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RICORDATI - Parrocchia San Bernardo

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RICORDATI - Parrocchia San Bernardo
IL CANTIERE
MENSILE DI INFORMAZIONE DELLA PARROCCHIA SAN BERNARDO - CASTEL ROZZONE
AGOSTO 2013 - NUMERO 8 ANNO XIV
RICORDATI
Ricordati,
o piissima Vergine Maria,
che non si è mai udito al mondo
che alcuno sia ricorso alla tua protezione,
abbia implorato il tuo aiuto,
abbia chiesto il tuo soccorso,
e sia stato abbandonato.
Animato da tale fiducia,
a te ricorro,
o Madre, Vergine delle vergini;
a te vengo,
dinnanzi a te mi prostro,
peccatore pentito.
Non volere,
o Madre del Verbo,
disprezzare le mie preghiere,
ma ascoltami benevola
ed esaudiscimi.
Amen.
San Bernardo di Chiaravalle
SAN BERNARDO ... PREGA PER NOI!!!
E
L
A
I
R
O
T
I
ED
È indubbio, carissimi, che il mese di Agosto sia centrale per la nostra Comunità. Pur non avendo ancora
sperimentato l’esperienza della Festa del nostro Patrono San Bernardo, ne colgo comunque i fremiti
e le aspettative dai preparativi che fervono in tanti ambiti della nostra realtà, sia religiosi che civili.
Troverete, nell’edizione agostana de «Il Cantiere», una ricchezza di articoli tra i quali vorrei evidenziare
quello riguardante il nostro Santo Patrono, ovviamente, e quelli che lanciano il tema oratoriano del
nuovo Anno Pastorale ispirato dalla Lettera Pastorale del nostro Cardinale Arcivescovo Angelo Scola.
In questo Editoriale traccio alcune sottolineature ...
La PRIMA è legata al tema della «Patronale 2013»: «dall’Ora et Labora all’amiamo e saremo amati».
È certo che nella vita di San Bernardo il motto di San Benedetto da Norcia è stato fondamentale e ne ha
ispirato ogni azione, pensiero ed interpretazione della realtà; però, è altrettanto vero che San Bernardo
non si è accontentato dell’esteriorità gestuale della «preghiera - ora» e del «lavoro - labora», ma è
andato alla ricerca del motivo fondante queste due realtà. Che cosa le rende davvero fondamentali per
un cammino credente? Come tutte le situazioni umane rischiano di essere svuotate del loro senso più
vero e nobilitante, così, anche il monastico pregare ed il monastico lavorare rischiano tale deriva ...
L’intuizione di San Bernardo sta nel riconsegnare al motto benedettino l’anima vivificante: l’amore! Se
amiamo Chi preghiamo percepiremo in noi la gioia profonda dell’essere amati; se lavoriamo con amore
per chi condivide con noi il percorso della storia percepiremo da loro un amore grato. Anche noi, che
guardiamo a San Bernardo come amico e modello, dovremmo imparare a rimettere l’amore che dà
senso ad ogni cosa nelle nostre faccende quotidiane.
La SECONDA è legata, invece, al tema dell’Anno Pastorale: «Il campo è il mondo». Il nostro Cardinale
ci ricorda che, solo perché cristiani, siamo tutti coinvolti nell’annuncio più prezioso che orecchie umane
possano sentire: Dio ci ama in Gesù! È invito pressante a riprendere in mano il mandato di Gesù ad essere portatori di una Parola di speranza, di amore, di gioia, di comunione: la Parola del Vangelo! È invito ad essere coraggiosi testimoni del Risorto in tutti, ma proprio tutti, gli ambiti dell’umana esistenza.
Proprio come San Bernardo che ha «mandato» i suoi monaci in tutta l’Europa ...
La TERZA, anche se non è presente in questo «Cantiere», ma lo sarà sul prossimo, è legata al ricordo
che la nostra Comunità riserva a coloro che festeggiano un significativo anniversario religioso. In particolare quest’anno padre Leone Masnata, Passionista e suor Maria (Dina) Perego, delle Suore della
Carità che festeggiano - nella gratitudine al Signore - il loro 50° di Professione Religiosa. Essi sono
davvero espressione di fede operosa sparsa per «il campo del mondo»; ma, anche, testimoni del tempo
glorioso che questa Comunità ha vissuto generando generosamente figli e figlie a servizio della Chiesa!!!
Preghiamo che questa «GRAZIA VOCAZIONALE» ci tocchi ancora!!!
Infine, la QUARTA sottolineatura la rintraccio nell’Enciclica di Papa Francesco, la prima, «Lumen Fidei». L’ho letta con attenzione e con gusto ed essa mi ha aperto a delle profonde riflessioni sul fatto
che la fede non è mai fuori della vita, anzi, chi crede davvero con un cuore libero e sincero vive e non
«vivacchia» ... Non posso certo riportare tutto il 4° Capitolo, che è quello che mi interessa, perciò ne
riporterò alcuni stralci che illuminano e danno spessore a ciò che ci siamo detti fin qui. Una bellissima
parentesi merita il binomio FEDE - COMUNITÀ. Però, provate a leggerlo anche voi!!!
Seguitemi a pagina 6
2
EDITORIALE
IL CANTIERE
In questo numero
PAG. 2
EDITORIALE
SAN BERNARDO PREGA PER NOI
PAG. 4
ECONOMIA
SITUAZIONE ECONOMICA PARROCCHIALE
STORIA
BREVI NOTE SULLA NASCITA DELL’ORDINE
CISTERCENSE
CULTURA
PAG. 12 VIVERE LO SPIRITO MONACALE NEL NOSTRO
“CAMPO” QUOTIDIANO
PAG. 7
DIRETTORE RESPONSABILE
DON RICCARDO CASTELLI
Tel. Casa Parr. 0363 381022
Cell. 393 4776809
Email. [email protected]
REDAZIONE
Orietta Testa
Michela Ferri
Giuseppe Xhilone
SITO WEB PARROCCHIALE
Antonio Bosco
PAGINE & PAROLE
Paola Montella
Claudia Brambilla
Michela Cavenago
Massimiliano Lava
Yari Viganò
Il Cantiere
www.parrocchiasanbernardo.it
Notiziario mensile
della Parrocchia San Bernardo
di Castel Rozzone
Stampato in proprio
PAG. 13
PAG. 15
PAG. 18
PAG. 19
ANNO PASTORALE 2013- 2014
INTERVENTO DEL CARDINALE ANGELO SCOLA
IL CAMPO E IL MONDO
ICONA EVANGELICA
LO SLOGAN PER L’ANNO PASTORALE 2013-2014
STORIA
PAG. 20 QUANDO PAOLO VI TERMINO’ LA SUA CORSA
CARITAS
PAG. 23 CARITAS - NOTTE BIANCA E ...
PAG. 24 LA CHIESA - LA SALVEZZA
SPORT
PAG. 25 AIUTARE I RAGAZZI A CRESCERE
CARTOLINE DA ...
PAG. 26 NEW YORK
CUCINA
PAG. 27 PAN DI SPAGNA
PAG. 28 CAMPAGNA SOSTEGNO 2013
Per informazioni e corrispondenza
rivolgersi alla Redazione presso
la Casa Parrocchiale o scrivere all’indirizzo
di posta elettronica
[email protected]
Direttore Responsabile Don Riccardo Castelli
3
SITUAZIONE ECONOMICA
PARROCCHIALE
Carissimi tutti, dopo qualche mese dal mio ingresso in Parrocchia, oltre ad avere raccolto la grandissima
e positiva eredità spirituale lasciatami dal mio predecessore, ho anche accettato di accogliere l’eredità
passiva a livello amministrativo - economico sicuro che, come mi state da tempo confermando tutti voi,
potessi contare sulla comprensione e sul sostegno di tutta la Comunità.
Ho riportato qui sopra il grafico che il CAEP (Consiglio per gli Affari Economici della Parrocchia) ha realizzato circa l’andamento economico. Vorrei, allora, tracciare alcune linee che ci aiutano ad interpretarlo
in modo corretto.
1.
Il Grafico tiene conto dell’estinzione di uno dei due Conti Correnti posseduti dalla Parrocchia:
uno riguardante il Fido (e tuttora attivo, ovviamente!!!); l’altro utilizzato per le spese correnti e, ormai,
convogliato nell’unico conto aperto, che è quello per l’appunto del Fido, perché ne abbassasse i tassi di
interesse.
2. Il Grafico riporta la situazione dal dicembre 2012 al giugno 2013 e considera solo l’aspetto complessivo e non tutta la situazione della rendicontazione particolareggiate di dare ed avere intercorsa nei
singoli mesi (Operazione Formica; fatture per forniture varie; luce; metano; etc. ...).
3. Il Grafico, da gennaio, tiene conto anche dell’attivazione dell’Operazione Formica, che vuole sensibilizzare e coinvolgere i parrocchiani - e tutti quelli di buona volontà - nell’estinzione del Fido.
4. Il Grafico fa indubbiamente emergere due considerazioni significative. Una di ordine pratico,
l’altra di natura squisitamente comunitaria. Di ordine pratico perché gli introiti offerti dalla generosità di tanti, pur essendoci comunque moltissime spese vive, superano queste ultime e, quindi, segnano
pur nell’apparente negatività sempre un segno di ripresa che indice sul totale del Fido (a parte il mese
di aprile!!!).
4
ECONOMIA
Invece, a mio avviso più determinante e di inestimabile valore, è la forte coscienza di poter essere di
aiuto e, quindi, ecco l’evento della grande generosità che si è attivata da parte di molte famiglie e singoli
che dimostrano vero amore e forte attaccamento alla loro Parrocchia.
Non mi resta che concludere questo breve intervento interpretativo con il dovuto ringraziamento per
tali risultati, ma anche di ulteriore incoraggiamento perché sia intensificata l’opera di estinzione del
Fido.
Mi rivolgo soprattutto a chi, nonostante il momento di crisi, ha molta disponibilità a fare in occasione
della Festa Patronale di San Bernardo un «REGALO» che contribuisca ad abbattere notevolmente il
debito parrocchiale, quindi di tutti noi che crediamo e che viviamo la realtà di fede nella Comunità cristiana, e che ci permetta di poter realizzare i due progetti legati al Cinema - Teatro ed alle colonne della
Chiesa.
Vostro don Riccardo
Gennaio
Maggio
Febbraio
Marzo
Aprile
Giugno
ECONOMIA
5
50. [...] Nel presentare la storia dei Patriarchi e dei giusti dell’Antico Testamento, la Lettera agli Ebrei
pone in rilievo un aspetto essenziale della loro fede. Essa non si configura solo come un cammino, ma
anche come l’edificazione, la preparazione di un luogo nel quale l’uomo possa abitare insieme con gli
altri. [...]
51. [...] La luce della fede è in grado di valorizzare la ricchezza delle relazioni umane, la loro capacità
di mantenersi, di essere affidabili, di arricchire la vita comune. La fede non allontana dal mondo e
non risulta estranea all’impegno concreto dei nostri contemporanei. Senza un amore affidabile nulla
potrebbe tenere veramente uniti gli uomini. L’unità tra loro sarebbe concepibile solo come fondata
sull’utilità, sulla composizione degli interessi, sulla paura, ma non sulla bontà di vivere insieme, non
sulla gioia che la semplice presenza dell’altro può suscitare. [...]
[...] Le mani della fede si alzano verso il cielo, ma lo fanno mentre edificano, nella carità, una città
costruita su rapporti in cui l’amore di Dio è il fondamento.
53. In famiglia, la fede accompagna tutte le età della vita, a cominciare dall’infanzia: i bambini imparano
a fidarsi dell’amore dei loro genitori. Per questo è importante che i genitori coltivino pratiche comuni
di fede nella famiglia, che accompagnino la maturazione della fede dei figli. Soprattutto i giovani, che
attraversano un’età della vita così complessa, ricca e importante per la fede, devono sentire la vicinanza
e l’attenzione della famiglia e della comunità ecclesiale nel loro cammino di crescita nella fede. Tutti
abbiamo visto come, nelle Giornate Mondiali della Gioventù, i giovani mostrino la gioia della fede,
l’impegno di vivere una fede sempre più salda e generosa. I giovani hanno il desiderio di una vita grande.
