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Dillo... sul web Una forte personalità riservata, spesso introversa

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Dillo... sul web Una forte personalità riservata, spesso introversa
CULTURANDO
Dillo... sul web
di Diana Pirjavec Rameša
Numerosi sono gli scrittori presenti sui social network. In Europa e nel mondo. Ne citiamo alcuni: Ken Follet, in vetta alle
classifiche con “L’inverno del mondo. The century trilogy” edito in Italia da Mondadori oppure la tanto chiacchierata E. L.
James autrice di “Cinquanta sfumature di grigio”, ma anche gli
italiani Erri De Luca e Niccolò Ammaniti. Insomma per presentarsi e parlare delle proprie opere usano in modo piuttosto appropriato la rete ottenendo visibilità e vicinanza con i lettori. Ma vi è
uno che, in quanto a presenza, può fare scuola. Si tratta di Paulo Coelho che con grande impegno e da lungo tempo gestisce il
proprio profilo in rete. Tutto scelto con grande cura, anche quella delle foto, dei link, ma soprattutto una presenza quotidiana su
Twitter (140 caratteri massimo in cui si deve sintetizzare il proprio
pensiero e rendere chiaro a tutti il messaggio). Ebbene Coelho
ne è un maestro. Intervistato dal “Pais” lo scrittore brasiliano ha
confessato: “ Quando sono in viaggio dedico in media 20 minuti
al giorno a rinfrescare le mie cose su Internet. Ma se sono a casa
Đanino Božić racconta la sua arte
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Linee orizzontali (2010)
Una forte personalità
riservata, spesso introversa
di Helena Labus Bačić
Đ
anino Božić, il noto pittore e scultore istriano, classe 1961, è un artista a tutto
tondo che si esprime con disinvoltura e successo in quasi tutte le tecniche artistiche, realizzando opere
che si distinguono per il minimalismo da un forte impatto visivo e
per la loro eccellenza tecnica. Egli
stesso si definisce un “workaholic”, ovvero un dipendente dal lavoro, al quale si dedica con costanza e disciplina. Da più di vent’anni gode dello status di artista libero
professionista, periodo in cui si è
fatto un nome di tutto rispetto sulla
scena artistica croata.
Con l’obiettivo di valorizzare
l’opera dei maggiori artisti istriani, l’Associazione nazionale degli
artisti visivi dell’Istria (HDLU) ha
pubblicato l’anno scorso, in collaborazione con l’azienda Medit di
Pola, una monografia (l’artista è
membro dell’associazione istriana
dal 1995), presentata nel dicembre
scorso. Autore del testo è il critico
d’arte Ivica Župan, il quale illustra in maniera dettagliata il mondo artistico dell’artista istriano.
Secondo Župan, Božić è una forte personalità artistica che ha scoperto e definito molto presto il suo
mondo immaginario e artistico.
Segue a pagina 2
Đanino Božić
cultura
An
no
IX
3
201
• n. 7
0 • Sabato, 19 gennaio
impegno almeno 5 ore”. Concentrato così ad alimentare la rete e
ad aggiornare il proprio profilo, Coelho riesce ad assicurarsi quotidianamente circa 2000 follower. E non è da poco.
Questo esempio spiega molto bene e in poche ma incisive parole come i social network siano diventati un luogo di diffusione di notizie e di incontro molto importante: come in una grande
piazza, sono presenti molte persone, ognuna con il suo stile, il suo
modo di pensare, i suoi obiettivi, il suo modo di interagire con gli
altri. Gli intellettuali ora per sopravvivere, per farsi sentire sono
costretti in un certo senso a divenire degli ‘interlettuali’, vale a
dire pensatori e scrittori sul web, esprimendo il prorpio pensiero
sia attraverso dei semplicissimi Tweet, blog o tramite le proprie
pagine Facebook.
Ed è proprio in qualità di social network che Facebook ha la
possibilità di ospitare infinite tipologie di comunicazione. È vero
che il blog è uno strumento grazie a cui ci si può esprimere al meglio, ma oggi Facebook rappresenta uno dei più efficaci mezzi di
diffusione del proprio brand, nel caso degli scrittori di promozione della propria attività e delle opere.
Quanto successo può avere, ad esempio, un articolo ben studiato per promuovere la propria opera letteraria se poi non può
essere diffuso al maggior numero di utenti possibile? Se usato bene, Facebook rappresenta uno strumento di marketing del
quale ogni editore, ormai, non ne può più fare a meno. A nostro
avviso, è dall’unione dei due mezzi di comunicazione che viene fuori il miglior modo di fare business: pubblicare sul blog e
condividere sul social network genera una diffusione sul pubblico della rete non indifferente! Come dire: l’unione fa la forza! A questo va aggiunto un altro importante momento: è quello
dell’acquisto del libro sia in forma cartacea che nella versione
E-book. Sia come sia, l’importante è rendersi conto di quanto
la rete possa aiutare a promuovere la letteratura e i vari autori.
Inutili i tentativi di alcuni illustri pensatori di screditare la rete.
Certo, la nostra presenza sul web comporta anche dei rischi. Ma
è questo il prezzo che paghiamo per il fatto di vivere qui ed ora,
in un contesto in cui pensare il mondo senza web è praticamente impossibile.
2 cultura
Dalla prima pagina
Come rileva il critico d’arte,
“la sua opera sintetizza diversi
paradigmi stilistici dell’arte mondiale del XX secolo. Egli si impegna con successo nella ricerca di un’espressione individuale,
con l’evidente intento di superare
le matrici stilistiche assimilate e
già viste”. Spiega ancora il critico che Božić è un artista riservato e introverso, estraneo al narcisismo artistico.
“Đanino Božić non è un autore
che condivide una poetica collettiva o un programma e nemmeno
l’attivismo politico, che è spesso praticato da altri membri della scena artistica nostrana“, sottolinea Župan, secondo il quale
l’artista istriano si distingue per
il suo individualismo, mentre la
sua opera è caratterizzata da una
poetica intimista e riflessiva.
Come è concepita la monografia? L’autore Ivica Župan è
riuscito a cogliere l’essenza del
suo lavoro artistico?
La monografia illustra 25
anni della mia carriera. Il tutto
ha inizio nel 1985, anno in cui
ho conseguito la laurea all’allora Facoltà di Pedagogia di Fiume, al corso di Arti figurative.
Il libro si conclude con il 2011
ed è concepito in maniera sistematica. La prima parte è organizzata
cronologicamente,
in quanto vengono segnalati di
anno in anno gli eventi e i lavori più significativi, ovvero quelli
che l’autore o io stesso riteniamo abbiano segnato una svolta
nel mio operato artistico. La seconda parte della pubblicazione
comprende una mia dettagliata
biografia, nella quale vengono
descritti gli eventi che mi hanno
Sabato, 19 gennaio 2013
100 monocromi (2003)
più di scultura, pittura o qualche altro mezzo di espressione
artistica?
