Dillo... sul web Una forte personalità riservata, spesso introversa
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Dillo... sul web Una forte personalità riservata, spesso introversa
CULTURANDO Dillo... sul web di Diana Pirjavec Rameša Numerosi sono gli scrittori presenti sui social network. In Europa e nel mondo. Ne citiamo alcuni: Ken Follet, in vetta alle classifiche con “L’inverno del mondo. The century trilogy” edito in Italia da Mondadori oppure la tanto chiacchierata E. L. James autrice di “Cinquanta sfumature di grigio”, ma anche gli italiani Erri De Luca e Niccolò Ammaniti. Insomma per presentarsi e parlare delle proprie opere usano in modo piuttosto appropriato la rete ottenendo visibilità e vicinanza con i lettori. Ma vi è uno che, in quanto a presenza, può fare scuola. Si tratta di Paulo Coelho che con grande impegno e da lungo tempo gestisce il proprio profilo in rete. Tutto scelto con grande cura, anche quella delle foto, dei link, ma soprattutto una presenza quotidiana su Twitter (140 caratteri massimo in cui si deve sintetizzare il proprio pensiero e rendere chiaro a tutti il messaggio). Ebbene Coelho ne è un maestro. Intervistato dal “Pais” lo scrittore brasiliano ha confessato: “ Quando sono in viaggio dedico in media 20 minuti al giorno a rinfrescare le mie cose su Internet. Ma se sono a casa Đanino Božić racconta la sua arte ce vo /la .hr dit w.e ww Linee orizzontali (2010) Una forte personalità riservata, spesso introversa di Helena Labus Bačić Đ anino Božić, il noto pittore e scultore istriano, classe 1961, è un artista a tutto tondo che si esprime con disinvoltura e successo in quasi tutte le tecniche artistiche, realizzando opere che si distinguono per il minimalismo da un forte impatto visivo e per la loro eccellenza tecnica. Egli stesso si definisce un “workaholic”, ovvero un dipendente dal lavoro, al quale si dedica con costanza e disciplina. Da più di vent’anni gode dello status di artista libero professionista, periodo in cui si è fatto un nome di tutto rispetto sulla scena artistica croata. Con l’obiettivo di valorizzare l’opera dei maggiori artisti istriani, l’Associazione nazionale degli artisti visivi dell’Istria (HDLU) ha pubblicato l’anno scorso, in collaborazione con l’azienda Medit di Pola, una monografia (l’artista è membro dell’associazione istriana dal 1995), presentata nel dicembre scorso. Autore del testo è il critico d’arte Ivica Župan, il quale illustra in maniera dettagliata il mondo artistico dell’artista istriano. Secondo Župan, Božić è una forte personalità artistica che ha scoperto e definito molto presto il suo mondo immaginario e artistico. Segue a pagina 2 Đanino Božić cultura An no IX 3 201 • n. 7 0 • Sabato, 19 gennaio impegno almeno 5 ore”. Concentrato così ad alimentare la rete e ad aggiornare il proprio profilo, Coelho riesce ad assicurarsi quotidianamente circa 2000 follower. E non è da poco. Questo esempio spiega molto bene e in poche ma incisive parole come i social network siano diventati un luogo di diffusione di notizie e di incontro molto importante: come in una grande piazza, sono presenti molte persone, ognuna con il suo stile, il suo modo di pensare, i suoi obiettivi, il suo modo di interagire con gli altri. Gli intellettuali ora per sopravvivere, per farsi sentire sono costretti in un certo senso a divenire degli ‘interlettuali’, vale a dire pensatori e scrittori sul web, esprimendo il prorpio pensiero sia attraverso dei semplicissimi Tweet, blog o tramite le proprie pagine Facebook. Ed è proprio in qualità di social network che Facebook ha la possibilità di ospitare infinite tipologie di comunicazione. È vero che il blog è uno strumento grazie a cui ci si può esprimere al meglio, ma oggi Facebook rappresenta uno dei più efficaci mezzi di diffusione del proprio brand, nel caso degli scrittori di promozione della propria attività e delle opere. Quanto successo può avere, ad esempio, un articolo ben studiato per promuovere la propria opera letteraria se poi non può essere diffuso al maggior numero di utenti possibile? Se usato bene, Facebook rappresenta uno strumento di marketing del quale ogni editore, ormai, non ne può più fare a meno. A nostro avviso, è dall’unione dei due mezzi di comunicazione che viene fuori il miglior modo di fare business: pubblicare sul blog e condividere sul social network genera una diffusione sul pubblico della rete non indifferente! Come dire: l’unione fa la forza! A questo va aggiunto un altro importante momento: è quello dell’acquisto del libro sia in forma cartacea che nella versione E-book. Sia come sia, l’importante è rendersi conto di quanto la rete possa aiutare a promuovere la letteratura e i vari autori. Inutili i tentativi di alcuni illustri pensatori di screditare la rete. Certo, la nostra presenza sul web comporta anche dei rischi. Ma è questo il prezzo che paghiamo per il fatto di vivere qui ed ora, in un contesto in cui pensare il mondo senza web è praticamente impossibile. 2 cultura Dalla prima pagina Come rileva il critico d’arte, “la sua opera sintetizza diversi paradigmi stilistici dell’arte mondiale del XX secolo. Egli si impegna con successo nella ricerca di un’espressione individuale, con l’evidente intento di superare le matrici stilistiche assimilate e già viste”. Spiega ancora il critico che Božić è un artista riservato e introverso, estraneo al narcisismo artistico. “Đanino Božić non è un autore che condivide una poetica collettiva o un programma e nemmeno l’attivismo politico, che è spesso praticato da altri membri della scena artistica nostrana“, sottolinea Župan, secondo il quale l’artista istriano si distingue per il suo individualismo, mentre la sua opera è caratterizzata da una poetica intimista e riflessiva. Come è concepita la monografia? L’autore Ivica Župan è riuscito a cogliere l’essenza del suo lavoro artistico? La monografia illustra 25 anni della mia carriera. Il tutto ha inizio nel 1985, anno in cui ho conseguito la laurea all’allora Facoltà di Pedagogia di Fiume, al corso di Arti figurative. Il libro si conclude con il 2011 ed è concepito in maniera sistematica. La prima parte è organizzata cronologicamente, in quanto vengono segnalati di anno in anno gli eventi e i lavori più significativi, ovvero quelli che l’autore o io stesso riteniamo abbiano segnato una svolta nel mio operato artistico. La seconda parte della pubblicazione comprende una mia dettagliata biografia, nella quale vengono descritti gli eventi che mi hanno Sabato, 19 gennaio 2013 100 monocromi (2003) più di scultura, pittura o qualche altro mezzo di espressione artistica? Innanzitutto, vorrei