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Processo alla Rete
Processo alla Rete. Blog Anthology Guido Scorza A mia madre che non c’è più e che avrebbe voluto sfogliare queste pagine. 3 Indice Premessa Pag. 5 1. La responsabilità degli intermediari. Di Google, Pirate bay, Rapidshare e di altri demoni. Pag. 9 2. Copyright in the Net. Un popolo di pirati? Pag. 38 3. Copyright vs. Privacy Niente privacy, siete pirati! Pag. 101 4. La libertà di manifestazione del pensiero in Rete. Internet, free speech e webcensura Pag. 122 5. L’anonimato in Internet. Mr. Nobody non ha diritti! Pag. 150 6. Web privacy. Contrappunti digitali. Pag. 166 4 Premessa La storia antica e moderna è ricca di grandi processi attraverso i quali gli accusatori, in modo consapevole o inconsapevole, cosciente o incosciente, pur portando formalmente alla sbarra una persona o una categoria di persone e dichiarando di voler procedere per una specifica condotta hanno, in realtà, processato un’ideologia, una filosofia, un approccio alla vita, alla politica, alla religione o al mercato. Il processo a Socrate, quello di Norimberga, quelli a Freud, Giulia Beccaria, Yasser Arafat e tanti altri processi giusti ed ingiusti, condivisibili o non condivisibili, hanno inesorabilmente segnato il corso della storia e l’evoluzione sociale, religiosa, politica ed economica di Città, Paesi e Continenti. La storia dell’umanità non sarebbe stata la stessa senza quei processi e, ex post, è naturalmente difficile se non impossibile giudicare se sarebbe stata migliore o piuttosto peggiore. Nelle ultime settimane, scorrendo a colpi di mouse il mio blog, navigando in Rete attraverso scritti recenti e meno recenti a proposito di norme, sentenze, cause promosse o solo minacciate nell’universo del diritto dell’Internet mi son reso conto – o, almeno, ho creduto di rendermi conto – che molti dei fatti di cui ho scritto, parlato, discusso con amici e colleghi in Rete e fuori della Rete, costituiscono, forse, tessere di un mosaico che ha per soggetto proprio un nuovo grande processo della storia moderna: il Processo alla Rete cui è dedicato il titolo di questa Blog anthology. Non so se si tratti di un processo che stiamo consapevolmente celebrando o, piuttosto, del quale siamo involontari ed incoscienti accusatori ma, a voler leggere tra le righe degli eventi della storia moderna della Rete, non è difficile individuare nitidamente il profilo di accusato ed accusatori. L’accusato, o meglio, la grande accusata, è la Rete non solo e non solo e non tanto in quanto infrastruttura globale di comunicazione ma, piuttosto, in quanto sintesi di una nuova filosofia di vita che investe trasversalmente la cultura, la politica, il mercato e la società. Gli accusatori sono – per dirla con le parole del Macchiavelli – “tutti quelli che delli ordini vecchi fanno bene” (Il Principe, N. Macchiavelli, Capitolo VI) e, quindi, temono che il “nuovo” possa costituire un fattore dirompente per quell’assetto di mercato o per quel contesto sociopolitico, nel quale hanno costruito ed affermato la loro posizione di forza e controllo. Si tratta di una contrapposizione evidente tra il “vecchio” ed il “nuovo” che investe trasversalmente la materia della proprietà 5 intellettuale, quella del diritto dell’informazione ed all’informazione, quella della privacy e della trasparenza nonché, più in generale, il tema dei meccanismi e delle dinamiche di imputazione delle condotte nello spazio globale. La responsabilità degli intermediari della comunicazione, l’enforcement dei diritti di proprietà intellettuale, il difficile e conflittuale rapporto tra privacy e copyright nella società dell’informazione, le nuove frontiere ed i crescenti limiti della libertà di manifestazione del pensiero nel cyberspazio, il tema complesso ma ormai da affrontare senza ulteriori rinvii dell’anonimato in Rete e quello del difficile equilibrio tra la trasparenza ed il diritto alla privacy ed alla riservatezza sono alcuni dei profili sui quali, nella pagine che seguono, attraverso il racconto di fatti ed episodi della storia recente della Rete, si confrontano tesi accusatorie e teorie difensive. Non aspettatevi da questo libro risposte o soluzioni perché rimarreste delusi e, egualmente, non aspettatevi di leggere le pagine di un saggio o piuttosto di un trattato perché si tratta solo di una blog anthology che raccoglie frammenti di pensieri e considerazioni sul diritto della Rete che possono, nella migliore delle ipotesi, offrire e proporre suggestioni o, piuttosto, inviti a guardare a talune delle questioni affrontate in una prospettiva nuova e diversa rispetto a quella dalla quale le avete guardate sin qui. Gli spunti di riflessione e lo stimolo ad affrontare taluni dei problemi del diritto della Rete trattati nei post del mio blog e, quindi, in questa raccolta disordinata di scritti vengono dal lavoro e dal confronto costante con gli amici ed i colleghi dell’Istituto per le politiche dell’Innovazione ma anche dai commenti e dalle discussioni che hanno seguito la pubblicazione dei post e degli articoli con quanti hanno, evidentemente, a cuore il futuro della Rete. Un ringraziamento al quale non posso sottrarmi va a Punto Informatico ed al suo Direttore che mi ha frequentemente ospitato sulle colonne del suo giornale ed invitato a partecipare a discussioni e dibattiti dei quali trovate frammenti nelle pagine che seguono e, analogo ringraziamento, per le stesse ragioni, non posso non indirizzare a gli amici di Internet Magazine che sulle loro pagine hanno spesso voluto raccogliere il mio pensiero e la mia opinione su fatti e processi della Rete e nella Rete, dandomi così occasione di approfondire ed incuriosirmi a circostanze che, in caso contrario, non avrei, forse, notato. Molti altri amici e colleghi, negli ultimi anni, hanno accettato di confrontarsi con me sulle tematiche trattate in questa raccolta di scritti, invitandomi a guardare alle cose della Rete in una prospettiva diversa o, semplicemente, da un diverso angolo di visuale: quello deI giganti della Rete – penso, tra i tanti che vorrei 6 non si offendessero per la mancata citazione, a Pier Luigi Dal Pino di Microsoft, a Marco Pancini di Google o a Cristian Perrella di My Space – quello dei consumatori ed utenti nel quale Marco Pierani di Altroconsumo mi ha accompagnato con ineguagliabile disponibilità, quello delle Istituzioni cui lo Stato ha attribuito il dovere di tutelare il diritto alla privacy dei “cittadini elettronici” – penso a a Luigi Montuori dell’Ufficio del Garante per la privacy che si è sempre mostrato disponibile al confronto ed al dialogo anche laddove il mio approccio originario ai problemi della Rete si presentava pià ù lontano e meno compatibile con il punto di vista del suo Ufficio . Non avrei mai pensato di confrontarmi con certe questioni se non avessi conosciuto la passionale genialità di Leonardo Chiariglione, non avessi avuto l’occasione di un confronto serrato e costante con un innovatore cose come Stefano Quintarelli o, piuttosto, mi fosse mancata la possibilità di vedere da vicino quanto la Rete oltre a strumento di informazione possa anche divenire oggetto di informazione confrontandomi con Marco Montemagno. Le riflessioni giuridiche contenute nelle pagine che seguono, il metodo e l’approccio ai problemi è, ovviamente, merito esclusivo dei Maestri di diritto che ho incontrato sul mio cammino e, quindi, dei tanti studiosi, amici e colleghi del Cirsfid dell’Università di Bologna, del Prof. Enrico Pattaro e di Giovanni Sartor ma anche di Giuseppe Corasaniti che mi ha voluto vicino in un ormai lungo cammino di divulgazione della cultura informatica giuridica elaborata da altri Maestri di stagioni più lontane nel tempo quali Vittorio Frosini e Renato Borruso. L’Università, tuttavia, talvolta guarda la Rete da lontano e non la usa in tutte le sue potenzialità e, quindi, non posso dimenticare la preziosa occasione di continuo aggiornamento ed approfondimento che mi è stata offerta dalle discussioni di lista con gli amici del Circolo dei giuristi telematici e con quelli del Csig. Sono convinto, d’altra parte, che avrei guardato ad alcuni problemi e proposto soluzioni diverse se, lungo il mio cammino, anche se solo di recente, non avessi incontrato Juan Carlos De Martin e non fossi stato stimolato all’approfondimento di talune questioni dalla ricerca del suo Centro Studi Nexa del Politecnico di Torino. Un grazie lo devo, certamente, a molti altri che, in questo momento, probabilmente non ricordo o perché ho condiviso con loro momenti di confronto intenso ma non costante o, al contrario, perché sono tanto entrati a far parte del mio quotidiano da non consentirmi di scinderne idealmente nomi ed identità. Riflettere, ragionare, tentate di capire, scrivere e comunicare convinzioni ed opinioni, richiede prima ancora che conoscenza, tempo, serenità e passione: amicizie, affetti e famiglia, 7 quindi, costituiscono, a mio avviso, irrinunciabili ingredienti di qualsiasi esercizio culturale. I meriti dell’opera sono, dunque, diffusi mentre, come di consueto, ogni errore concettuale ed ogni refuso è da imputare esclusivamente all’autore. 8 Guido Scorza 1. La responsabilità degli intermediari. Di Google, Pirate bay, Rapidshare ed altri demoni. Non chiamiamolo il “Caso Google”. 27 luglio 2008 http://www.guidoscorza.it/?p=324 Il fatto1 è ormai noto: la Procura della Repubblica di Milano sembra intenzionata ‐ le notizie sono ancora poche e frammentarie ‐ a contestare a 4 dirigenti di Big G la violazione della disciplina sulla privacy e quella in materia di diffamazione per non aver impedito a 4 ragazzini torinesi di postare su Google video la "cronaca" girata con un videofonino di una loro bravata in danno di un compagno di scuola meno fortunato perché down. Come già accaduto nel novembre del 2006 quando la storia venne, per la prima volta, alla ribalta in Rete e ‐ per una volta ‐ fuori dalla Rete non si parla d'altro e il "Caso Google" tiene banco in TV come sui giornali. E' comprensibile perché, questa volta, nell'occhio del ciclone ci è finito il colosso di Mountain View ma, la vicenda, non è molto diversa da tante altre che si sono già consumate in danno di soggetti meno noti rei soltanto di aver messo a disposizione di un utente uno strumento capace di consentirgli di dire la sua al mondo intero. E' per questo ‐ e da qui il titolo di questo post ‐ che io non parlerei di un "Caso Google". L'iniziativa dei giudici milanesi trascende le sorti dei 4 quattro dirigenti di Google e riguarda, piuttosto, due principi che mi stanno particolarmente a cuore: la rete come strumento di esercizio della libertà di manifestazione del pensiero e la Net‐ neutrality. Due parole sotto entrambi i profili: 1 Il 18 ottobre 2008, David Carl Drummond, presidente e poi Ad di Google Italy; George De Los Reyes, membro del Cda di Google Italy e poi Ad; Peter Fleitcher, responsabile delle strategie per la privacy per l'Europa; Arvind Desikan, responsabile del progetto Google Video per l'Europa, sono, successivamente, stati citati in giudizio ed accusati di concorso in diffamazione e violazione della privacy. Il testo del decreto di citazione, pubblicato da Il sole 24 ore.com è reperibile all’URL http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/Norme%20e%20Tributi/2008/11/ google‐diffamazione‐citazione‐giudizio‐minorenne.shtml?uuid=304240e2‐acde‐ 11dd‐b5f0‐553f252854bf&DocRulesView=Libero#. 9 1. In tutti i Paesi del mondo si lotta da centinaia di anni per garantire a tutti i cittadini l'esercizio della libertà di manifestazione del pensiero. Si è, tuttavia, sin qui trattato di una battaglia persa perché la limitatezza delle possibilità di accesso ai media mainstream hanno sempre fatto sì che pochi potessero parlare e gli altri fossero costretti ad ascoltare. Oggi è diverso: grazie a Internet il problema della limitatezza delle possibilità di accesso ai media è superato e chiunque può, in pochi click, far sentire la sua voce lontano ed a milioni di persone. Il presupposto perché ciò sia possibile e che esista ‐oltre alla connettività diffusa in ogni area del Paese ‐ un'adeguata infrastruttura di comunicazione liberamente accessibile da chiunque senza costi ed in modo immediato. Tale infrastruttura è quella che gli UGC, ormai da anni, pongono a disposizione dei propri utenti. Milioni di gigabyte, migliaia e migliaia di video, centinaia e centinaia di informazioni, idee ed opinioni che ogni ora prendono così la strada del web senza che nessuno possa arrestarne la corsa. Un solo principio dovrebbe guidare questo nuovo universo dell'informazione: chi sbaglia o, comunque, viola gli altrui diritti deve pagare. Pensarla diversamente e rintracciare in capo a chi gestisce ‐ sebbene non per pura filantropia ‐ quella straordinaria infrastruttura di comunicazione un dovere non scritto e tecnicamente inattuabile di controllo sui contenuti immessi in Rete dagli utenti, semplicemente, vuol dire, non comprendere il senso della rivoluzione in atto e, soprattutto ‐ come ha già fatto notare Stefano Rodotà dalle colonne di Repubblica ‐ pretendere di applicare regole vecchie ad un contesto nuovo. 2. Una tecnologia come già ricordava Layla Pavone nel 2006 è neutra rispetto alla liceità o illiceità delle condotte attraverso essa poste in essere2. 2 Il post pubblicato da Layla Pavone il 26 novembre 2006 sul suo blog: http://laylapavone.blogspot.com/ Google e Internet caccia alle streghe Siamo nell'arco di 48 ore ripiombati nel Medio Evo. Si Signori, siamo di nuovo nel Medio Evo dell'informazione ed e' partita la caccia alle streghe. La classe politica, il quinto potere, il sistema giudiziario italiano stanno dimostrando la loro totale inadeguatezza nell'occuparsi di una problema come quello dell'informazione via internet. E la dimostrazione di questa incapacità totale di gestire la situazione si e' palesata proprio con la vicenda del video della violenza sul ragazzo handicappato, dove anziché analizzare il problema nella sua evidenza dal punto di vista sociologico e psicologico‐ovvero perché quattro adolescenti decidono di picchiare un loro 10 Colpevolizzare i gestori dell'infrastruttura di comunicazione è un pò come contestare ad un tassista (anzi no, date le dimensioni del fenomeno, almeno al macchinista di un treno da migliaia di persone) di aver portato sul luogo dell'omicidio il killer o, piuttosto ad un postino di aver consegnato una lettera minatoria… Net‐neutrality, direi una parola da non dimenticare ed un principio cui ispirare lo sviluppo della disciplina della materia. Chi vuol imbavagliare la Grande Rete? Ottobre 2008 Internet Magazine compagno più debole e indifeso riprendendo la scena con cellulare e poi renderla pubblica? ‐ ci si sta focalizzando su un altro versante che e' di tutt'altra natura. Insomma, non so se mi spiego ma siamo davvero la paradosso: si e' perso di vista l'obiettivo, si da' la colpa a Google, ad Internet che hanno fatto la stessa funzione che avrebbe potuto avere un qualunque altro veicolo ‐che so una chiavetta USB recapitata alla sede dell'Ansa attraverso un corriere‐ anziché andare una volta per tutte a fondo del problema della generazione dei teen‐agers sempre più in balia di una società che di tutto si occupa fuorché di loro. L'establishment si e' rivelato in tutta la sua incapacità di rapportarsi con la vita reale. E per dare l'impressione di sapersene occupare ha deciso di emettere una condanna nei confronti di Internet senza nemmeno conoscerne le funzionalità. Come dire, si sta colpevolizzando il vettore (il corriere, se si fosse trattato della chiavetta Ubs inviata alle sede dell'Ansa) anziché domandarsi ed andare a fondo del perché si sia verificato un atto come quello della scuola di Torino. Aiuto! Ma in che Paese viviamo??? Ma come non preoccuparsi del fatto che sia partita l'ennesima campagna TV anti‐ internet, nata e strumentalizzata con lo "scandalo" Google? ...Telegiornali che parlano tangenzialmente delle nefandezze di quattro giovani disgraziati, puntando il dito su Google piuttosto che approfondire le cause della "degenerazione" di questi ragazzi. Ma come si fa a questo punto a non assumere un atteggiamento di difesa della libertà dell'informazione che nessun altro media al di fuori di internet e' in grado di garantire? Ma come non dire allora che la causa di questo ed altri raccapriccianti episodi di violenza siano in gran parte dovuti ai modelli comportamentali che oggi offre la TV ai minori? Come non denunciare questa TV che e' allo sbando e che ne se frega altamente di rispettare le fasce protette, mandando on air programmi allucinanti, che contengono sesso, violenze verbali e fisiche, proposti qualunque ora della giornata? Vorrei lanciare un appello a tutti i miei colleghi ed e' quello di creare immediatamente un Comitato permanente per l'informazione su Internet che possa essere il punto di riferimento per far conoscere alle istituzioni giudiziarie, politiche e agli organi di informazione il valore e le peculiarità della rete. Questa caccia alle streghe non ha nessun fondamento e il Medio Evo e' cosa di 500 anni fa. Indietro non si può tornare, si può solo avanzare. 11 L'Italia dichiara guerra ai pirati anzi, ai porti nei quali attraccano anche Galeoni pirata. Cose d'altri tempi si potrebbe pensare ma si sbaglierebbe. E', infatti, proprio questo il senso del provvedimento con il quale lo scorso primo agosto il GIP presso il Tribunale di Bergamo ha ordinato “cautelativamente” a tutti gli ISP italiani di interdire l'accesso “ ‐ all’indirizzo www.thepiratebay.org; ‐ ai relativi alias e nomi di dominio presenti e futuri, rinvianti al sito medesimo; ‐ all’indirizzo IP statico 83.140.176.146, che al momento risulta associato ai predetti nomi di dominio. e ad ogni ulteriore indirizzo IP statico associato ai nomi stessi nell’attualità e in futuro.”. Ma cominciamo dal principio ovvero dalla Baia. The Pirate Bay è un sito internet attraverso il quale gli utenti di tutto il mondo possono ricercare files torrent relativi a musica, video, software, videogame ed ogni altro contenuto digitale. Si tratta di un progetto internazionale che, ormai da anni, è divenuto il punto di riferimento di un certo modo di intendere la Rete ed ha, proprio per questo, già in passato, formato oggetto di attenzione – per usare un eufemismo – dei rappresentanti delle major dell'audiovisivo e delle Auitorità giudiziarie di diversi Paesi. Definire la Baia come un'isola di Pirati nel senso deteriore del termine come sembra fare il Giudice nell'Ordinanza con la quale ha ordinato ai provider italiani – quasi che fossero la Guardia Costiera della Rete – di interdire ai naviganti battenti bandiera tricolore di attraccare sulle spiagge dell'isola è, francamente, riduttivo. I motori della Baia indicizzano ogni giorno milioni di files torrent relativi a brani musicali di artisti emergenti che reietti dalle major dell'audiovisivo o, piuttosto, non avendo occasione di entrare in contatto con il mondo della musica che conta scelgono la Rete come modo per farsi conoscere o, piuttosto, documentari e reportage che riportano, senza censure e reticenze, ciò che accade negli angoli più remoti del Pianeta e che i media mainstream scelgono di non raccontare o, infine, contenuti di elevato valore culturale ma basso appeal di mercato e, dunque, praticamente introvabili sugni scaffali dei mediastore delle nostre città. Difficile negare – ed è bene sottolinearlo per evitare fraintendimenti – che il motore di ricerca della Baia indicizzi anche contenuti digitali protetti da diritti d'autore e che, pertanto, in questo senso, agevoli il download non autorizzato di tali contenuti ma, da qui a definire “fuori legge” l'intera Baia il passo non è affatto breve. Miglia e miglia marine – per rimanere nella metafora – infatti, separano chi viola gli altrui diritti d'autore da chi gestisce 12 uno dei tanti servizi di intermediazione della comunicazione caratteristici dell'architettura di Rete. Una cosa è svaligiare un appartamento dopo essersi fatti una copia delle chiavi e cosa diversa è aver riprodotto – tra decine e decine di altri esemplari di chiavi – anche quelle poi utilizzate per il furto. E' per questo che, proprio la configurabilità in astratto – ed a prescindere, dunque, dalla vicenda di Pirate Bay – di una responsabilità, in capo al gestore di un motore di ricerca di files torrent, per i contenuti diffusi o scaricati dai suoi utenti costituisce, probabilmente, l'aspetto di maggior interesse del Caso The Pirate Bay. Il provvedimento con il quale il magistrato di Bergamo ha “vietato” thepiratebay ai naviganti italiani è un provvedimento preventivo con la conseguenza che esso è assunto sulla base di una semplice ipotesi di reato che potrà o meno risultare confermata all'esito di un procedimento che, nel nostro caso, è appena iniziato. Il reato contestato ai gestori di thepiratebay è quello previsto e punito dagli articoli 110 c.p. e 171 ‐ ter, comma 2, lettera a bis), della Legge 22 aprile 1941 n. 633 per aver “in concorso tra loro e con altri attualmente ignoti, in violazione dell’articolo 16 della suddetta legge (n.d.r. La Legge sul Diritto d'autore) ed a fini di lucro” comunicato “al pubblico opere dell’ingegno protette dal diritto di autore, in particolare file musicali; documenti di testo, riproduzioni digitali di pubblicazioni a stampa, audiolibri, immagini, opere cinematografiche e televisive, programmi informatici (secondo il dettagliato elenco dinamico, in costante aggiornamento, pubblicato sul sito medesimo, distinto per tipologie di file, reperibile a partire dall’indirizzo web http://thepiratebay.org/browse), immettendo le opere stesse sulla rete Internet attraverso il sito identificato dai seguenti nomi di dominio (tutti alias del medesimo sito): ‐ www.thepiratebay.org: ‐ www.angloamericanletting.corn; ‐ www.piratebay.net ‐ www.piratebay.org ‐ www.thepiratebay.com ‐ wwvw.thepiratebay.net; ‐ www.thepiratebay.org fatto commesso adibendo il suddetto sito a torrent tracker e quindi rendendo disponibili, sulle corrisponderti “pagine web” codici alfanumerici complessi del tipo “torrent”, in grado di identificare univocamente i singoli file e di consentire, agi utenti registrati sul sito, di scambiare tra loro copie integrali o parziali dei file stessi; ravvisandosi il lucro negli introiti delle inserzioni pubblicitarie a pagamento inserite sul sito stesso, come pure nella tariffa ‐ non inferiore ad Euro cinquemila ‐ applicata agli utenti che accedono al sito in deroga alle politiche di utilizzo prescritte dagli amministratori.”. 13 Tale reato, peraltro – stando a quanto ipotizzato dall'accusa – sarebbe stato commesso “con l’aggravante di cui all’arr. 61 n. 7 c.p.., per aver cagionato ai detentori del diritto patrimoniale di autore sulle suddette opere un danno patrimoniale di rilevante gravità (essendo indici sintomatici della ritenuta gravità sia l’elevatissimo numero di opere dell’ingegno abusivamerne circolanti tramite il sito che il considerevole prezzo di mercato del software reso disponibile, comprensivo sia di sistemi operativi che di programmi informatici applicativi per uso professionale)”. Il Giudice per le indagini preliminari, nel pronunciare il provvedimento del primo agosto pur prendendo atto del fatto che i server della baia non ospitano direttamente contenuti protetti da diritto d'autore ha, comunque, ritenuto che la funzione di indicizzazione svolta dal sito sia “ strettamente strumentale alla consumazione dello scambio di file al di fuori delle fonti messe a disposizione dai detentori dei diritti di autore e comunque al di fuori degli ordinari e leciti circuiti commerciali dei beni oggetto di proprietà intellettuale”. Si tratta di una conclusione che non convince in quanto essa rischia di condurre ad un profondo ripensamento di uno dei principi fondamentali attorno ai quali è cresciuta e si è sviluppata la Rete: quello della non resposansabilità degli intermediari della comunicazione. Una volta affermato il principio per il quale i gestori di un motore di ricerca di files torrent sono responsabili per l'eventuale download illegale posto in essere dai propri utenti è piuttosto difficile resistere alla tentazione di imputare analoga responsabilità ai titolari di un motore di ricerca per eventuali contenuti illeciti – anche sotto profili diversi dalla proprietà intellettuale (pedopornografia, notizie diffamatorie, diffusione di dati personali, insider trading, aggiotaggio) – indicizzati. Difficile, d'altra parte, trovare convincenti le motivazioni sulla cui base il magistrato è giunto alla conclusione di ritenere attendibile l'ipotesi di reato formulata dall'accusa. Scrive, infatti, il Giudice nell'Ordinanza che l’ipotesi apparirebbe “vieppiù fondata ‐ anzi del tutto pacifica ‐ avendo riguardo agli assetti ed ai contenuti del sito in esame, che programmaticamente non prevede alcune attenzione al rispetto dei diritti di autore”. Ciò, secondo lo stesso giudice, potrebbe evincersi “dalla denominazione, innanzitutto ‐ sintomatica di un chiaro e convinto riferimento alta “pirateria informatica” ( The Pirate Bay La baia dei pirati) ‐ come pure dalle indicazioni riportare sulle pagine stesse del sito, dove si evidenzia, tra l’altro che gli unici contenuti 14 destinati ad essere filtrati e bloccati dagli amministratori di sistema sono quelli concretamente fastidiosi ovvero dannosi per gli utenti, vale e dire virus informatici, messaggi in qualche modo molesti (cd. “spam”), file contraffatti (cd. “fake” ‐ falsi ‐ il cui contenuto non risponde alla denominazione), con esclusione di ogni altro file e quindi senza alcun discrimine tra contenuti legalmente detenuti e diffusi e contenuti che al contrario non lo sono”. Come dire che invitare al rispetto della netiquette e prevedere strumenti autodisciplinari per eventuali violazioni del codice deontologico della Rete costituisce indice sintomatico della natura illecita di un'iniziativa telematica o, piuttosto – con riferimento all'attenzione mostrata dal giudice verso il nome della baia – che l'abito non fa il monaco ma fa il pirata. In tale contesto, prima di assumere decisioni “giustizialiste” che rischiano, peraltro – come emerge dallo stesso tenore letterale dell'ordinanza del GIP di Bergamo – di essere fortemente intrise di contenuti ideologici e, soprattutto, influenzate da considerazioni linguistiche o etimologiche piuttosto che giuridiche occorre tener presente il rischio di pericolose derive che porterebbero, nel breve periodo, ad una radicale trasformazione della Rete Italiana. Il principio della non responsabilità – salvo casi eccezionali – degli intermediari della comunicazione è, peraltro oggi fissato a chiare lettere nella disciplina europea sul commercio elettronico con la conseguenza che il “divieto di attracco” sulle spiagge della grande Baia disposto dal giudice italiano rischia anche di minare delicati equilibri tra gli ordinamenti dei Paesi membri e di “frammentare” l'Internet europea. Seguendo questa rotta, per chiudere una baia “virtuale” asseritamente “pirata” si rischia di dar vita a baie reali ovvero a isole geograficamente confinanti nelle quali regnano regole giuridiche diverse per cui per individuare files torrent attraverso thepiratebay basta fare una gita nella Repubblica di San Marino o, piuttosto, appoggiare il portatile sulle mura della Città del Vaticano intercettando la banda del provider pontificio. Decisioni di questo tipo segnano un ritorno al passato e ricordano quella dimensione “pre‐globalizzata” della comunicazione che Internet ha relegato per sempre ai libri di storia ed alle carte nautiche di altri tempi. Come già anticipato, tuttavia, quella del primo agosto è solo un'ordinanza cautelare che benché idonea, per il momento, a rendere meno agevolmente accessibile – in Rete, ovviamente, già fioccano i rimedi per accedere alla Baia agirando le restrizioni dei 15 provider italiani – thepiratebay non stabilisce nulla di definitivo sull'effettiva responsabilità dei suoi gestori. Converrà, pertanto, rinviare ogni ulteriore commento alle conclusioni di una battaglia legale che – anche data la fiera reazione dei gestori di thepiratebay e della comunità telematica – si preannuncia lunga e ricca di colpi di scena. C'è, tuttavia, un altro aspetto della vicenda che colpisce e solleva più di una preoccupazione. Il Giudice non si è limitato ad ordinare ai provider “operanti in italia” di rendere inaccessibile un certo sito internet o, piuttosto, un determinato nome di dominio ma è andato oltre, spingendosi ad ordinare agli ISP di disabilitare egualmente l'accesso ad ogni altro nome di dominio che, anche in futuro, dovesse rendere raggiungibili le medesime risorse. Per questa via, tuttavia, il magistrato ha finito con l'imporre agli internet service provider un obbligo di sorveglianza (quasi) generale in aperto contrasto, ancora una volta, con i principi di diritto ormai affermatisi nell'Ordinamento Europeo che escludono categoricamente la sussistenza di un simile obbligo in capo agli intermediari della comunicazione. Scrivo veleggiando tra Saint Malo, la città corsara e Jersey, l'isola dei pirati di Sua Maestà e sarà forse per questo che mi sento istintivamente portato ad augurarmi che la grande baia torni presto accessibile ai naviganti italiani così come lo è, in queste ore, a chiunque, come me, abbia la fortuna di attraccarvi da terre straniere. Non sono preoccupato perché la chiusura della Baia precluderà a tanti naviganti italiani di scaricare sui propri PC musica e film “a scrocco” ed in barba agli altrui diritti d'autore. E' giusto così e non credo che la storia di Robin Hood possa costituire un valido alibi per infrangere impunemente le leggi così come non costituisce una scusa credibile per l'introduzione di nuovi balzelli. Rubare è reato tanto che si lo si faccia in danno dei più ricchi e che si rubi proprietà intellettuale tanto che lo si faccia in danno dei meno ricchi e che si rubino barattoli di marmellata. Il punto – nella vicenda di thepiratebay così come in ogni altra vicenda relativa a pretese responsabilità di intermediari della comunicazione per le condotte dei propri utenti – è un altro e concerne la libertà di comunicazione e di accesso alla cultura digitale nella società dell'informazione. In gioco non c'è la sopravvivenza di thepiratebay – chiusa una baia se ne apre un'altra! ‐ ma il rischio di veder messo in discussione un principio fondamentale per la sopravvivenza della 16 Rete: quello secondo il quale solo chi rompe paga e non anche chi è nel mezzo tra la fionda ed il vetro. Ogni Paese è, ovviamente, libero di stabilire – salvo poi la difficoltà di farle, in concreto rispettare e di giustificare certe scelte dinanzi alla comunità internazionale – le regole che ritiene più opportune per l'esercizio di ogni attività di intermediazione delle comunicazioni elettroniche ma, fino a quando il potere legislativo preferisce restare un passo indietro e lasciare che la tecnologia faccia il suo corso, l'Autorità giudiziaria – che in ossequio al principio della separazione dei poteri ha esclusivamente il compito di far rispettare le leggi – dovrebbe astenersi dal sostituirsi al Parlamento cercando di orientare con provvedimenti cautelari e procedimenti giudiziari dall'esito incerto lo sviluppo della politica dell'innovazione. E' divenuto, infatti, ormai troppo frequente il ricorso ai Giudici e l'intervento – più o meno autonomo di questi ultimi – per cercare di far cristallizzare regole che il legislatore non ha voloto sin qui scrivere: il caso Google – Vividown, quello Google vs. Mediaset, le decine di casi che hanno visto contrapposti gli ISP ai titolari dei diritti d'autore e, ora, il caso The Pirate Bay sono riconducibili ad un teorema unitario e preoccupante che vorrebbe “spingere” l'Autorità giudiziaria a stabilire un principio, sin qui, irrintracciabile nel nostro ordinamento secondo il quale gli intermediari della comunicazione – quale che sia il ruolo da essi svolto (ISP, access provider, content provider, UGC o motori di ricerca) – devono controllare che i propri servizi non vengano utilizzati in violazione di altrui diritti e possono essere chiamati a rispondere sia civilmente che penalmente di eventuali condotte illecite poste in essere per il loro tramite. Tale teorema, tuttavia, non conduce solo alla riscrittura delle Regole della comunicazione telematica ma impone, nel breve periodo, anche una radicale riformulazione del codice (in questo caso nel senso di bit) sul quale poggia l'infrastruttura di Rete. La proprietà intellettuale – non mi stancherò mai di ribadirlo – va tutelata e chi saccheggia gli altrui diritti d'autore va sanzionato ma guai a pensare che travolgere l'architettura di Rete e criminalizzare condotte giuridicamente e tecnologicamente neutrali sia il modo migliore per farlo. Guai, soprattutto, a dimenticare che i diritti di proprietà intellettuale non sono sovra‐ordinati rispetto ad altri diritti egualmente fondamentali quale, ad esempio, quello di manifestazione del pensiero e che, pertanto, per tutelare il portafoglio delle major non si può vietare l'attracco su una baia attraverso la quale vengono diffuse anche informazioni utili a 17 raggiungere contenuti liberi che costituiscono l'espressione del pensiero o dell'arte di milioni di naviganti. Il problema non è di merito ma di metodo: le violazioni della proprietà intellettuale vanno punite e sanzionate ma non a costo di sacrificare irrimediabilmente altri diritti. Agire diversamente ed impostare l'enforcement dei diritti di proprietà intellettuale secondo lo schema caro a Monsieur Olivennes ed al Presidente Sarkozy così come alla Procura di Bergamo è come inibire ad un giornalista reo di un illecito diffamatorio di tornare a scrivere o, piuttosto, chiudere il giornale attraverso il quale la diffamazione è stata perpetrata, precludendo, così, a milioni di cittadini l'accesso ad informazioni e contenuti utili e preziosi. Il problema della proprietà intellettuale in Internet è una questione culturale e, come tale, va affrontata e risolta: meno divieti di attracco, più informazione e, soprattutto, maggiore innovazione nei modelli di business di un'industria – quell'audiovisiva – che ha, probabilmente, troppo a lungo preteso di restare eguale a se stessa vivendo di rendita. Perché non creare centinaia di baie legali con tariffe di attracco accessibili ai naviganti e, soprattutto, adeguata libertà di utilizzo delle risorse legalmente acquistate? Io intermedio, tu intermedi, egli ruba! 6 ottobre 2008 http://www.guidoscorza.it/?p=356 Gli amici del Circolo dei Giuristi telematici hanno appena pubblicato le motivazioni con le quali il Tribunale del riesame di Bergamo ha annullato il decreto di sequestro di Thepiratebay3. 3 Provvedimento pubblicato il 6 ottobre 2008 sul sito del Circolo dei Giuristi telematici all’indirizzo: http://www.giuristitelematici.it Repubblica Italiana Tribunale di Bergamo Sezione penale del dibattimento in funzione di giudice del riesame ordinanza di accoglimento di riesame avverso sequestro preventivo ‐ art. 324 c.p.p. ‐ ******** Il Tribunale di Bergamo, composto dai Magistrati: dott. Vittorio Masia Presidente dott. Stefano Storto Giudice Rel. dott. Marialuisa Mazzola Giudice letti 18 gli atti del procedimento in epigrafe nei confronti di S.K.P. Ed altri per il reato di cui agli artt. 110 c.p. e 171 ter co. 2 lett a bis) L. 633/41 ed esaminata la documentazione; udite le parti all'udienza in data 24.9.2008; premesso che, su richiesta del Pubblico Ministero, in data 1.8.2008 il GIP di Bergamo disponeva il sequestro preventivo del sito web www.thepiratebay.org, disponendo che i fornitori di servizi internet (Internet Service Provider) e segnatamente i provider operanti sul territorio dello Stato italiano inibiscano ai rispettivi utenti – anche a mente degli artt. 14 e 15 del Decreto Legislativo n. 70 del 9.4.2003 – l'accesso: all'indirizzo www.thepiratebay.org; ai relativi alias e nomi di dominio presenti e futuri, rinvianti al sito medesimo; all'indirizzo IP statico 83.140.176.146, che al momento risulta associato ai predetti nomi di dominio, e ad ogni ulteriore indirizzo IP statico associato ai nomi stessi nell'attualità ed in futuro; rilevato che con ricorso ex art. 324 c.p.p. e successiva memoria depositata il giorno dell'udienza, i difensori di S.K. chiedevano la revoca del sequestro, eccependo nullità di ordine processuale; difetto di giurisdizione; insussistenza del fumus delicti; nonché falsa applicazione dell'art. 321 c.p.p., degli artt. 14/17 D.L.vo 70/03 e della direttiva 2000/31/CE; ritenuto che non può allo stato revocarsi in dubbio la sussistenza del fumus delicti (quantomeno secondo la tipicità dell'art. 171 co. 1 lett. a bis) L. 633/41), alla luce di quanto evidenziato dalla Guardia di Finanza, che riferisce di un elevatissimo numero di contatti al sito in questione registrati sul territorio nazionale (in termini di alcune centinaia di migliaia); che tali contatti, per specificità, l'evidenza e l'ampiezza dell'offerta contenuta nel sito oggetto di cautela, devono essere ragionevolmente ricondotti, almeno in una significativa parte, all'acquisizione in rete di beni protetti dal diritto di autore, in violazione delle norme a presidio dello stesso; che in proposito a nulla rileva il fatto che tali beni non siano nella diretta disponibilità degli indagati, ma collocati in archivi contenuti in apparecchi elettronici di altri soggetti, dal momento che solo le informazioni contenute nel sito in questione (nel quale si trovano le chiavi per accedere agli archivi di cui sopra e attingerne direttamente documenti) consentono la realizzazione di quei contatti in numero esorbitante cui fa riferimento la Guardia di Finanza; che in tale contesto risulta del tutto evidente come gli indagati, attraverso il sito www.thepiratebay.org, quantomeno mettano a disposizione del pubblico della rete opere dell'ingegno protette, condotta astrattamente rispondente alla tipicità dell'art. 171 citato; che, riconosciuto il fumus per come esposto, deve altresì affermarsi la sussistenza del periculum, dovendosi in proposito osservare che l'elevatissimo numero di connessioni rilevate induce a ritenere in via probabilistica (valutazione del tutto compatibile con il carattere della delibazione cautelare) l'attualità della commissione del delitto ipotizzato; che, atteso il concreto atteggiarsi del fatto come sopra tratteggiato, all'affermazione della sussistenza di fumus e periculum, deve conseguentemente affermarsi anche la sussistenza della giurisdizione italiana; considerato 19 Il contenuto del provvedimento è questione da penalisti e la lascio a Daniele4 ed agli altri colleghi. Io mi limito ad un paio di considerazioni. (1) I Giudici del riesame hanno, in sostanza stabilito che il provvedimento di questa estate andava annullato perché il diritto processuale penale non contempla provvedimenti cautelari atipici e un ordine di inibitoria è cosa diversa da un ordine di sequestro. A che occorra ora esaminare il profilo inerente alla falsa applicazione dell'art. 321 c.p.p., che, in quanto attinente al merito, ha natura assorbente degli ulteriori profili eccepiti; ritenuto che le misure cautelari – e segnatamente i sequestri, secondo l'ordinamento processuale penale – hanno carattere di numerus clausus, non conoscendo il codice di rito un istituto atipico quale quello di cui all'art. 700 c.p.c.; che di conseguenza non è giuridicamente possibile emettere sequestro preventivo al di fuori delle ipotesi nominate per le quali l'istituto fu concepito; che il sequestro preventivo ha una evidente natura reale (come peraltro fatto palese dallo stesso nomen iuris del genere al quale esso appartiene), in quanto si realizza nell'apposizione di un vincolo di indisponibilità sulla res, che sottrae il bene alla libera disponibilità di chiunque; che dunque l'ambito di incidenza del sequestro preventivo deve essere ristretto alla effettiva apprensione della cosa oggetto del provvedimento; considerato che il decreto censurato ha il contenuto di un ordine imposto dall'Autorità Giudiziaria a soggetti (allo stato) estranei al reato, volto ad inibire, mediante la collaborazione degli stessi, ogni collegamento al sito in questione da parte di terze persone; che tale decreto (pur astrattamente in linea con la previsione degli artt. 14 e ss. D.L.vo 70/03), lungi dal costituire materiale apprensione di un bene, si risolve in verità in una inibitoria atipica, che sposta l'ambito di incidenza del provvedimento da quello reale – come detto ambito proprio del sequestro preventivo – a quello obbligatorio, in quanto indirizzato a soggetti indeterminati (i cd. provider), cui è ordinato di conformare la propria condotta (cioé di non fornire la propria prestazione), al fine di ottenere l'ulteriore e indiretto risultato di impedire connessioni al sito in questione; ritenuto che l'uso del tipo di cui all'art. 321 c.p.p., quale inibitoria di attività, non può però essere condiviso, in quanto produce l'effetto di sovvertirne natura e funzione, di talché il sequestro deve essere annullato; PQM visti gli artt. 321, 322 e 324 c.p.p. annulla il decreto di sequestro preventivo emesso in data 1.8.2008 dal GIP di questo Tribunale. Manda alla cancelleria per quanto di competenza. Così deciso in Bergamo, il 24 settembre 2008 F.to I Giudici Al Pubblico Ministero Giancarlo Mancusi All'avv. Giovanni Battista Gallus del Foro di Cagliari anche per S.P.K. All'avv. Francesco Paolo Micozzi del Foro di Cagliari Al GIP dott.ssa Mascarino 4 Il riferimento è al collega Daniele Minotti, blogger su www.minotti.net 20 me ‐ povero civilista ‐ sembra cosa ovvia ma…evidentemente in diritto penale non lo è se il GIP del Tribunale di Bergamo ha, a suo tempo, ritenuto di poter ordinare a tutti gli ISP italiani di rendere inaccessibile un intero sito… A prescindere dai tecnicismi processual penalistici, sono, comunque, contento del provvedimento perché chiarisce un principio a me assai caro: non si può rendere inaccessibile un'intera fonte di informazione solo perché attraverso essa vengono diffuse ANCHE informazioni utili a commettere un reato (ammesso che sia così). (2) I Giudici del riesame indugiano a lungo sulla sussistenza, nel caso di specie, del requisito del fumus boni iuris, espressione cara ai giuristi per dire, in buona sostanza, che l'azione della quale il provvedimento cautelare mira a salvaguardare l'efficacia, SEMMBRA fondata. Nel nostro caso i Giudici del riesame stanno, quindi, dicendo che l'attività contestata a The Pirate Bay, sembra, effettivamente, illecita. Ho già scritto che non è mia intenzione difendere Thepiratebay, non essendo, io per primo ‐ sotto un profilo sostanziale, ma forse sarebbe meglio dire "politico‐sociale" ‐ convinto della bontà dell'iniziativa. Il punto è, tuttavia, un altro: i principi di diritto sono suscettibili di applicazione ripetuta nel tempo a fattispecie analoghe ma contraddistinte da contenuti diversi ergo il principio elaborato dai giudici nella vicenda Thepiratebay potrebbe essere applicato domani in una vicenda THEPARADISEBAY. E' per questo che mi sembra necessario avanzare qualche perplessità su un principio che i Giudici del riesame vorrebbero far passare per pacifico: quello secondo il quale diffondere informazioni utili al raggiungimento di un'opera dell'ingegno equivale a "mettere a disposizione del pubblico" ‐ nel senso di cui all'art. 171, lett. a‐bis) LDA ‐ l'opera stessa5. Francamente non credo sia così. Tale attività è, infatti, caratteristica di tutta una serie di intermediari della comunicazione che svolgono un ruolo 5 Legge n. 633 del 21 aprile 1941 (Legge sul diritto d’autore), Art. 171. Salvo quanto previsto dall'art. 171‐bis e dall'art. 171‐ter, è punito con la multa da euro 51 a euro 2.065 (185) chiunque, senza averne diritto, a qualsiasi scopo e in qualsiasi forma: omissis a‐bis) mette a disposizione del pubblico, immettendola in un sistema di reti telematiche, mediante connessioni di qualsiasi genere, un'opera dell'ingegno protetta, o parte di essa. omissis 21 essenziale nelle dinamiche della circolazione telematica dei contenuti: i motori di ricerca, ad esempio. Se fosse vero quello che sostengono i Giudici del riesame, nella vicenda thepiratebay, si starebbe rivisitando profondamente la disciplina europea sulla non responsabilità degli intermediari della comunicazione. Si tratta di un rischio al quale occorre guardare con grande attenzione senza "lasciarsi prender la mano" dalla circostanza che IN QUESTO CASO si sta parlando di una baia di pirati. Sfortunatamente, tuttavia, la tendenza ad una rivisitazione di quel principio va diffondendosi come sottolineavo già l'altro giorno a proposito del provvedimento tedesco contro Rapidshare6. C’era una volta il principio della non responsabilità degli intermediari… 3 ottobre 2008 http://www.guidoscorza.it/?p=354 La premessa è che, sfortunatamente, non so leggere il tedesco e, quindi, non posso che fidarmi di quello che ho letto in giro (Gaia, peraltro, è una fonte più che affidabile7) ma la recente sentenza resa dai giudici tedeschi mi lascia perplesso8. Secondo i giudici tedeschi, infatti, rapidshare ‐ sulla cui qualità di fornitore di hosting non mi sembra possa dubitarsi ‐ sarebbe tenuto a vigilare sui contenuti "caricati" dai propri utenti, a rimuovere quelli in violazione del diritto d'autore nonché a tracciare gli IP degli uploader. Le parole, le sfumature, i concetti in diritto sono importanti e, quindi, non amo commentare una decisione che non sono riuscito a leggere direttamente ma, francamente, la sentenza mi sembra difficilmente conciliabile con questa vecchia norma della Direttiva 31/2000/UE: Articolo 14 "Hosting" 1. Gli Stati membri provvedono affinché, nella prestazione di un servizio della società dell'informazione consistente nella memorizzazione di informazioni fornite da un destinatario del Cfr. il post che segue: C’era una volta il principio della non responsabilità degli intermediari… 7 Mi riferisco ad un articolo di Gaia Bottà, pubblicato su Punto Informatico il 3 ottobre 2008 e consultabile a questa URL: http://punto‐ informatico.it/2425179/PI/News/germania‐rapidshare‐al‐controllo‐ preventivo.aspx 8 Il testo, in tedesco, della decisione è reperibile qui: http://webhosting‐und‐ recht.de/urteile/Oberlandesgericht‐Hamburg‐20080702.html 6 22 servizio, il prestatore non sia responsabile delle informazioni memorizzate a richiesta di un destinatario del servizio, a condizione che detto prestatore: a) non sia effettivamente al corrente del fatto che l'attività o l'informazione è illecita e, per quanto attiene ad azioni risarcitorie, non sia al corrente di fatti o di circostanze che rendono manifesta l'illegalità dell'attività o dell'informazione; b) non appena al corrente di tali fatti, agisca immediatamente per rimuovere le informazioni o per disabilitarne l'accesso. Non mi stancherò mai di ripetere che il diritto d'autore costituisce uno degli indispensabili pilastri della società dell'informazione ma, ad un tempo, faccio fatica ad allontanare il sospetto che in nome del diritto d'autore si stiano travolgendo principi fondamentali del diritto suscettibili, tra l'altro, di produrre effetti ben al di là dei confini della proprietà intellettuale. Spero di poter leggere presto la sentenza e tornare sull'argomento9. La responsabilità dei grandi… 29 ottobre 2008 http://www.guidoscorza.it/?p=370 Leggo su Punto Informatico, in un bell'articolo di Gaia10, della coraggiosa decisione annunciata da Rapidshare di non procedere a nessuna forma di filtraggio sui contenuti degli utenti e, dunque ‐ sebbene solo parzialmente ‐ di non dar seguito alla decisione con la quale nelle scorse settimane i Giudici tedeschi gli avevano rimproverato proprio di non "controllare in maniera proattiva il contenuto prima di pubblicarlo"11. Sfortunatamente non ho ancora imparato il tedesco né trovato una traduzione della Sentenza! 10 Il riferimento è ad un articolo di Gaia Bottà pubblicato su Punto informatico il 29 ottobre 2008 e consultabile a questa URL: http://punto‐ informatico.it/2454553/PI/News/rapidshare‐no‐al‐monitoraggio.aspx 11 Pubblico qui di seguito il comunicato con il quale Rapidshare ha reso nota la propria decisione: “RapidShare will not control Uploads October 26, 2008 160 million files have already been uploaded to RapidShare. A number that proves, that the world depends on moving important data from A to B. A number that also proves, that RapidShare with its fast and easy services also addresses users that are no computer nerds. RapidShare is the first technology worldwide that made sending big files so easy, so fast and so secure. The files can be stored as long as needed and can be recalled from anywhere in the world, they are strictly confidential and can only be accessed by the user that originally loaded them up, or alternatively can be distributed 9 23 Innegabile che dietro la decisione dei vertici di uno dei più grandi fornitori di hosting del mondo vi sia anche la preoccupazione di non perdere i propri utenti che, qualora Rapidshare non li avesse rassicurati, avrebbero potuto rinunciare ad avvalersi dei servizi da questo messi a disposizione per evitare di incappare in fastidiosi "filtri" ed "intercettazioni". Ciò, tuttavia, non toglie nulla alla posizione assunta da Rapidshare secondo cui spetta ai grandi "influenzare" gli orientamenti di politica dell'innovazione. Quando cose del genere capitano ai più piccoli fornitori di hosting, infatti, questi ultimi non hanno alternativa: o si adeguano, o chiudono o chiuderanno alla prima occasione in cui un titolare dei diritti chiederà loro un risarcimento con qualche zero di troppo… Sono i grandi, invece, che hanno sulle spalle la responsabilità di contribuire ‐ senza con ciò candidarsi a guidare rivoluzioni o attacchi pirati ‐ al diffondersi di orientamenti ed approcci più equilibrati e ponderati ai problemi giuridici della nuova Era. La vicenda Rapidshare sono la prova del fatto che tra la teoria di certe moderne dottrine antipirateria e la pratica il passo è lungo. Complimenti a Rapidhsare! Parola di un utente che non ha per niente voglia di sentirsi dare, solo per questo, del pirata! …e se si fosse chiamata Paradise Bay? among thousands of people quickly and easily. With a couple of billion page impressions per day we know, that we as a leader will have to pave the way for this new technology. We are aware of the fact that we therefore have big responsibility. If, for example, it had been regulated by law to control all copies before the first photo copier was invented, it is very likely that these machines would have never hit the market. That's why we are doing everything to enable this new technology ‐ which is still very young, but already inspires millions of people every day ‐ to be part of our future and make life more comfortable. The security of personal data is very important to us, especially in these times. That's the reason why we will not spy out the files that our clients faithfully upload onto RapidShare, not now nor in future. We are against upload control and guarantee you that your files are safe with us and will not be opened by anyone else than yourself, unless you distribute the download link. RapidShare, of course, is against the distribution of illegal files and as soon as we are informed about illegal distribution, we delete these files and put them on a filter. But the general control of uploads is out of the question for us, because we think that especially in these times data privacy comes first.”. 24 15 settembre 2008 http://www.guidoscorza.it/?p=343 Thepiratebay indicizza i files torrent delle foto dell'autopsia di due bambini morti e torna nell'occhio del ciclone come responsabile della diffusione delle macabre immagini. (Fonte Punto Informatico)12. Non conosco i dettagli della vicenda e mi astengo, pertanto, da ogni commento strettamente giuridico sulla stessa. Mi limito, tuttavia, a rilevare che in rete circolano migliaia di immagini e video relative ad autopsie di ogni genere di cadavere (una ricerca su un qualsiasi search engine o IN UN UGC varrà a darvene conferma) e che i canali televisivi hanno ormai reso le autopsie compagne insostituibili di pranzi e di cene (basti guardare l'epopea di CSI, post mortem e le decine di altre serie TV di analogo contenuto)…segno evidente che il gusto del macabro è, sfortunatamente, diffuso. Si tratta di immagini la cui diffusione in alcuni Paesi può risultare contraria alla legge specie laddove la vittima sia riconoscibile mentre, in altri, "semplicemente" contraria alla morale comune…ammesso che ne esista UNA SOLA… Ove la diffusione di tali immagini è contraria alla legge, il problema torna essere quello di sempre: chi risponde dei contenuti immessi in Rete da un utente? L'uGC, il gestore di un motore di ricerca o, piuttosto, l'utente stesso? Ove, invece ‐ come mi sembra di capire accade in Svezia ‐ la diffusione di certe immagini è contraria alla morale, la questione si complica ed occorre, a mio avviso, riconoscere che decidere cosa è morale e cosa non lo è, non è sempre semplice e, comunque, non può essere decisione demandata ad un UGC, un ISP o al titolare di un motore di ricerca… Il rischio, davvero dietro l'angolo, è che per questa via si finisca con il restaurare forme di censura che solo Internet ha saputo spazzare lontano. E poi si dice che l'abito non fa il monaco, se ThePirateBay si fosse chiamata TheParadiseBay…sono sicuro la notizia non avrebbe fatto il giro del mondo. Google, Mediaset e quel risarcimento milionario 1° agosto 2008 Punto Informatico L’articolo di Punto Informatico al quale mi riferisco è del 15 settembre 2008 ed è reperibile a questa URL: http://punto‐informatico.it/2403962/PI/News/the‐ pirate‐bay‐no‐comment.aspx 12 25 Non si è ancora sopito il clamore sollevato dalla notizia dell’intenzione della Procura della Repubblica di Milano di trascinare sul banco degli imputati 4 top manager di Google che Big G torna nell’occhio del ciclone per effetto della richiesta risarcitoria multimilionaria formulata dalla Mediaset13. La tentazione è quella di sintetizzare gli eventi con una battuta: tutti contro Google. Ma si sbaglierebbe. Il problema è un altro e concerne l’intera architettura della Rete Internet e, in particolare, il ruolo degli intermediari della comunicazione: di quelli puntualmente “fotografati” dalla vigente disciplina sul commercio elettronico e di quelli che nel 2000 – allorquando si è posto mano a tale direttiva – ancora non esistevano o, almeno, non avevano assunto un ruolo tanto centrale ed irrinunciabile nella diffusione dei contenuti digitali in Rete. La sottile linea rossa che unisce le due vicende è esattamente questa: la qualificazione giuridica degli UGC e le loro conseguenti eventuali responsabilità per contenuti che non controllano e che gli utenti immettono in Rete per effetto della loro attività. Il principio generale sancito dalla disciplina europea a proposito della responsabilità degli intermediari è, come è noto, quello dell’assenza di un obbligo generale di sorveglianza e della conseguente generale non responsabilità degli intermediari. La ragione per la quale si è pervenuti a tale conclusione è semplice: nessuno sarebbe disponibile a svolgere un’attività imprenditoriale per la quale corresse il rischio di vedersi trascinato sul banco degli imputati per una responsabilità altrui senza, peraltro – complici i numeri e le dinamiche caratteristiche della Rete – aver la concreta possibilità di intervenire sul corso degli eventi. Il bivio dinanzi al quale ci si trova, pertanto, è chiaro: o si riconosce tale responsabilità e si cancella dalla Rete una delle più caratteristiche e rivoluzionarie modalità di comunicazione e condivisione dei contenuti digitali o la si esclude e si lascia, pertanto, che la Rete segue la sua naturale evoluzione. Questo è il lancio di agenzia con la notizia: (ANSA) ‐ MILANO, 30 LUG ‐ Mediaset ha citato in giudizio YouTube e Google ''per illecita diffusione e sfruttamento commerciale di file audio‐video''. Il risarcimento richiesto ‐ ha reso noto Mediaset ‐ e' di almeno 500 milioni di euro per il solo danno emergente. ''Dalla rilevazione a campione effettuata da Mediaset sono stati individuati sul sito YouTube 4.643 filmati di nostra proprieta', pari a oltre 325 ore di materiale emesso senza possedere i diritti'', ha specificato il Gruppo. 13 26 Quest’ultima eventualità, peraltro, non comporta come necessaria conseguenza – come spesso si lascia ritenere – la legittimazione nello spazio telematico di ogni genere di violazione in danno della privacy, dei diritti di proprietà intellettuale o, piuttosto, dell’onore e reputazione di una persona. Escludere la responsabilità degli UGC significa semplicemente scegliere di impegnarsi nella repressione delle condotte vietate concentrandosi sull’attività degli utenti. Educazione all’utilizzo delle risorse telematiche, identificazione dei responsabili delle condotte on‐line e autodisciplina potrebbero essere le parole chiave di un nuovo e diverso approccio alla tutela dei diritti in Rete. Ma torniamo al caso Mediaset vs. Google, come dire il colosso di ieri dell’informazione e dell’intrattenimento ed il colosso di oggi e forse di domani. C’è un aspetto della vicenda – per quel che poco che se ne conosce dai giornali – che mi lascia perplesso, forse, persino di più dell’azione di responsabilità: si tratta dell’entità della richiesta risarcitoria e delle motivazioni sulle quali essa si fonderebbe. L’argomento meriterebbe ben maggiore approfondimento ma, mi sembra, sin d’ora possibile delineare un paio di profili di particolare rilievo: (a) la messa a disposizione del pubblico di contenuti sui quali Mediaset deteneva i diritti d’autore costituisce, probabilmente, una condotta non autorizzata dal titolare dei diritti ma, da qui a sostenere che Mediaset abbia sofferto un danno tanto rilevante il passo è lungo. Chiunque conosca la realtà telematica, infatti, deve escludere che esista qualsivoglia rapporto di concorrenzialità tra la diffusione telematica di qualche minuto di un programma televisivo e la versione integrale dello stesso andata in onda in TV. Difficile, pertanto, sostenere che Mediaset abbia subito una perdita in termini di raccolta pubblicitaria per effetto della diffusione su Youtube di qualche migliaio di spezzoni dei propri programmi dopo che, peraltro, questi ultimi erano, evidentemente, già stati trasmessi. (b) Google mette a disposizione dei titolari del diritto una procedura semplice – e credo anche efficace – per la rimozione dei contenuti protetti da diritti di proprietà intellettuale. E’ un bell’esempio – forse perfettibile – di deontologia e autodisciplina. Non sembra che Mediaset abbia mai chiesto a Google di procedere alla rimozione dei filmati di cui oggi contesta la diffusione non autorizzata. 27 Nel codice civile c’è un bel principio di civiltà giuridica che dice che non ha diritto al risarcimento chi pur potendo non ha evitato un danno che usando l’ordinaria diligenza avrebbe potuto evitare. Di più non dico ma…non credo sarebbe stato difficile per Mediaset mandare qualche mail a Google per chiedere la rimozione di qualche filmato. Non mi piace francamente l’idea di chi rimane alla finestra ad assistere ad asserite reiterate violazioni dei propri diritti e poi presenta un conto così salato… Processo alla Rete. 2 marzo 2008 http://www.guidoscorza.it/?p=264 Stefano Quintarelli in un suo BEL post di ieri segnala un BRUTTO (l'aggettivo è mio) articolo di Paolo Panerai apparso su Milano Finanza di qualche giorno fa14. Il post pubblicato da Stefano Quintarelli il 1° marzo 2008 sul suo blog: http://blog.quintarelli.it/blog/ Panerai contro Google Ringrazio Andrea ed Eugenio (autore di Menostato) per gli spunti dietro questo post. Il dott. Panerai, titolare di Class Editori che pubblica Milano Finanza ha scritto pochi giorni fa (il 9 febbraio) un lungo editoriale che spaziava su tre pagine. Ha fatto un discorso globale su rete, telecom, google, copyright che, a me, francamente pare il frutto di un ragionamento non sufficientemente approfondito; certo, posso sempre sbagliarmi... Mi soffermo su un passaggio, (sperando che altri gli rispondano in punta di diritto): quando sostiene che Google dovrebbe NON indicizzare i giornali (google news) in quanto protetti da copyright, essendo questo un furto. Il dott. Panerai probabilmente non usa mai Internet, per non rendersi complice di reato. Qualunque scritto e' infatti protetto da Copyright (anche questo post) solo per il fatto di esistere. Se capisco bene, quindi, nulla potrebbe essere quindi indicizzato da un motore di ricerca. La conseguenza e' che i motori di ricerca non possono esistere. Senza entrare in tecnicismi di come fare a non essere indicizzati se non lo si desidera, cosa che peraltro qualcuno potrebbe anche segnalare al Dott. Panerai, anche le conseguenze economiche di questo atteggiamento dovrebbero sgomentare gli stakeholder della casa editrice, a mio sommesso parere. Che piaccia o no, l'interfaccia utente del worldwide web e' Google. Se una funzione non e' disponibile nell'interfaccia utente, questa funzione non esiste. L'elettronica di una mia auto aveva un bel display con possibilità di ingressi video, ma l'interfaccia utente non offriva possibilità di abilitarli... Abbiamo un mondo in cui il cartaceo e' in calo e internet e' in aumento. Se Google eliminasse Class editori dalle sue indicizzazioni, questo cesserebbe di esistere nell'unico spazio in crescita e esisterebbe solo in uno spazio in rapida obsolescenza. E' ciò che gli stakeholder di Class si aspettano ? Certo, si potrebbe sempre proibire per legge la commutazione di pacchetto. 