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RICORDATI - Parrocchia San Bernardo
IL CANTIERE MENSILE DI INFORMAZIONE DELLA PARROCCHIA SAN BERNARDO - CASTEL ROZZONE AGOSTO 2013 - NUMERO 8 ANNO XIV RICORDATI Ricordati, o piissima Vergine Maria, che non si è mai udito al mondo che alcuno sia ricorso alla tua protezione, abbia implorato il tuo aiuto, abbia chiesto il tuo soccorso, e sia stato abbandonato. Animato da tale fiducia, a te ricorro, o Madre, Vergine delle vergini; a te vengo, dinnanzi a te mi prostro, peccatore pentito. Non volere, o Madre del Verbo, disprezzare le mie preghiere, ma ascoltami benevola ed esaudiscimi. Amen. San Bernardo di Chiaravalle SAN BERNARDO ... PREGA PER NOI!!! E L A I R O T I ED È indubbio, carissimi, che il mese di Agosto sia centrale per la nostra Comunità. Pur non avendo ancora sperimentato l’esperienza della Festa del nostro Patrono San Bernardo, ne colgo comunque i fremiti e le aspettative dai preparativi che fervono in tanti ambiti della nostra realtà, sia religiosi che civili. Troverete, nell’edizione agostana de «Il Cantiere», una ricchezza di articoli tra i quali vorrei evidenziare quello riguardante il nostro Santo Patrono, ovviamente, e quelli che lanciano il tema oratoriano del nuovo Anno Pastorale ispirato dalla Lettera Pastorale del nostro Cardinale Arcivescovo Angelo Scola. In questo Editoriale traccio alcune sottolineature ... La PRIMA è legata al tema della «Patronale 2013»: «dall’Ora et Labora all’amiamo e saremo amati». È certo che nella vita di San Bernardo il motto di San Benedetto da Norcia è stato fondamentale e ne ha ispirato ogni azione, pensiero ed interpretazione della realtà; però, è altrettanto vero che San Bernardo non si è accontentato dell’esteriorità gestuale della «preghiera - ora» e del «lavoro - labora», ma è andato alla ricerca del motivo fondante queste due realtà. Che cosa le rende davvero fondamentali per un cammino credente? Come tutte le situazioni umane rischiano di essere svuotate del loro senso più vero e nobilitante, così, anche il monastico pregare ed il monastico lavorare rischiano tale deriva ... L’intuizione di San Bernardo sta nel riconsegnare al motto benedettino l’anima vivificante: l’amore! Se amiamo Chi preghiamo percepiremo in noi la gioia profonda dell’essere amati; se lavoriamo con amore per chi condivide con noi il percorso della storia percepiremo da loro un amore grato. Anche noi, che guardiamo a San Bernardo come amico e modello, dovremmo imparare a rimettere l’amore che dà senso ad ogni cosa nelle nostre faccende quotidiane. La SECONDA è legata, invece, al tema dell’Anno Pastorale: «Il campo è il mondo». Il nostro Cardinale ci ricorda che, solo perché cristiani, siamo tutti coinvolti nell’annuncio più prezioso che orecchie umane possano sentire: Dio ci ama in Gesù! È invito pressante a riprendere in mano il mandato di Gesù ad essere portatori di una Parola di speranza, di amore, di gioia, di comunione: la Parola del Vangelo! È invito ad essere coraggiosi testimoni del Risorto in tutti, ma proprio tutti, gli ambiti dell’umana esistenza. Proprio come San Bernardo che ha «mandato» i suoi monaci in tutta l’Europa ... La TERZA, anche se non è presente in questo «Cantiere», ma lo sarà sul prossimo, è legata al ricordo che la nostra Comunità riserva a coloro che festeggiano un significativo anniversario religioso. In particolare quest’anno padre Leone Masnata, Passionista e suor Maria (Dina) Perego, delle Suore della Carità che festeggiano - nella gratitudine al Signore - il loro 50° di Professione Religiosa. Essi sono davvero espressione di fede operosa sparsa per «il campo del mondo»; ma, anche, testimoni del tempo glorioso che questa Comunità ha vissuto generando generosamente figli e figlie a servizio della Chiesa!!! Preghiamo che questa «GRAZIA VOCAZIONALE» ci tocchi ancora!!! Infine, la QUARTA sottolineatura la rintraccio nell’Enciclica di Papa Francesco, la prima, «Lumen Fidei». L’ho letta con attenzione e con gusto ed essa mi ha aperto a delle profonde riflessioni sul fatto che la fede non è mai fuori della vita, anzi, chi crede davvero con un cuore libero e sincero vive e non «vivacchia» ... Non posso certo riportare tutto il 4° Capitolo, che è quello che mi interessa, perciò ne riporterò alcuni stralci che illuminano e danno spessore a ciò che ci siamo detti fin qui. Una bellissima parentesi merita il binomio FEDE - COMUNITÀ. Però, provate a leggerlo anche voi!!! Seguitemi a pagina 6 2 EDITORIALE IL CANTIERE In questo numero PAG. 2 EDITORIALE SAN BERNARDO PREGA PER NOI PAG. 4 ECONOMIA SITUAZIONE ECONOMICA PARROCCHIALE STORIA BREVI NOTE SULLA NASCITA DELL’ORDINE CISTERCENSE CULTURA PAG. 12 VIVERE LO SPIRITO MONACALE NEL NOSTRO “CAMPO” QUOTIDIANO PAG. 7 DIRETTORE RESPONSABILE DON RICCARDO CASTELLI Tel. Casa Parr. 0363 381022 Cell. 393 4776809 Email. [email protected] REDAZIONE Orietta Testa Michela Ferri Giuseppe Xhilone SITO WEB PARROCCHIALE Antonio Bosco PAGINE & PAROLE Paola Montella Claudia Brambilla Michela Cavenago Massimiliano Lava Yari Viganò Il Cantiere www.parrocchiasanbernardo.it Notiziario mensile della Parrocchia San Bernardo di Castel Rozzone Stampato in proprio PAG. 13 PAG. 15 PAG. 18 PAG. 19 ANNO PASTORALE 2013- 2014 INTERVENTO DEL CARDINALE ANGELO SCOLA IL CAMPO E IL MONDO ICONA EVANGELICA LO SLOGAN PER L’ANNO PASTORALE 2013-2014 STORIA PAG. 20 QUANDO PAOLO VI TERMINO’ LA SUA CORSA CARITAS PAG. 23 CARITAS - NOTTE BIANCA E ... PAG. 24 LA CHIESA - LA SALVEZZA SPORT PAG. 25 AIUTARE I RAGAZZI A CRESCERE CARTOLINE DA ... PAG. 26 NEW YORK CUCINA PAG. 27 PAN DI SPAGNA PAG. 28 CAMPAGNA SOSTEGNO 2013 Per informazioni e corrispondenza rivolgersi alla Redazione presso la Casa Parrocchiale o scrivere all’indirizzo di posta elettronica [email protected] Direttore Responsabile Don Riccardo Castelli 3 SITUAZIONE ECONOMICA PARROCCHIALE Carissimi tutti, dopo qualche mese dal mio ingresso in Parrocchia, oltre ad avere raccolto la grandissima e positiva eredità spirituale lasciatami dal mio predecessore, ho anche accettato di accogliere l’eredità passiva a livello amministrativo - economico sicuro che, come mi state da tempo confermando tutti voi, potessi contare sulla comprensione e sul sostegno di tutta la Comunità. Ho riportato qui sopra il grafico che il CAEP (Consiglio per gli Affari Economici della Parrocchia) ha realizzato circa l’andamento economico. Vorrei, allora, tracciare alcune linee che ci aiutano ad interpretarlo in modo corretto. 1. Il Grafico tiene conto dell’estinzione di uno dei due Conti Correnti posseduti dalla Parrocchia: uno riguardante il Fido (e tuttora attivo, ovviamente!!!); l’altro utilizzato per le spese correnti e, ormai, convogliato nell’unico conto aperto, che è quello per l’appunto del Fido, perché ne abbassasse i tassi di interesse. 2. Il Grafico riporta la situazione dal dicembre 2012 al giugno 2013 e considera solo l’aspetto complessivo e non tutta la situazione della rendicontazione particolareggiate di dare ed avere intercorsa nei singoli mesi (Operazione Formica; fatture per forniture varie; luce; metano; etc. ...). 3. Il Grafico, da gennaio, tiene conto anche dell’attivazione dell’Operazione Formica, che vuole sensibilizzare e coinvolgere i parrocchiani - e tutti quelli di buona volontà - nell’estinzione del Fido. 4. Il Grafico fa indubbiamente emergere due considerazioni significative. Una di ordine pratico, l’altra di natura squisitamente comunitaria. Di ordine pratico perché gli introiti offerti dalla generosità di tanti, pur essendoci comunque moltissime spese vive, superano queste ultime e, quindi, segnano pur nell’apparente negatività sempre un segno di ripresa che indice sul totale del Fido (a parte il mese di aprile!!!). 4 ECONOMIA Invece, a mio avviso più determinante e di inestimabile valore, è la forte coscienza di poter essere di aiuto e, quindi, ecco l’evento della grande generosità che si è attivata da parte di molte famiglie e singoli che dimostrano vero amore e forte attaccamento alla loro Parrocchia. Non mi resta che concludere questo breve intervento interpretativo con il dovuto ringraziamento per tali risultati, ma anche di ulteriore incoraggiamento perché sia intensificata l’opera di estinzione del Fido. Mi rivolgo soprattutto a chi, nonostante il momento di crisi, ha molta disponibilità a fare in occasione della Festa Patronale di San Bernardo un «REGALO» che contribuisca ad abbattere notevolmente il debito parrocchiale, quindi di tutti noi che crediamo e che viviamo la realtà di fede nella Comunità cristiana, e che ci permetta di poter realizzare i due progetti legati al Cinema - Teatro ed alle colonne della Chiesa. Vostro don Riccardo Gennaio Maggio Febbraio Marzo Aprile Giugno ECONOMIA 5 50. [...] Nel presentare la storia dei Patriarchi e dei giusti dell’Antico Testamento, la Lettera agli Ebrei pone in rilievo un aspetto essenziale della loro fede. Essa non si configura solo come un cammino, ma anche come l’edificazione, la preparazione di un luogo nel quale l’uomo possa abitare insieme con gli altri. [...] 51. [...] La luce della fede è in grado di valorizzare la ricchezza delle relazioni umane, la loro capacità di mantenersi, di essere affidabili, di arricchire la vita comune. La fede non allontana dal mondo e non risulta estranea all’impegno concreto dei nostri contemporanei. Senza un amore affidabile nulla potrebbe tenere veramente uniti gli uomini. L’unità tra loro sarebbe concepibile solo come fondata sull’utilità, sulla composizione degli interessi, sulla paura, ma non sulla bontà di vivere insieme, non sulla gioia che la semplice presenza dell’altro può suscitare. [...] [...] Le mani della fede si alzano verso il cielo, ma lo fanno mentre edificano, nella carità, una città costruita su rapporti in cui l’amore di Dio è il fondamento. 53. In famiglia, la fede accompagna tutte le età della vita, a cominciare dall’infanzia: i bambini imparano a fidarsi dell’amore dei loro genitori. Per questo è importante che i genitori coltivino pratiche comuni di fede nella famiglia, che accompagnino la maturazione della fede dei figli. Soprattutto i giovani, che attraversano un’età della vita così complessa, ricca e importante per la fede, devono sentire la vicinanza e l’attenzione della famiglia e della comunità ecclesiale nel loro cammino di crescita nella fede. Tutti abbiamo visto come, nelle Giornate Mondiali della Gioventù, i giovani mostrino la gioia della fede, l’impegno di vivere una fede sempre più salda e generosa. I giovani hanno il desiderio di una vita grande. L’incontro con Cristo, il lasciarsi afferrare e guidare dal suo amore allarga l’orizzonte dell’esistenza, le dona una speranza solida che non delude. La fede non è un rifugio per gente senza coraggio, ma la dilatazione della vita. Essa fa scoprire una grande chiamata, la vocazione all’amore, e assicura che quest’amore è affidabile, che vale la pena di consegnarsi ad esso, perché il suo fondamento si trova nella fedeltà di Dio, più forte di ogni nostra fragilità. 