L’incontro con Cristo, il lasciarsi afferrare e guidare dal suo amore allarga l’orizzonte dell’esistenza,
le dona una speranza solida che non delude. La fede non è un rifugio per gente senza coraggio, ma
la dilatazione della vita. Essa fa scoprire una grande chiamata, la vocazione all’amore, e assicura che
quest’amore è affidabile, che vale la pena di consegnarsi ad esso, perché il suo fondamento si trova nella
fedeltà di Dio, più forte di ogni nostra fragilità.
55.
[...] Quando la fede viene meno, c’è il rischio che anche i fondamenti del vivere vengano meno,
come ammoniva il poeta T. S. Eliot: «Avete forse bisogno che vi si dica che perfino quei modesti successi / che vi permettono di essere fieri di una società educata / difficilmente sopravviveranno alla fede
a cui devono il loro significato?». Se togliamo la fede in Dio dalle nostre città, si affievolirà la fiducia
tra di noi, ci terremmo uniti soltanto per paura, e la stabilità sarebbe minacciata. La Lettera agli Ebrei
afferma: «Dio non si vergogna di essere chiamato loro Dio. Ha preparato infatti per loro una città» (Eb
11, 16). L’espressione «non vergognarsi» è associata a un riconoscimento pubblico. Si vuol dire che Dio
confessa pubblicamente, con il suo agire concreto, la sua presenza tra noi, il suo desiderio di rendere
saldi i rapporti tra gli uomini. Saremo forse noi a vergognarci di chiamare Dio il nostro Dio? Saremo noi
a non confessarlo come tale nella nostra vita pubblica, a non proporre la grandezza della vita comune
che Egli rende possibile? La fede illumina il vivere sociale; essa possiede una luce creativa per ogni
momento nuovo della storia, perché colloca tutti gli eventi in rapporto con l’origine e il destino di tutto
nel Padre che ci ama.
58.
[...] San Giustino Martire, nel suo Dialogo con Trifone, ha una bella espressione in cui dice che
Maria, nell’accettare il messaggio dell’Angelo, ha concepito «fede e gioia». Nella Madre di Gesù, infatti, la
fede si è mostrata piena di frutto, e quando la nostra vita spirituale dà frutto, ci riempiamo di gioia, che
è il segno più chiaro della grandezza della fede. [...]
Che bello sarebbe realizzare le intuizioni di Papa Francesco anche nella nostra Comunità ...
Che San Bernardo continui a vegliare sulla nostra Comunità e risvegli sempre più in noi un senso di
vera comunione;
un rinnovato slancio verso un servizio generoso;
un profondo desiderio di dire a tutti che senza Gesù l’uomo rischia davvero di perdersi.
San Bernardo ... prega per noi!!!
Vostro don Riccardo
6
EDITORIALE
BREVI NOTE SULLA NASCITA
DELL’ORDINE CISTERCENSE
(a cura di amf)
Per comprendere il forte desiderio di Libertà e di Riforma che si avvertì un po’ ovunque, all’inizio dell’undicesimo secolo, bisogna tenere presente che i monasteri più prestigiosi con tutte le dipendenze, erano
entrati gradualmente in pieno regime feudale, unendo alla loro azione religiosa, pur sempre notevole,
l’impegno economico e ancor più quello politico. Dal secolo VIII al X si ebbero le maggiori trasformazioni, per influsso esterno, nell’istituzione monastica. L’abbazia viene concessa con l’investitura, simile ad
un feudo qualsiasi. Il fondatore o donatore riteneva l’abbazia e tutte le pertinenze come qualsiasi altro
tipo di proprietà.
Col secolo X si giunge definitivamente a classificare le abbazie secondo l’appartenenza o la proprietà: abbazie regie, ducali ed episcopali. In questo frangente divenne di capitale importanza l’elezione dell’abate.
L’abate non era eletto più secondo i capitoli 2 e 64 della regola di san Benedetto. Spesso il proprietario
dell’abbazia non poteva dimostrare meglio la sua protezione sull’abbazia stessa che scegliendo direttamente un soggetto capace di dirigere la comunità e difenderla contro tutti i pericoli esterni ed interni.
Ma la scelta dell’abate non sempre cadeva su un membro della comunità. Spesso gli abati erano prelevati tra il clero secolare ed, alle volte, anche tra i semplici laici. Il risultato più frequente, in quest’ultimo
caso, erano gli abusi, i malcontenti e le difficoltà di ogni genere. Si giunse, infine, ad eleggere due abati:
uno regolare per la cura della vita interna dei monaci e l’altro secolare per la conduzione dei beni temporali.
In forza del Dominium sull’abbazia, i sovrani in particolar modo, esigevano dei servigi, per l’immenso
patrimonio che avevano concesso alla comunità, come per qualsiasi altro feudo. I più frequenti servigi
che la comunità doveva prestare al sovrano erano:
servizio della corte, (L’abate doveva spesso frequentare la corte; se poi era anche sacerdote diventava
confessore e cappellano di corte con molte assenze dalla sua comunità),
mantenere nell’ambito del proprio territorio dei milites con parte delle rendite,
offrire ospitalità al proprietario e alla sua corte.
Se dalla parte del sovrano questi erano servigi, da parte dei monaci erano pesanti contropartite. Questa
eccessiva ingerenza all’interno del monastero compromise, per molti aspetti, la stessa vita religiosa e a
partire dall’VIII - IX secolo, i monaci cominciarono ad avvertire due fondamentali esigenze: aspirazione
alla libertà attraverso l’esenzione e il desiderio di un rinnovamento spirituale attraverso la riforma. L’esenzione da ogni ingerenza laicale all’interno dell’abbazia si affermò lentamente e nel secolo XI divenne
quasi generale. La riforma ebbe il primo sviluppo con Benedetto d’Aniane, poi con Cluny (909) ed infine
con tutte le riforme che hanno portato alla nascita di numerosi nuovi ordini monastici:
Francia:
1. Molesme (1075) con Roberto di Champagne.
2. L’Ordine di Grandmont (1076) con Stefano di Thiers, con l’impegno della più rigida povertà.
3. Certosini (1084) con san Bruno di Colonia (con accento sull’eremitismo ma anche con momenti
di vita comunitaria).
4. Fontevrault (1100) con Roberto d’Arbrissel e i monasteri doppi.
5. Cistercensi (Santi Roberto, Alberico e Stefano, nel 1098).
6. Premonstratensi (San Norberto, 1120).
STORIA
7
Italia:
1. Camaldoli e la corrente eremitica (1012) con San Romualdo.
2. San Nilo e i Basiliani (Calabria, inizio secolo XI).
3. Vallombrosa e la Riforma ecclesiastica (1036) con Giovanni Gualberto,
4. Montevergine (San Guglielmo da Vercelli, inizio secolo XII).
5. Pulsano (1129) Giovanni da Matera.
In particolare vogliamo soffermarci sulla nascita dell’ordine Cistercense, cui grande impulso ebbe a dare
sin quasi dalle origini anche San Bernardo.
Un nuovo ordine che, nelle intenzioni dei suoi fondatori, e nello spirito del suo più illustre monaco:
-
voleva essere un ordine riformatore, nato all’interno della congregazione cluniacense, ma desideroso di maggiore austerità, e di ritornare alla stretta osservanza della regola benedettina1
e al lavoro manuale;
-
-
questo desiderio ha portato i suoi fondatori ad uscire dalle abbazie in cui vivevano e quindi a
trovare altri luoghi, più isolati, dove diedero inizio alla fondazione di nuove abbazie; e il contributo di Bernardo fu fondamentale per la rapida diffusione dell’ordine in tutta Europa e per
il consolidamento della sua organizzazione;
in questa diffusione ebbe buona parte anche l’applicazione al rigore monastico delle nuove
strutture edificate per accogliere i monaci: nel rispetto del rigore assoluto a cui si voleva tornare anche il monastero viene purificato da ogni elemento inessenziale e l’architettura viene
condotta a una incandescente essenzialità ed evidenza, in forme scattanti, basate esclusivamente sulla linea retta. L’edificio e ogni struttura come segno, espressione immediata di valori
e creatore, in sé, di tali valori.
Nell’ordine cistercense, i monaci, sottomessi ad una regola molto stretta, devono rinunciare a ogni ricchezza.
Li caratterizza una grande austerità di vita che si rispecchia nella liturgia nell’arredamento e nell’abbigliamento. I monasteri hanno poche ed essenziali sculture, pitture, vetrate o pavimenti colorati.
La concezione dell’uomo è determinata dalla fiducia totale della vittoria di Gesù (misericordia di Dio
fatta carne) sul peccato: l’uomo più che un peccatore è un salvato. Lo spirito cistercense è quindi più
influenzato dal Nuovo Testamento rispetto all’Antico che maggiormente caratterizzava i cluniacensi.
Dal punto di vista architettonico l’espressione di questa concezione è alla base del passaggio dallo
stile romanico allo stile gotico.
1
La Regola dell’Ordine di san Benedetto, o Regola benedettina, in latino denominata Regula monachorum o Sancta Regula, dettata da San Benedetto da
Norcia nel 534, consta di un “Prologo” e di settantatré “capitoli”.
I principi ispiratori
Nella “Regola” San Benedetto fa tesoro anche di una breve esperienza personale di vita eremitica che gli fece capire quanto le debolezze umane allontanino di più
dalla contemplazione di Dio. Per questa ragione propone di vincere l’accidia (una certa “noia” spirituale), con il cenobitismo, cioè una vita comunitaria che prevede
un tempo per la preghiera ed uno per il lavoro e lo studio (Ora et Labora), lontana dalle privazioni e mortificazioni estreme imposta dalla vita in solitudine scelta
dagli asceti e, quindi, attuabile anche da persone comuni.
L’attività primaria divenne in diversi monasteri la copiatura di testi antichi, specie di quelli biblici. A tal proposito si è fatto notare che «il monaco che ricopia e medita
e rivolve e commenta e diffonde la parola biblica» aperse la via alle nuove scienze linguistiche.
In particolare, per i Benedettini la “Preghiera” è intesa come la contemplazione del Cristo alla luce della Parola Sacra ed è praticata sia comunitariamente attraverso
i canti (loro sono i canti gregoriani), la partecipazione a funzioni e l’ascolto delle letture in diversi momenti della giornata (ad es. durante i pasti), sia nel chiuso della
propria cella sia attraverso lo studio. Luoghi inospitali e disabitati dove erigevano le loro abbazie, ma anche lo studio e, un tempo, la trascrizione di testi antichi (non
solo religiosi ma anche letterari o scientifici). Del resto per loro un’alta forma di preghiera è anche il proprio atteggiamento verso il lavoro.
Così San Benedetto organizza la vita monastica intorno a tre grandi assi portanti che permettono di fare fronte alle tentazioni impegnando continuamente ed in
modo vario il monaco:
1. preghiera comune
2. preghiera personale
3. lavoro
Lo studio non era compreso. La maggior parte dei monaci benedettini era analfabeta. Compito del monaco è, con l’aiuto della comunità monastica di cui fa parte, di
adempiere a questi tre obblighi con il giusto equilibrio, perché quando uno prende il sopravvento sugli altri il monachesimo cessa di essere benedettino. I monaci che
seguono la regola di San Benedetto, infatti, non devono essere né dei contemplativi dediti unicamente all’orazione, né dei liturgisti che sacrificano tutto all’Ufficio, né
degli studiosi, né dei tecnici o degli imprenditori di qualsivoglia genere di lavoro.
8
STORIA
Un brevissimo resoconto di questa fase di rinnovamento monastico2 serve per inquadrare ancora meglio il periodo e lo spirito che animò le scelte.
Roberto di Molesme, era nato vicino a Troyes. Si fece monaco benedettino all’età di sedici anni, e divenne in seguito abate del monastero cluniacense di Saint Michelle de Tonnerre, a circa 48 km da Châtillonsur-Seine dove Bernardo andava a scuola. Su richiesta di un gruppo di eremiti che viveva nella vicina
foresta di Colan, Roberto lasciò quel luogo per insegnar loro come vivere secondo la Regola benedettina.
In seguito condusse questa comunità in una terra che apparteneva alla sua famiglia , su un promontorio
posto sul piccolo fiume Laignes tra Tonnerre e Châtillon-sur-Seine. Qui fondò il monastero di Molesme.