precisare che la performance non è un mio abituale mezzo d’espressione. Me ne sono occupato in poche occasioni. Per quanto riguarda il resto, lavoro parallelamente in tutti i media: faccio scultura, pittura, installazioni e altro a seconda dell’ispirazione. Man mano che durante il lavoro mi trovo dinanzi a un problema artistico, cerco di risolverlo in diversi media ot- tanova non sono quotidianamente a contatto con i miei colleghi. Certo che per un artista è importante essere al corrente di quanto succede nell’arte, ma personalmente mi piace il fatto di non trovarmi al centro degli avvenimenti e di poter ‘dosare’ i contatti con l’ambiente artistico. L’essere così ‘isolato’ mi permette pure di evitare situazioni di rivalità oppure invidie, nonché di vedere le cose da una prospettiva diversa, e ne sono contento. Nonostante questa mia scelta, «I miei lavori sono razionali, precisi e in ogni momento sotto il mio controllo. Ogni lavoro è pianificato, calcolato in anticipo e prima di iniziare so esattamente cosa voglio ottenere. Certo che nel lavoro mi permetto pure qualche improvvisazione ma, tutto sommato, le mie opere sono programmate» formato, le amicizie, i viaggi, i film, i libri e le mostre che hanno influito in qualche modo sul mio lavoro. Sono molto soddisfatto del risultato. Sono stato pure molto fortunato, in quanto avevo l’opportunità di scegliere l’autore della monografia. Ho scelto Ivica Župan, conoscendo la dedizione e l’entusiasmo con il quale si era occupato di monografie di altri artisti. Anche nel mio caso, Župan si è veramente dato da fare e quindi non posso che essere contento dell’esito. Presumo che la realizzazione della monografia sia stata pure un’occasione per fare un inventario delle sue opere... Infatti, mi sono serviti due anni per esaminare tutti i lavori e fare una cernita di quelli che sono infine stati scelti per essere riprodotti nella monografia. Un’occasione perfetta per fare un po’ di ordine e ‘ricominciare’ da capo. Nel libro sono stati riprodotti circa 400 lavori, mentre il mio magazzino ne conta molti di più. Ne è veramente pieno zeppo. Lei si occupa di pittura, scultura, disegno, installazioni, performance, illustrazione... Tutte queste tecniche artistiche vanno a braccetto oppure ha periodi in cui si occupa di tenendo risultati differenti in un dipinto, in una scultura o qualche altra tecnica artistica. I suoi lavori sono nella stragrande maggioranza opere astratte. In quale misura questi riflettono la realtà? Oppure la rifuggono completamente? Generalmente, le mie opere non sono impegnate. Certo che si ispirano sempre a qualche fatto reale, ma non si occupano di temi sociali. Nel mio lavoro sono più interessato ai problemi formali, al modo in cui un dipinto ‘funziona’, al modo in cui questo viene costruito. Molto spesso mi succede di trovare lo spunto per un’opera d’arte in un libro. Nel testo introduttivo della monografia, il critico d’arte Ivica Župan osserva che le sue opere sono al passo con l’arte contemporanea, nonostante viva in una sorta di isolamento geografico. Questo stato di cose la aiuta ad esprimersi meglio? Quanto è importante per un’artista essere al corrente di ciò che succede nel mondo dell’arte? Oggigiorno è difficile essere completamente isolati. Personalmente, mi tengo abbastanza informato su ciò che succede nel mio ambiente e pure nel mondo, anche se vivendo a Cit- Đanino Božić San Giorgio sul monte verde (1988) «Non credo nell’ispirazione. Ci sono giorni quando lavoro con più disinvoltura e altri quando le mani non ‘ascoltano’ e le cose non riescono come vorrei. Comunque, l’arte è un lavoro ed è proprio lavorando che si giunge a delle nuove idee» cultura 3 Sabato, 19 gennaio 2013 sono sempre presente all’inaugurazione di mostre dei miei colleghi e seguo con interesse il loro lavoro. In questo contesto devo puntualizzare l’importanza dei viaggi. Per me questo è un segmento essenziale di arricchimento spirituale. Mi metto in viaggio più volte all’anno, sia per lavoro sia per diletto. Si può parlare oggigiorno di precise tendenze nell’arte? Direi di no. Al giorno d’oggi tutto è aperto, tutto è possibile. Insomma, si può dire che oggigiorno l’inesistenza di una tendenza sia a sua volta una tendenza. Quindi, il fatto di trovarsi o no a contatto con il mondo artistico non è veramente importante, visto che tutto è possibile? È sempre importante essere al corrente. Ogni opera d’arte può influire sulla mia percezione, può ispirarmi nel mio lavoro. Vedere le opere degli altri è per me molto stimolante. Lavora di giorno o di notte? Come è organizzata la sua giornata? Lavoro esclusivamente di giorno. Inizio alle otto del mattino e lavoro fino alle 15 o alle 16, ogni giorno. La disciplina è molto importante. Le succede mai di non avere ispirazione? Non mi è mai successo. Non credo nell’ispirazione. Ci sono giorni quando lavoro con più disinvoltura e altri quando le mani non ‘ascoltano’ e le cose non riescono come vorrei. Comunque, l’arte è un lavoro ed è proprio lavorando che si giunge a delle nuove idee. Quando ha scoperto l’amore per l’arte? Molto presto nella vita. Ero sicuro, fin dall’infanzia, che un giorno mi sarei occupato di arte. L’arte può essere offensiva? Secondo me, no. Credo che nessun artista vero desideri offendere il pubblico. Certo che in ambienti conservatori certe opere d’arte possono suscitare indignazione e scalpore, ma credo che sia necessario capire quale è l’idea che si cela dietro a un lavoro o a una performance. I suoi lavori sono piuttosto minimalisti, essenziali... Io li chiamo ‘esatti’. I miei lavori sono razionali, precisi e in ogni momento sotto il mio con- Secondo il critico Ivica Župan, Božić è una forte personalità artistica che ha scoperto e definito molto presto il suo mondo immaginario e artistico. Come rileva il critico d’arte, “la sua opera sintetizza diversi paradigmi stilistici dell’arte mondiale del XX secolo, contemporaneamente ‘lottando’ con successo alla ricerca di un’espressione individuale, nell’intento di superare le matrici stilistiche assimilate e già viste”. Spiega ancora il critico che Božić è un artista riservato e introverso, estraneo al narcisismo artistico Rete I (2010) Su-Giù-Su (2006) Il vaso di Pandora (2011) Galleria mobile (2011) trollo. Ogni lavoro è pianificato, calcolato in anticipo e prima di iniziare so esattamente cosa voglio ottenere. Certo che nel lavoro mi permetto pure qualche improvvisazione ma, tutto sommato, le mie opere sono programmate. Cosa ha voluto ottenere con l’apertura di una serie di gallerie d’arte in miniatura? La mia prima mini-galleria