Innanzitutto, vorrei precisare
che la performance non è un mio
abituale mezzo d’espressione. Me
ne sono occupato in poche occasioni. Per quanto riguarda il resto, lavoro parallelamente in tutti i media: faccio scultura, pittura, installazioni e altro a seconda
dell’ispirazione. Man mano che
durante il lavoro mi trovo dinanzi a un problema artistico, cerco
di risolverlo in diversi media ot-
tanova non sono quotidianamente a contatto con i miei colleghi.
Certo che per un artista è importante essere al corrente di quanto succede nell’arte, ma personalmente mi piace il fatto di non
trovarmi al centro degli avvenimenti e di poter ‘dosare’ i contatti con l’ambiente artistico. L’essere così ‘isolato’ mi permette
pure di evitare situazioni di rivalità oppure invidie, nonché di
vedere le cose da una prospettiva diversa, e ne sono contento.
Nonostante questa mia scelta,
«I miei lavori sono razionali,
precisi e in ogni momento sotto
il mio controllo. Ogni lavoro è
pianificato, calcolato in anticipo
e prima di iniziare so esattamente
cosa voglio ottenere. Certo che
nel lavoro mi permetto pure
qualche improvvisazione ma,
tutto sommato, le mie opere sono
programmate»
formato, le amicizie, i viaggi, i
film, i libri e le mostre che hanno influito in qualche modo sul
mio lavoro.
Sono molto soddisfatto del
risultato. Sono stato pure molto
fortunato, in quanto avevo l’opportunità di scegliere l’autore
della monografia. Ho scelto Ivica Župan, conoscendo la dedizione e l’entusiasmo con il quale si era occupato di monografie di altri artisti. Anche nel mio
caso, Župan si è veramente dato
da fare e quindi non posso che essere contento dell’esito.
Presumo che la realizzazione della monografia sia stata
pure un’occasione per fare un
inventario delle sue opere...
Infatti, mi sono serviti due
anni per esaminare tutti i lavori e
fare una cernita di quelli che sono
infine stati scelti per essere riprodotti nella monografia. Un’occasione perfetta per fare un po’ di
ordine e ‘ricominciare’ da capo.
Nel libro sono stati riprodotti circa 400 lavori, mentre il mio magazzino ne conta molti di più. Ne
è veramente pieno zeppo.
Lei si occupa di pittura,
scultura, disegno, installazioni, performance, illustrazione... Tutte queste tecniche artistiche vanno a braccetto oppure ha periodi in cui si occupa di
tenendo risultati differenti in un
dipinto, in una scultura o qualche
altra tecnica artistica.
I suoi lavori sono nella stragrande maggioranza opere
astratte. In quale misura questi
riflettono la realtà? Oppure la
rifuggono completamente?
Generalmente, le mie opere
non sono impegnate. Certo che
si ispirano sempre a qualche fatto reale, ma non si occupano di
temi sociali. Nel mio lavoro sono
più interessato ai problemi formali, al modo in cui un dipinto
‘funziona’, al modo in cui questo
viene costruito. Molto spesso mi
succede di trovare lo spunto per
un’opera d’arte in un libro.
Nel testo introduttivo della monografia, il critico d’arte
Ivica Župan osserva che le sue
opere sono al passo con l’arte contemporanea, nonostante
viva in una sorta di isolamento geografico. Questo stato di
cose la aiuta ad esprimersi meglio? Quanto è importante per
un’artista essere al corrente
di ciò che succede nel mondo
dell’arte?
Oggigiorno è difficile essere completamente isolati. Personalmente, mi tengo abbastanza informato su ciò che succede nel mio ambiente e pure nel
mondo, anche se vivendo a Cit-
Đanino Božić
San Giorgio sul monte verde (1988)
«Non credo nell’ispirazione. Ci
sono giorni quando lavoro con
più disinvoltura e altri quando le
mani non ‘ascoltano’ e le cose non
riescono come vorrei. Comunque,
l’arte è un lavoro ed è proprio
lavorando che si giunge a delle
nuove idee»
cultura 3
Sabato, 19 gennaio 2013
sono sempre presente all’inaugurazione di mostre dei miei
colleghi e seguo con interesse il
loro lavoro.
In questo contesto devo puntualizzare l’importanza dei viaggi. Per me questo è un segmento
essenziale di arricchimento spirituale. Mi metto in viaggio più
volte all’anno, sia per lavoro sia
per diletto.
Si può parlare oggigiorno di
precise tendenze nell’arte?
Direi di no. Al giorno d’oggi tutto è aperto, tutto è possibile. Insomma, si può dire che oggigiorno l’inesistenza di una tendenza sia a sua volta una tendenza.
Quindi, il fatto di trovarsi o
no a contatto con il mondo artistico non è veramente importante, visto che tutto è possibile?
È sempre importante essere al
corrente. Ogni opera d’arte può
influire sulla mia percezione, può
ispirarmi nel mio lavoro. Vedere
le opere degli altri è per me molto stimolante.
Lavora di giorno o di notte?
Come è organizzata la sua giornata?
Lavoro esclusivamente di
giorno. Inizio alle otto del mattino e lavoro fino alle 15 o alle 16,
ogni giorno. La disciplina è molto importante.
Le succede mai di non avere
ispirazione?
Non mi è mai successo. Non
credo nell’ispirazione. Ci sono
giorni quando lavoro con più disinvoltura e altri quando le mani
non ‘ascoltano’ e le cose non riescono come vorrei. Comunque,
l’arte è un lavoro ed è proprio
lavorando che si giunge a delle
nuove idee.
Quando ha scoperto l’amore
per l’arte?
Molto presto nella vita. Ero
sicuro, fin dall’infanzia, che
un giorno mi sarei occupato di
arte.
L’arte può essere offensiva?
Secondo me, no. Credo che
nessun artista vero desideri offendere il pubblico. Certo che in
ambienti conservatori certe opere d’arte possono suscitare indignazione e scalpore, ma credo
che sia necessario capire quale è
l’idea che si cela dietro a un lavoro o a una performance.
I suoi lavori sono piuttosto
minimalisti, essenziali...
Io li chiamo ‘esatti’. I miei lavori sono razionali, precisi e in
ogni momento sotto il mio con-
Secondo il critico Ivica Župan, Božić è una forte
personalità artistica che ha scoperto e definito molto
presto il suo mondo immaginario e artistico.
Come rileva il critico d’arte, “la sua opera sintetizza
diversi paradigmi stilistici dell’arte mondiale del XX
secolo, contemporaneamente ‘lottando’ con successo
alla ricerca di un’espressione individuale, nell’intento
di superare le matrici stilistiche assimilate e già viste”.
Spiega ancora il critico che Božić è un artista riservato
e introverso, estraneo al narcisismo artistico
Rete I (2010)
Su-Giù-Su (2006)
Il vaso di Pandora (2011)
Galleria mobile (2011)
trollo. Ogni lavoro è pianificato,
calcolato in anticipo e prima di
iniziare so esattamente cosa voglio ottenere. Certo che nel lavoro mi permetto pure qualche improvvisazione ma, tutto sommato, le mie opere sono programmate.
Cosa ha voluto ottenere con
l’apertura di una serie di gallerie d’arte in miniatura?