Altri due monaci alla ricerca del difficile sentiero della perfezione passarono per Molesme. Uno era
Bruno, nato a Colonia, che aveva studiato e, in seguito, insegnato nella scuola di Reims. Tra i suoi alunni
c’era il giovane nobile borgognone Oddone di Lagery, che proseguì facendosi monaco a Cluny e diventando poi Urbano II, il Papa che predicò la Prima Crociata. Avendo avuto un diverbio con l’Arcivescovo
di Reims, Bruno fuggì dal mondo per vivere come eremita vicino a Molesme ma, non trovando questo
rifugio abbastanza solitario, scese verso la Savoia e fondò un monastero sulle montagne di Chartre, La
Grande Chartreuse divenne la culla del più rigoroso di tutti gli ordini: quello dei certosini.
Un secondo monaco che passò per Molesme fu un inglese, Stephen Harding, membro della nobiltà anglosassone la cui famiglia era stata rovinata dalla conquista normanna del 1066. Fuggito prima in Scozia
e poi in Francia, Stephen studiò a Parigi e, nel 1085, all’età di venticinque anni, fece un pellegrinaggio
a Roma dove prese la tonsura di monaco benedettino; ritornò poi sulle Alpi per unirsi alla comunità di
Molesme.
Qui, la fama di santità di Roberto aveva attirato donazioni che avevano portato molti monaci ad un lassismo per lui incompatibile con le regole di vita benedettine. Nel 1098, l’anno prima che Gerusalemme
cadesse in mano ai crociati, Roberto lasciò Molesme con circa venti seguaci, tra cui Alberico e Stephen
Harding, e, dopo un breve soggiorno nella diocesi di Langres, si diresse a sud verso la comunità di Citeaux a poco più di 24 km a sud di Digione. Qui furono in grado di vivere, secondo la loro concezione, la
Regola di Benedetto da Norcia, senza le lunghe litanie e le preghiere che riempivano le giornate dei monaci di Cluny e rifiutando ogni legame con la nobiltà locale. La comunità sarebbe stata autosufficiente: i
duri lavori manuali divennero parte della vita quotidiana del monaco.
Come simbolo di devozione ad una vita di purezza, cambiarono il colore dei loro abiti da nero a bianco. Si
rifiutarono di accettare tra loro bambini e servi, ma ammettevano fratelli laici che lavorassero sulle loro
proprietà, e se avessero lavorato lontano dal monastero, avrebbero vissuto in un “granaio” (la grangia).
In assenza di Roberto, Molesme andò declinando, per cui papa Urbano II gli ordinò di tornare. Divennero abati di Citeaux prima Alberico di Aubrey e poi Stephen Harding. Colpiti dalla loro austerità, i papi
avrebbero esentato i cistercensi dal pagamento di decime e dai doveri feudali; ma il loro distacco alienò
loro la nobiltà di Borgogna e l’austerità che tanto impressionava i papi costituì per molti un deterrente
a farsi monaco. Nei primi anni in cui fu abate Stephen Harding sembrò che il monastero dovesse fallire;
poi nel 1113, arrivò da Fontaine-les-Dijon il giovane e carismatico Bernardo con trentacinque persone
tra parenti e amici. L’ordine cistercense ne fu rigenerato.
Alla fine del secolo ci sarebbero state dodicimila comunità affiliate a Citeaux in tutta Europa. […]
Il documento di fondazione del nuovo ordine (Charta Caritatis) comprendeva tre istituzioni:
Uniformità: tutti i monasteri dell’ordine dovevano osservare attentamente le stesse regole e usanze,
servirsi degli stessi testi sacri e avere un’identica sistemazione degli edifici;
Capitolo generale: gli abitanti di tutte le “case” dovevano riunirsi ogni anno in un capitolo generale
a Citeaux;
Ispezione: ogni “casa figlia” doveva venir visitata ogni anno dall’abate della “casa madre” perché fosse garantita l’uniformità della disciplina.
Rinaldo Comba, nell’intervento al Convegno tenutosi a Milano il 24 - 26 maggio 19903, propone un inte2
3
1993.
Piers Paul Read, La vera storia dei Templari, Newton Compton Editori, seconda edizione aprile 2006, Collana “I volti della storia” n. 87, pagg. 94 e segg.
I testi del Convegno sono stati pubblicati a cura di Pietro Zerbi nel volume “San Bernardo e l’Italia”, Scriptorium Claravallense Vita e Pensiero, Milano
STORIA
9
ressante studio su queste tematiche, con queste affermazioni:
Studi recenti hanno mostrato quanto sia pericoloso considerare in modo eccessivamente unitario l’esperienza cistercense, sia dal punto di vista della realizzazione degli ideali monastici, sia da quello dei
rapporti con le strutture sociali ed economiche regionali4.
In particolare, un acceso dibattito si è aperto sul periodo delle origini: fu questo davvero il momento di
maggiore realizzazione degli ideali di povera e attiva vita cenobitica dei monaci bianchi? Il momento di
più rigida applicazione della norma della cosiddetta redazione statutaria «del 1134»5 sui beni che essi
si erano autorizzati a possedere? Nuove ricerche sui Cisterciensi di Borgogna nella prima metà del XII
secolo sottolineano infatti non soltanto che essi avevano sempre ricevuto in donazione beni fondiari,
rendite, mulini, e anche servi, ma che assai presto avevano dato terreni in locazione e concesso prestiti
su pegno6.
Gli statuti generali della redazione detta «del 1134» sono così apparsi ad alcuni studiosi non come una
conferma della persistenza della prima tradizione cisterciense, ma come un tentativo di creare, a decenni dalla fondazione di Cîteaux e in concomitanza di acute polemiche con Cluny7, un modello ideale di
comportamento che non sarebbe mai esistito8. Tali statuti sarebbero cioè l’espressione di uno sforzo di
messa a punto della idealità cisterciense, così carico di progettualità e di volontà di autoidentificazione
da portare alla reinterpretazione - in ambiente claravallense e forse ad opera dello stesso Bernardo della storia più antica di Cîteaux9.
Quale era la natura ed il carisma di Bernardo?
Il suo biografo nella Vita Prima considerò il suo bell’aspetto: il corpo magro e fragile, il fisico normale,
la pelle morbida, i capelli biondi, la barba rossastra, nel complesso era bianco e rosa. Ma è chiaro che il
potere sugli altri veniva dalla sua personalità e dalla sua forza persuasiva. «Il viso irradiava un luminoso splendore, che non era terreno, ma di origine celeste […] perfino il suo aspetto fisico traboccava di
purezza interiore e abbondava di grazia»10. Inutile pensare a come sarebbe apparso in televisione; tutto
ciò che occorre sapere […] è che Bernardo di Chiaravalle, come riassunto da Dom David Knowles, uno
storico benedettino dei nostri tempi, era “uno della sparuta classe di uomini veramente grandi che avevano ricevuto doni e opportunità. Come capo, come letterato, come predicatore e come santo, aveva un
inimitabile personale magnetismo e grande potere spirituale. Gli uomini giungevano dai confini dell’Europa a Chiaravalle e venivano rimandati in tutto il continente […]. Per quarant’anni Citeaux - Chiaravalle
fu il centro spirituale dell’Europa e San Bernardo annoverò tra i suoi ex monaci, il papa, l’arcivescovo di
York, e vescovi e cardinali in abbondanza.11
Alfio Mario Finardi
4
R. Comba, I Cistercensi fra città e campagne nei secoli XII e XIII. Una sintesi mutevole di orientamenti economici e culturali nell’Italia nord-occidentale, «Studi
Storici», 26 (1985), pp. 237 - 261, ora in ID., Contadini, signori e mercanti nel Piemonte medievale, Roma-Bari, 1988, pp. 21 - 39, e, con qualche variante, in Dal Piemonte
all’Europa: esperienze monastiche nella società medievale. Relazioni e comunicazioni presentate al XXXIV congresso storico subalpino, Torino 1988, pp. 311 - 337. Cfr.
L’économie cistercienne. Géographie - Mutation du Moyen Age aux temps modernes. Auch, 1983, (Flaran, 3). Atti della Troisièmes journées internationals d’histoire (16
- 18 settembre 1981).
5
Secondo la critica più recente, la collezione statutaria detta «del 1134» sarebbe in realtà «le témoin de décisions qui ont étè prises dès les premiers Chapitres
généraux et jusq’en 1152»: J.B. Auberger, Les Cisterciens a l’époque de Saint Bernard, in Bernardo cistercense. Atti del XXVI Convegno storico internazionale (Todi,
8 - 11 ottobre 1989), Spoleto 1990 (Atti dei Convegni dell’Accademia Tudertina, n.s. 3) pp. 24, 39. Cfr, dello stesso autore: L’unanimité cistercienne primitive: mythe ou
réalité?, Achel 1986, pp. 61 - 62.
6
Breve rassegna in C. B. Bouchard, Cistercians Ideals versus reality: 1134 Reconsidered, «Cîteaux», 39 (1988), pp. 217 - 230, soprattutto a p. 223.
7
Sui nessi fra l’elaborazione dei tratti distintivi dell’ordine cisterciense e il conflitto con cluny mi limito a citare: J. De la Croix Bouton, Bernard et l’ordre
de Cluny, in Bernard de Clairvaux, Aiguebelle 1953, pp. 203 - 209; D. Knowles, Cistercians and Cluniacs: the Controversy between St. Bernard and Peter the Venerabe,
London 1955, passim; G. Constable, Cluny, Cîteaux, La Chartreuse, San Bernardo e la diversità delle forme di vita religiosa nel XII secolo, in Studi su S. Bernardo di
Chiaravalle nell’ottavo centenario della canonizzazione. Convegno internazionale (Certossa di Firenze, 6 - 9 novembre 1974), Roma 1975, pp. 93 ss.; A. H. Bredero,
Cluny et Cîteaux au XII siècle, Amsterdam - Maarsem 1985, passim; Auberger, Les Cisterciens …, pp. 27 ss.
8
Bouchard, Cistercians Ideals versus reality …, pp. 217 - 219; C. Hoffman Berman, Medieval Agricolture, the Southern French Countryside and the Early
Cistercians, Philadelphia 1986 (Transactions of the American Philosophical Society, 76/5), p. 5.
9
Les plus anciens textes de Cîteaux a cura di J.de la Croix Bouton - J.B. Van Damme, Achel 1974, p. 22; J. B. Van Damme, A la recherche de l’unique vérité sur
Cîteaux et ses origins, «Cîteaux», 33 (1982), pp. 327 ss.; Auberger, Les Cisterciens …, pp. 29 - 31. Si noti tuttavia che il problema dell’interpretazione delle più antiche
fonti di Cîteaux sembra ancora lontano dall’essere esaurito. Sempre utili in merito alcune delle osservazioni avanzate qualche anno fa da E. Pasztor, Le origini dell’ordine
cistercense e la riforma monastica, «Cîteaux», 21 (1965), pp. 112 - 127.
10
11
10
Citato in Adriaan H. Bredero, Bernard of Claiervaux: Between Cult and History, Edimburgh 1996, p. 95.
David Knowles, Christian Monasticism, London 1969, p. 78 (trad, it. Il Monachesimo cristiano, Milano, Il Saggiatore, 1969).
STORIA
Bernardo predica
la II crociata a Vézelay
I santi primi abati di Cîteaux: Roberto di
Molesme, Alberico di Cîteaux e Stefano
Monaci cistercensi al lavoro nei campi
La vergine appare a san Bernardo
STORIA
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VIVERE LO SPIRITO MONACALE NEL NOSTRO
“CAMPO” QUOTIDIANO
C
ome abbiamo visto, lo spirito riformatore che ha mosso i santi monaci medioevali per un ritorno alla “regola benedettina” più stretta, non esentava certo i monaci dal lavoro manuale che
doveva essere la prima fonte di sostentamento per loro e per il monastero.
Iniziò così quell’ampio sistema che ebbe a bonificare e ad introdurre dei metodi di lavorazione dei campi che ancora oggi anche noi ben
conosciamo nelle nostre campagne lombarde.
Il lavoro dei campi strettamente connesso ad una profonda ascesi e ad una continua preghiera personale e comunitaria ritmata dal tempo e dalle stagioni, ha contribuito
a
formare e a far sviluppare l’ordine cistercense, ma più
in generale, possiamo dire che questo stile di vita ha caratterizzato per molto tempo anche le comunità civili
che vivevano in prossimità dei monasteri e ne venivano
influenzate.