55. [...] Quando la fede viene meno, c’è il rischio che anche i fondamenti del vivere vengano meno, come ammoniva il poeta T. S. Eliot: «Avete forse bisogno che vi si dica che perfino quei modesti successi / che vi permettono di essere fieri di una società educata / difficilmente sopravviveranno alla fede a cui devono il loro significato?». Se togliamo la fede in Dio dalle nostre città, si affievolirà la fiducia tra di noi, ci terremmo uniti soltanto per paura, e la stabilità sarebbe minacciata. La Lettera agli Ebrei afferma: «Dio non si vergogna di essere chiamato loro Dio. Ha preparato infatti per loro una città» (Eb 11, 16). L’espressione «non vergognarsi» è associata a un riconoscimento pubblico. Si vuol dire che Dio confessa pubblicamente, con il suo agire concreto, la sua presenza tra noi, il suo desiderio di rendere saldi i rapporti tra gli uomini. Saremo forse noi a vergognarci di chiamare Dio il nostro Dio? Saremo noi a non confessarlo come tale nella nostra vita pubblica, a non proporre la grandezza della vita comune che Egli rende possibile? La fede illumina il vivere sociale; essa possiede una luce creativa per ogni momento nuovo della storia, perché colloca tutti gli eventi in rapporto con l’origine e il destino di tutto nel Padre che ci ama. 58. [...] San Giustino Martire, nel suo Dialogo con Trifone, ha una bella espressione in cui dice che Maria, nell’accettare il messaggio dell’Angelo, ha concepito «fede e gioia». Nella Madre di Gesù, infatti, la fede si è mostrata piena di frutto, e quando la nostra vita spirituale dà frutto, ci riempiamo di gioia, che è il segno più chiaro della grandezza della fede. [...] Che bello sarebbe realizzare le intuizioni di Papa Francesco anche nella nostra Comunità ... Che San Bernardo continui a vegliare sulla nostra Comunità e risvegli sempre più in noi un senso di vera comunione; un rinnovato slancio verso un servizio generoso; un profondo desiderio di dire a tutti che senza Gesù l’uomo rischia davvero di perdersi. San Bernardo ... prega per noi!!! Vostro don Riccardo 6 EDITORIALE BREVI NOTE SULLA NASCITA DELL’ORDINE CISTERCENSE (a cura di amf) Per comprendere il forte desiderio di Libertà e di Riforma che si avvertì un po’ ovunque, all’inizio dell’undicesimo secolo, bisogna tenere presente che i monasteri più prestigiosi con tutte le dipendenze, erano entrati gradualmente in pieno regime feudale, unendo alla loro azione religiosa, pur sempre notevole, l’impegno economico e ancor più quello politico. Dal secolo VIII al X si ebbero le maggiori trasformazioni, per influsso esterno, nell’istituzione monastica. L’abbazia viene concessa con l’investitura, simile ad un feudo qualsiasi. Il fondatore o donatore riteneva l’abbazia e tutte le pertinenze come qualsiasi altro tipo di proprietà. Col secolo X si giunge definitivamente a classificare le abbazie secondo l’appartenenza o la proprietà: abbazie regie, ducali ed episcopali. In questo frangente divenne di capitale importanza l’elezione dell’abate. L’abate non era eletto più secondo i capitoli 2 e 64 della regola di san Benedetto. Spesso il proprietario dell’abbazia non poteva dimostrare meglio la sua protezione sull’abbazia stessa che scegliendo direttamente un soggetto capace di dirigere la comunità e difenderla contro tutti i pericoli esterni ed interni. Ma la scelta dell’abate non sempre cadeva su un membro della comunità. Spesso gli abati erano prelevati tra il clero secolare ed, alle volte, anche tra i semplici laici. Il risultato più frequente, in quest’ultimo caso, erano gli abusi, i malcontenti e le difficoltà di ogni genere. Si giunse, infine, ad eleggere due abati: uno regolare per la cura della vita interna dei monaci e l’altro secolare per la conduzione dei beni temporali. In forza del Dominium sull’abbazia, i sovrani in particolar modo, esigevano dei servigi, per l’immenso patrimonio che avevano concesso alla comunità, come per qualsiasi altro feudo. I più frequenti servigi che la comunità doveva prestare al sovrano erano: servizio della corte, (L’abate doveva spesso frequentare la corte; se poi era anche sacerdote diventava confessore e cappellano di corte con molte assenze dalla sua comunità), mantenere nell’ambito del proprio territorio dei milites con parte delle rendite, offrire ospitalità al proprietario e alla sua corte. Se dalla parte del sovrano questi erano servigi, da parte dei monaci erano pesanti contropartite. Questa eccessiva ingerenza all’interno del monastero compromise, per molti aspetti, la stessa vita religiosa e a partire dall’VIII - IX secolo, i monaci cominciarono ad avvertire due fondamentali esigenze: aspirazione alla libertà attraverso l’esenzione e il desiderio di un rinnovamento spirituale attraverso la riforma. L’esenzione da ogni ingerenza laicale all’interno dell’abbazia si affermò lentamente e nel secolo XI divenne quasi generale. La riforma ebbe il primo sviluppo con Benedetto d’Aniane, poi con Cluny (909) ed infine con tutte le riforme che hanno portato alla nascita di numerosi nuovi ordini monastici: Francia: 1. Molesme (1075) con Roberto di Champagne. 2. L’Ordine di Grandmont (1076) con Stefano di Thiers, con l’impegno della più rigida povertà. 3. Certosini (1084) con san Bruno di Colonia (con accento sull’eremitismo ma anche con momenti di vita comunitaria). 4. Fontevrault (1100) con Roberto d’Arbrissel e i monasteri doppi. 5. Cistercensi (Santi Roberto, Alberico e Stefano, nel 1098). 6. Premonstratensi (San Norberto, 1120). STORIA 7 Italia: 1. Camaldoli e la corrente eremitica (1012) con San Romualdo. 2. San Nilo e i Basiliani (Calabria, inizio secolo XI). 3. Vallombrosa e la Riforma ecclesiastica (1036) con Giovanni Gualberto, 4. Montevergine (San Guglielmo da Vercelli, inizio secolo XII). 5. Pulsano (1129) Giovanni da Matera. In particolare vogliamo soffermarci sulla nascita dell’ordine Cistercense, cui grande impulso ebbe a dare sin quasi dalle origini anche San Bernardo. Un nuovo ordine che, nelle intenzioni dei suoi fondatori, e nello spirito del suo più illustre monaco: - voleva essere un ordine riformatore, nato all’interno della congregazione cluniacense, ma desideroso di maggiore austerità, e di ritornare alla stretta osservanza della regola benedettina1 e al lavoro manuale; - - questo desiderio ha portato i suoi fondatori ad uscire dalle abbazie in cui vivevano e quindi a trovare altri luoghi, più isolati, dove diedero inizio alla fondazione di nuove abbazie; e il contributo di Bernardo fu fondamentale per la rapida diffusione dell’ordine in tutta Europa e per il consolidamento della sua organizzazione; in questa diffusione ebbe buona parte anche l’applicazione al rigore monastico delle nuove strutture edificate per accogliere i monaci: nel rispetto del rigore assoluto a cui si voleva tornare anche il monastero viene purificato da ogni elemento inessenziale e l’architettura viene condotta a una incandescente essenzialità ed evidenza, in forme scattanti, basate esclusivamente sulla linea retta. L’edificio e ogni struttura come segno, espressione immediata di valori e creatore, in sé, di tali valori. Nell’ordine cistercense, i monaci, sottomessi ad una regola molto stretta, devono rinunciare a ogni ricchezza. Li caratterizza una grande austerità di vita che si rispecchia nella liturgia nell’arredamento e nell’abbigliamento. I monasteri hanno poche ed essenziali sculture, pitture, vetrate o pavimenti colorati. La concezione dell’uomo è determinata dalla fiducia totale della vittoria di Gesù (misericordia di Dio fatta carne) sul peccato: l’uomo più che un peccatore è un salvato. Lo spirito cistercense è quindi più influenzato dal Nuovo Testamento rispetto all’Antico che maggiormente caratterizzava i cluniacensi. Dal punto di vista architettonico l’espressione di questa concezione è alla base del passaggio dallo stile romanico allo stile gotico. 1 La Regola dell’Ordine di san Benedetto, o Regola benedettina, in latino denominata Regula monachorum o Sancta Regula, dettata da San Benedetto da Norcia nel 534, consta di un “Prologo” e di settantatré “capitoli”. I principi ispiratori Nella “Regola” San Benedetto fa tesoro anche di una breve esperienza personale di vita eremitica che gli fece capire quanto le debolezze umane allontanino di più dalla contemplazione di Dio. Per questa ragione propone di vincere l’accidia (una certa “noia” spirituale), con il cenobitismo, cioè una vita comunitaria che prevede un tempo per la preghiera ed uno per il lavoro e lo studio (Ora et Labora), lontana dalle privazioni e mortificazioni estreme imposta dalla vita in solitudine scelta dagli asceti e, quindi, attuabile anche da persone comuni. L’attività primaria divenne in diversi monasteri la copiatura di testi antichi, specie di quelli biblici. A tal proposito si è fatto notare che «il monaco che ricopia e medita e rivolve e commenta e diffonde la parola biblica» aperse la via alle nuove scienze linguistiche. In particolare, per i Benedettini la “Preghiera” è intesa come la contemplazione del Cristo alla luce della Parola Sacra ed è praticata sia comunitariamente attraverso i canti (loro sono i canti gregoriani), la partecipazione a funzioni e l’ascolto delle letture in diversi momenti della giornata (ad es. durante i pasti), sia nel chiuso della propria cella sia attraverso lo studio. Luoghi inospitali e disabitati dove erigevano le loro abbazie, ma anche lo studio e, un tempo, la trascrizione di testi antichi (non solo religiosi ma anche letterari o scientifici). Del resto per loro un’alta forma di preghiera è anche il proprio atteggiamento verso il lavoro. Così San Benedetto organizza la vita monastica intorno a tre grandi assi portanti che permettono di fare fronte alle tentazioni impegnando continuamente ed in modo vario il monaco: 1. preghiera comune 2. preghiera personale 3. lavoro Lo studio non era compreso. La maggior parte dei monaci benedettini era analfabeta. Compito del monaco è, con l’aiuto della comunità monastica di cui fa parte, di adempiere a questi tre obblighi con il giusto equilibrio, perché quando uno prende il sopravvento sugli altri il monachesimo cessa di essere benedettino. I monaci che seguono la regola di San Benedetto, infatti, non devono essere né dei contemplativi dediti unicamente all’orazione, né dei liturgisti che sacrificano tutto all’Ufficio, né degli studiosi, né dei tecnici o degli imprenditori di qualsivoglia genere di lavoro. 