14 28 Pubblico qui un estratto dell'articolo perché altrimenti il post sarebbe difficilmente intellegibile. La pubblicazione mi sembra, pertanto, giustificata alla stregua dell'eccezione di cui al primo comma dell'art. 70 LDA. Se autore o editore la pensassero diversamente, tuttavia, non devono che segnalarmelo15. Panerai nel Suo articolo scrive, in buona sostanza, che i grandi motori di ricerca (Google e Yahoo) avrebbero sin qui accumulato enormi ricchezze rubando (Panerai parla di FURTO) i contenuti prodotti dagli editori e che sarebbe arrivato il momento che il legislatore italiano ponga fine a questa "pacchia". La giurisprudenza belga ‐ scrive ancora Panerai ‐ avrebbe già reiteratamente accertato l'illegittimità del servizio Google News e, quella italiana, analogamente, condannato ripetutamente la Selpress, società operante nel settore delle rassegne stampa per l'illegittimo utilizzo degli articolo della stessa Class Editrice e di altri editori. L'articolo non mi piace né nella forma né nei contenuti. Quanto alla forma il Dr. Panerai mentre invoca l'esigenza di un intervento normativo per far ordine nella materia ‐ dando così atto del vuoto legislativo esistente ‐ pronuncia il suo pesante verdetto contro le dinamiche dell'informazione in Rete, condannando, senza appello, i grandi motori di ricerca per FURTO. Delle due l'una: o non servono regole nuove perché quelle attuali già consentono al Dr. Panerai di parlare di FURTO o, piuttosto, servono regole nuove e, quindi, ad oggi nessuno ha Nel recente passato si e' visto come, contrariamente alla legge che non ammette ignoranza, parte importante della professione giornalistica invece la ostenti. Oltre a quei noti casi, secondo me, anche questo sfogo del Dott. Panerai e' un segnale che Internet sta arrivando alla massa critica anche in Italia. Inizia ad essere un fenomeno sensibilmente percepito e la reazione e' il discredito o il contrasto, anziché l'analisi e lo sviluppo di nuove opportunità. Secondo me ha ragione Beppe a ritenere che e' il sistema dell'informazione ad avere paura, che e' sotto pressione e la rete, aperta, lo costringerà a cambiare. E se e' vero che non esiste un grande "editore puro" e che informazione‐industria‐ banche‐politica sono fittamente interrelati in una matrice che, in qualche modo, si autosostiene, beh, allora e' il caso di essere ottimisti. Due passaggi dell'articolo in questione: * "i due grandi motori di ricerca rivali, Yahoo e Google, hanno finora potuto produrre forti utili e raggiungere capitalizzazioni astronomiche in quanto hanno potuto utilizzare impunemente e a costo zero l’enorme materiale prodotto da giornali, agenzie, televisioni, radio, che trasferendo buona parte dei loro contenuti su internet hanno consentito ai due rivali di poter offrire un servizio a costo zero almeno per la realizzazione dei contenuti stessi." * "Questo furto di materiale fondamentale per creare pagine e pagine di notizie, di archivi e di spazi pubblicitari, è già stato sanzionato in più cause in vari paesi" 15 Il testo dell’articolo è pubblicato a questa URL: http://www.guidoscorza.it/wp‐ content/uploads/2008/03/milano‐finanza.pdf 29 commesso nessun FURTO ed il Dr. Panerai dovrebbe essere più cauto nell'utilizzo di certe espressioni che potrebbero ‐ in modo, questa volta, inequivoco ‐ violare i diritti di altri ed integrare gravi fattispecie di reato. Sempre parlando di forma, non posso condividere il grave e pesante "J'ACCUSE" del Dr. Panerai all'indirizzo dell'intera attività di due tra gli indiscussi protagonisti della rivoluzione telematica in atto: Google e Yahoo. Non si tratta di prendere le difese d'ufficio di questa o quella società ‐ anche perché le due in questione non ne hanno certamente bisogno ‐ ma, piuttosto, di difendere le nuove dinamiche dell'informazione in Rete contro le quali il Dr. Panerai scaglia un autentico macigno. Ho scritto, ormai, decine di volte ‐ ed è, d'altra parte, circostanza sotto gli occhi di tutti ‐ che le dinamiche della Rete impongono un ripensamento della tradizionale posizione di equilibrio tra diritti di proprietà intellettuale ed altri diritti egualmente importanti tra i quali, in primis, vi è certamente quello all'accesso all'informazione attraverso cui, peraltro, si estrinseca ‐ lungo una delle due linee portanti ‐ la libertà di manifestazione del pensiero sancita all'art. 21 della nostra costituzione e pietra angolare della democrazia come è già stata definita dalla Corte Costituzionale. Questo, tuttavia, è molto diverso dal principio che il Dr. Panerai vorrebbe fosse affermato. Veniamo ora, brevemente, ai contenuti dell'articolo di Milano Finanza, con riserva, come sempre, di tornare sull'argomento. Il Tribunale di Bruxelles, in effetti, l'anno scorso, si è pronunciato contro Google, stabilendo che l'attività da quest'ultimo svolta nell'ambito dei servizi Google Cache e Google news doveva considerarsi illecita in quanto in violazione dei diritti d'autore degli editori dei giornali belgi. La decisione è, sostanzialmente condivisibile ‐ in punto di diritto ‐ in relazione al servizio "Google cache" mentre riposa ‐ a mio avviso ‐ su un grave errore di prospettiva in relazione al servizio "Google News" nell'ambito del quale Google viene, sostanzialmente, trattato quale fornitore di contenuti eteroprodotti anziché come semplice fornitore di servizi di indicizzazione. Sul punto si potrebbero scrivere tonnellate di bit ma, per il momento, mi limito a pubblicare il testo integrale della decisione 30 lasciando a tutti (sfortunatamente i soli francofoni) la possibilità di formarsi il proprio convincimento16. Quanto, invece, all'analogia tratteggiata dal Dr. Panerai tra i servizi resi disponibili dai due motori di ricerca e l'attività di rassegna stampa posta in essere dalla sua personale rivale di sempre vi è, semplicemente, un abisso e le due fattispecie non sono neppure lontanamente confrontabili in termini giuridici. La Selpress riproduce integralmente e trasmette, dietro pagamento, ai propri clienti gli articoli che appaiono quotidianamente sui giornali italiani mentre Google News si limita ad indicizzare contenuti specifici permettendo all'utente di raggiungerli in modo semplificato sul sito dell'editore. Leggete la decisione della Suprema corte di Cassazione cui fa riferimento Panerai per convincervene voi stessi17. Sul punto, pertanto, l'articolo di Milano Finanza fa confusione e crea inutili ambiguità. Capisco, perfettamente, che il nuovo faccia paura al vecchio ma…il nuovo è l'unica chance per traghettare il Paese nella Società dell'informazione e non fargli perdere il treno dell'ultima rivoluzione. Querelata Wikipedia: cose d’altri (brutti) tempi. 1° marzo 2008 http://www.guidoscorza.it/?p=261 Ieri l'AGI ha battuto una notizia ‐ rapidamente ripresa da tutti i principali quotidiani on‐line ‐ secondo la quale "Il sindaco di Firenze Leonardo Domenici e l'assessore Graziano Cioni" avrebbero "dato mandato di querelare per diffamazione e calunnia il sito internet Wikipedia" a causa di alcune asseritamente false informazioni riportate alla voce "Leonardo Domenici" (la voce risulta ora, purtroppo, "ripulita" dei riferimenti contestati e "bloccata" a titolo cautelativo)18. Il testo integrale della Sentenza è disponibile a questa URL: http://www.juriscom.net/jpt/visu.php?ID=861 17 Il testo integrale della Sentenza è disponibile a questa URL: http://www.ricercagiuridica.com/sentenze/index.php?num=2380 18 Questo il lancio di agenzia dell’AGI del 29 febbraio 2008: Il sindaco di Firenze Leonardo Domenici e l’assessore Graziano Cioni hanno dato mandato di querelare per diffamazione e calunnia il sito internet Wikipedia, la cosiddetta “enciclopedia libera on line”. Sul sito di Wikipedia, alla voce ‘Leonardo Domenici’, si imputano al sindaco e alla sua giunta alcuni provvedimenti e decisioni che, si legge, “hanno suscitato critiche da parte della cittadinanza” e si cita in particolare “l’affidamento dei parcheggi cittadini alla società ‘Firenze parcheggi’, del cui cda fanno parte le mogli di Domenici e dell’assessore Cioni”. Una calunnia già circolata in passato, sulla quale 16 31 A quanto riferisce l'AGI, a far irritare il primo cittadino fiorentino sarebbero stati alcuni riferimenti contenuti nella propria scheda biografica che gli avrebbero imputato alcuni provvedimenti e decisioni che, avrebbero "suscitato critiche da parte della cittadinanza" con particolare riferimento "all'affidamento dei parcheggi cittadini alla società "Firenze parcheggi" del cui cda fanno parte le mogli di Domenici e dell'assessore Cioni". Non voglio entrare nel merito della questione: non mi sembra, tuttavia, che i riferimenti di tipo storico a provvedimenti che hanno suscitato critiche abbiano nulla di diffamatorio. La questione di maggior rilievo, in ogni caso, è un'altra. Nella società dell'informazione ‐ nella quale, evidentemente, il Sindaco di Firenze non si è ancora accorto di vivere ‐ non serve querelare nessuno per una voce che si ritiene "diffamatoria" pubblicata sulla più grande enciclopedia del mondo: si modifica la voce e se ne spiegano le ragioni fornendo link e documenti a supporto della propria posizione. Lo ha scritto ‐ e gliene va dato atto ‐ prima di me Pietro Folena sul suo blog19. Una querela per diffamazione contro un'enciclopedia aperta è cosa d'altri tempi…altri brutti e vecchi tempi. Non lo dico io ma il Tribunale di Grande Istanza di Parigi in una bella decisione di qualche mese fa20. Se poi l'obiettivo è censurare la libertà di manifestazione del pensiero di chiunque abbia una posizione diversa dalla propria…allora, evidentemente, è un'altra storia… Cancellate Maradona! Internet Magazine Dicembre 2008 I fans argentini di Diego Armando Maradona che negli ultimi giorni hanno cercato notizie sul pibe de oro attraverso Google e Yahoo saranno rimasti delusi. La versione argentina di Big Y, infatti, restituisce quale risultato di ogni ricerca che contenga il nome dell’idolo di milioni di appassionati di calcio di tutto il mondo un avviso in spagnolo nel 2004 la Procura della Repubblica di Firenze ha aperto un’inchiesta e per la quale ci sono già stati una condanna e alcuni rinvii a giudizio. 19 Il post di Pietro Folena del 20 febbraio 2008 è pubblicato a questa URL: http://www.pietrofolena.net/blog/?p=331 20 Il testo integrale della decisione è pubblicato a questa URL: http://www.juriscom.net/jpt/visu.php?ID=980 32 che informa gli utenti della circostanza che in esecuzione di un ordine dell’Autorità giudiziaria l’indicizzazione di tutte le pagine contenenti un riferimento all’attuale CT della nazionale è stata sospesa. Big G, invece, delude meno le aspettative dei propri utenti ma non può dirsi che si mostri capace di soddisfarle pienamente: ogni ricerca contenente “Diego Armando Maradona”, infatti, restituisce un numero di risultati sensibilmente inferiore a quello che si otteneva attraverso la stessa ricerca solo qualche settimana fa. La stessa sorte, peraltro, è toccata, a milioni di fans di oltre un centinaio di bellissime top models argentine. Anche loro, a caccia di informazioni, video ed immagini che dessero corpo – un corpo! ‐ ai loro più segreti desideri, sono rimasti delusi: Yahoo implacabilmente restituisce lo stesso messaggio mentre Google apre ai propri utenti le porte ad un numero di siti sensibilmente inferiore rispetto a quello di ieri. Cosa sta accadendo nel Paese del Tango? La risposta è tanto semplice quanto disarmante e preoccupante per il futuro della Rete. Nei mesi scorsi Diego Armando Maradona, decine e decine di Top models e personaggi famosi e, persino, un Giudice argentino ‐ María Servini de Cubría – hanno citato in giudizio i due più popolari motori di ricerca del mondo ritenendoli responsabili di contribuire alla violazione dei propri diritti al nome, all’immagine o alla reputazione indicizzando milioni di pagine nelle quali sarebbero ospitati contenuti diffamatori nei loro confronti o, piuttosto, pubblicate loro foto senza autorizzazione o in associazione a materiale pornografico. L’avvocato delle stars ‐ Martin Leguizamon Peña – ha chiesto, nell’interesse dei suoi assistiti, la condanna di Yahoo e Google al pagamento di un risarcimento del danno quantificato tra i 30 ed i 121 mila dollari per ogni VIP rappresentato nonché di ordinare ai due search engines di sospendere immediatamente l’indicizzazione di tutte le pagine internet contenenti i nomi dei propri clienti in associazione a contenuti suscettibili di ledere i loro diritti. I giudici argentini hanno accolto la domanda cautelare ingiungendo ai due popolari motori di ricerca di sospendere senza ritardo l’indicizzazione di tutte le pagine suscettibili di ledere i diritti dei ricorrenti mentre decideranno nei prossimi mesi in ordine alla richiesta risarcitoria. A seguito del provvedimento Yahoo ritenendo troppo oneroso e di incerto risultato procedere alla selezione delle pagine da non indicizzare alla stregua dei criteri indicati nell’Ordinanza 33 dei Giudici ha optato per la sospensione generalizzata dell’indicizzazione di tutte le pagine contenenti i nomi dei ricorrenti mentre Google si è dichiarato disponibile a rimuovere – come poi puntualmente accaduto – solo le pagine di contenuto illecito che gli fossero state individualmente segnalate. Il provvedimento ha cambiato, in poche ore, il “volto” della Rete argentina. Milioni e milioni di pagine web sono state rese irragiungibili senza, in molti casi, che i loro autori avessero qualsivoglia responsabilità se non quella di aver utilizzato – magari nel raccontare fatti di cronaca connessi a popolari personaggi del mondo dello sport o dello spettacolo – i nomi dei ricorrenti nel procedimento che ha dato origine al terremoto e, soprattutto, senza che nessuno si sia preso la briga di informarli di quanto stava per accadere. Analoga sorte è toccata ad una interminabile lista di soggetti che dopo aver ritenuto per una vita di esser fortunati nel portare lo stesso nome di una star hanno dovuto ricredersi. Secondo un copione già visto negli Stati Uniti d’America dopo l’11 settembre allorquando le Autorità predisposero e diffusero una black list di nominativi di soggetti non graditi a bordo degli aeromobili lasciando così a piedi decine di migliaia di persone ree solo di portare lo stesso nome di qualcuno indicato in tale lista, anche in Argentina, in queste ore, blog, forum, pagine personali e siti internet relativi agli omonimi delle stars si ritrovano incolpevolmente oscurati e, così, privati, dalla sera alla mattina dell’esercizio di quello che si è ormai affermato come un nuovo diritto fondamentale dell’uomo e del cittadino: il diritto all’uso delle tecnologie informatiche e telematiche per la manifestazione del proprio pensiero. Ce n’è già abbastanza per far riecheggiare, ancora una volta, nel web un’espressione che, sfortunatamente, ricorre con frequenza sempre maggiore ed in maniera direttamente proporzionale all’affermazione di Internet quale nuovo strumento di circolazione delle idee e del sapere: censura. Ma, in questo caso – come d’altra parte in molte altre ipotesi di censura on‐line con le quali ci si è confrontati negli ultimi mesi – c’è di più. L’iniziativa di Diego Armando Maradona e dei suoi cento compagni e compagne di avventura, nonostante il successo ottenuto in Tribunale, si è rivelata priva di qualsivoglia efficacia sul web poiché le pagine web censurate nel Paese del Tango sono regolarmente indicizzate dalle versioni straniere degli stessi motori di ricerca non avendo potuto, evidentemente, i Giudici 34 argentini spingersi ad ordinare a Google e Yahoo di restringere anche i servizi erogati in nazioni diverse. Gli stessi utenti argentini, pertanto, possono serenamente continuare ad accedere ai contenuti “proibiti” semplicemente utilizzando una diversa nazionalizzazione – addirittura in spagnolo ‐ delle pagine di ricerca dei due popolari motori: quella spagnola o quella messicana ad esempio. L’ordinamento argentino, a differenza di quello Statunitense e di quello europeo, non ha ancora preso posizione sull’annosa questione della responsabilità degli intermediari della comunicazione – non solo i motori di ricerca ma anche gli ISP, gli UGC o i fornitori di hosting – in relazione ai contenuti immessi in Rete dagli utenti e, molti commentatori hanno attribuito a tale circostanza l’anacronistico provvedimento delle scorse settimane. Si sbaglierebbe, tuttavia, a bollare l’episodio come una storia di Paesi lontani. La responsabilità degli intermediari, infatti, nonostante la disciplina della materia dettata in Europa sin dal 2000 con la Direttiva 31 sul commercio elettronico che ha, di fatto, escluso la configurabilità di una simile responsabilità, continua ad essere, anche nell’Internet Europea, una questione di grande attualità e lontana dal potersi considerare definitivamente risolta. Basti pensare – attraversando appunto l’oceano ed attraccando proprio in Italia – alla recente vicenda che ha visto coinvolta la Baia Pirata (Thepiratebay.org), il più grande motore di ricerca del mondo di risorse Torrent. Come ricorderanno i lettori più assidui di questa rivista, l’estate scorsa il sito è stato posto sotto sequestro per ordine dell’autorità giudiziaria italiana in quanto i gestori del sito erano – e sono tuttora considerato che il procedimento è ancora pendente – accusati di aver contribuito alla violazione dei diritti d’autore posta in essere dagli utenti indicizzando files torrent relativi ad opere protette da altrui proprietà intellettuale. La questione di diritto è sostanzialmente la stessa che viene in rilievo nella vicenda argentina: un motore di ricerca può essere ritenuto responsabile delle violazioni poste in essere attraverso la pubblicazione delle risorse che esso indicizza? Se la risposta alla domanda dovesse essere positiva è evidente che occorrerà ripensare le dinamiche della Rete che conosciamo. Come dimostra, infatti, la posizione assunta da Yahoo – uno dei due più grandi motori di ricerca del mondo – non vi è nessun soggetto, per quanto ricco e potente, disponibile ad assumersi una responsabilità – peraltro difficile da prevedere in termini economici o di conseguenze penali – che sia disponibile a 35 farsi carico delle violazioni poste in essere dai propri utenti attraverso la pubblicazione di taluni contenuti. Yahoo, ricevuta la notifica del provvedimento ‐ presa coscienza del fatto che ben difficilmente avrebbe potuto uniformarsi puntualmente all’ordine rivoltogli dal giudice di sospendere l’indicizzazione delle pagine suscettibili di violare i diritti del pibe de oro e degli altri ricorrenti – ha preso l’unica scorciatoia che aveva davanti a sé: bloccare in modo generalizzato l’indicizzazione di milioni di pagine solo perché contenenti talune espressioni. Questo, tuttavia, è l’atteggiamento del padrone dell’informazione e non di un “semplice” intermediario. Nonostante il diverso atteggiamento tenuto da Google nella vicenda, occorre, però, tener presente che se si proseguirà nella diffusa convinzione di ritenere gli intermediari della comunicazione responsabili dei contenuti immessi in Rete dagli utenti, la scelta di Yahoo rischia di divenire la regola: soggetti con le spalle più strette di quelle di Big G come ce ne sono tanti in Rete, infatti, dinanzi al rischio di vedersi condannare a risarcimenti a sei o nove zeri non hanno altra possibilità che quella di sacrificare i diritti degli utenti a tutela del “censore” di turno. Anche i più grandi, peraltro, prima o poi potrebbero cedere – come dimostra, ancora una volta, la scelta di Yahoo – alla tentazione di trasformarsi nel “braccio armato” dei censori pur di sottrarsi alle responsabilità che in caso contrario ricadrebbero sulle loro tasche. Cosa accadrebbe se Google uscisse sconfitta dalla anacronistica iniziativa giudiziaria promossa nei suoi confronti dalla Mediaset che ha richiesto la cifra astronomica di 500 milioni di euro a fronte della diffusione di poco più di tremila frammenti delle proprie trasmissioni televisive e cosa accadrebbe se lo stesso Google dovesse uscire sconfitto dal giudizio penale nell’ambito del quale la Procura di Milano si è spinta a configurare una responsabilità dei dirigenti di Big G per non aver impedito che un giovane utente immettesse in Rete la poco edificante sequenza di immagini del bambino down torinese ignobilmente sbeffeggiato da compagni in relazione ai quali, evidentemente, la famiglia prima e la scuola poi avevano fallito la propria missione di formazione ed educazione? Possiamo davvero sperare che in tali eventualità la Rete che conosciamo resterebbe eguale a se stessa? Temo di no e la differenza non sarebbe rappresentata come ingenuamente si potrebbe ipotizzare solo dalla scomparsa di Google dall’universo telematico perché prima del gigante 36 cadrebbe, inesorabilmente, l’esercito di UGC ed intermediari più piccoli sui quali riposa l’infrastruttura della Rete che conosciamo. 37 2. Copyright in the Net. Un popolo di pirati? La proprietà intellettuale e l’acqua minerale Relazione all’Innovation Forum Milano, Marzo 2008 Il nostro Paese e, più in generale, l’Unione Europea stentano ad entrare nella Società dell’informazione o nell’Era dell’Accesso, per dirla con le parole di Jeremy Rifkin21. I motivi che, a distanza di oltre dieci anni da quando Nicholas Negroponte teorizzava il passaggio dagli atomi ai bit22, continuano a frenare un processo da più parti descritto come inarrestabile, sono molteplici e connessi a fattori diversi e difficili da ricondurre ad unitatem: un innegabile ritardo in termini di diffusione della cultura digitale con conseguenti alte percentuali di analfabetizzazione informatica in tutti i Paesi dell’Unione, una scarsa e, soprattutto, irregolare diffusione della banda larga con conseguenti gravi difficoltà di accesso alle risorse informatiche e telematiche da parte di ampie fasce della popolazione, un quadro normativo in materia di commercio elettronico e distribuzione dei contenuti digitali on‐line sviluppatosi in modo confuso ed irregolare e caratterizzato da continue tensioni, ordini e contrordini. A tutto ciò occorre, inoltre, aggiungere – ed è forse la ragione principale di tale preoccupante situazione – l’evidente forte resistenza da parte dei tradizionali intermediari nella produzione e distribuzione dei contenuti a modificare i propri modelli di business che hanno sin qui consentito l’affermazione ed il consolidamento di enormi oligopoli difficili da erodere o abbattere. Major dell’audiovisivo, interpreti e rockstar di grido, società di intermediazione dei diritti ed associazioni di categoria, infatti, difendono da anni l’assetto di mercato preesistente alla rivoluzione digitale utilizzando ogni strada e strumento – di natura tecnica o piuttosto normativa – nel tentativo di arginare l’affermarsi delle nuove dinamiche di distribuzione dei contenuti digitali, confermando così, come ricorda Lawrence Lessig23 il noto brocardo macchiavellico secondo il quale: J. RIFKIN, L’Era dell’accesso, Traduzione di P. Canton, Mondadori, 2003 N. NEGROPONTE, Being Digital, Sperling& Kupfer, 1995 23 L. LESSIG, The future of ideas, Vintage, 2002 21 22 38 “non è cosa più difficile a trattare né più dubbia a riuscire, né più pericolosa a maneggiare, che farsi capo a introdurre nuovi ordini; perché lo introduttore ha per nimici tutti quelli che delli ordini vecchi fanno bene ed ha tepidi difensori tutti quelli che delli ordini nuovi farebbero bene. La quale tepidezza nasce parte per paura degli avversarii, che hanno le leggi dal canto loro, parte dalla incredulità degli uomini; e quali non credano in verità le cose nuove se non ne veggano nata una ferma esperienza.”. (Il Principe, N. Macchiavelli, Capitolo VI). Si tratta, tuttavia, per dirla con le parole del Cervantes, di una evidente battaglia contro i mulini al vento: "Ed ecco intanto scoprirsi da trenta o quaranta mulini da vento, che si trovavano in quella campagna; e tosto che don Chisciotte li vide, disse al suo scudiere: «La fortuna va guidando le cose nostre meglio che noi non oseremmo desiderare. Vedi là, amico Sancio, come si vengono manifestando trenta, o poco più smisurati giganti? Io penso di azzuffarmi con essi, e levandoli di vita cominciare ad arricchirmi colle loro spoglie; perciocché questa è guerra onorata, ed è un servire Iddio il togliere dalla faccia della terra sì trista semente. — Dove, sono i giganti? disse Sancio Pancia. — Quelli che vedi laggiù, rispose il padrone, con quelle braccia sì lunghe, che taluno d'essi le ha come di due leghe. — Guardi bene la signoria vostra, soggiunse Sancio, che quelli che colà si discoprono non sono altrimenti giganti, ma mulini da vento, e quelle che le paiono braccia sono le pale delle ruote, che percosse dal vento, fanno girare la macina del mulino. — Ben si conosce, disse don Chisciotte, che non sei pratico di avventure; quelli sono giganti, e se ne temi, fatti in disparte e mettiti in orazione mentre io vado ad entrar con essi in fiera e disugual tenzone.» Detto questo, diede de' sproni a Ronzinante, senza badare al suo scudiere, il quale continuava ad avvertirlo che erano mulini da vento e non giganti, quelli che andava ad assaltare. Ma tanto s'era egli fitto in capo che fossero giganti, che non udiva più le parole di Sancio, né per avvicinarsi arrivava a discernere che cosa fossero realmente; anzi gridava a gran voce: «Non fuggite, codarde e vili creature, che un solo è il cavaliere che viene con voi a battaglia.» In questo levossi un po' di vento per cui le grandi pale delle ruote cominciarono a moversi; don Chisciotte soggiunse: «Potreste agitar più braccia del gigante Briareo, che me l'avete pur da pagare.» Ciò detto, e raccomandandosi di tutto cuore alla Dulcinea sua signora affinché lo assistesse in quello scontro, ben coperto colla rotella, e posta la lancia in resta, galoppando quanto poteva, investì il primo mulino in cui si incontrò e diede della lancia in una pala..." (Don Chichotte, M. Cervantes). 39 Tale attaccamento ad un contesto di mercato ormai non più attuale ed i goffi tentativi che, a più riprese, la catena dei soggetti coinvolti nella gestione ed intermediazione dei diritti d’autore ha posto e continua a porre in essere si rivelano puntualmente infruttuosi, inidonei ad affrontare il problema e suscettibili, per contro, di determinare reazioni di segno opposto a quello auspicato ma pari intensità. La storia di Internet insegna, infatti, che ad ogni “giro di vite” del legislatore volto a limitare le c.d. libertà digitali nel tentativo di continuare ad assicurare ai titolari dei diritti di proprietà intellettuale il controllo della distribuzione dei contenuti digitali, il popolo della Rete – entità soprannazionale, globale, anarchica e acefala ‐ ha spontaneamente ‐ bisognerebbe, forse, dire, istintivamente ‐ reagito sfruttando la tecnologia per superare o, più semplicemente, aggirare l’ostacolo. La dinamica della condivisione centralizzata dei contenuti digitali che ha, in passato, costituito la fortuna di Napster ha, così, progressivamente ceduto il passo a piattaforme di condivisione con struttura decentralizzata quali quelle alla base delle più famose “etichette” del Peer to Peer e, allorquando, il legislatore si è spinto a tentare di regolamentare tale nuova forma di circolazione dei contenuti, il Popolo della Rete ha nuovamente reagito dando vita al Peer to mail prima ed alla condivisione non più dei contenuti ma semplicemente delle passwords per l’accesso ad enormi archivi digitali costruiti negli anni dai singoli utenti e custoditi negli enormi archivi di rapidshare, magaupload e tanti altri. Attraverso una linea di sviluppo pressoché parallela, frattanto, in Rete è cresciuta la tendenza ad operare in forma anonima nascondendo la propria identità dietro a nick, software di anonimyzer, proxy e decine di altri “passamontagna digitali”. La Rete si è così popolata di milioni di Sig. Nessuno o Mr. Nobody cui è difficile imputare condotte, attribuire responsabilità o, più semplicemente, ricondurre conseguenze giuridiche di qualsivoglia natura. Il desiderio di accesso al patrimonio culturale digitale di milioni di utenti e la loro esigenza di trasformarsi da meri fruitori di opere dell’ingegno in creatori di tali opere, contestualmente, è stato soddisfatto attraverso gli UGC – User Generated Content – fornitori di contenuti digitali provenienti direttamente dagli utenti o, in qualche caso – in effetti ancora raro – da soggetti terzi che hanno deciso di utilizzare tali piattaforme per la distribuzione di prodotti culturali e/o informativi realizzati con modalità professionali ed imprenditoriali. 40 Youtube, Flickr, Google Video e decine di altre analoghe piattaforme hanno, così, iniziato a rendere accessibili contenuti digitali sino a ieri distribuiti esclusivamente attraverso i canali tradizionali controllati dai titolari dei diritti. Quello attuale è, dunque, un contesto di mercato completamente trasformato e ridisegnato rispetto a quello che solo dieci anni fa si proponeva all’osservazione dell’interprete, del legislatore e più in generale dell’operatore del diritto, ispirando i primi interventi comunitari in materia di diritto d’autore nella società dell’informazione. Nuove sono le condotte idonee a violare gli altrui diritti d’autore, nuovo è il novero di quelle che dovrebbero ritenersi – nonostante le forti resistenze che sul punto si registrano negli Ordinamenti della più parte dei Paesi ‐ le “libere utilizzazioni”, nuovi sono i possibili modelli di business cui i titolari dei diritti potrebbero ispirarsi nella distribuzione dei contenuti digitali e nuove, infine, sono le soluzioni tecnico‐giuridiche cui potrebbe farsi ricorso per disciplinare i rapporti tra autori, produttori, distributori e consumatori di cultura digitale. L’ingresso del sistema Paese nell’era dell’accesso rende, pertanto, urgente individuare nuove posizioni di equilibrio nei rapporti tra i titolari dei diritti d’autore ed i consumatori di contenuti digitali. Contrariamente a quanto talvolta sostenuto, peraltro, proprio la progressiva smaterializzazione del patrimonio culturale globale e la conseguente moltiplicazione delle possibilità e modalità di accesso a tale patrimonio da parte di un pubblico di consumatori milioni di volte più ampio rispetto a quello di ieri, impone di guardare al diritto d’autore nei Paesi di civil law ed al copyright in quelli di common law come l’indiscusso protagonista della nuova era. Occorre, dunque, ridisegnare il rapporto tra i contrapposti diritti ed interessi senza, tuttavia, tradire spirito e filosofia della disciplina in materia di proprietà intellettuale: incentivare la produzione culturale, massimizzare la circolazione delle creazioni intellettuali e garantire un equo compenso a quanti contribuiscono a produrre cultura, ponendola a disposizione della collettività. In tale sforzo è importante – e si tratta di un aspetto da più parti perso di vista – che il processo avvenga nel rispetto degli altri diritti fondamentali dell’uomo di dignità almeno eguale se non superiore a quelli d’autore. Penso al diritto all’informazione, a quello all’educazione ed alla ricerca scientifica o, piuttosto, a quello alla privacy. 41 Taluni recenti episodi evidenziano, per contro, come di frequente negli ultimi anni si sono inopinatamente collocati i diritti di proprietà intellettuale in una pozione sovra‐ordinata rispetto agli altri citati diritti in nome di un’epidermica esigenza di controbilanciare l’aggressione che le nuove tecnologie stavano portando agli interessi di editori, produttori ed autori. Esemplificativa del momento di particolare tensione che si registra in relazione all’esigenza di contemperare la protezione e l’enforcement dei diritti di proprietà intellettuale con il diritto alla privacy è la questione che ha, di recente, formato oggetto di numerose pronunzie da parte della Corte di Giustizia UE, della Corte Costituzionale tedesca, delle Autorità Garanti per la riservatezza italiana e svizzera nonché di numerosi Giudici nazionali. Si tratta, peraltro, della medesima questione al centro di ampio dibattito in sede Europea nell’ambito dei lavori preparatori della Direttiva UE c.d. IPRED 2. Tale questione concerne la possibilità per i titolari dei diritti d’autore di investigare privatamente su eventuali violazioni dei propri diritti, acquisendo e trattando enormi quantitativi di dati personali degli utenti. Dopo un primo momento di apparente incertezza, oggi, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea nel caso Promusicae vs. Telefonica de Espana SAU, la Corte Costituzionale tedesca nonché i Garanti per la privacy italiano e svizzero nel caso Peppermint‐ Logistep, sembrano allineate nel ritenere che l’esigenza di tutelare i diritti di proprietà intellettuale non giustifichi operazioni di trattamento di dati personali di massa quali quelle necessarie al monitoraggio dell’attività di utenti e consumatori nell’ambito delle piattaforme di Peer to Peer. Vi è poi un’altra questione egualmente esemplificativa della crescente contrapposizione e del difficile contemperamento tra l’esercizio dei diritti d’autore nella società dell’informazione ed il rispetto degli altri diritti fondamentali: ci si riferisce all’idea che attraversa – sebbene con sfumature diverse – l’intera Unione Europea di filtrare i contenuti digitali protetti da diritto d’autore alla fonte così da precludere agli utenti di accedervi. Si tratta di una questione particolarmente delicata in quanto talune declinazioni della teoria del filtraggio rischiano di produrre gravi conseguenze sul versante della libertà di espressione e di condivisione di pensieri, parole ed opinioni. Le tecniche di filtraggio sin qui sviluppate, infatti, sono caratterizzate da ineliminabili margini di errore sempre troppo rilevanti – quale che sia la percentuale di riferimento – se si 42 considera che la conseguenza dell’errore può essere costituita da un’inammissibile compressione della libertà di manifestazione del pensiero del cittadino. Tale questione è stata di recente affrontata dai Giudici belgi nel caso Scarlet SA vs. SABEM nell’ambito del quale il Tribunale di Bruxelles ha ordinato, per la prima volta in Europa, ad un provider di dotarsi di dispositivi di filtraggio al fine di precludere ai propri utenti di effettuare download ed upload di contenuti digitali protetti da diritto d’autore. La medesima tesi dell’esigenza di coinvolgere i provider nella lotta alla pirateria audiovisiva attraverso il filtraggio dei contenuti degli utenti è, d’altra parte, al centro dell’accordo di recente raggiunto tra il Governo francese, le major dell’audiovisivo ed i provider sulla base dei lavori della Commissione Olivennes. Lo stesso conflitto tra tutela del diritto d’autore e libertà di manifestazione del pensiero è, infine, al centro di un acceso dibattito in taluni Paesi quale, ad esempio, l’Inghilterra ove ci si è spinti a presentare una proposta di legge che, se approvata, farebbe si che a seguito di taluni “avvertimenti” per pretese – non è chiaro attraverso quale meccanismo potrebbe acquisirsene la certezza – violazioni del diritto d’autore, i providers dovrebbero recedere unilateralmente dal contratto di fornitura di connettività, privando così l’utente della possibilità di accedere a tutte le risorse telematiche. Quello che stiamo vivendo è, dunque, un momento di straordinaria e nuova tensione tra contrapposti diritti ed interessi. E’ forte il rischio che la necessaria ed indispensabile tutela dei diritti di proprietà intellettuale dia vita alla nascita di una pay per use society nella quale i cittadini perderebbero tale loro veste ed i diritti fondamentali ad essa ricollegati, per essere piuttosto considerati “semplici” utenti e consumatori di contenuti digitali. Ciò equivarrebbe a confondere il fine con il mezzo. Il diritto d’autore deve, infatti, costituire un incentivo alla produzione culturale e, quest’ultima, deve costituire lo strumento – ma non il fine – per lo sviluppo, l’attuazione e la piena realizzazione dell’uomo e del cittadino quali membri di una collettività oggi globale. La parabola dell’acqua minerale. Telejus Febbraio 2006 Ci sono, a mio avviso, forti analogie tra talune questioni connesse all’imbottigliamento ed alla distribuzione dell’acqua 43 minerale e le più note ed attuali problematiche legate all’accesso ai contenuti digitali nella società dell’informazione e, pertanto, soffermarsi a riflettere sulle prime può risultare illuminante nell’individuazione di possibili soluzioni in relazione alle seconde. In questo ragionamento credo convenga muovere dall’analisi degli elementi prima di addentrarsi nell’esame delle formule – in questo caso giuridiche – cui è affidato il sistema della proprietà intellettuale e – ma l’argomento resterà sullo sfondo – quello dell’imbottigliamento e distribuzione delle acque minerali. L’acqua (h2o) costituisce il 70 % del corpo umano ed occupa un’analoga percentuale dell’intero Pianeta. “L’acqua è il principio di tutte le cose” soleva ripetere già nel VI secolo a.c. Talete; non è dunque esagerato definirla un elemento essenziale della stessa esistenza umana. Egualmente, ritengo, ci si possa trovare d’accordo nel ritenere che il sapere, le arti della letteratura, della musica, della cinematografia e, più in generale ogni creazione dell’ingegno costituiscono elementi altrettanto essenziali per l’esistenza e l’evoluzione culturale, scientifica e tecnologica dell’intera popolazione della terra e ciò, soprattutto, mentre una comunità globale di milioni di persone si avvia ad entrare nella società dell’informazione. Una prima analogia è, dunque, rappresentata dalla centralità che i due elementi rivestono nella vita dell’uomo. Un’altra importante analogia, non trascurabile nell’analisi del fenomeno, è rappresentata dalla leggerezza, neutralità e trasparenza di entrambi gli elementi (acqua e cultura) che tuttavia, stridono con la loro forza e con la caratteristica irruenza con la quale, talvolta in senso positivo e talaltra in senso negativo, si presentano. Basti pensare all’effetto di una pioggia abbondante su di un campo arido ed alla accessibilità da parte di una comunità sino al giorno prima isolata di una piattaforma di e‐learning o, piuttosto, alle conseguenze disastrose di un allagamento ed a quelle non meno devastanti della diffusione di certe ideologie in talune epoche storiche. Acqua ed idee possono essere più o meno nutrienti rispettivamente per il corpo e per lo spirito, più o meno gustose e avere caratteristiche differenti in relazione alla fonte da cui provengono. L’acqua come le idee, la cultura e le arti uniscono e dividono i popoli: rendono agevoli gli incontri e gli scambi culturali ed economici o, piuttosto li precludono innalzando insormontabili barriere. 44 Il possesso dell’acqua esattamente come il possesso delle idee – e più in generale del patrimonio culturale ‐ determina la ricchezza e la povertà di un popolo e dà luogo ad insuperabili forme di sudditanza e supremazia. Sin dalle origini della storia del mondo le civiltà più floride sorgevano su terreni fertili e le civiltà più forti e destinate a colonizzare il mondo erano quelle più ricche di ingegno, di arti e di cultura oggi, diremmo, di diritti di privativa industriale e di diritti d’autore. Sin qui per quanto riguarda gli elementi. Analogie, vicinanze concettuali e comunanza di problematiche sociali, culturali e giuridiche, tuttavia, divengono ancor più evidenti allorquando l’acqua, le idee e la cultura vengono calate nella realtà socio economica ed esaminate in una prospettiva dinamica. Entrambi gli elementi sono, infatti, presenti nell’universo in quantità enormi e, tuttavia ‐ in apparente contrasto con una delle più semplici regole economiche secondo cui ad un’alta offerta corrisponde uno scarso valore del bene – essi costituiscono beni preziosi che hanno, nel tempo dato vita a mercati che valgono milioni di milioni di euro. Acqua ed idee pur essendo a portata di mano di tutti costituiscono appannaggio esclusivo o privilegiato di pochi che, per primi – o più degli altri – hanno saputo sfruttarle economicamente imbottigliando la prima e confezionando le seconde in colorati contenitori fisici e mediatici. Oggi grazie alle nuove tecnologie (digitali e telematiche nel caso delle idee, meccaniche ed industriali nel caso dell’acqua) i due mercati sono divenuti globali: l’acqua Evian prodotta sulle montagne francesi arriva ogni giorno sulle scrivanie dei ricchi e dei potenti del continente asiatico così come di quello americano, i brani musicali delle più famose rockstar statunitensi al pari di quelli del più piccolo complesso emergente – opportunamente “impacchettati” grazie alla tecnologia digitale ed ai nuovi preziosi algoritmi di compressione ‐ attraversano gli oceani correndo lungo le fibre ottiche ed arrivano nel c.d. “tempo reale” nelle case di ognuno di noi. Un giro in un ipermercato ed un pomeriggio in un megastore multimediale convincono poi di un ulteriore elemento di particolare rilievo: le caratteristiche e la sostanza dell’acqua così come delle creazioni dell’ingegno umano hanno, ormai, lasciato il passo alla forma ed ai colori delle confezioni che le contengono nonché alle inarrestabili campagne pubblicitarie e di marketing che ne precedono l’immissione sul mercato e ne accompagnano la distribuzione. 45 Le analisi di mercato relative alla distribuzione delle acque minerali così come quelle relative alla distribuzione delle opere dell’ingegno rivelano, inoltre, un dato particolarmente significativo e, ad un tempo, preoccupante: le scelte dei consumatori e degli utenti sono sempre meno dettate da un’effettiva preferenza verso il prodotto e sempre più determinate dalle caratteristiche dei contenitori fisici e mediatici utilizzati per la distribuzione. Questi contenitori rappresentano per i produttori e distributori di acqua minerale e per le major dell’industria audiovisiva, voci di costo ben maggiori rispetto al semplice valore del bene e/o dello sforzo intellettuale necessario a creare un’opera dell’ingegno. In tale contesto può, a mio avviso, inquadrarsi l’esame dell’impatto delle nuove tecnologie digitali e telematiche sul mercato della proprietà intellettuale, in questa prospettiva può e deve ricercarsi una spiegazione al clima di enorme smarrimento in cui è venuta a trovarsi l’industria audiovisiva mondiale e, ad un tempo, seguendo tale ragionamento può forse pervenirsi ad individuare un nuovo equilibrio ed assetto giuridico‐economico di un settore – quello della proprietà intellettuale ‐ da cui dipende, in gran parte, il futuro della società dell’informazione. L’impatto delle nuove tecnologie digitali e telematiche sul mercato della proprietà intellettuale rappresenta, infatti, un fenomeno analogo a quello che verrebbe a prodursi nel mercato delle acque minerali qualora, domani, i consumatori potessero ricevere – attraverso le condutture idriche già esistenti – direttamente nelle loro abitazioni l’enorme varietà di acque minerali provenienti da tutte le fonti del mondo, oggi distribuite nei supermercati ed ipermercati nelle confezioni di PET, PVC, cartone e, sempre più raramente, vetro. E’ facile prevedere che pochi continuerebbero a recarsi nei supermercati ed ipermercati per acquistare le attuali confezioni di acqua minerale accollandosi gli oneri economici e fisici a ciò connessi, molti sarebbero disponibili a pagare prezzi – certamente più bassi e contenuti di quelli attuali – ai proprietari delle diverse fonti e sorgenti e, taluni, tenterebbero di allacciarsi abusivamente a questa o quella condotta per poter beneficiare gratuitamente di una grande varietà di acque minerali, sino al giorno prima pagate a caro prezzo o non comprate affatto. Non diversamente oggi – e sempre di più domani in modo direttamente proporzionale al diffondersi delle tecnologie digitali e telematiche presso fasce sempre più ampie della popolazione – taluni (secondo recenti ricerche di mercato, peraltro, non pochissimi ed anzi, forse, più di ieri) continuano a recarsi nei megastore multimediali per acquistare a costi inaccessibili ai più 46 supporti originali contenti opere dell’ingegno, parecchi – purtroppo non ancora molti – “scaricano” dal web – attraverso i pochi servizi a ciò destinati attualmente esistenti – materiale audiovisivo in formato digitale reso disponibile a costi più accessibili e, qualcuno – in realtà, forse, troppi – cerca soluzioni più o meno fantasiose per sfruttare le tecnologie digitali e telematiche per accedere ad un enorme quantità di opere dell’ingegno sottraendosi dal riconoscimento ad autori, produttori e distributori di qualsivoglia diritto o compenso. Quale soluzione, dunque, adottare per garantire a tutte le parti interessate di beneficiare delle nuove straordinarie opportunità offerte dal progresso tecnologico nel rispetto dei diritti di ciascuno? La parabola dell’acqua suggerisce di accantonare l’idea di frenare il progresso rifiutandosi di distribuire contenuti digitali attraverso le nuove piattaforme telematiche solo perché, così facendo, si abbatterebbe il rischio che qualcuno vi si “allacci” per accedervi abusivamente e, ad un tempo consente di escludere che sia possibile pensare di arginare il fenomeno della circolazione telematica semplicemente innalzando “dighe” o filtri. La massa di bit che trasporta il patrimonio culturale digitale globale, esattamente come un fiume in piena nel quale confluiscono attraverso mille canali tonnellate di acqua provenienti da ogni più remota zona del globo, prima o poi, infatti, rischierebbe di travolgere gli argini. Entrambe tali preoccupazioni, d’altra parte, sono al centro della recente Comunicazione della commissione UE sui contenuti digitali e formano oggetto – come si è anticipato – di ampio dibattito tanto in sede di Unione europea che presso i Governi dei Paesi membri. Non è facile individuare o suggerire soluzioni in relazione a questioni complesse non solo per la rilevanza degli interessi economici e sociali in gioco ma anche e soprattutto perché fortemente influenzate e condizionate dal progresso tecnologico che ne ridisegna, senza sosta, ambiti e termini, facendo risultare vecchie e superate soluzioni neppure attuate. Le strade astrattamente percorribili sono numerose e nessuna si presenta scevra da ostacoli o possibili insidie. Una delle soluzioni di cui ultimamente si discute con maggior insistenza è l’dea di istituire un “pedaggio” per chiunque voglia percorrere le autostrade dell’informazione sul presupposto che non le percorra a mani vuote ma più o meno carico di contenuti digitali protetti da diritti d’autore. In tale prospettiva, di recente rilanciata anche dall’Unione Europea, gli Internet Service Provider dovrebbero, probabilmente, 47 essere chiamati a svolgere il ruolo di “casellanti” e, quindi, incassare il pedaggio da far poi transitare – attraverso un meccanismo tutt’altro che semplice da disegnare – sulle società di gestione ed intermediazione dei diritti d’autore e, quindi, sui titolari di tali diritti. Sotto un profilo giuridico, rectius normativo, si tratterebbe di ripercorrere una strada già battuta allorquando – agli albori della rivoluzione digitale – si è posto il problema di garantire ai titolari dei diritti un equo indennizzo per le copie private per uso personale che – proprio grazie alle nuove tecnologie digitali – gli utenti ed i consumatori avrebbero tratto dagli originali in circolazione. In quell’occasione la soluzione fu quella di esigere dai produttori dei supporti di archiviazione una tassa sul presupposto che i supporti sarebbero stati utilizzati, in una certa misura, proprio per ospitare contenuti protetti da diritti d’autore in relazione ai quali – complice l’eccezione per la “copia privata” prevista negli Ordinamenti della più parte dei Paesi membri – i titolari non avrebbero, altrimenti mai percepito alcun compenso. Tale soluzione ha, tuttavia, ricevuto un’attuazione diversa ed eterogenea nei Paesi dell’Unione Europea ed è tuttoggi al centro di un acceso dibattito. Estendere tale approccio all’utilizzo delle risorse telematiche significa, pertanto, riproporre problemi da tempo noti agli addetti ai lavori e, tuttavia, mai compiutamente risolti. La presunzione di utilizzo di una risorsa – sia essa un CD o, piuttosto, la connessione a Internet – per l’utilizzo di contenuti coperti da diritto d’autore e gestiti attraverso le dinamiche tradizionali, ad esempio, costituisce innegabilmente una forzatura che, in molti casi, non trova alcun riscontro nella realtà. Esistono, ormai, milioni di opere dell’ingegno rese disponibili on‐line in relazione alle quali l’utente riconosce alla fonte il corrispettivo richiesto o, comunque, viene autorizzato al loro utilizzo a fronte dell’assunzione di obbligazioni di natura non pecuniaria. In tutti questi casi è, ad esempio, evidente che esigere un corrispettivo per l’utilizzo delle risorse di connetività o, piuttosto, di un CD rischia di tradursi nell’esazione di un doppio compenso da parte del consumatore e nella percezione di un doppio corrispettivo da parte del titolare dei diritti. Esistono, d’altra parte, milioni di utenti che si connettono alla Rete all’unico scopo di accedere all’enorme archivio di cultura digitale libera reso disponibile attraverso dinamiche o modelli di business innovativi. 48 Si pensi ai quotidiani on‐line finanziati interamente dalla pubblicità, alle enciclopedie elettroniche, alle piattaforme di social web 2.0, ai forum di discussione o, piuttosto, ai siti internet delle pubbliche amministrazioni. In tale contesto – come peraltro accade già oggi in relazione ai supporti per l’archiviazione di contenuti digitali – la presunzione di utilizzo della risorsa per l’esercizio di diritti d’autore non risulta convincente e rischia di sperequare l’equilibrio che dovrebbe, invece, sussistere tra sforzo creativo, messa a disposizione della collettività dei risultati di tale sforzo e propria remunerazione. Per tale via si potrebbe, in buona sostanza, arrivare ad un punto in cui l’equo compenso per l’utilizzo delle risorse di connettività costituirebbe uno strumento di finanziamento o sostentamento per l’industria culturale cui quest’ultima potrebbe accedere a prescindere dai risultati effettivamente prodotti e posti a disposizione della collettività. Ciò frustrerebbe irreparabile spirito e ratio della disciplina sul diritto d’autore. La cifra di oltre 500 milioni di Euro raccolta nel 2004 dalle società di intermediazione dei diritti europee a titolo di “equo compenso” per le utilizzazioni libere sembra rendere concreta ed attuale tale preoccupazione. Le stesse società di gestione ed intermediazione dei diritti operanti nei diversi Paesi membri, d’altra parte, costituiscono un importante aspetto da tener presente nell’intervenire sulla disciplina della materia. La ripartizione geografica del mercato della proprietà intellettuale tra più società di intermediazione dei diritti operanti in regime di monopolio nazionale è, infatti, divenuta anacronistica essendosi ormai sviluppato – grazie alle nuove tecnologie digitali e telematiche – un mercato europeo, se non addirittura mondiale, dei contenuti protetti da diritto d’autore. Ad un tempo, le nuove tecnologie, rendono agevolmente superabili i sistemi tradizionali di ripartizione dei diritti d’autore basati su calcoli statitistici e probabilistici o, piuttosto, su meccanismi forfettari ed approssimativi. Nella società dell’informazione digitale i bit possono essere contati in modo automatizzato uno ad uno senza alcuna esigenza di “pesanti” infrastrutture ed apparati burocratici. Il ruolo delle società di intermediazione dei diritti, nel nuovo assetto del mercato dei contenuti digitali, dovrebbe, pertanto, formare oggetto di un profondo ripensamento e, per taluni aspetti, di un ridimensionamento che, tuttavia, appare difficile da far accettare a livello nazionale dopo una lunga stagione 49 nella quale dette società ed enti si sono visti progressivamente riconoscere sempre maggiori poteri ed autorità. In un contesto tanto variegato e complesso nel quale le questioni si presentano concatenate l’una all’altra più che proporre soluzioni sembra opportuno sforzarsi di individuare i pochi elementi di certezza enucleabili nella speranza che muovendo da tali punti fermi sia poi possibile tracciare le linee di sviluppo della nuova disciplina sul diritto d’autore di cui si avverte l’improcrastinabile esigenza. In tale prospettiva una prima certezza sembra poter essere costituita dalla circostanza che l’epoca dei contenitori fisici e mediatici costosi e colorati nei quali sino a ieri la cultura è stata distribuita si avvia al tramonto e che essa è destinata ad essere sostituita da quella della fibra ottica, della banda larga, dei bit e della tecnologia digitale. In questa nuova era, già definita da un grande economista come Jeremy Rifkin, l’Era dell’Accesso “i mercati stanno cedendo il passo alle reti e la proprietà è progressivamente sostituita dall’accesso”; ciò che conta non è tanto vendere la proprietà di un bene materiale quanto piuttosto l’accesso ad un bene immateriale.” E’, dunque, l’accesso ai contenuti digitali che andrà disciplinato e non più il possesso degli stessi su questo o quel supporto o, piuttosto, la riproduzione di un contenuto da un supporto all’altro. Certe preoccupazioni così come la pretesa di “tassare” il possesso o sanzionare quello illegittimo, nell’era dell’accesso appaiono anacronistiche, inattuabili e sconfitte dai tempi e dal progresso. Un’ulteriore certezza sembra costituita dall’esponenziale ampliamento del mercato dei contenuti digitali che, oggi, è aperto a zone del globo ed a fasce della popolazione che, sino a ieri, erano sistematicamente lasciate fuori dalla distribuzione di ogni genere di prodotto culturale. Tale fattore in uno con l’abbattimento dei costi di produzione e distribuzione dei contenitori fisici per prodotti culturali (CD, DVD e domani libri) e con la facilità di promozione di tali prodotti a costi irrisori, consente, evidentemente, ai titolari dei diritti di conservare ed anzi incrementare i propri margini di profitto, riducendo, contestualmente in modo sensibile il prezzo di accesso ai propri contenuti. Al riguardo appaiono, tuttavia, illuminanti le parole di George Soros secondo il quale 50 la globalizzazione non è un gioco a somma zero. I benefici superano i costi, nel senso che l’aumentata ricchezza prodotta dalla globalizzazione potrebbe essere utilizzata per rimediare alle sue iniquità e agli altri suoi difetti e ne resterebbe ancora d’avanzo. L’affermazione è difficile da dimostrare…cionondimeno, tutte le prove indicano che i vincitori potrebbero indennizzare gli sconfitti e uscirne comunque con un guadagno…Il problema – prosegue Soros – è che i vincitori non indennizzano affatto gli sconfitti. (G. Soros, Globalizzazione). Si è, infine, già detto – ed in ciò consiste un ulteriore aspetto di certezza da tener presente in ogni ragionamento sul futuro diritto d’autore – che la tecnologia oggi abilita a forme di gestione e tutela dei diritti automatizzate, infallibili e, ad un tempo, duttili ovvero suscettibili di adattarsi a modelli di business diversi ed eterogenei o, piuttosto, a modelli di “non business” ovvero di distribuzione e circolazione non controllata di contenuti digitali. In tale prospettiva la tecnologia di riferimento è costituita dai Digital Rights Management, il cui acronimo, DRM è, sfortunatamente, sin qui, divenuto più celebre quale strumento di protezione coattiva dei diritti unilateralmente imposto piuttosto che non quale strumento di traduzione tecnologica di un assetto negoziale concordato tra consumatori e distributori di prodotti culturali. Una lezione importante, in tal senso, viene, ancora una volta, dall’acqua. L’acqua è, infatti, il miglior nemico dell’acqua, nel senso che una corrente di eguale forza ma di contrapposta direzione è l’unico rimedio per deviare il corso di un fiume in piena. Allo stesso modo, nel dominio del diritto d’autore nella società dell’informazione, appare impossibile pretendere di fermare le conseguenze e gli effetti dell’impatto delle nuove tecnologie sull’accesso al patrimonio culturale se non attraverso le tecnologie medesime. Monitoraggi di massa, sistemi di filtraggio, nuove norme e regolamentazioni sanzionatorie lanciate all’inseguimento di condotte di violazione dei diritti sempre nuove, ritengo non servano a nulla se non a trasformare in scontro quello che, invece, da centinaia di anni, è un confronto tra titolari dei diritti e collettività. Il nuovo assetto della disciplina della materia – quale che sarà – non potrà prescindere da strumenti di composizione e negoziazione dei contrapposti diritti ed interessi duttili, elastici, capaci di adattarsi ad una realtà in continuo divenire perché figlia 51 di un progresso tecnologico che sta aumentando in modo esponenziale il proprio ritmo rispetto a quello che lo ha caratterizzato nei secoli precedenti. DRM, Creative commons, sistemi di gestione ed intermediazione automatizzata dei diritti affidati a camere di commercio telematiche e ius mercatorum sono probabilmente gli ingredienti indispensabili del nuovo diritto d’autore. Panta rei e, quindi, occorre far presto perché il tempo di elaborazione della soluzione non renda quest’ultima inefficace rispetto ad un contesto di mercato che domani sarà ancora diverso. …e la chiamano proprietà intellettuale…:( 9 novembre 2008 http://www.guidoscorza.it/?p=381 Ho grande rispetto per il diritto d'autore quale strumento di incentivo alla produzione culturale ed alla circolazione di idee e contenuti creativi. Senza la Società dell'informazionenon credo segnarà il futuro dll'uomo come sarebbe auspicabile e come potrebbe. Sono, tuttavia, terrorizzato dal macroscopico fraintendimento di quei principi che, sempre più di frequente registro in giro. Ieri sera volevo guardarmi l'ultimo documentario di Michael Moore, Slacker Uprising, lieto, tra l'altro, che fosse distribuito gratuitamente benché per uno scopo dichiaratamente di propaganda politica. Ecco quello che mi son sentito rispondere dal server dal quale avevo avviato il download: “SORRY! Unfortunately, the lawyers tell us we are only allowed to offer the film to people residing in the United States or Canada. The computers think you are someplace else right now, and that's why you are seeing this page. If you really are in the U.S. or Canada and our computers are confused, you may try accessing the website from a different network, at a friends house, etc. We're very sorry for the inconvenience, and really want as many people to see the film as possible.” Non è questo lo spirito con il quale tre secoli fa è nato il diritto d'autore e non è questa la prorpietà intellettuale che consentirà di utilizzare la Rete per abbattere il divide socio‐ culturale del mondo. Che ne pensate? 52 P.S.: inutile che vi dica che mi ci sono voluti tre minuti per scaricarmi il documentario del quale, tra l'altro, consiglio la visione perchè quali che siano i vostri orientamenti politici, è un pezzo di storia del nostro tempo raccontata da uno dei due possibili angoli di visuale. Nuovi e vecchi modelli a confronto. 14 ottobre 2008 http://www.guidoscorza.it/?p=361 Questa mattina Punto Informatico ha pubblicato la lettera aperta con la quale ISP, consumatori ed addetti ai lavori hanno sollevato dubbi e perplessità circa l'iniziativa del Governo di costituire un comitato tecnico per la lotta alla pirateria digitale e telematica24. Questo è il testo della lettera: On. Sandro Bondi Ministro per i beni e le attività culturali e Prof. Mauro Masi Segretario Generale della Presidenza del Consiglio dei Ministri Nelle scorse settimane si è appreso dagli organi di stampa che sarebbe stato istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri d’intesa con il Ministero per i Beni e le Attività culturali un Comitato tecnico contro la pirateria digitale e multimediale del quale faranno parte oltre al Segretario Generale della Presidenza del Consiglio che lo coordinerà, il Capo gabinetto del Ministero per i beni e le attività culturali, il Presidente della Siae, i rappresentanti dei dicasteri coinvolti e due esperti del settore che verranno nominati a breve. La cultura nella Società dell’Informazione costituisce, tuttavia, evidentemente un bene comune e la circolazione del patrimonio culturale rappresenta pertanto un tema in relazione al quale si confrontano ed intersecano inevitabilmente interessi e diritti di soggetti diversi: utenti e consumatori, internet services provider, intermediari della comunicazione, artisti e fornitori di contenuti. In tale contesto, desta preoccupazione la circostanza che nell’istituire il citato Comitato tecnico si sia ritenuto di non coinvolgere sin dall’inizio ed in modo strutturato e permanente i rappresentanti delle numerose categorie interessate e si sia scelto di affrontare il delicato tema della cultura nella società dell’informazione nella limitata e limitante prospettiva della lotta alla pirateria che costituisce, evidentemente, solo un fenomeno derivato rispetto alla più complessa problematica della regolamentazione del mercato culturale digitale e multimediale. Analoghe perplessità solleva l’idea – se non addirittura l’auspicio – di orientare l’attività del Comitato alla produzione di disegni di legge volti al recepimento nel nostro Paese della soluzione francese della lotta alla pirateria audiovisiva. Tale soluzione – in contrasto con il principio, sancito il 24 settembre 2008 dal Parlamento Europeo con 573 voti contro 74 e ribadito dalla Commissione il 6 ottobre, secondo il quale “nessuna restrizione può essere imposta ai diritti ed alle libertà fondamentali degli utenti finali, senza la preventiva autorizzazione delle autorità giudiziarie, segnatamente in accordo con l’Art. 11 della Carta dei diritti 24 53 Alcuni hanno già tacciato la lettera come un'iniziativa anti‐ antipirateria. Non è così. Il punto è che esistono strade diverse per promuovere la cultura digitale nella società dell'informazione e che, quindi, prima di rifuggiarsi nei vecchi modelli di business e nelle vecchie risposte normative sarebbe opportuno esplorare soluzioni nuove e diverse. E' di queste ore l'accordo tra RAI e Youtube per la pubblicazione dei contenuti dell'emittente di stato attraverso un canale dedicato del più grande UGC del mondo25. fondamentali dell’Ue sulla libertà di espressione e d’informazione” infatti, non appare fondata su un adeguato bilanciamento dei contrapposti interessi e sembra porre la tutela dei diritti d’autore su di un piano sovraordinato rispetto ad altri diritti e libertà fondamentali del cittadino quali quello alla privacy ed all’accesso all’informazione ed all’utilizzo delle risorse informatiche e telematiche che sono destinate a divenire, tra l’altro, il canale di comunicazione privilegiato tra cittadino e pubblica amministrazione e, dunque, strumento ineliminabile per l’esercizio di un ampia gamma di diritti civili e politici. Occorre, d’altro canto, rilevare che lo stesso Governo francese, pur pervenendo alla non condivisibile citata conclusione, ha, a suo tempo, affrontato il problema della lotta alla pirateria digitale in uno con quello dell’incentivazione del mercato legale di contenuti digitali, apparendo, evidente, che le due questioni non possono essere affrontate disgiuntamente. Contestualmente al tema della pirateria occorre, infatti, farsi carico di risolvere la questione della scarsa accessibilità del patrimonio culturale attraverso le risorse telematiche. Le nuove tecnologie, infatti, consentirebbero una massimizzazione della circolazione di tale patrimonio che, tuttavia, resistenze culturali ed economiche da parte dell’industria dei contenuti audiovisivi, un quadro normativo inadeguato e la pressoché totale mancanza di una seria politica dell’innovazione hanno, sin qui, lasciato allo stadio di semplice aspirazione o tendenza. Alla luce delle considerazioni che precedono ed in ragione dell’importanza e centralità del tema sul quale l’attività del comitato tecnico andrà ad incidere, i firmatari chiedono di aprire formalmente il tavolo ed i lavori del comitato alla partecipazione permanente e strutturata di rappresentanti di tutte le categoria coinvolte. La cultura è il più prezioso tra i beni comuni. Distinti saluti, Adiconsum AIIP Altroconsumo (Assodigitale) Assoprovider (Confcommercio) Istituto per le politiche dell’innovazione Netcom 25 Questo è l’annuncio dell’accordo pubblicato sul blog ufficiale di Google raggiungibile all’URL: http://googleitalia.blogspot.com/2008/10/un‐passo‐avanti‐ nella‐tutela‐del.html Un passo avanti nella tutela del copyright e nella distribuzione di contenuti digitali 54 L'accesso ai contenuti sarà gestito ‐ e non già semplicemente limitata! ‐ attraverso VideoID una moderna soluzione di digital rights management che stanno sviluppando in casa Google26. 14 ottobre 2008 ‐ ore 18.05 E' proprio di oggi l'annuncio della formalizzazione dell'accordo fra Rai e YouTube per la distribuzione dei contenuti dell'emittente attraverso il proprio canale brand. Questa collaborazione è importante per due motivi: prima di tutto è un esempio di come i produttori di contenuti si stiano aprendo alla loro diffusione su più piattaforme e verso pubblici differenziati, trovando inoltre il giusto modo per dare valore al loro archivio, in secondo luogo, RaiNet userà l'avanzata tecnologia VideoID di YouTube VideoID è uno strumento che permette ai proprietari dei contenuti di identificare i loro materiali su YouTube e di decidere come renderli disponibili. Con YouTube VideoID, i titolari dei diritti possono infatti agevolmente gestire i propri contenuti e stabilire se ottenerne ricavi, rimuoverli o semplicemente monitorarli. Facendo questa scelta innovativa, RAI si aggiunge ai molti altri partner di YouTube che hanno adottato questo strumento, tra i quali vi sono CBS, Lionsgate, Sony BMG Europe e molti altri. Questa soluzione dimostra come gli operatori del settore, insieme con i titolari di proprietà intellettuale, in modo molto pragmatico abbiano trovato la tanto auspicata via di mezzo fra la tutela del diritto d'autore e la diffusione dei contenuti digitali. Proprio in questi giorni si sta discutendo di pirateria online e delle possibili soluzioni per combattere questo fenomeno. Noi pensiamo che questo accordo vada nella giusta direzione: nuovi modelli di monetizzazione e strumenti di prevenzione. 