La mia prima mini-galleria risale al 1993. È nata come un atto
di protesta contro il sistema museale e galleristico in Croazia
che, secondo me, acquista spesso opere che non sono tanto rilevanti dal punto di vista artistico
e, d’altro canto, ignora autori internazionali che hanno qualcosa
da dire. Per questo motivo avevo deciso di realizzare una galleria secondo il mio concetto, sistemandovi minuscole opere d’arte
che ricordavano quelle che avrei
voluto vedere all’interno di una
vera galleria. La terza mini-galleria comprende, invece, lavori minuscoli originali di miei colleghi
artisti. In quest’ultima avevamo
organizzato pure una vera e propria inaugurazione della mostra.
Vi avevamo fatto pure un video
utilizzando una minuscola macchina da presa.
È d’accordo con l’affermazione secondo la quale oggigiorno nell’arte tutto è già stato “scoperto”?
Non sono d’accordo. Se così
fosse, non avrebbe scopo continuare a occuparsi di arte.
4
cult
Sabato, 19 gennaio 2013
VIAGGI Rapido excursus nei siti archeologici dell’Asia minore che sono stati pietre m
Dal cavallo di Troia alla mosc
S
di Mario Simonovich
i comincia con Troia, “il mitico luogo scelto da Omero
quale sfondo a una delle più
belle storie dell’antichità”, diceva
il depliant con cui l’agenzia pubblicizzava il suo tour nell’Asia minore all’insegna dell’”uno paga/
l’altro gratis”.
Considerati nei fatti, sia il riferimento al passato sia l’accattivante
promessa di spendere poco potrebbero essere oggetto di qualche critica dissonante, ma di fronte a fatti
epici per antonomasia, a che pro andare per il sottile? E così, dopo una
visita lampo a Istanbul, la più europea delle cità asiatiche e la più asiatica delle città europee (12,7 milioni di abitanti, che sarebbe a dire
qualcosa come tre Croazie e rotti),
eccomi intruppato sul pullman che
mi porta a incontrare le ombre di
Achille, Ettore, la bella Elena, ma
anche Tersite, il soldato brutto e nemico di ogni guerra, con cui, alla
prima lettura dell’Iliade, complice
di un crudele gioco, avevo chiamato a lungo uno sfortunato compagno della sesta elementare.
Ci arrivo dopo qualche ora di
viaggio su ottime strade e un traghettamento oltre lo Stretto dei
Dardanelli, teatro di uno dei primi
tentativi d’invasione dal mare del
tempi moderni e, nel contempo,
uno dei più clamorosi insuccessi
delle forze dell’Intesa nella prima
guerra mondiale, una carneficina
che si protrasse nel corso di tutto
il 1915 in cui gli attaccanti ebbero 220 mila fra morti e feriti che,
assommati ai 250 turchi, formano
un fiume di sangue al cui confronto
le perdite sotto Troia, quand’anche
vere, sarebbero roba da nulla.
Interessante anche il breve percorso sul traghetto, di dimensioni
grosso modo simili ai quarnerini.
Simili anche gli sbracciamenti ed
i metodi spicci con cui all’imbarco vengono trattati i conducenti. Di
diverso c’è il timoniere in ciabatte
e il colore rosso delle unità, all’apparenza non troppo ben tenute. In
compenso gli equipaggi danno prova di una perizia impressionante:
nelle manovre gli scafi quasi si toccano: se qui venisse comandato un
ufficiale della capitaneria di Fiume,
si prenderebbe presto un infarto.
Pronta ad accogliere gli stranieri d’oggi, approdati sicuramente
con intenzioni molto meno belluine dei greci d’allora, Troia ha approntato un ampio piazzale in cui
ogni pullman viene ad occupare
uno spazio rigorosamente definito.
E qui la prima sorpresa. Chiunque,
mosso dai ricordi risalenti ai banchi di scuola, immagini di poter intravvedere la spiaggia su cui i greci
avevano lasciato il famoso cavallo,
ha subito motivo di ricredersi: dalle mura della città il mare si vede
a malapena, tanto è lontano. Per
far arrivare quassù il mastodontico
quadrupede ci sarebbero voluti un
paio di autotreni o, dati i tempi, la
forza di Ercole, ma non risulta che
qui egli si fosse particolarmente distinto in alcuna fatica, fosse anche
la più leggera di tutte.
Poi si entra a conoscere da vicino il sito a cui pervenne Heinrich
Schliemann nel 1871, dopo otto
anni dacché, liquidata un’attività
commerciale che gli aveva procurato una notevole ricchezza, arrivò
qui, come s’usava dire a quei tempi, invaghito di Omero, per iniziare gli scavi. Un lavoro caparbio che
gli fece alfine scoprire, sulla collina di Hisarlik i resti della mitica
città. E non si fermò qui: la febbre
del piccone gli fece scoprire negli
anni successivi Micene, il mègaron
e le tombe dell’Acropoli, da lui identificate con quelle degli Atridi, e poi,
nel 1880-81 il tesoro di Minia a Orcomeno di Beozia, nonché, tre anni
dopo il palazzo di Tirinto.
Le reazioni al suo operato furono
contrastanti. I contemporanei gli rinfacciarono una fiducia esagerata, tanto da rasentare l’ingenuità, nelle indicazioni dei poemi omerici. Più tardi, ferma restando la maggioranza di
questi appunti, gli fu riconosciuto il
merito d’aver aperto un capitolo nuovo ed importante della protostoria del
Mediterraneo e d’aver trovato un’impressionante quantità di reperti.
Parola di Eltsin:
quel tesoro
è a Mosca
La guida ci fa osservare i nove
strati sovrapposti che compongono il passato della città. Pervenuto
al secondo strato a partire dal basso
Schliemann ebbe la fortuna di trovare
un tesoro di grande valore che ritenne
essere quello, leggendario, di Priamo.
Il ritrovamento - che risaliva però ad
un periodo precedente a quello della Troia omerica collocata intorno al
XIII secolo a. C. e pertanto non identificabile con il settimo strato - ebbe
in seguito uno sviluppo non meno intrigante. Schliemann donò i preziosi
oggetti al suo paese natale, la Germania, che li custodì in un museo di Berlino fino alla seconda guerra mondiale. Nel 1945, nonostante Hitler avesse
ordinato di nasconderli affinché non
cadessero nelle mani dei russi, questi
li trafugarono in segreto e li portarono
a Mosca. Nessuno ne seppe più niente fino al 1993, quando Boris Eltsin ospite del presidente greco – disse a
sorpresa che si trovavano nel museo
Puškin. La circostanza sarebbe stata confermata dallo stesso Eltsin alla
‘Literaturnaja Gazeta’, nonché dal
ministro della cultura russo Sidorov.
Voci maliziose assicurarono che l’ammissione fu conseguenza del fatto che
in quell’occasione Eltsin era alticcio.
Difficile appurare oggi il dato, ma si
sa che quel vizietto ce l’aveva...