8 STORIA Un brevissimo resoconto di questa fase di rinnovamento monastico2 serve per inquadrare ancora meglio il periodo e lo spirito che animò le scelte. Roberto di Molesme, era nato vicino a Troyes. Si fece monaco benedettino all’età di sedici anni, e divenne in seguito abate del monastero cluniacense di Saint Michelle de Tonnerre, a circa 48 km da Châtillonsur-Seine dove Bernardo andava a scuola. Su richiesta di un gruppo di eremiti che viveva nella vicina foresta di Colan, Roberto lasciò quel luogo per insegnar loro come vivere secondo la Regola benedettina. In seguito condusse questa comunità in una terra che apparteneva alla sua famiglia , su un promontorio posto sul piccolo fiume Laignes tra Tonnerre e Châtillon-sur-Seine. Qui fondò il monastero di Molesme. Altri due monaci alla ricerca del difficile sentiero della perfezione passarono per Molesme. Uno era Bruno, nato a Colonia, che aveva studiato e, in seguito, insegnato nella scuola di Reims. Tra i suoi alunni c’era il giovane nobile borgognone Oddone di Lagery, che proseguì facendosi monaco a Cluny e diventando poi Urbano II, il Papa che predicò la Prima Crociata. Avendo avuto un diverbio con l’Arcivescovo di Reims, Bruno fuggì dal mondo per vivere come eremita vicino a Molesme ma, non trovando questo rifugio abbastanza solitario, scese verso la Savoia e fondò un monastero sulle montagne di Chartre, La Grande Chartreuse divenne la culla del più rigoroso di tutti gli ordini: quello dei certosini. Un secondo monaco che passò per Molesme fu un inglese, Stephen Harding, membro della nobiltà anglosassone la cui famiglia era stata rovinata dalla conquista normanna del 1066. Fuggito prima in Scozia e poi in Francia, Stephen studiò a Parigi e, nel 1085, all’età di venticinque anni, fece un pellegrinaggio a Roma dove prese la tonsura di monaco benedettino; ritornò poi sulle Alpi per unirsi alla comunità di Molesme. Qui, la fama di santità di Roberto aveva attirato donazioni che avevano portato molti monaci ad un lassismo per lui incompatibile con le regole di vita benedettine. Nel 1098, l’anno prima che Gerusalemme cadesse in mano ai crociati, Roberto lasciò Molesme con circa venti seguaci, tra cui Alberico e Stephen Harding, e, dopo un breve soggiorno nella diocesi di Langres, si diresse a sud verso la comunità di Citeaux a poco più di 24 km a sud di Digione. Qui furono in grado di vivere, secondo la loro concezione, la Regola di Benedetto da Norcia, senza le lunghe litanie e le preghiere che riempivano le giornate dei monaci di Cluny e rifiutando ogni legame con la nobiltà locale. La comunità sarebbe stata autosufficiente: i duri lavori manuali divennero parte della vita quotidiana del monaco. Come simbolo di devozione ad una vita di purezza, cambiarono il colore dei loro abiti da nero a bianco. Si rifiutarono di accettare tra loro bambini e servi, ma ammettevano fratelli laici che lavorassero sulle loro proprietà, e se avessero lavorato lontano dal monastero, avrebbero vissuto in un “granaio” (la grangia). In assenza di Roberto, Molesme andò declinando, per cui papa Urbano II gli ordinò di tornare. Divennero abati di Citeaux prima Alberico di Aubrey e poi Stephen Harding. Colpiti dalla loro austerità, i papi avrebbero esentato i cistercensi dal pagamento di decime e dai doveri feudali; ma il loro distacco alienò loro la nobiltà di Borgogna e l’austerità che tanto impressionava i papi costituì per molti un deterrente a farsi monaco. Nei primi anni in cui fu abate Stephen Harding sembrò che il monastero dovesse fallire; poi nel 1113, arrivò da Fontaine-les-Dijon il giovane e carismatico Bernardo con trentacinque persone tra parenti e amici. L’ordine cistercense ne fu rigenerato. Alla fine del secolo ci sarebbero state dodicimila comunità affiliate a Citeaux in tutta Europa. […] Il documento di fondazione del nuovo ordine (Charta Caritatis) comprendeva tre istituzioni: Uniformità: tutti i monasteri dell’ordine dovevano osservare attentamente le stesse regole e usanze, servirsi degli stessi testi sacri e avere un’identica sistemazione degli edifici; Capitolo generale: gli abitanti di tutte le “case” dovevano riunirsi ogni anno in un capitolo generale a Citeaux; Ispezione: ogni “casa figlia” doveva venir visitata ogni anno dall’abate della “casa madre” perché fosse garantita l’uniformità della disciplina. Rinaldo Comba, nell’intervento al Convegno tenutosi a Milano il 24 - 26 maggio 19903, propone un inte2 3 1993. Piers Paul Read, La vera storia dei Templari, Newton Compton Editori, seconda edizione aprile 2006, Collana “I volti della storia” n. 87, pagg. 94 e segg. I testi del Convegno sono stati pubblicati a cura di Pietro Zerbi nel volume “San Bernardo e l’Italia”, Scriptorium Claravallense Vita e Pensiero, Milano STORIA 9 ressante studio su queste tematiche, con queste affermazioni: Studi recenti hanno mostrato quanto sia pericoloso considerare in modo eccessivamente unitario l’esperienza cistercense, sia dal punto di vista della realizzazione degli ideali monastici, sia da quello dei rapporti con le strutture sociali ed economiche regionali4. In particolare, un acceso dibattito si è aperto sul periodo delle origini: fu questo davvero il momento di maggiore realizzazione degli ideali di povera e attiva vita cenobitica dei monaci bianchi? Il momento di più rigida applicazione della norma della cosiddetta redazione statutaria «del 1134»5 sui beni che essi si erano autorizzati a possedere? Nuove ricerche sui Cisterciensi di Borgogna nella prima metà del XII secolo sottolineano infatti non soltanto che essi avevano sempre ricevuto in donazione beni fondiari, rendite, mulini, e anche servi, ma che assai presto avevano dato terreni in locazione e concesso prestiti su pegno6. Gli statuti generali della redazione detta «del 1134» sono così apparsi ad alcuni studiosi non come una conferma della persistenza della prima tradizione cisterciense, ma come un tentativo di creare, a decenni dalla fondazione di Cîteaux e in concomitanza di acute polemiche con Cluny7, un modello ideale di comportamento che non sarebbe mai esistito8. Tali statuti sarebbero cioè l’espressione di uno sforzo di messa a punto della idealità cisterciense, così carico di progettualità e di volontà di autoidentificazione da portare alla reinterpretazione - in ambiente claravallense e forse ad opera dello stesso Bernardo della storia più antica di Cîteaux9. Quale era la natura ed il carisma di Bernardo? Il suo biografo nella Vita Prima considerò il suo bell’aspetto: il corpo magro e fragile, il fisico normale, la pelle morbida, i capelli biondi, la barba rossastra, nel complesso era bianco e rosa. Ma è chiaro che il potere sugli altri veniva dalla sua personalità e dalla sua forza persuasiva. «Il viso irradiava un luminoso splendore, che non era terreno, ma di origine celeste […] perfino il suo aspetto fisico traboccava di purezza interiore e abbondava di grazia»10. Inutile pensare a come sarebbe apparso in televisione; tutto ciò che occorre sapere […] è che Bernardo di Chiaravalle, come riassunto da Dom David Knowles, uno storico benedettino dei nostri tempi, era “uno della sparuta classe di uomini veramente grandi che avevano ricevuto doni e opportunità. Come capo, come letterato, come predicatore e come santo, aveva un inimitabile personale magnetismo e grande potere spirituale. Gli uomini giungevano dai confini dell’Europa a Chiaravalle e venivano rimandati in tutto il continente […]. Per quarant’anni Citeaux - Chiaravalle fu il centro spirituale dell’Europa e San Bernardo annoverò tra i suoi ex monaci, il papa, l’arcivescovo di York, e vescovi e cardinali in abbondanza.11 Alfio Mario Finardi 4 R. Comba, I Cistercensi fra città e campagne nei secoli XII e XIII. Una sintesi mutevole di orientamenti economici e culturali nell’Italia nord-occidentale, «Studi Storici», 26 (1985), pp. 237 - 261, ora in ID., Contadini, signori e mercanti nel Piemonte medievale, Roma-Bari, 1988, pp. 21 - 39, e, con qualche variante, in Dal Piemonte all’Europa: esperienze monastiche nella società medievale. Relazioni e comunicazioni presentate al XXXIV congresso storico subalpino, Torino 1988, pp. 311 - 337. Cfr. L’économie cistercienne. Géographie - Mutation du Moyen Age aux temps modernes. Auch, 1983, (Flaran, 3). Atti della Troisièmes journées internationals d’histoire (16 - 18 settembre 1981). 5 Secondo la critica più recente, la collezione statutaria detta «del 1134» sarebbe in realtà «le témoin de décisions qui ont étè prises dès les premiers Chapitres généraux et jusq’en 1152»: J.B. Auberger, Les Cisterciens a l’époque de Saint Bernard, in Bernardo cistercense. Atti del XXVI Convegno storico internazionale (Todi, 8 - 11 ottobre 1989), Spoleto 1990 (Atti dei Convegni dell’Accademia Tudertina, n.s. 3) pp. 24, 39. Cfr, dello stesso autore: L’unanimité cistercienne primitive: mythe ou réalité?, Achel 1986, pp. 61 - 62. 6 Breve rassegna in C. B. Bouchard, Cistercians Ideals versus reality: 1134 Reconsidered, «Cîteaux», 39 (1988), pp. 217 - 230, soprattutto a p. 223. 7 Sui nessi fra l’elaborazione dei tratti distintivi dell’ordine cisterciense e il conflitto con cluny mi limito a citare: J. De la Croix Bouton, Bernard et l’ordre de Cluny, in Bernard de Clairvaux, Aiguebelle 1953, pp. 203 - 209; D. Knowles, Cistercians and Cluniacs: the Controversy between St. Bernard and Peter the Venerabe, London 1955, passim; G. Constable, Cluny, Cîteaux, La Chartreuse, San Bernardo e la diversità delle forme di vita religiosa nel XII secolo, in Studi su S. Bernardo di Chiaravalle nell’ottavo centenario della canonizzazione. Convegno internazionale (Certossa di Firenze, 6 - 9 novembre 1974), Roma 1975, pp. 93 ss.; A. H. Bredero, Cluny et Cîteaux au XII siècle, Amsterdam - Maarsem 1985, passim; Auberger, Les Cisterciens …, pp. 27 ss. 8 Bouchard, Cistercians Ideals versus reality …, pp. 217 - 219; C. Hoffman Berman, Medieval Agricolture, the Southern French Countryside and the Early Cistercians, Philadelphia 1986 (Transactions of the American Philosophical Society, 76/5), p. 5. 9 Les plus anciens textes de Cîteaux a cura di J.de la Croix Bouton - J.B. Van Damme, Achel 1974, p. 22; J. B. Van Damme, A la recherche de l’unique vérité sur Cîteaux et ses origins, «Cîteaux», 33 (1982), pp. 327 ss.; Auberger, Les Cisterciens …, pp. 29 - 31. Si noti tuttavia che il problema dell’interpretazione delle più antiche fonti di Cîteaux sembra ancora lontano dall’essere esaurito. Sempre utili in merito alcune delle osservazioni avanzate qualche anno fa da E. Pasztor, Le origini dell’ordine cistercense e la riforma monastica, «Cîteaux», 21 (1965), pp. 112 - 127. 