risale al 1993. È nata come un atto di protesta contro il sistema museale e galleristico in Croazia che, secondo me, acquista spesso opere che non sono tanto rilevanti dal punto di vista artistico e, d’altro canto, ignora autori internazionali che hanno qualcosa da dire. Per questo motivo avevo deciso di realizzare una galleria secondo il mio concetto, sistemandovi minuscole opere d’arte che ricordavano quelle che avrei voluto vedere all’interno di una vera galleria. La terza mini-galleria comprende, invece, lavori minuscoli originali di miei colleghi artisti. In quest’ultima avevamo organizzato pure una vera e propria inaugurazione della mostra. Vi avevamo fatto pure un video utilizzando una minuscola macchina da presa. È d’accordo con l’affermazione secondo la quale oggigiorno nell’arte tutto è già stato “scoperto”? Non sono d’accordo. Se così fosse, non avrebbe scopo continuare a occuparsi di arte. 4 cult Sabato, 19 gennaio 2013 VIAGGI Rapido excursus nei siti archeologici dell’Asia minore che sono stati pietre m Dal cavallo di Troia alla mosc S di Mario Simonovich i comincia con Troia, “il mitico luogo scelto da Omero quale sfondo a una delle più belle storie dell’antichità”, diceva il depliant con cui l’agenzia pubblicizzava il suo tour nell’Asia minore all’insegna dell’”uno paga/ l’altro gratis”. Considerati nei fatti, sia il riferimento al passato sia l’accattivante promessa di spendere poco potrebbero essere oggetto di qualche critica dissonante, ma di fronte a fatti epici per antonomasia, a che pro andare per il sottile? E così, dopo una visita lampo a Istanbul, la più europea delle cità asiatiche e la più asiatica delle città europee (12,7 milioni di abitanti, che sarebbe a dire qualcosa come tre Croazie e rotti), eccomi intruppato sul pullman che mi porta a incontrare le ombre di Achille, Ettore, la bella Elena, ma anche Tersite, il soldato brutto e nemico di ogni guerra, con cui, alla prima lettura dell’Iliade, complice di un crudele gioco, avevo chiamato a lungo uno sfortunato compagno della sesta elementare. Ci arrivo dopo qualche ora di viaggio su ottime strade e un traghettamento oltre lo Stretto dei Dardanelli, teatro di uno dei primi tentativi d’invasione dal mare del tempi moderni e, nel contempo, uno dei più clamorosi insuccessi delle forze dell’Intesa nella prima guerra mondiale, una carneficina che si protrasse nel corso di tutto il 1915 in cui gli attaccanti ebbero 220 mila fra morti e feriti che, assommati ai 250 turchi, formano un fiume di sangue al cui confronto le perdite sotto Troia, quand’anche vere, sarebbero roba da nulla. Interessante anche il breve percorso sul traghetto, di dimensioni grosso modo simili ai quarnerini. Simili anche gli sbracciamenti ed i metodi spicci con cui all’imbarco vengono trattati i conducenti. Di diverso c’è il timoniere in ciabatte e il colore rosso delle unità, all’apparenza non troppo ben tenute. In compenso gli equipaggi danno prova di una perizia impressionante: nelle manovre gli scafi quasi si toccano: se qui venisse comandato un ufficiale della capitaneria di Fiume, si prenderebbe presto un infarto. Pronta ad accogliere gli stranieri d’oggi, approdati sicuramente con intenzioni molto meno belluine dei greci d’allora, Troia ha approntato un ampio piazzale in cui ogni pullman viene ad occupare uno spazio rigorosamente definito. E qui la prima sorpresa. Chiunque, mosso dai ricordi risalenti ai banchi di scuola, immagini di poter intravvedere la spiaggia su cui i greci avevano lasciato il famoso cavallo, ha subito motivo di ricredersi: dalle mura della città il mare si vede a malapena, tanto è lontano. Per far arrivare quassù il mastodontico quadrupede ci sarebbero voluti un paio di autotreni o, dati i tempi, la forza di Ercole, ma non risulta che qui egli si fosse particolarmente distinto in alcuna fatica, fosse anche la più leggera di tutte. Poi si entra a conoscere da vicino il sito a cui pervenne Heinrich Schliemann nel 1871, dopo otto anni dacché, liquidata un’attività commerciale che gli aveva procurato una notevole ricchezza, arrivò qui, come s’usava dire a quei tempi, invaghito di Omero, per iniziare gli scavi. Un lavoro caparbio che gli fece alfine scoprire, sulla collina di Hisarlik i resti della mitica città. E non si fermò qui: la febbre del piccone gli fece scoprire negli anni successivi Micene, il mègaron e le tombe dell’Acropoli, da lui identificate con quelle degli Atridi, e poi, nel 1880-81 il tesoro di Minia a Orcomeno di Beozia, nonché, tre anni dopo il palazzo di Tirinto. Le reazioni al suo operato furono contrastanti. I contemporanei gli rinfacciarono una fiducia esagerata, tanto da rasentare l’ingenuità, nelle indicazioni dei poemi omerici. Più tardi, ferma restando la maggioranza di questi appunti, gli fu riconosciuto il merito d’aver aperto un capitolo nuovo ed importante della protostoria del Mediterraneo e d’aver trovato un’impressionante quantità di reperti. Parola di Eltsin: quel tesoro è a Mosca La guida ci fa osservare i nove strati sovrapposti che compongono il passato della città. Pervenuto al secondo strato a partire dal basso Schliemann ebbe la fortuna di trovare un tesoro di grande valore che ritenne essere quello, leggendario, di Priamo. Il ritrovamento - che risaliva però ad un periodo precedente a quello della Troia omerica collocata intorno al XIII secolo a. C. e pertanto non identificabile con il settimo strato - ebbe in seguito uno sviluppo non meno intrigante. Schliemann donò i preziosi oggetti al suo paese natale, la Germania, che li custodì in un museo di Berlino fino alla seconda guerra mondiale. Nel 1945, nonostante Hitler avesse ordinato di nasconderli affinché non cadessero nelle mani dei russi, questi li trafugarono in segreto e li portarono a Mosca. Nessuno ne seppe più niente fino al 1993, quando Boris Eltsin ospite del presidente greco – disse a sorpresa che si trovavano nel museo Puškin. La circostanza sarebbe stata confermata dallo stesso Eltsin alla ‘Literaturnaja Gazeta’, nonché dal ministro della cultura russo Sidorov. Voci maliziose assicurarono che l’ammissione fu conseguenza del fatto che in quell’occasione Eltsin era alticcio. Difficile appurare oggi il dato, ma si sa che quel vizietto ce l’aveva... Forti del fatto che qui ha le radici un mito noto su scala universale, gli operatori turistici turchi si sono preoccupati di piazzare sul piazzale d’ingresso un grande cavallo in legno a cui si può accedere con una scala interna e quindi ammirare il panorama da una delle finestre aperte su due piani (e anche questo dà l’idea della mole dell’equino). Incredibile ma vero, in