Ma per noi, oggi, cosa significa essere chiamati a impegnarci e lavorare nel “campo”; come accogliere e vivere
la proposta che il nostro Cardinale Arcivescovo ha lanciato per il nuovo anno pastorale?
Come passare dal lavoro “dei campi” a percorrere da testimoni “il campo del mondo”?
Come passare dal rassodamento della terra al rinnovamento delle coscienze?
“Il campo è il mondo - Vie da percorrere incontro all’umano” è una iniziativa che nasce dalla constatazione che
nella società è in atto una forte evoluzione, sullo sfondo
dei mutamenti che stanno interessando tutto il Paese
e
l’Europa. E in questo contesto la Chiesa è provocata
a
una più decisa comunicazione di Gesù Cristo come buona notizia, Evangelo dell’umano, in tutti gli ambienti
dell’esistenza quotidiana degli uomini e delle donne, e a riscoprire tutto il peso dell’affermazione di
Gesù nella parabola della zizzania quando dice: “Il campo è il mondo” (Mt 13, 38).
Alfio Mario Finardi
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CULTURA
INTERVENTO DEL CARDINALE ARCIVESCOVO ANGELO SCOLA
L’INIZIATIVA PASTORALE
«Il campo è il mondo: vie da percorrere incontro all’umano»
L’iniziativa per il prossimo anno pastorale
Prima di concludere questo significativo gesto ecclesiale, mi preme riproporre, l’iniziativa per il prossimo anno pastorale, annunciata lo scorso 28 marzo nell’omelia della Messa Crismale. Le decisioni comunicate negli interventi precedenti, frutto di un’ampia consultazione, ci consentono di passare dallo
stadio di cantieri aperti all’individuazione di linee comuni, ovviamente sempre riformabili, per un’azione
ecclesiale che sia in grado di attuare quella pluriformità nell’unità che è il criterio della communio.
Se guardiamo alla forte evoluzione in atto nella nostra società lombarda, sullo sfondo dei mutamenti
che stanno interessando tutto il paese e l’Europa, dobbiamo riconoscere che lo Spirito ci sta provocando
ad una più decisa comunicazione di Gesù Cristo come Evangelo dell’umano. Parrocchie, Unità e Comunità
Pastorali, Associazioni e Movimenti, Decanati, Zone Pastorali, Diocesi sono chiamati a riscoprire tutto il
peso dell’affermazione di Gesù nella parabola della zizzania quando dice: «Il campo è il mondo» (Mt 13,
38). Il mondo va concepito dinamicamente come luogo della vita delle persone e dell’esprimersi delle
loro relazioni. In questo senso, esso è costituito da tutti gli ambienti dell’esistenza quotidiana degli uomini e delle donne: famiglie, quartieri, scuole, università, lavoro in tutte le sue forme, modalità di riposo
e di festa, luoghi di sofferenza, di fragilità, di emarginazione, ambiti di edificazione culturale, economica
e politica. In sintesi, il mondo è la società civile in tutte le sue manifestazioni.
Un invito pressante a muoverci in questa direzione ci viene da un’importante affermazione dell’allora
Cardinale Bergoglio, ora Papa Francesco: «Quando la Chiesa non esce da se stessa per evangelizzare,
diviene autoreferenziale e allora si ammala» (Avvenire, 27 marzo 2013).
In che cosa consiste
In cosa consiste questa iniziativa per il prossimo anno pastorale? Per precise ragioni abbiamo escluso il
ricorso ad una visita pastorale, da una parte, e alla missione popolare, dall’altra. Lo scopo che vuole animarci è quello di far maturare nel cuore di tutti i nostri fedeli e di tutte le forme di realizzazione della
Chiesa, una maggior coscienza missionaria che scaturisce dal dono della fede e dalla grata tensione a
proporre l’incontro con Gesù, verità vivente e personale, come risorsa decisiva per l’uomo postmoderno.
L’incontro con Gesù, infatti, è la strada verso il compimento, verso la felicità («Se vuoi essere compiuto perfetto», Mt 19, 21) e l’autentica libertà («sarete liberi davvero», Gv 8, 36).
ANNO PASTORALE
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Lo scopo dell’iniziativa
Lo scopo dell’iniziativa si caratterizza per:
un’apertura a 360°. Con un’immagine potremmo esprimerla nel modo seguente: la Chiesa non ha
bastioni da difendere, ma solo strade da percorrere per andare incontro agli uomini;
una proposta integrale. Vogliamo annunciare in tutti gli ambiti Gesù Cristo morto e risorto, che incarnandosi si è fatto via alla verità e alla vita per ciascun uomo. Il cattolicesimo popolare ambrosiano è
chiamato a immaginare risorse innovative per radicarsi più profondamente negli ambiti dell’umana esistenza attraverso l’annuncio esplicito della bellezza, della bontà e della verità dell’evento di Gesù Cristo
presente nella comunità ecclesiale. Un annuncio che giunge fino alla proposta di tutte le sue umanissime
implicazioni antropologiche, sociali e di rapporto con il creato. Un annuncio che con semplicità ridice la
consapevolezza che l’azione della Trinità è già all’opera in ogni uomo e in ogni donna;
testimonianza, non egemonia. Come già ebbe a dire Paolo VI: «L’uomo contemporaneo ascolta più
volentieri i testimoni che i maestri, o se ascolta i maestri lo fa perché sono dei testimoni» (Evangelii
Nuntiandi 41). Il testimone, il terzo che sta tra i due, nel nostro caso tra Gesù e il fratello uomo. Non
è senza significato che sistematicamente i Vangeli leghino il riconoscimento di Gesù risorto da parte
dei discepoli al loro invio fino ai confini del mondo: la testimonianza diventa in tal modo il criterio di
evidenza della fede. Essa non è solo necessario buon esempio, ma è conoscenza della realtà (anzitutto
riconoscimento del Risorto) e, pertanto, comunicazione della verità.
La verifica dell’Iniziativa
La verifica dell’attuarsi dell’iniziativa «Il campo è il mondo», sarà la progressiva maturazione di tutte
le forme di realizzazione della comunità cristiana, secondo i quattro pilastri individuati dalla Lettera
Pastorale Alla scoperta del Dio vicino, sulla mappa di Atti 2, 42 - 48 (cf. Alla scoperta del Dio vicino n. 8).
A tale comunità si potrà invitare, in ogni momento, chiunque: «vieni e vedi» (Gv 1, 46).
L’attuazione concreta
Concretamente, l’iniziativa «Il campo è il mondo» si attuerà a vari livelli:
valorizzando tutto ciò che già si pone in quest’ottica nelle Parrocchie, nelle Unità e nelle Comunità Pastorali, nelle Associazioni e nei Movimenti, nelle Congregazioni religiose, nei Decanati ... Sono tante le forme di condivisione di questo bisogno radicale di evangelizzazione già in atto. Sarà però necessario riferirle esplicitamente agli scopi dell’iniziativa pastorale «Il campo è il mondo»;
chiamando alla pluriformità nell’unità tutte le realtà ecclesiali che vivono in Diocesi. Nel coinvolgimento
e nell’accoglienza dei diversi carismi di Religiosi, Associazioni, Movimenti a livello diocesano
dovrà brillare quell’unità che è condizione necessaria per testimoniare Gesù Cristo come Evangelo
dell’umano; proponendo qualche iniziativa comune a tutta la Diocesi. Per esempio e a titolo provvisorio:
un approfondimento del tema «Il campo è il mondo» a livello interdecanale; una riflessione per
i sacerdoti sul tema «Evangelizzare la metropoli»; oltre ai gesti liturgici e di preghiera in Duomo in
occasione dell’Avvento, della Quaresima e del mese di maggio, un gesto pubblico di confessione
della fede, un incontro ecumenico proposto a tutti di annuncio di Cristo alla città, percorsi artistici e
culturali. Il Consiglio Episcopale ha già dato dei suggerimenti che saranno messi a punto raccogliendo
nelle prossimo settimane in vario modo il parere dei membri del Consiglio Presbiterale, del Consiglio
Pastorale e dell’Assemblea dei Decani. Il calendario di queste iniziative verrà comunicato entro il 25
giugno, così che se ne possa tener conto per gli impegni di tutti del prossimo anno pastorale;
ripensando l’attività degli Uffici diocesani in due direzioni: primo, equilibrando meglio il nesso tra questi
preziosi strumenti e i soggetti della concreta azione pastorale (Parrocchie, Unità e Comunità Pastorali,
Associazioni, Movimenti, Congregazioni religiose, Decanato); secondo, gli Uffici dovranno accompagnare
i soggetti ad approfondire i rapporti con gli ambiti di vita reale della gente.
L’avvio e la Lettera Pastorale
L’iniziativa pastorale prenderà inizio il giorno 9 settembre, solennità della Natività della Beata Vergine
Maria, con la tradizionale celebrazione eucaristica in cui verrà resa pubblica la Lettera Pastorale
dell’Arcivescovo che avrà per titolo: «Il campo è il mondo. Vie da percorrere incontro all’umano».
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CARDINALE ARCIVESCOVO ANGELO SCOLA
ANNO PASTORALE
«IL CAMPO È IL MONDO». VIE DA PERCORRERE INCONTRO ALL’UMANO
di Mons. Pierantonio Tremolada - Vicario per l’evangelizzazione ed i sacramenti
Un forte appello ci raggiunge all’inizio di questo anno pastorale 2013 - 2014. Ce lo rivolge il nostro
Arcivescovo, facendo eco a quello che il Signore stesso rivolse ai suoi discepoli: «Andate in tutto il
mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura» (Mc 16, 15). «Mettiamoci in cammino - dice l’Arcivescovo
- ci sono delle vie da percorrere incontro all’umano, strade che si aprono per noi. Chi crede non può
rinchiudersi dentro i recinti più o meno rassicuranti dei propri ambienti, perché la Chiesa è energia di
salvezza destinata ad ogni uomo. Il campo della Chiesa è il mondo, perché il mondo è il campo della grazia
di Dio».
1. La parabola
Spiegando la parabola del grano e della zizzania, Gesù dice ai suoi discepoli: «Il campo è il mondo» (Mt
13, 38). Il campo di cui sta parlando è il terreno nel quale il padrone in persona ha seminato il buon seme
del grano e nel quale un nemico ha seminato di nascosto la zizzania. La zizzania è un’erba parassita e
infestante. Essa compare nel campo ma non ha diritto di cittadinanza, non dovrebbe esserci. Quindi non
è sulla zizzania che bisogna soffermarsi. Il rischio sta proprio qui: pensare che questa sia «la parabola
della zizzania». È quel che fanno i discepoli quando dicono a Gesù: «Spiegaci la parabola della zizzania
nel campo» (Mt 13, 36). Ecco che cosa li ha colpiti: la presenza della zizzania nel campo. Ma il campo
non è la zizzania. Vi è qualcosa di molto più importante di cui rendersi conto: quel campo è anzitutto un
terreno che ha un padrone e questo padrone vi ha personalmente seminato il buon seme che diventerà
grano. È così che noi dobbiamo guardare anche il mondo, superando la prima impressione. Non è forse
vero, infatti, che noi rischiamo anzitutto di temere il mondo in cui viviamo? Di vedere subito il male che
vi si trova? Di rimanerne disorientati? Non siamo forse portati a desiderare una sorta di purificazione
violenta? Occorre invece partire da ciò che la parabola dice: come quel campo, anche questo mondo
ha anzitutto un proprietario che gli è affezionato ed è il luogo in cui opera una forza positiva di bene,
analoga a quella della buona semente. Il mondo è di Dio, viene da lui, vive di lui. Inoltre, nel mondo è
attiva la potenza di vita che è propria di Dio, capace di portare frutto nel cuore degli uomini.
