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(Ricordati della Libia) - exlalialcollelasalle.it
(Ricordati della Libia)
di
Ing. G.A. Musmarra
Buenos Aires
Argentina
Dedico questo lavoro rievocativo, a mio figlio Manlio, perché me l’ha
chiesto, a mio figlio Manilo, perché il tema gli interessa, a tutti i miei familiari
viventi e non viventi, in questa grande e generosa Argentina, alla “Nostra” adorata
Italia e a tutti gli altri miei familiari, che riposano nelle amate e ardenti sabbie
desertiche del Sahara libico e della Marmarica.
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L’Arco dei Fratelli Fileni, costruito durante il governatorato di Italo Balbo,
in Libia che segna il confine tra la Cirenaica e la Tripolitania
L’ex “ Quarta Sponda” d’Italia
L’autore di questo lavoro é nato in Libia, a Bengasi, essendo figlio di genitori italiani, già radicati in Africa (Egitto) dal 1895, che poi si trasferirono in Libia, poco dopo che l’allora Cirenaica e Tripolitania, passarono dalla già pluricentenaria amministrazione turca alla amministrazione italiana. Discendente da un vecchio africanista, frequentò la Scuola Elementare a Bengasi, nell’Istituto La Salle fino a tutto il 1940. Scoppiata la Guerra, si rifugia a Tripoli nel Febbraio del 1941, e poi il 5 Ottobre 1941, in Italia, con una parte della sua famiglia, rimanendo l’altra parte, (essendo militarizzata), fra Bengasi e Tripoli, mentre un altro componente della stessa famiglia, che era sottufficiale di complemento del 21° Regg. di Artiglieria motorizzata del Regio Esercito Italiano, ferito, viene preso come “prigioniero di guerra” e portato come tale in Egitto, da li dopo in Sud Africa, e per ultimo in Inghilterra. Solamente nel 1946 poté riunirsi con la sua famiglia, in Italia, ad Arezzo. 2
Nel 1948, dopo aver ripreso gli studi in Italia, conseguì il Diploma di Maturità Scientifica, nell’ex Regio Liceo Scientifico “F. Redi di Arezzo. In conseguenza della grave situazione economica, nella quale si trovava l’Italia distrutta e sconfitta, dopo la Seconda Guerra Mondiale, assieme ai familiari sopravviventi del conflitto, emigra in Argentina poiché era loro proibito di tornare in Libia, lasciando in Italia, l’altro fratello Tanino, morto in guerra a solo diciannove anni d’età. In Argentina, come “Bachiller” (Maturità), immediatamente lavora e studia contemporaneamente, senza tregua, per realizzare la sua grande aspirazione: arrivare a esser un ingegnere, poiché non gli fu possibile entrare nell’Accademia navale militare italiana, come era suo desiderio. In Argentina, frequentò simultaneamente tre corsi universitari nella “Facultad de Ingenieria”, dipendente dall’Universidad Nacional de Buenos Aires, conseguendo: nel 1962 la laurea come “Agrimenso Nacional” UNBA “ 1964 “ “ “ “Ingeniero Geodesta‐Geofisico” UNBA “ 1965 “ “ “ “Ingeniero en Petroleo” UNBA Entrò allora, nel Dicembre del 1964, nell’Impresa Statale argentina “Yacimientos Petroliferos Fiscales”, cominciando come Ingegnere assistente e dopo il pensionamento, nel dicembre del 1989, come “Gerente di Interpretazione e Investigazione Geofisica dell’Impresa”. E’ stato il primo e unico Ingegnere straniero, che ha fatto carriera nell’Impresa Statale, dove la nazionalità argentina era indispensabile. Dopo, da pensionato, per non offrire il proprio servizio a Imprese petrolifere straniere, fra le altre attività, si dedicò alla fabbricazione di “Dinamzzatoir Omeopatici”, brevettando un modello innovatore personale ¨HIEMUS. A richiesta dei suoi figli, scrive adesso questo breve riassunto storico della Libia, e di altri temi, sempre storici e/o familiari. I temi trattati sulla Libia, sono fondamentalmente ricordi propri e diretti, inquadrandoli, dopo, nel tempo storico di ciascuno e con l’appoggio della consultazione della profusa bibliografia corrispondente ai vari periodi. Prima di cominciare a scrivere sulla “Libia Italo Araba”, del secolo XX è conveniente fare un breve riassunto storico, sugli antecedenti che hanno legato l’Italia alla Libia. La Libia, dal tempo dei greci e dei