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Leggi l`articolo pubblicato su "S" di dicembre 2008
ULTIME NOTIZIE DALLA PROVINCIA di Andrea Cottone ECCO GLI INTERESSI CHE PASSAVANO IN PERIFERIA O LONTANO DAL CAPOLUOGO: DA VILLAGRAZIA, CROCEVIA DELLA DROGA, A SAN MAURO CASTELVERDE, TUTTA COSA NOSTRA ERA IN FERMENTO 44 S - IL MAGAZINE CHE GUARDA DENTRO LA CRONACA L a rifondazione di Cosa nostra passava anche per la provincia e per la cintura metropolitana di Palermo. Mandamenti storicamente strategici per la solidità dell’organizzazione attraverso i quali passavano anche droga e armi. VILLAGRAZIA-SANTA MARIA DI GESÙ “Vossia lo sa che mio padre non è nato oggi, hai capito? E da lontano stesso dipinge il quadro, delle mentalità (...) se qualcuno vuole alzare la cricchia se la cali perché ci lascia la pelle, chiaro?”. Benedetto Capizzi, in carcere, diceva al figlio Sandro cosa doveva andare a dire agli altri capimafia e, di contro, il figlio lo ragguagliava di tutte le notizie. Il mandamento che comprende le famiglie di Villagrazia e Santa Maria di Gesù, è stato sotto gli occhi dei carabinieri dal settembre 2007. Ma nel territorio di colui che ambiva al ruolo di nuovo ‘capo’ della commissione c’erano attriti con la famiglia di Villagrazia, rappresentata da Giovanni e Francesco Adelfio, poi arrestati nell’operazione “Old Bridge” di febbraio. Da qui passava la cocaina. L’uomo fidato di Sandro Capizzi, Salvatore Freschi, detto “Spadduzza”, tramite il fratello Antonino in Brasile, si occupava di importare coca grezza. Il pentito Andrea Bonaccorso parla di “10 kg di pasta di coca messa in un container mischiata con il carbone”, raffinata in una villa di Casteldaccia intestato proprio ad Antonino Freschi. “Dagli originari 10 chilogrammi di pasta di coca – continua Bonaccorso - ne erano usciti circa 7,5 kg (...) i Lo Piccolo si erano lamentati del quantitativo. Questo acquisto costituiva una prova perché a gennaio doveva arrivarne un carico di 100 kg”. Solo che, nel gennaio 2008, un giorno prima del programmato ritorno in Italia, Antonino Freschi è arrestato in Paraguay in una raffineria dove la coca veniva mischiata al carbone, creando la coca negra. Nelle mani di Sandro Capizzi è stata mantenuta per alcuni mesi anche la cassa della famiglia di Pagliarelli. BOCCADIFALCO Nel mandamento le famiglie di Uditore, Boccadifalco e Torretta. Il capo sarebbe Giovanni Bosco. Un ruolo importante l’hanno Rosario Sansone, detto Mimmo, cognato di Nino Rotolo. Dopo l’arresto dei Lo Piccolo, di lui dicono che “ha preso tutte cose in mano a Palermo… sta ricomponendo tutte cose….dal lato loro, escludendo tutti quelli che erano con Lo Piccolo... perciò si sta facendo di nuovo la sua squadra”. Secondo il pentito Andrea Bonaccorso, doveva essere fatto fuori per volere dei Lo Piccolo. Dopo l’arresto di Rotolo nell’operazione Gotha (giugno 2006), il denaro della sala bingo “Las Vegas” era “bloccato” nella cassa tenuta da Sandro Capizzi. Mimmo Sansone aveva replicato che “i soldi li potevano bloccare soltanto gli sbirri”. Chi era stato incaricato si era tirato indietro e dopo l’arresto dei boss di Tommaso Natale, Calogero Lo Piccolo sosteneva che l’omicidio andava fatto per dare un “segnale”. Rosario Sansone sarebbe anche il reale proprietario del centro scommesse di via Bernini, che gestiva tramite il suo uomo di fiducia, Gaspare Perna. Altro “uomo d’onore” della famiglia è Baldo Migliore. Ricadente nello stesso mandamento anche la famiglia di Borgo Molara, rappresentata da Benedetto Cappello che aveva preso il posto del fratello Giuseppe, arrestato nell’operazione “Gotha”. SAN GIUSEPPE JATO Uno dei più vasti e importanti mandamenti. Al suo interno ci sarebbero le famiglie di San Giuseppe Jato, San Cipirello, Altofonte, Piana degli Albanesi, Camporeale e Monreale. Retto fino al 2000 da Salvatore Genovese, il suo posto è stato preso dal figlio Giovanni, arrestato nell’aprile del 2007. A riorganizzare il mandamento ci pensa Giuseppe Caiola con il decisivo supporto di Gregorio Agrigento che diverrà il reggente del