26 La spiegazione di Video ID pubblicata sulle pagine di Youtube a questa URL: Identificazione video di YouTube versione Beta Grazie alla collaborazione costante di proprietari di contenuti grandi e piccoli, YouTube è in grado di sviluppare, testare e implementare strumenti di gestione dei contenuti sempre più efficaci. Oggi, siamo orgogliosi di lanciare, in versione beta, la nostra ultima novità nel campo dei video online: Identificazione video di YouTube. Come le nostre norme e gli altri strumenti sui contenuti, Identificazione video di YouTube supera e va ben oltre le nostre responsabilità legali. Inoltre, analogamente a tali norme e strumenti, Identificazione video ha tre obiettivi principali: un'identificazione precisa, la possibilità di scelta per i titolari di copyright e una fantastica esperienza utente. Identificazione Identificazione video di YouTube aiuterà i titolari di copyright a rendere identificabili le loro creazioni su YouTube. Stiamo lavorando in collaborazione con Google per sviluppare una tecnologia unica nel suo genere in grado di riconoscere i video in base a vari fattori. Come indica il suo stato Beta, quella di Identificazione video è una tecnologia innovativa e all'avanguardia che provvederemo a perfezionare e a migliorare costantemente. I primi test con alcune società di contenuti hanno dato risultati molto promettenti. Man mano che amplieremo e perfezioneremo il nostro sistema, Identificazione video di YouTube sarà disponibile per tutti i tipi di titolari di copyright del mondo, indipendentemente dal fatto che vogliano mostrare i loro contenuti su YouTube. Indipendentemente dal livello di accuratezza raggiunto dagli strumenti, è importante ricordare che nessuna tecnologia può distinguere il materiale legale da quello illegale senza la cooperazione dei proprietari dei contenuti. Questo significa che saranno i titolari di copyright che desiderano utilizzare il nostro sistema di identificazione dei video, nonché contribuire a perfezionarlo, a fornire le informazioni necessarie per 55 Dmin, d'altro canto, all'esito di un'attività iniziata ormai anni fa, ha ormai messo a punto un'analoga soluzione che abilità i titolari dei diritti a disporre dei propri contenuti a proprio piacimento nel contesto digitale27. Dall'altra parte dello steccato ‐ a mio modo di vedere ‐ si colloca il vecchio modo di guardare alla proprietà intellettuale: recintare, vietare e mirare al profitto immediato tramite la pubblicità o mediato tramite cause risarcitorie multimilionarie. aiutarci a riconoscere le loro creazioni. Il nostro obiettivo è rendere tale processo il più agevole possibile. Scelta I titolari di copyright possono scegliere che cosa fare con i loro video: se bloccarli, promuoverli o persino se un titolare di copyright decide di diventare nostro partner di trarne guadagno, con il minimo sforzo. Identificazione video di YouTube aiuterà nella scelta. Nessuna tecnologia può prevedere le preferenze di un titolare di copyright. Oggi, con milioni di persone e società che producono video originali, le preferenze variano enormemente. Alcuni titolari di copyright vogliono il controllo su ogni impiego delle loro creazioni. Molti artisti professionisti e società del settore dei media pubblicano i loro video più recenti su YouTube senza informarci, mentre alcuni videoamatori non vogliono vedere le loro creazioni online. Altri desiderano che i loro fan partecipino al processo creativo. La cosa migliore che possiamo fare è collaborare con i titolari di copyright per identificare i video che includono i loro contenuti e offrire loro delle opzioni per condividere tali contenuti. Man mano che i titolari di copyright ci anticiperanno le loro preferenze, faremo del nostro meglio per automatizzare la loro scelta senza dimenticare i diritti degli utenti, degli altri titolari di copyright e della nostra community. Esperienza utente Come sottolinea il nostro slogan "Broadcast Yourself" la missione di YouTube è aiutare la più ampia gamma di persone ad esprimersi online. Pertanto, continueremo a concentrarci sull'offerta della migliore esperienza utente disponibile oggi online. Stiamo progettando attentamente le nostre nuove tecnologie di identificazione in modo che non ostacolino la comunicazione libera e rapida resa possibile da YouTube, indipendentemente dal fatto che si tratti di un dibattito politico, di marketing "underground" o di un filmato divertente. Basandosi sui nostri Suggerimenti sul copyright e sul nostro programma AudioSwap, e riflettendo l'equilibrio delle procedure di notifica e rimozione imposto per legge, ci auguriamo che Identificazione video farà ancora più chiarezza sui diritti e sulle responsabilità degli utenti, oltre a fornire ai fan nuove opportunità per interagire in modo creativo con il loro mezzo di comunicazione preferito. Infine, riteniamo che Identificazione video di YouTube si rivelerà uno strumento particolarmente utile e opportuno quando inizieremo ad ampliare la compartecipazione alle entrate e altre opportunità per un pubblico più vasto. Ricorda che questo è un programma Beta e prevediamo di incontrare degli imprevisti mentre perfezioneremo, miglioreremo ed espanderemo il sistema per soddisfare le esigenze di tutti. Ti chiediamo di avere pazienza. Se sei un proprietario di contenuti interessato a partecipare al programma, completa il nostro modulo di iscrizione. Non vediamo l'ora di iniziare a lavorare con te. 27 La descrizione del progetto Dmin è reperibile a questa URL: http://www.dmin.it/ 56 Basti pensare a Video.mediaset.it che ripropone on‐line il modello della televisione di un tempo pretendendo di fare a meno degli intermediari in un contesto aperto per definizione quale quello telematico o alla stessa Mediaset che qualche mese fa ha chiesto 500 milioni di euro a Youtube per qualche migliaio di spezzoni televisivi caricati on‐line dagli utenti anziché limitarsi a chiederne la rimozione. Che volete che vi dica? Questione di punti di vista…Cool Ma non ditemi che pensarla in maniera innovativa anziché un pò all'antica….significa essere pirati o non credere al diritto d'autore. L’italia più vicina alla Nuova Zelanda che all’Europa. 11 ottobre 2008 http://www.guidoscorza.it/?p=359 Sarà per via della tanto simile conformazione geografica ma a giudicare da quanto sta accadendo sul terreno dell'enforcement dei diritti di proprietà intellettuale l'Italia sembra decisamente più vicina alla Nuova Zelanda che all'Europa. Nei giorni scorsi, come ho già scritto, è stato istituito in gran segreto presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri un comitato tecnico per la lotta alla pirateria digitale e multimediale e nel salutare con favore tale notizia il Presidente Assumma ‐ che ne farà parte ‐ non ha nascosto di auspicare che l'italia adotti ‐ proprio attraverso il neoistituito comitato ‐ la soluzione francese alla lotta alla pirateria28. Era il 23 settembre. Il 24 Settembre, tuttavia, il Parlamento Europeo ‐ e non era la prima volta ‐ bocciava senza appello la soluzione francese ammonendo gli Stati membri sull'insopprimibilità ‐ salvo ordine motivato dell'autorità giudiziaria ‐ del diritto fondamentale all'uso delle tecnologie telematiche (cfr. emendamento 138 Risoluzione Il testo del comunicato stampa pubblicato sul sito della SIAE a questa URL: http://www.siae.it/edicola.asp?click_level=0500.0100.0200&view=4&open_menu= yes&id_news=7194 Istituito un Comitato tecnico contro la pirateria E’ stato istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri un Comitato tecnico, d’intesa con il Ministero per i beni e le attività culturali contro la pirateria digitale e multimediale. Ne fanno parte, oltre al Segretario Generale della Presidenza del Consiglio che lo coordina, il Capo gabinetto del Ministero per i beni e le attività culturali, il Presidente della Siae, i rappresentanti dei dicasteri coinvolti e due esperti del settore che verranno nominati a breve. Il nuovo organismo, che si insedierà nelle prossime settimane, predisporrà eventuali normative con l’adozione d’ interventi mirati per combattere il fenomeno della pirateria, interagendo con i vari operatori del settore. 28 57 legislativa del Parlamento europeo del 24 settembre 2008 sulla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica delle direttive 2002/21/CE che istituisce un quadro normativo comune per le reti ed i servizi di comunicazione elettronica, 2002/19/CE relativa all'accesso alle reti di comunicazione elettronica e alle risorse correlate, e all'interconnessione delle medesime e 2002/20/CE relativa alle autorizzazioni per le reti e i servizi di comunicazione elettronica). Nelle stesse ore, tuttavia, in nuova Zelanda, il Ministro per il Copyright, infilava all'ultimo secondo in una legge sulla materia la soluzione francese: 3 accuse di violazione di diritti di proprietà intellettuale e l'utente viene disconnesso dalla rete senza neppure passare diritto ad un processo! Nessun dubbio dunque che lo zatterone italiano a forma di stivale si stia pericolosamente staccando dall'Europa per andare a raggiungere la sua compagna Neo Zelandese… E' proprio il caso di dire: tutto alla rovescia! I diritti fondamentali sacrificati sull’altare del diritto d’autore. 27 novembre 2007 http://www.guidoscorza.it/?p=203 Se in gioco non ci fosse il futuro della cultura nella società dell'informazione ci sarebbe da ridere a leggere il discorso29 del Il discorso del Presidente Sarkozy pubblicato a questa URL: http://www.numerama.com/magazine/5691‐URGENT‐le‐discours‐de‐Nicolas‐ Sarkozy‐accord‐Olivennes.html Mesdames, Messieurs, La protection du droit d’auteur, la préservation de la création, la reconnaissance du droit de chaque artiste, de chaque interprète, de chaque producteur de voir son travail normalement rémunéré, c’était un engagement important de ma campagne présidentielle. Depuis trois ans, j’ai répondu présent chaque fois qu’il a fallu faire prévaloir le droit légitime des auteurs et de ceux qui contribuent à leur expression, sur l’illusion et même sur le mensonge de la gratuité. Musique, cinéma, édition, presse, arts graphiques et visuels… tout est aujourd’hui disponible et accessible partout, sur la toile de l’internet, chez soi, au bureau, en voyage. C’est bien sûr une richesse, une chance pour la diffusion de la culture. Pour autant, jamais nous n’avons été aussi proches d’un « trou noir », capable d’engloutir et d’assécher cette richesse et ce foisonnement créatif. Le clonage et la dissémination de fichiers à l’infini ont entraîné depuis cinq ans la ruine progressive de l’économie musicale, en déconnectant les œuvres de leur coût de fabrication, et en donnant cette impression fausse que tout se vaut, que tout est gratuit. Avec le développement du très haut débit, le cinéma risque de subir le même sort que la musique : d’ores et déjà, près de la moitié des films sortis en salles en France sont 29 58 disponibles en version pirate sur les réseaux « peer to peer », et le marché de la vidéo a commencé à décroître avant même d’atteindre sa maturité. Le livre pourrait à son tour être brutalement menacé avec l’arrivée du livre électronique. C’est à une véritable destruction de la culture que nous risquons d’assister. C’est également à une négation du travail, cette valeur capitale qui au cœur des problèmes de la France d’aujourd’hui et au cœur des solutions. Aujourd’hui, un accord est signé, et je veux saluer ce moment décisif pour l’avènement d’un internet civilisé. Internet, c’est une « nouvelle frontière », un territoire à conquérir. Mais Internet ne doit pas être un « Far Ouest » hightech, une zone de non droit où des « horslaloi » peuvent piller sans réserve les créations, voire pire, en faire commerce sur le dos des artistes. D’un côté, des réseaux flambant neuf, des équipements ultraperfectionnés, et de l’autre des comportements moyenâgeux, où, sous prétexte que c’est du numérique, chacun pourrait librement pratiquer le vol à l’étalage. On dit parfois que quand personne ne respecte la loi, c’est qu’il faut changer la loi. Sauf que si tout le monde tue son prochain, on ne va pas pour autant légaliser l’assassinat. Si tout le monde vole la musique et le cinéma, on ne va pas légaliser le vol. Et en même temps, nous savons tous qu’on ne va pas non plus mettre tous les jeunes en prison. Il nous fallait chercher des moyens intelligents et astucieux pour en appeler à la conscience du citoyen, lui donner la possibilité de rentrer dans le droit chemin. Il fallait aussi essayer de comprendre pourquoi le citoyen ordinaire, habituellement respectueux de la loi, préférait s’approvisionner dans des entrepôts clandestins plutôt que de faire ses achats dans un supermarché en ligne : n’étaitce pas aussi un problème d’attractivité de l’offre légale ? Il y a deux mois et demi, Madame la Ministre, vous avez demandé à Denis Olivennes de conduire une mission permettant de déboucher rapidement sur des solutions opérationnelles visant à lutter fermement contre le piratage tout en tenant compte des potentialités d’Internet et de la demande des consommateurs. Vous y êtes parvenus. Je veux vous en féliciter, vous, chère Christine, vous Denis, qui avez été l’artisan de cet accord, et vous tous qui êtes là aujourd’hui, acteurs du cinéma, de la musique, de l’audiovisuel, de l’Internet. Sans votre engagement, rien n’aurait été possible. Le contenu de cet accord est solide et équilibré. Il comporte des stipulations nouvelles et fortes. D’un côté, il prévoit l’envoi de mails d’avertissements aux internautes qui font un mauvais usage de leur abonnement, des avertissements gradués en cas de récidive, voire la possibilité de suspendre temporairement l’accès à internet. Pour arriver à mettre en place cette solution de bon sens, cette pédagogie, il vous a fallu, je le sais, soulever des montagnes, tellement les inerties sont grandes dans notre pays dès qu’il s’agit d’être innovant et de proposer une solution qui ne tombe pas tout droit dans le pli des habitudes de la pensée. Cette démarche pédagogique sera bien sûr réservée aux pirates de « bonne foi », pour reprendre une expression propre à la politique fiscale. Les « pirates professionnels », ceux qui font sciemment du trafic et du commerce illicite de DVD et de fichiers contrefaits, resteront soumis au droit commun de la contrefaçon, et traités au sein de juridictions spécialisées. De plus, les fournisseurs d’accès s’engagent, et c’est important, à mettre en œuvre des dispositifs de filtrage, tels que ceux développés par l’Institut national de l’audiovisuel. Le filtrage consiste à retirer automatiquement les fichiers « pirates » des réseaux ou des plateformes d’hébergement au fur et à mesure de leur apparition. D’un autre côté, cet effort des fournisseurs d’accès s’accompagnera d’un effort tout aussi important des ayants droit. Les professionnels de la musique, du cinéma et de l’audiovisuel s’engagent à mettre plus complètement et plus rapidement leurs œuvres 59 en ligne, et à supprimer tous les verrous techniques qui empêchent de copier et de transporter la musique. Ce sont deux améliorations majeures qui profiteront pleinement aux consommateurs. Fini, les musiques achetées sur une plateforme A et qu’on n’arrive pas à lire sur un lecteur B ou sur son téléphone portable, alors qu’on pouvait le faire sans problème pour un fichier piraté. Fini, les sept mois et demi d’attente entre le film qui sort en salle et son apparition en vidéo à la demande. Avec cet accord, six mois sépareront le film sur grand écran et son passage en vidéo sur petit écran… C’est encore beaucoup, quand on sait qu’un film reste en moyenne trois semaines sur un écran de cinéma, avant de laisser la place au suivant ! Mais c’est déjà mieux. Et des discussions professionnelles s’engageront sous l’égide du Centre national de la cinématographie dans les meilleurs délais, pour adapter l’ensemble de la chronologie des médias aux enjeux du numérique, comme le recommande le rapport de Denis Olivennes. Je sais que les exploitants de cinéma sont attentifs et soucieux de ces discussions. Aussi, je souhaite être clair. Le cinéma, je ne dirai jamais autre chose, c’est avant tout une rencontre dans une salle obscure, sur un grand écran, entre un public et une œuvre. C’est dans la salle que nous avons éprouvé nos plus grandes émotions de cinéma. Et les exploitants ne ménagent pas leurs efforts pour atteindre la perfection : après le son multicanal, la projection numérique va envahir les salles dès l’année prochaine, sans même parler du cinéma en relief, qui sera la prochaine révolution. Le cinéma en salle, c’est donc le passé, le présent, mais c’est aussi l’avenir. Dans le même temps, la carrière des films en salle s’est fortement raccourcie, le « home cinéma » est devenu une réalité, et il faut tenir compte des nouvelles habitudes de consommation. Ce serait absurde que le spectateur français soit obligé de regarder des films américains, simplement parce que les films français seraient bloqués par des délais ou des exclusivités trop contraignantes ! Je sais pouvoir compter sur le bon sens pour que soient trouvées rapidement les clés d’une chronologie des médias adaptée au XXIè siècle. Chère Christine Albanel, Cher Denis Olivennes, grâce à votre ténacité, votre patience, grâce à la bonne collaboration établie avec Christine Lagarde et Rachida Dati, et grâce à vous tous ici présents, vous avez permis la conclusion d’un accord qui marque le début d’une « nouvelle alliance » entre professionnels des industries culturelles et professionnels des réseaux. Partout, aux EtatsUnis, au RoyaumeUni et ailleurs, les professionnels et les gouvernements essaient depuis des années, non sans mal, de trouver le « graal » permettant de résoudre le problème de la piraterie. Nous sommes les premiers, en France, à réussir aujourd’hui à constituer une grande alliance nationale autour de propositions précises et opérationnelles. Grâce à vous et à cet accord, la France va retrouver une position de pays « leader » dans la campagne de « civilisation » des nouveaux réseaux. La musique, le cinéma, mais aussi la presse et l’édition, vont pouvoir être mieux protégés. La mise en œuvre de cet accord, épuisetelle le sujet de la création et de l’avenir de nos industries culturelles ? Non, bien sûr. Nous devons veiller à réformer un système de régulation et de financement de l’audiovisuel dont les fondements reposent sur l’univers de la télévision hertzienne, et mieux prendre en compte les nouveaux réseaux. La nouvelle directive européenne sur les médias audiovisuels, qui vient d’être adoptée à Bruxelles, nous en offre le cadre et la possibilité. Il faut y travailler avec pragmatisme, de manière globale, en se donnant le temps de la réflexion. La transposition de notre régulation audiovisuelle est une entreprise progressive, tout comme l’obtention du taux de TVA réduit sur l’ensemble des biens culturels. Il y a également des mesures d’urgence à prendre, pour permettre à l’industrie musicale de survivre et lui donner le temps de s’adapter au nouveau modèle qui se 60 Presidente francese Sarcozy ed il memorandum commissionato dal Governo a Monsieur Olivennes30. Come si fa a prendere sul serio un politico che ‐ prendendo in prestito parole sino a ieri utilizzate dai rappresentanti dell'industria audiovisiva come puntualmente ricorda Punto informatico ‐ ha detto "Corriamo il rischio di essere testimoni della distruzione della cultura. Internet non deve diventare un Far West di alta tecnologia, una zona senza normative dove i fuorilegge possano sottrarre le opere dell'ingegno senza farsi problemi o, peggio ancora, venderle nella più assoluta impunità. E sulle spalle di chi? Sulle spalle degli artisti"? dessine. Un crédit d’impôt applicable aux productions phonographiques a été voté l’an dernier, mais sa mise en œuvre est limitée par des critères trop contraignants. Je souhaite donc que le régime de ce crédit d’impôt soit amélioré, et notifié à la Commission européenne dans les plus brefs délais pour pouvoir être applicable aux investissements consentis en 2007. De même, je souhaite que s’accélèrent les discussions engagées entre l’institut de financement du cinéma et des industries culturelles (IFCIC), et la Caisse des Dépôts et Consignations, pour permettre, dès le début de l’année prochaine, de tripler le volume du fonds d’avances remboursables consenties aux entreprises musicales. De la même façon, je souhaite que le crédit d’impôt en faveur du jeu vidéo en cours d’examen à Bruxelles depuis près d’un an, puisse entrer rapidement en vigueur, pour freiner la fuite de nos talents et de nos entreprises à l’étranger et faire en sorte que la France – et donc l’Europe – retrouve sa compétitivité face aux studios nord américains et asiatiques. Le jeu vidéo peut devenir un art du XXIè siècle s’il parvient à échapper aux dérives qui menacent un certain cinéma international, prompt à séduire et à divertir, appelant aux pulsions les plus primitives, mais impuissant à épanouir et fournir du sens. Avec leurs bataillons de scénaristes, graphistes et autres compositeurs, les entreprises du jeu vidéo constituent déjà une économie prospère. Il serait inexplicable de ne pas l’encourager. Enfin, je suis attentif au souhait exprimé en faveur d’une révision du crédit d’impôt aux productions cinématographiques, pour l’étendre aux sociétés étrangères désireuses de réaliser d’importantes productions en France. Cette mesure doit être expertisée, sachant que la priorité est la préservation et la consolidation du régime des SOFICA. Mesdames et Messieurs, En signant cet accord historique, vous avez, vous les acteurs de la culture, et vous les opérateurs de l’internet, pris une responsabilité, et même un risque. Mais vous saviez que le risque le plus grand était de ne rien faire. C’était le risque de se laisser mourir. Les uns parce qu’ils ne pourraient plus rien produire. Les autres, parce qu’ils n’auraient plus rien à diffuser. L’art est la chose fragile la plus fragile et la plus nécessaire. Nous avons réussi, grâce à la persévérance de nos aînés, à faire en sorte que nos villes, nos campagnes, abritent des monuments, des théâtres, des salles de concert, des écoles et des conservatoires. Il n’y a pas de raison qu’il en soit différemment sur les nouveaux réseaux. Il faut qu’Internet soit une fenêtre civilisée ouverte sur toutes les cultures du monde. Je suis heureux que votre accord soit une étape décisive en ce sens. 30 Il testo del rapporto è disponibile in .pdf a questa URL: http://www.elysee.fr/download/?mode=press&filename=rapport‐ missionOlivennes‐23novembre2007.pdf 61 Come si fa a prendere sul serio uno Studio (per usare un eufemismo) sul futuro dell'audiovisivo e sui rimedi per garantirne lunga vita commissionato al rappresentante dell'industria audiovisiva d'oltralpe? Chi vuole solo ridere può fermarsi qui ma il punto fondamentale è un altro. La ricetta Olivennes sta facendo il giro del mondo e sta legittimando l'industria audiovisiva a chiedere a gran voce analoghi interventi in tutti i Paesi. La filosofia alla base dell'iniziativa francese non è tuttavia condivisibile ed è claudicante ed infondata da un punto di vista giuridico perché muove dall'assunto secondo il quale la repressione del fenomeno della pirateria audiovisiva legittimerebbe il travalicamento di ogni diritto e libertà degli utenti. Non è così. Il diritto d'autore riveste una posizione di assoluta centralità nella società dell'informazione o nell'era dell'accesso per dirla con Jeremy Rifkin ma è pur sempre un diritto patrimoniale (almeno nella componente cara all'industria audiovisiva) che deve cedere il passo ‐ e non può travolgere ‐ diritti e libertà fondamentali della popolazione globale quale quello alla privacy e quella alla libertà di manifestazione del pensiero. Le tecnologie di filtraggio e monitoraggio degli utenti che nel memorandum si propone di far adottare da ISP e industria audiovisiva, invece, vanno proprio in questa direzione. La speranza, a questo punto, è che la Rete faccia quadrato attorno a se stessa e che la cultura giuridica del vecchio continente sia sufficientemente radicata da respingere questo attacco ai più elementari principi di civiltà prima ancora che di diritto. La privatizzazione dell’IP enforcement 26 settembre 2008 Punto Informatico In poche ore la notizia dell’annullamento del provvedimento con il quale nell’agosto scorso la Procura della Repubblica di Bergamo aveva “vietato l’approdo” sulla baia dei pirati (thepiratebay.org) si è diffusa in Rete dando vita a reazioni entusiastiche di intensità pari a quelle di sdegno e delusione che avevano salutato la notizia del sequestro. Non si conoscono ancora le motivazioni sulla base delle quali i Giudici del Tribunale di Bergamo sono pervenuti alla decisione di questa mattina ed è, naturalmente possibile che tali 62 motivazioni concernino la procedura piuttosto che il merito della questione. L’occasione, tuttavia, mi sembra opportuna per svolgere qualche considerazione su quanto sta accadendo sul terreno dell’enforcement dei diritti di proprietà intellettuale. C’è, infatti, una sottile linea rossa che unisce il caso Thepiratebay, la vicenda Peppermint, la questione legata al venir meno dell’obbligo di apposizione del contrassegno SIAE della quale ci si è occupati nei giorni scorsi su queste pagine e la soluzione francese Olivennes – Sarkozy per la lotta alla pirateria audiovisiva on‐line. Il denominatore comune è, in tutti questi casi, rappresentato da un eccesso di privatizzazione dell’enforcement dei diritti di proprietà intellettuale. Nel caso Thepiratebay – ancorché gli esatti termini della vicenda non siano stati ancora accertati giudizialmente – è, ormai, pacifico che nel corso dell’esecuzione del sequestro sia stato ordinato – magari semplicemente per errore – agli Internet Service Provider italiani di reindirizzare il traffico degli utenti diretti alla baia dei pirati verso un’altra baia battente bandiera delle major. Al riguardo mi sembra ci sia poco da aggiungere a quanto spiegato in termini assai chiari da Matteo G. Flora in questo video31. Nella vicenda Peppermint, egualmente, l’etichetta discografica tedesca aveva ben pensato di affidare l’attività investigativa propedeutica alla richiesta risarcitoria poi rivolta a migliaia di utenti di mezz’Europa ad una società investigativa privata svizzera, la Logistep AG salvo poi, ricorrere, all’Autorità giudiziaria per ottenere il “ricongiungimento” degli IP tracciati con i nominativi dei presunti pirati. In Francia Sarkozy ed Oliviennes si propongono di assicurare adeguata tutela ai titolari dei diritti di proprietà intellettuale imponendo agli Internet Service Provider – dei soggetti di diritto privato – di risolvere ex lege i contratti di connessione ad Internet di quegli utenti che – senza neppure bisogno di un processo dinanzi ad un’Autorità giurisdizionale – venissero colti con le mani nel barattolo della marmellata ops…con il mouse su un link che consenta il download di materiale protetto. Nel più recente affaire contrassegno SIAE, la società italiana di intermediazione dei diritti d’autore, difende, in proprio – e contro il volere e gli interessi delle stesse etichette Il riferimento è ad un video attraverso il quale Matteo G. Flora spiega come sia stato realizzato il redirect del quale si parla nel post. Il video è reperibile a questa URL: (http://it.youtube.com/watch?v=Yw3GswvJCXo). 31 63 discografiche – una norma, pressoché unica in Europa, per effetto della quale, di fatto, è essa stessa a valutare preliminarmente la legittimità o illegittimità dell’utilizzo di una determinata opera dell’ingegno, pretendendo poi – ancora oggi – di rilasciare il contrassegno quasi si trattasse di un “visto si stampi”. Non è una mia conclusione ma il contenuto letterale dei commenti che la Commissione Europea ha trasmesso al Governo Italiano in relazione alla nuova proposta di regolamento relativo alle modalità di apposizione del contrassegno che il nostro Paese si è visto costretto a notificare a Bruxelles a seguito della Sentenza Schubert che ha accertato l’illegittimità della previgente normativa in materia. Si tratta di vicende assai diverse ma accomunate da un preoccupante comun denominatore: un’evidente privatizzazione della giustizia che, inesorabilmente, produce – almeno a livello di rischio – forme di grave violazione di diritti di rango pari‐oridinato rispetto a quelli di proprietà intellettuale: la privacy degli utenti nel caso PirateBay e Peppermint, la libertà di manifestazione del pensiero nella sua più moderna accezione di accesso alla Rete nel caso della nuova disciplina francese sull’enforcement dei diritti d’autore e la libertà d’impresa nel caso del contrassegno SIAE. La questione non concerne, ovviamente, la commistione di interessi pubblici e privati sul tema della proprietà intellettuale; tale commistione è naturale e discende dalla natura stessa dei diritti d’autore. Il problema che sta emergendo con forza è, invece, un altro e concerne, piuttosto, la crescente privatizzazione dell’enforcement dei diritti di proprietà intellettuale nella fase investigativa, in quella dell’accertamento della violazione nonché in quella dell’eventuale irrogazione della sanzione. Negli ultimi mesi, sotto tale profilo, stiamo assistendo ad un processo di privatizzazione di attività che dovrebbero essere appannaggio esclusivo dell’autorità giudiziaria che non ha eguali in nessun altro settore dell’Ordinamento. In caso di furto di beni materiali il proprietario della cosa rubata non può farsi le indagini da solo o prestare strumenti di indagine alla polizia giudiziaria, nella circolazione dei beni materiali non c’è nessuna autorità – e tantomeno un’autorità non giurisdizionale ed espressione di interessi di parte – che “certifica” mediante l’apposizione di un’etichetta la liceità della provenienza del bene e, infine, in nessun caso di reato commesso con il mezzo della stampa si ordina allo stampatore di risolvere ex lege i contratti con l’editore precludendo, così, a quest’ultimo di arrivare con i suoi prodotti nelle edicole. 64 Si tratta di un’anomalia grave le cui conseguenze sono sotto gli occhi di tutti. Sarebbe, tuttavia, troppo facile imputare le responsabilità esclusive di questo processo di privatizzazione‐degenerazione della giustizia all’industria discografica, alla SIAE o alle lobby che, in Francia, hanno dettato la loro legge all’Esecutivo. La questione è, infatti, più complessa: i portatori di diritti ed interessi sul mercato della proprietà intellettuale stanno riempiendo vuoti normativi relativi alla disciplina della circolazione dei contenuti digitali creati dalla pressoché totale assenza di una seria politica legislativa dell’innovazione e saturando spazi nell’attività di enforcement dei diritti di proprietà intellettuale che dovrebbero risultare già coperti dalle competenti Autorità cui andrebbero messi a disposizione mezzi e risorse proprie anziché costringerle ad elemosinare esperti, strumenti informatici e server da questo o quel soggetto privato. La lezione che da vicende come quella di The Piratebay – ma anche dalle altre sopra ricordate – credo vada tratta è che ferma restando la possibilità dei titolari dei diritti di agire sul piano civilistico per il risarcimento dei danni eventualmente sofferti, l’accertamento degli illeciti di carattere pubblicistico deve rimanere appannaggio esclusivo delle forze di polizia e dell’Autorità giudiziaria. Dal vostro inviato nella preistoria della proprietà intellettuale! 26 giugno 2008 http://www.guidoscorza.it/?p=317 Roma, Tempio di Adriano, 26 giugno 2008, ore 15.15, c’è il pubblico delle grandi occasioni ad ascoltare le parole di Denis Olivennes, Presidente della Fnac, direttore del Nouvel Observateur e, soprattutto, Presidente della Commissione francese per lo sviluppo e la protezione delle opere culturali nella rete. E’ lui che nel novembre dello scorso anno ha fatto da “notaio” – direi un po’ di parte – nella ratifica dello storico accordo tra l’industria francese dei contenuti, gli Internet Service provider e le istituzioni Francesi e che è poi stato l’ispiratore del disegno di legge che il ministro della Cultura Francese ha presentato nei giorni scorsi al Consiglio dei Ministri32. Il testo integrale dell’accordo è disponibile http://lesrapports.ladocumentationfrancaise.fr/cgi‐ bin/brp/telestats.cgi?brp_ref=074000726&brp_file=0000.pdf 32 65 a questa URL: Si tratta, come ho già scritto – ma questo né Olivennes né nessun altro degli illustri relatori nel salotto del tempio di Adriano ieri lo ha detto – di un'iniziativa legislativa che ha formato oggetto di pesanti critiche da parte delle istituzioni europee e di non meno pesanti rilievi da parte del Consiglio di Stato francese. Tutto questo, tuttavia, non conta. Olivennes si dice convinto che il disegno di Legge in Francia sarà approvato entro dicembre ed invita l’Italia a seguire l’esempio dei cugini d’oltralpe. Dal salotto, il Presidente Assumma si complimenta ed annuisce e l’On. Carlucci – presente in qualità di membro della Commissione Cultura della Camera nonché (lo dice il Presidente Assumma) di “bella donna, madre di famiglia e soprattutto protettrice del diritto d’autore” – si spertica in parole di ammirazione verso l’opera di Olivennes salvo poi chiedere al patron della FNAC chiarimenti circa quanto accaduto in Francia (ma come avete fatto? C’è stato un accordo?), manifestando così una conoscenza quantomeno approssimativa dell’argomento di cui si discute. Qualche minuto dopo, tuttavia, l’On. Carlucci si riprende e, dando prova di grande decisionismo, dà forma e concretezza, in poche battute, al peggior incubo di tutti gli utenti italiani della Rete e di quanti sono convinti che Internet più che una minaccia per il patrimonio culturale, costituisca una grande opportunità.Ecco uno stralcio del suo intervento (parola più o parola meno perché ero troppo esterrefatto da quello che sentivo per prendere nota puntualmente): L’italia seguirà l’esempio francese tanto più che stiamo entrando nel semestre francese di presidenza dell’Unione Europea. Ho già chiesto al Presidente della commissione Cultura di promuovere un’indagine conoscitiva sulla pirateria in modo tale da poter poi procedere in tempi brevissimi, senza neppure sottoporre la questione alle due camere, all’approvazione di un disegno di legge sul modello di quello Sarkozy‐Olivennes. Certo bisognerà convincere le (cattivissime) telecoms a siglare un accordo analogo a quello firmato in Francia ma …si può fare. E’ questa la sintesi di un dibattito, per il resto, noioso, piatto, privo di stimoli: l’Italia vuole seguire l’esempio francese o meglio, i titolari dei diritti d’autore e, ancor di più, le società di intermediazione dei diritti vogliono seguire l’esempio francese ed il legislatore sembra pronto – come è sempre sin qui accaduto – ad appoggiarli in questa ennesima guerra santa contro i mulini a vento. 66 La domanda nel titolo del convegno – creatività e cultura nel web: opportunità o minaccia? – suona retorica. Sulle poltrone bianche sono tutti convinti che il web costituisca solo una minaccia.Possibile. Ma viene da chiedersi: una minaccia per chi?. Per i fruitori di cultura o, piuttosto per le sole società di intermediazione dei diritti e per qualche produttore e distributore di contenuti meno lungimirante degli altri e meno pronto ad abbandonare i vecchi modelli di business e ad impiegare la Rete per distribuire le proprie opere in un mercato milioni di volte più grande di quello di un tempo? Antonello Busetto – responsabile degli affari istituzionali di Confindustria servizi innovativi e telematici – prova a rompere la cortina di affermazioni apodittiche e preconcette, ricordando che secondo dati del Censis l’utilizzo principale che gli italiani fanno di internet non è il download di opere protette ma l’On. Carlucci – nella sua qualità, questa volta, di mamma – lo corregge, o meglio, corregge il Censis:‐“Quelli sono i dati ufficiali! Sappiamo tutti che non sono attendibili. Io da mamma posso dire che vedo che mio figlio ed i suoi amici tendono ad utilizzare la Rete quasi esclusivamente per scaricare materiale protetto!”. Scriverei per ore di quello che ho sentito ieri: un linguaggio arcaico, concetti ed idee vecchie di dieci anni contrabbandate come soluzioni innovative e, soprattutto, assiomi e teoremi fondati esclusivamente su preconcetti ma…preferisco guardare avanti. Il momento è grave. Occorre organizzarsi, preparare una reazione equilibrata, ferma, decisa che senza rubare alcunché ai titolari dei diritti, tuteli, ad un tempo, l’accesso al patrimonio culturale globale cui ciascuno di noi ha diritto e, soprattutto, gli altri diritti fondamentali dell’uomo e del cittadino che la soluzione francese, ignora, travolge, dimentica…Sentiamoci, parliamone, in modo aperto, moderno, condiviso…la Rete non sarà il tempio di Adriano ma…anche qui è possibile confrontarsi e, forse, contribuire alla realizzazione di un futuro migliore rispetto a quello che i vecchi numi tutelari dell’industria audiovisiva vorrebbe consegnarci e consegnare alle generazioni che verranno… Diritto d'autore: serve una soluzione ma non quella francese 23 giugno 2008 Punto Informatico 67 La proprietà intellettuale è la protagonista indiscussa della società dell'informazione e non è possibile immaginare lo sviluppo culturale della comunità globale in assenza di un quadro di regole certo, chiaro ed univoco che tuteli adeguatamente i titolari dei diritti incentivandoli a continuare a creare nuove opere e che, ad un tempo, garantisca agli utenti legittimi di tali opere il diritto alla loro fruizione libera da ogni vincolo, legaccio, condizionamento o altro tipo di limite tecnico o giuridico. L'impianto della legge sul diritto d'autore ed i principi fondamentali sui quali essa è basata restano, a mio avviso, attuali e vanno rispettati e salvaguardati anche nell'Era dell'accesso: l'autore ha diritto a veder remunerato il suo sforzo creativo a fronte della messa a disposizione della collettività della propria opera. È, tuttavia, innegabile che le nuove tecnologie digitali e telematiche abbiano inciso ‐ e continuino ad incidere ‐ in maniera forte sulle dinamiche della produzione, distribuzione e fruizione dei contenuti digitali, imponendo un ripensamento radicale di metodi di business, abitudini di consumo e di talune disposizioni contenute nella vigente disciplina della materia. Le libere utilizzazioni, le modalità tecniche e negoziali di accesso ai contenuti digitali, i limiti al ricorso a misure tecniche di protezione da parte dei titolari dei diritti, l'enforcement dei diritti di proprietà intellettuale sono solo alcune delle materie in relazione alle quali la vigente disciplina ha manifestato segnali forti di inadeguatezza ed inidoneità. Il tema è complesso ed il contesto economico e tecnologico di riferimento è in continua evoluzione con la conseguenza che, probabilmente, nessuno, allo stato, dispone di "ricette magiche" in grado di risolvere i problemi sul tavolo: un'industria audiovisiva che denuncia ogni anno gravissime perdite ‐ vere, presunte o esagerate che siano ‐ a causa della pirateria e consumatori e fruitori di contenuti digitali costretti a subire ‐ consapevolmente ed inconsapevolmente ‐ monitoraggi di massa, forti limitazioni al proprio diritto alla privacy ed alla propria libertà di informazione ed inammissibili processi sommari. È difficile, in tale contesto, delineare possibili soluzioni ma la strada da seguire non può e non deve essere quella tracciata dal Governo francese nel disegno di legge che il Ministro della Cultura e della comunicazione ha presentato il 18 giugno al Consiglio dei Ministri perché esso muove da un presupposto inaccettabile: quello secondo cui i diritti patrimoniali d'autore andrebbero collocati in una posizione sovraordinata rispetto ad altri diritti e libertà fondamentali dell'uomo e del cittadino quali la libertà all'informazione ‐ nella sua duplice accezione di diffondere e 68 ricercare informazioni ‐ ed il diritto alla riservatezza ed alla privacy33. Si tratta di aspetti che hanno già portato le Istituzioni Europee prima ed il Consiglio di Stato francese poi a pronunciarsi in termini fortemente critici verso il disegno di legge francese. Il Governo, tuttavia, è sin qui andato per la sua strada e sussiste, sfortunatamente, il rischio concreto che l'esempio francese venga presto seguito anche dagli esecutivi e dai legislatori di altri Paesi, come conferma l'interesse delle società italiane di intermediazione dei diritti (SIAE ed AIE) e della FIMI per il pensiero del Sig. Olivennes, patron della FNAC ed ispiratore ‐ attraverso lo sciagurato accordo del novembre scorso ‐ del disegno di legge. È per questo che appare opportuno iniziare a riflettere su cosa non va della soluzione francese. Cominciamo dal principio. (a) Nel disegno di legge si muove dal presupposto che la maggior tutela dei titolari dei diritti ed il giro di vite nei confronti degli utilizzatori sarebbero giustificati dall'impegno "solennemente" assunto dai primi ‐ nell'ambito dello sciagurato accordo "Olivennes" ‐ ad ampliare l'offerta legittima di contenuti audiovisivi online ed a limitare l'uso di misure tecniche di protezione non interoperabili. Si tratta di un approccio non condivisibile né nel metodo né nei contenuti. Quanto al metodo perché pone sullo stesso piano "l'impegno solenne" assunto dalle major dell'audiovisivo ed il rigidissimo quadro sanzionatorio delineato contro gli utenti che dovessero scaricare illegalmente, per due o tre volte, anche una sola opera dell'ingegno. Al riguardo sarebbe stato almeno necessario imporre ex lege ai titolari dei diritti l'adozione di modelli di business e diffusione dei contenuti digitali online idonei a garantire un effettivo ampliamento dell'offerta legale e disincentivare così, in modo naturale, i consumatori dal ricorso al "mercato pirata". Quanto al contenuto perché ci si è accontentati di chiedere alle major dell'audiovisivo di accorciare di un mese e mezzo l'intervallo di tempo tra l'arrivo di un film nelle sale e la sua uscita su internet (da sette mesi e mezzo a sei!) e di rinunciare ‐ in modo Il testo del Disegno di Legge è reperibile a questa URL: http://www.legifrance.gouv.fr/html/actualite/actualite_legislative/protection_inte rnet.html 33 69 peraltro del tutto generico ‐ all'utilizzo di misure tecniche di protezione non interoperabili in relazione alle opere musicali. Come se in cambio della generica promessa degli inventori a non richiedere brevetti per ritrovati non originali si ipotizzassero pesantissime pene detentive per gli eventuali contraffattori... (b) Il disegno di legge istituisce l'Alta Autorità per la diffusione delle opere e la protezione dei diritti su internet ed attribuisce a tale soggetto poteri di controllo e sanzionatori in relazione agli illeciti aventi ad oggetto i diritti d'autore in Rete. L'Alta Autorità disporrà di propri ispettori e potrà irrogare sanzioni che, in taluni casi ‐ duplice violazione dei diritti d'autore nel medesimo anno ‐ potranno essere costituite dalla sospensione dell'abbonamento ad Internet e dall'inibitoria al perfezionamento di un nuovo contratto per un periodo compreso tra tre mesi ed un anno. Le perplessità, concernono, ancora una volta tanto il metodo che il contenuto. L'idea di riconoscere ad un'Autorità indipendente ‐ esclusivamente per le questioni della Rete ‐ poteri paragiurisdizionali tanto pregnanti ed incisivi e suscettibili di limitare l'esercizio di libertà e diritti fondamentali degli utenti non appare condivisibile. Lo stesso Consiglio di Stato francese, infatti, ha fortemente criticato tale impostazione. Internet è solo un media ed il regime giuridico delle "cose della Rete" deve, necessariamente, essere lo stesso applicabile alle "cose del mondo fisico". Quanto ai contenuti, non può ipotizzarsi a fronte di una violazione dei diritti patrimoniali d'autore la protratta privazione del diritto all'uso delle tecnologie telematiche, tecnologie attraverso le quali oggi ‐ ed ancor più domani ‐ si esercitano diritti civili, si interagisce con la pubblica amministrazione, si accede a servizi di pubblica utilità, si diffondono ed acquisiscono informazioni e si intrattengono relazioni professionali e personali. Si tratta, evidentemente, di sanzioni sproporzionate rispetto alla gravità dell'illecito e, soprattutto, di un'impostazione sintomatica di quel convincimento ‐ cui si è già fatto cenno ‐ che pone il diritto patrimoniale d'autore al di sopra di ogni altro diritto. (c) Sebbene nel pressoché totale silenzio del disegno di legge, l'esercizio da parte dell'Alta Autorità dei poteri attribuitile ha per presupposto un ampio e massivo monitoraggio da parte di quest'ultima delle comunicazioni elettroniche poste in essere tra i 70 consumatori e gli utenti al fine di identificare quelli aventi asseritamente per oggetto contenuti protetti da diritto d'autore. Si tratta di uno scenario di orwelliana memoria il cui impatto sul diritto alla privacy non appare attutito in maniera soddisfacente per il solo fatto che tali attività sembrano destinate ad essere poste in essere da un'Autorità indipendente. Anche sotto tale angolo di visuale il disegno di legge si presenta fondato su quel già denunziato approccio secondo il quale, in nome dei diritti di proprietà intellettuale, sarebbe lecito travolgere, tra gli altri, il diritto alla privacy di utenti e consumatori. Posizione difficile da sostenere in un Paese come l'Italia che si avvia a limitare le intercettazioni telefoniche in relazione a reati assai più gravi del download di un brano di Madonna ed a limitare i termini per il data retention di dati assai meno significativi di quelli relativi ai contenuti scambiati in Rete da milioni di utenti. C'è molto altro che non va nel disegno di legge francese, ma l'auspicio è che quanto sin qui evidenziato sia da solo sufficiente a scongiurare il rischio che qualcuno si innamori della soluzione francese che non risolverà nessun problema e condurrà esclusivamente ad una sempre più rigida e profonda frattura e contrapposizione tra titolari dei diritti e fruitori di cultura digitale. È facile prevedere che i primi ricorreranno intensamente ai nuovi strumenti di enforcement con l'illusione di difendere ‐ proprio come Don Chichotte nella celebre battaglia contro i mulini al vento ‐ posizioni di rendita e modelli di business superati dai tempi mentre i secondi utilizzeranno, in misura crescente, le nuove tecnologie per sottrarsi al controllo globale ed accedere in forma anonima ai contenuti digitali. Non è la Rete che vorrei, ma è quella nella cui direzione soffia il vento francese. P2P francese, un esempio da non imitare 7 novembre 2008 Punto Informatico A distanza di meno di un anno da quando il 23 novembre del 2007 Denis Olivennes presentava all’Eliseo la sua ricetta per combattere la pirateria audiovisiva il senato francese ha 71 approvato, nei giorni scorsi, in prima lettura, il progetto di legge destinato a dare attuazione in Francia a tale ricetta34. Si tratta di una soluzione che, come è noto ai lettori di Punto Informatico, qualcuno sembra intenzionato ad importare nel nostro Paese e che è, pertanto, importante esaminare al fine di evidenziarne, sin d’ora, taluni aspetti che sollevano grosse perplessità con l’auspicio che ciò valga a far desistere il Governo dalla tentazione di seguire l’esempio dei cugini francesi. Cominciamo dalla filosofia della norma: la violazione dei diritti di proprietà intellettuale può comportare la sospensione – da un mese ad un anno – del diritto dell’utente di accedere ad Internet. Si tratta di una misura irragionevole e sproporzionata. L’accesso alle risorse di connettività costituisce oggi un diritto fondamentale dell’uomo e del cittadino, diritto che andrà, peraltro, progressivamente arricchendosi di contenuto in maniera direttamente proporzionata al crescere delle forme di utilizzo di internet quale strumento di esercizio di diritti civili e politici e di interrelazione tra cittadino e pubblica amministrazione. Basti pensare alla Rete quale mezzo di accesso all’informazione ed al patrimonio culturale in digitale ma, anche, all’uso delle tecnologie informatiche e telematiche nei rapporti tra PA e cittadino così come ridisegnati dal Codice dell’amministrazione digitale. Privare una persona dell’accesso alle risorse di connettività, pertanto, nel secolo della Rete, vuol dire privarla dell’esercizio di una pluralità di diritti se non sovra‐ordinati rispetto a quello di proprietà intellettuale che si vorrebbe proteggere, almeno, pari‐ordinati. Già sotto tale profilo, pertanto, la proposta di legge francese sembra da respingere. Si tratta, tuttavia, di aspetti già trattati. La lettura del disegno di legge, rivela, tuttavia, ulteriori ed ancor più preoccupanti aspetti. C’è, innanzitutto, un profilo poco approfondito e, probabilmente, sottovalutato nella comunicazione “giornalistica” che ha, sin qui, accompagnato le vicende relative all’iniziativa francese: il progetto di legge non sanziona il soggetto che si rende autore – o che tale viene ritenuto – della violazione dei diritti di proprietà intellettuale ma, piuttosto, il titolare dell’abbonamento Il testo integrale del disegno di legge è disponibile a questa URL: http://www.legifrance.gouv.fr/html/actualite/actualite_legislative/protection_inte rnet.html 34 72 ad Internet attraverso il quale si assume esser stata perpetrata la violazione. La proposta di legge, infatti, impone alla “persona titolare dell’accesso a servizi di comunicazione al pubblico in linea” – sia essa, dunque, un genitore, un datore di lavoro o, piuttosto, un amico che ospita in casa un altro amico ‐ l’obbligo di vigilare che tale accesso non sia utilizzato al fine di riprodurre, comunicare o mettere a disposizione del pubblico opere protette da diritto d’autore senza l’autorizzazione del titolare dei diritti. Il titolare dell’abbonamento ad internet potrà sottrarsi alla responsabilità derivante dall’eventuale violazione dei diritti d’autore posta in essere attraverso le proprie risorse di connettività solo qualora questi abbia adottato uno dei sistemi di protezione destinato ad essere “omologato” dalla costituenda Autorità, qualora l’utilizzo di dette risorse sia stato posto in essere “fraudolentemente” da una persona non posta sotto l’autorità o la sorveglianza del titolare dell’abbonamento – non dunque nel caso in cui si tratti di un genitore o del datore di lavoro – o, infine, nell’ipotesi di forza maggiore. Si tratta di una disposizione dirompente per l’equilibrio del sistema che, al fine di tutelare i diritti di patrimoniali d’autore, compie una pericolosa translazione della responsabilità dal presunto pirata a chi – inconsapevolmente – fornisce a quest’ultimo le necessarie risorse di connettività. In un sistema nel quale la responsabilità penale è personale prima di introdurre nuove posizioni di garanzia dalle quali far derivare ipotesi eccezionali di responsabilità per culpa in vigilando credo bisognerebbe pensarci in modo più serio ed approfondito. Senza contare che, per tale via, anziché spingere gli utenti alla più ampia condivisione possibile delle risorse di connettività, li si obbliga a farne un uso geloso e, forse, a farne a meno pur di non rischiare di incorrere nelle sanzioni previste dalla nuova disciplina. Sotto tale profilo mi sembra che il disegno di legge si commenti da solo: è un’iniziativa liberticida che – in nome della sacrosanta tutela dei diritti di proprietà intellettuale – rischia di produrre conseguenze devastanti in termini di digital divide, frenando anziché incentivare l’utilizzo delle risorse internet. Il problema è sempre lo stesso: continua a guardarsi all’enforcement dei diritti di proprietà intellettuale in una prospettiva “copyright centrica”, quasi che vi siano norme nei nostri ordinamenti che consentano di porre il diritto d’autore in una posizione superiore rispetto a quella di altri diritti fondamentali dell’uomo e del cittadino. 73 Un altro aspetto sul quale occorre riflettere è rappresentato dalla circostanza che l’intero impianto della nuova normativa riposa, evidentemente, su una forte compressione del diritto alla privacy di tutti gli utenti che sono destinati a veder monitorata ogni attività di scambio di contenuti digitali attraverso le proprie risorse di connettività. E’, infatti, evidente che solo per questa via la nuova autorità potrà individuare – o ritenere di individuare – eventuali condotte di violazione dei diritti d’autore. Il disegno di legge approvato nei giorni scorsi dal Senato francese, d’altra parte –proprio al fine di rendere efficace il nuovo meccanismo di enforcement dei diritti di proprietà intellettuale – riconosce alla Commissione per la protezione dei diritti costituita in seno all’Autorità e – quel che è peggio – agli ispettori che essa utilizzerà nell’esercizio delle proprie funzioni, il diritto di accedere direttamente e/o tramite i provider ad un enorme quantità di dati personali degli utenti. Si tratta di una compressione del diritto alla privacy senza precedenti che non appare giustificata dal rilievo esclusivamente economico degli interessi che si vorrebbero tutelare e che, in ogni caso, non può prescindere – come invece previsto nel disegno di legge approvato dal Senato francese – da un ordine di un’Autorità giudiziaria. Al riguardo sembra appena il caso di ricordare l’illuminante decisione della Suprema Corte tedesca del febbraio scorso35 nonché il parere – benché secretato dal Governo ‐ che la stessa CNIL sembrerebbe aver rilasciato sul disegno di legge36. Anche sotto tale profilo la soluzione francese rappresenta un pessimo esempio da non imitare. Tra i tanti di cui si potrebbe ancora parlare, vi è, poi, un altro aspetto da non sottovalutare. I provvedimenti sanzionatori – anche secondo l’ultima versione del disegno di legge approvato dal Senato – sono adottati dalla Commissione per la protezione dei diritti sebbene nell’ambito di una non meglio disciplinata procedura in contraddittorio con la conseguenza che al destinatario della sanzione non resterà che impugnare la decisione dinanzi ad un’Autorità giudiziaria ancora neppure individuata nel disegno di legge. Il testo integrale della decisione è disponibile a questa URL: http://www.visionpost.it/epolis/germania‐no‐al‐cyber‐spionaggio‐di‐stato.htm 36 Cfr. http://www.cnil.fr/index.php?id=2535&news[uid]=590&cHash=773e5066a4 35 74 Ve lo immaginate voi il Sig. Rossi il cui figlio in un anno ha scaricato per due volte due cartoni animati da una piattaforma di P2P che, ricevuta la notifica di un provvedimento di sospensione dell’abbonamento ad internet per qualche mese, avvia, nel nostro Paese ‐ dove un giudizio dura tre o quattro anni e costa migliaia di euro – una causa di impugnazione avverso il provvedimento adottato dalla Commissione senza, peraltro, disporre – a distanza di mesi dall’episodio contestato – neppure di elementi di prova a discolpa sua e/o del figlio? Io francamente no. Parola di un avvocato che – pur di non confrontarsi con i costi e le lungaggini di un banale procedimento di opposizione ad una sanzione amministrativa – preferisce pagare le contravvenzioni per violazioni del codice della strada anche quando qualche vigile miope sostiene di averlo visto al centro di roma su una macchina che non possiede mentre si trovava a Parigi! A parte facili battute la declinazione della soluzione Sarkozy‐Olivennes contenuta nel disegno di legge mi sembra, sotto tale profilo, ancora lontana dal potersi ritenere in linea con quanto di recente stabilito dal Parlamento Europeo. L’elenco delle cose che proprio non vanno nella nuova strategia della lotta alla pirateria on‐line che emerge dal disegno di legge approvato nei giorni scorsi dal Senato francese potrebbe proseguire ancora a lungo ma, allo stato, forse è meglio sperare che il Governo italiano guardi più lontano di quello francese e non commetta l’errore di “barattare” la tutela della proprietà intellettuale con i diritti fondamentali dei cittadini. Sperare, naturalmente, non basta: occorrerà formulare proposte concrete, mature ed equilibrate a conferma che questo non è un Paese di pirati che merita di essere posto sotto stretta sorveglianza e privato dell’esercizio delle più elementari libertà dell’Era digitale. Il mercato dei contenuti digitali febbraio 2008 Internet Magazine Nelle ultime settimane il dibattito sul mercato dei contenuti digitali in Rete e sulle possibili strade da intraprendere per arginare il fenomeno della pirateria ed individuare un punto di equilibrio tra i contrapposti interessi è divenuto incandescente e, a tratti, difficile da seguire persino per gli addetti ai lavori. Tutto è cominciato con l’annuncio del Presidente della Repubblica Francese Sarkozy dell’avvenuto raggiungimento di un accordo tra Major dell’audiovisivo, ISP e Autorità, per la lotta alla 75 pirateria audiovisiva che, in Francia, ha raggiunto dimensioni giudicate allarmanti. La base di tale accordo sarebbe costituita dal risultato dei lavori di una commissione nominata dal Ministro della Cultura e della comunicazione e presieduta da Denis Olivennes. Secondo quanto sostenuto nel rapporto prodotto dalla Commissione la pirateria audiovisiva andrebbe combattuta con strumenti diversi – alcuni dei quali, occorre riconoscerlo, largamente condivisibili – ma un ruolo chiave dovrebbe essere affidato ad un diffuso utilizzo di differenti tecnologie di filtraggio dei contenuti digitali in Rete. Questo aspetto – ed alcuni altri passaggi del documento conclusivo dei lavori della commissione – hanno sollevato un vespaio di polemiche sulla stampa e tra gli addetti ai lavori. A gettare il primo cerino sulla polveriera dell’accordo Sarkozy‐Olivennes ci ha pensato il celebre quotidiano francese, Le Monde che nei giorni immediatamente successivi all’annuncio ha dedicato la sua seconda pagina ad un pezzo fortemente critico verso metodo e contenuti dell’iniziativa del Presidente francese. Innanzitutto il quotidiano contesta la scelta di affidare la direzione dei lavori di una commissione volta ad individuare una soluzione ad un problema come quello del mercato dei contenuti digitali ad un rappresentante tanto in vista di uno solo dei protagonisti di detto mercato come Denie Olivennes, Presidente della FNAC, colosso francese dell’industria dell’intrattenimento. Sarebbe, scrive Le Monde come affidare una riforma del mercato della grande distribuzione a Monsieur Michel‐Edouard Leclerc, patron dell’omonima catena di centri commerciali. Difficile dargli torto e non condividere tale perplessità. Passando dal metodo ai contenuti, poi, il quotidiano francese – uno dei più autorevoli nel mondo della stampa – avanza dubbi e perplessità circa la compatibilità delle tecniche di filtraggio di cui la Commissione Olivennes ha proposto l’adozione con il vigente quadro normativo e, soprattutto, circa la loro efficacia in un universo quale quello della circolazione dei contenuti digitali in cui la tecnologia antipirateria è destinata ad essere perennemente inseguita e superata dal progresso tecnologico. Proprio l’aspetto dell’opportunità di ricorrere a tecniche di filtraggio dei contenuti digitali per arginare il fenomeno della pirateria audiovisiva in Rete ha infiammato gli animi e riacceso il dibattito anche nel nostro Paese attraverso l’Appello lanciato da Leonardo Chiariglione al Vice‐Presidente del Consiglio Francesco Rutelli affinché il Governo italiano non segua l’esempio francese. 76 All’appello hanno immediatamente aderito personaggi di primo piano (escluso il sottoscritto!) del mondo dell’informazione, del diritto, della politica, dei consumatori e dell’industria, tra i quali il Prof. Stefano Rodotà, già Garante della privacy, l’On. Fiorello Cortina, del Comitato consultivo per la Governance di Internet, Marco Fiorentino, Presidente dell’Associazione Italiana Internet Provider, Michele Ficara Manganelli, Presidente di Assodigitale, Marco Pierani, Responsabile degli affari istituzionali di Altroconsumo, Giuseppe Corasaniti, Magistrato e già Presidente del Comitato consultivo per il diritto d'autore e, ancora, Roberto Liscia Presidente, Netcomm ‐ Il Consorzio del Commercio Elettronico Italiano, Layla Pavone, Presidente IAB, Interactive Advertising Bureau Italia e Stefano Quintarelli, Imprenditore e blogger, pioniere di Internet. Il contenuto dell’appello, aperto ora all’adesione del popolo della Rete attraverso le pagine di Punto Informatico è chiaro: le nuove tecnologie devono consentire l’accesso di un numero sempre maggiore di utenti al patrimonio culturale globale nell’ovvio rispetto del diritto d’autore ma, ad un tempo, degli altri diritti e libertà fondamentali di utenti e consumatori. Trasformare la Rete in uno spazio di controllo globale di orwelliana memoria al solo fine di garantire i diritti patrimoniali d’autore delle major dell’audiovisivo costituisce la strada sbagliata e, quindi, un esempio che il legislatore italiano non può e non deve imitare perché, per tale via, si rischia di travolgere i diritti fondamentali degli utenti – quello alla privacy ed alla libertà di informazione nella duplice accezione di libertà di informare ed essere informati prima di ogni altro – in nome del diritto d’autore. E’ un po’ quello che è accaduto – per ragioni, tuttavia, più facili se non da condividere almeno da accettare – allorquando, dopo l’11 settembre del 2001, gli USA hanno lanciato la lotta senza confini al terrorismo: la Rete è cambiata, i nostri costumi ed abitudini sono cambiati, abbiamo visto comprimersi dalla sera alla mattina il nostro diritto di parlare, muoverci, viaggiare…per non parlare nel nostro diritto alla privacy. Ci pensavo ieri, in aeroporto, rientrando a Roma da Palermo mentre ai varchi di sicurezza dello scalo siciliano mi imponevano di lasciare a terra, per ragioni di sicurezza, un chilo di straordinaria ricotta con la quale avrei voluto riempire una quindicina di cannoli per far felici amici e parenti… La sicurezza nazionale – ammesso che questo sia il modo migliore per garantirla – vale inequivocabilmente di più della mia ricotta e del mio diritto a non vedere una persona che non conosco frugare nella mia borsa ed è, per questo che sebbene viva anche queste limitazioni come una sconfitta mi sforzo di comprenderle. 77 Il caso della circolazione dei contenuti digitali in Rete, tuttavia, è diverso. Il diritto d’autore non può ritenersi, in nessun caso, sovra‐ ordinato al diritto alla privacy ed alla libertà di manifestazione del pensiero di utenti e consumatori di contenuti digitali ed infrastrutture di comunicazione. La stessa commissione Olivennes, è stata costretta a prendere atto – all’esito dei propri lavori – che le diverse tecnologie di filtraggio (I.P., upload, download, fingerprint ecc.) allo stato non sono infallibili né neutre rispetto ai diritti di utenti e consumatori tanto che la loro generalizzata utilizzazione richiederebbe in Francia importanti interventi normativi e profondi ripensamenti di posizioni più volte espresse dalla Commissione Nazionale dell’informatica e delle libertà a proposito dell’inopportunità che soggetti privati – quali i titolari dei diritti – dispongano in modo sistematico e generalizzato di un gran numero di informazioni personali degli utenti. La proprietà intellettuale riveste un ruolo centrale nello sviluppo culturale ed economico di ogni Paese nella Società dell’informazione ma, occorre individuare la misura entro la quale l’esigenza di tutelarla può giustificare una compressione degli altri diritti e libertà fondamentali la cui attuazione è, egualmente, imprescindibile alla stregua di quanto disposto nella nostra Carta costituzionale. Proprio su questo terreno, nelle scorse settimana, il dibattito aperto dall’Appello di Leonardo Chiariglione si è fatto particolarmente vivace: da una parte la soluzione elaborata nell’ambito del progetto DMIN che contempla l’utilizzo diffuso di DRM interoperabili e rispettosi dei diritti fondamentali di utenti e consumatori e dall’altra le frange più radicali del popolo della Rete che contestano radicalmente la possibilità di far ricorso a tali tecnologie quali che siano tratti e caratteristiche tecno‐somatiche. Ho sempre creduto – nel difendere, ad esempio, a spada tratta il P2P – che le tecnologie siano neutre rispetto al diritto e che lecito, illecito, opportuno o non opportuno sia, piuttosto, il modo nel quale le stesse vengono utilizzate. Ritengo che tale approccio valga anche nel caso dei DRM. Farne a meno e poter contare in Rete su cultura digitale libera da ogni genere di vincolo o controllo costituisce, probabilmente, un sogno al quale è facile affezionarsi ma, sfortunatamente, lontano dalla realtà e come tale inattuabile. E’ un dato incontestabile quello secondo cui il valore dell’immateriale e dei diritti d’autore non appartiene, nella presente epoca storica, al bagaglio culturale del popolo della Rete che, a torto o a ragione (da un punto di vista giuridico certamente 78 a torto) ha una scarsa propensione al riconoscimento di un corrispettivo per accedere ad un contenuto che può avere gratuitamente. In tali condizioni non si può razionalmente sostenere che si possa far a meno di sistemi di controllo e gestione dei diritti idonei a garantire ai titolari dei diritti d’autore la remunerazione cui essi hanno diritto. Si tratta, quindi, di scegliere se seguire la soluzione proposta da Monsieur Olivennes secondo il quale i DRM andrebbero progressivamente eliminati e sostituiti da tecniche di filtraggio generalizzato sui contenuti o, piuttosto, quella – peraltro come tutto su questa terra certamente perfettibile – proposta da Leonardo Chiariglione nel suo appello ed elaborata nel corso dei lavori di Dmin: utilizzo diffuso di un DRM interoperabile e rispettoso dei diritti degli utenti. Un naso elettronico nella mia ricotta, l’altro giorno, in aeroporto mi avrebbe dato fastidio ma, vi assicuro, meno di quanto mi è costato doverla lasciare al varco di sicurezza dopo averne lungamente sognato il sapore. Il popolo della Rete: un popolo di “scrocconi”? 