barba al principio di farti pagare tassativamente tutto, l’accesso è gratuito. Per chi è invece di gusti più sofisticati, c’è l’adiacente museo con reperti in prevalenza dell’antica Roma la cui presenza, a pensarci bene, rappresentò già allora l’effetto di ritorno di quella civiltà che parecchi secoli prima aveva informato l’Europa. Più che giusta quindi l’assegnazione al sito del titolo di “Patrimonio dell’umanità”, decretata dall’UNESCO nel 1998. La biblioteca di Pergamo in dono a Cleopatra Risalito sul pullman, mi tornano in mente le belle spiegazioni sull’Iliade e l’Odissea di cui già alle elementari fu prodiga l’insegnante Maria Blecich, con l’ausilio della preziosa antologia di Maria Illiassich, che poi ebbi la fortuna d’avere quale do- cente al Liceo. Due insegnanti che m’inculcarono quella passione per lo scrivere che “ancor non m’abbandona”. Quest’ultima, trattando dell’epica omerica ricordava quel feroce “gran traduttor dei traduttor d’Omero” con cui Foscolo aveva gratificato Vincenzo Monti, che aveva tradotto l’Iliade non dal greco, che non conosceva, ma dal latino. Il giovane critico aveva gioco facile in quanto la Grecia era il suo paese natale, ma forse, almeno in parte, l’origine della contesa si sarebbe potuta rinvenire in una certa Teresa Pichler che aveva respinto le sue irruenti profferte amorose e che, incidentalmente era la moglie di Monti. Un conflitto a causa di una donna? Nulla di strano, non era successo anche a Troia? La meta successiva è Pergamo, all’epoca città molto fiorente e importante centro d’irradiazione del cristianesimo, tanto che nell’Apocalisse san Giovanni la chiama una delle sette chiese dell’Asia. La città tuttavia ebbe notevole fama anche oltre due secoli prima. La posizione neuralgica le aveva fatto acquisire notevoli richezze che, come spesso accade, si erano travasate in non minori espressioni culturali ed artistiche. Ne fa fede in primo luogo il nome dato alla pergamena, ovvero una delle due essenziali “carte da scrittura” dell’antichità. Fu infatti qui, sostiene autorevolmente Plinio il Vecchio, che già nel II sec. a C. Vennero usate a tale scopole pelli di animale in sostituzione del papiro la cui esportazione dall’Egitto era stata vietata da Tolomeo V proprio a causa della concorrenza in campo culturale che gli veniva da questa città. Il papiro comunque sopravvisse perché più abbondante e meno costoso. Quale fosse il potenziale culturale della città è palese dal fatto che la sua biblioteca era la seconda del mondo greco dopo quella di Alessandria. Secondo Plutarco, Marco Antonio, dopo l’incendio della biblioteca di Alessandria nel 47 a.C., comprò tutti i manoscritti della biblioteca di Pergamo per farne dono a Cleopatra Le statue decollate per risparmiare Già un secolo prima, dopo la vittoria di Attalo I sui, la città si espanse a tal punto da dare vita ad un’acropoli monumentale con al centro un grande tempio dedicato ad Atena Poliàs della cui maestosità fanno fede le gigantesche colonne ancora in piedi. Tutta la piazza antistante fu abbellita con statue bronzee, di cui oggi restano però solo le copie in marmo. Tema dominante di queste opere è la vittoria sui barbari, ed il trionfo della civiltà sulla forza. Uno dei motivi della sua prosperità è anche la sua posizione in cima alla montagna, che la rendeva imprendibile permettendole nel contempo di controllare la valle. Se ci fosse il mare vicino, assomiglierebbe a Fiume vista da una Tersatto alta il doppio. I conquistatori moderni, armati di depliant, macchine fotografiche e cineprese, la espugnano invece con molta più facilità: il ministero per il turismo ha costruito una cabinovia che li porta in in loco in pochi minuti. Lo spettacolo all’arrivo è veramente impressionante. Vie, tempi, statue, mantengono ancora una solidità e una bellezza invidiabile. Tanto di cappello poi agli ingegneri che, per ricavare l’emiciclo di un teatro, decisero di scavare il fianco della montagna. Basta guardare quel che ne rimane per capire che l’acustica dev’essere stata perfetta, roba da far invidia ai muezzin delle moschee di cui, in basso, è tappezzata la valle circostante, costretti a piazzare enormi quanto assai poco estetici altoparlanti sui minareti per farsi sentire più lontano. Morto Attalo III (138-133 a.C.) l’ultimo re indipendente, passò ai romani e il suo territorio venne a costituire la provincia romana dell’Asia. In età romana fu città prospera, famosa per l’attività dei ceramisti, la produzione di unguenti e le suddette pergamene. Le statue si presentano spesso prive di testa. Non tutte le decapitazioni però sono il segno del sopravvento di una fazione su quella che l’ha preceduta. In taluni casi si agì così semplicemente per mettere il capo del vincitore di turno sul torso di un lontano precedessore la cui fama era ora orami impallidita. Insomma, una questione di risparmio più che altro. Caduto l’impero, arrivò l’inevitabile. Sede di provincia bizantina, fu attaccata dagli arabi e poi passò in mano ai turchi. I mercanti cacciano San Paolo dal tempio Diverso per parecchi aspetti lo spirito che aleggia su Efeso, terzo dei centri visitati. Si entra percorrendo la Strada della Vergine Maria, segno eloquente della forza con cui la sua figura si è impressa in quest’area. Qui infatti, nella prima chiesa eretta in suo onore, si tenne il noto Concilio con cui nel 413 furono respinte le tesi di Nestorio, patriarca di Costantinopoli, secondo il quale, fermo restando che in Gesù erano convissute due persone, l’Uomo e Dio, Maria era da considerarsi madre della sola persona umana, per cui non poteva essere chiamata Madre di Dio. Fu una sortita infruttuosa. I duecento vescovi presenti anatemizzarono il nestorianesimo: chi lo avesse ancora professato o seguito sarebbe stato scomunicato. La località non era stata scelta a caso: qui infatti il cristianesimo era stato portato presto, a poco più di trent’anni dalla resurrezione di Cristo, nientemeno tura Sabato, 19 gennaio 2013 5 miliari sul millenario cammino percorso dalla nostra civiltà chea di Issa Bey, ovvero Gesù Il tempio di Adriano. A Efeso si susseguono costruzioni d’impressionante bellezza La facciata della Biblioteca di Celso che conteneva 12 mila rotoli Il mito in chiave turistica: il gigantesco cavallo di legno è pronto ad accogliere “i novelli Achei” che da San Paolo. Che sicuramente non ebbe opera facile se fu costretto a lasciare la città sotto le pressioni di una folla sobillata dall’orefice Demetrio che fabbricava statuette in argento di Artemide per cui sicuramente il nuovo predicatore era di grosso intralcio ai suoi affari. La presenza