Forti del fatto che qui ha le radici
un mito noto su scala universale, gli
operatori turistici turchi si sono preoccupati di piazzare sul piazzale d’ingresso un grande cavallo in legno a
cui si può accedere con una scala interna e quindi ammirare il panorama
da una delle finestre aperte su due piani (e anche questo dà l’idea della mole
dell’equino). Incredibile ma vero, in
barba al principio di farti pagare tassativamente tutto, l’accesso è gratuito. Per chi è invece di gusti più sofisticati, c’è l’adiacente museo con reperti
in prevalenza dell’antica Roma la cui
presenza, a pensarci bene, rappresentò
già allora l’effetto di ritorno di quella
civiltà che parecchi secoli prima aveva informato l’Europa. Più che giusta
quindi l’assegnazione al sito del titolo
di “Patrimonio dell’umanità”, decretata dall’UNESCO nel 1998.
La biblioteca
di Pergamo in dono
a Cleopatra
Risalito sul pullman, mi tornano
in mente le belle spiegazioni sull’Iliade e l’Odissea di cui già alle elementari fu prodiga l’insegnante Maria
Blecich, con l’ausilio della preziosa antologia di Maria Illiassich, che
poi ebbi la fortuna d’avere quale do-
cente al Liceo. Due insegnanti che
m’inculcarono quella passione per lo
scrivere che “ancor non m’abbandona”. Quest’ultima, trattando dell’epica omerica ricordava quel feroce
“gran traduttor dei traduttor d’Omero” con cui Foscolo aveva gratificato Vincenzo Monti, che aveva tradotto l’Iliade non dal greco, che non
conosceva, ma dal latino. Il giovane
critico aveva gioco facile in quanto
la Grecia era il suo paese natale, ma
forse, almeno in parte, l’origine della contesa si sarebbe potuta rinvenire
in una certa Teresa Pichler che aveva respinto le sue irruenti profferte
amorose e che, incidentalmente era
la moglie di Monti. Un conflitto a
causa di una donna? Nulla di strano,
non era successo anche a Troia?
La meta successiva è Pergamo,
all’epoca città molto fiorente e importante centro d’irradiazione del cristianesimo, tanto che nell’Apocalisse
san Giovanni la chiama una delle sette chiese dell’Asia. La città tuttavia
ebbe notevole fama anche oltre due
secoli prima. La posizione neuralgica le aveva fatto acquisire notevoli
richezze che, come spesso accade, si
erano travasate in non minori espressioni culturali ed artistiche. Ne fa fede
in primo luogo il nome dato alla pergamena, ovvero una delle due essenziali “carte da scrittura” dell’antichità.
Fu infatti qui, sostiene autorevolmente Plinio il Vecchio, che già nel II sec.
a C. Vennero usate a tale scopole pelli di animale in sostituzione del papiro la cui esportazione dall’Egitto era
stata vietata da Tolomeo V proprio a
causa della concorrenza in campo
culturale che gli veniva da questa città. Il papiro comunque sopravvisse
perché più abbondante e meno costoso. Quale fosse il potenziale culturale
della città è palese dal fatto che la sua
biblioteca era la seconda del mondo
greco dopo quella di Alessandria. Secondo Plutarco, Marco Antonio, dopo
l’incendio della biblioteca di Alessandria nel 47 a.C., comprò tutti i manoscritti della biblioteca di Pergamo per
farne dono a Cleopatra
Le statue decollate
per risparmiare
Già un secolo prima, dopo la vittoria di Attalo I sui, la città si espanse a tal punto da dare vita ad un’acropoli monumentale con al centro un
grande tempio dedicato ad Atena Poliàs della cui maestosità fanno fede le
gigantesche colonne ancora in piedi.
Tutta la piazza antistante fu abbellita con statue bronzee, di cui oggi restano però solo le copie in marmo.
Tema dominante di queste opere è la
vittoria sui barbari, ed il trionfo della
civiltà sulla forza.
Uno dei motivi della sua prosperità è anche la sua posizione in cima
alla montagna, che la rendeva imprendibile permettendole nel contempo di
controllare la valle. Se ci fosse il mare
vicino, assomiglierebbe a Fiume vista
da una Tersatto alta il doppio. I conquistatori moderni, armati di depliant,
macchine fotografiche e cineprese, la
espugnano invece con molta più facilità: il ministero per il turismo ha costruito una cabinovia che li porta in in
loco in pochi minuti.
Lo spettacolo all’arrivo è veramente impressionante. Vie, tempi, statue, mantengono ancora una
solidità e una bellezza invidiabile.
Tanto di cappello poi agli ingegneri che, per ricavare l’emiciclo di un
teatro, decisero di scavare il fianco della montagna. Basta guardare
quel che ne rimane per capire che
l’acustica dev’essere stata perfetta,
roba da far invidia ai muezzin delle
moschee di cui, in basso, è tappezzata la valle circostante, costretti a
piazzare enormi quanto assai poco
estetici altoparlanti sui minareti per
farsi sentire più lontano.
Morto Attalo III (138-133 a.C.)
l’ultimo re indipendente, passò ai romani e il suo territorio venne a costituire la provincia romana dell’Asia.
In età romana fu città prospera, famosa per l’attività dei ceramisti, la
produzione di unguenti e le suddette pergamene. Le statue si presentano spesso prive di testa. Non tutte le
decapitazioni però sono il segno del
sopravvento di una fazione su quella che l’ha preceduta. In taluni casi
si agì così semplicemente per mettere il capo del vincitore di turno sul
torso di un lontano precedessore la
cui fama era ora orami impallidita.
Insomma, una questione di risparmio più che altro.
Caduto l’impero, arrivò l’inevitabile. Sede di provincia bizantina, fu
attaccata dagli arabi e poi passò in
mano ai turchi.
I mercanti cacciano
San Paolo dal tempio
Diverso per parecchi aspetti lo
spirito che aleggia su Efeso, terzo
dei centri visitati. Si entra percorrendo la Strada della Vergine Maria, segno eloquente della forza con cui la
sua figura si è impressa in quest’area.
Qui infatti, nella prima chiesa eretta
in suo onore, si tenne il noto Concilio
con cui nel 413 furono respinte le tesi
di Nestorio, patriarca di Costantinopoli, secondo il quale, fermo restando che in Gesù erano convissute due
persone, l’Uomo e Dio, Maria era da
considerarsi madre della sola persona umana, per cui non poteva essere
chiamata Madre di Dio. Fu una sortita infruttuosa. I duecento vescovi presenti anatemizzarono il nestorianesimo: chi lo avesse ancora professato o
seguito sarebbe stato scomunicato. La
località non era stata scelta a caso: qui
infatti il cristianesimo era stato portato presto, a poco più di trent’anni dalla resurrezione di Cristo, nientemeno
tura
Sabato, 19 gennaio 2013
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miliari sul millenario cammino percorso dalla nostra civiltà
chea di Issa Bey, ovvero Gesù
Il tempio di Adriano. A
Efeso si susseguono costruzioni d’impressionante bellezza
La facciata della Biblioteca di Celso che conteneva 12 mila rotoli
Il mito in chiave turistica: il gigantesco cavallo di legno è pronto
ad accogliere “i novelli Achei”
che da San Paolo. Che sicuramente
non ebbe opera facile se fu costretto
a lasciare la città sotto le pressioni di
una folla sobillata dall’orefice Demetrio che fabbricava statuette in argento di Artemide per cui sicuramente il
nuovo predicatore era di grosso intralcio ai suoi affari.