10 11 10 Citato in Adriaan H. Bredero, Bernard of Claiervaux: Between Cult and History, Edimburgh 1996, p. 95. David Knowles, Christian Monasticism, London 1969, p. 78 (trad, it. Il Monachesimo cristiano, Milano, Il Saggiatore, 1969). STORIA Bernardo predica la II crociata a Vézelay I santi primi abati di Cîteaux: Roberto di Molesme, Alberico di Cîteaux e Stefano Monaci cistercensi al lavoro nei campi La vergine appare a san Bernardo STORIA 11 VIVERE LO SPIRITO MONACALE NEL NOSTRO “CAMPO” QUOTIDIANO C ome abbiamo visto, lo spirito riformatore che ha mosso i santi monaci medioevali per un ritorno alla “regola benedettina” più stretta, non esentava certo i monaci dal lavoro manuale che doveva essere la prima fonte di sostentamento per loro e per il monastero. Iniziò così quell’ampio sistema che ebbe a bonificare e ad introdurre dei metodi di lavorazione dei campi che ancora oggi anche noi ben conosciamo nelle nostre campagne lombarde. Il lavoro dei campi strettamente connesso ad una profonda ascesi e ad una continua preghiera personale e comunitaria ritmata dal tempo e dalle stagioni, ha contribuito a formare e a far sviluppare l’ordine cistercense, ma più in generale, possiamo dire che questo stile di vita ha caratterizzato per molto tempo anche le comunità civili che vivevano in prossimità dei monasteri e ne venivano influenzate. Ma per noi, oggi, cosa significa essere chiamati a impegnarci e lavorare nel “campo”; come accogliere e vivere la proposta che il nostro Cardinale Arcivescovo ha lanciato per il nuovo anno pastorale? Come passare dal lavoro “dei campi” a percorrere da testimoni “il campo del mondo”? Come passare dal rassodamento della terra al rinnovamento delle coscienze? “Il campo è il mondo - Vie da percorrere incontro all’umano” è una iniziativa che nasce dalla constatazione che nella società è in atto una forte evoluzione, sullo sfondo dei mutamenti che stanno interessando tutto il Paese e l’Europa. E in questo contesto la Chiesa è provocata a una più decisa comunicazione di Gesù Cristo come buona notizia, Evangelo dell’umano, in tutti gli ambienti dell’esistenza quotidiana degli uomini e delle donne, e a riscoprire tutto il peso dell’affermazione di Gesù nella parabola della zizzania quando dice: “Il campo è il mondo” (Mt 13, 38). Alfio Mario Finardi 12 CULTURA INTERVENTO DEL CARDINALE ARCIVESCOVO ANGELO SCOLA L’INIZIATIVA PASTORALE «Il campo è il mondo: vie da percorrere incontro all’umano» L’iniziativa per il prossimo anno pastorale Prima di concludere questo significativo gesto ecclesiale, mi preme riproporre, l’iniziativa per il prossimo anno pastorale, annunciata lo scorso 28 marzo nell’omelia della Messa Crismale. Le decisioni comunicate negli interventi precedenti, frutto di un’ampia consultazione, ci consentono di passare dallo stadio di cantieri aperti all’individuazione di linee comuni, ovviamente sempre riformabili, per un’azione ecclesiale che sia in grado di attuare quella pluriformità nell’unità che è il criterio della communio. Se guardiamo alla forte evoluzione in atto nella nostra società lombarda, sullo sfondo dei mutamenti che stanno interessando tutto il paese e l’Europa, dobbiamo riconoscere che lo Spirito ci sta provocando ad una più decisa comunicazione di Gesù Cristo come Evangelo dell’umano. Parrocchie, Unità e Comunità Pastorali, Associazioni e Movimenti, Decanati, Zone Pastorali, Diocesi sono chiamati a riscoprire tutto il peso dell’affermazione di Gesù nella parabola della zizzania quando dice: «Il campo è il mondo» (Mt 13, 38). Il mondo va concepito dinamicamente come luogo della vita delle persone e dell’esprimersi delle loro relazioni. In questo senso, esso è costituito da tutti gli ambienti dell’esistenza quotidiana degli uomini e delle donne: famiglie, quartieri, scuole, università, lavoro in tutte le sue forme, modalità di riposo e di festa, luoghi di sofferenza, di fragilità, di emarginazione, ambiti di edificazione culturale, economica e politica. In sintesi, il mondo è la società civile in tutte le sue manifestazioni. Un invito pressante a muoverci in questa direzione ci viene da un’importante affermazione dell’allora Cardinale Bergoglio, ora Papa Francesco: «Quando la Chiesa non esce da se stessa per evangelizzare, diviene autoreferenziale e allora si ammala» (Avvenire, 27 marzo 2013). In che cosa consiste In cosa consiste questa iniziativa per il prossimo anno pastorale? Per precise ragioni abbiamo escluso il ricorso ad una visita pastorale, da una parte, e alla missione popolare, dall’altra. Lo scopo che vuole animarci è quello di far maturare nel cuore di tutti i nostri fedeli e di tutte le forme di realizzazione della Chiesa, una maggior coscienza missionaria che scaturisce dal dono della fede e dalla grata tensione a proporre l’incontro con Gesù, verità vivente e personale, come risorsa decisiva per l’uomo postmoderno. L’incontro con Gesù, infatti, è la strada verso il compimento, verso la felicità («Se vuoi essere compiuto perfetto», Mt 19, 21) e l’autentica libertà («sarete liberi davvero», Gv 8, 36). ANNO PASTORALE 13 Lo scopo dell’iniziativa Lo scopo dell’iniziativa si caratterizza per: un’apertura a 360°. Con un’immagine potremmo esprimerla nel modo seguente: la Chiesa non ha bastioni da difendere, ma solo strade da percorrere per andare incontro agli uomini; una proposta integrale. Vogliamo annunciare in tutti gli ambiti Gesù Cristo morto e risorto, che incarnandosi si è fatto via alla verità e alla vita per ciascun uomo. Il cattolicesimo popolare ambrosiano è chiamato a immaginare risorse innovative per radicarsi più profondamente negli ambiti dell’umana esistenza attraverso l’annuncio esplicito della bellezza, della bontà e della verità dell’evento di Gesù Cristo presente nella comunità ecclesiale. Un annuncio che giunge fino alla proposta di tutte le sue umanissime implicazioni antropologiche, sociali e di rapporto con il creato. Un annuncio che con semplicità ridice la consapevolezza che l’azione della Trinità è già all’opera in ogni uomo e in ogni donna; testimonianza, non egemonia. Come già ebbe a dire Paolo VI: «L’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, o se ascolta i maestri lo fa perché sono dei testimoni» (Evangelii Nuntiandi 41). Il testimone, il terzo che sta tra i due, nel nostro caso tra Gesù e il fratello uomo. Non è senza significato che sistematicamente i Vangeli leghino il riconoscimento di Gesù risorto da parte dei discepoli al loro invio fino ai confini del mondo: la testimonianza diventa in tal modo il criterio di evidenza della fede. Essa non è solo necessario buon esempio, ma è conoscenza della realtà (anzitutto riconoscimento del Risorto) e, pertanto, comunicazione della verità. La verifica dell’Iniziativa La verifica dell’attuarsi dell’iniziativa «Il campo è il mondo», sarà la progressiva maturazione di tutte le forme di realizzazione della comunità cristiana, secondo i quattro pilastri individuati dalla Lettera Pastorale Alla scoperta del Dio vicino, sulla mappa di Atti 2, 42 - 48 (cf. Alla scoperta del Dio vicino n. 8). A tale comunità si potrà invitare, in ogni momento, chiunque: «vieni e vedi» (Gv 1, 46). L’attuazione concreta Concretamente, l’iniziativa «Il campo è il mondo» si attuerà a vari livelli: valorizzando tutto ciò che già si pone in quest’ottica nelle Parrocchie, nelle Unità e nelle Comunità Pastorali, nelle Associazioni e nei Movimenti, nelle Congregazioni religiose, nei Decanati ... Sono tante le forme di condivisione di questo bisogno radicale di evangelizzazione già in atto. Sarà però necessario riferirle esplicitamente agli scopi dell’iniziativa pastorale «Il campo è il mondo»; chiamando alla pluriformità nell’unità tutte le realtà ecclesiali che vivono in Diocesi. Nel coinvolgimento e nell’accoglienza dei diversi carismi di Religiosi, Associazioni, Movimenti a livello diocesano dovrà brillare quell’unità che è condizione necessaria per testimoniare Gesù Cristo come Evangelo dell’umano; proponendo qualche iniziativa comune a tutta la Diocesi. Per esempio e a titolo provvisorio: un approfondimento del tema «Il campo è il mondo» a livello interdecanale; una riflessione per i sacerdoti sul tema «Evangelizzare la metropoli»; oltre ai gesti liturgici e di preghiera in Duomo in occasione dell’Avvento, della Quaresima e del mese di maggio, un gesto pubblico di confessione della fede, un incontro ecumenico proposto a tutti di annuncio di Cristo alla città, percorsi artistici e culturali. Il Consiglio Episcopale ha già dato dei suggerimenti che saranno messi a punto raccogliendo nelle prossimo settimane in vario modo il parere dei membri del Consiglio Presbiterale, del Consiglio Pastorale e dell’Assemblea dei Decani. Il calendario di queste iniziative verrà comunicato entro il 25 giugno, così che se ne possa tener conto per gli impegni di tutti del prossimo anno pastorale; ripensando l’attività degli Uffici diocesani in due direzioni: primo, equilibrando meglio il nesso tra questi preziosi strumenti e i soggetti della concreta azione pastorale (Parrocchie, Unità e Comunità Pastorali, Associazioni, Movimenti, Congregazioni religiose, Decanato); secondo, gli Uffici dovranno accompagnare i soggetti ad approfondire i rapporti con gli ambiti di vita reale della gente. L’avvio e la Lettera Pastorale L’iniziativa pastorale prenderà inizio il giorno 9 settembre, solennità della Natività della Beata Vergine Maria, con la tradizionale celebrazione eucaristica in cui verrà resa pubblica la Lettera Pastorale dell’Arcivescovo che avrà per titolo: «Il campo è il mondo. Vie da percorrere incontro all’umano». 14 CARDINALE ARCIVESCOVO ANGELO SCOLA ANNO PASTORALE «IL CAMPO È IL MONDO». VIE DA PERCORRERE INCONTRO ALL’UMANO di Mons. Pierantonio Tremolada - Vicario per l’evangelizzazione ed i sacramenti Un forte appello ci raggiunge all’inizio di questo anno pastorale 2013 - 2014. Ce lo rivolge il nostro Arcivescovo, facendo eco a quello che il Signore stesso rivolse ai suoi discepoli: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura» (Mc 16, 15). «Mettiamoci in cammino - dice l’Arcivescovo - ci sono delle vie da percorrere incontro all’umano, strade che si aprono per noi. Chi crede non può rinchiudersi dentro i recinti più o meno rassicuranti dei propri ambienti, perché la Chiesa è energia di salvezza destinata ad ogni uomo. Il campo della Chiesa è il mondo, perché il mondo è il campo della grazia di Dio». 1. La parabola Spiegando la parabola del grano e della zizzania, Gesù dice ai suoi discepoli: «Il campo è il mondo» (Mt 13, 38). Il campo di cui sta parlando è il terreno nel quale il padrone in persona ha seminato il buon seme del grano e nel quale un nemico ha seminato di nascosto la zizzania. La zizzania è un’erba parassita e infestante. Essa compare nel campo ma non ha diritto di cittadinanza, non dovrebbe esserci. Quindi non è sulla zizzania che bisogna soffermarsi. Il rischio sta proprio qui: pensare che questa sia «la parabola della zizzania». È quel che fanno i discepoli quando dicono a Gesù: «Spiegaci la parabola della zizzania nel campo» (Mt 13, 36). Ecco che cosa li ha colpiti: la presenza della zizzania nel campo. Ma il campo non è la zizzania. Vi è qualcosa di molto più importante di cui rendersi conto: quel campo è anzitutto un terreno che ha un padrone e questo padrone vi ha personalmente seminato il buon seme che diventerà grano. È così che noi dobbiamo guardare anche il mondo, superando la prima impressione. Non è forse vero, infatti, che noi rischiamo anzitutto di temere il mondo in cui viviamo? Di vedere subito il male che vi si trova? Di rimanerne disorientati? Non siamo forse portati a desiderare una sorta di purificazione violenta? Occorre invece partire da ciò che la parabola dice: come quel campo, anche questo mondo ha anzitutto un proprietario che gli è affezionato ed è il luogo in cui opera una forza positiva di bene, analoga a quella della buona semente. Il mondo è di Dio, viene da lui, vive di lui. Inoltre, nel mondo è attiva la potenza di vita che è propria di Dio, capace di portare frutto nel cuore degli uomini. 