2. Tutto il bello che c’è
Il mondo sorge dal mistero trinitario e partecipa della gloria di Dio. La Scrittura ci ricorda che è stato
creato e quindi porta impresso il segno dell’amore che lo ha fatto esistere. Il mondo, cioè l’umanità
stessa con il suo ambiente di vita, assomiglia al suo creatore, esiste a «sua immagine» (cf. Gen 1, 26 27). Nella sua essenza, quindi, il mondo è buono, come lo è Dio (cf. Mt 19, 17) ed è per natura sensibile
alla bontà. Niente e nessuno potrà mai annullare questa tensione originaria del mondo umano verso
il bene. Per questo il mondo, al di là delle apparenze, è molto sensibile alla testimonianza dell’amore
ANNO PASTORALE
15
autentico, alla «bellezza della bontà». Il buon seme di cui parla la parabola è la forza della vita intesa
così, come esperienza dell’amore divino che sta alla base dell’umano, il bello dell’essere ciò che Dio
da sempre desidera che siamo. Questa è la prima e fondamentale verità che dobbiamo proclamare
quando parliamo del mondo nell’ottica della fede: richiamare tutto il bello che c’è nel disegno di Dio
sul mondo, nelle attese del cuore degli uomini, nell’azione di salvezza che tiene in vita il mondo giorno
per giorno. Il Vangelo è l’energia della grazia che mantiene il mondo umano immerso nell’amore di Dio.
L’evangelizzazione è allora sinergia d’amore: è anzitutto ricerca e valorizzazione di ciò che nel modo
dice l’amore divino delle origini; è proclamazione del bene che già opera tra gli uomini e negli uomini;
è scoperta gioiosa della luce che brilla in tanti ambienti grazie alla presenza e alla testimonianza di
uomini e donne che a giusto titolo vanno definiti «giusti». Valorizzare il bello che c’è è già evangelizzare,
come lo è il far emergere il desiderio sincero del cuore, la nostalgia del bene, la tensione verso il
giusto e il vero. Voi, cari giovani e cari ragazzi, siete le nostre avanguardie, i soggetti che meglio sanno
cogliere e segnalare la grazia singolare di questo tempo. Sentitevi chiamati a fare del Vangelo l’anima
della vostra vita e a farne comprendere a tutti la bellezza. Fatelo a partire da ciò che, meglio di noi,
siete in grado di sentire come essenziale per l’oggi. Fatelo mostrando a voi stessi a agli altri come il
Vangelo è pienamente in sintonia con quel che voi percepite come valore: la ricerca di una felicità non
illusoria, il desiderio di conoscere, il rispetto per l’altro, l’apprezzamento della diversità, la passione per
il confronto, il coraggio delle proprie convinzioni, il rigetto per ogni forma di costrizione, l’intuizione più
viva del valore dell’interiorità, il bisogni di relazioni sincere e profonde.
3. La voce amica del Vangelo
Questo ci è chiesto di fare: annunciare il Vangelo a partire dal bello che c’è nel mondo, mostrando la
luminosa forza di bene che scaturisce dal mistero di Cristo. La tenerezza del volto di Gesù e la sua
energia di salvezza entrano naturalmente in sintonia con tutto ciò che di più nobile e sincero il cuore
umano desidera e già sta realizzando. Il Vangelo è un lieto annuncio proposto da una voce amica, una
buona notizia comunicata con passione e con gioia. Sarà importante farlo sentire così, farne percepire
la forza di salvezza, di riscatto, di consolazione. Il Vangelo è capace di vincere le solitudini perché, come
dice la Scrittura: «Non è bene che l’uomo sia solo» (Gen 2, 18); il Vangelo è capace di vincere le paure,
perché il Cristo continuamente ripete ai suoi: «Non temete!» (cf. Mt 28, 10); il Vangelo è capace di
riscattare una vita, perché il Signore Gesù più volte disse: «Alzati!» (cf. Mc 2, 11); il Vangelo è capace di
dare speranza perché - come dice san Paolo - «l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori» (Rm 5,
5) e noi sentiamo interiormente che di questo amore ci si può fidare.
4. Il Vangelo annunciato ai poveri
Cari giovani e cari ragazzi, il Vangelo - ci dice il Signore stesso - va annunciato a tutti e dappertutto,
ma i suoi primi destinatari sono i poveri (cf. Lc 4, 18 - 19). Chi sono dunque i poveri di oggi? Certo
prima di tutto gli indigenti, quanti non hanno il necessario per vivere, il cibo, il vestito, la casa, il lavoro,
l’istruzione. Sono coloro che faticano a vivere e hanno bisogno di qualcuno che li aiuti a sostenere il peso
della vita. Come non pensare anche ai malati, agli anziani, ai portatori di handicap? A loro noi tutti e voi
per primi siamo chiamati a portare la voce amica del Vangelo, facendoci vicini e offrendo un supporto
alla loro fatica. Ma vi sono anche altri poveri, oggi in particolare: sono coloro che, ancora giovani, sono
stanchi di vivere, si «buttano via» negli abissi delle dipendenze, si lasciano andare senza speranza, si
bruciano in relazioni improbabili, si rifugiano in mondi virtuali alienanti. Lo sappiamo bene: non vi
è solo la fatica di vivere, vi è anche la stanchezza di vivere; non solo il peso della vita, ma anche il
vuoto della vita. Quanto può essere importante per queste persone la parola amica che viene dal Cristo
risorto, la sua buona notizia, la luce della sua grazia. L’aiuto ai poveri va considerata una delle forme
imprescindibili di annuncio del Vangelo. Non è concepibile una Chiesa che non metta questo al primo
posto e non è pensabile che la Chiesa, rivolgendosi ai propri giovani, non chieda loro anzitutto questo.
Certo, queste sono le frontiere del Vangelo, i luoghi estremi della povertà cui far fronte. Ma come non
tenerne conto? Potremo forse far poco, ma come non pensarci e non interrogarci? C’è un grido che
sorge dal mondo, dalla povertà che lo ferisce. Non possiamo rimanere tranquillamente inerti di fronte
a questa voce che sale da tanti luoghi della nostra stessa diocesi. L’amore di Cristo ci spinge, ci incalza,
ci sprona. E le frontiere della povertà diventano paradigma per il quotidiano: se rimaniamo indifferenti
16
ANNO PASTORALE
di fronte ai grandi bisogni, quello del cibo e quello della speranza, il nostro quotidiano perderà la sua
luminosità e la nostra fede rischierà di spegnersi, diventando sterile osservanza o mera aggregazione.
5. Vie che si aprono
Comprendiamo allora che si aprono strade da percorrere. Non possiamo chiuderci, non dobbiamo
ripiegarci, occuparci semplicemente di noi. Neppure possiamo riprodurre automaticamente programmi
che abbiamo elaborato da tempo. Succede a noi quel che avvenne a Filippo, il quale si sentì dire dal
Signore: «Alzati e va’ verso il mezzogiorno, sulla strada che scende da Gerusalemme a Gaza; essa è
deserta» (At 8, 26). Occorre «posizionarsi» sulla strada, farsi trovare lungo il percorso, non stare
lontano dalle grandi arterie della vita, mettersi a camminare su di esse anche se in un primo momento
esse sono deserte. Sarà inevitabile intercettare chi le percorre e sarà occasione per far gustare loro la
forza consolante del Vangelo. Le strade sono molte, tante quanti sono gli ambiti della vita. Ne possiamo
identificare alcune che vorremmo tenere particolarmente presenti e che vogliamo indicare a voi cari giovani - come vie da su cui «farsi trovare» da quanti semplicemente portano avanti la loro vita:
l’emergenza sociale e l’emarginazione, la malattia e l’anzianità, il lavoro e la situazione economica,
l’educazione e l’accompagnamento dei minori, l’impegno socio-politico, la cultura e l’arte. La carità ha
varie forme e tutte hanno la loro dignità e il loro valore. Sarà importante che ciascuno si domandi: «Che
cosa si attende il Signore da me, da me che ho questa personalità e mi trovo in questa situazione?». C’è
infatti qualcosa che il mondo può ricevere solo da ciascuno di voi: l’offrirlo consentirà a ciascuno di dare
compimento alla profonda esigenza del proprio cuore e di essere realmente felice. La carità, infatti, non
delude mai.
6. Preghiera e carità
Non c’è carità senza preghiera e non c’è preghiera senza carità. L’amore per Dio e l’amore per il prossimo non sono separabili. Come Gesù stesso ci ha insegnato, il comandamento più grande è duplice ma
unitario: «Amerai il Signore tuo Dio ... amerai il tuo prossimo ...» (cf. Mc 12, 28 - 34). Chi vuole percorre
le vie degli uomini per incontrarli come fratelli e portare loro il Vangelo della speranza deve gustare
la bellezza della comunione interiore con il Signore della vita. Non si può uscire come testimoni della
bontà di Dio per le strade del mondo senza aver vissuto nel raccoglimento della preghiera e nell’ascolto
della Parola l’incontro personale con lui. Noi siamo tralci attaccati alla vite, che è il Cristo vivente, e
senza di lui non possiamo fare nulla (cf. Gv 15, 1 - 5). Di lui noi viviamo ed egli vive in noi. La nostra
forza sta nella trasparenza, cioè nella capacità di mostrare nelle nostre opere e nelle nostre parole la
sua presenza e la sua opera. Così - cari giovani e cari ragazzi - due sono le parole che alla fine orientano
e riassumono la proposta di pastorale giovanile per questo anno: la preghiera e la carità. Sarà questo
un anno in cui crescere nella preghiera e nella carità, chiamati a percorrere le vie incontro all’umano
con il cuore illuminato dall’amore di Cristo, il nostro grande Dio e Salvatore. La proposta è quella di
dedicare alla preghiera e all’ascolto della Parola di Dio soprattutto i tempi forti dell’Avvento e della
Quaresima, con fedele regolarità e con generosità di tempo. Quanto alla carità, essa avrà la forma della
ricerca amorevole del prossimo lungo le vie che ciascuno (penso soprattutto ai giovani) sceglierà
come particolarmente adatte a sé, nello spirito positivo di chi sa valorizzare tutto il bene che già esiste.
Viviamo questo cammino insieme. L’amore che cercheremo di testimoniare agli altri ci stringa sempre
di più tra noi. I nostri gruppi giovanili, i nostri gruppi di adolescenti e preadolescenti, i nostri oratori
siano luoghi di fraternità e di gioiosa comunione. È questo un obiettivo cui tendere costantemente,
poiché costituisce il primo segno della verità del Vangelo offerto al mondo: si veda nei nostri ambienti
«quanto è buono e quanto è dolce che i fratelli vivano insieme» (cf. Sal 133).
Il Signore guidi i nostri passi, sostenga il nostro proposito e dia compimento ad ogni nostra intenzione
di bene. Buon cammino!
Mons. Pierantonio Tremolada
ANNO PASTORALE
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L’ICONA EVANGELICA PER L’ANNO PASTORALE 2013 - 2014
Matteo 13, 1 - 2. 24 - 30. 36 - 43
Quel giorno Gesù uscì di casa e sedette in riva al mare. Si radunò attorno a
lui tanta folla che egli salì su una barca e si mise a sedere, mentre tutta la
folla stava sulla spiaggia. Espose loro un’altra parabola, dicendo: «Il regno
dei cieli è simile a un uomo che ha seminato del buon seme nel suo campo.
Ma, mentre tutti dormivano, venne il suo nemico, seminò della zizzania
in mezzo al grano e se ne andò. Quando poi lo stelo crebbe e fece frutto,
spuntò anche la zizzania. Allora i servi andarono dal padrone di casa e gli
dissero: “Signore, non hai seminato del buon seme nel tuo campo? Da dove
viene la zizzania?”. Ed egli rispose loro: “Un nemico ha fatto questo!”. E i
servi gli dissero: “Vuoi che andiamo a raccoglierla?”. “No, rispose, perché
non succeda che, raccogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche
L'evangelista Matteo,
il grano. Lasciate che l’una e l’altro crescano insieme fino alla mietituscultura del XIII secolo
al Museo del Louvre di Parigi ra e al momento della mietitura dirò ai mietitori: Raccogliete prima la
zizzania e legatela in fasci per bruciarla; il grano invece riponételo nel
mio granaio”». Poi congedò la folla ed entrò in casa; i suoi discepoli gli si avvicinarono per dirgli: «Spiegaci
la parabola della zizzania nel campo». Ed egli rispose: «Colui che semina il buon seme è il Figlio dell’uomo.