La presenza di Maria
e San Giovanni
Capofila dei rinforzi del “fronte
cristiano” fu San Giovanni: gli stessi verbali del concilio riportano che
prese con sé Maria e venne qui. La
casa in cui essa visse un’esistenza
molto semplice fino all’ascensione
al cielo si trova a circa otto chilometri dalla città antica.
Nel centro storico di Efeso la prevalente presenza della civiltà romana
su quelle precedenti s’impone subito
al visitatore, quanto nella denominazione delle costruzioni tanto nell’architettura e nella scelta degli impianti.
Superata la Porta di Eracle, si percorre infatti la Via dei Cureti, la via sacra
che nella sua maestosità si richiamava direttamente all’antica Roma. Sui
due lati erano schierati i negozi e gli
edifici più rappresentativi, intervallati da iscrizioni e dai busti dei cittadini
più illustri. La diversità delle colonne
indica l’ostinazione con cui furono
progressivamente sostituite a quelle
primigenie distrutte dai tre terremoti
succedutisi negli anni 355, 358 e 368
d. C. La terza ricostruzione, forse per
carenza di mezzi, non fu però accurata come le due precedenti sicché si
può presumere che a quell’epoca iniziasse il progressivo declino di questo che era stato uno dei centri urbani più popolati in quest’area arrivando anche a 200 mila cittadini. Sulla
destra, simile ad un piccolo tempio,
la Fontana di Traiano ricorda i meriti
dell’imperatore entrato nella leggenda per le famose “orecchie di capra”.
La città di Troia vanta la bellezza di nove strati archeologici sovrapposti
L’acqua affluiva nelle due vasche poste verso la via da un canale retrostante. Un esemplare opera d’ingegneria.
Che anche allora funzionasse il connubio pubblico-privato è testimoniato dalle vicine Terme di Skolastikia,
che prendono il nome da una cittadina benestante che le fece rimettere a nuovo nel 400 d.C. A tre piani, e
dunque di dimensioni ragguardevoli,
l’edificio si apriva con una vasca ellittica contenente l’acqua fredda, di
cui i visitatori si servivano per un’ultima tonificante immersione prima di
uscire dalle terme. Chi entrava invece iniziava con il tepidarium per passare poi al caldarium.
Il pavimento era realizzato con
mattoni a forma circolare che, oltre
a sorreggere il piano, erano in grado
di far passare l’aria calda proveniente dalla fornace. Poco discoste, fanno
bella mostra di sè le latrine dell’epoca. Costruite tutte in pietra, non sembrano avere mai avuto pareti divisorie, per cui anche fra i ceti più abbienti il concetto di intimità doveva avere
un valore molto relativo. Il materiale
refluo finiva in un canale che passava
davanti ai singoli “posti”. Anche allora però c’era chi si poteva permettere qualche privilegio. Non era infatti
raro il caso che il visitatore benestante si facesse precedere da uno schiavo che si sedeva a scaldargli la fredda pietra. Nulla si sa invece se durante la “seduta” questi fosse autorizzato
o meno anche a servirsi dell’impianto
come chi l’avrebbe seguito...
Ma la vera chicca viene poco
dopo, in fondo alla discesa, a ridosso
della zona commerciale. È la splendida (e mai parola fu più opportunamente usata) biblioteca realizzata
in onore di Gaio Giulio Celso Polemaeno, illustre proconsole (106-107
d.C) dal figlio, Gaio Giulio Aquila
che, oltre a inumare il padre in un
mausoleo inserito nei fondamenti dell’edificio, lasciò in eredità alla
città i soldi per l’acquisto dei libri.
Era piuttosto insolito non soltanto
esser sepolti dentro una biblioteca
ma anche solo entro i confini della
città, quindi si può supporre che Celso godesse di grande fama.
L’edificio si presenta pregevole
fin nella facciata, segnata da colonnati di vario ordine che creano un impagabile prospettiva con elementi che
si rifanno al cosiddetto “barocco asiatico” e dalla presenza di quattro statue che celebrano la Saggezza, Virtù, Benevolenza e Sapienza. Consta
di un’unica grande sala che si affaccia verso est, ovvero, come consigliava anche Vetruvio, accoglie con gioia
gli spiriti mattinieri. I doppi muri con
intercapedine, si riteneva, erano atti a
salvaguardare i 12 mila rotoli di papiro dall’umidità e, si sperava, dagli
incendi. Purtroppo quello scoppiato
in seguito al terremoto del 262 fu più
forte, sicché della biblioteca rimase
La Casa della Madonna è oggetto
di un flusso continuo di visitatori
solo la facciata, che pure dovette sottostare a grossi interventi. I maggiori
sono anche i più recenti, risalgono infatti al 1969-1970. La presenza di tale
edificio attesta la commistione fra la
cultura greca e romana dell’epoca e
in generale permette di tracciare lo
sviluppo delle biblioteche romane in
quest’area. Da aggiungere che, pienamente cosciente di questo patrimonio
d’arte e di cultura, la Turchia odierna
ne ha riportato l’immagine in due riprese sulle sue banconote.
Meandri, la storia
scorre come il fiume
Quanto avvenuto qui, in uno spazio piuttosto ristretto, tratteggia con
efficacia il moto della storia nei suoi
non pochi meandri. Poco discosto
dal centro, sorgeva il tempio di Artemide, considerato una delle sette meraviglie del mondo antico. Dopo varie vicissitudini, fu distrutto dai goti
nel 262 e ricostruito ancora una volta dagli efesini. Nel 391 avvenne la
chiusura a seguito dell’editto di Teodosio che vietava i culti pagani. Nel
401 infine, la distruzione definitiva
ad opera dei cristiani, guidati dal vescovo Giovanni Crisostomo, arcivescovo di Costantinopoli, sicché tutto
quel che oggi ne rimane sono due colonne malandate.
Non molto lontano dai ruderi,
sull’adiacente collina, altri due edifici
Un cuore stilizzato, un piede sinistro e un volto di donna agghindata. Spiegazione: anche se hai
il cuore spezzato, volgendo a sinistra troverai una Casa in cui le
donne ti daranno amore. Funzionava così la pubblicità a Efeso di
duemila anni fa
testimoniano esemplarmente il corso
dei tempi. Il primo è la chiesa di San
Giovanni che a Efeso assunse la direzione della Chiesa, scrisse il suo vangelo, morì e fu sepolto.
La vittoria incondizionata del
cristianesimo sui riti pagani sembrò definitiva, invece durò non più
di un paio di secoli, fino all’avvento
di Maometto, i cui seguaci, va riconosciuto, ebbero molta più fortuna
riuscendo a mantenersi per un millennio e mezzo, fino ai giorni nostri.