2. Tutto il bello che c’è Il mondo sorge dal mistero trinitario e partecipa della gloria di Dio. La Scrittura ci ricorda che è stato creato e quindi porta impresso il segno dell’amore che lo ha fatto esistere. Il mondo, cioè l’umanità stessa con il suo ambiente di vita, assomiglia al suo creatore, esiste a «sua immagine» (cf. Gen 1, 26 27). Nella sua essenza, quindi, il mondo è buono, come lo è Dio (cf. Mt 19, 17) ed è per natura sensibile alla bontà. Niente e nessuno potrà mai annullare questa tensione originaria del mondo umano verso il bene. Per questo il mondo, al di là delle apparenze, è molto sensibile alla testimonianza dell’amore ANNO PASTORALE 15 autentico, alla «bellezza della bontà». Il buon seme di cui parla la parabola è la forza della vita intesa così, come esperienza dell’amore divino che sta alla base dell’umano, il bello dell’essere ciò che Dio da sempre desidera che siamo. Questa è la prima e fondamentale verità che dobbiamo proclamare quando parliamo del mondo nell’ottica della fede: richiamare tutto il bello che c’è nel disegno di Dio sul mondo, nelle attese del cuore degli uomini, nell’azione di salvezza che tiene in vita il mondo giorno per giorno. Il Vangelo è l’energia della grazia che mantiene il mondo umano immerso nell’amore di Dio. L’evangelizzazione è allora sinergia d’amore: è anzitutto ricerca e valorizzazione di ciò che nel modo dice l’amore divino delle origini; è proclamazione del bene che già opera tra gli uomini e negli uomini; è scoperta gioiosa della luce che brilla in tanti ambienti grazie alla presenza e alla testimonianza di uomini e donne che a giusto titolo vanno definiti «giusti». Valorizzare il bello che c’è è già evangelizzare, come lo è il far emergere il desiderio sincero del cuore, la nostalgia del bene, la tensione verso il giusto e il vero. Voi, cari giovani e cari ragazzi, siete le nostre avanguardie, i soggetti che meglio sanno cogliere e segnalare la grazia singolare di questo tempo. Sentitevi chiamati a fare del Vangelo l’anima della vostra vita e a farne comprendere a tutti la bellezza. Fatelo a partire da ciò che, meglio di noi, siete in grado di sentire come essenziale per l’oggi. Fatelo mostrando a voi stessi a agli altri come il Vangelo è pienamente in sintonia con quel che voi percepite come valore: la ricerca di una felicità non illusoria, il desiderio di conoscere, il rispetto per l’altro, l’apprezzamento della diversità, la passione per il confronto, il coraggio delle proprie convinzioni, il rigetto per ogni forma di costrizione, l’intuizione più viva del valore dell’interiorità, il bisogni di relazioni sincere e profonde. 3. La voce amica del Vangelo Questo ci è chiesto di fare: annunciare il Vangelo a partire dal bello che c’è nel mondo, mostrando la luminosa forza di bene che scaturisce dal mistero di Cristo. La tenerezza del volto di Gesù e la sua energia di salvezza entrano naturalmente in sintonia con tutto ciò che di più nobile e sincero il cuore umano desidera e già sta realizzando. Il Vangelo è un lieto annuncio proposto da una voce amica, una buona notizia comunicata con passione e con gioia. Sarà importante farlo sentire così, farne percepire la forza di salvezza, di riscatto, di consolazione. Il Vangelo è capace di vincere le solitudini perché, come dice la Scrittura: «Non è bene che l’uomo sia solo» (Gen 2, 18); il Vangelo è capace di vincere le paure, perché il Cristo continuamente ripete ai suoi: «Non temete!» (cf. Mt 28, 10); il Vangelo è capace di riscattare una vita, perché il Signore Gesù più volte disse: «Alzati!» (cf. Mc 2, 11); il Vangelo è capace di dare speranza perché - come dice san Paolo - «l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori» (Rm 5, 5) e noi sentiamo interiormente che di questo amore ci si può fidare. 4. Il Vangelo annunciato ai poveri Cari giovani e cari ragazzi, il Vangelo - ci dice il Signore stesso - va annunciato a tutti e dappertutto, ma i suoi primi destinatari sono i poveri (cf. Lc 4, 18 - 19). Chi sono dunque i poveri di oggi? Certo prima di tutto gli indigenti, quanti non hanno il necessario per vivere, il cibo, il vestito, la casa, il lavoro, l’istruzione. Sono coloro che faticano a vivere e hanno bisogno di qualcuno che li aiuti a sostenere il peso della vita. Come non pensare anche ai malati, agli anziani, ai portatori di handicap? A loro noi tutti e voi per primi siamo chiamati a portare la voce amica del Vangelo, facendoci vicini e offrendo un supporto alla loro fatica. Ma vi sono anche altri poveri, oggi in particolare: sono coloro che, ancora giovani, sono stanchi di vivere, si «buttano via» negli abissi delle dipendenze, si lasciano andare senza speranza, si bruciano in relazioni improbabili, si rifugiano in mondi virtuali alienanti. Lo sappiamo bene: non vi è solo la fatica di vivere, vi è anche la stanchezza di vivere; non solo il peso della vita, ma anche il vuoto della vita. Quanto può essere importante per queste persone la parola amica che viene dal Cristo risorto, la sua buona notizia, la luce della sua grazia. L’aiuto ai poveri va considerata una delle forme imprescindibili di annuncio del Vangelo. Non è concepibile una Chiesa che non metta questo al primo posto e non è pensabile che la Chiesa, rivolgendosi ai propri giovani, non chieda loro anzitutto questo. Certo, queste sono le frontiere del Vangelo, i luoghi estremi della povertà cui far fronte. Ma come non tenerne conto? Potremo forse far poco, ma come non pensarci e non interrogarci? C’è un grido che sorge dal mondo, dalla povertà che lo ferisce. Non possiamo rimanere tranquillamente inerti di fronte a questa voce che sale da tanti luoghi della nostra stessa diocesi. L’amore di Cristo ci spinge, ci incalza, ci sprona. E le frontiere della povertà diventano paradigma per il quotidiano: se rimaniamo indifferenti 16 ANNO PASTORALE di fronte ai grandi bisogni, quello del cibo e quello della speranza, il nostro quotidiano perderà la sua luminosità e la nostra fede rischierà di spegnersi, diventando sterile osservanza o mera aggregazione. 5. Vie che si aprono Comprendiamo allora che si aprono strade da percorrere. Non possiamo chiuderci, non dobbiamo ripiegarci, occuparci semplicemente di noi. Neppure possiamo riprodurre automaticamente programmi che abbiamo elaborato da tempo. Succede a noi quel che avvenne a Filippo, il quale si sentì dire dal Signore: «Alzati e va’ verso il mezzogiorno, sulla strada che scende da Gerusalemme a Gaza; essa è deserta» (At 8, 26). Occorre «posizionarsi» sulla strada, farsi trovare lungo il percorso, non stare lontano dalle grandi arterie della vita, mettersi a camminare su di esse anche se in un primo momento esse sono deserte. Sarà inevitabile intercettare chi le percorre e sarà occasione per far gustare loro la forza consolante del Vangelo. Le strade sono molte, tante quanti sono gli ambiti della vita. Ne possiamo identificare alcune che vorremmo tenere particolarmente presenti e che vogliamo indicare a voi cari giovani - come vie da su cui «farsi trovare» da quanti semplicemente portano avanti la loro vita: l’emergenza sociale e l’emarginazione, la malattia e l’anzianità, il lavoro e la situazione economica, l’educazione e l’accompagnamento dei minori, l’impegno socio-politico, la cultura e l’arte. La carità ha varie forme e tutte hanno la loro dignità e il loro valore. Sarà importante che ciascuno si domandi: «Che cosa si attende il Signore da me, da me che ho questa personalità e mi trovo in questa situazione?». C’è infatti qualcosa che il mondo può ricevere solo da ciascuno di voi: l’offrirlo consentirà a ciascuno di dare compimento alla profonda esigenza del proprio cuore e di essere realmente felice. La carità, infatti, non delude mai. 6. Preghiera e carità Non c’è carità senza preghiera e non c’è preghiera senza carità. L’amore per Dio e l’amore per il prossimo non sono separabili. Come Gesù stesso ci ha insegnato, il comandamento più grande è duplice ma unitario: «Amerai il Signore tuo Dio ... amerai il tuo prossimo ...» (cf. Mc 12, 28 - 34). Chi vuole percorre le vie degli uomini per incontrarli come fratelli e portare loro il Vangelo della speranza deve gustare la bellezza della comunione interiore con il Signore della vita. Non si può uscire come testimoni della bontà di Dio per le strade del mondo senza aver vissuto nel raccoglimento della preghiera e nell’ascolto della Parola l’incontro personale con lui. Noi siamo tralci attaccati alla vite, che è il Cristo vivente, e senza di lui non possiamo fare nulla (cf. Gv 15, 1 - 5). Di lui noi viviamo ed egli vive in noi. La nostra forza sta nella trasparenza, cioè nella capacità di mostrare nelle nostre opere e nelle nostre parole la sua presenza e la sua opera. Così - cari giovani e cari ragazzi - due sono le parole che alla fine orientano e riassumono la proposta di pastorale giovanile per questo anno: la preghiera e la carità. Sarà questo un anno in cui crescere nella preghiera e nella carità, chiamati a percorrere le vie incontro all’umano con il cuore illuminato dall’amore di Cristo, il nostro grande Dio e Salvatore. La proposta è quella di dedicare alla preghiera e all’ascolto della Parola di Dio soprattutto i tempi forti dell’Avvento e della Quaresima, con fedele regolarità e con generosità di tempo. Quanto alla carità, essa avrà la forma della ricerca amorevole del prossimo lungo le vie che ciascuno (penso soprattutto ai giovani) sceglierà come particolarmente adatte a sé, nello spirito positivo di chi sa valorizzare tutto il bene che già esiste. Viviamo questo cammino insieme. L’amore che cercheremo di testimoniare agli altri ci stringa sempre di più tra noi. I nostri gruppi giovanili, i nostri gruppi di adolescenti e preadolescenti, i nostri oratori siano luoghi di fraternità e di gioiosa comunione. È questo un obiettivo cui tendere costantemente, poiché costituisce il primo segno della verità del Vangelo offerto al mondo: si veda nei nostri ambienti «quanto è buono e quanto è dolce che i fratelli vivano insieme» (cf. Sal 133). Il Signore guidi i nostri passi, sostenga il nostro proposito e dia compimento ad ogni nostra intenzione di bene. Buon cammino! Mons. Pierantonio Tremolada ANNO PASTORALE 17 L’ICONA EVANGELICA PER L’ANNO PASTORALE 2013 - 2014 Matteo 13, 1 - 2. 24 - 30. 36 - 43 Quel giorno Gesù uscì di casa e sedette in riva al mare. Si radunò attorno a lui tanta folla che egli salì su una barca e si mise a sedere, mentre tutta la folla stava sulla spiaggia. Espose loro un’altra parabola, dicendo: «Il regno dei cieli è simile a un uomo che ha seminato del buon seme nel suo campo. Ma, mentre tutti dormivano, venne il suo nemico, seminò della zizzania in mezzo al grano e se ne andò. Quando poi lo stelo crebbe e fece frutto, spuntò anche la zizzania. Allora i servi andarono dal padrone di casa e gli dissero: “Signore, non hai seminato del buon seme nel tuo campo? Da dove viene la zizzania?”. Ed egli rispose loro: “Un nemico ha fatto questo!”. E i servi gli dissero: “Vuoi che andiamo a raccoglierla?”