Il campo è il mondo e il seme buono sono i figli del Regno. La zizzania sono i figli del Maligno e il nemico
che l’ha seminata è il diavolo. La mietitura è la fine del mondo e i mietitori sono gli angeli. Come dunque si
raccoglie la zizzania e la si brucia nel fuoco, così avverrà alla fine del mondo. Il Figlio dell’uomo manderà
i suoi angeli, i quali raccoglieranno dal suo regno tutti gli scandali e tutti quelli che commettono iniquità e
li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti. Allora i giusti splenderanno come
il sole nel regno del Padre loro. Chi ha orecchi, ascolti!
Il seme buono è gettato dal Figlio dell’uomo. Ci sentiamo inseriti in un disegno che prevede la nostra
presenza nel mondo, ognuno vale perché pensato e previsto da Dio, perché porti frutto là dove si trova.
La nostra origine, la nostra vocazione, ad essere seme e a crescere come grano buono, ha il suo valore
in Gesù, che ci ha voluto così come siamo e ci ha chiamati ad essere «figli» dello stesso Padre, «figli del
Regno» che è già in questo mondo. Riconoscersi «seminati nel mondo», significa riconoscere che c’è
una missione che dobbiamo compiere, che abbiamo una responsabilità ben precisa, non in un ambiente
ristretto, non in un recinto, che apparentemente sembra proteggerci, ma nel mondo intero, «A TUTTO
CAMPO». Anche per il mondo c’è un disegno, una condizione che vale per tutto il tempo in cui esso vivrà: Dio opera per trasformarlo. L’azione principale di Dio per il mondo consiste nel seminare uomini
nuovi che con una bontà coerente, vincendo le insidie del male, portino a maturazione la loro esistenza,
«fino a raggiungere la misura della pienezza di Cristo» (Ef 4, 13b), l’uomo perfetto. Ma l’umanità
non è così vigile come sembra, a volte risulta addormentata: è in un mondo così, che non è attento, che
non ha sguardi di condivisione, di reciproca accoglienza, di apertura all’altro, che chiude gli occhi per
non vedere e quindi si addormenta, dove si insinua il male e quindi la zizzania. Questa cresce proprio
quan- do il seme buono cresce, in una contemporaneità che infastidisce e che vorrebbe soffocare la
crescita stessa. Là dove, anche nella vita di un ragazzo, si vedono i progressi, le speranze, le promesse, il
male cerca di tarpare, distruggere, dividere, in una parola, di soffocare! È il rischio che si corre quando si
in- veste nell’educazione: tante aspettative, spesso deluse, anche da chi non ce lo si aspetta ... vorremmo
mollare tutto o ancora peggio sradicare tutto, epurare, proprio nel momento più delicato che è la crescita e la maturazione di una persona. Non è questo lo stile del Vangelo, del buon seminatore che con
pazienza sollecita e attende, semina e irriga, non strappa e non raccoglie prima del tempo! Questo stile
«educativo» deve spingerci con coraggio a seminare a piene mani, senza sperare di vedere i frutti della
raccolta. Deve avventurarsi in zone inesplorate dell’umano, là dove è possibile ancora dire parole buone
e proporsi come testimoni attraverso la carità, per far in modo che quel grano buono che cresce sappia
di non essere solo ad affrontare le difficoltà del mondo. Deve prestare attenzione ai ragazzi in tutta la
loro dimensione affettiva, relazionale, intellettiva, creativa: insomma, essere un’educazione
«A TUTTO CAMPO».
18
ANNO PASTORALE
LO SLOGAN PER L’ANNO PASTORALE 2013 - 2014
Un luminoso disegno a pastello diventa il logo della proposta A TUTTO CAMPO che traduce per i
ragazzi e per l’oratorio l’iniziativa pastorale «Il campo è il mondo» che il nostro arcivescovo Angelo
Scola consegna alla Diocesi. Il Vescovo ci chiede di percorrere insieme nuove vie «verso l’umano»
con un’apertura a 360° che possa incontrare «tutto l’uomo». Il nostro impegno consiste nel portare il
Vangelo in ogni ambiente e situazione della vita, con un’apertura, appunto, che potremmo dire a tutto
tondo. Si tratta di dare completezza alle nostre proposte perché non venga tralasciato niente di ciò
che coinvolge la vita dei ragazzi e delle loro famiglie. Il cerchio azzurro segna un mondo che cerca
ancora la sua armonia e può trovarla se tutte le persone che possiamo incontrare, a partire dai più
piccoli e dai più giovani, possono avere l’occasione di conoscere il Signore Gesù e accoglierlo con fede,
lasciando che sia Lui a dare forma all’esistenza di ciascuno. Le sagome che vengono rappresentate
parlano della vita dei ragazzi che al mattino ritrovano la loro famiglia, vanno a scuola, condividono con
i compagni di classe e gli insegnanti molte ore della loro giornata, si impegnano nello studio, escono
e vanno agli allenamenti o sono coinvolti in altre attività e la domenica o alcune volte in settimana
sono invitati a vivere all’interno della comunità cristiana, attraverso la presenza dell’oratorio. Questi
ragazzi abitano nel nostro territorio, nelle nostre città, e sperimentano sulla loro pelle i messaggi,
spesso contraddittori, che provengono dai media e dalla società. Hanno bisogno di giocare, di non
restare soli in casa, di incontrare dei «testimoni» che propongano loro uno stile bello di vita buona che
nasce dal Vangelo. I nostri ragazzi sono distratti da continue sollecitazioni e dalle mode dettate dalla
tecnologia e dall’industria dell’intrattenimento. Ma è proprio dentro questo contesto multicolore, che
è la vita, che i ragazzi sono chiamati a riconoscere il campo (strisce verdi) in cui mettere in gioco la
loro ricchezza, le loro potenzialità e il loro valore. La loro esistenza è ancora in crescita, ci sono ancora
molti frutti da portare, ma ormai la loro vocazione è già delineata: sono loro il frutto del seme buono
gettato in tutto il mondo dal Figlio dell’uomo (cfr. Icona evangelica). Ora sono quel buon grano che
ancora deve crescere ma che è già un segno evidente nel campo, un segno di vita buona che si realizza
insieme, mantenendosi «saldi nella fede», affinché «tutto si faccia nella carità» (cfr 1 Cor 16, 13 - 14).
La luminosità del grano che cresce non in modo solitario - ma in un contesto di comunità - può oscurare
se non cancellare ogni limite, ogni peccato e il male che è rappresentato dalla zizzania. Nella gioia
dello stare insieme e del condividere la vita A TUTTO CAMPO c’è il segreto di una esistenza felice
che, anche se non toglie il male - quello che c’è in ogni persona e nel mondo intero - anche se non lo
stradica completamente, comunque lo rende incapace di danneggiare le persone fino a distruggerle.
La gioia radiosa della vita comunitaria che vive dell’incontro con l’unico Maestro che è il Signore, che
si alimenta alla sua mensa, che accoglie il Pane della vita, frutto del grano buono preparato per la
comunione, è lo stile che noi possiamo proporre al mondo perché l’esperienza umana possa essere
piena e felice, così come il Padre l’ha desiderata da sempre.
ANNO PASTORALE
19
QUANDO PAOLO VI
TERMINÒ LA SUA «CORSA»
Papa Paolo VI (Paulus PP. VI, nato Giovanni Battista Enrico
Antonio Maria Montini; Concesio, 26 settembre 1897 - Castel
Gandolfo, 6 agosto 1978) è stato il 262° vescovo di Roma e papa
della Chiesa cattolica, Primate d’Italia e 4° sovrano dello Stato della
Città del Vaticano a partire dal 21 giugno 1963 fino alla morte. È
venerabile dal 20 dicembre 2012, dopo che papa Benedetto XVI ne ha
riconosciuto le virtù eroiche. La sua opera pastorale e la sua figura
carismatica è stata importantissima per la vita della nostra Chiesa
ambrosiana che lo ha avuto come suo Pastora dal 01o novembre 1954
al 21 giugno 1963, quando poi venne eletto al soglio pontificio. Ora,
a 35 anni dalla scomparsa (6 agosto 1978), desideriamo ricordarlo
attraverso le parole di un’omelia pronunciata poco più di un mese
prima della morte, nella quale egli tracciava un bilancio del suo
Pontificato. Ne emerge anche, in questo Anno della Fede, un sublime
ed intenso richiamo alla Professione di Fede della Chiesa e nella
Chiesa e con la Chiesa di ciascuno di noi.
Venerati Fratelli e Figli carissimi,
le immagini dei Santi Apostoli Pietro e Paolo occupano, oggi più che mai, il nostro spirito durante la
celebrazione di questo rito. Non solo perché ci sono riportate, come di consueto, dal volgere dell’anno
liturgico, ma anche per il particolare significato che riveste per noi questo XV anniversario della nostra
elezione al Sommo Pontificato, quando, dopo il compimento dell’80° genetliaco, il corso naturale della
nostra vita volge al tramonto.
Pietro e Paolo: «le grandi e giuste colonne» (San Clementis Romani, I, 5, 2) della Chiesa romana e della
Chiesa universale! I testi della Liturgia della parola, or ora ascoltati, ce li presentano sotto un aspetto
che suscita in noi profonda impressione: ecco Pietro, che rinnova nei secoli la grande confessione di
Cesarea di Filippo; ecco Paolo, che dalla cattività romana lascia a Timoteo il testamento più alto della
sua missione. Guardando a loro, noi gettiamo uno sguardo complessivo su quello che è stato il periodo
durante il quale il Signore ci ha affidato la sua Chiesa; e, benché ci consideriamo l’ultimo e indegno
successore di Pietro, ci sentiamo a questa soglia estrema confortati e sorretti dalla coscienza di aver
instancabilmente ripetuto davanti alla Chiesa e al mondo: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente»
(Matth. 16, 16); anche noi, come Paolo, sentiamo di poter dire: «Ho combattuto la buona battaglia, ho
terminato la mia corsa, ho conservato la fede» (2 Tim. 4, 7).
Il nostro ufficio è quello stesso di Pietro, al quale Cristo ha affidato il mandato di confermare i fratelli (cfr.
Luc. 22, 32): è l’ufficio di servire la verità della fede, e questa verità offrire a quanti la cercano, secondo
una stupenda espressione di San Pier Crisologo: «Beatus Petrus, qui in propria sede et vivit et praesidet,
praestat quaerentibus fidei veritatem» (S. Petri Chrysologi Ep. ad Etrtichen, inter Ep. S. Leonis MagniXXV,
2: PL54, 743 - 744). Infatti la fede è «più preziosa dell’oro» (1 Petr. 1, 7), dice San Pietro; non basta
riceverla, ma bisogna conservarla anche in mezzo alle difficoltà («per ignem probatur» 1 Petr. 1, 7). Della
fede gli Apostoli sono stati predicatori anche nella persecuzione, sigillando la loro testimonianza con la
morte, a imitazione del loro Maestro e Signore che, secondo la bella formula di San Paolo «testimonium
reddidit sub Pontio Pilato bonam confessionem» (1 Tim 6, 13). Ora, la fede non è il risultato dell’umana
speculazione (cfr. 2 Petr. 1, 16), ma il “deposito” ricevuto dagli Apostoli, i quali lo hanno accolto da
Cristo che essi hanno «visto, contemplato e ascoltato» (1 Io. 1, 1 - 3). Questa è la fede della Chiesa, la
fede apostolica. L’insegnamento ricevuto da Cristo si mantiene intatto nella Chiesa per la presenza in
essa dello Spirito Santo e per la speciale missione affidata a Pietro, per il quale Cristo ha pregato: «Ego
rogavi pro te ut non deficiat fides tua» (Luc. 22, 32) e al Collegio degli Apostoli in comunione con lui:
«Qui vos audit me audit» (Ibid. 10, 16). La funzione di Pietro si perpetua nei suoi successori, tanto che
i Vescovi del Concilio di Calcedonia poterono dire dopo aver ascoltato la lettera loro mandata da Papa
Leone: «Pietro ha parlato per bocca di Leone» (cfr. H. Grisar, Roma alla fine del tempo antico, I, 359). Ed
il nucleo di questa fede è Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo, confessato così da Pietro: «Tu es Christus,
20
STORIA
Filius Dei vivi» (Matth. 16, 16).
