportate
alla
voce
"Leonardo
Domenici"
(la
voce
risulta
ora,
purtroppo,
"ripulita"
dei
riferimenti
contestati
e
"bloccata"
a
titolo
cautelativo)18.
Il
testo
integrale
della
Sentenza
è
disponibile
a
questa
URL:
http://www.juriscom.net/jpt/visu.php?ID=861
17
Il
testo
integrale
della
Sentenza
è
disponibile
a
questa
URL:
http://www.ricercagiuridica.com/sentenze/index.php?num=2380
18
Questo
il
lancio
di
agenzia
dell’AGI
del
29
febbraio
2008:
Il
sindaco
di
Firenze
Leonardo
Domenici
e
l’assessore
Graziano
Cioni
hanno
dato
mandato
di
querelare
per
diffamazione
e
calunnia
il
sito
internet
Wikipedia,
la
cosiddetta
“enciclopedia
libera
on
line”.
Sul
sito
di
Wikipedia,
alla
voce
‘Leonardo
Domenici’,
si
imputano
al
sindaco
e
alla
sua
giunta
alcuni
provvedimenti
e
decisioni
che,
si
legge,
“hanno
suscitato
critiche
da
parte
della
cittadinanza”
e
si
cita
in
particolare
“l’affidamento
dei
parcheggi
cittadini
alla
società
‘Firenze
parcheggi’,
del
cui
cda
fanno
parte
le
mogli
di
Domenici
e
dell’assessore
Cioni”.
Una
calunnia
già
circolata
in
passato,
sulla
quale
16
31
A
quanto
riferisce
l'AGI,
a
far
irritare
il
primo
cittadino
fiorentino
sarebbero
stati
alcuni
riferimenti
contenuti
nella
propria
scheda
biografica
che
gli
avrebbero
imputato
alcuni
provvedimenti
e
decisioni
che,
avrebbero
"suscitato
critiche
da
parte
della
cittadinanza"
con
particolare
riferimento
"all'affidamento
dei
parcheggi
cittadini
alla
società
"Firenze
parcheggi"
del
cui
cda
fanno
parte
le
mogli
di
Domenici
e
dell'assessore
Cioni".
Non
voglio
entrare
nel
merito
della
questione:
non
mi
sembra,
tuttavia,
che
i
riferimenti
di
tipo
storico
a
provvedimenti
che
hanno
suscitato
critiche
abbiano
nulla
di
diffamatorio.
La
questione
di
maggior
rilievo,
in
ogni
caso,
è
un'altra.
Nella
società
dell'informazione
‐
nella
quale,
evidentemente,
il
Sindaco
di
Firenze
non
si
è
ancora
accorto
di
vivere
‐
non
serve
querelare
nessuno
per
una
voce
che
si
ritiene
"diffamatoria"
pubblicata
sulla
più
grande
enciclopedia
del
mondo:
si
modifica
la
voce
e
se
ne
spiegano
le
ragioni
fornendo
link
e
documenti
a
supporto
della
propria
posizione.
Lo
ha
scritto
‐
e
gliene
va
dato
atto
‐
prima
di
me
Pietro
Folena
sul
suo
blog19.
Una
querela
per
diffamazione
contro
un'enciclopedia
aperta
è
cosa
d'altri
tempi…altri
brutti
e
vecchi
tempi.
Non
lo
dico
io
ma
il
Tribunale
di
Grande
Istanza
di
Parigi
in
una
bella
decisione
di
qualche
mese
fa20.
Se
poi
l'obiettivo
è
censurare
la
libertà
di
manifestazione
del
pensiero
di
chiunque
abbia
una
posizione
diversa
dalla
propria…allora,
evidentemente,
è
un'altra
storia…
Cancellate
Maradona!
Internet
Magazine
Dicembre
2008
I
fans
argentini
di
Diego
Armando
Maradona
che
negli
ultimi
giorni
hanno
cercato
notizie
sul
pibe
de
oro
attraverso
Google
e
Yahoo
saranno
rimasti
delusi.
La
versione
argentina
di
Big
Y,
infatti,
restituisce
quale
risultato
di
ogni
ricerca
che
contenga
il
nome
dell’idolo
di
milioni
di
appassionati
di
calcio
di
tutto
il
mondo
un
avviso
in
spagnolo
nel
2004
la
Procura
della
Repubblica
di
Firenze
ha
aperto
un’inchiesta
e
per
la
quale
ci
sono
già
stati
una
condanna
e
alcuni
rinvii
a
giudizio.
19
Il
post
di
Pietro
Folena
del
20
febbraio
2008
è
pubblicato
a
questa
URL:
http://www.pietrofolena.net/blog/?p=331
20
Il
testo
integrale
della
decisione
è
pubblicato
a
questa
URL:
http://www.juriscom.net/jpt/visu.php?ID=980
32
che
informa
gli
utenti
della
circostanza
che
in
esecuzione
di
un
ordine
dell’Autorità
giudiziaria
l’indicizzazione
di
tutte
le
pagine
contenenti
un
riferimento
all’attuale
CT
della
nazionale
è
stata
sospesa.
Big
G,
invece,
delude
meno
le
aspettative
dei
propri
utenti
ma
non
può
dirsi
che
si
mostri
capace
di
soddisfarle
pienamente:
ogni
ricerca
contenente
“Diego
Armando
Maradona”,
infatti,
restituisce
un
numero
di
risultati
sensibilmente
inferiore
a
quello
che
si
otteneva
attraverso
la
stessa
ricerca
solo
qualche
settimana
fa.
La
stessa
sorte,
peraltro,
è
toccata,
a
milioni
di
fans
di
oltre
un
centinaio
di
bellissime
top
models
argentine.
Anche
loro,
a
caccia
di
informazioni,
video
ed
immagini
che
dessero
corpo
–
un
corpo!
‐
ai
loro
più
segreti
desideri,
sono
rimasti
delusi:
Yahoo
implacabilmente
restituisce
lo
stesso
messaggio
mentre
Google
apre
ai
propri
utenti
le
porte
ad
un
numero
di
siti
sensibilmente
inferiore
rispetto
a
quello
di
ieri.
Cosa
sta
accadendo
nel
Paese
del
Tango?
La
risposta
è
tanto
semplice
quanto
disarmante
e
preoccupante
per
il
futuro
della
Rete.
Nei
mesi
scorsi
Diego
Armando
Maradona,
decine
e
decine
di
Top
models
e
personaggi
famosi
e,
persino,
un
Giudice
argentino
‐
María
Servini
de
Cubría
–
hanno
citato
in
giudizio
i
due
più
popolari
motori
di
ricerca
del
mondo
ritenendoli
responsabili
di
contribuire
alla
violazione
dei
propri
diritti
al
nome,
all’immagine
o
alla
reputazione
indicizzando
milioni
di
pagine
nelle
quali
sarebbero
ospitati
contenuti
diffamatori
nei
loro
confronti
o,
piuttosto,
pubblicate
loro
foto
senza
autorizzazione
o
in
associazione
a
materiale
pornografico.
L’avvocato
delle
stars
‐
Martin
Leguizamon
Peña
–
ha
chiesto,
nell’interesse
dei
suoi
assistiti,
la
condanna
di
Yahoo
e
Google
al
pagamento
di
un
risarcimento
del
danno
quantificato
tra
i
30
ed
i
121
mila
dollari
per
ogni
VIP
rappresentato
nonché
di
ordinare
ai
due
search
engines
di
sospendere
immediatamente
l’indicizzazione
di
tutte
le
pagine
internet
contenenti
i
nomi
dei
propri
clienti
in
associazione
a
contenuti
suscettibili
di
ledere
i
loro
diritti.
I
giudici
argentini
hanno
accolto
la
domanda
cautelare
ingiungendo
ai
due
popolari
motori
di
ricerca
di
sospendere
senza
ritardo
l’indicizzazione
di
tutte
le
pagine
suscettibili
di
ledere
i
diritti
dei
ricorrenti
mentre
decideranno
nei
prossimi
mesi
in
ordine
alla
richiesta
risarcitoria.
A
seguito
del
provvedimento
Yahoo
ritenendo
troppo
oneroso
e
di
incerto
risultato
procedere
alla
selezione
delle
pagine
da
non
indicizzare
alla
stregua
dei
criteri
indicati
nell’Ordinanza
33
dei
Giudici
ha
optato
per
la
sospensione
generalizzata
dell’indicizzazione
di
tutte
le
pagine
contenenti
i
nomi
dei
ricorrenti
mentre
Google
si
è
dichiarato
disponibile
a
rimuovere
–
come
poi
puntualmente
accaduto
–
solo
le
pagine
di
contenuto
illecito
che
gli
fossero
state
individualmente
segnalate.
Il
provvedimento
ha
cambiato,
in
poche
ore,
il
“volto”
della
Rete
argentina.
Milioni
e
milioni
di
pagine
web
sono
state
rese
irragiungibili
senza,
in
molti
casi,
che
i
loro
autori
avessero
qualsivoglia
responsabilità
se
non
quella
di
aver
utilizzato
–
magari
nel
raccontare
fatti
di
cronaca
connessi
a
popolari
personaggi
del
mondo
dello
sport
o
dello
spettacolo
–
i
nomi
dei
ricorrenti
nel
procedimento
che
ha
dato
origine
al
terremoto
e,
soprattutto,
senza
che
nessuno
si
sia
preso
la
briga
di
informarli
di
quanto
stava
per
accadere.
Analoga
sorte
è
toccata
ad
una
interminabile
lista
di
soggetti
che
dopo
aver
ritenuto
per
una
vita
di
esser
fortunati
nel
portare
lo
stesso
nome
di
una
star
hanno
dovuto
ricredersi.
Secondo
un
copione
già
visto
negli
Stati
Uniti
d’America
dopo
l’11
settembre
allorquando
le
Autorità
predisposero
e
diffusero
una
black
list
di
nominativi
di
soggetti
non
graditi
a
bordo
degli
aeromobili
lasciando
così
a
piedi
decine
di
migliaia
di
persone
ree
solo
di
portare
lo
stesso
nome
di
qualcuno
indicato
in
tale
lista,
anche
in
Argentina,
in
queste
ore,
blog,
forum,
pagine
personali
e
siti
internet
relativi
agli
omonimi
delle
stars
si
ritrovano
incolpevolmente
oscurati
e,
così,
privati,
dalla
sera
alla
mattina
dell’esercizio
di
quello
che
si
è
ormai
affermato
come
un
nuovo
diritto
fondamentale
dell’uomo
e
del
cittadino:
il
diritto
all’uso
delle
tecnologie
informatiche
e
telematiche
per
la
manifestazione
del
proprio
pensiero.
Ce
n’è
già
abbastanza
per
far
riecheggiare,
ancora
una
volta,
nel
web
un’espressione
che,
sfortunatamente,
ricorre
con
frequenza
sempre
maggiore
ed
in
maniera
direttamente
proporzionale
all’affermazione
di
Internet
quale
nuovo
strumento
di
circolazione
delle
idee
e
del
sapere:
censura.
Ma,
in
questo
caso
–
come
d’altra
parte
in
molte
altre
ipotesi
di
censura
on‐line
con
le
quali
ci
si
è
confrontati
negli
ultimi
mesi
–
c’è
di
più.
L’iniziativa
di
Diego
Armando
Maradona
e
dei
suoi
cento
compagni
e
compagne
di
avventura,
nonostante
il
successo
ottenuto
in
Tribunale,
si
è
rivelata
priva
di
qualsivoglia
efficacia
sul
web
poiché
le
pagine
web
censurate
nel
Paese
del
Tango
sono
regolarmente
indicizzate
dalle
versioni
straniere
degli
stessi
motori
di
ricerca
non
avendo
potuto,
evidentemente,
i
Giudici
34
argentini
spingersi
ad
ordinare
a
Google
e
Yahoo
di
restringere
anche
i
servizi
erogati
in
nazioni
diverse.
Gli
stessi
utenti
argentini,
pertanto,
possono
serenamente
continuare
ad
accedere
ai
contenuti
“proibiti”
semplicemente
utilizzando
una
diversa
nazionalizzazione
–
addirittura
in
spagnolo
‐
delle
pagine
di
ricerca
dei
due
popolari
motori:
quella
spagnola
o
quella
messicana
ad
esempio.
L’ordinamento
argentino,
a
differenza
di
quello
Statunitense
e
di
quello
europeo,
non
ha
ancora
preso
posizione
sull’annosa
questione
della
responsabilità
degli
intermediari
della
comunicazione
–
non
solo
i
motori
di
ricerca
ma
anche
gli
ISP,
gli
UGC
o
i
fornitori
di
hosting
–
in
relazione
ai
contenuti
immessi
in
Rete
dagli
utenti
e,
molti
commentatori
hanno
attribuito
a
tale
circostanza
l’anacronistico
provvedimento
delle
scorse
settimane.
Si
sbaglierebbe,
tuttavia,
a
bollare
l’episodio
come
una
storia
di
Paesi
lontani.
La
responsabilità
degli
intermediari,
infatti,
nonostante
la
disciplina
della
materia
dettata
in
Europa
sin
dal
2000
con
la
Direttiva
31
sul
commercio
elettronico
che
ha,
di
fatto,
escluso
la
configurabilità
di
una
simile
responsabilità,
continua
ad
essere,
anche
nell’Internet
Europea,
una
questione
di
grande
attualità
e
lontana
dal
potersi
considerare
definitivamente
risolta.
Basti
pensare
–
attraversando
appunto
l’oceano
ed
attraccando
proprio
in
Italia
–
alla
recente
vicenda
che
ha
visto
coinvolta
la
Baia
Pirata
(Thepiratebay.org),
il
più
grande
motore
di
ricerca
del
mondo
di
risorse
Torrent.
Come
ricorderanno
i
lettori
più
assidui
di
questa
rivista,
l’estate
scorsa
il
sito
è
stato
posto
sotto
sequestro
per
ordine
dell’autorità
giudiziaria
italiana
in
quanto
i
gestori
del
sito
erano
–
e
sono
tuttora
considerato
che
il
procedimento
è
ancora
pendente
–
accusati
di
aver
contribuito
alla
violazione
dei
diritti
d’autore
posta
in
essere
dagli
utenti
indicizzando
files
torrent
relativi
ad
opere
protette
da
altrui
proprietà
intellettuale.
La
questione
di
diritto
è
sostanzialmente
la
stessa
che
viene
in
rilievo
nella
vicenda
argentina:
un
motore
di
ricerca
può
essere
ritenuto
responsabile
delle
violazioni
poste
in
essere
attraverso
la
pubblicazione
delle
risorse
che
esso
indicizza?
Se
la
risposta
alla
domanda
dovesse
essere
positiva
è
evidente
che
occorrerà
ripensare
le
dinamiche
della
Rete
che
conosciamo.
Come
dimostra,
infatti,
la
posizione
assunta
da
Yahoo
–
uno
dei
due
più
grandi
motori
di
ricerca
del
mondo
–
non
vi
è
nessun
soggetto,
per
quanto
ricco
e
potente,
disponibile
ad
assumersi
una
responsabilità
–
peraltro
difficile
da
prevedere
in
termini
economici
o
di
conseguenze
penali
–
che
sia
disponibile
a
35
farsi
carico
delle
violazioni
poste
in
essere
dai
propri
utenti
attraverso
la
pubblicazione
di
taluni
contenuti.
Yahoo,
ricevuta
la
notifica
del
provvedimento
‐
presa
coscienza
del
fatto
che
ben
difficilmente
avrebbe
potuto
uniformarsi
puntualmente
all’ordine
rivoltogli
dal
giudice
di
sospendere
l’indicizzazione
delle
pagine
suscettibili
di
violare
i
diritti
del
pibe
de
oro
e
degli
altri
ricorrenti
–
ha
preso
l’unica
scorciatoia
che
aveva
davanti
a
sé:
bloccare
in
modo
generalizzato
l’indicizzazione
di
milioni
di
pagine
solo
perché
contenenti
talune
espressioni.
Questo,
tuttavia,
è
l’atteggiamento
del
padrone
dell’informazione
e
non
di
un
“semplice”
intermediario.
Nonostante
il
diverso
atteggiamento
tenuto
da
Google
nella
vicenda,
occorre,
però,
tener
presente
che
se
si
proseguirà
nella
diffusa
convinzione
di
ritenere
gli
intermediari
della
comunicazione
responsabili
dei
contenuti
immessi
in
Rete
dagli
utenti,
la
scelta
di
Yahoo
rischia
di
divenire
la
regola:
soggetti
con
le
spalle
più
strette
di
quelle
di
Big
G
come
ce
ne
sono
tanti
in
Rete,
infatti,
dinanzi
al
rischio
di
vedersi
condannare
a
risarcimenti
a
sei
o
nove
zeri
non
hanno
altra
possibilità
che
quella
di
sacrificare
i
diritti
degli
utenti
a
tutela
del
“censore”
di
turno.
Anche
i
più
grandi,
peraltro,
prima
o
poi
potrebbero
cedere
–
come
dimostra,
ancora
una
volta,
la
scelta
di
Yahoo
–
alla
tentazione
di
trasformarsi
nel
“braccio
armato”
dei
censori
pur
di
sottrarsi
alle
responsabilità
che
in
caso
contrario
ricadrebbero
sulle
loro
tasche.
Cosa
accadrebbe
se
Google
uscisse
sconfitta
dalla
anacronistica
iniziativa
giudiziaria
promossa
nei
suoi
confronti
dalla
Mediaset
che
ha
richiesto
la
cifra
astronomica
di
500
milioni
di
euro
a
fronte
della
diffusione
di
poco
più
di
tremila
frammenti
delle
proprie
trasmissioni
televisive
e
cosa
accadrebbe
se
lo
stesso
Google
dovesse
uscire
sconfitto
dal
giudizio
penale
nell’ambito
del
quale
la
Procura
di
Milano
si
è
spinta
a
configurare
una
responsabilità
dei
dirigenti
di
Big
G
per
non
aver
impedito
che
un
giovane
utente
immettesse
in
Rete
la
poco
edificante
sequenza
di
immagini
del
bambino
down
torinese
ignobilmente
sbeffeggiato
da
compagni
in
relazione
ai
quali,
evidentemente,
la
famiglia
prima
e
la
scuola
poi
avevano
fallito
la
propria
missione
di
formazione
ed
educazione?
Possiamo
davvero
sperare
che
in
tali
eventualità
la
Rete
che
conosciamo
resterebbe
eguale
a
se
stessa?
Temo
di
no
e
la
differenza
non
sarebbe
rappresentata
come
ingenuamente
si
potrebbe
ipotizzare
solo
dalla
scomparsa
di
Google
dall’universo
telematico
perché
prima
del
gigante
36
cadrebbe,
inesorabilmente,
l’esercito
di
UGC
ed
intermediari
più
piccoli
sui
quali
riposa
l’infrastruttura
della
Rete
che
conosciamo.
37
2.
Copyright
in
the
Net.
Un
popolo
di
pirati?
La
proprietà
intellettuale
e
l’acqua
minerale
Relazione
all’Innovation
Forum
Milano,
Marzo
2008
Il
nostro
Paese
e,
più
in
generale,
l’Unione
Europea
stentano
ad
entrare
nella
Società
dell’informazione
o
nell’Era
dell’Accesso,
per
dirla
con
le
parole
di
Jeremy
Rifkin21.
I
motivi
che,
a
distanza
di
oltre
dieci
anni
da
quando
Nicholas
Negroponte
teorizzava
il
passaggio
dagli
atomi
ai
bit22,
continuano
a
frenare
un
processo
da
più
parti
descritto
come
inarrestabile,
sono
molteplici
e
connessi
a
fattori
diversi
e
difficili
da
ricondurre
ad
unitatem:
un
innegabile
ritardo
in
termini
di
diffusione
della
cultura
digitale
con
conseguenti
alte
percentuali
di
analfabetizzazione
informatica
in
tutti
i
Paesi
dell’Unione,
una
scarsa
e,
soprattutto,
irregolare
diffusione
della
banda
larga
con
conseguenti
gravi
difficoltà
di
accesso
alle
risorse
informatiche
e
telematiche
da
parte
di
ampie
fasce
della
popolazione,
un
quadro
normativo
in
materia
di
commercio
elettronico
e
distribuzione
dei
contenuti
digitali
on‐line
sviluppatosi
in
modo
confuso
ed
irregolare
e
caratterizzato
da
continue
tensioni,
ordini
e
contrordini.
A
tutto
ciò
occorre,
inoltre,
aggiungere
–
ed
è
forse
la
ragione
principale
di
tale
preoccupante
situazione
–
l’evidente
forte
resistenza
da
parte
dei
tradizionali
intermediari
nella
produzione
e
distribuzione
dei
contenuti
a
modificare
i
propri
modelli
di
business
che
hanno
sin
qui
consentito
l’affermazione
ed
il
consolidamento
di
enormi
oligopoli
difficili
da
erodere
o
abbattere.
Major
dell’audiovisivo,
interpreti
e
rockstar
di
grido,
società
di
intermediazione
dei
diritti
ed
associazioni
di
categoria,
infatti,
difendono
da
anni
l’assetto
di
mercato
preesistente
alla
rivoluzione
digitale
utilizzando
ogni
strada
e
strumento
–
di
natura
tecnica
o
piuttosto
normativa
–
nel
tentativo
di
arginare
l’affermarsi
delle
nuove
dinamiche
di
distribuzione
dei
contenuti
digitali,
confermando
così,
come
ricorda
Lawrence
Lessig23
il
noto
brocardo
macchiavellico
secondo
il
quale:
J.
RIFKIN,
L’Era
dell’accesso,
Traduzione
di
P.
Canton,
Mondadori,
2003
N.
NEGROPONTE,
Being
Digital,
Sperling&
Kupfer,
1995
23
L.
LESSIG,
The
future
of
ideas,
Vintage,
2002
21
22
38
“non
è
cosa
più
difficile
a
trattare
né
più
dubbia
a
riuscire,
né
più
pericolosa
a
maneggiare,
che
farsi
capo
a
introdurre
nuovi
ordini;
perché
lo
introduttore
ha
per
nimici
tutti
quelli
che
delli
ordini
vecchi
fanno
bene
ed
ha
tepidi
difensori
tutti
quelli
che
delli
ordini
nuovi
farebbero
bene.
La
quale
tepidezza
nasce
parte
per
paura
degli
avversarii,
che
hanno
le
leggi
dal
canto
loro,
parte
dalla
incredulità
degli
uomini;
e
quali
non
credano
in
verità
le
cose
nuove
se
non
ne
veggano
nata
una
ferma
esperienza.”.
(Il
Principe,
N.
Macchiavelli,
Capitolo
VI).
Si
tratta,
tuttavia,
per
dirla
con
le
parole
del
Cervantes,
di
una
evidente
battaglia
contro
i
mulini
al
vento:
"Ed
ecco
intanto
scoprirsi
da
trenta
o
quaranta
mulini
da
vento,
che
si
trovavano
in
quella
campagna;
e
tosto
che
don
Chisciotte
li
vide,
disse
al
suo
scudiere:
«La
fortuna
va
guidando
le
cose
nostre
meglio
che
noi
non
oseremmo
desiderare.
Vedi
là,
amico
Sancio,
come
si
vengono
manifestando
trenta,
o
poco
più
smisurati
giganti?
Io
penso
di
azzuffarmi
con
essi,
e
levandoli
di
vita
cominciare
ad
arricchirmi
colle
loro
spoglie;
perciocché
questa
è
guerra
onorata,
ed
è
un
servire
Iddio
il
togliere
dalla
faccia
della
terra
sì
trista
semente.
—
Dove,
sono
i
giganti?
disse
Sancio
Pancia.
—
Quelli
che
vedi
laggiù,
rispose
il
padrone,
con
quelle
braccia
sì
lunghe,
che
taluno
d'essi
le
ha
come
di
due
leghe.
—
Guardi
bene
la
signoria
vostra,
soggiunse
Sancio,
che
quelli
che
colà
si
discoprono
non
sono
altrimenti
giganti,
ma
mulini
da
vento,
e
quelle
che
le
paiono
braccia
sono
le
pale
delle
ruote,
che
percosse
dal
vento,
fanno
girare
la
macina
del
mulino.
—
Ben
si
conosce,
disse
don
Chisciotte,
che
non
sei
pratico
di
avventure;
quelli
sono
giganti,
e
se
ne
temi,
fatti
in
disparte
e
mettiti
in
orazione
mentre
io
vado
ad
entrar
con
essi
in
fiera
e
disugual
tenzone.»
Detto
questo,
diede
de'
sproni
a
Ronzinante,
senza
badare
al
suo
scudiere,
il
quale
continuava
ad
avvertirlo
che
erano
mulini
da
vento
e
non
giganti,
quelli
che
andava
ad
assaltare.
Ma
tanto
s'era
egli
fitto
in
capo
che
fossero
giganti,
che
non
udiva
più
le
parole
di
Sancio,
né
per
avvicinarsi
arrivava
a
discernere
che
cosa
fossero
realmente;
anzi
gridava
a
gran
voce:
«Non
fuggite,
codarde
e
vili
creature,
che
un
solo
è
il
cavaliere
che
viene
con
voi
a
battaglia.»
In
questo
levossi
un
po'
di
vento
per
cui
le
grandi
pale
delle
ruote
cominciarono
a
moversi;
don
Chisciotte
soggiunse:
«Potreste
agitar
più
braccia
del
gigante
Briareo,
che
me
l'avete
pur
da
pagare.»
Ciò
detto,
e
raccomandandosi
di
tutto
cuore
alla
Dulcinea
sua
signora
affinché
lo
assistesse
in
quello
scontro,
ben
coperto
colla
rotella,
e
posta
la
lancia
in
resta,
galoppando
quanto
poteva,
investì
il
primo
mulino
in
cui
si
incontrò
e
diede
della
lancia
in
una
pala..."
(Don
Chichotte,
M.
Cervantes).
39
Tale
attaccamento
ad
un
contesto
di
mercato
ormai
non
più
attuale
ed
i
goffi
tentativi
che,
a
più
riprese,
la
catena
dei
soggetti
coinvolti
nella
gestione
ed
intermediazione
dei
diritti
d’autore
ha
posto
e
continua
a
porre
in
essere
si
rivelano
puntualmente
infruttuosi,
inidonei
ad
affrontare
il
problema
e
suscettibili,
per
contro,
di
determinare
reazioni
di
segno
opposto
a
quello
auspicato
ma
pari
intensità.
La
storia
di
Internet
insegna,
infatti,
che
ad
ogni
“giro
di
vite”
del
legislatore
volto
a
limitare
le
c.d.
libertà
digitali
nel
tentativo
di
continuare
ad
assicurare
ai
titolari
dei
diritti
di
proprietà
intellettuale
il
controllo
della
distribuzione
dei
contenuti
digitali,
il
popolo
della
Rete
–
entità
soprannazionale,
globale,
anarchica
e
acefala
‐
ha
spontaneamente
‐
bisognerebbe,
forse,
dire,
istintivamente
‐
reagito
sfruttando
la
tecnologia
per
superare
o,
più
semplicemente,
aggirare
l’ostacolo.
La
dinamica
della
condivisione
centralizzata
dei
contenuti
digitali
che
ha,
in
passato,
costituito
la
fortuna
di
Napster
ha,
così,
progressivamente
ceduto
il
passo
a
piattaforme
di
condivisione
con
struttura
decentralizzata
quali
quelle
alla
base
delle
più
famose
“etichette”
del
Peer
to
Peer
e,
allorquando,
il
legislatore
si
è
spinto
a
tentare
di
regolamentare
tale
nuova
forma
di
circolazione
dei
contenuti,
il
Popolo
della
Rete
ha
nuovamente
reagito
dando
vita
al
Peer
to
mail
prima
ed
alla
condivisione
non
più
dei
contenuti
ma
semplicemente
delle
passwords
per
l’accesso
ad
enormi
archivi
digitali
costruiti
negli
anni
dai
singoli
utenti
e
custoditi
negli
enormi
archivi
di
rapidshare,
magaupload
e
tanti
altri.
Attraverso
una
linea
di
sviluppo
pressoché
parallela,
frattanto,
in
Rete
è
cresciuta
la
tendenza
ad
operare
in
forma
anonima
nascondendo
la
propria
identità
dietro
a
nick,
software
di
anonimyzer,
proxy
e
decine
di
altri
“passamontagna
digitali”.
La
Rete
si
è
così
popolata
di
milioni
di
Sig.
Nessuno
o
Mr.
Nobody
cui
è
difficile
imputare
condotte,
attribuire
responsabilità
o,
più
semplicemente,
ricondurre
conseguenze
giuridiche
di
qualsivoglia
natura.
Il
desiderio
di
accesso
al
patrimonio
culturale
digitale
di
milioni
di
utenti
e
la
loro
esigenza
di
trasformarsi
da
meri
fruitori
di
opere
dell’ingegno
in
creatori
di
tali
opere,
contestualmente,
è
stato
soddisfatto
attraverso
gli
UGC
–
User
Generated
Content
–
fornitori
di
contenuti
digitali
provenienti
direttamente
dagli
utenti
o,
in
qualche
caso
–
in
effetti
ancora
raro
–
da
soggetti
terzi
che
hanno
deciso
di
utilizzare
tali
piattaforme
per
la
distribuzione
di
prodotti
culturali
e/o
informativi
realizzati
con
modalità
professionali
ed
imprenditoriali.
40
Youtube,
Flickr,
Google
Video
e
decine
di
altre
analoghe
piattaforme
hanno,
così,
iniziato
a
rendere
accessibili
contenuti
digitali
sino
a
ieri
distribuiti
esclusivamente
attraverso
i
canali
tradizionali
controllati
dai
titolari
dei
diritti.
Quello
attuale
è,
dunque,
un
contesto
di
mercato
completamente
trasformato
e
ridisegnato
rispetto
a
quello
che
solo
dieci
anni
fa
si
proponeva
all’osservazione
dell’interprete,
del
legislatore
e
più
in
generale
dell’operatore
del
diritto,
ispirando
i
primi
interventi
comunitari
in
materia
di
diritto
d’autore
nella
società
dell’informazione.
Nuove
sono
le
condotte
idonee
a
violare
gli
altrui
diritti
d’autore,
nuovo
è
il
novero
di
quelle
che
dovrebbero
ritenersi
–
nonostante
le
forti
resistenze
che
sul
punto
si
registrano
negli
Ordinamenti
della
più
parte
dei
Paesi
‐
le
“libere
utilizzazioni”,
nuovi
sono
i
possibili
modelli
di
business
cui
i
titolari
dei
diritti
potrebbero
ispirarsi
nella
distribuzione
dei
contenuti
digitali
e
nuove,
infine,
sono
le
soluzioni
tecnico‐giuridiche
cui
potrebbe
farsi
ricorso
per
disciplinare
i
rapporti
tra
autori,
produttori,
distributori
e
consumatori
di
cultura
digitale.
L’ingresso
del
sistema
Paese
nell’era
dell’accesso
rende,
pertanto,
urgente
individuare
nuove
posizioni
di
equilibrio
nei
rapporti
tra
i
titolari
dei
diritti
d’autore
ed
i
consumatori
di
contenuti
digitali.
Contrariamente
a
quanto
talvolta
sostenuto,
peraltro,
proprio
la
progressiva
smaterializzazione
del
patrimonio
culturale
globale
e
la
conseguente
moltiplicazione
delle
possibilità
e
modalità
di
accesso
a
tale
patrimonio
da
parte
di
un
pubblico
di
consumatori
milioni
di
volte
più
ampio
rispetto
a
quello
di
ieri,
impone
di
guardare
al
diritto
d’autore
nei
Paesi
di
civil
law
ed
al
copyright
in
quelli
di
common
law
come
l’indiscusso
protagonista
della
nuova
era.
Occorre,
dunque,
ridisegnare
il
rapporto
tra
i
contrapposti
diritti
ed
interessi
senza,
tuttavia,
tradire
spirito
e
filosofia
della
disciplina
in
materia
di
proprietà
intellettuale:
incentivare
la
produzione
culturale,
massimizzare
la
circolazione
delle
creazioni
intellettuali
e
garantire
un
equo
compenso
a
quanti
contribuiscono
a
produrre
cultura,
ponendola
a
disposizione
della
collettività.
In
tale
sforzo
è
importante
–
e
si
tratta
di
un
aspetto
da
più
parti
perso
di
vista
–
che
il
processo
avvenga
nel
rispetto
degli
altri
diritti
fondamentali
dell’uomo
di
dignità
almeno
eguale
se
non
superiore
a
quelli
d’autore.
Penso
al
diritto
all’informazione,
a
quello
all’educazione
ed
alla
ricerca
scientifica
o,
piuttosto,
a
quello
alla
privacy.
41
Taluni
recenti
episodi
evidenziano,
per
contro,
come
di
frequente
negli
ultimi
anni
si
sono
inopinatamente
collocati
i
diritti
di
proprietà
intellettuale
in
una
pozione
sovra‐ordinata
rispetto
agli
altri
citati
diritti
in
nome
di
un’epidermica
esigenza
di
controbilanciare
l’aggressione
che
le
nuove
tecnologie
stavano
portando
agli
interessi
di
editori,
produttori
ed
autori.
Esemplificativa
del
momento
di
particolare
tensione
che
si
registra
in
relazione
all’esigenza
di
contemperare
la
protezione
e
l’enforcement
dei
diritti
di
proprietà
intellettuale
con
il
diritto
alla
privacy
è
la
questione
che
ha,
di
recente,
formato
oggetto
di
numerose
pronunzie
da
parte
della
Corte
di
Giustizia
UE,
della
Corte
Costituzionale
tedesca,
delle
Autorità
Garanti
per
la
riservatezza
italiana
e
svizzera
nonché
di
numerosi
Giudici
nazionali.
Si
tratta,
peraltro,
della
medesima
questione
al
centro
di
ampio
dibattito
in
sede
Europea
nell’ambito
dei
lavori
preparatori
della
Direttiva
UE
c.d.
IPRED
2.
Tale
questione
concerne
la
possibilità
per
i
titolari
dei
diritti
d’autore
di
investigare
privatamente
su
eventuali
violazioni
dei
propri
diritti,
acquisendo
e
trattando
enormi
quantitativi
di
dati
personali
degli
utenti.
Dopo
un
primo
momento
di
apparente
incertezza,
oggi,
la
Corte
di
Giustizia
dell’Unione
Europea
nel
caso
Promusicae
vs.
Telefonica
de
Espana
SAU,
la
Corte
Costituzionale
tedesca
nonché
i
Garanti
per
la
privacy
italiano
e
svizzero
nel
caso
Peppermint‐
Logistep,
sembrano
allineate
nel
ritenere
che
l’esigenza
di
tutelare
i
diritti
di
proprietà
intellettuale
non
giustifichi
operazioni
di
trattamento
di
dati
personali
di
massa
quali
quelle
necessarie
al
monitoraggio
dell’attività
di
utenti
e
consumatori
nell’ambito
delle
piattaforme
di
Peer
to
Peer.
Vi
è
poi
un’altra
questione
egualmente
esemplificativa
della
crescente
contrapposizione
e
del
difficile
contemperamento
tra
l’esercizio
dei
diritti
d’autore
nella
società
dell’informazione
ed
il
rispetto
degli
altri
diritti
fondamentali:
ci
si
riferisce
all’idea
che
attraversa
–
sebbene
con
sfumature
diverse
–
l’intera
Unione
Europea
di
filtrare
i
contenuti
digitali
protetti
da
diritto
d’autore
alla
fonte
così
da
precludere
agli
utenti
di
accedervi.
Si
tratta
di
una
questione
particolarmente
delicata
in
quanto
talune
declinazioni
della
teoria
del
filtraggio
rischiano
di
produrre
gravi
conseguenze
sul
versante
della
libertà
di
espressione
e
di
condivisione
di
pensieri,
parole
ed
opinioni.
Le
tecniche
di
filtraggio
sin
qui
sviluppate,
infatti,
sono
caratterizzate
da
ineliminabili
margini
di
errore
sempre
troppo
rilevanti
–
quale
che
sia
la
percentuale
di
riferimento
–
se
si
42
considera
che
la
conseguenza
dell’errore
può
essere
costituita
da
un’inammissibile
compressione
della
libertà
di
manifestazione
del
pensiero
del
cittadino.
Tale
questione
è
stata
di
recente
affrontata
dai
Giudici
belgi
nel
caso
Scarlet
SA
vs.
SABEM
nell’ambito
del
quale
il
Tribunale
di
Bruxelles
ha
ordinato,
per
la
prima
volta
in
Europa,
ad
un
provider
di
dotarsi
di
dispositivi
di
filtraggio
al
fine
di
precludere
ai
propri
utenti
di
effettuare
download
ed
upload
di
contenuti
digitali
protetti
da
diritto
d’autore.
La
medesima
tesi
dell’esigenza
di
coinvolgere
i
provider
nella
lotta
alla
pirateria
audiovisiva
attraverso
il
filtraggio
dei
contenuti
degli
utenti
è,
d’altra
parte,
al
centro
dell’accordo
di
recente
raggiunto
tra
il
Governo
francese,
le
major
dell’audiovisivo
ed
i
provider
sulla
base
dei
lavori
della
Commissione
Olivennes.
Lo
stesso
conflitto
tra
tutela
del
diritto
d’autore
e
libertà
di
manifestazione
del
pensiero
è,
infine,
al
centro
di
un
acceso
dibattito
in
taluni
Paesi
quale,
ad
esempio,
l’Inghilterra
ove
ci
si
è
spinti
a
presentare
una
proposta
di
legge
che,
se
approvata,
farebbe
si
che
a
seguito
di
taluni
“avvertimenti”
per
pretese
–
non
è
chiaro
attraverso
quale
meccanismo
potrebbe
acquisirsene
la
certezza
–
violazioni
del
diritto
d’autore,
i
providers
dovrebbero
recedere
unilateralmente
dal
contratto
di
fornitura
di
connettività,
privando
così
l’utente
della
possibilità
di
accedere
a
tutte
le
risorse
telematiche.
Quello
che
stiamo
vivendo
è,
dunque,
un
momento
di
straordinaria
e
nuova
tensione
tra
contrapposti
diritti
ed
interessi.
E’
forte
il
rischio
che
la
necessaria
ed
indispensabile
tutela
dei
diritti
di
proprietà
intellettuale
dia
vita
alla
nascita
di
una
pay
per
use
society
nella
quale
i
cittadini
perderebbero
tale
loro
veste
ed
i
diritti
fondamentali
ad
essa
ricollegati,
per
essere
piuttosto
considerati
“semplici”
utenti
e
consumatori
di
contenuti
digitali.
Ciò
equivarrebbe
a
confondere
il
fine
con
il
mezzo.
Il
diritto
d’autore
deve,
infatti,
costituire
un
incentivo
alla
produzione
culturale
e,
quest’ultima,
deve
costituire
lo
strumento
–
ma
non
il
fine
–
per
lo
sviluppo,
l’attuazione
e
la
piena
realizzazione
dell’uomo
e
del
cittadino
quali
membri
di
una
collettività
oggi
globale.
La
parabola
dell’acqua
minerale.
Telejus
Febbraio
2006
Ci
sono,
a
mio
avviso,
forti
analogie
tra
talune
questioni
connesse
all’imbottigliamento
ed
alla
distribuzione
dell’acqua
43
minerale
e
le
più
note
ed
attuali
problematiche
legate
all’accesso
ai
contenuti
digitali
nella
società
dell’informazione
e,
pertanto,
soffermarsi
a
riflettere
sulle
prime
può
risultare
illuminante
nell’individuazione
di
possibili
soluzioni
in
relazione
alle
seconde.
In
questo
ragionamento
credo
convenga
muovere
dall’analisi
degli
elementi
prima
di
addentrarsi
nell’esame
delle
formule
–
in
questo
caso
giuridiche
–
cui
è
affidato
il
sistema
della
proprietà
intellettuale
e
–
ma
l’argomento
resterà
sullo
sfondo
–
quello
dell’imbottigliamento
e
distribuzione
delle
acque
minerali.
L’acqua
(h2o)
costituisce
il
70
%
del
corpo
umano
ed
occupa
un’analoga
percentuale
dell’intero
Pianeta.
“L’acqua
è
il
principio
di
tutte
le
cose”
soleva
ripetere
già
nel
VI
secolo
a.c.
Talete;
non
è
dunque
esagerato
definirla
un
elemento
essenziale
della
stessa
esistenza
umana.
Egualmente,
ritengo,
ci
si
possa
trovare
d’accordo
nel
ritenere
che
il
sapere,
le
arti
della
letteratura,
della
musica,
della
cinematografia
e,
più
in
generale
ogni
creazione
dell’ingegno
costituiscono
elementi
altrettanto
essenziali
per
l’esistenza
e
l’evoluzione
culturale,
scientifica
e
tecnologica
dell’intera
popolazione
della
terra
e
ciò,
soprattutto,
mentre
una
comunità
globale
di
milioni
di
persone
si
avvia
ad
entrare
nella
società
dell’informazione.
Una
prima
analogia
è,
dunque,
rappresentata
dalla
centralità
che
i
due
elementi
rivestono
nella
vita
dell’uomo.
Un’altra
importante
analogia,
non
trascurabile
nell’analisi
del
fenomeno,
è
rappresentata
dalla
leggerezza,
neutralità
e
trasparenza
di
entrambi
gli
elementi
(acqua
e
cultura)
che
tuttavia,
stridono
con
la
loro
forza
e
con
la
caratteristica
irruenza
con
la
quale,
talvolta
in
senso
positivo
e
talaltra
in
senso
negativo,
si
presentano.
Basti
pensare
all’effetto
di
una
pioggia
abbondante
su
di
un
campo
arido
ed
alla
accessibilità
da
parte
di
una
comunità
sino
al
giorno
prima
isolata
di
una
piattaforma
di
e‐learning
o,
piuttosto,
alle
conseguenze
disastrose
di
un
allagamento
ed
a
quelle
non
meno
devastanti
della
diffusione
di
certe
ideologie
in
talune
epoche
storiche.
Acqua
ed
idee
possono
essere
più
o
meno
nutrienti
rispettivamente
per
il
corpo
e
per
lo
spirito,
più
o
meno
gustose
e
avere
caratteristiche
differenti
in
relazione
alla
fonte
da
cui
provengono.
L’acqua
come
le
idee,
la
cultura
e
le
arti
uniscono
e
dividono
i
popoli:
rendono
agevoli
gli
incontri
e
gli
scambi
culturali
ed
economici
o,
piuttosto
li
precludono
innalzando
insormontabili
barriere.
44
Il
possesso
dell’acqua
esattamente
come
il
possesso
delle
idee
–
e
più
in
generale
del
patrimonio
culturale
‐
determina
la
ricchezza
e
la
povertà
di
un
popolo
e
dà
luogo
ad
insuperabili
forme
di
sudditanza
e
supremazia.
Sin
dalle
origini
della
storia
del
mondo
le
civiltà
più
floride
sorgevano
su
terreni
fertili
e
le
civiltà
più
forti
e
destinate
a
colonizzare
il
mondo
erano
quelle
più
ricche
di
ingegno,
di
arti
e
di
cultura
oggi,
diremmo,
di
diritti
di
privativa
industriale
e
di
diritti
d’autore.
Sin
qui
per
quanto
riguarda
gli
elementi.
Analogie,
vicinanze
concettuali
e
comunanza
di
problematiche
sociali,
culturali
e
giuridiche,
tuttavia,
divengono
ancor
più
evidenti
allorquando
l’acqua,
le
idee
e
la
cultura
vengono
calate
nella
realtà
socio
economica
ed
esaminate
in
una
prospettiva
dinamica.
Entrambi
gli
elementi
sono,
infatti,
presenti
nell’universo
in
quantità
enormi
e,
tuttavia
‐
in
apparente
contrasto
con
una
delle
più
semplici
regole
economiche
secondo
cui
ad
un’alta
offerta
corrisponde
uno
scarso
valore
del
bene
–
essi
costituiscono
beni
preziosi
che
hanno,
nel
tempo
dato
vita
a
mercati
che
valgono
milioni
di
milioni
di
euro.
Acqua
ed
idee
pur
essendo
a
portata
di
mano
di
tutti
costituiscono
appannaggio
esclusivo
o
privilegiato
di
pochi
che,
per
primi
–
o
più
degli
altri
–
hanno
saputo
sfruttarle
economicamente
imbottigliando
la
prima
e
confezionando
le
seconde
in
colorati
contenitori
fisici
e
mediatici.
Oggi
grazie
alle
nuove
tecnologie
(digitali
e
telematiche
nel
caso
delle
idee,
meccaniche
ed
industriali
nel
caso
dell’acqua)
i
due
mercati
sono
divenuti
globali:
l’acqua
Evian
prodotta
sulle
montagne
francesi
arriva
ogni
giorno
sulle
scrivanie
dei
ricchi
e
dei
potenti
del
continente
asiatico
così
come
di
quello
americano,
i
brani
musicali
delle
più
famose
rockstar
statunitensi
al
pari
di
quelli
del
più
piccolo
complesso
emergente
–
opportunamente
“impacchettati”
grazie
alla
tecnologia
digitale
ed
ai
nuovi
preziosi
algoritmi
di
compressione
‐
attraversano
gli
oceani
correndo
lungo
le
fibre
ottiche
ed
arrivano
nel
c.d.
“tempo
reale”
nelle
case
di
ognuno
di
noi.
Un
giro
in
un
ipermercato
ed
un
pomeriggio
in
un
megastore
multimediale
convincono
poi
di
un
ulteriore
elemento
di
particolare
rilievo:
le
caratteristiche
e
la
sostanza
dell’acqua
così
come
delle
creazioni
dell’ingegno
umano
hanno,
ormai,
lasciato
il
passo
alla
forma
ed
ai
colori
delle
confezioni
che
le
contengono
nonché
alle
inarrestabili
campagne
pubblicitarie
e
di
marketing
che
ne
precedono
l’immissione
sul
mercato
e
ne
accompagnano
la
distribuzione.
45
Le
analisi
di
mercato
relative
alla
distribuzione
delle
acque
minerali
così
come
quelle
relative
alla
distribuzione
delle
opere
dell’ingegno
rivelano,
inoltre,
un
dato
particolarmente
significativo
e,
ad
un
tempo,
preoccupante:
le
scelte
dei
consumatori
e
degli
utenti
sono
sempre
meno
dettate
da
un’effettiva
preferenza
verso
il
prodotto
e
sempre
più
determinate
dalle
caratteristiche
dei
contenitori
fisici
e
mediatici
utilizzati
per
la
distribuzione.
Questi
contenitori
rappresentano
per
i
produttori
e
distributori
di
acqua
minerale
e
per
le
major
dell’industria
audiovisiva,
voci
di
costo
ben
maggiori
rispetto
al
semplice
valore
del
bene
e/o
dello
sforzo
intellettuale
necessario
a
creare
un’opera
dell’ingegno.
In
tale
contesto
può,
a
mio
avviso,
inquadrarsi
l’esame
dell’impatto
delle
nuove
tecnologie
digitali
e
telematiche
sul
mercato
della
proprietà
intellettuale,
in
questa
prospettiva
può
e
deve
ricercarsi
una
spiegazione
al
clima
di
enorme
smarrimento
in
cui
è
venuta
a
trovarsi
l’industria
audiovisiva
mondiale
e,
ad
un
tempo,
seguendo
tale
ragionamento
può
forse
pervenirsi
ad
individuare
un
nuovo
equilibrio
ed
assetto
giuridico‐economico
di
un
settore
–
quello
della
proprietà
intellettuale
‐
da
cui
dipende,
in
gran
parte,
il
futuro
della
società
dell’informazione.
L’impatto
delle
nuove
tecnologie
digitali
e
telematiche
sul
mercato
della
proprietà
intellettuale
rappresenta,
infatti,
un
fenomeno
analogo
a
quello
che
verrebbe
a
prodursi
nel
mercato
delle
acque
minerali
qualora,
domani,
i
consumatori
potessero
ricevere
–
attraverso
le
condutture
idriche
già
esistenti
–
direttamente
nelle
loro
abitazioni
l’enorme
varietà
di
acque
minerali
provenienti
da
tutte
le
fonti
del
mondo,
oggi
distribuite
nei
supermercati
ed
ipermercati
nelle
confezioni
di
PET,
PVC,
cartone
e,
sempre
più
raramente,
vetro.
E’
facile
prevedere
che
pochi
continuerebbero
a
recarsi
nei
supermercati
ed
ipermercati
per
acquistare
le
attuali
confezioni
di
acqua
minerale
accollandosi
gli
oneri
economici
e
fisici
a
ciò
connessi,
molti
sarebbero
disponibili
a
pagare
prezzi
–
certamente
più
bassi
e
contenuti
di
quelli
attuali
–
ai
proprietari
delle
diverse
fonti
e
sorgenti
e,
taluni,
tenterebbero
di
allacciarsi
abusivamente
a
questa
o
quella
condotta
per
poter
beneficiare
gratuitamente
di
una
grande
varietà
di
acque
minerali,
sino
al
giorno
prima
pagate
a
caro
prezzo
o
non
comprate
affatto.
Non
diversamente
oggi
–
e
sempre
di
più
domani
in
modo
direttamente
proporzionale
al
diffondersi
delle
tecnologie
digitali
e
telematiche
presso
fasce
sempre
più
ampie
della
popolazione
–
taluni
(secondo
recenti
ricerche
di
mercato,
peraltro,
non
pochissimi
ed
anzi,
forse,
più
di
ieri)
continuano
a
recarsi
nei
megastore
multimediali
per
acquistare
a
costi
inaccessibili
ai
più
46
supporti
originali
contenti
opere
dell’ingegno,
parecchi
–
purtroppo
non
ancora
molti
–
“scaricano”
dal
web
–
attraverso
i
pochi
servizi
a
ciò
destinati
attualmente
esistenti
–
materiale
audiovisivo
in
formato
digitale
reso
disponibile
a
costi
più
accessibili
e,
qualcuno
–
in
realtà,
forse,
troppi
–
cerca
soluzioni
più
o
meno
fantasiose
per
sfruttare
le
tecnologie
digitali
e
telematiche
per
accedere
ad
un
enorme
quantità
di
opere
dell’ingegno
sottraendosi
dal
riconoscimento
ad
autori,
produttori
e
distributori
di
qualsivoglia
diritto
o
compenso.
Quale
soluzione,
dunque,
adottare
per
garantire
a
tutte
le
parti
interessate
di
beneficiare
delle
nuove
straordinarie
opportunità
offerte
dal
progresso
tecnologico
nel
rispetto
dei
diritti
di
ciascuno?
La
parabola
dell’acqua
suggerisce
di
accantonare
l’idea
di
frenare
il
progresso
rifiutandosi
di
distribuire
contenuti
digitali
attraverso
le
nuove
piattaforme
telematiche
solo
perché,
così
facendo,
si
abbatterebbe
il
rischio
che
qualcuno
vi
si
“allacci”
per
accedervi
abusivamente
e,
ad
un
tempo
consente
di
escludere
che
sia
possibile
pensare
di
arginare
il
fenomeno
della
circolazione
telematica
semplicemente
innalzando
“dighe”
o
filtri.
La
massa
di
bit
che
trasporta
il
patrimonio
culturale
digitale
globale,
esattamente
come
un
fiume
in
piena
nel
quale
confluiscono
attraverso
mille
canali
tonnellate
di
acqua
provenienti
da
ogni
più
remota
zona
del
globo,
prima
o
poi,
infatti,
rischierebbe
di
travolgere
gli
argini.
Entrambe
tali
preoccupazioni,
d’altra
parte,
sono
al
centro
della
recente
Comunicazione
della
commissione
UE
sui
contenuti
digitali
e
formano
oggetto
–
come
si
è
anticipato
–
di
ampio
dibattito
tanto
in
sede
di
Unione
europea
che
presso
i
Governi
dei
Paesi
membri.
Non
è
facile
individuare
o
suggerire
soluzioni
in
relazione
a
questioni
complesse
non
solo
per
la
rilevanza
degli
interessi
economici
e
sociali
in
gioco
ma
anche
e
soprattutto
perché
fortemente
influenzate
e
condizionate
dal
progresso
tecnologico
che
ne
ridisegna,
senza
sosta,
ambiti
e
termini,
facendo
risultare
vecchie
e
superate
soluzioni
neppure
attuate.
Le
strade
astrattamente
percorribili
sono
numerose
e
nessuna
si
presenta
scevra
da
ostacoli
o
possibili
insidie.
Una
delle
soluzioni
di
cui
ultimamente
si
discute
con
maggior
insistenza
è
l’dea
di
istituire
un
“pedaggio”
per
chiunque
voglia
percorrere
le
autostrade
dell’informazione
sul
presupposto
che
non
le
percorra
a
mani
vuote
ma
più
o
meno
carico
di
contenuti
digitali
protetti
da
diritti
d’autore.
In
tale
prospettiva,
di
recente
rilanciata
anche
dall’Unione
Europea,
gli
Internet
Service
Provider
dovrebbero,
probabilmente,
47
essere
chiamati
a
svolgere
il
ruolo
di
“casellanti”
e,
quindi,
incassare
il
pedaggio
da
far
poi
transitare
–
attraverso
un
meccanismo
tutt’altro
che
semplice
da
disegnare
–
sulle
società
di
gestione
ed
intermediazione
dei
diritti
d’autore
e,
quindi,
sui
titolari
di
tali
diritti.
Sotto
un
profilo
giuridico,
rectius
normativo,
si
tratterebbe
di
ripercorrere
una
strada
già
battuta
allorquando
–
agli
albori
della
rivoluzione
digitale
–
si
è
posto
il
problema
di
garantire
ai
titolari
dei
diritti
un
equo
indennizzo
per
le
copie
private
per
uso
personale
che
–
proprio
grazie
alle
nuove
tecnologie
digitali
–
gli
utenti
ed
i
consumatori
avrebbero
tratto
dagli
originali
in
circolazione.
In
quell’occasione
la
soluzione
fu
quella
di
esigere
dai
produttori
dei
supporti
di
archiviazione
una
tassa
sul
presupposto
che
i
supporti
sarebbero
stati
utilizzati,
in
una
certa
misura,
proprio
per
ospitare
contenuti
protetti
da
diritti
d’autore
in
relazione
ai
quali
–
complice
l’eccezione
per
la
“copia
privata”
prevista
negli
Ordinamenti
della
più
parte
dei
Paesi
membri
–
i
titolari
non
avrebbero,
altrimenti
mai
percepito
alcun
compenso.
Tale
soluzione
ha,
tuttavia,
ricevuto
un’attuazione
diversa
ed
eterogenea
nei
Paesi
dell’Unione
Europea
ed
è
tuttoggi
al
centro
di
un
acceso
dibattito.
Estendere
tale
approccio
all’utilizzo
delle
risorse
telematiche
significa,
pertanto,
riproporre
problemi
da
tempo
noti
agli
addetti
ai
lavori
e,
tuttavia,
mai
compiutamente
risolti.
La
presunzione
di
utilizzo
di
una
risorsa
–
sia
essa
un
CD
o,
piuttosto,
la
connessione
a
Internet
–
per
l’utilizzo
di
contenuti
coperti
da
diritto
d’autore
e
gestiti
attraverso
le
dinamiche
tradizionali,
ad
esempio,
costituisce
innegabilmente
una
forzatura
che,
in
molti
casi,
non
trova
alcun
riscontro
nella
realtà.
Esistono,
ormai,
milioni
di
opere
dell’ingegno
rese
disponibili
on‐line
in
relazione
alle
quali
l’utente
riconosce
alla
fonte
il
corrispettivo
richiesto
o,
comunque,
viene
autorizzato
al
loro
utilizzo
a
fronte
dell’assunzione
di
obbligazioni
di
natura
non
pecuniaria.
In
tutti
questi
casi
è,
ad
esempio,
evidente
che
esigere
un
corrispettivo
per
l’utilizzo
delle
risorse
di
connetività
o,
piuttosto,
di
un
CD
rischia
di
tradursi
nell’esazione
di
un
doppio
compenso
da
parte
del
consumatore
e
nella
percezione
di
un
doppio
corrispettivo
da
parte
del
titolare
dei
diritti.
Esistono,
d’altra
parte,
milioni
di
utenti
che
si
connettono
alla
Rete
all’unico
scopo
di
accedere
all’enorme
archivio
di
cultura
digitale
libera
reso
disponibile
attraverso
dinamiche
o
modelli
di
business
innovativi.
48
Si
pensi
ai
quotidiani
on‐line
finanziati
interamente
dalla
pubblicità,
alle
enciclopedie
elettroniche,
alle
piattaforme
di
social
web
2.0,
ai
forum
di
discussione
o,
piuttosto,
ai
siti
internet
delle
pubbliche
amministrazioni.
In
tale
contesto
–
come
peraltro
accade
già
oggi
in
relazione
ai
supporti
per
l’archiviazione
di
contenuti
digitali
–
la
presunzione
di
utilizzo
della
risorsa
per
l’esercizio
di
diritti
d’autore
non
risulta
convincente
e
rischia
di
sperequare
l’equilibrio
che
dovrebbe,
invece,
sussistere
tra
sforzo
creativo,
messa
a
disposizione
della
collettività
dei
risultati
di
tale
sforzo
e
propria
remunerazione.
Per
tale
via
si
potrebbe,
in
buona
sostanza,
arrivare
ad
un
punto
in
cui
l’equo
compenso
per
l’utilizzo
delle
risorse
di
connettività
costituirebbe
uno
strumento
di
finanziamento
o
sostentamento
per
l’industria
culturale
cui
quest’ultima
potrebbe
accedere
a
prescindere
dai
risultati
effettivamente
prodotti
e
posti
a
disposizione
della
collettività.
Ciò
frustrerebbe
irreparabile
spirito
e
ratio
della
disciplina
sul
diritto
d’autore.
La
cifra
di
oltre
500
milioni
di
Euro
raccolta
nel
2004
dalle
società
di
intermediazione
dei
diritti
europee
a
titolo
di
“equo
compenso”
per
le
utilizzazioni
libere
sembra
rendere
concreta
ed
attuale
tale
preoccupazione.
Le
stesse
società
di
gestione
ed
intermediazione
dei
diritti
operanti
nei
diversi
Paesi
membri,
d’altra
parte,
costituiscono
un
importante
aspetto
da
tener
presente
nell’intervenire
sulla
disciplina
della
materia.
La
ripartizione
geografica
del
mercato
della
proprietà
intellettuale
tra
più
società
di
intermediazione
dei
diritti
operanti
in
regime
di
monopolio
nazionale
è,
infatti,
divenuta
anacronistica
essendosi
ormai
sviluppato
–
grazie
alle
nuove
tecnologie
digitali
e
telematiche
–
un
mercato
europeo,
se
non
addirittura
mondiale,
dei
contenuti
protetti
da
diritto
d’autore.
Ad
un
tempo,
le
nuove
tecnologie,
rendono
agevolmente
superabili
i
sistemi
tradizionali
di
ripartizione
dei
diritti
d’autore
basati
su
calcoli
statitistici
e
probabilistici
o,
piuttosto,
su
meccanismi
forfettari
ed
approssimativi.
Nella
società
dell’informazione
digitale
i
bit
possono
essere
contati
in
modo
automatizzato
uno
ad
uno
senza
alcuna
esigenza
di
“pesanti”
infrastrutture
ed
apparati
burocratici.
Il
ruolo
delle
società
di
intermediazione
dei
diritti,
nel
nuovo
assetto
del
mercato
dei
contenuti
digitali,
dovrebbe,
pertanto,
formare
oggetto
di
un
profondo
ripensamento
e,
per
taluni
aspetti,
di
un
ridimensionamento
che,
tuttavia,
appare
difficile
da
far
accettare
a
livello
nazionale
dopo
una
lunga
stagione
49
nella
quale
dette
società
ed
enti
si
sono
visti
progressivamente
riconoscere
sempre
maggiori
poteri
ed
autorità.
In
un
contesto
tanto
variegato
e
complesso
nel
quale
le
questioni
si
presentano
concatenate
l’una
all’altra
più
che
proporre
soluzioni
sembra
opportuno
sforzarsi
di
individuare
i
pochi
elementi
di
certezza
enucleabili
nella
speranza
che
muovendo
da
tali
punti
fermi
sia
poi
possibile
tracciare
le
linee
di
sviluppo
della
nuova
disciplina
sul
diritto
d’autore
di
cui
si
avverte
l’improcrastinabile
esigenza.
In
tale
prospettiva
una
prima
certezza
sembra
poter
essere
costituita
dalla
circostanza
che
l’epoca
dei
contenitori
fisici
e
mediatici
costosi
e
colorati
nei
quali
sino
a
ieri
la
cultura
è
stata
distribuita
si
avvia
al
tramonto
e
che
essa
è
destinata
ad
essere
sostituita
da
quella
della
fibra
ottica,
della
banda
larga,
dei
bit
e
della
tecnologia
digitale.
In
questa
nuova
era,
già
definita
da
un
grande
economista
come
Jeremy
Rifkin,
l’Era
dell’Accesso
“i
mercati
stanno
cedendo
il
passo
alle
reti
e
la
proprietà
è
progressivamente
sostituita
dall’accesso”;
ciò
che
conta
non
è
tanto
vendere
la
proprietà
di
un
bene
materiale
quanto
piuttosto
l’accesso
ad
un
bene
immateriale.”
E’,
dunque,
l’accesso
ai
contenuti
digitali
che
andrà
disciplinato
e
non
più
il
possesso
degli
stessi
su
questo
o
quel
supporto
o,
piuttosto,
la
riproduzione
di
un
contenuto
da
un
supporto
all’altro.
Certe
preoccupazioni
così
come
la
pretesa
di
“tassare”
il
possesso
o
sanzionare
quello
illegittimo,
nell’era
dell’accesso
appaiono
anacronistiche,
inattuabili
e
sconfitte
dai
tempi
e
dal
progresso.
Un’ulteriore
certezza
sembra
costituita
dall’esponenziale
ampliamento
del
mercato
dei
contenuti
digitali
che,
oggi,
è
aperto
a
zone
del
globo
ed
a
fasce
della
popolazione
che,
sino
a
ieri,
erano
sistematicamente
lasciate
fuori
dalla
distribuzione
di
ogni
genere
di
prodotto
culturale.
Tale
fattore
in
uno
con
l’abbattimento
dei
costi
di
produzione
e
distribuzione
dei
contenitori
fisici
per
prodotti
culturali
(CD,
DVD
e
domani
libri)
e
con
la
facilità
di
promozione
di
tali
prodotti
a
costi
irrisori,
consente,
evidentemente,
ai
titolari
dei
diritti
di
conservare
ed
anzi
incrementare
i
propri
margini
di
profitto,
riducendo,
contestualmente
in
modo
sensibile
il
prezzo
di
accesso
ai
propri
contenuti.
Al
riguardo
appaiono,
tuttavia,
illuminanti
le
parole
di
George
Soros
secondo
il
quale
50
la
globalizzazione
non
è
un
gioco
a
somma
zero.
I
benefici
superano
i
costi,
nel
senso
che
l’aumentata
ricchezza
prodotta
dalla
globalizzazione
potrebbe
essere
utilizzata
per
rimediare
alle
sue
iniquità
e
agli
altri
suoi
difetti
e
ne
resterebbe
ancora
d’avanzo.
L’affermazione
è
difficile
da
dimostrare…cionondimeno,
tutte
le
prove
indicano
che
i
vincitori
potrebbero
indennizzare
gli
sconfitti
e
uscirne
comunque
con
un
guadagno…Il
problema
–
prosegue
Soros
–
è
che
i
vincitori
non
indennizzano
affatto
gli
sconfitti.
(G.
Soros,
Globalizzazione).
Si
è,
infine,
già
detto
–
ed
in
ciò
consiste
un
ulteriore
aspetto
di
certezza
da
tener
presente
in
ogni
ragionamento
sul
futuro
diritto
d’autore
–
che
la
tecnologia
oggi
abilita
a
forme
di
gestione
e
tutela
dei
diritti
automatizzate,
infallibili
e,
ad
un
tempo,
duttili
ovvero
suscettibili
di
adattarsi
a
modelli
di
business
diversi
ed
eterogenei
o,
piuttosto,
a
modelli
di
“non
business”
ovvero
di
distribuzione
e
circolazione
non
controllata
di
contenuti
digitali.
In
tale
prospettiva
la
tecnologia
di
riferimento
è
costituita
dai
Digital
Rights
Management,
il
cui
acronimo,
DRM
è,
sfortunatamente,
sin
qui,
divenuto
più
celebre
quale
strumento
di
protezione
coattiva
dei
diritti
unilateralmente
imposto
piuttosto
che
non
quale
strumento
di
traduzione
tecnologica
di
un
assetto
negoziale
concordato
tra
consumatori
e
distributori
di
prodotti
culturali.
Una
lezione
importante,
in
tal
senso,
viene,
ancora
una
volta,
dall’acqua.
L’acqua
è,
infatti,
il
miglior
nemico
dell’acqua,
nel
senso
che
una
corrente
di
eguale
forza
ma
di
contrapposta
direzione
è
l’unico
rimedio
per
deviare
il
corso
di
un
fiume
in
piena.
Allo
stesso
modo,
nel
dominio
del
diritto
d’autore
nella
società
dell’informazione,
appare
impossibile
pretendere
di
fermare
le
conseguenze
e
gli
effetti
dell’impatto
delle
nuove
tecnologie
sull’accesso
al
patrimonio
culturale
se
non
attraverso
le
tecnologie
medesime.
Monitoraggi
di
massa,
sistemi
di
filtraggio,
nuove
norme
e
regolamentazioni
sanzionatorie
lanciate
all’inseguimento
di
condotte
di
violazione
dei
diritti
sempre
nuove,
ritengo
non
servano
a
nulla
se
non
a
trasformare
in
scontro
quello
che,
invece,
da
centinaia
di
anni,
è
un
confronto
tra
titolari
dei
diritti
e
collettività.
Il
nuovo
assetto
della
disciplina
della
materia
–
quale
che
sarà
–
non
potrà
prescindere
da
strumenti
di
composizione
e
negoziazione
dei
contrapposti
diritti
ed
interessi
duttili,
elastici,
capaci
di
adattarsi
ad
una
realtà
in
continuo
divenire
perché
figlia
51
di
un
progresso
tecnologico
che
sta
aumentando
in
modo
esponenziale
il
proprio
ritmo
rispetto
a
quello
che
lo
ha
caratterizzato
nei
secoli
precedenti.
DRM,
Creative
commons,
sistemi
di
gestione
ed
intermediazione
automatizzata
dei
diritti
affidati
a
camere
di
commercio
telematiche
e
ius
mercatorum
sono
probabilmente
gli
ingredienti
indispensabili
del
nuovo
diritto
d’autore.
Panta
rei
e,
quindi,
occorre
far
presto
perché
il
tempo
di
elaborazione
della
soluzione
non
renda
quest’ultima
inefficace
rispetto
ad
un
contesto
di
mercato
che
domani
sarà
ancora
diverso.
…e
la
chiamano
proprietà
intellettuale…:(
9
novembre
2008
http://www.guidoscorza.it/?p=381
Ho
grande
rispetto
per
il
diritto
d'autore
quale
strumento
di
incentivo
alla
produzione
culturale
ed
alla
circolazione
di
idee
e
contenuti
creativi.
Senza
la
Società
dell'informazionenon
credo
segnarà
il
futuro
dll'uomo
come
sarebbe
auspicabile
e
come
potrebbe.
Sono,
tuttavia,
terrorizzato
dal
macroscopico
fraintendimento
di
quei
principi
che,
sempre
più
di
frequente
registro
in
giro.
Ieri
sera
volevo
guardarmi
l'ultimo
documentario
di
Michael
Moore,
Slacker
Uprising,
lieto,
tra
l'altro,
che
fosse
distribuito
gratuitamente
benché
per
uno
scopo
dichiaratamente
di
propaganda
politica.
Ecco
quello
che
mi
son
sentito
rispondere
dal
server
dal
quale
avevo
avviato
il
download:
“SORRY!
Unfortunately,
the
lawyers
tell
us
we
are
only
allowed
to
offer
the
film
to
people
residing
in
the
United
States
or
Canada.
The
computers
think
you
are
someplace
else
right
now,
and
that's
why
you
are
seeing
this
page.
If
you
really
are
in
the
U.S.
or
Canada
and
our
computers
are
confused,
you
may
try
accessing
the
website
from
a
different
network,
at
a
friends
house,
etc.
We're
very
sorry
for
the
inconvenience,
and
really
want
as
many
people
to
see
the
film
as
possible.”
Non
è
questo
lo
spirito
con
il
quale
tre
secoli
fa
è
nato
il
diritto
d'autore
e
non
è
questa
la
prorpietà
intellettuale
che
consentirà
di
utilizzare
la
Rete
per
abbattere
il
divide
socio‐
culturale
del
mondo.
Che
ne
pensate?
52
P.S.:
inutile
che
vi
dica
che
mi
ci
sono
voluti
tre
minuti
per
scaricarmi
il
documentario
del
quale,
tra
l'altro,
consiglio
la
visione
perchè
quali
che
siano
i
vostri
orientamenti
politici,
è
un
pezzo
di
storia
del
nostro
tempo
raccontata
da
uno
dei
due
possibili
angoli
di
visuale.
Nuovi
e
vecchi
modelli
a
confronto.
14
ottobre
2008
http://www.guidoscorza.it/?p=361
Questa
mattina
Punto
Informatico
ha
pubblicato
la
lettera
aperta
con
la
quale
ISP,
consumatori
ed
addetti
ai
lavori
hanno
sollevato
dubbi
e
perplessità
circa
l'iniziativa
del
Governo
di
costituire
un
comitato
tecnico
per
la
lotta
alla
pirateria
digitale
e
telematica24.
Questo
è
il
testo
della
lettera:
On.
Sandro
Bondi
Ministro
per
i
beni
e
le
attività
culturali
e
Prof.
Mauro
Masi
Segretario
Generale
della
Presidenza
del
Consiglio
dei
Ministri
Nelle
scorse
settimane
si
è
appreso
dagli
organi
di
stampa
che
sarebbe
stato
istituito
presso
la
Presidenza
del
Consiglio
dei
Ministri
d’intesa
con
il
Ministero
per
i
Beni
e
le
Attività
culturali
un
Comitato
tecnico
contro
la
pirateria
digitale
e
multimediale
del
quale
faranno
parte
oltre
al
Segretario
Generale
della
Presidenza
del
Consiglio
che
lo
coordinerà,
il
Capo
gabinetto
del
Ministero
per
i
beni
e
le
attività
culturali,
il
Presidente
della
Siae,
i
rappresentanti
dei
dicasteri
coinvolti
e
due
esperti
del
settore
che
verranno
nominati
a
breve.
La
cultura
nella
Società
dell’Informazione
costituisce,
tuttavia,
evidentemente
un
bene
comune
e
la
circolazione
del
patrimonio
culturale
rappresenta
pertanto
un
tema
in
relazione
al
quale
si
confrontano
ed
intersecano
inevitabilmente
interessi
e
diritti
di
soggetti
diversi:
utenti
e
consumatori,
internet
services
provider,
intermediari
della
comunicazione,
artisti
e
fornitori
di
contenuti.
In
tale
contesto,
desta
preoccupazione
la
circostanza
che
nell’istituire
il
citato
Comitato
tecnico
si
sia
ritenuto
di
non
coinvolgere
sin
dall’inizio
ed
in
modo
strutturato
e
permanente
i
rappresentanti
delle
numerose
categorie
interessate
e
si
sia
scelto
di
affrontare
il
delicato
tema
della
cultura
nella
società
dell’informazione
nella
limitata
e
limitante
prospettiva
della
lotta
alla
pirateria
che
costituisce,
evidentemente,
solo
un
fenomeno
derivato
rispetto
alla
più
complessa
problematica
della
regolamentazione
del
mercato
culturale
digitale
e
multimediale.
Analoghe
perplessità
solleva
l’idea
–
se
non
addirittura
l’auspicio
–
di
orientare
l’attività
del
Comitato
alla
produzione
di
disegni
di
legge
volti
al
recepimento
nel
nostro
Paese
della
soluzione
francese
della
lotta
alla
pirateria
audiovisiva.
Tale
soluzione
–
in
contrasto
con
il
principio,
sancito
il
24
settembre
2008
dal
Parlamento
Europeo
con
573
voti
contro
74
e
ribadito
dalla
Commissione
il
6
ottobre,
secondo
il
quale
“nessuna
restrizione
può
essere
imposta
ai
diritti
ed
alle
libertà
fondamentali
degli
utenti
finali,
senza
la
preventiva
autorizzazione
delle
autorità
giudiziarie,
segnatamente
in
accordo
con
l’Art.
11
della
Carta
dei
diritti
24
53
Alcuni
hanno
già
tacciato
la
lettera
come
un'iniziativa
anti‐
antipirateria.
Non
è
così.
Il
punto
è
che
esistono
strade
diverse
per
promuovere
la
cultura
digitale
nella
società
dell'informazione
e
che,
quindi,
prima
di
rifuggiarsi
nei
vecchi
modelli
di
business
e
nelle
vecchie
risposte
normative
sarebbe
opportuno
esplorare
soluzioni
nuove
e
diverse.
E'
di
queste
ore
l'accordo
tra
RAI
e
Youtube
per
la
pubblicazione
dei
contenuti
dell'emittente
di
stato
attraverso
un
canale
dedicato
del
più
grande
UGC
del
mondo25.
fondamentali
dell’Ue
sulla
libertà
di
espressione
e
d’informazione”
­
infatti,
non
appare
fondata
su
un
adeguato
bilanciamento
dei
contrapposti
interessi
e
sembra
porre
la
tutela
dei
diritti
d’autore
su
di
un
piano
sovra­ordinato
rispetto
ad
altri
diritti
e
libertà
fondamentali
del
cittadino
quali
quello
alla
privacy
ed
all’accesso
all’informazione
ed
all’utilizzo
delle
risorse
informatiche
e
telematiche
che
sono
destinate
a
divenire,
tra
l’altro,
il
canale
di
comunicazione
privilegiato
tra
cittadino
e
pubblica
amministrazione
e,
dunque,
strumento
ineliminabile
per
l’esercizio
di
un
ampia
gamma
di
diritti
civili
e
politici.
Occorre,
d’altro
canto,
rilevare
che
lo
stesso
Governo
francese,
pur
pervenendo
alla
non
condivisibile
citata
conclusione,
ha,
a
suo
tempo,
affrontato
il
problema
della
lotta
alla
pirateria
digitale
in
uno
con
quello
dell’incentivazione
del
mercato
legale
di
contenuti
digitali,
apparendo,
evidente,
che
le
due
questioni
non
possono
essere
affrontate
disgiuntamente.