. “No, rispose, perché non succeda che, raccogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche L'evangelista Matteo, il grano. Lasciate che l’una e l’altro crescano insieme fino alla mietituscultura del XIII secolo al Museo del Louvre di Parigi ra e al momento della mietitura dirò ai mietitori: Raccogliete prima la zizzania e legatela in fasci per bruciarla; il grano invece riponételo nel mio granaio”». Poi congedò la folla ed entrò in casa; i suoi discepoli gli si avvicinarono per dirgli: «Spiegaci la parabola della zizzania nel campo». Ed egli rispose: «Colui che semina il buon seme è il Figlio dell’uomo. Il campo è il mondo e il seme buono sono i figli del Regno. La zizzania sono i figli del Maligno e il nemico che l’ha seminata è il diavolo. La mietitura è la fine del mondo e i mietitori sono gli angeli. Come dunque si raccoglie la zizzania e la si brucia nel fuoco, così avverrà alla fine del mondo. Il Figlio dell’uomo manderà i suoi angeli, i quali raccoglieranno dal suo regno tutti gli scandali e tutti quelli che commettono iniquità e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti. Allora i giusti splenderanno come il sole nel regno del Padre loro. Chi ha orecchi, ascolti! Il seme buono è gettato dal Figlio dell’uomo. Ci sentiamo inseriti in un disegno che prevede la nostra presenza nel mondo, ognuno vale perché pensato e previsto da Dio, perché porti frutto là dove si trova. La nostra origine, la nostra vocazione, ad essere seme e a crescere come grano buono, ha il suo valore in Gesù, che ci ha voluto così come siamo e ci ha chiamati ad essere «figli» dello stesso Padre, «figli del Regno» che è già in questo mondo. Riconoscersi «seminati nel mondo», significa riconoscere che c’è una missione che dobbiamo compiere, che abbiamo una responsabilità ben precisa, non in un ambiente ristretto, non in un recinto, che apparentemente sembra proteggerci, ma nel mondo intero, «A TUTTO CAMPO». Anche per il mondo c’è un disegno, una condizione che vale per tutto il tempo in cui esso vivrà: Dio opera per trasformarlo. L’azione principale di Dio per il mondo consiste nel seminare uomini nuovi che con una bontà coerente, vincendo le insidie del male, portino a maturazione la loro esistenza, «fino a raggiungere la misura della pienezza di Cristo» (Ef 4, 13b), l’uomo perfetto. Ma l’umanità non è così vigile come sembra, a volte risulta addormentata: è in un mondo così, che non è attento, che non ha sguardi di condivisione, di reciproca accoglienza, di apertura all’altro, che chiude gli occhi per non vedere e quindi si addormenta, dove si insinua il male e quindi la zizzania. Questa cresce proprio quan- do il seme buono cresce, in una contemporaneità che infastidisce e che vorrebbe soffocare la crescita stessa. Là dove, anche nella vita di un ragazzo, si vedono i progressi, le speranze, le promesse, il male cerca di tarpare, distruggere, dividere, in una parola, di soffocare! È il rischio che si corre quando si in- veste nell’educazione: tante aspettative, spesso deluse, anche da chi non ce lo si aspetta ... vorremmo mollare tutto o ancora peggio sradicare tutto, epurare, proprio nel momento più delicato che è la crescita e la maturazione di una persona. Non è questo lo stile del Vangelo, del buon seminatore che con pazienza sollecita e attende, semina e irriga, non strappa e non raccoglie prima del tempo! Questo stile «educativo» deve spingerci con coraggio a seminare a piene mani, senza sperare di vedere i frutti della raccolta. Deve avventurarsi in zone inesplorate dell’umano, là dove è possibile ancora dire parole buone e proporsi come testimoni attraverso la carità, per far in modo che quel grano buono che cresce sappia di non essere solo ad affrontare le difficoltà del mondo. Deve prestare attenzione ai ragazzi in tutta la loro dimensione affettiva, relazionale, intellettiva, creativa: insomma, essere un’educazione «A TUTTO CAMPO». 18 ANNO PASTORALE LO SLOGAN PER L’ANNO PASTORALE 2013 - 2014 Un luminoso disegno a pastello diventa il logo della proposta A TUTTO CAMPO che traduce per i ragazzi e per l’oratorio l’iniziativa pastorale «Il campo è il mondo» che il nostro arcivescovo Angelo Scola consegna alla Diocesi. Il Vescovo ci chiede di percorrere insieme nuove vie «verso l’umano» con un’apertura a 360° che possa incontrare «tutto l’uomo». Il nostro impegno consiste nel portare il Vangelo in ogni ambiente e situazione della vita, con un’apertura, appunto, che potremmo dire a tutto tondo. Si tratta di dare completezza alle nostre proposte perché non venga tralasciato niente di ciò che coinvolge la vita dei ragazzi e delle loro famiglie. Il cerchio azzurro segna un mondo che cerca ancora la sua armonia e può trovarla se tutte le persone che possiamo incontrare, a partire dai più piccoli e dai più giovani, possono avere l’occasione di conoscere il Signore Gesù e accoglierlo con fede, lasciando che sia Lui a dare forma all’esistenza di ciascuno. Le sagome che vengono rappresentate parlano della vita dei ragazzi che al mattino ritrovano la loro famiglia, vanno a scuola, condividono con i compagni di classe e gli insegnanti molte ore della loro giornata, si impegnano nello studio, escono e vanno agli allenamenti o sono coinvolti in altre attività e la domenica o alcune volte in settimana sono invitati a vivere all’interno della comunità cristiana, attraverso la presenza dell’oratorio. Questi ragazzi abitano nel nostro territorio, nelle nostre città, e sperimentano sulla loro pelle i messaggi, spesso contraddittori, che provengono dai media e dalla società. Hanno bisogno di giocare, di non restare soli in casa, di incontrare dei «testimoni» che propongano loro uno stile bello di vita buona che nasce dal Vangelo. I nostri ragazzi sono distratti da continue sollecitazioni e dalle mode dettate dalla tecnologia e dall’industria dell’intrattenimento. Ma è proprio dentro questo contesto multicolore, che è la vita, che i ragazzi sono chiamati a riconoscere il campo (strisce verdi) in cui mettere in gioco la loro ricchezza, le loro potenzialità e il loro valore. La loro esistenza è ancora in crescita, ci sono ancora molti frutti da portare, ma ormai la loro vocazione è già delineata: sono loro il frutto del seme buono gettato in tutto il mondo dal Figlio dell’uomo (cfr. Icona evangelica). Ora sono quel buon grano che ancora deve crescere ma che è già un segno evidente nel campo, un segno di vita buona che si realizza insieme, mantenendosi «saldi nella fede», affinché «tutto si faccia nella carità» (cfr 1 Cor 16, 13 - 14). La luminosità del grano che cresce non in modo solitario - ma in un contesto di comunità - può oscurare se non cancellare ogni limite, ogni peccato e il male che è rappresentato dalla zizzania. Nella gioia dello stare insieme e del condividere la vita A TUTTO CAMPO c’è il segreto di una esistenza felice che, anche se non toglie il male - quello che c’è in ogni persona e nel mondo intero - anche se non lo stradica completamente, comunque lo rende incapace di danneggiare le persone fino a distruggerle. La gioia radiosa della vita comunitaria che vive dell’incontro con l’unico Maestro che è il Signore, che si alimenta alla sua mensa, che accoglie il Pane della vita, frutto del grano buono preparato per la comunione, è lo stile che noi possiamo proporre al mondo perché l’esperienza umana possa essere piena e felice, così come il Padre l’ha desiderata da sempre. ANNO PASTORALE 19 QUANDO PAOLO VI TERMINÒ LA SUA «CORSA» Papa Paolo VI (Paulus PP. VI, nato Giovanni Battista Enrico Antonio Maria Montini; Concesio, 26 settembre 1897 - Castel Gandolfo, 6 agosto 1978) è stato il 262° vescovo di Roma e papa della Chiesa cattolica, Primate d’Italia e 4° sovrano dello Stato della Città del Vaticano a partire dal 21 giugno 1963 fino alla morte. È venerabile dal 20 dicembre 2012, dopo che papa Benedetto XVI ne ha riconosciuto le virtù eroiche. La sua opera pastorale e la sua figura carismatica è stata importantissima per la vita della nostra Chiesa ambrosiana che lo ha avuto come suo Pastora dal 01o novembre 1954 al 21 giugno 1963, quando poi venne eletto al soglio pontificio. Ora, a 35 anni dalla scomparsa (6 agosto 1978), desideriamo ricordarlo attraverso le parole di un’omelia pronunciata poco più di un mese prima della morte, nella quale egli tracciava un bilancio del suo Pontificato. Ne emerge anche, in questo Anno della Fede, un sublime ed intenso richiamo alla Professione di Fede della Chiesa e nella Chiesa e con la Chiesa di ciascuno di noi. Venerati Fratelli e Figli carissimi, le immagini dei Santi Apostoli Pietro e Paolo occupano, oggi più che mai, il nostro spirito durante la celebrazione di questo rito. Non solo perché ci sono riportate, come di consueto, dal volgere dell’anno liturgico, ma anche per il particolare significato che riveste per noi questo XV anniversario della nostra elezione al Sommo Pontificato, quando, dopo il compimento dell’80° genetliaco, il corso naturale della nostra vita volge al tramonto. Pietro e Paolo: «le grandi e giuste colonne» (San Clementis Romani, I, 5, 2) della Chiesa romana e della Chiesa universale! I testi della Liturgia della parola, or ora ascoltati, ce li presentano sotto un aspetto che suscita in noi profonda impressione: ecco Pietro, che rinnova nei secoli la grande confessione di Cesarea di Filippo; ecco Paolo, che dalla cattività romana lascia a Timoteo il testamento più alto della sua missione. Guardando a loro, noi gettiamo uno sguardo complessivo su quello che è stato il periodo durante il quale il Signore ci ha affidato la sua Chiesa; e, benché ci consideriamo l’ultimo e indegno successore di Pietro, ci sentiamo a questa soglia estrema confortati e sorretti dalla coscienza di aver instancabilmente ripetuto davanti alla Chiesa e al mondo: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente» (Matth. 16, 16); anche noi, come Paolo, sentiamo di poter dire: «Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede» (2 Tim. 4, 7). Il nostro ufficio è quello stesso di Pietro, al quale Cristo ha affidato il mandato di confermare i fratelli (cfr. Luc. 22, 32): è l’ufficio di servire la verità della fede, e questa verità offrire a quanti la cercano, secondo una stupenda espressione di San Pier Crisologo: «Beatus Petrus, qui in propria sede et vivit et praesidet, praestat quaerentibus fidei veritatem» (S. Petri Chrysologi Ep. ad Etrtichen, inter Ep. S. Leonis MagniXXV, 2: PL54, 743 - 744). Infatti la fede è «più preziosa dell’oro» (1 Petr. 1, 7), dice San Pietro; non basta riceverla, ma bisogna conservarla anche in mezzo alle difficoltà («per ignem probatur» 1 Petr. 1, 7). Della fede gli Apostoli sono stati predicatori anche nella persecuzione, sigillando la loro testimonianza con la morte, a imitazione del loro Maestro e Signore che, secondo la bella formula di San Paolo «testimonium reddidit sub Pontio Pilato bonam confessionem» (1 Tim 6, 13). Ora, la fede non è il risultato dell’umana speculazione (cfr. 2 Petr. 1, 16), ma il “deposito” ricevuto dagli Apostoli, i quali lo hanno accolto da Cristo che essi hanno «visto, contemplato e ascoltato» (1 Io. 1, 1 - 3). Questa è la fede della Chiesa, la fede apostolica. L’insegnamento ricevuto da Cristo si mantiene intatto nella Chiesa per la presenza in essa dello Spirito Santo e per la speciale missione affidata a Pietro, per il quale Cristo ha pregato: «Ego rogavi pro te ut non deficiat fides tua» (Luc. 22, 32) e al Collegio degli Apostoli in comunione con lui: «Qui vos audit me audit» (Ibid. 10, 16). La funzione di Pietro si perpetua nei suoi successori, tanto che i Vescovi del Concilio di Calcedonia poterono dire dopo aver ascoltato la lettera loro mandata da Papa Leone: «Pietro ha parlato per bocca di Leone» (cfr. H. Grisar, Roma alla fine del tempo antico, I, 359). Ed il nucleo di questa fede è Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo, confessato così da Pietro: «Tu es Christus, 20 STORIA Filius Dei vivi» (Matth. 