29 gennaio 2008 http://www.guidoscorza.it/?p=245 L'articolo apparso questa mattina su Repubblica.it a firma di Ernesto Assante, inviato del quotidiano in quel di Cannes, non mi è piaciuto37. Il contenuto dell’articolo di Roberto Assante pubblicato su Repubblica.it il 29 gennaio 2008 cui si fa riferimento nel post è quello che segue: Clicco, scarico e non pago Il sogno online della vita gratis dal nostro inviato ERNESTO ASSANTE Clicco, scarico e non pago. Il sogno online della vita gratis. CANNES ‐ Clicco, scarico, non pago. Tre semplici atti che hanno portato alla crisi, in pochi anni, un'intera industria, quella discografica, che inesorabilmente ha visto calare le vendite dei cd e crescere il consumo di musica gratis attraverso la rete. Clicco, scarico e non pago. Funziona anche per il cinema, per la tv, per i giornali, per il telefono, per i videogiochi: tutto quello che nel mondo reale ha un valore, che sia un oggetto o un servizio, qualcosa che può essere venduto e comprato, quando arriva in rete e si smaterializza, perde anche il suo valore economico. E tutto diventa gratuito. Si consuma musica, si fanno telefonate, si leggono giornali, si vedono film e programmi televisivi, si gioca e non si paga. Fino a ieri tutto questo era illegale, era pirateria. Oggi non è più così. I giornali online sono gratuiti, la telefonia via Internet è gratuita, la web tv è gratuita, stanno arrivando anche i primi film pagati interamente dalla pubblicità (il primo è "Voglio la luna", prodotto dal tour operator Hotelplan e da ieri approdato in alcune sale 37 79 italiane, i biglietti, ovviamente gratuiti si possono prendere soltanto online sul sito del film). È la tecnologia digitale ad avere liberato questa possibilità. E' l'avvento di Internet e del World Wide Web ad aver reso possibile quanto solo fino a qualche anno fa sembrava assolutamente irrealizzabile. Portare legalmente contenuti gratuiti al pubblico. Offrire legalmente servizi gratuiti. Il primo terreno dove è avvenuta la svolta è quello della musica. Una rivoluzione vera e propria perché, a differenza della vecchia "pirateria" fisica, quella che ancora oggi porta nelle nostre strade milioni di copie di dischi copiati illegalmente e venduti a pochi euro, ha portato in pochissimo tempo milioni di persone a collegarsi alla rete e a condividere la loro musica in un modo che prima, semplicemente, non era possibile. E senza pagare nulla. Che si tratti di "furto" è evidente, copiare una canzone senza pagare i diritti d'autore significa semplicemente privare i musicisti dei frutti del loro lavoro. Ma ai frequentatori della rete il termine "furto" è sempre sembrato inappropriato. Innanzitutto perché nel "file sharing", nello scambio dei brani online, non c'è un oggetto fisico, non c'è un disco, non c'è qualcosa che materialmente passa da una mano all'altra, da una persona all'altra, nulla viene tolto a nessuno. E poi perché la copia digitale che viene creata, assolutamente identica all'originale, è frutto di un baratto, di uno scambio di brani, di files. Cosa che "moralmente" ha un'apparenza più accettabile. Per gli "scaricatori" della musica online il loro gesto non è molto diverso da quello che fanno ogni giorno quando ascoltano la musica, gratuitamente, accendendo la radio. Non sono loro i "ladri", insomma, semmai le aziende che gestiscono le reti, che producono i software, quelli che dai milioni di download quotidiani guadagnano traffico sui loro siti e pubblicità da vendere. E' da questa ipotesi che è partita Qtrax per portare, finalmente, nella legalità decine di milioni di persone che in tutto il mondo scaricano musica utilizzando i software di "file sharing" e le reti "peer to peer", annunciando la nascita del primo servizio legale di download musicale gratuito, interamente sostenuto dalla pubblicità. "La gente non vuole vivere nell'illegalità, la gente vuole la musica gratis", è la disarmante verità che Klepfisz, il boss della Qtrax, ha voluto sottolineare presentando la sua iniziativa. Che, però, ha annunciato troppo in fretta, essendo in realtà ancora priva del via libera definitivo da parte delle major discografiche, come hanno voluto sottolineare ieri sia la Warner, che la Universal che la Emi. Altri servizi già offrono musica gratuitamente, facendo pagare il conto agli investitori pubblicitari. Come Jamendo, che lavora sulla base delle nuove licenze Creative Commons, come We7, un sito realizzato niente di meno che da una delle grandi star del rock, Peter Gabriel, o il sito italiano Downlovers.it. Il mondo della rete, comunque, marcia in un'unica direzione, quella dei contenuti gratuiti. E non solo per quello che riguarda la musica. Uno degli alfieri di questa rivoluzione è Janus Friis, un giovanotto di Copenhagen che a soli 31 anni si trova ad essere miliardario e, allo stesso tempo, uno dei principali protagonisti dell'"era gratuita". Friis è l'inventore di KaZaA, uno dei più fortunati software di file sharing al mondo, ed è sempre lui ad aver creato Skype, basato sempre sul "peer to peer" ma destinato, in questo caso, a far telefonare gratuitamente gli utenti della rete. "Internet ha cambiato la mentalità della gente", dice Friis, che ora ha lanciato un nuovo sito, Joost, dove ad essere gratis sono i contenuti video. Online tutto diventa gratuito. Così oggi attraverso Internet è possibile leggere gratuitamente i giornali di tutto il mondo, dal New York Times a Wall Street Journal, da Le Monde a El Pais, e la diffusione delle testate online cresce ogni giorno di più, assieme al numero delle persone che le legge, come conferma il successo di Repubblica.it. Gratis è anche il software, non solo quello necessario al funzionamento di base del computer ma moltissime applicazioni per ogni tipo di 80 Il ritratto del popolo della Rete che ne emerge è quello di una folla di scrocconi preoccupata di accedere a beni o servizi che fino a ieri ha pagato a caro prezzo "aggratis" e che starebbe, con il suo comportamento, mettendo in crisi l'industria della musica… In un passaggio del suo articolo poi Ernesto Assante si spinge a scrivere che sarebbe evidente che "copiare una canzone senza pagare i diritti d'autore" costituisce un "furto". Non è così evidente e…non lo è proprio in ragione dei molti modelli di distribuzione dei contenuti digitali alternativi a quello tradizionale di cui parla Assante. E' furto…se nessuno paga i diritti d'autore a fronte dell'utilizzo di un contenuto digitale protetto da parte di un utente ma, evidentemente, NON è furto se l'utente utilizza quel contenuto gratuitamente a fronte del pagamento dei diritti da parte del distributore… Qtrax ‐ ammesso che mai veda la luce ‐ i suoi figli ed antenati ne sono la conferma più evidente. Quanto alla disgrazia in cui sarebbe caduta l'industria musicale…mi sembra, francamente, che imputarla al popolo della Rete non sia corretto. Ammesso che di disgrazia possa parlarsi…la principale causa non vi è dubbio debba essere rintracciata nella scarsa necessità, dalla scrittura al disegno, come si può facilmente scoprire visitando il sito Oper Source Living (osliving. com), e grandi aziende come la Microsoft si sono dovute adeguare, diffondendo gratuitamente Explorer o Windows Media. E' gratis anche la televisione, quella di YouTube, con il suo gigantesco archivio di immagini di ogni epoca, e quella in diretta, offerta da siti come Coolstreaming, che attraverso il peer to peer consente di vedere sul computer le tv di mezzo mondo, calcio compreso. E ancora: si può telefonare gratis in tutto il pianeta con Skype, si possono vedere film corti e videoclip su siti come iFilm o film interi come su Joox. E si possono utilizzare centinaia di videogiochi, da quelli vecchi che si trovano su siti di "retrogaming" a quelli recenti che sono reperibili sui principali portali internazionali. Quello del "gratis" è un movimento che è partito dalla rete ma si sta allargando a dismisura. E' sempre il terreno della musica quello dove si sperimentano le soluzioni più innovative, come hanno dimostrato recentemente i Radiohead e i Nine Inch Nails, distribuendo i loro nuovi album attraverso Internet a offerta libera. Ma l'offerta si allarga di giorno in giorno, anche in ambiti finora non toccati dai cambiamenti, e sono molti i gruppi di pressione che operano in questo senso, da quelli del Free Software Movement, a chi lavora nel campo del "copyleft", ovvero del cambiamento delle leggi sul copyright. "E' il diritto d'autore come fino ad oggi lo abbiamo inteso ad essere messo in discussione", ha detto il professor Lawrence Lessig, presentando al MidemNet di Cannes Creative Commons, il movimento da lui sostenuto per modificare i limiti che le norme del copyright impongono e che virtualmente mettono fuori legge milioni di utilizzatori di files audio e video del mondo: "Nessuno vuole essere un pirata ‐ ha sottolineato Lessig ‐ sono le regole che devono cambiare". 81 capacità delle major di rinnovare i propri modelli di business e di aprirsi in modo concreto al mercato digitale… Le difficoltà frapposte da tre delle quattro sorelle (Warner, Universal ed Emi) al progetto Qtrax ne rappresenta un'importante conferma. Il mercato digitale rappresenta un'enorme oppotunità per tutti ‐ utenti e major ‐ e chi non sa coglierla non può poi imputare ad altri il proprio insuccesso. C’era una volta la Cultura digitale. 26 settembre 2007 Vnunet.it Il titolo della Proposta di Legge n. 2221 all’esame della Commissione Cultura della Camera dei deputati, “Disposizioni sulla società italiana degli autori ed editori” già non lascia presagire nulla di buono ma, certamente, non consente neppure di ipotizzare che attraverso essa si stia per oscurare la cultura in digitale. Il 19 settembre 2007, tuttavia, in Commissione Cultura è stato approvato un emendamento attraverso il quale ci si prefigge di inserire dopo il comma 1 dell’art. 70 della Legge sul Diritto d’autore un comma 1 bis alla secondo il quale: “È consentita la libera pubblicazione attraverso la rete internet a titolo gratuito di immagini e musiche a bassa risoluzione o degradati, per uso didattico o enciclopedico e solo nel caso in cui tale utilizzo non sia a scopo di lucro. Con decreto del Ministro per i beni e le attività culturali, sentito il Ministro della pubblica istruzione e dell'università e della ricerca, previo parere delle Commissioni parlamentari competenti, sono definiti i limiti all'uso didattico o enciclopedico di cui al precedente periodo”. L’attuale primo comma ‐ vale la pena ricordarlo a beneficio dei non addetti ai lavori ‐ stabilisce che "Il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera e la loro comunicazione al pubblico sono liberi se effettuati per uso di critica o di discussione, nei limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza all'utilizzazione economica dell'opera; se effettuati a fini di insegnamento o di ricerca scientifica l'utilizzo deve inoltre avvenire per finalità illustrative e per fini non commerciali”. Non serve essere fini giuristi per convenire sulla circostanza che l’emendamento introduce, in sostanza, una norma speciale volta a disciplinare i limiti di utilizzo delle opere dell’ingegno in Rete per finalità di critica, discussione, insegnamento o ricerca. 82 Fuori dal giuridichese l’emendamento approvato in Commissione Cultura e sottoscritto, tra gli altri, dall’On. Folena e dall’On. Lussuria è volto a stabilire che in Internet può procedersi ‐ anche se per finalità di critica, discussione, ricerca o insegnamento ‐ può procedersi alla pubblicazione di immagini e suoni solo se “a bassa risoluzione o degradati”. Difficile dire cosa intendessero esattamente i firmatari dell’emendamento con tale espressione ma, appare pacifico, che essi abbiano inteso far riferimento ai file di qualità scadente e non paragonabile a quella delle opere originarie. A prescindere, tuttavia, da tale aspetto ciò che preoccupa di più è l’interpretazione da dare all’emendamento nell’ambito di una lettura complessiva dell’art. 70 quale risulterà dalla eventuale definitiva approvazione della Proposta di Legge. Due le soluzioni astrattamente possibili, entrambe poco rassicuranti ed affatto condivisibili. La prima, la più rigorosa. È quella di ritenere che per effetto della nuova disposizione in Rete potrà procedersi all’utilizzo per finalità di critica e discussione o, comunque, per fini di ricerca o insegnamento solo ed esclusivamente di immagini e suoni di “scarsa risoluzione o degradati”. In questo caso la cultura in digitale rappresentata da altro genere di opera dell’ingegno si ritroverebbe ad essere definitivamente sottratta alla disponibilità del popolo della Rete e ritornerebbe, in via esclusiva, nella disponibilità dei soliti noti del mondo dell’editoria e dell’audiovisivo. La seconda opzione interpretativa ‐ quella preferibile in un’ottica di tutela degli utenti ‐ vuole che le opere dell’ingegno diverse dalle immagini e dai suoni continuino a poter essere utilizzate, per estratto e citazione, illimitatamente, anche in Rete per finalità di discussione e critica o piuttosto di ricerca o didattica mentre, le immagini ed i suoni si ritroverebbero sottratte al mondo digitale e ricondotte nel recinto delle major. E’ evidente che nessuno dei due scenari consenta di sorridere. Con la scusa di occuparsi di un ente inutile o quasi inutile nella società dell’informazione si è, evidentemente, finiti con il raccogliere inammissibili istanze di “pulizia culturale” al contrario, da parte dei soliti noti, sottraendo alla Rete buona parte del suo immenso patrimonio culturale in digitale. Il furto di cultura… 22 settembre 2007 http://www.guidoscorza.it/?p=162 83 L'ho letto, l'ho riletto, sono tornato a rileggerlo sperando di non aver capito bene ma…sfortunatamente avevo capito benissimo… L'emendamento approvato in queste ore alla c.d. Legge Siae di riforma del diritto d'autore costituisce un autentico attentato all'utilizzo della Rete ‐ e più in generale delle nuove tecnologie ‐ come strumento di condivisione del patrimonio culturale. Ma andiamo con ordine a beneficio di chi, per sua fortuna, ha trascorso le ultime ore ignaro di quanto accaduto. L'attuale primo comma dell'art. 70 della Legge sul diritto d'autore, prevede che "Il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera e la loro comunicazione al pubblico sono liberi se effettuati per uso di critica o di discussione, nei limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza all'utilizzazione economica dell'opera; se effettuati a fini di insegnamento o di ricerca scientifica l'utilizzo deve inoltre avvenire per finalità illustrative e per fini non commerciali”. Il principio del libero utilizzo di un’opera per finalità di critica, di discussione o, comunque, educative non soffre, dunque, ad oggi, alcuna limitazione né vincolo tecnologico o connesso alla tipologia di opera in questione. Con l’emendamento delle ultime ore, per contro, si vorrebbe inserire dopo il primo comma dell’art. 70 LDA un nuovo comma 1 bis, attraverso il quale prevedere che: “È consentita la libera pubblicazione attraverso la rete internet a titolo gratuito di immagini e musiche a bassa risoluzione o degradati, per uso didattico o enciclopedico e solo nel caso in cui tale utilizzo non sia a scopo di lucro. Con decreto del Ministro per i beni e le attività culturali, sentito il Ministro della pubblica istruzione e dell'università e della ricerca, previo parere delle Commissioni parlamentari competenti, sono definiti i limiti all'uso didattico o enciclopedico di cui al precedente periodo”. Il risultato della modifica ‐ lo dico a beneficio di chi non mastica il giuridichese (pessimo quello utilizzato dai redattori dell’emendamento!) ‐ è che, a fini di critica, discussione e didattica, da domani, in Rete si rischia di poter utilizzare solo musiche ed immagini per di più di serie B, se così può tradursi l’ambiguo riferimento alla “bassa risoluzione o degradati”. Quello in atto è un autentico Golpe culturale o, se preferite, un furto di cultura in danno degli utenti della Rete e delle altre tecnologie di comunicazione e condivisione. Non credo, d’altra parte, sia un caso che a manifestare entusiasmo per l’emendamento sia, allo stato, solo la FIMI, novella 84 Robin Hood allo specchio che ruba al popolo della rete cultura per offrirla ai signori delle Major… Scusate lo sfogo, perdonate la lunghezza del post e, soprattutto, alzate la voce per riprenderci la Nostra cultura. Anche se Lorsignori dimostrano, ogni giorno di più, di non averlo capito la Rete e le nuove tecnologie dovrebbero servire a crescere ed ad accedere ad un più ampio patrimonio culturale e non a far diventare più ricchi sempre i soliti noti realizzando una pay for use society… Il furto di cultura…/2 23 settembre 2007 http://www.guidoscorza.it/?p=162 Lasciate sedimentare le emozioni di ieri (tutte negative), cattive compagne di analisi giuridica sul testo dell'emendamento votato in Commissione alla proposta di legge SIAE di riforma del diritto d'autore, passo ad un paio di considerazioni più pacate… Do per letto il testo dell'emendamento e l'attuale primo comma dell'art. 70 LDA che trovate comunque nel post di ieri, qui sotto…38 La disposizione, oggi ‐ cioé prima che Folena, Lussuria & c. pensassero di metterci le mani mal consigliati da FIMI (ben consigliati se la storia la si guarda dal lato dell'industria!) ‐ è di ampio respiro e straordinaria profondità giuridica e culturale: il principio è che le privative intellettuali non devono precludere la critica, la discussione, l'insegnamento e la ricerca e ciò a prescindere dalla tipologia di opera utilizzata a tal fine; sembra inutile ‐ ma forse non lo è, almeno per i Lorsignori del Palazzo ‐ ricordare che la cultura può estrinsecarsi attraverso ogni opera dell'ingegno. L'attuale primo comma dell'art. 70 è, quindi, previsione di compromesso, un compromesso giuridicamente elegante e di grande equilibrio. Lo sciagurato emendamento entra su questo capolavoro giuridico di altri tempi con la grazia di un elefante e ne sconvolge struttura e contenuti. Innanzitutto seleziona nel panorama delle diverse tipologie di opere cui si rifersice il primo comma dell'art. 70 solo due categorie: le immagini ed i suoni. Il perché di una simile scelta è un mistero ma…la scelta è, comunque, assurda perché in Rete ‐ e non solo in Rete ‐ circolano molte altre opere… Sulla carta il “prima” è più in alto del “dopo” con la conseguenza che il riferimento è al post sopra e non a quello che segue. 38 85 Quid juris per le altre tipologie di opere? L'ambiguità che la norma creerebbe è enorme: (a) resterebbe applicabile il primo comma dell'art. 70 che, ad oggi, deve ritenersi disciplinare la materia; (b) la lettura a contrario del nuovo comma escluderebbe ogni utilizzabilità, ad esempio, delle opere letterarie in Rete…il furto di cultura, in questo caso, assumerebbe dimensioni irreparabili. Per questa sera potrebbe essere abbastanza ma…vi do un'altra perla di ignoranza informatica e giuridica… Che significa che, in Rete, per le finalità di cui sopra possono essere usate solo "immagini e suoni a bassa risoluzione o degradati"? Cominciamo con il dire che il periodo manifesta anche una crassa ignoranza grammaticale…perché gli aggettivi sono mal coniugati con i sostantivi e perché la "o" non c'entra proprio nulla… Ma pazienza che in parlamento, in molti, non sappiano scrivere non è una novità. Il punto è che la portata di espressioni come "bassa risoluzione" e "degradato" è ambigua, non definibile a priori, necessariamente in evoluzione perché ciò che ieri era ad alta definizione oggi deve definirsi a bassa risoluzione in ragione del progresso tecnico… Dovremmo ridere, ridere e ridere…ma la questione è troppo seria e viene più spontaneo manifestare rabbia ed indignazione anche perché, ancora una volta, il mondo dell'università e della ricerca non è stato consultato…ma, in fondo, c'era l'On Lussuria a far da garante scientifico ad una riforma che riguardo SOLO qualche milione di milioni di Gigabyte di cultura digitale, la nostra storia ed il nostro futuro… Il furto di cultura…/3 24 settembre 2007 http://www.guidoscorza.it/?p=164 Non vorrei diventare noioso ma ho finalmente trovato un pò di tempo per sfogliare ‐ visto che non è ancora vietato dalla Legge sul diritto d'autore! ‐ gli scarni resoconti dei lavori della commissione cultura (magari fossero disponibili verbali audio, anche in "bassa risoluzione"…varrebbero, almeno, a regalare agli italiani qualche minuto di divertimento!) sullo sciagurato emendamento al quale ho dedicato gli ultimi post e vorrei condividere con tutti un paio di considerazioni tra il serio ed il faceto….non perché io sia in vena di umorismo ma perché l'ironia 86 sembra l'unica possibile chiave di lettura dei lavori parlamentari attraverso i quali sta procedendo l'esame del DL CI 222139. Una prima osservazione nasce dal testo originario dell'emendamento così come presentato da Folena e Lussuria. Eccolo: 1‐bis. È consentita la libera pubblicazione attraverso la rete internet a titolo gratuito di immagini e musiche a bassa risoluzione o degradati, per uso didattico o enciclopedico e solo nel caso in cui tale utilizzo non sia a scopo di lucro o abbia finalità commerciali. Per bassa risoluzione delle immagini si intende la risoluzione standard dei monitor per elaboratori elettronici in commercio e dimensioni non superiori a 500 punti per ciascuna dimensione. Per bassa risoluzione delle musiche si intende una frequenza di campionamento non superiore a 8 kilohertz. Ai medesimi usi sono consentite le riproduzioni di brani e citazioni di opere tali da non arrecare danno ai detentori dei diritti. In corsivo la parte poi modificata a seguito dell'invito in tal senso dell'On. Giulietti relatore del DL. Credo che sulla settimana enigmistica l'emendamento, in questa formulazione, verrebbe pubblicato nella vignetta SENZA PAROLE e, a mia volta, non ho parole… Nei prossimi giorni spero di poter condividere con voi delle immagini e dei suoni che rispondano alle caratteristiche tecniche "partorite" dal genio tecnico‐giuridico di Folena e Lussuria… E pensare che Lussuria, dopo le sue esperienze nel noto locale romano Mucca Assassina dovrebbe aver maturato una certa competenza almeno in materia di musica! Una seconda battuta perché definirla considerazione mi sembra offensivo per quest'ultimo termine. Guardate qui40 quali sono stati i soggetti sentiti dalla Commissione nell'ambito dell'attività conoscitiva svolta: Il Presidente della SIAE, i rappresentanti della Federazione industria musicale italiana (FIMI) ‐ leggi quello stesso Presidente Mazza che guarda caso è stato tra i primi a manifestare entusiasmo per il mostruoso emendamento, i rappresentanti dell'Associazione supporti multimediali italiana (ASMI), il Sindacato nazionale I resoconti sono pubblicati a questa URL: http://www.camera.it/_dati/lavori/schedela/trovaschedacamera_wai.asp?PDL=22 21 40 L’elenco completo dei soggetti sentiti è pubblicato a questa URL: http://www.camera.it/cartellecomuni/leg15/documenti/progettidilegge/AttivitaC onoscitive_wai.asp?ns=2&pdl=2221 39 87 scrittori nonché i rappresentanti del sindacato autonomo SIAE‐ Conf.S.A.L.. Anche in questo caso la collocazione nel SENZA PAROLE sembra la più indicata ma ne voglio, comunque, aggiungere un paio che non sono quelle gridate nel recente V‐Day (anche se la tentazione è forte!)… Come è possibile in un Paese che si professa democratico mettere mano alla Legge sul Diritto d'autore, discutere di cultura, ricerca, critica, studio ed enciclopedie senza sentire gli utenti, i consumatori, l'università…? Voi che risposta vi date? Il vero problema del comma 1 bis dell’art. 70 LDA. 11 gennaio 2008 http://www.guidoscorza.it/?p=231 Ho appena letto un bell'articolo di Alessandro Longo su Repubblica.it a proposito della questione che nelle ultime ore sta appassionando la blogosfera e l'interessante post con il quale l'amico Daniele Minotti invita a considerare la vicenda con maggior serenità e senza posizioni precostituite di carattere "anti‐ politico"41. Il ragionamento di Daniele Minotti ‐ che è poi la traduzione in termini giuridici ‐ della posizione sin qui sostenuta dall'On. Folena è ineccepibile: il primo comma dell'art. 70 della Legge sul Diritto d'autore non consente, nella sua formulazione letterale, l'utilizzo né in Rete né fuori dalla rete di opere dell'ingegno in formato integrale mentre il nuovo comma 1 bis introdotto con l'emendamento Folena‐Lussuria consentirà la pubblicazione on‐line di "immagini e musiche" purché "degradate e a bassa risoluzione". Si tratta, dunque, scrive Minotti di un ampliamento delle libere utilizzazioni di materiale protetto via web. Se la questione viene posta in questi termini, Daniele Minotti ha ragione e con lui l'On. Folena. Passione per il diritto ed onestà intellettuale mi impongono di riconoscerlo anche se non credo di averlo mai negato. Il punto, tuttavia, è un altro. L’articolo di Alessandro Longo, pubblicato su Repubblica.it l’11 gennaio 2008 è pubblicato a questa URL: http://www.repubblica.it/2007/09/sezioni/scienza_e_tecnologia/diritti‐ web/autore‐non‐profit/autore‐non‐profit.html 41 88 Per quanto abbia cercato non ho, sin qui, trovato traccia di precedenti giurisprudenziali relativi a vicende nelle quali un titolare di diritti d'autore su "immagini o musiche" (non mi stancherò mai di ripetere che le parole in diritto ha un senso e che queste non si riferiscono a nessuna opera dell'ingegno o piuttosto a tante!) abbia contestato al titolare di un sito non avente carattere commerciale e/o fine di lucro l'utilizzo non autorizzato delle proprie "immagini o musiche". E' un dato che non può e non deve essere sottovalutato. Il contesto di riferimento nel valutare la portata e le conseguenze del nuovo comma 1 bis dell'art. 70 LDA è questo e non già quello ricavabile dal solo dato formale preso a parametro dall'On. Folena e dall'amico Daniele Minotti. La disciplina sul diritto d'autore ‐ così come evidenziato in più passaggi nell'imponente relazione conclusiva dei lavori della Commissione Gambino ‐ necessita di una complessa opera di adattamento, peraltro non sempre suscettibile di essere realizzata a livello nazionale, in considerazione del mutato contesto tecnologico nel quale i contenuti protetti vengono posti in circolazione e fruiti42. Il nuovo comma 1 bis dell'art. 70 LDA, interviene, in tale magmatico contesto con la grazia di un elefante ed un approssimazione giuridica senza eguali (in termini di forma e contenuti) per il lungo elenco di ragioni già ampiamente illustrato in questo blog e da numerosi altri commentatori. All'indomani dell'entrata in vigore della nuova norma si formerà, certamente, quell'orientamento giurisprudenziale che oggi manca e che finirà con il restringere in modo imprevedibile (per colpa delle approssimazioni definitorie contenute nella norma) l'ambito delle libere utilizzazioni di opere protette sul web. Era opportuno ed anzi necessario attendere ‐ ma davvero e non a parole ‐ la conclusione dell'attività della Commissione Gambino, prendere atto delle proposte da questa formulate, studiare il contesto internazionale o, almeno europeo e poi disciplinare la materia… Nulla di tutto ciò è stato fatto e, francamente, non credo che oggi ci si possa trincerare dietro a considerazioni di carattere meramente formale per difendere un errore che non porterà vantaggi al la cultura digitale ma solo limiti, paletti, e briglie delle quali non si avvertiva davvero l'esigenza. Il testo della relazione Gambino è disponibile a questa URL: http://www.interlex.it/testi/pdf/lda_proposte.pdf 42 89 E' per questo che, senza preconcetti politici né di altro genere, continuo a ritenere che l'iniziativa legislativa sfociata nell'emendamento dell'art. 70 LDA sia stata un errore grave sotto un profilo di politica legislativa prima e di diritto poi, ovvero, nella fase della traduzione in norma. Ancora due parole sulla norma “degradata°radante”. 11 gennaio 2008 http://www.guidoscorza.it/?p=230 Ricevuta la prima richiesta di precisazioni da parte dell’On. Folena mi ero ripromesso di rimanere in silenzio e lasciare che ciascuno si formasse il proprio convincimento anche perché la professione mi ha insegnato che innamorarsi di una causa e personalizzare una battaglia è il modo migliore per perderla…e questa è una causa che non si deve perdere43. Il testo della precisazione ricevuta dall’On. Folena alla quale si fa riferimento nel post: "Mi dispiace che in rete si travisi in significato, giuridico e politico, dell'introduzione del nuovo comma 1bis nell'articolo 70 della legge sul diritto d'autore. Prima di tutto va rilevato che rimane in piedi, del tutto, il primo comma, il quale limita la riproduzione alla citazione e al riassunto e, quindi, non all'intera opera.In più il motivo della pubblicazione non può essere la mera illustrazione. Viceversa il nuovo comma 1bis estende e sottolineo questo aspetto la possibilità di pubblicazioni "libere" sia pure solo per siti didattici e scientifici all'intera opera (immagine o musica), anche se degradata. Cosa significa, in pratica? Se ho un blog didattico, un sito scientifico, a norma dell'articolo 70 non posso pubblicare opere coperte da altrui diritto d'autore, per intero. Ad esempio se ho un sito didattico sulla fotografia, non posso pubblicare un'opera di un grande fotografo come H.Newton né un file audio con una canzone di un cantante famoso, per esempio Vasco Rossi. Ma neppure la foto al microscopio di una cellula, se coperta da diritto d'autore. Con questa nuova norma, invece, previa definizione dei criteri da parte del ministero (noi avremmo voluto scriverli direttamente nella norma, ma abbiamo accettato una mediazione) questo sarà possibile. Ovviamente a certe condizioni (di qui la minore risoluzione o la degradazione) in modo tale che non si entri in contrasto con l'utilizzazione economica dell'opera stessa. Ad esempio, un file audio potrebbe essere messo a disposizione sul sito con una qualità non paragonabile a quella di un cd, ma comunque ascoltabile. O un immagine con dimensioni non utili alla riproduzione a stampa (quindi praticamente tutte le immagini del web). L'ispirazione è stata un disegno di legge dei Verdi proprio riguardo i siti didattici. Si può certo dissentire per la portata limitata dell'intervento, ma difatti non era certo quella la sede per una revisione del diritto d'autore complessivo. La commissione del professor Gambino era al lavoro e mai ci saremmo permessi di procedere senza prima aver acquisito i suoi risultati. Quindi tutto si può dire, ma non che questa novella restringa le libere utilizzazioni attuali. Semmai, di poco, le allarga, venendo incontro all'esigenza di tanti docenti che hanno blog e siti didattici. Né può essere confusa con altre questioni (il diritto di panorama e il codice Urbani) che nulla hanno a che vedere con questa piccola piccolissima, ma comunque importante isola di libertà. 43 90 Analogo proposito mi ha spinto ieri a soprassedere da una replica a caldo alle “controprecisazioni in prevenzione” diffuse in Rete e trasmessemi dall’Ufficio stampa dell’On. Folena per l’ipotesi in cui avessi deciso di pubblicare la posizione dell’On. Cortiana44. Pietro Folena, Presidente della Commissione Cultura della Camera". Qui di seguito il botta e risposta Cortiana‐ Folena: Nel pomeriggio di oggi ho ricevuto una comunicazione dall'On. Cortiana contenente una puntuale replica alle precisazioni dell'On. Folena di ieri ed un'interessante proposta. Non ho avuto neppure il tempo di pubblicare questo documento che ho ricevuto dall'Ufficio stampa dell'On. Folena una replica "in prevenzione" per l'ipotesi in cui avessi pubblicato il contributo dell'On. Cortiana. Mi sembra la miglior conferma che ‐ quale che sia la ragione ‐ l'argomento è di grande interesse ed attualit Sono, pertanto, felice di pubblicare entrambi i documenti nell'ordine in cui li ho ricevuti e di mantenere aperto il dialogo. Da parte mia sto lavorando ‐ con gli strumenti del giurista e la preziosa collaborazione di irrinunciabili esperti di tecnologia ‐ ad individuare una soluzione interpretativa che, non appena il comma 1 bis dell'art. 70 LDA sarà legge di questo strano Paese, possa rappresentare un'ipotesi di compromesso tra i contrapposti interessi dei titolari dei diritti e del popolo della Rete. Spero di condividere con Voi al più presto tale soluzione per ricevere critiche ed adesioni. Scrive l'On. Cortiana: Una risposta a Folena e una proposta Nella nota del Presidente della Commissione Cultura della Camera relativa alla Legge di riforma della SIAE si definisce l'introduzione del comma 1‐bis come la costituzione di una "piccola ‐ piccolissima, ma comunque importante ‐ isola di libertà" il cui perimetro è stato definito attraverso l'interlocuzione esclusiva con i rappresentanti SIAE, FIMI, ASMI, il Sindacato nazionale Scrittori e il Sindacato Autonomo SIAE‐Conf.S.A.L., con le conseguenti "mediazioni accettate". Partiamo da qui: forse su Second Life è possibile una simile processo per la creazione di un'isola, ma non nello spazio di relazione che attraverso Internet si è sviluppato come impresa cognitiva collettiva. Qui c'è viralità non virtualità, qui la partecipazione informata ai processi regolamentari costituisce una pre‐condizione indispensabile affinché questi siano efficaci. Per questo il processo sulla Governance di Internet avviato dalle Nazioni Unite è un processo multistakeholder. Un tavolo aperto di confronto avrebbe ad esempio permesso alle commissioni presiedute dal Prof. Gambino e dal Prof. Rodotà di dare il proprio contributo. Si sarebbe così evitato l'equivoco ossimoro legato alla possibilità di riprodurre immagini a fini didattici e di ricerca scientifica a condizione che abbiano una bassa risoluzione e siano comunque degradate. Una non definizione del concetto di "immagine" nella rete digitale e la condizione di degradazione della stessa non lascia soltanto campo aperto a non chiare discrezionalità (e il Codice Urbani qui è assolutamente pertinente) ma sicuramente pregiudica la qualità della didattica e della ricerca. Peraltro proprio la SIAE già nel 2004 nel "Compendio delle Norme e dei Compensi di opere delle Arti Visive", nella Prima Sezione all'art.7.‐INTERNET precisava che:"Comunque la riproduzione delle immagini non dovrà eccedere i 72 DPI di risoluzione e dovrà essere di bassa qualità." Forse la mediazione parlamentare è consistita nell'introduzione aggiuntiva del concetto di "degrado"? Non ho trovato negli articolati dei disegni di legge dei Verdi la fonte di ispirazione di cui parla Pietro Folena comunque toccherà a loro chiarire. In ogni caso la portata dell'intervento di Riforma non risulta "limitata"dato che ora ogni controversia 44 91 messa in atto dalla SIAE viene trasferita dalla giustizia amministrativa a quella ordinaria. Al fine di rimediare il pasticcio legislativo e il prevedibile arcobaleno giurisprudenziale conseguente, è utile e necessario fare entrare aria fresca all'interno della piccola‐piccolissima isola murata del degrado a bassa risoluzione, attraverso un processo partecipato da tutti gli stakeholder e con l'approvazione di un articolo che nella chiara definizione del dolo e della contraffazione armonizzi e coordini lo scombinato panorama legislativo che si sta venendo a creare. Poi speriamo che si possa aprire una stagione legislativa che consenta di definire proposte per cogliere le opportunità della società della Conoscenza così come l'Europa si è proposta con l'Agenda di Lisbona. Sen. Fiorello Cortiana ‐ Consulta sulla Governance di Internet ******** Risponde l'On. Folena: Sono purtroppo costretto a replicare alle inesattezze dell'amico Cortiana. Mi dispiace che vengano da una persona competente in materia e con la quale ho collaborato in passato. Procediamo con ordine e in modo puntuale. Fiorello afferma:"Nella nota del Presidente della Commissione Cultura della Camera relativa alla legge di riforma della Siae si definisce l'introduzione del comma 1‐bis come la costituzione di una "piccola ‐ piccolissima, ma comunque importante ‐ isola di libertà" il cui perimetro è stato definito attraverso l'interlocuzione esclusiva con i rappresentanti Siae, Fimi, Asmi, il Sindacato nazionale Scrittori e il Sindacato Autonomo Siae‐Conf.Sal, con le conseguenti "mediazioni accettate". " Questo è inesatto. Sono stati auditi quei soggetti perché la legge riguardava la Siae, non il diritto d'autore. Siamo stati noi a premere per introdurre la piccola norma a favore dei blog didattici, scontrandoci con alcuni dei soggetti citati. Scrive ancora Cortiana: "Un tavolo aperto di confronto avrebbe ad esempio permesso alle commissioni presiedute dal Prof. Gambino e dal Prof. Rodotà di dare il proprio contributo. " Difatti noi abbiamo cercato di non ostacolare quel lavoro, evitando di mettere mani in modo pesante alla legge sul diritto d'autore. Ho incontrato appositamente Gambino proprio per assicurargli che la Commissione Cultura avrebbe aspettato senz'altro la conclusione dei lavori. Quella della commissione Gambino è stata ‐ e credo continuerà ad essere ‐ la sede "multistakeholder". Ora tocca al decisore politico intervenire sulla base di quei lavori, in raccordo con il prof. Gambino e la sua commissione che ci ha fornito materiali preziosi, idee e proposte di lavoro. Sempre Cortiana afferma: "Proprio la SIAE già nel 2004 nel "Compendio delle Norme e dei Compensi di opere delle Arti Visive", nella Prima Sezione all'art.7.‐ INTERNET precisava che: "Comunque la riproduzione delle immagini non dovrà eccedere i 72 DPI di risoluzione e dovrà essere di bassa qualità." " Appunto è ciò che la Siae fa. Chiede un compenso, con tanto di tabella, anche ai siti didattici per la riproduzione di opere coperte da diritto d'autore. Ora, o meglio dopo il decreto attuativo del ministero, che dovrà essere approvato dalla nostra Commissione, non potrà più farlo, se tali immagini non avranno qualità tale da competere con l'uso commerciale (e sfido chiunque a sostenere che un'immagine sul web come di solito vengono pubblicate possa essere usata in un book fotografico). Cortiana: "Forse la mediazione parlamentare è consistita nell'introduzione aggiuntiva del concetto di "degrado"? " No, noi abbiamo cancellato il compenso, come ho spiegato. "Non ho trovato negli articolati dei disegni di legge dei Verdi la fonte di ispirazione di cui parla Pietro Folena; comunque toccherà a loro chiarire. " 92 A questo punto, però, avverto l’insopprimibile esigenza (sbagliando dirà qualcuno!) di tornare sull’argomento perché l’ampia replica dell’On. Folena non solo non mi ha convinto ma, al contrario, mi ha confermato che la norma appena approvata ‐ e, probabilmente, prossima a divenire Legge nonostante l’estremo tentativo compiuto dall’On. Cappato che ha chiesto al Presidente della Repubblica di non firmarla – è tanto ambigua, mal pensata e mal scritta da non essere stata, evidentemente, ben compresa neppure dai suoi estensori e/o firmatari. Comincio da un dato che – da cittadino e non da giurista – non riesco ad accettare. L’On. Folena, tanto nelle prime precisazioni che nelle controprecisazioni di ieri si difende dalla contestazione di aver preteso (ovviamente non da solo ma in buona compagnia) di normare in una materia oggetto di approfondito esame e studio da parte della Commisione permanente sul diritto d’autore ora Presieduta dal Prof. Gambino e già presieduta dal Prof. Corasaniti, sostenendo di aver atteso la conclusione dei lavori di tale Commissione e di averne recepito idee e proposte. Scrive, infatti, l’On. Folena nelle Sue precisazioni dell’8 gennaio: “La commissione del professor Gambino era al lavoro e mai ci saremmo permessi di procedere senza prima aver acquisito i suoi risultati”. Continua, l’On. Folena nelle Sue controprecisazioni di ieri: “Ho incontrato appositamente Gambino proprio per assicurargli che la Commissione Cultura avrebbe aspettato senz'altro la conclusione dei lavori… con il prof. Gambino e la sua commissione che ci ha fornito materiali preziosi, idee e proposte di lavoro.”. DDL Senato 1461, Bulgarelli: "Art. 4. «È consentita la pubblicazione attraverso la rete internet a titolo gratuito di immagini a bassa risoluzione unicamente per uso strettamente didattico e solo nel caso in cui tale utilizzo non sia a scopo di lucro, fatto salvo il riconoscimento della paternità dell'opera». Faccio anche notare che la bassa risoluzione o la degradazione qualitativa è considerata da diversi giuristi americani uno degli elementi di valutazione nel fair use degli Stati Uniti, tanto richiamato e così poco conosciuto. Ad esempio è utile la lettura di questo saggio: http://www.copyright.iupui.edu/highered.htm Pareri simili si trovano anche su copyright.gov da parte di insigni giuristi, tecnici, docenti. Non ci siamo inventati nulla. In conclusione: si poteva fare di più? Forse sì. Si poteva fare meglio? Forse sì. Ma non s'è fatto male. Si può accusare Folena di tutto ma non di avere scritto la fine della libertà della rete. Pietro Folena, presidente della Commissione Cultura della Camera dei Deputati. Il dibattito è politico e credo che sia opportuno lasciare a ciascuno formarsi il proprio convincimento. 93 Mi sembra tutto molto difficile da credere. Storia e documenti dicono il contrario. La Commissione Gambino ha presentato i suoi lavori al Vice Presidente del Consiglio Francesco Rutelli il 18 dicembre ed il 21 il testo del comma 1 bis da aggiungere all’art. 70 della LDA veniva approvato in via definitiva dalla Commissione Cultura del Senato, in poco meno di 30 minuti, senza discussione e nella medesima formulazione nella quale era già stato approvato alla Camera il precedente 25 ottobre. Come si può, in tali condizioni, sostenere seriamente di aver “acquisito i risultati” dei lavori della Commissione Gambino? Se storia e calendario non fossero sufficienti, tuttavia, basta scorrere il testo della Relazione conclusiva dei lavori della Commissione Gambino sino ad arrivare alle proposte di modifica dell’art. 70 LDA: nessuna ricorda neppure da lontano il monstrum giuridico concepito dalla Commissione Cultura. Le proposte formulate all’esito di un lavoro durato anni e che ha coinvolto oltre 100 esperti di diritto d’autore hanno tutt’altra filosofia, sono ispirate da diverse finalità, mostrano ben più ampio respiro e, soprattutto, sono formulate in termini assai più chiari. Credo che nessuno in Commissione Cultura abbia mai sfogliato quel documento ma…se anche lo ha fatto, non ha colto la sostanziale differenza tra ciò che si stava scrivendo al comma 1 bis dell’art. 70 LDA e le proposte formulate dalla Commissione Gambino. Errori e difese ostinate dei propri errori sono leciti, umani e comprensibili ma cercare, a tal fine, di piegare la realtà alle proprie esigenze difensive, francamente, non credo lo sia. Nelle “controprecisazioni” di ieri, l’On. Folena fa notare, inoltre, “che la bassa risoluzione o la degradazione qualitativa è considerata da diversi giuristi americani uno degli elementi di valutazione nel fair use degli Stati Uniti, tanto richiamato e così poco conosciuto. Ad esempio è utile la lettura di questo saggio: http://www.copyright.iupui.edu/highered.htm”. Sono senza parole e se il silenzio parlasse via internet userei quello… Non credo sia “didattico” né “scientifico” accostare l’italico nuovo comma 1 bis dell’art. 70 LDA al ben più civile principio del fair use di cui all’art. 107 del Copyright Act e ciò perché tale principio contrasta in modo insanabile con la norma appena approvata in Italia. Il fair use – lo si dice proprio nell’articolo richiamato dall’On. Folena – è un concetto elastico, aperto e flessibile, destinato, per sua natura, ad essere adattato dai Giudici alle diverse fattispecie. 94 Al contrario, la norma di cui si discute, imbriglierà il Giudice al rispetto di oscure regole tecniche che verranno emanate nei prossimi mesi e che, per quanti sforzi si possa fare, non riusciranno certamente a disciplinare ogni possibile ipotesi né a dettare criteri univoci per tracciare una linea di demarcazione nitida e chiara tra utilizzi legittimi ed illegittimi, tra scopi didattici o scientifici ed altri scopi – sempre non commerciali – ma di diversa natura e, infine, tra immagini e musiche degradate o a bassa risoluzione e analoghi contenuti “non degradati” e a normale risoluzione. Immagini e musiche a bassa risoluzione o degradate è espressione priva di significato e destinata a rimanere tale anche dopo il regolamento che dovrà essere varato nei prossimi mesi. Ho chiesto a Leonardo Chiariglione – che non credo abbia bisogno di presentazioni – di aiutarmi a dare un senso a tale riferimento. Questa è stata la risposta: “Guido, Il testo dell'emendamento approvato dal Senato relativo all'art. 70 dellaLegge sul diritto d'autore che fa riferimento a immagini e musiche a bassa risoluzione o degradate non mi pare abbia molto senso pratico e mi chiedocome potrà essere gestito. La risoluzione di un'immagine è funzione del tempo: 10 anni fa avevo unadelle prime macchine fotografiche numeriche con una risoluzione di 320×240(75Kpixel) ed oggi parliamo di molti Mpixel. Quindi quello che è alto oggi èbasso domani. È questo che si vuole dire? Oppure si dice a priori quanti devono essere i pixel?Le tecniche di compressione giocano poi brutti scherzi. Uno degli ultimi miglioramenti della codifica audio si chiama "spectral band replication".Penso che, con un po' di lavoro, si potrebbe fare dell'ottimo audio che si potrebbe sostenere (immagino) in tribunale essere "a bassa risoluzione(frequenza di campionamento)".Leonardo” Non c’è molto da aggiungere. I parametri individuati al comma 1 bis dell’art. 70 LDA sono necessariamente relativi (come d’altra parte suggerisce la lingua italiana) e destinati ad una continua evoluzione. Forse, a questo punto, fallito ogni tentativo di confronto sui principi e tramontata ogni speranza di lasciare sulla porta del nostro Ordinamento quest’ennesima brutta norma, converrà iniziare a pensare a come trarre vantaggio – nei limiti, ovviamente del lecito ed al solo fine di accrescere la circolazione della cultura digitale in Rete – dalle sue numerose ambiguità. Ma di questo parliamo domani. 95 Wikia campaigns per il Decreto sui limiti di uso delle opere via web. 12 gennaio 2008 http://www.guidoscorza.it/?p=233 Credo che il dibattito in merito all’emendamento Folena‐ Lussuria all’art. 70 LDA abbia evidenziato l’esistenza di posizioni diverse sul problema delle libere utilizzazioni in Rete e, soprattutto, sull’opportunità di intervenire sulla materia ‐ che, certamente, necessita, con urgenza, di un profondo e radicale ripensamento ‐ con una norma – quale che ne sia il giudizio politico – mal scritta e destinata a creare ambiguità e problemi interpretative e di applicazione. Il confronto sul tema potrebbe, probabilmente, proseguire ancora per molto senza, tuttavia, nessuna concreta possibilità di modificare il corso degli eventi, apparendo ormai scontata – se non già avvenuta – la firma da parte del Capo dello Stato della nuova Legge. In tale contesto, sebbene a malincuore dopo aver contribuito a dar vita ed a tener vivo il dibattito, ritengo sia arrivato il momento di guardare avanti e cioè al decreto attraverso il quale andranno stabiliti i limiti d’uso di “immagini e musiche” sul web. Sarà difficile, con una norma secondaria, rimediare alle sviste formali ed agli errori sostanziali presenti – almeno su questo mi sembra vi sia una sostanziale convergenza di idee – nel testo della norma primaria ma, ritengo, abbiamo, tutti, il dovere di provarci. L’acceso dibattito sull’emendamento Folena‐Lussuria, peraltro, ha, a mio avviso, dimostrato che il Web italiano è ormai maturo per essere utilizzato quale naturale strumento di confronto, collaborazione e supporto all’attività politica. In questa prospettiva ho dedicato le ultime ore a predisporre una pagina sulla piattaforma Campaigns Wikia ‐ ultima creatura del fondatore della più nota Wikipedia – nata proprio allo scopo di consentire, promuovere e favorire il confronto politico. Ho pubblicato sulla pagina un primo schema di quello che potrebbe essere il Decreto Ministeriale cui il comma 1 bis dell’art. 70 LDA demanda la definizione dei limiti d’uso di “immagini e musiche” in Rete nonché un elenco, non esaustivo, di fonti per 96 approfondire il dibattito sulla questione e poter così partecipare attivamente alla modifica del testo del Decreto.45 Il decreto di attuazione del comma 1 bis dell’art. 70, quando questo volume è dato alle stampe non è ancora stato pubblicato, la bozza di decreto a suo tempo predisposta e messa disposizione del pubblico per commenti, modifiche ed integrazioni è tuttora disponibile a questa URL: http://campaigns.wikia.com/wiki/Attivit%C3%A0_di_supporto_alla_redazione_del _Regolamento_di_attuazione_del_comma_1_bis_dell%E2%80%99art._70_LDA Questo è il testo della bozza come risultante dalle modifiche apportate dalla comunità telematica sino all’8 gennaio 2008: Decreto del Ministro per i beni e le attività culturali, sentiti il Ministro della pubblica istruzione e il Ministro dell'università e della ricerca in attuazione del comma 1 bis dell’art. 70 della Legge n. 633 del 21 aprile 1941. Vista la legge 21 aprile 1941, n. 633, recante Protezione del diritto d'autore e di altri diritti connessi al suo esercizio ed in particolare l'art. 70; Vista la legge ..... recante disposizioni concernenti la Società italiana degli autori ed editori ed in particolare l’art. 2; Art. 1. Opere soggette all'eccezione. 1. Ai fini del comma 1 bis dell’art. 70, legge 21 aprile 1941, n. 633, si intendono per immagini tutte le opere dell'ingegno di carattere creativo che appartengono alle arti figurative di cui all’art. 1 della medesima legge e, in particolare, quelle della pittura, dell'arte, del disegno, compresa la scenografia nonché i disegni industriali che presentino di per sé carattere creativo e valore artistico e di architettura, le opere dell'arte cinematografica, muta o sonora, sempreché non si tratti di semplice documentazione protetta ai sensi delle norme del Capo V del Titolo II e, infine, le opere fotografiche e quelle espresse con procedimento analogo a quello della fotografia sempre che non si tratti di semplice fotografia protetta ai sensi delle norme del Capo V del Titolo II. 2. Ai fini del comma 1 bis dell’art. 70, legge 21 aprile 1941, n. 633, si intendono per musiche tutte le opere dell'ingegno di carattere creativo che appartengono alla musica di cui all’art. 1 della medesima legge e, in particolare, le opere e le composizioni musicali, con o senza parole, le opere drammatico‐musicali e le variazioni musicali costituenti di per sé opera originale di cui al n. 2 dell’art. 2 della stessa legge. 3. Ai fini del comma 1 bis dell’art. 70, legge 21 aprile 1941, n. 633, si intende per immagini e musiche anche l’opera risultante dalla inscindibile combinazione di una o più opere di cui ai commi precedenti, o parti di esse. Art. 2. Finalità d’uso delle opere rilevanti ai fini dell’eccezione. 1. Ai fini del comma 1 bis dell’art. 70, della medesima legge, si intende per uso didattico qualsiasi forma di utilizzo dell’opera a scopo illustrativo, di critica o discussione, finalizzata ad istruire o formare il pubblico attraverso le reti telematiche. 2. Ai fini del comma 1 bis dell’art. 70, legge 21 aprile 1941, n. 633, si intende per uso scientifico qualsiasi forma di utilizzo dell’opera a scopo illustrativo, di critica o discussione, finalizzata a comunicare al pubblico attraverso le reti telematiche tesi di carattere scientifico o risultati di studi, analisi, ricerche e teorie aventi analogo carattere. Hanno carattere scientifico, ai fini del presente Decreto, studi, ricerche, saggi, compendi, teorie o tesi relative a qualsiasi area del sapere purché condotti o prodotti attraverso modelli cognitivi caratterizzati da rigore metodologico, precisione e sistematicità. 3. Rientrano nella definizione di uso didattico o scientifico le attività funzionali o collaterali alla scienza, all'istruzione e alla formazione, quali, a titolo di esempio, la pubblicazione o redazione di enciclopedie, bibliografie, antologie, cataloghi, raccolte 45 97 e compendi anche quando non svolte o coordinate direttamente da soggetti operanti nella funzione didattica, formativa o di ricerca. 4. Non concorre a costituire il fine di lucro di cui al comma 1 bis dell’art. 70, legge 21 aprile 1941, n. 633, l’eventuale ricorso da parte del soggetto pubblicante o del fornitore della piattaforma a forme di rimborso degli oneri di manutenzione e pubblicazione, quali, a titolo esemplificativo, l’apposizione di banner o l’iscrizione in circuiti pubblicitari, quando la pubblicazione delle opere protette sia accessoria ai contenuti resi disponibili. Art. 3. Formati di pubblicazione. 1. Ai fini del comma 1 bis dell'art. 70 della legge 21 aprile 1941, si intende per immagine in bassa risoluzione: a) Per le opere delle arti figurative di cui al comma 1, art. 1 del presente Decreto: qualsiasi riproduzione non eccedente i 72 punti per pollice (dpi). b) Per le opere della cinematografia di cui al comma 1, art. 1 del presente Decreto: qualsiasi riproduzione non eccedente i 384 kbit/s. 2. Ai fini del comma 1 bis dell'art. 70 della legge 21 aprile 1941, si intende per immagine degradata ogni opera di cui al comma 1, art. 1 del presente Decreto che, rispetto all’originale, presenti elementi di alterazione significativi, ivi compresa l'apposizione di marchi o scritte, ovvero effetti di alterazione della qualità visiva percepibile o dei colori e di distorsione. 3. Ai fini del comma 1 bis dell'art. 70 della legge 21 aprile 1941, si intende per musica in bassa risoluzione o degradata qualsiasi riproduzione non eccedente i 96 kbit/s. 4. Il Ministro per i beni e le attività culturali, sentiti il Ministro della pubblica istruzione e il Ministro dell'università e della ricerca, previo parere delle Commissioni parlamentari competenti, aggiorna annualmente tramite decreto ministeriale i criteri e parametri di cui al presente articolo, tenendo in considerazione lo sviluppo tecnologico. Art. 4. Autorizzazione dell'avente diritto. 1. Qualora le finalità didattiche o scientifiche richiedano qualità di riproduzione eccedenti i criteri di cui all'Art. 3 del presente Decreto, l'autorizzazione è richiesta secondo le seguenti modalità: a) se il titolare dei diritti sull’opera è iscritto alla Società Italiana Autori ed Editori (SIAE), il soggetto realizzatore o responsabile della pubblicazione richiede autorizzazione alla SIAE mediante fax o lettera raccomandata con avviso di ricevimento, ovvero corrispettivo telematico secondo la normativa vigente, indicando le modalità di pubblicazione dell’opera, il suo titolo, nonché i motivi per i quali è necessaria la pubblicazione in qualità eccedente. b) se il titolare dei diritti sull’opera non è iscritto alla SIAE, il soggetto realizzatore o responsabile della pubblicazione richiede autorizzazione all'avente diritto con le modalità di cui alla precedente lettera. 2. Il destinatario della richiesta di cui al precedente comma può, entro trenta giorni dal ricevimento, richiedere chiarimenti o negare, con provvedimento motivato, l’autorizzazione qualora ritenga che la pubblicazione possa arrecare pregiudizio al titolare dei diritti. In caso di silenzio, decorso il predetto termine, l’autorizzazione si considera concessa. Qualora il destinatario richieda chiarimenti dovuti alla incompletezza della comunicazione, a seguito della successiva risposta del soggetto realizzatore o responsabile della pubblicazione dispone di ulteriori sette giorni per negare, sempre con provvedimento motivato, l’autorizzazione. In caso di silenzio, decorso tale termine, l’autorizzazione si considera concessa. 3. L’autorizzazione di cui al comma 1 del presente articolo può essere negata solo qualora la pubblicazione dell'opera arrechi ragionevole pregiudizio ai diritti deetitolare. 98 Chiunque, ovviamente, può intervenire sul testo, modificarlo e/o integrarlo lasciandovi commenti, critiche e/o suggerimenti. Egualmente l’elenco delle fonti attraverso le quali formarsi un’opinione sulle questioni sottese all’emendamento Folena‐ Lussuria può essere, in ogni momento, integrato con il link ai contenuti da ciascuno sin qui prodotti o consultati. L’iniziativa non vuol essere un invito a ripensare i processi costituzionali di produzione normativa ma, semplicemente, un invito ad aprire il dibattito politico alla società civile utilizzando strumenti diffusi, economici ed alla portata di molti anche se non, sfortunatamente, di tutti. Inutile dire che starà al Governo ed alle Commissioni parlamentari competenti valutare se ed in che termini tener conto del testo che, nei prossimi giorni nascerà dal confronto telematico. Tiscali vs. SIAE: il problema c’è ma non è il “degrado”. 8 settembre 2008 http://www.guidoscorza.it/?p=334 Non ho letto la Sentenza ma il fatto sembra abbastanza chiaro che se ne voglia leggere il trionfalistico comunicato sul sito della SIAE o, piuttosto, uno qualsiasi dei molti resoconti disponibili in Rete: Tiscali è stata condannata a 40 mila euro di multa per aver diffuso sul proprio sito riproduzioni di opere d'arte rientranti nel catalogo SIAE senza, tuttavia, aver stipulato con quest'ultima il relativo contratto di licenza46. In Rete, ovviamente, già fioccano polemiche e riferimenti alla norma degradata introdotta nel gennaio di quest'anno al comma 1bis dell'art. 70 LDA. Questo il testo del comunicato stampa pubblicato sul web istituzionale della SIAE a questa URL: http://www.siae.it/edicola.asp?click_level=0500.0100.0200&view=4&open_menu= yes&id_news=7078 04‐Set Tribunale di Roma Opere d’arte: i provider devono ottenere la licenza Siae Il Tribunale di Roma, Sezione specializzata nella materia della Proprietà industriale ed intellettuale ha pronunciato una sentenza che è stata registrata lo scorso agosto, con la quale ha accolto le domande della Siae condannando la società Tiscali a rimuovere dal proprio sito Internet le immagini di opere dell’arte figurativa appartenenti al repertorio Siae che erano state riprodotte illecitamente ovvero senza licenza Siae. Il provider è stato inoltre condannato al risarcimento dei danni patrimoniali e alla pubblicazione della sentenza su due quotidiani nazionali. Per utilizzare opere delle arti visive protette dalla legge sul diritto d’autore e che siano state create da artisti che hanno affidato alla Siae la loro tutela, occorre ottenere preventivamente l’autorizzazione della Società prima che abbia luogo l’immissione in rete delle opere. 46 99 Riferimenti comprensibili ma…questa volta il problema non è il degrado. La colpa di Tiscali, infatti, non sembrerebbe essere consistita nel non aver degradato le riproduzioni delle opere d'arte pubblicate sul proprio sito quanto, piuttosto, l'averlo fatto per scopo di lucro ed al di fuori del diritto di cronaca. Oggi le pagine di "Tiscali Arte" attraverso le quali le riproduzioni della discordia venivano diffuse al pubblico non sono più raggiungibili ma, attraverso la cache di Google ho dato un'occhiata alla struttura di quelle pagine che sembrerebbe ospitassero qualche icona ‐ probabilmente ingrandibile ma non credo riproducibile su tela, a olio o in alta definizione! ‐ di opere di pittori protagonisti di eventi e mostre in giro per l'Italia. Tutto qui? Non lo so ma prometto che cercherò di leggere la Sentenza e vi aggiornerò. Se così fosse, tuttavia, il problema sarebbe quello che mi sforzo di evidenziare sin da quando ‐ tra la fine dello scorso anno e l'inizio di questo ‐ il nostro Parlamento non ha trovato nulla di meglio da fare che occuparsi del degrado delle immagini pubblicate on‐line: occorre porre mano con urgenza alla disciplina delle utilizzazioni libere in Rete. Nel caso di specie, probabilmente, c'è poco da rimproverare al Giudice che ha applicato la legge così come a SIAE che ha svolto al meglio la sua funzione principale: tutelare i diritti dei propri rappresentati. E' la legge che va riscritta. Non si tutela la cultura digitale precludendo ad un provider ‐ piccolo o grande che sia ‐ di ospitare riproduzioni digitali ‐ necessariamente "degradate" rispetto agli originali ‐ al fine di pubblicizzare questa o quella mostra o, più semplicemente, di soddisfare la curiosità degli utenti circa il percorso artistico di questo o quel pittore. Ricominciamo a parlarne? In gioco c'è il futuro della cultura nella società dell'informazione. 100 3. Copyright vs. Privacy Niente privacy, siete pirati! Il Caso Peppermint 22 maggio 2007 http://www.guidoscorza.it/?page_id=65 Il caso Peppermint è ormai noto al popolo della Rete e sembra inutile ripercorrerne nel dettaglio tutte le tappe. Ai fini delle brevi riflessioni giuridiche che seguono basterà ricordare che la storia ha avuto inizio da un’indagine condotta per conto di una piccola etichetta discografica tedesca, la Peppermint Jam Records Gmbh, da un’alttrettanto piccola agenzia investigativa svizzera, la Logistep AG, nei confronti di centinaia di migliaia di utenti ‐ non si conosce ancora il numero esatto ‐ delle più famose piattaforme di peer to peer. Tale attività nei mesi scorsi avrebbe consentito di individuare gli IP di circa 4000 utenti italiani che avrebbero reso disponibili nell’ambito dei circuiti del P2P alcuni brani musicali coperti da diritti d’autore della Peppermint. Muovendo da questo presupposto l’etichetta discografica tedesca ha chiesto al Tribunale di Roma, in via d’urgenza, ex 156 bis LDA156 bis LDA, di ordinare agli ISP che avevano in gestione gli IP di detti utenti di fornirle le generalità ed i recapiti di detti soggetti così da poter tutelare i propri diritti contro questi ultimi in sede giudiziaria. I Giudici del Tribunale di Roma hanno accolto tali richieste ordinando alla Telecom di comunicare alla Peppermint i nominativi ed i recapiti dei 4000 utenti. La Peppermint, ricevute dette informazioni, anziché avviare una dispendiosa serie di azioni legali contro i 4000 “pirati” ha fatto loro indirizzare da uno studio legale una lettera con la quale si propone di risolvere “bonariamente” la vicenda attraverso il pagamento di 330 Euro a fronte della rinuncia ad ogni azione sia in sede civile che penale. La vicenda solleva diversi dubbi e perplessità di ordine giuridico, tutti riconducibili ad un medesimo problema di fondo: l’esigenza di individuare un punto di equilibrio tra gli interessi dei titolari dei diritti d’autore e quelli degli utenti. Cominciamo dal principio. 1. La Logistep AG ha trattato per settimane o forse mesi i dati personali di centinaia di migliaia di utenti di mezza Europa senza chiedere alcun consenso né prestare alcuna informativa. 101 Le operazioni di monitoraggio poste in essere dalla Logistep AG si sono, almeno in parte, svolte sul territorio italiano con conseguente applicabilità della disciplian dettata dal Codice Privacy che non contempla la possibilità, per un soggetto privato, di porre in essere ‐ per di più attraverso strumenti automatizzati ‐ operazioni di trattamento di dati personali tanto ampie ed indiscriminate. Nessun dubbio, d’altra parte, può sussistere circa la circostanza che gli indirizzi IP acquisiti e catalogati dalla Logistep costituiscono dati personali degli utenti essendo agevolmente riconducibili alla loro identità. E’ da escludere, d’altra parte, che l’attività posta in essere dalla società svizzera rientri nella deroga di cui all’art. 24 del Codice Privacy che permette il trattamento di dati personali “per far valere o difendere un diritto in sede giudiziaria, sempre che i dati siano trattati esclusivamente per tali finalità e per il periodo strettamente necessario al loro perseguimento”. Né la Logistep né la Peppermint, infatti, hanno ‐ almeno sino a questo momento ‐ utilizzato i dati raccolti per far valere “un diritto in sede giudiziaria”. La condotta delle due società, peranto, ribalta palesemente illecita sotto il profilo della vigente disciplina in materia di riservatezza. 