di Maria e San Giovanni Capofila dei rinforzi del “fronte cristiano” fu San Giovanni: gli stessi verbali del concilio riportano che prese con sé Maria e venne qui. La casa in cui essa visse un’esistenza molto semplice fino all’ascensione al cielo si trova a circa otto chilometri dalla città antica. Nel centro storico di Efeso la prevalente presenza della civiltà romana su quelle precedenti s’impone subito al visitatore, quanto nella denominazione delle costruzioni tanto nell’architettura e nella scelta degli impianti. Superata la Porta di Eracle, si percorre infatti la Via dei Cureti, la via sacra che nella sua maestosità si richiamava direttamente all’antica Roma. Sui due lati erano schierati i negozi e gli edifici più rappresentativi, intervallati da iscrizioni e dai busti dei cittadini più illustri. La diversità delle colonne indica l’ostinazione con cui furono progressivamente sostituite a quelle primigenie distrutte dai tre terremoti succedutisi negli anni 355, 358 e 368 d. C. La terza ricostruzione, forse per carenza di mezzi, non fu però accurata come le due precedenti sicché si può presumere che a quell’epoca iniziasse il progressivo declino di questo che era stato uno dei centri urbani più popolati in quest’area arrivando anche a 200 mila cittadini. Sulla destra, simile ad un piccolo tempio, la Fontana di Traiano ricorda i meriti dell’imperatore entrato nella leggenda per le famose “orecchie di capra”. La città di Troia vanta la bellezza di nove strati archeologici sovrapposti L’acqua affluiva nelle due vasche poste verso la via da un canale retrostante. Un esemplare opera d’ingegneria. Che anche allora funzionasse il connubio pubblico-privato è testimoniato dalle vicine Terme di Skolastikia, che prendono il nome da una cittadina benestante che le fece rimettere a nuovo nel 400 d.C. A tre piani, e dunque di dimensioni ragguardevoli, l’edificio si apriva con una vasca ellittica contenente l’acqua fredda, di cui i visitatori si servivano per un’ultima tonificante immersione prima di uscire dalle terme. Chi entrava invece iniziava con il tepidarium per passare poi al caldarium. Il pavimento era realizzato con mattoni a forma circolare che, oltre a sorreggere il piano, erano in grado di far passare l’aria calda proveniente dalla fornace. Poco discoste, fanno bella mostra di sè le latrine dell’epoca. Costruite tutte in pietra, non sembrano avere mai avuto pareti divisorie, per cui anche fra i ceti più abbienti il concetto di intimità doveva avere un valore molto relativo. Il materiale refluo finiva in un canale che passava davanti ai singoli “posti”. Anche allora però c’era chi si poteva permettere qualche privilegio. Non era infatti raro il caso che il visitatore benestante si facesse precedere da uno schiavo che si sedeva a scaldargli la fredda pietra. Nulla si sa invece se durante la “seduta” questi fosse autorizzato o meno anche a servirsi dell’impianto come chi l’avrebbe seguito... Ma la vera chicca viene poco dopo, in fondo alla discesa, a ridosso della zona commerciale. È la splendida (e mai parola fu più opportunamente usata) biblioteca realizzata in onore di Gaio Giulio Celso Polemaeno, illustre proconsole (106-107 d.C) dal figlio, Gaio Giulio Aquila che, oltre a inumare il padre in un mausoleo inserito nei fondamenti dell’edificio, lasciò in eredità alla città i soldi per l’acquisto dei libri. Era piuttosto insolito non soltanto esser sepolti dentro una biblioteca ma anche solo entro i confini della città, quindi si può supporre che Celso godesse di grande fama. L’edificio si presenta pregevole fin nella facciata, segnata da colonnati di vario ordine che creano un impagabile prospettiva con elementi che si rifanno al cosiddetto “barocco asiatico” e dalla presenza di quattro statue che celebrano la Saggezza, Virtù, Benevolenza e Sapienza. Consta di un’unica grande sala che si affaccia verso est, ovvero, come consigliava anche Vetruvio, accoglie con gioia gli spiriti mattinieri. I doppi muri con intercapedine, si riteneva, erano atti a salvaguardare i 12 mila rotoli di papiro dall’umidità e, si sperava, dagli incendi. Purtroppo quello scoppiato in seguito al terremoto del 262 fu più forte, sicché della biblioteca rimase La Casa della Madonna è oggetto di un flusso continuo di visitatori solo la facciata, che pure dovette sottostare a grossi interventi. I maggiori sono anche i più recenti, risalgono infatti al 1969-1970. La presenza di tale edificio attesta la commistione fra la cultura greca e romana dell’epoca e in generale permette di tracciare lo sviluppo delle biblioteche romane in quest’area. Da aggiungere che, pienamente cosciente di questo patrimonio d’arte e di cultura, la Turchia odierna ne ha riportato l’immagine in due riprese sulle sue banconote. Meandri, la storia scorre come il fiume Quanto avvenuto qui, in uno spazio piuttosto ristretto, tratteggia con efficacia il moto della storia nei suoi non pochi meandri. Poco discosto dal centro, sorgeva il tempio di Artemide, considerato una delle sette meraviglie del mondo antico. Dopo varie vicissitudini, fu distrutto dai goti nel 262 e ricostruito ancora una volta dagli efesini. Nel 391 avvenne la chiusura a seguito dell’editto di Teodosio che vietava i culti pagani. Nel 401 infine, la distruzione definitiva ad opera dei cristiani, guidati dal vescovo Giovanni Crisostomo, arcivescovo di Costantinopoli, sicché tutto quel che oggi ne rimane sono due colonne malandate. Non molto lontano dai ruderi, sull’adiacente collina, altri due edifici Un cuore stilizzato, un piede sinistro e un volto di donna agghindata. Spiegazione: anche se hai il cuore spezzato, volgendo a sinistra troverai una Casa in cui le donne ti daranno amore. Funzionava così la pubblicità a Efeso di duemila anni fa testimoniano esemplarmente il corso dei tempi. Il primo è la chiesa di San Giovanni che a Efeso assunse la direzione della Chiesa, scrisse il suo vangelo, morì e fu sepolto. La vittoria incondizionata del cristianesimo sui riti pagani sembrò definitiva, invece durò non più di un paio di secoli, fino all’avvento di Maometto, i cui seguaci, va riconosciuto, ebbero molta più fortuna riuscendo a mantenersi per un millennio e mezzo, fino ai giorni nostri. Oltre che da tutto il resto, la loro presenza è attestata proprio qui, a pochissima distanza dalla chiesa di San Giovanni, dalla moschea di Issa Bey. Ma chi era questo “signore, gentiluomo o uomo onorato”(questi i significati della parola Bey) che per i musulmani ha il rango di profeta? Il mondo cristiano lo conosce come Gesù Cristo. Quando si dice i meandri della storia... Si rimonta in pullman