Oltre che da tutto il resto, la loro
presenza è attestata proprio qui, a
pochissima distanza dalla chiesa di
San Giovanni, dalla moschea di Issa
Bey. Ma chi era questo “signore,
gentiluomo o uomo onorato”(questi
i significati della parola Bey) che
per i musulmani ha il rango di profeta? Il mondo cristiano lo conosce
come Gesù Cristo. Quando si dice i
meandri della storia...
Si rimonta in pullman per il rientro in albergo. Poco discosto da Efeso la strada costeggia un fiume che
si muove pigro e sinuoso. In turco
è chiamato Kucuk Menderes, ma il
nome italiano è Piccolo Meandro. Sì,
è il fratello minore di Buyuk Menderes, alias Grande Meandro, il nome
proprio assurto a concetto geografico. Se dunque già la natura qui si è
preoccupata di impegolarsi in tante
giravolte, figurarsi se l’uomo poteva
essere da meno.
6 cultura
Sabato, 19 gennaio 2013
ITINERARI Come Cenerentola e Biancaneve sempre presenti nel nostro immaginario
Duecento anni dopo riscopriamo
l’attualità di storie del passato
di Ardea Stanišić
E
ra il 1812 quando è uscita la prima edizione delle “Favole” dei fratelli Jakob e Wilhelm Grimm. Da allora ad oggi sono passati ben due
secoli, eppure personaggi come
Cenerentola, Biancaneve o Pollicino continuano a rimanere ben
saldi nel nostro immaginario.
Testimonianza ne sono le continue edizioni delle loro fiabe, ora
riunite in raccolte, ora divise in
singoli volumi, ma anche le frequenti citazioni o rivisitazioni
cinematografiche e televisive.
Usciva, dunque, 200 anni fa
la prima edizione della celebre
raccolta, “Kinder und Hausmärchen”, frutto di un’attenta ricerca dell’essenza della cultura tedesca. Ciò che affascinava i due
fratelli dell’antica letteratura tedesca era la convinzione che le
forme culturali più pure e spontanee - quelle che tenevano insieme una comunità - fossero quelle linguistiche e che bisognasse
rintracciarle nel passato. Essi ritenevano inoltre che la letteratura “moderna”, per quanto ricca,
fosse una creazione artificiale,
incapace di esprimere l’essenza
genuina della cultura del popolo. Per questo dedicarono tutte le
loro energie alla riscoperta delle storie del passato. E per questo motivo il loro amico, il poeta romantico Clemens Brentano,
chiese loro di raccogliere ogni
genere di racconto popolare con
l’intento di servirsene per un volume di fiabe letterarie. Nel 1810
essi gli inviarono 54 testi che per
fortuna ricopiarono. Per fortuna,
perché Brentano finì col perdere il manoscritto nel monastero di
Ölenberg (Alsazia) e non utilizzò
mai quei testi.
I fratelli Grimm, nel frattempo, continuarono a raccogliere fiabe; quando capirono che Brentano
non avrebbe più utilizzato il loro
manoscritto, decisero di seguire il
consiglio dell’amico, l’autore romantico Achin von Arnim, e pubblicarono la loro raccolta, che nel
frattempo era giunta a “quota” 86
storie, quelle che per l’appunto
pubblicarono nel 1812. A questi si
aggiunsero altre 70, che pubblicarono nel 1815.
Racconti
come gemme
preziose
I Grimm cercarono di raccogliere e preservare come gemme
sacre e preziose ogni genere e tipo
di traccia del passato, racconti,
miti, canti, favole, leggende, epopee, documenti, dunque non solo
fiabe. Il tutto al fine di rintracciare e cogliere l’essenza dell’evoluzione culturale e dimostrare come
la lingua naturale, che sgorgava
dagli usi e dai rituali della gente
comune, creasse legami autentici
e contribuisse a modellare le comunità civili. È questa una delle
ragioni per cui definirono la loro
raccolta un manuale educativo
(Erziehungsbuch). Erano convinti
che ogni storia e ogni sua variante
fossero importanti per mantenere
viva la tradizione culturale.
Soffermandosi sulle fiabe della
prima edizione, si può notare molte di esse sono più brevi e incredibilmente diverse rispetto alle versioni pubblicate in seguito, sono
scarne e poco o per niente descrittive. Chi le racconta è propenso a
comunicare le verità che conosce
e anche quando ci sono di mezzo
magia, superstizioni, trasformazioni miracolose e brutalità.
Le fiabe originali
sorprendentemente
diverse
Le 42 fiabe originali dei due
celebri favolisti sono raccolte in
“Principessa Pel di topo”, volume appena uscito per Donzelli (tavole originali di Fabian Negrin, traduzione di Camilla Miglio, 246 pagine, 23.90 euro) e
sono di fatto sconosciute. A raccontare la loro storia, che sembra
una favola essa stessa, è Jack Zipes, studioso di fama internazionale di folklore e letteratura per
l’infanzia.
La regina “più bella di tutto
il reame”, con il suo infallibile
specchio, non è la matrigna bensì
la madre vanitosa di Biancaneve.
È lei a ordinare al cacciatore di
strappare “polmone e fegato” alla
figlia, lei a travestirsi e a raggiungerla nella casetta dei nani dove,
al terzo tentativo e con una mela
avvelenata, “finalmente” la uccide. Sappiamo il seguito della favola, ma non che fu un servitore collerico ad assestare alla fanciulla morta, deposta “in una bara
di vetro”, “un gran colpo sulla
schiena”: provvidenziale, perché
“fu così che le tornò su il tocco
di mela avvelenato, per tutto quel
tempo rimasto incastrato in gola”
- sostiene Zipes.
I fratelli Grimm erano convinti
che ogni storia e ogni sua variante
fossero importanti per mantenere
viva la tradizione culturale.
Riuscirono a cogliere l’essenza
dell’evoluzione culturale e
dimostrare come la lingua sgorgava
dagli usi e dai rituali della gente
comune
Ci sono eroine di cui non sapevamo l’esistenza, come la principessa Pel di topo, condannata a
morte dal padre, risparmiata dal
carnefice, decisa a “farsi passare
per uomo” sotto il suo orrido vestito di pelle di topo, troppo acuta e misteriosa per essere solo un
valletto del re.
E animali fedeli, sarti e fabbri
astuti, gobbi sciocchi ma fortunati, orchi famelici, diavoli e soldati,
elfi gentili e bambine che cavalcano volpi, principi, sorelle, falegnami che non conoscevamo. Ma anche lì dove il racconto si fa più familiare, c’è qualcosa che ci spiazza. Raperonzolo, per esempio.