Contestualmente
al
tema
della
pirateria
occorre,
infatti,
farsi
carico
di
risolvere
la
questione
della
scarsa
accessibilità
del
patrimonio
culturale
attraverso
le
risorse
telematiche.
Le
nuove
tecnologie,
infatti,
consentirebbero
una
massimizzazione
della
circolazione
di
tale
patrimonio
che,
tuttavia,
resistenze
culturali
ed
economiche
da
parte
dell’industria
dei
contenuti
audiovisivi,
un
quadro
normativo
inadeguato
e
la
pressoché
totale
mancanza
di
una
seria
politica
dell’innovazione
hanno,
sin
qui,
lasciato
allo
stadio
di
semplice
aspirazione
o
tendenza.
Alla
luce
delle
considerazioni
che
precedono
ed
in
ragione
dell’importanza
e
centralità
del
tema
sul
quale
l’attività
del
comitato
tecnico
andrà
ad
incidere,
i
firmatari
chiedono
di
aprire
formalmente
il
tavolo
ed
i
lavori
del
comitato
alla
partecipazione
permanente
e
strutturata
di
rappresentanti
di
tutte
le
categoria
coinvolte.
La
cultura
è
il
più
prezioso
tra
i
beni
comuni.
Distinti
saluti,
Adiconsum
AIIP
Altroconsumo
(Assodigitale)
Assoprovider
(Confcommercio)
Istituto
per
le
politiche
dell’innovazione
Netcom
25
Questo
è
l’annuncio
dell’accordo
pubblicato
sul
blog
ufficiale
di
Google
raggiungibile
all’URL:
http://googleitalia.blogspot.com/2008/10/un‐passo‐avanti‐
nella‐tutela‐del.html
Un
passo
avanti
nella
tutela
del
copyright
e
nella
distribuzione
di
contenuti
digitali
54
L'accesso
ai
contenuti
sarà
gestito
‐
e
non
già
semplicemente
limitata!
‐
attraverso
VideoID
una
moderna
soluzione
di
digital
rights
management
che
stanno
sviluppando
in
casa
Google26.
14
ottobre
2008
‐
ore
18.05
E'
proprio
di
oggi
l'annuncio
della
formalizzazione
dell'accordo
fra
Rai
e
YouTube
per
la
distribuzione
dei
contenuti
dell'emittente
attraverso
il
proprio
canale
brand.
Questa
collaborazione
è
importante
per
due
motivi:
prima
di
tutto
è
un
esempio
di
come
i
produttori
di
contenuti
si
stiano
aprendo
alla
loro
diffusione
su
più
piattaforme
e
verso
pubblici
differenziati,
trovando
inoltre
il
giusto
modo
per
dare
valore
al
loro
archivio,
in
secondo
luogo,
RaiNet
userà
l'avanzata
tecnologia
VideoID
di
YouTube
VideoID
è
uno
strumento
che
permette
ai
proprietari
dei
contenuti
di
identificare
i
loro
materiali
su
YouTube
e
di
decidere
come
renderli
disponibili.
Con
YouTube
VideoID,
i
titolari
dei
diritti
possono
infatti
agevolmente
gestire
i
propri
contenuti
e
stabilire
se
ottenerne
ricavi,
rimuoverli
o
semplicemente
monitorarli.
Facendo
questa
scelta
innovativa,
RAI
si
aggiunge
ai
molti
altri
partner
di
YouTube
che
hanno
adottato
questo
strumento,
tra
i
quali
vi
sono
CBS,
Lionsgate,
Sony
BMG
Europe
e
molti
altri.
Questa
soluzione
dimostra
come
gli
operatori
del
settore,
insieme
con
i
titolari
di
proprietà
intellettuale,
in
modo
molto
pragmatico
abbiano
trovato
la
tanto
auspicata
via
di
mezzo
fra
la
tutela
del
diritto
d'autore
e
la
diffusione
dei
contenuti
digitali.
Proprio
in
questi
giorni
si
sta
discutendo
di
pirateria
online
e
delle
possibili
soluzioni
per
combattere
questo
fenomeno.
Noi
pensiamo
che
questo
accordo
vada
nella
giusta
direzione:
nuovi
modelli
di
monetizzazione
e
strumenti
di
prevenzione.
26
La
spiegazione
di
Video
ID
pubblicata
sulle
pagine
di
Youtube
a
questa
URL:
Identificazione
video
di
YouTube
versione
Beta
Grazie
alla
collaborazione
costante
di
proprietari
di
contenuti
grandi
e
piccoli,
YouTube
è
in
grado
di
sviluppare,
testare
e
implementare
strumenti
di
gestione
dei
contenuti
sempre
più
efficaci.
Oggi,
siamo
orgogliosi
di
lanciare,
in
versione
beta,
la
nostra
ultima
novità
nel
campo
dei
video
online:
Identificazione
video
di
YouTube.
Come
le
nostre
norme
e
gli
altri
strumenti
sui
contenuti,
Identificazione
video
di
YouTube
supera
e
va
ben
oltre
le
nostre
responsabilità
legali.
Inoltre,
analogamente
a
tali
norme
e
strumenti,
Identificazione
video
ha
tre
obiettivi
principali:
un'identificazione
precisa,
la
possibilità
di
scelta
per
i
titolari
di
copyright
e
una
fantastica
esperienza
utente.
Identificazione
Identificazione
video
di
YouTube
aiuterà
i
titolari
di
copyright
a
rendere
identificabili
le
loro
creazioni
su
YouTube.
Stiamo
lavorando
in
collaborazione
con
Google
per
sviluppare
una
tecnologia
unica
nel
suo
genere
in
grado
di
riconoscere
i
video
in
base
a
vari
fattori.
Come
indica
il
suo
stato
Beta,
quella
di
Identificazione
video
è
una
tecnologia
innovativa
e
all'avanguardia
che
provvederemo
a
perfezionare
e
a
migliorare
costantemente.
I
primi
test
con
alcune
società
di
contenuti
hanno
dato
risultati
molto
promettenti.
Man
mano
che
amplieremo
e
perfezioneremo
il
nostro
sistema,
Identificazione
video
di
YouTube
sarà
disponibile
per
tutti
i
tipi
di
titolari
di
copyright
del
mondo,
indipendentemente
dal
fatto
che
vogliano
mostrare
i
loro
contenuti
su
YouTube.
Indipendentemente
dal
livello
di
accuratezza
raggiunto
dagli
strumenti,
è
importante
ricordare
che
nessuna
tecnologia
può
distinguere
il
materiale
legale
da
quello
illegale
senza
la
cooperazione
dei
proprietari
dei
contenuti.
Questo
significa
che
saranno
i
titolari
di
copyright
che
desiderano
utilizzare
il
nostro
sistema
di
identificazione
dei
video,
nonché
contribuire
a
perfezionarlo,
a
fornire
le
informazioni
necessarie
per
55
Dmin,
d'altro
canto,
all'esito
di
un'attività
iniziata
ormai
anni
fa,
ha
ormai
messo
a
punto
un'analoga
soluzione
che
abilità
i
titolari
dei
diritti
a
disporre
dei
propri
contenuti
a
proprio
piacimento
nel
contesto
digitale27.
Dall'altra
parte
dello
steccato
‐
a
mio
modo
di
vedere
‐
si
colloca
il
vecchio
modo
di
guardare
alla
proprietà
intellettuale:
recintare,
vietare
e
mirare
al
profitto
immediato
tramite
la
pubblicità
o
mediato
tramite
cause
risarcitorie
multimilionarie.
aiutarci
a
riconoscere
le
loro
creazioni.
Il
nostro
obiettivo
è
rendere
tale
processo
il
più
agevole
possibile.
Scelta
I
titolari
di
copyright
possono
scegliere
che
cosa
fare
con
i
loro
video:
se
bloccarli,
promuoverli
o
persino
­
se
un
titolare
di
copyright
decide
di
diventare
nostro
partner
­
di
trarne
guadagno,
con
il
minimo
sforzo.
Identificazione
video
di
YouTube
aiuterà
nella
scelta.
Nessuna
tecnologia
può
prevedere
le
preferenze
di
un
titolare
di
copyright.
Oggi,
con
milioni
di
persone
e
società
che
producono
video
originali,
le
preferenze
variano
enormemente.
Alcuni
titolari
di
copyright
vogliono
il
controllo
su
ogni
impiego
delle
loro
creazioni.
Molti
artisti
professionisti
e
società
del
settore
dei
media
pubblicano
i
loro
video
più
recenti
su
YouTube
senza
informarci,
mentre
alcuni
videoamatori
non
vogliono
vedere
le
loro
creazioni
online.
Altri
desiderano
che
i
loro
fan
partecipino
al
processo
creativo.
La
cosa
migliore
che
possiamo
fare
è
collaborare
con
i
titolari
di
copyright
per
identificare
i
video
che
includono
i
loro
contenuti
e
offrire
loro
delle
opzioni
per
condividere
tali
contenuti.
Man
mano
che
i
titolari
di
copyright
ci
anticiperanno
le
loro
preferenze,
faremo
del
nostro
meglio
per
automatizzare
la
loro
scelta
senza
dimenticare
i
diritti
degli
utenti,
degli
altri
titolari
di
copyright
e
della
nostra
community.
Esperienza
utente
Come
sottolinea
il
nostro
slogan
"Broadcast
Yourself"
la
missione
di
YouTube
è
aiutare
la
più
ampia
gamma
di
persone
ad
esprimersi
online.
Pertanto,
continueremo
a
concentrarci
sull'offerta
della
migliore
esperienza
utente
disponibile
oggi
online.
Stiamo
progettando
attentamente
le
nostre
nuove
tecnologie
di
identificazione
in
modo
che
non
ostacolino
la
comunicazione
libera
e
rapida
resa
possibile
da
YouTube,
indipendentemente
dal
fatto
che
si
tratti
di
un
dibattito
politico,
di
marketing
"underground"
o
di
un
filmato
divertente.
Basandosi
sui
nostri
Suggerimenti
sul
copyright
e
sul
nostro
programma
AudioSwap,
e
riflettendo
l'equilibrio
delle
procedure
di
notifica
e
rimozione
imposto
per
legge,
ci
auguriamo
che
Identificazione
video
farà
ancora
più
chiarezza
sui
diritti
e
sulle
responsabilità
degli
utenti,
oltre
a
fornire
ai
fan
nuove
opportunità
per
interagire
in
modo
creativo
con
il
loro
mezzo
di
comunicazione
preferito.
Infine,
riteniamo
che
Identificazione
video
di
YouTube
si
rivelerà
uno
strumento
particolarmente
utile
e
opportuno
quando
inizieremo
ad
ampliare
la
compartecipazione
alle
entrate
e
altre
opportunità
per
un
pubblico
più
vasto.
Ricorda
che
questo
è
un
programma
Beta
e
prevediamo
di
incontrare
degli
imprevisti
mentre
perfezioneremo,
miglioreremo
ed
espanderemo
il
sistema
per
soddisfare
le
esigenze
di
tutti.
Ti
chiediamo
di
avere
pazienza.
Se
sei
un
proprietario
di
contenuti
interessato
a
partecipare
al
programma,
completa
il
nostro
modulo
di
iscrizione.
Non
vediamo
l'ora
di
iniziare
a
lavorare
con
te.
27
La
descrizione
del
progetto
Dmin
è
reperibile
a
questa
URL:
http://www.dmin.it/
56
Basti
pensare
a
Video.mediaset.it
che
ripropone
on‐line
il
modello
della
televisione
di
un
tempo
pretendendo
di
fare
a
meno
degli
intermediari
in
un
contesto
aperto
per
definizione
quale
quello
telematico
o
alla
stessa
Mediaset
che
qualche
mese
fa
ha
chiesto
500
milioni
di
euro
a
Youtube
per
qualche
migliaio
di
spezzoni
televisivi
caricati
on‐line
dagli
utenti
anziché
limitarsi
a
chiederne
la
rimozione.
Che
volete
che
vi
dica?
Questione
di
punti
di
vista…Cool
Ma
non
ditemi
che
pensarla
in
maniera
innovativa
anziché
un
pò
all'antica….significa
essere
pirati
o
non
credere
al
diritto
d'autore.
L’italia
più
vicina
alla
Nuova
Zelanda
che
all’Europa.
11
ottobre
2008
http://www.guidoscorza.it/?p=359
Sarà
per
via
della
tanto
simile
conformazione
geografica
ma
a
giudicare
da
quanto
sta
accadendo
sul
terreno
dell'enforcement
dei
diritti
di
proprietà
intellettuale
l'Italia
sembra
decisamente
più
vicina
alla
Nuova
Zelanda
che
all'Europa.
Nei
giorni
scorsi,
come
ho
già
scritto,
è
stato
istituito
in
gran
segreto
presso
la
Presidenza
del
Consiglio
dei
Ministri
un
comitato
tecnico
per
la
lotta
alla
pirateria
digitale
e
multimediale
e
nel
salutare
con
favore
tale
notizia
il
Presidente
Assumma
‐
che
ne
farà
parte
‐
non
ha
nascosto
di
auspicare
che
l'italia
adotti
‐
proprio
attraverso
il
neoistituito
comitato
‐
la
soluzione
francese
alla
lotta
alla
pirateria28.
Era
il
23
settembre.
Il
24
Settembre,
tuttavia,
il
Parlamento
Europeo
‐
e
non
era
la
prima
volta
‐
bocciava
senza
appello
la
soluzione
francese
ammonendo
gli
Stati
membri
sull'insopprimibilità
‐
salvo
ordine
motivato
dell'autorità
giudiziaria
‐
del
diritto
fondamentale
all'uso
delle
tecnologie
telematiche
(cfr.
emendamento
138
Risoluzione
Il
testo
del
comunicato
stampa
pubblicato
sul
sito
della
SIAE
a
questa
URL:
http://www.siae.it/edicola.asp?click_level=0500.0100.0200&view=4&open_menu=
yes&id_news=7194
Istituito
un
Comitato
tecnico
contro
la
pirateria
E’
stato
istituito
presso
la
Presidenza
del
Consiglio
dei
Ministri
un
Comitato
tecnico,
d’intesa
con
il
Ministero
per
i
beni
e
le
attività
culturali
contro
la
pirateria
digitale
e
multimediale.
Ne
fanno
parte,
oltre
al
Segretario
Generale
della
Presidenza
del
Consiglio
che
lo
coordina,
il
Capo
gabinetto
del
Ministero
per
i
beni
e
le
attività
culturali,
il
Presidente
della
Siae,
i
rappresentanti
dei
dicasteri
coinvolti
e
due
esperti
del
settore
che
verranno
nominati
a
breve.
Il
nuovo
organismo,
che
si
insedierà
nelle
prossime
settimane,
predisporrà
eventuali
normative
con
l’adozione
d’
interventi
mirati
per
combattere
il
fenomeno
della
pirateria,
interagendo
con
i
vari
operatori
del
settore.
28
57
legislativa
del
Parlamento
europeo
del
24
settembre
2008
sulla
proposta
di
direttiva
del
Parlamento
europeo
e
del
Consiglio
recante
modifica
delle
direttive
2002/21/CE
che
istituisce
un
quadro
normativo
comune
per
le
reti
ed
i
servizi
di
comunicazione
elettronica,
2002/19/CE
relativa
all'accesso
alle
reti
di
comunicazione
elettronica
e
alle
risorse
correlate,
e
all'interconnessione
delle
medesime
e
2002/20/CE
relativa
alle
autorizzazioni
per
le
reti
e
i
servizi
di
comunicazione
elettronica).
Nelle
stesse
ore,
tuttavia,
in
nuova
Zelanda,
il
Ministro
per
il
Copyright,
infilava
all'ultimo
secondo
in
una
legge
sulla
materia
la
soluzione
francese:
3
accuse
di
violazione
di
diritti
di
proprietà
intellettuale
e
l'utente
viene
disconnesso
dalla
rete
senza
neppure
passare
diritto
ad
un
processo!
Nessun
dubbio
dunque
che
lo
zatterone
italiano
a
forma
di
stivale
si
stia
pericolosamente
staccando
dall'Europa
per
andare
a
raggiungere
la
sua
compagna
Neo
Zelandese…
E'
proprio
il
caso
di
dire:
tutto
alla
rovescia!
I
diritti
fondamentali
sacrificati
sull’altare
del
diritto
d’autore.
27
novembre
2007
http://www.guidoscorza.it/?p=203
Se
in
gioco
non
ci
fosse
il
futuro
della
cultura
nella
società
dell'informazione
ci
sarebbe
da
ridere
a
leggere
il
discorso29
del
Il
discorso
del
Presidente
Sarkozy
pubblicato
a
questa
URL:
http://www.numerama.com/magazine/5691‐URGENT‐le‐discours‐de‐Nicolas‐
Sarkozy‐accord‐Olivennes.html
Mesdames,
Messieurs,
La
protection
du
droit
d’auteur,
la
préservation
de
la
création,
la
reconnaissance
du
droit
de
chaque
artiste,
de
chaque
interprète,
de
chaque
producteur
de
voir
son
travail
normalement
rémunéré,
c’était
un
engagement
important
de
ma
campagne
présidentielle.
Depuis
trois
ans,
j’ai
répondu
présent
chaque
fois
qu’il
a
fallu
faire
prévaloir
le
droit
légitime
des
auteurs
et
de
ceux
qui
contribuent
à
leur
expression,
sur
l’illusion
et
même
sur
le
mensonge
de
la
gratuité.
Musique,
cinéma,
édition,
presse,
arts
graphiques
et
visuels…
tout
est
aujourd’hui
disponible
et
accessible
partout,
sur
la
toile
de
l’internet,
chez
soi,
au
bureau,
en
voyage.
C’est
bien
sûr
une
richesse,
une
chance
pour
la
diffusion
de
la
culture.
Pour
autant,
jamais
nous
n’avons
été
aussi
proches
d’un
«
trou
noir
»,
capable
d’engloutir
et
d’assécher
cette
richesse
et
ce
foisonnement
créatif.
Le
clonage
et
la
dissémination
de
fichiers
à
l’infini
ont
entraîné
depuis
cinq
ans
la
ruine
progressive
de
l’économie
musicale,
en
déconnectant
les
œuvres
de
leur
coût
de
fabrication,
et
en
donnant
cette
impression
fausse
que
tout
se
vaut,
que
tout
est
gratuit.
Avec
le
développement
du
très
haut
débit,
le
cinéma
risque
de
subir
le
même
sort
que
la
musique
:
d’ores
et
déjà,
près
de
la
moitié
des
films
sortis
en
salles
en
France
sont
29
58
disponibles
en
version
pirate
sur
les
réseaux
«
peer
to
peer
»,
et
le
marché
de
la
vidéo
a
commencé
à
décroître
avant
même
d’atteindre
sa
maturité.
Le
livre
pourrait
à
son
tour
être
brutalement
menacé
avec
l’arrivée
du
livre
électronique.
C’est
à
une
véritable
destruction
de
la
culture
que
nous
risquons
d’assister.
C’est
également
à
une
négation
du
travail,
cette
valeur
capitale
qui
au
cœur
des
problèmes
de
la
France
d’aujourd’hui
et
au
cœur
des
solutions.
Aujourd’hui,
un
accord
est
signé,
et
je
veux
saluer
ce
moment
décisif
pour
l’avènement
d’un
internet
civilisé.
Internet,
c’est
une
«
nouvelle
frontière
»,
un
territoire
à
conquérir.
Mais
Internet
ne
doit
pas
être
un
«
Far
Ouest
»
high­tech,
une
zone
de
non
droit
où
des
«
hors­la­loi
»
peuvent
piller
sans
réserve
les
créations,
voire
pire,
en
faire
commerce
sur
le
dos
des
artistes.
D’un
côté,
des
réseaux
flambant
neuf,
des
équipements
ultra­perfectionnés,
et
de
l’autre
des
comportements
moyenâgeux,
où,
sous
prétexte
que
c’est
du
numérique,
chacun
pourrait
librement
pratiquer
le
vol
à
l’étalage.
On
dit
parfois
que
quand
personne
ne
respecte
la
loi,
c’est
qu’il
faut
changer
la
loi.
Sauf
que
si
tout
le
monde
tue
son
prochain,
on
ne
va
pas
pour
autant
légaliser
l’assassinat.
Si
tout
le
monde
vole
la
musique
et
le
cinéma,
on
ne
va
pas
légaliser
le
vol.
Et
en
même
temps,
nous
savons
tous
qu’on
ne
va
pas
non
plus
mettre
tous
les
jeunes
en
prison.
Il
nous
fallait
chercher
des
moyens
intelligents
et
astucieux
pour
en
appeler
à
la
conscience
du
citoyen,
lui
donner
la
possibilité
de
rentrer
dans
le
droit
chemin.
Il
fallait
aussi
essayer
de
comprendre
pourquoi
le
citoyen
ordinaire,
habituellement
respectueux
de
la
loi,
préférait
s’approvisionner
dans
des
entrepôts
clandestins
plutôt
que
de
faire
ses
achats
dans
un
supermarché
en
ligne
:
n’était­ce
pas
aussi
un
problème
d’attractivité
de
l’offre
légale
?
Il
y
a
deux
mois
et
demi,
Madame
la
Ministre,
vous
avez
demandé
à
Denis
Olivennes
de
conduire
une
mission
permettant
de
déboucher
rapidement
sur
des
solutions
opérationnelles
visant
à
lutter
fermement
contre
le
piratage
tout
en
tenant
compte
des
potentialités
d’Internet
et
de
la
demande
des
consommateurs.
Vous
y
êtes
parvenus.
Je
veux
vous
en
féliciter,
vous,
chère
Christine,
vous
Denis,
qui
avez
été
l’artisan
de
cet
accord,
et
vous
tous
qui
êtes
là
aujourd’hui,
acteurs
du
cinéma,
de
la
musique,
de
l’audiovisuel,
de
l’Internet.
Sans
votre
engagement,
rien
n’aurait
été
possible.
Le
contenu
de
cet
accord
est
solide
et
équilibré.
Il
comporte
des
stipulations
nouvelles
et
fortes.
D’un
côté,
il
prévoit
l’envoi
de
mails
d’avertissements
aux
internautes
qui
font
un
mauvais
usage
de
leur
abonnement,
des
avertissements
gradués
en
cas
de
récidive,
voire
la
possibilité
de
suspendre
temporairement
l’accès
à
internet.
Pour
arriver
à
mettre
en
place
cette
solution
de
bon
sens,
cette
pédagogie,
il
vous
a
fallu,
je
le
sais,
soulever
des
montagnes,
tellement
les
inerties
sont
grandes
dans
notre
pays
dès
qu’il
s’agit
d’être
innovant
et
de
proposer
une
solution
qui
ne
tombe
pas
tout
droit
dans
le
pli
des
habitudes
de
la
pensée.
Cette
démarche
pédagogique
sera
bien
sûr
réservée
aux
pirates
de
«
bonne
foi
»,
pour
reprendre
une
expression
propre
à
la
politique
fiscale.
Les
«
pirates
professionnels
»,
ceux
qui
font
sciemment
du
trafic
et
du
commerce
illicite
de
DVD
et
de
fichiers
contrefaits,
resteront
soumis
au
droit
commun
de
la
contrefaçon,
et
traités
au
sein
de
juridictions
spécialisées.
De
plus,
les
fournisseurs
d’accès
s’engagent,
et
c’est
important,
à
mettre
en
œuvre
des
dispositifs
de
filtrage,
tels
que
ceux
développés
par
l’Institut
national
de
l’audiovisuel.
Le
filtrage
consiste
à
retirer
automatiquement
les
fichiers
«
pirates
»
des
réseaux
ou
des
plateformes
d’hébergement
au
fur
et
à
mesure
de
leur
apparition.
D’un
autre
côté,
cet
effort
des
fournisseurs
d’accès
s’accompagnera
d’un
effort
tout
aussi
important
des
ayants
droit.
Les
professionnels
de
la
musique,
du
cinéma
et
de
l’audiovisuel
s’engagent
à
mettre
plus
complètement
et
plus
rapidement
leurs
œuvres
59
en
ligne,
et
à
supprimer
tous
les
verrous
techniques
qui
empêchent
de
copier
et
de
transporter
la
musique.
Ce
sont
deux
améliorations
majeures
qui
profiteront
pleinement
aux
consommateurs.
Fini,
les
musiques
achetées
sur
une
plateforme
A
et
qu’on
n’arrive
pas
à
lire
sur
un
lecteur
B
ou
sur
son
téléphone
portable,
alors
qu’on
pouvait
le
faire
sans
problème
pour
un
fichier
piraté.
Fini,
les
sept
mois
et
demi
d’attente
entre
le
film
qui
sort
en
salle
et
son
apparition
en
vidéo
à
la
demande.
Avec
cet
accord,
six
mois
sépareront
le
film
sur
grand
écran
et
son
passage
en
vidéo
sur
petit
écran…
C’est
encore
beaucoup,
quand
on
sait
qu’un
film
reste
en
moyenne
trois
semaines
sur
un
écran
de
cinéma,
avant
de
laisser
la
place
au
suivant
!
Mais
c’est
déjà
mieux.
Et
des
discussions
professionnelles
s’engageront
sous
l’égide
du
Centre
national
de
la
cinématographie
dans
les
meilleurs
délais,
pour
adapter
l’ensemble
de
la
chronologie
des
médias
aux
enjeux
du
numérique,
comme
le
recommande
le
rapport
de
Denis
Olivennes.
Je
sais
que
les
exploitants
de
cinéma
sont
attentifs
et
soucieux
de
ces
discussions.
Aussi,
je
souhaite
être
clair.
Le
cinéma,
je
ne
dirai
jamais
autre
chose,
c’est
avant
tout
une
rencontre
dans
une
salle
obscure,
sur
un
grand
écran,
entre
un
public
et
une
œuvre.
C’est
dans
la
salle
que
nous
avons
éprouvé
nos
plus
grandes
émotions
de
cinéma.
Et
les
exploitants
ne
ménagent
pas
leurs
efforts
pour
atteindre
la
perfection
:
après
le
son
multicanal,
la
projection
numérique
va
envahir
les
salles
dès
l’année
prochaine,
sans
même
parler
du
cinéma
en
relief,
qui
sera
la
prochaine
révolution.
Le
cinéma
en
salle,
c’est
donc
le
passé,
le
présent,
mais
c’est
aussi
l’avenir.
Dans
le
même
temps,
la
carrière
des
films
en
salle
s’est
fortement
raccourcie,
le
«
home
cinéma
»
est
devenu
une
réalité,
et
il
faut
tenir
compte
des
nouvelles
habitudes
de
consommation.
Ce
serait
absurde
que
le
spectateur
français
soit
obligé
de
regarder
des
films
américains,
simplement
parce
que
les
films
français
seraient
bloqués
par
des
délais
ou
des
exclusivités
trop
contraignantes
!
Je
sais
pouvoir
compter
sur
le
bon
sens
pour
que
soient
trouvées
rapidement
les
clés
d’une
chronologie
des
médias
adaptée
au
XXIè
siècle.
Chère
Christine
Albanel,
Cher
Denis
Olivennes,
grâce
à
votre
ténacité,
votre
patience,
grâce
à
la
bonne
collaboration
établie
avec
Christine
Lagarde
et
Rachida
Dati,
et
grâce
à
vous
tous
ici
présents,
vous
avez
permis
la
conclusion
d’un
accord
qui
marque
le
début
d’une
«
nouvelle
alliance
»
entre
professionnels
des
industries
culturelles
et
professionnels
des
réseaux.
Partout,
aux
Etats­Unis,
au
Royaume­Uni
et
ailleurs,
les
professionnels
et
les
gouvernements
essaient
depuis
des
années,
non
sans
mal,
de
trouver
le
«
graal
»
permettant
de
résoudre
le
problème
de
la
piraterie.
Nous
sommes
les
premiers,
en
France,
à
réussir
aujourd’hui
à
constituer
une
grande
alliance
nationale
autour
de
propositions
précises
et
opérationnelles.
Grâce
à
vous
et
à
cet
accord,
la
France
va
retrouver
une
position
de
pays
«
leader
»
dans
la
campagne
de
«
civilisation
»
des
nouveaux
réseaux.
La
musique,
le
cinéma,
mais
aussi
la
presse
et
l’édition,
vont
pouvoir
être
mieux
protégés.
La
mise
en
œuvre
de
cet
accord,
épuise­t­elle
le
sujet
de
la
création
et
de
l’avenir
de
nos
industries
culturelles
?
Non,
bien
sûr.
Nous
devons
veiller
à
réformer
un
système
de
régulation
et
de
financement
de
l’audiovisuel
dont
les
fondements
reposent
sur
l’univers
de
la
télévision
hertzienne,
et
mieux
prendre
en
compte
les
nouveaux
réseaux.
La
nouvelle
directive
européenne
sur
les
médias
audiovisuels,
qui
vient
d’être
adoptée
à
Bruxelles,
nous
en
offre
le
cadre
et
la
possibilité.
Il
faut
y
travailler
avec
pragmatisme,
de
manière
globale,
en
se
donnant
le
temps
de
la
réflexion.
La
transposition
de
notre
régulation
audiovisuelle
est
une
entreprise
progressive,
tout
comme
l’obtention
du
taux
de
TVA
réduit
sur
l’ensemble
des
biens
culturels.
Il
y
a
également
des
mesures
d’urgence
à
prendre,
pour
permettre
à
l’industrie
musicale
de
survivre
et
lui
donner
le
temps
de
s’adapter
au
nouveau
modèle
qui
se
60
Presidente
francese
Sarcozy
ed
il
memorandum
commissionato
dal
Governo
a
Monsieur
Olivennes30.
Come
si
fa
a
prendere
sul
serio
un
politico
che
‐
prendendo
in
prestito
parole
sino
a
ieri
utilizzate
dai
rappresentanti
dell'industria
audiovisiva
come
puntualmente
ricorda
Punto
informatico
‐
ha
detto
"Corriamo
il
rischio
di
essere
testimoni
della
distruzione
della
cultura.
Internet
non
deve
diventare
un
Far
West
di
alta
tecnologia,
una
zona
senza
normative
dove
i
fuorilegge
possano
sottrarre
le
opere
dell'ingegno
senza
farsi
problemi
o,
peggio
ancora,
venderle
nella
più
assoluta
impunità.
E
sulle
spalle
di
chi?
Sulle
spalle
degli
artisti"?
dessine.
Un
crédit
d’impôt
applicable
aux
productions
phonographiques
a
été
voté
l’an
dernier,
mais
sa
mise
en
œuvre
est
limitée
par
des
critères
trop
contraignants.
Je
souhaite
donc
que
le
régime
de
ce
crédit
d’impôt
soit
amélioré,
et
notifié
à
la
Commission
européenne
dans
les
plus
brefs
délais
pour
pouvoir
être
applicable
aux
investissements
consentis
en
2007.
De
même,
je
souhaite
que
s’accélèrent
les
discussions
engagées
entre
l’institut
de
financement
du
cinéma
et
des
industries
culturelles
(IFCIC),
et
la
Caisse
des
Dépôts
et
Consignations,
pour
permettre,
dès
le
début
de
l’année
prochaine,
de
tripler
le
volume
du
fonds
d’avances
remboursables
consenties
aux
entreprises
musicales.
De
la
même
façon,
je
souhaite
que
le
crédit
d’impôt
en
faveur
du
jeu
vidéo
en
cours
d’examen
à
Bruxelles
depuis
près
d’un
an,
puisse
entrer
rapidement
en
vigueur,
pour
freiner
la
fuite
de
nos
talents
et
de
nos
entreprises
à
l’étranger
et
faire
en
sorte
que
la
France
–
et
donc
l’Europe
–
retrouve
sa
compétitivité
face
aux
studios
nord­
américains
et
asiatiques.
Le
jeu
vidéo
peut
devenir
un
art
du
XXIè
siècle
s’il
parvient
à
échapper
aux
dérives
qui
menacent
un
certain
cinéma
international,
prompt
à
séduire
et
à
divertir,
appelant
aux
pulsions
les
plus
primitives,
mais
impuissant
à
épanouir
et
fournir
du
sens.
Avec
leurs
bataillons
de
scénaristes,
graphistes
et
autres
compositeurs,
les
entreprises
du
jeu
vidéo
constituent
déjà
une
économie
prospère.
Il
serait
inexplicable
de
ne
pas
l’encourager.
Enfin,
je
suis
attentif
au
souhait
exprimé
en
faveur
d’une
révision
du
crédit
d’impôt
aux
productions
cinématographiques,
pour
l’étendre
aux
sociétés
étrangères
désireuses
de
réaliser
d’importantes
productions
en
France.
Cette
mesure
doit
être
expertisée,
sachant
que
la
priorité
est
la
préservation
et
la
consolidation
du
régime
des
SOFICA.
Mesdames
et
Messieurs,
En
signant
cet
accord
historique,
vous
avez,
vous
les
acteurs
de
la
culture,
et
vous
les
opérateurs
de
l’internet,
pris
une
responsabilité,
et
même
un
risque.
Mais
vous
saviez
que
le
risque
le
plus
grand
était
de
ne
rien
faire.
C’était
le
risque
de
se
laisser
mourir.
Les
uns
parce
qu’ils
ne
pourraient
plus
rien
produire.
Les
autres,
parce
qu’ils
n’auraient
plus
rien
à
diffuser.
L’art
est
la
chose
fragile
la
plus
fragile
et
la
plus
nécessaire.
Nous
avons
réussi,
grâce
à
la
persévérance
de
nos
aînés,
à
faire
en
sorte
que
nos
villes,
nos
campagnes,
abritent
des
monuments,
des
théâtres,
des
salles
de
concert,
des
écoles
et
des
conservatoires.
Il
n’y
a
pas
de
raison
qu’il
en
soit
différemment
sur
les
nouveaux
réseaux.
Il
faut
qu’Internet
soit
une
fenêtre
civilisée
ouverte
sur
toutes
les
cultures
du
monde.
Je
suis
heureux
que
votre
accord
soit
une
étape
décisive
en
ce
sens.
30
Il
testo
del
rapporto
è
disponibile
in
.pdf
a
questa
URL:
http://www.elysee.fr/download/?mode=press&filename=rapport‐
missionOlivennes‐23novembre2007.pdf
61
Come
si
fa
a
prendere
sul
serio
uno
Studio
(per
usare
un
eufemismo)
sul
futuro
dell'audiovisivo
e
sui
rimedi
per
garantirne
lunga
vita
commissionato
al
rappresentante
dell'industria
audiovisiva
d'oltralpe?
Chi
vuole
solo
ridere
può
fermarsi
qui
ma
il
punto
fondamentale
è
un
altro.
La
ricetta
Olivennes
sta
facendo
il
giro
del
mondo
e
sta
legittimando
l'industria
audiovisiva
a
chiedere
a
gran
voce
analoghi
interventi
in
tutti
i
Paesi.
La
filosofia
alla
base
dell'iniziativa
francese
non
è
tuttavia
condivisibile
ed
è
claudicante
ed
infondata
da
un
punto
di
vista
giuridico
perché
muove
dall'assunto
secondo
il
quale
la
repressione
del
fenomeno
della
pirateria
audiovisiva
legittimerebbe
il
travalicamento
di
ogni
diritto
e
libertà
degli
utenti.
Non
è
così.
Il
diritto
d'autore
riveste
una
posizione
di
assoluta
centralità
nella
società
dell'informazione
o
nell'era
dell'accesso
per
dirla
con
Jeremy
Rifkin
ma
è
pur
sempre
un
diritto
patrimoniale
(almeno
nella
componente
cara
all'industria
audiovisiva)
che
deve
cedere
il
passo
‐
e
non
può
travolgere
‐
diritti
e
libertà
fondamentali
della
popolazione
globale
quale
quello
alla
privacy
e
quella
alla
libertà
di
manifestazione
del
pensiero.
Le
tecnologie
di
filtraggio
e
monitoraggio
degli
utenti
che
nel
memorandum
si
propone
di
far
adottare
da
ISP
e
industria
audiovisiva,
invece,
vanno
proprio
in
questa
direzione.
La
speranza,
a
questo
punto,
è
che
la
Rete
faccia
quadrato
attorno
a
se
stessa
e
che
la
cultura
giuridica
del
vecchio
continente
sia
sufficientemente
radicata
da
respingere
questo
attacco
ai
più
elementari
principi
di
civiltà
prima
ancora
che
di
diritto.
La
privatizzazione
dell’IP
enforcement
26
settembre
2008
Punto
Informatico
In
poche
ore
la
notizia
dell’annullamento
del
provvedimento
con
il
quale
nell’agosto
scorso
la
Procura
della
Repubblica
di
Bergamo
aveva
“vietato
l’approdo”
sulla
baia
dei
pirati
(thepiratebay.org)
si
è
diffusa
in
Rete
dando
vita
a
reazioni
entusiastiche
di
intensità
pari
a
quelle
di
sdegno
e
delusione
che
avevano
salutato
la
notizia
del
sequestro.
Non
si
conoscono
ancora
le
motivazioni
sulla
base
delle
quali
i
Giudici
del
Tribunale
di
Bergamo
sono
pervenuti
alla
decisione
di
questa
mattina
ed
è,
naturalmente
possibile
che
tali
62
motivazioni
concernino
la
procedura
piuttosto
che
il
merito
della
questione.
L’occasione,
tuttavia,
mi
sembra
opportuna
per
svolgere
qualche
considerazione
su
quanto
sta
accadendo
sul
terreno
dell’enforcement
dei
diritti
di
proprietà
intellettuale.
C’è,
infatti,
una
sottile
linea
rossa
che
unisce
il
caso
Thepiratebay,
la
vicenda
Peppermint,
la
questione
legata
al
venir
meno
dell’obbligo
di
apposizione
del
contrassegno
SIAE
della
quale
ci
si
è
occupati
nei
giorni
scorsi
su
queste
pagine
e
la
soluzione
francese
Olivennes
–
Sarkozy
per
la
lotta
alla
pirateria
audiovisiva
on‐line.
Il
denominatore
comune
è,
in
tutti
questi
casi,
rappresentato
da
un
eccesso
di
privatizzazione
dell’enforcement
dei
diritti
di
proprietà
intellettuale.
Nel
caso
Thepiratebay
–
ancorché
gli
esatti
termini
della
vicenda
non
siano
stati
ancora
accertati
giudizialmente
–
è,
ormai,
pacifico
che
nel
corso
dell’esecuzione
del
sequestro
sia
stato
ordinato
–
magari
semplicemente
per
errore
–
agli
Internet
Service
Provider
italiani
di
reindirizzare
il
traffico
degli
utenti
diretti
alla
baia
dei
pirati
verso
un’altra
baia
battente
bandiera
delle
major.
Al
riguardo
mi
sembra
ci
sia
poco
da
aggiungere
a
quanto
spiegato
in
termini
assai
chiari
da
Matteo
G.
Flora
in
questo
video31.
Nella
vicenda
Peppermint,
egualmente,
l’etichetta
discografica
tedesca
aveva
ben
pensato
di
affidare
l’attività
investigativa
propedeutica
alla
richiesta
risarcitoria
poi
rivolta
a
migliaia
di
utenti
di
mezz’Europa
ad
una
società
investigativa
privata
svizzera,
la
Logistep
AG
salvo
poi,
ricorrere,
all’Autorità
giudiziaria
per
ottenere
il
“ricongiungimento”
degli
IP
tracciati
con
i
nominativi
dei
presunti
pirati.
In
Francia
Sarkozy
ed
Oliviennes
si
propongono
di
assicurare
adeguata
tutela
ai
titolari
dei
diritti
di
proprietà
intellettuale
imponendo
agli
Internet
Service
Provider
–
dei
soggetti
di
diritto
privato
–
di
risolvere
ex
lege
i
contratti
di
connessione
ad
Internet
di
quegli
utenti
che
–
senza
neppure
bisogno
di
un
processo
dinanzi
ad
un’Autorità
giurisdizionale
–
venissero
colti
con
le
mani
nel
barattolo
della
marmellata
ops…con
il
mouse
su
un
link
che
consenta
il
download
di
materiale
protetto.
Nel
più
recente
affaire
contrassegno
SIAE,
la
società
italiana
di
intermediazione
dei
diritti
d’autore,
difende,
in
proprio
–
e
contro
il
volere
e
gli
interessi
delle
stesse
etichette
Il
riferimento
è
ad
un
video
attraverso
il
quale
Matteo
G.
Flora
spiega
come
sia
stato
realizzato
il
redirect
del
quale
si
parla
nel
post.
Il
video
è
reperibile
a
questa
URL:
(http://it.youtube.com/watch?v=Yw3GswvJCXo).
31
63
discografiche
–
una
norma,
pressoché
unica
in
Europa,
per
effetto
della
quale,
di
fatto,
è
essa
stessa
a
valutare
preliminarmente
la
legittimità
o
illegittimità
dell’utilizzo
di
una
determinata
opera
dell’ingegno,
pretendendo
poi
–
ancora
oggi
–
di
rilasciare
il
contrassegno
quasi
si
trattasse
di
un
“visto
si
stampi”.
Non
è
una
mia
conclusione
ma
il
contenuto
letterale
dei
commenti
che
la
Commissione
Europea
ha
trasmesso
al
Governo
Italiano
in
relazione
alla
nuova
proposta
di
regolamento
relativo
alle
modalità
di
apposizione
del
contrassegno
che
il
nostro
Paese
si
è
visto
costretto
a
notificare
a
Bruxelles
a
seguito
della
Sentenza
Schubert
che
ha
accertato
l’illegittimità
della
previgente
normativa
in
materia.
Si
tratta
di
vicende
assai
diverse
ma
accomunate
da
un
preoccupante
comun
denominatore:
un’evidente
privatizzazione
della
giustizia
che,
inesorabilmente,
produce
–
almeno
a
livello
di
rischio
–
forme
di
grave
violazione
di
diritti
di
rango
pari‐oridinato
rispetto
a
quelli
di
proprietà
intellettuale:
la
privacy
degli
utenti
nel
caso
PirateBay
e
Peppermint,
la
libertà
di
manifestazione
del
pensiero
nella
sua
più
moderna
accezione
di
accesso
alla
Rete
nel
caso
della
nuova
disciplina
francese
sull’enforcement
dei
diritti
d’autore
e
la
libertà
d’impresa
nel
caso
del
contrassegno
SIAE.
La
questione
non
concerne,
ovviamente,
la
commistione
di
interessi
pubblici
e
privati
sul
tema
della
proprietà
intellettuale;
tale
commistione
è
naturale
e
discende
dalla
natura
stessa
dei
diritti
d’autore.
Il
problema
che
sta
emergendo
con
forza
è,
invece,
un
altro
e
concerne,
piuttosto,
la
crescente
privatizzazione
dell’enforcement
dei
diritti
di
proprietà
intellettuale
nella
fase
investigativa,
in
quella
dell’accertamento
della
violazione
nonché
in
quella
dell’eventuale
irrogazione
della
sanzione.
Negli
ultimi
mesi,
sotto
tale
profilo,
stiamo
assistendo
ad
un
processo
di
privatizzazione
di
attività
che
dovrebbero
essere
appannaggio
esclusivo
dell’autorità
giudiziaria
che
non
ha
eguali
in
nessun
altro
settore
dell’Ordinamento.
In
caso
di
furto
di
beni
materiali
il
proprietario
della
cosa
rubata
non
può
farsi
le
indagini
da
solo
o
prestare
strumenti
di
indagine
alla
polizia
giudiziaria,
nella
circolazione
dei
beni
materiali
non
c’è
nessuna
autorità
–
e
tantomeno
un’autorità
non
giurisdizionale
ed
espressione
di
interessi
di
parte
–
che
“certifica”
mediante
l’apposizione
di
un’etichetta
la
liceità
della
provenienza
del
bene
e,
infine,
in
nessun
caso
di
reato
commesso
con
il
mezzo
della
stampa
si
ordina
allo
stampatore
di
risolvere
ex
lege
i
contratti
con
l’editore
precludendo,
così,
a
quest’ultimo
di
arrivare
con
i
suoi
prodotti
nelle
edicole.
64
Si
tratta
di
un’anomalia
grave
le
cui
conseguenze
sono
sotto
gli
occhi
di
tutti.
Sarebbe,
tuttavia,
troppo
facile
imputare
le
responsabilità
esclusive
di
questo
processo
di
privatizzazione‐degenerazione
della
giustizia
all’industria
discografica,
alla
SIAE
o
alle
lobby
che,
in
Francia,
hanno
dettato
la
loro
legge
all’Esecutivo.
La
questione
è,
infatti,
più
complessa:
i
portatori
di
diritti
ed
interessi
sul
mercato
della
proprietà
intellettuale
stanno
riempiendo
vuoti
normativi
relativi
alla
disciplina
della
circolazione
dei
contenuti
digitali
creati
dalla
pressoché
totale
assenza
di
una
seria
politica
legislativa
dell’innovazione
e
saturando
spazi
nell’attività
di
enforcement
dei
diritti
di
proprietà
intellettuale
che
dovrebbero
risultare
già
coperti
dalle
competenti
Autorità
cui
andrebbero
messi
a
disposizione
mezzi
e
risorse
proprie
anziché
costringerle
ad
elemosinare
esperti,
strumenti
informatici
e
server
da
questo
o
quel
soggetto
privato.
La
lezione
che
da
vicende
come
quella
di
The
Piratebay
–
ma
anche
dalle
altre
sopra
ricordate
–
credo
vada
tratta
è
che
ferma
restando
la
possibilità
dei
titolari
dei
diritti
di
agire
sul
piano
civilistico
per
il
risarcimento
dei
danni
eventualmente
sofferti,
l’accertamento
degli
illeciti
di
carattere
pubblicistico
deve
rimanere
appannaggio
esclusivo
delle
forze
di
polizia
e
dell’Autorità
giudiziaria.
Dal
vostro
inviato
nella
preistoria
della
proprietà
intellettuale!
26
giugno
2008
http://www.guidoscorza.it/?p=317
Roma,
Tempio
di
Adriano,
26
giugno
2008,
ore
15.15,
c’è
il
pubblico
delle
grandi
occasioni
ad
ascoltare
le
parole
di
Denis
Olivennes,
Presidente
della
Fnac,
direttore
del
Nouvel
Observateur
e,
soprattutto,
Presidente
della
Commissione
francese
per
lo
sviluppo
e
la
protezione
delle
opere
culturali
nella
rete.
E’
lui
che
nel
novembre
dello
scorso
anno
ha
fatto
da
“notaio”
–
direi
un
po’
di
parte
–
nella
ratifica
dello
storico
accordo
tra
l’industria
francese
dei
contenuti,
gli
Internet
Service
provider
e
le
istituzioni
Francesi
e
che
è
poi
stato
l’ispiratore
del
disegno
di
legge
che
il
ministro
della
Cultura
Francese
ha
presentato
nei
giorni
scorsi
al
Consiglio
dei
Ministri32.
Il
testo
integrale
dell’accordo
è
disponibile
http://lesrapports.ladocumentationfrancaise.fr/cgi‐
bin/brp/telestats.cgi?brp_ref=074000726&brp_file=0000.pdf
32
65
a
questa
URL:
Si
tratta,
come
ho
già
scritto
–
ma
questo
né
Olivennes
né
nessun
altro
degli
illustri
relatori
nel
salotto
del
tempio
di
Adriano
ieri
lo
ha
detto
–
di
un'iniziativa
legislativa
che
ha
formato
oggetto
di
pesanti
critiche
da
parte
delle
istituzioni
europee
e
di
non
meno
pesanti
rilievi
da
parte
del
Consiglio
di
Stato
francese.
Tutto
questo,
tuttavia,
non
conta.
Olivennes
si
dice
convinto
che
il
disegno
di
Legge
in
Francia
sarà
approvato
entro
dicembre
ed
invita
l’Italia
a
seguire
l’esempio
dei
cugini
d’oltralpe.
Dal
salotto,
il
Presidente
Assumma
si
complimenta
ed
annuisce
e
l’On.
Carlucci
–
presente
in
qualità
di
membro
della
Commissione
Cultura
della
Camera
nonché
(lo
dice
il
Presidente
Assumma)
di
“bella
donna,
madre
di
famiglia
e
soprattutto
protettrice
del
diritto
d’autore”
–
si
spertica
in
parole
di
ammirazione
verso
l’opera
di
Olivennes
salvo
poi
chiedere
al
patron
della
FNAC
chiarimenti
circa
quanto
accaduto
in
Francia
(ma
come
avete
fatto?
C’è
stato
un
accordo?),
manifestando
così
una
conoscenza
quantomeno
approssimativa
dell’argomento
di
cui
si
discute.
Qualche
minuto
dopo,
tuttavia,
l’On.
Carlucci
si
riprende
e,
dando
prova
di
grande
decisionismo,
dà
forma
e
concretezza,
in
poche
battute,
al
peggior
incubo
di
tutti
gli
utenti
italiani
della
Rete
e
di
quanti
sono
convinti
che
Internet
più
che
una
minaccia
per
il
patrimonio
culturale,
costituisca
una
grande
opportunità.Ecco
uno
stralcio
del
suo
intervento
(parola
più
o
parola
meno
perché
ero
troppo
esterrefatto
da
quello
che
sentivo
per
prendere
nota
puntualmente):
L’italia
seguirà
l’esempio
francese
tanto
più
che
stiamo
entrando
nel
semestre
francese
di
presidenza
dell’Unione
Europea.
Ho
già
chiesto
al
Presidente
della
commissione
Cultura
di
promuovere
un’indagine
conoscitiva
sulla
pirateria
in
modo
tale
da
poter
poi
procedere
in
tempi
brevissimi,
senza
neppure
sottoporre
la
questione
alle
due
camere,
all’approvazione
di
un
disegno
di
legge
sul
modello
di
quello
Sarkozy‐Olivennes.
Certo
bisognerà
convincere
le
(cattivissime)
telecoms
a
siglare
un
accordo
analogo
a
quello
firmato
in
Francia
ma
…si
può
fare.
E’
questa
la
sintesi
di
un
dibattito,
per
il
resto,
noioso,
piatto,
privo
di
stimoli:
l’Italia
vuole
seguire
l’esempio
francese
o
meglio,
i
titolari
dei
diritti
d’autore
e,
ancor
di
più,
le
società
di
intermediazione
dei
diritti
vogliono
seguire
l’esempio
francese
ed
il
legislatore
sembra
pronto
–
come
è
sempre
sin
qui
accaduto
–
ad
appoggiarli
in
questa
ennesima
guerra
santa
contro
i
mulini
a
vento.
66
La
domanda
nel
titolo
del
convegno
–
creatività
e
cultura
nel
web:
opportunità
o
minaccia?
–
suona
retorica.
Sulle
poltrone
bianche
sono
tutti
convinti
che
il
web
costituisca
solo
una
minaccia.Possibile.
Ma
viene
da
chiedersi:
una
minaccia
per
chi?.
Per
i
fruitori
di
cultura
o,
piuttosto
per
le
sole
società
di
intermediazione
dei
diritti
e
per
qualche
produttore
e
distributore
di
contenuti
meno
lungimirante
degli
altri
e
meno
pronto
ad
abbandonare
i
vecchi
modelli
di
business
e
ad
impiegare
la
Rete
per
distribuire
le
proprie
opere
in
un
mercato
milioni
di
volte
più
grande
di
quello
di
un
tempo?
Antonello
Busetto
–
responsabile
degli
affari
istituzionali
di
Confindustria
servizi
innovativi
e
telematici
–
prova
a
rompere
la
cortina
di
affermazioni
apodittiche
e
preconcette,
ricordando
che
secondo
dati
del
Censis
l’utilizzo
principale
che
gli
italiani
fanno
di
internet
non
è
il
download
di
opere
protette
ma
l’On.
Carlucci
–
nella
sua
qualità,
questa
volta,
di
mamma
–
lo
corregge,
o
meglio,
corregge
il
Censis:‐“Quelli
sono
i
dati
ufficiali!
Sappiamo
tutti
che
non
sono
attendibili.
Io
da
mamma
posso
dire
che
vedo
che
mio
figlio
ed
i
suoi
amici
tendono
ad
utilizzare
la
Rete
quasi
esclusivamente
per
scaricare
materiale
protetto!”.
Scriverei
per
ore
di
quello
che
ho
sentito
ieri:
un
linguaggio
arcaico,
concetti
ed
idee
vecchie
di
dieci
anni
contrabbandate
come
soluzioni
innovative
e,
soprattutto,
assiomi
e
teoremi
fondati
esclusivamente
su
preconcetti
ma…preferisco
guardare
avanti.
Il
momento
è
grave.
Occorre
organizzarsi,
preparare
una
reazione
equilibrata,
ferma,
decisa
che
senza
rubare
alcunché
ai
titolari
dei
diritti,
tuteli,
ad
un
tempo,
l’accesso
al
patrimonio
culturale
globale
cui
ciascuno
di
noi
ha
diritto
e,
soprattutto,
gli
altri
diritti
fondamentali
dell’uomo
e
del
cittadino
che
la
soluzione
francese,
ignora,
travolge,
dimentica…Sentiamoci,
parliamone,
in
modo
aperto,
moderno,
condiviso…la
Rete
non
sarà
il
tempio
di
Adriano
ma…anche
qui
è
possibile
confrontarsi
e,
forse,
contribuire
alla
realizzazione
di
un
futuro
migliore
rispetto
a
quello
che
i
vecchi
numi
tutelari
dell’industria
audiovisiva
vorrebbe
consegnarci
e
consegnare
alle
generazioni
che
verranno…
Diritto
d'autore:
serve
una
soluzione
ma
non
quella
francese
23
giugno
2008
Punto
Informatico
67
La
proprietà
intellettuale
è
la
protagonista
indiscussa
della
società
dell'informazione
e
non
è
possibile
immaginare
lo
sviluppo
culturale
della
comunità
globale
in
assenza
di
un
quadro
di
regole
certo,
chiaro
ed
univoco
che
tuteli
adeguatamente
i
titolari
dei
diritti
incentivandoli
a
continuare
a
creare
nuove
opere
e
che,
ad
un
tempo,
garantisca
agli
utenti
legittimi
di
tali
opere
il
diritto
alla
loro
fruizione
libera
da
ogni
vincolo,
legaccio,
condizionamento
o
altro
tipo
di
limite
tecnico
o
giuridico.
L'impianto
della
legge
sul
diritto
d'autore
ed
i
principi
fondamentali
sui
quali
essa
è
basata
restano,
a
mio
avviso,
attuali
e
vanno
rispettati
e
salvaguardati
anche
nell'Era
dell'accesso:
l'autore
ha
diritto
a
veder
remunerato
il
suo
sforzo
creativo
a
fronte
della
messa
a
disposizione
della
collettività
della
propria
opera.
È,
tuttavia,
innegabile
che
le
nuove
tecnologie
digitali
e
telematiche
abbiano
inciso
‐
e
continuino
ad
incidere
‐
in
maniera
forte
sulle
dinamiche
della
produzione,
distribuzione
e
fruizione
dei
contenuti
digitali,
imponendo
un
ripensamento
radicale
di
metodi
di
business,
abitudini
di
consumo
e
di
talune
disposizioni
contenute
nella
vigente
disciplina
della
materia.
Le
libere
utilizzazioni,
le
modalità
tecniche
e
negoziali
di
accesso
ai
contenuti
digitali,
i
limiti
al
ricorso
a
misure
tecniche
di
protezione
da
parte
dei
titolari
dei
diritti,
l'enforcement
dei
diritti
di
proprietà
intellettuale
sono
solo
alcune
delle
materie
in
relazione
alle
quali
la
vigente
disciplina
ha
manifestato
segnali
forti
di
inadeguatezza
ed
inidoneità.
Il
tema
è
complesso
ed
il
contesto
economico
e
tecnologico
di
riferimento
è
in
continua
evoluzione
con
la
conseguenza
che,
probabilmente,
nessuno,
allo
stato,
dispone
di
"ricette
magiche"
in
grado
di
risolvere
i
problemi
sul
tavolo:
un'industria
audiovisiva
che
denuncia
ogni
anno
gravissime
perdite
‐
vere,
presunte
o
esagerate
che
siano
‐
a
causa
della
pirateria
e
consumatori
e
fruitori
di
contenuti
digitali
costretti
a
subire
‐
consapevolmente
ed
inconsapevolmente
‐
monitoraggi
di
massa,
forti
limitazioni
al
proprio
diritto
alla
privacy
ed
alla
propria
libertà
di
informazione
ed
inammissibili
processi
sommari.
È
difficile,
in
tale
contesto,
delineare
possibili
soluzioni
ma
la
strada
da
seguire
non
può
e
non
deve
essere
quella
tracciata
dal
Governo
francese
nel
disegno
di
legge
che
il
Ministro
della
Cultura
e
della
comunicazione
ha
presentato
il
18
giugno
al
Consiglio
dei
Ministri
perché
esso
muove
da
un
presupposto
inaccettabile:
quello
secondo
cui
i
diritti
patrimoniali
d'autore
andrebbero
collocati
in
una
posizione
sovraordinata
rispetto
ad
altri
diritti
e
libertà
fondamentali
dell'uomo
e
del
cittadino
quali
la
libertà
all'informazione
‐
nella
sua
duplice
accezione
di
diffondere
e
68
ricercare
informazioni
‐
ed
il
diritto
alla
riservatezza
ed
alla
privacy33.
Si
tratta
di
aspetti
che
hanno
già
portato
le
Istituzioni
Europee
prima
ed
il
Consiglio
di
Stato
francese
poi
a
pronunciarsi
in
termini
fortemente
critici
verso
il
disegno
di
legge
francese.
Il
Governo,
tuttavia,
è
sin
qui
andato
per
la
sua
strada
e
sussiste,
sfortunatamente,
il
rischio
concreto
che
l'esempio
francese
venga
presto
seguito
anche
dagli
esecutivi
e
dai
legislatori
di
altri
Paesi,
come
conferma
l'interesse
delle
società
italiane
di
intermediazione
dei
diritti
(SIAE
ed
AIE)
e
della
FIMI
per
il
pensiero
del
Sig.
Olivennes,
patron
della
FNAC
ed
ispiratore
‐
attraverso
lo
sciagurato
accordo
del
novembre
scorso
‐
del
disegno
di
legge.
È
per
questo
che
appare
opportuno
iniziare
a
riflettere
su
cosa
non
va
della
soluzione
francese.
Cominciamo
dal
principio.
(a)
Nel
disegno
di
legge
si
muove
dal
presupposto
che
la
maggior
tutela
dei
titolari
dei
diritti
ed
il
giro
di
vite
nei
confronti
degli
utilizzatori
sarebbero
giustificati
dall'impegno
"solennemente"
assunto
dai
primi
‐
nell'ambito
dello
sciagurato
accordo
"Olivennes"
‐
ad
ampliare
l'offerta
legittima
di
contenuti
audiovisivi
online
ed
a
limitare
l'uso
di
misure
tecniche
di
protezione
non
interoperabili.
Si
tratta
di
un
approccio
non
condivisibile
né
nel
metodo
né
nei
contenuti.
Quanto
al
metodo
perché
pone
sullo
stesso
piano
"l'impegno
solenne"
assunto
dalle
major
dell'audiovisivo
ed
il
rigidissimo
quadro
sanzionatorio
delineato
contro
gli
utenti
che
dovessero
scaricare
illegalmente,
per
due
o
tre
volte,
anche
una
sola
opera
dell'ingegno.
Al
riguardo
sarebbe
stato
almeno
necessario
imporre
ex
lege
ai
titolari
dei
diritti
l'adozione
di
modelli
di
business
e
diffusione
dei
contenuti
digitali
online
idonei
a
garantire
un
effettivo
ampliamento
dell'offerta
legale
e
disincentivare
così,
in
modo
naturale,
i
consumatori
dal
ricorso
al
"mercato
pirata".
Quanto
al
contenuto
perché
ci
si
è
accontentati
di
chiedere
alle
major
dell'audiovisivo
di
accorciare
di
un
mese
e
mezzo
l'intervallo
di
tempo
tra
l'arrivo
di
un
film
nelle
sale
e
la
sua
uscita
su
internet
(da
sette
mesi
e
mezzo
a
sei!)
e
di
rinunciare
‐
in
modo
Il
testo
del
Disegno
di
Legge
è
reperibile
a
questa
URL:
http://www.legifrance.gouv.fr/html/actualite/actualite_legislative/protection_inte
rnet.html
33
69
peraltro
del
tutto
generico
‐
all'utilizzo
di
misure
tecniche
di
protezione
non
interoperabili
in
relazione
alle
opere
musicali.
Come
se
in
cambio
della
generica
promessa
degli
inventori
a
non
richiedere
brevetti
per
ritrovati
non
originali
si
ipotizzassero
pesantissime
pene
detentive
per
gli
eventuali
contraffattori...
(b)
Il
disegno
di
legge
istituisce
l'Alta
Autorità
per
la
diffusione
delle
opere
e
la
protezione
dei
diritti
su
internet
ed
attribuisce
a
tale
soggetto
poteri
di
controllo
e
sanzionatori
in
relazione
agli
illeciti
aventi
ad
oggetto
i
diritti
d'autore
in
Rete.
L'Alta
Autorità
disporrà
di
propri
ispettori
e
potrà
irrogare
sanzioni
che,
in
taluni
casi
‐
duplice
violazione
dei
diritti
d'autore
nel
medesimo
anno
‐
potranno
essere
costituite
dalla
sospensione
dell'abbonamento
ad
Internet
e
dall'inibitoria
al
perfezionamento
di
un
nuovo
contratto
per
un
periodo
compreso
tra
tre
mesi
ed
un
anno.
Le
perplessità,
concernono,
ancora
una
volta
tanto
il
metodo
che
il
contenuto.
L'idea
di
riconoscere
ad
un'Autorità
indipendente
‐
esclusivamente
per
le
questioni
della
Rete
‐
poteri
paragiurisdizionali
tanto
pregnanti
ed
incisivi
e
suscettibili
di
limitare
l'esercizio
di
libertà
e
diritti
fondamentali
degli
utenti
non
appare
condivisibile.
Lo
stesso
Consiglio
di
Stato
francese,
infatti,
ha
fortemente
criticato
tale
impostazione.
Internet
è
solo
un
media
ed
il
regime
giuridico
delle
"cose
della
Rete"
deve,
necessariamente,
essere
lo
stesso
applicabile
alle
"cose
del
mondo
fisico".
Quanto
ai
contenuti,
non
può
ipotizzarsi
a
fronte
di
una
violazione
dei
diritti
patrimoniali
d'autore
la
protratta
privazione
del
diritto
all'uso
delle
tecnologie
telematiche,
tecnologie
attraverso
le
quali
oggi
‐
ed
ancor
più
domani
‐
si
esercitano
diritti
civili,
si
interagisce
con
la
pubblica
amministrazione,
si
accede
a
servizi
di
pubblica
utilità,
si
diffondono
ed
acquisiscono
informazioni
e
si
intrattengono
relazioni
professionali
e
personali.
Si
tratta,
evidentemente,
di
sanzioni
sproporzionate
rispetto
alla
gravità
dell'illecito
e,
soprattutto,
di
un'impostazione
sintomatica
di
quel
convincimento
‐
cui
si
è
già
fatto
cenno
‐
che
pone
il
diritto
patrimoniale
d'autore
al
di
sopra
di
ogni
altro
diritto.
(c)
Sebbene
nel
pressoché
totale
silenzio
del
disegno
di
legge,
l'esercizio
da
parte
dell'Alta
Autorità
dei
poteri
attribuitile
ha
per
presupposto
un
ampio
e
massivo
monitoraggio
da
parte
di
quest'ultima
delle
comunicazioni
elettroniche
poste
in
essere
tra
i
70
consumatori
e
gli
utenti
al
fine
di
identificare
quelli
aventi
asseritamente
per
oggetto
contenuti
protetti
da
diritto
d'autore.
Si
tratta
di
uno
scenario
di
orwelliana
memoria
il
cui
impatto
sul
diritto
alla
privacy
non
appare
attutito
in
maniera
soddisfacente
per
il
solo
fatto
che
tali
attività
sembrano
destinate
ad
essere
poste
in
essere
da
un'Autorità
indipendente.
Anche
sotto
tale
angolo
di
visuale
il
disegno
di
legge
si
presenta
fondato
su
quel
già
denunziato
approccio
secondo
il
quale,
in
nome
dei
diritti
di
proprietà
intellettuale,
sarebbe
lecito
travolgere,
tra
gli
altri,
il
diritto
alla
privacy
di
utenti
e
consumatori.
Posizione
difficile
da
sostenere
in
un
Paese
come
l'Italia
che
si
avvia
a
limitare
le
intercettazioni
telefoniche
in
relazione
a
reati
assai
più
gravi
del
download
di
un
brano
di
Madonna
ed
a
limitare
i
termini
per
il
data
retention
di
dati
assai
meno
significativi
di
quelli
relativi
ai
contenuti
scambiati
in
Rete
da
milioni
di
utenti.
C'è
molto
altro
che
non
va
nel
disegno
di
legge
francese,
ma
l'auspicio
è
che
quanto
sin
qui
evidenziato
sia
da
solo
sufficiente
a
scongiurare
il
rischio
che
qualcuno
si
innamori
della
soluzione
francese
che
non
risolverà
nessun
problema
e
condurrà
esclusivamente
ad
una
sempre
più
rigida
e
profonda
frattura
e
contrapposizione
tra
titolari
dei
diritti
e
fruitori
di
cultura
digitale.
È
facile
prevedere
che
i
primi
ricorreranno
intensamente
ai
nuovi
strumenti
di
enforcement
con
l'illusione
di
difendere
‐
proprio
come
Don
Chichotte
nella
celebre
battaglia
contro
i
mulini
al
vento
‐
posizioni
di
rendita
e
modelli
di
business
superati
dai
tempi
mentre
i
secondi
utilizzeranno,
in
misura
crescente,
le
nuove
tecnologie
per
sottrarsi
al
controllo
globale
ed
accedere
in
forma
anonima
ai
contenuti
digitali.
Non
è
la
Rete
che
vorrei,
ma
è
quella
nella
cui
direzione
soffia
il
vento
francese.
P2P
francese,
un
esempio
da
non
imitare
7
novembre
2008
Punto
Informatico
A
distanza
di
meno
di
un
anno
da
quando
il
23
novembre
del
2007
Denis
Olivennes
presentava
all’Eliseo
la
sua
ricetta
per
combattere
la
pirateria
audiovisiva
il
senato
francese
ha
71
approvato,
nei
giorni
scorsi,
in
prima
lettura,
il
progetto
di
legge
destinato
a
dare
attuazione
in
Francia
a
tale
ricetta34.
Si
tratta
di
una
soluzione
che,
come
è
noto
ai
lettori
di
Punto
Informatico,
qualcuno
sembra
intenzionato
ad
importare
nel
nostro
Paese
e
che
è,
pertanto,
importante
esaminare
al
fine
di
evidenziarne,
sin
d’ora,
taluni
aspetti
che
sollevano
grosse
perplessità
con
l’auspicio
che
ciò
valga
a
far
desistere
il
Governo
dalla
tentazione
di
seguire
l’esempio
dei
cugini
francesi.
Cominciamo
dalla
filosofia
della
norma:
la
violazione
dei
diritti
di
proprietà
intellettuale
può
comportare
la
sospensione
–
da
un
mese
ad
un
anno
–
del
diritto
dell’utente
di
accedere
ad
Internet.
Si
tratta
di
una
misura
irragionevole
e
sproporzionata.
L’accesso
alle
risorse
di
connettività
costituisce
oggi
un
diritto
fondamentale
dell’uomo
e
del
cittadino,
diritto
che
andrà,
peraltro,
progressivamente
arricchendosi
di
contenuto
in
maniera
direttamente
proporzionata
al
crescere
delle
forme
di
utilizzo
di
internet
quale
strumento
di
esercizio
di
diritti
civili
e
politici
e
di
interrelazione
tra
cittadino
e
pubblica
amministrazione.
Basti
pensare
alla
Rete
quale
mezzo
di
accesso
all’informazione
ed
al
patrimonio
culturale
in
digitale
ma,
anche,
all’uso
delle
tecnologie
informatiche
e
telematiche
nei
rapporti
tra
PA
e
cittadino
così
come
ridisegnati
dal
Codice
dell’amministrazione
digitale.
Privare
una
persona
dell’accesso
alle
risorse
di
connettività,
pertanto,
nel
secolo
della
Rete,
vuol
dire
privarla
dell’esercizio
di
una
pluralità
di
diritti
se
non
sovra‐ordinati
rispetto
a
quello
di
proprietà
intellettuale
che
si
vorrebbe
proteggere,
almeno,
pari‐ordinati.
Già
sotto
tale
profilo,
pertanto,
la
proposta
di
legge
francese
sembra
da
respingere.
Si
tratta,
tuttavia,
di
aspetti
già
trattati.
La
lettura
del
disegno
di
legge,
rivela,
tuttavia,
ulteriori
ed
ancor
più
preoccupanti
aspetti.
C’è,
innanzitutto,
un
profilo
poco
approfondito
e,
probabilmente,
sottovalutato
nella
comunicazione
“giornalistica”
che
ha,
sin
qui,
accompagnato
le
vicende
relative
all’iniziativa
francese:
il
progetto
di
legge
non
sanziona
il
soggetto
che
si
rende
autore
–
o
che
tale
viene
ritenuto
–
della
violazione
dei
diritti
di
proprietà
intellettuale
ma,
piuttosto,
il
titolare
dell’abbonamento
Il
testo
integrale
del
disegno
di
legge
è
disponibile
a
questa
URL:
http://www.legifrance.gouv.fr/html/actualite/actualite_legislative/protection_inte
rnet.html
34
72
ad
Internet
attraverso
il
quale
si
assume
esser
stata
perpetrata
la
violazione.
La
proposta
di
legge,
infatti,
impone
alla
“persona
titolare
dell’accesso
a
servizi
di
comunicazione
al
pubblico
in
linea”
–
sia
essa,
dunque,
un
genitore,
un
datore
di
lavoro
o,
piuttosto,
un
amico
che
ospita
in
casa
un
altro
amico
‐
l’obbligo
di
vigilare
che
tale
accesso
non
sia
utilizzato
al
fine
di
riprodurre,
comunicare
o
mettere
a
disposizione
del
pubblico
opere
protette
da
diritto
d’autore
senza
l’autorizzazione
del
titolare
dei
diritti.
Il
titolare
dell’abbonamento
ad
internet
potrà
sottrarsi
alla
responsabilità
derivante
dall’eventuale
violazione
dei
diritti
d’autore
posta
in
essere
attraverso
le
proprie
risorse
di
connettività
solo
qualora
questi
abbia
adottato
uno
dei
sistemi
di
protezione
destinato
ad
essere
“omologato”
dalla
costituenda
Autorità,
qualora
l’utilizzo
di
dette
risorse
sia
stato
posto
in
essere
“fraudolentemente”
da
una
persona
non
posta
sotto
l’autorità
o
la
sorveglianza
del
titolare
dell’abbonamento
–
non
dunque
nel
caso
in
cui
si
tratti
di
un
genitore
o
del
datore
di
lavoro
–
o,
infine,
nell’ipotesi
di
forza
maggiore.
Si
tratta
di
una
disposizione
dirompente
per
l’equilibrio
del
sistema
che,
al
fine
di
tutelare
i
diritti
di
patrimoniali
d’autore,
compie
una
pericolosa
translazione
della
responsabilità
dal
presunto
pirata
a
chi
–
inconsapevolmente
–
fornisce
a
quest’ultimo
le
necessarie
risorse
di
connettività.
In
un
sistema
nel
quale
la
responsabilità
penale
è
personale
prima
di
introdurre
nuove
posizioni
di
garanzia
dalle
quali
far
derivare
ipotesi
eccezionali
di
responsabilità
per
culpa
in
vigilando
credo
bisognerebbe
pensarci
in
modo
più
serio
ed
approfondito.
Senza
contare
che,
per
tale
via,
anziché
spingere
gli
utenti
alla
più
ampia
condivisione
possibile
delle
risorse
di
connettività,
li
si
obbliga
a
farne
un
uso
geloso
e,
forse,
a
farne
a
meno
pur
di
non
rischiare
di
incorrere
nelle
sanzioni
previste
dalla
nuova
disciplina.
Sotto
tale
profilo
mi
sembra
che
il
disegno
di
legge
si
commenti
da
solo:
è
un’iniziativa
liberticida
che
–
in
nome
della
sacrosanta
tutela
dei
diritti
di
proprietà
intellettuale
–
rischia
di
produrre
conseguenze
devastanti
in
termini
di
digital
divide,
frenando
anziché
incentivare
l’utilizzo
delle
risorse
internet.
Il
problema
è
sempre
lo
stesso:
continua
a
guardarsi
all’enforcement
dei
diritti
di
proprietà
intellettuale
in
una
prospettiva
“copyright
centrica”,
quasi
che
vi
siano
norme
nei
nostri
ordinamenti
che
consentano
di
porre
il
diritto
d’autore
in
una
posizione
superiore
rispetto
a
quella
di
altri
diritti
fondamentali
dell’uomo
e
del
cittadino.
73
Un
altro
aspetto
sul
quale
occorre
riflettere
è
rappresentato
dalla
circostanza
che
l’intero
impianto
della
nuova
normativa
riposa,
evidentemente,
su
una
forte
compressione
del
diritto
alla
privacy
di
tutti
gli
utenti
che
sono
destinati
a
veder
monitorata
ogni
attività
di
scambio
di
contenuti
digitali
attraverso
le
proprie
risorse
di
connettività.
E’,
infatti,
evidente
che
solo
per
questa
via
la
nuova
autorità
potrà
individuare
–
o
ritenere
di
individuare
–
eventuali
condotte
di
violazione
dei
diritti
d’autore.
Il
disegno
di
legge
approvato
nei
giorni
scorsi
dal
Senato
francese,
d’altra
parte
–proprio
al
fine
di
rendere
efficace
il
nuovo
meccanismo
di
enforcement
dei
diritti
di
proprietà
intellettuale
–
riconosce
alla
Commissione
per
la
protezione
dei
diritti
costituita
in
seno
all’Autorità
e
–
quel
che
è
peggio
–
agli
ispettori
che
essa
utilizzerà
nell’esercizio
delle
proprie
funzioni,
il
diritto
di
accedere
direttamente
e/o
tramite
i
provider
ad
un
enorme
quantità
di
dati
personali
degli
utenti.