16, 16). Ecco, Fratelli e Figli, l’intento instancabile, vigile, assillante che ci ha mossi in questi quindici anni di pontificato. «Fidem servavi»! possiamo dire oggi, con la umile e ferma coscienza di non aver mai tradito «il santo vero» (A. Manzoni). Ci sia consentito ricordare, a conferma di questa convinzione, e a conforto del nostro spirito che continuamente si prepara all’incontro col giusto Giudice (2 Tim. 4, 8), alcuni documenti salienti del pontificato, che hanno voluto segnare le tappe di questo nostro sofferto ministero di amore e di servizio alla fede e alla disciplina: tra le encicliche e le esortazioni pontificie, la Ecclesiam Suam (9 augusti 1964: AAS56, 1964, 609. 659) che, all’alba del pontificato, tracciava le linee di azione della Chiesa in se stessa e nel suo dialogo col mondo dei fratelli cristiani separati, dei non-cristiani, dei non- credenti; la Mysterium Fidei sulla dottrina eucaristica (3 septembris 1965: AAS 57, 1965, 53. 774); la Sacerdotalis Caelibatus (24 iunii 1967: AAS59, 1967, 657 - 697) sul dono totale di sé che distingue il carisma e l’ufficio presbiterale; la Evangelica Testificatio (29 iunii 1971: AAS63, 1971, 497 - 526) sulla testimonianza che oggi la vita religiosa, in perfetta sequela di Cristo, è chiamata a dare davanti al mondo; la Paterna cum Benevolentia (8 decembris 1974: AAS67, 1975, 5 - 23), alla vigilia dell’Anno Santo, sulla riconciliazione all’interno della Chiesa; la Gaudente in Domino (9 maii 1975: AAS67, 1975, 289 322) sulla ricchezza zampillante e trasformatrice della gioia cristiana; e, infine, la Evangelii Nuntiandi (8 decembris 1975: AAS 68, 1976, 5 - 76), che ha voluto tracciare il panorama esaltante e molteplice dell’azione evangelizzatrice della Chiesa, oggi. Ma soprattutto non vogliamo dimenticare quella nostra “Professione di fede” che, proprio dieci anni fa, il 30 giugno del 1968, noi solennemente pronunciammo in nome e a impegno di tutta la Chiesa come «Credo del Popolo di Dio» (Paolo PP. VI, Credo del Popolo di Dio: AAS60, 1968, 436 - 445), per ricordare, per riaffermare, per ribadire i punti capitali della fede della Chiesa stessa, proclamata dai più importanti Concili Ecumenici, in un momento in cui facili sperimentalismi dottrinali sembravano scuotere la certezza di tanti sacerdoti e fedeli, e richiedevano un ritorno alle sorgenti. Grazie al Signore, molti pericoli si sono attenuati; ma davanti alle difficoltà che ancor oggi la Chiesa deve affrontare sul piano sia dottrinale che disciplinare, noi ci richiamiamo ancora energicamente a quella sommaria professione di fede, che consideriamo un atto importante del nostro magistero pontificale, perché solo nella fedeltà all’insegnamento di Cristo e della Chiesa, trasmessoci dai Padri, possiamo avere quella forza di conquista e quella luce di intelligenza e d’anima che proviene dal possesso maturo e consapevole della divina verità. E vogliamo altresì rivolgere un appello, accorato ma fermo, a quanti impegnano se stessi e trascinano gli altri, con la parola, con gli scritti, con il comportamento, sulle vie delle opinioni personali e poi su quelle dell’eresia e dello scisma, disorientando le coscienze dei singoli, e la comunità intera, la quale dev’essere anzitutto koinonia nell’adesione alla verità della Parola di Dio, per verificare e garantire la koinonia nell’unico Pane e nell’unico Calice. Li avvertiamo paternamente: si guardino dal turbare ulteriormente la Chiesa; è giunto il momento della verità, e occorre che ciascuno conosca le proprie responsabilità di fronte a decisioni che debbono salvaguardare la fede, tesoro comune che il Cristo, il quale è Petra, è Roccia, ha affidato a Pietro, Vicarius Petrae, Vicario della Roccia, come lo chiama San Bonaventura (S. Bonaventurae Quaest. disp. de perf. enang., q. 4, a. 3; ed. Quaracchi, V, 1891, p. 195). In questo impegno offerto e sofferto di magistero a servizio e a difesa della verità, noi consideriamo imprescindibile la difesa della vita umana. Il Concilio Vaticano secondo ha ricordato con parole gravissime che «Dio padrone della Vita, ha affidato agli uomini l’altissima missione di proteggere la vita» (Gaudium et Spes, 51). E noi, che riteniamo nostra precisa consegna l’assoluta fedeltà agli insegnamenti del Concilio medesimo, abbiamo fatto programma del nostro pontificato la difesa della vita, in tutte le forme in cui essa può esser minacciata, turbata o addirittura soppressa. Rammentiamo anche qui i punti più significativi che attestano questo nostro intento. a) Abbiamo anzitutto sottolineato il dovere di favorire la promozione tecnico-materiale dei popoli in via di sviluppo, con la enciclica Populorum Progressio (26 martii 1967: AAS59, 1967, 257 - 299) b) Ma la difesa della vita deve cominciare dalle sorgenti stesse della umana esistenza. È stato questo un grave e chiaro insegnamento del Concilio, il quale, nella Costituzione pastorale Gaudium et Spes, ammoniva che «la vita, una volta concepita, dev’essere protetta con la massima cura; e l’aborto come l’infanticidio sono abominevoli delitti» (Gaudium et Spes, 51). Non abbiamo fatto altro che raccogliere questa consegna, quando, dieci anni fa, promanammo l’Enciclica Humana Vitae (25 iulii 1968: AAS 60, STORIA 21 1968, 481 - 503): ispirato all’intangibile insegnamento biblico ed evangelico, che convalida le norme della legge naturale e i dettami insopprimibili della coscienza sul rispetto della vita, la cui trasmissione è affidata alla paternità e alla maternità responsabili, quel documento è diventato oggi di nuova e più urgente attualità per i vulnera inferti da pubbliche legislazioni alla santità indissolubile del vincolo matrimoniale e alla intangibilità della vita umana fin dal seno materno. c) Di qui le ripetute affermazioni della dottrina della Chiesa cattolica sulla dolorosa realtà e sui peno sissimi effetti del divorzio e dell’aborto, contenute nel nostro magistero ordinario come in particolari atti della competente Congregazione. Noi le abbiamo espresse, mossi unicamente dalla suprema responsabilità di maestro e di pastore universale, e per il bene del genere umano! d) Ma siamo stati indotti altresì dall’amore alla gioventù che sale, fidente in un più sereno avvenire, gioiosamente protesa verso la propria auto-realizzazione, ma non di rado delusa e scoraggiata dalla mancanza di un’adeguata risposta da parte della società degli adulti. La gioventù è la prima a soffrire degli sconvolgimenti della famiglia e della vita morale. Essa è il patrimonio più ricco da difendere e avvalorare. Perciò noi guardiamo ai giovani: sono essi il domani della comunità civile, il domani della Chiesa. Venerati Fratelli e Figli carissimi! Vi abbiamo aperto il nostro cuore, in un panorama sia pur rapido dei punti salienti del nostro Magistero pontificale in ordine alla vita umana, perché un grido profondo salga dai nostri cuori verso il Redentore; davanti ai pericoli che abbiamo delineato, come di fronte a dolorose defezioni di carattere ecclesiale o sociale, noi, come Pietro, ci sentiamo spinti ad andare a Lui, come a unica salvezza, e a gridargli: «Domine, ad quem ibimus verba vitae aeternae habes» (Io 6, 68). Solo Lui è la verità, solo Lui è la nostra forza, solo Lui la nostra salvezza. Da lui confortati, proseguiremo insieme il nostro cammino. Ma oggi, in questo anniversario, noi vi chiediamo anche di ringraziarlo con noi, per l’aiuto onnipotente con cui ci ha finora fortificati, sicché possiamo dire, come Pietro, «nunc scio vere quia misit Deus angelum suum» (Act. 12, 11). Sì, il Signore ci ha assistiti: noi lo ringraziamo e lodiamo; e chiediamo a voi di lodarlo con noi e per noi, per l’intercessione dei Patroni di questa Roma nobilis e di tutta la Chiesa, su di essi fondata. O Santi Pietro e Paolo, che avete portato nel mondo il nome di Cristo, e a Lui avete dato l’estrema testimonianza dell’amore e del sangue, proteggete ancora e sempre questa Chiesa, per la quale avete vissuto e sofferto; conservatela nella verità e nella pace; accrescete in tutti i suoi figli la fedeltà inconcussa alla Parola di Dio, la santità della vita eucaristica e sacramentale, l’unità serena nella fede, la concordia nella carità vicendevole, la costruttiva obbedienza ai Pastori; che essa, la santa Chiesa, continui a essere nel mondo il segno vivo, gioioso e operante del disegno redentivo di Dio e della sua alleanza con gli uomini. Così essa vi prega con la trepida voce dell’umile attuale Vicario di Cristo, che a voi, o Santi Pietro e Paolo, ha guardato come a modelli e ispiratori; e così custoditela, questa Chiesa benedetta, con la vostra intercessione, ora e sempre, fino all’incontro definitivo e beatificante col Signore che viene. Amen, amen. Papa Paolo VI impone la berretta cardinalizia a Karol Wojtyla 22 STORIA Papa Paolo VI in un dipinto di Dina Bellotti CARITAS - NOTTE BIANCA E ... L o scorso Sabato 13 Luglio si è svolta la «Notte Bianca»; durante la manifestazione come Caritas Parrocchiale abbiamo allestito un piccolo Stand sul sagrato della Chiesa. Per noi era di fondamentale importanza esserci per poter trasmettere a tutti coloro che si sono avvicinati il messaggio che è indispensabile l’aiuto di tutti per far fronte alle necessità di chi, in questo periodo, è meno fortunato di noi. A tutti voi abbiamo illustrato i nostri progetti, ciò che stiamo portando avanti e soprattutto ciò di cui abbiamo bisogno. La risposta che ci avete dato è andata ben oltre le nostre aspettative e l’unica parola che da quella sera ho in mente è GRAZIE. GRAZIE a tutti i parenti e amici coinvolti, loro malgrado, nella realizzazione di locandine e di manifesti che hanno colorato la nostra serata. GRAZIE all’entusiasmo di tutti i Volontari, a volte non ci rendiamo conto che basta un sorriso per scaldarci il cuore. GRAZIE a tutti coloro che ci hanno sostenuto, alla vivacità e alla gioia di vivere di questo piccolo Paese che ha dimostrato ancora una volta di avere un enorme cuore che non dimentica, nemmeno in un momento di festa, chi ha bisogno. Mi piacerebbe concludere dicendo che una serata è bastata a risolvere buona parte dei problemi che cerchiamo di alleviare, ma purtroppo il lavoro da fare è ancora lungo. I bisogni materiali delle famiglie che aiutiamo continuano ad essere presenti e la necessità di reperire costantemente generi alimentari e altri beni è una GRAZIE alle «Botteghe del Castello» che ci hanno dato spazio all’interno della «Notte Bianca» e che hanno lavorato tanto nell’aiutarci a pubblicizzare la nostra partecipazione e le nostre richieste di aiuto. sfida che dobbiamo affrontare quotidianamente. Ciò che è veramente difficile è accettare che non GRAZIE alla «Botteghina di Natale» che ha all- sempre si può arrivare ovunque, ma questo non estito un banchetto raccogliendo donazioni che ci deve impedirci di riprovarci ogni volta. hanno