romani, ha avuto molti contatti continui con gli italiani e sopratutto con i siciliani, giacché l’ubicazione della Sicilia unisce questa, come un ponte fra la Libia e l’Italia, la cui distanza non arriva a 500 km e, motivo per la quale, gli italiani del Continente, dicono che i siciliani sono “mezzo arabo”: cosa questa non confutabile, non solo per la sua posizione geografica ma anche per le tracce somatiche di molti isolani, per le abitudini, per le parole arabe acquisite e sicilianizzate, nell’arco della dominazione araba. Il nome di LIBIA, se deve alle notizie più remote e che riconducono ai “Libi”, cioè a quelle popolazioni contro le quali dovettero combattere pure i greci della Cirenaica. Herodoto enumera una lunga serie di nomi di genti in cui si dividevano i “Libi”, senza potere loro assegnare una ben definita posizione geografica, ciò non di meno é a loro che si deve il nome “LIBIA”. Più tardi, il nome di Libi fu sostituito con “Berber” (e la zona fu chiamata Berberia), e le 3
loro genti, cominciarono a ricevere prodotti dell’arte e dell’industria fenicia (cartaginese) e i primi elementi di civilizzazione. I Fenici cominciarono a commerciare con i Libi per mezzo di empori commerciali, gli “emporia” che si diffusero lungo tutta la costa Sirtica. Uno di questi Emporium, lo ubicarono in un posto che chiamarono “LBQY” o ”LPQY”, (nei dintorni di Leptis Magna) . Quando i Cartaginesi spadroneggiavano nel mediterraneo, si appropriarono di questi “Emporia” commerciali, fino al limite Est del “Territorio della Gran Sirte”, dove la “ARAE dei fratelli Phileni”, (ubicata nell’attuale Muktar el Chebir), segnava la frontiera con il territorio greco della Cirenaica. I Cartaginesi chiamarono uno dei propri Emporium, “LIBKS” e dopo LEBSCIS, e il posto dove lo istallarono, prese il nome di LEBSCIS, e quando arrivarono i romani questo nome si trasformò in “LEPTIS”,, che era divisa in due parti: LEPTIS MAGNA e LEPTIS MINOR . A Macar Uliat (Tripoli), gli stessi cartaginesi o i fenici lo chiamarono, dopo, ”OEA” e a sua volta la località, “SABRAT” si chiamò SABRATHA. Queste tre città, insieme, formarono un connesso che chiamarono “TRIPOLIS” (tre città). Quando OEA, ebbe dei problemi con Leptis, lei stessa, prese per se il Nome di TRIPOLIS, rimanendo OEA come nome originale della città di TRIPOLIS. In LEPTIS MINOR, nacque l’Imperatore romano SEPTIMIUS SEVERUS. Durante il suo regno, le due LEPTIS crebbero molto rapidamente, e LEPTIS MINOR fu assorbita da LEPTIS MAGNA per cui restò una sola LEPTIS: la MAGNA. L’Imperatore si sposò due volte: la prima moglie fu un’africana (Berbera) chiamata PACCIA MARCIAN, con la quale non ebbe figli e che morì presto, e la seconda fu JULIA DOMNA, di origine siria, persona molto sagace e con forte personalità e che fu una grande collaboratrice di Septimius e poi, una volta decesso l’Imperatore, del loro figlio CARACALLA, che lo seguì nel trono. A JULIA DOMNA, le deve il suo nome tutto il promontorio che forma la Punta Giuliana. A TRIPOLI v’é un Castello antico chiamato comunemente, “Turco”. Questo Castello sarebbe stato costruito dai romani, dopo fu fortificato dagli arabi, per esser distrutto e ricostruito dagli spagnoli e dai Cavalieri di Malta. L’edificio attuale non conserva nulla che sia anteriore all’epoca spagnola, cioè al principio del secolo XVI. Si può supporre che alcuni resti della fortificazione, romana, prima, e bizantina poi, si conservino sopra i basamenti, sui quali si appoggiarono le costruzioni posteriori. Questo Castello, questa muraglia fortificata, spicca sulle altre costruzioni e i viaggiatori e i marinai dell’antichità, lo resero celebre Durante la presenza degli italiani a Tripoli, all’entrata dello stesso castello, a sinistra, vi era una statua equestre dell’imperatore Settimio Severo, che le autorità libiche, sia del Regno senussita, che della Repubblica Jamahiria di Libia, hanno preservato in seguito. Gli arabi ebbero una primitiva origine in ARABIA, tra la grande penisola asiatica, sulle sponde del Mar Rosso, l’Oceano Indiano ed il Golfo Persico. Prima i greci e dopo i romani amministrarono queste terre del Nord Africa, alle quali i primi, gli dettero il nome di LIBIA, però non era solo la attuale Libia, ma tutto il nord dell’Africa, a partire del limite occidentale dell’Egitto, fino al Marocco. 4