Si
tratta
di
una
compressione
del
diritto
alla
privacy
senza
precedenti
che
non
appare
giustificata
dal
rilievo
esclusivamente
economico
degli
interessi
che
si
vorrebbero
tutelare
e
che,
in
ogni
caso,
non
può
prescindere
–
come
invece
previsto
nel
disegno
di
legge
approvato
dal
Senato
francese
–
da
un
ordine
di
un’Autorità
giudiziaria.
Al
riguardo
sembra
appena
il
caso
di
ricordare
l’illuminante
decisione
della
Suprema
Corte
tedesca
del
febbraio
scorso35
nonché
il
parere
–
benché
secretato
dal
Governo
‐
che
la
stessa
CNIL
sembrerebbe
aver
rilasciato
sul
disegno
di
legge36.
Anche
sotto
tale
profilo
la
soluzione
francese
rappresenta
un
pessimo
esempio
da
non
imitare.
Tra
i
tanti
di
cui
si
potrebbe
ancora
parlare,
vi
è,
poi,
un
altro
aspetto
da
non
sottovalutare.
I
provvedimenti
sanzionatori
–
anche
secondo
l’ultima
versione
del
disegno
di
legge
approvato
dal
Senato
–
sono
adottati
dalla
Commissione
per
la
protezione
dei
diritti
sebbene
nell’ambito
di
una
non
meglio
disciplinata
procedura
in
contraddittorio
con
la
conseguenza
che
al
destinatario
della
sanzione
non
resterà
che
impugnare
la
decisione
dinanzi
ad
un’Autorità
giudiziaria
ancora
neppure
individuata
nel
disegno
di
legge.
Il
testo
integrale
della
decisione
è
disponibile
a
questa
URL:
http://www.visionpost.it/epolis/germania‐no‐al‐cyber‐spionaggio‐di‐stato.htm
36
Cfr.
http://www.cnil.fr/index.php?id=2535&news[uid]=590&cHash=773e5066a4
35
74
Ve
lo
immaginate
voi
il
Sig.
Rossi
il
cui
figlio
in
un
anno
ha
scaricato
per
due
volte
due
cartoni
animati
da
una
piattaforma
di
P2P
che,
ricevuta
la
notifica
di
un
provvedimento
di
sospensione
dell’abbonamento
ad
internet
per
qualche
mese,
avvia,
nel
nostro
Paese
‐
dove
un
giudizio
dura
tre
o
quattro
anni
e
costa
migliaia
di
euro
–
una
causa
di
impugnazione
avverso
il
provvedimento
adottato
dalla
Commissione
senza,
peraltro,
disporre
–
a
distanza
di
mesi
dall’episodio
contestato
–
neppure
di
elementi
di
prova
a
discolpa
sua
e/o
del
figlio?
Io
francamente
no.
Parola
di
un
avvocato
che
–
pur
di
non
confrontarsi
con
i
costi
e
le
lungaggini
di
un
banale
procedimento
di
opposizione
ad
una
sanzione
amministrativa
–
preferisce
pagare
le
contravvenzioni
per
violazioni
del
codice
della
strada
anche
quando
qualche
vigile
miope
sostiene
di
averlo
visto
al
centro
di
roma
su
una
macchina
che
non
possiede
mentre
si
trovava
a
Parigi!
A
parte
facili
battute
la
declinazione
della
soluzione
Sarkozy‐Olivennes
contenuta
nel
disegno
di
legge
mi
sembra,
sotto
tale
profilo,
ancora
lontana
dal
potersi
ritenere
in
linea
con
quanto
di
recente
stabilito
dal
Parlamento
Europeo.
L’elenco
delle
cose
che
proprio
non
vanno
nella
nuova
strategia
della
lotta
alla
pirateria
on‐line
che
emerge
dal
disegno
di
legge
approvato
nei
giorni
scorsi
dal
Senato
francese
potrebbe
proseguire
ancora
a
lungo
ma,
allo
stato,
forse
è
meglio
sperare
che
il
Governo
italiano
guardi
più
lontano
di
quello
francese
e
non
commetta
l’errore
di
“barattare”
la
tutela
della
proprietà
intellettuale
con
i
diritti
fondamentali
dei
cittadini.
Sperare,
naturalmente,
non
basta:
occorrerà
formulare
proposte
concrete,
mature
ed
equilibrate
a
conferma
che
questo
non
è
un
Paese
di
pirati
che
merita
di
essere
posto
sotto
stretta
sorveglianza
e
privato
dell’esercizio
delle
più
elementari
libertà
dell’Era
digitale.
Il
mercato
dei
contenuti
digitali
febbraio
2008
Internet
Magazine
Nelle
ultime
settimane
il
dibattito
sul
mercato
dei
contenuti
digitali
in
Rete
e
sulle
possibili
strade
da
intraprendere
per
arginare
il
fenomeno
della
pirateria
ed
individuare
un
punto
di
equilibrio
tra
i
contrapposti
interessi
è
divenuto
incandescente
e,
a
tratti,
difficile
da
seguire
persino
per
gli
addetti
ai
lavori.
Tutto
è
cominciato
con
l’annuncio
del
Presidente
della
Repubblica
Francese
Sarkozy
dell’avvenuto
raggiungimento
di
un
accordo
tra
Major
dell’audiovisivo,
ISP
e
Autorità,
per
la
lotta
alla
75
pirateria
audiovisiva
che,
in
Francia,
ha
raggiunto
dimensioni
giudicate
allarmanti.
La
base
di
tale
accordo
sarebbe
costituita
dal
risultato
dei
lavori
di
una
commissione
nominata
dal
Ministro
della
Cultura
e
della
comunicazione
e
presieduta
da
Denis
Olivennes.
Secondo
quanto
sostenuto
nel
rapporto
prodotto
dalla
Commissione
la
pirateria
audiovisiva
andrebbe
combattuta
con
strumenti
diversi
–
alcuni
dei
quali,
occorre
riconoscerlo,
largamente
condivisibili
–
ma
un
ruolo
chiave
dovrebbe
essere
affidato
ad
un
diffuso
utilizzo
di
differenti
tecnologie
di
filtraggio
dei
contenuti
digitali
in
Rete.
Questo
aspetto
–
ed
alcuni
altri
passaggi
del
documento
conclusivo
dei
lavori
della
commissione
–
hanno
sollevato
un
vespaio
di
polemiche
sulla
stampa
e
tra
gli
addetti
ai
lavori.
A
gettare
il
primo
cerino
sulla
polveriera
dell’accordo
Sarkozy‐Olivennes
ci
ha
pensato
il
celebre
quotidiano
francese,
Le
Monde
che
nei
giorni
immediatamente
successivi
all’annuncio
ha
dedicato
la
sua
seconda
pagina
ad
un
pezzo
fortemente
critico
verso
metodo
e
contenuti
dell’iniziativa
del
Presidente
francese.
Innanzitutto
il
quotidiano
contesta
la
scelta
di
affidare
la
direzione
dei
lavori
di
una
commissione
volta
ad
individuare
una
soluzione
ad
un
problema
come
quello
del
mercato
dei
contenuti
digitali
ad
un
rappresentante
tanto
in
vista
di
uno
solo
dei
protagonisti
di
detto
mercato
come
Denie
Olivennes,
Presidente
della
FNAC,
colosso
francese
dell’industria
dell’intrattenimento.
Sarebbe,
scrive
Le
Monde
come
affidare
una
riforma
del
mercato
della
grande
distribuzione
a
Monsieur
Michel‐Edouard
Leclerc,
patron
dell’omonima
catena
di
centri
commerciali.
Difficile
dargli
torto
e
non
condividere
tale
perplessità.
Passando
dal
metodo
ai
contenuti,
poi,
il
quotidiano
francese
–
uno
dei
più
autorevoli
nel
mondo
della
stampa
–
avanza
dubbi
e
perplessità
circa
la
compatibilità
delle
tecniche
di
filtraggio
di
cui
la
Commissione
Olivennes
ha
proposto
l’adozione
con
il
vigente
quadro
normativo
e,
soprattutto,
circa
la
loro
efficacia
in
un
universo
quale
quello
della
circolazione
dei
contenuti
digitali
in
cui
la
tecnologia
antipirateria
è
destinata
ad
essere
perennemente
inseguita
e
superata
dal
progresso
tecnologico.
Proprio
l’aspetto
dell’opportunità
di
ricorrere
a
tecniche
di
filtraggio
dei
contenuti
digitali
per
arginare
il
fenomeno
della
pirateria
audiovisiva
in
Rete
ha
infiammato
gli
animi
e
riacceso
il
dibattito
anche
nel
nostro
Paese
attraverso
l’Appello
lanciato
da
Leonardo
Chiariglione
al
Vice‐Presidente
del
Consiglio
Francesco
Rutelli
affinché
il
Governo
italiano
non
segua
l’esempio
francese.
76
All’appello
hanno
immediatamente
aderito
personaggi
di
primo
piano
(escluso
il
sottoscritto!)
del
mondo
dell’informazione,
del
diritto,
della
politica,
dei
consumatori
e
dell’industria,
tra
i
quali
il
Prof.
Stefano
Rodotà,
già
Garante
della
privacy,
l’On.
Fiorello
Cortina,
del
Comitato
consultivo
per
la
Governance
di
Internet,
Marco
Fiorentino,
Presidente
dell’Associazione
Italiana
Internet
Provider,
Michele
Ficara
Manganelli,
Presidente
di
Assodigitale,
Marco
Pierani,
Responsabile
degli
affari
istituzionali
di
Altroconsumo,
Giuseppe
Corasaniti,
Magistrato
e
già
Presidente
del
Comitato
consultivo
per
il
diritto
d'autore
e,
ancora,
Roberto
Liscia
Presidente,
Netcomm
‐
Il
Consorzio
del
Commercio
Elettronico
Italiano,
Layla
Pavone,
Presidente
IAB,
Interactive
Advertising
Bureau
Italia
e
Stefano
Quintarelli,
Imprenditore
e
blogger,
pioniere
di
Internet.
Il
contenuto
dell’appello,
aperto
ora
all’adesione
del
popolo
della
Rete
attraverso
le
pagine
di
Punto
Informatico
è
chiaro:
le
nuove
tecnologie
devono
consentire
l’accesso
di
un
numero
sempre
maggiore
di
utenti
al
patrimonio
culturale
globale
nell’ovvio
rispetto
del
diritto
d’autore
ma,
ad
un
tempo,
degli
altri
diritti
e
libertà
fondamentali
di
utenti
e
consumatori.
Trasformare
la
Rete
in
uno
spazio
di
controllo
globale
di
orwelliana
memoria
al
solo
fine
di
garantire
i
diritti
patrimoniali
d’autore
delle
major
dell’audiovisivo
costituisce
la
strada
sbagliata
e,
quindi,
un
esempio
che
il
legislatore
italiano
non
può
e
non
deve
imitare
perché,
per
tale
via,
si
rischia
di
travolgere
i
diritti
fondamentali
degli
utenti
–
quello
alla
privacy
ed
alla
libertà
di
informazione
nella
duplice
accezione
di
libertà
di
informare
ed
essere
informati
prima
di
ogni
altro
–
in
nome
del
diritto
d’autore.
E’
un
po’
quello
che
è
accaduto
–
per
ragioni,
tuttavia,
più
facili
se
non
da
condividere
almeno
da
accettare
–
allorquando,
dopo
l’11
settembre
del
2001,
gli
USA
hanno
lanciato
la
lotta
senza
confini
al
terrorismo:
la
Rete
è
cambiata,
i
nostri
costumi
ed
abitudini
sono
cambiati,
abbiamo
visto
comprimersi
dalla
sera
alla
mattina
il
nostro
diritto
di
parlare,
muoverci,
viaggiare…per
non
parlare
nel
nostro
diritto
alla
privacy.
Ci
pensavo
ieri,
in
aeroporto,
rientrando
a
Roma
da
Palermo
mentre
ai
varchi
di
sicurezza
dello
scalo
siciliano
mi
imponevano
di
lasciare
a
terra,
per
ragioni
di
sicurezza,
un
chilo
di
straordinaria
ricotta
con
la
quale
avrei
voluto
riempire
una
quindicina
di
cannoli
per
far
felici
amici
e
parenti…
La
sicurezza
nazionale
–
ammesso
che
questo
sia
il
modo
migliore
per
garantirla
–
vale
inequivocabilmente
di
più
della
mia
ricotta
e
del
mio
diritto
a
non
vedere
una
persona
che
non
conosco
frugare
nella
mia
borsa
ed
è,
per
questo
che
sebbene
viva
anche
queste
limitazioni
come
una
sconfitta
mi
sforzo
di
comprenderle.
77
Il
caso
della
circolazione
dei
contenuti
digitali
in
Rete,
tuttavia,
è
diverso.
Il
diritto
d’autore
non
può
ritenersi,
in
nessun
caso,
sovra‐
ordinato
al
diritto
alla
privacy
ed
alla
libertà
di
manifestazione
del
pensiero
di
utenti
e
consumatori
di
contenuti
digitali
ed
infrastrutture
di
comunicazione.
La
stessa
commissione
Olivennes,
è
stata
costretta
a
prendere
atto
–
all’esito
dei
propri
lavori
–
che
le
diverse
tecnologie
di
filtraggio
(I.P.,
upload,
download,
fingerprint
ecc.)
allo
stato
non
sono
infallibili
né
neutre
rispetto
ai
diritti
di
utenti
e
consumatori
tanto
che
la
loro
generalizzata
utilizzazione
richiederebbe
in
Francia
importanti
interventi
normativi
e
profondi
ripensamenti
di
posizioni
più
volte
espresse
dalla
Commissione
Nazionale
dell’informatica
e
delle
libertà
a
proposito
dell’inopportunità
che
soggetti
privati
–
quali
i
titolari
dei
diritti
–
dispongano
in
modo
sistematico
e
generalizzato
di
un
gran
numero
di
informazioni
personali
degli
utenti.
La
proprietà
intellettuale
riveste
un
ruolo
centrale
nello
sviluppo
culturale
ed
economico
di
ogni
Paese
nella
Società
dell’informazione
ma,
occorre
individuare
la
misura
entro
la
quale
l’esigenza
di
tutelarla
può
giustificare
una
compressione
degli
altri
diritti
e
libertà
fondamentali
la
cui
attuazione
è,
egualmente,
imprescindibile
alla
stregua
di
quanto
disposto
nella
nostra
Carta
costituzionale.
Proprio
su
questo
terreno,
nelle
scorse
settimana,
il
dibattito
aperto
dall’Appello
di
Leonardo
Chiariglione
si
è
fatto
particolarmente
vivace:
da
una
parte
la
soluzione
elaborata
nell’ambito
del
progetto
DMIN
che
contempla
l’utilizzo
diffuso
di
DRM
interoperabili
e
rispettosi
dei
diritti
fondamentali
di
utenti
e
consumatori
e
dall’altra
le
frange
più
radicali
del
popolo
della
Rete
che
contestano
radicalmente
la
possibilità
di
far
ricorso
a
tali
tecnologie
quali
che
siano
tratti
e
caratteristiche
tecno‐somatiche.
Ho
sempre
creduto
–
nel
difendere,
ad
esempio,
a
spada
tratta
il
P2P
–
che
le
tecnologie
siano
neutre
rispetto
al
diritto
e
che
lecito,
illecito,
opportuno
o
non
opportuno
sia,
piuttosto,
il
modo
nel
quale
le
stesse
vengono
utilizzate.
Ritengo
che
tale
approccio
valga
anche
nel
caso
dei
DRM.
Farne
a
meno
e
poter
contare
in
Rete
su
cultura
digitale
libera
da
ogni
genere
di
vincolo
o
controllo
costituisce,
probabilmente,
un
sogno
al
quale
è
facile
affezionarsi
ma,
sfortunatamente,
lontano
dalla
realtà
e
come
tale
inattuabile.
E’
un
dato
incontestabile
quello
secondo
cui
il
valore
dell’immateriale
e
dei
diritti
d’autore
non
appartiene,
nella
presente
epoca
storica,
al
bagaglio
culturale
del
popolo
della
Rete
che,
a
torto
o
a
ragione
(da
un
punto
di
vista
giuridico
certamente
78
a
torto)
ha
una
scarsa
propensione
al
riconoscimento
di
un
corrispettivo
per
accedere
ad
un
contenuto
che
può
avere
gratuitamente.
In
tali
condizioni
non
si
può
razionalmente
sostenere
che
si
possa
far
a
meno
di
sistemi
di
controllo
e
gestione
dei
diritti
idonei
a
garantire
ai
titolari
dei
diritti
d’autore
la
remunerazione
cui
essi
hanno
diritto.
Si
tratta,
quindi,
di
scegliere
se
seguire
la
soluzione
proposta
da
Monsieur
Olivennes
secondo
il
quale
i
DRM
andrebbero
progressivamente
eliminati
e
sostituiti
da
tecniche
di
filtraggio
generalizzato
sui
contenuti
o,
piuttosto,
quella
–
peraltro
come
tutto
su
questa
terra
certamente
perfettibile
–
proposta
da
Leonardo
Chiariglione
nel
suo
appello
ed
elaborata
nel
corso
dei
lavori
di
Dmin:
utilizzo
diffuso
di
un
DRM
interoperabile
e
rispettoso
dei
diritti
degli
utenti.
Un
naso
elettronico
nella
mia
ricotta,
l’altro
giorno,
in
aeroporto
mi
avrebbe
dato
fastidio
ma,
vi
assicuro,
meno
di
quanto
mi
è
costato
doverla
lasciare
al
varco
di
sicurezza
dopo
averne
lungamente
sognato
il
sapore.
Il
popolo
della
Rete:
un
popolo
di
“scrocconi”?
29
gennaio
2008
http://www.guidoscorza.it/?p=245
L'articolo
apparso
questa
mattina
su
Repubblica.it
a
firma
di
Ernesto
Assante,
inviato
del
quotidiano
in
quel
di
Cannes,
non
mi
è
piaciuto37.
Il
contenuto
dell’articolo
di
Roberto
Assante
pubblicato
su
Repubblica.it
il
29
gennaio
2008
cui
si
fa
riferimento
nel
post
è
quello
che
segue:
Clicco,
scarico
e
non
pago
Il
sogno
online
della
vita
gratis
dal
nostro
inviato
ERNESTO
ASSANTE
Clicco,
scarico
e
non
pago.
Il
sogno
online
della
vita
gratis.
CANNES
‐
Clicco,
scarico,
non
pago.
Tre
semplici
atti
che
hanno
portato
alla
crisi,
in
pochi
anni,
un'intera
industria,
quella
discografica,
che
inesorabilmente
ha
visto
calare
le
vendite
dei
cd
e
crescere
il
consumo
di
musica
gratis
attraverso
la
rete.
Clicco,
scarico
e
non
pago.
Funziona
anche
per
il
cinema,
per
la
tv,
per
i
giornali,
per
il
telefono,
per
i
videogiochi:
tutto
quello
che
nel
mondo
reale
ha
un
valore,
che
sia
un
oggetto
o
un
servizio,
qualcosa
che
può
essere
venduto
e
comprato,
quando
arriva
in
rete
e
si
smaterializza,
perde
anche
il
suo
valore
economico.
E
tutto
diventa
gratuito.
Si
consuma
musica,
si
fanno
telefonate,
si
leggono
giornali,
si
vedono
film
e
programmi
televisivi,
si
gioca
e
non
si
paga.
Fino
a
ieri
tutto
questo
era
illegale,
era
pirateria.
Oggi
non
è
più
così.
I
giornali
online
sono
gratuiti,
la
telefonia
via
Internet
è
gratuita,
la
web
tv
è
gratuita,
stanno
arrivando
anche
i
primi
film
pagati
interamente
dalla
pubblicità
(il
primo
è
"Voglio
la
luna",
prodotto
dal
tour
operator
Hotelplan
e
da
ieri
approdato
in
alcune
sale
37
79
italiane,
i
biglietti,
ovviamente
gratuiti
si
possono
prendere
soltanto
online
sul
sito
del
film).
È
la
tecnologia
digitale
ad
avere
liberato
questa
possibilità.
E'
l'avvento
di
Internet
e
del
World
Wide
Web
ad
aver
reso
possibile
quanto
solo
fino
a
qualche
anno
fa
sembrava
assolutamente
irrealizzabile.
Portare
legalmente
contenuti
gratuiti
al
pubblico.
Offrire
legalmente
servizi
gratuiti.
Il
primo
terreno
dove
è
avvenuta
la
svolta
è
quello
della
musica.
Una
rivoluzione
vera
e
propria
perché,
a
differenza
della
vecchia
"pirateria"
fisica,
quella
che
ancora
oggi
porta
nelle
nostre
strade
milioni
di
copie
di
dischi
copiati
illegalmente
e
venduti
a
pochi
euro,
ha
portato
in
pochissimo
tempo
milioni
di
persone
a
collegarsi
alla
rete
e
a
condividere
la
loro
musica
in
un
modo
che
prima,
semplicemente,
non
era
possibile.
E
senza
pagare
nulla.
Che
si
tratti
di
"furto"
è
evidente,
copiare
una
canzone
senza
pagare
i
diritti
d'autore
significa
semplicemente
privare
i
musicisti
dei
frutti
del
loro
lavoro.
Ma
ai
frequentatori
della
rete
il
termine
"furto"
è
sempre
sembrato
inappropriato.
Innanzitutto
perché
nel
"file
sharing",
nello
scambio
dei
brani
online,
non
c'è
un
oggetto
fisico,
non
c'è
un
disco,
non
c'è
qualcosa
che
materialmente
passa
da
una
mano
all'altra,
da
una
persona
all'altra,
nulla
viene
tolto
a
nessuno.
E
poi
perché
la
copia
digitale
che
viene
creata,
assolutamente
identica
all'originale,
è
frutto
di
un
baratto,
di
uno
scambio
di
brani,
di
files.
Cosa
che
"moralmente"
ha
un'apparenza
più
accettabile.
Per
gli
"scaricatori"
della
musica
online
il
loro
gesto
non
è
molto
diverso
da
quello
che
fanno
ogni
giorno
quando
ascoltano
la
musica,
gratuitamente,
accendendo
la
radio.
Non
sono
loro
i
"ladri",
insomma,
semmai
le
aziende
che
gestiscono
le
reti,
che
producono
i
software,
quelli
che
dai
milioni
di
download
quotidiani
guadagnano
traffico
sui
loro
siti
e
pubblicità
da
vendere.
E'
da
questa
ipotesi
che
è
partita
Qtrax
per
portare,
finalmente,
nella
legalità
decine
di
milioni
di
persone
che
in
tutto
il
mondo
scaricano
musica
utilizzando
i
software
di
"file
sharing"
e
le
reti
"peer
to
peer",
annunciando
la
nascita
del
primo
servizio
legale
di
download
musicale
gratuito,
interamente
sostenuto
dalla
pubblicità.
"La
gente
non
vuole
vivere
nell'illegalità,
la
gente
vuole
la
musica
gratis",
è
la
disarmante
verità
che
Klepfisz,
il
boss
della
Qtrax,
ha
voluto
sottolineare
presentando
la
sua
iniziativa.
Che,
però,
ha
annunciato
troppo
in
fretta,
essendo
in
realtà
ancora
priva
del
via
libera
definitivo
da
parte
delle
major
discografiche,
come
hanno
voluto
sottolineare
ieri
sia
la
Warner,
che
la
Universal
che
la
Emi.
Altri
servizi
già
offrono
musica
gratuitamente,
facendo
pagare
il
conto
agli
investitori
pubblicitari.
Come
Jamendo,
che
lavora
sulla
base
delle
nuove
licenze
Creative
Commons,
come
We7,
un
sito
realizzato
niente
di
meno
che
da
una
delle
grandi
star
del
rock,
Peter
Gabriel,
o
il
sito
italiano
Downlovers.it.
Il
mondo
della
rete,
comunque,
marcia
in
un'unica
direzione,
quella
dei
contenuti
gratuiti.
E
non
solo
per
quello
che
riguarda
la
musica.
Uno
degli
alfieri
di
questa
rivoluzione
è
Janus
Friis,
un
giovanotto
di
Copenhagen
che
a
soli
31
anni
si
trova
ad
essere
miliardario
e,
allo
stesso
tempo,
uno
dei
principali
protagonisti
dell'"era
gratuita".
Friis
è
l'inventore
di
KaZaA,
uno
dei
più
fortunati
software
di
file
sharing
al
mondo,
ed
è
sempre
lui
ad
aver
creato
Skype,
basato
sempre
sul
"peer
to
peer"
ma
destinato,
in
questo
caso,
a
far
telefonare
gratuitamente
gli
utenti
della
rete.
"Internet
ha
cambiato
la
mentalità
della
gente",
dice
Friis,
che
ora
ha
lanciato
un
nuovo
sito,
Joost,
dove
ad
essere
gratis
sono
i
contenuti
video.
Online
tutto
diventa
gratuito.
Così
oggi
attraverso
Internet
è
possibile
leggere
gratuitamente
i
giornali
di
tutto
il
mondo,
dal
New
York
Times
a
Wall
Street
Journal,
da
Le
Monde
a
El
Pais,
e
la
diffusione
delle
testate
online
cresce
ogni
giorno
di
più,
assieme
al
numero
delle
persone
che
le
legge,
come
conferma
il
successo
di
Repubblica.it.
Gratis
è
anche
il
software,
non
solo
quello
necessario
al
funzionamento
di
base
del
computer
ma
moltissime
applicazioni
per
ogni
tipo
di
80
Il
ritratto
del
popolo
della
Rete
che
ne
emerge
è
quello
di
una
folla
di
scrocconi
preoccupata
di
accedere
a
beni
o
servizi
che
fino
a
ieri
ha
pagato
a
caro
prezzo
"aggratis"
e
che
starebbe,
con
il
suo
comportamento,
mettendo
in
crisi
l'industria
della
musica…
In
un
passaggio
del
suo
articolo
poi
Ernesto
Assante
si
spinge
a
scrivere
che
sarebbe
evidente
che
"copiare
una
canzone
senza
pagare
i
diritti
d'autore"
costituisce
un
"furto".
Non
è
così
evidente
e…non
lo
è
proprio
in
ragione
dei
molti
modelli
di
distribuzione
dei
contenuti
digitali
alternativi
a
quello
tradizionale
di
cui
parla
Assante.
E'
furto…se
nessuno
paga
i
diritti
d'autore
a
fronte
dell'utilizzo
di
un
contenuto
digitale
protetto
da
parte
di
un
utente
ma,
evidentemente,
NON
è
furto
se
l'utente
utilizza
quel
contenuto
gratuitamente
a
fronte
del
pagamento
dei
diritti
da
parte
del
distributore…
Qtrax
‐
ammesso
che
mai
veda
la
luce
‐
i
suoi
figli
ed
antenati
ne
sono
la
conferma
più
evidente.
Quanto
alla
disgrazia
in
cui
sarebbe
caduta
l'industria
musicale…mi
sembra,
francamente,
che
imputarla
al
popolo
della
Rete
non
sia
corretto.
Ammesso
che
di
disgrazia
possa
parlarsi…la
principale
causa
non
vi
è
dubbio
debba
essere
rintracciata
nella
scarsa
necessità,
dalla
scrittura
al
disegno,
come
si
può
facilmente
scoprire
visitando
il
sito
Oper
Source
Living
(osliving.
com),
e
grandi
aziende
come
la
Microsoft
si
sono
dovute
adeguare,
diffondendo
gratuitamente
Explorer
o
Windows
Media.
E'
gratis
anche
la
televisione,
quella
di
YouTube,
con
il
suo
gigantesco
archivio
di
immagini
di
ogni
epoca,
e
quella
in
diretta,
offerta
da
siti
come
Coolstreaming,
che
attraverso
il
peer
to
peer
consente
di
vedere
sul
computer
le
tv
di
mezzo
mondo,
calcio
compreso.
E
ancora:
si
può
telefonare
gratis
in
tutto
il
pianeta
con
Skype,
si
possono
vedere
film
corti
e
videoclip
su
siti
come
iFilm
o
film
interi
come
su
Joox.
E
si
possono
utilizzare
centinaia
di
videogiochi,
da
quelli
vecchi
che
si
trovano
su
siti
di
"retrogaming"
a
quelli
recenti
che
sono
reperibili
sui
principali
portali
internazionali.
Quello
del
"gratis"
è
un
movimento
che
è
partito
dalla
rete
ma
si
sta
allargando
a
dismisura.
E'
sempre
il
terreno
della
musica
quello
dove
si
sperimentano
le
soluzioni
più
innovative,
come
hanno
dimostrato
recentemente
i
Radiohead
e
i
Nine
Inch
Nails,
distribuendo
i
loro
nuovi
album
attraverso
Internet
a
offerta
libera.
Ma
l'offerta
si
allarga
di
giorno
in
giorno,
anche
in
ambiti
finora
non
toccati
dai
cambiamenti,
e
sono
molti
i
gruppi
di
pressione
che
operano
in
questo
senso,
da
quelli
del
Free
Software
Movement,
a
chi
lavora
nel
campo
del
"copyleft",
ovvero
del
cambiamento
delle
leggi
sul
copyright.
"E'
il
diritto
d'autore
come
fino
ad
oggi
lo
abbiamo
inteso
ad
essere
messo
in
discussione",
ha
detto
il
professor
Lawrence
Lessig,
presentando
al
MidemNet
di
Cannes
Creative
Commons,
il
movimento
da
lui
sostenuto
per
modificare
i
limiti
che
le
norme
del
copyright
impongono
e
che
virtualmente
mettono
fuori
legge
milioni
di
utilizzatori
di
files
audio
e
video
del
mondo:
"Nessuno
vuole
essere
un
pirata
‐
ha
sottolineato
Lessig
‐
sono
le
regole
che
devono
cambiare".
81
capacità
delle
major
di
rinnovare
i
propri
modelli
di
business
e
di
aprirsi
in
modo
concreto
al
mercato
digitale…
Le
difficoltà
frapposte
da
tre
delle
quattro
sorelle
(Warner,
Universal
ed
Emi)
al
progetto
Qtrax
ne
rappresenta
un'importante
conferma.
Il
mercato
digitale
rappresenta
un'enorme
oppotunità
per
tutti
‐
utenti
e
major
‐
e
chi
non
sa
coglierla
non
può
poi
imputare
ad
altri
il
proprio
insuccesso.
C’era
una
volta
la
Cultura
digitale.
26
settembre
2007
Vnunet.it
Il
titolo
della
Proposta
di
Legge
n.
2221
all’esame
della
Commissione
Cultura
della
Camera
dei
deputati,
“Disposizioni
sulla
società
italiana
degli
autori
ed
editori”
già
non
lascia
presagire
nulla
di
buono
ma,
certamente,
non
consente
neppure
di
ipotizzare
che
attraverso
essa
si
stia
per
oscurare
la
cultura
in
digitale.
Il
19
settembre
2007,
tuttavia,
in
Commissione
Cultura
è
stato
approvato
un
emendamento
attraverso
il
quale
ci
si
prefigge
di
inserire
dopo
il
comma
1
dell’art.
70
della
Legge
sul
Diritto
d’autore
un
comma
1
bis
alla
secondo
il
quale:
“È
consentita
la
libera
pubblicazione
attraverso
la
rete
internet
a
titolo
gratuito
di
immagini
e
musiche
a
bassa
risoluzione
o
degradati,
per
uso
didattico
o
enciclopedico
e
solo
nel
caso
in
cui
tale
utilizzo
non
sia
a
scopo
di
lucro.
Con
decreto
del
Ministro
per
i
beni
e
le
attività
culturali,
sentito
il
Ministro
della
pubblica
istruzione
e
dell'università
e
della
ricerca,
previo
parere
delle
Commissioni
parlamentari
competenti,
sono
definiti
i
limiti
all'uso
didattico
o
enciclopedico
di
cui
al
precedente
periodo”.
L’attuale
primo
comma
‐
vale
la
pena
ricordarlo
a
beneficio
dei
non
addetti
ai
lavori
‐
stabilisce
che
"Il
riassunto,
la
citazione
o
la
riproduzione
di
brani
o
di
parti
di
opera
e
la
loro
comunicazione
al
pubblico
sono
liberi
se
effettuati
per
uso
di
critica
o
di
discussione,
nei
limiti
giustificati
da
tali
fini
e
purché
non
costituiscano
concorrenza
all'utilizzazione
economica
dell'opera;
se
effettuati
a
fini
di
insegnamento
o
di
ricerca
scientifica
l'utilizzo
deve
inoltre
avvenire
per
finalità
illustrative
e
per
fini
non
commerciali”.
Non
serve
essere
fini
giuristi
per
convenire
sulla
circostanza
che
l’emendamento
introduce,
in
sostanza,
una
norma
speciale
volta
a
disciplinare
i
limiti
di
utilizzo
delle
opere
dell’ingegno
in
Rete
per
finalità
di
critica,
discussione,
insegnamento
o
ricerca.
82
Fuori
dal
giuridichese
l’emendamento
approvato
in
Commissione
Cultura
e
sottoscritto,
tra
gli
altri,
dall’On.
Folena
e
dall’On.
Lussuria
è
volto
a
stabilire
che
in
Internet
può
procedersi
‐
anche
se
per
finalità
di
critica,
discussione,
ricerca
o
insegnamento
‐
può
procedersi
alla
pubblicazione
di
immagini
e
suoni
solo
se
“a
bassa
risoluzione
o
degradati”.
Difficile
dire
cosa
intendessero
esattamente
i
firmatari
dell’emendamento
con
tale
espressione
ma,
appare
pacifico,
che
essi
abbiano
inteso
far
riferimento
ai
file
di
qualità
scadente
e
non
paragonabile
a
quella
delle
opere
originarie.
A
prescindere,
tuttavia,
da
tale
aspetto
ciò
che
preoccupa
di
più
è
l’interpretazione
da
dare
all’emendamento
nell’ambito
di
una
lettura
complessiva
dell’art.
70
quale
risulterà
dalla
eventuale
definitiva
approvazione
della
Proposta
di
Legge.
Due
le
soluzioni
astrattamente
possibili,
entrambe
poco
rassicuranti
ed
affatto
condivisibili.
La
prima,
la
più
rigorosa.
È
quella
di
ritenere
che
per
effetto
della
nuova
disposizione
in
Rete
potrà
procedersi
all’utilizzo
per
finalità
di
critica
e
discussione
o,
comunque,
per
fini
di
ricerca
o
insegnamento
solo
ed
esclusivamente
di
immagini
e
suoni
di
“scarsa
risoluzione
o
degradati”.
In
questo
caso
la
cultura
in
digitale
rappresentata
da
altro
genere
di
opera
dell’ingegno
si
ritroverebbe
ad
essere
definitivamente
sottratta
alla
disponibilità
del
popolo
della
Rete
e
ritornerebbe,
in
via
esclusiva,
nella
disponibilità
dei
soliti
noti
del
mondo
dell’editoria
e
dell’audiovisivo.
La
seconda
opzione
interpretativa
‐
quella
preferibile
in
un’ottica
di
tutela
degli
utenti
‐
vuole
che
le
opere
dell’ingegno
diverse
dalle
immagini
e
dai
suoni
continuino
a
poter
essere
utilizzate,
per
estratto
e
citazione,
illimitatamente,
anche
in
Rete
per
finalità
di
discussione
e
critica
o
piuttosto
di
ricerca
o
didattica
mentre,
le
immagini
ed
i
suoni
si
ritroverebbero
sottratte
al
mondo
digitale
e
ricondotte
nel
recinto
delle
major.
E’
evidente
che
nessuno
dei
due
scenari
consenta
di
sorridere.
Con
la
scusa
di
occuparsi
di
un
ente
inutile
o
quasi
inutile
nella
società
dell’informazione
si
è,
evidentemente,
finiti
con
il
raccogliere
inammissibili
istanze
di
“pulizia
culturale”
al
contrario,
da
parte
dei
soliti
noti,
sottraendo
alla
Rete
buona
parte
del
suo
immenso
patrimonio
culturale
in
digitale.
Il
furto
di
cultura…
22
settembre
2007
http://www.guidoscorza.it/?p=162
83
L'ho
letto,
l'ho
riletto,
sono
tornato
a
rileggerlo
sperando
di
non
aver
capito
bene
ma…sfortunatamente
avevo
capito
benissimo…
L'emendamento
approvato
in
queste
ore
alla
c.d.
Legge
Siae
di
riforma
del
diritto
d'autore
costituisce
un
autentico
attentato
all'utilizzo
della
Rete
‐
e
più
in
generale
delle
nuove
tecnologie
‐
come
strumento
di
condivisione
del
patrimonio
culturale.
Ma
andiamo
con
ordine
a
beneficio
di
chi,
per
sua
fortuna,
ha
trascorso
le
ultime
ore
ignaro
di
quanto
accaduto.
L'attuale
primo
comma
dell'art.
70
della
Legge
sul
diritto
d'autore,
prevede
che
"Il
riassunto,
la
citazione
o
la
riproduzione
di
brani
o
di
parti
di
opera
e
la
loro
comunicazione
al
pubblico
sono
liberi
se
effettuati
per
uso
di
critica
o
di
discussione,
nei
limiti
giustificati
da
tali
fini
e
purché
non
costituiscano
concorrenza
all'utilizzazione
economica
dell'opera;
se
effettuati
a
fini
di
insegnamento
o
di
ricerca
scientifica
l'utilizzo
deve
inoltre
avvenire
per
finalità
illustrative
e
per
fini
non
commerciali”.
Il
principio
del
libero
utilizzo
di
un’opera
per
finalità
di
critica,
di
discussione
o,
comunque,
educative
non
soffre,
dunque,
ad
oggi,
alcuna
limitazione
né
vincolo
tecnologico
o
connesso
alla
tipologia
di
opera
in
questione.
Con
l’emendamento
delle
ultime
ore,
per
contro,
si
vorrebbe
inserire
dopo
il
primo
comma
dell’art.
70
LDA
un
nuovo
comma
1
bis,
attraverso
il
quale
prevedere
che:
“È
consentita
la
libera
pubblicazione
attraverso
la
rete
internet
a
titolo
gratuito
di
immagini
e
musiche
a
bassa
risoluzione
o
degradati,
per
uso
didattico
o
enciclopedico
e
solo
nel
caso
in
cui
tale
utilizzo
non
sia
a
scopo
di
lucro.
Con
decreto
del
Ministro
per
i
beni
e
le
attività
culturali,
sentito
il
Ministro
della
pubblica
istruzione
e
dell'università
e
della
ricerca,
previo
parere
delle
Commissioni
parlamentari
competenti,
sono
definiti
i
limiti
all'uso
didattico
o
enciclopedico
di
cui
al
precedente
periodo”.
Il
risultato
della
modifica
‐
lo
dico
a
beneficio
di
chi
non
mastica
il
giuridichese
(pessimo
quello
utilizzato
dai
redattori
dell’emendamento!)
‐
è
che,
a
fini
di
critica,
discussione
e
didattica,
da
domani,
in
Rete
si
rischia
di
poter
utilizzare
solo
musiche
ed
immagini
per
di
più
di
serie
B,
se
così
può
tradursi
l’ambiguo
riferimento
alla
“bassa
risoluzione
o
degradati”.
Quello
in
atto
è
un
autentico
Golpe
culturale
o,
se
preferite,
un
furto
di
cultura
in
danno
degli
utenti
della
Rete
e
delle
altre
tecnologie
di
comunicazione
e
condivisione.
Non
credo,
d’altra
parte,
sia
un
caso
che
a
manifestare
entusiasmo
per
l’emendamento
sia,
allo
stato,
solo
la
FIMI,
novella
84
Robin
Hood
allo
specchio
che
ruba
al
popolo
della
rete
cultura
per
offrirla
ai
signori
delle
Major…
Scusate
lo
sfogo,
perdonate
la
lunghezza
del
post
e,
soprattutto,
alzate
la
voce
per
riprenderci
la
Nostra
cultura.
Anche
se
Lorsignori
dimostrano,
ogni
giorno
di
più,
di
non
averlo
capito
la
Rete
e
le
nuove
tecnologie
dovrebbero
servire
a
crescere
ed
ad
accedere
ad
un
più
ampio
patrimonio
culturale
e
non
a
far
diventare
più
ricchi
sempre
i
soliti
noti
realizzando
una
pay
for
use
society…
Il
furto
di
cultura…/2
23
settembre
2007
http://www.guidoscorza.it/?p=162
Lasciate
sedimentare
le
emozioni
di
ieri
(tutte
negative),
cattive
compagne
di
analisi
giuridica
sul
testo
dell'emendamento
votato
in
Commissione
alla
proposta
di
legge
SIAE
di
riforma
del
diritto
d'autore,
passo
ad
un
paio
di
considerazioni
più
pacate…
Do
per
letto
il
testo
dell'emendamento
e
l'attuale
primo
comma
dell'art.
70
LDA
che
trovate
comunque
nel
post
di
ieri,
qui
sotto…38
La
disposizione,
oggi
‐
cioé
prima
che
Folena,
Lussuria
&
c.
pensassero
di
metterci
le
mani
mal
consigliati
da
FIMI
(ben
consigliati
se
la
storia
la
si
guarda
dal
lato
dell'industria!)
‐
è
di
ampio
respiro
e
straordinaria
profondità
giuridica
e
culturale:
il
principio
è
che
le
privative
intellettuali
non
devono
precludere
la
critica,
la
discussione,
l'insegnamento
e
la
ricerca
e
ciò
a
prescindere
dalla
tipologia
di
opera
utilizzata
a
tal
fine;
sembra
inutile
‐
ma
forse
non
lo
è,
almeno
per
i
Lorsignori
del
Palazzo
‐
ricordare
che
la
cultura
può
estrinsecarsi
attraverso
ogni
opera
dell'ingegno.
L'attuale
primo
comma
dell'art.
70
è,
quindi,
previsione
di
compromesso,
un
compromesso
giuridicamente
elegante
e
di
grande
equilibrio.
Lo
sciagurato
emendamento
entra
su
questo
capolavoro
giuridico
di
altri
tempi
con
la
grazia
di
un
elefante
e
ne
sconvolge
struttura
e
contenuti.
Innanzitutto
seleziona
nel
panorama
delle
diverse
tipologie
di
opere
cui
si
rifersice
il
primo
comma
dell'art.
70
solo
due
categorie:
le
immagini
ed
i
suoni.
Il
perché
di
una
simile
scelta
è
un
mistero
ma…la
scelta
è,
comunque,
assurda
perché
in
Rete
‐
e
non
solo
in
Rete
‐
circolano
molte
altre
opere…
Sulla
carta
il
“prima”
è
più
in
alto
del
“dopo”
con
la
conseguenza
che
il
riferimento
è
al
post
sopra
e
non
a
quello
che
segue.
38
85
Quid
juris
per
le
altre
tipologie
di
opere?
L'ambiguità
che
la
norma
creerebbe
è
enorme:
(a)
resterebbe
applicabile
il
primo
comma
dell'art.
70
che,
ad
oggi,
deve
ritenersi
disciplinare
la
materia;
(b)
la
lettura
a
contrario
del
nuovo
comma
escluderebbe
ogni
utilizzabilità,
ad
esempio,
delle
opere
letterarie
in
Rete…il
furto
di
cultura,
in
questo
caso,
assumerebbe
dimensioni
irreparabili.
Per
questa
sera
potrebbe
essere
abbastanza
ma…vi
do
un'altra
perla
di
ignoranza
informatica
e
giuridica…
Che
significa
che,
in
Rete,
per
le
finalità
di
cui
sopra
possono
essere
usate
solo
"immagini
e
suoni
a
bassa
risoluzione
o
degradati"?
Cominciamo
con
il
dire
che
il
periodo
manifesta
anche
una
crassa
ignoranza
grammaticale…perché
gli
aggettivi
sono
mal
coniugati
con
i
sostantivi
e
perché
la
"o"
non
c'entra
proprio
nulla…
Ma
pazienza
che
in
parlamento,
in
molti,
non
sappiano
scrivere
non
è
una
novità.
Il
punto
è
che
la
portata
di
espressioni
come
"bassa
risoluzione"
e
"degradato"
è
ambigua,
non
definibile
a
priori,
necessariamente
in
evoluzione
perché
ciò
che
ieri
era
ad
alta
definizione
oggi
deve
definirsi
a
bassa
risoluzione
in
ragione
del
progresso
tecnico…
Dovremmo
ridere,
ridere
e
ridere…ma
la
questione
è
troppo
seria
e
viene
più
spontaneo
manifestare
rabbia
ed
indignazione
anche
perché,
ancora
una
volta,
il
mondo
dell'università
e
della
ricerca
non
è
stato
consultato…ma,
in
fondo,
c'era
l'On
Lussuria
a
far
da
garante
scientifico
ad
una
riforma
che
riguardo
SOLO
qualche
milione
di
milioni
di
Gigabyte
di
cultura
digitale,
la
nostra
storia
ed
il
nostro
futuro…
Il
furto
di
cultura…/3
24
settembre
2007
http://www.guidoscorza.it/?p=164
Non
vorrei
diventare
noioso
ma
ho
finalmente
trovato
un
pò
di
tempo
per
sfogliare
‐
visto
che
non
è
ancora
vietato
dalla
Legge
sul
diritto
d'autore!
‐
gli
scarni
resoconti
dei
lavori
della
commissione
cultura
(magari
fossero
disponibili
verbali
audio,
anche
in
"bassa
risoluzione"…varrebbero,
almeno,
a
regalare
agli
italiani
qualche
minuto
di
divertimento!)
sullo
sciagurato
emendamento
al
quale
ho
dedicato
gli
ultimi
post
e
vorrei
condividere
con
tutti
un
paio
di
considerazioni
tra
il
serio
ed
il
faceto….non
perché
io
sia
in
vena
di
umorismo
ma
perché
l'ironia
86
sembra
l'unica
possibile
chiave
di
lettura
dei
lavori
parlamentari
attraverso
i
quali
sta
procedendo
l'esame
del
DL
CI
222139.
Una
prima
osservazione
nasce
dal
testo
originario
dell'emendamento
così
come
presentato
da
Folena
e
Lussuria.
Eccolo:
1‐bis.
È
consentita
la
libera
pubblicazione
attraverso
la
rete
internet
a
titolo
gratuito
di
immagini
e
musiche
a
bassa
risoluzione
o
degradati,
per
uso
didattico
o
enciclopedico
e
solo
nel
caso
in
cui
tale
utilizzo
non
sia
a
scopo
di
lucro
o
abbia
finalità
commerciali.
Per
bassa
risoluzione
delle
immagini
si
intende
la
risoluzione
standard
dei
monitor
per
elaboratori
elettronici
in
commercio
e
dimensioni
non
superiori
a
500
punti
per
ciascuna
dimensione.
Per
bassa
risoluzione
delle
musiche
si
intende
una
frequenza
di
campionamento
non
superiore
a
8
kilohertz.
Ai
medesimi
usi
sono
consentite
le
riproduzioni
di
brani
e
citazioni
di
opere
tali
da
non
arrecare
danno
ai
detentori
dei
diritti.
In
corsivo
la
parte
poi
modificata
a
seguito
dell'invito
in
tal
senso
dell'On.
Giulietti
relatore
del
DL.
Credo
che
sulla
settimana
enigmistica
l'emendamento,
in
questa
formulazione,
verrebbe
pubblicato
nella
vignetta
SENZA
PAROLE
e,
a
mia
volta,
non
ho
parole…
Nei
prossimi
giorni
spero
di
poter
condividere
con
voi
delle
immagini
e
dei
suoni
che
rispondano
alle
caratteristiche
tecniche
"partorite"
dal
genio
tecnico‐giuridico
di
Folena
e
Lussuria…
E
pensare
che
Lussuria,
dopo
le
sue
esperienze
nel
noto
locale
romano
Mucca
Assassina
dovrebbe
aver
maturato
una
certa
competenza
almeno
in
materia
di
musica!
Una
seconda
battuta
perché
definirla
considerazione
mi
sembra
offensivo
per
quest'ultimo
termine.
Guardate
qui40
quali
sono
stati
i
soggetti
sentiti
dalla
Commissione
nell'ambito
dell'attività
conoscitiva
svolta:
Il
Presidente
della
SIAE,
i
rappresentanti
della
Federazione
industria
musicale
italiana
(FIMI)
‐
leggi
quello
stesso
Presidente
Mazza
che
guarda
caso
è
stato
tra
i
primi
a
manifestare
entusiasmo
per
il
mostruoso
emendamento,
i
rappresentanti
dell'Associazione
supporti
multimediali
italiana
(ASMI),
il
Sindacato
nazionale
I
resoconti
sono
pubblicati
a
questa
URL:
http://www.camera.it/_dati/lavori/schedela/trovaschedacamera_wai.asp?PDL=22
21
40
L’elenco
completo
dei
soggetti
sentiti
è
pubblicato
a
questa
URL:
http://www.camera.it/cartellecomuni/leg15/documenti/progettidilegge/AttivitaC
onoscitive_wai.asp?ns=2&pdl=2221
39
87
scrittori
nonché
i
rappresentanti
del
sindacato
autonomo
SIAE‐
Conf.S.A.L..
Anche
in
questo
caso
la
collocazione
nel
SENZA
PAROLE
sembra
la
più
indicata
ma
ne
voglio,
comunque,
aggiungere
un
paio
che
non
sono
quelle
gridate
nel
recente
V‐Day
(anche
se
la
tentazione
è
forte!)…
Come
è
possibile
in
un
Paese
che
si
professa
democratico
mettere
mano
alla
Legge
sul
Diritto
d'autore,
discutere
di
cultura,
ricerca,
critica,
studio
ed
enciclopedie
senza
sentire
gli
utenti,
i
consumatori,
l'università…?
Voi
che
risposta
vi
date?
Il
vero
problema
del
comma
1
bis
dell’art.
70
LDA.
11
gennaio
2008
http://www.guidoscorza.it/?p=231
Ho
appena
letto
un
bell'articolo
di
Alessandro
Longo
su
Repubblica.it
a
proposito
della
questione
che
nelle
ultime
ore
sta
appassionando
la
blogosfera
e
l'interessante
post
con
il
quale
l'amico
Daniele
Minotti
invita
a
considerare
la
vicenda
con
maggior
serenità
e
senza
posizioni
precostituite
di
carattere
"anti‐
politico"41.
Il
ragionamento
di
Daniele
Minotti
‐
che
è
poi
la
traduzione
in
termini
giuridici
‐
della
posizione
sin
qui
sostenuta
dall'On.
Folena
è
ineccepibile:
il
primo
comma
dell'art.
70
della
Legge
sul
Diritto
d'autore
non
consente,
nella
sua
formulazione
letterale,
l'utilizzo
né
in
Rete
né
fuori
dalla
rete
di
opere
dell'ingegno
in
formato
integrale
mentre
il
nuovo
comma
1
bis
introdotto
con
l'emendamento
Folena‐Lussuria
consentirà
la
pubblicazione
on‐line
di
"immagini
e
musiche"
purché
"degradate
e
a
bassa
risoluzione".
Si
tratta,
dunque,
scrive
Minotti
di
un
ampliamento
delle
libere
utilizzazioni
di
materiale
protetto
via
web.
Se
la
questione
viene
posta
in
questi
termini,
Daniele
Minotti
ha
ragione
e
con
lui
l'On.
Folena.
Passione
per
il
diritto
ed
onestà
intellettuale
mi
impongono
di
riconoscerlo
anche
se
non
credo
di
averlo
mai
negato.
Il
punto,
tuttavia,
è
un
altro.
L’articolo
di
Alessandro
Longo,
pubblicato
su
Repubblica.it
l’11
gennaio
2008
è
pubblicato
a
questa
URL:
http://www.repubblica.it/2007/09/sezioni/scienza_e_tecnologia/diritti‐
web/autore‐non‐profit/autore‐non‐profit.html
41
88
Per
quanto
abbia
cercato
non
ho,
sin
qui,
trovato
traccia
di
precedenti
giurisprudenziali
relativi
a
vicende
nelle
quali
un
titolare
di
diritti
d'autore
su
"immagini
o
musiche"
(non
mi
stancherò
mai
di
ripetere
che
le
parole
in
diritto
ha
un
senso
e
che
queste
non
si
riferiscono
a
nessuna
opera
dell'ingegno
o
piuttosto
a
tante!)
abbia
contestato
al
titolare
di
un
sito
non
avente
carattere
commerciale
e/o
fine
di
lucro
l'utilizzo
non
autorizzato
delle
proprie
"immagini
o
musiche".
E'
un
dato
che
non
può
e
non
deve
essere
sottovalutato.
Il
contesto
di
riferimento
nel
valutare
la
portata
e
le
conseguenze
del
nuovo
comma
1
bis
dell'art.
70
LDA
è
questo
e
non
già
quello
ricavabile
dal
solo
dato
formale
preso
a
parametro
dall'On.
Folena
e
dall'amico
Daniele
Minotti.
La
disciplina
sul
diritto
d'autore
‐
così
come
evidenziato
in
più
passaggi
nell'imponente
relazione
conclusiva
dei
lavori
della
Commissione
Gambino
‐
necessita
di
una
complessa
opera
di
adattamento,
peraltro
non
sempre
suscettibile
di
essere
realizzata
a
livello
nazionale,
in
considerazione
del
mutato
contesto
tecnologico
nel
quale
i
contenuti
protetti
vengono
posti
in
circolazione
e
fruiti42.
Il
nuovo
comma
1
bis
dell'art.
70
LDA,
interviene,
in
tale
magmatico
contesto
con
la
grazia
di
un
elefante
ed
un
approssimazione
giuridica
senza
eguali
(in
termini
di
forma
e
contenuti)
per
il
lungo
elenco
di
ragioni
già
ampiamente
illustrato
in
questo
blog
e
da
numerosi
altri
commentatori.
All'indomani
dell'entrata
in
vigore
della
nuova
norma
si
formerà,
certamente,
quell'orientamento
giurisprudenziale
che
oggi
manca
e
che
finirà
con
il
restringere
in
modo
imprevedibile
(per
colpa
delle
approssimazioni
definitorie
contenute
nella
norma)
l'ambito
delle
libere
utilizzazioni
di
opere
protette
sul
web.
Era
opportuno
ed
anzi
necessario
attendere
‐
ma
davvero
e
non
a
parole
‐
la
conclusione
dell'attività
della
Commissione
Gambino,
prendere
atto
delle
proposte
da
questa
formulate,
studiare
il
contesto
internazionale
o,
almeno
europeo
e
poi
disciplinare
la
materia…
Nulla
di
tutto
ciò
è
stato
fatto
e,
francamente,
non
credo
che
oggi
ci
si
possa
trincerare
dietro
a
considerazioni
di
carattere
meramente
formale
per
difendere
un
errore
che
non
porterà
vantaggi
al
la
cultura
digitale
ma
solo
limiti,
paletti,
e
briglie
delle
quali
non
si
avvertiva
davvero
l'esigenza.
Il
testo
della
relazione
Gambino
è
disponibile
a
questa
URL:
http://www.interlex.it/testi/pdf/lda_proposte.pdf
42
89
E'
per
questo
che,
senza
preconcetti
politici
né
di
altro
genere,
continuo
a
ritenere
che
l'iniziativa
legislativa
sfociata
nell'emendamento
dell'art.
70
LDA
sia
stata
un
errore
grave
sotto
un
profilo
di
politica
legislativa
prima
e
di
diritto
poi,
ovvero,
nella
fase
della
traduzione
in
norma.
Ancora
due
parole
sulla
norma
“degradata&degradante”.
11
gennaio
2008
http://www.guidoscorza.it/?p=230
Ricevuta
la
prima
richiesta
di
precisazioni
da
parte
dell’On.
Folena
mi
ero
ripromesso
di
rimanere
in
silenzio
e
lasciare
che
ciascuno
si
formasse
il
proprio
convincimento
anche
perché
la
professione
mi
ha
insegnato
che
innamorarsi
di
una
causa
e
personalizzare
una
battaglia
è
il
modo
migliore
per
perderla…e
questa
è
una
causa
che
non
si
deve
perdere43.
Il
testo
della
precisazione
ricevuta
dall’On.
Folena
alla
quale
si
fa
riferimento
nel
post:
"Mi
dispiace
che
in
rete
si
travisi
in
significato,
giuridico
e
politico,
dell'introduzione
del
nuovo
comma
1­bis
nell'articolo
70
della
legge
sul
diritto
d'autore.
Prima
di
tutto
va
rilevato
che
rimane
in
piedi,
del
tutto,
il
primo
comma,
il
quale
limita
la
riproduzione
alla
citazione
e
al
riassunto
e,
quindi,
non
all'intera
opera.In
più
il
motivo
della
pubblicazione
non
può
essere
la
mera
illustrazione.
Viceversa
il
nuovo
comma
1­bis
estende
­
e
sottolineo
questo
aspetto
­
la
possibilità
di
pubblicazioni
"libere"
sia
pure
solo
per
siti
didattici
e
scientifici
all'intera
opera
(immagine
o
musica),
anche
se
degradata.
Cosa
significa,
in
pratica?
Se
ho
un
blog
didattico,
un
sito
scientifico,
a
norma
dell'articolo
70
non
posso
pubblicare
opere
coperte
da
altrui
diritto
d'autore,
per
intero.
Ad
esempio
se
ho
un
sito
didattico
sulla
fotografia,
non
posso
pubblicare
un'opera
di
un
grande
fotografo
come
H.Newton
né
un
file
audio
con
una
canzone
di
un
cantante
famoso,
per
esempio
Vasco
Rossi.
Ma
neppure
la
foto
al
microscopio
di
una
cellula,
se
coperta
da
diritto
d'autore.
Con
questa
nuova
norma,
invece,
previa
definizione
dei
criteri
da
parte
del
ministero
(noi
avremmo
voluto
scriverli
direttamente
nella
norma,
ma
abbiamo
accettato
una
mediazione)
questo
sarà
possibile.
Ovviamente
a
certe
condizioni
(di
qui
la
minore
risoluzione
o
la
degradazione)
in
modo
tale
che
non
si
entri
in
contrasto
con
l'utilizzazione
economica
dell'opera
stessa.
Ad
esempio,
un
file
audio
potrebbe
essere
messo
a
disposizione
sul
sito
con
una
qualità
non
paragonabile
a
quella
di
un
cd,
ma
comunque
ascoltabile.
O
un
immagine
con
dimensioni
non
utili
alla
riproduzione
a
stampa
(quindi
praticamente
tutte
le
immagini
del
web).
L'ispirazione
è
stata
un
disegno
di
legge
dei
Verdi
proprio
riguardo
i
siti
didattici.
Si
può
certo
dissentire
per
la
portata
limitata
dell'intervento,
ma
difatti
non
era
certo
quella
la
sede
per
una
revisione
del
diritto
d'autore
complessivo.
La
commissione
del
professor
Gambino
era
al
lavoro
e
mai
ci
saremmo
permessi
di
procedere
senza
prima
aver
acquisito
i
suoi
risultati.
Quindi
tutto
si
può
dire,
ma
non
che
questa
novella
restringa
le
libere
utilizzazioni
attuali.
Semmai,
di
poco,
le
allarga,
venendo
incontro
all'esigenza
di
tanti
docenti
che
hanno
blog
e
siti
didattici.
Né
può
essere
confusa
con
altre
questioni
(il
diritto
di
panorama
e
il
codice
Urbani)
che
nulla
hanno
a
che
vedere
con
questa
piccola
­
piccolissima,
ma
comunque
importante
­
isola
di
libertà.
43
90
Analogo
proposito
mi
ha
spinto
ieri
a
soprassedere
da
una
replica
a
caldo
alle
“controprecisazioni
in
prevenzione”
diffuse
in
Rete
e
trasmessemi
dall’Ufficio
stampa
dell’On.
Folena
per
l’ipotesi
in
cui
avessi
deciso
di
pubblicare
la
posizione
dell’On.
Cortiana44.
Pietro
Folena,
Presidente
della
Commissione
Cultura
della
Camera".
Qui
di
seguito
il
botta
e
risposta
Cortiana‐
Folena:
Nel
pomeriggio
di
oggi
ho
ricevuto
una
comunicazione
dall'On.
Cortiana
contenente
una
puntuale
replica
alle
precisazioni
dell'On.
Folena
di
ieri
ed
un'interessante
proposta.
Non
ho
avuto
neppure
il
tempo
di
pubblicare
questo
documento
che
ho
ricevuto
dall'Ufficio
stampa
dell'On.
Folena
una
replica
"in
prevenzione"
per
l'ipotesi
in
cui
avessi
pubblicato
il
contributo
dell'On.
Cortiana.
Mi
sembra
la
miglior
conferma
che
‐
quale
che
sia
la
ragione
‐
l'argomento
è
di
grande
interesse
ed
attualit
Sono,
pertanto,
felice
di
pubblicare
entrambi
i
documenti
nell'ordine
in
cui
li
ho
ricevuti
e
di
mantenere
aperto
il
dialogo.
Da
parte
mia
sto
lavorando
‐
con
gli
strumenti
del
giurista
e
la
preziosa
collaborazione
di
irrinunciabili
esperti
di
tecnologia
‐
ad
individuare
una
soluzione
interpretativa
che,
non
appena
il
comma
1
bis
dell'art.
70
LDA
sarà
legge
di
questo
strano
Paese,
possa
rappresentare
un'ipotesi
di
compromesso
tra
i
contrapposti
interessi
dei
titolari
dei
diritti
e
del
popolo
della
Rete.
Spero
di
condividere
con
Voi
al
più
presto
tale
soluzione
per
ricevere
critiche
ed
adesioni.
Scrive
l'On.
Cortiana:
Una
risposta
a
Folena
e
una
proposta
Nella
nota
del
Presidente
della
Commissione
Cultura
della
Camera
relativa
alla
Legge
di
riforma
della
SIAE
si
definisce
l'introduzione
del
comma
1‐bis
come
la
costituzione
di
una
"piccola
‐
piccolissima,
ma
comunque
importante
‐
isola
di
libertà"
il
cui
perimetro
è
stato
definito
attraverso
l'interlocuzione
esclusiva
con
i
rappresentanti
SIAE,
FIMI,
ASMI,
il
Sindacato
nazionale
Scrittori
e
il
Sindacato
Autonomo
SIAE‐Conf.S.A.L.,
con
le
conseguenti
"mediazioni
accettate".
Partiamo
da
qui:
forse
su
Second
Life
è
possibile
una
simile
processo
per
la
creazione
di
un'isola,
ma
non
nello
spazio
di
relazione
che
attraverso
Internet
si
è
sviluppato
come
impresa
cognitiva
collettiva.
Qui
c'è
viralità
non
virtualità,
qui
la
partecipazione
informata
ai
processi
regolamentari
costituisce
una
pre‐condizione
indispensabile
affinché
questi
siano
efficaci.
Per
questo
il
processo
sulla
Governance
di
Internet
avviato
dalle
Nazioni
Unite
è
un
processo
multistakeholder.
Un
tavolo
aperto
di
confronto
avrebbe
ad
esempio
permesso
alle
commissioni
presiedute
dal
Prof.
Gambino
e
dal
Prof.
Rodotà
di
dare
il
proprio
contributo.
Si
sarebbe
così
evitato
l'equivoco
ossimoro
legato
alla
possibilità
di
riprodurre
immagini
a
fini
didattici
e
di
ricerca
scientifica
a
condizione
che
abbiano
una
bassa
risoluzione
e
siano
comunque
degradate.
Una
non
definizione
del
concetto
di
"immagine"
nella
rete
digitale
e
la
condizione
di
degradazione
della
stessa
non
lascia
soltanto
campo
aperto
a
non
chiare
discrezionalità
(e
il
Codice
Urbani
qui
è
assolutamente
pertinente)
ma
sicuramente
pregiudica
la
qualità
della
didattica
e
della
ricerca.
Peraltro
proprio
la
SIAE
già
nel
2004
nel
"Compendio
delle
Norme
e
dei
Compensi
di
opere
delle
Arti
Visive",
nella
Prima
Sezione
all'art.7.‐INTERNET
precisava
che:"Comunque
la
riproduzione
delle
immagini
non
dovrà
eccedere
i
72
DPI
di
risoluzione
e
dovrà
essere
di
bassa
qualità."
Forse
la
mediazione
parlamentare
è
consistita
nell'introduzione
aggiuntiva
del
concetto
di
"degrado"?
Non
ho
trovato
negli
articolati
dei
disegni
di
legge
dei
Verdi
la
fonte
di
ispirazione
di
cui
parla
Pietro
Folena
comunque
toccherà
a
loro
chiarire.
In
ogni
caso
la
portata
dell'intervento
di
Riforma
non
risulta
"limitata"dato
che
ora
ogni
controversia
44
91
messa
in
atto
dalla
SIAE
viene
trasferita
dalla
giustizia
amministrativa
a
quella
ordinaria.
Al
fine
di
rimediare
il
pasticcio
legislativo
e
il
prevedibile
arcobaleno
giurisprudenziale
conseguente,
è
utile
e
necessario
fare
entrare
aria
fresca
all'interno
della
piccola‐piccolissima
isola
murata
del
degrado
a
bassa
risoluzione,
attraverso
un
processo
partecipato
da
tutti
gli
stakeholder
e
con
l'approvazione
di
un
articolo
che
nella
chiara
definizione
del
dolo
e
della
contraffazione
armonizzi
e
coordini
lo
scombinato
panorama
legislativo
che
si
sta
venendo
a
creare.
Poi
speriamo
che
si
possa
aprire
una
stagione
legislativa
che
consenta
di
definire
proposte
per
cogliere
le
opportunità
della
società
della
Conoscenza
così
come
l'Europa
si
è
proposta
con
l'Agenda
di
Lisbona.
Sen.
Fiorello
Cortiana
‐
Consulta
sulla
Governance
di
Internet
********
Risponde
l'On.
Folena:
Sono
purtroppo
costretto
a
replicare
alle
inesattezze
dell'amico
Cortiana.
Mi
dispiace
che
vengano
da
una
persona
competente
in
materia
e
con
la
quale
ho
collaborato
in
passato.
Procediamo
con
ordine
e
in
modo
puntuale.
Fiorello
afferma:"Nella
nota
del
Presidente
della
Commissione
Cultura
della
Camera
relativa
alla
legge
di
riforma
della
Siae
si
definisce
l'introduzione
del
comma
1‐bis
come
la
costituzione
di
una
"piccola
‐
piccolissima,
ma
comunque
importante
‐
isola
di
libertà"
il
cui
perimetro
è
stato
definito
attraverso
l'interlocuzione
esclusiva
con
i
rappresentanti
Siae,
Fimi,
Asmi,
il
Sindacato
nazionale
Scrittori
e
il
Sindacato
Autonomo
Siae‐Conf.Sal,
con
le
conseguenti
"mediazioni
accettate".
"
Questo
è
inesatto.
Sono
stati
auditi
quei
soggetti
perché
la
legge
riguardava
la
Siae,
non
il
diritto
d'autore.
Siamo
stati
noi
a
premere
per
introdurre
la
piccola
norma
a
favore
dei
blog
didattici,
scontrandoci
con
alcuni
dei
soggetti
citati.
Scrive
ancora
Cortiana:
"Un
tavolo
aperto
di
confronto
avrebbe
ad
esempio
permesso
alle
commissioni
presiedute
dal
Prof.
Gambino
e
dal
Prof.
Rodotà
di
dare
il
proprio
contributo.
"
Difatti
noi
abbiamo
cercato
di
non
ostacolare
quel
lavoro,
evitando
di
mettere
mani
in
modo
pesante
alla
legge
sul
diritto
d'autore.
Ho
incontrato
appositamente
Gambino
proprio
per
assicurargli
che
la
Commissione
Cultura
avrebbe
aspettato
senz'altro
la
conclusione
dei
lavori.
Quella
della
commissione
Gambino
è
stata
‐
e
credo
continuerà
ad
essere
‐
la
sede
"multistakeholder".
Ora
tocca
al
decisore
politico
intervenire
sulla
base
di
quei
lavori,
in
raccordo
con
il
prof.
Gambino
e
la
sua
commissione
che
ci
ha
fornito
materiali
preziosi,
idee
e
proposte
di
lavoro.
Sempre
Cortiana
afferma:
"Proprio
la
SIAE
già
nel
2004
nel
"Compendio
delle
Norme
e
dei
Compensi
di
opere
delle
Arti
Visive",
nella
Prima
Sezione
all'art.7.‐
INTERNET
precisava
che:
"Comunque
la
riproduzione
delle
immagini
non
dovrà
eccedere
i
72
DPI
di
risoluzione
e
dovrà
essere
di
bassa
qualità."
"
Appunto
è
ciò
che
la
Siae
fa.
Chiede
un
compenso,
con
tanto
di
tabella,
anche
ai
siti
didattici
per
la
riproduzione
di
opere
coperte
da
diritto
d'autore.
Ora,
o
meglio
dopo
il
decreto
attuativo
del
ministero,
che
dovrà
essere
approvato
dalla
nostra
Commissione,
non
potrà
più
farlo,
se
tali
immagini
non
avranno
qualità
tale
da
competere
con
l'uso
commerciale
(e
sfido
chiunque
a
sostenere
che
un'immagine
sul
web
come
di
solito
vengono
pubblicate
possa
essere
usata
in
un
book
fotografico).
Cortiana:
"Forse
la
mediazione
parlamentare
è
consistita
nell'introduzione
aggiuntiva
del
concetto
di
"degrado"?
"
No,
noi
abbiamo
cancellato
il
compenso,
come
ho
spiegato.
"Non
ho
trovato
negli
articolati
dei
disegni
di
legge
dei
Verdi
la
fonte
di
ispirazione
di
cui
parla
Pietro
Folena;
comunque
toccherà
a
loro
chiarire.
"
92
A
questo
punto,
però,
avverto
l’insopprimibile
esigenza
(sbagliando
dirà
qualcuno!)
di
tornare
sull’argomento
perché
l’ampia
replica
dell’On.
Folena
non
solo
non
mi
ha
convinto
ma,
al
contrario,
mi
ha
confermato
che
la
norma
appena
approvata
‐
e,
probabilmente,
prossima
a
divenire
Legge
nonostante
l’estremo
tentativo
compiuto
dall’On.
Cappato
che
ha
chiesto
al
Presidente
della
Repubblica
di
non
firmarla
–
è
tanto
ambigua,
mal
pensata
e
mal
scritta
da
non
essere
stata,
evidentemente,
ben
compresa
neppure
dai
suoi
estensori
e/o
firmatari.
Comincio
da
un
dato
che
–
da
cittadino
e
non
da
giurista
–
non
riesco
ad
accettare.
L’On.
Folena,
tanto
nelle
prime
precisazioni
che
nelle
controprecisazioni
di
ieri
si
difende
dalla
contestazione
di
aver
preteso
(ovviamente
non
da
solo
ma
in
buona
compagnia)
di
normare
in
una
materia
oggetto
di
approfondito
esame
e
studio
da
parte
della
Commisione
permanente
sul
diritto
d’autore
ora
Presieduta
dal
Prof.
Gambino
e
già
presieduta
dal
Prof.
Corasaniti,
sostenendo
di
aver
atteso
la
conclusione
dei
lavori
di
tale
Commissione
e
di
averne
recepito
idee
e
proposte.
Scrive,
infatti,
l’On.
Folena
nelle
Sue
precisazioni
dell’8
gennaio:
“La
commissione
del
professor
Gambino
era
al
lavoro
e
mai
ci
saremmo
permessi
di
procedere
senza
prima
aver
acquisito
i
suoi
risultati”.
Continua,
l’On.
Folena
nelle
Sue
controprecisazioni
di
ieri:
“Ho
incontrato
appositamente
Gambino
proprio
per
assicurargli
che
la
Commissione
Cultura
avrebbe
aspettato
senz'altro
la
conclusione
dei
lavori…
con
il
prof.
Gambino
e
la
sua
commissione
che
ci
ha
fornito
materiali
preziosi,
idee
e
proposte
di
lavoro.”.
DDL
Senato
1461,
Bulgarelli:
"Art.
4.
«È
consentita
la
pubblicazione
attraverso
la
rete
internet
a
titolo
gratuito
di
immagini
a
bassa
risoluzione
unicamente
per
uso
strettamente
didattico
e
solo
nel
caso
in
cui
tale
utilizzo
non
sia
a
scopo
di
lucro,
fatto
salvo
il
riconoscimento
della
paternità
dell'opera».
Faccio
anche
notare
che
la
bassa
risoluzione
o
la
degradazione
qualitativa
è
considerata
da
diversi
giuristi
americani
uno
degli
elementi
di
valutazione
nel
fair
use
degli
Stati
Uniti,
tanto
richiamato
e
così
poco
conosciuto.
Ad
esempio
è
utile
la
lettura
di
questo
saggio:
http://www.copyright.iupui.edu/highered.htm
Pareri
simili
si
trovano
anche
su
copyright.gov
da
parte
di
insigni
giuristi,
tecnici,
docenti.
Non
ci
siamo
inventati
nulla.
In
conclusione:
si
poteva
fare
di
più?
Forse
sì.
Si
poteva
fare
meglio?
Forse
sì.
Ma
non
s'è
fatto
male.
Si
può
accusare
Folena
di
tutto
ma
non
di
avere
scritto
la
fine
della
libertà
della
rete.
Pietro
Folena,
presidente
della
Commissione
Cultura
della
Camera
dei
Deputati.
Il
dibattito
è
politico
e
credo
che
sia
opportuno
lasciare
a
ciascuno
formarsi
il
proprio
convincimento.
93
Mi
sembra
tutto
molto
difficile
da
credere.
Storia
e
documenti
dicono
il
contrario.
La
Commissione
Gambino
ha
presentato
i
suoi
lavori
al
Vice
Presidente
del
Consiglio
Francesco
Rutelli
il
18
dicembre
ed
il
21
il
testo
del
comma
1
bis
da
aggiungere
all’art.
70
della
LDA
veniva
approvato
in
via
definitiva
dalla
Commissione
Cultura
del
Senato,
in
poco
meno
di
30
minuti,
senza
discussione
e
nella
medesima
formulazione
nella
quale
era
già
stato
approvato
alla
Camera
il
precedente
25
ottobre.
Come
si
può,
in
tali
condizioni,
sostenere
seriamente
di
aver
“acquisito
i
risultati”
dei
lavori
della
Commissione
Gambino?
Se
storia
e
calendario
non
fossero
sufficienti,
tuttavia,
basta
scorrere
il
testo
della
Relazione
conclusiva
dei
lavori
della
Commissione
Gambino
sino
ad
arrivare
alle
proposte
di
modifica
dell’art.