2. La Peppermint, peraltro, sta attualmente trattando dei dati personali dei 4000 utenti “spiati” dalla Logistep, nuovi ed autonomi rispetto a quelli originariamente acquisiti da quest’ultima. Tali dati, infatti, son oil risultato del data matching tra gli indirizzi IP, le informazioni relative alle pretese violazioni dei propri diritti d’autore ed i nominativi dei titolari delle utenze telefoniche corrispondenti a detti IP comunicatile dalla Telecom. E’ facile ipotizzare che molti di tali dati non siano corretti in quanto non sempre il titolare dell’utenze telefonica individuato attraverso la Telecom coinvciderà anche con il soggetto che ‐ secondo I dati acquisiti dalla Logistep ‐ avrebbe utilizzato una piattaforma di peer to peei attraverso un certo indirizzo IP. Sotto tale profilo, il trattamento che la Peppermint sta attualmente ponendo in essere, appare evidentemente illecito. 3. Detto trattamento, d’altra parte, al pari di quello originariamente posto in essere ‐ e forse non ancora esauritosi ‐ della Logistep, avrebbe dovuto essere notificato al Garante ai sensi dell’art. 37, lett. D) del Codice privacy. L’omessa notifica al Garante, ai sensi dell’art. 163 del Codice comporta per il trasgressore una sanzione da 10 a 60 mila Euro. 102 4. Le decisioni rese dal Tribunale di Roma sulla vicenda, dal canto loro, non appaiono scevre da errori ed equivoci interpretativi e sembrano porsi in contrasto con la disciplina europea in conformità alla quale, a leggere quanto scritto dai Giudici, invece essi avrebbero inteso interpretare la disciplina vigente. I Giudici del Tribunale di Roma, infatti, hanno ordinato alla Telecom di fornire alla Peppermint i dati dei 4000 utenti sulla base di quanto disposto dall’art. 156 bis della Legge sul diritto d’autore, secondo il quale “qualora una parte abbia fornito seri elementi dai quali si possa ragionevolmente desumere la fondatezza delle proprie domande ed abbia individuato documenti, elementi o informazioni detenuti dalla controparte che confermino tali indizi, essa può ottenere che il giudice ne disponga l'esibizione oppure che richieda le informazioni alla controparte. Può ottenere altresì, che il giudice ordini alla controparte di fornire gli elementi per l'identificazione dei soggetti implicati nella produzione e distribuzione dei prodotti o dei servizi che costituiscono violazione dei diritti di cui alla presente legge.” L’art. 156 bis LDA è stato, tuttavia, introdotto nel nostro Ordinamento in attuazione dell’art. 8 della Direttiva 2004/48/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 29 aprile 2004 sul rispetto dei diritti di proprietà intellettuale secondo il quale “Gli Stati membri assicurano che, nel contesto dei procedimenti riguardanti la violazione di un diritto di proprietà intellettuale e in risposta a una richiesta giustificata e proporzionata del richiedente, l’autorità giudiziaria competente possa ordinare che le informazioni sull’origine e sulle reti di distribuzione di merci o di prestazione di servizi che violano un diritto di proprietà intellettuale siano fornite dall’autore della violazione e/o da ogni altra persona che: (omissis) c) sia stata sorpresa a fornire su scala commerciale servizi utilizzati in attività di violazione di un diritto; (omissis)”. L’art. 156 bis LDA, interpretato alla luce della richiamata disposizione della Direttiva UE, induce a ritenere che il Tribunale di Roma ha errato nell’ordinare a Telecom di fornire alla Peppermint i dati dei 4000 utenti, nell’ambito di un procedimento d’urgenza celebratosi in assenza di questi ultimi e, soprattutto, “non riguardante la violazione di un diritto di proprietà intellettuale” così come previsto nella disciplina Europea. Egualmente errata si presenta la decisione dei Giudici romani laddove hanno individuato in Telecom la “controparte” 103 della Peppermint nonché un soggetto “sorpreso a fornire su scala commerciale servizi utilizzati in attività di violazione di un diritto. Su di un piano funzionale, infatti, la posizione di Telecom si pone in rapporto alla pretesa violazione dei diritti d’autore allo stesso modo di quella del produttore del sistema operativo utilizzato dagli utenti o, piuttosto, della società costruttrice del PC. L’attività di tali soggetti, infatti, ha consentito agli utenti di accedere ad una piattaforma di peer to peer. 5. Poche sintetiche riflessioni, infine, merita la comunicazione ricevuta dai 4000 presunti “pirati” italiani nella quale ‐ giocando se non sull’equivoco almeno sull’ambiguità ‐ si mira a consentire all’etichetta discografica tedesca di portare a casa, in pochi giorni, utili probabilmente superiori a quelli raccolti nell’ultimo anno. Nella lettera, innanzitutto, si lascia intendere agli utenti che se pagheranno l’importo richiesto potranno dormire sonni tranquilli al riparo da azioni civili o penali. Sfortunatamente per gli utenti, tuttavia, il reato loro contestato ‐ messa a disposizione di opere protette dal diritto d’autore attraverso internet ‐ è procedibile d’ufficio con la conseguenza che, a prescindere da ogni iniziativa della Peppermint essi corrono, comunque, il rischio di verdersi trascinare davanti ad un giudice penale. Un altro aspetto della lettera che proprio non convince è la sicurezza manifestata dai legali della Peppermint circa la “colpevolezza” del destinatario in relazione alle condotte contestategli e circa l’affidabilità dei risultati acquisiti attraverso l’utilizzo del software della Logistep. Al riguardo sembra appena il caso di ricordare che l’esser titolari di un’utenza telefonica collegata ad un indirizzo IP asseritamente utilizzato per diffondere via internet qualche brano musicale non è sufficiente per sentirsi condannare al risarcimento del danno che un’etichetta discografica assume di aver sofferto né, tantomeno, per vedersi infliggere qualsivoglia sanzione penale. Egualmente che i dati raccolti dalla Logistep attraverso il proprio softwate possano spiegare una qualche efficacia nell’ambito di un giudizio civile o penale nel nostro Paese, è circostanza tutta da verificare alla stregua, tra l’altro, della vigente disciplina in materia di documento informatico. La difesa della proprietà intellettuale costituisce uno dei pilastri della società dell’informazione ma occorre garantirla nel rispetto dei diritti fondamentali degli utenti. Proprietà intellettuale vs. privacy 13 maggio 2007 104 http://www.guidoscorza.it/?p=63 Non mi stancherò mai di ripetere che la disciplina sul diritto d’autore è una cosa seria e che ad essa è, in larga misura, affidata la crescita del patrimonio culturale di ogni Paese… Guai, tuttavia, a dimenticare che la proprietà intellettuale – specie se considerata sotto il profilo patrimoniale ‐ deve necessariamente cedere il passo davanti ai diritti fondamentali degli utenti. La vicenda che vede coinvolte la Peppermint Jam Records, la Telecom e 4000 utenti italiani e che sta dividendo il popolo della Rete è esemplare di un modo sbagliato di intendere il rapporto tra titolari dei diritti patrimoniali d’autore ed utenti. Qualche mese fa, la Peppermint Jam Records scopre attraverso un software le cui dinamiche di funzionamento non sono ancora chiare che circa 4000 utenti italiani avrebbero condiviso attraverso piattaforme di P2P opere musicali di sua “proprietà”, ne identifica gli IP e poi chiede al Tribunale di Roma di ordinare alla Telecom di fornirle nominativi ed indirizzi dei 4000 utenti. Il Tribunale di Roma accoglie il ricorso della Peppermint sulla base di quanto disposto dal nuovo art. 156 bis LDA ed ordine a Telecom di comunicare alla ricorrente i dati richiestile. Qualche giorno fa uno studio legale di bolzano indirizza una lettera ai 4000 utenti nella quale chiede loro di provvedere al pagamento di 330 euro allo scopo di evitare di essere denunciati in sede penale per l’illecito commesso. L’ordinanza del Tribunale di Roma è, probabilmente, corretta su di un piano rigorosamente giuridico in quanto attraverso essa è stata data piana attuazione alla disciplina di recente introdotta nel nostro Ordinamento all’art. 156 LDA. Dubbi e perplessità forti, tuttavia, solleva tale disposizione e la condotta posta in essere dalla Peppermint. E’ giusto comprimere così tanto il diritto alla privacy dei cittadini al fine di consentire ad un imprenditore di recuperare qualche migliaio di euro di corrispettivi per diritti d’autore? La mia risposta e no. La Vostra? La giustizia privata del titolare dei diritti. 19 maggio 2007 http://www.guidoscorza.it/?p=67 Il caso Peppermint è sintomatico di quanto urgente sia divenuto affrontare il problema della tutela dei diritti di proprietà 105 intellettuale in una prospettiva diversa rispetto a quella che a sin qui ispirato gli interventi legislativi in ambito europeo e nazionale: quella del contemperamento degli interessi tra titolari dei diritti e diritti ‐ almeno fondamentali ‐ degli utenti. Nelle scorse settimane il popolo della Rete, le associazioni dei consumatori, politici illuminati e giuristi insigni avevano lanciato un grido se non di allarme, almeno di viva preoccupazione per il rischio che attraverso la proposta di direttiva IPRED 2, riconoscendo ai titolari dei diritti la possibilità di cooperare nelle indagini si aprisse la strada, nel nostro Ordinamento, a forme di giustizia privata.Quanto accaduto nella vicenda Peppermint e le indagini condotte per mesi dalla Logistep Ag ‐ società investigativa svizzera ‐ dimostra che quell’allarme non è futuro ma attuale e che, sfortunatamente, forme di giustizia privata si stanno sviluppando nel nostro Ordinamento sfruttando le innegabili ambiguità presenti nella disciplina della materia e ‐ occorre riconoscerlo con franchezza ‐ un inaccettabile formalismo da parte della Magistratura ordinaria che, almeno quando in gioco ci sono diritti fondamentali dei consumatori ed utenti ‐ dovrebbe il coraggio di andare al di là della lettera della norma. Mentre scrivo questo post mi fanno notare che il logo della Logistep ‐ quello raffigurato in apertura di questo Blog ‐ è il celebre batarang di Batman… La Logistep sta violando i diritti di proprietà intellettuale della Warner? Pare di si ma il punto è un altro. Batman, come è noto al grande pubblico, rappresenta una delle più riuscite incarnazioni del giustiziere privato che i suoi creatori hanno voluto agisca sempre in nome del bene e di interessi collettivi…Batman a parte ‐ o forse Batman compreso se non fosse solo un film ‐ la giustizia privata è uno dei fenomeni più pericolosi per la stabilità e l’equilibrio di un Paese democratico.Come si può, d’altra parte, chiedere a tanti genitori di attendere anni perché giustizia sia fatta per la perdita di un figlio in un incidente stradale provocato da un pirata della strada ed autorizzare poi il titolare dei diritti ‐ per pochi euro di preteso pregiudizio sofferto ‐ ad indagare da solo, spiare centinaia di migliaia di utenti e minacciarli in caso di mancata accettazione di un’iniqua e sbilanciata proposta transattiva? Dobbiamo continuare a parlarne per non abbassare la guardia… Non ci siamo! 17 maggio 2007 http://www.guidoscorza.it/?p=64 106 Torno sul caso Peppermint c. Telecom perché a distanza di ormai molti giorni da quando la notizia è rimbalzata in Rete i media tradizionali e le Istituzioni sembrano rimanere sorde all’appello del popolo della Rete. Giornali e televisioni hanno sostanzialmente ignorato la notizia mentre il Garante per il trattamento dei dati personali e la riservatezza è rimasto a gurdare… E pensare che l’Ufficio che fu di Stefano Rodotà negli ultimi mesi è invece intervenuto con incredibile solerzia a tutelare il diritto alla privacy di poco onorevoli Onorevoli “beccati” dalle Iene con il naso sporco di droga all’uscita del Parlamento e del Cavalier Berlusconi impegnato a dar prova di senile virilità con un pollaio di aspiranti “Letterine” o ‐ ma ormai fa lo stesso ‐ Onorevoli! Il problema è che nessuno interviene perché tutti muovono dal presupposto che gli utenti “spiati” sono “pirati”! Non ci siamo! Saranno anche Pirati ma un’etichetta discografica tedesca, in collaborazione con una società investigativa svizzera ha travolto il loro diritto alla Privacy…non si può restare a guardare. E’ una questione di civiltà giuridica e libertà fondamentali. Se hanno violato i diritti di proprietà intellettuali di questa o quell’etichetta pagheranno…ma questa non è una buona ragione per sospenderli dai diritti fondamentali che spettano a tutti i cittadini italiani. Li riconosciamo ogni giorno ad Onorevoli ladri, corrotti e corruttori, a mafiosi ed assassini. Un uploader di qualche bit di musica ha meno diritti? Soffia un vento nuovo sul Caso Peppermint 30 maggio 2007 http://www.guidoscorza.it/?p=86 In un articolo di questa mattina su Il Sole 24 Ore, Giovanni Buttarelli, Segretario Generale del Garante per il trattamento dei dati personali e della riservatezza conferma il fondamento dei dubbi e delle perplessità avanzate nelle ultime settimane a proposito del trattamento massiccio di dati personali svolto dalla Logistep, dalla Peppermint e dalla Techland in danno di decine di migliaia di utenti di piattaforme di peer to peer. L’intervento del Garante nei nuovi procedimenti pendenti dinanzi al Tribunale di Roma dalla Peppermint e dalla Techland, la lettera indirizzata nei giorni scorsi all’On. Fiorello Cortina ed ora l’articolo di Giovanni Buttarelli su Il Sole 24 ore…sembra che il vento stia cambiando e che nei prossimi giorni saranno “le 107 compagne di merenda” a dover essere preoccupate nel sentir suonare il postino alla loro porta… Adesso tocca ad utenti e consumatori fare la loro parte, non “piegarsi” alle richieste dei legali della Peppermint e della Techland (se e quando arriveranno) e far valere i loro diritti in tutte le competenti sedi. Questa storia, sin qui, ha insegnato che “alzando la voce” in Rete, se si ha ragione, qualcosa si ottiene. Logistep/Il Garante Svizzero ed il Gruppo Art. 29 17 giugno 2007 http://www.guidoscorza.it/?p=106 Nessuna novità nel senso tecnico del termine ma un approfondimento forse utile a chi sta seguendo la vicenda: la posizione del Garante Svizzero per il trattamento dei dati personali e la trasparenza sui rapporti tra tutela dei diritti di proprietà intellettuale e diritto alla privacy47 e quella espressa, ormai nel lontano gennaio 2005, dal Gruppo Art. 29 dei Garanti Europei48. Da entrambi i documenti emergono con chiarezza i dubbi e le perplessità che da mesi il popolo della Rete ‐ ora ascoltato ed ora non ascoltato ‐ solleva con forza… Peccato che benché da tempo ci si fosse resi conto dell'esigenza di individuare per legge un punto di equilibrio tra i contrapposti diritti ed interessi, il legislatore non abbia trovato il tempo di fare il suo dovere…forse, eccezion fatta per quello francese. Nella posizione del Gruppo Art. 29 vi segnalo in particolare il convincimento espresso dai Garanti Europei nel senso di ritenere che la Direttiva IPRED 1 non contenga deroghe alla disciplina in materia di trattamento di dati personali. Perché abbiamo enti istituiti per Legge a tutela di certi diritti che lanciano allarmi ce restano inascoltati? Lo sciopero della ragione. 23 giugno 2007 http://www.guidoscorza.it/?p=110 La posizione è pubblicata a questa URL: http://www.edoeb.admin.ch/themen/00794/01124/01126/01127/index.html?la ng=it 48 La posizione del Gruppo art. 29 è pubblicata a questa URL: http://ec.europa.eu/justice_home/fsj/privacy/docs/wpdocs/2005/wp104_fr.pdf 47 108 Sono sempre stato un fiero sostenitore della cultura giuridica italiana ed ho sempre creduto che ‐ nonostante tante storture ‐ avessimo più da insegnare che da apprendere ma, la decisione resa nei giorni scorsi dal Giudice Lorenzo F. Garcia della Corte Federale del New Mexico in una vicenda giudiziaria analoga all'ormai celebre Caso Peppermint mi ha indotto a ricredermi… Richiesto, in via d'uregenza, di ordinare ad un'Università di comunicare alla RIIA ‐ l'associazione delle Major di oltreoceano ‐ i nominativi di alcuni studenti rei di aver condiviso brani musicali attraverso una piattaforma di P2P il Giudice Garcia ha respinto tale istanza sostenendo che sarebbe stato necessario "uno sciopero della ragione" per ritenere sussistente, in un caso del genere, il requisito dell'urgenza necessario ad emettere l'ordine richiesto. Secondo il Giudice americano, infatti, il danno lamentato dai discografici avrebbe natura patrimoniale e sarebbe, in quanto tale, sempre riparabile. Anche l'Ordinamento italiano richiede ai fini dell'emissione dei provvedimenti ex art. 700 c.p.c. sin qui emessi dal Tribunale di Roma in favore della Peppermint e dei suoi compagni di merenda la sussistenza del c.d. periculum in mora ovvero di un pregiudizio imminente ed irreparabile che il ricorrente correrebbe qualora la sua istanza non venisse accolta… La ragione dei Giudici italiani, tuttavia ‐ per usare le parole di Garcia ‐ era evidentemente in scipero nel momento in cui hanno emesso i richiesti provvedimenti cautelari… Non c'è e non c'era nessuna urgenza nel soddisfare le richieste della Peppermint né, tale urgenza, poteva essere rntracciata nella circostanza che gli ISP avrebbero provveduto alla cancellazione dei dati…per porsi al riparo da tale rischio, infatti, sarebbe stato sufficiente ordinare a questi ultimi di conservarli! La famosa transazione proposta dalla Peppermint ai consumatori poteva attendere mentre il rispetto del diritto alla privvacy di questi ultimi avrebbe richiesto più attenta valutazione… L'augurio, a questo punto, è che nei successivi procedimenti qualcuno ricordi ai Giudici romani il monito del collega americano e la necessità di prestare maggiore attenzione nell'accogliere una domanda in via d'urgenza se…l'urgenza non esiste! Lo sciopero della ragione dilaga in Europa. 8 luglio 2007 http://www.guidoscorza.it/?p=116 109 Qualche settimana fa ho dedicato un post allo “sciopero della ragione” dei giudici italiani nel caso Peppermint. A leggere una recente decisione dei magistrati francesi della Corte d’Appello di Parigi temo, tuttavia, di dover prendere atto che lo sciopero della ragione nella magistratura europea stia dilagando…49 I Giudici francesi, infatti, pronunciandosi in un procedimento promosso contro un soggetto reo di aver condiviso opere protette da diritto d’autore attraverso una piattaforma di P2P ed identificato attraverso il proprio indirizzo IP, hanno affermato che detto indirizzo non costituirebbe un dato personale non essendo suscettibile di consentire l’identificazione di una persona ma più semplicemente di una macchina. La decisione rischia di legittimare Peppermint ed i suoi compagni di merenda a proseguire nella loro attività di spionaggio di massa ma è giuridicamente inaccettabile. L’indirizzo IP è un dato personale in quanto esso consente l’individuazione di una persona fisica ovvero del suo assegnatario. Che poi tale persona sia un soggetto diverso all’autore di una determinata condotta e che l’IP non consenta di identificarlo, questo mi sembra sia un altro discorso. Come si fa in un procedimento intentato contro un soggetto identificato attraverso il tracciamento di un indirizzo IP a sostenere che tale indirizzo non consente di identificare una persona? Non capisco… Ma lo sciopero della ragione dilaga anche in Belgio dove i giudici ‐ in una sorta di viaggio nel tempo ‐ hanno riaffermato la responsabilità degli ISP per i contenuti condivisi in rete dagli utenti ed ordinato ad uno di essi di predisporre dei sistemi di filtraggio per evitare tali condotte…50 Da non crederci! La non responsabilità degli ISP per le condotte riconducibili ai propri utenti è una delle più importanti conquiste di civiltà giuridica del diritto dell’Internet dell’ultimo decennio. Parliamone. Il testo integrale della decisione è pubblicato a questa URL: http://www.legalis.net/jurisprudence‐decision.php3?id_article=1955 50 Cfr. Post successivi. 49 110 Oltre Peppermint: travolti i diritti fondamentali dei cittadini elettronici. 20 luglio 2007 http://www.guidoscorza.it/?p=127 Mentre il popolo della Rete (me compreso) guardava al caso Peppermint e tentava di salvaguardare il diritto alla privacy di migliaia di cittadini posto a repentaglio da un'azzardata iniziativa a tutela di qualche migliaia di euro di diritti di proprietà intellettuale, i Giudici del Tribunale di Bruxelles travolgevano, tutto d'un colpo, i diritti fondamentali (non solo alla privacy ma anche e soprattutto alla libertà di manifestazione del pensiero) di milioni di utenti europei pronunciando un provvedimento con il quale, per la prima volta nella storia dell'internet civile (o presunto tale) si ordina ad un ISP di adottare misure tecniche di filtraggio al fine di impedire lo scambio di materiale protetto da diritto d'autore nell'ambito delle piattaforme di Peer to Peer. Il contenuto della decisione ed i principi che vi sono stabiliti non possono non suscitare più che stupore indignazione51. I Giudici, infatti, nella piena consapevolezza maturata all'esito di una consulenza tecnica d'ufficio che non esistono allo stato tecnologie idonee a garantire una puntuale attività di filtraggio tra condivisione di files leciti ed illeciti e che, pertanto, l'adozione di una simile tecnologia finirà, inesorabilmente, con il precludere a milioni di utenti la condivisione di contenuti non protetti da alcuna privativa, sono comunque giunti alla conclusione di ordinare alla SA Scarlet (già SA Tiscali) di dotarsi entro sei mesi del sistema di filtraggio Audible Magic idoneo, sebbene con una certa approssimazione (sic!), a filtrare le opere musicali presenti nel repertorio della SABAM, la società di intermediazione dei diritti d'autore belga. Nel provvedimento i Giudici scrivono a chiare lettere che la circostanza che detta misura tecnica rischierebbe di precludere la condivisione di contenuti leciti non può valere a far rinunciare alla possibilità di far cessare condotte di violazione dei diritti d'autore attraverso la sua adozione. Ma, i giudici belgi, si spingono oltre ed affermano che sarebbe difficile comprendere "in cosa il software di filtraggio violerebbe il diritto alla segretezza della corrispondenza o alla libertà di manifestazione del pensiero". Siamo davanti ‐ o almeno questo è il mio convincimento ‐ alla più grande operazione di web‐censura della storia ed è Il testo integrale della decisione è pubblicato a questa URL: http://www.juriscom.net/jpt/visu.php?ID=939 51 111 urgente intervenire prima che certe idee si radichino in altri Paesi Europei. Se esistesse una tecnologia per rendere impossibile agli utenti condividere SOLO files protetti ad altrui diritti d'autore in modo non autorizzato, sarei il primo a suggerirne l'adozione ma sin tanto che non sarà così, una sola parola libera censurata in una piattaforma di peer to peer vale più di milioni di brani musicali scambiati illegalmente… Filtro e a capo! 28 ottobre 2008 http://www.guidoscorza.it/?p=369 Come ricorderanno i lettori più affezionati nel giugno del 2007 il Tribunale di Bruxelles, accogliendo un ricorso in tal senso proposto dalla Sabam ‐ la SIAE belga ‐ aveva ordinato alla Scarlet ‐ uno dei più grandi ISP del Belgio ‐ di adottare, peraltro a proprie spese, un complesso sistema di filtraggio affinché i propri utenti non utilizzassero la connettività da essa fornita per condividere, comunicare e diffondere materiale protetto da diritto d'autore. Con la stessa decisione i Giudici avevano, inoltre, imposto alla Scarlet una penale piuttosto salata per ogni giorno di ritardo ‐ superiore ai sei mesi concessile ‐ con il quale essa avrebbe implementato la citata soluzione. All'epoca nel commentare la notizia scrivevo che la decisione era un brutto esempio di inciviltà giuridica perché in nome della tutela dei diritti patrimoniali d'autore di pochi si accettava il rischio ‐ attraverso il filtraggio ‐ di travolgere diritti fondamentali di molti. E' per questo che ho salutato con soddisfazione la notizia secondo la quale, il 22 ottobre scorso, lo stesso Tribunale, accogliendo un'istanza in tal senso proposta dalla Scarlet, ha preso atto che le soluzioni di filtraggio cui questa ha lavorato ‐ con i fornitori impostile nella citata decisione ‐ si sono, sin qui, rilevate inadeguate a risolvere il problema o perché filtravano indebitamente contenuti legalmente comunicati dagli utenti o perché non riconoscevano adeguatamente le impronte dei contenuti digitali protetti da diritti d'autore. Il Giudice, con lo stesso provvedimento, ha anche sollevato la Scarlet dall'obbligo di pagamento delle penali, riconoscendo che, evidentemente, l'impossibilità di attuare l'ordine a suo tempo indirizzatole non dipende dalla propria cattiva volontà né dalla mancanza di buona fede ma, piuttosto, da un limite tecnologico che, allo stato, appare difficilmente superabile. 112 Filtro e a capo, direi…con la speranza che Lorsignori abbandonino definitivamente l'idea che filtrare sia la soluzione per risolvere i mali della cultura digitale. Vittoria! 16 luglio 2007 http://www.guidoscorza.it/?p=125 Il Tribunale di Roma, Giudice Dr.ssa Antonella Izzo ha respinto ‐ o così sembrerebbe dalle prime informazioni disponibili presso la cancelleria ‐ il ricorso ex art. 700 c.p.c. proposto dalla Techland SP ZO.O contro la Telecom Italia S.p.A. per l'ostensione dei nominativi di migliaia di utenti che avrebbero condiviso via P2P un celebre videogame prodotto dalla società polacca. Si tratta di uno dei primi procedimenti cautelari, nell'ambito dell'ormai famoso Caso Peppermint & C., nel quale il Garante per la Privacy, raccogliendo l'invito raccolto dal popolo della Rete, dagli addetti ai lavori e dalle associazioni dei consumatori, era intervenuto. Non conosco ancora il contenuto del provvedimento ma tutto lascia ritenere che il magistrato abbia fatto proprie le eccezioni sollevate dall'Avvocatura dello Stato per conto del Garante. Speriamo che sia così per poter gridare:‐ "Giustizia è fatta!". Giustizia è fatta: la privacy ha vinto! 24 luglio 2007 http://www.guidoscorza.it/?p=129 La lettura del provvedimento reso nei giorni scorsi dal Tribunale di Roma nel procedimento promosso dalla Peppermint e dalla Techland contro la Wind dissipa ogni dubbio circa le motivazioni che hanno determinato la disfatta dei titolari dei diritti e la vittoria degli utenti. Nell'Ordinanza il Dr. Costa del Tribunale di Roma ‐ facendo sue le eccezioni difensive sollevate dall'Ufficio del Garante per la Privacy ‐ scrive a chiare lettere che la Logistep ha trattato illecitamente i dati di migliaia di utenti facendosi ingiustificatamente schermo dell'art. 24 del Codice privacy e che, pertanto, detti dati (gli IP degli utenti) non avrebbero dovuto essere utilizzati in alcuna sede ivi inclusa quella giudiziaria. Nel provvedimento, peraltro, il Giudice chiarisce in modo esemplare che, egualmente, Peppermint e Techland ‐ anche a presciondere dall'origine dei dati acquisiti ‐ non hanno alcun diritto, alla stregua di quanto disposto dalla vigente disciplina in 113 materia di privacy nelle comunicazioni elettroniche, di ottenere dai providers i dati personali dei propri utenti. Si tratta, ovviamente, solo di un provvedimento cautelare che non ha un peso maggiore di quelli sin qui resi dallo stesso Tribunale di Roma con i quali erano stati accolti i ricorsi della Peppermint ma, certamente, il rigore del ragionamento sviluppato nella motivazione dell'Ordinanza e la circostanza che, per la prima volta, il Giudice abbia avuto la possibilità di considerare le ragioni della Privacy sostenute dall'Ufficio del Garante, lascia ben sperare. Peppermint & C. ora sono avvertiti: le loro accuse all'indirizzo di migliaia di utenti sono fondate su dati che, domani ‐ un giudice penale o civile che sia ‐ con ogni probabilità dichiarerebbe radicalmente inutilizzabili. Buona giornata a tutti! Chi sono i pirati portati alla sbarra dalla Peppermint. 27 luglio 2007 http://www.guidoscorza.it/?p=132 Ho già scritto ed è stato già scritto in modo assai più Autorevole che uno degli aspetti più sconvolgenti del caso Peppermint è il presupposto da cui muovono gli accusatori secondo il quale i titolari della linea telefonica sarebbero i pirati da portare alla sbarra, persone che non avrebbero diritto alla privacy avendo gravemente violato i diritti d'autore su qualche bit di musica così e così distribuita dall'etichetta teutonica… Negli ultimi mesi ho raccolto direttamente ed attraverso gli amici di Altroconsumo decine di segnalazioni di presunti Pirati poco pirati. Ve ne racconto qualcuno un pò per far sorridere ed un pò per far cogliere la gravità dell'errore nel quale sono incorsi in casa Peppermint sovrapponendo il concetto di titolare di un'utenza telefonica e di utente di una piattaforma di Peer to peer… I nomi, a proposito di privacy, mi è sembrato opportuno mascherarli… (A) Ci sono, Alfa e Beta, padre e figlio: entrambi destinatari di una comunicazione del collega Otto. Il primo è intestatario di un contratto ADSL mentre il secondo è minorenne e, ovviamente, non è intestatario di alcuna linea telefonica! Da dove salta fuori il nome di Beta? Coma hanno fatto in casa Peppermint a disporre anche di questo nome? (B) C'è Gamma, non vedente ma titolare di una linea telefonica. Un altro pirata che, sfortunatamente per lui non utilizza piattaforme di Peer to peer. 114 (C) C'è Delta che ha da poco perso il padre e che si è visto recapitare una delle migliaia di lettere firmate dal buon Otto nelle quali si da del pirata a suo padre… Ci sarebbe di che ridere se..non ci fosse da piangere per la superficialità ed il pressapochismo che ha contraddistinto l'iniziativa dei titolari dei diritti. Se il Garante ‐ come appare probabile ‐ confermerà che la condotta della Peppermint è stata illecita…credo che dovremo iniziare a pensare tutti insieme ad un lauto risarcimento da chiedere ai signori della casa discografica teutonica ed ai loro campagni di (video)gioco… Magari potremmo proporgli una transazione: distribuire musica gratuitamente per i prossimi 5 anni e impegnarsi a non ripetere certe brutte esperienze di schedatura di massa. Ci rivolgiamo ad un legale esperto di transazioni? Avete un nome da suggerirmi? Caso Peppermint: Giustizia è fatta…anzi quasi fatta. 13 marzo 2008 http://www.guidoscorza.it/?p=272 Il Garante della Privacy con un bel provvedimento pubblicato qualche ora fa ha scritto la parola fine ‐ o quasi fine ‐ al Caso Peppermint statuendo che la Peppermint Jam Records Gmbh, la Techlans sp.z.o.o e la Logistep Ag hanno illegittimamente trattato i dati personali di migliaia di utenti italiani delle piattaforme di peer to peer52. Il testo integrale del provvedimento pronunciato dal Garante: GARANTE PER LA PROTEZIONE DEI DATI PERSONALI NELLA riunione odierna, in presenza del prof. Francesco Pizzetti, presidente, del dott. Giuseppe Chiaravalloti, vicepresidente, del dott. Mauro Paissan e del dott. Giuseppe Fortunato, componenti e del dott. Giovanni Buttarelli, segretario generale; VISTE le recenti ordinanze con le quali il Tribunale di Roma –come richiesto da questa Autorità – ha rigettato alcuni ricorsi con i quali le società Peppermint Jam Records GmbH (di seguito, Peppermint), casa discografica con sede in Germania e Techland sp. z. o.o. (di seguito, Techland), società che elabora e commercializza giochi elettronici avente sede in Polonia, intendevano ottenere da taluni fornitori di servizi di comunicazione elettronica la comunicazione delle generalità di soggetti ritenuti responsabili di aver scambiato file protetti dal diritto d'autore tramite reti peer to‐peer; RILEVATO che tali ricorsi si basavano sull'attività svolta per conto e su autorizzazione delle predette società da Logistep AG (di seguito, Logistep), società svizzera che, attraverso un'attività di monitoraggio delle reti peer‐to‐peer effettuata tramite un software proprietario, aveva individuato numerosi indirizzi Ip i cui titolari erano stati considerati responsabili della predetta condotta illecita; VISTA la nota del 25 maggio 2007 con la quale l'Autorità ha avviato accertamenti volti a verificare la liceità e la correttezza dei trattamenti di dati personali svolti 52 115 dalle predette società, alle quali è stato quindi chiesto di comunicare ogni informazione e documentazione utile per valutare le modalità con le quali, anche avvalendosi dell'attività di altri soggetti, sono stati concretamente raccolti e utilizzati i dati personali di utenti identificati o identificabili; rilevato che con tale nota si è chiesta, altresì, collaborazione e cooperazione alle autorità di protezione dei dati personali dei Paesi nei quali risultano stabilite le società medesime (Repubblica federale tedesca, Polonia e Svizzera); VISTE le note del 18 giugno e del 5 luglio 2007 con le quali l'avv. Otto Mahlknecht, che ha curato gli interessi delle società Peppermint e Techland, nel richiamare le deduzioni formulate nei diversi procedimenti giudiziari, ha fornito altri elementi conoscitivi sul funzionamento del software utilizzato da Logistep nell'attività svolta su incarico delle altre due società, allegando la perizia di un esperto del settore; VISTA la nota del 19 giugno 2007 con la quale Logistep ha fornito altre informazioni in merito alla propria attività e ha comunicato l'avvio di un'attività di collaborazione con l'autorità svizzera di protezione dati finalizzata a verificare la liceità dell'attività svolta; VISTA la comunicazione del 20 giugno 2007 con la quale l'autorità polacca per la protezione dei dati ha rappresentato di aver effettuato un accertamento ispettivo e di aver rilevato che Techland non ha svolto direttamente le attività necessarie per individuare le persone che scambiano illecitamente su reti peer‐to‐peer il software da essa sviluppato, e che tali attività sono state svolte, su propria autorizzazione, da Logistep, nonché da Logistep Polska, e curate poi dallo studio legale italiano dell'avv. Otto Mahlknecht; VISTA la nota del 22 giugno 2007 dell'autorità per la protezione dei dati personali per la Bassa Sassonia; VISTO il Codice in materia di protezione dei dati personali (d.lg. 30 giugno 2003, n. 196, di seguito, "Codice") e, in particolare, gli artt. 11, 13 e 122 del Codice; VISTA la documentazione in atti; VISTE le osservazioni formulate dal segretario generale ai sensi dell'art. 15 del regolamento del Garante n. 1/2000; RELATORE il dott. Mauro Paissan; PREMESSO 1. Oggetto del provvedimento Il presente provvedimento ha per oggetto la liceità e correttezza del trattamento di dati personali relativi a utenti identificabili operanti su reti peer‐to‐peer (di seguito, anche "p2p") che è stato effettuato a cura dapprima di Logistep AG e Logistep Polska su autorizzazione di Peppermint e Techland e, poi, presso il predetto studio legale italiano. Tale trattamento è avvenuto in due fasi: a) la prima, è consistita nella raccolta e nell'elaborazione automatizzata, anche nell'ambito di banche dati, di innumerevoli informazioni di carattere personale estratte tramite reti peer‐to‐peer per mezzo di un software denominato "file sharing monitor" (di seguito, fsm) utilizzato da Logistep; b) la seconda, si è basata sulla richiesta all'autorità giudiziaria italiana in sede civile di ordinare a taluni fornitori di servizi di comunicazione elettronica di rivelare le generalità degli intestatari degli interessati. A seguito di alcune prime pronunce del Tribunale di Roma che hanno provveduto in tal senso (cfr. causa Peppermint c/ Wind telecomunicazioni S.p.A., ordinanza del 18 agosto 2006 confermata, in sede di reclamo cautelare della Wind, con ordinanza del 22 settembre 2006 e, attualmente, in attesa che il giudice determini le modalità di attuazione dell'ordinanza di accoglimento; causa Peppermint c/Telecom Italia S.p.A., ordinanza del 28/29 novembre 2006, riformata in sede di reclamo della Peppermint con ordinanza del 9 febbraio 2007), il predetto legale ha inviato diverse centinaia di lettere a persone individuate quali intestatari di una linea di collegamento a Internet. Con tali lettere si è contestata la violazione dei diritti 116 derivanti dalla produzione di fonogrammi e si è proposta una risoluzione bonaria, alternativa anche alla denuncia in sede penale, basata sul rispetto di alcune condizioni comprensive di un versamento di 330 euro. Il presente provvedimento non riguarda, invece, la connessa questione oggetto più specificamente delle predette controversie instaurate presso il Tribunale di Roma nelle quali si è costituito anche il Garante e in cui, a modifica del primo orientamento giurisprudenziale sopramenzionato, il Tribunale ha statuito che i fornitori di servizi di comunicazione elettronica, allo stato della legislazione vigente, non possono comunicare in sede giurisdizionale civile a Peppermint e Techland i nominativi degli interessati ritenuti responsabili di violazioni del diritto d'autore in rete. Ciò, stante la specifica disciplina della conservazione dei dati di traffico, prevista solo per finalità di accertamento e repressione di reati (art. 132 del Codice; cfr. causa Peppermint e Techland c/Wind Telecomunicazioni S.p.A.,ordinanza 14 luglio 2007; causa Peppermint e Techland c/ Telecom Italia S.p.A.,ordinanza 14 luglio 2007; causa Peppermint c/ Wind telecomunicazioni S.p.A., ordinanza 26 ottobre 2007; cfr.,anche, comunicato stampa del 17 luglio 2007, pubblicato sul sito web dell'Autorità). Tale profilo della comunicazione dei dati di traffico è stato esaminato, da ultimo, dalla Corte di giustizia delle Comunità europee la quale si è pronunciata su una questione per molti aspetti simile (sentenza 29 gennaio 2008, pronunciata nella causa C‐275/06 Promusicae c/ Telefonica de Espana Sau). La Corte ha confermato che il diritto comunitario consente agli Stati membri di circoscrivere all'ambito delle indagini penali o della tutela della pubblica sicurezza e della difesa nazionale ‐a esclusione, quindi, dei processi civili‐ il dovere di conservare e mettere a disposizione i dati sulle connessioni e il traffico generati dalle comunicazioni effettuate durante la prestazione di un servizio della società dell'informazione. La Corte ha rilevato che anche i dati di traffico conservati per finalità di fatturazione non possono essere utilizzati in "controversie diverse da quelle insorgenti tra i fornitori e gli utilizzatori, relative ai motivi della memorizzazione dei dati avvenuta per attività previste dalle disposizioni [dell'art. 6 della direttiva 2002/58/Ce]" (cfr. art. 123 del Codice); da ciò, ha escluso la possibilità che tali dati potessero essere messi a disposizione per controversie civili relative ai diritti di proprietà intellettuale (cfr. punto 48 della sentenza; artt. 15, n. 2, e 18 della direttiva 2000/31/Ce relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della Società dell'informazione, in particolare il commercio elettronico, nel mercato interno; artt. 8, nn. 1 e 2 direttiva 2001/29/Ce sull'armonizzazione di taluni aspetti del diritto d'autore e dei diritti connessi nella società dell'informazione; art. 8 direttiva 2004/48/Ce sul rispetto dei diritti di proprietà intellettuale; artt. 17, n. 2 e 47 Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea). 2. Risultanze istruttorie e funzionamento del software fsm Nelle centinaia di lettere inviate a utenti in Italia, il legale che ha agito per conto di Peppermint ha dichiarato che sulla base dei risultati acquisiti grazie al predetto software "antipirateria" appositamente realizzato, ritenuto di assoluta affidabilità e attendibilità, è stato possibile accertare che: * ciascun destinatario delle lettere aveva violato il diritto d'autore a partire dalla linea di rete Internet risultante nella rispettiva titolarità, mettendo indebitamente file musicali a disposizione di terzi; * ciò, risultava avvenuto mediante un software di condivisione contemporanea di file (c.d. peer‐to‐peer) che altri utenti risultavano aver utilizzato per connettersi al p.c. dei destinatari delle lettere e per scaricare i file musicali da una cartella a questo dedicata. Lo scambio di file via Internet rientra nella nozione di "comunicazione" anche quando ha per oggetto contenuti protetti dal diritto d'autore, tenuto conto che la 117 nozione stessa include lo "scambio o la trasmissione di informazioni", "tramite un servizio di comunicazione elettronica accessibile al pubblico", tra "un numero finito di soggetti" (cfr. art. 2, lettera d), primo periodo, della direttiva 2002/58/CE e art. 4, comma 1, lett. l) del Codice). Quest'ultimo riferimento tende a distinguere l'ambito delle "comunicazioni private" da quello delle "comunicazioni al pubblico". La circostanza che il sistema peer‐to‐peer consenta l'accesso a un numero potenzialmente elevato di utenti non rende "infinito", o del tutto indeterminabile, il numero dei soggetti della comunicazione. Quest'ultima, è infatti rivolta non a una platea indistinta di utenti, ma a soggetti delimitati che possono essere identificati. Manca, tra l'altro, la simultaneità e l'unicità della trasmissione che sono caratteristiche qualificanti di una "comunicazione al pubblico" (come è nel caso del "servizio di radiodiffusione" ‐c.d. broadcasting‐, espressamente escluso dall'ambito applicativo della nozione di comunicazione elettronica: cfr., anche, art. 4, comma 2, lett. a) del Codice). L'attività di ricognizione condotta da Logistep risulta essersi focalizzata su due importanti reti p2p, GNUtella e eDonkey e utilizzando il sistema software fsm, sviluppato integrando e modificando software liberamente disponibili sulla rete per collegarsi a reti p2p. Il software fsm consente: a) usuali operazioni effettuabili tramite i comuni client, eccettuata la condivisione di file eventualmente scaricati dalla rete; b) l'archiviazione a scopo di documentazione di tutte le informazioni usualmente caratterizzate da "volatilità", perché non necessarie una volta che la trasmissione dei file è avvenuta; c) di correlare le attività sulle reti p2p di un determinato utente al variare dell'indirizzo Ip assunto, nonché del provider utilizzato (il clock del programma risulta sincronizzato con una sorgente esterna, mentre viene tenuta traccia dell'identificativo Guid, generato al momento dell'installazione dei client). In sostanza, il software fsm permette di tenere traccia della disponibilità in rete di un certo "contenuto"; di verificarne l'effettiva possibilità di acquisizione, effettuandone lo scaricamento (download), ovvero la copia in rete dalle aree di condivisione degli utenti che ospitano quel contenuto verso i propri computer; di verificarne la segnatura digitale con algoritmo SHA1 o MD5 (in dipendenza dal protocollo p2p utilizzato); di controllarne la diffusione, verificando l'esistenza di altre condivisioni presuntivamente riferibili a una pregressa attività di "download" (sul presupposto che la quasi totalità degli utenti che condividono uno specifico contenuto lo abbiano a loro volta acquisito da un'altra fonte nella rete, tranne eventualmente il soggetto che originariamente lo abbia messo per la prima volta in condivisione, con una specifica segnatura digitale). In particolare, il sistema fsm consente la raccolta dei seguenti dati: indirizzi Ip dell'offerente, il nome e il valore Hash del file, la misure del file, l'user name, il Guid, la data e l'ora del download. In altre parole, come emerge dalla stessa perizia prodotta dall'avv. Mahlknecht, il software fsm accerta da chi, e quando, viene offerto quale file per un downloading e da chi, quando e per quanto tempo viene effettivamente copiato tale file; riconosce i tentativi dei partecipanti di sistemi di condivisione file di modificare il loro indirizzo Ip; organizza tali informazioni in una banca dati. Anche se non risulta in atti che il sistema fsm svolga attività intrusive o installazioni di software o di altri componenti sul terminale dell'utente che partecipa al file sharing, e sebbene non risultino allo stato significativi elementi di diversità nelle modalità di funzionamento di tale software rispetto ai normali client che agiscono sulle reti p2p, il trattamento svolto da Logistep su incarico di Peppermint e Techland non può comunque ritenersi lecito. 3. Profili di illiceità e non correttezza del trattamento 118 Il trattamento in questione è stato inizialmente effettuato a partire da un Paese (la Svizzera), dotata di una legge di protezione dei dati e che ha ratificato la Convenzione di Strasburgo n. 108/1981, e la cui autorità di protezione dei dati ne ha già dichiarato, per questa parte, l'illiceità. La Préposé fédéral à la protection des donne et à la transparence (PFPDT), con una recente pronuncia adottata all'esito di un procedimento avviato anche su impulso di questa Autorità, ha ritenuto che il trattamento svolto da Logistep su incarico di Peppermint e Techland e che ha riguardato anche informazioni memorizzate su p.c. di utenti italiani, ha violato alcuni princìpi fondamentali della legge federale sulla protezione dei dati personali (decisione del 9 gennaio 2008). E' risultato in particolare violato il principio di liceità (in ragione del fatto che la raccolta dei dati è stata effettuata in mancanza di una base legale esplicita). Si è ritenuto in secondo luogo violato il principio di finalità (in quanto la registrazione sistematica dei dati degli utenti ha perseguito scopi diversi da quelli tipici delle reti peer‐to‐peer). Non sono stati, altresì, rispettati i princìpi di buona fede e trasparenza, in quanto la raccolta dei dati è avvenuta senza che gli interessati potessero esserne consapevoli (sia per le circostanze nelle quali la raccolta è avvenuta, sia perché non informati) e i dati possono essere stati raccolti all'insaputa di abbonati che non sono, necessariamente, i soggetti coinvolti nello scambio dei dati. Infine, è risultato violato il principio di proporzionalità (in quanto il diritto alla segretezza delle comunicazioni è risultato limitabile solo nell'ambito di un bilanciamento con un diritto di pari grado e, quindi, allo stato, non per l'esercizio di un'azione civile). Non risultano in atti elementi più specifici di valutazione delle modalità di trattamento di dati che è stato effettuato a cura di Logistep Polska, il quale, qualora si sia svolto con le modalità sopraindicate, si è posto anch'esso in violazione dei princìpi di trasparenza, finalità, correttezza e buona fede richiamati sia dalla Convenzione di Strasburgo, sia dalla direttiva 95/46/Ce e dalla stessa disciplina nazionale di protezione dati (cfr. art. 5 Conv. n. 108/1981 cit., art. 6 direttiva 95/46/Ce). I trattamenti in esame, effettuati in modo massivo e capillare per un periodo di tempo prolungato e nei riguardi di un numero elevato di soggetti, hanno consentito di tenere traccia analitica delle operazioni compiute da innumerevoli, singoli utenti relativamente a specifici contenuti protetti dal diritto d'autore. Per le modalità con le quali la raccolta dei dati è stata svolta, si è configurata un'attività di monitoraggio vietata a soggetti privati dalla direttiva 2002/58/Ce (art. 5; cfr. art. 122 del Codice). Le reti p2p sono finalizzate allo scambio fra utenti di dati e file per scopi sostanzialmente personali, mentre il software fsm "non è destinato allo scambio di dati, ma al monitoraggio ed alla ricerca di dati, che utenti di reti P2P mettono a disposizione a terzi" (cfr. nota del 5 luglio 2007 dell'Avv. Otto Mahlknecht). I dati che gli utenti mettono in rete possono essere utilizzati per le finalità per le quali tale pubblicazione avviene (cfr., fra gli altri, Provv. del 14 giugno 2007, doc. web n. 1424068). L'utilizzo dei dati dell'utente delle reti peer‐to‐peer può, quindi, avvenire per le finalità sue proprie e non già, in modo non trasparente, per scopi ulteriori, quali quelli perseguiti da Logistep, Peppermint e Techland. Il trattamento è risultato viziato anche sotto il profilo della trasparenza e della correttezza, posto che non è stata fornita alcuna informativa preliminare agli utenti. Dalla descrizione resa dalle società sul funzionamento del software fsm si è potuto rilevare che, mentre gli indirizzi Ip sono stati acquisiti da un terzo rispetto agli utenti (il tracker), gli altri dati (ossia, i file offerti in condivisione, data e ora del download) sono stati raccolti direttamente presso gli interessati. Il Tribunale di Roma ha riconosciuto, per tali informazioni, la natura di "dati personali" relativi a utenti identificabili i quali dovevano essere informati di tale 119 Il Garante ‐ riservandosi, peraltro, di approfondire il profilo relativo all'invio da parte del legale della Peppermint delle famose proposte transattive ‐ ha ordinato alle tre società di sospendere immediatamente ogni ulteriore trattamento dei dati illegittimamente acquisiti e di cancellarli entro il 31 marzo 2008. E' una bella vittoria per il diritto alla privacy e per chi come Altroconsumo sin dall'inizio di questa vicenda si è schierato dalla parte degli utenti evidenziando, in ogni sede, come la tutela dei diritti di proprietà intellettuale non potesse giustificare il monitoraggio e la schedatura di massa degli utenti delle piattaforme P2P. E' una vittoria della Rete e non certo dei pirati come domani qualcuno si affretterà a sostenere. ulteriore e inatteso trattamento (v. anche Parere del Gruppo Art. 29 del 18 gennaio 2005 in materia di diritti di proprietà intellettuale, nel quale è stato rilevato che nessun dato personale può essere raccolto senza che l'interessato sia correttamente e preventivamente informato, in maniera trasparente, sulle eventuali modalità di controllo e sull'identità del soggetto che lo effettua, prima che il trattamento abbia inizio e prima che l'interessato fornisca i dati personali attraverso il download Working document on data protection issues related to intellectual property rights ‐ January 18, 2005 ‐ WP104.pdf). 4. Conclusioni Come premesso, una seconda fase del trattamento dei dati connesso all'invio delle lettere è avvenuta nel territorio dello Stato, utilizzando dati personali relativi a persone identificabili e raccolti illecitamente. Si rende pertanto necessario, a definizione della complessa istruttoria preliminare, provvedere in ordine all'ulteriore utilizzazione di tali dati sul territorio dello Stato. Ciò, senza che occorra proseguire gli accertamenti per verificare anche se, e in quale misura, la disciplina italiana di protezione dei dati trovi in tutto o in parte applicazione anche alla prima fase di raccolta automatizzata dei dati, alla luce della disposizione normativa secondo cui la legge italiana si applica ai trattamenti effettuati da soggetti stabiliti nel territorio di un Paese non appartenente all'Unione europea il quale impieghi, per il trattamento, strumenti situati nel territorio dello Stato (quali i p.c. degli utenti italiani, dai quali Logistep ha chiaramente tratto gli indirizzi Ip: art. 5 del Codice). In ragione delle predette risultanze non possono che confermarsi le valutazioni di illiceità e non correttezza già tratteggiate nelle memorie di costituzione in giudizio nelle controversie dinanzi al Tribunale di Roma –e note alle controparti –, e conseguentemente disporsi il divieto nei confronti delle predette tre società di ulteriore utilizzazione dei dati personali raccolti illecitamente, nonché la loro cancellazione entro il termine del 31 marzo 2008. TUTTO CIÒ PREMESSO IL GARANTE ai sensi degli artt. 143, comma 1, lett. c) e 154, comma 1, lett. d) del Codice dispone, nei termini di cui in motivazione, nei confronti di Peppermint Jam Records GmbH, Techland sp. z. o.o. e Logistep AG, il divieto dell'ulteriore trattamento dei dati personali relativo a soggetti ritenuti responsabili di aver scambiato file protetti dal diritto d'autore tramite reti peer‐to‐peer e ne dispone la cancellazione entro il termine del 31 marzo 2008. Roma, 28 febbraio 2008 120 Finalmente, quindi, migliaia di utenti italiani potranno tirare un sospiro di sollievo e dormire sonni tranquilli: nessuno busserà alla loro porta con nuovo improbabili proposte transattive né denunce. I dati personali a suo tempo raccolti dalle società Peppermint. Techland e logistep, infatti, sono ormai inutilizzabili. La storia, tuttavia, non finisce qui: qualcuno, evidentemente, dovrà pagare lo stress, le umiliazioni ed i costi sopportati da migliaia di consumatori italiani per effetto dell'illegittima operazione lanciata dall'etichetta discografica tedesca e dalla software polacca e condotta dagli investigatori elettronici della Logistep. P.S. Forse il Collega Mahlknecht e la Logistep dovrebbero aggiornare i loro siti non dico per dar conto delle decisioni dei garanti svizzero e italiano ma, almeno, per sottrarsi ad ulteriori contestazioni…questa volta per pubblicità ingannevole! 121 4. La libertà di manifestazione in Rete. Internet, free speech e webcensura. Liberi di pensare, liberi di bloggare!| Agosto 2008 Internet Magazine Sequestri di Blog, contestazioni per stampa clandestina, querele per diffamazione on‐line seguite da cause risarcitorie a sei zeri ed arresti di blogger sono ormai entrati a far parte della cronaca quotidiana della Rete in Cina come nel nostro Paese, negli Stati Uniti come in Afganistan. Cosa sta accadendo? Perché tanta crescente attenzione e tanto rigore nei confronti di chi utilizza Internet per far sentir la sua voce, per far conoscere il proprio pensiero o, piuttosto, per aprire un dibattito su questioni politiche, economiche o sociali? La libertà di manifestazione del pensiero non costituisce forse uno dei diritti inviolabili dell’uomo secondo la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e del cittadino e le Carte Costituzionali di molti Paesi evoluti e, persino, di alcuni Paesi in via di sviluppo? Per rispondere a queste domande occorre partire da un presupposto inconfutabile: Internet è il più grande mezzo di comunicazione di massa della storia dell’umanità e ciò sia in termini di destinatari dell’informazione sia in termini di produttori di informazione anche perché le due categorie – nelle dinamiche dell’informazione on‐line ‐ coincidono perfettamente. In Rete, chiunque, in pochi click, può trasformarsi da lettore distratto di una testata on‐line, di un blog o di una bacheca elettronica in produttore di informazioni attraverso un blog, un commento, un annuncio o, piuttosto, una propria pagina web ed essere letto da un pubblico potenzialmente infinito e, comunque, migliaia di volte più ampio rispetto a quello dei lettori di quotidiani o degli spettatori dei TG nelle ore punta. Le dimensioni planetarie del fenomeno costituiscono, certamente, una delle principali ragioni di un tanto acceso confronto tra chi utilizza internet per diffondere informazioni, i Governi e la Magistratura di molti Paesi. Un post su un Blog ad alta visibilità può contribuire a formare o consolidare movimenti di opinioni, essere utilizzato per dar vita a manifestazioni e riempire piazze come insegnano la recente esperienza cinese o, piuttosto, la nostrana storia dei Vdays ma può anche servire per influenzare l’andamento di un mercato – 122 basti pensare alle conseguenze di indiscrezioni sull’uscita di un nuovo modello di telefonino – o per condizionare l’andamento di governi o il successo di uomini politici. Tutto ciò non può non porre in allarme un sistema che, sino a ieri, era abituato – anche nei regimi tradizionalmente considerati democratici – ad avere il controllo pressoché assoluto dell’informazione. Ma c’è di più. L’aspetto quantitativo non basta, infatti, a spiegare quanto sta accadendo. Ogni giorno nascono in Rete nuove e multiformi soluzioni idonee a consentire a chiunque di dire la sua su un dato problema o, piuttosto, a trasformarsi in reporter d’assalto ed a raccontare al mondo un suo viaggio, una sua esperienza o la vera storia di una guerra che si combatte in angoli remoti del pianeta. I blog, gli UGC – User Generated Content – le bacheche elettroniche, le mailing list, i siti personali e, per finire, Citizen News ‐ ultima creatura di casa Google che promette di trasformare chiunque in un giornalista ‐ mettono a dura prova l’elasticità della disciplina della materia che è interamente costruita – nella più parte dei Paesi – su una profonda distinzione tra l’informazione “professionale” e quella “amatoriale”. Un blogger, infatti, oggi, si rivolge ad un pubblico quantitativamente equivalente – ed anzi superiore ‐ a quello cui si rivolge una testata giornalista cartacea o, piuttosto, televisiva e, ad analogo pubblico si rivolge chiunque posti un video su YouTube o, piuttosto, “firmi” un servizio per Citizen News. Si tratta di un fenomeno senza precedenti che deve essere salutato con favore perché consente, oggi, per la prima volta nella storia dell’uomo, la piena attuazione di quella libertà di manifestazione del pensiero in relazione alla quale, solo qualche decennio fa, i Giudici della Corte Costituzionale erano costretti a scrivere che “che il diritto di libertà di diffusione del pensiero con qualsiasi mezzo, garantito dal primo comma dell'art. 21 Cost., non significa anche diritto di disporre di qualsiasi mezzo di diffusione del pensiero, ma soltanto diritto di diffondere il pensiero con i mezzi disponibili e in quanto disponibili (alla stessa maniera, ad es., che la libertà di domicilio non implica anche il diritto ad avere senz'altro un domicilio).”. Occorre, tuttavia, riconoscere che il progressivo ampliamento del popolo degli informations makers e, soprattutto, la circostanza che, oggi, tali soggetti dispongono di strumenti analoghi per potenzialità e forza di diffusione a quelli di cui dispongono i giornalisti di professione impone di rivedere e ripensare la disciplina sull’informazione nel suo complesso. 123 L’incapacità dei Governi della più parte dei Paesi di cogliere il senso della rivoluzione delle dinamiche dell’informazione in atto e di riscrivere la disciplina applicabile a tale materia costituisce, certamente, una delle principali cause della stagione di grande tensione che stiamo vivendo. Nel regime tradizionale, infatti, la Legge, generalmente, accorda maggiori garanzie a editori e giornalisti professionisti rispetto a quelle riconosciute al semplice cittadino che voglia dire la sua, imponendo, tuttavia, ad un tempo, sulle spalle dei primi un regime di responsabilità per eventuali condotte illecite più rigoroso. Tale “doppio binario” trovava fondamento – cinquant’anni fa quando la disciplina sulla stampa tuttora in vigore ha visto la luce ‐ in un presupposto la cui attualità nell’Era di Internet non appare affatto scontata: i media professionali godono di maggior credibilità e, soprattutto, raggiungono un più ampio pubblico rispetto a quello raggiungibile da un cittadino qualunque. Tutto questo non è più, evidentemente, vero. In tale contesto è naturale – ancorché non condivisibile – la tentazione – ma forse bisognerebbe parlare di tendenza ‐ di Giudici ed Ordinamenti a trattare un blogger come un giornalista o, piuttosto, un UGC come Youtube da editore. Il punto è che un blog non è un giornale e un UGC non è un editore ma, sfortunatamente, questo non è scritto come dovrebbe nelle leggi vigenti nelle quali si fa fatica a trovare un adeguato inquadramento per i nuovi mezzi di informazione dell’Era di internet. Il caso di Citizen News – il nuovo canale di informazione “non professionale” lanciato da YouTube – è sintomatico. Youtube può esserne considerato editore e ritenuto, per ciò solo, soggetto alla vigente disciplina sull’editoria che gli imporrebbe, tra l’altro, di iscriversi presso il ROC – il Registro degli operatori della comunicazione ‐ tenuto presso l’Agcom? Youtube può essere chiamato a rispondere per eventuali diffamazioni poste in essere attraverso video pubblicati dai propri utenti nel canale Citizen news? Se si guarda alla direttiva sul commercio elettronico, la responsabilità dovrebbe essere di coloro che forniscono i contenuti. Ma siamo davvero sicuri che nessun giudice sia di altro avviso e ritenga che la questione debba essere regolata dalla disciplina sulla Stampa il cui ambito di applicazione ha, ormai, abbracciato anche l’informazione televisiva? La risposta all’applicabilità a CitizenNews della nuova disciplina sull’editoria e, conseguentemente, di quella sulla Stampa 124 condiziona, ovviamente, in modo importante anche la risposta a tale ulteriore dubbio. Oggi YouTube – per porsi al riparo dalle contestazioni dei titolari dei diritti ‐ adotta in relazione ai contenuti protetti da diritti d’autore tecnologie di watermark che sebbene all’inizio erano state accolte con un po’ di scetticismo, sembra stiano dando degli ottimi risultati. Accertare una violazione di altrui diritti di proprietà intellettuale è, tuttavia, assai più semplice che valutare l’effettiva sussistenza di una diffamazione. Come si comporterà YouTube dinanzi alla notifica di chi assumesse di essere diffamato da un servizio in onda su CitizenNews ? Rimuoverà senza ritardo i contenuti oggetto di contestazione o, per farlo, attenderà un ordine dell’autorità giudiziaria? Nel primo caso il rischio è che Big G si ritroverà presto a mettere il bavaglio alla sua stessa creatura: chiunque, infatti, non voglia che certe verità vadano in giro per il mondo non dovrà far altro che scrivere ai gestori del Canale chiedendone la rimozione. Nel secondo caso, invece, difficile credere che CitizenNews non sarà ben presto destinatario di richieste risarcitorie milionarie da parte di chi sosterrà di esser stato diffamato da questa o quella notizia apparsa sul nuovo canale di YouTube e non esser neppure riuscito ad ottenerne la rimozione. Analoghe considerazioni valgono per la disciplina della blogosfera come insegna la recente vicenda della quale sembrerebbe essere rimasto vittima – il condizionale è dovuto alla circostanza che non si conoscono ancora le motivazioni della Sentenza resa dal Tribunale di Modica ‐ lo Storico siciliano Carlo Ruta che si è visto contestare il reato di stampa clandestina per aver aggiornato con periodicità regolare il proprio blog senza, tuttavia, provvedere alla sua registrazione nel registro della Stampa tenuto presso il tribunale. Se le motivazioni della Sentenza, come appare probabile, confermeranno quanto si è sin qui appreso, la decisione affermerebbe un principio importante che va ben al di là della singola vicenda e della pur grave condanna di un blogger: quello secondo cui anche i blog vanno registrati presso il registro della Stampa di cui alla Legge n. 47 del 1948 cui, negli ultimi cinquant’anni, è rimasta affidata la disciplina della materia nonostante gli importanti cambiamenti intervenuti nel mondo dell’informazione e della comunicazione. L’art. 16 della citata legge, infatti, stabilisce a chiare lettere che “Chiunque intraprenda la pubblicazione di un giornale o altro 125 periodico senza che sia stata eseguita la registrazione prescritta dall'art. 5, è punito con la reclusione fino a due anni o con la multa fino a lire 500.000”. L’art. 5 della stessa Legge, a sua volta, prevede che “Nessun giornale o periodico può essere pubblicato se non sia stato registrato presso la cancelleria del tribunale, nella cui circoscrizione la pubblicazione deve effettuarsi.”. Sarebbe bello bollare la decisione dei Giudici del Tribunale di Modica come un classico errore giudiziario ma, a prescindere dal fatto che, per farlo, occorrerà leggere le motivazioni della Sentenza occorre, sfortunatamente, riconoscere che la tesi dell’equiparazione di un blog ai giornali e periodici è meno peregrina – norme di legge alla mano – di quanto l’esperienza suggerirebbe a ciascuno di noi. Il comma 3 dell’art. 1 della bruttissima nuova legge sull’editoria (7 marzo 2001, n. 62), infatti, prevede che “Al prodotto editoriale si applicano le disposizioni di cui all'articolo 2 della legge 8 febbraio 1948, n. 47” e che “il prodotto editoriale diffuso al pubblico con periodicità regolare e contraddistinto da una testata, costituente elemento identificativo del prodotto, è sottoposto, altresì, agli obblighi previsti dall'articolo 5 della medesima legge n. 47 del 1948.”. Il primo comma della stessa Legge contiene una definizione di prodotto editoriale omnicomprensiva secondo la quale “per “prodotto editoriale”, ai fini della presente legge, si intende il prodotto realizzato su supporto cartaceo, ivi compreso il libro, o su supporto informatico, destinato alla pubblicazione o, comunque, alla diffusione di informazioni presso il pubblico con ogni mezzo, anche elettronico, o attraverso la radiodiffusione sonora o televisiva, con esclusione dei prodotti discografici o cinematografici.”