Non esistevano abitanti stabili, ma solo nomadi e berberi, da cui il nome BERIBERI o BERBERI, che ancora si usa per definire certe tribù nomadi. Per esempio, i “Tuareg”, molto conservatori e che rappresentano il risultato di mescolanze fra “bianchi” del Nord Europa, e ”negri” africani e/o arabi stessi, cioè sia puri che arabizzati, o che abitano in tutto il Magreb (Libia, Tunisia, Algeria, Marocco). Tali tribù, quasi tutte nomadi, ostacolavano tutti gli invasori e le genti residenti dell’Africa Mediterranea, limitrofe. Avevano caratteristiche molto speciali, erano molto guerrieri e generalmente amanti delle cose altrui… e si opponevano a qualsiasi persona che volesse invadere il loro territorio: greci, romani, turchi, italiani ecc, non per questioni politiche, ma per mantenere le loro forme di vivere in aggruppamenti tribali. Non c’era ancora uno stato di evoluzione sufficiente, che permettesse loro di lasciare la loro vita da nomadi, fare radici, e pensare “nazionalmente”. Per fortuna loro, l’arrivo dell’Islamismo con gli arabi dell’oriente, fu un fattore che unificò tutte le tribù, non solamente per la religione ma sopratutto per la lingua che parlavano e che fu il primo denominatore comune che ebbero i “magrebini”, dall’Egitto fino al Marocco. Però gli stessi arabi, come invasori, quando arrivarono nel Magreb, affrontarono una forte resistenza da parte dei locali. E questi, una volta arabizzati, ugualmente mantennero le loro vecchie abitudini e tradizioni. L’arrivo dell’Islamismo, per mezzo di Maometto (nato il 27 agosto 570, da una nobile famiglia guardiana d’un Tempio), conseguì che gli arabi uscissero dalle loro terre e formassero un grande impero e in poco tempo, occupando Siria, Palestina, Armenia, Mesopotamia, Persia e parte dell’India, Egitto, Libia, Tunisia e Marocco. Coloro che si stabilizzarono in Africa del Nord, si fusero con l’esigua popolazione indigena, dando origine a un popolo arabo‐
africano che gli italiani chiamarono “Mori” o “Saraceni”, e loro stessi si chiamarono “ magreb” (occidentali). Come già s’é detto, loro portarono la lingua araba e l’Islamismo, come fattore coagulante per tutte le tribù, per questa ragione gli stranieri chiamarono “arabi” tutti quelli che parlavano l’arabo, indipendentemente dall’etnia d’origine: grave errore! E’, come se adesso chiamassimo “inglesi” tutti quelli che parlano l’inglese. Nel secolo VIII, i Saraceni attraversarono lo Stretto di Gibilterra (“Jebel el Tarik”, che deriva dal nome di un guerriero berbero arabizzato: TARIK,) e in Spagna, fondarono un regno che durò otto secoli, poi, tentarono d’invadere pure la Francia, però non ebbero un esito favorevole (Poitiers, anno732). L’immenso impero arabo durò poco, già che si smembrò in tre imperi minori e indipendenti, con capitali: Bagdad, Cairo, e Cordova. Pero le conquiste della Spagna, della Sicilia, ecc, da parte degli arabi, fu senza dubbio un fattore di progresso inusitato in Europa, che viveva in un tremendo oscurantismo, a causa del dominio del cristianesimo romano. Che fra gli arabi siano esistiti: tuareg, berberi e beduini, non alterava la missione civilizzatrice che loro portavano dove arrivavano. I Beduini erano e sono arabi nomadi che abitavano in Arabia, Siria e Africa del Nord, fondamentalmente nel deserto sahariano. Pastori e guerrieri, erano gelosi della loro indipendenza tribale e non riconoscevano altre autorità che non fossero il loro Sheik o padrone d’un villaggio. Erano catalogati come valenti, pero molto indolenti, scaltri con poco scrupoli, barbari e ”menefreghisti”. 5