70
LDA:
nessuna
ricorda
neppure
da
lontano
il
monstrum
giuridico
concepito
dalla
Commissione
Cultura.
Le
proposte
formulate
all’esito
di
un
lavoro
durato
anni
e
che
ha
coinvolto
oltre
100
esperti
di
diritto
d’autore
hanno
tutt’altra
filosofia,
sono
ispirate
da
diverse
finalità,
mostrano
ben
più
ampio
respiro
e,
soprattutto,
sono
formulate
in
termini
assai
più
chiari.
Credo
che
nessuno
in
Commissione
Cultura
abbia
mai
sfogliato
quel
documento
ma…se
anche
lo
ha
fatto,
non
ha
colto
la
sostanziale
differenza
tra
ciò
che
si
stava
scrivendo
al
comma
1
bis
dell’art.
70
LDA
e
le
proposte
formulate
dalla
Commissione
Gambino.
Errori
e
difese
ostinate
dei
propri
errori
sono
leciti,
umani
e
comprensibili
ma
cercare,
a
tal
fine,
di
piegare
la
realtà
alle
proprie
esigenze
difensive,
francamente,
non
credo
lo
sia.
Nelle
“controprecisazioni”
di
ieri,
l’On.
Folena
fa
notare,
inoltre,
“che
la
bassa
risoluzione
o
la
degradazione
qualitativa
è
considerata
da
diversi
giuristi
americani
uno
degli
elementi
di
valutazione
nel
fair
use
degli
Stati
Uniti,
tanto
richiamato
e
così
poco
conosciuto.
Ad
esempio
è
utile
la
lettura
di
questo
saggio:
http://www.copyright.iupui.edu/highered.htm”.
Sono
senza
parole
e
se
il
silenzio
parlasse
via
internet
userei
quello…
Non
credo
sia
“didattico”
né
“scientifico”
accostare
l’italico
nuovo
comma
1
bis
dell’art.
70
LDA
al
ben
più
civile
principio
del
fair
use
di
cui
all’art.
107
del
Copyright
Act
e
ciò
perché
tale
principio
contrasta
in
modo
insanabile
con
la
norma
appena
approvata
in
Italia.
Il
fair
use
–
lo
si
dice
proprio
nell’articolo
richiamato
dall’On.
Folena
–
è
un
concetto
elastico,
aperto
e
flessibile,
destinato,
per
sua
natura,
ad
essere
adattato
dai
Giudici
alle
diverse
fattispecie.
94
Al
contrario,
la
norma
di
cui
si
discute,
imbriglierà
il
Giudice
al
rispetto
di
oscure
regole
tecniche
che
verranno
emanate
nei
prossimi
mesi
e
che,
per
quanti
sforzi
si
possa
fare,
non
riusciranno
certamente
a
disciplinare
ogni
possibile
ipotesi
né
a
dettare
criteri
univoci
per
tracciare
una
linea
di
demarcazione
nitida
e
chiara
tra
utilizzi
legittimi
ed
illegittimi,
tra
scopi
didattici
o
scientifici
ed
altri
scopi
–
sempre
non
commerciali
–
ma
di
diversa
natura
e,
infine,
tra
immagini
e
musiche
degradate
o
a
bassa
risoluzione
e
analoghi
contenuti
“non
degradati”
e
a
normale
risoluzione.
Immagini
e
musiche
a
bassa
risoluzione
o
degradate
è
espressione
priva
di
significato
e
destinata
a
rimanere
tale
anche
dopo
il
regolamento
che
dovrà
essere
varato
nei
prossimi
mesi.
Ho
chiesto
a
Leonardo
Chiariglione
–
che
non
credo
abbia
bisogno
di
presentazioni
–
di
aiutarmi
a
dare
un
senso
a
tale
riferimento.
Questa
è
stata
la
risposta:
“Guido,
Il
testo
dell'emendamento
approvato
dal
Senato
relativo
all'art.
70
dellaLegge
sul
diritto
d'autore
che
fa
riferimento
a
immagini
e
musiche
a
bassa
risoluzione
o
degradate
non
mi
pare
abbia
molto
senso
pratico
e
mi
chiedocome
potrà
essere
gestito.
La
risoluzione
di
un'immagine
è
funzione
del
tempo:
10
anni
fa
avevo
unadelle
prime
macchine
fotografiche
numeriche
con
una
risoluzione
di
320×240(75Kpixel)
ed
oggi
parliamo
di
molti
Mpixel.
Quindi
quello
che
è
alto
oggi
èbasso
domani.
È
questo
che
si
vuole
dire?
Oppure
si
dice
a
priori
quanti
devono
essere
i
pixel?Le
tecniche
di
compressione
giocano
poi
brutti
scherzi.
Uno
degli
ultimi
miglioramenti
della
codifica
audio
si
chiama
"spectral
band
replication".Penso
che,
con
un
po'
di
lavoro,
si
potrebbe
fare
dell'ottimo
audio
che
si
potrebbe
sostenere
(immagino)
in
tribunale
essere
"a
bassa
risoluzione(frequenza
di
campionamento)".Leonardo”
Non
c’è
molto
da
aggiungere.
I
parametri
individuati
al
comma
1
bis
dell’art.
70
LDA
sono
necessariamente
relativi
(come
d’altra
parte
suggerisce
la
lingua
italiana)
e
destinati
ad
una
continua
evoluzione.
Forse,
a
questo
punto,
fallito
ogni
tentativo
di
confronto
sui
principi
e
tramontata
ogni
speranza
di
lasciare
sulla
porta
del
nostro
Ordinamento
quest’ennesima
brutta
norma,
converrà
iniziare
a
pensare
a
come
trarre
vantaggio
–
nei
limiti,
ovviamente
del
lecito
ed
al
solo
fine
di
accrescere
la
circolazione
della
cultura
digitale
in
Rete
–
dalle
sue
numerose
ambiguità.
Ma
di
questo
parliamo
domani.
95
Wikia
campaigns
per
il
Decreto
sui
limiti
di
uso
delle
opere
via
web.
12
gennaio
2008
http://www.guidoscorza.it/?p=233
Credo
che
il
dibattito
in
merito
all’emendamento
Folena‐
Lussuria
all’art.
70
LDA
abbia
evidenziato
l’esistenza
di
posizioni
diverse
sul
problema
delle
libere
utilizzazioni
in
Rete
e,
soprattutto,
sull’opportunità
di
intervenire
sulla
materia
‐
che,
certamente,
necessita,
con
urgenza,
di
un
profondo
e
radicale
ripensamento
‐
con
una
norma
–
quale
che
ne
sia
il
giudizio
politico
–
mal
scritta
e
destinata
a
creare
ambiguità
e
problemi
interpretative
e
di
applicazione.
Il
confronto
sul
tema
potrebbe,
probabilmente,
proseguire
ancora
per
molto
senza,
tuttavia,
nessuna
concreta
possibilità
di
modificare
il
corso
degli
eventi,
apparendo
ormai
scontata
–
se
non
già
avvenuta
–
la
firma
da
parte
del
Capo
dello
Stato
della
nuova
Legge.
In
tale
contesto,
sebbene
a
malincuore
dopo
aver
contribuito
a
dar
vita
ed
a
tener
vivo
il
dibattito,
ritengo
sia
arrivato
il
momento
di
guardare
avanti
e
cioè
al
decreto
attraverso
il
quale
andranno
stabiliti
i
limiti
d’uso
di
“immagini
e
musiche”
sul
web.
Sarà
difficile,
con
una
norma
secondaria,
rimediare
alle
sviste
formali
ed
agli
errori
sostanziali
presenti
–
almeno
su
questo
mi
sembra
vi
sia
una
sostanziale
convergenza
di
idee
–
nel
testo
della
norma
primaria
ma,
ritengo,
abbiamo,
tutti,
il
dovere
di
provarci.
L’acceso
dibattito
sull’emendamento
Folena‐Lussuria,
peraltro,
ha,
a
mio
avviso,
dimostrato
che
il
Web
italiano
è
ormai
maturo
per
essere
utilizzato
quale
naturale
strumento
di
confronto,
collaborazione
e
supporto
all’attività
politica.
In
questa
prospettiva
ho
dedicato
le
ultime
ore
a
predisporre
una
pagina
sulla
piattaforma
Campaigns
Wikia
‐
ultima
creatura
del
fondatore
della
più
nota
Wikipedia
–
nata
proprio
allo
scopo
di
consentire,
promuovere
e
favorire
il
confronto
politico.
Ho
pubblicato
sulla
pagina
un
primo
schema
di
quello
che
potrebbe
essere
il
Decreto
Ministeriale
cui
il
comma
1
bis
dell’art.
70
LDA
demanda
la
definizione
dei
limiti
d’uso
di
“immagini
e
musiche”
in
Rete
nonché
un
elenco,
non
esaustivo,
di
fonti
per
96
approfondire
il
dibattito
sulla
questione
e
poter
così
partecipare
attivamente
alla
modifica
del
testo
del
Decreto.45
Il
decreto
di
attuazione
del
comma
1
bis
dell’art.
70,
quando
questo
volume
è
dato
alle
stampe
non
è
ancora
stato
pubblicato,
la
bozza
di
decreto
a
suo
tempo
predisposta
e
messa
disposizione
del
pubblico
per
commenti,
modifiche
ed
integrazioni
è
tuttora
disponibile
a
questa
URL:
http://campaigns.wikia.com/wiki/Attivit%C3%A0_di_supporto_alla_redazione_del
_Regolamento_di_attuazione_del_comma_1_bis_dell%E2%80%99art._70_LDA
Questo
è
il
testo
della
bozza
come
risultante
dalle
modifiche
apportate
dalla
comunità
telematica
sino
all’8
gennaio
2008:
Decreto
del
Ministro
per
i
beni
e
le
attività
culturali,
sentiti
il
Ministro
della
pubblica
istruzione
e
il
Ministro
dell'università
e
della
ricerca
in
attuazione
del
comma
1
bis
dell’art.
70
della
Legge
n.
633
del
21
aprile
1941.
Vista
la
legge
21
aprile
1941,
n.
633,
recante
Protezione
del
diritto
d'autore
e
di
altri
diritti
connessi
al
suo
esercizio
ed
in
particolare
l'art.
70;
Vista
la
legge
.....
recante
disposizioni
concernenti
la
Società
italiana
degli
autori
ed
editori
ed
in
particolare
l’art.
2;
Art.
1.
Opere
soggette
all'eccezione.
1.
Ai
fini
del
comma
1
bis
dell’art.
70,
legge
21
aprile
1941,
n.
633,
si
intendono
per
immagini
tutte
le
opere
dell'ingegno
di
carattere
creativo
che
appartengono
alle
arti
figurative
di
cui
all’art.
1
della
medesima
legge
e,
in
particolare,
quelle
della
pittura,
dell'arte,
del
disegno,
compresa
la
scenografia
nonché
i
disegni
industriali
che
presentino
di
per
sé
carattere
creativo
e
valore
artistico
e
di
architettura,
le
opere
dell'arte
cinematografica,
muta
o
sonora,
sempreché
non
si
tratti
di
semplice
documentazione
protetta
ai
sensi
delle
norme
del
Capo
V
del
Titolo
II
e,
infine,
le
opere
fotografiche
e
quelle
espresse
con
procedimento
analogo
a
quello
della
fotografia
sempre
che
non
si
tratti
di
semplice
fotografia
protetta
ai
sensi
delle
norme
del
Capo
V
del
Titolo
II.
2.
Ai
fini
del
comma
1
bis
dell’art.
70,
legge
21
aprile
1941,
n.
633,
si
intendono
per
musiche
tutte
le
opere
dell'ingegno
di
carattere
creativo
che
appartengono
alla
musica
di
cui
all’art.
1
della
medesima
legge
e,
in
particolare,
le
opere
e
le
composizioni
musicali,
con
o
senza
parole,
le
opere
drammatico‐musicali
e
le
variazioni
musicali
costituenti
di
per
sé
opera
originale
di
cui
al
n.
2
dell’art.
2
della
stessa
legge.
3.
Ai
fini
del
comma
1
bis
dell’art.
70,
legge
21
aprile
1941,
n.
633,
si
intende
per
immagini
e
musiche
anche
l’opera
risultante
dalla
inscindibile
combinazione
di
una
o
più
opere
di
cui
ai
commi
precedenti,
o
parti
di
esse.
Art.
2.
Finalità
d’uso
delle
opere
rilevanti
ai
fini
dell’eccezione.
1.
Ai
fini
del
comma
1
bis
dell’art.
70,
della
medesima
legge,
si
intende
per
uso
didattico
qualsiasi
forma
di
utilizzo
dell’opera
a
scopo
illustrativo,
di
critica
o
discussione,
finalizzata
ad
istruire
o
formare
il
pubblico
attraverso
le
reti
telematiche.
2.
Ai
fini
del
comma
1
bis
dell’art.
70,
legge
21
aprile
1941,
n.
633,
si
intende
per
uso
scientifico
qualsiasi
forma
di
utilizzo
dell’opera
a
scopo
illustrativo,
di
critica
o
discussione,
finalizzata
a
comunicare
al
pubblico
attraverso
le
reti
telematiche
tesi
di
carattere
scientifico
o
risultati
di
studi,
analisi,
ricerche
e
teorie
aventi
analogo
carattere.
Hanno
carattere
scientifico,
ai
fini
del
presente
Decreto,
studi,
ricerche,
saggi,
compendi,
teorie
o
tesi
relative
a
qualsiasi
area
del
sapere
purché
condotti
o
prodotti
attraverso
modelli
cognitivi
caratterizzati
da
rigore
metodologico,
precisione
e
sistematicità.
3.
Rientrano
nella
definizione
di
uso
didattico
o
scientifico
le
attività
funzionali
o
collaterali
alla
scienza,
all'istruzione
e
alla
formazione,
quali,
a
titolo
di
esempio,
la
pubblicazione
o
redazione
di
enciclopedie,
bibliografie,
antologie,
cataloghi,
raccolte
45
97
e
compendi
anche
quando
non
svolte
o
coordinate
direttamente
da
soggetti
operanti
nella
funzione
didattica,
formativa
o
di
ricerca.
4.
Non
concorre
a
costituire
il
fine
di
lucro
di
cui
al
comma
1
bis
dell’art.
70,
legge
21
aprile
1941,
n.
633,
l’eventuale
ricorso
da
parte
del
soggetto
pubblicante
o
del
fornitore
della
piattaforma
a
forme
di
rimborso
degli
oneri
di
manutenzione
e
pubblicazione,
quali,
a
titolo
esemplificativo,
l’apposizione
di
banner
o
l’iscrizione
in
circuiti
pubblicitari,
quando
la
pubblicazione
delle
opere
protette
sia
accessoria
ai
contenuti
resi
disponibili.
Art.
3.
Formati
di
pubblicazione.
1.
Ai
fini
del
comma
1
bis
dell'art.
70
della
legge
21
aprile
1941,
si
intende
per
immagine
in
bassa
risoluzione:
a)
Per
le
opere
delle
arti
figurative
di
cui
al
comma
1,
art.
1
del
presente
Decreto:
qualsiasi
riproduzione
non
eccedente
i
72
punti
per
pollice
(dpi).
b)
Per
le
opere
della
cinematografia
di
cui
al
comma
1,
art.
1
del
presente
Decreto:
qualsiasi
riproduzione
non
eccedente
i
384
kbit/s.
2.
Ai
fini
del
comma
1
bis
dell'art.
70
della
legge
21
aprile
1941,
si
intende
per
immagine
degradata
ogni
opera
di
cui
al
comma
1,
art.
1
del
presente
Decreto
che,
rispetto
all’originale,
presenti
elementi
di
alterazione
significativi,
ivi
compresa
l'apposizione
di
marchi
o
scritte,
ovvero
effetti
di
alterazione
della
qualità
visiva
percepibile
o
dei
colori
e
di
distorsione.
3.
Ai
fini
del
comma
1
bis
dell'art.
70
della
legge
21
aprile
1941,
si
intende
per
musica
in
bassa
risoluzione
o
degradata
qualsiasi
riproduzione
non
eccedente
i
96
kbit/s.
4.
Il
Ministro
per
i
beni
e
le
attività
culturali,
sentiti
il
Ministro
della
pubblica
istruzione
e
il
Ministro
dell'università
e
della
ricerca,
previo
parere
delle
Commissioni
parlamentari
competenti,
aggiorna
annualmente
tramite
decreto
ministeriale
i
criteri
e
parametri
di
cui
al
presente
articolo,
tenendo
in
considerazione
lo
sviluppo
tecnologico.
Art.
4.
Autorizzazione
dell'avente
diritto.
1.
Qualora
le
finalità
didattiche
o
scientifiche
richiedano
qualità
di
riproduzione
eccedenti
i
criteri
di
cui
all'Art.
3
del
presente
Decreto,
l'autorizzazione
è
richiesta
secondo
le
seguenti
modalità:
a)
se
il
titolare
dei
diritti
sull’opera
è
iscritto
alla
Società
Italiana
Autori
ed
Editori
(SIAE),
il
soggetto
realizzatore
o
responsabile
della
pubblicazione
richiede
autorizzazione
alla
SIAE
mediante
fax
o
lettera
raccomandata
con
avviso
di
ricevimento,
ovvero
corrispettivo
telematico
secondo
la
normativa
vigente,
indicando
le
modalità
di
pubblicazione
dell’opera,
il
suo
titolo,
nonché
i
motivi
per
i
quali
è
necessaria
la
pubblicazione
in
qualità
eccedente.
b)
se
il
titolare
dei
diritti
sull’opera
non
è
iscritto
alla
SIAE,
il
soggetto
realizzatore
o
responsabile
della
pubblicazione
richiede
autorizzazione
all'avente
diritto
con
le
modalità
di
cui
alla
precedente
lettera.
2.
Il
destinatario
della
richiesta
di
cui
al
precedente
comma
può,
entro
trenta
giorni
dal
ricevimento,
richiedere
chiarimenti
o
negare,
con
provvedimento
motivato,
l’autorizzazione
qualora
ritenga
che
la
pubblicazione
possa
arrecare
pregiudizio
al
titolare
dei
diritti.
In
caso
di
silenzio,
decorso
il
predetto
termine,
l’autorizzazione
si
considera
concessa.
Qualora
il
destinatario
richieda
chiarimenti
dovuti
alla
incompletezza
della
comunicazione,
a
seguito
della
successiva
risposta
del
soggetto
realizzatore
o
responsabile
della
pubblicazione
dispone
di
ulteriori
sette
giorni
per
negare,
sempre
con
provvedimento
motivato,
l’autorizzazione.
In
caso
di
silenzio,
decorso
tale
termine,
l’autorizzazione
si
considera
concessa.
3.
L’autorizzazione
di
cui
al
comma
1
del
presente
articolo
può
essere
negata
solo
qualora
la
pubblicazione
dell'opera
arrechi
ragionevole
pregiudizio
ai
diritti
deetitolare.
98
Chiunque,
ovviamente,
può
intervenire
sul
testo,
modificarlo
e/o
integrarlo
lasciandovi
commenti,
critiche
e/o
suggerimenti.
Egualmente
l’elenco
delle
fonti
attraverso
le
quali
formarsi
un’opinione
sulle
questioni
sottese
all’emendamento
Folena‐
Lussuria
può
essere,
in
ogni
momento,
integrato
con
il
link
ai
contenuti
da
ciascuno
sin
qui
prodotti
o
consultati.
L’iniziativa
non
vuol
essere
un
invito
a
ripensare
i
processi
costituzionali
di
produzione
normativa
ma,
semplicemente,
un
invito
ad
aprire
il
dibattito
politico
alla
società
civile
utilizzando
strumenti
diffusi,
economici
ed
alla
portata
di
molti
anche
se
non,
sfortunatamente,
di
tutti.
Inutile
dire
che
starà
al
Governo
ed
alle
Commissioni
parlamentari
competenti
valutare
se
ed
in
che
termini
tener
conto
del
testo
che,
nei
prossimi
giorni
nascerà
dal
confronto
telematico.
Tiscali
vs.
SIAE:
il
problema
c’è
ma
non
è
il
“degrado”.
8
settembre
2008
http://www.guidoscorza.it/?p=334
Non
ho
letto
la
Sentenza
ma
il
fatto
sembra
abbastanza
chiaro
che
se
ne
voglia
leggere
il
trionfalistico
comunicato
sul
sito
della
SIAE
o,
piuttosto,
uno
qualsiasi
dei
molti
resoconti
disponibili
in
Rete:
Tiscali
è
stata
condannata
a
40
mila
euro
di
multa
per
aver
diffuso
sul
proprio
sito
riproduzioni
di
opere
d'arte
rientranti
nel
catalogo
SIAE
senza,
tuttavia,
aver
stipulato
con
quest'ultima
il
relativo
contratto
di
licenza46.
In
Rete,
ovviamente,
già
fioccano
polemiche
e
riferimenti
alla
norma
degradata
introdotta
nel
gennaio
di
quest'anno
al
comma
1bis
dell'art.
70
LDA.
Questo
il
testo
del
comunicato
stampa
pubblicato
sul
web
istituzionale
della
SIAE
a
questa
URL:
http://www.siae.it/edicola.asp?click_level=0500.0100.0200&view=4&open_menu=
yes&id_news=7078
04‐Set
Tribunale
di
Roma
Opere
d’arte:
i
provider
devono
ottenere
la
licenza
Siae
Il
Tribunale
di
Roma,
Sezione
specializzata
nella
materia
della
Proprietà
industriale
ed
intellettuale
ha
pronunciato
una
sentenza
che
è
stata
registrata
lo
scorso
agosto,
con
la
quale
ha
accolto
le
domande
della
Siae
condannando
la
società
Tiscali
a
rimuovere
dal
proprio
sito
Internet
le
immagini
di
opere
dell’arte
figurativa
appartenenti
al
repertorio
Siae
che
erano
state
riprodotte
illecitamente
ovvero
senza
licenza
Siae.
Il
provider
è
stato
inoltre
condannato
al
risarcimento
dei
danni
patrimoniali
e
alla
pubblicazione
della
sentenza
su
due
quotidiani
nazionali.
Per
utilizzare
opere
delle
arti
visive
protette
dalla
legge
sul
diritto
d’autore
e
che
siano
state
create
da
artisti
che
hanno
affidato
alla
Siae
la
loro
tutela,
occorre
ottenere
preventivamente
l’autorizzazione
della
Società
prima
che
abbia
luogo
l’immissione
in
rete
delle
opere.
46
99
Riferimenti
comprensibili
ma…questa
volta
il
problema
non
è
il
degrado.
La
colpa
di
Tiscali,
infatti,
non
sembrerebbe
essere
consistita
nel
non
aver
degradato
le
riproduzioni
delle
opere
d'arte
pubblicate
sul
proprio
sito
quanto,
piuttosto,
l'averlo
fatto
per
scopo
di
lucro
ed
al
di
fuori
del
diritto
di
cronaca.
Oggi
le
pagine
di
"Tiscali
Arte"
attraverso
le
quali
le
riproduzioni
della
discordia
venivano
diffuse
al
pubblico
non
sono
più
raggiungibili
ma,
attraverso
la
cache
di
Google
ho
dato
un'occhiata
alla
struttura
di
quelle
pagine
che
sembrerebbe
ospitassero
qualche
icona
‐
probabilmente
ingrandibile
ma
non
credo
riproducibile
su
tela,
a
olio
o
in
alta
definizione!
‐
di
opere
di
pittori
protagonisti
di
eventi
e
mostre
in
giro
per
l'Italia.
Tutto
qui?
Non
lo
so
ma
prometto
che
cercherò
di
leggere
la
Sentenza
e
vi
aggiornerò.
Se
così
fosse,
tuttavia,
il
problema
sarebbe
quello
che
mi
sforzo
di
evidenziare
sin
da
quando
‐
tra
la
fine
dello
scorso
anno
e
l'inizio
di
questo
‐
il
nostro
Parlamento
non
ha
trovato
nulla
di
meglio
da
fare
che
occuparsi
del
degrado
delle
immagini
pubblicate
on‐line:
occorre
porre
mano
con
urgenza
alla
disciplina
delle
utilizzazioni
libere
in
Rete.
Nel
caso
di
specie,
probabilmente,
c'è
poco
da
rimproverare
al
Giudice
che
ha
applicato
la
legge
così
come
a
SIAE
che
ha
svolto
al
meglio
la
sua
funzione
principale:
tutelare
i
diritti
dei
propri
rappresentati.
E'
la
legge
che
va
riscritta.
Non
si
tutela
la
cultura
digitale
precludendo
ad
un
provider
‐
piccolo
o
grande
che
sia
‐
di
ospitare
riproduzioni
digitali
‐
necessariamente
"degradate"
rispetto
agli
originali
‐
al
fine
di
pubblicizzare
questa
o
quella
mostra
o,
più
semplicemente,
di
soddisfare
la
curiosità
degli
utenti
circa
il
percorso
artistico
di
questo
o
quel
pittore.
Ricominciamo
a
parlarne?
In
gioco
c'è
il
futuro
della
cultura
nella
società
dell'informazione.
100
3.
Copyright
vs.
Privacy
Niente
privacy,
siete
pirati!
Il
Caso
Peppermint
22
maggio
2007
http://www.guidoscorza.it/?page_id=65
Il
caso
Peppermint
è
ormai
noto
al
popolo
della
Rete
e
sembra
inutile
ripercorrerne
nel
dettaglio
tutte
le
tappe.
Ai
fini
delle
brevi
riflessioni
giuridiche
che
seguono
basterà
ricordare
che
la
storia
ha
avuto
inizio
da
un’indagine
condotta
per
conto
di
una
piccola
etichetta
discografica
tedesca,
la
Peppermint
Jam
Records
Gmbh,
da
un’alttrettanto
piccola
agenzia
investigativa
svizzera,
la
Logistep
AG,
nei
confronti
di
centinaia
di
migliaia
di
utenti
‐
non
si
conosce
ancora
il
numero
esatto
‐
delle
più
famose
piattaforme
di
peer
to
peer.
Tale
attività
nei
mesi
scorsi
avrebbe
consentito
di
individuare
gli
IP
di
circa
4000
utenti
italiani
che
avrebbero
reso
disponibili
nell’ambito
dei
circuiti
del
P2P
alcuni
brani
musicali
coperti
da
diritti
d’autore
della
Peppermint.
Muovendo
da
questo
presupposto
l’etichetta
discografica
tedesca
ha
chiesto
al
Tribunale
di
Roma,
in
via
d’urgenza,
ex
156
bis
LDA156
bis
LDA,
di
ordinare
agli
ISP
che
avevano
in
gestione
gli
IP
di
detti
utenti
di
fornirle
le
generalità
ed
i
recapiti
di
detti
soggetti
così
da
poter
tutelare
i
propri
diritti
contro
questi
ultimi
in
sede
giudiziaria.
I
Giudici
del
Tribunale
di
Roma
hanno
accolto
tali
richieste
ordinando
alla
Telecom
di
comunicare
alla
Peppermint
i
nominativi
ed
i
recapiti
dei
4000
utenti.
La
Peppermint,
ricevute
dette
informazioni,
anziché
avviare
una
dispendiosa
serie
di
azioni
legali
contro
i
4000
“pirati”
ha
fatto
loro
indirizzare
da
uno
studio
legale
una
lettera
con
la
quale
si
propone
di
risolvere
“bonariamente”
la
vicenda
attraverso
il
pagamento
di
330
Euro
a
fronte
della
rinuncia
ad
ogni
azione
sia
in
sede
civile
che
penale.
La
vicenda
solleva
diversi
dubbi
e
perplessità
di
ordine
giuridico,
tutti
riconducibili
ad
un
medesimo
problema
di
fondo:
l’esigenza
di
individuare
un
punto
di
equilibrio
tra
gli
interessi
dei
titolari
dei
diritti
d’autore
e
quelli
degli
utenti.
Cominciamo
dal
principio.
1.
La
Logistep
AG
ha
trattato
per
settimane
o
forse
mesi
i
dati
personali
di
centinaia
di
migliaia
di
utenti
di
mezza
Europa
senza
chiedere
alcun
consenso
né
prestare
alcuna
informativa.
101
Le
operazioni
di
monitoraggio
poste
in
essere
dalla
Logistep
AG
si
sono,
almeno
in
parte,
svolte
sul
territorio
italiano
con
conseguente
applicabilità
della
disciplian
dettata
dal
Codice
Privacy
che
non
contempla
la
possibilità,
per
un
soggetto
privato,
di
porre
in
essere
‐
per
di
più
attraverso
strumenti
automatizzati
‐
operazioni
di
trattamento
di
dati
personali
tanto
ampie
ed
indiscriminate.
Nessun
dubbio,
d’altra
parte,
può
sussistere
circa
la
circostanza
che
gli
indirizzi
IP
acquisiti
e
catalogati
dalla
Logistep
costituiscono
dati
personali
degli
utenti
essendo
agevolmente
riconducibili
alla
loro
identità.
E’
da
escludere,
d’altra
parte,
che
l’attività
posta
in
essere
dalla
società
svizzera
rientri
nella
deroga
di
cui
all’art.
24
del
Codice
Privacy
che
permette
il
trattamento
di
dati
personali
“per
far
valere
o
difendere
un
diritto
in
sede
giudiziaria,
sempre
che
i
dati
siano
trattati
esclusivamente
per
tali
finalità
e
per
il
periodo
strettamente
necessario
al
loro
perseguimento”.
Né
la
Logistep
né
la
Peppermint,
infatti,
hanno
‐
almeno
sino
a
questo
momento
‐
utilizzato
i
dati
raccolti
per
far
valere
“un
diritto
in
sede
giudiziaria”.
La
condotta
delle
due
società,
peranto,
ribalta
palesemente
illecita
sotto
il
profilo
della
vigente
disciplina
in
materia
di
riservatezza.
2.
La
Peppermint,
peraltro,
sta
attualmente
trattando
dei
dati
personali
dei
4000
utenti
“spiati”
dalla
Logistep,
nuovi
ed
autonomi
rispetto
a
quelli
originariamente
acquisiti
da
quest’ultima.
Tali
dati,
infatti,
son
oil
risultato
del
data
matching
tra
gli
indirizzi
IP,
le
informazioni
relative
alle
pretese
violazioni
dei
propri
diritti
d’autore
ed
i
nominativi
dei
titolari
delle
utenze
telefoniche
corrispondenti
a
detti
IP
comunicatile
dalla
Telecom.
E’
facile
ipotizzare
che
molti
di
tali
dati
non
siano
corretti
in
quanto
non
sempre
il
titolare
dell’utenze
telefonica
individuato
attraverso
la
Telecom
coinvciderà
anche
con
il
soggetto
che
‐
secondo
I
dati
acquisiti
dalla
Logistep
‐
avrebbe
utilizzato
una
piattaforma
di
peer
to
peei
attraverso
un
certo
indirizzo
IP.
Sotto
tale
profilo,
il
trattamento
che
la
Peppermint
sta
attualmente
ponendo
in
essere,
appare
evidentemente
illecito.
3.
Detto
trattamento,
d’altra
parte,
al
pari
di
quello
originariamente
posto
in
essere
‐
e
forse
non
ancora
esauritosi
‐
della
Logistep,
avrebbe
dovuto
essere
notificato
al
Garante
ai
sensi
dell’art.
37,
lett.
D)
del
Codice
privacy.
L’omessa
notifica
al
Garante,
ai
sensi
dell’art.
163
del
Codice
comporta
per
il
trasgressore
una
sanzione
da
10
a
60
mila
Euro.
102
4.
Le
decisioni
rese
dal
Tribunale
di
Roma
sulla
vicenda,
dal
canto
loro,
non
appaiono
scevre
da
errori
ed
equivoci
interpretativi
e
sembrano
porsi
in
contrasto
con
la
disciplina
europea
in
conformità
alla
quale,
a
leggere
quanto
scritto
dai
Giudici,
invece
essi
avrebbero
inteso
interpretare
la
disciplina
vigente.
I
Giudici
del
Tribunale
di
Roma,
infatti,
hanno
ordinato
alla
Telecom
di
fornire
alla
Peppermint
i
dati
dei
4000
utenti
sulla
base
di
quanto
disposto
dall’art.
156
bis
della
Legge
sul
diritto
d’autore,
secondo
il
quale
“qualora
una
parte
abbia
fornito
seri
elementi
dai
quali
si
possa
ragionevolmente
desumere
la
fondatezza
delle
proprie
domande
ed
abbia
individuato
documenti,
elementi
o
informazioni
detenuti
dalla
controparte
che
confermino
tali
indizi,
essa
può
ottenere
che
il
giudice
ne
disponga
l'esibizione
oppure
che
richieda
le
informazioni
alla
controparte.
Può
ottenere
altresì,
che
il
giudice
ordini
alla
controparte
di
fornire
gli
elementi
per
l'identificazione
dei
soggetti
implicati
nella
produzione
e
distribuzione
dei
prodotti
o
dei
servizi
che
costituiscono
violazione
dei
diritti
di
cui
alla
presente
legge.”
L’art.
156
bis
LDA
è
stato,
tuttavia,
introdotto
nel
nostro
Ordinamento
in
attuazione
dell’art.
8
della
Direttiva
2004/48/CE
del
Parlamento
Europeo
e
del
Consiglio
del
29
aprile
2004
sul
rispetto
dei
diritti
di
proprietà
intellettuale
secondo
il
quale
“Gli
Stati
membri
assicurano
che,
nel
contesto
dei
procedimenti
riguardanti
la
violazione
di
un
diritto
di
proprietà
intellettuale
e
in
risposta
a
una
richiesta
giustificata
e
proporzionata
del
richiedente,
l’autorità
giudiziaria
competente
possa
ordinare
che
le
informazioni
sull’origine
e
sulle
reti
di
distribuzione
di
merci
o
di
prestazione
di
servizi
che
violano
un
diritto
di
proprietà
intellettuale
siano
fornite
dall’autore
della
violazione
e/o
da
ogni
altra
persona
che:
(omissis)
c)
sia
stata
sorpresa
a
fornire
su
scala
commerciale
servizi
utilizzati
in
attività
di
violazione
di
un
diritto;
(omissis)”.
L’art.
156
bis
LDA,
interpretato
alla
luce
della
richiamata
disposizione
della
Direttiva
UE,
induce
a
ritenere
che
il
Tribunale
di
Roma
ha
errato
nell’ordinare
a
Telecom
di
fornire
alla
Peppermint
i
dati
dei
4000
utenti,
nell’ambito
di
un
procedimento
d’urgenza
celebratosi
in
assenza
di
questi
ultimi
e,
soprattutto,
“non
riguardante
la
violazione
di
un
diritto
di
proprietà
intellettuale”
così
come
previsto
nella
disciplina
Europea.
Egualmente
errata
si
presenta
la
decisione
dei
Giudici
romani
laddove
hanno
individuato
in
Telecom
la
“controparte”
103
della
Peppermint
nonché
un
soggetto
“sorpreso
a
fornire
su
scala
commerciale
servizi
utilizzati
in
attività
di
violazione
di
un
diritto.
Su
di
un
piano
funzionale,
infatti,
la
posizione
di
Telecom
si
pone
in
rapporto
alla
pretesa
violazione
dei
diritti
d’autore
allo
stesso
modo
di
quella
del
produttore
del
sistema
operativo
utilizzato
dagli
utenti
o,
piuttosto,
della
società
costruttrice
del
PC.
L’attività
di
tali
soggetti,
infatti,
ha
consentito
agli
utenti
di
accedere
ad
una
piattaforma
di
peer
to
peer.
5.
Poche
sintetiche
riflessioni,
infine,
merita
la
comunicazione
ricevuta
dai
4000
presunti
“pirati”
italiani
nella
quale
‐
giocando
se
non
sull’equivoco
almeno
sull’ambiguità
‐
si
mira
a
consentire
all’etichetta
discografica
tedesca
di
portare
a
casa,
in
pochi
giorni,
utili
probabilmente
superiori
a
quelli
raccolti
nell’ultimo
anno.
Nella
lettera,
innanzitutto,
si
lascia
intendere
agli
utenti
che
se
pagheranno
l’importo
richiesto
potranno
dormire
sonni
tranquilli
al
riparo
da
azioni
civili
o
penali.
Sfortunatamente
per
gli
utenti,
tuttavia,
il
reato
loro
contestato
‐
messa
a
disposizione
di
opere
protette
dal
diritto
d’autore
attraverso
internet
‐
è
procedibile
d’ufficio
con
la
conseguenza
che,
a
prescindere
da
ogni
iniziativa
della
Peppermint
essi
corrono,
comunque,
il
rischio
di
verdersi
trascinare
davanti
ad
un
giudice
penale.
Un
altro
aspetto
della
lettera
che
proprio
non
convince
è
la
sicurezza
manifestata
dai
legali
della
Peppermint
circa
la
“colpevolezza”
del
destinatario
in
relazione
alle
condotte
contestategli
e
circa
l’affidabilità
dei
risultati
acquisiti
attraverso
l’utilizzo
del
software
della
Logistep.
Al
riguardo
sembra
appena
il
caso
di
ricordare
che
l’esser
titolari
di
un’utenza
telefonica
collegata
ad
un
indirizzo
IP
asseritamente
utilizzato
per
diffondere
via
internet
qualche
brano
musicale
non
è
sufficiente
per
sentirsi
condannare
al
risarcimento
del
danno
che
un’etichetta
discografica
assume
di
aver
sofferto
né,
tantomeno,
per
vedersi
infliggere
qualsivoglia
sanzione
penale.
Egualmente
che
i
dati
raccolti
dalla
Logistep
attraverso
il
proprio
softwate
possano
spiegare
una
qualche
efficacia
nell’ambito
di
un
giudizio
civile
o
penale
nel
nostro
Paese,
è
circostanza
tutta
da
verificare
alla
stregua,
tra
l’altro,
della
vigente
disciplina
in
materia
di
documento
informatico.
La
difesa
della
proprietà
intellettuale
costituisce
uno
dei
pilastri
della
società
dell’informazione
ma
occorre
garantirla
nel
rispetto
dei
diritti
fondamentali
degli
utenti.
Proprietà
intellettuale
vs.
privacy
13
maggio
2007
104
http://www.guidoscorza.it/?p=63
Non
mi
stancherò
mai
di
ripetere
che
la
disciplina
sul
diritto
d’autore
è
una
cosa
seria
e
che
ad
essa
è,
in
larga
misura,
affidata
la
crescita
del
patrimonio
culturale
di
ogni
Paese…
Guai,
tuttavia,
a
dimenticare
che
la
proprietà
intellettuale
–
specie
se
considerata
sotto
il
profilo
patrimoniale
‐
deve
necessariamente
cedere
il
passo
davanti
ai
diritti
fondamentali
degli
utenti.
La
vicenda
che
vede
coinvolte
la
Peppermint
Jam
Records,
la
Telecom
e
4000
utenti
italiani
e
che
sta
dividendo
il
popolo
della
Rete
è
esemplare
di
un
modo
sbagliato
di
intendere
il
rapporto
tra
titolari
dei
diritti
patrimoniali
d’autore
ed
utenti.
Qualche
mese
fa,
la
Peppermint
Jam
Records
scopre
attraverso
un
software
le
cui
dinamiche
di
funzionamento
non
sono
ancora
chiare
che
circa
4000
utenti
italiani
avrebbero
condiviso
attraverso
piattaforme
di
P2P
opere
musicali
di
sua
“proprietà”,
ne
identifica
gli
IP
e
poi
chiede
al
Tribunale
di
Roma
di
ordinare
alla
Telecom
di
fornirle
nominativi
ed
indirizzi
dei
4000
utenti.
Il
Tribunale
di
Roma
accoglie
il
ricorso
della
Peppermint
sulla
base
di
quanto
disposto
dal
nuovo
art.
156
bis
LDA
ed
ordine
a
Telecom
di
comunicare
alla
ricorrente
i
dati
richiestile.
Qualche
giorno
fa
uno
studio
legale
di
bolzano
indirizza
una
lettera
ai
4000
utenti
nella
quale
chiede
loro
di
provvedere
al
pagamento
di
330
euro
allo
scopo
di
evitare
di
essere
denunciati
in
sede
penale
per
l’illecito
commesso.
L’ordinanza
del
Tribunale
di
Roma
è,
probabilmente,
corretta
su
di
un
piano
rigorosamente
giuridico
in
quanto
attraverso
essa
è
stata
data
piana
attuazione
alla
disciplina
di
recente
introdotta
nel
nostro
Ordinamento
all’art.
156
LDA.
Dubbi
e
perplessità
forti,
tuttavia,
solleva
tale
disposizione
e
la
condotta
posta
in
essere
dalla
Peppermint.
E’
giusto
comprimere
così
tanto
il
diritto
alla
privacy
dei
cittadini
al
fine
di
consentire
ad
un
imprenditore
di
recuperare
qualche
migliaio
di
euro
di
corrispettivi
per
diritti
d’autore?
La
mia
risposta
e
no.
La
Vostra?
La
giustizia
privata
del
titolare
dei
diritti.
19
maggio
2007
http://www.guidoscorza.it/?p=67
Il
caso
Peppermint
è
sintomatico
di
quanto
urgente
sia
divenuto
affrontare
il
problema
della
tutela
dei
diritti
di
proprietà
105
intellettuale
in
una
prospettiva
diversa
rispetto
a
quella
che
a
sin
qui
ispirato
gli
interventi
legislativi
in
ambito
europeo
e
nazionale:
quella
del
contemperamento
degli
interessi
tra
titolari
dei
diritti
e
diritti
‐
almeno
fondamentali
‐
degli
utenti.
Nelle
scorse
settimane
il
popolo
della
Rete,
le
associazioni
dei
consumatori,
politici
illuminati
e
giuristi
insigni
avevano
lanciato
un
grido
se
non
di
allarme,
almeno
di
viva
preoccupazione
per
il
rischio
che
attraverso
la
proposta
di
direttiva
IPRED
2,
riconoscendo
ai
titolari
dei
diritti
la
possibilità
di
cooperare
nelle
indagini
si
aprisse
la
strada,
nel
nostro
Ordinamento,
a
forme
di
giustizia
privata.Quanto
accaduto
nella
vicenda
Peppermint
e
le
indagini
condotte
per
mesi
dalla
Logistep
Ag
‐
società
investigativa
svizzera
‐
dimostra
che
quell’allarme
non
è
futuro
ma
attuale
e
che,
sfortunatamente,
forme
di
giustizia
privata
si
stanno
sviluppando
nel
nostro
Ordinamento
sfruttando
le
innegabili
ambiguità
presenti
nella
disciplina
della
materia
e
‐
occorre
riconoscerlo
con
franchezza
‐
un
inaccettabile
formalismo
da
parte
della
Magistratura
ordinaria
che,
almeno
quando
in
gioco
ci
sono
diritti
fondamentali
dei
consumatori
ed
utenti
‐
dovrebbe
il
coraggio
di
andare
al
di
là
della
lettera
della
norma.
Mentre
scrivo
questo
post
mi
fanno
notare
che
il
logo
della
Logistep
‐
quello
raffigurato
in
apertura
di
questo
Blog
‐
è
il
celebre
batarang
di
Batman…
La
Logistep
sta
violando
i
diritti
di
proprietà
intellettuale
della
Warner?
Pare
di
si
ma
il
punto
è
un
altro.
Batman,
come
è
noto
al
grande
pubblico,
rappresenta
una
delle
più
riuscite
incarnazioni
del
giustiziere
privato
che
i
suoi
creatori
hanno
voluto
agisca
sempre
in
nome
del
bene
e
di
interessi
collettivi…Batman
a
parte
‐
o
forse
Batman
compreso
se
non
fosse
solo
un
film
‐
la
giustizia
privata
è
uno
dei
fenomeni
più
pericolosi
per
la
stabilità
e
l’equilibrio
di
un
Paese
democratico.Come
si
può,
d’altra
parte,
chiedere
a
tanti
genitori
di
attendere
anni
perché
giustizia
sia
fatta
per
la
perdita
di
un
figlio
in
un
incidente
stradale
provocato
da
un
pirata
della
strada
ed
autorizzare
poi
il
titolare
dei
diritti
‐
per
pochi
euro
di
preteso
pregiudizio
sofferto
‐
ad
indagare
da
solo,
spiare
centinaia
di
migliaia
di
utenti
e
minacciarli
in
caso
di
mancata
accettazione
di
un’iniqua
e
sbilanciata
proposta
transattiva?
Dobbiamo
continuare
a
parlarne
per
non
abbassare
la
guardia…
Non
ci
siamo!
17
maggio
2007
http://www.guidoscorza.it/?p=64
106
Torno
sul
caso
Peppermint
c.
Telecom
perché
a
distanza
di
ormai
molti
giorni
da
quando
la
notizia
è
rimbalzata
in
Rete
i
media
tradizionali
e
le
Istituzioni
sembrano
rimanere
sorde
all’appello
del
popolo
della
Rete.
Giornali
e
televisioni
hanno
sostanzialmente
ignorato
la
notizia
mentre
il
Garante
per
il
trattamento
dei
dati
personali
e
la
riservatezza
è
rimasto
a
gurdare…
E
pensare
che
l’Ufficio
che
fu
di
Stefano
Rodotà
negli
ultimi
mesi
è
invece
intervenuto
con
incredibile
solerzia
a
tutelare
il
diritto
alla
privacy
di
poco
onorevoli
Onorevoli
“beccati”
dalle
Iene
con
il
naso
sporco
di
droga
all’uscita
del
Parlamento
e
del
Cavalier
Berlusconi
impegnato
a
dar
prova
di
senile
virilità
con
un
pollaio
di
aspiranti
“Letterine”
o
‐
ma
ormai
fa
lo
stesso
‐
Onorevoli!
Il
problema
è
che
nessuno
interviene
perché
tutti
muovono
dal
presupposto
che
gli
utenti
“spiati”
sono
“pirati”!
Non
ci
siamo!
Saranno
anche
Pirati
ma
un’etichetta
discografica
tedesca,
in
collaborazione
con
una
società
investigativa
svizzera
ha
travolto
il
loro
diritto
alla
Privacy…non
si
può
restare
a
guardare.
E’
una
questione
di
civiltà
giuridica
e
libertà
fondamentali.
Se
hanno
violato
i
diritti
di
proprietà
intellettuali
di
questa
o
quell’etichetta
pagheranno…ma
questa
non
è
una
buona
ragione
per
sospenderli
dai
diritti
fondamentali
che
spettano
a
tutti
i
cittadini
italiani.
Li
riconosciamo
ogni
giorno
ad
Onorevoli
ladri,
corrotti
e
corruttori,
a
mafiosi
ed
assassini.
Un
uploader
di
qualche
bit
di
musica
ha
meno
diritti?
Soffia
un
vento
nuovo
sul
Caso
Peppermint
30
maggio
2007
http://www.guidoscorza.it/?p=86
In
un
articolo
di
questa
mattina
su
Il
Sole
24
Ore,
Giovanni
Buttarelli,
Segretario
Generale
del
Garante
per
il
trattamento
dei
dati
personali
e
della
riservatezza
conferma
il
fondamento
dei
dubbi
e
delle
perplessità
avanzate
nelle
ultime
settimane
a
proposito
del
trattamento
massiccio
di
dati
personali
svolto
dalla
Logistep,
dalla
Peppermint
e
dalla
Techland
in
danno
di
decine
di
migliaia
di
utenti
di
piattaforme
di
peer
to
peer.
L’intervento
del
Garante
nei
nuovi
procedimenti
pendenti
dinanzi
al
Tribunale
di
Roma
dalla
Peppermint
e
dalla
Techland,
la
lettera
indirizzata
nei
giorni
scorsi
all’On.
Fiorello
Cortina
ed
ora
l’articolo
di
Giovanni
Buttarelli
su
Il
Sole
24
ore…sembra
che
il
vento
stia
cambiando
e
che
nei
prossimi
giorni
saranno
“le
107
compagne
di
merenda”
a
dover
essere
preoccupate
nel
sentir
suonare
il
postino
alla
loro
porta…
Adesso
tocca
ad
utenti
e
consumatori
fare
la
loro
parte,
non
“piegarsi”
alle
richieste
dei
legali
della
Peppermint
e
della
Techland
(se
e
quando
arriveranno)
e
far
valere
i
loro
diritti
in
tutte
le
competenti
sedi.
Questa
storia,
sin
qui,
ha
insegnato
che
“alzando
la
voce”
in
Rete,
se
si
ha
ragione,
qualcosa
si
ottiene.
Logistep/Il
Garante
Svizzero
ed
il
Gruppo
Art.
29
17
giugno
2007
http://www.guidoscorza.it/?p=106
Nessuna
novità
nel
senso
tecnico
del
termine
ma
un
approfondimento
forse
utile
a
chi
sta
seguendo
la
vicenda:
la
posizione
del
Garante
Svizzero
per
il
trattamento
dei
dati
personali
e
la
trasparenza
sui
rapporti
tra
tutela
dei
diritti
di
proprietà
intellettuale
e
diritto
alla
privacy47
e
quella
espressa,
ormai
nel
lontano
gennaio
2005,
dal
Gruppo
Art.
29
dei
Garanti
Europei48.
Da
entrambi
i
documenti
emergono
con
chiarezza
i
dubbi
e
le
perplessità
che
da
mesi
il
popolo
della
Rete
‐
ora
ascoltato
ed
ora
non
ascoltato
‐
solleva
con
forza…
Peccato
che
benché
da
tempo
ci
si
fosse
resi
conto
dell'esigenza
di
individuare
per
legge
un
punto
di
equilibrio
tra
i
contrapposti
diritti
ed
interessi,
il
legislatore
non
abbia
trovato
il
tempo
di
fare
il
suo
dovere…forse,
eccezion
fatta
per
quello
francese.
Nella
posizione
del
Gruppo
Art.
29
vi
segnalo
in
particolare
il
convincimento
espresso
dai
Garanti
Europei
nel
senso
di
ritenere
che
la
Direttiva
IPRED
1
non
contenga
deroghe
alla
disciplina
in
materia
di
trattamento
di
dati
personali.
Perché
abbiamo
enti
istituiti
per
Legge
a
tutela
di
certi
diritti
che
lanciano
allarmi
ce
restano
inascoltati?
Lo
sciopero
della
ragione.
23
giugno
2007
http://www.guidoscorza.it/?p=110
La
posizione
è
pubblicata
a
questa
URL:
http://www.edoeb.admin.ch/themen/00794/01124/01126/01127/index.html?la
ng=it
48
La
posizione
del
Gruppo
art.
29
è
pubblicata
a
questa
URL:
http://ec.europa.eu/justice_home/fsj/privacy/docs/wpdocs/2005/wp104_fr.pdf
47
108
Sono
sempre
stato
un
fiero
sostenitore
della
cultura
giuridica
italiana
ed
ho
sempre
creduto
che
‐
nonostante
tante
storture
‐
avessimo
più
da
insegnare
che
da
apprendere
ma,
la
decisione
resa
nei
giorni
scorsi
dal
Giudice
Lorenzo
F.
Garcia
della
Corte
Federale
del
New
Mexico
in
una
vicenda
giudiziaria
analoga
all'ormai
celebre
Caso
Peppermint
mi
ha
indotto
a
ricredermi…
Richiesto,
in
via
d'uregenza,
di
ordinare
ad
un'Università
di
comunicare
alla
RIIA
‐
l'associazione
delle
Major
di
oltreoceano
‐
i
nominativi
di
alcuni
studenti
rei
di
aver
condiviso
brani
musicali
attraverso
una
piattaforma
di
P2P
il
Giudice
Garcia
ha
respinto
tale
istanza
sostenendo
che
sarebbe
stato
necessario
"uno
sciopero
della
ragione"
per
ritenere
sussistente,
in
un
caso
del
genere,
il
requisito
dell'urgenza
necessario
ad
emettere
l'ordine
richiesto.
Secondo
il
Giudice
americano,
infatti,
il
danno
lamentato
dai
discografici
avrebbe
natura
patrimoniale
e
sarebbe,
in
quanto
tale,
sempre
riparabile.
Anche
l'Ordinamento
italiano
richiede
ai
fini
dell'emissione
dei
provvedimenti
ex
art.
700
c.p.c.
sin
qui
emessi
dal
Tribunale
di
Roma
in
favore
della
Peppermint
e
dei
suoi
compagni
di
merenda
la
sussistenza
del
c.d.
periculum
in
mora
ovvero
di
un
pregiudizio
imminente
ed
irreparabile
che
il
ricorrente
correrebbe
qualora
la
sua
istanza
non
venisse
accolta…
La
ragione
dei
Giudici
italiani,
tuttavia
‐
per
usare
le
parole
di
Garcia
‐
era
evidentemente
in
scipero
nel
momento
in
cui
hanno
emesso
i
richiesti
provvedimenti
cautelari…
Non
c'è
e
non
c'era
nessuna
urgenza
nel
soddisfare
le
richieste
della
Peppermint
né,
tale
urgenza,
poteva
essere
rntracciata
nella
circostanza
che
gli
ISP
avrebbero
provveduto
alla
cancellazione
dei
dati…per
porsi
al
riparo
da
tale
rischio,
infatti,
sarebbe
stato
sufficiente
ordinare
a
questi
ultimi
di
conservarli!
La
famosa
transazione
proposta
dalla
Peppermint
ai
consumatori
poteva
attendere
mentre
il
rispetto
del
diritto
alla
privvacy
di
questi
ultimi
avrebbe
richiesto
più
attenta
valutazione…
L'augurio,
a
questo
punto,
è
che
nei
successivi
procedimenti
qualcuno
ricordi
ai
Giudici
romani
il
monito
del
collega
americano
e
la
necessità
di
prestare
maggiore
attenzione
nell'accogliere
una
domanda
in
via
d'urgenza
se…l'urgenza
non
esiste!
Lo
sciopero
della
ragione
dilaga
in
Europa.
8
luglio
2007
http://www.guidoscorza.it/?p=116
109
Qualche
settimana
fa
ho
dedicato
un
post
allo
“sciopero
della
ragione”
dei
giudici
italiani
nel
caso
Peppermint.
A
leggere
una
recente
decisione
dei
magistrati
francesi
della
Corte
d’Appello
di
Parigi
temo,
tuttavia,
di
dover
prendere
atto
che
lo
sciopero
della
ragione
nella
magistratura
europea
stia
dilagando…49
I
Giudici
francesi,
infatti,
pronunciandosi
in
un
procedimento
promosso
contro
un
soggetto
reo
di
aver
condiviso
opere
protette
da
diritto
d’autore
attraverso
una
piattaforma
di
P2P
ed
identificato
attraverso
il
proprio
indirizzo
IP,
hanno
affermato
che
detto
indirizzo
non
costituirebbe
un
dato
personale
non
essendo
suscettibile
di
consentire
l’identificazione
di
una
persona
ma
più
semplicemente
di
una
macchina.
La
decisione
rischia
di
legittimare
Peppermint
ed
i
suoi
compagni
di
merenda
a
proseguire
nella
loro
attività
di
spionaggio
di
massa
ma
è
giuridicamente
inaccettabile.
L’indirizzo
IP
è
un
dato
personale
in
quanto
esso
consente
l’individuazione
di
una
persona
fisica
ovvero
del
suo
assegnatario.
Che
poi
tale
persona
sia
un
soggetto
diverso
all’autore
di
una
determinata
condotta
e
che
l’IP
non
consenta
di
identificarlo,
questo
mi
sembra
sia
un
altro
discorso.
Come
si
fa
in
un
procedimento
intentato
contro
un
soggetto
identificato
attraverso
il
tracciamento
di
un
indirizzo
IP
a
sostenere
che
tale
indirizzo
non
consente
di
identificare
una
persona?
Non
capisco…
Ma
lo
sciopero
della
ragione
dilaga
anche
in
Belgio
dove
i
giudici
‐
in
una
sorta
di
viaggio
nel
tempo
‐
hanno
riaffermato
la
responsabilità
degli
ISP
per
i
contenuti
condivisi
in
rete
dagli
utenti
ed
ordinato
ad
uno
di
essi
di
predisporre
dei
sistemi
di
filtraggio
per
evitare
tali
condotte…50
Da
non
crederci!
La
non
responsabilità
degli
ISP
per
le
condotte
riconducibili
ai
propri
utenti
è
una
delle
più
importanti
conquiste
di
civiltà
giuridica
del
diritto
dell’Internet
dell’ultimo
decennio.
Parliamone.
Il
testo
integrale
della
decisione
è
pubblicato
a
questa
URL:
http://www.legalis.net/jurisprudence‐decision.php3?id_article=1955
50
Cfr.
Post
successivi.
49
110
Oltre
Peppermint:
travolti
i
diritti
fondamentali
dei
cittadini
elettronici.
20
luglio
2007
http://www.guidoscorza.it/?p=127
Mentre
il
popolo
della
Rete
(me
compreso)
guardava
al
caso
Peppermint
e
tentava
di
salvaguardare
il
diritto
alla
privacy
di
migliaia
di
cittadini
posto
a
repentaglio
da
un'azzardata
iniziativa
a
tutela
di
qualche
migliaia
di
euro
di
diritti
di
proprietà
intellettuale,
i
Giudici
del
Tribunale
di
Bruxelles
travolgevano,
tutto
d'un
colpo,
i
diritti
fondamentali
(non
solo
alla
privacy
ma
anche
e
soprattutto
alla
libertà
di
manifestazione
del
pensiero)
di
milioni
di
utenti
europei
pronunciando
un
provvedimento
con
il
quale,
per
la
prima
volta
nella
storia
dell'internet
civile
(o
presunto
tale)
si
ordina
ad
un
ISP
di
adottare
misure
tecniche
di
filtraggio
al
fine
di
impedire
lo
scambio
di
materiale
protetto
da
diritto
d'autore
nell'ambito
delle
piattaforme
di
Peer
to
Peer.
Il
contenuto
della
decisione
ed
i
principi
che
vi
sono
stabiliti
non
possono
non
suscitare
più
che
stupore
indignazione51.
I
Giudici,
infatti,
nella
piena
consapevolezza
maturata
all'esito
di
una
consulenza
tecnica
d'ufficio
che
non
esistono
allo
stato
tecnologie
idonee
a
garantire
una
puntuale
attività
di
filtraggio
tra
condivisione
di
files
leciti
ed
illeciti
e
che,
pertanto,
l'adozione
di
una
simile
tecnologia
finirà,
inesorabilmente,
con
il
precludere
a
milioni
di
utenti
la
condivisione
di
contenuti
non
protetti
da
alcuna
privativa,
sono
comunque
giunti
alla
conclusione
di
ordinare
alla
SA
Scarlet
(già
SA
Tiscali)
di
dotarsi
entro
sei
mesi
del
sistema
di
filtraggio
Audible
Magic
idoneo,
sebbene
con
una
certa
approssimazione
(sic!),
a
filtrare
le
opere
musicali
presenti
nel
repertorio
della
SABAM,
la
società
di
intermediazione
dei
diritti
d'autore
belga.
Nel
provvedimento
i
Giudici
scrivono
a
chiare
lettere
che
la
circostanza
che
detta
misura
tecnica
rischierebbe
di
precludere
la
condivisione
di
contenuti
leciti
non
può
valere
a
far
rinunciare
alla
possibilità
di
far
cessare
condotte
di
violazione
dei
diritti
d'autore
attraverso
la
sua
adozione.
Ma,
i
giudici
belgi,
si
spingono
oltre
ed
affermano
che
sarebbe
difficile
comprendere
"in
cosa
il
software
di
filtraggio
violerebbe
il
diritto
alla
segretezza
della
corrispondenza
o
alla
libertà
di
manifestazione
del
pensiero".
Siamo
davanti
‐
o
almeno
questo
è
il
mio
convincimento
‐
alla
più
grande
operazione
di
web‐censura
della
storia
ed
è
Il
testo
integrale
della
decisione
è
pubblicato
a
questa
URL:
http://www.juriscom.net/jpt/visu.php?ID=939
51
111
urgente
intervenire
prima
che
certe
idee
si
radichino
in
altri
Paesi
Europei.
Se
esistesse
una
tecnologia
per
rendere
impossibile
agli
utenti
condividere
SOLO
files
protetti
ad
altrui
diritti
d'autore
in
modo
non
autorizzato,
sarei
il
primo
a
suggerirne
l'adozione
ma
sin
tanto
che
non
sarà
così,
una
sola
parola
libera
censurata
in
una
piattaforma
di
peer
to
peer
vale
più
di
milioni
di
brani
musicali
scambiati
illegalmente…
Filtro
e
a
capo!
28
ottobre
2008
http://www.guidoscorza.it/?p=369
Come
ricorderanno
i
lettori
più
affezionati
nel
giugno
del
2007
il
Tribunale
di
Bruxelles,
accogliendo
un
ricorso
in
tal
senso
proposto
dalla
Sabam
‐
la
SIAE
belga
‐
aveva
ordinato
alla
Scarlet
‐
uno
dei
più
grandi
ISP
del
Belgio
‐
di
adottare,
peraltro
a
proprie
spese,
un
complesso
sistema
di
filtraggio
affinché
i
propri
utenti
non
utilizzassero
la
connettività
da
essa
fornita
per
condividere,
comunicare
e
diffondere
materiale
protetto
da
diritto
d'autore.
Con
la
stessa
decisione
i
Giudici
avevano,
inoltre,
imposto
alla
Scarlet
una
penale
piuttosto
salata
per
ogni
giorno
di
ritardo
‐
superiore
ai
sei
mesi
concessile
‐
con
il
quale
essa
avrebbe
implementato
la
citata
soluzione.
All'epoca
nel
commentare
la
notizia
scrivevo
che
la
decisione
era
un
brutto
esempio
di
inciviltà
giuridica
perché
in
nome
della
tutela
dei
diritti
patrimoniali
d'autore
di
pochi
si
accettava
il
rischio
‐
attraverso
il
filtraggio
‐
di
travolgere
diritti
fondamentali
di
molti.
E'
per
questo
che
ho
salutato
con
soddisfazione
la
notizia
secondo
la
quale,
il
22
ottobre
scorso,
lo
stesso
Tribunale,
accogliendo
un'istanza
in
tal
senso
proposta
dalla
Scarlet,
ha
preso
atto
che
le
soluzioni
di
filtraggio
cui
questa
ha
lavorato
‐
con
i
fornitori
impostile
nella
citata
decisione
‐
si
sono,
sin
qui,
rilevate
inadeguate
a
risolvere
il
problema
o
perché
filtravano
indebitamente
contenuti
legalmente
comunicati
dagli
utenti
o
perché
non
riconoscevano
adeguatamente
le
impronte
dei
contenuti
digitali
protetti
da
diritti
d'autore.
Il
Giudice,
con
lo
stesso
provvedimento,
ha
anche
sollevato
la
Scarlet
dall'obbligo
di
pagamento
delle
penali,
riconoscendo
che,
evidentemente,
l'impossibilità
di
attuare
l'ordine
a
suo
tempo
indirizzatole
non
dipende
dalla
propria
cattiva
volontà
né
dalla
mancanza
di
buona
fede
ma,
piuttosto,
da
un
limite
tecnologico
che,
allo
stato,
appare
difficilmente
superabile.
112
Filtro
e
a
capo,
direi…con
la
speranza
che
Lorsignori
abbandonino
definitivamente
l'idea
che
filtrare
sia
la
soluzione
per
risolvere
i
mali
della
cultura
digitale.
Vittoria!
16
luglio
2007
http://www.guidoscorza.it/?p=125
Il
Tribunale
di
Roma,
Giudice
Dr.ssa
Antonella
Izzo
ha
respinto
‐
o
così
sembrerebbe
dalle
prime
informazioni
disponibili
presso
la
cancelleria
‐
il
ricorso
ex
art.
700
c.p.c.
proposto
dalla
Techland
SP
ZO.O
contro
la
Telecom
Italia
S.p.A.
per
l'ostensione
dei
nominativi
di
migliaia
di
utenti
che
avrebbero
condiviso
via
P2P
un
celebre
videogame
prodotto
dalla
società
polacca.
Si
tratta
di
uno
dei
primi
procedimenti
cautelari,
nell'ambito
dell'ormai
famoso
Caso
Peppermint
&
C.,
nel
quale
il
Garante
per
la
Privacy,
raccogliendo
l'invito
raccolto
dal
popolo
della
Rete,
dagli
addetti
ai
lavori
e
dalle
associazioni
dei
consumatori,
era
intervenuto.
Non
conosco
ancora
il
contenuto
del
provvedimento
ma
tutto
lascia
ritenere
che
il
magistrato
abbia
fatto
proprie
le
eccezioni
sollevate
dall'Avvocatura
dello
Stato
per
conto
del
Garante.
Speriamo
che
sia
così
per
poter
gridare:‐
"Giustizia
è
fatta!".
Giustizia
è
fatta:
la
privacy
ha
vinto!
24
luglio
2007
http://www.guidoscorza.it/?p=129
La
lettura
del
provvedimento
reso
nei
giorni
scorsi
dal
Tribunale
di
Roma
nel
procedimento
promosso
dalla
Peppermint
e
dalla
Techland
contro
la
Wind
dissipa
ogni
dubbio
circa
le
motivazioni
che
hanno
determinato
la
disfatta
dei
titolari
dei
diritti
e
la
vittoria
degli
utenti.
Nell'Ordinanza
il
Dr.
Costa
del
Tribunale
di
Roma
‐
facendo
sue
le
eccezioni
difensive
sollevate
dall'Ufficio
del
Garante
per
la
Privacy
‐
scrive
a
chiare
lettere
che
la
Logistep
ha
trattato
illecitamente
i
dati
di
migliaia
di
utenti
facendosi
ingiustificatamente
schermo
dell'art.
24
del
Codice
privacy
e
che,
pertanto,
detti
dati
(gli
IP
degli
utenti)
non
avrebbero
dovuto
essere
utilizzati
in
alcuna
sede
ivi
inclusa
quella
giudiziaria.
Nel
provvedimento,
peraltro,
il
Giudice
chiarisce
in
modo
esemplare
che,
egualmente,
Peppermint
e
Techland
‐
anche
a
presciondere
dall'origine
dei
dati
acquisiti
‐
non
hanno
alcun
diritto,
alla
stregua
di
quanto
disposto
dalla
vigente
disciplina
in
113
materia
di
privacy
nelle
comunicazioni
elettroniche,
di
ottenere
dai
providers
i
dati
personali
dei
propri
utenti.
Si
tratta,
ovviamente,
solo
di
un
provvedimento
cautelare
che
non
ha
un
peso
maggiore
di
quelli
sin
qui
resi
dallo
stesso
Tribunale
di
Roma
con
i
quali
erano
stati
accolti
i
ricorsi
della
Peppermint
ma,
certamente,
il
rigore
del
ragionamento
sviluppato
nella
motivazione
dell'Ordinanza
e
la
circostanza
che,
per
la
prima
volta,
il
Giudice
abbia
avuto
la
possibilità
di
considerare
le
ragioni
della
Privacy
sostenute
dall'Ufficio
del
Garante,
lascia
ben
sperare.
Peppermint
&
C.
ora
sono
avvertiti:
le
loro
accuse
all'indirizzo
di
migliaia
di
utenti
sono
fondate
su
dati
che,
domani
‐
un
giudice
penale
o
civile
che
sia
‐
con
ogni
probabilità
dichiarerebbe
radicalmente
inutilizzabili.
Buona
giornata
a
tutti!
Chi
sono
i
pirati
portati
alla
sbarra
dalla
Peppermint.
27
luglio
2007
http://www.guidoscorza.it/?p=132
Ho
già
scritto
ed
è
stato
già
scritto
in
modo
assai
più
Autorevole
che
uno
degli
aspetti
più
sconvolgenti
del
caso
Peppermint
è
il
presupposto
da
cui
muovono
gli
accusatori
secondo
il
quale
i
titolari
della
linea
telefonica
sarebbero
i
pirati
da
portare
alla
sbarra,
persone
che
non
avrebbero
diritto
alla
privacy
avendo
gravemente
violato
i
diritti
d'autore
su
qualche
bit
di
musica
così
e
così
distribuita
dall'etichetta
teutonica…
Negli
ultimi
mesi
ho
raccolto
direttamente
ed
attraverso
gli
amici
di
Altroconsumo
decine
di
segnalazioni
di
presunti
Pirati
poco
pirati.
Ve
ne
racconto
qualcuno
un
pò
per
far
sorridere
ed
un
pò
per
far
cogliere
la
gravità
dell'errore
nel
quale
sono
incorsi
in
casa
Peppermint
sovrapponendo
il
concetto
di
titolare
di
un'utenza
telefonica
e
di
utente
di
una
piattaforma
di
Peer
to
peer…
I
nomi,
a
proposito
di
privacy,
mi
è
sembrato
opportuno
mascherarli…
(A)
Ci
sono,
Alfa
e
Beta,
padre
e
figlio:
entrambi
destinatari
di
una
comunicazione
del
collega
Otto.
Il
primo
è
intestatario
di
un
contratto
ADSL
mentre
il
secondo
è
minorenne
e,
ovviamente,
non
è
intestatario
di
alcuna
linea
telefonica!
Da
dove
salta
fuori
il
nome
di
Beta?
Coma
hanno
fatto
in
casa
Peppermint
a
disporre
anche
di
questo
nome?
(B)
C'è
Gamma,
non
vedente
ma
titolare
di
una
linea
telefonica.
Un
altro
pirata
che,
sfortunatamente
per
lui
non
utilizza
piattaforme
di
Peer
to
peer.
114
(C)
C'è
Delta
che
ha
da
poco
perso
il
padre
e
che
si
è
visto
recapitare
una
delle
migliaia
di
lettere
firmate
dal
buon
Otto
nelle
quali
si
da
del
pirata
a
suo
padre…
Ci
sarebbe
di
che
ridere
se..non
ci
fosse
da
piangere
per
la
superficialità
ed
il
pressapochismo
che
ha
contraddistinto
l'iniziativa
dei
titolari
dei
diritti.
Se
il
Garante
‐
come
appare
probabile
‐
confermerà
che
la
condotta
della
Peppermint
è
stata
illecita…credo
che
dovremo
iniziare
a
pensare
tutti
insieme
ad
un
lauto
risarcimento
da
chiedere
ai
signori
della
casa
discografica
teutonica
ed
ai
loro
campagni
di
(video)gioco…
Magari
potremmo
proporgli
una
transazione:
distribuire
musica
gratuitamente
per
i
prossimi
5
anni
e
impegnarsi
a
non
ripetere
certe
brutte
esperienze
di
schedatura
di
massa.
Ci
rivolgiamo
ad
un
legale
esperto
di
transazioni?
Avete
un
nome
da
suggerirmi?
Caso
Peppermint:
Giustizia
è
fatta…anzi
quasi
fatta.
13
marzo
2008
http://www.guidoscorza.it/?p=272
Il
Garante
della
Privacy
con
un
bel
provvedimento
pubblicato
qualche
ora
fa
ha
scritto
la
parola
fine
‐
o
quasi
fine
‐
al
Caso
Peppermint
statuendo
che
la
Peppermint
Jam
Records
Gmbh,
la
Techlans
sp.z.o.o
e
la
Logistep
Ag
hanno
illegittimamente
trattato
i
dati
personali
di
migliaia
di
utenti
italiani
delle
piattaforme
di
peer
to
peer52.
Il
testo
integrale
del
provvedimento
pronunciato
dal
Garante:
GARANTE
PER
LA
PROTEZIONE
DEI
DATI
PERSONALI
NELLA
riunione
odierna,
in
presenza
del
prof.
Francesco
Pizzetti,
presidente,
del
dott.
Giuseppe
Chiaravalloti,
vicepresidente,
del
dott.
Mauro
Paissan
e
del
dott.
Giuseppe
Fortunato,
componenti
e
del
dott.
Giovanni
Buttarelli,
segretario
generale;
VISTE
le
recenti
ordinanze
con
le
quali
il
Tribunale
di
Roma
–come
richiesto
da
questa
Autorità
–
ha
rigettato
alcuni
ricorsi
con
i
quali
le
società
Peppermint
Jam
Records
GmbH
(di
seguito,
Peppermint),
casa
discografica
con
sede
in
Germania
e
Techland
sp.
z.
o.o.
(di
seguito,
Techland),
società
che
elabora
e
commercializza
giochi
elettronici
avente
sede
in
Polonia,
intendevano
ottenere
da
taluni
fornitori
di
servizi
di
comunicazione
elettronica
la
comunicazione
delle
generalità
di
soggetti
ritenuti
responsabili
di
aver
scambiato
file
protetti
dal
diritto
d'autore
tramite
reti
peer
to‐peer;
RILEVATO
che
tali
ricorsi
si
basavano
sull'attività
svolta
per
conto
e
su
autorizzazione
delle
predette
società
da
Logistep
AG
(di
seguito,
Logistep),
società
svizzera
che,
attraverso
un'attività
di
monitoraggio
delle
reti
peer‐to‐peer
effettuata
tramite
un
software
proprietario,
aveva
individuato
numerosi
indirizzi
Ip
i
cui
titolari
erano
stati
considerati
responsabili
della
predetta
condotta
illecita;
VISTA
la
nota
del
25
maggio
2007
con
la
quale
l'Autorità
ha
avviato
accertamenti
volti
a
verificare
la
liceità
e
la
correttezza
dei
trattamenti
di
dati
personali
svolti
52
115
dalle
predette
società,
alle
quali
è
stato
quindi
chiesto
di
comunicare
ogni
informazione
e
documentazione
utile
per
valutare
le
modalità
con
le
quali,
anche
avvalendosi
dell'attività
di
altri
soggetti,
sono
stati
concretamente
raccolti
e
utilizzati
i
dati
personali
di
utenti
identificati
o
identificabili;
rilevato
che
con
tale
nota
si
è
chiesta,
altresì,
collaborazione
e
cooperazione
alle
autorità
di
protezione
dei
dati
personali
dei
Paesi
nei
quali
risultano
stabilite
le
società
medesime
(Repubblica
federale
tedesca,
Polonia
e
Svizzera);
VISTE
le
note
del
18
giugno
e
del
5
luglio
2007
con
le
quali
l'avv.