. La nuova legge sull’editoria, dunque, prevede l’applicabilità dell’art. 2 della vecchia legge sulla stampa a tutti i siti internet destinati alla diffusione di informazioni e l’applicabilità altresì dell’art. 5 della stessa legge – quello appunto recante l’obbligo di registrazione presso i tribunali – dei soli siti internet destinati alla diffusione di informazioni contraddistinti da una testata e diffusi al pubblico con periodicità regolare. Il quadro normativo è completato dalla disposizione contenuta al comma 3 dell’art. 7 del Decreto Legislativo n. 70 del 9 aprile 2003 attraverso il quale è stata data attuazione alla Direttiva sul commercio elettronico. Secondo tale disposizione “la registrazione della testata editoriale telematica e' obbligatoria esclusivamente per le attività 126 per le quali i prestatori del servizio intendano avvalersi delle provvidenze previste dalla legge 7 marzo 2001, n. 62”. Si tratta di una disposizione scritta in modo ambiguo e poco puntuale perché ha per oggetto un’entità – la “testata telematica” – diversa da quella oggetto della nuova disciplina sull’editoria – il “prodotto editoriale” – e perché fa generico riferimento ad una “registrazione” senza, tuttavia, chiarire se tale registrazione sia quella presso i Tribunali o, piuttosto, quella presso il ROC, Registro Unico degli Operatori della comunicazione. La differenza non è di poco conto. Se, infatti, la registrazione di cui all’art. 7 del D.Lgs. 70/2003 è quella prevista all’art. 5 della Legge sulla Stampa i blogger italiani possono dormire sonni tranquilli e sentirsi liberi – anche laddove aggiornino quotidianamente i propri blog – di decidere se iscrivere o meno il proprio sito presso il registro della Stampa tenuto presso il Tribunale. Se, invece, il riferimento dovesse intendersi come rivolto al ROC, la questione sarebbe diversa e gli autori di blog a contenuto informativo che postano con “periodicità regolare” si ritroverebbero soggetti all’obbligo di iscrizione di cui alla Legge sulla Stampa e, qualora non vi provvedano esposti al rischio di sentirsi contestare il reato di stampa clandestina per quanto assurdo ciò possa sembrare. Dura lex sed lex e, per quanto sia difficile da accettare, l’attuale contesto normativo – caratterizzato da disposizioni ambigue e confuse varate da legislatori che hanno sempre manifestato scarso interesse per le questioni della Rete – legittima la magistratura a pervenire a conclusioni che, inesorabilmente, suonano censorie e contrarie all’esercizio, in Internet, della libertà di manifestazione del pensiero. Ma c’è di più. Mentre, infatti, un blogger – stante la possibile equiparazione del suo blog a giornali e periodici – rischia di vedersi contestare il reato di stampa clandestina, esso non può poi neppure fare affidamento sulle speciali garanzie che nel nostro Paese assistono la stampa: prima tra tutte l’insequestrabilità – se non in casi tassativamente individuati dalla legge – degli stampati. I frequenti episodi di sequestro di interi blog a causa di un post sommariamente giudicato da qualcuno offensivo dell’altrui immagine, nome o reputazione, sono, infatti, sotto gli occhi di tutti. A ciò si aggiunga che il blogger, qualora attraverso i suoi post diffami qualcuno, corre il rischio di vedersi contestata l’ipotesi aggravata del reato caratteristica di chi esercita professionalmente l’attività giornalistica. 127 Troppa confusione e troppe ambiguità: occorrono, con urgenza, leggi nuove che riordinino le previsioni di quelle vecchie (e meno vecchie) alla luce del mutato contesto dell’informazione in Rete senza imbrigliare chi vuol far sentire la sua voce e, ad un tempo, garantendo a tutti la certezza di poter chiedere giustizia nell’ipotesi in cui altri offendano la propria immagine o reputazione. EMERGENZA LIBERTA’ DI ESPRESSIONE. 1° dicembre 2007 http://www.guidoscorza.it/?p=211 In un bellissimo articolo su Punto Informatico Gaia Bottà da la notizia della recente sospensione dell'account utilizzato da un giovane blogger egiziano su Youtube per denunziare abusi e violenze perpetrati dalle forze dell'ordine locali53. Qui di seguito il testo integrale dell’articolo di Gaia Bottà dal quale trae origine il mio post. E’ pubblicato a questa URL: http://punto‐ informatico.it/2127874/PI/News/youtube‐censura‐antitortura.aspx YouTube censura la (anti)tortura Account sospeso. Era lo spazio su YouTube che l'attivista egiziano Wael Abbas utilizzava per denunciare abusi e violenze perpetrati dalla forze dell'ordine locali. Aveva postato presentazioni con oltre cento immagini, aveva pubblicato video a testimonianza delle violenze che si verificano nelle carceri egiziane. Dei documenti che aveva postato non resta nulla, risultavano sconvenienti, urtavano la sensibilità degli utenti del servizio di video sharing. "L'hanno chiuso ‐ ha spiegato Wael a Reuters ‐ e mi hanno inviato un'email dicendo che avrebbero sospeso il mio account perché erano stati raggiunti da molte segnalazioni riguardo ai contenuti". Le segnalazioni riguardavano in particolare i video che mostravano esplicitamente gli abusi, gli stessi contenuti per i quali Abbas aveva ricevuto minacce da parte delle forze dell'ordine locali. Gli stessi contenuti che avevano attirato l'attenzione della stampa internazionale, che avevano assicurato a Abbas un premio di International Center for Journalist, che hanno contribuito a sensibilizzare la società civile e a far arrestare gli aguzzini. Abbas insinua il dubbio che YouTube abbia rimosso il video a seguito delle pressioni del governo: i cittadini della rete egiziani stanno progressivamente sperimentando la libertà di espressione online, producendo contenuti spesso sgraditi alle autorità locali, facili ad arresti e violenze. Ma i blogger locali sono convinti che la rimozione del video non sia operato del governo. La sospensione dell'account sembra piuttosto frutto di un'applicazione del regolamento di YouTube, che proibisce di postare immagini di violenza gratuita. Immagini che vengono eventualmente rimosse non a priori ma a seguito di motivate segnalazioni inoltrate dagli utenti. I contenuti sarebbero troppo forti e 53 128 Il blogger spiega alla Reuteirs che la chiusura gli è stata comunicata a mezzo mail da YouTube ed è stata giustificata con l'alto numero di segnalzioni ricevute nelle quali si denunciava la natura violenta dei contenuti resi disponibili. Nessun dubbio che le immagini fossero violente ‐ anche se non più di molte altre presenti ovunque su YouTube e fuori ‐ ma, sfortunatamente, erano vere… Violente e raccapriccianti sono anche le immagini delle persone costrette a buttarsi giù dalle torri gemelle senza speranza, l'11 settembre del 2001 ma…chi avrebbe il coraggio di rimuoverle dalla Rete, di renderle inaccessibili, di bollarle, semplicemente, come immagini sconvenienti? E' questo il punto sul quale dobbiamo riflettere: chi deve giudicare se un'immagine è opportuno o non opportuno che venga diffusa? In questo momento c'è troppa confusione al riguardo. Sarebbe facile addebitare la responsabilità della censura in danno del blogger egiziano a YouTube ma…sarebbe sbagliato. YouTube ha, evidentemente, agito mosso dal timore che qualora non lo avesse fatto avrebbe potuto essere chiamato a rispondere in conformità a quanto ambiguamente previsto nella normativa di molti Paesi per gli intermediari della comunicazione. Leggi e giurisprudenza, infatti, tendono, ormai, ad escludere la responsabilità dell'intermediario della comunicazione qualora ricevuta una segnalazione si attivi prontamente per rimuovere il contenuto segnalato come illecito. Il punto è che la natura e provenienza di tale segnalazione così come la valutazione circa l'illiceità della diffusione del contenuto sono declinate diversamente a seconda dell'Ordinamento e dell'orientamento giurisprudenziale preso in esame. impressionanti, ma "rimuoverli perché le persone trovano che la verità disturbi è inconcepibile", ha denunciato Elijah Zarwan, un altro attivista egiziano. Ma la violenza sbattuta online da Abbas è tutto fuorché gratuita: "L'obiettivo non è mostrare la violenza, ma mostrare la brutalità della polizia", spiegano i rappresentanti di Arabic Network for Human Rights Information. Concordano i netizen locali: "Hanno chiuso il canale di denuncia più importante ‐ scrive un blogger ‐ a YouTube dovrebbero andare fieri del fatto che gli attivisti egiziani che lottano contro la tortura abbiano scelto di esprimersi proprio lì". Sul web proliferano le proteste e gli appelli, anche a mezzo video. Anche se YouTube dovesse decidere di non tornare sui sui passi, la testimonianza di Wael Abbas sopravviverà alla sospensione dell'account: è stata fatta rimbalzare online dagli end intelligenti della rete. 129 E' difficile indicare soluzioni per quello che costituisce, probabilmente, uno dei problemi più urgenti ed importanti della disciplina della Rete, ma il mio personale convincimento è che nessun contenuto debba essere rimosso dalla Rete se il responsabile della pubblicazione è individuato o individuabile e se la rimozione non è disposta da un'autorità giudiziaria. Questa è la mia proposta di soluzione, non è detto che sia l'unica e non è detto che sia la migliore: 1. Gli ISP e gli UGC non hanno alcun obbligo di sorveglianza sui contenuti immessi in Rete attraverso le proprie infrastrutture ed i propri servizi né alcuna responsabilità; 2. Nel caso in cui chi vi ha interesse o la pubblica autorità ritenga la diffusione di un contenuto illecita o lesiva dei propri diritti può richiedere all'ISP o all'UGC di fornirgli ogni dato utile all'identificazione del soggetto; 3. Se non sono in grado di identificare il soggetto in questione l'ISP e l'UGC devono provvedere all'immediata rimozione, a scopo cautelare, del contenuto, assumendosi, in caso contrario, ogni responsabilità; 4. il segnalante o l'autorità pubblica indirizza una comunicazione al responsabile della pubblicazione del contenuto, rappresentandogli le ragioni per le quali ritiene che il contenuto medesimo debba essere rimosso e diffidandolo a provvedere in tal senso; 5. il responsabile della pubblicazione può optare per la rimozione del contenuto ‐ anche senza riconoscere alcuna responsabilità ‐ o, piuttosto, per il mantenimento on‐line del contenuto stesso. 6. in caso di mancata rimozione, sull'opportunità/necessità di procedere in tal senso si pronuncia l'autorità Giudiziaria ordinaria; 7. all'esito del procedimento, nel caso in cui la pubblicazione del contenuto venga dichiarata illecita, il provvedimento viene notificato all'ISP o all'UGC che provvedono all'immediata rimozione. Solo così, a mio avviso, allontaneremo per sempre dalla Rete lo spettro della censura e riusciremo ad utilizzarne appieno le enormi potenzialità di mezzo di comunicazione di massa aperto alla comunità globale. Cosa ne pensate? "Il dibattito è aperto", come il mio primo Direttore, oltre 15 anni fa, aveva intitolato una mia rubrica di politica ed attualità. Bomba, genocidio, terrorista: ed adesso censurami! 12 settembre 2007 130 http://www.guidoscorza.it/?p=157 Ho appena chiuso un pezzo sulla censura che uscirà sul prossimo numero di Internet Magazine nel quale, traendo spunto da alcuni recenti avvenimenti della Rete, metto in guardia dal rischio che nuove pericolose forme di censura si diffondano in Internet che il Commissario Frattini conferma ed anzi rafforza i miei peggiori sospetti. Secondo il nostro Commissario Europeo, infatti, bisognerebbe elaborare sistemi informatici di filtraggio ‐ ma è censura la parola più esatta! ‐ capaci di bloccare l'accesso in Rete a pagine contenenti espressioni come bomba, genocidio, strage o terrorismo… L'idea è irrealizzabile e preoccupante al tempo stesso. Irrealizzabile perché ben difficilmente un "filtro informatico" riuscirà a distinguere quando una delle predette parole è utilizzata in un contesto "a rischio" o, piuttosto, semplicemente al fine di narrare un evento storico o, piuttosto, un fatto di cronaca. Preoccupante perché la Rete, in questo momento, non ha davvero bisogno di altre stupide forme di censura che privano, in modo certi, i cittadini di una delle loro libertà fondamentali a fronte di un incerto beneficio per la collettività. Non avrei mai pensato, nel 2007, di sentire ancora un Commissario Europeo parlare di censura! La Rete clandestina… 1° settembre 2008 http://www.guidoscorza.it/?p=331 Ho approfittato di un volo aereo di qualche ora per leggere le motivazioni della Sentenza con la quale il Tribunale di Modica ha condannato lo Storico Carlo Ruta per stampa clandestina54. Il testo integrale della Sentenza: TRIBUNALE DI MODICA SENTENZA REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Giudice penale monocratico dr.ssa Patricia Di Marco, alla pubblica udienza dell’08.05.2008 ha pronunziato e pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente: SENTENZA nei confronti di: Ruta Carlo, nato a Ragusa il 26.08.1953, residente in XXXXXXXXXXXXXXX n. 46 Libero Assente IMPUTATO 54 131 del reato p. e p. dagli artt.5 e 16 della L. 08.02.1948 n. 47, per avere intrapreso la pubblicazione del giornale di informazione civile denominato “Accade in Sicilia” e diffuso sul sito internet www.accadeinsicilia.net senza che fosse stata eseguita la registrazione presso la cancelleria del Tribunale di Modica, competente per territorio per avere il Ruta comunicato al provider Tiscali il proprio indirizzo di posta elettronica in Pozzallo via Ungaretti n.46, con registrazione avvenuta in data 16 dicembre 2003. In Pozzallo il 16.12.2003 e fino al 07.12.2004. Con la recidiva di cui all’art. 99 C.P. Con l’intervento del Pubblico Ministero dr.ssa V. Di Grandi V. Proc. O. del difensore dell’imputato, Avv. G. Di Pasquale Le parti hanno concluso come segue: Il Pubblico Ministero chiede la condanna dell’imputato alla pena di € 250,00 di multa. Il difensore dell’imputato chiede l’assoluzione perché il fatto non sussiste o per non averlo l’imputato commesso ed in subordine, ex art. 530, 2° co. c.p.p.. MOTIVAZIONE Ruta Carlo veniva citato a giudizio davanti al Tribunale di Modica in composizione monocratica con decreto emesso il 31.05.2006 dal Pubblico Ministero presso questo Tribunale per rispondere del reato di cui agli artt. 5 e 16 della legge n. 47 dell’8.02. 1948 meglio specificato in rubrica. All’udienza dcl 25.09.2007, alla presenza dell’imputato, dopo diversi rinvii dovuti ad impedimenti del difensore di fiducia dell’imputato, si dava inizio all’istruzione dibattimentale mediante l’esame dei testi indicati in lista dal P.M.. Alla stessa udienza l’imputato rendeva spontanee dichiarazioni. All’udienza del 29.01.2008 il Tribunale disponeva degli ulteriori accertamenti mediante la Polizia Postale di Catania relativamente alla cadenza con cui il sito veniva aggiornato e con cui venivano pubblicati gli articoli. Indi all’udienza dell’8 maggio 2008, dopo avere escusso l’Assistente della Polizia Postale di Catania Vito Latora, esaurita l’istruttoria dibattimentale, le parti formulavano ed illustravano le rispettive conclusioni come da verbale in atti. All’odierno imputato è stato contestato il reato di cui agli artt. 5 e 16 della L. n. 47 dell’8.02. 1948 per avere intrapreso la pubblicazione del giornale di informazione civile denominato “Accade in Sicilia” e diffuso, con registrazione avvenuta il 16.12.2003, sul sito Internet WWW.accadeinsicilia.net. senza che fosse stata eseguita la registrazione presso la cancelleria del Tribunale di Modica, competente per territorio. In diritto occorre preliminarmente osservare che l’art. 5 della L. n. 47/1948 stabilisce che nessun giornale o periodico può essere pubblicato se non sia stato preventivamente registrato presso la cancelleria del tribunale, nella cui circoscrizione la pubblicazione deve effettuarsi. Il successivo art. 16 dello stesso testo normativo punisce penalmente chiunque intraprenda la pubblicazione di un giornale ovvero di un periodico, senza che sia stata eseguita la suddetta registrazione. Va chiarito che il provvedimento di registrazione consiste in un mero controllo di legittimità della regolarità formale dei documenti prodotti e della rispondenza del loro contenuto alle disposizioni di legge. La registrazione di un periodico, quindi, non costituisce un limite preventivo alla libertà di stampa, essendo esclusa nell’emissione del suddetto provvedimento ogni valutazione discrezionale circa l’opportunità di consentire o meno la pubblicazione. La finalità della registrazione è unicamente quella di garantire la repressione degli abusi e di individuare i soggetti responsabili di eventuali illeciti commessi a mezzo stampa. Essa rappresenta soltanto una condizione di legittimità della pubblicazione, la cui mancanza dà luogo al reato di stampa clandestina. 132 D’altro canto anche la Corte Costituzionale con sent. N. 2 del 1971 ha escluso che le disposizioni in esame compromettano le libertà riconosciute e garantite dall’art. 21 della Cost., avendo ivi affermato che l’obbligo della registrazione riguarda esclusivamente i giornali quotidiani o periodici, sicché non pone alcuno ostacolo a che un soggetto manifesti il proprio pensiero con singoli stampati o con numeri unici. Peraltro deve precisarsi che, sulla scorta di fondamentali enunciati del Giudice Costituzionale (sent. Cort. Cost. n. 826 del 14.07.1988), la nozione di libertà di manifestazione del pensiero fa oggi riferimento non solo alla libertà di colui che intende avvalersene in senso attivo, ma anche al diritto dei destinatari del messaggio comunicativo. Pertanto, al fine di assicurare un equilibrio tra queste due posizioni, entrambe costituzionalmente protette, appare legittimo l’intervento del legislatore volto a regolare l’esercizio dell’attività d’informazione. Ciò posto, occorre rilevare che, sino all’entrata in vigore della legge n. 62 del 2001, il prevalente orientamento giurisprudenziale aveva adottato un’interpretazione restrittiva dell’art. 1 della L. n. 47 del 1948, ritenendo che, affinché una pubblicazione potesse essere ricompresa nella nozione di prodotto editoriale di cui alla citata disposizione, dovesse necessariamente sussistere il requisito ontologico della riproduzione del giornale su supporto cartaceo. Secondo tale orientamento veniva esclusa la possibilità di estendere ai giornali telematici le disposizioni relative alla registrazione previste per la stampa periodica. Infatti la Legge n. 47 del 1948 all’art. 1 statuiva che, ai fini della suddetta legge, per stampa o stampati dovessero considerarsi tutte le riproduzioni tipografiche o comunque ottenute con mezzi meccanici o fisico chimici, in qualsiasi modo destinate alla pubblicazione Solo successivamente con la legge n. 62 del 2001 il legislatore ha esteso il concetto di prodotto editoriale, ricomprendendo in esso non solo il prodotto realizzato su supporto cartaceo, ma anche quello realizzato su supporto informatico destinato alla pubblicazione anche con mezzo elettronico, ed ha, conseguentemente, esteso l’applicazione degli artt. 2 e 5 della L. n. 47 del 1948 anche ai giornali e periodici c.d. telematici. Ed invero la nuova legge all’art. 1, comma 1°, statuisce che per prodotto editoriale, ai fini della presente legge, si intende il prodotto realizzato su supporto cartaceo, ivi compreso il libro, o su supporto informatico, destinato alla pubblicazione o, comunque, alla diffusione di informazioni presso il pubblico con ogni mezzo, anche elettronico, o attraverso la radiodiffusione sonora e televisiva, con esclusione dei prodotti disco grafici o cinematografici” e stabilisce al successivo comma 3°che “al prodotto editoriale si applicano le disposizioni di cui all’art. 2 della legge 8 febbraio 1948 n. 47. I1 prodotto editoriale diffuso al pubblico con periodicità regolare e contraddistinto da una testata, costituente elemento identìficativo del prodotto, è sottoposto, altresì, agli obblighi previsti dall’art. 5 della medesima legge n. 47 del 1948”. A seguito dell’entrata in vigore della suddetta legge si sono affermati due contrapposti orientamenti interpretativi circa l’ambito di applicazione del menzionato testo normativo. Secondo l’interpretazione fornita da alcuni autori il regime prescritto dall’art. 1 della L. n. 62/2001 troverebbe applicazione solo per coloro i quali intendono usufruire delle agevolazioni previste dalla medesima legge. Diversamente secondo altra parte della dottrina e secondo la giurisprudenza di merito (Trib. Milano, Il sez. Civile, 10‐16 maggio 2006 n. 6127; Tribunale Salerno, 16.03.2001; Tribunale Latina, 7.06.2001) la norma, che accomuna in un sistema unitario la carta stampata e i nuovi media, ha valore generale, così da poter affermare l’assoluta equiparabilità di un sito internet ad una pubblicazione a 133 stampa, anche con riferimento ad un eventuale sequestro di materiale «incriminato». Questo giudicante ritiene di aderire al secondo orientamento dianzi illustrato in quanto lo stesso, oltre che più razionale da un punto di vista sistematico, appare peraltro confermato dal fatto che il titolo della legge del 2001 reca “Nuove norme sull’editoria e sui prodotti editoriali e modifiche alla legge 5 agosto 1981, n. 416”, il che lascia intuire che l’intenzione del legislatore non fosse solo quella di dettare regole sulle provvidenze, ma anche di introdurre modifiche attinenti all’intero settore dell’editoria. Pertanto l’inciso contenuto nell’art. 1 della legge in esame “ai fini della presente legge” avrebbe valore generale e non limitato all’erogazione dei contributi. Orbene, alla luce della suddetta normativa, al prodotto editoriale, per come definito dal comma 1 dell’art. 1 della L. n. 62/2001, si applicano le disposizioni di cui all’art. 2 della L. n. 47/1948, mentre i prodotti editoriali diffusi al pubblico con periodicità regolare e contraddistinti da una testata sono ulteriormente sottoposti agli obblighi previsti dall’art. 5 della medesima legge n. 47 del 1948. In sintesi devono essere inscritte, nell’apposito registro tenuto dai tribunali civili, le testate giornalistiche on‐line che abbiano le stesse caratteristiche e la stessa natura di quelle scritte o radio‐televisive e che, quindi, abbiano una periodicità regolare, un titolo identificativo (testata) e che diffondano presso il pubblico informazioni legate all’attualità. In particolare, le testate telematiche da registrare e perciò sottoposte ai vincoli rappresentati dagli articoli n. 2, 3 e 5 della L. n. 47/1948 sulla stampa sono quelle pubblicate con periodicità (quotidiana, settimanale, bisettimanale, trisettimanale, mensile, bimestrale) e caratterizzate dalla raccolta, dal commento e dall’elaborazione critica di notizie destinate a formare oggetto di comunicazione interpersonale, dalla finalità di sollecitare i cittadini a prendere conoscenza e coscienza di fatti di cronaca e, comunque, di tematiche socialmente meritevoli di essere rese note. Ed è, altresì, ovvio che il richiamo contenuto nell’art. 1, comma 3, della L. n. 62/2001 agli att. 2 e 5 della L. n. 47/1948 implica automaticamente il richiamo anche all’art. 16 della stessa legge e, quindi, alle sanzioni penali prescritte per l’ipotesi di inottemperanza alle disposizioni di cui agli artt. 2 e 5. Sicché l’art. 16 della legge sulla stampa si applica anche ai giornali telematici non già in via analogica, come da alcuni sostenuto, ma perché è lo stesso legislatore che rinvia a detta disposizione nel momento in cui impone alle testate periodiche l’obbligo della registrazione. D’altra parte diversamente opinando sarebbe irragionevole prevedere ed imporre anche ai periodici telematici gli stessi obblighi prescritti per la stampa ed escludere l’irrogazione delle sanzioni penali fissate per l’inosservanza dei suddetti obblighi. Detto quadro normativo, per quello che in questa sede interessa, non è stato intaccato dall’entrata in vigore del D.Lvo n. 70 del 2003, il quale, per come risulta dalla stessa rubrica del decreto, disciplina esclusivamente “i servizi della società dell’informazione nel mercato interno, con particolare riferimento al commercio elettronico”. Le finalità della nuova normativa sono rese esplicite dal l° comma dell’art. 1 del d.lgs. n. 70/2003 e consistono nella promozione della libera circolazione dei servizi della società dell’informazione (SSI), e segnatamente nell’attività di commercio elettronico. Tale normativa, da un punto di vista oggettivo e per come stabilito dall’art. 2 dello stesso decreto, si riferisce a “qualsiasi servizio della società dell’informazione, vale a dire qualsiasi servizio prestato normalmente dietro retribuzione, a distanza, per via elettronica e a richiesta individuale di un destinatario di servizi”. Sostanzialmente, rientra nell’ambito regolato dalla nuova disciplina il c.d. commercio elettronico, inteso quale attività di contrattazione telematica e relative 134 operazioni propedeutiche, oltre che qualsiasi tipo di servizio, che comunque costituisca un’ attività economica. In relazione, poi, all’ambito soggettivo di applicazione, tre sono le definizioni rilevanti. Il «prestatore», che viene definito, sempre dall’art. 2, come la persona fisica o giuridica che presta un servizio per la società dell’informazione (SSI); il «destinatario del servizi» quale soggetto che, a scopi professionali e non, utilizza un SSI, in particolare per ricercare o rendere accessibili informazioni; il «consumatore» come qualsiasi persona fisica o giuridica che agisca con finalità non riferibile all’attività commerciale, imprenditoriale o professionale eventualmente svolta. Deve di conseguenza concludersi che il decreto legislativo in parola regola esclusivamente l’attività di prestazione di servizi di informazione, resa dalle società di informazione e da coloro che prestano servizi per le suddette società, mentre non si applica al singolo che svolge l’attività d’informazione non in forma commerciale e, quindi, non in qualità di prestatore di servizi nel senso dianzi delineato. A tal fine va anche evidenziato che l’art. 1, ultimo periodo, della 1. n. 62/2001 risulta immutato e non è stato abrogato dal D.L.vo n. 70/2003, né la norma contenuta nel comma 3° dell’art. 7 può essere considerata norma di interpretazione autentica del citato art. 1 della 1. n. 62/2001, essendo il decreto legislativo in commento applicativo, nell’ambito dell’ordinamento interno, di una direttiva comunitaria, la quale, al momento della sua emanazione, non poteva, evidentemente, avere a riferimento la legislazione interna preesistente. L’orientamento che, al momento dell’entrata in vigore della 1.n. 62/2001, interpretava restrittivamente l’art. i, comma 3°ultimo periodo, della 1. n. 62/2001, affermando come in realtà tale norma sancisse l’obbligo di registrazione solo per le testate giornalistiche on‐line che volessero accedere ai finanziamenti statali, non è, dunque, condivisibile proprio in ragione dell’emanazione del D.L.vo n. 70/2003, il quale ha dovuto introdurre, successivamente ed all’uopo, una disposizione ad hoc, che, si ribadisce, non è di interpretazione autentica e che esenta dalla registrazione le testate editoriali telematiche riferibili alle società di servizi. Non può, quindi, sostenersi, sic et simpliciter, che l’art. 7, comma 3°, D.L.vo n. 70/2003 abbia sostanzialmente sancito l’inoperatività dell’art. 1, comma 3°ultimo periodo, della 1. n. 62/2001, facendo salva solo la marginale ipotesi dell’accesso al finanziamento pubblico. Semmai al contrario, avuto riguardo all’oggetto della disciplina del D.L.vo n. 70/2003 ed alla portata generale dell’art. 1, commi 1 e 3, della 1. n. 62/2001, il complesso sistematico delle norme impone un’esegesi delle medesime nel senso che al singolo giornalista, che non svolge la propria attività in forma economica e che non presta servizi in favore di una società di informazione, non può applicarsi la disposizione di cui all’art. 7, comma 3, del D. Lvo n. 70/2003, che esonera dalla registrazione le testate editoriali telematiche che non intendono accedere alle provvidenze di cui alla legge n. 62/2001, perché tale disposizione riguarda solamente il c.d. prestatore di servizi, rimanendo conseguentemente il singolo giornalista sottoposto all’obbligo di cui all’art. 1, comma 3° ultimo periodo, della 1. n. 62/2001. A conferma di quanto sopra asserito (in operatività del comma 3°art. 1 L. n. 62/2001) va ulteriormente chiarito che la registrazione cui fa riferimento l’art. 7, comma 3, del D. Lvo n. 70/2003 non può che essere quella da effettuarsi presso il Registro Operatori della Comunicazione (ROC), istituito con la L. n. 249 del 1997 (art. 16 L. n. 62/2001), e non quella da effettuarsi ai sensi dell’art. 5 della L. n. 47/1948 (art. 1, comma 3, L. n. 62/2001), essendo la prima sostitutiva della seconda, ai sensi dell’art. 16 della L n. 62/2001, ed essendo tenute le società dei servizi di informazione, cui si applica il D. Lvo n. 70/2003 e fatta salva l’esenzione di cui all’art. 7, comma 3°,del D.L.vo n. 70/2003, all’iscrizione presso il suddetto registro, anche in funzione sostitutiva della registrazione prevista dall’art. 5 della 1. 135 n. 47/1948, quale obbligo connesso al singolo servizio ex art. 7, comma 1°, del D.L.vo n. 70/2003 e ai sensi del combinato disposto dell’art. 16 della 1. n. 62/2001 con l’art. 1 comma 6 lett. a) numero 5) della L. 249/1997. Le stesse, infatti, rientrano tra i soggetti individuati all’uopo dalla legge del 1997 e cioè tra “i soggetti destinatari di concessione ovvero di autorizzazione in base alla vigente normativa da parte dell’Autorità o delle amministrazioni competenti, le imprese concessionarie di pubblicità da trasmettere mediante impianti radiofonici o tele visivi o da diffondere su giornali quotidiani o periodici, le imprese di produzione e distribuzione dei programmi radiofonici e tele visivi, nonché le imprese editrici di giornali quotidiani, di periodici o riviste e le agenzie di stampa di carattere nazionale, nonché le imprese fornitrici di servizi telematici e di telecomunicazioni ivi compresa l’editoria elettronica e digitale”. In conclusione, alla stregua della normativa introdotta con il D.L.vo del 2003, devono inscriversi nel Roc soltanto i soggetti editori che pubblicano una o più testate giornalistiche diffuse al pubblico con regolare periodicità per cui è previsto il conseguimento di ricavi qualora intendono avvalersi delle provvidenze previste dalla L. n. 62 del 7.03.2001 o che, comunque, ne facciano specifica richiesta. Tale differenziazione di trattamento per le società di servizi di informazione e per il prestatore di servizi che opera in favore della stessa, i quali qualora non intendano beneficiare del finanziamento pubblico sono esonerati dall’obbligo di iscrizione al Roc, si giustifica in considerazione del fatto che detti enti collettivi sono già sottoposti ad una normativa che consente facilmente di individuarli e, dunque, garantisce la trasparenza ed il controllo sullo svolgimento della loro attività (vedi appunto D. Lvo n. 70/2003 e segnatamente lo stesso art. 7, commi i e 2, che impone al prestatore l’obbligo di fornire una serie di dettagliate informazioni circa la propria attività). Una diversa interpretazione delle disposizioni in commento, a parere di questo Decidente, sarebbe suscettibile di irragionevolezza ed in contrasto con il principio di eguaglianza sancito dall’art. 3 della Costituzione. Difatti, qualora dovesse ritenersi che la disposizione di cui all’art. 7 comma 3 del D.Lvo n. 70/2003 abbia escluso l’obbligo della registrazione di cui all’art. 5 della L. n. 47/1948 per tutti coloro i quali pubblicano un periodico tramite la rete Internet, si creerebbe un’ingiustificata disparità di trattamento tra i giornalisti della carta stampata, i quali soli sarebbero costretti a rispettare il dettato della legge del 1948 sulla stampa, ed i giornalisti telematici i quali, invece, potrebbero pubblicare in rete senza alcuna limitazione e senza alcuna forma di controllo. Si aggiunga che proprio la pubblicazione di una pagina web rappresenta la forma più efficace e potenzialmente più insidiosa di diffusione di una notizia, dato o informazione, giacché tale “luogo” virtuale può essere visitato non solo da colui che è specificamente e direttamente interessato a conoscere una certa notizia, ma può essere visitato anche da soggetti che, inserendo uno o più termini in un motore di ricerca, vengono indirizzati al sito in oggetto. Al riguardo proprio la Suprema Corte in una recente sentenza ha rilevato come nel caso in cui un utente di Internet “crei o utilizzi uno spazio web, la comunicazione deve intendersi effettuata potenzialmente erga omnes (sia pure nel ristretto ‐ma non troppo ‐ ambito di tutti coloro che abbiano gli strumenti, la capacità tecnica e, nel caso di siti a pagamento, la legittimazione a connettersi)” (Cass. pen. 27 dicembre 2000). Tanto premesso in diritto, nel caso in esame risulta acclarata la sussistenza del reato contestato all’odierno imputato. Dalla documentazione in atti emerge inequivocabilmente che l’imputato ha pubblicato sul sito internet denominato www.accadeinsicilia.net, un giornale che rientra nel paradigma del prodotto editoriale descritto dall’art. 1, comma 3, L. n. 62/2001. 136 In primo luogo è lo stesso imputato che, intitolando il proprio prodotto “Accade in Sicilia giornale di informazione civile”, ha definito e qualificato il proprio prodotto come giornale diretto a svolgere attività di informazione e, dunque, come prodotto editoriale. Ad ulteriore conferma che quanto pubblicato dal Ruta sul sito in parola sia un prodotto editoriale proviene dal contenuto degli articoli in esso pubblicati, i quali hanno ad oggetto fatti di cronaca locale, inchieste giudiziarie, testimonianze dirette e fatti storici (vedi: “omicidi Tumino e Spampinato”; “affare acqua e mafia”; 8.08.2003 “emergenze e giustizia il questore Casabona viene trasferito da Ragusa “; 29.06.2003 “caso Carbone‐Antonveneta. Nell’est siciliano si vilipende la legge fino alla vergogna”; 15.04.003 “Operazione privè negli iblei”). In secondo luogo, l’attività istruttoria ha consentito di accertare che il sito internet creato dall’imputato presentava le caratteristiche di un periodico per la sistematicità con cui veniva aggiornato e con cui venivano pubblicati gli articoli. Dalle pagine del suddetto giornale rinvenute dalla Polizia Postale di Catania e da quelle già acquisite al fascicolo per il dibattimento si evince chiaramente che gli articoli venivano pubblicati con cadenza giornaliera, dato peraltro confermato, come già anticipato, anche dalla denominazione data dallo stesso imputato di “Giornale” che letteralmente significa quotidiano di informazione” (vedi articoli datati 27.11.2004, 25.11.2004, 15.11.2004, 17.11.2004, 10.11.2004, 6.11.2004, 3.11.2004, 1.11.2004, 30.10.2004, 28.10.2004, 14.10.2004, 13.10.2004). In conclusione, il prodotto pubblicato dal Ruta sul sito internet denominato WWW.accadeinsicilia.net si inquadra esattamente nell’ambito del prodotto editoriale di cui all’art. 1, commi 1° e 3°del D. lvo n. 62/2001 per la cui pubblicazione era necessaria la registrazione presso la cancelleria del tribunale, non operando nel caso di specie l’esenzione di cui all’art. 7, c. 3°,D. Lvo n. 70/2003 perché l’imputato non ha svolto l’attività d’informazione per cui è processo in forma commerciale o comunque economica, né ha operato quale prestatore di servizi per le società di servizi d’informazione. L’inottemperanza al predetto obbligo, in applicazione di principi di diritto sopra enunciati, integra il reato di cui all’art. 16 della L.n. 47/1948. In ultimo va chiarito che non assume rilevanza, al fine di escludere la penale responsabilità dell’imputato, l’affermazione resa dallo stesso in sede di spontanee dichiarazioni, secondo cui il prodotto dallo stesso pubblicato non fosse un quotidiano, ma semplicemente un “blog” inteso come diario di informazione civile. Al riguardo giova innanzitutto evidenziare che il “blog” è principalmente uno strumento di comunicazione ove chiunque può scrivere ciò che vuole e come tale può anche essere usato per pubblicare un giornale. Infatti un “blog” può anche essere utilizzato come metodo di presentazione di un giornale, cioè di una testata registrata con una sua linea editoriale, per coinvolgere il pubblico. Pertanto diverso può essere l’uso che si fa del blog nel senso che lo si può utilizzare semplicemente come strumento di comunicazione ove tutti indistintamente possono esprimere le proprie opinioni sui i più svariati argomenti ed in tal caso non ricorre certamente l’obbligo di registrazione, ovvero come strumento tramite il quale fare informazione. Nella fattispecie de qua, come risulta dalle pagine acquisite agli atti e come ha riferito il teste La Tora, per pubblicare degli articoli sul sito creato dal Ruta era necessario contattare costui e sottoporre alla sua preventiva valutazione l’articolo che si intendeva pubblicare. Pertanto appare evidente come il sito in questione non fosse un blog, al quale chiunque potesse accedere e partecipare al dibattito, ma era un vero e proprio giornale dotato di una testata e di un editore responsabile. 137 Le conclusioni di tale decisione erano già note da tempo e non avevano mancato di sollevare molte perplessità anche se, probabilmente, la speranza di tutti era che ci si sbagliasse. Nessun errore, invece. Lo storico siciliano è stato condannato in quanto secondo i giudici avrebbe dovuto registrare presso il competente tribunale la testata "Accade in Sicilia" da esso edita attraverso il proprio blog all'indirizzo www.accadeinsicilia.net". Si sbaglierrebbe, tuttavia, ad archiviare semplicemente la questione parlando di una Sentenza sbagliata o di una "cantonata del giudice". Non è così: il Giudice date due soluzioni interpretative lasciate aperte dalla vigente disciplina sull'editoria (quella si scritta male e pensata peggio, da bocciare senza prova di appello come ho già scritto) ne ha scelta una incorrendo, probabilmente, in qualche leggerezza sulla quale tornerò nelle prossime ore. Proprio per questo, tuttavia, la situazione è più grave di quanto non sarebbe si trattasse "solo" di un errore giudiziario: il Caso Ruta ha portato alla ribalta un rischio che è noto agli addetti ai lavori sin dal 2001 ovvero quello che ‐ complice la brutta nuova legge sull'editoria (la 62/2001) da un giorno all'altro l'intera Rete avrebbe potuto essere ritenuta clandestina… I principi contenuti nella decisione del Tribunale di Modica, infatti, se rigorosamente interpretati non lasciano spazio A suggello e conferma di quanto sopra va, del resto, richiamato che lo stesso imputato ha definito la propria pubblicazione come “Giornale di informazione civile”. L’imputato va, quindi, condannato in ordine al reato allo stesso contestato. L’imputato appare meritevole della concessione delle attenuanti generiche attesa la sua incensuratezza. Così affermata la penale responsabilità di Ruta Carlo in ordine al reato ascrittogli, avuto riguardo ai criteri indicati dall’art. 133 c.p., riconosciute le attenuanti generiche per l’incensuratezza dell’imputato, si ritiene equo determinare la pena in € 150,00 di multa (pena base € 225,00 di multa ridotta nella misura finale ex art. 62 bis c.p.). All’affermazione di responsabilità dell’imputato segue ex lege la condanna al pagamento delle spese processuali. Data la complessità delle questioni trattate è stato fissato in giorni novanta il termine per il deposito della motivazione. P.Q.M. Visti gli artt. 533 e 535 c.p.p.; dichiara Ruta Carlo colpevole del reato allo stesso ascritto e, concesse le attenuanti generiche, lo condanna alla pena di € 150 di multa oltre al pagamento delle spese processuali; visto l’art. 544 c.p.p.; fissa per il deposito della motivazione il termine di giorni novanta. Modica 8.05.2008 IL GIUDICE Patricia Di Marco 138 alcuno a conclusioni diverse: ogni sito di informazione (cosa non è informazione nella Società dell'informazione?) deve essere registrato perché il suo titolare non corra il rischio di incorrere in una condanna analoga a quella inflitta a Carlo Ruta. Buon rientro dalle vacanze, dunque, da un sito clandestino! Perché quel blogger è stato condannato? 17 giugno 2008 Punto Informatico La notizia ormai è nota: con una Sentenza dei giorni scorsi che, tuttavia, nessuno sembra aver ancora letto, il Tribunale di Modica avrebbe condannato Carlo Ruta – storico e blogger siciliano – per stampa clandestina. Se la notizia fosse confermata, la decisione affermerebbe un principio importante che va ben al di là della singola vicenda e della pur grave condanna di un blogger: quello secondo cui anche i blog vanno registrati presso il registro della Stampa di cui alla Legge n. 47 del 1948 cui, negli ultimi cinquant’anni, è rimasta affidata la disciplina della materia nonostante gli importanti cambiamenti intervenuti nel mondo dell’informazione e della comunicazione. L’art. 16 della citata legge, infatti, stabilisce a chiare lettere che “Chiunque intraprenda la pubblicazione di un giornale o altro periodico senza che sia stata eseguita la registrazione prescritta dall'art. 5, è punito con la reclusione fino a due anni o con la multa fino a lire 500.000”. L’art. 5 della stessa Legge, a sua volta, prevede che “Nessun giornale o periodico può essere pubblicato se non sia stato registrato presso la cancelleria del tribunale, nella cui circoscrizione la pubblicazione deve effettuarsi.”. Il blog come un “giornale o periodico” dunque? La questione è al centro di un dibattito che negli ultimi anni si è riproposto all’attenzione degli addetti ai lavori con periodicità che si potrebbe definire regolare se non si corresse – così facendo ‐ il rischio di vedersi contestare il reato di stampa clandestina. Andiamo con ordine e cerchiamo di capire perché un’ipotesi quale quella dell’equiparazione di un blog ai giornali e periodici e meno peregrina – norme di legge alla mano – di quanto l’esperienza suggerirebbe a ciascuno di noi. Il comma 3 dell’art. 1 della bruttissima nuova legge sull’editoria (7 marzo 2001, n. 62) prevede che “Al prodotto editoriale si applicano le disposizioni di cui all'articolo 2 della 139 legge 8 febbraio 1948, n. 47” e che “il prodotto editoriale diffuso al pubblico con periodicità regolare e contraddistinto da una testata, costituente elemento identificativo del prodotto, è sottoposto, altresì, agli obblighi previsti dall'articolo 5 della medesima legge n. 47 del 1948.”. Il primo comma della stessa Legge contiene una definizione di prodotto editoriale omnicomprensiva secondo la quale “per “prodotto editoriale”, ai fini della presente legge, si intende il prodotto realizzato su supporto cartaceo, ivi compreso il libro, o su supporto informatico, destinato alla pubblicazione o, comunque, alla diffusione di informazioni presso il pubblico con ogni mezzo, anche elettronico, o attraverso la radiodiffusione sonora o televisiva, con esclusione dei prodotti discografici o cinematografici.”. La nuova legge sull’editoria, dunque, prevede l’applicabilità dell’art. 2 della vecchia legge sulla stampa a tutti i siti internet destinati alla diffusione di informazioni e l’applicabilità altresì dell’art. 5 della stessa legge – quello appunto recante l’obbligo di registrazione presso i tribunali – dei soli siti internet destinati alla diffusione di informazioni contraddistinti da una testata e diffusi al pubblico con periodicità regolare. Il quadro normativo è completato dalla disposizione contenuta al comma 3 dell’art. 7 del Decreto Legislativo n. 70 del 9 aprile 2003 attraverso il quale è stata data attuazione alla Direttiva sul commercio elettronico. Secondo tale disposizione “la registrazione della testata editoriale telematica e' obbligatoria esclusivamente per le attività per le quali i prestatori del servizio intendano avvalersi delle provvidenze previste dalla legge 7 marzo 2001, n. 62”. Si tratta di una disposizione scritta in modo ambiguo e poco puntuale perché ha per oggetto un’entità – la “testata telematica” – diversa da quella oggetto della nuova disciplina sull’editoria – il “prodotto editoriale” – e perché fa generico riferimento ad una “registrazione” senza, tuttavia, chiarire se tale registrazione sia quella presso i Tribunali o, piuttosto, quella presso il ROC, Registro Unico degli Operatori della comunicazione. La differenza non è di poco conto. Se, infatti, la registrazione di cui all’art. 7 del D.Lgs. 70/2003 è quella prevista all’art. 5 della Legge sulla Stampa i blogger italiani possono dormire sonni tranquilli e sentirsi liberi – anche laddove aggiornino quotidianamente i propri blog – di decidere se iscrivere o meno il proprio sito presso il registro della Stampa tenuto presso il Tribunale. Se, invece, il riferimento dovesse intendersi come rivolto al ROC, la questione sarebbe diversa e gli autori di blog a 140 contenuto informativo che postano con “periodicità regolare” si ritroverebbero soggetti all’obbligo di iscrizione di cui alla Legge sulla Stampa e, qualora non vi provvedano esposti al rischio di sentirsi contestare il reato di stampa clandestina per quanto assurdo ciò possa sembrare. Dura lex sed lex e, per quanto sia difficile da accettare, l’attuale contesto normativo – caratterizzato da disposizioni ambigue e confuse varate da legislatori che hanno sempre manifestato scarso interesse per le questioni della Rete – legittima la magistratura a pervenire a conclusioni che, inesorabilmente, suonano censorie e contrarie all’esercizio, in Internet, della libertà di manifestazione del pensiero. Ma c’è di più. Mentre, infatti, un blogger – stante la possibile equiparazione del suo blog a giornali e periodici – rischia di vedersi contestare il reato di stampa clandestina, esso – come dimostra un altro recente episodio di mala giustizia (http://punto‐ informatico.it/2314627/PI/News/Sequestrato‐un‐altro‐blog‐ italiano/p.aspx) – non può poi neppure fare affidamento sulle speciali garanzie che nel nostro Paese assistono la stampa: prima tra tutte l’insequestrabilità – se non in casi tassativamente individuati dalla legge – degli stampati. A ciò si aggiunga che il blogger, qualora attraverso i suoi post diffami qualcuno, corre il rischio di vedersi contestata l’ipotesi aggravata del reato caratteristica di chi esercita professionalmente l’attività giornalistica. Troppa confusione e troppe ambiguità: occorrono, con urgenza, leggi nuove che riordinino le previsioni di quelle vecchie (e meno vecchie) alla luce del mutato contesto dell’informazione in Rete senza imbrigliare chi vuol far sentire la sua voce e, ad un tempo, garantendo a tutti la certezza di poter chiedere giustizia nell’ipotesi in cui altri offendano la propria immagine o reputazione. E’ un discorso complesso che tocca, tra gli altri, il tema della tradizionale distinzione tra chi fa professionalmente informazione e chi, più o meno assiduamente, utilizza le nuove risorse telematiche per dire la sua. Entrambe le categorie di soggetti debbono avere eguali responsabilità ed eguali garanzie o, piuttosto, come accade oggi, è giusto continuare a far pesare maggiori responsabilità sui professionisti dell’informazione garantendo, tuttavia, a questi ultimi anche maggiori garanzie? Blog e censura preventiva: una brutta storia. 10 giugno 2008 141 http://www.guidoscorza.it/?p=311 Leggo sulle pagine di Punto Informatico l'ennesima brutta storia di netcensura: un blogger critica (non so se a torto o a ragione) le capacità politiche di un Consigliere Comunale e quest'ultimo, per tutta risposta, lo querela per diffamazione chiedendo ed ottenendo il sequestro preventivo dell'intero blog e non del solo post incriminato55. Non conosco la vicenda, non ho avuto modo di leggere il post incriminato, non so dire se ed in che misura il suo contenuto fosse diffamatorio e, francamente, non mi interessa… Il punto è un altro: sequestrare un blog per oscurare un post è esattamente come chiudere una televisione per un servizio asseritamente diffamatorio mandato in onda nel corso di un TG. Quello in atto è un autentico attentato alla libertà di manifestazione del pensiero: anche l'autore di un reato di diffamazione ‐ ammesso anche che il reato venga mai accertato ‐ ha il diritto di continuare a dire la sua ed esprimere il proprio pensiero senza limitazioni o censure diverse da quelle dettate dalle regole vigenti. Cosa fare per fare per reagire dinanzi ad una delle più gravi forme di attentato alle libertà civili del popolo della Rete? Agire con l'unica arma che in certi ambienti, sfortunatamente, incute timore: il risarcimento dei danni contro chiunque abbia illegittimamente ‐ per incompetenza o ignoranza delle dinamiche della Rete ‐ privato un libero cittadino della più sacra tra le sue libertà: quella di manifestazione del pensiero. Chissà che qualcuno non si senta diffamato da questo post e…non decida di sequestrarlo preventivamente dandomi così l'occasione di passare dalle parole ai fatti…;) Non è l’anonimato la soluzione alla webcensura. 17 marzo 2007 http://www.guidoscorza.it/?p=52 Un articolo pubblicato in questi giorni su Repubblica riferisce di uno studio svolto dalla Open Net iniziative secondo il quale oltre due dozzine di Paesi al mondo utilizzerebbero forme di Il testo dell’articolo che si riferisce al sequestro preventivo del blog di Antonino Monteleone (http://www.antoninomonteleone.it/) è pubblicato a questa URL: http://punto‐informatico.it/2314627/PI/News/sequestrato‐un‐altro‐blog‐ italiano.aspx 55 142 censura più o meno trasparenti, precludendo ai propri cittadini di accedere a talune risorse telematiche (youtube, wikipedia ecc.)56. Secondo quanto emerso dal medesimo studio, tuttavia, il popolo della Rete reagirebbe alla censura cercando di eluderla attraverso sistemi che aggirano i filtri all'accesso e rendono anonimi gli utenti. Credo si sia tutti d'accordo che la censura alle idee ed alle informazioni che circolano in rete è il più grave attentato alle libertà fondamentali dei cittadini che un Paese possa porre in essere e che tale condotta andrebbe condannata dalla comunità internazionale con sanzioni gravi e convincenti. Non credo, tuttavia, che rendersi anonimi e girare attorno all'ostacolo sia la soluzione per liberare la Rete dallo spettro della censura. L'anonimato non è mail l'affermazione di un diritto né una forma di esercizio di una libertà…essere anonimi, nel web come nel mondo reale, significa non esistere e chi non esiste non è titolare di alcun diritto. Il primo passo contro la censura…è presentarsi, in massa, con il proprio nome e cognome alle porte della Rete, farsi riconoscere e chiedere di entrare, pronti, ovviamente, ad assumersi le proprie responsabilità. PDL Levi: attenti alla trappola della demagogia… 16 novembre 2008 http://www.guidoscorza.it/?p=384 Sto leggendo da più parti commenti catastrofici sul disegno di legge (RI)presentato dall'On. Levi57. Grillo grida allo scandalo e prevede la fine della Rete se il disegno di legge dovesse essere approvato. Non sono d'accordo salvo che non si voglia affrontare la questione in maniera demagogica e tirare giù dalla soffitta il vecchio discorso secondo il quale la Rete costituisce un universo parallelo a quello reale che ben può vivere e crescere nell'anarchia. Ho letto e riletto il disegno di legge e lo trovo orribile: è scritto male e propone una riforma della disciplina dell'editoria fondata su concetti e principi più vecchi ed anacronistici di quelli Il testo dell’articolo è pubblicato a questa URL: http://www.repubblica.it/2007/03/sezioni/scienza_e_tecnologia/liberta‐ web/liberta‐web/liberta‐web.html 57 Il testo integrale del disegno di legge presentato dall’On. Levi è pubblicato a questa URL: http://www.camera.it/_dati/leg16/lavori/schedela/apriTelecomando_wai.asp?cod ice=16PDL0014370 56 143 sui quali riposano le attuali confuse ed ambigue disposizioni di legge. Ci sono previsioni in materia di diritto d'autore (che ci fanno li dentro?) che forse sono state dettate all'On. Levi da qualche suo avo che non è mai entrato in Rete: Art. 4. (Rassegne stampa). 1. I soggetti che attraverso la sola riproduzione di articoli quotidiani o periodici realizzano rassegne stampa, ivi comprese quelle ad uso interno, sono tenuti a riconoscere i diritti degli autori degli articoli riprodotti e degli editori delle testate da cui gli articoli sono tratti. ma…le ragioni per le quali si grida allo scandalo proprio non le capisco. Ho provato a spiegare qui, in estrema sintesi, il mio punto di vista. Il punto è questo: blog come questo non saranno soggetti in nessun caso all'obbligo di registrazione mentre blog come quello che tengo in collaborazione con un soggetto che svolge imprenditorialmente attività editoriale si. Forse anche il blog di BeppeGrillo sarà soggetto a registrazione e con lui quello di Antonio Di Pietro ma, francamente, non ci vedo niente di strano. Onori ed oneri…direi. Facciamo attenzione alla demagogia. Il popolo della Rete per essere credibile deve usare le risorse di Internet in modo intelligente, per conoscere, capire, confrontarsi ed assumere posizioni consapevoli. Siamo tanti ed in tanti (forse troppi) ambiscono a guidarci. Non salvate questo blog! 25 novembre 2008 http://www.guidoscorza.it/?p=388 Era da qualche giorno che avrei voluto affrontare l'argomento ma non sono, fin qui, riuscito a trovare il tempo di leggere la valanga di bit che hanno accompagnato il ritiro del DDL Levi e la presentazione della Proposta di Legge Cassinelli subito battezzata dallo stesso autore ‐ con operazione che si fa fatica a non trovare "politica" nel senso deteriore del termine ‐ "salva blog". Il titolo di questo post riassume il mio pensiero: se questo blog deve essere salvato da una proposta di legge come quella…per favore LASCIATELO MORIRE…tanto morirebbe comunque! Inutile girarci attorno: la proposta non mi piace, è scritta male, pensata peggio e presentata al popolo della Rete con una 144 demagogia seconda solo a quella con la quale Beppe Grillo difende se stesso fingendo di difendere la Rete… Tornerò su questi argomenti appena possibile con un articolo che spero di trovare il tempo di scrivere per Punto informatico. Qui appunto alcune suggestioni: 1. Quando ho letto il titolo dell'articolo di Punto sull'idea di Cassinelli di far emendare on‐line la propria proposta di legge ho gioito. Poi sono andato a vedere di che si trattava e mi sono incazz… L'emendabilità on‐line proposta dall'On. Cassinelli si esaurisce in un indirizzo e‐mail al quale inviare suggerimenti! Stiamo scherzando o provando a prendere in giro la Rete? Il popolo della Rete non ha biosgno di un invito per mandare una mail ad un Onorevole all'indirizzo di posta elettronica che gli paghiamo assieme ad un PC ed ad ogni genere di risorse di connettività e comunicazione. Mai sentito parlare di piattaforme WIKI? Forse usarne una come tante volte si è già fatto attaccando meno manifesti sulle pareti della Rete sarebbe stato apprezzabile. 2. Chiunque abbia scritto la proposta di legge ignora le più elementari regole di tecnica della normazione. Come si fa a dedicare un intero comma ad elencare i presupposti in presenza dei quali un prodotto editoriale on‐line deve essere registrato ed il comma successivo ad elencare quelli in presenza dei quali quello stesso prodotto NON deve essere registrato. O i presupposti di cui al primo comma sussistono o, se non sussistono, va da se, che la registrazione non è necessaria. Ogni altra previsione produce solo inutili elementi di ambiguità. 3. Veniamo al contenuto. Mi sembra assurdo che nel 2008 possa ancora discutersi di editoria cartacea ed editoria on‐line e prevedere per le due pretese forme di editoria regole diverse. Significa non aver compreso il senso del cambiamento. Non si salvano i blog dettando delle regole speciali per essi ma, più semplicemente, prendendo atto che dal 1948 ad oggi il mondo dell'informazione è stato rivoluzionato e che occorre, con urgenza, mettere mano prima alla legge sulla stampa e poi alla disciplina sull'editoria per adeguarle ai tempi senza, peraltro, pretendere di distinguere a seconda l'attività informativa e/o editoriale venga realizzata con un mezzo o con un altro. Internet è libera! 1° dicembre 2008 Punto Informatico Ho dedicato le ultime ore alla lettura dei verbali del dibattito svoltosi in seno all’Assemblea Costituente tra il 12 ed il 145 19 gennaio del 1948 e delle relazioni al disegno di legge sulla stampa presentato dal Governo, all’epoca presieduto dall’On. De Gasperi e poi modificato dalla Commissione per la Costituzione dell’Assemblea Costituente. Quell’attività condusse poi all’approvazione della disciplina sulla stampa tuttora in vigore. Sono documenti che temo conoscano pochi di coloro che – fuori e dentro il Parlamento – oggi animano il dibattito sull’opportunità e le forme di un intervento normativo che valga ad “ammazzare” i blog o piuttosto a “salvarli”. E’ un errore perché significa pretendere di capire il presente e disciplinare il futuro ignorando il passato e rinunciando, quindi, ai preziosi suggerimenti della storia e di quell’emozionante esperienza politica che fu l’assemblea costituente. Solo l’ignoranza delle ragioni che indussero la stessa Assemblea Costituente a disciplinare – prima ed in luogo di altre – la materia della stampa in uno con una diffusa tendenza alla demagogia ed all’assunzione di posizioni ideologiche precostituite, giustificano, infatti, la povertà dei temi e delle questioni poste al centro del dibattito che si sta svolgendo nelle ultime settimane attorno al tema della nuova disciplina sui prodotti editoriali on‐ line. Al centro di tale dibattito – si potrebbe definire sua protagonista esclusiva – vi è ormai da mesi la questione dell’opportunità o meno di prevedere un obbligo di registrazione dei blog presso il ROC, il Registro degli operatori della comunicazione. In tale contesto, ogni disposizione di legge che sembri introdurre tale obbligo viene immediatamente additata come liberticida e respinta dal popolo della Rete mentre ogni previsione di segno diverso – o almeno apparentemente di segno diverso – viene applaudita e battezzata ‐ o “auto battezzata” ‐ addirittura “salva blog”. L’equazione secondo la quale l’obbligo di registrazione di taluni prodotti editoriali telematici costituirebbe una gravissima limitazione della libertà di manifestazione del pensiero on‐line, francamente, non mi convince affatto. Il primo comma dell’art. 1 della Legge sulla Stampa – ripristinando un principio sancito oltre un secolo prima con lo Statuto Albertino – stabilisce che “La Stampa è libera”. La Relazione della Commissione dell’Assemblea Costituente sul disegno di legge in materia di stampa, si apre, d’altra parte, proprio chiarendo che tale disegno “è inteso a ridare finalmente la libertà alla stampa italiana, in obbedienza al 146 principio che è stato solennemente affermato dall’Assemblea costituente nell’art. 16 del progetto di costituzione (n.d.r. poi divenuto l’art. 21)…dopo (che nella) parentesi fascista e dopo il crollo del regime, nel periodo armistiziale il decreto legislativo 14 gennaio 1944 n. 13, più volte prorogato e ancora vigente, stabilì il sistema della autorizzazione del Prefetto per la pubblicazione di giornali od altri scritti periodici in cui vengano riportate notizie od opinioni politiche”. Lo scopo perseguito con la legge sulla stampa era, dunque, quello di dare concreta attuazione alla libertà di manifestazione del pensiero eppure nessuno dei membri dell’apposita sottocommissione dell’assemblea costituente ritenne che inserire in tale legge un obbligo di registrazione avrebbe finito con il restringere anziché rafforzare tale libertà. A proposito dell’obbligo di registrazione delle testate presso i Tribunali, infatti, si legge nella stessa relazione di accompagnamento al disegno di legge che quest’ultimo avrebbe previsto “una forma di registrazione che non ha carattere limitativo e non presenta pericolo di ingerenza da parte del potere esecutivo nel permettere o negare la pubblicazione di giornali o periodici” e ancora “si è detto – e l’espressione è in sostanza felice – che si tratta qui di un’anagrafe della stampa periodica che può essere opportuna e anzi necessaria sotto molti aspetti, senza che per questo venga ad incidere sul libero esercizio della funzione giornalistica.”. La relazione prosegue poi chiarendo che “Questo “stato civile” della stampa regola l’atto di nascita, il mutamento di stato, la cessazione del giornale, non altro”. Interessante è leggere alcuni ulteriori riferimenti contenuti nella Relazione di accompagnamento dell’originario disegno di legge presentato dal Governo De Gasperi all’Assemblea Costituente laddove si riferisce che “scopo di un ordinamento della stampa, in regime democratico, non può essere che l’equilibrio tra l’esigenza della libertà e quella, non meno inderogabile, di reprimere gli abusi” e si aggiunge, quindi, che “nell’ordine giuridico, come nell’ordine morale, non può esistere libertà senza responsabilità, ed è questo principio che costituisce la base degli ordinamenti più progrediti di paesi nei quali la libertà di stampa, trovò la più costante e sicura attuazione”. Nelle centinaia di pagine di verbali delle sedute dell’Assemblea Costituente nelle quali per sette giorni si svolse un acceso dibattito sul disegno di legge in materia di Stampa, vi sono solo pochi accenni al tema della registrazione delle testate mentre vi sono stimolanti ed accese discussioni in merito all’idoneità del disegno di legge che ci si accingeva a varare ad affrontare nel 147 migliore dei modi il tema del “diritto al sapere” dei cittadini, quello dell’indipendenza dei mezzi di informazione dal potere politico, quello del finanziamento delle più piccole realtà editoriali e quello, più generale, dell’esigenza di garantire che né il potere politico né quello economico influenzassero la libertà del giornalista e del cittadino, rispettivamente, di scrivere e leggere ciò che effettivamente accadeva nel mondo e non già ciò che altri avrebbero voluto imporre di scrivere e leggere. Sfogliare quei documenti fa apparire incredibilmente sterile e privo di una reale utilità il dibattito delle ultime settimane in relazione all’opportunità di imporre o meno a chi realizzi un prodotto editoriale on‐line di registrarsi presso il ROC. Il punto non è questo. La Rete è cresciuta ed i blog ed i siti di informazione rappresentano, oggi, in tutto il mondo il principale strumento di esercizio della libertà di manifestazione del proprio pensiero nella sua duplice accezione: libertà di informare e libertà di essere informati o, come si diceva, nel corso dei lavori dell’assemblea costituente “diritto al sapere”. Si tratta, tuttavia, di uno scenario che va difeso dalle ingerenze e dall’evidente irresistibile tentazione che i poteri politici ed economici di sempre, hanno – e non esitano a manifestare – di controllare la Rete e mettere un bavaglio a quanti la utilizzano per informare ed informarsi fuori dal coro. Sequestri di blog, procedimenti per diffamazione a mezzo internet e condanne per stampa clandestina in un contesto normativo grigio e nebuloso hanno, infatti, sfortunatamente segnato la storia moderna dell’informazione on‐line. Non serve, dunque, perder tempo a ragionare sull’opportunità o meno della registrazione ma, piuttosto, esigere per ogni strumento di informazione on‐line garanzie e mezzi di sostentamento analoghi a quelli che l’Assemblea costituente si preoccupò di garantire alla Stampa. L’insequestrabilità di ogni prodotto editoriale telematico, l’accessibilità da parte di chiunque voglia intraprendere un’attività di informazione on‐line a risorse economiche ed informatiche sufficienti a consentirgli di realizzare il proprio intendimento ed il diritto di ogni cittadino italiano di ottenere – oggi e non nel domani promesso dalle grandi compagnie di TLC – a casa propria l’accesso all’infrastruttura di Rete necessaria ad esercitare il proprio “diritto di sapere” senza essere penalizzato dal fatto di vivere in un’area in cui portare la banda larga è “anti‐economico”. E’ di questo che mi piacerebbe si parlasse nel dibattito di questi giorni sulla disciplina dell’informazione on‐line. 148 Il problema della registrazione è un falso problema che non risolve le preoccupazioni che quanti hanno a cuore la sorte dell’informazione on‐line dovrebbero nutrire e che, d’altra parte, si risolve con una norma più equilibrata di quelle che si sono sin qui proposte presi dalla foga del momento: basterebbe una norma che chiarisca che alla registrazione si possa procedere on‐line ed in pochi click nello stesso momento in cui si apre il proprio blog, che la registrazione è completamente gratuita (niente marche né balzelli), che non vi sono requisiti né limiti di sorta per ottenerla e che l’AGCOM potrà comunicare i dati acquisiti a seguito della registrazione esclusivamente all’Autorità giudiziaria nell’ambito di un procedimento avente ad oggetto l’eventuale responsabilità penale per il reato di diffamazione del titolare del blog o del sito internet di informazione. Comprendo perfettamente la posizione di chi ritiene che la Rete debba essere libera ma, come insegnano i padri della Costituzione, non c’è libertà senza responsabilità ed è sacrosanto che chi esercitando una propria libertà ne abusi in danno altrui si faccia carico dell’eventuale responsabilità da accertarsi, peraltro, nell’ambito di un processo che la stessa carta costituzionale vorrebbe fosse sempre giusto ed equo. Internet è libera! Difendiamola senza perderci in chiacchiere né lasciarci strumentalizzare da chi ama la demagogia o il proprio interesse più della Rete. 149 5. L’anonimato in Internet. Mr. Nobody non ha diritti! Uno, nessuno, centomila: l’enigma dell’anonimato in Rete. 1° dicembre 2005 Telejus 1. Quali siano le origini di Internet è un dato che appartiene ormai al bagaglio culturale di ciascuno di noi così come alla nostra esperienza quotidiana appartiene la consapevolezza di quali dimensioni e quale portata il fenomeno abbia assunto nell’ultimo decennio. La Rete delle reti nata da un progetto militare statunitense sotto il nome di ARPANET si è rapidamente lasciata alle spalle le sue origini ed ha altrettanto velocemente travalicato limiti e confini connaturati a dette origini divenendo, probabilmente, uno dei fenomeni destinati a caratterizzare più incisivamente il XXI secolo. Internet “travalica i confini degli stati nazionali, supera le barriere doganali, elimina le differenze culturali tra i popoli, svolge un compito importantissimo per il destino dell’umanità giacché essa realizza un rapporto sul piano mondiale tra gli uomini di ogni specie, crea o certifica l’esistenza di un senso comune dell’umanità, per cui ogni uomo può riconoscersi in un altro uomo” scriveva Vittorio Frosini in uno dei suoi ultimi lavori sull’argomento sottolineando la natura metapolitica del fenomeno ed aggiungendo poi come tali notazioni evidenziassero “dei caratteri dell’Internet che sconvolgono alcune vedute dottrinarie tradizionali anche se ne confermano delle altre giacché l’Internet ha creato l’immagine di un libero mercato senza confini quale le più ardite teorie economiche non configuravano che come ipotesi di scuola. Essa ha insieme realizzato una forma di società anarchica consistente in rapporti tra i singoli individui in piena libertà”. E’ chiaro che il fenomeno Internet ha profondamente trasformato le nostre abitudini di vita e di lavoro apportando enormi cambiamenti – sino a ieri difficilmente immaginabili – al nostro modo di rapportarci agli altri, di acquistare e vendere beni e servizi nonché di coltivare amicizie e relazioni di affari. Trasformazioni così importanti e complesse comportano inevitabilmente nuovi problemi e nuove sfide per coloro cui spetta il compito di definire, sviluppare ed applicare nuove regole e discipline. 