Non è una maga ma una fata a rinchiudere la fanciulla dai lunghi capelli “fini come oro filato” nell’alta torre “senza porta né scala”. Anche se è lo stesso principe a innamorarsi di lei e a salire nella stanza
aggrappato alla magnifica chioma
della fanciulla. Quel che non abbiamo finora letto e che scopriamo
nella prima sintetica versione della favola, è la gravidanza di Raperonzolo, svelata con una domanda:
“Ma ditemi, Donna Gothel, perché
i miei vestiti si fanno sempre più
stretti e non mi entrano più?”. Un
particolare che Jacob e Wilhelm
Grimm cancellarono pochi anni
dopo, per sempre.
cultura 7
Sabato, 19 gennaio 2013
Omaggio al pifferaio in una strada di Hameln
ITINERARI Parte da Hanau, la città natale dei fratelli Jacob e Wilhelm Grimm
L’avventurosa strada delle fiabe
un percorso tra arte e letteratura
A
bbiamo avuto tutti tra le
mani almeno una volta qualcuna delle numerosissime fiabe dei fratelli
Grimm, ma non molti probabilmente sanno dell’esistenza
di un autentico percorso turistico tra città, borghi e villaggi riconducibili ai loro racconti. La
‘Deutsche Märchenstrasse’, ovvero la Strada delle fiabe, è stata creata nel 1975 in Germania
ed è un viaggio che concretizza
scenari favolosi: 664 chilometri
di paesaggi e 70 luoghi da fiaba. Un itinerario che fa sognare
ad occhi aperti, soprattutto nei
mesi primaverili ed estivi, dove
i centri abitati si animano di rivisitazioni e rappresentazioni
all’aperto dei racconti di Jacob
e Wilhelm Grimm: da Raperon-
zolo a Cappuccetto Rosso, dal
Gatto con gli stivali a Biancaneve e i sette nani, da Hansel e Gretel al Principe Ranocchio.
Il percorso della Strada delle
fiabe parte da Hanau, città natale
dei Fratelli Grimm. Dal 1896 nella
piazza del mercato si trova il monumento nazionale ai due celebri
scrittori. Dal 1975 la città rappresenta il punto di partenza del viaggio nell’universo fiabesco. Nel
1983 viene istituito un premio letterario che porta il nome dei due
fratelli, il Brüder Grimm-Literaturpreis, e dal 1985 viene organizzato il Brüder Grimm-Märchenfestspiel, un festival in loro onore.
Nel museo storico (Schloss Philippsruhe) c’è una mostra permanente sulla loro vita, le loro storie
e le loro imprese.
A Brema, statua dedicata ai famosi musicanti della fiaba
A Brema, situata sulle rive del
fiume Weser, sorge il monumento
in bronzo che evoca le gesta dei
famosi quattro musicanti: un asino, un cane, un gatto e un gallo,
che nelle pagine dei Grimm fuggono di casa per arruolarsi nella
banda musicale di Brema e che riescono a vincere un gruppo di briganti. Da Brema si prosegue alla
volta della regione del Mittelweser, con Nienburg e Bad Oeynhausen, dove si trova un museo delle fiabe (“Deutsches Märchenmuseum”) e il parco Aqua Magica, un
parco sull’acqua e sulla natura.
Hameln, invece, è famosa
per la fiaba del Pifferaio magico
(“Der Rattenfänger von Hameln”), basata su una leggenda medievale che vuole la città invasa
da topi. Chi sarà il salvatore di
turno? Un bel giovane, che con
il suo piffero allontana le bestiacce verso il fiume e le fa annegare.
Da maggio a settembre ogni domenica ad Hameln, presso il giardino civico, si effettua una rappresentazione vivente della fiaba,
con tanto di pifferaio e topolini.
Per incontrare Cenerentola
(“Aschenputtel”) bisogna arrivare alla valle del fiume Weser, al
castello Burg Polle, dove la sbadata ragazza avrebbe perso la famosa scarpetta. Anche qui, durante la stagione estiva, tra casette a graticcio, vengono allestite
numerose rappresentazioni della fiaba creando un’atmosfera da
sogno.
Nella regione del Reinhardswald, tra “boschi e valli d’or”,
l’ambiente è ideale per voli con
la fantasia. La località di Oberweser, ad esempio, è stata usata dai
fratelli Grimm come ambientazione per Biancaneve e i sette nani
(“Schneewittchen und die 7 Zwerge”), nonché per il Gatto con gli
stivali (“Der gestiefelte Kater”).
Non lontano è situata Hofgeismar,
piccola cittadina il cui vero gioiello è il castello di Sababurg, tra
le cui mura nasce la storia della
Bella Addormentata, risvegliatasi
dopo un profondo sonno grazie al
bacio del suo bel principe. Ai piedi del castello si trovano la foresta
del Reinhardswald e il parco degli
animali di Sababurg fondato nel
1571, considerato lo zoo più an-
Il museo di storia dello Schloss Philippsruhe, a Hanau, città natale
dei fratelli Grimm, ospita una mostra sulla loro vita
tico d’Europa. Il maniero, costruito nel 1334 e destinato a riserva di
caccia, fa oggi da sfondo a spettacoli, mostre d’arte, concerti e ogni
sabato una rivisitazione ispirata
alla fiaba.
Ad una manciata di chilometri,
a Trendelburg, c’è invece la torre da cui la dolce Rapunzel (Raperonzolo) lasciava cadere i suoi
lunghi capelli; anche qui vengono
spesso organizzati eventi a tema.
Da qui a Kassel la strada è breve. Ed è proprio Kassel una delle “capitali” della strada delle fiabe, in quanto vi è situato il Museo dei fratelli Grimm. Nel cuore
dell’Assia sul fiume Fulda sorge il
museo dedicato ai Fratelli Grimm
presso il Palais Bellevue. Fondato nel 1959, con l’intendo di conservare documenti sulle opere e
sulla vita di Jacob e Wilhelm, evidenzia la loro fama non solo in
quanto scrittori di fiabe, ma anche
come filologi, linguisti e ricercatori di fama ormai mondiale.
A questo punto si va in direzione sud, sulla rotta di Cappuccetto Rosso, la bimba che attraversava i fitti boschi della zona
di Schwalmstadt - nella regione del Bergland - col cesto pieno di delizie per la sua nonna,
sotto lo sguardo attento del lupo
cattivo e affamato. La frase che
introduce la celeberrima fiaba la
sanno tutti: “C’era era una volta
una bambina. La nonna le diede un cappuccetto di velluto rosso…” (Es war einmal ein kleines Mädchen. Die Großmutter
schenkte ihm ein Käppchen von
rotem Samt...”)... e anche qui gli
allestimenti della fiaba si svolgono su sfondi incantevoli di
castelli antichi. I costumi tipici che ricordano il personaggio
sono custoditi nel museo locale
di Schwalmstadt.
Marburg, un’altra piacevole città medievale che sorge in
un’ansa del fiume Lahn, è famosa per la sua prestigiosa università, fondata nel 1527, in cui i fratelli Grimm hanno studiato legge
e iniziato le loro ricerche sulla
letteratura popolare. Nei pressi di Marburg, a Christenberg,
è ambientata la famosa fiaba di
Hänsel e Gretel. E ancora nelle
vicinanze sorge Steinau an der
Strasse, cittadina dove i fratelli
Jacob e Wilhelm Grimm hanno
vissuto da bambini, un periodo
di cui custodirono ricordi indimenticabili. “Al mio paese sono
legati, lo sento, i miei impulsi e
stimoli più vivi. Ho trascorso lì
la parte più felice e più fresca
della mia vita”, scriveva infatti
Jacob Grimm. Nel 1985, in loro
onore, sulla piazza del mercato
venne progettata la fontana delle
favole, il Märchenbrunnen, mentre il museo sulla vita, le opere e
le attività dei fratelli Grimm trova spazio all’ Amtshaus (BrüderGrimm-Haus Steinau).