poi devoluto. Ora sapete che ci siamo, cosa facciamo e perGRAZIE alla «Commissione Scuola» che con la ché. Non dimenticatelo, non dimenticate la vendita dei libri dismessi dalla Biblioteca ha con- gioia che si prova a sentirsi utili. Non dimentribuito alla nostra raccolta fondi. ticate che ognuno di noi può fare la differenza, non importa quanto poco pensiamo di poter GRAZIE al «Gruppo Missionario» per l’aiuto dare è sempre qualcosa più di niente. nell’allestire il nostro Stand, per le loro torte, per il loro calore e il loro continuo supporto. Francesca D’Alfonso GRAZIE alle signore dello «Stare Insieme» che a nome della Caritas Parrocchiale ci hanno donato i proventi della vendita dei loro meravigliosi lavori artigianali. CARITAS 23 VII LA CHIESA La fede è un atto difficile e insidiato. L’uomo - lasciato solo alle prese con le potenze mondane che sono, più o meno tutte, al servizio dell’incredulità - corre il rischio serio di non reggersi in piedi: non può restare isolato. Per questo il Signore ha istituito la Chiesa: è il “corpo” vivo di Cristo, nel quale i singoli sono rianimati e sorretti. Anche la Chiesa è umanamente debole. Però ha la garanzia che contro di essa le porte degli inferi (cioè le forze dell’errore e della malvagità) non prevarranno (Mt 16,18). La nostra è dunque sempre una fede “ecclesiale”: non è condizionata dalle opinioni anche geniali dei singoli, ma si fonda sull’insegnamento di Gesù come è proseguito e attualizzato da coloro cui il Signore ha detto: Chi ascolta voi ascolta me (Lc 10,16); cioè dagli apostoli e dai loro successori, che sono i vescovi, specialmente il vescovo di Roma, successore dell’apostolo Pietro. Appartenere alla santa Chiesa Cattolica è una immensa fortuna: una fortuna per la quale non puoi mai venire meno in noi né una gioiosa fierezza né una grande riconoscenza verso il Padre. Ricordiamoci di implorare sempre il Signore (come si fa nella Messa) di “non guardare ai nostri peccati, ma alla fede della sua Chiesa”. VIII LA SALVEZZA Quando si tratta di religione, la parola che deve per forza entrare nel discorso è la parola “salvezza”. Senza il tema della salvezza la religione diventa un insieme di concetti astratti, di comandi morali, di divieti, di cerimonie rituali: un insieme che di solito suscita poca curiosità e poco interesse. Se invece si percepisce che nella religione vi è in gioco la salvezza, allora sentiamo che la cosa ci tocca da vicino. Che cosa vuol dire che uno è “salvo”? Salvo - dicono i vocabolari - è chi ha superato un pericolo senza danno ed è stato liberato da un male incombente. Ogni uomo - che non sia del tutto intorpidito e perso - avverte di essere “insidiato”: c’è il male che sovrasta. Perciò diventa spontaneo e necessario il pensiero, il desiderio - anzi l’ansia - di riuscire a cavarsela. Ci sono dei mali universali e assoluti, ad esempio: 1. il non sapere se la vita abbia un’ultima verità, l’ignorare il perché dell’esistere; 2. il non essere stati all’altezza, nel nostro comportamento, di ciò che è giusto e doveroso; 3. il dover incontrare la realtà inevitabile della morte, che vanifica tutto. Abbiamo dunque tutti bisogno di essere “salvati”. E per fortuna un “Salvatore” esiste e ci è stato donato. Caritas 24 CARITAS AIUTARE I RAGAZZI A CRESCERE … D evi partecipare per vincere. Non sono d’accordo che l’importante è partecipare. Tu devi partecipare come è giusto che sia, ma poi devi vincere… per questo penso che il calcio, lo sport in particolare, se vuoi che siano importanti per il tuo futuro devono farti abituare a vincere. Ma non vincere perché batti un avversario. Vincere perché migliori sempre te stesso, sotto tutti i punti di vista. Non confondiamo la vittoria come sconfitta dell’avversario con la vittoria che migliora stesso. L’importante è sempre di cercare di migliorare. Come persona. Come squadra. Come tutto. L’educazione parte dalla famiglia. Le regole principali si imparano in famiglia … è soprattutto importante aiutarlo a crescere e a farlo diventare grande. Cercate di essere tutti “più bravi”. Ognuno deve cercare di migliorare se stesso. C’è chi corre più veloce, ma c’è anche chi allenandosi riesce a correre sempre meno lento. E il risultato è lo stesso di quello che corre veloce perché madre natura lo ha dotato di questa capacità. Ricordatevi che ci sarà sempre qualcuno che correrà più veloce, e perciò dovete allenarvi ancora più forte, per fare in modo che questo qualcuno sia sempre più raggiungibile. Un’esperienza incredibile ha caratterizzato l’anno calcistico dei nostri bambini coronata con la vittoria del campionato. Lo sport aiuta i nostri ragazzi a crescere. Noi in famiglia cerchiamo di dare ai nostri figli le regole per diventare grandi e nel calcio imparano che l’importante è sempre cercare di migliorare, come persona, come squadra, come tutto. Grazie al nostro allenatore che gli ha insegnato ad essere più bravi. Un vincente che vorremmo ringraziare attraverso le parole di MONDONICO: “Non sono d’accordo che l’importante è partecipare. Tu devi partecipare come è giusto che sia, ma poi devi vincere … Ma non vincere perché batti un avversario. Vincere perché migliori sempre te stesso sotto tutti i punti di vista. Non confondiamo la vittoria come sconfitta dell’avversario con la vittoria che migliora se stesso.” DI SICURO GRAZIE AL LAVORO DEL NOSTRO ALLENATORE I NOSTRI BAMBINI SONO MIGLIORATI COME PERSONA, COME SQUADRA, COME TUTTO! “C’è chi corre più veloce, ma c’è anche chi allenandosi riesce a correre sempre meno lento. E il risultato è lo stesso di quello che corre veloce perché madre natura lo ha dotato di questa capacità. Ricordatevi che ci sarà sempre qualcuno che correrà più veloce, e perciò dovete allenarvi ancora più forte, per fare in modo che questo qualcuno sia sempre più raggiungibile.” E’ QUESTO CHE E’ STATO FATTO SI E’ RESO RAGGIUNGIBILE IL CAMPIONATO. GRAZIE EVELINO, GRAZIE BAMBINI per le emozioni e le gioie che abbiamo condiviso durante questo bellissimo campionato. I vostri genitori Antonella Belloli SPORT 25 CARTOLINE DA ... Ciao a tutti! La cartolina di questo mese rappresenta una città dinamica, frizzante e piena di vita … è New York!!! Situata nello stato che porta il suo nome, è la città più popolosa degli Stati Uniti, e uno dei centri culturali più influenti di tutto il mondo. Possiede tantissimi monumenti, ed io vi parlerò di alcuni di questi nell’ articolo che state leggendo. La STATUA DELLA LIBERTA’ è forse il primo monumento che ci viene in mente quando pensiamo a New York, infatti è il simbolo della città. Fu progettata da Gustave Eiffel, lo stesso che progettò la Tour Eiffel di cui vi ho parlato nel mese di luglio, e da Frédéric Auguste Bartholdi. È alta 93 metri ed è visibile fino a 40 chilometri di distanza. Questa statua raffigura una donna con indosso una lunga toga che sorregge in una mano una fiaccola la quale simboleggia il fuoco eterno della libertà, mentre nell’altra stringe un libro datato 4 luglio 1776, il giorno in cui gli americani ottennero l’ indipendenza; ai piedi ci sono delle catene spezzate e in testa porta una corona di sette punte, che rappresentano i sette mari. Il PONTE DI BROOKLYN è il primo ponte costruito in acciaio e ha rappresentato per lungo tempo il ponte sospeso più grande al mondo. Collega tra di loro l’isola di Manhattan e il quartiere di Brooklyn. La costruzione del ponte iniziò il 3 gennaio 1870 e terminò nel 1883, poi il 24 maggio dello stesso anno fu aperto al pubblico e si potè attraversare. La base del ponte è costituita da travi in acciaio del peso di 4 tonnellate ciascuna assicurate a tiranti verticali il cui scopo è mantenerle in posizione. Il ponte una volta completato presenta una struttura di 5 corsie. In passato le due corsie esterne venivano impiegate per il transito di carrozze, quelle intermedie per il transito delle cabine della teleferica e la corsia centrale per i pedoni. Oggi le corsie esterne e intermedie sono destinate ai mezzi a motore mentre quelle interne al transito di pedoni e biciclette. L’ ultima attrattiva di cui voglio parlarvi oggi è CENTRAL PARK, uno dei parchi più famosi al mondo. Si trova nel distretto di Manhattan e, per la gente che abita nei grattacieli circostanti, è una vera e propria oasi e zona di relax. Il suo zoo è stato anche usato come scenario di alcuni celebri film, come ad esempio la serie “Madagascar”. Il parco fu progettato da Frederick Law Olmsted e da Calvert Vaux. Apparentemente di origine naturale, in realtà è stato costruito in gran parte dall’ uomo. Al suo interno attualmente si trovano diversi laghi artificiali (il più esteso dei quali è il Jacqueline Kennedy Onassis Reservoir), estesi sentieri, due piste da pattinaggio artificiali, parchi giochi per bambini, prati utilizzati per numerosi sport. La strada lunga circa dieci kilometri che circonda il parco è frequentata da ciclisti, persone che fanno jogging e pattinatori a rotelle, srtada è molto più popolata nei fine settimana quando è vietato il transito alle automobili. Ogni estate si tengono rappresentazioni teatrali all’aperto nel Delacorte Theatre e fra gli altri eventi ospitati dal parco ci sono il traguardo della Maratona di New York e la festa di Mezza estate. Ciao alla prossima!!! Irene B. 26 CARTOLINE DA ... PAN DI SPAGNA a cura di Massimiliano Ciao a tutti cari lettori, quest’oggi voglio presentarvi una ricetta di pasticceria. Spero che la ricetta vi piaccia e che la proviate a fare a casa ;) Buona lettura ;) Ingredienti per fare due torte (diametro fondo 30 cm ) - - - - 1500g di uova intere 1000g di zucchero 1000g di farina ‘00 Quanto basta di aroma ( scorza di limone/arancia/vanillina ) Procedimento: Lavorare con la frusta i tuorli con lo zucchero ed in seguito aggiungere l’aroma scelto da voi in base ai vostri gusti. Montare gli albumi e aggiungere 1/3 di questi ultimi ai tuorli e allo zucchero. Quindi aggiungere i restanti albumi ed infine amalgamare la farina al composto mescolando dal basso verso l’alto. Mettere in forno per 45 minuti a 180 gradi dividendo il composto in due teglie. E il pan di spagna è pronto. P.S. questa ricetta è molto semplice da fare ma bisogna stare attenti alle dosi degli ingredienti e prestare attenzione al passaggio nel quale unite 1/3 di albumi ai tuorli e allo zucchero. Detto questo il vostro futuro chef Massimiliano vi saluta e ci si sente alla prossima ricetta ;) Ciaooooooooo. Il vostro futuro chef Massimiliano ;) CUCINA 27 CAMPAGNA SOSTEGNO 2013 “ IL CANTIERE ” CARO LETTORE, CONTINUA LA CAMPAGNA PER SOSTENERE IL NOSTRO NOTIZIARIO CON UNA NOVITA’: PER DARE UN SERVIZIO PIU’ CONTINUATIVO A CHI HA SOTTOSCRITTO IL SOSTEGNO ANNUALE, O VORRA’ FARLO IN FUTURO, ‘IL CANTIERE’ VERRA’ CONSEGNATO IN FORMA CARTACEA TUTTI I MESI. COSA ASPETTI ALLORA? RICORDIAMO INOLTRE CHE, PER CHI GIA’ SCRIVE SUL NOTIZIARIO O PER CHI VOLESSE INIZIARE A FARLO, GLI ARTICOLI DEVONO PERVENIRE ALLA REDAZIONE ENTRO IL 15 DI OGNI MESE ALL’INDIRIZZO [email protected] PARROCCHIA SAN BERNARDO ABATE ORARIO S. MESSE FERIALI:ORE 08,30 AGOSTO 2013 MARTEDI’ ORE 09,15 GIOVEDI’ ORE 20,30 28 FESTIVI: SABATO ORE 18,00 ORE 08,00 DOMENICA ORE 10,00 ORE 18,00