Ecco, Fratelli e Figli, l’intento instancabile, vigile, assillante che ci ha mossi in questi quindici anni di
pontificato. «Fidem servavi»! possiamo dire oggi, con la umile e ferma coscienza di non aver mai tradito
«il santo vero» (A. Manzoni). Ci sia consentito ricordare, a conferma di questa convinzione, e a conforto
del nostro spirito che continuamente si prepara all’incontro col giusto Giudice (2 Tim. 4, 8), alcuni documenti salienti del pontificato, che hanno voluto segnare le tappe di questo nostro sofferto ministero di
amore e di servizio alla fede e alla disciplina: tra le encicliche e le esortazioni pontificie, la Ecclesiam
Suam (9 augusti 1964: AAS56, 1964, 609. 659) che, all’alba del pontificato, tracciava le linee di azione
della Chiesa in se stessa e nel suo dialogo col mondo dei fratelli cristiani separati, dei non-cristiani, dei
non- credenti; la Mysterium Fidei sulla dottrina eucaristica (3 septembris 1965: AAS 57, 1965, 53. 774);
la Sacerdotalis Caelibatus (24 iunii 1967: AAS59, 1967, 657 - 697) sul dono totale di sé che distingue il
carisma e l’ufficio presbiterale; la Evangelica Testificatio (29 iunii 1971: AAS63, 1971, 497 - 526) sulla
testimonianza che oggi la vita religiosa, in perfetta sequela di Cristo, è chiamata a dare davanti al
mondo; la Paterna cum Benevolentia (8 decembris 1974: AAS67, 1975, 5 - 23), alla vigilia dell’Anno Santo,
sulla riconciliazione all’interno della Chiesa; la Gaudente in Domino (9 maii 1975: AAS67, 1975, 289 322) sulla ricchezza zampillante e trasformatrice della gioia cristiana; e, infine, la Evangelii Nuntiandi
(8 decembris 1975: AAS 68, 1976, 5 - 76), che ha voluto tracciare il panorama esaltante e molteplice
dell’azione evangelizzatrice della Chiesa, oggi.
Ma soprattutto non vogliamo dimenticare quella nostra “Professione di fede” che, proprio dieci anni fa,
il 30 giugno del 1968, noi solennemente pronunciammo in nome e a impegno di tutta la Chiesa come
«Credo del Popolo di Dio» (Paolo PP. VI, Credo del Popolo di Dio: AAS60, 1968, 436 - 445), per ricordare,
per riaffermare, per ribadire i punti capitali della fede della Chiesa stessa, proclamata dai più importanti
Concili Ecumenici, in un momento in cui facili sperimentalismi dottrinali sembravano scuotere la
certezza di tanti sacerdoti e fedeli, e richiedevano un ritorno alle sorgenti. Grazie al Signore, molti
pericoli si sono attenuati; ma davanti alle difficoltà che ancor oggi la Chiesa deve affrontare sul piano
sia dottrinale che disciplinare, noi ci richiamiamo ancora energicamente a quella sommaria professione
di fede, che consideriamo un atto importante del nostro magistero pontificale, perché solo nella fedeltà
all’insegnamento di Cristo e della Chiesa, trasmessoci dai Padri, possiamo avere quella forza di conquista e quella luce di intelligenza e d’anima che proviene dal possesso maturo e consapevole della divina
verità.
E vogliamo altresì rivolgere un appello, accorato ma fermo, a quanti impegnano se stessi e trascinano gli
altri, con la parola, con gli scritti, con il comportamento, sulle vie delle opinioni personali e poi su quelle
dell’eresia e dello scisma, disorientando le coscienze dei singoli, e la comunità intera, la quale dev’essere
anzitutto koinonia nell’adesione alla verità della Parola di Dio, per verificare e garantire la koinonia
nell’unico Pane e nell’unico Calice. Li avvertiamo paternamente: si guardino dal turbare ulteriormente
la Chiesa; è giunto il momento della verità, e occorre che ciascuno conosca le proprie responsabilità
di fronte a decisioni che debbono salvaguardare la fede, tesoro comune che il Cristo, il quale è Petra, è
Roccia, ha affidato a Pietro, Vicarius Petrae, Vicario della Roccia, come lo chiama San Bonaventura (S.
Bonaventurae Quaest. disp. de perf. enang., q. 4, a. 3; ed. Quaracchi, V, 1891, p. 195).
In questo impegno offerto e sofferto di magistero a servizio e a difesa della verità, noi consideriamo imprescindibile la difesa della vita umana. Il Concilio Vaticano secondo ha ricordato con parole gravissime
che «Dio padrone della Vita, ha affidato agli uomini l’altissima missione di proteggere la vita» (Gaudium
et Spes, 51). E noi, che riteniamo nostra precisa consegna l’assoluta fedeltà agli insegnamenti del Concilio medesimo, abbiamo fatto programma del nostro pontificato la difesa della vita, in tutte le forme in
cui essa può esser minacciata, turbata o addirittura soppressa.
Rammentiamo anche qui i punti più significativi che attestano questo nostro intento.
a) Abbiamo anzitutto sottolineato il dovere di favorire la promozione tecnico-materiale dei popoli in
via di sviluppo, con la enciclica Populorum Progressio (26 martii 1967: AAS59, 1967, 257 - 299)
b) Ma la difesa della vita deve cominciare dalle sorgenti stesse della umana esistenza. È stato questo
un grave e chiaro insegnamento del Concilio, il quale, nella Costituzione pastorale Gaudium et Spes,
ammoniva che «la vita, una volta concepita, dev’essere protetta con la massima cura; e l’aborto come
l’infanticidio sono abominevoli delitti» (Gaudium et Spes, 51). Non abbiamo fatto altro che raccogliere
questa consegna, quando, dieci anni fa, promanammo l’Enciclica Humana Vitae (25 iulii 1968: AAS 60,
STORIA
21
1968, 481 - 503): ispirato all’intangibile insegnamento biblico ed evangelico, che convalida le norme
della legge naturale e i dettami insopprimibili della coscienza sul rispetto della vita, la cui trasmissione
è affidata alla paternità e alla maternità responsabili, quel documento è diventato oggi di nuova e più
urgente attualità per i vulnera inferti da pubbliche legislazioni alla santità indissolubile del vincolo
matrimoniale e alla intangibilità della vita umana fin dal seno materno.
c) Di qui le ripetute affermazioni della dottrina della Chiesa cattolica sulla dolorosa realtà e sui peno
sissimi effetti del divorzio e dell’aborto, contenute nel nostro magistero ordinario come in particolari atti della competente Congregazione. Noi le abbiamo espresse, mossi unicamente dalla suprema
responsabilità di maestro e di pastore universale, e per il bene del genere umano!
d) Ma siamo stati indotti altresì dall’amore alla gioventù che sale, fidente in un più sereno avvenire,
gioiosamente protesa verso la propria auto-realizzazione, ma non di rado delusa e scoraggiata dalla
mancanza di un’adeguata risposta da parte della società degli adulti. La gioventù è la prima a soffrire
degli sconvolgimenti della famiglia e della vita morale. Essa è il patrimonio più ricco da difendere e
avvalorare. Perciò noi guardiamo ai giovani: sono essi il domani della comunità civile, il domani della
Chiesa.
Venerati Fratelli e Figli carissimi!
Vi abbiamo aperto il nostro cuore, in un panorama sia pur rapido dei punti salienti del nostro Magistero
pontificale in ordine alla vita umana, perché un grido profondo salga dai nostri cuori verso il Redentore;
davanti ai pericoli che abbiamo delineato, come di fronte a dolorose defezioni di carattere ecclesiale
o sociale, noi, come Pietro, ci sentiamo spinti ad andare a Lui, come a unica salvezza, e a gridargli:
«Domine, ad quem ibimus verba vitae aeternae habes» (Io 6, 68). Solo Lui è la verità, solo Lui è la nostra
forza, solo Lui la nostra salvezza. Da lui confortati, proseguiremo insieme il nostro cammino.
Ma oggi, in questo anniversario, noi vi chiediamo anche di ringraziarlo con noi, per l’aiuto onnipotente
con cui ci ha finora fortificati, sicché possiamo dire, come Pietro, «nunc scio vere quia misit Deus angelum
suum» (Act. 12, 11). Sì, il Signore ci ha assistiti: noi lo ringraziamo e lodiamo; e chiediamo a voi di lodarlo
con noi e per noi, per l’intercessione dei Patroni di questa Roma nobilis e di tutta la Chiesa, su di essi
fondata.
O Santi Pietro e Paolo, che avete portato nel mondo il nome di Cristo, e a Lui avete dato l’estrema testimonianza dell’amore e del sangue, proteggete ancora e sempre questa Chiesa, per la quale avete vissuto
e sofferto; conservatela nella verità e nella pace; accrescete in tutti i suoi figli la fedeltà inconcussa alla
Parola di Dio, la santità della vita eucaristica e sacramentale, l’unità serena nella fede, la concordia nella
carità vicendevole, la costruttiva obbedienza ai Pastori; che essa, la santa Chiesa, continui a essere nel
mondo il segno vivo, gioioso e operante del disegno redentivo di Dio e della sua alleanza con gli uomini.
Così essa vi prega con la trepida voce dell’umile attuale Vicario di Cristo, che a voi, o Santi Pietro e Paolo,
ha guardato come a modelli e ispiratori; e così custoditela, questa Chiesa benedetta, con la vostra intercessione, ora e sempre, fino all’incontro definitivo e beatificante col Signore che viene. Amen, amen.
Papa Paolo VI impone la berretta cardinalizia a Karol Wojtyla
22
STORIA
Papa Paolo VI in un dipinto di Dina Bellotti
CARITAS - NOTTE BIANCA E ...
L
o scorso Sabato 13 Luglio si è svolta la
«Notte Bianca»; durante la manifestazione
come Caritas Parrocchiale abbiamo allestito un piccolo Stand sul sagrato della Chiesa.
Per noi era di fondamentale importanza esserci
per poter trasmettere a tutti coloro che si sono avvicinati il messaggio che è indispensabile l’aiuto di
tutti per far fronte alle necessità di chi, in questo
periodo, è meno fortunato di noi.
A tutti voi abbiamo illustrato i nostri progetti, ciò
che stiamo portando avanti e soprattutto ciò di cui
abbiamo bisogno.
La risposta che ci avete dato è andata ben oltre le
nostre aspettative e l’unica parola che da quella
sera ho in mente è GRAZIE.
GRAZIE a tutti i parenti e amici coinvolti, loro malgrado, nella realizzazione di locandine e di manifesti che hanno colorato la nostra serata.
GRAZIE all’entusiasmo di tutti i Volontari, a volte
non ci rendiamo conto che basta un sorriso per
scaldarci il cuore.
GRAZIE a tutti coloro che ci hanno sostenuto, alla
vivacità e alla gioia di vivere di questo piccolo
Paese che ha dimostrato ancora una volta di avere
un enorme cuore che non dimentica, nemmeno in
un momento di festa, chi ha bisogno.
Mi piacerebbe concludere dicendo che una serata
è bastata a risolvere buona parte dei problemi che
cerchiamo di alleviare, ma purtroppo il lavoro da
fare è ancora lungo.
I bisogni materiali delle famiglie che aiutiamo continuano ad essere presenti e la necessità di reperire
costantemente generi alimentari e altri beni è una
GRAZIE alle «Botteghe del Castello» che ci hanno
dato spazio all’interno della «Notte Bianca» e che
hanno lavorato tanto nell’aiutarci a pubblicizzare
la nostra partecipazione e le nostre richieste di aiuto.
sfida che dobbiamo affrontare quotidianamente.
Ciò che è veramente difficile è accettare che non
GRAZIE alla «Botteghina di Natale» che ha all- sempre si può arrivare ovunque, ma questo non
estito un banchetto raccogliendo donazioni che ci deve impedirci di riprovarci ogni volta.
hanno poi devoluto.
Ora sapete che ci siamo, cosa facciamo e perGRAZIE alla «Commissione Scuola» che con la ché. Non dimenticatelo, non dimenticate la
vendita dei libri dismessi dalla Biblioteca ha con- gioia che si prova a sentirsi utili. Non dimentribuito alla nostra raccolta fondi.
ticate che ognuno di noi può fare la differenza,
non importa quanto poco pensiamo di poter
GRAZIE al «Gruppo Missionario» per l’aiuto dare è sempre qualcosa più di niente.
nell’allestire il nostro Stand, per le loro torte, per il
loro calore e il loro continuo supporto.