150 Superato qualche tentennamento e fatta eccezione per alcune sacche di resistenza nell’ambito delle quali continua a ritenersi che il fenomeno debba restare sottratto ad ogni regolamentazione ed affidato al caos primordiale da cui è originato, il mondo giuridico appare, attualmente, concorde nella volontà di assicurare che i diritti, gli interessi, i principi ed i valori affermatisi nel corso degli anni possano essere conservati e mantenuti saldi ed inalterati anche nella c.d. società dell’informazione della quale Internet costituisce indiscusso protagonista. Diverse, tuttavia, come spesso accade, sono le soluzioni prospettate per pervenire a tale risultato. Si tratta di un problema che diviene, ogni giorno, più serio ed urgente in maniera direttamente proporzionale al progressivo trasferimento nell’ambito telematico – vorremmo dire nel cyberspazio se utilizzando tale espressione non corressimo il rischio di richiamare alla mente quei caratteri di extra‐ territorialità o sovranazionalità che rappresentano la matrice di quelle sacche di resistenza cui si è già fatto cenno – di affari, interessi economici, pubblici e privati, rapporti e relazioni in ambito personale, commerciale, politico ed industriale. Tra i tanti problemi e le molte questioni di regolamentazione aperte dallo sviluppo inarrestabile del fenomeno Internet ve ne è una in relazione alla quale gli ordinamenti dei diversi Paesi nell’ultimo decennio hanno conosciuto cicli di grande attenzione puntualmente seguiti da periodi di altrettanto intenso torpore: l’anonimato in Internet. Appartiene all’esperienza quotidiana di chiunque abbia un minimo di confidenza con l’attuale realtà informatica e telematica la consapevolezza e coscienza di quanto facile – allo stato attuale – sia per ciascuno di noi accedere ad Internet e navigare in Rete con l’assoluta serenità di non poter essere rintracciati da nessuno a prescindere dalla natura e gravità delle nostre azioni telematiche. Illuminanti per certi aspetti e inquietanti sotto altri sono le pagine nelle quali Raoul Chiesa aka Nobody, uno dei più noti hacker italiani della prima ora, raccconta le scorribande sue e dei suoi compagni di avventura nei meandri telematici della Rete a partire dalla seconda metà degli anni ’80 sino ai giorni nostri; nel titolo del contributo sono già, probabilmente, contenuti i termini della questione: io ero Nobody e tutte le notti me ne volavo in Francia, via Qatar. Non si tratta di racconti romanzati né di fantascienza ma, piuttosto, di una realtà preoccupante con la quale ormai da anni si confrontano – con alterne fortune – le forze dell’ordine, la magistratura ed i legislatori del mondo intero. 151 L’anonimato assoluto rappresenta, infatti, una condizione originale del cyberspazio che è suscettibile di vanificare ogni principio, regola e disciplina giuridica rendendola, di fatto, inapplicabile. Ogni qualvolta, tuttavia, ci si trova ad affrontare il problema ed a prospettare possibili soluzioni idonee a limitare o eliminare la possibilità di accedere alla Rete coperti da quel manto invisibile oggi garantito da un contesto tecnico e normativo che consente a ciascuno – nel varcare il confine del cyberspazio – di assumere l’identità e le sembianze che preferisce senza lasciare sulla porta nessuna traccia in grado di svelare – neppure in ipotesi del tutto eccezionali – la propria reale identità, da più parti vengono paventati rischi inaccettabili in termini di violazione della privacy e di restrizione della libertà di manifestazione del pensiero nonché delle nuove libertà informatiche e digitali. Nelle pagine che seguono cercheremo di spiegare, per un verso, per quali ragioni i paventati conflitti tra contrapposti interessi tutti egualmente meritevoli di tutela siano più apparenti che reali e come, in ogni caso, il rischio di tali conflitti non possa rallentare né impedire l’assunzione di una decisione che appare ormai divenuta obbligata ed improcrastinabile quale quella di imporre in Rete almeno la regola del c.d. anonimato protetto consistente nel riconoscimento a ciascuno del diritto di navigare in Rete indossando la maschera che preferisce ma ciò solo dopo aver consegnato alla frontiera del cyberspazio – in modo sicuro ed incontrovertibile – la propria reale identità. Dirimere questa questione è di fondamentale importanza per lo sviluppo della Rete; dalla scelta per l’una o per l’altra soluzione dipende, in buona sostanza, il futuro di internet quale immenso e sconfinato parco giochi nel quale intrecciare ed intessere relazioni personali e commerciali più o meno autentiche ma ben difficilmente serie e durature o, piuttosto, quale nuovo efficace e affidabile mezzo di comunicazione rivoluzionario, duttile e idoneo ad essere utilizzato con serenità e fiducia in contesti economici, giuridici, finanziari e personali. 2. Si è già anticipato che una delle maggiori resistenze alla costituzione di un contesto normativo nel quale l’anonimato assoluto sia bandito dal cyberspazio è tradizionalmente rappresentata da pretese superiori esigenze di tutela della riservatezza. In questa prospettiva, da più parti, si è sostenuto e si sostiene che l’anonimato – e i diversi strumenti tecnico‐giuridici attraverso cui esso può essere garantito in ambito telematico – rappresenterebbe una delle migliori e più efficaci difese rispetto a 152 tutta una serie di rischi di lesione della privacy degli utenti della Rete. In altre parole, inferiore sarebbe la quantità di dati personali posti in circolazione in internet, minori sarebbero, di conseguenza, le possibilità che detti dati siano esposti al rischio di indebito trattamento per finalità illecite o, comunque, non autorizzate. Si tratta di affermazione in linea di principio certamente condivisibile e, d’altro canto, ormai recepita nel nostro ordinamento – al pari di quanto avvenuto in quello comunitario – attraverso l’art. 3 del nuovo Codice in materia di protezione dei dati personali (Decreto Legislativo 30 giugno 2003, n. 196) che sotto la rubrica “principio di necessità nel trattamento dei dati” stabilisce che “i sistemi informativi e i programmi informatici sono configurati riducendo al minimo l’utilizzazione di dati personali e dati identificativi, in modo da escluderne il trattamento quando le finalità perseguite nei singoli casi possono essere realizzate mediante, rispettivamente, dati anonimi od opportune modalità che permettano di identificare l’interessato solo in caso di necessità”. Non sembra, tuttavia, che detto principio possa essere portato sino all’estrema conseguenza di giustificare e, anzi, in taluni casi, persino promuovere forme di anonimato assoluto in Internet e la diffusione di strumenti volti a garantirlo quali appositi software anonimizzanti, gestori di servizi di reindirizzamento anonimo di informazioni e/o di inoltro anonimo di corrispondenza elettronica. Si è già da più parti rilevata l’opportunità e, per taluni versi l’urgenza, di individuare un momento di compromesso tra il diritto alla privacy di ciascun utente della rete e le esigenze di natura pubblica e privata – talvolta preminenti – relative alla repressione di diverse tipologie di condotte criminose poste in essere attraverso la Rete o, più semplicemente, di violazioni di altrui diritti di privativa realizzate sotto il comodo schermo di insuperabili maschere telematiche. In tale prospettiva, già da tempo, nell’ambito del Gruppo di Lavoro per la tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali istituito con la Direttiva 95/46/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 24 ottobre 1995 si è preso atto che “sussiste un consenso generale sul fatto che l'attività su Internet non può sottrarsi ai principi giuridici fondamentali che vengono normalmente applicati. Internet non può costituire una zona franca dove le regole della società non vengono applicate. D'altronde, le possibilità degli Stati e delle autorità pubbliche di limitare i diritti degli individui e controllare comportamenti potenzialmente illegali non dovrebbero essere più 153 ampie nel quadro di Internet di quanto possano esserlo nel mondo fuori della rete. L'esigenza che le limitazioni ai diritti e alle libertà fondamentali siano debitamente giustificate, necessarie e proporzionate alla luce degli altri pubblici obiettivi, deve valere anche nel ciberspazio.” e che “l'anonimato non è adatto in tutte le circostanze” e che “stabilire le circostanze in cui l'opzione dell'anonimato è opportuna e quelle in cui non lo è, comporta un attento confronto fra i diritti fondamentali, non solo nei confronti della riservatezza, ma anche della libertà di espressione, e altri importanti obiettivi politici come la prevenzione del crimine.”. Pur muovendo da tali premesse largamente condivisibili, tuttavia, in tale sede si è poi pervenuti a talune conclusioni più difficilmente condivisibili secondo cui “la possibilità di scegliere di restare anonimi” sarebbe “essenziale ai fini della tutela per i singoli, sulla rete dello stesso grado di riservatezza esistente attualmente fuori dalla rete” o secondo la quale “l’invio di posta elettronica, il navigare tra i siti della rete e l’acquisto di merci e servizi attraverso internet dovrebbero essere tutti possibili in via anonima” o infine “gli strumenti anonimi per accedere a Internet (ad esempio chioschi pubblici di internet, carte di accesso prepagate) e gli strumenti anonimi di pagamento sono due elementi essenziali per un vero anonimato sulla rete”. Si tratta, di considerazioni che inducono a qualche riflessione. A ben vedere, infatti, il nostro Ordinamento non sembra contemplare tali forme di diritto all’anonimato né il riconoscimento di un simile diritto potrebbe essere dedotto dalla circostanza che – fuori dalla Rete – vengano tradizionalmente tollerate talune situazioni fattuali – e non giuridiche – che consentono di porre in essere condotte – peraltro di limitata portata giuridica, economica e sociale – non già restando anonimi o dissimulando la propria identità ma, più semplicemente, senza dichiararla in modo esplicito il che, se non ci inganniamo, è cosa comunque diversa da quel diritto a nascondersi, mascherarsi o travisarsi che si vorrebbe divenisse la regola nel cyberspazio. Ci si riferisce ad attività quali il passeggiare tra i negozi, sfogliare un libro in una libreria o, piuttosto, spedire una lettera senza indicare il mittente. Tali condotte, tuttavia, per un verso sono evidentemente dotate di una potenzialità lesiva di gran lunga inferiore a quella assunta da chi acceda in Internet in totale anonimato e, per altro verso, sono caratterizzate da un anonimato di minore intensità non mancando, comunque, nel mondo degli atomi, tutta una serie di elementi idonei a consentire – almeno in ipotesi eccezionali – di 154 risalire più o meno agevolmente all’autore di una determinata condotta. Sotto altro profilo si è pure rilevato che l’anonimato in Internet costituirebbe tra l’altro garanzia e baluardo rispetto alla libertà di manifestazione del pensiero e, più in generale, all’esercizio di tutta una serie di ulteriori analoghe libertà. Al riguardo scrive Autorevole dottrina “a me serve avere tutela dell’anonimato, a me serve la tutela della riservatezza, della privacy, non per isolarmi ma per partecipare. Solo se sono certo del mio anonimato potrò partecipare senza timore di essere discriminato o stigmatizzato a gruppi di discussione in Rete su temi politicamente sgraditi al potere dominante in un certo momento. Solo se avrò la certezza di non essere discriminato, potò denunziare gli abusi magari nel luogo dove io stesso lavoro”. Appare un dato di fatto difficilmente controvertibile quello secondo cui riconoscere ad ogni cittadino la possibilità di scrivere sulle mura telematiche della Rete il suo pensiero a proposito di questo o quell’orientamento politico o, piuttosto, di questo o quell’imprenditore senza che alcuna traccia possa consentire a chicchessia di risalire alla propria identità costituisce il modo migliore, più sicuro e più efficace per garantirgli tale possibilità al riparo da ogni ritorsione e conseguenza pregiudizievole. Non siamo, tuttavia, d’accordo che ciò abbia qualcosa a che vedere con la libertà di manifestazione del pensiero. La storia antica e moderna insegna che tale libertà, nella sua accezione più ampia è la prima ad essere travolta e soppressa all'indomani dell'instaurazione di ogni regime non democratico e la prima a comparire quando un popolo inizia il suo cammino verso la democrazia; essa, consacrata per la prima volta in un testo di legge in Gran Bretagna nella Magna Charta del 1215 è stata poi sancita ‐ con disposizione di straordinaria chiarezza ‐ dall'articolo 11 della Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino del 26 agosto 1789, secondo cui "la libera comunicazione dei pensieri e delle opinioni è uno dei diritti più preziosi dell'uomo" e "ogni cittadino può dunque parlare, scrivere, stampare liberamente salvo a rispondere dell'abuso di questa libertà nei casi determinati dalla legge". La stessa libertà di manifestazione del pensiero ‐ a conferma della sua centralità in tutti gli ordinamenti democratici ‐ è stata poi solennemente proclamata nella Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo approvata dall'Assemblea generale delle Nazioni unite il 10 dicembre 1948 attraverso le previsioni degli articoli 18 e 19 secondo cui "ogni individuo ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione..." e "alla libertà di opinione e di espressione incluso il diritto di non essere molestato 155 per la propria opinione e quello di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere". Nella stessa prospettiva è pure già stato rilevato che “la libertà di manuifestazione del pensiero assume una funzione portante nell’ordinamento, ben espressa dalle metafore descrittive d’uso comune ‘pietra angolare’ del sistema (Corte Costituzionale, sentenza del 1969, n. 84) ‘chiave della democrazia’ (Corte Costituzionale, Sentenza del 1974, n. 25)” e che “il principio sancito dall’art. 21 della costituzione è riconosciuto quale fondamento del sistema e centro della costellazione di libertà; senza la libertà di manifestazione del pensiero, le altre libertà sancite dalla costituzione non potrebbero sussistere o risulterebbero svuotate di effettivo contenuto”. In tale contesto ruolo e funzioni della libertà di manifestazione del pensiero per la stessa esistenza – in Internet – di un ordine democratico non possono, evidentemente essere disconosciute, ma la strada dell’anonimato quale strumento di garanzia di tale libertà non appare quella corretta. Già nella Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 26 agosto 1789 la qualificazione della libertà di manifestazione dei pensieri e delle opinioni quale “uno dei diritti più preziosi dell’uomo” veniva indissolubilmente legata in un binomio inscindibile nel conseguente obbligo di ciascun cittadino di “rispondere dell’abuso di questa libertà nei casi determinati dalla legge”. Non solo, dunque, l’anonimato non può rappresentare un’efficace garanzia rispetto all’esercizio della libertà di manifestazione del pensiero ma, al contrario, esso costituirebbe, sotto tale profilo, una scelta dirompente in quanto suscettibile di spezzare quel binomio indissolubile (libertà‐responsabilità) sul quale posa l’intero sistema della libertà di manifestazione del pensiero recepito nel nostro come in tanti altri Ordinamenti. Riconoscere a cybernavigatori mascherati la possibilità di manifestare liberamente il proprio pensiero in una realtà globale, acefala, multiforme ed eterogenea quale quella della comunicazione telematica significa semplicemente legittimare condotte potenzialmente lesive di altrui diritti ed interessi nella piena consapevolezza che i soggetti lesi o danneggiati da eventuali abusi si ritroveranno poi privati – almeno de facto – di ogni possibilità di azione e reazione per l’insuperabile difficoltà di imputazione della condotta lesiva della propria dignità, della propria reputazione, del proprio onore o, più semplicemente – ma la questione non è secondaria in un ambito che si avvia a divenire 156 sede privilegiata di scambi e transazioni commerciali di rilevante entità – dei propri interessi privati ed economici. D’altro canto la responsabilità patrimoniale e quella personale di carattere penale costituiscono paradigmi insuperabili ed insostituibili nella dinamica di ogni rapporto civile, sociale ed economico e, per questo, esse non sembrano poter essere cancellate – in ambito telematico – così come accadrebbe nel caso in cui tra i c.d. nuovi diritti informatici dovesse essere riconosciuto anche quello all’anonimato. E’ sin troppo facilmente prevedibile – ed appartiene anzi già alla nostra esperienza quotidiana – che l’impossibilità di imputare determinate condotte al loro autore spingerebbe i soggetti lesi a cercare di individuare in direzioni diverse ed a differenti livelli della dinamica della comunicazione altri soggetti verso i quali rivolgere le proprie pretese risarcitorie o nei confronti dei quali indirizzare azioni di responsabilità civile e penale. Ciò apre, evidentemente, le porte ad un’altra delle questioni giuridiche più delicate e complesse che il fenomeno Internet ha posto all’attenzione del mondo giuridico: la responsabilità degli intermediari della comunicazione. Si tratta di un problema legato a doppio filo non solo al tema dell’anonimato in Internet ma anche alle altre questioni che con tale tema si intersecano e cui già si è fatto cenno: la privacy in ambito telematico e la libertà di manifestazione del pensiero nel cyberspazio. Affrontare in modo esaustivo tale argomento è incompatibile con le esigenze di sintesi proprie di questo scritto e, pertanto, ci sia consentito rinviare ai preziosi ed ampi contributi già prodotti da Autorevole dottrina, limitandoci, in questa sede, ad evidenziare e tracciare le linee di correlazione tra detta questione e quella della quale ci stiamo occupando all’unico fine di evidenziare come riconoscere l’anonimato in Internet rischia di voler dire – per quanti sforzi si possano fare per scongiurare tale eventualità – introdurre pericolose forme di responsabilità degli intermediari della comunicazione e, per questa via, altrettanto inquietanti e preoccupanti scenari di orwelliana memoria e fenomeni – più o meno trasparenti – di natura censoria. Proprio parlando della possibilità di far ricadere sugli intermediari della comunicazione eventuali responsabilità di quanto avviene sulle reti Autorevole dottrina ha già rilevato come ciò farebbe nascere diversi problemi tecnici ma, soprattutto, rischierebbe di creare una situazione in cui il gestore, per evitare una pesante responsabilità per danno, si potrebbe trasformare nel più severe dei censori dando così vita ad una “censura di mercato 157 ancor più capillare e penetrante di quelle tradizionalmente affidate ad organi pubblici e, nella sostanza, ineludibile” . L’attività svolta dagli intermediari della comunicazione è, infatti, insopprimibile in ogni dinamica della comunicazione telematica e, pertanto, tali soggetti sono coinvolti – almeno da un punto di vista strettamente tecnico informatico – in ogni condotta di diffusione/acquisizione di contenuti che si consumi attraverso le risorse di Internet. A ciò deve essere aggiunto che gli intermediari della comunicazione – e in particolare l’acces provider – sono collocati in una posizione strategiaca nella dinamica della comunicazione, trovandosi prioprio lungo il confine tra il cyberspazio ed il c.d. mondo reale; essi costituiscono la porta di accesso necessitata ed ineliminabile a Internet ed ad un tempo e conseguentemente l’ultimo anello di congiunzione tra la nuova realtà telematica ed il mondo reale. Si tratta, peraltro, di soggetti cui ‐ a differenza di quanto si vorrebbe riconoscere ai propri utenti – è preclusa la possibilità di nascondersi, celarsi o disssimulare la propria reale identità essendo loro, anzi, espressamente richiesto di presentarsi e registrarsi in appositi albi ed elenchi tenuti da diverse Pubbliche Autorità a seconda degli Ordinamenti di riferimento. In tale contesto è sin troppo evidente l’esistenza di una diffusa tentazione ‐ che pervade i parlamenti, i governi, la magistratura, le forze dell’ordine ed i semplici utenti – di bussare alle porte degli intermediari della comunicazione per imporre o chiedere aiuto, collaborazione o supporto nell’individuazione dei responsabili di questa o quella condotta illecita posta in essere nel cyberspazio e, talvolta, per sancire, accertare o far valere forme di responsabilità più o meno oggettiva laddove vana sia risultata la possibilità di rintracciare ogni diverso responsabile della condotta incriminata. Insufficienti in tale prospettiva appaiono le petizioni di principio pur contenute in diverse disposizioni di legge nazionali e comunitarie ‐ da ultimo, ad esempio, nella disciplina sul commercio elettronico ‐ con riferimento all’esclusione di ogni responsabilità degli intermediari della comunicazione – sebbene subordinatamente al ricorrere di determinate condizioni – in relazione alle condotte poste in essere dai propri utenti. E’ sufficiente sfogliare alcuni recentissimi provvedimenti normativi e porre attenzione a talune altrettanto recenti iniziative imprenditoriali assunte da intermediari della comunicazione di grande fama e notorietà per rendersi conto che dette petizioni di principio non valgono ad appagare la naturale esigenza di imputazione di ogni condotta giuridicamente rilevante – lecita o 158 illecita – ad un determinato soggetto né a superare e travolgere il principio della responsabilità patrimoniale o personale di carattere penale di cui sono permeati – sebbene con sfumature diverse – tutti gli Ordinamenti giuridici. Basti pensare – guardando alla realtà italiana – alla Legge 21 maggio 2004, n. 128 ‐ Conversione in legge, con modificazioni, del decreto‐legge 22 marzo 2004, n. 72, recante interventi per contrastare la diffusione telematica abusiva di materiale audiovisivo, nonché a sostegno delle attività cinematografiche e dello spettacolo che pone a carico degli intermediari della comunicazione – ferma in astratto la loro irresponsabilità sancita da ultimo nella disciplina di attuazione della direttiva comunitaria in materia di commercio elettronico – l’obbligo di comunicare “le informazioni in proprio possesso utili all'individuazione dei gestori dei siti e degli autori delle condotte segnalate” nonché quello di porre in essere “tutte le misure dirette ad impedire l’accesso ai contenuti dei siti ovvero a rimuovere i contenuti medesimi”. La stessa disposizione, peraltro, sanziona la violazione di tali obblighi con una sanzione amministrativa pecuniaria da 50.000 euro a 250.000 euro. Non è questa la sede per soffermarsi ad analizzare la portata e le possibili gravi ricadute – sotto il profilo della libertà di manifestazione del pensiero – delle richiamate disposizioni di legge ma sembra, sin d’ora, possibile rilevare come previsioni di tale tenore finiscano inevitabilmente con il far rientrare dalla finestra forme di responsabilità – benché indiretta – degli intermediari della comunicazione spingendo, così, tali soggetti all’adozione di politiche rigide e restrittive circa la libertà dei propri utenti di comunicare al pubblico telematico – attraverso i propri servizi – contenuti anche solo potenzialmente illeciti. Non differenti preoccupazioni, d’altro canto, si registrano spingendo lo sguardo al di là dei confini nazionali. E’, infatti, delle ultime ore la notizia che British Telecom – uno dei più grandi fornitori di accesso alla Rete operante sul territorio Europeo – sta per lanciare il progetto Cleanfeed attraverso il quale il provider intende bloccare l’accesso dei propri utenti ai siti – da esso autonomamente censiti – contenenti materiale pedopornografico. Si tratta di un’iniziativa ovviamente difficile da contestare in considerazione delle nobili finalità che mira a raggiungere ma che, tuttavia, desta più di una perplessità sotto il profilo della legittimità ed opportunità delle modalità con le quali la British Telecom si prefigge di pervenire a tale risultato. Anche se non si conoscono ancora i dettagli della piattaforma informatica che verrà a tal fine utilizzata è, infatti, 159 evidente che per un verso essa comporterà inevitabilmente un’attività – più o meno trasparente – di monitoraggio della navigazione di tutti gli utenti che accederanno ad internet attraverso detto provider e, per altro verso, essa richiederà una costante attività di valutazione del contenuto dei siti esistenti in rete al fine di predisporre e mantenere costantemente aggiornata la black list dei siti che British Telecom riterrà essere connotati da contenuti pedopornografici. Entrambi i casi appena richiamati appaiono, dunque, sintomatici di quanto si è andati sin qui dicendo: l’anonimato assoluto degli utenti spinge l’Autorità a rivolgere le proprie attenzioni sugli intermediari della comunicazione e questi ultimi a tutelarsi ponendo in essere iniziative censorie che, quand’anche nobili ed apprezzabili sotto il profilo teleologico risultano, comunque, pericolose in relazione a possibili attentati alla privacy degli utenti nonché alla libertà di manifestazione del pensiero. In tale contesto appare urgente tornare a riflettere sulla possibilità di eliminare alla radice ogni forma di anonimato assoluto in internet e sostituirla, almeno, con formule di anonimato c.d. relativo nell’ambito delle quali potrebbe riconoscersi agli utenti di agire in Rete in modo anonimo o sotto identità dissimulate a condizione che sia poi eventualmente possibile – per finalità del tutto eccezionali e particolari quali, ad esempio, quelle di giustizia – risalire alla vera identità dell’autore della condotta. Al contrario di quanto da più parti frequentemente si prospetta si tratterebbe di una soluzione connotata da grani istanze liberali e ciò soprattutto in considerazione dei paventati rischi connessi all’opposto scenario con il quale ci stiamo già confrontando. Solo per questa via appare possibile auspicare che in un domani non troppo lontano Internet si scrolli definitivamente di dosso quell’immagine di sconfinato campo da gioco pieno di insidie e pericoli che, sino ad oggi ha impedito il diffondersi di un utilizzo maturo e consapevole delle risorse telematiche relegandole ad un ruolo che ne mortifica grandemente le reali ambizioni, attitudini e potenzialità. Chi rompe paga ci è stato insegnato sin da bambini e non c’è alcuna buona ragione per fare a mano di questa elementare regola di civiltà prima ancora che giuridica nel cyberspazio. Mr. Nobody non ha nessun diritto. 1° aprile 2008 Punto Informatico 160 Nelle ultime settimane la vicenda che ha visto contrapposta Wikipedia al Sindaco di Firenze ha riacceso il dibattito – in realtà mai completamente sopito ‐ sull’anonimato in Rete: da una parte quanti si dicono convinti che l’anonimato costituisca un diritto fondamentale ed inviolabile degli utenti e dall’altra quanti, invece, si dichiarano pronti a rinunciarvi58. La questione è complessa e costituisce, probabilmente, uno dei problemi di maggior rilievo che i legislatori di tutti i Paesi saranno chiamati ad affrontare nei prossimi anni. Nessun Ordinamento giuridico, infatti, può prescindere dalla necessità di imputare ad un soggetto determinato ogni condotta giuridicamente rilevante nonché i suoi effetti e conseguenze, si tratti di responsabilità civile, penale o amministrativa o, piuttosto, dell’assegnazione di un premio, del riconoscimento di un diritto o del pagamento di un credito. E’ ovvio, d’altra parte, che in caso di impossibilità di identificare l’autore della condotta, nella più parte dei casi, si rende necessario ricorrere a meccanismi sussidiari di imputazione degli effetti e delle conseguenze della condotta medesima. L’anonimato in Rete, secondo i sostenitori di tale teoria, rappresenterebbe un diritto‐presupposto per l’esercizio di altri diritti e libertà fondamentali quali, ad esempio, la libertà di manifestazione del pensiero con la conseguenza che eliminando il primo si comprimerebbe anche la seconda. Si tratta di una conclusione, probabilmente, corretta sotto un profilo pratico ma difficile da condividere in termini giuridici e, soprattutto, nell’ambito di un ragionamento de iure condendo e di lungo periodo anche perché essa costituisce la risposta ad un problema posto in termini inesatti. La questione, infatti, a mio avviso – se la si vuol porre in termini giuridici e non piuttosto in termini “romantici” ‐ non è se sia opportuno sopprimere il diritto all’anonimato in Rete costringendo tutti ad agire a volto scoperto ma, piuttosto, se un simile diritto possa, effettivamente, ritenersi sussistere. La mia risposta a tale quesito è negativa. Mr. Nobody – utente mascherato della Rete – non è titolare di alcun diritto e, tantomeno, di quello a mantenere celata la propria identità. Il ragionamento alla base di tale conclusione può seguire percorsi logici diversi: muovere dalla nozione di cittadino quale titolare dei diritti, dall’imprescindibilità della manifestazione della propria identità ai fini dell’esercizio di un diritto o, piuttosto, 58 Cfr. pag. 32 161 dall’imprescindibile esigenza che all’esercizio di ogni diritto o libertà faccia da contraltare l’assunzione di obblighi e/o eventuali responsabilità. Proviamo a partire proprio da quest’ultima considerazione. L’art. 11 della Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino del 26 agosto 1789, prevede che "la libera comunicazione dei pensieri e delle opinioni è uno dei diritti più preziosi dell'uomo" e "ogni cittadino può dunque parlare, scrivere, stampare liberamente salvo a rispondere dell'abuso di questa libertà nei casi determinati dalla legge”. La responsabilità nelle ipotesi di abuso è, dunque, il contraltare della libertà e, tale responsabilità, presuppone, evidentemente, l’imputabilità ad un cittadino determinato dell’abuso medesimo. Già sotto tale profilo, pertanto, l’idea che si possa “pretendere” di esercitare un diritto o una libertà sottraendosi, ex ante, all’eventuale successiva responsabilità mi sembra, francamente, assai poco convincente. Ma vi sono altre ragioni che mi portano a ritenere che non vi sia spazio né in Rete né fuori della Rete per un diritto all’anonimato. La Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo approvata dall'Assemblea generale delle Nazioni unite il 10 dicembre 1948 stabilisce che "ogni individuo ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione..." e "alla libertà di opinione e di espressione incluso il diritto di non essere molestato per la propria opinione…”. E’ ovvio che se l’esercizio della libertà di opinione dovesse o potesse avvenire in forma anonima non avrebbe avuto alcun senso rafforzare tale libertà fondamentale con il diritto a non essere molestato in ragione del suo esercizio. Ancora una volta, dunque, la libertà di opinione non sembra essere riconosciuta né riconoscibile a Mr. Nobody. La libertà di manifestazione del pensiero, il diritto alla privacy, quello al lavoro o quello alla salute ed ogni altro diritto o libertà fondamentale competono al cittadino, identificato da un nome e da un cognome quale appartenente ad un certo Stato ed Ordinamento e non certamente ad un sedicente Mr. Nobody, incappucciato che si rifiuti di svelare la propria identità mentre esige di esercitare i propri diritti o libertà. Contro l’idea di un anonimato assoluto in Rete, d’altra parte, non militano solo ragioni giuridiche. Gli ultimi anni, nel corso dei quali l’anonimato si è imposto come standard de facto con poche eccezioni hanno, infatti, 162 evidenziato che l’impossibilità di imputare una condotta ad un determinato soggetto, innesca meccanismi complessi quali forme di monitoraggio di massa, attribuzioni di responsabilità agli ISP o, piuttosto, agli UGC. Persecuzioni e caccia alle streghe in luogo dell’individuazione puntuale ed indolore dell’autore della condotta incriminata. D’altra parte l’idea che per poter esercitare una libertà fondamentale quale, ad esempio, quella di opinione occorra nascondersi, mi sembra che abbia il sapore della sconfitta più che quello della vittoria come sostenuto da quanti ritengono che l’anonimato costituisca un presupposto per l’esercizio di altre libertà. Qual è la soluzione dunque? A mio avviso l’anonimato protetto. Ciascun utente sarebbe libero di agire in rete “mascherato” dietro ad un nick ma, prima di entrare, dovrebbe lasciare all’ISP le sue generalità nella consapevolezza che solo l’Autorità giudiziaria potrà accedervi nel caso in cui si renda responsabile o vi sia il fondato sospetto si sia reso responsabile di una serie di illeciti ritenuti dal legislatore di particolare gravità. Mr. Nobody non ha diritti (ma anche doveri). 5 aprile 2008 http://www.guidoscorza.it/?p=281 Nei giorni scorsi sono intervenuto in un bel dibattito che Punto Informatico ha aperto e continua ad ospitare sull'anonimato in Rete. Il titolo del mio articolo come, peraltro, quello del mio post "Mr. Nobody non ha diritti" chiariva e chiarisce senza bisogno di altre parole il mio punto di vista: il diritto all'anonimato (assoluto) non dovrebbe trovare cittadinanza in Rete (ed a ben vedere neppure fuori). Proponevo e continuo a proporre un anonimato protetto: la libertà di agire in Rete sotto qualsiasi nick ma a condizione di lasciare alle porte del cyberspazio ‐ agli ISP ‐ la propria identità reale cui le sole Pubbliche Autorità dovrebbero poter accedere nell'ipotesi in cui Mr. (quasi) Nobody si macchiasse di colpe gravi. 163 Si tratta, peraltro, di una soluzione già proposta molto tempo fa da Stefano Rodotà. Tale proposta che io ritengo una precondizione ineliminabile per uno sviluppo civile, democratico ed economico della Rete ha, probabilmente, riscosso più critiche che consensi. Lo trovo naturale e non ne sono stupito: la libertà (quella assoluta) è piu romantica anche della più flebile ed elastica delle regolamentazioni. E' un'aspirazione naturale dell'uomo. Il diritto (in ogni epoca e regime) è sempre e comunque, in un modo o nell'altro, imposto ed è raro e difficile che sia effettivamente NATURALE. Nelle critiche, c'è un argomento, più ricorrente degli altri: l'anonimato come derivazione del diritto alla privacy. E' una posizione che non mi convince. Una cosa è sostenere che ciascuno abbia il diritto di controllare il trattamento da parte di altri dei propri dati personali incluso il proprio nome e cognome e, dunque, anche di inibire a terzi il trattamento ‐ inteso come semplice acquisizione ‐ di tali dati mentre altra cosa è riconoscere a ciascuno il diritto di agire senza assumersi alcuna responsabilità per le proprie condotte legittimandolo a rimanere nascosto sotto un cappuccio. Qui il diritto alla privacy o, forse, alla riservatezza deve cedere il passo all'esigenza che l'Autorità applichi le regole che ciascun Ordinamento secondo dinamiche ‐ sfortunatamente ‐ più o meno democratiche si da. Non si può derivare ‐ come, in queste ore, fanno in molti ‐ un principio generale da un'eccezione. Mi rendo conto anche io che in taluni regimi e momenti storici parlare in forma anonima può essere l'unico modo di parlare ma per un blogger che così facendo viene posto in condizione di raccontare la verità ci sono decine di migliaia di pirati e criminali che indossano lo stesso cappuccio dell'anonimato e pongono in essere condotte non meritevoli né di tutela né di garanzia. Non è marciando per le strade di una città a volto coperto e con la certezza di non essere riconosciuti che ci si batte per la democrazia o, almeno, non è questo che insegna la storia. E', per questo, che pur essendo convinto che Internet possa contribuire ‐ più di quanto non abbia già fatto sin qui ‐ alla democrazia globale ‐ sono ad un tempo certo che la strada perché ciò avvenga non è quella di rendere anonimo il popolo della Rete ma, al contrario, quella di dargli un'identità, di consentire a ciascuno, in Rete, di affermare ed esprimere appieno al propria personalità. 164 La moltiplicazione dei blog, degli spazi di discussione, di riviste telematiche "accessibili" ad un pubblico che, sino a ieri, non poteva ambire ad accedere ai media tradizionali per far conoscere la propria opinione, gli strumenti di democrazia elettronica ‐ sfortunatamente ancora troppo poco utilizzati ‐ il social web, questa sono, a mio avviso, gli strumenti telematici che possono affermare la democrazia anche dove ancora non c'è. Blogger più o meno noti hanno già costretto politici illustri a giustificarsi, a chiedere scusa a cambiare strada, filmati diffusi dagli UGC fanno tremare governi e regimi. L'anonimato assoluto non serve per affermare la libertà anzi esso costituisce una sconfitta: VOGLIO poter esercitare i miei diritti di cittadino globale NONOSTANTE le mie opinioni e NON VOGLIO dovermi NASCONDERE per esercitarle. Allo Stato, quindi, non chiedo di garantire il mio anonimato assoluto ma, semplicemente, di pormi in condizione di sentirmi libero in Rete e fuori dalla Rete anche ‐ ed anzi soprattutto ‐ mentre affermo appieno la mia personalità come inscindibile alchimia di convinzioni politiche, ideologiche e religiose ed a prescindere da ogni considerazione di razza, sesso o estrazione sociale. Egalité era la parola che risuonava negli anni della rivoluzione francese e che oggi è scritta nelle Carte costituzionali di tutti i Paesi che ambiscono a definirsi civili. Che bisogno ci sarebbe di sancire un DIRITTO ALL'UGUAGLIANZA se tutti fossimo UGUALI perché coperti da uno stesso cappuccio? 165 6. Web privacy. Contrappunti digitali. La tecno fobia clicca sempre due volte. 1° agosto 2008 Punto Informatico Il Garante per la tutela della privacy e della riservatezza nelle scorse settimane ha avvertito che fisserà regole chiare e piuttosto restrittive per lo sbarco in Italia del servizio Google street view: oscuramento del volto delle persone, mascheramento delle targhe, non identificabilità dei comportamenti umani e, infine, adeguata informazione circa le riprese in corso attraverso le Google Car. Sto facendo un po’ di zapping in TV: un servizio sulle prime code ai caselli autostradali per l’esodo estivo e un altro sulle “domeniche ecologiche” nelle principali città italiane con immagini di repertorio, un programma di viaggi e turismo alla scoperta di strade, piazze e monumenti delle nostre città d’arte. Migliaia e migliaia di fotogrammi di targhe, volti di persone ben visibili, frammenti di vita comune: coppie e famiglie in partenza per questa o quella località, anziani rimasti in città e cittadini e stranieri a passeggio per le vie delle nostre città per mano, da soli o piuttosto abbracciati. Eppure io non ho mai visto la troupe di un’emittente televisiva preceduta da un gobbo con la gigantografia di un’informativa sulla privacy o, piuttosto, le immagini di viaggiatori e passanti rese irriconoscibili attraverso accorgimenti digitali o, magari, i numeri delle targhe dei veicoli in coda al casello mascherati elettronicamente. Perché in TV tutto va bene e nel web bisogna prestare tanta attenzione? Sul web certi “fotogrammi” diventano “eterni” mi si dirà e, dunque, è più facile che un utente di Google street view riconosca in un’immagine il suo vicino di casa a passeggio con la moglie di quanto non lo sia in un servizio televisivo da pochi minuti. Ma basta una differenza “quantitativa” di questo genere per giustificare una risposta giuridica tanto diversa nei due casi? Il Governo propone di stampigliare le impronte digitali di tutti i cittadini italiani sulle carte d’identità mettendo così in circolazione su un supporto fisico un dato biometrico e, dunque, un frammento unico ed irripetibile dell’identità di ogni individuo e, i più, rimangono a guardare non rendendosi conto o, più probabilmente, fingendo di non rendersi conto che così facendo si 166 espone ad un rischio incontrollabile la titolarità di uno dei dati personali più preziosi per ciascuno di noi e si corre il rischio di condannare qualcuno – per il fatto solo di aver perso la propria carta d’identità – a fare i conti vita natural durante con “un altro se stesso” in giro per il mondo. Ad un tempo, però, preoccupazioni legate alla necessaria tutela della privacy e dell’identità personale hanno precluso di utilizzare i dati biometrici per l’attivazione dei dispositivi di firma digitale. La biometria, infatti, avrebbe consentito di “attaccare” il dispositivo di firma al braccio dell’individuo e di ricreare così nel mutato contesto tecnologico la medesima situazione fattuale caratteristica della sottoscrizione autografa. L’aver accantonato tale eventualità ha fatto si che, oggi, ci si debba accontentare di una semplice presunzione legale: quella secondo cui il dispositivo deve ritenersi utilizzato, salvo prova contraria, dal suo titolare. Difficile, ancora una volta, resistere dal domandarsi il perché di tante preoccupazioni – probabilmente corrette – quando si parla di bit e di tanta “leggerezza” quando si tratta del mondo degli atomi. Qualche mese fa, come ricorderanno i lettori di Punto Informatico, ha fatto scalpore la decisione dell’Agenzia delle entrate di pubblicare on‐line i dati relativi ai redditi dei contribuenti italiani. L’Agenzia, come tempestivamente accertò il Garante per la privacy, aveva sbagliato e violato la disciplina vigente a tutela, appunto, della privacy e della riservatezza. D’accordo, ma quei dati erano pubblici ed avrebbero dovuto essere resi accessibili – magari con modalità tecniche diverse e meno “generaliste” – anche attraverso gli strumenti telematici. E’ bastato paventare l’eventualità che in futuro ciò avrebbe potuto accadere perché il Palazzo – dopo aver lasciato la disciplina di riferimento eguale a se stessa per oltre un trentennio – si determinasse ad agire d’urgenza modificando radicalmente ‐ attraverso l’art. 42 del Decreto Legge n. 112/2008 (avente ad oggetto “Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione Tributaria“) – il regime di pubblicità di quei dati e precludendone in modo pressoché assoluto la comunicazione e diffusione. Il legislatore, dunque, non ha dettato così come sarebbe stato lecito attendersi nuove modalità per l’accesso attraverso i nuovi strumenti telematici di quei dati da parte dei cittadini ma ha, 167 piuttosto, preferito sottrarli quanto più possibile dal mondo dei bit. Ancora un esempio prima di trarre qualche conclusione. La dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e del cittadino, la nostra costituzione e quella di centinaia di altri Paesi, Leggi, Giudici e sentenze – sebbene con intensità e determinazione diversa a seconda di regimi ed epoche storiche – ricordano da decenni che la libertà di manifestazione del pensiero costituisce una pietra angolare di ogni ordinamento democratico e che il suo esercizio deve essere garantito ad ogni cittadino, tra l’altro, quale insopprimibile strumento di affermazione ed estrinsecazione della propria personalità. La limitatezza dei canali di accesso ai media ha, tuttavia, sino a ieri inesorabilmente compresso il pieno esercizio di tale libertà da parte dei più consegnando l’informazione nelle mani di pochi. Oggi, finalmente, esiste un media ontologicamente diverso da tutti quelli che l’hanno preceduto e, per questo, in grado di offrire a chiunque – o almeno a quanti hanno la fortuna di appartenere alla c.d società dei 2/3 ovvero degli “intrerconnessi” – la possibilità di esercitare tale libertà. In tale contesto dalle leggi, dai politici e dai giudici ci si sarebbe attesi una convinta difesa dei nuovi canali di esercizio della libertà di manifestazione del pensiero: nessuna deroga ai principi generali secondo cui l’esercizio di ogni libertà deve finire laddove rischia di ledere quella altrui e chiunque deve rispondere delle conseguenze delle proprie condotte ma, ad un tempo, nessuna limitazione all’esercizio di tale libertà in nome di regole vecchie e superate dalla tecnologia. Ma il mondo dei bit, ancora, una volta ha dato vita ad una reazione difficilmente spiegabile. Blogger condannati per stampa clandestina senza che nessuno abbia mai loro imposto alcuna registrazione, Blog sequestrati per aver ospitato quello che era già stato scritto su quotidiani senza che nulla del genere accadesse e, per finire, il più grande UGC del mondo sul banco degli imputati per non aver impedito – senza che nessuna norma glielo imponesse ed in una condizione di oggettiva impossibilità tecnologica – che qualche ragazzino postasse, tra milioni di video, anche un filmatino realizzato con un videofonino che non avrebbe mai dovuto essere diffuso perché racconta una scena di vita triste ma drammaticamente autentica consumatasi in un’aula scolastica. C’è un filo comune che corre lungo questi episodi e c’è un analogo preoccupante modo di guardare al futuro che li collega. 168 Non so dire cosa sia ma, a me sembra, possa parlarsi di tecno‐fobia o schizofrenia legislativa o, forse, più semplicemente scarsa consapevolezza del nuovo mondo che, questa volta, non è dall’altra parte dell’oceano ma lontano solo pochi click dai nostri Parlamenti e dalle aule di giustizia. Redditi online: l’incertezza del diritto. 2 maggio 2008 http://www.guidoscorza.it/?p=291 Si è scritto molto nelle ultime ora circa l'ormai nota vicenda della pubblicazione sul sito dell'Agenzia delle Entrate dei redditi di tutti i cittadini italiani e si è da più parti gridato allo scandalo in relazione alla scelta del vice‐ministro uscente di rendere, d'un colpo, accessibile il database dell'Agenzia delle Entrate59. E' ovvio che quanto accaduto è suscettibile di due diversi livelli di lettura: uno politico ed uno strettamente giuridico. Politicamente ci si deve chiedere se si è trattato di una scelta opportuna o, piuttosto, inopportuna. Non ho competenze o strumenti per rispondere a questa domanda e, quindi, non posso che esprimere il mio pensiero come hanno fatto già in molti: ci sono milioni di dati in possesso della nostra Pubblica Amministrazione che sarebbe più importante rendere accessibili ai cittadini ma, sin qui, nessuno ha mai pensato di metterli on‐line…penso, ad esempio, ai segreti di Stato sulle stragi di Stato ed ai parenti delle vittime che da decenni chiedono, almeno, di conoscere il perché di tanto dolore… La pubblicazione dei redditi degli italiani, in confronto, mi sembra un inutile esercizio voyeristico le cui conseguenze pratiche, peraltro, appaiono difficili da valutare. Credo, in ogni caso, che una decisione ‐ opportuna o inopportuna che fosse ‐ tanto nuova non andasse presa mentre il vice‐ministro si avviava a passare il testimone al suo successore. Giuridicamente, la questione, è diversa e, a differenza delle valutazioni politiche, può e deve essere ancorata a ragionamenti ed elementi certi, puntuali ed inequivoci. Sfortunatamente, tuttavia, sin qui non è stato così. Il provvedimento con il quale è stata disposta la pubblicazione delle dichiarazioni dei redditi 2005 è disponibile a questa URL: http://www.giurdanella.net/file_sito/agenzia_entrate_5308.pdf 59 169 L'intervento del Garante per la privacy sebbene ineccepibile sotto il profilo della tempestività è stato approssimativo e poco puntuale sotto quello dei contenuti60. Il testo del provvedimento di inibitoria pronunciato dal Garante per la tutela dei dati personali il 30 aprile 2008: Pubblicazione Internet degli elenchi dei contribuenti da parte dell'Agenzia delle entrate ‐ 30 aprile 2008 IL GARANTE PER LA PROTEZIONE DEI DATI PERSONALI Nella riunione odierna, in presenza del prof. Francesco Pizzetti, presidente, del dott. Giuseppe Chiaravalloti, vicepresidente, del dott. Mauro Paissan e del dott. Giuseppe Fortunato, componenti e del dott. Giovanni Buttarelli, segretario generale; VISTO il Codice in materia di protezione dei dati personali (d.lg. 30 giugno 2003, n. 196); VISTO l'art. 69 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, come modificato dall'art. 19 della legge 30 dicembre 1991, n. 413, che disciplina la pubblicazione degli elenchi dei contribuenti; VISTO che il predetto art. 69, comma 6, prevede, ai fini della consultazione dei predetti elenchi, il loro deposito, per la durata di un anno, sia presso l'ufficio dell'amministrazione finanziaria, sia presso i comuni interessati; RILEVATO che il provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle entrate del 5 marzo 2008, che individua le modalità e i termini di formazione degli elenchi relativi all'anno di imposta 2005, ha disposto una diversa modalità di pubblicazione di tali elenchi in un'apposita sezione del sito internet http://www.agenziaentrate.gov.it; RILEVATO altresì che tali elenchi, suddivisi in relazione agli uffici dell'Agenzia delle entrate territorialmente competenti, sono liberamente consultabili anche con la possibilità di salvarne una copia con funzioni di trasferimento file; CONSIDERATO che il citato art. 69, come già rilevato più volte da questa Autorità, costituisce, ai sensi dell'art. 19, comma 3, del Codice, la base giuridica per pubblicare elenchi dei contribuenti, recando "una precisa scelta normativa di consultabilità da parte di chiunque di determinate fonti" "operata per favorire una trasparenza in materia di dati raccolti dalla pubblica amministrazione attraverso le dichiarazioni fiscali" (v. Provv. 17 gennaio 2001, doc. web n. 41031, Provv. 2 luglio 2003, doc. web. n. 1081728, nonché Provv. 18 ottobre 2007, doc. web. n. 1454901); RILEVATO che, "come è desumibile dai numerosi pronunciamenti di questa Autorità in materia di trasparenza, non vi è incompatibilità tra la protezione dei dati personali e determinate forme di pubblicità di dati previste per finalità di interesse pubblico o della collettività" (v., in particolare, Provv. del 2 luglio 2003, cit.); CONSIDERATO tuttavia che il legislatore ha demandato all'Amministrazione finanziaria esclusivamente il compito di formare annualmente gli elenchi dei contribuenti e che il regime di pubblicità è invece direttamente prescritto per legge (art. 69, comma 6, cit.); RILEVATO che, all'esito di una preliminare verifica effettuata da questa Autorità, la pubblicazione dei predetti elenchi attraverso il sito web http://www.agenziaentrate.gov.it risulta allo stato non conforme alla normativa di settore; CONSIDERATO che il Garante, ai sensi degli artt. 143, comma 1, lett. c) e 154, comma 1, lett. a) e d) del Codice, può, anche d'ufficio, disporre il blocco e adottare altri provvedimenti previsti dalla disciplina applicabile al trattamento dei dati personali; 60 170 La questione, peraltro, non era nuova all'Ufficio del Garante che l'aveva già affrontata in diverse precedenti occasioni giungendo, peraltro, a conclusioni parzialmente differenti da quella cui è giunto nel provvedimento del 30 aprile61. Il punto è questo: la disciplina fiscale (art. 69 del D.P.R. 600/1973) prevede un regime di pubblicità per i dati relativi ai redditi dei contribuenti italiani, stabilendone, altresì termini e modalità di comunicazione e diffusione al pubblico62. RILEVATA la necessità di chiedere ulteriori chiarimenti e di invitare in via d'urgenza l'Agenzia a sospendere nel frattempo la pubblicazione dei dati personali contenuti negli elenchi dei contribuenti sopra menzionati tramite il sito web http://www.agenziaentrate.gov.it, nelle more della definizione degli ulteriori accertamenti da parte di questa Autorità; RISERVATA la formulazione in altra sede di un invito ai mezzi di informazione a non divulgare i dati estratti dagli elenchi resi disponibili in Internet dall'Agenzia con le predette modalità; VISTA la documentazione in atti; VISTE le osservazioni dell'Ufficio, formulate dal segretario generale ai sensi dell'art. 15 del regolamento del Garante n. 1/2000 del 28 giugno 2000; Relatore il prof. Francesco Pizzetti; TUTTO CIÒ PREMESSO IL GARANTE ai sensi dell'art. 154, comma 1, lett. d), del Codice, chiede ulteriori chiarimenti e invita l'Agenzia delle entrate a sospendere nel frattempo la pubblicazione degli elenchi dei contribuenti tramite il sito web http://www.agenziaentrate.gov.it. 61 I precedenti provvedimenti del Garante sono richiamati nel provvedimento riportato nella nota precedente. 62 Questa la normativa di riferimento: Dpr 600 del 1973 Articolo 69 Pubblicazione degli elenchi dei contribuenti. 1. Il Ministro delle finanze dispone annualmente la pubblicazione degli elenchi dei contribuenti il cui reddito imponibile è stato accertato dagli uffici delle imposte dirette e di quelli sottoposti a controlli globali a sorteggio a norma delle vigenti disposizioni nell'ambito dell'attività di programmazione svolta dagli uffici nell'anno precedente. 2. Negli elenchi deve essere specificato se gli accertamenti sono definitivi o in contestazione e devono essere indicati, in caso di rettifica, anche gli imponibili dichiarati dai contribuenti. 3. Negli elenchi sono compresi tutti i contribuenti che non hanno presentato la dichiarazione dei redditi, nonché i contribuenti nei cui confronti sia stato accertato un maggior reddito imponibile superiore a euro 5.164,57 e al 20 per cento del reddito dichiarato, o in ogni caso un maggior reddito imponibile superiore a euro 25.822,84. 4. Il centro informativo delle imposte dirette, entro il 31 dicembre dell'anno successivo a quello di presentazione delle dichiarazioni dei redditi, forma, per ciascun comune, i seguenti elenchi nominativi da distribuire agli uffici delle imposte territorialmente competenti: a) elenco nominativo dei contribuenti che hanno presentato la dichiarazione dei redditi; b) elenco nominativo dei soggetti che esercitano imprese commerciali, arti e professioni. 171 E' innegabile che la pubblicazione on‐line costituisca una modalità di diffusione non conforme alla citata disposizione di legge con la conseguenza che, alla stregua di quanto previsto dall'art. 19 del codice privacy, essa deve considerarsi illecita. Il Garante, pertanto, avrebbe dovuto pronunciarsi con maggior perentorietà e, anziché, limitarsi ad "invitare", inibire all'Agenzia delle Entrate la prosecuzione del trattamento (diffusione). Non mi sembra, infatti, che la questione richieda maggior approfondimento. Il problema, tuttavia, dal punto di vista giuridico, ora, è un altro: centinaia di migliaia di persone hanno avuto accesso ‐ nelle poche ore in cui ciò è stato possibile ‐ ai dati relativi al reddito dei contribuenti italiani. Mentre vi scrivo sto scaricando via p2p centinaia di file contenenti tali dati e non sono, evidentemente, il solo… 5. Con apposito decreto del Ministro delle finanze sono annualmente stabiliti i termini e le modalità per la formazione degli elenchi di cui al comma 4. 6. Gli elenchi sono depositati per la durata di un anno, ai fini della consultazione da parte di chiunque, sia presso lo stesso ufficio delle imposte sia presso i comuni interessati. Per la consultazione non sono dovuti i tributi speciali di cui al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 648. 7. Ai comuni che dispongono di apparecchiature informatiche, i dati potranno essere trasmessi su supporto magnetico ovvero mediante sistemi telematici. Dpr 633 del 1972 Articolo 66 Bis Pubblicazione degli elenchi di contribuenti. Il Ministro delle finanze dispone annualmente la pubblicazione di elenchi di contribuenti nei cui confronti l'ufficio dell'imposta sul valore aggiunto ha proceduto a rettifica o ad accertamento ai sensi degli articoli 54 e 55. Sono ricompresi nell'elenco solo quei contribuenti che non hanno presentato la dichiarazione annuale e quelli dalla cui dichiarazione risulta un'imposta inferiore di oltre un decimo a quella dovuta ovvero un'eccedenza detraibile o rimborsabile superiore di oltre un decimo a quella spettante. Negli elenchi deve essere specificato se gli accertamenti sono definitivi o in contestazione e deve essere indicato, in caso di rettifica, anche il volume di affari dichiarato dai contribuenti. Gli uffici dell'imposta sul valore aggiunto formano e pubblicano annualmente per ciascuna provincia compresa nella propria circoscrizione un elenco nominativo dei contribuenti che hanno presentato la dichiarazione annuale ai fini dell'imposta sul valore aggiunto, con la specificazione, per ognuno, del volume di affari. Gli elenchi sono in ogni caso depositati per la durata di un anno, ai fini della consultazione da parte di chiunque, sia presso l'ufficio che ha proceduto alla loro formazione, sia presso i comuni interessati. Per la consultazione non sono dovuti i tributi speciali di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 648. Gli stessi uffici pubblicano, inoltre, un elenco cronologico contenente i nominativi dei contribuenti che hanno richiesto i rimborsi dell'imposta sul valore aggiunto e di quelli che li hanno ottenuti. 172 Che potrò o dovrò farne? E cosa dovranno farne quanti, prima di me, li hanno scaricati direttamente dal sito delle Agenzie delle entrate? Su molti quotidiani on‐line e su migliaia di siti, oggi, sono snocciolati, comunicati, diffusi e commentati questi dati. E' lecito? La legge ‐ quella fiscale intendo ‐ non lo dice ed il Garante dela privacy ha sin qui taciuto. La mia personale opinione è che la pubblicazione via internet di tali dati, allo stato, debba essere considerata illecita in quanto non "coperta" da alcuna disposizione di legge e relativa a dati di cui ‐ sebbene attraverso il provvedimento interlocutorio del 30 aprile ‐ il Garante ha vietato la diffusione on‐line. E' ovvio, tuttavia, che occorre una regola ‐ ex lege o attraverso un provvedimento del Garante ‐ chiara ed universale altrimenti, nei prossimi mesi, sui giornali, in televisione, in Rete, nei tribunali e nell'ambito dei più diversi rapporti tra privati questi dati verranno continuamente utilizzati e ci ritroveremo, ogni volta, a chiederci se ed in che limiti tali dati possono essere archiviati, comunicati o, piuttosto, diffusi. Questo è il problema oggi sul tavolo ed è un problema serio che va risolto ed affrontato senza perder tempo a riflettere su ciò che è accaduto in quella ‐ benedetta o maledetta ‐ mattina del 30 aprile… Che ne pensate? Redditi online: attenti alle cure più dannose del male. 4 maggio 2008 http://www.guidoscorza.it/?p=292 L'errore ‐ possiamo chiamarlo così, quale che sarà la qualificazione giuridica che al fatto daranno nelle prossime ore l'Autorità Garante e la Magistratura ‐ commesso dall'Agenzia delle Entrate il 30 aprile ha generato reazioni incontrollate ed incontrollabili che anziché spegnere l'incendio lo stanno alimentando. La cura proposta rischia, però, di risultare più dannosa del male. E' pacifico, ormai, che l'Agenzia delle Entrate non avrebbe dovuto procedere alla pubblicazione via internet dei redditi dei 38 milioni di contribuenti italiani ma da qui a parlare di richieste risarcitorie mulitimiliardarie e di sequestri nelle case delle centinaia di migliaia di utenti che nella mattinata del 30 aprile hanno scaricato sui propri PC i dati resi disponibili dallo Stato il passo è lungo. 173 Una richiesta risarcitoria di 520 Euro per ogni contribuente che si è visto pubblicare on‐line il proprio reddito per un totale di 20 miliardi di euro è, probabilmente, un buon claim pubblicitario ed un eccezionale titolo ad effetto per chiunque sia alla ricerca di facile notorietà ma non ha, evidentemente, alcun fondamento giuridico. Quale sarebbe il danno sofferto da ciascuno dei 38 milioni di contribuenti italiani per il solo fatto dell'avvenuta pubblicazione del proprio reddito relativo al 2005? Quale il criterio di determinazione della misura del risarcimento? Chi l'ha detto che tutti i contribuenti italiani sono contrari alla pubblicazione on‐line dei propri redditi e determinati, pertanto ‐ ammesso anche che ne sussistessero i presupposti ‐ ad agire per il risarcimento dei danni sofferti? Tanto per cominciare il 68% degli oltre 100 mila italiani che hanno, sin qui, risposto al sondaggio promosso da Repubblica.it ha mostrato di condividere la scelta dell'Agenzia delle Entrate63. 