per il rientro in albergo. Poco discosto da Efeso la strada costeggia un fiume che si muove pigro e sinuoso. In turco è chiamato Kucuk Menderes, ma il nome italiano è Piccolo Meandro. Sì, è il fratello minore di Buyuk Menderes, alias Grande Meandro, il nome proprio assurto a concetto geografico. Se dunque già la natura qui si è preoccupata di impegolarsi in tante giravolte, figurarsi se l’uomo poteva essere da meno. 6 cultura Sabato, 19 gennaio 2013 ITINERARI Come Cenerentola e Biancaneve sempre presenti nel nostro immaginario Duecento anni dopo riscopriamo l’attualità di storie del passato di Ardea Stanišić E ra il 1812 quando è uscita la prima edizione delle “Favole” dei fratelli Jakob e Wilhelm Grimm. Da allora ad oggi sono passati ben due secoli, eppure personaggi come Cenerentola, Biancaneve o Pollicino continuano a rimanere ben saldi nel nostro immaginario. Testimonianza ne sono le continue edizioni delle loro fiabe, ora riunite in raccolte, ora divise in singoli volumi, ma anche le frequenti citazioni o rivisitazioni cinematografiche e televisive. Usciva, dunque, 200 anni fa la prima edizione della celebre raccolta, “Kinder und Hausmärchen”, frutto di un’attenta ricerca dell’essenza della cultura tedesca. Ciò che affascinava i due fratelli dell’antica letteratura tedesca era la convinzione che le forme culturali più pure e spontanee - quelle che tenevano insieme una comunità - fossero quelle linguistiche e che bisognasse rintracciarle nel passato. Essi ritenevano inoltre che la letteratura “moderna”, per quanto ricca, fosse una creazione artificiale, incapace di esprimere l’essenza genuina della cultura del popolo. Per questo dedicarono tutte le loro energie alla riscoperta delle storie del passato. E per questo motivo il loro amico, il poeta romantico Clemens Brentano, chiese loro di raccogliere ogni genere di racconto popolare con l’intento di servirsene per un volume di fiabe letterarie. Nel 1810 essi gli inviarono 54 testi che per fortuna ricopiarono. Per fortuna, perché Brentano finì col perdere il manoscritto nel monastero di Ölenberg (Alsazia) e non utilizzò mai quei testi. I fratelli Grimm, nel frattempo, continuarono a raccogliere fiabe; quando capirono che Brentano non avrebbe più utilizzato il loro manoscritto, decisero di seguire il consiglio dell’amico, l’autore romantico Achin von Arnim, e pubblicarono la loro raccolta, che nel frattempo era giunta a “quota” 86 storie, quelle che per l’appunto pubblicarono nel 1812. A questi si aggiunsero altre 70, che pubblicarono nel 1815. Racconti come gemme preziose I Grimm cercarono di raccogliere e preservare come gemme sacre e preziose ogni genere e tipo di traccia del passato, racconti, miti, canti, favole, leggende, epopee, documenti, dunque non solo fiabe. Il tutto al fine di rintracciare e cogliere l’essenza dell’evoluzione culturale e dimostrare come la lingua naturale, che sgorgava dagli usi e dai rituali della gente comune, creasse legami autentici e contribuisse a modellare le comunità civili. È questa una delle ragioni per cui definirono la loro raccolta un manuale educativo (Erziehungsbuch). Erano convinti che ogni storia e ogni sua variante fossero importanti per mantenere viva la tradizione culturale. Soffermandosi sulle fiabe della prima edizione, si può notare molte di esse sono più brevi e incredibilmente diverse rispetto alle versioni pubblicate in seguito, sono scarne e poco o per niente descrittive. Chi le racconta è propenso a comunicare le verità che conosce e anche quando ci sono di mezzo magia, superstizioni, trasformazioni miracolose e brutalità. Le fiabe originali sorprendentemente diverse Le 42 fiabe originali dei due celebri favolisti sono raccolte in “Principessa Pel di topo”, volume appena uscito per Donzelli (tavole originali di Fabian Negrin, traduzione di Camilla Miglio, 246 pagine, 23.90 euro) e sono di fatto sconosciute. A raccontare la loro storia, che sembra una favola essa stessa, è Jack Zipes, studioso di fama internazionale di folklore e letteratura per l’infanzia. La regina “più bella di tutto il reame”, con il suo infallibile specchio, non è la matrigna bensì la madre vanitosa di Biancaneve. È lei a ordinare al cacciatore di strappare “polmone e fegato” alla figlia, lei a travestirsi e a raggiungerla nella casetta dei nani dove, al terzo tentativo e con una mela avvelenata, “finalmente” la uccide. Sappiamo il seguito della favola, ma non che fu un servitore collerico ad assestare alla fanciulla morta, deposta “in una bara di vetro”, “un gran colpo sulla schiena”: provvidenziale, perché “fu così che le tornò su il tocco di mela avvelenato, per tutto quel tempo rimasto incastrato in gola” - sostiene Zipes. I fratelli Grimm erano convinti che ogni storia e ogni sua variante fossero importanti per mantenere viva la tradizione culturale. Riuscirono a cogliere l’essenza dell’evoluzione culturale e dimostrare come la lingua sgorgava dagli usi e dai rituali della gente comune Ci sono eroine di cui non sapevamo l’esistenza, come la principessa Pel di topo, condannata a morte dal padre, risparmiata dal carnefice, decisa a “farsi passare per uomo” sotto il suo orrido vestito di pelle di topo, troppo acuta e misteriosa per essere solo un valletto del re. E animali fedeli, sarti e fabbri astuti, gobbi sciocchi ma fortunati, orchi famelici, diavoli e soldati, elfi gentili e bambine che cavalcano volpi, principi, sorelle, falegnami che non conoscevamo. Ma anche lì dove il racconto si fa più familiare, c’è qualcosa che ci spiazza. Raperonzolo, per esempio. Non è una maga ma una fata a rinchiudere la fanciulla dai lunghi capelli “fini come oro filato” nell’alta torre “senza porta né scala”. Anche se è lo stesso principe a innamorarsi di lei e a salire nella stanza aggrappato alla magnifica chioma della fanciulla. Quel che non abbiamo finora letto e che scopriamo nella prima sintetica versione della favola, è la gravidanza di Raperonzolo, svelata con una domanda: “Ma ditemi, Donna Gothel, perché i miei vestiti si fanno sempre più stretti e non mi entrano più?”