Francesca D’Alfonso
GRAZIE alle signore dello «Stare Insieme» che
a nome della Caritas Parrocchiale
ci hanno donato i proventi della vendita dei loro
meravigliosi lavori artigianali.
CARITAS
23
VII
LA CHIESA
La fede è un atto difficile e insidiato. L’uomo - lasciato solo alle prese con le potenze mondane che sono,
più o meno tutte, al servizio dell’incredulità - corre
il rischio serio di non reggersi in piedi: non può restare isolato.
Per questo il Signore ha istituito la Chiesa: è il “corpo” vivo di Cristo, nel quale i singoli sono rianimati
e sorretti. Anche la Chiesa è umanamente debole.
Però ha la garanzia che contro di essa le porte degli inferi (cioè le forze dell’errore e della malvagità)
non prevarranno (Mt 16,18).
La nostra è dunque sempre una fede “ecclesiale”:
non è condizionata dalle opinioni anche geniali dei
singoli, ma si fonda sull’insegnamento di Gesù come
è proseguito e attualizzato da coloro cui il Signore
ha detto: Chi ascolta voi ascolta me (Lc 10,16); cioè
dagli apostoli e dai loro successori, che sono i vescovi, specialmente il vescovo di Roma, successore
dell’apostolo Pietro.
Appartenere alla santa Chiesa Cattolica è una immensa fortuna: una fortuna per la quale non puoi
mai venire meno in noi né una gioiosa fierezza né
una grande riconoscenza verso il Padre.
Ricordiamoci di implorare sempre il Signore (come
si fa nella Messa) di “non guardare ai nostri peccati,
ma alla fede della sua Chiesa”.
VIII
LA SALVEZZA
Quando si tratta di religione, la parola che deve per forza entrare nel discorso è la parola “salvezza”.
Senza il tema della salvezza la religione diventa un insieme di concetti astratti, di comandi morali, di
divieti, di cerimonie rituali: un insieme che di solito suscita poca curiosità e poco interesse. Se invece
si percepisce che nella religione vi è in gioco la salvezza, allora sentiamo che la cosa ci tocca da vicino.
Che cosa vuol dire che uno è “salvo”? Salvo - dicono i vocabolari - è chi ha superato un pericolo senza
danno ed è stato liberato da un male incombente.
Ogni uomo - che non sia del tutto intorpidito e perso - avverte di essere “insidiato”: c’è il male che sovrasta.
Perciò diventa spontaneo e necessario il pensiero, il desiderio - anzi l’ansia - di riuscire a cavarsela.
Ci sono dei mali universali e assoluti, ad esempio:
1. il non sapere se la vita abbia un’ultima verità, l’ignorare il perché dell’esistere;
2. il non essere stati all’altezza, nel nostro comportamento, di ciò che è giusto e doveroso;
3. il dover incontrare la realtà inevitabile della morte, che vanifica tutto.
Abbiamo dunque tutti bisogno di essere “salvati”.
E per fortuna un “Salvatore” esiste e ci è stato donato.
Caritas
24
CARITAS
AIUTARE I RAGAZZI A CRESCERE …
D
evi partecipare per vincere. Non sono d’accordo che l’importante è partecipare. Tu devi partecipare come è giusto che sia, ma poi devi vincere… per questo penso che il calcio, lo sport in
particolare, se vuoi che siano importanti per il tuo futuro devono farti abituare a vincere. Ma
non vincere perché batti un avversario. Vincere perché migliori sempre te stesso, sotto tutti i
punti di vista. Non confondiamo la vittoria come sconfitta dell’avversario con la vittoria che migliora
stesso.
L’importante è sempre di cercare di migliorare. Come persona. Come squadra. Come tutto.
L’educazione parte dalla famiglia. Le regole principali si imparano in famiglia … è soprattutto importante aiutarlo a crescere e a farlo diventare grande.
Cercate di essere tutti “più bravi”. Ognuno deve cercare di migliorare se stesso. C’è chi corre più veloce, ma c’è anche chi allenandosi riesce a correre sempre meno lento. E il risultato è lo stesso di quello
che corre veloce perché madre natura lo ha dotato di questa capacità. Ricordatevi che ci sarà sempre
qualcuno che correrà più veloce, e perciò dovete allenarvi ancora più forte, per fare in modo che questo
qualcuno sia sempre più raggiungibile.
Un’esperienza incredibile ha caratterizzato l’anno calcistico dei nostri
bambini coronata con la vittoria del
campionato. Lo sport aiuta i nostri
ragazzi a crescere. Noi in famiglia
cerchiamo di dare ai nostri figli le
regole per diventare grandi e nel
calcio imparano che l’importante è
sempre cercare di migliorare, come
persona, come squadra, come tutto.
Grazie al nostro allenatore che gli
ha insegnato ad essere più bravi. Un
vincente che vorremmo ringraziare
attraverso le parole di MONDONICO:
“Non sono d’accordo che l’importante è partecipare. Tu devi partecipare come è giusto che sia, ma
poi devi vincere … Ma non vincere
perché batti un avversario. Vincere perché migliori sempre te stesso
sotto tutti i punti di vista. Non confondiamo la vittoria come sconfitta
dell’avversario con la vittoria che
migliora se stesso.”
DI SICURO GRAZIE AL LAVORO DEL NOSTRO ALLENATORE I NOSTRI BAMBINI SONO MIGLIORATI
COME PERSONA, COME SQUADRA, COME TUTTO!
“C’è chi corre più veloce, ma c’è anche chi allenandosi riesce a correre sempre meno lento. E il risultato
è lo stesso di quello che corre veloce perché madre natura lo ha dotato di questa capacità. Ricordatevi
che ci sarà sempre qualcuno che correrà più veloce, e perciò dovete allenarvi ancora più forte, per fare
in modo che questo qualcuno sia sempre più raggiungibile.”
E’ QUESTO CHE E’ STATO FATTO SI E’ RESO RAGGIUNGIBILE IL CAMPIONATO. GRAZIE EVELINO, GRAZIE BAMBINI per le emozioni e le gioie che abbiamo condiviso durante questo bellissimo campionato.
I vostri genitori
Antonella Belloli
SPORT
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CARTOLINE DA ...
Ciao a tutti! La cartolina di questo mese rappresenta una città dinamica, frizzante e piena di vita … è New York!!! Situata
nello stato che porta il suo nome, è la città più popolosa degli
Stati Uniti, e uno dei centri culturali più influenti di tutto il mondo. Possiede tantissimi monumenti, ed io vi parlerò di alcuni di
questi nell’ articolo che state leggendo.
La STATUA DELLA LIBERTA’ è forse il primo monumento che ci viene in mente
quando pensiamo a New York, infatti è il simbolo della città. Fu progettata da
Gustave Eiffel, lo stesso che progettò la Tour Eiffel di cui vi ho parlato nel mese
di luglio, e da Frédéric Auguste Bartholdi. È alta 93 metri ed è visibile fino a
40 chilometri di distanza. Questa statua raffigura una donna con indosso una
lunga toga che sorregge in una mano una fiaccola la quale simboleggia il fuoco eterno della libertà, mentre nell’altra stringe un libro datato 4 luglio 1776,
il giorno in cui gli americani ottennero l’ indipendenza; ai piedi ci sono delle
catene spezzate e in testa porta una corona di sette punte, che rappresentano i
sette mari.
Il PONTE DI BROOKLYN è il primo ponte costruito in
acciaio e ha rappresentato per lungo tempo il ponte sospeso più grande al mondo. Collega tra di loro l’isola di
Manhattan e il quartiere di Brooklyn. La costruzione del
ponte iniziò il 3 gennaio 1870 e terminò nel 1883, poi
il 24 maggio dello stesso anno fu aperto al pubblico e si
potè attraversare. La base del ponte è costituita da travi
in acciaio del peso di 4 tonnellate ciascuna assicurate a
tiranti verticali il cui scopo è mantenerle in posizione. Il
ponte una volta completato presenta una struttura di 5
corsie. In passato le due corsie esterne venivano impiegate per il transito di carrozze, quelle intermedie per il
transito delle cabine della teleferica e la corsia centrale
per i pedoni. Oggi le corsie esterne e intermedie sono destinate ai mezzi a motore mentre quelle interne
al transito di pedoni e biciclette.
L’ ultima attrattiva di cui voglio parlarvi oggi è CENTRAL
PARK, uno dei parchi più famosi al mondo. Si trova nel distretto di Manhattan e, per la gente che abita nei grattacieli
circostanti, è una vera e propria oasi e zona di relax. Il suo
zoo è stato anche usato come scenario di alcuni celebri film,
come ad esempio la serie “Madagascar”. Il parco fu progettato da Frederick Law Olmsted e da Calvert Vaux. Apparentemente di origine naturale, in realtà è stato costruito in
gran parte dall’ uomo. Al suo interno attualmente si trovano
diversi laghi artificiali (il più esteso dei quali è il Jacqueline
Kennedy Onassis Reservoir), estesi sentieri, due piste da pattinaggio artificiali, parchi giochi per bambini, prati utilizzati per numerosi sport. La strada lunga circa
dieci kilometri che circonda il parco è frequentata da ciclisti, persone che fanno jogging e pattinatori a
rotelle, srtada è molto più popolata nei fine settimana quando è vietato il transito alle automobili.
Ogni estate si tengono rappresentazioni teatrali all’aperto nel Delacorte Theatre e fra gli altri eventi
ospitati dal parco ci sono il traguardo della Maratona di New York e la festa di Mezza estate.
Ciao alla prossima!!!
Irene B.
26
CARTOLINE DA ...
PAN DI SPAGNA
a cura di Massimiliano
Ciao a tutti cari lettori,
quest’oggi voglio presentarvi una ricetta di pasticceria.
Spero che la ricetta vi piaccia e che la proviate a fare a
casa ;) Buona lettura ;)
Ingredienti per fare due torte (diametro fondo 30 cm )
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1500g di uova intere
1000g di zucchero
1000g di farina ‘00
Quanto basta di aroma ( scorza di limone/arancia/vanillina )
Procedimento:
Lavorare con la frusta i tuorli con lo zucchero ed in seguito aggiungere l’aroma
scelto da voi in base ai vostri gusti. Montare gli albumi e aggiungere 1/3 di questi ultimi ai tuorli e allo zucchero. Quindi aggiungere i restanti albumi ed infine
amalgamare la farina al composto mescolando dal basso verso l’alto. Mettere in
forno per 45 minuti a 180 gradi dividendo il composto in due teglie.
E il pan di spagna è pronto.
P.S. questa ricetta è molto semplice da fare ma bisogna stare attenti alle dosi degli
ingredienti e prestare attenzione al passaggio nel quale unite 1/3 di albumi ai
tuorli e allo zucchero. Detto questo il vostro futuro chef Massimiliano vi saluta e
ci si sente alla prossima ricetta ;)
Ciaooooooooo.
Il vostro futuro chef Massimiliano ;)
CUCINA
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CAMPAGNA SOSTEGNO 2013
“ IL CANTIERE ”
CARO LETTORE,
CONTINUA LA CAMPAGNA PER SOSTENERE IL NOSTRO NOTIZIARIO CON UNA
NOVITA’:
PER DARE UN SERVIZIO PIU’ CONTINUATIVO
A CHI HA SOTTOSCRITTO
IL SOSTEGNO ANNUALE, O VORRA’
FARLO IN FUTURO,
‘IL CANTIERE’
VERRA’ CONSEGNATO IN FORMA CARTACEA
TUTTI I MESI.
COSA ASPETTI ALLORA?
RICORDIAMO INOLTRE CHE, PER CHI GIA’
SCRIVE SUL NOTIZIARIO O PER CHI VOLESSE INIZIARE A FARLO, GLI ARTICOLI DEVONO PERVENIRE ALLA REDAZIONE ENTRO
IL 15 DI OGNI MESE ALL’INDIRIZZO
[email protected]
PARROCCHIA SAN BERNARDO ABATE
ORARIO S. MESSE
FERIALI:ORE 08,30
AGOSTO 2013
MARTEDI’
ORE 09,15
GIOVEDI’
ORE 20,30
28
FESTIVI:
SABATO
ORE 18,00
ORE 08,00
DOMENICA
ORE 10,00
ORE 18,00
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