Pero, quantunque la loro ignoranza, amavano la poesia e l’arte oratoria. Benché musulmani, loro non obbligavano più le loro donne di usare il velo per coprire i loro visi. I beduini in Libia furono coloro che più degli altri lottarono contro i turchi, gli arabi, gli italiani, ecc. Durante l’amministrazione italiana in Libia vi era, una grande quantità di ebrei, che si dedicavano fondamentalmente al commercio, seguiti dagli indiani che si dedicavano per lo più al commercio dei gioielli, per lo meno, questo succedeva a Bengasi. Vale a dire che fra i Negri, i berberi con le loro molteplici suddivisioni, gli ebrei, gli italiani, i greci, e i “veri” arabi, esisteva una certa varietà di origini, culturali e conseguentemente differenti condotte, punti di vista, forme di vita, attitudini più o meno conservatrici o progressiste ecc, ecc, più colti e meno colti, cosa d’altra parte che son comuni in varie geografie del mondo, senza distinzione né di razze né di colori. Sebbene ciò, durante l’Amministrazione italiana, non esisteva nessun tipo di problema fra tutta la popolazione locale. I Saraceni, così si chiamavano tutti gli arabi o arabizzati che nel secolo IX, invasero la Sicilia e anche l’Italia meridionale, dirigendosi verso Roma, nella quale riuscirono a saccheggiare la Basilica di San Pietro e di San Paolo, già che si trovavano fuori della muraglia fortificata romana. Poi tentarono nuovamente di attaccare Roma, però senza alcun esito, poiché il Papa aveva già chiesto aiuto a Napoli, Gaeta, e Amalfi, e nella battaglia di Ostia (849), i Saraceni, decisero ritirarsi, a condizione che Roma pagasse loro i tributi (cosa questa che ufficialmente Roma, mantenne in segreto). Nel 1006 i Normanni cominciarono a rimpiazzare i saraceni nel Sud dell’Italia, confinando gli arabi, in Sicilia. I Normanni non perseguirono gli arabi: al contrario, seguirono il loro stesso cammino civilizzatore, e trasformarono gli stessi in grandi assessori, consiglieri e prediletti collaboratori. Ed é allora, più che in altre opportunità, che gli arabi si mescolano con i siciliani, senza imporre le loro religioni. In Sicilia restano ancora oggi, costruzioni saracene in eccellente stato di conservazione, mantenute religiosamente dallo stato italiano. La Cattedrale di Palermo 6
Inoltre esistono vari paeselli e città con nomi arabi, come MARSALA (Marsa Allah), il porto di Dio, e di molti quartieri di Palermo (la Kalsa). Gli arabi, ricordano ancora oggi, le funeste e svergognate Crociate promosse dalla Chiesa romana, e mantengono un rancore verso tutto ciò che è italiano, che è difficile da cancellare. Però non tengono in conto il fatto che gli stessi italiani erano stati vittime del fanatismo religioso romano, con le Inquisizioni addosso, cose queste, che finalmente terminarono realmente quando nel 1870, Garibaldi, con i suoi “picciotti” (molti dei quali erano discendenti diretti degli arabizzati Saraceni) e di tutti gli italiani del Continente, riuscirono a fare scomparire il famigerato “Potere temporale della Chiesa”, che tanto danno fece pure alla stessa umanissima religione di Cristo. Tutti questi fatti, antecedenti, fanno sì che le relazioni fra arabi e italiani non possono essere che amichevoli e, direi, fraterne. Però adesso, torniamo indietro ed attraverso l’immaginario “Tunnel del Tempo”, andiamo alla cara nostra Bengasi ed a un modesto periodo della sua storia antica. ZEUSS, il Dio della Mitologia greca, era figlio di RHEA e di SATURNO, e a sua volta, sposo di JUNO (Giunone). Inoltre Zeuss aveva come fratelli: NETTUNO (POSEIDON) come Dio del Mare, e PLUTON come Dio dell’Inferno, rimanendo lui stesso come Dio del Cielo e della Terra. Zeuss aveva spodestato suo padre SATURNO e tutto il potere lo divise con i suoi fratelli. Egli aveva una figlia prediletta, che si chiamava Athenas e che i romani chiamarono MINERVA. Un giorno, in una delle sue passeggiate lungo la costa africana e precisamente per le spiagge dell’attuale Bengasi, trovandosi nei dintorni del Lago Tritonis, oggi Sebca ain es Selmani, ebbe un fortissimo mal di testa, ragion per cui, Vulcano, che lo accompagnava, gli dette un forte colpo sul capo, con una ascia, e così’ ....nacque MINERVA, ragion per la quale....... La Dea MINERVA è bengasina!!!! E per di più è nata in una delle due spiagge della