Otto
Mahlknecht,
che
ha
curato
gli
interessi
delle
società
Peppermint
e
Techland,
nel
richiamare
le
deduzioni
formulate
nei
diversi
procedimenti
giudiziari,
ha
fornito
altri
elementi
conoscitivi
sul
funzionamento
del
software
utilizzato
da
Logistep
nell'attività
svolta
su
incarico
delle
altre
due
società,
allegando
la
perizia
di
un
esperto
del
settore;
VISTA
la
nota
del
19
giugno
2007
con
la
quale
Logistep
ha
fornito
altre
informazioni
in
merito
alla
propria
attività
e
ha
comunicato
l'avvio
di
un'attività
di
collaborazione
con
l'autorità
svizzera
di
protezione
dati
finalizzata
a
verificare
la
liceità
dell'attività
svolta;
VISTA
la
comunicazione
del
20
giugno
2007
con
la
quale
l'autorità
polacca
per
la
protezione
dei
dati
ha
rappresentato
di
aver
effettuato
un
accertamento
ispettivo
e
di
aver
rilevato
che
Techland
non
ha
svolto
direttamente
le
attività
necessarie
per
individuare
le
persone
che
scambiano
illecitamente
su
reti
peer‐to‐peer
il
software
da
essa
sviluppato,
e
che
tali
attività
sono
state
svolte,
su
propria
autorizzazione,
da
Logistep,
nonché
da
Logistep
Polska,
e
curate
poi
dallo
studio
legale
italiano
dell'avv.
Otto
Mahlknecht;
VISTA
la
nota
del
22
giugno
2007
dell'autorità
per
la
protezione
dei
dati
personali
per
la
Bassa
Sassonia;
VISTO
il
Codice
in
materia
di
protezione
dei
dati
personali
(d.lg.
30
giugno
2003,
n.
196,
di
seguito,
"Codice")
e,
in
particolare,
gli
artt.
11,
13
e
122
del
Codice;
VISTA
la
documentazione
in
atti;
VISTE
le
osservazioni
formulate
dal
segretario
generale
ai
sensi
dell'art.
15
del
regolamento
del
Garante
n.
1/2000;
RELATORE
il
dott.
Mauro
Paissan;
PREMESSO
1.
Oggetto
del
provvedimento
Il
presente
provvedimento
ha
per
oggetto
la
liceità
e
correttezza
del
trattamento
di
dati
personali
relativi
a
utenti
identificabili
operanti
su
reti
peer‐to‐peer
(di
seguito,
anche
"p2p")
che
è
stato
effettuato
a
cura
dapprima
di
Logistep
AG
e
Logistep
Polska
su
autorizzazione
di
Peppermint
e
Techland
e,
poi,
presso
il
predetto
studio
legale
italiano.
Tale
trattamento
è
avvenuto
in
due
fasi:
a)
la
prima,
è
consistita
nella
raccolta
e
nell'elaborazione
automatizzata,
anche
nell'ambito
di
banche
dati,
di
innumerevoli
informazioni
di
carattere
personale
estratte
tramite
reti
peer‐to‐peer
per
mezzo
di
un
software
denominato
"file
sharing
monitor"
(di
seguito,
fsm)
utilizzato
da
Logistep;
b)
la
seconda,
si
è
basata
sulla
richiesta
all'autorità
giudiziaria
italiana
in
sede
civile
di
ordinare
a
taluni
fornitori
di
servizi
di
comunicazione
elettronica
di
rivelare
le
generalità
degli
intestatari
degli
interessati.
A
seguito
di
alcune
prime
pronunce
del
Tribunale
di
Roma
che
hanno
provveduto
in
tal
senso
(cfr.
causa
Peppermint
c/
Wind
telecomunicazioni
S.p.A.,
ordinanza
del
18
agosto
2006
confermata,
in
sede
di
reclamo
cautelare
della
Wind,
con
ordinanza
del
22
settembre
2006
e,
attualmente,
in
attesa
che
il
giudice
determini
le
modalità
di
attuazione
dell'ordinanza
di
accoglimento;
causa
Peppermint
c/Telecom
Italia
S.p.A.,
ordinanza
del
28/29
novembre
2006,
riformata
in
sede
di
reclamo
della
Peppermint
con
ordinanza
del
9
febbraio
2007),
il
predetto
legale
ha
inviato
diverse
centinaia
di
lettere
a
persone
individuate
quali
intestatari
di
una
linea
di
collegamento
a
Internet.
Con
tali
lettere
si
è
contestata
la
violazione
dei
diritti
116
derivanti
dalla
produzione
di
fonogrammi
e
si
è
proposta
una
risoluzione
bonaria,
alternativa
anche
alla
denuncia
in
sede
penale,
basata
sul
rispetto
di
alcune
condizioni
comprensive
di
un
versamento
di
330
euro.
Il
presente
provvedimento
non
riguarda,
invece,
la
connessa
questione
oggetto
più
specificamente
delle
predette
controversie
instaurate
presso
il
Tribunale
di
Roma
nelle
quali
si
è
costituito
anche
il
Garante
e
in
cui,
a
modifica
del
primo
orientamento
giurisprudenziale
sopramenzionato,
il
Tribunale
ha
statuito
che
i
fornitori
di
servizi
di
comunicazione
elettronica,
allo
stato
della
legislazione
vigente,
non
possono
comunicare
in
sede
giurisdizionale
civile
a
Peppermint
e
Techland
i
nominativi
degli
interessati
ritenuti
responsabili
di
violazioni
del
diritto
d'autore
in
rete.
Ciò,
stante
la
specifica
disciplina
della
conservazione
dei
dati
di
traffico,
prevista
solo
per
finalità
di
accertamento
e
repressione
di
reati
(art.
132
del
Codice;
cfr.
causa
Peppermint
e
Techland
c/Wind
Telecomunicazioni
S.p.A.,ordinanza
14
luglio
2007;
causa
Peppermint
e
Techland
c/
Telecom
Italia
S.p.A.,ordinanza
14
luglio
2007;
causa
Peppermint
c/
Wind
telecomunicazioni
S.p.A.,
ordinanza
26
ottobre
2007;
cfr.,anche,
comunicato
stampa
del
17
luglio
2007,
pubblicato
sul
sito
web
dell'Autorità).
Tale
profilo
della
comunicazione
dei
dati
di
traffico
è
stato
esaminato,
da
ultimo,
dalla
Corte
di
giustizia
delle
Comunità
europee
la
quale
si
è
pronunciata
su
una
questione
per
molti
aspetti
simile
(sentenza
29
gennaio
2008,
pronunciata
nella
causa
C‐275/06
Promusicae
c/
Telefonica
de
Espana
Sau).
La
Corte
ha
confermato
che
il
diritto
comunitario
consente
agli
Stati
membri
di
circoscrivere
all'ambito
delle
indagini
penali
o
della
tutela
della
pubblica
sicurezza
e
della
difesa
nazionale
‐a
esclusione,
quindi,
dei
processi
civili‐
il
dovere
di
conservare
e
mettere
a
disposizione
i
dati
sulle
connessioni
e
il
traffico
generati
dalle
comunicazioni
effettuate
durante
la
prestazione
di
un
servizio
della
società
dell'informazione.
La
Corte
ha
rilevato
che
anche
i
dati
di
traffico
conservati
per
finalità
di
fatturazione
non
possono
essere
utilizzati
in
"controversie
diverse
da
quelle
insorgenti
tra
i
fornitori
e
gli
utilizzatori,
relative
ai
motivi
della
memorizzazione
dei
dati
avvenuta
per
attività
previste
dalle
disposizioni
[dell'art.
6
della
direttiva
2002/58/Ce]"
(cfr.
art.
123
del
Codice);
da
ciò,
ha
escluso
la
possibilità
che
tali
dati
potessero
essere
messi
a
disposizione
per
controversie
civili
relative
ai
diritti
di
proprietà
intellettuale
(cfr.
punto
48
della
sentenza;
artt.
15,
n.
2,
e
18
della
direttiva
2000/31/Ce
relativa
a
taluni
aspetti
giuridici
dei
servizi
della
Società
dell'informazione,
in
particolare
il
commercio
elettronico,
nel
mercato
interno;
artt.
8,
nn.
1
e
2
direttiva
2001/29/Ce
sull'armonizzazione
di
taluni
aspetti
del
diritto
d'autore
e
dei
diritti
connessi
nella
società
dell'informazione;
art.
8
direttiva
2004/48/Ce
sul
rispetto
dei
diritti
di
proprietà
intellettuale;
artt.
17,
n.
2
e
47
Carta
dei
diritti
fondamentali
dell'Unione
europea).
2.
Risultanze
istruttorie
e
funzionamento
del
software
fsm
Nelle
centinaia
di
lettere
inviate
a
utenti
in
Italia,
il
legale
che
ha
agito
per
conto
di
Peppermint
ha
dichiarato
che
sulla
base
dei
risultati
acquisiti
grazie
al
predetto
software
"antipirateria"
appositamente
realizzato,
ritenuto
di
assoluta
affidabilità
e
attendibilità,
è
stato
possibile
accertare
che:
*
ciascun
destinatario
delle
lettere
aveva
violato
il
diritto
d'autore
a
partire
dalla
linea
di
rete
Internet
risultante
nella
rispettiva
titolarità,
mettendo
indebitamente
file
musicali
a
disposizione
di
terzi;
*
ciò,
risultava
avvenuto
mediante
un
software
di
condivisione
contemporanea
di
file
(c.d.
peer‐to‐peer)
che
altri
utenti
risultavano
aver
utilizzato
per
connettersi
al
p.c.
dei
destinatari
delle
lettere
e
per
scaricare
i
file
musicali
da
una
cartella
a
questo
dedicata.
Lo
scambio
di
file
via
Internet
rientra
nella
nozione
di
"comunicazione"
anche
quando
ha
per
oggetto
contenuti
protetti
dal
diritto
d'autore,
tenuto
conto
che
la
117
nozione
stessa
include
lo
"scambio
o
la
trasmissione
di
informazioni",
"tramite
un
servizio
di
comunicazione
elettronica
accessibile
al
pubblico",
tra
"un
numero
finito
di
soggetti"
(cfr.
art.
2,
lettera
d),
primo
periodo,
della
direttiva
2002/58/CE
e
art.
4,
comma
1,
lett.
l)
del
Codice).
Quest'ultimo
riferimento
tende
a
distinguere
l'ambito
delle
"comunicazioni
private"
da
quello
delle
"comunicazioni
al
pubblico".
La
circostanza
che
il
sistema
peer‐to‐peer
consenta
l'accesso
a
un
numero
potenzialmente
elevato
di
utenti
non
rende
"infinito",
o
del
tutto
indeterminabile,
il
numero
dei
soggetti
della
comunicazione.
Quest'ultima,
è
infatti
rivolta
non
a
una
platea
indistinta
di
utenti,
ma
a
soggetti
delimitati
che
possono
essere
identificati.
Manca,
tra
l'altro,
la
simultaneità
e
l'unicità
della
trasmissione
che
sono
caratteristiche
qualificanti
di
una
"comunicazione
al
pubblico"
(come
è
nel
caso
del
"servizio
di
radiodiffusione"
‐c.d.
broadcasting‐,
espressamente
escluso
dall'ambito
applicativo
della
nozione
di
comunicazione
elettronica:
cfr.,
anche,
art.
4,
comma
2,
lett.
a)
del
Codice).
L'attività
di
ricognizione
condotta
da
Logistep
risulta
essersi
focalizzata
su
due
importanti
reti
p2p,
GNUtella
e
eDonkey
e
utilizzando
il
sistema
software
fsm,
sviluppato
integrando
e
modificando
software
liberamente
disponibili
sulla
rete
per
collegarsi
a
reti
p2p.
Il
software
fsm
consente:
a)
usuali
operazioni
effettuabili
tramite
i
comuni
client,
eccettuata
la
condivisione
di
file
eventualmente
scaricati
dalla
rete;
b)
l'archiviazione
a
scopo
di
documentazione
di
tutte
le
informazioni
usualmente
caratterizzate
da
"volatilità",
perché
non
necessarie
una
volta
che
la
trasmissione
dei
file
è
avvenuta;
c)
di
correlare
le
attività
sulle
reti
p2p
di
un
determinato
utente
al
variare
dell'indirizzo
Ip
assunto,
nonché
del
provider
utilizzato
(il
clock
del
programma
risulta
sincronizzato
con
una
sorgente
esterna,
mentre
viene
tenuta
traccia
dell'identificativo
Guid,
generato
al
momento
dell'installazione
dei
client).
In
sostanza,
il
software
fsm
permette
di
tenere
traccia
della
disponibilità
in
rete
di
un
certo
"contenuto";
di
verificarne
l'effettiva
possibilità
di
acquisizione,
effettuandone
lo
scaricamento
(download),
ovvero
la
copia
in
rete
dalle
aree
di
condivisione
degli
utenti
che
ospitano
quel
contenuto
verso
i
propri
computer;
di
verificarne
la
segnatura
digitale
con
algoritmo
SHA1
o
MD5
(in
dipendenza
dal
protocollo
p2p
utilizzato);
di
controllarne
la
diffusione,
verificando
l'esistenza
di
altre
condivisioni
presuntivamente
riferibili
a
una
pregressa
attività
di
"download"
(sul
presupposto
che
la
quasi
totalità
degli
utenti
che
condividono
uno
specifico
contenuto
lo
abbiano
a
loro
volta
acquisito
da
un'altra
fonte
nella
rete,
tranne
eventualmente
il
soggetto
che
originariamente
lo
abbia
messo
per
la
prima
volta
in
condivisione,
con
una
specifica
segnatura
digitale).
In
particolare,
il
sistema
fsm
consente
la
raccolta
dei
seguenti
dati:
indirizzi
Ip
dell'offerente,
il
nome
e
il
valore
Hash
del
file,
la
misure
del
file,
l'user
name,
il
Guid,
la
data
e
l'ora
del
download.
In
altre
parole,
come
emerge
dalla
stessa
perizia
prodotta
dall'avv.
Mahlknecht,
il
software
fsm
accerta
da
chi,
e
quando,
viene
offerto
quale
file
per
un
downloading
e
da
chi,
quando
e
per
quanto
tempo
viene
effettivamente
copiato
tale
file;
riconosce
i
tentativi
dei
partecipanti
di
sistemi
di
condivisione
file
di
modificare
il
loro
indirizzo
Ip;
organizza
tali
informazioni
in
una
banca
dati.
Anche
se
non
risulta
in
atti
che
il
sistema
fsm
svolga
attività
intrusive
o
installazioni
di
software
o
di
altri
componenti
sul
terminale
dell'utente
che
partecipa
al
file
sharing,
e
sebbene
non
risultino
allo
stato
significativi
elementi
di
diversità
nelle
modalità
di
funzionamento
di
tale
software
rispetto
ai
normali
client
che
agiscono
sulle
reti
p2p,
il
trattamento
svolto
da
Logistep
su
incarico
di
Peppermint
e
Techland
non
può
comunque
ritenersi
lecito.
3.
Profili
di
illiceità
e
non
correttezza
del
trattamento
118
Il
trattamento
in
questione
è
stato
inizialmente
effettuato
a
partire
da
un
Paese
(la
Svizzera),
dotata
di
una
legge
di
protezione
dei
dati
e
che
ha
ratificato
la
Convenzione
di
Strasburgo
n.
108/1981,
e
la
cui
autorità
di
protezione
dei
dati
ne
ha
già
dichiarato,
per
questa
parte,
l'illiceità.
La
Préposé
fédéral
à
la
protection
des
donne
et
à
la
transparence
(PFPDT),
con
una
recente
pronuncia
adottata
all'esito
di
un
procedimento
avviato
anche
su
impulso
di
questa
Autorità,
ha
ritenuto
che
il
trattamento
svolto
da
Logistep
su
incarico
di
Peppermint
e
Techland
e
che
ha
riguardato
anche
informazioni
memorizzate
su
p.c.
di
utenti
italiani,
ha
violato
alcuni
princìpi
fondamentali
della
legge
federale
sulla
protezione
dei
dati
personali
(decisione
del
9
gennaio
2008).
E'
risultato
in
particolare
violato
il
principio
di
liceità
(in
ragione
del
fatto
che
la
raccolta
dei
dati
è
stata
effettuata
in
mancanza
di
una
base
legale
esplicita).
Si
è
ritenuto
in
secondo
luogo
violato
il
principio
di
finalità
(in
quanto
la
registrazione
sistematica
dei
dati
degli
utenti
ha
perseguito
scopi
diversi
da
quelli
tipici
delle
reti
peer‐to‐peer).
Non
sono
stati,
altresì,
rispettati
i
princìpi
di
buona
fede
e
trasparenza,
in
quanto
la
raccolta
dei
dati
è
avvenuta
senza
che
gli
interessati
potessero
esserne
consapevoli
(sia
per
le
circostanze
nelle
quali
la
raccolta
è
avvenuta,
sia
perché
non
informati)
e
i
dati
possono
essere
stati
raccolti
all'insaputa
di
abbonati
che
non
sono,
necessariamente,
i
soggetti
coinvolti
nello
scambio
dei
dati.
Infine,
è
risultato
violato
il
principio
di
proporzionalità
(in
quanto
il
diritto
alla
segretezza
delle
comunicazioni
è
risultato
limitabile
solo
nell'ambito
di
un
bilanciamento
con
un
diritto
di
pari
grado
e,
quindi,
allo
stato,
non
per
l'esercizio
di
un'azione
civile).
Non
risultano
in
atti
elementi
più
specifici
di
valutazione
delle
modalità
di
trattamento
di
dati
che
è
stato
effettuato
a
cura
di
Logistep
Polska,
il
quale,
qualora
si
sia
svolto
con
le
modalità
sopraindicate,
si
è
posto
anch'esso
in
violazione
dei
princìpi
di
trasparenza,
finalità,
correttezza
e
buona
fede
richiamati
sia
dalla
Convenzione
di
Strasburgo,
sia
dalla
direttiva
95/46/Ce
e
dalla
stessa
disciplina
nazionale
di
protezione
dati
(cfr.
art.
5
Conv.
n.
108/1981
cit.,
art.
6
direttiva
95/46/Ce).
I
trattamenti
in
esame,
effettuati
in
modo
massivo
e
capillare
per
un
periodo
di
tempo
prolungato
e
nei
riguardi
di
un
numero
elevato
di
soggetti,
hanno
consentito
di
tenere
traccia
analitica
delle
operazioni
compiute
da
innumerevoli,
singoli
utenti
relativamente
a
specifici
contenuti
protetti
dal
diritto
d'autore.
Per
le
modalità
con
le
quali
la
raccolta
dei
dati
è
stata
svolta,
si
è
configurata
un'attività
di
monitoraggio
vietata
a
soggetti
privati
dalla
direttiva
2002/58/Ce
(art.
5;
cfr.
art.
122
del
Codice).
Le
reti
p2p
sono
finalizzate
allo
scambio
fra
utenti
di
dati
e
file
per
scopi
sostanzialmente
personali,
mentre
il
software
fsm
"non
è
destinato
allo
scambio
di
dati,
ma
al
monitoraggio
ed
alla
ricerca
di
dati,
che
utenti
di
reti
P2P
mettono
a
disposizione
a
terzi"
(cfr.
nota
del
5
luglio
2007
dell'Avv.
Otto
Mahlknecht).
I
dati
che
gli
utenti
mettono
in
rete
possono
essere
utilizzati
per
le
finalità
per
le
quali
tale
pubblicazione
avviene
(cfr.,
fra
gli
altri,
Provv.
del
14
giugno
2007,
doc.
web
n.
1424068).
L'utilizzo
dei
dati
dell'utente
delle
reti
peer‐to‐peer
può,
quindi,
avvenire
per
le
finalità
sue
proprie
e
non
già,
in
modo
non
trasparente,
per
scopi
ulteriori,
quali
quelli
perseguiti
da
Logistep,
Peppermint
e
Techland.
Il
trattamento
è
risultato
viziato
anche
sotto
il
profilo
della
trasparenza
e
della
correttezza,
posto
che
non
è
stata
fornita
alcuna
informativa
preliminare
agli
utenti.
Dalla
descrizione
resa
dalle
società
sul
funzionamento
del
software
fsm
si
è
potuto
rilevare
che,
mentre
gli
indirizzi
Ip
sono
stati
acquisiti
da
un
terzo
rispetto
agli
utenti
(il
tracker),
gli
altri
dati
(ossia,
i
file
offerti
in
condivisione,
data
e
ora
del
download)
sono
stati
raccolti
direttamente
presso
gli
interessati.
Il
Tribunale
di
Roma
ha
riconosciuto,
per
tali
informazioni,
la
natura
di
"dati
personali"
relativi
a
utenti
identificabili
i
quali
dovevano
essere
informati
di
tale
119
Il
Garante
‐
riservandosi,
peraltro,
di
approfondire
il
profilo
relativo
all'invio
da
parte
del
legale
della
Peppermint
delle
famose
proposte
transattive
‐
ha
ordinato
alle
tre
società
di
sospendere
immediatamente
ogni
ulteriore
trattamento
dei
dati
illegittimamente
acquisiti
e
di
cancellarli
entro
il
31
marzo
2008.
E'
una
bella
vittoria
per
il
diritto
alla
privacy
e
per
chi
come
Altroconsumo
sin
dall'inizio
di
questa
vicenda
si
è
schierato
dalla
parte
degli
utenti
evidenziando,
in
ogni
sede,
come
la
tutela
dei
diritti
di
proprietà
intellettuale
non
potesse
giustificare
il
monitoraggio
e
la
schedatura
di
massa
degli
utenti
delle
piattaforme
P2P.
E'
una
vittoria
della
Rete
e
non
certo
dei
pirati
come
domani
qualcuno
si
affretterà
a
sostenere.
ulteriore
e
inatteso
trattamento
(v.
anche
Parere
del
Gruppo
Art.
29
del
18
gennaio
2005
in
materia
di
diritti
di
proprietà
intellettuale,
nel
quale
è
stato
rilevato
che
nessun
dato
personale
può
essere
raccolto
senza
che
l'interessato
sia
correttamente
e
preventivamente
informato,
in
maniera
trasparente,
sulle
eventuali
modalità
di
controllo
e
sull'identità
del
soggetto
che
lo
effettua,
prima
che
il
trattamento
abbia
inizio
e
prima
che
l'interessato
fornisca
i
dati
personali
attraverso
il
download
Working
document
on
data
protection
issues
related
to
intellectual
property
rights
‐
January
18,
2005
‐
WP104.pdf).
4.
Conclusioni
Come
premesso,
una
seconda
fase
del
trattamento
dei
dati
connesso
all'invio
delle
lettere
è
avvenuta
nel
territorio
dello
Stato,
utilizzando
dati
personali
relativi
a
persone
identificabili
e
raccolti
illecitamente.
Si
rende
pertanto
necessario,
a
definizione
della
complessa
istruttoria
preliminare,
provvedere
in
ordine
all'ulteriore
utilizzazione
di
tali
dati
sul
territorio
dello
Stato.
Ciò,
senza
che
occorra
proseguire
gli
accertamenti
per
verificare
anche
se,
e
in
quale
misura,
la
disciplina
italiana
di
protezione
dei
dati
trovi
in
tutto
o
in
parte
applicazione
anche
alla
prima
fase
di
raccolta
automatizzata
dei
dati,
alla
luce
della
disposizione
normativa
secondo
cui
la
legge
italiana
si
applica
ai
trattamenti
effettuati
da
soggetti
stabiliti
nel
territorio
di
un
Paese
non
appartenente
all'Unione
europea
il
quale
impieghi,
per
il
trattamento,
strumenti
situati
nel
territorio
dello
Stato
(quali
i
p.c.
degli
utenti
italiani,
dai
quali
Logistep
ha
chiaramente
tratto
gli
indirizzi
Ip:
art.
5
del
Codice).
In
ragione
delle
predette
risultanze
non
possono
che
confermarsi
le
valutazioni
di
illiceità
e
non
correttezza
già
tratteggiate
nelle
memorie
di
costituzione
in
giudizio
nelle
controversie
dinanzi
al
Tribunale
di
Roma
–e
note
alle
controparti
–,
e
conseguentemente
disporsi
il
divieto
nei
confronti
delle
predette
tre
società
di
ulteriore
utilizzazione
dei
dati
personali
raccolti
illecitamente,
nonché
la
loro
cancellazione
entro
il
termine
del
31
marzo
2008.
TUTTO
CIÒ
PREMESSO
IL
GARANTE
ai
sensi
degli
artt.
143,
comma
1,
lett.
c)
e
154,
comma
1,
lett.
d)
del
Codice
dispone,
nei
termini
di
cui
in
motivazione,
nei
confronti
di
Peppermint
Jam
Records
GmbH,
Techland
sp.
z.
o.o.
e
Logistep
AG,
il
divieto
dell'ulteriore
trattamento
dei
dati
personali
relativo
a
soggetti
ritenuti
responsabili
di
aver
scambiato
file
protetti
dal
diritto
d'autore
tramite
reti
peer‐to‐peer
e
ne
dispone
la
cancellazione
entro
il
termine
del
31
marzo
2008.
Roma,
28
febbraio
2008
120
Finalmente,
quindi,
migliaia
di
utenti
italiani
potranno
tirare
un
sospiro
di
sollievo
e
dormire
sonni
tranquilli:
nessuno
busserà
alla
loro
porta
con
nuovo
improbabili
proposte
transattive
né
denunce.
I
dati
personali
a
suo
tempo
raccolti
dalle
società
Peppermint.
Techland
e
logistep,
infatti,
sono
ormai
inutilizzabili.
La
storia,
tuttavia,
non
finisce
qui:
qualcuno,
evidentemente,
dovrà
pagare
lo
stress,
le
umiliazioni
ed
i
costi
sopportati
da
migliaia
di
consumatori
italiani
per
effetto
dell'illegittima
operazione
lanciata
dall'etichetta
discografica
tedesca
e
dalla
software
polacca
e
condotta
dagli
investigatori
elettronici
della
Logistep.
P.S.
Forse
il
Collega
Mahlknecht
e
la
Logistep
dovrebbero
aggiornare
i
loro
siti
non
dico
per
dar
conto
delle
decisioni
dei
garanti
svizzero
e
italiano
ma,
almeno,
per
sottrarsi
ad
ulteriori
contestazioni…questa
volta
per
pubblicità
ingannevole!
121
4.
La
libertà
di
manifestazione
in
Rete.
Internet,
free
speech
e
web­censura.
Liberi
di
pensare,
liberi
di
bloggare!|
Agosto
2008
Internet
Magazine
Sequestri
di
Blog,
contestazioni
per
stampa
clandestina,
querele
per
diffamazione
on‐line
seguite
da
cause
risarcitorie
a
sei
zeri
ed
arresti
di
blogger
sono
ormai
entrati
a
far
parte
della
cronaca
quotidiana
della
Rete
in
Cina
come
nel
nostro
Paese,
negli
Stati
Uniti
come
in
Afganistan.
Cosa
sta
accadendo?
Perché
tanta
crescente
attenzione
e
tanto
rigore
nei
confronti
di
chi
utilizza
Internet
per
far
sentir
la
sua
voce,
per
far
conoscere
il
proprio
pensiero
o,
piuttosto,
per
aprire
un
dibattito
su
questioni
politiche,
economiche
o
sociali?
La
libertà
di
manifestazione
del
pensiero
non
costituisce
forse
uno
dei
diritti
inviolabili
dell’uomo
secondo
la
Dichiarazione
universale
dei
diritti
dell’uomo
e
del
cittadino
e
le
Carte
Costituzionali
di
molti
Paesi
evoluti
e,
persino,
di
alcuni
Paesi
in
via
di
sviluppo?
Per
rispondere
a
queste
domande
occorre
partire
da
un
presupposto
inconfutabile:
Internet
è
il
più
grande
mezzo
di
comunicazione
di
massa
della
storia
dell’umanità
e
ciò
sia
in
termini
di
destinatari
dell’informazione
sia
in
termini
di
produttori
di
informazione
anche
perché
le
due
categorie
–
nelle
dinamiche
dell’informazione
on‐line
‐
coincidono
perfettamente.
In
Rete,
chiunque,
in
pochi
click,
può
trasformarsi
da
lettore
distratto
di
una
testata
on‐line,
di
un
blog
o
di
una
bacheca
elettronica
in
produttore
di
informazioni
attraverso
un
blog,
un
commento,
un
annuncio
o,
piuttosto,
una
propria
pagina
web
ed
essere
letto
da
un
pubblico
potenzialmente
infinito
e,
comunque,
migliaia
di
volte
più
ampio
rispetto
a
quello
dei
lettori
di
quotidiani
o
degli
spettatori
dei
TG
nelle
ore
punta.
Le
dimensioni
planetarie
del
fenomeno
costituiscono,
certamente,
una
delle
principali
ragioni
di
un
tanto
acceso
confronto
tra
chi
utilizza
internet
per
diffondere
informazioni,
i
Governi
e
la
Magistratura
di
molti
Paesi.
Un
post
su
un
Blog
ad
alta
visibilità
può
contribuire
a
formare
o
consolidare
movimenti
di
opinioni,
essere
utilizzato
per
dar
vita
a
manifestazioni
e
riempire
piazze
come
insegnano
la
recente
esperienza
cinese
o,
piuttosto,
la
nostrana
storia
dei
Vdays
ma
può
anche
servire
per
influenzare
l’andamento
di
un
mercato
–
122
basti
pensare
alle
conseguenze
di
indiscrezioni
sull’uscita
di
un
nuovo
modello
di
telefonino
–
o
per
condizionare
l’andamento
di
governi
o
il
successo
di
uomini
politici.
Tutto
ciò
non
può
non
porre
in
allarme
un
sistema
che,
sino
a
ieri,
era
abituato
–
anche
nei
regimi
tradizionalmente
considerati
democratici
–
ad
avere
il
controllo
pressoché
assoluto
dell’informazione.
Ma
c’è
di
più.
L’aspetto
quantitativo
non
basta,
infatti,
a
spiegare
quanto
sta
accadendo.
Ogni
giorno
nascono
in
Rete
nuove
e
multiformi
soluzioni
idonee
a
consentire
a
chiunque
di
dire
la
sua
su
un
dato
problema
o,
piuttosto,
a
trasformarsi
in
reporter
d’assalto
ed
a
raccontare
al
mondo
un
suo
viaggio,
una
sua
esperienza
o
la
vera
storia
di
una
guerra
che
si
combatte
in
angoli
remoti
del
pianeta.
I
blog,
gli
UGC
–
User
Generated
Content
–
le
bacheche
elettroniche,
le
mailing
list,
i
siti
personali
e,
per
finire,
Citizen
News
‐
ultima
creatura
di
casa
Google
che
promette
di
trasformare
chiunque
in
un
giornalista
‐
mettono
a
dura
prova
l’elasticità
della
disciplina
della
materia
che
è
interamente
costruita
–
nella
più
parte
dei
Paesi
–
su
una
profonda
distinzione
tra
l’informazione
“professionale”
e
quella
“amatoriale”.
Un
blogger,
infatti,
oggi,
si
rivolge
ad
un
pubblico
quantitativamente
equivalente
–
ed
anzi
superiore
‐
a
quello
cui
si
rivolge
una
testata
giornalista
cartacea
o,
piuttosto,
televisiva
e,
ad
analogo
pubblico
si
rivolge
chiunque
posti
un
video
su
YouTube
o,
piuttosto,
“firmi”
un
servizio
per
Citizen
News.
Si
tratta
di
un
fenomeno
senza
precedenti
che
deve
essere
salutato
con
favore
perché
consente,
oggi,
per
la
prima
volta
nella
storia
dell’uomo,
la
piena
attuazione
di
quella
libertà
di
manifestazione
del
pensiero
in
relazione
alla
quale,
solo
qualche
decennio
fa,
i
Giudici
della
Corte
Costituzionale
erano
costretti
a
scrivere
che
“che
il
diritto
di
libertà
di
diffusione
del
pensiero
con
qualsiasi
mezzo,
garantito
dal
primo
comma
dell'art.
21
Cost.,
non
significa
anche
diritto
di
disporre
di
qualsiasi
mezzo
di
diffusione
del
pensiero,
ma
soltanto
diritto
di
diffondere
il
pensiero
con
i
mezzi
disponibili
e
in
quanto
disponibili
(alla
stessa
maniera,
ad
es.,
che
la
libertà
di
domicilio
non
implica
anche
il
diritto
ad
avere
senz'altro
un
domicilio).”.
Occorre,
tuttavia,
riconoscere
che
il
progressivo
ampliamento
del
popolo
degli
informations
makers
e,
soprattutto,
la
circostanza
che,
oggi,
tali
soggetti
dispongono
di
strumenti
analoghi
per
potenzialità
e
forza
di
diffusione
a
quelli
di
cui
dispongono
i
giornalisti
di
professione
impone
di
rivedere
e
ripensare
la
disciplina
sull’informazione
nel
suo
complesso.
123
L’incapacità
dei
Governi
della
più
parte
dei
Paesi
di
cogliere
il
senso
della
rivoluzione
delle
dinamiche
dell’informazione
in
atto
e
di
riscrivere
la
disciplina
applicabile
a
tale
materia
costituisce,
certamente,
una
delle
principali
cause
della
stagione
di
grande
tensione
che
stiamo
vivendo.
Nel
regime
tradizionale,
infatti,
la
Legge,
generalmente,
accorda
maggiori
garanzie
a
editori
e
giornalisti
professionisti
rispetto
a
quelle
riconosciute
al
semplice
cittadino
che
voglia
dire
la
sua,
imponendo,
tuttavia,
ad
un
tempo,
sulle
spalle
dei
primi
un
regime
di
responsabilità
per
eventuali
condotte
illecite
più
rigoroso.
Tale
“doppio
binario”
trovava
fondamento
–
cinquant’anni
fa
quando
la
disciplina
sulla
stampa
tuttora
in
vigore
ha
visto
la
luce
‐
in
un
presupposto
la
cui
attualità
nell’Era
di
Internet
non
appare
affatto
scontata:
i
media
professionali
godono
di
maggior
credibilità
e,
soprattutto,
raggiungono
un
più
ampio
pubblico
rispetto
a
quello
raggiungibile
da
un
cittadino
qualunque.
Tutto
questo
non
è
più,
evidentemente,
vero.
In
tale
contesto
è
naturale
–
ancorché
non
condivisibile
–
la
tentazione
–
ma
forse
bisognerebbe
parlare
di
tendenza
‐
di
Giudici
ed
Ordinamenti
a
trattare
un
blogger
come
un
giornalista
o,
piuttosto,
un
UGC
come
Youtube
da
editore.
Il
punto
è
che
un
blog
non
è
un
giornale
e
un
UGC
non
è
un
editore
ma,
sfortunatamente,
questo
non
è
scritto
come
dovrebbe
nelle
leggi
vigenti
nelle
quali
si
fa
fatica
a
trovare
un
adeguato
inquadramento
per
i
nuovi
mezzi
di
informazione
dell’Era
di
internet.
Il
caso
di
Citizen
News
–
il
nuovo
canale
di
informazione
“non
professionale”
lanciato
da
YouTube
–
è
sintomatico.
Youtube
può
esserne
considerato
editore
e
ritenuto,
per
ciò
solo,
soggetto
alla
vigente
disciplina
sull’editoria
che
gli
imporrebbe,
tra
l’altro,
di
iscriversi
presso
il
ROC
–
il
Registro
degli
operatori
della
comunicazione
‐
tenuto
presso
l’Agcom?
Youtube
può
essere
chiamato
a
rispondere
per
eventuali
diffamazioni
poste
in
essere
attraverso
video
pubblicati
dai
propri
utenti
nel
canale
Citizen
news?
Se
si
guarda
alla
direttiva
sul
commercio
elettronico,
la
responsabilità
dovrebbe
essere
di
coloro
che
forniscono
i
contenuti.
Ma
siamo
davvero
sicuri
che
nessun
giudice
sia
di
altro
avviso
e
ritenga
che
la
questione
debba
essere
regolata
dalla
disciplina
sulla
Stampa
il
cui
ambito
di
applicazione
ha,
ormai,
abbracciato
anche
l’informazione
televisiva?
La
risposta
all’applicabilità
a
CitizenNews
della
nuova
disciplina
sull’editoria
e,
conseguentemente,
di
quella
sulla
Stampa
124
condiziona,
ovviamente,
in
modo
importante
anche
la
risposta
a
tale
ulteriore
dubbio.
Oggi
YouTube
–
per
porsi
al
riparo
dalle
contestazioni
dei
titolari
dei
diritti
‐
adotta
in
relazione
ai
contenuti
protetti
da
diritti
d’autore
tecnologie
di
watermark
che
sebbene
all’inizio
erano
state
accolte
con
un
po’
di
scetticismo,
sembra
stiano
dando
degli
ottimi
risultati.
Accertare
una
violazione
di
altrui
diritti
di
proprietà
intellettuale
è,
tuttavia,
assai
più
semplice
che
valutare
l’effettiva
sussistenza
di
una
diffamazione.
Come
si
comporterà
YouTube
dinanzi
alla
notifica
di
chi
assumesse
di
essere
diffamato
da
un
servizio
in
onda
su
CitizenNews
?
Rimuoverà
senza
ritardo
i
contenuti
oggetto
di
contestazione
o,
per
farlo,
attenderà
un
ordine
dell’autorità
giudiziaria?
Nel
primo
caso
il
rischio
è
che
Big
G
si
ritroverà
presto
a
mettere
il
bavaglio
alla
sua
stessa
creatura:
chiunque,
infatti,
non
voglia
che
certe
verità
vadano
in
giro
per
il
mondo
non
dovrà
far
altro
che
scrivere
ai
gestori
del
Canale
chiedendone
la
rimozione.
Nel
secondo
caso,
invece,
difficile
credere
che
CitizenNews
non
sarà
ben
presto
destinatario
di
richieste
risarcitorie
milionarie
da
parte
di
chi
sosterrà
di
esser
stato
diffamato
da
questa
o
quella
notizia
apparsa
sul
nuovo
canale
di
YouTube
e
non
esser
neppure
riuscito
ad
ottenerne
la
rimozione.
Analoghe
considerazioni
valgono
per
la
disciplina
della
blogosfera
come
insegna
la
recente
vicenda
della
quale
sembrerebbe
essere
rimasto
vittima
–
il
condizionale
è
dovuto
alla
circostanza
che
non
si
conoscono
ancora
le
motivazioni
della
Sentenza
resa
dal
Tribunale
di
Modica
‐
lo
Storico
siciliano
Carlo
Ruta
che
si
è
visto
contestare
il
reato
di
stampa
clandestina
per
aver
aggiornato
con
periodicità
regolare
il
proprio
blog
senza,
tuttavia,
provvedere
alla
sua
registrazione
nel
registro
della
Stampa
tenuto
presso
il
tribunale.
Se
le
motivazioni
della
Sentenza,
come
appare
probabile,
confermeranno
quanto
si
è
sin
qui
appreso,
la
decisione
affermerebbe
un
principio
importante
che
va
ben
al
di
là
della
singola
vicenda
e
della
pur
grave
condanna
di
un
blogger:
quello
secondo
cui
anche
i
blog
vanno
registrati
presso
il
registro
della
Stampa
di
cui
alla
Legge
n.
47
del
1948
cui,
negli
ultimi
cinquant’anni,
è
rimasta
affidata
la
disciplina
della
materia
nonostante
gli
importanti
cambiamenti
intervenuti
nel
mondo
dell’informazione
e
della
comunicazione.
L’art.
16
della
citata
legge,
infatti,
stabilisce
a
chiare
lettere
che
“Chiunque
intraprenda
la
pubblicazione
di
un
giornale
o
altro
125
periodico
senza
che
sia
stata
eseguita
la
registrazione
prescritta
dall'art.
5,
è
punito
con
la
reclusione
fino
a
due
anni
o
con
la
multa
fino
a
lire
500.000”.
L’art.
5
della
stessa
Legge,
a
sua
volta,
prevede
che
“Nessun
giornale
o
periodico
può
essere
pubblicato
se
non
sia
stato
registrato
presso
la
cancelleria
del
tribunale,
nella
cui
circoscrizione
la
pubblicazione
deve
effettuarsi.”.
Sarebbe
bello
bollare
la
decisione
dei
Giudici
del
Tribunale
di
Modica
come
un
classico
errore
giudiziario
ma,
a
prescindere
dal
fatto
che,
per
farlo,
occorrerà
leggere
le
motivazioni
della
Sentenza
occorre,
sfortunatamente,
riconoscere
che
la
tesi
dell’equiparazione
di
un
blog
ai
giornali
e
periodici
è
meno
peregrina
–
norme
di
legge
alla
mano
–
di
quanto
l’esperienza
suggerirebbe
a
ciascuno
di
noi.
Il
comma
3
dell’art.
1
della
bruttissima
nuova
legge
sull’editoria
(7
marzo
2001,
n.
62),
infatti,
prevede
che
“Al
prodotto
editoriale
si
applicano
le
disposizioni
di
cui
all'articolo
2
della
legge
8
febbraio
1948,
n.
47”
e
che
“il
prodotto
editoriale
diffuso
al
pubblico
con
periodicità
regolare
e
contraddistinto
da
una
testata,
costituente
elemento
identificativo
del
prodotto,
è
sottoposto,
altresì,
agli
obblighi
previsti
dall'articolo
5
della
medesima
legge
n.
47
del
1948.”.
Il
primo
comma
della
stessa
Legge
contiene
una
definizione
di
prodotto
editoriale
omnicomprensiva
secondo
la
quale
“per
“prodotto
editoriale”,
ai
fini
della
presente
legge,
si
intende
il
prodotto
realizzato
su
supporto
cartaceo,
ivi
compreso
il
libro,
o
su
supporto
informatico,
destinato
alla
pubblicazione
o,
comunque,
alla
diffusione
di
informazioni
presso
il
pubblico
con
ogni
mezzo,
anche
elettronico,
o
attraverso
la
radiodiffusione
sonora
o
televisiva,
con
esclusione
dei
prodotti
discografici
o
cinematografici.”.
La
nuova
legge
sull’editoria,
dunque,
prevede
l’applicabilità
dell’art.
2
della
vecchia
legge
sulla
stampa
a
tutti
i
siti
internet
destinati
alla
diffusione
di
informazioni
e
l’applicabilità
altresì
dell’art.
5
della
stessa
legge
–
quello
appunto
recante
l’obbligo
di
registrazione
presso
i
tribunali
–
dei
soli
siti
internet
destinati
alla
diffusione
di
informazioni
contraddistinti
da
una
testata
e
diffusi
al
pubblico
con
periodicità
regolare.
Il
quadro
normativo
è
completato
dalla
disposizione
contenuta
al
comma
3
dell’art.
7
del
Decreto
Legislativo
n.
70
del
9
aprile
2003
attraverso
il
quale
è
stata
data
attuazione
alla
Direttiva
sul
commercio
elettronico.
Secondo
tale
disposizione
“la
registrazione
della
testata
editoriale
telematica
e'
obbligatoria
esclusivamente
per
le
attività
126
per
le
quali
i
prestatori
del
servizio
intendano
avvalersi
delle
provvidenze
previste
dalla
legge
7
marzo
2001,
n.
62”.
Si
tratta
di
una
disposizione
scritta
in
modo
ambiguo
e
poco
puntuale
perché
ha
per
oggetto
un’entità
–
la
“testata
telematica”
–
diversa
da
quella
oggetto
della
nuova
disciplina
sull’editoria
–
il
“prodotto
editoriale”
–
e
perché
fa
generico
riferimento
ad
una
“registrazione”
senza,
tuttavia,
chiarire
se
tale
registrazione
sia
quella
presso
i
Tribunali
o,
piuttosto,
quella
presso
il
ROC,
Registro
Unico
degli
Operatori
della
comunicazione.
La
differenza
non
è
di
poco
conto.
Se,
infatti,
la
registrazione
di
cui
all’art.
7
del
D.Lgs.
70/2003
è
quella
prevista
all’art.
5
della
Legge
sulla
Stampa
i
blogger
italiani
possono
dormire
sonni
tranquilli
e
sentirsi
liberi
–
anche
laddove
aggiornino
quotidianamente
i
propri
blog
–
di
decidere
se
iscrivere
o
meno
il
proprio
sito
presso
il
registro
della
Stampa
tenuto
presso
il
Tribunale.
Se,
invece,
il
riferimento
dovesse
intendersi
come
rivolto
al
ROC,
la
questione
sarebbe
diversa
e
gli
autori
di
blog
a
contenuto
informativo
che
postano
con
“periodicità
regolare”
si
ritroverebbero
soggetti
all’obbligo
di
iscrizione
di
cui
alla
Legge
sulla
Stampa
e,
qualora
non
vi
provvedano
esposti
al
rischio
di
sentirsi
contestare
il
reato
di
stampa
clandestina
per
quanto
assurdo
ciò
possa
sembrare.
Dura
lex
sed
lex
e,
per
quanto
sia
difficile
da
accettare,
l’attuale
contesto
normativo
–
caratterizzato
da
disposizioni
ambigue
e
confuse
varate
da
legislatori
che
hanno
sempre
manifestato
scarso
interesse
per
le
questioni
della
Rete
–
legittima
la
magistratura
a
pervenire
a
conclusioni
che,
inesorabilmente,
suonano
censorie
e
contrarie
all’esercizio,
in
Internet,
della
libertà
di
manifestazione
del
pensiero.
Ma
c’è
di
più.
Mentre,
infatti,
un
blogger
–
stante
la
possibile
equiparazione
del
suo
blog
a
giornali
e
periodici
–
rischia
di
vedersi
contestare
il
reato
di
stampa
clandestina,
esso
non
può
poi
neppure
fare
affidamento
sulle
speciali
garanzie
che
nel
nostro
Paese
assistono
la
stampa:
prima
tra
tutte
l’insequestrabilità
–
se
non
in
casi
tassativamente
individuati
dalla
legge
–
degli
stampati.
I
frequenti
episodi
di
sequestro
di
interi
blog
a
causa
di
un
post
sommariamente
giudicato
da
qualcuno
offensivo
dell’altrui
immagine,
nome
o
reputazione,
sono,
infatti,
sotto
gli
occhi
di
tutti.
A
ciò
si
aggiunga
che
il
blogger,
qualora
attraverso
i
suoi
post
diffami
qualcuno,
corre
il
rischio
di
vedersi
contestata
l’ipotesi
aggravata
del
reato
caratteristica
di
chi
esercita
professionalmente
l’attività
giornalistica.
127
Troppa
confusione
e
troppe
ambiguità:
occorrono,
con
urgenza,
leggi
nuove
che
riordinino
le
previsioni
di
quelle
vecchie
(e
meno
vecchie)
alla
luce
del
mutato
contesto
dell’informazione
in
Rete
senza
imbrigliare
chi
vuol
far
sentire
la
sua
voce
e,
ad
un
tempo,
garantendo
a
tutti
la
certezza
di
poter
chiedere
giustizia
nell’ipotesi
in
cui
altri
offendano
la
propria
immagine
o
reputazione.
EMERGENZA
LIBERTA’
DI
ESPRESSIONE.
1°
dicembre
2007
http://www.guidoscorza.it/?p=211
In
un
bellissimo
articolo
su
Punto
Informatico
Gaia
Bottà
da
la
notizia
della
recente
sospensione
dell'account
utilizzato
da
un
giovane
blogger
egiziano
su
Youtube
per
denunziare
abusi
e
violenze
perpetrati
dalle
forze
dell'ordine
locali53.
Qui
di
seguito
il
testo
integrale
dell’articolo
di
Gaia
Bottà
dal
quale
trae
origine
il
mio
post.
E’
pubblicato
a
questa
URL:
http://punto‐
informatico.it/2127874/PI/News/youtube‐censura‐antitortura.aspx
YouTube
censura
la
(anti)tortura
Account
sospeso.
Era
lo
spazio
su
YouTube
che
l'attivista
egiziano
Wael
Abbas
utilizzava
per
denunciare
abusi
e
violenze
perpetrati
dalla
forze
dell'ordine
locali.
Aveva
postato
presentazioni
con
oltre
cento
immagini,
aveva
pubblicato
video
a
testimonianza
delle
violenze
che
si
verificano
nelle
carceri
egiziane.
Dei
documenti
che
aveva
postato
non
resta
nulla,
risultavano
sconvenienti,
urtavano
la
sensibilità
degli
utenti
del
servizio
di
video
sharing.
"L'hanno
chiuso
‐
ha
spiegato
Wael
a
Reuters
‐
e
mi
hanno
inviato
un'email
dicendo
che
avrebbero
sospeso
il
mio
account
perché
erano
stati
raggiunti
da
molte
segnalazioni
riguardo
ai
contenuti".
Le
segnalazioni
riguardavano
in
particolare
i
video
che
mostravano
esplicitamente
gli
abusi,
gli
stessi
contenuti
per
i
quali
Abbas
aveva
ricevuto
minacce
da
parte
delle
forze
dell'ordine
locali.
Gli
stessi
contenuti
che
avevano
attirato
l'attenzione
della
stampa
internazionale,
che
avevano
assicurato
a
Abbas
un
premio
di
International
Center
for
Journalist,
che
hanno
contribuito
a
sensibilizzare
la
società
civile
e
a
far
arrestare
gli
aguzzini.
Abbas
insinua
il
dubbio
che
YouTube
abbia
rimosso
il
video
a
seguito
delle
pressioni
del
governo:
i
cittadini
della
rete
egiziani
stanno
progressivamente
sperimentando
la
libertà
di
espressione
online,
producendo
contenuti
spesso
sgraditi
alle
autorità
locali,
facili
ad
arresti
e
violenze.
Ma
i
blogger
locali
sono
convinti
che
la
rimozione
del
video
non
sia
operato
del
governo.
La
sospensione
dell'account
sembra
piuttosto
frutto
di
un'applicazione
del
regolamento
di
YouTube,
che
proibisce
di
postare
immagini
di
violenza
gratuita.
Immagini
che
vengono
eventualmente
rimosse
non
a
priori
ma
a
seguito
di
motivate
segnalazioni
inoltrate
dagli
utenti.
I
contenuti
sarebbero
troppo
forti
e
53
128
Il
blogger
spiega
alla
Reuteirs
che
la
chiusura
gli
è
stata
comunicata
a
mezzo
mail
da
YouTube
ed
è
stata
giustificata
con
l'alto
numero
di
segnalzioni
ricevute
nelle
quali
si
denunciava
la
natura
violenta
dei
contenuti
resi
disponibili.
Nessun
dubbio
che
le
immagini
fossero
violente
‐
anche
se
non
più
di
molte
altre
presenti
ovunque
su
YouTube
e
fuori
‐
ma,
sfortunatamente,
erano
vere…
Violente
e
raccapriccianti
sono
anche
le
immagini
delle
persone
costrette
a
buttarsi
giù
dalle
torri
gemelle
senza
speranza,
l'11
settembre
del
2001
ma…chi
avrebbe
il
coraggio
di
rimuoverle
dalla
Rete,
di
renderle
inaccessibili,
di
bollarle,
semplicemente,
come
immagini
sconvenienti?
E'
questo
il
punto
sul
quale
dobbiamo
riflettere:
chi
deve
giudicare
se
un'immagine
è
opportuno
o
non
opportuno
che
venga
diffusa?
In
questo
momento
c'è
troppa
confusione
al
riguardo.
Sarebbe
facile
addebitare
la
responsabilità
della
censura
in
danno
del
blogger
egiziano
a
YouTube
ma…sarebbe
sbagliato.
YouTube
ha,
evidentemente,
agito
mosso
dal
timore
che
qualora
non
lo
avesse
fatto
avrebbe
potuto
essere
chiamato
a
rispondere
in
conformità
a
quanto
ambiguamente
previsto
nella
normativa
di
molti
Paesi
per
gli
intermediari
della
comunicazione.
Leggi
e
giurisprudenza,
infatti,
tendono,
ormai,
ad
escludere
la
responsabilità
dell'intermediario
della
comunicazione
qualora
ricevuta
una
segnalazione
si
attivi
prontamente
per
rimuovere
il
contenuto
segnalato
come
illecito.
Il
punto
è
che
la
natura
e
provenienza
di
tale
segnalazione
così
come
la
valutazione
circa
l'illiceità
della
diffusione
del
contenuto
sono
declinate
diversamente
a
seconda
dell'Ordinamento
e
dell'orientamento
giurisprudenziale
preso
in
esame.
impressionanti,
ma
"rimuoverli
perché
le
persone
trovano
che
la
verità
disturbi
è
inconcepibile",
ha
denunciato
Elijah
Zarwan,
un
altro
attivista
egiziano.
Ma
la
violenza
sbattuta
online
da
Abbas
è
tutto
fuorché
gratuita:
"L'obiettivo
non
è
mostrare
la
violenza,
ma
mostrare
la
brutalità
della
polizia",
spiegano
i
rappresentanti
di
Arabic
Network
for
Human
Rights
Information.
Concordano
i
netizen
locali:
"Hanno
chiuso
il
canale
di
denuncia
più
importante
‐
scrive
un
blogger
‐
a
YouTube
dovrebbero
andare
fieri
del
fatto
che
gli
attivisti
egiziani
che
lottano
contro
la
tortura
abbiano
scelto
di
esprimersi
proprio
lì".
Sul
web
proliferano
le
proteste
e
gli
appelli,
anche
a
mezzo
video.
Anche
se
YouTube
dovesse
decidere
di
non
tornare
sui
sui
passi,
la
testimonianza
di
Wael
Abbas
sopravviverà
alla
sospensione
dell'account:
è
stata
fatta
rimbalzare
online
dagli
end
intelligenti
della
rete.
129
E'
difficile
indicare
soluzioni
per
quello
che
costituisce,
probabilmente,
uno
dei
problemi
più
urgenti
ed
importanti
della
disciplina
della
Rete,
ma
il
mio
personale
convincimento
è
che
nessun
contenuto
debba
essere
rimosso
dalla
Rete
se
il
responsabile
della
pubblicazione
è
individuato
o
individuabile
e
se
la
rimozione
non
è
disposta
da
un'autorità
giudiziaria.
Questa
è
la
mia
proposta
di
soluzione,
non
è
detto
che
sia
l'unica
e
non
è
detto
che
sia
la
migliore:
1.
Gli
ISP
e
gli
UGC
non
hanno
alcun
obbligo
di
sorveglianza
sui
contenuti
immessi
in
Rete
attraverso
le
proprie
infrastrutture
ed
i
propri
servizi
né
alcuna
responsabilità;
2.
Nel
caso
in
cui
chi
vi
ha
interesse
o
la
pubblica
autorità
ritenga
la
diffusione
di
un
contenuto
illecita
o
lesiva
dei
propri
diritti
può
richiedere
all'ISP
o
all'UGC
di
fornirgli
ogni
dato
utile
all'identificazione
del
soggetto;
3.
Se
non
sono
in
grado
di
identificare
il
soggetto
in
questione
l'ISP
e
l'UGC
devono
provvedere
all'immediata
rimozione,
a
scopo
cautelare,
del
contenuto,
assumendosi,
in
caso
contrario,
ogni
responsabilità;
4.
il
segnalante
o
l'autorità
pubblica
indirizza
una
comunicazione
al
responsabile
della
pubblicazione
del
contenuto,
rappresentandogli
le
ragioni
per
le
quali
ritiene
che
il
contenuto
medesimo
debba
essere
rimosso
e
diffidandolo
a
provvedere
in
tal
senso;
5.
il
responsabile
della
pubblicazione
può
optare
per
la
rimozione
del
contenuto
‐
anche
senza
riconoscere
alcuna
responsabilità
‐
o,
piuttosto,
per
il
mantenimento
on‐line
del
contenuto
stesso.
6.
in
caso
di
mancata
rimozione,
sull'opportunità/necessità
di
procedere
in
tal
senso
si
pronuncia
l'autorità
Giudiziaria
ordinaria;
7.
all'esito
del
procedimento,
nel
caso
in
cui
la
pubblicazione
del
contenuto
venga
dichiarata
illecita,
il
provvedimento
viene
notificato
all'ISP
o
all'UGC
che
provvedono
all'immediata
rimozione.
Solo
così,
a
mio
avviso,
allontaneremo
per
sempre
dalla
Rete
lo
spettro
della
censura
e
riusciremo
ad
utilizzarne
appieno
le
enormi
potenzialità
di
mezzo
di
comunicazione
di
massa
aperto
alla
comunità
globale.
Cosa
ne
pensate?
"Il
dibattito
è
aperto",
come
il
mio
primo
Direttore,
oltre
15
anni
fa,
aveva
intitolato
una
mia
rubrica
di
politica
ed
attualità.
Bomba,
genocidio,
terrorista:
ed
adesso
censurami!
12
settembre
2007
130
http://www.guidoscorza.it/?p=157
Ho
appena
chiuso
un
pezzo
sulla
censura
che
uscirà
sul
prossimo
numero
di
Internet
Magazine
nel
quale,
traendo
spunto
da
alcuni
recenti
avvenimenti
della
Rete,
metto
in
guardia
dal
rischio
che
nuove
pericolose
forme
di
censura
si
diffondano
in
Internet
che
il
Commissario
Frattini
conferma
ed
anzi
rafforza
i
miei
peggiori
sospetti.
Secondo
il
nostro
Commissario
Europeo,
infatti,
bisognerebbe
elaborare
sistemi
informatici
di
filtraggio
‐
ma
è
censura
la
parola
più
esatta!
‐
capaci
di
bloccare
l'accesso
in
Rete
a
pagine
contenenti
espressioni
come
bomba,
genocidio,
strage
o
terrorismo…
L'idea
è
irrealizzabile
e
preoccupante
al
tempo
stesso.
Irrealizzabile
perché
ben
difficilmente
un
"filtro
informatico"
riuscirà
a
distinguere
quando
una
delle
predette
parole
è
utilizzata
in
un
contesto
"a
rischio"
o,
piuttosto,
semplicemente
al
fine
di
narrare
un
evento
storico
o,
piuttosto,
un
fatto
di
cronaca.
Preoccupante
perché
la
Rete,
in
questo
momento,
non
ha
davvero
bisogno
di
altre
stupide
forme
di
censura
che
privano,
in
modo
certi,
i
cittadini
di
una
delle
loro
libertà
fondamentali
a
fronte
di
un
incerto
beneficio
per
la
collettività.
Non
avrei
mai
pensato,
nel
2007,
di
sentire
ancora
un
Commissario
Europeo
parlare
di
censura!
La
Rete
clandestina…
1°
settembre
2008
http://www.guidoscorza.it/?p=331
Ho
approfittato
di
un
volo
aereo
di
qualche
ora
per
leggere
le
motivazioni
della
Sentenza
con
la
quale
il
Tribunale
di
Modica
ha
condannato
lo
Storico
Carlo
Ruta
per
stampa
clandestina54.
Il
testo
integrale
della
Sentenza:
TRIBUNALE
DI
MODICA
SENTENZA
REPUBBLICA
ITALIANA
IN
NOME
DEL
POPOLO
ITALIANO
Il
Giudice
penale
monocratico
dr.ssa
Patricia
Di
Marco,
alla
pubblica
udienza
dell’08.05.2008
ha
pronunziato
e
pubblicato
mediante
lettura
del
dispositivo
la
seguente:
SENTENZA
nei
confronti
di:
Ruta
Carlo,
nato
a
Ragusa
il
26.08.1953,
residente
in
XXXXXXXXXXXXXXX
n.
46
Libero
Assente
IMPUTATO
54
131
del
reato
p.
e
p.
dagli
artt.5
e
16
della
L.
08.02.1948
n.
47,
per
avere
intrapreso
la
pubblicazione
del
giornale
di
informazione
civile
denominato
“Accade
in
Sicilia”
e
diffuso
sul
sito
internet
www.accadeinsicilia.net
senza
che
fosse
stata
eseguita
la
registrazione
presso
la
cancelleria
del
Tribunale
di
Modica,
competente
per
territorio
per
avere
il
Ruta
comunicato
al
provider
Tiscali
il
proprio
indirizzo
di
posta
elettronica
in
Pozzallo
via
Ungaretti
n.46,
con
registrazione
avvenuta
in
data
16
dicembre
2003.
In
Pozzallo
il
16.12.2003
e
fino
al
07.12.2004.
Con
la
recidiva
di
cui
all’art.
99
C.P.
Con
l’intervento
del
Pubblico
Ministero
dr.ssa
V.
Di
Grandi
V.
Proc.
O.
del
difensore
dell’imputato,
Avv.
G.
Di
Pasquale
Le
parti
hanno
concluso
come
segue:
Il
Pubblico
Ministero
chiede
la
condanna
dell’imputato
alla
pena
di
€
250,00
di
multa.
Il
difensore
dell’imputato
chiede
l’assoluzione
perché
il
fatto
non
sussiste
o
per
non
averlo
l’imputato
commesso
ed
in
subordine,
ex
art.
530,
2°
co.
c.p.p..
MOTIVAZIONE
Ruta
Carlo
veniva
citato
a
giudizio
davanti
al
Tribunale
di
Modica
in
composizione
monocratica
con
decreto
emesso
il
31.05.2006
dal
Pubblico
Ministero
presso
questo
Tribunale
per
rispondere
del
reato
di
cui
agli
artt.
5
e
16
della
legge
n.
47
dell’8.02.
1948
meglio
specificato
in
rubrica.
All’udienza
dcl
25.09.2007,
alla
presenza
dell’imputato,
dopo
diversi
rinvii
dovuti
ad
impedimenti
del
difensore
di
fiducia
dell’imputato,
si
dava
inizio
all’istruzione
dibattimentale
mediante
l’esame
dei
testi
indicati
in
lista
dal
P.M..
Alla
stessa
udienza
l’imputato
rendeva
spontanee
dichiarazioni.
All’udienza
del
29.01.2008
il
Tribunale
disponeva
degli
ulteriori
accertamenti
mediante
la
Polizia
Postale
di
Catania
relativamente
alla
cadenza
con
cui
il
sito
veniva
aggiornato
e
con
cui
venivano
pubblicati
gli
articoli.
Indi
all’udienza
dell’8
maggio
2008,
dopo
avere
escusso
l’Assistente
della
Polizia
Postale
di
Catania
Vito
Latora,
esaurita
l’istruttoria
dibattimentale,
le
parti
formulavano
ed
illustravano
le
rispettive
conclusioni
come
da
verbale
in
atti.
All’odierno
imputato
è
stato
contestato
il
reato
di
cui
agli
artt.
5
e
16
della
L.
n.
47
dell’8.02.
1948
per
avere
intrapreso
la
pubblicazione
del
giornale
di
informazione
civile
denominato
“Accade
in
Sicilia”
e
diffuso,
con
registrazione
avvenuta
il
16.12.2003,
sul
sito
Internet
WWW.accadeinsicilia.net.
senza
che
fosse
stata
eseguita
la
registrazione
presso
la
cancelleria
del
Tribunale
di
Modica,
competente
per
territorio.
In
diritto
occorre
preliminarmente
osservare
che
l’art.
5
della
L.
n.
47/1948
stabilisce
che
nessun
giornale
o
periodico
può
essere
pubblicato
se
non
sia
stato
preventivamente
registrato
presso
la
cancelleria
del
tribunale,
nella
cui
circoscrizione
la
pubblicazione
deve
effettuarsi.
Il
successivo
art.
16
dello
stesso
testo
normativo
punisce
penalmente
chiunque
intraprenda
la
pubblicazione
di
un
giornale
ovvero
di
un
periodico,
senza
che
sia
stata
eseguita
la
suddetta
registrazione.
Va
chiarito
che
il
provvedimento
di
registrazione
consiste
in
un
mero
controllo
di
legittimità
della
regolarità
formale
dei
documenti
prodotti
e
della
rispondenza
del
loro
contenuto
alle
disposizioni
di
legge.
La
registrazione
di
un
periodico,
quindi,
non
costituisce
un
limite
preventivo
alla
libertà
di
stampa,
essendo
esclusa
nell’emissione
del
suddetto
provvedimento
ogni
valutazione
discrezionale
circa
l’opportunità
di
consentire
o
meno
la
pubblicazione.
La
finalità
della
registrazione
è
unicamente
quella
di
garantire
la
repressione
degli
abusi
e
di
individuare
i
soggetti
responsabili
di
eventuali
illeciti
commessi
a
mezzo
stampa.
Essa
rappresenta
soltanto
una
condizione
di
legittimità
della
pubblicazione,
la
cui
mancanza
dà
luogo
al
reato
di
stampa
clandestina.
132
D’altro
canto
anche
la
Corte
Costituzionale
con
sent.
N.
2
del
1971
ha
escluso
che
le
disposizioni
in
esame
compromettano
le
libertà
riconosciute
e
garantite
dall’art.
21
della
Cost.,
avendo
ivi
affermato
che
l’obbligo
della
registrazione
riguarda
esclusivamente
i
giornali
quotidiani
o
periodici,
sicché
non
pone
alcuno
ostacolo
a
che
un
soggetto
manifesti
il
proprio
pensiero
con
singoli
stampati
o
con
numeri
unici.
Peraltro
deve
precisarsi
che,
sulla
scorta
di
fondamentali
enunciati
del
Giudice
Costituzionale
(sent.
Cort.
Cost.
n.
826
del
14.07.1988),
la
nozione
di
libertà
di
manifestazione
del
pensiero
fa
oggi
riferimento
non
solo
alla
libertà
di
colui
che
intende
avvalersene
in
senso
attivo,
ma
anche
al
diritto
dei
destinatari
del
messaggio
comunicativo.
Pertanto,
al
fine
di
assicurare
un
equilibrio
tra
queste
due
posizioni,
entrambe
costituzionalmente
protette,
appare
legittimo
l’intervento
del
legislatore
volto
a
regolare
l’esercizio
dell’attività
d’informazione.
Ciò
posto,
occorre
rilevare
che,
sino
all’entrata
in
vigore
della
legge
n.
62
del
2001,
il
prevalente
orientamento
giurisprudenziale
aveva
adottato
un’interpretazione
restrittiva
dell’art.
1
della
L.
n.
47
del
1948,
ritenendo
che,
affinché
una
pubblicazione
potesse
essere
ricompresa
nella
nozione
di
prodotto
editoriale
di
cui
alla
citata
disposizione,
dovesse
necessariamente
sussistere
il
requisito
ontologico
della
riproduzione
del
giornale
su
supporto
cartaceo.
Secondo
tale
orientamento
veniva
esclusa
la
possibilità
di
estendere
ai
giornali
telematici
le
disposizioni
relative
alla
registrazione
previste
per
la
stampa
periodica.
Infatti
la
Legge
n.
47
del
1948
all’art.
1
statuiva
che,
ai
fini
della
suddetta
legge,
per
stampa
o
stampati
dovessero
considerarsi
tutte
le
riproduzioni
tipografiche
o
comunque
ottenute
con
mezzi
meccanici
o
fisico
chimici,
in
qualsiasi
modo
destinate
alla
pubblicazione
Solo
successivamente
con
la
legge
n.
62
del
2001
il
legislatore
ha
esteso
il
concetto
di
prodotto
editoriale,
ricomprendendo
in
esso
non
solo
il
prodotto
realizzato
su
supporto
cartaceo,
ma
anche
quello
realizzato
su
supporto
informatico
destinato
alla
pubblicazione
anche
con
mezzo
elettronico,
ed
ha,
conseguentemente,
esteso
l’applicazione
degli
artt.
2
e
5
della
L.
n.
47
del
1948
anche
ai
giornali
e
periodici
c.d.
telematici.
Ed
invero
la
nuova
legge
all’art.
1,
comma
1°,
statuisce
che
per
prodotto
editoriale,
ai
fini
della
presente
legge,
si
intende
il
prodotto
realizzato
su
supporto
cartaceo,
ivi
compreso
il
libro,
o
su
supporto
informatico,
destinato
alla
pubblicazione
o,
comunque,
alla
diffusione
di
informazioni
presso
il
pubblico
con
ogni
mezzo,
anche
elettronico,
o
attraverso
la
radiodiffusione
sonora
e
televisiva,
con
esclusione
dei
prodotti
disco
grafici
o
cinematografici”
e
stabilisce
al
successivo
comma
3°che
“al
prodotto
editoriale
si
applicano
le
disposizioni
di
cui
all’art.
2
della
legge
8
febbraio
1948
n.
47.
I1
prodotto
editoriale
diffuso
al
pubblico
con
periodicità
regolare
e
contraddistinto
da
una
testata,
costituente
elemento
identìficativo
del
prodotto,
è
sottoposto,
altresì,
agli
obblighi
previsti
dall’art.
5
della
medesima
legge
n.
47
del
1948”.
A
seguito
dell’entrata
in
vigore
della
suddetta
legge
si
sono
affermati
due
contrapposti
orientamenti
interpretativi
circa
l’ambito
di
applicazione
del
menzionato
testo
normativo.
Secondo
l’interpretazione
fornita
da
alcuni
autori
il
regime
prescritto
dall’art.
1
della
L.
n.
62/2001
troverebbe
applicazione
solo
per
coloro
i
quali
intendono
usufruire
delle
agevolazioni
previste
dalla
medesima
legge.
Diversamente
secondo
altra
parte
della
dottrina
e
secondo
la
giurisprudenza
di
merito
(Trib.
Milano,
Il
sez.
Civile,
10‐16
maggio
2006
n.
6127;
Tribunale
Salerno,
16.03.2001;
Tribunale
Latina,
7.06.2001)
la
norma,
che
accomuna
in
un
sistema
unitario
la
carta
stampata
e
i
nuovi
media,
ha
valore
generale,
così
da
poter
affermare
l’assoluta
equiparabilità
di
un
sito
internet
ad
una
pubblicazione
a
133
stampa,
anche
con
riferimento
ad
un
eventuale
sequestro
di
materiale
«incriminato».
Questo
giudicante
ritiene
di
aderire
al
secondo
orientamento
dianzi
illustrato
in
quanto
lo
stesso,
oltre
che
più
razionale
da
un
punto
di
vista
sistematico,
appare
peraltro
confermato
dal
fatto
che
il
titolo
della
legge
del
2001
reca
“Nuove
norme
sull’editoria
e
sui
prodotti
editoriali
e
modifiche
alla
legge
5
agosto
1981,
n.
416”,
il
che
lascia
intuire
che
l’intenzione
del
legislatore
non
fosse
solo
quella
di
dettare
regole
sulle
provvidenze,
ma
anche
di
introdurre
modifiche
attinenti
all’intero
settore
dell’editoria.
Pertanto
l’inciso
contenuto
nell’art.
1
della
legge
in
esame
“ai
fini
della
presente
legge”
avrebbe
valore
generale
e
non
limitato
all’erogazione
dei
contributi.
Orbene,
alla
luce
della
suddetta
normativa,
al
prodotto
editoriale,
per
come
definito
dal
comma
1
dell’art.
1
della
L.
n.
62/2001,
si
applicano
le
disposizioni
di
cui
all’art.
2
della
L.
n.
47/1948,
mentre
i
prodotti
editoriali
diffusi
al
pubblico
con
periodicità
regolare
e
contraddistinti
da
una
testata
sono
ulteriormente
sottoposti
agli
obblighi
previsti
dall’art.
5
della
medesima
legge
n.
47
del
1948.
In
sintesi
devono
essere
inscritte,
nell’apposito
registro
tenuto
dai
tribunali
civili,
le
testate
giornalistiche
on‐line
che
abbiano
le
stesse
caratteristiche
e
la
stessa
natura
di
quelle
scritte
o
radio‐televisive
e
che,
quindi,
abbiano
una
periodicità
regolare,
un
titolo
identificativo
(testata)
e
che
diffondano
presso
il
pubblico
informazioni
legate
all’attualità.
In
particolare,
le
testate
telematiche
da
registrare
e
perciò
sottoposte
ai
vincoli
rappresentati
dagli
articoli
n.
2,
3
e
5
della
L.
n.
47/1948
sulla
stampa
sono
quelle
pubblicate
con
periodicità
(quotidiana,
settimanale,
bisettimanale,
trisettimanale,
mensile,
bimestrale)
e
caratterizzate
dalla
raccolta,
dal
commento
e
dall’elaborazione
critica
di
notizie
destinate
a
formare
oggetto
di
comunicazione
interpersonale,
dalla
finalità
di
sollecitare
i
cittadini
a
prendere
conoscenza
e
coscienza
di
fatti
di
cronaca
e,
comunque,
di
tematiche
socialmente
meritevoli
di
essere
rese
note.
Ed
è,
altresì,
ovvio
che
il
richiamo
contenuto
nell’art.
1,
comma
3,
della
L.
n.
62/2001
agli
att.
2
e
5
della
L.
n.
47/1948
implica
automaticamente
il
richiamo
anche
all’art.
16
della
stessa
legge
e,
quindi,
alle
sanzioni
penali
prescritte
per
l’ipotesi
di
inottemperanza
alle
disposizioni
di
cui
agli
artt.
2
e
5.
Sicché
l’art.
16
della
legge
sulla
stampa
si
applica
anche
ai
giornali
telematici
non
già
in
via
analogica,
come
da
alcuni
sostenuto,
ma
perché
è
lo
stesso
legislatore
che
rinvia
a
detta
disposizione
nel
momento
in
cui
impone
alle
testate
periodiche
l’obbligo
della
registrazione.
D’altra
parte
diversamente
opinando
sarebbe
irragionevole
prevedere
ed
imporre
anche
ai
periodici
telematici
gli
stessi
obblighi
prescritti
per
la
stampa
ed
escludere
l’irrogazione
delle
sanzioni
penali
fissate
per
l’inosservanza
dei
suddetti
obblighi.
Detto
quadro
normativo,
per
quello
che
in
questa
sede
interessa,
non
è
stato
intaccato
dall’entrata
in
vigore
del
D.Lvo
n.
70
del
2003,
il
quale,
per
come
risulta
dalla
stessa
rubrica
del
decreto,
disciplina
esclusivamente
“i
servizi
della
società
dell’informazione
nel
mercato
interno,
con
particolare
riferimento
al
commercio
elettronico”.
Le
finalità
della
nuova
normativa
sono
rese
esplicite
dal
l°
comma
dell’art.
1
del
d.lgs.
n.
70/2003
e
consistono
nella
promozione
della
libera
circolazione
dei
servizi
della
società
dell’informazione
(SSI),
e
segnatamente
nell’attività
di
commercio
elettronico.
Tale
normativa,
da
un
punto
di
vista
oggettivo
e
per
come
stabilito
dall’art.
2
dello
stesso
decreto,
si
riferisce
a
“qualsiasi
servizio
della
società
dell’informazione,
vale
a
dire
qualsiasi
servizio
prestato
normalmente
dietro
retribuzione,
a
distanza,
per
via
elettronica
e
a
richiesta
individuale
di
un
destinatario
di
servizi”.
Sostanzialmente,
rientra
nell’ambito
regolato
dalla
nuova
disciplina
il
c.d.
commercio
elettronico,
inteso
quale
attività
di
contrattazione
telematica
e
relative
134
operazioni
propedeutiche,
oltre
che
qualsiasi
tipo
di
servizio,
che
comunque
costituisca
un’
attività
economica.