La Strada delle Fiabe offre
cultura e storia, associando tradizione regionale e arte locale allo
spirito delle grandi città, il tutto
circondato da un’atmosfera magica, in cui i villaggi e i castelli incantati dei fratelli Grimm si
susseguono come le pagine di un
libro avvincente.
8 cultura
Sabato, 19 gennaio 2013
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Doktrina šoka
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e del topo che diventò suo amico
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NOVITÀ IN LIBRERIA
La voce potente di Manfredi e l’affresco turco di Shafak
T
itoli interessanti nelle librerie italiane di cui segnaliamo Valerio Massimo Manfredi con Il mio nome è
Nessuno. Il giuramento (Mondadori) che porta alla
luce episodi e personaggi sconosciuti, regala la viva emozione di scoprire un intero universo brulicante di uomini,
donne, imprese gloriose o sventurate. Mostra come accanto al personaggio fluisca gran parte dell’epos greco: Alcesti, le fatiche di Herakles, i sette contro Tebe, gli Argonauti,
oltre ai due poemi di Omero. Odysseo non si erge solitario
tra le ombre di dei e guerrieri, ma il suo intero percorso di
formazione, le sue radici familiari, gli epici racconti di cui
è nutrito dal nonno-lupo Autolykos e dal padre argonauta,
i dialoghi con Herakles e Aias, gli incontri con la misteriosa Athena dagli occhi verdi, ogni dettaglio dà corpo a
un racconto profondamente sorprendente. Con assoluto rigore ma anche con una vibrante adesione a questa materia
“in continuo movimento”, Manfredi compie la scelta forte
di affidare la narrazione proprio a colui che disse di chiamarsi Nessuno: una voce diretta, potente, scolpita nella sua
semplicità. Un libro meraviglioso, consigliatissimo, riesce
a presentare il personaggio di Odisseo in modo accattivante, realistico, con una profondità d’animo che permette a
chiunque di immedesimarsi in lui; questa analisi psicologica vale anche per gli altri personaggi. Lo stile è quello
di un romanzo ben scritto, che tiene conto anche degli usi
dell’epica antica come quello di citare sovente patronimici.
Gli scenari sia paesaggistici che bellici sono descritti con
superbo realismo e il racconto denota un attento studio filologico previo.
Ovunque sarai (Piemme) di Olga Watkins è l’incredibile odissea di una giovane ragazza (nata a Sisak in Croazia) di vent’anni nell’inferno della Shoah e nel cuore del
Terzo Reich per ritrovare Julius, l’uomo che ama. Un viaggio lungo 3.300 chilometri, da Zagabria a Budapest, da
Dachau a Norimberga, sfidando la polizia segreta, gli eserciti, la delazione, le frontiere, i
bombardamenti. La determinazione di Olga
nell’inseguire il suo uomo per un amore che
ha ben pochi ricordi concreti - un bacio sulle labbra, qualche serata all’Opera, poco di
più - non si arresta di fronte a nulla. A nessun impedimento. A nessuna beffa del destino. Nemmeno ai cancelli di Buchenwald, il
campo dell’orrore. A leggere questo libro non
si direbbe che l’autrice sia oggi una pacifica anziana di 89 anni, che vive in Inghilterra
e prende il tè ogni giorno alle 5 con studiata
meticolosità. A fatica si riesce a credere che
una vicenda così estrema non sia altro che il
memoriale della sua vita. Lo stile rivela l’assoluta semplicità di chi ha una storia da raccontare e si lascia guidare dai fatti, senza un
filo di retorica. È un libro di quelli che lasciano il segno.
Le librerie croate sono ricche di romanzi
moderni e attuali. Presentiamo Elif Shafak che con il suo
Palača buha (Hena com) ci regala un luminoso e memorabile affresco della capitale turca e dei suoi mille volti e, insieme, una riflessione sul difficile compromesso tra un passato ingombrante e un futuro ancora da scrivere. Il libro è
stato un bestseller in Turchia, ed è diventato uno dei sei libri
candidati nel 2005 per l’Indipendent Foreign Fiction Prize
in Gran Bretagna. In quest’opera le storie di ogni personaggio si intrecciano senza tregua, sviluppandosi in una serie di
flashback improvvisi, che riportano ad altre epoche e altri
luoghi, dando l’impressione di essere noi stessi un’immigrante che dopo anni di viaggi decide di stabilirsi in Turchia, o allo stesso tempo un turco che lontano dalla patria
Anno IX / n. 70 del 19 gennaio 2013
“LA VOCE DEL POPOLO” - Caporedattore responsabile: Errol Superina
IN PIÙ, supplementi a cura di Errol Superina / Progetto editoriale di Silvio Forza
Art director: Daria Vlahov Horvat / edizione: CULTURA
Redattore esecutivo: Diana Pirjavec Rameša
Impaginazione: Annamaria Picco
Collaboratori: Helena Labus Bačić, Mario Simonovich, Ardea Stanišić, Viviana Car
Foto: Goran Žiković
La redazione del presente inserto ha consultato i siti: www.knjiga.hr, www.kulturaplus.com, www.sveznazdor.com
www.svetknjige.si, www.emka.si, www.librerie.it, www.italialibri.net, e la rivista “Arte” (Giorgio Mondadori Editore)
non vede l’ora di tornarci. Si assapora la vita “vera” di
Istanbul, decisamente lontana da quella che si vede in
tv, e ancor più da quella descritta dagli autori americani,
che la vedono come la meta-vacanza adatta per l’ereditiere di grido.
Amélie Nothomb con Oblik života (Vuković&Runjić)
racconta un aspetto privato della sua esperienza personale con il volto di un militare - Melvin Mapple, di stanza in Iraq da molto, troppo tempo -, attraverso un rapporto epistolare che nasce dal desiderio dell’uomo di
aprire un dialogo con l’autrice dei libri che lo hanno
tanto appassionato nei mesi e negli anni di guerra. Uno
dei tanti rapporti epistolari aperti di Amélie che, a margine di questa storia centrale, ce ne racconta altre descrivendo un incredibile umanità dedita a chiedere sostegno materiale e psicologico a lei, quasi fosse onnipotente. Quotidianamente sommersa dalla posta dei suoi
lettori, Amélie si imbatte nella lettera di Malvin Mapple, soldato americano obeso di stanza a Baghdad. Comincia così uno stravagante scambio epistolare. Poco a
poco Amélie si affeziona al soldato e ai suoi compagni
di taglia XXXXL. Ma all’improvviso Melvin Mapple
smette di scriverle e Amélie, sconcertata, tenta di ritrovarlo, ci riuscirà?
Viviana Car
Fly UP