mandamento. Contrasti si verificano fra questa BOCCADIFALCO STAVA PER SPORCARSI DI SANGUE: L’OMICIDIO DI ROSARIO SANSONE, SECONDO CALOGERO LO PICCOLO, SAREBBE STATO UN SEGNALE. A SAN GIUSEPPE JATO, INVECE, C’ERA UNO SCONTRO FRA GREGORIO AGRIGENTO E I FRATELLI VASSALLO DI SAN CIPIRELLO: UNO DI QUESTI ULTIMI DOVEVA ESSERE UCCISO Dall’alto da sinistra Antonio Alamia, Paolo Bellino, Giuseppe Caiola, Pietro Calvo e Alessandro Capizzi fazione (che vede anche Giuseppe D’Anna, figlio di Salvatore) e quella risalente ai fratelli Vassallo di San Cipirello, vicini allo zio anziano di Giovanni Brusca. “Ricordo vi fu a Giardinello – rivela agli inquirenti il pentito Gaspare Pulizzi - un incontro con i Lo Piccolo, Salvatore e Sandro, Andrea Adamo, Genovese Salvatore e Pipitone Antonino. Oggetto della discussione IL MAGAZINE CHE GUARDA DENTRO LA CRONACA - S 45 A BELMONTE GLI AFFARI ERANO LA GESTIONE DELLE “MACCHINETTE” E IL TRAFFICO D’ARMI. DA BAGHERIA, INVECE, PASSAVA L’INTERA RIORGANIZZAZIONE DELLA CUPOLA, CHE POTEVA CONTARE SU PINO SCADUTO Benedetto Cappello Giuseppe Casella Gaspare Di Maggio Baldassare Migliore Salvatore Mulè Gaspare Perna Girolamo Catania Salvatore Catania Onofrio Prestigiacomo Giuseppe Russo Rosario Sansone Benedetto Tumminia furono sia il proposito di portare a termine l’omicidio di uno dei Vassallo e dello zio di Brusca sia i rapporti con il latitante Raccuglia”. Altri uomini d’onore sarebbero: Gaspare Di Maggio, Antonino Alamia e Salvatore Mulè (della famiglia di San Cipirello). Nella riorganizzazione la famiglia di Monreale sarebbe dovuta rientrare nell’ambito di competenza del mandamento e il capofamiglia Antonio Badagliacca, aveva tentato, invece, di stringere legami con le famiglia di Altofonte e Piana degli Albanesi per rafforzare la sua posizione. BELMONTE MEZZAGNO Terra di aspri contrasti fra famiglie mafiose. Dopo le ‘tragedie’ e il suicidio in carcere di Ciccio Pastoia e l’arresto di Provenzano, la famiglia Spera ha recuperato l’egemonia. Benedetto Tumminia “ha assunto le redini della famiglia – racconta agli inquirenti Giacomo Greco, genero di Pastoia e collaboratore di giustizia - coadiuvato da suo figlioccio Salvatore Barrale, suo figlio Michele, suo nipote Michele Parisi e Giuseppe Ciancimino (...) spalleggiato e protetto da Giovanni Spera figlio di Benedetto che gli aveva dato mandato di gestire la famiglia mafiosa”. A fine 2006 viene scarcerato Pietro Calvo, un uomo sopra le parti, che assume la reggenza, ma si occupa solo degli ‘affari interni’. Ma in realtà il capomandamento sarebbe Antonino Spera, nipote di Benedetto che parla anche a nome di Corleone e San Giuseppe Jato e assume un ruolo ‘politico’ nella formazione della commissione. Il clan, gestito da Calvo, si sarebbe occupato della gestione delle ‘macchinette’, con referente Alessandro Capizzi, mentre Giuseppe Casella curava il traffico d’armi. BAGHERIA Dopo l’azzeramento con l’operazione “Grande Mandamento” del 2005 la reggenza è andata a Gioacchino Mineo, detto Gino, che aveva rapporti anche con Provenzano ma apparteneva all’ala rotoliana di Cosa nostra così, dopo l’operazione Gotha non godeva del consenso determinante dei Lo Piccolo. Farà un passo indietro nel giugno 2007 alla scarcerazione di Giuseppe Scaduto, di cui diverrà vice. Scaduto avrà un ruolo centrale nella rifondazione della cupola, “a noi ci spetta – si sente in una intercettazione - partecipare… per due motivi… uno perché facciamo mandamento ed io voglio essere informato… e un altro perché siamo nel discorso della pace”. Suo uomo di fiducia, pedina fondamentale per l’organizzazione 46 S - IL MAGAZINE CHE GUARDA DENTRO LA CRONACA dei summit di mafia, è Onofrio Prestigiacomo. SAN MAURO CASTELVERDE Famiglia mafiosa storicamente vicina al mandamento Villagrazia-Santa Maria di Gesù per vincoli di parentela, sarebbe retta da Franco Bonomo, nonostante la sorveglianza speciale a cui è sottoposto. A lui farebbe riferimento Sandro Capizzi parlando con Scaduto e Giovanni Adelfio, considerandolo il canale per comunicare con le famiglie della provincia di