In
relazione,
poi,
all’ambito
soggettivo
di
applicazione,
tre
sono
le
definizioni
rilevanti.
Il
«prestatore»,
che
viene
definito,
sempre
dall’art.
2,
come
la
persona
fisica
o
giuridica
che
presta
un
servizio
per
la
società
dell’informazione
(SSI);
il
«destinatario
del
servizi»
quale
soggetto
che,
a
scopi
professionali
e
non,
utilizza
un
SSI,
in
particolare
per
ricercare
o
rendere
accessibili
informazioni;
il
«consumatore»
come
qualsiasi
persona
fisica
o
giuridica
che
agisca
con
finalità
non
riferibile
all’attività
commerciale,
imprenditoriale
o
professionale
eventualmente
svolta.
Deve
di
conseguenza
concludersi
che
il
decreto
legislativo
in
parola
regola
esclusivamente
l’attività
di
prestazione
di
servizi
di
informazione,
resa
dalle
società
di
informazione
e
da
coloro
che
prestano
servizi
per
le
suddette
società,
mentre
non
si
applica
al
singolo
che
svolge
l’attività
d’informazione
non
in
forma
commerciale
e,
quindi,
non
in
qualità
di
prestatore
di
servizi
nel
senso
dianzi
delineato.
A
tal
fine
va
anche
evidenziato
che
l’art.
1,
ultimo
periodo,
della
1.
n.
62/2001
risulta
immutato
e
non
è
stato
abrogato
dal
D.L.vo
n.
70/2003,
né
la
norma
contenuta
nel
comma
3°
dell’art.
7
può
essere
considerata
norma
di
interpretazione
autentica
del
citato
art.
1
della
1.
n.
62/2001,
essendo
il
decreto
legislativo
in
commento
applicativo,
nell’ambito
dell’ordinamento
interno,
di
una
direttiva
comunitaria,
la
quale,
al
momento
della
sua
emanazione,
non
poteva,
evidentemente,
avere
a
riferimento
la
legislazione
interna
preesistente.
L’orientamento
che,
al
momento
dell’entrata
in
vigore
della
1.n.
62/2001,
interpretava
restrittivamente
l’art.
i,
comma
3°ultimo
periodo,
della
1.
n.
62/2001,
affermando
come
in
realtà
tale
norma
sancisse
l’obbligo
di
registrazione
solo
per
le
testate
giornalistiche
on‐line
che
volessero
accedere
ai
finanziamenti
statali,
non
è,
dunque,
condivisibile
proprio
in
ragione
dell’emanazione
del
D.L.vo
n.
70/2003,
il
quale
ha
dovuto
introdurre,
successivamente
ed
all’uopo,
una
disposizione
ad
hoc,
che,
si
ribadisce,
non
è
di
interpretazione
autentica
e
che
esenta
dalla
registrazione
le
testate
editoriali
telematiche
riferibili
alle
società
di
servizi.
Non
può,
quindi,
sostenersi,
sic
et
simpliciter,
che
l’art.
7,
comma
3°,
D.L.vo
n.
70/2003
abbia
sostanzialmente
sancito
l’inoperatività
dell’art.
1,
comma
3°ultimo
periodo,
della
1.
n.
62/2001,
facendo
salva
solo
la
marginale
ipotesi
dell’accesso
al
finanziamento
pubblico.
Semmai
al
contrario,
avuto
riguardo
all’oggetto
della
disciplina
del
D.L.vo
n.
70/2003
ed
alla
portata
generale
dell’art.
1,
commi
1
e
3,
della
1.
n.
62/2001,
il
complesso
sistematico
delle
norme
impone
un’esegesi
delle
medesime
nel
senso
che
al
singolo
giornalista,
che
non
svolge
la
propria
attività
in
forma
economica
e
che
non
presta
servizi
in
favore
di
una
società
di
informazione,
non
può
applicarsi
la
disposizione
di
cui
all’art.
7,
comma
3,
del
D.
Lvo
n.
70/2003,
che
esonera
dalla
registrazione
le
testate
editoriali
telematiche
che
non
intendono
accedere
alle
provvidenze
di
cui
alla
legge
n.
62/2001,
perché
tale
disposizione
riguarda
solamente
il
c.d.
prestatore
di
servizi,
rimanendo
conseguentemente
il
singolo
giornalista
sottoposto
all’obbligo
di
cui
all’art.
1,
comma
3°
ultimo
periodo,
della
1.
n.
62/2001.
A
conferma
di
quanto
sopra
asserito
(in
operatività
del
comma
3°art.
1
L.
n.
62/2001)
va
ulteriormente
chiarito
che
la
registrazione
cui
fa
riferimento
l’art.
7,
comma
3,
del
D.
Lvo
n.
70/2003
non
può
che
essere
quella
da
effettuarsi
presso
il
Registro
Operatori
della
Comunicazione
(ROC),
istituito
con
la
L.
n.
249
del
1997
(art.
16
L.
n.
62/2001),
e
non
quella
da
effettuarsi
ai
sensi
dell’art.
5
della
L.
n.
47/1948
(art.
1,
comma
3,
L.
n.
62/2001),
essendo
la
prima
sostitutiva
della
seconda,
ai
sensi
dell’art.
16
della
L
n.
62/2001,
ed
essendo
tenute
le
società
dei
servizi
di
informazione,
cui
si
applica
il
D.
Lvo
n.
70/2003
e
fatta
salva
l’esenzione
di
cui
all’art.
7,
comma
3°,del
D.L.vo
n.
70/2003,
all’iscrizione
presso
il
suddetto
registro,
anche
in
funzione
sostitutiva
della
registrazione
prevista
dall’art.
5
della
1.
135
n.
47/1948,
quale
obbligo
connesso
al
singolo
servizio
ex
art.
7,
comma
1°,
del
D.L.vo
n.
70/2003
e
ai
sensi
del
combinato
disposto
dell’art.
16
della
1.
n.
62/2001
con
l’art.
1
comma
6
lett.
a)
numero
5)
della
L.
249/1997.
Le
stesse,
infatti,
rientrano
tra
i
soggetti
individuati
all’uopo
dalla
legge
del
1997
e
cioè
tra
“i
soggetti
destinatari
di
concessione
ovvero
di
autorizzazione
in
base
alla
vigente
normativa
da
parte
dell’Autorità
o
delle
amministrazioni
competenti,
le
imprese
concessionarie
di
pubblicità
da
trasmettere
mediante
impianti
radiofonici
o
tele
visivi
o
da
diffondere
su
giornali
quotidiani
o
periodici,
le
imprese
di
produzione
e
distribuzione
dei
programmi
radiofonici
e
tele
visivi,
nonché
le
imprese
editrici
di
giornali
quotidiani,
di
periodici
o
riviste
e
le
agenzie
di
stampa
di
carattere
nazionale,
nonché
le
imprese
fornitrici
di
servizi
telematici
e
di
telecomunicazioni
ivi
compresa
l’editoria
elettronica
e
digitale”.
In
conclusione,
alla
stregua
della
normativa
introdotta
con
il
D.L.vo
del
2003,
devono
inscriversi
nel
Roc
soltanto
i
soggetti
editori
che
pubblicano
una
o
più
testate
giornalistiche
diffuse
al
pubblico
con
regolare
periodicità
per
cui
è
previsto
il
conseguimento
di
ricavi
qualora
intendono
avvalersi
delle
provvidenze
previste
dalla
L.
n.
62
del
7.03.2001
o
che,
comunque,
ne
facciano
specifica
richiesta.
Tale
differenziazione
di
trattamento
per
le
società
di
servizi
di
informazione
e
per
il
prestatore
di
servizi
che
opera
in
favore
della
stessa,
i
quali
qualora
non
intendano
beneficiare
del
finanziamento
pubblico
sono
esonerati
dall’obbligo
di
iscrizione
al
Roc,
si
giustifica
in
considerazione
del
fatto
che
detti
enti
collettivi
sono
già
sottoposti
ad
una
normativa
che
consente
facilmente
di
individuarli
e,
dunque,
garantisce
la
trasparenza
ed
il
controllo
sullo
svolgimento
della
loro
attività
(vedi
appunto
D.
Lvo
n.
70/2003
e
segnatamente
lo
stesso
art.
7,
commi
i
e
2,
che
impone
al
prestatore
l’obbligo
di
fornire
una
serie
di
dettagliate
informazioni
circa
la
propria
attività).
Una
diversa
interpretazione
delle
disposizioni
in
commento,
a
parere
di
questo
Decidente,
sarebbe
suscettibile
di
irragionevolezza
ed
in
contrasto
con
il
principio
di
eguaglianza
sancito
dall’art.
3
della
Costituzione.
Difatti,
qualora
dovesse
ritenersi
che
la
disposizione
di
cui
all’art.
7
comma
3
del
D.Lvo
n.
70/2003
abbia
escluso
l’obbligo
della
registrazione
di
cui
all’art.
5
della
L.
n.
47/1948
per
tutti
coloro
i
quali
pubblicano
un
periodico
tramite
la
rete
Internet,
si
creerebbe
un’ingiustificata
disparità
di
trattamento
tra
i
giornalisti
della
carta
stampata,
i
quali
soli
sarebbero
costretti
a
rispettare
il
dettato
della
legge
del
1948
sulla
stampa,
ed
i
giornalisti
telematici
i
quali,
invece,
potrebbero
pubblicare
in
rete
senza
alcuna
limitazione
e
senza
alcuna
forma
di
controllo.
Si
aggiunga
che
proprio
la
pubblicazione
di
una
pagina
web
rappresenta
la
forma
più
efficace
e
potenzialmente
più
insidiosa
di
diffusione
di
una
notizia,
dato
o
informazione,
giacché
tale
“luogo”
virtuale
può
essere
visitato
non
solo
da
colui
che
è
specificamente
e
direttamente
interessato
a
conoscere
una
certa
notizia,
ma
può
essere
visitato
anche
da
soggetti
che,
inserendo
uno
o
più
termini
in
un
motore
di
ricerca,
vengono
indirizzati
al
sito
in
oggetto.
Al
riguardo
proprio
la
Suprema
Corte
in
una
recente
sentenza
ha
rilevato
come
nel
caso
in
cui
un
utente
di
Internet
“crei
o
utilizzi
uno
spazio
web,
la
comunicazione
deve
intendersi
effettuata
potenzialmente
erga
omnes
(sia
pure
nel
ristretto
‐ma
non
troppo
‐
ambito
di
tutti
coloro
che
abbiano
gli
strumenti,
la
capacità
tecnica
e,
nel
caso
di
siti
a
pagamento,
la
legittimazione
a
connettersi)”
(Cass.
pen.
27
dicembre
2000).
Tanto
premesso
in
diritto,
nel
caso
in
esame
risulta
acclarata
la
sussistenza
del
reato
contestato
all’odierno
imputato.
Dalla
documentazione
in
atti
emerge
inequivocabilmente
che
l’imputato
ha
pubblicato
sul
sito
internet
denominato
www.accadeinsicilia.net,
un
giornale
che
rientra
nel
paradigma
del
prodotto
editoriale
descritto
dall’art.
1,
comma
3,
L.
n.
62/2001.
136
In
primo
luogo
è
lo
stesso
imputato
che,
intitolando
il
proprio
prodotto
“Accade
in
Sicilia
giornale
di
informazione
civile”,
ha
definito
e
qualificato
il
proprio
prodotto
come
giornale
diretto
a
svolgere
attività
di
informazione
e,
dunque,
come
prodotto
editoriale.
Ad
ulteriore
conferma
che
quanto
pubblicato
dal
Ruta
sul
sito
in
parola
sia
un
prodotto
editoriale
proviene
dal
contenuto
degli
articoli
in
esso
pubblicati,
i
quali
hanno
ad
oggetto
fatti
di
cronaca
locale,
inchieste
giudiziarie,
testimonianze
dirette
e
fatti
storici
(vedi:
“omicidi
Tumino
e
Spampinato”;
“affare
acqua
e
mafia”;
8.08.2003
“emergenze
e
giustizia
il
questore
Casabona
viene
trasferito
da
Ragusa
“;
29.06.2003
“caso
Carbone‐Antonveneta.
Nell’est
siciliano
si
vilipende
la
legge
fino
alla
vergogna”;
15.04.003
“Operazione
privè
negli
iblei”).
In
secondo
luogo,
l’attività
istruttoria
ha
consentito
di
accertare
che
il
sito
internet
creato
dall’imputato
presentava
le
caratteristiche
di
un
periodico
per
la
sistematicità
con
cui
veniva
aggiornato
e
con
cui
venivano
pubblicati
gli
articoli.
Dalle
pagine
del
suddetto
giornale
rinvenute
dalla
Polizia
Postale
di
Catania
e
da
quelle
già
acquisite
al
fascicolo
per
il
dibattimento
si
evince
chiaramente
che
gli
articoli
venivano
pubblicati
con
cadenza
giornaliera,
dato
peraltro
confermato,
come
già
anticipato,
anche
dalla
denominazione
data
dallo
stesso
imputato
di
“Giornale”
che
letteralmente
significa
quotidiano
di
informazione”
(vedi
articoli
datati
27.11.2004,
25.11.2004,
15.11.2004,
17.11.2004,
10.11.2004,
6.11.2004,
3.11.2004,
1.11.2004,
30.10.2004,
28.10.2004,
14.10.2004,
13.10.2004).
In
conclusione,
il
prodotto
pubblicato
dal
Ruta
sul
sito
internet
denominato
WWW.accadeinsicilia.net
si
inquadra
esattamente
nell’ambito
del
prodotto
editoriale
di
cui
all’art.
1,
commi
1°
e
3°del
D.
lvo
n.
62/2001
per
la
cui
pubblicazione
era
necessaria
la
registrazione
presso
la
cancelleria
del
tribunale,
non
operando
nel
caso
di
specie
l’esenzione
di
cui
all’art.
7,
c.
3°,D.
Lvo
n.
70/2003
perché
l’imputato
non
ha
svolto
l’attività
d’informazione
per
cui
è
processo
in
forma
commerciale
o
comunque
economica,
né
ha
operato
quale
prestatore
di
servizi
per
le
società
di
servizi
d’informazione.
L’inottemperanza
al
predetto
obbligo,
in
applicazione
di
principi
di
diritto
sopra
enunciati,
integra
il
reato
di
cui
all’art.
16
della
L.n.
47/1948.
In
ultimo
va
chiarito
che
non
assume
rilevanza,
al
fine
di
escludere
la
penale
responsabilità
dell’imputato,
l’affermazione
resa
dallo
stesso
in
sede
di
spontanee
dichiarazioni,
secondo
cui
il
prodotto
dallo
stesso
pubblicato
non
fosse
un
quotidiano,
ma
semplicemente
un
“blog”
inteso
come
diario
di
informazione
civile.
Al
riguardo
giova
innanzitutto
evidenziare
che
il
“blog”
è
principalmente
uno
strumento
di
comunicazione
ove
chiunque
può
scrivere
ciò
che
vuole
e
come
tale
può
anche
essere
usato
per
pubblicare
un
giornale.
Infatti
un
“blog”
può
anche
essere
utilizzato
come
metodo
di
presentazione
di
un
giornale,
cioè
di
una
testata
registrata
con
una
sua
linea
editoriale,
per
coinvolgere
il
pubblico.
Pertanto
diverso
può
essere
l’uso
che
si
fa
del
blog
nel
senso
che
lo
si
può
utilizzare
semplicemente
come
strumento
di
comunicazione
ove
tutti
indistintamente
possono
esprimere
le
proprie
opinioni
sui
i
più
svariati
argomenti
ed
in
tal
caso
non
ricorre
certamente
l’obbligo
di
registrazione,
ovvero
come
strumento
tramite
il
quale
fare
informazione.
Nella
fattispecie
de
qua,
come
risulta
dalle
pagine
acquisite
agli
atti
e
come
ha
riferito
il
teste
La
Tora,
per
pubblicare
degli
articoli
sul
sito
creato
dal
Ruta
era
necessario
contattare
costui
e
sottoporre
alla
sua
preventiva
valutazione
l’articolo
che
si
intendeva
pubblicare.
Pertanto
appare
evidente
come
il
sito
in
questione
non
fosse
un
blog,
al
quale
chiunque
potesse
accedere
e
partecipare
al
dibattito,
ma
era
un
vero
e
proprio
giornale
dotato
di
una
testata
e
di
un
editore
responsabile.
137
Le
conclusioni
di
tale
decisione
erano
già
note
da
tempo
e
non
avevano
mancato
di
sollevare
molte
perplessità
anche
se,
probabilmente,
la
speranza
di
tutti
era
che
ci
si
sbagliasse.
Nessun
errore,
invece.
Lo
storico
siciliano
è
stato
condannato
in
quanto
secondo
i
giudici
avrebbe
dovuto
registrare
presso
il
competente
tribunale
la
testata
"Accade
in
Sicilia"
da
esso
edita
attraverso
il
proprio
blog
all'indirizzo
www.accadeinsicilia.net".
Si
sbaglierrebbe,
tuttavia,
ad
archiviare
semplicemente
la
questione
parlando
di
una
Sentenza
sbagliata
o
di
una
"cantonata
del
giudice".
Non
è
così:
il
Giudice
date
due
soluzioni
interpretative
lasciate
aperte
dalla
vigente
disciplina
sull'editoria
(quella
si
scritta
male
e
pensata
peggio,
da
bocciare
senza
prova
di
appello
come
ho
già
scritto)
ne
ha
scelta
una
incorrendo,
probabilmente,
in
qualche
leggerezza
sulla
quale
tornerò
nelle
prossime
ore.
Proprio
per
questo,
tuttavia,
la
situazione
è
più
grave
di
quanto
non
sarebbe
si
trattasse
"solo"
di
un
errore
giudiziario:
il
Caso
Ruta
ha
portato
alla
ribalta
un
rischio
che
è
noto
agli
addetti
ai
lavori
sin
dal
2001
ovvero
quello
che
‐
complice
la
brutta
nuova
legge
sull'editoria
(la
62/2001)
da
un
giorno
all'altro
l'intera
Rete
avrebbe
potuto
essere
ritenuta
clandestina…
I
principi
contenuti
nella
decisione
del
Tribunale
di
Modica,
infatti,
se
rigorosamente
interpretati
non
lasciano
spazio
A
suggello
e
conferma
di
quanto
sopra
va,
del
resto,
richiamato
che
lo
stesso
imputato
ha
definito
la
propria
pubblicazione
come
“Giornale
di
informazione
civile”.
L’imputato
va,
quindi,
condannato
in
ordine
al
reato
allo
stesso
contestato.
L’imputato
appare
meritevole
della
concessione
delle
attenuanti
generiche
attesa
la
sua
incensuratezza.
Così
affermata
la
penale
responsabilità
di
Ruta
Carlo
in
ordine
al
reato
ascrittogli,
avuto
riguardo
ai
criteri
indicati
dall’art.
133
c.p.,
riconosciute
le
attenuanti
generiche
per
l’incensuratezza
dell’imputato,
si
ritiene
equo
determinare
la
pena
in
€
150,00
di
multa
(pena
base
€
225,00
di
multa
ridotta
nella
misura
finale
ex
art.
62
bis
c.p.).
All’affermazione
di
responsabilità
dell’imputato
segue
ex
lege
la
condanna
al
pagamento
delle
spese
processuali.
Data
la
complessità
delle
questioni
trattate
è
stato
fissato
in
giorni
novanta
il
termine
per
il
deposito
della
motivazione.
P.Q.M.
Visti
gli
artt.
533
e
535
c.p.p.;
dichiara
Ruta
Carlo
colpevole
del
reato
allo
stesso
ascritto
e,
concesse
le
attenuanti
generiche,
lo
condanna
alla
pena
di
€
150
di
multa
oltre
al
pagamento
delle
spese
processuali;
visto
l’art.
544
c.p.p.;
fissa
per
il
deposito
della
motivazione
il
termine
di
giorni
novanta.
Modica
8.05.2008
IL
GIUDICE
Patricia
Di
Marco
138
alcuno
a
conclusioni
diverse:
ogni
sito
di
informazione
(cosa
non
è
informazione
nella
Società
dell'informazione?)
deve
essere
registrato
perché
il
suo
titolare
non
corra
il
rischio
di
incorrere
in
una
condanna
analoga
a
quella
inflitta
a
Carlo
Ruta.
Buon
rientro
dalle
vacanze,
dunque,
da
un
sito
clandestino!
Perché
quel
blogger
è
stato
condannato?
17
giugno
2008
Punto
Informatico
La
notizia
ormai
è
nota:
con
una
Sentenza
dei
giorni
scorsi
che,
tuttavia,
nessuno
sembra
aver
ancora
letto,
il
Tribunale
di
Modica
avrebbe
condannato
Carlo
Ruta
–
storico
e
blogger
siciliano
–
per
stampa
clandestina.
Se
la
notizia
fosse
confermata,
la
decisione
affermerebbe
un
principio
importante
che
va
ben
al
di
là
della
singola
vicenda
e
della
pur
grave
condanna
di
un
blogger:
quello
secondo
cui
anche
i
blog
vanno
registrati
presso
il
registro
della
Stampa
di
cui
alla
Legge
n.
47
del
1948
cui,
negli
ultimi
cinquant’anni,
è
rimasta
affidata
la
disciplina
della
materia
nonostante
gli
importanti
cambiamenti
intervenuti
nel
mondo
dell’informazione
e
della
comunicazione.
L’art.
16
della
citata
legge,
infatti,
stabilisce
a
chiare
lettere
che
“Chiunque
intraprenda
la
pubblicazione
di
un
giornale
o
altro
periodico
senza
che
sia
stata
eseguita
la
registrazione
prescritta
dall'art.
5,
è
punito
con
la
reclusione
fino
a
due
anni
o
con
la
multa
fino
a
lire
500.000”.
L’art.
5
della
stessa
Legge,
a
sua
volta,
prevede
che
“Nessun
giornale
o
periodico
può
essere
pubblicato
se
non
sia
stato
registrato
presso
la
cancelleria
del
tribunale,
nella
cui
circoscrizione
la
pubblicazione
deve
effettuarsi.”.
Il
blog
come
un
“giornale
o
periodico”
dunque?
La
questione
è
al
centro
di
un
dibattito
che
negli
ultimi
anni
si
è
riproposto
all’attenzione
degli
addetti
ai
lavori
con
periodicità
che
si
potrebbe
definire
regolare
se
non
si
corresse
–
così
facendo
‐
il
rischio
di
vedersi
contestare
il
reato
di
stampa
clandestina.
Andiamo
con
ordine
e
cerchiamo
di
capire
perché
un’ipotesi
quale
quella
dell’equiparazione
di
un
blog
ai
giornali
e
periodici
e
meno
peregrina
–
norme
di
legge
alla
mano
–
di
quanto
l’esperienza
suggerirebbe
a
ciascuno
di
noi.
Il
comma
3
dell’art.
1
della
bruttissima
nuova
legge
sull’editoria
(7
marzo
2001,
n.
62)
prevede
che
“Al
prodotto
editoriale
si
applicano
le
disposizioni
di
cui
all'articolo
2
della
139
legge
8
febbraio
1948,
n.
47”
e
che
“il
prodotto
editoriale
diffuso
al
pubblico
con
periodicità
regolare
e
contraddistinto
da
una
testata,
costituente
elemento
identificativo
del
prodotto,
è
sottoposto,
altresì,
agli
obblighi
previsti
dall'articolo
5
della
medesima
legge
n.
47
del
1948.”.
Il
primo
comma
della
stessa
Legge
contiene
una
definizione
di
prodotto
editoriale
omnicomprensiva
secondo
la
quale
“per
“prodotto
editoriale”,
ai
fini
della
presente
legge,
si
intende
il
prodotto
realizzato
su
supporto
cartaceo,
ivi
compreso
il
libro,
o
su
supporto
informatico,
destinato
alla
pubblicazione
o,
comunque,
alla
diffusione
di
informazioni
presso
il
pubblico
con
ogni
mezzo,
anche
elettronico,
o
attraverso
la
radiodiffusione
sonora
o
televisiva,
con
esclusione
dei
prodotti
discografici
o
cinematografici.”.
La
nuova
legge
sull’editoria,
dunque,
prevede
l’applicabilità
dell’art.
2
della
vecchia
legge
sulla
stampa
a
tutti
i
siti
internet
destinati
alla
diffusione
di
informazioni
e
l’applicabilità
altresì
dell’art.
5
della
stessa
legge
–
quello
appunto
recante
l’obbligo
di
registrazione
presso
i
tribunali
–
dei
soli
siti
internet
destinati
alla
diffusione
di
informazioni
contraddistinti
da
una
testata
e
diffusi
al
pubblico
con
periodicità
regolare.
Il
quadro
normativo
è
completato
dalla
disposizione
contenuta
al
comma
3
dell’art.
7
del
Decreto
Legislativo
n.
70
del
9
aprile
2003
attraverso
il
quale
è
stata
data
attuazione
alla
Direttiva
sul
commercio
elettronico.
Secondo
tale
disposizione
“la
registrazione
della
testata
editoriale
telematica
e'
obbligatoria
esclusivamente
per
le
attività
per
le
quali
i
prestatori
del
servizio
intendano
avvalersi
delle
provvidenze
previste
dalla
legge
7
marzo
2001,
n.
62”.
Si
tratta
di
una
disposizione
scritta
in
modo
ambiguo
e
poco
puntuale
perché
ha
per
oggetto
un’entità
–
la
“testata
telematica”
–
diversa
da
quella
oggetto
della
nuova
disciplina
sull’editoria
–
il
“prodotto
editoriale”
–
e
perché
fa
generico
riferimento
ad
una
“registrazione”
senza,
tuttavia,
chiarire
se
tale
registrazione
sia
quella
presso
i
Tribunali
o,
piuttosto,
quella
presso
il
ROC,
Registro
Unico
degli
Operatori
della
comunicazione.
La
differenza
non
è
di
poco
conto.
Se,
infatti,
la
registrazione
di
cui
all’art.
7
del
D.Lgs.
70/2003
è
quella
prevista
all’art.
5
della
Legge
sulla
Stampa
i
blogger
italiani
possono
dormire
sonni
tranquilli
e
sentirsi
liberi
–
anche
laddove
aggiornino
quotidianamente
i
propri
blog
–
di
decidere
se
iscrivere
o
meno
il
proprio
sito
presso
il
registro
della
Stampa
tenuto
presso
il
Tribunale.
Se,
invece,
il
riferimento
dovesse
intendersi
come
rivolto
al
ROC,
la
questione
sarebbe
diversa
e
gli
autori
di
blog
a
140
contenuto
informativo
che
postano
con
“periodicità
regolare”
si
ritroverebbero
soggetti
all’obbligo
di
iscrizione
di
cui
alla
Legge
sulla
Stampa
e,
qualora
non
vi
provvedano
esposti
al
rischio
di
sentirsi
contestare
il
reato
di
stampa
clandestina
per
quanto
assurdo
ciò
possa
sembrare.
Dura
lex
sed
lex
e,
per
quanto
sia
difficile
da
accettare,
l’attuale
contesto
normativo
–
caratterizzato
da
disposizioni
ambigue
e
confuse
varate
da
legislatori
che
hanno
sempre
manifestato
scarso
interesse
per
le
questioni
della
Rete
–
legittima
la
magistratura
a
pervenire
a
conclusioni
che,
inesorabilmente,
suonano
censorie
e
contrarie
all’esercizio,
in
Internet,
della
libertà
di
manifestazione
del
pensiero.
Ma
c’è
di
più.
Mentre,
infatti,
un
blogger
–
stante
la
possibile
equiparazione
del
suo
blog
a
giornali
e
periodici
–
rischia
di
vedersi
contestare
il
reato
di
stampa
clandestina,
esso
–
come
dimostra
un
altro
recente
episodio
di
mala
giustizia
(http://punto‐
informatico.it/2314627/PI/News/Sequestrato‐un‐altro‐blog‐
italiano/p.aspx)
–
non
può
poi
neppure
fare
affidamento
sulle
speciali
garanzie
che
nel
nostro
Paese
assistono
la
stampa:
prima
tra
tutte
l’insequestrabilità
–
se
non
in
casi
tassativamente
individuati
dalla
legge
–
degli
stampati.
A
ciò
si
aggiunga
che
il
blogger,
qualora
attraverso
i
suoi
post
diffami
qualcuno,
corre
il
rischio
di
vedersi
contestata
l’ipotesi
aggravata
del
reato
caratteristica
di
chi
esercita
professionalmente
l’attività
giornalistica.
Troppa
confusione
e
troppe
ambiguità:
occorrono,
con
urgenza,
leggi
nuove
che
riordinino
le
previsioni
di
quelle
vecchie
(e
meno
vecchie)
alla
luce
del
mutato
contesto
dell’informazione
in
Rete
senza
imbrigliare
chi
vuol
far
sentire
la
sua
voce
e,
ad
un
tempo,
garantendo
a
tutti
la
certezza
di
poter
chiedere
giustizia
nell’ipotesi
in
cui
altri
offendano
la
propria
immagine
o
reputazione.
E’
un
discorso
complesso
che
tocca,
tra
gli
altri,
il
tema
della
tradizionale
distinzione
tra
chi
fa
professionalmente
informazione
e
chi,
più
o
meno
assiduamente,
utilizza
le
nuove
risorse
telematiche
per
dire
la
sua.
Entrambe
le
categorie
di
soggetti
debbono
avere
eguali
responsabilità
ed
eguali
garanzie
o,
piuttosto,
come
accade
oggi,
è
giusto
continuare
a
far
pesare
maggiori
responsabilità
sui
professionisti
dell’informazione
garantendo,
tuttavia,
a
questi
ultimi
anche
maggiori
garanzie?
Blog
e
censura
preventiva:
una
brutta
storia.
10
giugno
2008
141
http://www.guidoscorza.it/?p=311
Leggo
sulle
pagine
di
Punto
Informatico
l'ennesima
brutta
storia
di
netcensura:
un
blogger
critica
(non
so
se
a
torto
o
a
ragione)
le
capacità
politiche
di
un
Consigliere
Comunale
e
quest'ultimo,
per
tutta
risposta,
lo
querela
per
diffamazione
chiedendo
ed
ottenendo
il
sequestro
preventivo
dell'intero
blog
e
non
del
solo
post
incriminato55.
Non
conosco
la
vicenda,
non
ho
avuto
modo
di
leggere
il
post
incriminato,
non
so
dire
se
ed
in
che
misura
il
suo
contenuto
fosse
diffamatorio
e,
francamente,
non
mi
interessa…
Il
punto
è
un
altro:
sequestrare
un
blog
per
oscurare
un
post
è
esattamente
come
chiudere
una
televisione
per
un
servizio
asseritamente
diffamatorio
mandato
in
onda
nel
corso
di
un
TG.
Quello
in
atto
è
un
autentico
attentato
alla
libertà
di
manifestazione
del
pensiero:
anche
l'autore
di
un
reato
di
diffamazione
‐
ammesso
anche
che
il
reato
venga
mai
accertato
‐
ha
il
diritto
di
continuare
a
dire
la
sua
ed
esprimere
il
proprio
pensiero
senza
limitazioni
o
censure
diverse
da
quelle
dettate
dalle
regole
vigenti.
Cosa
fare
per
fare
per
reagire
dinanzi
ad
una
delle
più
gravi
forme
di
attentato
alle
libertà
civili
del
popolo
della
Rete?
Agire
con
l'unica
arma
che
in
certi
ambienti,
sfortunatamente,
incute
timore:
il
risarcimento
dei
danni
contro
chiunque
abbia
illegittimamente
‐
per
incompetenza
o
ignoranza
delle
dinamiche
della
Rete
‐
privato
un
libero
cittadino
della
più
sacra
tra
le
sue
libertà:
quella
di
manifestazione
del
pensiero.
Chissà
che
qualcuno
non
si
senta
diffamato
da
questo
post
e…non
decida
di
sequestrarlo
preventivamente
dandomi
così
l'occasione
di
passare
dalle
parole
ai
fatti…;)
Non
è
l’anonimato
la
soluzione
alla
web­censura.
17
marzo
2007
http://www.guidoscorza.it/?p=52
Un
articolo
pubblicato
in
questi
giorni
su
Repubblica
riferisce
di
uno
studio
svolto
dalla
Open
Net
iniziative
secondo
il
quale
oltre
due
dozzine
di
Paesi
al
mondo
utilizzerebbero
forme
di
Il
testo
dell’articolo
che
si
riferisce
al
sequestro
preventivo
del
blog
di
Antonino
Monteleone
(http://www.antoninomonteleone.it/)
è
pubblicato
a
questa
URL:
http://punto‐informatico.it/2314627/PI/News/sequestrato‐un‐altro‐blog‐
italiano.aspx
55
142
censura
più
o
meno
trasparenti,
precludendo
ai
propri
cittadini
di
accedere
a
talune
risorse
telematiche
(youtube,
wikipedia
ecc.)56.
Secondo
quanto
emerso
dal
medesimo
studio,
tuttavia,
il
popolo
della
Rete
reagirebbe
alla
censura
cercando
di
eluderla
attraverso
sistemi
che
aggirano
i
filtri
all'accesso
e
rendono
anonimi
gli
utenti.
Credo
si
sia
tutti
d'accordo
che
la
censura
alle
idee
ed
alle
informazioni
che
circolano
in
rete
è
il
più
grave
attentato
alle
libertà
fondamentali
dei
cittadini
che
un
Paese
possa
porre
in
essere
e
che
tale
condotta
andrebbe
condannata
dalla
comunità
internazionale
con
sanzioni
gravi
e
convincenti.
Non
credo,
tuttavia,
che
rendersi
anonimi
e
girare
attorno
all'ostacolo
sia
la
soluzione
per
liberare
la
Rete
dallo
spettro
della
censura.
L'anonimato
non
è
mail
l'affermazione
di
un
diritto
né
una
forma
di
esercizio
di
una
libertà…essere
anonimi,
nel
web
come
nel
mondo
reale,
significa
non
esistere
e
chi
non
esiste
non
è
titolare
di
alcun
diritto.
Il
primo
passo
contro
la
censura…è
presentarsi,
in
massa,
con
il
proprio
nome
e
cognome
alle
porte
della
Rete,
farsi
riconoscere
e
chiedere
di
entrare,
pronti,
ovviamente,
ad
assumersi
le
proprie
responsabilità.
PDL
Levi:
attenti
alla
trappola
della
demagogia…
16
novembre
2008
http://www.guidoscorza.it/?p=384
Sto
leggendo
da
più
parti
commenti
catastrofici
sul
disegno
di
legge
(RI)presentato
dall'On.
Levi57.
Grillo
grida
allo
scandalo
e
prevede
la
fine
della
Rete
se
il
disegno
di
legge
dovesse
essere
approvato.
Non
sono
d'accordo
salvo
che
non
si
voglia
affrontare
la
questione
in
maniera
demagogica
e
tirare
giù
dalla
soffitta
il
vecchio
discorso
secondo
il
quale
la
Rete
costituisce
un
universo
parallelo
a
quello
reale
che
ben
può
vivere
e
crescere
nell'anarchia.
Ho
letto
e
riletto
il
disegno
di
legge
e
lo
trovo
orribile:
è
scritto
male
e
propone
una
riforma
della
disciplina
dell'editoria
fondata
su
concetti
e
principi
più
vecchi
ed
anacronistici
di
quelli
Il
testo
dell’articolo
è
pubblicato
a
questa
URL:
http://www.repubblica.it/2007/03/sezioni/scienza_e_tecnologia/liberta‐
web/liberta‐web/liberta‐web.html
57
Il
testo
integrale
del
disegno
di
legge
presentato
dall’On.
Levi
è
pubblicato
a
questa
URL:
http://www.camera.it/_dati/leg16/lavori/schedela/apriTelecomando_wai.asp?cod
ice=16PDL0014370
56
143
sui
quali
riposano
le
attuali
confuse
ed
ambigue
disposizioni
di
legge.
Ci
sono
previsioni
in
materia
di
diritto
d'autore
(che
ci
fanno
li
dentro?)
che
forse
sono
state
dettate
all'On.
Levi
da
qualche
suo
avo
che
non
è
mai
entrato
in
Rete:
Art.
4.
(Rassegne
stampa).
1.
I
soggetti
che
attraverso
la
sola
riproduzione
di
articoli
quotidiani
o
periodici
realizzano
rassegne
stampa,
ivi
comprese
quelle
ad
uso
interno,
sono
tenuti
a
riconoscere
i
diritti
degli
autori
degli
articoli
riprodotti
e
degli
editori
delle
testate
da
cui
gli
articoli
sono
tratti.
ma…le
ragioni
per
le
quali
si
grida
allo
scandalo
proprio
non
le
capisco.
Ho
provato
a
spiegare
qui,
in
estrema
sintesi,
il
mio
punto
di
vista.
Il
punto
è
questo:
blog
come
questo
non
saranno
soggetti
in
nessun
caso
all'obbligo
di
registrazione
mentre
blog
come
quello
che
tengo
in
collaborazione
con
un
soggetto
che
svolge
imprenditorialmente
attività
editoriale
si.
Forse
anche
il
blog
di
BeppeGrillo
sarà
soggetto
a
registrazione
e
con
lui
quello
di
Antonio
Di
Pietro
ma,
francamente,
non
ci
vedo
niente
di
strano.
Onori
ed
oneri…direi.
Facciamo
attenzione
alla
demagogia.
Il
popolo
della
Rete
per
essere
credibile
deve
usare
le
risorse
di
Internet
in
modo
intelligente,
per
conoscere,
capire,
confrontarsi
ed
assumere
posizioni
consapevoli.
Siamo
tanti
ed
in
tanti
(forse
troppi)
ambiscono
a
guidarci.
Non
salvate
questo
blog!
25
novembre
2008
http://www.guidoscorza.it/?p=388
Era
da
qualche
giorno
che
avrei
voluto
affrontare
l'argomento
ma
non
sono,
fin
qui,
riuscito
a
trovare
il
tempo
di
leggere
la
valanga
di
bit
che
hanno
accompagnato
il
ritiro
del
DDL
Levi
e
la
presentazione
della
Proposta
di
Legge
Cassinelli
subito
battezzata
dallo
stesso
autore
‐
con
operazione
che
si
fa
fatica
a
non
trovare
"politica"
nel
senso
deteriore
del
termine
‐
"salva
blog".
Il
titolo
di
questo
post
riassume
il
mio
pensiero:
se
questo
blog
deve
essere
salvato
da
una
proposta
di
legge
come
quella…per
favore
LASCIATELO
MORIRE…tanto
morirebbe
comunque!
Inutile
girarci
attorno:
la
proposta
non
mi
piace,
è
scritta
male,
pensata
peggio
e
presentata
al
popolo
della
Rete
con
una
144
demagogia
seconda
solo
a
quella
con
la
quale
Beppe
Grillo
difende
se
stesso
fingendo
di
difendere
la
Rete…
Tornerò
su
questi
argomenti
appena
possibile
con
un
articolo
che
spero
di
trovare
il
tempo
di
scrivere
per
Punto
informatico.
Qui
appunto
alcune
suggestioni:
1.
Quando
ho
letto
il
titolo
dell'articolo
di
Punto
sull'idea
di
Cassinelli
di
far
emendare
on‐line
la
propria
proposta
di
legge
ho
gioito.
Poi
sono
andato
a
vedere
di
che
si
trattava
e
mi
sono
incazz…
L'emendabilità
on‐line
proposta
dall'On.
Cassinelli
si
esaurisce
in
un
indirizzo
e‐mail
al
quale
inviare
suggerimenti!
Stiamo
scherzando
o
provando
a
prendere
in
giro
la
Rete?
Il
popolo
della
Rete
non
ha
biosgno
di
un
invito
per
mandare
una
mail
ad
un
Onorevole
all'indirizzo
di
posta
elettronica
che
gli
paghiamo
assieme
ad
un
PC
ed
ad
ogni
genere
di
risorse
di
connettività
e
comunicazione.
Mai
sentito
parlare
di
piattaforme
WIKI?
Forse
usarne
una
come
tante
volte
si
è
già
fatto
attaccando
meno
manifesti
sulle
pareti
della
Rete
sarebbe
stato
apprezzabile.
2.
Chiunque
abbia
scritto
la
proposta
di
legge
ignora
le
più
elementari
regole
di
tecnica
della
normazione.
Come
si
fa
a
dedicare
un
intero
comma
ad
elencare
i
presupposti
in
presenza
dei
quali
un
prodotto
editoriale
on‐line
deve
essere
registrato
ed
il
comma
successivo
ad
elencare
quelli
in
presenza
dei
quali
quello
stesso
prodotto
NON
deve
essere
registrato.
O
i
presupposti
di
cui
al
primo
comma
sussistono
o,
se
non
sussistono,
va
da
se,
che
la
registrazione
non
è
necessaria.
Ogni
altra
previsione
produce
solo
inutili
elementi
di
ambiguità.
3.
Veniamo
al
contenuto.
Mi
sembra
assurdo
che
nel
2008
possa
ancora
discutersi
di
editoria
cartacea
ed
editoria
on‐line
e
prevedere
per
le
due
pretese
forme
di
editoria
regole
diverse.
Significa
non
aver
compreso
il
senso
del
cambiamento.
Non
si
salvano
i
blog
dettando
delle
regole
speciali
per
essi
ma,
più
semplicemente,
prendendo
atto
che
dal
1948
ad
oggi
il
mondo
dell'informazione
è
stato
rivoluzionato
e
che
occorre,
con
urgenza,
mettere
mano
prima
alla
legge
sulla
stampa
e
poi
alla
disciplina
sull'editoria
per
adeguarle
ai
tempi
senza,
peraltro,
pretendere
di
distinguere
a
seconda
l'attività
informativa
e/o
editoriale
venga
realizzata
con
un
mezzo
o
con
un
altro.
Internet
è
libera!
1°
dicembre
2008
Punto
Informatico
Ho
dedicato
le
ultime
ore
alla
lettura
dei
verbali
del
dibattito
svoltosi
in
seno
all’Assemblea
Costituente
tra
il
12
ed
il
145
19
gennaio
del
1948
e
delle
relazioni
al
disegno
di
legge
sulla
stampa
presentato
dal
Governo,
all’epoca
presieduto
dall’On.
De
Gasperi
e
poi
modificato
dalla
Commissione
per
la
Costituzione
dell’Assemblea
Costituente.
Quell’attività
condusse
poi
all’approvazione
della
disciplina
sulla
stampa
tuttora
in
vigore.
Sono
documenti
che
temo
conoscano
pochi
di
coloro
che
–
fuori
e
dentro
il
Parlamento
–
oggi
animano
il
dibattito
sull’opportunità
e
le
forme
di
un
intervento
normativo
che
valga
ad
“ammazzare”
i
blog
o
piuttosto
a
“salvarli”.
E’
un
errore
perché
significa
pretendere
di
capire
il
presente
e
disciplinare
il
futuro
ignorando
il
passato
e
rinunciando,
quindi,
ai
preziosi
suggerimenti
della
storia
e
di
quell’emozionante
esperienza
politica
che
fu
l’assemblea
costituente.
Solo
l’ignoranza
delle
ragioni
che
indussero
la
stessa
Assemblea
Costituente
a
disciplinare
–
prima
ed
in
luogo
di
altre
–
la
materia
della
stampa
in
uno
con
una
diffusa
tendenza
alla
demagogia
ed
all’assunzione
di
posizioni
ideologiche
precostituite,
giustificano,
infatti,
la
povertà
dei
temi
e
delle
questioni
poste
al
centro
del
dibattito
che
si
sta
svolgendo
nelle
ultime
settimane
attorno
al
tema
della
nuova
disciplina
sui
prodotti
editoriali
on‐
line.
Al
centro
di
tale
dibattito
–
si
potrebbe
definire
sua
protagonista
esclusiva
–
vi
è
ormai
da
mesi
la
questione
dell’opportunità
o
meno
di
prevedere
un
obbligo
di
registrazione
dei
blog
presso
il
ROC,
il
Registro
degli
operatori
della
comunicazione.
In
tale
contesto,
ogni
disposizione
di
legge
che
sembri
introdurre
tale
obbligo
viene
immediatamente
additata
come
liberticida
e
respinta
dal
popolo
della
Rete
mentre
ogni
previsione
di
segno
diverso
–
o
almeno
apparentemente
di
segno
diverso
–
viene
applaudita
e
battezzata
‐
o
“auto
battezzata”
‐
addirittura
“salva
blog”.
L’equazione
secondo
la
quale
l’obbligo
di
registrazione
di
taluni
prodotti
editoriali
telematici
costituirebbe
una
gravissima
limitazione
della
libertà
di
manifestazione
del
pensiero
on‐line,
francamente,
non
mi
convince
affatto.
Il
primo
comma
dell’art.
1
della
Legge
sulla
Stampa
–
ripristinando
un
principio
sancito
oltre
un
secolo
prima
con
lo
Statuto
Albertino
–
stabilisce
che
“La
Stampa
è
libera”.
La
Relazione
della
Commissione
dell’Assemblea
Costituente
sul
disegno
di
legge
in
materia
di
stampa,
si
apre,
d’altra
parte,
proprio
chiarendo
che
tale
disegno
“è
inteso
a
ridare
finalmente
la
libertà
alla
stampa
italiana,
in
obbedienza
al
146
principio
che
è
stato
solennemente
affermato
dall’Assemblea
costituente
nell’art.
16
del
progetto
di
costituzione
(n.d.r.
poi
divenuto
l’art.
21)…dopo
(che
nella)
parentesi
fascista
e
dopo
il
crollo
del
regime,
nel
periodo
armistiziale
il
decreto
legislativo
14
gennaio
1944
n.
13,
più
volte
prorogato
e
ancora
vigente,
stabilì
il
sistema
della
autorizzazione
del
Prefetto
per
la
pubblicazione
di
giornali
od
altri
scritti
periodici
in
cui
vengano
riportate
notizie
od
opinioni
politiche”.
Lo
scopo
perseguito
con
la
legge
sulla
stampa
era,
dunque,
quello
di
dare
concreta
attuazione
alla
libertà
di
manifestazione
del
pensiero
eppure
nessuno
dei
membri
dell’apposita
sottocommissione
dell’assemblea
costituente
ritenne
che
inserire
in
tale
legge
un
obbligo
di
registrazione
avrebbe
finito
con
il
restringere
anziché
rafforzare
tale
libertà.
A
proposito
dell’obbligo
di
registrazione
delle
testate
presso
i
Tribunali,
infatti,
si
legge
nella
stessa
relazione
di
accompagnamento
al
disegno
di
legge
che
quest’ultimo
avrebbe
previsto
“una
forma
di
registrazione
che
non
ha
carattere
limitativo
e
non
presenta
pericolo
di
ingerenza
da
parte
del
potere
esecutivo
nel
permettere
o
negare
la
pubblicazione
di
giornali
o
periodici”
e
ancora
“si
è
detto
–
e
l’espressione
è
in
sostanza
felice
–
che
si
tratta
qui
di
un’anagrafe
della
stampa
periodica
che
può
essere
opportuna
e
anzi
necessaria
sotto
molti
aspetti,
senza
che
per
questo
venga
ad
incidere
sul
libero
esercizio
della
funzione
giornalistica.”.
La
relazione
prosegue
poi
chiarendo
che
“Questo
“stato
civile”
della
stampa
regola
l’atto
di
nascita,
il
mutamento
di
stato,
la
cessazione
del
giornale,
non
altro”.
Interessante
è
leggere
alcuni
ulteriori
riferimenti
contenuti
nella
Relazione
di
accompagnamento
dell’originario
disegno
di
legge
presentato
dal
Governo
De
Gasperi
all’Assemblea
Costituente
laddove
si
riferisce
che
“scopo
di
un
ordinamento
della
stampa,
in
regime
democratico,
non
può
essere
che
l’equilibrio
tra
l’esigenza
della
libertà
e
quella,
non
meno
inderogabile,
di
reprimere
gli
abusi”
e
si
aggiunge,
quindi,
che
“nell’ordine
giuridico,
come
nell’ordine
morale,
non
può
esistere
libertà
senza
responsabilità,
ed
è
questo
principio
che
costituisce
la
base
degli
ordinamenti
più
progrediti
di
paesi
nei
quali
la
libertà
di
stampa,
trovò
la
più
costante
e
sicura
attuazione”.
Nelle
centinaia
di
pagine
di
verbali
delle
sedute
dell’Assemblea
Costituente
nelle
quali
per
sette
giorni
si
svolse
un
acceso
dibattito
sul
disegno
di
legge
in
materia
di
Stampa,
vi
sono
solo
pochi
accenni
al
tema
della
registrazione
delle
testate
mentre
vi
sono
stimolanti
ed
accese
discussioni
in
merito
all’idoneità
del
disegno
di
legge
che
ci
si
accingeva
a
varare
ad
affrontare
nel
147
migliore
dei
modi
il
tema
del
“diritto
al
sapere”
dei
cittadini,
quello
dell’indipendenza
dei
mezzi
di
informazione
dal
potere
politico,
quello
del
finanziamento
delle
più
piccole
realtà
editoriali
e
quello,
più
generale,
dell’esigenza
di
garantire
che
né
il
potere
politico
né
quello
economico
influenzassero
la
libertà
del
giornalista
e
del
cittadino,
rispettivamente,
di
scrivere
e
leggere
ciò
che
effettivamente
accadeva
nel
mondo
e
non
già
ciò
che
altri
avrebbero
voluto
imporre
di
scrivere
e
leggere.
Sfogliare
quei
documenti
fa
apparire
incredibilmente
sterile
e
privo
di
una
reale
utilità
il
dibattito
delle
ultime
settimane
in
relazione
all’opportunità
di
imporre
o
meno
a
chi
realizzi
un
prodotto
editoriale
on‐line
di
registrarsi
presso
il
ROC.
Il
punto
non
è
questo.
La
Rete
è
cresciuta
ed
i
blog
ed
i
siti
di
informazione
rappresentano,
oggi,
in
tutto
il
mondo
il
principale
strumento
di
esercizio
della
libertà
di
manifestazione
del
proprio
pensiero
nella
sua
duplice
accezione:
libertà
di
informare
e
libertà
di
essere
informati
o,
come
si
diceva,
nel
corso
dei
lavori
dell’assemblea
costituente
“diritto
al
sapere”.
Si
tratta,
tuttavia,
di
uno
scenario
che
va
difeso
dalle
ingerenze
e
dall’evidente
irresistibile
tentazione
che
i
poteri
politici
ed
economici
di
sempre,
hanno
–
e
non
esitano
a
manifestare
–
di
controllare
la
Rete
e
mettere
un
bavaglio
a
quanti
la
utilizzano
per
informare
ed
informarsi
fuori
dal
coro.
Sequestri
di
blog,
procedimenti
per
diffamazione
a
mezzo
internet
e
condanne
per
stampa
clandestina
in
un
contesto
normativo
grigio
e
nebuloso
hanno,
infatti,
sfortunatamente
segnato
la
storia
moderna
dell’informazione
on‐line.
Non
serve,
dunque,
perder
tempo
a
ragionare
sull’opportunità
o
meno
della
registrazione
ma,
piuttosto,
esigere
per
ogni
strumento
di
informazione
on‐line
garanzie
e
mezzi
di
sostentamento
analoghi
a
quelli
che
l’Assemblea
costituente
si
preoccupò
di
garantire
alla
Stampa.
L’insequestrabilità
di
ogni
prodotto
editoriale
telematico,
l’accessibilità
da
parte
di
chiunque
voglia
intraprendere
un’attività
di
informazione
on‐line
a
risorse
economiche
ed
informatiche
sufficienti
a
consentirgli
di
realizzare
il
proprio
intendimento
ed
il
diritto
di
ogni
cittadino
italiano
di
ottenere
–
oggi
e
non
nel
domani
promesso
dalle
grandi
compagnie
di
TLC
–
a
casa
propria
l’accesso
all’infrastruttura
di
Rete
necessaria
ad
esercitare
il
proprio
“diritto
di
sapere”
senza
essere
penalizzato
dal
fatto
di
vivere
in
un’area
in
cui
portare
la
banda
larga
è
“anti‐economico”.
E’
di
questo
che
mi
piacerebbe
si
parlasse
nel
dibattito
di
questi
giorni
sulla
disciplina
dell’informazione
on‐line.
148
Il
problema
della
registrazione
è
un
falso
problema
che
non
risolve
le
preoccupazioni
che
quanti
hanno
a
cuore
la
sorte
dell’informazione
on‐line
dovrebbero
nutrire
e
che,
d’altra
parte,
si
risolve
con
una
norma
più
equilibrata
di
quelle
che
si
sono
sin
qui
proposte
presi
dalla
foga
del
momento:
basterebbe
una
norma
che
chiarisca
che
alla
registrazione
si
possa
procedere
on‐line
ed
in
pochi
click
nello
stesso
momento
in
cui
si
apre
il
proprio
blog,
che
la
registrazione
è
completamente
gratuita
(niente
marche
né
balzelli),
che
non
vi
sono
requisiti
né
limiti
di
sorta
per
ottenerla
e
che
l’AGCOM
potrà
comunicare
i
dati
acquisiti
a
seguito
della
registrazione
esclusivamente
all’Autorità
giudiziaria
nell’ambito
di
un
procedimento
avente
ad
oggetto
l’eventuale
responsabilità
penale
per
il
reato
di
diffamazione
del
titolare
del
blog
o
del
sito
internet
di
informazione.
Comprendo
perfettamente
la
posizione
di
chi
ritiene
che
la
Rete
debba
essere
libera
ma,
come
insegnano
i
padri
della
Costituzione,
non
c’è
libertà
senza
responsabilità
ed
è
sacrosanto
che
chi
esercitando
una
propria
libertà
ne
abusi
in
danno
altrui
si
faccia
carico
dell’eventuale
responsabilità
da
accertarsi,
peraltro,
nell’ambito
di
un
processo
che
la
stessa
carta
costituzionale
vorrebbe
fosse
sempre
giusto
ed
equo.
Internet
è
libera!
Difendiamola
senza
perderci
in
chiacchiere
né
lasciarci
strumentalizzare
da
chi
ama
la
demagogia
o
il
proprio
interesse
più
della
Rete.
149
5.
L’anonimato
in
Internet.
Mr.
Nobody
non
ha
diritti!
Uno,
nessuno,
centomila:
l’enigma
dell’anonimato
in
Rete.
1°
dicembre
2005
Telejus
1.
Quali
siano
le
origini
di
Internet
è
un
dato
che
appartiene
ormai
al
bagaglio
culturale
di
ciascuno
di
noi
così
come
alla
nostra
esperienza
quotidiana
appartiene
la
consapevolezza
di
quali
dimensioni
e
quale
portata
il
fenomeno
abbia
assunto
nell’ultimo
decennio.
La
Rete
delle
reti
nata
da
un
progetto
militare
statunitense
sotto
il
nome
di
ARPANET
si
è
rapidamente
lasciata
alle
spalle
le
sue
origini
ed
ha
altrettanto
velocemente
travalicato
limiti
e
confini
connaturati
a
dette
origini
divenendo,
probabilmente,
uno
dei
fenomeni
destinati
a
caratterizzare
più
incisivamente
il
XXI
secolo.
Internet
“travalica
i
confini
degli
stati
nazionali,
supera
le
barriere
doganali,
elimina
le
differenze
culturali
tra
i
popoli,
svolge
un
compito
importantissimo
per
il
destino
dell’umanità
giacché
essa
realizza
un
rapporto
sul
piano
mondiale
tra
gli
uomini
di
ogni
specie,
crea
o
certifica
l’esistenza
di
un
senso
comune
dell’umanità,
per
cui
ogni
uomo
può
riconoscersi
in
un
altro
uomo”
scriveva
Vittorio
Frosini
in
uno
dei
suoi
ultimi
lavori
sull’argomento
sottolineando
la
natura
metapolitica
del
fenomeno
ed
aggiungendo
poi
come
tali
notazioni
evidenziassero
“dei
caratteri
dell’Internet
che
sconvolgono
alcune
vedute
dottrinarie
tradizionali
anche
se
ne
confermano
delle
altre
giacché
l’Internet
ha
creato
l’immagine
di
un
libero
mercato
senza
confini
quale
le
più
ardite
teorie
economiche
non
configuravano
che
come
ipotesi
di
scuola.
Essa
ha
insieme
realizzato
una
forma
di
società
anarchica
consistente
in
rapporti
tra
i
singoli
individui
in
piena
libertà”.
E’
chiaro
che
il
fenomeno
Internet
ha
profondamente
trasformato
le
nostre
abitudini
di
vita
e
di
lavoro
apportando
enormi
cambiamenti
–
sino
a
ieri
difficilmente
immaginabili
–
al
nostro
modo
di
rapportarci
agli
altri,
di
acquistare
e
vendere
beni
e
servizi
nonché
di
coltivare
amicizie
e
relazioni
di
affari.
Trasformazioni
così
importanti
e
complesse
comportano
inevitabilmente
nuovi
problemi
e
nuove
sfide
per
coloro
cui
spetta
il
compito
di
definire,
sviluppare
ed
applicare
nuove
regole
e
discipline.
150
Superato
qualche
tentennamento
e
fatta
eccezione
per
alcune
sacche
di
resistenza
nell’ambito
delle
quali
continua
a
ritenersi
che
il
fenomeno
debba
restare
sottratto
ad
ogni
regolamentazione
ed
affidato
al
caos
primordiale
da
cui
è
originato,
il
mondo
giuridico
appare,
attualmente,
concorde
nella
volontà
di
assicurare
che
i
diritti,
gli
interessi,
i
principi
ed
i
valori
affermatisi
nel
corso
degli
anni
possano
essere
conservati
e
mantenuti
saldi
ed
inalterati
anche
nella
c.d.
società
dell’informazione
della
quale
Internet
costituisce
indiscusso
protagonista.
Diverse,
tuttavia,
come
spesso
accade,
sono
le
soluzioni
prospettate
per
pervenire
a
tale
risultato.
Si
tratta
di
un
problema
che
diviene,
ogni
giorno,
più
serio
ed
urgente
in
maniera
direttamente
proporzionale
al
progressivo
trasferimento
nell’ambito
telematico
–
vorremmo
dire
nel
cyberspazio
se
utilizzando
tale
espressione
non
corressimo
il
rischio
di
richiamare
alla
mente
quei
caratteri
di
extra‐
territorialità
o
sovranazionalità
che
rappresentano
la
matrice
di
quelle
sacche
di
resistenza
cui
si
è
già
fatto
cenno
–
di
affari,
interessi
economici,
pubblici
e
privati,
rapporti
e
relazioni
in
ambito
personale,
commerciale,
politico
ed
industriale.
Tra
i
tanti
problemi
e
le
molte
questioni
di
regolamentazione
aperte
dallo
sviluppo
inarrestabile
del
fenomeno
Internet
ve
ne
è
una
in
relazione
alla
quale
gli
ordinamenti
dei
diversi
Paesi
nell’ultimo
decennio
hanno
conosciuto
cicli
di
grande
attenzione
puntualmente
seguiti
da
periodi
di
altrettanto
intenso
torpore:
l’anonimato
in
Internet.
Appartiene
all’esperienza
quotidiana
di
chiunque
abbia
un
minimo
di
confidenza
con
l’attuale
realtà
informatica
e
telematica
la
consapevolezza
e
coscienza
di
quanto
facile
–
allo
stato
attuale
–
sia
per
ciascuno
di
noi
accedere
ad
Internet
e
navigare
in
Rete
con
l’assoluta
serenità
di
non
poter
essere
rintracciati
da
nessuno
a
prescindere
dalla
natura
e
gravità
delle
nostre
azioni
telematiche.
Illuminanti
per
certi
aspetti
e
inquietanti
sotto
altri
sono
le
pagine
nelle
quali
Raoul
Chiesa
aka
Nobody,
uno
dei
più
noti
hacker
italiani
della
prima
ora,
raccconta
le
scorribande
sue
e
dei
suoi
compagni
di
avventura
nei
meandri
telematici
della
Rete
a
partire
dalla
seconda
metà
degli
anni
’80
sino
ai
giorni
nostri;
nel
titolo
del
contributo
sono
già,
probabilmente,
contenuti
i
termini
della
questione:
io
ero
Nobody
e
tutte
le
notti
me
ne
volavo
in
Francia,
via
Qatar.
Non
si
tratta
di
racconti
romanzati
né
di
fantascienza
ma,
piuttosto,
di
una
realtà
preoccupante
con
la
quale
ormai
da
anni
si
confrontano
–
con
alterne
fortune
–
le
forze
dell’ordine,
la
magistratura
ed
i
legislatori
del
mondo
intero.
151
L’anonimato
assoluto
rappresenta,
infatti,
una
condizione
originale
del
cyberspazio
che
è
suscettibile
di
vanificare
ogni
principio,
regola
e
disciplina
giuridica
rendendola,
di
fatto,
inapplicabile.
Ogni
qualvolta,
tuttavia,
ci
si
trova
ad
affrontare
il
problema
ed
a
prospettare
possibili
soluzioni
idonee
a
limitare
o
eliminare
la
possibilità
di
accedere
alla
Rete
coperti
da
quel
manto
invisibile
oggi
garantito
da
un
contesto
tecnico
e
normativo
che
consente
a
ciascuno
–
nel
varcare
il
confine
del
cyberspazio
–
di
assumere
l’identità
e
le
sembianze
che
preferisce
senza
lasciare
sulla
porta
nessuna
traccia
in
grado
di
svelare
–
neppure
in
ipotesi
del
tutto
eccezionali
–
la
propria
reale
identità,
da
più
parti
vengono
paventati
rischi
inaccettabili
in
termini
di
violazione
della
privacy
e
di
restrizione
della
libertà
di
manifestazione
del
pensiero
nonché
delle
nuove
libertà
informatiche
e
digitali.
Nelle
pagine
che
seguono
cercheremo
di
spiegare,
per
un
verso,
per
quali
ragioni
i
paventati
conflitti
tra
contrapposti
interessi
tutti
egualmente
meritevoli
di
tutela
siano
più
apparenti
che
reali
e
come,
in
ogni
caso,
il
rischio
di
tali
conflitti
non
possa
rallentare
né
impedire
l’assunzione
di
una
decisione
che
appare
ormai
divenuta
obbligata
ed
improcrastinabile
quale
quella
di
imporre
in
Rete
almeno
la
regola
del
c.d.
anonimato
protetto
consistente
nel
riconoscimento
a
ciascuno
del
diritto
di
navigare
in
Rete
indossando
la
maschera
che
preferisce
ma
ciò
solo
dopo
aver
consegnato
alla
frontiera
del
cyberspazio
–
in
modo
sicuro
ed
incontrovertibile
–
la
propria
reale
identità.
Dirimere
questa
questione
è
di
fondamentale
importanza
per
lo
sviluppo
della
Rete;
dalla
scelta
per
l’una
o
per
l’altra
soluzione
dipende,
in
buona
sostanza,
il
futuro
di
internet
quale
immenso
e
sconfinato
parco
giochi
nel
quale
intrecciare
ed
intessere
relazioni
personali
e
commerciali
più
o
meno
autentiche
ma
ben
difficilmente
serie
e
durature
o,
piuttosto,
quale
nuovo
efficace
e
affidabile
mezzo
di
comunicazione
rivoluzionario,
duttile
e
idoneo
ad
essere
utilizzato
con
serenità
e
fiducia
in
contesti
economici,
giuridici,
finanziari
e
personali.
2.
Si
è
già
anticipato
che
una
delle
maggiori
resistenze
alla
costituzione
di
un
contesto
normativo
nel
quale
l’anonimato
assoluto
sia
bandito
dal
cyberspazio
è
tradizionalmente
rappresentata
da
pretese
superiori
esigenze
di
tutela
della
riservatezza.
In
questa
prospettiva,
da
più
parti,
si
è
sostenuto
e
si
sostiene
che
l’anonimato
–
e
i
diversi
strumenti
tecnico‐giuridici
attraverso
cui
esso
può
essere
garantito
in
ambito
telematico
–
rappresenterebbe
una
delle
migliori
e
più
efficaci
difese
rispetto
a
152
tutta
una
serie
di
rischi
di
lesione
della
privacy
degli
utenti
della
Rete.
In
altre
parole,
inferiore
sarebbe
la
quantità
di
dati
personali
posti
in
circolazione
in
internet,
minori
sarebbero,
di
conseguenza,
le
possibilità
che
detti
dati
siano
esposti
al
rischio
di
indebito
trattamento
per
finalità
illecite
o,
comunque,
non
autorizzate.
Si
tratta
di
affermazione
in
linea
di
principio
certamente
condivisibile
e,
d’altro
canto,
ormai
recepita
nel
nostro
ordinamento
–
al
pari
di
quanto
avvenuto
in
quello
comunitario
–
attraverso
l’art.
3
del
nuovo
Codice
in
materia
di
protezione
dei
dati
personali
(Decreto
Legislativo
30
giugno
2003,
n.
196)
che
sotto
la
rubrica
“principio
di
necessità
nel
trattamento
dei
dati”
stabilisce
che
“i
sistemi
informativi
e
i
programmi
informatici
sono
configurati
riducendo
al
minimo
l’utilizzazione
di
dati
personali
e
dati
identificativi,
in
modo
da
escluderne
il
trattamento
quando
le
finalità
perseguite
nei
singoli
casi
possono
essere
realizzate
mediante,
rispettivamente,
dati
anonimi
od
opportune
modalità
che
permettano
di
identificare
l’interessato
solo
in
caso
di
necessità”.
Non
sembra,
tuttavia,
che
detto
principio
possa
essere
portato
sino
all’estrema
conseguenza
di
giustificare
e,
anzi,
in
taluni
casi,
persino
promuovere
forme
di
anonimato
assoluto
in
Internet
e
la
diffusione
di
strumenti
volti
a
garantirlo
quali
appositi
software
anonimizzanti,
gestori
di
servizi
di
reindirizzamento
anonimo
di
informazioni
e/o
di
inoltro
anonimo
di
corrispondenza
elettronica.
Si
è
già
da
più
parti
rilevata
l’opportunità
e,
per
taluni
versi
l’urgenza,
di
individuare
un
momento
di
compromesso
tra
il
diritto
alla
privacy
di
ciascun
utente
della
rete
e
le
esigenze
di
natura
pubblica
e
privata
–
talvolta
preminenti
–
relative
alla
repressione
di
diverse
tipologie
di
condotte
criminose
poste
in
essere
attraverso
la
Rete
o,
più
semplicemente,
di
violazioni
di
altrui
diritti
di
privativa
realizzate
sotto
il
comodo
schermo
di
insuperabili
maschere
telematiche.
In
tale
prospettiva,
già
da
tempo,
nell’ambito
del
Gruppo
di
Lavoro
per
la
tutela
delle
persone
fisiche
con
riguardo
al
trattamento
dei
dati
personali
istituito
con
la
Direttiva
95/46/CE
del
Parlamento
Europeo
e
del
Consiglio
del
24
ottobre
1995
si
è
preso
atto
che
“sussiste
un
consenso
generale
sul
fatto
che
l'attività
su
Internet
non
può
sottrarsi
ai
principi
giuridici
fondamentali
che
vengono
normalmente
applicati.
Internet
non
può
costituire
una
zona
franca
dove
le
regole
della
società
non
vengono
applicate.
D'altronde,
le
possibilità
degli
Stati
e
delle
autorità
pubbliche
di
limitare
i
diritti
degli
individui
e
controllare
comportamenti
potenzialmente
illegali
non
dovrebbero
essere
più
153
ampie
nel
quadro
di
Internet
di
quanto
possano
esserlo
nel
mondo
fuori
della
rete.
L'esigenza
che
le
limitazioni
ai
diritti
e
alle
libertà
fondamentali
siano
debitamente
giustificate,
necessarie
e
proporzionate
alla
luce
degli
altri
pubblici
obiettivi,
deve
valere
anche
nel
ciberspazio.”
e
che
“l'anonimato
non
è
adatto
in
tutte
le
circostanze”
e
che
“stabilire
le
circostanze
in
cui
l'opzione
dell'anonimato
è
opportuna
e
quelle
in
cui
non
lo
è,
comporta
un
attento
confronto
fra
i
diritti
fondamentali,
non
solo
nei
confronti
della
riservatezza,
ma
anche
della
libertà
di
espressione,
e
altri
importanti
obiettivi
politici
come
la
prevenzione
del
crimine.”.
Pur
muovendo
da
tali
premesse
largamente
condivisibili,
tuttavia,
in
tale
sede
si
è
poi
pervenuti
a
talune
conclusioni
più
difficilmente
condivisibili
secondo
cui
“la
possibilità
di
scegliere
di
restare
anonimi”
sarebbe
“essenziale
ai
fini
della
tutela
per
i
singoli,
sulla
rete
dello
stesso
grado
di
riservatezza
esistente
attualmente
fuori
dalla
rete”
o
secondo
la
quale
“l’invio
di
posta
elettronica,
il
navigare
tra
i
siti
della
rete
e
l’acquisto
di
merci
e
servizi
attraverso
internet
dovrebbero
essere
tutti
possibili
in
via
anonima”
o
infine
“gli
strumenti
anonimi
per
accedere
a
Internet
(ad
esempio
chioschi
pubblici
di
internet,
carte
di
accesso
prepagate)
e
gli
strumenti
anonimi
di
pagamento
sono
due
elementi
essenziali
per
un
vero
anonimato
sulla
rete”.
Si
tratta,
di
considerazioni
che
inducono
a
qualche
riflessione.
A
ben
vedere,
infatti,
il
nostro
Ordinamento
non
sembra
contemplare
tali
forme
di
diritto
all’anonimato
né
il
riconoscimento
di
un
simile
diritto
potrebbe
essere
dedotto
dalla
circostanza
che
–
fuori
dalla
Rete
–
vengano
tradizionalmente
tollerate
talune
situazioni
fattuali
–
e
non
giuridiche
–
che
consentono
di
porre
in
essere
condotte
–
peraltro
di
limitata
portata
giuridica,
economica
e
sociale
–
non
già
restando
anonimi
o
dissimulando
la
propria
identità
ma,
più
semplicemente,
senza
dichiararla
in
modo
esplicito
il
che,
se
non
ci
inganniamo,
è
cosa
comunque
diversa
da
quel
diritto
a
nascondersi,
mascherarsi
o
travisarsi
che
si
vorrebbe
divenisse
la
regola
nel
cyberspazio.
Ci
si
riferisce
ad
attività
quali
il
passeggiare
tra
i
negozi,
sfogliare
un
libro
in
una
libreria
o,
piuttosto,
spedire
una
lettera
senza
indicare
il
mittente.
Tali
condotte,
tuttavia,
per
un
verso
sono
evidentemente
dotate
di
una
potenzialità
lesiva
di
gran
lunga
inferiore
a
quella
assunta
da
chi
acceda
in
Internet
in
totale
anonimato
e,
per
altro
verso,
sono
caratterizzate
da
un
anonimato
di
minore
intensità
non
mancando,
comunque,
nel
mondo
degli
atomi,
tutta
una
serie
di
elementi
idonei
a
consentire
–
almeno
in
ipotesi
eccezionali
–
di
154
risalire
più
o
meno
agevolmente
all’autore
di
una
determinata
condotta.
Sotto
altro
profilo
si
è
pure
rilevato
che
l’anonimato
in
Internet
costituirebbe
tra
l’altro
garanzia
e
baluardo
rispetto
alla
libertà
di
manifestazione
del
pensiero
e,
più
in
generale,
all’esercizio
di
tutta
una
serie
di
ulteriori
analoghe
libertà.
Al
riguardo
scrive
Autorevole
dottrina
“a
me
serve
avere
tutela
dell’anonimato,
a
me
serve
la
tutela
della
riservatezza,
della
privacy,
non
per
isolarmi
ma
per
partecipare.
Solo
se
sono
certo
del
mio
anonimato
potrò
partecipare
senza
timore
di
essere
discriminato
o
stigmatizzato
a
gruppi
di
discussione
in
Rete
su
temi
politicamente
sgraditi
al
potere
dominante
in
un
certo
momento.
Solo
se
avrò
la
certezza
di
non
essere
discriminato,
potò
denunziare
gli
abusi
magari
nel
luogo
dove
io
stesso
lavoro”.
Appare
un
dato
di
fatto
difficilmente
controvertibile
quello
secondo
cui
riconoscere
ad
ogni
cittadino
la
possibilità
di
scrivere
sulle
mura
telematiche
della
Rete
il
suo
pensiero
a
proposito
di
questo
o
quell’orientamento
politico
o,
piuttosto,
di
questo
o
quell’imprenditore
senza
che
alcuna
traccia
possa
consentire
a
chicchessia
di
risalire
alla
propria
identità
costituisce
il
modo
migliore,
più
sicuro
e
più
efficace
per
garantirgli
tale
possibilità
al
riparo
da
ogni
ritorsione
e
conseguenza
pregiudizievole.
Non
siamo,
tuttavia,
d’accordo
che
ciò
abbia
qualcosa
a
che
vedere
con
la
libertà
di
manifestazione
del
pensiero.
La
storia
antica
e
moderna
insegna
che
tale
libertà,
nella
sua
accezione
più
ampia
è
la
prima
ad
essere
travolta
e
soppressa
all'indomani
dell'instaurazione
di
ogni
regime
non
democratico
e
la
prima
a
comparire
quando
un
popolo
inizia
il
suo
cammino
verso
la
democrazia;
essa,
consacrata
per
la
prima
volta
in
un
testo
di
legge
in
Gran
Bretagna
nella
Magna
Charta
del
1215
è
stata
poi
sancita
‐
con
disposizione
di
straordinaria
chiarezza
‐
dall'articolo
11
della
Dichiarazione
dei
diritti
dell'uomo
e
del
cittadino
del
26
agosto
1789,
secondo
cui
"la
libera
comunicazione
dei
pensieri
e
delle
opinioni
è
uno
dei
diritti
più
preziosi
dell'uomo"
e
"ogni
cittadino
può
dunque
parlare,
scrivere,
stampare
liberamente
salvo
a
rispondere
dell'abuso
di
questa
libertà
nei
casi
determinati
dalla
legge".