. Un particolare che Jacob e Wilhelm Grimm cancellarono pochi anni dopo, per sempre. cultura 7 Sabato, 19 gennaio 2013 Omaggio al pifferaio in una strada di Hameln ITINERARI Parte da Hanau, la città natale dei fratelli Jacob e Wilhelm Grimm L’avventurosa strada delle fiabe un percorso tra arte e letteratura A bbiamo avuto tutti tra le mani almeno una volta qualcuna delle numerosissime fiabe dei fratelli Grimm, ma non molti probabilmente sanno dell’esistenza di un autentico percorso turistico tra città, borghi e villaggi riconducibili ai loro racconti. La ‘Deutsche Märchenstrasse’, ovvero la Strada delle fiabe, è stata creata nel 1975 in Germania ed è un viaggio che concretizza scenari favolosi: 664 chilometri di paesaggi e 70 luoghi da fiaba. Un itinerario che fa sognare ad occhi aperti, soprattutto nei mesi primaverili ed estivi, dove i centri abitati si animano di rivisitazioni e rappresentazioni all’aperto dei racconti di Jacob e Wilhelm Grimm: da Raperon- zolo a Cappuccetto Rosso, dal Gatto con gli stivali a Biancaneve e i sette nani, da Hansel e Gretel al Principe Ranocchio. Il percorso della Strada delle fiabe parte da Hanau, città natale dei Fratelli Grimm. Dal 1896 nella piazza del mercato si trova il monumento nazionale ai due celebri scrittori. Dal 1975 la città rappresenta il punto di partenza del viaggio nell’universo fiabesco. Nel 1983 viene istituito un premio letterario che porta il nome dei due fratelli, il Brüder Grimm-Literaturpreis, e dal 1985 viene organizzato il Brüder Grimm-Märchenfestspiel, un festival in loro onore. Nel museo storico (Schloss Philippsruhe) c’è una mostra permanente sulla loro vita, le loro storie e le loro imprese. A Brema, statua dedicata ai famosi musicanti della fiaba A Brema, situata sulle rive del fiume Weser, sorge il monumento in bronzo che evoca le gesta dei famosi quattro musicanti: un asino, un cane, un gatto e un gallo, che nelle pagine dei Grimm fuggono di casa per arruolarsi nella banda musicale di Brema e che riescono a vincere un gruppo di briganti. Da Brema si prosegue alla volta della regione del Mittelweser, con Nienburg e Bad Oeynhausen, dove si trova un museo delle fiabe (“Deutsches Märchenmuseum”) e il parco Aqua Magica, un parco sull’acqua e sulla natura. Hameln, invece, è famosa per la fiaba del Pifferaio magico (“Der Rattenfänger von Hameln”), basata su una leggenda medievale che vuole la città invasa da topi. Chi sarà il salvatore di turno? Un bel giovane, che con il suo piffero allontana le bestiacce verso il fiume e le fa annegare. Da maggio a settembre ogni domenica ad Hameln, presso il giardino civico, si effettua una rappresentazione vivente della fiaba, con tanto di pifferaio e topolini. Per incontrare Cenerentola (“Aschenputtel”) bisogna arrivare alla valle del fiume Weser, al castello Burg Polle, dove la sbadata ragazza avrebbe perso la famosa scarpetta. Anche qui, durante la stagione estiva, tra casette a graticcio, vengono allestite numerose rappresentazioni della fiaba creando un’atmosfera da sogno. Nella regione del Reinhardswald, tra “boschi e valli d’or”, l’ambiente è ideale per voli con la fantasia. La località di Oberweser, ad esempio, è stata usata dai fratelli Grimm come ambientazione per Biancaneve e i sette nani (“Schneewittchen und die 7 Zwerge”), nonché per il Gatto con gli stivali (“Der gestiefelte Kater”). Non lontano è situata Hofgeismar, piccola cittadina il cui vero gioiello è il castello di Sababurg, tra le cui mura nasce la storia della Bella Addormentata, risvegliatasi dopo un profondo sonno grazie al bacio del suo bel principe. Ai piedi del castello si trovano la foresta del Reinhardswald e il parco degli animali di Sababurg fondato nel 1571, considerato lo zoo più an- Il museo di storia dello Schloss Philippsruhe, a Hanau, città natale dei fratelli Grimm, ospita una mostra sulla loro vita tico d’Europa. Il maniero, costruito nel 1334 e destinato a riserva di caccia, fa oggi da sfondo a spettacoli, mostre d’arte, concerti e ogni sabato una rivisitazione ispirata alla fiaba. Ad una manciata di chilometri, a Trendelburg, c’è invece la torre da cui la dolce Rapunzel (Raperonzolo) lasciava cadere i suoi lunghi capelli; anche qui vengono spesso organizzati eventi a tema. Da qui a Kassel la strada è breve. Ed è proprio Kassel una delle “capitali” della strada delle fiabe, in quanto vi è situato il Museo dei fratelli Grimm. Nel cuore dell’Assia sul fiume Fulda sorge il museo dedicato ai Fratelli Grimm presso il Palais Bellevue. Fondato nel 1959, con l’intendo di conservare documenti sulle opere e sulla vita di Jacob e Wilhelm, evidenzia la loro fama non solo in quanto scrittori di fiabe, ma anche come filologi, linguisti e ricercatori di fama ormai mondiale. A questo punto si va in direzione sud, sulla rotta di Cappuccetto Rosso, la bimba che attraversava i fitti boschi della zona di Schwalmstadt - nella regione del Bergland - col cesto pieno di delizie per la sua nonna, sotto lo sguardo attento del lupo cattivo e affamato. La frase che introduce la celeberrima fiaba la sanno tutti: “C’era era una volta una bambina. La nonna le diede un cappuccetto di velluto rosso…” (Es war einmal ein kleines Mädchen. Die Großmutter schenkte ihm ein Käppchen von rotem Samt...”)... e anche qui gli allestimenti della fiaba si svolgono su sfondi incantevoli di castelli antichi. I costumi tipici che ricordano il personaggio sono custoditi nel museo locale di Schwalmstadt. Marburg, un’altra piacevole città medievale che sorge in un’ansa del fiume Lahn, è famosa per la sua prestigiosa università, fondata nel 1527, in cui i fratelli Grimm hanno studiato legge e iniziato le loro ricerche sulla letteratura popolare. Nei pressi di Marburg, a Christenberg, è ambientata la famosa fiaba di Hänsel e Gretel. E ancora nelle vicinanze sorge Steinau an der Strasse, cittadina dove i fratelli Jacob e Wilhelm Grimm hanno vissuto da bambini, un periodo di cui custodirono ricordi indimenticabili. “Al mio paese sono legati, lo sento, i miei impulsi e stimoli più vivi. Ho trascorso lì la parte più felice e più fresca della mia vita”, scriveva infatti Jacob Grimm. Nel 1985, in loro onore, sulla piazza del mercato venne progettata la fontana delle favole, il Märchenbrunnen, mentre il museo sulla vita, le opere e le attività dei fratelli Grimm trova spazio all’ Amtshaus (BrüderGrimm-Haus Steinau). La Strada delle Fiabe offre cultura e storia, associando tradizione regionale e arte locale allo spirito delle grandi città, il tutto circondato da un’atmosfera magica, in cui i villaggi e i castelli incantati dei fratelli Grimm si susseguono come le pagine di un libro avvincente. 