Agrigento. “Tramite Franco Bonomo (...) siamo tutti… ci stiamo andando”. MONREALE Il territorio di Monreale rappresenta il crocevia dei movimenti dentro Cosa nostra. All’hotel “Villa Medea” di Salvatore e Girolamo Catania si tenevano summit di mafia, vi si rifugiava Sandro Capizzi quando temeva l’arresto e, soprattutto, venivano intercettati i discorsi fra padre e figlio che offrivano agli investigatori aggiornamenti in tempo reale sulle evoluzioni di Cosa nostra. Non a caso per una controversia sul mancato pagamento di parte dell’affitto di un deposito di proprietà dei Catania, si incontrano e scontrano diverse famiglia mafiose: da Tumminia di Altarello, a Seidita di Cruillas, fino a Sandro Capizzi. Il reggente della famiglia sarebbe Antonio Badagliacca, contrastato però dalla contrarietà dei Capizzi, a capo del mandamento nel quale ancora ricade la famiglia mafiosa. “C’è da uscire pazzi (...) è uscito dalla porta ed è entrato dalla finestra”, si sfoga col suo braccio destro Giuseppe Russo facendo riferimento a Benedetto Capizzi. “A me hanno detto – continua - che qua Monreale… viene assorbita di nuovo per com’era MAFIA DIXIT “Perché se noialtri facciamo ognuno di testa sua… non abbiamo fatto niente... non appartiene né a te, né tu, né io e neanche a quella persona… allora dice se noialtri siamo tutti per uno e uno per tutti allora siamo qua… se no dice non abbiamo fatto niente…” • Giuseppe D’Anna ad Antonino Alamia (San Giuseppe Jato) sulla strategia da tenere “Diceva mio padre… gli asini buoni, gli asini mansueti, dice si vedono dice quando il box è stretto, perché quando scalciano quando si avvicinano gli altri cavalli sai cosa facevano… si azzoppavano, invece quando il box è stretto loro non scalciano e i cavalli sono calmi…” • Giuseppe D’Anna ad Antonino Alamia (San Giuseppe Jato) a proposito di Caiola “Se scendono quelli, ti ricordi il ‘L’ora’ che il pomeriggio tu lo aprivi il pomeriggio, che ce n’erano uno due tre quattro morti, uno due tre quattro morti” • Paolo Bellino (Monreale) parla di una possibile ascesa di Matteo Messina Denaro a Palermo “Perché io sono andato a scuola… so che la scuola si comincia dalla prima e poi si arriva all’università, si fa il master… se io nasco e mio padre mi va a iscrivere all’università, faccio solo brutta figura… perché non posso fare l’università senza sapere cosa si fa nel diploma! Prima… e io lo so e sono a posto perché lo so e sono qua e continuerò sempre a essere qua!” • Paolo Bellino (Monreale) a suo cognato sulla gavetta in Cosa nostra LA FAMIGLIA DI VILLAGRAZIA ERA COLLEGATA CON QUELLA DI SAN MAURO. A MONREALE, INVECE, SI TENEVANO SUMMIT DI MAFIA E SI RIFUGIAVA SANDRO CAPIZZI QUANDO SPARIVA DALLA CIRCOLAZIONE all’antica”. Il nuovo progetto faceva ricadere la famiglia di Monreale nel mandamento di San Giuseppe. Badagliacca non sopportava di dover essere ‘comandato’ da un “picciutteddu” (Sandro Capizzi) e prospetta già dei movimenti per reagire: “Allora, fammi capire – dice parlando al suo braccio destro fammi entrare piano piano alla Chiana (Piana degli Albanesi, ndr), Camporeale, al Parco (Altofonte, ndr), capito? Se io rientro, diciamo… riesco a entrare qua, a lui ti faccio vedere se poi devo stare attento io o lui”, riferendosi sempre a Benedetto Capizzi. Un attivismo che porta Badagliacca a incontrare anche Gianni Nicchi. Secondo quanto racconta a Russo, Nicchi gli avrebbe detto di avere in mente di ricostruire Cosa nostra. “Questo appena… (...)…un firriuni gli fanno fare – dice Badagliacca - troppo piccolo per la mia età... deve andare qualche 50 anni a scuola... quelli lo sanno chi, chi l’ha quello… sì... e questo u picciutteddu secondo me non sarà furbo per niente... non la vedi che la corrente è voltata, fatti il latitante stai buono, vatti a chiudere, che vai scavando discussioni”. All’interno della sua stessa famiglia Badagliacca si sentiva minacciato da Paolo Bellino, considerandolo vicino al latitante Mimmo Raccuglia. Bellino alla fine passerà dalla famiglia di Monreale a quella di Palermo. IL MAGAZINE CHE GUARDA DENTRO LA CRONACA - S 47