La
stessa
libertà
di
manifestazione
del
pensiero
‐
a
conferma
della
sua
centralità
in
tutti
gli
ordinamenti
democratici
‐
è
stata
poi
solennemente
proclamata
nella
Dichiarazione
universale
dei
diritti
dell'uomo
approvata
dall'Assemblea
generale
delle
Nazioni
unite
il
10
dicembre
1948
attraverso
le
previsioni
degli
articoli
18
e
19
secondo
cui
"ogni
individuo
ha
diritto
alla
libertà
di
pensiero,
di
coscienza
e
di
religione..."
e
"alla
libertà
di
opinione
e
di
espressione
incluso
il
diritto
di
non
essere
molestato
155
per
la
propria
opinione
e
quello
di
cercare,
ricevere
e
diffondere
informazioni
e
idee
attraverso
ogni
mezzo
e
senza
riguardo
a
frontiere".
Nella
stessa
prospettiva
è
pure
già
stato
rilevato
che
“la
libertà
di
manuifestazione
del
pensiero
assume
una
funzione
portante
nell’ordinamento,
ben
espressa
dalle
metafore
descrittive
d’uso
comune
‘pietra
angolare’
del
sistema
(Corte
Costituzionale,
sentenza
del
1969,
n.
84)
‘chiave
della
democrazia’
(Corte
Costituzionale,
Sentenza
del
1974,
n.
25)”
e
che
“il
principio
sancito
dall’art.
21
della
costituzione
è
riconosciuto
quale
fondamento
del
sistema
e
centro
della
costellazione
di
libertà;
senza
la
libertà
di
manifestazione
del
pensiero,
le
altre
libertà
sancite
dalla
costituzione
non
potrebbero
sussistere
o
risulterebbero
svuotate
di
effettivo
contenuto”.
In
tale
contesto
ruolo
e
funzioni
della
libertà
di
manifestazione
del
pensiero
per
la
stessa
esistenza
–
in
Internet
–
di
un
ordine
democratico
non
possono,
evidentemente
essere
disconosciute,
ma
la
strada
dell’anonimato
quale
strumento
di
garanzia
di
tale
libertà
non
appare
quella
corretta.
Già
nella
Dichiarazione
dei
diritti
dell’uomo
e
del
cittadino
del
26
agosto
1789
la
qualificazione
della
libertà
di
manifestazione
dei
pensieri
e
delle
opinioni
quale
“uno
dei
diritti
più
preziosi
dell’uomo”
veniva
indissolubilmente
legata
in
un
binomio
inscindibile
nel
conseguente
obbligo
di
ciascun
cittadino
di
“rispondere
dell’abuso
di
questa
libertà
nei
casi
determinati
dalla
legge”.
Non
solo,
dunque,
l’anonimato
non
può
rappresentare
un’efficace
garanzia
rispetto
all’esercizio
della
libertà
di
manifestazione
del
pensiero
ma,
al
contrario,
esso
costituirebbe,
sotto
tale
profilo,
una
scelta
dirompente
in
quanto
suscettibile
di
spezzare
quel
binomio
indissolubile
(libertà‐responsabilità)
sul
quale
posa
l’intero
sistema
della
libertà
di
manifestazione
del
pensiero
recepito
nel
nostro
come
in
tanti
altri
Ordinamenti.
Riconoscere
a
cybernavigatori
mascherati
la
possibilità
di
manifestare
liberamente
il
proprio
pensiero
in
una
realtà
globale,
acefala,
multiforme
ed
eterogenea
quale
quella
della
comunicazione
telematica
significa
semplicemente
legittimare
condotte
potenzialmente
lesive
di
altrui
diritti
ed
interessi
nella
piena
consapevolezza
che
i
soggetti
lesi
o
danneggiati
da
eventuali
abusi
si
ritroveranno
poi
privati
–
almeno
de
facto
–
di
ogni
possibilità
di
azione
e
reazione
per
l’insuperabile
difficoltà
di
imputazione
della
condotta
lesiva
della
propria
dignità,
della
propria
reputazione,
del
proprio
onore
o,
più
semplicemente
–
ma
la
questione
non
è
secondaria
in
un
ambito
che
si
avvia
a
divenire
156
sede
privilegiata
di
scambi
e
transazioni
commerciali
di
rilevante
entità
–
dei
propri
interessi
privati
ed
economici.
D’altro
canto
la
responsabilità
patrimoniale
e
quella
personale
di
carattere
penale
costituiscono
paradigmi
insuperabili
ed
insostituibili
nella
dinamica
di
ogni
rapporto
civile,
sociale
ed
economico
e,
per
questo,
esse
non
sembrano
poter
essere
cancellate
–
in
ambito
telematico
–
così
come
accadrebbe
nel
caso
in
cui
tra
i
c.d.
nuovi
diritti
informatici
dovesse
essere
riconosciuto
anche
quello
all’anonimato.
E’
sin
troppo
facilmente
prevedibile
–
ed
appartiene
anzi
già
alla
nostra
esperienza
quotidiana
–
che
l’impossibilità
di
imputare
determinate
condotte
al
loro
autore
spingerebbe
i
soggetti
lesi
a
cercare
di
individuare
in
direzioni
diverse
ed
a
differenti
livelli
della
dinamica
della
comunicazione
altri
soggetti
verso
i
quali
rivolgere
le
proprie
pretese
risarcitorie
o
nei
confronti
dei
quali
indirizzare
azioni
di
responsabilità
civile
e
penale.
Ciò
apre,
evidentemente,
le
porte
ad
un’altra
delle
questioni
giuridiche
più
delicate
e
complesse
che
il
fenomeno
Internet
ha
posto
all’attenzione
del
mondo
giuridico:
la
responsabilità
degli
intermediari
della
comunicazione.
Si
tratta
di
un
problema
legato
a
doppio
filo
non
solo
al
tema
dell’anonimato
in
Internet
ma
anche
alle
altre
questioni
che
con
tale
tema
si
intersecano
e
cui
già
si
è
fatto
cenno:
la
privacy
in
ambito
telematico
e
la
libertà
di
manifestazione
del
pensiero
nel
cyberspazio.
Affrontare
in
modo
esaustivo
tale
argomento
è
incompatibile
con
le
esigenze
di
sintesi
proprie
di
questo
scritto
e,
pertanto,
ci
sia
consentito
rinviare
ai
preziosi
ed
ampi
contributi
già
prodotti
da
Autorevole
dottrina,
limitandoci,
in
questa
sede,
ad
evidenziare
e
tracciare
le
linee
di
correlazione
tra
detta
questione
e
quella
della
quale
ci
stiamo
occupando
all’unico
fine
di
evidenziare
come
riconoscere
l’anonimato
in
Internet
rischia
di
voler
dire
–
per
quanti
sforzi
si
possano
fare
per
scongiurare
tale
eventualità
–
introdurre
pericolose
forme
di
responsabilità
degli
intermediari
della
comunicazione
e,
per
questa
via,
altrettanto
inquietanti
e
preoccupanti
scenari
di
orwelliana
memoria
e
fenomeni
–
più
o
meno
trasparenti
–
di
natura
censoria.
Proprio
parlando
della
possibilità
di
far
ricadere
sugli
intermediari
della
comunicazione
eventuali
responsabilità
di
quanto
avviene
sulle
reti
Autorevole
dottrina
ha
già
rilevato
come
ciò
farebbe
nascere
diversi
problemi
tecnici
ma,
soprattutto,
rischierebbe
di
creare
una
situazione
in
cui
il
gestore,
per
evitare
una
pesante
responsabilità
per
danno,
si
potrebbe
trasformare
nel
più
severe
dei
censori
dando
così
vita
ad
una
“censura
di
mercato
157
ancor
più
capillare
e
penetrante
di
quelle
tradizionalmente
affidate
ad
organi
pubblici
e,
nella
sostanza,
ineludibile”
.
L’attività
svolta
dagli
intermediari
della
comunicazione
è,
infatti,
insopprimibile
in
ogni
dinamica
della
comunicazione
telematica
e,
pertanto,
tali
soggetti
sono
coinvolti
–
almeno
da
un
punto
di
vista
strettamente
tecnico
informatico
–
in
ogni
condotta
di
diffusione/acquisizione
di
contenuti
che
si
consumi
attraverso
le
risorse
di
Internet.
A
ciò
deve
essere
aggiunto
che
gli
intermediari
della
comunicazione
–
e
in
particolare
l’acces
provider
–
sono
collocati
in
una
posizione
strategiaca
nella
dinamica
della
comunicazione,
trovandosi
prioprio
lungo
il
confine
tra
il
cyberspazio
ed
il
c.d.
mondo
reale;
essi
costituiscono
la
porta
di
accesso
necessitata
ed
ineliminabile
a
Internet
ed
ad
un
tempo
e
conseguentemente
l’ultimo
anello
di
congiunzione
tra
la
nuova
realtà
telematica
ed
il
mondo
reale.
Si
tratta,
peraltro,
di
soggetti
cui
‐
a
differenza
di
quanto
si
vorrebbe
riconoscere
ai
propri
utenti
–
è
preclusa
la
possibilità
di
nascondersi,
celarsi
o
disssimulare
la
propria
reale
identità
essendo
loro,
anzi,
espressamente
richiesto
di
presentarsi
e
registrarsi
in
appositi
albi
ed
elenchi
tenuti
da
diverse
Pubbliche
Autorità
a
seconda
degli
Ordinamenti
di
riferimento.
In
tale
contesto
è
sin
troppo
evidente
l’esistenza
di
una
diffusa
tentazione
‐
che
pervade
i
parlamenti,
i
governi,
la
magistratura,
le
forze
dell’ordine
ed
i
semplici
utenti
–
di
bussare
alle
porte
degli
intermediari
della
comunicazione
per
imporre
o
chiedere
aiuto,
collaborazione
o
supporto
nell’individuazione
dei
responsabili
di
questa
o
quella
condotta
illecita
posta
in
essere
nel
cyberspazio
e,
talvolta,
per
sancire,
accertare
o
far
valere
forme
di
responsabilità
più
o
meno
oggettiva
laddove
vana
sia
risultata
la
possibilità
di
rintracciare
ogni
diverso
responsabile
della
condotta
incriminata.
Insufficienti
in
tale
prospettiva
appaiono
le
petizioni
di
principio
pur
contenute
in
diverse
disposizioni
di
legge
nazionali
e
comunitarie
‐
da
ultimo,
ad
esempio,
nella
disciplina
sul
commercio
elettronico
‐
con
riferimento
all’esclusione
di
ogni
responsabilità
degli
intermediari
della
comunicazione
–
sebbene
subordinatamente
al
ricorrere
di
determinate
condizioni
–
in
relazione
alle
condotte
poste
in
essere
dai
propri
utenti.
E’
sufficiente
sfogliare
alcuni
recentissimi
provvedimenti
normativi
e
porre
attenzione
a
talune
altrettanto
recenti
iniziative
imprenditoriali
assunte
da
intermediari
della
comunicazione
di
grande
fama
e
notorietà
per
rendersi
conto
che
dette
petizioni
di
principio
non
valgono
ad
appagare
la
naturale
esigenza
di
imputazione
di
ogni
condotta
giuridicamente
rilevante
–
lecita
o
158
illecita
–
ad
un
determinato
soggetto
né
a
superare
e
travolgere
il
principio
della
responsabilità
patrimoniale
o
personale
di
carattere
penale
di
cui
sono
permeati
–
sebbene
con
sfumature
diverse
–
tutti
gli
Ordinamenti
giuridici.
Basti
pensare
–
guardando
alla
realtà
italiana
–
alla
Legge
21
maggio
2004,
n.
128
‐
Conversione
in
legge,
con
modificazioni,
del
decreto‐legge
22
marzo
2004,
n.
72,
recante
interventi
per
contrastare
la
diffusione
telematica
abusiva
di
materiale
audiovisivo,
nonché
a
sostegno
delle
attività
cinematografiche
e
dello
spettacolo
che
pone
a
carico
degli
intermediari
della
comunicazione
–
ferma
in
astratto
la
loro
irresponsabilità
sancita
da
ultimo
nella
disciplina
di
attuazione
della
direttiva
comunitaria
in
materia
di
commercio
elettronico
–
l’obbligo
di
comunicare
“le
informazioni
in
proprio
possesso
utili
all'individuazione
dei
gestori
dei
siti
e
degli
autori
delle
condotte
segnalate”
nonché
quello
di
porre
in
essere
“tutte
le
misure
dirette
ad
impedire
l’accesso
ai
contenuti
dei
siti
ovvero
a
rimuovere
i
contenuti
medesimi”.
La
stessa
disposizione,
peraltro,
sanziona
la
violazione
di
tali
obblighi
con
una
sanzione
amministrativa
pecuniaria
da
50.000
euro
a
250.000
euro.
Non
è
questa
la
sede
per
soffermarsi
ad
analizzare
la
portata
e
le
possibili
gravi
ricadute
–
sotto
il
profilo
della
libertà
di
manifestazione
del
pensiero
–
delle
richiamate
disposizioni
di
legge
ma
sembra,
sin
d’ora,
possibile
rilevare
come
previsioni
di
tale
tenore
finiscano
inevitabilmente
con
il
far
rientrare
dalla
finestra
forme
di
responsabilità
–
benché
indiretta
–
degli
intermediari
della
comunicazione
spingendo,
così,
tali
soggetti
all’adozione
di
politiche
rigide
e
restrittive
circa
la
libertà
dei
propri
utenti
di
comunicare
al
pubblico
telematico
–
attraverso
i
propri
servizi
–
contenuti
anche
solo
potenzialmente
illeciti.
Non
differenti
preoccupazioni,
d’altro
canto,
si
registrano
spingendo
lo
sguardo
al
di
là
dei
confini
nazionali.
E’,
infatti,
delle
ultime
ore
la
notizia
che
British
Telecom
–
uno
dei
più
grandi
fornitori
di
accesso
alla
Rete
operante
sul
territorio
Europeo
–
sta
per
lanciare
il
progetto
Cleanfeed
attraverso
il
quale
il
provider
intende
bloccare
l’accesso
dei
propri
utenti
ai
siti
–
da
esso
autonomamente
censiti
–
contenenti
materiale
pedopornografico.
Si
tratta
di
un’iniziativa
ovviamente
difficile
da
contestare
in
considerazione
delle
nobili
finalità
che
mira
a
raggiungere
ma
che,
tuttavia,
desta
più
di
una
perplessità
sotto
il
profilo
della
legittimità
ed
opportunità
delle
modalità
con
le
quali
la
British
Telecom
si
prefigge
di
pervenire
a
tale
risultato.
Anche
se
non
si
conoscono
ancora
i
dettagli
della
piattaforma
informatica
che
verrà
a
tal
fine
utilizzata
è,
infatti,
159
evidente
che
per
un
verso
essa
comporterà
inevitabilmente
un’attività
–
più
o
meno
trasparente
–
di
monitoraggio
della
navigazione
di
tutti
gli
utenti
che
accederanno
ad
internet
attraverso
detto
provider
e,
per
altro
verso,
essa
richiederà
una
costante
attività
di
valutazione
del
contenuto
dei
siti
esistenti
in
rete
al
fine
di
predisporre
e
mantenere
costantemente
aggiornata
la
black
list
dei
siti
che
British
Telecom
riterrà
essere
connotati
da
contenuti
pedopornografici.
Entrambi
i
casi
appena
richiamati
appaiono,
dunque,
sintomatici
di
quanto
si
è
andati
sin
qui
dicendo:
l’anonimato
assoluto
degli
utenti
spinge
l’Autorità
a
rivolgere
le
proprie
attenzioni
sugli
intermediari
della
comunicazione
e
questi
ultimi
a
tutelarsi
ponendo
in
essere
iniziative
censorie
che,
quand’anche
nobili
ed
apprezzabili
sotto
il
profilo
teleologico
risultano,
comunque,
pericolose
in
relazione
a
possibili
attentati
alla
privacy
degli
utenti
nonché
alla
libertà
di
manifestazione
del
pensiero.
In
tale
contesto
appare
urgente
tornare
a
riflettere
sulla
possibilità
di
eliminare
alla
radice
ogni
forma
di
anonimato
assoluto
in
internet
e
sostituirla,
almeno,
con
formule
di
anonimato
c.d.
relativo
nell’ambito
delle
quali
potrebbe
riconoscersi
agli
utenti
di
agire
in
Rete
in
modo
anonimo
o
sotto
identità
dissimulate
a
condizione
che
sia
poi
eventualmente
possibile
–
per
finalità
del
tutto
eccezionali
e
particolari
quali,
ad
esempio,
quelle
di
giustizia
–
risalire
alla
vera
identità
dell’autore
della
condotta.
Al
contrario
di
quanto
da
più
parti
frequentemente
si
prospetta
si
tratterebbe
di
una
soluzione
connotata
da
grani
istanze
liberali
e
ciò
soprattutto
in
considerazione
dei
paventati
rischi
connessi
all’opposto
scenario
con
il
quale
ci
stiamo
già
confrontando.
Solo
per
questa
via
appare
possibile
auspicare
che
in
un
domani
non
troppo
lontano
Internet
si
scrolli
definitivamente
di
dosso
quell’immagine
di
sconfinato
campo
da
gioco
pieno
di
insidie
e
pericoli
che,
sino
ad
oggi
ha
impedito
il
diffondersi
di
un
utilizzo
maturo
e
consapevole
delle
risorse
telematiche
relegandole
ad
un
ruolo
che
ne
mortifica
grandemente
le
reali
ambizioni,
attitudini
e
potenzialità.
Chi
rompe
paga
ci
è
stato
insegnato
sin
da
bambini
e
non
c’è
alcuna
buona
ragione
per
fare
a
mano
di
questa
elementare
regola
di
civiltà
prima
ancora
che
giuridica
nel
cyberspazio.
Mr.
Nobody
non
ha
nessun
diritto.
1°
aprile
2008
Punto
Informatico
160
Nelle
ultime
settimane
la
vicenda
che
ha
visto
contrapposta
Wikipedia
al
Sindaco
di
Firenze
ha
riacceso
il
dibattito
–
in
realtà
mai
completamente
sopito
‐
sull’anonimato
in
Rete:
da
una
parte
quanti
si
dicono
convinti
che
l’anonimato
costituisca
un
diritto
fondamentale
ed
inviolabile
degli
utenti
e
dall’altra
quanti,
invece,
si
dichiarano
pronti
a
rinunciarvi58.
La
questione
è
complessa
e
costituisce,
probabilmente,
uno
dei
problemi
di
maggior
rilievo
che
i
legislatori
di
tutti
i
Paesi
saranno
chiamati
ad
affrontare
nei
prossimi
anni.
Nessun
Ordinamento
giuridico,
infatti,
può
prescindere
dalla
necessità
di
imputare
ad
un
soggetto
determinato
ogni
condotta
giuridicamente
rilevante
nonché
i
suoi
effetti
e
conseguenze,
si
tratti
di
responsabilità
civile,
penale
o
amministrativa
o,
piuttosto,
dell’assegnazione
di
un
premio,
del
riconoscimento
di
un
diritto
o
del
pagamento
di
un
credito.
E’
ovvio,
d’altra
parte,
che
in
caso
di
impossibilità
di
identificare
l’autore
della
condotta,
nella
più
parte
dei
casi,
si
rende
necessario
ricorrere
a
meccanismi
sussidiari
di
imputazione
degli
effetti
e
delle
conseguenze
della
condotta
medesima.
L’anonimato
in
Rete,
secondo
i
sostenitori
di
tale
teoria,
rappresenterebbe
un
diritto‐presupposto
per
l’esercizio
di
altri
diritti
e
libertà
fondamentali
quali,
ad
esempio,
la
libertà
di
manifestazione
del
pensiero
con
la
conseguenza
che
eliminando
il
primo
si
comprimerebbe
anche
la
seconda.
Si
tratta
di
una
conclusione,
probabilmente,
corretta
sotto
un
profilo
pratico
ma
difficile
da
condividere
in
termini
giuridici
e,
soprattutto,
nell’ambito
di
un
ragionamento
de
iure
condendo
e
di
lungo
periodo
anche
perché
essa
costituisce
la
risposta
ad
un
problema
posto
in
termini
inesatti.
La
questione,
infatti,
a
mio
avviso
–
se
la
si
vuol
porre
in
termini
giuridici
e
non
piuttosto
in
termini
“romantici”
‐
non
è
se
sia
opportuno
sopprimere
il
diritto
all’anonimato
in
Rete
costringendo
tutti
ad
agire
a
volto
scoperto
ma,
piuttosto,
se
un
simile
diritto
possa,
effettivamente,
ritenersi
sussistere.
La
mia
risposta
a
tale
quesito
è
negativa.
Mr.
Nobody
–
utente
mascherato
della
Rete
–
non
è
titolare
di
alcun
diritto
e,
tantomeno,
di
quello
a
mantenere
celata
la
propria
identità.
Il
ragionamento
alla
base
di
tale
conclusione
può
seguire
percorsi
logici
diversi:
muovere
dalla
nozione
di
cittadino
quale
titolare
dei
diritti,
dall’imprescindibilità
della
manifestazione
della
propria
identità
ai
fini
dell’esercizio
di
un
diritto
o,
piuttosto,
58
Cfr.
pag.
32
161
dall’imprescindibile
esigenza
che
all’esercizio
di
ogni
diritto
o
libertà
faccia
da
contraltare
l’assunzione
di
obblighi
e/o
eventuali
responsabilità.
Proviamo
a
partire
proprio
da
quest’ultima
considerazione.
L’art.
11
della
Dichiarazione
dei
diritti
dell'uomo
e
del
cittadino
del
26
agosto
1789,
prevede
che
"la
libera
comunicazione
dei
pensieri
e
delle
opinioni
è
uno
dei
diritti
più
preziosi
dell'uomo"
e
"ogni
cittadino
può
dunque
parlare,
scrivere,
stampare
liberamente
salvo
a
rispondere
dell'abuso
di
questa
libertà
nei
casi
determinati
dalla
legge”.
La
responsabilità
nelle
ipotesi
di
abuso
è,
dunque,
il
contraltare
della
libertà
e,
tale
responsabilità,
presuppone,
evidentemente,
l’imputabilità
ad
un
cittadino
determinato
dell’abuso
medesimo.
Già
sotto
tale
profilo,
pertanto,
l’idea
che
si
possa
“pretendere”
di
esercitare
un
diritto
o
una
libertà
sottraendosi,
ex
ante,
all’eventuale
successiva
responsabilità
mi
sembra,
francamente,
assai
poco
convincente.
Ma
vi
sono
altre
ragioni
che
mi
portano
a
ritenere
che
non
vi
sia
spazio
né
in
Rete
né
fuori
della
Rete
per
un
diritto
all’anonimato.
La
Dichiarazione
universale
dei
diritti
dell'uomo
approvata
dall'Assemblea
generale
delle
Nazioni
unite
il
10
dicembre
1948
stabilisce
che
"ogni
individuo
ha
diritto
alla
libertà
di
pensiero,
di
coscienza
e
di
religione..."
e
"alla
libertà
di
opinione
e
di
espressione
incluso
il
diritto
di
non
essere
molestato
per
la
propria
opinione…”.
E’
ovvio
che
se
l’esercizio
della
libertà
di
opinione
dovesse
o
potesse
avvenire
in
forma
anonima
non
avrebbe
avuto
alcun
senso
rafforzare
tale
libertà
fondamentale
con
il
diritto
a
non
essere
molestato
in
ragione
del
suo
esercizio.
Ancora
una
volta,
dunque,
la
libertà
di
opinione
non
sembra
essere
riconosciuta
né
riconoscibile
a
Mr.
Nobody.
La
libertà
di
manifestazione
del
pensiero,
il
diritto
alla
privacy,
quello
al
lavoro
o
quello
alla
salute
ed
ogni
altro
diritto
o
libertà
fondamentale
competono
al
cittadino,
identificato
da
un
nome
e
da
un
cognome
quale
appartenente
ad
un
certo
Stato
ed
Ordinamento
e
non
certamente
ad
un
sedicente
Mr.
Nobody,
incappucciato
che
si
rifiuti
di
svelare
la
propria
identità
mentre
esige
di
esercitare
i
propri
diritti
o
libertà.
Contro
l’idea
di
un
anonimato
assoluto
in
Rete,
d’altra
parte,
non
militano
solo
ragioni
giuridiche.
Gli
ultimi
anni,
nel
corso
dei
quali
l’anonimato
si
è
imposto
come
standard
de
facto
con
poche
eccezioni
hanno,
infatti,
162
evidenziato
che
l’impossibilità
di
imputare
una
condotta
ad
un
determinato
soggetto,
innesca
meccanismi
complessi
quali
forme
di
monitoraggio
di
massa,
attribuzioni
di
responsabilità
agli
ISP
o,
piuttosto,
agli
UGC.
Persecuzioni
e
caccia
alle
streghe
in
luogo
dell’individuazione
puntuale
ed
indolore
dell’autore
della
condotta
incriminata.
D’altra
parte
l’idea
che
per
poter
esercitare
una
libertà
fondamentale
quale,
ad
esempio,
quella
di
opinione
occorra
nascondersi,
mi
sembra
che
abbia
il
sapore
della
sconfitta
più
che
quello
della
vittoria
come
sostenuto
da
quanti
ritengono
che
l’anonimato
costituisca
un
presupposto
per
l’esercizio
di
altre
libertà.
Qual
è
la
soluzione
dunque?
A
mio
avviso
l’anonimato
protetto.
Ciascun
utente
sarebbe
libero
di
agire
in
rete
“mascherato”
dietro
ad
un
nick
ma,
prima
di
entrare,
dovrebbe
lasciare
all’ISP
le
sue
generalità
nella
consapevolezza
che
solo
l’Autorità
giudiziaria
potrà
accedervi
nel
caso
in
cui
si
renda
responsabile
o
vi
sia
il
fondato
sospetto
si
sia
reso
responsabile
di
una
serie
di
illeciti
ritenuti
dal
legislatore
di
particolare
gravità.
Mr.
Nobody
non
ha
diritti
(ma
anche
doveri).
5
aprile
2008
http://www.guidoscorza.it/?p=281
Nei
giorni
scorsi
sono
intervenuto
in
un
bel
dibattito
che
Punto
Informatico
ha
aperto
e
continua
ad
ospitare
sull'anonimato
in
Rete.
Il
titolo
del
mio
articolo
come,
peraltro,
quello
del
mio
post
"Mr.
Nobody
non
ha
diritti"
chiariva
e
chiarisce
senza
bisogno
di
altre
parole
il
mio
punto
di
vista:
il
diritto
all'anonimato
(assoluto)
non
dovrebbe
trovare
cittadinanza
in
Rete
(ed
a
ben
vedere
neppure
fuori).
Proponevo
e
continuo
a
proporre
un
anonimato
protetto:
la
libertà
di
agire
in
Rete
sotto
qualsiasi
nick
ma
a
condizione
di
lasciare
alle
porte
del
cyberspazio
‐
agli
ISP
‐
la
propria
identità
reale
cui
le
sole
Pubbliche
Autorità
dovrebbero
poter
accedere
nell'ipotesi
in
cui
Mr.
(quasi)
Nobody
si
macchiasse
di
colpe
gravi.
163
Si
tratta,
peraltro,
di
una
soluzione
già
proposta
molto
tempo
fa
da
Stefano
Rodotà.
Tale
proposta
che
io
ritengo
una
precondizione
ineliminabile
per
uno
sviluppo
civile,
democratico
ed
economico
della
Rete
ha,
probabilmente,
riscosso
più
critiche
che
consensi.
Lo
trovo
naturale
e
non
ne
sono
stupito:
la
libertà
(quella
assoluta)
è
piu
romantica
anche
della
più
flebile
ed
elastica
delle
regolamentazioni.
E'
un'aspirazione
naturale
dell'uomo.
Il
diritto
(in
ogni
epoca
e
regime)
è
sempre
e
comunque,
in
un
modo
o
nell'altro,
imposto
ed
è
raro
e
difficile
che
sia
effettivamente
NATURALE.
Nelle
critiche,
c'è
un
argomento,
più
ricorrente
degli
altri:
l'anonimato
come
derivazione
del
diritto
alla
privacy.
E'
una
posizione
che
non
mi
convince.
Una
cosa
è
sostenere
che
ciascuno
abbia
il
diritto
di
controllare
il
trattamento
da
parte
di
altri
dei
propri
dati
personali
incluso
il
proprio
nome
e
cognome
e,
dunque,
anche
di
inibire
a
terzi
il
trattamento
‐
inteso
come
semplice
acquisizione
‐
di
tali
dati
mentre
altra
cosa
è
riconoscere
a
ciascuno
il
diritto
di
agire
senza
assumersi
alcuna
responsabilità
per
le
proprie
condotte
legittimandolo
a
rimanere
nascosto
sotto
un
cappuccio.
Qui
il
diritto
alla
privacy
o,
forse,
alla
riservatezza
deve
cedere
il
passo
all'esigenza
che
l'Autorità
applichi
le
regole
che
ciascun
Ordinamento
secondo
dinamiche
‐
sfortunatamente
‐
più
o
meno
democratiche
si
da.
Non
si
può
derivare
‐
come,
in
queste
ore,
fanno
in
molti
‐
un
principio
generale
da
un'eccezione.
Mi
rendo
conto
anche
io
che
in
taluni
regimi
e
momenti
storici
parlare
in
forma
anonima
può
essere
l'unico
modo
di
parlare
ma
per
un
blogger
che
così
facendo
viene
posto
in
condizione
di
raccontare
la
verità
ci
sono
decine
di
migliaia
di
pirati
e
criminali
che
indossano
lo
stesso
cappuccio
dell'anonimato
e
pongono
in
essere
condotte
non
meritevoli
né
di
tutela
né
di
garanzia.
Non
è
marciando
per
le
strade
di
una
città
a
volto
coperto
e
con
la
certezza
di
non
essere
riconosciuti
che
ci
si
batte
per
la
democrazia
o,
almeno,
non
è
questo
che
insegna
la
storia.
E',
per
questo,
che
pur
essendo
convinto
che
Internet
possa
contribuire
‐
più
di
quanto
non
abbia
già
fatto
sin
qui
‐
alla
democrazia
globale
‐
sono
ad
un
tempo
certo
che
la
strada
perché
ciò
avvenga
non
è
quella
di
rendere
anonimo
il
popolo
della
Rete
ma,
al
contrario,
quella
di
dargli
un'identità,
di
consentire
a
ciascuno,
in
Rete,
di
affermare
ed
esprimere
appieno
al
propria
personalità.
164
La
moltiplicazione
dei
blog,
degli
spazi
di
discussione,
di
riviste
telematiche
"accessibili"
ad
un
pubblico
che,
sino
a
ieri,
non
poteva
ambire
ad
accedere
ai
media
tradizionali
per
far
conoscere
la
propria
opinione,
gli
strumenti
di
democrazia
elettronica
‐
sfortunatamente
ancora
troppo
poco
utilizzati
‐
il
social
web,
questa
sono,
a
mio
avviso,
gli
strumenti
telematici
che
possono
affermare
la
democrazia
anche
dove
ancora
non
c'è.
Blogger
più
o
meno
noti
hanno
già
costretto
politici
illustri
a
giustificarsi,
a
chiedere
scusa
a
cambiare
strada,
filmati
diffusi
dagli
UGC
fanno
tremare
governi
e
regimi.
L'anonimato
assoluto
non
serve
per
affermare
la
libertà
anzi
esso
costituisce
una
sconfitta:
VOGLIO
poter
esercitare
i
miei
diritti
di
cittadino
globale
NONOSTANTE
le
mie
opinioni
e
NON
VOGLIO
dovermi
NASCONDERE
per
esercitarle.
Allo
Stato,
quindi,
non
chiedo
di
garantire
il
mio
anonimato
assoluto
ma,
semplicemente,
di
pormi
in
condizione
di
sentirmi
libero
in
Rete
e
fuori
dalla
Rete
anche
‐
ed
anzi
soprattutto
‐
mentre
affermo
appieno
la
mia
personalità
come
inscindibile
alchimia
di
convinzioni
politiche,
ideologiche
e
religiose
ed
a
prescindere
da
ogni
considerazione
di
razza,
sesso
o
estrazione
sociale.
Egalité
era
la
parola
che
risuonava
negli
anni
della
rivoluzione
francese
e
che
oggi
è
scritta
nelle
Carte
costituzionali
di
tutti
i
Paesi
che
ambiscono
a
definirsi
civili.
Che
bisogno
ci
sarebbe
di
sancire
un
DIRITTO
ALL'UGUAGLIANZA
se
tutti
fossimo
UGUALI
perché
coperti
da
uno
stesso
cappuccio?
165
6.
Web
privacy.
Contrappunti
digitali.
La
tecno
fobia
clicca
sempre
due
volte.
1°
agosto
2008
Punto
Informatico
Il
Garante
per
la
tutela
della
privacy
e
della
riservatezza
nelle
scorse
settimane
ha
avvertito
che
fisserà
regole
chiare
e
piuttosto
restrittive
per
lo
sbarco
in
Italia
del
servizio
Google
street
view:
oscuramento
del
volto
delle
persone,
mascheramento
delle
targhe,
non
identificabilità
dei
comportamenti
umani
e,
infine,
adeguata
informazione
circa
le
riprese
in
corso
attraverso
le
Google
Car.
Sto
facendo
un
po’
di
zapping
in
TV:
un
servizio
sulle
prime
code
ai
caselli
autostradali
per
l’esodo
estivo
e
un
altro
sulle
“domeniche
ecologiche”
nelle
principali
città
italiane
con
immagini
di
repertorio,
un
programma
di
viaggi
e
turismo
alla
scoperta
di
strade,
piazze
e
monumenti
delle
nostre
città
d’arte.
Migliaia
e
migliaia
di
fotogrammi
di
targhe,
volti
di
persone
ben
visibili,
frammenti
di
vita
comune:
coppie
e
famiglie
in
partenza
per
questa
o
quella
località,
anziani
rimasti
in
città
e
cittadini
e
stranieri
a
passeggio
per
le
vie
delle
nostre
città
per
mano,
da
soli
o
piuttosto
abbracciati.
Eppure
io
non
ho
mai
visto
la
troupe
di
un’emittente
televisiva
preceduta
da
un
gobbo
con
la
gigantografia
di
un’informativa
sulla
privacy
o,
piuttosto,
le
immagini
di
viaggiatori
e
passanti
rese
irriconoscibili
attraverso
accorgimenti
digitali
o,
magari,
i
numeri
delle
targhe
dei
veicoli
in
coda
al
casello
mascherati
elettronicamente.
Perché
in
TV
tutto
va
bene
e
nel
web
bisogna
prestare
tanta
attenzione?
Sul
web
certi
“fotogrammi”
diventano
“eterni”
mi
si
dirà
e,
dunque,
è
più
facile
che
un
utente
di
Google
street
view
riconosca
in
un’immagine
il
suo
vicino
di
casa
a
passeggio
con
la
moglie
di
quanto
non
lo
sia
in
un
servizio
televisivo
da
pochi
minuti.
Ma
basta
una
differenza
“quantitativa”
di
questo
genere
per
giustificare
una
risposta
giuridica
tanto
diversa
nei
due
casi?
Il
Governo
propone
di
stampigliare
le
impronte
digitali
di
tutti
i
cittadini
italiani
sulle
carte
d’identità
mettendo
così
in
circolazione
su
un
supporto
fisico
un
dato
biometrico
e,
dunque,
un
frammento
unico
ed
irripetibile
dell’identità
di
ogni
individuo
e,
i
più,
rimangono
a
guardare
non
rendendosi
conto
o,
più
probabilmente,
fingendo
di
non
rendersi
conto
che
così
facendo
si
166
espone
ad
un
rischio
incontrollabile
la
titolarità
di
uno
dei
dati
personali
più
preziosi
per
ciascuno
di
noi
e
si
corre
il
rischio
di
condannare
qualcuno
–
per
il
fatto
solo
di
aver
perso
la
propria
carta
d’identità
–
a
fare
i
conti
vita
natural
durante
con
“un
altro
se
stesso”
in
giro
per
il
mondo.
Ad
un
tempo,
però,
preoccupazioni
legate
alla
necessaria
tutela
della
privacy
e
dell’identità
personale
hanno
precluso
di
utilizzare
i
dati
biometrici
per
l’attivazione
dei
dispositivi
di
firma
digitale.
La
biometria,
infatti,
avrebbe
consentito
di
“attaccare”
il
dispositivo
di
firma
al
braccio
dell’individuo
e
di
ricreare
così
nel
mutato
contesto
tecnologico
la
medesima
situazione
fattuale
caratteristica
della
sottoscrizione
autografa.
L’aver
accantonato
tale
eventualità
ha
fatto
si
che,
oggi,
ci
si
debba
accontentare
di
una
semplice
presunzione
legale:
quella
secondo
cui
il
dispositivo
deve
ritenersi
utilizzato,
salvo
prova
contraria,
dal
suo
titolare.
Difficile,
ancora
una
volta,
resistere
dal
domandarsi
il
perché
di
tante
preoccupazioni
–
probabilmente
corrette
–
quando
si
parla
di
bit
e
di
tanta
“leggerezza”
quando
si
tratta
del
mondo
degli
atomi.
Qualche
mese
fa,
come
ricorderanno
i
lettori
di
Punto
Informatico,
ha
fatto
scalpore
la
decisione
dell’Agenzia
delle
entrate
di
pubblicare
on‐line
i
dati
relativi
ai
redditi
dei
contribuenti
italiani.
L’Agenzia,
come
tempestivamente
accertò
il
Garante
per
la
privacy,
aveva
sbagliato
e
violato
la
disciplina
vigente
a
tutela,
appunto,
della
privacy
e
della
riservatezza.
D’accordo,
ma
quei
dati
erano
pubblici
ed
avrebbero
dovuto
essere
resi
accessibili
–
magari
con
modalità
tecniche
diverse
e
meno
“generaliste”
–
anche
attraverso
gli
strumenti
telematici.
E’
bastato
paventare
l’eventualità
che
in
futuro
ciò
avrebbe
potuto
accadere
perché
il
Palazzo
–
dopo
aver
lasciato
la
disciplina
di
riferimento
eguale
a
se
stessa
per
oltre
un
trentennio
–
si
determinasse
ad
agire
d’urgenza
modificando
radicalmente
‐
attraverso
l’art.
42
del
Decreto
Legge
n.
112/2008
(avente
ad
oggetto
“Disposizioni
urgenti
per
lo
sviluppo
economico,
la
semplificazione,
la
competitività,
la
stabilizzazione
della
finanza
pubblica
e
la
perequazione
Tributaria“)
–
il
regime
di
pubblicità
di
quei
dati
e
precludendone
in
modo
pressoché
assoluto
la
comunicazione
e
diffusione.
Il
legislatore,
dunque,
non
ha
dettato
così
come
sarebbe
stato
lecito
attendersi
nuove
modalità
per
l’accesso
attraverso
i
nuovi
strumenti
telematici
di
quei
dati
da
parte
dei
cittadini
ma
ha,
167
piuttosto,
preferito
sottrarli
quanto
più
possibile
dal
mondo
dei
bit.
Ancora
un
esempio
prima
di
trarre
qualche
conclusione.
La
dichiarazione
universale
dei
diritti
dell’uomo
e
del
cittadino,
la
nostra
costituzione
e
quella
di
centinaia
di
altri
Paesi,
Leggi,
Giudici
e
sentenze
–
sebbene
con
intensità
e
determinazione
diversa
a
seconda
di
regimi
ed
epoche
storiche
–
ricordano
da
decenni
che
la
libertà
di
manifestazione
del
pensiero
costituisce
una
pietra
angolare
di
ogni
ordinamento
democratico
e
che
il
suo
esercizio
deve
essere
garantito
ad
ogni
cittadino,
tra
l’altro,
quale
insopprimibile
strumento
di
affermazione
ed
estrinsecazione
della
propria
personalità.
La
limitatezza
dei
canali
di
accesso
ai
media
ha,
tuttavia,
sino
a
ieri
inesorabilmente
compresso
il
pieno
esercizio
di
tale
libertà
da
parte
dei
più
consegnando
l’informazione
nelle
mani
di
pochi.
Oggi,
finalmente,
esiste
un
media
ontologicamente
diverso
da
tutti
quelli
che
l’hanno
preceduto
e,
per
questo,
in
grado
di
offrire
a
chiunque
–
o
almeno
a
quanti
hanno
la
fortuna
di
appartenere
alla
c.d
società
dei
2/3
ovvero
degli
“intrerconnessi”
–
la
possibilità
di
esercitare
tale
libertà.
In
tale
contesto
dalle
leggi,
dai
politici
e
dai
giudici
ci
si
sarebbe
attesi
una
convinta
difesa
dei
nuovi
canali
di
esercizio
della
libertà
di
manifestazione
del
pensiero:
nessuna
deroga
ai
principi
generali
secondo
cui
l’esercizio
di
ogni
libertà
deve
finire
laddove
rischia
di
ledere
quella
altrui
e
chiunque
deve
rispondere
delle
conseguenze
delle
proprie
condotte
ma,
ad
un
tempo,
nessuna
limitazione
all’esercizio
di
tale
libertà
in
nome
di
regole
vecchie
e
superate
dalla
tecnologia.
Ma
il
mondo
dei
bit,
ancora,
una
volta
ha
dato
vita
ad
una
reazione
difficilmente
spiegabile.
Blogger
condannati
per
stampa
clandestina
senza
che
nessuno
abbia
mai
loro
imposto
alcuna
registrazione,
Blog
sequestrati
per
aver
ospitato
quello
che
era
già
stato
scritto
su
quotidiani
senza
che
nulla
del
genere
accadesse
e,
per
finire,
il
più
grande
UGC
del
mondo
sul
banco
degli
imputati
per
non
aver
impedito
–
senza
che
nessuna
norma
glielo
imponesse
ed
in
una
condizione
di
oggettiva
impossibilità
tecnologica
–
che
qualche
ragazzino
postasse,
tra
milioni
di
video,
anche
un
filmatino
realizzato
con
un
videofonino
che
non
avrebbe
mai
dovuto
essere
diffuso
perché
racconta
una
scena
di
vita
triste
ma
drammaticamente
autentica
consumatasi
in
un’aula
scolastica.
C’è
un
filo
comune
che
corre
lungo
questi
episodi
e
c’è
un
analogo
preoccupante
modo
di
guardare
al
futuro
che
li
collega.
168
Non
so
dire
cosa
sia
ma,
a
me
sembra,
possa
parlarsi
di
tecno‐fobia
o
schizofrenia
legislativa
o,
forse,
più
semplicemente
scarsa
consapevolezza
del
nuovo
mondo
che,
questa
volta,
non
è
dall’altra
parte
dell’oceano
ma
lontano
solo
pochi
click
dai
nostri
Parlamenti
e
dalle
aule
di
giustizia.
Redditi
on­line:
l’incertezza
del
diritto.
2
maggio
2008
http://www.guidoscorza.it/?p=291
Si
è
scritto
molto
nelle
ultime
ora
circa
l'ormai
nota
vicenda
della
pubblicazione
sul
sito
dell'Agenzia
delle
Entrate
dei
redditi
di
tutti
i
cittadini
italiani
e
si
è
da
più
parti
gridato
allo
scandalo
in
relazione
alla
scelta
del
vice‐ministro
uscente
di
rendere,
d'un
colpo,
accessibile
il
database
dell'Agenzia
delle
Entrate59.
E'
ovvio
che
quanto
accaduto
è
suscettibile
di
due
diversi
livelli
di
lettura:
uno
politico
ed
uno
strettamente
giuridico.
Politicamente
ci
si
deve
chiedere
se
si
è
trattato
di
una
scelta
opportuna
o,
piuttosto,
inopportuna.
Non
ho
competenze
o
strumenti
per
rispondere
a
questa
domanda
e,
quindi,
non
posso
che
esprimere
il
mio
pensiero
come
hanno
fatto
già
in
molti:
ci
sono
milioni
di
dati
in
possesso
della
nostra
Pubblica
Amministrazione
che
sarebbe
più
importante
rendere
accessibili
ai
cittadini
ma,
sin
qui,
nessuno
ha
mai
pensato
di
metterli
on‐line…penso,
ad
esempio,
ai
segreti
di
Stato
sulle
stragi
di
Stato
ed
ai
parenti
delle
vittime
che
da
decenni
chiedono,
almeno,
di
conoscere
il
perché
di
tanto
dolore…
La
pubblicazione
dei
redditi
degli
italiani,
in
confronto,
mi
sembra
un
inutile
esercizio
voyeristico
le
cui
conseguenze
pratiche,
peraltro,
appaiono
difficili
da
valutare.
Credo,
in
ogni
caso,
che
una
decisione
‐
opportuna
o
inopportuna
che
fosse
‐
tanto
nuova
non
andasse
presa
mentre
il
vice‐ministro
si
avviava
a
passare
il
testimone
al
suo
successore.
Giuridicamente,
la
questione,
è
diversa
e,
a
differenza
delle
valutazioni
politiche,
può
e
deve
essere
ancorata
a
ragionamenti
ed
elementi
certi,
puntuali
ed
inequivoci.
Sfortunatamente,
tuttavia,
sin
qui
non
è
stato
così.
Il
provvedimento
con
il
quale
è
stata
disposta
la
pubblicazione
delle
dichiarazioni
dei
redditi
2005
è
disponibile
a
questa
URL:
http://www.giurdanella.net/file_sito/agenzia_entrate_5308.pdf
59
169
L'intervento
del
Garante
per
la
privacy
sebbene
ineccepibile
sotto
il
profilo
della
tempestività
è
stato
approssimativo
e
poco
puntuale
sotto
quello
dei
contenuti60.
Il
testo
del
provvedimento
di
inibitoria
pronunciato
dal
Garante
per
la
tutela
dei
dati
personali
il
30
aprile
2008:
Pubblicazione
Internet
degli
elenchi
dei
contribuenti
da
parte
dell'Agenzia
delle
entrate
‐
30
aprile
2008
IL
GARANTE
PER
LA
PROTEZIONE
DEI
DATI
PERSONALI
Nella
riunione
odierna,
in
presenza
del
prof.
Francesco
Pizzetti,
presidente,
del
dott.
Giuseppe
Chiaravalloti,
vicepresidente,
del
dott.
Mauro
Paissan
e
del
dott.
Giuseppe
Fortunato,
componenti
e
del
dott.
Giovanni
Buttarelli,
segretario
generale;
VISTO
il
Codice
in
materia
di
protezione
dei
dati
personali
(d.lg.
30
giugno
2003,
n.
196);
VISTO
l'art.
69
del
d.P.R.
29
settembre
1973,
n.
600,
come
modificato
dall'art.
19
della
legge
30
dicembre
1991,
n.
413,
che
disciplina
la
pubblicazione
degli
elenchi
dei
contribuenti;
VISTO
che
il
predetto
art.
69,
comma
6,
prevede,
ai
fini
della
consultazione
dei
predetti
elenchi,
il
loro
deposito,
per
la
durata
di
un
anno,
sia
presso
l'ufficio
dell'amministrazione
finanziaria,
sia
presso
i
comuni
interessati;
RILEVATO
che
il
provvedimento
del
Direttore
dell'Agenzia
delle
entrate
del
5
marzo
2008,
che
individua
le
modalità
e
i
termini
di
formazione
degli
elenchi
relativi
all'anno
di
imposta
2005,
ha
disposto
una
diversa
modalità
di
pubblicazione
di
tali
elenchi
in
un'apposita
sezione
del
sito
internet
http://www.agenziaentrate.gov.it;
RILEVATO
altresì
che
tali
elenchi,
suddivisi
in
relazione
agli
uffici
dell'Agenzia
delle
entrate
territorialmente
competenti,
sono
liberamente
consultabili
anche
con
la
possibilità
di
salvarne
una
copia
con
funzioni
di
trasferimento
file;
CONSIDERATO
che
il
citato
art.
69,
come
già
rilevato
più
volte
da
questa
Autorità,
costituisce,
ai
sensi
dell'art.
19,
comma
3,
del
Codice,
la
base
giuridica
per
pubblicare
elenchi
dei
contribuenti,
recando
"una
precisa
scelta
normativa
di
consultabilità
da
parte
di
chiunque
di
determinate
fonti"
"operata
per
favorire
una
trasparenza
in
materia
di
dati
raccolti
dalla
pubblica
amministrazione
attraverso
le
dichiarazioni
fiscali"
(v.
Provv.
17
gennaio
2001,
doc.
web
n.
41031,
Provv.
2
luglio
2003,
doc.
web.
n.
1081728,
nonché
Provv.
18
ottobre
2007,
doc.
web.
n.
1454901);
RILEVATO
che,
"come
è
desumibile
dai
numerosi
pronunciamenti
di
questa
Autorità
in
materia
di
trasparenza,
non
vi
è
incompatibilità
tra
la
protezione
dei
dati
personali
e
determinate
forme
di
pubblicità
di
dati
previste
per
finalità
di
interesse
pubblico
o
della
collettività"
(v.,
in
particolare,
Provv.
del
2
luglio
2003,
cit.);
CONSIDERATO
tuttavia
che
il
legislatore
ha
demandato
all'Amministrazione
finanziaria
esclusivamente
il
compito
di
formare
annualmente
gli
elenchi
dei
contribuenti
e
che
il
regime
di
pubblicità
è
invece
direttamente
prescritto
per
legge
(art.
69,
comma
6,
cit.);
RILEVATO
che,
all'esito
di
una
preliminare
verifica
effettuata
da
questa
Autorità,
la
pubblicazione
dei
predetti
elenchi
attraverso
il
sito
web
http://www.agenziaentrate.gov.it
risulta
allo
stato
non
conforme
alla
normativa
di
settore;
CONSIDERATO
che
il
Garante,
ai
sensi
degli
artt.
143,
comma
1,
lett.
c)
e
154,
comma
1,
lett.
a)
e
d)
del
Codice,
può,
anche
d'ufficio,
disporre
il
blocco
e
adottare
altri
provvedimenti
previsti
dalla
disciplina
applicabile
al
trattamento
dei
dati
personali;
60
170
La
questione,
peraltro,
non
era
nuova
all'Ufficio
del
Garante
che
l'aveva
già
affrontata
in
diverse
precedenti
occasioni
giungendo,
peraltro,
a
conclusioni
parzialmente
differenti
da
quella
cui
è
giunto
nel
provvedimento
del
30
aprile61.
Il
punto
è
questo:
la
disciplina
fiscale
(art.
69
del
D.P.R.
600/1973)
prevede
un
regime
di
pubblicità
per
i
dati
relativi
ai
redditi
dei
contribuenti
italiani,
stabilendone,
altresì
termini
e
modalità
di
comunicazione
e
diffusione
al
pubblico62.
RILEVATA
la
necessità
di
chiedere
ulteriori
chiarimenti
e
di
invitare
in
via
d'urgenza
l'Agenzia
a
sospendere
nel
frattempo
la
pubblicazione
dei
dati
personali
contenuti
negli
elenchi
dei
contribuenti
sopra
menzionati
tramite
il
sito
web
http://www.agenziaentrate.gov.it,
nelle
more
della
definizione
degli
ulteriori
accertamenti
da
parte
di
questa
Autorità;
RISERVATA
la
formulazione
in
altra
sede
di
un
invito
ai
mezzi
di
informazione
a
non
divulgare
i
dati
estratti
dagli
elenchi
resi
disponibili
in
Internet
dall'Agenzia
con
le
predette
modalità;
VISTA
la
documentazione
in
atti;
VISTE
le
osservazioni
dell'Ufficio,
formulate
dal
segretario
generale
ai
sensi
dell'art.
15
del
regolamento
del
Garante
n.
1/2000
del
28
giugno
2000;
Relatore
il
prof.
Francesco
Pizzetti;
TUTTO
CIÒ
PREMESSO
IL
GARANTE
ai
sensi
dell'art.
154,
comma
1,
lett.
d),
del
Codice,
chiede
ulteriori
chiarimenti
e
invita
l'Agenzia
delle
entrate
a
sospendere
nel
frattempo
la
pubblicazione
degli
elenchi
dei
contribuenti
tramite
il
sito
web
http://www.agenziaentrate.gov.it.
61
I
precedenti
provvedimenti
del
Garante
sono
richiamati
nel
provvedimento
riportato
nella
nota
precedente.
62
Questa
la
normativa
di
riferimento:
Dpr
600
del
1973
Articolo
69
Pubblicazione
degli
elenchi
dei
contribuenti.
1.
Il
Ministro
delle
finanze
dispone
annualmente
la
pubblicazione
degli
elenchi
dei
contribuenti
il
cui
reddito
imponibile
è
stato
accertato
dagli
uffici
delle
imposte
dirette
e
di
quelli
sottoposti
a
controlli
globali
a
sorteggio
a
norma
delle
vigenti
disposizioni
nell'ambito
dell'attività
di
programmazione
svolta
dagli
uffici
nell'anno
precedente.
2.
Negli
elenchi
deve
essere
specificato
se
gli
accertamenti
sono
definitivi
o
in
contestazione
e
devono
essere
indicati,
in
caso
di
rettifica,
anche
gli
imponibili
dichiarati
dai
contribuenti.
3.
Negli
elenchi
sono
compresi
tutti
i
contribuenti
che
non
hanno
presentato
la
dichiarazione
dei
redditi,
nonché
i
contribuenti
nei
cui
confronti
sia
stato
accertato
un
maggior
reddito
imponibile
superiore
a
euro
5.164,57
e
al
20
per
cento
del
reddito
dichiarato,
o
in
ogni
caso
un
maggior
reddito
imponibile
superiore
a
euro
25.822,84.
4.
Il
centro
informativo
delle
imposte
dirette,
entro
il
31
dicembre
dell'anno
successivo
a
quello
di
presentazione
delle
dichiarazioni
dei
redditi,
forma,
per
ciascun
comune,
i
seguenti
elenchi
nominativi
da
distribuire
agli
uffici
delle
imposte
territorialmente
competenti:
a)
elenco
nominativo
dei
contribuenti
che
hanno
presentato
la
dichiarazione
dei
redditi;
b)
elenco
nominativo
dei
soggetti
che
esercitano
imprese
commerciali,
arti
e
professioni.
171
E'
innegabile
che
la
pubblicazione
on‐line
costituisca
una
modalità
di
diffusione
non
conforme
alla
citata
disposizione
di
legge
con
la
conseguenza
che,
alla
stregua
di
quanto
previsto
dall'art.
19
del
codice
privacy,
essa
deve
considerarsi
illecita.
Il
Garante,
pertanto,
avrebbe
dovuto
pronunciarsi
con
maggior
perentorietà
e,
anziché,
limitarsi
ad
"invitare",
inibire
all'Agenzia
delle
Entrate
la
prosecuzione
del
trattamento
(diffusione).
Non
mi
sembra,
infatti,
che
la
questione
richieda
maggior
approfondimento.
Il
problema,
tuttavia,
dal
punto
di
vista
giuridico,
ora,
è
un
altro:
centinaia
di
migliaia
di
persone
hanno
avuto
accesso
‐
nelle
poche
ore
in
cui
ciò
è
stato
possibile
‐
ai
dati
relativi
al
reddito
dei
contribuenti
italiani.
Mentre
vi
scrivo
sto
scaricando
via
p2p
centinaia
di
file
contenenti
tali
dati
e
non
sono,
evidentemente,
il
solo…
5.
Con
apposito
decreto
del
Ministro
delle
finanze
sono
annualmente
stabiliti
i
termini
e
le
modalità
per
la
formazione
degli
elenchi
di
cui
al
comma
4.
6.
Gli
elenchi
sono
depositati
per
la
durata
di
un
anno,
ai
fini
della
consultazione
da
parte
di
chiunque,
sia
presso
lo
stesso
ufficio
delle
imposte
sia
presso
i
comuni
interessati.
Per
la
consultazione
non
sono
dovuti
i
tributi
speciali
di
cui
al
D.P.R.
26
ottobre
1972,
n.
648.
7.
Ai
comuni
che
dispongono
di
apparecchiature
informatiche,
i
dati
potranno
essere
trasmessi
su
supporto
magnetico
ovvero
mediante
sistemi
telematici.
Dpr
633
del
1972
Articolo
66
Bis
Pubblicazione
degli
elenchi
di
contribuenti.
Il
Ministro
delle
finanze
dispone
annualmente
la
pubblicazione
di
elenchi
di
contribuenti
nei
cui
confronti
l'ufficio
dell'imposta
sul
valore
aggiunto
ha
proceduto
a
rettifica
o
ad
accertamento
ai
sensi
degli
articoli
54
e
55.
Sono
ricompresi
nell'elenco
solo
quei
contribuenti
che
non
hanno
presentato
la
dichiarazione
annuale
e
quelli
dalla
cui
dichiarazione
risulta
un'imposta
inferiore
di
oltre
un
decimo
a
quella
dovuta
ovvero
un'eccedenza
detraibile
o
rimborsabile
superiore
di
oltre
un
decimo
a
quella
spettante.
Negli
elenchi
deve
essere
specificato
se
gli
accertamenti
sono
definitivi
o
in
contestazione
e
deve
essere
indicato,
in
caso
di
rettifica,
anche
il
volume
di
affari
dichiarato
dai
contribuenti.
Gli
uffici
dell'imposta
sul
valore
aggiunto
formano
e
pubblicano
annualmente
per
ciascuna
provincia
compresa
nella
propria
circoscrizione
un
elenco
nominativo
dei
contribuenti
che
hanno
presentato
la
dichiarazione
annuale
ai
fini
dell'imposta
sul
valore
aggiunto,
con
la
specificazione,
per
ognuno,
del
volume
di
affari.
Gli
elenchi
sono
in
ogni
caso
depositati
per
la
durata
di
un
anno,
ai
fini
della
consultazione
da
parte
di
chiunque,
sia
presso
l'ufficio
che
ha
proceduto
alla
loro
formazione,
sia
presso
i
comuni
interessati.
Per
la
consultazione
non
sono
dovuti
i
tributi
speciali
di
cui
al
decreto
del
Presidente
della
Repubblica
26
ottobre
1972,
n.
648.
Gli
stessi
uffici
pubblicano,
inoltre,
un
elenco
cronologico
contenente
i
nominativi
dei
contribuenti
che
hanno
richiesto
i
rimborsi
dell'imposta
sul
valore
aggiunto
e
di
quelli
che
li
hanno
ottenuti.
172
Che
potrò
o
dovrò
farne?
E
cosa
dovranno
farne
quanti,
prima
di
me,
li
hanno
scaricati
direttamente
dal
sito
delle
Agenzie
delle
entrate?
Su
molti
quotidiani
on‐line
e
su
migliaia
di
siti,
oggi,
sono
snocciolati,
comunicati,
diffusi
e
commentati
questi
dati.
E'
lecito?
La
legge
‐
quella
fiscale
intendo
‐
non
lo
dice
ed
il
Garante
dela
privacy
ha
sin
qui
taciuto.
La
mia
personale
opinione
è
che
la
pubblicazione
via
internet
di
tali
dati,
allo
stato,
debba
essere
considerata
illecita
in
quanto
non
"coperta"
da
alcuna
disposizione
di
legge
e
relativa
a
dati
di
cui
‐
sebbene
attraverso
il
provvedimento
interlocutorio
del
30
aprile
‐
il
Garante
ha
vietato
la
diffusione
on‐line.
E'
ovvio,
tuttavia,
che
occorre
una
regola
‐
ex
lege
o
attraverso
un
provvedimento
del
Garante
‐
chiara
ed
universale
altrimenti,
nei
prossimi
mesi,
sui
giornali,
in
televisione,
in
Rete,
nei
tribunali
e
nell'ambito
dei
più
diversi
rapporti
tra
privati
questi
dati
verranno
continuamente
utilizzati
e
ci
ritroveremo,
ogni
volta,
a
chiederci
se
ed
in
che
limiti
tali
dati
possono
essere
archiviati,
comunicati
o,
piuttosto,
diffusi.
Questo
è
il
problema
oggi
sul
tavolo
ed
è
un
problema
serio
che
va
risolto
ed
affrontato
senza
perder
tempo
a
riflettere
su
ciò
che
è
accaduto
in
quella
‐
benedetta
o
maledetta
‐
mattina
del
30
aprile…
Che
ne
pensate?
Redditi
on­line:
attenti
alle
cure
più
dannose
del
male.
4
maggio
2008
http://www.guidoscorza.it/?p=292
L'errore
‐
possiamo
chiamarlo
così,
quale
che
sarà
la
qualificazione
giuridica
che
al
fatto
daranno
nelle
prossime
ore
l'Autorità
Garante
e
la
Magistratura
‐
commesso
dall'Agenzia
delle
Entrate
il
30
aprile
ha
generato
reazioni
incontrollate
ed
incontrollabili
che
anziché
spegnere
l'incendio
lo
stanno
alimentando.
La
cura
proposta
rischia,
però,
di
risultare
più
dannosa
del
male.
E'
pacifico,
ormai,
che
l'Agenzia
delle
Entrate
non
avrebbe
dovuto
procedere
alla
pubblicazione
via
internet
dei
redditi
dei
38
milioni
di
contribuenti
italiani
ma
da
qui
a
parlare
di
richieste
risarcitorie
mulitimiliardarie
e
di
sequestri
nelle
case
delle
centinaia
di
migliaia
di
utenti
che
nella
mattinata
del
30
aprile
hanno
scaricato
sui
propri
PC
i
dati
resi
disponibili
dallo
Stato
il
passo
è
lungo.
173
Una
richiesta
risarcitoria
di
520
Euro
per
ogni
contribuente
che
si
è
visto
pubblicare
on‐line
il
proprio
reddito
per
un
totale
di
20
miliardi
di
euro
è,
probabilmente,
un
buon
claim
pubblicitario
ed
un
eccezionale
titolo
ad
effetto
per
chiunque
sia
alla
ricerca
di
facile
notorietà
ma
non
ha,
evidentemente,
alcun
fondamento
giuridico.
Quale
sarebbe
il
danno
sofferto
da
ciascuno
dei
38
milioni
di
contribuenti
italiani
per
il
solo
fatto
dell'avvenuta
pubblicazione
del
proprio
reddito
relativo
al
2005?
Quale
il
criterio
di
determinazione
della
misura
del
risarcimento?
Chi
l'ha
detto
che
tutti
i
contribuenti
italiani
sono
contrari
alla
pubblicazione
on‐line
dei
propri
redditi
e
determinati,
pertanto
‐
ammesso
anche
che
ne
sussistessero
i
presupposti
‐
ad
agire
per
il
risarcimento
dei
danni
sofferti?
Tanto
per
cominciare
il
68%
degli
oltre
100
mila
italiani
che
hanno,
sin
qui,
risposto
al
sondaggio
promosso
da
Repubblica.it
ha
mostrato
di
condividere
la
scelta
dell'Agenzia
delle
Entrate63.
68
mila
contribuenti
X
520
Euro
=
35.360.000
Euro.
Briciole
in
confronto
alla
richiesta
risarcitoria
di
20
miliardi
che
si
vorrebbe
avanzare
ma
briciole
significative
del
fatto
che
non
ci
si
può
ergere
a
"rappresentanti"
di
tutti
ed
interpreti
della
volontà
popolare
con
tanta
leggerezza.
E'
fuor
di
dubbio
che
quanto
accaduto
sia
un
fatto
grave
ma
proprio
tale
gravità
dovrebbe
spingere
tutti
a
contribuire,
con
responsabilità
ed
equilibrio
alla
ricerca
di
una
soluzione
piuttosto
che
alla
solita
italica
corsa
all'aggiudicazione
di
effimera
notorietà
mediatica.
Ieri
è
stato
quel
che
è
stato
e
nessuno
ricondurrà
mai
più
i
dati
relativi
al
reddito
2005
dei
contribuenti
italiani
nelle
segrete
camere
dell'Agenzia
delle
Entrate
né
in
quelle
‐
invero
meno
segrete
‐
dei
Comuni
ma,
domani,
è
un
altro
giorno
ed
è
urgente
individuare
una
soluzione
idonea
a
prevenire
prevedibili
abusi
di
tali
dati
e,
soprattutto,
a
distinguere
l'abuso
dall'uso
lecito
che
degli
stessi
dati
i
cittadini
hanno
il
diritto
di
fare.
La
legge
(art.
69
D.P.R.
600/1973)
riconosce
a
chiunque
il
diritto
di
accedere
ai
dati
relativi
al
reddito
dei
contribuenti
italiani
a
prescindere
da
qualsivoglia
valutazione
circa
la
meritevolezza
dell'interesse
che
spinge
il
singolo
all'accesso.
I
risultati
aggiornati
del
sondaggio
condotto
da
La
Repubblica
sono
pubblicati
a
questa
URL:
http://www.repubblica.it/speciale/poll/2008/economia/contionline_risultato.htm
l
63
174
La
detenzione
di
tali
dati
‐
a
condizione,
ovviamente,
che
non
se
ne
faccia
un
uso
illecito
‐
è,
dunque,
da
ritenersi
perfettamente
conforme
alla
disciplina
vigente
senza
che,
in
senso
contrario,
possa
valere
un
criterio
quantitativo
secondo
il
quale
ritenere
lecita
la
detenzione
di
un
modesto
quantitativo
di
dati
ed
illecita
la
detenzione
della
totalità.
Mi
riesce
difficile
qualificare
come
illecita
la
raccolta
di
tali
dati
effettuata
dai
cittadini
italiani
attraverso
il
sito
dell'Agenzia
delle
Entrate
e,
in
ogni
caso,
mi
sembra
irragionevole
ordinare
a
quanti
hanno
scaricato
tali
dati
di
distruggerli
e,
eventualmente,
andarli
a
richiedere
presso
gli
uffici
della
stessa
Agenzia
o,
piuttosto,
presso
i
Comuni.
Spetterà,
in
ogni
caso,
al
Garante
‐
in
conformità
a
quanto
disposto
dall'art.
17
del
Codice
Privacy
‐
stabilire
eventuali
misure
e
modalità
attraverso
le
quali
i
dati
acquisiti
dall'Agenzia
delle
Entrate
potranno
essere
trattati.
In
tale
prospettiva
occorrerebbe,
peraltro,
tener
presente
che
la
disciplina
fiscale
sull'accesso
ai
dati
dei
contribuenti
andrebbe,
a
ben
vedere,
reinterpretata
alla
luce
di
quanto
oggi
previsto
nel
Codice
dell'Amministrazione
digitale
che,
come
è
noto,
sancisce
il
diritto
dei
cittadini
di
accedere
alle
informazioni
rese
disponibili
dalla
Pubblica
Amministrazione
attraverso
gli
strumenti
informatici
e
telematici.
Non
sarebbe,
pertanto,
peregrina,
domani,
l'istanza
di
un
cittadino
che
dopo
aver
cancellato
i
dati
scaricati
nella
mattinata
del
30
aprile
dal
sito
dell'Agenzia
delle
Entrate,
richiedesse
a
quest'ultima
di
trasmetterglieli
nuovamente,
a
mezzo
posta
elettronica
o
altro
canale
telematico.
Troppo
facile,
in
questo
contesto,
imputare
gravi
responsabilità
agli
utenti
che
oggi
dispongono
di
quei
dati
e
minacciare
sanzioni
e
sequestri.
La
questione
è
un'altra
e,
quanto
accaduto,
ci
costringe
ad
affrontarla:
il
regime
della
pubblicità
dei
dati
detenuti
dalla
pubblica
amministrazione
nella
società
dell'Informazione
o
‐
per
dirla
con
le
parole
di
Jeremy
Rifkin
‐
nell'Era
dell'Accesso
non
può
più
farsi
scudo
della
difficoltà
pratica
che
la
burocrazia
ed
il
regime
cartaceo
della
documentazione
amministrativa
hanno
sin
qui
posto
sulle
spalle
di
chi
a
quei
dati
aveva
diritto
di
accedere.
Il
fatto
che
ieri
in
pochi
si
recassero
presso
l'Agenzia
delle
Entrate
o
presso
i
competenti
comuni
a
chiedere
di
conoscere
il
reddito
di
amici
e
parenti
non
significa
che
l'accesso
a
quei
dati
potesse
considerarsi
ristretto
o,
addirittura,
illecito.
Oggi,
pubblico
‐
in
assenza
di
ulteriori
restrizioni
determinate
ex
lege
‐
significa
effettivamente
accessibile
da
chiunque
anche
via
web.
175
Redditi
on­line/3:
A
ben
vedere
non
è
così
semplice…
5
maggio
2008
http://www.guidoscorza.it/?p=293
Lo
riconosco
ho
semplificato
troppo
un
problema
complesso
e
pur
sforzandomi
di
rimanere
obiettivo
mi
sono
lasciato
trascinare
dal
vasto
movimento
di
opinione
(giuridica
e
politica)
contrario
alla
scelta
operata
dalla
Agenzia
delle
Entrate.
A
ben
vedere
credo
che
alla
questione
possa
e
debba
guardarsi
in
maniera
meno
conservatrice
e
soprattutto,
sforzandosi
di
prescindere
dal
contigente.
L'Agenzia
delle
Entrate
nel
rispondere
al
Garante
per
la
Privacy
questo
pomeriggio
ha,
sostanzialmente,
individuato
il
fondamento
della
propria
decisione
nel
Codice
dell'Amministrazione
digitale
che
‐
come,
peraltro,
ricordavo
nel
mio
post
di
ieri
‐
in
effetti,
prevede
che
le
Pubbliche
Amministrazioni
siano
tenute
a
rendere
accessibili
i
"dati
pubblici"
attraverso
strumenti
informatici
e
telematici.
Continuo
a
pensare
che
l'Agenzia
delle
Entrate
abbia
peccato
di
leggerezza
nello
stabilire
le
modalità
di
pubblicazione
dei
redditi
dei
38
milioni
di
contribuenti
italiani
‐
come
ho
scritto
sin
dall'inizio
e
come
spiega
bene
Andrea
Monti
‐
ma
inizio
a
ritenere
che
l'errore
non
sia
consistito
nella
scelta
dello
strumento
telematico
e
che,
anzi,
i
dati
di
cui
stiamo
parlando,
oggi,
debbano
essere
conoscibili
attraverso
tale
strumento
benché,
probabilmente,
non
in
maniera
"centralizzata"
ed
a
cura
dell'Agenzia
ma
in
maniera
decentralizzata
ed
a
cura
delle
singole
amministrazioni
periferiche
(uffici
delle
imposte
e
comuni)
individuate
dall'art.
69
del
D.P.R.
600/1973.
A
tale
conclusione
mi
conduce
l'analisi
del
quadro
normativo
cui
è
affidata
la
disciplina
della
materia
alla
luce
delle
importanti
novità
‐
sebbene
troppo
spesso
dimenticate
‐
introdotte
nell'ordinamento
con
il
Codice
dell'Amministrazione
Digitale.
Il
punto
è
esattamente
questo:
in
che
misura
le
disposizioni
di
legge
introdotte
con
il
CAD
hanno
inciso
sulle
norme
previgenti?
L'art.
1
del
CAD
chiarisce
che
per
"dato
pubblico"
debba
intendersi
quello
"conoscibile
da
chiunque".
La
definizione
coincide
esattamente
con
quella
contenuta
all'art.
69
del
D.P.R.
600/1973
con
la
conseguenza
che,
allo
stato,
non
vi
è
spazio
per
ritenere
che
i
dati
relativi
al
reddito
dei
contribuenti
italiani
non
siano
dati
pubblici
almeno
limitatamente
all'intervallo
temporale
nell'ambito
del
quale
la
norma
ne
consente
la
consultabilità,
appunto,
da
parte
di
chiunque.
176
Numerose
disposizioni
del
CAD
‐
tra
le
quali
l'art.
50
‐
prevedono,
inoltre,
che
le
PA
debbano
‐
e
non
semplicemente
possano
‐
porre
a
disposizione
dei
cittadini
i
dati
pubblici
da
esse
detenuti
"con
l'uso
delle
tecnologie
dell'informazione
e
della
comunicazione
che
ne
consentano
la
fruizione
e
riutilizzazione"
sebbene
"alle
condizioni
fissate
dall'ordinamento,
da
parte
delle
altre
pubbliche
amministrazioni
e
dai
privati"
nonché
nei
limiti
di
"conoscibilità
dei
dati
previsti
dalle
leggi
e
dai
regolamenti"
e
dalle
norme
in
materia
di
protezione
dei
dati
personali.
L'art.
69
del
D.P.R.
600/1973
stabilisce
che
gli
elenchi
contenenti
i
redditi
dei
contribuenti
italiani
siano
"depositati
per
la
durata
di
un
anno,
ai
fini
della
consultazione
da
parte
di
chiunque,
sia
presso
lo
stesso
ufficio
delle
imposte
sia
presso
i
comuni
interessati".
Non
mi
sembra
azzardato,
francamente,
ritenere
che
la
locuzione
"presso",
successivamente
all'entrata
in
vigore
del
CAD
debba
essere
interpretata
come
se
si
riferisse
anche
ai
siti
internet
dei
citati
uffici
(imposte
e
comuni
interessati).
Ogni
diversa
lettura
della
norma,
infatti,
finirebbe
con
il
risultare
incompatibile
rispetto
alle
previsioni
contenute
nel
codice
dell'amministrazione
digitale
con
la
conseguenza
di
dover
ritenere
la
norma
tacitamente
abrogata
‐
almeno
in
quella
parte
‐
per
effetto
di
una
norma
successiva
e
relativa
alla
stessa
materia.
Il
problema
non
riguarda
solo
l'art.
69
del
D.P.R.
600/1973
relativo
ai
dati
dei
redditi
dei
contribuenti
italiani
ma,
più
in
generale,
ogni
norma
che
pur
sancendo
la
conoscibilità
da
parte
di
chiunque
di
un
dato
in
possesso
della
PA
non
riconosca
poi
ai
cittadini
il
diritto
di
accedervi
attraverso
strumenti
informatici
o
telematici.
Mi
sembra
che,
allargando
l'angolo
di
visuale
si
riesca
a
guardare
al
problema
in
termini
squisitamente
giuridici
ed
in
modo
scevro
dai
condizionamenti
legati
al
particolare
carattere
dei
dati
oggetto
della
vicenda
che
ha
visto
protagonista
l'Agenzia
delle
Entrate.
La
conclusione
cui
si
perviene
seguendo
tale
ragionamento
è,
dunque,
che,
forse,
l'Agenzia
delle
Entrate
ha,
effettivamente,
violato
la
vigente
disciplina
sulla
privacy
per
le
modalità
prescelte
in
relazione
alla
pubblicazione
dei
dati
dei
redditi
degli
italiani
(accesso
indiscriminato
sul
proprio
sito
e
download
di
interi
archivi)
ma,
quei
dati
‐
almeno
sin
tanto
che
il
legislatore
non
ne
modificherà
il
regime
di
pubblicità
‐
devono,
comunque,
essere
resi
disponibili
attraverso
internet
da
parte
dei
soggetti
ai
quali
l'Agenzia
delle
Entrate
li
ha
trasmessi
(uffici
territoriali
delle
imposte
e
comuni).