zona balnearia, per eccellenza, di Bengasi chiamata Giuliana. Questa caratteristica, è molto interessante per tutti i bengasini, però più ancora lo sarà per quei pochi bengasini che, come me, siamo nati alla Giuliana. Però, chi era Minerva? Secondo la mitologia, lei era la personificazione dell’arte militare e aveva un valore riflessivo e sereno, tutto al contrario di quello del Dio Marte, che era audace, irriflessivo ed impetuoso. Come conseguenza del carattere guerriero di Minerva, se la trasformò nel simbolo della serenità intellettuale e morale, del pensiero e del lavoro e della saggezza. Era inoltre la divinità protettrice della città di Acropoli, tale è il caso di Atene, che porta il nome della Dea. Le sue statue sempre erano strategicamente ubicate in posti alti. I suoi altari si trovavano non solamente nei templi, ma anche nelle strade e sopratutto agli incroci stradali, nella stessa forma come noi cristiani facciamo poi, coi nostri Santi 7
Il luogo ove sorge, adesso, Bengasi dovette esser stato abitato fin da tempi remotissimi, poiché a non grande distanza da essa, furono raccolti numerosi manufatti litici. La città antica si elevava su di una penisola rocciosa detta: ”Pseudopenias” ed era fiancheggiata dalla Laguna TRITON (odierna Sebca ain Selmani). Tritonis, figlio di Nettuno, era stato nominato come Dio delle Onde, una divinità d’inferiore ordine, celebre, secondo Strabone, per il Tempio di Venere che sorgeva su di un’isoletta, e a lui era stata dedicata questa Laguna. La regione fu identificata fin dai tempi antichi con quella delle ESPERIDI, sede dei famosi e feracissimi orti; e da qua venne alla città il suo primo nome: “ESPERIDE”, contenente il Lago Tritoni. Ma di essa pochissimo rimane, sia per la sovrapposizione delle costruzioni posteriori, sia per il fanatismo religioso degli arabi d’allora. Però questo Lago Tritonis , ha una gran parte del suo contorno che forma la Punta Giuliana di Bengasi (Geziret Jeliana), che col tempo, per questioni di erosione marina, si trasformò da Lago, in una eccellente Baia, che sbocca sul mare. Bengasi con il Promontorio “Punta Giuliana” e “Tritonia” 2008 Bene, però, dopo questa breve parentesi su Minerva e su Settimio Severo, torniamo indietro. Uscendo da Bengasi e percorrendo l’ex Viale De Martino, per andare al ponte della Giuliana (allora galleggiante), a circa Mt. 200, già s’intravede a sinistra il lago Tritonis. Una volta passato il ponte, si é già a Geliat Gelian, la spiaggia delle alghe marine. (Geliat = punta , promontorio) 8
Questa meravigliosa Baia Tritonis, di pacifiche acque, fu usata dai greci, dai romani e dai turchi, come porto naturale e per rifugio sicuro, ricordandomi un poco, fra altro, il porto di Cartagine. Fino all’anno 1937, non vi era ancora nessun ponte e per arrivare alla Giuliana si usava il servizio di una o due barche a remi, che in pochi minuti portavano all’altra sponda, mediante il pagamento di un infimo prezzo. E che in ogni viaggio trasportava perfino sei persone: Altri tempi allora!... Naturalmente se c’era vento o mar mosso, il viaggio era impossibile, a meno che uno volesse contornare, a piedi od altro, quasi tutto il Lago Tritonis..! Ricordo come fosse adesso, che poco prima di arrivare al Ponte, sulla destra, si trovava la Società Elettrica Libica, che forniva elettricità a tutta Bengasi e il cui direttore era l’Ing. De Silani: suo figlio Giancarlo, era un mio compagno e carissimo amico, nell’Istituto La Salle. Con lui, del quale non ho più saputo niente, giuocavamo, sulla spiaggia, di fronte alla sua casa, alla “Guerra Navale”, cannoneggiando con sassi le nostre barchette di legno, fatte a mano da noi stessi. Arrivati a questo punto è opportuno cercare di capire il “perché” e il “come” si produce la presenza italiana in Libia nel secolo XX, trasportandoci a tal uopo, ai fatti storici dell’epoca e alla situazione geopolitica mondiale, sopratutto europea. Però questo tema, sarà motivo di un altro capitolo. G.A.M ([email protected]) Buenos Aires 9
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