8 cultura Sabato, 19 gennaio 2013 A V A V I T A R R A C C Naomi Klein Doktrina šoka Mladinska knjiga A A N I T A I T A A R R I A T Ken Follett Propad velikanov Mladinska Knjiga S Jamie Oliver 30 minut za kosilo Mladinska knjiga I A N I R C R I T A L J.R.R. Tolkien Hobit Mladinska Knjiga S C N B I Z. Ibrahimović-D. Lagercrantz ja sem Zlatan Žepna knjiga B C I Pascal Mercier Noćni vlak za Lisabon Profil Tvrtko Vuković Tko je u razredu ugasio svijetlo? Meandarmedia Steve Jobs iSteve Mladinska knjiga Sylvia Day Predana Mladinska Knjiga I T Erich von Daniken Povijest je u krivu VBZ U L S Orhan Pamuk Novi život Vuković&Runjić P B Boris Dežulović Rat & mir VBZ I Luis Sépulveda Storia di un gatto e del topo che diventò suo amico Guanda Paolo Rumiz Trans Europa Express Feltrinelli Ali Žerdin Omrežje moči Mladinska knjiga E.L. James Pedest odtenkov sive Žepna knjiga B C Bruno Vespa Il palazzo e la piazza Mondadori Jo Nesbo Žohari Profil I E.L. James Cinquanta sfumature di rosso Mondadori E.L. Jamens Pedeset odtenkov teme Žepna knjiga U L Lilli Gruber Eredità Rizzoli IN SLOVENIA P B J.K. Rowling Il seggio mancante Salani Jesse Bering Istinkt za Boga Naklada Ljevak Howard Phillips Lovecraft Kroz dveri snova Zagrebačka naklada Zoran Ferić Apsurd je zarazna bolest VBZ B Alberto Angela Amore e sesso nell’antica Roma Mondadori Boris Pahor Nekropola Fraktura U Sam Pivnik L’ultimo sopravvissuto Newton Compton Ken Follett L’inverno del mondo Mondadori IN CROAZIA P E.L. James Cinquanta sfumature di nero Mondadori V I LIBRI PIÙ VENDUTI IN ITALIA NOVITÀ IN LIBRERIA La voce potente di Manfredi e l’affresco turco di Shafak T itoli interessanti nelle librerie italiane di cui segnaliamo Valerio Massimo Manfredi con Il mio nome è Nessuno. Il giuramento (Mondadori) che porta alla luce episodi e personaggi sconosciuti, regala la viva emozione di scoprire un intero universo brulicante di uomini, donne, imprese gloriose o sventurate. Mostra come accanto al personaggio fluisca gran parte dell’epos greco: Alcesti, le fatiche di Herakles, i sette contro Tebe, gli Argonauti, oltre ai due poemi di Omero. Odysseo non si erge solitario tra le ombre di dei e guerrieri, ma il suo intero percorso di formazione, le sue radici familiari, gli epici racconti di cui è nutrito dal nonno-lupo Autolykos e dal padre argonauta, i dialoghi con Herakles e Aias, gli incontri con la misteriosa Athena dagli occhi verdi, ogni dettaglio dà corpo a un racconto profondamente sorprendente. Con assoluto rigore ma anche con una vibrante adesione a questa materia “in continuo movimento”, Manfredi compie la scelta forte di affidare la narrazione proprio a colui che disse di chiamarsi Nessuno: una voce diretta, potente, scolpita nella sua semplicità. Un libro meraviglioso, consigliatissimo, riesce a presentare il personaggio di Odisseo in modo accattivante, realistico, con una profondità d’animo che permette a chiunque di immedesimarsi in lui; questa analisi psicologica vale anche per gli altri personaggi. Lo stile è quello di un romanzo ben scritto, che tiene conto anche degli usi dell’epica antica come quello di citare sovente patronimici. Gli scenari sia paesaggistici che bellici sono descritti con superbo realismo e il racconto denota un attento studio filologico previo. Ovunque sarai (Piemme) di Olga Watkins è l’incredibile odissea di una giovane ragazza (nata a Sisak in Croazia) di vent’anni nell’inferno della Shoah e nel cuore del Terzo Reich per ritrovare Julius, l’uomo che ama. Un viaggio lungo 3.300 chilometri, da Zagabria a Budapest, da Dachau a Norimberga, sfidando la polizia segreta, gli eserciti, la delazione, le frontiere, i bombardamenti. La determinazione di Olga nell’inseguire il suo uomo per un amore che ha ben pochi ricordi concreti - un bacio sulle labbra, qualche serata all’Opera, poco di più - non si arresta di fronte a nulla. A nessun impedimento. A nessuna beffa del destino. Nemmeno ai cancelli di Buchenwald, il campo dell’orrore. A leggere questo libro non si direbbe che l’autrice sia oggi una pacifica anziana di 89 anni, che vive in Inghilterra e prende il tè ogni giorno alle 5 con studiata meticolosità. A fatica si riesce a credere che una vicenda così estrema non sia altro che il memoriale della sua vita. Lo stile rivela l’assoluta semplicità di chi ha una storia da raccontare e si lascia guidare dai fatti, senza un filo di retorica. È un libro di quelli che lasciano il segno. Le librerie croate sono ricche di romanzi moderni e attuali. Presentiamo Elif Shafak che con il suo Palača buha (Hena com) ci regala un luminoso e memorabile affresco della capitale turca e dei suoi mille volti e, insieme, una riflessione sul difficile compromesso tra un passato ingombrante e un futuro ancora da scrivere. Il libro è stato un bestseller in Turchia, ed è diventato uno dei sei libri candidati nel 2005 per l’Indipendent Foreign Fiction Prize in Gran Bretagna. In quest’opera le storie di ogni personaggio si intrecciano senza tregua, sviluppandosi in una serie di flashback improvvisi, che riportano ad altre epoche e altri luoghi, dando l’impressione di essere noi stessi un’immigrante che dopo anni di viaggi decide di stabilirsi in Turchia, o allo stesso tempo un turco che lontano dalla patria Anno IX / n. 70 del 19 gennaio 2013 “LA VOCE DEL POPOLO” - Caporedattore responsabile: Errol Superina IN PIÙ, supplementi a cura di Errol Superina / Progetto editoriale di Silvio Forza Art director: Daria Vlahov Horvat / edizione: CULTURA Redattore esecutivo: Diana Pirjavec Rameša Impaginazione: Annamaria Picco Collaboratori: Helena Labus Bačić, Mario Simonovich, Ardea Stanišić, Viviana Car Foto: Goran Žiković La redazione del presente inserto ha consultato i siti: www.knjiga.hr, www.kulturaplus.com, www.sveznazdor.com www.svetknjige.si, www.emka.si, www.librerie.it, www.italialibri.net, e la rivista “Arte” (Giorgio Mondadori Editore) non vede l’ora di tornarci. Si assapora la vita “vera” di Istanbul, decisamente lontana da quella che si vede in tv, e ancor più da quella descritta dagli autori americani, che la vedono come la meta-vacanza adatta per l’ereditiere di grido. Amélie Nothomb con Oblik života (Vuković&Runjić) racconta un aspetto privato della sua esperienza personale con il volto di un militare - Melvin Mapple, di stanza in Iraq da molto, troppo tempo -, attraverso un rapporto epistolare che nasce dal desiderio dell’uomo di aprire un dialogo con l’autrice dei libri che lo hanno tanto appassionato nei mesi e negli anni di guerra. Uno dei tanti rapporti epistolari aperti di Amélie che, a margine di questa storia centrale, ce ne racconta altre descrivendo un incredibile umanità dedita a chiedere sostegno materiale e psicologico a lei, quasi fosse onnipotente. Quotidianamente sommersa dalla posta dei suoi lettori, Amélie si imbatte nella lettera di Malvin Mapple, soldato americano obeso di stanza a Baghdad. Comincia così uno stravagante scambio epistolare. Poco a poco Amélie si affeziona al soldato e ai suoi compagni di taglia XXXXL. Ma all’improvviso Melvin Mapple smette di scriverle e Amélie, sconcertata, tenta di ritrovarlo, ci riuscirà? Viviana Car