68 mila contribuenti X 520 Euro = 35.360.000 Euro. Briciole in confronto alla richiesta risarcitoria di 20 miliardi che si vorrebbe avanzare ma briciole significative del fatto che non ci si può ergere a "rappresentanti" di tutti ed interpreti della volontà popolare con tanta leggerezza. E' fuor di dubbio che quanto accaduto sia un fatto grave ma proprio tale gravità dovrebbe spingere tutti a contribuire, con responsabilità ed equilibrio alla ricerca di una soluzione piuttosto che alla solita italica corsa all'aggiudicazione di effimera notorietà mediatica. Ieri è stato quel che è stato e nessuno ricondurrà mai più i dati relativi al reddito 2005 dei contribuenti italiani nelle segrete camere dell'Agenzia delle Entrate né in quelle ‐ invero meno segrete ‐ dei Comuni ma, domani, è un altro giorno ed è urgente individuare una soluzione idonea a prevenire prevedibili abusi di tali dati e, soprattutto, a distinguere l'abuso dall'uso lecito che degli stessi dati i cittadini hanno il diritto di fare. La legge (art. 69 D.P.R. 600/1973) riconosce a chiunque il diritto di accedere ai dati relativi al reddito dei contribuenti italiani a prescindere da qualsivoglia valutazione circa la meritevolezza dell'interesse che spinge il singolo all'accesso. I risultati aggiornati del sondaggio condotto da La Repubblica sono pubblicati a questa URL: http://www.repubblica.it/speciale/poll/2008/economia/contionline_risultato.htm l 63 174 La detenzione di tali dati ‐ a condizione, ovviamente, che non se ne faccia un uso illecito ‐ è, dunque, da ritenersi perfettamente conforme alla disciplina vigente senza che, in senso contrario, possa valere un criterio quantitativo secondo il quale ritenere lecita la detenzione di un modesto quantitativo di dati ed illecita la detenzione della totalità. Mi riesce difficile qualificare come illecita la raccolta di tali dati effettuata dai cittadini italiani attraverso il sito dell'Agenzia delle Entrate e, in ogni caso, mi sembra irragionevole ordinare a quanti hanno scaricato tali dati di distruggerli e, eventualmente, andarli a richiedere presso gli uffici della stessa Agenzia o, piuttosto, presso i Comuni. Spetterà, in ogni caso, al Garante ‐ in conformità a quanto disposto dall'art. 17 del Codice Privacy ‐ stabilire eventuali misure e modalità attraverso le quali i dati acquisiti dall'Agenzia delle Entrate potranno essere trattati. In tale prospettiva occorrerebbe, peraltro, tener presente che la disciplina fiscale sull'accesso ai dati dei contribuenti andrebbe, a ben vedere, reinterpretata alla luce di quanto oggi previsto nel Codice dell'Amministrazione digitale che, come è noto, sancisce il diritto dei cittadini di accedere alle informazioni rese disponibili dalla Pubblica Amministrazione attraverso gli strumenti informatici e telematici. Non sarebbe, pertanto, peregrina, domani, l'istanza di un cittadino che dopo aver cancellato i dati scaricati nella mattinata del 30 aprile dal sito dell'Agenzia delle Entrate, richiedesse a quest'ultima di trasmetterglieli nuovamente, a mezzo posta elettronica o altro canale telematico. Troppo facile, in questo contesto, imputare gravi responsabilità agli utenti che oggi dispongono di quei dati e minacciare sanzioni e sequestri. La questione è un'altra e, quanto accaduto, ci costringe ad affrontarla: il regime della pubblicità dei dati detenuti dalla pubblica amministrazione nella società dell'Informazione o ‐ per dirla con le parole di Jeremy Rifkin ‐ nell'Era dell'Accesso non può più farsi scudo della difficoltà pratica che la burocrazia ed il regime cartaceo della documentazione amministrativa hanno sin qui posto sulle spalle di chi a quei dati aveva diritto di accedere. Il fatto che ieri in pochi si recassero presso l'Agenzia delle Entrate o presso i competenti comuni a chiedere di conoscere il reddito di amici e parenti non significa che l'accesso a quei dati potesse considerarsi ristretto o, addirittura, illecito. Oggi, pubblico ‐ in assenza di ulteriori restrizioni determinate ex lege ‐ significa effettivamente accessibile da chiunque anche via web. 175 Redditi online/3: A ben vedere non è così semplice… 5 maggio 2008 http://www.guidoscorza.it/?p=293 Lo riconosco ho semplificato troppo un problema complesso e pur sforzandomi di rimanere obiettivo mi sono lasciato trascinare dal vasto movimento di opinione (giuridica e politica) contrario alla scelta operata dalla Agenzia delle Entrate. A ben vedere credo che alla questione possa e debba guardarsi in maniera meno conservatrice e soprattutto, sforzandosi di prescindere dal contigente. L'Agenzia delle Entrate nel rispondere al Garante per la Privacy questo pomeriggio ha, sostanzialmente, individuato il fondamento della propria decisione nel Codice dell'Amministrazione digitale che ‐ come, peraltro, ricordavo nel mio post di ieri ‐ in effetti, prevede che le Pubbliche Amministrazioni siano tenute a rendere accessibili i "dati pubblici" attraverso strumenti informatici e telematici. Continuo a pensare che l'Agenzia delle Entrate abbia peccato di leggerezza nello stabilire le modalità di pubblicazione dei redditi dei 38 milioni di contribuenti italiani ‐ come ho scritto sin dall'inizio e come spiega bene Andrea Monti ‐ ma inizio a ritenere che l'errore non sia consistito nella scelta dello strumento telematico e che, anzi, i dati di cui stiamo parlando, oggi, debbano essere conoscibili attraverso tale strumento benché, probabilmente, non in maniera "centralizzata" ed a cura dell'Agenzia ma in maniera decentralizzata ed a cura delle singole amministrazioni periferiche (uffici delle imposte e comuni) individuate dall'art. 69 del D.P.R. 600/1973. A tale conclusione mi conduce l'analisi del quadro normativo cui è affidata la disciplina della materia alla luce delle importanti novità ‐ sebbene troppo spesso dimenticate ‐ introdotte nell'ordinamento con il Codice dell'Amministrazione Digitale. Il punto è esattamente questo: in che misura le disposizioni di legge introdotte con il CAD hanno inciso sulle norme previgenti? L'art. 1 del CAD chiarisce che per "dato pubblico" debba intendersi quello "conoscibile da chiunque". La definizione coincide esattamente con quella contenuta all'art. 69 del D.P.R. 600/1973 con la conseguenza che, allo stato, non vi è spazio per ritenere che i dati relativi al reddito dei contribuenti italiani non siano dati pubblici almeno limitatamente all'intervallo temporale nell'ambito del quale la norma ne consente la consultabilità, appunto, da parte di chiunque. 176 Numerose disposizioni del CAD ‐ tra le quali l'art. 50 ‐ prevedono, inoltre, che le PA debbano ‐ e non semplicemente possano ‐ porre a disposizione dei cittadini i dati pubblici da esse detenuti "con l'uso delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione che ne consentano la fruizione e riutilizzazione" sebbene "alle condizioni fissate dall'ordinamento, da parte delle altre pubbliche amministrazioni e dai privati" nonché nei limiti di "conoscibilità dei dati previsti dalle leggi e dai regolamenti" e dalle norme in materia di protezione dei dati personali. L'art. 69 del D.P.R. 600/1973 stabilisce che gli elenchi contenenti i redditi dei contribuenti italiani siano "depositati per la durata di un anno, ai fini della consultazione da parte di chiunque, sia presso lo stesso ufficio delle imposte sia presso i comuni interessati". Non mi sembra azzardato, francamente, ritenere che la locuzione "presso", successivamente all'entrata in vigore del CAD debba essere interpretata come se si riferisse anche ai siti internet dei citati uffici (imposte e comuni interessati). Ogni diversa lettura della norma, infatti, finirebbe con il risultare incompatibile rispetto alle previsioni contenute nel codice dell'amministrazione digitale con la conseguenza di dover ritenere la norma tacitamente abrogata ‐ almeno in quella parte ‐ per effetto di una norma successiva e relativa alla stessa materia. Il problema non riguarda solo l'art. 69 del D.P.R. 600/1973 relativo ai dati dei redditi dei contribuenti italiani ma, più in generale, ogni norma che pur sancendo la conoscibilità da parte di chiunque di un dato in possesso della PA non riconosca poi ai cittadini il diritto di accedervi attraverso strumenti informatici o telematici. Mi sembra che, allargando l'angolo di visuale si riesca a guardare al problema in termini squisitamente giuridici ed in modo scevro dai condizionamenti legati al particolare carattere dei dati oggetto della vicenda che ha visto protagonista l'Agenzia delle Entrate. La conclusione cui si perviene seguendo tale ragionamento è, dunque, che, forse, l'Agenzia delle Entrate ha, effettivamente, violato la vigente disciplina sulla privacy per le modalità prescelte in relazione alla pubblicazione dei dati dei redditi degli italiani (accesso indiscriminato sul proprio sito e download di interi archivi) ma, quei dati ‐ almeno sin tanto che il legislatore non ne modificherà il regime di pubblicità ‐ devono, comunque, essere resi disponibili attraverso internet da parte dei soggetti ai quali l'Agenzia delle Entrate li ha trasmessi (uffici territoriali delle imposte e comuni). 177 Si tratta, a mio avviso, di una conclusione di cui il Garante per la Privacy dovrà tener conto nell'intervenire sulla questione e ciò con particolare riferimento alla posizione di tutti quegli utenti che oggi dispongono dei dati a suo tempo scaricati dal sito dell'Agenzia delle Entrate ed intendono utilizzarli. Tale utilizzo alla luce di quanto ho cercato di riassumere sin qui, mi sembra, infatti ‐ lo scrivevo già ieri ‐ lecito almeno in astratto e salvo verificare l'illiceità di talune particolari forme di utilizzo. Sarebbe un peccato se preoccupati di difendere la riservatezza dei nostri redditi ci lasciassimo passare davanti un treno sul quale viaggia un importante principio di civiltà giuridica quale quello dell'utilizzabilità degli strumenti telematici ai fini dell'accesso ai documenti pubblici della PA. Quei redditi devono tornare online64 8 maggio 2008 Punto Informatico È di poche ore fa il provvedimento con cui il Garante sulla privacy si è pronunciato in ordine alla pubblicazione su Internet dei dati fiscali dei contribuenti italiani cui ha proceduto il 30 aprile scorso l'Agenzia delle Entrate65. L’articolo è stato scritto con il Collega Carmelo Giurdanella. Il testo del provvedimento reso dal Garante per il trattamento dei dati personali l’8 maggio 2008: Redditi on line: illegittima la diffusione dei dati sul sito Internet dell'Agenzia delle entrate ‐ 6 maggio 2008 G.U. n. 107 dell'8 maggio 2008 IL GARANTE PER LA PROTEZIONE DEI DATI PERSONALI NELLA riunione odierna, in presenza del prof. Francesco Pizzetti, presidente, del dott. Giuseppe Chiaravalloti, vicepresidente, del dott. Mauro Paissan e del dott. Giuseppe Fortunato, componenti e del dott. Giovanni Buttarelli, segretario generale; VISTO il Codice in materia di protezione dei dati personali (d.lg. 30 giugno 2003, n. 196); VISTA la disciplina che regola la pubblicazione degli elenchi nominativi dei contribuenti che hanno presentato le dichiarazioni ai fini dell'imposta sui redditi e dell'imposta sul valore aggiunto; rilevato che su questa base gli elenchi sono formati annualmente e depositati per un anno, ai fini della consultazione da parte di chiunque, presso i comuni interessati e gli uffici dell'Agenzia competenti territorialmente; rilevato che con apposito decreto devono essere stabiliti annualmente "i termini e le modalità" per la loro formazione (art. 69 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, come mod. dall'art. 19 l. 30 dicembre 1991, n. 413; art. 66 bis d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633); VISTO il provvedimento con il quale l'Agenzia delle entrate ha attuato tale disciplina per il 2005 disponendo che gli elenchi, distribuiti ai predetti uffici dell'Agenzia e trasmessi ai comuni mediante sistemi telematici, siano altresì pubblicati nell'apposita sezione del sito Internet dell'Agenzia 64 65 178 http://www.agenziaentrate.gov.it "ai fini della consultazione" "in relazione agli uffici dell'Agenzia delle entrate territorialmente competenti" (Provv. Direttore dell'Agenzia 5 marzo 2008 prot. 197587/2007); VISTO il provvedimento del 30 aprile 2008 con il quale questa Autorità, appena avuta notizia di tale diffusione in Internet e avendo ritenuto sulla base di una verifica preliminare che essa non risultava conforme alla normativa di settore, ha invitato in via d'urgenza l'Agenzia a sospenderla; RILEVATO che con tale provvedimento il Garante ha anche invitato l'Agenzia a fornire ulteriori chiarimenti che, sollecitati con nota dell'Autorità del 2 maggio, sono pervenuti nel termine indicato (nota Agenzia 5 maggio 2008 n. 2008/68657); esaminate le deduzioni formulate e la documentazione allegata; RILEVATO dalle segnalazioni pervenute e dagli elementi acquisiti nell'istruttoria preliminare che la diffusione in Internet a cura direttamente dell'Agenzia, contrariamente a quanto da questa sostenuto nella predetta nota, contrasta con la normativa in materia, in quanto: 1) il provvedimento del Direttore dell'Agenzia poteva stabilire solo "i termini e le modalità" per la formazione degli elenchi. La conoscibilità di questi ultimi è infatti regolata direttamente da disposizione di legge che prevede, quale unica modalità, la distribuzione di tali elenchi ai soli uffici territorialmente competenti dell'Agenzia e la loro trasmissione, anche mediante supporti magnetici ovvero sistemi telematici, ai soli comuni interessati, in entrambi i casi in relazione ai soli contribuenti dell'ambito territoriale interessato. Ciò, come sopra osservato, ai fini del loro deposito per la durata di un anno e della loro consultazione ‐senza che sia prevista la facoltà di estrarne copia‐ da parte di chiunque (art. 69, commi 4 ss., d.P.R. n. 600/1973 cit.; v. anche art. 66 bis d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633); 2) il Codice dell'amministrazione digitale, invocato dall'Agenzia a sostegno della propria scelta, incentiva l'uso delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione nell'utilizzo dei dati delle pubbliche amministrazioni. Tuttavia, il Codice stesso fa espressamente salvi i limiti alla conoscibilità dei dati previsti da leggi e regolamenti (come avviene nel menzionato art. 69), nonché le norme e le garanzie in tema di protezione dei dati personali (artt. 2, comma 5 e 50 d.lg. 7 marzo 2005, n. 82); 3) la predetta messa in circolazione in Internet dei dati, oltre a essere di per sé illegittima perché carente di una base giuridica e disposta senza metterne a conoscenza il Garante, ha comportato anche una modalità di diffusione sproporzionata in rapporto alle finalità per le quali l'attuale disciplina prevede una relativa trasparenza. I dati sono stati resi consultabili non presso ciascun ambito territoriale interessato, ma liberamente su tutto il territorio nazionale e all'estero. L'innovatività di tale modalità, emergente dalle stesse deduzioni dell'Agenzia, non traspariva dalla generica informativa resa ai contribuenti nei modelli di dichiarazione per l'anno 2005. L'Agenzia non ha previsto "filtri" nella consultazione on‐line e ha reso possibile ai numerosissimi utenti del sito salvare una copia degli elenchi con funzioni di trasferimento file. La centralizzazione della consultazione a livello nazionale ha consentito ai medesimi utenti, già nel ristretto numero di ore in cui la predetta sezione del sito web è risultata consultabile, di accedere a innumerevoli dati di tutti i contribuenti, di estrarne copia, di formare archivi, modificare ed elaborare i dati stessi, di creare liste di profilazione e immettere tali informazioni in ulteriore circolazione in rete, nonché, in alcuni casi, in vendita. Con ciò ponendo anche a rischio l'esattezza dei dati e precludendo ogni possibilità di garantire che essi non siano consultabili trascorso l'anno previsto dalla menzionata norma; 4) infine, va rilevato che questa Autorità non è stata consultata preventivamente dall'Agenzia stessa, come prescritto rispetto ai regolamenti e agli atti 179 amministrativi attinenti alla protezione dei dati personali (art. 154, comma 4, del Codice); CONSIDERATO che, sulla base delle motivazioni suesposte, non risulta lecita la predetta forma di pubblicazione degli elenchi; CONSIDERATO pertanto che, a conferma della sospensione già effettuata, va inibita all'Agenzia la diffusione ulteriore in Internet dei predetti elenchi con le modalità sopra indicate, nonché la loro diffusione in modo analogo per i periodi di imposta successivi al 2005 in carenza di un'idonea base normativa e della preventiva consultazione del Garante (artt. 143, comma 1, lett. c) e 154, comma 1, lett. a), b) e d), del Codice); CONSIDERATO che con contestuale altro provvedimento va contestata all'Agenzia la violazione amministrativa per l'assenza di un'idonea e preventiva informativa ai contribuenti interessati (artt. 13 e 161 del Codice); CONSIDERATO che coloro che hanno ottenuto i dati dei contribuenti provenienti, anche indirettamente, dal menzionato sito Internet, non possono metterli ulteriormente in circolazione stante la violazione di legge accertata con il presente provvedimento; considerato che tale ulteriore loro messa in circolazione ‐in particolare mediante reti telematiche o altri supporti informatici‐ configura un fatto illecito che, ricorrendo determinate circostanze, può avere anche natura di reato (artt. 11, commi 1, lett. a) e 2, 13, 23, 24, 161 e 167 del Codice); rilevata pertanto la necessità di favorire la più ampia pubblicità al presente provvedimento; CONSIDERATO che restano tuttavia impregiudicate le altre forme di legittimo accesso agli elenchi consultabili da chiunque presso comuni interessati e uffici dell'Agenzia competenti territorialmente, ai fini di un loro legittimo utilizzo anche per finalità giornalistiche; CONSIDERATO che, qualora il Parlamento e il Governo intendessero porre mano a una revisione normativa della disciplina sulla conoscibilità degli elenchi dei contribuenti anche in rapporto all'evoluzione tecnologica, si porrà l'esigenza di individuare, sentita questa Autorità, opportune soluzioni e misure di protezione per garantire un giusto equilibrio tra l'esigenza di forme proporzionate di conoscenza dei dati dei contribuenti e la tutela dei diritti degli interessati; VISTE le osservazioni dell'Ufficio, formulate dal segretario generale ai sensi dell'art. 15 del regolamento del Garante n. 1/2000 del 28 giugno 2000; Relatore il prof. Francesco Pizzetti; TUTTO CIÒ PREMESSO IL GARANTE: 1) a conferma della sospensione della pubblicazione degli elenchi nominativi per l'anno 2005 dei contribuenti che hanno presentato dichiarazioni ai fini dell'imposta sui redditi e dell'imposta sul valore aggiunto, ai sensi degli artt. 143, comma 1, lett. c) e 154, comma 1, lett. a), b) e d), del Codice, inibisce all'Agenzia di: a) diffondere ulteriormente in Internet detti elenchi con le modalità che il presente provvedimento ha stabilito essere in contrasto con la disciplina di settore attualmente vigente; b) diffonderli in modo analogo per i periodi di imposta successivi al 2005, in carenza di idonea base normativa e della preventiva consultazione del Garante; 2) manda all'Ufficio di contestare all'Agenzia, con contestuale provvedimento, la violazione amministrativa per l'assenza di un'idonea e preventiva informativa ai contribuenti interessati; 3) dispone che l'Ufficio curi la più ampia pubblicità del presente provvedimento, anche mediante pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale della Repubblica italiana, al fine di rendere edotti coloro che hanno ottenuto i dati dei contribuenti provenienti, anche indirettamente, dal sito Internet dell'Agenzia, della circostanza che essi non possono continuare a metterli in circolazione stante la suesposta violazione di legge e che tale ulteriore messa in circolazione configura un fatto illecito che, ricorrendo determinate circostanze, può avere anche natura di reato. 180 Le conclusioni cui è pervenuto il Garante sono sostanzialmente in linea con quanto era nell'aria ormai da giorni: l'Agenzia delle Entrate ha violato la disciplina vigente in materia di privacy e riservatezza procedendo alla pubblicazione a mezzo Internet di dati che avrebbe, invece, dovuto limitarsi a trasmettere ai comuni ed ai propri uffici sul territorio. Muovendo da tali conclusioni, il Garante ha quindi inibito all'Agenzia delle Entrate ogni ulteriore diffusione in Internet degli elenchi contenenti il reddito dei contribuenti relativo al 2005 nonché ai successivi periodi di imposta e "ammonito" quanti siano frattanto entrati in possesso di tali elenchi a non porli ulteriormente in circolazione. La decisione è condivisibile nelle conclusioni cui attraverso essa si perviene a proposito della sostanziale illegittimità della condotta dell'Agenzia delle Entrate ma lascia perplessi circa alcuni passaggi logici della motivazione e, soprattutto, alcuni principi di più ampio respiro che, attraverso essa, l'Autorità sembrerebbe voler affermare. Secondo il Garante, infatti, l'illegittimità della condotta dell'Agenzia delle Entrate deriverebbe dalla circostanza che il Codice Privacy autorizzerebbe le pubbliche amministrazioni alla comunicazione e diffusione dei dati solo laddove espressamente previsto dalla legge e l'art. 69 del D.P.R. 600/1973 non prevederebbe, tra le forme di conoscibilità degli elenchi dei redditi dei contribuenti, la diffusione online. L'Agenzia delle Entrate avrebbe, pertanto, dovuto astenersi dal procedervi. In tale ragionamento, tuttavia, il Garante omette, a nostro avviso, di tenere nella debita considerazione quanto previsto dal Codice dell'amministrazione digitale, quasi che le norme in esso contenute dovessero ‐ per rango o per volontà del legislatore ‐ cedere il passo, in ogni caso, a quelle dettate dal Codice Privacy. Tale posizione non convince in quanto sembra caratterizzata da un approccio eccessivamente conservatore e privacy‐centrico, se ci si perdona il neologismo. 1. Tanto per cominciare, sembra utile ricordare che i dati relativi al reddito dei cittadini italiani sono dati pubblici. Lo stabilisce senza tema di smentite il combinato disposto degli artt. 69 del d.p.r. 600/1973 e 1, lett. n) del Codice dell'Amministrazione Digitale. La prima delle due citate disposizioni, al sesto comma chiarisce che gli elenchi dei redditi dei contribuenti "sono depositati per la durata di un anno, ai fini della consultazione da parte di chiunque, sia presso lo stesso ufficio delle imposte sia presso i Comuni 181 interessati" mentre la seconda stabilisce che per "dato pubblico" deve intendersi "il dato conoscibile da chiunque". Tale aspetto appare, invero, sottovalutato nel provvedimento del Garante. 2. È vero che l'Art. 69 del D.P.R. 600/1973 non contempla tra le modalità attraverso le quali garantire a chiunque l'accesso agli elenchi dei redditi dei contribuenti la pubblicazione di tali dati su Internet. Forse, tuttavia, sarebbe stato utile, per il Garante, interrogarsi sul carattere tassativo o meno delle modalità di accesso previste da tale disposizione e, soprattutto, sull'eventuale necessità di considerare integrata detta norma ‐ al pari di ogni altra di analogo tenore ‐ dalle disposizioni contenute nel codice dell'Amministrazione digitale. Quanto al primo aspetto appare utile ricordare che il Tar Lombardia, in una decisione del 9 gennaio 1981, chiamato a pronunciarsi sulla legittimità della pubblicazione da parte di un comune di un opuscolo contenente i redditi dei cittadini residenti nel proprio territorio ha già avuto occasione di stabilire che "L'art. 69 d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600, che prevede il deposito degli elenchi dei contribuenti al fine di consentirne a chiunque la consultazione, non preclude altre forme di pubblicità idonee a perseguire lo scopo di pubblica utilità di una corretta informazione dei cittadini, conformemente ad una delle finalità della riforma del settore, che si prefiggeva, tra l'altro, una maggiore trasparenza del rapporto tributario attraverso controlli svolti anche mediante più ampie forme partecipative". Certo si tratta solo di una pronuncia di un Giudice amministrativo, ma non può negarsi che essa sta a significare che una lettura meno conservatrice della disciplina fiscale in materia di accesso ai redditi dei contribuenti è possibile. L'aspetto, a nostro avviso, più rilevante è, tuttavia, il secondo ovvero l'impatto che le disposizioni del codice dell'amministrazione digitale hanno avuto sulla disciplina previdente. L'art. 2 del CAD stabilisce che "Lo Stato, le Regioni e le autonomie locali assicurano la disponibilità, la gestione, l'accesso, la trasmissione, la conservazione e la fruibilità dell'informazione in modalità digitale e si organizzano ed agiscono a tale fine utilizzando con le modalità più appropriate le tecnologie dell'informazione e della comunicazione" ed il successivo art. 12, c.5, prevede che "Le pubbliche amministrazioni utilizzano le tecnologie dell'informazione e della comunicazione, garantendo, nel rispetto delle vigenti normative, l'accesso alla consultazione, la circolazione e lo scambio di dati e informazioni, nonché l'interoperabilità dei sistemi e l'integrazione dei processi di servizio fra le diverse amministrazioni". 182 Si tratta di disposizioni di legge successive all'art. 69 del D.P.R. 600/1973 così come modificato dalla legge 30 dicembre, 1991, n. 413 e di pari rango, con la conseguenza che esse vanno ad integrare ogni disposizione previgente. Difficile, in tale contesto normativo, non nutrire almeno il sospetto che la disposizione contenuta nel sesto comma dell'art.69 del D.P.R. 600/1973, secondo cui gli elenchi dei dati vanno depositati presso i Comuni interessati, debba intendersi riferita anche ai siti internet di tali Comuni. 3.La conclusione cui si perviene seguendo tale ragionamento è che, allo stato, non sembra possibile considerare tout court illegittima la pubblicazione online degli elenchi dei redditi dei contribuenti italiani che, anzi, appare ‐ almeno laddove operata dai singoli Comuni e dagli uffici territoriali dell'Agenzia delle Entrate ‐ un atto dovuto al quale la pubblica amministrazione non può sottrarsi. Si potrà ‐ ed anzi si dovrà, come opportunamente ricorda il Garante ‐ semmai discutere delle modalità più idonee per evitare eventuali trattamenti di tali dati eccedenti i limiti di conoscibilità fissati dall'art. 69 del D.P.R. 600/1973 (pubblicazione dei dati tramite formati elettronici non manipolabili, esclusione delle funzioni di stampa e di salvataggio su PC, necessità di identificazione del cittadino italiano tramite codice fiscale o carta d'identità elettronica) ma non si può obiettare nulla circa l'esistenza di un diritto alla conoscibilità di tali dati e men che mai, nell'era della comunicazione digitale, all'utilizzo di Internet quale canale privilegiato di diffusione delle comunicazioni e di dati pubblici, ferma restando, semmai, solo la sanzionabilità di un uso illecito degli stessi. Nel plaudire, dunque, al Garante per la tempestività dell'intervento e per aver, una volta di più, ricordato la centralità del diritto alla privacy nel nostro Ordinamento, non ci si può sottrarre dal manifestare preoccupazione per il rischio che i principi generali sanciti nel provvedimento di questa mattina finiscano ‐ unitamente all'iniziativa azzardata e caratterizzata da inscusabile leggerezza dell'Agenzia delle Entrate ‐ con lo svuotare di significato le norme attraverso le quali il Codice dell'Amministrazione Digitale ha inteso, finalmente, riconoscere ai cittadini il pieno ed effettivo diritto all'accesso dei dati pubblici detenuti dalla Pubblica amministrazione. Il CAD non interviene sul regime di pubblicità dei dati della PA ma, più semplicemente, impone a quest'ultima di utilizzare anche le nuove tecnologie per consentire ai cittadini di accedere a dati già dichiarati pubblici dalla disciplina vigente. L'auspicio ‐ espresso in termini non provocatori ma reali ‐ è che "passata la bufera" il Garante detti, a tutti i Comuni ed agli uffici 183 dell'Agenzia delle Entrate sul territorio, regole e direttive per rendere accessibili online gli elenchi della discordia nel rispetto, ovviamente, della privacy. Non servono, infatti, nuove norme ma solo una puntuale e prudente applicazione di quelle vigenti. La (in)certezza del diritto (alla privacy). 25 maggio 2008 http://www.guidoscorza.it/?p=303 Il Ministro Brunetta ha lanciato l'operazione trasparenza pubblicando i redditi e le percentuali di assenteismo dei dipendenti del proprio ministero66. Ideologicamente lo condivido ma…giuridicamente sono smarrito. Nelle scorse settimane mi sono ritrovato in minoranza a sostenere che i dati pubblici relativi al reddito dei cittadini italiani dovevano tornare on‐line sebbene con modalità diverse da quelle prescelte dall'Agenzia delle Entrate. Il Garante è stato durissimo contro l'Agenzia delle Entrate e velocissimo nell'accertare l'illegittimità di quanto avvenuto67. Le procure della Repubblica di mezza Italia mi sembrano intenzionate ad usare il pugno di ferro contro quanti continuano ad utilizzare quei DATI PUBBLICI dopo averli acquisiti in modo (solo) FORMALMENTE difforme da quanto previsto dalla disciplina vigente. La legge va rispettata anche quando è scritta male e peggio ancora coordinata con altre disposizioni contenute, ad esempio, nel Codice dell'Amministrazione digitale. Lo capisco e, sebbene a fatica, lo accetto. Con qualche amico sto presentando un'istanza di accesso per via telematica ai dati relativi ai redditi di tutti i residenti ad un paio di comuni italiani sulla base della disciplina contenuta nel CAD. Stiamo a vedere cosa ci risponderanno… Leggo ora su Repubblica.it che la decisione del Ministro Brunetta sarebbe stata assunta nel rispetto della disciplina sulla Privacy! Mi sono perso qualcosa? Mi auguro che ciò significhi che il Ministro Brunetta abbia chiesto a tutti i propri dirigenti il consenso a procedere in tal senso, prestando loro adeguata informativa anche in relazione alle A questa URL sono disponibili i dati dei redditi dei dirigenti del Ministero della Funzione pubblica: http://www.innovazionepa.it/ministro/trasparenza/retribuzioni.htm 67 Cfr. nota n. 65 66 184 modalità di diffusione dei dati: un PDF scaricabile da chiunque mi sembra, francamente, eccessivo! Permarrebbe, peraltro, qualche problemino sulla libertà di un consenso richiesto da un Ministro ad un proprio dirigente Wink e sulla diffusione ‐ inevitabile ‐ di quei dati anche all'estero, circostanza che, nel noto caso dell'Agenzia delle Entrate, tanto aveva fatto agitare il Garante! Spero che questi consensi siano stati richiesti e, mi piacerebbe, che il Garante lo chiarisse in un proprio comunicato stampa perché, in assenza, quanto sta accadendo sarebbe difficilmente comprensibile. La Legge non credo dica che i dati sui redditi di un dirigente del Ministero della Funzione Pubblica sono più pubblici di quelli di tanti altri dirigenti (e non) italiani. In assenza del consenso degli interessati, parlerei di grande (IN)CERTEZZA del diritto e non credo di dover essere io a ricordare quali sono le conseguenze che si producono allorquando non vi è più certezza circa le conseguenze giuridiche di un'azione o omissione. La (IN)certezza del diritto/ UPDATE 27 maggio 2008 http://www.guidoscorza.it/?p=304 In un post di qualche ora fa sul Blog di Anna Masera de La Stampa leggo alcuni "virgolettati" del Ministro Brunetta che mi lasciano perplesso. Dice Brunetta "L’operazione….«è ’in progress’, e forse qualche falla è possibile, ma abbiamo voluto farla subito". Ho già scritto altre volte che l'agire della PA ‐ specie ad alto livello ‐ non può essere ispirato al principio del work in progress e che la PA non può accettare neppure a livello di "dolo eventuale" che in decisioni tanto importanti vi siano delle "falle". Aspettare un paio di settimane e verificare il quadro giuridico di riferimento non credo avrebbe danneggiato l'efficacia dell'Operazione Trasparenza che l'Italia attende da decenni! Il Ministro, poi prosegue ricordando che l'operazione è stata realizzata "sulla base delle leggi vigenti e dopo un confronto con il Garante della privacy, anche per evitare equivoci come in tempi recenti per ministeri più pesanti» . Un paio di annotazioni. Ho già espresso qualche perplessità sul fatto che la disciplina vigente legittimi i singoli Ministeri ‐ nella loro qualità di datori di lavoro dei dirigenti pubblici ‐ a diffondere via internet ed 185 in formato pdf i dati dei redditi. Forse, a tutto voler concedere, la legge riconoscere tale funzione all'Agenzia delle Entrate…Wink Quanto al "confronto con il Garante"…considerato che stiamo parlando dell'OPERAZIONE TRASPARENZA sarebbe interessante conoscere il parere del Garante e le sue motivazioni nelle quali, immagino, si spiegano le differenze tra questa vicenda e quella relativa all'OPERAZIONE TRASPARENZA lanciata qualche settimana fa dall'Agenzia delle Entrate. Ma il Ministro è prodigo di spiegazioni ed aggiunge: "i dati personali «sono stati autorizzati spontaneamente da ogni dirigente. C’è stato solo qualche piccolo nervosismo, che si è poi risolto con totale condivisione". Scrivevo ieri che ho qualche perplessità anche sulla libertà di un consenso espresso da un dirigente ‐ credo, peraltro, con contratti in scadenza ‐ nelle mani del Suo Ministro. Le parole del Ministro mi sembrano confermare queste mie perplessità attraverso il riferimento ai "piccoli nervosismi…poi risolti con totale condivisione". Lascio a voi la traduzione dal linguaggio ISTITUZIONALE a quello GIURIDICO delle parole del Ministro.Wink Immagino, ovviamente, che il Ministero abbia fornito ai propri dirigenti una puntuale informativa relativa anche alle modalità di diffusione dei dati… Per evitare fraintendimenti ci tengo a ribadire che la trasparenza è un valore in cui credo ma, allo stesso tempo, non posso accettare che l'espressione trasparenza ‐ in un'accezione, peraltro, ancora solo promozionale (non mi si venga a dire che la pubblicazione di quei numeri aggiunge qualcosa alle possibilità di controllo di un cittadino sull'agire della PA) ‐ sia usata come un grimaldello per scardinare regole e principi. Redditi online, spazio all'Operazione Chiarezza68 6 giugno 2008 Punto Informatico Nei giorni scorsi si è fatto un gran parlare dell’Operazione Trasparenza lanciata dal Ministro Brunetta anche se nessuno ne conosce con esattezza i termini in mancanza della pubblicazione del provvedimento con il quale la stessa è stata disposta. Da quanto è dato comprendere dalle dichiarazioni rese dal Ministro nella conferenza stampa del 24 maggio, tuttavia, l’Operazione dovrebbe consistere nella pubblicazione sul sito 68 L’articolo è stato scritto con il collega Ernesto Belisario 186 internet del Ministero per la Pubblica Amministrazione e l’Innovazione dei dati del personale, organigrammi, numero dei dirigenti, retribuzioni lorde, telefono, email e curriculum vitae dei dirigenti nonché dei tassi di assenza per ufficio. Con una lettera dello scorso 30 maggio, inoltre, il Ministro Brunetta ha invitato i suoi colleghi di Governo a seguire l’esempio. L’idea è buona ma le modalità con cui è stata attuata lasciano perplessi soprattutto perché l’iniziativa cade a poche settimane di distanza dal gran baccano sollevato dalla pubblicazione on‐line dei redditi dei contribuenti italiani e dalla decisione con la quale il Garante per la Privacy ha accertato l’illegittimità del provvedimento con il quale il Direttore Generale dell’Agenzia aveva disposto la pubblicazione degli elenchi. In quell’occasione si disse che il fatto che i dati dei redditi dei contribuenti italiani fossero pubblici non ne legittimava, comunque, la pubblicazione on‐line. Oggi, il Ministro Brunetta, nel lanciare la sua “Operazione Trasparenza” dichiara di agire nel rispetto della disciplina vigente e delle indicazioni del Garante per la protezione dei dati personali. Difficile contraddirlo in assenza di un provvedimento che chiarisca quali dati esattamente formeranno oggetto di pubblicazione e con quali modalità e, soprattutto, in mancanza di una richiesta di parere formale al Garante che, sin qui, sembra essersi limitato ad “annuire tacitamente con il capo”. Proviamo a vederci chiaro lanciando – ci sia consentito un gioco di parole – “un’Operazione Chiarezza”. La disciplina sulla privacy stabilisce – lo ha ricordato il Garante nel citato provvedimento nel Caso redditi on‐line –che le pubbliche amministrazioni possano procedere alla comunicazione e diffusione di dati personali solo ed esclusivamente quando previsto da una norma di legge e con le modalità e nei termini da essa dettati. In tale contesto è evidente che in assenza di un’adeguata copertura normativa l’iniziativa del Ministro Brunetta – per quanto giusta e meritevole di approvazione – non potrebbe aver seguito ponendosi, altrimenti, in contrasto con la vigente disciplina in materia di Privacy ed imponendo al Garante – così come accaduto nel Caso Redditi on‐line – di intervenire per porvi fine. Vediamo, dunque, cosa dice la legge. L’art. 54 del Codice dell'Amministrazione Digitale (D. Lgs. n. 82/2005) obbliga – e non già semplicemente permette le Pubbliche Amministrazioni a pubblicare sul proprio sito internet “l'organigramma, l'articolazione degli uffici, le attribuzioni e l'organizzazione di ciascun ufficio” ma anche “i nomi dei dirigenti responsabili dei singoli uffici” e “l’elenco completo delle caselle di 187 posta elettronica istituzionali attive, specificando anche se si tratta di una casella di posta elettronica certificata”. Nessun dubbio, quindi, sul fatto che la pubblicazione di tali dati, cui il Ministro Brunetta ha annunciato di voler procedere nell’ambito dell’Operazione Trasparenza sia lecita. Occorre, tuttavia, chiarire – nell’ambito della nostra piccola Operazione Chiarezza – che, in questo caso, non si tratta di scelte politiche discrezionali ma, più semplicemente, di necessaria applicazione di prescrizioni di legge vigenti. Tanto per intenderci non pubblicare questi dati sul sito di ogni Ministero (e, più in generale, di ogni altra PA) costituirebbe un’aperta violazione del Codice dell’Amministrazione Digitale che, per quanto dimenticata, è una legge – peraltro ormai anagraficamente matura – di questo Paese. In questo senso è difficile comprendere – da un punto di vista giuridico s’intende – il senso dell’invito rivolto dal Ministro Brunetta ai suoi colleghi di Governo affinché seguano il suo esempio e pubblichino tali dati on‐line. L’invito è fuori posto. Al riguardo, al massimo, si sarebbe potuto comprendere un richiamo al rispetto della normativa vigente. Non bisogna più convincere nessuno sui benefici che cittadini e PA ricaverebbero dall’attuazione del CAD e non è più tempo di discorsi autoreferenziali. Le norme ci sono ormai: bisogna soltanto farle applicare e, se non danno buona prova di sé, modificarle. Discorso diverso merita, invece, la questione della pubblicazione delle retribuzioni (lorde) dei dirigenti del Ministero della Pubblica Amministrazione e Innovazione e, nella misura in cui gli altri Ministri raccoglieranno l’invito del collega Brunetta, quelli dei dirigenti di tutti gli altri Ministeri e delle relative strutture collegate. Al riguardo l’art. 1, comma 593, della Legge Finanziaria 2007 (Legge n. 296/2006) dispone la necessaria e preventiva pubblicazione via web della retribuzione dei dirigenti delle pubbliche amministrazioni il cui incarico sia stato conferito ai sensi dell'art. 19, comma 6, D. Lgs. n. 165/2001 nonché dei consulenti, dei membri di commissioni e di collegi e dei titolari di qualsivoglia incarico corrisposto dallo Stato, da enti pubblici o da società a prevalente partecipazione pubblica non quotate in borsa. Ancora una volta la legge non permette la pubblicazione on‐line delle retribuzioni dei soggetti individuati nella norma ma la impone e, ancora una volta, pertanto, l’Operazione Trasparenza – ammesso che tutti i dirigenti di cui si discute siano stati nominati ai sensi del richiamato comma 6, art. 19, D. Lgs. n. 165/2001 – 188 costituirebbe semplicemente un’Operazione di applicazione della disciplina vigente. Se, invece, uno o più dei dirigenti cui si riferiscono i redditi già pubblicati o quelli che verranno pubblicati nelle prossime settimane non fosse stato nominato alla stregua della richiamata disposizione, mancherebbe una norma di copertura per l’iniziativa del Ministro Brunetta che, di conseguenza, dovrebbe astenersi dal provvedervi in assenza di esplicito e libero consenso da parte di tutti i dirigenti rilasciato dopo prestazione di adeguata informativa sui termini e le modalità di pubblicazione dei propri redditi. Il Ministro Brunetta, in effetti, nella sua conferenza stampa ha dichiarato – quasi a mettere le mani avanti – di aver agito con il consenso dei suoi dirigenti, consenso acquisito dopo qualche iniziale “resistenza”. Il consenso prestato da un dirigente nelle mani del suo Ministro, tuttavia, fa sorgere qualche perplessità sotto il profilo della sua effettiva “libertà”. L’Operazione Trasparenza, a regime, dovrebbe vedere la pubblicazione anche dei curricula dei dirigenti e dei dati relativi al raggiungimento degli obiettivi; anche in questo caso l’unica strada praticabile e legittima dal punto di vista giuridico è quella che prevede che l’Amministrazione richieda agli interessati il necessario consenso, così come prescritto dal Codice Privacy. A voler seguire la strada indicata dal Ministro Brunetta, quindi, appare opportuno dettare regole nuove che chiariscano i rapporti tra il regime di pubblicità e conoscibilità dei dati e la disciplina sulla privacy. In mancanza è prevedibile che le iniziative avviate da politici e dirigenti illuminati saranno destinate a fallire perchè bloccate dalle difficoltà nell’acquisizione di tutti i consensi necessari e dal contenzioso che potrebbe derivarne. Frattanto spetta al Garante per la protezione dei dati personali verificare che tutto, nell’ambito dell’Operazione Trasparenza si stia svolgendo effettivamente nel rispetto della disciplina vigente e ciò a tutela della certezza del diritto che non può e non deve essere posta nel dubbio attraverso l’assunzione di posizioni o orientamenti ondivaghi e difficilmente giustificabili in assenza di motivazioni puntuali, rigorose e, soprattutto, trasparenti. Se la regola dettata dal Codice Privacy è – come il Garante ha insegnato nel Caso Redditi on‐line – che la Pubblica Amministrazione può comunicare o diffondere dati personali solo in presenza di una norma di legge che a ciò la autorizzi e con le modalità previste da detta norma, l’Autorità non può oggi lasciare che in assenza di adeguata copertura normativa – nel solo nome di 189 un generico obiettivo trasparenza – i redditi di migliaia di dirigenti pubblici finiscano on‐line in file pdf destinati ad appartenere per sempre alla Rete globale. Non si tratta di chiedersi se è giusto o ingiusto o, piuttosto, di interrogarsi sull’opportunità politica del gesto ma, semplicemente, di chiarire, una volta di più, che le regole sono regole e che vanno rispettate in ogni contesto e stagione politica. Ci sia consentita un’ultima annotazione: la pubblicazione delle retribuzioni lorde dei dirigenti dei ministeri italiani riveste ben poca utilità e rischia anzi di risultare fuorviante in assenza della pubblicazione di adeguati indici di misurazione del complesso dei fringe benefits di cui ciascuno di tali soggetti può effettivamente disporre (auto, telefonini, pc, connessione ad internet ecc..). Operazione Chiarezza appunto. Privacy e social network 25 ottobre 2008 http://www.guidoscorza.it/?p=368 La privacy degli utenti di Facebook e MySpace e più in generale delle decine di piattaforme di Social Network forma oggetto di una delle risoluzione adottate nell'ambito della 30° conferenza mondiale dei Garanti per la protezione dei dati personali e la riservatezza svoltasi dal 15 al 17 ottobre a Strasburgo. I 70 garanti nella Risoluzione richiamano l'attenzione di utenti, social network providers e governi sui rischi connessi alle dinamiche di circolazione dei dati personali nell'ambito delle piattaforme di social network69. Il testo integrale della risoluzione: Risoluzione sulla tutela della privacy nei servizi di social network (*) Autorità proponente: Autorità per la protezione dei dati e l'accesso alle informazioni dello Stato di Berlino – Germania Co‐sponsor: Commission nationale de l'informatique et des libertés (CNIL) – Francia Autorità federale per la protezione dei dati e l'accesso alle informazioni – Germania Garante per la protezione dei dati personali – Italia Autorità per la privacy – Nuova Zelanda Autorità federale per la protezione dei dati e le informazioni – Svizzera Risoluzione I servizi di social network (1) sono divenuti estremamente popolari negli ultimi anni. Fra l'altro, si tratta di servizi che offrono agli abbonati la possibilità di interagire attraverso profili personali generati autonomamente, il che favorisce la comunicazione di dati personali relativi agli abbonati, ma anche a soggetti terzi, in una misura che non ha precedenti. I servizi di social network offrono una gamma 69 190 del tutto nuova di opportunità comunicative e di interazione in tempo reale attraverso ogni possibile tipologia di informazioni, ma l'utilizzo di questi servizi può comportare rischi per la privacy sia degli utenti sia di terzi. I dati personali divengono infatti disponibili pubblicamente e in modo globale, secondo schemi qualitativi e quantitativi che non hanno precedenti, anche attraverso enormi quantità di foto e video digitali. C'è il rischio di perdere il controllo dell'utilizzo dei propri dati una volta pubblicati in rete. Il fatto che si tratti di servizi operanti attraverso una "comunità" di utenti può far pensare che la situazione non sia molto diversa dal condividere informazioni con un gruppo di amici nel mondo reale; in realtà, le informazioni contenute nel proprio profilo possono raggiungere l'intera comunità degli abbonati al servizio – talora in numero di diversi milioni. Attualmente non vi sono che scarse tutele rispetto alla riproduzione dei dati personali contenuti nei profili‐utente; possono essere copiati da altri membri della rete, o da terzi non autorizzati esterni alla rete, e quindi venire utilizzati per costruire profili personali oppure essere ripubblicati altrove. Talora risulta assai difficile, o addirittura impossibile, ottenere la totale cancellazione dei propri dati da Internet una volta che essi siano stati pubblicati. Anche dopo la cancellazione dal sito originario (ad esempio, un servizio di social network), possono esisterne copie in mano a soggetti terzi o ai fornitori del servizio di social network. Inoltre, i dati personali contenuti nei profili possono "filtrare" dalla rete se sono indicizzati da un motore di ricerca, mentre alcuni fornitori di questi servizi consentono a terzi di accedere ai dati relativi agli utenti attraverso API (interfacce di programmazione applicazioni), cosicché tali soggetti terzi sono liberi di disporre dei dati in questione. Fra gli esempi di utilizzo ulteriore dei dati, possiamo citare la prassi invalsa presso molti uffici del personale di varie aziende di ricercare i profili‐utente relativi a candidati all'assunzione o singoli dipendenti. Secondo quanto riferito dalla stampa, un terzo dei responsabili delle risorse umane ammette di utilizzare informazioni tratte da servizi di social network, ad esempio per verificare o completare le informazioni fornite dai candidati all'assunzione. Le informazioni contenute nei profili‐utente e i dati di traffico sono utilizzati anche dai fornitori di servizi di social network per l'invio di messaggi mirati di marketing ai rispettivi utenti. E' molto probabile che in futuro si manifestino altre modalità di utilizzo dei dati contenuti nei profili‐utente. Fra gli altri rischi specifici per la privacy e la sicurezza già oggi individuati, possiamo ricordare l'incremento del rischio di furti di identità favorito dalla diffusa disponibilità dei dati personali contenuti nei profili‐utente e dalla "cattura" di tali profili ad opera di terzi non autorizzati. La 30ma Conferenza Internazionale delle autorità per la protezione dei dati e della privacy ricorda che tali rischi hanno già formato oggetto di analisi nel documento "Relazione e Linee‐Guida sulla Privacy nei Servizi di Social Network ("Memorandum di Roma")" adottato durante la 43ma riunione dell'International Working Group on Data Protection in Telecommunications (3‐4 marzo 2008), nonché nel Position Paper n. 1 dell'ENISA dedicato a "Security Issues and Recommendations for Online Social Networks" (ottobre 2007). Le Autorità per la protezione dei dati e della privacy riunitesi in occasione della Conferenza Internazionale sono convinte, in primo luogo, della necessità di condurre un'approfondita campagna informativa che investa tutti i soggetti pubblici e privati: dalle autorità di governo alle istituzioni scolastiche, dai fornitori di servizi di social network alle associazioni di utenti e consumatori, nonché le stesse autorità, al fine di prevenire i molteplici rischi associati all'utilizzo dei servizi di social network. 191 Raccomandazioni Tenuto conto della particolare natura dei servizi in oggetto, e dei rischi per la privacy delle persone nel breve e nel lungo periodo, la Conferenza sottopone le seguenti raccomandazioni agli utenti ed ai fornitori di servizi di social network: Utenti dei servizi di social network I soggetti interessati al benessere degli utenti dei servizi di social network, ivi compresi i fornitori di tali servizi, i governi, e le autorità per la protezione dei dati, dovrebbero contribuire ad educare gli utenti alla tutela dei dati personali che li riguardano, trasmettendo i messaggi di seguito indicati: 1. Pubblicazione delle informazioni Gli utenti di servizi di social network dovrebbero valutare con attenzione se e in quale misura pubblicare dati personali in un profilo creato su tali servizi. Occorre tenere presente che le informazioni o le immagini pubblicate potrebbero riemergere in tempi successivi – ad esempio, in occasione della presentazione di una domanda d'impiego. Soprattutto, i minori dovrebbero evitare di fornire l'indirizzo o il numero telefonico di casa. Sarebbe opportuno valutare se utilizzare nel profilo uno pseudonimo anziché il nome reale. Tuttavia, gli utenti devono ricordare che la tutela offerta dall'utilizzo di pseudonimi è piuttosto limitata, in quanto altri potrebbero individuare chi vi si cela dietro. 2. La privacy degli altri Gli utenti devono rispettare la privacy altrui. Occorre particolare attenzione se si pubblicano dati personali relativi a soggetti terzi (comprese foto con o senza didascalie o etichette) senza il consenso di tali soggetti. Fornitori dei servizi di social network I fornitori dei servizi di social network sono tenuti ad operare nell'interesse delle persone che utilizzano i loro servizi. Oltre a rispettare la normativa in materia di protezione dei dati, dovrebbero mettere in pratica anche le raccomandazioni di seguito indicate: 1. Norme e standard in materia di privacy I fornitori devono rispettare gli standard in materia di privacy vigenti nei Paesi ove operano. A tale scopo, dovrebbero consultarsi, se necessario, con le autorità per la protezione dei dati. 2. Informazioni relative agli utenti I fornitori dei servizi di social network devono informare gli utenti in merito al trattamento dei dati personali che li riguardano, secondo modalità trasparenti e corrette. Inoltre, devono fornire informazioni veritiere e comprensibili sulle conseguenze derivanti dalla pubblicazione di dati personali in un profilo, nonché sugli altri rischi in materia di sicurezza e sulla possibilità che soggetti terzi (comprese, ad esempio, le forze dell'ordine) accedano legalmente a tali dati. L'informativa deve indicare anche le modalità per una corretta gestione dei dati personali relativi a terzi che siano contenuti nei singoli profili‐utente. 3. Controllo da parte degli utenti sui dati che li riguardano E' necessario che i fornitori potenzino ulteriormente la capacità degli utenti di decidere l'utilizzo dei dati contenuti nei rispettivi profili per quanto riguarda i membri della comunità. Devono consentire agli utenti di limitare la visibilità dell'intero profilo, nonché di singoli dati contenuti nel profilo o ottenuti attraverso funzioni di ricerca messe a disposizione della comunità. Inoltre, i fornitori devono consentire agli utenti di decidere sugli utilizzi ulteriori dei dati di traffico e dei dati contenuti nei rispettivi profili – ad esempio, per quanto riguarda attività di marketing. Come minimo, devono offrire la possibilità di negare il consenso (opt‐out) rispetto all'utilizzo dei dati non sensibili contenuti nel profilo, e prevedere un consenso previo (opt‐in) rispetto all'utilizzo di dati di natura 192 La risoluzione richiama, sostanzialmente,il contenuto del memorandum già approvato a Roma nell'ambito della 43° riunione del Gruppo di lavoro sulla protezione dei dati nelle telecomunicazioni nel marzo di quest'anno70. Trovo giusto ed opportuno che i garanti richiamino l'attenzione degli attori del social networking sui rischi connessi a sensibile contenuti nel profilo (ad esempio, dati relativi ad opinioni politiche o all'orientamento sessuale) nonché rispetto ai dati di traffico. 4. Impostazioni di default orientate alla privacy Inoltre, i fornitori devono prevedere impostazioni di default orientate a favorire la privacy degli utenti per quanto riguarda le informazioni contenute nei singoli profili. Le impostazioni di default sono essenziali ai fini della tutela della privacy; è noto come solo una minoranza degli utenti che aderiscono ad un determinato servizio si preoccupi di modificare tali impostazioni. Le impostazioni in oggetto devono essere particolarmente restrittive se il servizio di social network è destinato o rivolto a minori. 5. Sicurezza I fornitori devono continuare a potenziare e garantire la sicurezza dei sistemi informativi, impedendo accessi abusivi ai profili‐utente, utilizzando standard riconosciuti per quanto concerne la programmazione, lo sviluppo e la gestione delle rispettive applicazioni, e ricorrendo a verifiche e certificazioni indipendenti. 6. Diritti di accesso I fornitori devono riconoscere alle persone (siano esse membri del servizio o meno) il diritto di accedere e, se necessario, apportare modifiche a tutti i dati personali detenuti dai fornitori stessi. 7. Cancellazione dei profili‐utente I fornitori devono permettere agli utenti di recedere facilmente dal servizio, cancellando il rispettivo profilo ed ogni contenuto o informazione da essi pubblicato attraverso il servizio di social network. 8. Utilizzo di pseudonimi I fornitori devono consentire la creazione e l'utilizzo, in via opzionale, di profili basati su pseudonimi e promuovere il ricorso a tale modalità opzionale. 9. Accesso da parte di soggetti terzi I fornitori devono prendere misure atte ad impedire che soggetti terzi possano raccogliere attraverso dispositivi di spidering e/o scaricare (o raccogliere) in massa i dati contenuti nei profili‐utente. 10. Indicizzazione dei profili‐utente I fornitori devono garantire che i dati relativi agli utenti siano navigabili da parte dei motori di ricerca soltanto con il previo consenso espresso ed informato da parte del singolo utente. Deve essere prevista per default la non‐indicizzazione dei profili‐ utente da parte dei motori di ricerca. __________________________________________ (*) Traduzione non ufficiale (1) "Un servizio di rete sociale (social network) consiste in via primaria nella costruzione e nella verifica di reti sociali online rivolte a comunità di soggetti che condividono interessi e attività, o che sono interessati ad esplorare gli interessi e le attività altrui […]. Si tratta di servizi che, per la massima parte, sono gestiti attraverso il web ed offrono diverse modalità di interazione fra gli utenti […]." Tratto da Wikipedia: http://en.wikipedia.org/wiki/Social_network_service 70 Il testo integrale del memorandum è pubblicato a questa URL: http://www.datenschutz‐ berlin.de/attachments/461/WP_social_network_services.pdf?1208438491 193 questa nuova straordinaria forma di socialità globale e sull'esigenza di rispettare scrupolosamente la vigente disciplina a tutela del diritto alla privacy degli utenti mentre mi lascia perplessa l'idea secondo la quale i social network providers sarebbero tenuti ‐ stando a quanto recita testualmente la risoluzione adottata a Strasburgo ‐ ad adeguarsi oltre che alla vigente normativa anche ad un decalogo di nuove regole dettate dai settanta garanti. Non entro nel merito di tali regole (lo farò più avanti) ma mi limito ad una considerazione di merito: in assenza di una precisa scelta di politica legislativa un intervento dei Garanti su una questione tanto delicata quale quella delle dinamiche di funzionamento del social networking è pericoloso perché nelle comunità virtuali si confrontano diritti ed interessi diversi e ben più complessi rispetto alla pur seria "Questione privacy". Un problema su tutti: è necessario limitare la libertà di autoderminazione degli utenti in relazione alla messa a disposizione dei propri dati personali? E' una risposta che, personalmente, non so ancora darmi e, francamente, credo che sia necessario approfondire l'analisi fenomenologica del social networking e delle sue possibili linee di evoluzione prima di pretendere di dare risposte normative o regolamentari. Mi piace ricordare che già Seneca aveva intuito che l'uomo è un animale sociale e che le persone non sono fatte per vivere da sole. Le comunità virtuali danno, dunque, concretezza ad un'ineliminabile aspirazione umana. E' possibile che il bene della comunità globale esiga il contenimento di tale naturale aspirazione così come è possibile il contrario… Sui social network si pronunci la storia 28 ottobre 2008 Punto Informatico Nel corso della 30° Conferenza internazionale dei Garanti per la protezione dei dati personali e la privacy svoltasi tra il 15 ed il 17 ottobre scorsi a Strasburgo è stata, tra le altre, adottata una Risoluzione sulla protezione della vita privata nei servizi di social network. La risoluzione muove dal presupposto – peraltro già puntualmente delineato nel Memorandum di Roma stilato nell’ambito della 43° riunione del Gruppo di lavoro internazionale sulla protezione dei dati nelle telecomunicazioni del 3‐4 marzo scorsi – secondo il 194 quale le piattaforme di social network se da un lato offrono ai propri utenti una possibilità di interagire e scambiarsi informazioni senza precedenti nella storia, dall’altro, espongono questi ultimi ad una grave minaccia della vita privata loro e dei terzi. Si tratta di un’analisi sostanzialmente condivisibile. L’impatto positivo di tale fenomeno sulla società contemporanea appare innegabile: per la prima volta nella storia dell’uomo, ciascun individuo è posto nell’effettiva condizione di manifestare liberamente il proprio pensiero, estrinsecare appieno la propria personalità ed interagire con altri individui senza barriere di carattere sociale, economico, geografico o culturale. E’, d’altro canto, circostanza egualmente incontestabile quella secondo cui nell’ambito dei social network circoli e venga quotidianamente scambiata una mole di informazioni attinenti all’identità personale degli utenti che non ha precedenti nella storia. Le conclusioni cui sono pervenuti i 70 Garanti riuniti a Strasburgo, tuttavia, sollevano qualche perplessità. Se, infatti, può convenirsi con i richiami contenuti nella Risoluzione all’esigenza che tutti gli attori operanti sul campo del social networking debbano svolgere un’opera di sensibilizzazione degli utenti – soprattutto di quelli minori o, comunque, più giovani – circa le conseguenze della condivisione di informazioni personali nell’ambito delle comunità virtuali ed al puntuale rispetto della normativa a tutela della privacy attualmente vigente, meno condivisibile appare la “responsabilità speciale” posta in capo ai social network providers così come il principio secondo il quale questi ultimi “oltre al rispetto della legislazione sulla protezione dei dati” dovrebbero, “egualmente attuare” ulteriori raccomandazioni dettate dai settanta garanti. Tali raccomandazioni concernono, tra l’altro, l’esigenza per i provider di social network, operanti in diversi Paesi, di adeguarsi alla disciplina sulla tutela della privacy in vigore in ciascun Paese nel quale erogano i propri servizi, quella di informare gli utenti circa le modalità con le quali vanno trattati i dati di soggetti terzi nonché quella di consentire agli utenti di restringere le modalità e l’ambito di diffusione dei dati personali contenuti nei propri profili, precludendone, ad esempio, l’indicizzazione da parte dei motori di ricerca e, dunque, l’accessibilità dei profili da parte di soggetti estranei alla piattaforma. Nella Risoluzione, si raccomanda, inoltre, ai social network providers, di ispirare le impostazioni predefinite delle proprie piattaforme al massimo rispetto della vita privata degli utenti e dei terzi, di consentire sempre agli utenti – ed anzi di incoraggiare – 195 l’utilizzo di uno pseudonimo e di limitare l’indicizzazione da parte dei motori di ricerca dei profili degli utenti salvo che questi ultimi non abbiano dato esplicita autorizzazione in tal senso. Si tratta di raccomandazioni che muovono da un principio lasciato sullo sfondo della Risoluzione di Strasburgo ma evidenziato con grande chiarezza nell’ambito del Memorandum di Roma: “With respect to privacy, one of the most fundamental challenges may be seen in the fact that most of the personal information published in social network services is being published at the initiative of the users and based on their consent. While ”traditional” privacy regulation is concerned with defining rules to protect citizens against unfair or unproportional processing of personal data by the public administration (including law enforcement and secret services), and businesses, there are only very few rules governing the publication of personal data at the initiative of private individuals, partly because this had not been a major issue in the “offline world”, and neither on the Internet before social network services came into being… At the same time, a new generation of users has arrived: The first generation that has been growing up while the Internet already existed. These “digital natives” have developed their own ways of using Internet services, and of what they see to be private and what belongs to the public sphere. Furthermore they – most of them being in their teens – may be more ready to take privacy risks than the older “digital immigrants”. In general, it seems that younger people are more comfortable with pubishing (sometimes intimate) details of their lives on the Internet. Legislators, Data Protection Authorities as well as social network service providers are faced with a situation that has no visible example in the past. While social network services offer a new range of opportunities for communication and realtime exchange of any kind of information, the use of such services can also lead to putting the privacy of its users (and of other citizens not even subscribed to a social network service) at risk.“. In tale contesto la perplessità principale che la recente Risoluzione di Strasburgo solleva concerne proprio l’opportunità – nella dichiarata assenza di una preliminare scelta di politica legislativa – che le Autorità Garanti della privacy e della riservatezza intervengano a regolamentare le dinamiche e lo sviluppo delle nuove comunità virtuali incidendo, persino, sul diritto di autoderminazione degli utenti circa la diffusione di porzioni più o meno rappresentative della propria identità personale. Non si tratta di un giudizio di merito ma, piuttosto, di una valutazione di metodo. Il contenuto del diritto alla privacy, infatti, non è statico ma, per sua natura, destinato a mutare in relazione ad una molteplicità di fattori storici, sociologici, culturali, politici e, persino, geografici 196 con l’ovvia conseguenza che se i c.d. “digital natives” attribuiscono a tale diritto un’intensità ed un contenuto diverso da quello attribuitogli nella presente epoca storica, non è detto che sia giusto o opportuno condizionarne lo sviluppo imponendo l’applicazione al futuro di regole provenienti dal passato. In epoche storiche non troppo lontane ed in Paesi divisi dal vecchio continente solo da qualche miglia marina si attribuiva ‐ e si attribuisce tuttora – alle espressioni “pubblico” e “privato” significati assai diversi da quelli diffusi nella nostra società e sui quali riposa l’attuale diritto alla privacy. Forse, dinanzi alla rivoluzione pacifica del Social Networking – nuovo mezzo di attuazione di un’antica aspirazione di tutti gli uomini che già Lucio Anneo Seneca definiva animali sociali non fatti per viver da soli – il legislatore, ed ancor più le Autorità di regolamentazione, dovrebbero far un passo indietro e lasciare che la storia faccia il suo corso e che siano i processi sociologici naturali a definire il contenuto di valori e diritti quale quello alla privacy. Non si tratta di abbandonare centinaia di milioni di utenti delle piattaforme di Social Network al loro destino o di disinteressarsi della tutela del loro sacrosanto diritto alla privacy ma, più semplicemente, di scongiurare il rischio che il diritto positivo condizioni così tanto prepotentemente l’evoluzione e lo sviluppo di nuove forme di socialità che non sta al legislatore di oggi giudicare, condannare o assolvere. 197 198