177
Si
tratta,
a
mio
avviso,
di
una
conclusione
di
cui
il
Garante
per
la
Privacy
dovrà
tener
conto
nell'intervenire
sulla
questione
e
ciò
con
particolare
riferimento
alla
posizione
di
tutti
quegli
utenti
che
oggi
dispongono
dei
dati
a
suo
tempo
scaricati
dal
sito
dell'Agenzia
delle
Entrate
ed
intendono
utilizzarli.
Tale
utilizzo
alla
luce
di
quanto
ho
cercato
di
riassumere
sin
qui,
mi
sembra,
infatti
‐
lo
scrivevo
già
ieri
‐
lecito
almeno
in
astratto
e
salvo
verificare
l'illiceità
di
talune
particolari
forme
di
utilizzo.
Sarebbe
un
peccato
se
preoccupati
di
difendere
la
riservatezza
dei
nostri
redditi
ci
lasciassimo
passare
davanti
un
treno
sul
quale
viaggia
un
importante
principio
di
civiltà
giuridica
quale
quello
dell'utilizzabilità
degli
strumenti
telematici
ai
fini
dell'accesso
ai
documenti
pubblici
della
PA.
Quei
redditi
devono
tornare
online64
8
maggio
2008
Punto
Informatico
È
di
poche
ore
fa
il
provvedimento
con
cui
il
Garante
sulla
privacy
si
è
pronunciato
in
ordine
alla
pubblicazione
su
Internet
dei
dati
fiscali
dei
contribuenti
italiani
cui
ha
proceduto
il
30
aprile
scorso
l'Agenzia
delle
Entrate65.
L’articolo
è
stato
scritto
con
il
Collega
Carmelo
Giurdanella.
Il
testo
del
provvedimento
reso
dal
Garante
per
il
trattamento
dei
dati
personali
l’8
maggio
2008:
Redditi
on
line:
illegittima
la
diffusione
dei
dati
sul
sito
Internet
dell'Agenzia
delle
entrate
‐
6
maggio
2008
G.U.
n.
107
dell'8
maggio
2008
IL
GARANTE
PER
LA
PROTEZIONE
DEI
DATI
PERSONALI
NELLA
riunione
odierna,
in
presenza
del
prof.
Francesco
Pizzetti,
presidente,
del
dott.
Giuseppe
Chiaravalloti,
vicepresidente,
del
dott.
Mauro
Paissan
e
del
dott.
Giuseppe
Fortunato,
componenti
e
del
dott.
Giovanni
Buttarelli,
segretario
generale;
VISTO
il
Codice
in
materia
di
protezione
dei
dati
personali
(d.lg.
30
giugno
2003,
n.
196);
VISTA
la
disciplina
che
regola
la
pubblicazione
degli
elenchi
nominativi
dei
contribuenti
che
hanno
presentato
le
dichiarazioni
ai
fini
dell'imposta
sui
redditi
e
dell'imposta
sul
valore
aggiunto;
rilevato
che
su
questa
base
gli
elenchi
sono
formati
annualmente
e
depositati
per
un
anno,
ai
fini
della
consultazione
da
parte
di
chiunque,
presso
i
comuni
interessati
e
gli
uffici
dell'Agenzia
competenti
territorialmente;
rilevato
che
con
apposito
decreto
devono
essere
stabiliti
annualmente
"i
termini
e
le
modalità"
per
la
loro
formazione
(art.
69
d.P.R.
29
settembre
1973,
n.
600,
come
mod.
dall'art.
19
l.
30
dicembre
1991,
n.
413;
art.
66
bis
d.P.R.
26
ottobre
1972,
n.
633);
VISTO
il
provvedimento
con
il
quale
l'Agenzia
delle
entrate
ha
attuato
tale
disciplina
per
il
2005
disponendo
che
gli
elenchi,
distribuiti
ai
predetti
uffici
dell'Agenzia
e
trasmessi
ai
comuni
mediante
sistemi
telematici,
siano
altresì
pubblicati
nell'apposita
sezione
del
sito
Internet
dell'Agenzia
64
65
178
http://www.agenziaentrate.gov.it
"ai
fini
della
consultazione"
"in
relazione
agli
uffici
dell'Agenzia
delle
entrate
territorialmente
competenti"
(Provv.
Direttore
dell'Agenzia
5
marzo
2008
prot.
197587/2007);
VISTO
il
provvedimento
del
30
aprile
2008
con
il
quale
questa
Autorità,
appena
avuta
notizia
di
tale
diffusione
in
Internet
e
avendo
ritenuto
sulla
base
di
una
verifica
preliminare
che
essa
non
risultava
conforme
alla
normativa
di
settore,
ha
invitato
in
via
d'urgenza
l'Agenzia
a
sospenderla;
RILEVATO
che
con
tale
provvedimento
il
Garante
ha
anche
invitato
l'Agenzia
a
fornire
ulteriori
chiarimenti
che,
sollecitati
con
nota
dell'Autorità
del
2
maggio,
sono
pervenuti
nel
termine
indicato
(nota
Agenzia
5
maggio
2008
n.
2008/68657);
esaminate
le
deduzioni
formulate
e
la
documentazione
allegata;
RILEVATO
dalle
segnalazioni
pervenute
e
dagli
elementi
acquisiti
nell'istruttoria
preliminare
che
la
diffusione
in
Internet
a
cura
direttamente
dell'Agenzia,
contrariamente
a
quanto
da
questa
sostenuto
nella
predetta
nota,
contrasta
con
la
normativa
in
materia,
in
quanto:
1)
il
provvedimento
del
Direttore
dell'Agenzia
poteva
stabilire
solo
"i
termini
e
le
modalità"
per
la
formazione
degli
elenchi.
La
conoscibilità
di
questi
ultimi
è
infatti
regolata
direttamente
da
disposizione
di
legge
che
prevede,
quale
unica
modalità,
la
distribuzione
di
tali
elenchi
ai
soli
uffici
territorialmente
competenti
dell'Agenzia
e
la
loro
trasmissione,
anche
mediante
supporti
magnetici
ovvero
sistemi
telematici,
ai
soli
comuni
interessati,
in
entrambi
i
casi
in
relazione
ai
soli
contribuenti
dell'ambito
territoriale
interessato.
Ciò,
come
sopra
osservato,
ai
fini
del
loro
deposito
per
la
durata
di
un
anno
e
della
loro
consultazione
‐senza
che
sia
prevista
la
facoltà
di
estrarne
copia‐
da
parte
di
chiunque
(art.
69,
commi
4
ss.,
d.P.R.
n.
600/1973
cit.;
v.
anche
art.
66
bis
d.P.R.
26
ottobre
1972,
n.
633);
2)
il
Codice
dell'amministrazione
digitale,
invocato
dall'Agenzia
a
sostegno
della
propria
scelta,
incentiva
l'uso
delle
tecnologie
dell'informazione
e
della
comunicazione
nell'utilizzo
dei
dati
delle
pubbliche
amministrazioni.
Tuttavia,
il
Codice
stesso
fa
espressamente
salvi
i
limiti
alla
conoscibilità
dei
dati
previsti
da
leggi
e
regolamenti
(come
avviene
nel
menzionato
art.
69),
nonché
le
norme
e
le
garanzie
in
tema
di
protezione
dei
dati
personali
(artt.
2,
comma
5
e
50
d.lg.
7
marzo
2005,
n.
82);
3)
la
predetta
messa
in
circolazione
in
Internet
dei
dati,
oltre
a
essere
di
per
sé
illegittima
perché
carente
di
una
base
giuridica
e
disposta
senza
metterne
a
conoscenza
il
Garante,
ha
comportato
anche
una
modalità
di
diffusione
sproporzionata
in
rapporto
alle
finalità
per
le
quali
l'attuale
disciplina
prevede
una
relativa
trasparenza.
I
dati
sono
stati
resi
consultabili
non
presso
ciascun
ambito
territoriale
interessato,
ma
liberamente
su
tutto
il
territorio
nazionale
e
all'estero.
L'innovatività
di
tale
modalità,
emergente
dalle
stesse
deduzioni
dell'Agenzia,
non
traspariva
dalla
generica
informativa
resa
ai
contribuenti
nei
modelli
di
dichiarazione
per
l'anno
2005.
L'Agenzia
non
ha
previsto
"filtri"
nella
consultazione
on‐line
e
ha
reso
possibile
ai
numerosissimi
utenti
del
sito
salvare
una
copia
degli
elenchi
con
funzioni
di
trasferimento
file.
La
centralizzazione
della
consultazione
a
livello
nazionale
ha
consentito
ai
medesimi
utenti,
già
nel
ristretto
numero
di
ore
in
cui
la
predetta
sezione
del
sito
web
è
risultata
consultabile,
di
accedere
a
innumerevoli
dati
di
tutti
i
contribuenti,
di
estrarne
copia,
di
formare
archivi,
modificare
ed
elaborare
i
dati
stessi,
di
creare
liste
di
profilazione
e
immettere
tali
informazioni
in
ulteriore
circolazione
in
rete,
nonché,
in
alcuni
casi,
in
vendita.
Con
ciò
ponendo
anche
a
rischio
l'esattezza
dei
dati
e
precludendo
ogni
possibilità
di
garantire
che
essi
non
siano
consultabili
trascorso
l'anno
previsto
dalla
menzionata
norma;
4)
infine,
va
rilevato
che
questa
Autorità
non
è
stata
consultata
preventivamente
dall'Agenzia
stessa,
come
prescritto
rispetto
ai
regolamenti
e
agli
atti
179
amministrativi
attinenti
alla
protezione
dei
dati
personali
(art.
154,
comma
4,
del
Codice);
CONSIDERATO
che,
sulla
base
delle
motivazioni
suesposte,
non
risulta
lecita
la
predetta
forma
di
pubblicazione
degli
elenchi;
CONSIDERATO
pertanto
che,
a
conferma
della
sospensione
già
effettuata,
va
inibita
all'Agenzia
la
diffusione
ulteriore
in
Internet
dei
predetti
elenchi
con
le
modalità
sopra
indicate,
nonché
la
loro
diffusione
in
modo
analogo
per
i
periodi
di
imposta
successivi
al
2005
in
carenza
di
un'idonea
base
normativa
e
della
preventiva
consultazione
del
Garante
(artt.
143,
comma
1,
lett.
c)
e
154,
comma
1,
lett.
a),
b)
e
d),
del
Codice);
CONSIDERATO
che
con
contestuale
altro
provvedimento
va
contestata
all'Agenzia
la
violazione
amministrativa
per
l'assenza
di
un'idonea
e
preventiva
informativa
ai
contribuenti
interessati
(artt.
13
e
161
del
Codice);
CONSIDERATO
che
coloro
che
hanno
ottenuto
i
dati
dei
contribuenti
provenienti,
anche
indirettamente,
dal
menzionato
sito
Internet,
non
possono
metterli
ulteriormente
in
circolazione
stante
la
violazione
di
legge
accertata
con
il
presente
provvedimento;
considerato
che
tale
ulteriore
loro
messa
in
circolazione
‐in
particolare
mediante
reti
telematiche
o
altri
supporti
informatici‐
configura
un
fatto
illecito
che,
ricorrendo
determinate
circostanze,
può
avere
anche
natura
di
reato
(artt.
11,
commi
1,
lett.
a)
e
2,
13,
23,
24,
161
e
167
del
Codice);
rilevata
pertanto
la
necessità
di
favorire
la
più
ampia
pubblicità
al
presente
provvedimento;
CONSIDERATO
che
restano
tuttavia
impregiudicate
le
altre
forme
di
legittimo
accesso
agli
elenchi
consultabili
da
chiunque
presso
comuni
interessati
e
uffici
dell'Agenzia
competenti
territorialmente,
ai
fini
di
un
loro
legittimo
utilizzo
anche
per
finalità
giornalistiche;
CONSIDERATO
che,
qualora
il
Parlamento
e
il
Governo
intendessero
porre
mano
a
una
revisione
normativa
della
disciplina
sulla
conoscibilità
degli
elenchi
dei
contribuenti
anche
in
rapporto
all'evoluzione
tecnologica,
si
porrà
l'esigenza
di
individuare,
sentita
questa
Autorità,
opportune
soluzioni
e
misure
di
protezione
per
garantire
un
giusto
equilibrio
tra
l'esigenza
di
forme
proporzionate
di
conoscenza
dei
dati
dei
contribuenti
e
la
tutela
dei
diritti
degli
interessati;
VISTE
le
osservazioni
dell'Ufficio,
formulate
dal
segretario
generale
ai
sensi
dell'art.
15
del
regolamento
del
Garante
n.
1/2000
del
28
giugno
2000;
Relatore
il
prof.
Francesco
Pizzetti;
TUTTO
CIÒ
PREMESSO
IL
GARANTE:
1)
a
conferma
della
sospensione
della
pubblicazione
degli
elenchi
nominativi
per
l'anno
2005
dei
contribuenti
che
hanno
presentato
dichiarazioni
ai
fini
dell'imposta
sui
redditi
e
dell'imposta
sul
valore
aggiunto,
ai
sensi
degli
artt.
143,
comma
1,
lett.
c)
e
154,
comma
1,
lett.
a),
b)
e
d),
del
Codice,
inibisce
all'Agenzia
di:
a)
diffondere
ulteriormente
in
Internet
detti
elenchi
con
le
modalità
che
il
presente
provvedimento
ha
stabilito
essere
in
contrasto
con
la
disciplina
di
settore
attualmente
vigente;
b)
diffonderli
in
modo
analogo
per
i
periodi
di
imposta
successivi
al
2005,
in
carenza
di
idonea
base
normativa
e
della
preventiva
consultazione
del
Garante;
2)
manda
all'Ufficio
di
contestare
all'Agenzia,
con
contestuale
provvedimento,
la
violazione
amministrativa
per
l'assenza
di
un'idonea
e
preventiva
informativa
ai
contribuenti
interessati;
3)
dispone
che
l'Ufficio
curi
la
più
ampia
pubblicità
del
presente
provvedimento,
anche
mediante
pubblicazione
sulla
Gazzetta
ufficiale
della
Repubblica
italiana,
al
fine
di
rendere
edotti
coloro
che
hanno
ottenuto
i
dati
dei
contribuenti
provenienti,
anche
indirettamente,
dal
sito
Internet
dell'Agenzia,
della
circostanza
che
essi
non
possono
continuare
a
metterli
in
circolazione
stante
la
suesposta
violazione
di
legge
e
che
tale
ulteriore
messa
in
circolazione
configura
un
fatto
illecito
che,
ricorrendo
determinate
circostanze,
può
avere
anche
natura
di
reato.
180
Le
conclusioni
cui
è
pervenuto
il
Garante
sono
sostanzialmente
in
linea
con
quanto
era
nell'aria
ormai
da
giorni:
l'Agenzia
delle
Entrate
ha
violato
la
disciplina
vigente
in
materia
di
privacy
e
riservatezza
procedendo
alla
pubblicazione
a
mezzo
Internet
di
dati
che
avrebbe,
invece,
dovuto
limitarsi
a
trasmettere
ai
comuni
ed
ai
propri
uffici
sul
territorio.
Muovendo
da
tali
conclusioni,
il
Garante
ha
quindi
inibito
all'Agenzia
delle
Entrate
ogni
ulteriore
diffusione
in
Internet
degli
elenchi
contenenti
il
reddito
dei
contribuenti
relativo
al
2005
nonché
ai
successivi
periodi
di
imposta
e
"ammonito"
quanti
siano
frattanto
entrati
in
possesso
di
tali
elenchi
a
non
porli
ulteriormente
in
circolazione.
La
decisione
è
condivisibile
nelle
conclusioni
cui
attraverso
essa
si
perviene
a
proposito
della
sostanziale
illegittimità
della
condotta
dell'Agenzia
delle
Entrate
ma
lascia
perplessi
circa
alcuni
passaggi
logici
della
motivazione
e,
soprattutto,
alcuni
principi
di
più
ampio
respiro
che,
attraverso
essa,
l'Autorità
sembrerebbe
voler
affermare.
Secondo
il
Garante,
infatti,
l'illegittimità
della
condotta
dell'Agenzia
delle
Entrate
deriverebbe
dalla
circostanza
che
il
Codice
Privacy
autorizzerebbe
le
pubbliche
amministrazioni
alla
comunicazione
e
diffusione
dei
dati
solo
laddove
espressamente
previsto
dalla
legge
e
l'art.
69
del
D.P.R.
600/1973
non
prevederebbe,
tra
le
forme
di
conoscibilità
degli
elenchi
dei
redditi
dei
contribuenti,
la
diffusione
online.
L'Agenzia
delle
Entrate
avrebbe,
pertanto,
dovuto
astenersi
dal
procedervi.
In
tale
ragionamento,
tuttavia,
il
Garante
omette,
a
nostro
avviso,
di
tenere
nella
debita
considerazione
quanto
previsto
dal
Codice
dell'amministrazione
digitale,
quasi
che
le
norme
in
esso
contenute
dovessero
‐
per
rango
o
per
volontà
del
legislatore
‐
cedere
il
passo,
in
ogni
caso,
a
quelle
dettate
dal
Codice
Privacy.
Tale
posizione
non
convince
in
quanto
sembra
caratterizzata
da
un
approccio
eccessivamente
conservatore
e
privacy‐centrico,
se
ci
si
perdona
il
neologismo.
1.
Tanto
per
cominciare,
sembra
utile
ricordare
che
i
dati
relativi
al
reddito
dei
cittadini
italiani
sono
dati
pubblici.
Lo
stabilisce
senza
tema
di
smentite
il
combinato
disposto
degli
artt.
69
del
d.p.r.
600/1973
e
1,
lett.
n)
del
Codice
dell'Amministrazione
Digitale.
La
prima
delle
due
citate
disposizioni,
al
sesto
comma
chiarisce
che
gli
elenchi
dei
redditi
dei
contribuenti
"sono
depositati
per
la
durata
di
un
anno,
ai
fini
della
consultazione
da
parte
di
chiunque,
sia
presso
lo
stesso
ufficio
delle
imposte
sia
presso
i
Comuni
181
interessati"
mentre
la
seconda
stabilisce
che
per
"dato
pubblico"
deve
intendersi
"il
dato
conoscibile
da
chiunque".
Tale
aspetto
appare,
invero,
sottovalutato
nel
provvedimento
del
Garante.
2.
È
vero
che
l'Art.
69
del
D.P.R.
600/1973
non
contempla
tra
le
modalità
attraverso
le
quali
garantire
a
chiunque
l'accesso
agli
elenchi
dei
redditi
dei
contribuenti
la
pubblicazione
di
tali
dati
su
Internet.
Forse,
tuttavia,
sarebbe
stato
utile,
per
il
Garante,
interrogarsi
sul
carattere
tassativo
o
meno
delle
modalità
di
accesso
previste
da
tale
disposizione
e,
soprattutto,
sull'eventuale
necessità
di
considerare
integrata
detta
norma
‐
al
pari
di
ogni
altra
di
analogo
tenore
‐
dalle
disposizioni
contenute
nel
codice
dell'Amministrazione
digitale.
Quanto
al
primo
aspetto
appare
utile
ricordare
che
il
Tar
Lombardia,
in
una
decisione
del
9
gennaio
1981,
chiamato
a
pronunciarsi
sulla
legittimità
della
pubblicazione
da
parte
di
un
comune
di
un
opuscolo
contenente
i
redditi
dei
cittadini
residenti
nel
proprio
territorio
ha
già
avuto
occasione
di
stabilire
che
"L'art.
69
d.P.R.
29
settembre
1973
n.
600,
che
prevede
il
deposito
degli
elenchi
dei
contribuenti
al
fine
di
consentirne
a
chiunque
la
consultazione,
non
preclude
altre
forme
di
pubblicità
idonee
a
perseguire
lo
scopo
di
pubblica
utilità
di
una
corretta
informazione
dei
cittadini,
conformemente
ad
una
delle
finalità
della
riforma
del
settore,
che
si
prefiggeva,
tra
l'altro,
una
maggiore
trasparenza
del
rapporto
tributario
attraverso
controlli
svolti
anche
mediante
più
ampie
forme
partecipative".
Certo
si
tratta
solo
di
una
pronuncia
di
un
Giudice
amministrativo,
ma
non
può
negarsi
che
essa
sta
a
significare
che
una
lettura
meno
conservatrice
della
disciplina
fiscale
in
materia
di
accesso
ai
redditi
dei
contribuenti
è
possibile.
L'aspetto,
a
nostro
avviso,
più
rilevante
è,
tuttavia,
il
secondo
ovvero
l'impatto
che
le
disposizioni
del
codice
dell'amministrazione
digitale
hanno
avuto
sulla
disciplina
previdente.
L'art.
2
del
CAD
stabilisce
che
"Lo
Stato,
le
Regioni
e
le
autonomie
locali
assicurano
la
disponibilità,
la
gestione,
l'accesso,
la
trasmissione,
la
conservazione
e
la
fruibilità
dell'informazione
in
modalità
digitale
e
si
organizzano
ed
agiscono
a
tale
fine
utilizzando
con
le
modalità
più
appropriate
le
tecnologie
dell'informazione
e
della
comunicazione"
ed
il
successivo
art.
12,
c.5,
prevede
che
"Le
pubbliche
amministrazioni
utilizzano
le
tecnologie
dell'informazione
e
della
comunicazione,
garantendo,
nel
rispetto
delle
vigenti
normative,
l'accesso
alla
consultazione,
la
circolazione
e
lo
scambio
di
dati
e
informazioni,
nonché
l'interoperabilità
dei
sistemi
e
l'integrazione
dei
processi
di
servizio
fra
le
diverse
amministrazioni".
182
Si
tratta
di
disposizioni
di
legge
successive
all'art.
69
del
D.P.R.
600/1973
così
come
modificato
dalla
legge
30
dicembre,
1991,
n.
413
e
di
pari
rango,
con
la
conseguenza
che
esse
vanno
ad
integrare
ogni
disposizione
previgente.
Difficile,
in
tale
contesto
normativo,
non
nutrire
almeno
il
sospetto
che
la
disposizione
contenuta
nel
sesto
comma
dell'art.69
del
D.P.R.
600/1973,
secondo
cui
gli
elenchi
dei
dati
vanno
depositati
presso
i
Comuni
interessati,
debba
intendersi
riferita
anche
ai
siti
internet
di
tali
Comuni.
3.La
conclusione
cui
si
perviene
seguendo
tale
ragionamento
è
che,
allo
stato,
non
sembra
possibile
considerare
tout
court
illegittima
la
pubblicazione
online
degli
elenchi
dei
redditi
dei
contribuenti
italiani
che,
anzi,
appare
‐
almeno
laddove
operata
dai
singoli
Comuni
e
dagli
uffici
territoriali
dell'Agenzia
delle
Entrate
‐
un
atto
dovuto
al
quale
la
pubblica
amministrazione
non
può
sottrarsi.
Si
potrà
‐
ed
anzi
si
dovrà,
come
opportunamente
ricorda
il
Garante
‐
semmai
discutere
delle
modalità
più
idonee
per
evitare
eventuali
trattamenti
di
tali
dati
eccedenti
i
limiti
di
conoscibilità
fissati
dall'art.
69
del
D.P.R.
600/1973
(pubblicazione
dei
dati
tramite
formati
elettronici
non
manipolabili,
esclusione
delle
funzioni
di
stampa
e
di
salvataggio
su
PC,
necessità
di
identificazione
del
cittadino
italiano
tramite
codice
fiscale
o
carta
d'identità
elettronica)
ma
non
si
può
obiettare
nulla
circa
l'esistenza
di
un
diritto
alla
conoscibilità
di
tali
dati
e
men
che
mai,
nell'era
della
comunicazione
digitale,
all'utilizzo
di
Internet
quale
canale
privilegiato
di
diffusione
delle
comunicazioni
e
di
dati
pubblici,
ferma
restando,
semmai,
solo
la
sanzionabilità
di
un
uso
illecito
degli
stessi.
Nel
plaudire,
dunque,
al
Garante
per
la
tempestività
dell'intervento
e
per
aver,
una
volta
di
più,
ricordato
la
centralità
del
diritto
alla
privacy
nel
nostro
Ordinamento,
non
ci
si
può
sottrarre
dal
manifestare
preoccupazione
per
il
rischio
che
i
principi
generali
sanciti
nel
provvedimento
di
questa
mattina
finiscano
‐
unitamente
all'iniziativa
azzardata
e
caratterizzata
da
inscusabile
leggerezza
dell'Agenzia
delle
Entrate
‐
con
lo
svuotare
di
significato
le
norme
attraverso
le
quali
il
Codice
dell'Amministrazione
Digitale
ha
inteso,
finalmente,
riconoscere
ai
cittadini
il
pieno
ed
effettivo
diritto
all'accesso
dei
dati
pubblici
detenuti
dalla
Pubblica
amministrazione.
Il
CAD
non
interviene
sul
regime
di
pubblicità
dei
dati
della
PA
ma,
più
semplicemente,
impone
a
quest'ultima
di
utilizzare
anche
le
nuove
tecnologie
per
consentire
ai
cittadini
di
accedere
a
dati
già
dichiarati
pubblici
dalla
disciplina
vigente.
L'auspicio
‐
espresso
in
termini
non
provocatori
ma
reali
‐
è
che
"passata
la
bufera"
il
Garante
detti,
a
tutti
i
Comuni
ed
agli
uffici
183
dell'Agenzia
delle
Entrate
sul
territorio,
regole
e
direttive
per
rendere
accessibili
online
gli
elenchi
della
discordia
nel
rispetto,
ovviamente,
della
privacy.
Non
servono,
infatti,
nuove
norme
ma
solo
una
puntuale
e
prudente
applicazione
di
quelle
vigenti.
La
(in)certezza
del
diritto
(alla
privacy).
25
maggio
2008
http://www.guidoscorza.it/?p=303
Il
Ministro
Brunetta
ha
lanciato
l'operazione
trasparenza
pubblicando
i
redditi
e
le
percentuali
di
assenteismo
dei
dipendenti
del
proprio
ministero66.
Ideologicamente
lo
condivido
ma…giuridicamente
sono
smarrito.
Nelle
scorse
settimane
mi
sono
ritrovato
in
minoranza
a
sostenere
che
i
dati
pubblici
relativi
al
reddito
dei
cittadini
italiani
dovevano
tornare
on‐line
sebbene
con
modalità
diverse
da
quelle
prescelte
dall'Agenzia
delle
Entrate.
Il
Garante
è
stato
durissimo
contro
l'Agenzia
delle
Entrate
e
velocissimo
nell'accertare
l'illegittimità
di
quanto
avvenuto67.
Le
procure
della
Repubblica
di
mezza
Italia
mi
sembrano
intenzionate
ad
usare
il
pugno
di
ferro
contro
quanti
continuano
ad
utilizzare
quei
DATI
PUBBLICI
dopo
averli
acquisiti
in
modo
(solo)
FORMALMENTE
difforme
da
quanto
previsto
dalla
disciplina
vigente.
La
legge
va
rispettata
anche
quando
è
scritta
male
e
peggio
ancora
coordinata
con
altre
disposizioni
contenute,
ad
esempio,
nel
Codice
dell'Amministrazione
digitale.
Lo
capisco
e,
sebbene
a
fatica,
lo
accetto.
Con
qualche
amico
sto
presentando
un'istanza
di
accesso
per
via
telematica
ai
dati
relativi
ai
redditi
di
tutti
i
residenti
ad
un
paio
di
comuni
italiani
sulla
base
della
disciplina
contenuta
nel
CAD.
Stiamo
a
vedere
cosa
ci
risponderanno…
Leggo
ora
su
Repubblica.it
che
la
decisione
del
Ministro
Brunetta
sarebbe
stata
assunta
nel
rispetto
della
disciplina
sulla
Privacy!
Mi
sono
perso
qualcosa?
Mi
auguro
che
ciò
significhi
che
il
Ministro
Brunetta
abbia
chiesto
a
tutti
i
propri
dirigenti
il
consenso
a
procedere
in
tal
senso,
prestando
loro
adeguata
informativa
anche
in
relazione
alle
A
questa
URL
sono
disponibili
i
dati
dei
redditi
dei
dirigenti
del
Ministero
della
Funzione
pubblica:
http://www.innovazionepa.it/ministro/trasparenza/retribuzioni.htm
67
Cfr.
nota
n.
65
66
184
modalità
di
diffusione
dei
dati:
un
PDF
scaricabile
da
chiunque
mi
sembra,
francamente,
eccessivo!
Permarrebbe,
peraltro,
qualche
problemino
sulla
libertà
di
un
consenso
richiesto
da
un
Ministro
ad
un
proprio
dirigente
Wink
e
sulla
diffusione
‐
inevitabile
‐
di
quei
dati
anche
all'estero,
circostanza
che,
nel
noto
caso
dell'Agenzia
delle
Entrate,
tanto
aveva
fatto
agitare
il
Garante!
Spero
che
questi
consensi
siano
stati
richiesti
e,
mi
piacerebbe,
che
il
Garante
lo
chiarisse
in
un
proprio
comunicato
stampa
perché,
in
assenza,
quanto
sta
accadendo
sarebbe
difficilmente
comprensibile.
La
Legge
non
credo
dica
che
i
dati
sui
redditi
di
un
dirigente
del
Ministero
della
Funzione
Pubblica
sono
più
pubblici
di
quelli
di
tanti
altri
dirigenti
(e
non)
italiani.
In
assenza
del
consenso
degli
interessati,
parlerei
di
grande
(IN)CERTEZZA
del
diritto
e
non
credo
di
dover
essere
io
a
ricordare
quali
sono
le
conseguenze
che
si
producono
allorquando
non
vi
è
più
certezza
circa
le
conseguenze
giuridiche
di
un'azione
o
omissione.
La
(IN)certezza
del
diritto/
UPDATE
27
maggio
2008
http://www.guidoscorza.it/?p=304
In
un
post
di
qualche
ora
fa
sul
Blog
di
Anna
Masera
de
La
Stampa
leggo
alcuni
"virgolettati"
del
Ministro
Brunetta
che
mi
lasciano
perplesso.
Dice
Brunetta
"L’operazione….«è
’in
progress’,
e
forse
qualche
falla
è
possibile,
ma
abbiamo
voluto
farla
subito".
Ho
già
scritto
altre
volte
che
l'agire
della
PA
‐
specie
ad
alto
livello
‐
non
può
essere
ispirato
al
principio
del
work
in
progress
e
che
la
PA
non
può
accettare
neppure
a
livello
di
"dolo
eventuale"
che
in
decisioni
tanto
importanti
vi
siano
delle
"falle".
Aspettare
un
paio
di
settimane
e
verificare
il
quadro
giuridico
di
riferimento
non
credo
avrebbe
danneggiato
l'efficacia
dell'Operazione
Trasparenza
che
l'Italia
attende
da
decenni!
Il
Ministro,
poi
prosegue
ricordando
che
l'operazione
è
stata
realizzata
"sulla
base
delle
leggi
vigenti
e
dopo
un
confronto
con
il
Garante
della
privacy,
anche
per
evitare
equivoci
come
in
tempi
recenti
per
ministeri
più
pesanti»
.
Un
paio
di
annotazioni.
Ho
già
espresso
qualche
perplessità
sul
fatto
che
la
disciplina
vigente
legittimi
i
singoli
Ministeri
‐
nella
loro
qualità
di
datori
di
lavoro
dei
dirigenti
pubblici
‐
a
diffondere
via
internet
ed
185
in
formato
pdf
i
dati
dei
redditi.
Forse,
a
tutto
voler
concedere,
la
legge
riconoscere
tale
funzione
all'Agenzia
delle
Entrate…Wink
Quanto
al
"confronto
con
il
Garante"…considerato
che
stiamo
parlando
dell'OPERAZIONE
TRASPARENZA
sarebbe
interessante
conoscere
il
parere
del
Garante
e
le
sue
motivazioni
nelle
quali,
immagino,
si
spiegano
le
differenze
tra
questa
vicenda
e
quella
relativa
all'OPERAZIONE
TRASPARENZA
lanciata
qualche
settimana
fa
dall'Agenzia
delle
Entrate.
Ma
il
Ministro
è
prodigo
di
spiegazioni
ed
aggiunge:
"i
dati
personali
«sono
stati
autorizzati
spontaneamente
da
ogni
dirigente.
C’è
stato
solo
qualche
piccolo
nervosismo,
che
si
è
poi
risolto
con
totale
condivisione".
Scrivevo
ieri
che
ho
qualche
perplessità
anche
sulla
libertà
di
un
consenso
espresso
da
un
dirigente
‐
credo,
peraltro,
con
contratti
in
scadenza
‐
nelle
mani
del
Suo
Ministro.
Le
parole
del
Ministro
mi
sembrano
confermare
queste
mie
perplessità
attraverso
il
riferimento
ai
"piccoli
nervosismi…poi
risolti
con
totale
condivisione".
Lascio
a
voi
la
traduzione
dal
linguaggio
ISTITUZIONALE
a
quello
GIURIDICO
delle
parole
del
Ministro.Wink
Immagino,
ovviamente,
che
il
Ministero
abbia
fornito
ai
propri
dirigenti
una
puntuale
informativa
relativa
anche
alle
modalità
di
diffusione
dei
dati…
Per
evitare
fraintendimenti
ci
tengo
a
ribadire
che
la
trasparenza
è
un
valore
in
cui
credo
ma,
allo
stesso
tempo,
non
posso
accettare
che
l'espressione
trasparenza
‐
in
un'accezione,
peraltro,
ancora
solo
promozionale
(non
mi
si
venga
a
dire
che
la
pubblicazione
di
quei
numeri
aggiunge
qualcosa
alle
possibilità
di
controllo
di
un
cittadino
sull'agire
della
PA)
‐
sia
usata
come
un
grimaldello
per
scardinare
regole
e
principi.
Redditi
online,
spazio
all'Operazione
Chiarezza68
6
giugno
2008
Punto
Informatico
Nei
giorni
scorsi
si
è
fatto
un
gran
parlare
dell’Operazione
Trasparenza
lanciata
dal
Ministro
Brunetta
anche
se
nessuno
ne
conosce
con
esattezza
i
termini
in
mancanza
della
pubblicazione
del
provvedimento
con
il
quale
la
stessa
è
stata
disposta.
Da
quanto
è
dato
comprendere
dalle
dichiarazioni
rese
dal
Ministro
nella
conferenza
stampa
del
24
maggio,
tuttavia,
l’Operazione
dovrebbe
consistere
nella
pubblicazione
sul
sito
68
L’articolo
è
stato
scritto
con
il
collega
Ernesto
Belisario
186
internet
del
Ministero
per
la
Pubblica
Amministrazione
e
l’Innovazione
dei
dati
del
personale,
organigrammi,
numero
dei
dirigenti,
retribuzioni
lorde,
telefono,
email
e
curriculum
vitae
dei
dirigenti
nonché
dei
tassi
di
assenza
per
ufficio.
Con
una
lettera
dello
scorso
30
maggio,
inoltre,
il
Ministro
Brunetta
ha
invitato
i
suoi
colleghi
di
Governo
a
seguire
l’esempio.
L’idea
è
buona
ma
le
modalità
con
cui
è
stata
attuata
lasciano
perplessi
soprattutto
perché
l’iniziativa
cade
a
poche
settimane
di
distanza
dal
gran
baccano
sollevato
dalla
pubblicazione
on‐line
dei
redditi
dei
contribuenti
italiani
e
dalla
decisione
con
la
quale
il
Garante
per
la
Privacy
ha
accertato
l’illegittimità
del
provvedimento
con
il
quale
il
Direttore
Generale
dell’Agenzia
aveva
disposto
la
pubblicazione
degli
elenchi.
In
quell’occasione
si
disse
che
il
fatto
che
i
dati
dei
redditi
dei
contribuenti
italiani
fossero
pubblici
non
ne
legittimava,
comunque,
la
pubblicazione
on‐line.
Oggi,
il
Ministro
Brunetta,
nel
lanciare
la
sua
“Operazione
Trasparenza”
dichiara
di
agire
nel
rispetto
della
disciplina
vigente
e
delle
indicazioni
del
Garante
per
la
protezione
dei
dati
personali.
Difficile
contraddirlo
in
assenza
di
un
provvedimento
che
chiarisca
quali
dati
esattamente
formeranno
oggetto
di
pubblicazione
e
con
quali
modalità
e,
soprattutto,
in
mancanza
di
una
richiesta
di
parere
formale
al
Garante
che,
sin
qui,
sembra
essersi
limitato
ad
“annuire
tacitamente
con
il
capo”.
Proviamo
a
vederci
chiaro
lanciando
–
ci
sia
consentito
un
gioco
di
parole
–
“un’Operazione
Chiarezza”.
La
disciplina
sulla
privacy
stabilisce
–
lo
ha
ricordato
il
Garante
nel
citato
provvedimento
nel
Caso
redditi
on‐line
–che
le
pubbliche
amministrazioni
possano
procedere
alla
comunicazione
e
diffusione
di
dati
personali
solo
ed
esclusivamente
quando
previsto
da
una
norma
di
legge
e
con
le
modalità
e
nei
termini
da
essa
dettati.
In
tale
contesto
è
evidente
che
in
assenza
di
un’adeguata
copertura
normativa
l’iniziativa
del
Ministro
Brunetta
–
per
quanto
giusta
e
meritevole
di
approvazione
–
non
potrebbe
aver
seguito
ponendosi,
altrimenti,
in
contrasto
con
la
vigente
disciplina
in
materia
di
Privacy
ed
imponendo
al
Garante
–
così
come
accaduto
nel
Caso
Redditi
on‐line
–
di
intervenire
per
porvi
fine.
Vediamo,
dunque,
cosa
dice
la
legge.
L’art.
54
del
Codice
dell'Amministrazione
Digitale
(D.
Lgs.
n.
82/2005)
obbliga
–
e
non
già
semplicemente
permette
­
le
Pubbliche
Amministrazioni
a
pubblicare
sul
proprio
sito
internet
“l'organigramma,
l'articolazione
degli
uffici,
le
attribuzioni
e
l'organizzazione
di
ciascun
ufficio”
ma
anche
“i
nomi
dei
dirigenti
responsabili
dei
singoli
uffici”
e
“l’elenco
completo
delle
caselle
di
187
posta
elettronica
istituzionali
attive,
specificando
anche
se
si
tratta
di
una
casella
di
posta
elettronica
certificata”.
Nessun
dubbio,
quindi,
sul
fatto
che
la
pubblicazione
di
tali
dati,
cui
il
Ministro
Brunetta
ha
annunciato
di
voler
procedere
nell’ambito
dell’Operazione
Trasparenza
sia
lecita.
Occorre,
tuttavia,
chiarire
–
nell’ambito
della
nostra
piccola
Operazione
Chiarezza
–
che,
in
questo
caso,
non
si
tratta
di
scelte
politiche
discrezionali
ma,
più
semplicemente,
di
necessaria
applicazione
di
prescrizioni
di
legge
vigenti.
Tanto
per
intenderci
non
pubblicare
questi
dati
sul
sito
di
ogni
Ministero
(e,
più
in
generale,
di
ogni
altra
PA)
costituirebbe
un’aperta
violazione
del
Codice
dell’Amministrazione
Digitale
che,
per
quanto
dimenticata,
è
una
legge
–
peraltro
ormai
anagraficamente
matura
–
di
questo
Paese.
In
questo
senso
è
difficile
comprendere
–
da
un
punto
di
vista
giuridico
s’intende
–
il
senso
dell’invito
rivolto
dal
Ministro
Brunetta
ai
suoi
colleghi
di
Governo
affinché
seguano
il
suo
esempio
e
pubblichino
tali
dati
on‐line.
L’invito
è
fuori
posto.
Al
riguardo,
al
massimo,
si
sarebbe
potuto
comprendere
un
richiamo
al
rispetto
della
normativa
vigente.
Non
bisogna
più
convincere
nessuno
sui
benefici
che
cittadini
e
PA
ricaverebbero
dall’attuazione
del
CAD
e
non
è
più
tempo
di
discorsi
autoreferenziali.
Le
norme
ci
sono
ormai:
bisogna
soltanto
farle
applicare
e,
se
non
danno
buona
prova
di
sé,
modificarle.
Discorso
diverso
merita,
invece,
la
questione
della
pubblicazione
delle
retribuzioni
(lorde)
dei
dirigenti
del
Ministero
della
Pubblica
Amministrazione
e
Innovazione
e,
nella
misura
in
cui
gli
altri
Ministri
raccoglieranno
l’invito
del
collega
Brunetta,
quelli
dei
dirigenti
di
tutti
gli
altri
Ministeri
e
delle
relative
strutture
collegate.
Al
riguardo
l’art.
1,
comma
593,
della
Legge
Finanziaria
2007
(Legge
n.
296/2006)
dispone
la
necessaria
e
preventiva
pubblicazione
via
web
della
retribuzione
dei
dirigenti
delle
pubbliche
amministrazioni
il
cui
incarico
sia
stato
conferito
ai
sensi
dell'art.
19,
comma
6,
D.
Lgs.
n.
165/2001
nonché
dei
consulenti,
dei
membri
di
commissioni
e
di
collegi
e
dei
titolari
di
qualsivoglia
incarico
corrisposto
dallo
Stato,
da
enti
pubblici
o
da
società
a
prevalente
partecipazione
pubblica
non
quotate
in
borsa.
Ancora
una
volta
la
legge
non
permette
la
pubblicazione
on‐line
delle
retribuzioni
dei
soggetti
individuati
nella
norma
ma
la
impone
e,
ancora
una
volta,
pertanto,
l’Operazione
Trasparenza
–
ammesso
che
tutti
i
dirigenti
di
cui
si
discute
siano
stati
nominati
ai
sensi
del
richiamato
comma
6,
art.
19,
D.
Lgs.
n.
165/2001
–
188
costituirebbe
semplicemente
un’Operazione
di
applicazione
della
disciplina
vigente.
Se,
invece,
uno
o
più
dei
dirigenti
cui
si
riferiscono
i
redditi
già
pubblicati
o
quelli
che
verranno
pubblicati
nelle
prossime
settimane
non
fosse
stato
nominato
alla
stregua
della
richiamata
disposizione,
mancherebbe
una
norma
di
copertura
per
l’iniziativa
del
Ministro
Brunetta
che,
di
conseguenza,
dovrebbe
astenersi
dal
provvedervi
in
assenza
di
esplicito
e
libero
consenso
da
parte
di
tutti
i
dirigenti
rilasciato
dopo
prestazione
di
adeguata
informativa
sui
termini
e
le
modalità
di
pubblicazione
dei
propri
redditi.
Il
Ministro
Brunetta,
in
effetti,
nella
sua
conferenza
stampa
ha
dichiarato
–
quasi
a
mettere
le
mani
avanti
–
di
aver
agito
con
il
consenso
dei
suoi
dirigenti,
consenso
acquisito
dopo
qualche
iniziale
“resistenza”.
Il
consenso
prestato
da
un
dirigente
nelle
mani
del
suo
Ministro,
tuttavia,
fa
sorgere
qualche
perplessità
sotto
il
profilo
della
sua
effettiva
“libertà”.
L’Operazione
Trasparenza,
a
regime,
dovrebbe
vedere
la
pubblicazione
anche
dei
curricula
dei
dirigenti
e
dei
dati
relativi
al
raggiungimento
degli
obiettivi;
anche
in
questo
caso
l’unica
strada
praticabile
e
legittima
dal
punto
di
vista
giuridico
è
quella
che
prevede
che
l’Amministrazione
richieda
agli
interessati
il
necessario
consenso,
così
come
prescritto
dal
Codice
Privacy.
A
voler
seguire
la
strada
indicata
dal
Ministro
Brunetta,
quindi,
appare
opportuno
dettare
regole
nuove
che
chiariscano
i
rapporti
tra
il
regime
di
pubblicità
e
conoscibilità
dei
dati
e
la
disciplina
sulla
privacy.
In
mancanza
è
prevedibile
che
le
iniziative
avviate
da
politici
e
dirigenti
illuminati
saranno
destinate
a
fallire
perchè
bloccate
dalle
difficoltà
nell’acquisizione
di
tutti
i
consensi
necessari
e
dal
contenzioso
che
potrebbe
derivarne.
Frattanto
spetta
al
Garante
per
la
protezione
dei
dati
personali
verificare
che
tutto,
nell’ambito
dell’Operazione
Trasparenza
si
stia
svolgendo
effettivamente
nel
rispetto
della
disciplina
vigente
e
ciò
a
tutela
della
certezza
del
diritto
che
non
può
e
non
deve
essere
posta
nel
dubbio
attraverso
l’assunzione
di
posizioni
o
orientamenti
ondivaghi
e
difficilmente
giustificabili
in
assenza
di
motivazioni
puntuali,
rigorose
e,
soprattutto,
trasparenti.
Se
la
regola
dettata
dal
Codice
Privacy
è
–
come
il
Garante
ha
insegnato
nel
Caso
Redditi
on‐line
–
che
la
Pubblica
Amministrazione
può
comunicare
o
diffondere
dati
personali
solo
in
presenza
di
una
norma
di
legge
che
a
ciò
la
autorizzi
e
con
le
modalità
previste
da
detta
norma,
l’Autorità
non
può
oggi
lasciare
che
in
assenza
di
adeguata
copertura
normativa
–
nel
solo
nome
di
189
un
generico
obiettivo
trasparenza
–
i
redditi
di
migliaia
di
dirigenti
pubblici
finiscano
on‐line
in
file
pdf
destinati
ad
appartenere
per
sempre
alla
Rete
globale.
Non
si
tratta
di
chiedersi
se
è
giusto
o
ingiusto
o,
piuttosto,
di
interrogarsi
sull’opportunità
politica
del
gesto
ma,
semplicemente,
di
chiarire,
una
volta
di
più,
che
le
regole
sono
regole
e
che
vanno
rispettate
in
ogni
contesto
e
stagione
politica.
Ci
sia
consentita
un’ultima
annotazione:
la
pubblicazione
delle
retribuzioni
lorde
dei
dirigenti
dei
ministeri
italiani
riveste
ben
poca
utilità
e
rischia
anzi
di
risultare
fuorviante
in
assenza
della
pubblicazione
di
adeguati
indici
di
misurazione
del
complesso
dei
fringe
benefits
di
cui
ciascuno
di
tali
soggetti
può
effettivamente
disporre
(auto,
telefonini,
pc,
connessione
ad
internet
ecc..).
Operazione
Chiarezza
appunto.
Privacy
e
social
network
25
ottobre
2008
http://www.guidoscorza.it/?p=368
La
privacy
degli
utenti
di
Facebook
e
MySpace
e
più
in
generale
delle
decine
di
piattaforme
di
Social
Network
forma
oggetto
di
una
delle
risoluzione
adottate
nell'ambito
della
30°
conferenza
mondiale
dei
Garanti
per
la
protezione
dei
dati
personali
e
la
riservatezza
svoltasi
dal
15
al
17
ottobre
a
Strasburgo.
I
70
garanti
nella
Risoluzione
richiamano
l'attenzione
di
utenti,
social
network
providers
e
governi
sui
rischi
connessi
alle
dinamiche
di
circolazione
dei
dati
personali
nell'ambito
delle
piattaforme
di
social
network69.
Il
testo
integrale
della
risoluzione:
Risoluzione
sulla
tutela
della
privacy
nei
servizi
di
social
network
(*)
Autorità
proponente:
Autorità
per
la
protezione
dei
dati
e
l'accesso
alle
informazioni
dello
Stato
di
Berlino
–
Germania
Co‐sponsor:
Commission
nationale
de
l'informatique
et
des
libertés
(CNIL)
–
Francia
Autorità
federale
per
la
protezione
dei
dati
e
l'accesso
alle
informazioni
–
Germania
Garante
per
la
protezione
dei
dati
personali
–
Italia
Autorità
per
la
privacy
–
Nuova
Zelanda
Autorità
federale
per
la
protezione
dei
dati
e
le
informazioni
–
Svizzera
Risoluzione
I
servizi
di
social
network
(1)
sono
divenuti
estremamente
popolari
negli
ultimi
anni.
Fra
l'altro,
si
tratta
di
servizi
che
offrono
agli
abbonati
la
possibilità
di
interagire
attraverso
profili
personali
generati
autonomamente,
il
che
favorisce
la
comunicazione
di
dati
personali
relativi
agli
abbonati,
ma
anche
a
soggetti
terzi,
in
una
misura
che
non
ha
precedenti.
I
servizi
di
social
network
offrono
una
gamma
69
190
del
tutto
nuova
di
opportunità
comunicative
e
di
interazione
in
tempo
reale
attraverso
ogni
possibile
tipologia
di
informazioni,
ma
l'utilizzo
di
questi
servizi
può
comportare
rischi
per
la
privacy
sia
degli
utenti
sia
di
terzi.
I
dati
personali
divengono
infatti
disponibili
pubblicamente
e
in
modo
globale,
secondo
schemi
qualitativi
e
quantitativi
che
non
hanno
precedenti,
anche
attraverso
enormi
quantità
di
foto
e
video
digitali.
C'è
il
rischio
di
perdere
il
controllo
dell'utilizzo
dei
propri
dati
una
volta
pubblicati
in
rete.
Il
fatto
che
si
tratti
di
servizi
operanti
attraverso
una
"comunità"
di
utenti
può
far
pensare
che
la
situazione
non
sia
molto
diversa
dal
condividere
informazioni
con
un
gruppo
di
amici
nel
mondo
reale;
in
realtà,
le
informazioni
contenute
nel
proprio
profilo
possono
raggiungere
l'intera
comunità
degli
abbonati
al
servizio
–
talora
in
numero
di
diversi
milioni.
Attualmente
non
vi
sono
che
scarse
tutele
rispetto
alla
riproduzione
dei
dati
personali
contenuti
nei
profili‐utente;
possono
essere
copiati
da
altri
membri
della
rete,
o
da
terzi
non
autorizzati
esterni
alla
rete,
e
quindi
venire
utilizzati
per
costruire
profili
personali
oppure
essere
ripubblicati
altrove.
Talora
risulta
assai
difficile,
o
addirittura
impossibile,
ottenere
la
totale
cancellazione
dei
propri
dati
da
Internet
una
volta
che
essi
siano
stati
pubblicati.
Anche
dopo
la
cancellazione
dal
sito
originario
(ad
esempio,
un
servizio
di
social
network),
possono
esisterne
copie
in
mano
a
soggetti
terzi
o
ai
fornitori
del
servizio
di
social
network.
Inoltre,
i
dati
personali
contenuti
nei
profili
possono
"filtrare"
dalla
rete
se
sono
indicizzati
da
un
motore
di
ricerca,
mentre
alcuni
fornitori
di
questi
servizi
consentono
a
terzi
di
accedere
ai
dati
relativi
agli
utenti
attraverso
API
(interfacce
di
programmazione
applicazioni),
cosicché
tali
soggetti
terzi
sono
liberi
di
disporre
dei
dati
in
questione.
Fra
gli
esempi
di
utilizzo
ulteriore
dei
dati,
possiamo
citare
la
prassi
invalsa
presso
molti
uffici
del
personale
di
varie
aziende
di
ricercare
i
profili‐utente
relativi
a
candidati
all'assunzione
o
singoli
dipendenti.
Secondo
quanto
riferito
dalla
stampa,
un
terzo
dei
responsabili
delle
risorse
umane
ammette
di
utilizzare
informazioni
tratte
da
servizi
di
social
network,
ad
esempio
per
verificare
o
completare
le
informazioni
fornite
dai
candidati
all'assunzione.
Le
informazioni
contenute
nei
profili‐utente
e
i
dati
di
traffico
sono
utilizzati
anche
dai
fornitori
di
servizi
di
social
network
per
l'invio
di
messaggi
mirati
di
marketing
ai
rispettivi
utenti.
E'
molto
probabile
che
in
futuro
si
manifestino
altre
modalità
di
utilizzo
dei
dati
contenuti
nei
profili‐utente.
Fra
gli
altri
rischi
specifici
per
la
privacy
e
la
sicurezza
già
oggi
individuati,
possiamo
ricordare
l'incremento
del
rischio
di
furti
di
identità
favorito
dalla
diffusa
disponibilità
dei
dati
personali
contenuti
nei
profili‐utente
e
dalla
"cattura"
di
tali
profili
ad
opera
di
terzi
non
autorizzati.
La
30ma
Conferenza
Internazionale
delle
autorità
per
la
protezione
dei
dati
e
della
privacy
ricorda
che
tali
rischi
hanno
già
formato
oggetto
di
analisi
nel
documento
"Relazione
e
Linee‐Guida
sulla
Privacy
nei
Servizi
di
Social
Network
("Memorandum
di
Roma")"
adottato
durante
la
43ma
riunione
dell'International
Working
Group
on
Data
Protection
in
Telecommunications
(3‐4
marzo
2008),
nonché
nel
Position
Paper
n.
1
dell'ENISA
dedicato
a
"Security
Issues
and
Recommendations
for
Online
Social
Networks"
(ottobre
2007).
Le
Autorità
per
la
protezione
dei
dati
e
della
privacy
riunitesi
in
occasione
della
Conferenza
Internazionale
sono
convinte,
in
primo
luogo,
della
necessità
di
condurre
un'approfondita
campagna
informativa
che
investa
tutti
i
soggetti
pubblici
e
privati:
dalle
autorità
di
governo
alle
istituzioni
scolastiche,
dai
fornitori
di
servizi
di
social
network
alle
associazioni
di
utenti
e
consumatori,
nonché
le
stesse
autorità,
al
fine
di
prevenire
i
molteplici
rischi
associati
all'utilizzo
dei
servizi
di
social
network.
191
Raccomandazioni
Tenuto
conto
della
particolare
natura
dei
servizi
in
oggetto,
e
dei
rischi
per
la
privacy
delle
persone
nel
breve
e
nel
lungo
periodo,
la
Conferenza
sottopone
le
seguenti
raccomandazioni
agli
utenti
ed
ai
fornitori
di
servizi
di
social
network:
Utenti
dei
servizi
di
social
network
I
soggetti
interessati
al
benessere
degli
utenti
dei
servizi
di
social
network,
ivi
compresi
i
fornitori
di
tali
servizi,
i
governi,
e
le
autorità
per
la
protezione
dei
dati,
dovrebbero
contribuire
ad
educare
gli
utenti
alla
tutela
dei
dati
personali
che
li
riguardano,
trasmettendo
i
messaggi
di
seguito
indicati:
1.
Pubblicazione
delle
informazioni
Gli
utenti
di
servizi
di
social
network
dovrebbero
valutare
con
attenzione
se
e
in
quale
misura
pubblicare
dati
personali
in
un
profilo
creato
su
tali
servizi.
Occorre
tenere
presente
che
le
informazioni
o
le
immagini
pubblicate
potrebbero
riemergere
in
tempi
successivi
–
ad
esempio,
in
occasione
della
presentazione
di
una
domanda
d'impiego.
Soprattutto,
i
minori
dovrebbero
evitare
di
fornire
l'indirizzo
o
il
numero
telefonico
di
casa.
Sarebbe
opportuno
valutare
se
utilizzare
nel
profilo
uno
pseudonimo
anziché
il
nome
reale.
Tuttavia,
gli
utenti
devono
ricordare
che
la
tutela
offerta
dall'utilizzo
di
pseudonimi
è
piuttosto
limitata,
in
quanto
altri
potrebbero
individuare
chi
vi
si
cela
dietro.
2.
La
privacy
degli
altri
Gli
utenti
devono
rispettare
la
privacy
altrui.
Occorre
particolare
attenzione
se
si
pubblicano
dati
personali
relativi
a
soggetti
terzi
(comprese
foto
con
o
senza
didascalie
o
etichette)
senza
il
consenso
di
tali
soggetti.
Fornitori
dei
servizi
di
social
network
I
fornitori
dei
servizi
di
social
network
sono
tenuti
ad
operare
nell'interesse
delle
persone
che
utilizzano
i
loro
servizi.
Oltre
a
rispettare
la
normativa
in
materia
di
protezione
dei
dati,
dovrebbero
mettere
in
pratica
anche
le
raccomandazioni
di
seguito
indicate:
1.
Norme
e
standard
in
materia
di
privacy
I
fornitori
devono
rispettare
gli
standard
in
materia
di
privacy
vigenti
nei
Paesi
ove
operano.
A
tale
scopo,
dovrebbero
consultarsi,
se
necessario,
con
le
autorità
per
la
protezione
dei
dati.
2.
Informazioni
relative
agli
utenti
I
fornitori
dei
servizi
di
social
network
devono
informare
gli
utenti
in
merito
al
trattamento
dei
dati
personali
che
li
riguardano,
secondo
modalità
trasparenti
e
corrette.
Inoltre,
devono
fornire
informazioni
veritiere
e
comprensibili
sulle
conseguenze
derivanti
dalla
pubblicazione
di
dati
personali
in
un
profilo,
nonché
sugli
altri
rischi
in
materia
di
sicurezza
e
sulla
possibilità
che
soggetti
terzi
(comprese,
ad
esempio,
le
forze
dell'ordine)
accedano
legalmente
a
tali
dati.
L'informativa
deve
indicare
anche
le
modalità
per
una
corretta
gestione
dei
dati
personali
relativi
a
terzi
che
siano
contenuti
nei
singoli
profili‐utente.
3.
Controllo
da
parte
degli
utenti
sui
dati
che
li
riguardano
E'
necessario
che
i
fornitori
potenzino
ulteriormente
la
capacità
degli
utenti
di
decidere
l'utilizzo
dei
dati
contenuti
nei
rispettivi
profili
per
quanto
riguarda
i
membri
della
comunità.
Devono
consentire
agli
utenti
di
limitare
la
visibilità
dell'intero
profilo,
nonché
di
singoli
dati
contenuti
nel
profilo
o
ottenuti
attraverso
funzioni
di
ricerca
messe
a
disposizione
della
comunità.
Inoltre,
i
fornitori
devono
consentire
agli
utenti
di
decidere
sugli
utilizzi
ulteriori
dei
dati
di
traffico
e
dei
dati
contenuti
nei
rispettivi
profili
–
ad
esempio,
per
quanto
riguarda
attività
di
marketing.
Come
minimo,
devono
offrire
la
possibilità
di
negare
il
consenso
(opt‐out)
rispetto
all'utilizzo
dei
dati
non
sensibili
contenuti
nel
profilo,
e
prevedere
un
consenso
previo
(opt‐in)
rispetto
all'utilizzo
di
dati
di
natura
192
La
risoluzione
richiama,
sostanzialmente,il
contenuto
del
memorandum
già
approvato
a
Roma
nell'ambito
della
43°
riunione
del
Gruppo
di
lavoro
sulla
protezione
dei
dati
nelle
telecomunicazioni
nel
marzo
di
quest'anno70.
Trovo
giusto
ed
opportuno
che
i
garanti
richiamino
l'attenzione
degli
attori
del
social
networking
sui
rischi
connessi
a
sensibile
contenuti
nel
profilo
(ad
esempio,
dati
relativi
ad
opinioni
politiche
o
all'orientamento
sessuale)
nonché
rispetto
ai
dati
di
traffico.
4.
Impostazioni
di
default
orientate
alla
privacy
Inoltre,
i
fornitori
devono
prevedere
impostazioni
di
default
orientate
a
favorire
la
privacy
degli
utenti
per
quanto
riguarda
le
informazioni
contenute
nei
singoli
profili.
Le
impostazioni
di
default
sono
essenziali
ai
fini
della
tutela
della
privacy;
è
noto
come
solo
una
minoranza
degli
utenti
che
aderiscono
ad
un
determinato
servizio
si
preoccupi
di
modificare
tali
impostazioni.
Le
impostazioni
in
oggetto
devono
essere
particolarmente
restrittive
se
il
servizio
di
social
network
è
destinato
o
rivolto
a
minori.
5.
Sicurezza
I
fornitori
devono
continuare
a
potenziare
e
garantire
la
sicurezza
dei
sistemi
informativi,
impedendo
accessi
abusivi
ai
profili‐utente,
utilizzando
standard
riconosciuti
per
quanto
concerne
la
programmazione,
lo
sviluppo
e
la
gestione
delle
rispettive
applicazioni,
e
ricorrendo
a
verifiche
e
certificazioni
indipendenti.
6.
Diritti
di
accesso
I
fornitori
devono
riconoscere
alle
persone
(siano
esse
membri
del
servizio
o
meno)
il
diritto
di
accedere
e,
se
necessario,
apportare
modifiche
a
tutti
i
dati
personali
detenuti
dai
fornitori
stessi.
7.
Cancellazione
dei
profili‐utente
I
fornitori
devono
permettere
agli
utenti
di
recedere
facilmente
dal
servizio,
cancellando
il
rispettivo
profilo
ed
ogni
contenuto
o
informazione
da
essi
pubblicato
attraverso
il
servizio
di
social
network.
8.
Utilizzo
di
pseudonimi
I
fornitori
devono
consentire
la
creazione
e
l'utilizzo,
in
via
opzionale,
di
profili
basati
su
pseudonimi
e
promuovere
il
ricorso
a
tale
modalità
opzionale.
9.
Accesso
da
parte
di
soggetti
terzi
I
fornitori
devono
prendere
misure
atte
ad
impedire
che
soggetti
terzi
possano
raccogliere
attraverso
dispositivi
di
spidering
e/o
scaricare
(o
raccogliere)
in
massa
i
dati
contenuti
nei
profili‐utente.
10.
Indicizzazione
dei
profili‐utente
I
fornitori
devono
garantire
che
i
dati
relativi
agli
utenti
siano
navigabili
da
parte
dei
motori
di
ricerca
soltanto
con
il
previo
consenso
espresso
ed
informato
da
parte
del
singolo
utente.
Deve
essere
prevista
per
default
la
non‐indicizzazione
dei
profili‐
utente
da
parte
dei
motori
di
ricerca.
__________________________________________
(*)
Traduzione
non
ufficiale
(1)
"Un
servizio
di
rete
sociale
(social
network)
consiste
in
via
primaria
nella
costruzione
e
nella
verifica
di
reti
sociali
online
rivolte
a
comunità
di
soggetti
che
condividono
interessi
e
attività,
o
che
sono
interessati
ad
esplorare
gli
interessi
e
le
attività
altrui
[…].
Si
tratta
di
servizi
che,
per
la
massima
parte,
sono
gestiti
attraverso
il
web
ed
offrono
diverse
modalità
di
interazione
fra
gli
utenti
[…]."
Tratto
da
Wikipedia:
http://en.wikipedia.org/wiki/Social_network_service
70
Il
testo
integrale
del
memorandum
è
pubblicato
a
questa
URL:
http://www.datenschutz‐
berlin.de/attachments/461/WP_social_network_services.pdf?1208438491
193
questa
nuova
straordinaria
forma
di
socialità
globale
e
sull'esigenza
di
rispettare
scrupolosamente
la
vigente
disciplina
a
tutela
del
diritto
alla
privacy
degli
utenti
mentre
mi
lascia
perplessa
l'idea
secondo
la
quale
i
social
network
providers
sarebbero
tenuti
‐
stando
a
quanto
recita
testualmente
la
risoluzione
adottata
a
Strasburgo
‐
ad
adeguarsi
oltre
che
alla
vigente
normativa
anche
ad
un
decalogo
di
nuove
regole
dettate
dai
settanta
garanti.
Non
entro
nel
merito
di
tali
regole
(lo
farò
più
avanti)
ma
mi
limito
ad
una
considerazione
di
merito:
in
assenza
di
una
precisa
scelta
di
politica
legislativa
un
intervento
dei
Garanti
su
una
questione
tanto
delicata
quale
quella
delle
dinamiche
di
funzionamento
del
social
networking
è
pericoloso
perché
nelle
comunità
virtuali
si
confrontano
diritti
ed
interessi
diversi
e
ben
più
complessi
rispetto
alla
pur
seria
"Questione
privacy".
Un
problema
su
tutti:
è
necessario
limitare
la
libertà
di
autoderminazione
degli
utenti
in
relazione
alla
messa
a
disposizione
dei
propri
dati
personali?
E'
una
risposta
che,
personalmente,
non
so
ancora
darmi
e,
francamente,
credo
che
sia
necessario
approfondire
l'analisi
fenomenologica
del
social
networking
e
delle
sue
possibili
linee
di
evoluzione
prima
di
pretendere
di
dare
risposte
normative
o
regolamentari.
Mi
piace
ricordare
che
già
Seneca
aveva
intuito
che
l'uomo
è
un
animale
sociale
e
che
le
persone
non
sono
fatte
per
vivere
da
sole.
Le
comunità
virtuali
danno,
dunque,
concretezza
ad
un'ineliminabile
aspirazione
umana.
E'
possibile
che
il
bene
della
comunità
globale
esiga
il
contenimento
di
tale
naturale
aspirazione
così
come
è
possibile
il
contrario…
Sui
social
network
si
pronunci
la
storia
28
ottobre
2008
Punto
Informatico
Nel
corso
della
30°
Conferenza
internazionale
dei
Garanti
per
la
protezione
dei
dati
personali
e
la
privacy
svoltasi
tra
il
15
ed
il
17
ottobre
scorsi
a
Strasburgo
è
stata,
tra
le
altre,
adottata
una
Risoluzione
sulla
protezione
della
vita
privata
nei
servizi
di
social
network.
La
risoluzione
muove
dal
presupposto
–
peraltro
già
puntualmente
delineato
nel
Memorandum
di
Roma
stilato
nell’ambito
della
43°
riunione
del
Gruppo
di
lavoro
internazionale
sulla
protezione
dei
dati
nelle
telecomunicazioni
del
3‐4
marzo
scorsi
–
secondo
il
194
quale
le
piattaforme
di
social
network
se
da
un
lato
offrono
ai
propri
utenti
una
possibilità
di
interagire
e
scambiarsi
informazioni
senza
precedenti
nella
storia,
dall’altro,
espongono
questi
ultimi
ad
una
grave
minaccia
della
vita
privata
loro
e
dei
terzi.
Si
tratta
di
un’analisi
sostanzialmente
condivisibile.
L’impatto
positivo
di
tale
fenomeno
sulla
società
contemporanea
appare
innegabile:
per
la
prima
volta
nella
storia
dell’uomo,
ciascun
individuo
è
posto
nell’effettiva
condizione
di
manifestare
liberamente
il
proprio
pensiero,
estrinsecare
appieno
la
propria
personalità
ed
interagire
con
altri
individui
senza
barriere
di
carattere
sociale,
economico,
geografico
o
culturale.
E’,
d’altro
canto,
circostanza
egualmente
incontestabile
quella
secondo
cui
nell’ambito
dei
social
network
circoli
e
venga
quotidianamente
scambiata
una
mole
di
informazioni
attinenti
all’identità
personale
degli
utenti
che
non
ha
precedenti
nella
storia.
Le
conclusioni
cui
sono
pervenuti
i
70
Garanti
riuniti
a
Strasburgo,
tuttavia,
sollevano
qualche
perplessità.
Se,
infatti,
può
convenirsi
con
i
richiami
contenuti
nella
Risoluzione
all’esigenza
che
tutti
gli
attori
operanti
sul
campo
del
social
networking
debbano
svolgere
un’opera
di
sensibilizzazione
degli
utenti
–
soprattutto
di
quelli
minori
o,
comunque,
più
giovani
–
circa
le
conseguenze
della
condivisione
di
informazioni
personali
nell’ambito
delle
comunità
virtuali
ed
al
puntuale
rispetto
della
normativa
a
tutela
della
privacy
attualmente
vigente,
meno
condivisibile
appare
la
“responsabilità
speciale”
posta
in
capo
ai
social
network
providers
così
come
il
principio
secondo
il
quale
questi
ultimi
“oltre
al
rispetto
della
legislazione
sulla
protezione
dei
dati”
dovrebbero,
“egualmente
attuare”
ulteriori
raccomandazioni
dettate
dai
settanta
garanti.
Tali
raccomandazioni
concernono,
tra
l’altro,
l’esigenza
per
i
provider
di
social
network,
operanti
in
diversi
Paesi,
di
adeguarsi
alla
disciplina
sulla
tutela
della
privacy
in
vigore
in
ciascun
Paese
nel
quale
erogano
i
propri
servizi,
quella
di
informare
gli
utenti
circa
le
modalità
con
le
quali
vanno
trattati
i
dati
di
soggetti
terzi
nonché
quella
di
consentire
agli
utenti
di
restringere
le
modalità
e
l’ambito
di
diffusione
dei
dati
personali
contenuti
nei
propri
profili,
precludendone,
ad
esempio,
l’indicizzazione
da
parte
dei
motori
di
ricerca
e,
dunque,
l’accessibilità
dei
profili
da
parte
di
soggetti
estranei
alla
piattaforma.
Nella
Risoluzione,
si
raccomanda,
inoltre,
ai
social
network
providers,
di
ispirare
le
impostazioni
predefinite
delle
proprie
piattaforme
al
massimo
rispetto
della
vita
privata
degli
utenti
e
dei
terzi,
di
consentire
sempre
agli
utenti
–
ed
anzi
di
incoraggiare
–
195
l’utilizzo
di
uno
pseudonimo
e
di
limitare
l’indicizzazione
da
parte
dei
motori
di
ricerca
dei
profili
degli
utenti
salvo
che
questi
ultimi
non
abbiano
dato
esplicita
autorizzazione
in
tal
senso.
Si
tratta
di
raccomandazioni
che
muovono
da
un
principio
lasciato
sullo
sfondo
della
Risoluzione
di
Strasburgo
ma
evidenziato
con
grande
chiarezza
nell’ambito
del
Memorandum
di
Roma:
“With
respect
to
privacy,
one
of
the
most
fundamental
challenges
may
be
seen
in
the
fact
that
most
of
the
personal
information
published
in
social
network
services
is
being
published
at
the
initiative
of
the
users
and
based
on
their
consent.
While
”traditional”
privacy
regulation
is
concerned
with
defining
rules
to
protect
citizens
against
unfair
or
unproportional
processing
of
personal
data
by
the
public
administration
(including
law
enforcement
and
secret
services),
and
businesses,
there
are
only
very
few
rules
governing
the
publication
of
personal
data
at
the
initiative
of
private
individuals,
partly
because
this
had
not
been
a
major
issue
in
the
“offline
world”,
and
neither
on
the
Internet
before
social
network
services
came
into
being…
At
the
same
time,
a
new
generation
of
users
has
arrived:
The
first
generation
that
has
been
growing
up
while
the
Internet
already
existed.
These
“digital
natives”
have
developed
their
own
ways
of
using
Internet
services,
and
of
what
they
see
to
be
private
and
what
belongs
to
the
public
sphere.
Furthermore
they
–
most
of
them
being
in
their
teens
–
may
be
more
ready
to
take
privacy
risks
than
the
older
“digital
immigrants”.
In
general,
it
seems
that
younger
people
are
more
comfortable
with
pubishing
(sometimes
intimate)
details
of
their
lives
on
the
Internet.
Legislators,
Data
Protection
Authorities
as
well
as
social
network
service
providers
are
faced
with
a
situation
that
has
no
visible
example
in
the
past.
While
social
network
services
offer
a
new
range
of
opportunities
for
communication
and
real­time
exchange
of
any
kind
of
information,
the
use
of
such
services
can
also
lead
to
putting
the
privacy
of
its
users
(and
of
other
citizens
not
even
subscribed
to
a
social
network
service)
at
risk.“.
In
tale
contesto
la
perplessità
principale
che
la
recente
Risoluzione
di
Strasburgo
solleva
concerne
proprio
l’opportunità
–
nella
dichiarata
assenza
di
una
preliminare
scelta
di
politica
legislativa
–
che
le
Autorità
Garanti
della
privacy
e
della
riservatezza
intervengano
a
regolamentare
le
dinamiche
e
lo
sviluppo
delle
nuove
comunità
virtuali
incidendo,
persino,
sul
diritto
di
autoderminazione
degli
utenti
circa
la
diffusione
di
porzioni
più
o
meno
rappresentative
della
propria
identità
personale.
Non
si
tratta
di
un
giudizio
di
merito
ma,
piuttosto,
di
una
valutazione
di
metodo.
Il
contenuto
del
diritto
alla
privacy,
infatti,
non
è
statico
ma,
per
sua
natura,
destinato
a
mutare
in
relazione
ad
una
molteplicità
di
fattori
storici,
sociologici,
culturali,
politici
e,
persino,
geografici
196
con
l’ovvia
conseguenza
che
se
i
c.d.
“digital
natives”
attribuiscono
a
tale
diritto
un’intensità
ed
un
contenuto
diverso
da
quello
attribuitogli
nella
presente
epoca
storica,
non
è
detto
che
sia
giusto
o
opportuno
condizionarne
lo
sviluppo
imponendo
l’applicazione
al
futuro
di
regole
provenienti
dal
passato.
In
epoche
storiche
non
troppo
lontane
ed
in
Paesi
divisi
dal
vecchio
continente
solo
da
qualche
miglia
marina
si
attribuiva
‐
e
si
attribuisce
tuttora
–
alle
espressioni
“pubblico”
e
“privato”
significati
assai
diversi
da
quelli
diffusi
nella
nostra
società
e
sui
quali
riposa
l’attuale
diritto
alla
privacy.
Forse,
dinanzi
alla
rivoluzione
pacifica
del
Social
Networking
–
nuovo
mezzo
di
attuazione
di
un’antica
aspirazione
di
tutti
gli
uomini
che
già
Lucio
Anneo
Seneca
definiva
animali
sociali
non
fatti
per
viver
da
soli
–
il
legislatore,
ed
ancor
più
le
Autorità
di
regolamentazione,
dovrebbero
far
un
passo
indietro
e
lasciare
che
la
storia
faccia
il
suo
corso
e
che
siano
i
processi
sociologici
naturali
a
definire
il
contenuto
di
valori
e
diritti
quale
quello
alla
privacy.
Non
si
tratta
di
abbandonare
centinaia
di
milioni
di
utenti
delle
piattaforme
di
Social
Network
al
loro
destino
o
di
disinteressarsi
della
tutela
del
loro
sacrosanto
diritto
alla
privacy
ma,
più
semplicemente,
di
scongiurare
il
rischio
che
il
diritto
positivo
condizioni
così
tanto
prepotentemente
l’evoluzione
e
lo
sviluppo
di
nuove
forme
di
socialità
che
non
sta
al
legislatore
di
oggi
giudicare,
condannare
o
assolvere.
197
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